DATORE ANTONIO MORDINI Prefetto di napoli Che alla valente operosità
della
vita politica Intesa al bene ed alla gloria Del
Di gratitudine e di rispetto Ristretto analitico del dizionario
della
favola per Camillo Benucci Introduzione
per Camillo Benucci Introduzione Illuminati dalla fiaccola
della
verità ; rischiarati dal lume dallo studio ; sorr
allo studio ; sorretti dalle autorevoli ed irrecusabili testimonianze
della
storia ; appoggiati da valide opinioni di chiari
to la gioventù studiosa e culta, quella che forma la più eletta parte
della
cittadinanza di una illustre metropoli, quella pe
i studio, onde l’idea che dà vita ai simboli mitologici, risplendesse
della
maggior luce possibile all’intelligenza di coloro
noi saremo paghi abbastanza, e ci reputeremo largamente ricompensati
della
strenua fatica. Prima d’andar più oltre, esamini
osservazione, se il libro, la pagina, il carattere, la bella armonia
della
disposizione di tutto l’obbietto che si vuol farl
ell’universo riposa principalmente sulla mirabile armonia delle leggi
della
natura ; il miracolo della riproduzione per mezzo
almente sulla mirabile armonia delle leggi della natura ; il miracolo
della
riproduzione per mezzo dell’istinto, che porta in
stra dal titolo che vi apponemmo. Ristretto analitico del Dizionario
della
Favola, suddiviso in articoli posti per ordine al
tutta la nostra opera. Infatti, un ristretto analitico del Dizionario
della
Favola, dev’essere una specie di storia dettaglit
gliata illustrazione. Facemmo precedere il nostro Ristretto analitico
della
Favola da uno Studio Preliminare, che segue quest
duzione, onde dare in esso (come già accennammo) un concetto generale
della
Mitologia, ed un maggiore sviluppo dell’idea info
vera configurazione del senso, racchiuso sotto il velame dei simboli
della
Favola. Abbiamo creduto ben fatto il dividere in
particolare, ciascuno di essi. A raggiungere questo scopo ci servimmo
della
stessa configurazione con la quale si stampano le
i stampano le pagine dei dizionarii, cominciando a spiegare la storia
della
Mitologia da quei vocaboli che ne compongono la n
da noi riportato. A questo proposito, e sempre a raggiungere lo scopo
della
maggior lucidità, diremo brevemente che fra le mo
fra le molte opere classiche da noi citate, ci siamo avvalsi sovente
della
Divina Commedia di Dante, quantunque a prima vist
antunque a prima vista potesse sembrare affatto estranea al carattere
della
nostra opera, la più lieve relazione con l’opera
rna dello Alighieri. Ma noi credemmo, forse non a torto, di avvalerci
della
testimonianza irrecusabilmente classica dello Ali
imperocchè la Divina Commedia abbraccia tutte le cognizioni, e quella
della
Mitologia non vi si trova, per certo meno svilupp
produzione d’una figura mitologica, o tale quale la sognarono i poeti
della
antichità, ovvero incorporata dall’immortale imma
’anima di un dannato o di un demonio. Tutti i mostruosi accoppiamenti
della
natura bruta, colla natura umana ; tutte le nefan
a bruta, colla natura umana ; tutte le nefande immagini che lo studio
della
Mitologia ci rivela innestate nel culto del pagan
le credenze dei pagani, si rattrovano nelle bolge dantesche, coprendo
della
loro maschera oscena i demonii relegati nel barat
questa opera, ci ha fatto di sovente riportare le citazioni dei passi
della
Divina Commedia ; e in ciò crediamo di aver fatto
deschi, siccome di altrettante testimonianze illustri ed irrecusabili
della
importanza storica, scientifica e letteraria dell
te faremo. Oggi non è certamente assoluta penuria di opere nel genere
della
nostra, chè anzi varie sono belle che parlano del
che e moderne, la conoscenza del culto religioso dei primitivi popoli
della
terra. A prima vista parrà, forse, che noi, altro
rato necessario, gli avvenimenti più importanti, i punti più salienti
della
pagana Mitologia. Ma se per poco la mente dei let
ifficoltà dell’opera nostra. Considerevole è il numero dei dizionarii
della
Favola ; famosi e chiari scrittori ; ingegni prof
mili alla nostra. Ma nessuno ha dato alla luce un Ristretto analitico
della
Favola, nel quale fosse cosi di sovente riportata
ile testimonianza, i fatti, gli avvenimenti, i simboli più importanti
della
Mitologia pagana. In oltre in questo ristretto an
tologia pagana. In oltre in questo ristretto analitico del Dizionario
della
Favola, non si avrà solamente dallo studioso la c
Cicerone, di Tacito, ecc. ; quella, finalmente, che riporti frammenti
della
Divina Commedia di Dante ; delle opere del Monti
gito con sano discernimento ; imperocchè nel nostro lavoro, la storia
della
Mitologia viene insegnata dal racconto degli stes
tenzione, che fu quella di esser loro utili con l’eterno insegnamento
della
storia, e facciano buon viso al nostro lavoro : n
gmi, il quale, considerato nel suo insieme, costituisce il linguaggio
della
credenza religiosa dei popoli dell’antichità, il
cato, come quella che dinotava la enunciazione del pensiero col mezzo
della
parola ; un discorso un racconto, che va ripetend
uo contenuto sia vero o falso, reale o immaginario. I Greci, creatori
della
parola Mitologia, cominciarono, nel tempo corso t
mpo corso tra Pindaro e Platone, Pindaro. — Il maggior poeta lirico
della
Grecia, secondo la testimonianza dei più rinomati
tima sia la più probahite. Verosimilmente Pindaro mori nell’ 80° anno
della
sua vita, e ammettendo, con Bockh, che fosse nato
el 442 avanti Cristo. La famiglia di Pindaro era una delle più nobili
della
città di Tebe. ad avere il sentimento della cos
ra una delle più nobili della città di Tebe. ad avere il sentimento
della
cosa. Più tardi essi congiunsero la nozione del M
fecero una delle forme principali del linguaggio intuitivo e figurato
della
loro religione ; forma propria dell’alta antichit
proprii dell’ordine religioso. L’antica civiltà greca fu il prodotto
della
fusione di due elementi o di due razze ; quella d
endenza degli antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo
della
lingua, che resistette ai conquistatori ed al tem
la congiuntura di non essere distratta dalle cure minute e materiali
della
vita, commesse agli schiavi ; l’educazione che ri
ne, alla distruzione di Corinto. I tratti principali e caratteristici
della
civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi pe
; e i secondi l’epoca eroica cantata da Omero Omero. — Sette città
della
Grecia si disputarono l’onore di aver dato i nata
dieciannove città che si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese
della
più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sos
nsiderò unanimamente l’Iliade e l’Odissea come le più classiche opere
della
greca poesia, 10 11 Che più ? l’erfino negl
le quali tutte conservano l’impronta, il carattere, il tipo proprio,
della
religione da cui hanno anima e vita. Mosè, l’uni
cui hanno anima e vita. Mosè, l’universale legislatore, si è servito
della
simbolica allegoria del roveto ardente, per fare
d’Israello si curvassero ossequiosi e reverenti ai dieci comandamenti
della
Legge, scolpiti su tavole di macigno. Maomello il
rati e confusi, pure avevano qualche cosa di particolare e di proprio
della
religione da cui nascevano. Così fino dall’infanz
i tempo, seguirono, o meglio, conservarono uno o più dei diversi miti
della
religione da essi osteggiata. Così gli Ebionili,1
o giungere fino alle più recenti eresie, di che fu afflitta la maestà
della
Chiesa Cattolica, ai nostri giorni ; ma sarebbe o
gici hanno sopravvissuto alla quasi completa ed universale sparizione
della
religione pagana dal mondo, e sebbene abbiano sub
tanto conservarono, nella forma esterna, qualche segno caratteristico
della
loro origine. Essi si sono in certo modo perpetua
ri di Roma, ai due Santi Cosimo e Damiano, gemelli anch’essi. L’altro
della
Salule, a Santo Vitale. Sulle rive del lago Numic
go ove la tradizione ci ricorda si precipitasse Anna Perenna, sorella
della
famosa Didone, sorge la cappella di Santa Petroni
re il vero in giudizio, ora s’innalza la chiesa di Santa Maria, Bocca
della
Verità. Il Panteon è divenuto la chiesa di Santa
a, Bocca della Verità. Il Panteon è divenuto la chiesa di Santa Maria
della
Minerca. La cattedrale di Pisa, era il palazzo di
e variante d’aver sostituito un libro, alla spada che brandiva il Dio
della
Guerra. Anche più presso a noi, e propriamente ne
iù presso a noi, e propriamente nella città di Messina, a simiglianza
della
Cerere Sicula, vagante per le campagne della Trin
i Messina, a simiglianza della Cerere Sicula, vagante per le campagne
della
Trinacria in cerca di sua figlia Proserpina, rapi
nel giorno dell’ Assunzione25 tratta in processione, va per le strade
della
città in cerca del suo Divino Figliuolo, e quando
e quali accennano tutte e fan menzione di quel tremendo sovvertimento
della
natura. Nelle leggende dei sacerdoti caldei, Noè
nario, si sono, in certo modo, trasfusi nella maggioranza dei simboli
della
religione del Cristo, è segno evidente che tutti
olari, quanto ereditati da altre credenze e da altri culti. Lo studio
della
Mitologia abbraccia tutta la scienza, le credenze
i divinità. Similmente è chiaro che non bisogna cercare, nello studio
della
Mitologia, nè date cronologiche fisse, nè certe e
o aggruppati, detti e sviluppati, secondo leggi ben diverse da quelle
della
storia, e sovente avviene che intere epoche più r
e illusioni degli storici e dei cronisti. Vuolsi quindi, nello studio
della
Mitologia, por mente alle moltiplici agglomerazio
sovrumano, perchè nella tradizione tutto si mostra traverso il prisma
della
simbolica allegoria, la quale apparisce più viva
ione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che al principio
della
verità, cedettero il posto ai miti dolci, casti,
del Cristo si rivela all’anima dell’uomo. Allora, il Mi to purissimo
della
Vergine Madre, spense col fulgore della sua casta
o. Allora, il Mi to purissimo della Vergine Madre, spense col fulgore
della
sua casta luce, col suo significato umanamente di
l’osceno bagliore dei Saturnali, dei Baccanali, delle sozze cerimonie
della
Venere Terrestre, la dea meretrice. Allora la for
fervida immaginazione d’un poeta. Di contro a questo pagano, simbolo
della
forza, sorge luminoso ed immortale, il mito dell’
il mito dell’ancella di Dio, sine labe concepta, che sotto l’usbergo
della
sua celeste purità, schiaccia col fragile piede,
e insidiatore, e lo costringe a precipitare nel baratro. Nello studio
della
Mitologia non bisogna considerare le favole che l
are il pensiero del simbolo o mito che essa racchiude sotto il velame
della
enigma e dell’allegoria. A bene intendere lo scop
mente ad esaminare quanto l’antichità ci rivela sui misteri simbolici
della
religione pagana, cioè il culto visibile e la dot
cioè il culto visibile e la dottrina segreta, delle differenti deità
della
favola. Uno degli istinti insiti alla natura uman
icargli offerte ed olocausti. Nell’osservazione scientifica dei tempi
della
favola, noi scorgiamo che assai di sovente la div
prove di fatto, i nostri lettori, il ricordar loro nelle sante pagine
della
Bibbia l’altare di Bethel L’Altare di Bethel.
lla Bibbia l’altare di Bethel L’Altare di Bethel. — Nel XXXV. Cap.
della
Genesi così è scritto riguardo all’altare innalza
L’azione dell’umano intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni
della
natura, è ciò che si chiama propriamente Arte. Le
uesto favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte. Fra i piccoli stati
della
Grecia surse, assai di buon’ora, una gara di emul
zze del creato, deve tendere al suo vero principio facendosi sostegno
della
verità : cooperandosi al progresso, perfezionando
pano di tutte le passioni dell’uomo, di tutti gli errori e i capricci
della
umanità : sono irascibill, ingiusti, invidiosi, v
di quanto accenniamo ce lo dà Omero, più marcatamente nel canto XXII
della
Iliade, allorchè narra l’agguato che Minerva tese
nel seno. Nella Bibblia, e nelle opere sacre dei più celebri dottori
della
Chiesa Cattolica, occorrono del continuo, angioli
bbia la sua Bauskie, specie di genio tutelare, come i Penati e i Lari
della
Romana e Greca Mitologia. La famiglia dei Lusignu
a la morte. All’epoca in cui si approssimava la sanguinosa catastrofe
della
rivoluzione francese, e quando il Mesmerismo 38 l
fede, sopratutto dopo Voltaire 39 e l’enciclopedia, avvenne il fatto
della
celebre cena di Cazotte, attestato da gravi e ser
otte si mantenne solo torbido e taciturno. Interrogato circa la causa
della
sua mestizia, rispose prevedere con gli occhi del
to circa la causa della sua mestizia, rispose prevedere con gli occhi
della
mente, orribili fatti : e siccome il Marchese di
a, e molte altre illustri dame con voi, sarete trascinate alla Piazza
della
Giustizia, con le mani legate dietro il dorso !…
dalle baliste romane, lo colse e lo stritolò !… La storia sanguinosa
della
rivoluzione di Francia, ci ammaestra del come si
con la regione dell’Egitto, sarà figlio di Nettuno, Dio del mare ; e
della
Terra ; avrà forme gigantesche, come giganti sono
e che nulla vale ad arrestare, finchè ampi canali costrutti ai piedi
della
Libica catena, non rendano inutili gli sforzi del
piedi della Libica catena, non rendano inutili gli sforzi del figlio
della
Terra. La tradizione favolosa, dando da ciò vita
i Creta. Omero stesso, il poeta sovrano, implicando fra gl’incidenti
della
favola Itiaca, un racconto interamente fantastico
o ser plici, anche sotto la forma allegorica, l’in elligenza dei miti
della
favola, non riesce al erto difficile ; ma vi sono
rrestre, venendo alle diverse deità attribuiti i caratteri del clima,
della
indole, del governo proprio, e perfino delle abit
tto simile a quella del re Ciro, il famoso monarca46. L’olimpo stesso
della
Mitologia Greca e Romana, altro non era se non un
. Nettuno era il Dio del mare ; Plutone si ebbe il governo dei regni
della
morte ; Cibete fu dea dell’agricoltura ; Venere d
izzata ; il sole diventa Ercole, e le dodici costellazioni principali
della
fascia zodiacale, additano le dodici fatiche del
li Sciti un trionfatore, per tutti, un mito divinizzato dall’apoteosi
della
sua invincibile forza. I Miti dunque, o simboli d
o dall’apoteosi della sua invincibile forza. I Miti dunque, o simboli
della
Mitologia, racchiudono il fondamento di tutte le
si ritrovano le orme dei misteriosi soggetti delle prime meditazioni
della
mente dell’uomo, e sebbene codeste orme vi sieno
nerazione, traversando l’umanità, ha lasciato impresso qualche tratto
della
sua particolare fisonomia. Giovan Battisia Vico
italiano, ha lasciato scritto che la « Mitologia è la più ricca forma
della
tradizione dell’umanità, e che essa contiene in d
religiosi appartengono alle più remote età del mondo, e che lo studio
della
Mitologia, ossia del ragionamento dei miti, è lo
uo più caratteristico aspetio morale e fisico, ossia traverso il velo
della
sua religione. Codesti cenni debbono, a parer nos
ifficile ed ardua impresa, sia quella di dettare una storia analitica
della
Mitologia. È invero faticosa opera il dimostrare,
er conto delle antiche tradizioni, e dell’oscuro significato dei miti
della
Favola ; tanto più che lo esame accurato, e lo st
nto di render maggiormente netto ed esplicito il concetto informatore
della
nostra opera, noi chiameremo, da ultimo, l’attenz
può essere un’idea, una credenza, un sentimento, ed anche un concetto
della
mente : può essere un fatto, un fenomeno del mond
enso vitale. Imperocchè la personificazione è la legge fondadamentale
della
Mitologia ; è il sostrato vitale, animatore, onde
do affatto simile all’uomo mortale. Ciò avviene perchè sotto l’impero
della
forma mitica, nè il mondo delle idee, nè quello d
menti assurdi, atroci, immorali, onde è tessuta quasi tutta la storia
della
Mitologia pagana, non fossero stati ravvolti sott
gico ecc. vol. 1. Dio del Sole : i riti Eleusini compiersi in onore
della
Luna ; come vediamo quasi tutti gli dei italici e
i gli dei italici essere planetarî a simiglianza di quelli del Tibet,
della
Cina, e dell’Arabia. Ogni cosa, presso la religio
llo ed il bue che, aggiogati all’aratro, fecondano col lavoro il seno
della
terra, diventano gli animali del sacrifizio. Poi
chia senza fondo,54 e finalmente le Parche fatali che tessono il filo
della
vita umana. Parche. — Nome delle tre divinità c
a al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava gli avvenimenti
della
vita : e Atropo, la più vecchia, tagliava, colle
liminare un cenno storico, per quanto più potemmo ristretto e conciso
della
Mitologia, a noi sembra che l’idea informatrice d
superfluo ornamento di stile. Ristretto analitito del Dizionnario
della
favola Epigrafi Pure non solo i poeti, m
osse imbarcato per arrivare traverso il fiume del tempo al mare magno
della
eternità — Ci hanno di parecchi tra noi a cui imm
di libertà e bellezza, è rappresentato ne’lavori stupendi dell’arte e
della
poesia greca. Weber — Compendio di Storia Univer
ei che Iddii vengon chiamati altro non dinotano se non effetti fisici
della
natura, non già persone divine. Cicer. Della Nat
, e contemplando L’eternità parea che in me trasfusa Fosse una stilla
della
sua grandezza. Byron — Caino Atto 3°(Traduz. di
utiles. V.Hugo — Préface aux Misérables. I magi d’Oriente e i sofi
della
Grecia insegnarono, che Dio favella in lingua di
ngono i pugni chiusi ; sull’oceano dell’infinito appuntando gli occhi
della
mente, scorgono i secoli lontani come l’alacre pi
are si smarrisce col firmamento. Guerrazzi F. D. — Dall’Introduzione
della
Beatrice Cenci Benchè più non alberghi Nelle s
insolite a udirsi. o difficili a vedere, o trapassano le deboli forze
della
nostra estimazione. Firenzuola — L’asino d’oro d
e l’universo si allarga e si feconda per questi incessanti alluvioni
della
morte. Dove gli umani sollazzavansi un giorno, og
te che i giorni dalla mano del tempo cadono irrevocabili nello abisso
della
eternità. Molto certamente hanno vissuto insieme
ne — Des destinées de la poésie. La mitologia è la più ricca forma
della
tradizione dell’umanità : essa contiene in due gr
toria. Giovambattista Vico. Opere. A 1. Aba, o Abas. — Città
della
Focide così nominata da Abas, figlio di Linceo e
una tazza che le fu offerta. Egli derise la Dea, e questa per punirlo
della
sua oltracotanza lo cangiò in lucertola. Si crede
e d’uno dei principali greci che furono uccisi nella memorabile notte
della
presa di Troja. 9. Abaster. — Nome d’uno dei dest
e forme di una donna giovane e bellissima, circondata di tutti i beni
della
terra dall’eterno sorriso e dalle tinte vive dei
allorchè questi fu scacciato dal cielo da Giove. 12. Abdera. — Città
della
Tracia, che Abdera, sorella di Diomede fece fabbr
er la musica, e per la declamazione delle opere teatrali, soprattutto
della
tragedia. Essi furono costretti di abbandonare la
cole aveva affidati alla sua custodia, dopo averti derubati a quel re
della
Tracia. 14. Abellion o Abellione. — Antica divini
ui sorgeva un famoso tempio dedicato ad Osiride. 19. Abieni. — Popolo
della
Scizia, nelle circostanze della Tracia. Mal si ap
cato ad Osiride. 19. Abieni. — Popolo della Scizia, nelle circostanze
della
Tracia. Mal si apposero quegli scrittori che conf
suoi nomi, ba avuto quello di Abretano. 24. Abseo. — Gigante figlio
della
terra e del Tartaro. 25. Absirto. — Fratello di M
perseguitava, quando ella cieca d’amore, fuggì con Giasone. Il flume
della
Colchide sulle cui rive avvenne l’orrenda tragedi
0. Acalo. — Detto anche Perdix, nipote di Dedalo. Egli fu l’inventore
della
lega e del compasso. Dedalo, suo zio, ne fu così
Peleo, e gli offrì il suo amore, ma questi resistè alle prave voglie
della
inverecon la. Crudelmente offesa dal rifiuto, Cre
o virtuoso principe il quale coi soccorso degli Argonauti, si vendicò
della
crudeìtà di Acasto, e delle calunnie dell’impudic
Per cui mori la vergine Camilla 39. Acca Laurentia. — Altra sorella
della
regina Camilla. Vi fu anche un’altra Acca Laurent
ad Apollo. 42. Acesio o Alexesio. — Si chiamava così Apollo come dio
della
medicina. Dalla significazione di questa parola c
giò in delfini, e fece suo gran sagrificatore Acete per ricompensarlo
della
sua buona azione. Vi fu anche un altro Acete, fig
talia, ebbe anche uno scudiero per nome Acete. 45. Achaja. — Contrada
della
Grecia posta al mezzogiorno della Macedonia, ma p
nome Acete. 45. Achaja. — Contrada della Grecia posta al mezzogiorno
della
Macedonia, ma più particolarmente provincia del P
3. Acheolo. — Figlio dell’ Oceano e di Teti. Secondo altri del Sole e
della
Terra. Avendo amato Dejanira, e sapendo che essa
rno che Ercole gli aveva strappato, gli dette in cambio uno di quelli
della
capra Amantea, che aveva nutrito Giove. Altri scr
se sulle rive del flume Acheronte. 56. Acheronte. — Figlio del Sole e
della
Terra. Egli fu precipitato nell’inferno, e cangia
se a ritornare. Ulisse, camuffatosi da mercatante, presentò alle dame
della
corte di Licomede alcuni ricchi gioielli, e delle
gli stesso i suoi focosi destrieri, fece tre volte il giro delle mura
della
città ; cedendo il cadavere sfigurato dell’eroe T
ssimi anni senza far nulla per la gloria, ovvero, morir giovine ricco
della
fama di prode, e che egli si fosse decisamente at
ultima scelta. Sarà buono osservare a proposito di questo famoso eroe
della
Grecia, che l’opinione della sua invulnerabilità
ervare a proposito di questo famoso eroe della Grecia, che l’opinione
della
sua invulnerabilità al tallone, non era accettata
sue navi. 65. Achmeno figlio di Egeo ; dette il suo nome ad una parte
della
Persia. 66. Achmon. V. Achemone 67. Acidaila. —
e le Grazie andavano a bagnarsi. 68. Acilio, Acitio o Acisio. — Fiume
della
Sicilia. Gli fu dato questo nome da Acisio giovan
eva amato, cangiò in fiume. 69. Acisio V. Acilio. 70. Aciso. — Figlio
della
Ninfa Simoettris e di un fauno. La sua bellezza g
ipio. 73. Acmena. — Ninfa del seguito di Venere. 74. Acmone. — Figlio
della
Terra, e padre di Cœlus. Il suo culto era celebre
to nell’antichichità, che per la bellissima descrizione che fa Ovidio
della
sua povertà estrema. Mio nome è Acete, e del pop
agli Egizii tale opinione che, per questi ultimi, era una conseguenza
della
fertilità della loro terra cagionata dalle annual
opinione che, per questi ultimi, era una conseguenza della fertilità
della
loro terra cagionata dalle annuali inondazioni de
ià che tutte le acque del Danubio e del Fasi lavar possano gli errori
della
deplorabile casa di Labdaco . Dal culto che gener
ritornare ad Argo, quando in una partita di piacero volendo far prova
della
sua destrezza nel lanciare il disco, che egli ave
ro per Diana di non esser giammai che d’ Acroncio . Cedippe, ai piedi
della
quale egli aveva lasciato cadere quella pietra ne
trice di Giove. È generalizzata credenza degli scrittori più rinomati
della
favola che sia la stessa Amaltea. Vedi Amaltea.
Amaltea. Vedi Amaltea. 96. Adarcate o Atergate fu moglie di Adad re
della
Scizia. Dopo la morte fu col marito deificata. È
gatide. V. Adad. 98. Adephagia o Adephacia. — In latino Voracitas Dea
della
gola. In Sicilia le rendevano gli onori divini. I
dio. V. Adiaco. 109. Admeta. — Fu figliuola di Euristeo. In vaghitasi
della
cintura della regina delle Amazzoni, suggerì al p
. 109. Admeta. — Fu figliuola di Euristeo. In vaghitasi della cintura
della
regina delle Amazzoni, suggerì al padre di persua
quella fosse una punizione del cielo, discesero nuovamente la statua
della
Dea, e, offertole un sacrifizio ritornarono a bor
e la statua della Dea, e, offertole un sacrifizio ritornarono a bordo
della
loro nave che questa volta salpò felicemente. Adm
e questa volta salpò felicemente. Admeta sul far del giorno accortasi
della
mancanza del simulacro dette l’ailarme, e ben pre
tendosi il petto. In Alessandria la regina, ovvero la dama più nobile
della
città portava ella stessa una piccola statua di A
ull’altro quello di Venere. Nella città di Atene ad ogni anniversario
della
morte di Adone venivano nei diversi rioni della c
ad ogni anniversario della morte di Adone venivano nei diversi rioni
della
città appese alle mura alcune immagini rappresent
iorni come nefasti, e si ritenne come un malvagio augurio la partenza
della
flotta Ateniese per la Sicilia, avvenuta nel peri
nella città d’Antiochia dell’ Imperatore Giuliano. Nell’ultimo giorno
della
festa la mestizia cangiavasi in gioia, volendo al
nde, in una certa stagione dell’anno, diventavano rossastre a cagione
della
sabbia del monte Libano, che il vento vi faceva c
le sue are dei fanciulli. 118. Adrameo o Adraneo. — Divinità il culto
della
quale era celebre o speciale in tutta l’isola di
la di Sicilia. 119. Adramo. — Secondo Plutarco era il Dio particolare
della
Sicilia, forse perchè in quell’isola v’era una ci
lia dell’oceano : fu una delle nutrici di Giove. 122. Adrastea — Nome
della
Dea Nemesi. Essa era figlia di Giove e della fata
ve. 122. Adrastea — Nome della Dea Nemesi. Essa era figlia di Giove e
della
fatalità, che altrimenti chiamasi anche essa Neme
iamasi anche essa Nemesi. Secondo Plutarco era l’unica furia ministra
della
vendetta degli Dei. Il suo nome, che viene dall’α
e a punizione dei colpevoii. Gli Egizii mettevano Adrastea al disopra
della
Luna. È opinione di molti scrittori che presso i
asto era anche il nome di un Re dei Dori, che Telemaco uccise a causa
della
sua perfidia. Adraste craint d’être surpris, fai
gricoltori celebravano in onore di Bacco e di Cerere. 129. Aeta. — Re
della
Colchide. Egli ebbe una figliuola a nome Calciope
uattro cavalli del sole, che al dire di Ovidio, fu principale cagione
della
caduta di Fetonte. Il cronista Claudiano attribui
meriggio, essendo stata appunto l’ardente luce di esso la vera causa
della
morte di Fetonte. L’etimologia greca ci avvalora
ulto nel recinto da cui partivano coloro che si disputavano il premio
della
corsa. 141. Afetore. — Denominazione data ad Apol
Feste in onore di Venere. Nell’isola di Cipro e in molte altre città
della
Grecia si dava una moneta d’argento a Venere onde
stato assassinato in Argo, ma Agamennone non prestò fede alle parole
della
indovina, e ritornò in patria, ove in effetti fu
à uomo e metà donna che la favola fa nascere dal commercio di Giove e
della
pietra detta Agdo. Egli fu il terrore degli uomin
ggetta alla corruzione. Questa favola che è una delle più stravaganti
della
mitologia pagana, era sufficiente pel meraviglios
Nome dato ad una Sirena. I Lacedemoni chiamavano così Esculapio, Dio
della
medicina. 187. Aglaopheme. — Una delle Sirene. 18
di aprirlo. Ma la principessa non seppe vincere la curiosità, propria
della
donna e infranse l’ordine di Minerva, ed aprì il
lapio. 192. Agno o Hagno. — Fu questo il nome Ristret. Anal. del Diz.
della
Fav. di una delle Ninfe nutrici di Giove. Ella de
con questo soprannome i sacerdoti che colpivano la vittima sulle are
della
Divinità. 195. Agoniani. — Con questa parola che
e dettero la scalata al cielo. 200. Agraulie. — Dagli Agrauli, popoli
della
tribù Ereteide nell’Attica, furono così dette alc
. Vi furono anche due altri Agrio, uno dei quali fu figlio d’Ulisse e
della
maga Circe. Agrio è anche il nome di uno dei Tita
tanto la morte del suo unico figlio, che gli Dei, mossi a compassione
della
colpevole madre, la cangiarono in uccello. La fav
figlia di Pandareo Efeso, la quale fu tolta in moglie da un artigiano
della
città di Colofone a nome Polirechno. I due conjug
sero lungamente felici e contenti, fino a che, superbi delle dolcezze
della
loro unione, ardirono darsi il vanto di amarsi pi
a invulnerabile come Achille, e dopo di lui il più valoroso guerriero
della
Grecia. Egli era vulnerabile in una sola parte de
ti mitologi che perfi ore, di giacinto bisogna sottintendere il piede
della
lodoletta in cui si crede scorgere le due lettere
n cui si crede scorgere le due lettere A. I. che formano il principio
della
parola Ajace, e il suono esclamativo col quale si
minato Ajdoneo, e da questa somiglianza di nomi ne è venuta la favola
della
discesa di Teseo all’inferno per rapire la moglie
rapire la moglie a Plutone. 223. Ajo Locutio. — Di tutte le Divinità
della
favola non ve n’è alcuna, la cui origine sia così
e inalzato un tempio in onore del Dio Ajo Locutio, nell’istesso luogo
della
strada nuova, nel quale Ceditio diceva avere asco
lliroe che fu divinizzato. Il suo culto fu celebre in Alabanda, città
della
Caria. Questo nome gli viene dall’aver guadagnato
recettore di Minerva, al quale dopo la morte furono in considerazione
della
Dea innalzati varii monumenti ed egli stesso assu
rrena e subita vorago Restare il padre suo sepolto e morto ; Ucciderà
della
vendetta vago. Per vendicare un torto con un tort
lebre scultore. Vi fu anche un altro Alcmedone annoverato fra gli Dei
della
Grecia. 245. Alcinoe. — Moglie di Anfiloco. Essen
i Alcione. Alcione era anche una delle figliuole d’Eolo, re dei venti
della
stirpe di Deucalione. Amò con tanta passione il s
e opinione fra i Mitologi che ella si precipitasse nel mare disperata
della
morte di suo marito, e che gli Dei mossi a compas
riportano il fatto in modo che ha qualche analogia con le tradizioni
della
favola. La verità non è quindi nota abbastanza su
sputa che questi ebbero contro Giove. Minerva lo gettò fuori il globo
della
luna, nella quale egli erasi rifugiato. Alcioneo
co lavorò, e fece lavorare le sue sorelle e le schiave alla tessitura
della
lana, durante il periodo dei giorni sacri in cui
to che sarebbe stato Ercole. Giunone che avea giurato di perseguitare
della
sua gelosa vendetta i frutti dell’adultero amore
lee. — Feste in onore di Minerva V. Alea. 261. Aleissiare. — Ebe, dea
della
giovanezza, ebbe da Ercole una figliuola a cui fu
ificarono ed adorarono. 263. Alemona Dea tutelare dei fanciulli prima
della
loro nascita. 264. Alemonide Miscelo figlio d’Ale
esi ; essa tagliò a suo padre un capello a cui érano legati i destini
della
patria, la quale cadde per questo coi suoi abitan
— Vale a dire incostante : soprannome dato a Marte, il quale come Dio
della
guerra veniva egualmente invocato dalle armate ne
e Allirozio rimase ucciso. Le opinioni degli scrittori e dei cronisti
della
favola discordano generalmente sulla morte di All
o di un piccolo fiume di questo nome nel territorio di Roma. Fu padre
della
ninfa Lara. 295. Almopo. — Fu uno dei giganti che
o. 296. Aloe V. Aine. 297. Aloeo o Aloo. — Gigante figlio di Titano e
della
terra. Egli sposò Ifimedia, la quale ingannata da
che ogni mese essi crescevano di nove pollici, e non potendo a causa
della
sua estrema vecchiezza, andare egli stesso alla g
ni avevano già nove cubiti di grossezza e trentasei di altezza. Fieri
della
loro indomabile forza fisica osarono di portar la
ro date loro Diana e Giunone. Giove allora mandò lo stesso Marte, Dio
della
guerra, a combatterli, ma essi lo fecero prigioni
o da Giove precipitati nel fondo del Tartaro. Sotto codesta allegoria
della
favola mitologica si rinchiude la verità più palp
i rinchiude la verità più palpabile che sotto qualunque altro simbolo
della
favola. Infatti gli Aloidi figli di Nettuno re de
n sembianza di biscia altro non è se non la configurazione allegorica
della
discordia che armò la mano dei due invincibili e
oro. Omero racconta che prima che gli Aloidi avessero raggiunto l’età
della
prima giovinezza, Apollo li avesse precipitati al
alle seduzioni di Nettuno, ne ebbe un figlio Ippotono. Però il padre
della
sedotta la uccise per lavare col sangue l’onta ri
ontro un cignale che devastò le terre di Calidone. Gli altri principi
della
contrada si riunirono per isterminare il mostro,
i Oeneo, ma i fratelli d’Altea, punti dal veder fatti tutti gli onori
della
caccia ad una giovanetta, involarono ad Atalanta
onori della caccia ad una giovanetta, involarono ad Atalanta il corpo
della
belva. Meleageo che amava Atalanta non seppe fren
o del tutto inseparabili dall’albero col quale avevano comune l’alito
della
vita. Ma potevano abbandonario per un dato tempo
la lor sorte ; Ciascuna come dea di ambrosia vive E tardi vede l’ora
della
morte ; Intreccia con gli dei danze festive, E co
verde, si fa smorta, Ed ogni spoglia sua rende al terreno : Le ninfe
della
selva abitatrici Abbandonan così l’aer sereno. (T
le piante nelle quali esse abitavano ; come facevano sentire il peso
della
loro vendetta a que’crudeli che avessero respinte
sitone, il quale non si lasciò intenerire dal lamento dell’abitatrice
della
pianta, e seguitò ad abbatteria non curando la vi
non curando la vista del sangue che ai primi colpi spruzzò dal tronco
della
quercia. Al dire di Esiodo, di Plutarco e di Auso
che fosse il sole. 314. Amaraco. — Fu questo il nome di un ufficiale
della
casa di Ciniro re di Cipro. Egli aveva l’incarico
era così chiamata dalla città di Amatunta. Amathusia fu anche il nome
della
madre di Ciniro re di Cipro. 319. Amathusa. — Ved
avano insieme ad Adone. 321. Amatus. — Fu figlio d’Ercole e fondatore
della
città che dal suo nome fu detto Amatunta. 322. Am
fine alla guerra fra le Amazzoni ed i Greci. 323. Amazzoni. — Femmine
della
Scizia e propriamente della Cappadocia sulle rive
zoni ed i Greci. 323. Amazzoni. — Femmine della Scizia e propriamente
della
Cappadocia sulle rive del flume Termidone. Attend
vittime che si doveano sacrificare, facendo il giro delle biade prima
della
mietitura. I sacerdoti che presiedevano a questi
nione sufficientemente generalizzata, che gommasse da una delle corna
della
capra Amaltea ; mentre dall’altra stillasse il Ne
itato da Ateneo, ne ha fatto la materia di una comparazione per mezzo
della
quale ha voluto dare un’idea della natura e del g
eria di una comparazione per mezzo della quale ha voluto dare un’idea
della
natura e del gusto dell’ambrosia. Ecco le sue par
resso gli Egizii con la parola Amente, ovvero il centro delle viscere
della
terra, dove tutte le anime dovevano raccogliersi.
. 333. Amicizia. — Presso i Greci ed i Romani era una divinità figlia
della
notte e dell’Erebo. Le opinioni degli scrittori c
i ruvida stoffa, con la testa scoperta e avente sulla parte inferiore
della
veste scritte queste parole : La morte e la vita
tutto si sagrifica a questo santissimo affetto. 334. Amicica. — Città
della
Laconia, patria di Elena. Vi fu anche un’altra ci
ausania asserisce che Amicleo era anche il nome di un dio particolare
della
Grecia, ove avea tempii ed altari. 336. Amico. —
tta una delle principali divinità dei Giapponesi. 338. Amisodar. — Re
della
Licia. La tradizione favolosa dice che egli fu ma
tto completamente simile a quanto ci vien rivelato nelle sacre pagine
della
Bibbia, sull’ubbriachezza di Noè ? È dunque un fa
edenze e da altri culti. Finalmente Ammone era anche il nome di un re
della
Libia, il quale per questa ragione viene spesso e
. 347. Amore. — Il più bello degl’immortali. Fu fino dai primi giorni
della
creazione con la terra e col caos. ……. non mica
creazione con la terra e col caos. ……. non mica un Dio Selvaggio, o
della
plehe degli Dei ; Ma tra’grandi celesti il più po
esso cader di mano a Marte La sanguinosa spada, ed a Nettuno Scotitor
della
terra il gran tridente. E le folgori elerne al so
ra. Platone asserisce essere l’Amore figlio del Dio delle ricchezze e
della
Dea della povertà, e gli dà il nome di Poro. Amor
e asserisce essere l’Amore figlio del Dio delle ricchezze e della Dea
della
povertà, e gli dà il nome di Poro. Amore insieme
ertà, e gli dà il nome di Poro. Amore insieme a sua madre Venere, dea
della
bellezza, ha avuto un culto estesissimo in tutte
n promontorio dell’isola di Samo, di una città di Creta, e d’un’altra
della
Macedonia. 349. Ampelusia. — Promontorio dell’Afr
3. Amulio. — Fu fratello di Numitore. Entrato per caso nella prigione
della
vestale Rea Silvia, la rese madre di Romolo e Rem
soprannominato da un magnifico tempio ch’egli avea in Amyclea, città
della
Laconia. Si dava la stessa denominazione a Polluc
o dipinto da Apelle, nel quale la Dea veniva rappresentata al momento
della
sua nascita uscendo dalla spuma del mare. 364. An
sue acque. Sbocca nel porto di Siracusa. 369. Anassagora. — Filosofo
della
Grecia che negava l’esistenza degli Dei. Luciano,
a che avendo Giove scagliato il fulmine contro Anassagora per punirlo
della
sua miscredenza, Pericle lo avesse salvato facend
eni adoravano Venere sotto questa denominazione. 372. Anauro. — Fiume
della
Troàde, sulle rive del quale Paride custodiva gli
ride custodiva gli armenti di Priamo. 373. Anax. — Figlio del Cielo e
della
Terra. Il suo nome che significa padrone, signore
fu poi adorata in Laconia come una Dea. 376. Anaxarete. — Principessa
della
stirpe reale di Teutero. Un giovane di bassi nata
si coprì di mortale pallidezza. Di qua la favola che Venere sdegnata
della
crudeltà di Anaxarete, l’avesse cangiata in rocci
Ancarlo. — vedi Anchialo. 383. Anceo. — Re d’Arcadia, che fece parte
della
spedizione degli Argonauti. Un giorno una delle s
e sue schiave gli predisse ch’egli non avrebbe mai più bevuto il vino
della
sua vigna. Anceo derise la predizione e per prova
denominati i discendenti di Anchise. 386. Anchise. — Principe Troiano
della
famiglia di Priamo : fu figlio di Capi e, secondo
ello di Curzio Romano. Narra Plutarco, che essendosi in Celene, città
della
Frigia, spalancata una voragine. Anchuro per il b
rve il nome di Ancille o Ancelle. 390. Andate o Andrastea. — I popoli
della
Brettagna adoravano sotto questo nome la Dea dell
rastea. — I popoli della Brettagna adoravano sotto questo nome la Dea
della
vittoria, con un culto particolare. 391. Andiomen
e. Andiomena significa che esce dal mare. 392. Andirina. — Soprannome
della
madre degli Dei. Le veniva dalla città di Andira,
ato a Venere per aver fatto morire gran numero di Tessali per punirli
della
morte di un giovane a nome Laiso da essi ucciso a
mafroditi. Questa credenza è maggiormente avvalorata dalla etimologia
della
parola, poichè in greco αςρεγ vale maschio e γονη
7. Anfione. — Figlio di’ Giove e di Antiope, regina di Tebe. Al suono
della
sua lira fabbricò le mura di quella città. — La f
lui ed a Zeto suo fratello, si attribuiva dagli antichi l’invenzione
della
musica. So che Anfione agli nomini salvatici Col
no così detti tutt’i discendenti di Anfitrione. 424. Anfriso. — Fiume
della
Tessaglia sulle cui rive Apollo custodì per lungo
geronia. — Dea alla quale si ricorreva contro la schinozia o malattia
della
gola. Era anche ritenuta come la dea del silenzio
ume Anio. Lo stesso che oggi chiamasi Teverone. 434. Anigero. — Fiume
della
Tessaglia. La favola racconta che fu nelle sue ac
è il simbolo dell’anima. Presso quel popolo, la cui mitologia è ricca
della
più poetica fecondità d’immagini, Cupido, come di
ticolo precedente. 442. Anneddoti. — Erano gli angeli buoni e cattivi
della
religione Caldea. Esiste fra queste divinità paga
ldea. Esiste fra queste divinità pagane e gli angeli, Cherubini, etc.
della
Sacra Scrittura, una completa analogia. 443. Anne
iamata Ansur ove era particolarmente venerato. 451. Antandro. — Città
della
Frigia. Nel porto di essa, conosciuto sotto lo st
endenti di Antenore. 457. Anteo. — Famoso gigante figlio di Nettuno e
della
Terra. Egli erasi stabilito in un deserto della L
e figlio di Nettuno e della Terra. Egli erasi stabilito in un deserto
della
Libia, o secondo altri della Mauritania, dove mas
erra. Egli erasi stabilito in un deserto della Libia, o secondo altri
della
Mauritania, dove massacrava tutt’i viandanti per
e di fame in una prigione, onde essa non potendo resistere all’orrore
della
morte spietata, si strangolò. Emone, suo fidanzat
ipate. — Re dei Lestrigoni. V. Lestrigoni. 478. Antistene. — Principe
della
setta cinica discepolo di Socrate. Per assistere
ria di un fatto avvenuto sotto il regno di Servio Tullio. Un abitante
della
Sabina per nome Antron orace, aveva una vacca bel
e a Diana la sua vacca ; ma un ufficiale del re informo Servio Tullio
della
profezia, e allora il re d’accordo col pontefice,
di Anxuro. 483. Anxuyro. — Vedi Anxuro. 484. Anzio. — In questa città
della
penisola italiana, erano gelosamente custodite al
tà della penisola italiana, erano gelosamente custodite alcune statue
della
fortuna, le quali, secondo la tradizione, si move
ragioni che la favola non ripete, egli si stabili su di una montagna
della
Beozia, che da lui prese il suo nome. Coll’andare
contrada. 486. Aonidi. — Soprannome dato alle muse da alcune montagne
della
Beozia. Vedi l’articolo precedente. 487. Aonio Di
precedente. 487. Aonio Dio. — Denominazione di Bacco perchè egli era
della
Beozia, chiamata anche Aonia. Veniva così detto a
allegorie individuali di altre religioni. Infatti, nelle sacre pagine
della
Bibbia, noi troviamo che quando Iddio si rivela a
e ha origine dal fatto seguente. A cagione di un territorio, i popoli
della
Beozia dichiararono la guerra agli Ateniesi, e Xa
ricevute alla festa, le quali non potevano essere accolte a far parte
della
cerimonia Apatuaria se non quando il padre rispet
lor nero, con un segno bianco di forma quadrata sulla fronte ; i peli
della
coda doppii e corti, ed un segno bianco sul lato
lora si denominava Febo, e Apollo quando abitava la terra. Era il dio
della
Poesia, della Musica e delle Arti. Capo delle nov
nava Febo, e Apollo quando abitava la terra. Era il dio della Poesia,
della
Musica e delle Arti. Capo delle nove muse, abitav
lia presso la città di Padova. Si attribuiva alle sue acque il potere
della
divinazione. 499. Aporrina. — V. Adporina. 500. A
ia di essere liberati da una passione d’amore. 501. Aposteosi. — Nome
della
cerimonia colla quale i Romani annoveravano fra g
padre degli Dei avesse collocato fra gli astri quest’uccello in segno
della
sua riconoscenza. L’aquila era una delle insegne
bo. — Figlio di Apollo che alcuni scrittori riguardano come inventore
della
medicina. È questa una credenza assai vaga. 508.
medicina. È questa una credenza assai vaga. 508. Aracinta. — Montagna
della
Beozia consacrata a Minerva. 509. Aracne. — Figli
Beozia consacrata a Minerva. 509. Aracne. — Figlia di Idmone e nativa
della
Lidia. Ella fu un’abilissima ricamatrice, e osò u
ricchissima tela. La Dea accettò la disfida, ma vedendo che il lavoro
della
sua rivale, sarebbe riuscito migliore del suo, sd
loro amore alla poesia ed alla musica. 516. Arcesilao. — Uno dei capi
della
Beozia che assediarono Troia. 517. Arcesio. — Fig
lla città, per recarsi all’assedio di Tebe. Il piccolo Archemore morì
della
morsicatura di un serpente che trovandolo assopit
oglie ad un altro. Allora Archiloco scrisse dei versi contro il padre
della
sua amata, così satiricamente mordaci che Licambo
Areopago. Finalmente è credenza assai generalizzata fra gli scrittori
della
favola, che l’ Areopago sorgesse nel posto ove er
iuta riprese la sua figura di flume e confuse le sue acque con quelle
della
fontana Aretusa. Ei cerca e non si parte, perchè
adia, seguendo il suo corso sottomarino venisse a spuntare sulle rive
della
Sicilia, ed asserivano che tutto ciò che si getta
ava nell’ Alfeo si ritrovava dopo qualche tempo nelle tranquille onde
della
fontana Aretusa. Ad avvalorare questa falsa crede
Ovidio nei suoi Fasti, attribuisee ad un’altra origine la istituzione
della
festa Argea. Esso racconta che Evandro d’ Arcadia
aniera degli Argiani. 542. Argel. — Venivano così detti alcuni luoghi
della
città di Roma che Numa Pompilio avea consacrati a
43. Argentino. — Dio delle monete d’argento. Era figlio di Esculano e
della
dea Pecunia. Vedi Es. 544. Argeo. — Figlio di Pel
viene dal suo costruttore che lo inventò e lo costruì con gli alberi
della
foresta di Dodona, ciò che gli faceva anche attri
gli altri cinquanta chiusi dal sonno. Giunone gli aflidò la custodia
della
ninfa lo, che Giove avea cangiata in giovenca. Ma
logica fa menzione di un Argo, figlio di Giove, e di Niobe, che fu re
della
contrada chiamata col suo nome, ed il primo che c
ella contrada chiamata col suo nome, ed il primo che coltivò le terre
della
Grecia. 556. Argolea. — Soprannome dato ad Alcmen
nto Eusino, entrarono pel distretto delle Simplegadi in Aea, capitale
della
Colchide. La spedizione degli Argonauti avvenne 3
e della Colchide. La spedizione degli Argonauti avvenne 35 anni prima
della
caduta di Troia. 559. Argone. — Figlio di Alceo :
nti di Ercole. 560. Argoreo. — Dal latino Argoreus, che significa Dio
della
mercatura, fu dato questo soprannome a Mercurio.
— Sotto questa denominazione i Lacedemoni adoravano Venere in memoria
della
vittoria che le loro donne avevano riportata sopr
’invocava Pallade con questo nome allorchè la si considerava come Dea
della
guerra. 583. Arna. — V. Arnea. 584. Arnea o Arna.
an pompa. 586. Arpa. — Istrumento musicale e sacro ad Apollo come dio
della
musica e della poesia. 587. Arpalice. — Nativa di
Arpa. — Istrumento musicale e sacro ad Apollo come dio della musica e
della
poesia. 587. Arpalice. — Nativa di Argo e figlia
Argo e figlia di Climeneo. Era ritenuta come la più bella giovanetta
della
sua città. La tradizione mitologica racconta di l
e di lei la lasciò partire col novello sposo. Però ben presto pentito
della
sua generosità, raggiunse gli sposi, uccise il ge
ono in uccello. Climeneo allora non potendo sopravvivere alla perdita
della
sola donna che avesse amata, si tolse di propria
o la vita. Arpalice era anche il nome di una figliuola d’ Arpalico re
della
Tracia, la quale secondo Igino fu fin dalla prima
rpalice si ritrasse nei boschi a viver vita da masnadiere. I cronisti
della
mitologia raccontano che essa era così veloce al
do un cavallo che correva più rapido delle onde dell’ Ebro. In mezzo
della
selva una donzella, Ch’era sua madre, si com’era
φερω io porlo si dava codesto soprannome a Mercurio, forse in memoria
della
astuzia di cui si servì per uccidere Argo. 589. A
ne delle Arpie, dicendo che esse predissero ai Troiani il triste fato
della
loro città. Quivi le brutte Arpie lor nido fanno
si uccise. La favola racconta che Diana non lasciò impunita la morte
della
sua bellissima ninfa, e che a vendicarla facesse
quale sposò Tolomeo Filadelfo fratello del padre. Essa mori nel fiore
della
sua giovanezza, e il marito per eternarne nella p
dola come madre delle invenzioni e delle arti. 596. Artemisia. — Nome
della
Sibilla Delfica, detta similmente Dafne. Era anch
ite in onore di lei. 597. Arteride. — Una delle più strane tradizioni
della
mitologia Egiziana racconta che Arteride fosse fi
Artipoo. — Che significa piede leggiero. Omero così chiama Marte dio
della
guerra, forse per indicare la sveltezza di quel d
603. Ascalafo. — La favola lo fa essere figlio del fiume Acheronte, e
della
notte. Fu lui che dichiarò aver Proserpina mangia
ssere restituita a sua madre, quando questa andò a cercarla nei regni
della
morte, poichè Giove avea promesso a Cerere, che a
tte. Fece del molle labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel che viva
della
caccia : Fa che fra gli altri augei rassembra mos
bidos, di Licopoli e di Busiride avevano in grande dispregio il suono
della
tromba trovando in esso qualche analogia con la v
le acque di questo fiume cresceva un’erba similmente detta Asterione,
della
quale s’inghirlandavano le statue della Giunone d
a similmente detta Asterione, della quale s’inghirlandavano le statue
della
Giunone di Argo. 629. Asterodia. — Moglie di Endi
Neaptolemo. 633. Astianasse. — Ancella di Elena, la quale fu non meno
della
sua padrona famosa per la corruzione dei suoi cos
— Seconda moglie di Edipo la quale calunniò presso il marito i figli
della
prima sua moglie, onde metterli in malo aspetto d
di isole Eoliane o Eolie. 640. Astione. — Era questo il nome proprio
della
bella figliuola del sacerdote di Apollo Crise che
. — Soprannome di Minerva dal culto che le si rendeva in Astira città
della
Fenicia. 644. Astirena o Astrena. — Soprannome di
privano accuratamente. 646. Astrea. — Figlia di Giove e di Temi e Dea
della
giustizia. Durante l’età dell’oro essa lasciò il
llocarsi in quella parte dello Zodiaco che si chiama la costellazione
della
Vergine. 647. Astrei. — Venivano così denotati i
suo padre non volle concederla che a colui che avesse vinto il premio
della
corsa. Ippomene ebbe col soccorso di Venere il pr
ne ebbe col soccorso di Venere il premio, avendo seguito il consiglio
della
dea di gettare cioè lungo il cammino dei pomi di
proposito del nome da conservarsi o cangiarsi a questa città capitale
della
Grecia sorgesse un grave alterco fra Nettuno e Mi
delle Divinità del popolo Sirio presso il quale era tenuta come madre
della
famosa Semiramide. Al dire di Luciano essa aveva
o. Presso altri scrittori Ati viene ricordato come un giovane pastore
della
Frigia del quale Cibele sebbene già vecchia fosse
thuso.. 673. Atreo. — Figlio di Pelopo e d’ Ippodamia. Per vendicarsi
della
vergognosa tresca che Eropa sua moglie aveva con
Atropo. — Una delle Parche. Propriamente quella che tagliava il filo
della
vita umana. 676. Attea. — Fu una delle cinquanta
cani di Diana per essersi vantato più esperto di quella Dea nell’arte
della
caccia. Diodoro asserisce che Atteone fosse consi
mpio per aver dispregiato il culto di Diana fino al segno di mangiare
della
carne che era preparata per un sacrifizio a quell
si compiva coll’osservazione del volo degli uccelli del loro canto e
della
maniera di cibarsi. Presso i Pagani si diceva ab
tali cerimonie venivano chiamati auguri. 682. Aulide. — Piccolo paese
della
Beozia la cui capitale fu Aulisia. Servio dice ch
ascelli. Fu in qnesto porto che si riunirono le navi Greche all’epoea
della
spedizione di Troia. 683. Aulisea. — Soprannome d
un eroe. 685. Aurigeno. — Soprannome dato a Perseo in commemorazione
della
pioggia d’oro in cui si cangiò Giove suo padre pe
gia d’oro in cui si cangiò Giove suo padre per giungere fino a Danae,
della
quale poi nacque Perseo. 686. Aurora. — Figlia di
nae, della quale poi nacque Perseo. 686. Aurora. — Figlia di Titano e
della
Terra. Presiedeva alla nascita del giorno e si ra
Aurora per lui fu così grande che gli propose di domandarle un pegno
della
sua tenerezza e ne ottenne una longevità senza eg
attendo un giorno contro i Locri, i quali lasciavano sempre nel mezzo
della
loro armata un posto d’onore per Aiace loro famos
ome faceva a tutti, ma Autolico restò suo amico perchè era innamorato
della
figlia Anticlea. 693. Automatia. — Nome sotto il
Una Auxo, l’altra Egmona. 700. Aventino. — Uno dei figli di Ercole e
della
sacerdotessa Rea. Egli combattè contro Enea nella
di Baal si venerasse il sole. Alcuni lo han fatto figlio di Nettuno e
della
regina Lidia, che regnò nell’ Assiria verso l’ann
— Dio innanzi al quale i Fenici ed i Cartaginesi davano il giuramento
della
loro alleanza : Berith o Beruth significa alleanz
Bellegor o Belfegob. — Divinità dei Moabiti. La fornicazione, al dire
della
Bibbia, era consacrata a Baal-Fegor che è riguard
bbia, era consacrata a Baal-Fegor che è riguardato come il dio Priapo
della
mitologia Greca e Romana. Più comunemente veniva
egor. 718. Baal-Gad. — V. Baal-Gall. 719. Baal-Gall o Baal-Gad. — Dio
della
felicità, particolarmente adorato dagli Assiri e
e particolarmente nella città di Damaso, ove veniva adorata come dea
della
gioventù ; forse perchè generalmente si dava il n
e di Babia ai fanciulli. 726. Babilonia. — Antica e grandissima città
della
Caldea, così chiamata per la sua ampiezza e pel t
a loro dato cosiffatto nome di Bacchiadi, perchè un’antica tradizione
della
loro famiglia, li faceva discendere da una figlia
hiedere al divino suo amante di mostrarsi a lei in tutto lo splendore
della
sua gloria immortale ; ciò che ella ottenne da lu
— Metamorfosi. Libro III trad. di Dell’ Anguillara. Quando il tempo
della
sua nascita fu giunto, Bacco fu segretamente cons
rlare indiscretamente. A maggiore delucidaziene di questo personaggio
della
cronaca mitologica, noi metteremo sotto gli occhi
rico, che, secondo le opinioni di alcuni fra i più rinomati scrittori
della
Favola, come il Vossio, il P. Tomasino e Mons. Hu
iluppo di una delle idee informatrici di questo lavoro ; quella cioè,
della
esistenza non solo dei miti allegorici in tutte l
le religioni, miti che noi dicemmo propri ed individuali di esse, ma
della
trasmissione, o direm quasi della eredità, che la
o propri ed individuali di esse, ma della trasmissione, o direm quasi
della
eredità, che la fusione delle religioni e credenz
esecrandi eccessi ai quali si abbandonavano, attirò loro la vendetta
della
stessa dea Cotitto. 740. Ballo. — Nome di uno dei
no immortali e figli di Zeffìro. 741. Bapto. — Uno dei sacerdoti Bali
della
dea Cotitto, di cui si celebravano le cerimonie d
il sesso maschile quanto il femminile. 744. Bardi. — Poeti e ministri
della
religione presso i Celti e i Galli. Essi celebrav
li degli eroi, e le cantavano al suono degli strumenti, e soprattutto
della
lira. In lingua celtica bardo significa cantore.
bbe due figli, un maschio ed una femmina. Ma gli altri Titani, gelosi
della
preferenza ottenuta da Iperione, uccisero i figli
n pietra di paragone, la stessa che si adoperava per provare l’oro, e
della
quale si credeva generalmente che fossero fatti i
n altro Batto, che la tradizione mitologica ci ricorda come fondatore
della
città di Cirene, nella quale, dopo la morte, fu a
traversare la Frigia, fu villanamente scacciato da tutti gli abitanti
della
contrada in cui dimoravano Bauci e suo marito, ch
i seguirlo su di una montagna, e di là mostrò loro tutti gli abitanti
della
borgata, sommersi con le case dalle acque d’uno s
i, esso voleva tendere l’infame tranello. 755. Beechi. — Gli abitanti
della
città di Mendes nell’Egitto, avevano in grande ve
, sotto il cui simbolo essi adoravano in lui il principio fecondatore
della
natura. Al dire di Pausania il becco era la caval
con la terra, e formarne gli uomini e gli animali. Questa tradizione
della
favola Caldea, altro non è che una sfigurate ripe
izione della favola Caldea, altro non è che una sfigurate ripetizione
della
creazione del mondo, la quale, presso tutt’i popo
bianco e Zeomeeuc con quella di dio nero. 760. Beleno. — Gli abitanti
della
città d’Aquileia avevano una loro particolare div
crizioni, le quali inseguito vennero particolarmente illustrate da M.
della
Torre, nella sua opera delle Antichità d’Anzio, e
fizii e le più sontuose feste. 768. Bellona. — Sorella di Marte e dea
della
guerra. Al dire di Virgilio, era essa che allesti
te, la quale questi gli concesse in premio delle sue eroiche azioni e
della
immeritata persecuzione. 771. Belo. — Figlio di N
e di Danao re d’Egitto. Belo fu similmente il nome di un re di Tiro e
della
Fenicia, che fu padre di Pigmalione e d’Elissa, s
e l’arricchirono successivamente d’immensi tesori. Serse, al ritorno
della
funesta guerra di Grecia, lo demoli interamente s
Berecintia. — Nome che fu dato a Cibele, perchè sopra d’una montagna
della
Frigia, che portava l’istesso nome, aveva un temp
ia V. Berecinta. 780. Berecinto Eroe. — Veniva così denotato Mida, re
della
Frigia, forse perchè in quella contrada vi era un
giorno dopo, non vedendo nel tempio al posto usuale, le recise chiome
della
consorte, montò in gran furore contro i sacerdoti
onna d’Epidauro, di cui Giunone prese la figura per ingannare Semele,
della
quale Beroe era stata nutrice. …..Qui dunque Egi
ra stata nutrice. …..Qui dunque Egioco insilila, Qui sotto il raggio
della
casta luce, Al nuzial mio letto ? In queste mura
sì venivano nominate alcune pietre, che si credevano animate e dotate
della
facoltà di dare degli oracoli. Erano rotonde e di
ristretto. 786. Beza. — Nella città di Abide posta all’estrema punta
della
Tebaide, vi era un oracolo di questa divinità, ch
significa bere, ed edere, mangiare. 789. Bibli. — Figlia di Mileto e
della
Ninfa Ciane. Innamoratasi perdutamente di Cauno,
osi libro IX trad. di Dell’Anguillara. 790. Biblosa o Bibio. — Città
della
Fenicia, ove Venere aveva un tempio : da ciò il s
bilancia, che la tradizione favolosa dice esser quella di Astrea, dea
della
giustizia, la quale al cominciare del secolo di f
— V. Bacco. 800. Bipennifero. — Così veniva soprannominato Licurgo re
della
Tracia. Alcuni scrittori dicono che tal nome gli
sse. I Troiani anch’essi uccisero una biscia di Diana, e ciò fu causa
della
disastrosa guerra che essi dovettero sostenere co
uli. 803. Bistone. — Figlio di Marte e di Calliroe. Edificò una città
della
Tracia, a cui dette il suo nome. 804. Bistonidi.
città della Tracia, a cui dette il suo nome. 804. Bistonidi. — Donne
della
Tracia e probabilmente della stessa città di cui
tte il suo nome. 804. Bistonidi. — Donne della Tracia e probabilmente
della
stessa città di cui è menzione nell’articolo prec
ere le stesse che le baccanti. 805. Bistonio. — Diomede, tiranno e re
della
Tracia cra dinotato con questo soprannome. 806. B
h’è quello d’impedire la morte degli uomini, per quanto sia in potere
della
scienza. Era quindi logico che il dio della medic
per quanto sia in potere della scienza. Era quindi logico che il dio
della
medicina proibisse che in un luogo a lui consacra
. Briareo. — Detto con altro nome Egeone. Gigante, figlio del cielo e
della
terra ; prese parte nella guerra che i giganti mo
ri ucciso da Ceneo. 834. Bronte. — Famoso ciclopo, figlio del cielo e
della
terra. Egli insieme ad altri due compagni a nome
ti e le derisioni, di cui si vedeva fatto continuo bersaglio, a causa
della
sua estrema bruttezza, si gettò nel monte Etna. 8
llo di Giove. 844. Buona-Dea. — Discorde è l’opinione degli scrittori
della
Favola sulla Dea alla quale si dava codesto sopra
la fa moglie di Fauno, e dice ch’ella fu per tutta la vita l’esempio
della
castità coniugale. Lattanzio, nelle sue cronache,
lla specie di ebbrezza di furore, Fauno piangesse amaramente la morte
della
sposa e la ponesse fra le Dee. La festa della Buo
sse amaramente la morte della sposa e la ponesse fra le Dee. La festa
della
Buona-Dea veniva celebrata ogni anno nel primo di
per disperazione. 850. Bupalo. — Celebre scultore che visse all’epoca
della
sessantesima olimpiade. Egli è lo stesso ricordat
lo stesso ricordato nelle cronache per aver scolpito la prima statua
della
Fortuna per gli abitatori di Smirne. Plinio nelle
llocare in un luogo elevato, per modo che chi entrava vedeva il volto
della
Dea tristo e severo ; mentre a chi usciva sorride
chi seguaci si ritirò in Sicilia e durante la fuga giunse sulle coste
della
Tessaglia, mentre si celebravano i Baccanali e ra
Fontana del cavallo Pegaso , che al dire degli scrittori più rinomati
della
Favola, era il cavallo di cui si servivano le Mus
o involati si dettero a muggire, e allora Ercole ; abbattuta la porta
della
caverna, riprese i suoi animali, dopo aver ucciso
ali s’immolavano vittime umane, onde ottenere dagli Dei la cessazione
della
peste od altra pubblica calamità. 871. Camdea o C
iliò con la moglie dal proprio paese, per non assistere alle sciagure
della
sua famiglia, ma nella fuga furono entrambi cangi
no di pace portar sempre a quel modo la sua baccchetta, all’estremità
della
quale mise due ali in segno di rapidità. 877. Cad
Cajbia. — Fu la nutrice di Enea e dette il suo nome ed un promontorio
della
penisola Italiana, dove essa morì, come pure al p
i Borea e di Oritia i quali, fecero insieme agli Argonanti il viaggio
della
Colchide, e furono fra i combattenti delle Arpie
i. 891. Calcieco. — V. Calchiade. 892. Calciope. — Figlia di Aete, re
della
Colchide : fu sorella di Medea e moglie di Frisso
’isola di Cos. Ercole l’amò passionatamente, e quest’amore fu cagione
della
rovina della famiglia di lei ; imperocchè essendo
. Ercole l’amò passionatamente, e quest’amore fu cagione della rovina
della
famiglia di lei ; imperocchè essendosi Euripilie
posò Toade, re di Lenno. Questi eresse gran numero di templi in onore
della
sua consorte in Pafo, in Amatunta, nell’isola di
cisione del mostruoso cignale (V. Calidone) e Calidonio perchè nativo
della
città di Calidone. 899. Calidonisa. — Così veniva
i costumi. 903. Callianira. — V. Callianasse. 904. Callicore. — Luogo
della
Focide ove le Baccanti si riunivano per danzare i
tessa. 906. Calliope. — Una delle nove muse e particolaremente quella
della
eloquenza e della poesia eroica. I poeti la rappr
pe. — Una delle nove muse e particolaremente quella della eloquenza e
della
poesia eroica. I poeti la rappresentano come una
zî, per accompagnarvi suo figlio. Ma, non potendo frenare i trasporti
della
gioia materna nel vederio fra il numero dei vinci
i ne avevano fatto una Divinità. Per altro gli scrittori più rinomati
della
Favola non fanno menzione di altari a lei dedicat
ed in poco tempo disseccarono lo stagno. Ma ebbero presto a pentirsi
della
disobbedienza, imperocchè i nemici penetrarono pe
suoi zii Titani. È opinione assai generalizzata presso gli scrittori
della
Favola, che il vero sesso di Campea fosse rimasto
e Divinità dei Savizii. Si crede che fosse lo stesso che il Dio Marte
della
Mitologia Greca e Romana, e ciò dall’essersi ritr
ggendo a Delfo, ove si fece sacerdote di Apollo. 932. Canate. — Monte
della
Spagna, ove generalmente si credeva che i genii m
legrinaggio a quella fontana, onde bagnarvisi. 934. Canero. — Animale
della
famiglia dei molluschi, comunemente detto ragosta
egli Araclidi. Amò così passionatamente sua moglie, e fu così superbo
della
bellezza di lei, che volle un giorno che ella si
punto perchè la vigilanza e la sagacità sono i caratteri più salienti
della
indole di quel quadrupede. Plinio nelle sue opere
i pascessero del corpo dell’ucciso animale. Taluno, tra gli scrittori
della
Favola, ripete che nel tempio di Esculapio, in Ro
cane e ritenevano le sue carezze o i suoi latrati, come contrassegni
della
sua benevolenza o della sua coliera. E l’istesso
e carezze o i suoi latrati, come contrassegni della sua benevolenza o
della
sua coliera. E l’istesso autore ci ripete che, su
nza, al dire di Ovidio, ebbe questo nome dalla incomparabile bellezza
della
sua voce : fu figliuola di Giano e di Venilla, e
sposò Pico, figliuolo di Satono, e re d’Italia. Ella fu così afflitta
della
morte del marito, che si consumò per modo che sva
rse per la grande affinità che passa tra la vittima offerta e il nome
della
Divinità a cui s’offeriva. 940. Canope. — Era que
orno ritenuto come il più possente degli Dei. Egli però andò debitore
della
sua rinomanza all’astuzia del sacerdote, il quale
coli buchi le pareti del vaso, e dopo averli esattamente otturati con
della
cera, riempì il vaso di acqua, la quale uscì con
molti rinomati scrittori, che questo segno di una delle costellazioni
della
fascia zodiacale, fosse la capra Amaltea, traspor
iano, compagno di Enea, e suo seguace in Italia. Egli fu il fondatore
della
città nota anche oggidi sotto il nome di Capua.
prannome di Diana, a lei venuto dalla festa detta Caria, che le donne
della
Laconia celebravano in onore di lei, nel tempo de
ia, che le donne della Laconia celebravano in onore di lei, nel tempo
della
raccolta delle noci. In greco la parola Κάρις vuo
V. Ociroe. 962. Cariddi. — Celebre e pericoloso scoglio nello stretto
della
Sicilia. La Favola racconta essere Cariddi una do
e col fuoco. 964. Carienne. — Feste che si celebravano a Cario, città
della
Laconia, in onore di Diana, la quale perciò viene
i Delfo, violandola. Gli abitanti di quell’isola istituirono in onore
della
defunta una festa annuaria, detta dal suo nome Ca
66. Cario. — Figlio di Giove, al quale veniva attribuita l’invenzione
della
musica. Era anche questo uno dei soprannomi di Gi
i, nel mese di febbraio, celebravano una festa così chiamata in onore
della
Dea Concordia. Questa parola deriva dal greco Κάρ
sta parola deriva dal greco Κάρνα, Unione, perchè lo scopo principale
della
istituzione di quella festa era di ristabilire l’
zie V. Carisie. 970. Caritie. — V. Caristie. 971. Carmelo. — Divinità
della
Siria e propria di quei popoli che abitavano nell
ato uno dei quindici flamini di Roma, addetto al particolare servigio
della
Dea Carmenta. 975. Carna. — Figliuola di Ebulo. F
9. Carone. — V. Caronte. 980. Caronte o Carone. — Figlio dell’Erebo e
della
Notte. Egli era, al dire di Virgilio, il navicell
rtò sopra i Cartaginesi, dei quali fece grande strage, fu conseguenza
della
vendetta di Saturno, sdegnato per avere i Cartagi
ata su di una roccia fosse da lui divorata. Il re ordinò il supplizio
della
misera giovanetta, e già la disgraziata stava per
989. Cassotide. — Era questo, al dire di Pausania, un altro dei nomi
della
fontana conosciute più comunemente con quello di
cangiò in fontana, dando alle sue acque la virtù di ispirare il genio
della
poesia, a coloro che ne avessero bevuta. Cotesta
oloro che ne avessero bevuta. Cotesta allegoria favolosa deriva forse
della
parola araba Castala, che in quella lingua signif
i responsi, e di assidersi sul tripode divinatorio, beveva dell’acqua
della
fontana Castalia. 991. Castalidi. — Nome colletti
ed Ilaijo, essi le rapirono ai loro futuri mariti ; e ciò fu cagione
della
morte di Castore, il quale qualche tempo dopo fu
dopo fu ucciso per vendetta d’uno degli oltraggiati sposi. A cagione
della
immortalità che, come dicemmo, Polluce divise con
due fratelli uno solo poteva stare nel mondo, quando l’altro, a causa
della
divisa immortalità, dovea soggiornare nel regno d
mmortalità, dovea soggiornare nel regno delle ombre. Questa allegoria
della
Favola è forse fondata sopra il movimento della c
bre. Questa allegoria della Favola è forse fondata sopra il movimento
della
costellazione dei gemelli, imperocchè delle due s
on poteva vivere lontano. Essi furono annoverati fra i più grandi dei
della
Grecia, e furono loro innalzati due magnifici tem
ali e terrestri. 997. Catadriani. — Nome che si dava in diverse città
della
Grecia ai sacerdoti sacrificatori. 998. Cataibate
o d’ Alcmeone. La tradizione mitologica ce lo addita come edificatore
della
città di Tibur, in Italia. 1001. Catinenzia. — So
li uomini. 1002. Catio. — V. Cantho. 1003. Caucaso. — Famosa montagna
della
Colchide. La cronaca favolosa narra che sopra una
1006. Cauro. — Nome di uno dei principali venti. 1007. Cauto. — Dio
della
prudenza. 1008. Cavalli di Achille. — Omero ricor
o il luminoso ; Lampo, ovvero il risplendente e Filogeo, ossia amante
della
Terra. Questa diversa denominazione spiega in cer
i Enea. — Al dire di Omero i cavalli di questo famoso guerriero erano
della
razza di quelli che Giove stesso regalò a Tros, q
fu il premio che il re Laomedone promise ad Ercole per la liberazione
della
figliuola Esione. La tradizione favolosa dice che
lo. — Questo animale era particolarmente consagrato a Marte, come Dio
della
guerra. Presso gli antichi era ritenuta la vista
quattro cavalli bianchi. Al dire di Tacito, gli Svevi, antico popolo
della
Germania, nutrivano a spese comuni nei boschi sac
grande onoranza ; era severamente proibito di toccarli e il principe
della
nazione insieme al sommo sacerdote, erano i soli
ma, che molti scrittori attribuiscono ad Uli sse. Seguendo i consigli
della
stessa Minerva, i Greci costruirono un enorme cav
del delto Calcante, fecero fare questo cavallo a riverenza e ad onore
della
detta Dea, e fecero farlo cosi grande, acciocchè
sentiva entrare dalle porte, e collocarono con le loro mani nel mezzo
della
città il fatale simulacro. Sopraggiunta la notte,
oja tutta l’armata Greca : e così ebbe fine con la distruzione totale
della
città e dell’armata dei Teucri, il decenne assedi
zione totale della città e dell’armata dei Teucri, il decenne assedio
della
famosa città di Priamo. È opinione di Pausania ch
i una larga breccia, prodotta dall’urto di quella macchina nelle mura
della
città. Questa opinione è infatti appoggiata da Pl
nione è infatti appoggiata da Plinio stesso, il quale fa datare l’uso
della
macchina detta ariete, dalla epoca della caduta d
so, il quale fa datare l’uso della macchina detta ariete, dalla epoca
della
caduta di Troja, e considera quello istrumento di
iodoro dà a quest’idolo una testa di leone e il corpo di una pantera,
della
grandezza di quello d’una capra. 1020. Cebrione.
i che gli venisse dall’aver fatto delle leggi sull’unione dell’uomo e
della
donna, per mezzo del matrimonio ; ed altri perchè
mava passionatamente. Ritornato in patria, Cefalo, volendo accertarsi
della
fedeltà di sua moglie, le si presentò sotto un tr
a facendosi riconoscere dall’adultera sposa, la rimproverò amaramente
della
sua infedeltà, e Procride andò a nascondere nei b
a. La Dea in prova d’affetto gli attaccò sulla fronte uno dei capelli
della
testa di Medusa, e con quel talismano lo rese inv
dusa, e con quel talismano lo rese invincibile. 1032. Cefiso. — Fiume
della
Focide ; amò un gran numero di ninfe, ma fu sempr
o. 1034. Celx. — Figlio di Lucifero e di Chione. Egli fu così dolente
della
morte di sua madre che si recò nella città di Cla
Celmiso. Marito di Celma. Subì la stessa sorte di sua moglie a causa
della
sua incredulità V. Celma. Vi fu un altro Celmiso
egli Dei. 1043. Celo. — V. Cielo. 1044. Ceuchiria o Cenerea. — Figlia
della
ninfa Pirene. Essendo stata uccisa involontariame
rra una passione criminosa pel proprio padre. 1047. Ceneriso. — Fiume
della
Jonia. Si credeva che nelle sue acque fosse stata
I trad. di dell’ Anguillara. 1049 Centauri. — Popoli di una contrada
della
Tessaglia. La favola ce li addita come mostri met
bastoni e si servivano con estrema destrezza dell’arco. E tra ’I piè
della
ripa ed essa, in traccia Correan Centauri armati
ssi furono i primi a montare sul dorso dei cavalli : da ciò la favola
della
doppia natura di questi esseri mitologici. 1051.
— Musogonia. 1052. Ceo. — Così avea nome uno dei Titani, figliuoli
della
terra, che dettero la scalata alcielo. Ceo era an
re ; soprannome di Giove. 1057. Cerbero. — Cane a tre teste guardiano
della
porta dell’Inferno e del palazzo di Plutone. …..
ti che tentavano uscire dall’ inferno. Quando Orfeo discese nei regni
della
morte perricondurre nel mondo la diletta Euridice
ricondurre nel mondo la diletta Euridice, addormentò Cerbero al suono
della
sua lira dolcissima. Ercole alla sua volta disces
— Feste in onore di Cerere. 1063. Cerere. — Una delle principali Dee
della
mitologia greca e romana : fu tiglia di Saturno e
e in tutte le città del mondo antico. Le primizie di tutti i prodotti
della
terra le venivano scrupolosamente offerte, ed era
imo era tutto coperto di mammelle, turgide di latte, simbolo parlante
della
fecondità della terra, sottoposta al lavoro dell’
perto di mammelle, turgide di latte, simbolo parlante della fecondità
della
terra, sottoposta al lavoro dell’ agricoltura. È
i drago e vomitava fuoco e fiamme. Desolò per lungo tempo le contrade
della
Licia, finchè Bellerofonte l’ebbe esterminato. (V
o d’origine divina Lion la testa, il petto capra, e drago La coda ; e
della
bocca orrende vampe Vomitava di foco……… Omero Il
Vinc. Monti Chimera o Chimerifera era similmente detta una montagna
della
Licia, alla cui sommità, secondochè dice Ovidio,
o famoso di suo padre nell’ingannare tutti. Chione fu così orgogliosa
della
sua bellezza, che osò vantarsi d’esser più bella
eniva detta l’arte di predire il futuro dall’osservazione delle linee
della
mano. 1084. Chirone. — Famoso centauro figlio di
agittario. 1085. Chitonea. o Chitonia. — Soprannome di Diana in onore
della
quale si celebravano delle feste dette perciò Chi
perciò Chitonie. 1086. Chitonia. — V. Chitonea. 1087. Clane. — Ninfa
della
Sicilia, la quale fu da Plutone cangiata in fonta
come all’avvicinarsi o all’allontanarsi da quegli scogli, per effetto
della
dubbia e fioca luce che ivi regnava, pareva che l
ù comunemente conosciuta sotto il nome di Cibele : figlia del cielo e
della
terra, e moglie di Saturno. Essa aveva molti altr
o, aveva la sua officina. Buon numero di essi erano figli del Cielo e
della
Terra, ed altri di Nettuno e di Anfitride. Essi a
98. Cicno. — V. Cigno. 1099. Cicogna. — Uccello ritenuto come simbolo
della
pieta, perchè essa al dire dei naturalisti, nudri
essa al dire dei naturalisti, nudrisce il padre e la madre nel tempo
della
loro vecchiezza ; ed ama svisceratamente i suoi p
i. Vi sono non poche medaglie dei tempi antichi ove è scolpita la Dea
della
pietà con una cicogna accanto. 1100. Ciconi. — Po
ta la Dea della pietà con una cicogna accanto. 1100. Ciconi. — Popoli
della
Tracia : Ulisse, gettato da una tempesta sulle lo
Ciereo. — Figlio di Nettuno e sacerdote di Cerere. La feroce astuzia
della
sua indole gli valse il soprannome di serpente. 1
essa di Giunone. V. Bittone. 1103. Cielo o Celo. — Figlio dell’aria e
della
terra. Egli è ritenuto come il più antico degli D
a vece. 1104. Cigno o Cieno. — Uccello consagrato ad Apollo, come Dio
della
musica ; ed a Venere, a causa della sua voluttuos
lo consagrato ad Apollo, come Dio della musica ; ed a Venere, a causa
della
sua voluttuosa indole, e dell’estrema bianchezza
acendo cadere fra di loro la folgore. Cigno fu similmente detto un re
della
Liguria, figliuolo di Steneleo. Egli era legato d
nzia, e tanto che essendosi confederato ai trojani nel famoso assedio
della
loro città, egli combattè contro Achille rimanend
di Stenelo. Egli durante l’assedio di Troja s’impadronì degli stati e
della
donna di Diomede. 1108. Cillaruso. — Uno dei Cent
ia del servo fedele. 1112. Cimmeria o Cimmeride. — Uno dei soprannomi
della
Dea Cibele. 1113. Cimmeriani. — Popoli dell’Itali
dre d’Aristeo. 1116. Cimodocea. — Ninfa che predisse ad Enea l’evento
della
sua flotta. Fu una di coloro che si presentarono
ette anche Cinaredo, nome che si dava al gran sacerdote sagrificatore
della
Venere di Pafo. 1120. Cinela. — Dalle parole lati
o, e suoi discendenti. 1136. Cipresso. — Era ritenuto come il simbolo
della
tristezza, o perchè tagliato una volta non rinasc
. Circe. — Famosa maga che alcuni mitologi dicono figlia del Giorno e
della
Notte, ed altri del Sole e della ninfa Persa. Ci
mitologi dicono figlia del Giorno e della Notte, ed altri del Sole e
della
ninfa Persa. Circe, la dotta e incomparabil fata
andò a dimorare nell’isola di Ea, o, secondo altri in un promontorio
della
Campania che poi dal suo nome fu detto Circeo, e
Africa ov’essa divenne madre di Aristea. Vi fu un’altra Cirene ninfa
della
Tracia che fu dal Dio Marte resa madre del famoso
Ercole : dette il suo nome all’isola di Corsica. 1142. Cirra. — Città
della
Focide vicino alla quale esisteva una caverna da
Priamo re di Troja, veniva così denominata perchè figlia di Cisseo re
della
Tracia. 1145. Cissone. — Così avea nome un giovan
angiò in ellera. 1146. Cissotonie. — Feste greche in onore di Ebe dea
della
giovanezza : coloro c e vi prendevano parte erano
endevano parte erano coronati di ellera. 1147. Cita. — Città capitale
della
Colchide patria di Medea, la quale veniva perciò
montagna che portava l’istesso nome. 1156. Citora. — Città e montagna
della
Galazia, così detta da Citoro figlio di Prisso. Q
schi. 1157. Civetta. — Quest’uccello per essere ritenuto come simbolo
della
vigilanza veniva consacrato a Minerva. Al dire di
detta Cizzica o Cisia, e che poi divenne una delle più fiorenti città
della
Grecia. 1159. Cladea. — Fiume dell’Elide che veni
a adorato dai greci come una divinità. 1160. Cladeo. — Uno degli eroi
della
Grecia. Pausania ripete che dopo la sua morte gli
armente venerato e dove aveva un famoso oracolo. 1164. Claro. — Città
della
Jonia — Vedi l’articolo precedente. 1165. Claudia
la virtù di lei. La tradizione favolosa narra, che Claudia, per mezzo
della
sua cintura, avesse tirato a terra il vascello su
à danno ad Ercole, il quale, in tutte le sue imprese, si servì sempre
della
clava. La cronaca mitologica dice che fosse dappr
di Cesare fu innalzato un tempio alla clemenza di lui. Gli attributi
della
clemenza erano la patera, un ramo d’albero verde
rchè l’ultimo dei semi-dei. 1177. Cleone. — Borgata nelle circostanze
della
foresta Nemea, resa celebre per l’uccisione del f
l’amò con passione e ne ebbe va rii figli. Climene era anche il nome
della
confidente di Elena. 1183. Climeneidi. — Così fur
aveva osato vantarsi di cantar meglio del primo, e d’esser più bella
della
seconda. Clori fu anche il nome di una ninfa che
premo degli Egiziani, i quali credevano ch’egli avesse esistito prima
della
creazione del mondo, e che dalla sua bocca fosse
vita a tutti gli esseri mortali. Plutarco riferisce che gli Egiziani
della
Tebaide, per un lungo elasso di tempo, non ebbero
onobbero alcuna divinità, che fosse sottomessa alla legge inevitabile
della
morte. Questa credenza religiosa di uno dei più a
a di uno dei più antichi popoli del mondo, è una prova dell’antichità
della
tradizione religiosa dell’unità dell’essere supre
05. Cnufi. — V. Cnef. 1206. Coalemo. — Nome che si dava alla divinità
della
imprudenza. 1207. Cobali. — Dalla parola greca Κσ
malefici, che facevano parte del seguito di Bacco. 1208. Cocalo. — Re
della
Sicilia. La tradizione mitologica racconta che fu
, presso la sepoltura del re. Per questo culto speciale, gli abitanti
della
città d’Arsinoe, presso il lago Meris, dettero al
a il popolo più superstizioso dell’Egitto, era ritenuto come un segno
della
benevolenza del cielo, quando un coccodrillo aves
o questo rettile per essere senza lingua era ritenuto come il simbolo
della
divinità. Presso gli Egizii che adoravano il cocc
codrilli, ritenevano come cosa certa che durante i primi sette giorni
della
nascita del bue Api, — V. Api — quei terribili re
ndo giorno delle feste Antisterie. 1214. Colasco. — Figlio di Giove e
della
ninfa Ora. 1215. Colchide. — Contrada dell’Asia,
e alle valli. 1218. Collina. — V. Collatina. 1219. Colofone. — Città
della
Ionia, celebre per un famoso oracolo di Apollo. 1
Ascalona, avevano in grande rispetto le colombe e non osavano cibarsi
della
loro carne, ritenendo che sarebbe stato lo stesso
le colombe ; ed era generale credenza presso quei popoli, che l’anima
della
loro famosa regina Semiramide, fosse volata al ci
acrifizii, parte per avere degli oracoli. Secondo Sofocle due colombe
della
selva di Dodona, interrogate da Ercole, gli svela
della selva di Dodona, interrogate da Ercole, gli svelarono il limite
della
sua vita. 1221.Colonne d’Ercole. — La tradizione
dira, oggi Cadice, e che quivi, credendo d’esser giunto all’estremità
della
terra, separò le due montagne di Calpe ed Abila,
rminata altezza, che un vascello, a vele gonfie, passava tra le gambe
della
statua senza il menomo ostacolo. Un architetto in
tua colossale ad un ebreo, che la fece in pezzi e, pel solo trasporto
della
gran quantità di rame, fu costretto a servirsi di
ità, fanno menzione di ben sette altri colossi, trovati nel perimetro
della
suddetta città d’Apollonia, dei quali due rappres
pigliatura ; veniva dato codesto soprannome ad Apollo per la bellezza
della
sua chioma. Al dire di Ateneo si celebrava in Gre
pose inutilmente in opera l’ingegno e le forze, per rendersi padrone
della
città, poichè gli assediati respinsero sempre val
μος, che significa lusso, libertinaggio ; si dava codesto nome al dio
della
gozzoviglia, dei baccanali e dei festini. Veniva
ed allo abbigliamento delle donne e dei garzoni seguaci dell’eleganza
della
moda. Veniva rappresentata inghirlanda ta di fior
favolosa racconta che un giorno essendo Diana a caccia nella pianura
della
Tessaglia, le fossero improvvisamente comparse ci
Cora o Corea. — Soprannome di Proserpina, figlia di Cerere, in onore
della
quale si celebravano pubbliche feste, dette Coree
ontro i Greci, Cassandra tentò invano di farlo allontanare dal teatro
della
guerra ; egli volle ostinarsi e vi si recò ; ma i
o. — Uno dei soprannomi del dio Bacco. 1259. Corinto. — Famosa città
della
Grecia, la quale deve il suo nome a Corintio, fig
. — V. Coritallia. 1262. Coritallia o Coritalia. — Uno dei soprannomi
della
dea Diana. Nella città dei Lacedemoni vi era un f
sotto il nome di tempio Coritalliano. 1263. Coritie. — Feste in onore
della
dea Corito. 1264. Corito. — Dea della impudenza.
1263. Coritie. — Feste in onore della dea Corito. 1264. Corito. — Dea
della
impudenza. Essa aveva un tempio famoso nella citt
tauro Chirone, il quale lo nomò Esculapio. Apollo si penti ben presto
della
crudele sua vendetta, e per punire il corvo che g
ell’Anguillara. Vi fu anche un’altra Coronide, figlia di Coroneo, re
della
Focide, che Minerva cangiò in cornacchia, per sot
lade Minerva. 1269. Cortina. — Generalmente si è creduto dai cronisti
della
favola che sotto il nome di Cortina si volesse da
ire di Giovenale, le turpi libidini che si commettevano dai sacerdoti
della
dea, giunsero a tal segno di bestiale oscenità, c
tal segno di bestiale oscenità, che richiamarono su di essi il furore
della
dea stessa V. Bali. Gli Ateniesi ereditarono dall
gli lo avesse fatto assassinare. 1273. Cotto. — Figliuolo del Cielo e
della
Terra e fratello di Briareo. Aveva anch’egli, sec
, cinquanta braccia e cento mani. 1274. Covella. — Uno dei soprannomi
della
dea Giunone. 1275. Crabuso. — Uno degli dei della
Uno dei soprannomi della dea Giunone. 1275. Crabuso. — Uno degli dei
della
mitologia egiziana. 1276. Crane. — Ninfa che fu u
ri. 1278. Cratea. — Dea degli stregoni e degli incantatori : fu madre
della
famosa Scilla. Omero e altri scrittori dell’antic
sse e di Pasifae. Avendo consultato l’oracolo per conoscere i destini
della
sua vita, ne ebbe in risposta che sarebbe stato u
meno trafisse con una freccia Crateo. Questo sventurato principe morì
della
ferita ricevuta, col dolore di veder compiuta la
o di Giocasta. Egli s’impadronì del regno di Tebe dopo la distruzione
della
famiglia di Lajo, e fece morire Antigone, perchè
ratelli — V. Antigone. È comune credenza ch’egli fosse il fomentatore
della
crudele inimicizia dei due fratelli Eteocle e Pol
Cresponte. — Uno dei discen lenti di Ercole : fu celebre fra gli eroi
della
Grecia. 1287. Crepito. — Sconia e ridicola divini
a che avea loro promessa. Nettuno per vendicarsi mandò nelle campagne
della
Frigia un mostruoso serpente, al quale ogni giorn
o l’opinione di Esiodo, fu cosi chiamato l’uomo che nacque dal sangue
della
testa recisa di Medusa : gli fu dato questo nome
Critomanzia. — Specie di divinazione che si faceva dall’osservazione
della
pasta delle focacce, che venivano offerte nei sag
one della pasta delle focacce, che venivano offerte nei sagrifizii, e
della
farina che si spargeva sulle vittime per trarne i
e presso i pagani il giorno delle feste dette Apatuarie. L’etimologia
della
parola Cureoti viene dal greco Κονρος che vuol di
Diana. 1334. Cureti. V. Coribanti. 1335. Curisa. — Uno dei soprannomi
della
dea Giunone. 1336. Cuti. — I Sabini onoravano sot
ia. 1338. Dadesia o Dadea. — Festa che si celebrava in Atene in onore
della
nascita di alcuni dei in particolare e di tutti i
erio Massimo, così avea nome un dotto uomo, il quale volendo burlarsi
della
Pitia, andò ad interrogaria se egli avesse potuto
fuga alle amorose persecuzioni di quel dio, la ninfa del fiume padre
della
perseguitata, la cangiò in lauro. Apollo allora c
onore di Apollo. Un giovane, appartenente alla più illustre famiglia
della
città, portava in giro un ramo d’alloro, sul qual
date per l’affetto che portò a Dafne. 1345. Dafni. — Giovane pastore
della
Sicilia : fu figlio di Mercurio. Egli amò con pas
inchiudere sua figlia in una torre di bronzo ; ma Giove, innamoratosi
della
bellissima fanciulla, si trasformò in pioggia d’o
lla favella. Il padre per lo ben, che le volea. Saper cercò il destin
della
sua stella ; Ma il decreto fatal tanto gli spiacq
o col qua’e si denotavano i Trojani. 1361. Dardania. — Nome primitivo
della
contrada nel cui perimetro era compresa la città
Soprannome di Filomela, perchè, secondo la favola, fu a Daulia, città
della
Focide, ch’essa fu cangiata in uccello. 1367. Dau
o, figlio di Daunio. 1371. Dedalie. — Feste greche celebrate in onore
della
pacificazione di Giove con Giunone V. Citerone. G
loro particolare maniera, in memoria del loro ritorno dall’esiglio, e
della
loro riconciliazione cogli altri greci. 1372. Ded
lione. — Fratello di Ceixo e padre di Chione. Egli fu così addolorato
della
morte di sua figlia, che si precipitò dal monte P
iamo il commento che il Costa ed il Bianchi hanno dato a questo passo
della
divina Commedia : « Pasifae, donna di Minosse re
alto, temendo, con giusto discernimento, che nel primo caso i miasmi
della
terra, e nel secondo i raggi del sole, non avesse
colari. Venivano distinte in tre categorie, cioè : dee del cielo, dee
della
terra e dee dell’inferno. Fra le dee le principal
enivano comprese nella categoria delle divinità dette dagli scrittori
della
favola, dii maiorum gentium. — V. to studio preli
inotate quelle divinità che presiedevano alla campagna ed ai prodotti
della
terra, ed è questa la ragione per la quale, tanto
1376. Del. — Esseri sovrumani del culto religioso dei pagani. L’idea
della
divinità è così naturale agli uomini, è così prof
i destini degli uomini. Ed ora, che seguendo il carattere particolare
della
nostra opera, noi abbiamo dato un’idea generale d
do l’opinione di Eredoto, originarî dell’Egitto. Questi erano gli dei
della
prima classe, ovvero dei delle grandi nazioni, di
Dei incogniti. I pagani annoveravano fra questi dei tutti quelli
della
cui origine non si sapeva nulla di certo, e ai qu
Giove, Giunone, Cielo, Marte, Apollo, Diana, Vulcano e Bacco. Dei
della
terra. Erano : Cibelle, vanerata come madre de
adulto, ebbe una figlia a cui impose il nome di Deidamia, in memoria
della
madre. Piangevisi entro l’arte, perchè morta Dei
vi sono non pochi scrittori i quali asseriscono che i primi abitatori
della
Grecia, quelli la cui origine si perde nella nott
à che uomini deificati. Diodoro Siculo afferma che gli dei principali
della
mitologia greca e romana come Giove, Saturno, Apo
o. È opinione di varii accreditati scrittori che la origine primitiva
della
idolatria fosse stato il dolore di un padre di fa
pareti gli onori e la venerazione dovuta solo alla divinità. Dal seno
della
famiglia codeste dolorose cerimonie passano nei c
poichè non bisogna credere che il popolo creasse da sè solo per mezzo
della
Deificazione tanto numero di numi, ma i re, i pon
onori divini. Secondo che narra Erodiano nelle cronache, la cerimonia
della
Deificazione o apoteosi d’un defunto imperatore,
innalzati dei templi, offerti dei sacrifizii, e resi tutti gli onori
della
divinità. Al dire del cennato scrittore, la cerim
e, spaventata da un simile spettacolo, turbò coi suoi gridi i misteri
della
dea, la quale, montata in furore, si dileguò negl
ole ; egli Io seguì nella guerra contro le Amazzoni. Fece anche parte
della
spedizione degli Argonauti, i quali egli raggiuns
izioso. Cicerone dice ch’egli non intraprendeva la più piccola azione
della
sua vita, senza aver consultato gli Aruspici. Un
e che Ercole era preso d’amore per la bella Jole, e penso di servirsi
della
magica stoffa, facendone un dono ad Ercole, persu
etesi, che andarono a stabilirsi nella Focide. Sotto questa allegoria
della
favola, altro non si deve scorgere senonchè un va
va sulla poppa scolpita la figura di un delfino. 1397. Delfo. — Città
della
Focide : celebre nella favola per il famoso oraco
a quella città, era ritenuto, presso gli antichi, come il punto medio
della
superficie terrestre. La favola racconta, che Gio
La favola racconta, che Giove Altotonante, volendo che il punto medio
della
terra rimanesse contrasegnato, fece volare nell’i
e sorgevano appunto in quell’istesso luogo. La Terra, secondo i poeti
della
favola, fu dunque la prima a possedere l’oracolo
dunque la prima a possedere l’oracolo famoso : poscia Tomi, figliuola
della
Terra, lo ebbe in costodia fino ai tempi del dilu
Deucalione, epoca in cui Apollo, essendo venuto sul Parnaso, rincinto
della
sua luce immortale, bello della sua eterna giovan
essendo venuto sul Parnaso, rincinto della sua luce immortale, bello
della
sua eterna giovanezza, e con una lira d’oronella
che da quel tempo fu detto l’oracolo d’Apollo. Sotto questa allegoria
della
favola, altro non si deve oggi scorgere senonchè
rdoti, che facevano allora come han fatto in ogni età, osceno mercato
della
divinità, facendola servire ai loro privati inter
llo sul quale essi erano imbarcati era detto Deliade o Teoro. Il capo
della
deputazione chiamavasi Arciteoro. Le feste Delie
monie d’ognimaniera. 1405. Demenete. — Detto anche Demarco : abitante
della
città di Parrafia, nell’Arcadia. Avendo mangiato
ce. — Moglie di Creteo. — V. Creteo. 1409. Demodoco. — Celebre musico
della
corte di Alcinoo. Demodoco, io te sopra ogni viv
e per la sua incredulità. Tarquinio allora colpito dalla perseveranza
della
sibilla, fece interrogare gli Auspici, i quali ri
Fedra. Dopo la spedizione di Troja, una tempesta lo gettò sulle coste
della
Tracia, ove fu accolto benignamente dà Licurgo, r
che presiede alla terra : si dava codesto nome alla divinità o genio
della
terra, il quale, secondo la tradizione favolosa,
igurato, che insieme alla Eternità ed al Caos, dimorava nelle viscere
della
terra. L’allegoria mitologica narra che egli si f
innalzato nell’aria su di una palla, e che facendo su quella il giro
della
terra avesse creato il cielo. In seguito prese de
del quale i primi abitatori del mondo antico racchiudevano il mistero
della
creazione. 1414. Demonio. — Secondo i Platonici o
amente simile, e identica del tutto, come si vede, all’angelo custode
della
religione cristiana. Plutarco asserisce che i dem
i demonii prendevano amicizia cogli uomini ; li guidavano nel cammino
della
virtù ; vegliavano alla loro sicurezza ed erano l
de venerazione. La cronaca favolosa ripete, che il frutto degli amori
della
disgraziata Derceto, fosse una bambina, che fu po
n cui egli viveva, un diluvio universale distrusse tutti gli abitanti
della
terra, volendo gli dei punir gli uomini delle lor
veniva dal senso compreso in questo vocabolo, poichè Diana, come dea
della
caccia, era soggetta a smarrirsi o a deviare, nel
oteva essere minacciati. Queste cerimonie si compivano fuori le porte
della
città e avevano in tutti i loro particolari, il c
questa festa consisteva nel condurre dei fanciulli innanzi all’altare
della
dea, ove venivano battuti con le verghe in così a
iera, che il maggior numero vi lasciavano la vita. 1431. Diana. — Dea
della
caccia, figlia di Giove e di Latona e gemella d’A
. di D. Strocchi, Moltiplici sono le denominazioni che gli scrittori
della
Favola danno a Diana, secondo il luogo in cui dim
el cielo ; Diana sopra la terra. Veniva comunemente venerata come dea
della
castità ; e questa virtù era in lei così tenace c
raltro che Diana amasse perdutamente il pastore Endimione, bellissimo
della
persona, e che la notte lasciasse sovente la sua
a favola sotto il nome di oracolo di Didimo. 1442. Didimeone. — Rione
della
città di Mileto, in cui Apollo avea un oracolo ed
secondo altri perchè questo Dio era ritenuto come autore del giorno e
della
luna. 1444. Didone. — Figlia di Belo, re di Tiro,
po impunito il suo delitto ; ma l’ombra dell’ucciso priva degli onori
della
sepultura, apparve pallida e sfigurata a Didone,
nimo la tremenda rivelazione, si dette silenziosamente ai preparativi
della
fuga, ed un giorno impadronitasi delle navi che s
eide, è una mera invenzione poetica. Enea visse più di 300 anni prima
della
fondazione di Cartagine, secondo la cronologia de
i 300 anni prima della fondazione di Cartagine, secondo la cronologia
della
favola ; e Virgilio ha dipinto l’ardente passione
estarvi le famose ragioni che persì lungo tempo fecero ardere la face
della
discordia fra Roma e Cartagine. L’Alighieri, giov
ravano in onore di Giove Polieno, riguardandolo come il nume tutolare
della
propria città. 1448. Diluvio di Ogige e di Deucal
Lari o Penati. 1453. Dindima. — Al dire di Diodoro era questo il nome
della
madre di Cibele : essa fu moglie di Meone, re del
ra questo il nome della madre di Cibele : essa fu moglie di Meone, re
della
Lidia. 1454. Dio — I poeti dell’antichità ed i cr
one, re della Lidia. 1454. Dio — I poeti dell’antichità ed i cronisti
della
favola, distribuiscono la divinità fra tutti gli
, e che questi dovesseso fuggire ora in questa ora in quella contrada
della
terra, sotto forma di quadrupedi, di volatili, di
rdare le pecore ; Esculapio, ridotto a fare il muratore, è defraudato
della
mercede promessagli ; il primo è musico, il secon
rimo è musico, il secondo è manovale ; infine presso i pagani, l’idea
della
divinità è collegata a configurazione ed immagini
, al certo, che non fosse l’idea informatrice di un culto, rivelatore
della
divina maestà di una religione. 1455. Diocleide.
ta che si celebrava nell’ Attica, in onore di Dioclie, uno degli eroi
della
Grecia a cui dopo la morte furono resi gli onori
Libro V.trad. di V. Monti. La favola ricorla di un altro Diomede, re
della
Tracia, e figliuolo di Marte e di Cirene. Secondo
rese padrone di tutti gli arredi sacri, dicendo che volea profittare
della
bontà degli dei ; e fece vendere su i pubblici me
illaggi circonvicini. 1467. Diplero. — Si dava questo nome alla pelle
della
capra Amattea. Secondo la tradizione della favola
ava questo nome alla pelle della capra Amattea. Secondo la tradizione
della
favola, Giove aveva scritto su quella il destino
e di quell’edifizio all’avo materno di Teseo, per nome Pitteo, nativo
della
città di Trezeno. 1469. Dirce. — Fu moglie di Lic
un toro furioso, sicchè Dirce morì tra le più atroci torture. Al dire
della
cronaca Bacco vendicò la morte di lei, facendo pe
à Dirce. V. Dirce. 1472. Dirceto. — V. Derceto. 1473. Diree. — Figlie
della
notte e del fiume Acheronte. Erano, secondo la tr
avano Furie, Eumenidi o Erinni sulla terra ; Diree nel cielo, e Cagne
della
Stige, nell’inferno. De le tre Diree Furie…….. C
l Sole, come la sorgente di tutte le ricchezze. Gli antichi abitatori
della
Gallia, davano il soprannome di Dite alla terra,
i da caccia. 1482. Dius-Fidio. — Antica divinità dei Sabini, il culto
della
quale passò a Roma poco tempo dopo la pace che se
uì il famoso ratto delle Sabine. Questo nume era ritenuto come il dio
della
buona fede, ed è perciò che presso gli antichi er
ltri lo hanno di sovente confuso con Ercole. 1483. Divall. — In onore
della
dea Angeronia, si celebravano in Grecia delle fes
altrimenti l’ Anima e il Corpo. Gran numero trà i mitologi e cronisti
della
favola, vogliono che i Divipoti altro non fossero
, dicendo che alcuni mercanti Fenici avessero rapito due sacerdotesse
della
città di Tebe ; e che avendo venduta una di esse
cciso ; egli era figliuolo dell’araldo Eumede. 1493. Dolope. — Popolo
della
Tessaglia. All’assedio di Troja tutti coloro che
evano fatto una divinità, e lo scrittore Igino lo fa essere figliuolo
della
Terra e dell’Aria. 1495. Domicio. — V. Domizio. 1
Al dire di Cicerone era questo il nome di un figliuolo dell’ Erebo e
della
Notte. 1499. Dorea o Dori. — Detta anche Dorisia,
ssedio di Troja. Vi fu anche un altro Doriclio, figlio di Fineo, o re
della
Tracia. 1502. Doro. — Una delle cinquanta Nereidi
ruosi animali, che vomitavano flamme. 1506. Dranceo. — Uno dei grandi
della
corte del re latino, felice e bel parlatore, ma u
r delle offerte alle Driadi tutelari. 1509. Driantiade. — Licurgo, re
della
Tracia, figlio di Driaso, veniva così designato d
a prezzo la sua testa, e la cronaca racconta che egli stesso, stanco
della
sua vita di delitto, persuase il più povero dei s
ate con questo nome. Al pari dei loro mariti esse venivano circondate
della
più alta considerazione, ed avevano ingerenza nel
avano e regolavano tutto ciò che riguardava i sacrifizii e gli affari
della
religione, ma sopratutto avevano fama di celebri
si dice Δρὑς perchè essi dimoravano nelle foreste e compivano i riti
della
loro religione sotto quegli alberi. I Druidi avea
nza, una vita austera ed irreprensibile. Si dedicavano all’educazione
della
gioventù ed avevano sparsi in tutte le Gallie gra
mero di oscurissimi versi, che racchiudevano i principii fondamentali
della
loro teologia, della quale essi non spiegavano ta
ersi, che racchiudevano i principii fondamentali della loro teologia,
della
quale essi non spiegavano taluni dati articoli, s
ani. — Genii temuti e riveriti dai Galli. E 1519. Ea. — Nome
della
capitale della Colchide e di quella dell’isola di
muti e riveriti dai Galli. E 1519. Ea. — Nome della capitale
della
Colchide e di quella dell’isola di Circe. Anche a
giudicare le anime dei morti. 1522. Eagro. — Così avea nome il marito
della
musa Polinia, che lo rese padre di Orfeo. Eano.
monumento eroico. 1525. Ebe. — Figliuola di Giove e di Giunone e dea
della
giovanezza. La tradizione favolosa racconta che G
l supremo potere di Giove, che avea da sè solo procreato Minerva, dea
della
saggezza, volle fare altrettanto e sola dette l’e
ol sorriso sulle labbra, e coronata di flori. Aveva in tutte le città
della
Grecia e dello stato romano gran numero di templi
negli esercizii del corpo. Comunemente veniva riguardata come sorella
della
dea Ope, divinità favorevole ai cacciatori. È opi
rpina, avesse inviata sua sorella Ecate sulla terra, onde far ricerca
della
rapita. L’opinione però più generalizzata fra gli
rca della rapita. L’opinione però più generalizzata fra gli scrittori
della
favola è che Ecate fosse uno dei nomi di Proserpi
facce e tre nomi differenti : si chiamava Lucina, come proteggitrice
della
nascita dei bambini ; si dicea Diana, come dea ch
le che ba nelle sue mani il destino degli uomini e degli dei ; quello
della
terra e del mare ; che distribuisce onori e ricch
ilunio, i cittadini più ragguardevoli davano, nelle principali strade
della
città, un pubblico banchetto, al quale si credeva
e di Ecatombe qualunque sacrifizio in che si uccidevano cento animali
della
medesima specie. Lo scrittore Capitolino ricorda
avessero ucciso cento nemici, dovessero poi, in rendimento di grazie
della
vittoria riportata, offrire agli dei una Ecatombe
padre di questa giovanetta, fortemente sdegnato degli amori colpevoli
della
figlia, la fece legare assieme al neonato in un b
Diana, ossia la luna, faceva al suo amante Endimione, nelle montagne
della
Caria. Per altro come gli amori della dea non ebb
mante Endimione, nelle montagne della Caria. Per altro come gli amori
della
dea non ebbero lunga durata, bisognò cercare un’
tutti coloro che esercitavano la magìa, e particolarmente le indovine
della
Tessaglia, luogo assai fecondo di erbe venefiche,
o così fallacemente gli ecclissi, essi ritenevano che questi fenomeni
della
natura fossero del più funesto presagio. 1548. Ec
— Libro V trad. di V. Monti. 1549. Eco. — Ninfa, figlia dell’ Aria e
della
Terra, che abitava le rive del fiume Cefiso. La t
ia e della Terra, che abitava le rive del fiume Cefiso. La tradizione
della
favola racconta di lei che avendo un giorno di co
dopo la morte fu cangiata in roccia. Ecuba. — Figlia di Cisseide, re
della
Tracia e moglie di Priamo, re di Troja, che la re
chi e femmine : la maggior parte dei suoi figli morì sotto agli occhi
della
madre, durante il decenne assedio di Troja. Cadut
nasconderlo e di salvarlo da una certa morte ; ed ora, al gran cuore
della
decaduta regina, era una trafittura mortale il ve
ri al figliuolo del figlio suo, e fu condotta presso Polinnestore, re
della
Tracia, al quale il defunto re Priamo aveva affid
eva i due figliuoli di lui. Però le guardie del re trascinarono fuori
della
reggia Ecuba e la lapidarono. Le cronache dell’an
anto XXX. Qualche autore ha ripetuto che Ulisse forse stato l’autore
della
morte di Ecuba, perchè ritornato nella Sicilia, f
o alla Sfinge, egli la sposò dividendo per tal modo il talamo nuziale
della
propria madre. Da questo connubio nacquero i due
ar mangiare a Politecno il proprio figliuolo Iti. Politecno informato
della
trama, raggiunse le colpevoli nella casa di Panda
i del sole ed alle morsicature degl’insetti. Edone, allora, disperata
della
trista sorte del padre, corse vicino a lui per co
554. Edonidi. — Le Baccanti erano così soprannominate da una montagna
della
Tracia, conosciuta sotto il nome di Edone, ov’ess
Edusia. — V. Educa. 1560. Eeta. — Figlio del Sole e di Persa : fu re
della
Colchide e padre di Medea, la quale per questa ra
one è assai poco ritenuta in conto presso i più accreditati scrittori
della
favola. La città di Efeso sorgeva in una pianura
pio fosse inciso, in lettere d’oro, il suo nome. Gli Efesiani, gelosi
della
loro nazionalità, non vollero condiscendere alla
i al pittore Parrasio, ed al filosofo Eraclito. Durante il terzo anno
della
sessantunesima olimpiade, Alessandro il conquista
ò in Efeso alla testa dei suoi eserciti, e per ricompensare il popolo
della
confidenza che poneva in lui, vi ristabilì il gov
gnava il premio ; se poi le tre torcie si spegnevano tutte, il premio
della
corsa non veniva aggiudicato ad alcuno. 1565. Efe
pere, asserisce che lo stesso Alessandro fu uno dei seguaci più caldi
della
novella divinità. 1566. Efestrie. — Venivano così
ltre due città conosciute sotto il nome di Efira ; una nella contrada
della
Tessaglia, e propriamente nel luogo conosciuto so
a quale ne fece anche un’arma offensiva, inchiodandovi sopra la testa
della
Gorgone. Vedi Gorgone e Medusa. 1572. Egea. — Sop
morir di veleno il giovine straniero, ma al momento fatale, la vista
della
spada riaccese nell’animo di Egeo più miti ed uma
a Teseo, designandolo come una delle vittime che ogni anno, per patto
della
sconfitta, dovevano essere esposte alla ferocia d
o avea ricondotto in Creta ; ma egli e i suoi compagni, nell’ebbrezza
della
gioja, dimenticarono di sostituire alle vele nere
più comunemente sotto il nome Briareo, gigante figliuolo di Titano e
della
Terra. La favola gli attribuisce cento braccia e
logiche, e dalle idee informatrici delle credenze religiose dei tempi
della
favola, han voluto scorgere nella simbolica figur
se dei tempi della favola, han voluto scorgere nella simbolica figura
della
ninfa Egeria, l’Idromanzia, personificando in ess
a ninfa Egeria, l’Idromanzia, personificando in essa l’idea informata
della
solitudine, che profonde i tesori del raccoglimen
o studio lungo e meditativo. Numa non è altro che la personificazione
della
legge fatta uomo ; è lo spirito legislatore umana
atta uomo ; è lo spirito legislatore umanato sotto la figura di un re
della
terra, dalla poetica ed iperbolica favella delle
dere il gran sacerdote, o pontefice, rivestito di tutti gli attributi
della
sua autorità. Coprivano quindi la fossa con una t
i tutta la persona con uno scudo, o Egida, su cui era incisa la testa
della
Gorgone Medusa. Intorno agli omeri divini Pon la
Libro V trad. di V. Monti L’ Egida, o scudo di Giove, era ricoperta
della
pelle della capra Amaltea, che avea col suo latte
. di V. Monti L’ Egida, o scudo di Giove, era ricoperta della pelle
della
capra Amaltea, che avea col suo latte nutrito il
uale poi chiamò col nome di Egina l’isola in cui era nato, in memoria
della
madre. Dopo qualche tempo, Giove si rivolse ad al
iù si distinsero per aver fornito maggior numero di navi. Gelosi però
della
grandezza degli Ateniesi, e stimolati dai Beozi,
rea, nelle acque del golfo Argolica, presso i confini dell’Argolide e
della
Laconia. Ivi rimasero fino alla caduta della pote
confini dell’Argolide e della Laconia. Ivi rimasero fino alla caduta
della
potenza Ateniese, epoca in cui ritornarono in pat
re sviluppo allo scambio, e supplire in parte all’infeconda sterilità
della
loro isola. 1587. Egioco. — Soprannome di Giove,
do la tradizione favolosa, dall’aver ricoperto il suo scudo, o Egida,
della
pelle della Capra Amaltea. In Omero ed altri poet
ione favolosa, dall’aver ricoperto il suo scudo, o Egida, della pelle
della
Capra Amaltea. In Omero ed altri poeti e cronisti
, della pelle della Capra Amaltea. In Omero ed altri poeti e cronisti
della
favola è assai di sovente chiamato Giove con ques
larmente quelle lasciateci da Plinio, fanno menzione di alcuni mostri
della
Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agi
amorato di Timandra, madre di Neofronte, la quale era tenuta in conto
della
più bella donna de’suoi tempi, la sedusse a forza
osciuto il figlio. Appena pero i primi albori del giorno illuminarono
della
loro luce serena l’orribile incesto gl’inscienti
di Troja, affidò ad Egisto la reggenza dei suoi stati, e la custodia
della
propria moglie Clitennestra e dei suoi due figli
le nozze, ma impose alle figliuole l’infame comandamento che fu causa
della
morte dei quarantanove figliuolo di Egitto V. Dan
ronisti più accreditati che Egitto regnasse trecento e sei anni prima
della
guerra di Troja. Le tradizioni ricordano di un al
izioni ricordano di un altro Egitto, figliuolo di Neilco, e fondatore
della
città di Priene. 1594. Egia. — Ninfa figlia del S
o delle gelse more. Egla era anche il nome di una delle tre Esperidi,
della
madre delle Grazie ; e finalmente di una delle tr
— La tradizione favolosa ci ricorda in proposito di Questo soprannome
della
Dea Giunone che Ercole, dopo assersi vendicato de
egli animali si erano ricoperti di armature di rame ma Giove sdegnato
della
loro tracotanza stava già per fulminarli, allorch
turni. 1602 Egone. — Famoso atleta il quale per dutamente innammorato
della
giovanetta Amarilli, trascino per i piedi un Toro
si offrivano ricchi sacrifizii a Giove ed a Minerva per la prosperità
della
repubblica. 1606 Ejona. Cosi ebbe nome una delle
e. — Si riteneva questo animale come simbolo dell’eternità, a cagione
della
lunghissima durata della sua vita. Nei misteri di
nimale come simbolo dell’eternità, a cagione della lunghissima durata
della
sua vita. Nei misteri di Bacco erano sovente adop
nti bianchi. 1616. Elefenore. — Figliuolo di Calcodonte e discendente
della
stirpe di Marte. Al dire di Omero egli comandava
i suoi misteri. 1619. Elena. — È questo uno dei più interessanti nomi
della
mitologia, avuto anche riguardo al dubbio ed alla
rella di Castore, di Polluce e di Clitennestra, sebbene la tradizione
della
favola ripeta che tutti questi figli, ed Elena st
vole creatura, la rapì un giorno che essa insieme, ad altre fanciulle
della
sua età, eseguiva nel tempio di Diana, la danza d
l’Innocenza, nella quale le donne ballavano nude innanzi al simulacro
della
Dea. Il rapitore portò seco Elena, dapprima a Teg
lunge dal nuocere ad Elena accrebbero invece la già famosa rinomanza
della
sua divina bellezza, e tanto che ben quaranta fra
divina bellezza, e tanto che ben quaranta fra i più rinomati principi
della
Grecia, dimandarono la sua mano ; ma il preferito
mo, ove la sposò. Fu quest’oltraggio fatto a Menelao, la vera cagione
della
sanguinosa guerra tra Greci e Troiani, che finì c
uinosa guerra tra Greci e Troiani, che finì con la totale distruzione
della
città di Troia, dopo che i Greci l’ebbero assedia
i del suo animo vizioso e corrotto, e quando vide imminente la caduta
della
città, pensò di riguadagnare la grazia del suo pr
re i Troiani. Di notte tempo fece accendere molte torce sulla sommità
della
cittadella, dopo aver fatto avvisare i capitani d
roprio letto. L’animo abbietto di Menelao si tenne pago e soddisfatto
della
vendetta esercitata sopra i Troiani e riconciliat
lasciò cadere sulla testa d’una giovenca, la quale fu immolata invece
della
giovanetta Elena. 1620. Eleno. — Uno dei figliuol
olto Pirro da un viaggio in cui perirono tutt’i passeggieri, fu causa
della
fortuna di Eleno, poichè Pirro, riconoscente ai b
di A. Caro. Eleno regnò molti anni su quella contrada, e al momento
della
sua morte istituì erede il figlio di Pirro, per n
vinità adorata dagli Ateniesi, i quali avevano, nella piazza maggiore
della
loro città, un tempio a lei dedicato. Tutti color
l’ avesse faita sposare ad un contadino, il quale mosso a compassione
della
trista sorte di lei, lunge dall’ abusare dei diri
sto Oreste per la uccisione da lui compiuta, sebbene inavvedutamente,
della
propria madre Clitennestra. Elettra, spaventata d
ad Oreste di andare a rapire la statua di Diana. Egli corse pericolo
della
vita per compiere questa impresa, e tanto che la
ricolo della vita per compiere questa impresa, e tanto che la notizia
della
sua morte si sparse rapidamente per l’ Argolide.
e a riguardo di questo personaggio è grande la disparità dei cronisti
della
favola. Alcuni pretendono che fosse figlio di Per
rese padre di Alcmena, Anfimaco ed altri — V. Anaxo — Da una schiava
della
Frigia per nome Medea, egli ebbe anche un altro f
i ebbe anche un altro figliuolo detto Licimnio. Ritornando vittorioso
della
spedizione contro i Telebei, Elettrione, fra le m
a giovanetta che secondo la tradizione favolosa era figlia del Sole e
della
ninfa Rodi. Essendo morta vergine, i suoi concitt
trovare la figlia Proserpina, rapita da Plutone, abbandonò le pianure
della
Sicilia. 1627, Eleusina. — Cerere veniva così den
o, prima d’intraprendere il suo viaggio per le Indie, liberò i popoli
della
Beozia dalla schiavitù, e fece in memoria di ciò
Eleutera. 1631. Eleuteria. — Con questo nome i greci adoravano la dea
della
libertà. 1632. Eleuterie. — Così venivan dette al
i Eliadi giunsero all’età virile, seppero da Apollo, che Minerva, dea
della
saggezza, aveva risoluto di fissare la sua dimora
ni tecnologiche ed astronomiche, e dettero un grande impulso all’arte
della
navigazione. Fra gli Eliadi, che erano sette frat
lla terra. 1639. Eliconia. — Detta più comunemente Elicona : montagna
della
Beozia che sorgeva tra il monte Parnaso e il mont
llo, e si credeva che esse vi abitassero quasi sempre, prendendo cura
della
fontana di Ippocrene e della tomba di Orfeo. O m
abitassero quasi sempre, prendendo cura della fontana di Ippocrene e
della
tomba di Orfeo. O musa, tu, che di caduchi allor
rmentò e vide in sogno il figliuolo che la confortò a non affliggersi
della
sua morte, giacchè egli era stato trasportato in
i del rogo. Da questo costume religioso è forse nata la prima origine
della
favola del raro uccello Fenice, a proposito del q
e del clima e dell’aridità del terreno. 1644. Elisa. — Nome primitivo
della
regina Didone, allorchè fu sposata da Sicheo. V.
i da Lesbo, chi in Italia ; chi nelle isole Fortunate ; chi nel paese
della
Betica, oggi Andalusia in Ispagna ; ed altri fina
la Betica, oggi Andalusia in Ispagna ; ed altri finalmente nel centro
della
terra. Quest’ultima opinione è la più accreditata
ione è la più accreditata, e quella seguita dai più rinomati cronisti
della
favola. Pindaro ed Esiodo ripetono, che Saturno e
quel celeste soggiorno, trascorressero il tempo in occupazioni degne
della
loro grandezza. L’ombra di Achille, combatte le b
ra i cavalli ; ed altre finalmente cantano, accompagnandosi col suono
della
lira, l’eroiche gesta dei semidei. È però a notar
antichità, ripetono che gli abitatori degli Elisi, avessero in premio
della
loro virtù sulla terra, tutte le più raffinate la
loro virtù sulla terra, tutte le più raffinate lascivie che il genio
della
voluttà potesse mai immaginare. 1647. Elle. — Sor
ca in cui avvenne il fatto seguente. Essendosi i Doriesi resi padroni
della
città di Corinto, essi appiccarono il fuoco al te
bricare il tempio di Minerva, e placare con grandi sacrifizii l’ombra
della
morta sacerdotessa. I Corinti seguirono l’uno e l
il qual d’etade Dopo gli altri venia, poco nell’armi Forte, nè troppo
della
mente accorto. …………… ………. e cadde Precipite dall’
lcro. 1659. Ematia. — Nome col quale s’indicavano le diverse contrade
della
Macedonia e più particolarmente la Tessaglia. 166
a degli Emilii pretendeva di discendere. 1662. Emitea. — In una città
della
Caria, nota nella geografia antica sotto il nome
incinta ne invocavano la protezione con ricchissimi doni. L’opinione
della
potenza soprannaturale di questa divinità era est
empre rispettato, e per sino i Persiani che spogliarono tutt’i templi
della
Grecia, lasciarono intatti i tesori raccolti in q
idea, secondo che suona il vocabolo stesso di Emitea. 1663. Emo. — Re
della
Tracia, il quale con sua moglie Rodope, volle far
diti adorare sotto la figura di Giove e di Giunone. Gli dei, sdegnati
della
loro stolta superbia, li cangiarono entrambi in d
Titani che vollero dare la scalata al cielo. Era figlio del Tartaro e
della
Terra. Anche a proposito di questo famoso persona
Tartaro e della Terra. Anche a proposito di questo famoso personaggio
della
favola, sono divergenti e contrarie le opinioni e
enti di lava devastatrice. Vincenzo Monti nelle sue magnifiche ottave
della
Musogonia, ove dipinge la guerra dei Titani contr
che la rese madre di Telamone e di Teleo. 1673. Endimione. — Pastore
della
Caria, famoso per la sua bellezza, era nipote di
che si rese celebre quasi quanto il suo maestro. In una piccola città
della
Grecia, nelle circostanze di Atene, si ammirava u
pregiata. Egli aveva pel suo maestro una grande amicizia, e nel tempo
della
disgrazia di lui, lo accompagnò sempre, professan
andogli la più sentita gratitudine. 1675. Endovellico. — Gli abitanti
della
Spagna adoravano, sotto questo nome, una divinità
tutelari degli spagnuoli. 1676. Enea. — Principe del ramo secondario
della
reale famiglia di Troja : fu figlio di Anchise e
amo secondario della reale famiglia di Troja : fu figlio di Anchise e
della
dea Venere. ……… Enea preclaro figlio Del magnani
a maestro il centauro Chirone, il quale sviluppò in lui i buoni germi
della
semi-celestiale sua origine ; e lo addestrò in tu
e fece di tutto onde Elena fosse restituita al marito. Ma nei destini
della
Trojana gente era scritto altrimenti, e la guerra
n trovò Enea nè meno ardimentoso, nè meno prode degli altri guerrieri
della
sua parte ; e ben presto egli fu ritenuto nelle f
eroicamente in tutti gli scontri ch’ebbero luogo nel decenne assedio
della
Trojana città. Enea sostenne un particolare duell
ao e da Antiloco. Nelle successive battaglie, Enea si ebbe il comando
della
quarta colonna di attacco insieme ad Acamante ed
onache stesse che riportano il fatto doloroso, non tengono più parola
della
dispersa consorte di Enea. Forse sopraffatta dall
e più affettuose e cordiali accoglienze da Aceste principe originario
della
Troade. Da ultimo Enea recossi in Cartagine ove r
fedel seguace Miseno. Enea ad onorare la loro memoria impose il nome
della
prima ad una città e quello del secondo ad una pu
ampania si recò a Cuma nel tempio dedicato ad Apollo, ove dalla bocca
della
celebre Sibilla Cumana, s’ebbe la rivelazione del
Turno re dei Rutoli, a cui Lavinia era stata promessa dal padre prima
della
venuta di Enea, mosse guerra al principe trojano,
l fiume Numico nell’Etruria, segui una sanguinosa battaglia, le sorti
della
quale già volgevano contrarie ad Enea, quando egl
rda di un’altro Enea, figliuolo di Cefalo, che succedette nel governo
della
Focide a Dejoneo, suo avo. 1677. Eneo. — Apparten
lidi. Fu figlio di Euride e di Portaone al quale successe nel governo
della
Calidonia, contrada dell’Etolia, da cui presero q
ialio. — Figlio di Bellona. Assai di sovente trovasi nelle tradizioni
della
favola indicato Marte, dio della guerra, con ques
di sovente trovasi nelle tradizioni della favola indicato Marte, dio
della
guerra, con questo nome. 1679. Enia. — Soprannome
ttore. Diomede l’uccise sotto le mura di Troja. 1683. Enipeo. — Fiume
della
Tessaglia. La tradizione racconta ch’egli fu pass
radizione racconta ch’egli fu passionatamente amato dalla ninfa Tiro,
della
quale era nello stesso tempo innamorato Nettuno.
e egli comandasse i Miseni ausiliarii dei Trojani nel decenne assedio
della
loro città. Achille lo uccise sulle rive del fium
a Enoe, regina dei Pigmei che fu cangiata in grue. 1691. Enomao. — Re
della
città di Pisa, in Elide. Le cronache mitologiche
e mitologiche dicono, nella gran maggioranza, ch’egli fosse figliuolo
della
ninfa Arpina, e del Dio Marte. Al dire di Pausani
o, essendo del continuo assediato dalle richieste che gli si facevano
della
mano della figlia, impose a questo matrimonio la
del continuo assediato dalle richieste che gli si facevano della mano
della
figlia, impose a questo matrimonio la condizione
ti mitologici, furono fino a tredici coloro i quali restarono vittime
della
crudeltà del vincitore, il quale secondo il patto
e Egeo, ne fece la distribuzione, ad Enopione toccò l’isola di Chios,
della
quale fu proclamato re. Tolta in moglie la ninfa
unto sospeso ad un albero. 1701. Eolo. — Figlio d’Ippote, discendente
della
stirpe di Deucalione. La tradizione mitologica lo
Virgilio — Eneide — Libro I. Trad. di A. Caro. Egli visse al tempo
della
guerra di Troja e regnò nelle isole Vulcanie, det
alla conoscenza dei venti, ed all’osservazione del flusso e riflusso
della
marea, cosicchè spesso prediceva con felice succe
esse, essendo terra eminentemente vulcanica, è ritenuta dai cronisti
della
mitologia, come quella in cui Vulcano, dio del fu
X. Trad. di I. Pindemonte. 1703. Eona. — Presso i Fenicii era l’Eva
della
creazione ; ossia la prima donna del mondo, la qu
. — Gigante che fu figlio di Tifone. 1708. Epafo. — Figlio di Giove e
della
ninfa lo, la quale sotto le forme di giovenca, lo
ome Menfi, ed avendo in seguito edificata una città le impose il nome
della
moglie. Fu questa la celebre città di Menfi. 1709
ferente alla perdita, restò nella sua patria ; ma Peone inconsolabile
della
sconfitta, si esiliò volontariamente e qualche te
egli avesse fabbricato il famoso cavallo di Troja. 1714. Epi. — Città
della
Grecia il cui governo era tenuto da Nestore, il q
ei guida e dell’aprica Arene Gli abitanti e di Trio. guado d’Alfeo. E
della
ben fondata Epi. Omero — Iliade — lib. II. trad.
Esculapio alla quale si dava il nome di Epidauria, in commemorazione
della
città ove da principio fu istituita. 1724. Epidau
a città ove da principio fu istituita. 1724. Epidauro. — Famosa città
della
Laconia ove Esculapio, dio della medicina, aveva
uita. 1724. Epidauro. — Famosa città della Laconia ove Esculapio, dio
della
medicina, aveva il magnifico tempio ed oracolo ce
si, fu spinta dalle onde vicino al promontorio di Malia sulle spiagge
della
Laconia. I Lacedemoni per onorare Apollo gl’innal
e avevano un tempio in Epidauro, e che erano ritenuti come protettori
della
crescenza dei bambini. Giove stesso considerato c
annome dato a Giove, e che aveva presso i greci lo stesso significato
della
parola latina Elicius, colla quale i romani indic
Giove stesso. Tanto la parola Epifane che Elicius racchiude il senso
della
presenza del padre degli dei sulla terra, rivelat
ue parole greche υπί sopra e γη terra. Si dava questo nome alle ninfe
della
terra come si chiamavano Uranie quelle del cielo.
si trovava aggiunta al nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo
della
statua che questa dea aveva nel tempio di Delfo,
aver ricevuto alcuna ferita. Erodoto racconta di lui, sotto il manto
della
tradizione, che mentre si aggirava pel campo, gli
e briglie ai cavalli. Quest’ordine fu eseguito alla lettera, e l’urto
della
cavalleria fu così impetuoso che bastò una sola c
a cavalleria fu così impetuoso che bastò una sola carica per decidere
della
vittoria. Sebbene più assai che alla protezione d
ca per decidere della vittoria. Sebbene più assai che alla protezione
della
dea, dovesse Quinto la riportata vittoria al suo
bravura dei soldati, pure egli tenne il voto e per fare che il tempio
della
Fortuna fosse quant altri mai, magnifico e splend
dette questo nome alle feste da lui istituite in onore di Marte, dio
della
guerra. Nel giorno 26 del mese di Febbrajo, che r
ituite dal re di Tebe Menezio. Eraclea era anche il nome di una città
della
Friotide, nella quale la tradizione favolosa narr
i. — Nome collettivo dei discendenti di Ercole. Narrano gli scrittori
della
favola che Euristeo, re d’Argo, non soddisfatto d
terra in terra, di provincia in provincia e fino in Atene, nel centro
della
Grecia, ov’essi si erano ricoverati, intorno ad u
ovevano attendere la terza generazione, essendo questa la vera spiega
della
risposta dell’oracolo. Infatti non fu che un seco
sì le basi a quel ristabilimento che forma una dell’epoche principali
della
storia greca. 1760. Eratelea. — Cosi aveva nome i
i sacrificava a Junoni Pronube e le si offriva una ciocca dei capelli
della
sposa, mentre il fiele della vittima sgozzata si
e e le si offriva una ciocca dei capelli della sposa, mentre il fiele
della
vittima sgozzata si gettava ai piedi dell’altare,
eche : Ηρα che significa donna, e ϰλιος perfetta. 1761. Erato. — Nome
della
sesta Musa, la quale presiedeva alla poesia liric
una nazione. Le tradizioni favolose, relative a questo mito simbolico
della
forza, tal quale si trovano nei due poemi d’Omero
a conseguenza storica è affatto la stessa, ritrovandosi la etimologia
della
parola Eraclide nelle due parole gloria e Giunone
le due parole gloria e Giunone, essendo questa dea la principal causa
della
gloria immortale onde Ercole si rese famoso, comp
i rese famoso, compiendo le straordinarie fatiche, che il geloso odio
della
dea gli avea imposto fin dalla culla. Malgrado la
me di tutta la configurazione mitologica, quanto coi singoli dettagli
della
concezione primitiva. Per metter d’accordo la opi
la figura di un qualche benefico eroe, appartenente al primo periodo
della
civilizzazione, il quale accetta con gioia i più
del mito, sono essenzialmente greci, rimanendo persino spoglio l’eroe
della
tradizionale tunica di pelle e della clava, attri
rimanendo persino spoglio l’eroe della tradizionale tunica di pelle e
della
clava, attributi egiziani di cui lo si è voluto f
in prosieguo. L’inno Omerico ci presenta nello stesso ordine i fatti
della
tradizione, con la stessa semplicità con la quale
avesse troppo impicciolite le altre non meno divine personificazioni
della
tradizione favolosa, si comincio a riconoscere e
ma di passare alla esposizione dei differenti fatti che la tradizione
della
favola ci ripete sull’Ercole greco, noi richiamer
chio del suo pellegrinaggio non si estende, ciò non ostante, al di là
della
Grecia e dell’Asia minore. Giunone allora pacific
i regni di Plutone, s’innalza nell’Olimpo, ove al fianco di Ebe, dea
della
gioventù, sfolgora di una luce immortale fra le a
immortale fra le altre divinità. Tali sono almeno i tratti principali
della
storia mitologica di questo eroe. Ei grato ai Nu
re di Tebe, le cui sembianze Giove aveva assunto per avere l’amplesso
della
moglie di lui. Nato dopo di Ificlo, Ercole fu pri
rare a sè Ercole ma egli la respinse e si decise a seguire il cammino
della
Virtù ». Un giorno tornando dalla caccia Ercole s
ranza, discordi sulle opinioni tradizionali che riguardano il periodo
della
esistenza di Ercole che precede il tempo che egli
gli passò presso Euristeo. Essi sono soprattutto discordi sulla causa
della
follia di Ercole. Secondo Euripide, il delirio no
ce del suo arco micidiale. Secondo Diodoro, Giunone sofflò il delirio
della
follia nella mente del figlio di Alemena, dopo la
avendo Ercole domandato all’oracolo di Apollo il mezzo di purificarsi
della
uccisione dei proprî figli, e non avendone ottenu
. La generalità degli autori non va similmente di accordo sulla causa
della
subordinazione di Ercole ad Euristeo. La tradizio
l’ordine delle dodici fatiche non è lo stesso presso tutti i cronisti
della
favola, che il tempo del servaggio di Ercole, à s
coraggio e nella sua forza soprannaturale, Ercole affronta la durezza
della
schiavitù ed esce trionfante da tutte le prove a
cio formidabile di una poderosa clava, tagliata da un secolare albero
della
foresta Nemea. All’altra mano un baston saldo av
all’eroe l’allegorica grandezza del mito, racchiuso sotto il simbolo
della
sua forza soprannaturale. Il primo comando che Eu
tà, Euristeo gli impose di rimanere fuori le mura, essendo spaventato
della
sua forza. Dopo questa impresa, Ercole combattè c
ferite incurabili. Come terza fatica Ercole pervenne ad impadronirsi
della
cerva. Cerinitide, che egli raggiunse al corso, e
, combattendo contro le Amazzoni ; egli si impadroni del famoso scudo
della
loro regina. Il conquisto dei buoi di Gerione è u
gli fece disperdere quasi tutti i conquistati animali nelle montagne
della
Tracia. Ercole gl’insegui, e ne ricondusse la mag
le non à nulla di grossolano, quando si rapporta alla ruvida asprezza
della
vita eroica, per l’uso che essi aveano di vuotare
vrebbe dato il prezzo di quella vendita ad Euriteo, onde com pensarlo
della
perdita di suo figlio, e si fosse in ultimo obbli
, i quali hanno assai di sovente scambiato l’ Ercole greco col Sandon
della
Lidia. Da una schiava di Onfale a nome Cleoasia,
autore, che Ercole rimanesse affatto estraneo alla famosa spedizione
della
Colchide. Altre notizie non meno tradizionali, ra
trario, avere Ercole preso una parte attivissima nel memorabile fatto
della
conquista del Vello d’oro. Secondo questo scritto
hide per un cammino sconosciuto. Terminata la sua schiavitù e guarito
della
sua malattia, Ercole intraprese una spedizione co
essi si fossero aperta una via fra i nemici a colpi di spada. Padrone
della
città, Ercole fece morire a colpi di freccia il r
vendicò impadronendosi dell’isola, e uccidendo Euripilo re di quella,
della
cui figlia ebbe Tessalo. Nel combattimento Ercole
no in questa spedizione. Avendo ucciso Ippocoone, Ercole si impadronì
della
città, di cui ritornò lo scettro al suo legittimo
hea, un figlio che chiamò Tlepolemo. Poco tempo dopo resosi colpevole
della
uccisione di Eunomo, Ercole si sottomise all’esil
ise Laogara, re dei Driopi, e tutti i suoi figli con lui, per punirli
della
loro ribellione. Al suo passaggio per Itone. Erco
nemiche, egli uccise Euriteo e i tre figli di lui, e si rese padrone
della
capitale dei loro stati. Dopo aver dato la sepolt
anciò dall’alto di una roccia nel mare. …… poscia che il tosco Senti
della
fatal veste di Nesso, Svelse nel suo furor dalla
tichissima tradizione, seguendo la quale Ercole sottomesso alla legge
della
mortalità, prima della sua apoteosi, sarebbe stat
seguendo la quale Ercole sottomesso alla legge della mortalità, prima
della
sua apoteosi, sarebbe stato richiamato in vita od
ove e di Asteria. Prodigioso è il numero dei figliuoli che i cronisti
della
mitologia attribuiscono ad Ercole, concordandosi,
singole città che con un culto particolare, venerava codesto simbolo
della
forza. Seguendo la opinione di Dionigi d’Alicarna
Italici, interamente conforme al culto che a lui tributavano i popoli
della
Grecia. Questo culto si era necessariamente alter
e leggende Fenicie ed Asiatiche, che sopraccaricarono inevitabilmente
della
loro impronta particolare il colossale profilo de
resso i romani, figura l’uso di consacrargil la decima parte dei beni
della
propria famiglia, secondo che fecero Silla, Crass
alle forme atletiche, con una lira nella mano. Tutte le diverse città
della
Roma Imperiale, possedevano monumenti simili, in
ito dagli schiavi pubblici, e finalmente custodito dal Pretore stesso
della
città. I giuramenti che si facevano sull’ Ara Max
risce egualmente nell’infanzia del figlio d’Alemena, e nello sviluppo
della
sua maschile maturità. Le statue che si trovano n
so : i suoi tratti esprimono la temerità, la sua fronte la conoscenza
della
sua forza indomabile, tutto in lui annunzia infin
del corpo sono piccoli ; i capelli corti e folti, la parte inferiore
della
fronte saliente, l’espressione del volto è grave
a tremenda, invincibile, soprannaturale e fanno quasi balenare l’idea
della
vittoria, che coronò tutte le fatiche di questo d
ei figli del Titano Fetonte il quale dette il suo nome ad una città
della
Beozia detta perciò Eretria. 1769.Erea. — Gli ant
lti nel tempio di Giunone. 1770Eretteo. — Secondo la favola fu figlio
della
Terra, e fu allevato da Minerva, la quale lo educ
tolsero, nell’istesso tempo, la vita. Gli Ateniesi in commemorazione
della
loro gratitudine a questo loro re, che per il ben
rarono fra gli dei. Secondo Euripide, Eretteo fu precipitato nel seno
della
terra con un colpo di tridente da Nettuno. Un’alt
tutt’i sacerdoti del suo paese, temendo, non senza ragione, il potere
della
loro grave preponderanza nelle cose dello stato.
enivano dette Ergastine quelle giovanette le quali tessevano il peplo
della
dea, che si portava processionalmente anche nella
dei marinai, che in qualità di pilota, succedette a Tifi nel governo
della
nave degli Argonauti, secondo la cronaca egli fu
iuolo di Nettuno. 1775. Eribea. — Moglie di Astreo. Presso i cronisti
della
favola viene riguardata come madre degli astri, f
giorno sfidato alla lotta Ercole, questi accettò col patto che premio
della
pugna fossero, per parte del principe, i suoi sta
e figlia di Taleo. Essa tradì il marito, il quale venne a conoscenza
della
colpa di lei per essersi nascosto invece di andar
i Tebe, ove egli sarebbe morto, secondo che gli aveva rivelato l’arte
della
negromanzia, in cui era famoso. Venuto per altro
a fra gli astri, ove formò, nei segni dello Zodiaco, la costellazione
della
Vergine. 1781. Erilo. — Fu figlio della dea Feron
llo Zodiaco, la costellazione della Vergine. 1781. Erilo. — Fu figlio
della
dea Feronia e re di Preneste. La tradizione ripet
reso Venere che usciva dal bagno dalle braccia di Adone fu per volere
della
dea colpito di cecità. Apollo allora per vendicar
uente. È detto che allorquando Cerere andava in cerca, nelle campagne
della
Sicilia, di sua figlia Proserpina, rapita da Plut
da Plutone, essa venisse incontrata da Nettuno, il quale invaghitosi
della
bellezza di lei, la sedusse. Cerere su talmente a
nuto, che andò a nascondersi in una caverna. Inlanto colla lontananza
della
dea dell’agricoltura, la terra incominciava a sof
n modo crudele perchè mentre Erisittone dormiva ella soffiò il veleno
della
carestia nella bocca di lui e glielo fece penetra
carni. 1787. Ericinia — V. Ericina. 1788. Eritrea — In Eritra, città
della
Beozia, visse questa sibilla, conosciuta dalla tr
ore, la tradizione ripete che da quel momento egli ricuperò la vista,
della
quale godè fino all’ultimo dei suoi giorni. 1791.
i un suo poema in cui fa predire al padre di Sesto Pompeo, la perdita
della
battaglia e l’eccidio di tutta la sua famiglia. 1
di aspetto bellissimo, riunendo in sè la bellezza fisica del padre e
della
madre. Ancor giovanetto, bagnandosi nella fonte c
ole ossia la destrezza e la forza, dovevano presiedere agli esercizii
della
gioventù. 1803. Ermero. — I Greci chiamavano Cupi
interpetre o messaggiero. Gli Ateniesi, e dopo di loro tutti i popoli
della
Grecia, rappresentavano Mercurio Ermete con una p
a riva, e che quivi morisse esso stesso, quasi conoscendosi colpevole
della
morte di lui. 1806. Ermione. — Fu uno dei più ant
pevole della morte di lui. 1806. Ermione. — Fu uno dei più antichi re
della
Germania, il quale dopo la morte venne annoverato
gli dei, in premio del suo eroico valore. In quasi tutti i monumenti
della
Germania, e particolarmente nei templi, si sono r
il quale dette il suo nome ad una città posta su di un estremo lembo
della
penisola Argolide. Una vecchia tradizione raccont
la seguente tradizione favolosa. Fu detto che Vulcano per vendicarsi
della
infedeltà di Venere, allorchè questa dea ebbe dai
clamide intrisa di tutt’i delitti, cosa che fece che tutt’i figliuoli
della
sventurata furono scellerati. Il nome di Ermione
antichità fanno similmente menzione di un’altra Ermione che fu figlia
della
famosa Elena e di Menelao. Fino dalla sua infanzi
vo Pindaro che nell’assenza di Menelao teneva le redini del governo e
della
famiglia di lui. Però Menelao forse inconsapevole
della famiglia di lui. Però Menelao forse inconsapevole o non curante
della
promessa dell’avo di Ermione, promise la mano di
roja. Pirro infatti, appena ritornato in Grecia pretese il compimento
della
parola di Menelao e senza por mente alle lagrime
rare. 1810. Ero o Eros. — Sacerdotessa di Venere che visse molti anni
della
sua vita a Sesto, città dell’ Ellesponto. Essa fu
lesponto. Essa fu passionatamente amata dal giovine Leandro, abitante
della
città di Abido, posta sulla spiaggia del mare dal
to, egli per vedere la sua amata traversava a nuoto un tratto di mare
della
lunghezza circa di 875 passi. Ero, conturbata dal
ciuto da Ero, la quale disperata si precipitò nel mare volendo morire
della
morte istessa, che per amore di lei aveva incontr
si celebrava la memoria delle loro imprese gloriose. Erodoto stesso è
della
medesima opinione, allorchè dice nelle sue cronac
osì spesso menzione nelle cronache favolose, e in tutti gli scrittori
della
mitologia greca e romana, essi altro non erano, s
portava nel seno quando andò ad interrogarla. Erofila passò una parte
della
sua vita a Claro, quindi andò a Delo poi a Samo e
ibile, la cui fosca luce balenò per tanto tempo, nei fasti delittuosi
della
Grecia antica. 1815. Eros. — . V. Ero. 1816. Eros
inerva, la dimandò in moglie al padre. Sua sorella Aglaura ingelosita
della
sorte di Erse, volle impedire a Mercurio l’access
sorte di Erse, volle impedire a Mercurio l’accesso nell’appartamento
della
sorella, ma il dio, avendo cercato invano di pieg
la bianchezza di quella era stata oscurata dal veleno dell’invidia e
della
gelosia. Erse dopo la sua morte ebbe in Atene un
ri Horta, perchè si credeva esortasse i giovani a seguire il sentiero
della
virtù. 1821. Erta. — Era questo il nome che gli a
della virtù. 1821. Erta. — Era questo il nome che gli antichi popoli
della
Germania davano alla madre degli dei, che essi ad
l carro coperto nel tempio, quasi ad indicare che la dea fosse stanca
della
conversazione degli uomini. Allora si scopriva il
mini. Allora si scopriva il carro ; e gli schiavi addetti al servizio
della
cerimonia, venivano gettati nel prossimo lago. 18
i che i pagani davano alla divinità che presiedeva alla fabbricazione
della
moneta di rame. Veniva rappresentata sotto la fig
do siglio che avrebbe da questa seconda moglie, sarebbe stato cagione
della
rovina della sua patria e della sua reale famigli
avrebbe da questa seconda moglie, sarebbe stato cagione della rovina
della
sua patria e della sua reale famiglia. Esaco tols
seconda moglie, sarebbe stato cagione della rovina della sua patria e
della
sua reale famiglia. Esaco tolse in moglie la ninf
lle onde. 1824. Esaforo. — Specie di lettiga portata da sei cavalli e
della
quale usavano i patrizî romani. Si chiamava anche
ue e trascinò nel mare le incaute ninfe. Nettuno, mosso a compassione
della
loro disgrazia, le cangio in quelle isole conosci
il nome di Eschinadi. 1826. Esculano. — V. Es. 1827. Esculaplo. — Dio
della
medicina. I cronisti ed i poeti non sono d’accord
do sulla sua nascita. Taluni lo fanno figlio di Apollo e di Coronide,
della
reale famiglia dei Lapidi. Le tradizioni più accr
malattie e risuscitava i morti. Le differenti e moltiplici tradizioni
della
antichità favolosa, non si accordano punto sui mo
ioso potere : Apollonio riporta che Minerva gli avesse dato il sangue
della
Gorgone, col quale egli risuscitava i morti. ……
so ucciso dalla folgore che Giove gli lanciò temendo che il progresso
della
sua arte non giungesse a sottrarre tutti gli uomi
grificati il gallo e le capre. Il lauro, il cane, la civetta, simbolo
della
saggezza erano a lui consacrati, e soprattutto il
i osserva il serpente quale attributo delle divinità adorate come dei
della
medicina. Da ciò si potrebbe arguire che tutte co
, e talvolta la figura del giovanetto Telesforo ritennto come simbolo
della
guarigione. Esistono molte statue e busti in marm
o molte statue e busti in marmo ed in bronzo che rappresentano il dio
della
medicina, e si sono trovate buon numero di monete
simo, nella sua storia romana, e che fu portato in Roma nell’anno 462
della
sua fondazione e che era adorato sotto la figura
ice che per mezzo di un simile incantesimo egli avesse saputa l’epoca
della
sua morte, ciò che per altro non gl’impedì di mor
e, dalla parola greca Ἠονπα che significa silenzio, alle sacerdotesse
della
dea Pallade Minerva, forse perchè esse compievano
fra Nettuno e Laomedonte fosse stabilito un patto, ma non fa menzione
della
ragione di questo ; e solo aggiunge che avendo La
ze di Troja, insieme agli altri Argonauti, impietosito al tristo fato
della
regale giovanetta, spezzò di propria mano, le cat
eroe infatti combattè ed uccise il mostro, ed Esione fu fatta arbitra
della
propria volontà, avendule il padre lasciata la sc
andò il suo amico Telamone a Troja, onde esigere dal re il compimento
della
sua parola. Ma il fedifrago principe, per tutta r
nome i Galli adoravano una divinità che si suppone fosse il loro dio
della
guerra. Quei popoli sagrificavano a questo dio no
lute. Fin quì la tradizione. La storia però, semplificando a contatto
della
sua imponente severità, qualunque manto di allego
no ec. ec. Forse le Esperidi furono generalmente ritenute come figlie
della
Notte, perchè abitavano all’estremità dell’ Occid
bagnavano con acqua e mele tre volte alcuni rami di olivo in simbolo
della
pace che l’omicida cercava di riacquistare. Final
ssare di una pubblica calamità. Però è da notarsi che nella cerimonia
della
lustrazione, l’esercito da purgarsi non passava,
ndo si presentava l’occasione di dover purgare l’esercito dai delitti
della
militaire licenza. Una delle più solenni espiazio
elle più solenni espiazioni che troviamo ripetuta in tutti i cronisti
della
favola, era presso i romani quella che veniva sol
l calendario romano segnava dei giorni prestabiliti per la espiazione
della
città di Roma. Una di queste date era il cinque d
tradizione favolosa, ricorderemo il fatto di Edipo, il quale esiliato
della
sua patria, drizzò per caso i suoi passi verso At
lla libazione dell’acqua di tre diverse fonti ; nel coronare le tazze
della
lana di fresco tosata di una pecora lattante ; il
a questo nome alle feste che si celebravano in onore degli dei, prima
della
partenza. In queste cerimonie s’invocava la prote
monie e sacrifizî solenni, che si celebravano quasi in tutte le città
della
Grecia, e segnatamente in Corinto, ed a cui si da
del quale si servivano gli Aruspici per estrarre le viscere dal corpo
della
vittima. 1845. Eta. — Monte della Tessaglia più c
i per estrarre le viscere dal corpo della vittima. 1845. Eta. — Monte
della
Tessaglia più comunemente conosciuto nella tradiz
u questa montagna. 1846. Età. — I cronisti ed i poeti più accreditati
della
favola, concordano tutti sulla divisione del temp
. 1847. Etalide. — Figlio di Mercurio e di una giovanetta discendente
della
stirpe reale degli Eolidi. La tradizione favolosa
a sull’essere stato Etalide araldo degli Argonauti ; e sugli obblighi
della
sua carica, che a lui imponevano di essere talora
e termine col duello dei due fratelli, che restarono entrambi vittime
della
loro inimicizia. Le roi quì semble mort, observe
otti. Al dire di Euripide, questo eroe giovanetto, sfornito dei beni
della
fortuna, si acquistò molta gloria e rinomanza nel
er mezzo di simboli allegorici, i caratteri principali che il simbolo
della
favola attribuiva all’eternità. Infatti la Fenice
alle sue ceneri) era il simbolo dell’immortalità : l’elefante, quella
della
lunga vita ; e finalmente aveva il globo nella de
orpo che non ha confini. 1853. Eteta. — Giovanetta di Laodicea, città
della
Siria. Amò così perdutamente suo marito che, seco
uomo, onde poter sempre accompagnare suo marito e difenderlo a costo
della
sua vita. 1854. Etilia. — Una delle molte figliuo
ome dato di sovente dai pagani ai cavalli. 1856. Etna — La tradizione
della
favola racconta che la fucina del dio Vulcano, e
i sue ragioni, delle quali la cronaca non fa parola, durante il tempo
della
gravidanza di Etra, non volendo palesare l’unione
e che Nettuno, nume particolarmente adorato in Trezene, innammoratosi
della
figlia, l’avesse resa madre ; e che per conseguen
. E quando Castore e Polluce corsero alle armi per vendicare il ratto
della
sorella e s’impadronirono di Afidne, profittando
e il più valoroso dei guerrieri che spesero la propria vita in difesa
della
sventurata città. …… e questi Furiando parea Mar
i più famosi guerrieri greci perirono per mano di lui, sotto le mura
della
contrastata città. Correva il decimo anno del fam
al suo carro il cadavere di lui, fa per tre volte il giro delle mura
della
città. ….. e contro l’estinto opra crudele Medit
ogo, nelle mura stesse di quella città, che egli aveva difesa a costo
della
sua vita, fu abbruciato secondo il costume degli
la sacra dei corona, in segno d’aver egli compiuti, con molto decoro
della
repubblica, alcune importanti missioni che aveva
cronaca mitologica ci presenta sotto questo nome un giovine abitatore
della
Tessaglia, il quale recatosi a Delfo, per consult
crate. — Una delle cinquanta Nereidi. 1870. Eudemonia. — Nome proprio
della
dea della felicità. In greco la parola Ευγαῳουια
na delle cinquanta Nereidi. 1870. Eudemonia. — Nome proprio della dea
della
felicità. In greco la parola Ευγαῳουια deriva da
obio. — Fu uno dei principali capi dei Trojani nel memorabile assedio
della
loro città. Era figlio di Penteo, e mori sotto le
e φρης che significano consiglio si dette il nome di Eufrona alla dea
della
notte, riguardata, secondo l’antico proverbio, co
he ha nella mano sinistra una picca e nella destra una piccola statua
della
dea Minerva ; forse a ricordare non esservi cosa
tradizione che Eumeo, nella sua infanzia, fu rubato da alcuni Pirati
della
Fenicia, i quali lo condussero nell’isola d’Itaca
accreditata però, racconta di lui che, avendo contrastato il possesso
della
città di Atene ad Eretteo, questi gli mosse guerr
ad Ercole la musica. V. Ercole. 1887. Euneo. — Figliuolo di Giasone e
della
giovanetta Isifile, figlia di un re della Tracia
o. — Figliuolo di Giasone e della giovanetta Isifile, figlia di un re
della
Tracia per nome Toante. Giasone in un suo viaggio
frutto dei suoi amori con Giove. 1890. Eunomo. — Fu un famoso musico
della
città di Locri. La cronaca favolosa narra di lui
recandosi nella città di Delfo, insieme ad un altro celebre suonatore
della
città di Reggio, per nome Aristano onde sostenere
l’istromento, supplì col suo canto con tanta aggiustatezza al difetto
della
corda, che Eunomo fu il vincitore nell’artistica
Alice, (che divideva le due città di Locri e di Reggio), dalla parte
della
città di Locri mentre restavano mute sulla riva p
e navigazione. La geografia antica ci ammaestra che nelle circostanze
della
città di Napoli, vi era una montagna chiamata Eup
e amore che lo legava a Niso, altro giovane guerriero, e che fu causa
della
morte di entrambi. Eurïalo era seco, un giovanet
o da questo Euribate. 1898. Euribia. — Al dire di Esiodo fu figliuola
della
Terra, moglie di Crejo e madre di Perseo, di Pall
trasse in luogo deserto, e pianse notte e giorno, al suono dolcissimo
della
sua lira, la perdita irreparabile che aveva fatta
eterna la notte, si accostò al tetro monarca delle ombre, e col suono
della
sua lira discese nei più profondi recessi del Tar
ardarla, se non quando fossero entrambi completamente fuori dai regni
della
morte. Ma appena fatto breve cammino, Orfeo non s
ppe resistere al desiderio ardentissimo di rivedere le care sembianze
della
sua amata, e si rivolse a guardarla ; ma nell’ist
ali. Questa truce divinità, secondo la tradizione favolosa, si cibava
della
carne dei morti. Nel tempio di Delo vi era una su
per più giorni in balia dei venti, ma finalmente fu spinto sulle rive
della
città di Patrasso ; e nel mettere piede a terra,
a fanciulla su di un altare di Diana Triclaria. Risovvenendosi allora
della
volontà dell’ oracolo, egli si fece riconoscere d
nia, dettero il nome particolare di Esimnete. Euripile fu anche un re
della
Libia e propriamente di quella contrada detta Cir
bia, che s’incontrano nelle circostanze delle isole Sirti. Il simbolo
della
favola, prendendo, da questo fatto semplicissimo,
do stata la nave degli Argonauti spinta da una burrasca sulle spiagge
della
Libia, apparve loro un tritone in forma umana e d
uno dei più belli principi dei suoi tempi e comandava i Cetei, popoli
della
Misia, i quali allorchè Euripile fu morto da Achi
nzo per nascondervisi in caso di bisogno. 1906. Euristemone. — Statua
della
dea Tellure la quale veniva così chiamata perchè
la città di Ege in Acaja, essa aveva un tempio, che era il più antico
della
Grecia, e nel quale era adorata sotto questo nome
cui aveva promesso la mano a colui che lo avesse vinto nell’esercizio
della
freccia. Inorgoglito della sua destrezza osò disf
a colui che lo avesse vinto nell’esercizio della freccia. Inorgoglito
della
sua destrezza osò disfidare gli dei e allora Apol
ato signore. Eurizione si chiamava anche quel centauro che fu cagione
della
celebre contesa fra i Lapidi ed i Centauri. Al di
sta opinione non è generalmente adottata. Eurota si chiamava un fiume
della
Tessaglia. Al dire di Omero, le acque di questo f
edemoni in guerra con gli Ateniesi, aspettavano per fissare il giorno
della
battaglia, che fosse compiuto il plenilunio. Però
o della battaglia, che fosse compiuto il plenilunio. Però il generale
della
armata Lacedemone per nome Eurota, mise in derisi
e poi finì con la battaglia di Azio, avesse incontrato fuori le porte
della
città, un uomo il quale spingeva innanzi a sè un
quivi, vestitasi degli abiti più ricchi, sali su di una rupe ai piedi
della
quale era preparato il rogo, e quando le fiamme a
ssero unite per sempre alle ceneri dell’uomo che essa aveva amato più
della
vita. 1916. Evagora — Una delle cinquanta ninfe N
sacerdotesse di quei misteri. 1918. Evandro — Così aveva nome il capo
della
prima colonia stabilita dagli Arcadi in Italia, n
senza sapere che era figlio di Giove : ma appena venne in conoscenza
della
origine divina dell’oreo, e seppe le gloriose azi
o vivesse ancora ai tempi di Enea, che fosse a lui legato coi vincoli
della
parentela, e che lo aiutasse colle sue soldatesch
uesto il nome di una delle cinquanta Nereidi. 1920. Evemerione. — Dio
della
medicina presso i Sicioni, i quali lo invocavano
soprannome a Bacco. 1922. Evocazione — Cerimonia religiosa per mezzo
della
quale i pagani evocavano gli dei ovvero le anime
mine per liberarsi da qualche nemico. Numa Pompilio, il più saggio re
della
Roma antica, evocò anch’egli di sovente il fulmin
ntando alcune strofe, senza di che credevano impossibile impadronirsi
della
città nemica ; e ritenevano che quand’anche avess
emica ; e ritenevano che quand’anche avessero potuto rendersi padroni
della
città assediata, senza aver prima fatta l’evocazi
ato un gran sacrilegio il far prigionieri gli dei penati e protettori
della
città nemica. « Allora il Dittatore uscito fuori
a deità, come mia scorta, vo’io ora a distruggere la città Veientana,
della
cui preda ti fo voto e prometto la decima parte.
e tosto tua città, dove tu sia ricevuta in un magnifico tempio, degno
della
tua grande deità. Tito Livio — Storia Romana — L
nzione di un tempio nella Tespozia, ove andò Orfeo ad evocare l’anima
della
sua diletta Euridice. Ulisse, recandosi nel paese
do ; e che al sol Tiresia, e a parte. Immolerei nerissimo ariete, Che
della
greggia mia pasca il più bello, Fatte ai mani le
, alcuni sacrifizii, nei quali si offeriva alla dea Carna del lardo e
della
farina di fava. Da ciò fu chiamato Fabaria questo
ino. — Dal latino Fari, favellare. I romani davano questo nome al dio
della
parola, il quale presiedeva all’ educazione dei f
nca e miete ogni cosa. 1933. Fallsio. — Così avea nome un uomo nativo
della
città di Naupatto, nella Focide. La tradizione mi
Anite, che ella non faceva se non se ubbidire al comandamento del dio
della
medicina ; concepì qualche speranza, prese la let
acco. L’istituzione di tali feste era dovuta ad un tale Pegaso nativo
della
città di Eleutera, il quale secondo riferisce la
umano, cui si dava il nome collettivo di Fallo. Ciò in commemorazione
della
seguente tradizione. Avendo Tifone ucciso il frat
va durante le cerimonie falliche. I Fallolori correvano per le strade
della
città, mentre continuava la celebrazione di quest
à del paganesimo. La tradizione mitologica ce la presenta come figlia
della
terra, e sorella dei giganti Encelado e Ceo, e ci
à, insieme alle malattie, ai travagli, alla povertà, e a tutti i mali
della
vita, che similmente essi personificavano ed ador
sotto la figura di un serpente ripiegato in cerchio, coll’ estremità
della
coda fra i denti. 1942. Fantasmi. — Assai di sove
denti. 1942. Fantasmi. — Assai di sovente si trova ripetuto nei fasti
della
mitologia pagana, che gli dei formavano spesso de
uì fino su di un vascello che si trovava nel porto. Allora per volere
della
dea il fantasma disparve e il vascello fu spinto
a sempre in cose inanimate. 1944. Faone. — Così avea nome un abitante
della
città di Mitilene, nell’isola di Lesbo, il quale
, il quale si rese celebre per la sua straordinaria bellezza. I poeti
della
favola finsero che Venere lo avesse fatto così so
esentava con una gran barba. Di contro a questa, sorgeva il simulacro
della
dea Vesta, similmente di marmo, e circondato tutt
e accenderle ; quindi avanzarsi verso l’altare e mettere nella destra
della
statua una moneta ; e finalmente avvicinarsi al s
i, le quali dovevano restare compiute, a simiglianza del fato estremo
della
città Priamea. La prima di codeste fatalità, era
ani abbatterono il sepolcro di Laomedonte, allorchè fecero nelle mura
della
loro città una breccia che dette passaggio al fam
ento tutte quelle fatalità che il destino imponeva alla finale caduta
della
città trojana, la quale è stata quella fra tutte
, e dei silvani e fauni in particolare. Fatua era anche un soprannome
della
Buona Dea. V. Buone Dea. 1952. Fatuel — Al dire d
ole, sotto al cui velo trasparente e diafano, sono ravvolti i misteri
della
filosofia. Le favole morali si dicevano quelle la
ddentrato nei più remoti recessi dell’antichità, era il Favore figlio
della
bellezza, seguace della fortuna e compagno dell’a
recessi dell’antichità, era il Favore figlio della bellezza, seguace
della
fortuna e compagno dell’adulazione. Era sempre ac
onosce i suoi amici quando s’innalza. 1956. Faula — Fu il nome di una
della
amanti di Ercole. Lattanzio nelle sue cronache de
gli scrittori dell’antichità, sulla paternità di questo dio campestre
della
mitologia pagana. Taluni lo fanno figliuolo di Ma
fanno successore al trono di suo padre. Soventi volte nelle cronache
della
Favola, egli viene confuso con Saturno, forse per
nza di Saturno avesse introdotto in Italia il culto degli antichi dei
della
Grecia. Essendosi durante la sua vita dedicato co
ico-favolosa, che così aveva nome il capo dei pastori di Numitore, re
della
città di Alba. Narrano le cronache, che avendo un
. 1966. Febo — I greci davano codesta appellazione ad Apollo come dio
della
Luce e forse per alludere anche al calore che ema
ta a tutte le cose. In greco le parole φως τδ βιου significano : lume
della
vita. L’opinione più generale però è che Apollo s
significa purificazione. 1968. Februa o Februata — Giunone, come dea
della
purificazione, veniva onorata in Roma, sotto ques
, che pubbliche. 1970. Februo — Discorde è l’opinione degli scrittori
della
favola, su questa divinità ; imperocchè, Macrobio
ano ricevuta questa divinità per trasmissione dai primitivi abitatori
della
Grecia, presso i quali però questa era una dea, p
ebbre aveva un tempio sul monte Palatino, e altri due in altri luoghi
della
città. 1972. Fectali — La istituzione di codesti
uoghi della città. 1972. Fectali — La istituzione di codesti ministri
della
religione pagana, i quali erano una specie di ara
e coronato di verbena, presso il popolo nemico, o innanzi alle porte
della
città ostile, e quivi, chiamando Giove e gli altr
e cronache dell’antichità, che quando le donne si recavano nel tempio
della
dea, per invocare la grazia di esser feconde, i s
te per florida bellezza, col seno interamente nudo fino a ! principio
della
cintura, e con quattro fanciulli, due fra le brac
o, e con una tortorella nell’altra, essendo questo uccello il simbolo
della
fedeltà, per la fede che porta alla sua compagna.
