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1 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
oro alcuno. Tale per certo non è la Mitologia, il di cui studio è poi necessario a costituire l’uomo erudito ; e capace
o, il capriccio de’ Poeti, gli abbagli degli Etimologisti, l’iperbole familiare agli Entusiasti di ogni genere, tutto c
e la varia forma della Mitologia. Quindi fu questa sempre mai un vago , ma immenso e fertile terreno ; esposto indiffere
ile Eroismo. Come dunque in così oscure materie, e in mezzo a tanta e yaria copia di giudizj e opposizioni altrui, come
no da’ Gentili, di quel che uomini v’avesseto sulla terra. Le tante e diverse opinioni de’ sacri e profani Scrittori no
sacri e profani Scrittori non lasciano stabilire con sicurezza chi di enormi delirj ne sia stato l’autore. Certo è, che
è il mondo ; ed è parimenti fuori di ogni dubbio, ch’essa con tale e ampio corso si diffuse, che quelle sognate Deità
a, che poi Meti, figlia dell’ Oceano e di Teti, gli somministrò, fece , ch’ egli restituisse di nuovo alla luce tutti i
nnoverata tra’ loro Numi(e). Nel Campidoglio v’ avea un tempio, sacro a Lei, che a Serapide(12). Sotto il Consolato di
l motivo della di lui venuta, arse d’invidia, ch’egli fosse autore di bel dono ; ma tuttavia, fingendo amicizia, lo acc
o questa Dea giunse in Argo appresso Pelasgo, figlio di Triopa (b). A tristo avviso restò per lungo tempo attonita la d
essere perduta ogni speranza di ricuperare la figlia ; ma Giove fece che per sei mesi dell’ anno la avesse appresso di
ingendo di sacrificare, e strepitando con cembali e timpani, facevano , che Saturno non potesse udire i vagiti del Nume
tua, scossa dal vento, percuoteva colla sferza que’ vasi, disposti in piccola distanza tra loro, che bastava agitarne u
concavo delle altre quercie circonvicine, rendevano la spiegazione di confusa armonia ; e per tale motivo tutti quegli
acoltà nell’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sacro, che l’uccisione d’un ospite era il più orr
ssero, onde il rapace uccello avesse sempro di che cibarsi. In quesco do loroso stato Prometeo se ne stette per trenta
nel prodetto fiume, e vi perdette la vita. Calamo, inconsolabile per trista sventura, pregò Giove di togliere lui pure
e un’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fece che l’effigie di un’ Aquila per volere dello stes
i fare il vino. Icario ne fece bere ad alcuni pastori dell’ Attica in copiosa quantità, che si ubbriacarono. Egliso sti
Cianippo avea disprezzato le Orgie di Bacco. Questi lo fece cadere in forte ubbriachezza, per cui egli commise una nefa
, e si sentirono orribili urli di feroci belve. Le Sorelle smarrite a strano evento fuggirono a nascondersi ; ma in van
(20). Pausania riferisce, che queste figlie di Minia divennero allora acciecate, che estrassero a sorte quale di esso t
lei vesuta, avea giù cangiata Io in candida giovenca. Ammirò Giunonò vago animale, e chiese, di qual armento e pastoro
Dea di crederlo, e pregò il marito che a lei donasse quella giovenca bella. A siffatta inchiesta il Nume si trovò in g
e code de’ suoi pavoni. Sciolt poi il freno all’ ira e alla vendetta, furibonda dette la gioventa, che questa prese a c
presa. Ebbe in isposa Ifianassa (a) (10) ma di ciò non contento, fece , che Preto cedesse un’altra partè del suo Regno,
endola finalmente un giorno a diplorare il tristo suo destino, tali e pressanti ri cerche le fece, che venne in cognizi
lontanare le mosche e gli altri insetti, che lo divoravano. Un’azione lodevole fu risguardata come un delitto ; e già s
colà era confiscato. Un’ altra Festa di questo nome ogni cinque anni celebrava in Elide, instituita ad onore della ste
un tempio appresso il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente al nome, che al tempio di Moneta. I, Romani, dio’
trage de’ nemici. Il Senato riconobbe Giunone, come autrice del fatto felicemente riuscito, prese dal predetto albero a
r vederli. Per tre giorni si celebravano con ogni genere e di giuochi nel Circo che nel teatro, e di sacrifizj, fatti i
tanti strali, che lo uccise, per vendicare la madre, che n’era stata fieramente perseguitata (f). Cotale uccisione avv
l Nume apportò molti vantaggi ad Admeto. Rendette le di lui giovenche feconde, che partorivano due vitelli alla volta (
rate una Festa d’ Apollo. Si fece pertanto una sospensione d’ armi, e gli uni che gli altri tagliarono degli allori, pe
stette, accompagnando coll’occhio il movimento del Sole. Consumato in deplorabile condizione tutto quel tempo, alfine s
te le di lui orecchie sìmili a quelle dell’asino. Il Re, vedendosi di deforme aspetto, studiò di celarne la bruttezza c
crì ad Apollo furono la cicala, perchè questa sempre canta ; il lupo, perchè Latona secondo alcuni fu trasformata in qu
sformata in quell’animale per sottrarla alle persecuzioni di Giunone, perchè Apollo, come Dio de’Pastori, voleva, che g
ezione di Diana. Questa Dea la involse in una nuvola, e la adombrò di folta caligine, che per quanto Alfeo la cercasse,
e poi, o altra persona in vece di lui ne lo alzava e abbracciava. Era necessario eseguire tale ceremonia, che il fanciu
e gli Spartani sull’altare della Dea venerata sotto il nome di Ortia, aspramente fla’ gellavano con verghe i più nobili
ri della flagellazione non vibravano con forza i loro colpi, diveniva pesante, che la predetta Sacerdotessa, non potend
solarlo, ritorno, ove giaceva la statua, e la trovò animata. Ciò fece , che mentr’egli per lo innanzi erasi dichlarato o
li più belli della steasa Dea(c). Altri soggiungono che a Mirra toccò trista avventura, perchè Cencride, madre di lei,
rono delle lagrime, che sua madre andava spargendo. Il bambino crebbe bello, che Venere sommamente prese ad amarlo. E s
iva a non cimentarsi mai contro le feroci belve. Ma il giovine non fu facile a prevalersi delle prudenti esortazioni. E
iti (13), la quale, com’era proprio di lei, le rese, tutte d’un odore fetido, che se ne dovettero allontanare i loro ma
re. Venere prese a gareggiare seco lui ; ma egli coll’ajuto delle ali velocemente girava di fiore in fiore, ch’era per
chi, li denominò Istmici, e li consecrò a Nettuno, appellato Istmico, perchè egli vantavasi d’esserne figlio, sì perchè
ettuno, appellato Istmico, sì perchè egli vantavasi d’esserne figlio, perchè il Nume su quell’Istmo avea un magnifico t
o il quale tali Giuochi si celebravano(15). I medesimi erano riputati sacri, che non si tralasciò di celebrarli neppure
caricarono i Sicionj a continuarli(a). Il concorso a tali Giuochi era grande, che i soli principali personaggi delle Gr
, che in suo onore vi si celebravano(a). A Nettuno era sacro il pino, perchè questo albero trovasi lungo le rive dol ma
acro il pino, sì perchè questo albero trovasi lungo le rive dol mace, perchè esso serve alla construzione de’navigli(b)
a corona d’ulivo. Tali Giuochi erano accompagnati altresì da balli, e conpivano con solenne sacrifizio e pubblico convi
i sdegno, che per punire Aglauro della sua disobbedienza, la rendette furibonda, ch’ella si precipitò nel mare(b). Altr
tutto simili a quello, affinchè la difficoltà di riconoscerlo facesse , che non venisse rubato. Mamurio Veturio, eccelle
te. Questo Dio, appenachè lo vide, tentò di ferirlo ; ma Minerva fece , che Diomede invece ferì lui. Peone, il Medico de
ippe. Nettuno se ne querelò appresso l’Areopago(6) ; ma il Nume seppe bene difendersi che ne partì assolto (c) (7). Par
cro a Marte, perchè esso è di natura molto coraggioso, ed ha il becco forte, che con esso giunge a forare il tronco deg
figlio, allettata dalla bellezza del dono, si affrettò a sedervisi, e fortemente ne rimase stretta da certi occulti leg
enere e Marte ; e postisi l’uno e l’altro colà a sedere, Vulcano tirò a tempo la rete, che ambedue vi rimasero invilupp
era una cieca Divinità, nata dalla Notte(c), e la quale regolava con sovrana potenza tutte le cose, che alle sue dispo
fuoco perpetuo sulle are di Minerva, e Delfo su quello di Apollo : e in Delfo, che in Atene si custodiva il medesimo d
tile poi, che gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano, fece che sempre di nuovi da per tutto se ne stabilisse
na-Dea fu chiamata la moglie di Fauno, re d’Italia, perchè ella visse pudica, che non guardò m i in volto verun altro u
esto, fu denominato Damio, cioè pubblico : e Damia parimenti fu detta la sacrificatrice, che quella, a cui si sacrifica
na capra lo nutrì in una selva, e sotto il nome di Ati crebbe egli di rara bellezza fornito, che Agdesti medesimo se ne
nell’anzidetto fiume tutti i Greci ; ch’Ercole li persuase a cangiare barbaro costume ; e che per espiare il loro delit
bbricare i tempj ; ma quelli si piantavano sempre intorno a questi, e gli uni che gli altri erano del pari rispettati.
e fece la medesima ricerca per i tre ultimi. La fermezza di lei fece , che Tarquinio consultasse gli Auguri, per consig
e avesse lasciato leggere que’ libri senza decreto del Senato. Questo prezioso tesoro dopo 450. anni perì nell’ incendi
avore ricevuto da Venere. La Dea, volendo prenderne vendetta, inspirò a lui che ad Atalanta l’empio progetto di profana
e (d). Quella parimenti a cavallo, chiamata da’ Greci Ippodromia (e), onorevole, che intraprendevasi anche dalle person
ore, e lo strangolò. Arrichicne tuttavia, vicino a spirare, gli morse violentemente un piede, che colui cadde in, terra
zzo. Ritornando quindi alla sua patria, entrò in una Secola, e scosse fortemente la colonna, la quale ne sosteneva il t
statua di bronzo, cretta a Giovo(e). Egli innoltre teneva nella mano chiuso un Melogranato, che niuno glielo poteva es
, Sotade, dell’Isola di Creta, fu premiato nella Corsa. Questo godeva alta riputazione, che gli Efesini gli offrirono u
rano nati i superiori e inferiori denti (c). Sotto il predetto altare i Greci che i Romani ponevano un’urna coperta, ch
acoltà nell’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sacro, che l’uccisione d’un ospite era il più orr
o perchè ne venivano scacciate da’loro nemici, o perchè crescevano in grande moltitudine, ch’erano costrette a procacci
dal nome di lei si disse Loto (d). Narrasi che la medesima riuscisse dolce, che gli stranieri, mangiandone, si dimenti
fanciulle mai vantasse l’ Oriente. L’essere vicini d’abitazione fece , che si accendessero di reciproco amore. Le brame
ia tutte le donne d’Argo, le quali erano divenute per causa di quella furibonde, che non potendo starsene nelle loro ca
ampagne. Anasagora, re di quella città, per ricompensare Melampode di rilevante scivigio, divise seco lui il regno (e).
tore degli Usignuoli e delle Rondini. Giunto a Pandione l’annunzio di dolorose tragedie, se ne morì di dolore (a). (b)
giata in quell’albero, quando Borea, di lui rivale, fu trasportato da grande gelosia, che la precipitò dalla sommità di
dita dell’accennata Ninfa (a). Pane soleva empiere gli agricoltori di grande spavento, che molti di quelli morivano. Pe
llero, che il nome di Ecatombe abbia tratta la sua origine dal numero delle vittime, che di quelli, i quali interveniva
arono le Dee rispettabili(b). Il rispetto, che si aveva per loro, era grande, che quasi non osavasi di proferirne neppu
Furie in Corina, città dell’ Acaja nel Peloponneso, avevano un tempio fatale a chiunque trovavasi reo di qualche delitt
adre di Sarpedone, re di Licia(b). Essa amava la caccia, e ne divenne orgogliosa, che Diana la privò di vita(c). (8).
