re ai giovani, che si applicano alla intelligenza della Mitologia, di
cui
vanno ripieni i libri classici e massime i poeti,
la danza. Noi ne daremo un breve compendio, sufficiente però all’ uso
cui
è diretto, ed il divideremo in due parti, nella p
ungendo un transunto delle metamorfosi o trasformazioni di Ovidio, in
cui
quelle favole riporteremo, che nelle dette due pa
era in celesti, terrestri, marini, e infernali, secondo il luogo, in
cui
supponevasi riseder principalmente: e tenendo die
l Fato, la Morte, il Sonno e il Sogni, Momo derisore, le Esperidi, di
cui
era il giardino de’ pomi d’ oro, le tre Parche Cl
che formossi attorno alle parti recise cadute in mare nacque Venere,
cui
i Greci da afros spuma chiamarono Afrodite. Ura
llò Titani i suoi figli, perchè affrettati si erano ad opra iniqua di
cui
predisse che portata avrebbero la pena. Nè questa
Argeo: ed a Saturno in vece fu presentato un sasso avvolto in fasce,
cui
avidamente Saturno si trangugiò senza accorgersi
e aveva inghiottito, e quei sasso medesimo, che si è dello poc’ anzi,
cui
Giove per eterna memoria infisse a Pilo o Delfo s
nor di Saturno cominciavano ai 17 dicembre, e duravano tre giorni, in
cui
i servi erano da’ padroni trattati a lauta mensa,
sa. A questo aggiungevansi anche le ali, per indicare la celerità con
cui
vola. Giano, antichissimo re degli Aborigeni, ch
mele, che le api corsero a formarvi, e col latte della capra Amaltea,
cui
dopo morto Giove trasportò in cielo nella costell
ro i Titani, nella quale ci venne soccorso da Collo, Gige, e Briareo;
cui
per consiglio di Gea sciolse da’ lacci, in cui ti
ollo, Gige, e Briareo; cui per consiglio di Gea sciolse da’ lacci, in
cui
tirano gli aveva avvolti. I Titani vennero soggio
a Bachino, le gambe sotto a Lilibeo, e le teste sotto dell’ Etna, da
cui
tuttavia vomita il fuoco. La terza fu contro i Gi
a Vulcano. La seconda moglie di Giove fu Temi Dea della giustizia, da
cui
ebbe le Ore Eunomia, Dice, ed Irene, e le Parche
madre di Proserpina. La quinta Mnernosine o la Dea della memoria, da
cui
nacquero le nove Muse. La sesta Latona, che parto
ultima moglie di Giove, secondo Esiodo, fu Giunone di lui sorella; da
cui
nacque Ebe, Marte, Ilitia e Vulcano. Da molte al
uale rapì Europa, per l’ aquila un’ egual nave portante l’ aquila con
cui
rapì Ganimede ec. Rappresentavasi Giove in aspett
a Giove Statore per aver da esso ottenuto che arrestasse la fuga, in
cui
i Romani posti erano da’ Sabini, venuti a vendica
tempesta, quasi da essa fuggendo, ricoverossi in grembo a Giunone, da
cui
accolto, e manifestatosi, a lei marito divenne. M
esto nome traesse da giuniori, come quello di maggio da’ maggiori con
cui
intitolar volle que’ due mesi. A Giunone Februale
nte il mese di Febbrajo, e a’ 15 di esso celebravansi i Lupercali, in
cui
de’ giovani detti Luperci, coperti soltanto alle
le vedere ciò che conteneva, e Minerva avvisatane dalla cornacchia in
cui
era stata prima da essa cangiata Coronide figlia
ossia Pallade armata da capo a piedi coli’ asta, e coll’ egida, per a
cui
intendesi egualmente e l’ usbergo di pelle, di ca
prio di Giove solo, ond’ egli da Greci ebbe il titolo di egioce, e di
cui
sola Pallade fu indi aggiunto il teschio di Medus
elle Metamorfosi, che in tutela di Minerva era pria la cornacchia, in
cui
da essa era stata cangiata Coronide figlia di Cor
la cornacchia, la discacciò, e si prese in vece di lei la civetta, di
cui
era stata trasformata Nittimene sorpresa in inces
l padre Pitteo. Sacre a Minerva in Roma eran le feste Quinquatrie, in
cui
vacavan le scuole, e che vennero così dette, perc
iardino di Flora, questa le mostrò un fiore, al tocco e all’ odore di
cui
da se sola concepì Marte. Sposò egli Nerio o Neri
nel regno scacciandone Amulio. Fondarono quindi la città di Roma, di
cui
fu Romolo il primo re, e dopo avervi regnato molt
agevolmente involarsi, ne fece da Mamurio costruire altri simili, da
cui
restasse confuso. Or questi ancili dai Sacerdoti
li a Numa aveva chiesto in compenso dell’ opera sua) e con salti, per
cui
a’ medesimi sacerdoti fu dato il nome di Salii. I
chi moglie di Marte. E tra le divinità riponevasi ancor la Vittoria,
cui
Ercole disse figlia di Pallante e di Stige, e che
di Lenno, nell’ Etna, e nelle isole Vulcanie opere maravigliose; per
cui
venne chiamato Dio del fuoco, e dei fabbri. Celeb
Tetide, tra le quali spezialmente distinguevasi lo storiato scudo, su
cui
mille cose erano maestrevolmente effigiate. Egual
vi ad ogni patto, vi fu ucciso da un cignale, sotto alle sembianze di
cui
dissero alcuni che fosse ascoso lo stesso Marte;
e tra gli uccelli il cigno; il passero, e specialmente la colomba, in
cui
si disse cangiata da Cupido la ninfa Peristera, p
rile, così detto secondo alcuni aphros spuma, alludendo alla spuma da
cui
nacque Venere, secondo altri da perire, perchè al
a i mortali. Apuleio descrive a lungo la favola di Amore e Psiche, il
cui
ristretto si è che essendo Psiche bellissima, Ven
Avide di questo le sorelle una dopo l’ altra salirono lo scoglio, da
cui
Zefiro le avea portate al palagio di Amore, ed un
ritorno ebbe curiosità d’ aprirlo, e ne uscì un vapor soporifico, per
cui
ella cadde in letargo. Da questo però Amore la ri
ella vergognandosi fuggi ne’ boschi, ove si fece seguace di Diana, da
cui
ricevette in dono un cane di mirabile velocità, e
ronde, che Cefalo credendo nascosta ivi una fiera lanciò il dardo, da
cui
la misera Procri rimase estinta. Si disse poscia
l mal consigliato giovane, e lo precipitò nell’ Eridano, alle rive di
cui
le sorelle piangendone la morte furon convertite
ppresso vedremo. Pasifae moglie di Minosse innamorata di un toro, per
cui
altri intendono un principe detto Tauro’ partorì
il secondo figlio di Coribante e nato in Creta, intorno al dominio di
cui
ebbe poscia contesa con Giove; il terzo figlio di
di aver avuto le leggi. Il più celebre presso i poeti fu il terzo, a
cui
pur venne ascritto quanto poteva agli altri appar
a del valor suo, scoccò uno strale dorato contro di lui medesimo, per
cui
ardentemente innammorossi di Dafne figlia del fiu
rossi di Dafne figlia del fiume Peneo, ed una di piombo a Dal ne, per
cui
odiandolo si diede con tutta possa a fuggirlo. Co
rcamo e d’ Eurinome; Apollo l’ abbandonò per Leucotoe di lei sorella,
cui
sedusse prendendo le sembianze di Eurinome. Clizi
lir viva Leucotoe che poi da Apolline fu trasformala nell’ albero, da
cui
stilla l’ incenso, e Clizia medesima fu cangiata
, uccise Ischi, e Coronide. Trasse però dal fianco di lei un bambino,
cui
fece prima allattar da una capra, e poscia alleva
imo assunto avesse quelle, sembianze, e gli s’ innalzarono templi, in
cui
rappresentavasi con un bastone in mano, al quale
el monte Imolo. Ma alla decisione di questo si oppose il re Mida, per
cui
Apollo gli fece crescere le orecchie d’ asino. In
a, parte della Beozia sopra i monti Parnasio, Castalio ed Elicona, da
cui
usciva il fonte Castalio, in cui si volle cangiat
ti Parnasio, Castalio ed Elicona, da cui usciva il fonte Castalio, in
cui
si volle cangiata la ninfa Castalia mentre fuggiv
a il sonno su gli occhi de’ mortali, o il fugava a suo talento, e con
cui
pur guidava le anime de’ trapassati all’ inferno.
sa; il terzo figlio di Caprio, che fu detto re dell’ Asia in onore di
cui
furono istituite le feste Sabazie; il quarto figl
istituite le feste Sabazie; il quarto figlio di Giove e della Luna, a
cui
dedicate si dissero le feste Orfiche; il quinto f
si dissero le feste Orfiche; il quinto figlio di Niso e di Dione, da
cui
si credettero stabilite le Trieteridi. Comunement
todia di Sileno. Cresciuto in età andò alla conquista delle Indie, da
cui
tornando trovò nell’ Isola di Nasso Arianna abban
erere, ed a lei venne attribuita l’ invenzione dell’ agricoltura, per
cui
gli uomini, che si pascevan prima di ghiande, inc
are. Ma questa mal sofferendo la schiavitù raccomandossi a Nettuno da
cui
prima era stata amata, ed ei per toglierla al pad
mati Eleusini, a’ quali chi iniziavasi era tenuto à rigoroso segreto,
cui
era sommo delitto il manifestare. Rappresentavasi
o di Giove riuscita era a conciliarselo. Portava pure la fiaccola con
cui
andò in traccia della figlia, e la falce con cui
pure la fiaccola con cui andò in traccia della figlia, e la falce con
cui
si miete il frumento. Il suo cocchio era tirato d
ali erano astrette a conservare la verginità fino a trent’ anni, dopo
cui
deponendo le sacre bende e rinunziando al servigi
chio a quattro ruote tirato da due leoni, e colle chiavi in mano, con
cui
apre alla buona stagione i suoi tesori, e li chiu
empio di Delfo, venne loro incusso da Pane un improvviso terrore, per
cui
tutti diedero alla fuga, ond’ è poi venuto che il
dedicate a Giunone Februale, da molti si vollero dedicate a Pane, di
cui
si pretende che i Luperci fossero sacerdoti. Silv
to. Alcuni lo dissero figlio di Pico re dei Lazio, e padre dei Fauni,
cui
ebbe dalla moglie Fauna, o Fauta. Cogliono pure c
in Roma ai 5 di Dicembre. I Satiri, Dei Campestri seguaci di Pane; di
cui
dicevansi anche figli, figuravansi in tutto simil
o nuovi sciami di api. Il Dio Termine presedeva ai confini dei campi,
cui
era grave delitto il violare. La sua figura a pri
roja lattante. Fra le terrestri Divinità annoverate eran le Ninfe, di
cui
altre presedevano a’ fiumi, e dicevansi Naiadi, a
colla ruggine il frumento. Dii domestici erano i Penati ed i Lari di
cui
i primi presedevano alle città e alle ville, i se
’ umana vita erano anch’ esse raccomandate a particolari Divinità, di
cui
basterà accennare la principali. Nascone o Nazion
ine consolidava loro le ossa; Nundina era quella sotto gli auspici di
cui
i maschi al nono giorno dopo la nascita, e le fem
llo che guidava la sposa alla casa del marito; Domizio e Minturna per
cui
ella in casa e col marito restava: Virginense e C
na per cui ella in casa e col marito restava: Virginense e Cinzia per
cui
il cinto verginale a lei scioglievasi; Viriplaca
che i mariti placava nelle contese e negli sdegni. Oltre Lucina, per
cui
altri intendeano Latona, altri llitia ed altri Di
ro, detta anche Nicostrata e Temide, che ebbe il dono de’ vaticini, a
cui
dedicate erano in Roma le ferie Carmentali, che s
nteo; Acca Laurenzia che fu nutrice di Romolo e di Remo, e in onor di
cui
voglionsi istituite da Romolo le feste Laurentine
mare, secondo Esiodo, fu Ponto figlio della Terra e Padre di Nereo a
cui
Dori figlia dell’ Oceano partorì le Ninfe del mar
esser toccato a Nettuno. Questi sposò Anfitrite figlia dell’ Oceano,
cui
fè rapir da un Delfino, che in ricompensa fu poi
di Forco ebbe il Ciclope Polifemo, che acciecato fu poi da Ulisse, a
cui
divorato aveva sei compagni: finalmente da Peribe
o. Due Dee marine lor proprie avean pure i Romani, l’ una Venilia per
cui
i flutti vengono al lido, e l’ altra Salacia per
una Venilia per cui i flutti vengono al lido, e l’ altra Salacia per
cui
si ritirano; le quali Dee furono poi anche nomina
, sei lunghi colli, e ad ognuno orrida testa con triplicali denti con
cui
divorava i passaggieri. Cariddi fu prima una donn
u da’ Mitologi assegnato, come abbiam detto, a Giove ed a Giunone, da
cui
dipendean le piogge e le altre meteore. Ma il gov
ndannati, che ivi erano. Plutone fratello di Giove e di Nettuno, a
cui
nella divisione accennata più addietro toccò il r
tosto cangiata in fonte; ed ei lieto recò Proserpina all’ Inferno, di
cui
la fece regina, e dielle titolo di Giunone infern
. Nell’ Inferno soggiornavano le tre Parche Cloto, Lachesi ed Atropo,
cui
Esiodo in un luogo dice figlie della Notte, e in
apavero. I sogni, secondo Omero, avean due porte: l’ una di corno per
cui
usciano i veri, l’ altra di avorio per cui i fals
porte: l’ una di corno per cui usciano i veri, l’ altra di avorio per
cui
i falsi. Finalmente nell’ Inferno poneasi anche i
giorno di Pluto figlio di Giasone, e di Cererete Dio delle ricchezze,
cui
malamente alcuni confusero collo stesso Plutone.
esso Plutone. L’ inferno rappresentavasi come un luogo sotterraneo, a
cui
due ingressi fingevansi, l’ uno presso il lago di
Unita a Pallante essa ebbe per figli Zelo, Vittoria, Vigore e Forza,
cui
presentò a Giove, e ne ebbe in compensò che il gi
ere tragittate, e quelle pur de’ sepolti doveano pagarne il nolo, per
cui
nel seppellirli poneasi loro una moneta, sotto la
i. Eaco era figliuolo di Giove, e di Egina, e re di Cenopia, o Enona,
cui
dal nome della madre chiamò Egina. Il luogo del p
arne prova gli te comparire sotto alla sembianza di Giunone una nube,
cui
egli corse ad abbracciare, e dalla quale poi nacq
ei sia stato punito da Giove pei’ aver ad Asopo rivelato il luogo, in
cui
egli teneva Egina nascosta. Ferecide disse invece
da, alle Grazie, alle Ore, a Mercurio di ornarla di tutti i doni, per
cui
fu detta Pandora, e la spedì ad Epimeteo fratello
ima e vita. Fu Prometeo padre di Deucalione re di Tessaglia, sotto di
cui
, secondo i Mitologi, avvenne l’ universale diluvi
il corso della notte. Poco dopo sopravvenne lo stesso Anfitrione, da
cui
Alcmena concepì Ificlo, che nacque gemello con Er
pericoli onde alla fine perisse. Dodici sono le principali imprese, a
cui
Ercole fu da Euristeo obbligalo, le quali perciò
rnea nata parimente da Echidna, che era un serpente di sette teste, a
cui
se una ne veniva recisa, immantinente rinasceva.
iamasi di Gibilterra, ove Ercole per monumento piantò due colonne, su
cui
era scritto: Non più oltre. Lottò con Anteo figli
. Liberò Esione figlia di Laomedonte re di Troia dal mostro marino, a
cui
per ordine dell’ oracolo era stata esposta, come
orna deli.’ abbondanza intendan quelle della capra Amaltea, intorno a
cui
veggasi il capo III della prima parte. Ma fu Erco
olta da’ pescatori e recata al re Pilunno, il quale sposata Danae, da
cui
ebbe Dauno (che trasferitosi nel paese de’ Rutoli
eda, e seco la guidò salva alla reggia. Ma Fineo fratello di Cefeo, a
cui
Andromeda era stata innanzi promessa, pretese di
o spedì ad Ariobate o Giobate suo suocero nella Libia con lettere, in
cui
raccomandavagli di trovar mezzo, onde farlo perir
Atteone, che fu da Diana cangiato in cervo: ed Agave madre di Penteo,
cui
ella medesima uccise in compagnia delle Baccanti.
ndo Laio udito dall’ oracolo, che doveva essere ucciso dal figlio, di
cui
Giocasta era incinta, le ordinò di soffocarlo app
l monte Ficeo, e lanciandosi sui passaggieri proponea loro un enimma,
cui
se non sapessero sciogliere, li divorava. Creonte
, li divorava. Creonte padre di Giocasta promise il regno di Tebe, di
cui
frattanto avea preso il governo, e la vedova di L
giusta la promessa Edipo ebbe il regno di Tebe, e Giocasta in isposa,
cui
non sospettò essergli madre, e da essa gli nacque
ri, ad essi valorosamente opponendosi tutti gli uccise eccetto Meone,
cui
rimandò ad Eteocle per recargli il tristo annunzi
tà dello stato che il possedesse. Era questo la pelle del montone, su
cui
Frisso ed Elle, figli di Atamante re di Tracia e
n prime nozze Cleopatra, che altri chiamarono Stenobra o Stenoboe, da
cui
ebbe Orito e Crambo Dopo la morte di lei in secon
econde nozze menò Arpalice figlia di Borea e di Orizia ad istanza; di
cui
acciecò i figli, che dalla prima avea avuti. In p
on lui stesso, e ad infestarlo mandarono le Arpie Aello e occipete, a
cui
Virgilio aggiunge Celeno figlia di Taumante e di
i spedir gli dovessero tratti a sorte sette giovani e sette donzelle,
cui
dava nel laberinto fabbricato da Dedalo in pasto
iatosi perciò Dedalo in Creta ivi fu accollo da Minosse, per ordin di
cui
fabbricò il laberinto, luogo d’ intralciatissime
una vacca di legno, e fornì ad Arianna figlia di Minosse il filo, con
cui
Teseo, ucciso nel laberinto il Minotauro, potè st
trovata e sposata da Bacco e tornossene in Atene, con Fedra soltanto,
cui
fece sua moglie, e che fu poi ad esso cagione di
ornasse, per dargliene indizio, cangiasse in bianche le nere vele con
cui
era partito; ma Teseo dimenticò il comando del pa
pitò E nomao che ne morì; ed egli cosi ottenne Ippodamia ed il regno,
cui
poscia ingrandì per modo che tutta la penisola da
due figli di lui glieli diede a mangiare in una abbominevole cena, da
cui
dicesi che il Sole torse per orrore la faccia. Fi
dotessa del suo tempio. Partito Agamennone per la guerra di Troia, di
cui
appresso diremo, Egisto figlio di Tieste, che per
dalle furie, e vagando accompagnato da Pilade figlio di Strofio, con
cui
era stato educato giunse in Tauride, ove per ordi
eo; e fatto giudice della bellezza tra Giunone, Pallade, e Venere, di
cui
la prima promettevagli il regno, la seconda la sa
co’ quali arava, il piccol figlio Telemaco, e vedendo la premura con
cui
egli corse a levarlo, conobbe la finzione, e il c
assedio. Ma grave rissa dappoi insorse fra Agamennone ed Achille, per
cui
questi lungo tempo si astenne dal voler più prend
e contesa poi nacque fra Ulisse ed Aiace per aver le armi di Achille,
cui
Tetide aveva posto in mezzo, perchè fossero date
lladio conservasse, e menò prigioniero Eleno figlio di Priamo e vate,
cui
obbligò a svelare i futuri eventi di Troia. E poi
lo di legno. Fece egli costruire da Epeo uno smisurato cavallo, entro
cui
si rinchiuse egli medesimo co’ più valorosi Greci
i invece, che più avversità ebbe a soffrir nel ritorno, fu Ulisse, le
cui
avventure vennero da Omero descritte nell’ Odisse
mare i compagni alla forma primiera. Dimoralo un anno con essolei, da
cui
ebbe, secondo Esiodo, Aglio e Latino, e secondò a
contro il suo divieto divorarono le vacche delle mandre del Sole; per
cui
questi irritato ricorse a Giove, il quale alla lo
ontrassegni conoscere da Penelope, e seco passata lietamente la notte
cui
Pallade, trattenendo do l’ aurora rendette pure p
rte per consiglio di Pallade getto contro di essi la prima lancia con
cui
uccise Eupide, e dopo alquanta uccisione degli al
mo caso da Nettuno, e nel secondo da Venere. Nella notte terribile in
cui
Troia fu presa, dopo aver fatto secondo Virgilio
iglio di Priamo, ucciso dal re Polinnestore per rapirne i tesori, con
cui
Priamo l’ aveva a lui spedito. Aggiunge Ovidio, c
ine; il che essendo interpetrato da Anchise per l’ isola di Creta, da
cui
oriundo era Teucro, Enea là si diresse, e cominci
ra Teucro, Enea là si diresse, e cominciò a piantare una nuova citta,
cui
disse Pergamea. Ma sopravvenuta una fiera pestile
Penati, avvisandolo che la terra indicata da Apollo era l’ Italia, da
cui
origine traeva Dardano nativo di Conto ora Corton
esto giro alle radici dell’ Etna gli si presentò il greco Achemenide,
cui
Virgilio fìnge dimenticalo da Ulisse nella grotta
e si uccise anzi per conservar la fede a Sicheo, e fuggir le nozze, a
cui
Jarba volea costringerla. Da’ venti contrari fu E
pur confermato da Anchise in sogno, Enea fondò per quelli una città,
cui
diede il nome di Acesta. Partito alla volta d’ It
passati i mostri ch’ erano sull’ ingresso, giunse al fiume Acheronte,
cui
tragittò sulla barca di Caronte, mostra to ad ess
isi. Enea ricevè intanto da Venere le armi fabbricate da Vulcano, fra
cui
lo scudo, ove erano effigiate le future imprese d
Giunto che fu cogli Arcadi e co’ Tirreni, seguì grande battaglia, in
cui
Turno uccise Pattante, Enea uccise Mezenzio e Lau
e Giunone temendo per Turno, gli presentò una falsa immagine di Enea,
cui
egli inseguendo fino ad una nave a ciò appostata,
una gamba, e sanato da Venere. Tornato al campo va in cerca di Turno,
cui
Giuturna, presa la forma del cocchiere di lui con
Enea fatta la pace coi Latini sposò Lavinia, che fabbricò una città,
cui
dal nome di essa chiamò Lavinia, e che Venere dop
le congiunta a Marte nacque poi Romolo, e Remo, fondatori di Roma, di
cui
si è detto nella I. parte al capo VI. Appendi
formò il Mondo. Sotto al regno di Saturno fiori l’ età dell’ oro, in
cui
la terra tutto producea da se medesima. Venne sot
a se medesima. Venne sotto al regno di Giove l’ età dell’ argento, in
cui
egli costrinse gli uomini a coltivare il terreno
reno per trarne la necessaria sussistenza. Succede l’ età del rame in
cui
gli uomini cominciarono a farsi guerra tra loro.
o a cercarla; questi in Beozia uccide il drago e ne semina i denti da
cui
nascono uomini armati. Parte II. Capo IV. Atteone
trasformate, altre in marmoree statue conservanti l’ atteggiamento in
cui
erano, altre in uccelli marini. Cadmo ed Ermione
da Perseo cangialo in monte. Parte II. Capo III. Le piante marine, su
cui
Perseo posa la testa di Medusa, son convertile in
ne, l’ oracolo disse che Bacco vendica con essa la morte d’ icario, a
cui
egli avea insegnato a coltivare la vigna; che gli
mex formica. Scilla figlia di Niso recide al padre un crine purpureo,
cui
era annesso il destino di Megara, per darlo a Min
l paese inospitale cangiato in palude, e il lor tugurio in tempio, di
cui
si fan Sacerdoti; e giunti a decrepitezza, braman
e se partorisce una figlia, l’ uccida. Ella partorisce la figlia Ifi,
cui
alleva, facendo credere a Litto che sia un maschi
’ edificazione delle mura di Troia. Nettuno manda un mostro marino, a
cui
Laomedonte costretto ad esporre la figlia Esione.
avorevoli. Parte quindi assoluto, e presso l’ Esare fabbrica Taranto,
cui
dà questo nome dal’ vicino, sepolcro di Tarante f
fondando l’ aratro più addentro del solito solleva una zolla pesante,
cui
vede cangiarsi in fanciullo, al quale dà il nome
i. Usavasi pure ne’ sacrifìci l’ incenso maschio, e dalla maniera con
cui
ardeva da! crepitare, dal fumo, traevansi gli aug
molti di questi erano distinti con nomi particolari secondo il Dio a
cui
servivano, così Galli chiamava usi i Sacerdoti di
usco, il quale si favoleggiò esser nato da una grossa zolla di terra,
cui
sollevò un agricoltore profondando l’ aratro più;
e gli Egiziani, e propagata poscia nelle altre parli del mondo, e con
cui
pretendevasi di potere da’ movimenti e dalle posi
eano le risposte ascose nelle querce del bosco a Giove consecrato per
cui
le favole dissero, che le querce parlavano. 2. L’
i, i Sacerdoti interpetravano le risposte. 3. L’ oracolo di Delfo, in
cui
le risposte davansi dalla Pitia sacerdotessa di A
ssa di Apollo. Stava sopra di un tripode collocato su di una buca, di
cui
uscivano delle forti esalazioni, dalle quali allo
ad Anzio rendevasi per via di sorti t gettando una specie di dadi, su
cui
erano scrìtti de’ Caratteri, il significato dei q
he celebravansi in Olimpia città dell’ Elide, ogni quattro anni, e da
cui
prese origine il computo delle Olimpiadi: 2. i Pi
i scagliava coll’ arco al segno prefisso; 4. La lotta o il pancrazio,
cui
gli atleti nudi ed unti di olio cercavano di atte
tri, e anfiteatri, e circhi magnifici innalzarono per celebrali, i di
cui
avanzi ancor si veggono non solo in Roma, ma in V
mitologia, di astronomia, ecc., ma di letteratura antica e moderna, i
cui
autori ci hanno dato (con le citazioni da noi rip
dei elassici, le quali, alla loro volta, saranno dal fatto stesso, di
cui
vengono in appoggio, rese più chiare, limpide ed
servano l’impronta, il carattere, il tipo proprio, della religione da
cui
hanno anima e vita. Mosè, l’universale legislato
e avevano qualche cosa di particolare e di proprio della religione da
cui
nascevano. Così fino dall’infanzia del cristianes
ergini beatificate, e specialmente delle numerose personificazioni di
cui
non sapremmo definire, se il vero sentimento reli
vero sentimento religioso cattolico, o la superstizione popolare (di
cui
, pur troppo, abbiamo ancora larghe e dolorose ves
ne. Se dunque i Miti bugiardi e le false allegorie del paganesimo, in
cui
tutto era fittizio ed immaginario, si sono, in ce
ella sfera di personaggi e di fatti ideali e storici, ad un tempo, il
cui
periodo fu chiamato Eroico o Favoloso. In esso fi
loso. In esso figurano attori, spesso immaginarii, di azioni vere, in
cui
i simboli o miti delle numerose deità del paganes
delle numerose deità del paganesimo, balenano ad ogni tratto ; ed in
cui
tutto è grande, maraviglioso, sovrumano, perchè n
, la quale apparisce più viva in tutto quel lungo elasso di tempo, in
cui
la superstizione pagana tenne alto e riverito il
eretrice. Allora la forza bruta, simboleggiata nell’Ercole pagano, la
cui
mano possente soffoca i draghi mandati, per celes
culta, non pone mente alla natura materiale o fisica degli obbietti a
cui
egli accoppia essenzialmente, l’idea d’una causa
ati sono essi miti, altrettanto svariate ed innumeri sono le fonti da
cui
derivano. Un’azione valorosa, eroicamente compiut
a i draghi, e finisce col famoso — Nec plus ultra, onde le colonne su
cui
furono scolpite le memorande parole, vennero dett
mergenti, si risentono caratteristicamente dello stato di civiltà, in
cui
si trovano gli uomini, al momento in cui le conce
e dello stato di civiltà, in cui si trovano gli uomini, al momento in
cui
le concepiscono. Così noi vediamo gli Dei d’ Omer
ad alcuno di quell’ illustre casato sovrastava la morte. All’epoca in
cui
si approssimava la sanguinosa catastrofe della ri
zotte, attestato da gravi e serii testimonii. Durante il banchetto, a
cui
prendevano parte le più chiare personalità dell’a
ola, non riesce al erto difficile ; ma vi sono molti altri simboli in
cui
la forma del mito non è, a prima vista, limpida e
la Spontaneità, la quale similmente non si ritrova nell’allegoria, in
cui
la cognizione dell’essere proprio, suppone una pi
igioni dei Fenici, degli Egiziani, dei Babilonesi e di Zoroastro 49 i
cui
principali Dei furono appunto il Sole, la Luna, e
i facendosi un’incisione nella coscia per salvare il bambino Bacco di
cui
Semele era incinta. Villarosa. — Dizionario mito
l tempo al mare magno della eternità — Ci hanno di parecchi tra noi a
cui
immagini siffatte fastidiscono, ma ci vuole pazie
tempo Per l’uom creato, periranno insieme Nell’onda struggitrice, in
cui
fra poco Sarà quest’orbe giovanil sommerso. Byro
uogo il politeismo vesti forme così leggiadre come presso i Greci, le
cui
favole intorno agli dei (miti, quindi mitologia)
Nome patronimico dato a Perseo, nipote di Abas, re degli Argivi ; da
cui
anche i re d’Argo furono detti Abantiadi. Essendo
na delle Najadi, che Bucolione, primogenito di Laumedonte sposò, e da
cui
ebbe due figli Esepo, e Pevaso. Che al buon Buco
vive dei più ricchi colori : tiene nelle mani un corno rovesciato da
cui
escono a profusione i fiori e le frutta più belle
sull’ Ellesponto. Anche in Egitto vi era una città di questo nome in
cui
sorgeva un famoso tempio dedicato ad Osiride. 19.
Mithia dei Persiani. Si avea una grande venerazione sul suo nome, le
cui
lettere in carattere greco, presa ognuna per la s
nte). 23. Abrezia. — Ninfa che dette il suo nome alla Misia, città in
cui
Giove era adorato, ragione per la quale questo Di
ella cieca d’amore, fuggì con Giasone. Il flume della Colchide sulle
cui
rive avvenne l’orrenda tragedia, fu da quel giorn
o. 26. Abyla. — Montagna dell’ Affrica. Questa ed un’altra montagna a
cui
si dà comunemente il nome di Calpè posta in Ispag
gnarono Diomede onde ridimandare Elena. Durante questa ambasceria, le
cui
pratiche riuscirono inutili, Laodice ; figlia di
la città di questo nome in Sicilia, nelle circostanze di Siracusa, in
cui
Giove Olimpico avea un antico tempio, dedicato al
o Inferno Canto primo, dice : Di quell’untile Italia sia salute. Per
cui
mori la vergine Camilla 39. Acca Laurentia. — Al
tenevano che da quella caverna fosse stato tirato il cane Cerbero, di
cui
l’Alighieri canta : Cerbero, fiera crudele e div
ttando coteste superstizioni ebbero anch’essi un culto per l’acqua, a
cui
consacrarono altari e offerirono sacrifizii ; cre
nista. Questa prodezza valse ad Ercole il soprannome d’insaziabile di
cui
sembra che gli eroi favolosi si tenessero altamen
desiderato, e Omero dà a questo eroe un carattere di ghiottoneria di
cui
lo scrittore Atenco parla con molta severità. 100
morazione di tale prodigio fu stabilita in Samo una festa annuaria, a
cui
gli abitanti dettero il nome di Tenea, volendo ri
. 110. Admeto. — Figlio di Phereo, Re di una contrada di Tessaglia di
cui
Phra era la Capitale. Fu uno dei principi greci c
ricondusse Alceste nelle braccia di suo marito. Non vì fu principe la
cui
vita avesse sofferte tante controversie, quante n
nciamento nella Fenicia, ov’egli regnò dopo la morte del re Biblo, di
cui
avea sposata la figlia, e ben presto si sparse ne
e dall’α privativa e da δραω, δαδρασϰω io sono, dinota una divinità a
cui
nulla impedisce di agire : specie di fatalità sem
otto il nome d’Impresa dei sette prodi che assediarono Tebe, sotto le
cui
mura perirorono quasi tutti. Poco dopo Adrasto pe
etti perchè avevano un tempio consagrato al loro culto nel recinto da
cui
partivano coloro che si disputavano il premio del
endere i ladri, fu loro teso un agguato nel quale cadde Agamede, e da
cui
non valse a tirarsi, per modo che suo fratello Tr
…. …… Oggi ha due lustri appunto. Era la orribil notte sanguinosa, In
cui
mio padre a tradimento ucciso Fea rintronar di do
n fiume che scende dal monte Elicona. Ella fu cangiata in fontana, le
cui
acque aveano il dono d’inspirare i poeti, e perci
liuole di Cadmo e di Armenia. Ancor giovanetta sposò certo Echione da
cui
ebbe un bambino che fu chiamato Penteo. La favola
llo al quale fu imposto il nome di Ati. Giunto all’età virile, Ati di
cui
Agdisto erasi perdutamente invaghito, fu dalla ni
impetuoso, empio e crudele. Di quel fier Telamone io sono erede, Da
cui
fu vinto già Laomedonte : Ei d’Eaco usci, che giu
fi ore, di giacinto bisogna sottintendere il piede della lodoletta in
cui
si crede scorgere le due lettere A. I. che forman
arse. Un fior purpureo in un momento apparse. Quel fior leggiadro, in
cui
cangiossi il figlio Già d’Amiciante, di quel sang
jo Locutio. — Di tutte le Divinità della favola non ve n’è alcuna, la
cui
origine sia così nettamente precisa come questa.
e si offri pel marito. Ercole giunse in Tessaglia l’istesso giorno in
cui
Alceste si era sacrificata. Admeto malgrado il su
iconoscenza intraprese di combattere la morte, discese agl’inferni da
cui
ritirò Alceste e la rese al marito. Omero dà ad A
fu aiutato da Fegeo, il quale gli fece sposare sua figlia Arfinoe, a
cui
Alchmeone fece dono di una magnifica collana che
baccanali di ogni maniera ove si contavano le più luride canzoni, di
cui
la più celebre è quella che Fennio cantò alla pre
hi era simbolo dell’amor coniugale. Varì scrittori dell’antichità fra
cui
Ovidio riportano il fatto in modo che ha qualche
ella favola. La verità non è quindi nota abbastanza sul personaggio a
cui
si attribuisce la metamoriosi in Alcione. Secondo
o ; un’altra figlia del gigante Alcioue ; ed una terza pastorella, di
cui
parla Teocrito e Virgilio. 252. Alcithoe. — Una d
lcithoe. — Una delle figlie di Minea o Mina. Burlandosi del culto con
cui
veniva onorato Bacco lavorò, e fece lavorare le s
ave alla tessitura della lana, durante il periodo dei giorni sacri in
cui
si celebravano le orgie in onore di quel Dio ; il
ome dato ad Ulisse dal nome di Alcomena, città dell’isola d’Itaca, di
cui
egli era re. 255. Alcone. — Figlio di Eriteo, re
eissiare. — Ebe, dea della giovanezza, ebbe da Ercole una figliuola a
cui
fu imposto un tal nome. 262. Alemanno eroe degli
γφιτον che significa farina, davasi questo nome ad una divinazione in
cui
si adoperava il fiore di frumento. 282. Alia. — E
cedente. 289. Alixotoe. — Ninfa che fu madre d’Esaco. Il re Priamo da
cui
ella ebbe questo figlio l’amò con passione. 290.
i deificata l’allegrezza ; ma esiste bensì gran numero di medaglie su
cui
vedesi scolpita. Viene rappresentata con le sembi
nemico dichiarato dei Megaresi ; essa tagliò a suo padre un capello a
cui
érano legati i destini della patria, la quale cad
escevano nelle circostanze di Atene, onde recare oltraggio a Minerva,
cui
quegli alberi erano consacrati. La dea però sdegn
ro per lo spazio di tredici mesi ricchiuso in una gabbia di ferro, da
cui
andò poi Mercurio a liberarlo. Diana allora, vede
quale tratta coi vincitori il riscatto del prigioniero. L’astuzia di
cui
Diana si serve strisciando fra loro in sembianza
del re d’Arcadia. La principessa fu la prima a ferire il cignale, le
cui
spoglie le vennero offerte da Meleagro figlio di
icare la morte dei suoi fratelli, gettò nel fuoco il fatale tizzone a
cui
le Parche avevano legato i destini di questo prin
. — Sebbene vi sia una completa analogia fra queste ninfe e quelle di
cui
è menzione nell’articolo precedente, pure formava
re finalmente, lungi dall’essere immortali, morivano con la pianta in
cui
avevano vissuto. 311. Amaltea. — Fu la capra che
i Cipro. Egli aveva l’incarico di conservare e mantenere i profumi di
cui
si serviva abitualmente il re, e la sua famiglia.
arynthia. — Soprannomi dati a Diana da un borgo nell’isola d’Eubea in
cui
era particolarmente venerata : altri scrittori di
crata a Venere. Gli abitanti le aveano innalzato un tempio superbo in
cui
la veneravano insieme ad Adone. 321. Amatus. — Fu
ta l’Ariosto : …Che quella riva Tutta letteau le femmine omieide. Di
cui
l’antigua legge ognua che arriva In perpetuo lien
atta una divinità speciale. I Romani le aveano innalzati dei templi a
cui
sagrificavano con maggior frequenza che alle are
esta Divinità con le ali sugli omeri, per alludere alla prontezza con
cui
mette in esecuzione i più arditi disegni. 326. Am
e un fatto positivo ed indiscutibile, credevano che quella voragine a
cui
davano il nome di Amente, accogliesse tutte le an
conia, patria di Elena. Vi fu anche un’altra città di questo nome, di
cui
la tradizione favolosa narra che gli abitanti fur
2. Ampico. — Detto anche Ampix, figlio di Clori, e padre di Mopso, di
cui
nell’articolo precedente. Uno dei figli di Pelia
. Andiomena. — Con questo soprannome veniva adorata Venere marina, di
cui
la favola racconta che uscì dal mare, nascendo da
d’Etione re di Tebe e moglie di Ettore, il più famoso eroe Troiano da
cui
ebbe un figlio che fu detto Astianatte. Dopo la p
ti da Nettuno, lo portarono sul dorso fino al palazzo d’Anfitrite, da
cui
riebbe l’anello di Minos. 404. Anetide. Vedi Anai
re del famoso tribunale che dal nome di suo padre fu detto Helenus, i
cui
decreti si ritenevano come altrettanti oracoli. 4
gli di Anfiareo. Ritornato dall’assedio di Troia, edificò una città a
cui
dette il proprio nome, e nella quale, dopo la mor
iglio Pterelao loro re, al quale la figlia taglio un capello d’oro da
cui
dipendevano i destini di questo principe Fu duran
la, dal vedere i primi effetti dello straordinario valore di Ercole a
cui
fu d’uopo dare un dio per padre. Seneca nelle sue
iscendenti di Anfitrione. 424. Anfriso. — Fiume della Tessaglia sulle
cui
rive Apollo custodì per lungo tempo gli armenti d
o nella Grecia in onore di Angerona, Dea del silenzio, alcune feste a
cui
si dava il nome di Angeronale. 429. Angeronia o A
a apra la bocca Saly. Rosa — Satira 2. 430. Anquipede. — Mostro la
cui
tortuosa maniera di strisciare, somigliava a quel
siche la farfalla che è il simbolo dell’anima. Presso quel popolo, la
cui
mitologia è ricca della più poetica fecondità d’i
a che ha nelle mani, esprimendo così il tormento dell’anima di coloro
cui
l’amore signoreggia e governa. V. Psiche. 437. An
fiume Numicio, forse la stessa Anna sorella di Didone, di Didone, di
cui
nell’articolo precedente. 442. Anneddoti. — Erano
enominazione di Antelii demones. 455. Antenore. — Principe Troiano a
cui
principalmente si addebita la taccia di traditore
peraltro una credenza assai vaga. Antenore ebbe molti figliuoli, fra
cui
i più noti sono Achiloco, Alamanto, Laodoco, Ache
a. — Soprannome dato alla fortuna dalla città di Antrim nel Lazio, in
cui
ella aveva un tempio assai celebre. 464. Anthio.
ia di Diocleo e madre di Ulisse. La favola racconta che al momento in
cui
Laerte stava per impalmaria, Sisifo figlio di Eol
detto Monti Aonidi. Ausonio le chiama Beolia Numina. Dalla Beozia in
cui
stavano queste montagne, fu poi detta Aonia tutta
giziani riguardavano il Dio Apis come Osiride stesso. Il bue sotto la
cui
figura veniva Apis venerato in tutto l’ Egitto, d
a, per lo spazio di 40 giorni, segretamente nutrito da alcune donne a
cui
solo era permesso di avvicinare il dio, e che lo
coro di fanciulle, che cantavano inni in sua lode. Ma l’occasione in
cui
si addimostrava più palesemente il culto supersti
ieli rubò. Allora si unì a Nettuno nella fabbricazione dei mattoni di
cui
si serviva Laomedone, per riedificare Troia, e do
la morte. 502. Apostropheni. — Si chiamavano così gli Dei Egiziani, a
cui
si domandava la grazia di stornare una calamità.