. Fedra — Così aveva nome la famosa figlia di Minosse, re di Creta, e
della
infame ed impudica Pasifae. Fu sorella di Arianna
ne. A poco a poco crebbe così fattamente la fiamma colpevole nel seno
della
disgraziata donna, che temendo di dover ritornare
onna, che temendo di dover ritornare in Atene, e di restar così priva
della
vista dell’amato giovane, fece edificare su di un
accorte e seducenti parole ad Ippolito l’amore che bruciava il sangue
della
matrigna per lui. Ma avendo Ippolito respinto con
ia, preferendo la morte al disonore. Una delle più antiche tradizioni
della
favola, aggiunge a questo proposito, che vicino a
azioni in versi esametri. 1980. Feniee. — Uccello favoloso del colore
della
porpora, che gli antichi credevano unico della su
lo favoloso del colore della porpora, che gli antichi credevano unico
della
sua specie, e dotato della prodigiosa qualità di
a porpora, che gli antichi credevano unico della sua specie, e dotato
della
prodigiosa qualità di rinascere dalle proprie cen
rande come un’aquila, con le piume del collo dorate e le altre colore
della
porpora bianche e verdi, e cogli occhi scintillan
do le cronache dell’antica cronologia, è segnata la prima apparizione
della
Fenice, sotto il regno di Sesostri ; la seconda d
assio, fu ritenuta come presagio di prossima morte questa apparizione
della
Fenice. Nell’ intento di portar sempre l’attenzio
i questa nostra opera, gioverà grandemente far notare che molti padri
della
chiesa cristiana, come S. Tertulliano, S. Ambrogi
itti di questa credenza pagana del risorgimento, dalle proprie ceneri
della
Fenice per confermare l’idea miracolosa della res
o, dalle proprie ceneri della Fenice per confermare l’idea miracolosa
della
resurrezione dei corpi, e cio non perchè essi pre
mitologia che precede questa nostra opera. L’opinione dell’esistenza
della
favolosa Fenice si trova anche presso i Cinesi e
ava del pari un’istrumento da corda assai in uso presso gli abitatori
della
Tracia, a causa forse del nome se ne attribuiva l
o volontariamente dalla sua patria e si condusse nella città di Ftia,
della
quale era re Peleo, padre di Achille, che lo acco
dò nella Bitinia, ove fondò una colonia, e diffuse il culto degli dei
della
sua nazione. Alcune cronache dell’antichità, pret
chità, pretendono che questo Fenice fosse l’inventore delle lettere e
della
scrittura ; e che avesse trovato il mezzo di serv
mezzo di servirsi di un piccolo verme onde dare alle stoffe il colore
della
porpora. 1981. Fenna. — Secondo riferisce Pausani
a, la quale visse, secondo le cronache dell’antichità verso il cadere
della
136’. Olimpiade, vale a dire circa 200 anni, prim
so il cadere della 136’. Olimpiade, vale a dire circa 200 anni, prima
della
venuta di Gesù Cristo. Al dire di Pausania, Fenni
della venuta di Gesù Cristo. Al dire di Pausania, Fennide era dotata
della
qualità di predire l’avvenire e dopo la sua morte
e di Roma, e fu detto che le anime dei morti si agirassero per le vie
della
città. I Romani, spaventati da siffatti prodigi,
ea Feronia, gli abitanti vollero trasportare in altro luogo la statua
della
dea ; ma che al momento in cui si accingevano al
mente di foglie. Ritenendosi allora quel prodigio come manifestazione
della
volontà della dea, di rimanere in quel bosco, fu
e. Ritenendosi allora quel prodigio come manifestazione della volontà
della
dea, di rimanere in quel bosco, fu lasciato il si
rro. — Fu l’ultima delle quattro età nota te dai poeti e dai cronisti
della
favola come i quattro staccati periodi del tempo
giorni senza esserne divorata. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache
della
favola, che Bacco, che fu uno dei più famosi legi
osi legislatori dell’ antichità avesse proibito ai primitivi abitanti
della
terra che servirono del vino come bevanda, di far
uochi pubblici, le cerimonie ecc. che erano in vigore presso i popoli
della
antichità favolosa e sopra tutto presso i romani
amoso figliuolo del Sole e di una ninfa per nome Climene. Le cronache
della
favola ne fanno tutte menzione, come di colui che
l suo valore, E disse, un giorno voler esser duce Del suo bel carro e
della
sua gran luce Ovidio — Metamorfosi — Libro II tr
li stesso i bianchi destrieri del Sole. Ma ben presto ebbe a pentirsi
della
sua audacia, imperocchè i cavalli riconoscendo di
etamorfosi — Libro II trad. di Dell’Anguillara. 1997. Fetusa. — Nome
della
maggiore fra le sorelle di Fetonte. Stauca Fetusa
Anguillara. Fetusa e Lampezia avevano nome due figliuole del Sole, e
della
ninfa Neerea. Esse erano le custodi delle mandre,
ico, che rivestiva generalmente il nome stesso delle differenti deità
della
favola : infatti Fetusa, secondo che riferiscono
ache mitologiche alludeva allo splendore del Sole e Lampezia a quello
della
Luna. Neerea poi, loro genitrice, raffigurava la
nna ateniese, di un’altezza quasi gigantesca ed assai bella di volto,
della
quale le cronache mitologiche raccontano un curio
governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare che si dava al dio
della
fedeltà, per il quale si prestava il giuramento d
alla quale si attiene Pausania stesso dà questo nome ad uno abitante
della
città di Corinto, il quale nel prendere parte ai
le nel prendere parte ai giuochi olimpici, si lasciò cadere dal dorso
della
sua cavalla, al principio della corsa. Però l’ani
olimpici, si lasciò cadere dal dorso della sua cavalla, al principio
della
corsa. Però l’animale come se fosse stato sempre
e stato sempre guidato, compi tutto il giro dello steccato ; al suono
della
tromba raddoppiò di velocità e avendo sorpassato
ficazione di esseri inanimati : così il fiume Acheronte, fu figliuolo
della
dea Cerere ; Eco fu figlia dell’ aria ; l’Amore f
lo della dea Cerere ; Eco fu figlia dell’ aria ; l’Amore fu figliuolo
della
povertà etc. etc. Furono in secondo luogo ritenut
ligiose credenze dei pagani, imperocchè erano ritenuti come figliuoli
della
terra tutti coloro la cui origine era sconosciuta
he la sfrenata libidine sacerdotale, aveva dalle donne che i ministri
della
divinità subornavano nei templi e perfino sui gra
età più recenti e civilizzate, il potere assoluto e dispotico dei re
della
terra appoggiarsi largamente, e con solida sicure
te, e con solida sicurezza, all’empio e tenebroso potere dei ministri
della
divinità, per modo che la tradizione mitologica,
commercio, faceva sparger voce che un dio era il padre di quel frutto
della
colpa : così Ercole fu figliuolo di Giove e di Al
ordine alfabetico, avevano presso i romani la particolare protezione
della
nascita dei fanciulli e della educazione dei figl
esso i romani la particolare protezione della nascita dei fanciulli e
della
educazione dei figliuoli. Le principali fra quest
a un tal soprannome ad Ecate. 2005. Filachide e Filandro. — Figliuoli
della
ninfa Acadallide e di Apollo. La tradizione mitol
nto nel tempio stesso di Delfo. 2007. Filammone. — Figlio di Apollo e
della
ninfa Chiona. Resosi celebre per la sua bellissim
nava la lira, la tradizione mitologica lo fa figliuolo di Apollo, dio
della
musica. Altri lo pongono nel numero degli Argonau
endo risuonare il monte Pelio dei suoi nitriti. Cosi Saturno a vista
della
moglie Diffondeva la chioma, e di anitriti In voc
albero di tiglio. 2012. Fillide. — Discorde è l’opinione dei cronisti
della
mitologia sulla paternità di questa principessa ;
narra che Demofoonte, re d’Atene, gettato da una tempesta sulle rive
della
Tracia, al suo ritorno in patria dall’assedio di
la sventurata regina mori, fu chiamato, le nove strade, in ricordanza
della
corsa che la povera Fillide aveva fatto per nove
tto la denominazione del sepolcro di Fillide. La tradizione allegoria
della
favola aggiunge che gli dei mossi a compassione d
se fossero bagnate e che quell’umore altro non era se non le lagrime
della
disgraziata Fillide, morta per amore. 2013. Fillo
bambino. Narra la cronaca, che Alcimedonte, severo custode dell’onore
della
famiglia, per punire la figlia dell’onta ch’ella
al neonato esporre sulla montagna detta Ostracina, nelle circostanze
della
città di Figalia, e che quivi una gazza sentendo
erfezione, che un giorno passando Ercole per di là, sentendo la voce,
della
gazza la credette il grido d’un bambino abbandona
el luogo costruita una fontana, alla quale fu dato il nome di fontana
della
gazza. Il fanciullo fu chiamato Ecmagora, di cui
esto nome ad uno dei cavalli del sole, nella significazione di amante
della
lerra, perchè il sole quando tramonta sembra abba
a sovrumana bellezza di Filomena, concepì l’infame pensiero di gioire
della
bella persona ; onde posto piede a terra, la rinc
o alquanto il dolore acerbissimo, essa pensò di onorare la cara anima
della
defunta, alla quale fece innalzare un magnifico m
pensiero, ogni favorevole occasione di vendetta. Infatti, giovandosi
della
ricorrenza di una festa a Bacco, che si celebrava
rete camere del suo palazzo insieme al piccolo Iti, figlio di Tereo e
della
sventuratissima Filomena. Posta per tal modo in s
lla stessa fece ser vire al banchetto che il marito dava in occasione
della
festa di Bacco. Alla tine del convito Filomena co
Al dire di Pausania, le due sorelle a cui le terribili vicissitudini
della
loro vita, avevano completamente distrutta la ser
e innocente. Il nido tornò a far nel regio tetto E non ebbe vergogna
della
gente : Nel sangue del figliuol ancora ha il pett
erazione. Filonome era similmente chiamata una figliuola di Nittimo e
della
ninfa Arcadia. Narra la tradizione mitologica, ch
l destino di Troja era scritto, che essi non si sarebbero impadroniti
della
città, senza le famose frecce di Ercole, V . Fat
vedemmo, essendo rimaste le frecce in potere di Filottete, i destini
della
città non potevano compirsi ; ond’ è che Ulisse,
re dei suoi, i quali scorati dalia morte di Achille, disperavano omai
della
caduta di Troja. Ulisse infatti in compagnia di N
ei strali alla mia pira Tu poi le reca…….. ………Ivi Esculapio Risanator
della
ferita in breve Ti manderò. Fato é che Troja in s
cle — Filottete — Tragedia trad. di F. Bellotti. Terminato l’assedio
della
città Priamea, e resisi i greci padroni di essa F
isi i greci padroni di essa Filottete del tutto risanato da Esculapio
della
sua ferita al piede, pensò dapprima di ritornare
cia, ma poi avendo saputo la morte di suo padre, s’imbarcò alla volta
della
Calabria in compagnia di alcuni Tessali, che lo a
almente che Filottete fosse stato uno degli Argonauti ; e a proposito
della
sua famosa ferita ripete che questa non fu cagion
bene dalla morsicatura di un serpente. 2021. Fineo. — Re di una città
della
Tracia conosciuta nella geografia antica sotto il
si avevano attentato al pudore di lei. Fineo perdutamente innammorato
della
perversa donna, credè alle sue parole e fece cava
ge a questo proposito che Ercole il quale, come vedemmo, faceva parte
della
spedizione degli Argonauti, avesse chiesto a Fine
due figliuoli i domini di lui. 2022. Fiscoa. — Nella parte inferiore
della
contrada d’Elide visse una giovanetta chiamata in
fu per lungo tempo chiamato il coro di Fiscoa, per onorare la memoria
della
madre di Narcea. 2023. Fitalo — Fu uno degli eroi
ava in cerca di sua figlia Proserpina. Cerere per ricompensare Fitalo
della
sua buona accoglienza, gli fece presente di un al
ana, la quale come abbiam visto e come seguiteremo a vedere nel corso
della
nostra opera, personificava ed adorava sovente co
borgate dell’Egitto, il fiume Nilo che era uno dei più venerati numi
della
loro religione ; a motivo degl’immensi vantaggi c
particolare per il fiume Ilisso. Faremo ancora notare a testimonianza
della
verità delle nostre asserzioni, la grande e conos
daglie, su cui erano incise le parole Deus Rhenus ; il Paniso era una
della
principali divinità dei Messeni, i quali gli offe
n oracolo, e finalmente il Tevere era una delle divinità pro tettrici
della
Roma pagana. Al dire di Esiodo tutti i fiumi eran
elle credenze religiose del paganesimo, come figliuoli dell’ Oceano e
della
ninfa Teti ; e generalmente gli antichi effigiava
ta però un’ opinione respinta’ dalla gran maggioranza degli scrittori
della
favola, e in completa contradizione a quanto asse
è dovuta a Numa Pompilio ; e secondo Plutarco a Romolo. Al principio
della
loro istituzione, i sacerdoti Flamini erano tre e
loro figliuole, esenti dall’ essere scelte come Vestali. La cerimonia
della
consacrazione si faceva dal Pontefice massimo ; e
cerdoti Flamini, i quali in questa occasione prendevano oltre al nome
della
divinità a cui erano consacrati. anche quello del
i. Virgilio — Eneide — Libro VItrad. di A. Caro. 2031. Flegia. — Re
della
Beozia e propriamente di quella contrada che dal
uomini arditi e valorosi, che Flegia aveva riuniti da tutte le parti
della
Grecia e condotti seco ad abitare quella parte de
a tutte le parti della Grecia e condotti seco ad abitare quella parte
della
Beozia, che dal nome di lui fu detta Flegia — ved
. Dei’moustier — Lettres XLIX a Emilie sur la Mythologie. Il culto
della
dea Flora era in pieno vigore presso i Sabini, mo
della dea Flora era in pieno vigore presso i Sabini, molti anni prima
della
fondazione di Roma ; lo che ci dimostra che la de
rassitele, dandoci così un attestato innegabile dell’ essere il culto
della
dea Flora passato dalla Grecia in Italia. Una som
a ragione che fece confonderla spesso coll’antica dea Flora, in onore
della
quale si celebravano dei giuochi detti dal suo no
. Florali. — Dette anche Antistesie. Feste celebrate in Roma in onore
della
dea Flora. Esse duravano sei giorni, terminando a
i Maggio. Florali si chiamavano del paro i giuochi istituiti in onore
della
dea Flora. Varrone asserisce che sotto il regno d
ni sotto tutti gli aspetti che ispirano il terrore. 2038. Fobo. — Dea
della
paura : i greci l’avevano divinizzata e la rappre
appresentavano con una testa di leone. 2039. Foco. — Figlio di Eaco e
della
Nereide Pfammate. Narra la cronaca, che Eaco avev
due altri figliuoli chiamati Peleo e Telamone, i quali ad istigazione
della
matrigna erano in continua dissenzione fra loro.
Avvenne un giorno, che Foco giuocando con Telamone e Peleo al giuoco
della
piastrella, Telamone nel lanciare la sua, ferì co
Peleo, Telamone e, la stessa Pfammate. 2040. Folo. — Centauro, figlio
della
ninfa Melia e del dio Sileno. Le cronache della f
o. — Centauro, figlio della ninfa Melia e del dio Sileno. Le cronache
della
favola narrano di lui, che allorquando Ercole det
2043. Forco. — Detto anche Forcide, era al dire di Esiodo, figliuolo
della
Terra e del Mare. Atlante lo vinse in un combatti
favolosa. La parte storica di questa allegoria, è che Forco era un re
della
Corsica, il quale sconfitto in un combattimento n
feste è dovuta a Numa Pompilio. 2046. Formiche. — Gli antichi popoli
della
Tessaglia, credevano che essi avessero tratta la
ta la la loro origine da quest’insetti, e propriamente dalle formiche
della
selva di Egina. Avevano quindi per esse un culto
ornacali. — In Roma si celebravano delle feste così chiamate in onore
della
dea Fornace, alla quale si facevano dei sacrifizi
si celebrava annualmente dodici giorni prima delle calende di Marzo e
della
quale secondo le tradizioni dell’ antichità Numa
fatti, Pausania asserisce che nella città di Egina, vi era una statua
della
Fortuna, in cui essa veniva effigiata con un corn
e, che in amore val più la fortuna che l’ aspetto. Pindaro invece, fa
della
Fortuna, una delle Parche, dandole un potere assa
vente il polo sulla testa. Nella città di Tebe si venerava una statua
della
Fortuna che la rappresentava conducente per mano
la volubilità di quei beni, di cui essa è la dispensatrice. Il culto
della
Fortuna presso i romani, era stato trasmesso dai
o pochi anni dopo la sua costruzione. Coll’ andare del tempo il culto
della
Fortuna divenne generale in tutta Roma, ove essa
tre divinità dell’ olimpo pagano tutte insieme riunite. A simiglianza
della
infinita moltiplicità delle statue e dei templi d
o i diversi bisogni di coloro che la invocavano. Il più famoso tempio
della
Fortuna, fu quello che le venne fabbricato nella
miti religiosi, davano per madre la dea Temide, e la facevano sorella
della
Giustizia e della Temperanza. 2053. Fraude. — Ben
vano per madre la dea Temide, e la facevano sorella della Giustizia e
della
Temperanza. 2053. Fraude. — Ben pochi sono gli sc
i facciano menzione di questa dea ; e solo Esiodo, nelle sue cronache
della
favola, la mette nel numero dei figliuoli della N
o, nelle sue cronache della favola, la mette nel numero dei figliuoli
della
Notte. Il Boccaccio, nella sua Genealogia degli d
tro non erano se non i raggi del sole ; cosicchè quando la tradizione
della
favola ci ricorda che i figliuoli di Niobe fosser
en cagionata dall’ eccessivo calore dei raggi del sole, fu la cagione
della
morte di tutti i figli di quella sventuratissima
a e di Atamante. Avendo suo padre tolta un’altra moglie dopo la morte
della
prima, Frisso fu esposto a tutti i cattivi tratta
la morte della prima, Frisso fu esposto a tutti i cattivi trattamenti
della
matrigna, onde egli esortato anche dai consigli d
tesori paterni, in compagnia di sua sorella Elle, veleggiò alla volta
della
Colchide ; ove giunto fu cortesemente ospitato da
gani invocavano per ottenere un largo raccolto. 2058. Fulgora. — Nome
della
divinità che presiedeva ai lampi ed ai luoni ; e
ni. Fra gli scrittori dell’antichità, Seneca è quello che fa menzione
della
dea Fulgora, dicendo che essa era una dea vedova.
I trad. di A. Caro. Presso i pagani, il Fulmine, era il contrassegno
della
suprema autorità ed è appunto perciò che nel temp
— Fra tutte le divinità del paganesimo, il Fuoco, fu quella il culto
della
quale era esteso a tutti i popoli della terra. Es
il Fuoco, fu quella il culto della quale era esteso a tutti i popoli
della
terra. Essendo il fuoco il più nobile degli eleme
nel venerarlo. I Caldei che sono i più antichi fra i primitivi popoli
della
terra, e quelli coi quali ebbero dapprima relazio
a, la qual cosa era ritenuta dai persiani come il più alto privilegio
della
nobiltà. Allorquando un re persiano era moribondo
è e senza alimento. Così fatta credenza, figlia del’a superstizione e
della
ignoranza, fomentata presso i pagani dalla impost
a cui erano addette. In fatti secondo Esiodo le Furie erano figliuole
della
Terra, e concepite dal sangue di Saturno ; sebben
re opere del citato scrittore egli asserisca che esse erano figliuo’e
della
Discordia e nate nel quinto della Luna. Eschilo l
asserisca che esse erano figliuo’e della Discordia e nate nel quinto
della
Luna. Eschilo le fa figliuole del flume Acheronte
nel quinto della Luna. Eschilo le fa figliuole del flume Acheronte e
della
Notte, e le nomina Dire. Prole siam noi dell’ at
nerate dalla Terra e dall’Erebo Possanza v’ banno Le terribili dive,
della
Terra E dell’ Erebo figlie : Sofocle — Edipo a C
rità negli scrittori antichi ; ma anche sul numero di queste ministre
della
giustizia eterna, dappoichè Virgilio le porta ad
In quanto alle loro attribuzioni, tanto sulla terra quanto nel regno
della
morte, le Furie venivano sempre considerate come
pre considerate come dee tremende ed inesorabili, e come sacerdotesse
della
vendetta degl’ immortali. Il loro ministero era q
Furie, veniva considerato come un sacrilegio. In quasi tutte le città
della
Grecia sorgevano templi ed altari consacrati alle
alle Furie. 2065. Furinale. — Nome particolare del flamine sacerdote
della
dea Furina. V. l’ art. precedente. 2066. Furinali
a dea Furina. V. l’ art. precedente. 2066. Furinali. — Feste in onore
della
dea Furina. V. Furina. 2067. Furore. — Divinità a
a la strage e la morte. Comunemente si riteneva il Furore come figlio
della
Notte. G 2068. Gabalo. — Nella città di Eme
dolori del parlo, Galantide fosse uscita per breve tempo dal palazzo
della
sua signora e che nel rientrare premurosamente in
ornò premurosamente vicino alla vecchia, dicendole, con i controsegni
della
più viva gioia, che la sua padrona si era sgravat
ologia. 2074. Galassie. — Feste consacrate ad Apollo. Alcuni cronisti
della
favola vogliono, che le feste Galassie prendesser
— La più bella fra le cinquanta Nereidi. Più mobile dell’ onda, Più
della
luce bionda. Del Zeffiro più snella, L’insigne no
spaventevole Ciclope, avendo vista Galatea, restò perdutamente preso
della
bellezza di lei ; e dimentico d’ ogni altra cura,
n più avido di sangue e di stragi, seguì come un fanciullo le traccie
della
bella creatura, che lo innamorava, ricercando con
XIII trad. di dell’ Anguillara Polifemo si dette a cantare le lodi
della
sua amata, facendo risuonare tutta la spiaggia de
amorf : Libro XIII. trad. di Dell’ Anguillara Ma accortosi Polifemo
della
presenza del suo rivale e fatto conscio di quanto
greco γαλα che significa di latte, e si dava a questa Nereide a causa
della
sua bianchezza. 2076. Galena. — Un’ altra delle
a. — Un’ altra delle cinquanta Nereidi. 2077. Galeote — La tradizione
della
favola fa di questa divinità, uno dei principali
uomo più felice di tutta la Grecia. 2079. Galintia — Una delle eroine
della
Grecia, in cui veniva onorata con una festa, che
e di crotalo, e raccogliendo le elemosine che essi chiedevano in nome
della
loro dea, e distribuendo immagini, filtri e rimed
Bianchi Generalmente i galli appartenevano alla classe più abbietta
della
plebe, e siccome rispondevano alle varie dimande
ano una gran quantità di obblighi e di doveri, imposti loro dal culto
della
loro fanatica religione. Per esempio essi non pot
pressamente proibito di sacrificare dei maiali ; come pure di cibarsi
della
carne di questi animali. Essi ritenevano come sac
Gallo — I pagani consacravano questo volatile a Minerva, come simbolo
della
vigilanza e per dimostrare che la vera saggezza n
iovine amico e confidente del Dio Marte, il quale lo poneva a guardia
della
sua tenda, tutte le volte che la dea Venere, perd
rra la cronaca favolosa, che un giorno Gallo si addormentò alla porta
della
tenda di Marte, e lasciò sorprendere Venere nelle
le braccia dell’ amante suo, da Vulcano marito di lei. Sdegnato Marte
della
poca solerzia del suo confidente, lo cangiò in qu
egli dei, e assegnandogli le funzioni che prima di lui aveva Ebe, dea
della
giovinezza. V. Ebe. Arse d’ amore un tempo Pel F
o il famoso assedio. Ganimede o Genimede era similmente il soprannome
della
dea Ebe, la quale al dire di Pausania, era adorat
taglia combattuta fra i greci e trojani, durante il dedecenne assedio
della
città Priamea. 2089. Gastromanzia. — Specie di di
ionato la morte di un gatto. 2091. Ge. — Uno dei più antichi cronisti
della
favola per nome Sanconiatone, riferisce che Ge fu
ma Pompilio, secondo re di Roma. 2093. Gelanore. — Ultimo discendente
della
illustre prosapia degli Inachidi, il quale teneva
nte indicate le tre Grazie. 2095. Gelone. — Uno dei figli di Ercole e
della
ninfa Gelania. Secondo la tradizione Gelone si st
la tradizione Gelone si stabili nella Scizia Europea, e fu lo stipite
della
nazione Scitica, che dal suo nome prese quella di
o e Anfione. Igino pretende che siano Giasione e Trittolemo, favoriti
della
dea Cerere. Però di tutte queste differenti e dis
no e l’altro cattivo. Da questa credenza largamente diffusa nei tempi
della
religione pagàna, emerge giustissima l’osservazio
ava il suo genio tutelare sotto le sembianze di un giovane bellissimo
della
persona rivestito d’un manto bianco e con un corn
a figura di altrettante Geni, prendendo cura di quelli che rimanevano
della
loro famiglia ed erano pacifici e consolatori. Al
zione collettiva, che si dava a tutte le vittime sacrificate in onore
della
dea Giunone. 2102.Genita Mana. — Secondo asserisc
quella dea, che presiedeva al parto. Era una specie di configurazione
della
Giunone Lucina. Il sacrifizio più comune che i ro
ciò che praticavano i greci in onore di Ecale, e gli Argivi in onore
della
dea Illichia, ritenute anche esse come protettric
i crepacci e le fessure che si trovano naturalmente’ sulla superficie
della
terra. Essi ritenevano che da quelle fenditure us
esta per altro un’opinione seguita da ben pochi scrittori accreditati
della
mitologia. 2109. Germani. — Antichissimi popoli d
ori accreditati della mitologia. 2109. Germani. — Antichissimi popoli
della
Germania, i quali al dire di Giulio Cesare nei su
e di Gerontree. 2112. Ghianda. — Abbiamo dalle più antiche tradizioni
della
favola che i capi delle prime colonie Egizie e Fe
gnarono agli abitanti di questa l’uso di cibarsi delle ghiande ; cosa
della
quale quel popolo ancora quasi selvaggio non avev
el dio. Questa almeno è la opinione più generalizzata degli scrittori
della
favola, sulla parola segnata in margine. Vi sono
ti i quali distinguono Bacco da Giacco e fanno quest’ultimo figliuolo
della
dea Cerere ; aggiungendo che sua madre lo avesse
re lo avesse preso in sua compagnia, allorquando andò per le campagne
della
Sicilia, in cerca della rapita Proserpina. Quando
a compagnia, allorquando andò per le campagne della Sicilia, in cerca
della
rapita Proserpina. Quando la dea stanca del lungo
la dea stanca del lungo e faticoso cammino prese riposo nella capanna
della
vecchia Bauci V. Bauci e Filemone, Giacco, colle
Apollo V. L’articolo seguente. 2115. Giacinto. — Figlio di Oebalo re
della
città di Amicle, nella Laconia. Suo padre l’aveva
servò la ferita ; v’applicò le erbe più salutifere ; lavò con l’acqua
della
fonte vicina quelle care sembianze ; ma tutto fu
o stesso nome. Infatti dal sangue del morto spuntò un fiore del color
della
porpora, sulle cui foglie era impresso un doppio
cantavano ai funerali. V. Nenie. 2118. Gialmeno o Ialmeno. — Figlio
della
bella Astioche e del dio Marte. Fu uno degli eroi
le funzioni degli Auguri. 2120. Giana. — Era questo il primitivo nome
della
dea Iana, detta poi per uso abituale Diana. 2121.
. Giano o Giane — Il più antico fra i re dell’Italia ; era originario
della
Grecia e propriamente della città di Perebo, o se
ico fra i re dell’Italia ; era originario della Grecia e propriamente
della
città di Perebo, o secondo altre opinioni, di Ate
e narra, che Creusa, figlia di Eretteo re di Atene, avesse innamorato
della
sua stupenda bellezza il dio Apollo, il quale la
che fece nudrire ed educare in Delfo — Eretteo intanto, inconsapevole
della
tresca della figliuola, la dette in moglie a Xife
ire ed educare in Delfo — Eretteo intanto, inconsapevole della tresca
della
figliuola, la dette in moglie a Xifeo, il quale p
zione favolosa stabilisce un parallelo cronologico frala edificazione
della
città Gianicola, e la cacciata di Saturno dal cie
loro governo. È detto ancora, che Saturno, per mostrarsi riconoscente
della
reale ospitanza, avesse dotato Giano di una rara
iù saggio dei re di Roma, fece innalzare un tempio a Saturno come dio
della
Pace, considerando che il regno di questo dio non
a presi altra struttura. E nuove a un nume più decenti forme. Ritengo
della
già mista figura Un picciol segno ancora, e quel
ndo per fermo che egli fosse stato il primo ad istituire i sacri riti
della
loro religione, e a fabbricare i templi. Plutarco
e l’altra perchè Giano essendo greco d’origine, e propriamente nativo
della
città di Perebo, fosse venuto a stabilirsi in Ita
Giano, indicanti ognuno un mese dell’anno ; ed ed ifificati al di là
della
porta Gianicola fuori le mura di Roma. 2126. Gian
che i romani celebravano il primo dell’anno, con tutti i contrassegni
della
più pazza allegria. Era loro costume offerire in
ichi e di miele, ritenendo la dolcezza di queste frutta, come simbolo
della
felicità, di cui avrebbero goduto in tutto il cor
l passo al dio protettore di Roma, di venire novellamenle in soccorso
della
sua città, tutte le volte che ne avesse avuto bis
o guerra a Giove, e dettero la scalata al cielo. Diodoro lo fa marito
della
ninfa Asia, e padre di un figliuolo per nome Vesp
Menezio, Epimeteo ed Atlante. I grecî riconoscevano Giapeto come capo
della
loro schiatta, e ritenevano non esservi cosa più
forse non infondata ai vari scrittori dell’antichità, che il Giapeto
della
mitologia pagana sia lo stesso che lafet, figliuo
olo Apollo d’insegnargli la maniera di guarire le malattie, per mezzo
della
conoscenza dell’erbe e delle piante : e ciò egli
sagrificavano ogni giorno delle vittime a Giove. Giarba innammoratosi
della
regina Didone allorquando essa costruiva la città
di Giarba, il quale dichiarò la guerra ai cartaginesi. La morte però
della
sventurata regina, troncò d’un colpo le speranze
rgilio — Eneide — Libro IV. trad. di A. Caro. 2132. Giardano. — Re
della
Lidia. È ricordato nella tradizione mitologica, c
arlo all’altra sponda sulle proprie spalle. Giasone accettò l’offerta
della
vegliarda, e per siffatta maniera traversò l’Anau
i una scarpa, caduta nel fiume mentr’egli lo traghettava sulle spalle
della
canuta portatrice. Questa congiuntura però della
hettava sulle spalle della canuta portatrice. Questa congiuntura però
della
perdita di un oggetto tanto insignificante, aveva
racolo stesso che aveva predetto a Pelia, che un principe discendente
della
stirpe degli Eolidi, lo avrebbe un giorno spoglia
discendente della stirpe degli Eolidi, lo avrebbe un giorno spogliato
della
mal conquistata corona, aveva anche soggiunto che
llo cor, di umani Dolci costumi, d’avvenente aspetto, In Colco eroe.
della
valle — Medea — tragedia Alto 2. Scena III. tutt
ma spedizione. L’astuto vecchio persuase Giasone a muovere alla volta
della
lontana e barbara Colchide, onde impadronirsi del
. Esaltato Giasone dalle accorte parole ; inebriato di gloia all’idea
della
gloria di cui avrebbe ricoperto il proprio nome ;
gli promise formalmente che al suo ritorno dalla gloriosa spedizione
della
Colchide, lo avrebbe pubblicamente assunto al tro
à in cui si cerca avidamente la gloria ; in cui lo splendido fantasma
della
rinomanza, fa battere di precipitosi palpiti un c
e fece, con ogni sollecitudine, spargere per tutta la Grecia la nuova
della
prossima sua spedizione, ed ebbe la gioia di vede
ella prossima sua spedizione, ed ebbe la gioia di vedere che il fiore
della
nobiltà e della cittadinanza greca, s’affrettava
a spedizione, ed ebbe la gioia di vedere che il fiore della nobiltà e
della
cittadinanza greca, s’affrettava a correre a Jolc
periglio, e ordinò un solenne sacrifizio a Giove, come stipite divino
della
sua stirpe, e a tutte quelle divinità di cui vole
quelle divinità di cui voleva guadagnarsi il favore come proteitrici
della
sua intrapresa. Voce di tuono dall’eterno empiro
indaro — Odi Pitie — Ode IV trad. di G. borghi. Fu questa l’origine
della
famosa spedizione conosciuta nelle cronache, sott
rad. di G. montanelli Giasone acconsentì facilmente alle richieste
della
giovanetta, e dopo reciproci giuramenti, Medea fe
ro, e si distrussero gli uni cogli altri. Compiuta questa prima parte
della
sua colossale impresa, Giasone si reco là dove er
uindi, presa con sè Medea, s’imbarcò coi suoi compagni per alla volta
della
Grecia. Ritornato a Joico si presentò a Pelia, on
, imperocchè, Acasto, figliuolo primogenito dell’ucciso, s’impossessò
della
sanguinosa corona e costrinse Giasone ad abbandon
asone ad abbandonar la Tessaglia e a ritrarsi a Corinto, in compagnia
della
sua inseparabile Medea, avvinta ora indissolubilm
a la spoglia ancor palpitante, onde arrestare il padre, che accortosi
della
fuga di lei, la inseguiva. Sopra il moi carro i
.. e sulla via ne lascia La spoglia palpitante… inciampo…. al padre.
della
valle — Medea — tragedia Atto I Scena III. Giunt
lla quale in effetti si unì senza tener conto delle disperate lagrime
della
tradita. Ma Medea si vendicò atrocemente dell’inf
oli di Medea che ella uccise di propria mano, furono le ostie cruenti
della
terribile vendetta di lei ; la quale compiuta app
stessa gli aveva fatta, che, cioè egli sarebbe morto sotto gli avanzi
della
nave degli Argonauti, sì compì qualche anno dopo,
ì aveva nome, secondo il cronista Porfirio, un figliuolo di Saturno e
della
ninfa Anobret. Secondo il citato scrittore, duran
rapirgli la ninfa Io, che Argo aveva in custodia. Non potendo a causa
della
negligenza di Gierace liberare la ninfa, Mercurio
configurato, e l’allegoria simbolica che forma il sostrato principale
della
mitologia pagana aveva in questa specie di scritt
vedeva effigiato un bambino, simbolo delle vita ; un vecchio, simbolo
della
morte ; un pesce, simbolo dell’odio ; e finalment
simbolo dell’odio ; e finalmente un avvoltojo che raffigurava l’idea
della
divinità. Dall’altra parte si vedeva un grosso co
arte si vedeva un grosso coccodrillo, come simbolo dell’impudicizia e
della
temerità. Tutte queste figure, secondo che riferi
te all’insegnamento dei novizi per tutto ciò che riguardava i misteri
della
loro dea. Essi erano tenuti in grande considerazi
Ecate, le quali avevano i loro riti e le loro incombense pel servigio
della
dea, completamente diverse e divisi dai Gierofant
davano la spiegazione al popolo ; come facevano di tutta la dottrina
della
loro religione. Finalmente altri, ed il cronista
antichi scrittori, su queste fantastiche e soprannaturali personalità
della
mitologia pagana ; per altrettanto differenti son
re Apollodoro, Ovidio ed altri ; ripetono che i Giganti fossero figli
della
Terra, la quale per vendicare la morte dei suoi f
minati dagli dei, li avesse vomitati dal suo seno, per farli ministri
della
sua collera. E come sotto alle lor moli istesse
l caldo sangue : E che quello mutasse in corpi umani, Onde ogni resto
della
fiera stirpe Strutto non fosse. OVIDIO — Metamorf
altrettante montagne. E fu tale la scossa che questi spaventosi figli
della
Terra dettero a tutto il creato, che Giove stesso
e sotto mentite Forme si nascondessero gli Dei. E narrò che in marito
della
greggia Giove si trasformasse, onde pur anco Scul
suo fianco. Giove seguì il salutare consiglio che le veniva dalla dea
della
saggezza, ed in fatti, aiutato nella disastrosa b
tta E venimmo ad Anteo, che ben cinq’alle. Senza la testa, uscia fuor
della
grotta, Dante — Inferno — Canto XXXI Gige — V.
Federico E qui, a proposito di questa favolosa scalata, che i figli
della
Terra, nella loro cieca superbia, tentarono contr
trare con la forza nei celesti recessi dell’Olimpo ; e la costruzione
della
famosa torre di Babelle, la quale può benissimo e
anti a tutte le divinità dell’Olimpo pagano. Oltre a questi figliuoli
della
Terra, conosciuti nella storia della mitologia, s
pagano. Oltre a questi figliuoli della Terra, conosciuti nella storia
della
mitologia, sotto il nome di Giganti, le cronache
i nella storia della mitologia, sotto il nome di Giganti, le cronache
della
favola e gli scrittori ed i poeti più rinomati di
Narra Plutarco, che essendosi Sertorio, Generale romano, impadronito
della
città di Tingi, fece aprire il sepolcro del gigan
che in quella porzione di cranio si contenevano varie staja di biada,
della
misura di Sicilia. Secondo il cronista Fazello, q
audace disegno, penetrò per oscuro e tenebroso cammino finnei visceri
della
terra, ove trovò il simulacro di un cavallo di br
reziosa, che ornava il centro dell’anello, si volgeva verso l’interno
della
mano, egli diveniva invisibile ; mentre quando la
fuori, rimaneva nello stato normale. Non appena Gige si fece accorto
della
strana prerogativa, peusò servirsene onde accosta
la strana prerogativa, peusò servirsene onde accostarsi sino al letto
della
regina, colla quale concertatosi si liberò poco a
dava questo nome, secondo asserisce Plinio, ad alcuni antichi popoli
della
Scizia Europea, i quali dimoravano sulle sponde d
el mondo, e darsi esclusivamente alla contemplazione delle meraviglie
della
natura. I Ginnosofisti ammettevano la metempsicos
e facevano consistere tutta l’umana felicità, nel disprezzo dei beni
della
fortuna ; e nell’abborrimento dei piaceri del sen
iche tradizioni indiane, è scritto, che i Ginnosofisti giunti all’età
della
vecchiezza, si abbruciavano da sè stessi onde non
ili compagni dell’età caduca. 2156. Giobate. — Detto anche Lobate, re
della
Licia — V. Bellorofonte. 2157. Gioeasta. — Moglie
iamo ad asserire sia una nostra personale opinione. In tutto il corso
della
nostra opera noi ci siamo già avvalsi di numerosi
ri antichi e moderni, debbono valerci come testimonianze irrecusabili
della
verità di quanto esponemmo. Così per esempio il c
iva rappresentato sotto la figura d’un uomo. Finalmente il crepuscolo
della
sera veniva raffigurato identicamente al crepusco
repuscolo dell’aurora, ma senza la torcia, per alludere che quell’ora
della
sera va a precipitarsi nella Notte. Aveva nelle m
mente dette Caprotine, il quarto prima delle None di agosto, a motivo
della
famosa rotta di Canne ; la sesta chiamata Lemuria
dario romano. Sebbene la superstizione fosse il fondamento universale
della
religione dei pagani, pure vi erano molti che dis
le credenze, riguardo ai giorni del mese. Così la storia ci ammaestra
della
bella risposta data da Lucullo a coloro che volev
i fosse combattuta in un giorno di ecclissi. 2161.Giove — Dio supremo
della
mitologia greca e romana, la quale lo riguardava
e sur la Mythologie. Esse lo allevarono facendolo nutrire del latte
della
capra Amaltea ; mentre i Cureti o Coribanti, arma
non l’orba sorte Forza e virtù, che sempre è tua vicina, Han fatto re
della
superna corte. CALLIMACO — Inno a Giore — trad. d
lo sdegno di Giove stesso, e l’ odio di tutti i suoi contemporanei.
della
Molossa Gente ad un tale a lui mandato ostaggio,
te ; seduto su di un trono, circondato di raggi in tutto lo splendore
della
sua divina maestà, e avente nella mano destra i f
ERICO. I più accreditati mitologi, seguendo sempre la configurazione
della
idea allegorica, rinchiusa in tutti i simboli del
la configurazione della idea allegorica, rinchiusa in tutti i simboli
della
mitologia pagana, ripetono che Giove veniva gener
l’aquila, che con le ali spiegate riposa a’ suoi piedi, era l’emblema
della
supremazia di Giove, su tutti gli esseri creati,
quila ha la supremazia su tutti i volatili. I singoli popoli non solo
della
Grecia e di Roma, ma di tutto il mondo conosciuto
on molto ripetuti dalla grande generalità degli scrittori, e cronisti
della
Favola, pure erano, al paro dei sopraccennati, as
ve altro non era se non la divina personificazione dell’ Etere, ossia
della
parte superiore dello spazio, occupato dall’ aria
scevano due Giovi, l’uno figliuolo del Cielo, e padre di Minerva, dea
della
saggezza ; e l’altro figliuolo dell’ Etere, e pad
ti, è generale l’opinione che il primo di tutti fosse il Giove Ammone
della
Libia, la cui origine rimonta ai tempi primitivi
l Giove Ammone della Libia, la cui origine rimonta ai tempi primitivi
della
creazione, e tanto che molti lo hanno confuso con
erso in tre regni distinti, altro non vuole raffigurare se non l’idea
della
suprema onnipotenza di Giove, il quale imperava s
a da due parole latine juvans pater. 2162. Gioventù — Presso i pagani
della
Grecia, due erano le divinità che presiedevano al
in un tempio che sorgeva nel Campidoglio. Al dire di Tacito, l’altare
della
Gioventù, sorgeva vicino a quello di Minerva e vi
Minerva e vi si osservava un quadro di Proserpina. Durante il periodo
della
seconda guerra Punica, essendo censore Livio Sali
Gioventù, e furono allora istituiti i giuochi in onore di questa dea,
della
continuazione dei quali non fa menzione alcuno sc
le sorgeva fra il Tartaro e i campi Elisi, in un luogo chiamato campo
della
Verità, per alludere che non vi poteva mai penetr
a torcia accesa nella mano destra, per dinotare che portava i bollori
della
stagione. 2171. Giuliani — Presso i romani l’ordi
ere, madre d’Enea, li spinse a questa risoluzione, che fu poi cagione
della
loro salvezza, per mezzo di un prodigio. ……e la
tratto innanzi ai giudici, fu rimandato assoluto a causa delle virtù
della
sorella. 2174. Giunone — È questa una delle più i
orella. 2174. Giunone — È questa una delle più importanti personalità
della
mitologia pagana. Infatti le cronache dell’antich
el continuo in dissenzione fra di loro, perchè si disputavano l’onore
della
nascita di Giunone, ognuno pretendendo che la dea
Libro XIV. trad. di V. MONTI. Altri scrittori pretendono che la cura
della
sua educazione venisse affidata alle Ore ; e fina
iunone non vissero lungo tempo in buon’ armonia fra di loro ; a causa
della
insopportabile gelosia di lei ; di cui fan fede t
no perduta. Ma se in molti punti opinioni degli scrittori, e cronisti
della
favola, sono, nella grande generalità, unanimi e
i vogliono che a questi si aggiungessero altri due, cioè : Marte, Dio
della
guerra, e Tifone. Fra gli scrittori che aggiungon
che, ripetono che Giunone sopraintendeva agli imperi e alle ricchezze
della
terra. Da ciò si asserisce che ella offerisse a P
Da ciò si asserisce che ella offerisse a Paride, gran parte dei beni
della
terra, se avesse voluto aggiudicarle il pomo d’or
rano se non delle pietre informi ; e che da principio anche la statua
della
Giunone d’Argo, era una semplice colonna ; e non
, il nome di Giunone deriva dalla parola latina juvare, a simiglianza
della
etimologia del nome di Giove, che deriva da juvan
piri. Infatti su di una pietra d’un monumento che si vuole sia quello
della
vestale Giunia Torquata, di cui parlammo all’arti
sacro. 2174. Giunonie — Feste particolari celebrate in Roma in onore
della
dea Giunone. 2175. Giunonio — I pagani credevano
ennità se non dopo aver offerto dei sacrifizii alla divinità in onore
della
quale veniva celebrata, e svenate le vittime e co
ro.. Tronco ogn’indugio, Achille il terzo giuoco Propose, il giuoco
della
dura lotta, E de’premii fè mostra ; al vincitore
ane Telamonio Aiace, E il saggio mastro delle frodi Ulisse. Nel mezzo
della
lizza entrambi accinti Presentarsi, e stringendos
dere che in tempo di notte ; e finalmente venuto il terribile periodo
della
età di ferro, ella inorridita alle colpe degli uo
uivano salutari virtù e se ne servivano particolarmente nei sacrifizi
della
dea Vesta, ragione per la quale si chiamava l’acq
i sacrifizi della dea Vesta, ragione per la quale si chiamava l’acqua
della
fontana di Giuturna, con l’appellativo di acqua v
ente quando intraprendevano una qualche impresa. 2180. Giuventa — Dea
della
gioventù V. Gioventù. 2181. Gladiatore — Antichis
ono stabiliti i giuochi dei gladiatori, si dovè distruggere il tempio
della
Misericordia, non essendo possibile che si fosse
u fratello di Andropeo. Il più famoso personaggio a cui le tradizioni
della
favola, danno lo stesso nome di Glauco, fu un dio
uno strano avvenimento ; dicendo che egli che era un famoso pescatore
della
città di Antedone in Beozia, avesse preso un gior
an quantità di pesci con le sue reti ; e che avendoli posti sull’erba
della
spiaggia, vide saltare quei pesci come se fossero
iderio di cangiar natura ; per modo che si precipitò in mare ; ove al
della
tradizione, la dea Teti e l’Oceano lo misero nel
to gli ordini del famoso Sarpedone, soccorsero i Trojani nell’assedio
della
loro città. Suo padre, al dire di Omero, al momen
ell’assedio della loro città. Suo padre, al dire di Omero, al momento
della
partenza lo avea caldamente esortato a distinguer
ione bastò a rianimare il coraggio di Glauco, il quale ebbe il premio
della
lotta. Con l’andare del tempo egli fu vittorioso
iate, si vedeva spesso un globo nella mano del principe, come simbolo
della
sua potenza. 2187. Goezia — Dalla parola greca ον
colui che avesse saputo sciogliere quel nodo, avrebbe avuto l’impero
della
Asia. L’imperatore Alessandro, trovandosi di pass
indovinare, e ai quali, secondo asserisce il cronista Arriano, l’arte
della
divinazione era così naturale, che perfino le lor
rdio le palesò il motivo del suo viaggio, e quella fanciulla, che era
della
schiatta degli indovini, gli rispose che doveva s
iamato Mida. Intanto con l’andare degli anni essendo fra gli abitanti
della
Frigia surte delle gravi dissensioni ; essi fecer
di un re che fosse venuto ad essi su di un carro. Mentre gli abitanti
della
Frigia stavano in attenzione del compimento dell’
, ed egli pose fine a tutte le loro dissensioni. Mida in riconoscenza
della
grazia ottenuta da Giove, fece sospendere nel tem
tto il viaggio. 2190. Gorgizione — Uno dei figliuoli del re Priamo, e
della
bellissima Castianira, la quale, al dire di Omero
i Esiodo, esse soggiornavano al di là dell’oceano, vicino alla dimora
della
Notte, alla estremità del mondo. Secondo la tradi
a folta e pesante di lunghissimi crini, i quali ricadendo sul davanti
della
fronte, gli impedivano di vedere gli oggetti, se
ani e bellissime, largamente fornite di tutti i doni e le prerogative
della
bellezza, che vale ad ammaliare con uno sguardo.
ivano a vicenda. E questo l’unico occhio di cui fa parola l’allegoria
della
favola. Perseo, trascorrendo il mare, sorprese il
inerva, perchè essa portava, uno seudo, su cui era impressa una testa
della
Gorgone Medusa. 2195. Gortina — Detta anche Corti
del Sole. 2196. Gracco — Gracco Tiberio, padre dei due famosi tribuni
della
plebe, tanto celebri presso i romani, e marito de
e famosi tribuni della plebe, tanto celebri presso i romani, e marito
della
famosa Cornelia. Fu uo mo di rigidi e severi cost
o avanzata, pensò che era meglio sacrificare la propria vita a quella
della
moglie, ancor giovane e fiorente ; e lasciò andar
che significa cammino. I pagani davano questo soprannome a Marte, dio
della
guerra, quando veniva raffigurato sotto le sembia
adizione mitologica, a cui si attiene Esiodo, riferisce che i capelli
della
Graje incanutirono nel punto stesso in cui esse n
vono. 2199. Granea — Detta anche Amadriade. Fu figliuola di Ossilo, e
della
ninfa Amadriade, la quale ebbe da lui sette altre
i sette altre figliuole, che insieme a questa Granea furono dal nome,
della
loro madre, chiamate ninfe Amadriadi. 2200. Gran
edenza, e le chiamavano Auxo ed Egemone. Per contrario in altre città
della
Grecia, si riconoscevano quattro Grazie, e perciò
n le quattro stagioni. Pausania mette nel numero delle Grazie, la dea
della
Persuasione, volendo per tal modo indicarci che i
rci del come non si debba prestar fede alle apparenze ; che i difetti
della
persona possono mitigarsi con le grazie dell’anim
loro padre. Secondo riferisce Pausania, in tutte le principali città
della
Grecia e della Tracia, vi erano dei templi consac
condo riferisce Pausania, in tutte le principali città della Grecia e
della
Tracia, vi erano dei templi consacrati alle Grazi
nto che s’accingeva a dar principio alla sacra cerimonia, fu avvisato
della
morte repentina di un suo amatissimo figliuolo. A
za corona e senza suono d’istrumenti. I templi dedicati a Venere, dea
della
bellezza Cupido, dio dell’amore, lo erano comunem
fermamente che le tre Grazie fossero le dispensatrici dell’allegria,
della
sanità, del benessere, della eloquenza e perfino
fossero le dispensatrici dell’allegria, della sanità, del benessere,
della
eloquenza e perfino della gratitudine e della ric
dell’allegria, della sanità, del benessere, della eloquenza e perfino
della
gratitudine e della riconoscenza. Gli Ateniesi, c
sanità, del benessere, della eloquenza e perfino della gratitudine e
della
riconoscenza. Gli Ateniesi, che erano il popolo p
gurazione, racchiude alcune idee morali, come tutti gli altri simboli
della
mitologia pagana. Per esempio, le orecchia tese c
unite insieme nel corpo del Grifone, esprimevano il concetto più alto
della
divinità, vera forza della terra e dell’aria. Vi
Grifone, esprimevano il concetto più alto della divinità, vera forza
della
terra e dell’aria. Vi sono per altro molti monume
ferno. 2208. Gufo. — Uccello dei cattivi presagi, e che, come simbolo
della
vigilanza, era consacrato a Minerva. Fè nel suo
iamano Giunone. 2211. Hafedà. — I popoli Aditi, e propriamente quelli
della
tribù araba dell’ Hadramaut, chiamavano così uno
amaut, chiamavano così uno dei quattro dei, ritenuti come i fondatori
della
loro religione. Un’antica tradizione del paese, d
no con questo nome uno dei loro Penati. 2214. Har-Heri. — Le cronache
della
mitologia indiana, danno questo nome ad un dio co
ietra o nel legno, non conserva però nulla di mostruoso, come avviene
della
gran maggioranza degli dei Scandinavi, Indiani, P
ente dopo la morte di lui, il nome di Heriafadur, che significa padre
della
guerra, fu una delle più celebri appellazioni di
il dio Marte presso i greci. 2220. Higolajo. — Detto anche Guleo, dio
della
morte e della suprema felicità : almeno così era
resso i greci. 2220. Higolajo. — Detto anche Guleo, dio della morte e
della
suprema felicità : almeno così era ritenuto ed ad
beati. 2221. Hnossa o Hnòss. — Nella mitologia scandinava, era la dea
della
Perfezione, figlia di Odur e di Freja, dea dell’A
ja, dea dell’Amore. La tradizione aggiunge che Hnossa fosse più bella
della
stessa madre, e che aveva in sè tanto splendore e
i Hossir o Hnosser i giojelli, le gemme, gli ori e tutte le ricchezze
della
terra. 2222. Hoang-Ti. — Nella tradizione favolos
, si dà questo nome al secondo successore del famoso Fo-Hi, fondatore
della
monarchia di mezzo. 2223. Hobal. — Nelle lingue s
sette frecce dell’istesso metallo, ed a cui dettero il nome di frecce
della
sorte. È probabile che queste sette frecce raffig
che queste sette frecce raffigurassero simbolicamente i sette giorni
della
settimana. Finalmente la statua di Hobal era depo
inalmente la statua di Hobal era deposta nella Caaba, tempio maggiore
della
Mecca, e quivi fu distrutta da Maometto, quando e
o dei molti vantaggi che quest’animale recava loro. Infatti nel tempo
della
primavera, scendevano dall’Arabia, nugoli di cava
7. Icadi. — In onore di Epicuro, i pagani celebravano nel nono giorno
della
luna, alcune feste così chiamate, perchè si crede
tatua di Epicuro e di offrirgli dei sacrifizii. 2228. Icarlo. — Padre
della
famosa Penelope, sposata da Ulisse. Allorquando l
ope, sposata da Ulisse. Allorquando l’astuto greco gli chiese la mano
della
figliuola, Icario trovavasi nella città di Sparta
corsieri, che gli rapivano il suo tesoro, per modo che Ulisse, stanco
della
tenace importunità del vecchio, arrestò i cavalli
di vedere così addolorato il padre di lei, la faceva arbitra assoluta
della
sua volontà : scegliesse ella o di seguitarlo in
emoria di questo fatto, e del casto rossore che avea veduto sul volto
della
figlia adorata, dedicò alla pudicizia una statua,
ebbene informata su questa base, è la favola che i poeti e i cronisti
della
mitologia, foggiarono sulla tradizione accennata
pel figliuolo delle ali, le cui penne erano unite fra loro per mezzo
della
cera, e che con queste ali intraprendesse la fuga
Nemesi, vendicatrice delle colpe degli uomini ; e tal’altra Temi, dea
della
Giustizia. La parola Icnea nella lingua degli ant
ritrovato. Ida era anche un’altra montagna nell’Asia minore, ai piedi
della
quale, secondo la tradizione, sorgeva la famosa c
l nome di un figliuolo di Afareo, re di Messenia, il quale per essere
della
schiatta degli Eolidi, e per conseguenza, parente
di Alicarnasso ripete che ogni anno, si celebrava una festa in onore
della
madre Idea, con pubblici giuochi e sacrifizii sol
are, avvenuta in quel tempo. 2240. Idia. — Figlia dell’Oceano e madre
della
famosa Medea. Idia fu una delle più belle donne d
elle più belle donne dei suoi tempi. 2241. Idmone. — Celebre indovino
della
città di Argo, il quale, secondo la tradizione, a
be morto durante la traversata ; ma attratto dello splendido fantasma
della
gloria, preferi la rinomanza alla vita, e segui i
terribile verità. Un giorno, mentre gli Argonauti davano in una città
della
Tracia la caccia ad un cinghiale, Idmone ricevè u
pa terno parlò all’anima del fanatico religioso i miti e soavi sensi
della
paternità. Acciecato dalla superstizione e dalla
acciarono dai suoi stati e lo costrinsero a ricoverarsi sulle spiagge
della
grande Esperia, ove la tradizione ripete, che il
dizione ripete, che il profugo re avesse fondata la città di Salento,
della
quale si fece sovrano. Dopo la morte di lui, gli
ento, della quale si fece sovrano. Dopo la morte di lui, gli abitanti
della
novella città riconoscenti verso la memoria d’Ido
er più tempo orrende stragi di uomini e di animali, nelle circostanze
della
palude di Lerna, ov’essa aveva il suo covo. Ercol
i autori ripete, che Ercole bagnasse le sue famose frecce, nel sangue
della
Idra, col fine di rendere inguaribili le ferite d
nello, e facendo che questo anello battesse, oscillando, nelle pareti
della
conca. La prima maniera fu quella, secondo la tra
tendogli, per calmare il suo dolore di vendicare sui tebani, la morte
della
diletta figliuola. V. Evadne. Ifi ebbe pure nome
riferisce Fozio, ha potuto lasciar credere che i greci dal sagrifizio
della
figlia di Iefte, di cui parla la sacra bibbia, av
iò dall’ordinare un gran numero di sacrifizii, onde placare lo sdegno
della
dea. Tolta così questa prima ragione del male, ve
che mitologiche, come uno degli argonauti, e come vincitore al premio
della
corsa nei giuochi funebri, che Giasone fece celeb
qualche tempo dette alla luce una bambina. Però l’istinto santissimo
della
madre suggerì a Feletusa una pietosa astuzia, ed
; che il colorito del suo volto, lasciando quella tinta rosea propria
della
donna, acquistava un tono più bruno e maschile ;
Ifigenia ; e che Clitennestra sorella di Elena, onde salvare l’onore
della
sorella, fece passare la piccola Ifigenia come su
a di Agamennone e di Clitennestra. Ifigenia in Aulide è poi il titolo
della
famosa tragedia di Euripide, di cui daremo brevem
allorquando il duce supremo delle loro schiere, avesse col sacrificio
della
propria figliuola Ifigenia placata la collera deg
o ; e la tenerezza det suo cuore di padre ; ma finalmente il pensiero
della
grandezza e del benessere della patria, trionfò i
di padre ; ma finalmente il pensiero della grandezza e del benessere
della
patria, trionfò in lui ed egli condiscese a sacri
d ella fece ricorso ad Achille, implorando la sua protezione a favore
della
supposta sua sposa. In quanto ad Ifigenia, il poe
rime e con lusinghe tenta, ma invano, di stornare dal capo amatissimo
della
figlia il destino inesorabile ; ma finalmente ina
sott’occhio finì ella stessa per accettare eroicamente il sacrifizio
della
propria figlia ; respinse il soccorso che Achille
l ferro e dono avere invocato gli dei, lo configge nel seno verginale
della
vittima e tutti gli astanti ne risentono il colpo
za, che Diana stessa ha sostituito alla giovane principessa in premio
della
sua eroica sommissione ; e Agamennone persuade al
ivinità. …. Ed ecco all’improvviso apparve Gran prodigio : il vibrar
della
ferita Distintamente ognun l’udi : nessuno Più la
lmente svenata, e che l’innocente sangue di lei avesse bagnato le are
della
superstizione religiosa dei soldati. L’opinione p
avesse fatto credere che Diana, placata dalla sommessione del padre e
della
figlia, si sarebbe contentata del sacrificio di u
Tauride, ordinando che in sua vece si fosse sacrificato, sull’altare
della
cruenta divinità, una cerva bianca. Ifigenia in T
nella Scizia ove fu fatta sacerdotessa del tempio, e dove per doveri
della
sua carica l’era imposto d’iniziare le vittime um
ttica. Una barbara usanza voleva, intanto, che si svenassero sull’ara
della
dea Diana tutti i forestieri che approdavano in T
salvarsi insieme. Infatti Ifigenia delude la vigilanza di Toante, re
della
Tauride, e col pretesto di una cerimonia espiator
ose che, ripristinamento dei giuochi Olimpici avrebbe fatto la salute
della
Grecia. Ifito allora senza por tempo in mezzo ord
dei satiri. 2257. Igiea. — I greci adoravano questa divinità come dea
della
buona salute, e la facevano figlia di Esculapio e
nità come dea della buona salute, e la facevano figlia di Esculapio e
della
ninfa Lampezia, famosa nei fasti della favola, pe
facevano figlia di Esculapio e della ninfa Lampezia, famosa nei fasti
della
favola, per la bellezza. Igiea aveva nella città
’una bellezza regolare e severa ; con una corona sul capo come regina
della
medicina ; con una coppa nella sinistra, e con un
nistra. Sotto questa configurazione si sono trovate moltissime statue
della
dea della sanità ; perchè era costume assai gener
tto questa configurazione si sono trovate moltissime statue della dea
della
sanità ; perchè era costume assai generalizzato,
a sotto questa denominazione. Anche i romani adoravano Igiea come dea
della
salute, credendo che da essa dipendesse la salute
pendesse la salute dell’impero. 2258. Ila. — Figlio di Tiodamante, re
della
Misia, e compagno di Ercole, che seguì in Colchid
uttuoso avvenimento, ripetendo che giunti gli Argonauti sulle spiagge
della
Troade mandarono una mano di esploratorl, comanda
he torrente, ovvero fosse stato divorato da qualche belva. La cronaca
della
favola ripete invece, che le ninfe del luogo, inn
ronaca della favola ripete invece, che le ninfe del luogo, innamorate
della
stupenda bellezza del giovine Ila lo avessero rap
il rumore prodotto dai rami tagliati, ripetuto cento volte dagli echi
della
foresta, avessero dato motivo alla favola d’Ila.
nome di questo classico poema, che è la più stupenda creazione epica
della
immortale intelligenza di Omero, che l’Alighieri
trato e la vita dell’antica mitologia, e delle credenze superstiziose
della
religione pagana. 2264. Ilio. — Detto anche Ilion
di Troja, Priamo volendo mettere in salvo dalle crudeli vicissitudini
della
guerra, il piccolo Polidoro, prediletto fra i suo
ioso detto il sacro istituto. 2267. Ilizia. — Sorella di Ebe e figlia
della
dea Giunone. I pagani credevano che Ilizia, a som
a conoscenza del numero dei cittadini romani. 2268. Ilo. — I cronisti
della
mitologia dicono, che Ascanio figliuolo di Enea,
ltri Ascanio. Ilo ebbe anche nome quel quarto re vi Troja edificatore
della
famosa cittadella — V. Ilio. La favola lo fa figl
ella famosa cittadella — V. Ilio. La favola lo fa figliuolo di Tros e
della
ninfa Calliroe, e fratello di Ganimede e di Assar
medonte. Ilo detto anche Ilio, fu finalmente un figliuolo di Ercole e
della
bella Dejanira. Durante il tempo che Ercole trasc
adre, per cer care di saperne il destino. Ilio cedendo alle preghiere
della
madre partì, e dopo molte ricerche ritrovò finalm
venturatamente giunse presso di lui nel momento in che il fatale dono
della
camicia di Nesso. V. Dejanira, Ercole, Nesso — av
ogo, e di accenderlo con le proprie sue mani, imponendogli sotto pena
della
sua maledizione di sposare Iole. Morto Ercole, Il
flume chiamato Imbraso, che scorreva nell’isola di Samo. I sacerdoti
della
dea in alcuni giorni dell’anno andavano a lavare
, felice di poterla almeno vedere e di sentire qualche volta il suono
della
sua voce adorata. Avvenne intanto, che nella citt
i pose ad esecuzione il suo disegno e con l’ajuto del travestimento e
della
sua fisonomia dolce ed imberbe fu ricevuto fra le
corsari piombarono improvvisamente sulle donne ateniesi e profittando
della
confusione se ne impadronirono, e trafugatele pre
delle colpe degli uomini. Secondo la cre naca favolosa, erano figlie
della
Notte e del fiume Acheronte. Esse venivano sovent
la distruzione dei nemici. Così Sofocle, nel suo Edipo, ci dà un’idea
della
maniera con la quale gli antichi pronunciavano le
i queste divinità di avere la supremazia sul regno di Argo. A giudici
della
contesa furono chiamati Inaco, ed altri due fiumi
o che lo nasconde ai suoi occhi mortali. I primi popoli che formarono
della
indovinazione, una scienza arcana e misteriosa, f
autori antichi. 2282. Indovini. — I greci li ritenevano come ministri
della
religione e come tali li tenevano in grande vener
pre ad assistere al sacrifizio, onde leggere l’avvenire nelle viscere
della
vittima. Vedi l’articolo precedente. I pagani seg
i dell’antichità, l’inferno era egualmente distante da tutti i luoghi
della
terra ; e ciò, secondo l’opinione di Cicerone, ve
e, piuttosto in un luogo, che in altro ; e che qualunque sia l’angolo
della
terra, ove si muoia, l’anima avea sempre a percor
a ecc. Senofonte, scrive che Ercole penetrò nello Inferno dalla parte
della
penisola Achenesiade, vicina ad Eraclea del Ponto
ad Eraclea del Ponto. Virgilio asserisce, che Enea discese nei regni
della
morte, traversando il lago d’Averno ; ed Omero ri
ttore, non avevano la costumanza adottata da tutti gli altri abitanti
della
Grecia, quella cioè, di mettere nelle labbra dei
o di tempo, la città di Tebe, fu desolata da una terribile carestia, (
della
quale molti autori ripetono che Ino stessa fosse
carestia, i sacerdoti del maggior tempio di Tebe, subornati dall’oro
della
regina, e venduti alle infami mire di lei, rispos
risposero che a far cessare il flagello, bisognava immolare sull’ara
della
divinità, Elle e Frisso. Questi però si sottrasse
. V. Elle e Frisso. Atamante, venuto a conoscenza dei crudeli raggiri
della
moglie, trasportato dall’ira, uccise di sua mano
di Giove e di Semele ; e giurò di riportare su di Ino tutto lo sdegno
della
sua terribile vendetta. A tale uopo, comandò alle
una lionessa Qui pur or vidi ; e, quasi d’una belva, Corre sull’orme
della
sposa, insano ; E Learco il figliuol, che stendea
sano ; E Learco il figliuol, che stendea lieti Le pargolette braccia,
della
madre Strappa dal seno, e d’una fionda a guisa, D
ava dalla Spagna. L’eroe sentendo le grida dolorose, volò in soccorso
della
vittima gemente e liberò Ino, ponendo in fuga le
gli dei, non gli avevano dato una favorevole risposta, circa le sorti
della
battaglia. « Come, rispose Annibale, presterete p
iove perdutamente invaghito, la sorprese un giorno mentre usciva sola
della
casa paterna, e per impedirle la fuga, la ricinse
isgombrò la nuvola. Giove allora per sottrarre la sua amata al furore
della
moglie, cangiò lo in una giovenca. ……….. Ma prev
ie, cangiò lo in una giovenca. ……….. Ma previsto Avea Giove il venir
della
consorte, E della figlia d’Inaco le forme In cand
na giovenca. ……….. Ma previsto Avea Giove il venir della consorte, E
della
figlia d’Inaco le forme In candida giovenea trasm
conoscenza, mentre due lagrime le caddero dagl’occhi ; ed in mancanza
della
parola, segnò sulla sabbia col piede il suo nome.
le custode, lo uccise. Però alla morte di lui, non diminuirono i mali
della
perseguitata, imperocchè Giunone vieppiù sdegnata
e raminga per città e per borgate. Incalzata così dalla vindice mano
della
sua divina persecutrice, Io giunse finalmente sul
persecutrice, Io giunse finalmente sulle rive del Nilo, ove oppressa
della
fatica e dalla stanchezza, si lasciò cadere sulla
o uccidere per riavere la sua amante. Questa però temendo la vendetta
della
regina, s’imbarcò per lontani viaggi su di una na
to solo perchè Inaco, suo padre, portò dall’Egitto in Grecia il cutto
della
dea Ifide, la quale i greci confusero con Io V. A
n questa parola, i greci dinotavano i due segni sensibili e manifesti
della
presenza degli dei ; poichè la opinione generale
n un’azione reale ; o finalmente col dare dei contrassegni sensibili,
della
loro presenza, col compimento di qualche prodigio
nto di qualche prodigio. Dionigi d’Alicarnasso, era talmente persuaso
della
manifestazione degli dei agli uomini, che riguard
la, ogni diciannove anni ; e che egli stesso nella notte anniversaria
della
sua nascita, ballasse, al suono della sua lira, c
stesso nella notte anniversaria della sua nascita, ballasse, al suono
della
sua lira, come a rallegrarsi degli onori che gli
e spingevano la loro devozione fino a mandare ogn’ anno, le primizie
della
terra, come offerta nel tempio di Delo. Da princi
condo la tradizione a cui si attiene Esiodo, egli fu padre del sole e
della
luna, e dei maggiori pianeti. Diodoro, dando una
ianeti. Diodoro, dando una spiegazione più logica a codesta allegoria
della
favola, dice che Iperione era un principe Titano,
gnizioni agli uomini, fu dagli antichi ritenuto come padre del sole e
della
luna. Nè a ciò si arrestano le notizie che gli au
memoria di questo fatto Ipernestra fece edificare un tempio alla dea
della
Persuasione. 2297. Ipertura. — Una delle Esperidi
il secondo ricorda il tempio di Giove Olimpico, nella capitale stessa
della
Grecia, similmente costrutto, e detto come tutti
’Ippocampi di Nettuno. 2305. Ippocentauri. — I primi popoli abitatori
della
Tessaglia conosciuti comunemente sotto il nome di
esto mostruoso connubio gl’Ippocentauri, che avevano nel tempo stesso
della
natura umana e di quella del cavallo. È a notare
imbalsamato col miele, secondo l’uso di quei tempi. Anche fra i padri
della
chiesa cattolica gioverà ricordare che ve ne è ta
dottore di santa chiesa, ripete che portandosi S. Antonio nel deserto
della
Tebaide a visitare S. Paolo eremita, incontrò un
chiamavasi anche la figlia del sacerdote Brise, che fu causa primiera
della
inesorata ira di Achille — V. Briseide. Ippodamia
urpe era il suo amore. Essendo egli possessore dei più veloci cavalli
della
sua contrada, promulgò un bando nel quale esponev
o posti a morte : per modo che Enomao si credeva già unico possessore
della
fatale bellezza della propria figliuola, allorchè
modo che Enomao si credeva già unico possessore della fatale bellezza
della
propria figliuola, allorchè gli dei sdegnati cont
entasse quattordicesimo concorrente. Pelope infatti riportò il premio
della
corsa, e sposò la bella Ippodamia. Vi sono vari s
le code dei loro cavalli, le une alle altre, per modo che, al momento
della
battaglia la cavalleria nemica fu quasi interamen
quel re gli avea imposto di impadronirsi. 2311. Ippolito. — Dal nome
della
madre così fu chiamato il figliuolo che Teseo ebb
ettò spaventato e respinse le inique proposizioni con tutta l’energia
della
sua tempra, e in modo da toglierle ogni speranza.
, un ammasso informe lacero e sanguinoso. È questo aimeno il soggetto
della
famosa tragedia d’Euripide, intitolata Ippolito.
Bellotti. Diodoro poi narra, nelle sue cronache, che dubitando Teseo
della
verità dell’ accusa terribile, lanciata da Fedra
e si esiliò dalla città di Naupatto. Suo figlio Alete s’impadroni poi
della
città di Corinto. 2317. Ippoteo. — Le cronache mi
o da due cavalle V. Cercione. Ippotoo regnò nella contrada di Eleusi,
della
quale fu assunto al governo dopo che Teseo ebbe u
dimento, le donne di Lenno si unirono tutte, e concordi nel desiderio
della
vendetta, congiurarono contro gli uomini, e in un
vea giurato di compiere, e volle ad ogni costo partire per alla volta
della
Colchide. Invano Ipsipile pianse, pregò, supplicò
a disgraziata giovanetta le giurò, come ella chiedeva, che al ritorno
della
gloriosa spedizione sarebbe, prima di entrare in
, perdutamente innamoratosi di Medea, dimenticò ben presto le lagrime
della
sventurata sedotta ; l’ amore col quale ella lo a
nell’enima. Le donne di Lenno scoprirono finalmente che Toante padre
della
loro regina, lunge dall’esser stato ucciso, come
naca che ella amasse così teneramente il figliuolo, che all’ annunzio
della
morte di lui, si precipitò in uno stagno e ne div
mitologico fa che Giunone, dea dell’aria, abbia Iride come messaggera
della
sua volontà. 2326. Irieo. — Nome del padre di Ori
isero di concedere qualunque cosa avesse domandata, per ricompensarlo
della
lieta accoglienza. Irieo allora anelando da lungo
rvi i suoi tesori. 2327. Iringa. — Una delle figliuole del dio Pane e
della
ninfa Eco. Non bisogna confonderla con la ninfa S
Irminsul, venivano scelti fra le più illustri e considerate famiglie
della
nazione. Il più famoso tempio che le cronache ci
menti dell’antichità, il quale conteneva l’immagine d’Iside, gli atti
della
religione degli Egizii e i misteri d’ Iside. Code
umento originale fosse andato nuovemente smarrito nel 1730 ; cosicchè
della
famosa favola Isiaca, non restano ora che delle c
delle copie. Dallo studio per altro delle figure che ci sono restate
della
favola Isiaca, non si può chiaramente decifrare s
monumento. 2334. Isiache. — Così chiamavano i pagani le sacerdotesse
della
dea Iside. Al dire di Diodoro e di Plutarco, esse
side. Al dire di Diodoro e di Plutarco, esse scorrevano per le strade
della
città, coperte di lunghe vesti di lino, con una c
accia a tracollo ; e portavano sovente sulla spalla sinistra la testa
della
dea Iside. Al sorgere del sole, esse cantavano le
la testa della dea Iside. Al sorgere del sole, esse cantavano le lodi
della
loro dea, e passavano tutto il giorno chiedendo l
che la sera, ove restavano qualche tempo in piedi adorando la statua
della
dea. Portavano abitualmente i piedi coperti di un
religioso degli Egiziani. Discordi e contradittorie sono le opinioni
della
gran maggioranza degli scrittori, intorno alla or
opinioni della gran maggioranza degli scrittori, intorno alla origine
della
dea Iside ; ma tutti convengono con l’essere ella
ne della dea Iside ; ma tutti convengono con l’essere ella più antica
della
Io dei greci. Secondo Plutarco, Iside fu figliuol
iti gemelli, si erano congiunti coi legami maritali nell’ alvo stesso
della
madre loro, per modo che Iside nell’ istesso mome
e dedicarono loro il bue e la vacca, come simboli dell’ agricoltura,
della
cui salutare conoscenza andavan loro debitori. In
sso i romani, sebbene fosse stato per lungo tempo proscritto il culto
della
dea Iside, pure coll’ andare degl’ anni finì con
empio d’ Iside. 2336. Isle. — Famose feste e cerimonie sacre in onore
della
dea Iside, durante la celebrazione delle quali, s
vere un tempio sulla sponda del fiume Ismeno. 2340. Ismenio. — Figlio
della
ninfa Melia e di Apollo, il quale gli concesse il
di nome di quel fiume. V. l’ articolo seguente. 2341. Ismeno. — Fiume
della
Beozia che scorreva nelle circostanze di Tebe. Da
questo fatto, il piede di Cadmo. Qualche tempo dopo, Ismeno figliuolo
della
sventurata Niobe, per liberarsi dagli atroci dolo
lmente offerti solenni sacrifizii. 2345. Issione. — Figlio di Giove e
della
ninfa Meleta, e re dei Lapidi nella Tessaglia. Al
è uso dei moderni, dovea fare ricchi donativi al padre ed alla madre
della
sposa, prima e dopo il loro consentimento. Ission
a Deioneo, quanto alla moglie di lui. Sollecitato più volte dal padre
della
sua futura sposa, di adempiere al suo dovere, Iss
e un giorno rapire i giumenti di Issione che pascevano nelle campagne
della
Tessaglia. Issione punto al vivo da questa abusiv
itò contro di lui, e tanto che invano egli sollecitò tutti i principi
della
Grecia a concedergli l’ospitalità ; tutti respins
erimonie dell’ espiazione. Ma ben presto il perverso Issione retribuì
della
più nera ingratitudine le larghezze dell’ospite s
i occhi del fatto incredibile ; onde fece travestire coi ricchi abiti
della
principessa, una schiava per nome Nefele, la qual
a camera d’ Issione, fu da questi ricevuta con tutte le testimonianze
della
passione e divise il letto di lui. Sdegnato allor
questi allora formò di una nuvola una donna a cui dette le sembianze
della
propria moglie e la fece presentare ad Issione, i
presentare ad Issione, il quale disfogò sulla supposta dea l’ardenza
della
passione che lo inebbriava ; e poscia non ebbe ri
Plutone fatta regina del regno delle ombre. 2346. Isione. — Principe
della
stirpe degli Eraclidi e figliuolo di Alete, re di
l concorso di popolo che affluiva in Corinto, da tutte le altre città
della
Grecia, onde assistere ai giuochi istmici e solo
a occasione ritenendo per fermo quanto un’ antica tradizione favolosa
della
loro città, asseriva a questo proposito. Gli Elea
essi di avere la supremazia sul paese dei Corinti. Chiamato a giudice
della
querela Briareo, questi per conciliare le differe
di Priapo e di Bacco. Osceni e tenebrosi misteri, ove sotto il manto
della
religione si commettevano le più turpi dissolutez
ata portando con gran divozione l’acqua attinta nelle parti inferiori
della
città, fino alla estremità del monte Itome, ove s
ani volevano alludere alla prudenza ed alla industria, che è la fonte
della
ricchezza. 2357. Iuga. — Uno dei soprannomi più g
te nudrici di Bacco, e che Giove, onde sottrarle all’odio persecutore
della
gelosa Giunone, le avesse trasportate nel cielo e
ome una delle ninfe del seguito di Diana, che si trovava in compagnia
della
dea allorquando Atteone la sorprese nel bagno. 23
quasi tutti gli scrittori, il nome di Giarba, che fu uno degli amanti
della
regina Didone. — V. Giarba. 2367. Jasio. — Fratel
o degli Eraclidi, e si accinse a combattere l’inesorabile persecutore
della
stirpe d’ Ercole. Però non potendo reggere al pes
ll’ inferno. 2370. Jolco. — Patria di Giasone. Questa città marittima
della
Tessaglia, giaceva sulla spiaggla dell’arcipelago
giovanetta : infatti alcuni pretendono che ella fosse figlia di un re
della
Lidia, per nome Giardano ; ed altri, segnatamente
trad. di F. Bellotti. Ercole, perdutamente invaghito di lei, a causa
della
stupenda bellezza che la rese famosa, volle otten
ottenerla in isposa ; ma avendogli Eurito recisamente negata la mano
della
figlia, Ercole sdegnato uccise il re, padre di le
, e con ogni cura la portò seco. Questa Jole fu la principale ragione
della
morte di Ercole, avendo suscitata la gelosia di D
di Creusa. Sua madre è quella stessa figlia di Eretteo, re di Atene,
della
quale si è servito il famoso poeta Euripide, come
lla stessa grotta, ove lo aveva partorito ; ma per quel santo istinto
della
maternità, che parla potentemente al cuore più in
erte e vigile affetto. Così Jone crebbe per varî anni sotto gli occhi
della
sua affettuosa liberatrice, e all’ombra degli alt
tto degli abitanti di Delfo e la loro fiducia ; per modo che, ad onta
della
sua età giovanissima, lo fecero depositario dei r
quel suo dilettissimo la gloria di essere nell’avvenire il fondatore
della
Jonia. Xuto addolorato per non aver figliuoli, do
do Virgilio fu espertissimo nell’arte musicale, e fu uno degli amanti
della
regina Didone. ……. Comparve intanto Co’capei lun
nsacrata a quel dio ; come il dies Jovis ossia giovedi, era il giorno
della
settimana a lui sacro. Finalmente anche nelle Gal
mo. 2380. Kaleda. — Nella mitologia slava veniva così chiamato il dio
della
pace, che ha molta rassomiglianza col dio Giano,
nde relazione che passa fra i Kamis del Giappone e gli Eroi o Semidei
della
mitologia greca e romana. È ancora a notare che i
Semidei della mitologia greca e romana. È ancora a notare che i dogmi
della
religione giappone e ammettono un ente supremo, c
urezza, sta in quei templi, quasi a voler significare che all’ occhio
della
divinità sono palesi tutte le macchie dell’ anima
pesci. Egli viene riguardato come figliuolo di Amida e come creatore
della
luna e del sole. Nella città di Osaka il dio Kano
di perle e di pietre preziose ornano il collo, il petto e le braccia
della
divinità ; un fiore gli adorna il capo ; mentre a
ttia che li affligge. 2387. Kapa, Laighne e Luassat. — Nelle cronache
della
mitologia irlandese, così vengono chiamati tre vi
i nell’Irlanda, fino al punto di essere innalzati agl’onori immortali
della
divinità. La tradizione mitologica irlandese narr
l nome di Bit, Bit-Fiontaîn e Ladra, e si ritiene il primo come padre
della
famosa dea Keasaire, il secondo come suo marito,
iderate come tre idee individuali, svolgentesi dall’idea informatrice
della
potenza celeste feminile rappresentata da Keasair
acerdoti, i quali scrissero su foglie di albero, le più belle massime
della
religione di Budda, e i principali avvenimenti de
iù belle massime della religione di Budda, e i principali avvenimenti
della
vita di quel dio. Quest’ opera chiamata in lingua
ekki. — Nella Lapponia si dava questa denominazione al dio protettore
della
agricoltura. I popoli Carelii poi avevano altri d
i quali rappresentavano le cause immediate sia violenti, sia naturali
della
morte. Esiodo, nelle sue opere, qualifica Ker com
lla morte. Esiodo, nelle sue opere, qualifica Ker come un dio, figlio
della
Notte ; ed aggiunge che abitualmente veniva raffi
a preparazione del vino. 2392. Kuan-in. — Nella Cina è questo il nome
della
dea, che si crede guarisca le donne dalla sterili
io. Kurù è una delle divinità alla quale i Bramani debbono, per legge
della
loro religione, offrire ogni giorno un sacrifizio
ono alcuni cronisti, i quali attribuiscono al re Kopto la costruzione
della
sola piramide grande del centro ; mentre si vuole
ali siano state costruite da uno dei re Faraoni, il quale amantissimo
della
regina sua moglie, e d’una sua figliuola, giovane
nù, secondo la tradizione, nacque a Matura e fu figlio di Vassudeva e
della
bellissima Devakì. Entrambi i suoi genitori disce
evano dalla stirpe degl’ Indù. Narrano le cronache che Kansa fratello
della
regina Devakì, nemico del dio Visnù, anelava di f
fu sposata da Vassudeva, giurò a sè stesso che nessun figlio maschio
della
giovine regina avrebbe vissuto al di là di un gio
strepito di gran numero di strumenti, sui quali si batteva per ordine
della
regina, stordisce i ministri del suo dispietato f
sue labbra e fa che il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene
della
gigantessa che spira ai suoi piedi. Kansa allora
per varii anni alle persecuzioni del traditore Kansa, giunge all’età
della
giovanezza, combatte mostri e giganti, e uccide l
di Anfione. Narra la cronaca che essendo nata zoppa, non trovò alcuno
della
stirpe dei Bacchidi, che avesse voluto torla in m
pfelo, perchè secondo la tradizione, essendo stati i Corinti istrutti
della
risposta che l’oracolo avea data a Labda, vollero
del bambino. 2398. Labdaco. — Figlio di Fenice re di Tebe. Nei fasti
della
cronaca storico-favolosa egli è ricordato come il
o donde si era partiti, senza che si giungesse mai a ritrovare la via
della
uscita. Il laberinto di Grecia che sorgeva nell’i
Al dire di Plutarco, si dava questo soprannome a Giove nella contrada
della
Caria, perchè invece dello scettro e dei fulmini,
lla contrada non cadde in potere dei Carii, i quali in ringraziamento
della
vittoria, innalzarono a Giove una statua e gli po
ro la famosa scure fra le mani. 2401. Lacedemone. — Figlio di Giove e
della
ninfa Faigete. Divenuto adulto egli sposò una fig
la ninfa Faigete. Divenuto adulto egli sposò una figlia di Eurota, re
della
Laconia ; ed avendo ereditato il regno del suocer
cero, dette alla città capitale indistintamente, il suo nome e quello
della
moglie. Da cio la doppia denominazione di Lacedem
zione di Lacedemonia o Lacedemone, e di Sparta, a questa famosa città
della
Grecia. Questo Lacedemone fu, secondo la tradizio
zato un monumento eroico. 2402. Lacedemonia. — Soprannome particolare
della
dea Giunone, come dea tutelare della città di Spa
emonia. — Soprannome particolare della dea Giunone, come dea tutelare
della
città di Sparta. 2403. Lachesi. — Una delle tre P
si. — Una delle tre Parche, e propriamente quella che torceva il filo
della
vita. V. Parche. 2404. Lacinia. In un promontorio
formavano il tetto, onde servirsene per la edificazione di un tempio
della
Fortuna, che egli faceva fabbricare in Roma. Però
la, venisse fusa una piccola giovenca, che poi fu posta sul capitello
della
colonna istessa. 2405. Lacinio. — Cosi avea nome
che entrambi andarono annoverati fra i più grandi e valorosi capitani
della
Grecia. 2407. Lacturno. — Detto anche semplicemen
che presso i romani, presiedeva alla conservazione delle biade, prima
della
mietitura. Vi sono alcuni scrittori dell’antichit
to a sette canne, al quale dette il nome di Siringa, in memoria forse
della
figliuola.V. Siringa. 2409. Laerte. — Figlio di A
ria. Erano così dette perchè coloro che prendevano parte al banchetto
della
cena, erano adagiati sopra letti posti intorno al
aggiudicata la vittoria. I cronisti dell’antichità non fanno menzione
della
maniera con la quale si risolveva la questione, n
illone, in un tempio di Venere, da alcune donne di Corinto, invidiose
della
suprema bellezza di lei. In una contrada della ci
di Corinto, invidiose della suprema bellezza di lei. In una contrada
della
città di Corinto, si vide per lungo tempo un sepo
2417. Laira. — La stessa figliuola di Leucippo, conosciuta nei fasti
della
cronaca pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu r
vorava tutti i bambini che le cadevano fra le mani. Questa tradizione
della
favola, alterata coll’andare del tempo, dette pre
o re d’Egitto ne fu per lungo tempo pazzamente innamorato. All’ epoca
della
battaglia navale che Demetrio Poliocerte vinse co
ica solennità, che poi fu celebrata ogni anno, sotto il nome di festa
della
lapidazione. 2419. Lampadi. — Gli antichi si serv
padi per tre usi principali. Le adoperavano nei tempii e per gli atti
della
religione ; se ne servivano nelle case, nei convi
estale veniva sepolta viva, per aver lasciato spegnere il fuoco sacro
della
dea, si chiudeva con essa nel sotterraneo una lam
aneo una lampada sepolcrale, la quale rischiarava la terribile agonia
della
sventurata. Presso i pagani le lampadi erano comu
o. Fra gli esempii riferiti a comprovare cosìfatta credenza, è quello
della
lampada trovata accesa nel sepolcro di Tulliola,
neggi di quegli impostori. Plutarco istesso racconta, che un abitante
della
Lacedemonia, per nome Cleombroto, avesse vista un
i seguaci del guerriero greco uccisero alcuni buoi, che facean parte
della
mandra affidata dal Sole alla custodia di Lampezi
a similmente nome una delle Fetontidi, fu anch’essa figlia del Sole e
della
ninfa Climene. Al paro delle sue sorelle fu cangi
ia. — Secondo riferisce Varrone, i romani rappresentavano il loro dio
della
guerra sotto la figura di una lancia, prima di av
editata dagli antichi sabini, presso i quali la lancia era il simbolo
della
guerra. 2428. Laocoonte. — Fratello di Anchise e
numeri attortigliamenti e innalzandosi su di esso di tutta la testa e
della
parte superiore del corpo, lo strinsero per modo
, geloso custode del proprio onore, si recò immantinenti nella camera
della
figlia, onde punire la sciagurata che insozzava d
a, onde punire la sciagurata che insozzava di tanta macchia il decoro
della
famiglia. Ma accortosi della verità del fatto, fe
che insozzava di tanta macchia il decoro della famiglia. Ma accortosi
della
verità del fatto, fece togliere la statua di Prot
verità del fatto, fece togliere la statua di Protesilao dalla camera
della
figlia e la fece mascondere, onde Laodamia non ve
Epiroti, i quali in una rivoluzione avevano uccisi tutti i componenti
della
reale famiglia. Nereide fu sposata da Gelone, re
osi in un tempio di Diana, ove erasi ricoverata ai piedi d’una statua
della
dea, fu uccisa spietatamente da certo Milone, che
a. 2430. Laodice. — Secondo alcuni scrittori, così avea nome la madre
della
famosa Niobe, che altri autori tanto antichi che
nei fasti eroici e favolosi dell’antichità. Noi seguendo il carattere
della
nostra opera, parleremo partitamente di quelle do
primi cinque dei suoi figliuoli, temendo d’essere un giorno spogliata
della
clamide reale e del supremo poteretanto caro al s
a madre spietata, invase tumultuoso ed iracondo le più riposte camere
della
reggia, e impadronitosi di Laodice, la uccise mis
eramente, facendone a brani il corpo sanguinoso ; e ponendo sul trono
della
Cappadocia l’ultimo figliuolo dell’uccisa regina,
romessa ricompensa dopo la costruzione degli argini, si era vendicato
della
mala fede del re, distruggendo uno di quei ripari
li morirono lapidate. V. Lamia ed Aussesia. 2436. Lapis. — In memoria
della
pietra che Saturno aveva divorata, invece del pro
neo, e che fu detto Lapito, presero la loro denominazione quei popoli
della
Tessaglia che si resero celebri nei fasti dell’an
comandò a Mercurio che l’avesse condotta all’inferno. Mossa a pietà
della
consorte, innante A Giuno ancor sen venne, e diss
a pietà della consorte, innante A Giuno ancor sen venne, e disse ; È
della
Ninfa Giuturna il tuo marito amante. Giove ne fre
utamente, la rese madre di due gemelli che poi furono detti, dal nome
della
madre Lari, ed a cui varii scrittori danno anche
stamente vissuto e che perciò dimoravano anche dopo la morte nel seno
della
propria famiglia, proteggendola del loro sopranna
ti sotto la figura di un cane onde ricordare che essi erano i custodi
della
casa, e che vigilavano continuamente onde allonta
ano più d’un esempio, in cui si vede che particolarmente in occasione
della
morte di un qualche congiunto, i pagani insultava
momento di furore fatti gettare dalla finestra. Oltre ai Lari custodi
della
famiglia e della casa, i pagani ne distinguevano
fatti gettare dalla finestra. Oltre ai Lari custodi della famiglia e
della
casa, i pagani ne distinguevano diversi altri. V’
’erano i Lari pubblici, che avevano la speciale presidenza dei lavori
della
città, come strade, monumenti, sepolcri, ecc. V’e
le crociere delle vie ; Viales, quelli delle strade ; Rurales, quelli
della
campagna ; e finalmente i Lari Hostiles, quelli c
vo di Grundiles, alludendo al grugnito proprio dei maiali, in memoria
della
scrofa che avea partoriti trenta porcelli in una
, si chiamava con nome proprio Larario. 2442. Larissa. — Questa città
della
Tessaglia, posta propriamente sul monte Peneo, è
V. Lemuri. 2445. Lasio. — Così ebbe nome uno dei più famosi principi
della
Grecia. Egli aspirò insieme a diversi altri sovra
ome di Laterano al dio dei focolari 2447. Latino. — Figlio di Fauno e
della
ninfa Marica, fu il più famoso dei re del Lazio.
pi dell’Italia. Verso quel torno di tempo. Enea approdò sulle spiagge
della
penisola italiana, e propriamente nel Lazio, e ch
i popoli norici, era questo il nome del loro Esculapio, ossia del dio
della
sanità. Vogliono alcuni autori, che Latobio propr
. Omero la fa figliuola di Saturno. Giove l’amò con passione, a causa
della
sua stupenda bellezza e la rese madre di due geme
suo divino volere il serpente Pitone uscendo dalle più cupe voragini
della
terra, spaventò siffattamente Latona, inseguendol
na di Palladia palma Giacendo all’ombra’, di gemella prole Sgravossi,
della
suocera a dispetto. Fama è però che per fuggir lo
le acque dello stagno, affinchè ella avesse sofferta l’atroce tortura
della
sete. Allora Latona sdegnata contro quegl’empi, r
la vendetta dei numi sul loro capo, e Giove non sordo alla preghiera
della
sua amante, cangiò quei crudeli in rane. Erodoto
ca nel linguaggio egiziano, nascosto), volendo significare, che prima
della
nascita del sole, tutte le cose create erano nasc
famoso consacrato a Latona, sorgeva nella città di Argo ; e la statua
della
dea era lavoro dell’immortale scalpello di Prassi
ità di volere a forza penetrare nell’antro di Trofonio, e che in pena
della
sua azione sagrilega, fosse condannato dagli dei
ruppe in un violento scoppio di riso. Fu allora che comprese il senso
della
risposta dell’oracolo, e vedendosi, risanato offr
romani davano ed una festa, che essi celebravano annualmente in onore
della
madre degli dei. Era costume di portare in giro p
. Era costume di portare in giro per la città in gran pompa la statua
della
dea, posta su di un carro, e poi andarsi a lavare
ata dalla testimonianza cronologica delle date, aggiunge che la festa
della
lavazione si celebrava il 25 marzo, e fu istituit
i tenebre lo loro mariuolerie. …. poi l’aiuto implora A mezze labbra
della
dea Laverna. Bella Laverna, ei dice, il mio cando
ste diverse cerimonie, si compivano sempre nel più alto silenzio. Una
della
porte di Roma veniva detta Lavernale, per essere
nsacrato a Laverna. 2454. Lavinia. — Figlia di Latino, re del Lazio e
della
regina Amata. Fu erede del trono paterno. V. Lati
Turno re dei Rutuli, una lunga guerra, perchè questo, che era nipote
della
regina, contrastò ad Enea colle armi il possesso
ipe non avesse attentato ai suoi giorni, onde assicurarsi il possesso
della
corona ; e non potendo sottrarsi a questo doloros
me di Silvio. Intanto gli abitanti del Lazio cominciarono a mormorare
della
lontananza di Lavinia, per modo che Ascanio fu co
lontananza di Lavinia, per modo che Ascanio fu costretto a ricercare
della
matrigna e a cedere ad essa ed al figliuolo Silvi
e della matrigna e a cedere ad essa ed al figliuolo Silvio il governo
della
città di Lavinio, che essa tenne fino alla morte
o il superbo, e che sorgeva sopra un’alta montagna, nelle circostanze
della
città di Alba ; propriamente dove si tennero poi
i propri figliuoli al loro dio Saturno. 2459. Laziar. — Nome proprio
della
festa istituita da Tarquinio il superbo, in onore
e compiere una cerimonia religiosa. Fu questa l’istituzione primitiva
della
festa Laziar, il cui periodo fu, da principio, di
onte sacro, fece ritorno in città, fu fissato a tre giorni il periodo
della
festa Laziar, e finalmente furono definitivamente
amente assegnati quattro giorni alla celebrazione di essa, in memoria
della
sedizione calmatasi nel popolo, quando la plebe p
uo. V. Ero. 2462. Leargo. — Figlio di Atamante e di Ino e discendente
della
stirpe di Cadmo. Egli fu vittima del geloso odio
colpito di un accesso di furore. 2463. Leche. — Figlio di Nettuno, e
della
ninfa Pirene. Egli diede il proprio nome ad uno d
zione mitologica racconta di lei che Giove l’amò perdutamente a causa
della
sua stupenda bellezza ; e che avendola un giorno
tori antichi han confuso Leda con Nemesi. Fidia, l’immortale scultore
della
Grecia antica, rappresentò su d’un bassone riliev
e il cane che Procri regalò a Cefalo, quando questi mosse alla caccia
della
mostruosa volpe, che, secondo la cronaca, desolav
izione a cui si attiene il citato poeta, che offesa Temi per la morte
della
sfinge, e per vedere spiegati i suoi oracoli, man
rf. — Libro VII Fav. XI. trad. del Cav. Ermolao Federico. Nei fasti
della
mitologia è ripetuto che il cane Lelapo era stato
rocri, il quale poi finalmente lo donò a Cefalo, per la famosa caccia
della
volpe di Tebe. 2468. Lemno. — Conosciuta anche so
nell’ Attica, verso la fine dell’ autunno, e propriamente all’ epoca
della
vendemmia, ond’ è che il mese consacrato a questa
a il nome di Leonidee. 2472. Leontiche. — Solenni cerimonie religiose
della
Persia — V. Mitriache. 2473. Leo. — Uno degli ero
ie religiose della Persia — V. Mitriache. 2473. Leo. — Uno degli eroi
della
Grecia. Al dire di Pausania egli fu innalzato agl
orrisponde alla ventiquattresima parte di un lega francese. Nei fasti
della
mitologia, il lago di Lerna è celebre per la famo
che, alle quali il destino avea sottoposto Ercole, anche l’ uccisione
della
terribile Idra. V. Ercole. Euripide dice, che l’a
uccisione della terribile Idra. V. Ercole. Euripide dice, che l’arme
della
quale Ercole si servì per uccidere il mostro era
ce, non poterle divulgare senza sentirsi ardere la fronte dal rossore
della
vergogna. 2477. Lesbo. — Isola del mare Egeo, cel
icare a Bacco delle vittime umane. 2478. Lestrigoni. — Antichi popoli
della
Sicilia, che le cronache ci presentano come antro
pofagi. Narra la cronaca, che allorquando Ulisse giunse sulle spiagge
della
Lestrigonia, mandò due dei suoi seguaci verso il
rso il re del paese, per nome Antifate. Ma i messaggieri all’ingresso
della
reggia trovarono la moglie del re, la cui spevent
itosamente dall’ orribile scena, lasciando su quel luogo di morte più
della
metà dei suoi compagni. ….. I Lestrigoni l’ udir
479. Letea. — Moglie di Oleno. Narra la cronaca, che essa insuperbita
della
propria bellezza, osò vantarsi d’esser più bella
oblio, ha dato forse principio alla favola allegorica di questo fiume
della
dimenticanza. Anche in Africa v’era un fiume cono
ontuoso e splendido banchetto, che per più giorni, in nome ed a spesa
della
repubbblica, si dava alle principali divinità, ed
mo Lettisternio fu solennizzato in Roma e propriamente nell’ anno 356
della
sua fondazione. Un rigido e pessimo inverno, segu
Arnobio, fa menzione di un Lettisternio celebrato solamente in onore
della
dea Cerere. Gran numero di autori ha ritenuto il
osti sotto le statue degli dei e degli eroi. Lo Spon, nel suo viaggio
della
Grecia, scrive che nella città di Atene si vedeva
in onore di suo padre Anchise. 2485. Leuce. — Isola del Ponto Eusino,
della
quale la tradizione mitologica ripete, che gli an
ando ardeva la guerra fra i Locresi ed i Crotoniati, quelli, a motivo
della
loro affinità cogli Oponzii, ricorsero ad Aiace f
ertito il poeta Stesicoro che egli aveva perduta la vista per effetto
della
collera di lei. Così almeno ripete la tradizione
la sua completa integrità. In quanto a noi, non essendo del carattere
della
nostra opera far disamina nelle differenti opinio
lei veniva da un luogo, sulle rive del fiume Meandro, nella contrada
della
Magnesia, ov’essa aveva un tempio, in cui si ador
rese famosa per la sua stupenda bellezza, che vinceva d’assai quella
della
madre di lei, ritenuta anch’essa come una delle p
Ermolao Federico Narra la cronaca mitologica che Apollo innamorato
della
straordinaria bellezza di Leucotea, avesse preso
, perchè il destino si oppose, asperse di nettare il bellissimo corpo
della
sua amata, e la terra che lo ricopriva ; dalla qu
recinto, la disgraziata moriva uccisa a colpi di bastone sull’altare
della
dea Leucotoe, conosciuta anche col nome di Matuta
uta V. Matuta. 2492. Lia. — Appellazione particolare che gli abitanti
della
Sicilia davano alla Luna, credendo che essa li av
rgine del paese. I temessiani si sottomisero colla passiva obbidieuza
della
superstizione, a quanto imponeva l’oracolo temuto
Eutimo, nel tempo stesso in cui dovea compiersi l’annuale sacrifizio
della
vergine, egli entrò nel tempio e vide una belliss
to dagli ebrei, mentre si vede dalla Bibbia e dagli altri libri sacri
della
religione ebraica, che il dio di Mosè aveva coman
entina, detta anche Libertina, altro non fosse che una configurazione
della
dea di Venere, a cui le giovanette, giunte ad una
, a cui le giovanette, giunte ad una certa età consacravano i giuochi
della
infanzia. Plauto chiama dea Lubentina quella divi
più osceni propositi. Quando il carro era giunto sulla maggior piazza
della
città, una matrona incoronava innanzi a tutti il
te Aventino e adorno di statue di gran valore, si vedeva il simulacro
della
dea Libertà, rappresentata sotto la figura di una
pare ; e finalmente il gatto era il simbolo convenientissimo alla dea
della
Libertà, perchè fra gli animali domestici, il gat
l’oracolo di Bacco, nella Tracia, per sapere quale sarebbe il destino
della
loro città, la risposta del dio fu che quella sar
ccorsero in folla i pastori delle circostanti campagne e gli abitanti
della
città ; e fecero tale ressa onde accostarsi al do
Folgorali, perchè traevano gli augurii dell’avvenire dallo strisciare
della
folgore. È scritto nelle cronache, che nell’Etrur
Bigoide avesse scritto un libro, che trattava del tuono, dei lampi e
della
interpretazione che dovea darsi a codeste meteore
he, secondo la credenza superstiziosa dei pagani, contenevano il fine
della
vita degli uomini, e la durata della loro età, se
dei pagani, contenevano il fine della vita degli uomini, e la durata
della
loro età, secondo i principii dell’arte etrusca.
imposto a Venere, la quale era anche la configurazione del principio
della
vita, come madre dell’ amore, onde gli uomini si
o della vita, come madre dell’ amore, onde gli uomini si ricordassero
della
loro caducità. È questa anche l’opinione del cron
ndicatore, cadendo dal cielo, ridusse in cenere la reggia di lui. ……
della
Molossa Gente ad un tale a lui mandato ostaggio,
tto le sembianze di uno straniero. I figliuoli del re, per accertarsi
della
verità di quanto asseriva il loro padre, ebbero r
buiscono al fatto seguente. Allorquando Danao contrastava il possesso
della
corona di Argo al re Gelanore, gli accadde un gio
poco vide cadere il toro, e il lupo rimaner vincitore. Approfittando
della
superstizione di un popolo rozzo, qual’era l’argi
o l’ eroe ebbe distrutte le femmine guerriere, donò a Lico, in premio
della
sua fedeltà una contrada che quegli chiamò Eracle
— Egloga X. trad. di Andrea Lori 2523. Licoro. — Figlio di Apollo e
della
ninfa Coricia. La cronaca antica lo ritiene come
della ninfa Coricia. La cronaca antica lo ritiene come l’ edificatore
della
città di Licoria sul monte Parnaso, aggiungendo,
mpo surse la città di Licoria. 2524. Licurgo. — Figlio di Driante, re
della
Tracia. Al dire dl Omero, egli ebbe corta vita pe
Il senso configurato che si racchiude sotto codesto mito simbolico
della
favola, è fondato sull’ aver Licurgo fatto sbarbi
o d’accetta, la qual cosa venne considerata come l’ effetto terribile
della
vendetta di Bacco. Licurgo è similmente il nome d
tta di Bacco. Licurgo è similmente il nome del più famoso legislatore
della
Lacedemonia, del quale la cronaca mitologica fa m
e, si dava codesto soprannome a Bacco, dio del vino, come dissipatore
della
malinconia. 2526. Ligo. — Uno dei figliuoli di Fe
i Cirene, famose per la bianchezza del loro collo, e per la ricchezza
della
bionda capellatura. ……… le ninfe Filodoce e Lige
inse di gran lunga quella di Pindaro, Linceo vedeva fin nelle viscere
della
terra, la qual cosa per altro si può spiegare col
atua fu posta nel tempio di Delfo, in mezzo a quelle degli altri eroi
della
Grecia. 2542. Linco. — Re di Scitia, di cui la tr
— Re di Scitia, di cui la tradizione ricorda un odioso fatto. Geloso
della
preferenza che la dea Cerere avea data a Trittole
data a Trittolemo, Linco ebbe sempre nell’ animo perverso il pensiero
della
vendetta. Infatti, giunto Trittolemo alla sua cor
fizio alle muse. Lino similmente ebbe nome quel figliuolo di Apollo e
della
musa Tersicore, che la tradizione ci mostra come
olino che si suonava coll’arco. Narra la cronaca, che questo fu causa
della
morte di Lino, imperocchè avendo un giorno sgrida
coll’arco dello istrumento, che gli produsse una ferita sulla fronte,
della
quale dopo poco tempo Lino morì. Il cronista Diog
i animali e delle piante ; e il terzo finalmente sul corso del sole e
della
luna. 2545. Lione. — Secondo scrive Plutarco, que
sopra un carro tirato da due di quegli animali. Anche nei sacrifizii
della
dea Cibele, prendevano posto i lioni, avendo i sa
dici imprese di Ercole. — V. Ercole. — è quello stesso di cui i poeti
della
antichità formarono il segno dello zodiaco. 2544.
are, e si suonava con le dita. Da principio i pagani non si servivano
della
lira che per cantare le lodi degli dei ; poi fu a
λλω getto, si dava dai greci questo nome particolare alla festa detta
della
lapidazione. V. Lapidazione. 2549. Litomanzia. —
Loimio. — Dalla parola greca λοιμος che significa peste, gli abitanti
della
Lidia davano questo soprannome ad Apollo, perchè
legoricamente, da questo fiore, il sole che nasce. In tutti i misteri
della
religione egiziana, si trovava sempre il fiore di
ella religione egiziana, si trovava sempre il fiore di Loto, a motivo
della
grande relazione che gli egizii credevano avesse
la pianta ha con la forma del cuore umano, e le sue foglie con quella
della
lingua, è la sorgente di tutta l’arcana configura
la lingua, è la sorgente di tutta l’arcana configurazione dei misteri
della
religione egiziana, in cui il fior di Loto è semp
anto preziosa. 2556. Lotofagi. — Antichi popoli dell’Africa abitatori
della
costa di Barbaria, nel gran golfo di Sirte. Narra
ebri. Nei giuochi Olimpici era assegnato un largo premio al vincitore
della
lotta. 2558. Lua. — Divinità, che, al dire di Tit
morti, rimaste sul campo. Lua era riguardata generalmente come la dea
della
espiazione, e sopratutto di quelle che un esercit
ca tradizione dice, che le Lucarie furono istituite in commemorazione
della
rotta che le armi romane ebbero dai Galli e nella
ese di luglio. 2560. Lucerio. — Soprannome dato a Giove come creatore
della
luce. 2561. Lucifera. — Soprannome di Diana, sott
ra e coperta d’un manto seminato di stelle. 2562. Lucifero. — I poeti
della
mitologia chiamano così la stella Venere, quando
aprotine ; nel giorno seguente a queste, si compiva l’altra solennità
della
Vitulatio. Ai dodici di Luglio si festeggiava la
Luglio, ricadeva la festa annuale di Castore e Polluce ; ai 23 quella
della
dea Lucina Olimpica — vedi Lucina — ai 25 si cele
l’antichità, i quali, meravigliati alla vista di questi due splendori
della
creazione, e riconoscenti agli effetti ed ai vant
to da nazioni affatto spoglie d’incivilimento, così i primi adoratori
della
Luna, ritenendo che quell’astro colle proprie inf
endo che quell’astro colle proprie influenze, e perfino colla pioggia
della
sua pallida luce, fosse talvolta cagione di gravi
e la luna fosse immortale, e allora genufiessi innanzi a quell’astro,
della
cui esistenza essi, nella loro ignoranza, non sap
to modo compendiate e quasi raccolte nel culto che i primitivi popoli
della
terra, tributarono al Sole ed alla Luna. Secondo
sull’antichità pagana, ripete che Fea, la divinità suprema, fu madre
della
Luna e di tutti gli altri minori pianeti, che si
urabile. Il riferito scrittore ci ammaestra similmente, come il culto
della
Luna fosse sparso e conosciuto anche nelle Gallie
allie, ove nella piccola isola di Sain, posta sulla costa meridionale
della
bassa Brettagna, sorgeva un tempio dedicato alla
dimione. Tutti gl’indovini, le straghe, le maghe, e sopratutte quelle
della
Tessaglia, contrada del mondo antico ove la più c
attiravano la Luna coi loro sortilegi. 2567. Lunedi. — Questo giorno
della
settimana era, forse dal suo nome medesimo, consa
monumenti antichi si trova personificato il lunedì sotto le sembianze
della
dea Diana con la testa adorna di un novilunio. 25
ma, alla quale, secondo riferisce il cronista Sparziano, gli abitanti
della
città di Carres, nella Mesopotamia, avevano innal
o chiamata la Luna colla sua appellazione femminile, pure nei misteri
della
loro religione, ne facean sempre menzione come il
ληνη che in quella lingua rinchiude in sè stesso il significato tanto
della
Luna individualmente, quanto del mese a lei consa
e con ai piedi un gallo, animale che col suo canto avvisa il ritorno
della
luce. Finalmente il cronista Sparziano, già da no
pa fu la nutrice di Romolo e Remo, i quali bambini suggevano il latte
della
belva, scherzavano con essa come con la loro madr
riscono i cronisti più accreditati dell’antichità, era questo il nome
della
grotta, ove furono nutriti dalla lupa Romolo e Re
e, che essendo venuto in Italia Evandro Arcade, dedicò al dio supremo
della
sua patria, un dato luogo, a cui impose similment
Aggiungeremo ancora per quanto riguarda la parte storico-mitologica
della
nostra opera, che sul principio del regno di Augu
acrifizio agli dei ogni cinque anni, dopo aver fatto la numemerazione
della
popolazione. Da ciò forse ne venne il nome propri
ri » ivi » conosciuti » ivi » incogniti » ivi » del cielo » ivi »
della
terra » ivi » del mare » ivi » dell’inferno » i
i a capo del rigo) » 68 1. Pindaro. — Il maggior poeta lirico
della
Grecia, secondo la testimonianza dei più rinomati
tima sia la più probahite. Verosimilmente Pindaro mori nell’ 80° anno
della
sua vita, e ammettendo, con Bockh, che fosse nato
el 442 avanti Cristo. La famiglia di Pindaro era una delle più nobili
della
città di Tebe. 2. Pelasci. — Popoli primitivi
uspicii ; o se sia veramente patronimica, per la derivazione del capo
della
loro razza, a nome Pelasgo. I Pelasgi, seguendo l
più accreditate ed i ricordi dei poeti, degli storici e dei geografi
della
classica antichità. s’incontrano sparsi nelle pre
antichità. s’incontrano sparsi nelle prestoriche età, sul continente
della
Grecia. sulle spiagge ed isole del mare Egeo, non
endenza degli antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo
della
lingua, che resistette ai conquistatori ed al tem
la congiuntura di non essere distratta dalle cure minute e materiali
della
vita, commesse agli schiavi ; l’educazione che ri
ne, alla distruzione di Corinto. I tratti principali e caratteristici
della
civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi pe
tato, il commercio, le scienze e le arti. 4. Omero. — Sette città
della
Grecia si disputarono l’onore di aver dato i nata
dieciannove città che si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese
della
più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sos
nsiderò unanimamente l’Iliade e l’Odissea come le più classiche opere
della
greca poesia, 10. navano scalzi. Iside viene co
nte, da cui nacquero il visibile universo, tutte le deità individuali
della
Mitologia, e in cui alla fine tutto sarà riassorb
ani. — Seguaci dell’eresia Gnostica, cosi decti da Corinto, fondatore
della
loro scuola. Di lui si può asserire quanto espone
o giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri
della
loro setta. 23. Adamiti, Peratensi, Abeliti. —
o giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri
della
loro setta. 24. Adamiti, Peratensi, Abeliti. —
o giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri
della
loro setta. 25. La processione dell’ Assunzione,
ffoca i draghi. Ad illustrazione di questo passo, riportiamo il brano
della
vita di Zeusi, famoso pittore greco del V secolo,
arlo Dati, Vita di Zeusi 27. L’Altare di Bethel. — Nel XXXV. Cap.
della
Genesi così è scritto riguardo all’altare innalza
aabah. — Nome che viene particolarmente dato dai maomettani ai tempio
della
Mecca, il quale, secondo la loro credenza, fu edi
L’azione dell’umano intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni
della
natura, è ciò che si chiama propriamente Arte. Le
uesto favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte. Fra i piccoli stati
della
Grecia surse, assai di buon’ora, una gara di emul
zze del creato, deve tendere al suo vero principio facendosi sostegno
della
verità : cooperandosi al progresso, perfezionando
ta ei l’ebbe Abbassò l’asta il fiero, e coll’acuto Ferro l’assalse, e
della
man gentile Gli estremi le sfiorò verso il confin
ia universale, vol. 2. parte 1. 33. Potremmo citare numerosi passi
della
Bibbia e dei più rinomati scrittori sacri, onde r
izione di essi, riporteremo il passo del libro l deire al Cap. XXVIII
della
Bibbia. quando la Pitonessa per comando di Saul e
rck, verso il principio del secolo XIII. Si rese celebre nella storia
della
scienza come autore del primo trattato di astrono
però sotto il nome di Cecco d’ Ascoll per esser nato in questa città
della
Marca d’Ancona nell’ anno 1237. Narrasi che essen
e nella provincia d’ Oxford. Mori l’ 8 novembre del 1674 nel 66. anno
della
sua vita. I suoi avanzi riposano a Clipplegate ne
olo al castello dei Lusignano quante volte la morte sovrastava ad uno
della
famiglia. 38. Mesmer Francesco Antonio, nacque
quale é conosciuto in tutta l’ Europa, da una terra che faceva parte
della
fortuna di sua madre. 40. POTSDAM, ciltà della
rra che faceva parte della fortuna di sua madre. 40. POTSDAM, ciltà
della
Germania nel regno di Prussia, capoluogo della pr
. 40. POTSDAM, ciltà della Germania nel regno di Prussia, capoluogo
della
provincia di Brandeburgo e della reggenza del suo
ania nel regno di Prussia, capoluogo della provincia di Brandeburgo e
della
reggenza del suo nome. È posta sulla riva destra
na gamba e restò sempre zoppo. 46. Ciro. — Celebre eroe e fondatore
della
monarchia persiana. figlio di Cambise persiano e
filosofo, storico e critico, a buon diritto considerato il vero padre
della
filosofia della storia, nacque nel 1668 in Napoli
o e critico, a buon diritto considerato il vero padre della filosofia
della
storia, nacque nel 1668 in Napoli da onesti ma po
o viene dall’ebralco. 49. Zoroastro. — Detto Zerdusht, fu fondatore
della
religione dei Parsi. — Nacque intorno all’anno 58
a al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava gli avvenimenti
della
vita : e Atropo, la più vecchia, tagliava, colle
Introduzione 1. Quasi tutti i popoli
della
terra, negli albori della vita intellettuale e so
Introduzione 1. Quasi tutti i popoli della terra, negli albori
della
vita intellettuale e sociale, crearono una quanti
sociale, crearono una quantità di favole e racconti intorno agli Dei
della
loro fede e agli uomini più valenti di loro stirp
trimonio di que’ popoli, e come il tesoro contenente, sotto il velame
della
favola immaginosa, l’ espressione delle credenze,
vano più o meno i primitivi lineamenti. Ma non è men vero che gli Dei
della
mitologia e le principali leggende a loro relativ
gia e le principali leggende a loro relative erano nei tempi migliori
della
Grecia oggetto di fede comune, a cui si piegavano
ietra e la luna come una terra; ed anche Platone si mostrava convinto
della
divinità di Helios e di Selene. Era dunque la Mit
ntastici, la Mitologia ha stretto rapporto colle arti, sia colle arti
della
parola, segnatamente colla poesia, sia colle arti
quali giudicarono che nei miti classici ancor si ritrovino le traccie
della
rivelazione biblica, sebbene frantesa e sfigurata
dagli Elleni o trasmessi loro dall’Oriente racchiudano, sotto il velo
della
favola, i dettami di un’alta e civile sapienza; l
frasi immaginose, usate da principio a esprimere i grandiosi fenomeni
della
natura secondo l’ impressione che essi facevano n
cia le uggiose tenebre, veniva detto il Titano che strozza i serpenti
della
notte prima di trarre il suo carro su pel cielo;
rora, cui non potrà più rivedere se non quando sarà giunto al termine
della
sua faticosa giornata. Un piccolo strumento compo
to di due pezzi di legno congegnati in modo da produr fuoco per mezzo
della
confricazione, strumento detto pramantha in india
e quelle degli altri popoli ariani, si connettono col grandi fenomeni
della
natura, come dimostra l’ etimologia dei nomi loro
elle forze naturali, aggiuntavi quell’ idea del divino, ossia l’ idea
della
somma intelligenza e del sommo bene, che è innata
sse le altre consorti di lui allo stato di concubine; e Callisto, dea
della
luna in Arcadia, cedendo il luogo ad Artemide, ne
, alterare, incrociare, rifondere, sdoppiare in mille modi i racconti
della
mitologia; cosicchè riesce ora pressochè impossib
resente, tutte le azioni degli uomini in qualunque più riposto angolo
della
terra. Ancora essi van soggetti ai bisogni corpor
ia per sapere sia per potenza. A piacer loro penetravano ogni segreto
della
natura; potevano suscitar d’ un tratto tempeste,
onnipotenza; Zeus stesso era in qualche modo limitato nell’ esercizio
della
sua forza, ad es. era egli stesso soggetto al fat
iorità da giustificare la venerazione e il culto che erano un portato
della
naturale religiosità. 2. Origine del mondo e degl
o Inferno; poi comparì Eros, l’ amore che unisce, ossia il principio
della
forza attrattiva che spinge gli elementi a combin
evidentemente si traduceva in linguaggio mitico il fenomeno naturale
della
terra fecondata dall’ acque. Prodotti dell’ union
ethys) l’ umidità che tutto pervade e nutre; Iperione, l’ errante dio
della
luce e Tea (Theia), l’ irradiante, da cui nacquer
s) e quella che scorre, personificazione del movimento degli esseri e
della
durata. Oltre queste coppie vanno ricordati tra i
n tre, Cotto, Briareo e Gige, e rappresentavano le forze distruttrici
della
natura, il terremoto e le tempeste. In unione col
do gli Dei sorti dal Caos, una personificazione delle grandiose forze
della
natura, il nascimento loro rappresenta anche l’ o
; ma neanche questo doveva esser lungo e felice. Il padre nel momento
della
sconfitta gli aveva predetto che avrebbe subito l
o di questo mito; con esso rappresentavasi un gran conflitto di forze
della
natura; forse era ancora un’ eco di quei grandi c
chiri, divenuti omai fide sentinelle di Zeus. Crono perdette il regno
della
vita e dovette contentarsi d’ allora in poi, seco
ificazioni, al greco Crono fu fatto corrispondere Saturno, antico Dio
della
seminagione, forse perchè anche Crono in alcune l
rchè anche Crono in alcune località greche era stato onorato come Dio
della
maturità, dell’ abbondanza e lo si rappresentava
chi non ripensa la IV ode del libro terzo d’ Orazio, ove il racconto
della
lotta titanica è seguita da quella savia riflessi
odere vires Omne nefas animo movente s? 1 Ancora nei tardi secoli
della
decadenza latina, il poeta Claudio Claudiano comp
marmorei che ancora conservansi e rappresentano questa o quella scena
della
Gigantomachia. Si noti che mentre nei lavori più
come aventi in luogo di gambe due serpenti che terminano dalla parte
della
testa. Un celebre cammeo del Museo Nazionale di N
dini, gli Dei del cielo, gli Dei dell’ oceano e delle acque e gli Dei
della
terra e dell’ inferno. Capitolo secondo. Gli D
ater, Iu-piter (ind. Djaus-pitar = padre del giorno). Adunque l’ idea
della
suprema Divinità si è nelle origini associata al
la suprema Divinità si è nelle origini associata al fenomeno naturale
della
luce, del giorno e del brillar del cielo. Da ques
il quale n’ uscivano procelle e tempeste, più tardi creduto la pelle
della
capra Amaltea cinta tutt’ intorno di serpenti, su
tutt’ intorno di serpenti, sul cui mezzo Giove aveva fissato il volto
della
Gorgone per atterrire i suoi avversari. 2. Alle a
itarli benignamente. Come dello stato così Zeus è anche il protettore
della
famiglia; ogni capo di famiglia era come un sacer
e per mezzo del suo prediletto figlio Apollo. 3. L’ alto concetto che
della
suprema loro divinità avevano gli antichi, non im
e, venne allevato, in un antro segreto dell’ isola di Creta, per cura
della
ninfa Adrastea, e ricevette il latte dalla capra
oltre, con Demeter Zeus generò Persefone (Persephone, Proserpina, dea
della
vegetazione), con Eurinome (Eurynome, una oceanid
e la generazione di Apollo e Artemide significa l’ unione del cielo e
della
notte, da cui provengono i raggi del sole e quell
del cielo e della notte, da cui provengono i raggi del sole e quelli
della
luna; l’ amore di Zeus con Demeter, la dea delle
er, la dea delle biade, rappresenta l’ unione primaverile del cielo e
della
terra, che dà origine alla vegetazione. In second
rtanza maggiore dell’ altre; di tutte la più antica era Dodona, città
della
Tesprozia in Epiro, dove già era oggetto di culto
e. Ivi, tra molte altre opere d’ arte, era la famosa statua di Fidia,
della
quale parleremo fra poco. 5. Al Zeus greco corris
i Latini. Anche questi era il Dio del cielo e dell’ atmosfera, quindi
della
luce, della pioggia e della tempesta, e pero invo
che questi era il Dio del cielo e dell’ atmosfera, quindi della luce,
della
pioggia e della tempesta, e pero invocato col tit
l Dio del cielo e dell’ atmosfera, quindi della luce, della pioggia e
della
tempesta, e pero invocato col titoli di Diespiter
itoli di Diespiter, padre del giorno, e Iupiter Lucetius, Giove dator
della
luce. Presiedeva all’ agricoltura, e come sovrano
siedeva all’ agricoltura, e come sovrano delle lotte fra gli elementi
della
natura, anche alle battaglie. Dal lato morale, an
lie. Dal lato morale, anche Iupiter era il dio tutelare dell’ onestà,
della
giustizia, della lealtà, ed era detto Dius Fidius
ale, anche Iupiter era il dio tutelare dell’ onestà, della giustizia,
della
lealtà, ed era detto Dius Fidius, e la Fides era
l’ arte. Cenni del Dio supremo e rappresentazioni più o meno compiute
della
sua figura è naturale che ricorrano assai di freq
limpo ne trema. Più materiale è l’ immagine che ci dà lo stesso poeta
della
forza di Zeus mettendogli in bocca queste parole:
il vincere. Nel volto era mirabilmente armonizzata la significazione
della
potenza divina e della benignità: la fronte ampia
era mirabilmente armonizzata la significazione della potenza divina e
della
benignità: la fronte ampia, serena, l’ occhio gra
no, come segno dell’ universo da lui governato, infine la Niche o Dea
della
vittoria. Spesso la sua chioma è ornata o d’ una
delle due deità celesti, da cui si faceva dipendere tutta la feracità
della
terra. La memoria n’ era solennemente festeggiata
anche si compiacquero i mitografi di raccontare i coniugali dissensi
della
celeste coppia; Era veniva dipinta come gelosa e
o che la luna errante nelle regioni celesti (la vacca cornuta simbolo
della
luna parziale), e Argo è appunto il cielo stellat
uale essa compie la sua peregrinazione. Anche l’ essere Era una deità
della
tempesta spiega come sia stata pensata madre di A
nte celebrata come rappresentante del vincolo coniugale, e la nobiltà
della
donna che serba costante fede al marito trovava i
i fecondità, e come madre di Ilitia (Ilithyia) era venerata quale dea
della
maternità. 3. In origine il culto di Era non era
v. C. tra Argo e Micene. Ivi trovavasi la più bella e preziosa statua
della
Dea, fatta da Policleto di Sicione, artista poco
ove). Dapprima era confusa con Mater Matuta, vecchia divinità italica
della
luce matutina; ma ben presto furono dimenticati i
rotettrice delle matrone romane, cui essa assisteva in tutti gli atti
della
vita. Anzi ciascuna donna di Roma si diceva aver
Genio. Varii erano poi gli epiteti dati a Giunone secondo il momento
della
vita affidato alla sua tutela; Iuno Lucina presie
nel tempio Capitolino, accanto a quella di Giove. La festa principale
della
Dea era quella detta Matronalia, che si celebrava
. Per confusione di parole, se n’ era poi anche fatta una protettrice
della
moneta e della zecca romana. 5. Molti busti e sta
e di parole, se n’ era poi anche fatta una protettrice della moneta e
della
zecca romana. 5. Molti busti e statue di Era e Gi
r oggi l’ oggetto dell’ ammirazione per una perfetta rappresentazione
della
bellezza matronale. Prima va ricordata una testa
di capra, con lancia e scudo, in atteggiamento guerriero. Distintivi
della
figura di Era sono: il mento alquanto pronunziato
. Le si attribuisce solitamente lo scettro e il diadema, come simbolo
della
regal potestà, spesso il velo di sposa, la patera
l’ oca, animali a lei sacri, spesso anche il cuculo come messaggiero
della
primavera. III. Pallade Atena-Mine
te celesti e coll’ arme in pugno; ma era anche contemporaneamente dea
della
quieta e serena luce celeste, quindi della pace,
che contemporaneamente dea della quieta e serena luce celeste, quindi
della
pace, della saggezza, quasi la personificazione d
raneamente dea della quieta e serena luce celeste, quindi della pace,
della
saggezza, quasi la personificazione della prudenz
celeste, quindi della pace, della saggezza, quasi la personificazione
della
prudenza di Giove. Come dea guerresca, Atena port
viene poi assegnata costantemente ad Atena; si diceva fosse la pelle
della
capra Amaltea con in mezzo l’ orribil testa della
ceva fosse la pelle della capra Amaltea con in mezzo l’ orribil testa
della
Gorgone Medusa. Era costei, secondo la leggenda,
ena n’ avrebbe presa la testa, irta di serpi, per fissarla nel centro
della
sua egida, a terrore de’ nemici suoi. In fondo tu
li eserciti agli assalti, ma a differenza di Ares, Dio, come vedremo,
della
guerra brutale, essa ispira i movimenti più ragio
rilievi per opera del gran Fidia 4, il quale pure compose la statua
della
dea posta in fondo alla cella; statua di cui dire
tanze di tutte le tribù attiche, e riusciva una solenne testimonianza
della
gratitudine che si professava verso Atena datrice
, ma senza processione. 4. L’ italica Minerva o Men-er-va era una dea
della
mens o dell’ intelligenza come Pallade Atena; qui
un altro glie ne innalzo Augusto dopo la battaglia di Azio. Come dea
della
pace, Minerva era venerata insieme con Giove e Gi
bus exsertis bellica Dea laeta est (Fast. 6,814)5, un ricordo dunque
della
Minerva guerriera. 5. Numerosissimi cenni di Aten
a e latina. Bella la pittura che nella settima Olimpica ci fa Pindaro
della
Dea che « fuor d’ un salto balza armata dal cerve
o venuti giù dal cielo. È noto che i Troiani cominciarono a disperare
della
loro salvezza quand’ ebbero perso il Palladio, to
cit. p. 101) la vergine dea protettrice di Atene nella serena maestà
della
pace dopo la vittoria. Ritta, avanzava di alcun p
tto coperto dell’ egida, nel cui mezzo effigiato il capo anguicrinito
della
Medusa; la testa difesa coll’ elmetto attico, ado
di sfinge, e sul lati da due grifoni in alto rilievo, simbolo quello
della
imperscrutabile sapienza della dea, questi della
rifoni in alto rilievo, simbolo quello della imperscrutabile sapienza
della
dea, questi della vigilante sua custodia, come gu
ievo, simbolo quello della imperscrutabile sapienza della dea, questi
della
vigilante sua custodia, come guardiana del pubbli
mano destra si stendeva innanzi sostenemmo sulla palma una statuetta
della
Vittoria alata. Così era raffigurata la dea come
Attica, od anche del popolo ateniese prosperante sotto la protezione
della
Dea ». La statua era preziosissima, alta ben diec
ropria figura; il che considerato come atto di empietà fu poi cagione
della
condanna di lui. — Un’ altra celebre statua di Fi
rsetto colla testa di Medusa in mezzo quasi fibbia; ciò in conformità
della
maniera usata dagli artisti meno antichi; l’ atte
nti colonne al fondo del mare. Febo Apollo è il Dio raggiante, il dio
della
benefica luce, il sole che vien fuori dal grembo
giante, il dio della benefica luce, il sole che vien fuori dal grembo
della
notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dir
vuol dire « quella che mostra » è il luogo adatto per questa epifania
della
luce. E come la luce combattè e disperde le teneb
tre leggende si raccontavano di Apollo, tutte riferibili agli effetti
della
luce e del calore solare. E per i benefizi da lui
ato come Targelio (Thargelios), il calore fecondo che matura i frutti
della
terra (di qui il nome del mese Targelione, o Magg
Nota leggenda era quella che faceva Apollo servo pastore di Admeto re
della
Tessaglia, o di Laomedonte re della Troade; espre
Apollo servo pastore di Admeto re della Tessaglia, o di Laomedonte re
della
Troade; espressioni allegoriche della sorte cui s
a Tessaglia, o di Laomedonte re della Troade; espressioni allegoriche
della
sorte cui sembrava condannato il sole nella stagi
tali, ma ha anche il suo carattere bellicoso e funesto. È persino Dio
della
morte; manda pestilenze ed è cagione di morti imp
he medico dell’ anime, che ei guarisce dal male morale colle pratiche
della
purificazione. Dissipa le tenebre dell’ ignoranza
Dissipa le tenebre dell’ ignoranza e del peccato, come dissipa quelle
della
notte; e persino i perseguitati dalle Furie solio
a, niuna meraviglia che Apollo sia stato anche pensato come inventore
della
musica. Il suo istrumento era la cetra o forminx,
Giove, e i suoi oracoli, considerati come l’ espressione infallibile
della
segreta volontà del supremo Iddio, ebbero una not
con varii giochi, che dicevansi istituiti già da Teseo. 4. L’ Apollo
della
mitologia romana non è una deità italica, ma è lo
cui il greco Apollo penetra fra i Latini. E vi penetrò prima come dio
della
divinazione, poi come medico e musico. Da lui si
a grave epidemia. E da allora si estese il culto sempre più. Al tempo
della
guerra annibalica, e precisamente l’ anno 542/212
delle stesse leggende, nella loro forma ammodernata. Del divino suono
della
cetra di Apollo dà una bella descrizione Pindaro
ola Ateniese, a cui appartennero Scopa e Prassitele, fioriti dal fine
della
guerra peloponnesiaca all’ età di Alessandro Magn
ga veste fluente fino ai piedi, coronato d’ alloro, toccante le corde
della
cetra, ha un volto di femminea bellezza, esprimen
del Museo Capitolino, rappresentante Apollo nudo che riposa dal suono
della
cetra (fig. 15). Prassitele ideò un Apollo in nuo
lucertola che striscia sul tronco; lo sguardo accompagna la direzione
della
mano » ( Gentile, p. 130-1). Ma la statua più cel
stauro e rispetto all’ idea generale del lavoro. Mirabile la bellezza
della
figura in quella disdegnosa coscienza di sè che m
V. Artemide-Diana. 1. Figlia di Zeus e di Leto, Artemide partecipa
della
natura di suo fratello Apollo, di cui è, in certa
o Apollo, di cui è, in certa guisa, la forma femminile. Essa è la dea
della
luce lunare, come Apollo è dio solare. E poichè l
a luce notturna, cui spesso s’ accompagna la rugiada, e le varie fasi
della
luna hanno o si è sempre creduto avessero grande
li esseri catti vi o mostruosi ch’ essa odia. Specialmente si diletta
della
caccia, e traverso a ombrose montagne, in luoghi
guai al malcapitato cui prenda vaghezza di contemplare le nude forme
della
bagnante; niuno lo salverebbe dalla sua ira. Ben
aveva contro lui aizzati. 2. Dal lato morale, Artemide divenne la dea
della
castità. Era la protettrice delle giovani donzell
e anche de’ giovanetti; in qualche luogo era anche venerata come dea
della
maternità, col titolo di Ilizia (Ilithyia). La be
e degli inni. Infine aveva un’ importanza politica, come protettrice
della
giustizia nelle città. 3. Il culto di Artemide er
e a Delo, come a Delfo e altrove, avevano templi in comune. Come dea
della
libera natura, essa aveva un culto speciale in Ar
si continuo a flagellare a sangue alcuni fanciulli nell’ annual festa
della
Dea. Con questa divinità sanguinaria si connette
a figlia di Agamennone, che doveva essere sacrificata in Aulide prima
della
partenza dei Greci per Troia. E poichè anche gli
de prima della partenza dei Greci per Troia. E poichè anche gli Sciti
della
Tauride onoravano una loro dea con sacrifizi uman
ad Efeso nell’ Asia Minore. Era considerata come la madre universale
della
natura, la cui azione fecondatrice si esercita su
este, dea lunare, connessa anche presso gli Italici colla vita libera
della
selvaggia natura e colla caccia, e fatta protettr
pio eretto da Servio Tullio sul Monte Aventino, che era tempio comune
della
lega de’ Latini; dove agli idi d’ Agosto (il di 1
lla lega de’ Latini; dove agli idi d’ Agosto (il di 13), anniversario
della
dedica del tempio, si offriva un solenne sacrific
i ludi secolari. 5. Oltre gli inni Omerici e Callimachei, molte opere
della
greca letteratura ricordano Artemide e le leggend
te e dei fragorosi torrenti »; da lei si riconoscono i prodotti annui
della
terra, ricchezza degli agricoltori; le si rivolge
-Marte. 1. Venendo ai figli di Zeus e di Era, il primo è Ares, dio
della
guerra. A differenza di Atena, che rappresenta la
prudenza e l’ avvedutezza nei rapporti guerreschi, Ares compiacevasi
della
guerra nel suo lato più brutale, come strage e sp
nente ellenico soffiava il vento Borea e venivano le tempeste. Nemico
della
serena luce del sole e della calma dell’ atmosfer
nto Borea e venivano le tempeste. Nemico della serena luce del sole e
della
calma dell’ atmosfera, avido di disordine e di lo
ando strage e morte. Aveva per compagni la terribile Enio (Enyo), dea
della
strage in guerra, e Dimo e Fobo, cioè il Timore e
maggior valore che ha in battaglia il prudente coraggio in confronto
della
forza selvaggia e temeraria. E quando cadde Ares
moglie legittima di Ares che per lei genero Armonia, la progenitrice
della
stirpe Tebana. 2. Non molto diffuso era nella Gre
on Ares è Marte. Ma è da notarsi che in origine Marte non era già dio
della
guerra, ma piuttosto il dio della primavera che v
he in origine Marte non era già dio della guerra, ma piuttosto il dio
della
primavera che vittoriosamente lotta contro il tri
ente lotta contro il tristo inverno. A lui si attribuiva la fecondità
della
terra e la prosperità del bestiame, e gli si volg
i mentre Numa pregava per la salvezza dello stato, Giove, a dar segno
della
sua grazia, avesse lasciato cadere giù dal cielo
omerici un inno dove Ares è invocato come un dio che pugna per cause
della
più alta importanza, è chiamato protettore dell’
Olimpo, padre dei trionfi bene acquistati, soccorritore di Temi, cioè
della
Giustizia. Ma è questo un inno filosofico, compos
ui mano sinistra probabilmente teneva una lancia che ora è perduta. È
della
scuola di Policleto. Invece alla scuola di Lisipp
cielo come raggiante e riscaldante, ma anche esce fuori dalle viscere
della
terra per la via dei vulcani, e, dominato dall’ u
i, ond’ esso è condizione indispensabile per lo sviluppo dell’ arte e
della
civiltà. Non farà meraviglia che fin dai più anti
iglio di Zeus. Lo si pensava zoppo; immagine dei movimenti vacillanti
della
fiamma. Narravasi poi che Era, vergognandosi dell
vimenti vacillanti della fiamma. Narravasi poi che Era, vergognandosi
della
bruttezza di lui, lo aveva gettato dal cielo giù
abitanti, i Sintii lo curarono finchè fu guarito. In questi racconti
della
caduta di Vulcano, è facile riconoscere un ricord
facile riconoscere un ricordo e un’ espressione in linguaggio mitico
della
caduta del fuoco dal cielo in terra, in forma di
divinità avessero culto comune in Atene, sede principale dell’ arte e
della
coltura greca. Anche le leggende di Lenno avevan
Grazie, a significare che dall’ arte non può disgiungersi il sorriso
della
bellezza e l’ incanto della grazia. 3. Non molto
all’ arte non può disgiungersi il sorriso della bellezza e l’ incanto
della
grazia. 3. Non molto esteso era nella Grecia il c
onevan le case sotto la sua protezione, e insieme sotto la protezione
della
Stata Mater, la madre che arresta il fuoco, a cui
i Vulcano; e molte altre con tempietti trovavansi nelle varie regioni
della
città. 5. L’ immagine di Efesto-Vulcano ricorre s
gli Omerici. Poco dopo la nascita, egli avrebbe dato prove manifeste
della
destrezza ed abilità che costituivano il fondo de
prove manifeste della destrezza ed abilità che costituivano il fondo
della
sua indole. Giacchè, nato al mattino, verso il me
appresentante del lato più alto dell’ intelligenza, Ermes del senno e
della
scaltrezza pratica. Tale la leggenda di Ermes nar
he di Apollo da lui rubate sarebbero i raggi solari che il crepuscolo
della
sera par nasconda in qualche abisso da cui viene
ole. Secondo altri, egli sarebbe invece un Dio del vento; è inventore
della
lira, perchè risuonano le foreste, risuona la ter
è inventore della lira, perchè risuonano le foreste, risuona la terra
della
musica dei venti; le vacche d’ Apollo son le acqu
a nuvola; ma Zeus poi l’ obbliga a restituirle gratificando i mortali
della
benefica pioggia. Un altro mito relativo ad Ermes
zitutto come datore di prosperità e ricchezza nelle varie congiunture
della
vita; pastore egli stesso, curava la fecondità e
osì anche di tali cose si faceva Ermes patrono. — E poichè i traffici
della
vita commerciale voglion sicurezza di strade e di
suo patrono e celebrava una festa agli idi di Maggio in onor di lui e
della
madre Maia. Più tardi Mercurio si identificò con
ue forze e barbuto; più tardi prevalse l’ idea di figurarlo nel fiore
della
gioventù e senza barba. A quest’ ultimo tipo appa
odore d’ ambrosia, e allorchè ella si toglieva e dispiegava il cinto
della
sua bellezza, ogni cosa piegavasi all’ incanto ch
ava dal suo corpo. S’ indovina il significato primitivo di questa dea
della
bellezza; non è altro che l’ aurora, figlia del c
o primitivo si mescolò ben presto in Grecia un altro concetto, quello
della
forza d’ amore che penetra tutto l’ universo e lo
fenicio, e i Greci accogliendolo ne confusero l’ immagine con quella
della
loro Afrodite, la quale divenne così la dea della
immagine con quella della loro Afrodite, la quale divenne così la dea
della
bellezza e dell’ amor sessuale. Presto si distins
datrice di ogni benedizione; la terza era l’ Afrodite marina, patrona
della
navigazione e dei naviganti. Così il dominio di A
erchè non mancava di attrattiva per ragioni di contrasto, l’ immagine
della
bella Afrodite a fianco dello zoppo e odioso Dio
tre dee, Afrodite, Era ed Atena, aveva conferito alla prima il premio
della
bellezza. Amò poi il duce troiano Anchise e n’ eb
glio Enea. Altri mortali aiutò in cose d’ amore, come Peleo invaghito
della
ninfa marina Tetide; e altri per contro fierament
Fedra innamorasse di lui, e il bel Narciso il quale sdegnava l’ amore
della
ninfa Eco, facendo che si invaghisse perdutamente
he un simbolo dell’ inverno, il cui freddo soffio fa spegnere la vita
della
natura e Adone è la natura stessa che ripiglia vi
a e Adone è la natura stessa che ripiglia vigore al ritorno periodico
della
primavera. Fan corteggio ad Afrodite le Ore e le
delle grandi isole dell’ Egeo, e più di Cipro che si diceva la culla
della
Dea, e in Cipro specialmente delle città di Pafo
siciliane e italiche. 3. Venere era un’ antica deità italica, la dea
della
primavera, del sorriso della natura, onde a lei e
ere era un’ antica deità italica, la dea della primavera, del sorriso
della
natura, onde a lei era sacro il mese dei flori, A
leggenda di Enea, detto figlio di Venere, e imaginato come fondatore
della
stirpe romana. In Roma v’ erano tre santuari di V
della stirpe romana. In Roma v’ erano tre santuari di Venere, quello
della
dea Murcia, della Cloacina e della Libitina. Murc
na. In Roma v’ erano tre santuari di Venere, quello della dea Murcia,
della
Cloacina e della Libitina. Murcia vale colei che
ano tre santuari di Venere, quello della dea Murcia, della Cloacina e
della
Libitina. Murcia vale colei che ammolce, quindi l
di Venere se n’ aggiunsero col tempo delle altre, segnatamente quello
della
Venus Victrix, onorata di un tempio sul Campidogl
e quello della Venus Victrix, onorata di un tempio sul Campidoglio, e
della
Venus Genetrix, venerata soprattutto da Giulio Ce
almente l’ Afrodite Urania, la regina dell’ amore, sovrana del cielo,
della
terra e del mare. Tali i filosofi Parmenide ed Em
’ invocazione a Venus Genetrix con cui Lucrezio cominciò il suo poema
della
natura; nè meno degno d’ ammirazione l’ elogio ch
v. 90 e sgg.), imitando in parte Lucrezio. Del resto non v’ è pittura
della
primavera che non contenga le lodi di Venere; ric
una sola, quella d’ Orazio (Carm. 1, 4, 5), dove tra le particolarità
della
dolce stagione è annoverata anche la danza delle
ta nel loro tempio di Afrodite Euploia (favorevole alla navigazione),
della
quale i Cnidii andavano così orgogliosi che ne ri
le ispiro in seguito parecchi altri statuari; tra gli altri l’ autore
della
statua che è detta Venere di Milo, perchè fu trov
avoro, in cui tu non sai se debba ammirar più l’ espressione stupenda
della
testa o la incantevole proporzione delle membra.