carle tutte in un solo colpo. Il veleno finalmente di quest’ Idra era fatale, che una freccia, tinta dello stesso, reca
lui(g). Ferecide vuole, che abbia ritenuto incatenata nel suo palagio lungo tempo la Morte, che Marte alle preghiere di
. E quì notisi altresì, che non fu Salmoneo solo quegli, che cadde in folle orgoglio. Leggesi di un certo Annon Cartagi
i questo intervenuto, ve lo fece miseramente perire. Tutti a vista di atroce delitto inorridirono, nè più v’era chi vol
ata Ipermnestra, che risparmiò la vita al suo consorte Linceo, e fece , ch’egli potè ritirarsi in Lircea, città vici, na
ggì nella predetta città, la di lui moglie si ritirò in Larissa, dove l’uno che l’altra accesaro una fiaccola sulla som
eucalione(a). (2). L’Isola di Delo, per esservi nato Apollo, divenne rispettabile, che nè catti vi si alimentavano, nè
cevano poco meno che in cenere tutta la terra. Giove, onde riparare a orribile disordine, balzò con un fulmine il temer
Lampezia, per piangerne colla madre il tristo fine. Il pianto loro fu dirotto, e sì veemente il dolore, che rimasero ca
piangerne colla madre il tristo fine. Il pianto loro fu sì dirotto, e veemente il dolore, che rimasero cangiate in piop
per un’intera giornata della sua luce tutto il Mondo. Ad avvenimenti strani erasi trovato presente il giovane Cicno, f
onori(b). Dicesi per ultimo, che Anfione, addolorato per aver perduto miseramente tutta la sua famiglia, anch’egli si p
rmentò col tocco delle sue corde il cane Cerbero, e vi fece risuonare flebili accenti, che intenerite le ombre de’ trap
erato(a). Alcuni finalmente pretendono, che Orfeo siasi abbandonato a eccessiva tristezza, che finalmente si diede la m
erle. Apollo, geloso di vedere Leucippo corrisposto da Dafne, inspirò a lei, che alle compagne di essa il desiderio di
citò ogni sorta di fiere a divorare la misera giovine. Costei però fu agile di piedi, che si salvò colla fuga, e ritorn
orì qualche tempo dopo i due gemelli, Orcio e Agrio. Costoro crebbero feroci, che divoravano tutti quelli, che incontra
i camminare a piedi asciutti nel mare (g). Altri poi dicono ch’era di eccedente grandezza, che non eravi mare sì profon
Altri poi dicono ch’era di sì eccedente grandezza, che non eravi mare profondo, sopra la di cui superfizie i di lui ome
iava dal momento, in cui alcuno cadeva in gravissima malattia. Subito poneva alla porta della di lui casa un ramo di ra
a il corpo. Questo dipoi si cuopriva di preziosa e splendida veste, e ornava di fiorite corone e di verdi tami : Io che
orgere, dov’ella si trovava. Dopo molti viaggi felici il mare divenne procelloso, che per sette giorni Leandro non potè
atto da Giunone, la quale oltremodo odiava Venere. Questa, veggendolo deforme, lo fece esporre sopra una montagna, vici
tarono ad altra remota riva. Là si abbandonarono coloro alla gioja, e tripudiarono, che finalmente caddero in profondo
in isposa quella, cui amava. Così si fece ; e tale matrimonio riuscì felice, che in tutti gli altri, poscia celebrati,
uriosità il vaso, che dovea tenere sempre chiuso, e n’esalò un vapore pessimo, che la immerse in profondo sonno. Non si
, che ritornarono nel mare. Il pescatore non sapeva decidere, se cosa nuova si fosse prodotta o dalla potenza di qualch
e, che corse a precipitarsi anch’ella nel mare ; ma i Numi cangiarono lei, che il marito suo in volatili(b). Non è da c
detta Tanagre, la quale sposò Pemandro, figlio di Cheresilao, e visse lungo tempo, che acquistò il soprannome di Grea,
ie. Queste erano quattro, Ottonea, Creusa, Oritia, e Procride. Elleno strettamente si amavano, che aveano giurato di no
erano sacri a quella Dea. Ma la scure cadde di mano ad Allirrozio, e lo ferì, che perdette la vita(a). (d). l. 1. &a
2 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
padrone di buona parte del suo reame ; percui questi il regalò di una segnalata prudenza, che le future cose non meno c
manto scosse ; Ed a guerra mortal, disse, vi sfido. E’l disse in atto feroce ed empio, Che parve aprir di Giano il chiu
lo più danno a’ Cretesi un tant’onore. Quindi il Sannazzaro : Cagion giusta mai Creta non ebbe Per Giove o per Giunon
essere stato primo inventore della scalata, il quale fu da’Tebani con gran mole di pietre oppresso, che si disse morto
ar magnifica mostra di lor bellezza ; e l’ordine che uscì del caos fu maraviglioso che il mondo da’ Greci fu chiamato κ
ii tosto guastarono tanta felicità, ed il genere umano mosse a sdeguo fattamente gli Dei che tutti lasciarono la terra
la Terra (γηγενεις, terrigenae). L’origine di questa favola da’ Poeti variamento raccontata, è nell’Odissea  ». Io vidi
ogni maniera di animali feroci, e vomitando orrende fiamme, dava urli spaventevoli, che ne rintronava stranamente e cie
cilio degli Dei e vi parlò della necessità di perdere il genere umano stranamente malvagio. In conferma di che raccontò
un diluvio. Era nella Focide un monte insigne pe’ due suoi vertici, e alto che trapassava le nubi, chiamato Parnaso. Su
un campicello, menavan la vita in lieta e contenta poverlà ; ma eran virtuosi che il nome di Bauci perproverbio denota
cioli palagi per gli Dei maggiori, e nel bel mezzo una sala magnifica per deliberare e sì per banchettarvi. Omero però
Dei maggiori, e nel bel mezzo una sala magnifica sì per deliberare e per banchettarvi. Omero però nel principio del XX
mi dell’ambrosia e del nettare(2). Così Petrarca : Pasco la monte di nobil cibo, Ch’ambrosia e nettar non invidio a Gi
quindi che per egida i poeti intendevano ora lo scudo, ora la corazza di Giove, che di Pallade e di altri numi. Per dar
fetto e biondissimo oro ; ma fra le sorelle essa sola era mortale. Or bel pregio de’ capelli perdè per volere di Minerv
. Da lei ebbe Ino, Semele, Agave ed Autonoe ; le sventure delle quali conte nelle favole vinsero per modo l’animo dell’
i (1). Plinio vuole che fosse stato costruito ad imitazione di quello famoso di Egitto, ma che n’era solo la centesima
alla madre fu a lui affidato, affinchè lo ammaestrasse. Il giovinetto bene diede opera alle arti che ritrovò l’uso dell
n fulmine colpì Ida, il quale percosso avea Polluce con un gran sasso che n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro,
vogliono ricevuta da Apollo, o dalle Muse, o da Giove stesso, da lui dolcemente suonata, che mosse i sassi ad unirsi d
li occhi. Della qual cosa avvedutasi Giunone, quell’odiata vacca rese furibonda che andò vagando quasi per tutta la ter
colle sue punture li mette in grandissimo furore. E la sua smania fu strana che precipitossi in quel mare, il quale da
uercia ; la quale finzione nacque da che nel linguaggio di quel paese le colombe, e sì le indovine aveano il nome di Pe
finzione nacque da che nel linguaggio di quel paese sì le colombe, e le indovine aveano il nome di Peliadi. Altri fina
tto circondato di certi vasi di bronzo che si toccavano l’un l’altro, che, percossone un solo, tutti gli altri davano u
re. Dimandato l’insigne statuario quale innanzi avesse avnto nel fare nobile statua, rispose che quei versì dell’ Iliad
ta dalla soverchia moltitudine de’malvagi pregò Giove a sollevarla di molesto peso ; e che per ciò quel Nume mandò prim
ano in quella regione un fratello ed una sorella di tal nome, i quali forte si amavano, che, per un tal vezzo di stolta
seminato. Ma secondo Mad. Dacier, i Pigmei erano popoli di Etiopia di bassa statura, che i Greci li chiamarono Pigmei,
l’Eneide ; ci conviene dal principio raccontare l’oltraggio che toccò al vivo l’animo altero della Dea, e che fu la fat
oltre la figliuola, alcuni cavalli ch’eran figli a’ cavalli del Sole, veloci che correvano sul mare, e sulle ariste, e
tutte, salvo che la Discordia o Eride, Dea che non istava mica bene a lieto banchetto. Di che oltre modo sdegnata gettò
ivedere Ulisse, si rivolge sdegnoso ad Elena che a tutta la Grecia fu funesta e per la quale si versò tanto sangue, e n
’egida, il cocchio e gli sdegni guerrieri(1). Ed il vaticinio fu vero che l’ostinata vendetta di Giunone rimase piename
ntinuamente agitato. Nel primo dell’Eneide(1) la povera Dea considera che biondeggiano le biade nel suolo, ove un dì er
o, allorchè da Giove è mandato ad arricchire alcuni, pe’ quali giunge tardi che spesso li trova invecchiati ; alato al
o(1) si chiama Giunone la Dea che siede sull’aureo trono. Il pavone è proprio di lei, che nel cerchio marmoreo de’ dodi
oscibile agli occhi grandi ed alla bocca imperiosa, i cui tratti sono particolarmente proprii a questa Dea, che ad un s
cosa avea prodotto, partorì dal suo cervello Minerva, uguale al padre nella potenza che nel consiglio, ed indomabile si
a loro a chi dovesse dare il nome alla novella città ; e per decidere gran lite, sedendo Giove in mezzo a’ primarii Num
ra terra della Lidia ; ma la fama delle sue opere maravigliose andava grande per quelle contrade che spesso le ninfe de
nte colla spola le percosse la fronte ; percui quella, non sofferendo villano oltraggio, volle finir con un laccio. Di
rasformolla in ragno. Il quale animaletto tesse una tela finissima di bello e maraviglioso artifizio che ha dato occasi
di esercitare l’arte sua prediletta, tessendo tuttavia quella tela di mirabil lavoro. Ed in greco aracne vuol dire il r
a nave a Minerva, che la collocò fra le stelle. Il cavallo che riuscì fatale a Troia, fu eziandio per opera e per consi
i cavalli del cocchio paterno. Si argomentò Apollo di distornarlo da pericolosa voglia, ma indarno ; e Fetonte prese l
re da’ consigli degli uomini sapienti. Ovidio dice che Febo si sdegnò fortemente pel lagrimevole caso di Fetonte che vo
da un leone e da un cinghiale, Apollo gl’insegnò il modo di aggiogare feroci animali. Gli ottenne pure dalle Parche che
consacrato alle Ninfe dell’isola di Zea, una delle Cicladi, il quale per le campagne, e sì per le case andava a dilett
dell’isola di Zea, una delle Cicladi, il quale sì per le campagne, e per le case andava a diletto ; e le ramose corna
l’ombra, Ciparisso, senza avvedersene, il ferì con un dardo ; e ne fu dolente che pregò i Numi di poterlo piangere semp
; e perchè fu pure insigne poeta, con tal magistero toccava la lira e dolcemente cantava che non solo gli uomini di fie
che stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’uccise. Di che fu grave il dolore di Orfeo che ne piangeva senza sp
ra, che discese all’inferno per la profonda caverna del Tenaro. Quivi dolcemente suonò, pregando che gli fosse restitui
ca ad Orfeo, ad Ercole ed a Tamira, poeta insigne di Tracia e cantore nobile che osò gareggiare nel canto colle Muse, l
ovata la cornamusa, strumento da fiato inventato da Minerva, la suonò maestrevolmente che ne venne in gran superbia ed
poeti dissero effetto delle saette di Apollo. E l’empia Regina n’ebbe gran dolore che restò immobile qual sasso e serbò
liuola Astinome con preziosi doni ad Apollo. Ma nella favola di Crine ha una più nobile vendetta, ed una gloriosa spedi
Pittagorici chiamarono musica la stessa filosofia(2). Le Muse posero bei versi in bocca ad Esiodo, mentre sull’Elicona
fe ; fra i quali l’antro Coricio più d’ogni altro vasto e bellissimo, leggiadramente descritto da Pausania, e che gli a
uivi essi regnarono. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava dolcemente, che al suon di quelle corde i sassi,
ti, non meno che i boschi ; e che le Muse consacravano i Poeti, detti spesso lor sacerdoti ed amici, con far bere ad es
Pan la scienza dell’avvenire ; ma altri vogliono che avesse ricevuto maraviglioso dono da Giove con patto che non l’av
per combattere il Minotauro, promise con voto ad Apollo Delio di far che gli Ateniesi ogni anno facessero un viaggio a
he città, eran soliti presso i Greci di consultare l’oracolo di Delfo riguardo al luogo ed al modo d’impadronirsene, e
’oracolo di Delfo sì riguardo al luogo ed al modo d’impadronirsene, e per conoscere a chi meglio si dovesse affidare l’
o, fig. di Nestore, ed egli stesso fu ucciso da Achille. Titono ne fu dolente che dagli Dei ottenne di esser cangiato i
ll’altra un flagello per indicare ch’egli agita il cocchio, che corre veloce le strade del cielo(1). I due piedi di que
no e di Teti, avendo commesso non so qual fallo contro di Febo, ne fu dolente che ricusò di prender cibo, stando sempre
versa su gli occhi loro un fluido detto anche υπνος, il quale faceva che le palpebre si chiudessero. Quindi presso Ome
maestà. Diviene vaga oltremodo l’incauta giovane di tanta visione, e ardentemente ne prega Giove che sel fa promettere
ente. Di ciò risero quei corsari, ed il fanciullo trattarono con modi villani che vollero pur legarlo ; ma le catene gl
IV. Continuazione. Le Mineidi. Licurgo. Acrisio. Icaro E pure spaventoso esempio non ritenne altri dal dispregi
o, re d’ Argo, fig. di Abante e padre di Danae. Egli(1) ebbe di Bacco poca stima, che non volle riconoscerlo per figliu
avea a fratello Tindaro e tre fig. Erigone, lttima e Penelope. Ora a buon ospite donò Bacco un otre pieno di generoso
ito di Altea(1), fu lietamente accolto il nostro Bacco, il quale, per liberale ospitalità, il regalò della vite e gli a
i suoi seguaci portavano nelle feste di lui ; e perciò lo ritroviamo spesso in quasi tutte le rappresentanze di Bacco.
