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21. (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341

Frisso fu benissimo accolto con quel raro e prezioso animale da Eeta re di quella regione : e volendo mostrarsi grato agli Dei dell’esser giunto a salvamento ove desiderava, offrì loro in sacrifizio quel bravo montone che lo aveva sì ben servito, per appenderne come voto l’aureo vello maraviglioso. Ma gli Dei ricompensarono essi quel povero animale, trasformandolo nella celeste costellazione dell’Ariete ; e invece dell’aureo vello l’adornarono di quarantadue fulgidissime stelle, e il Sole l’onorò coll’ incominciar dal 1° grado di esso l’annuo suo corso tra i segni del Zodiaco. Quindi i poeti alludendo a tal fatto mitologico chiamano questa costellazione l’animal di Frisso ; e Dante l’appella più volte antonomasticamente il Montone, siccome il più buono, il più paziente, il più illustre di quanti montoni sieno esistiti giammai ; e volendo egli esprimer poeticamente lo spazio di sette anni, usa questa perifrasi mitologica ad un tempo ed astronomica : « … Or va, che il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto che il Montone « Con tutti e quattro i piè copre ed inforca, « Che cotesta cortese opinïone « Ti fia chiovata in mezzo della testa « Con maggior chiovi che d’altrui sermone. » Il vello d’oro rimasto nella Colchide fu consacrato, secondo alcuni, a Giove, e, secondo altri, a Marte, e custodito religiosamente, e assicurato con molte cautele e magiche invenzioni, di cui parleremo in appresso.

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