tro di Capua, ora nel Museo di Napoli, e la celebre Venere del Medici
della
Galleria degli Uffizi a Firenze. Quest’ ultima ap
re pittori e incisori. Apelle tra gli altri si segnalò per la pittura
della
Venere Anadiomene che prima si trovava nel tempio
tia rappresentava il focolare domestico, come centro di tutta la vita
della
famiglia. Il fuoco in antico non solo serviva ai
a vita della famiglia. Il fuoco in antico non solo serviva ai bisogni
della
vita materiale, ma anche ai sacrifizi religiosi,
offeriva agli Dei nelle preghiere fatte in comune; presso il focolare
della
casa eran le statue degli Dei, ivi il ritrovo di
della casa eran le statue degli Dei, ivi il ritrovo di tutti i membri
della
famiglia, ivi, per dir così, il tempio della reli
itrovo di tutti i membri della famiglia, ivi, per dir così, il tempio
della
religione domestica. Estia che rappresentava tutt
Estia che rappresentava tutto ciò, era quindi la divinità principale
della
famiglia; era la sua protettrice, ed aveva parte
ligiose che in casa si effettuavano. Nè solo era Estia la protettrice
della
famiglia, ma poichè lo Stato è una grande famigli
tà nazionale. Ivi pure si manteneva di continuo un vivo fuoco in onor
della
Dea. Come puro è il fuoco, così Estia doveva esse
olare col suo tetto; ivi ardeva continuamente il sacro fuoco, simbolo
della
vita dello Stato. A tener vivo questo fuoco atten
no le vergini Vestali, prima quattro di numero, poi sei. Lo spegnersi
della
sacra fiamma era ritenuto segno di sventura, e l’
ornaliero nutrimento. 4. Non molto frequente è la rappresentazione
della
figura di Vesta nell’ arte statuaria. La causa de
ico usata nei sacrifizi), lo scettro. È anche da notare che l’ indice
della
mano sinistra è un ristauro moderno, e forse non
forma maschile di Diana, la luna, quindi era in origine una divinità
della
luce celeste, una divinità solare; ma perchè il s
ianua — la porta). Gli archi di passaggio, a forma di volta, simbolo
della
volta celeste, si chiamavano appunto iani. E perc
a essere preceduta da una preghiera a Giano. Tra i fatti più notevoli
della
vita pubblica era l’ uscita di un esercito per un
o faceva un sacrifizio a Giano, e da quel momento per tutta la durata
della
guerra si tenevano aperte le porte di un certo te
ssendo dedicate a lui, come si disse, le porte, i passaggi, gli archi
della
città. Segnatamente si avevano per sacri a Giano
di Cures, i cui cittadini erano detti Quirites. Era come Mars, un dio
della
primavera e della guerra insieme. La fusione dei
ttadini erano detti Quirites. Era come Mars, un dio della primavera e
della
guerra insieme. La fusione dei Sabini stanziati s
zato, e ne nacque così il dio Romulus Quirinus, considerato come eroe
della
stirpe comune a quella guisa che la formola Popul
eta (Aeetes), quello che è noto nella favola degli Argonauti, come re
della
Colchide, e la maga Circe. La giornaliera occupaz
mentre le stelle rapidamente se ne fuggono per rifugiarsi nel grembo
della
sacra notte; immagine che si trova anche in pittu
nte ricciuta e ornata d’ un diadema di raggi; la chiamavano l’ occhio
della
notte, e dicevano che la sera sorgeva dai flutti
nella Caria e in Elide. Era Endimione un bel giovane, forse il genio
della
notte e del profondo sonno notturno; egli sempre
del monte Latmos, e ogni notte veniva Selene a visitarlo e a pascersi
della
sua bellezza e a baciarlo dormente. — In tempi po
giorno di Marzo, come Ovidio nei Fasti ricorda. 3. Innumerevoli cenni
della
dea Selene negli autori; con lei vengono paragona
loro viva luce; pensiero imitato da Orazio, ove paragona lo splendore
della
famiglia Giulia alla luna che brilla in cielo in
nche nell’ arti figurative è abbastanza frequente la rappresentazione
della
luna, comunemente sul suo carro, tirato da due ca
la mezzaluna sulla fronte; generalmente ha velata la parte posteriore
della
testa e porta una fiaccola in mano. c) Eos-Aur
uoi cavalli Lampo e Faetonte (splendore e scintillio) per gratificare
della
diurna luce Dei ed uomini, prevenendo il carro de
culto speciale. 2. All’ Aurora de’ Latini si riferirono i miti stessi
della
greca Eos, facendola pure sorella del Sole, sposa
ater Matuta, il cui nome è connesso con mane e matutinus. Era una dea
della
prima luce, quindi anche del nascimento, e la sua
stri. 1. Alcuni tra gli astri devono essere annoverati fra gli Dei
della
mitologia. Tali anzitutto le stelle del mattino e
i fra gli Dei della mitologia. Tali anzitutto le stelle del mattino e
della
sera, che da principio erano credute stelle diver
mata da Zeus epperò perseguitata da Artemide per ayer offeso la legge
della
castità, e da Zeus portata in cielo. I Latini chi
D’ altra parte, l’ avere Borea distrutto la flotta di Serse al tempo
della
guerra Persiana, gli dava diritto alla gratitudin
e tutto favorevole era il vento Zefiro, o il vento di ponente, nuncio
della
primavera, detto Favonius dai Latini, al cui soff
avano il corteo degli Dei del cielo, o compagne o ministre esecutrici
della
loro volontà. a) Le Muse. 1. Secondo Esio
dolce mormorio, e può ben essere che l’ impressione di questa musica
della
natura, abbia evocato l’ immagine di deità amanti
cinio di un particolar genere letterario. Allora Clio divenne la Musa
della
poesia narrativa e della storia, Calliope dell’ e
nere letterario. Allora Clio divenne la Musa della poesia narrativa e
della
storia, Calliope dell’ elegia, Urania della poesi
della poesia narrativa e della storia, Calliope dell’ elegia, Urania
della
poesia astronomica e in genere della didascalica,
a, Calliope dell’ elegia, Urania della poesia astronomica e in genere
della
didascalica, Melpomene e Talia della tragedia e d
a poesia astronomica e in genere della didascalica, Melpomene e Talia
della
tragedia e della commedia, Tersicore della lirica
ica e in genere della didascalica, Melpomene e Talia della tragedia e
della
commedia, Tersicore della lirica corale e della d
scalica, Melpomene e Talia della tragedia e della commedia, Tersicore
della
lirica corale e della danza, Erato della poesia a
alia della tragedia e della commedia, Tersicore della lirica corale e
della
danza, Erato della poesia amorosa, poi anche dell
e della commedia, Tersicore della lirica corale e della danza, Erato
della
poesia amorosa, poi anche della geometria e della
la lirica corale e della danza, Erato della poesia amorosa, poi anche
della
geometria e della mimica, Euterpe della poesia li
della danza, Erato della poesia amorosa, poi anche della geometria e
della
mimica, Euterpe della poesia lirica e dell’ aulod
lla poesia amorosa, poi anche della geometria e della mimica, Euterpe
della
poesia lirica e dell’ aulodia (il suono del flaut
ie di Zeus e di Temi (Themis). Esse rappresentavano il regolare corso
della
natura nella vicenda delle stagioni; e ben con ra
madre Temi, personificazione dell’ ordine universale, rappresentante
della
legge, che regola i rapporti fra i varii esseri,
si chiamavano Talio (Thallo), Auso (Auxo) e Carpo, ossia la fioritura
della
primavera, lo sviluppo dell’ estate e la fruttifi
ove han culto le Ore; in essa, dice, abita Eunomia, fondamento sicuro
della
città, e la sorella Dice e Irene, di opulenza dis
rella Dice e Irene, di opulenza dispensiere agli uomini, auree figlie
della
prudente Temi. Così altri poeti ricordano con par
ior venerazione. È celebre la statua di Irene scolpita da Cefisodoto,
della
giovane scuola ateniese, di cui credesi un’ imita
istintivi un ramo d’ olivo, il caduceo, e la cornucopia significativa
della
ricchezza onde la pace è apportatrice. d
e s’ impadronisce) venerata nell’ antica Roma; sicchè il culto greco
della
Vittoria trovò in occidente un terreno assai adat
ulia dopo la vittoria d’ Azio; la quale statua diventò rappresentante
della
dea protettrice del Senato, che nella Curia Iulia
no agli ultimi tempi del Paganesimo, difesa con zelo dai sostenitori
della
morente religione contro gli attacchi dei Cristia
a, come l’ iscrizione dice, avevano fatto eseguire da Peonio di Mende
della
scuola di Fidia e consecrata in Olimpia. La ripro
ll’ ali, aveva tronche le braccia e la gamba sinistra, e mancava pure
della
testa; quest’ ultima fu ritrovata di poi sebbene
ata di poi sebbene col viso tutto guasto. È mirabile l’ atteggiamento
della
dea, in atto di scendere a volo sulla terra, già
ave vinta, e colla destra una tromba per annunziare la vittoria. Base
della
statua una prora di nave. Era questa la statua er
della statua una prora di nave. Era questa la statua eretta a ricordo
della
vittoria riportata da Demetrio Poliorcete sopra T
igura, e ha l’ ali d’ oro, ed è tutta piena di rugiada, tra le goccie
della
quale scherza il sole dipingendola a mille colori
ioventù. 1. Ebe, figlia di Zeus e di Era, era una personificazione
della
fiorente giovinezza. Nell’ Iliade essa figura com
eroica, che usavano appunto prestare i loro servigi ai membri maschi
della
famiglia e agli ospiti. Più tardi, assunto Ganime
a la statua di lei, di mano di Prassitele, era messa accosto a quella
della
moglie di Zeus; ora è congiunta con Eracle come n
di Giove Capitolino. Era poi anche naturalmente la dea dei giovani e
della
età giovanile; di qui l’ uso che, allorquando i g
re affinchè venisse, lasciata la sua diletta Cipro, a visitar la casa
della
sua amata Glicera, enumera tra i seguaci di lei n
il giovine cogli artigli, dai quali le carni sono protette per mezzo
della
clamide fluente. Il volto di Ganimede non esprime
na parte era il Dio cosmogonico, già da noi ricordato, rappresentante
della
forza di attrazione che spinge le cose ad unirsi;
che si veniva a indicar l’ amore come la più forte e temibile potenza
della
natura. — Come Dio, Eros era oggetto di culto, ac
r’ anni avevano luogo feste, le Erotidie, che erano le più importanti
della
Beozia, con certami ginnastici e musici. — Oltre
con Atena. Gli Spartani e i Cretesi solevano sacrificare a lui prima
della
battaglia, perche ispirasse a tutti la concordia
4. La figura di Eros e i miti ad essa relativi offrivano agli artisti
della
parola e del disegno una messe inesauribile di ar
orie; basti ricordare il Simposio di Platone. Fino ai più tardi tempi
della
poesia e dell’ arte ellenistica e romana fu predo
chè, aizzata dalle sue sorelle che le insinuano nell’ animo il veleno
della
diffidenza, Psiche trasgredisce il divieto, ed ec
ve essa vive eternamente con lui congiunta dopo essere divenuta madre
della
Voluttà. Questa la graziosa leggenda Apuleiana, d
nte i due fratelli Eros e Anteros, in atto di contendere per la palma
della
vittoria; un’ imitazione probabilmente d’ un altr
usania attesta, trovavasi nel Ginnasio di Elide. III. Divinità
della
nascita e della salute. a) Ilizia. 1. Ili
trovavasi nel Ginnasio di Elide. III. Divinità della nascita e
della
salute. a) Ilizia. 1. Ilizia (Eileithyia)
lizia figura come una sola, e vien messa in rapporto con Era come dea
della
maternità. Siccome però anche altre dee, Artemide
andelifera, riterentesi all’ uso di accendere una candela nel momento
della
nascita; e le già nominate Carmentes che con scon
figlia del re tessalo Flegias, ed era il Dio delle guarigioni, il Dio
della
salute. In altri termini la buona salute attribui
intervenne per salvare il bambino ancor vivo e farlo uscire dal seno
della
madre; poi lo affidò al centauro Chirone che lo a
gnato abbandonò per qualche tempo il Cielo. — In altri miti parlavasi
della
famiglia di Asclepio. Si diceva avesse in moglie
e all’ arte salutare. 2. Asclepio era oggetto di culto in molti luogi
della
Grecia; il sito più celebre era Epidauro nell’ Ar
li con templi e feste, appresso divenuta una divinità importantissima
della
religione ufficiale come Salus publica populi Rom
del Paganesimo, e ancor nelle età già cristiane gli ultimi difensori
della
morente religione contrapponevano la figura di Es
fattore dell’ umanità. Attributo suo costante una serpe, come simbolo
della
forza vitale che si ringiovanisce; e questa serpe
questo Dio, notevole tra l’ altre quella in oro e avorio di Epidauro,
della
quale si ha la riproduzione in monete del tempo;
antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al momento
della
nascita di ognuno già fossero decretate le vicend
e al momento della nascita di ognuno già fossero decretate le vicende
della
sua vita fi no al momento del morire. E questo di
vita fi no al momento del morire. E questo dicevasi talvolta effetto
della
volontà di Zeus o in genere degli Dei, tal altra
a la leggenda più comune, secondo la quale le Moire erano tre, figlie
della
Notte, e si chiamavano Cloto (Clotho), Lachesi (L
rice, la sorte, e l’ inflessibile; la prima occupata a filar lo stame
della
vita di ognuno, la seconda rappresentante ciò che
Moire, come figlie delle tenebre, erano sorelle delle Erinni, le dee
della
vendetta che perseguitano il colpevole fino alla
ndetta che perseguitano il colpevole fino alla morte. Come esecutrici
della
volontà divina, erano messe in rapporto con Zeus
sseri poi corrispondenti alle Moire erano le Parche, propriamente dee
della
nascita, come le Carmentes; due di numero in orig
due di numero in origine, Nona e Decuma, dette così dagli ultimi mesi
della
gestazione; a cui più tardi se n’ aggiunse una te
gestazione; a cui più tardi se n’ aggiunse una terza, Morta come dea
della
morte; così alle tre Parche si poterono assegnare
ni disordine morale, per ogni cosa che turbasse il normale equilibrio
della
società, per es. la felicita soverchia degli uni
ome nella letteratura posteriore. Solo tardi si svolse chiara l’ idea
della
Nemesi, specialmente come punitrice e vendicatric
sicurezza riconosciuta per figura di Nemesi. 2. Tiche (Tyche), la dea
della
buona fortuna, secondo la leggenda più comune, er
stati, era essa venerata e onorata di templi e statue in molte città
della
Grecia e dell’ Asia. Col tempo si mutò il concett
. Col tempo si mutò il concetto di lei; e divenne significativa tanto
della
prospera quanto dell’ avversa fortuna. Alla Tyche
tas, che fu pure oggetto di pubblica venerazione. Fondatore del culto
della
Fortuna in Roma si crede sia stato Servio Tullio,
a Tulliana, Torquatiana, Flavia, Augusta, ecc., o infine a varii casi
della
vita, come F. respiciens, obsequens, redux, manen
nimica linquis 30 . Nella statuaria è frequente la rappresentazione
della
Fortuna. Varii attributi le si assegnavano; il pi
i la si figurava con una cornucopia, ovvero con un giovane Pluto, dio
della
ricchezza, in braccio. La fig. 49 riproduce una s
del fiume Oronte. Solo in tempi posteriori, a indicare l’ incertezza
della
Fortuna, invalse l’ uso di rappresentarla su una
che ciascun individuo sia assistito, guidato nelle varie congiunture
della
vita da un Dio speciale; questi Dei speciali i Gr
to Agatodemone, in latino bonus eventus, onorato sopratutto nel tempo
della
svinatura, ma invocato anche in altre congiunture
del mare e delle acque. Nel concetto degli antichi tutte le acque
della
terra, salse e dolci, costituivano un solo regno
tutte le acque della terra, salse e dolci, costituivano un solo regno
della
natura; un regno, a vero dire, molto importante,
empesta o in bonaccia, facile comunicazione di luoghi lontani per via
della
navigazione, e, effetto spaventoso dagli antichi
se. L’ Oceano era detto padre di tutti i fiumi e di tutte le sorgenti
della
terra; in altri termini, si credeva che i fiumi a
issima stirpe; l’ Alfeo, il fiume principale del Peloponneso; e fuori
della
Grecia il Nilo, il Fasi, l’ Istro, l’ Eridano. An
il dono di mutarsi in più guise, e per solito avevano anche la virtù
della
divinazione. 2. Anche per i Romani erano oggetto
i pontefici e gli auguri rivolgevano annue preghiere per la salvezza
della
città. È nota la leggenda secondo la quale Rea Si
resentanti le sedici braccia che l’ acqua cresce ogni anno al momento
della
benefica inondazione. In Vaticano pure si ammira
enne amante del Ciclope Polifemo, ed era la prediletta nelle leggende
della
Sicilia e della Magna Grecia. 2. Nereo veniva in
Ciclope Polifemo, ed era la prediletta nelle leggende della Sicilia e
della
Magna Grecia. 2. Nereo veniva in arte rappresenta
baleno, divenuta messaggiera degli Dei, e le Arpie (Harpyiae), le dee
della
bufera rapace e impetuosa. Queste ultime erano cr
insozzano e rubano il cibo. In altre leggende appariscono come genii
della
rapida morte che afferra la sua preda coll’ impet
o come genii della rapida morte che afferra la sua preda coll’ impeto
della
tempesta. In Esiodo se ne nominano due, Aello e O
’ elemento che ei governa; allorch’ egli col suo tridente, l’ insegna
della
regale dignità, si tuffa nelle onde, levansi i fl
ro combattimiento, e d’ altri ancora; tutti miti che sono un riflesso
della
natura tempestosa del mare. E altri mostri marini
nia di Apollo ebbe fabbricate le mura di Troia, e Laomedonte li frodò
della
pattuita mercede, fu lui che mandò un terribile m
; poi varie regioni del Peloponneso, fra cui l’ Arcadia. Tra le città
della
costa, la più celebre pel culto di Posidone era C
anzi si diceva che Posidone avesse creato lui il cavallo in occasione
della
sua contesa con Atena per il possesso dell’ Attic
eduto di che si trattava, chiamò a sè Euro e Zefiro per rimproverarli
della
licenza che si eran presa e rimandarli alla loro
le nozze di Posidone e Anfitrite, come in un celebre gruppo a rilievo
della
Gliptoteca di Monaco, che si crede una riproduzio
it alvus; Spumea semif ero sub pectore murmurat unda 37 . Il suono
della
conchiglia che rabbonisce le onde agitate è ben d
Speeialmente si parlava molto di lui nella regione di Antedone, città
della
Beozia orientale sull’ Euripo. Quivi era viva la
pescatori, dei palombari, dei naufraghi e attribuitogli anche il dono
della
protezia. Questo culto da Antedone si diffuse a m
ia. Questo culto da Antedone si diffuse a molte altre città litoraneo
della
Grecia e delle isole. La leggenda di Glauco Ponzi
elle isole. La leggenda di Glauco Ponzio divento argomento predilotto
della
poesia. Pindaro ed Eschilo, sollecitati da quel d
favola d’ Ino molto piacque ai poeti per la pietà che destava il caso
della
madre sventurata e la felice sorte toccatale di p
tini Livio, Ennio, Accio; Ovidio ne tessè un vivo racconto nel quarto
della
Metamorfosi (v. 481 e sgg.) attenendosi alla trad
se modificata in senso romano nel 6o dei Fasti all’ 11 Giugno, giorno
della
festa detta Matralia in onore di Mater Matuta. —
elle Sirene dovè turarsi gli orecchi con cera e farsi legare al fondo
della
nave. Omero ne contava due sole; ma in leggende p
litamente si diceva che stessero le Sirene, eran le coste occidentali
della
bassa Italia, o le incantevoli regioni tra Napoli
Argonauti, ma si fè servire il mito a onorare i più rinomati artisti
della
parola e del canto; così Svetonio disse d’ un cel
he per esser fatale il canto delle Sirene, divennero esse quasi Genii
della
morte, onde invalse la consuetudine di riprodurne
le figure sul monumenti sepolcrali. Capitolo quarto. Le Divinità
della
Terra e dell’ Inferno. Non meno della luce e d
Capitolo quarto. Le Divinità della Terra e dell’ Inferno. Non meno
della
luce e dell’ acqua, in religione naturalis tica h
a con altri, ad es. con Rea, Estia, Demeter e Temis. In alcuni luoghi
della
Grecia Gea ottenne uno special culto, tra gli alt
e leggende locali la facevano anzi madre di Erittonio, il progenitore
della
stirpe Attica. Anche come Dea dei morti, Gea veni
In onore di Tellus e di Cerere si celebravano solenni feste al tempo
della
seminagione e di primavera al germogliar delle bi
iù villaggi, con solenni preghiere a Tellus e Ceres per la prosperità
della
campagna. 3. Già i più antichi poeti, Omero, Esio
ra montagnosa che ne’ suoi cupi recessi alberga e feconda tanta parte
della
vita universale. Un tale culto di Rea si diffuse
dove Rea si identificò colla deità Frigia Cibele, un simbolo asiatico
della
fecondità della natura, venerato nella Lidia e ne
tificò colla deità Frigia Cibele, un simbolo asiatico della fecondità
della
natura, venerato nella Lidia e nella Frigia col n
selvaggi e strepitando col tamburi e co’ dischi, movevano alla volta
della
montagna come per cercare Atti; finalmente si fin
va l’ Ida cretese. Ivi in luogo dei Coribanti, formavano il corteggio
della
Gran Madre i Dattili Idei, artisti lavoranti in b
ar Nero, poi ad Olimpia, in Laconia, in Beozia e altrove. 2. Al tempo
della
seconda guerra punica fu introdotto anche in Roma
empo della seconda guerra punica fu introdotto anche in Roma il culto
della
Gran Madre. Per consiglio dei libri sibillini fu
an festa detta Megalesia fu istituita a ricordare il giorno d’ arrivo
della
Dea; le fu subito votato un tempio, che fu dedica
di Cibele, detti Cureti, o Coribanti o Galli davano annuo spettacolo
della
sovreccitazione orgiastica con cui onoravan la De
on cui onoravan la Dea tra strepiti e ululati. 3. Poetica descrizione
della
Dea Cibele e del suo corteggio leggesi nel second
nti Dei terrestri fu pei Greci antichi Dioniso. Era il dio del vino e
della
viticoltura, ma in senso più generale rappresenta
la viticoltura, ma in senso più generale rappresentava quell’ energia
della
natura la quale, per effetto del calore e dell’ u
r gli uomini, e a lei si riferivano tutti i benefici dell’ agiatezza,
della
coltura, dell’ ordine morale e civile. — Ma poich
, tralci di vite e rami d’ edera s’ avviticchiano intorno all’ albero
della
nave e intorno alle vele, e giù ne cola il prezio
e. Sono celebri le leggende di Licurgo e di Penteo. Licurgo era un re
della
Tracia, figlio di Driante (la selva), il quale ca
Licurgo è il lungo inverno di Tracia, che si oppone alla propagazione
della
vite, ma alfine deve cedere al calore della natur
oppone alla propagazione della vite, ma alfine deve cedere al calore
della
natura e alla operosità dell’ uomo. — Penteo era
ei salpo colle navi alla volta dell’ Attica. Chi può ridire il dolore
della
infelice Arianna quando, svegliatasi, si vide sol
pporto in cui veniva messo con Demetra ed Apollo. Come Dio del vino e
della
frutticultura in genere, Dioniso era il riscontro
me il vino eccita l’ animo, desta la voglia del canto, l’ ispirazione
della
poesia e discaccia le preoccupazioni, così Dionis
dal titanico. Queste e altrettali leggende costituivano il fondamento
della
teologia e dei misteri orfici. 2. Il culto di Dio
l culto di Dioniso era straordinariamente diffuso in tutte le regioni
della
Grecia e nelle isole e nell’ Asia Minore; celebra
d orgiastiche, più o meno selvaggiamente secondo i luoghi e l’ indole
della
gente. Per lo più le feste avevau luogo ogni due
gnuoli d’ ogni specie, con danze burlesche e motti spiritosi, origine
della
poesia drammatica. Divertimento prediletto di que
etto bevendo a gara il vino spillato; il terzo giorno era detto festa
della
pentola, perchè si esponevano pentole con legumi
Le grandi Dionisie, o le Dionisie cittadine, erano la principal festa
della
primavera per gli Ateniesi e si celebrava con gra
o con Cerere (= Demetra) e Libera (= Persefone). Era il Dio del vino,
della
vendemmia e in genere di ogni produzione terrestr
Liberalia, e si celebravano a mezzo Marzo per chiedere la prosperità
della
campagna, e nella stagione della vendemmia per le
zzo Marzo per chiedere la prosperità della campagna, e nella stagione
della
vendemmia per lesteggiare il raccolto fatto. È pe
in cui la testa, le braccia e le gambe sono ristaurate) doveva essere
della
stessa categoria. La fig. 57 riproduce la testa d
re; oltre queste erano sacri a questo Dio il toro e il capro, simbolo
della
fecondità; tra le piante, oltre la vite e l’ eder
durre a un’ originale greco. Anche è frequente la rappresentazione
della
Menade o Baccante. Scopa n’ aveva fatto un tipo c
el Museo Capitolino. IV. Le Ninfe. 1. Tra le divinità minori
della
Terra vanno annoverate le Ninfe, che noi vedemmo
torrenti. Talvolta s’ attruppavano al seguito delle maggiori divinità
della
natura, e o cacciavano con Artemide, o scorrevano
sibile fedeltà; onde ad es. Dafni, il bel pastore siciliano, orgoglio
della
sua isola, amico di Artemide e Pane, sposo felice
ia d’ un re, perde la luce degli occhi o secondo altri, perde la luce
della
sua vita cioè l’ amor di quella ninfa, per la qua
chiamati linfatici (lymphatici da lympha = nympha). Secondo il regno
della
natura in cui si pensava esercitassero il loro do
ò erano tenute in grande venerazione. Come le Nereidi avevano il dono
della
divinazione ed erano amiche del canto e della poe
Nereidi avevano il dono della divinazione ed erano amiche del canto e
della
poesia. 2º Le Ninfe dei monti, dette Oreadi, abit
a si diceva che col morir d’ ogni pianta avesse termine anche la vita
della
sua ninfa. 2. Le Ninfe erano oggetto di culto in
della sua ninfa. 2. Le Ninfe erano oggetto di culto in molte regioni
della
Grecia, specialmente là dove una natura rigoglios
caverne, le grotte, dove si sentiva scorrer l’ acqua, dove lo spirito
della
natura sembrava manifestarsi nelle forme più mira
o spirito della natura sembrava manifestarsi nelle forme più mirabili
della
sua attività. In certi punti si eressero Ninfei,
ente la poesia bucolica aveva frequenti occasioni di descrivere scene
della
natura che sempre s’ avvivavano colla presenza de
esse son rappresentate in atto di danzare guidate da Ermes, al suono
della
zampogna di Pane. Le Naiadi hanno particolari att
. I Satiri. 1. Come le Ninfe rappresentavano femminilmente la vita
della
natara nelle sue varie forme, così i Satiri erano
queste composizioni, che il popolino in Grecia preferiva alla serietà
della
tragedia. E dei drammi satirici, detti anche « Sa
i barbuti e vecchi, anche deformi, ma a poco a poco, specie per opera
della
giovane scuola attica, prevalse un tipo di Satiri
ei varii Musei d’ Europa, ricordiamo i così detto « Fauno Barberini »
della
Gliptoteca di Monaco, un Satiro ebbro vinto dal s
vinto dal sonno, forse originale greco; ricordiamo il Fauno danzante
della
Villa Borghese a Roma, ricordiamo un Satiro in br
non trova soddisfazione che nella propria saggezza; uomo dotato anche
della
virtù di prevedere il futuro. Ma l’ antica mitolo
s’ attribuivano, oltre la scurrilità e procacità dei Satiri, l’ arte
della
divinazione e alcune invenzioni musicali. Ma nono
ò a un albero e lo scorticò. — Mida era il fondatore mitico del regno
della
Frigia; era detto figlio di Cibele, la quale avev
ine del re Mida. 2. Sileno, maestro di sapienza e indovino, è il tema
della
sesta ecloga di Virgilio. La pittura che il poeta
il diluvio di Deucalione e il furto di Prometeo e più altre leggende
della
Mitologia. — I racconti di Marsia e Mida hanno av
tirso e una corona d’ edera e pampini. La fig. 64 ci dà un saggio
della
rappresentazione di Marsia. È una celebre statua
parte di un gruppo a cui apparteneva anche i così detto « arrotino »
della
Galleria degli Uffizi a Firenze. VII. Genii
e dei pascoli era Pane, in origine venerato solamente dagli abitanti
della
montuosa regione dell’ Arcadia e da altre popolaz
nne un culto diffusissimo. Lo si diceva comunemente figlio di Ermes e
della
ninfa Penelope, figlia di Driope; narra vasi che
aniera de’ pastori, pieno l’ animo di lieta allegrezza. L’ invenzione
della
zampogna, attribuita a Pane, diè anche occasione
a, pregò Gea l’ aiutasse; questa la mutò in canna: onde Pane in luogo
della
ninfa strinse canne palustri; ma il lamento armon
are la pugna. Come tutti i genii dei boschi, anche Pane aveva il dono
della
divinazione; in Arcadia vi era anche un oracolo d
to la mantica da lui. In rapporto con Apollo fu pensato anche per via
della
musica; anzi si narrò anche d’ una gara musicale
nche d’ una gara musicale con Apollo, sedendo giudice il Tmolo, monte
della
Lidia; una evidente ripetizione della gara tra Ma
sedendo giudice il Tmolo, monte della Lidia; una evidente ripetizione
della
gara tra Marsia ed Apollo. L’ elemento orgiastico
per influenza delle idee filosofiche; giacchè indotti dal significato
della
voce Pan, che val « tutto », gli Orfici ne fecero
Difatti nelle battaglie di Maratona e di Salamina la causa prrcipita
della
vittoria fu il timor panico onde i nemici furono
ento in onore di Pane; descritta con colori vivaci l’ alpestre natura
della
regione Arcadica, il poeta ricorda le occupazioni
nvocava come signore dell’ Arcadia, custode dei sacri antri, compagno
della
Gran Madre, dolce cura delle Cariti. Inni a Pane
di Pane tra i poeti latini. A tacere d’ Ovidio che la bella leggenda
della
ninfa Siringa racconta nel primo delle Metamorfos
empia di una corona di pino, con le due corna rosse che scappan fuori
della
fronte, le orecchie dritte, il mento pieno di isp
amente umana, salvo che s’ aggiungevano le corna nascenti ai due lati
della
fronte. Più tardi lo si figurò con corna più svil
co, Silvano veniva pure venerato come Dio dei confini, quindi patrono
della
proprietà prediale, simile al Dio Terminus; in qu
ilvano Salutare. Silvano è menzionato spesso dai poeti, tra altri Dei
della
campagna, come Pane, Priapo e le ninfe. In arte l
resentavano come un vecchio con una corona di pino in testa e un ramo
della
stessa pianta nella mano sinistra, la quale talvo
l vento primaverile Favonius). Era Fauno il genio benefico dei monti,
della
campagna, del bestiame; venerato specialrnente da
voli presso la fonte Albunea, quello al quale ricorse Latino al tempo
della
venuta di Enea in Italia, secondo il racconto di
e e Maia o Bona Dea, cioè la dea che accresce, che aumenta i prodotti
della
terra e la ricchezza degli uomini. 2. Fauno era o
Orazio nella 18a ode del terzo libro. È un’ ode scritta nella quiete
della
villa Sabina e in occasione delle teste Faunali d
terra e sugli esseri che vi abitano. VIII. Priapo. Era il Dio
della
generazione, e in genere il Dio della più rigogli
VIII. Priapo. Era il Dio della generazione, e in genere il Dio
della
più rigogliosa fertilità in tutta la Natura. In o
culto di questa divinità era ristretto alle città dell’ Ellesponto e
della
Propontide, poi si estese nella Lidia, nelle isol
da lui si faceva dipendere la prosperità degli armenti, l’ abbondanza
della
pesca, la buona riuscita delle api; sopratutto er
testa all’ asiatica, molte frutte e grappoli in grembo. Come simbolo
della
eterna forza rigenerativa della terrestre natura,
te e grappoli in grembo. Come simbolo della eterna forza rigenerativa
della
terrestre natura, l’ immagine di Priapo si colloc
ne di Priapo si collocava anche sulle tombe. IX. Divinità italiche
della
Campagna. a) Saturno e Opi. 1. Prima di v
e biade, occorre ricordare alcune divinità minori dell’ agricoltura e
della
pastorizia, che erano osclusivamente proprie dei
pi, che è tra le più antiche e popolari in Italia. Saturno era il dio
della
seminagione (a sationibus); ma in genere lo si co
ezza (opes). E per l’ intima connessione che si poneva tra i prodotti
della
terra e la prosperità del genere umano, Saturno e
cominciato da Tarquinio Superbo, ma non terminato che nei primi anni
della
repubblica. Sotto il tempio v’ era una camera dov
ni sorta di scherzi e si permetteva ogni licenza. Il giorno più bello
della
festa era il 19 Dicembre, particolarmente dedicat
e mangiavano e bevevano quanto piaceva loro. Gentile usanza, per via
della
quale almeno un giorno dell’ anno quella tanto ma
il padre di Giove da lui cacciato dal trono celeste che non come Dio
della
seminagione e dell’ agricoltura. Tale ad es. pres
e Pomona. 1. Altra coppia di dei italici, rilerentisi ai prodotti
della
terra. Vertumnus o Vertumnus da vertere (annus ve
omum frutto, era la dea dei giardini e degli alberi da frutta. Armata
della
sua piccola falce, essa si compiace di vagar per
rto, lodo frutti maturi curati da lei, con dolci parole rimproverolla
della
fierezza sua, e a un tratto prendendo figura d’ u
hissima deità italica, molto venerata già presso i Sabini. Era la dea
della
fioritura e dei flori, fenomeno della natura come
già presso i Sabini. Era la dea della fioritura e dei flori, fenomeno
della
natura come ricco di bellezza così importante di
Flora proteggeva anche le api e l’ agricoltura. Poi anche il florire
della
giovinezza e l’ età più gaia dell’ uomo, per ragi
le case, si portavano corone in testa, e tra i copiosi flori i devoti
della
Dea raccolti nel tempio di lei presso il Circo ab
ine di una tribù di pastori latini, i quali formarono il primo nucleo
della
città di Roma. A Pale innalzavano le loro preci i
evasi Palilia o Parilia. Questo giorno si riteneva anche anniversario
della
fondazione di Roma. Le Palilie erano feste campes
rie di atti rivolti a purificare il bestiame e chiedere la protezione
della
Dea. I sacrificii erano incruenti, e consistevano
appresentar questa Dea. e) Termine. 1. Veramente non era un Dio
della
campagna; ma indirettamente aveva relazione con e
l concetto dei limiti delle proprietà prediali; quindi era il patrono
della
proprietà privata, ed a lui sacre erano quelle pi
appunto termini. Nella coscienza dei Romani era così vivo il rispetto
della
proprietà individuale, che vollero consecrati a u
faceva una festa annua, il 23 Febbraio, detta Terminalia, in occasion
della
quale si incoronavano i termini e si offrira al D
ue pietose grida, la pone in carrozza e via sprofondasi nelle viscere
della
terra e la trasporta in Inferno per farne la sua
on senza il consenso di Zeus. Demetra aveva udito a distanza le grida
della
figlia, ma non sapeva che cosa fosse accaduto. Po
ove notti senza prender cibo, senza prender riposo, per tutti i paesi
della
terra, invan cercando con sempre crescente ansia
esi della terra, invan cercando con sempre crescente ansia le traccie
della
smarrita figliuola. Alla fine Elio che tutto vede
solitari immersa nel suo dolore, mentre intanto cessava la fertilità
della
terra e una universale carestia minacciava di ste
r due terzi dell’ anno Persefone tornasse sopra la terra ad allietare
della
sua presenza la madre, e il resto dell’ anno vive
erno col suo sposo e signore. Così avviene che ogni anno all’ apparir
della
primavera Persefone torna sulla terra e vi rimane
stanza infernale. Chi non riconosce in Persefone la personificazione
della
vegetazione, figlia della terra che comparisce in
riconosce in Persefone la personificazione della vegetazione, figlia
della
terra che comparisce in primavera ad allegrare gl
; e col diffondere l’ agricoltura diffoudeva pure un migliore assetto
della
società, e più civili ordinamenti. Non però da tu
Dea dovè intervenire castigando i ribelli, come avvenne di Linceo re
della
Scizia e di Erisittone (Erysichthon), figlio di D
eno adatte all’ agricoltura). 2. Diffusissimo era in tutte le regioni
della
Grecia, il culto di Demetra e Persefone, ma il ve
cole e le grandi Eleusinie. Le piccole, dette anche di Agra, dal nome
della
collina sulle sponde dell’ Ilisso ove si celebrav
udevano al ritorno di Persefone sulla terra, al risveglio primaverile
della
vegetazione. Le grandi Eleusinie, celebravansi ne
alludevano alla discesa di Persefone agli Inferi, ossia al rientrare
della
vegetazione nel letargo hivernale. Queste duravan
he dei fatti relativi a Demetra e Persefone; il momento più splendido
della
festa era la grande processione che aveva luogo i
con corone di ellera e di mirto, e siccome si usciva di Atene sul far
della
sera, portavau fiaccole in mano, e così entravano
a, portavau fiaccole in mano, e così entravano in Eleusi nel silenzio
della
notte e tra lo splendore di migliaia di faci. Un’
etomba, dalla quale si dicevano preclusi gli altri mortali. I segreti
della
congregazione erano mantenuti con grande scrupolo
bestia che solitamente si sacrificava a Cerere era il porco, simbolo
della
fertilità, talvolta un giovenco, e le si offrivan
rave malattia per guadagnarlo poi al suo culto. Ancor nei tardi tempi
della
letteratura latina Claudio Claudiano compose un p
Britannico, trovata presso Gnido (fig. 67). Nè è men bella la Cerere
della
pittura pompeiana, conservata nel Museo di Napoli
lla figlia di Demetra, personificazione di quella forza indefettibile
della
natura, per cui ogni anno la più ricca vegetazion
tenebrosa, colei che ogni essere vivo trae con sè nell’ oscuro grembo
della
terra. E Persefone con Ade formava il riscontro d
o d’ una gentil fanciulla che risorge ogni anno a nuova vita e quello
della
tenebrosa e inesorabile regina dell’ Orco. Di qui
nullum Sacra caput Proserpina fugit 45, si persuade come rimmagine
della
dea infernale fosse viva nella mente dei poeti. A
ti può, senza un’ eccezionale concessione degli Dei, rivedere la luce
della
vita. lu origine era lui pure che con inflessibil
che essi chiamarono Plutone o Dis Pater (ossia dives pater, il padre
della
ricchezza). A Plutone diedero compagna Proserpina
figura di Ades non sorsero numerosi miti, così ben di rado le arti o
della
parola o del disegno tolsero a descriverla o rapp
ovava una caverna, una lenditura che paresse internarsi nelle viscere
della
terra, ivi si supponeva un accesso all’ inferno.
ntalo, Sisifo (Sisyphos), Issione e le Danaidi. Tizio gigante, figlio
della
Terra, per aver assalito con turpi desideri Leto
enato degli Atridi Agamennone e Menelao, in punizione di aver abusato
della
confidenza degli Dei rivelando agli uomini i loro
di bere, e di aver pendenti davanti agli occhi i più saporiti frutti
della
terra ebe si ritirano appena egli stende le mani
zione che leggesi nel quarto delle Metamorfosi di Ovidio, a proposito
della
venuta di Giunone al regno delle ombre per trarne
he han sede in inferno, son da annoverare le terribili Erinni, le dee
della
vendetta, le quali avevano il compito di persegui
antica famiglia divina si supponeva avesse generato subito lo spirito
della
vendetta e della punizione. Altri assegnò loro al
ivina si supponeva avesse generato subito lo spirito della vendetta e
della
punizione. Altri assegnò loro altra origine; come
e. Altri assegnò loro altra origine; come Eschilo che le disse figlie
della
notte, e Sofocle che le fe’ figliuole delle teneb
no Perseo e di Asteria. In origine non designava altro che un aspetto
della
luna, e ditatti anche Artemide era talvolta denom
ocazione di Ecate fra gli Dei infernali. Quel che di arcano è proprio
della
nuova luna si rispecchia nell’ indole di Ecate; l
maliarde che nella notte andavan vagando per cercare, al lume incerto
della
luna, l’ erbe incantatrici e fare i loro scongiur
ifico il concetto di Ecate; chè essa venne riguardata come una regina
della
natura, dominatrice nei tre regni del cielo, dell
ta come una regina della natura, dominatrice nei tre regni del cielo,
della
terra e del mare, e venne confusa con altre dee m
che tre corpi ma uniti assieme; simbolo probabilmente dei tre aspetti
della
luna come luna piena, mezza e nuova. — L’ arte, c
rappresenta la portinaia dell’ inferno, in testa ha un disco simbolo
della
nuova luna. XVI. Sonno e Morte — I sogni.
rsi pel campo di battaglia, avvolte in sanguinoso manto, in compagnia
della
Contesa (Eris), dello strepito della pugna e degl
n sanguinoso manto, in compagnia della Contesa (Eris), dello strepito
della
pugna e degli altri compagni di Ares; e crudelmen
altre occasioni, per via di discordie e di risse, per via di morbi e
della
decrepitezza insidiavano alla vita dei mortali. O
de, e tra le infernali da Plutone e Persefone. Infine un Dio speciale
della
morte fu ideato in Tanato (Thanatos) che era dett
ratello gemello del Sonno (Hypnos); secondo Esiodo costoro eran figli
della
notte, abitavano nell’ Inferno e di là venivano s
adito, la Morte invece era un Dio crudele e temuto. Col tempo l’ idea
della
Morte si fe’ meno temibile; fu definita il sonno
l sonno eterno, e il Sonno stesso divenne un’ espressione eufemistica
della
morte. — Insiem colla Morte e il Sonno erano vene
te e i Sogni. Però è da notare che ab antico avevano essi il loro Dio
della
morte nel così detto Orcus, l’ accoglitore (cfr.
rso da sua madre, la notte. — Ma la più bella descrizione del Sonno e
della
sua casa leggesi nel decimoprimo delle Metamorfos
nuta a nome di Giunone per invitare il Sonno a dar notizia ad Alcione
della
morte di suo marito Ceice. Ivi si dan compagni al
il cui taglio sacrava la loro testa agli Dei infernali; in principio
della
tragedia essa discorre con Febo, che invano tenta
, colla scritta: Thanatos e Hypnos. Col tempo si modifico questo tipo
della
morte, prevalendo sempre più l’ idea di raffigura
si parli di alcune Divinità minori, venerate dai Romani nell’ interno
della
casa e fra le pareti domestiche, e però oggetto d
a e fra le pareti domestiche, e però oggetto di culto privato anzichè
della
pubblica religione. Ciò nonostante eran queste Di
raccolta di quelle provvigioni annue le quali si ripongono per l’ uso
della
famiglia. Penati eran dunque gli Dei protettori d
della famiglia. Penati eran dunque gli Dei protettori del nutrimento
della
famiglia, e delle provviste annue a questo necess
e il concetto primitivo; chè più tardi Dei Penati erano in genere Dei
della
casa, non ben distinti dai Lari di cui parleremo.
uario degli Dei Penati era il focolare domestico, come punto centrale
della
casa, che non solo serviva alla preparazione dei
giosi. Il focolare, com’ è noto, era nell’ atrium, lo spazio maggiore
della
casa romana, dove la famiglia conveniva pei pasti
ibi come per far partecipare alla comune mensa gli spiriti protettori
della
cucina casalinga. — Nè solamente ogni casa aveva
ci Dioscuri. II. I Lari. 1. Anche i Lari erano genii protettori
della
casa e della famiglia, ma proteggevano piuttosto
II. I Lari. 1. Anche i Lari erano genii protettori della casa e
della
famiglia, ma proteggevano piuttosto la casa come
cadeva in casa a cui i Lari non prendessero parte, ogni fatto solenne
della
vita era accompagnato da uno speciale sacrifizio
accompagnato da uno speciale sacrifizio ai Lari, ad es. la vestizione
della
toga virile, la partenza per un lungo viaggio, o
’ trapassati è prova la festa delle Lemurie, il 9 maggio, in occasion
della
quale il capofamiglia s’ alzava di mezzanotte, e
casa e a lui affidato dall’ avo di Euclione, che è il padrone attuale
della
casa; di questo tesoro egli non ha rivelato l’ es
adornava. È un prologo bellissimo, che montre fa capire l’ argomento
della
Commedia dà una chiara idea dei rapporti che si s
dei rapporti che si supponevano tra il Lare domestico e gli abitatori
della
casa. — La statuaria soleva rappresentare i Lares
bernacoli dei lari, generalmente nell’ atrio, ma anche in altre parti
della
casa. Figure di Lari si conservano ancor ora, o n
i diverse. V’ erano i Lari compitali, o Lari dei crocicchi, i rurali,
della
campagna, i praestites, protettori della città, i
ari dei crocicchi, i rurali, della campagna, i praestites, protettori
della
città, i quali si figuravan vestiti di pelle di c
ome il Greco, il quale aveva creato tante leggende intorno alle forze
della
natura divinizzate, era naturale che raccontasse
n maniera fantasiosa la sua prima storia e magnificasse i progenitori
della
sua stirpe considerandoli come più che uomini. Se
Niuna meraviglia dunque che la Mitologia Eroica sia ancora più ricca
della
teologica. 2. Come tra Dei e Genii si supponeva u
vevano essere di origine diversa dagli altri uomini, formati col limo
della
terra o sorti dalle pietre e dalle piante. Di que
numero minore; altri, molto più numerosi, sono una semplice creazione
della
fantasia; altri infine, il maggior numero, non er
li. 3. Or qual è stata, secondo il pensiero degli antichi, l’ origine
della
stirpe umana? Diverse leggende intorno a questo p
Posidone, Apollo, Ares, ecc. Posidone ad es. era detto il capostipite
della
stirpe eolia. Qui spesso s’ intrecciava questa te
secolo av. C. si diffuse la leggenda che spiegava così la formazione
della
umana stirpe; più tardi si fece autore di ciò Pro
ol limo e coll’ acqua, mentre Atena avrebbe spirato in essi il soffio
della
vita, l’ anima. Ancor più tardi a Prometeo si sos
una dea Prometea, ossia la Cura, e si fecero così gli uomini creature
della
Preoccupazione e dell’ affanno. Come intorno all’
i altri narrando invece che si trovano da principio rozzi e senza agi
della
vita, condizione da cui si sarebbero rilevati pro
li uomini insegnandone loro l’ uso; così divenne altamente benemerito
della
coltura umana, giacchè non solo favori alcuni agi
te benemerito della coltura umana, giacchè non solo favori alcuni agi
della
vita ma rese possibili le arti e l’ industria. Pe
ore di questa profanazione facendolo incatenare su una rupe nei monti
della
Scizia e ordinando che ogni giorno un’ aquila gli
llo che a loro spetterebbe, pur beneficando con ciò la società umana;
della
sua audacia deve pagare il fio, soffrendo inenarr
scala all’ Olimpo. E un altro riflesso dell’ idea che col progredire
della
cultura tra gli uomini sorsero e si diffusero mal
r adornarla delle più graziose attrattive, Afrodite le diè il fascino
della
bellezza, Atena la fè abile in ogni arte, Ermes l
tello a non ricever doni da Zeus, non seppe resistere alle attrattive
della
donna e l’ accolse e la fè sua sposa. Da quel mom
volaron via e si dispersero. Chiuse bensì Pandora subito il coperchio
della
scatola appena s’ accorse dell’ errore commesso,
u cagione di tutti i mali che afflissero l’ umanità, e primo di tutti
della
morte. La storia dei primi uomini è narrata affat
o colla loro irrefrenata furia. Seguì ultima l’ età del ferro, l’ età
della
decadenza morale e del disordine, l’ età del lavo
i velarsi la testa, disciogliersi le vesti e gettar dietro sè le ossa
della
gran madre. Il figlio di Prometeo acutamente inte
io di Prometeo acutamente interpreto l’ oracolo nel senso che le ossa
della
terra fossero le pietre; gettaron dunque delle pi
uomini, maschi e femmine, e di qui ebbo origine la nuova popolazione
della
terra. 4. Le leggende di Prometeo plasmatore d’ u
rappresentato col simbolo di una farfalla posta da Atena sulla testa
della
figura. Più vivace era la leggenda di Prometeo ra
he e a cui più spesso s’ ispirarono gli artisti, va annoverata quella
della
lotta tra i Lapiti e i Centauri. Già ne parla Ome
entauri erano tribù selvaggie e fortissime, abitatrici delle montagne
della
Tessaglia; i Lapiti abitavano sulle pendici merid
mostri. La lotta dei Lapiti e dei Centauri, la quale divenne simbolo
della
lotta tra la civiltà greca e i superstiti della p
quale divenne simbolo della lotta tra la civiltà greca e i superstiti
della
primitiva barbarie pelasgica, ebbe occasione e pr
i completamente sconfitti dovettero fuggire dalle loro sedi a oriente
della
regione Tessala e ricovrarsi sul Pindo, a occiden
iori i Centauri figurano meno selvaggi, e come ingentiliti a contatto
della
Greca civiltà. Allora furono considerati come Gen
ccettò di scendere all’ Inferno. 2. Una vivace e colorita descrizione
della
lotta fra i Lapiti e i Centauri leggesi nel 12o d
rda Admeto e Alcestide. Admeto era figlio di Fere (Pheres), fondatore
della
città di Fere in Tessaglia; regnava sulle fertili
glia di Pelia re di Iolco, adempiendo la condizione imposta dal padre
della
sposa di aggiogare allo stesso carro un cinghiale
Euripide, il qual Eracle sentito di che si trattava recasi alla tomba
della
defunta, e dopo fiera lotta con la Morte, ne torn
ra giunta all’ isola di Creta, Agenore disperato mandò Cadmo in cerca
della
sorelia, minacciandogli pena d’ esiglio se non la
ad una fonte vicina per le libagioni, un drago sacro a Marte, custode
della
fonte, sbucò fuori dall’ antro ov’ era nascosto e
, Ctonio, Peloro e Iperenore. Questi aiutarono Cadmo nella fondazione
della
città e diventarono i capistipite delle nobili fa
es tebano, venerato dai Tebani come l’ ordinatore loro e il promotore
della
più antica cultura in Beozia. 2. Il mito di Cadmo
madre di Penteo; e già s’ è toccata anche la sorte toccata al figlio
della
più vecchia Autonoe, cioè Atteone, mutato in cerv
olare. Forse Atteone sbranato dai cani non era altro che un’ immagine
della
natura vegetativa che soffre e avvizzisce ai ragg
gine della natura vegetativa che soffre e avvizzisce ai raggi cocenti
della
canicola. 2. Al vivo e commovente racconto che di
vivo e commovente racconto che di questo episodio fa Ovidio nel terzo
della
Metamorfosi fanno riscontro le molte opere di pit
faticosa, appassionato cacciatore; Anfione gentile d’ animo, cultore
della
musica e della poesia, proraotore di ogni più fin
ssionato cacciatore; Anfione gentile d’ animo, cultore della musica e
della
poesia, proraotore di ogni più fina arte. Si most
assi, più forte di qualsiasi manovale; ma Anfione al suono dolcissimo
della
lira moveva le pietre, si che da sè si ponevano u
alla loro famiglia. Anfione aveva sposato Niobe figlia di Tantalo re
della
Frigia, sorella di Pelope; e n’ aveva avuto numer
nti figli com’ erano la gioia dei regal padre, così erano l’ orgoglio
della
madre fortunatissima. Ma da questa felicità dovev
vevano piombare nella più crudele delle sventure. Niobe insuperbitasi
della
sua fortuna e della sua stirpe divina (Tantalo su
a più crudele delle sventure. Niobe insuperbitasi della sua fortuna e
della
sua stirpe divina (Tantalo suo padre era figlio d
iope e il supplizio di Dirce era naturale entrasse presto nel dominio
della
letteratura e dell’ arte. La letteratura drammati
da Ovidio nel sesto delle Metamorfosi, poi la descrizione viva e vera
della
morte dei figli di lei, e l’ espressione del suo
o; una figlia spira pietosamente sostenuta dal fratello. Ma il somnio
della
pietà è nella statua della madre, detta la mater
mente sostenuta dal fratello. Ma il somnio della pietà è nella statua
della
madre, detta la mater dolorosa dell’ arte antica;
lui, andato in Inferno, si presentò a Plutone e Persefone lagnandosi
della
trascuratezza della moglie e tanto seppe fare e d
rno, si presentò a Plutone e Persefone lagnandosi della trascuratezza
della
moglie e tanto seppe fare e dire che gli fu conse
e Euripide. — In mano ad altri poeti popolari, Sisifo diventò l’ eroe
della
sofistica e della malizia, inventore d’ ogni sort
ano ad altri poeti popolari, Sisifo diventò l’ eroe della sofistica e
della
malizia, inventore d’ ogni sorta mtrighi, ma anch
sofistica e della malizia, inventore d’ ogni sorta mtrighi, ma anche
della
divinazione per via dell’ esame delle interiora.
l creduto insulto, pensò mandar Bellerofonte al suo suocero Jobate re
della
Licia, con una tavoletta suggellata, entrovi dei
lui, gli diè in moglie la sua figliuola e lo le’ sovrano di una parte
della
Licia. Non molto però potè godere Bellerofonte la
è da ricordare la fine di Stenebea. Raccontasi che fatto re di parte
della
Licia, Bellerofonte tornò a Tirinto sul suo Pegas
cavallo alato, molte pitture vascolari trattano questo o quel momento
della
favola. È celebre la Chimera di Arezzo, pregiato
te il Dio del fiume omonimo, che era il corso d’ acqua più importante
della
regione. Di Inaco si diceva figlio Foroneo, rappr
ondo di Argo, detto da alcuni il primo uomo, venerato come iniziatore
della
coltura del paese, e fondatore del culto di Era s
ffidò alla custodia di Argo dai cent’ occhi. Chi puè dire il dolore e
della
povera fanciulla che senza aver perso la coscienz
re per implorar pietà, e del padre stesso che accortosi a certi segni
della
cosa s’ avvinghiava al collo della candida gioven
stesso che accortosi a certi segni della cosa s’ avvinghiava al collo
della
candida giovenca senza nulla poter fare per lei?
a peregrinando di terra in terra, quasi inseguita dall’ astro maggior
della
natura; o, come ad altri è sembrato, essa è la bi
la designazione delle regioni ove peregrinò Io. Lo stesso particolare
della
venuta in Egitto è probabile non facesse parte de
n una corona ma uno scudo. Linceo fu anche ricordato come capostipite
della
seguente stirpe argiva, a cui tra gli altri appar
origine argiva e che solo più tardi si sieno escogitate quelle parti
della
favola che connettevano il mito Argivo con le cos
col titolo Danais, illustra va questo mito; e di poi diversi momenti
della
leggenda offrirono materiava lavori poetici; Arch
offrirono materiava lavori poetici; Archiloco ad es. trattò in versi
della
ostilità fra Linceo e Danao, Eschilo e Frinico co
vano quando erano ancora nel seno materno. Preto, cui nella divisione
della
paterna eredità era toccato Tirinto, dovette alla
la stirpe degli Amitaonidi, in cui si trasmetteva per eredità l’ arte
della
divinazione, si stanziò nell’ Argolide. Da essa n
osa avventura per liberarsene, e gli diè ordine di portargli la testa
della
terribile Gorgone Medusa. Eran le Gorgoni, second
specchio di Atena, tagliò di netto colla falce avuta da Ermes il capo
della
Gorgone e lo ripose nella magica sacca. All’ inse
ndromeda. Ora essendosi Cassiepea vantata di sua bellezza e di quella
della
sua figliuola, e avendo osato venire in questo al
Alcmena e da un altro suo figlio nacque anche Anfitrione. Anche fuori
della
Grecia si vollero trovare discendenti di Perseo.
Persiani eran detti prosapia di Perseo, altrettanto i re del Ponto e
della
Cappadocia: in Egitto pure Erodoto trovà discende
o e di Danae che altro sono se non la unione fecondatrice del cielo e
della
terra argiva, e la prigione di Danae che altro è
rgiva, e la prigione di Danae che altro è se non la nebbiosa caligine
della
stagione hivernale? Di qui si sprigiona il sole p
nch’ essi il lampo e il tuono? Sicchè tu hai qui una rappresentazione
della
grande lotta fra gli elementi naturali. Infine il
avventure straordinarie e commoventi di Perseo entrarono nel dominio
della
letteratura e dell’ arte. Già Esiodo ha una quasi
Perseo sono raccontate con vivaci colori e conforme all’ ultima forma
della
tradizione. Che anche l’ arte assai per tempo abb
e. Il suo aspetto in genere ricorda molto quello di Ermes. — La testa
della
Medusa fu pure un tema frequentemente trattato. S
enti irrigiditi dalla morte. Un bell’ esempio l’ abbiamo nella Medusa
della
Gliptoteca di Monaco, che si riproduce nella fig.
i gravi frangenti, in battaglia ad es., e in mare durante l’ infuriar
della
tempesta. Quelle fiaramelle elettriche le quali i
a di luce che lotta contro dei nemici, probabilmente i due crepuscoli
della
mattina e della sera che anche in altre mitologie
tta contro dei nemici, probabilmente i due crepuscoli della mattina e
della
sera che anche in altre mitologie fecero pensare
i Dioscuri verso i naviganti. Altri epici antichi cantarono di loro e
della
discendenza di Leda; poi li celebrarono parecchi
loro salvato da certa morte. In una poesia scritta in onor di Scopa,
della
famiglia degli Alevadi, aveva egli lodato bensì i
gente bisogno di parlargli. Appena Simonide ebbe messo il piede luori
della
sala da pranzo, d’ un tratto sprofonda il pavimen
co personaggio a cui essi riferivano l’ origine loro e i primi inizii
della
loro civiltà, è Cecrope; più tardi pero anche di
ore. Egli era detto il primo re, il primo legislatore, l’ edificatore
della
cittadella (Cecropia), il fondatore del culto ant
’ ultima in Attica aveva la prevalenza e rendeva possibile la coltura
della
terra, specie dell’ olivo, e di questa diffusione
rugiada; alla quale nella stagione asciutta molto deve la prosperità
della
terra. In letteratura e in arte Cecrope mantiene
la tradizione seguita dai Tragici, venne al regno Ione il capostipite
della
stirpe ionica; il che significa il termine del pe
il che significa il termine del periodo pelasgico e il cominciamento
della
dominazione ionica. La leggenda attica posteriore
geo toccò Atene e le terre vicine, Pallante ebbe la parte meridionale
della
penisola, Lico l’ orientale e Niso la Megaride. P
bosco di Crominione. 4º Liberò lo stretto passo Scironico ai confini
della
Megaride da un terzo malfattore, Schirone, che ob
ce fare a lui la stessa fine. 5º Presso Eleusi, non lungi dai confini
della
Megaride, vinse il gigante Cercione, che obbligav
lmente giungere in Atene. Ivi trovò Egeo suo padre irretito nei lacci
della
pericolosa incantatrice Medea, che da Corinto s’
cle, Teseo fece una spedizione contro le Amazoni, ed ebbe come premio
della
vittoria la loro regina Antiopa o Ippolita; secon
lle Ciprie; poi la lirica con Saffo e Simonide celebro alcuni momenti
della
leggenda, sopratutto le pietose vicende di Ariann
rale e vascolare e arti minori, trassero ispirazione da qualche punto
della
leggenda di Teseo. In genere egli era figurato co
le note che contraddistinguono appunto la stirpe ionica in confronto
della
dorica; anch’ esso portava pelle di leone e mazza
to attualmente dal Museo di Berlino. Anche ricorderemo un bel rilievo
della
villa Albani in Roma, figurante Teseo nel momento
Creta e si sposò con Pasifae, figlia di Elio (altra personificazione
della
luna); da cui gli nacquero Catreo, suo successore
i Icaro; già abbiamo altrove ricordato dello stesso libro il racconto
della
caduta di Megara e dell’ uccisione del Minotauro
VIII. Le leggende di Eracle-Ercole. 1. Come Teseo era l’ eroe
della
stirpe ionica, così Eracle fu propriamente l’ ero
era l’ eroe della stirpe ionica, così Eracle fu propriamente l’ eroe
della
stirpe dorica, sebbene in origine le leggende a l
esporre le più importanti, disponendole secondo i momenti principali
della
vita dell’ eroe, ed avvertendo che molte son di o
o di donna mortale, non doveva sfuggire all’ odio e alla persecuzione
della
gelosamoglie di Zeus. Si manifestò quest’ ostilit
ritardare il parto di Alcmena e anticipare invece di due mesi quello
della
moglie di Stenelo; nacque quindi quel giorno Euri
n mostro marino, che era stato mandato da Posidone per punire quel re
della
fraudata mercede, dopo l’ aiuto dato da lui e da
di tutte due, e fatte passar le acque nelle stalle di Augia, la forza
della
corrente facilmente trascinò via il letame. Augia
si con quest’ impresa, ricorderemo la lotta col gigante Anteo, figlio
della
terra, il quale era re della Libia e obbligava i
eremo la lotta col gigante Anteo, figlio della terra, il quale era re
della
Libia e obbligava i passanti a lottare con lui; e
nell’ estremo occidente dalle Esperidi (le ninfe di ponente), figlie
della
notte e del drago Ladone, nato, come tutti i most
dove Atlante regge sulle sue spalle il mondo. Qui riusciva al termine
della
spedizione; poichè Atlante s’ incaricava di andar
ta in Tessaglia, da altri nel Peloponneso sul confini dell’ Arcadia e
della
Messenia, ed anche in Eubea presso Eretria), dove
eva vivere per tre anni in condizione di schiavo. — Segue la leggenda
della
servitù a cui Eracle rimase soggetto presso Onfal
se soggetto presso Onfale, nglia di Iardano, vedova di Tmolo e regina
della
Lidia. È leggenda di origine lidia, poi intreccia
Sandone che veneravano come capo di loro stirpe; e il carattere lidio
della
leggenda si manifesta in quel non so che di effem
rimase che il figlio minore, Nestore, il quale poi fu il continuatore
della
nobile famiglia. — Alla spedizione contro i Pilii
ella Auge, figlia del re, quel Telefo che per diversi casi diventò re
della
Misia e combattè contro i Greci, e fu ferito prim
i Greci, e fu ferito prima colla lancia d’ Achille, poi colla ruggine
della
stessa lancia risanato. — Segue nella storia dell
di Pagase; e non solo uccise il suo avversario, ma ferì anche il Dio
della
guerra che era accorso in aiuto del figliuolo. D)
divenne uno scoglio. Egli s’ avviò a Trachine dove Deianira informata
della
disgrazia già erasi pel dolore uccisa. Allora ved
e figli, Alexiare e Aniceto. 2. Tali sono i tratti più caratteristici
della
complicata leggenda di Eracle. Sebbene sia imposs
, appartenenti alla stirpe dorica e riferiti dalla leggenda all’ eroe
della
stirpe. Invece Eracle che compie le dodici fatich
ò essere se non una forza benefica la quale lotta contro gli ostacoli
della
natura, a benefizio degli uomini? Dopo l’ apoteos
o si rinchiudeva un profondo contenuto morale, Eracle divenne simbolo
della
più sublime forza morale che lotta contro le diff
simbolo della più sublime forza morale che lotta contro le difficoltà
della
vita e colla forza e la costanza le supera e cons
dell’ umanità, e lo si invocava per aiuto nelle difficili congiunture
della
vita, specialmente col titoli di Soter, salvatore
ero, e si istituirono feste pubbliche dette Eraclee in diversi luoghi
della
Grecia, come ad Atene, a Sicione, a Tebe, a Lindo
ltri di origine o almeno di riferimento locale. Solitamente la favola
della
spedizione contro Gerione e del ritorno di Ercole
uo padre Giove che gli aveva fatto scoprir il furto, eresse nel luogo
della
zuffa un altare in di lui onore e gli sacrificò u
ogni anno in determinato giorno il pretore offrisse a Ercole, in nome
della
città, un giovenco o una giovenca, e anche i priv
e la spedizione contro Troia. Poi anche Esiodo tratto diversi momenti
della
storia Eraclea, attenendosi specialmente alle leg
olta i poeti tragici e comici è naturale sceneggiassero molti momenti
della
vita d’ Eracle, epperò tra le tragedie di Sofocle
ovane Eracle seduto in luogo solitario del Citerone, incerto qual via
della
vita deva scegliere e percorrere, se quella del p
zzi e lusinghe, gli vien descritta piena di gioie e di riso, o quella
della
virtù che da altra donna, più severa nell’ aspett
umerevoli difficoltà, e combattendo con invitta costanza le battaglie
della
vita, si rende degno d’ una gloria immortale. In
celebrità per rappresentazioni di questo genere lo scultore Lisippo,
della
giovane scuola Argiva, il quale si compiaceva di
le di Ercole in bronzo ch’ era in Taranto, e da Taranto dopo la presa
della
città fu portata sul Campidoglio, donde l’ impera
onde l’ imperatore Costantino la portò a Costantinopoli; ivi al tempo
della
crociata latina nel 1204 venne fusa. Rappresentav
anche le dodici fatiche; un gruppo fatto in origine per un santuario
della
città di Alizia in Acarnania, più tardi trasporta
ve sorgeva il teatro di Pompeo. È parte di una grande figura sedente,
della
quale rimangono solo il torace e le cosce; ma que
celebre gruppo rappresentante la lotta di Ercole col gigante Anteo; e
della
liberazione di Prometeo esiste una bella rapprese
o è il gruppo marmoreo del Museo di Napoli; ove vedesi Onfale vestita
della
pelle leonina e colla clava nella destra in atto
Fra tanti dardi caduti a vuoto, il primo che ferì la bestia fu quello
della
bella Atalanta. La lotta si fa sempre più aspra,
lmente e allora fu facile agli altri con più colpi finirla. Il premio
della
vittoria, cioè la testa e la pelle del cinghiale,
campo di battaglia; la crudele erinni, che aveva udito la maledizione
della
madre, ne fe’ sua preda e lo fe’ morire. Tale è l
e il tizzone nel fuoco, e così il nobile e coraggioso eroe, nel flore
della
gioventù, come divorato da un fuoco interiore, se
dell’ eroe contro un mostro di natura, è costante espressione mitica
della
lotta tra il sole e la tempesta. Ma molto per tem
ell’ ottavo delle Metamorfosi, largamente descrivendo e i particolari
della
pugna, e l’ uccisione dei Testiadi e il lungo ond
in ultimo trasformate in uccelli. Una bella rappresentazione figurata
della
caccia Calidonea ammiravano gli antichi sul front
degli Argonauti. 1. La storiella del vello d’ oro forma il nucleo
della
leggenda degli Argonauti; epperò anche qui siamo
uccidere Frisso, come per immolarlo a Giove e ottenerne la cessazione
della
siccità. Allora Nefele intervenne in aiuto de’ su
liberare la patria dai mali ond’ era angustiata, divenne per gli eroi
della
stirpe di Eolo il compito principale. Atamante st
varietà di tradizioni. Nei tempi più antichi si nominavano solo eroi
della
stirpe de’ Minii, come Acasto, Admeto e Periclime
rebbe via via il numero degli Argonauti, annoverandovi tutti gli eroi
della
generazione immediatamente anteriore alla guerra
onauti si facevano salire a cinquanta, cioè tanti quanti erano i remi
della
nave che li trasportava. Secondo la leggenda più
o per la stessa via di prima; secondo altri, risalendo il Fasi, fiume
della
Colchide, sarebbero giunti nell’ Oceano Orientale
gio Romano ha una notevole rappresentazione dello sbarco in Bitinia e
della
punizione di Amico. III. Il ciclo Tebano. 1
unizione di Amico. III. Il ciclo Tebano. 1. La patetica istoria
della
famiglia dei Labdacidi in Tebe era così ricca di
a cui presero parte eroi non solo Tebani ma anche d’ altre provincie
della
Grecia, per questo ne abbiamo riservato l’ esposi
dirata contro Laio, a infestar Tebe. E postasi su una rupe alle porte
della
città obbligava i passanti a sciogliere il celebr
morte di Laio, Creonte suo cognato preoccupato del continuo pericolo
della
Sfinge, promise il trono di Tebe e la mano della
el continuo pericolo della Sfinge, promise il trono di Tebe e la mano
della
vedova Giocasta a chi avesse sciolto l’ enigma. E
rì, e la sua tomba divenne, in forza d’ un oracolo, un luogo d’ asilo
della
terra Attica. Tale la fine di Edipo secondo Sofoc
edere il luogo al fratello; il quale allora si rifugiò presso Adrasto
della
stirpe di Amitaone, re di Argo; proprio nello ste
iglio di Meleagro e di Atalanta, infine Anfiarao, il celebre veggente
della
stirpe di Melampo cognato di Adrasto stesso. Vera
si contrappose l’ indole affettuosa e gentile di Antigone che al fine
della
tragedia dichiarava energicamente di voler, contr
focle riprese questo stesso motivo poetico nell’ « Antigone » facendo
della
pietosa sorella il personaggio principale dei dra
tivamente scarse o di poca importanza. Abbastanza frequenti le statue
della
Sfinge, che a differenza della Sfinge egiziana, t
rtanza. Abbastanza frequenti le statue della Sfinge, che a differenza
della
Sfinge egiziana, tronco di leone senz’ ali con pe
iana, a cui presero parte eroi di diverse stirpi e di diverse regioni
della
Grecia. Esporremo brevissimamente le principali d
lle stirpi eroiche a cui esse si riferiscono, poi narrando le vicende
della
decennale guerra, infine esponendo i casi varii d
cchi; con questo però che chi si lasciava vincere doveva pagar il fio
della
sua audacia colla morte, perchè egli raggiungendo
Pelope e di Ippodamia furono Atreo e Tieste (Thyestes), altre vittime
della
maledizione divina che pesava su questa famiglia,
il figlio di lui Euristeo. Dopo la costui morte entrarono in possesso
della
signoria d’ Argo, abitando Atreo in quel superbo
to ad oriente. Tieste imprecando ogni maledizione sul capo di Atreo e
della
sua stirpe fuggì e riparossi alla corte di Tespro
acciatine i figli di Atreo, Agamennone e Menelao. Ed eccoci agli eroi
della
guerra Troiana. Costoro riparatisi alla corte di
se a Tindareo, finchè Paride col rapimento d’ Elena destò l’ incendio
della
guerra. Achille ed Aiace il maggiore appartengono
oll’ aiuto dei Dioscuri, uccise Acasto e Astidamia. In ricompensa poi
della
sua castità gli diedero in moglie una formosissim
da Eracle, Aiace non poteva non essere un grande eroe. Crebbe aitante
della
persona e robusto di forza ed era il più forte fr
a forza del braccio se n’ aggiungono altri in cui prevalgono le virtù
della
mente, la saviezza o l’ astuzia; primo Nestore. E
poli vicini, riacquistò il dominio paterno e soggiornava a Pilo città
della
Messenia. Prese poi parte sia alla lotta dei Lapi
lla spedizione degli Argonauti. Era quindi già molto vecchio al tempo
della
guerra Troiana avendo visto tre generazioni; pure
o Troia. Fondata la città, pregò Zeus gli mandasse un segno visibile
della
sua grazia; il dimane trovò davanti la sua tenda
iani, come Achille era dei Greci; secondo figlio Paride che fu cagion
della
guerra; seguivano Creusa che divenne moglie di En
’ Achille. 2. Ma ormai è tempo che narriamo per sommi capi le vicende
della
guerra. Eris, la contesa, sorella e compagna di A
otte sul Gargaro, parte del monte Ida nella Troade, e ivi il giudizio
della
bellezza fosse affidato al pastore Paride. Era qu
rodite amica. Poco dopo, avendo Paride, che era bellissimo ed aitante
della
persona, vinto tutti i suoi fratelli in certe gar
principi greci, perchè Tindareo ai tanti che avevano chiesto la mano
della
bella Elena aveva fatto giurare, sarebbero corsi
iede; dopo di che molestando i compagni col suoi lamenti e col fetore
della
ferita, si deliberò di lasciarlo nell’ isola di L
la guerra, egli Palamede ne aveva scoperto l’ astuzia. Al decimo anno
della
guerra avviene la celebre contesa tra Achille e A
paramenti sacerdotali e atto supplichevole a chiedere la restituzione
della
figliuola, offrendo congruo prezzo di riscatto, n
a per provvedere a questo guaio, l’ indovino Calcante palesò la causa
della
disgrazia; e disse non sarebbe cessato il male se
animo di Achille al pensiero di vendicare il morto amico, e per mezzo
della
sua divina madre ottenuta dalle mani di Efesto un
figlio, e continua a piangerla, giacchè che cos’ altro sono le goccie
della
mattutina rugiada se non le lagrime dell’ Aurora?
rugiada se non le lagrime dell’ Aurora? — Segue il grave avvenimento
della
morte di Achille; dopo aver fatto soccombere tant
ascinare contro sua voglia Filottete a Troia; il quale fu poi guarito
della
sua piaga da Macaone, e con una delle sue freccie
a Macaone, e con una delle sue freccie uccise Paride, la cagion prima
della
guerra. Poi Ulisse con Diomede compì la pericolos
arne via il Palladio, alla cui conservazione si annetteva la salvezza
della
città. Ancora Ulisse andò a Sciro a prendere il g
si ripararono in un portò dell’ isoletta di Tenedo. I Troiani, lieti
della
partenza dei Greci, guardavano con curiosità quel
Troiani se l’ avessero offeso, per contro diverrebbe una salvaguardia
della
città se l’ avessero accolto entro le mura. I Tro
a Laocoonte per il consiglio dato, e senza indugio aprirono le porte
della
città per introdurvi il cavallo di legno. La nott
cavallo i trenta guerrieri che v’ erano nascosti e apersero una porta
della
città; così prima che i Troiani avessero potuto d
l suo sdegno contro la infedele donna avrebbela uccisa, se l’ incanto
della
sua bellezza non gli avesse nel momento decisivo
acata col sangue di Polissena. L’ infelice ragazza strappata dal seno
della
madre già affranta da tanti dolori, verso sulla t
e derisione. La morte di Agamennone non poneva fine ai tristi destini
della
stirpe dei Pelopidi. Oreste, figlio di Agamennone
e dei Pelopidi. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, al tempo
della
spaventosa catastrofe era stato da una sorella ma
figenia sorella di Oreste, lo riconobbe, ed allora lo aiutò nel ratto
della
statua e tutti insieme fuggirono scampando all’ i
endo strappato per forza Cassandra che s’ era avvinghiata alla statua
della
Dea, questa lo puni facendolo naufragare presso i
atria di suo padre Tideo, ove viveva ancora l’ avo Eneo, ma spogliato
della
signoria per opera dei figli di Agrio suo fratell
navi dal lido di Troia, Ulisse veniva anzitutto sbattuto sulle coste
della
Tracia, ed ivi presso Ismaro, città dei Ciconi, v
o momento; giacchè tornato Polifemo, e chiusa con un masso l’ entrata
della
caverna, si mangi due dei compagni d’ Ulisse, e i
e i forestieri che capitavano nell’ isola. Ulisse avendo mandato metà
della
sua gente con Euriloco al palazzo della maga, non
a. Ulisse avendo mandato metà della sua gente con Euriloco al palazzo
della
maga, non li vide tornare perchè erano stati muta
he sua madre Anticlea che gli dà desiderate notizie del padre Laerte,
della
moglie Penelope e del figlio Telemaco. Tiresia gl
a non abbandonar più quella terra. Ma troppo poteva in Ulisse l’ amor
della
diletta patria e della sua Penelope perchè cedess
ella terra. Ma troppo poteva in Ulisse l’ amor della diletta patria e
della
sua Penelope perchè cedesse a queste lusinghe. Ne
per ivi interrogare l’ oracolo d’ Apollo. Ammonito di andar in cerca
della
patria originaria della sua famiglia, s’ avviò al
oracolo d’ Apollo. Ammonito di andar in cerca della patria originaria
della
sua famiglia, s’ avviò all’ isola di Creta, donde
’ ombre dei trapassati e saper da loro notizie del proprio avvenire e
della
sua discendenza. Ciò fatto, riprese il viaggio e
nte cedendogli spazio per la fondazione d’ una nuova città, e la mano
della
propria figliuola, Lavinia. — Ma altri osta — col
ero come il pascolo intellettuale delle loro anime; in tutti i secoli
della
vita greca vi attinsero letterati e artisti, cont
no, la cui Eneide contiene nei primi libri una magistrale descrizione
della
caduta di Troia, la più viva e la più bella che a
ciò si rileva facilmente quanta parte siano state le leggende troiane
della
vita intellettuale degli antichi; e non fa meravi
icano. Si dice opera di tre scultori, Agesandro, Polidoro e Atenodoro
della
scuola di Rodi ed è probabile risalga all’ età cl
e il Gentile (op. citata pagina 172) rappresenta un singolo momento
della
tragica catastrofe. Il figlio di destra, giovanet
dietro la testa esala la vita. Lo stesso serpente colle estreme spire
della
coda allaccia in basso una gamba dei figli di sin
o sostiene il quale è nel pieno vigore delle sue forze. — Varie scene
della
guerra troiana riscontransi ancora in diversi mon
amennone. Il gruppo è detto esser opera di Menelao scolaro di Stefano
della
scuola di Prasitele fiorito nel 1º secolo av. C.
lo quarto. Vati, poeti, artisti mitici. 1. Agli eroi del braccio e
della
guerra fanno riscontro gli eroi dell’ intelligenz
sse ricordata e celebrata dai cantori popolari e entrasse nel dominio
della
leggenda. Or la virtù dell’ ingegno s’ esplicava
l vaticinar l’ avvenire, b) nel poetare e cantare con accompagnamento
della
cetra, c) nel fare opere d’ arte; quindi le tre c
dicendolo nato nei primordi di Tebe e facendolo ancora vivo al tempo
della
distruzione della città per opera degli Epigoni.
i primordi di Tebe e facendolo ancora vivo al tempo della distruzione
della
città per opera degli Epigoni. A sette anni d’ et
ista nel bagno da lui, secondo altri per aver egli rivelato i segreti
della
Dea. Come tutti i veggenti dell’ antichità intend
ntendeva il linguaggio degli uccelli e conosceva i più riposti arcani
della
natura, e perciò fu sempre in grande estimazione
anze di Aliarto. Tiresia ebbe una figliuola, Manto, dotata anch’ essa
della
facoltà di vaticinar l’ avvenire. Fatta prigionie
oltà di vaticinar l’ avvenire. Fatta prigioniera di guerra al momento
della
distruzione di Tebe, fu portata a Delfo e consacr
Gli fu concesso che Euridice seguisse un’ altra volta Orfeo nel regno
della
vita, a questa condizione che durante il tragitto
un tratto spari; Orfeo tornato in terra, andò errante per le montagne
della
Tracia a dare sfogo al suo dolore, e gli avvenne
el quale s’ imbattè. — Lino non era meno celebre di Orfeo. Era figlio
della
Musa Urania, come Orfeo di Calliope, e rallegrava
antico canto popolare in cui si lamentava con querule note il perire
della
natura nella stagione invernale, e che chiamavasi
a governa e il mare dominato dai venti, e le città e il triste regno (
della
Morte) et le turbe degli Dei e degli uomini con e
5. « Di sguainate spade si compiace la Dea guerriera. » 6. « Pegno
della
salvezza nostra e di quella dello stato. » 7. I,
u Tenedo (isola dell’ Egeo dirimpetto alla Troade) e su Patara (città
della
Licia). Giove m’ è padre; per me è palese quel ch
è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia al suon
della
lira… La medicina è un mio trovato, e nel mondo s
eguo io gli accampamenti di lui. » 11. « Già Venere Citerea al lume
della
luna dirige le danze, e le belle Grazie insiem co
ra, è zoppa non brutta però. » 13. « messaggero degli Dei, inventore
della
curva lira, destro a nascondere le cose per scher
u le madri, sia che a te piaccia esser chiamata Lucina, ovvero la Dea
della
Generazione. » 26. V. 655: « Tiene nella mano si
lante rugiada sulla madida barba e rigonfia die’ il segnale d’ ordine
della
ritirata, fu udita dalle onde tutte della terra e
a die’ il segnale d’ ordine della ritirata, fu udita dalle onde tutte
della
terra e del mare; e l’ onde che udirono tutte si
si ma che fa una grande impressione. » 52. Così intitolata, dal nome
della
moglie di Eneo re di Celidone, fatta schiava allo
il rapido corso dei fiumi e i celeri venti, carezzevole così col suon
della
sua cetra da trascinare a sè come fossero manite
a Storia ; 2° in invenzioni relative alla Filosofia, ovvero all’amore
della
sapienza ; 3° in racconti immaginati a somiglianz
e fantastiche tradizioni mitologiche alludono alle grandi catastrofi
della
Terra, cioè diluvj, inondazioni, eruzioni di vulc
ceva le tigri e spetrava i massi, esprime il potere dell’ eloquenza e
della
musica sugli uomini, ed anche l’ effetto maravigl
nato dalle passioni sfrenate ; mentre che Narciso invaghito e vittima
della
propria bellezza, rappresenta gli effemminati e i
ra deità, fuorchè Dio stesso. Gli antichi Dei Titani, figli di Celo e
della
Terra, forse non erano altro che le forze natural
rra, forse non erano altro che le forze naturali e le potenze motrici
della
terra e dei corpi celesti, mentre pare che Giove,
prime, ossia i Titani, per dividersi tra di esse il regno del cielo e
della
terra. E così le origini di queste favole, che fo
meritata l’ immortalità, come Achille, Ettore Ulisse, ec. Divinità
della
prima classe. 20. Gli Dei della prima classe a
le, Ettore Ulisse, ec. Divinità della prima classe. 20. Gli Dei
della
prima classe abitavano il cielo nella reggia d’ O
suale ed informe, nella quale immaginarono confusi tutti gli elementi
della
natura prima della creazione e della separazione
ella quale immaginarono confusi tutti gli elementi della natura prima
della
creazione e della separazione dei corpi. La terra
arono confusi tutti gli elementi della natura prima della creazione e
della
separazione dei corpi. La terra, il foco e ’l mar
otenza ordinatrice. 23. Il Destino poi altro non era che un’ immagine
della
fatale necessità che tutto governa nel mondo ; e
non racchiude la immutabilità del Fato, cui non vincono nè i potenti
della
terra nè gli stessi Dei ! 24. Il Destino era sedu
inistre del Destino, pronto a fare eseguire immediatamente gli ordini
della
inesorabile divinità. 25. Cielo o Cèlo figlio del
igliuoli, operò ostilmente contr’essi, e gl’ imprigionò nelle viscere
della
terra ; ma Titea non volendo sopportare questa in
o in questa favola un primo sconvolgimento cagionato sulla superficie
della
terra dalle riposte sue forze, che parevano esser
lo vinse ; e temendo che il padre usasse un’ altra volta a suo danno
della
libertà che gli avea procurata, lo discacciò dal
erchè Saturno vi si celò cercando un asilo. Giano (33-37), originario
della
Tessaglia, e divenuto re del Lazio, accolse amore
mplicemente e naturalmente buoni, virtuosi, in pace, godendosi i beni
della
terra, spontaneamente da essa prodotti. Ma le età
on special culto ; e pel suo regno lungo e tranquillo fu detto il Dio
della
pace. Appena giunto sulle sponde del Tevere vi av
Dei. 38. Le feste istituite nel Lazio in onor di Saturno e in memoria
della
dimora da esso fattavi e dell’ età dell’ oro, fur
i nell’età dell’oro. A questo medesimo Dio è attribuita l’ invenzione
della
moneta per agevolare il commercio ; e i primi con
sa ; e il serpente che forma un cerchio è l’ emblema dell’ eternità e
della
prudenza ; mentre il fanciullo che sta per essere
ente umana tende a più alto fine ; laonde lo stesso poeta nel Trionfo
della
Divinità : Da poi che sotto ’l ciel cosa non vid
bele, qual sorella e moglie di Saturno (27), era tenuta per genitrice
della
maggior parte degli Dei, e perciò fu detta gran m
entre una chiave nella destra significa i tesori chiusi nelle viscere
della
terra. Il suo carro, tratto da due leoni, è l’ em
viscere della terra. Il suo carro, tratto da due leoni, è l’ emblema
della
terra equilibrata nell’ aere pel proprio peso ; e
custodia del suo tempio, del Palladio (570) e del fuoco sacro simbolo
della
conservazion dello stato. Sceglievanle i re, e, a
gas megále, che vuol dir grande, perchè istituite dai Frigii in onore
della
grande Dea. In Roma, dove furono introdotte nel t
in onore della grande Dea. In Roma, dove furono introdotte nel tempo
della
seconda guerra punica, erano celebrate dalle matr
49. Sacrificavano a Cibele un toro o una capra o una scrofa a motivo
della
sua fecondità. Il bossolo ed il pino eranle sacri
e (sangarius in latino è lo stesso che frigio) ; e la Dea per punirlo
della
sua ingratitudine fece ferire quella ninfa, e abb
sulla pianura d’ Enna in Sicilia, rapilla ; nè valse l’ ardita difesa
della
ninfa Ciane che fu da lui trasformata in fontana.
, Correndo a quei ch’ avean più bel colore. Quest’ era il maggior fin
della
sua mente, D’ aver fra le compagne il primo onore
sconsolata salì un carro tratto da draghi alati per volare in traccia
della
prediletta figliuola. 54. Si pose a percorrere ve
erra tra i popoli ancor selvaggi. Ma Tritlolemo sarebbe stato vittima
della
gelosia, che tanti favori svegliarono in Linco re
stato vittima della gelosia, che tanti favori svegliarono in Linco re
della
Sicilia, se costui non fosse stato cangiato da Ce
o in onor suo, il qual tempio d’Eleusi diventò poi uno dei più famosi
della
Grecia pei misteri Eleusini e per le feste che og
curiosità e la continua osservazione rivolte alla ricerca del vero e
della
sapienza possono essere nobili e profittevoli. 57
e di beffarla. Di che offesa la Dea gli scaraventò in faccia il resto
della
pappa ; e lo converse in tarantola. Invero non is
atollarsi. 58. Alfine, dopo aver girato il mondo senza trovar notizie
della
figliuola, tornò in Sicilia, e quivi la ninfa Are
nde, accesa una fiaccola al fuoco del monte Etna, entrò nelle viscere
della
terra ; e di lì nell’inferno per richiedere a Plu
esemplare. Agli uomini era vietato l’assistervi ; e nei cinque giorni
della
loro durata le donzelle vestite di bianco andavan
il quale conciliando il sonno a Cerere aveva dato tregua all’affanno
della
madre sventurata. — È opinione che Cerere sia l’I
e la Cibele dei Frigii. 62. Eresittone o Erisittone, tessalo, figlio
della
ninfa Driope nipote di Nettuno (185) e avo matern
o trono sovrapponendo Ossa a Pelio, ed Olimpo ad Ossa, tutte montagne
della
Grecia, di sulle quali s’argomentarono dar la sca
terribili tra’suoi nemici in questa così detta pugna di Flegra (valle
della
Tessaglia) furono Encelado, che lanciava i più gr
nutosi l’impero del mondo e non avendo più nemici da temere, s’occupò
della
formazione dell’uomo. Indi Prometeo, figlio di Gi
so ad imitare il padre degli Dei, formò alcune statue umane col fango
della
terra, e le animò col fuoco sacro rapito al carro
quale si studiava di tenere oppressi coloro che, illuminando le menti
della
moltitudine, davano opera a distruggere tra gli u
Giove. Ma lo stesso rigeneratore a veva presagito che alfine la forza
della
giustizia avrebbe trionfato di quella della tiran
agito che alfine la forza della giustizia avrebbe trionfato di quella
della
tirannide ; e infatti Ercole, (364) figlio dello
(263) le donò la saviezza, Venere (170) la beltà, Apollo (96) l’arte
della
musica, e Mercurio (160) l’eloquenza ; e la chiam
arti e le cose tutte giovevoli all’uomo, il trovar le quali è effetto
della
fortuna. Sicchè sotto la favola di Pandora è comp
della fortuna. Sicchè sotto la favola di Pandora è compreso il regno
della
Fortuna (332), ossia l’invenzione delle arti che
che avevano costudito il Nume nell’infanzia, ebbero in dono un corno
della
stessa capra. Quel corno aveva la prerogativa di
ava agli Dei, fu assalito da uno sciame di mosche trattovi dall’odore
della
vittima ; ma andando poi a sacrificare al simulac
o i Romani fuggenti innanzi ai Sabini ; Giove Laziale qual protettore
della
confederazione dei popoli latini,23 e Giove Capit
: Bacco (146) essendo in pericolo di morir di sete nei vasti deserti
della
Libia, implorò il soccorso di Giore ; ed il padre
segnato agli uomini a cibarsi di ghiande. Credevano poi che le querci
della
foresta vicina alla città di Dodona nell’Epiro re
resta pronunziavano oracoli, e in essa fu tagliato il fatidico albero
della
nave degli Argonauti. 83. Il Giove dei Greci e
la folgore ed uno scettro simbolo dell’onnipotenza, ed una statuetta
della
Vittoria nella sinistra ; allato gli seggono le V
ecipitò dal cielo sulla terra da quanto era deforme ; ed Ebe (87) Dea
della
giovinezza. 87. Questa Ebe fu destinata a mescere
agli Dei ; ma poichè un giorno le intravvenne di cadere nel bel mezzo
della
celeste assemblea, ella n’ebbe tanta vergogna che
re ogni gastigo, finse miglior contegno, e poi si mostrò meravigliata
della
bellezza di quell’animale, e chieselo in dono al
ritolta, la diede in custodia ad Argo, celebre architetto e inventore
della
nave degli Argonauti (452), il quale aveva cent’o
(160) di fare addormentare il maraviglioso vigilatore, con la voluttà
della
musica e con l’ajuto di Morfeo Dio del sonno (241
o solamente di esterna bellezza, e lo prese a proteggere qual simbolo
della
sua vanità regale. 90. Giunone vie più sdeguata c
enza che il pastore Paride (597) concesse a Venere (170) nel giudizio
della
bellezza. Si vendicò d’Europa (74, 483) predilett
ventosa pestilenza che fece perire tutti gli abitanti, per vendicarsi
della
protezione di Giove verso la figlia d’Asopo regin
asse il suo regno ; ed egli fece scaturir fuori da una vecchia querce
della
dodonea foresta una quantità prodigiosa di formic
dire di cento bovi ; e presso al suo tempio scorreva un fonte dotato
della
prerogativa di far tornare la giovinezza. Credeva
lo (96) e Diana (137). Il primo ebbe il soprannome di Delio dal luogo
della
sua nascita. Certo non si scotea si forte Delo P
Pitone che l’aveva tormentata si crudelmente, e che devastava i campi
della
Tessaglia. Lo assalì, lo trafisse con le sue frec
iuolo Esculapio (289), il quale aveva fatto molti progressi nell’arte
della
chirurgia e della medicina imparata dal padre e d
89), il quale aveva fatto molti progressi nell’arte della chirurgia e
della
medicina imparata dal padre e dal Centauro Chiron
Giove, per punirlo di tanto ardire, lo scacciò dal cielo, e lo privò
della
divinità per molti anni. 102. Allora Apollo, per
agli abitanti, si studiò di farne più miti i costumi con le dolcezze
della
musica, simbolo della persuasione operata dall’el
diò di farne più miti i costumi con le dolcezze della musica, simbolo
della
persuasione operata dall’eloquenza. 103. La ninfa
i giacinti adornano con tanta mestizia la tomba delle tenere vittime
della
morte. 105. I genitori di Giacinto si posero ad i
Dovevano estrarre a sorte la vittima ; un anno uscì dall’urna il nome
della
stessa Esione (518) figliuola del re, e l’infelic
dendo il mostro. 109. Laomedonte aveva promesso in dono al liberatore
della
sua figlia certi destrieri invincibili e tanto sn
icio è chiamato Sole, Febo, o padre del giorno ; Lo ministro maggior
della
natura, Che del valor del cielo il mondo imprenta
ucchero.) 118. Fetonte (phaétho, io brillo, gr.) figliuolo d’Apollo e
della
nereide Climene figlia dell’Oceano e creduta madr
gi chiamato Po. Così « i Greci primitivi ancor barbari e memori forse
della
catastrofe atlantica (69), avuta notizia di consi
uole di Apollo e di Climene e sorelle di Fetonte, si afflissero tanto
della
sua morte, che per quattro mesi lo piansero sulle
antichi credevano che il cigno, per Io più taciturno, all’avvicinarsi
della
morte alzasse un canto melanconico e pieno d’armo
ti nei cigni. Ugo Foscolo nel carme le Grazie dedica a questo simbolo
della
beltà, che veleggia con pure ali di neve, i segue
nessa (V. Sibille, § 665) che incoronata di lauro riferiva i responsi
della
delfica Deità, stando a sedere sopra uno sgabello
vano ad Apollo la loro chioma. Era molto venerato anche a Cirra città
della
Focide, a piè del Parnaso. Aveva un altro bel tem
i sacerdoti camminavano a piedi nudi sui carboni accesi. — Il tripode
della
Sibilla, tutto d’oro massiccio, era stato trovato
Talete, che lo depositò nel tempio d’Apollo consacrandolo al servigio
della
Sibilla. 123. Apollo dette a’Greci la prima cogni
ca da lui professate o inventate impressero nel loro animo i precetti
della
morale. Quindi lo adorarono particolarmente quale
precetti della morale. Quindi lo adorarono particolarmente quale Dio
della
poesia, della musica e delle belle arti. Fu maest
a morale. Quindi lo adorarono particolarmente quale Dio della poesia,
della
musica e delle belle arti. Fu maestro delle Muse
essa scorre il fiume Permesso che nasce sul monte Elicona dalle acque
della
ninfa Castalia trasformata in fonte da Apollo, e
ntore del flauto, ebbe la temerità di sfidare Apollo nella eccellenza
della
musica, a patto che il vinto restasse a discrezio
furon chiamati a giudicare i Nicii. Il Nume superò l’emulo col suono
della
lira e col canto, benchè gli fosse stata contesa
elle membra sue. (Dante, Parad. c. i.). Così il poveretto pagò il fio
della
sua presunzione. 126. Anche Pane (294) aveva osat
convertire in oro tutto ciò ch’ei toccava ; ma presto ebbe a pentirsi
della
voglia avara, perchè gli stessi alimenti gli si m
e era figlia di Orcano od Orcamo re di Persia ; ed Apollo invaghitosi
della
sua bellezza prese l’effigie della madre per indu
di Persia ; ed Apollo invaghitosi della sua bellezza prese l’effigie
della
madre per indurla a sposarlo ; ma Orcano, avutone
Indi si pentì del subitaneo gastigo, e per far pagare al corvo il fio
della
delazione, gli ridusse nere le penne che prima er
greco, perchè al pari degli Efesj la onorarono quale mistica immagine
della
genitrice Natura. 139. Tuttavia alcuni mitologi n
on lei ; ma ad insinuazione di Giove, che le apparve sotto le effigie
della
stessa Diana, si maritò, e divenne madre di Arcad
ocò in cielo insieme con Arcade, ove ambedue formano le costellazioni
della
grande e della piccola orsa. 141. Diana poi fu mo
sieme con Arcade, ove ambedue formano le costellazioni della grande e
della
piccola orsa. 141. Diana poi fu molto più crudele
dele contro la sventurata Niobe (629) che in onta a lei s’era vantata
della
sua bella e numerosa prole, imperocchè le fece pe
o 260 dopo G. C. 144. Erano offerte in sacrifizio a Diana le primizie
della
terra, i bovi, gli arieti e i cervi bianchi. Ma i
terra, i bovi, gli arieti e i cervi bianchi. Ma invocandola, qual Dea
della
notte e degl’incantesimi, sotto il nome di Ecate
7, per offrire maggior numero d’immagini ai lettori. « La sua figura (
della
Luna) sarà d’una giovine d’anni circa diciotto, g
due ali verso la fronte, che pendano e cuoprano le orecchie, e fuori
della
testa con due cornette, come d’una luna crescente
) fondatore e re di Tebe. 147. Giunone (85) fu presa da fiera gelosia
della
predilezione di Giove per Semele, causa di tanti
istigò a chiedere a Giove ch’ei se le manifestasse in tutta la maestà
della
celeste gloria. Giove negò lungo tempo di compiac
lungo tempo di compiacerla ; ma cedendo infine alle voglie importune
della
femmina vanagloriosa, le apparve circondato di fo
e di lampi. 148. Allora andò in fiamme il palazzo, e Semele, vittima
della
sua ambizione, perì nell’incendio, come sovente à
il bambino del quale Semele era incinta, e lo custodì fino al momento
della
sua nascita ; e questo bambiuo era Bacco. Indi il
rad. del Borghi. 149. Dicono i più che Bacco fu allevato in vicinanza
della
città di Nisa (altri danno questo nome alla nutri
e che dopo cresciuto, per gratitudine a Coloro che avevano avuto cura
della
sua infanzia, le cangiò in stelle chiamate Jadi.
to, ove insegnò agli uomini l’agricoltura, introdusse la coltivazione
della
vite, e fu adorato qual Dio del vino. Notammo già
. Le vergini ateniesi offerivano a Bacco panieri pieni delle primizie
della
stagione ; e le feste di Bacco andavano sempre, c
e ed imberbe, essendochè l’uso moderato del vino mantiene la vivacità
della
giovinezza ; ed ha nell’ una mano i grappoli d’uv
ente loquaci ; ed il capro perchè quest’animale è infesto ai germogli
della
vite. Tra gli animali favolosi eragli sacra la Fe
che quanto la favola attribuisce a Bacco altro non sia che imitazione
della
storia di Mosè : Bacco e Mosè furono allevati nel
io, Bassareo, ec. Mercurio. 160. Mercurio, figliuol di Giove e
della
ninfa Maja figlia d’Atlante, alla quale fu consac
rga, ed essi vi rimasero avviticchiati ; quindi il caduceo fu simbolo
della
concordia e dell’astuzia, od anche della pace di
quindi il caduceo fu simbolo della concordia e dell’astuzia, od anche
della
pace di cui molto si giova il commercio. 162. I p
ero Euforbo. In alcuni popoli dell’ India sussiste ancora la credenza
della
metempsicosi, e specialmente nella religione dei
mici. Questa falsa opinione potrebbe almeno essere utile ai progressi
della
veterinaria. Del resto, la nostra vers metempsico
a bocca a significare ch’ ei legava le menti e gli animi con la forza
della
persuasione. 164. Questo Nume presiedeva ancora a
esto Nume presiedeva ancora al commercio, 33e vegliava all’osservanza
della
buona fede tra i mercatanti ; era figurato per lo
’una mano, un ramo d’olivo e una clava nell’altra : il primo, simbolo
della
pace tanto opportuna al commercio ; la seconda, e
io ; la seconda, emblema di vigore e di virtù necessarj al buon esito
della
mercatura. Fece poi varie invenzioni utili alla s
Fece poi varie invenzioni utili alla società, e tra le altre, quella
della
palestra, incominciamento di ginnastica, la quale
(170) e lo scettro a Giove (28) ; ma questa è una bizzarra allegoria
della
prontezza con la quale Mercurio seppe anche da gi
remodo. Siechè Mercurio, per calmarne la collera, gli regalò la lira,
della
quale era già reputato inventore. Questa lira fu
re fu il solo testimone di questo audace furto, e Mercurio col regalo
della
vacca più bella lo indusse a tacere. Poi finse di
ò in pietra di paragone, la qual pietra è adoperata a fare esperienza
della
purezza dell’oro ; quasi volessero insegnarci che
u chiamato Cillenio da un monte d’Arcadia che secondo alcuni fu luogo
della
sua nascita ; ebbe nome Ermète, cioè interprete,
al solo figliuol di Giove e di Maja. Venere. 170. Venere, Dea
della
bellezza e degli amori, nacque dalla spuma del ma
a bellezza e degli amori, nacque dalla spuma del mare il primo giorno
della
prima primavera del mondo ; e secondo altri era f
L’inno che bella Citerea la invoca. Tito Lucrezio Caro nel suo poema
della
Natura delle cose a lei chiede la ispirazione, e
lle cose a lei chiede la ispirazione, e svolge ampiamente il concetto
della
Venere genitrice, dichiarando i suoi pregi ed il
34 e quello opposto detto Antèros, il primo figlio dell’onestà, amico
della
pace, della concordia, di tutte le virtù, e spron
opposto detto Antèros, il primo figlio dell’onestà, amico della pace,
della
concordia, di tutte le virtù, e sprone a magnanim
ia, di tutte le virtù, e sprone a magnanime imprese, il secondo padre
della
vergogna e di tutti i vizj, Nume crudele e causa
cere da Poro Dio dell’ abbondanza unitosi in matrimonio con Penia Dea
della
povertà, che nello stesso giorno nel quale celebr
etti e turpi ; Simonide lo salutò figlio di Marte e di Venere, ovvero
della
Forza e della Bellezza ; Alceo della Discordia e
Simonide lo salutò figlio di Marte e di Venere, ovvero della Forza e
della
Bellezza ; Alceo della Discordia e dell’Aria, vol
lio di Marte e di Venere, ovvero della Forza e della Bellezza ; Alceo
della
Discordia e dell’Aria, volendo significare che se
n sentimento comune in tutti gli nomini, spirato da tutti gli oggetti
della
pura e schietta natura ; un impulso al bene, semp
infinito numero di poesie per nozze, adorne dei fiori ormai appassiti
della
Mitologia, il seguente Sonetto del Parini è forse
ne, gioia, gr.) ebbero Bacco per padre, e furon compagne inseparabili
della
madre, perchè la Dea della bellezza riceve da lor
o per padre, e furon compagne inseparabili della madre, perchè la Dea
della
bellezza riceve da loro la leggiadria e tutti i d
ito e bello il vincolo dell’ umano consorzio, e che la semplice beltà
della
natura vince gli studiati adornamenti dell’arte.
icordato suo carme alle Grazie. Chi vuol meglio conoscere le immagini
della
Mitologia, e vederle sempre adorne di quella stes
to figliuolo di Venere e d’Anchise (608) principe troiano, che la Dea
della
bellezza protesse e ricolmò di favori. Dicono che
feroci. Un giorno, tratto dal suo coraggio, e dimentico dei consigli
della
Dea colpi un cignale sul monte Libano ; ma la bel
cj per cattivarsene il cuore ; sicchè l’alitar dello zeffiro, il volo
della
farfalla sarebbero immagini insufficienti per dar
volo della farfalla sarebbero immagini insufficienti per dare un’idea
della
leggerezza del suo animo. Infatti è rappresentata
misterioso si ostinava a celarsi di giorno, e solamente nelle tenebre
della
notte, di mezzo ai cespugli dei giardini la chiam
donatore meraviglioso. « Bada, le dicevano, bada di non esser vittima
della
tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha pau
ser vittima della tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha paura
della
luce del giorno, non sia un mostro, e che dopo av
Proserpina, e chiedile per me di porre in questa scatola una porzione
della
sua bellezza ; ma bada poi di non aprirla : tu no
a coperta. A tal vista sviene, e si riduce in uno stato da far temere
della
sua vita. Le vengono prodigati soccorsi, ed è con
l § seguente. 181. Gli antichi hanno rappresentato in più modi la Dea
della
bellezza. In Elide stava a sedere sopra una capra
a capra, con una testuggine sotto il piede, a significare che l’amore
della
sola materiale bellezza ci fa divenire pigri ed a
in atto di uscir dalle onde, incoronata di rose da Pito o Suada, Dea,
della
persuasione e sua fida compagna. Ma per lo più la
alla beltà che senza essa non è pregevole. Fu anche figurata col pomo
della
bellezza in una mano ed un mazzo di papaveri nell
celeste che dà vita all’universo, e che solleva le anime ai pensieri
della
divinità. Le stava a fianco la dolce Persuasione,
o ; e la Venere Celeste, così rappresentata dai Greci, era l’immagine
della
donna virtuosa, della eletta fra le creature, di
e, così rappresentata dai Greci, era l’immagine della donna virtuosa,
della
eletta fra le creature, di quell’essere che, quan
ella sua possibile perfezione, vince ogni umana lode, ogni maraviglia
della
natura. La sua statua più celebre, che ci sia per
tenuto alla famiglia dei Medici, ed è ora uno dei più belli ornamenti
della
galleria pubblica di Firenze. Ognun sa che uno de
della galleria pubblica di Firenze. Ognun sa che uno dei capi d’opera
della
moderna scultura che l’italiano Canova seppe far
aghissima descrizione del cinto misterioso di Venere, che è l’emblema
della
modestia, della grazia e della dolcezza, senza le
zione del cinto misterioso di Venere, che è l’emblema della modestia,
della
grazia e della dolcezza, senza le quali doti belt
misterioso di Venere, che è l’emblema della modestia, della grazia e
della
dolcezza, senza le quali doti beltà non vale. 183
uace di Venere, le empì in un momento il paniere ; e Cupido, sdegnato
della
tolta vittoria, cangiò la ninfa in colomba. Il mi
ttoria, cangiò la ninfa in colomba. Il mirto le è pur sacro in grazia
della
soave fragranza ; e sacra è a lei la rosa, perchè
la sacerdotessa tagliava le belle trecce, e le appendeva agli altari
della
Dea. Questo sacrifizio, grato a Venere, durò quan
ume e vincitore dall’Asia. Infatti la sua chioma fu appesa nel tempio
della
Dea ; ma la notte seguente scomparve ; e un astro
con una gran vela ondeggiante color di porpora ; cavalli più bianchi
della
neve tiravano questo carro circondato dalle Nerei
cedevano il Nume o Anfitrite, ed annunziavano il suo arrivo col suono
della
conca marina. Talora anch’ essi erano assisi su c
192. Tra gli altri Dei marini si distingue l’Oceano, figlio di Celo e
della
Terra, il quale sposò Teti o Tetide, tenuta parim
qual Dea del mare. Aveva Teti per abitazione un palazzo, dove, al dir
della
favola, ogni sera il sole andava a riposarsi, e p
eo fu un abile oratore che sapendo con arte adoperare tutte le figure
della
rettorica e tutti gli accorgimenti dell’eloquenza
196. Le Sirene (seirà, catena, gr.), figlie del fiume Acheloo (393) e
della
musa Calliope (274), abitavano per entro gli scos
ro perite, appena che un uomo avesse saputo resistere alle attrattive
della
loro voce e delle loro parole, quasi che volesse
di tutti i suoi compagni, e fece legare sè medesimo all’albero mæstro
della
sua nave. Non furon già troppe queste cautele ; e
aro, Eneide di Virg., lib. I.) 201. Glauco, figlio di Nettuno (185) e
della
ninfa Naiade, fu celebre pescatore d’Antedonte in
ì alcuni pesci sopra certa erba, si accorse che ripigliavano il vigor
della
vita, e con maravigliosi slanci si rituffavano in
va immagine dei pericolosi scogli ? 203. Cariddi, figlia di Nettuno e
della
Terra, involò alcuni bovi ad Ercole ; e Giove (63
involò alcuni bovi ad Ercole ; e Giove (63) volle fulminarla in pena
della
sua insaziabile voracità. Allora la colpevole cad
04. Forco (phórkyn, mostro marino, gr.), figliuolo di Nettuno (185) e
della
Terra (25), era anch’esso potente deità marina, e
sua figlia ebbe da Nettuno il ciclope Polifemo (273) e quella Scilla
della
quale abbiamo già parlato (202). Credono che da F
cavalli marini che hanno la parte posteriore del corpo fatta a guisa
della
coda dei pesci, ed i piedi palmati per nuotar meg
gli consacrarono il febbraio per averlo favorevole alla vicina epoca
della
nuova navigazione. 211. Le sue vittime più comuni
gli offrivano acqua marina e acqua dolce, e particolarmente il fiele
della
vittima perchè è amaro come le onde salse. 212. I
igli ; Poseidon, ovvero sfascia vascelli, ed Enosigeo, ossia scotitor
della
terra. Plutone. 213. Plutone, fratello di
egli dovè rapirla (53), giacchè nessuna Dea voleva sposarlo per paura
della
sua deformità e del tenebroso suo regno. 215. L’i
e del tenebroso suo regno. 215. L’impero di Plutone, ossia l’Inferno
della
favola, era un luogo sotterraneo dove scendevano
gro lago era difesa intorno, E da selve ricinta annose e folte. Escia
della
sua bocca all’aura un fiato, Anzi una peste, a cu
tutti E spaventosi aspetti. Havvi il Disagio, La Povertà, la Morte, e
della
Morte Parente il Sonno. Havvi de’cor non sani Le
ete scorre placidamente, e le sue onde fanno dimenticare tutti i mali
della
vita, Saturno vi regna con la moglie Rea, e vi re
, od anche in vicinanza delle colonne d’Ercole nelle fertili campagne
della
Betica. 43 217. I principali fiumi dell’Inferno
Acheronte (achos, dolore, rhoos, fiume, gr.), figlio d’Apollo (96) e
della
Terra (25) fu cangiato in fiume e precipitato nel
ea. Si dice che l’ambrosia scaturisse la prima volta da uno dei corni
della
capra Amaltea. 223. L’Erebo, figlio del Caos (22
dei corni della capra Amaltea. 223. L’Erebo, figlio del Caos (22) e
della
Notte (238), fu trasformato in fiume e precipitat
o dimenticare il passalo e di prepararle a patire di nuovo le miserie
della
vita. 225. Caronte, figlio dell’Erebo (223) e del
nuovo le miserie della vita. 225. Caronte, figlio dell’Erebo (223) e
della
Notte (238), era il « nocchier della livida palud
ronte, figlio dell’Erebo (223) e della Notte (238), era il « nocchier
della
livida palude : » ……Demonio spaventoso e sozzo,
lceste sposa d’Admeto (102) ; che Orfeo (469) lo addormentò col suono
della
sua lira, quando scese per richiedere a Plutone (
(63) e d’Egina, fu re dell’isola d’Egina da lui così chiamata in onor
della
madre. Siccome la peste aveva spopolato i suoi st
nozze, che la Discordia turbò col pomo fatale, furono la prima causa
della
rovina di Troja (344). 230. Radamanto, figlio di
inosse, recò nella Licia le leggi di Creta, e regnò in Oecalia, città
della
Beozia, dove sposò Alcmena (74) vedova d’Anfitrio
fecero adorare dai propri sudditi, e gli antichi avevan tale opinione
della
sua equità, che se volevano attestare la giustizi
o, e specialmente dei re, appena morti, prima d’accordar loro l’onore
della
sepoltura. 232. Le Furie furono divinità infernal
e del rigor degli Dei contro i malvagi, figlie dell’Acheronte (218) e
della
Notte (238). Erano tre : Megèra (Megairéin, invid
destinavano anche a gastigare gli uomini in vita con tutti i flagelli
della
celeste collera. Così le Furie empivano di spaven
ltari con frutta e miele ; immolò una pecora nera, e consumò il corpo
della
vittima sopra un rogo di cipresso, di biancospino
dell’ abisso infernale, Febea (138) nella notte per regolare il corso
della
luna, Diana (138) nei boschi. Era fama che Ecate
ggi, e disponesse a favor loro dei suffragi del popolo c degli allori
della
vittoria (Esiodo). Talora assisteva ai consigli d
ita e alla morte, ossia le Parche, figlie di Giove e di Temi od anche
della
Notte, e secondo altri della Necessità ; ed erano
rche, figlie di Giove e di Temi od anche della Notte, e secondo altri
della
Necessità ; ed erano così dette dalla parola parc
candida cappa filavano quello stame che è simbolo ingegnoso del corso
della
vita. Il suo colore indicava il destino dei morta
hio di Cloto si vedeva apparire qualche filo di seta o d’oro, simbolo
della
felicità che pochi mortali sanno procacciarsi.
ani ec. 238. La Notte, dea delle Tenebre, era figlia del Cielo (25) e
della
Terra (25), e secondo altri del Caos (22). Sposò
ellazioni (686). Talora ha in braccio due bambini ; uno nero, emblema
della
morte o della notte, e l’altro bianco, simbolo de
). Talora ha in braccio due bambini ; uno nero, emblema della morte o
della
notte, e l’altro bianco, simbolo del sonno o del
ello o figlio d’Atlante (382), che fu trasformato in astro (la stella
della
sera) e creato Dio della sera, e Dio del mattino
382), che fu trasformato in astro (la stella della sera) e creato Dio
della
sera, e Dio del mattino sotto il nome di Lucifero
), le veniva sacrificato il gallo, che nelle tenebre canta il ritorno
della
luce ; e come madre delle Furie le immolavano pèc
tto innanzi ; di questa mostrino le groppe. E così la persona istessa
della
Notte sia varia del tutto a quella dell’Aurora. A
, vita di Taddeo Zucchero.) 240. Il Sonno, figlio dell’Erebo (223) e
della
Notte (238), abitava un antro impenetrabile ai ra
re che non mormori, e sia di color fosco, perciocchè la fanno un ramo
della
Letea. Dentro questa concavità sia un letto, il q
imerne la leggerezza. 242. La Morte (232), figlia dell’ Erebo (223) e
della
Notte (238), e sorella del Sonno (240), è la divi
dre antica ; E ’l nome vostro appena si ritrova…. (Petrarca, Trionfo
della
Morte) Colei che così ragiona si vede sulle scult
e serpi, e che girando continuamente Io tormentava. 249. Tizio, Quel
della
terra smisurato alunno, Che tien, disteso, di cam
per forza, ad eccezione di Cerere (51) che era fuor di sè pel dolore
della
rapita figliuola. Giove poi volle punire nel Tart
e d’acqua un vaso sfondato. Per quanto sia molta la inverosimiglianza
della
favola, tuttavia l’effetto del crudele ordine pat
he tien chiusa la porta dell’eternità. Gli seggono intorno a ministri
della
sua corte il Furore, l’Odio, l’Ipocrisia, la Vend
rore, l’Odio, l’Ipocrisia, la Vendetta e il Tradimento, vera immagine
della
corte di un tiranno ; e in mezzo a tutti sorge la
erato tra le Deità infernali, perchè le ricchezze si ricavan dal seno
della
terra che è il loro soggiorno. Anche dai genitori
come specialmente l’agricoltura sia la prima e la più nobile origine
della
dovizia. E figurato vecchio con una borsa in mano
arne posar una. (Dante, Inf. c. VII.) Marte. 255. Marte, Dio
della
guerra, era figlio di Giove (63) e di Giunone (85
lla conservazione di quello, come dal Palladio i Troiani, la salvezza
della
patria. 261. È cosa probabile che il nome di Mart
Minerva o Pallade. 262. Minerva, figlia di Giove (63), era la Dea
della
Sapienza, e presiedeva alla guerra, alle scienze
e grande l’idea che fa nascere dal cervello del padre dei Numi la Dea
della
Sapienza. 263. Se vogliamo considerare Minerva so
la Sapienza. 263. Se vogliamo considerare Minerva solamente quale Dea
della
guerra, ella prende allora il nome di Pallade, so
delle arti che allora mancavano ; ed a lei fu attribuita la scoperta
della
scrittura, della pittura e del ricamo, nel quale
llora mancavano ; ed a lei fu attribuita la scoperta della scrittura,
della
pittura e del ricamo, nel quale riuscì abilissima
ne fece sbucar fuori un ardimentoso destriero, e Minerva con un colpo
della
sua lancia faceva spuntare un ulivo, simbolo dell
nerva con un colpo della sua lancia faceva spuntare un ulivo, simbolo
della
pace ; laonde tutti giudicarono a favore della De
tare un ulivo, simbolo della pace ; laonde tutti giudicarono a favore
della
Dea della sapienza, e la città fondata da Cecrope
ivo, simbolo della pace ; laonde tutti giudicarono a favore della Dea
della
sapienza, e la città fondata da Cecrope fu detta
questo dell’onore in che furono e debbono esser tenute sempre le arti
della
pace, e soprattutto l’agricoltura. 265. Una lezio
fatto è narrato in altri termini, ma poco favorevoli alla riputazion
della
Dea ; essendochè, dicono fosse superata ella stes
e menò troppo vanto ; ed allora Minerva indispettita stracciò l’opera
della
rivale, e le battè la spola sopra le dita ; il re
è la spola sopra le dita ; il resto come sopra. Ma benchè la superbia
della
tessitrice fosse sempre colpevole, tuttavolta la
a superbia della tessitrice fosse sempre colpevole, tuttavolta la Dea
della
saggezza non si sarebbe governata saviamente. 266
mo desta, di contegno grave e spirante mæstà e fortezza qualità tutte
della
virtù e della vera sapienza. Di consueto ha in ca
ontegno grave e spirante mæstà e fortezza qualità tutte della virtù e
della
vera sapienza. Di consueto ha in capo l’elmo con
digio Dell’Egioco signore ; quasichè niuno s’avesse ad invogliar mai
della
guerra che seco tragge tanti danni. 268. L’ulivo,
mai della guerra che seco tragge tanti danni. 268. L’ulivo, immagine
della
pace, e il taciturno gufo o la nottola, simbolo d
ulivo, immagine della pace, e il taciturno gufo o la nottola, simbolo
della
prudenza e della saggezza, eran sacri a Minerva.
ella pace, e il taciturno gufo o la nottola, simbolo della prudenza e
della
saggezza, eran sacri a Minerva. Ma l’apparizione
arliera. Forse da questa antichissima allegoria è nato il pregiudizio
della
sinistra influenza degli uccelli notturni, pregiu
n serpente a lei sacro, perchè questo rettile fu giudicato l’immagine
della
prudenza. Le sue feste annuali furon dette prima
e prima Atenee, quindi Panatenee. Eranvi decretati premii pei certami
della
ginnastica e per quelli della poesia e della musi
ee. Eranvi decretati premii pei certami della ginnastica e per quelli
della
poesia e della musica. Le minori feste Panatenee
etati premii pei certami della ginnastica e per quelli della poesia e
della
musica. Le minori feste Panatenee erano celebrate
oì cader del sole, Dalli Sinzj raccolto a me pietosi. Gran mercè che
della
smisurata caduta non riportò alla fine che una ga
Dee ; e chi sa che Giove non lo facesse per ammonirla a non invanirsi
della
sua bellezza ! 272. La favola lo dichiara Dio del
ui lavoranti. — Questi Ciclopi furono probabilmente i primi abitatori
della
Sicilia, e dall’usar che facevano in guerra, per
ume di Sicilia, che porta quel nome, e rese così eterna l’esecrazione
della
prepotenza. Chi non riconoscerebbe in Polifemo un
se. 274. Giove, (63) trasformatosi in pastore, amò Mnemosine, Dea
della
memoria, (mneme, memoria, gr.) figlia di Celo (25
osine, Dea della memoria, (mneme, memoria, gr.) figlia di Celo (25) e
della
Terra (25) ; e dal suo matrimonio con lei nacquer
oro fratello Apollo (96). Queste nove sorelle furono oltremodo amanti
della
virtù e del sapere, e nutrirono sentimenti così m
enner loro i diversi nomi di dotte fate, di sorelle d’Apollo e di Dee
della
sacra valle ; e son chiamate anche le nove sorell
della sacra valle ; e son chiamate anche le nove sorelle, e le Figlie
della
Memoria. Apollo, a cui piacque vivere insieme con
cienze, alle belle arti ed alla poesia. Ora ponendo mente alla umiltà
della
loro origine, poichè ebbero per padre un pastore,
a scena con lo spettacolo dei delitti dei grandi, delle scelleratezze
della
tirannide, degli spasimi del rimorso, e commuove
nnide, degli spasimi del rimorso, e commuove al pianto con le lacrime
della
virtù oppressa e dell’innocenza insidiata ; ma Ta
he le più alte cime più percuote, » come folgore che atterra gl’idoli
della
cieca superstizione, o della barbara prepotenza ;
ote, » come folgore che atterra gl’idoli della cieca superstizione, o
della
barbara prepotenza ; e intanto la dottissima Uran
278. Le Muse presero le ali per sottrarsi agli oltraggi di Pireneo re
della
Focide, presso il quale avevano sperato di trovar
derno Parnaso ; e solo gioverà riflettere, che anche i grandi ingegni
della
Cristianità hanno adoperate le finzioni, mitologi
me con la palma e con l’alloro, erano sacri alle Muse. Divinità
della
seconda classe. 281. Credevano gl’idolatri che
ici e dei monumenti. Momo. 282. Momo, figlio del Sonno (240) e
della
Notte (238), era il Nume della maldicenza, tenebr
282. Momo, figlio del Sonno (240) e della Notte (238), era il Nume
della
maldicenza, tenebroso e scellerato artifizio degl
li con una maschera in una mano ed una marionetta nell’altra, indizio
della
follia, arredi che furono poi assegnati ai buffon
lle lontane genti, Per sovrumani usci nuovi argomenti Dal cavo grembo
della
Notte oscura. Pronto, audace, festivo in sua natu
esempio. (Prof. J. Jozzelli pistoiese.) Como. 285. Como, Dio
della
gioia e dei banchetti, presiedeva alle feste, all
ndonano soverchiamente ai piaceri. Bellona. 287. Bellona, Dea
della
guerra, fu sorella di Marte (255). Ella attaccava
al suo carro quand’ei s’apparecchiava alle pugne. La dipingono armata
della
face della Discordia che spinge i popoli alle str
o quand’ei s’apparecchiava alle pugne. La dipingono armata della face
della
Discordia che spinge i popoli alle stragi ; ha i
erata. Esculapio. 289. Esculapio era figliuol d’Apollo (96) e
della
ninfa Coronide (133). Istruito da Chirone (430),
o abile nell’arte di guarire le malattie, e passò per inventore e Dio
della
medicina. Accompagnò Ercole (364) e Giasone (448)
Pane 294. Alcuni dissero che Pane fu figliuol di Giove (63) e
della
Ninfa Calisto (140), altri gli assegnarono per ge
igliato gli Dei a ricovrarsi in Egitto sotto forma d’animali al tempo
della
guerra dei Giganti. 295. Per lo più il suo aspett
universo, ossia il gran Tutto, guardando forse alla semplice rozzezza
della
primitiva natura, ed alla qualità degli alimenti
’agricoltura ; ed egli stesso introdusse in Italia il culto degli Dei
della
Grecia. Dicono che fiorisse verso il 1300 av. l’è
d una invereconda deformità insomma da non ’si dire. Ma egli sdegnato
della
cattiva accoglienza, tolse il senno ai malcreati,
ò si avverasse, fintantochè peraltro i petti dei cittadini e le virtù
della
repubblica seppero essere la vera difesa dello st
ebrate l’ultimo giorno dell’anno. Lo incoronavano di spighe nel tempo
della
mèsse, e di fiori all’arrivo della primavera. Per
o incoronavano di spighe nel tempo della mèsse, e di fiori all’arrivo
della
primavera. Per lungo tempo i sacrificj a lui fatt
quale il pastore più vecchio faceva una patetica invocazione alla Dea
della
pastorizia. La scongiurava a difendere i greggi d
ere la fedeltà nei cani ; e faceva voti affinchè i suoni del flauto e
della
voce fossero sempre uditi dalle mandre, e il latt
abbondanza. Queste feste furono istituite da Romolo il giorno stesso
della
fondazione di Roma, ed i pastori vi accorrevano d
Flora e Feronia 312. Flora, questa vezzosissima Dea dei fiori e
della
Primavera, fu sposa di Zeffiro (104) che n’ebbe i
una paniera di fiori : Salve, o sorriso degli Dei, gioconda Essenza
della
gioja, alma famiglia, Per cui natura di bellezza
ttate poi dai Romani, i quali adoravano anche Feronia, altra ministra
della
Primavera, e preposta al governo dei frutti nasce
stirpi, e cittadina Dell’Ausonio terren farne la prole. Sotto la mano
della
pia cultrice Ricevean nuove leggi e nuova vita Le
emila ; ed erano ripartite in Ninfe delle acque o marine, ed in Ninfe
della
terra o terrestri. 315. Le Ninfe delle acque com
a, e tutte insieme facevano componimento di una danza. Il giro dentro
della
grotta veniva appunto a rispondere nel mezzo del
assando per mezzo di un pratello amenissimo, posto innanzi alla bocca
della
grotta, lo teneva col suo nutrimento sempre erbos
e Toe vermiglia Di zoofiti amante e di coralli ; Galatea che nel sen
della
conchiglia La prima perla invenne, e Doto e Proto
321. Nè minor celebrità di Teti ebbe la ninfa Eco, figlia dell’Aria e
della
Terra ; essendochè meritato avendo lo sdegno di G
di Narciso che « Biondo era e bello e di gentile aspetto, » figliuolo
della
ninfa Liriope e del fiume Cefiso, e si pose lunga
formata in durissimo scoglio. 322. Ma Narciso crudelmente pagò il fio
della
sua indifferenza ; poichè Amore (172) prese a ven
e seguace di Diana (137), preferiva com’essa le innocenti ricreazioni
della
campagna alle pericolose lusinghe dell’amore. Ma
no a Roma, e così accortamente avvalorava le sue leggi con l’autorità
della
religione. La favola aggiunge che Egeria rimase t
della religione. La favola aggiunge che Egeria rimase tanto afflitta
della
morte di Numa, che andò a rifugiarsi ed a pianger
iana (137) la trasformò in fonte. Alcuni trovano in Egeria il simbolo
della
solitudine tanto opportuna alla meditazione del f
ane accovacciato a’piedi, risiedevano per entro i recessi più segreti
della
casa in una cappella detta Lararium ; e colà avev
ome la moltiplicità di siffatti idoli rappresentava bene l’importanza
della
cura domestica e della pubblica polizia ! Ettore
siffatti idoli rappresentava bene l’importanza della cura domestica e
della
pubblica polizia ! Ettore (591) apparso ad Enea (
celesti annunzi ormai inevitabile la ruina di Troia, esclama : …….O
della
patria Sacri numi Penati, a voi mi rendo. Voi que
a di un fiume. Genio 329. Il Genio,66 figlio del Cielo (25) e
della
Natura secondo la favola, dava l’essere e il moto
avola, dava l’essere e il moto ad ogni cosa ; era l’idea fatta divina
della
generazione e della creazione dell’universo ; e c
e il moto ad ogni cosa ; era l’idea fatta divina della generazione e
della
creazione dell’universo ; e così gl’ imperi, le c
d onesto riso, poichè la serenità del sembiante suol essere testimone
della
bontà del cuore ; era inghirlandato di papaveri,
le cose altro non sono che i fortunati osservatori di alcuni fenomeni
della
natura e gli abili imitatori di essi. Quindi la F
o di Venere. Roma, sottratta alla vendetta di Coriolano dalle lacrime
della
sposa e della madre, alzò un tempio alla Fortuna
oma, sottratta alla vendetta di Coriolano dalle lacrime della sposa e
della
madre, alzò un tempio alla Fortuna femminile, per
ssa intendiamo un vivere agiato e felice secondo i buoni suggerimenti
della
natura, una felicità premio della virtù e del lav
felice secondo i buoni suggerimenti della natura, una felicità premio
della
virtù e del lavoro ; che se si possono erroneamen
te causa di rovina, o che per ottenerle hanno perduto la tranquillità
della
coscienza, l’amore del prossimo, la stima di sè m
pio d’Anzio era arricchito di offerte e di doni magnifici ; la statua
della
Dea vi proferiva gli oracoli, e per consueto arti
ompagna del Destino oltre quelli già indicati parlando di esso (24) e
della
Fortuna (332). Nelle mani di bronzo aveva lunghe
premo dei Numi che la fece madre dell’ inflessibile Nemesi (333), Dea
della
giustizia e della vendetta celeste. Nemesi.
la fece madre dell’ inflessibile Nemesi (333), Dea della giustizia e
della
vendetta celeste. Nemesi. 333. Nemesi (né
tuato sopra un’eminenza presso Ramnunte borgo dell’Attica, era figlia
della
Necessità (332 2°) e di Giove, o secondo altri, d
ica, era figlia della Necessità (332 2°) e di Giove, o secondo altri,
della
Notte (238) e dell’ Oceano (192), e ministra dell
, o secondo altri, della Notte (238) e dell’ Oceano (192), e ministra
della
celeste vendetta. Le sue funzioni consistevano in
te vendetta. Le sue funzioni consistevano in gastigare col sentimento
della
propria perfidia quei colpevoli che sfuggivano al
glio ; quindi era il terrore di tutti coloro che abusavano dei favori
della
fortuna e del potere. 334. Nemesi ha la fronte se
nco ; ma facilmente le si scorgono scolpiti nel volto anche i terrori
della
minaccia inesorabile. Una corona di narcisi le in
ircospezione. Fu rappresentato giovine, severo in volto, con l’indice
della
destra alla bocca e un sigillo nella sinistra. Av
gnatamente il pesco, perchè le foglie di quest’ albero hanno la forma
della
lingua che deve tacere i segreti, ed il frutto ha
i ed astrea. 337. Temi (thémis, diritto, gr.), figlia del Cielo e
della
Terra (25), aveva regno in Tessaglia, e governava
overnava i popoli con tanta saviezza, che fu quindi onorata quale Dea
della
Giustizia. La favola aggiunge che Giove (63) ebbe
ci corruttibili. Spesso anche si vede appoggiata ad un leone, simbolo
della
forza che deve sostenere i suoi giusti decreti. P
lla aveva stabilito la sua dimora sopra la terra ; ma venuto il regno
della
violenza esercitata dai pochi sui molti, non le b
ude alle vicende di Francia nel cadere del secolo passato. Son parole
della
Giustizia all’ Eterno : Libertà che alle bell
narono di origine sovrumana, facendola nascere peraltro dalle tenebre
della
Notte (238) ; e le diedero effigie di vecchia orr
i sè stessa. La discordia. 343. La Discordia o Erinni, figlia
della
Notte, éra una Dea autrice d’immensi guai, ed all
a cui i Romani messi in fuga alzarono altari, e andaron poi debitori
della
vittoria. (Tito Livio, lib. II.) Ha costei la tes
obliqui, ed alza la femminea testa sopra un corpo di serpente armato
della
coda di uno scorpione (Esiodo). La calunnia.
alunnia tutta adorna e liscia, che nel fiero aspetto e nel portamento
della
persona, ben palesava lo sdegno e la rabbia ch’ e
levando le mani al cielo, chiamava ad alta voce gli Dei per testimoni
della
propria innocenza. Facevale scorta una figura squ
rcio ; e facilmente ravvisavasi per l’ Invidia. Poco meno che al pari
della
Calunnia eranvi alcune femmine, quasi damigelle e
oso pittore e bizzarro poeta in esprimer favolosamente i veri effetti
della
Calunnia. » Il dolore. 345, 3°. Il Dolor
i onoravano la Forza facendone una Dea figlia di Temi (337) e sorella
della
Temperanza, senza la compagnia della quale non pu
a figlia di Temi (337) e sorella della Temperanza, senza la compagnia
della
quale non può sussistere. La rappresentavano sott
di Temi (337), ed era la Dea tutelare del secol d’ oro, e l’ origine
della
felicità che in esso fu dato di godere ai mortali
arcate, vestita di velo trasparente fino ai piedi, succinta nel mezzo
della
persona ; con una mano si appoggi ad un’ asta, e
trovo già come fosse figurata, se già la sua figura non fosse quella
della
Securità. Il che non credo, perchè la Securità è
ecciata all’ ulivo per denotare che la vera gloria è non tanto frutto
della
Pace quanto della Vittoria. Poggiava i piedi sopr
per denotare che la vera gloria è non tanto frutto della Pace quanto
della
Vittoria. Poggiava i piedi sopra un globo perchè
a terra ; ed era in atto di volare verso il tempio dell’Immortalità e
della
Memoria a scolpirvi i nomi dei suoi adoratori. Qu
ella del Sonno (240) che per breve tempo sospende i nostri affanni, e
della
Morte (242) che vi pone un termine. I Romani l’eb
à. 350. La Verità è figliuola del Tempo o di Saturno (27) e madre
della
Virtù ; ed appare nuda o coperta di semplici vest
bel modo ne fa la dipintura il Pignoni nelle sue sestine sull’origine
della
favola. Ecco il principio di quel componimento :
a lo sguardo, e insiem severo ; E stava sulla fronte maestosa, Figlia
della
virtù, nobil fierezza, Che i tardi suoi timidi am
ù. 351. Chi non avrebbe fatto una Dea di questa augusta figliuola
della
Verità (350) ? Ella è una donzella « Pudica in fa
oro, indizio delle battaglie che le conviene sostenere contro i vizi,
della
possanza che acquista nelle continue lotte e nell
della possanza che acquista nelle continue lotte e nella vittoria, e
della
ricompènsa che le è dovuta. Il suo trono è un cub
marmo per denotare la perseveranza, la imperturbabilità, la fortezza
della
vera virtù. Chi non si sentirebbe infiammato al s
to la figura di una giovinetta, vestita di semplice tunica, sull’orlo
della
quale era scritto : La morte e la vita. Il primo
to ad amare, il non amar più è lo stesso che non vivere. Sulla fronte
della
Dea si leggeva quest’altra iscrizione : l’estate
che questo soave sentimento non appartiene alla gioventù, ma è frutto
della
ragione, che si matura nel corso della nostra est
ene alla gioventù, ma è frutto della ragione, che si matura nel corso
della
nostra estate, e del quale godiamo nel nostro inv
a dell’Amicizia aveva inoltre il lato sinistro aperto, e con l’indice
della
destra scopriva il suo cuore, nel cui mezzo erano
ino e da lontano. La fedeltà. 351, 3°. La Fedeltà è compagna
della
vera Amicizia, e non va confusa con la Buona-Fede
Fides, se pure con questo epiteto non volesse indicare la vecchiezza
della
Fedeltà incanutita. Per lo più le giace a’piedi u
cizia ; ed infatti il cane unisce l’affetto alla fedeltà. I sacerdoti
della
Fedeltà erano al par di lei coperti da lungo e ca
to di stringersi. I Romani ci hanno lasciato un altro gentile emblema
della
Fedeltà, il quale consiste in due vergini che pig
pigliandosi per la mano si promettono fedele amicizia. Divinità
della
terza classe. 352. Le divinità della terza cla
edele amicizia. Divinità della terza classe. 352. Le divinità
della
terza classe comprendevano gli Dei che ebbero per
gia d’oro, che è quanto dire dopo aver corrotto con denaro le guardie
della
principessa, la involò e la fece sua moglie ; da
e in una debole navicella. La sventurata coppia fu spinta sulle coste
della
isoletta di Serifa tra le Cicladi, ove Ditti pesc
i nubi, o perchè un celebre astronomo chiamato Atlante fu l’inventore
della
sfera. 361. Perseo con l’aiuto d’un’arme così tre
ela. Perseo era per essere soverchiato dal numero, quando si rammentò
della
sua arme fatale, e il rapitore e i suoi compagni
(262) la testa di Medusa che indi fu scolpita sulla formidabile egida
della
Dea. 363. Quantunque Perseo avesse ragione di lag
strarsi atterrito, gli sbranò, e fece manifesto fino dai primi giorni
della
sua vita ch’ei poteva meritamente esser chiamato
rato a’poeti il concetto di simboleggiare in lui l’età più pericolosa
della
nostra vita ; quella cioè nella quale, essendo li
quella cioè nella quale, essendo liberi di noi ed in tutto il vigore
della
gioventù, dobbiamo scegliere la via da percorrere
a forza di superare ostacoli ci diventa agevole, e conduce al tempio
della
virtù, alla conquista dei veri beni : ……. Questa
o garzon, che pregi : Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi
della
gloria è vago, Sol di virtù sia pago. 370. Un l
ni (a, senza ; mazòs, mammella, gr.) furon donne guerriere abitatrici
della
Cappadocia nell’Asia Minore, lungo le coste del M
da quei nefandi. 377. Diomede, re di Tracia, figlio di Marte (255) e
della
ninfa Cirene (474), aveva certi destrieri ardenti
e re di Spagna, famigerato per crudelissime azioni, udito menar vanto
della
saviezza e della beltà delle figlie d’Atlante (36
amigerato per crudelissime azioni, udito menar vanto della saviezza e
della
beltà delle figlie d’Atlante (362), le fece rapir
tamente pulite. Allora Ercole si recò ad Augia per ricevere il premio
della
sua fatica ; ma costui avendoglielo villanamente
on questo generoso proponimento, perchè ogni paese e quasi ogni città
della
Grecia andavan lieti d’aver vista qualche maravig
ava ad abbandonare il paese, quando i suoi tori passando in vicinanza
della
caverna cominciarono a muggire ; le vitelle rispo
non senti le diece. 386. Il gigante Anteo, figlio di Nettuno (185) e
della
Terra (25), molestava tutti i viaggiatori che att
erra (25), molestava tutti i viaggiatori che attraversavano le sabbie
della
Libia. Ercole, offeso da questo mostro, lo assalì
e a Fereo vecchio padre d’Admeto, che vorrebbe impedire il sacrifizio
della
generosa donna : Già il mio giuro terribile dai
fosse, io madre D’unico figlio il soffrirei ? Lo stesso Dico vieppiù
della
minor donzella. Riman l’antica e sempre inferma m
lamità da cui erano oppressi. Anche Prometeo (70) andò a lui debitore
della
libertà, poichè gli spezzò le catene che lo tenev
insino a Gades (la moderna Cadice), e credendosi ormai all’estremità
della
terra, volle pur mettere il Mediterraneo in comun
lare steso a’piedi d’Onfale. Mirabile esempio dell’umana fragilità, e
della
tirannia delle passioni ! 393. Poi Ercole andò pe
per Dejanira, principessa già fidanzata ad Acheloo figlio del Sole e
della
Terra. Ercole vinse il rivale in singoiar battagl
in soggezione i masnadieri e i tiranni. Dejanira fu tanto addolorata
della
morte d’ Ercole, che si privò della vita. 399. Er
nni. Dejanira fu tanto addolorata della morte d’ Ercole, che si privò
della
vita. 399. Ercole fu annoverato fra gli Dei, e ac
u annoverato fra gli Dei, e accolto in cielo, dove sposò Ebe (87) Dea
della
giovinezza. Le genti di Grecia e d’ Italia, memor
a e cléos, suona appunto la gloria di Giunone, perchè le persecuzioni
della
Dea non fecero che illustrare maggiormente il nom
ttavia questa opinione merita poca fede, essendo smentita dal seguito
della
storia di Teseo. 404. Egeo, partendo dal Pelopon
; o, secondo altri, cadde per sollevazione in mano del popolo stanco
della
sua tirannide : e fu il secondo a morire arso nel
gli uccideva ; ma Teseo superò lui, e lo punì dell’ abuso che faceva
della
sua forza. 414. Teseo, vinti questi tiranni, vols
; ma Bacco (146), venuto poco dopo in quell’ isola, volle consolarla
della
perfidia di Teseo, e sposandola, le donò una bell
nato a dimora del Minotauro. 421. Dedalo, uno de’ più abili artefici
della
Grecia eroica, fu quello che immaginò e costrusse
l’ isola di Creta ; ed egli stesso ebbe poi ad esser la prima vittima
della
sua invenzione, poichè caduto in sospetto di infe
antichissimi tempi, e distrutta poi dai grandi sconvolgimenti fisici
della
terra, o da quelli dell’ ordine sociale. Dedalo e
o lui rinomato per abilità nelle arti meccaniche. È creduto inventore
della
sega, della lima e del compasso. Per queste scope
to per abilità nelle arti meccaniche. È creduto inventore della sega,
della
lima e del compasso. Per queste scoperte ottenne
iputazione, che lo zio, divenutone geloso, lo precipitò dalla sommità
della
cittadella di Minerva ; ma questa Dea protettrice
rnasse vittorioso, di metterle bianche ; ma questi invaso dalla gioia
della
vittoria scordò l’ ingiunzione paterna. 426. Quel
ogni anno a Delo ad offrir sacrifizj in ringraziamento del buon esito
della
sua impresa. Così tutti gli anni vi andavano i me
oni di render utile il suo valore. 429. Piritoo, figlio d’ Issione e
della
Nuvola e re dei Lapiti, sposando Ippodamia (511)
e precettore d’ Achille (536) e d’ alcuni altri fra i principali eroi
della
favola. Il tessalo maestro Che di Tetide il figl
he vuol dir mano, dà evidentemente a conoscere essere egli il simbolo
della
destrezza in tutte le cose ; la mano di Chirone è
rono che la sorte decidesse fra loro chi dovesse essere il possessore
della
rapita, a condizione che il preferito procacciass
lie di Plutone. Peccato che questi eroi, dopo esser giunti all’ apice
della
gloria con utili imprese, macchiassero il resto d
unti all’ apice della gloria con utili imprese, macchiassero il resto
della
loro vita con azioni vituperose, e talora con que
tanti pregi. 436. Ippolito, di null’ altro premuroso che dello studio
della
sapienza e delle ingenue ricreazioni della caccia
premuroso che dello studio della sapienza e delle ingenue ricreazioni
della
caccia, era incorso nello sdegno di Venere per av
iesi, sui quali Teseo era tornato a regnare, testimoni delle iniquità
della
sua corte, gli si ribellarono ; ed egli, sdegnato
i Sciro, proponendosi di finirvi in pace i suoi giorni nelle dolcezze
della
vita privata. Ma Licomede, re di quell’ isola, mo
col cesto, nella qual lotta vinse il vigoroso Amico re di Bebricia o
della
Bitinia ; Castore addivenne celebre domatore di c
ito ; laonde Polluce ottenne soltanto di poter metter Castore a parte
della
propria immortalità : e così questi due fratelli,
do l’ altra si leva sull’ orizzonte, così la favola era un’ allegoria
della
legge che secondo essi governava i moti di quei c
questo principe, per fuggire con Elle sua sorella i mali trattamenti
della
matrigna Ino, si valse dell’ aiuto di questo mara
gli abitanti erano per ucciderlo, quando l’ ariete che aveva il dono
della
parola, lo svegliò, e gli fece noto il pericolo i
fece noto il pericolo imminente. Allora Frisso andò subito ad Aeta re
della
Colchide, vi consacrò al dio Marte il Vello d’ or
ceo, di vista acuta scopriva gli scogli, ed Orfeo alleggeriva le noie
della
navigazione con gli accordi della sua lira e col
cogli, ed Orfeo alleggeriva le noie della navigazione con gli accordi
della
sua lira e col canto. Si dice che gli Argonauti r
fosse il primo vascello comparso sulle onde. Giasone, dopo l’ impresa
della
Colchide, lo consacrò a Nettuno nel golfo di Cori
in Macedonia, entrarono nel Ponto Eussino, pervennero ad Ea capitale
della
Colchide, e compita la conquista ripartirono per
i rischi. I più dicono che questa spedizione ebbe luogo 60 anni prima
della
guerra di Troja. 453. I pericoli poi dell’ impres
sposi tornavano vittoriosi ad Iolco. 89 456. Ma Pelia, (448) ad onta
della
sua promessa, negò di rendere a Giasone (448) il
a, la quale, dissimulando lo sdegno, perseguitò la rivale, e fu causa
della
sua morte. Giasone voleva punirla ; ma ella, prev
uga di Medea, Giasone visse miseramente ramingo e turbato dai rimorsi
della
sua imprudente condotta. Medea, che era dotata de
bato dai rimorsi della sua imprudente condotta. Medea, che era dotata
della
cognizion del futuro, gli aveva predetto la morte
ata della cognizion del futuro, gli aveva predetto la morte per causa
della
nave degli Argonauti ; e infatti mentre egli pass
accolse benignamente, e gli fece passare in festa i primi nove giorni
della
sua dimora appo lui. Ma poi, aperte le lettere de
itori Apollo (96) e Clio (275) ; e tanta era la dolcezza dell’armonia
della
sua lira e della sua voce, che a sentirlo suonare
e Clio (275) ; e tanta era la dolcezza dell’armonia della sua lira e
della
sua voce, che a sentirlo suonare o cantare, le be
ta scese all’inferno (215), e la richiese a Plutone (213). La melodia
della
sua lira, inspirata da tanto dolore, commosse le
onte Rodope. Le Baccanti (153) tentarono di richiamarlo alle dolcezze
della
vita ; ma egli, spregiandole, ne eccitò lo sdegno
asi altrui. Aristeo. 474. Aristeo era figlio d’Apollo (96) e
della
ninfa Cirene. Fu educato dalle Ninfe che gl’inseg
ingerlo a ripigliare la prima forma. Allora Proteo gli svelò la causa
della
sua disgrazia, e gli ordinò di far sacrifizj espi
lo iniziò nei misteri delle Orgie. Dopo la sua morte parecchie città
della
Grecia l’onoraron di culto e di tempio ; e soprat
e, poeta e cantore, nacque nell’isola di Lesbo91 nel mare Egeo al sud
della
Troade. Fu emulo d’Orfeo (469), e visse lungo tem
eno la grazia di poter suonare un’altra volta la lira, ed empì 1’aere
della
più commovente armonia ; ma veggendo con tutto ci
Essi sfrontatamente risposero ch’egli era in Italia a godere i favori
della
fortuna e gli omaggi dovuti al suo merito. A ques
far dire ai poeti che le mura di Tebe furono alzate mediante i suoni
della
sua lira, poichè le pietre sensibili alla dolcezz
sè stesse a collocarsi l’una sull’altra. Ingegnoso emblema del potere
della
poesia e della musica, ossivvero della persuasion
locarsi l’una sull’altra. Ingegnoso emblema del potere della poesia e
della
musica, ossivvero della persuasione, dell’esempio
. Ingegnoso emblema del potere della poesia e della musica, ossivvero
della
persuasione, dell’esempio e dell’eloquenza, usata
case. Cadmo. 482. Cadmo era figlio d’ Agenore re di Fenicia e
della
ninfa Melia, ed ebbe per sorella Europa, fanciull
dotto da un bove. Cadmo obbedì, e fabbricò Tebe in Beozia sul modello
della
Tebe d’Egitto. Anfione (481) costruì le mura di q
ebe d’Egitto. Anfione (481) costruì le mura di questa città col suono
della
sua lira. 486. La favola aggiunge che i suoi comp
cinque soli ne sopravvissero, ed essi lo aiutarono nella costruzione
della
città. 488. Troviamo scritto che Cadmo introdusse
ipo, mosso dalla ricompensa e dall’avidità di regno, andò al cospetto
della
Sfinge, e seppe penetrare il senso degli ambigui
sarebbero finite se non dopo l’esilio di chi aveva cagionato la ruina
della
famiglia di Laio. 502. Dopo molte ricerche, edi
sè medesimo, non potè più sostenere la vista del sole, degli uomini,
della
sua persona, e si accecò con le proprie mani. I f
memoria di lei gli antichi ci tramandarono il più commovente esempio
della
pietà filiale. Dopo aver lungamente ramingato men
Tebani, ma a patto che Meneceo figliuolo di Creonte, ultimo rampollo
della
famiglia di Cadmo (482), fosse stato sacrificato
nto, lascia il padre, e corre generosamente a precipitarsi dalla cima
della
cittadella. La caduta fu mortale, e la patria gli
di Adrasto, tutti gli altri capitani, insieme coi due fratelli, causa
della
scellerata guerra e sfidatisi a singoiar certame,
quelli estremi, s’impadronì del trono, e vietò severamente gli onori
della
sepoltura a Polinice in pena d’aver condotto cont
tismo. Emone, figlio di quello scellerato di Creonte, non partecipava
della
sua barbarie, ed essendo innamorato d’Antigone, q
o a Pelope di due cavalli alati. Quantunque cosi potesse essere certo
della
vittoria, tuttavia vogliono alcuni ch’ei la macch
mao perì nella caduta. Pelope allora sposò Ippodamia, prese gli stati
della
moglie, e diede loro il suo nome, chiamandoli Pel
la favola. Guerra di troja. 517. La città di Troja, capitale
della
Troade nella piccola Frigia nell’ Asia Minore, fo
r vendetta del preteso affronto ricevuto da Paride (597) nel giudizio
della
bellezza. 520. Ma Venere (170) protesse sempre i
ni, e talora trasse anche Giove nel suo partito. Gli stessi due fiumi
della
campagna di Troja, il Xanto e il Simoenta, uniron
glio d’ Ercole e re di Misia. 522. Già da dieci anni durava l’assedio
della
città fatale, quando i Greci, tante volte respint
navigli piccoli di quel tempo, e si radunò in Aulide, città marittima
della
Beozia, dove fu trattenuta dai venti contrarj. L’
ospetto dei Greci e dei Trojani. Paride ebbe la peggio, e fu debitore
della
salvezza alla protezione di Venere (170) che, per
lena stessa gli rinfacciarono la sua viltà ; Menelao chiese il premio
della
vittoria, ma i Trojani glielo negarono, e questa
2. Egisto (516), nella lunga assenza d’Agamennone, adoperando le arti
della
perfida ipocrisia, dispose in favor suo l’animo d
do di salvarlo dalle insidie, e di mandarlo segretamente a Strofio re
della
Focide e suo parente. Dopo dodici anni d’assenza,
gli dette per precettore il centauro Chirone (430), il quale, al dir
della
favola, lo alimentò con cervello di leone e di ti
, e quattro cavalli immortali.96 Presto Achille diventò il primo eroe
della
Grecia ; ma una contesa nata fra lui ed Agamennon
alle ossa del vinto figliuolo (594). 541. L’amore doveva essere causa
della
morte d’Achille. Così volevano i fati ; nè valser
Petilia. Diomede. 550. Diomede, figlio di Tideo uno dei capi
della
spedizione contro Tebe (505), fu educato alla scu
ato alla scuola del celebre Chirone (530), insieme con gli altri eroi
della
Grecia. All’ assedio di Troja si segnalò per tant
no Più che miel dolci d’eloquenza i rivi. 555. Apollo (96) in premio
della
sua saviezza lo fece vivere trecento anni, ossia
he Protesilao aveva sposato la sua diletta Laodamia la vigilia stessa
della
partenza per la guerra. La sventurata sposa e ved
hiaro per luminose prodezze all’assedio di Troja. 559. Dopo la caduta
della
città questo principe ritornava a Creta, carico d
bligarono ad abbandonare i suoi stati ; laonde si rifugiò sulle coste
della
grande Esperia dove fondò Salento. Pose in vigore
565. Ajace fu tanto sdegnato di questa parzialità che perdette l’uso
della
ragione, e divenne così mattamente furioso, da sc
o Ajace figliuolo d’Oileo re di Locri, celebre anch’esso tra gli eroi
della
spedizione greca contro i Trojani ; ma la sua mag
le dispregio dei Numi. Narrano i poeti che Minerva (262), per punirlo
della
sua tracotanza, gli suscitò contro una furiosa bu
, altrimenti detto Odisseo, figliuolo di Laerte e d’ Anticlea, era re
della
piccola isola d’Itaca nel mare Ionio. Ulisse, il
scogli, Ma di gagliarda gioventù nutrice. Deh qual giammai l’ uom può
della
natia Sua contrada veder cosa più dolce ?…. (Ome
seminarvi sale invece di grano. Ma Palamede (583), che già sospettava
della
finzione, collocò a giacere il bambinello Telemac
i cavalli prima che potessero abbeverarsi alle acque del Xanto, fiume
della
Troade. 4° Fece risolvere Telefo (521), figliuolo
la ferita se non dal ferro che l’aveva fatta, prese un po’ di ruggine
della
lancia d’Achille, ne compose un medicamento, e lo
Ogigia (secondo alcuni vicina a quella di Malta) soggetta all’ impero
della
Ninfa Calisso. 578. Questa Dea lo accolse benign
embra intirizzite dal freddo. Si alza, e il primo sentimento è quello
della
paura, dubitando di essere in un altro paese di b
mpagne. Indi fu guidato al palazzo ; e giunto al cospetto d’Alcinoo e
della
sua moglie, si prostrò alle loro ginocchia aspett
Troja, ove acquistò fama di prudente, di coraggioso e abile nell’arte
della
guerra. 584. Egli dovè perire sventuratamente per
formare ed a schierare i battaglioni, e gli attribuisce l’invenzione
della
parola di ricognizione per le sentinelle ; non me
li deliberato inesorabilmente a non passare da vile, riman solo fuori
della
città assediata per aspettare impavido il suo riv
di Troja. 596. Andromaca, moglie d’Ettore, si ritrovò, dopo la caduta
della
patria, ad essere schiava del figliuolo dell’ucci
Eleno fratello d’Ettore, e con esso menò sempre afflitto il rimanente
della
sua vita, perchè non potè mai consolarsi della pe
afflitto il rimanente della sua vita, perchè non potè mai consolarsi
della
perdita del suo caro Ettore, nè di quella dell’in
nò a un servo che lo facesse perire ; ma colui, mosso dalle preghiere
della
madre, lo dette ad allevare a certi pastori del m
o subito tutto l’Olimpo in iscompiglio ; ogni Dea pretendeva il vanto
della
bellezza, e la disputa fu maggiore tra Venere (17
nza e ricchezza ; Minerva sapienza e virtù ; e Venere il possedimento
della
più bella donna del mondo. 600. Paride, che tanto
tile, poichè la freccia era avvelenata ; e Paride spirò nelle braccia
della
ninfa che ne morì di dolore. 604. Cassandra, sore
Dacchè ella ebbe presagito la ruina di Priamo suo padre, di Paride e
della
città, la rinchiusero in una torre dove « verace
a torre dove « verace sempre, e non creduta mai » cantava le sventure
della
sua patria. Agamennone (527), che la possedè schi
; ma secondo il solito non le fu creduto, ed Agamennone restò vittima
della
scelleraggine d’Egisto e di Clitennestra (537).