a bevanda. Vedendosi così vicino a morire, pregò che se gli togliesse pernicioso privilegio. Bacco gli comanda di lavar
on cui celebravansi dalle Baccanti, le qualì si cingevano di serpenti la chioma che il resto del corpo(4) ; andavano co
lla forza delle Baccanti ; ed i disordini delle feste baccanali erano vituperevoli e pericolosi che l’anno 568 di Roma
tene però, donde passarono all’ Etruria e poscia a Roma, se ne faceva gran conto che da’ Baccanali o feste Dionisiache
mente tormentato nell’inferno per avere sparso nel suo poema finzioni strane ed indegne. Si potrebbe solo scusare, dice
a del Lazio, una tempesta ad istanza di Giunone suscitata da Eolo, fa che l’eroe troiano sia sbalzato con poche navi al
tanza sicura, ritenuto Ascanio ne’sacri boschetti del monte Idalo, fa che Cupido, preso il sembiante di lui, ispirasse
 ? e chi ha veduto sulla terra la bella Ciprigna ? o chi mai ha posto a mabile avvenenza in un sasso ? Fu di Prassitele
ene, cioè emergente o sorgente dal mare ; della quale i poeti dissero bei concetti, che in un certo modo superarono Ape
pupille accender fiamme nell’acque. Ridean le labbra di rose, e facea bel riso giocondare ogni cuore. Colori celesti es
o il dolor della perdita, sospirandosi quelle mani mancate in mezzo a nobil lavoro. Non fu alcuno(1)che si attentasse d
se solo alla caccia, ogni altra passione spregiando. Stanco un giorno per la caccia e sì pel caldo, si ritirò in una fr
, ogni altra passione spregiando. Stanco un giorno sì per la caccia e pel caldo, si ritirò in una fresca ed amena valle
llo stesso Apollo. Invaghito delle proprie fattezze e vaneggiando per folle amore, dopo lungo languire, morì, alla riva
uggere, ben convenendo al dio della guerra il titolo di distruggitore degli uomini che delle città. Da questo nome di M
i levò una tempesta con grandissimo strepito e romore di tuoni, e con folta nebbia e caligine lo circondò, che privò i
di Fauno, da’ quali appreso avrebbe il modo di allontanare quel male grave. Numa consulta l’oracolo e coll’intervento
no e che si attribuivano a Numa, eran tanto oscuri e composti di voci strane, che Quintiliano afferma, appena intenders
i migliori cittadini di Atene, che formavano il tribunale destinato a famoso giudizio, il dichiararono innocente. Il lu
i, popolo guerriero della Tracia. Esso avea quattro cavalli di natura feroce che doveano star legati con catene di ferr
de, cioè di quella scaltra accortezza che impone agli altri ed illude nella civile e bellica scienza, e sì in que’ giuo
che impone agli altri ed illude sì nella civile e bellica scienza, e in que’ giuochi di mano ed altre maniere d’ingann
questa dea in una caccia le forò la lingua con una freccia. Di che fu dolente il padre Dedalione che si precipitò dal m
do) da’ Greci. Anfione, Tebano, da Mercurio apprese a suonar la lira, maestrevolmente che si tirava appresso le fiere e
resenta come una divinità infernali ; e da Orazio (5) si chiama grato a’ celesti che agl’infernali Iddii. E ne’ dialogh
e dall’antico ops (unde inops) che significava ricco, perchè la terra per le biade e pe’ frutti, e sì pe’ metalli è la
he significava ricco, perchè la terra sì per le biade e pe’ frutti, e pe’ metalli è la perenne sorgente di ogni nostra
ricevendo nel suo seno tutt’i celesti influssi, e producendo ogni dì varie e mirabili cose , non dee recarmaraviglia,
Gige e Cotto, i quali(1) di cento braccia e cinquanta teste forniti, per enorme statura, e si per valentia erano insup
no in Egitto, per lo spavento del crudele Tifone ; e che in grazia di prudente consiglio, fu da essi trasformato nella
rapimento della figliuola, disperata a cercarla tutta sola si diede, che e la nascente aurora ed il sole vicino a tram
certa polenta, che la dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise forte un giovinetto che la dea adirata il trasfor
beneficii, percui privolla di tutt’i suoi doni. Allora, per pietà di gravi mali, la ninfa Aretusa, dalle sue chiare ac
a, e non convenire che se l’abbia in moglie quel villano rapitore con grave onta di Giove stesso e della madre. Giove l
he Aretusa i tristi suoi casi narrasse e per qual modo fosse stata in strano fonte conversa. « Io fui, ella disse allor
i esecrando e spesso si puniva colla morte. Il nome del Gerofante era venerato che non potea profferirsi da’ non inizia
grato albergo. Cerere, in forma di sacerdotessa, cercò distornarlo da reo disegno, ma indarno ; percui gli mandò la Fam
spighe intrecciata con un lungo vezzo di perle o di ghiande. Altrove vede assisa con maestà, e col capo cinto di coron
di Menalo, signore di alcune isole dette Vulcanie. Or Vulcano nacque deforme che Giove per dispetto il precipitò dal c
nome, fig dell’Oceano e di Teti. Giove il volle in parte consolare di grave oltraggio, dandogli a fabbricare i fulmini.
co, ch’era pure il protettore di quelli che lavorano il ferro. Ed era perfetto nell’arte sua che tutte le armi degli De
e ad Arianna(3) ; e le armi di Enea fabbricate ad istanza di Venere e bene da Virgilio(4) descritte. Si vuole(5) che la
i Giasio, re degli Argivi, compagna di Diana, velocissima nel corso e valente cacciatrice che Ovidio la chiama onore de
sì valente cacciatrice che Ovidio la chiama onore de’boschi. Riunito nobile drappello di eroi, si diede la caccia alla
poco a poco, come quel tizzone si consumava nel fuoco. Pel dolore di acerbo fato due sorelle di Meleagro furono da Dia
re Oreste, perchè l’uno volea per l’altro morire(1) Ma il Re mosso da generosa gara, volle amendue salvi dalla morte. O
più, secondo alcuni. Dice Igino che il veleno di questo serpente era pestifero che il solo alito uccideva i viandanti.