dia che è la contrada più rinomata di tutta la Grecia per le favole a
cui
dette vita. Il dio Pane vi era venerato con culto
mente sotto il nome di Anceo. 515. Arcadia. — Parte del Peloponneso i
cui
abitanti si resero celebri per il loro amore alla
portava il capo coperto da un berretto frigio, e al collo un vezzo a
cui
erano attaccate medaglie rappresentanti la testa
sentanti la testa di Ati senza barba. 521. Archiloco. — Poeta greco a
cui
si attribuisce l’invenzione dei versi dette jambi
Ardalidi. — Soprannome dato alle Muse da Ardalo figlio di Vulcano, a
cui
si attribuisce l’invenzione del flauto. 527. Arde
nnanzi a dodici numi fu rimandato assoluto del delitto di omicidio di
cui
era accusato. Vedi Allirozio. È opinione di alcun
che le acque dell’ Aretusa esalavano un odore di letame nel tempo in
cui
in Grecia si celebravano i giuochi olimpici, e ch
i Seleno, il quale ella amò teneramente, in ricambio dell’affetto con
cui
questo l’aveva cara. Essendo Argira vicino a mori
città dell’ Acaja, celebre per il culto di Giunone e per gli eroi di
cui
fu patria. Dal nome di questa città è venuto non
ene. 567. Arieina. — Soprannome di Diana che le veniva dal culto con
cui
era venerata nelle foreste di Aricia presso Roma.
d’ Orfeo. Le ninfe allora sdegnate contro Aristeo per la sventura di
cui
era causa, uccisero tutte le sue Api. La madre di
. La madre di Aristeo consigliò il fi gliuolo di consultare Proteo da
cui
seppe che avrebbe dovuto placare l’ombra di Eurid
lle mani dei suoi nemici, ponendo in fuga un drappello di quelli alla
cui
testa era Neoptolemo figliuolo di Achille. Poco t
questo re fu detronizzato, e mentre cercava uno scampo nella fuga, a
cui
aveva unica compagna la figlia, fu miseramente tr
uesta Arpalice si tiene memoria come inventrice di un certo cantico a
cui
si dava lo stesso suo nome. 588. Arpedoforo. — Da
dava codesto soprannome a Mercurio, forse in memoria della astuzia di
cui
si servì per uccidere Argo. 589. Arpie. — Giammai
helope. Presso i Pagani le Arpie erano riguardate come un flagello di
cui
Giove e Giunone si servivano per punire le colpe
di Tracia, fu lungamente perseguitato dalle Arpie ; e gli Argonauti a
cui
egli era stato largo di cortesi accoglienze si of
elebre Atleta. 592. Arripe. — Fu una delle ninfe seguaci di Diana, di
cui
la favola racconta che avendo un giorno incontrat
ente il nome di una città Egiziana posta sulle rive del lago Meris, i
cui
abitanti avevano un culto particolare pei coccodr
, e venivano collettivamente denotati col nome di fratelli Arvali, la
cui
istituzione si deve a Romolo, il quale segnossi t
609. Asclepio. — Uno dei soprannomi di Esculapio : da ciò le feste di
cui
nell’articolo precedente. 610. Ascolie. — Feste i
ve. In greco ορτυξ significa quaglia. Vi fu anche un’altra Asteria da
cui
Bellerofonte ebbe un figlio. 627. Asterio. — Re d
anauti. Asterione fu anche il nome di un fiume nella città di Argo, a
cui
la favola attribuisce due figliuole a nome Porcin
statue della Giunone di Argo. 629. Asterodia. — Moglie di Endimione a
cui
dette gran numero di figli. Vi fu anche una ninfa
641. Astiosea. — Moglie di Telefo. Si chiama anche così una donna da
cui
Ercole ebbe diversi figli. 642. Astipaleo. — Nel
leo. — Nel gruppo delle Cicladi vi era un’isola chiamata Astipalea in
cui
Apollo aveva un tempio. Da ciò il nome di Astipal
ia. 644. Astirena o Astrena. — Soprannome di Diana da varii luoghi in
cui
veniva adorata con culto particolare. 645. Astomi
iglia di Iasio re di Arcadia e di Climene. Atalanta sposò Meleagro da
cui
ebbe Partenopea. Essa amò con passione la caccia
n passione la caccia e fu la prima a ferire il cignale di Calidone le
cui
spoglie ella ricevette dalle mani di Meleagro seb
ie di Atamaso. Ovidio dà questo nome a quella parte del mare Ionio in
cui
la stessa Ino o Leucotea si precipitò. 657. Atama
del quale Cibele sebbene già vecchia fosse pazzamente invaghita ed a
cui
ella facesse fare la dolorosa amputazione per ave
enivano chiamati auguri. 682. Aulide. — Piccolo paese della Beozia la
cui
capitale fu Aulisia. Servio dice che era questa u
. — Soprannome dato a Perseo in commemorazione della pioggia d’oro in
cui
si cangiò Giove suo padre per giungere fino a Dan
agani ritenuti come per essere in quello stato d’illimitato potere, a
cui
essi davano il nome Autopsia V. Teurgia. 698. Aut
sacrata a Cibele, così chiamata da Afan figlio di Arcaso, il primo la
cui
morte fosse onorata di funebri giuochi. 710. Azes
la felicità, particolarmente adorato dagli Assiri e dai Fenici, nella
cui
lingua gad significa felicità. 720. Baal-Peor. —
larmente nella città di Biblo. Era ritenuta come moglie di Saturno da
cui
non ebbe che delle figliuole È la luna, ossia la
ù spilorci. Salvator Rosa. — Satira quinta. La prima di color, di
cui
novelle Tu vuoi saper, mi disse quegli allotta, F
a legge, Per torre il biasmo in che era condotta. Ell’è Semiramis, di
cui
si legge Che succedette a Nino, e fu sua sposa, T
lta il mese. In Roma furono introdotte la prima volta da un greco, di
cui
la storia non conserva altro ricordo. Oscuro di n
; ciò che ella ottenne da lui, dopo replicate repulse. Ma i raggi di
cui
era circondato il dio, e il folgorante bagliore d
he Semele fosse del tutto spirata, per salvare la vita del figlio, di
cui
la disgraziata era incinta, estrasse il piccolo B
i tutt’i suoi nemici, ed uscì sempre vincitore dai mortali pericoli a
cui
lo esponeva del continuo l’implacabile odio di Gi
odigii soprannaturali. Mosè passò quaranta giorni sul monte Sinai, di
cui
la parola Nisa è in qualche modo l’anagramma. 73
i Zeffìro. 741. Bapto. — Uno dei sacerdoti Bali della dea Cotitto, di
cui
si celebravano le cerimonie durante la notte, con
ro e moglie di Dardano. 750. Batone. — Fu il cocchiere di Anfiareo, a
cui
dopo la morte furono resi gli onori divini. 751.
ia, fu villanamente scacciato da tutti gli abitanti della contrada in
cui
dimoravano Bauci e suo marito, che furono i soli
entavano il loro dio Pane con la faccia e le gambe di becco, sotto il
cui
simbolo essi adoravano in lui il principio fecond
annome che gli antichi Galli dell’Alvernia davano al dio Beleno, ed a
cui
facevano i più grandi sacrifizii e le più sontuos
ce. trad. di Ugo Foscolo 782. Beroe. — Vecchia donna d’Epidauro, di
cui
Giunone prese la figura per ingannare Semele, del
gli riposava, ebbe una visione. È questo il famoso altare di Betel di
cui
facemmo menzione nello studio preliminare che pre
in qualche luogo. 795. Bidentalo. — Così veniva chiamato il luogo in
cui
era caduta la folgore. Vi si sagrificava un agnel
erra. 799. Bimatere. — Ossia che ha due madri : soprannome di Bacco a
cui
Giove fece da madre dopo la morte di Semele. — V.
acia. Alcuni scrittori dicono che tal nome gli venisse dalla scure di
cui
egli si servì per recidersi le gambe. È questa un
e. — Figlio di Marte e di Calliroe. Edificò una città della Tracia, a
cui
dette il suo nome. 804. Bistonidi. — Donne della
Bistonidi. — Donne della Tracia e probabilmente della stessa città di
cui
è menzione nell’articolo precedente. Orazio dice
la Dea avea loro nel sonno mandata la morte come il sommo dei beni a
cui
l’uomo possa agognare. Gli abitanti di Argos, ove
i celebravano in commemorazione d’una vittoria, nel mese di agosto, a
cui
nella lingua d’Atene si dava il nome di βονδρομιο
ome un enorme sacrilegio il tagliare i boschi sacri : il solo caso in
cui
era permesso il recidere qualche albero era quand
Nome patronimico d’Ippodomia, figlia di Brise, sacerdote di Giove, di
cui
nell’articolo precedente. Durante l’assedio di Tr
prendere nuovamente le armi, e a vendicare con la morte di Ettore (il
cui
cadavere egli trascinò legato al suo carro per tr
la racconta che, non potendo sopportare gl’insulti e le derisioni, di
cui
si vedeva fatto continuo bersaglio, a causa della
he Busiride sia lo stesso che Osiride ; e che il sanguinoso culto con
cui
quest’ultimo veniva adorato, abbia dato vita a qu
ide, sacerdotesse di Bacco. Buteo tenne per se Coronide, ma Bacco, di
cui
ella era stata nutrice, ispirò al rapitore un tal
i dei sacrifizii come ad un Dio. 856. Butrota. — Città dell’Epiro, in
cui
Enea trovò Andromaca, abbandonata da Eleno. C
al dire degli scrittori più rinomati della Favola, era il cavallo di
cui
si servivano le Muse ed Apollo. 859. Cabarnide. —
di Cerere, nell’isola di Paro. Era anche cosi chiamato il pastore di
cui
nell’articolo precedente. 861. Cabira. — Figlia d
Atene ed in Tebe, ove furono celebri. 866. Cabro, o Calabro. — Dio a
cui
s’offerivano in sacrificio dei piccoli pesci sala
farne una specie di metallo di coloro giallognolo. Questa pietra, la
cui
scoperta si attribuisce a Cadmo, fu dal nome di l
Di Testore il figliuol Calcante aizossi, De’veggenti il più saggio, a
cui
le cose Eran conte che fur, sono e saranno, E per
i Aete, re della Colchide : fu sorella di Medea e moglie di Frisso da
cui
ebbe molti figliuoli. Il padre di lei, per impadr
oe con la figliuola, Ercole l’uccise, e poscia fuggì con Calciope, da
cui
ebbe un figliuolo per nome Tessalo, che poi dette
n un libro nella sinistra, e seguita da altre tre figure di donne, in
cui
l’allegoria favolosa vede la personificazione del
na donna greca, la quale, ricorrendo il tempo dei giuochi olimpici, a
cui
non era permesso alle donne di prender parte, si
offerti. 913. Camarina o Camerina. — Famoso stagno nella Sicilia, le
cui
acque esalavano pestilenziali miasmi. I Siciliani
ola non determina se fosse Nettuno o altro, ebbe molti figliuoli, fra
cui
Ifimedia, madre dei famosi Aloidi. 931. Canacea.
a figliuola di Eolo la quale non bisogna confondere con la Canace, di
cui
nell’articolo precedente. Canacea sposò segretame
colo precedente. Canacea sposò segretamente Macabro, suo fratello, da
cui
ebbe un bambino, il quale coi suoi vagiti palesò
o loro abituale soggiorno in una caverna. 933. Canatosa. — Fontana in
cui
Giunone andava tutti gli anni a bagnarsi. Era cos
il Campidoglio. Al dire di Eliano eravi una contrada nell’Etiopia, i
cui
abitatori avevano a re un cane e ritenevano le su
affinità che passa tra la vittima offerta e il nome della Divinità a
cui
s’offeriva. 940. Canope. — Era questo il nome di
no, così detto per un tempio che egli aveva nella Città di Canope, di
cui
nell’articolo precedente. 942. Cantho. — Figlio d
evano i voti pubblici ; ed era ivi che i vincitori delle battaglie, a
cui
il Senato avea tributato gli onori del trionfo, s
ovinare il futuro nei globi di fumo che s’innalzavano dagli altari su
cui
si facea un sacrifizio agli Dei. 950. Capra. — Ne
Dio Fauno in particolare. 952. Caprotina. — Soprannome di Giunone, da
cui
presero ancora la denominazione di Caprotine le n
l 9 di luglio. Le sole donne avevano il ministero di queste feste, la
cui
principale cerimonia consisteva nella corsa che e
Chirone e figliuola di Apollo. Essa dette alla luce una fanciulla, a
cui
fu dato il nome di Ociroe, per averla la madre pa
grida. Come fa l’onda là sovra Cariddi, Che si frange con quella in
cui
s’intoppa, Cosi convien che qui la gente riddi.
nche questo uno dei soprannomi di Giove, per il culto particolare con
cui
veniva adorato nella provincia fondata da suo fig
Cartagine, i quali ereditarono dai Fenicii ii truce culto di Saturno
cui
sacrificavano i propri figliuoli. Giustino rappor
e Polluce, e quella cattolica dei fuochi di S. Elmo e di S. Nicola, a
cui
anche oggidì si attribuisce, dalla superstizione
to su di un cavallo, conducendo per la briglia un altro destidero, su
cui
non montava alcuno ; volendo con ciò spiegare che
ove concesso all’immortale Polluce di raggiungere l’amato Castore, da
cui
non poteva vivere lontano. Essi furono annoverati
erere dalla città di Catania, in Sicilia, ove essa aveva un tempio in
cui
era vietato l’accesso agli uomini. 1002. Catio. —
il principe della nazione insieme al sommo sacerdote, erano i soli a
cui
era concesso di attaccarli ad un carro, ritenuto
oro movimenti ed i loro nitriti, e non eravi alcun’altra predizione a
cui
si prestasse maggior credenza. 1015. Cavallo di T
inerva e riporre il Palladium di Troja nelle mura di quella città, da
cui
essi stessi l’avevano rapito. …. Per la qual cos
parte delle mura di cinta per dar passaggio alla funesta macchina, a
cui
la smisurata grandezza non consentiva entrare dal
una scintilla di fuoco ; e che dopo nove mesi partorisse un bambino a
cui
ella pose il nome di Cecolo, a causa dell’estrema
nell’ Attica ove sposò Aglaura, figlia di Acteo, re degli Ateniesi, a
cui
egli succedette nel governo. Cecopro fu soprannom
nell’ Attica. 1024. Cecrope. — Trasse la sua origine dall’ Egitto, da
cui
condusse una colonia nella Grecia ove fondò il re
e dal suo nome fu detta Cecropia. Alcuni la confondono con Cecopro di
cui
nell’articolo precedente. 1025. Cecropea. — Più c
o almo paese. Mentre quel mostro egli strascina, e tira Per lo mondo,
cui
splende il maggior lampo. E ’l can vuol pur resis
— Famoso ladro. Egli attaccava le sue vittime a due grossi alberi di
cui
aveva ravvicinato le cime per modo che queste, ri
ndo nella mano destra una falce, nella sinistra un pugno di spighe di
cui
aveva anche coronata la fronte. Il suo seno largo
, fratello di Giove veniva così soprannominato dal colore del mare di
cui
era Dio. Similmente si denotavano tutte le divini
ell’Epiro piena di montagne e di foreste, e celebre per le ghiande di
cui
si nutrivano i suoi abitanti, prima dell’invenzio
era o Chimerifera era similmente detta una montagna della Licia, alla
cui
sommità, secondochè dice Ovidio, v’era un piccolo
gran numero di leoni ; sui fianchi di essa verdeggiavano dei prati su
cui
pasceva larga quantità di capre ; mentre ai suoi
dizione mitologica, ebbe il corpo metà di uomo e metà di cavallo ed a
cui
Saturno impose il nome di Chirone. Questo mostro
mostro viveva sulle montagne e nei boschi sempre armato di un arco di
cui
si serviva con mirabile destrezza. Conoscendo per
vano chiamati alcuni scogli posti all’ingresso del ponte Eusino le le
cui
masse abbracciavano lo spazio di venti stadii. Le
mani svenato, si uccise sul corpo di lui. 1091. Cibebe. — Divinità a
cui
si attribuiva il potere di ispirare il furore. Ve
quale lo ebbe così caro, che dopo la morte di lui, fond ò una città a
cui
impose nome di Cilla, per onorare la memoria del
cinxi, Cingo e cunctum cingere ; soprannome di Giunone come la Dea, a
cui
la tradizione mitologica, attribuiva l’incarico d
in majali, orsi ed altri animali, dando loro a bere certo liquore di
cui
Ulisse non volle gustare, e potè così dopo qualch
Cirra. — Città della Focide vicino alla quale esisteva una caverna da
cui
soffiavano dei venti che ispiravano una specie di
enza conoscerla, il proprio brando. 1188. Clitidi. — Famiglia greca a
cui
venivano particolarmente affidate le sacre funzio
ne volle lasciarsi morir di fame, ma Apollo la cangiò in quel fiore a
cui
oggi si dà il nome di Eliotropo. La cronaca mitol
i, comune a tutte le città dell’Egitto : ve n’era anzi buon numero in
cui
i coccodrilli venivano uccisi e riguardati con or
oloro che navigavano il Nilo in una barca fatta dello stesso legno di
cui
era fabbrita quella di che si serviva la dea Isid
di Giove e della ninfa Ora. 1215. Colchide. — Contrada dell’Asia, la
cui
capitale fu la città di Cita : si rese celebre pe
i facevano alla dea Bellona, nella città di Comana, in Cappadocia, in
cui
quella dea aveva un tempio famoso. 1225.Comeo. —
cconta di lei che per un trasporto amoroso tradi il proprio padre, il
cui
destino dipendeva da un capello, il cui misterios
so tradi il proprio padre, il cui destino dipendeva da un capello, il
cui
misterioso possesso era noto solo alla figlia. Es
ropria patria, fu fatta uccidere per ordine di quello stesso uomo pel
cui
amore essa s’era resa traditrice. Cometo era anch
dava codesto soprannome ad Ope, divinità tutelare delle campagne, la
cui
festa si celebrava nel mese di agosto, sotto la s
memoria di tale avvenimento, gli Ateniesi istituirono poi una festa a
cui
fu dato il nome di festa delle Coppe. 1244. Cora
a. 1248.Corebe. — V. Corevo. 1249.Coresia. — Soprannome di Minerva, a
cui
Cicerone attribuisce l’invenzione dei carri a qua
o dei sacerdoti di Bacco. 1251. Corevo o Corebe. — Figlio di Midionea
cui
Priamo, re di Troja, aveva promesso in moglie sua
dolorosi presentimenti di Cassandra si avverarono, perchè la notte in
cui
i Greci si resero padroni di Troja, Corebo fu ucc
ste dette Coritie. V. l’articolo precedente. Vi fu un altro Corito di
cui
la tradizione mitologica fa menzione come figlio
, la quale fu rapita da Buteo. Finalmente fuvvi un’altra Coronide, di
cui
fa menzione Pausania, come di una dea adorata in
rtina si volesse dai pagani indicare la pelle del serpente Pitone, di
cui
era ricoperto il tripode sacro sul quale la piton
emente che sia la stessa che Carnea. 1277. Cranto. — Uno degli eroi a
cui
dopo la morte furono eretti in Grecia monumenti e
ato l’ajuto di Giove, il quale avesse mandato una pioggia di felci di
cui
è sparsa l’isola Crau, all’imboccatura del Rodano
Sconia e ridicola divinit à dei pagani. 1288. Creta. — Famosa isola i
cui
abitant i immolavano a Giove ed a Saturno vittime
d a Saturno vittime umane. La maggior parte degli dei e delle dee, di
cui
si compone l’Olimpo mitologico, ebbero i natali i
denominata Elle, sorella di Prisso, dal nome del suo avo Cretheo, di
cui
nell’articolo precedente. 1293. Cretone. — Figlio
la quale per vendicarsi mandò in dono a Creusa una piccola scatola da
cui
uscì un fuoco che s’appiccò alla reggia e fece mo
vano a sorte la loro vita. Appena la figlia di Crinifo toccò l’età in
cui
doveva, come le altre, essere esposta alla voraci
ue campagne, l’abbandonò alla fortuna delle onde. Spirato il tempo in
cui
il mostro doveva rimanere nella contrada, Crinifo
fe, e combattè contro Acheolo per la ninfa Egesta, che poi sposò e da
cui
ebbe un figlio per nome Aceste. 1399. Criniso. —
si appiccasse ai sacri ornamenti, e quindi a tutto il tempio, fra le
cui
flamme mori bruciata ella stessa. 1307. Crisippo.
uoi cavaili di carne umana, Giove lo fulminò. Vi fu anche un satiro a
cui
la favola attribuisce l’istesso nome. 1319. Croni
o, volendo far credere con cio che essi fossero ispirati da Apollo, a
cui
quell’arboscello era consacrato dopo la metamorfo
tava in giro un ramo d’alloro, sul quale riposava un globo di rame da
cui
ne pe ndevano sospesi molti altri, di più piccola
d Apollo Dafneo. 1347. Dagone. — Uno degli idoli dei Filistei, presso
cui
veniva rappresentato come un tritone : aveva due
etto, re di quella, la sposò allevando con affetto paterno Perseo, di
cui
ella era rimasta incinta. L’oracolo ebbe poi il s
o. — Figlio di Belo, e re di Argo e padre delle cinquanta Banaidi, di
cui
nell’articolo precedente. Dal nome di lui, i Grec
tavano i Trojani. 1361. Dardania. — Nome primitivo della contrada nel
cui
perimetro era compresa la città di Troja V. Darda
figlio al quale impose il suo stesso nome, e che poi sposò Venilia da
cui
ebbe Turno. 1370. Daunio-Eroe. — Denominazione da
Dee Madri, alle figliuole di Cadmo : Agone, Ino, Autonoe e Semele, a
cui
venne affidata l’educazione di Bacco. Il certo si
ali. Erano inoltre più particolarmente adorati nelle diverse classi a
cui
appartenevano, dodici numi principali detti dei G
non riconosceva sotto questa denominazione se non che dodici numi, i
cui
nomi proprî, sono, secondo l’opinione di Eredoto,
articolari protettori d’ognifamiglia. Anche le anime degli antichi, a
cui
ognuno rendeva un culto particolare, erano compre
incogniti. I pagani annoveravano fra questi dei tutti quelli della
cui
origine non si sapeva nulla di certo, e ai quali
la rese madre di Pirro, il quale, divenuto adulto, ebbe una figlia a
cui
impose il nome di Deidamia, in memoria della madr
ori i quali asseriscono che i primi abitatori della Grecia, quelli la
cui
origine si perde nella notte dei tempi, non avess
itiva della idolatria fosse stato il dolore di un padre di famiglia a
cui
mori un figliuolo amatissimo in ancor tenera età.
lia codeste dolorose cerimonie passano nei costumi dell’intera tribù,
cui
quella famiglia apparteneva, poscia nella intera
sa. — Vale a dire figlia di Cerere : soprannome dato a Proserpina, di
cui
quella dea era la madre. 1391. Dejanira. — Moglie
vario pensar le cade in mente Della camicia ch’ebbe dal centauro. La
cui
virtù, per quel ch’ella ne sente, Può dare al mor
o prima ad una sua servente L’avea fatta adornar di seta e d’auro. Il
cui
ricamo d’or, d’ostro e di seta, Lo sparso sangue
: celebre nella favola per il famoso oracolo di Apollo. Lo spazio in
cui
sorgeva quella città, era ritenuto, presso gli an
lo ebbe in costodia fino ai tempi del diluvio di Deucalione, epoca in
cui
Apollo, essendo venuto sul Parnaso, rincinto dell
bello della sua eterna giovanezza, e con una lira d’oronella mano, da
cui
traeva dolcissimi e maravigliosi suoni, s’impadro
l’anno sul monte Parnaso, ritornasse nella loro isola, e all’epoca in
cui
essi supponevano il ritorno del dio, celebravano
1410. Demofila. — Così avea nome la settima delle dieci sibille, di
cui
fa menzione Varrone. Era nativa di Cuma, e da lei
un suo demonio o genio particolare, specie di spirito familgliare, i
cui
avvertimenti lo guidavano in tutte le sue azioni.
— Re di Tessaglia, figlio di Prometeo e marito di Pirra. Al tempo in
cui
egli viveva, un diluvio universale distrusse tutt
in Atene in onore di Giove, onde scongiurare le sventure ed i mali di
cui
si poteva essere minacciati. Queste cerimonie si
oni che gli scrittori della Favola danno a Diana, secondo il luogo in
cui
dimorava. Si chiamava Ecate nell’inferno ; la Lun
ropizio, durante le quali si faceva dagli abitanti una famosa fiera a
cui
non mancava alcuna specie di mercanzia. Gli Ateni
venivano così dette perchè abitualmente dimoravano sulla montagna, di
cui
nell’articolo precedente. 1438. Dicteo. — Soprann
oracolo di Didimo. 1442. Didimeone. — Rione della città di Mileto, in
cui
Apollo avea un oracolo ed un tempio famoso. 1443.
rava nell’ Attica, in onore di Dioclie, uno degli eroi della Grecia a
cui
dopo la morte furono resi gli onori divini. 1456.
eo. 1460. Dionea. — La dea Venere che fu moglie di Vulcano è quella a
cui
si da propriamente questo soprannome. Essa fu per
fu perduttamente amata da Marte, che le rese madre di una figlia, di
cui
nell’articolo precedente. 1461. Dionislache. — V.
nati con questo nome. Gli antichi veneravano diverse altre divinità a
cui
davano questo nome, e che si credeva proteggesser
sere più bella di lei. Non bisogna punto confonderla con la Dirce, di
cui
nell’articolo precedente. 1471. Dirceo. — Soprann
e. 1476. Disari. — V. Disareo. 1477. Discordia — Divinità malefica, a
cui
venivano attribuite le guerre fra le nazioni ; le
scordia, la quale per vendicarsi, gettò sulla mensa un pomo d’oro, su
cui
erano scritte queste semplici parole : « Alla più
ella dea Angeronia, si celebravano in Grecia delle feste religiose, a
cui
si dava questo nome. Esse furono stabilite in occ
e quali s’impiegava alcuno dei quattro principali elementi. Quella in
cui
si adoperava l’acqua, veniva detta Idromanzia ; q
ella in cui si adoperava l’acqua, veniva detta Idromanzia ; quella in
cui
si adoperava il fuoco si chiamava Piromanzia ; qu
tà dell’ Epiro, presso la quale era una foresta consacrata a Giove, i
cui
alberi di quercia rendevano gli oracoli divini. L
, ove fece costruire a piè d’una quercia un’ara in onore di Giove, di
cui
ella era stata in Tebe sacerdotessa ; da ciò ebbe
sia, figlia dell’ Oceano e di Teti. Essa sposò suo fratello Nereo, da
cui
ebbe cinquanta figlie, che dal nome del padre fur
al corpo del padre Anchise, uscisse dal sepolcro un enorme drago, il
cui
dorso era coperto di squame gialle e verdi, e che
Secondo narra la favola l’istesso drago che custodiva l’antro in
cui
Temi prediceva il futuro, era quello che pronunzi
Draghi Cerere. Il carro di questa dea era tirato da due draghi, a
cui
la tradizione mitologica attribuisce una celerità
ssa ragione Driantiadi. 1510. Driaso. — Oltre al padre di Licurgo. di
cui
qui sopra. V. Driantiade, così avea nome uno dei
ramo di edera da una pianta vicina, per divertire l’infante. Bacco, a
cui
quella pianta era consacrata, irritato contro Dri
mente altre sacerdotesse, che se pure maritate, vivevano nel tempio a
cui
erano addette, senza che fosse loro permesso d’av
coi loro sposi, meno che una sola volta l’anno, in un dato giorno. in
cui
era loro concesso, per qualche ora, di vivere sot
e lo rese padre di Tindaro. Ebalo fu uno dei migliori re di Sparta, i
cui
abitanti alla morte di lui, gl’inalzarono un monu
le città della Grecia e dello stato romano gran numero di templi, fra
cui
il più famoso era quello di Corinto, che avea il
agani, con la quale essi giuravano per Castore nell’istesso senso con
cui
adoperavano la parola Meehrcole quando prestavano
re dea Triformis, appunto per alludere alla triplice denominazione di
cui
parlammo più sopra. Al dire di Servio, Ecate avea
zia nè generalizzata nè ripetuta fra gli scrittori dell’antichità, di
cui
per contrario moltissimi ripetono che quel filoso
ica piede e si chiamava così un tempio che Minerva aveva in Atene, la
cui
lunghezza era appunto di cento piedi. 1539. Ecdus
moglie di Priamo, re di Troja, che la rese madre di molti figli, fra
cui
i più famosi furono Ettore, Paride, Eleno, Polite
o dai Greci Hecatombeon, 356 anni avanti Cristo, la notte medesima in
cui
nasceva Alessandro il Grande. Circa 25 anni dopo,
dronirono i Turchi, i quali la tennero schiava fino al 1206, epoca in
cui
passò nuovamente sotto il dominio dei Greci, che
Creso, prese parte alla fabbricazione del famoso tempio di Diana, di
cui
nell’articolo precedente. 1563. Efestee. — V. Efe
lo di Niso, di Pallante e Lico. Con essi egli riconquistò l’Attica di
cui
i Mezioniti eransi resi padroni. Egeo fu il solo
Fu figlio d’ Inaco e di Melisse, e diede il suo nome alla contrada di
cui
poi fu re, e che da lui fu detta Egialea. Questa
ni indicavano con questo nome un particolare sagrifizio espiatorio in
cui
s’immolavano un dato numero d’animali cornuti. Se
rva combatteva coprendosi tutta la persona con uno scudo, o Egida, su
cui
era incisa la testa della Gorgone Medusa. Intorn
ette alla luce Eaco, il quale poi chiamò col nome di Egina l’isola in
cui
era nato, in memoria della madre. Dopo qualche te
conia. Ivi rimasero fino alla caduta della potenza Ateniese, epoca in
cui
ritornarono in patria, ma non poterono mai ricost
e sembrandogli poca cosa il trionfo ottenuto, informatosi dell’ora in
cui
Egipio dovea recarsi ad un notturno convenio d’am
rarie sono le opinioni degli Storici e dei Cronisti sul personaggio a
cui
la tradizione mitologica attribuisce cotesto nome
voli qualità gli valsero l’onore di dare il suo nome alla contrada di
cui
era sovrano. Da sua moglie Argifia e d’altre sue
Macaone. 1596. Egnatia. — Ninfa riverita come una dea nella Puglia in
cui
gli abitanti credevano generalmente che il fuoco
no generalmente che il fuoco si appiccasse da sè stesso alle legna su
cui
si ponevano le vittime che le venivano immolate.
di Egone non fosse minore del suo appetito, mentre ad un banchetto a
cui
era stato invitato mangio senza soffrirne ottanta
lcun fatto importante. 1603. Eldotea. — Figliuola di un nume marino a
cui
i Pagani davano il nome di Proteo. Narra la crona
alla Pace. 1605. Elseterie. — In Atene celebravasi in alcune feste a
cui
si dava cotesta appellazione, e nelle quali si of
dell’alta. Siria per nome Emesa si adorava dagli abitanti una deità a
cui
essi davano il nome dil Elagabalo, e che comuneme
vuto anche riguardo al dubbio ed alla incertezza degli avvenimenti di
cui
essa fu l’eroina. Poeti, scrittori, mitologi e cr
ebbero assediata pel non breve spazio di dieci anni. Elena vidi, per
cui
tanto reo Tempo si volse…… Dante — Inferno — Can
lio di Priamo, col quale alcuni scrittori dicono che fin dal tempo in
cui
Paride vivea, avesse ella avuto carnale commercio
stò fino alla morte di Menelao, avvenuta qualche tempo dopo, epoca in
cui
i Greci la scacciarono dalle loro città, ed essa
gretamente strozzare, facendole così scontare gl’innumerevoli mali di
cui
la sua fatale bellezza e la lascivia dei suoi cos
re dal cielo la cessazione di una terribile pestilenza. Al momento in
cui
tutto era pronto pel sacrifizio, un’aquila rapì d
Troja. Comandava la terza colonna delle schiere Priamee, il giorno in
cui
uccise di sua propria mano Deiporo. Grande e bat
profezie, e più ancora l’avere Eleno distolto Pirro da un viaggio in
cui
perirono tutt’i passeggieri, fu causa della fortu
ettra tu. Alfieri — Oreste, tragedia Atto II. Scena II All’epoca in
cui
Agamennone fu trucidato da Clitennestra sua mogli
bandolo così alla vendetta che quegli compì sette anni dopo, epoca in
cui
ritornato a Micene col suo fido Pilade, ordi, d’
col suo fido Pilade, ordi, d’ accordo con la sorella, la congiura da
cui
risultò la morte dei due assassini di Agamennone.
i una delle figlie di Atlante e di Plejone, la quale sposò Corito, da
cui
ebbe un figliuolo per nome Iasio. Giove, invaghit
l nome di Eleusi, parola che in greco significa arrivo, dall’epoca in
cui
Cerere vi soggiornò per breve spazio di tempo, al
minata da un magnifico tempio ch’ella aveva nella città di Eleusi, di
cui
nell’articolo precedente, ove i suoi misteri veni
loro merito personale. 1629. Eleuslo. — Così aveva nome quel greco a
cui
la dea Cerere insegnò l’agricoltura. 1630. Eleute
ozia dalla schiavitù, e fece in memoria di ciò fabbricare una città a
cui
fu dato il nome di Eleutera. 1631. Eleuteria. — C
e, figliuole di Elio e di Climene. A cagione del nome del fratello di
cui
esse piansero la morte sulle rive del Po, e dove
l’arte della navigazione. Fra gli Eliadi, che erano sette fratelli di
cui
al dire di Diodoro ecco i nomi : Macare, Atti, Oc
rsi al castigo ; e Atti, traversando l’Egitto, vi edificò una città a
cui
, in onore di suo padre Elio, dette il nome di Eli
sivamente dedicato al culto del Sole. In quel tempio era un oracolo i
cui
responsi venivano a chiedere gli abitanti delle p
dell’impero di Cartagine. 1646. Elisi-Campi. — Parte degl’inferni in
cui
i poeti dell’antichità, immaginarono che regnasse
, l’eroiche gesta dei semidei. È però a notare che i poeti osceni, di
cui
non è certo penuria fra gli scrittori dell’antich
ide. — In Corinto si dava cotesto soprannome a Minerva, dall’epoca in
cui
avvenne il fatto seguente. Essendosi i Doriesi re
tà di Corinto, essi appiccarono il fuoco al tempio di Minerva, fra le
cui
fiamme morì arsa la sacerdotessa Ellotide che lo
alzarono agli onori divini, e celebrarono in onore di lei la festa di
cui
nell’articolo precedente. V. Ellotia. 1652. Elmo
alcune feste, nelle quali i Greci portavano alcuni vasi di giunco, a
cui
essi davano il nome di Elene. 1654. Elpa. — Figli
, egli corse con tanta velocità, onde raggiungere i suoi compagni, la
cui
nave già stava per far vela, che precipitò da una
i i mitologi e cronisti dell’antichità parlano di questa divinità, il
cui
nome primitivo era Malpadia, e che poi fu detta E
ti. 1665. Empanda. — Si dava cotesto nome a quella divinità sotto la
cui
protezione si credeva che stessero i villaggi. 16
guerra dei Titani contro Giove, così si esprime, narrando il fatto a
cui
noi accenniamo, sebbene egli lo riporti chiamando
a, e fino all’età di cinque anni fu allevato dalle Driadi, ninfe alla
cui
custodia la dea sua madre lo aveva affidato. Rico
liade — Libro XX trad. di V. Monti. Finalmente nella fatale notte in
cui
Troja cadde, Enea dopo averla eroicamente difesa,
trojano in modo forse più enigmatico ed oscuro del solito, la meta a
cui
doveva mirare. Enea tratto in inganno dall’appare
te (tal d’Italia è ’l fato) Un genero dal ciel mi si promette, Per la
cui
stirpe il mio nome e ’l mio sangue Ergerassi a le
. — Eneide — Libro VII trad. di A. Caro. Però Turno re dei Rutoli, a
cui
Lavinia era stata promessa dal padre prima della
e — Inferno — Canto I. ……. Capo e re nostro Era pur dianzi Enea, di
cui
più giusto, Più pio, più prò ne l’armi, più sagac
quale successe nel governo della Calidonia, contrada dell’Etolia, da
cui
presero quei governanti, e tutt’i loro discendent
o. V. l’articolo precedente. 1680. Eniochia. — La più antica città di
cui
si abbia nozione nella geografia del mondo antico
irtù medicinali delle piante. Avvenne intanto che Paride, al tempo in
cui
era ridotto alla condizione di pastore, dimorando
Troja e regnò nelle isole Vulcanie, dette poi dal suo nome, Eolie di
cui
Lipara, la principale, fu sua abitual residenza.
te vulcanica, è ritenuta dai cronisti della mitologia, come quella in
cui
Vulcano, dio del fuoco, avesse posto la sua fucin
dente. Al dire di Omero, una sola fra le isole Eolie, che è quella di
cui
egli fa menzione, era galleggiante, cinta tutta a
ricato il famoso cavallo di Troja. 1714. Epi. — Città della Grecia il
cui
governo era tenuto da Nestore, il quale condusse
ra Epicasta che fu figliuola di Egeo, ed una delle mogli di Ercole da
cui
ebbe un figliuolo chiamato Tessalo. 1719. Epicast
ì chiamata, come quelli di Argo, ne celebravano in onore di Giunone a
cui
davano la stessa denominazione. Gli antichi crede
i alla prima guerra di Tebe, combattuta dieci anni prima di questa, a
cui
fu dato il nome degli Epigoni. 1732. Epimelidi. —
niesi, al ricadere di ogni novilunio, si celebravano dei sagriflzii a
cui
si dava questo nome, e coi quali essi domandavano
la sua storia. Ben presto la fama se ne sparse per tutta la grecia, i
cui
abitanti lo tennero come un favorito degli dei, e
e che si cantava ai funerali. 1739. Epione. — Moglie di Esculapio da
cui
egli ebbe varii figliuoli. Fra gli uomini i più c
ò in Tessaglia e fermossi per qualche tempo nella città di Sicione di
cui
Corace era re. Quivi, profittando con grande avve
stri, i quali avevano l’incarico speciale di preparare il banchetto a
cui
si credeva che gli dei prendessero parte, e che p
In greco Eraclide, ossia stipite degli Eraclidi. Ideale di un eroe la
cui
esistenza è tutta consacrata a suffragio dell’uma
lla tradizionale tunica di pelle e della clava, attributi egiziani di
cui
lo si è voluto fregiare in prosieguo. L’inno Omer
urre alle proporzioni umane, le grandiose figure dei tempi eroici, di
cui
andò completamente smarrito o gravemente alterato
d. di F. Bellotti. Sua madre lo dette alla luce insieme ad Ificlo di
cui
già si trovava in cinta essendo moglie di Anfitri
i già si trovava in cinta essendo moglie di Anfitrione re di Tebe, le
cui
sembianze Giove aveva assunto per avere l’ampless
ri, Mercurio portò il neonato nell’Olimpo, e profittando del sonno in
cui
era immersa Giunone lo depose sul seno di lei. Gi
la costellazione detta Via Lattea. Ercole si ebbe molti maestri, fra
cui
il primo fu Anfitrione il quale, sebbene si accor
custodiva, una grande porzione dei quali apparteneva al re Testio, le
cui
cinquanta figlie furono tutte rese madri da Ercol
del monte Citerone, non è che una copia di quella del leone Nemeo, la
cui
pelle riveste l’Ercole greco. Per riannodare le d
si sarebbe dato : allora gli apparvero due donne di grande statura di
cui
una bellissima, che era la Virtù, aveva il volto
marciò contro Tebe, ma fu nella battaglia ucciso da Ercole stesso, a
cui
Minerva avea regalato una magnifica armatura. Anf
i Trezene, quella avesse preso radici, e avesse poi fatto l’albero da
cui
Ercole taglïo la sua terribile clava. Ci faremo o
questa impresa, Ercole combattè contro la terribile idra di Lerna, le
cui
sette teste rinascevano a misura che egli le avea
è e vinse il cignale di Erimanto, e mentre si recava nella Focide, le
cui
campagne erano desolate da quel mostro, egli mise
il quale ammirando il suo coraggio, lo presentò di una barca d’oro di
cui
si servi per attraversare l’Oceano. Giunto ad Eur
vinse Alebione e Dercio i quali volevano appropriarsi gli armenti di
cui
egli s’era impadronito, avendo ucciso i suoi due
ollodoro, la quale non si accorda con quanto ne dice Sofocle, secondo
cui
Ercole, era già marito di Dejanira quando si pres
le, era già marito di Dejanira quando si presentò al combattimento di
cui
era premio la mano di Iole. Qualche tempo dopo, v
contro Literso figlio del re Mida, il quale massacrava tutti coloro a
cui
dava l’ospitalità, Ercole lo uccise per un movime
ò impadronendosi dell’isola, e uccidendo Euripilo re di quella, della
cui
figlia ebbe Tessalo. Nel combattimento Ercole fu
divinità. La sua prima impresa, dopo di ciò, fu la presa di Pilo, in
cui
ebbe a combattere Periclimene, Neleo ed i suoi fi
dizione. Avendo ucciso Ippocoone, Ercole si impadronì della città, di
cui
ritornò lo scettro al suo legittimo re Tintaro. D
rciarono, da lui comandati, contro i Tesprodi ; avendo presa Efira di
cui
era re Fileo, Ercole ebbe dalla figlia di questo
nî un tempio al nume suo padre. Ercole andò in seguito ad Ormenio, di
cui
era re Amintore che egualmente Ercole uccise perc
e parte direttamente dalla Lidia per assediare la città di O calia di
cui
si rende padrone. Abbordato al capo Cineo nell’Eu
anira ma non appena Ercole se ne fu rivestito, il veleno dell’idra di
cui
era impregnata, accese un fuoco divoratore nel sa
l’immortalità e si riconciliò con Giunone, la quale lo unì ad Ebe, da
cui
Ercole ebbe due sigli Alesiareo e Aniceto. Un’ant
di Roma, che Ercole viene adorato sotto il soprannome di Musagete, la
cui
denominazione non si sa con esattezza d’onde deri
diverse città della Roma Imperiale, possedevano monumenti simili, in
cui
egli veniva adorato o sotto il suo proprio nome,
to il nome di Ercole Aventino, una statua dell’Ercole adolescente, in
cui
la forza delle membra sviluppatasi dall’infanzia
ichi ci hanno nei loro bassorilievi trasmessa l’apoteosi d’Ercole, in
cui
lo si vede ascendere al cielò accompagnato da Min
stono ancora gran numero di monumenti, di quadri, di medaglie ec : in
cui
sono riprodotte le dodici fatiche di Ercole. 1765
ia. 1769.Erea. — Gli antichi davano questa denominazione al giorno in
cui
si celebrava nella città di Corinto, l’anniversar
— Re di Sicilia, il quale, dal suo nome, chiamò Ericia la contrada di
cui
era sovrano. La favola ce lo presenta come figlio
imostrava, morì consunta d’amore cantando una malinconica canzona, in
cui
rimproverava a Menalca la sua indifferenza crudel
be morto, secondo che gli aveva rivelato l’arte della negromanzia, in
cui
era famoso. Venuto per altro in certezza del trad
scudi ; allor ch’Erilo stesso, Lo stesso re con queste mani ancisi. A
cui
nascendo avea Feronia madre Date tre vite e tre c
ad Elena. Erinni era anche il nome che in Sicilia si dava a Cerere, a
cui
la tradizione favolosa lo attribuiva dal fatto se
e fa il soggetto di uno dei più splendidi episodii di un suo poema in
cui
fa predire al padre di Sesto Pompeo, la perdita d
ologo Fulgenzio, il nome di Eritreo gli veniva dal levare del sole, i
cui
raggi sono in quel momento di un colore rossiccio
i. — Gli Egiziani davano questo nome particolare a Mercurio Anubi, la
cui
statua veniva rappresentata con un corpo umano av
chiamava il simulacro che rappresentava le due figure di Minerva, il
cui
nome Greco è Atene, e di Mercurio. Questa figura
uola di Marte e di Venere, e moglie di Cadmo re di Tebe. Il giorno in
cui
ella andò all’altare, tutti gli dei abbandonarono
glie dette Agave, Autonoe, Iaso, e Semele. Dalle numerose sventure di
cui
fu continuo bersaglio questa disgraziata famiglia
re della lunghezza circa di 875 passi. Ero, conturbata dal pericolo a
cui
si esponeva il suo diletto per amore di lei, pone
cola accesa che serviva di faro al giovine nuotatore. Sesto è città,
cui
da l’opposta Abido Breve flutto disgiunge. Amor d
tutto fra i cronistedella favola, un nom stretto numero di autori, la
cui
opinione concorda in generale col dare l’appellaz
osto dei funerali che dei sacrifizi. In quanto ai monumenti eroici di
cui
troviamo così spesso menzione nelle cronache favo
— Libro XXIV trad. di. V. Monti Infinito è il numero degli eroi di
cui
fa menzione la mitologia greca e romana, nelle qu
di una ninfa del monte Ida. Erofila predisse ad Ecuba le sventure di
cui
sarebbe stato cagione alla propria patria, il fig
o motivo che valse ad accendere la fiamma di quell’odio terribile, la
cui
fosca luce balenò per tanto tempo, nei fasti deli
to il nome di Caslum e nel mezzo di essa si teneva un carro coperto a
cui
nessuno ardiva toccare, meno il gran sacerdote, p
toccare, meno il gran sacerdote, perchè egli solo sapeva, il tempo in
cui
la madre degli dei si recava invisibile in quel l
no i patrizî romani. Si chiamava anche Esaforo una specie di bara, su
cui
venivano trasportati al rogo i cadaveri dei ricch
are suo figlio Esculapio e lo trasportò presso il centauro Chirone da
cui
poi apprese la medicina. Trasse del corpo dell’e
o il sangue della Gorgone, col quale egli risuscitava i morti. …… La
cui
somma virtute Di te gloria sarà, d’altrui salute.