zio del nemico per entrare nella città ; ed affinchè fossero persuasi
della
verità de’suoi detti, lanciò nei fianchi del cava
zione, consigliò che fosse resa colei che doveva cagionare la perdita
della
patria ; ma fu vano il consiglio ; e benchè fosse
lotta di venti vascelli, e co’ Trojani sopravvissuti all’ultima ruina
della
patria, andò errando pe’mari in traccia d’una ter
lla sua gloria, e gli ordinò d’andare sulle coste d’Italia in traccia
della
nuova patria promessa alla sua schiatta. Enea sep
roi trojani e suo padre, dal quale udì i suoi futuri destini e quelli
della
sua posterità. 614. Tornato che fu dall’inferno a
lie Lavinia sua figlia. Ma Turno re dei Rutuli che pretendeva la mano
della
fanciulla, lo aggredì per sostenere le sue pretes
di Didone, quantunque l’eroe trojano vissuto avesse tre secoli prima
della
regina di Cartagine ; ma volle immaginare la pass
Mercurio (262) andarono una volta ad alloggio in casa di un contadino
della
Beozia, il quale, benchè povero, gli accolse con
tronomia che gli fu insegnata da Atlante (359), e per la sua passione
della
caccia che, al dire dei poeti, ei serbò ancora po
per l’uomo fosse il supremo dei beni l’essere liberato dalle miserie
della
vita. Gli abitanti d’Argo alzarono loro le statue
nagloriose o crudeli o colpevoli dei re, degli eroi e dei Numi stessi
della
greca mitologia. Meleagro. 626. Meleagro,
eo, che s’era scordato di lei nel sacrificare a’Numi per ringraziarli
della
fertilità dell’anno, mandò un cinghiale a devasta
. Teseo (405), Giasone (448), Castore (441), Polluce (441) e il fiore
della
gioventù greca s’unirono a dar la caccia a quella
dodici, sei dell’un sesso, e sei dell’altro. 630. Niobe, inorgoglita
della
sua fecondità, spregiava Latona (96) che aveva av
figliuoli, opere attribuite a scalpelli greci ; ma nella sola figura
della
madre si scorge la divina arte di Fidia ; ed è mo
enne rinchiusa in stretta prigione ; e stanco degli acerbi rimproveri
della
sua vittima, le tagliò la lingua. 636. La misera
Attonito a tanto prodigio, non osava ancora abbandonarsi ai trasporti
della
sua gioia ; la toccò di nuovo, e già le belle mem
sua gioia ; la toccò di nuovo, e già le belle membra avevano il calor
della
vita, già il sangue scorreva nelle lor vene. Le s
à di Pigmalione non è un sogno ; ed egli andò debitore al suo ingegno
della
più bella e della più virtuosa delle mogli. Chi n
n è un sogno ; ed egli andò debitore al suo ingegno della più bella e
della
più virtuosa delle mogli. Chi non vede ingegnosam
terono obbedire a questa legge severa, e fissarono un ritrovato fuori
della
città sotto un gelso bianco, presso alla tomba di
aso che l’infelice fosse stata divorata, si lasciò cadere sulla punta
della
sua spada. Quand’ ecco Tisbe uscir dal luogo dove
lie ; ed Ero per dirigerlo nel tragitto accendeva una face sulla cima
della
torre dove abitava. Nell’ autunno il mare divenne
spiaggia. All’aspetto di Leandro estinto, non potè moderare l’eccesso
della
sua disperazione, e si uccise. Anche questo lacri
pravvenne il diluvio che porta il suo nome. 648. Giove (63), sdegnato
della
perversità degli uomini, aveva statuito di sommer
di sommergere il genere umano, ed ecco inondarsi tutta la superficie
della
terra, meno che una montagna della Beozia chiamat
ecco inondarsi tutta la superficie della terra, meno che una montagna
della
Beozia chiamata Parnaso (123). 649. Solamente Deu
loro di velarsi il capo e di andar gettando dietro le spalle le ossa
della
loro madre. Deucalione dopo aver lungamente pensa
mpagne. I venti. 651. I Venti erano Dei figli del Cielo (25) e
della
Terra (25), che secondo gli antichi dimoravano ne
Tracia, e ne ebbe due figli, Calai e Zete, i quali fecero il viaggio
della
Colchide con gli Argonauti (452), ed avevano le a
ch’egli accarezza ; il suo colorito è rosso virgineo al par di quello
della
rosa nascente ; e negli sguardi ha la dolcezza de
della rosa nascente ; e negli sguardi ha la dolcezza dei primi raggi
della
primavera. Tutto sollecito dei fragili tesori che
ale ne tien lontani gli Aquiloni e le nere Tempeste, e con le lacrime
della
madre nutrisce l’infanzia dei fiori, dei frutti e
nghirlandato d’ogni sorta di fiori, perchè giova tanto alla fecondità
della
terra. 658. In molti paesi eressero templi ai Ven
un filosofo dell’ isola di Creta, contemporaneo di Solone. La storia
della
sua vita è tessuta di prodigj. Ancor giovinetto s
eri nati dai denti del serpente, che Cadmo seminò nella terra a tempo
della
fondazione di Tebe. Un giorno incontrò sul monte
disarmate spalle ; Senti l’aura celeste, e mirò l’onde Lambire a gara
della
Diva il piede, E spruzzar riverenti e paurose La
io d’Apollo (96) e d’Ipermestra (252), e fu celebre indovino al tempo
della
guerra di Tebe. Sapendo per sua propria scienza c
dalla spedizione, il funesto vaticinio, poichè Giove (63) per punirlo
della
sua presunzione lo fulminò, e la terra inghiottì
al medesimo prezzo. Tarquinio maravigliato, consultò allora i grandi
della
sua corte, fece sborsare alla vecchia sibilla la
cchi di dove uscivano altrettante voci tremende contenenti i responsi
della
profetessa. Questi responsi erano anco vergati so
entì, e le concesse ancora di serbare per tutta la vita la freschezza
della
gioventù ; ma la figlia di Glauco ricusò questo d
tantatrè anni, e che gli tolse lo scettro e la vita. Alessandro prima
della
sua spedizione nell’Asia andò a Delfo in uno dei
re sul tripode, e allegava la legge del divicto ; ma egli sdegnandosi
della
resistenza, la trasse a forza dalla sua cella, e
uindi non erano mai incominciati senza offrire sacrificj. 670. Quelli
della
Grecia, i più celebri di tutti, erano di quattro
entimenti religiosi, mantenevano mirabilmente nei greci petti l’amore
della
libertà e della gloria, e facevano di questi giuo
osi, mantenevano mirabilmente nei greci petti l’amore della libertà e
della
gloria, e facevano di questi giuochi uno spettaco
chi uno spettacolo veramente sublime ; al quale s’univa poi l’agilità
della
corsa a piedi, i pericoli di quella col celete o
gradivano le proprie lodi, se non venivano a queste mescolate le lodi
della
città natia. Il XXIII canto d’Omero contiene una
tto in un giorno. Sia o no esagerata, questa prova dimostra che l’uso
della
forza era diventato ormai spettacolo brutale e me
ù per compagna ; doversi le forze, il valore spender tutto per il ben
della
patria ; ed esser veramente magnanimo colui che s
ne del Borghi, le quali sentenze saranno intanto come una conclusione
della
morale che si può ricavare dai già dichiarati avv
ebellato Augia (380) re d’ Elide, usò le ricche spoglie del tiranno e
della
sua città ad aprire questo pubblico esperimento d
vogliono. Se ne attribuisce l’istituzione allo stesso Dio in memoria
della
vittoria riportata contro quel mostro, ed erano d
i giuochi il console Flaminio fece proclamare da un araldo la libertà
della
Grecia dopo aver vinto Filippo il Macedone, due s
snelle in quel leggiero vestimento ; e, senza ritardo, al primo cenno
della
già imboccata tromba, tutti in un tempo si slanci
ta tromba, tutti in un tempo si slanciarono, mostrando, e nell’impeto
della
corsa e nell’avidità degli sguardi verso la meta,
li sguardi verso la meta, quel violento desiderio, ond’erano animati,
della
sperata vittoria. Erano già alquanto trascorsi in
a di lietissimi applausi ; dai quali punto, non meno che da desiderio
della
corona, colui che il primo essendo, era stato all
i altri di non breve spazio, ed il condottiere dimostrava la speranza
della
vittoria, rispondendo agli applausi, ch’empivano
tro, avvenne che in quell’atto, infranto dal veloce impeto il ritegno
della
rota stessa, uscì, volgendosi ancora per l’impeto
itare maggior desiderio di sè : come infatti prorompeva la impazienza
della
moltitudine, chiamandolo più volte a nome. Quand’
il così bramato garzone, con invidia de’ competitori, e con giubbilo
della
turba spettatrice. Egli aveva quel giorno scelto
lo della turba spettatrice. Egli aveva quel giorno scelto l’esercizio
della
lotta : e si mostrò nella palestra con leggiadro
ad un suo satellite il succinto sajo, sciogliendone al petto il nodo
della
fascia, ed apparve nudo in tutto, fuorchè cinto d
satirico e polveroso del contrario atleta. Quando costui, impaziente
della
vittoria, incominciò a scuotere il garzone, or da
rono Faone vincitore : questi girò gli sguardi con nobile compiacenza
della
ottenuta gloria, vieppiù abbellendo le sembianze
e dell’arringo Tosto adeguando alla sembianza il fine, Il primo onor
della
vittoria ottenne. — Poco a dirti per molto, io ma
; Il settimo Magnesio ; era Eniano, Bianco il destrier, l’ottavo ; e
della
sacra Atene il nono ; e di Beozia l’altro Che li
rgente a Bacco (146) allorchè questo Dio errava sitibondo nei deserti
della
Libia. Intanto il segno dell’ Ariete, condottiero
opo il Toro a significare non meno il vigore degli armenti che quello
della
vegetazione delle piante, ed è l’animale in cui s
ta la forza cocente de’ raggi solari ; e questo dicono fosse il leone
della
foresta Nemea (370) ucciso da Ercole. 682. La Ve
dell’eguaglianza tra i giorni e le notti, è la stessa Temi (337) dea
della
Giustizia. 684. Dallo Scorpione, animale velenoso
tario, finite le operazioni rurali, invita gli uomini all’occupazione
della
caccia, ed è sotto la figura di Centauro (430) in
VII, Traduz. del Monti.) 692. Patroclo, benchè morto in gnerra e fuor
della
patria, ebbe nel campo tutti gli onori funebri, e
i alti sospiri Traendo, intorno al rogo si strascina. Come poi nunzio
della
luce al mondo Lucifero brillò, dopo cui stendo S
itorno s’adoperò invano a frenarne l’ambizione, e dovè perire vittima
della
di lui perfidia. 699. Tifone trovò tra gli stessi
to per rintracciarne le spoglie, e potè trovarle a Biblos sulle coste
della
Fenicia, dove erano state trasportate dalle onde.
d un vaso nella sinistra, il primo per indicare il perpetuo movimento
della
natura, il secondo la fecondità del Nilo. Talora
fecondità del Nilo. Talora ha in capo un velo svolazzante ; il globo
della
terra sotto i piedi, e la testa coronata di torri
resi alla navigazione, essendochè le fu attribuita anche l’invenzione
della
vela. Ogni anno nella primavera gli Egiziani le d
presto in Grecia, in Italia e fin nelle Gallie e nelle estreme parti
della
Germania, ove era adorata sotto lo stesso nome. A
d alcuni scrittori danno questa origine alla nave disegnata nell’arme
della
detta città. 708. Gli Egiziani accordarono onori
ro del quale tenevano religiosa custodia, non erano altro che simboli
della
divina potenza. Non ebbero nè templi nè simulacri
d’astenersi dall’uccidere enti animati ; poichè, secondo la dottrina
della
metempsicosi da lui professata, le anime degli uo
ofani. Ecco due di tali metamorfosi. 723. La terra, spossata dal peso
della
montagna Merupatu, era in pericolo di sprofondars
, ma a notti. 735. Dopo le divinità la querce era il primario oggetto
della
venerazione dei Galli. Era essa il loro tempio, e
i davano cura più specialmente dei sacrificii e delle altre cerimonie
della
religione, ed avevano fama di predire il futuro.
r l’origine dei monti di pietre che ancora sussistono in certi luoghi
della
Francia, e specialmente vicino a Carnac in Bretag
nquistatore e legislatore del Nord, fu il primo ed il più antico Nume
della
Scandinavia, ossia di quella porzione d’Europa ch
rimi tempi quei popoli offerivano a questo Dio le primizie dei frutti
della
terra ; indi cominciarono a sacrificargli vittime
i carta dipinta. Un altro dei loro idoli era composto di tutti i semi
della
terra impastati col sangue di molti fanciulli ai
o personificazioni quando diciame la Veechiaia esser madre o sorella
della
Prudenza ce. Quindi non abbiamo esitato a notare
corrompimento. 10. Saturno cacciato dal regno di Giove. 11. La Dea
della
giustizia 12. Questo tempio fu costruito di figu
ntanari industriosi sulla via di scoprire i metalli nascosti nel seno
della
terra, e d’ inventare il modo di fonderli e di la
lavorarli. Quindi con prestigi e incantesimi aumentarono l’ opioione
della
quale godevano, e furono guida ad Orfeo nei miste
sistè il tempio di Cerere, vale a dire per 1200 anui. — In sul finire
della
vita Eumolpo si riceociliò con Tegirio che, non a
ll’autopsia (visiene intuitiva dei misteri), ciné alla contemplazione
della
Divinità ; ed i filosefi e gli studenti aspiravan
filosefi e gli studenti aspiravano a quest’ultimo grado come a quello
della
perfezione. La cerimonia d’ammissione aveva Inogo
gio di pochi. La verità non cenosce misteri, ed esser deve patrimonio
della
moltitudine. — Lo spettacole che precedeva gli am
he gli antichi non ignoravano i fenomeni dell’electtrice nè i aegreti
della
fisica sperimentale. 18. Per la smisurata sua mo
suo nome, trovano nella favola dei Titani o dei Giganti la tradiziono
della
catastrofe che produsso quel tremendo insbissamen
ri ropntano che il continente atlantico degli antichi fosse una parto
della
moderna America, dovo i molti vulcani aempre acce
possono aver dato origine non solo a questa favola, ma anche a quella
della
caduta di Vulcano supra la terra (270) e della fo
ola, ma anche a quella della caduta di Vulcano supra la terra (270) e
della
folle presunzione di Fetonte (119). Ma come mai f
acqnero vario immagini nelle lor menti. Ciò cha ad alcnui parve campo
della
guerra celesle, per altri fu la tomba del Sole o
rimanente descrizione di quosta guarra chiaramente indica lo scendere
della
lava, il tremar della terra, i lampi, i macigni s
di quosta guarra chiaramente indica lo scendere della lava, il tremar
della
terra, i lampi, i macigni scagliati in alto, e in
glio, le cure, la fatica, la vecchiaia, effelto naturale delle cure e
della
penosa fatica. Laddove prima nel regno degli Dei,
o aenza tetto, cibandosi d’erbe e di aalvatiche frutta. Ma co’bisogni
della
vita nate le arti, sursero per necessità i mali,
gliuolo d’Apollo, ed il suo antro diventò uno dei più celebri oracoli
della
Grecia. Vi scendevano per angusta gola, iulerroga
terrare cadaveri. I Persiaui, che avevano ssccheggiato le altre isole
della
Grccia, riapettaron Delo. 28. « Il Cigno, dice B
el Giornale Enciclopedico, anno 1775, tomo VIII, pag. 514. 30. Città
della
Focide. Ecco l’origine di quest’oracolo : Alcune
rispondeva in versi ; ma poichè a laluni parve cosa strana che il Dio
della
poesia li facesse pessimi e senza misura, cosi la
deravano di mettere a prova la protezione del Nume, gettavano in msre
della
cima dello scoglio un bauletto pieno di denare ;
i vulcaniche, in anlico assai più frequenti. 40. Scilla ora ò città
della
Calabria, in riva al mare, all’imboccalura dello
ura ; e questo luogo era detto Elision, ovvero soggiorno del riposo e
della
gioia. Così è spiegata la favola del Tartaro, que
ata la favola del Tartaro, quella dei giudici infernoli, di Caronte e
della
sua barca. 44. Rovinato. 45. Virgilio. 46. Inl
ove, e fu allevato dai Curibanli. 54. Virgilio. 55. Dietro il carro
della
Morte. 56. I Romani lo chiamarono Gradivo in tem
i malfattori, e s’adunavano di notte per non caser commossi a scapito
della
giustizia della visto dell’accusatoro o dell’acca
s’adunavano di notte per non caser commossi a scapito della giustizia
della
visto dell’accusatoro o dell’accasato ; e gli ora
di giustizia. Forse l’accusa contro Marto altro non fu che un simbolo
della
imparzialità dell’Areopago, davanti a cui, non ch
amento di slalo. 73. Il fuoco di Vesla. 74. I Romani avevano Io Dio
della
buona fede, col nome di Fidius (Dius). Il suo nom
’ ignoranza che nocevano al genere umano, e impedivano l’ avanzamento
della
civiltà e delle arti. 88. Il qual vello altro no
sopra una nave, che fu l’ ariete meraviglioso. 89. Alcuni interpreti
della
Mitologia non vedono altro in questa spedizione c
ssero sulle sponde del Faso, di dove, dopo aver risalito questo fiume
della
Colchide, lo recaroco nella lor patria. 90. Potr
di coloro che credono la Chimera essere stata una montagna vulcanica
della
Licia, abitala da leoni in cima, coperta di pastu
le discordie civili di Lacedemone. Fu patria anche del poeta Alceo e
della
poetessa Saffo. 92. Era d’Argo, e fidava tanto
tò ansteramente il pudore, e fu sino alla morte il modello degli eroi
della
sua patria. 94. I figli maggiori dei selle capit
menti di Tebe. Regnando Anfionc, questa città fu in preda al flagello
della
peste, e la famiglia reale ne fu assalita come il
All’ aspetto dei luoghi dove aveva vissuto nell’ infsuzia, alla vista
della
sua vecchia nutrice e delle compagne dei suoi ver
sollevarono l’oppresso petto. Ma sopravvisse pochi mesi, e nella base
della
statua eretta alla aua memoria fu scolpita questa
piaceri ; possiale ignorar sempre i miei spasimi. 120. Nei giardini
della
Mauritania Tingitana abbondavano squisite arancie
erso quella parte dove credevano che il sole si coricasse al giungere
della
sera. Da questo la favola degli aurei pomi, del D
ù d’un miglio. 122. Queslo rallo, al dire di Platone, è un’allegoria
della
svenlurala fine d’Orizia, cadula e annegata in ma
so il narrato travolgimento delle persone. Aronta fu celebre indovino
della
Toscana, e abitò ne’monti di Luni sopra Carrara.
’ evento non confermava il detto dell’ oracolo, si attribuiva a colpa
della
ignoranza degli uomini ; lo stesso avviene della
i attribuiva a colpa della ignoranza degli uomini ; lo stesso avviene
della
interpretazione dei sogni pei numeri del lotto e
se. L’allegoria ci apre il campo ad interpetrarli, onde sotto il velo
della
favola scopriremo alcuni principii, alcune verità
un mondo ancor bambino e fantastico, precedendo di non poco i secoli
della
istoria, non presentano che un tipo misto di vero
ste brevi escogitazioni ci siamo studiati interpetrare non poca parte
della
Mitologia, e quanto in essa è di più interessante
etterarie volendole spiegare a’ loro alunni, rannodandole allo studio
della
Mitologia, potranno trarre per questi non poco gi
i rado sorgono senza innestarsi con qualche vizio. Capitolo I.
della
origine del politeismo e de’ miti eterodossi, e c
Come l’uomo passò dalla vera ad uno spettro di religione, la scienza
della
quale fu detta mitografia — se ne cerca la cagion
invece adulto, educato nella scuola di Dio, onde potè aver lo intuito
della
Idea, da cui nacque la vera religione — L’uomo ca
secondo S. Agostino nella Città di Dio — 6. Etimologia e significato
della
parola mito — Il primo parlar degli uomini essere
, di Issione, e di Pasife — 7. Poi col tempo cangiossi il significato
della
parola mito, e se ne ricerca la cagione nella ign
, da Pitagorici e da Macrobio. 10. Iconologia, ossia personificazione
della
favola — divisione della favola secondo il divers
obio. 10. Iconologia, ossia personificazione della favola — divisione
della
favola secondo il diverso obbietto cui ha le sue
era del mondo. V. Monti, i romantici. 1. C advva dalla intellettiva
della
miglior parte degli uomini la nozione del vero Di
scorgerli insussistenti alla intellettiva, nè il trovarli distruttori
della
purezza de’costumi, nè il vederne sorgere tante c
lico. « Dio crea il cielo e la terra ». Questa formola, puro concetto
della
creazione, fu col tempo alterata : alterossi non
ivilire l’umana progenie, e per indiarla, quando, compiuto il periodo
della
vita, l’uomo si discioglie dall’argilla onde è pl
iero ortodosso, che si fonda sul mistero assioma rivelato e razionale
della
creazione e lo conserva in tutta la sua purezza.
nca di autorità tradizionale, e che non ha che alcuni avanzi alterati
della
rivelazione primitiva, o rinnovata : questo è il
smo e l’apoteosi. La prima ch’è unica, giacchè l’unità è il carattere
della
verità, abbraccia la Chiesa cattolica nel senso p
tere della verità, abbraccia la Chiesa cattolica nel senso più esteso
della
parola, cioè la società divina ed infallibile pri
a famiglia dalla vera religione dell’ Ente in quella degli esistenti,
della
pluralità degli Iddii. L’uomo non uscì dalle mani
to civile, cui chiamollo il Creatore, ma si disperse nella gran selva
della
terra, addivenne parvolo, ed allora, così un filo
un filosofo italiano(1) « gli errori susseguenti non furono i vagiti
della
infanzia, ma il farnetico della infermità, e lo s
rrori susseguenti non furono i vagiti della infanzia, ma il farnetico
della
infermità, e lo svariare della vecchiezza ». Si d
vagiti della infanzia, ma il farnetico della infermità, e lo svariare
della
vecchiezza ». Si divise la umana famiglia in vari
ni concorsero alla sua dispersione. Il dipartirsi per diverse regioni
della
terra degli orgogliosi della torre di Babele, i s
sione. Il dipartirsi per diverse regioni della terra degli orgogliosi
della
torre di Babele, i sovvertimenti a quando a quand
ni divieto, la Idea andò in lui offuscata e dispersa ; con la perdita
della
unità sociale fu obbliato del pari il concetto cr
rdita della unità sociale fu obbliato del pari il concetto creativo e
della
unità cosmica, disparve la intuitiva divina, nacq
trascinati anch’essi a piè degli altari e finiscono adorando le opere
della
istessa loro immaginazione. Dai poeti tutto era d
la dea Matura(2) ; quando vengono arroncati la dea Roncina(3). 6. Ora
della
parola mito — Sul principio della opera mia, dice
arroncati la dea Roncina(3). 6. Ora della parola mito — Sul principio
della
opera mia, dice Pausania(4), dovendo parlare dell
cole e spregevoli ; ma ora ne porto diverso giudizio ; chè i sapienti
della
Grecia ebbero sotto tali enigmi colato verità imp
che il cielo, la terra ed il mare. Era questo il parlare degli uomini
della
prima età del mondo, e può trarsene un esempio an
nella sua Repubblica (5) per dare un’immagine del mondo, dell’uomo e
della
vita dell’uomo, descrive un’antro, ove va rinchiu
gli errori, le virtù, la scienza, le passioni dell’animo, le facoltà
della
mente, ed altre cose non dissimili, li presentano
immagini ; perciocchè secondo le escogitazioni del chiarissimo autore
della
Scienza Nuova (6), i primi uomini come fanciulli
rmontato da un’aquila ad ali dispiegate ; e quando davasi una nozione
della
eternità veniva seguito da una fenice ; e quando
alle vittorie ed ai trionfi un principe andava debitore dello impero
della
terra, nelle monete o medaglie faceva imprimore u
i avvenimenti degli uomini. Così Pane, che era ancora egli un simbolo
della
natura umana e selvaggia, volendo abbracciar Siri
essi cambiare significato. E prima dalla ignoranza. I primi abitatori
della
terra quando andarono perduti al bene dello intel
erra quando andarono perduti al bene dello intelletto, come fanciulli
della
umana famiglia, davano il nome di Dio a tutto que
; e da Tacito(1), che facendo parola degli antichi Germani abitatori
della
maremme appo il mare diacciato, diceva credersi d
in non pochi luoghi di Europa : un Giove che dicevano essere più alto
della
cima de’monti, onde Platone disse esser l’etere,
ri, che vi avevano disteso antico impero. E questi esseri benefattori
della
umana famiglia furono deificati, si ebbero tempii
la nozione dell’ Ente per pubblica riconoscenza, Diodoro Sicolo parla
della
maggior parte delle loro intraprese, delle conqui
le loro inclinazioni e le colpe ». 9. Da questo variar di significate
della
parola Mito or ci sorge vaghezza di venire ad alc
velo, cui vanno avvolti i miti, vi trova gli elementi e la iniziativa
della
storia antica de’ popoli ; il fisico vi discopre
il raffinamento di un saggio governo ; il filosofo la parte più bella
della
morale. Altri riponendo un’allegoria in ciascun m
ig. Depuis(1), altro non sono fuorchè le celesti apparenze e fenomeni
della
natura allegorizzati e abbelliti dalle grazie del
arenze e fenomeni della natura allegorizzati e abbelliti dalle grazie
della
poesia. « Ed Esiodo nella sua Teogonia parla degl
Ed Esiodo nella sua Teogonia parla degli Iddii come figli del cielo e
della
terra » Cantate, così volto in italiano le sue p
volto in italiano le sue parole(2), o Muse, gli Dei immortali, figli
della
terra e del cielo stellato, nati dal seno della n
Dei immortali, figli della terra e del cielo stellato, nati dal seno
della
notte, alimentati dalle acque dell’oceano ». Del
genze unite a corpi celesti, ed un’anima sparsa dappertutto e motrice
della
natura, che da Pitagorici era detta anima del mon
nima del mondo, che con un’antico emanatismo volevano uscita dal seno
della
istessa divinità, anima variante di forme allo in
e il culto renduto a quest’anima dell’universo una al culto del Sole,
della
Luna e di altri corpi celesti, fu l’obbietto dell
esentano sotto il tipo di una divinità allegorica, figlia del Sonno e
della
Notte, con una maschera in volto e splendidamente
ta a contraffare la istoria. Avendo le favole per obbietto le nozioni
della
istoria teologica, favolosa e poetica, potrebbons
antica istoria frammischiata a mille immaginazioni : tale è la favola
della
maggior parte degl’Iddii, Giove, Apollo, Bacco, E
ilosofiche e sono quelle immaginate da’poeti a manifestare gli arcani
della
filosofia, come è il dirsi — l’oceano essere il p
re il padre de’fiumi ; la Luna avere sposata l’aria e addivenir madre
della
ruggiada — Morali, cioè finte a comunicare alcuni
che vive solo secondo il senso, il quale nulla curando le altre cose
della
terra, crede esser Venere, la bellezza tutto il s
ne di questo mito. 17. A Giove si dava per padre Saturno — Etimologia
della
parola Saturno — varie attribuzioni di lui tratte
e di alcuni miti di Saturno, esposti e spiegati da Tullio nel lib. 11
della
Natura degli Dei. 18. Nettuno — etimologia di que
e del mito di questo Dio, onde si trova non essere che o le ricchezze
della
terra, od il sole o l’aria. 20. Apollo — varie ma
i Egizii, onde si scopre non essere che il sole, ragioni — etimologia
della
parola Apollo da Platone e da altri classici grec
ificazione del fuoco, cui traggonsi molti vantaggi — (31). Sentimento
della
scuola stoica, cui con Vulcano può intendersi l’a
te nostre escogitazioni si volessero a un tempo associare allo studio
della
Mitologia per la istruzione de’giovanetti, debbon
re primo tra gli elementi è diffuso ancora per ogni recondito recesso
della
terra, è principio e generatore di tutte le cose,
ti greci e latini. E per questo ancora Giove era detto Dio del cielo,
della
terra e dell’ inferno, e se ne può trarre argomen
re, da cui fu fatto, per indicare lo impero di Dio sul triplice regno
della
creazione, l’aere mobile per sua natura si eleva
ndo, come mirabilmente fu esposto da Virgilio, svolgendo un principio
della
scuola pitagorica — essere un Dio diffuso dappert
stesso poeta su le prime il cielo, le terre, i mari, il lucido globo
della
Luna, ed i pianeti andar tutti interiormente alim
inferiori del mare istesso è Salacia ; su la terra Plutone ; nell’imo
della
terra Proserpina ; ne’fuochi domestici Vesta ; ne
urienti ; di Opi, porgendo aiuto a’nascenti, e accogliendoli nel seno
della
terra ; di Vaticano ne’vagiti degl’infanti ; di D
l nome di Dea Sensia(1), inspirando sentimenti ; a lui il nome di Dea
della
gioventù, porgendo ai giovanetti gli esordii dell
sto nome a iuvenescendo dall’ingiovanirsi, alludendo alle apparizioni
della
Luna ; ed è detta Lucina, quasi lucida, per espri
na ; ed è detta Lucina, quasi lucida, per esprimere il lucido candore
della
Luna istessa(2). 16. A Giove si dava per figlio i
o splendore di sua grandezza, quando non ancora era compiuto il tempo
della
gravidanza di lui, traendonelo poi fuori a suo te
o il primo passo del loro incivilimento dal disboscarsi la gran selva
della
terra, ciò che volevano avvenuto a tempi di Satur
e, di raffrenatore con vincoli ineffabili dell’intero mondo, di germe
della
terra e del cielo stellato. Ancor di lui si racco
uel potere, che ha l’amore di generare le cose su la terra e nel seno
della
terra. Gli si danno altri nomi, che esprimono mov
che esprimono movimento, quasi che egli sia un’altra cagione del moto
della
terra, urtandola con le acque del mare. È detto a
le acque del mare, che sembran nere quando sono agitate, sì a cagione
della
simiglianza del muggito de’bovi con il rugghio de
i a percorrerle. Nettuno rappresenta vasi col tridente in mano, segno
della
terza regione, il mare, dopo il cielo e la terra(
rici. Altri riponendo la sua sede nel fondo delle miniere, e nel seno
della
terra, hanno creduto, che gli antichi non intende
ntendessero con questo nume, che le ricchezze istesse. Tutta la forza
della
terra, dice Tullio(2), e la natura fu inaugurata
le ricchezze, dice l’ Agostino(3), non è altro che la parte inferiore
della
terra. Voglion Plutone, dice un’altro antico filo
della terra. Voglion Plutone, dice un’altro antico filosofo, preside
della
terra ; poichè la parola Plutone importa il signi
o perchè per sè stesso è invisible, credendosi aver la sede nell’imo
della
terra, o da ανδανειν, placare, perchè presedendo
Plutone nello inverno, e di Giove in primavera(4). 20. Apollo — Dio
della
poesia, della luce, della medicina e dell’armonia
inverno, e di Giove in primavera(4). 20. Apollo — Dio della poesia,
della
luce, della medicina e dell’armonia. Quando si di
di Giove in primavera(4). 20. Apollo — Dio della poesia, della luce,
della
medicina e dell’armonia. Quando si disse ne’miti
; ed ora sotto quello di un serpente di oro alato, simbolica propria
della
luce solare. Questo solo basterebbe ad indicare c
si volle significare, che prima di uscire lo imperio divino creatore
della
luce, le tenebre si addensavano accavallantisi su
e armonia in tutto il sistema planetario. Apollo era creduto come Dio
della
salute pubblica ; perciocchè il Sole la produce c
ella destra, e con l’arco e le saette nella sinistra, ond’è detto Dio
della
medicina, giovando ai mortali col temperato suo c
perie. E con questa osservazione ben dobbiamo approvare la etimologia
della
parola Απολλων, porta dal sig. Screvelio(1), dal
perchè il Sole con il suo temperato concorso ci tiene liberi dai mali
della
vita. E non meno, attenendoci alla etimologia de’
ere nella destra una lancia, e gli ponevano su la fronte una immagine
della
vittoria, due simboli del suo potere irresistibil
n serpente, tra le quali quella, che sorgeva in mezzo, era un simbolo
della
terra. 21. A lui il vaticinio del futuro. Percioc
o da’greci Λοξιας obbliquo, se pur ciò meglio non può dirsi a cagione
della
obbliquità dell’apparente corso del sole per lo Z
quità dell’apparente corso del sole per lo Zodiaco. A lui it concento
della
musica, onde fu chiamato Citaredo ; perciocchè il
ù ravvolgentisi a simiglianza di un serpente mortifero nelle ime sedi
della
terra portavano il guasto, e contaminando tutte l
perando con rigore fu gettato dal trono. 24. Il chiarissimo scrittore
della
Scienza Nuova, senza indentificare Apollo con il
sticò, ei dice(1), la quarta divinità, che fu Apollo, appreso per Dio
della
luce civile, onde gli eroi si dissero κλειτοι, ch
latini, da cluer, splendore d’armi…… Ed è detto Apollo Dio fondatore
della
umanità e delle di lei arti, una delle quali è qu
a gli schiavi si rade il capo. » 25. Mercvrio — Dio dell’eloquenza e
della
mercatura, inventore della palestra e della lira,
apo. » 25. Mercvrio — Dio dell’eloquenza e della mercatura, inventore
della
palestra e della lira, destro callidissimo in dep
io — Dio dell’eloquenza e della mercatura, inventore della palestra e
della
lira, destro callidissimo in depredare, alato i p
i suoi fenomeni. Ei si dipingeva con un caduceo in mano, che il poeta
della
lliade chiama verga dorata, cui andavano attorti
antisi, ne avesse tolto di mezzo la rissa, rappacificandoli col tocco
della
sua verga. Questo mito non era che un’allegoria,
duceo intendevasi il radiar del Sole, che dileguale addensate tenebre
della
notte ; e con i colubri, tenuti da tutta l’antich
ella notte ; e con i colubri, tenuti da tutta l’antichità per simbolo
della
vita, associati al radiar del Sole si voleva espr
nostro emisfero ne venissero scacciate le tenebre e le larve, figlie
della
notte. Narrossi di lui di aver morto Argo da cent
. Narrossi di lui di aver morto Argo da cento occhi, posto a custodia
della
giovanetta Io, trasmutata da Giove in vacca, onde
nunzio, giacchè con il favellare si danno fuori tutti gli escogitati
della
mente » — E per questo egli era detto Cillenio, p
volendosi alludere, ch’ei facesse tutte le cose solo con il magistero
della
parola, senza prendervi parte le mani, chiamandos
que di Mercurio gli antichi non intendevano che il mirabile magistero
della
parola. Nelle classiche opere de’greci si possono
i vogliono Διοστορος, vocale — Εριουνιος, utile, e ciò dalla utilità
della
parola. A simulacri di lui si metteva in mano una
e valore quando altri venisse battuto con questa, e ciò dalla utilità
della
correzione. A questa verga si ponevano attorti du
delle pietre addivenissero più appariscenti. 28. Lo immenso scrittore
della
Scienza Nuova porge una diversa interpetrazione d
a Mercurio de’Greci fu ritrovata la lira e gli fu data da Apollo, Dio
della
luce civile, ossia della nobiltà, perchè nelle re
trovata la lira e gli fu data da Apollo, Dio della luce civile, ossia
della
nobiltà, perchè nelle repubbliche eroiche i nobil
a proprietà restò ai poeti definita lyra regnorum. » 29. Marte — Dio
della
guerra nacque in mente de’poeti greci come un car
atteristiche per la divinità che ne immaginarono, onde lo dissero Dio
della
guerra. A Marte era sacro l’avoltoio, chè siffatt
sopra dei pianeti e delle stelle. Tenendo dietro a questo sentimento
della
scuola stoica potrà dirsi non meno, che gli antic
on una scure il capo di Giove, e che ne sia uscita fuori Minerva, Dea
della
sapienza e delle belle arti — cioè che il fuoco,
Sicilia, e di Lipari. Quanto di loro si disse dal poeta dell’Iliade e
della
Vlissea, non è che una perfetta allegoria, person
immaginati mostri i vulcani igniferi. Si credevano figli del cielo e
della
terra : con questo volevasi indicare l’altezza e
i scopre essere Giunone non altro che l’aria, ragioni. 34. Etimologia
della
parola Giunone tolta da Tullio — interpetrazione
one tolta da Tullio — interpetrazione de’miti di Giunone dell’autore
della
Scienza Nuova. 33. Cerere — Etimologia di questa
etrazione di sua simbolica — Vn’altra interpetrazione dello scrittore
della
Scienza Nuova. 40. Minerva — Etimologia di questa
a di questa parola — 41. Interpetrazione del suo mito dello scrittore
della
Scienza Nuova. Nomi e attribuzioni di Minerva e l
one del suo mito. 44. Diana — Perchè detta Diva Triforme — etimologia
della
parola Diana. 45. Atteone e suo mito. 46. Attribu
razione di questa forma — Altra interpetrazione tolta dallo scrittore
della
Scienza Nuova. 47. Vesta. 48. Altre attribuzioni
i entrambi, dal somministrare di lievi e gradevoli aure alimentatrici
della
vita de’mortali, di generatrice di tutte le cose,
detta Giunone a invenescendo, dallo ingiovanirsi, alludendo alle fasi
della
Luna, confondendola con la Luna istessa ; e Lucin
istessa ; e Lucina, quasi lucida, dal candore e lucidezza del raggio
della
Luna. E così interpetrandosi questo mito, a ragio
etrandosi questo mito, a ragione i Greci la chiamarono Ηρα, a cagione
della
simiglianza di questo nome con quello di Αηρ, ari
a, portata su di un carro da pavoni. 34. Tullio traendo la etimologia
della
parola Giunone, la vuole così detta a invando (1)
dai greci e da’latini, è d’uopo qui traserivere le parole dell’autore
della
Scienza Nuova, lasciando al leggitore di appiglia
i, che insegnando all’uomo irsuto e ancor disperso nella grande selva
della
terra l’agraria, ne fece pullulare le biade, onde
ica, indicandosi con la rotondità di tal flore la forma quasi sferica
della
terra, per la quale ella si prendeva. 37. A Cerer
la valle di Enna in Sicilia, seco trasportandola a consorte nello imo
della
terra, ove distendeva il suo impero. Cerere sua m
o della terra, ove distendeva il suo impero. Cerere sua madre dolente
della
perdita della rapita figlia, accende una fiaccola
ove distendeva il suo impero. Cerere sua madre dolente della perdita
della
rapita figlia, accende una fiaccola a gl’incendii
ivamente — Questo mito è stato altra volta esposto nella nostra opera
della
istoria delle Opere della Natura (1), e qui lo ri
tato altra volta esposto nella nostra opera della istoria delle Opere
della
Natura (1), e qui lo ripetiamo per dare ad esso u
o volevasi indicare, ch’è d’uopo mandare il seme alla terra, nell’imo
della
quale credevasi aver regno Plutone, per farlo ger
questo esprimevasi, che Cerere, ossia l’agricoltura in tutte le parti
della
terra è intenta a produrre Proserpina, ossia il f
oro, che radunando gli uomini in uno, prima dispersi nella gran selva
della
terra, fondarono città e borgate, e fecero nascer
resentavasi come una donna robusta e possente, onde dare una immagine
della
fermezza e stabilità della terra. Le si circondav
robusta e possente, onde dare una immagine della fermezza e stabilità
della
terra. Le si circondavano le tempia con una coron
coltura. Le si metteva dappresso un tamburo per raffigurare il globo
della
terra. A questo mito lo scrittore della Scienza N
buro per raffigurare il globo della terra. A questo mito lo scrittore
della
Scienza Nuova porge una diversa interpetrazione.
de’giganti, che propriamente così furono detti nel senso di figliuoli
della
terra : talchè è madre degli Dei, cioè de’giganti
città si arrogarono il neme di Dei : e le è consacrato il pino, segno
della
stabilità, onde gli autori de’popoli stando fermi
o dell’uomo, ma nate dal cervello di Giove, ossia dal fonte inesausto
della
sapienza divina. Taluni si finsero in tal modo qu
minazioni, come dimostrammo nelle nostre Ricerche politico-letterarie
della
Magna Grecia (2), chiamarono Minerva il triangolo
a con in mano un’asta in atto di vibrarla. I greci, dice lo scrittore
della
Scienza Nuova (5), immaginarono la decima divinit
con altro liquore, rimanendo sempre nella sua purezza, vera simbolica
della
verginità di questa Diva. Credendosi essere uscit
ove, i Greci le davano il nome di Αρεια marziale, duce e governatrice
della
guerra, pugnando acremente per tutelare la giusti
te, onde confondevasi con Febe, ossia con la Luna ; come una divinità
della
terra, e chiamavasi Diana ; come una divinità inf
e Trivia. Diana è parola tutta greca Διανοια, che importa agitazione
della
mente, pensiero. I latini ne traggono la etimolog
me Giove e Febo, come Ovidio disse, a’trivii,(1). Fu creduta come Dea
della
caccia, e perciò si dipingeva con l’arco, con il
danza. Pindaro in un inno salutolla fluviale(7). Le Parche, ministre
della
vita dell’uomo, così presso Orazio(8), la seguiva
tre corpi, e le tre facce si voleva dare un simbolo delle apparizioni
della
Luna istessa, che presenta nelle sue fasi nell’al
collocata per mezzo gli omeri, per esprimersi la forma quasi rotonda
della
terra, e che questa in tal modo conglobata vien p
sta. Si credeva esser la prima e l’ultima divinità, simbolica proprio
della
terra, perocchè tutte le cose fatte dalla terra s
, la Musogonia. Furono credute figlie di Giove, e di Mnemosine, ossia
della
memoria, per indicare che le discipline necessari
ui presedevano, per coltivarsi con esito cercano sempre la solitudine
della
mente e del cuore. Pausania non riconosce che sol
anno detto i mitologi, qui trascriviamo solo alcuni versi del cantore
della
Musogonia(1). Di nove ie dico vergini leggiadre
, or l’ira ; Euterpe amante delle doppie pive, E Polinnia del gesto e
della
lira ; Tersicore che salta, e Clio che scrive ; E
o non intendevasi, che personificazioni allegoriche delle belle arti,
della
poesia, della musica, delle danze, e degli effett
asi, che personificazioni allegoriche delle belle arti, della poesia,
della
musica, delle danze, e degli effetti da queste pr
nificare la gloria che va immortale per coloro, che meritano le laudi
della
poesia. Per Euterpe ευτερπη dilettazione, rappres
Per Talia da θαλεια immortalità e verdezza, esprimevasi la floridezza
della
poesia eterna duratura di età in età, di secolo i
o di καλος bello, che può interpetrarsi dolcezza, di voce, il diletto
della
eloquenza, e lo ammaliar quasi gli anini, traendo
e di numero, Aglaia, Talia, ed Eufrosine, sebbene in non pochi luoghi
della
Grecia se ne riconoscevano quattro, e solo due pr
ni, la buona grazia, l’allegria, un umore sempre eguale, la innocenza
della
vita, il candore de’costumi, e tutto ciò che a no
esto volevasi esprimere, che le amabili qualità sono i nodi più dolci
della
famiglia umana, od ancora, che l’uomo deve string
alternative piede — nude per indicarsi che nulla torna più gradevole
della
semplice natura — moventisi a danza, per dinotare
l beneficio debbe ritornare donde è partito, oppure che elleno amiche
della
gioia innocua non sanno piegarsi a modi molto aus
la da’tre corpi, interpetrazione di questo mito e secondo i principii
della
istoria, e per via di allegorie. 58. Ercole uccid
della istoria, e per via di allegorie. 58. Ercole uccide Anteo figlio
della
terra, strozzandolo tra le sue braccia, interpetr
lo tra le sue braccia, interpetrazione di questo mito dallo scrittore
della
Scienza Nuova. 59. Ercole uccide Acheloo, che can
altri si vuole essere il mondo, e da ciò Tullio tragge la etimologia
della
parola Giano — tempii ed altari simbolici innalza
asi superiore alla condizione umana, un eroe che poco curando le cose
della
terra si innalza dalla terra come l’aere su tutte
i uno ; se pur con più ragione non si voglia dire, che a questo parto
della
immaginazione si attribuirono tutte le più grandi
ioni eseguite di tempo in tempo da tanti illustri, onde la gran selva
della
terra irta e dumosa, disgombri i mostri che la in
la : idra variante di tre colori, di nero per esprimere la gran selva
della
terra, cui fu appiccato lo incendio, per mettersi
or dell’oro, tre colori che vanno impressi dalla natura nella spoglia
della
idra. E per questo ancora narrossi, che Ercole an
aver morta la chimera dalla coda di serpe, dal petto di capra, indice
della
terra selvosa, e dal capo di leone sbuffante fiam
metafore, additandosi con le squame e le spine i dumeti ed i bronchi
della
selva della terra sempre folta prima di andar col
dditandosi con le squame e le spine i dumeti ed i bronchi della selva
della
terra sempre folta prima di andar coltivata ; e c
utile all’uomo. Trascorrendo in vero col pensiere per alcuni periodi
della
istoria antica si rinviene portare il nome di oro
i rinviene portare il nome di oro le belle lane, onde presso il poeta
della
Iliade Atreo si duole di essergli da Tieste immol
muggito de’bovi. 58. Ercole uccide Anteo, che la favola vuole figlio
della
terra, con sollevarlo in atto strozzandolo fra le
fece perire. « Ercole, ecco come interpetra questo mito lo scrittore
della
Scienza Nuova.(2), carattere degli Eraclidi, ovve
ti, apportatore di pace a’morfali, generante, indefesso, ottimo germe
della
terra, fulgido dalle primogenite squame, apportat
urora e dell’oscura notte, esecutore di dodici fatiche per ogni parte
della
terra dall’orto fino all’occaso — A chi non sfugg
e del mondo, delle immortale moderatore degli astri e delle stagioni,
della
forza e virtù di tutti gl’Iddii, del distruttore
oni, della forza e virtù di tutti gl’Iddii, del distruttore de’mostri
della
terra, e finalmente di quel nume sempre giovane,
nto dalla scuola Pitagorica, in cui fu creduto essere Ercole la forza
della
natura. E per esprimere questa forza fu porta a l
ci un’arma possente, la clava, e del pari si immaginava andar vestito
della
pelle di Leone, che tante volte si dipingeva temp
o venivano troncate — risponde al passar del Sole nella costellazione
della
Vergine, denominata Lernea, chè era venerata a Le
estava le foreste di Erimanto — Risponde al passar del Sole nel segno
della
Bilancia, che avviene sul principio di Autunno, f
i — Risponde al passar del sole nello scorpione, fissato dal tramonto
della
costellazione detta Calliope, che vien dispinta c
tempio a Stinfalo, e questo pessare è fissato al levar de’tre uccelli
della
via Lattea, lo Avoltoio, il Cigno, e l’ Aquila, c
l’Aquario ; e ciò era indicato dall’avoltoio posto nel Cielo a fianco
della
costellazione detta Prometeo, nel tempo stesso ch
ncora Ariete di Frisso, o dal vello di oro, ed è indicato dal levarsi
della
nave Argo, dal tramonto di Antromeda, e dalla sua
sua cintura, dalla Balena, e dal levarsi di Medusa, e dal tramontare
della
regina Cassiopea. XIIII. Ercole monda le stalle d
del Cintauro, che sacrifica su di un’altare al levarsi del Pastore e
della
sua gregge, e quando Ercole declina verso le regi
uni pochi, tutti morire. « Egli, son queste le parole dello scrittore
della
Scienza Nuova (1), intorno a questo mito, uccide
orno a questo mito, uccide la gran serpe, sbosca la gran selva antica
della
terra, ne semina i denti, con la bella metafora c
vero famoli : nascono da’sol chi uomini armati, per la contesa eroica
della
prima agraria gli Eroi escono dai loro fondi, per
forme degne di un Dio. Ora parimenti, poichè non è sì grande la nota
della
mia confusa figura, in me sembra lo stesso ciò ch
ra lo stesso ciò che è d’avanti e ciò ch’è di dietro. Ecco la cagione
della
mia forma, che tu desideri sapere ; e, conoscendo
lato, il Cielo, il mare, le nubi, la terra, tutto è chiuso ed aperto
della
mia mano. Presso di me solo è la custodia del mon
rse vicende. Ti ho fatto noto il mio potere ; ora apprendi la cagione
della
mia figura. Già tu pure in qualche parte conosci
rica. — Cadmo impatronitosi del regno di Dracone, si impatronì ancora
della
sorella di lui chiamata Armonia, e menolla a seco
geva il seno di ogni specie di frutti, indicandosi con la falce esser
della
natura generar le cose e distruggerle, e distrutt
e — co’frutti, la varietà de’frutti istessi, che nascondonsi nel seno
della
terra, e di tempo in tempo vengon prodotti. Si fi
se da vento, o da altri improvvisi suoni dagli antri e dalle voragini
della
terra, onde vengono atterriti gli armenti e le gr
le dottrine di de Lamennais. (1). Gioberti introduzione allo studio
della
filosofia Vol. III. cap. VII. (1). V. Monti, i r
aciti,de moribus Germanorum cap. VII (2). Della istoria delle opere
della
Natura cap. V. pag. 71. (1). Divi Avgvstini de
rici abbiamo parlato a lungo nella nostra istoria Politico-letteraria
della
Magna Grecia vol. I. cap. XII. (1). Bianchini,
è il beneficio di Libero, emissis seminibus, vien liberato. Lo stesso
della
donna mercè di Libera. (3). Carmente — si vuo
. Plvtarchi, quaestionibus Romanis. (1). Della istoria delle Opere
della
Natura cap. V. pag. 66. (2). Ciceronis de Natur
ronis de Natura Deorum libi. II. (2). Vico, Scienza, Nuova lib. II.
della
morale poetica. (1). Est a gerentibus frugibus C
Ciceronis de Natura Deorum lib. III (1). Della istoria delle Opere
della
Natura Cap. V. pag. 66 e Cap. XI. Pag. 150. (2)
ione compigitur et figitur. Bacone. (1). Vico,Scienza Nuova lib. II
della
sapienza poetica. (2). Della Magua Grecia Vol. 1
Festi de verborum siguificatione. (5). Vico Scienza Nuova lib. II.
della
Sapienza poetica. (1). Parini, il Mattino. (2
t in tres vergentia formas — Ovidio. (1). Della istoria delle Opere
della
Natura cap. V. pag. 68, Genesi dello inciviliment
(1). Virgilii Aeneidos lib. IV. (2). Vico Scienza Nuova lib. II.
della
sapienza poetica. (1). Ovidii, Fastorum lib. VI
sempi, sponevate parecchie verità intorno all’ Orientale Letteratura,
della
quale siete maestro, giustamente commendato in Eu
nanzi alle investigazioni dei valorosi filologi Alemanni, fosse degna
della
pubblica luce. Altri studj più cari me lo vietano
ltri studj più cari me lo vietano ora; nondimeno gli son riconoscente
della
sua graziosa offerta » 1. Ed è pure da riferire l
Ma era sublime il primo errore dei mortali, e manifestava la dignità
della
origine loro. E consegnato infatti agli annali di
reate degna avvene alcuna di ammirazione, egli è il ministro maggiore
della
Natura, il padre degli anni e della luce, per cui
ione, egli è il ministro maggiore della Natura, il padre degli anni e
della
luce, per cui l’universo ride e si rinnova, il vi
eliberato di darvi il prospetto delle Lezioni che formeranno il Corso
della
Mitologia nel presente anno. La strada che dobbia
trare come dai Pagani si adoravano questi Dei, nati dai forti inganni
della
loro mente. Quindi i templi, gli altari, i boschi
terrore custode del vello di Frisso dai potenti incantesimi di Medea,
della
quale Euripide finirà di narrarci le sciagure e i
o addio di Andromaca ad lettore, che rimprovera a Paride lo sciagiure
della
patria e la sua viltà, e fìnalmente Priamo che ba
manderà all’universo. Virgilio, quel grandissimo per cui Omero dubita
della
prima palma nell’epica poesia, ci dirà l’origine
ima palma nell’epica poesia, ci dirà l’origine e gli augusti principj
della
gente romana, e nella divina Eneide di lui avrà i
che, per esser vera, dee contenere con chiarezza le qualità distinte
della
cosa indicata. Imparata che avrete dagli antichi
ratti, come la Virtù, la Costanza, la Ragione, e mille altre divinità
della
Morale, che nel segreto del loro cuore più che i
uei grandi dei quali le idee possono farsi vostre; giacché i concetti
della
mente dirigono la mano di coloro che nati sono al
rsi maggiore, e più terribili nasceano dalle mani animose le immagini
della
gente perduta. E voi pure vi esalterete in voi st
into che è consacrato a presentare alla pubblica ammirazione le opere
della
vostra mano? Non mi stanno sugli occhi le promess
lla creazione. Non so se questa serie di assurdità sia un’alterazione
della
Genesi di Mosè; che io non sono nè curioso nè ard
ito per investigarlo. Aggiungerò solamente che questo Belo ordinatore
della
materie non é probabilmente che il sole, poiché i
dell’ universo. Egli così a un dipresso si esprime. Una era la forma
della
terra e del cielo, le di cui nature erano in siem
de il potere di produrre animali, che quindi moltiplicarono col mezzo
della
generazione. 5 Se questa cosmogonia fosse la sol
dei Greci si discorra, che da ambedue queste nazioni riceverono parte
della
loro religione e dei loro costumi. Orfeo, che mol
costumi dei mortali; e se fede si dasse al compendio che Timoteo fece
della
cosmogonia orfica, egli potrebbe trionfare di tut
sta sotto l’Etere, volendo con ciò significare che la Notte era prima
della
creazione, e che la Terra, attesa l’oscurità, era
istesso. » Da Orfeo, secondo alcuni, dedusse Esiodo la sua teogonia,
della
quale darò il compendio fatto da Banier, poiché t
avrà ca gionata l’istoria di tanti delirj, leggendovi la descri zione
della
battaglia dei Giganti contro gli Dei che è nel po
e gittate nell’Oceano nacque la bella Venere, detta Afrodite dal nome
della
spuma marina, eterna voluttà degli uomini e degli
o, la nera Parca, la Morte, il Sonno, i Sogni dall’ali nere, Momo dio
della
Maldicenza, l’Inquietudine compagna del Dolore e
i vizj punisce, la Frode, l’Amicizia, la Vecchiezza, la Contesa madre
della
Fatica, dell’Oblio, della Fame, degli Affanni, de
l’Amicizia, la Vecchiezza, la Contesa madre della Fatica, dell’Oblio,
della
Fame, degli Affanni, delle Guerre, delle Stragie
lla stessa unione le tre Gorgoni: Steno, Furiale e Medusa, dal sangue
della
quale, allorché Perseo le recise la testa, nacque
gli Dei vietassero ad Echidna ogni commercio, chiudendola in un antro
della
Siria, pure da Tifone ebbe Orco, Cerbero, l’Idra
divinità veneranda sopra tutte, cui Giove die l’arbitrio del cielo e
della
terra e del mare, che sempre era fra gli antichi
arche, nel che sembra Esiodo contradirsi, poiché innanzi le fa figlie
della
Notte. Natale Conti concilia questa difficoltà di
nsi di Giove; allorché il caso guidava le forbici fatali erano figlie
della
Notte. A me sembra che questa coatradizione, e mi
romessa. Giove innanzi la battaglia così parlò: Uditemi, del cielo e
della
terra Illustri figli, onde io quel che comanda Il
isovvenga, E quai cose sofferte: il mio consiglio Vi trasse al raggio
della
cara luce Dal dolore dei lacci e della notte Lacr
consiglio Vi trasse al raggio della cara luce Dal dolore dei lacci e
della
notte Lacrimosa. — Sì disse, e l’incolpato Cotto
colpato Cotto gli fé’ risposta: — venerando, Cose ignote non parli, e
della
mente Gli accorgimenti e i providi consigli Del t
è tua se qui siamo Alla notte involati e alle catene: Noi che maggior
della
paura il danno Soffrimmo, or con prudente e inten
i, cagion di pianto alterno. D’ambo la voce al ciel stellato arriva E
della
zuffa l’ululato; e Giove Non più contiene l’ira s
el mare i flutti E l’immenso oceano: e già la vampa Circonda i fiorii
della
terra: arriva Già la fiamma al divino eter: la lu
ralità degli Dei che nel tempio erano adorati. E con ogni altra iorma
della
fabbrica alludevano alle qualità degli frnmortali
abitarvi, poiché lunghi e scoperti erano i templi di Giove, di Cielo,
della
Luna, rotondi quelli di Venere, del Sole, di Cere
acchine sacre alle divinità, venerande custodi e maestre delle arti e
della
pace. Tutti i templi erano volti all’oriente, poi
lti all’oriente, poiché ninno omaggio riputavano agli eterni più caro
della
luce, primogenita degli esseri ed anima dell’ uni
sero agli uomini terrori, speranze, vittorie e tutti gli altri eventi
della
fortuna, le cui permutazioni non hanno tregua. Di
estinti, mostrando che dalla barbarie dei vincitori nemmeno il sonno
della
morte è sicuro. Converrà adesso parlare dei sacri
sena guidato dal paterno furore. Ma gli Dei aveano già dato l’esempio
della
colpa: che r ara di Diana era stata tinta in Auli
eterna vergogna degli uomini e degli Dei, che furono « Famoso pianto
della
scena Argiva. » Favelleremo intanto di quelli ch
ca o purpurea veste dettava le preci, e spargeva il vino fra le corna
della
vittima destinata. Costumavasi ciò alcuna volta p
opo il vino e le preghiere conspargevasi coir accennata mola il tergo
della
vittima già coll’acqua lievemente spruzzato: si a
e l’urna ripiena dell’ acqua pei ministri; quindi gettavasi il resto
della
mola, coi peli strappati alla fronte dell’ animal
mma dell’altare, a questo succedeva il vino, e poscia le scelte parti
della
vittima consperse dell’ indicata mola erano offer
oe, che ornato le chiome di ulivo, getta dalla prora nei flutti parte
della
vittima e il liquore, dono di Bacco, di cui tre v
Miele e latte consacravasi alle Ninfe custodi dell’acque. Nell’orrore
della
notte, col capo inchinato verso la terra, al cont
vida sgozzavano a Brimo, dea severa e terribile, che nel più profondo
della
notte, quando « Del sonno il peregrin cede al de
prendere questi tributi, i quali solo seguivano i miseri al caro lume
della
vita rapiti, e contender loro quell’onore « Che
ta rapiti, e contender loro quell’onore « Che solo in terra avanzo è
della
morte? » Nulla di più santo presso gli antichi c
spiri dell’amore, diceva all’amica infedele: « Io porterò al sepolcro
della
tua sorella corone bagnate dalle mie lacrime: sed
e:) gli uomini stessi, che fatti schiavi avevano le vicende instabili
della
guerra. I più stretti congiunti (ministero pietos
tosto Le lunghe anella del suo crine, aurato Degli omeri flagello, e
della
fronte Maestosa alterezza, in su la bara Tronca c
ri ho raccolte. Lasceremo ai grammatici il combattere sull’etimologia
della
voce altare, e sarà per noi soggetto di dubbio an
ori d’ogni dubbio che sopra il suolo si offrivano le vittime agli Dei
della
terra. Tutto additava fra i primi uomini la sempl
a Giove e agli altri celesti, più bassi tenendo i destinati agli Dei
della
terra. Di marmo, di bronzo, di oro si formavano l
iveva nell’esigilo lettere che dettava il dolore; ed Enea, lagnandosi
della
rotta fede dei Rutuli, chiama, presso Virgilio, G
Campidoglio venivano dall’aratro ai trionfi. I Messenj al nume signor
della
guerra facevano sacrifizj detti Ecatomfonie, come
seme fidato alla terra, e con fallaci erbe non deludesse la speranza
della
messe. I sacrifizj statuiti avevano luogo in tutt
la figura si scorge nelle medaglie di Caligola e di Augusto. I pezzi
della
vittima destinati ai numi, ovvero ai puhhlìci con
e in primo luogo l’autorità di Erodoto, il quale afferma che i popoli
della
Tauride immolavano ad una Venirine tutti gli stra
sulla superba altezza, E fra i merli sedendo il frìgio rege, Arbitro
della
guerra, ire e consigli Dava ai Troi, stringendo a
ttorea tomba, e calca l’ossa Di quel famoso, che l’achive squadre Sol
della
vista sgomentò. Ma giunge L’atroce Ulisse, e ha n
me il ferro argivo. Quando improvviso balenar di tede Percosse i lumi
della
turba incerta, E Polissena apparve. Ivale accanto
ntica è la colpa. In Igino ancora si legge che Callistene alla salute
della
patria immolò la figlia; che i Tiri sacrificarono
ue maggiormente di questi sacrifìzj che Diana, e lo mostreremo quando
della
di lei statua in Tauride si avrà nel corso della
lo mostreremo quando della di lei statua in Tauride si avrà nel corso
della
presente Lezione opportunità di parlare. Causa di
nivan volontarj la sovrastante fortuna. E se in loro non era l’ardire
della
disperazione, se ne ordinava il sacrifizio; onde
chiamavasi mistico sacrifizio quando un parto, tolto al reciso ventre
della
madre, ponevasi sugli altari sanguinosi. Questo r
crudeli. A Saturno i Cartaginesi i propri figli offerivano, il fiore
della
gioventù; e quel che é più terribile, doveano ass
il sentimento rifiuta tutti gli ornamenti delle frasi. Udite la morte
della
prima, narrata ad Ecuba dal nunzio: Perchè vuoi
: Achei Tacete; e tutto è quoto. — Allora esclama Pirro: mio padre: o
della
Grecia eterno Alloro, prendi le funeste stille, E
agnar le preci. L’aureo coltello impugna, e a noi comanda La maestade
della
man feroce, D’afferrar Polissena; ed essa grida:
elti per duci Dell’oste argiva in Aulide già indusse L’ara a macchiar
della
gran dea triforme Co ’l sangue d’Ifigenia, allor
mò: Dea, che godi Col certo strale saettar le belve, E col tuo raggio
della
mesta notte Le tenebre rallegri, accetta il sangu
funesto giorno Non sorse mai. Già sopra il campo vola Discordia, e dà
della
battaglia il segno. Ed atterrita Ifigenia rimira
esta, il sangue Di quel possente che nel sen mi scorre. Verserò senza
della
man profana Il crudel ministero. Afi’erra il sacr
nato quest’ uso, e chi non scorge che l’origine di esso nelle tenebre
della
più remota antichità sta nascosa? Osserva Winkelm
il primo ad indorare la prima statua in Italia, eh’ eresse nel tempio
della
Pietà al padre di lui Glabrione. Nè legge veruna
si offrir loro sacrifizj e preci nei pubblici infortunj, e così piene
della
deità reputavansi, che Dei erano dette. Nel giorn
dei quali si ragionò nella passata Lezione. Racconto del nunzio. Sta
della
rocca Pelopea gran parte Conversa all’austro, e s
e, e spenge Dell’ara il foco l’ innocente sangue. Nè questo è il fine
della
colpa: è grado A delitto maggiore, a cui la fede
uesto vanto si arroga; e l’antro del monte Ditteo ferace di querci fu
della
puerizia di lui testimone famoso. Si oppongono al
Giove; ed ambedue queste qualità si trovarono riunite in Tebe, città
della
nominata regione. Che che ne sia, l’istoria dei n
iano e Arato, con molti altri, dicono che alimento gli fosse il latte
della
Capra di nome Amaltea, ma chiamata ancora Olenia
iò scritto Cicerone che in un tempio veneratissìmo vedevasi la statua
della
Fortuna, dal di cui seno beato suggeva Giove con
combattere fece sacrifizio in Nasso, e gli apparve un’aquila, augurio
della
vittoria futura; perciò volle che sacra gli fosse
stito di porpora cantasse dopo la pugna famosa, e coll’eterna armonia
della
sua cetra e dei suoi versi di incognita e maravig
a morte. Nè Giove fu sicuro fra tanti iniqui dopo aver dato l’esempio
della
violenza. Egeone con altri giganti congiurati ten
leggi, vietò l’uso delle carni umane, mostrando ai mortali le ghiande
della
querce che perciò gli fu sacra, e divise l’univer
sacra, e divise l’universo trionfato con Plutone e Nettuno col mezzo
della
sorte. Peride Callireuco non ammette questa crede
o che solo le cose eguali si lasciano, e fra gli eguali, all’arbitrio
della
fortuna; ma la forza e i pensieri perfetti costri
furono la ricreazione dei potenti sicuri. L’amore divenne gran parte
della
vita di Giove che vestì mille sembianze per delud
ulcano: in dono il diede A Libia allora che fu sposa al nume Scotitor
della
terra: ella alla nuora Telefuessa lo donò: d’Euro
i pasce, o con domata Cervice traggo ponderoso carro: È tutto biondo;
della
fronte il mezzo Solo candido cerchio orna e disti
he a mostruoso fato soggiacque, e quella pure di Temi, amore lo prese
della
sorella; nè la reverenza del sangue comune protes
ne si rifuggì sull’accennato colle, dove, simulando evitare il furore
della
procella, venne il finto cuculo, e con ali umide
e il finto cuculo, e con ali umide e tremanti si pose sulle ginocchia
della
dea, che impietosita lo celò nella sua veste. Dep
to si astenne dagli amplessi delle mortali in onta agli sdegni gelosi
della
moglie. Leda figliuola di Tindaro gli piacque, ed
ove mutato in Satiro. Il marito, cui non placò l’essere un dio autore
della
colpa, repudiò la consorte, e le successe nel tal
d’Io, che Ovidio, volgarizzato dall’ Anguillara, vi narrerà nel fine
della
presente Lezione, Giova intanto compire brevement
e le ninfe (se Giove non le avesse rapito il pudore mentendo le forme
della
dea, i di cui studj seguiva) diede alla luce Arca
o, di quel famoso che liberò Andromeda bella, benché bruna pel colore
della
sua patria. Argo e Sarpedone (che tanta lode otte
di Giove, che in tante imprese vincitore stancò la fama, ma non l’ire
della
matrigna? E noto a tutti che tanto figlio ebbe Gi
e d’Anfitrione marito. Nè minor vanto di Giove partorì Semole, punita
della
dimanda superba, poiché celebre al pari d’Ercole
dia e di conquiste ad Alessandro. A questi s’aggiunga Piritoo, tìglio
della
consorte d’Issione, e che l’ardire e l’amicizia r
icile a conoscersi dai mortali, sei tu la nostra mente o la necessità
della
natura? » E nelle Supplici: « Giove, perchè i mis
terzo di amore supremo per la libertà, che attestò essergli più cara
della
vita, perchè udita la disfatta degli Ateniesi a C
ompimento. É vanto per l’Italia che Copuzio Romano fosse l’architetto
della
navata. Nè minor pompa spiegava il tempio, che co
ta. Bellissimo marmo tratto dal monte Pentelieo lo copriva: dal mezzo
della
volta pendeva una Vittoria di bronzo dorato, e so
giata Medusa: due conche pur dorate sospese scorgevausi all’estremità
della
volta accennata. Correr pareva intorno al tempio
ava Venere, che appena nata dal mare era accolta dall’Amore, e la dea
della
Persuasione oftVivalo una corona. Nè in questo ba
l magnifico tempio che sorgeva sul monte, cui die nome ancora Tarpea,
della
quale vi narrerà la morte Properzio, ingegno sovr
la quale vi narrerà la morte Properzio, ingegno sovrano, che col volo
della
fantasia, col fuoco delle immagini primeggia fra
di Brenne, onde togliergli la speranza di vincere i Romani col mezzo
della
fame. È opinione di alcuni, ma ridicola, che la s
te dall’egida che Omero descrive, e che sortì questo nome dalla pelle
della
capra Amaltea. Del titolo di Patroo dato al dio,
dalla pelle della capra Amaltea. Del titolo di Patroo dato al dio, e
della
maniera colla quale fìguravasi, vi fece in un’alt
to che Priamo davanti a questo simulacro fu ucciso da Pirro, immemore
della
pietà paterna. Fu anche chiamato Panonteo, perchè
, perchè il nome di lui volava nelle bocche di tutti i mortali. Carco
della
sua altezza lo cognominò la Beozia, ed Ascreo dal
colombe volando, al dir dei poeti, presagivano il futuro. Un equivoco
della
lingua fenicia, nella quale colomba suona lo stes
na, onde libava a Vesta, Quando mirò nell’arenoso campo Ambir l’onore
della
polve prima Tazio, e sopra le varie armi dipinte
i care la lite e le armi degli avversarli, parlerò pri ma delle gesta
della
dea, quindi dei simboli coi quali era rappresenta
mente nutrita. In questa diversità di nutrici e di patria, la fortuna
della
dea a quella di Giove rassomiglia. È inutile il r
i assiso sul trono, e collo scettro su cui posava il cuculo, ministro
della
frode amorosa. I figli più illustri della diva so
posava il cuculo, ministro della frode amorosa. I figli più illustri
della
diva sono Marte, Vulcano ed Ebe: i più oscuri, Ar
Ercole, più felice, quantunque esercitato in mille imprese dall’odio
della
matrigna, fu debitore dell’immortalità all’inimic
uoghi, gli attributi ed i nomi. I più comuni avrete nella descrizione
della
Giunone del Museo Pio Clementino. Degli altri, fa
h’erano già riportate in antico. « Siccome l’aria del volto, l’ornato
della
testa, la grandiosità dell’abito e della positura
e l’aria del volto, l’ornato della testa, la grandiosità dell’abito e
della
positura ce la fan riconoscere facilmente per Giu
che dovea sostenere; la patera, cioè, e lo scettro, simboli consueti
della
regina degli Dei. L’elevazione indicata del bracc
azione del capo verso la destra, non lasciano dubitare nè dell’azione
della
figura, nè della convenienza degli accennati attr
erso la destra, non lasciano dubitare nè dell’azione della figura, nè
della
convenienza degli accennati attributi. Se si cons
o in ogni minima parte ce la danno per un’opera di un grande artefice
della
Grecia. Se non ci mancassero troppi dati per ve r
he alcune copie per plausibile congettura, nè sappiamo la provenienza
della
statua da tempi remoti. Ci é soltanto noto, che f
del diadema con quello che si osserva in alcune medaglie sulla testa
della
Giustizia, creduta esprimere il ritratto di Livia
ina coli’ immagini più sicure di quell’Augusta, e che lo stile stesso
della
scultura reclama un secolo assai più remoto. Cert
clama un secolo assai più remoto. Certamente se si considera lo stile
della
testa, ci ravviseremo un non so che di quel quadr
aniera nella quale é trattato il panneggiamento, vedremo nella caduta
della
drapperia sul fianco sinistro un serpeggiamento,
Prassitele alla maggior perfezione, conservava ancora qualche traccia
della
maniera più antica che l’avea preceduta, come app
embrato meritare un poco di riflessione. Lo meritano ancora le crespe
della
tonaca, e il lembo della sopraveste, su cui si sc
di riflessione. Lo meritano ancora le crespe della tonaca, e il lembo
della
sopraveste, su cui si scorge un riporto aggiuntov
d’un pensiero: il giuro Pel capo tuo, per quell’augusto letto Conscio
della
mia fé, che mai non seppi Nè profanar nè spergiur
’ due sposi appresta Profumato d’ambrosia amico letto; Mentre dal sen
della
dorata nube Che gli circonda, di nettaree stille
tasia dei poeti, l’ambizione delle nazioni impose a Giunone. Lo scopo
della
presente Lezione è di parlare de’ più famosi, esp
l suo altare si univano con un laccio in augurio, raramente avverato,
della
concordia futura. Gamella, o Nuziale, cognominata
lavanla i Latini, e celebre era il suo tempio che Camillo, unica lode
della
patria cadente, trasportò da Yeio sull’Aventino.
uo tempio: e Fulvio Censore che lo scemò di marmi per ornar il tempio
della
Fortuna Equestre, volle l’antica superstizione ch
re, volle l’antica superstizione che colla morte de’ suoi figli fosse
della
sacrilega rapina punito. Giunone Caprivora fu ado
ittà, che vi accennai disputarsi la gloria di esser patria. La statua
della
dea che in Argo amruiravasi, era opera di Policle
te, ch’egli porta opinione che il fanciullo, il quale è nelle braccia
della
se conda non è Ercole, come reputavano, ma Marte
li antichissimi tempi si venerano per statue, o un vero moggio, segno
della
gratitudine degli adoratori che dichiaravano così
antico, può ditsi aggiunto per imitazione di qualche vetusta immagine
della
dea, o per dimostrarla dispensatrice e padrona de
. Non so per altro perchè tutti si siano apposti a credere in braccio
della
gelosa moglie di Giove un parto delle sue rivali,
sa interpretarsi per altro che per Marte. Il fiore che è nella destra
della
dea n’è un’altra prova. Sappiamo da Ovidio che of
nostro marmo: la tenerezza e la compiacenza caratterizzate sul volto
della
dea confermano questo pensiero. Può dirsi una Giu
per una tanaglia, alluda forse alla maravigliosa generazione del dio
della
guerra. Mi resta solo ad osservare che Giunone eb
narrata da Flora. Io già fui ninfa del beato campo, Che vide gli ozi
della
gente prima. Come fui bella io noi dirò: lo vieta
mi segue, Mi raggiunge; io contrasto, ei fu più forte; Che dato avea
della
rapina il dritto Al lascivo fratel Borea, che ard
Croco io parlo E d’Ati e del fìgiiuol di Mirra infame. Famoso pianto
della
Cipria dea, E d’altri mille che non han qui nome,
mi. Quando gli stanchi piedi innanzi ai nostri Lari fermò, la vidi, e
della
via La cagion le richiedo: ella m’espone A un tem
destra: A se Giuno l’appressa, e già nel seno A lei palpita il dio re
della
guerra. Ovidio, Fasti, lib. V, v. 251 e segg.
dopo Giove per impero il maggiore, a cui servono l’onde sortite, sarà
della
presente Lezione argomento. A Saturno lo partorì
nte a Minerva Poliade, o Urbana, gli fu da Giove assegnato il dominio
della
loro regione. Aluchete fu detto, dal suono del ma
oi, come Pausania avverte, gli fu edificato un tempio. Un promontorio
della
Laconia gli die il nome di Tenario, e nel tempio
emente dessero questo titolo a Palemone. Da Ennosigeo, cioè scotitore
della
terra, è volgare la denominazione che deriva dall
alla vedetta intanto Il re Nettuuo, che su l’alte assiso Selvose cime
della
tracia Samo, Contemplava di là l’aspro conflitto;
del dio del mare non solo dall’ idea del volto, che ha qualche tratto
della
fìsonomia di Giove senza però averne l’aspetto eg
el bidente del dio dell’Inferno. Siccome l’aria del volto e la nudità
della
persona escludono Plutone, resta evidente che il
i dell’istoria; e quindi ad un solo, celebrato dai poeti dispensatori
della
fama, sono spesse volte attribuite le azioni di m
ltri. In tanta varietà doveva necessariamente dubitarsi dagli antichi
della
patria del nume. Omero ed Or feo lasciarono scrit
nte Apollo, superando la soglia del rovinoso antro dove agli amplessi
della
madre, fra le tenebre care agli amanti, veniva lo
rmonia, che colla propria voce accompagnò cantando gl’immortali amori
della
propria genitrice. Salito quindi sopra la sommità
n manifestava la preda il tartaro caliginoso e le invincibili tenebre
della
morte. L’infanzia fu la scusa e la risposta di Me
ce fra gli Dei: il re delle Muse imparò l’arte di percorrere le corde
della
sacra cetra allegratrice delle Muse, gioia delle
ecoro dei gloriosi giuochi. In ricompensa concesse a Mercurio la cura
della
2:reo’2’ia, ed aurea verga di tre foglie, potente
la fiamma. Poco altro la favola aggiunge. Dicesi che a Batto, in pena
della
perfidia, cangiò in pietra di paragone il petto s
o dell’armento lo venerarono i pastori, perchè primo diede 1’ esempio
della
rapina: tanto è vero che tutti gli incliti ladri
o. Gli attribuivano il caduceo con due serpi, simbolo dalla sicurezza
della
concordia, e favoleggiarono che alla verga, donat
ulla testa assai bizzarramente frammischiate ai capelli, come simbolo
della
velocità dell’ingegno di questo nume inventore, s
hi, quantunque l’atto del silenzio, che esprime appressando l’ indice
della
destra alle labbra, possa convenire anche al Sonn
che gemme, fra le quali una bellissima del Museo Strozzi, ed un’altra
della
collezione Stoschiana illustrata da Winkelmann. C
do udendo, e taci. » 12 Questa favola sembra presentarci il momento
della
nostra statuetta, in cui si mira l’avveduto bambi
ra l’avveduto bambino dissimulare con un riso artificioso l’imbarazzo
della
sua sorpresa, e far cenno col dito per inculcare
nel predio dei Sabi a Quintiliato, contrada cosi detta dalle reliquie
della
villa di Quintilio Varo. Gli eruditi spositori de
apo e tiene la clamide ravvolta al braccio sinistro, emblema consueto
della
sua speditezza, per cui gli furono anche attribui
rcurio il soprannome di verga d’oro κρυσορραπις e vien detto la verga
della
felicità e della ricchezza dall’autore dell’inno
ome di verga d’oro κρυσορραπις e vien detto la verga della felicità e
della
ricchezza dall’autore dell’inno omerico, che ne d
tatue erano situate nei Fori, ai quali presiedeva, non solo come nume
della
Eloquenza, ma ancora come divinità tutelare del C
i muro alla città. Questo è il piano sottoposto al monte ed al tempio
della
Fortuna Primigenia, che ne abbelliva le falde fin
mò Virgilio che apportatore lo fa dei cenni di Giove ad Enea immemore
della
Italia promessagli dal destino. Così traduce Anni
no a questo simbolo molto fa veleggiarono gli antichi. Omero, custode
della
prima semplicità della favola, nell’Inno attribui
to fa veleggiarono gli antichi. Omero, custode della prima semplicità
della
favola, nell’Inno attribuitogli narra che gli fu
nell’Inno attribuitogli narra che gli fu data l’aurea verga in cambio
della
lira da Apollo, che la cura gli affidò degli arme
ricca l’umana gente; e al parer di altri, più probabile, dalla figura
della
statua di lui Erme nominata, colla quale comuneme
esse rivolgevano la testa del nume, sotto la quale ogni avvolgimento
della
via era indicato. Arpedoforo cognominavasi Mercur
comune. Se però consentivano su questo punto, dissentivano sull’altro
della
nuova denominazione, Alcuni s’immaginavano di rav
erò nè la pelle leonina, nè la grossezza del collo, nè la proporzione
della
testa nè finalmente la fisonomia, ch’è nel nostro
; disconviene finalmente l’assenza totale dei distintivi del vincitor
della
belva di Calidone, che non solamente nella nostra
tra statua posson mancare, ma nelle tante copie antiche e ripetizioni
della
medesima che sussistono in Roma e fuori, non appa
a vigorosa complession delle membra che palesa l’inventore o il padre
della
palestra, al dir di Filostrato. sua figlia; a lui
ione degli antiquarii, il manto ravvolto al braccio sinistro, simbolo
della
sua speditezza nelle tante incombenze delle sue m
terminarli. « Ecco dunque schiarito e ridotto a certezza il soggètto
della
statua Vaticana, aggiungendo al peso delle soprac
a di scultura nella quale sia giunta a tanta perfezione l’espressione
della
carne, difficilissima in un ignudo nobile e giova
mmaginata o eseguita con più ardire, o si consideri il serpeggiamento
della
figura, il rilievo dei fianchi, il contorno delle
gente Pussino non ha prese sopra altro marmo le più belle proporzioni
della
figura. E il numero delle copie antiche che ci ri
ssica, che non ne oscurano il merito singolarissimo. La figura stessa
della
statua Salisburgense, riportata in Grutero, ne di
he il contorno del basamento antico nel quale è incassato il piantato
della
statua, è tutto segnato di colpi di scalpello; lo
lla palestra ornasti, e col sonante Carme fecondo; Te canto, o padre
della
curva lira, Al faretrato iddio dono maggiore Dell
eri del sole, il custode del futuro, di cui dilegua le tenebre; il re
della
Delfica terra, di Claro, di Tenedo, e dei regni P
ella, emula illustre che seco divide l’impero del cielo, e va superba
della
luce fraterna. In Delo una palma additava ove la
quello che gli procurò l’amore paterno. Aveva Esculapio, peritissimo
della
medicina, trovato il mezzo di sottrarre i mortali
aette sui Ciclopi fabbricatori del fulmine, arme di Giove, e ministro
della
morte vendicata. Sdegnato il padre degli uomini r
avalle del re, e nel pingue lago Bebeide lavava le chiome, già gloria
della
madre. Quante volte Diana arrossì incontrando nel
iane. Non adoprò il dio, secondo Ovidio, i comuni mezzi, ma col suono
della
lira volontarie le pietre si unirono perché sorge
iovarono a Febo le preghiere, le promesse per fermare il timido corso
della
giovinetta, cui la fuga accresceva bellezza. Ali
tto quando amore lo prese di Leucotoe, ch’egli deluse nelle sembianze
della
genitrice. Le invidiò gli amplessi immortali la n
bili il volto dell’iddio fuggente. Pietà crudele diede fine alla pena
della
sventurata, in croceo fiore, detto Elitropio, tra
in parte ho tradotto. Apollo detto il Saurottono. « I capi d’ opera
della
scultura furono eternati dall’ammirazione degli a
mani. — Poco più c’insegna questo epigramma di ciò che il nome stesso
della
statua ci apprenderebbe, giacché altro non vale i
pprenderebbe, giacché altro non vale in greco saurottono che uccisore
della
lucertola. Nò il soggetto rappresentato in questa
e insidiante ad un serpente lucertola con una saetta da vicino. L’età
della
nostra figura, l’attitudine di scagliare una frec
in simile attitudine esistono ancora al presente, e sono 1’ attestato
della
celebrità del loro originale. Quella della Villa
sente, e sono 1’ attestato della celebrità del loro originale. Quella
della
Villa Al bani è in bronzo, ma non posso crederla
in marmo sono più grandi, ed alcune, fra le quali la nostra e quella
della
Villa Borghese, di più elegante lavoro. » Inno
desio vi prende Di fermar mura sopra basi antiche. Ma fine a gli ozj
della
lira impose Il canto, e ancor l’ammiro. Adesso ud
go ove la Terra rendeva le sue risposte, e che Dafne, una delle ninfe
della
montagna fu scelta dalla dea onde vi presedesse.
sembrare incredibile, poiché Acrisie avea fatta edificare una camera
della
stessa materia per la sua figlia, la quale si ved
ciato di nuovo sotto l’arcontato di Ersiclide in Atene, il primo anno
della
Lvm Olimpiade, illustrato dalla vittoria che Diog
ità Parnaso avesse in questo luogo una città,fondata. Egli era figlio
della
ninfa Cleudora, e, come tutti gli eroi, passava p
ittà ha tolto la sua denominazione. Altri dicono che Castalio, figlio
della
Terra, ehhe una fanciulla chiamata Tia, che fu la
oni fecero delle variazioni, perchè, lasciando J sussistere il premio
della
musica e della poesia, ne aggiunsero due altri; u
e variazioni, perchè, lasciando J sussistere il premio della musica e
della
poesia, ne aggiunsero due altri; uno per quelli c
ezione. Udite intanto da Orazio nuove lodi del nume. Nume, che ultor
della
fastosa lingua Sentì la prole Niobea, che l’ arco
ei numi è padre. Non donava ad Enea patria migliore, Vinto dai preghi
della
Cipria dea E dalla voce tua, padre del canto. Ete
ghi della Cipria dea E dalla voce tua, padre del canto. Eterna gloria
della
lira argiva. Febo che lavi nel tuo Xanto i crini,
ella lira argiva. Febo che lavi nel tuo Xanto i crini, L’onor difendi
della
Daunia musa. Imberbe Ageo. Tu gli animosi spirti
ndio. Il tempio di Apollo ha la stessa posizione ed occupa gran parte
della
città, e molte strade vi fanno capo. « Annovererò
cavalli di bronzo e nelle immagini de’prigionieri. Questo monumento è
della
scuola di Agelada Argivo. Accanto vi è il tesoro
ome di tesoro una specie di cappella, i primi per lasciar una memoria
della
pugna di Maratona, i secondi di quella di Leuttra
nsacrati dai Focesi; Giove Ammone sul carro, dono dei Cirenei, popolo
della
Libia di origine greca; una statua equestre di Ac
Giove in bronzo e l’immagine dell’Isola d’Egina dei Filasi, l’Apollo
della
stessa materia, appartiene agli Arcadi di Mantine
d essa si racconta. Cigno figlio di Nettuno, che regnò a Colono città
della
Troade, verso l’isola Leucofri, sposò Proclea fig
detta. Qualche tempo dopo. Cigno scopre la menzogna e la sceleraggine
della
moglie. S’imbarca e va in traccia dei figliuoli p
fo bellissime sentenze leggevansi, e di somma utilità per la condotta
della
vita. Tralascio di riportarle, giacché sono notis
io di riportarle, giacché sono notissime, spettando ai Sette Sapienti
della
Grecia, e parlerò solo del come è concepita la ri
ade, quando ci sappresenta Elena che va colle sue donne verso le mura
della
città. Sopra Elena vi è un uomo seduto, vestito d
confronto. Niobe. O fortunata fra l’Ismenie madri, Niobe, se altera
della
propria sorte Non eri. In mezzo alle tebane vie,
elo instabil suolo. Qui fu madre di due figli, che sono Settima parte
della
nostra prole. Io son felice, e di fortuna rido Le
anca nella destra il freno. Dubita il corpo, e lento, lento cade. Ode
della
faretra il fischio, e volge Sipilo il freno, qual
statua, che già da tre secoli si am mira in Vaticano come il miracolo
della
scultura non.può essere sì degnamente descritta c
membra, che ne conservano ancora un certo ondeggiamento, come quello
della
superfìcie del mare il momento dopo che è cessato
de’ re, sono così elegantemente increspati e ravvolti, che danno idea
della
sorprendente bellezza della chioma di Febo più ch
nte increspati e ravvolti, che danno idea della sorprendente bellezza
della
chioma di Febo più che gli epiteti di χρυσοκομοςe
ll’antica città, celebre nella storia romana e pel porto e pel tempio
della
Fortuna, e per le delizie imperiali chiamate da F
ressamente dai periti e professori di questo genere e in ciò la forza
della
verità mi obbliga a dissentire da un grand’uomo d
zione di ciò, che vi ha di più sorprendente nei pezzi dei più insigni
della
greca scultura, non è però confermata dalla verit
ndo allor conosciuto, potea ben meritare l’ornamento dei capi d’opera
della
scultura che si vedeano tal volta ornare come l’E
no la perfetta eguaglianza dei piedi nella lunghezza, e la situazione
della
clavicola non precisamente equidistante dagli ome
morte, ma nel tempo stesso col serpe ai piedi, simbolo dei rimedii e
della
salute; per mostrare che il morbo eccitato dall’i
operata dal sole de’ vapori maligni esalati dalle grandi inondazioni
della
terra confuse col diluvio universale, perciò adat
lisi, spande sulle virili forme di un’età perfetta i piacevoli tratti
della
ridente gioventù, e sembra che una tenera morbide
to in una piena compiacenza, portasi quasi all’infinito bene al di là
della
sua vittoria. Siede nelle sue labbra il disprezzo
na delle altre deità sono proprie. Egli ha di Giove la fronte gravida
della
dea della Sapienza, e le sovracciglia, che il vol
ltre deità sono proprie. Egli ha di Giove la fronte gravida della dea
della
Sapienza, e le sovracciglia, che il voler supremo
sovracciglia, che il voler supremo manifestan con i cenni; gli occhi
della
regina degli Dei in maniera dignitosa inarcati; é
oiché fermò sua dimora in Parigi, mutò d’opinione riguardo all’autore
della
celebre statua dell’Apollo di Belvedere, e alla q
ie immaginabili, perchè il mentovato Artefice conservava qualche cosa
della
durezza e della magrezza delle scuole più antiche
perchè il mentovato Artefice conservava qualche cosa della durezza e
della
magrezza delle scuole più antiche. Quindi non è l
llo scolpire la Venere Medicea aveva ritenuta l’attitudine principale
della
Venere Gnidia. Quanto al marmo della statua il Vi
ritenuta l’attitudine principale della Venere Gnidia. Quanto al marmo
della
statua il Visconti dice sostenersi dai mineralogi
r dianzi sul Piton, che mille Campi ascondea con spazioso giro, Votai
della
faretra il peso immenso. Con la tua face le conce
coi novelli rami Il suo lauro acconsente, e quasi capo Scosse l’onor
della
frondosa cima, Raro dono al Poeta, e che di Giove
l’antichità lo distinse. Così il primo favella: « La più sublime idea
della
giovinezza virile ideale si scorge principalmente
ltronde nella pittura il contrasto dei capelli neri con la bianchezza
della
carne è troppo duro, e produce un effetto meno pi
di Simonide m’impegna a fare questa osservazione. La prima è il tono
della
voce di una vergine che esce da una bocca di porp
bella e significantissima, che si trova in una medaglia. La medaglie
della
città di Tessalonica offrono Apollo che si corona
sto nume: in quello che ora spieghiamo, ravvisiamo solamente il padre
della
poesia, il nume dei Vati, il condottier delle Mus
arisce un dio che accompagna sulla cetra celeste le soavi modulazioni
della
sacra favella de’ vati. In osservare questa bella
esso gli antichi dalle medaglie che ci rimangono. È noto, per infamia
della
storia augusta, il fanatico trasporto di Nerone p
famia della storia augusta, il fanatico trasporto di Nerone pel suono
della
cetra e pel canto, che lo fece discendere sino a
Apolline può riferirsi a simil costume: questa gemma unica nel centro
della
corona, che corrisponde alla fronte, soleva adorn
io dei poeti ragguardevole per aurea palla, tratta le armoniose corde
della
dorata lira. E Tibullo: L’estremità del peplo, o
é più alta delle cinture ordinarie: era questa un altro abbigliamento
della
vestitura scenica, come può ancora congetturarsi
della vestitura scenica, come può ancora congetturarsi dalle immagini
della
Musa tragica, e di quella delle tibie, fornite ne
iudizio de’ Presidenti dei giuochi per aver motivo di più compiacersi
della
vittoria. Quel corpo rettangolare, che si disting
uel corpo rettangolare, che si distingue verso la estremità inferiore
della
cetra, era detto Magade dagli antichi, e lo trovi
ossi in face obbliqna Tre volte. Non avea sparsi sul collo I crini, e
della
lira il suono inerme; Ma quel sembiante che al ma
torno. Al Nilo Fugge l’infamia dell’Egitto, e solo Le lascia arbitrio
della
morte il Fato. Ahi: trionfo miglior fora una donn
esponendosi al Minotauro infamia di Creta. Sopra Pachino, promontorio
della
Sicilia, fu chiamato il nume Libico, perchè colla
qualità di questo dio, che simboleggia il Sole « Il ministro maggior
della
natura. » Più incerta ancora è la ragione per cu
raclide Pontico, non appartiene ai tempi Omerici), ma perchè autore è
della
luce primogenita degli esseri e dell’universo, La
lfo sarai pianto. » È celebre il tempio che aveva pure a Triopo città
della
Caria il dio, onde Triopo fu appellato, ed i vinc
i bronzo. Diede al dio il nome d’Ismenio il colle Ismene, che sorgeva
della
destra porta di Tebe all’ingresso, celebrato da d
ale con doppio lume fa heto l’universo, rallegrando ancora le tenebre
della
notte colla luce che sparge nel volto della Luna.
egrando ancora le tenebre della notte colla luce che sparge nel volto
della
Luna. Filesio chiamarono Apollo dal bacio che die
un’Ode, di cui vi ho letta la traduzione. 14 Patareo da Patara città
della
Licia lo dissero, onde il Lirico mentovato cantò:
dal lavoro La materia era vinta. È da Vulcano Qui sculto il mar, che
della
terra abbraccia Il globo, e il cielo che sovrasta
trappò dal largo petto le lane ferruginee. Eccovi esposti i principii
della
fanciullezza di questa diva, i cui attributi unì
da Medoro, famoso per la fedeltà e per gli amori non sperati, frutti
della
sventura. « O santa Dea, che dagli antichi nostr
Panfili a Clemente XIV, la quale esprime eccellentemente il movimento
della
dea e ne’ capelli che leggermente svolazzano, e n
nkelmann meritamente la stimò la più bella fra le figure non succinte
della
figlia di Latona. Si vede la dea in atto di estra
ia che tuttavia non sia stata scolpita succinta, quando in una moneta
della
famiglia Ostiglia l’osserviamo in veste talare co
poi si può dare che l’espressione del nostro simulacro non sia quella
della
caccia, ma che lanci i suoi dardi o contro il ten
frequentemente in figure virili, e anche barbate, che sono per altro
della
compagnia di Bacco, per tacere l’immagine di ques
tebano alcuna cognita relazione. Potrebbe dirsi che Bacco, come deità
della
campagna, era ancora una delle deità della caccia
irsi che Bacco, come deità della campagna, era ancora una delle deità
della
caccia. Spesso in atto di cacciatori veggonsi i F
lume per riconoscere Ercole in abito femminile nel superbo simu lacro
della
Villa Panfili, spiegato per Clodio da certi antiq
licenza de’ baccanali, da quest’ultima circostanza indicati nel marmo
della
Villa Panfili, e nel bronzo di Napoli dalla coron
ale. Sarà stata questa qualche eccellente opera di rinomati artefici,
della
quale non vi è restata negli scrittori memoria. H
secondo Callimaco, allorché dice ch’ ella desiderava d’esser ministra
della
luce, « E di portar la tunica succinta Sino al
n tal guisa, e segnatamente Atalanta nel bel bassorilievo Borghesiano
della
morte di Meleagro. Fu trovata la presente statua
cingersi di mirto, perchè un ramo di quest’albero si attaccò al velo
della
donzella mentre fuggiva. Fu tua compagna ancora C
urono chiamati per la caccia del cignale di Calidone: infatti i segni
della
vittoria vennero in Arcadia, che possiede ancora
segni della vittoria vennero in Arcadia, che possiede ancora i denti
della
belva. Nè Ileo e lo stolto Reco, benché nemici, p
e sciolse le navi. Agamennone pose nel tuo tempio in Aulide il timone
della
sua nave, quando i venti imprigionati differirono
dare come lo sono per lo più le figure di questa divinità. Gli angoli
della
bocca sono un po’ rivoltati all’ insù, e piccolo
to: vedesi però chiaramente esser questa sembianza un’idea imperfetta
della
bellezza anziché ricavata dal naturale: pure bell
i bianchi per indicare il ricamo: nella stessa guisa é dipinto l’orlo
della
sottoveste. Rossa è la cigna della faretra, che d
ella stessa guisa é dipinto l’orlo della sottoveste. Rossa è la cigna
della
faretra, che dalla spalla destra viene a passare
stendasi sui circostanti oggetti. I suoi capelli sono d’ogni intorno
della
testa ripiegati in su, e di dietro alla maniera d
Cipselo. Sopra un’urna eh’ è nel Campidoglio, e sopra un bassorilievo
della
Villa Borghese, queste ninfe tengono i cavalli at
chi imitavane gli studii. Giova rammentare fra molti Ippolito, emulo
della
castità di questa dea, tanto da meritare l’ira di
questa dea, tanto da meritare l’ira di Venere, cui soddisfece l’amore
della
delusa matrigna. Diana, nella tragedia di Euripid
. Quindi ho creduto potere aggiungere a questa Lezione la descrizione
della
morte di Ippolito, la quale ho tra ciotta da Raci
essi delle divinità, alle quali erano consacrati. Adempio all’obbligo
della
mia promessa ragionando del famoso tempio sacro a
i fanno; ed affinchè le fondamenta di un sì pesante edifizio avessero
della
sodezza in quel morbido terreno, ed inzuppato d’a
o stesso autore; ma non so se vorremo prestar fede a ciò ch’egli dice
della
scala, per cui salivasi sino alla cima del tetto
concorso di gente che portavasi ad Efeso. Quel che racconta San Paolo
della
sedizione tramata dagli orefici di questa città,
di mano di Prassitele. Parla Senofonte di una statua d’oro massiccio,
della
quale Erodoto, che visitato avea questo tempio, n
, che tolto avea Diana il ferro dello strai volante. Cresce la rabbia
della
belva. È lieve Sembianza all’ira sua folgor che a
mpagni: e chiede Toccare ognun la vincitrice destra. E lui, che tanto
della
terra ingombra, Miran stupiti, e l’accostarsi app
empie le vie, Cangia l’aurato ammanto in veste negra. Quando l’autor
della
recente morte Noto le fu, lascia il dolore, e mut
di vendetta il vano pianto. Eravi un ramo, che le tre sorelle Arbitro
della
vita avean sul fuoco Posto allora ch’Altea dal gr
e nomi diversi Traggono un solo cor. Spesso sul volto Stava il pallor
della
futura colpa: Ora è simile a chi crudel minaccia;
il ramo, e innanzi all’ara Dei sepolcri si prostra, e dice: dee. Dee
della
pena, al sacrifìcio orrendo Rivolgete la fronte:
i. Il genitore i crini Canuti e il volto nella polve intride Col fato
della
lunga età sdegnato. Dalle furie inseguita, il suo
o i caldi baci Trattengon: dopo il rogo al mesto petto L’urna custode
della
muta polve Si stringe, il nome sulla tomba impres
o da bovi. Per testimonianza di Festo, anche il mulo univasi al carro
della
diva. Ippolito Pindemonte dice con molta leggiadr
ta Diana, perchè da uno dei Titani nata. Partenia sì disse dall’ amor
della
castità, o più propabilmente da Partenio monte di
nte illustrazione: « Assai ci sorprenderebbe la stravagante immagine
della
dea, che in questa tavola ci si presenta, quando
quando già da troppi monumenti non conoscessimo il mistico simulacro
della
celebrata Diana Efesina. Se dunque non ce ne giun
to antichissimo simulacro, cioè, che lo consideravano come un simbolo
della
natura. Così si esprime quel dottissimo Padre ne’
basta per poter riguardare la Diana d’Efeso come l’ immagine mistica
della
natura, o della terra medesima confusa colla natu
riguardare la Diana d’Efeso come l’ immagine mistica della natura, o
della
terra medesima confusa colla natura stessa per es
i piramidi, di colonne furono per divinità venerati, così nella forma
della
nostra figura ravvisiamo le traccie di simili roz
ll’arte egizia, che pure ne’ tempi antichissimi potè avere sulle arti
della
Grecia e dell’Asia qualche influenza, non dubiter
an relazione all’idea che si eran formata que’ popoli del significato
della
lor divinità. A questa sola spiegazione lian rapp
ante, non ha quindi potuto conservarci simile particolarità. La testa
della
nostra Diana coronata di torri si assomiglia in c
ta della nostra Diana coronata di torri si assomiglia in ciò a quella
della
Cibele dell’orbis terrarum, o dell’universo, ed è
rnata perchè munita in eccelsi luoghi sostiene le città, come simbolo
della
Terra, che riguardata come la madre delle cose qu
n’ altra probabilità per tal congettura. « Essendo tutto il simulacro
della
dea ornato di figure di animali, tutti prodotti d
li mostruosi animali. I leoni si veggono sulle spalle e sulle braccia
della
dea: ma quello che v’è di più osservabile è il su
il suo petto e la sua collana. Pendono dal primo sedici poppe simboli
della
propas^azione e della fecondità. La seconda scend
collana. Pendono dal primo sedici poppe simboli della propas^azione e
della
fecondità. La seconda scende a guisa di luna cres
lo Zodiaco, e così alate appunto, e come ninfe, o seguaci di Diana, o
della
Luna, rappresentate ne’ bassi rilievi esprimenti
sta immagine misteriosa, e conosciuto che abbiamo esser tutti emblemi
della
natura, altro non ci resta a notare, senonchè le
Era questo Demetrio un orefice che lavorava in argento dei tempietti
della
dea con una certa somiglianza al gran tempio di E
e opere. Una somiglianza di quel gran tempio, o piuttosto del sacello
della
dea, esiste in piccolo, lavorata in oro dagli ant
ente al nostro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto il sa cello
della
dea che il gran tempio, perchè diversamente archi
pa: appena Alza gli occhi dal suolo, e non si unisce Qual pria soleva
della
diva al fianco Fra le ninfe primiera. Ammuta; e c
da Pausania, lasciò scritto che Minerva dicevasi figlia di Nettuno e
della
palude Tritonide, e questo favoloso natale attest
li con le quali dalle fanciulle celebrata era in quel loco la nascita
della
dea. Inventore dell’opinione che vuol Pallade nat
he Rodi ancora si arrogava questo vanto. Apollodoro nel secondo libro
della
Biblioteca dà per genitori a Pallade Euritia e Or
tisse il cognome, perchè alle fraterne morti aggiunse Fallante figlio
della
Terra. Nei petti più sicuri poneva terrore lo scu
ante figlio della Terra. Nei petti più sicuri poneva terrore lo scudo
della
dea, che nel fine della presente Lezione vi sarà
Nei petti più sicuri poneva terrore lo scudo della dea, che nel fine
della
presente Lezione vi sarà descritto per Omero trad
ra Palla, e di commesso Lo fregiavano a gara. Erano i fregi Nel petto
della
dea groppi di serpi. Che d’oro avean le scaglie,
tacere, alcuni scrittori danno ad essa e ad Esculapio Igia, o la dea
della
salute, per figlia. Assai delle azioni e degli at
la dea della salute, per figlia. Assai delle azioni e degli attributi
della
dea. Passiamo a trattare di più interessante sogg
è col serpente, ella si chiama Igiea, Peonia; perchè madre d’Igia dea
della
salute, come vi accennai: cosa talmente conosciut
era si chiamava Pallade Musicale, perchè si pretendeva che i serpenti
della
sua egida si movesseso quando si suonava il flaut
insegna che gli Ateniesi rappresentavano questo animale sull’armatura
della
dea, perchè era forte e sagace. Gli Etruschi atta
eggio qui però osservare che questa dea sulle greche monete d’argento
della
città di Veha in Lucania, ove ha un elmo alato, t
eca Vaticana. » Udite adesso quel che Visconti nota sopra una statua
della
dea. « Questo elegante simulacro di Minerva Arma
ata ha segni troppo distinti per riconoscervi al primo sguardo la dea
della
Guerra. Ha Telmo in capo, suo ornamento insieme e
lei sacro per la somiglianza del colore delle sue pupille con quelle
della
dea. Gli antichi, accuratissimi osservatori delle
glie e stragi. Ha F egida al petto, corazza di Giove, fatta dal cuoio
della
capra Amaltea, ove è il terrore, la tenzone e la
altea, ove è il terrore, la tenzone e la fuga, simboleggiata nel capo
della
Gorgone, che vi trionfa nel mezzo. Ecco come ce l
uto che talvolta si figurava la Gorgone dell’ egida colla lingua fuor
della
labbra; e così esistono in Roma varie teste di Me
in una simile testa rappresentata in gemma han travedute la immagine
della
Verità. Che gli antichi per altro supponessero la
endo apparsa la dea alla sua sacerdotessa lodamia, questa all’aspetto
della
Gorgone divenne sasso. Il resto dell’abito convie
Spartane, e il manto assai bizzarramente ripreso dalla cintura stessa
della
tunica. Quando la dea andava in guerra, nell’alla
elle Arti, e il parto del cervello di Giove che colle figlie di lui e
della
Memoria. Si vedevano perciò queste divinità nel t
Lascia cader lo storiato peplo Dell’ingegnosa mano opra ammiranda, E
della
guerra lagrimosa indossa Tutta la maestosa orrida
poiché in Atene sopra il Ceramico vi era un tempio, ove il simulacro
della
dea era con occhi di questo colore figurato. Pens
un’ara nell’Areopago che le consacrò Oreste, assoluto pel di lei voto
della
pena decretata al matricidio, onde colpevole, gui
re, fu detta perchè la prima inventò il cocchio con evento più felice
della
tibia, giacché favoleggiarono che dopo l’invenzio
Doriesi, due sorelle, Euritio ed Ellolide, si rifugiarono nel tempio
della
diva, e qui perirono nella comune ruina. Fu dalla
cro, che da loro fu nominato. Rinomato presso i Danni, antichi popoli
della
Puglia, fu il tempio di Pallade Achea, dove fama
e poterono la servitù sovrastante. Minerva col titolo d’ Igiea, o dea
della
Salute, ebbe statua nella rocca di Atene, che Per
i Minerva col titolo di Ergane, così detta perchè presiedeva all’arte
della
lana, della gloria della quale era gelosa, come l
l titolo di Ergane, così detta perchè presiedeva all’arte della lana,
della
gloria della quale era gelosa, come lo indica la
rgane, così detta perchè presiedeva all’arte della lana, della gloria
della
quale era gelosa, come lo indica la favola di Ara
orio e d’oro, ed opera di Fidia, per quello che si credeva. Sul casco
della
dea l’artefice avea rappresentato un gallo, o per
allo, o perchè degli uccelli è il più coraggioso, ovvero come simbolo
della
vigilanza necessaria per le fatiche. In un villag
rra, gentilmente reggendolo colla manca, è tanto somigliante a quello
della
Minerva Pacifera delle medaglie imperiali che si
o, ammirata in Atene col nome di Minerva Musica, i serpenti di bronzo
della
di cui armatura erano con tanta sottigliezza ed a
di tre piedi. — Non solo la forma, ma anche la grandezza dello scudo
della
nostra statua corrisponde colla riferita descrizi
ello scudo della nostra statua corrisponde colla riferita descrizione
della
parma. Che poi tale si fin gesse lo scudo di Poll
lle figlie di Adrasto, è chiamato da Stazio orbe di bronzo. In quello
della
nostra statua è osservabile l’imbracciatura, dett
e per l’azione che ci esprime al vivo il carattere bellicoso e feroce
della
vergine guerriera, ed insieme l’etimologia del su
condo ha avuto l’origine dal furor militare, o dal minaccioso aspetto
della
dea, niuna immagine ci può meglio rappresentare M
nkelmann, e disposta a guisa d’ammanto si osserva nell’insigne cammeo
della
santa cappella di Parigi, rappresentante l’apoteo
tanto espressivi non si avessero piuttosto ad attribuire ad Enio dea
della
guerra, anzi la furia stessa che presiede alla st
nerva medesima volle adorno Giasone, poiché Tebbe compagno nel lavoro
della
nave d’Argo. Osservando attentamente le pieghe di
ente non rappresentata a caso, voglia indicarsi l’egida onde il petto
della
dea si suppone armato, la quale coi rilievi dei s
nte non imitabile. « Sono diverse negli antichi monumenti le immagini
della
dea di Atene coperta del paludamento della guisa
ichi monumenti le immagini della dea di Atene coperta del paludamento
della
guisa stessa che la nostra è rappresentata: fra l
itolo di Pacifera, e viene considerata come dea tutelare delle Arti e
della
Sapienza. » Solevano in un determinato giorno de
ne Callimaco nel sesruente Inno, in cui si propone di cantare le lodi
della
dea, alle quali dà principio esaltando la cura e
ier la polve Prima non tolse allo stancato fianco; Nè allor che vinti
della
terra i figli Tutte l’armi portò lorde di sangue:
nome. Esci, Minerva Sterminatrice di città, che l’elmo Dorato porti,
della
bionda testa Ornamento e terrore. A te diletta Co
io; e tu felice, Diva, sei stata, che dai monti avesti Privo soltanto
della
vista il figlio. Deh non piangere, o cara: il tuo
e belve, favoleggiarono i più fra gli antichi che nascesse dal sangue
della
disonesta ferita, colla quale Saturno mutilò Celo
ciarla, ed ognuno chiedeva di prenderla in moglie, ammirando le forme
della
diva coronata di viole, e dalle nere palpebre. Fi
rtamente dea non temesse. Ancliise la esaminava e stupiva ad un tempo
della
figura e delle vesti stupende, poiché era coperta
eva fama maggiore ed annual tributo di lacrime, come udirete nel fine
della
presente Lezione da Mosco in un bellissimo canto
ne gli amanti amano gli uccelli. Così questa dea si trova suU’ altare
della
Villa Borghesi. Nel numero dei suoi attributi è a
i proprii di Venere vi fa conoscere questa dea piuttosto che Giunone,
della
quale gli occhi avevano un’ aria di maestà e di g
Venere, egli dice, occupar deve il primo luogo fra le dee, e come dea
della
bellezza, e perchè (tranne le Grazie, le Stagioni
mminile che in questa si scorgono, ammiransi pure nella Teti seminuda
della
Villa Albani rappresentata in quell’età in cui sp
ravasi, per valermi dell’espressione di Euripide, come il consigliere
della
saviezza. « Quando io dissi poc’ anzi non trovars
che ha voluto (così il Visconti) rappresentare in questo marmo la dea
della
beltà in tutto quel maggior risalto che acquistan
divine, non è restato inferiore nell’esecuzione alla bellezza sublime
della
sua idea, tanto è regolare nei lineamenti, vezzos
a dell’ A ntolos^ia non dubita di chiamare simili vasi arli alabastri
della
dea. Questo alabastro serve appunto per determina
i. Fu rinvenuta questa bella scultura nella tenuta di Salone a destra
della
Via Prenestina in un sito ancor oggi detto Prato
dall’acque e dai bagni che lo rendevano anticamente delizioso. Presso
della
medesima fu disotterrata una base antica con lett
a stata lavorata in un tempo tanto lontano e così presso all’infanzia
della
scultura come quello in cui visse questo rinomato
à la luce di qualche debole congettura, potremmo supporla una replica
della
Venere nel bagno di Policarmo ammirata in Roma e
ti. Ericina dissero pure la diva gli antichi scrittori da Erice monte
della
Sicilia, sopra il quale Enea edificò un tempio al
immagine di Venere collo scudo in mano del dio Marte: l’affibbiatura
della
cui veste caduta dalFomero manco, sino verso il g
rgomento. Inoltre giova osservare che le pieghe regolari ed artefatte
della
sua tunica, la quale ne contorna le membra e ne a
re questo bel simulacro di Venere, quanto il presentarci una immagine
della
Venere di Guido, capo d’opera di Prassitele, anzi
una immagine della Venere di Guido, capo d’opera di Prassitele, anzi
della
scoltura, lavoro inclito nell’universo, secondo l
iosamente riflettuto il cavalier Mengs, che la straordinaria bellezza
della
testa di questa statua, superiore al resto delle
dì nostri? Il vaso è un idrio servito per l’acqua del bagno; la cura
della
beltà han cercato gli antichi di esprimere con qu
utto il nome Romano, non abbia voluto rappresentar Venere come la dea
della
mollezza, ma in una guisa che convenisse ad una m
orlo in tempo di pace, allorché accarezzando Marte sospende il furore
della
guerra, e fa sì che i feri uffici della milizia p
ando Marte sospende il furore della guerra, e fa sì che i feri uffici
della
milizia pei mari e per le terre tutte dormono sop
à, che mal soffrendo la novità del reirno maritale, turbava i silenzi
della
pace celeste. Ed altrove asserisce che dalla madr
sofferta fu creduta dagli antichi, giacché Platone nel secondo libro
della
Republica e Pausania nelle Attiche narrano che il
o con molta vaghezza paragona questa gara alla nostra vita, essendovi
della
morte bisogno perchè crescano i secoli avvenire.
sembra qui essere attribuita a questo dio. Sopra un antico monumento
della
Villa Negroni, sopra un’ urna del Campidoglio, e
lla Negroni, sopra un’ urna del Campidoglio, e sopra un basso rilievo
della
Villa Borghesi, si vede lavorar coi suoi compagni
a e mare, e degli aerei campi Vedi l’azzurra volta; il Sole eterno Re
della
luce, e i candidetti rai Della notturna amica div
à certa È di pronta conquista, e sol consulta Della sorte dei vinti e
della
preda. Ma non per questo l’assediata gente Perdea
innanzi Van Marte e Palla, e Dei li scorgi all’alto Mao-oioreo’oriar
della
lor forma: in mezzo È ‘1 rio Fracasso, e la Disco
tal finzione appartiene alla Mitologia meno antica, ed Esiodo custode
della
prima semplicità delle favole non nega a Giove la
licità delle favole non nega a Giove la gloria di esser padre del dio
della
guerra. Tero, che in greco suona lo stesso che la
li fu nutrice, e presso barbare nazioni fu educato. 16 Coi principii
della
favolosa infanzia del nume vollero gli antichi si
trione in greco significa lo stesso che gallo, e porta ancora la pena
della
sua negligenza e del rossore di Marte, annunciand
ite altre vittime nei verri, quantunque il cavallo per la simiglianza
della
ferocia fosse di lui propria offerta. Si annovera
perchè violar voleva Alcippe sua figlia, difese con successo la causa
della
sua vita alla presenza di dodici Dei, e ne fu per
cose intorno al nume, le quali è prezzo dell’opera il ridire, giacché
della
storia di esso sono gran parte. Oto ed Efialte fi
va stessa, onde la dea suscitò Diomede a pugnare contro lo stesso dio
della
guerra. Appena lo ebbe Marte veduto che la lunga
Olimpo tu mi sei il più odioso. Tu non provi altro piacere che quello
della
discordia e delle guerre. — Pure, essendo suo fig
uo padre contro gli adulteri, ed essendo stato informato che una dama
della
sua corte avea commercio impudico con un cortigia
e avesse due templi: il primo nella città col titolo di Quirino, come
della
pubblica sicurezza custode; il secondo fuori dell
o di Quirino, come della pubblica sicurezza custode; il secondo fuori
della
città vicino alla porta, quasi per allontanare i
ura di Alicarnasso e di Roma stessa vi erano templi consacrati al dio
della
guerra. I soli sacerdoti di Marte formavano in Ro
lie; in alcune altre si vede colla lancia e col caduceo, come arbitro
della
guerra e della pace. Qualche volta egli è rappres
altre si vede colla lancia e col caduceo, come arbitro della guerra e
della
pace. Qualche volta egli è rappresentato sopra un
tra con un anello alla gamba, alludendo forse alla favola accennatavi
della
prigionia fattagli soffrire dai figli di Aloeo, o
ha pensato che dalla barba di Adriano, il quale nell’immagine del dio
della
guerra è rappresentato in una statua del Museo de
i ha osservato che non solo le monete greco-italiche, ma alcune d’oro
della
Repubblica romana offrono la testa barbata di Mar
ata di Marte colla medesima fìsonomia. Udite da Stazio la descrizione
della
reggia di Marte, alla quale Giove manda Mercurio
lla guerra gli abitanti d’Argo nella famosa impresa dei Sette a Tebe,
della
quale favellerò a lungo quando l’ordine delle mie
à a trattare dell’ isterica mitologia. Io ho tradotto questo episodio
della
Tebaide, il quale è pieno di bellissime immagini,
ellissime immagini, come lo concedono le mie forze. Vide i principi:
della
Tiria guerra Giove, e scotendo la divina testa On
e deposta Ha Marte l’asta, o se le trombe e l’armi Move, e nel sangue
della
cara gente S’inebria, annunzia a lui l’ira patern
sidiò ancor questa fra le sorelle, e n’ebbe Proserpina, eterno dolore
della
madre, e regina delrinferno. Non vi è cosa più po
cosa fuggisse la luce del cielo e l’aspetto degli Dei. Tutti i frutti
della
terra perivano, sterminava la peste gli uomini e
così descrisse l’ Ariosto in questi versi divini: « Cerere, poi che
della
madre Idea Lasciata in fretta la solinga valle La
tareo fondo. » Orlando Fur., Canto 12, St. 1, 2. Andando in traccia
della
figlia pervenne ad un castello di cui era signore
za del fanciullo, e loro cadde in pensiero di osservare gli andamenti
della
nutrice. Scorse il padre fra le tenebre in agguat
anno a Cerere tutti gli attributi relativi alle messi ed alla cultura
della
terra. Ora vi è coronata di spighe di grano; ora
ntare la dea con le spighe di grano le avea fatto consacrare il segno
della
Vergine, essendo la spiga un bell’astro di questa
di Cerere erano ornati di fasci di spighe, ma degl’istrumenti ancora
della
mietitura. Si poneva la maggior parte di questi e
à, sia perchè la divinità alla quale erano sacri presiedeva ai lavori
della
campagna, sia, come pretende Vitruvio, che i cost
alato, o canestro, rinchiudeva dei fiori, e così diventava il simbolo
della
Primavera, come quello dell’estate quando era rip
i offre questa dea col calato sulla testa. Il papavero era un simbolo
della
fecondità, ed è per questa ragione che sopra alcu
corge una testa di papavero. Il serpente che è, per così dire, figlio
della
terra, doveva esser caro a Cerere, ancora che non
ordinariamente eglino hanno l’ali. Apuleio gli riguardò come i servi
della
dea, che si rappresentava ancora tirata da cavall
tanto antica. Noi vediamo ancora nei monumenti antichi Cerere tenente
della
mano diritta una testa di montone, animale che le
’inferno, onde rapita Proserpina il dotai Caos possiede: Dite l’error
della
delusa madre, Alma inventrice delle bionde spighe
rian rotta gli elementi in guerra L’antica fede del concorde mondo, E
della
terra ai liberati figli Sarebbe giunta la negata
ava Lachesi la primiera, e orrore al volto Crescean le sparse chiome:
della
notte Arbitro, o sommo imperator dell’ombre. Per
a minuta arena Col pie mal fermo, e non ha curvo ancora Il nuovo onor
della
lunata fronte. Già la matura giovinetta in core S
, stringere nel becco un topo, considerato con ragione come il nemico
della
dea delle biade. Ecco la ragione per la quale si
na di lauro altra origine non hanno; ed il leone, che sulle ginocchia
della
dea si vede, parmi alludere alla sua identità con
dea si vede, parmi alludere alla sua identità con Cibele, o la terra,
della
quale era simbolo speciale. A Figalia città dell’
l dolore in cui l’immerse Plutone rapitore di Proserpina, eterna cura
della
dea. La diversità delle opinioni mitologiche dove
oco da Iside differisce, o sia per accennare che deve lo stabilimento
della
sua religione alle colonie egiziane. I progressi
a si vede Cerere espressa con un velo che cade sulla parte posteriore
della
veste di lei: porta un alto diadema, dal quale es
zia regnava fra le dee. Perciò Cofìsidoro immaginò di fare una statua
della
Pace, che avesse in seno il giovine Pluto figlio
e ricchezze, e somministrandogli il modo di soddisfare alle necessità
della
vita, può fargli disprezzare, se è savio, i doni
alle necessità della vita, può fargli disprezzare, se è savio, i doni
della
Fortuna. Questa dea era lo stesso che Cerere, sec
raccolte, e per farci comprendere ohe tutte le ricchezze sono figlie
della
terra. Eschilo ];el principio della sua tragedia
he tutte le ricchezze sono figlie della terra. Eschilo ];el principio
della
sua tragedia delle Eiimenidi fa comparire la Piti
are brevemente il ratto di Proserpina, uno dei principali avvenimenti
della
storia di Cerere. Ai primi poeti, e fra gli altri
resentarono questo fatto inciso ancora sulle medaglie di molti popoli
della
Sicilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo a
ia di Cerere. Questa composizione allegorica può essere dei bei tempi
della
Grecia, perchè è semplice, e per intenderla non v
fianchi, la Sicilia trema. Le città dubbie con le mura ondeggiano, E
della
vista sol d’Etna le cime Conoscer lice: ne fronde
e volta il medio, o cesta, sul capo, e Winkelmann in due belle figure
della
Villa Negroni, credute Cariatidi, dubita di ravvi
medaglie di Palermo come Giunone, cioè col capo coperto da una parte
della
sua veste. Osserva Winkelmann che non si vede mai
citato non dà la chiave a Cerere se non perchè aveva preso la figura
della
sacerdotessa Nicippe. Cerere in nessun luogo è st
stata effigiata con sì belle sembianze quanto in una moneta d’argento
della
città di Metaponto nella Magna Grecia, esistente
se n’ esprime il dolore per la rapita sua figlia Proserpina. Le città
della
Ma^na Grecia e della Sicilia sem brano essersi mo
re per la rapita sua figlia Proserpina. Le città della Ma^na Grecia e
della
Sicilia sem brano essersi molto studiate di dare
ittori, che perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l’effigie
della
ninfa Aretusa. Quali siano le forme che a Cerere
Crispina, quantunque non simigli quell’Augusta che neir acconciatura
della
chioma, ben diversa nelle sembianze, le quali nel
io è ancor la presente statua, tolta, come la precedente, dal cortile
della
Cancelleria. La semplicità del disegno sembra che
e forme principali del nudo; davvicino sembrano una esatta imitazione
della
natura. Insomma se il precedente fa mostra di mag
re il petto sino alla cintura medesima e che siegue tutto l’andamento
della
veste soprapostavi; priva ancora nel capo di ogni
nsai che qualche soccorso potea trarsi dall’abitudine e dal carattere
della
figura medesima, persuaso che gli antichi così co
ettro, ben conveniente ad una dea ch’era fra le dodici deità maggiori
della
religione delle genti. « Siccome il suo culto fu
« Siccome il suo culto fu uno dei più universali, e per le campagne,
della
cultura delle quali era preside, e per le città,
ni chinar, balzò Cibelle Dai recessi, e volgea le prone torri Ai baci
della
dea. Dal ciel mirava Giove gli eventi, e a Citer
dea. Dal ciel mirava Giove gli eventi, e a Citerea rivela Gli arcani
della
mente. A te, diceva, Di mie cure il segreto affid
dano e fiamme dalle torve nari, E nitrito crudel, quasi presaghi Sian
della
preda che il signore attende. (Fine del primo li
di Orfeo, che le cerimonie sacre ad Osiride ed Iside ridusse al culto
della
dea ed a quello di Bacco. A Trittolemo, secondo a
di legittimi natali, scelte da un’assemblea del loro sesso. La spesa
della
festa era, secondo il solito, a carico dei mariti
andava alle cerimonie, ed era eletto dal concilio delle sacerdotesse
della
Gran Dea chiamate Miste. Il signor D’Hancarville
egio l’usar corone di fiori, perchè a Cerere rammentavano le sventure
della
rapita figlia, e con eguale rigore proibivasi di
na, per aver mangiato questo frutto, non potè ritornare agli amplessi
della
madre e alla luce. Digiunavano per un giorno, sed
e e alla luce. Digiunavano per un giorno, sedendo presso il simulacro
della
dea, o per astenersi dai suoi doni, o per timore
o il simulacro della dea, o per astenersi dai suoi doni, o per timore
della
carestia già da lei mandata sulla terra. Alcuni,
re un sacrifizio detto ^V7f/t« coli’ oggetto di allontanare lo sdegno
della
dea, se per caso nelle cerimonie avessero violate
bassi rilievi antichi. Yoi potrete scorgerle nel celebre vaso etrusco
della
Galleria, qualora l’opinione di Visconti sia vera
Ma quale è la cagione di questi misteri? Scorrendo Cerere in traccia
della
figlia per tutta la terra, seppe finalmente dagli
gì’ iniziandi; che prima dovevano, osservando il silenzio, dar prova
della
taciturnità necessaria per mantenere il segreto d
eri minori, e che nei maggiori si comprendevano gli arcani fondamenti
della
dottrina eleusina. Infatti quelli ammessi a’ prim
, che dell’asta all’ombra Sicure fa le Pandionie rocche; Una ministra
della
guerra, e l’altra Terror di belve: è nel cimiero
eusini. Nella notte, che fa maggiori le proprie ombre e i fantasmi
della
superstizione, s’ iniziavano i creduli volgari ne
e, e con mille altre apparizioni, spaventando le menti, le convinceva
della
santità de’ suoi prestigi. Secondo Aristide, il t
, che senza un sacrifizio non s’apriva Mani pure, mente pura, perizia
della
greca lingua era necessario per l’iniziazione. Qu
i. GÌ’ iniziati non deponevano la veste, onde erano coperti nel tempo
della
cerimonia, se non lacera per lungo uso, e allora
etua verginità, stimavano gran rimedio agl’impeti di amore il liquore
della
cicuta. Oltre l’Jerofante avevano la loro parte i
sti misteri era che gl’iniziati obbligati si credevano all’ esercizio
della
virtù più severa. Cicerone dice che non solo era
to a chi lo uccidesse, due a chi vivo lo conduceva. Ed Eschilo, padre
della
Tragedia, corse pericolo della vita perchè parve
i vivo lo conduceva. Ed Eschilo, padre della Tragedia, corse pericolo
della
vita perchè parve in alcune sue opere avere tocca
te Alfeo. Così la schiera Amazonia, deposti i scudi eguali Al cerchio
della
luna, esulta allora Che dalla depredata Orsa rito
nza, ed in questo aveva luogo l’iniziazione. Nel secondo il banditore
della
cerimonia avvertiva i Misti iniziati, di portarsi
cosa, e quando si solennizava la festa di Cerere chiudevasi il tempio
della
dea, come quello di Cerere quando era la festivit
o gli antichi, che sacro era per essi il giuramento. Tanto è l’impero
della
superstizione, che questi prestigi durarono fino
i un uomo illustre la continuazione. Teodosio il maggiore, benemerito
della
nostra Religione, abolì con molte altre ridicolez
iti al miglior Cielo, l’obliquo Timon volgeano nella patria notte, Ma
della
sferza la percossa orrenda Loro insegna a soffrir
remendo. voi felici Donzelle, ch’altro rapitor toglieva: Godete almen
della
comune luce. Col pudore anche il sole a me si tog
si toglie, Del Tartareo tiranno ultima schiava. O male amati fiori, o
della
madre Disprezzati consigli, o di Ciprigna Arti ta
pra la terra; i crini Incolti vela dell’algose canne Caronte, e sopra
della
nera barca Scorrea cantando coll’inutil remo. D’I
e fece confondere, ed alla seconda si attri"buiscono tutte le qualità
della
prima. Ad essa, secondo r autore degl’ Inni Omeri
bo, non già, dice Plutarco, per significare che questo fosse il globo
della
Terra, ma per additare con esso tutto l’universo,
potevano entrare nell’interno. Vesta avea pure altari in molti templi
della
Grecia dedicati ad altri Dei, come in Delfo, in A
bbia un lungo scettro. L’abito suo è di matrona; qualche volte invece
della
lampade ha una torcia, il Palladio o una piccola
rna, Antica, Madre. Sarebbe qui luogo di favellare delle sacerdotesse
della
dea dette Vestali, ma siccome elleno sono parte d
da ai serpi. Poiché mirò la dea Negletto il cardin delle fide porte E
della
flebil casa il muto aspetto, Stupida dal dolor pi
idie, ed han turbato i numi La lunga pace dei tranquilli lari. (Fine
della
traduzione del Poemetto di Claudiano). Lezione
e il prudente consiglio. Dal principio di Esiodo traendo l’argomento
della
mia Lezione, ragionerò del Caos, della Terra, e d
di Esiodo traendo l’argomento della mia Lezione, ragionerò del Caos,
della
Terra, e dell’Amore. Secondo Ovidio Caos fu detto
glio sul quale Temide è assisa per indicare che questa dea era figlia
della
Terra. « Una medaglia dell’imperator Comodo, dice
immagine, l’artista adotta quella, colla quale Lucano felicita Nerone
della
sua maestria nel guidare il carro, dicendogli che
per dinotare la sua continua fecondità, essendo questo albero simbolo
della
fertilità e della durata. Scorgonsi al di sopra d
a continua fecondità, essendo questo albero simbolo della fertilità e
della
durata. Scorgonsi al di sopra del suddetto globo
fficacia e virtù sopra la Terra, e le tramandavano gl’influssi. Assai
della
Terra. Amore re degli uomini e degli Dei merita l
nisce l’Amore figliuolo del dio delle ricchezze, ch’ei chiama Poro, e
della
Povertà. Darò compimento nella presente Lezione a
idir le ghiande Vedi e trarre il pallore i lunghi rami, E dalla piaga
della
man profana Scorrere il sangue, come allorché cad
a e trattener la scure. Il Tessalo lo mira e: prendi, esclama, Premio
della
pietosa anima: il ferro Dall’albero nell’uom conv
ileva, e sorge acuto Il tumido tallone. A lei da lungi Narra la ninfa
della
diva i cenni, E le parve sentir, benché lontana.
gettato l’arco e la freccia, teneva una lira Presso i Tespiesi popoli
della
Beozia era l’Amore singolarmente venerato. La sua
tuna, probabilmente per significare che in amore la fortuna giova più
della
bellezza. L’Amore è stato rappresentato sotto for
cuori più feroci. La lucertola ai pie d’Amore dormente è in un marmo
della
Villa Pinciana nella stanza del Sileno ed in un a
nerasse, ed altri, coll’Èrebo congiunta. La Notte tenente al di sopra
della
sua testa una vesr,e volante seminata di stelle s
faucon parla di una consimil figura dipinta in un antico manoscritto,
della
quale il drappo è blu, e che tiene una fiaccola r
di questa bellissima mezza figura quando colla stessa probabilità che
della
precedente se ne potesse rintracciar l’autore. «
ione, le ali sono di marmo. Una di queste assai conservata, coll’arco
della
destra e la sinistra posata sulla faretra, é nell
a nell’Orto Muti alle falde del Viminale, nel sito ove gli espositori
della
topografia marmorea di Roma antica leggono Bagno
La rosata di Psiche emula antica, E medicava la pietosa mano L’offese
della
tua dolce nimica, Mentre la sconsolata Te richiam
’entrar per la Tenaria porta, E por vivendo il piede Ne’ tristi regni
della
gente morta. Allo splendor dell’auro Lei l’avaro
» Savigli , Poesie. Lezione quarantesima. Sonno. Il fratello
della
Morte, il figlio dell’ Èrebo e della Notte, il cu
rantesima. Sonno. Il fratello della Morte, il figlio dell’ Èrebo e
della
Notte, il custode dei sepolcri antichi, il Sonno
o però coi suoi benefizii ci rapisce, quasi crudele esattore, la metà
della
vita, e fa, come dice il divino Dante: « che seg
le quali volano solamente pipistrelli, nottole ed altri uccelli amici
della
notte. Scorre in mezzo alla città il fiume della
altri uccelli amici della notte. Scorre in mezzo alla città il fiume
della
dimenticanza: il suo corso è cheto, e le sue acqu
pra un’ urna cineraria eh’ è al Collegio Clementine in Roma. Un’ urna
della
Villa Panfìli ci presenta lo stesso genio addorme
rla Visconti nel terzo tomo. « Ha già avvertito Winkelmann che quello
della
Villa Borghesi scolpito in pietra di paragone, è
ati quasi all’uso femminile ed ali al capo, che vedesi nelle medaglie
della
famiglia Tizia. Chi riflette che in altre vi è la
atura di capo, che pur ci offrono le più sicure immagini dell’Erebo e
della
Notte. « Un’ altra effìgie del Sonno sarà quella
tiquari attribuita a Platone, non ostante che gli smentissero i ricci
della
lunga chioma, poco a un uomo, e meno ad un filoso
’attribuiamo ora a Morfeo, e per l’uniformità col tipo sopramentovato
della
famiglia Tizia, e per la chioma femminilmente rac
e immediatamente, quando si rifletta che una testa simile alle monete
della
famiglia Tizia, ha le ali come fatte di piume, ch
o piccolo quadrupede. Nè semplicemente del Sonno è simbolo, ma ancora
della
salubrità di quella ristorante interruzione dei s
arsi del Sonno quasi insensibile sia stato paragonato al leggier volo
della
farfalla, o che vi sia qual simbolo dell’anima um
olo dell’anima umana, che per virtù del Sonno sembrò libera da’ lacci
della
materia, e più capace di conversar colle sostanze
In Olimpia la statua dell’ indovino Trasibulo non avea altro simbolo
della
sacra sua professione che l’immagine di un ramarr
li dall’omero verso l’orecchio. Era dunque il ramarro creduto emblema
della
divinazione. Scolpito in compagnia del Sonno potr
la fantasia sitibonda dell’avvenire altrettanti presagi. « Più comune
della
precedente è l’immagine del Sonno incisa in quest
cri, alcune delle quali hanno ancora l’epigrafe, perchè non si dubiti
della
loro rappresentanza. « Il celebre Lessing è stato
i han relazione. La prima sarà l’osservare, che non ostante la verità
della
surriferita riflessione del signor Herder, pure i
enere, e simile in gran parte alle accennate, sicuramente è l’effigie
della
Morte. Tale è al certo il giovinetto coronato con
vi sta solo per significare che in quei doni è la morte; e la natura
della
rappresentanza non sofire l’addolcimento di nessu
ste, nè tali sono in quelle del Sonno in età più adulta.» Descrizione
della
Casa Del Sonno. Si apre presso i Cimonerii in cav
uell’ingiuria, che in lui fu ripetuta da Giove, e nacquero dal sangue
della
parte recisa le furie Aletto, Tisifone e Megera.
e accreditò il pregiudizio dei mortali, e si disse figlio del Cielo e
della
Terra. Non altra cosa del Cielo favoleggiarono gl
Cielo favoleggiarono gli antichi. L’ Oceano, il primogenito dei figli
della
Terra e del Cielo, fu creduto dagli antichi genit
ebbe una figlia chiamata Anchiale, che diede il suo nome ad una città
della
Cilicia. Di Mnemosine non sappiamo se non che fu
rudizione è la presente statua di Mnemosine, o sia la Memoria, figlia
della
Terra e del Cielo, madre delle Muse. Il nome grec
scere con maggior chiarezza di quella che potevamo sperare l’immagine
della
sua figlia Polinnia. Il raccoglimento cotanto uti
à dell’umano intelletto, si è voluto simboleggiare nel panneggiamento
della
nostra Mnemosine, che tutta la racchiude, e le in
sopravvesta, che costantemente si osserva in quasi tutti i simulacri
della
Musa della Memoria eh’ è Polinnia, e in questo de
a, che costantemente si osserva in quasi tutti i simulacri della Musa
della
Memoria eh’ è Polinnia, e in questo della stessa
utti i simulacri della Musa della Memoria eh’ è Polinnia, e in questo
della
stessa Mnemosine, sembra che basti a giustificare
ice: «Mente, che scrivesti ciò ch’io vidi ; » lei chiama il Cantore
della
Gerusalemme: «Mente degli anni e dell’oblio nemi
’antichità in supporre le Muse, dee dell’arti e delle scienze, figlie
della
Memoria e della forza dell’intelletto, adombrata
pporre le Muse, dee dell’arti e delle scienze, figlie della Memoria e
della
forza dell’intelletto, adombrata in Giove, giacch
i, di Febo istesso. « Lodevole è l’interpretazione che fa lo Scott sì
della
spelonca da lui riconosciuta per l’antro Concio,
lo Scott sì della spelonca da lui riconosciuta per l’antro Concio, sì
della
statua appoggiata ad un tripode, ingegnosamente d
a iscrizione. Il Cupero e lo Scott credono la figura inferiore quella
della
Memoria, quantunque l’epigrafe (grec) sia nella l
stata dal cavalier Mengs rappresentata Mnemosine nella bella pittura
della
volta della galleria nella Villa Albani. Tiene in
avalier Mengs rappresentata Mnemosine nella bella pittura della volta
della
galleria nella Villa Albani. Tiene in quell’egreg
lersi eccitare qualche rammemoranza. E non è già la sola osservazione
della
natura che ha somministrata al pittore filosofo q
oltre modo amatore e studioso.» Temi figliuola anch’essa del Cielo e
della
Terra era sorella maggiore di Saturno e zia di Gi
lla, dice Diodoro, che istituì la divinazione, i sacrifizii, le leggi
della
religione, e tutto quello che serve a mantener l’
r giustizia ai suoi popoli che fu considerata sempre dopo come la dea
della
Giustizia, della quale se le fa portare il nome.
oi popoli che fu considerata sempre dopo come la dea della Giustizia,
della
quale se le fa portare il nome. Attese ancora all
iede tre figliuole la Equità, la Legge e la Pace. Questo è un emblema
della
Giustizia, che produce le leggi e la pace dando a
nda. Rea, o Cibele. Rea, secondo, Esiodo, fu figliuola del Cielo e
della
Terra, ed il consenso dei più fra i Mitologi la f
teniesi, che dopo aver bandito il Gallo (così chiamavansi i sacerdoti
della
dea) che apportò i misteri di lei, furono afflitt
tò i misteri di lei, furono afflitti dalla fame. Quindi per consiglio
della
sacerdotessa di Apollo detta Pizia, placarono la
o detta Pizia, placarono la dea ergendole un tempio detto Metroo cioè
della
gran madre, che così Cibele era chiamata. Deve Te
a. Deve Tebe a Pindaro, il più grande fra i lirici poeti, i principii
della
religione; il quale avendo veduta con Olimpico, s
Nasica ancor giovinetto, ed egli la fece deporre nel tempio Palatino
della
Vittoria. Quattordici anni dopo le fu dedicato un
Nicomaco, seduta sopra un leone, miravasi fra i principali ornamenti
della
spina del Circo. Celebravansi alla dea in Roma og
olennità alla metà di Aprile, ed erano chiamate megalesie, cioè feste
della
gran madre. Quando la Repubblica stava, verun rom
Repubblica stava, verun romano prese parte nel culto di Cibele figlio
della
frigia mollezza. Col tempo i patrizii e le matron
si trova senza l’accompagnamento di uno o più leoni, emblema favorito
della
sovranità presso i monarchi dell’Asia. E in Cibel
peplo dall’occipite cadente sulle spalle e sulla schiena, copra parte
della
sua corona murale. Nei monumenti figurati la dea
mente da Fidia prescelto. In un’ara riprodotta dal Muratori la figura
della
dea si trova seduta sopra uno scoglio appiè d’un
, il quale nel marmo pubblicato da Zoega scorgesi incontro il cocchio
della
dea quasi all’ombra di un pino, al cui tronco egl
Grutero. Nell’altra delle fiancate contigue all’angolo ove è il carro
della
dea erano due faci rovesciate ed un paio di cemba
er custode dei suoi santuari gli promise castità eterna. Innamoratosi
della
ninfa Sangaride ruppe il voto, e perciò da Cibele
di furore si privò di quelle parti che mancano ai soprani. I ministri
della
dea imitavano questo costume. Tanto è il potere d
ani. I ministri della dea imitavano questo costume. Tanto è il potere
della
superstizione: In altro luogo Ovidio lo canta con
rra straniera. Della patria, com’ esuli, usciste; Voi che me duce già
della
schiera A tal’ opra, a tal vita seguiste; Voi, ch
anzi testé pur era, Io delle scuole il fior, io fui il più bello Onor
della
lottante agile schiera. Io concorso alle porte E
e, era con annue feste onorato. La solennità celebravasi al principio
della
primavera, e durava sei giorni. Il primo giorno t
dalla selva un albero di pino e portavasi in processione al santuario
della
dea per essere ivi erettto. Il secondo impiegavas
a. Il quarto si passava in gioia e scherzi festivi, placato lo sdegno
della
dea, ed assunto Ati fra gl’immortali. Il quinto e
giorno di riposo. Il sesto terminava la solennità colla purificazione
della
dea, il cui simulacro, unitamente ai sacri arredi
erto è che questa invenzione significasse le diverse fasi o apparenze
della
luna considerata dai Frigi e Lidii come maschio.