tro eroe giunto nel paese dell’Esperidi, per avviso di Prometeo, fece che Atlante fosse andato a cogliere le poma d’oro
trono orbo com’era di figli, consultò l’oracolo di Delfo, da cui ebbe oscura risposta che, non bastandogli l’ingegno ad
quale si eseguì con tanto furore che vi perirono entrambi ; e che fu irreconciliabile il loro odio che durò anche dopo
o, di Egeo ; Ida e Linceo, di Afareo, il quale Linceo aveva una vista acuta che vedea sino nelle viscere delle montagne
ti Pelasgi, co’quali i Dolioni erano continuamente in guerra, avvenne fiera battaglia fra gli uni e gli altri, che Cizi
la fatale cagione che mosse il fiore de’ Greci guerrieri a cingere di ostinato assedio quell’infelice città, il quale n
avanzava(1), e la sua velocità oltremodo celebrarono i poeti, percui spesso da Omero chiamasi Achille dal piè veloce (
dere lo stesso Ettore, la morte del suo amico, il quale gli era stato caro che l’amicizia di Patroclo e di Achille si a
esto basti di Achille. I Greci intanto ch’erano stanchi di un assedio lungo, si determinarono alla fine di venire ad un
’armata. I creduli Troiani, per le arti specialmente del greco Sinone bellamente descritte nel secondo libro dell’ Enei
losa della prosperità d’Ino, come di tutta la famiglia di Cadmo, pose strano furore nell’animo di quel re, che pigliand
greci che l’attinsero dall’Egitto. Proteo adunque che prendea tante e diverse figure, simboleggiava l’elemento dell’acq
a palude, nè da Caronte sono ammesse nella vecchia sua barca che dopo lungo spazio di tempo. Nè quel nocchiero in essa
i, e come Dee severe ed inesorabili, intente solo a punire il delitto nell’ inferno che in questa vita, e che ponevano
inferno che in questa vita, e che ponevano nel cuore degli scellerati terribili rimorsi che toglievan loro ogni riposo,
o, quanto poco dobbiamo appoggiarci ad una vita che si attiene a cosa debole. Se esse aveano le ali, ciò dinota la velo
3 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
re come avrebbe potuto trovarla, ovvero per conoscere a che in quella ardua difficoltà dovea appigliarsi. La risposta d
tesso, e lo privò di vita. A tale vista insorsero tutti gli altri ; e feroce zuffa tra loro si accese, che vicendevolme
ibile bestia, di aver fondato una cospicua città, e d’aver conseguito illustre sposa, dovea riuscir gli oggetti di somm
ngiò in pioggia d’oro ; penetrò, ove la giovine si custodiva ; e fece , che divenisse madre di Perseo(2). Acrisio, come
e acque contro di lei l’anzidetta bestia. Ei piombò su quel mostro, e lo trafisse coll’asta, che gli tolse intieramente
lei ; ma l’essersi poscia invaghito di Medea come testè diremo, fece , che obbliò il dato giuramento (d). Da Lenno si t
(d) (23) : lo che avvenne. Pelia, quantunque avesse eseguito Giasone gloriosamente l’impresa propostagli, ciò nulla os
Ercole. Poichè il numero delle impres’, attribuite ad Ercole, è grande, che non sembra possibile avec potuto un u
, avesse ad esercitare sull’ altro assoluto dominio (a). Giunone fece , che la moglie di Stenelo innanzi tempo partoriss
ta detto Cleoneo(a). Molorco poi, per dimostrare il suo rispetto vero celebre ospite, voleva immolare una vittima a di
a. Essa, benchè avesse i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era veloce al corso, che niuno mai era capace di ragg
quale furiosamente desolava tutti que’ dintorni. L’Eroe lo inseguì, e stancò anche quello, che gli riuscì di legarlo, e
te a combattere, vibravano dardi contro chi li assaliva. Erano poi in grande numero, e di tale grandezza, che quando vo
di Forbante(f), fu creduto figliuolo del Sole(g), possedeva un numero grande d’animali, che non aveva ovili sufficienti
se n’accorse, di nuovo lo afferrò, lo strinse fortemente per aria, e lo tenne, finchè lo strangolò(b) (20). Alcuni agg
, ne uccise il re, e ne saccheggiò la città. Creonte in ricompensa di segnalato servigio diede in moglio all’ Eroe la s
ll’ artifizio di tramutarsi in serpente. L’Eroe lo afferrò pel collo, fortemente lo strinse, che gia era per soffocarlo
a dall’ udire continuamente i gemiti. del bambino apprese ad imitarli bene, ch’ Ercole, passando per colà, e udendola,
accia del Cinghiale di Calidone(d). La fama delle di lui imprese fece , che egli venisse provocato a singolare tenzone d
o di Apollo e di Partenope, e re di quell’ Isola, preso da invilia di grande personaggio, lo precipitò dall’ alto d’una
dini (b) (1). Questo Eroe trovò alla porta del Greco campo una pietra grande, che due de’ più robusti uomini avrebbono
sandro(c). In differenti occasioni diede prove di giustizia ed equità grande, che i vicini Pastori a lui ricorrevano pe
care la morte d’Atreo. Agamenonne con tali soccorsi perseguitò Tieste fortemente, che colui fu costretto a ritirarsi ap
Apollo, che gli aveva comandata l’uccisione della di lui madre, fece , che i di lui, concittadini si contentassero sola
cro della Dea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva purificare quelli, che il simulacro nel mare ; e che a quest
ttimento con Pentesilea, regina delle Amazoni, la quale era di valore grande, che uguagliava i più celebri combattenti 
pandeva lagrime sol corpo di quell’Eroina, sgridò la di lui debolezza aspramente, che Achille con un pugno lo uccise(9)
rrargli co’lacci della stessa di lui armatura la gola, ed a torgli in barbaro modo la vita. Nè pago d’aver superato e u
a torgli in sì barbaro modo la vita. Nè pago d’aver superato e ucciso forte nemico, voleva anche spogliarlo delle armi,
onarca(a). Il non trovarsi più Achille a guerreggiare tra’suoi faceva , che gli affari loro andavano di male in peggio,
e vele a’venti, e si prendesse la fuga. Diomede e Nestore biasimavano vergognosa risoluzione, e lo esortavano a cercare
re assediava Metimne nell’Isola di Lesbo. Anche quella città gli fece forte resistenza, ch’egli oramai avea perduto la
e(c). Ulisse giovò moltissimo a’ Greci nel tempo della guerra Trojana co’ suoi consigli, che col suo valore. Egli insie
ovasse dell’oro, lo aprirono. Ne uscirono tosto con furore e veemenza grande i venti, che i Greci ne vennero spinti un’
no sull’ingresso la Regina. Al vederlasi raccapricciarono, poichè era grande, che rassomigliava ad alta montagna. Colei
rva tuttavia non lasciò invendicata la profanazione del suo tempio, e colpì con fulmine tutta la di lui flotta, ch’essa
o attaccò ad uno scoglio(b). Nè contenta di tale vendetta, fece altre , che poco tempo dopo la peste desolasse il di lui
re a Minerva nel suo tempio, eretto in Troja(c). Que’ di Locri ebbero alta stima del valore d’ Ajace Oileo, che nel com
ti i giudici della predetta questione. Ritornato poi in se, e confuso pel furore, a cui erasi abbandonato, che per la v
i si accostassero ad essi, e ne uccisero un gran numero. Per causa di reo tradimento ne avvenne, che Castore e Polluce
i alati(b). Mirtilo, corrotto dalle generose promesse di Pelope, fece , che Enomao precipitò dal carro, e ne rimase feri
là vanagloria. Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e arrogante, che si credeva piucchè uomo(a). Egli v
ra i Cimbri, consecrò a questa Divinità un nuovo tempio, il quale era unito con un altro, fabbricato all’ Onore, che no
rarsi il bene, che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione lo sprone, che il fascetto di spine, di cui n’è e
ente gli comanda. Sta a canto di lei un cane, perchè questo è animale ubbidiente, che famelico perfino si astiene dal c
a di molta utilità allo stomaco. Non altrimenti la Riprensione riesce ad alcuni amara, ma loro giova, qualora è attesa.
propose la caccia per unico oggetto di sue delizie. La privazione di amabile compagnia destò ben presto nell’ animo di
leoni. Quando ritornava la sera a sa, stanco per la continua fatica, coricava a etto, e subito si addormentava. La mog
altrui. La Malignità tiene una Coturnice in mano. Quell’animale è di pessima natura, che dopo aver esso bevuto, intorb
iversa materia significano, che le allegrezze di quaggiù non sono mai compite, che non vengano turbate da qualche amare
Arcadia una fontana, detta Telfussa, o Tilfossa, la di cui acqua era fredda, che Tiresia per averne bevuto mori(b). Eg
e sposò la figlia del fiume Meandro(h). (11). Linceo aveva una vista acuta, che vedeva nel fondo del mare, e perfino n
estò che piuttosto avrebbe tolto la vita a se medesimo che commettere crudele azione. Ciò detto, trasse fuori della ves
ltivavano con somma accuratezza la loro capigliatura, finchè riusciva bella, che avessero potuto offerirla a Iolio nel
tre. I due predetti fratelli aveano prestato tale servigio a quel re, perchê il medesimo li avea accolti con somma ben
li avea accolti con somma ben volenza insieme cogli altri Argonauti, perchè egli avea sposato la loro sorella, Cleopat
suase d’arcecare i figli, avuti da Cleopatra. Gli Dei, per ponirlo di ingiusta barbarie, non solamente fecero che le Ar
6). La Dea Ebe ad istanza d’Ercole, divenuto in Cielo suo sposo, fece , che Iolao, vecchio qual’era, comparisse quasi fa
emmina, e prima si chiamava Cenide. Costei tralle vergini Tessale era celebre e singolare in bellezza, che invogliò par
e nelle tempia a Celadonte, uno de’ Lapiti. Il maschino cadde, e morì deformato e malconcio, che più non si riconobbe.
o incalzava, rimase gravemente ferito fra l’uno e l’ altro occhio. In stropitoso sconquasso e ne dormiva profondamente
i di Leoni, con un tronco sterminato alla mano vecise quel Fonolenide nerboruto, che appena lo avrebbono mosso due paja
i altri, perchè eglino pure facessero lo stesso. Schiacciato Ceneo da sterminato peso, anch’egli finalmente discese nel
a a tale morte, non volle sopravvivere neppure un istante ad angustia acerba, e da uno scoglio si precipitò nel mare. T
ze finalmente ciò nega, perchè pretende, che Troilo non fosse giovine bello, che potesse destare nel predetto Greco sen
io. Ei se ne sdegnò ; nè potendo spogliarla del dono concessole, fece che niuno prestasse fede alle di lei predizioni,
velse gli occhi di fronte, e uccine i di lui figli. I Traci, veggendo maltrattato il loro re, inseguirono Ecuba, che fu
immolavano ogni anno una vittima umana(c). (3). Tetide era una Ninfa bella, che Giove stesso voleva prenderla in mogli
e implorava la di lei assistenza. Aggiungesi che colei n’ebbe poscia grande rincrescimento, che da se si gettò sul rog
iamme, che li ambe le parti consumavano ogni cosa. Gli Dei a vista di straordinaria pietà fecero, che il fuoco li rispe
sposarla ; ma l’amore, ch’ella conservava pel morto suo marito, fece , che non mai volle acconsentirvi. E perchè temeva
uello, alzò un rogo, e sopra di quello finì i suoi giorni (c). Quesra intrepida azione le acquistò il nome di Elisa par
d. l. 9. (d). Id. Ibid. (21). Niso ed Eurialo furono due compagni fedeli, che l’uno non abbandonò mai l’altro in qu
rra. Si rendette inoltre eccellente nel tirare d’arco. Finalmente era agile alla corsa, che avrebbe potuto correre sopr
all’assedio di Troja ; e colla prudenza e sagacità de’consigli riuscì utile a’Greci, che Agamennone protestava, ch’egli
, e genero d’Anchise(e). Ritornando dall’assedio di Troja fu colto da fiera burrasca, che stette per naufragare. Fece a
laso, Molio, e Pharte spirarono pure sotto le di lui mani. Animato da feliciosuccessi, nè ancor satollo del sangue nemi
o Omero(i). Piro, capo de’Traci, spirò per mano di lui(l). Toante era stimato, che Nettuno prese le di lui sembianze pe
prendere da’ Trojani, e diede loro a credere, che i Greci, stanchi di lungo assedio, e risoluti di abbandonarlo, aveano
colpa aveano eretto in vece del rapito simulacro quel Cavallo ; e che grande lo aveano formato, acciocchè i Trojani non
, la mandò spesso nel predetto tempio di Elena ; e la bambina divenne avvenente, che Aristone, re di Sparta, la sposò(a
ilo(e). I sudditi di questo, come lo viddero morto, rimasero presi da veemente dolore, che tutti si lasciarono uccidere
se accorsa a difenderlo, e non avesse messo in fuga il nemico. Questa valorosa giovine, afflitta per la perdita di suo
un granello di frumento. Nell’osservare il re quel gruppo immenso di minuti animali, rinovò a Giove l’istanza, acciocc
inciampò e cadde a terra. Achille subito si avventò contro di lui, e lo ferì colla lan cia, che lo obbligò a ritirarsi
