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8. (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68

XII La Titanomachia e la Gigantomachia Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna che terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (vedi il n° VI). […] Per altro in una narrazione critica dei miti convien distinguere le due guerre e toccar brevemente anche della prima, cioè della Titanomachia. […] Eran tutti però molto alti e grossi, talchè da lontano tra la caligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli bene e di misurarne a occhio le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di venticinque braccia, ossia circa quattordici metri ciascuno, e di grossezza proporzionati all’altezza come nella specie umana. […] Ne riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve o sospirando anela, « Si scuote il monte e la Trinacria tutta ; « E dal ferito petto il fuoco uscendo « Per le caverne mormorando esala, « E tutte intorno le campagne e ’l Cielo « Di tuoni empie, di pomici e di fumo77). » Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con cui gli Antichi trasformavano in racconti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni. […] Per questa ragione io cito nel presente libro più esempii di Dante che di altri poeti italiani ; e giacchè ho rammentato nel testo la venerazione dell’ Alfieri per Dante, riporterò qui i primi versi del suo sonetto che egli fece a Ravenna nel visitare il sepolero del divino poeta, da lui invocato come una divinità : « O gran padre Alighier, se dal ciel miri « Me tuo discepol non indegno starmi, « Dal cor traendo profondi sospiri, « Prostrato innanzi a’ tuoi funerei marmi, « Piacciati deh !

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