lla luna considerata dai Frigi e Lidii come maschio. Nella iscrizione
della
facciata dell’ara, relativa ad Ati e Cibele, pubb
ete chiamato Taurobolo e Criobolo, ed a questo è allusivo il figurato
della
facciata opposta. In questa si vedono effigiati i
arecchi minori uccelli, fra i quali suppor si può il falcone, scherzo
della
madre Idea. I cembali hanno ciò di particolare, c
della madre Idea. I cembali hanno ciò di particolare, che nel centro
della
concavità apparisce un quasi campanello, che l’il
, e da capo a piedi lo tingesse. Rimosso indi il cadavere dissanguato
della
vittima, ascendeva sul paleo tutto di sangue gron
lei si presenta alle nostre ricerche. Ora di Celo, or dell’Oceano, or
della
Terra, ora di Teti figlio lo fanno gli antichi. L
io, il regno a Giove. A Saturno attribuivano gli antichi l’invenzione
della
falce, o sia perchè insegnasse la maniera di miet
la crudeltà ch’esercitò contro i suoi figliuoli. Forse ancora l’idea
della
sua atroce natura indusse molti popoli a prestare
o e all’agricoltura. Sopra una base quadrata, antico monumento, unico
della
sua specie, si vede Saturno, al quale Rea dà una
e questi consistevano in fascie di lana, che si toglievano il giorno
della
sua festa. Una statua di Saturno, riportato da Mo
i Ciclopi e dei Dattili. Il signor Fréret uno dei più dotti uomini
della
Francia ha raccolte sui Ciclopi delle notizie dai
to nome Fistessa idea. I Ciclopi di Esiodo sono figliuoli del Cielo e
della
Terra, simili agli altri immortali, se non che eg
i, se non che eglino non avevano che un occhio tondo e posto in mezzo
della
fronte. Esiodo ne distingue tre, che egli nomina
agi, cioè mangia-uomini, stabiliti nella Sicilia, unicamente occupati
della
vita pastorale, senza alcuna cognizione nè delle
occupati della vita pastorale, senza alcuna cognizione nè delle leggi
della
società, nè dell’arti più necessarie. Polifemo fi
tti originari di Licia. Mostravansi ai tempi, di Strabene le reliquie
della
loro opera, e questi avanzi, che sussistono ancor
ielo: vi lavora solo, servito da statue d’oro, che sono il capolavoro
della
sua arte. I Ciclopi di Callimaco sono probabilmen
erpenti: lo che eglino facevano probabilmente applicandovi l’argilla,
della
quale le proprietà eran conosciute fin d’ allora,
n può asserirsi che i Ciclopi d’ Euripide siano figliuoli del Cielo e
della
Terra come quelli di Esiopò, giacche egli nella t
glianti per loro uftlcio ai Ciclopi, ha raccolte il prelodato critico
della
Francia. Nè Omero, nò Esiodo parlano dei Dattili,
mini a lavorare questo metallo col fuoco. I nomi che loro dà l’autore
della
Foronide non sono che epiteti relativi alle diffe
della Foronide non sono che epiteti relativi alle differenti pratiche
della
lor arte, fonditore, domatore, spezzatore. Il res
te confusi coi Coribanti. I Cureti erano, dice Strabone, gl’inventori
della
danza armata: e così erano chiamati perchè erano
accennai la discordia dei mitologi su questo particolare, ragionando
della
madre degli Dei. Quanto ai Cabiri, sui quali si e
così dire, fin nell’inferno, fu detto che Plutone abitava nel centro
della
terra. La corta vita di coloro che si applicano a
dementino data da Quirino Visconti. «Alle deità del cielo, del mare e
della
terra riportate nel primo volume, aggiungiamo que
e che l’arbitro ne fu reputato, confuso perciò sovente con Pluto dio
della
ricchezza, divinità allegorica e immaginata piutt
enerata dai popoli. Le miniere dei preziosi metalli che nelle viscere
della
terra si ascondono, furono motivo che se ne ascri
sotterra per seppellire i cadaveri, e così nascondere quelle memorie
della
nostra caducità, che offendono i sensi e contrist
teologia; desideravano questi di uniformarsi alle opinioni religiose
della
nazione dominante senza abbandonare del tutto i l
e antichissime divinità asiatiche, come del Giove Labradeo di Milaso,
della
Giunone di Samo, della Nemesi di Smirne, delle Di
asiatiche, come del Giove Labradeo di Milaso, della Giunone di Samo,
della
Nemesi di Smirne, delle Diane di Perga ed Efeso:
llo degli antichi, voglia interpretarsi per simbolo dell’abbondanza e
della
dovizia, di cui si riguardarono questi numi come
Serapide. « Quantunque la scultura del nostro Plutone accusi l’epoca
della
decadenza dell’arti, epoca nella quale il culto d
ente è apposto dai Greci l’epiteto di (grec), che vale odioso. L’amor
della
vita avea destato quel sentimento di avversione c
a vita avea destato quel sentimento di avversione che si ebbe pel dio
della
morte: quindi come deità nocente fu talvolta cons
eppi, e su quello che adorna il fine del capitolo primo, libro sesto,
della
Storia dell’Arti, mi fece pensare all’elee, alber
a ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e che è al di sotto
della
barca di Caronte; un figlio snaturato è strozzato
empio: ora Pausania indovina che lo scritto suppliva all’ espressione
della
pittura: ma ciò sa rebbe contrario allo spirito d
lio il più somigliante al padre. Ifidemea ebbe grandi onori dai Carli
della
città di Milasso. Più alto due compagni di Ulisse
accanto a lei Erifìle in piedi, che fa passar la sua mano al di sotto
della
sua tunica, come per nascondere il monile così fa
la sua spada stesa sopra la fossa. L’indovino Tiresia arriva al di là
della
fossa. Dietro lui si vede Anticlea madre di Uliss
sue forme hanno un’aria di nobiltà, egli ha un anello in uno dei diti
della
mano sinistra. lasco che gli è accanto, e che dal
sonaggio inventato da Polignoto: altri dicono che era un Greco amante
della
musica e sopra tutto dei canti di Orfeo. Schedio
he impara a suonare la tibia. Se voi rivolgete gli occhi alla sommità
della
tavola, voi scorgete, sullo stesso piano di Atteo
il re d’ Itaca da questo gruppo. L’osservazione che fa sulla schiuma,
della
quale Aiace è coperto, cade nel numero di quei mi
avano questo genere di morte la maggior disgrazia, perchè gli privava
della
sepoltura. I più grandi artisti sono stati e sara
ra questi personaggi Palamede è il solo che non abbia barba. In basso
della
tavola, dopo Tamiri, vi è Ettore seduto: egli tie
a descrizione che dà Pausania di uno dei più celebri dipinti, stupore
della
Grecia intera; ma questo autore stimabile pel lat
nove volte intorno Gli frena. E che? stupir le case istesse E i regni
della
morte, e avvinto il crine Le stigie suore di ceru
Assai di Plutone. Nessun reo è assoluto davanti al tribunale interno
della
Coscienza: onde col ferro, o coli’ oro poterono g
uello dei rimorsi. Gli antichi, che erigevano in divinità le fantasie
della
mente ed i sentimenti del core, fecero dei rimors
ade potè in Argo placarle. Licofrone ed Eschilo fanno le Furie figlie
della
Notte. Orfeo loro dà per genitori Proserpina e Pl
tutti E spaventosi aspetti. Avvi il Disagio, La Povertà, la Morte, e
della
Morte Parente il Sonno. Avvi de’ cuor non sani Le
Le teste conservate sono tutte nude; d’ una manca la testa, e quella
della
prossima è moderna. Nel basso rilievo le Furie so
l’antro ombroso, all’onde sacre del nero fiume Stige, sempre ministre
della
giustizia e del retto. — Quindi è che essendo con
che fossero ammantate, poiché gli uomini hanno dato sempre il colore
della
notte a tutte le cose temute. In Tilfusa città de
lopoli in Messenia non si è fatto sette stadi che si trova a sinistra
della
via maestra un tempio dedicato a Dee, che le gent
dicono che Oreste, divenuto furioso, ivi tadìò coi denti uno dei diti
della
sua mano. In vicinanza vi è un luogo chiamato Acè
stante in un altro luogo dell’opera stessa dissente, facendole figlie
della
Notte, qualora per Parche in quel caso non abbia
nasce, e di tener la conocchia: Lachesi filava tutti gli avvenimenti
della
nostra vita; ed Atropo, la più matura di tutte, t
con braccia ignudo contro di Oreste armate, su un vaso di terra cotta
della
Collezione Porcinari, pubblicato nella seconda pa
predetto che un suo genero lo avrebbe ucciso. Costretto dalla fortuna
della
guerra a sacrificare il proprio timore alla pubbU
zioni per voi più importanti, vi ripeterò con Winkelmann che le città
della
Magna Grecia e della Sicilia sembrano essersi mol
ortanti, vi ripeterò con Winkelmann che le città della Magna Grecia e
della
Sicilia sembrano essersi molto studiate di dare s
ittori, che perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l’effigie
della
Ninfa Aretusa. I più grandi artisti, sopra tutto
ppresentarono il ratto di Proserpina, inciso ancora su molte medaglie
della
Sicilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo a
antico si vede Plutone, che rapisce Proserpina non ostante le ragioni
della
severa Minerva. Mercurio, di cui l’intervento non
tomo dell’Antichità spiegata di Montfaucon, può essere dei bei tempi
della
Grecia, perchè è semplice, e per intenderla non v
serbato che si vede nella figura di lei, come se ancora si ricordasse
della
madre, e della mal gustata melagrana. Caronte fu
vede nella figura di lei, come se ancora si ricordasse della madre, e
della
mal gustata melagrana. Caronte fu figliuolo dell’
dre, e della mal gustata melagrana. Caronte fu figliuolo dell’Èrebo e
della
Notte, secondo Esiodo, il quale nella sua Teogoni
ole, e più non dimandare. Quinci fur quete le lanose gote Al nocchier
della
livida palude, Che’ntorno agli occhi avea di fiam
mo nel sepolcro. Plutone per sollevare il dolore di Proserpina l’idea
della
sua nuova grandezza, così le dice in Claudiano, i
cca dei morti un obolo, ch’era una piccola moneta, per pagare il nolo
della
barca al traghettatore dei morti. Questo prezzo f
lente nel bagno. Ma quello che è fuori di dubbio si è che per la fama
della
sua giustizia meritò di esser creduto figliuolo d
iare quella città. Scilla figliuola del re vedendo Minosse dalle mura
della
città assediata se ne innamorò, e recise al padre
amorò, e recise al padre il capello fatale, da cui dipendeva la sorte
della
patria. Minosse inorridì al tradimento, e respins
a, dicono che nel purpureo capello di Niso sono significate le chiavi
della
città consegnate da Scilla a Minosse. Nell’Infern
a Minosse. Nell’Inferno egli era, secondo gli antichi, il presidente
della
Corte infernale, e a lui spettava di giudicare de
Eneide, lib. VI, v. 844 e segg. L’istoria però ci fa molto dubitare
della
giustizia di Radamanto, narrandoci che fuggì da C
ì da Creta per aver ucciso il fratello, e rifugiatosi in Ocalea città
della
Beozia prese Alcmena per moglie. Eaco la favola a
i abitanti. Eaco solo avanzò a tanta strage, ed odiando la solitudine
della
sua patria fé prego agli Dei perchè riparassero q
o si perde in Cocito. Alcuni fanno figliuolo questo fiume di Titano e
della
Terra, e dicono che discese fino nell’Inferno per
si ritirò nell’Inferno, e fiume ne divenne. L’Acheronte era un fiume
della
Tesprozia, che avea le sue sorgenti dalle paludi
vuole che questa fiumana sia nata dall’Oceano: altri figlia la dicono
della
Terra. Vogliono che si sposasse a Fallante, a cui
superbi. Così se ne parla in un inno antico. — Nemesi alata, motrice
della
vita, dea dagli occhi neri, figlia della Giustizi
ico. — Nemesi alata, motrice della vita, dea dagli occhi neri, figlia
della
Giustizia, che i lievi fremiti dei mortali contie
la mano imperando. Placati, beata legislatrice, Nemesi alata, motrice
della
vita. Veneriamo Nemesi dea immortale, verace, e l
entono gli artisti che Nemesi hanno rappresentata. Infatti questa dea
della
retribuzione delle opere buone e cattive è comune
Winkelmann è stato preso per una fionda, quantunque del freno, e non
della
fionda, parlino gli antichi. Ella ha la ruota com
o, e non della fionda, parlino gli antichi. Ella ha la ruota come dea
della
fortuna sotto un altro nome, e il freno per indic
nascosi; ed è sotto questo punto di vista eh’ Esiodo la chiama figlia
della
Notte. Però una medaglia dell’imperatore Adriano
hanno creduto per isbaglio un elmo i suoi capelli annodati sulla cima
della
testa. L’allegoria degli Etiopi rappresentati sul
i rappresentati sulla coppa che teneva nella mano la Nemesi di Fidia,
della
quale Pausania non ha spiegato il significato, si
a’ belli spiriti a questo genere di letteratura. « La bella statuetta
della
dea Nemesi, che presentiamo in questo rame, ha ce
buiscono a questa nemica dei superbi, avuta per la persona allegorica
della
divina indignazione, e della giustizia distributi
superbi, avuta per la persona allegorica della divina indignazione, e
della
giustizia distributiva dei Numi, che perseguitava
stico dei suoi simboli, col quale non solamente la giustezza indicava
della
restituzione, ma accennava a’ felici la giusta mi
Nemesi, dalla maggior parte spiegato per una verga, che il simulacro
della
dea stringesse in mano. Il dubbio di Spanhemio pa
e restasse afi’atto isolato, nè reggesse alcun poco il peplo o l’orlo
della
soprave sta, come nelle immagini di Nemesi ne’ ba
adattata per quella necessaria mossa del braccio non poteva pensarsi
della
presente, nella quale sembra che la dea si raccon
non domandasse qualche periodo la descrizione lasciataci da Pausania
della
famosa Nemesi di Ramnunte borgo dell’Attica, simu
tempi aveva saputo effigiare la greca scultura, salita dal più bello
della
natura umana all’ideale della divina, tempi che a
la greca scultura, salita dal più bello della natura umana all’ideale
della
divina, tempi che aveva già preceduti il secol d’
superba statua era stato destinato dal re Dario a lavorarvi un trofeo
della
vinta Grecia. Disfatti però i Persiani dal valore
e la passione di Fidia per questo secondo gli procurarono il soccorso
della
mano maestra. Non avrebbe perciò soccombuto al pa
o. Sdegnato l’artefice Parlo dell’ingiusta preferenza, cangiò il nome
della
dea del piacere in quello della dea dell’ indegna
l’ingiusta preferenza, cangiò il nome della dea del piacere in quello
della
dea dell’ indegnazione, che sperava ultrice dei s
o ancora lo scalpello di Prassitele osato di rappresentar nuda la dea
della
beltà, e di mischiare la lascivia alla religione.
nte alla dea si appropriavano, e che a Pausania stesso, non informato
della
precedente narrazione, parvero inesplicabili. Il
mbiti dall’antico lusso muliebre. La corona d’oro che cingeva il capo
della
dea si conveniva pure a Venere, che presso i poet
ce la docile cera Con la destra scherzosa, onde ritarda La meraviglia
della
man paterna. Poiché l’ultima man fu posta all’opr
re umano così spesso invocata, o maledetta da tutti, sarà l’argomento
della
presente Lezione, nella quale favellerò pure dell
, sarà l’argomento della presente Lezione, nella quale favellerò pure
della
Vittoria all’ arbitrio di lei soggetta. L’autore
i primi re furono tutti soldati. Euripide fu tanto invaso dal potere
della
fortuna, da affermare che non Giove, ma essa tutt
ore disse a ragione, non esser la nostra vita che un continuo scherzo
della
fortuna, una perpetua vicissitudine fra i beni e
he il potere di quest’ Essere morale combinarsi potesse coi principii
della
nostra religione, e fede ne fanno i seguenti vers
passando a ricerche relative alla Mitologia dirò che Omero non parla
della
Fortuna, non perchè, com’è pensiero di alcuni, co
ubblicata dal senator Buonarroti, Nemesi ha il timone e la carnucopia
della
Fortuna, ed in altri monumenti ha le torri per la
umenti ha le torri per la stessa ragione. Dione così spiega i simboli
della
Fortuna: Il timone significa che governa la vita
la vita degli uomini, e il corno d’Amaltea indica il dono dei beni e
della
felicità. Le ali d’oro sono date da Eschilo alla
lla Vittoria: nel che fu seguito dal figliuolo, che facendo la statua
della
Fortuna agli Smirnei le mise in capo il cielo, e
lcuni per l’Aurora. Nessuna cosa fu però più particolare alla Fortuna
della
ruota, essendo questa, come osserva il prelodato
no, dice lo stesso Buonarroti, compose di molti simboli la sua statua
della
Fortuna, ch’eresse della sua nuova città nella fo
roti, compose di molti simboli la sua statua della Fortuna, ch’eresse
della
sua nuova città nella fondazione: le diede la cor
di scandalo, posciachè lo stesso imperatore, dandogli il significato
della
Gentilità, gli fece sacrifizii. Da questo fatto d
rirebbero nè il commercio, nè l’agricoltura, cho sono le due sorgenti
della
ricchezza. Nel Museo dementino una statua della F
sono le due sorgenti della ricchezza. Nel Museo dementino una statua
della
Fortuna così viene illustrata da Visconti: « l s
agatori delle cose antiche hanno attribuito il silenzio di quei padri
della
Mitologia su tal proposito ad idee più giuste di
logi hanno investita la Fortuna. « E presso Omero quel Fato più forte
della
volontà di Giove non é molto consentaneo all’ esa
dalla Fortuna.» « Comunque ciò sia, riserbato alle Parche il dominio
della
vita e della morte, tutto il resto delle cose uma
a.» « Comunque ciò sia, riserbato alle Parche il dominio della vita e
della
morte, tutto il resto delle cose umane fu permess
della morte, tutto il resto delle cose umane fu permesso all’arbitrio
della
Fortuna. Quindi è nominata in alcune lapidi prima
za curarsi di sapere sotto che forma, e in qual guisa posava sul capo
della
Fortuna. « Gli altri spiegano questo polo pel mod
ttosto somiglia un cono troncato, o cilindro? E seppure questo valore
della
voce (grec) è ragionevole, perchè non se ne sono
ole, perchè non se ne sono serviti gli antichi per denotare il calato
della
Diana Efesina, quello di Serapide, quello della D
er denotare il calato della Diana Efesina, quello di Serapide, quello
della
Diana Pergea, e tante altre, che simili al modio
rapide, quello della Diana Pergea, e tante altre, che simili al modio
della
Fortuna torreggiano sulla testa venerata di tanti
cie di celata, pìleo, quale appunto osservo sul capo a molte immagini
della
Fortuna. La nostra n’|è fornita, le Fortune Anzia
o frigio. Ecco adunque quella specie di callotta che copriva la testa
della
Fortuua Smirnea, forse per indicare l’oscurità de
irnea, forse per indicare l’oscurità delle risoluzioni di lei, quella
della
sua origine, per imitazione dei vetusti simulacri
io Questo apice, se così vogliamo chiamarlo, divenuto simbolo proprio
della
Fortuna, ci darà una chiara spiegazione di quelle
poiché fedele la provò nel rapire il biondo Ganimede. Sulle medaglie
della
città, la Vittoria è rappresentata, come per l’or
sua Storia dell’Arte. Nel Museo Clementine vi ha pure un’altra statua
della
Vittoria, così dal prelodato Visconti descritta:
ato alla Vittoria terrestre, come inventato appunto a segnar il luogo
della
fuga dei nemici. Forse la vittoria, alla quale sp
templi, i portici, gli archi, i palagi si decoravano. E tanto proprio
della
Vittoria il trofeo, che un greco autore non l’ha
ama soltanto e rinoìnanza. A meraviglia può dirsi dunque Clio la musa
della
fama, poiché essa la registra in iscritti e la re
Meritano osservazione le scarpe che sono fatte a sandali, come quelle
della
maggior parte delle statue mitologiche, ma sembra
esso il Winkelmann. Ciò che è veramente singolare è il vedere la musa
della
Storia, che non è altro che il Genio o la Divinit
, piuttosto che la settima che ha la cetra. Così parimente tra quelle
della
Yilla Mattei sarà più verisimilmente Clio la musa
te Clio la musa col volume scolpita in una delle fiancate, che quella
della
cetra che è la prima sulla facciata. Stimo a prop
sentata in questo bel marmo è ornata di una gemma sull’orlo superiore
della
tunica in mezzo al petto. Simili ornamenti più so
ornamenti più sono proprii di una musa teatrale qual’era Euterpe, che
della
severa Urania, tutta fissa nelle osservazioni ast
rappresentata vestita di un abito simile a quello delle muse teatrali
della
Tragedia e della Lira. Il genio che ebber gli ant
tita di un abito simile a quello delle muse teatrali della Tragedia e
della
Lira. Il genio che ebber gli antichi per simili i
monumento differisce da^-li scrittori che ci rimangono. Nel sarcofago
della
Villa Mattei, Euterpe è nel mezzo, ed ha il solit
on e gli altri espositori di quel monumento, Talia. « La musa
della
Commedia facilmente si ravvisa in questa leggiadr
musa della Commedia facilmente si ravvisa in questa leggiadra figura
della
maschera comica e caricata, principalmente, come
ivertimenti, che sono i fiori di cui si sparge il disastroso sentiero
della
vita, sì alla cura dei vegetabili, dei quali è st
quali è strettamente proprio il fiorire. E per ciò la divinità ancora
della
poesia pastorale e georgica, alla quale può allud
egli non ha dipinto un giovine bianco e delicato, ma animoso, capace
della
palestra come sono quei brunastri di pelle olivas
egli la nutrisca. Tenendo la sua spada in pugno si pianta all’entrata
della
caverna; egli già si è trafìtto nel petto: ricevi
uesta bella statua di Melpomene ci manifesta al primo sguardo la musa
della
Tragedia. La maschera tragica, anzi erculea, che
te maschere detta dai Greci ò’/xo;, dai Latini Superficies, è coperta
della
pelle di leone, che secondo Polluce formava una p
nto. Le chiome sparse rappresentano la sua tristezza, affetto seguace
della
compassione e del terrore, che sono i due poli de
ell’arte tragica, onde Ausonio rilevò la mestizia come caratteristica
della
Tragedia: — Melpomene esclama mesta tragicamente
ancando la bocca. — « La corona bacchica rappresenta la prima origine
della
Tragedia, giacché le vendemmie videro nascere in
ne col titolo di Melpomeno. Non a caso ho annoverato fra i distintivi
della
Tragedia anche la positura di questa Musa, poiché
come quella di un semplice Pancraziaste. « Che Melpomene sia la musa
della
Tragedia l’ho finora supposto come indubitato: ed
ella stessa scultura: è rappresentata la Tragedia nel piano più basso
della
composizione dove è 1’ epigrafe greca (grec), Tra
o proposito è che appoggia il piede sovra un sasso nella stessa guisa
della
nostra statua, lo che sempre più ci assicura che
za mistero. Nel sarcofago di Villa Mattei Meipomene è la seconda Musa
della
facciata, come l’accusa la maschera tragica nella
Tersicore. « Due sono, secondo la più comune opinione, le Muse
della
lirica poesia, il distintivo delle quali suole es
vo delle quali suole essere assai attamente la cetra: una cioè quella
della
lirica sacra ed eroica, l’altra quella della liri
a cetra: una cioè quella della lirica sacra ed eroica, l’altra quella
della
lirica molle e amorosa. « Quale dunque delle due
la nostra, che sedendo come le altre sulla rupe del Parnaso, vestita
della
tunica a mezze maniche, coronata di alloro, calza
a ne formano le braccia, che perciò si trovano spesso appellate corna
della
cetra. Tale appunto è la Lira di Tersicore nell’a
e nell’accennate pitture. « Il nome di Tersicore, che vale dilettante
della
danza, non sembra avere un immediato rapporto all
Pallotta; e simile alla nostra era ancor questa Musa nella Collezione
della
Regina di Svezia. Il rincontro dei monumenti è un
ezione della Regina di Svezia. Il rincontro dei monumenti è una prova
della
stima in cui si avevano anticamente gli originali
di Ercolano. « Così nel sarcofago Matteiano, Tersicore che è la prima
della
facciata, è parimente descritta per Clio, ma noi
dalla singolare insegna, ch’è la Lira, vi ravvisiamo Tersicore, Musa
della
Lirica eziandio secondo Pindaro, la cui assertiva
merto del poeta, dovrebbe essere d’un sommo peso. Nelle monete romane
della
famiglia Pomponia si riconosce la testa di questa
plettro ch’è nell’area del dritto, come dalla cetra ch’è nel rovescio
della
sua figura. Erato. Le poesie amorose, la d
Le pitture di Ercolano hanno Erato la saltria, che regola cioè l’arte
della
danza e del suono, come hanno a maraviglia provat
gare la nostra statua, nella quale si vede Erato similissima a quella
della
pittura di Ercolano nella situazione, nel movimen
te per le pendici di Elicona, ravvisata ancor dallo Schott, e l’altro
della
Villa Mattei, dove è la quinta o l’ultima della f
llo Schott, e l’altro della Villa Mattei, dove è la quinta o l’ultima
della
facciata, in attitudine diversa dall’Erato Ercola
ito di Erato, onde alcuni han dedotto il suo nome dalla presentazione
della
verità. Oltre questa dottrina mi giova a ravvisar
ta dottrina mi giova a ravvisar Erato in quella figura l’acconciatura
della
testa, ch’è la stessa colla quale si rappresenta
tura ancor più ne vedrete. Guardate dunque: le fiaccole sono ministre
della
luce, perchè ciò successe di notte: i nappi ove i
n vi ha dubbio che questa statua, una delle più eleganti e conservate
della
collezione, e che non ha nelle mani simbolo alcun
lo deriva dal molto ricordarsi delle passate cose, cioè dalla facoltà
della
memoria. Questo attributo materno è restato, fra
me ne fan fede gli antichi che l’hanno espressamente chiamata la Musa
della
Memoria. Siccome questa facoltà molto si fortific
cciosa congettura, poiché resta perfettamente dimostrato dalla statua
della
Memoria del nostro Museo, indubitata per la greca
), Rimembranza, la quale statua non esprime in altra guisa la qualità
della
dea, che rappresentandocela tutta involta nel man
danza delle passate cose ha fatto attribuire a Polinnia la cognizione
della
favola, come ne fa fede l’Epigrafe della Polinnia
ire a Polinnia la cognizione della favola, come ne fa fede l’Epigrafe
della
Polinnia Ercolanense, che ha Polinnia le favole,
e, che ha Polinnia le favole, così la sua taciturnità e la cognizione
della
favola fecero presiedere questa Musa all’ arte de
favorisce questo sospetto la somiglianza ancora dell’abito con quello
della
Polinnia Ercolanense. « Del rimanente, per non du
quello della Polinnia Ercolanense. « Del rimanente, per non dubitare
della
reputazione che godeva questa figura presso gli a
ona romana, tal quale anch’ essa alla Polinnia, sì nella composizione
della
figura che nel panneggiamento. Questo panneggiame
he può servire di esemplare, vedendosi trasparire al di sotto la mano
della
Musa come da un velo. « Consideriamo ora la nostr
me simboli delle attrattive, colle quali Paride s’ insinuò nell’animo
della
sposa di Menelao. Polinnia, eh’ è la Musa del Ges
di Paride, come in altri simili monumenti si vede Pito, ovvero la Dea
della
persuasione: le altre due indicano la sua perizia
campo. « E Nereo così minaccia Paride presso Orazio: — Invano feroce
della
protezione di Venere pettinerai la chioma, e divi
quel bel bassorilievo rappresentata Erato colla cetra, come ministra
della
seduzione della bella Spartana. « Questa figura d
ilievo rappresentata Erato colla cetra, come ministra della seduzione
della
bella Spartana. « Questa figura di Polinnia in at
dalle cui Muse sospetto copiata la nostra collezione. « Nel sarcofago
della
Villa Mattei Polinnia è ancor simile a quella del
così appoggiata al gomito, è una doppia sua immagine nel bassorilievo
della
Villa Mattei, dove alla sua figura, simile alla s
vol marmo a Velletri nel Palazzo Ginnetti dove, trasformato in quello
della
Fortuna, appena si potea riconoscere. Il Commissa
iò nell’Apoteosi di Omero la seconda nel secondo piano; nel sarcofago
della
Villa Mattei la prima in una fiancata, 1’ ottava
agine non è stata in simili monumenti equivocata, non così è accaduto
della
sua statua colossale, che si vede nel portico del
in cielo, quali appunto si veggono sul globo di Urania nella medaglia
della
famiglia Pomponia, e in un’altra pittura dell’Erc
di una gran fascia quale appunto veggiamo e nel protagonista tragico
della
Villa Panfili, e nella Melpomene del sarcofago Ca
quel che è più decisivo, nella Musa colossale eh’ era già nel cortile
della
Cancelleria da me creduta parimente Melpomene. «
l’antico teatro di Pompeo, nelle cui ruine si suppone trovata quella
della
Cancelleria, e dove facilmente si rinvenne anche
te il frutto scorrerà il sangue. Nè minore. meraviglia desta il fuoco
della
pira, il quale essendo acceso onde rendere le dov
ma ciò eh’ è veramente unico nel nostro marmo si è che circa la metà
della
vita varia il panno di essa, vedendovisi diligent
essa, vedendovisi diligentemente segnata la cucitura, e che il drappo
della
metà inferiore è notabilmente più grosso della su
itura, e che il drappo della metà inferiore è notabilmente più grosso
della
superiore, essendo quest’ultimo rappresentato fin
ezzo in giù di più grosso drappo non per altra ragione che per quella
della
decenza, osservata sempre dagli antichi nelle imm
tro, o lucide dai Latini eran dette. « Notabili sono ancora i calzari
della
nostra Urania. Son questi del genere dei sandali,
sulla fronte di una penna, fregio non insolito delle Muse come trofeo
della
vittoria da loro ottenuta sulle Sirene, o come me
ta a rivolgerlo per cancellare il già scritto, è senza dubbio la musa
della
Poesia. In questa attitudine appunto Laide incont
adattato di questo potrà darsi a Calliope, che è la musa propriamente
della
Poesia, e particolarmente della poesia Epica, end
Calliope, che è la musa propriamente della Poesia, e particolarmente
della
poesia Epica, ende fu riputata la compagna dei re
amente le determinino, come la lira, la cetra, la maschera: alla musa
della
poesia Epica cui convien solo l’esser recitata, n
he osserviamo più comune nei monumenti, per non confondere colla musa
della
Storia quella dell’epica poesia, ha dato il volum
e col volume fra le mani. « Questo bel simulacro è conforme a quello
della
Calliope ch’era nella Collezione della regina Cri
simulacro è conforme a quello della Calliope ch’era nella Collezione
della
regina Cristina, e che non è già perita come sopr
simboli che sono in quelle sono moderni, e perciò diversi dai simboli
della
nostra statua. Nel resto, simile è la positura de
ersi dai simboli della nostra statua. Nel resto, simile è la positura
della
Musa, e simile l’elegantissimo panneggiamento. «
bbiamo fatto talvolta menzione delle Muse che veggonsi nelle medaglie
della
famiglia Pomponia, giova qui riassumerle tutte, e
simbolo, ed anche comune, nelle pitture Ercolanensi, e nelle medaglie
della
gente Pomponia otto Muse soltanto veggonsi impres
ro la testa nell’area del dritto, che troppo ben si compete alla musa
della
Tragedia, e che si dà agli attori tragici dallo s
gici dallo stesso Polluce. L’ottava moneta ci presenta Tersicore musa
della
Lira, propriamente detta, la cui origine si vede
a nell’area del dritto, mentre al rovescio è rappresentata questa dea
della
Lirica in atto di suonare il suo favorito istrume
nte che lo stesso Pane frena il suo saltare perchè non turbi il sonno
della
fanciulla. Bacco vestito di porpora, coronato di
ro Achille. Contempliamo dunque Antiloco, al quale il primo pelo vano
della
barba comincia a spargersi sul volto in qua in là
un colpo d’asta: l’anima ha abbandonato il viso, nel quale il dolore
della
natura è stato vinto dal piacere d’un’ azione sì
non nel nome, poiché le chiamavano Auxo ed Egemona, Pito, sia la dea
della
Persuasione, fu annoverata da Pausania fra le Gra
ome appare dal disegno, non disconviene dare a una Grazia l’attributo
della
dea della Sapienza, giacché da loro proviene, sec
dal disegno, non disconviene dare a una Grazia l’attributo della dea
della
Sapienza, giacché da loro proviene, secondo Pinda
Visconti che sia una tavola votiva offerta da un convalescente al dio
della
Medicina, fondato sull’analogia che colla gratitu
a, che ha in mano Gi anone in una medaglia inedita di Faustina minore
della
Collezione Albani, offerta forse alla dea per rin
re della Collezione Albani, offerta forse alla dea per ringraziamento
della
fecondità di quell’Augusta. Eccovi due altre pitt
mostrano i suoi occhi benché spenti dalla morte I Mirate la lanugine
della
sua barba che appena gli fa ombra al volto; ben c
li Inni ed Omero attribuiti. Lasciò scritto Pausania che Flegia padre
della
Ninfa, andando nel Peloponneso, seco la conducess
e di una capra custodita dal cane d’una greggia. Il pastore si avvide
della
mancanza; ed andando in traccia dello smarrito gu
tanto celebrato divenne. Credesi che il primo a risentire gli effetti
della
sua scienza salutare fosse un certo Asole di Epid
sì vasta, che alla cura delle ferite. Quantunque Esculapio sia il dio
della
Medicina, non perciò il primo esercizio ne fu a l
edicina, e Macaone, che militò con gli altri Greci a Troia. Igia, dea
della
Salute, che con lui si trova sempre unita nei mon
izia di lui, Giove si sdegnò tanto che gli uomini potessero trionfare
della
morte, che uccise Esculapio, da Apollo suo padre
da quello avrebbe qualcheduno congetturato che fossero di Esculapio e
della
Salute. Era sovente questa dea unita insieme con
, in Megalopoli, come si può vedere da Pausania, e in Roma nel tempio
della
Concordia, come viene da Plinio riferito. E la ra
re di San Clemente Alessandrino, espresso dagli Egizi col ieroglifico
della
serpe. Ma in quella maniera che veniva attribuita
ola ad Esculapio, per la connessione del nome con gli effetti e cause
della
medicina, così tutto il parentado e discendenti p
Pare che gli antichi abbiano voluto esprimere in lui un dio tutelare
della
convalescenza, poiché quanto al suo nome, signifi
statua del nume così illustra il celebre Visconti: « D’Esculapio dio
della
Medicina e d’ Igia sua figlia dea della Salute pa
Visconti: « D’Esculapio dio della Medicina e d’ Igia sua figlia dea
della
Salute parlano tanto i mitologi e gli antiquarii
e nella Galleria non resta che la statua di Esculapio e una sola mano
della
Salute. In quello ambedue le figure erano stanti:
mo il nume assiso, e presso lui sta in piedi la figlia. — « La grazia
della
composizione tanto superiore alla mediocre esecuz
o al pari di Ercole per le conquiste: l’Oriente e l’Occidente è pieno
della
sua fama: nè poca gloria è per lui di essere stat
lusingare la greca ambizione. Cadmo, ripiglia lo storico, profittando
della
simiglianza che un fanciullo nato da Semele sua f
to da Semele sua figlia non unita in matrimonio, aveva con Osiride, e
della
circostanza della pronta morte di questo, istituì
iglia non unita in matrimonio, aveva con Osiride, e della circostanza
della
pronta morte di questo, istituì in suo onore dei
’Osiride, giacché gran scusa a questi falli era il fare un dio autore
della
colpa. Ma perchè l’umana mente si diletta più del
ra gli altri formò la delizia del cavalier Mengs negli ultimi periodi
della
sua vita. « Quantunque l’essere stato risarcito p
rre qui ricopiare dai mitologi nè tutti gli epiteti, nè tutte le lodi
della
chioma di Bacco, come cose troppo note e comuni:
capo, e di quelli rimasti congiunti alle spalle. Presentato il gesso
della
testa sul gesso del nostro torso corrispondono co
re, che pare indubitato esser stata quella, o simile, la testa antica
della
nostra statua. Or quella testa è certamente di Ba
, che in tal foggia abbiano voluto rappresentare il dio dei piaceri e
della
mollezza, il compagno di Venere e delle ninfe, o
, per « sempio, hanno esagerato, come il nostro, la mollezza del nume
della
Voluttà, ma vi hanno misto o una sveltezza o una
Questo appunto aggiunge a tanti pregi del nostro marmo quello ancora
della
rarità, non ravvisando noi in altro monumento cos
umento così bene espresso queir epiteto feminiforme, che lo scrittore
della
Natura degli Dei credeva essere un attributo esse
gini di Filostrato. Ho scelta la viva pittura fatta da Valerio Fiacco
della
strage di Lenno, che vi accennai parlando di Vulc
marito attende, E nel lido stancò le ancelle: ognora Contano il tempo
della
lunga guerra. Ed al talamo presso, in lunghe tele
te voci empiono il cielo . Chi mi darà parole all’alto ardire Eguali,
della
tua patria cadente, Issipile, sostegno? Unica lod
colpa Questa: l’autor, deh: non cercarne: ah! fuggi: Rapisci un dono
della
mente incerta. Padre, trattieni alla tua figlia i
anquillo braccio Il caro peso inalza. — Udìa la stolta Minaccia Cadmo
della
lieta figlia, E questi detti confondea col pianto
tà? Montagna infame Del Citerone, tu togliesti a Cadmo I due conforti
della
sua vecchiezza: Hai Penteo morto, ed Atteon nasco
ri, e sul materno seno Il sangue scorre. Bacia gli occhi al figlio, E
della
fronte illividita i giri. Le belle chiome del san
so ai mortali. Solo dopo il diluvio nacque Bacco, ovvero il dio padre
della
libera allegrezza prodotta dal vino. Eone, o il T
sicurarlo, svelandogli i segreti del destino, e gli rivela il mistero
della
nascita futura di Bacco suo figlio, che deve port
a tenere il fulmine di Giove suo padre. Egli risplenderà delle grazie
della
gioventù, e una mitra in forma di serpenti attort
l termine un fanciullo armato di corna di toro, e che sembrava essere
della
natura di questo animale. Cadmo suo padre consult
il poeta descrive la maraviglia del re degli Dei nel mirare le grazie
della
bella Semele, che a Venere paragona. Lo splendore
prende gusto per 1’ edera, di cui ella intralcia la corona ornamento
della
sua testa. Se ascolta il suono di qualche strumen
il loro coro: Elettra infatti vi mescola il suo splendore con quello
della
luna: Apollo è figlio di Latona: Ganimede nato mo
rseo, la sua testa di Medusa e la sua scimitarra, e le forme orribili
della
balena. — Così parlava l’ Invidia gelosa dei dest
emma per vendicarsi di questa nuova amante. Ella s’indirizza alla dea
della
Furberia, che errava sulle montagne di Creta sua
richiamare nell’Olimpo Marte suo figlio, che se n’ è esiliato. La dea
della
Furberia, ingannata ella stessa da Giunone, le ac
ta di questo cinto, Giunone va nelle stanze di Semele nelle sembianze
della
vecchia nutrice dì Europa e di Cadmo. Finge d’int
vecchia nutrice dì Europa e di Cadmo. Finge d’intenerirsi sulla sorte
della
giovine principessa, il di cui onore è pubblicame
e, se lo crede Giove, lo inviti a venire da lei in tutto lo splendore
della
sua gloria, ed armato del suo fulmine; questo è i
ta dall’ambizione, dimanda al suo amante questo contrassegno distinto
della
sua tenerezza. Ella vuole che si mostri a lei com
i affligge di questa dimanda in discreta, ed accusa le Parche nemiche
della
sua amante. Siccome prevede le conseguenze, e vuo
ge all’incendio che consuma sua madre. Giove sensibile all’infelicità
della
sua amante la trasporta in cielo, ove ha per comp
igliuolo, e andò con esso a precipitarsi nel mare. Venere impietosita
della
sua nipote pregò Nettuno ad averne compassione; e
e superbo, a me nemico Quanto la moglie? — Si dicendo espone La causa
della
via, dell’odio, ed apre Suo feroce volere, onde d
rno al petto Fischiando vomitar rabbia, e lampeggia La lingua: alfine
della
fronte al mezzo Svelle due serpi, e con la man, d
ecati avea Seco i predigli, la Cerberea spuma E gli errori vaganti, e
della
cieca Mente l’oblio, colpe, furori e pianto. Amor
i: or qui m’apparve Di doppia prole lionessa altera. — Come di belva,
della
moglie insegue L’orme, e rapisce dal materno seno
Lezione cinquantesimanona. Nascita ed educazione di Bacco. Origine
della
vite. Dopo la morte di Semele, il re degli Dei
i Semele, dea marina, madre di Palemone. Ma Giunone avendo minacciata
della
sua collera questa nuova nutrice, Mercurio ritira
del dio, intanto che Semole ancora ardente nei cieli s’ insuperbisce
della
fortuna del suo figlio, e delle cure particolari
iri, e bagnandosi nelle acque del Fattolo. Qui scherzando sulle coste
della
Frigia fece conoscenza di un giovine Satiro chiam
cita, e finisce per dire, che lo conosce e sa che è figlio del Sole e
della
Luna. Bacco se ne innamora: non è contento che co
Luna. Bacco se ne innamora: non è contento che con lui, e si affligge
della
sua assenza. L’amore di Ampelo gli tien luogo di
nte, narrando che Bacco allevato in Nisa scoperse in mezzo ai giuochi
della
fanciullezza la vite, e che imparò a spremerne l’
nge di fiori lo corna dell’animale. In questa positura sfida la Luna,
della
quale il carro è dai bovi condotto. Que sta dea l
una, della quale il carro è dai bovi condotto. Que sta dea lo punisce
della
sua insolenza, mandando un assillo che punge il t
punge il toro. L’animale furioso rovescia il giovine Ampelo che muore
della
caduta. Un Satiro testimonio di questa sventura l
quando viveva. Bacco lo contempla, ed esprime il suo dolore: minaccia
della
sua vendetta il toro crudele nello stesso tempo c
irato dai bovi. Vi si legge la descrizione del tramontare del sole, e
della
sera, nella quale si distingue la pittura dei qua
dice che sulla terza tavola, ove sono scolpite le figure del Lione e
della
Vergine ella vi troverà il frutto prodotto dalla
iovine ninfa cerca cogli occhi la quarta Tavola, che offre l’immagine
della
coppa di Ganimede dalla quale il nettare scorre,
in un corno di bove che gli serve di coppa. Lo gusta, e s’applaudisce
della
sua scoperta. Apostrofa l’ombra del suo amico, la
el nuovo arbusto e a quella del suo frutto, sopra tutte le produzioni
della
terra. Il vino, egli dice, sarà un rimedio contro
one, e adesso lacerano la preda, e sono la propria madre e le sorelle
della
madre. Queste gli troncano le mani, l’altra tira
lmente sfigurata che Bacco stesso n’ha compassione: è nel primo fiore
della
sua età, ha la faccia tenera, delicata; i capelli
agnare il loro corpo; le gambe, le cosce sono sparite; il cangiamento
della
loro figura si estende alla parte superiore: egli
le sue navi, e comunichi quindi a questi popoli le sue orgie e i doni
della
vite. E noto che i misteri di Bacco e l’invenzion
è pure Aristeo inventore del miele, al quale la Cosmogonia dei popoli
della
Libia affida l’educazione di Bacco. Tutte le gent
à colla sua apparizione a Bacco il segnale felice del combattimento e
della
vittoria. Il resto di questo Canto comprende l’en
cco. Le ninfe Oreadi, le Baccanti fanno parte dell’armata, alla testa
della
quale Bacco si move. Il poeta ne descrive la sua
disfatta di una parte degl’Indiani. Quelli che avanzano, maravigliati
della
loro perdita, bevono 1’ onda del fiume, che prend
per nettare, e di cui non possono mai saziarsi. Il nume si approfitta
della
loro ebrezza, della quale sono descritti gli eff’
i non possono mai saziarsi. Il nume si approfitta della loro ebrezza,
della
quale sono descritti gli eff’etti; ne sorprende g
In vicinanza abitava un bifolco chiamato Imno, che si era innamorato
della
ninfa. E espressa la passione di lui, con l’ostin
i sveglia, e prorompe in rimproveri contro Venere e Bacco. Si lamenta
della
perdita della sua verginità, vuole uccidersi e ce
rorompe in rimproveri contro Venere e Bacco. Si lamenta della perdita
della
sua verginità, vuole uccidersi e cerca il rapitor
una figlia chiamata Telete, e Bacco edifica in questo luogo la città
della
Vittoria dopo la disfatta degl’Indiani, contro i
astore nominato Brongo riceve Bacco ospitalmente. Vi è la descrizione
della
capanna e del convito frugale offerto allo dio, c
fidente Pito. Tutti si pongono a danzare. Questo fu il primo efi’etto
della
loro ebrezza: in seguito vanno a dormire come Bac
Stafilo, e la morte di lui move il dolore di tutta la sua famiglia e
della
sua casa. Il Canto diciannovesimo comincia dallo
a e della sua casa. Il Canto diciannovesimo comincia dallo spettacolo
della
principessa di Assiria desolata per la perdita de
pplicio, e mollemente China si sta sulla cervice bianca. Sola custode
della
sua figura Scorre la veste dalle spalle, e fugge
ati i lacci Che le avvincon le membra; e poiché seppe Da lei la causa
della
pena, ha fermo Per la guerra del mar gire alle no
principe per irritarlo contro Bacco. Iride, per adempire al desiderio
della
dea, prende le forme di Marte, e gli tiene un lun
rride con aria sdegnosa del suo corteggio: minaccia il dio, armandosi
della
sferza del bifolco, perseguita le ladi nutrici di
a i combattenti di Bacco. Il vigesimo terzo Libro contiene il seguito
della
battaglia data sulle rive dell’ Idaspe, nelle di
loro, e Bacco non risparmia che il solo Turco, perchè sia testimonio
della
sua vittoria. Giunone sempre nemica dello dio inv
io di Penelope, e Vulcano dei suoi Cabiri. Bacco s’inoltra alla testa
della
sua armata; e Giove nelle forme di un’ aquila gli
e la gioia che regnava in quello di Bacco. I vincitori, fra i piaceri
della
mensa, cantano le antiche Cosmogonìe, la guerra d
e, di cui il poeta ci rammenta la famosa castrazione, viene per parte
della
dea a consolar Bacco, e gli dà un’ armatura fabbr
ni. Vi era inoltre espresso Anfione e Zeto, eh’ edificarono col suono
della
lira Tebe dalle sette porte; l’aquila che rapisce
ve ancora, ed egli non è vendicato. Mira questo seno che porta l’orma
della
larga ferita che vi ha fatto il tirso del tuo nem
driga di lui si è spezzata per l’artifìcio di Mirtillo. Nelle imprese
della
guerra non vi era ancor l’uso dei carri a quattro
tti dei fiori intorno ai loro sepolcri, onde sembra che si rallegrino
della
vittoria ottenuta sul loro crudele nemico. — Ev
alla città di Cadmo, gli Ateniesi ottennero a forza per essi l’onore
della
sepoltura. Capaneo fu quindi portato cogli altri
tte ancora con valore fino all’estremo momento. Dopo il combattimento
della
fanteria, il poeta ne rappresenta quello dei cava
anti, Damnaneo, Ocitoo e Acmone educatori di Bacco. Giunone avvertita
della
disfatta degrindiani viene per rianimare il corag
arito saetta Melaneo, e non lascia più Bacco. Vi è pur la descrizione
della
zuffa eccitata fra Aristeo, i Càbiri figli di Vul
e la sua figlia avea nutrito col proprio latte nella prigione, armato
della
sua terribile spada sconvolge l’armata dei Satiri
dell’ armata indiana. La tremenda s’irrita delle fortune di Bacco più
della
stessa Giunone, che a lei si rivolge con un sorri
verso il cielo, mentre la Furia si ritira in un antro, ove si spoglia
della
figura di serpente, e prende quella di gufo, aspe
ti a lei dati dalla diva. Iride va a trovar Morfeo, e nelle sembianze
della
Notte lo persuade a vincere colla sua quiete gli
e. Lo dio del Sonno obbedisce, ed Iride va nell’Olimpo a render conto
della
sua imbasciata a Giunone, che prepara altri artif
ma i segni risente. Il suo amore si accresce per le carezze insidiose
della
sua sposa, alla quale confessa il suo violento af
Bacco come un toro ferito dall’ assillo si precipitava negli accessi
della
sua rabbia, Cari, la Grazia figlia di Bacco e di
o, e lo persuade a prender parte nella sua causa dello dio. Gli parla
della
leggiadra Calcomedia, vergine saggia che presente
pisce l’inganno coi suoi discorsi. Intanto ella profitta del silenzio
della
notte per andare in traccia di Bacco fra le selve
ri con Antiope, onde goder potesse, nella forma di Satiro, dei favori
della
sua amante. La ninfa terribile lo fugge, e vuole
stringerla, ella ha in sua difesa il serpente che orna l’acconciatura
della
sua testa. Bacco la porrà in cielo come un testim
della sua testa. Bacco la porrà in cielo come un testimonio perpetuo
della
sua virtù accanto alla corona d’Arianna, e splend
oeta, del quale vi dò l’estratto, ho tradotto in versi la descrizione
della
morte d’Erigone dopo che le fu noto il destino de
sa paterna. Il cane suo fedele compagno, dopo aver custodito il corpo
della
fanciulla, e mostratolo a dei pellegrini che lo s
, e mostratolo a dei pellegrini che lo seppeUirono, morì sul sepolcro
della
padrona. Giove impietosito pose Icaro, Erigone e
me sei morto? Forse sta tra i cultori, e ad essi insegna 1 nuovi rami
della
bella vite Porre nei campi, o col bifolco a mensa
l pianto corse Sulla divisa veste; e chiude il labro, Ov’ è il pallor
della
futura morte, Disperato silenzio. Ulula accanto,
ente stella Rese il fido animai, eh’ ora risplende Accanto agli astri
della
prima nave. Nonno , Diosiniache, lib. xlvii.
dopo gli dà lo stesso abito per indicare il colore del vino. La Base
della
Villa Albani lo rappresenta completamente armato
zione contro gl’Indiani, e porta ancora una corona di alloro in segno
della
vittoria eh’ egli riportò; e questa corona è cono
o autore che n’abbia data la spiegazione, conservandoci la tradizione
della
fuga d’un’Amazone dalle vicinanze d’Efeso fino a
notte, come si vede in Pausania dove parla delle Baccanti di Sidone,
della
festa del Padre Libero, cioè Bacco, vicino a Lern
a essere adoprata in altro modo, come sarebbe per uno dei segni sacri
della
cesta mistica, senza che noi siamo costretti a di
più pezzi, e comunemente di due, quelle (cred’io) che lungi dal luogo
della
loro destinazione si lavoravano per uso, o per or
stato usato dagli Egizii. A questo però dobbiamo ascrivere la perdita
della
metà inferiore del nostro Bacco, come di tre bell
conquistatori. La testa è coronata di pampani, e la fronte è fasciata
della
benda bacchica chiamata propriamente (grec), come
to di poco dalla caccia vi sta sopra: trae amore da lui, e s’innamora
della
propria bellezza. Nell’acqua poi, come vedi, quas
he poi dove alla giuntura si piega, e l’ombra ancora ch’è nella palma
della
mano, e sono obliqui i raggi dell’ombra pei diti
o stesso modo nel quale è guardata. Molte cose avrebbero potuto dirsi
della
chioma, se lo avessimo incontrato quando era a ca
anciullo si avvicina all’onde, ed esse sono ferme ed innamorate quasi
della
sua bellezza. — Giacinto. — Leggete in questo f
una nebride, che è quanto dire di una pelle di cerbiatto, in memoria
della
metamorfosi che di lui in questo animale fece Gio
mbe per lo più ha coturni, calzatura dei tragici, essendo egli il dio
della
Tragedia, per cui il giudizio fra le tragedie di
tiro più del cavallo, e la coda cavallina è più piena molto e sfilata
della
caprigna. Il volto nel Satiro è d’incerta e varia
one, che non può avere altro oggetto fuori del comodo degli artisti e
della
nomenclatura antiquaria, vogliono derivata dall’
a Egloga di Virgilio, e una simile ne dovette avere il Greco artefice
della
bella statua della Villa Pinciana, dove questo se
o, e una simile ne dovette avere il Greco artefice della bella statua
della
Villa Pinciana, dove questo semideo sostiene fra
ra costume degli antichi. Dimandava questi istantemente l’adempimento
della
promessa, la quale lo sleale Issione non volendo
la quale lo sleale Issione non volendo mantenere, invitò il genitore
della
propria moglie ad un convito con finta amicizia,
ativi dell’ ospiste scellerato; ma il re degli Dei volendo accertarsi
della
verità di quello che asserito gli veniva, diede a
i Reto, Folo, e Ileo minacciante i Lapiti col gran vaso; — intendendo
della
guerra che per soverchio vino intrapresero coi La
a. Alcuni considerando in questi Centauri come un poco tozza la parte
della
bestia, vorranno credere che siano onocentauri, c
in uso nelle feste di Bacco, come quelle che furono prese da’ Misteri
della
madre degli Dei. Ancora la Centauressa nel medagl
o pigiate da sessanta Satiri, i quali a suon di tibie cantavano versi
della
vendemmia. Hanno finalmente le Centauresse sulle
per conseguenza di Bacco, annovera ancora le pelli di capra e quella
della
pantera, imitata per lo più però e tessuta, perch
, conosciuti già sotto il nome di Centauri di Furietti, nobili avanzi
della
Villa Adriana: la copia simile dell’ altro barbat
i di contorni più segnate perchè potessero distinguersi nell’oscurità
della
pietra. Quel che si è conservato nelle copie è il
a caccia delle lepri in cui s’adoprava, e sull’esempio d’una bell’ara
della
Villa Borghese, se gli è posta in mano una lepre,
questi selvaggi misti di uomo e cavallo. Sappiamo anche coll’analogia
della
storia moderna che i primi a cavalcare sembrarono
i Fedro, del cavallo e del cinghiale, ci fa conoscere che l’occasione
della
caccia fu quella che introdusse la prima 1’ uso d
dei cimbali, dei flauti, dei corni, che accompagnavano con movimenti
della
persona violenti e fanatici, non misurati con leg
par delle Menadi presso Virgilio nel iv dell’Eneide, e Stazio nel iv
della
Tebaide: ma le Baccanti non credo che tutte fosse
i Bacco con corno potorio in mano, levasi di terra dipinta in un vaso
della
Galleria. Le più celebri fra loro sono Ippa, Nisa
in monumenti. « Passando ora a considerare i bassirilievi: in quello
della
principal facciata è ripetuta una composizione co
hiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di osservare che i ministri
della
mensa eran Fauni. « Posate su d’un altro letto d’
ìsse ambedue collo sguardo alla principal figura, cui sembra al gesto
della
man destra che il giovinetto diriga una dell’accl
rvato ai piaceri del suo genitore, come per indicare il luogo agreste
della
scena, quale appunto amavasi da quel nume pei suo
gli arcani riti. « I bassirilievi laterali proseguono l’ indicazione
della
campagna. Qua, presso un albero, sorge la statua
l’ indicazione della campagna. Qua, presso un albero, sorge la statua
della
Speranza: ella che solo può far durare nell’uomo
o. Un’ altra pastorella studiasi di sottrarre il capretto dalle poppe
della
madre, presso a cui appoggiato graziosamente col
, ove sono appoggiate due faci ardenti, al lume delle quali due genii
della
Morte bruciano una farfalla, simbolo della vita,
lume delle quali due genii della Morte bruciano una farfalla, simbolo
della
vita, e rivolgono intanto piangenti la faccia alt
gli cade sul petto, artificiosamente sparsa e disposta. I lineamenti
della
sua fìsonomia sono puramente ideali: naso greco e
ea attribuirsi, e che vedesi ripetuto su di tanti ermi. I capelli più
della
barba acconciamente distribuiti gli cadono in par
la testa. La molezza e la grandiosità dell’abito corrisponde al lusso
della
sua capigliera. È vestito di una larga tunica sov
ggetto e il maestoso portamento e il grandioso vestiario e la coltura
della
chioma quasi donnesca. Cresceva nel volgo l’evide
ttuosissimo re. Feriva ad alcuni la fantasia la somiglianza del volto
della
statua principale coi volgarmente creduti ritratt
o parere, dottissimo com’egli era, non si nascose alcune incongruenze
della
comune opinione, e tra le altre rilevò quella del
cune incongruenze della comune opinione, e tra le altre rilevò quella
della
barba che il decantato Sardanapalo solea radersi
inioni mi sembra tanto fondata da poter reggere ad un ragionato esame
della
scultura. Il molle e celebre Sardanapalo non può
re le ragioni rilevate in contrario da Winkelmann, l’unico fondamento
della
somiglianza coi ritratti di quel filosofo riman d
grafe, quantunque antica, sui più forti ed evidenti. E se il soggetto
della
nostra statua è certamente un Bacco barbato, come
duplicità del a non è conforme alla più esatta ortografia, e le forme
della
C, dell’A, del A, del a se hanno qualche esempio
tti i segni dell’anteriorità, servono però a confermarci neiropinione
della
posteriorità di un’altro, che già ne somministri
on verità Tesmofori, o legislatori, e riguardati come la vera origine
della
perfezione dell’uomo civile. Quindi Cerere si uni
ueste tre divinità fu congiunto, sì nei gran misteri Eleusini i primi
della
Grecia e della religion delle genti, come nelle f
ità fu congiunto, sì nei gran misteri Eleusini i primi della Grecia e
della
religion delle genti, come nelle feste, nei templ
nito, mostra un lavoro di molta antichità, e forse degli ultimi tempi
della
Repubblica; e alla semplicità e bellezza delle fi
più conveniente dec orazione dei sepolcri, e quasi un sicuro segno e
della
santità della vita e della felicità dopo la morte
te dec orazione dei sepolcri, e quasi un sicuro segno e della santità
della
vita e della felicità dopo la morte degli estinti
ne dei sepolcri, e quasi un sicuro segno e della santità della vita e
della
felicità dopo la morte degli estinti iniziati: ce
cia infino ai piedi, mostra con un gentil serpeggiare l’ondeggiamento
della
mal ferma persona. Il suo capo è coronato di eder
anti, è scolpito l’educatore di Bacco, Sileno, che rattempra al suono
della
cetra gli affetti del Nume: e poeta e filosofo qu
proporzione che non esige il resto delle figure, ed è piuttosto prova
della
diligenza e della laboriosità che del gusto dell’
n esige il resto delle figure, ed è piuttosto prova della diligenza e
della
laboriosità che del gusto dell’artefice, il quale
all’istoria, alle pompe del dio del Vino allusivi, saranno argomento
della
presente Lezione. Confido che le illustrazioni di
che nelle braccia, e per la grazia e la vivezza dell’atteggiamento e
della
mossa. Altri poco diversi in altra Collezione non
sono egualmente conservati. « La somiglianza che accenno è argomento
della
provenienza di figure sì fatte da nobile original
menzione del serpente Orgio, rettile venerato in quei famosi misteri
della
Gentilità, che perciò nell’argento asiatico si av
tra, edita fra le statue di Dresda. Tutto ciò prova la ragionevolezza
della
proposta denominazione, e nello stesso tempo dimo
questa opinione è il partito, onde lo scultore ha condotto il rilievo
della
figura, la quale, come suol vedersi in molte di s
redersi appartenenti a sepolcro, mi persuade che tal fosse il destino
della
presente scultura: il sito campestre, la bellezza
della presente scultura: il sito campestre, la bellezza e la gioventù
della
donna estinta avran dato luogo a rappresentarla q
della donna estinta avran dato luogo a rappresentarla quasi una ninfa
della
contrada; e le insegne Bacchiche sì ben convenien
calzato i pie di coturno son degne di qualche attenzione la vivacità
della
mossa, la naturalezza deirespressione, la facilit
stume indico, non dovea mai recidersi. Un Genio siede fra le orecchie
della
vinta belva. L’ elefante non è rappresentato si g
numenti bacchici. Questa Lezione é l’ultima di quelle che trattano
della
teologia mitologica, ed altri monumenti Bacchici
he dobbiamo calcare diviene adesso più dilettevole. Il primo soggetto
della
Mitologia storica è Giasone, che col fior della G
le. Il primo soggetto della Mitologia storica è Giasone, che col fior
della
Grecia ardisce violar l’onde non tentate dai mort
largamente il difetto del suo artifizio. E il più evidente monumento
della
stretta unione che riconosceva la pagana mitologi
ione quando Settimio Severo li fé’ riconoscere come divinità tutelari
della
sua persona e della sua famiglia, e li fé’ congiu
Severo li fé’ riconoscere come divinità tutelari della sua persona e
della
sua famiglia, e li fé’ congiungere nei conii dell
ndola a forza, giusta la pratica dei vetusti riti nuziali, Ebe la dea
della
giovinezza destinata in cielo sua sposa. « La bib
tre visse, non ordinaria venerazione. Quindi è che si adornin sovente
della
sua effige le pompe dei Baccanali. Sileno ubria
più in suo potere, ma gli ricade sull’omero, ed accresce l’imbarazzo
della
sua situazione: mentre un altro Faunetto che il s
to al sinistro. « Il tirso, sfuggito dalla sua destra scorre nei seni
della
tunica, e la solleva: e così compisce con bella e
sca di greco marmo dissotterrata nei fondamenti del sontuoso edifizio
della
Sagrestia Vaticana, come son lieti nell’argomento
minenti pendono loro sotto le mascelle, anche queste ideate a seconda
della
lor natura caprina e non infrequente in immagini
un breve ammanto che le s’inarca dietro le spalle. La tunica spartana
della
terza senza cintura ai fianchi nella violenza del
ispirano i suoi compagni. Un flauto è alla bocca del Fauno abbigliato
della
spoglia di una pantera, e il Satiretto, che viene
re così i pregi opportì, perchè non perdono mai di vista il prototipo
della
più scelta natura. L’ azione del putto è tutta pr
ica un Fauno fanciullo. « Sembrerà strano, cred’io, a chi non ha idea
della
negligenza di molti espositori di cose antiche, e
uel con un cembal bee, quei par che ridano, Qual fa d’un corno e qual
della
man ciotola, Qual ha preso una ninfa, e qual si r
chi ha lodata la Mitologia Storica, conosciutala in parte, assai più
della
Teologica; giudicheranno i lettori. 4. Daremo in
somministrata l’idea. Vedi l’Inno sopra Apollo, che si legge in fine
della
Lezione Decimaquinta. 14. Vedi la Lezione XVI.
opri di chi frequentava la campagna, che difendevano i piedi, e parte
della
gamba meglio che non facessero i calceamenti ordi
escovo di Ascalona. E. R. V olendo porre in istampa un Compendio
della
mia Mitologia pe’ giovanetti, ho creduto fare il
mani lasciarono opere, sulle quali il tempo non istenderà mai il velo
della
obblivione. E più di ogni altro i Poeti colla soa
se non abbia bevuto a que’ nobilissimi fonti ? Gli educatori adunque
della
gioventù debbon porre fra le mani de’ loro alliev
. Il fine principale di quel mio lavoro fu quello di porre nelle mani
della
gioventù una Mitologia, la quale fosse ricca di e
che l’accoglierà con serena fronte qual sincero e pubblico attestato
della
mia stima e gratitudine, con cui ho l’onore di ba
da Ida ; e Dindimène (Δινδυμηνη, Dindymene), da Dindimo, tutti monti
della
Frigia, ov’era in ispecial modo venerata. Si chia
Egeo, ed a Plutòne, l’inferno, cioè l’Epiro, ch’è la parte inferiore
della
Grecia, toccò in sorte. In questa partizione del
vengono inaspettatamente a recarci qualche gran bene ; come figliuoli
della
terra diciamo coloro, de’ quali ignoriamo i genit
diva di marziali trombe che turbasse i tranquilli sonni e la dolcezza
della
pace. Non vi era cupidigia di avere ; non si piat
uerra ; ed i servi assisi a mensa eran serviti da’ padroni in memoria
della
sognata eguaglianza del secolo d’oro. Per la tra
presenta Giano stesso rinchiuso nel suo tempio qual custode ed autore
della
pace. Quindi il Tasso, parlando di Argante, disse
ntro del monte Pelio, ove educò i più insigni Eroi che furono a tempo
della
spedizione degli Argonauti, Ercole, Giasòne, Escu
obolio. I Sacerdoti di Cibèle appellavansi Galli dal fiume Gallo,
della
Frigia, del quale bevendo le acque, venivano in g
ificii di Cibèle avea Ati (Αττης, Atys, Attis), bellissimo giovinetto
della
Frigia, il quale un giorno preso da stranissimo f
entre pareva che volesse far danno alla propria persona, fu per pietà
della
Dea cangiato in pino, che fu poscia a lei dedicat
diste, a piè del quale era la celebre città di Pessinunte, a’ confini
della
Frigia, ove Cibèle avea un tempio di grandissima
la Madre Idèa, e che da P. Cornelio Scipione fu collocata nel tempio
della
Vittoria sul Palatino, a’quattro di Aprile, che f
o perchè Vesta era il principal nume tutelare di Roma e specialmente
della
Terra, e per essa intendono il fuoco. Il culto di
ono che quella figura rappresentava la terra che credevan gli antichi
della
forma di una sfera. In esso non era alcun simulac
i. Fu loro uffizio principale, vegliare alla custodia del sacro fuoco
della
Dea, che esser dovea continuamente acceso, perchè
per cura delle Vestali, sempre arder dovea il fuoco di Vesta a tutela
della
Republica. Era esso fuoco di legna che ardevano s
a esso fuoco di legna che ardevano su di un focolare ; e se per colpa
della
Vestale o per caso veniva a spegnersi, si reputav
e di merli di mura, per significare le città che sono come la corona
della
terra. Per lo più si rappresentava con un disco i
rsi madre di tanti numi, vien portata su pomposo cocchìo per le città
della
Frigia. Giano si dipingeva con due facce, o perch
is o quiris, che in lingua Sabina significa l’asta come se fosse Dio’
della
guerra-Janus Consivius (da consero), Giano propag
a, piena di Dio, si chiama Cibèle, e Mygdonia, da Middonia, provincia
della
Frigia ; Pessinuntia Dea, da Pessinunte, città ch
lle ed a lui si attribuiva l’invenzione degl’innesti, la coltivazione
della
terra e l’arte di letamare ; percui ebbe l’onorev
d Adrastèa l’addormentava in culla d’oro, dandogli a poppare il latte
della
Capra Amaltèa, con un dolce favo di mele, che tos
nano l’universo ; ed egli ottenne il primato per ragione del potere e
della
forza che sedevan sempre con lui nel medesimo coc
Elide, in Morea, diverso da Eolo, re de’ venti. Il quale non contento
della
maestà reale, volendo imitare il Dio del fulmine,
e la scalata alle mura, con empio orgoglio disse, volere impadronirsi
della
città a dispetto del medesimo Giove ; di che ques
uenti pericoli, come Capanèo, che vuolsi essere stato primo inventore
della
scalata, il quale fu da’Tebani con sì gran mole d
di materia, che gli antichi dissero caos, cioè confusione universale
della
materia, che contenea in se misti gli elementi di
. di Giapeto e di Climene, il quale di alto ingegno dotato, del fango
della
terra formò il corpo del primo uomo a somiglianza
la vera origine del primo padre degli uomini, che Dio formò del fango
della
terra e cui diede l’anima e ta vita col suo soffi
di Giapeto, ordinò a Vulcano che di fango eziandio formasse il corpo
della
donna, alla quale Minèrva donò l’anima o la sapie
donò l’anima o la sapienza ; Venere, la bellezza ; Apòllo, la perizia
della
musica ; e Mercurio, l’eloquenza ; percui chiamos
rovvidenza di Dio. L’uomo adunque fu la grand’opera di Prometeo, cioè
della
divina Provvidenza ; e di Minerva, o sia di una s
abbia questa favola col racconto di Mosè sulla creazione dell’uomo e
della
donna, il vede anche un fanciullo mezzanamente is
trovò il modo di conservare il fuoco tratto dalla selce nella midolla
della
ferula o canna d’India. O infine fu Prometeo un u
zio degli Dei. La Vergine Astrèa però, fig. di Giove e di Temi, e Dea
della
giustizia, fu l’ultima che lasciò la socièta degl
socièta degli uomini. Ebbe luogo fra i segni del zodiaco ed è quello
della
Vergine. Si chiamò pure Temi, la quale secondo Om
a quell’eterno peso che sdegna, gettando fiamme, e scuotendo il suolo
della
Trinacria ; ma indarno, chè sopra la sua destra s
dato luogo que’venti procellosi e quelle orribili fiamme che dal seno
della
terra di tratto in tratto si veggono uscire. Da’
er domare siffalla genia, tenne il gran concilio degli Dei e vi parlò
della
necessità di perdere il genere umano sì stranamen
n conferma di che raccontò l’empio fatto di Licaone, fig. di Titano e
della
Terra e re di Arcadia. Il quale, avendo udito che
velato e colle vesti discinte, si gettarono dietro le spalle le ossa
della
madre, che interpetrarono essero le pietre, giacc
iava tutta su gli omeri di un sol uomo, ch’era il celebre Atlante, re
della
Mauritania, fig. di Giapeto e di Climene, fratell
enne la scienza del cielo co’ suoi studii indefessi e coll’invenzione
della
sfera artificiale ; perciò favoleggiarono ch’ei s
animède (4) ; ma la più celebre fu la bellissima Ebo (Ηβη, Hebe), Dea
della
gioventù e fig. di Giove e di Giunòne ; la qual c
ea Gioventù non vollero cedere il loro posto ; che fu felice presagio
della
perpetua floridezza e stabilità del Romano impero
lor di bellezza e di gioventù, detto pur Catamìto, e fig. di Troe, re
della
Troade, ch’ebbe tre figli, Ilo, Assaraco, E il d
r egida intenda una corazza, un’armatura da petto, su cui era il capo
della
Gorgone. Diremo quindi che per egida i poeti inte
va lo scudo o la corazza di Giove e di Minerva ; e questa fu la pelle
della
capra Amaltea che allattò Giove ; o quella del mo
da significa proteggere, spfendere. Nel bel mezzo di essa era il capo
della
Gorgone, del quale tanto si valse uno de’ più cel
imento. Eran figlie di Forco, dio marino, e di Ceto, fig. del Ponto e
della
Terra ; ed aveano un sol occhio, di cui si serviv
ati facesse qualche pruova di valore, e che Persèo vi recasse il capo
della
Gorgone. L’eroe accettò l’impresa, che si annover
Pegaso, e Crisaòrre, padre di Geriòne. XII. Continuazione-Serpenti
della
Libia- Andromeda- Coralli. Or nell’aereo suo
alli. Or nell’aereo suo viaggio, passando Persèo sopra le regioni
della
Libia, vennero qua e là a cadere su quell’adusto
ndurano (1). Cefèo e Cassiopea intanto il riguardarono come salvatore
della
figliuola, che il vittorioso Eroe con grandissima
bitanti in sassi. Persèo, nipote di Acrisio, re di Argo, fu fondatore
della
città di Micene, ed uno degli eroi dell’antichità
a quale essendo stata morta da Persèo insidiosamente e fra le tenebre
della
notte, ne guardò egli con istupore l’insigne bell
favolosa istoria. Euròpa (Ευροπη, Europa) fu figliuola di Agenore, re
della
Fenicia, e di Argiope. La quale nel fiore degli a
tura, approdò colà una nave, che avea dipìnta l’immagine di un toro ;
della
quale uscendo uomini armati, violentemente rapiro
n campo Giove trasformato in toro. Agenore intanto (1), nulla sapendo
della
sorte della rapita Europa chiamati a se i figliuo
e trasformato in toro. Agenore intanto (1), nulla sapendo della sorte
della
rapita Europa chiamati a se i figliuoli Fenìce, C
fassa, sua madre, questa morta, andò a Delfo per consultare l’oracolo
della
futura sua sorte. Il quale rispose, che fosse and
nitore, mentre dormiva, ed il recò al nemico per metterlo al possesso
della
città. Ma Minos, per tanta di lei empietà inorrid
quel re, che Scilla palesò a Minos, percui gli fu facile impadronirsi
della
città. Minos intanto, espugnata Megara, e vinti g
intanto, espugnata Megara, e vinti gli Ateniesi, loro impose, in pena
della
morte di Androgeo, il ben duro tributo di dare og
trasse. Il giovinetto sì bene diede opera alle arti che ritrovò l’uso
della
sega e del compasso. Vuole Ovidio che la spina de
idio che la spina del dorse di un pesce gli avesse data la prima idea
della
sega ; ma secondo Diodoro, avendo ritrovato l’int
duta. Minèrva n’ebbe pietà e cangiollo in pernice, uccello che memore
della
sua caduta pone il nido nelle siepi e vola poco a
a caduta pone il nido nelle siepi e vola poco alto da terra. Il canto
della
pernice è simile al suono che fa la sega nel tagl
che fa la sega nel tagliare il legno, e però finsero che l’inventore
della
sega fosse stato cangiato in pernice. Fu questo d
rezzando, levò troppo alto il volo dell’ingegno, e cadde dall’altezza
della
verità nel profondo mare degli errori, chè verame
, abbandonò Creta, sua patria, si ritirò nella Cilicia, e s’impadronì
della
Licia ; e ciò per una contesa avuta col fratello
gemelli e fig. di Giove e di Leda ; o di Tindaro, fig. di Ebalo e re
della
Laconia, detti per ciò Tindaridi (Tyndaridae), ed
i i Castori, dicendosi i giuochi, il tempio, la stella de’ Castori. E
della
sua gagliardia nel giuoco del cesto diede Polluce
diede Polluce insigne pruova nella famosa spedizione degli Argonauti,
della
quale era egli col fratello Castore la più bella
ia o Bitinia, ove a que’ dì regnava Amico (Amyrus), fig. di Nettuno e
della
ninfa Melìte, al quale si dà il vanto di avere il
nceo, fig. di Afareo. Questo Linceo era celebratissimo per l’acutezza
della
vista ; percui fu scelto a pilota degli Argonauti
ni ed i Dioscuri nacque fierissimo combattimento presso Afidna, città
della
Laconia e patria di Febe e di Elaira ; e secondo
ttà bassa. Nati questi gemelli, la madre, per sottrarli alle violenze
della
rivale Dirce, li diede ad allevare ad un pastore
o e non cangian sito, perchè il polo artico, per la posizione obliqua
della
sfera, è il solo a noi visibile e non si vede mai
, ed ora pigro da’poeti(3). Arturo finalmente è una stella nella coda
della
costellazione di Boote ; ma da’ poeti si prende p
ciò Asopiade da Ovidio. Regnò nell’isola Enopia o Enone, che dal nome
della
madre chiamò Egina(1), ond’ebbe origine il popolo
a siccità sarebbe cessata, se il re di Egina avesse interceduto a pro
della
Grecia. Eaco offerì sacrificii a Giove Panellenio
semidco. XX. Io-Argo-Epafo. Celebre nell’antichità è la favola
della
bellissima donzella Io (Ιω, Io, gen. Ius), la qua
e degli Egiziani. Io, nel dialetto degli Argivi, significava la luna,
della
quale era simbolo una donna col capo coronato ; e
i Giove medesimo, edificò una città famosa, che chiamò Menfi dal nome
della
moglie, da cui ebbe una figliuola chiamata Libia,
ni, perchè al sommo Giove riferivano il principio del lor legnaggio e
della
lor nazione. Ed invero Dardano, lor primo re, fu
e sua patria. Dardano ebbe gli onori onori divini, e fu studiosissimo
della
magia, che perciò chiamossi arte dardania dagli a
uali per altro prima di lui erano in uso presso gli Egiziani. A tempo
della
guerra Troiana fiorì Eolo, re de’venti. Appresso
ipari, e Strongoli (στρογγυλος, rotundus), così detta dalla rotondità
della
sua forma, e che getta fuoco con grande splendore
nell’antichità sono l’oracolo di Giove Ammone, nella Cirenaica, paese
della
Libia, e quello di Dodona, nell’Epiro ; tanto che
è il tempio di Giove Ammone fu da Bacco fondato negli arenosi deserti
della
Libia ; pe’quali viaggiando e sofferendo grandiss
rivono che un ariete mostrò un bel fonte a Bacco, il quale pe’deserti
della
Libia guidava l’assetato suo esercito ; in premio
; e per dar colore a siffatta mensogna, imprese, per le cocenti arene
della
Libia, un malagevole viaggio, per cui giunse, nou
po era anche il solo(2). Fu fondato da’ Pelasgi, il più antico popolo
della
Grecia ; o secondo Erodoto, da una donna Egiziana
renza di altri meno considerevoli, che si celebravano in alcune città
della
Grecia, come in Dio, luogo della Macedonia, in At
, che si celebravano in alcune città della Grecia, come in Dio, luogo
della
Macedonia, in Atene, a Smirne ec. ma quelli di Ol
l’istituì Atreo per onorare i funerali di Pelope, suo padre. A tempo
della
guerra di Troia i giuochi olimpici o non vi erano
ve Olimpico, e per un magnifico tempio di questo Nume, ricco de’ doni
della
Grecia, ove grandeggiava la statua di Giove Olimp
ne. Era di tanta grandezza, che parve essersi peccato contro le leggi
della
proporzione, perchè seduto com’era, toccava il te
va dell’Alfeo si celebravano questi famosi giuochi, ne’quali il fiore
della
greca gioventù si esercitava in cinque maniere di
guerra co’ Sabini ; ed ampliato poscia da Tarquinio Superbo, a tempo
della
Repubblica arrivò ad una magnificenza degna del n
si ravvisa principalmente agli occhi aperti e rotondi ; all’ ampiezza
della
fronte rilevata e quasi gonfia ; ed alla chioma c
apide col modio sul capo, che Millin crede essere un avanzo del fusto
della
colonna, sotto la cui figura era questo Nume anti
a un grande arco simile al lembo dell’aurora boreale ; e nel contorno
della
pietra è una zona co’dodici segni dello zodiaco.
Giove, padre del giorno, detto Lucetius ne’carmi Saliari, cioè autore
della
luce. Da’ Cretesi il giorno stesso chiamavasi Gio
particolarmente protetti. Iupiter Idaeus, così detto o da Ida, monte
della
Frigia ; o da Ida, monte di Creta, ov’era la cull
’poeti padre degli uomini e degli Dei. Iupiter Pluvius, Giove datore
della
pioggia, detto da’ Greci ομβριος ed Υετιος, che a
re cogli uomini. Giove in più luoghi dell’ Iliade si chiama l’arbitro
della
guerra fra gli uomini ; e lo Scoliaste riferisce
ono in gran pregio. Omero racconta la favola di Argo, ma non fa motto
della
trasformazione di lui in pavone. Mosco, e dopo lu
elle favole sono non pochi esempi. L’Emo ed il Rodope furon due monti
della
Tessaglia, de’ quali si favoleggia ch’erano in qu
olla totale distruzione di quest’ultima. E poichè il pertinace sdegno
della
nostra Dea è propriamente il fondo, per dir così,
principio raccontare l’oltraggio che toccò sì al vivo l’animo altero
della
Dea, e che fu la fatale cagione di tanti famosi a
da mano divina sarebbero state inespugnabili, chiamarono Eaco a parte
della
fatica. Ora spaventato Laomedonte, consulta l’ora
anciullo in quel parto, che dovea essere un giorno l’infelice cagione
della
rovina di Troia. Priamo pieno di affanno comanda
ermarono la loro stanza il primo a Salamina, il secondo a Ftia, città
della
Tessaglia. Temi intanto, o le Parche avean presag
sotto specie di legazione, fu da Priamo mandato nella Grecia in cerca
della
sorella Esione. Ivi giunto, fra le altre città, v
ne desidera la totale perdizione. Ed in Ovidio(2) Penelope lagnandosi
della
lunga assenza di Ulisse, desidera che dalle insan
otto il simbolo di due pesi attaccati a’ piedi di Giunone. L’orgoglio
della
nostra Dea la rendea inquieta ed infelice, e spes
ice, e spesso le conveniva giungere ad atti di sommissione poco degni
della
sua grandezza, di modo che il titolo di regina de
arvi risorgere una Troia novella e più potente ; prevede la grandezza
della
posterità di lui, che un dì signoreggiar dovea tu
vilipesa. Quindi obbliando la sua dignità e solo aspirando al piacere
della
vendetta, va da Eolo, e sebbene tanto a lui super
ro dipingercela come l’essere più infelice dell’universo. Nulladimeno
della
sua grandezza e potenza vi è assai a dire, ed i p
re, ed i poeti stessi non lasciano di raccontarci grandi e belle cose
della
Regina degli Dei. Appresso Omero(1) Giunone stess
ose della Regina degli Dei. Appresso Omero(1) Giunone stessa si vanta
della
nobiltà divina de’ suoi natali ; e ben conveniva
de’ suoi natali ; e ben conveniva che Giove avesse una consorte degna
della
sua grandezza ; e s’egli era il sovrano degli uom
da’ tempi del prisco Tarquinio quelle tre sovrane deità come tutelari
della
Repubblica erano in grandissima venerazione. E be
ume si sarebbero resi grandissimi onori(2). Eolo(3) riceve gli ordini
della
Regina de’ cieli colla sommessione di un suddito
simo cacciato e confinato giù nell’Inferno. Abbiamo pure un argomento
della
grandezza di Giunone in quel che dicono i poeti d
a de’ servigi prestatile, ed essa stava sempre assisa presso al trono
della
Dea, pronta ad eseguire gli ordini suoi ; e quand
o baleno o celeste, ed Iride (1). Essa avea la cura dell’appartamento
della
nostra Dea, le preparava il letto e la vestiva ;
sì accelerarle la morte(4). Vogliono che Iride fosse fig. del Ponto e
della
Terra, perchè l’Iride o arco baleno colle sue est
le, e che dal Guidi chiamasi superba al par di Giuno. Era essa là Dea
della
buona e della trista sorte, la quale presedeva a
Guidi chiamasi superba al par di Giuno. Era essa là Dea della buona e
della
trista sorte, la quale presedeva a tutti gli avve
tro, sospeso in aria. Da ciò la frase, essere al colmo, o nell’infimo
della
ruota di Fortuna. La rappresentavano pure con un
luto, Dio delle ricchezze, ponendo il Dio delle ricchezze fra le mani
della
Fortuna. Questo Pluto reputavasi il genio e quasi
appresenta la Fortuna vestita di tunica talare, con un diadema ornato
della
mezza luna e del fior di loto, i capelli fluttuan
significare la fermezza di lei, o per esprimere la forza e la potenza
della
necessità, che spesso accompagna la Fortuna. A Ro
tempii ; e gl’Imperatori nelle loro stanze aveano una statuetta d’oro
della
Fortuna detta aurea, ch’era il Genio de’ Principi
dalla quale principalmente credevano dipendere gl’incerti avvenimenti
della
guerra. Il motto di Cesare era : Virtute duce, c
marito, e presedeva alla cerimonia, con cui la sposa ungeva la porta
della
casa di suo marito prima di entrarvi, in segno ch
iove, perchè(3) gli antichi per Giunone intendevano la luna, il corso
della
quale regola i mesi. IX. Iconologia di Giunone
lo sfendone, lo scettro ed il pavone, vi è pure un piccolo simulacro
della
Vittoria su di una colonna ; e Cicerone rimprover
una testa muliebre in un guasto cammeo del Museo Strozzi, pe’ tratti
della
bocca giudicar si può sicuramente esser quella un
alis, perchè assisteva alla nascita degli uomini. Le donne nel giorno
della
loro nascita sacrificavano in di lei onore, come
none Lucina. Pindaro(1) invoca Lucina o Ilitia, e la chiama figliuola
della
potente Giunone ; ed Esiodo dice che questa Dea p
troia gravida per divertire i mali minacciati da un tremuoto in tempo
della
guerra cogli Aurunci. Allora le fu dedicato un te
costume de’ Romani, presso a’ quali la sposa novella ungeva l’imposta
della
porta, quando entrava nella casa dello sposo.
di esso dipinse un’Elena, che rappresentar dovea il più perfetto tipo
della
bellezza ; percui copiò da più sembianti quel che
a l’aquila a Giove, e l’allocco, a Giunone. Questo difatti è l’aquila
della
notte, e il re di quella tribù di uccelli che tem
endevano sedici donne, e schiere di donzelle si disputavano il premio
della
corsa nello stadio degli olimpici giuochi, ch’era
un velo o stoffa detta peplo, che consacravano a Giunone. Nel tempio
della
Dea ad Olimpia era descritto il fatto de’ due fra
a Dea che presiede alle scienze, detta da’ Greci Αθηνα, sulla origine
della
quale voce non convengono gli eruditi. Minerva po
i eruditi. Minerva poi è parola latina, così detta o perchè, come dea
della
guerra, diminuisce il numero degli uomini(2) ; o
erva o Atene era la Dea delle scienze e delle arti, e Pallade, la Dea
della
guerra. Da Omero però è quasi sempre chiamata Pal
argomentavano dal gran calore di quella regione ; e quivi nelle acque
della
palude Tritonia si specchiò, e paga di se volle c
Tritonia : e però nelle vicinanze di quella palude, nel giorno natale
della
Dea, molte vergini donzelle il celebravano con di
in Beozia, famosa per le opere di lana ; e perchè le arti son frutto
della
mente, si finse ch’ella era nata dal cervello di
o, ma piuttosto un parto del capo di Giove, cioè dell’inesausta fonte
della
mente e sapienza divina. Minerva è pur qualche vo
apienza divina. Minerva è pur qualche volta celebrata per l’avvenenza
della
forma ; ma di rado i poeti ne lodano la chioma di
e per senno sopra gli altri si alzarono, sotto la speciale protezione
della
nostra Dea. Fra i quali vuolsi ricordare il giova
ea. Fra i quali vuolsi ricordare il giovane Telemaco, al quale la Dea
della
sapienza, sotto le sembianze ed il nome di Mentor
ndi nomini, ne’ fortunosi accidenti scorge a gloriosa meta. In segno
della
sua potenza davasi a Minerva anche il fulmine, ma
to dalle onde ; percui chiamossi lo scoglio di Aiace. Altro argomento
della
potenza di questa Dea è il sapere che quando Prom
ovella città di Atene, percui cantò l’Alighieri : ……. se tu se’ sire
della
villa, Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite, E onde
ra Minerva e Nettuno, questi con un colpo del suo tridente fece uscir
della
terra un fremente destriero. Plinio dice : In Ate
a di porpora. Il soggiorno di quella valorosa era Ipepa, oscura terra
della
Lidia ; ma la fama delle sue opere maravigliose a
i l’acerbo fato di Tiresia, Tebano e figliuol di Evero o di Peneto, e
della
ninfa Caricle. Al quale ancor giovinetto, mentre
ei, così Minerva subito il fece cieco. Ma mossa a pietà delle lagrime
della
dolente madre del giovanetto, il quale per caso a
i sibili de’ serpenti con quelli mischiati, quando Perseo, coll’aiuto
della
nostra Dea, troncò il capo della foro sorella Med
mischiati, quando Perseo, coll’aiuto della nostra Dea, troncò il capo
della
foro sorella Medusa. Allora fu che Minerva, dice
VI. Continuazione. Minerva difenditrice delle città e conservatrice
della
salute. Minerva presedeva alle opere fabbrili
d’oro, fu opera di lei, o di Giasone medesimo, ma sotto la direzione
della
Dea della sapienza ; perchè la divina sapienza è
opera di lei, o di Giasone medesimo, ma sotto la direzione della Dea
della
sapienza ; perchè la divina sapienza è quella che
ge nelle memorande ed utili scoperte, qual’è quella delle navi. Prima
della
spedizione degli Argonauti vi erano già navi al m
nave Argo, chiamata da Fedro opera Palladia (2). Giasone, al ritorno
della
sua spedizione, consacrò questa nave a Minerva, c
nsiglio di Minerva fabbricato(1). Epeo, fig. di Panopeo, fu il fabbro
della
gran machina, sulla quale i Greci scrissero quest
erva che ponevano ne’ ginnasii. Anche la medicina era sotto la tutela
della
nostra Dea(4), percui spesso chiamasi Conservatri
o la tutela della nostra Dea(4), percui spesso chiamasi Conservatrice
della
sanità e della vita degli uomini. Pericle fece in
la nostra Dea(4), percui spesso chiamasi Conservatrice della sanità e
della
vita degli uomini. Pericle fece innalzare in Aten
Pericle fece innalzare in Atene una statua a Minerva Salutare. L’arte
della
guerra più che ogni altra apparteneva a questa De
zzurri, e la dipinge vispa, violenta, indomabile, amante del tumulto,
della
guerra e de’ combattimenti ; il quale carattere n
ii le diedero il nome di Poliade, perchè erasi dichiarata protettrice
della
loro città di accordo con Nettuno. VII. Minerv
arte che inventò Pallade. E Plinio a Minerva attribuisce l’invenzione
della
lira e della cetra. L’arte nautica dovea molto ad
ntò Pallade. E Plinio a Minerva attribuisce l’invenzione della lira e
della
cetra. L’arte nautica dovea molto ad Iside, e nel
lle di Marte, ch’era non lungi da Atene. Non è qui luogo di favellare
della
incorruttibile severità di quel tribunale che pre
atro il magnifico spettacolo dell’Areopago istituito dalla Dea stessa
della
sapienza per una causa famosa, e nel quale gli De
ola ch’ella stessa lo assolvesse. Oreste ubbidisce e giunge al tempio
della
Dea, portando in mano un ramo di ulivo. Prostrato
’Areopago come il tribunale de’ figliuoli di Egeo, e come il baluardo
della
Grecia e la salvezza di Atene. Apollo stesso dife
o al simulacro di lei a guisa di veste, o si deponeva umilmente appiè
della
Dea(1). Nelle grandi feste Panatenee celebratissi
Minerva. Per via di occulte machine portavasi per le strade al tempio
della
Dea una nave fornita di remi e che per vela avea
rnita di remi e che per vela avea un peplo. Se questo fosse una veste
della
Dea, o un arazzo ricamato, non è agevole a defini
serpente ; o con un serpe sull’elmo, perchè questo rettile è simbolo
della
prudenza. In una sardonica della collezione di St
lmo, perchè questo rettile è simbolo della prudenza. In una sardonica
della
collezione di Stosch, Minerva Salutare o Medica è
a sormontato da un gallo, animale, cui piacciono le battaglie. Quello
della
Minerva di Atene era montato di una sfinge ; ed i
sfinge ; ed in un cammeo si vede una Minerva di bel lavoro, sull’elmo
della
quale son quattro simboli della Dea, la civetta,
una Minerva di bel lavoro, sull’elmo della quale son quattro simboli
della
Dea, la civetta, uccello a lei sacro ; una sfinge
civetta, uccello a lei sacro ; una sfinge ; il caval Pegaso, simbolo
della
fama e della sapienza ; ed un cocchio a quattro c
ello a lei sacro ; una sfinge ; il caval Pegaso, simbolo della fama e
della
sapienza ; ed un cocchio a quattro cavalli, di cu
valli, di cui Minerva dicesi inventrice. Pausania parla di una statua
della
Dea che avea un gallo sul cimiero ; ed il Montfau
oro, Mirar le membra de’ giganti sparte. Plinio(1) fra gli argomenti
della
gran maestria di Fidia annovera la statua di Mine
se, la nascita di Pandora, con venti immagini di Numi, e segnatamente
della
Vittoria, di quattro cubiti, e di avorio, e con u
ci attribuivano a Minerva un aspetto virile e formidabile, perchè Dea
della
guerra. Il ch. Visconti(5) dice « che gli antichi
oci e guerrieri animali, e perciò l’attribuivano a Pallade che uscita
della
testa del padre degli Dei tutta armata, non respi
omenia (Αθηνα αλαλκομενηις) chiamasi da Omero o da Alalcomenia, città
della
Beozia, ov’era un simulacro di lei ; o da Alalcom
spiegarsi l’aggiunto di caesius dato da Catullo(2) ad un feroce leone
della
Libia. Innupta ; epiteto di Minerva adoperato da
altri dicono che patrimus significa un giovinetto che, dopo la morte
della
madre, ha il padre ancora vivente ; il che non co
e Patrona Virgo, che sta bene a Minerva, ch’è protettrice de’ poeti e
della
poesia. Ed alcuni critici, contra lo Spondano, vo
cognizione del futuro, e però l’aveano consacrata a Minerva, simbolo
della
prudenza e della vigilanza. Anche il gallo era sa
uturo, e però l’aveano consacrata a Minerva, simbolo della prudenza e
della
vigilanza. Anche il gallo era sacro alla nostra D
; e ciò o perchè la sapienza non dorme mai, essendo il gallo simbolo
della
vigilanza ; o perchè esso è di sua natura pugnaci
perchè esso è di sua natura pugnacissimo ; percui conveniva alla Dea
della
guerra. In quanto poi alla civetta, è noto il pro
secondo altri era una statuetta caduta dal cielo a Pessinunte, città
della
Frigia, coll’asta nella destra, e nella sinistra,
ittadella, allogarono quella statua ch’esser dovea la fatale custodia
della
città. Anche i Romani vantavano il lor Palladio,
gravida di Apollo, avvenne che Pitone, serpente nato dalla putredine
della
terra dopo il diluvio di Deucalione, sapendo da’f
onsi tripodi attortigliati di un serpente che credeasi animale dotato
della
virtù d’indovinare. Latona intanto, per comando d
o da Apollo. O per Pitone(6) intesero i poeti le micidiali esalazioni
della
terra dopo il diluvio, le quali Apollo, cioè il S
diede a bere il nettare degli Dei. Bellissime cose ci dicono i poeti
della
eterna giovinezza di Apollo, che dipingevano co’
lla eterna giovinezza di Apollo, che dipingevano co’ più dolci colori
della
bellezza, e che non mai per volger di anni scadev
guitata tuttavia da Giunone, dopo lungo errare, giunse ad un bel lago
della
Licia, ove volle spegnere la sua gran sete. Ma mo
esse le sue vendette. Era questi un enorme gigante, creduto figliuolo
della
Terra, perchè i poeti dicevan nati dalla terra qu
materia, perchè Vulcano vi avea scolpito le più vaghe e mirabili cose
della
natura. Sopra un trono d’inestimabile bellezza se
ggiori sue sventure ebbero quest’altra cagione. Figliuolo di Apollo e
della
ninfa Coronide fu Esculapio nella medicina ammaes
ue’ guerrieri furono di grandissimo aiuto. Or avendo egli colla virtù
della
medicina restituita la vita ad Ippolito, fig. di
osì tolse la vita a chi altrui la dava(1). Esculapio vuolsi inventore
della
Clinica, e sotto forma di serpente adoravasi ad E
saetta i Ciclopi, fabbricatori del fulmine ; per cui Giove lo spogliò
della
divinità e cacciollo dal cielo. Fu pure obbligato
a del cinghiale Caledonio, ed uno degli Argonauti. Apollo il rimunerò
della
buona accoglienza ; e specialmente volendo egli s
, innaffia la deliziosa valle di Tempe(2). La quale avvezza alle arti
della
caccia ed alla solitudine, fuggendo un giorno la
no. Mida. Marsia. Niobe. Aristeo. Di Apollo, signore del canto, e
della
musa Calliope fu fig. il gran cantore Orfeo, il q
so regno. Questa finzione ha potuto avere origine dalla sacra istoria
della
moglie di Loth, che fu trasformata in una statua
ata in una statua di sale. Or l’infelice Orfeo, mentre pel fosco aere
della
valle infernale lieto con Euridice ritornava, non
Muse riunirono quelle membra lacerate e le seppellirono in Dio, città
della
Macedonia. Il capo poi per mare giunse a Lesbo ;
lui si dicono Orfiche. In Orfeo scorgiamo espressa da’poeti la forza
della
sapienza e della poesia, con cui i primi sapienti
fiche. In Orfeo scorgiamo espressa da’poeti la forza della sapienza e
della
poesia, con cui i primi sapienti indussero gli uo
dice che Orfeo dirozzò le selvatiche genti co’dolci modi del canto e
della
poesia ; e dal loro vivere e vitto ferino, e dall
compagnevole e civile. Finsero perciò un cantore, il quale col suono
della
lira addimesticava le tigri ed i feroci leoni. Pa
ridice, andò ad Aorno, luogo nell’Epiro, assai famoso per l’esercizio
della
negromanzia, in cui erano antri tenebrosi, che pa
te pel dolore. Orfeo insegnò pure l’astronomia a’ Greci ; ed il suono
della
sua lira composta di sette corde rappresentava l’
lui, facevano un canto più soave che altreve. Aristeo che fu cagione
della
morte di Euridice, nacque da Apollo e da Cirene,
cata presso il monte Pelio, fu poscia da Apollo portata in quel luogo
della
Libia, ove dopo fu edificata la città di Cirene,
ò egli doloroso al fonte, da cui nasce il Peneo, ed ove la reggia era
della
madre Cirene. Quivi lagrimando la prega che il mo
na favola. Ad Orfeo convien soggiungere Lino, fig. ancora di Apollo e
della
musa Tersicore. Nel suonar la lira ogni altro vin
sì nobile che osò gareggiare nel canto colle Muse, le quali, vintolo,
della
lira il privarono e degli occhi. Questo Lino vuol
favole l’avvenimento di Mida, fig. di Cibele, o meglio, di Gordio, re
della
Frigia. Si ritrovò egli una volta presente ad una
olta presente ad una contesa, in cui il Dio Pan, il quale era superbo
della
sua maestria nel suonare il flauto, veniva al par
onare il flauto, veniva al paragone col medesimo Apollo(2). Imolo, re
della
Lidia, che n’era l’arbitro, giudieò a favore di q
arsia osò venire a gara col Dio del canto. Fu questi un famoso satiro
della
Frigia, fig. d’Iagne, celebre musico. I poeti dic
ono, il satiro non potè colla piva seguirlo. E però vinto pagò il fio
della
sua temerità, perchè Apollo, geloso di sua gloria
ro, il fece vivo vivo scorticare da uno Scita, e la pelle qual trofeo
della
vittoria, sospese in un tempio della città di Cel
no Scita, e la pelle qual trofeo della vittoria, sospese in un tempio
della
città di Celene. I Satiri e le Ninfe piansero con
inferiore alla lira, così s’intende la contesa con Apollo, inventore
della
lira, ed il gastigo del Satiro. Senofonte dice ch
da gagliardo vento trasportato sul monte Sipilo, è tuttavia monumento
della
sua empietà verso i Numi e dell’ acerbità del suo
i Anfione, forse per dispetto dell’alterigia e dell’irreligioso animo
della
Regina. Eustazio racconta che morirono in una pes
reci, ed offerendo assai danaro pel riscatto, domandò la restituzione
della
figliuola in nome del suo Dio. Agamennone però co
prannome di Sminteo, o sia distruggitore dei topi. In Crisa, castello
della
Frigia, fu un sacerdote di Apollo, chiamato Crine
d Agamennone, cui più volte disse che guardato si fosse dalle insidie
della
moglie Clitennestra, ma non fu creduta, percui uc
le incumbenze di Apollo. E primieramente egli era il Dio de’ carmi e
della
poesia, non che della musica e di tutte le belle
lo. E primieramente egli era il Dio de’ carmi e della poesia, non che
della
musica e di tutte le belle arti. I poeti erano su
enze e le arti, le quali senz’assidua meditazione e diligente coltura
della
memoria non si possono acquistare. Esse comunemen
tanto amici alle lettere ed alla poesia soprattutto. L’Elicona, monte
della
Beozia, sacro ad Apollo ed alle Muse, da Ovidio c
rdimentosi a segno di sfidarle nel canto. Filammone, fig. di Apollo e
della
ninfa Chione, uno de’ più antichi Musici(1), ed i
tissimo, fu vinto ed in pena privato degli occhi. Pireneo, barbaro re
della
Tracia(2), avea occupato Daulia, città della Foci
chi. Pireneo, barbaro re della Tracia(2), avea occupato Daulia, città
della
Focide, e quivi tirannicamente regnava. Vide egli
lea follemente seguirle, precipitò da quell’altezza e riportò la pena
della
sua insolenza. I Traci eran gente barbara ; e Pir
va un giorno alla Tracia ; ma poscia quel monte fu abitato da’ popoli
della
Macedonia(3). Pierio adunque era probabilmente di
in Macedonia ; e da Evippe, di Peonia, ebbe nove figliuole, le quali,
della
cognizione di molte scienze ed arti dotate, osaro
e in fatto di canto. Accettata la disfida e scelte le Ninfe a giudici
della
contesa, cantarono prima le audaci figliuole di P
educati, riconobbero poscia la loro origine ; e per vendicare l’onta
della
madre legarono Dirce alla coda di un indomito tor
el suono e del canto persuase i Tebani a portar le pietre per le mura
della
città. Orazio(2) coll’esempio di lui e di Orfeo d
Orazio(2) coll’esempio di lui e di Orfeo dimostra la virtù prodigiosa
della
poesia e della musica. Anfione ebbe la lira da Me
esempio di lui e di Orfeo dimostra la virtù prodigiosa della poesia e
della
musica. Anfione ebbe la lira da Mercurio, ovvero
fra’ Greci ritrovò un regolar concerto musicale, simile forse a Jubal
della
Sacra Scrittura, che fu, per così dire, il primo
cappella, (Pater canentium cithara. Genes). Il Pindo è un gran monte
della
Macedonia, il quale da’ monti Acrocerauni si sten
impla, monte in Macedonia, forse lo stesso che il Pierio, ne’ confini
della
Tessaglia, vicino all’Olimpo, con un fonte sacro
antri e gli ameni recessi si credevano attissimi per la inspirazione
della
poesia, per cui alle Muse eran dedicati, non meno
on aveano che un sol tempio, per indicare che uno de’ principali fini
della
poesia è dilettare. Clio, così detta da un verbo
atteggiamento di recitare. Melpomene, (a μελπομαι, cano), era la Musa
della
tragedia, e si dipingeva qual giovane donna, supe
Tersicore, (a τερπω, fut. ψω, delecto, et χορος, chorus), era la Dea
della
musica e della danza, ed a lei si attribuisce l’i
τερπω, fut. ψω, delecto, et χορος, chorus), era la Dea della musica e
della
danza, ed a lei si attribuisce l’invenzione della
Dea della musica e della danza, ed a lei si attribuisce l’invenzione
della
cetra. Si rappresenta in forma di una giovane ing
un’arpa, ed alcuni strumenti musicali intorno a se. Nel bassorilievo
della
villa Mattei, Tersicore batte la cadenza danzando
nella sinistra, ed un rotolo, sul quale è scritto : Suadere ; simbolo
della
rettorica. Era pure la Musa della pantomima. Uran
quale è scritto : Suadere ; simbolo della rettorica. Era pure la Musa
della
pantomima. Urania, (ab ουρανος, coelum), quasi ce
etta, con cui facevansi le dimostrazioni astronomiche. Sulle medaglie
della
famiglia Pomponia tocca colla sua bacchetta un gl
le principali arti di cui egli era duce e maestro, furono la musica,
della
quale abbiam parlato, la divinazione, la medicina
del mondo, che vede tutte le cose ; e perciò finsero ch’ei era il dio
della
divinazione. Rappresentavasi quindi coronato di a
divinazione. Rappresentavasi quindi coronato di alloro ch’era simbolo
della
conoscenza del futuro ; e di alloro si coronavano
are degli oracoli di Apollo, e prima di quello famoso di Delfo, città
della
Focide, sulla vetta del monte Parnasso, la quale
, la quale credevasi dagli antichi allogata giusto nel mezzo non solo
della
Grecia, ma pur di tutta la terra, e però la chiam
re città. E si racconta che Giove, volendo sapere qual fosse il mezzo
della
terra, mandò due aquile, una dall’oriente, l’altr
ava su di una rupe altissima intorno intorno tagliata, ed il concorso
della
gente vi faceva una città ; e del tempio e della
iata, ed il concorso della gente vi faceva una città ; e del tempio e
della
città le balze ed i dirupi facevan le veci di mur
iù mirabile fosse la natura del luogo, o la maestà del Nume. Il mezzo
della
città avea sembianza di vasto teatro, e quando vi
o. Apollo significò che di là a tre giorni avrebbero veduto l’effetto
della
preghiera ; il quale fu, essersi ritrovati morti
in più altri luoghi erano celebri oracoli di Apollo. In Claro, città
della
Ionia, era un tempio che in magnificenza appena c
piume candidissime, e che Apollo gliele trasformò in nere per punirlo
della
sua loquacità. Un giorno(2) avendolo mandato quel
ual destro corvo, o qual manca cornice Canti il mio fato. Come a Dio
della
divinazione, dice Cicerone(5), era ad Apollo cons
onsacrato anche il cigno, perchè stimasi avere quasi un presentimento
della
vicima sua morte, la quale esso annunzia con un c
ose al figliuolo Alcmeone di vendicar dopo la sua morte il tradimento
della
madre ; ed andato a Tebe, insieme co’ cavalli fu
fu dalle furie agitato. Apollo infine chiamavasi veritiero ed amante
della
verità e non della mensogna ; percui da Eschilo s
tato. Apollo infine chiamavasi veritiero ed amante della verità e non
della
mensogna ; percui da Eschilo si appella vate non
ate giurava per Apollo medico ; ed Igino gli attribuisce l’invenzione
della
medicina oculare. Da non pochi luoghi di Omero si
sco e rugiadoso Or mi giacì d’avanti, e fior somigli Da’ dolci strali
della
luce ucciso. Monti. Eurito, nell’Odissea, muore
lore del sole è cagione di subitanee morti. Ad Apollo poi, come a Dio
della
medicina, consacrarono l’alloro, il quale, second
illa. Armenti del Sole. Apollo finalmente era il dio del giorno e
della
luce ; ed in questo senso propriamente dicevasi F
Dal Sole e da Perseide, una delle Oceanidi, nacque Circe ed Eeta, re
della
Colchide, il quale da Idìa procreò Medea. Circe p
trasformati in porci per virtù di alcuni di lei farmaci, ed al tocco
della
sua magica verga. E lo stesso sarebbe accaduto ad
le. Erravano questi in gran numero tra buoi e pecore pe’fertili campi
della
Sicilia ed eran di loro natura immortali. Venivan
guidati al pascolo da due ninfe, Fetusa e Lampezie, fig. del Sole, e
della
ninfa Neera. Ma i compagni di quell’eroe, mentre
Paradiso infiora. E come il bel colore dell’Aurora è simile a quello
della
rosa, e l’alba ha un dolce candore purissimo ; co
r l’Aurora fu fig. d’Iperione e di Tea, la quale era fig. del Cielo e
della
Terra(2) ; o d’Iperione e di Eurïfessa(3) ; o di
elo e della Terra(2) ; o d’Iperione e di Eurïfessa(3) ; o di Titano e
della
Terra ; o di Pallante, detta perciò Pallantiade (
di Priamo. Fu uomo di grande bellezza, ed ottenne da Giove(6) il dono
della
immortalità per le preghiere della consorte ; la
za, ed ottenne da Giove(6) il dono della immortalità per le preghiere
della
consorte ; la quale non avendo pensato a pregare
on le gambe incrocicchiate è in atto di unire il canto al dolce suono
della
sua lira. Un cigno sta a’ suoi piedi. Gli abitant
nel 1797 fu trasportata in Francia ; ma nel 1815, per gli avvenimenti
della
guerra, ritornò nel Vaticano. È verisimile che fr
ti della guerra, ritornò nel Vaticano. È verisimile che fra le statue
della
Casa aurea di Nerone tolte alla Grecia vi fosse a
e’ beati Elisî, spande sulle virili forme di un’età perfetta i tratti
della
piacevole gioventù, e sembra che una tenera morbi
ompa dalle Grazie annodata ». Queste e più altre parole ; nell’estasi
della
sua ammirazione per l’Apollo di Belvedere, diceva
eva sino a’piedi. Gli si attribuiva un colore candido simile a quello
della
luna, misto ad un bel purpureo, come se, dice Tib
’universo è un grande ettacordo ; ciascun pianeta manda uno de’ suoni
della
solfa, e dalle loro vibrazioni risulta un’ armoni
ertilità de’campi e la salute degli uomini, furon essi stimati autori
della
pubblica salute e felicità ; e quindi detti σωτηρ
arme secolare di Orazio si fanno preghiere a que’numi per la felicità
della
Repubblica. Apollo auricomus, χρυσοκομης, Apollo
n tempo si chiamava Cinto. Apollo Cirreo, Cirrhaeus, da Cirra, città
della
Focide, presso alla quale era una caverna, da cui
Clarius, da un oracolo e tempio nobilissimo che avea in Claro, città
della
Ionia, vicino a Colofone(1). Apollo Dafneo, dall
o alcuni mitologi, era fig. di Urano, marito di Tia e padre del Sole,
della
Luna e di tutti gli astri. In Omero trovasi Ηελιο
o Lycius. Apollo Medico, Salutare o Sotere, σωτηρ, ιατρος ; come Dio
della
medicina. Da Ovidio chiamasi Opifer. Apollo Musa
se. Apollo Musico, Musicus ; Apollo Citaredo, Citharaedus perchè Dio
della
musica. Apollo Nomio, Nomius, νομιος, cioè pasto
tori(3). Il Liceo, celebre ginnasio di Atene destinato all’educazione
della
gioventù, era dedicato ad Apollo, Dio delle scien
da Callimaco cantori di Febo ; e Plutarco dice che Apollo dilettavasi
della
musica e della voce de’cigni. Platone afferma che
ntori di Febo ; e Plutarco dice che Apollo dilettavasi della musica e
della
voce de’cigni. Platone afferma che l’anima di Orf
ltre cantavan quel carme in onore di Apollo e di Diana, numi tutelari
della
Repubblica. Ignorasi il tempo della loro istituzi
Apollo e di Diana, numi tutelari della Repubblica. Ignorasi il tempo
della
loro istituzione, e si sa solo che i libri Sibill
solo che i libri Sibillini ne prescrivevano il rito. Augusto, l’anno
della
città 737, dovendosi celebrare i giuochi secolari
inver la Luna, Che allora alto splendea, così la prega : Tu, Dea, tu
della
notte eterno lume, Tu regina de’boschi, in tanto
ta ; e nella terza, di Diana-Ecate o Proserpina. Ed in quanto a’ nomi
della
prima, la voce Luna secondo alcuni deriva dal ver
rione e da Tea nacque il Sole, la Luna e l’Aurora. Era essa la regina
della
notte e del silenzio, come la chiama Orazio, o se
te e del silenzio, come la chiama Orazio, o secondo Eschilo, l’occhio
della
notte. Le sue influenze si temeano assai dagli an
tra nella stessa guisa ; e però non sarà inopportuno dir qualche cosa
della
Notte e del Sonno che han tanta attenenza colla L
da lei nacquero la Morte ed il Sonno, detto perciò dai poeti fratello
della
morte. Esiodo(1) finge che il giorno e la notte c
il primo per recare a’ mortali la luce, e l’altra, il sonno, fratello
della
morte. La Notte si dipingeva qual donna sopra un
i ballo ; anzi Luciano(3) afferma che gli astri diedero la prima idea
della
danza. Virgilio(4) ci rappresenta la Notte che pr
i sacrificava un gallo(5). Il Sonno poi fu creduto fig. dell’ Erebo e
della
Notte, e fratello della Morte, perchè esso sembra
). Il Sonno poi fu creduto fig. dell’ Erebo e della Notte, e fratello
della
Morte, perchè esso sembra una morte di breve temp
ne altri(3) dicano che i Cimmerii erano un antico popolo de’ dintorni
della
Campania presso Baia e Pozzuoli, che abitava negl
madre de’sogni dalle nere ali ; ed Igino li faccia fig. dell’ Erebo e
della
Notte. Gli antichi finsero che i sogni erano o ve
mestieri parlare di Endimione, fig. di Etlio, o piuttosto di Giove e
della
ninfa Calice, fig. di Eolo. E’ fu pastore o cacci
Questo Endimione fu forse il primo ad osservare e descrivere il corso
della
Luna ; e perciò finsero i poeti che la Luna godev
sero di Egeria con Numa ; i Frigii, di Cibele con Ati ; e gli Arcadi,
della
Luna con Endimione, voleva significare in linguag
mmercio che la Divinità tiene cogli uomini intesi alla contemplazione
della
sapienza ed al conseguimento della vera beatitudi
uomini intesi alla contemplazione della sapienza ed al conseguimento
della
vera beatitudine. V. Breve iconologia di Diana
affaello dipinse la Luna coll’arco, la faretra e le frecce, attributi
della
Diana de’ Romani. Sopra un gruppo di nubi vedesi
Nell’articolo di Diana diremo altre cose che riguardano l’iconologia
della
Luna. VI. Principali epiteti di Diana Luna.
o(1) ; e dall’ Ariosto, Diva taciturna, perchè risplende nel silenzio
della
notte : Mostrando lor la taciturna Diva La dritt
ale, col solo suo perpetuo cinguettare, poteva soccorrere al deliquio
della
Luna senza che si adoperassero bronzi e trombe, c
te Aventino la Luna aveva un tempio che Rufo pone nel duodecimo rione
della
città (2). Tacito(3) parla di un tempio edificato
da Servio Tullio. Gli Arcadi(4) si vantavano di essere al mondo prima
della
Luna. Heyne(5) crede assai oscuro il senso di que
a morte fu posta nel numero delle Dee ; ed ecco gli Arcadi nati prima
della
Luna, cioè di Selene. Bacco I. Nomi dati
hiedere che Giove le si mostrasse armato di fulmini e nello splendore
della
sua maestà. Diviene vaga oltremodo l’incauta giov
urio nell’atto di affidare Bacco alla ninfa Leucotoe ; ed in un marmo
della
villa Albani vi è Leucotoe che tiene il fanciulle
o, Ia maggiore delle Cicladi. Ne avea il timone un tale Acete, nativo
della
Lidia. Veggendo questi un giorno che un suo compa
son di presente convertiti in delfini ; ed Acete, ricevendo il premio
della
sua pietà, su quella nave portò a Nasso il nume,
i quello di Arione è notissimo. Vuolsi pure(3) che sieno molto amanti
della
musica ; e però si disse che col suono di musical
uo aiuto, giacchè gli caddero da se le catene, e si aprirono le porte
della
carcere, onde uscì libero. Ovidio dice, che Bacco
i di celata, non di una ghirlanda di ellera ; che pensassero all’onor
della
patria, e l’imbelle straniero, cioè Bacco, senza
obbligando le donne Tebane a far pazze allegrezze sul Citerone, monte
della
Beozia, vicino al Parnaso, a Bacco ed alle Muse c
lle feste, col racconto di piacevoli novellette alleggerivano la noia
della
fatica. Ma ben tosto pagarono esse il fio di tal
città prendessero piede le orgie di quel nume. Parliamo ora d’Icaro e
della
figliuola Erigone, che non riportarono gran pro d
, quando andava per le città mostrando agli uomini il prezioso frutto
della
vite, fu molto amichevolmente in casa sua accolto
olto da Icaro e dalla figliuola Erigone. Era questi nato da Ebalo, re
della
Laconia, ed avea a fratello Tindaro e tre fig. Er
anno al padre ed alla figliuola offerissero le primizie delle biade e
della
vendemmia. Oltre a ciò istituirono certi giuochi,
ndemmia. Oltre a ciò istituirono certi giuochi, ne’ quali, in memoria
della
morte di Erigone, ad alcuni alberi mettevan de’la
olto il nostro Bacco, il quale, per sì liberale ospitalità, il regalò
della
vite e gli additò il modo di coltivarla ; che anz
i dall’Egitto ; il quale per far onore a Cadmo, adattò ad un Principe
della
famiglia Cadmea, qual’era Bacco, le favole e le c
econdo la tradizione poetica, nella guerra de’ giganti Bacco, coperto
della
pelle di una tigre, liberò Giove da’loro assalti,
fu tagliato a pezzi ; il che han dovuto i Greci copiare dalla storia
della
morte di Osiride ucciso dal gigante Tifone, suo f
olla forza delle armi, ma con quella dolce e potente dell’eloquenza e
della
musica(2). Così il nostro Bacco divenuto adulto p
egli destatosi l’uccise con un colpo di sermento. Fu pure per l’odio
della
Dea che il povero Bacco impazzò stranamente ed er
divinità che porta seco non il terrore delle armi, ma l’insegnamento
della
coltura della terra. In questa spedizione egli to
porta seco non il terrore delle armi, ma l’insegnamento della coltura
della
terra. In questa spedizione egli toccò col tirso
Continuazione. Sileno. Mida. Figliuole di Anio. Capo e conduttore
della
festosa schiera de’ Satiri e delle Baccanti in qu
lui immagini. Diodoro Sicolo dice che il primo Sileno avea una coda,
della
quale fu fornita tutta la sua posterit Nel Museo
ernicioso privilegio. Bacco gli comanda di lavarsi nel Pattolo, fiume
della
Lidia, che da quel tempo ebbe l’arena d’oro ; per
l’udito nome di Bacco e le notturne grida del Citerone. Questo monte
della
Beozia era consacrato a Bacco ed alle Muse, ed er
nto altre cose da forsennati, tanto che Orazio(4) grandi cose ci dice
della
forza delle Baccanti ; ed i disordini delle feste
i, cioè donne Tracie, perchè Bistonii erano gli abitanti di una parte
della
Tracia, in cui le orgie principalmente si celebra
, o da θυω, celebrare le orgie ; o da una figliuola di Cefisso, fiume
della
Beozia, chiamata Tiade, che fu la prima iniziata
di Bacco e forse suo sacerdote, il quale abitava sull’ Ismaro, monte
della
Tracia fin da’tempi di Omero(3) insigne per le vi
d a quelle nozze intervenero i Centauri ed i Lapiti, popoli bellicosi
della
Tessaglia. Il centauro Euritione, avvinazzato fuo
sanguinosa pugna del mondo, che Ovidio(5) descrive con tutt’i colori
della
sua vivace fantasia. Orazio coll’esempio della fe
rive con tutt’i colori della sua vivace fantasia. Orazio coll’esempio
della
feral pugna de’ Centauri e de’ Lapiti avverte a n
hi ; e però il chiamavano Sichite (συκον, ficus.) Da alcuni l’origine
della
tragedia è attribuita a Bacco, da cui gli attori
chere da teatro, credendosi egli l’autore degli scenici divertimenti,
della
musica teatrale e della drammatica poesia. Per qu
osi egli l’autore degli scenici divertimenti, della musica teatrale e
della
drammatica poesia. Per questa ragione ancora cred
el Questore a Pompei si vede un Bacco, le cui bionde chiome son cinte
della
solita ghirlanda di corimbi, i quali intessuti a
elle Baccanti. In una statua del Museo Borbon. vedesi Bacco nel fiore
della
sua immutabile giovinezza, e col braccio sinistro
vo, ma anche di pelli volpine ; o da βαζω, gridare ; o da Bassa, cit.
della
Lidia, ove in particolar modo si venerava. Bimad
, una delle sue nutrici. Persio chiama Briseo il poeta Accio a cagion
della
tragedia di Bacco da lui composta ; o perchè i po
to di una corona di serpenti ; e Nonno(2) afferma che Bacco, in segno
della
sua perpetua gioventù, avea la mitra serpentina,
in voto il potatoio, i cofani, il torchio da vino ed altri strumenti
della
vendemmia. Venere, Cupido e le Grazie.
a dell’amore, viene, cioè si ritrova in tutte le cose. Da Venere, Dea
della
bellezza, nasce la parola latina venustus, grazio
e. Venere, una delle più celebri divinità de’ gentili, era la dea
della
bellezza, la regina della gioia, e la compagna de
iù celebri divinità de’ gentili, era la dea della bellezza, la regina
della
gioia, e la compagna delle grazie. Gli antichi ne
parecchie. Cicerone(3) dice che una era fig. del Cielo o di Urano, e
della
Luce o del Giorno ; l’altra uscita dalla spuna de
ava in modo particolare il suo impero. Anzi si venerava pure come dea
della
marina. Plinio(4) riferisce che Augusto pose nel
tro che i poeti ne foggiarono una dea. Ma il Banier ricerca l’origine
della
favola di Venere nella Fenicia. Questa dea, egli
ssi dovettero in prima fermarsi a Cipro ch’è la più vicina alle coste
della
Siria, ed il culto di lei vi fu generalmente abbr
abbracciato. Di là andarono a Citera ch’era non lungi dal continente
della
Grecia ; ed allora i Greci cominciarono ad acquis
della Grecia ; ed allora i Greci cominciarono ad acquistar conoscenza
della
loro religione. Quindi in poetico linguaggio diss
in un luogo dell’ isola di Cipro. Il quale con arte gettò nel meglio
della
corsa successivamente i tre pomi, i quali volendo
o ad Ippomene di giungere prima di lei alla designata meta. In premio
della
vittoria sposò egli Atalanta ; ma Venere, cui dim
l’ Eneide. Si è nell’articolo di Giunone favellato del fatal pomo
della
discordia, del giudizio di Paride e della vittori
ne favellato del fatal pomo della discordia, del giudizio di Paride e
della
vittoria che riportò la nostra Dea sulle due riva
mo, avea avuto un figliuolo che fu il celebre Enea. Giunone, pel pomo
della
Discordia, concepì un odio implacabile contro la
eroi del sangue di lei. Ed ecco ne’ due grandi teatri dell’ Iliade e
della
Eneide, Giunone e Pallade tutte intese alla final
a ei l’ebbe, Abbassò l’asta il fiero, e coll’acuto Ferro l’assalse, e
della
man gentile Gli estremi le sfiorò verso il confin
peplo odoroso a lei tessuto Dalle Grazie, e fluì dalla ferita L’icòre
della
Dea, sangue immortale Qual corre de’ beati entro
tano da quella regione ; e Venere dovè proteggerlo dall’odio ostinato
della
moglie di Giove. Ecco in breve qual figura fa Ven
a la serie fatale degli avvenimenti di quell’eroe, de’ suoi posteri e
della
nuova città che sorger dovea in Italia(2). Or nav
che l’eroe troiano sia sbalzato con poche navi alle sconosciute coste
della
Libia. Di ciò afflitta la madre Venere, cogli occ
ea ed i suoi Troiani, gravemente si duole. A tali pietose rimostranze
della
Dea Giove sorrise, promettendo alla figliuola che
o Ascanio, fig. di Enea e nipote di Venere(1), tanto che nello stemma
della
famiglia Giulia vedeasi segnato il nome di Venere
smarriti compagni, e lo rassicura con additargli non lontane le mura
della
novella Cartagine, in cui gli promette dalla regi
ure, scioglie le vele alla volta dell’antica Cuma. Quivi colla scorta
della
Sibilla, pel vicino lago di Averno, pone il piede
e intanto gran fuoco di guerra fra Turno ed Enea per la promessa mano
della
principessa Lavinia ; ed è vicino il momento, in
rive Venere accompagnata dalla galante corte di Cupido, delle Grazie,
della
Gioventù e di Mercurio. Nicearco (3) dipinse Vene
(1) con pochi versi soavemente ci rappresenta Venere che, al ritorno
della
primavera, regola le allegre danze, che al chiaro
, al ritorno della primavera, regola le allegre danze, che al chiaror
della
Luna intrecciano le Ninfe e le amabili Grazie. Ed
sere stata antica credenza che questa Dea principalmente all’apparire
della
primavera mostravasi sulla terra preceduta dall’a
Antero, di Venere terza e di Marte. Alcuni lo dicono fig. del Caos e
della
Terra ; altri, di Venere e del Cielo ; ma comunem
di Venere. Si lavavano nel fonte Acidalio ch’ è presso Orcomeno, cit.
della
Beozia, ed era consacrato a Venere, detta perciò
ee con ispecial culto venerate, per cui furon dette da Pindaro regine
della
ricca Orcomeno. Quivi Eteocle, fig. di Cefisso, f
Da Esiodo si appellano Aglaia, Eufrosine e Talia e figlie di Giove e
della
bella Eurinome, una delle Oceanine. Pausania affe
qualche scrittore nel numero delle Grazie poneva anche Pito, o la Dea
della
persuasione, forse per significare che il gran se
ta la vita degli uomini. Esse comunemente si rappresentano danzanti e
della
medesima età, succinte, come le danzatrici, fino
lo e di Calliope. Catullo (1) l’appella abitatore dell’Elicona e fig.
della
musa Urania. Egli fu un nobile giovane di Atene,
i odorosa maggiorana ; col flammeo ch’era un velo giallo o del colore
della
fiamma, proprio delle novelle spose ; con calzari
nate ad alcuni de’ principali Padri, eran menate loro a casa da certi
della
plebe, che di ciò avevano avuto commissione. Tra
agione di tutt’i delitti de’ posteri di Cadmo. Venere le fece il dono
della
fatale collana di oro, per la quale Erifile scopr
gilio (2) si vanta di esser signora di Amatunta, di Pafo, di Citera e
della
città d’Idalia. Catullo (3) chiama Venere figlia
olo se le porgevano preghiere e vi ardeva un puro fuoco. Il simulacro
della
Dea non avea forma umana, ma rassomigliava ad una
dare al legno ed al marmo forme di uomini o di animali. Gnido, città
della
Caria, era puro tutta propria di Venere. In essa
nte e specialmente di mirti, rendeva delizioso quel soggiorno e degno
della
Dea che vi si adorava. Vi andavano a folla per am
ede, re di Bitinia, volea comprarla a patto di pagare tutto il debito
della
città ch’era grandissimo ; ma que’ generosi citta
ustamente noi ci lagniamo di Paride ». E finalmente sull’Erice, monte
della
Sicilia, fu uno de’ più ricchi tempii di Venere,
ttà di tal nome da Erice, fig. di Venere e di Bute, e re di una parte
della
Sicilia, che fu ucciso da Ercole ch’ era stato pr
tatua bellissima di Venere, la quale portava in mano un pomo in segno
della
vittoria riportata sulle Dee rivali, come in una
l palazzo di Caserta. Winckelmann pretende che il diadema sia proprio
della
sola Venere Urania ; ma Lessing sostiene che pres
Venere de’ Medici ch’è nella galleria di Firenze fondata da’ principi
della
famiglia de’ Medici, è simile alla rosa ch’esce f
’ principi della famiglia de’ Medici, è simile alla rosa ch’esce fuor
della
boccia al primo apparir del sole dopo una bella a
marmo, che fu portata a Gnido ed alla quale fu debitrice quella città
della
sua rinomanza e del concorso de’ forestieri. Ques
, superava(1)la stessa Venere Gnidia di Prassitele. Al piede sinistro
della
Dea si vede un delfino, su cui stanno due pargole
nnovera fra le più belle statue di questa maniera. Invece del deifino
della
Venere Medicea ha da una parte un gran vaso da pr
fu la Venere di Coo,Anadiomene, cioè emergente o sorgente dal mare ;
della
quale i poeti dissero sì bei concetti, che in un
e una fatta da Doroteo…. Cominciò un’altra Venere a’ medesimi di Coo,
della
quale fece la testa e la sommità del petto, e non
a, perchè fosse imperfetta, e succedette in luogo di encomio il dolor
della
perdita, sospirandosi quelle mani mancate in mezz
i attentasse d’entrare a finir la parte abbozzata, perchè la bellezza
della
faccia toglieva la speranza d’agguagliare il rima
ata φ ; di modo che αφροδιτη sia quasi απροδιτη, cioè simile al color
della
rosa,perchè ροδον significa rosa. Amatusia, Αμαθ
asilea, βασιλεια, ανασσα, regina, perchè credevasi regina del cielo e
della
terra. Crazio la chiama regina di Pafo e di Guido
consacrati a Venere i cigni, le colombe ed i passeri ; ed il cocchio
della
bella Ciprigna era portato per l’aria or da una b
culla sino alla tomba(2) ; per cui fu detto da Menandro guida segreta
della
nostra vita (δαιμων μυσταγωγος του βιου). Il Geni
e e di Cupido appartiene la favola di Narciso, fig. di Cefisso, fiume
della
Beozia, e della ninfa Liriope, fig. dell’Oceano.
partiene la favola di Narciso, fig. di Cefisso, fiume della Beozia, e
della
ninfa Liriope, fig. dell’Oceano. Tiresia(5) ch’er
della ninfa Liriope, fig. dell’Oceano. Tiresia(5) ch’era per le città
della
Beozia assai conto pe’ suoi vaticinii, consultato
più del pronostico, che il fatto dimostrò vero ; perocchè nel meglio
della
gioventu e di una fiorentissima bellezza attese s
Bellona I. Nami dati a questi numi e lor ragione. Marte, dio
della
guerra, chiamavasi Αρης da’Greci, e Mars da’Latin
ης deriva dal greco αιρω, fut. αρω,distruggere, ben convenendo al dio
della
guerra il titolo di distruggitore sì degli uomini
rono da lui trasformati in una divinità che presiede all’arte funesta
della
guerra. Festo poi insegna che Mamers nel linguagg
o dentro la città col soprannome di Quirino, quasi tranquillo custode
della
medesima ; ed un altro fuori di essa, nella via A
e significa uccidere. II. Storia favolosa di Marte. Marte, dio
della
guerra, fu fig. di Giove e di Giunone(2) ; o seco
dice che il padre Gradivo presiede al paese de’ Geti, antichi popoli
della
Scizia Europea, spesso confusi coi Traci. Or come
bia, e che fu padre di Danao e di Egitto ; egli fu il primo inventore
della
spada, e ritrovò l’arte di schierare un esercito(
di conquiste, per cui fu da quel popolo guerriero onorato come il dio
della
guerra ; e questo è il Marte Iperboreo ; il quart
Marte de’Romani, il quale da Rea Silvia ebbe Romolo e Remo. I popoli
della
Bitinia(2) raccontavano per una loro antica tradi
ri esercizii ginnastici che servir doveano quasi di preludio all’arte
della
guerra, per cui divenne un insigne capitano, dopo
gravità e religione danzavano in onore di Marte. Ed Omero dà al nume
della
guerra il soprannome di danzatore. Diodoro Siculo
combattere i nemici degli Dei ; e che così, avendo introdotta l’arte
della
guerra, ne fu dichiarato il nume. Nella guerra co
va non la trattò meno aspramente, per cui giacquero entrambi per mano
della
Dea distesi vergognosamente al suolo. Ma certo fu
aro. Allora doloroso salì alle sfere, e col padre de’ numi lamentossi
della
tracotanza di Minerva che stimolato avea il figli
ero c’insegna che la prudenza ed il senno escono sempremai vittoriosi
della
forza cieca ed insensata. Peone intanto, per coma
il seguito del nostro Marte era veramente formidabile e degno del dio
della
guerra. Mentre egli(1), eccita alla pugna i Troia
tro Marte fa pur menzi one Virgilio(2) in una comparazione fra il dio
della
guerra ed il giovane Turno che si spinge alla pug
perchè l’impeto ed un cieco furore suol essere compagno indivisibile
della
guerra. Ed il Furore e la Collera ne adornavano l
Sacerdoti Salii. Ancili. Roma ed il popolo romano aveano dal dio
della
guerra preso il nome di città e popolo di Marte ;
llora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, animale dedicato al dio
della
guerra, perchè rapace e feroce, porse il suo latt
ta nebbia e caligine lo circondò, che privò i circostanti interamente
della
vista della persona di lui ; nè fu poscia veduto
caligine lo circondò, che privò i circostanti interamente della vista
della
persona di lui ; nè fu poscia veduto più in terra
ermavano, quello essere stato rapito e portato in alto dalla violenza
della
tempesta. Di poi, dato principio da pochi, cominc
ominciarono tutti a salutare Romolo come dio nato d’Iddio, re e padre
della
città romana. Ma allora vi furono di quelli che t
e al popolo che quello scudo era stato mandato dal cielo per salvezza
della
città e che doveasi gelosamente conservare con al
n grande stupore si vide scendere dal cielo uno scudo ch’era il pegno
della
salvezza di Roma. Per impedire che involato fosse
e, la quale essendo stata oltraggiata da Alirrozio, fig. di Nettuno e
della
ninfa Eurite, Marte ne fece vendetta e l’uccise.
urite, Marte ne fece vendetta e l’uccise. Allora Nettuno dolentissimo
della
morte del figliuolo, chiamò Marte in giudizio ; m
ortava il cingolo o sia la fascia di Marte (balteus Martis) per segno
della
sua diguità di regina delle Amazzoni. Ercole, per
com’eran le Amazzoni, con molta ragione si finsero figliuole del dio
della
guerra. E perchè nell’ Asia Minore, e particolarm
lo di Marte e di Cirene fu Diomede, re de’ Bistonii, popolo guerriero
della
Tracia. Esso avea quattro cavalli di natura sì fe
da capo a piedi, con lo scudo al braccio ed un gallo accanto, simbolo
della
vigilanza, col volto infocato, qualche volta coll
uccello che gli era sacro per la sua indole guerresca, e come simbolo
della
vigilanza. Non è difficile rinvenire Marte con l’
maniera molto uniforme, sotto la figura di un uomo armato di un elmo,
della
picca e di uno scudo ; or nudo, or coll’ abito mi
lito a farsi prima del combattimento. Plutarco chiama Alala la figlia
della
guerra, ovvero Enio o Bellona. Arete, da Αρης, v
ns, potente in armi. Belliger, Bellicosus, Marte guerriero, o amante
della
guerra. Da Ovidio si chiama bellicus, e da Virgil
λης ; e delle città, πτολιπορθος ; e più altri epiteti degni del nume
della
guerra. Anche Bellona da Omero si chiama devastat
u i Parti(2). Mars communis, Αρης κοινος, significa l’incerto evento
della
guerra, e che questo nume piega ora all’una, ora
per cui potrebbe significare uccisore ; o da Enio, cioè Bellona, dea
della
guerra. Mars Pater, o Marspiter presso i Romani
Αρης, Mars aereus, Marte di bronzo, per indicare la fortezza del dio
della
guerra. Quindi Χαλκοχιτων, vestito di bronzo ; Χα
. Da Ovidio il pico chiamasi uccello di Marte (Martia avis). Come dio
della
guerra, presedeva Marte a’ giuochì gladiatorii ed
ore di Marte solita a celebrarsi in Roma alle calende di Giugno fuori
della
porta Capena ; ed in Livio(2) ritroviamo un tempi
l campo (campidoctor, οπλοδιδακτης. Vet. Glossar.). Essendo Marte dio
della
guerra e de’ guerrieri, spesso si usa a significa
o l’ Ermete tanto celebrato dagli Egiziani. In quanto poi all’origine
della
voce Mercurius, pare doversi trarre co’ più dalle
sse dato il nome al quinto mese dell’anno, chiamandolo Maius dal nome
della
madre Maia ; e di fatto i mercatanti in questo me
è tacesse, donò quel nume una bellissima giovenca. Ma per assicurarsi
della
fedeltà del pastore, ritornò tosto da lui sotto a
ano e chi rubate le avesse. Batto accettò il dono e gli svelò tutto ;
della
quale infedeltà Mercurio oltremodo adirato il tra
rcurio oltremodo adirato il trasformò nella pietra detta di paragone,
della
quale ci serviamo per saggiare l’oro. Ovidio (3)
i chiama indice (Index, i.e. lapis Lydius) e porta nel nome l’infamia
della
sua origine. In un monte della Messenia vedevasi
pis Lydius) e porta nel nome l’infamia della sua origine. In un monte
della
Messenia vedevasi un sasso che avea sembianza di
a etimologia. Erodoto (2) finalmente parla di un tale Batto, principe
della
città di Cirene, il quale avea una voce esile e b
e batto (βαττος) in greco vuol dire uomo balbuziente. E per argomento
della
destrezza di questo nume nell’ingannare, Omero (3
tutte e delle scienze ; e però spesso vedesi insieme con Minerva, dea
della
sapienza, come apparisce nell’ermatene, e negli a
nze e dell’eloquenza (2). Quindi dissero i Greci ch’egli, colla virtù
della
parola, ingentilì i selvatici costumi de’ primi u
e le arti. Ed Igino (4) afferma che, avendo Mercurio inventato l’uso
della
parola, divise il genere umano in varie nazioni ;
stumi degli uomini ; non senza ragione fu riputato Mercurio anche dio
della
musica e della poesia, ed inventore della lira, t
ini ; non senza ragione fu riputato Mercurio anche dio della musica e
della
poesia, ed inventore della lira, tanto che Orazio
riputato Mercurio anche dio della musica e della poesia, ed inventore
della
lira, tanto che Orazio (2) chiama Fauno custode d
ustode degli uomini Mercuriali, per dir de’ poeti ; e Mercurio, padre
della
curva lira (curvaeque lyrae parentem. Lib. I, od.
aruga, al quale Orazio (3) dà sette corde, perchè facevasi del guscio
della
tartaruga ch’è materia assai sonora. Si vuole (4)
secchi rimasti, ne avesse avuto un suono ; il che diede la prima idea
della
lira, che facevasi di tartaruga. Essa per lo più
emio la lira, la quale dalla Samotracia trasportata a Lirnesso, città
della
Frigia, pervenne finalmente nelle mani di Achille
evano l’una contro l’altra, spesso un poco al di sopra dell’estremità
della
verga, mentre le code non arrivano che a due terz
ll’estremità della verga, mentre le code non arrivano che a due terzi
della
medesima. Il caduceo era simbolo della pace, e Me
e non arrivano che a due terzi della medesima. Il caduceo era simbolo
della
pace, e Mercurio stesso da Ovidio (1) vien saluta
olo della pace, e Mercurio stesso da Ovidio (1) vien salutato arbitro
della
pace e della guerra. E Servio osserva che Mercuri
e, e Mercurio stesso da Ovidio (1) vien salutato arbitro della pace e
della
guerra. E Servio osserva che Mercurio da’ poeti è
e guidava al pascolo gli armenti ; e che Mercurio, volendo far pruova
della
sua virtù, ed imbattutosi a caso, sul monte Citer
erciò Mercurio volle portar sempre in mano quel bastone, qual simbolo
della
pace. Al caduceo gli antichi poeti davano la virt
in casa (1). Non s’intende però, perchè lo stesso poeta (2), parlando
della
morte di Didone, finge che l’infelice Regina non
bero. Orazio(1) finalmente afferma che a Mercurio si dee l’invenzione
della
palestra, lodando l’accortezza di quel nume, il q
olti ammansò coll’eloquenza, ed i loro corpi co’ ginnastici esercizii
della
palestra si studiò di rafforzare. La palestra era
alestra era fig. di Mercurio, o di Ercole, a cui debbesi l’invenzione
della
palestra. Altri dicono che Corico, re di Arcadia,
gliuola chiamata Palestra ; e che avendo i due primi inventata l’arte
della
lotta, Palestra insegnolla a Mercurio, il quale i
rcurio, il quale in memoria di quella donzella, diede alla nuova arte
della
lotta il nome di palestra. V. Iconologia di Me
attacca alle orecchie di coloro che volea seco condurre ; bel simbolo
della
forza che ha l’eloquenza sul cuore umano. Qualche
diede le leggi a’ popoli. Pacifer, nelle antiche monete, ed arbitro
della
pace da Ovidio chiamasi Mercurio, come messaggier
1). Così chiamavansi propriamente gli Dei domestici o che aveano cura
della
casa, a differenza dei Penati, i quali soprantend
Mercurio fu un uomo antichissimo e di gran dottrina fornito, non che
della
conoscenza di molte arti e scienze. Perciò fu inn
to agli onori divini, e gli fu attribuita l’invenzione delle lettere,
della
scrittura e delle arti. Parte II. Degli
gnificava il pianeta che noi abitiamo. Così Peneo era un antico fiume
della
Tessaglia, e nel tempo stesso il nume che presede
o secondo Macrobio(2), da ops, che vuol dire aiuto, perchè coll’aiuto
della
terra l’umana vita riceve gli alimenti necessarii
riceve gli alimenti necessarii ; o da opus, opera, perchè coll’opera
della
terra nascono i frutti e le biade. Varrone(1) fin
e, produttrice e dispensatrice di tutt’i beni. II. Storia favolosa
della
Terra o sia di Opi. Igino dice che la Terra i
sono i figli suoi. E Plinio(4) dice che per ragione de’ grandi meriti
della
Terra verso di noi le abbiam dato il venerando no
à nati, ci alimenta sempre e sostiene ; e finalmente, quando il resto
della
natura ci abbandona , allora più che mai qual mad
anni, mancata era quella virtù divina che quivi aveano le esalazioni
della
Terra, dalle quali la Pizia investita dava gli or
e finalmente Apollo ; ed aggiunge, quivi essere stato comune oracolo
della
Terra e di Nettuno ; e che poscia la Terra avesse
ni ; e di lei figliuolo era il serpente Pitone, il quale avea il dono
della
divinazione e custodiva l’oracolo di Delfo. Pausa
l’oracolo di Delfo. Pausania (1) finalmente fa menzione di un oracolo
della
Dea Tellure vicino ad Olimpia. E qui è mestieri o
usciva. Ma non pochi fanatici essendovi caduti, si allogò alla bocca
della
caverna un tripode coperto della pelle del serpen
sendovi caduti, si allogò alla bocca della caverna un tripode coperto
della
pelle del serpente Pitone, sul quale assisa la Pi
dopo aver bevuto dell’acqua del fonte Castalio, riceveva, co’ vapori
della
Terra, le inspirazioni del Nume, e così dava gli
quale si davano gli oracoli dopo aver bevuto molto vino ; e l’oracolo
della
Sibilla Cumana descritto da Virgilio(2) era un an
a, madre di Ercole. Trofonio fu inghiottito dalla terra in quel luogo
della
Livadia, ove si vedeva la fossa detta di Agamede,
uando vi erano dentro, trovavano un’altra caverna piccola, l’ingresso
della
quale era strettissimo. Bisognava distendersi in
orza e prestezza grande ». III.Storia favolosa di alcuni figliuoli
della
Terra. Abbiam notato nella prima parte che gli
Abbiam notato nella prima parte che gli antichi chiamavan figliuoli
della
Terra coloro che si distinguevano per mostruosa s
ni ed i Giganti, da Esiodo anche i Ciclopi si dicono fig. del Cielo e
della
Terra , sebbene alcuni li dicano fig. di Nettuno
rza. Comunemente si vuole ch’essi erano giganti o popoli antichissimi
della
Sicilia vicino all’Etna, percui Polifemo da Ovidi
niti di un sol occhio circolare in mezzo alla fronte. Anche figliuolo
della
Terra e di Nettuno fu Anteo, giganti alto sessant
, e si per valentia erano insuperabili. Esiodo li fa fig. del Cielo e
della
Terra ; ed Igino, dell’Etere e della Terra. Essi,
i. Esiodo li fa fig. del Cielo e della Terra ; ed Igino, dell’Etere e
della
Terra. Essi, nella guerra de’Titani, sostennero l
e, il quale confinollo nel tartaro. IV. Continuazione – Superficie
della
Terra popolata di numi. Dio Pan, La Terra non
atiri, ed il dio de’ pastori, de’ cacciatori, e di tutti gli abitanti
della
campagna. Quindi lo dipingevano in modo da sembra
si quella subita costernazione che non può vincersi per alcun imperio
della
ragione, la quale volevasi infusa dal dio Pan, co
o pe’ forami di una cannuccia , abbia data a’ rusticani uomini l’idea
della
fistola e della sampogna, la quale (6) essendo la
una cannuccia , abbia data a’ rusticani uomini l’idea della fistola e
della
sampogna, la quale (6) essendo la più semplice fo
V.Continuazione – Fauni – Silvani. Dopo aver parlato di Pan, dio
della
natura e capo de’ rusticani Iddii, volgeremo lo s
tura e capo de’ rusticani Iddii, volgeremo lo sguardo a’ varii luoghi
della
Terra che vedransi tutti popolati di numi. E prim
chissimo dell’Arcadia, ove per quei monti errava ora cantando al suon
della
fistola, ed ora veloce inseguendo le fiere. Or ne
ro delle ninfe che Omero descrive (1) ; e Virgilio (2) nella spiaggia
della
Libia, ove dopo la nota tempesta presero porto le
estito, colla barba e colla spoglia di un animale ; e sopra una piega
della
coda vi sono molti frutti. Si rappresenta pure co
cio sinistro, raccoglie alcuni fiori che la caratterizzano per la Dea
della
primavera. Si rappresentava vestita di un abito c
Terra salutavasi Dea Bona, perchè dalla Terra ci vengono tutt’i beni
della
vita. Fu essa moglie di Fauno, o di Giano, o di N
era il nume dell’agricoltura, cui Tibullo (2) offeriva i primi frutti
della
villa. Spesso si rappresentava sotto forma di Erm
augurio di fermezza e perpetuità dell’imperio. IX. Alcuni epiteti
della
Terra o sia Opi. Euristerna, Ευρυστερνος, da
ς, dal largo petto. Nell’Acaia (1) era un tempio con un’antica statua
della
dea Tellure Euristerna, ed una sacerdotessa. In E
lio (3) ; gr. παμμητηρ, e παντοκος, omnia pariens. Παντροφος, epiteto
della
Terra presso Orfeo, cioè nutricatrice di tutti.
rra presso Orfeo, cioè nutricatrice di tutti. X. Alcune altre cose
della
Terra. Gli antichi auguravano a’ defonti che
ed alla Terra anche del farro. Nelle feste dette Fordicidia, in onore
della
Terra si sacrificavano delle vacche pregne, forse
va il nome Ceres a gerendis frugibus, quasi Geres, per un cangiamento
della
prima lettera, e ciò perchè essa era la produttri
nutivo di tal nome è l’altro Δηω, come chiamasi dai Greci ; o fu così
della
da δηω, ritrovare, perchè quando essa andava cerc
lo e di Vesta, sorella di Saturno e moglie di Sicano, antichissimo re
della
Sicilia, il quale a’ suoi popoli insegnò l’uso de
nto ; e perciò si disse che dettò loro le leggi (3). Di tutt’i luoghi
della
terra niuno fu più grato a questa dea che la Sici
al doloroso pianto delle compagne al ritorno argomentato il rapimento
della
figliuola, disperata a cercarla tutta sola si die
l sole vicino a tramontare la videro infatigabilmente intesa a cercar
della
sua Proserpina(2). Nelle mani avea due gran faci
uo dolore ; percui chiamasi il papavero, Cereale(3). E delle fiaccole
della
nostra Dea cantò leggiadramente l’Ariosto : Cere
Ciane, la quale più lingua non avea da dire alla madre che cosa fosse
della
figliuola. Ma pur vide su le sue acque galleggiar
a in moglie quel villano rapitore con sì grave onta di Giove stesso e
della
madre. Giove la racconsola, mostrando che non tor
hetossi lo sdegno di Cerere, e la terra, quasi lieta per l’allegrezza
della
dea, ringiovanì e vestissi di bellissime messi. C
, Partenope, Leucosia e Ligea ; ed eran figliuole dell’Acheloo, fiume
della
Grecia che ha la sua origine dal monte Pindo, e d
ti oltremodo di tanta perdita, furon subito a cercarla per ogni luogo
della
terra. Or, riuscendo vana ogni lor cura, pregaron
anche Omero, afferma che il loro soggiorno era il promontorio o capo
della
Minerva presso Sorrento ; e che la Sirena Leucasi
fra le seguaci di Diana, di me non vi fu altra più amica de’ boschi e
della
caccia. Mi dicevano bellissima ; ma, ad altri stu
ì descrive la fontana Aretusa : « In una isoletta ch’è l’ultima parte
della
città di Siracusa, vi è un fonte di acqua dolce,
to a mandare una colonia a Siracusa, disse : Oltre il tenebroso mare
della
Trinacria giace l’isola Ortigia, ove sgorga l’Alf
Eleusi sedè su di un sasso vicino ad un ulivo, perciò chiamato pietra
della
mestizia. Quivi molti giorni si trattenne a cielo
igliuolino infermo. Entrata che fu la dea, donò al fanciullo il vigor
della
vita ; di che fu lietissima quella famigliuola. E
su di un cocchio tirato da dragoni alati, discorrendo per le regioni
della
terra, a’ popoli distribuisse la semenza del frum
Legislatrice, istituita da Trittolemo, perchè essa, oltre la coltura
della
terra, insegnò a’ Siciliani il vivere socievole e
ndono che in essi s’insegnavano i principali dommi dell’unità di Dio,
della
sua provvidenza, della creazione, de’ gastighi e
egnavano i principali dommi dell’unità di Dio, della sua provvidenza,
della
creazione, de’ gastighi e de’ premii di un’altra
per timore del popolo, si tenevano con tanta cura celati. Ma i Padri
della
Chiesa ci fanno certi che sotto il venerando nome
disprezzo di Cerere tagliò una selva a lei consacrata, nel bel mezzo
della
quale era una ramosa quercia, intorno a cui le Dr
rea), perchè presedeva alle aie. Aleteria (αληθω, molo) ; soprannome
della
Dea, perchè in tempo di carestia avea impedito a’
impedito a’ mugnai di rubar la farina. Ctonia (Χθων, terra), epiteto
della
Dea dal tempio che le edificò Ctonia sul monte Pr
e. Eleusina, dalla città di Eleusi, celebre pel tempio e pe’ misteri
della
Dea. Ennea o Ennese, da Enna, città della Sicili
e pel tempio e pe’ misteri della Dea. Ennea o Ennese, da Enna, città
della
Sicilia, ov’era in ispecial modo venerata. Flava
Taedifera, gr. δαδουχος, perchè colle fiaccole (taedis) andò in cerca
della
figliuola(5). XI. Alcune altre cose di Cerere.