lao, amico del popolo, e molti altri derivanti dai nomi dei luoghi in
cui
era venerato. Gli venivano sagrificati il gallo e
osè avesse esposto alla vista del suo popolo un serpente di bronzo la
cui
vista guariva dalla peste. Più tardi, nell’infanz
ella medicina, e si sono trovate buon numero di monete e di pietre su
cui
è scolpita la sua immagine. Oltre a questo Escula
e n’era un’altro conosciuto sotto il nome di Esculapio di Epidauro di
cui
fa menzione Valerio Massimo, nella sua storia rom
tusa, Egle ed Ipertuosa : alcuni scrittori ne aggiungono una quarta a
cui
danno comunemente il nome di Erizia. È questa per
e Atlantidi, alle quali dà per madre una donna, per nome Esperide, da
cui
trassero il nome collettivo. Al dire del citato s
lui Esperide, fu tolta in moglie dal proprio zio paterno Atlante, da
cui
ebbe sette figliuole conosciute sotto il nome di
elitto di parricidio, il re il quale non credette che in una città in
cui
professavasi di temere gli dei, il giudizio degli
subisse tutte le pruove che erano in uso per espiare quei delitti, in
cui
non avea avuto parte la volontà. I pontefici eres
; e i sacrifizî espiatorî reiterati, onde allontanare le calamità di
cui
gli abitanti credevano minacciata la loro città.
re le colpe di suo padre. Coro Tu dei propizie Far queste dive, il
cui
terren dapprima Col piè premesti Edipo E come f
quasi in tutte le città della Grecia, e segnatamente in Corinto, ed a
cui
si dava questo nome in onore di Vesta, detta anch
, profittando dell’assenza di Teseo, essi ricondussero con se Elena a
cui
dettero per schiava Etra stessa la quale seguitò
e arrideva propizia alle armi trojane, e profittando dell’inazione in
cui
lo sdegno contro Agamennone riteneva Achille, si
. Eubagl. — Nome particolare che si dava ad alcuni filosofi galli, la
cui
occupazione principale era lo studio delle scienz
. — Gli abitanti di Scio onoravano come una divinità l’eroe Drimaco a
cui
davano la denominazione di Eumene ossia Eroe paci
eggi. Là si rivolse, dove Palla mostro Gli aveva l’inclito Eumeo, di
cui
fra tutti D’Ulisse i miglior servi alcun non era.
di Euripile, e portavano ricche offerte al dio chiuso nella cassa, a
cui
, secondo Pausania, dettero il nome particolare di
nel tirar d’arco. V. Ercole. Egli aveva una figlia per nome Jole, di
cui
aveva promesso la mano a colui che lo avesse vint
Trasserlo, e orecchie gli mozzaro e nari Con affilato brando, ed el,
cui
spento Dell’intelletto il lume avean le tazze. Se
ianchezza, e che da ciò si chiamasse Europa quella parte del globo, i
cui
abitatori sono bianchi. Europa si chiamava anche
rie. Finalmente si chiamava Eurota un altro fiume del Peloponneso, il
cui
nome primitivo era Imero. Essendo i Lacedemoni in
Ma gli Ateniesi distrussero interamente l’esercito dei Lacedemoni, il
cui
comandante si precipitò per disperazione nel fium
rallegrava col suono del flauto e degli altri istrumenti da fiato, di
cui
si riteneva l’inventrice. La parola Euterpe deriv
bbricare nel luogo stesso ove accampò il suo esercito, un tempio, nel
cui
atrio fece mettere le due figure di Eutico e dell
uogo ove si credeva utile la loro presenza : e quando il pericolo per
cui
si evocavano le divinità era cessato, si cantavan
à, come mia scorta, vo’io ora a distruggere la città Veientana, della
cui
preda ti fo voto e prometto la decima parte. E te
ei stessi del paganesimo, altro non sono che altrettante cerimonie in
cui
si praticava cotesta evocazione dei defunti. 1923
che significa mangiare. 1929. Faggio. — Albero consacrato a Giove, i
cui
altari nelle principali solennità, venivano ornat
ono di duemila monete d’oro, secondo che era scritto nella lettera di
cui
ella era stata portatrice. 1934. Falliche. — Veni
li avevano la configurazione delle differenti membra del corpo umano,
cui
si dava il nome collettivo di Fallo. Ciò in comme
rendesse noto all’ universo i loro delitti. È questa fama un mal, di
cui
null’ altro È più veloce ; e com’ più va, più cre
tre e mille porte. Quindi han mille aure il passo entro il ricetto Da
cui
sono alla dea le voci scorte : Da tutte le città,
ttaglia contro Enea, formò dal vapore di una densa nube un fantasma a
cui
dette la voce, le armi e la figura di Enea e lo p
fuggir mostrando, Ricovrossi d’Enea la finta imago. E vi s’ascose. A
cui
dietro correndo Turno senza dimora infuriato Il p
sta dell’oracolo. 1946. Fascino. — Nome particolare di una divinità a
cui
i romani attribuivano il potere di allontanare i
, del mal’occhio, etc. Generalmente si appendea un piccolo amuleto, a
cui
si dava il nome di fascino, al collo dei bambini.
chità, è ritenuta come antichissima la esistenza di questi Faviani la
cui
istituzione è attribuita a Romolo e Remo. 1954. F
matore, è preso dal vero. Favole filosofiche si addimandano quelle la
cui
invenzione è tutta dovuta all’immaginazione dei p
ne dei poeti ; ed altro non sono che una specie di parabole, sotto al
cui
velo trasparente e diafano, sono ravvolti i miste
lti i misteri della filosofia. Le favole morali si dicevano quelle la
cui
invenzione era dovuta alla necessità di dettare q
d’è che Faustolo, ebbe dopo la morte, una statua nel tempio stesso in
cui
si veneravano Romolo e Remo dopo la loro apoteosi
alcuni oracoli dei quali suo padre gli aveva fatto rivelazione, ed in
cui
era detto che Nettuno odiava i Feacidi per essere
ra ed a fianco un pesce, un aghirone, uccello acquatico ed un urna da
cui
cade un’acqua abbondante. Al dire dello scrittore
no alla sepoltura di Fedra in Trezene, sorgeva un albero di mitro, le
cui
foglie erano tutte bucate ; ma che quell’ albero
quell’ albero non fosse così di sua natura, e che Fedra nel tempo in
cui
la sua funesta passione la distruggeva, passava m
ole. Dalle midolle, ritenevano gli egiziani, che nascesse un verme da
cui
poi formavasi un’altra Fenice. L’opinione general
trasportare in altro luogo la statua della dea ; ma che al momento in
cui
si accingevano al trasporto, furono visti gli alb
larghe libazioni, dovettero offendersi scambievolmente coi bastoni di
cui
erano armati ; e allora fu che il dio legislatore
tante e si moltiplici feste, che non v’era quasi giorno dell’anno, in
cui
non ne ricadesse la celebrazione. Riserbandoci di
zione, come di colui che si rese celebre per la sua famosa caduta, la
cui
origine si attribuisce al fatto seguente. Fetonte
ibro II trad. di Dell’Anguillara. Spaventato il padre dal pericolo a
cui
volea esporsi l’incauto fanciullo, cercò con ogni
guillara. e Giove allora, per prevenire la catastrofe universale, di
cui
l’audace inespertezza di Fetonte minacciava il cr
o della Luna. Neerea poi, loro genitrice, raffigurava la gioventù, le
cui
figlie non invecchiano mai. 1998. Fia. — Al dire
imperocchè erano ritenuti come figliuoli della terra tutti coloro la
cui
origine era sconosciuta, così per esempio, i giga
— In generale tutti gli dei detti Epidoti e molte altre divinità, di
cui
parleremo secondo il loro ordine alfabetico, avev
il nome di fontana della gazza. Il fanciullo fu chiamato Ecmagora, di
cui
alcuni scrittori chiamano la madre Fillo o Fillen
no presso la moglie, alla quale ebbe il coraggio di presentarsi, ed a
cui
affettando il più alto dolore, narrò come la dile
a avesse potuto informare l’amorosa sorella, dello stato miserrimo in
cui
si trovava. Finalmente un giorno, colpita quasi d
reo avesse potuto raggiungerle. Al dire di Pausania, le due sorelle a
cui
le terribili vicissitudini della loro vita, aveva
ortale ferita, la quale ben presto si cangiò in una orribile piaga da
cui
esalava un insopportabile puzzo, per modo che i g
ono a prolungargli la vita, poichè uccideva con quelle gli uccelli di
cui
poi si cibava. Intanto i greci non riuscivano anc
alla celeste sede, Di Giove il senno ad annunziarti, e in quella Via.
cui
t’appresti, a rattener tuoi passi. Dunque orecchi
Fu in Calabria che egli combattè il celebre duello col re Adrasto di
cui
parla Fénélon nel suo libro delle Aventures de Té
di fico, facendo per tal modo conoscere agli uomini questa pianta, il
cui
prezioso frutto non era servito, prima di quella
entato ed adorato, coniandosi persino in suo onore delle medaglie, su
cui
erano incise le parole Deus Rhenus ; il Paniso er
pie, quasi a dinotare che fossero bagnati e appoggiati ad un’ urna da
cui
scaturisce l’acqua che forma il flume. Da ultimo
to nome ad un ordine di sacerdoti del culto religioso dei romani e la
cui
istituzione, secondo Tito Livio è dovuta a Numa P
no di essi prendeva la sua denominazione individuale dalla divinità a
cui
era consacrato : così il flamine di Quirino si ch
i quali in questa occasione prendevano oltre al nome della divinità a
cui
erano consacrati. anche quello dello imperatore c
— Questo sacerdote prendeva il suo nome dall’ antico dio Falacro, di
cui
fanno menzione ben pochi cronisti dell’ antichità
asino, quando se ne servivano nei pubblici giuochi ; mentre quello di
cui
facevano uso nei sacrifizi era di bosso o di arge
unicamente dal fatto che riporteremo qui appresso. Una cortigiana il
cui
primitivo nome era Larenzia e che poi si fece chi
della quale si celebravano dei giuochi detti dal suo nome Florali, a
cui
, coll’andare degli anni si unirono delle turpi os
una giovanetta bellissima e sorridente, con in mano un cornucopia da
cui
cadeva un’ abbondante pioggia di fiori. Cicerone
e in quel giorno nelle pubbliche fontane delle ghirlande di fiori, di
cui
poi coronavano i fanciulli, che prendevano parte
serisce che nella città di Egina, vi era una statua della Fortuna, in
cui
essa veniva effigiata con un cornucopia nella man
ano, per simboleggiare l’ incostanza e la volubilità di quei beni, di
cui
essa è la dispensatrice. Il culto della Fortuna p
tutte, che si addicono perfettamente a queste terribili divinità, di
cui
la tradizione mitologica ci fa il più spaventoso
ri che parve meglio convenissero al loro carattere ed alle funzioni a
cui
erano addette. In fatti secondo Esiodo le Furie e
ioni, che facevano di sovente perdere il senno a quegli sciagurati, a
cui
un qualche atroce delitto aveva richiamato sul ca
atroce delitto aveva richiamato sul capo la terribile espiazione, di
cui
le furie si facevano ministre. De sinistres tabl
; come riferisce Ovidio, e finalmente il crudele strazio di Oreste il
cui
animo fu lacerato in mille modi dalle Furie vendi
re, per mezzo di preghiere e di adorazioni, lo spaventevole potere di
cui
erano armate. In fatti secondo asserisce Euripide
i tutta la Grecia. 2079. Galintia — Una delle eroine della Grecia, in
cui
veniva onorata con una festa, che dal nome di lei
n versi. Da ciò, al dire di Plutarco, ne venne il grande disprezzo in
cui
, generalmente, era tenuta la poesia degli oracoli
nte. I sacerdoti galli erano sottoposti al comando di uno fra essi, a
cui
davano il nome di Archigallo, ossia sommo sacerdo
nati, alludendo all’ uso domestico di allevare i galli nelle case, di
cui
i Lari erano le divinità protettrici. Si dava il
a delle ninfe Napee amata da Giove. Essa fu madre di diversi figli di
cui
i più famosi furono Pilunno e Giarba o Iarba, re
moriva un gatto di morte naturale, tutti i componenti la famiglia, a
cui
aveva appartenuto quell’animale, si radevano le s
del proprio fratello Urano, che la rese madre di molti figliuoli, di
cui
più rinomati furono Saturno, Atlante e Batilo. 20
tesso. 2096. Gemini o Gemelli. — Il terzo fra i dodici segni sotto la
cui
configurazione, al dire del cronista Manilio, i p
so gigante, il quale custodiva da se stesso le sue numerose mandre, a
cui
facea guardia insieme ad un cane a due teste e ad
onio, ai tempi dell’imperatore Tiberio, v’era un oracolo di Gerione a
cui
l’imperatore andò a chiedere un responso prima di
i numi adorati dai Germani, e fra questi Marte. Mercurio ed Ercole, a
cui
offrivano sacrifizi d’umane vittime. 2110. Geroes
veva un tempio famoso, venivano annualmente celebrate alcune feste, a
cui
si dava il nome di Geroestie. 2111. Gerontree. —
si celebravano dai greci delle altre feste in onore del dio Marte, a
cui
dall’isola istessa si dava la denominazione di Ge
’un bel fiore, la sua pallida e nobile testa, sul seno di quel dio di
cui
era stato l’amico. Apollo pazzo di dolore, e rimp
i dal sangue del morto spuntò un fiore del color della porpora, sulle
cui
foglie era impresso un doppio Ahi ! Voce che an
se imbattuto l’indomani In fatti Xifeo il giorno seguente a quello in
cui
l’oracolo aveva dato siffatto responso, s’imbattè
Nelle cerimonie del culto di Giano, gli si facevano dei sacrifizi, in
cui
gli veniva offerto del farro misto al sale, e del
tenendo la dolcezza di queste frutta, come simbolo della felicità, di
cui
avrebbero goduto in tutto il corso dell’anno. Gia
i da siffatto prodigio si precipitarono per penetrare nella città, di
cui
si sarebbero certamente impadroniti, se Giano, pr
r Giapeto tolta in moglie la bella Climene, figliuola dell’Oceano, da
cui
ebbe quattro figliuoli : Prometeo, Menezio, Epime
suoi stati innalzare in onore del dio, suo padre, cento templi, sulle
cui
cento are si sagrificavano ogni giorno delle vitt
, una delle ninfe Atlantidi. È detto che Giasione sposasse Cibele, da
cui
ebbe un figliuolo per nome Coribante. Siccome Gia
ome Coribante. Siccome Giasione perfeziono di molte l’agricoltura, di
cui
Cerere era la dea, così la tradizione favolosa, n
Igino asserisce invece, che Giasione sposò legittimamente Cerere, da
cui
ebbe un figliuolo che fu Plutone dio delle ricche
ne dalle accorte parole ; inebriato di gloia all’idea della gloria di
cui
avrebbe ricoperto il proprio nome ; spinto da que
le gli avrebbe fatta piena restituzione. Giasone era in quella età in
cui
si cerca avidamente la gloria ; in cui lo splendi
. Giasone era in quella età in cui si cerca avidamente la gloria ; in
cui
lo splendido fantasma della rinomanza, fa battere
e, come stipite divino della sua stirpe, e a tutte quelle divinità di
cui
voleva guadagnarsi il favore come proteitrici del
presa di Giasone ; e tanto che giunse felicemente al Porto Pegaso, da
cui
fece partire la nave e con prospero vento, fu con
ffrontare. In fatti furono da prima lasciati i due terribili tori, la
cui
sola vista fece fremere di orrore gli spettatori,
si reco là dove era rinchiuso il famoso ariete dal vello d’oro, alla
cui
custodia vegliava notte e giorno lo spaventevole
il costume di rivestirsi con abiti che figuravano quegli animali, di
cui
portavano il nome. 2144. Gleroglifici. — Così fur
ti fino dai più remoti tempi dell’antichità quei segni o caratteri di
cui
particolarmente si servirono gli Egiziani ed i Ca
rgo campo di configurazioni e di forme esprimenti l’idea principale a
cui
gli antichi egiziani volevano far servire i diver
un tempio, nella città di Diospoli in Egitto, una specie di lapide i
cui
Gieroglifici formavano un’intera frase, dice il c
itaui ai Giganti ; non bisogna punto confondere questi con quelli, di
cui
noi ci occuperemo particolarmente, parlandone all
di essi, aveva cento mani e spesso dei serpi invece di gambe. Essi a
cui
niuna umana potenza resisteva, spinsero il loro o
essere considerata come l’opera più stolta dell’umana superbia, e la
cui
primitiva tradizione, tramandata di generazione i
vellando degli eroi che assediavano Troja, dice ve n’erano alcuni, le
cui
atletiche forme, e la forza straordinaria, permet
he Ajace aveva undici cubiti di altezza ; e che il gigante Ariade, il
cui
cadavere fu trovato sulle sponde del fiume Oronte
; e che finalmente fu rinvenuto un cadavere nell’isola di Lemnos, la
cui
testa era di tale grandezza che per riempirla di
n una caverna in Dalmazia, alcuni cadaveri giganteschi, le costole di
cui
avevano non meno di ventotto braccia di lunghezza
la misura di Sicilia. Secondo il cronista Fazello, questo cadavere di
cui
parla il Boccaccio, era quello di un gigante ucci
di un gigante ucciso da Ercole, e che si chiamava appunto Erice ; il
cui
corpo, che aveva venti cubiti di lunghezza, si ri
quale la cronaca mitologica narra uno strano avvenimento. Al tempo in
cui
Gige viveva, esercitando la sua modesta professio
ignifica ignudo, furono così detti alcuni giuochi e combattimenti, in
cui
gli atleti che vi prendevano parte, erano nudi, p
ione dei giuochi Ginnici, si eseguivano varie specie di esercizii, di
cui
i principali erano la corsa, il disco o piastrell
ne. Al dire di Sofocle, Giocasta appena scoperto il fatale mistero in
cui
era avvolto il suo incesto, si appiccò per disper
dei due famosi scrittori sono combattute da vari antori antichi, fra
cui
Pausania ed Omero, i quali asseriscono che l’ince
ntichità rivelano, come essi ritenevano per giorni infausti quelli in
cui
sacrificavano alle ombre de’ morti ; le Ferie Lat
o in altre contrade il culto ; e finalmente moltissimi dal motivo per
cui
gli erano stati innalzati dei templi o consacrate
’opinione che il primo di tutti fosse il Giove Ammone della Libia, la
cui
origine rimonta ai tempi primitivi della creazion
divinazione la quale si eseguiva camminando intorno ad un cerchio su
cui
erano seguati alcuni caratteri cabalistici, lette
he questo giudizio sommario venendo pronunziato al momento istesso in
cui
avveniva la morte, aveva dato luogo a numerosi er
canio, fu figliuolo del famoso Enea. Secondo Virgilio, nella notte in
cui
Troja cadde, incendiata per mano de’greci, non sa
ire del citato scrittore, si vedeva ancora ai suoi tempi un altare di
cui
prendean cura i sacerdoti di quel paese. Le crona
rmonia fra di loro ; a causa della insopportabile gelosia di lei ; di
cui
fan fede tutti i cronisti più accreditati dell’an
figli che egli ebbe, tanto da altre dee, quanto da donne mortali, il
cui
numero raggiunge una cifra incalcolabile V. Ercol
dei beni della terra, se avesse voluto aggiudicarle il pomo d’oro su
cui
la Discordia avea scritto : Alla più bella — V. G
quantità di appellativi e soprannomi ; alcuni dai nomi dei luoghi in
cui
era adorata, ed altri moltissimi da qualche suo a
n monumento che si vuole sia quello della vestale Giunia Torquata, di
cui
parlammo all’articolo particolare, si leggono in
bblici spettacoli ve ne erano molti altri in uso presso i pagani, fra
cui
i principali tanto in Roma quanto in Grecia, eran
he erano tenuti in grande considerazione, sopratutto gli Olimpici, la
cui
celebrazione marcava perfino con cronologica impo
questi principali pubblici spettacoli, ve ne erano dei secondari, la
cui
celebrazione si faceva con minor pompa dei soprac
lotta, E de’premii fè mostra ; al vincitore Un tripode da fuoco, e a
cui
di dodici Tauri il valore dagli Achei si dava Ed
na fontana chiamata Giuturna, che metteva foce nel fiume Numico, alle
cui
acque i pagani attribuivano salutari virtù e se n
di Creta : egli fu fratello di Andropeo. Il più famoso personaggio a
cui
le tradizioni della favola, danno lo stesso nome
r rapito. Nè restarmi potei, là dove io m’era. E, terra, dissi, sovra
cui
per sempre Ilo di posar cessato, io ti saluto ; E
rne una sola ; col petto coperto di alga marina fino alla cintura, da
cui
usciva una larga coda di pesce ripiegantesi sulle
lustre nome dei suoi antenati. … . .e a me la vita Ippoloco donò, di
cui
m’è dolce Dirmi disceso. Il padre alle trojani Mu
orchè Diomede avendo saputo che Glauco era nipote di Bellorofonte, la
cui
famiglia era sacra all’eroe greco per dritto d’os
e un figliuolo di Dimilo, discendente di quello stesso dio marino, di
cui
parlammo più sopra. Egli si rese celebre nei fast
chiamato. Il padre del fameso Mida, re di Frigia, aveva un carro, il
cui
giogo era legato al timone per mezzo di un nodo d
on sua madre, seduti su di un carro. Allora riconoscendolo per l’uomo
cui
accennava l’oracolo, lo elessero re, ed egli pose
, chè l’accolse in petto Di Prïamo un valente esimio figlio Gorgïzon,
cui
d’Esima condotta Partori la gentil Castïanira, Ch
la Notte, alla estremità del mondo. Secondo la tradizione favolosa, a
cui
si attiene il citato scrittore, le Gorgoni non av
i non avevano fra tutte e tre che un occhio solo, ed nu sol dente, di
cui
si servivano a vicenda l’una dopo l’altra. La lor
ell’inferno insieme alle furie, alle arpie ecc. e a tutti i mostri di
cui
fa mezione la cronaca favolosa. In su le porte I
adi, chiamavano gorgone un animale che so migliava ad una pecora ; il
cui
alito era così velenoso, che uccideva all’istante
immediatamente lo rendevano cadavere. La cronaca storico-favolosa, a
cui
s’attiene lo stesso Ateneo, asserisce che alcuni
Plinio ne parla come di donne selvagge, abitatrici delle Gorgati, da
cui
venne loro il Lome di gorgoni ; ed aggiunge che i
una di esse, ma dopo molta fatica non potè prenderne che due sole, il
cui
corpo era tutto coperto di foltissimi e lunghi cr
a degli affari del loro governo, non avevano che un solo ministro, di
cui
si servivano a vicenda. E questo l’unico occhio d
o ministro, di cui si servivano a vicenda. E questo l’unico occhio di
cui
fa parola l’allegoria della favola. Perseo, trasc
n loro capo per nome Perseo. Queste erano le donne coperte di peli di
cui
parla Plinio, le quali generavano senza la partec
ome che si dava a Pallade Minerva, perchè essa portava, uno seudo, su
cui
era impressa una testa della Gorgone Medusa. 2195
ue figliuole maggiori di Forco e di Ceto, sorelle delle Gorgoni, e il
cui
nome particolare era Enio e Pefredo. La tradizion
cui nome particolare era Enio e Pefredo. La tradizione mitologica, a
cui
si attiene Esiodo, riferisce che i capelli della
riferisce che i capelli della Graje incanutirono nel punto stesso in
cui
esse nacquero. Il citato scrittore spiegando code
nte un tempio alla custodia del quale sopraintendeva un sacardote, la
cui
durata cra a vita. A proposito di questo tempio,
e quelle che presiedevano alle arti che ingentiliscono lo spirito. A
cui
d’arcanto la magion d’Amore Sorge con quella dell
la magion d’Amore Sorge con quella delle Grazie amiche Dive senza il
cui
nume opra e favella Nulla è che piaccia, e nulla
è di danaro gli abitanti del Chersoneso, in una grave congiuntura in
cui
versavano, per eternare la memoria di questo fatt
e che se con la sinistra feriva, con la destra arrecava la sanità, di
cui
le Grazie si ritenevano le dispensatrici. 2202. G
e le orecchie diritte e puntute. Molti scrittori dell’antichità, fra
cui
Eliano, Solino ed Erodoto, han creduto che simili
Vi sono per altro molti monumenti dell’antichità greche e romane, nei
cui
ruderi si trova l’attestazione dell’esistenza dei
presagi. 2206. Grua. — Si dava questo nome ad una specie di danza, di
cui
si pretendeva fosse stato Teseo l’inventore, perc
el golfo di Cadice e del quale i pagani avevano fatto il loro Lete le
cui
acque valevano a dare l’oblio — V. Fiumi dell’Inf
chiamato Sankare-Narajana. 2215. Haraopopa. — Divinità Polinesia, la
cui
statua, tagliata grossolanamente nella pietra o n
massiccio, la quale stringeva sette frecce dell’istesso metallo, ed a
cui
dettero il nome di frecce della sorte. È probabil
vestigie del culto. 2224. Hopamè. — Divinità suprema del Tibet, nella
cui
lingua significa splendore infinito. Secondo la t
mperocchè fu osservato che da sè stesso si appresta un tal rimedio, a
cui
si piega, con assai facilità, la lunghezza del su
re. Posta nel crudele bivio di sacrificare uno dei due soli esseri, a
cui
ella fosse affezionata, Penelope si copri il volt
dalo, famoso operajo fabbricasse per sè e pel figliuolo delle ali, le
cui
penne erano unite fra loro per mezzo della cera,
Icaro, padre di Erigone e nativo di Atene, ove dimorava all’epoca in
cui
, secondo la favola, ospitò nella sua casa il dio
eumone, dopo essersi avvoltolato nel fango profittando del momento in
cui
il coccodrillo dorme con la bocca aperta, si lanc
madre, lo dette alla luce. …:…. il valoroso Figliuol d’Auchise Enea.
cui
la divina Venere in Ida partori…… Omero — Riade
ell’isola di Cipro, la quale era consacrata a Venere. La tradizione a
cui
si attiene Virgilio, ripete che vicino alla città
ferirle i donativi dei Trojani. 2236. Idea. — Soprannome di Cibele, a
cui
si dava assai di sovente, chiamandola Jdea Magna
to ; e questa opinione è seguitata anche da varii autori moderni, fra
cui
il Fénélon, nelle sue avventure di Telemaco. Vi s
nte nei suoi stati, ove morì poco tempo dopo nella città di Gnosso, i
cui
abitanti gl’innalzarono un magnifico sepolcro ; g
e mostro era nato da Tifone e da Echidna. La tradizione mitologica, a
cui
s’attiene il cennato scrittore, dice che l’Idra a
vo. Ercole per combatterla pensò di salire su di una piccola biga, di
cui
dette a guidare i destrieri al suo fedele amico I
cenza, e la mettevano su di un’alta impalcatura, specie di teatro, su
cui
tutti gli abitanti salivano per adorare, con le m
o una conca di acqua e lasciando pendere nel mezzo di essa un filo, a
cui
era attaccato un anello, e facendo che questo ane
lasciar credere che i greci dal sagrifizio della figlia di Iefte, di
cui
parla la sacra bibbia, avessero preso l’idea conf
all’uomo che le avesse guarite. Un famoso medico per nome Melampo, a
cui
la tradizione ripete che Apollo istesso avea conc
Astioca, sua consorte, egli consultò il medico Melampo ; lo stesso di
cui
parlammo nell’articolo precedente ; onde sapere d
e coll’andare del tempo divenne infatti padre di varii figliuoli, fra
cui
il più celebre fu il famoso Protesilao, che fu il
la giovanetta di Festo, chiamata Giante, e non è a dire le astuzie di
cui
si valse Feletusa, onde differire almeno codeste
zie di cui si valse Feletusa, onde differire almeno codeste nozze, di
cui
ella sola conosceva l’impossibilità ; ma finalmen
genia in Aulide è poi il titolo della famosa tragedia di Euripide, di
cui
daremo brevemente la tessitura storica, valendoci
te al suolo Una cerva giacea di grande corpo E d’egregia figura, e lo
cui
sangue Tutta cosparsa avea l’ara del nume Euripi
o presso Clitennestra, alla quale consegnò una lettera falsificata in
cui
era scritto, contraffacendo la scrittura del re,
intitolata Ifigenia in Aulide. Tolta la principessa dalla altare, su
cui
in sua vece fu svenata la cerva, ella fu inviata
volte ripetuto dell’amico carissimo : almeno questa è la tradizione a
cui
si attiene Virgilio stesso. Molti autori moderni
tiene Virgilio stesso. Molti autori moderni italiani e stranieri, fra
cui
il Clerc sono di opinione che la parola Hila sign
lione. V. l’articolo seguente. L’Iliade e l’Odissea, sono la fonte da
cui
scaturisco tutti i simboli allegorici che formano
i davano alle muse e che loro veniva dal flume Ilisso nell’Attica, le
cui
acque erano ritenute come sacre perchè, secondo r
alla madre le sue imprecazioni. Ilio informato del funesto errore, in
cui
Deianira era caduta ad istigazione del perverso C
o sdegnato disseccò i tre fiumi. Inaco fu padre di varii figliuoli di
cui
i più ricordati sono Foraneo ed Io. 2277. Inarima
ipali specie di divinazione, ve ne era un altro larghissimo numero, i
cui
vocaboli abbiamo noi già menzionati, secondo che
trono di Plutone, custodita da Cerbero. Secondo ripete la cronaca, a
cui
si attiene Strabone nelle sue opere, la strada ch
paterna, e per impedirle la fuga, la ricinse di una densa nuvola, la
cui
oscurità si sparse tutta all’intorno. Sorpresa Gi
in Egitto, ove avrebbe avuto da Giove un figliuolo chiamato Epafo, il
cui
dominio si estenderebbe quanto il Nilo. Del paes
Fratello minore di Saturno e figlio di Urano. Secondo la tradizione a
cui
si attiene Esiodo, egli fu padre del sole e della
anch’esse dette Ippocreni, perchè abitatrici del monte Elicona sulla
cui
sommità scaturiva quella fontana. La tradizione s
Amico e Migdone. Egli portò ad Euristeo la famosa cintura di lei, di
cui
quel re gli avea imposto di impadronirsi. 2311. I
ro, fu arrestato sulla spiaggia del mare da un enorme toro furioso, i
cui
terribili muggiti, spaventarono siffattamente i d
ecco Dal tempestoso immane grembo crutta Portentoso un gran tauro, al
cui
muggito Tutta ripiena spaventosamente Rimugghiò l
ii equestri ; ed aveva così agio a vedere il giovanetto bellissimo di
cui
la misera donna era così perdutamente innamorata
rsero due anni interi, allorchè Giasone scuotendosi dall’ ebbrezza in
cui
giacevasi ricordò dell’alta missione che avea giu
dotta ; l’ amore col quale ella lo avea amato ; e per fino i figli di
cui
lo avea reso padre. Intanto però il destino non c
pagana dev’ essere considerata come una divinità puramente fisica, la
cui
idea configurata può ritrovarsi nell’ arco baleno
e fisica, la cui idea configurata può ritrovarsi nell’ arco baleno, i
cui
differenti colori sono ricordati da quelli che Ir
elli che Iride aveva nelle ali. La dicevano figliuola di Taomante, il
cui
nome significa in greco ammirare per dimostrare c
326. Irieo. — Nome del padre di Orione. Narra la cronaca mitologica a
cui
si attiene il cronista Igino, che al tempo in cui
ronaca mitologica a cui si attiene il cronista Igino, che al tempo in
cui
Nettuno, Giove e Mercurio viaggiavano sulla terra
e e della ninfa Eco. Non bisogna confonderla con la ninfa Siringa, di
cui
parleremo a suo tempo. 2328. Irminsul. — La più a
r essere uno degli amanti di Penelope e per la sua grande povertà, da
cui
i suoi concittadini trassero argomento al proverb
e era Arneo, ma siccome egli traeva la vita col portare i messaggi di
cui
veniva incaricato, così fu detto Iro dai due voca
rande statura, ma privo di coraggio e di forza. Aggiunge la cronaca a
cui
si attiene il citato scrittore, che Arneo detto I
avano tutto il giorno chiedendo la limosina e vendendo dei filtri, di
cui
si servivano nelle loro cerimonie ; e non rientra
fetto accordo fraterno, e dedicandosi a civilizzare i loro sudditi, a
cui
insegnarono l’ agricoltura e le arti, che ingenti
icarono loro il bue e la vacca, come simboli dell’ agricoltura, della
cui
salutare conoscenza andavan loro debitori. In seg
ù larga dell’ inferiore, e che finisce in forma di mezzo cerchio, dal
cui
vuoto escono talvolta tre, e talvolta quattro bac
parte opposta del paese onde rintracciare una sorgente d’acqua pura a
cui
avesse potuto dissetarsi senza pericolo. Giunto a
intatta la testa del morto, che poi legata in oro formava un idolo, a
cui
venivano annualmente offerti solenni sacrifizii.
sò Issione al consorte ; ma Giove considerandolo come un insensato, a
cui
il nettare degli dei avea stravolta la ragione, n
se al volere di Giove e questi allora formò di una nuvola una donna a
cui
dette le sembianze della propria moglie e la fece
a Sisifo, e furono la prima volta celebrati in onore di Melicerta, il
cui
corpo fu dalle onde gettato sulle spiagge dell’ i
o, così chiamavano i greci una specie di amuleto in forma di cuore, a
cui
attribuivano molta segreta virtu e che generalmen
i Jolao, il quale, fu da quell’eroe ucciso in un accesso di furore, a
cui
egli soggiacque, al suo ritorno dall’ inferno. 23
tempio, con un piccolo paniere nelle mani, che era quello stesso, in
cui
l’avea riposto la madre al momento d’abbandonare
avano nella città di Eraclea in Elide, ove scaturiva una fonte, sulla
cui
sponda v’era un tempio consacrato ad alcune ninfe
nuto adulto, egli si stabilì nella Caria, e fu capo di una colonia da
cui
poi discesero gli Jossidi. A proposito di questi,
cimana, vi era Arimane genio meno potente, ma più astuto e maligno, a
cui
si dava talvolta anche il nome di Jolo-Kiamo. 238
a il capo ; mentre ai suoi piedi è deposto un grosso corno marino, da
cui
esce fino alla cintola, il corpo di un giovane co
minile domina nella storia mitica dell’Irlanda, e forma il tipo verso
cui
convergono tutte le tradizioni e le cronache mito
nche fra gli scrittori dell’antichità si fa menzione di un Dio Ker, a
cui
si dànno presso a poco simili sembianze. 2391. Ke
to religioso degl’ indiani, è questa la dea che presiede al giorno in
cui
succede il novilunio. Kurù è una delle divinità a
entrambe in poco tempo ; ond’egli fece innalzare le due piramidi, di
cui
favelliamo, per deporvi quei corpi adorati. 2396.
contro di lui per compiere il sanguinoso mandato. Devakì intanto, il
cui
materno amore non si assopiva giammai, affidò il
rilli, che il culto religioso degl’egiziani riteneva come sacri, e la
cui
vista era severamente inibita a tutti. Le camere
uto nella favola sotto il nome di Minotauro. È questo il laberinto di
cui
fà menzione Virgilio e che sorgeva vicino alla ci
Ippolita, regina delle Amazzoni, le tolse le sue bellissime armi, fra
cui
una scure di maraviglioso lavoro, che l’eroe, don
re di Lidia, i quali la portarono invece di scettro, fino al tempo in
cui
Candaule, ultimo re di quella contrada non cadde
quella gettata dal rappresentante del partito avverso. Il partito la
cui
focaccia veniva mangiata dal corvo, aveva aggiudi
nità venerate particolarmente in Trezene ed in Epidauro. La cronaca a
cui
si attiene Pausania stesso, dice che Lamia ed Aus
ti, abbandonarono la loro isola nativa per recarsi in quella città di
cui
esse ignoravano l’interna agitazione. Però appena
sole, e propriamente di quello che presiedeva al mezzogiorno, ora in
cui
il Sole rifulge in tutto il suo spendore. Gli alt
po, dio delle dissolutezze eravi adorato con un culto particolare, le
cui
oscenità vincono di gran lunga qualunque più sbri
urata principessa. Laodice fu similmente una regina di Cappadocia, di
cui
la tradizione serba memoria come di donna crudelm
ità ci abbiano trasmessa su questo famoso re troiano. Ma la cronaca a
cui
accennammo non è la sola sul conto di Laomedonte,
ntraprese. Compiuti i lavori, Laomedonte non restituì le ricchezze di
cui
s’era servito, per modo che Apollo afflisse il po
la città, devastò tutta la contrada, e uccise lo stesso Laomedonte, a
cui
Priamo, suo figlio che gli successe sul trono di
nozze di Piritoo. I Centauri furono quasi distrutti dai Lapiti, alla
cui
testa erano Teseo ed Ercole. 2438. Lara. — Figlia
il tuo marito amante. Giove ne freme : ed a lei toglie quella Lingua,
cui
così male essa governa ; A Mercurio di poi cosi f
di due gemelli che poi furono detti, dal nome della madre Lari, ed a
cui
varii scrittori danno anche il nome di Larunda.