(i). La destrezza e agilità d’Antiloco uguagliava il suo coraggio ; e nell’una che nell’altra molto si distinse ne’ Giu
ul piede stesso, con cui avea percosso la terra, e gli aprì una piaga puzzolente, che i Greci lo abbandonarono, come di
ce, che Polimela, figlia d’ Eolo, cui Ulisse aveva preso ad amare, fu sensibile alla partenza del suo amante, che non c
te menzione di un altro Greco, chiamato Elpenore, il quale riacquistò le sembianze d’uomo, ma avendo poi eccessivamente
pure replicò, quando vide coloro, i quali, sedendo a mensa, ridevano eccessivamente, che perfino versavano dagli occhi
, che ivi si trovavano, e le quali erano opportune agli studj, fecero , che nel medesimo Inogo si riducesse gran moltitu
atto narrasi di Pallene, figlia di Sitone, re della Tracia. Era colei bella, che molti Principi recavansi da lontani pa
no i Poeti, che il Sole in quel momento si nascose per non illuminare barbara azione(e). Nè altrimenti per certo conven
dalla Sfinge, soggiacque non molto dopo alla persecuzione d’una Volpe feroce che ne fece orribile guasto. Temi, adirata
là vanagloria. Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e arrogante, che si credeva piucchè uomo(a). Egli v
4 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
da minori e maggi « Lumi biancheggia tra i poli del mondo, « Galassia , che fa dubbiar ben saggi. Ercole può dirsi vera
Non sarebbe stata una gran fatica se Ercole avesse dovuto uccidere un timido animale, che abitava sul monte Mènalo in A
Ma lievemente al fondo che divora « Lucifero con Giuda ci posò ; « Nè chinato lì fece dimora, « E com’albero in nave si
postosi in via per ritornar colla sposa a Tebe, trovò il fiume Evèno gonfio di acque da non potersi guadare. Sopraggiu
uo effetto. Tentò l’Eroe di strapparsi di dosso quella tunica, ma era aderente alla pelle che ne venivano insieme a bra
resero famoso non meno dell’Eroe Tebano106. Lo stesso Plutarco che è credulo e miracolaio ed inserisce nelle sue celeb
i benigni che accolgano senza rigore ciò che si narra intorno a fatti antichi. » E di certo neppur la decima parte di q
gli altri ad Arianna figlia di Minosse, che quel giovane Eroe dovesse tosto miseramente perire. Arianna pensò di salvar
lle giovanette Ateniesi, e trovata Arianna che l’aspettava, entrò con bella e giuliva compagnia nella nave che era pron
are che trovansi nel Limbo « Antigone, Deifile ed Argia « Ed Ismene trista come fue. » Dei prodi generali che aiutar
o non conoscesse bene l’indole di questo suo genero, affidandogli una delicata missione, poichè questi è quello stesso
a il fio della sua folle speranza. Pelope senza essere scoraggiato da funesti esempi, lasciò la Frigia sua patria, e vo
palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il che fa supporre che orrendo e ributtante spettacolo fosse dato più vo
glie e popoli per cui Giove mostrasse qualche predilezione, mandò una spaventevole pestilenza in quell’isola, che morir
ivo a inventar questa favola della loro origine ; la quale però parve bella che tutti i pœti l’accettarono, e Dante ste
r tristizia « Fosse in Egina il popol tutto infermo, « Quando fu l’ær pien di malizia, « Che gli animali, infino al pic
n sapevasi dove fosse, ed Ulisse dicevasi divenuto pazzo « D’uom che saggio era stimato prima. » Fortunatamente essen
sse il motivo, nessuno scusa nè assolve Ulisse di avere inventato una nera calunnia. Immaginarono poi certe fatalità, c
issimo Achille. Seguì allora una tale altercazione con parole e frasi poco parlamentari, che fu per terminare colla ucc
tro al suo cieco ventre e nelle grotte, « Che molte erano e grandi in gran mole, « Rinchiuser di nascoso arme e guerrie
con esso gli rimproveri le sue frodi, dicendogli : « Ma tu non fosti ver testimonio « Là ‘ve del ver fosti a Troia ric
gli fosse stato in qualche modo d’accordo coi Greci ; ma oltre che di grave accusa non si trova traccia alcuna in Omero
e di sì grave accusa non si trova traccia alcuna in Omero, egli è poi altamente encomiato come il pio Enea nel poema ep
do le più comuni leggi dell’umana natura, che cioè Ecuba, oppressa in breve tempo da tanti atroci dolori d’animo, avess
Troia senza che di lui giungesse alla sua famiglia novella alcuna. E che vi sarebbe stato bisogno quanto prima della s
e Dante, stette con Circe più d’un anno là presso Gaeta « Prima che Enea la nominasse ; » e poi fu trattenuto dalla
padre. « Tocco ne aveano il limitare appena, « Che femmina trovâr di gran mole, « Che rassembrava una montagna ; e un
maciulla. « Ma nol soffrì senza vendetta Ulisse, « Nè di sè stesso in mortal periglio « Punto obliossi ; chè non prima
itico Marte i santi Numi « Adorando, porgea preghiere umili, « Che di fiera e portentosa vista « Mi si togliesse, o si
lagrimabil suono « Dall’imo poggio odo che grida e dice : « Ah perchè mi laceri e mi scempi ? « Perchè di così pio, cos
irce, che sottrasse « Me più d’un anno là presso a Gaeta. « Prima che Enea la nominasse, » volle fare intendere che Ul
amato il fiume Àlbula, si avanzò in quella regione che doveva divenir celebre nella storia con la città di Roma e il po
tà, e che qualunque altra asserzione è una menzogna. Meno rammentato, dai poeti antichi che dai moderni, è Trofonio ; m
, creduta una Sibilla, i libri sibillini. I quali poi furon tenuti in gran conto daì Romani che ne affidarono la conser
sentio, « Disse a me : Fatti in qua, si ch’io ti prenda : « Poi fece che un fascio era egli ed io. » (Inf., C. xxxi,
5 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
nno ben tosto asciugarle quando sapranno che Saturno non fu mai padre snaturato per divorare i propri figli ; che Giove
nocque, esser gelosa. Il Canto che alla queta ombra notturna Ti vien dolce da quel bosco al core, Era il lamento di re
. Quando Saturno arrivò in Italia, i costumi di quegli abitanti erano puri che quel tempo fu chiamato età dell’oro. Si
Ore cui incombeva di educarla, la portarono in cielo, ove fu trovata bella da tutti gli Dei, che tutti vollero sposarl
hito e non potendo indurla ad amarlo, le mandò un delfino il quale fu abile nell’eseguire la sua commissione che persua
cui passavano, rapivano le vivande su le tavole e spargevano un odore fetente che non si poteva avvicinarsi a tutto ciò
ne, il scettro d’Agamennone e la famosa rete di fili di metallo d’una grande finezza che era invisibile, di cui si serv
e le onde che ne escono sono piene di spuma, perchè il loro corso era rapido che rotolavano degli scogli e niuna cosa p
te. Così formidabili divinità si guadagnarono particolari omaggi. Era grande il rispetto che avevasi per esse che quasi
tanto, le offrì la sua assistenza nel parto, e ricevette il fanciullo deforme, che non osando Venere di riconoscerlo, o
aprirono questi otri, donde fuggirono i venti che furono causa di una spaventevole tempesta che fece perire tutti i vas
morava nei climi caldi del mezzogiorno. Il suo fiato era alcuna volta infuocato che ardeva le città ed i vascelli in ma
sta venne accettata, sposò egli la sua innamorata, e in memoria di un fortunato maritaggio, gli Ateniesi sempre lo invo
mento, tentò ogni via ma inutilmente di distogliere suo figlio da una ardita impresa, onde suo malgrado gli consegnò il
e di serpenti, portando iu capo una corona di corna di cervo. Questa temuta divinità, riguardata da molti come solare
ogative era quella di presiedere ai beneficii ed alla riconoscenza. A amabili Divinità non doveano mancare nè templi nè
i, ecc. ; e non è da maravigliarsi perciò se i poeti ne annoverano un prodigioso numero. Le Nereidi più celebri sono A
oni di Nettuno, di Apolline, di Bacco e di Saturno. Il disegno ne era regolare e vedevansi così vivamente espresse le f
mento ricevuto da Circe riguardo al pericolo cui stava per esporsi fu incantato de’ lusinghieri suoni di quelle Sirene
che hanno voluto dare un’interpretazione alla favola delle Sirene, e poco verisimili, che si crede opportuno di non ri
e racconto di eccitare nelle donne il nobile sentimento dell’amicizia raro nel loro sesso, ai tempi però in cui fu inve
Ebe che sposò in cielo. L’amore ch’ebbe per Onfale regina di Lidia fu ardente, che si vestiva da donna per piacerle e s
diverse epoche in cui si raccontano avvenute congetturarono a ragione i Romani che i Greci e dietro essi i moderni che
o come altri vogliono, Euristeo, non andò a liberarlo ; ed era stato strettamente legato a quel sasso, che vi lasciò a
la loro origine. I due fratelli legatisi colla più stretta amicizia, teneramente si amavano che uno non abbandonava ma
insieme d’onore. L’età avanzata di questo usurpatore è un ostacolo a lungo viaggio. Giasone nel fior della gioventù pu
un orribile drago. Giunone e Minerva che proteggevano Giasone, fecero che Medea figlia di Eete re della Colchide, famos
isceso dal sangue di Nettuno e di Merope. Questo giovine principe era casto che per non veder femmine ritirossi nei bos
montagne. Avendo nondimeno un giorno incontrato a caccia Atalanta fu colpito dall’avvenenza di lei che rinunciando all
perir facesse la Sfinge, perchè era destino che questa dovesse morire tosto che l’enimma da alcuno fosse disciolto. Pre
la loro discorde maniera di pensare era stata, durante la loro vita, grande, e il loro odio tanto irreconciliabile, ch
teste di questi figli. Dicesi che il sole retrocedette inorridito da fiero spettacolo. Spaventato Tieste si ritirò in
dalle feroci belve. In diverse circostanze dimostrò egli di essere di rara prudenza e di sì grande equità dotato, che i
diverse circostanze dimostrò egli di essere di sì rara prudenza e di grande equità dotato, che i vicini pastori lo pre
giudici, ricusarono e nominarono il pastor Paride qual giudice di un delicato punto di questione, e ciò in forza della
le vie, uccidendo, predando, incendiando, ridussero quella città già florida e sì possente ad un mucchio di sassi e di
dendo, predando, incendiando, ridussero quella città già sì florida e possente ad un mucchio di sassi e di cenere. Dei
utto contribuiva a mantenere la pia credulità del volgo. Nella Beozia fertile in Oracoli non iscorgevansi che rupi inac
chicchessia. Quella collezione era una specie di oracolo permanente, di sovente dai Romani consultato, quanto lo era q
6 (1880) Lezioni di mitologia
o alle mie Lezioni, ed aprire quel vasto arringo, in cui inoltrandomi pieno di lusinghiera fiducia sul vostro compatime
adizioni di Eusebio di Cesarea. Non è del nostro istituto il comporre ardua lite: riporteremo solamente che dagli Egizi
hiò anch’egli le mani già pure, onde da Dio abominati furono e puniti crudeli olocausti. A Mitra, a Serapi, a Marte, al
l sacerdote; e tutto L’esercito gridò, che inopinato Era il portento, che visto ancora Fede non ottenea. Giaceva al suo
mano, e dalla bocca Soavemente gli tergea la spuma, E lo baciava. Ei dolce muggia. Che del flauto Migdonio udire il su
i preghi volta, Non pensa di partirsi così tosto, Ma seco quel piacer grato prende. Che quel ch’ama e l’ottien beato re
Troppo è contro il suo fin ch’egli si spoglie D’una vita si dolce e gioiosa. Ma se nega alla sua sorella e moglie, Ch
e sì gioiosa. Ma se nega alla sua sorella e moglie, Che sospetto darà lieve cosa? Amor vuol ch’ei compiaccia alle sue v
r ritiene. Che nuovi inganni e nuovi furti pavé; Onde die il don, che l’accora e infesta. In guardia ad un ch’avea cent
nde, Dove l’unghia sua fessa usa per penna Per far noto quel mal, che l’offende; Rompe col piede al lito la cotenna Per
on la mia morte L’intenso e dispietato dolor mio, Che a fin verrei di perversa sorte. Veggo or quanto mi neccia essere
oresta intorno intorno. Giove non vuol, come ben grato amante, Ch’in gran mal l’amata sua s’invecchi; Onde al suo figl
Atlante Commette che contr’Argo ir s’apparecchi: E perchè non sia più vigilante, Vegga di tor la luce a tanti specchi.
anto, Che alle fresche erbe il suo gregge ristora: E con le canne sue dolce canto Rende, che n’addolcisce il cielo e l’
olcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto pastor, che l’ode intanto, Di soavi accenti s’innamora, E dicea a lui: Qui meco
il pastor prega che voglia contare Come fu ritrovata la sampogna, Che soavemente ei sa sonare. ………………………………………… …………………
orna il mio Giove; No, dal tuo cor non discacciarmi — E dolce. Mentre parla, due vezzose stille Brillan sugali occhi.