Alcune altre cose di Cerere. Cerere presedeva alla costellazione
della
Vergine, perchè questo segno del zodiaco cade nel
anco e con fiaccole in mano, in memoria di Cerere che andava in cerca
della
sua Proserpina ; e si facevano per otto giorni ne
tero le stanze degl’Iddii sull’Olimpo, e de’ belli sedili ne’ portici
della
casa di Giove ; il talamo di questo nume, ed uno
lui ch’eran quelle del figliuol di Peleo e se ne riveste. Alla nuova
della
morte dell’amico grandissimo fu il cordoglio e la
r del nemico. Famosa poi è la lotta di Achille collo Scamandro, fiume
della
Frigia, chiamato Xanto dagl’Iddii, e dagli uomini
, se Giunone non avesse chiesto aiuto a Vulcano, il quale, all’invito
della
madre, un vasto foco accende, di cui la vampa si
Minerva una casa, e Vulcano, un uomo. Il dio Momo, scelto ad arbitro
della
contesa, nell’opera di Vulcano notò questo difett
ano un tempio consacrato a Vulcano, edificato da Romolo, ch’era fuori
della
città, e nel quale si trattavano gli affari più r
fuori della città, e nel quale si trattavano gli affari più rilevanti
della
repubblica. Fra gli animali poi era sacro a Vulca
foreste. Or siffatta passione per la caccia fu fatale a Cencria, fig.
della
ninfa Pirene, il quale fu dalla Dea che cacciava,
ne – Carattere di Diana – Cinghiale Caledonio. Da non pochi fatti
della
storia favolosa di questa Dea si scorge che il su
uesta Dea si scorge che il suo carattere era quello di una Dea gelosa
della
sua bellezza, non che della sua virtù, e degli om
uo carattere era quello di una Dea gelosa della sua bellezza, non che
della
sua virtù, e degli omaggi degli uomini, vendicati
ria reggia uccise a colpi di freccia per averla dispregiata a cagione
della
sua veste corta a foggia di uomo. Di Orione ancor
la vendetta che fece Diana di Eneo, re di Caledone o Calidonia, città
della
Grecia ; favola assai conta fra gli antichi poeti
tta il fatale tizzone, il nascose in una cassa. Eneo intanto in tempo
della
messe avea fatto dei sacrificii a tutt’i numi, fr
llo quelle contrade, Meleagro, già divenuto uno dei più valorosi eroi
della
Grecia, invita il fiore de’ giovani guerrieri e b
inghiale ; di che sdegnato Meleagro non dubitò di uccidere i fratelli
della
madre ; la quale, udito l’indegno fatto, fluttuan
azione – Oreste ed Ifigenia. Si offerivano a Diana i primi frutti
della
terra, buoi, montoni, cervi ec. ed anche vittime
ed a Sparta le s’immolava ogni anno un uomo. Ma nella Tauride, paese
della
Scizia, pareva che Diana fosse stata più avida di
a più avida di sangue umano ; e quivi i suoi sacrificii partecipavano
della
fierezza di que’ popoli. Non lungi da noi, diceva
diceva l’esule di Sulmona(1), è un luogo detto la Tauride, ove l’ara
della
faretrata Dea di crudeli vittime si pasce ; ed il
sangue de’ forestieri rosseggia. Ed Erodoto afferma (2) che i popoli
della
Tauride ad una vergine immolavano qualunque naufr
zella, la quale giunta in Aulide fu con gran pompa portata all’altare
della
Dea per esservi immolata ; ma questa mossa a piet
lla madre trucidato, mandollo segretamente nella corte di Strofio, re
della
Focide, che avea per moglie una sorella di Agamen
ia si grande, che cresciuta coll’età fu una delle più famose amicizie
della
Grecia. Oreste intanto già adulto si propone di v
l’inseguono, mentre alle sue orecchie risuonano di continuo le grida
della
madre uccisa. I greci poeti non poteano con più v
uesta risposta, coll’amico Pilade tosto s’imbarca, e giunti a’confini
della
Tauride, furon presi e condotti a Toante e portat
ano di fuggire da que’barbari lidi, dal tempio rapiscono il simulacro
della
Dea e lieti ritornano alla patria. Questa favola
sta favola non ritrovasi in Omero ; ma i casi di questa principessa e
della
famiglia di Agamennone formano il soggetto di mol
incumbenze di Diana. Abbiam di sopra avvertito che Diana era Dea
della
caccia. Perciò portava la veste succinta e quindi
i ; la quale credevasi molto cara alla Dea. In Delo ed in altre città
della
Grecia vi erano danze in onore di Apollo e di Dia
quale allegoria forse intendevano la comitiva delle stelle, compagne
della
Luna, ch’era simboleggiala da Diana. « Presso i G
lla Grecia non vi era borgo o città che non avesse tempii e simulacri
della
nostra Dea ; ma pare che il culto di lei avesse a
lto di lei avesse avuto la principale sua sede in Efeso, famosa città
della
Gionia, ove in suo onore celebravansi le feste de
dicendo che per opera di Paolo si perdeva l’onore prestato al tempio
della
grande Diana degli Efesii e che cominciava ad obb
nne del più bel marmo, dono di altrettanti re dell’ Asia, e la statua
della
Dea era di ebano o di legno di cedro. Erostrato,
o di quel tempio(1). VII. Iconologia di Diana. Diana, come Dea
della
caccia, si vede sempre in una biga tirata da due
e dell’anno, o Marzo, dagli Attici dicevasi Elafobolione, perchè mese
della
caccia (ελαφος, cervus, et βολος, iactus). Faceli
si rappresenta con una fiaccola in mano per significare Io splendore
della
luna. Perciò fu detta anche Lucifera e Fosfora (a
enti ninfe dette Annisiadi, le quali avean cura de’ calzari venatorii
della
Dea e de’ suoi cani, attaccavano al cocchio di le
Eroi e semidei. Notizia generale de’ tempi favolosi ed eroici
della
Grecia. L’antica Grecia avea ben molte ragion
a storia di quel tempo che passò dalla fondazione degli antichi regni
della
Grecia, sino a che l’un dopo l’altro divennero re
lle prime loro memorie erano poeti che cantavano i grandi avvenimenti
della
patria, ed i loro versi si mandavano a memoria ;
e di favolose tradizioni. Ora è qui da notare che l’epoca degli Eroi
della
Grecia, ricca di memorandi fatti, de’ quali la st
roso, dicevasi Ercole, quasi fosse questo nome l’espressione generale
della
fortezza. Ragion vuole adunque che di lui si parl
ebre è l’Ercole Tebano, fig. di Giove e di Alcmena, o di Anfitrione e
della
detta Alcmena. Gli Autori Inglesi della Storia un
di Alcmena, o di Anfitrione e della detta Alcmena. Gli Autori Inglesi
della
Storia universale ed il Lavaur credono che la mag
nella Fenicia, e finalmente nella Grecia. Egli poi era il tipo ideale
della
fortezza e della ferocia portata oltre l’ordinari
finalmente nella Grecia. Egli poi era il tipo ideale della fortezza e
della
ferocia portata oltre l’ordinario ; per cui, parl
tica grandissima. Or quest’eroe fin dall’infanzia mostrò la grandezza
della
sua forza. Giunone mandò per divorarlo due orribi
o, li uccise. Plinio(1) parla di un Ercole fanciullo che vuolsi opera
della
mano di Zeusi ; ed in una pittura di Ercolano si
oe nella solitudine a deliberare se fosse stato meglio seguire la via
della
virtù o quella del vizio, mentre incerto e pensie
, Ercole con inudito valore, presolo pel collo, lo strozzò e vestissi
della
sua pelle. Furono per ciò istituiti celebri giuoc
quale, dall’Erimanto, monte di Arcadia, sbucando, devastava il paese
della
Psofide. Alcuni dicono che l’avesse ucciso. La qu
e, e tiranno crudelissimo de’ Bistonii, popolo bellicoso di una parte
della
Tracia, il quale le tenea legate con catene di fe
Tracia, il quale le tenea legate con catene di ferro e le alimentava
della
carne di coloro che passavano per que’ luoghi. Er
per trarne fuori il can Cerbero(1). Egli andò al Tenaro, promontorio
della
Laconia, ov’era la porta del Tartaro, e per quel
a, fig. di Eneo, re di Caledonia, ebbe a sostenere con Acheloo, fiume
della
Grecia ed il maggior fig. dell’Oceano e di Teti,
quest’eroe che troppo lungo sarebbe qui riferirle tutte ; per cui ora
della
morte di lui favelleremo. Ercole, per comando del
amore dello sposo, gli mandò per Lica, di lui servo, il fatale regalo
della
camicia di Nesso. Della quale vestito, sentendosi
e, gittò nel mare l’infelice Lica ; e recatosi sull’Eta o Oeta, monte
della
Tessaglia, degli orrendi suoi ululatì riempì que’
lo accolse con un gran tuono e lo portò in cielo, ove sposò Ebe, Dea
della
gioventù e coppiera di Giove. L’albero consacrato
co’ tratti di un uomo forte e robusto, colla clava in mano e coperto
della
spoglia del leone Nemeo ch’egli porta qualche vol
a Micene, fu dal cugino Egisto a tradimento ucciso non senza consenso
della
moglie Clitennestra. L’unico figliuolo rimasto ad
ò alla guerra di Troia, dopo la quale tornò in Grecia ; ma disgustato
della
moglie passò nell’Apulia o Puglia ; ove avendo li
ò nell’Apulia o Puglia ; ove avendo liberato Dauno, re di quel tratto
della
Puglia da esso detto Daunia, da’nemici che forte
’oro(1). Fra le città di quel paese primeggiava Atene chiamata occhio
della
Grecia. Fu fabbricata da Cecrope che primo diede
a su di una cavità, nella quale, riposta la sua spada, sordo a’pianti
della
sconsolata, si accommiatò da lei ingiungendole ch
e giunto fosse in età di poter sollevare quel sasso, col contrassegno
della
spada, lo avesse inviato da lui in Atene. E di fa
i chiamò Teseo, il quale fu riconosciuto dal padre all’eburneo manico
della
spada. Nel viaggio da Trezene ad Atene, udite le
e’giuochi Eleusini, avendo ucciso Cercione, re di Eleusi ed inventore
della
lotta. Uccise ancora il famoso masnadiere Procust
stendersi sopra un letto di ferro, stirandoli sino a che divenissero
della
stessa lunghezza, ovvero tagliando loro i piedi,
dimenticò di far inalberare la vela bianca ch’era il convenuto segno
della
vittoria. Per cui Egeo, vedendo le vele nere e cr
non conosceva ; e poscia andô a Tebe, ove per avere spiegato l’enigma
della
sfinge, ottenne la signoria di quella città. La S
rendervi parte e ne dissuadeva anche gli altri. Ma Polinice col mezzo
della
moglie Erifile l’indusse a seguire la poderosa ar
ucciso il re Laodamante, fig. di Eteocle, i Tebani di notte uscirono
della
città colle loro famiglie, lasciandola a discrezi
d il Nefele, ove abitarono i Centauri. Quivi erano gli ameni giardini
della
valle di Tempo, la quale era in un sito assai del
qualunque da Plauto(1) si chiama Tessalo. Celebri poi erano i cavalli
della
Tessaglia, i quali, di razza assai bella, eran pu
storia favolosa ed eroica de’ Tessali non vi ha impresa più memoranda
della
spedizione degli Argonauti. Esone, fig. di Creteo
ale. Frisso intanto giunto a Colco, ove regnava Eeta, fig. del Sole e
della
ninfa Perseide e fratello di Circe e di Pasifae,
a del re Amico con Polluce. Indi veleggiarono verso Salmidessa, città
della
Tracia, ove consultarono il famoso indovino Fineo
indovino Fineo, fig. di Agenore, o di Nettuno, intorno alla riuscita
della
loro spedizione. Dice la favola ch’esso fu da Gio
lo ed Ocipede, il quale le chiama fig. di Taumante, fig. del Ponto, e
della
Terra, e di Elettra, fig. dell’Oceano e di Teti.
i nella Colchide. Venute quindi le Arpie a fare il solito mal governo
della
mensa di Fineo, Zete e Calai, alati fig. di Borea
ente Giasone, dopo qualche altra avventura, alla foce del Fasi, fiume
della
Colchide, tosto espose ad Eeta il comando dello z
mini armati, da’quali Giasone sarebbe stato ucciso, se, col consiglio
della
stessa Medea, non avesse procurato di introdurre
una strana discordia. Ciò fatto, l’eroe domanda ad Eeta l’adempimento
della
promessa ; ma vedendo ch’egli cercava di uccidere
ospetto nell’animo di questo principe, fu da lui mandato a lobate, re
della
Licia e padre dì Stenobea, con lettere, nelle qua
obate mandò quell’eroe a combattere la Chimera che infestava un monte
della
Licia. Questo mostro era fig. di Tifone e di Echi
ibile mostro e l’uccise. Alcuni pensano che la Chimera fosse un monte
della
Licia che nella cima gettava fuoco, e che nella p
Bellerofonte distrutte quelle bestie, avesse dato origine alla favola
della
Chimera. Igino racconta che dopo l’impresa della
origine alla favola della Chimera. Igino racconta che dopo l’impresa
della
Chimera, l’eroe tentò coll’alato Pegaso di salire
am discorso ed il fatale odio di Giunone contra i Troiani, ed il pomo
della
Discordia, ed il giudizio di Paride ed il rapimen
ione, ma piuttosto come una copiosa raccolta delle più antiche storie
della
Grecia. Uopo è adunque distinguere nel poema di O
uello ch’è storia e quello ch’è mera finzione. Egli descrive lo stato
della
Grecia di quel tempo, la quale era divisa in molt
e nazioni e de’ principi che favorivano i Troiani ; e descrive l’arte
della
guerra usata in quel tempo ; fa parola delle legg
ive l’arte della guerra usata in quel tempo ; fa parola delle leggi e
della
religione de’Greci ; riferisce quali fossero i co
gi e della religione de’Greci ; riferisce quali fossero i condottieri
della
flotta, il loro carattere, e la situazione de’pae
che il poema di Omero merita di esser tenuto per la più antica storia
della
Grecia, di cui i primi tempi sono sepolti nell’ob
sedio di quel formidabile esercito per ben dieci anni. Oltre i popoli
della
Frigia, della Licia e della Misia, venne di Traci
formidabile esercito per ben dieci anni. Oltre i popoli della Frigia,
della
Licia e della Misia, venne di Tracia in soccorso
ercito per ben dieci anni. Oltre i popoli della Frigia, della Licia e
della
Misia, venne di Tracia in soccorso dell’infelice
ia, come di sopra si è detto. Giunti finalmente i Greci alla spiaggia
della
Troade fu loro gagliardemente contrastato lo sbar
rima parte favellato. Teti, appena nato Achille, il tuffò nelle acque
della
palude Stigia, e così egli diventò invulnerabile,
oprì se stesso. Achille adunque alla testa de’ suoi Mirmidoni, popoli
della
Ftiolide, andò cogli altri duci alla guerra di Tr
procurava di consolarsi di quell’ingiusto oltraggio, cantando al suon
della
cetra le grandi azioni degli eroi. Nè le preghier
che l’amicizia di Patroclo e di Achille si annovera fra le più conte
della
Grecia. Egli disonorò la vittoria coll’aver fatto
ro dell’ Eneide, smantellano le porte, e fatta una breccia nelle mura
della
città, vi fanno entrare il fatale cavallo che all
e la serenità desiderata. Anche magnifica è l’idea che Omero(3) ci dà
della
potenza di Nettuno, ch’era del partito de’ Greci
ce del giorno. E questa sua potenza, per la quale chiamavasi scotitor
della
terra, egli dimostrava particolarmente col triden
ra Nettuno e Minerva per la città di Atene, e come Nettuno fece uscir
della
terra un bel cavallo, che qual simbolo di guerra
degli Dei giudicato meno utile dell’ulivo di Minerva, ch’era simbolo
della
pace. Per tutto ciò Nettuno è stato uno degli Dei
nosciuto agli Egiziani, e che a’ Greci ne venne la notizia da’ popoli
della
Libia che il riguardavano come la più grande loro
ie del cielo ; così dicono figliuoli di Nettuno, cioè quasi partecipi
della
inumanil à del mare, coloro che per immane feroci
detto da Omero il Ciclope per eccellenza. Egli era fig. di Nettuno e
della
ninfa Toosa, fig. di-Forco. Questo mostro avea un
la sede de’ Ciclopi, e però Polifemo chiamasi da Tibullo(3) abitatore
della
rupe Etnea. Telemo, fig. di Eurimo, famoso indovi
e umana, ed abitavano nella Sicilia, o secondo altri, a Formia, città
della
Campania. Antichissimo re de’ Lestrigoni fu Lamo,
ue molte conoscenze nautiche ed astronomiche, successe a Tifi, pilota
della
nave Argo ; Erice, re della Sicilia. che per aver
ed astronomiche, successe a Tifi, pilota della nave Argo ; Erice, re
della
Sicilia. che per avere posto fra i suoi armenti u
abilità nelta nautica. Sesto Pompeo, gonfio di sue vittorie in mare e
della
gloria acquistata, volle anche egli essere chiama
i Posidone o Nettuno. L’ Oceano, secondo Esiodo, era fig. del Cielo e
della
Terra, e marito di Teti, diversa dalla Nereide Te
da’Tritoni che col suono delle lor trombe ricurve annunziano l’arrivo
della
regina del mare. Spesso tiene uno scettro d’oro ;
l nobile corteggio delle marine deità. Vi era Forco, fig. del Ponto e
della
Terra e fratello di Nereo, il quale era quasi duc
tata credenza degli antichi che quel trombettiere col suono fragoroso
della
sua conca quasi sgridava le onde commosse, e che
d’Ino, fig. di Cadmo, percui dicesi Inoo da Virgilio. Giunone, gelosa
della
prosperità d’Ino, come di tutta la famiglia di Ca
aviganti. Più antico dello stesso Nettuno era Nereo, fig. del Ponto e
della
Terra. Da Esiodo si chiama il maggiore de’ figliu
; e questo poeta, il dipinge come un vecchio ingenuo e verace, amico
della
giustizia e della moderazione. A lui, come agli a
il dipinge come un vecchio ingenuo e verace, amico della giustizia e
della
moderazione. A lui, come agli altri Dei marini, a
a quale con esse compiange l’infelice fato del figliuolo e lo consola
della
morte dell’amico Patroclo. Presso Virgilio(2) in
dovi una considerevole differenza nel getto de’capelli che al disopra
della
sua fronte s’innalzano. Alle volte si rappresent
uesto nume in piedi è quella del Museo Pio-Clementino. Sulle medaglie
della
città di Berito nella Fenicia i cavalli marini ch
o Σεισιχθων ( a σειω, fut. σεισωconcutio, et χθων, terra), scuotitore
della
terra ; ed Enositone, Ενοσιχθων (ab ενοσις, concu
ea un tempio che serviva d’inviolabile asilo, sul Tenaro, promontorio
della
Laconia, formato dall’estremità del monte Taigeto
beri sulle sponde del Tevere. Scilla da’più dicesi fig. di Nettuno e
della
ninfa Crateide, sebbene altri la dicano fig. di F
ilia e la Calabria. Or Cariddi era una vecchia figliuola di Nettuno e
della
Terra, la quale, rubato avendo ad Ercole alcuni d
o il luogo più profondo dell’inferno, immaginato da’ poeti nel centro
della
terra, per servire di eterna prigione a coloro, i
mavano Erebo, che Esiodo a ragione dice figliuolo del Caos e fratello
della
Notte ; sebbene altri affermano che nacque da Dem
carono nella Grecia la dottrina dell’immortalità dell’anima, e quella
della
metempsicosi, e quindi l’idea di due luoghi che a
a assai crasso e coperto di perpetua nebbia, per cui di rado godevano
della
vista del Sole. percui tenebre cimmerie proverbia
foltissima caligine. Strabone però parla de’Cimmerii, antichi popoli
della
Campania, presso il lago di Averno, ov’era la gro
chi popoli della Campania, presso il lago di Averno, ov’era la grotta
della
Sibilla, vicino a Baia ed a Pozzuoli. Essi il gio
e potuto avvenire, se quei Cimmerii fossero stati popoli dell’Epiro o
della
Tesprozia, come vuole Le Clerc, o quelli del Bosf
be sulla terra che il decimo giorno, come quella che dalla superficie
della
terra si facesse cadere giù nel Tartaro. Intorno
ro che da tre gole manda fuori tre orrendi latrati ; e le Furie, fig.
della
Notte, divinità crudeli ed inesorabili, colle chi
ed inesorabili, colle chiome di atri serpenti, stanno avanti le porte
della
tartarea prigione chiuse con chiavistelli di diam
ove regna un clima purissimo ; altri, nella luna, ed altri nel centro
della
terra accanto al tartaro ; ma l’opinione più comu
a fantasia colpita dalla dolcezza del clima e dalla piacevole varietà
della
natura. Poscia la Grecia, coltivando gli studii d
ell’Odissea (1). Anche Esiodo (2) alloga i Campi Elisii all’estremità
della
terra presso l’Oceano in alcune Isole Fortunate,
ull’Inferno, ne daremo una descrizione composta delle differenti idee
della
greca e romana mitologia. Un luogo sotterraneo ov
una spelonca di spaventosa profondità, ch’era nel Tenaro, promontorio
della
Laconia, credevasi una delle bocche dell’inferno.
bi, la Vecchiezza, la Fame, la Povertà, la Morte ed il Sonno, parente
della
morte, la Guerra, le Furie e la Discordia dal vip
cui cadaveri eran rimasti insepolti, errano per cento anni sulle rive
della
Stigia palude, nè da Caronte sono ammesse nella v
ettata la Stigia palude, le Ombre debbono subire un rigoroso giudizio
della
lor vita. Radamanto ed Eaco siedono giudici nel c
olo che si dava coll’evocazione delle ombre de’morti mediante le arti
della
negromanzia ; e che quivi Orfeo avesse evocata l’
le arti della negromanzia ; e che quivi Orfeo avesse evocata l’ombra
della
consorte Euridice. Ma l’Averno di Virgilio ch’è i
ce. Ma l’Averno di Virgilio ch’è il più celebrato da’ poeti, è quello
della
nostra Campania, non lungi da Pozzuoli, ne’ dinto
arte gli avanzi di un tempio di Apollo, dall’altra, la celebre grotta
della
Sibilla Cumana. Infine non vi è cosa più pittores
a il Piriflegetonte (a πυρ, ignis ; et φλεγετω pro φλεγω, uro), fiume
della
Tesprozia. Avendo i poeti della Grecia collocata
s ; et φλεγετω pro φλεγω, uro), fiume della Tesprozia. Avendo i poeti
della
Grecia collocata nell’ Epiro il regno della Notte
Tesprozia. Avendo i poeti della Grecia collocata nell’ Epiro il regno
della
Notte e di Plutone, i fiumi di quel paese divenne
pacifiche, quando i loro corpi aveano ricevuto l’onore dei funerali e
della
sepoltura ; e che le anime degl’insepotti erravan
le ombre scendevano all’inferno con quella forma che aveano nel tempo
della
lor morte. Così Deifobo mostravasi ad Enea col co
Euridice seguiva nell’inferno il suo Orfeo con lenti passi per cagion
della
ferita che le diè morte (2). E Tibullo (3) dice c
pi ornino il furiale suo capo ; e pestifero fiato e tetro veleno esca
della
trilingue sua bocca ; ma questo poeta che qui dà
no tre, Aletto Tisifone e Megera, e si vogliono fig. dell’Acheronte e
della
Notte, onde presso Virgilio Enea sacrifica una st
osi agli uomini ed agli Dei. Queste Dee si riguardavano come ministri
della
giustizia de’ Numi, e come Dee severe ed inesorab
sue scelleratezze ridotto all’insania, i ferali pensieri ed i rimorsi
della
coscienza sono di noi stessi il carnefice ; quest
uamente colle loro ardenti fiaccole il tormentavano, cioè da’ rimorsi
della
coscienza. VI. Caronte – Eaco – Radamanto e Mi
oscienza. VI. Caronte – Eaco – Radamanto e Minos. Il nocchiero
della
palude infernale che tragittava in una barca le a
a nocchiero dell’Acheronte ; e da Tibullo chiamasi il sozzo nocchiero
della
Stigia palude ; e comunemente se gli attribuisce
gravi parole ricusò di ricevere Enea nella sua nave e portarlo di là
della
stigia palude (1). E di fatto ricordavasi Caronte
o. Questo nume infernale fu nipote di Demogorgone e fig. dell’Erebo e
della
Notte ; ed il nome Caronte è di origine egiziana,
che dicevasi Enopia o Enone e che Eaco stesso chiamò. Egina dal nome
della
madre. La lode di giustissimo re gli meritò press
a mensa degli Dei ; ed a questo fatto il poeta attribuisce la cagione
della
pena datagli da Giove che gli sospese sul capo un
abbiamo altrove ragionato. A Tantalo succeda il gigante Tizio, fig.
della
Terra, fulminato da Giove e precipitato nel Tarta
da Giove alla sua mensa osò di oltraggiare la stessa Giunone. In pena
della
quale arroganza ed ingratitudine Giove lo percoss
davasi un obolo pel trasporto ; da che è nata la favola di Caronte e
della
sua barca. Le varie dimore, dice il Banier, che V
olarmente quella del Tartaro, prigione tenebrosa collocata nel centro
della
terra, son prese dalle moltissime stanze, dagli a
attiva la condotta del morto, se ne condannava la memoria e privavasi
della
sepoltura. Il popolo ammirava il potere delle leg
al greco πλουτος, ricchezza, perchè le ricchezze si traggono dal seno
della
terra, ove sono le miniere. E Cicerone (1) afferm
is, Ditis) da’Latini ; e per esso intende la forza stessa e la natura
della
terra. Or è noto che dis significava ricco, ed er
rnali regni non solo, ove teneva il suo trono, ma sull’interno ancora
della
terra, e sulle miniere. Da Orfeo chiamavasi Giove
. Claudiano (5) introduce una Parca, che chiama Plutone sommo arbitro
della
notte e signore delle ombre, pel quale le Parche
ro, i quali hanno preso Plutone per le ricchezze rinchiuse nel grembo
della
terra, avendo essi potuto cadere in questo errore
tivo che gli antichi credevano che i metalli si formano nelle viscere
della
terra per virtù degl’ influssi solari. Quest’ all
fa vedere che Proserpina, moglie del Dio dell’inferno, era l’emblema
della
corona boreale, bella costellazione posta presso
da Diomede. Lo scultore Cefisodoto (3) avea fatta in Atene una statua
della
Pace, che portava Pluto o Plutone in grembo, per
er dinotare che le ricchezze cui questo Dio presedeva, sono il frutto
della
pace. Ovidio dice che Plutone portava redini di r
una sua proprietà, che una volta reciso, non rinasce mai più, simbolo
della
vita umana che quando giunge al suo tramonto, non
dal medesimo dicesi fig. di Giove primo e di Cerere, cioè del Cielo e
della
Terra, e reputavasi la virtù vegetativa della ter
erere, cioè del Cielo e della Terra, e reputavasi la virtù vegetativa
della
terra personificata. Essa fu rapita da Plutone, s
l’altra per renderseli propizii(1). Tibullo espressamente fa menzione
della
potestà che avea Proserpina sulla vita umana(2) ;
testà che avea Proserpina sulla vita umana(2) ; ed aveasi per arbitra
della
vita e della morte ; per cui non solo si chiamava
a Proserpina sulla vita umana(2) ; ed aveasi per arbitra della vita e
della
morte ; per cui non solo si chiamava Giunone Luci
que era il regno di Proserpina ; percui presso Orazio vedere il regno
della
brana Proserpina vuol dir morire. E dallo stesso
Iberia, e nella Tessaglia. Comechè grandissima fosse stata l’autorità
della
regina dell’inferno, pure vuolsi credere soggetta
stante in cui il Destino le avea permesso di ritornare fra le braccia
della
propria madre. Or queste Parche che si annoverano
antro tenebroso nel Tartaro, erano riguardate come padrone dispotiche
della
sorte di tutti, di cui regolavano i destini, in g
al principio, la seconda, alla continuazione, e la terza, al termine
della
vita umana ; ovvero la prima ordiva, la seconda t
ma ordiva, la seconda tesseva, e la terza rompeva o tagliava lo stame
della
vita dell’uomo. Ma Albrico Filosofo dice che la p
o Tibullo(2), le Parche predicevano sul nascere di ciascuno il tenore
della
sua vita, filando quello stame fatale che a nessu
umi è dato di sciogliere. Secondo Igìno, esse erano fig. dell’Erebo e
della
Notte ; con che forse vollero darci ad intendere
e ; con che forse vollero darci ad intendere l’oscurità impenetrabile
della
nostra sorte che, come dice, Orazio(1), la Divini
e era bellamente orlata di porpora di Tiro ; ed Orfeo le dice coperte
della
più risplendente e lucida porpora. Baticlete sull
ta da Plutone. Il rapimento di questa Dea è quasi il solo avvenimento
della
sua vita che i pittori e gli scultori abbiano rap
, che vedevasi nel Campidoglio in un tempio di Minerva. Sopra un vaso
della
galleria del principe Ponialowscki, che rappresen
erpina. Antesforia, da ανθος, fiore, e φερειν, portare ; epiteto
della
Dea, col quale si alludeva a’ fiori ch’ella scegl
gia, la quale spesso disputa ad Atropo l’uffizio di reci dere il filo
della
nostra vita, fu posta ancora nel numero delle Par
sacrificava una troia, ed anche una vacca nera e sterile(1), in segno
della
sua sterilità. Il simbolo poi più ordinario di qu
omitus Pollucis hubenis Cyttarus. Georg. III. v. 89. Amicla era città
della
Laeouia, reggia di Tindaro, ove furono allevati C
Prefazione. Molte sono le opere che trattano
della
Mitologia, e dotte, e voluminose ; ma poche sono
ortata de’ principianti, ma benanche tutte le superflue dilucidazioni
della
favola, e tutte l’espressioni che avessero potuto
nerale. La Mitologia1 non è altro che la Storia, e la spiegazione
della
favola. L’indica il suo nome composto di due voci
lvolta a spiegare, o piuttosto a gentilmente nascondere varj precetti
della
morale. Gli Egiziani, presso de’ quali ebbero la
istoriche verità sfigurate dalla bizzarria di una immaginazione amica
della
menzogna : non esclusi coloro, che hanno ravvisat
tutto fuori di proposito in un’ opera fatta per darci le idee precise
della
favola, e lo sarebbero sempre più, senz’aver prim
aramente rilevasi dalle opere di Omero, e di Esiodo1. Del vantaggio
della
Mitologia. Ma diranno i nostri giovani lettori
iove, Giunone, e tanti altri non sono più Dei per noi : se la scienza
della
favola si è perduta, o almeno è incerta, qual van
rduta, o almeno è incerta, qual vantaggio ricaveremo noi dallo studio
della
Mitologia ? Ecco la risposta. In rapporto alla mo
ito, sembianza. Ogni virtù diventa una Divinità. Minerva è il simbolo
della
prudenza, Venere della bellezza. Lo scroscio del
rtù diventa una Divinità. Minerva è il simbolo della prudenza, Venere
della
bellezza. Lo scroscio del tuono non è l’effetto d
o per nulla vi entrano. La divisione di quest’opera ci darà un’ idea
della
Mitologia in generale. Noi faremo immediatamente
li abbiamo assegnato il primo posto nell’opera. Il Destino era figlio
della
Notte : vien dipinto con una benda avanti gli occ
ondono il nome del Destino con quello di Legge immutabile, privandolo
della
Divinità. Il Caos. Il Caos 3 è il più antico
Il Caos. Il Caos 3 è il più antico fra gli Dei. Egli fu l’Autore
della
separazione delle materie, ond’è composto l’Unive
re pezzo di Ovidio, per far conoscere l’idea, che avevano gli antichi
della
Creazione : credevano essi, che la materia fosse
a Terra. Ebbero molti figli, che da Titèa furon detti Titani, o figli
della
Terra. I principali furono Titano, l’Oceano, Iper
i suoi popoli, insegnò loro il corso dell’anno, l’agricoltura, l’uso
della
moneta, le regole della giustizia, e la norma del
loro il corso dell’anno, l’agricoltura, l’uso della moneta, le regole
della
giustizia, e la norma del ben vivere sotto il gov
licità, che tal’epoca fu chiamato l’età dell’oro. Giano entrò a parte
della
riconoscenza, che questo Nume meritava dagli uomi
omini. Fu ascritto egli stesso al numero degli Dei, col titolo di Dio
della
pace. Il suo Tempio era chiuso, allorchè la guerr
igli. Varj furono i suoi nomi. Ebbe il nome di Cibele da una montagna
della
Frigia : come pure Titèa, cioè, Terra, perchè pre
ano, che semplici piramidi, per simboleggiare la fermezza, e solidità
della
terra(2). Giove. Giove era il primo, e’ l più
tti ad essi usurpati, gli suscitarono contro i Giganti, ch’eran figli
della
terra. Questi per attaccarlo fin dentro la sua re
so, che l’opprime. Per mano di Minerva cadde pur il Gigante Pallante,
della
di cui pelle ella si coprì, con prenderne anche i
va questo Dio, era l’Egida, vale a dire uno scudo formato dalla pelle
della
Capra Amaltea, che aveva nutrito Giove, e ne arma
sua morte fu situata da Giove per gratitudine fra le costellazioni, e
della
sua pelle ne compose l’Egida, voce che in Greco i
urò tale ornamento. Inoltrandosi troppo Bacco fra gli arenosi deserti
della
Libia, non trovò acqua per cavarsi la sete. Appen
posa, e sorella di chi regge il tuono, Regina degli Dei, del Cielo, e
della
Terra : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese
u ammazzato da Mercurio, e transformato in pavone. La Dea in compenso
della
di lui fedeltà appiccò gli occhi del suddetto all
a Dea la fece diventar madre di Marte. La sempre bella Ebe era la Dea
della
giovinezza. Il suo impiego era di porgere il nett
un fonte ne’ contorni di Siracusa. Al momento, che Cerere si accorse
della
mancanza di sua figlia, l’andò di notte, e di gio
oco però, che nella Scizia non fosse perito per parte di Linco geloso
della
preminenza, che in tal mestiere a Trittolemo avev
na di sua perfidia Linco fu trasmutato in Lince, animale ch’è simbolo
della
crudeltà. Cadde la vendetta di questa Dea altresì
iade1. Vesta. Parimente figlia di Saturno, e Cibele era Vesta Dea
della
verginità, e del fuoco, per cui portava una fiacc
o fra gli Dei è de’ più celebri. Egli è il capo delle Muse, ed il Dio
della
poesia, onde vien invocato dai poeti ; come pure
ed il Dio della poesia, onde vien invocato dai poeti ; come pure lo è
della
musica, dell’eloquenza, della medicina, e di tutt
ien invocato dai poeti ; come pure lo è della musica, dell’eloquenza,
della
medicina, e di tutte le belle arti. Riguardavano
le arti. Riguardavano gli antichi questo Dio come padre del giorno, e
della
luce : come regolatore del carro del Sole : anzi
favillante, e tirato da quattro furiosi cavalli. « Nume del giorno, e
della
luce sei tu, che regoli il corso de’ giorni, dell
dove tu spandi i tuoi raggi. » Quinault. L’Aurora figlia di Titano, e
della
Terra apre ogni mattina le porte del Cielo al car
ie di Giove, e di Temi, impiega dodici ore a fare il suo giro. Al far
della
sera scende verso il mare, e Febo va a riposarsi
ia di Ceo e di Febe, e madre di Apollo, e di Diana. Accortasi Giunone
della
propensione di Giove per questa giovanetta, ebbra
a bambino fu dato ad allevare al Centauro Chirone, da chi fu istruito
della
virtù delle piante Diventò così celebre Esculapio
llazione detta Serpentario, ascrivendolo al numero degli Dei come Dio
della
medicina. Era rappresentato questo Dio sotto la f
iove fatta a lui stesso tale ingiuria, privò Apollo per qualche tempo
della
qualità divina, e lo cacciò dall’Olimpo. Il più a
Il più amabile, il più saggio fra gli Dei fu costretto, per non perir
della
fame, ad avvilirsi a pascolare gli armenti di Adm
he di fare il muratore con offrire unito a Nettuno, parimente privato
della
divinità, al Re Laomedonte la sua opera nella fab
nte Apollo in grazia di Giove, comparì nuovamente nel Cielo rivestito
della
sua gloria. Ma siccome Esculapio fu l’innocente c
cconsentito a tutto ciò che suo figlio gli domandasse in contrassegno
della
paterna tenerezza. Fetonte gli chiedette in grazi
pollo. Mida ivi pur presente fu di contrario avviso ; Apollo sdegnato
della
sua temeraria ignoranza gli fece nascere gli orec
lle di loro lagrime crebbe di molto il volume delle acque di un fiume
della
Frigia detto Marsìa. Questi sono i principali avv
fiume della Frigia detto Marsìa. Questi sono i principali avvenimenti
della
storia di Apollo. Diana. Diana figlia di Giov
Triplice Ecate talvolta perciò la chiamavano. Era ella di più la Dea
della
verginità, e de’ parti. Come nacque alquanti mome
e grandezza negli stati di questo principe. Molti de’ primi guerrieri
della
Grecia si unirono per dargli caccia. Atalanta fig
annodata si eleva sulla testa, e se le adatta talvolta sulla sommità
della
fronte una mezza luna, le cui estremità sono rivo
il Cielo : ornamento, che indica, il suo impiego di condurre il carro
della
luna. Talvolta è tirata su di un carro da due cer
ccia, circondata da istrumenti musicali, e dal doppio flauto. La Musa
della
commedia era Talìa : la sua corona era di ellera,
tte il timpano. Ella ha seco una tazza, ed un tirso. Erato si occupa
della
bellezza degli amorosi componimenti. La lira è il
ento musicale, ed è corteggiata da piccoli amori. Polimnia è la musa
della
memoria. L’indole di tal nome porta seco il signi
ra D’ogni sapere il merto in se racchiude. Venere. Venere la Dea
della
bellezza, e la Regina degli amori, nacque, come s
Dea, Zefiro la condusse all’Isola di Cipro, dove le Ore presero cura
della
sua educazione : quindi fu detta Ciprigna, come p
ettanto indecente e sconvenevole fu la sua condotta : e noi in grazia
della
modestia volentieri passiamo sotto silenzio le va
anta stizza, che infelicemente alla fine se ne morì. Ma Giove, ch’era
della
parte di Cupido, restituì a Psiche la vita, e gli
a2. Compagni de’ suoi lavori erano i Ciclopi, specie di giganti figli
della
Terra, che avevano un occhio solo nella fronte. I
sti avuta la temerità di guardarla mentre stava nel bagno, fu privato
della
vista. Questa Dea si contrastò il dritto con Nett
di ulivo, ed ottenne l’intento. Iu seguito questo arbore fu il segno
della
pace, ed a lei fu consagrato. Minerva chiamavasi
iamavasi anche Pallade1. Sotto la prima denominazione ella era la Dea
della
sapienza, ed aveva la preminenza sulle scienze, s
apelli di serpenti. Vi ha chi dice, che l’Egida era fatta dalla pelle
della
capra Amaltea da Giove a lei donata. Marte Dio
a dalla pelle della capra Amaltea da Giove a lei donata. Marte Dio
della
guerra. Piccata Giunone contro Giove, che da se
al solo toccarlo concepì Marte. Questa è l’origine per altro gentile
della
nascita di un Dio così terribile, qual’era quello
altro gentile della nascita di un Dio così terribile, qual’era quello
della
guerra. Tal favola ci hanno tramandato i poeti la
sentato armato da capo a piedi, avendo un gallo a lui vicino, simbolo
della
vigilanza. Il suo carro di acciajo è guidato da B
igilanza. Il suo carro di acciajo è guidato da Bellona Dea similmente
della
guerra : i suoi cavalli nati da Borea, ed Erìnni
i si mischiava in tutti gli affari, regolava gl’intrighi, si occupava
della
guerra, e della pace : presedeva ai giuochi, alle
n tutti gli affari, regolava gl’intrighi, si occupava della guerra, e
della
pace : presedeva ai giuochi, alle adunanze, ascol
ntò all’Olimpo, ed indi ne discese decorato da’ suoi raggi, ed armato
della
folgore. All’accostarsi tutto avvampò, e la stess
nte, e ’l vecchio Sileno satiro, che amava molto il vino, ebbero cura
della
sua infanzia. Bacco a suo tempo contestò la sua g
sì fatto furore, che esse lo ammazzarono senza conoscerlo. Licurgo Re
della
Tracia, che aveva osato di dichiararsi nemico di
estinti, e stabili la sua sede nell’inferno, che stava nelle viscere
della
terra. Si figura assiso sopra un trono di ebano,
’impero di Plutone. Bisognava tragittarlo. Appena che Mercurio armato
della
sua verga, aveva condotte le ombre novelle alla r
ombre novelle alla riva di questo fiume, Caronte figlio dell’Erebo, e
della
Notte le riceveva nella sua barca al prezzo di un
lo poteva ricevere quello ombre soltanto, che avevano avuto gli onori
della
sepoltura1, allontanando a colpi del suo remo le
o, sedendo nel di loro tribunale con una bacchetta alla mano in segno
della
loro dignità. Le Furie aspettavano le ombre de’ c
ro a mangiare il proprio suo sigliuolo, sente eternamente gli stimoli
della
fame, e della sete, malgrado che una pianta caric
il proprio suo sigliuolo, sente eternamente gli stimoli della fame, e
della
sete, malgrado che una pianta carica di frutta gl
verificò il presagio dell’oracolo, con detronizzare Danao in vendetta
della
morte de’ suoi fratelli. Parte seconda Di
GL’Iddj maggiori, di cui abbiamo già letta la storia, partecipavano
della
natura reale, e della natura immaginaria. Il di l
cui abbiamo già letta la storia, partecipavano della natura reale, e
della
natura immaginaria. Il di loro potere era più, o
la cera, e ne formò uno strumento musicale, chiamato Siringa dal nome
della
ninfa. Fauno. Fauno figliuolo di Pico Re del
tte Nereidi da Nereo loro genitore. Eco. Eco figlia dell’Aria, e
della
Terra era una ninfa, che si nascondeva ne’ boschi
tale stato infelice vide il bel Narciso figliuolo del fiume Cefiso, e
della
ninfa Liriope. Era questi insensibile verso tutte
vide la sua immagine che traspariva nell’acqua : fu talmente sorpreso
della
sua bellezza, che divenne amante di se stesso. Ma
n Peleo, dalla qual coppia nacque Achille il più celebre fra gli Eroi
della
favolosa antichità. Tritone. Tritone figliuo
lla favolosa antichità. Tritone. Tritone figliuolo di Nettuno, e
della
ninfa Salacia, altri dicono Amfitrite, aveva la f
ani chiamarono Portunno. Glauco. Glauco era un celebre pescatore
della
Città di Anteona nella Beozia. Un giorno si avvid
giù. Le Arpie. Malgrado che le Arpie fossero figlie di Nettuno, e
della
Terra, non appartenevano però alla classe della d
figlie di Nettuno, e della Terra, non appartenevano però alla classe
della
divinità marine. Erano mostri col viso di donna f
ro marino. Scilla figliuola di Forco Dio del mare, e di Ecate, o sia
della
Notte era altresì un altro mostro del mare. Per l
di cadere in poter loro. Scilla, e Cariddi spogliate degli ornamenti
della
favola sono due scogli pericolosi. Scilla è un go
Cloto, Lachesi, ed Atropo. Cloto la più giovane presedeva al momento
della
nascita degli uomini, e teneva in mano la conocch
omini, e teneva in mano la conocchia, Lachesi filava i varj accidenti
della
vita, ed Atropo ne tagliava il filo colle forbici
otte. La Notte figlia del Caos, sposa dell’Erebo, madre del Sonno, e
della
Morte regna fralle tenebre. In mancanza del Sole
egna fralle tenebre. In mancanza del Sole ella percorre la superficie
della
terra in un carro tirato da due cavalli neri. Il
to il gufo uccello amico delle tenebre. La Morte. La Morte figlia
della
Notte, e germana del Sonno, è la Dea che presiede
Notte, e germana del Sonno, è la Dea che presiede agli ultimi istanti
della
nostra vita. Ella è dipinta come uno scheletro co
chè sospende i nostri mali, e ci toglie ogni inquietudine. Era figlio
della
Notte, e fratello della Morte, ch’è un sonno perp
li, e ci toglie ogni inquietudine. Era figlio della Notte, e fratello
della
Morte, ch’è un sonno perpetuo. La pittura, che fa
e per dinotare, che gli uomini di lettere hanno bisogno del riposo, e
della
calma dello spirito1. Le Ombre. Manes erano
enj, che assistevano ai sepolcri. Nemesi. Figliuola dell’Erebo, e
della
Notte era Nemesi Dea della vendetta, e vendicava
olcri. Nemesi. Figliuola dell’Erebo, e della Notte era Nemesi Dea
della
vendetta, e vendicava i delitti in questo mondo,
le statuette, o Idoletti convenevoli al culto particolare del padrone
della
casa : spesso era un semi-Dio, o un Eroe della fa
articolare del padrone della casa : spesso era un semi-Dio, o un Eroe
della
famiglia trapassato. Presso queste immagini stava
, quando perdono tutto. Ha dippiù la Fortuna le ali ai piedi, indizio
della
sua incostanza, ed un ciuffo di capelli sulla tes
ma di una donna che chiamarono Muta. Temi. Figliuola del Cielo, e
della
Terra era Temi Dea della Giustizia. Fu creduta da
arono Muta. Temi. Figliuola del Cielo, e della Terra era Temi Dea
della
Giustizia. Fu creduta da Eusebio quella tale Carm
na mano, e con una spada nell’altra per vendicare egualmente i dritti
della
gente bassa, e dei grandi. Astrea. Vi ha tra poe
ata nel Zodiaco : oggi detta la Vergine. Como. Dio de’ piaceri, e
della
mensa era Como. Egli è rappresentato coronato di
tato coronato di fiori, e con una fiaccola in mano, perchè gran parte
della
notte era a lui consagrata. Momo. Era questo
l’amico stretto di Como. La buffoneria ben si accoppia con i piaceri
della
mensa. Il primo degli oggetti di Momo era mettere
ra conveniente al suo carattere, giacchè lo fanno figlio del Sonno, e
della
Notte. Il suo fare è grottesco, e porta in mano u
n ispada in una mano, e nell’altra una bilancia rappresenta Temi, Dea
della
giustizia. Colla bilancia ella pesa le azioni di
non si poteva entrare nel tempio dell’onore senza passare per quello
della
virtù. L’allegoria era tanto bella, quanto istrui
na essere virtuoso per poter aver dritto all’onore. La virtù è figlia
della
verità. La sua figura era quella di una donna di
terra, e la testa si nasconde tra le nuvole. Messaggiera indifferente
della
verita, e della bugia, corre tutti gli angoli del
a si nasconde tra le nuvole. Messaggiera indifferente della verita, e
della
bugia, corre tutti gli angoli della terra, sparge
iera indifferente della verita, e della bugia, corre tutti gli angoli
della
terra, spargendo veri, e falsi rumori. » Leggasi
lsi rumori. » Leggasi la bella descrizione che fa Ovidio del palazzo
della
Fama. La Concordia. Due tempj aveva in Roma l
deva sulle famiglie, e sulla Città. La sua figura era simile a quella
della
Pace. I Greci la chiamarono Ὀμονοια, ed aveva un
i. Vien dipinta con veste di color bianco, e colle mani giunte, segno
della
fede data, e ricevuta. A lei non si offriva alcun
da coronata di rose con coppa d’oro dove beve una biscia, è l’effigie
della
Voluttà. La Legge. Da Giove, e da Temi è nata
e ella si sforzava d’infrangere una tavola delle leggi, e la bilancia
della
Giustizia. La Natura. Era questa la Dea che s
rrare. La sua mano era armata di un rasojo1. La Necessità. Figlia
della
Fortuna comandava agli Dei, ed agli uomini. Le su
la debolezza dello spirito umano, ci avverte del bisogno che abbiamo
della
mano di Dio in tutti gli eventi della nostra vita
avverte del bisogno che abbiamo della mano di Dio in tutti gli eventi
della
nostra vita. Non avendo potuto gli antichi aver l
i, che hanno meritato un tale distintivo. Questa storia porta l’epoca
della
nascita del mondo, al momento che Prometeo formò
a potenza di Giove ardì creare, un uomo, servendosi del semplice limo
della
terra cui diede l’anima con una particella di que
rapita. Ingelosito Giove, che un mortale si fosse usurpato il dritto
della
creazione, che a lui solo si apparteneva, diede l
ed ebbe meno puri costumi. Nell’età di bronzo spuntarono i primi semi
della
guerra, e dei delitti. Finalmente nell’età di fer
terra, e si fermò presso di Licaone re dell’Arcadia. Questi dubitando
della
divinità de’ suoi ospiti, immaginò una prova terr
consultaron Temi, la quale loro rispose, che avessero scavate le ossa
della
gran madre, e col capo velato le avessero gittato
dove Atene fu fabbricata. Sposò la figliuola di Attèo re del paese, e
della
sua colonia se ne formarono dodici borghi, che di
portati. Cadmo. Figliuolo fu di Agenore re di Fenicia, e fratello
della
bella Europa rapita da Giove sotto l’aspetto di u
quale gli fu risposto che avesse fabbricato una città in una contrada
della
Grecia, e propriamente dove avesse veduto fermars
no fra di loro, restandone soli cinque che lo ajutarono alla fabbrica
della
famosa Tebe. Cadmo regnò lungo tempo con Ermione
aggio di Perseo più lungo, e pericoloso gli ordinò di andare in cerca
della
testa di Medusa, ch’ era una delle tre Gorgoni fi
hè Perseo fu allontanato dalla reggia da Polidette, i Dei ebbero cura
della
sua salvezza. Minerva gli diede l’egida, Mercurio
servì per cangiar gli uomini in pietra. Tal sorte toccò ad Atlante re
della
Mauritania, che gli aveva negata l’ospitalità. Ch
non violare il diritto delle genti, lo mandò a Giobate suo suocero re
della
Licia con ordini segreti di prendere vendetta del
ellerofonte partì colla scorta degli Dei protettori dell’innocenza, e
della
virtù. Giobate lo accolse con gioja, e nove giorn
avrebbe fatto inalberare al suo vascello una bandiera bianca in vece
della
nera che ivi si trovava. Disgraziatamente tanto e
acassò fra i dirupi, e l’infelice giovine spirò l’anima protestandosi
della
sua innocenza. Fedra lacerata dai rimorsi confess
mania di rapir Proserpina. Arrivati all’Inferno, Plutone fu avvertito
della
trama, e fatte sciogliere le catene di Cerbero, s
e lo infestavano, furono riguardati quai Numi da’ marinari. Nel corso
della
tempesta che assalì gli Argonauti, si viddero de’
chè, diviso da Castore. Quindi supplicò Giove o che lo avesse privato
della
vita, o avesse divisa la sua immortalità col frat
ti gli Eroi la conquista. Giasone risoluto di partire, chiamò a parte
della
gloria di quell’impresa tutti gli Eroi della Grec
partire, chiamò a parte della gloria di quell’impresa tutti gli Eroi
della
Grecia. Il vascello detto Argo fu quello che tras
di concerto con Medèa, che sposò, pensarono di fuggirsene col favore
della
notte trasportando seco i tesori di Eta padre di
, e stretti talmente, che li schiacciò. Creonte re di Tebe prese cura
della
sua educazione, che fu qual si conveniva ad un Er
o sdegno di Giunone, che noi in un fiato accenneremo. Il primo tratto
della
sua fortezza fu l’aver ucciso un lione che infest
sua fortezza fu l’aver ucciso un lione che infestava la selva Nemèa,
della
cui pelle si vestì. Il secondo fu contro l’Idra,
ronzo, che Minerva gli aveva donati. La quarta spedizione fu la presa
della
cerva del monte MenaIo, che aveva i piedi di bron
Virgilio di questa grotta nel lib. 8. Dell’Eneide. Stava nelle arene
della
Libia un famoso gigante chiamato Antèo, che attac
visita, gli diede addosso, e lo stramazzò più volte ; ma come figlio
della
Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre che la
un lione, ed un cinghiale che Apollo gli diede. Ma il Destino geloso
della
felicità di Admeto era presso a troncare i suoi g
l’unica fiata che le Parche s’intenerirono : recisero quindi il filo
della
vita di Alceste, e lasciarono vivere Admeto. Ment
angue perchè la dasse allo sposo, allorchè aveva motivo di sospettare
della
di lui fedeltà. Questa principessa volendo intera
vorarsi da un fuoco interno, indi preso da furore precipitò dall’alto
della
montagna il suo schiavo Lica, che gli aveva recat
o alla morte di questo Eroe con aver giurato di non rivelare il luogo
della
sua tomba ; ma i Greci, che avevano bisogno delle
vederli : ma Ulisse ch’era destro nel tempo istesso, ed aveva il dono
della
lingua, calmò la sua collera, e lo persuase a ven
vinità, ch’aveva nella Grecia introdotte. Egli era figlio di Eagro re
della
Tracia, e della Musa Calliope. Apollo conoscendo
nella Grecia introdotte. Egli era figlio di Eagro re della Tracia, e
della
Musa Calliope. Apollo conoscendo in lui un raro t
Plutone la sua sposa, lusingandosi di ammansire que’ mostri al suono
della
sua lira. Gli riuscì in fatti di riavere da Pluto
do egli Corinto la sua patria non volle ritornarci, e prese la strada
della
Focide. In uno stretto del monte Citerone ebbe la
l’infanzia si rotola sovente anche colle mani per terra ; nello stato
della
sua robustezza camina a due piedi ; e nel declina
a corte di suo cognato, e si nascose. La sola Erifile sapeva il luogo
della
sua ritirata, che non tardò a scoprire mercè di u
. La sua sposa Evadne figliuola d’Ifi per lo contrario era il modello
della
dolcezza. Ella non potè sopravvivere a suo marito
ue alla Dea una tale decisione, e per vendicarsi di Tiresia, lo privò
della
vista. Giove però lo compensò di tanta perdita co
conpermettergli di poter leggere nel libro dell’ avvenire, e col dono
della
vita cinque volte di più del resto de’ mortali. D
ual tutore di Leodamante, figliuolo di Eteocle. Giunto questi all’età
della
ragione, si riaccese la guerra di Tebe per opera
se la guerra di Tebe per opera di Adrasto, che stuzzicava i guerrieri
della
Grecia a vendicare le ombre de’ loro padri. Quest
antalo. Rimontiamo frattanto ai tempi eroici, per indagare l’origine
della
famiglia de’ Pelopidi, che figurò molto in tal’ep
in tal’epoca. Tantalo ne fu il capo : egli era figliuolo di Giove, e
della
ninfa Plota, e regnava nella Frigia. Non essendo
a. Abbenchè di stirpe divina, Tantalo non fu punto attaccato all’idea
della
religione. Un giorno avendo accolti gli Dei in su
Fremettero di orrore gli Dei : la sola Cerere stordita dal dispiacere
della
rapita sua cara Proserpina, si rivolse a tali odi
po. Pelope. Tornò in vita Pelope per opra degli Dei, che in luogo
della
spalla mangiata da Cerere, gliene sostituirono un
se per un solo giorno Ippodamia. Ciò fatto, Enomao si uccise in mezzo
della
corsa, e Pelope s’impossessò de’ suoi stati, face
sacrificato a Diana, il suo amico Pilade gli diede i più veraci segui
della
sua sincera amicizia. Avendo finalmente Oreste ri
vanzata. Tutto questo, se si eccettuino le ultime cose, accadde prima
della
guerra di Troja, di cui daremo una minuta descriz
ta parte del presente corso di Mitologia. Parte quarta Origine
della
guerra di Troja. L’origine di questa guerra b
agl’impulsi del suo cuore, e maritò Teti a Peleo figliuolo di Eaco re
della
Ftiotide nella Tessaglia. Achille, che superò la
incinta, che il bambino che stava per nascere, sarebbe stata la causa
della
ruina della patria : quindi diede ordine ad Arche
il bambino che stava per nascere, sarebbe stata la causa della ruina
della
patria : quindi diede ordine ad Archelao, che app
e quest’uffiziale di Priamo, lo consegnò ad alcuni pastori. Alla fama
della
bellezza di questo pastorello volle Priamo vederl
sto delitto non poteva espiarsi, se non col sangue di una principessa
della
famiglia del reo. Mostrossi pronto Agamennone a s
ossi pronto Agamennone a sacrificare sua figlia Ifigenia alla collera
della
Dea, che placatasi dell’offerta sostituì in luogo
la fortuna delle armi. La presa di Troja, che accadde nel decimo anno
della
guerra, non dipendeva soltanto dal coraggio degli
tta di Minerva chiamata Palladium, nella quale consisteva la salvezza
della
città. Ulisse, che accorreva da per ogni dove, co
oll’ajuto bensì di Diomede. Impedì parimente che i cavalli di Reso re
della
Tracia bevessero nel fiume Xanto. Trovò anche la
a al punto di essere sagrificato : diede altresì un colpo a Marte Dio
della
guerra. Finalmente Ettore il solo de’ Trojani, ch
e guerrieri proposero una tregua, per aver campo da rendere gli onori
della
sepoltura ai cadaveri degli estinti. Gli Dei, che
partirono all’istante. Ulisse procurò d’interessare Achille a favore
della
Grecia con fargli conoscere quanto potrebbe giova
tere a tale incantesimo : dimenticò i Trojani, e corse fra le braccia
della
sua sposa, dove tranquillamente fu preso dal sonn
de suoi soldati a condizione però di niente intraprendere all’infuori
della
difesa della flotta. Vestito Patroclo delle armi
ti a condizione però di niente intraprendere all’infuori della difesa
della
flotta. Vestito Patroclo delle armi di Achille, e
Superbo pel terrore che spargeva, e per la morte data a Sarpedone re
della
Licia, obbliò l’ordine del suo amico : più voleva
barbaro legò il cadavere al suo carro, e lo trascinò intorno le mura
della
città. Funesto spettacolo agli occhi di un vecchi
tà, e l’artifizio che usarono i Greci per rendersene padroni. Fine
della
vita di Achille. Achille morì per mano del più v
, e morire il figliuolo di Peleo. I Greci per potergli fare gli onori
della
sepoltura, furono obbligati a fare altrettanto ch
Pirro suo figlio immolò sulla sua tomba Polissena, innocente cagione
della
morte di quest’Eroe. Ajace figliuolo di Telamone,
l principio di questo secondo parto di Omero. Ulisse partì alla volta
della
Grecia dopo la presa di Troja : ma ritenuto da Ca
opo aver chiamate, ed assicurate le sue compagne, gli dà degli abiti,
della
biancheria, ed un’ampollina d’oro piena di odori
. Diversi giuochi successero alla mensa : Ulisse dà pruova non dubbie
della
sua destrezza nel maneggiare il disco, e ne ripor
o, e ne riporta la vittoria. Il cantore Demodoco fa sentir la melodia
della
sua voce, cantando varie avventure, durante l’ass
lui flotta all’isola de’ Ciclopi, fermandosi in una picciola isoletta
della
Sicilia che stava a fronte del porto. Avendo post
ttuno, gigante di enorme grandezza, che avea un occhio solo nel mezzo
della
fronte. Questo mostro che riconduceva i suoi arme
mosa maga figlia del Sole, i di cui incantesimi sorpassavano le forze
della
natura istessa. Gli esploratori osservarono nell’
le forze della natura istessa. Gli esploratori osservarono nell’atrio
della
sua reggia degli uomini da Circe cangiati in leon
compagni. Ulisse si trovò così contento del trattamento, e dell’amor
della
Dea, che si trattenne volentieri per un anno nell
cere la bella Lampezia in un’isola consacrata al Sole presso le coste
della
Sicilia. I suoi compagni nella sua assenza sagril
ssata : Ulisse soltanto si salvò con essersi abbracciato ad un albero
della
nave. Le onde lo portarono all’isola di Ogigia, c
regnava, la vaga Calipso, sovrana dell’isola. Questo fu il contenuto
della
narrativa di Ulisse, che Alcinoo, ed i Feaci asco
pi radunati a solenne banchetto. Fattosi introdurre nell’appartamento
della
saggia Penelope, le narra una falsa istoria delle
le burrasca si alza dal profondo degli abissi del mare : una porzione
della
flotta si separa, e sarebbe sicuramente perita, s
nni da lui sofferti dopo un’epoca così funesta. « Stanchi i Principi
della
Grecia, Enea imprese a dire, di anni dieci di ass
ella città, che conservando un tal pegno, sarebbe sotto la protezione
della
Dea, e diventerebbe inespugnabile. Mentre ondeggi
a venuto per soccorrerli. Ciò credettero i Trojani un segno manifesto
della
collera degli Dei, che gradivano le offerte de’ G
ciascuno si ritira, e pieni di sicurezza si danno in preda ai piaceri
della
mensa. Intanto al far della notte i Greci s’incam
di sicurezza si danno in preda ai piaceri della mensa. Intanto al far
della
notte i Greci s’incaminano colla flotta verso Tro
potuto Enea salvare la vita del vecchio re, si affretta per la difesa
della
sua sposa Creusa, del figlio suo, e di Anchise su
ritorna colla speranza di rinvenirla, ma gli apparve l’ombra soltanto
della
sposa morta nell’incendio, che lo consiglia a fug
ue Dive del momento di una tempesta suscitatasi mentre tutta la Corte
della
regina era impegnata in una caccia : Enea con Did
i, ma nel tempo stesso dispone il tutto per la partenza, e col favore
della
notte scioglie le vele da un lido, dove era stato
untino Enea gli ordini di Anchise. Arrivato a Cuma, recossi all’antro
della
Sibilla Deifobe, che gli predisse quanto doveva a
pina. Riuscì ad Enea di trovar questa pianta. Finalmente colla scorta
della
Sibilla, passando per lo Lago di Averno, discende
utto l’affare in mano del destino, e i due partiti stanchi dai disagi
della
guerra, proposero una pugna a corpo a corpo fra i
è necessario nondimeno di formarne un’ idea per aver piena cognizione
della
mitologìa. Queste favole inventate in diversi tem
per viaggiare sulla terra. Essi arrivarono sconosciuti nelle campagne
della
Frigia, chiedendo ospitalità agli uomini, che dap
villaggio sommerso, e gli abitatori in preda dell’acqua, all’infuori
della
capanna, che gli aveva accolti, che fu cangiata i
velo, che preso dal lione, dopo averlo lacerato, lo intrise di sangue
della
sua gola. Sopraggiunto Piramo, vide questo velo,
si il segreto all’istante di doversi maritare Ifide (tale era il nome
della
fanciulla) Iside non l’abbandonò : in sì pressant
li Dei punirono tanta insensibilità, la cangiarono in pietra, simbolo
della
durezza del suo cuore. Coreso, e Calltroe. Ca
one del sinistro presagio, corse forsennata al lido, e restò convinta
della
verità, vedendo il cadavere dello sposo gittato d
dello sposo. Un giorno mentre Cefalo si riposava stanco dalle fatiche
della
caccia, si avvide di un certo calpestio in un vic
ereo in uno sparviero. Aristeo. Fu Aristeo figliuolo di Apollo, e
della
ninfa Cirene. Egli si occupò dell’agricoltura, a
lente cantore, figlio di Giove, e di Antiope regina di Tebe. Il suono
della
sua lira, e la sua voce era tanto dolce, che per
meo autore di quest’opera, pubblicato fin dall’anno 1817 - per comode
della
gioventù studiosa. Proemio. Pbbiamo finora
o finora come in un quadro abbozzato l’origine, lo scopo, lo sviluppo
della
Favola. Nel breve corso di poche pagine ci siamo
be lo affaticarci ad indagare l’eccessiva capricciosa folla degl’Iddj
della
Grecia, e del Lazio, senza conoscere quelli che r
le belle arti, e delle scienze. Dapertutto veggonsi de’ capi di opera
della
pittura, e scultura, e della più ricercata archit
e. Dapertutto veggonsi de’ capi di opera della pittura, e scultura, e
della
più ricercata architettura, che malgrado il corso
nell’una e l’altra lingua, che ci mettono al giorno de’ sacri riti, e
della
vita civile di que’ tempi. Se non altro, gli scav
imo, dove può ampiamente spaziarsi l’ingegno degli eruditi indagatori
della
più remota antichità. Nel nostro suolo per l’appu
lce clima, e fertile terreno, formava il domicilio, e l’onesto ritiro
della
gente tranquilla 1. Fin dall’epoca della sua fond
domicilio, e l’onesto ritiro della gente tranquilla 1. Fin dall’epoca
della
sua fondazione anteriore a quella di Roma, avrebb
nto. Dee credersi certamente che istituiti i nostri padri coi costumi
della
Grecia, abbiano similmente adottati gli usi medes
Grecia, abbiano similmente adottati gli usi medesimi, e la Religione
della
madre comune. Il Circo, gli avanzi del nostro tea
or oggi ammiriamo, fanno fede abbastanza delle Divinità Napoletane, e
della
magnificenza della loro città : giacchè quanto vi
fanno fede abbastanza delle Divinità Napoletane, e della magnificenza
della
loro città : giacchè quanto vi ha di grande e mag
Religione ha tratto la sua origine, e contribuirono all’accrescimento
della
grandezza Romana più gli altari a Giove innalzati
n andar quasi a tentone. Potranno in età più matura i Giovani amatori
della
storia Patria consultare i fonti, onde attingere
allorchè furono a nuova vita rigenerati mercè il lume del Vangelo, e
della
santa nostra Religione Cattolica, nel cui seno ab
di Fera in Tessaglia. Scrivono taluni che questa giovane amantissima
della
castità ritirossi nella Campania, ed ivi elesse i
ve oggi è Napoli per sua abitazione, guidata dal volo di una colomba,
della
quale così cantò il nostro Stazio nel libro IV. S
re stata Napoli edificata dai Cumani, chiamata Partenope dal Sepolcro
della
estinta Sirena. Colà in seguito a cagione del suo
Ebrei, giorno in cui cessavano da ogni lavoro, per indicare l’indole
della
voce riposo, quiete, adattando questo nome a que’
iverse virtù che lo adornavano, e fra queste in grado eminente quella
della
castità. Di costui innamorossi una ragazza chiama
como Martorelli nella sua laboriosa opera de Reg. theca cal. parlando
della
Fratia dove adoravasi Eunosto, azzardò una conget
quelli che conservavano il celibato, avesse dato il nome al quartiere
della
città, oggi detto borgo dei Vergini, et che ivi a
scavandosi li fondamenti parecchi anni sono di una casa in vicinanza
della
porta di S. Gennaro, si avvidero i muratori di al
alcune vecchie fabbriche sepolte molti palmi al di sotto del livello
della
strada. Pervenuto ciò a notizia del Governo, furo
ulto assai esteso riceveva dai Napoletani, come quello che fu il Duce
della
colonia Eubea venuta a Napoli, guidata dal volo d
che fu il Duce della colonia Eubea venuta a Napoli, guidata dal volo
della
colomba, onde Stazio : Tu ductor populi longe em
Can. Celano esatto indagatore delle cose patric, crede che il tempio
della
luna fosse dov’è al presente la Chiese di S. Mari
Cristiani al nostro Divino Salvatore, ch’è il vero Sole, così quello
della
luna fu dedicato alla Vergine SS., cioè Lunae Vir
ra il testè lodato Celano, che nella casa d’Ippolita Ruffo fondatrice
della
Chiesa suddetta, si conservavano moltissimi monum
ltissimi monumenti di questo tempio famoso. Il circondario del tempio
della
luna era il più rispettabile di Napoli. Colà a se
ritrovato l’insigne cavallo di bronzo di Greco lavoro, antico stemma
della
Città, la cui testa vedesi oggi nel Regale Museo
da Diana era già presso a sposarla. Mal soffriva Apollo queste nozze
della
germana : onde sfidatala un giorno a tirare una f
po di lunghi ispidi peli, indicanti o i raggi solari, ovvero un segno
della
pioggia. Era questo Dio tutelare adorato in Napol
le altre formalità si bruciava una barchetta in ogni anno nella notte
della
Natività di Nostro Signore. Chiamasi oggi questa
serpina, figliuola di Cerere rapita da Plutone nelle fertili campagne
della
Sicilia. Il nostro Capaccio ce ne ha trasmesso il
da pitture antichissime, e da un basso rilievo situato nella sommità
della
facciata della Chiesa di S. Giovanni Evangelista,
ichissime, e da un basso rilievo situato nella sommità della facciata
della
Chiesa di S. Giovanni Evangelista, appartenente a
ro Stazio, portando accese faci nelle mani in atto di andare in cerca
della
rapita Proserpina. Tra i ministri di questa Dea e
credere di essere stato egli ascritto fra i Penati e gl’Iddj tutelari
della
Patria. Attesta il Pontano, che ritornato Ercole
Napoli vico Eraclio, o sia di Ercole, una straduccia nelle vicinanze
della
Chiesa di S. Agostino Maggiore. L’antico Ercolano
al Vesuvio1. XII. Vesta. L’antichissima Chiesa di S. Maria
della
Rotonda a nostri giorni demolita, ha fatto creder
che di forma rotonda era il tempio di Vesta per indicare la rotondità
della
terra, o per meglio dire dell’Universo, nel cui c
o accanto il palazzo del Duca di Casacalenda, e propriamente a fronte
della
porta grande della Chiesa di S. Angelo a Nilo. In
o del Duca di Casacalenda, e propriamente a fronte della porta grande
della
Chiesa di S. Angelo a Nilo. In questa regione abi
Pubblica. I Greci chiamavano Χαριστηρια Charisteria le feste in onore
della
Fortuna. I Romani dissero Charistia i conviti, ne
ad socios turba propinqua Deos.1 Teofane negli anni sacri si serve
della
voce Charisteria per ringraziamento al sommo Iddi
nimatore de’ mortali allora che nascono, consigliandoli a non fidarsi
della
Fortuna, e lo chiama Δαιμονιον Demonio. Censorino
e carni delle vittime immolate, e nei casi di qualche seria disgrazia
della
Repubblica. Si è già osservato, che gli Eumelidi
orelli nell’aureo trattato de Fratriis Neapolitanis, nel secondo tomo
della
Theca Calamaria. Ed eccoci alla fine del nostro t
olo saggio bastar potrà alla gioventù studiosa per acquistare un’idea
della
prima religione de’ nostri padri, e dei tanti mon
tradizione loro era stato tramandato, che abbellivano poi con i parti
della
loro fantasia. Ecco al dire di Vico l’origine del
anzidetto Porfirio parlasi di Abari, che credono sia vissuto a’ tempi
della
guerra di Troja. Delle sue opere appena i titoli
è ne ignora il fato prende la bilancia ; e perchè il lato, che decide
della
morte di quest’eroe, trabocca, è obbligato di abb
ntamente pronunziavano, affinchè anche il nome ci avesse dato un’idea
della
di Lui grandezza. 1. Tale rassembrava anche agli
o il numero di quei, che gli vennero da’ Romani, e dagli altri popoli
della
sola Italia ; si può dire, che noi abbiamo perdut
n carro tirato da serpenti ; talora aver nelle mani il modio, simbolo
della
fertilità, o la cesta mistica delle feste Eleusin
di non doversi giammai pronunziare il suo nome. 1. Tullio nel terzo
della
natura degli Dei ammette più Veneri ; la prima fi
pinto colle ali ; se pur ciò non era a mio credere per darci un’ idea
della
sua istabilità e leggerezza. 1. Cicerone nel lib
idea della sua istabilità e leggerezza. 1. Cicerone nel libro terzo
della
Natura degli Dei, riconosce tre Vulcani ; il prim
favoloso sia una copia del famoso Tubalcain, di cui parlasi nel libro
della
Genesi, inventore de’ fornelli, ed espertissimo n
dire, che Minerva si compiaceva di tre villane bestie, del serpente,
della
civetta, e del popolo. 1. Il Dio delle battaglie
ra nelle ville Negroni, e Ludovici in Roma. 2. Tullio nel libro III.
della
Natura degli Dei c. 25. parla di cinque Bacchi, a
lunga barba, ond’ebbe il nome di Bacco Barbato Καταπωγων. 2. Simbolo
della
stabile sua giovinezza ; o forse ancora, perchè s
scendere all’Inferno fu astretto dalla Sibilia a dover fare gli onori
della
sepoltura a Miseno rimasto insepolto. Virg. Æneid
etto precettore di Achille per dinotare che gli Eroi debbonsi servire
della
virtù, ed occorrendo, della forza propria delle b
er dinotare che gli Eroi debbonsi servire della virtù, ed occorrendo,
della
forza propria delle bestie, della cui natura part
servire della virtù, ed occorrendo, della forza propria delle bestie,
della
cui natura partecipava il Centauro Chirone. 1. Q
falsi sogni. 1. Pare, che i Pagani avessero avuta qualche cognizione
della
nostra credenza, mentre noi facciamo la distinzio
degli antichi ne faccia menzione. Esiodo la numera tra i tanti figli
della
Notte. 1. I Greci fecero dell’Occasione un Dio d
zie del genere umano. L’idea forse è presa dalla Genesi, ove si parla
della
disubbidienza del primo uomo. Cicerone nel libro
. Clemente Alessandrino crede essere ciò avvenuto trecento anni prima
della
guerra di Troja : in conseguenza nel 2540 del mon
lliope madre di Orfèo vuol dir canto, ed Orfèo appunto era il cantore
della
Tracia. Euridice vuol dire due volte perduto, com
uale opinione è combattuta da diversi altri critici. Leggasi il libro
della
Scienza nuova dell’Autore suddetto. 1. Ecatombe
cittadini che formavano un corpo, un collegio in ciascheduna regione
della
Città. Queste erano ben molte, ed ognuna aveva il
perchè l’esposizione ne fosse fatta in termini così misurati dal lato
della
morale e del costume, che questo libro potesse gi
edere che questi sono racconti puerili nati nel seno dell’ignoranza e
della
barbarie, diremo loro : « No non furono barbari q
iremo loro : « No non furono barbari quelli che inventarono le favole
della
Mitologia, ma geni che infiammati da un fuoco div
ma geni che infiammati da un fuoco divino, riscaldati dalle bellezze
della
virtù, renduti attoniti dalla magnificenza dell’u
, preser la lira e cantarono cogli armoniosi suoni di lei l’esistenza
della
divinità, i suoi beneficii verso gli uomini, la n
vinità, i suoi beneficii verso gli uomini, la necessità dell’ ordine,
della
giustizia, della pace, i diletti ed i piaceri e l
neficii verso gli uomini, la necessità dell’ ordine, della giustizia,
della
pace, i diletti ed i piaceri e le dolcezze della
ne, della giustizia, della pace, i diletti ed i piaceri e le dolcezze
della
vita campestre ; e facendo in tal guisa passare n
rso del maggior dei poeti italiani de’ nostri tempi scritto in difesa
della
Mitologia contro una nuova scuola che condanna al
E il tetro solo, il solo tetro è bello. Quindi tocca il gran sistema
della
greca Mitologia, e descrive a parte a parte come
scrive a parte a parte come tutto fosse animato nel mondo in acconcio
della
poetica invenzione. Tempo già fu, che, dilettand
uni versi che si potrebbero dire un Inno di vittoria cantato in onore
della
Mitologia dopo sconfitti i nemici : Ah riedi al
e, e mille Mondi il pensier a suo voler si crea. Mitologia ad uso
della
gioventù Introduzione V ari sono i met
supponevansi risedere. In questo Compendio abbiamo adottato il metodo
della
divisione in tre classi di Dei Inferiori, Dei Sup
la tralasciare che possa viemeglio facilitare ai giovanetti lo studio
della
Mitologia. NB. Nell’ indice per ordine alfabetic
ità trassero origine l’Acheronte fiume infernale, i Ciclopi, Temi dea
della
Giustizia, Mnemosina dea della Memoria, l’Erebo f
e fiume infernale, i Ciclopi, Temi dea della Giustizia, Mnemosina dea
della
Memoria, l’Erebo fiume dell’inferno, e la Notte d
mante padre d’Iride e delle Arpie che altri fanno figlie di Nettuno e
della
Terra ; e furon pur figli di Urano e della Terra
fanno figlie di Nettuno e della Terra ; e furon pur figli di Urano e
della
Terra Nereo e Doride o Dori, che generarono le Ni
ra le quali fu rinomata Galatea. I più celebri tra i figli di Urano e
della
Terra, sono Titano e Saturno. Il nostro globo ed
chiarò senza riguardi la guerra. Giove restò vincitore e non contento
della
vittoria ottenuta sul padre lo scacciò anche dal
li siodà anche là figura di un serpento che si morde la coda, simbolo
della
perpetua rivoluzione dei tempi. L’orologio a polv
n pianeta. Cibele Cibele o Rea Questa dea figlia di Urano e
della
Terra, moglie e sorella di Saturno, chiamasi anch
voto di verginità, era portata con lugubre pompa sopra una bara fuor
della
porta Collina, e sepolta viva in una stanza sotte
llattato dalla capra Amaltea. Cresciuto in età e venuto in cognizione
della
sua nascita chiese che Saturno lo riconoscesse er
a sua nascita chiese che Saturno lo riconoscesse erede. Titano ignaro
della
condotta di Rea accusò il fratello di frode, lo s
llo dell’inferno al secondo, e riserbando per sè l’impero del cielo e
della
terra. I fratelli uniti a Pallade e Giunone tenta
quila ai piedi e Ganimede a lato. Quelli che toglier vogliono il velo
della
favola, dicono che Saturno fu re di Creta ; che f
ordine di Giove da Mercurio che lo avea indormentato prima col suono
della
zampogna e col tocco del caduceo, Giunone pose gl
are. Giunone accorse adirata, fece in pezzi la statua ; ed avvedutasi
della
malizia di Giove, si riconciliò, ridendo con lui
ta nei Campi Elisi gustato alcun cibo. Ascalafo figlio di Acheronte e
della
Notte avendo manifestato che Proserpina avea colt
versi soprannomi. Le si offrivano le primizie de’ frutti e v’era pena
della
vita per chi avesse sturbato i suoi misteri. Se l
. Minerva Minerva Minerva detta con altro nome Pallade, dea
della
sapienza, delle guerre e delle arti, era figlia d
e di lei, alle quali intervenivano degli spettatori da tutte le parti
della
Grecia. Viene questa Dea rappresentata come una d
capo a piedi, coll’elmo in testa, colla lancia in una mano, come Dea
della
guerra e collo scudo nell’altra ; il teschio di M
o Pallade ha preso il suo nome da questa Dea. Marte Marte, dio
della
guerra è figlio di Giunone. Questa Dea, come si è
e fece quanto le aveva Flora insegnato e partorì Marte che chiamò Dio
della
guerra e che destinò a presiedere alle battaglie.
ha dato il suo nome ad un pianeta. Venere Amore Venere Dea
della
bellezza e degli amori, nacque secondo alcuni dal
cano in ricompensa di aver per esso fabbricato i fulmini in occasione
della
guerra coi Giganti. Dicono altri invece che Giove
ta chiamato volgarmente la stella del pastore. Diana Diana dea
della
caccia, figlia di Giove e di Latona sorella di Ap
ò Latona a sgravarsi d’Apollo. Essendo stata testimonio dei patimenti
della
madre concepì tant’odio pel matrimonio, che otten
verginità. Sotto il nome di Diana presiedeva ai boschi ed era la Dea
della
caccia ; sotto quello di Febea era presa per la L
fusa con Proserpina moglie di Plutone. Si riconosceva pure per la Dea
della
castità, ed era tanto vergognosa che converse Att
rchè si era lasciata sedurre da Giove, che aveva vestite le sembianze
della
stessa Diana. Diana Pretendesi nondime
abitava che nelle selve, accompagnata da’ suoi cani. Fu sempre gelosa
della
sua bellezza e degli omaggi degli uomini. Vendica
ta Dea si rappresenta sotto la figura di una donna giovine, nel fiore
della
bellezza, in abito da cacciatrice, coi capelli an
om’essa armate di archi e di frecce, ma basse tutte più di lei almeno
della
testa. Diana detta anche Delia e Cinzia dall’isol
. Vuolsi che abbia avuto più di cinquanta figli. Figlie di Nettuno e
della
Terra erano le Arpie, mostri alati e malefici che
rato da quattro cavalli e Apollo in terra. Era riguardato come il Dio
della
musica, della poesia, dell’eloquenza, della medic
o cavalli e Apollo in terra. Era riguardato come il Dio della musica,
della
poesia, dell’eloquenza, della medicina e delle ar
ra riguardato come il Dio della musica, della poesia, dell’eloquenza,
della
medicina e delle arti. Viveva in mezzo delle nove
rtissimo, fu di mettere a morte il serpente Pitone, nato dal limaccio
della
terra dopo il diluvio di Deucalione, il quale dev
la prima volta coi tesi nervi di una testudine morta, e che in cambio
della
lira avesse da Apollo il caduceo. Questo caduceo
quello stato come simbolo di pace, aggiugnendovi le ali come simbolo
della
rapidità e del potere dell’eloquenza. Si rapresen
parecchie Divinità, Apollo fu incaricato di aver cura del fuoco, Febo
della
terra, Venere dell’aria e Mercurio dell’acqua. In
tettore de’ pastori. Il cigno che gli sta vicino soventi è il simbolo
della
dolcezza dei discorsi del Dio dell’eloquenza ; il
nza cangiò lo sdegno in riso. Essendo Mercurio espertissimo nel suono
della
lira si servì di quella di Apollo per addormentar
quest’astro prodotti. Bacco Non vanno d’accordo gli scrittori
della
favola di questo Dio ; cinque almeno devono esser
ama di veder Giove in tutta la sua maestà. Semele che non si avvedeva
della
malignità di questo consiglio, chiese a Giove una
suo scopo di imporre tributo ai vinti, ma d’insegnar loro la cultura
della
terra. Di là passò in Egitto, ove insegnò pure l’
e tutto quello che da lui fosse toccato. Ma ebbe ben tosto a pentirsi
della
sua dimanda, e mutandosegli in oro anche il pane
d’oro lavoro egregio di Vulcano, che pose tra gli astri dopo la morte
della
sua sposa. Arianna partecipò nell’Olimpo all’immo
e colle corna in testa ; perchè ne’ suoi viaggi si era coperto sempre
della
pelle di un capro. Suoi seguaci erano i Satiri, c
ul monte Etna. I Ciclopi figli di Nettuno e di Anfitrite o di Urano e
della
Terra detti monocoli perchè non avevano che un oc
ne conta però più d’un centinaio. Apollo li uccise tutti. A malgrado
della
loro malvagità, essi furono annoverati tra gli De
iclopi se non che l’emblema dei vulcani. Si dicevano figli di Urano e
della
Terra a cagione dell’altezza e delle profonde rad
ste montagne erano altissime, ed il solo occhio scintillante in mezzo
della
fronte era il simbolo del cratere. Vulcano fu chi
fatto si racconta in tal guisa. Avendo Giove seppellito sotto i monti
della
Sicilia, Tifeo o Tifone gigante mostruoso, uno di
ca di Proserpina, la quale fu cangiata subito in fonte. Lieto Plutone
della
conquista fatta creò Proserpina regina dell’infer
tto e nella sterilità. Proserpina secondo questi ultimi era l’emblema
della
corona boreale, bella costellazione posta presso
tri. Eaco era figlio di Giove e di Egina, nacque nell’isola di Egina,
della
quale fu re. Tutti e tre passarono pei sovrani p
mi dell’Inferno. Minosse era nondimeno considerato come il presidente
della
corte infernale, e gli altri due giudici, non era
e mormorio. Lete vi scorreva, e le sue onde spargevano d’oblio i mali
della
vita. Una terra sempre ridente rinnovava tre volt
la maggior felicità. Là rinnovavansi ancora i più lusinghieri piaceri
della
vita. L’ombra d’Achille moveva guerra alle bestie
le degli antichi secondo una generale opinione. Chi li pone nel œntro
della
terra, chi sulle sponde dell’Oceano. La maggior p
collocarli oltre le colonne d’Ercole nelle amene e deliziose campagne
della
Betica parte della Spagna meridionale. L’idea de
colonne d’Ercole nelle amene e deliziose campagne della Betica parte
della
Spagna meridionale. L’idea del Tartano pare che
to, Acheronte, Lete e Flegetonte. Acheronte diceasi figlio del Sole e
della
Terra da alcuni e di Titano e di Cerere da altri,
buivano anohe la proprietà di disporre a soffrire di nuovo le miserle
della
vita. Fu soprannominato il fiume d’olio perchè il
fosse inviolabile, e se vi mancassero rimanessero per cent’anni privi
della
divinità. Le acque di Stige erano infette, ed in
. Annoverasi tra i fiumi dell’Inferno anche l’Erebo figlio del Caos e
della
Notte, padre dell’Etera e del Giorno, che fu cang
per una parte dell’Inferno e per l’Inferno stesso. Si fa anche marito
della
Notte da cui si vuele abbia avuto il Giorno. Prim
’Acheronte in una nera barca condotta du Caronte, figlio dell’Erebo e
della
Notte, vecchio, ma di robusta e verde vecchiezza,
on oochi vivaci, con sembiante maestoso, benchè severo, coll’impronta
della
divinità nell’aspetto, con folta e canuta barba,
el re tragittava nella sua barca quelli che avevano pagato il diritto
della
sepoltura, e che li conduceva vicino a Menfi nell
Plutone ove si era rifuggito. Orfeo addormentò questo cane col suono
della
sua lira, allorchè andò a cercare Euridice. La S
Trovano credenza quelli che sostengono esser questo mostro l’emblema
della
dissoluzione che succede nel sepolcro ; e se Erco
que altra divinità, poichè ella ha in mano, per così dire, il destino
della
terra, premia chi l’onora, fa conseguir la vittor
nferno le tre Parche, Cloto, Lachesi ed Atropo dette da alcuni figlie
della
Notte e dell’Averno, da altri di Giove e di Temi.
evano un potere il più assoluto di tutte le altre. Padrone dispotiche
della
sorte degli uomini esse ne regolavano i destini :
ma preparava i destini, la seconda li distribuiva, e l’inflessibilità
della
terza impediva loro di variare. In queste tre div
ini. Altri non vi scorgono se non un’infermità, ordinario appannaggio
della
vecchiaia. Le battaglie somministrarono alle Par
nti alla luce ; Proserpina non si lasciò commuovere. La dolce melodia
della
lira di Orfeo le intenerì a segno, che, per udirl
po greco. Le Furie erano divinità infernali, immaginate come ministre
della
vendetta degli Dei contro i colpevoli ed incarica
me ministre della vendetta degli Dei contro i colpevoli ed incaricate
della
esecuzione delle sentenze che contr’essi emanansi
nze che contr’essi emanansi dai giudici dell’Inferno. Si fanno figlie
della
Terra da alcuni, da altri della Discordia ; ed av
giudici dell’Inferno. Si fanno figlie della Terra da alcuni, da altri
della
Discordia ; ed avvi chi le vuole figlie della Not
rra da alcuni, da altri della Discordia ; ed avvi chi le vuole figlie
della
Notte e del fiume Acheronte. Erano tre : Tisifone
malattie contagiose ; Aletto dedicavasi particolarmente ai disordini
della
guerra, e gli Dei servivansi di Megera allorchè t
nè fissare lo sguardo sopra i loro tempii. Ne avevano in molti luoghi
della
Grecia e servivano di inviolabile asilo ai delinq
sso era la pianta che loro si consacrava. La Notte figlia del Cielo e
della
Terra, Dea delle Tenebre che sposò l’Erebo fiume
ali e molte volte con una falce in mano. Il Sonno figlio dell’Erebo e
della
Notte, dicono che ebbe il suo palazzo in luogo de
Tantalo re di Lidia o di Frigia nell’Asia minore, figlio di Giove e
della
ninfa Plote o Ploto o Pluto figlia di Teoclimene,
Teoclimene, dicesi che in un convito offerto agli Dei, per far prova
della
loro divinità diè loro a mangiare il propro figli
ichiamò in vita ; e condannò Tantalo nell’Inferno all’eterno tormento
della
fame e della sete, ponendolo in mezzo alle acque
ta ; e condannò Tantalo nell’Inferno all’eterno tormento della fame e
della
sete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giung
addosso e schiacciarlo. Issione altro re de’ Lapiti figlio di Giove e
della
ninfa Melete come dicono molti mitologi sposò Dia
rbaro. Egli fu il primo che si fece reo dell’uccisione di una persona
della
sua famiglia. Questo delitto destò orrore ; e sic
rivolse a Giove il quale ebbe pietà de’ suoi rimorsi e per consolarlo
della
tristezza in cui tale sinistro accidente l’aveva
ria passione. Giove da essa avvertito lo mise alla prova e convintosi
della
verità, preso da giusto sdegno lo percosse col fu
lacerata dalla memoria di un orribile delitto ; il perpetuo movimento
della
ruota è il simbolo della continua inquietudine in
un orribile delitto ; il perpetuo movimento della ruota è il simbolo
della
continua inquietudine in cui visse questo princip
parricidio. Tizio era figlio di Giove e di Elara ; ma si disse figlio
della
Terra, perchè sua madre lo partorì sotto terra o
che significa tutto, fu egli perciò riguardato da alcuni come il Dio
della
natura tutta e sotto questo titolo viene consider
gni il Tempo ed il Caos, la cui sede fu posta da alcuni nelle viscere
della
terra. Questi era un Dio terribile, che non era p
er la felicitò degli uomini. Fauno Dio campestre figlio di Mercurio e
della
Notte, dipingevasi come Pane ma senza peli al men
lle di Rodi e di Creta. I Greci vogliono che nascesse a Pallene città
della
Tessaglia. Era custode delle gregge di Nettuno ch
pollo e di Cirene avendo perdute tutte le sue api, andò per consiglio
della
madre Cirene a consultare Proteo per sapere il me
rlo. Da altri fu detto che Proteo era un oratore che colle attrattive
della
sua eloquenza conduceva a suo talento lo spirito
abbondava l’Egitto, e che affascinavano, co’ loro prestigi, gli occhi
della
ignorante moltitudine. Se n’era fatto un Dio mari
Dea de’ liberti, perchè i servi nel suo tempio ricevevano il cappello
della
libertà. Zefiro, Flora Zefiro vento d’occi
mavera. Zeffiro Si venerava Flora come la Dea de’ fiori e
della
primavera, e si rappresenta ornata di ghirlande c
Zefiro, il quale la rapì e la fece sua sposa, conservandole il fiore
della
sua prima giovinezza e dandole in dote l’impero d
e provvisioni che avevano portate. Dopo le preghiere ed il sacrificio
della
vittima, i due proprietari colle rispettive loro
rimonie di quella festa, pur quella praticavasi di fregare col sangue
della
vittima il limite o la pietra che serviva di conf
dalle sponde del fiume Ilisso dove si trastullava con altre fanciulle
della
sua età, e la trasportò nella Ciconia, regione di
agnia. Alcuni corsari intanto scesi improvvisamente a terra nel luogo
della
cerimonia, tutta rubarono la brigata, e la traspo
mitologi nel fissare l’origine di Cupido. Lo fanno figlio del Caos e
della
Terra, di Zefiro e di Eride o la Discordia, di Ve
Vuolsi da altri che Amore fosse figlio di Giove e di Venere e Cupido
della
Notte e dell’Erebo, e che entrambi facessero part
ere e Cupido della Notte e dell’Erebo, e che entrambi facessero parte
della
corte di Venere Ammettevasi una differenza tra Am
, per esprimore quanto in amore la riuscita sia soggetta al capriccio
della
cieca Dea. Egli è sempre dipinto con ali, perchè
a. Egli è sempre dipinto con ali, perchè non c’è cosa più passeggiera
della
passione ch’esso inspira ; e queste ali sono di c
un’affezione virtuosa e sinoera. Momo Momo figlio del Sonno e
della
Notte era il Dio de’buffoni. Satirico per quanto
con un bastone su la punta del quale sta una piccola figura, immagine
della
pazzia, in una mano, e coll’altra in atto di leva
o la figura di una lingua, e il suo frutto quella del cuore : emblema
della
perfetta unione che dee esistere tra il cuore e l
coperto a Giunone una delle sue relazioni amorose. Mercurio invaghito
della
sua grande bellezza la sposò e n’ebbe due figli c
facevano dei sacrifici per impedire la maldicenza. Ebe Ebe dea
della
gioventù era figlia di Giove e di Giunone secondo
d’Issione. Aurora Questa Dea figlia secondo alcuni di Titano e
della
Terra, del Sole e della Luna secondo altri, presi
Questa Dea figlia secondo alcuni di Titano e della Terra, del Sole e
della
Luna secondo altri, presiedeva al nascere del gio
morte di essi per cui le sue abbondanti lagrime produssero la rugiada
della
mattina. L’Aurora per dar un segno della sua tene
agrime produssero la rugiada della mattina. L’Aurora per dar un segno
della
sua tenerezza a Titone, gli accordò di poter vive
er indicare che i fiori i quali abbelliscono la terra, vanno debitori
della
loro freschezza alla rugiada, che come bellissime
onomia tutti i segni dell’incostanza, del capriccio, dell’insolenza e
della
leggerezza ; la Ricchezza e l’Indigenza, il Despo
innalzarono degli altari in di lei onore. Como Como era il dio
della
gioia, dei banchetti e dei balli notturni ed il n
o della gioia, dei banchetti e dei balli notturni ed il nume favorito
della
gioventù dissoluta. Presiedeva alle Cronie presso
solutezze cominciavano dopo cena e continuavano sino ad ora inoltrata
della
notte. Si rappresentava il dio Como giovine, bel
da alcuni che il Destino sia nato dal Caos, da altri si crede figlio
della
Notte, e che essa lo generasse senza il concorso
estino, Eaco, Radamanto, Minosse non sarebbero oppressi sotto il peso
della
loro vecchiaia. Si ammettono dai mitologi due spe
a e di Lampezia o Lampetusa figlia di Apollo e di Climene, era la Dea
della
salute, e si aveva per lei una grande venerazione
va per lei una grande venerazione. Da Igiea si è formato Igiene parte
della
medicina che riguarda la conservazione della salu
i è formato Igiene parte della medicina che riguarda la conservazione
della
salute. Si attribuiscono a questa Dea varie inven
seta in una tazza che la Dea ha in una mano. Il serpente è l’emblema
della
salute e della immortalità, perchè cangiando di p
za che la Dea ha in una mano. Il serpente è l’emblema della salute e
della
immortalità, perchè cangiando di pelle tutti gli
ra. Esculapio Esculapio figlio di Apollo e di Coronide era dio
della
medicina. Avendo Coronide amato il giovane Ischi,
issimi ; unì la medicina alla chirurgia, e fu creduto inventore e Dio
della
medicina. Accompagnò Ercole e Giasone nella spedi
era acquistata il fece riguardare insieme a suo padre Apollo qual dio
della
medicina. Gli si rendevano onori divini particola
ia lo stesso che il Sole considerato sotto i benefici rapporti di Dio
della
salute. Questo astro infatti regola la mite tempe
o di rigenerare i corpi. Temi Temi o Temide figlia del Cielo e
della
Terra è la dea della giustizia. È dessa che ha is
pi. Temi Temi o Temide figlia del Cielo e della Terra è la dea
della
giustizia. È dessa che ha istituito le divinazion
tizia. È dessa che ha istituito le divinazioni, i sacrifici, le leggi
della
religione e tutto ciò che serve a mantenere l’ord
nta giustizia i suoi popoli, che fu sempre dappoi riguardata come Dea
della
giustizia, di cui le fecero portare il nome. S’ap
ttà. Tutti coloro che le belle arti professavano, s’univano al tempio
della
Pace per disputarvi intorno alle loro prerogative
ce per disputarvi intorno alle loro prerogative, affinchè al cospetto
della
divinità, ogni asprezza fosse dalle loro discussi
no voti pei loro amici obbligati al letto. Bellona Bellona dea
della
guerra chiamata Enio da’ Greci, confusa molte vol
ciò con sua madre Climene, la quale il rimandò al Sole per accertarsi
della
sua nascita. Fetonte entrò nel palazzo del Sole e
e lo trovò seduto sul suo rilucente trono ed informatolo dell’oggetto
della
sua venuta, lo pregò di accordargli una grazia, s
ssero non aver egli potuto condurre il carro del Sole sino al termine
della
sua carriera. Aggiungono alcuni che questo princi
he ne fecero anche una divinità. La vogliono alcuni figlia di Stige e
della
Terra ; di Stige e Pallante altri, ed avvi chi la
Nemesi, le Nemese Nemesi detta anche Adrastea, figlia di Giove e
della
Notte o della Necessità, era la ministra della Gi
mese Nemesi detta anche Adrastea, figlia di Giove e della Notte o
della
Necessità, era la ministra della Giustizia e la D
tea, figlia di Giove e della Notte o della Necessità, era la ministra
della
Giustizia e la Dea della vendetta. Questa formida
lla Notte o della Necessità, era la ministra della Giustizia e la Dea
della
vendetta. Questa formidabile divinità dall’alto d
uni mitologi due divinità sotto il nome di Nemese figlie dell’Erebo e
della
Notte, le quali da altri sono prese per le Eumeni
ppure prendendo questa guerra come fatto storico, qualche principessa
della
famiglia dei Titani, fece uso di stranieri soccor
onavano la tromba con ricurve conchiglie. Circondavan eglino il carro
della
Dea, tirato da cavalli marini più della neve bian
. Circondavan eglino il carro della Dea, tirato da cavalli marini più
della
neve bianchi, e che il salso flutto solcando, die
e altra notizia che lo risguarda. Egli visse verso l’ anno 1430 prima
della
nostr’era. Fece edificare molte città. La sua giu
distinto sotto il nome di Minosse II sposò Pasifae figlia del Sole e
della
ninfa Perseide dalla quale ebbe parecchi fanciull
iuso quel mostro mezzo uomo e mezzo toro, frutto dell’insensato amore
della
propria moglie, il quale distruggeva tutto e si p
si essa innamorata di Minosse che aveva veduto dall’ alto d’una torre
della
città, mentre il padre era addormentato gli tagli
. Ma la perfida s’ingannò, perchè Minosse dopo di essersi impadronito
della
città, non volle nè anco parlarle ; e narrano alc
celebre ateniese, figlio di Eupalamo e nipote di Metione o Imetione,
della
famiglia di Eretteo sesto re di Atene, fu l’uomo
le condusse a perfezione. Gli antichi gli attribuiscono l’invenzione
della
scure, del trapano a mano, dell’uso dolla colla d
i è detto. Questo edifizio portò il nome di Dedalo. Minosse informato
della
compiacenza di Dedalo nel favorite gli amori di P
i andare a terminar la loro vita coll’ultimo supplizio. Dedalo usando
della
sua industria, trovò il mezzo di fare delle ali e
. Nelle ali di Dedalo altro non veggono quelli che cercano l’origine
della
favola che le vele della nave sulla quale egli sa
tro non veggono quelli che cercano l’origine della favola che le vele
della
nave sulla quale egli salì per salvarsi, e delle
ove Marte difese la sua causa allorchè fu obbligato di giustificarsi
della
uccisione di Allirosio figlio di Nettuno. Ne’ pri
olo al suo antico splendore. Glauco Glauco figlio di Nettuno e
della
ninfa Naide fu un celebre pescatore della città d
Glauco figlio di Nettuno e della ninfa Naide fu un celebre pescatore
della
città di Antedone in Beozia. Osservando egli un g
tutto ammesso nella loro compagnia. Eco Eco figlia dell’Aria e
della
Terra, una delle Ninfe seguaci di Giunone, abitav
e significa gioia. Esse estendevano il loro potere su tutti i piaceri
della
vita. Non dispensavano agli uomini soltanto la bu
Elide, in Delfo, in Perinto, in Bisanzio ed in tutti gli altri luoghi
della
Grecia e della Tracia. Ne avevano anche in comune
, in Perinto, in Bisanzio ed in tutti gli altri luoghi della Grecia e
della
Tracia. Ne avevano anche in comune con altre divi
, indi ignude. Si voleva così esprimere che non avvi cosa più gradita
della
semplice natura, e che se qualche volta essa chia
è le Grazie ed i piaceri sono sempre stati risguardati come attributi
della
gioventù. Si rappresentavano piccole e snelle per
ducenti. Il loro atteggiamento alla danza indicava che essendo amiche
della
gioia innocente, non sapevano adattarsi ad una gr
i tenevano per mano perchè le amabili qualità sono i più dolci legami
della
società. Non avevan oro nè fermagli nè cinture e
ee delle scienze e delle artierano figlie di Giove e di Mnemosina dea
della
memoria. Quando stavano nell’Olimpo cantavano le
vennero loro altresì largamente tributati gli onori. In molti luoghi
della
Grecia e della Macedonia offrivansi loro dei sacr
ltresì largamente tributati gli onori. In molti luoghi della Grecia e
della
Macedonia offrivansi loro dei sacrifici. Anche in
nomia. Polinnia, così detta dalla moltitudine delle canzoni, è la Dea
della
musica vocale e della rettorica. Le Muse hanno av
detta dalla moltitudine delle canzoni, è la Dea della musica vocale e
della
rettorica. Le Muse hanno avuto diversi nomi dai l
bisogna confondere Urania o la Venere Celeste, figliuola del Cielo e
della
Luce. Secondo gli antichi animava essa tutta la n
bre di tutti i tempii che abbia Venere in tutta la Grecia : la statua
della
Dea la rappresentava armata. Aveva essa un altro
Urania e Bacco erano le due più grandi divinità degli Arabi. Parlando
della
statua di Venere Urania, cade in acconcio di parl
ndo della statua di Venere Urania, cade in acconcio di parlare di una
della
Venere terrestre, giacchè non l’abbiam fatto all’
bri nel suo genere e che dir si può un miracolo dell’arte, il modello
della
vera beltà femminile è la Venere detta comunement
alle Ore pregandole di accordar loro un moderato calore onde i frutti
della
terra col soccorso della pioggia, venissero a poc
cordar loro un moderato calore onde i frutti della terra col soccorso
della
pioggia, venissero a poco a poco a maturità. Il t
ompagne delle Grazie, vale a dire sono elleno le Doe delle stagioni e
della
bellezza. Si rappresentavano comunemente danzando
i là dell’Oceano, all’estremità del mondo, in vicinanza del soggiorno
della
Notte e dei giardini delle Esperidi. Le Gorgoni s
e mercanzie. Nel cambio che facevasi di coteste cose in diversi porti
della
Fenicia e delle isole della Grecia, rinchiudesi i
facevasi di coteste cose in diversi porti della Fenicia e delle isole
della
Grecia, rinchiudesi il mistero del dente, del cor
ò nel soggiorno degl’immortali e spiegò il volo sull’Elicona montagna
della
Beozia, ove percuotendo il piede in terra fece sc
del caval Pegaso. Medusa altro non era fuorchè una delle cinque navi
della
flotta di Forco, principe fenicio re d’Itaca. Ess
Essendo stata troncata la testa di Medusa, ossia ucciso il comandante
della
nave ne uscì Crisaore, celebre artefice in metall
e ne uscì Crisaore, celebre artefice in metalli ed il Pegaso. Il capo
della
Medusa, comperando dell’oro dagli Africani aveva
ilmente le foreste. Per tagliare una foresta bisognava che i ministri
della
religione dichiarassero che le Ninfe l’avevano ab
adi come tutte le Ninfe non erano immortali, ma è favoloso il calcolo
della
loro esistenza secondo molti mitologi al di là de
onverrà ch’ io perisca nel momento stesso ch’essa cadrà sotto i colpi
della
tua scure : rispetta un’Amadriade alla quale tu s
fra i padri ; tu allora benedicesti quest’officiosa quercia, ai rami
della
quale poi sospendesti la culla del pargoletto tuo
inaspettata morte immatura. Un altro storico narra che un certo Reco
della
città di Gnido, vide un giorno una bellissima que
e si loda specialmente la leggiadria de’ loro piedi, delle braccia e
della
persona, della qual bellezza erano sommamente gel
ialmente la leggiadria de’ loro piedi, delle braccia e della persona,
della
qual bellezza erano sommamente gelose. Le Nereidi
, oppure che si rendettero celebri collo stabilimento del commercio e
della
navigazione. Lo stesso nome fu dato altresì a cer
icio facevasi a bordo di un vascello, allora lasciavasi che il sangue
della
vittima colasse in mare. Una delle più distinte t
lfeo che la riconobbe sotto questa trasformazione abbandonò la figura
della
quale erasi rivestito, e ripigliando quella di fi
(1) era una famosa lavoratrice figlia di un tintore chiamato Idmone,
della
città di Colofone nella Ionia, la quale lavorava
la. Accettata la sfida esse incominciarono entrambe il lavoro. Quello
della
Dea fu certamente bellissimo ; ma quello di Aracn
; Antiope soggiogata dallo stesso Nume trasformato in Satiro ; Leda,
della
quale egli abusa sotto le forme di cigno ; Alcmen
a mano destra il subbio, intorno al quale i tessitori girano la trama
della
loro stoffa, e davano a quest’immagine il nome di
ella di un ragno, da essi chiamato Aracne, parola che significa, fare
della
tela ; emblemi che trasportati in Grecia hanno da
iglie di Atlante e di Esperide al dir d’alcuno ; secondo altri figlie
della
Notte e di Cherecrate, o di Forco e di Ceto. La p
ta chiamandola Espera, chi una quinta detta Eriteide ed altri parlano
della
sesta chiamata Vesta. Giunone maritandosi con Gio
dino ; ma furono sorpresi da Ercole che li ucelse, e Atlante in prova
della
sua riconoscenza diede all’eroe i pomi ch’egli er
ono altri che un quadro de’ fenomeni celesti. Le Esperidi sono le ore
della
sera ; il giardino è il firmamento ; i pomi d’oro
ucopia ripieno di frutti e una lucerta od un lepre, perchè è il tempo
della
caccia ; all’Inverno, un vaso ripieno di fuoco ed
del mare ; sempre lo precedeva, annunciando l’arrivo di lui col suono
della
marina conca. Talvolta è egli portato sulla super
ddi Le Sirene erano secondo alcuni tre figlie del fiume Acheloo e
della
Musa Calliope e si chiamavano Partenope, Ligea e
si o Aglaope, Telsipia, Psinoe ed Elige facendole figlie di Acheloo e
della
Musa Tersicore. Erano compagne di Proserpina e al
o in cui un solo fosse passato, senza fermarsi per sempre all’incanto
della
lor voce e delle loro parole, sarebbero elleno pe
suoi compagni, e si fece pei piedi attaccare e per le mani all’albero
della
nave, affinchè dandosi il caso, in cui incantato
a stabilirsi ; ma avvertiti dall’oracolo che per liberarsi dai guasti
della
peste, era lor d’uopo di ristabilire la città di
i poeti vollero essere trasformate come lo furono per andare in cerca
della
loro compagna per cui erano animate dalla più viv
in cui fu inventata questa favola ? Scilla era una bellissima ninfa
della
quale si era invaghito Glauco, dio marino ; ma no
urli, spaventavano tutti i passaggeri. Scilla spaventata ella stessa
della
sua figura gittossi in mare, vicino al luogo ove
edesi che Scilla fosse un naviglio dei Tirreni che devastava le coste
della
Sicilia e portava su la prua la mostruosa figura
to passo era chiamato Scilla dalla parte d’Italia, e Cariddi dal lato
della
Sicilia. Quivi perirono le navi di Ulisse. Scilla
ifici si chiamavano Lari famigliari ; quelli al contrario che in pena
della
loro cattiva vita non avevano sicuro soggiorno er
lli, Bubona ai buoi, Seia o Segezzi alle sementi ; Maturna era la dea
della
maturità ; Mellona proteggeva le api ed i loro la
he allontanava i mali ed i pericoli. Nerina era la dea del rispetto e
della
venerazione ; Como era il dio de’conviti e de’ ba
resiedeva alla morte, Nenia ai funerali. Vaccena o Vaccana era la dea
della
pigrizia ; presiedeva anche al riposo della gente
cena o Vaccana era la dea della pigrizia ; presiedeva anche al riposo
della
gente di campagna. Marcia era la dea della viltà.
presiedeva anche al riposo della gente di campagna. Marcia era la dea
della
viltà. La Mente, la Virtù, l’Onore, la Pietà, la
trione sapere qual d’essi fosse suo figlio, mandò due serpenti presso
della
loro culla ; Ificlo parve atterrito dallo spavent
i di Ercole diede strepitose prove dell’odio che gli portava in causa
della
madre, mandò due orribili dragoni alla di lui cul
vea essere anche gran bevitore, se si deve giudicarlo dalla grandezza
della
sua tazza, che dicesi fossero necessari due uomin
i dovea imprendere i suoi combattimenti e le sue fatiche per la sorte
della
sua nascita. Alcuni pretendono che questo suo pro
cusasse di sottomettersi agli ordini di Euristeo. Giunoue per punirlo
della
sua disubbedienza lo colpì con tale delirio che u
estini. Giunone eccitò contro di lui Euristeo. Questo principe geloso
della
fama di Ercole e temendo di essere un giorno balz
addietro scritto non plus ultra. Ogni paese e specialmente le città
della
Grecia recavansi ad onore di aver servito di teat
donna per piacerle e silava con lei. La morte di Ercole fu un effetto
della
vendetta di Nesso e della gelosia di Deianira. De
a con lei. La morte di Ercole fu un effetto della vendetta di Nesso e
della
gelosia di Deianira. Deianira era figlia di Oeneo
e lo pose tra il numero de’ Semidei. In Tebe ed in molte altre città
della
Grecia, in Roma, nelle Gallie, nella Spagna e sin
ta in atto di riposarsi sopra la clava, vestito colla parte superiore
della
pelle del leone. Alcune volte si dipinge coronato
d un solo principio tutta la scienza mitologica, al culto antico cioè
della
natura, fece di Ercole un essere allegorico che a
iose innalzate dagli antichi erano sacre tutte agli astri, prima base
della
loro religione. Tutto ciò che abbiamo qui breveme
desso il primo che insegnò agli uomini la statuaria. Prometeo essendo
della
famiglia dei Titani fu compreso nella persecuzion
una vita miserabile in un paese selvaggio, è l’avoltoio. Gli abitanti
della
Scizia erano estremamente rozzi e vivevano senza
luvio universale, perchè erano troppo scellerati. Tutta la superficie
della
terra fu inondata dalle acque ad eccezione di una
della terra fu inondata dalle acque ad eccezione di una sola montagna
della
Focide, il monte Parnaso, ove andò a fermarsi la
rra e n’ebbero in risposta che si gettassero dietro le spalle le ossa
della
madre. Non compresero su le prime il senso dell’o
vide che per madre dovevasi intendere la terra, madre comune, le ossa
della
quale erano le pietre. Riunite che n’ebbero buon
volgare. Perseo Perseo re di Argolide uno de’ più famosi eroi
della
antichità era figlio di Giove e di Danae unica fi
odio implacabile che regnò tra i due fratelli. Conscio che fu Acrisio
della
nascita di Perseo fecelo esporre colla madre in u
ta nuda ad uno scoglio per ordine di Giunone e per espiare il delitto
della
propria madre Cassiopea che aveva gareggiato per
colsero colla più grande gioia Perseo, che riconobbero pel liberatore
della
figlia e gliela accordarono in isposa. Ebbe nondi
sio dal regno di Argo, convertì pure in pietra Polidete che invidioso
della
gloria di lui cercava ogni mezzo di diffamarlo ed
i particolari doveri di riconoscenza verso quest’ultima, le fece dono
della
testa di Medusa ch’essa non mise su lo scudo ma s
ida. Sostengono altri che Perseo trovandosi a Larissa volle far prova
della
sua destrezza nel lanciare il disco da lui invent
ì strettamente legato a quel sasso, che vi lasciò attaccata una parte
della
pelle. Egli aveva avuto da Antiope o Ippolita un
illamente i suoi giorni in una vita privata, ma il re Licomede geloso
della
sua fama, lo fece precipitare dall’alto di una ru
ori divini alle sue ceneri. Fabbricarongli una superba tomba in mezzo
della
città, e gli innalzarono un tempio, in cui gli fa
iti o secondo altri di Giove e di Melata moglie di Issione, invidioso
della
gloria di lui, venne colle sue genti nell’Attica
ro puniti. I Centauri mezzo uomini e mezzo cavalli abitavano un paese
della
Tessaglia. Andavano armati di clava ed erano dest
rono. Divenuti arditi per questi successi insultarono i Lapiti popoli
della
Tessaglia, i quali vedendoli ritirarsi con un’est
Ei la seguì, e allorchè si fermò volle, avanti gettare le fondamenta
della
nuova città, dimostrare la sua riconoscenza agli
la favola che dice che le mura di Tebe furono innalzate dall’armonia
della
lira di Anfione, prentendono alcuni che Cadmo non
lui il nome di Cadmea e ch’egli abbia gettato soltanto le fondamenta
della
città. Allorchè Tebe fu edificata Cadmo stabilì d
fratelli di Elena e di Clitennestra. Così raccontansi le circostanze
della
loro nascita. Giove amando Leda si era trasformat
giatore e guerriero. Esso era figlio di Oeagro o Eagro re di Tracia e
della
musa Calliope. Per dare maggior splendore alla su
nti di lui venne in seguito pubblicato ch’egli era figlio di Apollo e
della
musa Clio e questa opinione adottata da alcuni po
ave melodia e vi erano per anco attratti gli augelli ; al dolce suono
della
sua lira tacevano i venti, il lor corso fermavano
esta scienza lo perfezionarono, ch’egli è riguardato siocome il padre
della
pagana teologia. Incantate dai soavi accordi dell
o siocome il padre della pagana teologia. Incantate dai soavi accordi
della
sua cetra le Ninfe delle acque e delle foreste, d
serpente, mentre ella fuggiva dal giovine Aristeo figlio di Apollo e
della
ninfa Cirene che per farle violenza la inseguiva.
eo inconsolabile si credette in dovere di rintracciarla sin nci regni
della
morte ; prese egli la sua lira, discese pel Tenar
ulla riva di Stige e a quella accoppiando il doloe e commovente suono
della
sua voce, dilettò le infernali divinità, e sospes
alla loro madre radunarono delle truppe, colle quali s’insignorirono
della
città di Tebe, uccisero Lico, e attaccarono Dirce
o indomito. Alcun tempo dopo Anfione costruì le mura di Tebe al suono
della
sua lira : le pietre sensibili alla soavità de’su
evansi essere un avanzo di quelle ch’egli aveva fatte venire al suono
della
sua lira. Non è difficile l’intendere che i poeti
poeti nel dirci che Anfione aveva edificato le mura di Tebe col suono
della
sua lira, che indipendentemente del suo talento n
verse opere, cioè quelle sull’origine del mondo, sul corso del sole e
della
luna, sulla natura degli animali e delle piante.
entauro Chirone, il più saggio degli uomini del suo tempo, prese cura
della
sua educazione e gl’insegnò le scienze delle qual
questo usurpatore è un ostacolo a sì lungo viaggio. Giasone nel fior
della
gioventù può solo intraprenderlo ; il suo dovere
che gli appartiene. Giasone era in quella età in cui si va in traccia
della
gloria, perciò colse avidamente l’occasione che g
di sciogliere le vele, Giasone offrì un sacrifizio a quelle divinità
della
cui assistenza credeva poter abbisognare nella su
nerva che proteggevano Giasone, fecero sì che Medea figlia di Eete re
della
Colchide, famosa maga, divenisse amante di Giason
pericoli cui si doveva esporre. Medea e Giasone s’incontrarono fuori
della
città presso il tempio di Ecate, ove amendue reca
Essi vissero in quel paese per dieci anni in perfetta unione, frutto
della
quale furono due figliuoli, finchè venne intorbid
asone poscia s’impadronì di Iolco, ove passò tranquillamente il resto
della
sua vita. Chirone nacque dagli amori di Filira f
nto per la musica, che giunse a guarire le malattie coi soli concenti
della
sua lira ed era tanto valente nella cognizione de
a fare la conquista del vello d’oro. Sono chiamati Argonauti dal nome
della
nave Argo su la quale s’imbarcarono. Se ne annove
uni si aggiunge Celeno figlie di Taumante e di Elettra o di Nettuno e
della
Terra, le quali lordavano le vivande di Fineo sul
Phasis ora Fasz-Rione ed a sei leghe dalla sua imboccatura, capitale
della
Colchide ove regnava Eete, ed eseguita, come si è
foci dell’Istro o Danubio, e se ne vennero contro acqua sino ai monti
della
Liburnia, parte settentrionale dell’Illiria ora C
illa e Cariddi. A Drepane o Corcira oggi Corfù incontrarono la flotta
della
Colchide che gl’inseguiva, ma riuscì loro di evit
, ma riuscì loro di evitarne l’incontro. Furono gettati su gli scogli
della
costa d’Egitto, ma la protezione degli Dei li sot
ento sarebbe accaduto, secondo la cronologia, trentacinque anni prima
della
guerra di Troia. Il Vello o Toson d’oro era la sp
ò Ino sua prima moglie. I figli di Nefele ebbero parte alla disgrazia
della
madre e soltanto alla fuga furono debitori della
parte alla disgrazia della madre e soltanto alla fuga furono debitori
della
loro salvezza. Nel passare dall’Europa in Asia so
sul dorso, giunse a Colco, immolò l’ariete a Giove Frigio, lo spogliò
della
pelle, cui poscia appese ad un albero in un campo
rcando Giove die’la parola ad un montone che a Frisso tutti i disegni
della
matrigna discoperse ; il consigliò a fuggire con
come il primo che insegnò l’arte di condurre un cavallo col soccorso
della
briglia ; ma dopo aver ucciso suo fratello Alcime
o perire, che andasse a combattere la Chimera, che infestava un monte
della
Licia dello stesso nome. La Chimera era un mostro
ise. Il re di Licia lo mandò poi a combattere contro i Solimi, popolo
della
Pisidia, credendo che dovesse sicuramente perire
imi, Ippoloco che fu padre di Glauco, ed una figlia per nome Laodamia
della
quale Giove s’innamorò e la rese madre di Sarpedo
Calidone e di Altea figlia di Testio re di Pleurone tutte e due città
della
Grecia nell’Etolia. Al suo nascere sua madre s’av
e Plessippo, egli adirato gli uccise. Ma questa uccisione fu cagione
della
sua morte ; perocchè Altea di ciò irritata rimisi
o la compagnia degli uomini e non gustava altri diletti se non quelli
della
caccia. Ella era tanto leggiera che nessumo anima
usingata da questa distinzione, in quanto che i più illustri principi
della
Grecia, che intervennero a quella caccia, l’aveva
o, come asserirono alcuni, ella d’accordo col padre suo, mise il dono
della
sua mano ad una condizione capace di allontanare
cadere in tre diversi momenti quei pomi, per cui Atalanta invaghitasi
della
loro bellezza, si trattenne a raccoglierli, ed eg
bito tale metamorfosi. Alcione e Ceice Alcione figlia di Eolo,
della
schiatta di Deucalione, essendo inconsolabile a c
i Eolo, della schiatta di Deucalione, essendo inconsolabile a cagione
della
morte del suo sposo Ceice, figliuolo di Luciefero
Ceice, figliuolo di Luciefero e re di Trachina nella Ftiotide regione
della
Tessaglia, che era perito in un naufragio mentre
veva essere immortale finchè rimaneva nel luogo di sua nascita. Prima
della
guerra nella quale soccorse gli Dei contro Giove,
a. Pallade afferrò il gigante in mezzo al corpo e lo portò al disopra
della
luna, ove egli spirò. Sette fanciulle, delle qual
i le divisioni dell’anno, l’uso delle barche, delle monete, le regole
della
giustizia, e il modo di vivere felici sotto l’aut
i. Il regno di Giano fu tanto pacifico che fu risguardato come il Dio
della
pace ; sotto il qual titolo, Numa gli fece edific
qua, ed avendole significato il motivo del suo viaggio, ella, essendo
della
schiatta degli indovini, gli rispose che doveva s
gli dedicò il carro di suo padre, e lo sospese nel luogo più eminente
della
fortezza. Il carro di Gordio aveva il giogo attac
davano. Edipo, Giocasta, Eteocle e polinice figliloro, descrizione
della
sfinge e della guerra di Tebe Edipo era figli
o, Giocasta, Eteocle e polinice figliloro, descrizione della sfinge e
della
guerra di Tebe Edipo era figlio di Laio figli
pe. Laio per impedire tale enormità consegnò Edipo subito nato ad uno
della
sua corte acciò lo facesse perire, ma questi, fat
e che in questo animale si figurava l’uomo, perchè l’uomo sul mattino
della
sua vita, cioè quando è bambino, se ne va carponi
ammini con quattro gambe ; sul mezzogiorno, cioè mentre dura il fiore
della
sua vita, cammina su due piedi, e venuta finalmen
ore della sua vita, cammina su due piedi, e venuta finalmente la sera
della
sua vecchiezza, è costretto ad aiutarsi col basto
on era permesso a nessun profano di portare il piede, vollero far uso
della
violenza per iscacciarnelo. Antigone, per il padr
ch’egli doveva morire a Colonos e che la sua tomba sarebbe il segnale
della
vittoria degli Ateniesi sopra tutti i loro nemici
in Tebe. Questo principe che sospetta in Creonte la mira di privarlo
della
protezione degli Ateniesi, e relegarlo in terre s
di Teseo, sente egli un colpo di tuono, lo risguarda come un presagio
della
vicina sua morte e senza guida alcuna s’incammina
ui solo è palese il secreto intorno al genere di sua morte e il luogo
della
sua tomba. Abbenchè la volontà dalla quale viene
ceneri d’Eteocle, siccome quello che aveva combattuto contro i nemici
della
patria, e ordinò che quelle di Polinice fossero s
pplizio dandosi da sè stessa la morte. Spiegano alcuni così la favola
della
Sfinge. Laio aveva una figlia chiamata Sfinge, l
mpio padre, come si è già detto, dato in pasto agli Dei per far prova
della
loro divinità e da essi risuscitato ebbe una spal
principe due figli, Atreo e Tieste. Pelope sospettandoli ambedue rei
della
morte di Crisippo altro suo figlio che aveva avut
eva ceduti i suoi diritti, signore di Argo ed il più potente principe
della
Grecia, scelse la città di Micene per capitale de
ao che era stata rapita da Paride figlio di Priamo re di Troia. Prima
della
partenza de’ Greci per Troia Agamennone aveva avu
te, Ifigenia ed Elettra. Mentre l’armata era raccolta in Aulide porto
della
Beozia, e trattenuta ivi da venti contrari, il sa
d’Argo dopo un lungo contrasto tra la tenerezza paterna e l’ambizione
della
gloria che doveva fruttargli la spedizione di Tro
he era suo cugino per vegliare al governo de’ suoi stati. Invaghitosi
della
regina, gli riuscì di sedurla ; e non tenendo più
eralmente credono. Paride, Achille, Ulisse, Enea, ecc. descrizione
della
guerra di troia Cagione della guerra di Troia
lle, Ulisse, Enea, ecc. descrizione della guerra di troia Cagione
della
guerra di Troia fu Paride o Alessandro figlio di
o di cui era incinta, sarebbe stato un giorno cagione dello sterminio
della
sua famiglia e della sua patria. Priamo a fin di
sarebbe stato un giorno cagione dello sterminio della sua famiglia e
della
sua patria. Priamo a fin di prevenire una tale di
ide qual giudice di un sì delicato punto di questione, e ciò in forza
della
grande riputazione di saggezza di cui esso godeva
non che la gloria delle armi. Venere s’impegnò di renderlo possessore
della
più bella donna dell’universo. Giunone si abbigli
ttivamente più bella, le aggiudicò il contrastato pomo siccome premio
della
beltà ; quindi, per una necessaria conseguenza, s
ne e Menelao procacciarono di trarre al loro partito tutti i principi
della
Grecia, tra i primari de’quali contansi Achille f
cipali tra i Troiani ; si aggiunsero ad essi Antenore re di una parte
della
Tracia co’ suoi figli, Mennone re dell’Etiopia, S
arebbe questi perito l’occultò sotto abito femminile tra le damigelle
della
corte di Licomede re di Sciro, ove dalla figlia d
moglie Enone, acciocchè lo guarisse, avendo essa perfetta cognizione
della
medicina, ma Enone sdegnata contro di lui, gli fe
store e le preghiere di Ulisse. I Troiani comandati da Ettore ad onta
della
resistenza de’ Greci e soprattutto di Aiace figli
tere contro Ettore, ma ne fu ucciso e dell’armi spogliato. Addolorato
della
perdita dell’amico si mosse finalmente Achille a
, nella città introdotto. Intanto Sinone a notte buia diede dall’alto
della
rocca con una fiaccola il segno a quelli che diet
soli che avanzarono da quella guerra e che dopo la presa e l’incendio
della
città salvi e liberi partirono, furono Antenore e
o non lo manifestò, dopo l’incendio di Troia partì cogli Eneti popolo
della
Paflagonia, che sotto Troia perduto avevano il lo
di Anchise e di Venere fu anch’egli accusato da alcuni come traditor
della
patria. Omero però lo dipinge come uno de’ miglio
ggio. Enea col padre e col figlio andò a ricovrarsi ad Antandro città
della
Frigia alle radici del monte Ida. Quivi raccolti
n cui per bocca degli uomini eran renduti. Gli Oracoli facevano parte
della
pagana religione ; e di tutte le specie di prediz
di molte preparazioni, di digiuni, di sacrifici, ecc. Giove in forza
della
sua qualità di sovrano degli Dei, era riguardato
a sè le anime dei morti. Apollo aveva un Oracolo anche a Claro città
della
Ionia. Il più celebre però tra gli Oracoli di Apo
a trista decrepitezza non tardò a distruggere le avvenenti attrattive
della
giovinezza. Era essa giunta all’età di settecento
altri Libri Sibillini ebbero i Romani ma non avvi che i versi creduti
della
Sibilla Cumana il segreto dei quali sia stato sem
poichè si sa che Onorio nel 403 li fece consultare nella circostanza
della
prima invasione d’Alarico re dei Goti in Italia.
rappresentati da un sasso informe o da un troneo offrivansi i frutti
della
terra e non più. A poco a poco incominciaronsi a
o, ed il Panteon che tuttavia sussiste ; ne’ Sacrifici oltre a’frutti
della
terra incominciaronsi ad offerir gli animali, e n
i buon augurio, e di sinistro se erano guaste o infette. Una porzione
della
vittima abbruciavasi in onore degli Dei, il resto
in Roma le Vestali custodi del fuoco sacro di Vesta, e in molte parti
della
Grecia e dell’Italia, le sacerdotesse di Bacco, c
o i sacrifici presiedevano gli Epuloni sacerdoti istituiti l’anno 558
della
fondazione di Roma. Essi preparavano i banchetti
rigioni, ecc. ; ma nondimeno vi si abbandonavano soventi agli eccessi
della
più vergognosa crapula. Porremo fine a questo Com
rappresentazioni non avevano luoghi particolari. I più famosi giuochi
della
Grecia erano : I.° I Giuochi Olimpici, che celebr
nta pompa, ai quali non solo da tutta la Grecia, ma da tutte le parti
della
terra accorreva una prodigiosa moltitudine di spe
he spesso costretti erano a pugnare fino alla morte. Durante il tempo
della
reale dignità, i Giuochi Romani erano regolati da
dre. Pretendono certuni che l’ira del Sole fosse il principal movente
della
colpa di lei. Pretendono altri che attribuir se n
ausa a Venere sdegnatasi perchè Cencreide aveva preferito la bellezza
della
propria figlia a quella della Dea, o perchè Mirra
è Cencreide aveva preferito la bellezza della propria figlia a quella
della
Dea, o perchè Mirra stessa acconciandosi i capell
XLVI Giasone e Medea Re
della
Colchide al tempo che vi giunsero gli Argonauti,
e si perdessero i documenti storici. Rientrati gli Argonauti nei mari
della
Grecia accompagnarono Giasone e Medea in Tessagli
spalmati di magici succhi, che divamparono in fiamme nell’appressarsi
della
sposa all’ara ardente e alle vampe delle faci nuz
i Teseo. Quel che ivi macchinasse sarà detto nel racconto particolare
della
vita di questo Eroe. Giasone colpito cru- delment
a gente che vi si fosse trasportata a nuoto ; e sappiamo dalla Storia
della
scoperta dell’America, che anche i selvaggi di qu
ile. Lo stesso Cicerone nelle sue opere filosofiche riporta una scena
della
tragedia degli Argonauti di Lucio Accio, nella qu
soprannaturale prodigio ; ma quando vede i giovani Eroi e ode il suon
della
cetra e i nautici canti, comincia a sospettare ch
a e naturale che apparisce più favoloso il racconto storicamente vero
della
maraviglia dei selvaggi dell’America, quando vide
Ma di tutte le invenzioni mitologiche di cui fu abbellito il racconto
della
spedizione degli Argonauti, nessuna divenne più p
am populo 75. Ha poi lasciato gran desiderio nei letterati la perdita
della
tragedia di Ovidio intitolata Medea, perchè tutti
tra tragedia ci resta dell’aureo secolo di Augusto. XLVII Origine
della
Civiltà simboleggiata nei miti di Orfeo e di Anfi
e stanno ad indicare nel primitivo loro significato il modo di vivere
della
città, ossia dei cittadini ; quindi, secondo ques
sto primitivo significato, diconsi guerre civili quelle tra cittadini
della
stessa città o dello stesso Stato ; le quali guer
e le più incivili e immorali di tutte, e segno manifesto di decadenza
della
civiltà ; poichè questa se non è accompagnata dal
ia si dissolve e dileguasi79. Furon pertanto i più grandi benefattori
della
umanità coloro che primi indussero gli uomini sel
di accennarlo, e tra questi anche Dante. Dicono che Anfione col suon
della
cetra e col canto facesse scender dal monte Citer
È facile intendere che questa favolosa invenzione significa il potere
della
poesia e della musica sugli animi delle persone p
ere che questa favolosa invenzione significa il potere della poesia e
della
musica sugli animi delle persone più rozze e dure
mestica, quella cioè di perder tutti i figli per colpa e in punizione
della
superbia di sua moglie (V. il N. XVI). Di Orfeo c
bia di sua moglie (V. il N. XVI). Di Orfeo creduto figlio di Apollo e
della
Musa Calliope si narrano innumerevoli maraviglie
la sua sposa. E fu tanto potente il suo canto accompagnato dal suono
della
sua cetra, che lo stesso Can Cerbero ne rimase am
i voltasse mai a guardarla, finchè non fossero giunti alla superficie
della
terra. Orfeo promise e si avviò ; ed Euridice lo
fiutò qualunque nuovo connubio che gli fosse offerto. Il che fu causa
della
sua fine funesta, perchè le Tracie femmine indisp
i Aristeo, che fu il primo Apicultore dell’Antichità. Egli era figlio
della
Ninfa Cirene, e perciò fu da taluni considerato c
noso morì, come abbiam detto di sopra. Le Ninfe per vendicar la morte
della
loro compagna uccisero tutte le api di Aristeo, e
ni finalmente gli disse di sacrificar quattro giovenche in espiazione
della
sua colpa, e che lasciandone putrefare le carni,
metamorfosi mitologica non mai osservata in natura, che cioè i vermi
della
putredine si cangino in api melliflue. Così bene
no in api melliflue. Così bene spesso gli Antichi alle leggi naturali
della
creazione sostituivano i fantasmi della loro imma
i Antichi alle leggi naturali della creazione sostituivano i fantasmi
della
loro immaginazione. XLVIII Ercole Il nome
; e col greco nome la rammentò Dante descrivendola nei seguenti versi
della
Divina Commedia : « Come distinta da minori e ma
a lira 85. Giunto per altro alla pubertà scelse spontaneamente la via
della
Virtù, e si rassegnò al voler del Fato di star so
egnò al voler del Fato di star sottoposto ad Euristeo. A questo tempo
della
sua vita si riferisce il moralissimo racconto di
Bivio, in cui si finge che il giovane eroe, invece di sceglier la via
della
Voluttà, per quanto sembrasse amena e piacevole,
sse amena e piacevole, ma che induceva all’oblio dei proprii doveri e
della
fama, preferì quella ardua e malagevole della Vir
io dei proprii doveri e della fama, preferì quella ardua e malagevole
della
Virtù che guida al bene della umanità ed alla glo
fama, preferì quella ardua e malagevole della Virtù che guida al bene
della
umanità ed alla gloria. Accenneremo prima le 12 i
uni Mitologi, soffocandolo tra le sue braccia, uccise Ercole il Leone
della
selva Nemea, e gli tolse l’irsuto vello, che port
cie che divennero in appresso tanto famose anche nei poetici racconti
della
guerra di Troia. Il Cancro per questo maligno e s
rono descritti da noi colle parole di Virgilio e di Dante nel parlare
della
spedizione degli Argonauti, quando raccontammo ch
sè. Di più si trascinò dietro il cane infernale fino alla superficie
della
Terra per farlo vedere ad Euristeo, e poi lo lasc
tè Ercole spontaneamente col Libico gigante Antéo figlio di Nettuno e
della
Terra ; e benchè l’Eroe Tebano lo abbattesse più
l’Eroe Tebano fosse già adulto a tempo di Perseo, il quale per mezzo
della
testa di Medusa cangiò Atlante nel monte di tal n
al nome, come dicemmo. Non apparisce però da altri fatti o invenzioni
della
Mitologia che Ercole fosse contemporaneo di Perse
rò di notare in appresso qualche sua debolezza che in ultimo fu causa
della
sua morte ; la quale per altro egli incontrò con
egli incontrò con un eroismo pari a quello mostrato in tutto il corso
della
sua vita. Sposò da prima Mègara figlia del re Cre
combattere per Deianira col Dio del fiume Acheloo, il più gran fiume
della
Grecia, e perciò da Omero chiamato il re dei fium
lità Acheloo sotto qualunque forma, e di più gli ruppe un corno, onor
della
fronte degli Dei dei fiumi ; per ricuperare il qu
rito. E infatti quella veste o camicia di Nesso fu in ultimo la causa
della
morte di Ercole, come diremo. Dante ci ricorda qu
fu accolto in Cielo come Indigete Dio, ed ivi ebbe in moglie Ebe Dea
della
Gioventù. Gli Astronomi antichi diedero il nome d
o ab ovo per significare dalla prima origine, alludendosi all’origine
della
guerra Troiana, che derivò da un uovo, da quello
lentia in questi esercizii, ma non si narrano molti fatti particolari
della
loro vita nel mondo. Oltre la spedizione degli Ar
incontrare verun ostacolo. L’impresa più utile che fecero a vantaggio
della
umanità fu di purgare il mare dai pirati ; quindi
irati ; quindi i Mitologi li considerarono ancora come Dei protettori
della
navigazione ; e perciò Orazio li invoca propizii
in giro « L’oricrinite stelle di Santermo 99. Dante parla più volte
della
costellazione dei Gemelli nella Divina Commedia,
più alla Mitologia che alla Storia. La Cronologia greca fissa l’epoca
della
sua esistenza nei secoli xiv e xiii, avanti l’era
ei Cretesi è rammentato anche da Cicerone nelle Tusculane e nei libri
della
Repubblica ; e quasi tutti gli scrittori antichi
tti del mio e del tuo, ma perchè erano ancora dirette alla educazione
della
gioventù, imponendo di abituarla alle fatiche aff
uto in disgrazia del re, perchè secondava troppo tutte le stravaganze
della
regina Pasifae, fu chiuso insieme col suo figlio
ualche nuovo meccanismo per offrirlo alle figlie del re, si fece dare
della
cera e delle penne, e costruite le ali per sè e p
il gran palazzo di gemme e d’oro che il Duca Astolfo trovò nel mondo
della
Luna. Dante nel Canto xxix dell’Inferno usò il no
o esser considerato come perfettamente storico ; ma entra nel dominio
della
Mitologia, quando si aggiunge che Minerva protett
figlio di Minosse ed erede del trono era così valente negli esercizii
della
palestra che superava tutti i competitori nei pub
della palestra che superava tutti i competitori nei pubblici giuochi
della
Grecia ; perciò fu ucciso per invidia dagli Ateni
come figlio del loro re Egeo. A questo punto cessano i fatti notabili
della
vita particolare di Minosse, e tutte le altre vic
notabili della vita particolare di Minosse, e tutte le altre vicende
della
sua famiglia dipendono dalle gesta di Teseo ; per
sempre come il suo primo trofeo, a imitazione di quel che fece Ercole
della
pelle del Leon Nemeo. In Eleusi vinse ed uccise n
anch’essi al banchetto di nozze. Storicamente i Centauri eran popoli
della
Tessaglia che primi impresero a domare i cavalli
come Fedra, dopo quel che era accaduto alla sorella, non sospettasse
della
fede di Teseo. Ma, sposatolo, fu essa a lui causa
r) due volte uomo 116. Teseo però nulla ne seppe, e scoperta la frode
della
moglie, rimase doppiamente afflitto. Fedra stessa
stessa, agitata dai rimorsi, si diede la morte. È questo il soggetto
della
celebre tragedia di Racine, intitolata Fedra. Anc
, ma per racconti mitologici non cede il primato a nessun’altra città
della
Grecia. Parlando di Cadmo dicemmo della origine m
primato a nessun’altra città della Grecia. Parlando di Cadmo dicemmo
della
origine mirabilissima di Tebe, di cui altra non h
ù famigerato degli antichi Eroi. Ora sono da raccontarsi atroci fatti
della
corte Tebana, fiera materia di ragionare, come di
po la fondazione di Tebe, troviamo nella Cronologia Greca Laio II ; e
della
vita di questo re raccontansi soltanto due fatti
i potrebbero anche ammettersi come istorici ; ma quanto all’avverarsi
della
seconda parte della risposta dell’Oracolo, gli av
mmettersi come istorici ; ma quanto all’avverarsi della seconda parte
della
risposta dell’Oracolo, gli avvenimenti si complic
con pubblico editto a chi liberasse da quel mostro il paese, la mano
della
regina vedova, e per conseguenza il possesso del
del tempo e del luogo in cui fu ucciso Laio, come pure dai connotati
della
persona dell’estinto scuoprì che ne era stato egl
ne era stato egli stesso l’uccisore ; e inoltre riandando le memorie
della
sua infanzia e confrontando le relazioni del past
ettero, e riserbandoci in ultimo a dar notizia soltanto delle gesta e
della
fine di questi prodi. Eteocle, quantunque non ig
e o accordo ; e istigato dallo zio Creonte, che sperava di profittare
della
discordia dei nipoti per impadronirsi del regno,
i corpi di entrambi i fratelli ad ardere nello stesso rogo, le fiamme
della
pira si divisero, segno sensibile che l’avversion
i questo mitologico prodigio fa menzione anche Dante là dove parlando
della
duplice fiamma che ricuopre nell’Inferno le anime
dalla pira « Ove Eteòcle col fratel fu miso. » Il solo Creonte gioì
della
morte dei nipoti, dei quali aveva fomentato l’odi
si uccise per disperazione. Anche Ismene volle subire la stessa sorte
della
sorella Antigone dichiarandosi complice della med
subire la stessa sorte della sorella Antigone dichiarandosi complice
della
medesima. Così rimase solo Creonte nell’orrida e
ri immaginò di avere incontrato nel Purgatorio il poeta Stazio autore
della
Tebaide, con cui parla di questo poema, e fa dire
e guerresche, non furono d’alcun momento nel determinar le catastrofi
della
real famiglia Tebana che abbiamo già raccontate.
vi acconsentì volentieri, perchè trovò in questi sposi la spiegazione
della
risposta dell’oracolo (o del sogno che fosse), ch
loro regni. Per altro in quel momento erano ambedue privi del regno e
della
patria ; Polinice, per le cause già dette nel pre
l precedente numero, e Tideo per avere ucciso un illustre personaggio
della
sua patria, e secondo alcuni, il proprio fratello
gli perì nella guerra di Tebe. Molto invece fu narrato di Anfiarao e
della
sua famiglia. Essendo egli indovino, previde che
gli indovino, previde che sarebbe stato tutt’altro che felice l’esito
della
spedizione contro Tebe, e per lui stesso funesto
lighieri l’epitelo di sventurato, perchè oltre all’essere stato causa
della
morte di Anfiarao e di Erifile, riuscì funesto an
podamia, perchè aveva saputo dall’Oracolo che il genero sarebbe causa
della
morte del suocero ; e per allontanare i pretenden
evano. E già più d’uno aveva inesorabilmente pagato colla vita il fio
della
sua folle speranza. Pelope senza essere scoraggia
enne tanto potente che estese il suo dominio su tutta quella penisola
della
Grecia che ora chiamasi Morea, e che dal nome di
Degli Atridi si dovrà d’ora in poi parlar molto a lungo nel rimanente
della
Mitologia, e spesso troveremo implicato Egisto ne
iamo alcune altre delle molte fila ond’ è formata la lunga epica tela
della
guerra di Troia. LV Gli Antenati di Achille
che in greco significa formica, diede motivo a inventar questa favola
della
loro origine ; la quale però parve sì bella che t
te narrate dai tragici) potè formare un piccolo regno in quella parte
della
Tessaglia che era detta Ftiòtide dalla città di F
e Alessandro, in appresso chiamato Paride. Mercurio fece la relazione
della
causa, e ciascuna delle tre Dee perorò a proprio
giusto giudice di certo, poichè Venere, come tutti sanno, era la Dea
della
Bellezza : non ostante s’inimicò le altre due Dee
re mantenesse a Paride la promessa sarà detto nel parlar dell’origine
della
guerra di Troia. Ora è a dirsi che dal matrimonio
di Troia, è tempo di parlare di questa città e dei suoi re, come pure
della
vera causa di quella guerra. LVI La città di
l’Asia Minore, in quella parte che chiamavasi Frigia, presso le coste
della
Propontide, dell’Ellesponto e dell’Egeo ; nella q
ttà di Troia fosse mai esistita. Lo stesso Cantù nelle prime edizioni
della
sua Storia Universale accennava questo dubbio sen
Troiane di essere stato il primo a scuoprire l’identità di posizione
della
esistente Hissarlik con l’antica e distrutta citt
lmente accertata non solo l’esistenza, ma anche la precisa ubicazione
della
famosa città di Troia123. Il nome di Troia, con
: il che noi faremo ben tosto nel dar la spiegazione degli altri nomi
della
stessa città. I vocaboli di Dardania, Teucria, Il
di Dardania, Teucria, Ilio e Troia adoprati comunemente come sinonimi
della
stessa città, derivano dal nome di altrettanti re
e determinare l’epoca di quelle denominazioni e la diversa estensione
della
città in quelle diverse epoche. Ma lo stesso Cant
nti). In questi versi è considerato Dardano come fondatore e primo re
della
città che da lui prese il nome di Dardania. Egli
oncorda anche Virgilio, che spesse volte rammenta Dardano come autore
della
regia stirpe troiana124. E Dante nel narrare qual
gilio125. Nella Cronologia Greca, riportata dal Cantù tra i Documenti
della
sua Storia Universale, è posto il regno di Dardan
te i diversi nomi di Troia : solo alcuni intendono per Ilio l’interno
della
città e i cittadini126, e per Troia il fabbricato
lio l’interno della città e i cittadini126, e per Troia il fabbricato
della
città ed anche il territorio. Questa distinzione
oi di Pèrgamo era dato soltanto alla parte più alta e più fortificata
della
città, ov’era anche il palazzo del re127 ; poichè
nea, come fa dire Omero da Enea stesso ; quindi Assàraco è lo stipite
della
stirpe e della discendenza di Enea, e perciò i Ro
re Omero da Enea stesso ; quindi Assàraco è lo stipite della stirpe e
della
discendenza di Enea, e perciò i Romani, discenden
all’aquila di Giove e trasportato in cielo per far da coppiere invece
della
Dea Ebe. Di Ganimede hanno fatto parola quasi tut
a Apollo, esuli entrambi dal soggiorno degli Dei, privati del diritto
della
Divinità e ridotti alla condizione degli uomini.
quell’anno stesso aveva Ercole abbandonato gli Argonauti sulle coste
della
Misia, come dicemmo, e percorreva quella regione
ciascuno dei quali dovrà parlarsi nel raccontare le estreme sventure
della
loro patria ; e prima converrà dire di quello che
ti dei sogni dichiararono che il figlio nascituro sarebbe stato causa
della
rovina della patria. Perciò appena nato i genitor
dichiararono che il figlio nascituro sarebbe stato causa della rovina
della
patria. Perciò appena nato i genitori lo fecero e
e ed allevato come suo figlio sul monte Ida. Quivi egli crebbe ignaro
della
sua origine, e fu tra i pastori chiamato Alessand
chiamato Alessandro ; ed egli è quel desso che fu eletto per giudice
della
bellezza delle tre Dee, come dicemmo. In qual mod
erra di Troia si dirà subito nel prossimo capitolo. LVII Origine
della
guerra di Troia e preparativi per la medesima
e riportato pel giudizio di Paride il più splendido trionfo nel vanto
della
bellezza sopra tutte le Dee, convenne pure che pe
senza dote al suo nuovo marito, portò via tutti i più preziosi tesori
della
corte spartana. Menelao, che allora era assente,
Troiani non vollero rendere nè l’una nè gli altri. Ecco la vera causa
della
guerra di Troia, perchè Menelao offeso nei sentim
ubea. Vi accorsero infatti principi ed armati da quasi tutte le parti
della
Grecia, ma non tanto in fretta, perchè molti ebbe
der tempo per prepararsi ; altri pensandovi meglio sembravano pentiti
della
promessa e indugiavano a bella posta, e mancavano
e essendo venuto in Aulide tra i primi Palamede figlio di Nauplio, re
della
vicina isola di Eubea, egli, ingegnosissimo qual
e, che egli aveva segretamente sposata ; e dalla mollezza e dagli agi
della
corte di Licomede partì con Ulisse per i duri tra
agli agi della corte di Licomede partì con Ulisse per i duri travagli
della
guerra. Intanto in Aulide si erano raccolti tanti
per un anno il vento favorevole, e dopo il sacrifizio o d’Ifigenia o
della
cerva, gli Dei rimasero placati, i venti spiraron
’armata greca con prospera navigazione fu giunta in vista delle coste
della
Troade, scorse in diversi punti di quelle schiera
l fama, e colla loro morte pagarono il primo tributo di sangue al Dio
della
guerra. Ma, finalmente, respinti i Troiani, poter
infatti a Palamede l’invenzione del giuoco degli scacchi e dei dadi,
della
tessera o contrassegno, delle sentinelle e delle
ti in Troia travestiti da mendici, uccisero alla sprovvista i custodi
della
fortezza e rapirono il Palladio e lo portarono ne
à fu compiuta per opera dei Troiani stessi il giorno avanti l’eccidio
della
loro città, come vedremo. Nel decimo anno del lun
troiana le Divinità che vi prendono parte perdono anzichè guadagnare
della
lor dignità. È facile indovinare che Venere favor
quanto Agamennone gli offrisse per mezzo dei più illustri personaggi
della
sua armata, oltre la restituzione di Briseide, i
oglier le sue, aveva risoluto di lasciar pasto alle fiere dell’aria e
della
terra il corpo di Ettore ; quando la sera vede co
Carme sui Sepolcri con le lodi di quest’Eroe Troiano morto in difesa
della
patria : « E tu onore di pianti, Ettore, avrai «
mbi i loro titoli ad avere la preferenza, ma vinse Ulisse col fascino
della
sua facondia ; e Aiace ne rimase così indignato c
ise tutti : quindi in un lucido intervallo accortosi del suo errore e
della
sua sventura intellettuale si tolse da sè stesso
o Filottete, abbandonato, come dicemmo, in quell’isola, ove pel dolor
della
sua ferita, di cui non era ancora guarito, condus
Mènnone figlio dell’Aurora e di Titone. Essendo ambedue re, il primo
della
Licia ed il secondo dell’Etiopia, andarono alla g
diava ; ed erano essi che penetrando per occulti accessi nella cavità
della
statua suonavano a quelle date ore una cetra. Non
eri che vi si erano racchiusi, e tornati indietro da Tenedo i soldati
della
greca flotta, invadono la città sepolta nel sonno
ettersi in salvo altrove. Ecco in poche parole il tragico avvenimento
della
presa di Troia ; ma gli episodii son tanti che em
’armi e d’armati dal campo greco fin dentro Troia, ed anche nell’alto
della
rôcca ; il qual racconto è da far maravigliare tu
, il muro ascende « D’armi pregna e d’armati. Ella per mezzo « Tratta
della
città, mentre si scuote, « Mentre che nell’andar
sepolcro di Laomedonte ; il qual sepolcro essendo addossato alle mura
della
città in quel punto stesso ove fu necessario rovi
ntenòra a quella divisione dell’Inferno in cui son puniti i traditori
della
patria, tra i quali trovò il Conte Ugolino. Ma gl
episodii però dell’eccidio di Troia uno dei più lagrimevoli è quello
della
morte del vecchio re Priamo, che dopo aver veduti
el giovane guerriero, che impadronitosi di Polissèna, causa innocente
della
morte di Achille, la uccise sulla tomba del padre
gemendo ed urlando. Tutti gli altri e figli e parenti di ambo i sessi
della
famiglia di Priamo divennero schiavi dei Greci, e
volgarmente il ratto di Polissena (ratto ben diverso pel significato
della
parola, e negli effetti, da quello delle Sabine),
o che non è inutile neppure ai giorni nostri lo studio dei Classici e
della
Mitologia. In quel gruppo vedesi Pirro che si è i
dopo tanti anni, tanti pericoli e tante fatiche, ora finalmente lieti
della
vittoria e paghi della più tremenda e memorabil v
pericoli e tante fatiche, ora finalmente lieti della vittoria e paghi
della
più tremenda e memorabil vendetta. Le prede non e
roiani palagi prima che vi giungesser le fiamme. Furon tutti contenti
della
lor parte di preda ; ma la dissenzione si manifes
parte di preda ; ma la dissenzione si manifestò tra loro per decidere
della
partenza. Compiuta l’impresa e cessato il pericol
un altro fatto tragico e molto compassionevole in uno dei superstiti
della
infelicissima famiglia di Priamo. Tra gli schiavi
Astianatte, bambin leggiadro come stella, dice Omero, unica speranza
della
madre, unico rampollo di quell’eroe. La madre al
a della madre, unico rampollo di quell’eroe. La madre al primo romore
della
presa di Troia lo mandò a nascondere nel sepolcro
lla presa di Troia lo mandò a nascondere nel sepolcro di Ettore fuori
della
città ; e poi divenuta schiava di Pirro andava se
ci che erano andati alla guerra di Troia. Egli dunque all’avvicinarsi
della
greca flotta fece accendere dei fuochi sopra gli
e a lui più funesto che agli altri fu il ritorno in patria. Nel tempo
della
sua più che decenne assenza, Egisto suo cugino e
è necessario all’usurpatore di un trono estirpare tutti i « rampolli
della
famiglia che regnava prima di lui, » avea tese in
ne e di Clitennestra ; ma la sorella Elettra, più assennata e pietosa
della
madre, lo aveva segretamente posto in salvo nella
madre, lo aveva segretamente posto in salvo nella corte di Strofio re
della
Fòcide. Questa saggia precauzione di Elettra, con
auzione di Elettra, congiunta alla voce che in appresso fece spargere
della
morte del fratello, rese possibile la ben meritat
incontrar gravi pericoli, da cui fecero a gara a sottrarlo l’affetto
della
sorella e dell’amico, potè uccidere Egisto, e nel
ffetto della sorella e dell’amico, potè uccidere Egisto, e nel furore
della
vendetta, incontrata la madre che veniva in socco
Pilade sposando l’eroica Elettra unì ai vincoli dell’amicizia quelli
della
affinità. Le vicende di Agamennone e di Oreste di
i. Ma Elena, morto che fu Menelao, essendo odiata da tutti come causa
della
disastrosa guerra di Troia, fu costretta a fuggir
regno dell’Epiro che era divenuto suo, non si sa bene se per volontà
della
nazione, o per conquista. Quindi sposò Lanassa ni
vecchio Nestore ritornato in Pilo sua patria e suo regno (sulle coste
della
Messenia nel Peloponneso) visse ancora alcuni ann
miglia novella alcuna. E sì che vi sarebbe stato bisogno quanto prima
della
sua presenza e del suo forte braccio per discacci
viaggio che fece Ulisse all’Inferno, perchè quello fu opera d’incanto
della
maga Circe, ed era piuttosto uno scongiuro da Neg
ai quali trovossi esposto. Lasciate le spiagge troiane col rimanente
della
flotta greca capitanata da Agamennone, e diviso d
rova ben determinato dove fosse precisamente. Giunto poi ad Ea, isola
della
maga Circe, presso il promontorio Circello, là so
l novello Sole « Tra la grotta di Scilla e la corrente « Mi ritrovai
della
fatal vorago, « Che in quel punto inghiottia le s
amando sempre « Che rigettati dall’orrendo abisso « Fosser gli avanzi
della
nave. Al fine « Dopo un lungo desio vennero a gal
vortice tanto temuto dagli Antichi, come ora il Maelstrom sulle coste
della
Norvegia. Di quel che avvenne ad Ulisse e ai suoi
duz. del Caro). Non è già che sien questi soli gli splendidi miracoli
della
poetica facoltà, o vogliam dire del genio inventi
oltanto di citarne alcuni dei più straordinarii e mirabili a conferma
della
sua tesi : « Non fumum ex fulgore, sed ex fumo d
onisti dei suoi due poemi il più forte e il più astuto dei personaggi
della
guerra di Troia, e giudicando soltanto dagli effe
fare gli uomini politici, non attribuisce alcun demerito agli eccessi
della
forza e dell’astuzia, che le fanno divenire barba
na molto diversa, secondo le diverse colpe : pone Achille nel cerchio
della
bufera con Francesca da Rimini, e Ulisse tra i re
Canto xxvi è mirabile in ogni sua parte, e non merita meno di quelli
della
Francesca da Rimini e del Conte Ugolino di essere
Io ne riporto soltanto le ultime terzine che contengono la narrazione
della
fine di Ulisse posta da Dante sulle labbra di Uli
in suolo. « Cinque volte racceso e tanto casso « Lo lume era di sotto
della
luna, « Poi ch’entrati eravam nell’alto passo, «
Enea nell’Iliade, e ne rammenti gl’illustri natali, dicendolo figlio
della
Dea Venere e di Anchise principe troiano, e diven
notizia alcuna. Dipoi con una flotta di 20 navi partì dalle spiaggie
della
Troade in cerca di nuove terre per fondarvi un re
idoro fosse figlio di Priamo e di Ecuba lo abbiamo accennato parlando
della
trista fine di questa infelice regina ; ma poichè
tto il Canto xiii dell’Inferno ; e quanto desta orrore la descrizione
della
selva, altrettanto muove a compassione il raccont
ga Alcina ; e il Tasso molto a lungo ha descritto tutte le diavolerie
della
selva incantata ; ma conviene aver lette le loro
idi, ed accresce colla loro presenza l’orrore di quella, negli alberi
della
quale « Non frondi verdi, ma di color fosco « No
a risalire gli odii dei Cartaginesi contro i Romani sino allo stipite
della
dinastia del fondatore di Roma ed a quei compagni
che nell’Eneide di Virgilio è un episodio, Dante ha fatto il soggetto
della
Divina Commedia, adattando e subordinando le idee
’Imperatore Augusto a guardia dell’Italia. L’altro nome, quello cioè
della
città di Gaeta, ha pur esso un’origine troiana ;
: il che faremo nei seguenti capitoli. LXIII Della Divinazione e
della
Superstizione in generale Avevano gli antichi
mento alla spiegazione delle Divinità Superiori ; ora convien parlare
della
Divinazione, che incominciata nei tempi preistori
azione, che incominciata nei tempi preistorici fu il perpetuo corredo
della
pagana religione e sorgente continua di nuove sup
a divis, cioè dagli Dei, e sta perciò a significare l’interpretazione
della
volontà di essi. Quindi è fondata sulla credenza
Egitto e ne conservarono segretamente le pratiche ad onta dei divieti
della
Bibbia. Dall’Asia passò in Europa. I Greci la chi
Tra i quali ha maggior fama Tiresia, che era Tebano e viveva ai tempi
della
guerra dei sette Prodi. Di lui si raccontano più
a Giove e Giunone, se cioè fosse più felice la condizione dell’uomo o
della
donna ; e poichè egli diede ragione a Giove, che
così famoso, e fu creduto infallibile, tanto che niuno osava dubitare
della
veracità dei suoi presagi. Avendo egli detto nel
dubitare della veracità dei suoi presagi. Avendo egli detto nel tempo
della
guerra dei Sette Prodi che Tebe non sarebbe vinta
e, per consultare l’indovino Tiresia, e da lui ottenne notizie sicure
della
sua famiglia, del suo regno e dei suoi futuri des
lesiastici che composero polemiche e sillogizzarono contro le falsità
della
religione pagana parlano delle Sibille con molto
no perfino alcune profezie sulla venuta del Messia e su diversi fatti
della
vita di lui 163. Quindi è che le immagini delle S
del culto di Apollo nell’ Asia Minore, le quali a guisa e somiglianza
della
Pitonessa del tempio di Delfo pretendevano di ess
pagani. Molte erano le Sibille rammentate dagli Antichi più pel luogo
della
loro nascita che pel nome loro o dei loro parenti
sandro Magno. 2ª La Sibilla Libica rammentata da Euripide nel prologo
della
Lamia. 3ª La Sibilla Dèlfica, di cui parlò il fil
a Ellespontìaca, detta ancora Marpessia, perchè nacque nel territorio
della
Troade vicino all’Ellesponto ed in un luogo chiam
o ed in un luogo chiamato anticamente Marpessio. 9ª LaSibilla Frigia,
della
quale fu detto che vaticinò in Ancira. 10ª La Sib
ncira. 10ª La Sibilla Tiburtina, ossia di Tivoli, aveva nome Albunea,
della
quale è rammentata la grotta da Orazio in una del
foce del fiume Fasi v’era una città omonima che apparteneva al regno
della
Colchide. Perciò Medea da Ovidio è chiamata ancor
opol (città d’Ovidio) 73. Quindi derivò nel Medio Evo la prima idea
della
trasfusione del sangue, se non per ringiovanire,
nfondeva) fu posto in pratica più volte per alcuni principi e potenti
della
Terra. Anche nel 1600 fu tentata dai medici franc
altro la trasfusione del sangue di una bestia nelle vene dell’ uomo o
della
donna non è proibita ; ed anche in Italia, e prec
eseguita nel mese di novembre 1872 con prospero successo l’operazione
della
trasfusione del sangue di un agnello nelle vene d
rdere an possim rogas ? » Nel lib. x poi il retore latino dalle lodi
della
tragedia passando a quelle dell’ Autore, dice : «
bbe di un’epoca meno remota di quella eroica), parlerò qui brevemente
della
principal maraviglia che gli Antichi raccontavano
ore di questo Eroe, troviamo per altro in Pindaro la prima narrazione
della
favola dei serpenti. Ne riporterò due strofe dell
a prima narrazione della favola dei serpenti. Ne riporterò due strofe
della
prima Ode delle Nemee : « Noto a Giunon superba
. » (Traduz. del Borghi.) 85. Lino fu creduto figlio di Apollo e
della
Musa Terpsicore e nato qualche anno prima di Orfe
fuoco di S. Elmo a Monte Cassino. Il parafulmine situato sulla cupola
della
chiesa era illuminato da luce fosforescente, e no
uce fosforescente, e non la sola punta, ma anche l’ asta ed una parte
della
catena. Salla punta degli altri 12 parafulmini no
12 parafulmini non si vide nulla. Però è da notare che il parafulmine
della
cupola si eleva molto al di sopra degli altri. Il
100. Dante chiama specchio il Sole, considerandolo come un riflesso
della
luce divina. 101. Alcuni Mitologi inventarono a
ture son consorti. » dice Dante nel Canto xii dell’Inferno, parlando
della
figura dei Centauri. 112. Orazio nell’Ode 18ª
ammette che Ippolito fosse costretto a partir d’Atene per le calunnie
della
sua matrigna Fedra ; ed egli facendosi predire il
fondata (per quanto asserisce Strabone nel lib. ii) da quei guerrieri
della
greca città di Pisa nel Peloponneso, che nel loro
rbs e Civitas, il primo dei quali significa propriamente il materiale
della
città, ed il secondo i cittadini ed anche il diri
riporta tradotta da lui stesso in latino questa parlata di Socrate ;
della
quale il punto riferibile a Palamede è il seguent
, narra quanto fosse ammirata ed applaudita dal pubblico quella scena
della
tragedia di Pacuvio, in cui Oreste e Pilade gareg
rpie ora rammentate. 146. Dante non dimentica neppure di far cenno
della
funesta predizione delle Arpie ai Troiani : « Qu
etta comunemente il Gladiator moribondo (che vedesi in una delle sale
della
Galleria Capitolina in Roma) rappresenti Meneceo.