sebbene le cronache dell’antichità ci rapportano più d’un esempio, in
cui
si vede che particolarmente in occasione della mo
ata dai pagani sotto il nome di Latona, riporteremo un avvenimento di
cui
fa menzione lo scrittore Ateneo, nelle sue cronac
ria casa la facoltà di ridere. Par menisco si convinse che la madre a
cui
accennava l’oracolo era la patria ; e che appena
one si celebrava il 25 marzo, e fu istituita in memoria del giorno in
cui
fu portato dalla Frizia in Roma, il culto religio
un sacrifizio, insieme al re suo padre, improvvisamente, la flamma di
cui
ella si serviva per abbruciare i profumi sull’alt
agnifica capellatura, per modo che la ricca acconciatura di perle, di
cui
ella aveva fregiato il capo, fu preda delle fiamm
di un bosco, ove al dire delle cronache, ella partorì un figliuolo, a
cui
mise il nome di Silvio. Intanto gli abitanti del
città di Lavinio, che essa tenne fino alla morte di Ascanio, epoca in
cui
risalì sull’antico trono degl’avi suoi, che poi e
a religiosa. Fu questa l’istituzione primitiva della festa Laziar, il
cui
periodo fu, da principio, di un giorno solo : poi
nel seno di Leda, la quale dopo nove mesi dette alla luce un uovo, da
cui
, secondo alcuni scrìttori, uscirono i due divini
I. Fav. XI trad. del Cav. Ermolao Federico. Ripete la tradizione a
cui
si attiene il citato poeta, che offesa Temi per l
lebravano alcune cerimonie o feste dette Lemurie e anche Lemurali, il
cui
scopo era quello di placare codeste anime irrequi
asso delle Termopili, si celebravano nella Lacedemonia delle feste, a
cui
si dava il nome di Leonidee. 2472. Leontiche. — S
ll’ eroe. 2475. Lerna. — Antichissimo lago nel territorio di Argo, il
cui
circuito al dire di Pausania era di un terzo di s
altro non fossero che i cattivi ragionamenti e i falsi raziocinii di
cui
si serviva il detrattore dell’ eroe. Fra gli auto
ricondurre sulla terra la madre Semele. Il certo si è che ai tempi in
cui
scriveva il cennato storico, non si era mai potut
messaggieri all’ingresso della reggia trovarono la moglie del re, la
cui
speventevole vista gli inorridì per modo che essi
Lete. — Uno dei fiumi dell’inferno detto anche fiume dell’ oblio, le
cui
acque avevano, secondo i pagani, il potere di far
il nome di uno stagno paludoso vicino al lago Cherone in Egitto ; il
cui
nome si dice in greco ëåäçò e significa oblio, ha
ione mitologica aggiunge, che nell’isola di Creta, correva un fiume a
cui
fu dato (il nome di Lete, dopo che Ermione, avend
pivano, con grandissimo rispetto, in tempo di pubblica calamità, e il
cui
scopo era quello di placare lo sdegno terribile d
cipali divinità, ed in uno dei loro templi, credendosi che gli dei, a
cui
veniva offerto il banchetto vi aversero preso par
sumeva un’ aria di pace e di riposo. Lo stesso storico Tito Livio, di
cui
riportammo più sopra una classica citazione, fa s
o della collera di lei. Così almeno ripete la tradizione mitologica a
cui
si attiene lo stesso Pausania. 2486. Leucippidi.
e Meandro, nella contrada della Magnesia, ov’essa aveva un tempio, in
cui
si adorava una sua statua che la rappresentava co
2494. Liba. — Uno degli eroi greci, compagno e seguace di Ulisse, di
cui
la cronaca antica si è largamente occupata. Cadut
giorno e perseguitò così implacabilmente gli abitanti di Temessa, fra
cui
portò la desolazione e sovente la morte, che il p
placare con sacrifizii ed offerte la corrucciata ombra dell’ eroe, a
cui
bisognava dedicare un tempio circondato da un bos
trovandosi in Temessa un atleta per nome Eutimo, nel tempo stesso in
cui
dovea compiersi l’annuale sacrifizio della vergin
a del vino, del latte e sovente altro liquore in onore di quel nume a
cui
si sacrificava. È a notare che presso gli antichi
olutezze. Il suo nome, viene secondo Varrone, dalla parola libendo da
cui
poi provennero gli altri due vocaboli libido e li
ertina, altro non fosse che una configurazione della dea di Venere, a
cui
le giovanette, giunte ad una certa età consacrava
ontanare dalla terra ogni sortilegio. 2499. Liberie. — Altre feste in
cui
i giovanetti lasciavano la veste dell’infanzia, e
2500. Liberalità. — I romani avevano personificata codesta virtù, la
cui
effigie si vede ancora sulle medaglie antiche. È
i chiamavano il Sole col soprannome di Libero. 2503. Libertà. — Dea a
cui
i greci davano più propriamente il nome di Eleute
rpo dello sventurato giovanetto nel mare, con più forza di quella con
cui
una macchina guerriera lancerebbe un sasso. La tr
a con cui una macchina guerriera lancerebbe un sasso. La tradizione a
cui
si attiene il cennato poeta, aggiunge che il corp
nome uno dei tanti figliuoli del re Priamo, e propriamente quello di
cui
Omero dice, che prestò al fratello Paride, la pro
o — Iliade — Libro III. trad. di V. Monti. La cronaca mitologica, a
cui
si attiene Omero stesso, racconta di questo Licao
pio la tradizione favolosa, la quale ingrandendosi per le crudeltà di
cui
si rese col tempo colpevole Licaone, e dalla stes
greco significa Lupo, han dato fondamento alla mitologica allegoria a
cui
si attiene Ovidio stesso. Ma queste non sono tutt
altare consacrato a Giove, innanzi al quale sorgevano due colonne, su
cui
erano due aquile dorate ; e innanzi alle quali si
amia. 2520. Licopoli. — Città dell’ Egitto, sulle sponde del Nilo, il
cui
nome significa Città dei Lupi. Al dire dello stor
nfe compagne di Cirene. Il cennato poeta ne parla come di una ninfa a
cui
la dea Lucina avesse insegnato a proteggere le pa
ossia alle viti, ritenute come le nutrici di quel dio. Alla favola a
cui
si attiene Omero stesso, come si rileva dalla cit
go. — Uno dei figliuoli di Fetonte, dal nome del quale la contrada di
cui
egli era signore, fu detta Liguria, e gli abitant
rotettrici dei prati. 2540. Lince. — Animale consacrato a Bacco, ed a
cui
i pagani accordavano la strana prerogativa di ved
quelle degli altri eroi della Grecia. 2542. Linco. — Re di Scitia, di
cui
la tradizione ricorda un odioso fatto. Geloso del
ierlo con ogni cortesia, ma venuta la notte, profittando del sonno in
cui
quegli era immerso, tentò di ucciderlo a colpi di
rezzare e toccare senza pericolo. In quanto al famoso lione Nemeo, la
cui
uccisione fu una delle dodici imprese di Ercole.
una delle dodici imprese di Ercole. — V. Ercole. — è quello stesso di
cui
i poeti della antichità formarono il segno dello
tro dell’altro, rendevano certo suono argentino più o meno chiaro, da
cui
i pagani pretendevano conoscere la volontà degli
utta l’arcana configurazione dei misteri della religione egiziana, in
cui
il fior di Loto è sempremai introdotto. Il succo
più, secondo riferisce la cronaca favolosa, abbandonare un paese, il
cui
suolo produceva una pianta tanto preziosa. 2556.
uoi messaggeri, fecero loro assaggiare il liquore di fior di Loto, di
cui
si nutrivano. Al fine Nel decimo sbarcammo in su
Al fine Nel decimo sbarcammo in su le rive De’Lotofagi, un popolo a
cui
cibo È d’una planta il florido germoglio. Omero
e di Loto, in un completo oblìo di tutto. Io due scelgo de’nostri, a
cui
per terzo Giungo un araldo, e a investigar li man
o un sicuro asilo nel bosco Lucus. Al dire di Plutarco, nel giorno in
cui
si celebravano le Lucarie, i commedianti, chiamat
una fosse immortale, e allora genufiessi innanzi a quell’astro, della
cui
esistenza essi, nella loro ignoranza, non sapeano
ssa Brettagna, sorgeva un tempio dedicato alla Luna, con un oracolo a
cui
erano addette, come sacerdotesse, le fanciulle de
ndro Arcade, dedicò al dio supremo della sua patria, un dato luogo, a
cui
impose similmente il nome di Lupercale, ritenendo
parte, correvano del tutto ignudi, tenendo in una mano il coltello di
cui
s’eran serviti per immolare le vittime, e tingend
ronte col sangue degli animali svenati ; poi asciugavano il sangue di
cui
erano bagnati colla lana delle capre immolate, la
dore, e continuarono cosi in Roma fin dopo il quarto secolo, epoca in
cui
il culto pagano era quasi scomparso. 2572. Luperc
contro quell’imperatore. 2573. Lustrale. — Nome proprio dell’acqua di
cui
si servivano i pagani in tutte le cerimonie dei s
gani in tutte le cerimonie dei sacrifizî, e segnatamente in quelle di
cui
è parola nell’articolo seguente. 2574. Lustrazion
iche scritture sacre del culto indiano. Brahma è la gran sorgente, da
cui
nacquero il visibile universo, tutte le deità ind
l visibile universo, tutte le deità individuali della Mitologia, e in
cui
alla fine tutto sarà riassorbito. 12. Priapo. —
mi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molto anteriori dall’epoca in
cui
essi vissero. 16. Dositeo. — Sono questi i nomi
mi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molto anteriori dall’epoca in
cui
essi vissero. 17. Cerentiani. — Seguaci dell’er
Cainiti. — Eretici che professavano le più stravaganti dottrine, fra
cui
quella di Caino, e di tutte le persone descritte
atensi, Abeliti. — Sono queste altre tre denominazioni di eretici, le
cui
nefande ed infami dottrine, sgomentarono la chies
rattutto coi fanciulli ; vivendo completamente divisi dalle donne, da
cui
si allontanavano con sacro giuramento, al momento
atensi, Abeliti. — Sono queste altre tre denominazioni di eretici, le
cui
nefande ed infami dottrine, sgomentarono la chies
rattutto coi fanciulli ; vivendo completamente divisi dalle donne, da
cui
si allontanavano con sacro giuramento, al momento
atensi, Abeliti. — Sono queste altre tre denominazioni di eretici, le
cui
nefande ed infami dottrine, sgomentarono la chies
rattutto coi fanciulli ; vivendo completamente divisi dalle donne, da
cui
si allontanavano con sacro giuramento, al momento
omunemente denominata la Madonna di mezz’ Agosto. 26. Ercole. — La
cui
mano possente soffoca i draghi. Ad illustrazione
l colpo Died’ella un forte grido, e dalle braccia Depose il figlio, a
cui
difesa Apollo Corse tosto, e l’ascose entro una n
i facendosi un’incisione nella coscia per salvare il bambino Bacco di
cui
Semele era incinta. Villarosa. — Dizionario mito
i ; inconvenienti che ci siamo sforzati d’evitare in questo libro, in
cui
si è procurato di non parlare che di articoli int
diligentemente incise in rame rappresentanti altrettanti soggetti di
cui
è fatto parola in questo Compendio sono state agg
eranno a divertirli e serviranno loro dopo di lezione : di morale, da
cui
potranno trarre profitto, se sapranno farne delle
tal guisa passare nell’ animo dei loro contemporanei i sentimenti di
cui
essi stessi erano penetrati, ornavano il loro spi
strani anacronismi, rappresentandoci delle cose estranee al secolo di
cui
ci volevano far conoscere i costumi e gli usi. E
ad Imeneo la face, Il cinto a Citerea. Le Grazie anch’esse, Senza il
cui
riso nulla cosa è bella, Anche le Grazie al tribu
tesso amante Era quel fior ; quell’altro al Sol converso Una Ninfa, a
cui
nocque, esser gelosa. Il Canto che alla queta om
molti il Caos, Saturno, Plutone detto anche Orco, Proserpina e Bacco
cui
da alcuni si dà il nome di Libero. Le principali
ei era in celesti, terrestri, marini e infernali, secondo il luogo in
cui
supponevansi risedere. In questo Compendio abbiam
sto Compendio di Mitologia si troveranno indicate tutte le materie di
cui
si è in esso fatto parola benchè non abbiano un a
nemosina dea della Memoria, l’Erebo fiume dell’inferno, e la Notte da
cui
nacquero il Destino, la Vecchiezza, la Morte, Car
e, Momo, ecc. Da Urano e dalla Terra nacquero pure l’Oceano e Teti di
cui
furon figli Taumante padre d’Iride e delle Arpie
gli accordò la facoltà di conoscere le cose passate e le future, per
cui
si disse che Giano aveva due facce, una per conos
tali erano astrette a conservare la verginità fino a trent’anni, dopo
cui
deponendo le sacre bende e rinunziando al servigi
ese nel tempio di Vesta, e che se si estinguevano, la Vestale, per la
cui
incuranza ciò accadeva, era sepolta viva. Vesta
d’oro per penetrare nella torre di bronzo ove era rinchiusa Danae da
cui
ebbe Perseo ; sotto le forme di cigno sedusse Led
Ansione e di Zeto. Prese la figura di Diana per ingannare Calisto da
cui
nacque Arcade, e quella di Aquila per rapire Gani
a sua sposa come l’aria la più ingombra di vapori e la più pesante da
cui
siam circondati. Si conosce un pianeta sotto il n
cole sul monte Etna per ricercarla. Andò alla corte del re Trittolemo
cui
insegnò l’arte di ben lavorare la terra, di colti
mati Eleusini, ai quali chi iniziavasi era tenuto a rigoroso segreto,
cui
era sommo delitto il manifestare. Pare che i Grec
ome siano state attribuite ad una sola. Dicesi che appena nata le Ore
cui
incombeva di educarla, la portarono in cielo, ove
mità ed ebbe un numero infinito d’amanti. De’ suoi amori con Marte da
cui
ebbe Cupido se n’è già parlato. Da Anchise princi
ebbe Cupido se n’è già parlato. Da Anchise principe troiano ebbe Enea
cui
fece dono di una armatura fabbricata da Vulcano,
gini corrispondenti a circa 20 metri. Esso fu abbruciato il giorno in
cui
nacque Alessandro il Grande, 366 anni avanti G. C
stri alati e malefici che portavano la carestia in tutti i luoghi per
cui
passavano, rapivano le vivande su le tavole e spa
cielo e nel suo esiglio ritirossi presso Admeto re di Tessaglia, del
cui
gregge fu fatto custode ; ed è per questa ragione
questa ingratitudine mandando una terribile peste tra quel popolo di
cui
fece orribili stragi. Placato in fine Giove rido
tutti che Mida aveva le orecchie d’asino. Questo Mida è lo stesso di
cui
si parla nella storia di Bacco. Il gallo, lo spar
ricondurnele quando andavano ad abitare altri corpi diversi dai primi
cui
erano state unite. Gli si dava la borsa come Dio
e ad un pianeta. Mercurio dopo Giove è forse quello, tra le Divinità,
cui
siano, stati eretti più monumenti e dedicati più
o era molto esteso ; e particolarmente nelle città del Peloponneso in
cui
vi aveva più gran commercio s’innalzarono parecch
emplice mortale, restò arsa col suo palazzo. Per timore che Bacco, di
cui
era incinta Semele, non abbruciasse con essa, Gio
o del suo culto, trionfò di tutti i suoi nemici e di tutti i pericoli
cui
l’esponeva l’odio di Giunone ; giacchè questa Dea
mpani e di edera, ora con una tazza in mano e nell’altra un tirso, di
cui
si era servito per far scaturire delle fonti di v
tide tra le quali distinguevasi particolarmente lo storiato scudo, su
cui
mille cose erano maestrevolmente effigiate. Egual
ete di fili di metallo d’una sì grande finezza che era invisibile, di
cui
si servì per cogliere Marte e Venero. Di tutte le
to di creare gli nomini, ordinarono a Vulcano di fabbricare una donna
cui
diedero il nome di Pandora, e che per renderla pe
fingendo di voler ei pure far un dono a Pandora, le regalò un vaso in
cui
racchiudevansi tutti i mali. Dicesi che Pandora e
mento lo rendette meritevole dello scettro dell’inferno. L’inferno di
cui
Plutone era il Dio ed il re era un luogo sotterra
so in regioni diverse, l’una terribile, ove si vedevano dei laghi, la
cui
acqua limacciosa ed infetta tramanda mortali esal
Campi Elisi. Il Tartaro è la prigione degli empi e degli scellerati i
cui
delitti non potevano espiarsi. Questa prigione è
re e vecchiaia erano ignoti nomi, eternamente conservavansi le età in
cui
si era goduta la maggior felicità. Là rinnovavans
to. L’ambizione, la sete dell’oro, l’odio e tutte le vili passioni da
cui
sono agitati i mortali, più non alteravano la tra
etuosità. Gli si pone alle volte a lato un gufo ; lugubre uccello, la
cui
sola vista faceva fremere gli Auguri e dava a tem
fica pianti e gemiti. Si rappresenta sotto la figura di un vecchio la
cui
urna versa delle acque che dopo aver formato un c
ell’Inferno e per l’Inferno stesso. Si fa anche marito della Notte da
cui
si vuele abbia avuto il Giorno. Prima di giugnere
no Palude di Acherusa nell’Epiro in Tesprozia sorgeva l’Acheronte, la
cui
acqua era amara e malsana, che dimorava lungament
va in quella di Acherusa. Di là dell’Acheronte errava il Can Cerbero
cui
alcuni danno cinquanta teste e che secondo l’opin
finito la sua genealogia ; pare che ogni paese avesse la sua Ecate di
cui
i mitologi hanno complicato le qualità e cumulate
ardito per tentare di piacere ad esse. È forse questa la ragione per
cui
fra tutte le divinità furon esse le sole che viss
e della Terra, Dea delle Tenebre che sposò l’Erebo fiume d’Averno, da
cui
ebbe molti figli e che rappresentavasi per lo più
egliando per impedire che non si faccia rumore. Il Sonno possente Dio
cui
tutto è sottomesso sta continuamente riposando in
ente su di un gruppo di nubi, ed esprimente quello stato di quiete in
cui
trovansi i mortali, mentre egli con ali spiegate
an copia cadere su la terra i papaveri, siccome simbolo dell’oblio in
cui
giaccionsi le tenui cure all’ombra del benefico s
ù celebri tra i condannati del Tartaro ed il genere del supplizio con
cui
vi erano tormentati. Tantalo re di Lidia o di Fr
quale ebbe pietà de’ suoi rimorsi e per consolarlo della tristezza in
cui
tale sinistro accidente l’aveva immerso lo riceve
tuo movimento della ruota è il simbolo della continua inquietudine in
cui
visse questo principe dopo il suo parricidio. Tiz
l più antico degli Dei che aveva per compagni il Tempo ed il Caos, la
cui
sede fu posta da alcuni nelle viscere della terra
le canne fra lor percosse, prese poscia l’idea di far la zampogna di
cui
fu l’inventore. Accompagnò Bacco nelle Indie e fu
tempio di Delfo, venne loro incusso da Pane un improvviso terrore per
cui
tutti diedersi a fuggire. Da ciò prese origine di
o. Al pari delle altre Divinità marine aveva sulla riva una grotta in
cui
andava a riposarsi, e in quella recavansi i morta
e giganti crudelissimi, e fu tanto lo spavento che incusse loro, per,
cui
desistettero dalle scelleraggini che commettevano
n drago, qualche volta de’rami d’alberi e altre volte dei bracieri in
cui
ardevano dei profumi, questi ornamenti servivano
fferenti figure. Fu messo infine nel numero di quegli incantatori di
cui
abbondava l’Egitto, e che affascinavano, co’ loro
e o di api. Termine Questo Dio presiedeva ai limiti de’ campi,
cui
era grave delitto il violare. Pretendesi che si d
ni andavano a gara per ornar di ghirlande il limite principale presso
cui
innalzavano un altare ed un piecolo rogo, al qual
i due proprietari colle rispettive loro famiglie, davano un banchetto
cui
d’ordinario intervenivano i villici di quei conto
rtesemente e per segno di benevolenza gli fece dono di alcuni otri in
cui
stavano rinchiusi i venti contrari alla sua navig
su di una tavola. Questo principe si presentò nuovamente ad Eolo, da
cui
fu con isdegno respinto, riguardandolo come un uo
ano, seduto su di alcuni gruppi di nubi, o all’entrata di un antro da
cui
sortono i venti sotto la figura di teste gonfiate
ellezza dotato, ma poverissimo e di oscura origine ; era in un’età in
cui
un giovinetto può facilmente essere tenuto per un
ttà. Appena nato, Giove prevedendo dalla sua fisonomia i disordini di
cui
sarebbe stato origine, volle obbligare Venere a d
are. Esso conduce carri, suona la lira, o cavalca leoni e pantere, la
cui
chioma gli serve di guida, per dimostrare che non
a, coronata di rose con un vaso in una mano e nell’altra una tazza in
cui
essa versa il nettare. Il nettare era una delizio
iglio di Laomedonte ; essa lo rapì, lo allevò e ne divonne moglie, da
cui
ebbe due figli, Memnone e Ematione. Fu tanto il d
e Ematione. Fu tanto il dolore ch’essa provò per la morte di essi per
cui
le sue abbondanti lagrime produssero la rugiada d
la terra. Viene alle volte sostituito alla ruota un globo celeste, il
cui
perpetuo moto dimostra egualmente l’incostanza di
Cronie presso i Greci ed alle Saturnali presso i Romani. Il giorno in
cui
si celebrava la sua festa era permesso agli uomin
esenta cieco col globo celeste sotto i piedi ed in una mano l’urna in
cui
si rinchiudono le sorti dei mortali. Si dipinge a
ora barbuto, col capo coronato d’alloro, tenendo in mano un bastone,
cui
è attortigliato un serpente, con un cane presso d
popoli, che fu sempre dappoi riguardata come Dea della giustizia, di
cui
le fecero portare il nome. S’applicò essa eziandi
Si rappresenta con uno scettro in mano, assiso in mezzo alle ombre, i
cui
processi hanno luogo alla presenza di lui. Altri
ne era il re, la quale troncò al padre il capello d’oro o di porpora
cui
era attaccato il suo destino e quello pur anche d
a ne avesse ; e non poteva esser tradito che dalla propria figlia, in
cui
riponeva tutta la sua confidenza. Essendosi essa
ondenza di questi due amanti. Pasifae essendosi sgravata di un figlio
cui
gli autori nominano Asterio o Asterione, siccome
orre. Un’ azione tanto nera non poteva andar impunita in uno stato in
cui
per rendere più abbominevole l’omicidio si proces
Icaro, alcuni dicono nel Labirinto, altri in una stretta prigione, da
cui
altra speranza non poteva animarli di sortirne, s
l’accusatore e l’accusato. Allato ai guidici vedevansi due colonne su
cui
erano scolpite le leggi, dietro le quali essi pro
. Stanziavano per l’ordinario sulle rive del Cefiso e in Orcomene per
cui
furono dette le Dee del Cefiso e di Orcomene. Si
ici. Anche in Roma erano ad esse consacrati due templi ed un terzo in
cui
venivano festeggiate sotto il nome di Camene. Le
odi. Melpomene, ossia la melodiosa, regna sulla tragedia, l’una delle
cui
parti essenziali erano altre volte i canti ed i c
sionate o erotiche poesie, da Eros, che significa amore. Calliope, il
cui
nome annuncia la bella voce, è la sovrana di nobi
Dea la rappresentava armata. Aveva essa un altro tempio in Elide, la
cui
statua era d’oro e di avorio, lavoro di Fidia. La
essa sia opera o di Fidia o di Prassitele, o forse anche di Scopa, la
cui
Venere nuda, posta di contro al circolo flamminio
o d’inverno ossia la sua più fredda parte, si crearono due nuove Ore,
cui
si diede il nome di Carpo e Tallatta, che furono
ciulli e che esse regolassero tutta la vita degli uomini ; motivo per
cui
le fanno presenti a tutte le nozze celebrate nell
Gorgone, il quale è molto somigliante ad una pecora selvatica, ed il
cui
alito è tanto velenoso che infetta tutti coloro c
, come si è già riferito all’articolo di questa Dea. Ecco il modo con
cui
si spiega la favola del caval Pegaso. Medusa altr
per bellezza Orfne che dicesi moglie di Acheronte e madre di Ascalafo
cui
altri danno per madre la Notte. Le Ninfe terrestr
appresentate sotto la figura di donne di fresco e robusto aspetto, la
cui
parte inferiore terminava in una specie di rabesc
oloro che le salvavano dalla morte, ma punivano severamente quelli la
cui
màno sacrilega osava insultare gli alberi da cui
everamente quelli la cui màno sacrilega osava insultare gli alberi da
cui
esse dipendevano. Narrasi a questo proposito che
lla navigazione. Lo stesso nome fu dato altresì a certi pesci di mare
cui
supponesi la parte superiore del corpo a un dipre
i Isole Fortunate o Atlantidi, poco distanti dalla costa d’Africa, di
cui
gli antichi avevano poche nozioni e che credevano
e Tritone figlio di Nettuno e di Anfitrite, era un Dio marino, la
cui
figura offriva sino alla schiena un uomo che nuot
fossero giunte a trattenere tutti i passaggeri, ma che dal momento in
cui
un solo fosse passato, senza fermarsi per sempre
are e per le mani all’albero della nave, affinchè dandosi il caso, in
cui
incantato dai dolci suoni delle Sirene, avesse eg
sse malgrado dell’avvertimento ricevuto da Circe riguardo al pericolo
cui
stava per esporsi fu sì incantato de’ lusinghieri
rasformate come lo furono per andare in cerca della loro compagna per
cui
erano animate dalla più viva amicizia. Avrebbero
ile sentimento dell’amicizia sì raro nel loro sesso, ai tempi però in
cui
fu inventata questa favola ? Scilla era una bell
e, famosa maga, la quale compose un veleno che gettò nella fontana in
cui
la Ninfa era solita bagnarsi. Appena Scilla fu en
rende sue grida rassembrano al muggito del lione ; che è un mostro il
cui
aspetto farebbe fremere anche un Dio ; che ha sei
ella Sicilia e portava su la prua la mostruosa figura di una donna il
cui
corpo era circondato di cani. Aggiungesi che lo s
alla sinistra, e lo scoglio di Scilla a mano destra. In quel tempo in
cui
l’arte nautica non era portata a quel punto di pe
in cui l’arte nautica non era portata a quel punto di perfezione, in
cui
è presentemente, quel passaggio era pericolosissi
Ercole Tebano le imprese di tanti altri dello stesso nome. Ercole di
cui
si parla in questo Compendio è appunto il Tebano.
. Minerva lo raccolse e lo portò in casa di Alcmena, come una nutrice
cui
l’avesse raccomandato. Ercole ebbe molti maestri
un genere di vita aspro e faticoso, si presentò ad Euristeo, sotto i
cui
ordini dovea imprendere i suoi combattimenti e le
a, nata da Echidna anch’essa, e che era un serpente di sette teste, a
cui
se una veniva recisa, immantinente rinasceva. Erc
ì anche Plutone in una spalla, nel tetro soggiorno degli estinti, per
cui
fu costretto a portarsi in cielo per farsi guarir
ortarsi in cielo per farsi guarire dal medico degli Dei. Un giorno in
cui
trovavasi molto incomodato dagli ardenti raggi de
dosso, che sentissi subito ardere da un crudel fuoco, ed il veleno di
cui
essa era infettata gli penetrò fino entro le ossa
un capo Etolio. Dalle tante gesta di Ercole e dalle diverse epoche in
cui
si raccontano avvenute congetturarono a ragione s
olonie di que’ due paesi andassero a popolare la Grecia, i tratti con
cui
gli antichi hanno dipinto Ercole che tutti conven
questo attentato ordinò a Vulcano di formare una bellissima donna, di
cui
è già parlato all’articolo Vulcano stesso. Gli De
all’articolo Vulcano stesso. Gli Dei la ricolmarono tutti di doni per
cui
fu detta Pandora e la mandarono a Prometeo con un
goroso e siccome Polidete lo temeva e proponevasi di sedurre Danae di
cui
era innamorato, cercò di allontanarlo dalla sua c
a testa di Medusa, una delle tre Gorgoni, la sola che fosse mortale ;
cui
Pallade per punirla di aver amoreggiato con Nettu
uratamente guardati. Di là passò in Etiopia ove arrivò nel momento in
cui
Andromeda stava per finire i suoi giorni divorata
nondimeno prima di averla a combattere contro Fineo fratello di Cefeo
cui
Andromeda era stata innanzi promessa ; e dopo ave
er quanto narrasi che rappresentò la terra sotto la forma sferica per
cui
si dice che portava il cielo. Si narra da altri c
l supremo Nume. Atlante era il padrone del giardino delle Esperidi in
cui
si conservavano i pomi d’oro. Avvertito dall’orac
Atlante per la morte del loro fratello e sparsero tante lacrime, per
cui
Giove commosso dal loro compassionevole stato le
patria, per dargliene indizio, cangiasse in bianche le nere vele con
cui
era partito ; ma Teseo dimenticò il comando del p
a superba tomba in mezzo della città, e gli innalzarono un tempio, in
cui
gli facevano dei sacrifici. Siccome il nome di Te
are la città di Tebe nel luogo appunto ove lo condusse la giovenca di
cui
aveva parlato l’oracolo. Per conciliare la favola
dusse Polluce ed Elena che partecipavano dell’immortalità di colui da
cui
traevan la loro origine. I due fratelli legatisi
apita da Teseo. Caddero però in breve anch’essi nello stesso fallo di
cui
avevan voluto punire quell’eroe. Rapirono essi du
i dagli amanti e venuti a combattimento, Castore fu ucciso da Linceo,
cui
diede morte Polluce ferito anch’esso da Ida. Poll
rasi che Apollo, o secondo altri, Mercurio gli fece dono di una cetra
cui
egli aggiunse due eorde alle sette che già aveva
ntemente desideravano. La sola Euridice figlia di Nereo e di Dori, la
cui
modestia era pari all’avvenenza, gli parve degna
i egli medesimo faceva professione, e specialemente la medicina ; per
cui
il giovine principe cambiò il suo primo nome di D
to d’allontanarsi da Tebe, ha portato seco un preziosissimo vello, la
cui
conquistà deve colmar esso Pelia di ricchezze e i
l possesso del trono che gli appartiene. Giasone era in quella età in
cui
si va in traccia della gloria, perciò colse avida
Giasone l’onore d’essere il loro capo e condottiero, siccome a quello
cui
per prossimità di parentela con Frisso, spettavas
iogliere le vele, Giasone offrì un sacrifizio a quelle divinità della
cui
assistenza credeva poter abbisognare nella sua in
il sacrificio, s’imbarcò. Dopo una lunga e pericolosa navigazione le
cui
avventure hanno fornito il soggetto di due poemi,
one affinchè colla sua arte lo assistesse a superare tutti i pericoli
cui
si doveva esporre. Medea e Giasone s’incontrarono
i ritornarono a Iolco, colla gloria di aver riuscito in un’impresa in
cui
Giasone doveva naturalmente perire. Siccome Pelia
arro tirato da draghi, andò in Atene ove sposò Egeo padre di Teseo da
cui
ebbe Medo il quale diede il suo nome alla Media.
e, Achille e molti altri furono suoi discepoli. Achille fu quegli per
cui
si pigliò, come avo materno, una particolare cura
rurgia, la musica, l’astronomia. Fu egli che compose il calendario di
cui
si servirono gli Argonauti nella loro spedizione.
male era incurabile e l’infelice Centauro soffriva acerbi dolori, per
cui
pregò Giove di porre fine a’ suoi giorni. Il padr
n prime nozze Cleopatra, che altri chiamarono Stenobea o Stenobae, da
cui
ebbe Orito e Crambo. Dopo la morte di lei in seco
econde nozze menò Arpalice figlia di Borea e di Orizia, ad istanza di
cui
accecò i figli, che dalla prima aveva avuti. Bore
e’suoi stati ; e Giunone e Nettuno mandarono le arpie Aello e Ocipete
cui
da alcuni si aggiunge Celeno figlie di Taumante e
della Terra, le quali lordavano le vivande di Fineo sulla tavola, per
cui
Fineo si sarebbe ridotto a morir di fame senza l’
glia del montone che trasportò Frisso ed Elle nella Colchide, e la di
cui
conquista fu l’oggetto principale del viaggio deg
rigine di questo misterioso ariete. Dicono gli uni che all’istante in
cui
stavasi per immolare Frisso ed Elle, Mercurio die
destò scuotendolo, e con una umana voce gli fe’ presente il pericolo
cui
era esposto. Frisso di nuovo gli salì sul dorso,
unse a Colco, immolò l’ariete a Giove Frigio, lo spogliò della pelle,
cui
poscia appese ad un albero in un campo a Marte co
cesse morire ; giacchè è noto che niuno è più crudele di una donna il
cui
risentimento sia punto dalla vergogna di un rifiu
e ; così Ippomene lasciò cadere in tre diversi momenti quei pomi, per
cui
Atalanta invaghitasi della loro bellezza, si trat
venir padre ; e n’ebbe per risposta di adottare il primo fanciullo in
cui
s’imbattesse il giorno seguente. Difatti Giano fi
prudenza che ponevagli sempre sott’occhio il passato ed il futuro di
cui
fu dotato da Saturno inricompensa dell’accordatag
Mida. Sopraggiunsero intanto delle forti dissensioni tra i Frigi, per
cui
ricorsero all’oracolo, il quale disse, che tali d
rinomato soggiorno del re Mida, ebbe desio di vedere il famoso carro
cui
stava attaccato il Nodo Gordiano ed essendo persu
bbe ucciso da suo figlio il quale avrebbe poi sposata la madre, dalla
cui
unione sarebbe sortita una detestabile stirpe. La
ferti a farlo. Creonte padre di Giocasta promise il regno di Tebe, di
cui
frattanto aveva preso il governo, e la vedova di
ta la promessa di Creonte ebbe il regno di Tebe, e Giocasta in isposa
cui
non sospettò essergli madre ; e gli nacquero da e
avano ai morti, fa chiamare Teseo, al quale raccomanda le due figlie,
cui
ordina di allontanarsi ; la terra trema e a poco
ricevere Edipo senza violenza e senza dolore alla presenza di Teseo,
cui
solo è palese il secreto intorno al genere di sua
nendosi valorosamente agli assalitori gli uccise tutti, eccetto Meone
cui
rimandò ad Eteocle per recargli il triste annunzi
la loro morte ; e credesi d’aver osservato che le fiamme del rogo su
cui
facevansi bruoiare i loro corpi siensi separate,
indicavano la sua crudeltà, il corpo di cane mostrava i disordini di
cui
era suscettibile una figlia di quel carattere ; l
ibile una figlia di quel carattere ; le ali esprimevano l’agilità con
cui
ella qua e là trasportavasi onde sottrarsi alle r
dalle Furie, e vagando accompagnato da Pilade figlio di Strofio, con
cui
era stato educato, giunse in Tauride, ove per ord
l patrio altare. Oreste visse pacifico possessore degli stati d’Argo,
cui
dopo la morte di Menelao, aggiunse quelli di Spar
a ardente ; consultati gl’indovini le fu risposto che il fanciullo di
cui
era incinta, sarebbe stato un giorno cagione dell
di questione, e ciò in forza della grande riputazione di saggezza di
cui
esso godeva. Le tre Dee recaronsi allora sul mont
offerte onde impegnarlo a pronunciare in proprio favore. Giunone, il
cui
potere stendevasi su tutte le ricchezze dell’univ
lo di legno. Fece egli costruire da Epeo uno smisurato cavallo, entro
cui
si rinchiuse egli medesimo co’ più valorosi tra i
primo caso da Nettuno nel secondo da Venere. Nella notte terribile in
cui
fu presa Troia, veduto ucciso Priamo e la città i
no, ne sposè la figlia Lavinia, dopo avere ucciso Turno re de’ Rutuli
cui
Lavinia era stata innanzi promessa. Enea lasciò n
ro poi Romolo e Remo fondatori di Roma. L’ira di Achille, e i mali di
cui
fu cagione ai Greci prima, indi ai Troiani, forma
gli Dei davano agli uomini ; e lo stesso nome davasi pure al luogo in
cui
per bocca degli uomini eran renduti. Gli Oracoli
opo gli oracoli di Giove i più celebri e più accreditati erano quelli
cui
presiedeva Apollo, figliuolo di lui, siccome quel
ano le risposte ascosi nelle querce del bosco a Giove consacrato, per
cui
le favole dissero che le querce parlavano. L’orac
menti, i sacerdoti interpretavano le risposte. L’oracolo di Delfo, in
cui
le risposte davansi dalla Pizia sacerdotessa d’Ap
oria. Per consultare gli Oracoli era necessario scegliere il tempo in
cui
credevasi che gli Dei ne pronunciassero ; poichè
ano eguali. Da principio a Delfo, non eravi che un mese dell’anno, in
cui
la Pizia rispondesse a coloro che ivi recavansi a
no quattro, l’Eritrea, la Sardica, l’Egizia e la Samia ; e Varrone la
cui
opinione è adottata da molti ne annovera dieci, l
cese nel soggiorno delle ombre, ove apprese dal padre tutti i perigli
cui
sarebbe stato esposto nelle guerre che, per fonda
aso dell’acqua, in onore del Dio al quale sacrificavasi. La patera di
cui
si è parlato qualche volta in questo Compendio er
di cui si è parlato qualche volta in questo Compendio era un vaso di
cui
facevano uso i sacerdoti nei sacrifici. Ogni temp
, e molti di questi eran distinti con nomi particolari secondo il Dio
cui
servivano, così Galli, Coribanti e Cureti chiamav
tà nelle cose sacre era il Pontefice masimo. Seguivano i Flamini, tra
cui
il Diale o Flamine di Giove era il primo, venivan
nei giorni solenni ed erano anche obbligati a pubblicare il giorno in
cui
tali banchetti dovevano aver luogo in onore degli
egualmente screditati. Non si sa positivamente quando i Parassiti, le
cui
funzioni facevano parte del culto pagano, incomin
to pagano, incominciarono a degenerare e a cadere in un discredito in
cui
sono poscia sempre restati. Comunque sia la cosa,
destra di Giove ; non così se udivasi al contrario. Dalla maniera con
cui
ardeva l’incenso, dal crepitare, dal fumo traevan
a cavallo o sulle bighe e le quadrighe ; la lotta o il pancrazio, in
cui
gli atleti nudi ed unti d’olio cercavano di atter
che celebravansi in Olimpia città dell’Elide ogni quattro anni, e da
cui
prese origine il computo delle Olimpiadi : 2.° I
digiosa moltitudine di spettatori e di concorrenti, in questi giuochi
cui
siamo debitori delle odi immortali di Pindaro, no
Furono distinti pei luoghi ov’eran celebrati o per la qualità del Dio
cui
erano dedicati. I primi erano compresi sotto il n
loro Giuochi dei teatri, degli anfiteatri e dei circhi magnifici, di
cui
gli avanzi ancora si veggono a Roma, a Verona, a
lati dai re ; ma dopo ch’essi furono espulsi da Roma, dall’istante in
cui
la repubblica prese una forma regolare, diverse a
ale cola un succo resinoso e di gratissimo odore. Quest’è l’albero in
cui
secondo la favola fu trasformata Mirra detta anch
sto Compendio di Mitologia si troveranno indicate tutte le materie di
cui
si è in esso fatto parola benchè non abbiano un a
bisognasse di lavoro alcuno. Tale per certo non è la Mitologia, il di
cui
studio è poi sì necessario a costituire l’uomo er
necessario, che le Favole eziandio a tale sistema si riducessero, per
cui
cosi concatenate risultassero, che potessero acqu
arebbe stato questo impossible ad eseguirsi, attesa la confusione, in
cui
ogni cosa a noi pervenne : siffatto lavoro bensi
cui ogni cosa a noi pervenne : siffatto lavoro bensi intrapresi, per
cui
riducendo tutte le Favole ad un ragionato ordine,
furono dal Gentilesimo divinizzati. I Misterj poi e le Ceremonie, con
cui
si onoravano que’ pretesi Numi ; gli Oracoli e le
e, in guisa però, che non resti mai violata quell’unità di disegno, a
cui
mira la tessitura della presente Istoria. L’indic
ratamente presa. Che se tra le Belle-Lettere alcune ve ne sono, il di
cui
principalissimo oggetto è quello di costituire lo
are le Belle--Lettare ; ed è questo appunto lo scopo spezialissimo, a
cui
tende quest Opera. Vedrà ognuno, che quanta dili
resta a desiderare, se non che questo mio, qualunque siasi lavoro, a
cui
lio da varj anni consecrato i ritagli di tempo, c
e a due faccie(13), e nell’ altra una nave, che ricordasse quella, su
cui
Saturno avea approdato alle di lui sponde(e) (14)
mentre tutto l’ anno vedeasi carita di catene, simbolo di quelle, con
cui
egli era stato avvinto da Giove, allora si sciogl
scioglieva, per indicare la di lui liberazione, ovvero la libertà, di
cui
godevano allora spezialmente i Servi(16). Costoro
le spalle, e con falce in mano(a). Le ali alludono alla rapidità, con
cui
trascorre il tempo ; la falce indica il fine, al
no alla Dea Vesta in Roma, conveniva usare l’ acqua della fontana, in
cui
fu da Giove trasformata Giuturna(c) (6). Eravi fi
dell’ Egitto. Da Iside e da Osiride nacque Oro, l’ ultimo degli Dei,
cui
adorò l’ Egitto(11). Iside aveva certi Sacerdoti,
vuto con che sostenerla. Nacque una bellissima bambina ; ma Teletusa,
cui
Iside avea commesso di serbarla in vita, destrame
ra, al collo una gran collana, che gli discendeva sino al petto, e da
cui
pendevano due busti di Ati(a). Era stato questi u
do queste, anche quelle Ninfe perivano. Cibele atterrò la quercia ; a
cui
era affissa la vita di Sangaride ; e questa più n
ervi il canto di certi versi, detti poscia Datsili, affinchè Saturno,
cui
voleasi tenere occulta la nascita di quel bambino
segnò a fortificare le città co mezzo di quelle(d). I due animali, da
cui
viene tirato il di lei carro, ricordano Ippomene,
a accendere di notte due fiaccole sull’ Etna, monte della Sicilia, da
cui
esalavano globi di fuoco ; e però fu detta Tedife
icono che Cerere in quella circostanza abbia partorito un cavallo, di
cui
poscia così se ne vergognò, che copertasi di nera
i usavano corone di mirto o di narciso, per ricordare la tristezza, a
cui
Cerere soggiacque dopo il ratto di sua figlia. Qu
. Non molto lungi eravi un sasso, chiamato Agelasto, ossia tristo, su
cui
Cerere si riposò stanca e afflitta. Le stesse Fes
ore riportava una corona d’ orzo (c). Il Floriferto era una Festa, in
cui
i Romani portavano delle spighe al tempio di Cere
ani, che si allontanassero dal tempio (c). E’ celebre il castigo, con
cui
Cerere puni il Tessalo Erisittone, figlio di Trio
e anche un bosco a Cerere consecrato. Eravi in quello una quercia, in
cui
soggiornava una Ninfa, cara alla stessa Dea. Eris
Giove. Il Vossio ne numera trecento (a), Il famoso però, e quello, a
cui
le gesta di tutti gli altri si attribuiscono, è i
stati instituiti da Ercole, figlio di Alcmena, in onore di Pelope, da
cui
egli traeva origine per parte di madre, e che i m
e dagli Scultori rappresentati in bronzo o in manno(g). Il tempo, in
cui
questi Giuochi vennero rinovati da Ifito, fu pure
desimo tempio era circondato da un bosco sacro, detto Alti (f), e per
cui
anche Giove venne soprannominato Alzio (g). Al te
po aver invocato Giove e Mercurio, v’ imban ivano un sacro convito, a
cui
ad alta voce invitavano le ombre di quegli Eroi (
me desse i suoi Oracoli. Questi e per la loro origine e pel modo, con
cui
si rendevano, erano assai famosi. Strabone dice,
rgente d’acqua(a). Comuncue ciò sia, certo è, che non v’ebbe Oracolo,
cui
si facesse rispondere con più solennità, quanto q
ma Pompilio lo fece discendere dal Cielo per apprenderne il modo, con
cui
si porevano allontanare i fulmini. Lo stesso re p
ati ogni anno avessero a radunarsi per sacrificarvi un toro, delle di
cui
viscere ne venisse distribuita a ciascun popolo u
ni (h). Giove, per conservare la memoria della capra Amaltea, col di
cui
latte era stato nutrito nella suainfanzia, ne cuo
poi anch’ egli Imperatore gl’innalò un piccolo tempio o un altare, su
cui
scolpì i motivi della sua riconoscenza (d) (19).