M’empie lo spirto e ‘1 cor: No dea, no donna Non fu giammai, che con cara e degna Seduzion mi risvegliasse in petto Co
tola. Nò il soggetto rappresentato in questa azione, nè l’artefice di bell’opera, sono menzionati nel distico. La descr
na, e del dolor le furie a gara Accrescon rabbia all’animoso petto. E parlava colla doppia prole Sulla vetta di Cinto.
si am mira in Vaticano come il miracolo della scultura non.può essere degnamente descritta che si possa figurare alla f
scolpita. Affermò non potersi supporre opera di Ca. lamide un lavoro perfetto, dove la più severa bellezza è unita a t
in fronde il crine. Crescono in rami le sperate braccia, E il pie già veloce al suolo è fìsso Con le pigre radici, e co
i crini. Deh, figlio mio, non far ch’autore il padre Ti sia d’un dono funesto: ancora In tempo sei, li tuoi voti correg
he alcune volte nella terra si fanno; ed affinchè le fondamenta di un pesante edifizio avessero della sodezza in quel m
, ed è cosa mirabile che siansi potuti mettere in opera architravi di gran peso. L’artificio di cui servissi questo val
Titania fu cognominata Diana, perchè da uno dei Titani nata. Partenia disse dall’ amor della castità, o più propabilmen
non si estende sino alla metà inferiore delle medesime, ma non sembra facile il supplirla colla immaginazione. Io per m
ti due vasi, e al di sotto due volatili con alcune piccole perle. Una rara antichità mi è sembrata degna di una sì minu
lcune piccole perle. Una sì rara antichità mi è sembrata degna di una minuta descrizione, e perchè illustra il citato l
: Ah questo furto La moglie non saprà: se noto ancora Le fosse, vale, , vale una lite Quel volto: e ratto di Diana il ma
occhi di Pallade servono ad ispiegare quel nome che aveano le pupille presso i Greci che presso i Romani. Questi chiama
rla, narrando che Teuti, il quale diede al luogo il suo nome, ferì in fatta maniera la dea mentre sotto mortali sembian
presenta un bell’insieme, e una buona disposizione di panneggiamento nella tonaca che nel manto, ed in oltre ci offre
è ripetuta l’egida che ha sul petto. L’egida usata da Giove per scudo vede in una gemma presso Winkelmann, e disposta a
mente come un fiore, che sembra essere il giglio ch’ella amava: ed in fatta maniera si vede solamente in due opere in m
si indarno i pargoletti Amori. Teco perì, nè più possiede incanto Olà pieno di grazia il mio bel cinto. Perchè, audace
il mio bel cinto. Perchè, audace garzon, seguir la caccia. Essendo tu bello? e colle fiere Perchè serrarsi tanto in dur
; ma non l’ascolta; Ch’ei pur non vuole, e Proserpina il tiene Legato , che mai non lo discioglie. Pon fine, o Citerea,
ce, allorché accarezzando Marte sospende il furore della guerra, e fa che i feri uffici della milizia pei mari e per le
, agli anelanti sposi In cui fame non dorme apprestan mensa Men lauta , ma più gioconda e cara. Di là non lungi lussurre
tà sul suo volto, intralciò con le spighe i capelli, e la raccolta fu abbondante che i granai non poterono contenerla.
la sacerdotessa Nicippe. Cerere in nessun luogo è stata effigiata con belle sembianze quanto in una moneta d’argento de
la Sicilia sem brano essersi molto studiate di dare sulle loro monete alla madre che alla figlia, delle due testé mento
e dimore. — A lei rispose Cibele: I detti tuoi disperda il vento: Non gli ozii del ciel Giove avviliro Che alla difesa
con un giovine genio che si appoggia sopra una fiaccola rovesciata, e trova colla parola Sonno sopra una pietra sepolcr
della loro rappresentanza. « Il celebre Lessing è stato di parere che fatti genii, giovinetti, o fanciulli quando vengo
di sovrappor una all’altra gamba, in cui sono espresse ordinariamente fatte immagini, mostra una assai scarsa lettura d
cuni, di Febo istesso. « Lodevole è l’interpretazione che fa lo Scott della spelonca da lui riconosciuta per l’antro Co
fa lo Scott sì della spelonca da lui riconosciuta per l’antro Concio, della statua appoggiata ad un tripode, ingegnosam
Ov’ è la selvabitatrice cerva, Ov’è il torvo cignal boschivagante? Or dolore Porto di ciò che fai; Or sì l’errore Poter
il torvo cignal boschivagante? Or sì dolore Porto di ciò che fai; Or l’errore Poter mutar vorrei. Come la voce alle ro
rsi vorria. Su, la coda ti scuoti, E con essa le terga percoti, E con fatta sferza Per te stesso ti sferza: Fa che dei
vi esposi allora che favellai di questo dio. Si crede per alcuni che mostruosa colpa patteggiasse Saturno coi Titani,
, delle medich’arti Perito, e caro delle muse al coro. Polifemo traea facil vita, Odio di Galatea, Ciclope illustre. Ed
conda, io vado Ed a te tendo, ahi non più tua, le palme: — Vacillante disse, e sparve, eguale A fumo che si mesca in au
oir unghie si fendea ciascuna il petto; Batteansi a palme, e gridavan alto, Ch’i mi strinsi al Poeta per sospetto.» I
il colpo, e ritardar l’impresa. Nè potette seguir mia casta mano Opra brutta: onde io coli’ unghie il volto E il seno o
il luogo, il tempo, e il seme Di lor semenza e di lor nascimenti. Poi ritrasser tutte quante insieme. Forte piangendo,
i, Ma d’indico smeraldo alti splendori Le fean ghirlanda al crine: In rigido fasto ed uso altero Di bellezza e d’impero
on è da lui temuto? Son forse l’opre de’ mìei sdegni ignote? Nè ancor sa che l’Oriente corsi Co’ piedi irati, e a le pr
Il suo nome come vuol dir Florida, è adattato al suo doppio uffìzio, ai piaceri e ai divertimenti, che sono i fiori di
che sono i fiori di cui si sparge il disastroso sentiero della vita, alla cura dei vegetabili, dei quali è strettament
con dispiacere gli abbandonano. Il sangue che scorre a poco a poco fa che ei traballi, e con un’occhiata dolce e grazio
l ritratto di una matrona romana, tal quale anch’ essa alla Polinnia, nella composizione della figura che nel panneggia
lo che è singolare in questa eccellente scoltura è il panneggiamento, per la maniera nobile e leggiadra in cui è tratta
nneggiamento, sì per la maniera nobile e leggiadra in cui è trattato, per la qualità dell’abito che si è voluto rappres
gina Cristina, e che non è già perita come sopra abbiamo avanzato, ma conserva tuttora nella deliziosa Villa d’Aranjuez
l quale il dolore della natura è stato vinto dal piacere d’un’ azione bella. — Lezione cinquantesimaquinta. Le Gra
sono tutti bianchi. agili, obbedienti al freno, e nitriscono in modo benigno, che la vittoria promette. Considerate En
cun poco verso la sommità. E ornato di cornici e di membri intagliati nella superiore che nell’estremità iuferiore, e s
i alla sorte comune d’ogni vivente, non altrimenti d’un convitato che levi pago e satollo da ricca mensa. » Il Viscont
e idee sul vero soggetto del simulacro. Il mio parere è molto diverso da quello di Winkelmann, sì dal comune. Lo sottop
simulacro. Il mio parere è molto diverso sì da quello di Winkelmann, dal comune. Lo sottopongo al giudizio dei leggito
une d’ogni deità, pur non dubito denominar Proserpina o Libera, e ciò per le sue relazioni col nume che nasce, sì per l
roserpina o Libera, e ciò sì per le sue relazioni col nume che nasce, per l’altre più cognite colle deità seguenti, che
evavano, ma certo è che il culto di queste tre divinità fu congiunto, nei gran misteri Eleusini i primi della Grecia e
piuttosto che ai suoi seguaci e ministri, debbono attribuirsi statue fatte. È però vero che in altri monumenti possono
« La somiglianza che accenno è argomento della provenienza di figure fatte da nobile originale, di cui però nelle scar
i popolata tutta la terra. Il grato mormorio delle acque che persuade dolcemente i sonni, sarà stato forse il motivo ch
rappresentarla quasi una ninfa della contrada; e le insegne Bacchiche ben convenienti alle Ninfe, avranno anche avuto r
dire vin puro, è, come io penso, rappresentato in questo fanciullo, e le altre sue immagini, sì lo stato di ubbriachezz
penso, rappresentato in questo fanciullo, e sì le altre sue immagini, lo stato di ubbriachezza in cui Bacco si presenta
golare che insegnò ai Greci tante arti ignote, ed introdusse tra loro nuovi costumi, i Greci dipingonci la sua venuta d
ua venuta da quelle contrade come il ritorno trionfale di un capitano prode, che non trovò altri emuli delle sue gesta,
ssime: si distinguono però fra le altre quelle di Arianna e di Venere per la grandiosità dei panneggiamenti, sì per la
elle di Arianna e di Venere sì per la grandiosità dei panneggiamenti, per la grazia delle situazioni. Merita per la sua
’ artefice per altro che ha eseguito nello stile solito dei sarcofagi bella composizione tratta o da greca pittura, o d
da greca pittura, o da greco bassorilievo, ha reso alcuni oggetti con poca esattezza o correzione che non s’intendono a
gamente impiegato il lavoro del trapano, che appunto vedesi usato con poco risparmio nell’antica scultura fin dall’impe
ostra un gruppo la cui composizione ò così felice, la cui espressione vera, le cui parti sì belle che può estimarsi uno
composizione ò così felice, la cui espressione sì vera, le cui parti belle che può estimarsi uno dei più eccellenti oh
e dei Sileni sotto il nome di Cordace conosciuta dai Greci. Sì varie, eleganti, sì ben composte sono le figure dei danz
sotto il nome di Cordace conosciuta dai Greci. Sì varie, sì eleganti, ben composte sono le figure dei danzatori che pos
ui comprese le Menadi rendeansi più forti delle più forti belve, onde vantarono in un epigramma greco di ritornar dalla
nsron col tirso; ed ei con le man tumide A’ crin s’appiglia; e mentre l’attizzano. Casca nel collo, e i Satiri lo rizza
7 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
. Finalmente durante il tempo che Saturno conversò con gli uomini, fu grande la felicità, che tal’epoca fu chiamato l’e
di diversi animali ; ma Giove più coraggioso abbattè col suo fulmine potente nemico : lo rovesciò, e restituì la pace
del Mondo, e più ancora de’ suoi piaceri, ai quali si diede in preda fattamente, che la sua maestà fu più degradata di
 : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese al Mondo, che questi Dei potenti nulla possono al paragone di me » ! Virg.