unti, e che incomincia colle parole Dies iræ, è rammentata l’autorità
della
Sibilla insieme con quella di David : Teste David
esa detta di Fonte Giusta in Siena, quella del Guercino nella Tribuna
della
Galleria degli Uffiizi in Firenze e quella del Ra
ella Galleria degli Uffiizi in Firenze e quella del Razzi nel palazzo
della
Farnesina in Roma. 165. « Me nec tam patiens
stituire l’uomo erudito ; e capace di ravvisare molti preziosi avanzi
della
più rimota Antichità. Di fatti se nell’ applicars
zo di Annotazioni al fine di ogni Capo, onde non interrompere il filo
della
lettura, si ragiona ; nella seconda gli Eroi più
non resti mai violata quell’unità di disegno, a cui mira la tessitura
della
presente Istoria. L’indice alfabetico per ultimo,
presente Istoria. L’indice alfabetico per ultimo, descritto nel fine
della
medesima, sarà oppertuno, affinchè si possa avere
attono e impediscono il bramato effetto ? Basta leggere i Santi Padri
della
nostra Chiesa per intendore quanto eglino piangev
lo. Questo è ciò, di che c’instruiva anche M. Rollin, quando trattava
della
Maniera d’insegnare e studiare le Belle--Lettare
e’ differenti paesi, il mescolamento de’ varj abitatori, la diversità
della
loro origine, la stoltezza e superstizione del vo
usiasti di ogni genere, tutto ciò concorse a stabilire la varia forma
della
Mitologia. Quindi fu questa sempre mai un vago sì
l mezzo dell’allegoria ebbe a vedervi indicati gli arcani più sublimi
della
Natura ; il Politico vi ritrovò le più raffinate
iù raffinate direzioni de’ Governi ; chi vi riconobbe espressi i lumi
della
più pura Morale, e chi l’Istoria funesta degli er
spirito umano. Furonvi altresì alcuni, i quali co’ frequenti equivoci
della
Fenicia lingua cercarono lo scioglimento d’ogni F
da varj anni consecrato i ritagli di tempo, che le altre occupazioni
della
vita mi lasciavano, possa servire di gradimento a
volontariamente divenuto cieco di mente in mezzo a’ più evidenti lumi
della
naturale ragione, ed empiamente costituitosi perv
piamente costituitosi perverso di cuote, non ostante i possenti ajuti
della
Divina Grazia, perdette la giusta idea di quell’E
iori Genti. Si veneravano altresì le loro Statue nelle primarie Città
della
Grecia e del Lazio. Gli Ateniesi aveano loro alza
iapeto(4), Febe, Teti, e Saturno(b). Comunemente dicesi, che dal nome
della
loro madre i maschi vennero chiamati Titani, e Ti
altresì serviti in un convito(17) dagli stessi loro padroni, coperti
della
Sintesi(18) (a). Tra mezzo a tali Feste eravi anc
izj, che si facevano alla Dea Vesta in Roma, conveniva usare l’ acqua
della
fontana, in cui fu da Giove trasformata Giuturna(
ne dell’ albero, detto Papiro(c). Questa Dea ebbe pure in molte città
della
Grecia solenni Feste, chiamate Isie, nelle quali
Madre, come appellavasi Cibele. Conducevano allora in giro la statua
della
Dea, riposta sopra un asino, e anche in quel temp
pendevano due busti di Ati(a). Era stato questi un bellissimo pastore
della
Frigia. Cibele lo avea poi stabilito preside a’ s
ttili, perchè dà principio erano solamente dieci, quante sono le dita
della
mano, le quali da’ Greci si dicono dattili ; Idei
, perchè tali Sacerdoti si recidevano i capelli nella parte anteriore
della
testa, onde non fossero presi per quelli da’nemic
eano l’età di sei anni, o aveano oltre passati i dieci(d). Al momento
della
loro elezione ricevevano il nome di Amata, la qua
avessero potuto trasferire appresso di se Cibele da Pessimunte, città
della
Galazia nella Frigia. Eglino vi spedirono a ricer
ale fu riputato Scipione Nasica. Questi trasse dal naviglio la statua
della
Dea, e la ritenne nella propria casa, tinchè le s
e dette Megalesie, le quali consistevano in giuochi dinanzi al tempio
della
stessa Dea(c). Vi s’introdusse inoltre una certa
il simulacro di Cibele nel piccolo fiume Almone, che trovavasi suori
della
Porta Capena(d). Le Feste Ilarie si celebravano c
e Feste Ilarie si celebravano col conduire in giro per Roma la statua
della
Dea. Cessava allora ogni lutto e ceremonia funebr
lla potenza, che sogliono conferire le ricchezza e gli altri prodotti
della
terra(f). Cerere. Cerere era figliuola di S
getto Cerere soleva accendere di notte due fiaccole sull’ Etna, monte
della
Sicilia, da cui esalavano globi di fuoco ; e però
Costui, appenachè vide lo straniero, e ne intese il nome e il motivo
della
di lui venuta, arse d’invidia, ch’egli fosse auto
ata accolta da Fitale, uno de’ primi abitanti dell’ Attica, lo regalò
della
pianta, detta fico, la quale era stata sino a que
anda, Mallofora, Ctonia, e Ratia. Ennea, perchè in Enna, antica città
della
Sicilia aveva un augustissimo tempio e una statua
aveva insegnato a quegli abitanti a nutrire i greggi, e a servirsene
della
loro lana (c). A Cerere Ctonia, ossia terreste, o
rreste, o sotterranca (d), fu eretto un gran tempio in Ermione, città
della
Laconia, nel quale ogni anno di Estate se ne cele
composti di corteccie d’alberi (b). In Eleuti v’ erano pure ad anore
della
stessa Dea e di Proserpina certi Giuochi(14) dett
enete umano. Queste Feste per quattro giorni si facevano in più città
della
Grecia, e con maggior pompa d’ogni altro luogo in
avano che la sera, perchè così avea fatto Cerere, quando rintracciava
della
figlia. Elleno finalmente facevano de’ sacrifizj,
gli agricoltori offrivano alla Dea e a Bacco le primizie delle frutta
della
terra (e) (16). Le Paganali erano Feste, le quali
laggio, e i Sacerdoti intanto aspergevano d’acqua lustrale i prodotti
della
terrabenedirli e purificarli (a). Questa Festa se
uell’ albero. Se ne sdegnò Cerere, e si propose di cruciarl col mezzo
della
Fame. Non conveniva però, nè permetteva il Fato,
er cibarsene (a). Fu soprannominato Etone, ossia ardente, dall’ardore
della
sua fame (b). Cerere rappresentasi coronata di sp
lisseo, le quali furono Adrastea e Ida, attesero a pascerlo col latte
della
capra Amaltea (d). In Igino leggesi, che la nutri
que, l’altro dell’ Inferno, e riserbò per se la sovranità del Cielo e
della
terra (i). Ma la grandezza e la tranquillità degl
ue, nè lasciò in vita che Deucalione, figlio di Prometeo (e) (7) e re
della
Tessaglia, e la di lui moglie, Pirra, nata da Epi
sti due ripopolò in maravigliosa guisa la terra. Eglino per consiglio
della
Dea. Temide si velarono il capo, si sciolsero Ie
’ discendenti d’Ercole Ideo (c). Tralle Feste di Giove si fa menzione
della
Bufonia, così detta, perchè si celebrava dagli At
lia, perchè con essa si onorava Giove Polico, ossia preside e custode
della
città (e). Si poneva allora sopra l’altare del Nu
a sefia d’avorio, e di un anello d’oro. La di lui beretta era formata
della
pelle di qualche bianca pecora, ch’egli avea sacr
ualche bianca pecora, ch’egli avea sacrificato a Giove. Suila sommità
della
stessa beretta v’avea una piccola verga d’ulivo ;
(e). Ecalo o Ecalesio si disse, perchè avea un tempio in Ecale, borgo
della
tribù Leontide nell’ Attica, dove gli si celebrav
deo dal monte Ida, ove fu allevato (i). Ne’ dintorni di Celeno, Città
della
Frigia, si aperse una vasta e profonda voragine.
mente. Ancuro allora, avvisandosi non poter esservi cosa più preziosa
della
vita dell’ uomo, diede un addio al padre, a Timot
re gli dedicarono le Feste Eleuterie, chiamate anche Parentali, ossia
della
libertà (b). Queste soleano essere celebrate appr
o, fiume di Platea, da ambasciatori, spediti da quasi tutte le Città,
della
Grecia (c). Vennero instituite per causa d’una ce
glio, e di profumi. V’intervenive finalmente il principale Magistrato
della
Città. Giunti alle tombe de’ Greci, morti nell’an
roi (e). Fu detto Dodoneo, perchè in Dodona, creduta da alcuni Città
della
Tessaglia, da altri dell’Epiro (a), eravi una for
te (d). La Sacerdotessa di quel luogo faceva credere, che il mormorio
della
medesima fonte fosse profetico, e che Giove ne av
uanto era venerato nella Libia, alttettanto ne lo era in Afite, città
della
Tracia, ove avea un maestoso tempio. Lisandro, fi
omani, perchè si risguardava come il padre del giorno, ossia l’autore
della
luce. Per questa ragione fu anche detto Luceno o
Galli il Campidoglio, e i Romani essendo già per arrendersi a motivo
della
fame, Giove comparve a questi in sogno, e loro di
e li gettassero nel campo nemico. Così fecero ; e i Galli, disperando
della
vittoria, li liberatono dall’ assedio. Roma quind
legno, la quale oltre i due soliti occhi ne aveva un terzo nel mezzo
della
fronte, per indic re che Giove vedeva tutto ciò,
lla fonte Clepsidra, la quale trovavasi sopra un monte d’Itome, città
della
Messenia (a). Que’ popoli perciò l’onorarono d’un
e il fulmimine in ambe le mani (h). Giove, per conservare la memoria
della
capra Amaltea, col di cui latte era stato nutrito
Campidoglio, Narrasi, che l’armata di Trajano, vedendosi agli estremi
della
vita per mancanza d’acqua, fece voto a Giove Pluv
grande pompa la sacra Pietra, detta Manale, la quale trovavasi fuori
della
Porta Capena presso un tempio di Marre. Diceasi c
atore gl’innalò un piccolo tempio o un altare, su cui scolpì i motivi
della
sua riconoscenza (d) (19). Giove dall’essere magn
Dea Ebe, riconosciuta da’ Romani sotto il nome di Giuventa, ossia Dea
della
Gioventù (23), non vollero cangiare situazione ;
vo tempio (d). L’immobile fermezza di Termine ebbesi per buon augurio
della
perpetuità del Romano Imperio, e affinchè si pote
). Il medesimo tempio tre volte rimase abbruciato : la prima al tempo
della
guerra civile tra Mario e Silla, la seconda sotto
fe, Tisoa, Neda, e Agno (d). Eravi colà una fontana, che avea il nome
della
terza di queste Ninfe. In tempo di siccità il Sac
a lui sacri, presso la città di Tiana nella Cappadocia (d). Le acque
della
stessa fontana erano fredde alla sorgente, e boll
voce di tutti era onorato (i). Giove in un tempio di Terracina, città
della
Campania Romana, si venerava sotto il titolo di A
to Milichio, ossia Placido (d), e a di lui onore si celebrarono fuori
della
città d’Atene le Feste Diasie, nelle quali si fac
i quali da loro si conservavano poi con somma diligenza, come indizj
della
contratta amicizia (b). Appresso gl’Istorici molt
e’Cretesi verso gli ospiti (c). E’pur celebre un certo Assilo Frigio,
della
città d’Arisba, perchè egli, abitando sulla strad
izzavano varj letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero
della
mensa, che veniva loro imbandita. Alle Dee però i
nze di viaggiatori ricercatono alloggio da molte case in un villaggio
della
Frigia, e ne vennero da per tutto rigettati. Li a
re il dolore di condurre l’altro alla tomba. Erano giunti all’estremo
della
vecchiaja, e allora fu, che dinanzi alla porta de
Giove come premiava l’ospitalità, così puniva severamente i violatori
della
medesima. Tale ebbe ad esperimentarlo anche Licao
abitavano (a). Prometeo, figlio di Giapeto e Temide, o di Climene, o
della
Ninfa Asia (b), volle prendersi giuoco di Giove.
le dire, che Giove si trasformò in Aquila per rapire Ganimede, figlio
della
Ninfa Calliroe e di Troe, re della Frigia(37), e
Aquila per rapire Ganimede, figlio della Ninfa Calliroe e di Troe, re
della
Frigia(37), e per farsi porgere da lui in Cielo i
scettro. Alcuni pongono appresso di Giove la Fama, figlia di Titano e
della
Terra, in qualità di sua ambasciatrice, colle ale
osa dell’affetto, che Giove dimostrava per Semele, prese le sembianze
della
di lei nutrice, Beroe, e la eccitò a ricercare da
i sono di parere, che lo abbiano allevato sette figlie di Atlante, re
della
Mauritania, dette le Iadi, e le quali erano Eudor
Tite(i) (4). V’ è chi asserisce, che nell’ Isola di Nasso ebbero cura
della
di lui infanzia le Ninfe, Filia, Coronide, e Clid
re gesta poi di lui la più celebre è la sua conquista dell’ Arcadia e
della
Siria, dette le Indie. Intraprese questo viaggio
chiamata Tione la di lui madre, Semele (e). Sabazio, da’ Sabi, gente
della
Tracia, da’ quali era in particolar modo onorato
altre si chiamassero anche Vinali(m) (12). Il nome di Apaturie derivò
della
voce, apati, inganne. La Beozia avea mosso guerra
ra di notte con fiaccole accese al tempio di Bacco. In tutti i borghi
della
città si esponevano anfore piene di vino, le qual
opoli del Pelopouneso, durante le quali credevasi, che Bacco onorasse
della
sua presenza il luogo, ove quelle si celebravano.
e Bassaridi(i). Il nome di Mimallonidi derivò loro da Mimante, monte
della
Jonia, sacro a Bacco ; o dal verbo greco mimiste,
quelle, che celebravano i misterj di Bacco sul monte Edone, a’confini
della
Tracia e della Macedonia(m). Ebbero il nome di Ba
ebravano i misterj di Bacco sul monte Edone, a’confini della Tracia e
della
Macedonia(m). Ebbero il nome di Bassaridi, o perc
acco stesso si chiamava Bassareo per aver un tempio in Bassata, borgo
della
Lidia(a). Tra’ Sacerdoti di Bacco il più famoso f
urite ; Orfe e Lico, figlie di Dione, re di Laconia ; certi nocchieri
della
Lidia ; Penteo, figlio di Echione e di Agave ; Al
resentatosi a Dione, ne venne onorevolmente accolto. Il Dio s’invaghì
della
di lui figliuola, Caria ; ma non poteva mai tratt
ormata in albero, che ritenne il di lei nome(d) (17). Certi nocchieri
della
Lidia ricevettero nel loro naviglio un fanciullo
gravato dal vino, trovavasi anche allora immerso nel sonno. Il piloto
della
nave, cui Omero dà il nome di Medede(a), e Ovidio
ta a qualche distanza dello stesso tempio(c). Anche in Amiclea, città
della
Focide, v’avea un celebre tempio, dedicato a ques
a dal suo marito, come quanto prima riferiremo (g). Giove invaghitosi
della
bellezza di questa Dea, e volendo ridorla sensibi
ze, e la sposò. Ciò avvenne nell’ Istmo di Corinto sul Tornace, monte
della
Laconia, il quale poi fu detto Coccigio, ossia mo
a sua sorprendente bellezza era amata da Giove, che la rendette madre
della
Sibilla Erofile. Giunone tale dispiacere no senti
al bosco, e ne sgombrò la caligine. Ma Giove ; il quale erasì accorio
della
di lei vesuta, avea giù cangiata Io in candida gi
furibonda dette la gioventa, che questa prese a correre in più parti
della
terra, finchè si precipitò alla fine nel cuare, c
Laomedonte ; Aedoe, figlia di Pandareo Efesino, e Politecno, artefie
della
città di Colofone nella Lidia ; e Sida, moglio el
i per farla morire, quando Giove, penetrato dalle triste disavventure
della
famiglia di Pandareo, cangiò in uccelli tutti que
le sacrifizio consisteva nell’ offerire alla Dea porzione del capelli
della
sposa, e una vittima, il di cui fiele gettavasi l
vasi lungi dal tempio, o a piedi dell’altare, per avvertire gli sposi
della
dolce armonia, che sempro dovea esservi tra loro
. Questo medesimo sacrifizio chiamavasi Eratelia da Era, nome proprio
della
Dea, di cui quanto prima parleremo, e da telos, v
onie del matrimonio appresso i Romani era il dividere la capigliatura
della
sposa in sei trecce con un’ asta immersa nel corp
ome di Unsia presiedeva all’ unzione, che faceva la sposa al pilastro
della
porta dello sposo nell’ entrarvi(a). Si chiamò Gi
perchè Giove, come abbiamo detto, era il re e il signore del Cielo e
della
terra. Sotto l’uno e l’altro titolo ella era risg
te Aventino un tempio, che le fu cretto da Camillo (e). Ivi la statua
della
Dea era tenuta da’ Romani in grande venerazione,
esto nome ogni cinque anni sì celebrava in Elide, instituita ad onore
della
stessa Dea da Ippodamia. Vi presiedevano sedici m
e tosto a Platea, si avvicinò al carro, e prese a stracciare le vesti
della
supposta novella sposa. S’avvide allora, che quel
anticamente si chiamavano le statue di legno) per onorare la memoria
della
predetta riconciliazione (e). Allorchè se ne avvi
lorchè se ne avvicinava il tempo, quattordici delle principali città,
della
Grecia preparavano una statua di legno, adoma de’
o una statua di legno, adoma de’ più ricchi abbigliamenti. Nel giorno
della
Festa una Matrona di ciascuna città, coperta di l
). I Romani la chiamarono Sospita, perchè vegliava alla conservazione
della
loro Repubblica. La Dea sotto questa denominazion
ita da Argo, approdò a Samo ; e credendosi debitrice del felice esito
della
sua’ fuga a Giunone, si fece a custodime il tempi
poi di far postare ad Adniete la pena del furto, e di vendicersi così
della
di lei fuga. Coloro vi riuscirono ; ma trasportat
da Samo. Persuasi finalmente i Tirreni, che fosse quello, un castigo
della
Dea, ne deposero a terra la statua, e procurarono
iata, dov’ era (a). Strabone soggiugne, che in quel bosco i Sacerdoci
della
Dea ogni anno vi facevano un sacrifizio, e cammin
lora le si sacrificava una giovenca bianca, o una capra (f). Al tempo
della
guetra degli Arunci i Romani furono minacciati di
erve colle corna d’oro, alle quali Diana dava la caccia nelle pianure
della
Tessaglia, una ne venne salvasa da Giunone (c). D
ma d’avvicinarsi all’altare. Finalmente v’interveniva la Sacerdotessa
della
Dea sopra un carro, tirato da due candidi buoi. L
tessa della Dea sopra un carro, tirato da due candidi buoi. La statua
della
Dea sedeva nel predetto tempio in grande soglio d
no per celebrare le Feste, dette Callistie, perchè elleno disputavano
della
loro bellezza, e la più avvenente riportava una p
tinato a sentenziare le anime de’ trapassati. Esso si chiama il Campo
della
Verità, perchè nè la menzogna, nè la calunnia pos
te. Uscì quindi dalla sua Reggia per visitare le viscere più profonde
della
Sicilia. Quivi lungo le rive del lago Pergusa(b),
condo l’ordine di Giove, ando a purificarsi in Tempe, valle deliziosa
della
Tessaglia (4) Indi in memoria della strage fatta
ficarsi in Tempe, valle deliziosa della Tessaglia (4) Indi in memoria
della
strage fatta di quel mosto instituì i Giuochi Pit
tto il nome di Cicladi, celebravano questi Giuochi verso il principio
della
Primavera (b). Si solennizzavano da prima ogni no
rtorivano due vitelli alla volta (f) ; e si constituì il Dio tutelare
della
di lui casa. Ottenne dalle Parche, che Admeto, gi
realmente n’esistette, e fu quello di pietra, eretto nell’anno primo
della
V. Olimpiade. Trofonio e Agamede, figliuoli d’Ere
ne vennero appresso. Elleno da principio si sceglievano tra il fiore
della
gioventù ; ma da che Echecrate, giovino Tessalo,
rò lungo tempo, e vi si sostituirono i più preziosi metalli. Gige, re
della
Lidia, fu il primo ad offerirvi grandissima quant
oro e d’argento di varia grandezza(14). Narrasi, che Apollo per mezzo
della
Pitonessa ricercò agli abitanti di Sifno, isola d
o Amicle, guidata da uno col nome di Legato, il quale offeriva i voti
della
nazione nel tempio di Apollo. Giunta colà, vi si
pollo fu detto Galasio ; ma tale denominazione gli derivò da un luogo
della
Beozia, così chiamato, e dov’era in ispeziale man
o ne’versi d’un certo Indovino, nominato Marzio, turte le circostanze
della
sventura accaduta a’Romani in quella giornata. Da
volta tali Giuochi, il Popolo Romano fu avvertito, che alcuni nemici
della
Repubblica si avvicinavano alla loro città ; che
’anno, cioè la primavera e l’estate, e gli altri sei in Patara, città
della
Licia, nell’ Asia Minore, donde acquistò anche il
nome di Peane o di Peone(19), perchè era egli considerato come il Dio
della
medicina(f) (20). Quindi in onore d’Apollo cantav
almente dagli Ateniesi, perchè li avea liberati dalla peste nel tempo
della
guerra, che sostenevano con alcuni popoli del Pel
tà di Crisa in Misia un sacerdote, di nome Crine. Il Nume per punirlo
della
negligenza, con cui esercitava il suo ministero,
desolare tutti i di lui giardini. Orde, pastore di quello, lo avvisò
della
commessa negligenza. Si ravvide il Sacerdote, e i
gli stato consecrato un tempio, un bosco, e una fonte in Claro, città
della
Ionia, fabbricata appresso Colofone da Manto, fig
e la predetta Manto, quando ebbe ad osservare la sua rovina, e quella
della
sua patria(b). Strabone aggrunge, che chi bevea d
estè nominato tempio, e li nascosero sotterra. Un lupo prese pellembo
della
veste un sacerdote d’ Apollo ; lo condusse al luo
mò Timbreo dal cul o particolare, che gli si rendeva in Timbra, città
della
Troade, ove avea un bosco sacro e un tempio(b). S
città(g). Apollo sotto il nome di Tirseo era onorato in Cianea, città
della
Licia. Ivi v’ avea una fontana, a lui sacra, in c
e Targelione. Il primo dì s’impiegava tutto nel preparare le primizie
della
terra, le quali si portavano in giro ; nell’ altr
questi aggiunsero Eritreo, e Atteone(c). Apollo fu anche l’ inventore
della
Poesia e della Musica, e però viene tenuto come i
ro Eritreo, e Atteone(c). Apollo fu anche l’ inventore della Poesia e
della
Musica, e però viene tenuto come il capo delle Mu
tri furono castigati da Apollo. Tra questi si nominano Marsia, Satiro
della
Frigia ; Niobe, figlia di Tantalo, re della Lidia
i nominano Marsia, Satiro della Frigia ; Niobe, figlia di Tantalo, re
della
Lidia, e di Eurianassa ; il Gigante Tizio, figlio
a ; Caanto, figlio di Oceano e di Teti ; Mida, figlio di Gordio, e re
della
Frigia ; e certi Argivi. Marsia(41) presumeva che
la morte(b). Pane in presenza di certe Ninfe soleva cantare al suono
della
zampogna. Egli, benchè ineguale di fotze, ardì di
i in ciò ad Apollo, e di venire seco lui a confronto. Sedette giudice
della
gara sopra il suo giogo il monte Tmolo. Suonò Pan
pollo. Piacque a tutti la sentenza. Il solo Mida, Monarca ricchissimo
della
Frigia(46), diede la preferenza a Pane. Se ne sde
scoccato uno strale, mortalmente lo ferì. Nel vederlo ridotto al fine
della
sua vita ne dimostrò estremo dolore, e chiese agl
al primo de’quali discesero i Lapiti, e dall’altro i Centauri, popoli
della
Tessaglia(d). Iapi fu vate di somma riputazione,
e la virtù, le conferì l’immortalità(d). Dicesi, che Apollo, come Dio
della
Musica, abbia avuti molti figliuoli, tra’quali i
bia avuti molti figliuoli, tra’quali i più rinomati sono Lino, nativo
della
città di Tebe nella Beozia(48), Filamone(49), Anf
Argo ebbero questo Nume in grande venerazione. In Amicle pure, città
della
Laconia, sul siume Eurota. Appollo aveva uno de’p
lo l’alloro, è questo ; Dafne, figlia di Peneo, uno de’fiumi maggiori
della
Tessaglia, era amata da questo Dio (56). E benchè
ndo alcuni era figlia di Perse e di Asteria, secondo altri del Sole e
della
Notte, o di Cerere e di Giove, o di Giove e di La
i Delo, donde fu anche denominata Cinzia. Ella veneravasi come la Dea
della
caccia, e come tale avea per compagne alcune verg
Gargafia, solitaria e ingombra di cipressi e di pini. Nell’estremità
della
stessa v’avea una sorgente d’acqua, in cui Diana
unito, perchè ebbe la vanità di credersi più abile di Diana nell’arte
della
caccia (c) (2). Nè sarebbe da maravigliarsi, che
a in testimonio del giuramento. Lasciò poscia cadere il pomo a’ piedi
della
giovine, che lo raccolse, lesse i versi, e senz’a
e il privilegio di sempre dormire(8) in una spelonca del Latmo, monte
della
Caria (d). Era là, dove Diana ogni giorno si reca
membra, e in un istante trovossi convertita in fonte. S’avvide Alfeo
della
metamorfosi in lei avvenuta, e spogliatosi delle
acrifizj al tempio di Diana, e divenute gravide, nè potendo più usare
della
loro consueta cintura, la consecravano nel tempio
ndo più usare della loro consueta cintura, la consecravano nel tempio
della
Dea, detta perciò Lisizone, ossia xioglitrice del
ravano nel tempio della Dea, detta perciò Lisizone, ossia xioglitrice
della
cintura (b). Si denominò Ortione, ossia dura, inf
cintura (b). Si denominò Ortione, ossia dura, inflessibile, a cagione
della
severità, con cui puniva quelle delle sue Ninfe,
rle dei cervi, e le quali poi passarono appresso quasi tutti i popoli
della
Grecia (a). Lo Scoliaste di Stazio dice, che alcu
oli della Grecia (a). Lo Scoliaste di Stazio dice, che alcune giovani
della
Laconia, danzando nel tempio di Diana, chiamata p
arono sospese a’ rami di quella (b). Elleno perciò ogni anno al tempo
della
raccolta delle noci onoravano Diana con balli e c
mo, che le si rendeva nella Chersoneso Taurica. La Dea sulla sinistra
della
strada, che conduceva ad Aricia, ebbe altresì un
(a). Ivi eravi un tempio di Diana, fabbricato da Oreste, colla statua
della
Dea. Ogni anno vi si celebrava la memoria della l
Oreste, colla statua della Dea. Ogni anno vi si celebrava la memoria
della
liberazione del predetto Oreste e d’ Ifigenia, de
brava la memoria della liberazione del predetto Oreste e d’ Ifigenia,
della
quale si parlerà più diffusamente altrove. La cer
a del. Borgo si potesse maritare, se prima non era stata sacerdotessa
della
medesima Dea. Per questo tutte le fanciulle, sopr
no assistere alle Brauronie (c). Venne appellata Triforme, o a motivo
della
sua triplice potestà, in cielo, in terra, e nell’
tà, in cielo, in terra, e nell’inferno ; o per alludere alle tre fasi
della
Luna, crescente, piena, e calante (d). Ella quind
ta Trivia per le tre strade, ch’ella scorre, l’una del cielo, l’altra
della
terra, e la terza dell’ Inferno (b) ; ovvero a mo
(c). Si chiamò Febe da Febo, suo fratello, il quale le comunica parte
della
propria luce, affinchè ella illumini di notte la
io una moneta per chiunque moriva, e riponevasi la stessa nell’erario
della
Dea. Coloro, ch’erano stabiliti a riceverla, regi
l’Efesie, e la Diamastigosa. Le prime si celebravano in molti luoghi
della
Grecia, e principalmente in Delfo. La vittima, ch
delle medesime secondo il Pitisso si celebravano con pompa nel tempio
della
Dea contratti di nozze. Dietro il tempio stesso e
una Festa instituita da Licurgo, nella quale gli Spartani sull’altare
della
Dea venerata sotto il nome di Ortia, sì asprament
e sacrifizio, e durante il medesimo ella teneva tralle mani la statua
della
Dea, formata d’un legno leggiero, il quale però,
della Dea, formata d’un legno leggiero, il quale però, se i Ministri
della
flagellazione non vibravano con forza i loro colp
u detta Orsiloche, Ossia ospitale (e). Diana, considerata come la Dea
della
caccia, rappresentasi con una mezza luna sulla fr
, la quale sortì dalla schiuma del mare, e fu risguardata come la Dea
della
bellezza e del piacere(c). La medesima secondo Es
issimo per le donne a cagione delle impudiche Propetidi, abia tatrici
della
predetta città di Amatunte in Cipro. Queste femmi
i Pigmalione amava e conosceva perfettamente, era il continuo oggetto
della
di lui applicazione. Formò egli d’avorio una giov
festivo di Venere in quell’ Isola, si appressò Pigmalione all’altare
della
Dea, e la pregò, che gli concedesse una moglie, c
ale dedicata la fonte Acidalia, la quale trovavasi in Orcomeno, città
della
Boozia, e in cui le Grazie, delle quali quanto pr
un corvo, o uno sparviero, detto in greco colon, il quale rapì parte
della
vittima, e la depose sul predetto Promontorio(d).
mpio a colpi d’aghi da alcune donne Tessale, ch’erano divenute gelose
della
di lei bellezza(d). Dicesi, che per la medesima r
tempio in Roma, in cui le giovani nubili consecravano i divertimenti
della
loro infanzia(f). Si chiamò Anrdiomena, ossia che
e promesso con giuramento di sposarsi, quando accadde, che i genitori
della
giovine la costrinsero ad altre nozze. Alesside d
, e Melibea nel giorno, in cui dovea sposarsi, si precipitò dall’alto
della
casa in istrada. Non si fece alcun male ; e presa
). Venere Verticordia al tempo di Marcello ebbe anche un tempio fuori
della
porta Collina sulla strada Salaria. Quivi le giov
rojano. Diodoro di Sicilia poi dice, che il medesimo sussisteva prima
della
discesa d’ Enea in Italia, e che quell’ Eroe non
ta Afacite o Afacide, perchè aveva un tempio e un oracolo in un luogo
della
Palestina, detto Afaca, tra Biblo ed Eliopoli, ap
non isborsava una moneta a questa Dea(e). Gli abitanti d’Erice, città
della
Sicilia, celebravano tutti gli anni l’Anagogia, o
della Sicilia, celebravano tutti gli anni l’Anagogia, ossia la Festa
della
partenza, quando vedevano, che sulle loro rive pi
ttata a tale cangiamento ; perchè si vantò d’aver i capelli più belli
della
steasa Dea(c). Altri soggiungono che a Mirra tocc
dre di lei, si milantava d’avere in Mirra una figliuola più avvenente
della
stessa Venere(d). Altri finalmente narrano, che M
rpina non voleva acconsentirvi, perchè ella pure avea tosto concepito
della
tenerezza per lui ; che Giove per non dispiacere
ui ; che Giove per non dispiacere alle due Dee, le rimise al giudizio
della
Ninfa Calliope ; e che questa decise, che lo aves
tolerare più a lungo siffatto martirio, attaccò una fune alla soglia
della
porta di colei, se l’annodò alla gola, e pendulo
’fiori, e il mirto, come abbiamo detto, tragli alberi erano a cagione
della
loro bellezza le piante sacre a questa Deità (b).
scritto, che l’Imperatore Alessandro Severo fece porre ad una statua
della
stessa Dea due grosse pietre, le quali erano stat
ella Grecia(d), e uno al Capo di Tenaro, nella Laconia, sull’ingresso
della
grotta, per cui i Greci pretendevano, che si disc
tio, perchè aveva un tempio, un bosco, e una festa in Onchesto, città
della
Beozia(e). Era soprannominato Genetlio, perchè pr
azioni, che Molione, moglie d’Attore, aveva pronunziato contro coloro
della
stessa Nazione, i quali fossero intervenuti a que
li celebrarono con molta magnificenza. Eglino oltre i soliti esercizj
della
Corsa, del Pugilato, della Musica, e della Poesia
gnificenza. Eglino oltre i soliti esercizj della Corsa, del Pugilato,
della
Musica, e della Poesia, v’introdussero lo spettac
no oltre i soliti esercizj della Corsa, del Pugilato, della Musica, e
della
Poesia, v’introdussero lo spettacolo della caccia
Pugilato, della Musica, e della Poesia, v’introdussero lo spettacolo
della
caccia, in cui comparivano i più rari animali. Qu
ste Nettuno ebbe anche le Panionie, così dette, perchè tutte le città
della
Jonia concorrevano a celebrarle(b). Anche il luog
a di sudore. E’pur famoso il tempio, che aveva in Tenaro, Promontorio
della
Laconia, e ch’eragli stato eretto da Tenaro, frat
tridente, ch’è una forca a tre denti, regalatagli da’Ciclopi al tempo
della
guerra contro i Titani(c). Il suo carro è una vas
parte dritta simili a quelli dell’uomo. Era inoltre fornito dell’uso
della
favella, ed era stato allevato dalle Nereidi(b).
o fu indifferentemente risguardata come la inventrice delle scienze e
della
guerra. Altri pretendono, ch’ella abbia acquistat
’anzidetto nome, perchè offesa da Pallante, suo padre, lo scorticò, e
della
di lui pelle si fece uno scudo, detto egide. Evvi
Ergane, ossia la Dea delle arti, perchè le si attribuiva l’invenzione
della
maggior parte di esse(b). Sul qual proposito è fa
amosa l’istoria di Aracne, figlia d’Idmone. Costei in Colofone, città
della
Lidia, così eccellentemente riusciva ne’ lavori d
do Bellerofonte volle servirsene per combattere la Chimera. La statua
della
Dea in questo tempio era di legno, il volto poi e
fossero onorate, Minerva sotto il nome di Poliade, ossia protectrice
della
città, e Nettuno sotto quello di re di Trezene(d)
l motto Poliade. Il tempio, che Minerva Poliade aveva in Trezene, era
della
più remota antichità, e fabbricato sopra una rupe
io, opera d’Ittino, ove soggiornavano le vergini, consecrate al culto
della
Dea. La statua di Minerva era d’avorio, e passava
un altro nella Beozia presso d’Alalcomene(d). I Dorj s’impadronirono
della
città di Corinto. Due sorelle, chiamate Ellotide
d’ulivo, simbolo di pace. I Numi decisero, che questa fosse migliore
della
guerra ; e però la Dea diede alla città il suo no
ne chiamata Alalcomenia, perchè si credette nata in Alalcomene, città
della
Beozia, e perchè ivi era tenuta in somma venerazi
tenuta in somma venerazione(e) ; ovveroperchè Alalcomeneo, fondatore
della
predetta città, le inalzò nella medesima un tempi
bue. Nelle Panatence maggiori il primo dì si considerava come quello
della
nascita di Minerva, e vi si facevano certe offert
si faceva in quello per la città una magnifica cavalcata, alla testa
della
quale si portava a guisa di vessillo il Peplo di
l fece. Ciò accese talmente Minerva di sdegno, che per punire Aglauro
della
sua disobbedienza, la rendette sì furibonda, ch’e
ene ; la moltitudine de’tempj che le si eressere in varie altre parti
della
torra, prova la grande estensione del di lei cult
Fenicia, nella Frigia, nella Sicilia, e in quasi tutte le altre città
della
Grecia. I primi però ad ergerle altari, e ad offe
ipose nel suo tempio d’Atene(c) (11). Una figlia di Coroneo, Principe
della
Focide, era richiesta da più personaggi in moglie
acro a Minerva, perchè esso, veggendo tralle tenebre, diviene simbolo
della
sapienza. Minerva si rappresenta in divise di gue
figlio. Stanca dal lungo viaggio, si pose a sedere appresso la porta
della
Dea Flora, e a questa manifestò il motivo della s
ere appresso la porta della Dea Flora, e a questa manifestò il motivo
della
sua discesa sulla terra. Flora le indicò, che ne’
solo, Arete, Gradivo, Afneo, e Ginecotene. Fu detto Quirite a cagione
della
lancia, detta da’ Sabini cures, colla quale veniv
iunone Lucina sul monte Esquilino. La quinta, perchè Marte era figlio
della
predetta Dea, la quale, come abbiamo esposto, pre
. Gli animali, soliti a sacrificarsi a Marte, erano il lupo a cagione
della
sua ferocia ; il cavallo, come il più bellicoso t
e prese ad amare anche Filonomia, figlia di Nittino, re d’ Arcadia, e
della
Ninfa Arcadia. Ella coltivava assaissimo la cacci
fa Arcadia. Ella coltivava assaissimo la caccia, e passava gran parte
della
sua vita nelle foreste. Marte prese la figura di
o risanò (b). Marte finalmente uccise Allirrozio, figlio di Nettuno e
della
Ninfa Eurite, perchè colui aveva offeso la di lui
per vendicarsi del disprezzo, ch’ella gli aveva dimostrato per causa
della
di lui bruttezza. La Dea, che non diffidava del f
teo(3), e Ceculo(4). In onore di Vulcano oltre le Feste Lampadeforie,
della
quali si parlò, si celebravano dagli Ateniesi le
orda uno, fabbricato al tempo di Romolo, e di Tazio. Questo era fuori
della
città, come lo erano que’ di Marte. Gli Auguri av
di Marte. Gli Auguri aveano giudicato, che il Dio del fuoco e quello
della
guerra non dovessero starsene entro le mura di Ro
detti, perchè ciascuno di loro aveva un solo occhio rotondo nel mezzo
della
fronte(c). Abitavano appresso il monte Etna nella
madre Europa, figlia di Tizio(h). V’ è chi lo dice figlio di Elaso e
della
Ninfa Stilbe, e chi di Elaso e di Amimone(i). Il
i uscire da quel luogo(h). Luciano poi pretende, che Saturno a motivo
della
sua impotente età abbia spontaneamente rinunziato
io, detti Strene(a), i quali da prima consistevano in semplici frutta
della
terra, e poi anche in oro e in argento. In quel t
adorno di nuove vesti, sul monte Tarpeo a porgere voti per la salute
della
Repubblica. Ogni caso funesto si prendeva per cat
olgersi con somma rapidità in giro, con moltissimi capelli al dinanzi
della
testa, e calva al di dietto(d). Que’ d’ Eleusi le
n globo l’uccello, detto Fenice. Fingesi che questo animale sia unico
della
sua spezie, che dopo essere vissuto cinquecento a
stanti a fare una preghiera a’ Numi, onde fossero propizj all’oggetto
della
Sacra ceremonia. Egli prendeva poi ad esaminare,
i strappavano alquanti peli, e gettavansi nel fuoco. Sulta testa pure
della
vittima si riponeva un miscuglio d’orzo e di sale
sagi, e si aspergevano di farina, o di vino, o di latte, o del sangue
della
stessa vittima. Al tempo del sacrifizio si abbruc
un pranzo, chiamato il Sacro Convito, in cui si mangiava il rimanente
della
vittima, e tali carni si denominavano Idolotiti(c
più vicini all’altare, e finalmente ne versava il resto tralle corna
della
vittima(e). (d). Plato in Minoe (e). Nat. Co
cose, la di cui cognizione non poteasi conseguire dal lume ordinario
della
natura. Niente v’ebbe di più opportuno, quanto gl
gione divenne pure assai celebre Ermotimo, nativo di Clazomene, città
della
Ionia nell’ Asia Minore. Dicesi che la di lui ani
gl’incensi(a). Quantunque gl’ Imperatori Romani, scoperta la fallacia
della
Divinazione, abbiano emanato molte leggi contro i
abbia sempre più manifestato l’inganno, con tutto ciò qualche sentore
della
mania degl’ Indovini notè passare sino a noi. V’h
di pesata osservazione in quest’ arto non solo le polpose elevatezze
della
parte interna delle mani e dita, ma i solchi ezia
esto un segno, il quale gli fosse stato di buon augurio per la durata
della
città d’Ilo, che stava formando ; e che ad assicu
tuì la vita, lo rendette immortale, e gl’insegnò la medicina e l’arte
della
Divinazione. Fornito di tali prerogative, ricolmò
ercò, e avendolo finalmente trovato, fece seppellirlo in Abato, isola
della
palude vicina a Mensi(d). Essendo poscia apparso
si si diede anche a quelle Divinità, che presiedevano ad alcune parti
della
terra. Quindi Oreadi si nominavano quelle, le qua
almente inviluppati nelle contraddizioni dell’Istoria e nelle tenebre
della
Favola, che appena si rende probabile di poter as
mbete(f). Pausania narra che gli Ebrei, i quali abitavano al di sopra
della
Palestina, la denominavano Saba, e la facevano fi
ma non avvertì di ricercarne al tempo stesso permanente la freschezza
della
sua gioventù. Quindi tutti sopra di lei si accumu
ll’ingresso dell’antro. Spesso poi accadeva, che il vento all’aprirsi
della
porta le dispergesse ; nè più ella le rimetteva n
tenuta in sommo onore nell’Asia, o grande concorso vide Ancira, città
della
Frigia, da dove questa fatidica donna dava le sue
anersene vergine nelle foreste, nè altro piacere coltivava che quello
della
caccia sulle più alte montagne dell’ Arcadia. Giu
novate a Venere le sue preghiere, gettò l’ultimo pomo quasi sull’orlo
della
meta. Atalanta perdette tempo nel pigliare anche
(1). I Romani adoravano varie altre Divinità come presidi a’prodotti
della
terra. Seia si risguardava come la conservatrice
Archaeol. Graec. l. 4. (2). Alcuni confusero Cerere con Cotitto, Dea
della
lascivia. Il culto di questa si professava nella
di notte, e vi si osservava un impenetrabile secreto (h). I Sacerdoti
della
medesima Divinità furono denominati Bapti, perchè
e figli, Trittolemo ed Eubuleo. Altri lo fanno figlio dell’ Oceano, e
della
Terra (a). Cherilo, Poeta Greco, lo fa nascere da
avea conseguito tale dignità, dovea vivere celibe tutto il rimanente
della
sua vita (d). (a). Potter. Arebacol. Grats. l.
esì otteneva loro talvolta il premio, senza che si attendesse l’esito
della
tenzone. Così mentre Agamennone e Merione voleano
de’ campi (e), erano dodici Sacerdoti d’illustri natali. Per insegna
della
loro dignità portavano una corona di spighe, lega
a sua nutrice, volle sostituirsi nel di lui luogo (h). E quì parlando
della
predetta donna, si noti altresì, che la stessa in
om. Mythol. l. 5. (a). De Theolog. Gentil. l. I. (1). IN memoria
della
cura, che presero di Giove i Coribanti, in Cnosso
le risguardavano come annunziatrici di funesti eventi (d). La vigilia
della
battaglia, in cui que’ di Farsaglia videro Pompeo
cuni si denomina Ferenice, o Berenice(o). Costei vi riportò il premio
della
Corsa ; e il figlio suo, Pisidoro o Eucleo, vi co
e siasi esercitata ne’Giuochi Olimpici, e v’abbia riportato il premio
della
Corsa. Gli Spartani le eressero una statua(b). Tr
Corsa(c). Arrachione era stato già altre due volte coronato al tempo
della
quarta Olimpiade in tali Giuochi, quando per la t
Ligdamide Siracusano rinovò il combattimento del Pancrazio, e quello
della
corsa a cavallo(b). Cleomede, dell’Isola d’ Astip
di quattro anni, e che correndo ; lo abbia portato sino all’estremità
della
carriera, senza mai respirare ; che poi lo abbia
le di lui sembianze ne annunziò la vittoria agli Egineti(e). Teagene,
della
città di Taso, fu quello tra tutti gli Atleti, ch
to, nativo di Cleone, avea lasciata la professione d’Atleta a cagione
della
sua avanzata età ; ma per conservarsi robusto, so
di Corinto, concorso a’Giuochi Olimpici, cadde in terra sul principio
della
Corsa. Il di lui cavallo continuò a correre, oltr
de’cavalli. In Alti cravi il carro di Polifite sopra una colonna alto
della
statua di suo padre(a). Butacide di Crotona, uomo
ezza, restò ucciso in un combattimento, sostenuto contro gli abitanti
della
città d’ Egesta. Gli stessi suoi nemici dopo mort
tti Atleti si fa menzione di Pite, nato da Andromaco in Adbera, città
della
Tracia ; di Telesta, di Messenia ; di Teotimo, fi
erano manifestati da uomini(a), detti Tomari da Tomaro o Tmaro, monte
della
Tesprozia, alle di cui falde fu eretto il mentova
so anche dagli Antichi si risguardò come uno de’principali fondamenti
della
pubblica e privata sicurezza. Da principio si fac
mini, che correvano a piedi. Davasi anchè lo spettacolo del Pugilato,
della
Lotta, e della Naumachia (e). Quegli, che n’era i
vano a piedi. Davasi anchè lo spettacolo del Pugilato, della Lotta, e
della
Naumachia (e). Quegli, che n’era il vincitore, ve
se il culto. Il medesimo Re instituì anche Feste e sacrifizj in onore
della
stessa Divinità, e ne prescrisse le ceremonie. Le
animede (h). La Dea Ebe fu molto venerata da que’di Fliasia, contrada
della
Grecia nel Peloponneso. Ivi il di lei tempio era
guerra con Antioco (b). Notisi per ultimo che siccome Ebe era la Dea
della
Gioventù, così Senvio era il Dio della vecchiaja
imo che siccome Ebe era la Dea della Gioventù, così Senvio era il Dio
della
vecchiaja (c). (d). Tit. Liv. l. 1. (e). Job
i quali da loro si conservavano poi con somma diligenza, come indizj
della
contratta amicizia (b). Appresso gl’Istorici molt
e’Cretesi verso gli ospiti (c). E’pur celebre un certo Assilo Frigio,
della
città d’Arisba, perchè egli, abitando sulla strad
izzavano varj letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero
della
mensa, che veniva loro imbandita. Alle Dee però i
mo padre degli Dei (b). Questi si chiamò anche Demogorgone, ossia Dio
della
terra, ovvero sapienza della terra, sotto il qual
i si chiamò anche Demogorgone, ossia Dio della terra, ovvero sapienza
della
terra, sotto il qual nome gli Antichi riconosceva
di lei madre, per allontanarla da quel Nume, la nascose in una grotta
della
Sicilia. Giove vi penetrò anche colà sotto la fig
a ogni altra seguace di Diana (g). Ma poichè Giove sotto le sembianze
della
predetta Dea la rendette madre d’Arcade, Diana no
a d’Orsa maggiore, e ad Arcade quello di Artofrlace, ossia di Custode
della
medesima. La Costellazione, in cui venne converti
a confondersi queste Dee coll’altra Divinità, detta Ora, ossia la Dea
della
bellezza (i). Sotto tal nome si riconosceva da’Ro
si appresso i due predetti Laghi (c). I Palici si venerarono come Dei
della
Sicilia. Narra Diodoro di Sicilia, che il tempio
icopatreo, Eubuleo, e Dionisio, secondo Cicerone erano gli Dei Grandi
della
Samotracia (b). Furono anche soprannominati Diosc
elo, per sottrarle all’ira di Giunone, e alla crudeltà di Licurgo, re
della
Tracia(g). Finalmente v’è chi le chiama Dodonine
, nelle quali si usava un serpente d’oro dal petto sino all’estremità
della
veste, per ricordare quello, in cui Giove si cang
cui Pandione regnava in Atene(f). Insegnò a’ suoi il culto degli Dei
della
Grecia ; e però fu denominato il padre de’Numi, e
era questa : tre uomini durante la notte giravano attorno alla porta
della
casa, ne batteano la soglia con una scure, poi co
avvicinasse(e). E quì di passaggio possiamo ricordare, che ogni parte
della
porta avea i suoi Numi particolari. Il Dio Forcul
parti nobili del corpo umano. La medesima da principio era una Ninfa
della
selva Elerna no’dintorni del Tevese, conosciuta s
re, nato da Mercurio o da Pane, e da una Ninfa(f). Nonno lo fa figlio
della
Terra. Dicesi, che sia nato in Malsa, Capitale de
edere le vigne del Timolo e del Pattolo, monte quello, e questo fiume
della
Lidia. Non vi si trovò allora Sileno, perchè alcu
venne ; ma quando lo stolto Sovrano credette d’essere giunto al colmo
della
felicità, ben s’avvide ch’erasiridotto in vece al
olmo della felicità, ben s’avvide ch’erasiridotto in vece all’estremo
della
miseria. Pregò quindi Bacco, che ne lo liberasse.
ella. Le leggi Tusculane vietavano il condurre il vino in città prima
della
celebrazione di tali Feste(f). Finalmente in ques
sì dolce, che gli stranieri, mangiandone, si dimenticavano totalmente
della
loro patria (e). (c). Declaustre Diction. Mytho
acolo ne formarono due statue di Bacco, e le collocarono nella piazza
della
loro città (g). (c). Ovid. Metam. l. 3. (19).
rca l’ora appuntata Tisbe impaziente uscì la prima di casa poco prima
della
mezza notte, e s’incamminò al luogo divisato, cop
e s’incamminò al luogo divisato, coperta di bianco velo. Al chiarore
della
Luna vide usciro dalla foresta una leonessa, lord
lei, che lo portava. Disperato risolse d’uccidersi, e fermatosi a piè
della
pianta s’immerse la spada nel seno. Passò l’umor
a mescolare l’àcqua col vino (d). (22). Narce nacque da una giovine
della
Bassa Elidé, di nome Fiscoa. Fece guerra a’ suoi
il nome di Minerva Narcea. Egli il primo instituì in questa contrada
della
Grecia sacrifizj a Bacco, e compose in onore di s
a un’altra tradizione, secondo la quale Jerace era. un ricco abitante
della
Matiandinia, contrada d’Asia, nella Bitinia, il q
nomatissimo (g). Riguardo poi a Biante dicesi, ch’egli divenne amante
della
bellissima Pero, figlia di Cloride e di Neleo, re
ereo, che di Filomela erasi oltremodo invaghito, giunto alle spiaggie
della
Tracia, trasse la giovine ad un vecchio tugurio,
tà del colpevole. Compito il lavoro, lo consegnò ad una delle custodi
della
prigione, e per via di moti la pregò di recarlo s
appresso lo sposo (e). La Dea Virginiese presiedeva allo scioglimento
della
cintura della sposa (f). Il Dio Giugatino congiun
oso (e). La Dea Virginiese presiedeva allo scioglimento della cintura
della
sposa (f). Il Dio Giugatino congiungeva gli sposi
de’ pastori e cacciatori, e quegli, che presiedeva a tutte le azioni
della
vita campestre (b). Variano gli Scrittori sulla d
isce, che molte Ninfe : d’Arcadia, e spezialmente Sinoe, presero cura
della
di lui infanzia : lo che gli acquistò il nome di
li di Diana, e imitavala nell’avversione agli amori, e nell’esercizio
della
caccia. Accesi di lei erano i Fauni, e i Satiri,
ellò Siringa (f). A Pane si dà pure una corona di pino (g) in memoria
della
Ninfa Piti ; da lui parimenti amata, e poi cangia
erchè sogliono guardare i greggi da’ lupi. Riguardo poi al sacrifizio
della
capra, narrasi, che a questa col progresso del te
Erasi stabilito questo uso per avere il numero esatto degli abitanti
della
città (g). (a). Calep. Sept. Ling. (b). Job.
; ivi nel dì seguente pernottava, ma in una stanza separata da quella
della
sposa ; finalmente nel terzo giorno conduceva la
ruciarla in qualche sepolcro : lo che si risguardava come un presagio
della
vicina morte dell’uno o dell’altra (d). Giunti al
sagio della vicina morte dell’uno o dell’altra (d). Giunti alla porta
della
casa del marito, la quale era ornata di rose, mir
, o Postverta (d), e Antevorta avea cura, che quello uscisse dal seno
della
madre nella maniera la più naturale (e). Antevort
eide, sacerdotessa di Giunone, per negligenza lasciò ardere il tempio
della
sua Dea (g). La stessa poscia si rifugiò in Tegea
se tenebro del Paganesimo conservò sempre nel suo cuore il sentimento
della
propria immortalità, e fu persuaso ; che la sua a
simo, e che tesse fragilissima tela, esprime la debolezza e fragiliti
della
vita umana. Sonovi finalmente appresso la Morte l
vennero alzati tempj(f). (4). Il Sonno è il figliuolo dell’ Erebo e
della
Notte(a). Gli danno la figura di fanciullo, che c
Giunone egli addormentò sul monte Ida Giove, che stava tralle braccia
della
stessa Dea(c). Tibullo dà al Sonno le ali(d). Inn
e si potesse trasferire altrove, qualora vi si fosse trovato appresso
della
stessa un cattivo vicino(a). Tacciò di difetto l’
proposito il notare altresì, che gli abitanti di Delo, e altri popoli
della
Grecia veneravano Brizo, come la Dea de’ sogni, p
Le Furie, ossia le Dee del furore(c), furono figliuole d’ Acheronte e
della
Notte(d) ; Licofrone dice della sola Notte(e) ; O
e(c), furono figliuole d’ Acheronte e della Notte(d) ; Licofrone dice
della
sola Notte(e) ; Orfeo pretende di Plutone e di Pr
a, ossia rabbia (m). Le Furie furono sempre considerate come ministre
della
vendetta degli Dei. Si credette quindi, che la lo
, figlia d’Oceano(e). Altri asserirono, ch’ erano figlie di Nettuno e
della
Terra(f). Avevano il volto di giovine pallida per
ente quel cavallo, che questo rovesciò Bellerofonte in Aleia, pianura
della
Cilicia. Il medesimo, avendo per tal caduta perdu
enne sì orgogliosa, che Diana la privò di vita(c). (8). Ne’ dintorni
della
palude di Lerna, la quale trovavasi nel Territori
te(g). (9). Le Gorgoni erano tre mostri marini, nati da Ceto, figlia
della
Terra, e da Forco, Nume marino. I nomi loro erano
i Mitografi intorno alla loro genealogia. Esiodo ora le nomina figlie
della
Notte(h), e ora di Giove e di Temi(i). Igino sogg
aos e dal Dio Pane(m). Nelle loro mani al dire de’ Poeti sta il corso
della
vita degli uomini, ed elleno ne filano i giorni a
era lavato in quelle acque, ritornava in dietro, gettando al di sopra
della
sua testa delle fave nere, delle quali ne teneva
ssimo(b). Altri pretendono, che il medesimo sia figliuolo di Titano e
della
Terra, e che da Giove, perchè dissetò i Titani ne
ra permesso il tragittarlo, se prima non si aveano ricevoti gli onori
della
sepoltura. Credevasi, che coloro, i quali ne rima
appellavasi Psicacogia(b). Eravi poi Caronte, figliuolo dell’ Erebo e
della
Notte, il quale sopra una leggierissima barca, fo
, se mancavano al medesimo, venivano privati del nettare, e spogliati
della
Divinità, nel quale stato dovevano rimanersene pe
nferito tale privilegio allo Stige, perchè l’anzidetta Ninfa al tempo
della
guerra de’ Giganti contro gli Dei spedì in soccor
giovine Narcisso, figlio del fiume Cefisso, e di Liriope, bella Ninfa
della
Beozia. Era stato predetto da Tiresia, che colui
vide tendere a’cervi le reti anche la Ninfa Eco, figlia dell’ Etore e
della
Terra. Ella se ne invaghì, e non essendone corris
i venivano trasferite nell’ Erebo(g). Era questi figliuolo del Caos e
della
Caligine, e padre della Notte(h). Cicerone però d
ll’ Erebo(g). Era questi figliuolo del Caos e della Caligine, e padre
della
Notte(h). Cicerone però dice, che questa era di l
lia ; Tantalo, nato da Etone(d) o da Giove, e dalla Ninfa Plota, e re
della
Lidia(e) ; Issione, figlio di Flegia(f) ; e le Da
A tale oggetto formò un ponte di bronzo, che attraversava gran parte
della
sua città ; vi feco correre sullo stesso un carro
i popoli rendessero a Psafone gli onori divini(a). Emo finalmente, re
della
Tracia, e figlio del fiume Strimone, e Rodope, di
riunirono le membra ; che gl’inspirarono nuova vita ; e che in luogo
della
spalla, mangiata da Cerere, gliene sostituirono u
tto, felicemente riuscito, fabbricò un tempio a Suada, ossia alla Dea
della
Pessuasione, che i Greci denominano Pito (c). Tut
udditi con leggi, che poscia servirono di nonna a tutti i Legislatori
della
Grecia. Per conciliare alle modesime maggior auto
modesime maggior autorità, ritiravasi di quando in quando in un antro
della
sua Isola, e fingeva che Giove vi discendesse a d
piosa, la quale a motivo di ciò ebbe poi il nome d’Ercina. Sulle rive
della
medesima si eresse un tempio, in cui eravi la sta
sa inoltre, che i Persiani, ì quali avevano devastato tutte le Isole
della
Grecia, giunti con mille vascelli a Delo, non ose
pertanto con quelli, e stanca dal lungo viaggio, si fermò ne’confini
della
Licia. Assetata pel caldo eccessivo, scuoprì in u
. Alceste, di venuta moglie dello stesso Admeto, vedendolo minacciato
della
morte dal suo nemico, si offerì ad incontrarla in
ofonio, nella seguente circostanza. Irieo, uno de’più ricchi Principi
della
Beozia, scelse i due predetti fratelli a fabbrica
). Di Trofonio poi leggesi, ch’egli avea fabbricato in Lebadea, città
della
Beozia, un tempio sotterraneo, il quale fu poi de
l Senato. Il nome di questa Dea fu dato da’ Romani anche ad una porta
della
loro città, e a certe Feste, dette perciò Carment
Geromnemoni. Gli Anfizioni si radunarono poi in Delfo, come nel mezzo
della
Grecia. Ivi sacrificavano ad Apollo un bue. Quest
Hofman. Lex. Univ. (17). Il monte Palatino era sotto la protezione
della
Dea Palatua(e). (d). Declaustre Diction. Mythol
i quali i pastori al suono di varj stromenti saltavano per far mostra
della
loro destrezza e agilità. In quel dì si purificav
ricordare, che in que’giorni Romolo aveva gettato le prime fondamenta
della
sua città(b). E quì di passaggio notiamo, che sic
a lui, aggravato dagli anni e dalle infermità, compagne indivisibili
della
vecchiaja, riusciva insopportabile la vita. L’Aur
ope e da Iperione(c). Ella era famosa Maga, e applicavasi allo studio
della
bottanica, di cui se ne serviva per avvelenare o
, ch’era re de’ Sarmati, e per regnare sola lo avvelenò. A motivo poi
della
crudeltà, con cui reggeva, dovette fuggirsena da’
che così denominavasi Venero(d). (29). Faetonte millantavasi sempre
della
sua nasoita, originata da un Nunre. Epafo, figliu
della sua nasoita, originata da un Nunre. Epafo, figliuolo di Giove e
della
Ninfa Io, negò, che colui fosse figliuolo del Sol
rmente certificato. Così fece il giovine ; e il Sole, udito il motivo
della
di lui comparsa, protestò d’essergli padre : e af
ave tristezza per la perdita del figlio, privò per un’intera giornata
della
sua luce tutto il Mondo. Ad avvenimenti sì strani
strani erasi trovato presente il giovane Cicno, figlio di Stenelo, re
della
Liguria, e zio di Faetonte. Anch’egli n’ebbe tal’
i egli si serve per ferire i cuori (a). La terza Musa fu l’invontrice
della
Geometria e Agricoltura, e presiede anche alla Co
ronata d’edera, con una mascheta nella destra(b). Melpomene è autrice
della
Tragedia, e comparis e maestosa in volto, con cor
cettarono l’invito. Le Ninfe di que’dintorni furono stabilite arbitre
della
gara. Fu proposta la condizione, che le Muse, per
ndo superiori, avessero a conseguire dalle Pieridi le deliziose valli
della
Tessaglia. Vinsero le Muse, e non ostante le Pier
e de’quali pure si parlerà. Si chiamarono Pimpleidi da Pimpla, monte
della
Macedonia ne’confini della Tessaglia, vicino all’
. Si chiamarono Pimpleidi da Pimpla, monte della Macedonia ne’confini
della
Tessaglia, vicino all’ Olimpo, e sacro ad esse. S
sacra alle Muse(g). Queste vennero chiamate inoltre Camene a cagione
della
dolcezza del loro canto(h). Varrone pretende che
vicina alla Tessaglia(b) ; o perchè era loro dedicato Libetro, monte
della
Tracia, sotto il quale eravi un antro, sacro pari
tro, sacro parimenti ad esse(c). Si chiamarono Aonidi, perchè i monti
della
Beozia, su’quali si onoravano, erano denominati A
tiamo per ultimo che alle Muse si offerirono sacrifizj in varj luoghi
della
Grecia e della Macedonia ; ch’elleno nell’ Academ
o che alle Muse si offerirono sacrifizj in varj luoghi della Grecia e
della
Macedonia ; ch’elleno nell’ Academia d’ Atene ave
sapore del vino(c). (34). Il Parnasso è il più alto di tutti i montì
della
Focide(d). Da prima chiamavasi Larnasso da Larnac
que del Diluvio(e). Acquistò poi il predetto nome da Parnasso, figlio
della
Ninfa Cleodora e di Cleopompo, o, come altri dico
quali chiamavasi Titoreo, e l’altra Jampeo(a). Dicesi che Pireneo, re
della
Focide, incontratosi colle Muse, le quali facevan
e pure, alle quali esso era consecrato(f). (35). L’Elicona era monte
della
Beozia, vicino al Parnasso. Fu così chiamato da E
ba del celebre Orfeo, di cui parleremo(h). (36). Il Pierio era monte
della
Tessaglia(a). (37). Il Pindo era un monte, che t
sepanava l’ Epiro dalla Tessaglia(b). (38). Il Permesso era un fiume
della
Beozia, che aveva la sua sorgente nel monte Elico
o Aliarto(c). Dicesi, che le acque dello stesso inspirassero il genio
della
Poesia(d). (39). Il Castalio scorre alle falde d
o, che Marsia, come si vidde viuto, disperato si precipitò in un mare
della
Frigia, a cui diede il proprio nome(g). Comunque
padre di Mida, stupì al vedere, che un’ Aquila se ne stette sul giogo
della
di lui carretta sino alla sera. Recavasi a consul
Mida dedicò a Giove il carro di suo padre, e lo sospese nel più alto
della
Fortezza. Il giogo di quello era attaccato al tim
re simile a quello di Canace arse pur anche Bibli, figlia di Mileto e
della
Ninfa Gianea, per Cauno, suo fratello. Questi per
to i natali da Mercurio e da Urania(b). Egli addestrò molti nel suono
della
lira, e tra gli altri Tamira, Orfeo, ed Ercole, i
miride. Questi divenne così peritissimo in tale scienza, che a motivo
della
medesima fu dagli Sciti creato loro re. Egli poi
canto colle Muse ; ed essendone rimasto superato, le Dee lo privarono
della
vista, della voce, dello spirito poetico, o dell’
use ; ed essendone rimasto superato, le Dee lo privarono della vista,
della
voce, dello spirito poetico, o dell’ arte di suon
grandi maraviglie. Volendo cingere di mura la città di Tebe, si valse
della
medesima, al di cui suono le pietre, divenute sen
r unirsi ad Antiope siasi trasformato in satiro(e). (51). Arione era
della
città di Metinna nell’ Isola di Lesbo, e riputava
li Astri il sopraddetto Delfino(b). (52). Orfeo era veramente figlio
della
Ninfa Calliope e di Eagro, re di Tracia(c) ; ma p
di Apollo(d). Egli accoppiava con tanta dolcezza la sua voce al suono
della
lira, che sospendeva il corso de’ rapidissimi fiu
quell’ animale, mentre fuggiva dal pastore Aristeo, figlio d’Apollo e
della
Ninfa Cirene(g). Soggiungono che le Ninfe, per ve
ani. Quelle però vennero raccolte dalle Muse, e sepolte in Dio, luogo
della
Macedonia. Altri lasciarono scritto, ch’ egli ven
o come vuole Isacio, Apollo andarono, ad alloggiare in Tanagra, città
della
Beozia, appresso Enopeo o Enopione, o come altri
hè fosse un povero agricoltore (Igino (e) vuole che fosse un Principe
della
Beozia) tuttavia fece loro tutta la possibile acc
lui omeri non si alzassero (a). Apollodoro finalmente lo fa figliuolo
della
Terra, e marito della Ninfa, Sida, la quale, come
sero (a). Apollodoro finalmente lo fa figliuolo della Terra, e marito
della
Ninfa, Sida, la quale, come abbiamo riferito, fu
quello de’tre predetti figliuoli, il quale avesse riportato il premio
della
corsa in Olimpia. Epeo ne fu il vincitore. Etolo
uello cioè, di cui abbiamo parlato, e l’altro, Pastore delle montagne
della
Caria(e). (f). Declaustre Diction. Mythol. (1
conoscesse Venere Epitimbia, così denominata per avvertire gli uomini
della
fragilità della loro natura, e per far comprender
e Epitimbia, così denominata per avvertire gli uomini della fragilità
della
loro natura, e per far comprendere, che il fine d
ccompagna la motte ; ovvero perchè in Dello v’avea una piccola statua
della
Dea, la quale siponeva sulle tombe, quando si vol
cui alcuno cadeva in gravissima malattia. Subito sì poneva alla porta
della
di lui casa un ramo di ranno, e uno d’alloro(d).
cattivi spiriti, l’altro per placare Apollo, considerato come il Dio
della
Medicina. Al moribondo si recicideva una parte de
to riposto sopra un letto a varj colori, detto feretro, nell’ingresso
della
casa, colla faccia rivolta verso la porta. Oltre
feretro da’più stretti parenti, e anche da’personaggi i più illustri
della
città, se era di grado distinto. Precedevano i li
resiedesse la Dea Nenia, a cui i Romani aveano eretto un tempio fuori
della
loro città presso la Porta Viminale(b). V’interve
si abbruciava, ciò si faceva nel campo di Marte, che trovavasi fuori
della
città. Le ceremonie, solite a praticarsi in quell
nciulli, i quali non ancor aveano oltrepassato il quarantesimo giorno
della
loro età ; ma si riposero in certi particolari se
ppellivano nelle loro case(b) ; ne’tempi posteriori lo facevano fuori
della
città, nè in quelle tumulavano che i porsonaggi i
i e a’plebei, e si chiamavano Puticuli. Erano non lungi da Roma fuoti
della
porta Esquilina. Mà perchè a motivo della vicinan
ano non lungi da Roma fuoti della porta Esquilina. Mà perchè a motivo
della
vicinanza diveniva insalubre l’aria della città,
quilina. Mà perchè a motivo della vicinanza diveniva insalubre l’aria
della
città, Augusto donô quel recinto a Mecenate, che
di vino, latte, e sangue. Prima si usava un liquore, in cui v’entrava
della
mirra, ma fu poi proibito da una legge delle dodi
Notisi altresì, che la Caneforia non era una festa, ma una ceremonia
della
festa, la quale si diceva Protelia, perchè celebr
ob. Hofman. Lex. Univ. (16). Antonino Liberale vuole che Toante, re
della
Tauride, fosse figlio di Boristene(e). Gli altri
uride, fosse figlio di Boristene(e). Gli altri Antichi nionte parlano
della
di lui origine. (e). Declaustre Diction. Mythol
). Serv. ad Virg. Aeneid. l. 1., Georg. l. 2. (3). In Sesto, città
della
Tracia, sulle rive dell’Ellesponto, soggiornava E
à. Priapo fu pure con un culto particolare onorato dagli Ornj, popoli
della
Grocia, vicini a Corinto, da’quali egli preso anc
che il soprannome di Orneate (b). Anche le giovani di Colofone, città
della
Jonia, celebravano le Feste, denominate Ornee, in
llezza, ma povero, e di abbietti natali. Egli s’invaghì d’una giovine
della
sua città, ma non oszva di manifestarle il suo am
i conviti(f). Le Grazie soggiornavano lungo le rive del Cefiso, fiume
della
Beozia, per cui si denominarono anche le Dee del
miele, e delle confetture(g). Le Grazie erano risguardate come le Dee
della
riconoscenza. Ciò veniva espresso anche dalla man
Venere, Poro, Dio dell’abbondanza, si ubbriacò, e rendette Penia, Dea
della
pover tà, madre di Cupido, il quale poscia fu sta
n si sperasse d’avere in isposo un mortale, ma bensì uno, più maligno
della
vipera, e più terribile d’ogni altro Nume. La gio
dovuto anche discendere nell’Inferno per raccorre in un vaso porzione
della
bellezza di Proserpina, nel ritornarsene da di là
. l. 1. (a). l 8. (b). Nat. Com. Mythol. l. 2. (1). Il vero nome
della
nutrice di Nettuno era, Sinousa, ma poi fu detta
ato mostro marino fosse una balena. La misera Esione (tal’era il nome
della
figlia di Laomedonte) legata ad un sasso sull’orl
a quel momento il nome di Priamo, che conservò poi per tutto il tempo
della
sua vita(b). Nè è fuor di proposito il riferire a
festa, chiamata Vertunnalia (d). (8). Glauco era un famoso pescarore
della
città d’Antedone, la quale trovavasi nella Beozia
irono de’sacrifizj. Primachè tutto questo avvenisse, Glauco s’invaghì
della
bella Scilla, figlia di Tifone (c), o di Forco ;
come Dea e figlia del Sole, più meritamente poteva divenire l’oggetto
della
di lui tenerezza. Non ascoltò Glauco siffatte ins
odrebbe alcun fiutto. Se ne rise Anceo, le per dimostrate la fallacia
della
predizione, si appressò alle libbra una tazza di
olei divenne madre di due figli, e osservando che Metaponte amava con
della
preferenza i due primi, si propose di farli perir
, che in quella circostanza avea soccorso i suoi figliuoli, li istruì
della
loro nascita, e della trista sorte di Melanippa,
tanza avea soccorso i suoi figliuoli, li istruì della loro nascita, e
della
trista sorte di Melanippa, la quale dal giorno, i
reci Clori, e Flora da’ Latini, che divenne poi la Dea de’fiori(g), e
della
quale abbiamo altrove parlato. Servio lo fa sposa
Com. Mythol. l. 4. (e). Suid. (1). Gli abitanti di Aliarte, città
della
Beozia, alzarono un tempio appresso il monte Tilf
e parte a rintracciare le orme, impresse dal mostro. Dal più profondo
della
valle, sottoposta alla selva, il Cinghiale provoc
o spiedo, stromento, usato da’ cacciatori di fiere. Ei chiamò a parte
della
sua gloria Atalanta, e seco lei ne divise le spog
Tosseo, accorso a prestare soccorso al fratello. La fama divulgatasi
della
vittoria di Meleagro avea mosso Altea a rere ne’
d’essere vissuto sino a quel giorno. Altea, dall’orrore e dal rimorso
della
sua colpa trafittasi il petto, mancò pure di vita
elle di Meleagro, dette Meleagridi. Fu altresì estrema la desolazione
della
bella Cleopatra, di lui moglie, e figlia d’Ida e
solevano descrivere nel Peplo di Minerva anche i nomi de’ benemeriti
della
Repubblica(h). (b). Id. Ibid. (c). Id. Ibid.
aveva i piedi di dragone, percelare la sua deformità, inventò, l’uso
della
quadriga(a). (b). Hyg. fab. 166., Paus. l. 1.,
; v’ aggiunse, che lo stesso Romolo gli predisse la futura grandezza
della
sua città, e promise d’ esserne il protettore ; c
to da Appio Claudio il Cieco presso il Circo. Si trovava questo fuori
della
città, per timore, che Bellona seminasse discordi
tte nel la coscia o nel braccio, e col raccorno il sangue nella palma
della
mano per farne una libazione alla loro Dea(f). A
rbarie si sostituì una semplice finzione. Quando celebravano la festa
della
loro Dea, correvano per le strade come furibondi,
a equità. Egli puniva i più gravi delitti, presiedeva all’ osservanza
della
Religione, e invigilava sulla condotta de’ cittad
i Anetias, ossia sedia dell’ innocenza ; l’altra Ibreos, ossia sedile
della
reità (a). Ivi usavasi anche la Clepsidra, ossia
a causa, i giudici deponevano i loro voti in due urne, l’una chiamata
della
morte, e l’altra della misericordia (d). In caso
nevano i loro voti in due urne, l’una chiamata della morte, e l’altra
della
misericordia (d). In caso di dissensione vi si ag
in onore di Fornace le Feste Fornacali, al tempo delle quali in onore
della
Dea si lasciava consumare della farina nel forno(
nacali, al tempo delle quali in onore della Dea si lasciava consumare
della
farina nel forno(b). (d). Id. Ibid. (e). Id.
amente si sacrificavano un cane e una pecora. Fu ad esse eretto fuori
della
città di Roma un tempio per voto, fatto da T. Ost
ezzo a quelle fiamme, ch’essere continuamente deriso per la deformità
della
sua bocca(e). (4). Ceculo fu creduto figlio di V
appena dall’ancor sudante mia penna, ed il fresco impronto mostrando
della
testè conseguita pubblica ragione nel vostro gent
la possibile brevità) trattar de’principali, e più interessanti punti
della
Mitologia, dalla definizione di essa pria d’ogni
d in particolar modo quelle de’Poeti tragici, e lirici, se privi sono
della
cognizione di quelle favole, alle quali tali scri
scrittori fanno ben spesso allegorie ? Come al fin aversi cognizione
della
Teologia, e Religione de’Gentili, se questa in bu
in tal profonda oscura notte d’illusioni, ed inganni ne caddero, che
della
lor nobile origine, e beato fine confuse del tutt
o differenti preeminenze, e ne’gradi, pensarono gli occecati abitanti
della
terra in quattro classi differenti generalmente d
i Maiorum Gentium, come quelli, che erano adorati da tutte le nazioni
della
terra, e questi erano venti, de’quali dodici form
allevare dalle Ninfe, e da Cureti sacerdoti di Cibele mercè il latte
della
capra Amaltea, ed il mele delle Api quivi grazios
oglie, come divorato avrebbe similmente quest’altro, se la scaltrezza
della
madre per tai inumani fatti accigliata non l’ ave
e consapevole de’passati crudeli tratti di Saturno suo padre, nonche
della
congiura, che contro di se novellamente machinava
dell or superbo attentato li confinò, e rinchiuse. L’altra battaglia
della
prima ancor più terribile, e fiera, cui dovè far
regno impalmato avesse per mogli e Meti dea del Consiglio, e Temi dea
della
Giustizia, e Cerere dea de’ Campi, e Muemosina de
, e Temi dea della Giustizia, e Cerere dea de’ Campi, e Muemosina dea
della
Memoria, e Latona, e qualche altra Dea ; pur nien
mbianza d’ un montone prestato soccorso a Bacco sitibondo fra deserti
della
Libia. Da Cretesi fù nominato Diespiter, ed anche
està per cinque giorni continui a cagion del quinario esercizio, cioè
della
pugna, della lotta, del disco, del salto, e della
ue giorni continui a cagion del quinario esercizio, cioè della pugna,
della
lotta, del disco, del salto, e della corsa, quali
rio esercizio, cioè della pugna, della lotta, del disco, del salto, e
della
corsa, quali cose tutte comprendevansi in tai cel
a nudi Atleti, e perciò vietati all’intervento delle donne sotto pena
della
stessa loro vita. Gl’ albori a questo Dio dedicat
vasi esser egli unicamente rapito. Circa le morali significazioni poi
della
favola di Giove, come delle favole degli altri De
del mare fù dagl’ antichi riconosciuto il Ponto prodigioso germoglio
della
terra ; ed almo padre di Nereo, da cui, come pret
Sua contesa cou Minerva. Ebbe questo dio una gran contesa colla dea
della
Sapienza Minerva per ragion del nome da darsi all
e per propria virtù prodotto avesse la cosa più vantaggiosa goderebbe
della
pretesa facoltà. Accettatasi da ambe le parti tal
come pur pretende la favola, pria di giungere l’ordinario prescritto
della
natura, ed un tal acceleramento forse fù la ragio
ni ; non però ciò avvenne per parte di Giove renitente, ma per cagion
della
pretesa Dea, che gelosa della sua amata castità s
parte di Giove renitente, ma per cagion della pretesa Dea, che gelosa
della
sua amata castità sdegnosetta rifiutò le sue avva
uoco. L’altro, che credesi edificato da Tazio, stava dentro i recinti
della
Città, ove tenevansi sovente le assemblee del pop
avea alla corsa, e colui, che ceduto aveva altrui nel corso, in segno
della
perdita fatta ceder dovea al vincitore la lampada
la cara sua figlia Alcippe, avuto quello nelle mani spinto dal furore
della
concepita sua collera gli diè fieramente la morte
agioni, cosi attempatamente giustificò la sua causa, che per giudizio
della
più sana parte di quei giudici ne venne onorevolm
i dovuti omaggi a questo gran Nume. La Tracia però, o perchè gloriosa
della
fortuna di riconoscere il suo nome da Trace figli
inanze, ed il presidente altresì essendo alla negoziatura, al governo
della
guerra, e della pace, a giuochi, alle adunanze, a
esidente altresì essendo alla negoziatura, al governo della guerra, e
della
pace, a giuochi, alle adunanze, alle pubbliche ar
uidarle all’ inferno, e di riporre in nuovi corpi, giusta la dottrina
della
Metempsicosi, le anime, che compiute avevano negl
nfra gli altri singolarmente rifulge, egli suol divenire il bersaglio
della
cieca imprudente fortuna. Tale appunto fù il caso
ricoveratasi Latona sotto una pianta di verdeggiante palma sgravossi
della
doppia sua prole Apollo cioè, e Diana ; quale iso
a persona per contentar questo Dio, ma ella a caro prezzo pagò il fio
della
sua men cauta condiscendenza mentre fatto consape
richiamar alla vita Ippolito figliuol di Teseo alle reiterate premure
della
gran dea Diana. Sue dissavventure. Un tal figlio
on fulmine fatale tolse di vita il valente Esculapio, benchè come Dio
della
medicina al numero degli Dei per guiderdone l’asc
disotto fù a genio del vincitore ligato ad un albore, e vivo denudato
della
rozza sua pelle a tenore del convenuto. Riacquist
dempimento del giuramento già fatto. Ma che All’ accorgersi i cavalli
della
inesperta mano indocili scostaronsi dall’ ordinar
agion del luogo, dove nacque, detto l’isola di Delo : Febo per cagion
della
luce, e calore del sole da lui guidato, o perche
biante se egli è il Dio dei Poeti, il Principe delle Muse, il Maestro
della
Musica, della eloquenza, della Medicina, e di tut
è il Dio dei Poeti, il Principe delle Muse, il Maestro della Musica,
della
eloquenza, della Medicina, e di tutte quelle nobi
ti, il Principe delle Muse, il Maestro della Musica, della eloquenza,
della
Medicina, e di tutte quelle nobili arti, per cui
in Delo, Claro, Timbra, Pataro, e soprattutto in Delfo, ove per bocca
della
Sacerdotessa Pitia situata sul Tripode coverto da
ro esserne poteva il liberatore pietoso. Questi allora ben servendosi
della
occasione non pria stese le mani all’ opra, che l
e all’ opre sue se credi Non verserai il tuo sudor con scorno. Anima
della
terra e di mortali, Tutto mostra il poter della n
dor con scorno. Anima della terra e di mortali, Tutto mostra il poter
della
natura, E salva il mondo dagl’ acerbi mali. L’uom
Celio Trittolemo divenuto suo caro ministro ben ammaestrati nell’arte
della
coltura de’ campi, passarono con piacere dal vile
el sangue cadde in fallo con essa ; pel qual fatto essa madre divenne
della
famosa Proserpina innocente cagione delle sue sve
nte cagione delle sue sventure. Imperocche rapita questa là ne’ campi
della
Sicilia dal suo zio Plutone sordo divenuto alle d
ordo divenuto alle doglianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non che
della
stessa Minerva, che dicesi presente a tal fatto,
a tal fatto, diè motivo alla sventurata genitrice di vivere sollecita
della
infelice sua sorte. Conscia quindi la Dea della p
e di vivere sollecita della infelice sua sorte. Conscia quindi la Dea
della
per dita, ma ignorante del fatto, dando presto di
uoi passi a trovarla. Raggirossi affannosa per questa, e quella parte
della
terra, sichè di essa a ragione scrisse Ovidio :
Siracusa il velo, che negl’amari contrasti scappato era dalle chiome
della
diletta sua figlia, e fatta quindi consapevole de
dalla risentita Dea ad un tratto cambiato in vile lucertola. Il peso
della
sua collera ebbe similmente a provare l’irreligio
venuta un proteo, con mille trasformazioni ingegnata si fosse a costo
della
vita a saziarlo, mai non però potè ottenerne l’in
osi le prestano divotamente gli omaggi. Suoi nomi. Da questa efficie
della
Dea simboleggiante molto al naturale i tanti bene
hi in vero in veder le sue poppe soltanto gravose di latte in simbolo
della
cura, che essa ha de’ mortali può tai titoli sfac
a prudenza, e rarità, Questa i n Egitto, e in Roma un dì regnò La Dea
della
gentil Verginità. Dichirazione, e sviluppo
. Suo ossequio e culto. Alzato essa in tal forma il candido vessillo
della
verginità in esempio di chiunque avesse voluto pr
amiglie. Il pietoso Enea infatti nel fuggir dalle consumatrici fiamme
della
cara sua Troja, tra gl’altri suoi più cari dei pe
mentata probità. Castighi, e privilegii delle Vestali. La violazione
della
loro castità era il massimo de’ delitti, e puniva
tamenti, erano immuni dal giuramento, potevano far uso delle bende, e
della
pretesta, potevano salvar la vita ad un reo casua
Imperocchè la graziosa bambinà con prodigio inudito saltando dal seno
della
madre nella testa del padre, quivi fissò per ben
ta fosse vittoriosa ; pure ebbe a soffrire il troppo sensibile dolore
della
sua fronte percossa da iterati colpi di navicella
olore della sua fronte percossa da iterati colpi di navicella per man
della
Dea accigliata ; sichè non potendone più soffrire
mare. Questa Dea inoltre perchè invaghita soprammodo del caro pregio
della
nobilitante castità, a severi castighi similmente
ona ? E che altro significar volle quel cangiar in serpenti i capelli
della
bella Medusa, se non perchè erano stati essi la c
gigante da essa ucciso, oppure come più plausibile sembra dal brandir
della
lancia nelle battaglie, mentre sotto tal nome era
ezza, La teme, e adora l’uom fin dalle fasce : Triste, e grande poter
della
bellezza. Dichirazione, e sviluppo Non fia
sta Dea regina delle grazie, e madre degl’amori, m’ingegno o col velo
della
modestia nascondere alcuni fatti più seducenti, o
il più essenziale. Dappoichè se per essa un di rompendo i bei legami
della
modestia si diadero gl’uomini a mille disordini d
ne’ loro affetti dal poter di questa Dea sono argomenti parlanti come
della
sfrontatezza di essa nell’agire, cosi di mia rise
do sotto le sembianze di quello ingegnavasi infiammare il freddo seno
della
infelice Didone a favor del ramingo Troiano giust
izza l’orme Dell’uom col Dio di Delo, e lo ricrea : Questo è il poter
della
gran Dea triforme. Dichirazione, e sviluppo
e, e sviluppo Chi fù Diana. Germoglio quanto travagliato nel seno
della
terra, altrettanto ridente spuntato sul piano la
o ridente spuntato sul piano la presente Dea rassembra. Essa nel seno
della
perseguitata Latona sua madre rinchiusa dopo aver
e fiamma temuta, tutta si diede all’allettante, ma faticoso esercizio
della
caccia col seguito di ben sessanta Ninfe figliuol
ò alla più stretta, e perfetta Verginità in modo, che accortasi un di
della
debolezza di Calisto figlia di Licaone infeliceme
infausto motivo ; E perchè inoltre traforò con un suo dardo la lingua
della
infelice figlia di Dedalione Chione senza farle p
ro, e forse per non attribuire a questa Dea di castità le leggierezze
della
Luna col Pastore Endimione. Inoltre qual divinità
fe al par di essa similmente agguernite, di statura però men maestosa
della
loro Dea, come chiaramente cel descrive l’Epico L
dippiù scelti bovi, e secondo Euripide, le primizie di tutti i frutti
della
terra. Il costume però più praticato fù l’offerir
degli Ateniesi, e de’Ionii si nobilitò a tale segno, che fra le Città
della
Ionia, dopo Mileto, fu la più gloriosa, e potente
re sacrificii, ed offerte di qualunque sorta si fossero ; ma nel seno
della
stessa sua necessità mal grado il suo rango lo la
no si diede ben presto a mostrare al suo benefattore i più vivi segni
della
sua gratitudine. Con arte affatto nuova, gli inci
do nella fronte due occhi lipposi, e nel volto palesando il travaglio
della
sostenuta inedia ; nna dentata falce nelle sue ma
altari, ove in memoria di aver un dì guidati gl’uomini dalle tenebre
della
ignoranza alla luce della verità erano candelieri
aver un dì guidati gl’uomini dalle tenebre della ignoranza alla luce
della
verità erano candelieri con fiammeggianti lumi. I
aspetto in Maestà Suprema Dimostra per donar leggi alla terra Il Nume
della
pace, e della guerra, Che sa riunir in lui speran
stà Suprema Dimostra per donar leggi alla terra Il Nume della pace, e
della
guerra, Che sa riunir in lui speranza, e tema. Eg
ra sicura d’essere un giorno annoverato fra Dei col bel titolo di Dio
della
Pace(1). Sue imprese. Stabilita così la sua fort
; benchè per altro al vederlo Essa contro il suo genio perduto amante
della
giovanetta Psiche, la prima poi fù per voler del
formavano i tre giudici Minosse, Eaco, e Radamante, che là nel campo
della
verità fra il tartaro, e gl’Elisii alzando inesor
tero del tremendo lor fuso troppo a vivo risvegliavano i tristi sensi
della
brevità della vita, e della mortale fralezza. Orr
ndo lor fuso troppo a vivo risvegliavano i tristi sensi della brevità
della
vita, e della mortale fralezza. Orrore finalmente
roppo a vivo risvegliavano i tristi sensi della brevità della vita, e
della
mortale fralezza. Orrore finalmente recava quel c
e. Suo ritratto. Il ritratto di questo Dio ben corrisponde alla idea
della
sua infernale maestà. Mirasi in severo atteggiame
la mano, e stringendo nell’altra le terribili chiave, dette le chiavi
della
morte in scgno, che nessun del suo regno disserra
litto, ed impotente, Vince per tutto, e pur non pugna armato, Ristoro
della
vita è nominato Con mille varii altari in orïente
Bacco. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Bacco. Che lo spirito
della
gelosia sia il fomento d’ogni fallo, chiaro può s
a divideva i suoi affetti, con soprafina invenzione pensò disbrigarsi
della
sua rivale. Prese un dì le apparcnze di Beroc nud
del sno buon padre Giove, e qui nel rendersi padrone dell’ Arcadia, e
della
Siria con poche forze di uomini, e donne radunate
nti nel sollennizzar le sue feste al par del lor Dio si adornavano si
della
pelle di tigre, che del fresco tirso ; onde dalle
strato si legge, e descritto. L’essere stata ella l’avventurata madre
della
maggior parte degli Dei i più gloriosi, che abbia
di questa Dea le cerimonie, che precedevano, e seguivano i sacrificii
della
troia, del toro, e della capra animali, che svena
e, che precedevano, e seguivano i sacrificii della troia, del toro, e
della
capra animali, che svenar si doveano nelle Megale
erezza, E rimaner fra quelle orrende fosse : Anche tristo è il destin
della
bellezza. Dichirazione, e sviluppo Soglion
rsi quello, che ottenne nella Sicilia sotto il titolo di fecondatrice
della
terra, e tanto era il rispetto, che quel popole n
ssero ad onta dell’umana fralezza ascender di leggieri all’alto monte
della
immortalità, e della gloria. Ma che il vizio poi
ana fralezza ascender di leggieri all’alto monte della immortalità, e
della
gloria. Ma che il vizio poi degno sempre di vitup
a mio credere si condottarono i Gentili nello adombrar il bel pregio
della
innocenza sotto le rappresentanze di un tenero fa
rto di verde alloro, Versa a una man ricchezze a dismisura, Che fanno
della
terra ampio ristoro. Nell’altra man, che spinge a
ra figlia di Dio quest’è la Pace. Annotazioni La pace serenità
della
mente, tranquillità del euore, vincolo di carità,
ella mente, tranquillità del euore, vincolo di carità, gioia in somma
della
terra vien dipinta in atteggiamento di Vergine co
ed è sì bella, Che figlia sembra del fattor sovrano ; Questa è pietà
della
bontà gemella. Annotazioni. La pietà dolce
lima chi la pruova. Scorgesi reggere un timone, perchè essa è nel mar
della
vita un’ abil nocchiere. La cicogna poi, che fing
ro ? Or se tanto seppero ideare i Gentili, che poi, dobbiamo noi dire
della
providenza di quel Dio, nel quale vivimus, movemu
Annotazioni. L’alloro, ed il papiro son veramente i caratteri
della
sincera amicizia : quello per indicare la incorru
ggiera di Giove, e sempre riconosciuta per annunziatrice indifferente
della
verità, e della mensogna, come simboleggiano le d
e sempre riconosciuta per annunziatrice indifferente della verità, e
della
mensogna, come simboleggiano le due trombe, che l
adattarono alle mani. Essendo dunque così procuriamo di essere amici
della
fama non già coll’ergerle tempii, come dall’antic
a, mentre con esso velando gli occhi fa sì, che l’uomo non ri accorga
della
occasione offertasi, e per tale ignoranza la perd
Annotazioni E chi non direbbe sufficienti ad indicare il gran malo
della
collera i surriferiti caratteri di vesta lacera,
enti da lei tranquilla dorme. Annotazioni L’effigiato ritratto
della
credeltà denigrante non poco la umana natura per
piangendo si dice, che accusa, perchè è suo proprio vestire col manto
della
compassione per ottenere più facilmente l’intento
quella. Annotazioni. Molto espressive sonò le caratteristiche
della
mensogna. É essa audace perche tal è il mentitore
o serpente nell’ Edem : è mascherata, perchè nascosta sotto le divise
della
verità : e quella benda, con cui covre gli occhi
sendo però il proprio nemico dell’anima sua il mendace, giusta quello
della
Sap. 1. Os, quod mentilur occidit animam preghiam
Chi non orridisce al ritratto di questa furia d’Averno ? Il viperino
della
sua chioma, il fiammeggiar de’suoi occhi, lo spum
le altre caratteristiche poi, che l’accompagnano son la chiara divisa
della
pigrizia proprio difetto de’mendici. Dicesi aver
a, e fatal la morte è questa. Annotazioni La descritta imagine
della
morte bisogno non hà di spiègazione. L’universale
roppo chiaramente dipinte. Se però è vero, che la morte è conseguenza
della
vita, impari ognuno a ben vivere, acciochè ben mu
pin non è l’istesso, Il nemico dell’uomo ecco l’Inverno. In lode
della
cristiana religione Canto. D ove tra
L a poesia prima fra le arti belle, al dir del melanconico cantor
della
notte, insiem col mondo vanta a sua gloria l’anti
iò chiunque s’inizia nelle scienze, ed ardisce penetrar nel santuario
della
dottrina, che senza la scorta di arte si nobile,
gnoranti in ogni altro genere di scienze, o di arti fuorchè in quello
della
poesia. La sola dissertazione di Ugo-Blair ne car
pratica con molti diversi, ma adattatissimi componimenti in esempio (
della
qual cosa assai più importante le altrui poetiche
ò di venire all’ esame degli obbietti proposti ogni ragion vuole, che
della
materia poetica, non che delle sue disposizioni d
Cap. I. Della materia, e del modo di disporsi. La poesia al par
della
elequenza, certa e determinata materia non mai ri
qualunque siasi semplice, o trascendente dev’ essere sempre corredato
della
sua brevitâ, e chiarezza, acciò dagli uditori, op
nguaggio, che lor conviene, rendesi il dire dilettevole, e grato, che
della
poesia forma il principale obbietto, e lo scopo.
ppo lussureggianti, nè con relazioni poco coerenti comparir nel corpo
della
narrativa, mentre la parsimonia, e l’ analogia in
Per acquistare però tutte le suddivisate doti, che le ricchezze sono
della
poetica arte, l’unico mezzo, dietro la natural di
i sanno del mostruoso, e deforme ; menocchè però quando la difficoltà
della
rima, come avviene nelle terzine sdrucciole ecc.
rte la macchia. Cap. II Del verso Chiunque percorre lo studio
della
vita ; ed ama di godere un dominio sul cuore altr
la vita ; ed ama di godere un dominio sul cuore altrui mercé la forza
della
persuasiva, il primo, anzi l’unico suo impegno de
ano, le vivaci immagini, che commuovono ; anzi tanta è stata la forza
della
sua armonia, che per esso è stato dato moto, nume
esprimersi con maggior vivacità, ed energia, che l’uomo dabbene teme
della
colpa, non già della pena, che non meritò ? Qual
or vivacità, ed energia, che l’uomo dabbene teme della colpa, non già
della
pena, che non meritò ? Qual più nobil modo di lod
an dicitura in pochi versi ci presenta in mille luoghi il primo epico
della
nostra Italia Torquato Tasso. Bastami fra i tanti
i grandezze ? Alete è l’un, che da principio indegno Tra le brutture
della
plebe è sorto Ma l’innalzaro ai primi onor del re
ali, e quindi i Druvidi, i Bardi, gli Enobardi, e finalmente i popoli
della
Scandinavia, da cui vennero i Goti, i Visigoti, i
atir Per mè Morir Non v’è Per tè Nel trisillabo la inflessione
della
voce cade sulla seconda sua sillaba. Esso anche n
re al segno Guarderò Mi terrò. Nel verso quinario la inflessione
della
voce cade sulla quarta sua sillaba. Con esso perc
restando il secondo libero, ed il quarto tronco da rimare col tronco
della
stanza seguente, oppur avvinge il secondo col ter
la sesta, ossia penultima sillaba il loro accento, restando per forza
della
rima obligato il solo secondo col terzo. Eccone l
Come mai si può salvar. Nell’uom questo tutto può. Batte i fianchi
della
nave E il nocchiero, che condusse Fiero il mar,
sangue a fiumi Il fier nemico aspetta Colla città di Grecia Sicuro
della
gloria Gli altari, i tempii, i Numi. Certo di s
nulla cerca di ritrarre corpi meravigliosi, e grandi per solo effetto
della
fervida sua immaginazione, come appunto sono le q
, ed il sesto senario tronco, che rima, come già si disse, col tronco
della
stanza seguente. Eccone l’esempio. Telesilla di
na lirica. Non vorrei, che alcuno in vedermi sulle mosse di parlar
della
Sestina pensi esser mia intenzione di richiamar d
quella sestina cioè, in cui sei strofe pender dovevano dai sei versi
della
prima, chiamata perciò il perno, non solamente ne
endosi soltanto alla sestina eroica del Casti negli animali parlanti,
della
quale si parlerà a suo luogo. Qui adunque il mio
ale si parlerà a suo luogo. Qui adunque il mio scopo sol è di parlare
della
sestina lirica fioreggiante tutt’ora nel poetico
uida, apparisca bella, e degna dei comuni suffragii ; che dovrà dirsi
della
chiusura di questo metro soggetta a ben due tronc
Cap. XII. Del verso martelliano. Se fra diversi moltiplici metri
della
toscana poesia miransi alcuni poco praticati per
l’opposto vien poco maneggiato per la soverchia sua faciltà. Nel suol
della
Francia spuntò la prima volta tal pianta, ma tras
puntò la prima volta tal pianta, ma trasportata poscia in altri campi
della
culta Europa produsse a prima vista frutti si dol
ia, e triviale ; pure la forza dell’ingegno, non che la effervescenza
della
fantasia contribuisce non poco alla sua nobillà,
’aspro tenor E madre più non son. Le toglie Ulisse il figlio, Parte
della
mia vita E con fatal consiglio Perchè ti genera
gno del pari si è d’essere il principale scopo de’ virtuosi esercizii
della
studiosa gioventù. Duplice però n’è il metro. Nel
col tronco seguente. Nel secondo il primo, che è piano rima col terzo
della
sua stessa natura, non altrimenti che il secondo,
Alfieri, Salvator Rosa, Antonio Abbate, ed altri ; due terzi in somma
della
poesia italiana sono stati scritti in tal metro.
va,(1) de’ quali il primo rima col terzo, ed il secondo fissa la rima
della
stanza, che siegue, e così in prosieguo ; onde è
conserva egualmente le sue bellezze. Consiglio perciò gli apprendenti
della
divina arte poetica ad esercitarsi in queslo metr
alemme liberata del secondo sono in questo metro i più perfetti poemi
della
poetica favella. Vero è che tale ritmo sovente si
rattabile. Tale esempio scosse l’ottimo cavalier Ricci a non servirsi
della
terzina sdrucciola, ma bensì dell’ottava nel comp
simo lavoro degno di tutti gli elogii, il lamento cioè di Maria a piè
della
Croce. Esesndo dunque si difficile un tal metro,
tunque il cantor di Achille, il panegerista di Ulisse, e l’apologista
della
Grecia fù vinto da Esiodo non per altro, se non p
cantó gesta guerriere, e furor di battaglia, e questi cantò i piaceri
della
vita campestre, ed i vantaggi della vita pastoral
ttaglia, e questi cantò i piaceri della vita campestre, ed i vantaggi
della
vita pastorale nel metro suddetto con sommo piace
on pochi onori, e ricchezze in Sicilia. Mancò l’Italia per più secoli
della
vera pastorale di Esiodo, e sebbene in tempi non
signuolo. E dolce il mormorar del fiumicello, E grato il gracidar pur
della
rana, E lieto il susurrar dell’arboscello, E caro
r della rana, E lieto il susurrar dell’arboscello, E caro il mormorio
della
fontana, Bello è il mare, e la marina, Grato è il
endo insegnare sol un modello, e non prefiggere una norma invariabile
della
Canzone. Per la morte di Pio VII. Chi al piant
ndo Perchè la navicella Non travïasse il diritto suo camino, E in sen
della
procella Ritta la raddrizzò tra scoglio, e scogli
oltosa dell’arte poetica, tradotta da Provenzali un di nel culto seno
della
bella Italia, del Sonetto io dissi. Questo più no
del suo natio decoro ha incontrato a dirla schietta la sorte istessa
della
nobile medicina. Questa dopo aver un di meritato
tte all’ uso i miei lettori unicamente rimetto. La sola distribuzione
della
materia però (previa di già la unità del pensiere
ontenghi l’esordio, la seconda colla prima terzina, abbracci il corpo
della
narrativa, la seconda terzina restringa finalment
e d’ogni sua parte sufficientemente ragionato nel precedente trattato
della
poesia toscana, nella circostanza non sono di for
n dal principio dell’ operetta esposi, come di appendice, e soggiunta
della
precedente. Ragionato quindi in tal guisa il mio
del verso, e delle differenti sue specie. Nel 3. Finalmente tratterò
della
varietà delle strofe, delle quali ogni più ordina
esse con una strofa pratica da me stesso bassamente lavorata a tenore
della
capacità di qualunque siasi ingegno. Cap. I.
dinato misto di questi sonoro si rende il secondo. Dalla varietà però
della
nomenclatura de’ piedi parlano di essi alcuni Gra
nella sua quantità, come in questo esempio : Christus colendus l’us
della
parola Christus, che per la Reg. L. del nuovo Met
uesti, o quelli secondo il genio dell’autore, e secondo che la natura
della
materia richiede ; ma nel quinto pretende onninam
condo per altro poco usato è uguale all’ Asclepiadeo almeno nel valor
della
quantità, e perciò abbraccia uno Spondeo, un datt
lve, munere isto. Catul. nell’ Epig. a Calv. II. I Saffici invenzione
della
greca poetessa Saffo contengono un Trocheo, uno S
, e de’ Spondei in lor vece restò decorato del semplice nome, e privo
della
tessitura primiera ; benchè per altro coll’aver r
la diversita’ delle strofe. In quest’ultimo capitolo del ristretto
della
poesia latina passando sotto silenzio la diversit
tina passando sotto silenzio la diversità de’ componimenti per ragion
della
materia, nè brigandomi delle composizioni lavorat
e di veduta le diverse maniere di comporre risultanti dalla diversità
della
Versificazione riconosciute egualmente da Greci s
nignus. Ecco in corti termini descritti tutti i più praticati metri
della
poesia latina. La cognizione di questi però poco
rofittar dell’ opera, e compatir l’autore. FINE. Le copie non munite
della
presente firma s’intendono contraffatte. Cic
ssono esser menati i mortali, qualor ciechi non sieguono i belli lumi
della
ragione, di cui, quasi di sicura guida per ben op
vole sembrato mi sia in tal guisa con altri opinare circa l’antichità
della
idolatria, non è però mio pensiere con ciò rigett
viam suam : Non altrimenti che con quel, che accennai, sulla origine
della
idolatria istessa riprovar non intesi o il parere
atto apporre alcune note, che servissero, come di lumi a molti luoghi
della
sacra Scrittura, e così fin dalla tenera età dolc
tratto al par di essi leggiam conquisi altri Teomachi, e sprezzatori
della
Divinità, come un Faraone co’suoi nelle onde Erit
gl’ Assirii non col braccio de’ Titani, o de’ Giganti, ma per la mano
della
sua debelezza : Nec filii Titan , così nel cap.
unt se illi. Sue azioni. (1). I poeti tenuti un di quai riformatori
della
falsa loro religione, benchè privi della luce del
enuti un di quai riformatori della falsa loro religione, benchè privi
della
luce del Vangelo, con molta prudenza, e cautela p
questi turò con cera gl’orecchi, e se stesso fece ligare ad un albore
della
sua nave ; quale invenzione poi scorgendo la Sire
le Sirene, se pur non abbia egli il S. uomo voluto intendere l’orrore
della
solitudine, cui era ridotto, prendendo allegoria
e, Steropesque, et nudus membra Pyracmom e par, che la viva immàgine
della
lore forza, e destrezza nel loro impiego abbia so
i. Suo ritratte. Suo culto. (1). Numa per consiglio, ed insinuazione
della
Dea Egeria chiesto avea a Giove un pegno di salut
li al Cap. 14 si legge : Paulum vero Mercurium. Imperocchè se parlasi
della
profondità, e facondia nel dire chi fra tutti i b
o i Gentili in onor de’ loro Dei, sebbene semplici furono nel nascere
della
Idolatria, pur coll’ avanzarsi di essa comparvero
olar si dovea Cristo, che è Pietra, sì finalmente acciò dalla durezza
della
pietra, ove al sommo Nume sacrificano i sacerdoti
ne, che fin d’allora tale albero fù costantemente tenuto qual simbolo
della
virginità, e perciò creduto incorruttibile, e sem
virginità, e perciò creduto incorruttibile, e sempre florido ad onta
della
violenza delle stesse intemperie. Il tradito Apol
la violenza delle stesse intemperie. Il tradito Apollo in memoria poi
della
tresformata Dafne adornò le sue tempia, e la lira
sviluppare quel, che deve sentirsi circa gl’ oracoli. In molti padri
della
Chiesa, ed in molti profani scrittori può origina
lto. (1). Il venerando cellegio delle vergini dette Vestali dal nome
della
Dea, di cui avevano la cura, che che altri si dic
te Re Tarquinio Prisco, qual numero senario durò fin agl’ultimi tempi
della
Republica, come chiaro l’insegna Dionigi al 3 de’
fù Minerva. (1). Sulle oscure, e confuse idee, che avevano i gentili
della
generazione del Verbo Eterno dal Padre, fabbricar
e Minerva si compiaceva di tre bestie più villane, del Serpente cioè,
della
Civetta, e del popolo. Suo culto Chi fù Venere.
e. E per la stessa ragione può dirsi, che ella tra fiori si dilettava
della
rosa, perchè questa nelle rosseggianti sue foglie
endo a Principia di dire, che la Verginità sempre porta seco la spada
della
pudicizia, per la quale essa recide le opere dell
orta seco la spada della pudicizia, per la quale essa recide le opere
della
carne, e supera gl’allettamenti del senso. Gentil
o fornito di squame, e di aculeo ? Se avvi fra fiori chi è il simbolo
della
illibata castità esso appunto è il giglio, ma per
ensa essere stati piccoli tabernacoli, in cui custodivansi le imagini
della
gran Dea di quel tempio, benchè non manchi chi le
se di tentare saranno tuttocchè sappia dover avvenire le cose a norma
della
Divina prescienza ? del resto non potendo io senz
rno. Suoi viaggi. (1). Che il Saturno de’ Gentili fosse stato il Noè
della
Genesi assai plausibile in forza di molti argomen
gran macedone Filippo, che in più circostanze dimostrò più gloriarsi
della
prudenza, di cui servivasi a conciliare gl’ animi
ha preteso, che questa celebrata Cibele fù figliuola di un antico Re
della
Frigia quale dotata di gran senno, e prudenza la
far parola dell’Endacasillabo sciolto. Se perô un tal verso sciolto é
della
stessa natura del rimato per cagione della infles
erô un tal verso sciolto é della stessa natura del rimato per cagione
della
inflessione, e sol differente da questo per la li
cagione della inflessione, e sol differente da questo per la libertà
della
rima, io non scorgo per qual motivo ne doveva for
nnoto la Ectlissi, cioè, e la Sinalefo. La Ectlissi è lo struggimento
della
M con tutta la sua vocale in fine delle parole se
dei secoli cristiani. 745. Tale è in succinto la istoria degli errori
della
idolatria appo i popoli più noti dell’antichità ;
ne. Intanto questi errori dominarono per molti secoli sopra la faccia
della
terra, e contaminarono le menti di popoli che pur
coi quali tregua non v’era mai ; e che senza posa prendevansi giuoco
della
sorte e della vita degli uomini. Nulladimeno pare
gua non v’era mai ; e che senza posa prendevansi giuoco della sorte e
della
vita degli uomini. Nulladimeno pare che l’Epicure
li uomini. Nulladimeno pare che l’Epicureismo,144 speculazione oziosa
della
Grecia, accolta dalla malefica attività de’Romani
vizj come nel loro potere, trovando la dottrina d’Epicuro tra l’arti
della
Grecia, ne attinsero un raffinamento di corruzion
e d’Iddii a cui il popolo bruciava ancora gl’incensi ; e la religione
della
classe più illuminata e più potente di Roma non e
oposito voglio che il mio pensiero sia da tutti ben inteso) la caduta
della
superstizione non è la ruina della religione. È s
sia da tutti ben inteso) la caduta della superstizione non è la ruina
della
religione. È saggia cosa il mantenere le osservan
a un tratto e propagare la religione che s’accompagna alla conoscenza
della
natura, e sradicare affatto la superstizione. »
adizioni degli avi e le antiche superstizioni del paese. Ovidio facea
della
terra, non solamente il tipo, ma il teatro di tut
il più ingegnoso commentario del paganesimo ed il segnale più chiaro
della
sua decadenza. Il solo Livio rimpiangeva la pietà
r gli antichi loro Dei, ma questa pietà confondevasi allora coll’amor
della
gloria e della patria. La morte sul campo di batt
oro Dei, ma questa pietà confondevasi allora coll’amor della gloria e
della
patria. La morte sul campo di battaglia era un ol
i magistrati, la forma del voto popolare, tutto infine nell’esercizio
della
libertà pubblica era preceduto, convalidato, sanc
sancito dagli auspicj ; e, se spesso la scaltrezza del senato abusava
della
loro prevalenza per disciogliere le assemblee, sc
intrighi, la facilità stessa con cui ne veniva a capo, era una prova
della
superstiziosa credulità del popolo. Il discredito
racoli ed agli auspicj caduti in disuso ; e la magia s’era arricchita
della
ruina del paganesimo. Nel resto del mondo soggett
dai tempj, dai monumenti consacrati alla religione. Nell’avvilimento
della
conquista, nell’inerzia che la seguiva, il culto
sia minore offriva in ogni sua parte la mescolanza degli Dei eleganti
della
Grecia colle superstizioni del paese. Tu v’incont
l fango che il Nilo straripato ammucchia sulle sue sponde. Nel riposo
della
conquista romana gl’intelletti non aveano altra o
marrite nella storia, si rinvengono così manifeste nell’antica lingua
della
Grecia e del Lazio,145 s’erano ravvivate colla co
a tutti i popoli chiudeva il proprio tempio all’idolatria. I disastri
della
guerra, la schiavitù, il commercio avean comincia
ti, astrologi, usurai, pasciuti per tutto d’insulti, fecero sul suolo
della
loro patria una eroica resistenza. L’assedio di G
ll’uno come nell’altro un vincitore, spesso generoso, fu lo stromento
della
più barbara distruzione. Singolar cosa ! l’eccidi
inanzi nel suo trionfo i vasi sacri, il velo del santuario e il libro
della
legge ; la nazione giudaica sparì, e le sue cener
e usciva dalla Giudea ; anzi ella vide in questo esterminio una prova
della
sua verità ; e Roma, dopo aver distrutto una nazi
ioni. Il Cristianesimo solo fu da tanto : esso profittò dell’ordine e
della
pace fiorenti nell’impero per ispargersi con incr
e anime abbattute dall’oppressione ; e parlando in nome dell’umanità,
della
giustizia, dell’eguaglianza primitiva tra gli uom
assioni e di godimenti : il vecchio politeismo formava ancora la base
della
società romana : i suoi templi e i suoi idoli era
i signoreggiavano la serva fantasia. Le sue feste erano lo spettacolo
della
folla ; esso frammettevasi a tutto come un’usanza
to il linguaggio medesimo, a questo eran giunte di fare una cosa sola
della
virtù e del piacere. Da queste semplici osservazi
virtù e del piacere. Da queste semplici osservazioni si può giudicare
della
buona fede di quegli scrittori che hanno sostenut
mo, alle seducenti immagini d’una vaga mitologia, alla comoda licenza
della
morale filosofica, a tutti gli adescamenti delle
oppone le pompe del dolore : oppone riti gravi e lugubri, le lagrime
della
penitenza, le minacce del terrore, l’arcano dei m
enza, le minacce del terrore, l’arcano dei misteri, il tristo séguito
della
povertà, il cilicio, la cenere e tutti i simboli
llo ; da tutte parti s’accorre a goder dello spettacolo dell’agonia e
della
morte degli innocenti sgozzati ; e il barbaro gri
premio del pentimento lor promette l’immortalità, e già fa lor copia
della
speranza. La croce, sacro segno di pace e di salu
e, quasi nel più alto e cospicuo soglio, anzi quasi nella cima stessa
della
città,146 a giudicare assistete, il considerare a
orecchie. Questa invero per la sua causa non vi prega, perchè nemmeno
della
sua sorte si maraviglia, mentre, sapendo d’esser
, non potrebbero poi condannare. Laonde vi opporremo, per prima causa
della
vostra poca equità, l’odio che portate ai Cristia
e odiano ingiustamente quello che ignorano ; e questo è il testimonio
della
ignoranza, la quale, mentre scusa la poca equità,
più s’accresca e si perseveri in esso, operandosi così coll’ autorità
della
giustizia medesima. Dicono però costoro : Non è b
istesso trattamento. Noi siamo creduti rei come gli altri : ma essi o
della
propria bocca, o di mercenarj difensori si servon
i : anzi quegli estraggono dal riposo del sepolcro, dall’asilo sicuro
della
morte, già divenuti un’altra cosa e non interi, e
i suoi torti, e che si dolga di soffrire quel male, il quale fa prova
della
sua virtù. Che, se noi volessimo farla da nemici
ci scoperti, non da occulti vendicatori, ci mancherebbe egli la forza
della
moltitudine e degli armati ? Son forse in maggior
i, condannateci, riduceteci in polvere. La vostra iniquità è la prova
della
nostra innocenza. Perciò Iddio permette che soffr
semenza. Molti appresso di voi esortano alla tolleranza del dolore e
della
morte, come Cicerone nelle Tuscolane e Seneca, co
er le potestà secolari, per la quiete delle cose, per lo ritardamento
della
fine del mondo.150 Ci uniamo per rammemorare le d
te di Dio ; poichè quivi si giudica, ma con gran riguardo, come certi
della
presenza di esso. Talchè è un gran contrassegno d
rdo, come certi della presenza di esso. Talchè è un gran contrassegno
della
futura dannazione per colui che in tal modo pecca
metalli, o nell’isole, e nelle prigioni, solamente per la confessione
della
divina religione che professano. Tutte queste ope
, e si sono imbevuti d’un solo spirito di santità, e, dall’unico seno
della
medesima ignoranza usciti, sono restati abbarbagl
mo reputati legittimi, o perchè non vi è tragedia che faccia strepito
della
nostra fratellanza, o perchè siamo fratelli rispe
nesta, argomentatene l’ordine rimanente esserne secondo che l’obbligo
della
religione ci prescrive. Non ci ha luogo nè la vil
lenze o delle disonestà ;153 ma bensì ad attendere alla cura medesima
della
modestia e della pudicizia, come quelli che nella
onestà ;153 ma bensì ad attendere alla cura medesima della modestia e
della
pudicizia, come quelli che nella cena non cibaron
condannabile, se alcuno di quella si duole per la ragione stessa onde
della
fazioni suol darsi querela. In danno di chi ci ad
mo, che abbiamo il vitto ed il vestire stesso e le medesime necessità
della
vita ? Perciocchè nè siamo Bracmani, nè Ginnosofi
, di Maria Selvaggia Borghini.) Qual sarebbe al presente lo stato
della
società se il cristianesimo non fosse comparso ne
750. È probabilissima cosa che, senza il Cristianesimo, il naufragio
della
società e delle scienze sarebbe stato compiuto. N
nare si voglia, si trova sempre che l’Evangelio impedì la distruzione
della
società : perchè, supponendo da un lato ch’esso n
rversi al pari dei loro padroni, partecipavano degli stessi piaceri e
della
stessa vergogna, avevano una medesima religione ;
ed i mali dell’ateismo nei grandi, mentre lasciava ai piccioli quelli
della
superstizione. Il genere umano avea forse fatto v
glia dalla distruzione, convertendo i Barbari, e raccogliendo i resti
della
civiltà e delle arti, così avrebbe salvato anche
limento del nodo nuziale, che non è, a dir vero, se non il primo nodo
della
società ; la loro probità e la loro giustizia si
ocietà ; la loro probità e la loro giustizia si limitavano ai confini
della
patria, nè oltrepassavano l’estensione del propri
à dei Cristiani era necessario : bisognova che vi fossero dei martiri
della
castità, quando vi erano pubbliche inverecondie ;
o le leggi autorizzavano i più grandi delitti contro i costumi ; eroi
della
carità, quando vi erano mostri di barbarie : fina
r così dire, anch’essi i suoi atleti ed i suoi spettacoli nei deserti
della
Tebaide. Gesù Cristo può dunque con tutta verità
di questo divino Messia non sarebbe comparso se non dopo il naufragio
della
società. Chateaubriand. (Traduz. di L. Toccagni.
Iroppo letterale d’alcuni Iralli del Vangelo facea, nei primi secoli
della
Chiesa, credere vicina la fine del mondo. 151. I
compilati per servire ai giovani, che si applicano alla intelligenza
della
Mitologia, di cui vanno ripieni i libri classici
, che adottò il eh. Professore Francesco Soave, fatto, come ognun sa,
della
natura per insinuare destramente alla gioventù, g
assai più presso i Romani, che oltre ad avere adottali tutti gli Dei
della
Grecia, e molti pur dell’ Egitto, e delle altre n
che ì figli di Urano eran Titano e Saturno; che il primo a richiesta
della
madre cedette il regno del cielo al secondo, coll
e vi fu nutrito col mele, che le api corsero a formarvi, e col latte
della
capra Amaltea, cui dopo morto Giove trasportò in
Amaltea, cui dopo morto Giove trasportò in cielo nella costellazione
della
Capra, ed egli della pelle di lei si valse per co
rto Giove trasportò in cielo nella costellazione della Capra, ed egli
della
pelle di lei si valse per coprirsene il petto, e
La seconda, giusta il medesimo Esiodo, fu contro Tifeo ultimo figlio
della
Terra congiunta col Tartaro. Costui era un mostro
spaccare il cranio da Vulcano. La seconda moglie di Giove fu Temi Dea
della
giustizia, da cui ebbe le Ore Eunomia, Dice, ed I
sebben queste dal medesimo Esiodo sieno state prima dichiarate figlie
della
Notte. La terza moglie fu Eurinome figlia dell’ O
erere, che divenne madre di Proserpina. La quinta Mnernosine o la Dea
della
memoria, da cui nacquero le nove Muse. La sesta L
chi. Questi per ordine di Giove fu da Mercurio addormentato col suono
della
zampogna e col tocco del caduceo, e poscia ucciso
ni. Nata dal capo di Giove, e tutta armata, fu essa adorata come’ Dea
della
guerra sotto il nome di Pallade, e come Dea delle
tal maestria, che Minerva rimase vinta. Indispettita però di questo e
della
superba iattanza di Aracne le ferì essa colla spo
arla alla violenza di Nettuno, vendicossi di Aglauro col farla rivale
della
sorella Erse, come vedrassi nel Capo XII. parland
lauro l’ aveva aperta e temendo Minerva da quest’ esempio il pericolo
della
troppa loquacità della cornacchia, la discacciò,
temendo Minerva da quest’ esempio il pericolo della troppa loquacità
della
cornacchia, la discacciò, e si prese in vece di l
ima ne’ sacrificii era una capra. Capo VI. Di Marte, di Bellona, e
della
Vittoria. Figlio di Giove e di Giunone era Mar
uffragii Marte venne assoluto. Marte riguardavasi come Dio principale
della
guerra, e suoi ministri, secondo Esiodo, erano il
occasione di questa istituzione si fu, che avendo Numa per consiglio
della
ninfa Egeria chiesto a Giove un pegno della perpe
avendo Numa per consiglio della ninfa Egeria chiesto a Giove un pegno
della
perpetuità dell’ impero romano, egli mandò dal ci
o i giuochi Marziali ai 12 di Maggio, ed al primo di Agosto. Come Dio
della
guerra ci dipingevasi tutto armato; e ne’ sacrifi
rivasi il toro, il verre e l’ ariete, e qualche volta il cavallo. Dea
della
guerra teneasi pur Bellona chiamata Enio da’ Grec
o di Giove e di Giunone, alluder sogliono i poeti, e vi ebbe pure chi
della
sola Giunone lo volle figlio, come altri dissero
nlo ne’ suoi lavori, i cani d’ argento e d’ oro, che stavan a guardia
della
reggia d’ Alcinoo, le arme impenetrabili fatte pe
ere pur si trovono nominate da Cicerone: la prima figlia del Cielo, e
della
Giornata o Dea del giorno, che ebbe un tempio in
monte Ida, questi diè il pomo a Venere, che fu quindi tenuta come Dea
della
bellezza. Ma come tale, e neppur come Dea vollero
distolse, e scelleratamente le brame di lei secondando fra le tenebre
della
notte la guidò al letto del padre come un’ ignota
n terra alla fine giunse nella Sabea, ove fu trasformata nell’ albero
della
mirra, e dal tronco, di questo per se apertosi us
o tempo potè godere dell’ amor suo; perciocchè egli appassionatissimo
della
caccia, un giorno che malgrado le contrarie pregh
ase attonita, il coltello le cadde a terra, e una scintilla del fuoco
della
lucerna caduta sopra una spalla’ di Amore il ferì
te in mano una fiaccola accesa. Capo IX. Dell’ Aurora, del Sole, e
della
Luna. Figli d’ Iperione e di Tea son detti da
ità, ma non la perpetua giovinezza sicchè fatto decrepito, e de’ mali
della
vecchiezza continuamente lagnandosi, fu convertit
li che se ne sarebbe pentito. Cefalo a tai parole entrato in sospetto
della
fede di Procri, ne volle far prova, e presentando
sentendosi da lui negare di esser figlio del Sole, andò per consiglio
della
madre nella regia del Sole stesso, e per prova di
to alla terra sì accostò che ne arse essa, ed il mare. Alle preghiere
della
terra allor Giove fulminò il mal consigliato giov
disciolta in aura; finalmente con una bevanda incantata, e col tocco
della
Sua verga mutò ella in porci i compagni di Ulisse
era acquistata fece riguardare insieme con Apollo suo patire qual Dio
della
medicina. Il suo culto era specialmente in Epidau
olo, che rendevasi dalla sacerdotessa Pitia posta sul tripode coperto
della
pelle del serpente Pitone, e da questi luoghi ei
avasi come abilissimo arciero, coll’ arco e colla faretra, e come Dio
della
poesia e della musica, colla lira. Era pur tenuto
issimo arciero, coll’ arco e colla faretra, e come Dio della poesia e
della
musica, colla lira. Era pur tenuto insieme col fi
sica, colla lira. Era pur tenuto insieme col figlio Esculapio per Dio
della
medicina. Qual Dio della musica e della poesia er
tenuto insieme col figlio Esculapio per Dio della medicina. Qual Dio
della
musica e della poesia era egli chiamato preside e
col figlio Esculapio per Dio della medicina. Qual Dio della musica e
della
poesia era egli chiamato preside e condottier del
reside e condottier delle Muse figlie di Giove, e di Mnemosine, o Dea
della
memoria. Le Muse eran nove, e ciascuna aveva una
ca, Erato per la lirica. Il loro soggiorno poneasi nell’ Aonia, parte
della
Beozia sopra i monti Parnasio, Castalio ed Elicon
più antichi l’ abbiano interamente distinta. Era Diana tenuta per Dea
della
caccia, perchè di essa formava la sua occupazione
o in mare. Diana stessa era creduta castissima, e malamente gli amori
della
Luna con Endimione a lei vengono attribuiti. Anzi
ccia, che a quello diedesi, e alla quale concorsero i principali Eroi
della
Grecia, essendo Atalanta figliuola di Giasio re d
i ascoltanti. Per ultimo a lui venne attribuita eziandio l’ invenzion
della
lira, che si disse da lui formata la prima volta
di cui furono istituite le feste Sabazie; il quarto figlio di Giove e
della
Luna, a cui dedicate si dissero le feste Orfiche;
no gustato ancor alcun cibo. Ma avendo Ascalato figlio di Acheronte e
della
Nolte manifestato, che nei giardini di Plutone av
re, e veduta da lui nuovamente, e pur nuovamente si trasformò, usando
della
facoltà che Nettuno le avea concesso. Così seguit
he e di papaveri perchè dicevasi, che nell’ afflizione per la perdita
della
figlia non potendo mai prender sonno, con questi
era a conciliarselo. Portava pure la fiaccola con cui andò in traccia
della
figlia, e la falce con cui si miete il frumento.
attiture, ed ella era portata con lugubre pompa sopra i una bara fuor
della
porta Collina, e sepolta viva in una stanza sotte
lletaralo. Capo XVI. Della Terra, e degli Dei terrestri. La Dea
della
terra, detta da Esiodo con proprio nome Gea, e da
unte nella Frigia, ove specialmente era adorata. Finalmente, come Dea
della
terra, e madre de’ massimi Iddii, fu nominata mad
acre si celebravano ai 4 di Aprile, le opali ai 19 Dicembre. Le feste
della
Dea buona celebravansi alle calende di Maggio nel
sole donne, senza che alcun uomo potesse intervenirvi. Nelle viscere
della
terra fu posta da Pronabide la sede di Demogorgon
Dio terribile, che noti era permesso di nominare, e che si dice padre
della
discordia di Pane, delle tre Parche, di Pitone, e
discordia di Pane, delle tre Parche, di Pitone, e del Cielo stesso e
della
Terra. Fra gli Dei terrestri prima a dover nomina
Feste palilie a lei sacre si celebravano in Roma ai 21 di Aprile. Dio
della
gregge e de’ pastori era pure tenuto Pane figlio
offertasi una troia. Fauno, altro Dio campestre figlio di Mercurio e
della
Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli al me
legno in mano per allontanare i ladri e gli uccelli. In Lamsaco città
della
Misia aveva egli il culto primario. Era tenuto co
incendiato, e volendo perciò gli abitanti recare altrove il simulacro
della
Dea, ella fece in un subito rinverdire tutte le p
Dea de’ liberti, perchè i servi nel suo tempio ricevevano il cappello
della
libertà. Pomona Dea de’ fruiti fu amata dal Di o
sostanze lasciato erede il popolo romano. Aristeo figlio di Apollo e
della
ninfa Cirene fu creduto inventore dell’ arte di f
a madre Cirene, questa il guidò a Proteo, che gli scoperse la cagione
della
morte delle api; ed allora fatti per consiglio de
perse la cagione della morte delle api; ed allora fatti per consiglio
della
madre de’ sacrifici onde placare Euridice e le Ni
ella, che a’ buoi; Seia o Segezia la Dea delle sementi; Matura quella
della
maturità; Lactura o Lactucina la Dea del latte; M
Dal Genio e da una vergine Sabina diceasi nato il Dio Fidio fondatore
della
città di Curi, adorato da’ Sabini, e poscia ancor
allontana i mali e i pericoli; come era ài Dio de’ conviti; Momo quel
della
satira e del riso. Era Martea venerala dargli ere
li Dei marini. Primo Dio del mare, secondo Esiodo, fu Ponto figlio
della
Terra e Padre di Nereo a cui Dori figlia dell’ Oc
guardato come Dio nel mare, ma come un fiume, che unito a Teli figlia
della
Terra divenne padre di tutti i fiumi, e delle Nin
so Omero è Nettuno caratterizzato coi titoli di cingitore, e scotitor
della
terra. Rappresentavasi con chiome cerulee, e col
del gregge marino era Proteo figliuolo dell’ Oceano e di Teli figlia
della
terra, il quale da Nettuno avea per ricompensa ot
emo. Essa spregiandolo si accese in cambio, per Aci figlio di Fauno e
della
ninfa Simetide. Ma avendolo Polifemo con lei sorp
ed ella poscia cangiollo in fiume. Forco o Forcine figlio del Ponto e
della
Terra, secondo Esiodo, fu padre delle Gree, delle
ansi Partenope, Ligia e Leucosia. Leonzio le vuoi figlie di Acheloo e
della
Musa Tersicore, e ne nomina quattro Aglaosi o Agl
questa il nome di Partenope fosse dato. Scilla era figlio di Forco e
della
ninfa Cratea. Fu amata perdutamente da Glauco, il
to di Messina. Scilla dalla parte dell’ Italia, e Cariddi dalla parte
della
Sicilia. Capo XVIII. Di Eolo, e de’ Venti.