apitolino (e). Servio Tullio ivi gli eresse un maestoso temoio, le di
cui
fondamenta erano sute gettate da Tarquinio Prisco
’orrore e di sdegno, scagliò in quello stesso istante un fulmine, con
cui
incenerì la Reggia del Tiranno. Questi spaventato
ovo insulto, commise al Dio Vulcano, ch’ei pure formasse una donna, a
cui
si diede il nome di Pandora, ossia fornita di tut
me Moandro. Egli amava Carpo, figlio di Zefiro e di una delle Ore, da
cui
con pari tenerezza n’era corrisposto. Avvenne, ch
ò in una pianta, la quale suole crescere lungo le rive de’ fiumi, e a
cui
diedesi parimenti il nome di Calamo (g). Giove am
sudditi, e per eccitarli ad onorare gli Dei e spezialmente Apollo, a
cui
aveva eretto tempj e altari. Così operando, talme
uronvi molti, à quali venne imposto il nome di Bacco. Quegli però, di
cui
favellano tutti i Poeti Greci e Latini, e al qual
sacri agli Dei Infernali, l’uno de’ quali mascondeva l’ apertura, per
cui
Bacco avea ricondotto Semele sulla terra(b). Tral
ette le Indie. Intraprese questo viaggio per sottrarsi all’ odio, con
cui
lo perseguitava Giunone. Egli radunò moltitudine
u venerato come il Dio del vino(c). In memoria di tale conquista, per
cui
il Nume avea impiegato tre anni, i Beozj e i Trac
e di Bacco stesso sostituirono in luogo del giovinetto una capra, per
cui
il Nume acquistò il nome di Egobolo(h). Evante o
enominarono da’ Greci Teinie dal nome Teino, ossia Dio de l vino, con
cui
appellavasi Bacco (h). Le stesse da quelli si chi
o avea portato un certo Melampo(l) ; o come altri vogliono, Orfeo, da
cui
furono delle Orfiche (m). La maniera, con cui si
tri vogliono, Orfeo, da cui furono delle Orfiche (m). La maniera, con
cui
si solenizzavano, da principio era semplicissima,
ome Brumo, che secondo il Cantelio(f) era lo stesso che Bromio, e con
cui
gli antichi Romani soleano chiamare Bacco (g). Ve
Baccani,(a), Tiadi(b), Menadi(c), i quali nomi indicano il furore, a
cui
elleno si abbandonavano nel tempo delle Feste di
le per l’amore, che nutriva per Calliroe, Principessa di Calidone, da
cui
però altro non otteneva che indifferenza e dispre
e Orgie di Bacco. Questi lo fece cadere in sì forte ubbriachezza, per
cui
egli commise una nefanda scelleraggine. Lo stesso
vino, trovavasi anche allora immerso nel sonno. Il piloto della nave,
cui
Omero dà il nome di Medede(a), e Ovidio quello di
ne il nome di lui, e quello de’genitori, la patria, e la ragione, per
cui
egli onorava Bacco. Lo stranìero soggiunse, che A
cco nell’ Isola di Andro, appresso il quale v’avea una fontana, la di
cui
acqua cangiavasi ogni anno in vino : qualità, ch’
della Focide, v’avea un celebre tempio, dedicato a questo Dio, il di
cui
sacrificatore prediceva l’avvenire. Pausania aggi
ngesi ora giovine, ed ora vecchio. Cinge egli la fronte di corona, da
cui
pendono varj corimbi, ossia grappoli d’ellera, pe
di corona, da cui pendono varj corimbi, ossia grappoli d’ellera, per
cui
fu anche detto Corimbifero(d). Il di lui volto è
a ; il terzo a Giunone Xera, ossia vedova, per alludere al tempo ; in
cui
ella stette lontana dal suo marito, come quanto p
ro soddisfatti, perchè gli promisero Venere in moglie. Il motivo, per
cui
Giunone non visse quasi mai in pace col marito, f
cui Giunone non visse quasi mai in pace col marito, fu la gelosia, da
cui
era continuamente agitata (c), e per cui fu sopra
ol marito, fu la gelosia, da cui era continuamente agitata (c), e per
cui
fu soprannominata Zelotipa (d). E ben ebbero a sp
lla notte lo teneva legato e rinchiuso. Venne finalmente il tempo, in
cui
Giove commise a Mercurio, che cogliesse la predet
il suo furto, uccise quel custode(4), e cangiò Jerace nell’ uccello a
cui
si diede il nonte di Sparviero (a) (5). Se ne aff
erire alla Dea porzione del capelli della sposa, e una vittima, il di
cui
fiele gettavasi lungi dal tempio, o a piedi dell’
imo sacrifizio chiamavasi Eratelia da Era, nome proprio della Dea, di
cui
quanto prima parleremo, e da telos, voce, che ant
e (f). Macrobio vuole che il predetto nome le sia derivato dall’asta,
cui
soleva portare (g). Si chiamò Populonia, perchè p
come Greci la dicevano Zigia, (b), perchè era preside al giogo, sotto
cui
si univano gli sposi. Elle sotto tal nome aveva u
posto in premio a chi ascendeva sul teatro, penetrava in un luogo, di
cui
n’era difficile l’ingresso, e staccava uno scudo,
la città, spargendo voce, che quella era Platea, figlia del re Asopo,
cui
Giove voleva sposare. Così si eseguì ; e Giunone,
de rispetto per quello. Al lato del medesimo eravi un bosco sacro, in
cui
si nutrivano varj animali, parimenti sacri alla D
che sull’ingresso di quel tempio si trovava un’ara allo scoperto, su
cui
le ceneri de’sacrifizj restavano immobili anche q
e). Ebbe il nome d’ Imbrasia dal fiume Imbraso nell’Isola di Samo, in
cui
i Sacerdoti lavavano la statua di questa Dea ; e
ea, ne deposero a terra la statua, e procurarono di placare da Deità,
cui
essa rappresentava. Sul far del giorno Admete s’
città di questo nome, situata alle radici del monte Soratte, nella di
cui
sommità ella aveva un tempio (b) (22). Non si va
l tempio. Giunone nella Laconia dava i suoi Oracoli da uno stagno, in
cui
, gettandosi delle focacce, se queste s’immergevan
tima guerra di Troja (b). Ebbe pure nell’Isola di Lesbo un tempio, in
cui
le donne si radunavano per celebrare le Feste, de
e di Cibele. Egli, come abbiamo detto, regna nell’ Inferno(a) (1), di
cui
è bellissima la descrizione, che ce ne dà Virgili
o le lamentevoli strida de’ bambini, morti nell’ istante medesimo, in
cui
erano nati. Si va quindi per una vasta campagna,
vvi quella, che mette all’ orrida carcere, detta il Tartaro(19), e di
cui
abbiamo favellato. Un altro luogo finalmente trov
, per conservarne la memoria, fece germogliare negli Elisj un pioppo,
cui
diede il nome di quella Ninfa(b). Quindi Omero dà
oeti. L’argomento ordinario era un inno, accompagnato colla cetra, in
cui
si cantava il combattimento del Nume contro Piton
n labirinto in Megara, città dell’Artica. Ivi si vedeva la pietra, su
cui
il Nume avea deposto la sua cetra, e la quale da
l tempio più famoso, che gli si fabbricò, fu quello di Delfo (f), per
cui
il Nume conseguì anche il nome di Delfico (g). Di
dovini, e sacrificavano con loro (d). Maravigliosa fu la maniera, con
cui
Apollo manifestò, ch’egli dallo stesso tempio vol
Tessalo, rapì la Pitonessa di quel tempo, si pubblicò una legge, per
cui
quelle donne doveano avere più di cinquanta anni(
Le Teofanie si celebrarono da que’di Delfo in memoria del giorno, in
cui
Apollo per la prima volta loro si manifestò (b).
to dopo la vittoria, che riportò sopra Marc’Antonio e Cleopatra, e di
cui
si credette debitore ad Apollo, rinovò queste Fes
empio assai celebre pe’portici e per la Biblioteca Greca e Latina, di
cui
era fornito(c) (17). Le Giacinzie venivario solen
dagli Spartani per tre giorni appresso la tomba di Giacinto, sopra di
cui
vedeasi la figura d’Apollo, alla quale si offeriv
di loro moltissime frecce. Da principio non era fissato il giorno, in
cui
si doveano celebrare tali Giuochi. Si determinò p
n sacerdote, di nome Crine. Il Nume per punirlo della negligenza, con
cui
esercitava il suo ministero, mandò de’topi a deso
no ; altri dal bellissimo giovine Carno, figlio di Giove e di Europa,
cui
il Nume teneramente amava ; altri da Carno d’ Aca
o d’ Acarnania, che Apollo erudì nell’ arte dell’ indovinare, e la di
cui
strage, commessa da’ Dorj, venne vendicata dallo
la durezza e rigidezza alle corna, per formare il cavallo Trojano, di
cui
parleremo. Altri finalmente sono di parere, che s
n Cianea, città della Licia. Ivi v’ avea una fontana, a lui sacra, in
cui
vedeasi indicato tutto quello, che si desiderava
ano Inni a di lui onore. Gli aveano dedicato un vasto terreno, nel di
cui
mezzo eravi un magnifico tempio, rotondo, e pieno
figlio di Seuta. Egli fu regalato dal Nume d’ una freccia d’ oro, con
cui
sollevavasi in aria, e scorreva per qualsisia ina
copiosa prole tendette Niobe oltre modo superba. Giunto il tempo, in
cui
la fatidica Manto esortava le donne Tebane ad off
ul monte Pelio nella Tessaglia. Apollo ebbe a vederla nel momento, in
cui
, pascolando ella gli armenti del padre, combattè
oratte, poco lontana da Roma, v’avea un tempio dedicato ad Apollo, in
cui
le famiglie Irpie camminavano sopra i carboni acc
tto la menzogna, lo condannò a sofferire la sete durante il tempo, in
cui
i fichi si maturano(d). Apollo, come Dio delle Mu
coll’altra un arco con varie frecce, ovvero una lira. Il motivo, per
cui
divenne sacro ad Apollo l’alloro, è questo ; Dafn
Iperione, il quale la ebbe da Tia, una anch’ella delle Titanidi, per
cui
la Luna fu chiamata Titania (b). Ecate poi sotto
di pini. Nell’estremità della stessa v’avea una sorgente d’acqua, in
cui
Diana era venuta a ricrearsi insieme colle vergin
a, e se ne invaghì. La non troppo nobile condizione, e la povertà, in
cui
trovavasi, gli erano di ostacolo per giungere a p
ono quel sacro luogo. La Dea per punirli mandò loro una malattia, per
cui
poco tempo dopo moritono. Nè quì ebbe fine lo sde
minò Ortione, ossia dura, inflessibile, a cagione della severità, con
cui
puniva quelle delle sue Ninfe, le quali non custo
ampi(d), o perchè avea un tempio in Agri, città dell’ Attica, e il di
cui
terreno era opportunissimo alla caccia. In quel t
ava di privare lui pure di vita. Quì si celebrava anche una festa, in
cui
i Romani si astenevano per qualche dì dalla cacci
, ossia che risplende di notte. Ebbe un tempio sul monte Palatino, in
cui
si accendevano delle torce a un gran vaso a fuoco
da che credettero che si fosse calmata la sua collera contro Eneo, di
cui
parleremo. Que’ popoli la custodivano gelosamente
la Dea contratti di nozze. Dietro il tempio stesso eravi un bosco, in
cui
potevano aver ingresso a ballare le sole vergini.
e rimase abbruciato l’anno primo dell’ Olimpiade CVI, nella notte, in
cui
nacque Alessandro il Grande. Lo ridusse a tal fin
dotta dalla schiuma del mare ; la terza, nata da Giove e da Dione, da
cui
ella acquistò il nome di Dejonea(b). I Poeti però
consecrò la città di Pafo, da lui fabbricata, e le alzò un tempio, di
cui
egli stesso volle costituirsene il sacerdote(f).
ire di negare o deridere la potenza di Venere. Frattanto la Scultura,
cui
Pigmalione amava e conosceva perfettamente, era i
’opera stessa delle sue mani. Egli n’ebbe un figlio, di nome Pafo, di
cui
abbiamo testè fatta menzione(a). Ritornando poi a
te Acidalia, la quale trovavasi in Orcomeno, città della Boozia, e in
cui
le Grazie, delle quali quanto prima parleremo, si
s, schiuma, fu detta Afrodite, per alludere alla schiuma del mare, da
cui
era nata(i). E’stata denominata Genetillide(l), p
sia, empia (e). Sotto il nome di Libentina ebbe un tempio in Roma, in
cui
le giovani nubili consecravano i divertimenti del
. Alesside disperato abbandonò il suo paese, e Melibea nel giorno, in
cui
dovea sposarsi, si precipitò dall’alto della casa
ove l’amante di lei erasi ritirato ; ed ella v’arrivò nel momento, in
cui
egli s’assideva a tavola con alcuni amici. I due
ua la più bella di questa Dea, che si fosse fatta da Prassitele, e di
cui
un ragguardevole giovine ne divenne amante(a). Si
esimo in gran copia l’oro e le gemme. Dedalo, eccellente artefice, di
cui
parleremo, v’avea riposto una giovenca d’oro, la
mpidoglio un tempo, dedicato da Q. Fabio Massimo nel tempo stesso, in
cui
il suo collega, Otacilio Crasso, consecrava quell
enere, soprannominata Morfo, ebbe appresso gli Spartani un tempio, in
cui
ella compariva velata, con catene a’piedi, impost
o Priapo(7), Imene o Imeneo(8), le Grazie(9), Cupido(10), ed Enea, di
cui
parleremo altrove. La stessa Dea amò assai Adone,
va di amare Argira, ch’era stata pure trasformata in fontana. Venere,
cui
la trista sorte di Selinno continuava a destare c
uno al Capo di Tenaro, nella Laconia, sull’ingresso della grotta, per
cui
i Greci pretendevano, che si discendesse nell’Inf
Musica, e della Poesia, v’introdussero lo spettacolo della caccia, in
cui
comparivano i più rari animali. Questi giuochi se
la Jonia concorrevano a celebrarle(b). Anche il luogo, e il tempo, in
cui
si solennizzavano, dicevansi Panionio. Se muggiva
si sa aver servito d’asilo, ed esservisi ritirato anche Demostene, di
cui
vi si mostrava il sepolcro. Era altresì celebre i
cadia, le fabbricò un tempio, il quale divenne un asilo pe’ rei, e in
cui
si conservò poi la pelle e i denti del Cinghiale
spoglie de’nemici, perchè di queste s’impadronivano quegli eserciti,
cui
ella favoriva(c). Insorta contesa tra Nettuno e M
ome di Ellotide. S’instituì allora anche una Festa, detta Ellozia, in
cui
i giovinetti correvano con fiaccole accese in man
Itonio, figlio d’Anfittione, le dedicò appresso Coronea un tempio, in
cui
si celebravano le Feste, chiamate Pambiozie, perc
balli, e sì conpivano con solenne sacrifizio e pubblico convito, per
cui
ogni borgo dell’ Attica era tenuto a contribuire
e Difrefore ; perchè portavano piecole sedie e ombrelle. Le Feste, di
cui
parliamo, prima di Teseo, si chiamavano Atence, p
osia di Erse, la quale però ne veniva impedita di vedere Mercurio, da
cui
era sommamente amata ; e che il Nume quindi cangi
Rodiani. Per questo Giove cuoprì la loro isola d’una nuvola d’oro, e’
cui
fece piovere immense ricchezze(b). Minerva però s
riapo, che lo addestrò nella danza e in altri esercizj del corpo, per
cui
divenne siffatamente atto alla guerra, che ne fu
Tegea, quando le donne di quella città gli offerirono un sacrifizio,
cui
non vollero che assistesse alcun uomo (g). Le Fe
n cognizione, che l’impero del mondo era destinato a quella città, in
cui
si sarebbe conservato quello scudo. Lo stesso re
ue o tre delle di lui statue (d). Per lo contrario non fuvi luogo, in
cui
questo Nume siasi tanto onorato, quanto in Roma,
pellaro Reggia, ebbe pure in Roma. Ivi gli s’immolava un cavallo, di
cui
la gioventù, divisa in due partiti, se ne disputa
lcibero dal latino verbo mulceo, ammollire, perchè Vulcano col fuoco,
cui
presiedeva(1), ammolliva il ferro, e ogni altra c
mini, ma tutti gli altri Dei doveano sottomettersi(d). Nel libro, con
cui
si rappresenta il Destino, credevasi esservi desc
a di Corinto v’ ebbe un piccolo tempio, sacro alla Necessità, e il di
cui
ingresso non permettevasi che a’ ministri del med
i, a spese pubbliche ne veniva liberato. Ogni altro reo finalmente, a
cui
riusciva di toccare la toga dell’ Imperatore, ne
, prima di sedersi a tavola, eleggevano co’ dadi uno de’ convitati, a
cui
davano il nome di Simposiarco, ossia Re del Convi
nsa, eprescriveva a tutti gli altri la quantità di vino(d). Quello, a
cui
sortiva la figura di Venere, era l’eletto. Questi
fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva al convito. Le tazze, in
cui
beveano, erano coronate di fiori. Nel fine del pr
ali giudicavano opportuni a preservare da’tristi effetti del vino, di
cui
allora piucchè mai a dismisura usavano. Per la me
poi, che li sostenevano, si dissero Gladiatori da gladium, spada, di
cui
per lo più facevano uso. Quando l’offeso alzava i
ornavasi anche di corone, formate dell’ albero sacro alla Divinità, a
cui
si sacrificava. Dalla stessa fronte si strappavan
navano le sacre funzioni con un pranzo, chiamato il Sacro Convito, in
cui
si mangiava il rimanente della vittima, e tali ca
veva esservi stato estinto un ardente tizzone, preso dall’ altare, su
cui
offrivasi il sacrifizio(a). Quest’ acqua si conse
umi, colla quale eglino indicavano quelle arcane e future cose, la di
cui
cognizione non poteasi conseguire dal lume ordina
profondi secreti. Fu quindi trovata la Divinazione, ossia l’arte, con
cui
per mezzo di sensibili indizj si credeva di poter
g ivano il futuro dal canto o dal volo degli uccelli, o dal modo, con
cui
questi prendevano il cibo ; laddove gli Auguri er
estra(b). Il luogo, dove si prendevano tali augurj, e quello pure, in
cui
si conservavano i predetti Polli, si chiamavaAugu
lche furbo, che professa la Chiromanzia, ossia la stolta scienza, con
cui
pretende di trarre vaticinj dalla particolare com
u denominata Tacita o Muta, e fu venerata come la Dea del silenzio, a
cui
si porgevano voti e sacrifizj per allontanare le
8). Per Buona Dea si riconosceva anche una Divinità misteriosa, il di
cui
nome non era noto che alle donne. Plutarco la con
o la confonde con Flora, detta da’ Greci Clori, Dea dei fiori, e a di
cui
onore s’istituirono le Feste ei Giuochi Florali,
e ei Giuochi Florali, abbominevoli per la licenza e dissolutezza, con
cui
si celebravano(d). Varrone dice che Buona-Dea fu
lico : e Damia parimenti fu detta sì la sacrificatrice, che quella, a
cui
si sacrificava. Nè solamente nel luogo, ove si fa
l. 2. (10). Osiride nacque da Giove e da Niobe, figlia di Foroneo, a
cui
successe nel regno degli Argivi. Adiratosi co’ su
la morte, non altrimenti che se avesse fatto perire l’Ibi, uccello, a
cui
pure gli Egiziani rendevano gli onori Divini. Dic
l’animale veniva con tutta la sollecitudine nutrito ; e dal modo, con
cui
riceveva il cibo, si traevano i propizj o funesti
la fonte, la quale avea un tempio in Roma presso la porta Capena, per
cui
anche la stessa Porta fu detta Fontinale(e). Il n
diede da se solo alla luce un mostro, ch’ era maschio e femmina, e a
cui
diedesi il nome di Agdesti o Agdisto. Nacque da q
desi il nome di Agdesti o Agdisto. Nacque da questo un mandorlo, i di
cui
frutti erano bellissimi. La predetta Sagaritide s
lle Vestali, che non serbavansi vergini. Festo accenna una legge, per
cui
era loro reciso il capo. S’introdusse poi anche i
ica chiamavasi Dafue, figlia del Tebano Tiresia, celebre Indovino, di
cui
parleremo. Fu sopranuominata Delfica, perchè venn
nni, quando la interrogò Enea intorno il suo viaggio all’ Inferno, di
cui
parleremo altrove(f). Questa Sibilla dava le sue
e interpretare i medesimi libri, i quali erano una spezie di Oracolo,
cui
Roma spesso consultava(a). Era stabilita la pena
enore, figlio di Triopa, re d’Argo, e dove avea sposato una donna, da
cui
ebbe i due figli, Trittolemo ed Eubuleo. Altri lo
figlie di Anfizione, la quale ebbe da Nettuno il figlio Cercione, di
cui
parleremo (b). V’è chi credette, che Trittolemo e
la di lui madre, sorpresa da si strano spettacolo, mise un grido, con
cui
interroppe l’azione di Cerere ; e questa, salita
he sotto il nome di Serpentario debbasi riconoscere Esculapio (h), di
cui
parleremo. (e). Hyg. fab. 147. (9). Trittolem
icare ogni anno alcuni tori, e portare certe offerte alla fontana, in
cui
era stata convertita Ciane. Pretendesi, che Ercol
e, guernito di piombo, o di ferro, o di rame, e denominato Cesto, con
cui
l’uno avventandosi centro l’altro vicendevolmente
navano di una corona il capo, e stringevano in mano una bacchetta, da
cui
si denominavano Rabduchi, o Rabdonomi (e). Il luo
re con verghe da un servo, detto perciò Mastigoforo (f). Il luogo, in
cui
si facevano i pubblici Giuochi, si chiamava Stadi
e. Nell’ Anfiteatro celebravasi altresì da’ Romani uno spettacolo, in
cui
veniva rappresentata una selva piena delle frutta
enarj (l). Eranvi finalmente altre Cavee, ove si conteueva l’acqua, a
cui
davasi poi corso, quando si facevano le Naumachie
e annunziatrici di funesti eventi (d). La vigilia della battaglia, in
cui
que’ di Farsaglia videro Pompeo disfatto, uno sci
e due braccia in altezza. Furono poi denominati Aloidi da Aloeo, con
cui
la loro madre erasi unita in matrimonio(f). Di Po
o, nativo di Locri, fu sempre premiato, eccettuata una sola volta, in
cui
per via d’inganno restò superato da Teagene(c). F
ni(a), detti Tomari da Tomaro o Tmaro, monte della Tesprozia, alle di
cui
falde fu eretto il mentovato tempio(b). (f). Co
pirati e divini, e tra questi principalmente Omero. L’altro modo, con
cui
si traevano le Sorti, era per mezzo di dali, o di
piccole pietre, o di fave, sulle quali eranvi incisi certi segni, di
cui
se ne consultava la spiegazione in alcune Tavole
mento appresso i Greci era accompagnato da un sacrifizio al Nume, per
cui
si giurava. Vi si facevano pure delle libazioni p
e colla palma al Campidoglio. In memoria del qual fatto la Porta, per
cui
que’cavalli rientrarono in Roma, si chiamò Ratume
Questa Dea, invitata ad un convito da Apollo, mangiò certe erbe, per
cui
avvenne, che mentr’ella per lo innanzi era stata
re versato la predetta bevanda a tutti gli Dei (g) fuorchè a Giove, a
cui
secondo lo stesso Poeta la porgeva Ganimede (h).
o, essendo Console, fece voto di fabbricarle un tempio nel giorno, in
cui
avesse vinto Asdrubale, e che n’eseguì la promess
ofman. Lex. Univ. (25). Il sulmine era segno di sovrana potenza, a
cui
niuno poteva resistere. Per questo anche Apelle n
tevano i Gladiatori (a), detti Bustuarj dalla voce latina bustum, con
cui
si chiamava il Rogo, tostochè il cadavere era sta
on fiori e odorosi liquori in un’urna, detta Cinerario o Ossuario, su
cui
poi andavano a piangere. Le urne de’ricchi erano
soggiungono, che il predetto Re era religioso e caro al suo popolo, a
cui
insegnò a condurre una vita meno selvaggia di pri
di straniero. I di lui figliuoli, per assicurarsene, nel momento, in
cui
egli stava per offrire un sacrifizio al Nume, mes
di Artofrlace, ossia di Custode della medesima. La Costellazione, in
cui
venne convertito Arcade, secondo alcuni fu anche
in Atene si tennero come Deità. Anfittione eresse loro un tempio, in
cui
si celebravano certe Feste, dette Orce, e si offr
ume Simeto pregò la Terra, che la ingojasse per celarla a Giunone, di
cui
ne temeva il furore. Ne fu esaudita ; ma venuto i
, di cui ne temeva il furore. Ne fu esaudita ; ma venuto il tempo, in
cui
i due bambini doveano vedere la luce del giorno,
re più dolcemente (e). Nel medesimo luogo eravi inoltre un Oracolo, a
cui
i Siciliani spesso ricorrevano. Pet ciò poi che s
tra, era di buon presagio. Si prediceva il futuro anche dal modo, con
cui
lo stesso predava. Se i Principi sognavano di ess
a Bacco, ma ad un suo figlio(b). Cicerone pretende, che il Bacco, per
cui
s’instituirono le Feste Sabazie, fosse figlio di
o(e) pretendono, che le Feste Sabazie fossero solennità notturne, con
cui
si onorava Giove Sabazio, nelle quali si usava un
ro dal petto sino all’estremità della veste, per ricordare quello, in
cui
Giove si cangiò per rapire Proserpina. (7). Le A
di capra in cesta, e nell’inferiore quella dello stesso animale : per
cui
furono soprannominati Capripedi(i). Gli Aniquarj
figliuolo di Pico, re de’ Latini in Italia. Egli viveva al tempo, in
cui
Pandione regnava in Atene(f). Insegnò a’ suoi il
ea, figlia di Nereo e di Doride. Ebbe per rivale il Ciclope Polifemo,
cui
la Ninfa costantemente dimostrava avversione. Il
Il Dio Forculo presiedeva a ciò, che chiude l’apertura del muro, per
cui
si entra ed esce dalla casa(f). Il Dio Limentino
m. l. 3. (b). In Bacch. (18). Pausania dice, che dell’albero, su
cui
Penteo ascese per osservare le ceremonie delle Ba
Pausania scrive d’aver veduto in Arcadia una statua di Bacco, sul di
cui
tirso eravi un’aquila (f). Il Meursio osserva, ch
l. 1. (6). Epafo sposò Menfi, figlia del Nilo, e fabbricò una città,
cui
diede il nome di sua moglie. Ebbe una figlia, det
gli avesse condotto dalla città di Filaca i buoi d’Ercole, contro di
cui
egli nuttiva irreconciliabile odio. Biante coll’a
erte guardie entro il recinto predetto, senzachè avesse mai alcuno, a
cui
potesse manifestare i casi suoi. Formò finalmente
iconobbero come presidi a’matrimonj. Tra queste si nomina Manturna, a
cui
si porgevano voti ed offerte, affinchè la novella
De Nupt. Philol. l. 2. (14). Populonia era anche un’altra Divinità,
cui
si offerivano sacrifizj per allontanare ciò, che
etto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare, al di
cui
tempo le anzidette Feste non erano più in uso, av
avano Eleutò (c), ovvero Ilitia quella, che presiedeva a’ parti, ed a
cui
le donne vicine a partorire consecravano delle as
fuori, cantavano un tessuto di certi versi, chiamato Epitalamio, coa
cui
desideravano agli sposi ogni felicità (e). (e).
erso Cidippe, loro madre. Costei dovea recarsi al predetto tempio, di
cui
n’era la sacerdotessa. Non avendo essa buoi, che
educata dalla Notte(a). E perchè essa è veramente il sonno eterno, di
cui
quello de’viventi n’ è l’immagine ; però soggiung
e degno di riprensione Vulcano, perchè questi al cuore dell’ uomo, di
cui
n’era stato l’artefice, non avea aperto un piccol
li, tostochè v’ entrava, veniva sopraffatto da improvviso furore, per
cui
perdeva il senno(d). I Sicionj sacrificavano ad e
mostro composto di una strana mescolanza di tre sorta d’ animali, per
cui
fu soprannominata Trisomato(n), ossia Triforme (o
o ; 3. l’anima corporea e sensibile, vale a dire un corpo sottile, di
cui
n’era rivestito lo spirito, e che avea la figura
della Terra, e che da Giove, perchè dissetò i Titani nel momento, in
cui
muovevano guerra al Cielo, sia stato assogettato
ione ch’escano da quella(e). Dicesi, che sia questo il primo fiume, a
cui
concorrano tutte le anime de’ trapassati(a). Non
unse, che rimase convertita in sasso, nè lasciò di se che la voce, di
cui
pure non potè mai usarne per parlare ella la prim
ciò, che grandemente bramava(a). (14). Il Cocito era un fiume, le di
cui
acque si scaricavano nell’ Acheronte(b). Questo n
(17). L’Averno era un lago vicino all’ ingresso dell’ Inferno, e di
cui
le acque erano nere e puzzolentissime. Fu detto A
i il nome d’Ercina. Sulle rive della medesima si eresse un tempio, in
cui
eravi la statua d’Ercina, la quale teneva colle m
este, dette parimenti Ercinnie (b). (22). Proserpina nel momento, in
cui
fu rapita da Plutone, stava raccogliendo secondo
finchè potesse unirsi in matrimonio con Lampro, figlio di Pandione, a
cui
il di lei padre aveala promessa, non avendo mai s
restò sepolto in una fossa, detta poscia la Fossa d’Agamede, sopra di
cui
vi si eresse una colonna(a). Di Trofonio poi legg
arte del Campidoglio, quando fu loro restituito l’uso del cocchio, di
cui
erano state private per decreto del Senato. Il no
quella Ninfa nel predetto luogo, nè vi trovarono che una fontana, in
cui
immaginarono, che colei fosse stata convertita da
le erasi unito in matrimonio con Creusa. Colse il Nume il momento, in
cui
quel re recavasi a consultare ilsuo Oracolo per s
comparve la Sacerdotessa cogli anzidetti ornamenti e colla cesta, in
cui
aveva raccolto lui bambino. Creusa a tale vista l
te altre Deità si venerarono da’ Pastori. Le principali sono Pane, di
cui
abbiamo già parlato, e Pale(f). In onore di quest
nzicetto fanciullo. Questi, trovandosi in una selva, baciò Apollo, da
cui
venne preso e regalato di una corona e di una ver
ollo, da cui venne preso e regalato di una corona e di una verga, per
cui
divenne giovine fatidico. Per tal fatto Apollo co
tabilì l’Oracolo d’Apollo. Ivi sposò Racio, Sovrano di quel paese, da
cui
ebbe il figlio Mopso(g). Trasferitasi in Italia,
Hofman. Lex. Univ. (24). Sul monte Soratte eravi una fontana, la di
cui
acqua bolliva al levar del Sole, e faceva morire
oro, e gran quantità di fiori. Fu così detta dall’ Isola di Rodi, in
cui
comparve alla luce(d). (27). L’ Aurora era figli
. Ella era famosa Maga, e applicavasi allo studio della bottanica, di
cui
se ne serviva per avvelenare o per convertire in
ati, e per regnare sola lo avvelenò. A motivo poi della crudeltà, con
cui
reggeva, dovette fuggirsena da’suoi Stati. Si rit
e almeno per un giorno il di lui carro, insigne lavoro di Vulcano, da
cui
diffondevasi la luce sulla terra. A tale inchiest
A tale inchiesta stupì il genitore, che ben conosceva il periglio, a
cui
esponevasi l’incauto figlio. Ma non potendo nè co
i di Antiopa e di Giove(g). La loro nutrice fu la Ninfa Eufeme, il di
cui
figliuolo, Croco, dopo morte per le preghiere del
ome Telsiope(a). Divennero poi nove. Varrone apporta una ragione, per
cui
crebbero a tal numero, e Diodoro ce ne dà un’altr
lati, perchè non osserva mai i difetti dell’oggetto amato. Le ali, di
cui
è fornito, dimostrano la sua leggierezza e incost
’egli un flauto, e lascia a’piedi di Euterpe l’arco e il turcasso, di
cui
egli si serve per ferire i cuori (a). La terza Mu
una corona, e ha in mano un flauto, o un’arpa, o una chitarra(d), di
cui
alcuni la fanno inventrice(e). Erato presiede all
(g). Sopra il medesimo monte trovavasi la tomba del celebre Orfeo, di
cui
parleremo(h). (36). Il Pierio era monte della Te
ome si vidde viuto, disperato si precipitò in un mare della Frigia, a
cui
diede il proprio nome(g). Comunque sia, certo è,
’ indovinare, quando si abbattè in una giovinetta di quella stirpe, a
cui
manifestò la causa dell’ intrapreso viaggio. Ella
tteo. Era peritissimo nella Musica. Ricevette da Mercurio una lira, a
cui
egli v’aggiunse tre coide, e con essa operò grand
endo cingere di mura la città di Tebe, si valse della medesima, al di
cui
suono le pietre, divenute sensibili, da se sole s
zze, volle ritornarsene donde era partito. I marinai del naviglio, su
cui
era salito, determinarono di privarlo di vita per
e canta solamente la notte, che non può nè bere, nè maugiare, e la di
cui
apparizione è un segno certo di sciagure, e di gu
i sì eccedente grandezza, che non eravi mare sì profondo, sopra la di
cui
superfizie i di lui omeri non si alzassero (a). A
amato Cedalione. Da di là si trasferì in Orieute appresso il Sole, da
cui
gli fu restituita la primiera vista. Fu allora, c
a Terra produsse per punirlo d’essersi vantato, che non eravi bestia,
cui
egli non fosse capace di fare resistenza (g). Luc
secondo l’opinione di alcuni vi furono due Endimioni, quello cioè, di
cui
abbiamo parlato, e l’altro, Pastore delle montagn
to alla stessa Britomarti, perchè essa fu l’inventrice delle reti, di
cui
si servono i cacciatori ; o perchè ella fu raccol
i e concittadini. La ceremonia de’funerali cominciava dal momento, in
cui
alcuno cadeva in gravissima malattia. Subito sì p
Plutone e a Proserpina. Si porgevano preci a Mercurio, come a quello,
cui
spettava trasferire all’altro mondo. I Parenti, s
va nell’Inferno, e in bocca gli si riponeva per Caronte la moneta, di
cui
abbiamo parlato. I Greci ponevano anche alla port
Dicono che alla ceremonia di queste donne presiedesse la Dea Nenia, a
cui
i Romani aveano eretto un tempio fuori della loro
ominati da un certo antico ballo, il quale chiamavasi Sicinnio, e con
cui
rappresentavano le azioni solite a farsi dal mort
so si praticava appresso i Greci(h). Dal Foro si passava al luogo, in
cui
il cadavere doveasi abbruciare o soppellire. Se s
ano libazioni di vino, latte, e sangue. Prima si usava un liquore, in
cui
v’entrava della mirra, ma fu poi proibito da una
del predetto mare trovavasi Abido, ove abitava il giovine Leandro, da
cui
colei era estremamente amata. Egli non poteva tra
Diction. Mythol. (4). Vi fu una Dea, detta Genetlia, o Genetillide,
cui
le donne sacrificavano dei cani, e celebravano un
avano a di lui onore, erano dette Fallalogie. Le altre ceremonie, con
cui
Priapo veniva adorato, orano simili a quelle, col
da’Romani riconoscevasi il Dio Mutino, o Tutino, o Tutuno, o Tutano,
cui
le donne sacrificavano col capo coperto d’un velo
tte le rapite donne, qualora gli si fosse accordata in isposa quella,
cui
amava. Così si fece ; e tale matrimonio riuscì sì
’Beozj e da’Locresi era onorata come Dea delle nozze Euclia, sulla di
cui
ara se gli sposi non facevano libazione, non era
razie soggiornavano lungo le rive del Cefiso, fiume della Beozia, per
cui
si denominarono anche le Dee del Cefiso. Alle med
produsse un uovo, il quale ella avea concepito dal vento Zefiro, e da
cui
nacque poi Cupido(c). Offeo soggiunge, che Cupido
isto era per accadere alla sua patria a motivo del ratto di Elena, di
cui
parleremo(f). Pretendesi, ch’egli sia stato perit
e sembianze di vago giovine (c). Vertunno aveva in Roma un tempio, in
cui
si celebrava una festa, chiamata Vertunnalia (d).
si attribuiva la cognizione dell’avvenire ; e dicevasi che Nereo, di
cui
abbiamo favellato, lo avesse costituito suo inter
o nascita, e della trista sorte di Melanippa, la quale dal giorno, in
cui
eglino nacquero, viveva per comando del padre rin
ausania poi era re di Tebe nella Beozia(c). Sposò Amaltea Cretese, da
cui
gli si partorirono due figlis, Nittimene e Antiop
itone, come un Dio possente, che regna negli abissi del mare, e il di
cui
uffizio principale è quello di far cessare le pro
a spezialmente a Giunone, che potesse rivederlo sano e salvo. La Dea,
cui
non piaceva, che Alcione porgesse indarno voti ed
ritornava(b). La Temposta, ossia la procella, divenne una Divinità, a
cui
si sacrificavano delle pecore nere, affinchè non
di Enea (a). (b). Rhod. 14. (3). Non si sa, se quel Callicrate, di
cui
si parlò, fosse quel medesimo, il quale fece un c
versi d’ Omero sopra un grano di miglio ; e fermò delle formiche, di
cui
non era possibile distinguerne le membra (b). (c
nesti. Parimenti si celebrava in onore di Erse la Festa Arreforia, di
cui
abbiamo parlato, e la quale perciò diceasi anche
o un tempio sopra una montagna, detta perciò Quirinale. La porta, per
cui
si ascendeva a quel monte, ebbe la stessa denomin
viaggio. Non avveniva per ultimo cosa alcuna di cattivo augurio, per
cui
non si ricorresse all’ espiazioni. Queste si face
al medesimo eravi una colonna, detta bellica, ossia guerriera, verso
cui
il Console scagliava un’ asta, quando a nome del
avea dato il suo voto favorevole per decidere la causa di Oreste, di
cui
parleremo, e ch’ era rimasta indecisa dall’ uguag
he manca all’umile mio dettato. Ed a ciò pur mi conforta la bontà con
cui
l’E. V. R. ha compatita qualche altra cosuccia pe
rse un po soverchiamente carica di greca e di latina erudizione ; per
cui
molti mi han consigliato a pubblicarne un discret
qual sincero e pubblico attestato della mia stima e gratitudine, con
cui
ho l’onore di baciarle devotamente il s. Anello e
ei (ημιθεοι), e finalmente degl’Infernali (υποκθονιοι, στυγιοι) ; per
cui
questo Compendio sarà in tre parti diviso. Par
soliti di chiamare figliuoli del cielo, o dal cielo discesi coloro di
cui
ammiriamo le grandi virtù, o che vengono inaspett
nostri. Regnando adunque Satùrno fu l’aurea età o il secolo d’oro, in
cui
la terra, senza che coltivata fosse, ogni maniera
Italia avanti alla guerra di Troia, il primo fu Stercenio o Dercenno,
cui
successe Giano ; a Giano, Pico, ed a Pico, Fauno,
e di Lavinia. E però il popolo Latino ebbe sua origine da Satùrno, di
cui
figliuolo era Pico, peritissimo nella scienza deg
pelle sottilissima ch’è fra la scorza ed il legno di quell’albero, di
cui
si servivano gli antichi per iscrivere. Essi into
a quale incidevano le lettere con un punteruolo di ferro (Stylus), la
cui
testa serviva per cancellare ciò che si era scrit
e, e vano riuscendo ogni rimedio, cedè la sua immortalità a Prometeo,
cui
Giove donata l’avea a patto che un immortale aves
mbra, ruotavano il capo e cozzavano fronte a fronte come montoni, per
cui
ebbero il nome di Coribanti ; si tosavano nella p
o i loro balli. I quali timpani erano falti di un cerchio di legno, a
cui
si sottoponeva un cuoio ; e si suonavano o colle
di un graticcio, sul quale s’immolava un toro colle corna dorate, di
cui
il sangue per quei forami colando, tutto aspergev
abilì nella città di Lavinia, donde Ascanio il recò ad Alba Longa, da
cui
poscia passò a Roma. Il sacro fuoco di Vesta si t
. Era di forma rotonda per significare l’universo ch’è rotondo, e nel
cui
bel mezzo stassi, come in sua sede, il fuoco, sec
dipinge con quattro facce, per indicare le quattro stagioni dell’anno
cui
egli presedeva. Nelle monete di Giano, da una par
re che Satùrno su di una nave erasi salvato nell’Italia ; o l’arca in
cui
Noè campò dal generale diluvio. X. Principali
Jupiter da’ Latini, quasi iuvans pater, per la somma beneficenza, con
cui
sopra tutte le create cose diffonde quanto ha rag
fecero Giove soggetto alle determinazioni del Fato o sia Destino, ne’
cui
libri ei ne leggeva gl’immutabili decreti, a’ qua
llo, eui Perifante avea consacrato un tempio, il cambiò in aquila, di
cui
valevasi nell’attraversare gli spazii dell’aria.