fingendosi un’aquila aveva al padre suo Troe involato. Vulcano nacque brutto, e scontraffatto, che avendone Giove rosso
gliata una foresta consagrata a questa Dea, che gli comunicò una fame terribile, che lo ridusse a consumare tutt’i suoi
nell’arte di maneggiar l’arco, ammazzò il serpente Pitone, che aveva crudelmente perseguitato Latona. Questo mostro av
a un mostro orribile per accrescere la desolazione, e lo spavento. In fiera traversìa fu consultato l’Oracolo, la cui r
inità, e de’ parti. Come nacque alquanti momenti prima di Apollo, non tosto vide la luce del giorno, che apportò degli
Dio ispirò alla madre del Re, ed alle sue Menadi, o siano Baccanti un fatto furore, che esse lo ammazzarono senza conos
e, ch’è un sonno perpetuo. La pittura, che fa Ovidio di questo Dio, è bella, che ci fa chiaramente conoscere la natura,
Teseo in qual maniera Teseo ammazzò questo mostro, e liberò Atene da crudele tributo. Minosse servendosi dell’opera di
più conosciuti furono Androgèo, Fedra, ed Arianna. Il suo governo fu giusto, e regolato, che divenne il modello de’ pr
n viaggio ad oggetto di combattere col Minotauro, e liberare Atene da umiliante tributo. Sarebbe però senza dubbio peri
coli, che ne impedivano il possesso. Bisogna sovvenirsi quì di quanto è detto riguardo a Frisso, ed Elle figliuoli di A
se un solo : finalmente uccidere un mostro, che stava alla guardia di prezioso deposito. Il più difficile era che tutto
Admeto. Commosso dalla sposizione del fatto non volle, che un’azione grande restasse senza compenso. Scese tosto all’i
gire per sempre la compagnia delle donne. Le femmine di Tracia furono offese da tale disprezzo, che avendolo incontrato
cono i poeti, che in quel giorno il sole si oscurò, per non vedere un atroce misfatto. Tieste non aveva a rinfacciarsi
che il flagello non cesserebbe, finchè non si restituisse Criseide. A giusta dimanda Agamennone non volle ostinatamente
Achille la morte di Patroclo, il suo dolore non ebbe limiti. La sentì vivamente che l’avrebbe vendicata all’istante, se
otta. Penetra Didone il di lui disegno : lo rimprovera, e si duole di barbaro tradimento. Cerca Enea di scusarsi, ma ne
e Ifide (tale era il nome della fanciulla) Iside non l’abbandonò : in pressante congiuntura cangiò in maschio la ragazz
accusandolo di avere il mdesimo attentato alla sua pudicizia. Seguito atroce misfatto, la giovane si pentì, e svelato l
dissimo credito era a tempi di Napoli Greca Artemisia, o sia la Luna, perchè germana di Apollo, sì perchè erano traspor
i Napoli Greca Artemisia, o sia la Luna, sì perchè germana di Apollo, perchè erano trasportati i Napoletani per lo stud
colpiti nel teatro, e specialmente nel circo : ed avendo i Napoletani l’uno che l’altro, è da supporsi che adorassero c
8 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183
ioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. La sua moglie che l’arricchì di numerosa prole era Teti 213), dea marina anch’ess
ico e figurato : « Tra l’isola di Cipri e di Maiolica « Non vide mai gran fallo Nettuno, « Non da pirati, e non da gen
r dire che non fu commesso mai prima d’allora nel mar Mediterraneo un orribil delitto. Gli astronomi diedero il nome di
’due figli « Andar carcata da ciascuna mano « Gridò : tendiam le reti ch’io pigli « La lionessa e i lioncini al varco :
trasumanato e sospinto da forza soprannaturale verso il Cielo, ed in breve tempo, « ….. in quanto un quadrel posa « E
e di orche, di foche e di vitelli marini. A questo Nume costituito in umile ufficio attribuirono una prerogativa degna
« Che un tempo conoscesti il male a prova, « Se non t’invidii il Ciel dolce stato, « Delle miserie mie pietà ti mova. »
9 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
one preindicati erano altrettante solenni imposture del Politeismo, e abilmente organizzate da allucinare per molti sec
barbari, ma quelli ancora « ………..che fenno « L’antiche leggi e furon civili. » Che fossero un’impostura dei sacerdoti
ti, gli ignoranti, gli oziosi, i vili e i da poco. E nessuno sarà mai pazzo, o sì savio, o sì tristo, o sì buono, che p
ranti, gli oziosi, i vili e i da poco. E nessuno sarà mai sì pazzo, o savio, o sì tristo, o sì buono, che propostagli l
ziosi, i vili e i da poco. E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o tristo, o sì buono, che propostagli la elezione d
e i da poco. E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o sì tristo, o buono, che propostagli la elezione delle due qual
10 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
Clizia in girasole. Perduta intanto questa sposa trasse al suo fianco Climene figlia di Teti, che Coronide figlia di Fl
in figlio quell’ Esculapio, che istruito nell’ arte medica da Chirone valente in quella addivenne, che valse a richiama
re recise alcune piante in un bosco a lei sacro fù punito con fame di strana natura, che ad onta di qualunque quantità
no suo padre per cura di Titea, si indocile si dimostrò nei consigli, fiero nei tratti, che non sol si fè usurpatore de
poi succrescendo di tratto in tratto l’a more divenne al fine di esso gelosa, che ravvisandolo con soverchia parzialità
la, E nulla cura il vil piacer mondano. Tien la cicogna a piedi, ed è bella, Che figlia sembra del fattor sovrano ; Que
è fatto un gelo In bocca dà la filïal mammella. Lo toglie a morte con nobil zelo, Mortal la mira, e dì a ciascuno è que
ssa a se chiama quanti averne può, Ognùn ride, e con lei pronunzia il Tal’emblema palese or io vi fò, Allegrezza è cost
ù mostra quel velo, che innalza, mentre con esso velando gli occhi fa , che l’uomo non ri accorga della occasione offert
rudo macello, E morde per furor la propria mano. Mortal rifletti a un fatal modello, Se vuoi saper che asconde un tale
ua Gerusalemme il cigno toscano ? Della nuda, e semplice proposizione contentarono entrambi. Un tal esordio però qualun
tutto nella narrazione fà di mestieri, che si rifonda. Allora, allora offrendosi ai sensi, ed all’immaginazione quel li
nico senza la conoscenza del verso unquemai non s’apprende. Dal verso provengono le forme di bendire, che allettano, le
i moti fur, l’ultime voci E nel canto 2 potevasi forse meglio, ed in poco descrivere un uomo dal nulla innalzato alle
nti che il prossimo antecedente Settenarie è commodissimo alla poesia estemporanea, che meditata, e perciò mirasi il pi
a speranza, Che più soffrir degg’io Non hò chi più m’aiuta In sorte dogliosa Che va la mia costanza ? Nulla è di Gi
gi per istituzione di Silvestro papa è del tutto abolita, ciò avvenne perche cessato era già il fine, si perche sulla p
l fine, si perche sulla pietra immolar si dovea Cristo, che è Pietra, finalmente acciò dalla durezza della pietra, ove
abietta, Mostrandoti qual sei possente, e forte. Eolo rispose : a me , a me si aspetta Punir le offese tue colla lor mo
11 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
ppa. E Cerere a dir vero ne faceva onore alla vecchia, trangugiandola ingordamente che il fanciullo Stelle o Stellio, a
e e senno agli agricoltori, e i secondi non denotassero mollezza ; ma v’era ammesso il papavero, il quale conciliando i
iliale affetto s’ingegni di mitigare il destino di un padre colpevole , ma troppo crudelmente punito ! Nanrano alcuni ch
erne spiegare le cause. 67. Lo stesso Giove, sgomentato alla vista di tremendi nemici, chiamò in soccorso gli altri Dei
anti popoli diversi vantavano Giove esser nato fra loro, e additavano gran numero di monumenti per attestarlo. Giun
ateriali e grossolani, non potevano attribuire al rettore del sole un gran fallo ; un Dio non erra. S’avvisarono adunqu
he lo accolse con magnificenza regale. Bacco volendo ricompensarlo di bella ospitalità largita al suo balio, promisegli
n bel cervo ; quand’ecco che inavvertentemente lo uccide, e ne rimane addolorato da perdere a poco a poco la vita. Apol
del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion produrre i giorni che le notti. Quindi il cigno si riferiv
l’interprete di Giove e degli altri Dei tanto in cielo che in terra, nel mare che nell’inferno ; dirigeva egli stesso
gran veglio Che tien volte le spalle inver Damiata,49 E Roma guarda , come suo speglio. La sua testa è di fin’oro form
inciando sulla terra a patire gli eterni supplizi del Tartaro. 234. A temute Dee furono offerti singolari omaggi ; e ta
d’una fonte, e lasciatolo ivi a specchiarsi nelle onde, lo accese di folle amore di sè medesimo, che diventò passione
a una corona di papaveri ed uno scettro appartato da un canto, ma non che non possa prontamente ripigliarlo. E, dove la
e : l’estate e l’inverno, per indicare che l’amicizia vera è costante nella buona che nella rea fortuna : ovvero che qu
cini paesi. Ercole gli esterminò con le sue frecce ; ed erano tanti e grossi che alzati a volo gli facevano ombra con l
a da nuova gelosia, Giunone (85) lo dette in preda a un furor cieco e tremendo, che l’infelice eroe, senza saperlo, ucc
va un sacrifizio sul monte Eta, accolse con giubbilo il dono : ma non tosto ebbe indossato la fatai veste, che il viole
o del veleno gli serpeggiò per tutte le membra, e lo dette in preda a acerbi dolori, che divenutone furioso, afferrò Li
le Amazzoni. Una volta condusse in questa città la nuova sposa, e non tosto Fedra ebbe visto il giovine Ippolito, che s
nato Mirtillo, figliuolo di Mercurio (160) e cocchiere d’Enomao, fece che il carro del principe si rovesciasse ; ed Eno
o fu affidato ad Agamennone (527). 529. La flotta, che doveva portare numeroso esercito per la spedizione di Troja, era
u in preda ai tormenti delle Furie ; e quel supplizio durò tanto e fu crudele, che le furie d’ Oreste (232) sono passat
questa restituzione ; ma per rendere il contraccambio ad Achille fece che anch’ egli dovè liberare la giovine Briseide,
e fu chiara non tanto per virtù e per prudenza che per bellezza, e fu grande l’amore ch’ei le portava, da indurlo a fin
brancolando ma invano di recarsi loro in ajuto, ne faceva spettacolo doloroso da vincere ogni più lacrimevol tragedia.