o. Allorchè Giove seppellì, come è detto nel Capo III, sotto a’ monti
della
Sicilia Tifeo, si agitò questi sì fattamente, che
e Parche Cloto, Lachesi ed Atropo, cui Esiodo in un luogo dice figlie
della
Notte, e in un altro figlie di Giove e di Temi. L
nni, o Eumenidi, Tisifone, Megera ed Aletto, figlie dell’ Acheronte e
della
Notte, aveano già nell’ Inferno l’ ufficio di tor
e e punitrice delle colpe in questa vita era Nemesi o Adrastea figlia
della
Notte secondo Esiodo, e secondo altri figlia di G
figlia della Notte secondo Esiodo, e secondo altri figlia di Giove e
della
Necessità, che essendo particolarmente venerata i
e o Piriflegetonte, Lete e Stige. Acheronte diceasi figlio del Sole e
della
Terra e cangiato in fiume infernale, per aver for
dal consorzio e dalla mensa de’ Numi. Caronte figliuolo dell’ Erebo e
della
Notte, vecchio ma di robusta e verde vecchiezza,
igliuolo di Giove, e di Egina, e re di Cenopia, o Enona, cui dal nome
della
madre chiamò Egina. Il luogo del premio era un de
to di quelle occupazioni, che più aveano amate qui in terra. Il luogo
della
pena era il Tartaro; e i più famosi condannati er
ve Giove l’ aveva chiusa per occultarla a Giunone, fu detto figliuolo
della
Terra. Avendo voluto far violenza a Latona, fu eg
a circondata da serpenti e che sempre gira. Tantalo figlio di Giove e
della
ninfa Piote in un convito offerto agli Dei, per f
ella ninfa Piote in un convito offerto agli Dei, per fare esperimento
della
loro divinità, diè loro a mangiare il proprio fig
ita; indi condannarono Tantalo giù nell’ Inferno all’ eterno tormento
della
fame, e della sete, ponendolo in mezzo alle acque
annarono Tantalo giù nell’ Inferno all’ eterno tormento della fame, e
della
sete, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giun
Giove medesimo, non ne fu liberato. Altri voglion però che la cagione
della
spedizione di Pandora e della punizione di Promet
rato. Altri voglion però che la cagione della spedizione di Pandora e
della
punizione di Prometeo sia stata, che avendo quest
mondo, n’ ebbe in risposta, che si gettasse dietro le spalle le ossa
della
gran Madre. Comprese doversi per questa intender
da’ Teleboi, e’ per istarsi più lungamente con lei triplicò il corso
della
notte. Poco dopo sopravvenne lo stesso Anfitrione
gola, gli trasse la pelle, e n’ andò poi sempre coperto per monumento
della
sua vittoria. 2. Pugnò nel paese di Argo coll’ Id
carni, e poscia gli uccise. 6. Sconfisse in riva al Termodonte fiume
della
Cappadocia le Amazoni, che la signoreggiavano sol
ue colonne, su cui era scritto: Non più oltre. Lottò con Anteo figlio
della
Terra, e veggendo che atterrato ei sorgeva sempre
Capo X.), e avendogli l’ infedele Laomedoate negato poscia i cavalli
della
razza di quei del Sole, che in ricompensa gli ave
r di cangiarsi in varie forme avea pure Acheloo figlio dell’ Oceano e
della
Terra, il quale venne a tenzone con Ercole. Per D
abbondanza; sebbene altri per corna deli.’ abbondanza intendan quelle
della
capra Amaltea, intorno a cui veggasi il capo III
ntendan quelle della capra Amaltea, intorno a cui veggasi il capo III
della
prima parte. Ma fu Ercole in procinto di perdere
III della prima parte. Ma fu Ercole in procinto di perdere il fruito
della
sua vittoria; perciocchè giunto con Deianira al f
ero sovra di lui acquistato, il costrinse a trarre invece dei dardi e
della
clava la rocca ed il fuso. Dopo ch’ ebbe sposata
i, e che ottenne quivi in isposa Ebe figlia di Giove e di Giunone Dea
della
Gioventù, dalla quale pur conseguì che Gioluo fig
e perissero. Ma questa, secondo alcuni, fu portata dall’ onde ai lidi
della
Puglia, ed ivi raccolta da’ pescatori e recata al
de’ Rutoli e fabbricata Ardea, fu poi padre di Turno), paese per cura
della
educazione di Perseo. Secondo altri, la cassa, do
ea cacciato Acrisio dal regno di Argol, indi Polidette, che invidioso
della
gloria di lui, cercava per ogni maniera di diffam
, lo spedì per ultimo a combattere la Chimera, che infestava il monte
della
Licia del medesimo nome. Era la Chimera un mostro
esse, e diede l’ altra a Biante suo fratello. Capo V. Di Meleagro,
della
caccia del cignal Calidonio, d’ Atalanta, e d’ Ip
e Plessippo, egli adirato gli uccise. Ma fu questa uccisione cagione
della
sua morte; perocchè Altea di ciò irritata, rimise
e Atalanta si perdette a raccoglierli, giunse ad avanzarla. Il premio
della
vittoria fu Atalanta, che Ippomene sposò; ma scor
ò bastaron ad aiutarlo nella edificazion di Tebe, che fu poi capitale
della
Beozia, così detta in memoria del bue sopraccenna
furono poi fabbricate da Anfione, il quale secondo le favole al suon
della
lira trasse le pietre a soprapporsi l’ una all’ a
Tebe entra nel fiume Ismeno. Capo VII. Di Edipo, de suoi figli, e
della
guerra di Tebe. Edipo era figlio di Laio figli
tenopeo, e con questi si mosse contro di Tebe. Anfiarao però, ch’ era
della
famiglia dell’ indovino Melampo, e prevedeva di d
eo; e Alcmeone eseguito il fiero comandamento paterno coll’ uccisione
della
madre, fu per lungo tempo agitato dalle furie; in
nte cercò destramente di allontanarlo, animandolo alla grande impresa
della
conquista del vello d’ oro, il quale veniva riput
onquista del vello d’ oro, il quale veniva riputato come sicuro pegno
della
prosperità dello stato che il possedesse. Era que
figli di Atamante re di Tracia e di Nefele, fuggendo le persecuzioni
della
madrigna Ino, si argomentarono di passare lo stre
foci dell’ Istro o Danubio, e se ne venner contr’ acqua fino a’ monti
della
Liburnia, di dove trasportata la nave per terra n
secondo alcuni, di Apollo, e secondo altri, di Onagro re di Tracia e
della
Musa Calliope, fu a tempi suoi insigne musico e p
gi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole, che al suono
della
sua lira traeva le piante e le fiere, ed arrestav
ea era divenuta moglie di Egeo, corse grave pericolo di esser vittima
della
malvagità di questa donna, perciocchè o temesse d
ce Omero, figliuolo di Giove e di Melata moglie d’ Issione, invidioso
della
gloria di lui venne colle sue genti nell’ Attica
tmo di Corinto. Ma infelici a cagione di Fedra furono gli ultimi anni
della
sua vita. Erasi questa d’ incestuoso amore accesa
presso il marito di averle voluto fai forza. Teseo irritalo, e memore
della
promessa che fatta gli avea Nettuno di appagarlo
empio padre, come è già detto, dato in pasto agli Dei per far pruova
della
loro divinità, e da essi risuscitato ebbe una spa
con Erope moglie di Atreo se ne fuggi; ma Atreo covando il desiderio
della
vendetta, lo richiamò protestando il perdono, ind
o di Priamo re di Troia, armossi tutta la Grecia per riaverla, e capo
della
Spedizione fu fatto Agamennone. Mentre l’ armata
ne fu fatto Agamennone. Mentre l’ armata era raccolta in Aulide porto
della
Beozia, trattenuta ivi da venti contrari, il sace
ali Greci, Troiani, e loro ausiliari, che vi ebbero parte. Cagione
della
guerra troiana fu Paride, altramente detto Alessa
l che essendo stato interpretato che cagionare ei dovesse l’ incendio
della
Città e del regno, Priamo il fe appena nato espor
a. Ivi dalla pastorella Enome ebbe egli Dafni e Ideo; e fatto giudice
della
bellezza tra Giunone, Pallade, e Venere, di cui l
none, e Menelao procurarono di trarre al lor partito tutti i principi
della
Grecia, de’ quali i primari furono Achille figlio
Anchise e di Venere; a’ quali si aggiunsero Antenore re di una parte
della
Tracia coi figli Elieaonio e Polidamante; Melinon
ebbe questi perito, l’ occultò sotto abito femminile tra le damigelle
della
corte di Licomede re di Stiro, ove dalla figlia d
artire con seco. Filottete era stato compagno di Ercole, e testimonio
della
morte di lui. Ercole volle che le sue frecce tint
a lasciarlo in Lenno, dove Ulisse poi venne a riprenderlo sulla fine
della
guerra, e condotto a Troia vi fu guarito da Macao
tempo si astenne dal voler più prender parte a quella guerra. Cagion
della
lite si fu, che essendo Venuto Crise sacerdote di
a più comunemente sotto al nome di Criseide, la quale nella divisione
della
preda fatta da’ Greci nella espugnazione di Crisa
visione della preda fatta da’ Greci nella espugnazione di Crisa città
della
Frigia era toccata ad Agamennone, questi lo ribut
nella città introdotto. Intanto Sinone a notte buia diede dall’ alto
della
rocca con una fiaccola il segno a quelli che diet
e spezialmente di Ulisse dopo la rovina di Troia. Superbi i Greci
della
loro vittoria più non pensarono che a ridursi all
Telamone, e ricoveratosi in Cipro vi fondò poi la città, che dal nome
della
patria intitolò pur Salamina. Diomede, secondo Om
cessò di perseguitarlo, finchè in Itaca non fu giunto. Radendo i lidi
della
Sicilia, venne egli all’ isola Eolia, ossia a Lip
insepolto; poi da Tiresia udì i futuri suoi casi; ragionò coll’ anima
della
madre Anticrea, con quelle delle antiche donne pi
a’ compagni le orecchie eoa cera, e facendosi egli legare all’ albero
della
nave: schivò il mar burrascoso alle pietre errant
i, che avanzarono da quella guerra, e che dopo la presa e l’ incendio
della
città salvi e liberi ne partirono, furono Antenor
non lo manifestò: dopo l’ incendio di Troia partì cogli Eneti popoli
della
Paflagonia, che sotto Troia perduto aveano il re
lo d’ Ilo re di Troia, fu anch’ egli accusato da alcuni come traditor
della
patria. Omero però nell’ Iliade lo dipinse come u
lia di Priamo, che poi si smarrì, e andò a riamarsi ad Andandro città
della
Frigia alle radici del monte Ida. Quivi raccolti
da cui origine traeva Dardano nativo di Conto ora Cortona, fondatore
della
città Dardania, che ingrandita da Troe fu poscia
da Eleno, che era pur vate, l’ avviso di non approdare a’ vicini lidi
della
Calabria e della Puglia, perchè erano abitati dai
pur vate, l’ avviso di non approdare a’ vicini lidi della Calabria e
della
Puglia, perchè erano abitati dai Greci, di non fi
de il padre Anchise. Di là salpando fu dalla tempesta gettalo ai lidi
della
Libia, ove dice Virgilio che Didone vedova di Sic
di ardentissimo amore per lui si accese. Ma Jarba, figlio di Giove e
della
Ninfa Garamantide, che era stato prima da lei rif
no Didone e eoa rimproveri e con preghiere, e con interporre l’ opera
della
sorella Anna, sforzossi di trattenerlo, finchè ve
a ritornare in Sicilia presso di Aceste, ove correndo l’ anniversario
della
morte di Anchise, celebrò solennemente i giuochi
conobbe Deifobo ed altri Troiani e Greci; quindi mostratogli a manca
della
Sibilla il luogo, ove tormentati erano i colpevol
ri. Amata credendo Turno ucciso si appicca. Turno vedendo l’ incendio
della
città vi accorre, ed è ucciso da Enea. Fin qui Vi
acqua, l’ aria, il fuoco, è la terra. Da questo caos il trasse il Dio
della
natura e ne formò il Mondo. Sotto al regno di Sat
ggiore, la decide contro il parer di Giunone, che sia maggiore quello
della
femmina. Giunone di ciò irrirata l’ accieca, e Gi
on vedrà mai se stesso. Or essendosi questi chinato un giorno, stanco
della
caccia, ad una fonte per bere, veduta in esso la
e Clizia in girasole. Parte I. Capo IX. La ninfa Salmace in una fonte
della
Caria abbraccia Ermafrodito figlio di Mercurio e
ario era stato portato in cielo nel segno di Boote, Erigone in quello
della
Vergine, e Mera in quello elei la canicola. Le do
a in pietra nel monte Ida insieme col marito, che a parte vuol essere
della
pena. Il giovane Cisso saltando nelle feste di Ba
ra figlia di Cinira s’ innamora del padre; è trasformata nell’ albero
della
mirra; da questo nasce Adone, che poi è amato da
ecimo anno. Parte II. Capo XI. Sacrificio d’ Ifigenia, e sostituzione
della
cerva in suo luogo. Parte II. Capo XI. Cene figli
ti in bianchi uccelli simili ai cigni. Parte II. Capo XIV. Un pastore
della
Puglia insultando la Ninfe con ingiuriose parole
Banier incominciò dal culto degli astri, e principalmente del Sole e
della
Luna. Da questo, si passò al culto del Fuoco, del
sò al culto del Fuoco, dell’ Aria, e de’ Venti, del Mare e dei Fiumi,
della
Terra e de’ Monti, e finalmente a quello degli Uo
appresentati da un sasso informe o da’ un tronco offerivansi 1 frutti
della
terra, e non più. A poco a poco incominciaronsi a
no, ed il Panteon che tuttavia sussiste. Ne’ sacrifici oltre a frutti
della
terra incominciaronsi a offerir gli animali; e ne
uaste o infette, che era di augurio sinistro; per ultimo una porzione
della
vittima abbruciavasi in onor degli Dei, il resto
in Roma le Vestali custodi del fuoco di Vesta, e in molle parti cosi
della
Grecia, come dell’ Italia le Baccanti, o Menadi,
nfine a dieci. Gli Aruspici erari quelli che osservavano le interiora
della
vittima; e gli Aruspici si dissero istituiti da T
tere da’ movimenti e dalle posizioni degli astri, e da altri fenomeni
della
natura predire i futuri eventi, come se queste co
o di Trofonio, il quale rendevasi in una caverna presso Lebadea città
della
Beozia. Era Trofonio figlio di Ercino re di Orcom
n lago andavano al fondo, contrarie se rimanevano a galla. L’ oracolo
della
Fortuna a Preneste e ad Anzio rendevasi per via d
isone; 5. L’ Eritrea, che secondo Varrone e Apollodoro vivea al tempo
della
guerra troiana, e secondo Eusebio ai tempi di Rom
, che prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa funebre, al tempo
della
quale si celebrava la memoria delle loro imprese(
olle fare altresì il propostosi sacrifizio ; ma temendo ; che l’acqua
della
mentovata fontana fosse infettata dal veleno del
e Ino, detta da’Greci Leucotea(b) (5). Cadmo, anche lontano dagli agi
della
paterna Reggia, poteva chiamarsi felice. La glori
figliuola, Danao, in una torre di bronzo(1). Giove però, invaghitosi
della
di lei bellezza, si cangiò in pioggia d’oro ; pen
l suo trionfo. Scorse a volo molte terre, finchè giunto alle spiaggie
della
Libia, quella deforme testa versò delle gocce di
ie. Perseo, volendo lavarsi le mani, tinte di sangue, depose la testa
della
Gorgone sopra certi giunchi teneri e pieghevoli ;
he i due celebri Lapiti, Brotea e Orione, nati da Micala, famosa Maga
della
Tessaglia, la quale co’ suoi incantesimi più volt
erire sul monte Pelio appresso il Centauro Chirone. Questi prese cura
della
di lui educazione, gl’insegnò molte scienze, e sp
he Frisso stesso avea colà portato, e di cui Eeta, figlio del Sole, e
della
Ninfa Perseide(5), e re di quel paese, erasi impa
olo l’eroica azione, ma cinquanta quattro de’ più illustri personaggi
della
Grecia si unirono seco lui, per cogliere anch’ eg
ti gentilmente, e li ricolmò di doni Nella notte, che seguì il giorno
della
lofo partenza, un vento contrario li fece rientra
indimena(a).Un contrario vento spinse pure la nave, Argo, sulle coste
della
Lidia, e per molto tempo la trattenne nel Lago Tr
na vita errante, mentre si riposava sulla spiaggia del mare all’ombra
della
nave stessa, con cui avea fatto il famoso viaggio
ia, dove, essendosi riconciliato con Medea, e avendo dato varie prove
della
sua prudenza e del suo invitto valore, meritò dop
in Tebe da Giove e da Alcmena, moglie d’Anfitrione(1). L’istoria poi
della
vita dì lui venne ornata co’ maravigliosi fatti d
n araldo, chiamato Copreo. Dicesi, ch’ Ercole siasi formata una veste
della
pelle di quel leone, la quale a guisa di glorioso
ne, la quale a guisa di glorioso trionfo portò indosso tutto il tempo
della
sua vita(c) (5). Mentre Ercole si avviava a comba
mmessa da Euristeo ad Ercole, consistette nel dover combattere l’Idra
della
palude di Lerna.L’Eroe sopra un carro, guidato da
oe sopra un carro, guidato da Iolao, figlio d’Ificlo, re d’un cantone
della
Tessaglia, e suo particolare amico(6), s’accinse
(d). Euristeo impose altresì ad Ercole, che gli recasse il Cinghiale
della
selva d’Erimanto, il quale furiosamente desolava
uel Cinghiale, alloggiò appresso il Centauro Folo, figlio di Sileno e
della
Ninfa Melia, il quale gli diede a bere certo vino
chiamò Foloc(b). Era parimenti dovere d’Ercole l’uccidere gli uccelli
della
palude di Stinfalo, città dell’ Arcadia. Quelli e
a Nettuno un giovane toro. Pasifae, moglie dello stesso re, invaghita
della
bellezza di quell’animale, ne impedì il sacrifizi
nome d’ Ippottono Alzò poi una tomba al predetto giovine, e appresso
della
medesima fabbricò una città, che dal nome di lui
icevuto da Euristeo il comando di portargli la zona, ossia la cintura
della
Regina delle Amazoni, Antiope. L’ Eroe insieme co
lo ammalò. Volea egli fare la pace co’Molioni, ma queglino, informati
della
di lui malattia, si prevalsèro dell’occasione, e
dna, e un Cane, di nome Ortro, il quale pure avea due teste. Ministro
della
crudeltà di Gerione era un certo Eurizione. Ercol
il predetto di lui figliuolo, Ila(a) (19). Anteo, figlio di Nettuno e
della
Terra, ere della Libia, era un formidabile gigant
i figliuolo, Ila(a) (19). Anteo, figlio di Nettuno e della Terra, ere
della
Libia, era un formidabile gigante, cui si davano
d’ Anteo ; che n’ebbe un figlio, di nome Siface, il quale divenne re
della
Mauritania ; e che fabbricò una città, che chiamò
(c). Stanco poi Ercole de suoi travagli si pose a dormire sulle arene
della
Libia. Quivi venne assalito da un infinito numero
lo, Anfidamante, Calbe, suo araldo d’armi, e tutti gli altri ministri
della
di lui crudeltà(d). Termero, famoso assassino del
ntre egli passava dinanzi alla porta d’ Ippocoonte, figlio di Ebalo e
della
Najade Batea, avvenne che un cane, custode di que
cole(b). L’Eroe mise a morte Filolao, figlio di Minos, re di Creta, e
della
Ninfa Paria, perchè egli aveva ucciso due de’ di
minò Campo lapideo (d). Piplea, pastorella, amata da Dafnide, pastore
della
Grecia, venne rapita da’corsari, e venduta a Liti
testa. Gli fu condotto Dafnide, il quale sarebbe pure caduto vittima
della
di lui crudetà, se non fosse giumo opportunamente
di Litierse(a). Erice, figlio di Bute e di Venere, e re d’un Cantone
della
Sicilia, detta poi da lui Ericia, riputavasi invi
ole, ch’era giunto ne’di lui Stati co’ buoi di Gerione. Le condizioni
della
gara furono, che se restava superato Ercole, ques
non iscuoprisse ove quelle si trovavano. L’ Eroe passò col rimanente
della
sua mandra vicino alla caverna, e dal muggito d’u
ed uccise Cigno, figlio di Marte, il quale disputò secolui il premio
della
Corsa a cavallo. Marte, per vendicare la morte de
, fu legato, ad una colonna. Dopo alquanto di tempo si destò, guarito
della
sua frenesia. Conobbe allora la strage, che avea
eloo, figlio dell’ Oceano e di Teti, o, come altri vogliono, del Sole
della
Terra, perchè anche quegli aspirava alle nozze di
re di Lidia(27), il quale, essendo morto senza figli, la lasciò erede
della
corona. Colei si valse superbanente del potere, a
vestiti, ed ella aveasi indossata la pelle di leone, ed erasi armata
della
di lui clava. Oppressi amendue dal sonno, si cori
ostò più d’appresso ad Ercole. Questi, destatosi, lo lanciò nel mezzo
della
grotta. Onfale pel sussuro si svegliò anch’ella ;
vano la Lidia. Marciò pure contro i Cercopi, popoli vicini agli Stati
della
predetta Regina i quali costringevano gli ospiti
il sacrifizio e l’altare, cominciò ad empiere di strida l’Oeta, monte
della
Tessaglia, e tentò di spogliarsi della mortifera
mpiere di strida l’Oeta, monte della Tessaglia, e tentò di spogliarsi
della
mortifera veste. Ovunque però la tirasse, cessa t
trare dell’ acqua ad Ercole sitibondo, perchè ella celebrava là festa
della
Dea delle donne, al tempo della quale non era lec
bondo, perchè ella celebrava là festa della Dea delle donne, al tempo
della
quale non era lecito agli uomini gustare alcuna c
gli si offerirono molti sacrifizj. I Tebani pure, e gli altri popoli
della
Grecia gl’ inalzarono tempj e altari (b). Gli Ate
roe, giunto a Cadice nella Spagna, e credendo d’aver tocchi i confini
della
terra, separò le due montagne, Calpe ed Abila, e
l tramontare del Sole. Pinario e Potizio fecero insieme il sacrifizio
della
mattina, ev’ osservarono le ceremonie, ch’ erano
osservarono le ceremonie, ch’ erano state loro prescritte. Quello poi
della
sera si fece da Potizio solo, perchè Pinario non
Ercole esorcitò la sua protezione spezialmente verso Fillio, giovine
della
Beozia. Iria, donna pure della Beozia, avea un fi
one spezialmente verso Fillio, giovine della Beozia. Iria, donna pure
della
Beozia, avea un figlio di rara bellezza, nominato
to Teseo all’età di sedici anni, quando Etra gli manifestò il secreto
della
di lui nascita. Il giovane rovesciò l’anzidetto s
lo uccise, e portò sempre con se quella clava, come il primo trionfo
della
sua virtù(c)Incontrò poscia nell’ Istmo di Corint
montagne di Cuma. Là v’ eresse un tempio ad Apollo in riagraziamento
della
sua felice fuga, consecrò a quel Nume le sue ali,
stro, nato da Pasifae, moglie dello stesso Minos, e figlia del Sole e
della
Ninfa Perseide. Aveva la testa di toro, e nel cim
va i più alti alberi, e a Tereo, assuefatto a predare orsi nelle tane
della
Tessaglia. Non sofferì Demoleonte, che Teseo prog
ia, Piritoo e Teseo, a cui era pur morta Fedra, sua moglie, e sorella
della
mentovata Arianna, stabilirono di procurarsene ci
i dopo molti secoli onorarono le ceneri di Teseo(b). Conone nel mezzo
della
città gli alzò un tempio, che divenne asilo a’ se
ste, e ne accrebbe la gloria e lo splendore. Riparò le fortificazioni
della
Capitale, e v’aggiunse una Cittadella, detta Perg
esso re poi sposò Ecuba, figlia di Dimante, che regnava in un cantone
della
Frigia(d), o di Cisseo, re de’ Trasi(e). Colei gl
se con dimostrazioni di singolare benevolenza. Ma paride, invaghitosi
della
di lui moglie, Elena, figlia di Tindaro, approfit
a, e re d’ Etiopia(17) ; Protenore, fratello d’ Arcesilao, e principe
della
Beozia(18) ; Ippotoo, figlio di Lito(19) ; Protoo
o secondo Ditti Cretese (a) (25) ; Rigmo, figlio di Pireo, e principe
della
Tracia(26) ; Satnio, figlio d’Enope e della Ninfa
glio di Pireo, e principe della Tracia(26) ; Satnio, figlio d’Enope e
della
Ninfa Naide(27) ; Mori, figlio d’Ippozione(28) ;
Secondo una Tradizione, riferita da Servio, Pirro trasse Priamo fuori
della
di lui Reggia, gli recise la testa, la ripose sul
). Trionfò altresì di Protesilao, figlio d’ Ificlo, e re d’un Cantone
della
Tessaglia(a) (2). Finalmente nise a morte Anfimac
ima di nascere fu conosciuto come quello, che doveva essere la rovina
della
sua pattia. Ecuba, rimasta di lui incinta, sognò
e. Ecco come ciò avvenne : Peleo, figlio d’ Eaco, re degli Egineti, e
della
Ninfa Endeide, figlia del Centauro Chirone(a), o
gli Egineti, e della Ninfa Endeide, figlia del Centauro Chirone(a), o
della
Ninfa Egina(b) (2), essendo per isposare Tetide,
cidere quale di loro fosse la più avvenente. Paride fu eletto giudice
della
questione. Ciascuna di esse fecegli generose offe
mise la gloria delle armi ; e Venere s’impegnò di renderlo possessore
della
più bella donna, che vi fosse stata al mondo. Par
praggiunse la peste, e gli Dei Penati gli manifestarono, che il luogo
della
sua antica origine era l’Italia. Anchise si ramme
, città gliando Enea tentare per placare Giunone, e a consultae porto
della
Sicilia, ed ivi ebbe a sofferire il dolore di ved
potuto recarsi, ove desiava. Così avvenne ; e l’Eroe tragli Antenati
della
sua famiglia s’abbattè nell’ombra d’Anchise da cu
ggie di Gaeta. Da di là con propizio vento, passati i perigliosi lidi
della
Maga Circe, entrò nell’imboccatura del Tevere, do
si trasferì in Laurento, paese del Lazio. Latino, figlio di Fauno, e
della
Ninfa Marica, n’era il re, ed aveva un’unica figl
i, andato a posarsi sopra un antico alloro, posto in mezzo al cortile
della
Reggia di Latino, diede occasione di presagire, c
itale del suo Impero. Egli fu altresì nominato per supremo Comandante
della
Greca armata contro i Trojani (d). Allestì da se
re forze ancora, voleva subito Agamenonne spiegare le vele alla volta
della
nemica città ; ma una calma nojosissima lo andava
secondo il solito un sacrifizio a Giove e agli altri Dei, protettori
della
navigazione(18), con propizio vento approdò alle
i Agamenonne avea affidaso durante il tempo delle sua assenza la cura
della
sua famiglia e del suo Regno(23). Colei, mal comp
inata Criseide, perchè era figlia di Crise, gran sacerdote di Apollo,
della
città di Limessa, e alleato de’Trojani. Questi ad
itennestra. Fu allevato nella Corre di Strofio, figlio di Criso, e re
della
Focide, il quale aveva sposato una sorella di Aga
ia. Ivi si dichiatò come incaricato da Strofio di portarvi la notizia
della
morte d’Oreste(2) ; e introdotto appresso Clitenn
liersi da se la vita ; ma Apollo, che gli aveva comandata l’uccisione
della
di lui madre, fece sì, che i di lui, concittadini
ero a riconoscersi. e subito pensarono al modo di rapire il simulacro
della
Dea, e di fuggirsene. Ifigenia finse, che i due s
ti, avessero colla loro presenza contaminato il tempio e il simulacro
della
Dea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva
azzuffarsi. Paride, come abbiamo esposto, avea sfidato i più valorosi
della
Greca Nazione ; ma poi al solo vedere Menelao tal
ani si dimostrò molto barbaro, perciocchè volendo avviarsi alla volta
della
Grecia, ed essendone sempre contrastato da’venti,
a ritirarsi nella Libia(b). Menelao dopo morte ebbe in Terapne, città
della
Laconia, un tempio. Là gli si celebravano certe F
ata anche Elena(c). Achille. Achille fu figliuolo di Peleo, re
della
Tessaglia, e di Tetide, figlia di Nereo e di Dori
Peleo fece voto di consecrare quella di Achille allo Sperchio, fiume
della
Tessaglia, se lo stesso dopo quella guerra si fos
n soccorso di Troja(7). Alfine la mise a morte(8), e nello spogliarla
della
sua armatura la osservò talmente bella, che ebbe
ccise(9). Achille mise pure a morte Calcone, nato in Ciparisso, città
della
Grecia, il quale era passato nel Campo Trojano pe
vò alla fine dal braccio lo scudo, ed ora con esso, ed ora col manico
della
spada ammaccò la faccia e le tempie del nemico, c
sopravvivendo ancor quel misero, Achille si fece a serrargli co’lacci
della
stessa di lui armatura la gola, ed a torgli in sì
nalterabile nella determinazione di non più trattare le armi a favore
della
sua nazione(b). Il Trojano esercito intanto conti
à portata per seguire il suo fratello, Tene(11). Achille, invaghitosi
della
di lei bellezza, voleva per forza farsela sua. Ne
abitanti, che morivano di sete, non molto dopo gli aprirono lo porte
della
loro città(a). Una cosa quasi del pari gli avvenn
lungo le rive del mare(c). Ulisse giovò moltissimo a’ Greci nel tempo
della
guerra Trojana sì co’ suoi consigli, che col suo
sofferì una nuova burrasca, per cui videsi trasportato a quella parte
della
costa d’Africa, che abitavano i Lotofagi, così de
corresse. Non molto dopo il Ciclope, altamente gemendo, aprì la porta
della
caverna per condurre secondo il solito i greggi a
i lui compagni si recarono al palagio di quella Maga, e nell’ingresso
della
Reggia vennero accolti da gran numero di lupi, fr
palagio, non incontrò la trista sciagura, e corse ad avvertire Ulisse
della
funesta trasformazione de’suoi compagni. Recavasi
funesta trasformazione de’suoi compagni. Recavasi l’Eroe alla Reggia
della
Maga con animo di prenderne vendetta, quando gli
sero il canto fatale di quelle. Egli stesso si fece legare all’albero
della
nave, eordinò che niun riguardo si avesse a lui,
oavità del canto, il quale avea ottenuto in dono dalle Muse in cambio
della
perduta vista. Appenachè si compì il pranzo, Alci
). L’Eroe finalmente, di cui parliamo, esperimento gli effetti fatali
della
presunzione. Gli Dei lo punnodo colla pazzia, e d
ia di pecore, credendo ch’essa fosse coloro, ch’erano stati i giudici
della
predetta questione. Ritornato poi in se, e confus
e Polluce, appena nati, vennero da Mercurio portati in Pellena, città
della
Laconia, per esservi allevati(a). Si segnalarono
alli(b) : anzi vuolsi, ch’egli sia stato il primo ad introdurre l’uso
della
cavalleria in tempo di guerra(c). Febe, e Talaira
isposarsi con Linceo ed Ida, figliuoli di Afareo o Afarete, fondatore
della
città di Arene nella Messenia, la quale città egl
di Talama, città situata ne’ dintorni di Pefno, altra città marittima
della
Laconia, rappresentarono questi Gemelli in due st
punta di quella(c) (7). Panormo e Gonippo, giovani d’ Andania, città
della
Messenia nel Peloponneso, uniti fra loro co’ vinc
nia, città della Messenia nel Peloponneso, uniti fra loro co’ vincoli
della
più stretta amicizia, meritarono, che Castore e P
lluce fecero poi e sperimentare a tutta la Messenia i funesti effetti
della
loro indignazione(d). Da Castore e Polluce venne
zzo di loro, e in pena di tale delitto rimase sepolto sotte le rovine
della
sua stanza. All’ opposto un certo Simonide, che a
sciute persone(a). Pelope. PElope era figliuolo di Tantalo, re
della
Lidia Come gli Antichi vanno d’accordo sul nome d
accordo sul nome del di lui padre, così variano tra loro sopra quello
della
di lui madre. Lo Scoliaste d’Euripide la chiama E
, il quale era al di là dell’Istmo, e formava una parte considerabile
della
Grecia, dal nome di lui, e dalla Greca voce nitos
crifizio prima d’entrare in carica(c). Se alcuno mangiava delle carni
della
vittima, immolata a Pelope, non poteva più entrar
rasi tentato di spiegarlo, e già molti infelici erano rimasti vittime
della
crudeltà della Sfiuge. Edipo finalmente lo spiegò
spiegarlo, e già molti infelici erano rimasti vittime della crudeltà
della
Sfiuge. Edipo finalmente lo spiegò colle tre dive
de’ suoi più belli e preziosi ornamenti ; ascese sulla rupe, a’ piedi
della
quale ardeva il corpo di Capaneo ; e a vista del
il quale fu in grande estimazione, ed era annoverato tra’ principali
della
Grecia(g). Coloro, che lo consultavano, doveano p
accostò Polinice per disarmarlo, ma quegli, avvalorato dal desiderio
della
vendetta, lo trafisse col suo ferro, e amendue sp
che felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici, qualora l’ultimo
della
stirpe di Cadmo, ch’era Meneceo, avesse voluto sp
enerosità di lui, il quale preseriva alla stessa sua vita la salvezza
della
patria(b). L’eroica azione di Meneceo fu imitata
mitologica Parte Terza delle virtu’, de vizj, de’beni, e de’mali
della
vita umana Vrtù VIrtù è un’interna abit
ornamento dell’uomo. La lancia è simbolo di maggioranza, ed è in mano
della
Virtù per indicare la superiorità, ch’ella eserci
iene nella, destra. E’pur necessaria al Prudente la sapienza, simbolo
della
quale è la luce. Quindi la Prudenza ha nella sini
Civetta, animale, il quale abbiamo detto essere sacro a Minerva, Dea
della
sapienza. Si potrebbe anche dire, che siccome que
editi di notte ciò, che dee risolvere il giorno, giacchè nel silenzio
della
notte il riflesso della mente suol’essere più per
dee risolvere il giorno, giacchè nel silenzio della notte il riflesso
della
mente suol’essere più perspicace e vigoroso. Il C
, e secondo queste intraprendere le spese. Il timone risveglia l’idea
della
saggia direzione, che deo coltivare l’Economo per
ntre del lungo, e difficile lavoro sa trarne felico riuscita. A’piedi
della
Diligenza v’è un Gallo. Questo suole raspare, fin
raccia ignude, e colle ali a’piedi : le quali cose tutte sono indizio
della
velocità, con cui l’ Emulo cerca di pareggiare e
eranza. La Speranza è brama di qualche bene, unita alla cognizione
della
capacità a poterlo conseguire, e alla determinazi
il Tevere, e il terzo nella Piazza dell’erbe. Questo ultimo al tempo
della
guerra Punica restò abbruciato da un fulmine, sot
scelleraggini, di nome Nemesi, la quale altri fanno figlia di Giove e
della
Necessità, ovvero dell’Oceano e della Notte. Essa
e altri fanno figlia di Giove e della Necessità, ovvero dell’Oceano e
della
Notte. Essa fu anche detta Adrastia da Adrasto, c
che dalle leggi venne stabilito. Pietà. La Pietà è ardente zelo
della
Religione, e vivò sentimento di compassione verso
io latte la madre. Si raccontò il fatto al Pretore, e l’ero ca azione
della
figlia ni ritò, che fosse ridonata la libertà all
etta Virginia colle Dime Romane. Colei avea sposato L. Volumnio, uomo
della
plebe ; e per tale matrimonio le altre Dame sdegn
matrimonio le altre Dame sdegnarono di mescolarsi seco lei nel tempio
della
Pudicizia, e usarono di tutti i mezzi per farnela
stri azioni aveasi acquistata tanta gloria, quanta qualsivoglia donna
della
sua città potea vantarne in forza de’ suoi natali
Dame, quanto quoste pretendevano di essere distinte da esse per causa
della
loro nobiltà(a). Festo pretende, che il tempio de
a esse per causa della loro nobiltà(a). Festo pretende, che il tempio
della
Pudicizia Patrizia sia stato alzato da’ discenden
el portamento. Obbedienza. L’Obbedienza è spontanea sommissione
della
propria alla volontà altrui. Questa Virtù dipinge
, perchè essa dev’essere misurata colle proprie facoltà, e col merito
della
persona, verso cui si esercita. Stringe il Cornuc
ie per dimostrarsi liberale. Concordia. La Concordia è l’unione
della
volontà di molti, che vivono insieme. I Greci la
tù si stabilisce maggior forza nelle operazioni degli uomini. Simbolo
della
. Concordia n’è pure il caduceo. Questa Dea finalm
azia ricevuta, unite insieme, erano anche il simbolo il più ordinario
della
Concordia. Pace. La Pace è lo stato di tran
avansi a chiedere o ad apportare la pace. Il caduceo pure era indizio
della
medesima. Talora questa Dea è in atto d’abbruciar
evasi da’ Greci Aletia, ed era considerata figlia di Saturno, e madre
della
Virtù(b). Pindaro le dà Giove per padre(c). Ques
la stessa in quello : con che voleasi indicare, che la verità è amica
della
luce chiarissima, la quale fa conoscere ciò ch’è,
uce chiarissima, la quale fa conoscere ciò ch’è, e dilegua le tenebre
della
falsità. Ella tiene nella destra un oriuolo, con
tà di questa virtù(a). La Fede tiene colla destra una chiave, simbolo
della
secretezza, la quale il più delle volte deesi oss
in terra : lo che indica l’interna cognizione, che si forma l’umile,
della
bassezza de’ proprj meriti. Ha in mano una palla,
i indicare, che le azioni dell’ empio tendono sempre alla distruzione
della
pietà, di cui il predetto animale n’è il simbolo.
, da cui scaturiscono moltissimi fiumi, perchè la Superbia è sorgente
della
maggior parte degli altri vizj. Lusso. Il L
leggierezza dell’ umano pensare. Il Lusso soventi volte è il sostegno
della
gente plebea, la quale, invencando nuove mode, da
hè essa talvolta arriva a spargere il sangue altrui. Si morde un dito
della
mano : il qual atto suole essere il segno, che da
danno coloro, i quali prendono la risoluzione di vendicarsi. A canto
della
Vendetta evvi un leone, perchè questo, qualora, v
ro viveano contenti e felici, quando la gelosia intorbidò la dolcezza
della
loro vita. L’Aurora s’invaghì di Cefalo, mentre q
he di colei. La Dea, sopraffatta dell’ ira, lo rimproverò bruscamente
della
sua ingratitudine, e lo rimandò alla sua sposa co
osse, serbava il suo affetto. Ciò doveva bastare ad assicurare Cefalo
della
di lei fede. Egli contuttociò non desistette dal
il rammarico di vederlo in angustie, o che finalmente la confessione
della
di lui debolezza raddoleisse il rincreseimento, c
ezza raddoleisse il rincreseimento, che le cagiona, va la rimembranza
della
sua, lo strinse al seno, e ritornò a vivere seco
osa. Non vibrava colpo con essa, che andasse a vuoto : cosicchè sazio
della
strage di molte fiere, e stanco per la fatica, pr
ò, seguendo la flebile voce, e trovò la sposa semiviva fragli spasimi
della
ferita ; e tutta intrisa di sangue. La alzò di te
Cìanippo inseguivano un cervo. Quelli, che avevano perduto la traccia
della
fieta, incontrarono Leusona, e la fecero a brani.
nella sinistra, e nella destra un fascio di spine. Il predetto colore
della
veste rassomiglia a quello del mare, che non è ma
tranquillo. Tal’è il carattere del Gelòto : per quanto egli sia certo
della
fede altrui, vive però sempre nel tiniore, e semp
, che ha il Geloso, d’osservare ogni atto, anche il più indifferente,
della
persona, cui egli ama. V’ è il Gallo, perchè ques
nimale n’è il simbolo. Vanagloria. La Vanagloria è ostentazione
della
propria eccellenza, affine d’essere più degli alt
non udire la voce di chi a se lo chiama, mette in vista la proprietà
della
Disobbedienza, la quale rendesi socda a’ comandi
e il male altrui. L’abito di questo Vizio è di colore simile a quello
della
ruggine, perchè come questa consuma ogni metallo,
accende negli animi altrui il fuoco delle passioni, o ammorza il lume
della
verità. La corda indica, che gli Adulatori traggo
re, non cessano più dal loro tediosissimo canto, che risveglia l’idea
della
noja, cui reca l’uomo loquace. Le lingue indicano
aditarsi. E’cieca, perchè questo Vizio facilmente fa perdere il lume
della
ragione. Ha per cimiero una testa d’Orso, da cui
’ira inclinatissimo : e il fuoco e il fumo sono indizj dello sdegno e
della
conturbazione, in cui trovasi l’animo irato. Ila
re nel dire male di tutti. Ha sul capo un velo nero, perchè è proprio
della
Detrazione l’offuscare le onorate azioni. La sua
’offuscare le onorate azioni. La sua veste è logora, tinta del colore
della
ruggine, e aspersa di lingue simili a quelle del
de’ benefizj ricevuti. Questa sta mirandosi in uno specchio ; simbolo
della
superbia, donde nasce l’Ingratitudine ; perchè l’
enzione, in cui l’ingegno, o il caso, oppure l’uno e l’altro decidono
della
perdita e del guadagno tra due o più persone. Si
o, ritornato dalla guerra contro Mitridate, volle scolpire una statua
della
Felicità, e ne commise il lavoro ad Archesilao ;
, primachè quella fosse terminata. Giulio Cesare, dopochè s’impadroni
della
Repubblica, si propose anch’egli d’ergere un temp
accontasi finalmente, che sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio
della
Felicità, che rimase abbruciato(a). La Felicità t
i. Il cornucopio e la spiga sono indizj dell’abbondanza, e il caduceo
della
pace : le quali cose principalmente producono la
accumulato oro ed argento, per cui si hannoquasi tutti gli altri beni
della
terra, sta la vegliante Nottola, per indicare, ch
, alzò un tempio alla Fortuna sotto il titolo di Automatia, ossia Dea
della
sorte, perchè credette di dover a lei granpartè d
atia, ossia Dea della sorte, perchè credette di dover a lei granpartè
della
sua gloria(a). Servio Tullio le fabbricò in Roma
agrime fece, che il di lei figlio, Coriolano, desistesse dall’assedio
della
sua città. Era questo il tempio, in cui tutti gli
30. 434. Camiro I. 239. Campidoglio I. 122. Campi Elisj I. 212. Campo
della
verità. I. 212. Campo delle lagrime I. 211. Campo
ne II. 289. Temperanza II. 302. Tempesta I. 386. Tempio I. 39. Tempio
della
Chersoneso Taurica I. 324. Tempio di Delfo I. 249
ina I. 71. Tutuno I. 356. Tuzia I. 49. U UCalegonte II. 164. Uccelli
della
palude di Stinfalo II. 50. Udeo II. 6. Ufente II.
ricare una città nell’ Isola, detta dal’nome di lui Taso, sulla costa
della
Tracia(b). Conone però(c), e Pausania neminano Ta
ggiungono, che Giove nascose Europa in Teumessa, o Teumosa, villaggio
della
Beozia, situato a’ piedi d’un monte dello stesso
monte dello stesso nome(a). Euripide dice, che quel Nome, spogliatosi
della
figura di Toro, realizzo la stessa immagine, e ne
i decise a favore di Giove. Giunone in quello stesso istante lo privò
della
Iuce degli occhic per quesso egli si vede appoggi
e accorgesse. Il loro culto si estese più d’ogni altro. Anguia, città
della
Licia, eresse ad esse un antichissimo tempio, ove
i. Altri dicono, ch’eglino vicendevolmente si odiavano anche nel seno
della
loro madre. Amendue si cisputarono il regno d’Arg
i Mitologi : anzi essa si crede un’ invenzione posteriore all’ altra
della
pelle d’oro. Vuolsi, che lo stesso animale abbia
o, Mella, Cati, Fronti, Soro, ed Elle(f). Gli Orcomenj poi in memoria
della
fuga di Frisso diedero a Giove il soprannome di L
e in quell’ istante morì(e) (5). I Mitologi non convengono sul rome
della
madre di Eeta. Epimenide, citato dallo Scoliaste
ndo ritornava dall’ aver combattoto contro i Giganti in Flegra, campo
della
Tracia intorno a Pallene, come vuole lo Scolaste
lonio. Potrebbe però questo Poeta aver anche inteso de’ campi Flegrei
della
Campania, per l’amenità ed eccelenza de’ quali di
. Flac. l. I. (9). La nave Argo si formò in Pagase, arsenale o porto
della
Magnesia(a). Lo Scoliaste d’ Apollonie dice, che
danno a’ Fenicj prima assai dell’ Epoca degli Argonanti l’ invenzione
della
navigazione. Può però conciliarsi la cosa, reseri
navigazione. Può però conciliarsi la cosa, reseringendosi alla forma
della
nave, e dicendola prima riguardo all’ essere stat
dire di Ferecide, seguito da Apollonio Rodio, era figlio d’ Apollo e
della
Ninfa Cirene. Orfeo poi lo vuole figlio di Abante
Beozj e i Nisei per comando d’Apollo si presero Idmone per protettore
della
loro città, e l’onorarono sotto il nome di Agames
Ninfa Lootoa, perchè era astuto, ebbe l’incombinza di essere la spia
della
truppa. Aveva un fratello, di nome Erito(a). (17
el mare, quando venne rapita da alcuni pirati, e venduta ad Icaro, re
della
Caria, nell’ Asia Minore. Il di lei padre, che te
ì tosto i rapitori, ma appenachè spiegò le vele, naufragò sulle coste
della
Caria, dove fu fatto prigioniero. Avea Testore la
la, Leucippe Ansiosa la medesima di avere qualche notizia del padre e
della
sorella, consultò l’Oracolo, e ne intese, che, pe
se medesimo che commettere sì crudele azione. Ciò detto, trasse fuori
della
veste il pugnale per trafiggersi il seno. Leucipp
ote, per nome Clite(d). Questo Merope da Omero viene nominato come re
della
Pineta, ossia di Lampsaco : e dallo stesso Omero
: e dallo stesso Omero si ha, ch’era padre d’Adrasto e d’Anfio, Eroi
della
guerra Trojana (e). Clite poi, morto Cizico, cess
o Siculo, il quale, mentre minutamente riferisce tutte le circostanze
della
spedizione Argonautica, niente poi nomina Absirto
rato da Medea nella persona di Esone, chese a quella Maga il soccorso
della
sua arte per ringiovinire le sue Baccanti, e ne r
ne Nemeo, fu imitata da Polidamante, figlio di Nicia, e famoso Atleta
della
Tessaglia. Avea colui una statura gigantesca, una
a destrezza straordinaria. Numerosi Leoni eranvi nella palte montuosa
della
Tracia, i quali infestavano particolamente la pia
imentare la di lui forza, pose sopra il di lui capo tre de’ più forti
della
sua Guardia, e Polidamante li uccise tutti con un
ella parte, ov’ essa precipitava, e vi rimase sepolto sotto le rovine
della
stessa. Dopo tal fatto gli s’inalzò una statua ne
aus. l. 2. (6). Diodoro di Sicilia dice, che Ercole, facendo il giro
della
Sicilia, dedicò un bosco a Iolao, e che ivi pure
e sacrifizj. Lo stesso Scrittore soggiugne altresì, che gli abitanti
della
città d’Agira coltivavano con somma accuratezza l
re abbia sposato Anasibia, figlia d’ Atreo. Gli Antichi niente dicono
della
di lui morte, e solo si accordano nel riferirci,
e cime de’monti, e finalmente la trasferì tra’ Ciconj, popoli barbari
della
Tracia. Ella gli partorì due figlie, cioè Cleopat
Fineo dalle Arpie, le quali ora infettavano, ora rapivano le vivande
della
di lui mensa. Eglino, armati di frecce, e coll’aj
lo molestassero, come abbiamo esposto, ma inoltre privarono lui pure
della
vista(b). V’è chi pretende, che Fineo sia rimasto
e presto e senza pericolo, ove tendevano(d). Fineo finalmente in pena
della
crudeltà, esercitata cogli anzidetti suoi figliuo
esa. Ida la rapì, e la fece madre, come abbiamo, detto anche altrove,
della
bella Cleopatra, che poi divenne sposa di Meleagr
e, soprannominsti Eraclidi, e aveali costretti a ritiratsi nel tempio
della
Misericordia, erecto in Atene, sul modello del qu
da Iolao, amico di Ercole(d). Que’ di Atene, per eternare la memoria
della
generosa azione di Macaria diedero il nome di lei
ratona(e), e alla stessa giovine consecrarono un tempio sotto il nome
della
Dea Felicità(f). (33). Abia ebbe un tempio famos
e devastava le vicine compagne. Il giovine, che conosceva il pericolo
della
proposta impresa, usò di un astuto ritrovato. Emp
ostochè lo partorì, in una foresta, dopo d’averlo coperto d’una parte
della
sua veste. Là il bambino venne allattato da un gi
Questi era considerato tale, perchè era l’artefice il più eccellente
della
Grecia. Prima di lui le statue erano cogli occhi
a instituito in onore di Androgeo. (13). Il Minotauro nelle Medaglie
della
Grecia Italica e di Sicilia viene rappresentato c
ppose anch’egli, e per farsi riconoscere capace di prendere le difese
della
giovine, dichiarò ch’ era figlio di Nettuno. Mino
d’ un Delfino ritornò a Minos, rendette a lui l’ anello, e fece dono
della
corona ad Arianna. Notisi per ultimo, che Arianna
ti furono così detti, perchè discesero da Lapito, figlio d’ Apollo, e
della
Ninfa Stilbe(a). (e). Plut. in Vit. Thes. (f)
personaggi delle sue nozze. Cenide però ritirossi ne’ più remoti lidi
della
Tessaglia. Là incontrò il genio di Nettuno, e ne
te anche spogliarlo del tutto, ma raggiunto da Nestore, sotto i colpi
della
di lui spada vi lasciò la vica. Appresso lo stess
i Ceneo il formidabile Latreo, che faceva pomposa mostra dello scudo,
della
spada, e dell’asta, ferali stromenti, con cui ave
rotti, caddero a terra, nè Ceneo ne riportò offesa alcuna. La novità
della
cosa sorprese altamente coloro, e Monico, ch’ era
, che molto si distinse all’assedio di Troja(b). (25). Alcuni popoli
della
Grecia al riferire di Eratostene e di Pausania er
ui. Ovidio fa, che colei gli scriva una lettera, in cui lo rimprovera
della
sua indifferenza, e procura di riaccenderne l’aff
parivano umide, come se avessero versato delle lagrime per la perdita
della
predetta Principessa(b). Secondo una Tradizione g
imorare ne’monti più solitarj, e ne’villaggi più oscuri. Là s’invaghì
della
Ninfa Sterope, ma ella sempre lo fuggiva. Avvenne
io chiama Alesiroe la madre d’ Esaco, e fa il medesimo giovine amante
della
Ninfa Esperia, figlia del fiume Cebreno, per cui
l. 24. (3). Deifobo tralle altre illustri imprese, operate a difesa
della
sua città uccise Ipsenore, figlio d’Ippaso, e Asc
Eleno fu il solo de’figliuoli di Priamo, che sopravvisse alla, rovina
della
sua patria. Professava l’arte d’indovinare in mol
li uccelli, e del loro volo(a). Predisse l’eccidio di Troja per mezzo
della
Litomanzia, ossia coll’ajuto d’una certa gemma, c
, preso da’Greci, indicò loro i luoghi più opportuni per impadronirsi
della
di lui città. Divenuto schiavo di Pirro, figliuol
, che minacciava la guerra, lo avea spedito appresso Polinnestore, re
della
Tracia, a cui avea sposato la maggiore della sue
ppresso Polinnestore, re della Tracia, a cui avea sposato la maggiore
della
sue figliuòle, chiamata Ilione. Polinnestore, com
gli, dal padre nella Tracia a sua sorella, Ilione, costei, che temeva
della
crudeltà di Polinnestore, suo marito, sostituì il
l re ; e allevando Polidoro, come su proprio figlio, il quale già era
della
stessa età ; fece passare Deifilo per suo fratell
mennone, affinchè ripudiasse Ilione, e facesse perire Polidoro. Il re
della
Tracia accettò le offerte, e uccise Deifilo, cred
ti d’amore(c). (8). Polite, com’era agilissimo di piedi, stava fuori
della
sua città per ispiare, quando i Greci si avanzava
, avendo così patteggiato co’Greci, affinchè non sopravvivesse alcuno
della
famiglia di Priamo. Altri finalmente narrano, ch’
ornò appresso la sua famiglia(c). Alcuni pretendono, ch’ella al tempo
della
presa di Troja, per non cadere in ischiavitù, sia
vita dalla di lui moglie, Clitennestra. Fu sepolta in Amichea, citta
della
Laconia. Que’popoli la riconobbero per una Divini
orme perfidia, dimostrata nel rapire la moglie di chi lo avea enorato
della
sua ospitalità. Soggiumse, che nol faceva morire,
esasi famosa per la sua bellezza, avea destato in molcissimi Principi
della
Grecia il desiderio d’averla in isposa. Tindaro,
a un cavallo, sacrificato alla loro presenza, e poi sepolto nel luogo
della
ceremonia(a). La giovine preferì Menelao, re di S
ualche singolare quore. Condiscese il Nume all’inchiesta, e al cadere
della
pira, che consumava il cadavere, neri globi di fu
che consumava il cadavere, neri globi di fumo oscurarono il chiarore
della
luce. Videsi poscia volare in aria una fosca favi
o ; laddove la sera ne rendeva un altro lugubre, quasi rattristandosi
della
partenza di sua madre, e rallegrandosi del suo ri
ume Xanto(c). (30). Adrasto ed Anfio erano figli di Merope, indovino
della
città di Percote nella Troade. Il loro padre tent
. Si recò alla Reggia di Polinnestore, finse di essere affatto ignata
della
morte del figlio, invitò quel re a secreto colloq
Più comunemente però si crede, che Ulisse stesso sia stasto l’autore
della
di lei morte ; e vuolsi, che lo stesso Eroe, arri
u sepolta, divenne cel bre, e si denominò Cinossemate, ossia sepolcro
della
cagna, perchè si finse, che Ecuba sia stata conve
e era stato formato da Tichio, celebre Artista, e nativo d’Ile, città
della
Beozia. Omero dice, che quello scudo era copetto
venti volte il soprannome di Filacide, peschè nacque in Filace, città
della
Tessaglia, o perchè discendeva da Filaco, fondato
lace, città della Tessaglia, o perchè discendeva da Filaco, fondatore
della
stessa città(d). (b). Hom. Iliad. l. 13. (c).
f). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Miseno dopo la distruzione
della
sua città venne con Enea in Italia. Dicesi, ch’eg
’egli, avendo provocato gli Dei marini a gareggiare secolui nel suono
della
tromba, sia stato sommerso da Tritone ne’ flutti.
on avesse a vendicare la morte di suo padre, e a rifabbricare le mura
della
sua città. Andromaca lo nascose nel sepolcro di E
per aver ucciso Foco, suo fratello, dovette ritirarsi in Etis, città
della
Fessaglia, appresso il re Eurito, da cui ne venne
lui, spedì il suo figliuolo, Corito, a Troja per ispiare la condotta
della
sua rivale. Ma il giovine fu preso in sospetto da
che Paride si faceva portare appresso di lei, affinchè ne lo guarisse
della
ricevuta ferita, fu da lei rimandato indietro col
messaggiero, perchè quegli aveva detto, ch’ella era stata la cagione
della
morte di Paride. Poscia la pastorella bagnò di la
prosteso a’ di lei piedi, e già vicino a spirare, le chiedeva perdono
della
sua infedeltà, e implorava la di lei assistenza.
rificavano ; e avendolo tralle braccia, correvano intorno al focolare
della
casa, il quale risguardavasi come un altare sacro
nia. Questo figliuolo di Priamo da orima fu detto Ascanio da un fiume
della
Troade ; poi Ilo da Ilo, re de’Trojani ; finalmen
poi Ilo da Ilo, re de’Trojani ; finalmente Giulo dalla prima lanugine
della
barba. Distrutta Troja, mentre l’avo e il padre d
itano, che, per l’età divenuto impotente a prendere le armi in difesa
della
sua città, molto però le giovò colla saggiezza de
venti e delle onde. Il quarto dì arrivò alle spiaggie di Velia, città
della
Lucania, i di cui abitanti, dopo di averlo spogli
ente l’ombra di Sicheo, che fino allora era rimasto privo degli onori
della
sepoltura, le apparve in sogno, l’espose il barba
fece, e si trasferì nell’Africa, ove regnava larba, figlio di Giove e
della
Ninfa Garamantide. Ella gli offerì porzione de’su
a fabbricarvi una ben vasta città. La denominò Cartagine, e nel mezzo
della
stessa vi formò una Cittadella, a cui dalla pelle
rojani (a). (15). Appresso gli Antichi, per celebrare l’Anniversario
della
morte di alcuno, si adunavano i parenti e gli ami
(c). (16). Il Genio appresso gli Antichi si risguardava come il Dio
della
Natura. Il Censorino vuole, che esso sia stato de
l’aspetto di pallido e smunto vecchio, che soggiornava nelle viscene
della
terra. Era creduto padre della Discordia, delle P
vecchio, che soggiornava nelle viscene della terra. Era creduto padre
della
Discordia, delle Parche, e dell’Erebo (d). Teodon
be un altare sul monte Aventino, perchè introdusse nel Lazio il culto
della
maggior parte delle Greche Divinità (b). (19). M
ì eccellentemente nell’arte di maneggiare i cavalli, e nell’esercizio
della
caccia (b). (b). Id. Acneid. l. 11. (23). Cami
te. La giovine ivi si esercitò nella caccia, e addestrossi a’travagli
della
guerra. Si rendette inoltre eccellente nel tirare
; ma Eurisace, figlio di Ajace, gli si oppose. Prese allora la strada
della
Spagna, e s’impadronì de’luoghi, ne’quali poscia
iove a Dardano. Euripilo aprì quella cassa imitò la statua, e in pena
della
sua curiosità divenne tosto furibondo. Questa mal
nella cassa, e il quale essi chiamarono Esimnete. Nove de’principali
della
città, e altre ttante donne presiedevano alla sac
ltre ttante donne presiedevano alla sacra ceremonia. Nel primo giorno
della
Festa un Sacerdote portava l’anzidetta cassa in g
a quale era stata fatta schiava da’Greci. Egli la impiegò al servigio
della
sua mensa (d). (7). Idomeneo fu figliuolo di Deu
ondusse contro Troja ottanta vascelli(a). Uccise Otrioneo, originario
della
Tracia, cui Priamo avea promesso in moglie la sua
la sua figliuola, Cassandra(b). Privò di vita Festo, figlio di Boro,
della
Meonia(c). Mise a morte Erimante(d), Enomao, e Al
scacciarono dalla città, e lo costrinsero a ritirarsi sulle spiaggie
della
Grand’Esperia, ove fondò Salento(f). Eragli stato
Principe Cretese. Anebe questi diede saggi di grande valore nel tempo
della
guerra Trojana. Uccise, come abbiamo narrato, Fer
ue tra i due giovani la più sincera e costante amicizia(c). Nel tempo
della
spedizione contro Troja Patroclo condusse seco di
Giuochi funebri(b). In quelli molto si distinse, e ripottò il premio
della
corsa Eumela, figlio di Alceste, e di Admero, te
a, in cui avea dimorato, non produceva più alcun frutto. Gli abitanti
della
medesima consultarono l’Oracolo di Dodona, che li
are in vino, grano, ed olio tutro quel, che toccavano. Usò Agamennone
della
forza e delle armi per istaccarle dal paterno sen
nel loro esercito chi presiedesse a’sacrifizi, e predicesse col mezzo
della
Divinazio ne l’esito delle battaglie. Calcante er
consultato. Distruta Troja, Calcante si transferì in Colofone, città
della
Ionia. Ivi prese a gareggiare con Mopso, figlio d
ttà della Ionia. Ivi prese a gareggiare con Mopso, figlio d’Apollo, e
della
fatridica Manto. Anfimaco, re dell’anzidetta citt
a armata ; e come fu vicina a’ Trojani lidi, il regio legno dall’alto
della
poppa alzò una fiamma. Sinone al noto segno quiet
diceva, che Oreste, divenuto furioso, si avesse troncato colà un dito
della
mano co’denti (a). (5). La statua di Diana fu co
e fu rapita da Oreste. In quel tempio si celebrava ogni anno la Festa
della
liberazione d’Oreste e d’Ifigenia. Si sospendeva
f), Dione (g), e Tzetze (h) dicono, che gli abitanti di Comana, città
della
Cappadocia, e que’di Castabalo, altra città della
ti di Comana, città della Cappadocia, e que’di Castabalo, altra città
della
stessa Contrada, si vantavano di tenere il medesi
fabbricò ivi una città, che denominò Canobo, e nella quale al momento
della
sua partenza vi lasciò tutti gl’inutili alla navi
e di Tlepolemo, re di Rodi. Poliso ; per vendicarsi di Elena, cagione
della
guerra, in cui era morto il suo marito, ordinò a
il quale erasi portato in soccorso di Priamo, perchè erasi invaghito
della
di lui figliuola, Cassandra, e il quale aveva ucc
itani Greci, e tra gli altri il bellissimo Nireo, figlio di Caropo, e
della
Ninfa, Aglaja, e il celebre Macaone, figlio di Es
rnando dall’assedio di Troja, attaccò e ferì Arpalico, re d’un popolo
della
Tracia. Questo re ne sarebbe anche rimasto ucciso
do la morte di Neottolemo. Questi, dicono essi, giudicò Apollo autore
della
morte di suo padre. Si portò quindi in Delfo per
Berenice (a). (d). Id. Iliad. l. 2. (4). I Mirmidoni erano popoli
della
Ftiotide, i quali avevano avuno origine nell’Isol
ti animaletti si convertirono in uomini. Questi a ricordanza perpetua
della
loro origine si chiamatono Mirmidoni(a). Riguardo
Trojani contro i Greci. Costoro, gettati da una procella sulle coste
della
Misia, si disponevano a farvi orribile guasto. Te
uto cura d’un capello d’oro, il quale trovavasi mescolato cogli altri
della
sua testa, e al quale era annessa la durata della
scolato cogli altri della sua testa, e al quale era annessa la durata
della
di lui vita. Cometo s’invaghì d’Anfitrione, mentr
Iliad. l. 4. (a). Hom. Iliad. l. 10. (7). Argatona, bella giovine
della
Bitinia, amava estremamente la solitudine, nè d’a
Bitinia, amava estremamente la solitudine, nè d’altro dilettavasi che
della
caccia. Reso, essendo passato per que’dintorni, e
a punire Filottete, perchè egli aveva preso cura degli ultimi momenti
della
di lui vita(c). Teocrito soggiunge, che Filottete
e d’un Isola Siria, chiamato Cresio Ormenide ; ma preso poi nel fiore
della
sua gioventù da certi corsari Fenici, era stato v
Quegli pure sospirava il ritorno del suo padrone. Ulisse, assicurato
della
di lui fedeltà, gli si manifestò(b) ; e il Pastor
padre, gli amanti diPenelope cospirarono contro la di lui vita. Capo
della
congiura fu Antinoo, figlio d’ Eupiteo. Anfinomo
nne al mondo anche Ettore, e fu dopo di lui il più valoroso difensore
della
sua patria(a). Omero lo dipinge come il più saggi
na(f). Quivi si conciliò il favore del re Cicreo, figlio di Nettuno e
della
Ninfa Salamide, che gli diede in moglie una delle
austre Diction. Mythol. (5). Ulisse, avendo naufragato sull e coste
della
Sicilia, vi perdette le armi di Achille. Questé d
(2). Un quasi simile fatto narrasi di Pallene, figlia di Sitone, re
della
Tracia. Era colei sì bella, che molti Principi re
e di vedere Clito, e se n’era già estremamente invaghita. Ella temeva
della
vita del suo amante, ma non osava di manifestare
o a cadere facilmente in terra. Così avvenne ; e Clito, approfittando
della
circostanza, uccise il suo rivale, e conseguì la
to da’flutti sulle rive de’ Feneati, i quali gli rendettero gli onori
della
sepoltura, e gli fecero annui sacrifizj(c). Igino
(a). Nat. Com. Mitbol. l. 7. (7). Atreo e Tieste per eccitamento
della
loro madre, Ippodamia, fecero morire, e poi getta
nza quell’osso. Molti anni dopo la presa edi Troja un certo pescatore
della
città d’Eretria, chiamato Demarmeno, lo raccolse
lpe sì feroce che ne fece orribile guasto. Temi, adirata per la morte
della
Sfinge, ve la avea fatta uscrire. Altri dicono ch
tifizio e studio, Cefalo, figlio di Dejone o Dejoneo, re di una parte
della
Focide, o, come altri vogliono, figlio di Mercuri
Menalippo, la qua le lacerò co’ denti, e poi, sazio in certa sa guisa
della
già presa vendetta, esalò lo spirito(a). Lasciò u
spirito(a). Lasciò un figlio, di nome Diomede. Anche questi al tempo
della
guerra Trojana fu considerato il più valoroso gue
re d’Argo, o di Egialeo, come altri vogliono, perchè colei nel tempo
della
di lui assenza erasi abbandonata a dissoluta vita
a volare intorno il loro vascello. Dicesi, che questi uccelli, memori
della
loro origine, accarezzavano i Greci, e fuggivano
de’ suoi più belli e preziosi ornamenti ; ascese sulla rupe, a’ piedi
della
quale ardeva il corpo di Capaneo ; e a vista del
il quale fu in grande estimazione, ed era annoverato tra’ principali
della
Grecia(g). Coloro, che lo consultavano, doveano p
ccia, e al maneggio delle armi ; nè attese che a sostenere i travagli
della
guerra, ed a servire uolmente alla patria(d). (6
e intrepido in faccia al nemico, e dimostravasi costantissimo amatore
della
virtù(f). Eschilo dice, che restò ucciso da Aufid
che felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici, qualora l’ultimo
della
stirpe di Cadmo, ch’era Meneceo, avesse voluto sp
enerosità di lui, il quale preseriva alla stessa sua vita la salvezza
della
patria(b). L’eroica azione di Meneceo fu imitata
XVII Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e
della
Medicina Due erano i nomi principali che più co
ù affini ; e fo centro del 1° gruppo il Dio del Sole, e del 2° il Dio
della
Poesia. Considerato Apollo come il Dio del Sole,
an fatto a gara a rappresentare splendidamente questi simboli del Dio
della
luce ; ed ognuno li intende facilmente senza biso
ribile all’uso che avevano di dividere il giorno vero, ossia il tempo
della
presenza del sole sull’orizzonte, in dodici ore s
le sull’orizzonte, in dodici ore soltanto. Perciò le ore del giorno e
della
notte essendo sempre uguali di numero dovevano ne
di Giove che è rappresentato nel segno dell’ aquario, e di Astrea dea
della
giustizia, che fu simboleggiata nel segno della V
ario, e di Astrea dea della giustizia, che fu simboleggiata nel segno
della
Vergine : delle altre denominazioni apprenderemo
ovane, detta perciò volgarmente l’Apollino, può vedersi nella tribuna
della
galleria degli Uffizi in Firenze. Anticamente erg
nche il Tasso esprime la stessa idea nella prima ottava del Canto iii
della
Gerusalemme liberata : « Già l’aura messaggiera
greca etimologia significa splendente, era creduto figlio di Apollo e
della
Ninfa Climene. Fu egli un giovinetto presuntuoso,
angue 112) con un vanerello par suo, cioè con Epafo figlio di Giove e
della
Ninfa lo, già vacca e poi Dea, si trovò impegnato
mondo che egli era figlio di Apollo col guidar per un giorno il carro
della
luce. E coll’approvazione dell’ ambiziosa sua mad
rze di lui. Infatti i focosi cavalli del Sole ben presto si accorsero
della
inesperta ed imbelle mano che li guidava, e non t
cosse115. » Rammenta ancora nel Canto xxix del Purgatorio il lamento
della
Dea Tellure per gli spaventevoli effetti cagionat
re regni dalle infiammate vampe del Sole, o come egli dice, l’orazion
della
Terra devota 116 « Quando fu Giove arcanamente
vissuto alla distruzione delle religioni, dei popoli, delle favelle e
della
scienza antica. Finchè il Paganesimo, che le spac
hanno preferito le splendide menzogne mitologiche alle severe verità
della
scienza. Apollo fu celebrato ancora come infallib
nno, che chiamarono il Peana 118. Un’altra solenne prova diede Apollo
della
sua infallibile valentia nel tirar d’ arco, quand
pi di freccie il terribile e micidiale serpente Pitone nato dal fango
della
terra e dall’infezione dell’aría. È facile lo spi
el trattar degli Oracoli si verrà a rammentare e descrivere l’ufficio
della
Pitonessa del Tempio di Delfo. Dopo che i mitolog
del Sole, furono indotti a credere che esser dovesse pur anco il Dio
della
Medicina120), perchè il Sole co’suoi raggi calori
chimici infonde qualità medicamentose in molti prodotti dei tre regni
della
Natura. Inoltre gli attribuirono un figlio che fu
lente medico sulla Terra, e dal quale nacque una figlia che fu la Dea
della
Salute. Nella invenzione della discendenza in lin
quale nacque una figlia che fu la Dea della Salute. Nella invenzione
della
discendenza in linea retta di queste tre divinità
principii scientifici, che esamineremo dopo aver parlato del figlio e
della
nipote di Apollo secondo la Mitologia. Esculapio
esso che Asclepio, come lo chiamavano i Greci, era figlio di Apollo e
della
Ninfa Coronide. Egli fu il primo medico di cui le
e in mano un bastone al quale era attortigliato un serpente, simbolo
della
prudenza, virtù necessaria principalmente ad un m
i un sillogismo. Apollo rappresenta il principio generale delle forze
della
natura, che sono il primo e più sicuro fondamento
e delle forze della natura, che sono il primo e più sicuro fondamento
della
conservazione della salute ; Esculapio la scienza
natura, che sono il primo e più sicuro fondamento della conservazione
della
salute ; Esculapio la scienza medica che fa l’app
za che ne deriva, che è la più felice e la più durevole conservazione
della
salute. E per indicare che non sempre l’arte medi
inato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge
della
natura, quando ha decretato la dissoluzione dei c
. 109. Merita di essere imparata a mente la bellissima descrizione
della
reggia del Sole nel 2° lib. delle Metamorfosi, ch
itamente esclamare di quello che egli fa trovare ad Astolfo nel mondo
della
luna, « (Che più di trenta miglia intorno aggira
111. « Sì che le bianche e le vermiglie guance « Là dove io era,
della
bella Aurora « Per troppa etade divenivan rance.
ola elettro, invece di ambra, come l’Ariosto nell’accennare la favola
della
trasformazione delle Eliadi così scrisse : « …….
Igiene, che questo ed altri assiomi generali « sono la parte più sana
della
raccolta di massime della Scuola di Salerno. »
i assiomi generali « sono la parte più sana della raccolta di massime
della
Scuola di Salerno. »
li più celebri fossero nella Grecia ed esistessero molti secoli prima
della
fondazione di Roma, questo vocabolo sotto cui si
ai mortali per mezzo dei sacerdoti281). Perciò, stando all’etimologia
della
parola, qualunque altro modo di manifestazione de
ore chiamarsi oracolo, ma piuttosto divinazione, cioè interpretazione
della
volontà degli Dei. Lo stesso è da dirsi del vocab
fica deità invece del nome di Apollo284). Delfo (oggi Kastri), città
della
Focide nell’Acaia, situata fra il monte Cirfide e
mofetici da mozzare il fiato. Un tripode, che alcuni dissero coperto
della
pelle del serpente Pitone, serviva di sedile alla
era la paura prodotta dalla tetraggine del luogo e dalla alterazione
della
loro fantasia285). Fra tutti gli altri Oracoli di
oracoli in versi. (Ann., II, 54.) Il più antico di tutti gli Oracoli
della
Grecia, secondo Erodoto, fu quello di Giove in Do
ato appena che acquistò fama quello di Delfo, che era il più centrale
della
Grecia e rendeva responsi in un modo più solenne
Q. Curzio. Anche i Romani ricorrevano talora a consultare gli Oracoli
della
Grecia ; e lo stesso T. Livio ne adduce diversi e
l’antico oracolo di Fauno, rammentato da Virgilio nell’Eneide, quelli
della
Fortuna, di Marte, ecc. ; ma appartenevano piutto
rannaturali degli Oracoli e di qualunque altra creduta manifestazione
della
volontà degli Dei287). Catone Uticense ai suoi am
uarto secolo avanti l’èra cristiana, come intendiamo dal sommo Orator
della
Grecia, e il discredito andò sempre crescendo mol
rator della Grecia, e il discredito andò sempre crescendo molto prima
della
introduzione del Cristianesimo, come sappiamo dal
ed assurdi miracoli del Politeismo, non seppe conoscere la vera causa
della
decadenza della religione pagana, e le diede, for
oli del Politeismo, non seppe conoscere la vera causa della decadenza
della
religione pagana, e le diede, forse senza avveder
upporre che non fossero immortali era una contradizione, la negazione
della
loro stessa divinità, e perciò del culto religios
essità una causa soprannaturale a ciò che era l’effetto naturalissimo
della
impostura dei sacerdoti pagani, da prima nascosta
coli, delle divinazioni e degli augurii come di cose antiche ai tempi
della
guerra Troiana, nella quale l’indovino Calcante r
il governo teocratico fu il primo governo regolare e il primo cemento
della
civil società288). In questo concetto si trovano
ari sulla religione dei Pagani, così ne parla nel Cap. 12 : « La vita
della
religione gentile era fondata sopra i responsi de
zza di non errare, che gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione
della
volontà degli Dei furono inventati da prima con i
iunire in nazione le sparse tribù elleniche, e d’ispirar loro l’amore
della
patria comune e il coraggio per difenderla contro
il coraggio per difenderla contro le straniere invasioni. Il responso
della
Pizia, che i Greci si difendessero in mura di leg
derivò la famosa vittoria di Salamina, gloria eterna di Temistocle e
della
Grecia289). Le più belle massime antiche morali e
tre e potente finchè non disconobbe e non calpestò i principii eterni
della
morale, senza i quali non può prosperare l’umano
vii del lib. i, notando i pregi per cui distinguevansi diverse città
della
Grecia, rammenta che Delfo era illustre per l’ora
ultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma. Tito Livio nel lib. I
della
sua Storia Romana, la riporta tradotta in questi
seppe meglio interpretare, e successe come primo console nel governo
della
Repubblica. Tanto basti per avere un’idea de gene
rebbe de’suoi versi il principe dotto e poeta a quello del Dio stesso
della
poesia : « Pagina judicium docti subitura movetu
b animo tuo quidquid agitur, id agitur a te. » È il punto di partenza
della
Psicologia e della Morale. 291. Anche il Giusti
d agitur, id agitur a te. » È il punto di partenza della Psicologia e
della
Morale. 291. Anche il Giusti chiama santa impos
. Acalo, meccanico, nipote di Dedalo, 424. Acheloo, figlio del Sole e
della
Terra, 393. Acheronte, fiume dell’Inferno, 218. —
, 101 ; — è adorato dai pastori, 102 ; — fabbrica con Nettuno le mura
della
città di Troja, 106 ; — si vendica della mala fed
fabbrica con Nettuno le mura della città di Troja, 106 ; — si vendica
della
mala fede di Laomedonte, ivi ; — fine del suo esi
o Zodiaco, 687. Aracne o Aragne. Sua metamorfosi, 265. Arcade, figlio
della
ninfa Calisto, 75, 140. Archemoro, 673. Archidama
di Bellerofonte, 461. Bellerofonte. Sue avventure, ivi. Bellona, Dea
della
guerra, 287. Bellonarj, sacerdoti di Bellona, 288
lia di Giano e madre di Fauno, 300. Caos, 22. Capaneo, uno degli Eroi
della
guerra di Tebe, 506. Capricorno, segno dello Zodi
del[ILLISIBLE]ua figlia Proserpina, 53 ; — percorre la terra in cerca
della
figliuola, 54 ; — trasforma i contadini in rane,
ume dell’Inferno, 219. Colchide, 448. Colosso di Rodi, 135. Como, Dio
della
gioia e dei banchetti, 285, 286. Conso, soprannom
ianira, amata da Ercole, 393 ; — Nesso tenta rapirla, 394 ; — cagione
della
morte di Ercole, 395-398. Deidamia, figlia di Lic
no, 188, 480, 688. Delfo, città, 122. Delo, isola, 97. Demofila, nome
della
sibilla Cumea, 665. Destino, 21-23 ; — come rappr
crifizio di cento Bovi, 144. Echidna, madre, o secondo altri, sorella
della
Chimera, 358, 466. Eco, Ninfa ; sue sventure, 321
uo stabilimento in Italia, 614. Enomao, re d’Elide, 511 ; — avventure
della
sua figlia Ippodamia, 512, 513. Enone, Ninfa amat
di Diana in Efeso, 143. Erse, sorella d’Aglauro, 167. Esculapio, Dio
della
medicina, 289 ; — fulminato da Giove, 290 ; — suo
enti di Fauno, 301. Fauno, divinità campestre, 300. Favola (divisione
della
), 2. Febea, nome di Diana, 138. Febo, nome d’Apol
e, o sommo sacerdote, 60 (nota). Ifianasse, figlia di Preto ; gastigo
della
sua vanità, 92. Ifigenia, figlia di Agamennone, 5
ia, figlia di Agamennone, 527, 529. Ifinoe, figlia di Preto ; gastigo
della
sua vanità, 92. Ila, rapito dalle Ninfe, 654. Ili
437 ; — è resuscitato da Esculapio, 438. Ippomedonte, uno degli Eroi
della
guerra di Tebe, 506. Ippomene, sposa Atalanta, 64
, 74, 441. Lenno : isola, 270. Leone, segno dello Zodiaco, 681. Leone
della
foresta Nemea, 370. Lesbo, isola, 478 e nota. Les
Liriope, 321. Lisia, Sirena, 196. Lisippa, figlia di Preto ; gastigo
della
sua vanità, 92. Loke, 743. Lucifero, Dio del matt
tessa, figlia di Tiresia, 660. Marsia. Sue avventure, 125. Marte, Dio
della
guerra : sua nascita, 255 ; — suoi figli, 256 ; —
. Melpomene, una delle nove Muse, 275. Meneceo, muore per la salvezza
della
patria, 507. Menelao. Sue avventure, 528, 530, 53
i Persiani, 713. Mnemosine, madre delle nove Muse, 75, 274. Momo, Dio
della
maldicenza, 282 ; — cacciato dal cielo, 283 ; — c
trato, poeta, 177, nota. Ninfe, 313. Ninfe delle Acque, 314 e seg. —
della
Terra, 318 e seg. Niobe, figlia di Tantalo, 629
n Tutto, 297 ; — origine del cosi detto timor panico, 298 ; inventore
della
siringa o zampogna, 299. Panope, 316. Parche, div
e, divinità infernali, 24, 235. Paride. Sua nascita, 597 ; — giudizio
della
bellezza, 600 ; — rapisce Elena, 601 ; — combatte
alle Muse, 123. Partenope, sirena, 196. Partenopeo, uno dei capitani
della
guerra di Tebe, 506. Pasciacamac, 744. Pasifae, m
8. Penelope, moglie di Ulisse, 579-581. Peneo, fiume, 103. Penia, Dea
della
povertà, 173. Penteo. Suo deplorabile fine, 155.
giato in aquila, 76. Perifeto, ucciso da Teseo, 412. Perillo. Gastigo
della
sua scelleratezza, 409. Peristeria, Ninfa trasfor
di suo padre, 544 ; — suo fine, 545. Pitia. Vedi Pitonessa. Pito, Dea
della
persuasione, 181. Pitone, serpente favoloso, 97-9
Zodiaco, 684. Scurrilità, 77. Semele, madre di Bacco, 75 ; — vittima
della
gelosia di Giunone, 147-148. Senocrate, 670. Sera
, 670. Serapide, divinità Egiziana, 705. Vedi Osiride. Sette Savi (i)
della
Grecia, 722. Sette meraviglie (le) del Mondo, 135
Sterope, Ciclope, 272. Stige, fiume dell’ Inferno, 221. Strofio, re
della
Focide, 533. Suada. Vedi Pito. T Talete, fi
co, figlio d’ Ulisse, 480, 469. Tellus, nome di Cibele, 41. Temi, Dea
della
giustizia, 337. Tempo, divinità allegorica. Vedi
glie di Forco, 204. Trasibulo, 670. Tridente di Nettuno, 209. Tripode
della
Sibilla di Delfo, 122. Tritoni, figli di Nettuno,
570 ; — scampa da Polifemo, 573 ; — tempesta che distrugge gran parte
della
sua flotta, 574 ; — si libera dagli incantesimi d
9 ; — suoi diversi nomi, 180 ; — come rappresentata, 181 ; — giudizio
della
bellezza, 600. Venti, 651, 652. Vergine, segno de
nità allegorica, 350. Vertunno, Dio delle stagioni, 311. Vespero, Dio
della
sera, 239. Vesta o la Terra, moglie di Celo, 43.
migliori divinità ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea
della
Sapienza, della quale dissero che ambì il premio
tà ebbero qualche difetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza,
della
quale dissero che ambì il premio della bellezza,
sa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio
della
bellezza, e, non avendolo ottenuto, si unì con Gi
Qual Nume dunque poteva esser perfetto, se tale non era neppur la Dea
della
Sapienza ? E se un Nume non è perfetto, può egli
he tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù gli stessi Padri
della
Chiesa, non conobbero le assurdità della greca fa
orali virtù gli stessi Padri della Chiesa, non conobbero le assurdità
della
greca fantasia ; e gli antichi precetti religiosi
ani dalle aberrazioni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo
della
repubblica, che studiarono e imitarono la greca m
o e da Cicerone sappiamo che esistevano in Roma sino dai primi secoli
della
Repubblica più e diversi tempii dedicati alla Pie
astrazioni filosofiche o personificazioni poetiche, ma facevano parte
della
religione del popolo, e stavano a dimostrare che
pubblico e fintantochè si mantenne, il popolo credeva nell’esistenza
della
Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, al
a della Virtù ; e solo dopo le orribili guerre civili, allo spegnersi
della
repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la b
tu non sei che un nome vano ! » Per lo contrario nei migliori tempi
della
Repubblica non troviamo facilmente che fossero er
le Postumio, e quindi proibiti dal Senato l’anno 566 dalla fondazione
della
città, e 186 anni avanti Gesù Cristo. Ma poi nel
dazione della città, e 186 anni avanti Gesù Cristo. Ma poi nel cadere
della
Repubblica e nei primi tempi dell’Impero sappiamo
e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. Ma
della
Dea Nèmesi, Dea della vendetta, era pubblico il c
no loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. Ma della Dea Nèmesi, Dea
della
vendetta, era pubblico il culto ; e fu generale t
che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come figlia di Giove e
della
Giustizia, e perciò come rappresentante la giusta
i dunque piuttosto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo
della
guerra, che alle vendette particolari dei privati
di vendetta tanto potente e feroce nei secoli barbari, ben poco perdè
della
sua forza e della sua intensità nei secoli così d
potente e feroce nei secoli barbari, ben poco perdè della sua forza e
della
sua intensità nei secoli così detti civili, neppu
alla forma ordinaria degli uomini ; ma però con fattezze più proprie
della
razza etiopica o malese, che della caucasica, e c
; ma però con fattezze più proprie della razza etiopica o malese, che
della
caucasica, e coi lineamenti caratteristici delle
odato dal Vasari e dal Varchi13. Inoltre intorno alla Fonte di Piazza
della
Signoria si vedono otto Satiri di bronzo fuso, qu
i. Talvolta gli scultori pongono le figure dei Satiri per cariatidi ;
della
qual parola dà una bella spiegazione l’Alighieri
ico palazzo ora appartenente alla famiglia Fenzi. Nelle antiche Guide
della
Città, uno di questi due Satiri era attribuito a
lla Pinciana, e di cui una copia in bronzo esiste nel primo vestibolo
della
Galleria degli Uffizi in Firenze ; e come vedesi
lone e maldicente ; e molto a proposito fu creduto figlio del Sonno e
della
Notte. Da prima era stato ricevuto nella corte ce
ppartenevano alla stessa classe di campestri divinità, e l’etimologia
della
parola li manifesta di origine latina (a silvis).
le era la Dea dei pascoli e dei pastori18. Anticamente, e molto prima
della
fondazione di Roma, la festa di questa Dea celebr
celebre e festeggiato solennemente anche in Roma come l’anniversario
della
fondazione di essa20, e tuttora si celebra e si s
o 2628 anni. Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e
della
maturità dei frutti, colla sua latina etimologia
a vertendo, (cioè dai cangiamenti operati dalle stagioni sui prodotti
della
terra) dimostra l’origine italica e romana di que
Dio. Le sue feste si celebravano nell’ottobre quasi in ringraziamento
della
già compiuta maturità dei più utili frutti dell’a
la testa e ornarne le mense e perfino le porte delle case. L’immagine
della
Dea Flora è simile a quella della Primavera : ha
ino le porte delle case. L’immagine della Dea Flora è simile a quella
della
Primavera : ha mazzi di fiori in mano, una corona
tanto da spauracchio agli uccelli ; e a tal fine ed effetto nell’alto
della
testa gli piantarono una canna con stracci in bal
il dei mortali23. Un Nume di origine romana, e simbolo vero e proprio
della
romana costanza, fu il Dio Termine. Non era altro
ione religiosa, corrispondente alla scomunica maggiore, v’era la pena
della
deportazione in un’isola e la confisca del bestia
il loro anno i Romani ; e queste coincidevano in appresso con quelle
della
cacciata dei re24. Così solennizzavano contempora
a delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna
della
Galleria degli Uffizi. Lo stesso Michelangiolo gi
il 21 di aprile. 2ª Palilia, vale a dire Feste Palilie, cioè in onore
della
Dea Pale. 3ª Romae Natalis, cioè giorno natalizio
ella Dea Pale. 3ª Romae Natalis, cioè giorno natalizio di Roma, ossia
della
sua fondazione. Anche Cicerone rammenta questo gi
il Genio era considerato dai Latini come un Dio di prim’ordine, ossia
della
classe degli Dei superiori o celesti, e, secondo
a della classe degli Dei superiori o celesti, e, secondo l’etimologia
della
parola, come la forza generatrice della creazione
esti, e, secondo l’etimologia della parola, come la forza generatrice
della
creazione. Ma essendo carattere proprio della fal
me la forza generatrice della creazione. Ma essendo carattere proprio
della
falsa religione del Politeismo il moltiplicare gl
io sarebbe troppo occupato a provvedere da sè solo a tutti gli esseri
della
creazione ; e perciò immaginarono che vi fossero
lire alle prime origini di questa invenzione. Tralascierò di parlare
della
Trimurti, o trinità Indiana di Brahma, Visnù e Si
ttimenti dei due principii, dai quali ripetevano le grandi catastrofi
della
natura, le guerre dei giganti, la corruzione ogno
uesto titolo. Perciò sembra più di tutte probabile la interpretazione
della
parola Dèmone derivandola da daimon che significa
considerava questi Dèmoni o Genii come Dei che regolassero le vicende
della
vita degli uomini ; e dagli effetti li distinguev
oni, cioè in buoni e in cattivi spiriti. Anche i più celebri filosofi
della
Grecia, anzi del mondo, cioè Socrate, Platone e A
è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine
della
sua vita. » Conoscendo questi ufficii attribuiti
smo fu Socrate giudicato eretico, e condannato a morte come violatore
della
Religione dello Stato e corruttore della gioventù
nnato a morte come violatore della Religione dello Stato e corruttore
della
gioventù. Il Dèmone dunque di cui egli parlava no
ra o il cornucopia. Così nella colonna Traiana si vede alato il Genio
della
luce e con una fiaccola in mano al di sopra del c
mente gradita che non la filologia. Il Cecchi, citato dal Vocabolario
della
Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buon
te « Che al genio è donna e figlia è di natura, « E in parte ha forma
della
madre, in parte « Di più alto esemplar rende figu
ti viventi, il Manuzzi e il Fanfani, nei loro accreditati Vocabolarii
della
lingua italiana, alla voce Genio, oltre a darne l
ta « Di sangue gli ha bagnati l’ira stolta. » 280. Il Vocabolario
della
Crusca del passato secolo (non posso citar quello
stampa, perchè non giunto ancora alla lettera G), dopo la spiegazione
della
parola Genio e la sinonimia latina e greca, aggiu
la Crusca, se ne trovano altre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio
della
lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citan
ressione dichiara che è francese affatto. Perciò soltanto il tribunal
della
Crusca potrà decidere chi di loro abbia ragione.
ere chi di loro abbia ragione. Il Fanfani invece accenna un altro uso
della
parola Genio in questi termini : « Di una persona
XVIII Apollo considerato come Dio
della
Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse
XVIII Apollo considerato come Dio della Poesia e
della
Musica e maestro delle nove Muse Poeta è parol
ignifica creatore, e perciò poesia vuol dir creazione ; quindi il Dio
della
poesia è il Dio della creazione intellettuale. Ec
erciò poesia vuol dir creazione ; quindi il Dio della poesia è il Dio
della
creazione intellettuale. Ecco il carattere distin
è il Dio della creazione intellettuale. Ecco il carattere distintivo
della
vera poesia e del Nume che ad essa presiede. Apol
che per associazione d’ idee Apollo fosse riguardato ancora come dio
della
Musica e di tutte quelle altre belle arti special
a ciascuna delle nove Muse, delle quali egli era il maestro. Come Dio
della
Poesia rappresentavasi Apollo con una corona di l
avasi Apollo con una corona di lauro, pianta a lui sacra ; e come Dio
della
Musica, con una cetra nelle mani, in atto di trar
i queste Dee. Esse eran figlie di Giove e di Mnemosine che era la Dea
della
Memoria (come indica il greco vocabolo), per sign
sul monte Pimpla, o presso la omonima fonte in Macedonia sui confini
della
Tessaglia. Egli dice che « ……………… quando « Il Te
ato il nome del monte Parnaso figuratamente per la poesia nel Canto i
della
Gerusalemme liberata. « Sai che là corre il mond
i. Inventarono i mitologi che le Muse fossero inseguite da Pireneo re
della
Focide, e che per salvarsi dalle violenze di lui,
avola ci rappresenta evidentemente un tiranno persecutore dei dotti e
della
civiltà, ammazzato a furia di popolo in una rivol
i poeti. » Dante stesso parla più volte del legno diletto ad Apollo,
della
fronda Peneia e dell’incoronarsi di quelle foglie
ei pastorelli amici o dipendenti di Apollo nel tempo del suo esilio e
della
sua condizion di pastore ; i quali egli avea diro
esto colpo dopo brevi istanti morì. Apollo dolentissimo, per sollievo
della
sua afflizione lo cangiò nel fiore che porta lo s
a i mitologi vi aggiungono che i parenti dell’estinto, dando la colpa
della
morte di esso ad Apollo, e perciò perseguitandolo
e si mise a fare il muratore ; e insieme con Nettuno fabbricò le mura
della
città di Troia ; della cui divina origine e costr
atore ; e insieme con Nettuno fabbricò le mura della città di Troia ;
della
cui divina origine e costruzione parlano Omero e
gioghi di Parnaso, vuol significare che ha bisogno di tutte le forze
della
più sublime poesia. 129. Neppure i poeti latini
quivalente verbo vaticinari, colla mutazione comunissima nelle lingue
della
lettera f nella v. 132. Facit indignatio versum
da « Peneia, quando alcun di sè asseta. 134. Nelle parti interne
della
corolla del giacinto si vedono alcune fibre cosi
i figli e discendenti di Titano, e quella dei Giganti, cioè dei figli
della
Terra, come significa questa parola secondo la gr
a sola guerra. Anzi poichè la seconda fu più terribile e più decisiva
della
prima, e da quella in poi non corse più pericoli
più pericoli il regno di Giove, fu più celebrata la Gigantomachia ; e
della
guerra dei Titani poco o nulla si parlò dalla mag
e aveva ideato. Claudiano, del quale esiste un frammento di 127 versi
della
Gigantomachia, non ci fa molto rimpiangere la per
dei miti convien distinguere le due guerre e toccar brevemente anche
della
prima, cioè della Titanomachia. Il diritto, che o
distinguere le due guerre e toccar brevemente anche della prima, cioè
della
Titanomachia. Il diritto, che ora chiamerebbesi l
lla forza ciò che colla forza erale stato tolto70. Ecco la vera causa
della
Titanomachia : e di questa guerra accenneremo sol
ni, fortissimi e mostruosi figli chiamati appunto Giganti, cioè figli
della
Terra71, e li istigò a vendicare i Titani, a impa
ielo e cacciarne gli usurpatori tiranni. Ed ecco l’origine e la causa
della
Gigantomachia ; la qual guerra è cantata dai poet
. Erano infatti i Titani di origine divina, non che di regia stirpe e
della
linea del primogenito di Urano ; e invece i Gigan
i origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e al titolo
della
contesa. La prima guerra poteva anche riguardarsi
ione, resta ora da accennare soltanto i fatti e le vicende principali
della
Gigantomachia. E prima di tutto, com’eran fatti i
iavano tutto all’ingrosso ; e ci danno un’idea, secondo loro, sublime
della
grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per da
monte Olimpo il monte Ossa e su questo il monte Pelio 73). Il teatro
della
guerra fu dunque nella Grecia continentale sui co
l teatro della guerra fu dunque nella Grecia continentale sui confini
della
Macedonia colla Tessaglia ; e l’immane combattime
iganti sparte. » I mitologi greci e latini inventarono, a proposito
della
disfatta e della punizione dei Giganti, molte e s
I mitologi greci e latini inventarono, a proposito della disfatta e
della
punizione dei Giganti, molte e strane vicende. Un
, accenna con un solo verso l’opinione mitologica e dà la spiegazione
della
causa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel
sta avvertenza : « Già sapete che non è opera speciale, ma un gherone
della
Teogonia. » 68. Per questa ragione io cito nel
o : Adversus hostem æterna auctoritas esto. 71. Virgilio, parlando
della
Fama, la dice sorella dei Giganti Ceo e Encelado,
i sia nuovo alle scienze, pure facendo uso soltanto del lume naturale
della
ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : M
ltri Dei marini Gli Antichi non conoscevano neppure la decima parte
della
estensione del mare e neppur la parte millesima d
enso e cader prostrati a terra, com’esso, o almeno « Colle ginocchia
della
mente inchine » come diceva il Petrarca ; ma bas
o come un Nume. Anche il fiorentino poeta Alamanni, il celebre autore
della
Coltivazione, amantissimo della libertà della pat
ino poeta Alamanni, il celebre autore della Coltivazione, amantissimo
della
libertà della patria, che fu in quel tempo oppres
anni, il celebre autore della Coltivazione, amantissimo della libertà
della
patria, che fu in quel tempo oppressa dai Medici,
e, perchè il mare ricuopre la maggior parte (precisamente tre quarti)
della
superficie terrestre214). In greco chiamasi Posei
ed una delle più goffe è quella dell’Ammannato nella fonte di Piazza
della
Signoria di Firenze215). Ma tutte presentano pres
a flotta a fiaccare in Affrica la potenza cartaginese, fece dall’alto
della
nave una pubblica preghiera a tutti gli Dei e le
dicesi Nettunismo il sistema geologico che attribuisce la formazione
della
maggior parte delle roccie del nostro globo all’a
o 1854. E Cuvier assegnò il nome di Amfitrite a un genere di Annelidi
della
famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggie
i animali marini : chiamano Doridi un genere di molluschi gasteropodi
della
famiglia dei nudibranchi ; e danno il nome di Ner
tà che avevan provato le più terribili procelle di questo mare infido
della
vita222. Di Glauco poi raccontano uno dei più str
arii e sublimi concetti. La favola è questa : Glauco era un pescatore
della
Beozia, il quale un giorno si accorse che i pesci
are, accolto dalle Divinità marine e trasformato in un Dio protettore
della
navigazione. Gli fu conservato il nome di Glauco
roteo che si trasforma in tutti gli esseri, ossia corpi dei tre regni
della
Natura, rappresenta la materia che prende tutte l
e vi fosse costretto : così la materia contiene in sè tutti i segreti
della
Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisi
erienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e
della
sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela al
azioni ed esperienze, se voglionc scuoprire i segreti, ossia le leggi
della
Natura. 209. « Postquam altum tamere rates,
usa dei terremoti, chiamavasi con greco vocabolo Ennosigèo (scuotitor
della
terra) ; il qual nome è usato da Giovenale nella
il principio del Canto xxx dell’Inferno. 222. L’aver provato i mali
della
vita rende piu compassionevoli per le altrui sven
egò coll’altro incarco. » In quel Canto non aveva bisogno di valersi
della
mitologica trasformazione ; e gli bastava soltant
fronto sempre meglio dichiari qual è l’uso che accortamente può farsi
della
Mitologia in servigio e per ornamento del inguagg
e zoppo : differiscono solo nel raccontar la causa di questi difetti
della
sua forma corporea, che certamente debbono appari
i sopra, anche il calcolatore aritmetico di Babbage. Ma questi sforzi
della
meccanica consumano molti anni e molti danari di
androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. Parlando poi
della
formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi att
ico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile
della
Natura, di cui la scienza è giunta in questo seco
), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni
della
elettricità 192. Così la scienza moderna mandò in
ricità 192. Così la scienza moderna mandò in dileguo le fantasmagorie
della
immaginazione e della superstizione, e rivelò le
ienza moderna mandò in dileguo le fantasmagorie della immaginazione e
della
superstizione, e rivelò le mirabili verità delle
e della superstizione, e rivelò le mirabili verità delle grandi leggi
della
Natura. Conosciute e spiegate le favole, consider
nus, s’intende che voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazzar
della
fiamma. Infatti è generalmente dagli Antichi vene
e eruzioni, e vulcaniche le materie eruttate. Anche i geologi seguaci
della
scuola di Hutton194, che spiegavano, coll’ammette
egavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco centrale, la formazione
della
maggior parte delle roccie del nostro globo, furo
fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera
della
nostra Terra e con elementi che provengon da ques
lla stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e
della
Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca. Uno solt
Urano e di Vesta Prisca. Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e
della
ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qua
genere di Crostacei, secondo Müller, dell’ordine dei Branchiopodi, e
della
famiglia dei Monocoli per questa loro caratterist
o derivato dal latino : semovente. Se gli automi rappresentano esseri
della
specie umana e particolarmente del sesso maschile
equacibus iras. » (Æneid., viii.) 191. Fu primo il Gilbert, medico
della
regina Elisabetta d’Inghilterra, che sullo scorci
alla scoperta dell’elettricità dinamica, o del galvanismo, nuovo ramo
della
fisica, tanto importante per le innumerevoli appl
cendit ab alto. (Æneid., viii.) 194. Hutton pubblicò la sua Teoria
della
Terra nel 1785 ; ed ebbe una grnde efficacia sui
oria della Terra nel 1785 ; ed ebbe una grnde efficacia sui progressi
della
geologia.
utone benchè nato in Cielo ed allevato in una delle più belle regioni
della
Terra, accettò di regnar nell’ Inferno. E che que
o dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive
della
luce del Sole, erano orrende anche al guardo del
icare un mostro immaginario, come il Polifemo e l’Orca dei mitologi ;
della
quale invenzione, come di quella delle Fate, si a
ano ai putti le bisavole243. » Tutta la guardia pretoriana del re e
della
regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero ch
vano dall’agricoltura. In fatti a che servirebbe l’oro senza i frutti
della
Terra ? A null’altro che a rinnovare la miseria d
ante. Di Ecate, dea infernale, abbiamo parlato bastantemente nel Cap.
della
Diva Triforme ; nè si trova altro da aggiungervi.
vano l’ufficio di determinare la sorte degli uomini dal primo istante
della
nascita a quello della morte ; e che ne dessero i
minare la sorte degli uomini dal primo istante della nascita a quello
della
morte ; e che ne dessero indizio con un segno sen
ne mitologica delle frasi troncare o recidere lo stame vitale, il fil
della
vita, ecc. Inoltre per significare le varie vicen
ale, il fil della vita, ecc. Inoltre per significare le varie vicende
della
vita di ciascuna persona, le Parche formavano lo
, tranne qualche rara eccezione, come quella del Petrarca nel Trionfo
della
Morte. Ma di Caronte, dei Giudici dell’Inferno e
l’Acheronte. La favola ci fa sapere che egli era figlio dell’ Erebo e
della
Notte ; che era vecchio e canuto, ma pur sempre r
e Radamanto, i quali in origine erano stati sulla Terra tre ottimi re
della
Grecia, celebri per la loro giustizia ; e perciò
poeta Young, era per gli Antichi un Dio, creduto figlio dell’Erebo e
della
Notte, e dimorante in una caverna lungo le rive d
antichi e l’Ariosto tra i moderni hanno fatto bellissime descrizioni
della
Casa del Sonno, ma quasi tutti i poeti parlano de
cono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’escono i sogni falsi :
della
quale invenzione non è facile intendere il signif
unale ; ma nell’Inferno dei Cristiani questo giudice ha perduto molto
della
sua dignità. Infatti « Stavvi Minos orribilmente
ell’entrata, « Giudica e manda secondo che avvinghia, cioè per mezzo
della
sua coda, come spiega Dante stesso ; diversamente
remo a tempo e luogo, cioè quando dovrà parlarsene nel corso regolare
della
Mitologia. Anche gli scienziati adottarono alcun
stelle : la quale resta nell’emisfero boreale, vicina a quella parte
della
costellazione di Ercole che si chiama la mano, vo
l Cielo. I naturalisti danno il nome di Cerbero a un genere di piante
della
famiglia delle Apocinee, che hanno proprietà vele
adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto
della
superficie della Terra, perchè supponevano che ne
ggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della superficie
della
Terra, perchè supponevano che nel seno di essa es
avesse trovato di quel che essi dicevano. E il nostro Dante valendosi
della
facoltà consentita ai poeti greci e latini, e spe
ed autore, costruì un Inferno che sarà sempre una maraviglia non solo
della
sua fantasia, ma pur anco della sua sapienza mora
e sarà sempre una maraviglia non solo della sua fantasia, ma pur anco
della
sua sapienza morale e politica. Il conoscer dunqu
nte due : una sotto il promontorio di Tenaro (ora capo Matapan al sud
della
Morea) ; e l’altra sulle sponde del lago Averno i
e acque piacevoli a beversi producevano l’oblio del passato e perfino
della
propria esistenza ; e queste davansi a bevere a q
; e queste davansi a bevere a quelle anime, che, secondo la dottrina
della
Metempsicosi di cui parleremo in appresso, doveva
i corpi. Il territorio del Tartaro era orrido e sterile come il paese
della
Fame descritto da Ovidio, senza biade, senz’alber
abitavano sulle rive settentrionali del Ponto Eusino (ora Mar Nero) e
della
Palude Meotide (ora Mar d’Azof). Tal descrizione
tematiche in modo così esatto e preciso, che i più dotti commentatori
della
Divina Commedia dalle indicazioni che ne ha date
, la Geologia, che comprende la Geogonia, cioè la storia dell’origine
della
Terra e la Geognosia, vale a dire la scienza dell
toria dell’origine della Terra e la Geognosia, vale a dire la scienza
della
struttura interiore della solida crosta del nostr
erra e la Geognosia, vale a dire la scienza della struttura interiore
della
solida crosta del nostro globo238. Ben presto vi
itata che la Terra e gli altri pianeti fossero in origine stati parte
della
materia ignea componente il globo solare, e poi d
. Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza
della
maggior parte delle sostanze che si conoscono sul
e che la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni e nelle leggi
della
Natura. 235. Alcuni mitologi e poeti antichi h
gi e poeti antichi hanno detto che i Campi Elisii, non erano nel seno
della
terra, ma nelle Isole Fortunate, che ora si chiam
ezze dai lor sogli « Alla ripa di fuor son ponticelli ; « Così da imo
della
roccia scogli « Movien, che recidean gli argini e
giero di Giove e degli altri Numi superni. Egli era figlio di Giove e
della
Ninfa Maia una delle sette figlie d’Atlante che f
aggiero degli Dei, supposero che fosse ancora il Dio dell’eloquenza e
della
persuasione, qualità indispensabili in un esimio
à indispensabili in un esimio ambasciatore : e dall’esser egli il Dio
della
mercatura e del commercio, nelle quali occupazion
rirli nei loro inganni e nelle loro ruberie. Tito Livio, nel libro 2°
della
Storia Romana, racconta che il collegio dei merca
orti al regno di Plutone, e richiamarle alla vita secondo la dottrina
della
Metempsicosi, ossia della trasmigrazione delle an
e richiamarle alla vita secondo la dottrina della Metempsicosi, ossia
della
trasmigrazione delle anime155 ; la seconda, ossia
glese Hume, è l’olio che fa girar facilmente e senza attrito le ruote
della
gran macchina sociale. Talvolta era rappresentato
significare l’efficace e gradito potere dell’eloquenza ; e come a Dio
della
medesima gli si offrivano le lingue degli animali
e questo Dio, e lo credevano inventore di tutte le arti, e protettore
della
mercatura e dei guadagni161. Noi avremo occasione
esso di tacere. Allora Mercurio, facendosi riconoscere, lo rimproverò
della
sua perfidia e lo punì trasformandolo in quella p
gli uomini si mette alla prova col denaro ; e la conclusione o morale
della
favola è questa : chi, nelle cose illecite, per l
ove son puniti gl’invidiosi, ci narra che ei vide « Il livido color
della
petraia, » e più oltre « ………ombre con manti Al
do color della petraia, » e più oltre « ………ombre con manti Al color
della
pietra non diversi, » e udì « Voce che giunse d
glauro che divenni sasso ; » e seppe così valersi incomparabilmente
della
pagana Mitologia, per ornamento del linguaggio po
sotto il nome di argento vivo a causa del suo color bianco argenteo e
della
sua mobilità ; per cui serve ottimamente nei tubi
ar di Mercurio. Dai botanici si chiamò mercuriale un genere di piante
della
famiglia delle Euforbiacee, perchè, secondo quel
lo in Terra. Il Tasso imitò Omero e-Virgilio descrivendo nel 1° Canto
della
Gerusalemme liberata la partenza dell’Angelo mand
urio di Giovan Bologna, statua in bronzo che ornava prima una fontana
della
villa Medici in Roma, ed ora vedesi nella Galleri
nfinità di copie di diverse dimensioni. 155. Spiegheremo la dottrina
della
Metempsicosi nel parlar dei regni di Plutone e de
gia Mitologica. Indicazione delle epoche principali e meno incerte
della
storia antica, le quali hanno qualche relazione c
prannominato Giove ; da ciò evidentemente ebbe origine la nota favola
della
metamorfosi della involata donzella. — Acrisio
; da ciò evidentemente ebbe origine la nota favola della metamorfosi
della
involata donzella. — Acrisio, nipote di Linceo
sò Perseo. — Megapente, figlio di Preto, pronipote di Danao, capo
della
terza casata d’Argo, detta Pretide. — Agenore
enore, pronipote d’Inaco, fondatore dei Fenicj. 1835. Primi popoli
della
Grecia.160 I Pelasgi. Sicione fondata da Egialeo.
ione fondata da Egialeo. 1764. Diluvio d’Ogige, re dell’Attica e
della
Beozia. Credesi che questo diluvio fosse un’inond
Elleno. I figli di questo sono stipite dei quattro popoli principali
della
Grecia, e ne scacciano i Pelasgi che riparano nel
ioni. Era un’assemblea composta dei deputati dei 12 principali popoli
della
Grecia. Questa Lega o Confederazione prese nome d
e. 1516. Lelege, egiziano o fenicio, fonda Sparta, fra i primi re
della
quale son ricordati Eurota, Lacedemone, Amicla.
ale son ricordati Eurota, Lacedemone, Amicla. 1511. Danao, già re
della
Cirenaica nella Libia, cacciato dal fratello Egit
one di Micene, e avventure di Perseo. 1335. Giano, principe greco
della
Tessaglia, conduce una colonia nel Lazio (Campagn
le più lontane parti d’Europa, d’Asia e d’Affrica. 1009. Abolizione
della
dignità regia in Atene, Codro ultimo re d’Atene m
e muore per la patria. 907. Fiorisce Omero 163 poeta sommo, autore
della
Iliade (la guerra di Troja) e dell’Odissea (i via
. Fiorisce Esiodo,164 il più valente degli imitatori d’Omero, autore
della
Teogonia o genealogia degli Dei, dello Scudo d’Er
866. Legislazione di Licurgo (Sparta). 776. Prima Olimpiade, base
della
greca Cronologia, e principio di epoche istoriche
a Pompilio. 624. Intorno a questo tempo fiorirono i sette Sapienti
della
Grecia, ricordati nella favola (Chilone, Biante,
58. Il Belo Babilonese fondatore di Babilonia e cho credesi il Nemrod
della
Sacra Scrittura, fiori, secondo altri, intorno al
e il padre delle famiglie, che andarono ad abitare la Grecia ai tempi
della
dispersione dei popoli, fosse Javan figlio di Jaf
e degli Argiesi. Se gli storici pongono Argo fra le più antiche città
della
Grecia, trovano la conferma della loro asserzione
ngono Argo fra le più antiche città della Grecia, trovano la conferma
della
loro asserzione nelle tradizioni preistoriche del
ovano la conferma della loro asserzione nelle tradizioni preistoriche
della
Mitologia, poichè abbiamo già veduto nel N. XI, c
In appresso incontreremo Agamennone re d’Argo e Micene, generalissimo
della
Grecia congiurata ai danni di Troia ; e finalment
ol quale furon comprate le guardie da un ricco principe aprì le porte
della
torre di bronzo, per la stessa ragione che fece d
upazione e allontanarlo dalla sua reggia lo eccitò, coll’allettamento
della
gloria che ne acquisterebbe, ad una impresa stran
a prima eran tutte bellissime, e poi divennero mostruose in punizione
della
lor vanità, e furon chiamate le Gorgoni dalla voc
appresentavano la testa di Medusa nell’Egida, e talvolta nell’usbergo
della
Dea Minerva ; e Cicerone rimprovera a Verre, tra
envenuto Cellini, che è posta sotto le loggie dell’ Orgagna in Piazza
della
Signoria. Anche i Naturalisti si son ricordati di
che vuol dir fonte del cavallo. La produzione dei serpenti dal sangue
della
testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a s
i Andromeda dall’ Orca. Era Andromeda figlia di Cefeo re di Etiopia e
della
ninfa Cassiopea ; e fu esposta ad esser divorata
caccia, e mostrandogli la testa di Medusa lo trasformò in quel monte
della
Mauritania che tuttora chiamasi Atlante, del qual
i guerreschi uccidesse l’avo. Compiute Perseo le sue imprese fe’ dono
della
testa di Medusa a Minerva. Il caval Pegaso gli so
dio delle origini storiche, forma la necessaria introduzione al Corso
della
Storia Antica ; e quanto poi alla Letteratura cla
abbo. » 48. Vedasi la bellissima Ode 16ª del lib. iii di Orazio ;
della
quale qui cito soltanto quella parte che si rifer
ges muneribus ; munera navium « Sævos illaqueant duces. » Di Danae e
della
pioggia d’ oro parlano ancora e Pindaro nella 12ª
ltresì i prosatori antichi Apollodoro e Pausania, i quali però invece
della
torre di bronzo rammentano una camera sotterranea
orre di bronzo rammentano una camera sotterranea di bronzo come luogo
della
reclusione di Danae. Ma ai poeti parve più bella
mito dei più straordinarii fu inventato sulla nascita di Minerva Dea
della
sapienza. Raccontano i mitologi che questa Dea na
e e minacciare) ; e perciò sotto questo nome sarebbe considerata come
della
guerra. Altri però dicono che deriva dal verbo mo
che perciò verrebbe invece a significare la Dea del consiglio, ossia
della
sapienza. Dante rammenta Pallade come Dea della g
del consiglio, ossia della sapienza. Dante rammenta Pallade come Dea
della
guerra nel Canto xii del Purgatorio : « Vedea Ti
iganti sparte. » E nel Canto ii del Paradiso nomina Minerva come Dea
della
sapienza : « Minerva spira e conducemi Apollo. »
me di Atena che alludeva all’origine ed alla mitologica denominazione
della
famosa città d’Atene. Narrano di concerto i mitol
rediletta città ; e i cittadini di essa favoriti e protetti dalla Dea
della
sapienza inventarono le scienze e le arti, e dive
facendo dire a Pisistrato dalla moglie di lui : « …..Se tu se’ Sire
della
villa « Del cui nome ne’ Dei fu tanta lite, « Ed
e considerandolo come simbolo di sapienza, perchè prodotto dalla Dea
della
sapienza, ne corona la fronte alla sua Beatrice r
nta d’olivo, » e poco, dopo soggiunge che era quel velo « Cerchiato
della
fronde di Minerva ; » e così commenta sè stesso,
Secondo alcuni poeti l’egida era un’armatura del petto con la figura
della
mostruosa testa anguicrinita di Medusa ; e second
he essi facevano gelosamente custodire nel tempio di Vesta come pegno
della
salvezza di Roma. Questa statua era chiamata il P
statua distinguevasi col nome di Parthenos (la vergine), cioè statua
della
vergine, e il tempio chiamavasi il Partenone, cio
rigi fu costruita sul disegno e le dimensioni del Partenone la chiesa
della
Maddalena, guasta recentemente e quasi rovinata d
addalena, guasta recentemente e quasi rovinata dagli anarchici furori
della
Comune. Di Minerva avremo occasione di parlare mo
ritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e che al pregio
della
lingua seppe unire pur anco quello delle scienze
che servono a mantenere la libertà, e che perciò diconsi il palladio
della
libertà. 171. « Tu nihil invita dices faciesve
tutti in questa impresa, come Achille nella guerra di Troia. Lo scopo
della
spedizione era la conquista del Vello d’oro ; e p
e, che sposò in seconde nozze Ino divenuta poi la Dea Leucotoe, aveva
della
sua prima moglie Nèfele un figlio e una figlia di
fele un figlio e una figlia di nome Frisso ed Elle ; che non contenti
della
matrigna fuggirono dalla casa paterna portando vi
ed inforca, « Che cotesta cortese opinïone « Ti fia chiovata in mezzo
della
testa « Con maggior chiovi che d’altrui sermone.
lologiche. All’invito di Giasone accorsero gli Eroi da tutte le parti
della
Grecia, alcuni dei quali eran già stati con lui a
Esiodo, siano stati aggiunti in appresso nuovi eroi dei diversi Stati
della
Grecia per accomunar la gloria di questa impresa
di dargli un aperto rifiuto, lo seppe talmente allucinare colle idee
della
gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a ri
a nave per questa spedizione coi pini del monte Pelio e colle quercie
della
selva di Dodona sacra a Giove, e, aggiungono i po
gnificazione, indicante soltanto una terra lontana, come l’Oga Magoga
della
Bibbia e il paese di Cuccagna e di Bengodi dei no
trione ed oriente, e in quella direzione volsero la prora. Il capitan
della
nave era Giasone, il pilota Tifi, ed a prua stava
la monotonia del viaggio rallegrando i compagni col canto e col suon
della
cetra : tutti gli altri Eroi costituivano la ciur
, « Acciò che tutti, come il corno suoni, « Non abbiano a fuggir fuor
della
terra. « Prende la briglia e salta su gli arcioni
Subito il paladin dietro lor sprona ; « Volando esce il destrier fuor
della
loggia, « E col castel la gran città abbandona, «
tissimo monte, « Ove il Nilo ha, se in alcun luogo ha, fonte. « Quasi
della
montagna alla radice « Entra sotterra una profond
Argonauti notizie e consigli sul miglior modo di schivare i pericoli
della
loro navigazione ; e partiti da lui colmi di ring
e avendo mandato il suo valletto Ila a prender dell’acqua sulle coste
della
Misia, e non vedendolo ritornare, scese a terra a
vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo
della
medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga
e, e coll’aggettivo Pagasaeus da Pagasa (ora Armiro,) città marittima
della
Tessaglia, rammentata anche da Plinio il naturali
chiama sommo Giove Gesù Cristo nel senso etimologico e non mitologico
della
parola Giove. La Divinità non ebbe mai in alcuna
in alcuna lingua un nome etimologicamente più bello, poichè anche più
della
giustizia e della clemenza è bella la beneficenza
n nome etimologicamente più bello, poichè anche più della giustizia e
della
clemenza è bella la beneficenza. Sii giusto, sii
dicono i moralisti ; e in questi due punti compendiano tutti i doveri
della
morale, il primo come dovere assoluto e il second
perchè gli Antichi attribuirono a Giove l’invenzione e la protezione
della
ospitalità ; Tonante perchè era creduto signore d
n trono, coi fulmini nella destra, lo scettro sormontato dalla statua
della
dea Vittoria nella sinistra, e ai piedi l’aquila
mone significa arenoso, e Giove ebbe questo titolo perchè nelle arene
della
Libia comparve sotto la forma di ariete a Bacco,
rezzato l’uso antico di adottare nel linguaggio scientifico i termini
della
Mitologia. La più bella e sublime immagine della
cientifico i termini della Mitologia. La più bella e sublime immagine
della
potenza di Giove, e della dipendenza della Terra
Mitologia. La più bella e sublime immagine della potenza di Giove, e
della
dipendenza della Terra dal Cielo e dal supremo su
ù bella e sublime immagine della potenza di Giove, e della dipendenza
della
Terra dal Cielo e dal supremo suo Nume, fu ideata
iore degli altri veri e proprii pianeti, e gli dedicarono quel giorno
della
settimana che tuttora chiamasi Giovedì. Se tutto
mani antichi. Ma disgraziatamente ci fu tramandato ancora il racconto
della
vita privata di questo Dio, indegna d’un uomo non
venerazione. Dante nel primo Canto del Paradiso invocando Apollo dio
della
poesia, lo chiama padre ; e il Tasso ad Erminia f
uochi detti appunto perciò Olimpici. Da questa quadriennale solennità
della
Grecia ebbero il nome le Olimpiadi, divisione del
Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest
della
Grande Oasi, sui confini dell’ Egitto, nel desert
eran celebrate dalle matrone. Figli di essa e di Giove furono Ebe dea
della
gioventù, Vulcano dio del fuoco e della metallurg
ssa e di Giove furono Ebe dea della gioventù, Vulcano dio del fuoco e
della
metallurgia e Marte dio della guerra. Ebe oltre
della gioventù, Vulcano dio del fuoco e della metallurgia e Marte dio
della
guerra. Ebe oltre ad esser la dea della gioventù
ella metallurgia e Marte dio della guerra. Ebe oltre ad esser la dea
della
gioventù, mesceva il nettare agli Dei, quando era
rlare separatamente. Il tema più vasto per altro e l’eterno argomento
della
vita di Giunone è quello delle gelosie, delle sti
» Un’altra particolarità che si riferisce alla dea Giunone è il mito
della
sua ancella e messaggiera Iride. Era questa una N
rma che nell’alto di quella montagna non ascendevano gli umidi vapori
della
terra, nè perciò producevansi le meteore acquee,
dicare l’arcobaleno, significa anche la refrazione dei raggi colorati
della
luce ; e iridescenza la proprietà che hanno alcun
dei raggi e i diversi punti di vista, si legge nella seguente ottava
della
Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma ta
sa di quella membrana dell’occhio, e più specialmente l’infiammazionè
della
medesima. Per quanto tutti i poeti antichi abbian
sima. Per quanto tutti i poeti antichi abbiano parlato magnificamente
della
dea Iride, descrittane la bellezza e chiamatala,
ia ancor umida dopo la pioggia faccia da prisma e rifranga i 7 colori
della
luce. Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il
indaco e violetto. Ai tempi nostri la spettroscopia, ossia l’analisi
della
luce per mezzo dello spettroscopio è divenuta cos
ia di questa Dea, facendone un distintivo e, a quanto pare, un pregio
della
medesima. 94. Giunone stessa cosi dice ad Eolo
(Epist. ad Pis.) — Gli Inglesi lo chiamano egualmente rain-bow, arco
della
pioggia.
ogica. Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione
della
Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che
ssa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizione precedente
della
storia naturale, perchè è impossibile il dedurre
rganici fossilizzati, da secoli e secoli non più viventi sulla faccia
della
terra, la loro antica forma, i loro istinti, le l
cognizioni esatte negli esseri organizzati viventi. Dunque lo studio
della
Mitologia greca e romana sarà utile sempre, ed an
olisse (come fu inutilmente tentato un mezzo secolo indietro),. l’uso
della
Mitologia nei futuri poetici componimenti, rester
issolve. » La Divina Commedia principalmente, che sin dai primi anni
della
ricuperata indipendenza dagli stranieri, è divenu
le degl’Italiani, esige tra le altre infinite cognizioni anche quelle
della
Mitologia. Ed io perciò in questo libro ho riport
a e latina. Per tutti gli altri che son principianti o. privi affatto
della
cognizione delle lingue dotte, vi è bisogno di li
lle lingue dotte, vi è bisogno di libri più facili e più alla portata
della
comune intelligenza. E poichè in questa classe si
nite anticaglie, oltre alla illustrazione di tutti i passi mitologici
della
Divina Commedia e di molti dei principali poeti i
ia, o vera spiegazione del termine, può solo dedursi dalla cognizione
della
Mitologia. E poichè oggidì è riconosciuto e volut
io tentativo di farne conoscere le molteplici relazioni con lo studio
della
Mitologia non debba essere stimato affatto privo
ti Belle non hanno mai cessato da tremila anni, neppur dopo la caduta
della
religione pagana, di rappresentare in tavole e in
elle strade, non in Roma soltanto, ma per tutta Italia, la cognizione
della
Mitologia si rende necessaria non solo ai cultori
, e non tutti, ma quelli soltanto che furono i più grandi benefattori
della
umanità. A questi novelli Dei assunti in Cielo er
sse che era andato a visitare il regno delle ombre, « Non consolarmi
della
morte, o Ulisse, « Replicava il Pelide. Io pria t
e la descrivevano gli Antichi, fu un poco interrotta colla invenzione
della
Metempsicòsi, immaginata dal filosofo Pitagora253
ale dello stato delle anime dopo la morte, accenna ancora la dottrina
della
Metempsicòsi, ne riporterò qui la traduzione di A
ne « Non ergon gli occhi. Ed oltre a ciò, morendo, « Perchè sien fuor
della
terrena vesta, « Non del tutto si spoglian le mes
e son pervenute dai poeti pagani, è confermata la pitagorica dottrina
della
Metempsicòsi, e ne deriva necessariamente la cons
on andare errando per 100 anni lungo lo Stige nella penosa incertezza
della
sede che erale destinata. La qual credenza religi
imitato in questo il suo Maestro, ed ha fatto di Flegia un nocchiero
della
palude che cinge la città di Dite. Salmoneo, fra
denominazioni scientifiche. Gli Zoologi chiamaron Tantalo un uccello
della
classe dei Trampolieri, simile all’Airone ed all’
Tantalo denominaron Tantalio un nuovo elemento o corpo che partecipa
della
natura dei metalli per le sue proprietà fisiche,
anchi ; e dai Botanici si chiamò Danaide un genere di piante rampanti
della
famiglia delle rubiacee, con fiori rossi che span
tto il regno di Servio Tullo. Fissò il suo soggiorno in Crotone città
della
Magna, Grecia, ed ivi ebbe molti discepoli, e cos
egli adorato qual Nume. 254. Avendo ammesso Pitagora nella dottrina
della
Metempsicòsi che le anime degli uomini, specialme
pomorfismo il politeismo greco e romano, perchè, dic’ egli, « gli Dei
della
natura presero forma e natura umana. 257. Pante
lira italiana, poichè fu considerata in appresso come la sesta parte
della
dramma, greca moneta d’argento del peso di 4 gram
e, un pecoro e un legacciolo delle calze non son niente di più nobile
della
spalla di Pelope e neppure della spalla di san Se
e calze non son niente di più nobile della spalla di Pelope e neppure
della
spalla di san Secondo. — A scanso di equivoci, e
ero « Che i cuori indura e serra » come dice il Petrarca, era il Dio
della
guerra selvaggia, feroce, di esterminio. Per lui
feriva pertanto da Minerva, quando era considerata anch’essa come Dea
della
guerra, quanto le furibonde sommosse differiscono
credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore
della
loro città fosse figlio di Marte, come narra lo s
ato, tanto più che per l’assoluzione era dato il voto di Minerva, Dea
della
sapienza173. Il nome latino di Mars (Marte) cons
i cose ; significato funesto, e pur troppo vero nei terribili effetti
della
guerra. Chiamavasi ancora Gradivo, titolo derivat
pecialmente nelle statue di marmo e di bronzo (chè il nudo è il campo
della
statuaria), però sempre almeno coll’elmo in testa
perchè il truce soggetto pareva loro che ripugnasse alla squisitezza
della
greca eleganza. All’opposto i Romani ne moltiplic
. Infatti il generale romano nel partir per la guerra scuoteva l’asta
della
statua di Marte dicendo : Mars vigila ; sottinten
intitolavano Marte Romano. Essendo la guerra il fondamento e la causa
della
loro potenza, e’ la chiamavano bellum, come se fo
, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine
della
repubblica e ai primi tempi dell’impero, perchè a
nferno) a quell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui
della
città che nel Batista « Cangiò il primo padrone,
rno. » A Marte era sacro il gallo, animale vigile e pugnace, emblema
della
vigilanza e del coraggio necessario nelle battagl
), legge marziale (o stato d’assedio), ecc. ; ma anche nel linguaggio
della
chimica, come sostanze o preparati marziali, in c
tronomi antichi a quel pianeta visibile ad occhio nudo, che resta più
della
Terra lontano dal centro del nostro sistema plane
a forma strana di questo Nume come emblematica dei principali oggetti
della
creazione, lo considerarono come simbolo della Na
dei principali oggetti della creazione, lo considerarono come simbolo
della
Natura o dell’Universo. Questa etimologia e la co
che tutti eran d’accordo (e vi si unisce anch’egli) nella etimologia
della
parola Pan e nel simbolo indicato da questo Dio c
rsa natura 10. Ma la spiegazione che soglion dare delle diverse parti
della
figura del Dio Pane, e più specialmente delle cor
i virgulti del nostro suolo, e i solidi zoccoli caprini la stabilità
della
Terra. Risparmierò al cortese lettore altre simil
me il protettore dei cacciatori e dei pastori, ed inoltre l’inventore
della
sampogna, i tre distintivi preaccennati rammentan
cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso
della
Ninfa, cangiata in canna, cioè Siringa, in latino
dei nomi di Dafne, di Giacinto, di Ciparisso ecc. Sul rozzo stromento
della
sampogna fanno i Mitologi una infinità di comment
Non contenti di eredere che le sette canne simboleggino i sette toni
della
musica, o, come ora direbbesi, le sette note musi
nfa Eco, la quale era stata da Giunone cangiata in voce, in punizione
della
sua loquacità, e condannata a tacere se nessun le
o il suo culto in Italia dall’Arcade Evandro tre secoli e mezzo prima
della
fondazione di Roma. Evandro aveva fissata la sua
riti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo
della
battaglia di Maratona parlasse a Fidippide Atenie
lari credenze prevalenti a quei tempi, e non la storica dimostrazione
della
verità dei fatti. Anche Tito Livio racconta molti
nico. Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion
della
vita si aggiungono sempre molti timori vani, da c
el N. V, che Vesta Prisca moglie di Urano era considerata come la Dea
della
Terra : ora aggiungiamo che anche due altre Dee,
Cibele poi come la Terra ornata di tutte le produzioni dei tre regni
della
Natura, animale, vegetale e minerale, e Tellùre c
vegetale e minerale, e Tellùre come il complesso delle forze fisiche
della
materia terrestre. Questa triplice distinzione ri
pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine
della
Terra, che cioè essendo essa in principio una mas
suoi strati ; e gradatamente prodotto tutti gli oggetti dei tre regni
della
Natura nelle diverse e successive epoche geologic
. Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii
della
Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea
he Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’orazione lamentevole
della
Dea Terra in occasione dell’incendio mondiale cag
; e venendosi perciò a significare la creduta stabilità o immobilità
della
Terra, a cui presiedeva Cibele. Chiamavasi in gre
e degli altri Dei. Il culto di Cibele fu introdotto in Roma ai tempi
della
seconda guerra punica allorchè, infierendo una pe
hiedea qualche mese di tempo : talchè quando giunse in Roma la statua
della
Dea, il morbo pestilenziale, già pago delle vitti
ssi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli
della
madre degli Dei erano i soli sacerdoti a cui foss
lluriti, tellurati, tellururi metallici, ecc. 42. « Per l’orazion
della
Terra devota, « Quando fu Giove arcanamente giust
non dice il motivo dell’eccezional privilegio accordato ai sacerdoti
della
Dea Cibele.
convien dimenticare, perchè verrà molte volte a bisogno nel progresso
della
Mitologia. La Genealogia degli Dei, ossia la loro
l’antico verbo latino geno, che significa generare), era detto il Dio
della
Natura, e consideravasi perciò come il simbolo de
era detto il Dio della Natura, e consideravasi perciò come il simbolo
della
forza generatrice della creazione. A chiunque stu
atura, e consideravasi perciò come il simbolo della forza generatrice
della
creazione. A chiunque studia con attenzione la Mi
ve si tratta del diritto naturale. I giureconsulti romani nel parlare
della
schiavitù (quantunque a quei tempi fosse ammessa
oso poema sulla Natura delle cose. Anche i teologi cristiani trattano
della
Natura divina e della Natura umana, e inoltre del
delle cose. Anche i teologi cristiani trattano della Natura divina e
della
Natura umana, e inoltre dell’unione ipostatica di
me del Codice Napoleone13. Il notare questi diversi usi e significati
della
parola Natura e suoi derivati, credo che sia più
rte, Giove e Saturno ; e gli stessi nomi assegnarono ancora ai giorni
della
settimana. I moderni, dopo l’invenzione del teles
poeti italiani, rese possibile il formarsi qualche idea meno confusa
della
classica Mitologia. 10. La 1ª esamina e dichiara
le leggi del movimento delle molecole, e perciò delle forze naturali,
della
composizione e decomposizione della materia, sott
e, e perciò delle forze naturali, della composizione e decomposizione
della
materia, sotto i nomi principalmente di fisica ge
rale, che è la descrizione di tutti gli esseri organici ed inorganici
della
creazione, comprende anche gli studii speciali ri
so dalla vecchiezza ; e che essa poi fosse cangiata in ape. La favola
della
Ninfa Eco cangiata in voce è raccontata anche in
è necessario il farne qualche cenno. La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e
della
Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio
dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio
della
Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narcis
ella Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano
della
propria bellezza che non amava che sè stesso e di
quel d’entro quel di fuori, » ciò avviene per riflessione dei raggi
della
luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione de
i raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon
della
voce. Quanto poi all’orgoglioso amor proprio di N
ventò molto a proposito che egli ne fu punito coll’essersi innamorato
della
propria immagine, veduta nello specchio delle acq
mentar questo passo il can. Bianchi, che fu segretario dell’Accademia
della
Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono nin
a degli uomini e quella degli Dei supremi. Stabilita la base, e lieti
della
prima applicazione bene appropriata, presero cora
altre, e diedero il nome di Ninfale a un genere di Lepidotteri diurni
della
tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del piop
menti Nenufar e volgarmente giglio degli stagni), e ne fecero il tipo
della
famiglia delle Ninfacee, ossia delle piante erbac
Capricorno ; la qual parola composta starebbe a significare il corno
della
capra, o la capra con un corno, per alludere alla
si rotto un corno, Giove ne fece un regalo alle Ninfe che ebbero cura
della
sua infanzia, attribuendo al medesimo il mirabil
se specie delle balene. Le Sirene, credute figlie del fiume Acheloo e
della
ninfa Calliope, erano rappresentate dalla testa a
rarseli. Ed asserivasi che per quanto le prossime coste dell’Italia e
della
Sicilia biancheggiassero di ossa umane delle vitt
delle Sirene e schivare qualunque pericolo, si fece legare all’albero
della
nave, avendo otturate prima le orecchie colla cer
avano. Dante poi ha trovato il modo di parlarne anche nel poema sacro
della
Divina Commedia. Nel Canto xix del Purgatorio imm
meco s’aùsa « Rado sen parte, sì tutto l’appago. » Con questi detti
della
Sirena, il poeta ce la rappresenta come l’immagin
ne era bellissima, ma poi per gelosia di Amfitrite, o, secondo altri,
della
maga Circe, fu cangiata in un orribile mostro con
tranti. Cariddi poi, benchè creduta figlia di Nettuno e di Gea, ossia
della
Terra, fu detto che si dilettava di assaltare i p
voragine. La geografia ci dice che Scilla è una scogliera sulla costa
della
Calabria ulteriore I228, ove le onde si frangono
nio il Naturalista che morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno
della
prima eruzione del Vesuvio. E quantunque i poeti
umor che intorno s’ode « Le selve, i monti e le lontane prode. « Fuor
della
grotta il vecchio Proteo, quando « Ode tanto rumo
nti di quelle dell’uomo, perchè non avendo loro accordato l’argomento
della
mente, vale a dire l’intelligenza e il raziocinio
iama sè stesso : Epicuri de grege porcum. Ecco i due celebri esametri
della
sua sincera ed aperta dichiarazione : « Me pingu
i la distinguono col nome di Balœna Mysticetus ; ed è la Balena detta
della
Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare
ente « Più giusta e più discreta la ne tiene ; « Chè dove l’argomento
della
mente « S’aggiugne al mal volere ed alla possa, «
iamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i popoli
della
Tessaglia facevano alti rumori con stromenti ed u
nne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi
della
scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo c
ue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia
della
Luna. Gli astronomi stessi passarono anticamente
Gli astronomi stessi passarono anticamente per maghi o per innamorati
della
Luna. Anzi di quel primo che osservò e descrisse
lo. I poeti poi quasi tutti, ed anche gl’italiani, rammentano il vago
della
Luna, Endimione e la sua Diva, il dormitore di La
icerone parlano del sonno di Endimione, paragonando a quello il sonno
della
morte138. La Luna era adorata da quasi tutti i po
statua di questa Dea. Col solo nome di Diana era considerata come Dea
della
caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe
ste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino alla metà
della
gamba, pendente alle spalle il turcasso cogli str
si distingua che questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’alto
della
fronte un aureo monile in forma di luna crescente
i sparse. « Vero dirò (forse e’parrà menzogna), « Ch’io sentii trarmi
della
propria immago ; « Ed in un cervo solitario e vag
nel modo seguente : « Ma non cinquanta volte fia raccesa « La faccia
della
Donna che qui regge « Che tu saprai quanto quell’
l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomunato da Dante con quel
della
Luna144. Anche il titolo di Lucina dato anticamen
, nel lib. ii. de Nat. Deor., indica pur anco qual fosse l’etimologia
della
parola Diana : « Diana dicta, quia noctu quasi di
iove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, volle vendicarsi
della
medesima, e trasformatasi nella vecchia Beroe nut
ro. Il piccolo Bacco cresceva vivace ed allegro ; ed ebbe per custode
della
sua giovinezza (o come ora diremmo per aio o educ
ed emblemi di Bacco lo manifestano chiaramente come il Dio del vino e
della
intemperanza. Il volto giovanile e rubicondo, i p
uir dignità o importanza a questo Dio dicono che le corna son simbolo
della
potenza di lui, ossia della forza del vino. Il no
uesto Dio dicono che le corna son simbolo della potenza di lui, ossia
della
forza del vino. Il nome stesso di Bacco, o che si
on un cembal bee ; quegli altri ridano ; « Qual fa d’un corno, e qual
della
man ciotola ; « Qual move i piedi in danza, e qua
a salvezza dal labirinto e dal Minotauro. Quel Nume gioviale e nemico
della
malinconia la consolò subito facendola sua sposa
ne d’oro. Così sostituirono un miracolo mitologico al miracolo fisico
della
natural formazione delle pepiti e delle auree ven
sico della natural formazione delle pepiti e delle auree vene nel sen
della
terra. Questa favola di Mida fu raccontata dall’A
mente che all’armonia dell’apollinea cetra fosse preferibile il suono
della
rusticana sampogna del Dio dei pastori. Come si u
» Ma la chimica soltanto colla teoria delle trasformazioni per mezzo
della
luce, del calorico e della elettricità può darne
olla teoria delle trasformazioni per mezzo della luce, del calorico e
della
elettricità può darne la più razionale e probabil
e in appresso questo nome anche ad altri soggetti poetici diversi, ma
della
stessa forma metrica irregolare. Perciò il Giusti
coi dischi o piatti in alcune bande militari o civiche. Nella Tribuna
della
Galleria degli Uffizi in Firenze v’è il famoso Fa
America e l’Impero Germanico ; mentre il Monoteismo è il vero modello
della
monarchia assoluta ; la quale soltanto per analog
Fato. Il Fato 14, detto altrimenti il Destino, era figlio del Caos e
della
Notte, e rappresentava, secondo la Cosmogonia deg
uoi decreti, riferibili a tutte le future vicende (ecco la prima idea
della
predestinazione), fossero contenuti in un’urna o
si la sua potenza o il suo arbitrio. Da queste idee pagane del Fato e
della
predestinazione derivò in filosofia il Fatalismo,
, e alla sua bontate « Più conformato, e quel ch’ei più apprezza « Fu
della
volontà la libertate, « Di cui le creature intell
demerito delle persone, e la giustizia del conferimento dei premii e
della
irrogazione delle pene ! A compagne del Fato e mi
soccorso. In greco era chiamata Tiche, ed aveva gli stessi attributi
della
Fortuna dei Latini. E poichè credevasi che spesso
to linguaggio poetico si vogliono significare le occulte disposizioni
della
Provvidenza, imprevedibili ed inevitabili dai mor
altri Dei ; i quali spesso nei poeti pagani si lamentano pietosamente
della
inesorabilità del Destino come qualunque più mise
liquidumque plumbum. » (Hor., Od. i, 29.) 16. Nei moderni ritratti
della
Fortuna ai frutti ed ai fiori del cornucopia son
e d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in cui è esposta l’immagine
della
Fortuna ad allettamento dei devoti cultori della
è esposta l’immagine della Fortuna ad allettamento dei devoti cultori
della
medesima ; seno i Botteghini del Lotto, ove per a
uto, parlando sin qui degli Dei Superiori soltanto, che la cognizione
della
Mitologia greca e romana è lo studio delle princi
ri popoli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon sì civili, e
della
cui civiltà è figlia la nostra. Se una gran parte
durle al. loro più vero significato, sceverandole dalle fantasmagorie
della
immaginazione e dalle assurde credenze del volgo
l Cristianesimo citarono i detti di Cicerone forse più spesso di quei
della
Bibbia. Andando su queste traccie, riesce più fac
qua e la Terra. Che più ? anche la Notte, ossia l’oscurità, l’assenza
della
Luce, era una Dea ; e tutti questi Dei e Dee avev
mitologica delle eruzioni vulcaniche abbiamo aggiunto la spiegazione
della
causa fisica delle medesime ; alla formazione fav
iamo personificate le più grandi leggi fisiche e le più notabili idee
della
vita morale e sociale, procedendo alla seconda Pa
mondo. È l’epoca eroica dei popoli antichi, è la base o il substrato
della
loro incipiente civiltà e della loro storia nazio
oli antichi, è la base o il substrato della loro incipiente civiltà e
della
loro storia nazionale. Passata quest’epoca, che è
degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo. fine
della
prima parte della mitologia
mani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo. fine della prima parte
della
mitologia
d inventar divinità che presiedessero alle diverse forze e produzioni
della
Natura, e attribuirono a quelle l’invenzione dell
scienze, ed anche la creazione e la trasformazione di molti prodotti
della
natura stessa. E in ciò appunto distinguesi la cl
e figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e
della
Terra), era considerata come la Dea delle biade c
l carro di Cerere tirato da draghi volanti avesse percorso gran parte
della
terra per insegnar quell’arte agli altri popoli.
ine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto
della
perduta Proserpina. Questo mito del ratto di Pros
questi miti sarà più facile riconoscere le immagini sculte o dipinte
della
dea Cerere dagli emblemi coi quali è sempre rappr
essario l’aggiungere il distintivo del mazzo di papaveri all’immagine
della
dea Cerere. Per maggior distinzione fu rappresent
no una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca
della
smarrita Proserpina. La vittima che sacrificavas
bia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo
della
sua calvizie, furono divorati dagli orsi ; e se n
Dante rammenta questo celebre mito, e se ne vale per una similitudine
della
magrezza a cui per pena eran ridotti i golosi nel
1. Ripeterò in questo scritto più d’una volta che senza la cognizione
della
Mitologia non si possono interpretar bene i poeti
imostrano come e quanto graziosamente i nostri sommi poeti si servano
della
Mitologia per ornamento del linguaggio poetico.
lle Apoteosi Quei Mitologi che presero l’assunto di spiegare i miti
della
Religione Pagana per mezzo di antichi fatti istor
parte suppletoria, per me è stata la parte principale e fondamentale
della
Mitologia Greca e Romana ; e l’ho estesa anche al
Per me dunque il parlare separatamente delle Apoteosi è un riassunto
della
parte fondamentale del mio lavoro, è una conferma
eificazione, e consiste nel considerare e adorare come Dei gli esseri
della
Natura, le esistenze create166 ; e in un signific
ù antico di cui si trovi memoria negli scrittori fu quello del Sole e
della
Luna e quindi degli altri Astri ; e questo culto
esti si passò presto a quello dei corpi terrestri, ossia dei prodotti
della
terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci
a l’apoteosi di Esseri soprannaturali rappresentanti le forze o leggi
della
Natura fisica che producono il movimento della ma
tanti le forze o leggi della Natura fisica che producono il movimento
della
materia, e che poi furono dette scientificamente
eismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi
della
creazione non solo del mondo fisico, ma pur anco
ad abusare dell’apoteosi col deificare per vile adulazione i potenti
della
Terra non solo dopo la loro morte, ma pur anco in
logico invece si consideravano come Enti creatori le leggi e le forze
della
materia e dello spirito. È decisivo su tal propos
e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. Nei tempi eroici
della
romana Repubblica (eroici non solo per valore, ma
erano ammessi in Roma, come avverte T. Livio nel lib. iv e nel xxxix
della
sua storia ; anzi non si adottarono neppure i più
storia ; anzi non si adottarono neppure i più strani ed assurdi miti
della
greca mitologia inventati da quelle fervide e sbr
tasie dei greci poeti e dei greci sacerdoti. I Romani sino al termine
della
seconda guerra punica furono i puritani della pag
Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puritani
della
pagana religione, e considerarono sin dal tempo d
i cui seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la bontà e santità
della
vita : e questo parve un gran miracolo in mezzo a
Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume
della
ragione ; e se alcuni furon trattenuti dalla paur
tormenti ed anche alla morte, e suggellaron col sangue l’attestazione
della
loro novella Fede. Quando poi cessarono le persec
ti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e comandava l’abolizione
della
schiavitù, anche i più rozzi ed ostinati contadin
ione latina, significherebbe religione dei contadini. Negli scrittori
della
bassa latinità è detto paganitas, come abbiamo ne
invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone
della
stessa famiglia, la quale in latino dicevasi più
e modi. Omero dice che questa Dea è figlia di Giove e di Dione, ninfa
della
stirpe dei Titani, nata dall’Oceano e da Teti. Es
el mare. Questa più strana e prodigiosa origine, creduta a preferenza
della
prima che era più semplice e naturale, fece dare
ludendo a questa origine la rappresentarono nel primo fior dell’età e
della
bellezza, affatto nuda e senz’alcun ornamento, in
a rassegna delle più grandi bellezzè che son da ammirarsi nelle opere
della
creazione ; ed Ugo Foscolo ha detto : « Venere si
leggia la Bellezza dell’ Universo. » Da Venere, considerata come Dea
della
bellezza, son derivate le parole venustà ed avven
menta Dione come madre di Venere, e per figura poetica adopra il nome
della
madre per quello della figlia, volendo indicare n
di Venere, e per figura poetica adopra il nome della madre per quello
della
figlia, volendo indicare nel Canto xxii del Parad
rettissima parentela, e che le Grazie erano il necessario complemento
della
Bellezza e dell’Amore. Anzi i filosofi più sapien
per di più era zoppo e tutto affumicato e fuligginoso per l’esercizio
della
sua professione di fabbro. Giove così volle premi
Cupido, nascondendo l’esser suo, sottopose la curiosità e la fiducia
della
sua eletta, sposò finalmente e rese felice col pi
rifrasi mitologica lo contraddistinse Dante, alludendo agli attributi
della
Dea Venere. 182. Esiste anche in Firenze nella
) è composto il termine psicologia, che perciò significa quella parte
della
filosofia che tratta dell’anima e delle sue facol
in verso quanto in prosa ; e si applica pur anco agli uomini illustri
della
storia antica e della moderna, come pure ai più s
sa ; e si applica pur anco agli uomini illustri della storia antica e
della
moderna, come pure ai più straordinarii personagg
della moderna, come pure ai più straordinarii personaggi d’invenzione
della
fantasia dei poeti. I due vocaboli Semidei e Indi
nta fra le caligini mitologiche e si estende sino alle serene regioni
della
Storia. I tempi eroici anche più dei mitologici f
non meno grandi furono i vizii consistenti principalmente nell’abuso
della
forza, o come dicono i poeti, nel viver di rapina
e fasi sociali, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato
della
greca e della romana civiltà, come dice il Romagn
, come suppone il Vico, poichè vi restò un addentellato della greca e
della
romana civiltà, come dice il Romagnosi (e si può
er altro colla dissoluzione di tutti gli ordini sociali il predominio
della
forza in tutto il suo furibondo vigore e il così
della forza in tutto il suo furibondo vigore e il così detto diritto
della
privata violenza. Ne abbiamo una conferma anche n
e origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini
della
moderna civil società. Scendendo ora a parlare de
camente quest’epoca, non abbiamo dati certi neppure dell’anno preciso
della
distruzione di Troia, poichè si trova in taluni A
vio di Deucalione Dopo che furono sterminati i Giganti dalla faccia
della
Terra, vi rimase la razza dei discendenti dei mig
rte o meritarono di scampare dal generale esterminio ? Furono ambedue
della
stirpe dei Titani : Deucalione era figlio di Prom
ssendo rimasti soli nel mondo, e quindi il solo modello dei due sessi
della
specie umana, parve loro un poco lungo, com’è rea
r nati e cresciuti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio
della
dea Temi che era sul monte Parnaso, dimandarono a
lare il mondo. L’oracolo rispose : gettatevi dietro le spalle le ossa
della
gran madre. — Tutte le risposte degli oracoli era
n madre fosse la Terra, madre comune di tutti i mortali86), e le ossa
della
medesima le pietre. E poichè il tentarne la prova
noi siamo una dura stirpe, tollerante delle fatiche, e diamo indizio
della
dura origine nostra !87). In tal modo ben presto
cettici, o universali dubitatori. La geologia, in fatti, nel trattare
della
crosta solida del nostro globo e degli strati che
e seppelliti da migliaia e milioni di anni per le forze irresistibili
della
Natura negli strati sottoposti a quello sul quale
ologici sono adottati in quasi tutte le scienze ; e che la cognizione
della
Mitologia aiuta molto ad intendere il significato
alle materie o roccie sedimentarie. Finalmente chi conosce il valore
della
parola metamorfosi, che significa trasformazione,
con gli uomini, convien premettere qualche osservazione sull’origine
della
specie umana. La Mitologia è molto incerta su tal
a32. Questa invenzione è bella e sapiente, e consuona con la dottrina
della
Bibbia, ove dice che lo spirito di Dio abbandonò
anno i poeti pagani. Ed è questa l’opinione non solo dei commentatori
della
Bibbia, ma pur anco del sommo Alighieri, il quale
chi può asserire e provare che le leggi fisiche vadan sempre perdendo
della
loro efficacia ? E riguardo al morale, ognun sa c
istrugge tutte le cose ; e indicare pur anco la principale operazione
della
mietitura. Il serpente poi che mordendosi la coda
tempio in Roma alle falde del Campidoglio, ove conservavasi il tesoro
della
Repubblica. Davasi, come si dà tuttora, il nome d
tante dei pianeti visibili ad occhio nudo37), e inoltre a quel giorno
della
settimana che noi con vocabolo derivato dall’ebra
unque ottimo re ; ma altrove lo troviamo rappresentato come portinaio
della
celeste reggia, e come il Dio che fa girare le sf
ani, che corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse, o palazzi
della
Borsa. In Roma se ne conserva tuttora uno antichi
erciò potevan benissimo avere informato i dotti pagani delle dottrine
della
Bibbia. 29. « ….. Thuscum rate venit in amnem
, avvocati e presidenti. » Il seguito però e la conclusione o morale
della
favola dimostrano che l’abito non fa il monaco.
co nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea
della
castità. Quindi il culto di questa Dea fu affidat
ia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa Dea, prima
della
fondazione di Roma, fosse adorata in Alba e vi av
si Vestale. Nel tempio di Vesta non vedevasi alcuna statua o immagine
della
Dea ; ma soltanto un’ara col fuoco perpetuamente
Dea ; ma soltanto un’ara col fuoco perpetuamente acceso, come simbolo
della
creduta perpetuità del romano impero47. Il tempio
crupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio
della
Dea della castità. Da queste due condizioni crede
illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea
della
castità. Da queste due condizioni credeva il popo
popolari credenze o superstizioni, s’intende subito anche la ragione
della
importanza attribuita alle Vestali e all’adempime
importanza e segretezza non solo dai privati, ma anche dai magistrati
della
Repubblica e dai principi stessi dell’ Impero. Av
lla prima che fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdozio, e
della
quale sapevasi il nome di Amata per tradizione.
orribile che nel primo caso. Al secondo modo era simile la pena detta
della
propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli ass
Quest’Eroe fu pronipote di Eolo, nipote di Sisifo e figlio di Glauco,
della
dinastia dei re di Efira, cioè di Corinto. Il suo
calunniato malignamente dalla regina Stenobea ; e Preto per le accuse
della
perfida moglie (volendo per altro schivare l’odio
ando che vi sarebbe perito, se egli era reo, oppure darebbe una prova
della
sua innocenza se riuscisse vittorioso54. La più c
vittorioso54. La più celebre e memorabile di queste imprese fu quella
della
Chimera, mostro che avea la testa di leone, il co
la ragione e si diede la morte. Bellerofonte, dopo tante ardue prove
della
sorte avversa, giunto finalmente a superarle tutt
coglierlo nel loro consesso ed alla loro mensa. Ma Giove, per punirlo
della
sua folle superbia, mandò un tafano a molestare i
suo nome, come dicemmo. La spiegazione più plausibile che suol darsi
della
Chimera è questa : che invece di essere un mostro
era è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivomo
della
Licia, nella parte più alta del quale soggiornass
nome di Chimera a un genere di pesci, notabili per la forma mostruosa
della
loro testa, e che son classati come appartenenti
che anco nelle Belle Arti è raro il trovar dipinta o sculta la figura
della
Chimera. Ne esiste una di bronzo fuso nella Galle
scrive s’intende chiaramente che questi erano speciali Dei protettori
della
città, poichè fa dire ad Enea dall’ombra di Ettor
di Virgilio, che cioè i Penati fossero gli Dei protettori di Troia e
della
Troade. Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i
e il capo dello Stato onorava di un culto speciale gli Dei protettori
della
sua città e del suo regno, questo fatto non togli
ligion cristiana l’eriger private cappelle in onore del santo patrono
della
città o dello Stato. Con tal distinzione sparisce
ne di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli
della
Ninfa Lara o Larunda, ed altri ne derivano il nom
ò coll’ esaminare una filosofica osservazione di Cicerone, nel lib. v
della
Repubblica, ov’egli parla, per dirlo colla frase
applicazione questi Dei rappresentano i comuni ed i privati vantaggi
della
social convivenza. Perciò, oltre al distinguer gl
tque umbra complexa Penates. » (Æneid., ii, 512….) 36. « Io fui
della
città che nel Battista « Cangiò ’l primo padrone
tiam penetrales a poetis vocantur. » 38. Chi non è affatto ignaro
della
lingua latina sa bene quanto differiscano fra lor
Eleg.,i) : « Dum meus exiguo luceat igne focus. » Nella corruzione
della
lingua latina focus cominciò ad essere usato inve
o per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo
della
guerra di Troia, poichè Omero in tutta quanta l’I
i, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio
della
Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima di Enea, ave
tto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro
della
nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a
li ultimi tempi dell’impero pagano le Feste Carmentali, cioè in onore
della
Dea Carmenta madre di Evandro. Anche il culto di
e ed Ovidio nel lib. i dei Fasti, ma anche Tito Livio nel lib. i e ix
della
sua Storia e Valerio Massimo in più luoghi, e ci
egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria. La base adunque
della
religione dei Romani era il politeismo dei Troian
dorata ed ebbe un tempio in Roma, come asserisce Lucano nel lib. viii
della
Farsalia : « Nos in templa tuam Romana accepimus
a il pelo nero, e soltanto nella fronte era bianco ed in alcuni punti
della
groppa. I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo ann
e perciò rappresentavasi in atto di premer le labbra col dito indice
della
mano destra, segno usitatissimo ed espressivo d’i
à più proprie del culto romano A render più completa la spiegazione
della
classica Mitologia, accennerò brevemente alcune f
so delle Feste Carmentali. Nel mese di Febbraio è da notarsi la festa
della
Dea Sospita, il cui nome significa salvatrice. In
Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade, la quale fu privata
della
favella da Giove, perchè parlava troppo. La prega
o nel mese di marzo i sacerdoti del Dio Marte li portavano per le vie
della
città cantando e saltando secondo il rito. Quei s
done, rammentata da Virgilio nel lib. iv dell’Eneide, e dopo la morte
della
sorella e per varie vicende dolorosissime venuta
prestar soccorso). Sotto questo titolo erano considerati i protettori
della
città. Degli Dei Lari abbiamo parlato a lungo nel
o a lungo nel Cap. XXXVIII. Nello stesso giorno si celebrava la festa
della
Dea Bona. Questa è la stessa che la Dea Fauna mog
esto culto si chiamavano Bellonarii, derivando il loro nome da quello
della
Dea. Il Dio Summàno, quantunque avesse un tempio
mano, ma non ne spiegano gli attributi : Plinio nel libro ii, cap. 52
della
sua Storia Naturale, dice soltanto che a questo D
Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima
della
nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selen
entito parlare ed anche aver veduto delle isole natanti ; e valendosi
della
facoltà accordata ai poeti quidlibet audéndi (di
recisamente nel 1831, formossi per sollevamento nel mare al sud-ovest
della
Sicilia un’isoletta che fu chiamata Ferdinandea,
ri (derivandosi questa invenzione dal dardeggiar dei raggi del Sole e
della
luce riflessa della Luna), e si uniron talvolta c
ta invenzione dal dardeggiar dei raggi del Sole e della luce riflessa
della
Luna), e si uniron talvolta con accordo fraterno
i questa sua folle empietà fu terribilmente punita nella causa stessa
della
sua ambizione o vanità, poichè Apollo e Diana inv
lianza col Tellurio, altro corpo analogo, di cui dicemmo nel Capitolo
della
Dea Tellure. Fu scoperto il selenio da Berzelius
io, come apparisce dalla terzina riportata di sopra. Nella sala detta
della
Niobe in Firenze vi sono 14 statue di Niobidi, ma
il popolo eran detti feste. In antico furono pochi, cioè quelli soli
della
messe e della vendemmia ; ma il numero delle fest
n detti feste. In antico furono pochi, cioè quelli soli della messe e
della
vendemmia ; ma il numero delle feste aumentò con
ione che alla politica. Poi furon detti ferie o giorni feriali quelli
della
settimana, e prima feria il lunedì, seconda feria
torno ad una tavola apparecchiata nel tempio, e offrivan loro a spese
della
Repubblica un lauto pasto. I cittadini stessi ten
l bestiame, bruciava alloro, sabina e zolfo, faceva tre volte il giro
della
cascina, ed offriva a Pale latte, vin cotto, migl
cagion di delitti. Ecate fra le divinità pagane presiedeva ai misteri
della
magia. Medea l’aveva propagata nella Tessaglia, e
a l’aveva propagata nella Tessaglia, ec. La Chiromanzia era una parte
della
magia, e consisteva nel predire il destino di un
estino di un uomo dall’esame delle linee che s’incontrano sulla palma
della
mano. Con la Negromanzia pretendevano di richiama
nel N. VIII, ed anche altre Divinità Superiori ai principali prodotti
della
Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco al vino, Vul
n gran premura ed attenzione la Mitologia per dimostrare le assurdità
della
religione degl’Idolatri)1, molte particolarità ch
avevano libertà di adottare anche gli Dei stranieri, e poi per mezzo
della
cerimonia detta l’Apoteosi facevano diventar Divi
s Julius, Divus Augustus, Divus Traianus, ecc.). 5. Senza occuparci
della
distinzione che fanno i canonisti della Simonia a
, ecc.). 5. Senza occuparci della distinzione che fanno i canonisti
della
Simonia a pretio, a precibus, ab obsequio, ci con
isti della Simonia a pretio, a precibus, ab obsequio, ci contenteremo
della
definizione che ne dà l’Alighieri pel 1° capo, ci
anno in questo verso il pronome egli invece di eglino per troncamento
della
sillaba finale, che nella metrica latina e greca
el popolo pel territorio del quale scorrono le sue acque. Tra i Fiumi
della
Grecia ve n’erano alcuni molto bizzarri. Il fiume
cuni molto bizzarri. Il fiume Alfeo, per esempio, essendosi invaghito
della
Ninfa Aretusa 29 (cangiata in fonte che scorrevà
a. E di questa pugna dovremo parlare altrove più a lungo. I fiumi poi
della
Troade eran piccini, ma furiosi. Omero ci raccont
ta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro 31, nel tempo
della
guerra di Troia vedendo le stragi che Achille fac
posto più opportuno, parlandosi delle prodezze e dei vanti dei fiumi
della
Troade. 26. Tibullo ne dimanda al Nilo stesso
Nostra, nec erubuit silvas habitare, Thalia), » invoca nel 1° verso
della
famosissima Egloga 4ª le Muse Siciliane : « Sice
a gorgogliando ; e quelle aperture del terreno son chiamate gli occhi
della
Guadiana. 31. E da notarsi che in Omero si trova
anno scoperto e percorso un sì vasto campo di maraviglie vere e reali
della
natura. Da questi studi scientifici traggono in o
e diremo quali fossero. Ma intanto è notabile la spiritosa invenzione
della
sposa del Caos, la quale ora chiamerebbesi con te
pologi ; poichè mentre questi suppongono la successiva trasformazione
della
materia nei diversi esseri organizzati, compreso
degli uomini. Sotto questo punto di vista nelle lingue moderne affini
della
latina, e specialmente nella italiana, furono acc
a sua Beatrice, divinizzata come la Teologia, a dargli la spiegazione
della
scienza dei Cristiani. Nè soltanto nell’Inferno e
. Fissate e dichiarate le mie idee sul fine e sui limiti dello studio
della
Mitologia, sarà questo il filo di Arianna per non
età senza disturbo alcuno, se non erano le astuzie e le pietose frodi
della
sua moglie Cibele. Convien sapere prima di tutto
lo divorò. Anche questa stranezza potrebbe spiegarsi come un simbolo
della
forza distruggitrice del tempo, che logora, come
. Ma cadono poi nel feticismo, ossia nel culto materiale dei prodotti
della
natura (feti) 24), quei mitologi i quali ci racco
ssero in cielo i vagiti di quei pargoletti numi. Ma Titano si accorse
della
frode e della violazione dei patti, e insiem co’
i vagiti di quei pargoletti numi. Ma Titano si accorse della frode e
della
violazione dei patti, e insiem co’ suoi figli mos
, alludendosi in ambedue le lingue all’apparente e creduta immobilità
della
Terra18. Le fu aggiunto in appresso l’aggettivo d
altre attribuzioni ebbe in perpetuo anche quella di guidare il carro
della
luce19, e sotto il nome particolare di Febo fu co
tale, ed essendo inoltre il più antico degli Dei, e perciò lo stipite
della
celeste dinastia, poteva a suo beneplacito regnar
te al primogenito, cioè a Titano. Fu nonostante convenuto, ad istanza
della
madre Vesta Prisca, che regnasse Saturno ; ma Tit
19. « Ben s’avvide il poeta ch’io stava « Stupido tutto al carro
della
luce « Ove fra me ed aquilone entrava. » 20. I
ra gli uomini nella civil società. Distruggevano dunque l’idea stessa
della
divinità, la base e il fondamento della morale re
uggevano dunque l’idea stessa della divinità, la base e il fondamento
della
morale religiosa. Quindi il culto di tali Dei, ch
alità che gli erano attribuite, per le quali veniva ad esser l’ideale
della
divinità dei filosofi. Ora conviene accennare le
enefico, ma quella d’invidioso, maligno e malefico. Questo è l’ordito
della
favola, secondo i più ; ma poi vi si fanno sopra
agioni non che una aveva Giunone sua moglie di lamentarsi e stizzirsi
della
violata fede coniugale di suo marito ; e gli uomi
ato un Eroe e per l’epoca in cui visse e per quanto oprò. Il racconto
della
sua vita è un misto di favole e di fatti storici.
rò sempre il nome di Cadmea alla fortezza che fu primamente il nucleo
della
città. Il territorio poi fu detto Beozia dal grec
rso il 1580 avanti l’èra cristiana. E quanto alla sua sorella Europa,
della
quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il priv
Cadmea fosse dato alla fortezza di Tebe e conservato pur anco a tempo
della
conquista dei Romani è notizia storica confermata
a Divinità pelasgica. Ed ecco come dalla Mitologia si passa nel campo
della
critica storica ; nei quali confini deve arrestar
cazione, e ne fu parlato dal Tommasèo nel fascicolo del dicembre 1873
della
Nuova Antologia. Anzi fu il Tommaséo stesso che m
ione di scrivermi ; e poi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo
della
Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottar
pose direttamente a me stesso, di pubblicare anche questo libro prima
della
riapertura delle Scuole ; e allora il Tommasèo mi
lta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo
della
medesima. C. Pescatori.
a la capitale dell’Etolia a tempo del re Oeneo, circa un secolo prima
della
guerra di Troia. Questo re nel fare un sacrifizio
là dentro. Perciò il re invitò tutti i più coraggiosi e prodi giovani
della
Grecia a prender parte a questa caccia, e ne fe’c
in qui il racconto potrebbe parer vera storia, toltane l’esagerazione
della
prodigiosa forza e ferocia del mostruoso cinghial
sso rammenta nella Divina Commedia. La favola si riferisce al destino
della
vita di Meleagro. Raccontano i Mitologi ed i poet
nti d’arte dei Greci e dei Romani. Ma a volere che sia parte proficua
della
storia dell’umano incivilimento, e che vada immun
e[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeismo sia posta a confronto
della
Verità Divina del Cristianesimo, e che sia fatto
basata su falsi fondamenti, alla civiltà nuova sostenuta dall’ opera
della
Redenzione. I discorsi aggiunti dunque in Appendi
e non contengono le ripetizioni inevitabili nei così detti Dizionarj
della
Favola, nè gl’ inconvenienti ormai a tutti noti d
tti, abbbiamo stimato dover preferire questo a molti altri, in grazia
della
sperimentata bontà del metodo. Ma supponendo che
e e politica è riposta nelle spesso oscure e per noi strane allegorie
della
favola ; ma l’esporla non sarebbe argomento da li
ea, 454—459. Amazzoni, 375. Semele, 75, 147, 148. IV. Personaggi
della
guerra di Tebe. Adrasto, 506—508. Tideo, 506
Vittoria, 348. Amicizia, 351, 2°. Fedeltà, 351. 3°. VII. Mostri
della
Favola. Giganti, 65—69. Centauri, 430. Cicl
ie, XIII. Libazioni, IX. Orgie o Baccanali, 153. X. Luoghi celebri
della
Favola. Elisi (campi) 206. Inferno, 215—217. T
redè facilmente questa nuova impostura come una teologica conseguenza
della
prima ; e il Senato fu ben contento di adorar com
e Caracalla dopo avere ucciso il fratello Geta tra le braccia stesse
della
madre, ne ordinò l’apoteosi dicendo : sia Divo, p
non ha dimenticato d’introdurre nella Divina Commedia anche un cenno
della
favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò che ne s
nce et de la piété. Le Tasse a dit : ………………… e le preghiere Mosse
della
speranza in dio sicura S’alzar volando alle celes
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