e del primo padre degli uomini, che Dio formò del fango della terra e
cui
diede l’anima e ta vita col suo soffio divino. Di
del consiglio del fratello, apri per curiosità la fatale cassetta, da
cui
uscirono in furia tutt’i mali e le colpe, ond’è l
ii, manifestandosi comandò loro di seguirlo sopra un colle vicino, da
cui
additò il paese pel diluvio divenuto un gran lago
VIII. Olimpo-Consiglio degli Dei-Via lattea-Atlante. Il luogo in
cui
Giove adunava il gran Concilio degli Dei, era l’O
ene, tutto luccicante di minute stelle, e di un notabile candore, per
cui
ha preso il nome dal latte. A destra ed a sinistr
innocente. In Diospoli, o città di Giove, era un magnifico tempio, da
cui
gli Etiopi solevan prendere le statue di Giove e
te al suolo e fu occasione di molto ridere alla celeste brigata ; per
cui
Giove la rimosse da quell’uffizio ; e per compens
n costellazione, ch’è l’undecimo segno del zodiaco, detto Aquario, di
cui
le stelle son disposte in guisa che rappresentano
luogo di Omero, dice Mad. Dacier, l’egida certamente è uno scudo, di
cui
i combattenti ricoprivano le spalle nell’andare a
però pare che per egida intenda una corazza, un’armatura da petto, su
cui
era il capo della Gorgone. Diremo quindi che per
zo, e le splendea sul petto Incorrotta immortal la preziosa Egida, da
cui
cento eran sospese Frange conteste di finissim’or
e (1) era una spaziosa ed aprica pianura, tutt’all’intorno munita, di
cui
al primo ingresso a bitavano due sorelle di stran
e di Ceto, fig. del Ponto e della Terra ; ed aveano un sol occhio, di
cui
si servivano a vicenda, sicchè or l’una vegliava,
chè or l’una vegliava, ed ora l’altra alla custodia delle Gorgoni, di
cui
eran sorelle e guardiane. Or le Gorgoni (Γοργονες
uale Giove procreò il celebre eroe Perseo (Περσευς, Perseus). Acrisio
cui
l’oracolo avea predetto che sarebbe morto da un f
a velenosa semenza, pullullarono que’ ferali e mostruosi serpenti, di
cui
l’Affrica abbonda. Giunto poi all’ estremità dell
vi sia un animale, forse il Catoblepa di Plinio (3), detto Medusa, di
cui
gli occhi hanno la virtù di far morire e quasi im
cena tre altri figliuoli di Giove, anche di grandissima celebrità, di
cui
ecco la favolosa istoria. Euròpa (Ευροπη, Europa)
omita giovenca, rispose Febo, tu ritroverai in solitaria campagna, di
cui
seguendo le orme, ov’essa fermerà il suo cammino,
tta, e prima pose stretto assedio a Megara, città vicina ad Atene, di
cui
era signore Niso, fig. di Marte, o di Pandione, r
ndo gli accorti consigli del padre, alzò troppo alto il suo volo, per
cui
il calore del solle, liquefacendo a poco a poco l
Oebalidae). Dicono alcuni che nacquero da due uova, uno immortale, da
cui
uscì Polluce ed Elena ; l’altro mortale, dal qual
evolmente in casa di Panfae, uno degli ascendenti materni di Tieo, di
cui
il poeta canta la vittoria nell’ode X Nemea, vi c
Fu pure cagione di lode per la pietà di Eaco una strana siccità, con
cui
i Numi afflissero l’Attica per punire la perfidia
edificò una città famosa, che chiamò Menfi dal nome della moglie, da
cui
ebbe una figliuola chiamata Libia, la quale, esse
nella Teucride, ove accolto dal re Teucro sposò una sua figliuola, da
cui
ebbe Erittonio. Quivi edificò una città detta Dar
ano regnò Erittonio, che Omero chiama il più dovizioso de’ mortali, e
cui
pascevano nelle praterie tremila bellissime giume
inchiusi in un antro vastissimo, ove rumoreggiano a lor talento, e da
cui
non uscivano che quando Eolo il permetteva. Ve li
pio si divideva in mille rigagnoli, era la cagione di quella verdura,
cui
Properzio aggiunge un freschissimo antro. Il suo
di Giove Ammone(1). Non contento egli del colmo dell’umana grandezza
cui
era giunto, si credeva o voleva esser creduto fig
imprese, per le cocenti arene della Libia, un malagevole viaggio, per
cui
giunse, nou senza favore de’ Numi, ad un bosco am
n bosco amenissimo, in mezzo al quale era quella favolosa fontana, di
cui
le acque allo spuntar del sole erano tiepide ; fr
asi il così detto sale ammoniaco, che ha preso il nome o dalle arene,
cui
è frammischiato, o dal tempio di Ammone, presso a
’Ercole Capitolino, l’Apollo colossale, e l’aurea statua di Giove, la
cui
destra vibra il fulmine a tre punte, e simili alt
ochi olimpici piacque a Domiziano istituire il certame Capitolino, in
cui
gareggiavano e suonatori di cetra, e poeti ed ist
, che Millin crede essere un avanzo del fusto della colonna, sotto la
cui
figura era questo Nume anticamente adorato. Si ve
carro tirato da quattro cavalli, nella destra tenendo uno scettro, la
cui
cima è ornata di un fiore, e con la sinistra scag
questa primitiva configurazione si ravvisa tuttora nel segno II, con
cui
nello zodiaco son figurati i Gemini o Gemelli(1).
Panomphaeus, πανομφαιος, omnis ominis auctor, dicesi da Omero Giove,
cui
sacrificavano i Greci per averlo propizio contro
ni dal ferino cibo di carne umana a quello più mite delle ghiande, di
cui
si cibavano prima che s’introducesse l’uso del fr
se gli poteva sacrificare(4). Tra i pianeti vi è quello di Giove, di
cui
la luce dagli Astrologi si reputa benigna e prosp
piccolo fratello, e per prezzo del riscatto diede un serto d’oro, di
cui
avea il capo inghirlandato ; percui fu il giovane
sba, sua prima moglie, sposò Ecuba, fig. di Dimante, re di Tracia, da
cui
ebbe molti figliuoli, de’ quali i più conosciuti
icare. Assai celebrate presso gli antichi furono le nozze di Peleo, a
cui
, benchè mortale, dice Omero, gli Dei diedero per
na. Quindi era tutta sua propria un’aria di maestà nel portamento, di
cui
si vanta presso Virgilio(2). Spesso a Giove ed a
τυχη da’ Greci, la quale voce non trovasi in Omero ed in Esiodo, per
cui
il nome Fortuna dovea essere sconosciuto agli ant
agnava la sposa alla casa del marito, e presedeva alla cerimonia, con
cui
la sposa ungeva la porta della casa di suo marito
Latini le davano l’asta ; ed è nota la Giunone Curite de’ Sabini, di
cui
parla Servio. Nel tempio di Platea era una statua
a delle più perfette statue vestite che l’antichità ci abbia dato, in
cui
si ammira la grazia de’ contorni, la bellezza e l
la grazia de’ contorni, la bellezza e la maestà de’ grandi occhi, per
cui
fu chiamata boope, e la sublime nobiltà de’ linea
collina, è riconoscibile agli occhi grandi ed alla bocca imperiosa, i
cui
tratti sono sì particolarmente proprii a questa D
ριστριον, ο ιματιον). La Giunone di Samo avea sul capo la corona, per
cui
chiamavasi Giunone la Regina, ed era coperta di u
ivano i suoi altari di un’erba che nasceva nel fiume Asterione, sulle
cui
rive era il tempio e la fontana Eleuteria, da cui
me Asterione, sulle cui rive era il tempio e la fontana Eleuteria, da
cui
si attingeva l’acqua solo pe’ sacrificii e pei se
toccare all’uomo. Si addormentarono essi placidamente di un sonno, da
cui
mai più non si svegliarono ; con che significò la
rva per le belle arti che vi fiorivano e per la doviziosa felicità di
cui
godeva, finge nobilmente che quando dal cervello
cque dal cervello di Giove ; e l’ingegno o la sapienza dell’uomo, con
cui
regge le cose e fa le grandi scoperte nelle scien
tene, percui cantò l’Alighieri : ……. se tu se’ sire della villa, Del
cui
nome ne’ Dei fu tanta lite, E onde ogni scienzia
o degli occhi del corpo, fosse assai veggente delle future cose ; per
cui
divenne insigne indovino per quelle contrade. Ebb
le loro preghiere. A lei si attribuisce l’invenzione del tessere, per
cui
la frase operari Minervae significa dare opera al
rasse dalla barbarie i popoli dell’Attica, loro dando delle leggi, da
cui
venne l’agricoltura. A Sais Iside era rappresenta
a Elidia, il casco di questa Dea era sormontato da un gallo, animale,
cui
piacciono le battaglie. Quello della Minerva di A
olo della fama e della sapienza ; ed un cocchio a quattro cavalli, di
cui
Minerva dicesi inventrice. Pausania parla di una
a vincitrice di un gigante, che ha steso a terra colla sua asta ; per
cui
cantò Dante : ……. vedea Pallade e Marte, Armati
no i colori dell’iride(1). L’egida(2) alle volte era come le pelli di
cui
van coperti alcuni pastori, veggendosi che Pallad
υρεσιτεχνος, inventrice di arti, dicevasi per le tante arti ed opere,
cui
presedeva. Flava Minerva, ξανθη, ηυκομος, da’ bi
oma. Glaucopide, γλαυκωπις Αθηνα, l’occhiazzurra Minerva, o la Diva,
cui
tinge gli occhi un’azzurrina luce, come traduce i
rmini. Altri credono che un’Ermatena sia un pilastro, o colonna su di
cui
veggasi allogata una testa o un busto di Minerva
ercurio Dio dell’eloquenza, dalla quale se va scompagnata la sapienza
cui
presiede Minerva, essa non è che un vano strepito
e che recata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò l’oracolo, da
cui
seppe che la città sarebbe stata in piedi sino a
Dardano nell’Arcadia, gli portò in dote il Palladio e gli Dei Penati,
cui
egli innalzò de’tempii nella Samotracia. I suoi n
a un’isola, detta Ortigia o isola delle quaglie (ορτυξ, coturnix), di
cui
quell’isola abbondava, ed era una delle Cicladi,
(da δηλος, manifestus), come la più appariscente fra le Cicladi, nel
cui
mezzo è allogata. Quivi Latona presso ad un ulivo
con Giove, uccise di saetta i Ciclopi, fabbricatori del fulmine ; per
cui
Giove lo spogliò della divinità e cacciollo dal c
le paterne acque del Peneo, fu da quel Nume trasformata in alloro, di
cui
staccò un verde ramoscello ed ornossene le tempia
un fiore del colore dell’ostro di Tiro, che chiamasi giacinto, nelle
cui
frondi, in memoria di tanto dolore volle scritte
orgiamo espressa da’poeti la forza della sapienza e della poesia, con
cui
i primi sapienti indussero gli uomini selvaggi ad
luogo nell’Epiro, assai famoso per l’esercizio della negromanzia, in
cui
erano antri tenebrosi, che parevan la via dell’in
el buon Aristeo, dalla valle di Tempe andò egli doloroso al fonte, da
cui
nasce il Peneo, ed ove la reggia era della madre
e della Frigia. Si ritrovò egli una volta presente ad una contesa, in
cui
il Dio Pan, il quale era superbo della sua maestr
rbità del suo dolore. Niobe, fig. di Tantalo e sorella di Pelope, con
cui
venuta era nel Peloponneso, sposò il re di Tebe ;
Crine sì ha una più nobile vendetta, ed una gloriosa spedizione, per
cui
Apollo meritò il soprannome di Sminteo, o sia dis
a notte di Troia ; e questa incendiata, toccò in sorte ad Agamennone,
cui
più volte disse che guardato si fosse dalle insid
aron poeta(3). Le Muse ed Apollo inspiravano i Vati ed i Cantori, per
cui
son chiamati ministri e quasi servi delle Muse. E
co dei versi e del canto. Venuto a contesa colle Muse sulla cetra, in
cui
era lodatissimo, fu vinto ed in pena privato degl
rate, conobbero le coperte insidie che loro tramava quel tristo ; per
cui
, prese le ali, fuggirono velocissime per l’aria ;
or presunzione furono le figliuole di Evippe trasformate in piche, la
cui
voce è tanto somigliante all’umana. Quindi cantò
Calliopea alquanto surga, Seguitando il mio canto con quel suono, Di
cui
le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disperar
so, il quale un giorno sull’Elicona col piede percosse una pietra, da
cui
spicciò un bel fonte di chiarissima acqua, la qua
ορυμβος. Lucian.) da’ poeti. Alle sue falde era il fonte Castalio, le
cui
acque a bere gratissime aveano virtù fatidica ; e
dintorni del Parnasso. Dirce era fonte e fiume che bagnava Tebe, e da
cui
Pindaro, il più sublime allievo delle Muse, appel
oro giardini e sacri boschetti vi eran fontane e ruscelli di mele, da
cui
i Poeti, i quali si assomigliavano alle api, succ
ne da una qualche accademia di musica da Giove stabilita in Creta, in
cui
primeggiavano nove sue figliuole, e queste furon
iamavasi un fonte di limpidissime acque sull’Acrocorinto, monte, alle
cui
radici stava la città di Corinto. Pirene, fig. di
recessi si credevano attissimi per la inspirazione della poesia, per
cui
alle Muse eran dedicati, non meno che i boschi ;
Talia, (a θαλεω, floreo), quasi fiorente, presedeva alla commedia di
cui
vuolsi inventrice, ed all’agricoltura. Tiene nell
mentino, tiene in una mano il globo, e nell’altra, una bacchetta, con
cui
facevansi le dimostrazioni astronomiche. Sulle me
e delle cose ; e secondo lo Scoliaste di Omero, le principali arti di
cui
egli era duce e maestro, furono la musica, della
itornato fosse vincitore. Così istituironsi le feste dette Teorie, in
cui
gli Ateniesi mandavano una deputazione a Delo per
la medicina(2). Quindi a lui era consacrata la panacea, erba odorosa
cui
attribuivansi virtù miracolose ed universali, det
e Tere o Terea, e Carne, e Nasso in Sicilia, e Delo specialmente, di
cui
parlando il poeta fa menzione dell’ara cornea, fa
era l’Amenofi degli Egiziani, o sia il sole nascente divinizzato, di
cui
è celebre la statua colossale in Tebe di Egitto,
si agitata da una dolce auretta intorno al divino suo capo, in cima a
cui
sembra con bella pompa dalle Grazie annodata ». Q
ale. Essendo che per Apollo e Diana intendevasi il sole e la luna, da
cui
gli antichi dicevano provenire la salubrità dell’
, da Cirra, città della Focide, presso alla quale era una caverna, da
cui
sortivan venti che infondevano un furore divino e
forie portava un ramoscello di alloro, con sopra un globo di rame, da
cui
molti altri piccoli pendevano. Queste feste si ce
zione di Roma. In essi uno scelto coro di giovanetti e di donzelle di
cui
eran viventi e padre e madre (patrimi et matrimi.
clissi di questo corpo celeste, le quali eran riputate come deliquii,
cui
esso era soggetto per la paura di quel mostro ; e
Sotto la nera selva una capace E spaziosa grotta entra nel sasso, Di
cui
la fronte l’edera seguace Tutta aggirando va con
ava una selva di alti papaveri e di mandragore, piante soporifere, su
cui
stavan de’ pipistrelli. E presso il Winckelmann(1
r due porte, una di corno, dalla quale i veraci, l’altra d’avorio, da
cui
i falsi sogni sortivano. Così dice Omero imitato
la notte. E credo che si chiamò Fascelis non dal fascio di legna, in
cui
Oreste ed Ifigenia portarono avvolto il simulacro
pina, inventore dell’agricoltura ; ed il terzo, di Giove e di Semele,
cui
i Greci attribuiscono le vittorie e le invenzioni
dice aver edificato Nisa ; il terzo, da Caprio, o Apio, o Cabiro, per
cui
s’istituirono le feste Sabazie ; il quarto, da Gi
o sembiante più cose diremo nell’articolo iconologico. Una nave(3) in
cui
alcuni Tirreni discorrevano pel mare corseggiando
ciullo a dormire quasi aggravato dal vino, vi scorse una bellezza, in
cui
traluceva un non so che di divino, tanto che se g
he Bacco stesso, presa la figura di Acete, fu presentato a Penteo, di
cui
racconteremo l’acerbo fato. Bacco era il dio del
alla foggia de’ Tirii. Fu sua delizia il canto a suon del flauto, per
cui
era fatto più per le danze e per le sollazzevoli
ce, che non fa Euripide nelle sue Baccanti. Il cieco vate Tiresia, di
cui
Penteo derideva i pronostici, gli avea presagita
memoria della morte di Erigone, ad alcuni alberi mettevan de’lacci, a
cui
sospesi erano qua e là dimenati, come si pratica
fare il vino. Di questo viaggio fu pur cagione l’odio di Giunone, di
cui
fu Bacco il bersaglio, come gli altri figliuoli d
i di Giunone, trascorse quasi tutta l’Asia seguito da un esercito, di
cui
non erasi mai veduto altro più strano. Era esso c
i un Sileno caudato, assiso su di una nebride all’ombra di un albero,
cui
è sospesa la siringa e due pive. Non so perchè in
ò che toccato avesse. Ma tal dono fu funesto all’avaro monarca, nelle
cui
mani cangiavasi in oro anche il cibo e la bevanda
rappresentano il trionfo di Bacco, dopo quella famosa spedizione, di
cui
han cantato tanti poeti, e specialmente Nonno ne’
. A questa specie di orgie appartiene la bellissima comparazione, con
cui
Virgilio(2) rassomiglia l’infelice Didone ad una
iamente Orgie, dalla parola greca οργη, furore, pe’ famosi furori con
cui
celebravansi dalle Baccanti, le qualì si cingevan
che portavano il misterioso vaglio (μυστικον λικνον)(3) di Bacco, di
cui
non potevasi fare a meno in tutte le feste di lui
i anni. In onore di Bacco si celebravano pure le feste antesterie, in
cui
i padroni doveano servire gli schiavi, e tutt’i c
cie, perchè Bistonii erano gli abitanti di una parte della Tracia, in
cui
le orgie principalmente si celebravano ; Edonidi,
egnò agli uomini l’uso del vino, ed il modo di colfivare le viti, per
cui
spesso da’poeti chiamasi il dio del vino, il pian
a ciò gli antichi credevano, essere nel vino un principio igneo ; per
cui
Bacco chiamossi Pirigeno, Lamptero ec. epiteti ch
a zioni molto indegne, specialmente di quella lieta circostanza, per
cui
fu maltrattato in modo assai strano, e fra’ Centa
a coltivar la terra e piantò una vigna ; ed avendo fatto il vino, di
cui
non conosceva la forza, ne bevve sino a restarne
, ficus.) Da alcuni l’origine della tragedia è attribuita a Bacco, da
cui
gli attori furon dettiartisti dionisiaci. A lui e
nzando avanti a lui, o sia facendo parte del tiaso, cadde e morì, per
cui
fu trasformato in edera che chiamasi pure cisso (
rna. Nella così detta casa del Questore a Pompei si vede un Bacco, le
cui
bionde chiome son cinte della solita ghirlanda di
mmutabile giovinezza, e col braccio sinistro appoggiato ad un tronco,
cui
si marita torluosa una vite con grappoli. Con la
vede una Baccante infuriata che suona il cembalo. Vi è un Fauno, dal
cui
omero sinistro pende una pelle di tigre, ed ha in
ta fu di edera. Leneo, Lenaeus pater, da λυαιος, torchio da vino, di
cui
credevasi inventore. In onore di Bacco inventore
che le scuriate che quelle strane sacerdotesse tenevano in mano e di
cui
si cingevano, non eran serpenti vivi e veri, ma f
o il Bacco in Toscana del Redi, ditirambo che può dirsi perfetto ed a
cui
nè le antiche nè le moderne nazioni hanno che opp
predetto che maritandosi sarebbe stata cangiata in altra forma ; per
cui
fuggiva di dare la mano a chicchessia ed attendev
gnata meta. In premio della vittoria sposò egli Atalanta ; ma Venere,
cui
dimenticato avea di rendere le dovute grazie, sde
di Atlante e di Esperide, fig. di Espero, ne coglievano spesso ; per
cui
Giunone li diede in guardia ad un dragone di enor
interdetto avea agl’Iddii di prender parte alla guerra di Troia ; per
cui
Giunone scaltramente ottiene il misterioso cinto
sicura con additargli non lontane le mura della novella Cartagine, in
cui
gli promette dalla regina Didone assai benigno os
ulcano a fabbricargli un’armatura che il dovea rendere invitto, ed in
cui
erano bellamente effigiati i posteri suoi e la fu
promessa mano della principessa Lavinia ; ed è vicino il momento, in
cui
coll’ uccisione del re de’ Rutuli dovea Enea stab
mpendo i patti, assale l’oste troiana, e si viene a gran giornata, in
cui
i Rutuli son messi in rotta. Nel tumulto Enea vuo
r ciò detto alato, ed aligero ; armato di strali, e col turcasso, per
cui
si chiama il faretrato Arciero. Qualche volta ved
ione. In detta città eran quelle Dee con ispecial culto venerate, per
cui
furon dette da Pindaro regine della ricca Orcomen
ie per significare che la piacevolezza, per così dire, dell’eloquenza
cui
quel nume presiede è speciale lor dono. Da Orfeo
o senza le Grazie non facevasi dagli Dei alcuna danza o convito ; per
cui
dai poeti erano esse destinate ad essere il decor
cona e fig. della musa Urania. Egli fu un nobile giovane di Atene, di
cui
fecero il dio delle nozze, nelle quali assai freq
ni studiosi del vestire elegante ; e con una face di pino in mano, di
cui
solevan far uso nelle nozze, mentre con sonora vo
nia di un certo Talassio ; e domandando molti che la rincontravano, a
cui
ella fosse menata ; coloro i quali la menavano, p
ia e l’ordine spesso deriva dalla guerra e dalla collisione (3) ; per
cui
Eraclito poneva la guerra per principio di tutte
venerata. E qui è da por mente che il maggior numero delle città, in
cui
un nume era venerato, e che avea sotto la sua tut
sotto la sua tutela, era per esso argomento di maggior dignità ; per
cui
non di rado gli Dei stessi con un certo sentiment
lebrata pel culto di quella dea. Di quest’isola era capitale Pafo, in
cui
vedeasi un tempio di Venere, nel quale, al dir di
on aveano figura umana, erano argomento di assai rimota antichità, in
cui
non ancora si conosceva l’arte di dare al legno e
on un fiore, il quale forse indicava il potere di lei su’giardini, di
cui
i Greci ed i Romani la riputavano signora. Omero
tta bellezza. Alcuni dicono ch’essa sia opera di Fidia o di Scopa, la
cui
Venere, collocata di rincontro al circo Flaminio,
dia di Prassitele. Al piede sinistro della Dea si vede un delfino, su
cui
stanno due pargoletti Amori(2). La Venere del Mus
fino della Venere Medicea ha da una parte un gran vaso da profumi, su
cui
è gettato un panno orlato di frange. La Venere Le
celesti esprimean la bellezza delle membra divine, per farsi dolci al
cui
soave contatto detto avresti di veder correre a g
Alcamente, Ateniese, di lui discepolo, ne fece anche una bellissima,
cui
Fidia stesso diede l’ultima mano. Essa era alloga
nio di que’ numi, da’ quali avea avuto origine la città di Roma ; per
cui
ne’sacrificii invocavasi Marte col nome di padre
funerali ; e Libitinariiappellavansi coloro che le custodivano ; per
cui
Libitina presso Orazio(3) si adopera per la morte
igliuolo Cupido a coglier fiori. Cupido volea superare la madre ; per
cui
s’incollerì fuor di misura, quando vide che la ni
i credeva ch’esso l’accompagnava dalla culla sino alla tomba(2) ; per
cui
fu detto da Menandro guida segreta della nostra v
e donne, e si onorava specialmente nel giorno natale di ciascuno, per
cui
fu detto Dio Natalizio (Deus Natalis)(3). Nè gli
solamente, ma i regni ed i luoghi aveano i loro Genii tutelari ; per
cui
vi era il costume di salutare una città o un luog
a fresca ed amena valletta, ov’era un fonte di limpidissime acque, di
cui
nè pastore, nè armento avea mai intorbidato la ch
insegna che Mamers nel linguaggio degli Osci significava Marte ; per
cui
la voce Mars de’Latini Latini è lo stesso Mamers
cia, chiamato Odino, assai bellicoso e che fece grandi conquiste, per
cui
fu da quel popolo guerriero onorato come il dio d
stici che servir doveano quasi di preludio all’arte della guerra, per
cui
divenne un insigne capitano, dopo che il suo educ
cole. Avea quest’eroe ucciso Cicno, fig. di Marte e di Pelopea(3), da
cui
era stato sfidato a singolar tenzone. Allora Mart
aiutò il povero nume ; ma Minerva non la trattò meno aspramente, per
cui
giacquero entrambi per mano della Dea distesi ver
n presentano alcun angolo, e per ciò detti ancili, quasi ancisa ; per
cui
ne’ carmi saliari trovasi scritto ancisia. Numa a
e loro danze e processioni erano coronate da sontuosi banchetti ; per
cui
banchetti saliari volevan dire banchetti lauti e
a il suo elmo. Questa voce poi deriva o dal verbo ενυω, uccidere, per
cui
potrebbe significare uccisore ; o da Enio, cioè B
o Giunge e al campo Troian. Qui prende il volto Di regal giovinetto a
cui
fioria Del primo pelo la venusta guancia. Monti.
ro insegnato da Orfeo, che l’avea, appreso dagli Egizii. L’Oceano, di
cui
parla Omero, era il Nilo : le porte del sole vogl
d i certami ginnastici. Palestra era fig. di Mercurio, o di Ercole, a
cui
debbesi l’invenzione della palestra. Altri dicono
così detto per vedersi spesso nell’inferno a trattar colle ombre, di
cui
era il conduttore. Enodio, Viale (ab εν, in, et
oracolo. A Claro l’oracolo di Apollo era una caverna ed un fonte, di
cui
bevendo l’acqua, predicevano il futuro ; la vita
da Virgilio(2) era un antro immenso scavato nel fianco di una rupe, a
cui
si andava per cento vie e cento porte, dalle qual
le, era sopra una montagna, in un recinto fatto di pietre bianche, su
cui
si alzavano obelischi di rame. In questo recinto
orno, fatta a scalpello. Quivi aprivasi un pertugio assai stretto. In
cui
scendevasi non per gradini, ma per picciole scale
nza alcun cemento, grandi e grossolani massi di forma irregolare, per
cui
adoperavano piccole pietre, per empiere i vani ch
sette e congiunte con cera ; il quale era diverso dalla sampogna, con
cui
per altro spesso si confonde. Or vi furono tre ma
ritrovò Mercurio ; l’altro di più cannucce formalo (πολυκαλαμος), di
cui
fu inventore Sileno ; ed il terzo in cui le cannu
ce formalo (πολυκαλαμος), di cui fu inventore Sileno ; ed il terzo in
cui
le cannuce si uniscono colla cera ; l’invenzione
ne , fu per pietà delle ninfe sorelle, cangiata in palustre canna, di
cui
Pan formò la fistola che dal nome di quella ninfa
anto celebrati da’ poeti. Orazio (8) per significare Pan dice il nume
cui
piacciono gli armenti ed i piniferi monti di Arca
a ov’era in particolar modo venerato. A lui era consacrato il pino di
cui
portava inghirlandato il capo, come anche facevan
lui compagni, Vengan con le zampogne a schiera a schiera. Fauno, di
cui
si parlò nell’articolo di Saturno, detto pure Fat
preso un Satiro che dormiva a terra, di quella sembianza appunto, in
cui
viene dai pittori rappresentato(2). Il recarono a
ui viene dai pittori rappresentato(2). Il recarono a Silla, innanzi a
cui
dimandato chi egli fosse, proruppe in una voce ch
cciali, fu nominata una rappresentazione da’ Greci detta Satirica, di
cui
servivansi per rallegrare gli animi dopo la trage
acevan dono alle Ninfe. Le Ninfe poi erano alcune deità subalterne, a
cui
non attribuivasi l’immortalità, ma solo una vita
vano in bellezza. I luoghi lor consacrati eran tempietti, o antri, da
cui
spicciava qualche polla di fresche e limpide acqu
mbroso che chiama abitazione delle Ninfe, formato da due scogli ed in
cui
erano dolci acque e sedili scavati nel vivo sasso
rici degli alberi, che vivevano e morivano con queglistessi, sotto la
cui
corteccia eran rinchiuse. Il nome di Driadi però
ntano a cavallo. Secondo Varrone essa fu un’antica Dea de’ Sabini, di
cui
T. Tazio introdusse il culto a Roma. Nel Museo Bo
ciò chiamasi Lampsaceno (1). Forse egli era il nume dell’agricoltura,
cui
Tibullo (2) offeriva i primi frutti della villa.
secondo alcuni, era un Dio, e al dir di Ovidio, una Dea de’ pastori,
cui
facevan voti pel felice parto del gregge ed affin
zioni. Numa il fece adorare sotto la figura di una pietra quadrata, a
cui
si facevan sacrificii in ogni anno ; alle volte e
dette da’ Romani sementine, che si celebravano dopo la semente, ed in
cui
si offeriva a Cerere ed alla Terra anche del farr
insegnò l’uso del frumento. Vi fu già un tempo, dicevano i poeti, in
cui
gli uomini, selvatici ancora, durando lor vita ne
suoi viaggi, assetata la povera dea, andò ad una rustica casuccia, da
cui
, picchiando, vide uscire una vecchia che al chied
ni ricchi di alberi fruttiferi, ne colse una bellissima melagrana, di
cui
mangiò sette granelli. Ascalafo, fig. dell’Achero
e gli altri sei mesi ch’era colla madre, significavano i sei mesi, in
cui
la semenza germoglia in piantoline, matura ed è m
la terza, Aloea (αλυα, area) che celebravasi ogni anno nel tempo, in
cui
trebbiavasi il grano. Ma la più celebre era quell
randi misteri, per ammettersi Ercole che n’avea fatta la dimanda ed a
cui
niente potea negarsi, s’istituirono i piccioli mi
nsacrata, nel bel mezzo della quale era una ramosa quercia, intorno a
cui
le Driadi facevano i loro balli, e che di una Dri
re. Alma (ab alo), soprannome di Cerere inventrice del grano con
cui
gli uomini si alimentano. Aloea (αλως, area), pe
Vergine, perchè questo segno del zodiaco cade nel mese di agosto, in
cui
la messe suol esser matura ; e perciò la Vergine
vola ed è candida. Qualche erudito crede che venga da Tubalcain, con
cui
ha una manifesta somiglianza. Dicevasi pure Mulci
; ma Cicerone(2) annovera molti Vulcani ; il primo fig. del Cielo, da
cui
e da Minerva nacque Apollo, protettore di Atene ;
ccoglienze, volenteroso si accinge all’opera e fabbrica uno scudo, di
cui
Omero fa una descrizione ch’è il più bel pezzo di
Era insorta fra Giove e Giunone pericolosa contesa pel fatto di Teti,
cui
Giove promessa avea la vittoria de’ Troiani, onde
ompose l’ire de’ coniugi, porgendo alla genitrice un tondo nappo, per
cui
….. la Diva dalle bianche braccia rise, e ne riser
Vulcano, il quale, all’invito della madre, un vasto foco accende, di
cui
la vampa si rivolge contro il fiume, il quale «
escrive la forza del fuoco, simboleggiato sotto il nome di Vulcano, a
cui
niuna cosa o nume vale a resistere. Degno fig. de
osa o nume vale a resistere. Degno fig. del Dio del fuoco fu Caco, la
cui
favola appartiene agli antichi popoli d’Italia. E
ava un antro, donde usciva per uccidere e spogliare i viandanti, e la
cui
bocca era chiusa da un sasso grandissimo, ivi fer
dauro, città del Peloponneso. Teseo l’uccise e gli tolse la clava, di
cui
poscia fece uso egli stesso. Cercione, ancora, fi
e il vero o mentisse. Vulcanalia erano feste in onore di Vulcano, in
cui
i Romani facevano un picciol saggio del loro stud
e da Latona ; e la terza, fig. di Upi e di Glauce. Quella adunque di
cui
si parla comunemente, è la fig. di Giove e di Lat
se tante lagrime da farne un fonte che portò poscia il suo nome ed in
cui
dicesi che fu ella convertita. Nè meno funesto fu
unire coloro che l’oltraggiavano. Ed i sacrificii di vittime umane di
cui
si compiaceva, ce la fanno credere anche crudele.
uscire dalla terra. Orione da Giove fu posto fra le costellazioni, il
cui
levare e tramontare suol essere accompagnato da p
talità. Oltre Castore e Polluce, Giasone, Piritoo e l’amico Teseo, di
cui
dicevasi che non vi era impresa senza Teseo, vi e
’ucciso cinghiale. Nel Museo Borb. si ammira un dipinto di Pompei, in
cui
vedesi al dorso di una montagna su di una colonna
contrade capitato ; e che quella vergine credeva essere Ifigenia, di
cui
e di Oreste ecco la celebre favola. Agamennone a
Beozia sull’Euripo. Allora si consultò. Calcante, indovino, senza il
cui
consiglio non fu in quella guerra intrapresa cosa
molta amorevolezza e lo fece educare con Pilade, suo figliuolo ; per
cui
fra questi due principi si strinse un’amicizia si
este ; piombano sopra di lui le furie infernali armate di serpenti, i
cui
occhi infiammati stillavano sangue ; e notte e gi
lo di Cibele. Nella Scizia fu adorata sotto il nome di Diana Taurica,
cui
si offerivano vittime umane ; passò nella Grecia
o celebre per prodigiosa forza, o per una serie di belle azioni, ed a
cui
dopo la morte prestavansi onori divini. Davasi po
vuolsi, Ercole fu il primo de’mortali adorato in vita per Iddio ed a
cui
furon fatti tempii ed altari ; e chiunque era for
ideale della fortezza e della ferocia portata oltre l’ordinario ; per
cui
, parlandosi di uomo robustissimo, suol dirsi ch’e
vedendosi gravato di tante pericolose imprese, consultò l’oracolo, da
cui
ebbe risposta, essere volontà degl’Iddii che serv
lita, regina delle Amazzoni, il quale diceasi la cintura di Marte, di
cui
ella era figliuola. Ercole, ricevuto il comando d
pente, e poscia in toro ; ma Ercole lo vinse e gli tolse un corno, di
cui
le ninfe, dopo averlo ripieno di frutti e di fior
a Megara, il quale rappresentava la pugna di Ercole coll’Acheloo, in
cui
Marte era dalla parte del fiume, e Minerva, da qu
scono a quest’eroe che troppo lungo sarebbe qui riferirle tutte ; per
cui
ora della morte di lui favelleremo. Ercole, per c
acolo, abitar dovea nella città di Tirinto ch’era vicina ad Argo e da
cui
fu detto Tirinzio(1). Or viaggiando colla moglie
o di lei. Ma a quel sangue era misto il veleno dell’Idra di Lerna, di
cui
eran tinte le saette dell’eroe. Or dopo qualche t
e coppiera di Giove. L’albero consacrato ad Ercole era il pioppo, di
cui
si coronavano i suoi sacerdoti e gli eroi che ave
ξ, αιγος, capra). Il quale, per instigazione del padre, uccise Atreo,
cui
successe nel regno Agamennone che fu potente e ri
ie Clitennestra. L’unico figliuolo rimasto ad Agamennone fu Oreste, a
cui
nel trono di Argo successe Pentilo, a lui Adrasto
dione fu Eretteo, stimato il più possente principe di que’tempi ; per
cui
Borea, re di Tracia, bramando di stringere con lu
rare sul trono orbo com’era di figli, consultò l’oracolo di Delfo, da
cui
ebbe sì oscura risposta che, non bastandogli l’in
alberare la vela bianca ch’era il convenuto segno della vittoria. Per
cui
Egeo, vedendo le vele nere e credendo il figlio d
e durò anche dopo la morte, essendosi separate le fiamme del rogo, su
cui
si bruciavano i loro cadaveri. E questa fu la pri
e, avendo domandato al nipote che dovesse mai fare di una persona, da
cui
esso per detto dell’oracolo avesse a temere la mo
otto il nome di Argonauti, de’quali nomineremo i principali ; Tifi, a
cui
Giasone affidò il timone di quella nave e che mor
alle Amazzoni, delle quali era regina Issipile, moglie di Toante, da
cui
furono que’ prodi assai cortesemente accolti. Ind
e diedero l’onore di magnifica sepoltura a quel principe infelice, da
cui
erano stati così amorevolmente trattati. Poscia f
mero merita di esser tenuto per la più antica storia della Grecia, di
cui
i primi tempi sono sepolti nell’obblio, per non e
ento dell’assedio, fu il campo greco percosso da grave pestilenza, di
cui
l’origine da Omero(1) è attribuita ad Apollo ; pe
quali nozze fu dalla Discordia sulla mensa gittato il fatal pomo, di
cui
si è nella prima parte favellato. Teti, appena na
; allorchè, avendo udito che in una zuffa Patroclo, fig. di Menezio,
cui
Achille avea promesso di riportargli sano e salvo
Pallade(3), fabbricano un cavallo di legno di smisurata grandezza, di
cui
fu fabbro Epeo, fig. di Panopeo, atleta, architet
el partito de’ Greci contro i Troiani ; e bellissimi sono i versi con
cui
il gran poeta il descrive nell’atto di recarsi a
se, secondo Millin, non era che un istrumento da prendere i pesci, di
cui
anche al presente fanno uso i greci pescatori. Ce
are ch’essa sia nata da un tremuoto. Da ciò si scorge la ragione, per
cui
egli chiamavasi Ennosigeo, cioè colui che fatrema
entura, alla loro spiaggia approdò Ulisse, quivi regnava Antifale, la
cui
moglie, dice Omero, era alta come una montagna. E
di, ovvero Oceanine, ch’erano tremila, secondo lo stesso Esiodo ; per
cui
da Catullo(2) vien detto padre delle ninfe. Lo tr
olo col suonare una conca marina ritorta e fatta a foggia di cono, di
cui
anche gl’ Indiani si servivano in vece di buccina
fig. di Nereo e di Dori ; e quindi una delle Nereidi ; e Melicerta di
cui
Ovidio(2) ha bellamente descritta la trasformazio
rupe del promontorio Lecheo. Nettuno allora, ad istanza di Venere di
cui
Ino era nipote, perchè fig. di Armonia, li trasfo
zzato dalla robustezza, dallo sguardo fiero e dall’atteggiamento, con
cui
tiene un piede sulla cima di uno scoglio : allusi
bondanza arrecala da una prospera navigazione. Sopra una medaglia, in
cui
la vittoria comparisce sulla prora di una nave, s
tuno Padre(1). Neptunus redux, cioè che riconduce a buon porto, ed a
cui
i marinari offerivano sacrificii in rendimento di
che Virgilio abbia confuso questa Scilla con l’altra fig. di Niso, di
cui
si è parlato nella prima parte. Nè questo poeta è
Greci chiamavasi Αδης, o Αιδες, da α privativo ed ιδειν, vedere ; per
cui
Aide dinota un luogo tenebroso, o secondo la fras
ti nel centro della terra, per servire di eterna prigione a coloro, i
cui
delitti non erano espiabili. Lo chiamavano Erebo,
ere di quei luoghi era assai crasso e coperto di perpetua nebbia, per
cui
di rado godevano della vista del Sole. percui ten
e Enea offrì sacrificii agli Dei Mani e come ottenne l’aureo ramo, di
cui
non poteva fare a meno chi volea penetrare nella
secondo il poeta, ha in tutto la sembianza di un’orrenda prigione, in
cui
Radamanto ha la soprintendenza, Tisifone è il car
comune li pone in alcune isole dell’Oceano dette Isole Fortunate, di
cui
anche Pindaro fa menzione. Or gli antichi poeti n
e sempremai siede allato a Saturno, padre de’numi e marito di Rea, il
cui
trono si eleva al di sopra di tutti gli altri. Pi
e debban passare il fiume Slige su di una barca guidata da Caronte, a
cui
ciascuna di esse dar debbe una moneta per nolo. C
ne l’entrata a’ vivi, e l’uscita a’ morti. Le ombre però di quelli, i
cui
cadaveri eran rimasti insepolti, errano per cento
rosi si fingevano da’poeti ; ed avvedutamente Omero fra le tenebre di
cui
erano i Cimmerii eternamente coperti, pose il suo
Greci chiamarono Aornos, perchè gli uccelli ne fuggivano le rive, da
cui
uscivano vapori pestilenziali, oggidì ve li trae
inferno. Il Cocito era formato dalle lagrime de’malvagi. Lo Stige, le
cui
ripe appellansi da Properzio sorde, cioè inesorab
pi, avendo esse virtù di far dimenticare interamente il passato ; per
cui
dicesi anche fiume dell’oblio. Quindi il Petrarca
olte dicevansi esser comparsi ai viventi, erano le Larve ed i Lemuri,
cui
si offrivano cibi e si preparavano mense su i sep
che Virgilio (2) ci descriva il Tartaro come una orrenda prigione, in
cui
Radamanto, a guisa de’Triumviri capitali de’Roman
casa di Plutone. È noto infine che questo gran principe di Creta, di
cui
abbiam parlato nell’articolo di Giove, dettò legg
folte tenebre circondato, stava sul capo di quell’eroe. Or le nubi di
cui
il sole nell’inverno è sempre coperto, hanno senz
le osò ferire di saetta lo stesso Plutone alla porta del Tartaro, per
cui
diede grida di grandissimo dolore, e ne fu guarit
che portava Pluto o Plutone in grembo, per dinotare che le ricchezze
cui
questo Dio presedeva, sono il frutto della pace.