empestoso i venti e ’l mare Si repente commosse, e mar si fero, Venti pertinaci, e nembi e turbi Cosi rabbiosi, che som
a inoltre uno dei più belli uomini del suo tempo, ed aveva la statura appariscente, che ne hanno fatto un gigante capac
che ai devono per necessità dnrare nell’esercizio di esse. Finalmente fatti mali furono il gastigo del fuoco da Promete
ad ogni umano riparo. 71. Qui intendiamo gli Angeli. 72. Però havvi spesso al mondo chi soffre mulamento di slalo. 7
., doverono essere benemeriti del primo incivilimento di quei popoli, nella politica che nell’ industria ; mentre i tir
l’ estinta sua prole. L’eccesso del dolore la rese muta e impassibile che poteva essere paragonata ad uno scoglio flage
12 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
nomini, chiamato civile che si prevalse degli errori e delle passioni del volgo, come de’ letterati, e ne compose un mi
ogavano pardi e pardi lo seguivano, per dimostrare non esservi uomini fieri, che non si rendono miti con l’uso moderato
o che dà il mare in procella. Perciò a lui si sacrificavano tori neri a cagione del colore delle acque del mare, che se
el colore delle acque del mare, che sembran nere quando sono agitate, a cagione della simiglianza del muggito de’bovi c
eri, e furono creduti come Iddii anche in tempi non di molto remoti ; perchè dalla istoria è dato principio al secolo d
avale, che fece Giasone nel Ponto per la conquista del vello di oro ; ancora, mancando a gl’antichi fiore d’ingegno, on
tessa in muoversi con un moto circolare — co’leoni, non esservi belva fiera, che non venga ammansita dalla tenerezza ma
ammansita dalla tenerezza materna, oppure non esservi angolo di terra remoto e sì infruttuoso, che non possa mettersi a
lla tenerezza materna, oppure non esservi angolo di terra sì remoto e infruttuoso, che non possa mettersi a coltura. Le
e, presi aspetto e forme degne di un Dio. Ora parimenti, poichè non è grande la nota della mia confusa figura, in me se
— Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui, che perduto d’intelletto non vede di esser tutta un’a
13 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
sima alla nostra studiosa gioventù rendendo qui noto un libro ad essa utile, e che riunisce tanti pregi, che invano si
ntendere gli scrittori, e singolarmente i poeti, che ad esse alludono di frequente. Nè men necessaria è a tutti gli stu
o o una palma nelle mani. Capo VII. Di Vulcano. Quattro Vulcani annoverano da Cicerone; il primo figlio del Cielo
ad accordarglielo. Ma non sapendo Factente guidarlo, tanto alla terra accostò che ne arse essa, ed il mare. Alle preghi
o, uccise a colpi di frecce tutti i figli e le figlie di Niobe, che a orrendo spettacolo in marmorea statua fu tramutat
ato in edera. Essendosi a tale feste opposto Penteo re di Tebe, furor strano ispirò Bacco ad Agave madre di lui, ed una
tto nel Capo III, sotto a’ monti della Sicilia Tifeo, si agitò questi fattamente, che Plutone temè che non si aprisse l
ù vigoroso, levollo in aria, e il petto gli strinse colle sue braccia fattamente, che il soffocò. Mentre andava a Pito,
i volando col capo di Medusa, nacquero i serpenti, onde quella fu poi feconda. Giunto in Mauritania, essendogli negato
erir facesse la Sfinge, poichè era destino, che questa dovesse morire tosto, che l’ enimma da alcuno fosse disciolto. P
in questo pericoloso passaggio aiutali furono da Giunone; ma come non saprebbe determinare ove fosse un tal passaggio,
cavalli che traevano il cocchio d’ Ippolito lungo la spiaggia, furono spaventati, che datisi a fuga precipitosa, scosse
to Ulisse, le armi a lui furon date. Ma di ciò Aiace adirato ne venne furioso che ne perde la ragione, e lanciatosi in
r le vie, uccidendo, predando, incendiando ridussero quella città già florida e sì possente a un mucchio di sassi e di
idendo, predando, incendiando ridussero quella città già sì florida e possente a un mucchio di sassi e di cenere. Ca
14 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
ndo accadeva qualche fatto scandaloso, si attribuiva subito a Marte : poco buona stima si aveva di lui per morale condo
; « Cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, « Un lume per lo mar venir ratto, Che’l muover suo nessun volar pareggia. »
ttori, si metteva i panni curiali in ossequio e venerazione di uomini grandi e sapienti. 178. « E falso che Attila ro
apertamente nel Canto viii del Paradiso : « …….e vien Quirino « Da vil padre, che si rende a Marte. » 180. Trovas
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
suo cammin vago « Al canto mio ; e qual meco s’aùsa « Rado sen parte, tutto l’appago. » Con questi detti della Sirena,
finire in una coda orizzontale, come una gran parte dei pesci227. Da lieve causa e somiglianza, che doveva sembrare an
esce ; « E visto entrare e uscir dall’Orca Orlando, « E al lido trar smisurato pesce, « Fugge per l’alto Oceano, oblïa
ato pesce, « Fugge per l’alto Oceano, oblïando « Lo sparso gregge : e il tumulto cresce, « Che fatto al carro i suoi de
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137
gl’Italiani adottarono il nome di Atena dato a Minerva dai Greci ; ma il derivativo di Ateneo. Intendevasi dai Greci pe
superbia punita nel Purgatorio (Canto xii, 43….) : « O folle Aragne, vedeva io te, « Già mezza aragna, trista in su gl
. 165. « Atene e Lacedemone che fenno « Le antiche leggi e furon civili. » (Purg., vi, 139). 166. Tanto è vero
17 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
desiderava, offrì loro in sacrifizio quel bravo montone che lo aveva ben servito, per appenderne come voto l’aureo vel
o « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno. « Dico che ‘l corno è di orribil suono « Ch’ovunque s’oda, fa fuggir la ge
ovunque s’oda, fa fuggir la gente. « Non può trovarsi al mondo un cor buono, « Che non possa fuggir come lo sente. « Ru
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
gon col tirso ; ed ei con le man tumide « A’crin s’appiglia, e mentre l’aizzano, « Casca nel collo, e i Satiri lo rizza
angiò in delfini alcuni marinari che si opponevano al suo culto. Fece che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinat
all’oro, se non avesse ottenuto da quel Nume benigno la cessazione di funesto dono. Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiu
19 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
che sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e per le parti « Di gran mole, di sè l’empie e seco « Si volge, si ri
ndi a venir n’è dato « Negli ampii elisii campi ; e poche siamo « Cui lieto soggiorno si destini. « Qui stiamo in fin c
palude che cinge la città di Dite. Salmoneo, fratello di Sisifo, era pien d’orgoglio per aver conquistato l’Elide, « 
20 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254
due più celebri popoli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon civili, e della cui civiltà è figlia la nostra. S
usa vera di questo fenomeno ; e così di tante altre. Oggidì che hanno gran credito gli studii preistorici sugli uomini
21 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
e, di lusso e di crudeltà. Anche i più insigni personaggi che fecero splendido il tramonto di Roma repubblicana, come
er la prima volta a combattere il fanatismo religioso. Questi Giudei, spregiati a Roma e nel resto dell’impero, merciaj
l Cristianesimo, ed eccolo assiso sul trono de’ Cesari. Come ha vinto gran possanza ? Offrendo il petto alla spada e ai
22 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59
nzione dell’aurea catena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata bella e sapiente, che non solo fu accolta con pla
stino avvolti ; perchè lo strascinamento degli uomini e degli Dei con fatta Catena egli pende dall’arbitrio di esso Gio
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91
pinti splendori da lui veduti nell’Empireo, esclama : « O Elios, che gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sa
elo « Qual prender suol colui che a morte vada. « Certo non si scotea forte Delo « Pria che Latona in lei facesse il n
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325
all’esser discendenti, com’essi vantavansi, di questi prodi guerrieri miracolosamente nati ; la quale illustre prosapia
on l’invidio ; « Chè due nature mai a fronte a fronte « Non trasmutò, ch’ambedue le forme « A cambiar lor nature fosser
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
fa di nome Siringa ; ma essa avendo pregato gli Dei a liberarla da un fatto sposo, ottenne soltanto di esser cangiata i
chi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Dise
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
le gelosie, delle stizze e delle persecuzioni di questa Dea. Favoriva e proteggeva essa quei popoli che le erano più de
anquillo adempi ogni tuo senno. » (Trad. del Monti.) Malcontenta era , ma non rassegnata, come ben si capisce da questi
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
el nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far che si oscurasse e rasserenasse la faccia della L
amente da questa Dea ad entrare in quel boschetto per procurargli una miseranda fine. Atroce e vergognosa vendetta ! Il
28 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
erno, e tutto lo cingeva ; e perchè non v’erano ponti, nè l’acqua era bassa da poterlo guadare, bisognava necessariamen
ù bella fabbrica dell’Inferno è quella che Dante ha delineato in modo mirabile da superare l’abilità di qualsivoglia ar
29 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131
sica, in Chimica e perfino in Medicina o materia medica. E chi fu mai losco o dell’occhio o dell’intelletto che non abb
ccome la perfetta eloquenza non trascura l’armonia del linguaggio, ma la coltiva e l’adopra per iscender più facilmente
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
ernali vedendolo da lontano dall’alto di una torre : « Venga Medusa, ‘l farem di smalto, « Gridaron tutte riguardando
no beltade, « (Come affatto costui tutte le invole), « Non escon fuor che le veggia il Sole. « Non è finto il destrier,
31 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
dorano e invocano le Muse con entusiasmo senza pari. In Dante poi era grande e sì fervente il culto per queste Dee, che
ocano le Muse con entusiasmo senza pari. In Dante poi era sì grande e fervente il culto per queste Dee, che per loro, d
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
etesero di supplirvi assegnando a Plutone non soltanto la cura di far che delle anime degli estinti non ritornasse alcu
a dimostro ; « Meglio è per fama aver notizia d’esso, « Che andargli, che lo veggiate, appresso. « Non gli può comparir
33 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30
eticismo però non prevalse nella religione dei Greci e dei Romani, ma di altri popoli o più antichi o più rozzi, e fu p
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499
amente dopo la proditoria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di cara esistenza, a cui era dovuta la prostrazione
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14
cialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e percorso un vasto campo di maraviglie vere e reali della natu
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
concime. Plinio asserisce che era questi un re d’Italia deificato per utile insegnamento3. Di tali divinità il cui uffi
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320
rmirsi da qualunque pericolo e vincere ed uccidere la Chimera. Allora parve a Iobate manifesta l’innocenza di Bellerofo
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
latina ; chè sarebbe un portar vasi a Samo e nottole ad Atene, mentre fatti libri di antichissima e minuta erudizione e
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330
o « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a te agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
mali che rovinano gli uomini e gli Stati85). Se Giove in questo mito, riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere uma
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
un fallo immenso. « O sante genti, a cui da terra sorti « Questi Numi ben nascon negli orti ! (Traduz. di G. Giordani)
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
e più non esistono, dice : « Natura certo, quando lasciò l’arte » Di fatti animali, assai fe’ bene. » Per tôr cotali e
43 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-
r Roma in conto di città più ragguardevole e di capo luogo del Lazio, rispetto alla religione che alla politica. Poi fu
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
e per fame le ghiande, « E nettare per sete ogni ruscello. » Ammette la felicità di una vita semplice e innocente ; no
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151
isse concisamente e con molta efficacia a un suo discepolo, ingegnoso ma zotico anzichè no : sacrifica alle Grazie. Cos
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
inquanta lance ; che Briarèo scagliava enormi massi e interi scogli a prodigiose distanze da perdersi di vista dove and
47 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. Avevano gli antichi osservato l’elettricità che si svilup
48 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
la cedevano alle più effrenate Baccanti. E a chi si maravigliasse di spregevol razza di Dei diremo soltanto che avendo
49 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
niverso, usa la parola Genio nel senso più generale : « Ferve d’alme grandi e non indarno « Il Genio redivivo. Al suol
50 (1897) Mitologia classica illustrata
acconti, quanto gli antichi Greci; la cui feconda immaginativa faceva che essi non concepissero i fenomeni naturali se
ra e col mare, e legar indi la corda alla più alta rupe dell’ Olimpo, che tutto l’ universo rimarrebbe penzoloni; tanto
riti, che rappresentavano tutto quel che v’ ha di bello e di grazioso nella natura sì nei costumi e nella vita degli uo
sentavano tutto quel che v’ ha di bello e di grazioso sì nella natura nei costumi e nella vita degli uomini. Secondo la
lla figlia di Priamo, fu a tradimento ucciso. Intorno al cadavere suo combattè a lungo e con accanimento, finalmente ri
a di Laocoonte così volta al cielo in atto di dolorosa rassegnazione, che par voglia chiedere agli Dei perchè una sorte
51 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
ana allora, vedendo che perfino la forza celeste era impotente contro formidabili nemici, ricorse all’astuzia femminea
o III. trad. di A. Caro Eleno fu tra i suoi fratelli quello che più distinse all’ assedio di Troja. Comandava la terz
e divinità campestri, ma dimenticarono Acheolo ; il quale sdegnato di poco rispetto, gonfiò le sue acque e trascinò nel
a paura di lui che non osava presentarsi mai alla sua presenza, e che era fatto fabbricare una botte di bronzo per nasc
ete, che passava a Goritna. Giove sotto il bugiardo e nove pelo. Con soave e preziosa salma. Per l’onda se n’andò tran
obabilmente dalle sue attribuzioni, perchè la parola gancio in latino dice fores. 2045. Fordicali. — Pubbliche feste ch
cioè egli sarebbe morto sotto gli avanzi della nave degli Argonauti, compì qualche anno dopo, imperocchè riposando un
ulli era coll’arme Giunto in aiuto, s’avventaro, e stretto L’avvinser , che le scagliose terga Con due spire nel petto,
te L’immane voce del mostruoso signore rimbombò per tutta l’ isola, che i Lestrigoni dall’alto delle rupi schiacciaro
il primo re dell’ Arcadia. Narra la tradizione mitologica che Licaone rese celebre per la efferata sua barbarie, la qua
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