quel nume. Lo stesso Ovidio chiama neri i cavalli di questo nume, di
cui
la cura era affidata ad Aletto, che facevali pasc
vita umana(2) ; ed aveasi per arbitra della vita e della morte ; per
cui
non solo si chiamava Giunone Lucina, come quella
damenta. Ma le Parche arrestano le sue minacce e con quelle mani, con
cui
regolano la serie fatale delle cose, distornano l
e di ricondurre Proserpina sulla terra, allorchè giungea l’istante in
cui
il Destino le avea permesso di ritornare fra le b
ro, erano riguardate come padrone dispotiche della sorte di tutti, di
cui
regolavano i destini, in guisa che quanto avviene
he che, volgendo i loro fusi, cantano gli eterni decreti del Fato, di
cui
erano ministre(2). Da un verso del lodato poeta(3
forse per dinotare che anche questo nume era soggetto al Destino, di
cui
le Parche erano ministre. Nel palazzo Pitti a Fir
per leggervi il fato di Giulio Cesare. Questa specie di archivio, in
cui
la fatale serie delle cose vedevasi registrata, s
i servono del ministero degli uomini per togliere la vita a coloro di
cui
è compiuto il corso. Così elegantemente Virgilio(
che con immutabile volontà regolavano(4). Per significare un uomo, di
cui
la vita fosse stata una serie di sventure, diceva
vede col calato sul capo, il qual vaso o paniere simile a quelli, di
cui
servivansi in Grecia per coglier fiori, era simbo
ve si è detto. Libera, lat. Libera, così detta da Libero o Bacco, di
cui
si voleva sorella. Libitina, lat. Libitina, Dea
vuol dire che quelle Dee regolano l’armonia maravigliosa di esse, in
cui
consiste l’ordine ed il sistema dell’universo. A
educato nella scuola di Dio, onde potè aver lo intuito della Idea, da
cui
nacque la vera religione — L’uomo cadde da questo
ragionamento — Si dimostra come i miti furono creduti come una messe,
cui
ognuno può porre la falce, e dar loro diversi sig
one della favola — divisione della favola secondo il diverso obbietto
cui
ha le sue mire. Tempo già fu, che dilettando i p
portare in mezzo alcune nozioni preliminari, onde additar le cagioni,
cui
dalla religione primitiva dell’ Vno si venne a qu
sostanziale, non si pone dagl’incauti che un teocosmo, un panteismo,
cui
togliendosi via ogni concepimento di creazione, c
sempre la forza primitiva di sua mente, non manteune il culto civile,
cui
chiamollo il Creatore, ma si disperse nella gran
l suo amore ; ora la desolazione di una madro fa un Dio del figlio, a
cui
la natura ha tolto addivenire un’uomo ; ora un pa
tesso amante Era quel fior ; quell’altro al sol converso Vna ninfa, a
cui
nocque esser gelosa ; Quel lauro onor de’ forti e
ella. Ebbero un giorno e sentimento e vita. 5. E non era obbietto a
cui
non fu posto preside un Dio. Invero i romani a ci
re un nume peculiare. S. Agostino rimproverando la turba degl’ Iddii,
cui
quegli affidavano, onde promettersi eterna felici
Vallonia. Nè fu loro dato ritrovare una Segezia(3) di tanto potere, a
cui
una volta affidassero le biade ; ma fecero presed
ro della terra, nelle monete o medaglie faceva imprimore un globo, su
cui
poggiava una vittoria alata con in mano una coron
ca con questi due miti la leggerezza, la vanità delle nozze naturali,
cui
un tempo l’uomo congiungevasi alla donna, come le
ndono di venire a connubio con Penelope : non era questo che un mito,
cui
intendevasi l’appropriato dominio de’campi, e le
rmettevano alla plebe, e ciò da una delle leggi delle XII. Tavole(1),
cui
presso gli antichi romani era vieto a’plebei impa
tal ragione si finsero essere il cielo come un’immenso corpo animato,
cui
donarono il nome di Giove, che con lo vibrar de’f
orze, un essere gigantesco, che per tale possanza dissero Messimo, di
cui
credevano riempiute tutte le cose, Iovis omnia pl
iute tutte le cose, Iovis omnia plena, concetto tutto panteistico, da
cui
tragge gli esordii quello emanatismo, con cui ora
o tutto panteistico, da cui tragge gli esordii quello emanatismo, con
cui
ora va contaminandosi la vera filosofia in non po
li esistenti, e gli esistenti furono deificati, e soprattutto coloro,
cui
la utilità pubblica andò debitrice di singolari s
rovati necessarii alla vita, di conquiste, di vittorie, di trionfi, a
cui
tengono dietro la gloria e lo splendore delle gen
generi d’Iddii, uno come un comento de’poeti, e chiamollo nugatorio,
cui
si fingono degl’ Iddii molte cose indegne ed avve
inate a talento, ognuno ha creduto i miti e le favole come una messe,
cui
può mettersi impunemente la falce, e scoprirvi ci
ioni, o va a seconda de’suoi studii. Lo istorico discoprendo il velo,
cui
vanno avvolti i miti, vi trova gli elementi e la
no e della Notte, con una maschera in volto e splendidamente vestita,
cui
va compagna indivisa la menzogna occupata a contr
li, e così può chiamarsi la favola di Leucotoe cangiata in albero, da
cui
tragge fuori lo incenso ; o quella di Clizia muta
ologia di Giove e come da questa si trae la interpetrazione del mito,
cui
si scopre esser quegli l’etere o l’aere sparso da
cchezze della terra, od il sole o l’aria. 20. Apollo — varie maniere,
cui
lo rappresentavano gli Egizii, onde si scopre non
n mente degli Egizii. 30. Vulcano — è una personificazione del fuoco,
cui
traggonsi molti vantaggi — (31). Sentimento della
cui traggonsi molti vantaggi — (31). Sentimento della scuola stoica,
cui
con Vulcano può intendersi l’anima del mondo. 31.
el mondo. 31. I Ciclopi compagni di Vulcano, allegoria del loro mito,
cui
intendonsi gl’igniti vulcani — traslato de’fulmin
il mare, le acque ; Vulcano il fuoco, esprimendosi i tre elementi, di
cui
si credeva esser composte le sostanze delle cose
ov’è terra, dov’è mare : è Giove tutto ciò che vedi, tutte quello per
cui
ti muovi. E non è l’aere uno degli immensi ricett
zo in mezzo alla fronte ; perciocchè oltre la idea dello scultore, da
cui
fu fatto, per indicare lo impero di Dio sul tripl
tri a questa voce danno il significato di aprire ; poichè il vino, di
cui
egli fu l’inventore, bevuto oltre misura, apre gl
cose che nascessero da lui ; perciocchè i semi ritornano nel luogo da
cui
son nati ; e quando si disse che a lui fu present
raccontarono alcuni miti, che furono esposti da Tullio, i concetti di
cui
noi qui voltiamo nella nostra favella, soprattutt
come un carattere poetico, onde significarsi tutte le virtù nautiche,
cui
andarono celebrati non pochi nocchieri, e furono
le d’inverno, o del giro del Sole per tutto quel periodo di tempo, in
cui
questo pianeta percorre la parte inferiore dello
al sentimento di Porfirio in un frammento riportato da Eusebio(3), in
cui
dice esser Plutone il Sole, che nel Solstizio d’i
do si disse ne’miti di questo nume non è, che un traslato allegorico,
cui
si vuole intendere il Sole, onde fu creduto il Di
; ma onde dar maggior peso a questo dettato daremo alcune nozioni, da
cui
scorgerassi, non essere Apollo che il pianeta del
ico calore. A canto a lui facevano distendere le ali d’un’aquila, con
cui
volevano dare un’immagine dell’etere emanante dal
, fingendosene la favola, ma perchè il sole pascola tutte le cose, di
cui
è produttrice la terra, onde non di un solo, ma d
ti raccontati di questo nume non sono che una perfetta allegoria, con
cui
si vuole indicare il corso apparente del Sole, ed
on un caduceo in mano, che il poeta della lliade chiama verga dorata,
cui
andavano attorti due colubri, e fu creduto essere
doli col tocco della sua verga. Questo mito non era che un’allegoria,
cui
con il caduceo intendevasi il radiar del Sole, ch
ve in vacca, onde trarla al furore di Giunone : è questo un mito, con
cui
si voleva dare un’emblema del cielo, ove a notte
ge nella verga divina, parola reale degli auspicii, ch’è la verga con
cui
Mercurio richiama le anime dall’Orco, come narra
Nacque questo Dio in mente de’Greci, onde personificare il fuoco, da
cui
l’uomo sa trarre molti vantaggi. — Il fuoco, dic
consorte Venere, la più bella infra le Dive ; perciocchè le arti, di
cui
egli credevasi inventore acquistano grazia e bell
inerva, Dea della sapienza e delle belle arti — cioè che il fuoco, di
cui
si servono le arti, sia stato un mezzo a dar fuor
loro ufficio. 52. Le Muse non erano che personificazioni allegoriche,
cui
intendevasi la poesia, la musica, la danza ec. In
concetti del poeta, senza sfuggirne veruno, io vi trovo un’allegoria,
cui
sotto il nome di Giunone si intese dagli antichi
sorella e consorte di Giove, per la prossimità dell’aria con l’etere,
cui
, come dicemmo, intendevasi Giove, onde fu nomata
corso alle donne ne’dolori del parto. Ma di questi e di altri titoli,
cui
questa Diva era onorata dai greci e da’latini, è
utta propria dell’agricoltura. Col carro si voleva indicar lo aratro,
cui
coltivasi la terra — con Trittolemo, che guida il
una più estesa interpetrazione. È desso un trastato tutto allegorico,
cui
si vuole intendere l’agricoltura, onde viene a no
parti della terra è intenta a produrre Proserpina, ossia il frumento,
cui
ella si confonde. Proserpina fu tenuta per impero
venti. Si volle nata dalle onde del mare, posciachè la generazione di
cui
ella era tipo, per aver luogo ha bisogno di umore
eno nelle onde del mare. Ella fu detta Αφροδιτη, ed è quella potenza,
cui
son prodotti il maschio e la femmina. Ed Euripide
he vennero a lei rivolti. Sposa del Dio del fuoco, di quel Vulcano, i
cui
antichi altari ivano del pari con quelli di Prome
co, con il turcasso, e seguita da cani. Era questa una simbolica, con
cui
volevasi indicare come questo pianeta, ora siegue
nviolabile, o nulla può nascere dal fuoco, anzi distrugge tutto ciò a
cui
si appicca(2). 49. A Vesta si consacrava un fuoco
so : non è questa, dice Plutarco, che un’accusa tutta allegorica, con
cui
voleva intendersi di aver egli spostata la terra
ar sempre cacciando per le selve, pe’monti, chè le scienze e le arti,
cui
presedevano, per coltivarsi con esito cercano sem
co e Venere, o in fine del Sole e di Egle. La freschezza di gioventù,
cui
dipingevansi, la verginità, le sembianze, il port
ianze, il portamento, che loro si dava, il carattere, il nome istesso
cui
eran chiamate, altro non erano che una simbolica
ran chiamate, altro non erano che una simbolica ed una allegoria, con
cui
si voleva esprimere i più preziosi beni, tutti i
i una a’miti di Bellorofonte e di Cadmo. 57. Ercole uccide Gerione, a
cui
la favola da’tre corpi, interpetrazione di questo
ia. 60. Ercole personaggio allegorico — Concetti di un inno di Orfeo,
cui
scorgesi essere Ercole non altro che il Sole. 61.
zza ; e non surse nella mente de’poeti, che come un carattere eroico,
cui
furono altribuite innumere e strepitose fatiche,
e dalla bocca desse lo incendio alla selva Nemea. Era questo un mito,
cui
s’intendeva che Ercole, carattere eroico disgombr
iante di tre colori, di nero per esprimere la gran selva della terra,
cui
fu appiccato lo incendio, per mettersi a coltura
e mandasse alla terra i denti, onde sursero uomini armati : concetti,
cui
con un vero traslato si volevano indicare i legni
ose fatiche di Ercole è ancora la vittoria riportata su di Gerione, a
cui
la favola attribuisce tre corpi, quando essendogl
o territorio oppose ad Ercole ; oppure, che egli avesse tre fratelli,
cui
vivesse in tanta strettezza di amor fraterno, che
e portare questa interpetrazione — Con Gerione intendersi il fulmine,
cui
fu dato tal nome per indicarsi lo strepito, che s
Dei, ed egli improntava questo sentimento dalla scuola Pitagorica, in
cui
fu creduto essere Ercole la forza della natura. E
to ancora Astrochitone, che porta il significato di adorno di stelle,
cui
altro non intendevasi, che il tempo, quando il So
posare — risponde al passar del sole nel Saggittario, sacro a Diana,
cui
sorgeva un tempio a Stinfalo, e questo pessare è
le mani di Aristeo, figlio del fiume Peneo. X. Ercole vince Gerione,
cui
la favola da tre corpi, e ne conquista i suoi buo
sacri riti qualche Dio, onde per lui si desse l’accesso a quel Nume,
cui
sacrificavasi, come se egli trasmettesse per le s
. Tvtilina e Tvtano — Portavano questo nome dalla tutela delle cose,
cui
si facevano presedere. Varrone dice, che questi D
rcondate da un sacro bosco, appresso il quale trovavasi un altare, su
cui
i parenti e gli amici si recavano a fare in certi
dmo, che con una pietra nascostamente colpisse uno di coloro. Quegli,
cui
essa arrivò, credendo che fosse stata scagliata c
llerante di vedere divenuta sposa di uno straniero quella giovine, di
cui
egli ne ambiva il possesso, assistito da varj par
eo, re d’Elide, si rendette da Nettuno, trasformato nel fiume Enipeo,
cui
ella amava, madre di due figli, Pelia e Neleo. El
e Pelia, al vederlo con un piede ignudo, si rammentò tosto di ciò, di
cui
l’Oracolo avealo minacciato(a). Tentò quindi ogni
l Tosone, o Vello d’oro(4), che Frisso stesso avea colà portato, e di
cui
Eeta, figlio del Sole, e della Ninfa Perseide(5),
si trasferì a Cizico, città situata a’ piedi del monte Dindimo, il di
cui
re era Cizico, figlio di Eneo e di Eneta(e) (19).
o dolore, e volle espiarsi con sacrifizj, fatti alla madre degli Dei,
cui
alzò un tempio sul monte Dindimo, donde derivò al
contro Giasone. L’Eroe scagliò nel mezzo loro una grossa pietra, per
cui
di tale furore si accesero, che, abbandonato l’as
d’averlo fatto in pezzi, ne sparse le membra quà e là per la via, per
cui
Eeta era per passare, affinchè la cura di raccogl
lo ebbe dinanzi a se, lo scannò, e poi la immerse in una caldaja, in
cui
eranvi mescolate certe erbe. Ne uscì un agnellett
si riposava sulla spiaggia del mare all’ombra della nave stessa, con
cui
avea fatto il famoso viaggio, spirò sotto il peso
giorno non illuminò la terra, affinchè fosse triplicata la notte, in
cui
dovea nascere questo Eroe : dal che ne avvenne, c
e per questo motivo fu poscia venerato da’ Tebani(b). Nel momento, in
cui
nacque Ercole, il tuono con raddoppiato strepito
Abdero. N’ebbe gran dolore, e accoppò quegli animali colla clava, per
cui
acquistò il nome d’ Ippottono Alzò poi una tomba
sso il fiume Eridano in una spelonca. Elleno lo inviarono a Nereo, da
cui
ne venne istruito. L’ Eroe uccise il Dragone, che
i Nettuno e della Terra, ere della Libia, era un formidabile gigante,
cui
si davano sessanta quattro cubiti d’altezza. Egli
terra, sua madre, questa sempre gli somministrava forze maggiori, per
cui
compariva più furibondo di prima. L’ Eroe se n’ac
gito d’uno di quegli animali rubati venne in cognizione del luogo, in
cui
gli stessi erano stati trasferiti. Egli spezzò su
o, nativo dell’ Isola di Cea, e famoso Sofista, pubblicò un libro, in
cui
fanse che ad Ercole sieno apparsi la virtù e il P
enò il mare con dighe, appianò montagne, aperse pubbliche strade, per
cui
ne fu tenuto qual Dio, e si confuse con Mercurio.
22). Ei mangiava, come abbiamo altrove osservato, i buoi intieri, per
cui
venne sopranom’nato anche Bufago, ossia mangiator
alato servigio diede in moglio all’ Eroe la sua figliuola, Megara, da
cui
nacquero Lamio, Creonziade, Terimaco, e Deiconte
vegliò anch’ella ; e acceso il lume, Pane, che si lagnava del dolore,
cui
soffriva, divenne soggetto delle comuni risa (b).
in qualità di servi (a). Ercole finalmente donò ad Onfale l’ascia, di
cui
ne andava armata l’Amazone Ippolita(29). Ritornan
leno dell’Idra. Sofferì, finchè potè, l’ardore del fuoco venefico, da
cui
internamente veniva cruciato, ma il dolore e lo s
dolente madre col figlio, li riconobbe, e liberolli dal pericolo, in
cui
si trovavano (d). L’Eroe aveva amato altresì Pire
ione, lasciò la giovine incinta. Pirene mise al mondo un serpente, di
cui
ne concepì sounno orrore ; e temendo l’ira del pa
llo(34), e Tlepolemo(35). Fu pur caro ad Ercole il fanciullo Elacato,
cui
gli Spartani celebravano le feste, dette Elacatee
l Gran d’Ercole, custode del Circo ; ed uno presso il Foro Bovino, in
cui
non entravano mai nè cani, nè mosche (e). Ebbe pu
a). Filottete poi sulle ceneri d’Ercole aveva ciretto un sepolcro, su
cui
gli si offerirono molti sacrifizj. I Tebani pure,
arj popoli imploravano la di lui protezione in tempo di malattie, per
cui
egli acquistò il nome di Alessicaco(a). Finalment
onno la visione, Miscelo per lungo tempo stette dubbioso sul partito,
cui
doveva appigliarsi. Ercole lo voleva fuggiasco, e
ole alla sua corte, l’Eroe indico a’ due predetti vecchi il modo, con
cui
voleva essere adorato. Esso consisteva nel fargli
diante la protezione d’Ercole restò liberato dalla fiamma d’amore, di
cui
ardeva per Cigno : lo che talmente avvilì l’ogget
nel lagò di Canopo, e venne convertito in Cigno (a) (39). L’Eroe, di
cui
finora abbiamo parlato, rappresentasi di figura g
traloro, perchè Pitteo era fratello di Lisidice, madre di Alcmena, da
cui
, come vedemmo, era n ato Ercole(a). Teseo se ne a
to Corinete, perchè portava una clava, detta in greco corine (3), con
cui
uccideva i passeggieri(b). Colui voleva arrestare
rpo, squarciato in due. Teseo fece soggiacere colui alla pena stessa,
cui
egli aveva sottomesso gli altti(a). Perigona, fig
in Atene, la sottrasse al barbaro non meno, che ignominioso tributo,
cui
essa per la terza volta doveva pagare a Minos II,
rono nella dura necessità di segnare col re Megarese un trattato, per
cui
si obbligarono di mandargli ogni nove anni(c), ov
egli fece, e la Dea tosto gli comparve sotto la figura di capra, per
cui
acquistò il nome di Epitragia(a). Non appena Tese
ausania poi soggiunge aver altri preteso, che lo abbia ajutato Diana,
cui
perciò Teseo eresse un tempio in Trozene(f). L’Er
cittadini inviati si appellavano Teori o Deliasti, e il vascello, su
cui
partivano, denominavasi Deliade o Teoride(17), ed
ollo. Alcune giovanette facevano poi intorno all’altare una danza, in
cui
rappresentavano gl’intricati giri del Labirinto.
ai poteva riuscirvi, una vela bianca, mentri le vele del naviglio, su
cui
si spedivano in tribato i fanciulli, erano tutre
ici. Finalmente ridusse l’ Attica à Repubblica, creò un Consiglio, in
cui
trasmise tutta la sua autorità, nè si riserbò che
e, schivò quel pericolo.(a) (24). Morta Ippodamia, Piritoo e Teseo, a
cui
era pur morta Fedra, sua moglie, e sorella della
ò sempre ritenere appresso di se l’ anzidetta giovine, perchè Etra, a
cui
egli aveala affidata, dovette restituirla a Casto
o anche Merope, figlia del fiume Sangario (a). L’anzidetto Paride, di
cui
diffusamente ne parleremo anche quanto prima, all
a di lui moglie, Elena, figlia di Tindaro, approfittò del momento, in
cui
Menelao ebbe a trasferirsi in Creta, e tanto sepp
gno, ne presagirono tutti i disastri, che dovea cagionare il bambino,
cui
Ella era per dare alla luce(a). Si spaventò Priam
dine. Ella cercò tutti i mezzi di vendicarsene ; ed uno ne trovò, con
cui
fece molto bene la parte sua senza manifestarsi.
e finalmense lo ferì, ed egli però si fece trasferire appresso Enone,
cui
erano noti varj secreti di medicina. La Pastorell
vvertito da Ettore, che si salvasse colla fuga. Tuttavia la notte, in
cui
Troja fu presa da’ Greci, entrò nella Cittadella
se Scamandro, aveva dato l’origine a’ Trojani. Là fabbricò una città,
cui
diede il nome di Pergamo. Poco dopo sopraggiunse
a consultare la Sibilla Cumana. Ella, additandogli il ramo d’oro, di
cui
altrove abbiamo parlato, gli comandò, che lo svel
tragli Antenati della sua famiglia s’abbattè nell’ombra d’Anchise da
cui
apprese in quali terre avrebbe regnato, e quali s
o avveriva, che sarebbe arrivato appresso di lui uno straniero, il di
cui
nome era per divenire famoso in tutto il mondo. E
e l’anzidetta Dea, discesa dal Cielo, aprì ella stessa il tempio, in
cui
non soleasi entrare, se non in tempo di guerra(a)
opo la morte di Latino salì sul di lui trono, e fabbricò una città, a
cui
diede il nome di sua moglie. Quivi egli accolse A
a all’assedio di Troja, avea preso ad amare Egisto, figlio di Tieste,
cui
Agamenonne avea affidaso durante il tempo delle s
ortando il ritorno del marito, gli presentò una veste nel momento, in
cui
usciva del bagno. Le di lui braccia si trovarono
e lo avea regalato a Giove, che Giove ne fece un dono a Mercurio ; da
cui
passò a Pelope, figlio di Tantalo, indi ad Atreo,
asferì in Argo insieme con Pilade, figlio dell’anzidetto Strofio, con
cui
avea contratto strettissima amicizia. Ivi si dich
indi le parti del di lui corpo furono tali, trattone il calcagno, per
cui
la madre lo tenne, mentre lo’immerse nelle predet
oscere, in lui il figliuolo di Tetide ; e informatolo del motivo, per
cui
erasi colà recato, lo condusse seco al Greco camp
ra si fosse felicemente restituito alla sua patria(c) (3). L’Eroe, di
cui
parliamo, marciò contro Troja, seguito in cinquan
cinquanta navi da’ Mimidoni(d) (4), e da Menescio, suo parente(5), a
cui
diede il comando di una parte de’Tessali. Affidò
moltissimo grano. Ulisse allora contraffece una lettera di Priamo, in
cui
quel re ringraziava Palamede de’segreti avvisi, c
avvisi, che aveagli dati, e gl’indicava la grossa somma di danaro, di
cui
per tale motivo lo regalava. Nello stesso tempo f
i compagni(a). Ulisse poco tempo dopo sofferì una nuova burrasca, per
cui
videsi trasportato a quella parte della costa d’A
a d’Africa, che abitavano i Lotofagi, così detti dal frutto, Loto, di
cui
abbiamo parlato. Fu accolto da quelle genti molto
però potè sottrarsi a tanta barbarie, e si ritirò nell’isola Eea, in
cui
regnava Circe. Alquanti de’di lui compagni si rec
Mercurio sotto l’aspetto di vago giovine, gli dimostrò il pericolo, a
cui
si esponeva, e gli diede un antidoto contro gl’in
lisse le allontanò, finchè giunse l’ombra dell’anzidetto Indovino, da
cui
intese quanti ostacoli ancora erano per impedirgl
egarono le vele a’venti. Giove suscitò allora una fiera burrasca, per
cui
la loro nave fu ridotta in pezzi, tutti i Greci p
mare, non potè, senza impietosirsi, rimirare lo stato deplorabile, a
cui
il Greco era ridotto. Ella gli somministrò una fa
consolò, e assicurollo, che niente gli sarebbe mancato nel luogo, in
cui
si trovava(b) (16). L’ Eroe verso sera giunse al
astri(a). Quel re nel dì seguente lo trattò a magnifico banchetto, in
cui
Demodoco tratteneva i convitati colla soavità del
ume. Disingannato finalmente, narrò al padre lo stato deplorobile, in
cui
i Nobili del paese aveano ridotto la sua casa. Ul
i alle insistenti ricerche de’suoi amanti, propose loro un giuoco, in
cui
promise, che chi vi sarebbe rimasto vincitore, av
a, la quale gli apparve sotto la figura di Mentore, l’amico fedele, a
cui
l’Eroe prima di partire, per Troja avea affidata
Ulisse. Venne gettato da una burrasca sulle coste di quell’Isola, di
cui
ne ignorava anche il nome. Mancante di viveri, fu
Cretese disse, che ciò avvenne alla porta del palagio d’Ulisse, le di
cui
guardie aveano negato l’ingresso a Telegono(a). U
lpi Pulidamante, figlio di Pantoo(d) (1), e Cleobulo(e). La notte, in
cui
Troja fu presa dalle armi Greche, insiurò Cassand
eriglio, l’anzidetto Nume percosse allora col tridente lo scoglio, su
cui
Ajace erasi rifugiato ; e metà di quello cadendo
e in dono una spada, ed Ettore un pendaglio(g). L’Eroe finalmente, di
cui
parliamo, esperimento gli effetti fatali della pr
a predetta questione. Ritornato poi in se, e confuso sì pel furore, a
cui
erasi abbandonato, che per la vendetta fallita e
ono, che Ajace, combattendo contro Paride, ne riportò una ferita, per
cui
poco dopo morì(c). La terra, imbevuta del di lui
tendono, che Leda abbia concepito per opera di Giove un solo uovo, da
cui
trassero origine Polluce ed Elena ; e che Tindaro
indi il viaggio alla volta di quel paese ; e giumtovi nel momento, in
cui
era insorta tra quegli abitanti forte sedizione,
esso Colono, borgo dell’Attica, in un bosco sacro all’Eumenidi, il di
cui
ingresso era vietato a tutti i profani, e più anc
ostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi, che il primo giorno, in
cui
Anfiarao erasi portato all’assedio di Tebe, un’aq
l predetto tempio eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da
cui
, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputav
sdegnò, il Tebano, gli tese molti agguati, e spedì sulla strada, per
cui
quegli dovea ritornarsene in Argo, cinquanta arma
te fu bastevole ad estinguere il loro odio. La fiamma del rogo, sopra
cui
vennero riposti, si divise, nè più si riunì(a)
icato pèrida salute de’ suoi. E poichè al predetto Antipeno, nelle di
cui
vene scorreva nobilissimo sangue, non piacique fa
ta umana Vrtù VIrtù è un’interna abituale disposizione, per
cui
si opera il bene. I Greci diedero alla Virtù il n
iamenti indicano, che il Prudente s’adatta alle varie circostanze, in
cui
si trova. Consiglio. Il Consiglio è quella
si trova. Consiglio. Il Consiglio è quella matura ragione ; per
cui
nelle difficili emergenze si prende piuttosto que
si deono operare. La veste di lui è lunga, per alludere alla Toga, di
cui
i Consiglieri si servivano per sostenere maggiorm
è dannoso. Accortezza. L’ Accortezza è prontezza di mente, con
cui
non solo si prevede ; si discerne, e si schiva il
applicazione nell’operare. Questa virtù stringe un ramo di timo, su
cui
vola un’Ape. Benchè il timo sia erba bruschissima
iù grandi moli. Questa Dea impugna nel sinistro braccio uno scudo, di
cui
essendo proprio il rintuzzare l’arma nemica, che
dere nella temerità. Emulazione. L’Emulazione è uno studio, per
cui
si procura d’imitare, ed anche superare le belle
le ali a’piedi : le quali cose tutte sono indizio della velocità, con
cui
l’ Emulo cerca di pareggiare e oltrepassare color
l che n’è viva espressione sì lo sprone, che il fascetto di spine, di
cui
n’è ella adorna. Merito. Il Merito è il dir
rito sopra erto e scosceso luogo, il quale esprime la difficoltà, con
cui
si giunge a meritare. Ha egli la fronte cinta d’a
d’oro, e insegnò a tutti le sue leggi. Venuta poi l’Età di ferro, in
cui
crebbero fuor di misura sulla terra l’esecrabili
. Temi aveva altresì un altro tempio nella cittadella d’Atene, nel di
cui
ingresso si vedeva la tomba d’Ippolito(d). Esiodo
con prontezza, onde l’azione di lui riesca più gradita a quello, a di
cui
favore viene fatta. Questa Divinità stringe inolt
ltre una catena d’oro, per simboleggiare il dolce legame d’amore, con
cui
si unisce il beneficato al benefattore. V’è appre
altri uccelli di rapina. Liberalità La Liberalità è virtù, per
cui
a proporzione delle proprie forze si somministra
ere misurata colle proprie facoltà, e col merito della persona, verso
cui
si esercita. Stringe il Cornucopio, indizio dell’
ornamenti del tempio di Gerusalemme(a). Questo era pure il tempio, in
cui
si raccoglievano coloro, che professavano le Bell
tto tra loro contrarj. Quindi uniti insieme simboleggiano la Pace, di
cui
è proprio il cangiare lo sdegno in placidezza. Gl
gua le tenebre della falsità. Ella tiene nella destra un oriuolo, con
cui
si dà ad intendere, che la verità col decorso del
difficoltà si scuopre(a). Sincerità. La Sincerità è virtù, per
cui
tali si manifestano, agli occhi altrui i sentimen
l’altro sono animali fedelissimi. Umiltà. L’Umiltà è virtù, per
cui
l’uomo si reputa inferiore agli altri, quando non
le azioni dell’ empio tendono sempre alla distruzione della pietà, di
cui
il predetto animale n’è il simbolo. Superbia.
imo, e disprezza ogni altro animale. Questo Vizio ha uno specchio, in
cui
si contempla : il quale atto vuol dire, che il Su
mai alle sue imperfezioni. Esso finalmente sta appresso una fonte, da
cui
scaturiscono moltissimi fiumi, perchè la Superbia
a delle più potenti città : questo è il significato del maltello, con
cui
il Lusso atterra magnifici palagi. Affettazion
za, e ritornava, senzachè alcuno la rimandasse, nella mano stessa, da
cui
era stata vibrata. Cefalo, che amava anch’egli mo
oso, d’osservare ogni atto, anche il più indifferente, della persona,
cui
egli ama. V’ è il Gallo, perchè questo è di sua n
gnudi, per esprìmere l’ ampiezza de’ suoi disegni, e la velocità, con
cui
li vuole eseguiti. Ha vicino a se il Leone, perch
no a se il Leone, perchè essa non va mai disgiunta dalla superbia, di
cui
quell’ animale n’è il simbolo. Vanagloria.
e stesso. Questo Vizio finalmente stringe nella sinistra un filo, con
cui
è legata una Vespa. Questa è un insetto, che mand
. In capo ha varie penne di Pavone. Queste alludono alla superbia, da
cui
la Disobbedienza trae d’ordinario la sua origine.
si socda a’ comandi altrui. Arroganza. L’Arroganza è vizio, per
cui
l’uomo dí poca abilità, per far pompa di se, si a
ano alta, mostrando il dito indice : lo che dichiara la tenacità, con
cui
l’Arrogante coltiva le sue opinioni, beachè sieno
retto, nè rivoglie la mente al vero ; ma soltanto favorisce a ciò, a
cui
lo trasporta la cieca passione. La Parzialità fin
consumano tutte le loro sostanze. Viltà. La Viltà è vizio, per
cui
l’ uomo, riputandosí meno di quello ch’è, non int
ano più dal loro tediosissimo canto, che risveglia l’idea della noja,
cui
reca l’uomo loquace. Le lingue indicano anch’esse
fa perdere il lume della ragione. Ha per cimiero una testa d’Orso, da
cui
escono fiamme e fumo. L’Orso è all’ira inclinatis
il fuoco e il fumo sono indizj dello sdegno e della conturbazione, in
cui
trovasi l’animo irato. Ila la spada ignuda, perch
uesto si fa strada alla vendetta. La face accesa mostra il favore, di
cui
arde continuamente chi si abbandona in preda di q
ione, cagionata dalla considerazione d’un bene, che si desidera, e dì
cui
ne godono invece gli altri. Questo Vizio si dipin
questa la Tignuola : i quali animali logorano poi la cosa stessa, da
cui
ebbero principio. Un tal’effetto si produce anche
Invidia, giacchè essa, agitando sempre con affanni il cuore umano, in
cui
nacque, alfine lo consuma. L’Invidia ha dall’ alt
pigliata, ed ha la veste lacera, onde dinotare l’infelice condizione,
cui
questo Vizio riduce. La Pigrizia siede e dorme, p
eficato. diffidenza. La diffidenza è perturbazione d’animo, per
cui
fuori di misura si teme d’altrui. Sta colla facci
e mani sospese in àtto di temere. Ciò indica il profondo pensiero, in
cui
s’immergono coloro, che sono sopraffatti da quest
Granchio, animale, che va ora innanzi, ed ora indietro. La veste, con
cui
cuopresi l’ Incostanza, è di colore turchino, che
sima. Giuoco. Il Giuoco è ingiusta ed eccedente convenzione, in
cui
l’ingegno, o il caso, oppure l’uno e l’altro deci
a sorte. Viene finalmente da quella agirato sopra una ruota, sotto di
cui
v’è un precipizio. Questo esprime il grave perico
v’è un precipizio. Questo esprime il grave pericolo d’ impoverire, a
cui
si espone chiunque viziosamente coltiva il giuoco
o. Le sta a’ piedi un Cornucopiò, abbondante d’oro e d’argento, sopra
cui
evvi una Nottola. Appresso di se ha una colonna.
te aspetto, e l’abito magnifico. Sull’ accumulato oro ed argento, per
cui
si hannoquasi tutti gli altri beni della terra, s
acco alzò a questa Dea sul monte Aventino un bellissimo tempio, le di
cui
colonne erano di bronzo, e in cui v’aveano varie
ventino un bellissimo tempio, le di cui colonne erano di bronzo, e in
cui
v’aveano varie bellissime statue. Clodio volle pu
quando concedevano la libertà agli schiavi, davano loro un pileo, con
cui
si cuoprissero il capo, mentre per lo innanzi dov
l tempio, erettale in Preneste, città d’ Italia nell’ antico Lazio da
cui
la Fortuna fu soprannominata Prenestina (c). La f
no, desistesse dall’assedio della sua città. Era questo il tempio, in
cui
tutti gli anni le giovani Romane, vicine a marita
Non è da confondersi la Dea Fortuna coll’ altra, detta Forte Fortuna,
cui
Servio Tullo fabbricò un tempio sulla sponda del
a è l’offetto di questo male ; i piedi colle ali significano la fuga,
cui
bene spesso si danno i timidi. Gli sta appresso u
L’opinione poi di altri è, che tale Costellazione sia la giovenca, di
cui
lo ne prese le sembianze, quando Giove volle cela
allora solennemente le sossa d’Europa, ei una corona di mirto, la di
cui
circonferenza era di dieci cubiti. Il nome di que
n potendo in ciò soddisfarla, diede in vece a Tiresia un bastone, con
cui
poteva camminare sicuro, come se avesse avuto gli
he vi fosse in Arcadia una fontana, detta Telfussa, o Tilfossa, la di
cui
acqua era sì fredda, che Tiresia per averne bevut
il re Giobate, che gli diede in moglie Stenobea, sua figliuola(d), da
cui
nacque Megapente, il quale regnò in Tirinto(e).
e re di Tebe, nella Beozia. Egli si unì in matrimonio con Nefele, da
cui
ebbe un maschio, di nome Frisso, e una femmina, d
uel male conveniva sacrificare i figliuoli di Nefele. Nel momento, in
cui
erasi per eseguire il sacrifizio, la loro madre,
ivide l’Europa dall’ Asia, presa dallo spavento, cadde nelle onde per
cui
quel mare dal nome di lei poscia fu detto Ellespo
nato. Se ne avvide Temisto, ma troppo tardi ; collo stesso ferro, con
cui
aveva ucciso i prop figli, si trapassò il seno, e
(b). Nat. Com. Mythol. l. 6. (8). Altri scrissero, che la nave, su
cui
montò Giasone, lu detta Argo, perchè coloro, che
Pelio(g). Vuolsi da Eratostene(h) e da Igino(i), che il naviglio, di
cui
parliamo, sia stato il primo, che solcasse il mar
patria, celebre indovino, nacque dalla Ninfa Clori, e da Ampico, per
cui
fu anche detto Ampicide(d).Ritornando da Colco, m
Ebbe un figlio, chiamato Calcante, che divenne famoso indovino, e di
cui
ne parleremo altrove. Gli nacquero inoltre due fi
e della spedizione Argonautica, niente poi nomina Absirto : silenzio,
cui
dà forza l’altro di Erodoto, il quale, parlando d
edea abbia spedito a Creusa solamente una corona, piena di veleni, di
cui
essendosene Creusa cinta la fronte, ne seguì tost
robustezza, finchè la bestia gli lasciò quella porzione di piede, per
cui
lo aveva afferrato. Dicesi anche, che questo Atle
ro, tostochè si trovò sulla terra, la asperse di marciosa schiuma, da
cui
nacquero certe erbe nocive, dette Aconiti(a). (b
li Antichi fosse tenuta in pregio, giacchè ne formarono una Divinità,
cui
veneravano sotto il nome di Adefagia. I Siciliani
). Declaustre Diction. Mythol. (7). Apollodoro dice, che Scini, di
cui
abbiamo parlato, era figlio del mentovato Polipem
aria, e lo cangiò in uccello(a). Dedalo, per sottrarsi al supplizio,
cui
era stato condannato dall’ Areopago, si ritirò co
andosi appresso Minos, formò un serraglio, che fu detto Labirinto, di
cui
per le molte replicate tortuosità di muraglie, e
alla folla de’ Lapiti, schiacciò Brotea e Orione, figli di Miçala, di
cui
abbiamo parlato. Non seppe Esadio sofferire, che
co lui strettamente abbracciata. In tale circostanza Feocomete, le di
cui
membra erano copette da più pelli di Leoni, con u
a mostra dello scudo, della spada, e dell’asta, ferali stromenti, con
cui
avea tolto la vita e le spoglie al Tessalo Aleso.
lcuna notizia di lui. Ovidio fa, che colei gli scriva una lettera, in
cui
lo rimprovera della sua indifferenza, e procura d
suò. Ma Demofoonte, che attendeva ad assicurarsi il trono d’Atene, da
cui
il padre suo n’era stato escluso per opera de’par
ne disperata s’impiceò(a). I di lei parenti le alzarono una tomba, su
cui
nacquero degli alberi, le foglie dei quali in cer
imo giovine amante della Ninfa Esperia, figlia del fiume Cebreno, per
cui
anche il Poeta dice, che Esaco morì(b). (d). Se
l’arte d’indovinare in molte maniere : ora pet mezzo del tripode, su
cui
sedeva ; ora con un ramo d’allero, gettato nel fu
la guerra, lo avea spedito appresso Polinnestore, re della Tracia, a
cui
avea sposato la maggiore della sue figliuòle, chi
asportato dalla giovanile audacïa, ardi di azzuffarsi con Achille, da
cui
senza fatica alcuna rimase ucciso(a). Licofrone p
ilostrato poi vuole, che Polissena, disperata per la morte d’Achille,
cui
ella sommamente amava, siasi ritirata nel campo d
o sposo, ed ivi s’abbia trapassato il seno(g). (10). Nella notte, in
cui
Troja fu presa da’Greci, Creusa si smarrì per ist
oja d’assedio. Menelao, vinta la predetta città, si reco a Pruteo, da
cui
gli fu restituita la moglie. Omero(a) finalmente
erne avuto mai prole. Egli consultò l’Indovino Melampo del mezzo, con
cui
avrebbe potuto rendere la moglie sua feconda. Que
cendente dall’ altro Bute, figlio d’Amico, e padre di quell’Erice, di
cui
abbiamo favellato(e). (e). Declaustre Diction.
e ritirarsi in Etis, città della Fessaglia, appresso il re Eurito, da
cui
ne venne espiato. Concorso poscin alla caccia del
o di Mercurio gli abbiano spedito una spada, lavorata da Vulcano, con
cui
potè provedere alla sua salvezza. Assistito posci
travagli, sostenuti insieme con Ulisse. Là egli s’incontrò con Enea,
cui
descrisse le sue avventure, e quelle di Ulisse(b)
vano anche in una Cappelletta, denominata Penetrale(g), e Larario, di
cui
appresso i Grandi un servo, e un Liberto appresso
di questo stesso animale(a), il quale simboleggiava la vigilanza, con
cui
si supponeva, che quelle Deità guardassero la cas
coll’altra i suoi Dei Penati, e i vasi sacri del tempio d’Apollo, di
cui
egli n’era il sacerdote (a). (6). Un simile fatt
steo, Principe Trojano, discendente d’Assaraco (i), e Naute, nelle di
cui
mani fu da Diomede rimesso il Pallade, rapito da
Il quarto dì arrivò alle spiaggie di Velia, città della Lucania, i di
cui
abitanti, dopo di averlo spogliato e ucciso, di n
nominò Cartagine, e nel mezzo della stessa vi formò una Cittadella, a
cui
dalla pelle del bue diede il nome di Birsa, voce
e quasi tutte le altre cose aveano il loro Genio (c). Demogorgone, di
cui
abbiamo parlato anche altrove, si tenne parimenti
(17). Virgilio dice, che due colombe additarono ad Enea l’albero, a
cui
era annesso il predotto ramo (e). (a). Id. Acne
ccisa da Arunte, soldato Trojano, il quale approfittò del momento, in
cui
ella stava per ispogliare delle armi Cloreo, anti
ndi nelle selve appresso il pastore Tirro (b). Ivi partorì un figlio.
cui
dal luogo, ove nacque, venne imposto il nome di S
Troja ottanta vascelli(a). Uccise Otrioneo, originario della Tracia,
cui
Priamo avea promesso in moglie la sua figliuola,
(8). Patroclo nacque da’Stenele, e da Menezio, figlio d’Attore, per
cui
lo stesso Patroclo fu soprannominato Attoride(b).
o, pieno di spavento, balzò dal darro, e lanciò una grossa pietra, da
cui
colpito Cebrione nella fronte perdette la vita. P
po questa visione cadde ammalato, e morì di languidezza. La terra, in
cui
avea dimorato, non produceva più alcun frutto. Gl
Oileo, padre d’Ajace, avendo voluto vendicare la morte di Bienore, di
cui
n’era il cocchiere, rimase parimenti ucciso da Ag
vo con favorevo le vento alle patrie terre. Soggiunse, che Ulisse, da
cui
egli era fieramente perseguitato, eccitò Calcante
e di Rodi. Poliso ; per vendicarsi di Elena, cagione della guerra, in
cui
era morto il suo marito, ordinò a certe donne, ch
ch’egli appresso que’di Egina divenne un Nume, ed ebbe un tempio, in
cui
i vincitori deponevano le corone di fiori, che av
oteggeva i Greci, fece sortire dalla terra un ceppo di vigna ; ne’ di
cui
rami Telefo inciampò e cadde a terra. Achille sub
di quell’Eroe cadde accidentalmente a Filottete sul piede stesso, con
cui
avea percosso la terra, e gli aprì una piaga sì p
(11). Fileta appresso Partenio(e) dice, che Polimela, figlia d’ Eolo,
cui
Ulisse aveva preso ad amare, fu sì sensibile alla
uto, perchè essendosi trovate presenti al rapimento di Proserpina, di
cui
erano compagne, chiesero agli Dei di poter volare
per un omicidio, da lui commesso, si rifugiò in Pilo nel momento, in
cui
Telemaco stava per partire da di là, e per ritorn
(d). Id. Iliad. l. 14. (1). Pulidamante nacque la stessa notte, in
cui
venne al mondo anche Ettore, e fu dopo di lui il
ccisi. Cadde morto in quella circostanza anche un certo Cranone, a di
cui
onore i Tessali de nominarono Cranone la città, c
tornato Tieste appresso il frarello, questi gl’imbandì un convito, in
cui
gli diede a mangiare i proprj figli, e sul fine d
Arpalice coll’altra, che, disprezzata da Ifielo, uno degli Argonauti,
cui
ella grandemente amava, morì di dolore. In quella
’accorse tra quella moltitudine anche Altemene, e vibrò un dardo, con
cui
senza accorgersi ferì il padre. Ne venne in cogni
ello stesso cane, risolvette di prevalersi dell’asta. Nel momento, in
cui
si preparava al colpo, vide la Volpe e Lelapo con
ella d’Ercole. Lo seguì Tideo, vestito di una pelle di cinghiale, con
cui
voleva ricordare, che Meleagro, suo fratello, ave
occò un dardo, che nol ferì. Diomede anch’egli ne vibrò un altro, con
cui
stese a terra Pandaro. Enea voleva ricuperare le
ostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi, che il primo giorno, in
cui
Anfiarao erasi portato all’assedio di Tebe, un’aq
l predetto tempio eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da
cui
, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputav
di Ercole per la vittoria, da lui ripottata sopra il Leone Nemeo, di
cui
abbiamo parlato altrove(b). Que’ Giuochi si celeb
icato pèrida salute de’ suoi. E poichè al predetto Antipeno, nelle di
cui
vene scorreva nobilissimo sangue, non piacique fa
eniale nella creazione di tali racconti, quanto gli antichi Greci; la
cui
feconda immaginativa faceva sì che essi non conce
ative erano nei tempi migliori della Grecia oggetto di fede comune, a
cui
si piegavano anche i sommi degli uomini; onde anc
— In ultimo son da ricordare i nobili studi e i notevoli risultati a
cui
giunse nel nostro secolo, quella che chiamasi Mit
pure che nello spuntar dall’ Oriente, egli abbandona la bella Aurora,
cui
non potrà più rivedere se non quando sarà giunto
l fuoco al cielo per donarlo ai mortali. Ecco veri racconti mitici, a
cui
avrebbero dato origine semplicemente le personifi
vrebbero dato origine semplicemente le personificazioni e metafore di
cui
abbonda un linguaggio primitivo. Filologi di gran
o a un incrocio anche delle tradizioni mitiche e a una collisione per
cui
alcune Divinità dovevano avere il sopravvento ed
e deità italiche rimasero isolate non trovandosi alcun tipo greco con
cui
identificarle, ad es. Giano. Noi parleremo delle
Iperione, l’ errante dio della luce e Tea (Theia), l’ irradiante, da
cui
nacquero i tre esseri datori di luce, Elio il sol
(Phorkys) e Cheto (Ketos), personificazione dei pericoli del mare, la
cui
unione produsse le terribili Gorgoni e le Graie;
valse anche dei Ciclopi e degli Ecatonchiri, liberandoli dai ceppi a
cui
li aveva condannati Urano. La guerra durò più di
era ancora un’ eco di quei grandi cataclismi geologici e diluvii, di
cui
era viva la tradizione e si scorgono anche ora pa
ato d’ un altare in marmo di Giove e rappresenta il tiranno seduto, a
cui
una donna in piedi, la moglie Rea, porge un invol
sassi, altri di strappar rami di albero per servirsene nella pugna; a
cui
fan contrapposto alcune figure di Giganti o già p
uto la pelle della capra Amaltea cinta tutt’ intorno di serpenti, sul
cui
mezzo Giove aveva fissato il volto della Gorgone
egli conobbe Temi (Themis), appartenente alla famiglia dei Titani, da
cui
generò le Ore e le Parche. Il Zeus di Dodona ebbe
in moglie Dione, la madre di Afrodite; quello d’ Arcadia ebbe Maia da
cui
nacque Ermes (Hermes). Inoltre, con Demeter Zeus
di Apollo e Artemide significa l’ unione del cielo e della notte, da
cui
provengono i raggi del sole e quelli della luna;
empio a lui dedicato. Ivi era una sacra foresta di annose quercie, le
cui
foglie agitate dal vento, esprimevano col loro fr
acerdoti venivano interpretati. Anche sulla cima del monte Tomaro, a’
cui
piedi giaceva Dodona, era venerato Zeus, come del
Stoici e gli Orfici. — Dei Latini basti ricordare il solo Orazio, il
cui
Giove clarus Giganteo triumpho, Cuncta supercili
ismalti colorati il manto. Il trono era pur esso un’ opera immensa in
cui
alla ricchezza dei legni preziosi, dell’ oro, del
te; si desiderava un’ espressione più spirituale e si cercava ottener
cui
con maggior finitezza di particolari. Un notevole
ecialmente erano celebrate le sacre nozze delle due deità celesti, da
cui
si faceva dipendere tutta la feracità della terra
i, ed essa divenne semplicemente la protettrice delle matrone romane,
cui
essa assisteva in tutti gli atti della vita. Anzi
pure compose la statua della dea posta in fondo alla cella; statua di
cui
diremo più sotto. La venerazione delle genti Atti
e era il 5º giorno dagli Idi. La più solenne era la festa del Marzo a
cui
prendevan parte tutti quelli che esercitavano pro
un salto balza armata dal cervello di Giove, un alto grido tonando, a
cui
la Terra madre e il cielo inorridi » (traduz. Fra
piedi; nuda le braccia e il collo; il petto coperto dell’ egida, nel
cui
mezzo effigiato il capo anguicrinito della Medusa
o di Laomedonte re della Troade; espressioni allegoriche della sorte
cui
sembrava condannato il sole nella stagione invern
tessa del Dio, assisa su un tripode sopra una apertura del terreno da
cui
esalava un vapore innebriante, era invasa da una
lsivi del corpo, la schiuma alla bocca, articolava oscure sillabe, da
cui
poi i sacerdoti ricavavano il divino responso. L’
oma. Le colonie greche dell’ Italia meridionale furono il tramite per
cui
il greco Apollo penetra fra i Latini. E vi penetr
dato da questo Dio; onde gli eresse uno splendido tempio sul Palatino
cui
adornò colla celebre statua di Scopa rappresentan
in questa rappresentazione specialmente la giovane scuola Ateniese, a
cui
appartennero Scopa e Prassitele, fioriti dal fine
e di Leto, Artemide partecipa della natura di suo fratello Apollo, di
cui
è, in certa guisa, la forma femminile. Essa è la
nare, come Apollo è dio solare. E poichè la tranquilla luce notturna,
cui
spesso s’ accompagna la rugiada, e le varie fasi
e, tra le quali primeggia per l’ alta statura. Ma guai al malcapitato
cui
prenda vaghezza di contemplare le nude forme dell
sia Minore. Era considerata come la madre universale della natura, la
cui
azione fecondatrice si esercita sulla nascita e s
ande è la Diana di Efeso ». 4. Diana era appunto la Deita italità con
cui
si identificò l’ Artemide dei Greci. In origine D
lla fig. 21 riproduciamo una statua del Museo di Laterano in Roma, la
cui
mano sinistra probabilmente teneva una lancia che
to per un giorno intiero, e infine era caduto nell’ isola di Lenno; i
cui
abitanti, i Sintii lo curarono finchè fu guarito.
luogo la corsa colle fiaccole accese, riportando il premio quegli la
cui
fiaccola era ancor viva nel giungere alla meta; g
tto la protezione della Stata Mater, la madre che arresta il fuoco, a
cui
fu eretta una statua nel foro vicino a quella di
stata disaggradevole. Pero zoppa era la statua fatta da Alcamene, di
cui
parla Cicerone nel primo libro De Natura Deorum,
solari che il crepuscolo della sera par nasconda in qualche abisso da
cui
viene il domane a riprenderli il sole. Secondo al
elativo ad Ermes è l’ incarico datogli di liberare Io, amata da Zeus,
cui
Era gelosa aveva trasformata in vacca e data a cu
. Per gli uni Io è la luna, e Argo dai cent’ occhi la notte stellata,
cui
il crepuscolo del mattino uccide. Secondo gli alt
a la verga stessa donatagli da Apollo, e constava di tre rampolli, di
cui
uno era il manico, gli altri due si raccoglievano
ano destra tiene un grappolo d’ uva che la vedere al fanciullo, verso
cui
si volge con dolce sorriso il suo sguardo. Belle
la sposa di Zeus. Ma questa leggenda cedette il luogo ad un’ altra, a
cui
i poeti posteriori con predilezione si attennero;
a del mare (la voce greca afro vuol dir schiuma); e la prima terra, a
cui
approdò sarebbe stata l’ isola di Cipro, dove ess
etolosa che uccide Adone non è altro che un simbolo dell’ inverno, il
cui
freddo soffio fa spegnere la vita della natura e
os) e Imero (Himeros) personificazioni dell’ amore e del desiderio; a
cui
si aggiunga Imene (Hymen o Hymenaios), il Dio del
Euripide e più altri. Bellissima l’ invocazione a Venus Genetrix con
cui
Lucrezio cominciò il suo poema della natura; nè m
28). Sebbene ora manchino le braccia, è sempre un gran bel lavoro, in
cui
tu non sai se debba ammirar più l’ espressione st
ia dedicato il Pritaneo, residenza del governo; ivi era un altare, su
cui
ardeva in di lei onore continuamente il fuoco. Da
vita al servizio di Vesta. Abitavano nel così detto Atrium Vestae, di
cui
non molti anni fa fu ritrovato e rimesso a luce i
e il sito preciso. Ivi si son trovate parecchie statue di Vestali, da
cui
si rileva qual ne fosse il portamento (fig. 29).
solare; ma perchè il sole è in certo modo il portinaio del cielo, le
cui
porte apre al mattino, richiude alla sera, così I
gli inizii di ogni periodo di tempo. Egli iniziava il nuovo anno, di
cui
il primo mese era denominato da lui, Januarius, G
o di Cesare. Lo si diceva eretto da Numa, ed era appunto il tempio le
cui
porte si tenevan chiuse in tempo di pace e aperte
te al Mars dei Latini, e prendeva nome dalla città sabina di Cures, i
cui
cittadini erano detti Quirites. Era come Mars, un
l mito in sostanza, significa l’ azione rovinosa del sole d’ estate i
cui
effetti possono essere temperati solo da Giove co
e altrettanti di elette pecore, ciascun gregge di cinquanta capi, il
cui
numero mai non cresceva nè scemava, affidati alla
a mai. Bensi antica deità, venerata dagl’ Italici fu Mater Matuta, il
cui
nome è connesso con mane e matutinus. Era una dea
pada. Il cane del cacciatore Orione era la brillante stella Sirio, la
cui
comparsa annunziava la stagione canicolare, ossia
le come combattenti dalla parte di Zeus contro i Giganti. Artifizio a
cui
si ricorse per riempire in qualche modo il largo
s e di Astreo. Il più temuto era Borea od Aquilone, il vento nord, il
cui
soffio faceva tremar la terra e agitar la superfi
nto di ponente, nuncio della primavera, detto Favonius dai Latini, al
cui
soffio maturavan le sementi; quindi era venerato
titolo di « Torre dei venti ». È una specie di torre ottagonale, sul
cui
fregio trovansi in mezzo rilievo scolpite otto fi
altra era un bosco del monte Elicona nella Beozia meridionale, nelle
cui
vicinanze trovavasi la fonte Aganippe, mentre un’
nove è il numero più frequente, ma non mancano località e leggende in
cui
si parla d’ un numero diverso) fu assegnata una p
e Muse, uso che è stato accolto anche dai moderni; e negli epiteti di
cui
si servivano, mettevano in rilievo or la dolcezza
so i Romani si veneravan le Grazie, identiche affatto alle Cariti, da
cui
n’ era stata tolta l’ idea. 3. Che queste Deità s
ua di Irene scolpita da Cefisodoto, della giovane scuola ateniese, di
cui
credesi un’ imitazione l’ opera da noi riprodotta
do la quale Ganimede era amato da Giove. Anche questo è il racconto a
cui
si attiene Ovidio nel decimo delle Metamorfosi (v
non esprime spavento, ma quasi un intimo compiacimento del destino a
cui
è serbato; a terra è caduta la zampogna pastorale
venuta madre della Voluttà. Questa la graziosa leggenda Apuleiana, di
cui
già si trovano cenni in altri scrittori e opere d
salute, prima una Strenia o Strenua, antica deità sabina, in onor di
cui
era stato eretto un santuario con un sacro bosco
icata in seguito con la greca Igiea; infine una dea Carna o Cardea, a
cui
si attribuiva la virtù di cacciar via le streghe,
icinali o un ciuffo d’ erbe o un pinolo, talvolta anche un cane, alla
cui
lingua come a quella del serpente gli antichi att
tino come qualcosa di superiore alla stessa volontà divina, potenza a
cui
Zeus stesso non valeva a sottrarsi. Di qui il con
gine, Nona e Decuma, dette così dagli ultimi mesi della gestazione; a
cui
più tardi se n’ aggiunse una terza, Morta come de
he provenienti dal bottino di Memmio; dopo ne furono eretti altri, di
cui
uno persino in Campidoglio. Tiche e la Fortuna no
e letterarie; basti ricordare l’ inno a Tiche composto da Pindaro, di
cui
però si conservano ora pochi frammenti, e la bell
rmini, si credeva che i fiumi avessero tutti origine dal gran mare da
cui
gli antichi immaginavano circondata la terra, e c
a anche l’ acque correnti di minor mole divenivan sacre ai Romani, la
cui
immaginazione le popolava di graziose ninfe; cele
te e due piccole corna in fronte; per lo più appoggiati a un’ urna da
cui
esce abbondevole corso d’ acqua, e forniti di cor
nondazione. In Vaticano pure si ammira una bella statua del Tigri, la
cui
testa fu ristaurata da Michelangelo. II. Po
gliosi del mare, e specialmente quei meravigliosi fenomeni celesti, a
cui
si attribuiva origine marina. Secondo Esiodo, Tau
uti, dove figurano persecutrici di Fineo, il cieco indo vino Trace, a
cui
insozzano e rubano il cibo. In altre leggende app
ventris Proluvies uncaeque manus et pallida semper Ora fame, 33 a
cui
fa riscontro il dantesco: Ali hanno late e colli
Nereo, questa coppia rappresenta quella segreta terribile forza, per
cui
il mare si popola di mostri, e atterrisce l’ anim
su Ulisse l’ odio del Dio; così pure era padre del gigante Anteo, con
cui
Eracle ebbe a sostenere aspro combattimiento, e d
eda esposta pure a un mostro marino e liberata da Perseo; leggenda di
cui
riparleremo. Invece la natura benefica del mare,
poi la Beozia, ricca d’ acque; poi varie regioni del Peloponneso, fra
cui
l’ Arcadia. Tra le città della costa, la più cele
a marina Salacia (da salum, mare; altri nominano come moglie Venilia,
cui
Virgilio fa madre di Turno re dei Rutuli. 4. La p
o: … immanis Triton… caerula concha Exterrens freta,
cui
laterum tenus hispida nanti Frons hominem praefer
religione naturalis tica ha importanza la terra. Non è essa colei dal
cui
grembo fecondo esce ogni rigoglio di vegetazione,
e ricchezza? Non è essa d’ altra parte tomba aperta ad ogni essere di
cui
cessa la vita? E dove, se non nel seno ascoso di
agli antichi Greci quella forma di culto ch’ ebbe nome di misteri, a
cui
erano ammessi solo gli iniziati, e che contribui
Mater insieme con Iupiter il padre celeste, ad es. nei giuramenti, la
cui
formola era: Tellus Muter teque Iupiter obtestor
remoti col titolo di Tellus stabilita. Era anche Dea dei matrimoni, a
cui
si rivolgevano preghiere insieme con Giunone Pron
o Galli davano annuo spettacolo della sovreccitazione orgiastica con
cui
onoravan la Dea tra strepiti e ululati. 3. Poetic
, la sorella di Semele; in ogni caso è sempre un essere acqueo quello
cui
Dioniso vien affidato dopo il bruciamento di Seme
sta figlia di Minosse cretese, era renuta via da Creta seguendo Teseo
cui
essa aveva aiutato a uscir dal labirinto, dopo uc
bbia un concetto adeguato, conviene ancora considerare il rapporto in
cui
veniva messo con Demetra ed Apollo. Come Dio del
nandosi a movimenti incomposti, quali suggeriva la sovreccitazione da
cui
erano invasate. Intanto cantavano inni a Dioniso,
Aristofano negli Acarnesi; ricordiamo la grande opera in 48 libri, in
cui
il citato Nonno, autore dei bassi tempi, raccolse
ouvre a Parigi; e anche il bellissimo Torso del Vaticano (fig. 56, in
cui
la testa, le braccia e le gambe sono ristaurate)
contatto, preferendo la loro solitudine; ma non mancarono leggende in
cui
narravasi qualche avventura di uomini, specialmen
si attribuiva a opera delle ninfe una alterazione o sovreccitazione a
cui
taluno si trovasse in preda; i così colpiti erano
ici (lymphatici da lympha = nympha). Secondo il regno della natura in
cui
si pensava esercitassero il loro dominio, le ninf
verun modo raggiungere, così ei morì consunto dal dolore. Il fiore a
cui
diè nome è rimasto come simbolo di una bellezza s
ra è nella Galleria degli Uffizi a Firenze, bella figura di giovane i
cui
lineamenti sono improntati a dolce malinconia.
oghi. Mentre i Satiri eran genii dei boschi e dei monti, i Sileni, di
cui
parlano per lo più le leggende asiatiche, erano g
dono, e Dioniso consentì invitandolo a bagnarsi nel fiume Pattolo, le
cui
sabbie d’ allora in poi divennero aurifere. — Un’
C.; un torso trovasi a Berlino, il quale forse è parte di un gruppo a
cui
apparteneva anche i così detto « arrotino » della
boschi, attribuivasi pure a Pane; e però ogni improvviso terrore, di
cui
il motivo s’ ignorasse, chiamavasi timor panico,
ii alla Terza Pitia ricordano una poesia perduta di Pindaro a Pane in
cui
lo si invocava come signore dell’ Arcadia, custod
anomato Sanctus. A Silvano erano sacri certi boschi, ad es. quello di
cui
parla Virgilio nell’ ottavo dell’ Eneide (v. 597)
i Saturno e Opi era antichissimo. Il tempio principale di Saturno, in
cui
anche Opi era venerata, trovavasi sulla discesa d
a Dea (secondo alcuni, Dio) pastorale delle popolazioni italiche, con
cui
va connesso il nome del Palatium o monte Palatino
ro cedere il luogo a Giove; or tutte accondiscesero salvo Termine, la
cui
cella dovette perciò essere acclusa nell’ area de
e e città ordinate. Così Demetra veniva a far riscontro a Dioniso, la
cui
missione civilizzatrice già è stata da noi rileva
io culto. Secondo altre leggende, era Trittolemo il figlio di Celeo a
cui
la Dea prestò le sue cure. D’ allora in poi Tritt
dai più antichi tempi la forma di mister o, cioè di culto segreto, a
cui
non potevan premier parte che gli iniziati. Si es
appunto le piccole Eleusinie erano una specie di preparazione, senza
cui
non si poteva prender parte alle feste maggiori.
tra, personificazione di quella forza indefettibile della natura, per
cui
ogni anno la più ricca vegetazione ricomparisce a
te e benefico. Non era il Dio di sotterra quella forza misteriosa per
cui
si nutrono e crescon le piante? E donde si ricava
Demetra, ad es. a Pilo nella Trifilia, provincia dell’ Elide, presso
cui
scorreva un fiume chiamato Acheronte; lo stesso a
zioni antiche circa le pene riservate ad alcuni famosi malfattori. Di
cui
i più noti erano Tizio (Tityos), Tantalo, Sisifo
dover spingere un pesante masso su su fino alla cima d’ un monte, da
cui
esso riprecipita inevitabilmente al piano; ond’ e
o e un coltello in mano per recidere ai morituri quel cotal crine, il
cui
taglio sacrava la loro testa agli Dei infernali;
i Penati erano in genere Dei della casa, non ben distinti dai Lari di
cui
parleremo. Quanti fossero, come si chiamassero i
’ suoi abitanti. Niun avvenimento, triste o lieto, accadeva in casa a
cui
i Lari non prendessero parte, ogni fatto solenne
fave. Allora il capofamiglia ripeteva più volte un’ altra formola con
cui
invitava le ombre a lasciare il suo tetto. Si att
no dei Lari hostilii protettori contro i nemici, dei Lari permarini a
cui
fu eretto un tempio nel campo Marzio in seguito a
tinguere tre classi; gli uni possono ben essere stati uomini veri, di
cui
la tradizione ha conservato la memoria magnifican
e si trovano da principio rozzi e senza agi della vita, condizione da
cui
si sarebbero rilevati progredendo a poco a poco c
ioni umane. Dicevasi che in origine vi fosse stata un’ età d’ oro, in
cui
gli uomini vivevano in piena felicità, godendo de
a) Lapiti e Centauri. 1. Tra le leggende tessale più antiche e a
cui
più spesso s’ ispirarono gli artisti, va annovera
già menzionato da Omero come amico di Peleo ed educatore di Achille,
cui
egli avrebbe ammaestrato nella medicina e nella g
inazione di impedimenti naturali alla cultura del suolo, giacchè Ares
cui
il drago era sacro è apportatore di miasmi e pest
mescolarono leggende posteriori, come l’ origine fenicia di Cadmo di
cui
ancora Omero non sa nulla. Piuttosto è da credere
a madre, subitamente la vendicarono eseguendo su Dirce il supplizio a
cui
ella voleva condannata Antiope; ne gettarono poi
pedire alle donne tebane il culto alla dea Latona e a’ suoi figli, di
cui
ella stimavasi di molto superiore; la stessa supe
si conserva nel Museo Nazionale di Napoli, detto il Toro Farnese, di
cui
riproduce il disegno la fig. 76. All’ infuori di
ca ed ultima figlia ti chieggo! ». Ma dovette vedere anche quella per
cui
pregava cader trafitta; onde affranta dal dolore
Bellerofonte diventa l’ eroe nazionale dei Licii. La prima impresa a
cui
lo mandò Jobate fu di combattere la Chimera, most
o degli Argivi. Sorella di Foroneo, non men celebre di lui era Io, la
cui
storia antichissima fornì argomento a più e diver
la prima nave di cinquanta remi, mosse alla volta di quella terra da
cui
era venuta la progenitrice di sua stirpe, Io. Vi
o fu anche ricordato come capostipite della seguente stirpe argiva, a
cui
tra gli altri appartennero gli eroi Perseo ed Era
loro che già litigavano quando erano ancora nel seno materno. Preto,
cui
nella divisione della paterna eredità era toccato
. Finalmente Preto ottenne fossero guarite dal vate Melampo, quegli a
cui
dormendo alcune serpi avevano leccate le orecchie
o Melampo figlio di Amitaone Messenio, la stirpe degli Amitaonidi, in
cui
si trasmetteva per eredità l’ arte della divinazi
alla nascita non avevano avuto che un occhio e un dente in comune, di
cui
si dovevano servire alternatamente. Inoltre Perse
on prima pero di aver sostenuto guerra contro Fineo fratello del re a
cui
la ragazza già era stata promessa. In questa guer
one della grande lotta fra gli elementi naturali. Infine il disco con
cui
Perseo uccide Acrisio fa anche pensare al disco s
Solitamente Perseo vien raffigurato col calzari alati, colla falce di
cui
si servi per uccidere Medusa e coll’ elmo che lo
oiche gesta dei Dioscuri, è a notare anzitutto la diversa abilità per
cui
i due gemelli si segnalarono; Castore era abiliss
(Amykos). Anche presero parte alla caccia del cinghiale Calidonio, di
cui
si parlerà. Ultima loro impresa fu la lotta contr
lmine di Zeus. Polluce, addoloratissimo per la morte del fratello, da
cui
non avrebbe voluto staccarsi mai, pregò Zeus face
e si erigessero loro anche dei templi. Molti ve n’ erano a Sparta per
cui
essi erano i protettori dello Stato, e i modelli
e della discendenza di Leda; poi li celebrarono parecchi lirici, tra
cui
Saffo, lo spartano Alcmane, autore di un inno che
ne celebrandosi poco dopo nel palazzo di Scopa un solenne banchetto a
cui
era stato invitato anche il poeta, ecco giungono
on una costellazione, i lucida sidera fratres Helenae di Orazio, la
cui
apparita era di buon augurio. L’ arte soleva rapp
ci, si ritenevano nati nel suolo o autoctoni. Il mitico personaggio a
cui
essi riferivano l’ origine loro e i primi inizii
etta, finalmente riuscì a far pervenire alla sorella un suo ricamo in
cui
per segni le faceva conoscere la disgrazia sua. P
estiero assediatore, strappò di testa al padre quel capello d’ oro da
cui
dipendeva la sua vita, onde Niso morì e fu poi mu
fondò le Oscoforie (oschophoria), consistenti in una gara di corsa in
cui
venti giovani portavano tralci di vite con grappo
à le varie regioni dell’ Attica, e istituì la festa delle Panatenee a
cui
tutti gli Attici prendevano parte. — Delle altre
cia del cinghiale Calidonio; 8º e alla spedizione degli Argonauti, di
cui
parleremo appresso. — Riman da raccontare la fine
ne del fregio che ornava la colla del tempio d’ Apollo in Figalia, di
cui
importanti reliquie possiede ora il Museo Britann
di Creta si credeva pascolassero gli armenti del sole; Asterio poi a
cui
i figli di Europa sono affidati non è che un’ alt
ò con Pasifae, figlia di Elio (altra personificazione della luna); da
cui
gli nacquero Catreo, suo successore nel governo,
ore nel governo, Deucalione, Glauco e Androgeo e alcune figliuole, di
cui
le più celebri furono Arianna (Ariadne) e Fedra.
me già si disse, gli succedette nel trono. Ebbe egli tre figliuole di
cui
una, Erope, sposa prima a Plistene poi ad Atreo,
ferito. Questo stesso tema si vede trattato in pitture vascolari, fra
cui
ricordiamo una bellissima su un vaso apulo rappre
à fin dal primo di lui nascimento. Perchè, avendo Zeus, nel giorno in
cui
Alcmena doveva dare alla luce i due gemelli, dett
ne che infestava quel monte. Se da questo avesse ricavato la pelle di
cui
si rivestiva in seguito, o se dal leone di Nemea
o la pelle di cui si rivestiva in seguito, o se dal leone di Nemea di
cui
tra poco, la tradizione non sapeva dire. Tornando
na, con nove teste (il numero varia, alcuni dicono persin 10,000), di
cui
una immortale. Infestava i dintorni di di Lerna n
lla leggenda di Teseo. i) Le cavalle di Diomede eran feroci bestie, a
cui
Diomede, re dei Bistoni in Tracia, gettava in pas
Latini collocavano qui la lotta del loro Ercole col gigante Caco, di
cui
parleremo. m) I pomi aurei delle Esperidi. Erano
re anni in condizione di schiavo. — Segue la leggenda della servitù a
cui
Eracle rimase soggetto presso Onfale, nglia di Ia
Era, ebbe da Zeus il dono di eterna gioventù, fatto sposo di Ebe, da
cui
ebbe due figli, Alexiare e Aniceto. 2. Tali sono
della natura, a benefizio degli uomini? Dopo l’ apoteosi, in tempo in
cui
nel concetto del divino si rinchiudeva un profond
ene non ne sia ancora fissato il numero di dodici, e altre gesta, fra
cui
specialmente la spedizione contro Troia. Poi anch
ome da Riano di Creta, o parzialmente come da Teocrito e da Mosco, le
cui
poesie di ispirazione eraclea vanno tra le miglio
a di lui quando descrive l’ uomo retto e costante ne’ suoi propositi,
cui
nè i torbidi politici nè gli accidenti naturali a
rti (Ep. 2, 1, 10). Sotto altro aspetto parlò d’ Ercole Ovidio, nelle
cui
Metamorfosi non potevano essere dimenticate così
a lotta di Ercole contro i Nelidi, specialmente contro Periclimeno, a
cui
nulla giovò la facoltà ottenuta dall’ avo Posidon
l Grande, poi da Annibale e da Silla, influe da Nonio Vindice, presso
cui
la vide il poeta Stazio e ammirò come parvus (He
l tempio di Teseo in Atene e quelle del tempio di Zeus in Olimpia, di
cui
alcune si conservano nel Museo del Louvre a Parig
la rocca in mano. Capitolo terzo. Leggende relative ad imprese
cui
presero parte eroi di diversi paesi. I. La c
Meleagro eroe etolo, non differisce dalle altre leggende regionali di
cui
s’ è parlato nel capitolo precedente, e in fondo
o figliuola di un terzo fratello più giovane, Salmoneo, tre figli, di
cui
il maggiore chiamavasi Esone (Aeson). Questi succ
a volta di Iolco coll’ idea di obbligar lo zio a dargli la signoria a
cui
aveva dritto. Per caso, avendo perduto per istrad
ie ed artistiche. E perche in questa istoria s’ intrecciano vicende a
cui
presero parte eroi non solo Tebani ma anche d’ al
emporaneo di Platone, autore di un vasto poema dello stesso titolo; a
cui
fa riscontro nella letteratura latina il noto poe
Erinni finchè ebbe espiazione e pace a Psofi per opera di Fegeo, alla
cui
figlia Alfesibea (o Arsinoe) divenuta sua moglie
guerra che si chiudeva col disgraziato duello tra i due fratelli, al
cui
odio si contrappose l’ indole affettuosa e gentil
o di leggende eroiche, qual’ è quello relativo alla guerra Troiana, a
cui
presero parte eroi di diverse stirpi e di diverse
le principali di tali leggende, dicendo prima delle stirpi eroiche a
cui
esse si riferiscono, poi narrando le vicende dell
ico figlio rimastogli, Egisto, il quale uccise Atreo in un momento in
cui
stava compiendo un sacrificio sulla riva del mare
(Tetis); nella quale occasione si celebrarono nozze splendidissime, a
cui
assistettero gli Dei stessi; e Posidone donò a Pe
gli eroi segnalati per la forza del braccio se n’ aggiungono altri in
cui
prevalgono le virtù della mente, la saviezza o l’
tenda il celebre Palladion, una statua in legno di Pallade Atena, al
cui
possesso da quel momento era legata la felicità e
felicità e il benessere di Troia. Morto Ilo, succedette Laomedonte, a
cui
Posidone e Apollo costruirono la cittadella detta
eleo e Tetide, si vendicò destando una contesa intorno ad una mela su
cui
si trovava quest’ iscrizione: « alla più bella ».
he la vittoria fosse dalla loro parte. Dopo parecchi fatti d’ arme in
cui
vanamente fecero atti di valore Agamennone, Aiace
tura. A stento il cadavere fu salvato in seguito a sanguinosa pugna a
cui
presero parte Menelao, Aiace il maggiore e altri
ura di penetrare travestito in Troia e portarne via il Palladio, alla
cui
conservazione si annetteva la salvezza della citt
andò a Sciro a prendere il giovane figlio di Achille, Neottolemo, la
cui
presenza si diceva esser necessaria perchè cadess
reco penetrò in Troia e cominciò una terribile strage e saccheggio, a
cui
vana resistenza cercavano opporre i Troiani super
dell’ Ades l’ ombra di Tiresia e molte altre di eroi ed e roi ne, fra
cui
anche sua madre Anticlea che gli dà desiderate no
na. Però ebbe il dolore di perdere allora il vecchio genitore Anchise
cui
egli seppelli sul monte Erice. Rimessosi in mare,
ggiò sino alle foci dei Tevere e scese nel territorio di Laurento, il
cui
re Latino l’ accolse benignamente cedendogli spaz
oco al disotto di Omero stesso rimanendo, il gran poeta mantovano, la
cui
Eneide contiene nei primi libri una magistrale de
orientale del tempio di Zeus in Olimpia, rappresentanti il momento in
cui
Pelope si dispone alla lotta contro Enomao; opera
on è altro che la personificazione mitica di antico canto popolare in
cui
si lamentava con querule note il perire della nat
oni architettoniche sia per lavori di statuaria. Due altri artisti, a
cui
si attribuiva la costruzione di grotte, cripte, c
icordiamo solo un bel rilievo in marino che si conserva in Napoli, di
cui
diamo il disegno alla fig. 91. Rappresenta la sec
familiare ad ambedue. — Sovrattutto m’è fìsso in mente quel giorno in
cui
ci aggirammo per Doragrossa, e voi con erudita e
ico scopo di porre nei giovani il desiderio di leggere i Classici, il
cui
studio tanto aiuta la fantasia degli Artisti. Per
ministro maggiore della Natura, il padre degli anni e della luce, per
cui
l’universo ride e si rinnova, il vincitor delle t
este dar principio alle mie Lezioni, ed aprire quel vasto arringo, in
cui
inoltrandomi sì pieno di lusinghiera fiducia sul
dei più celebrati antichi poemi. Il lungo viaggio degli Argonauti di
cui
fu prezzo il vello d’oro conquistato da Giasone,
do i versi di Orfeo, di Apollonio Rodio e di Valerio Flacco, nelle di
cui
carte vivono ancora « Quei gloriosi che passaro
Re congiurati all’eccidio di Tebe. Ed eccoci giunti a quell’epoca in
cui
la Grecia potente spiegò tutte le sue forzo por
dirà gli altri infortunj che successero fino a quel giorno fatale in
cui
i Greci, aiutati dal tradimento e dalla fortuna,
n Roma, e Roma comanderà all’universo. Virgilio, quel grandissimo per
cui
Omero dubita della prima palma nell’epica poesia,
Comandate ai nemici del nome Italiano l’invidia e l’ammirazione, per
cui
disperino di emularci, conoscendo che il genio no
ria; le nuvole si urtarono fra loro, e vita diedero al folgore, il di
cui
tuono riscosse gli animali ragionevoli, che comin
dipresso si esprime. Una era la forma della terra e del cielo, le di
cui
nature erano in sieme confuse. Separatesi, il mon
evano più terra, furono rettili ed animali terrestri; quelle nella di
cui
generazione preponderò l’acqua, balzarono come pe
li Egiziani era adorata fra l’altre una certa divinità detta Neph, da
cui
era opinione di alcuno che fosse formata la macch
sulla testa un maestoso pennacchio, dalla bocca gli usciva un ove da
cui
si schiudeva un altro iddio detto Phta, il quale
i uomini e degli Dei, indivisibil compagna delle Grazie e di Amore, a
cui
mille altari fumarono in Pafo, in Amatunta, in Ci
i Venti e Lucifero, quella bellissima fra le stelle, cara a Venere, a
cui
un moderno poeta paragona con tanta eleganza, imi
ata a Perseo, divenne madre dì Ecate, divinità veneranda sopra tutte,
cui
Giove die l’arbitrio del cielo e della terra e de
alla Terra, liberando i Ciclopi, i quali gli donarono il fulmine, per
cui
comanda agli Dei, ed atterrisce i mortali. Erasi
Cielo nel paese dell’Esperidi, e sul Caucaso incatenò Prometeo, le di
cui
interiora rinascevano alla pena sotto il rostro d
e generò l’ultimo e il più terribile dei suoi figli. Tifone, dalle di
cui
spalle nascevano cento teste di serpente. Pericol
stava in forse del suo trono; ma rimediò alla comune paura l’arme per
cui
trionfò dei fratelli di questo, il fulmine, col q
generazione degli Dei, secondo i Greci, conservataci da Esiodo, il di
cui
poema non è del tutto privo di bellezze, come Ban
olle ed informi pietre offrivano sacri fizj al padre degli uomini, di
cui
, al dire di Cicerone, degno tempio è solamente l’
di Belo, quello di Giove Olimpico e quello di Diana in Efeso, dal di
cui
incendio cercò Erostrato di acquistar fama. Sarà
errori, speranze, vittorie e tutti gli altri eventi della fortuna, le
cui
permutazioni non hanno tregua. Difendeva la prese
ichi sancivano il giuramento, placavano le ombre degli estinti, le di
cui
tombe bevvero qualche volta umano sangue. Achille
che sopra l’ara splendeva, il che diceasi primo libamento; quello per
cui
propiziavasi tenea l’altare colla destra, e final
ra, e finalmente la vittima percossa cadeva nel proprio sangue, il di
cui
spruzzo sovente sulla bianca veste del sacerdote
ste del sacerdote rosseggiava. Purgate ed aperte le vittime, nelle di
cui
viscere palpitanti cercavano l’ ira degli Dei e g
te, mostra nell’Odissea nerissimo toro svenato all’adirato Nettuno, a
cui
, se le sue onde spianava, offrivano ancora il cin
prora nei flutti parte della vittima e il liquore, dono di Bacco, di
cui
tre volte al padre dell’onde fa libazioni il cond
ronzi, ed i superbi Dodici corridori, e le di Lesbo Sette donzelle, a
cui
splendeva in mezzo D’amabile rossor distìnta il v
la di più santo presso gli antichi che le tombe: onde Tibullo, ne’ di
cui
versi odi ancora i sospiri dell’amore, diceva all
le case. Invocavansi le omhre a bere il sangue accolto nelle fosse, a
cui
si univa qualche volta latte, vino e farina. Sali
ra gioia orrido strido: — Patroclo, esclama, questo sangne accogli Di
cui
t’ inondo: esso è de’ Teucri il sangue Che giurai
idiata dal tempo. Di due are massime, così dette dalla venerazione in
cui
erano tenute e dalla loro altezza, troviamo fatta
unica ara alle sue fortune chiamò Ovidio quel raro e memore amico, a
cui
scriveva nell’esigilo lettere che dettava il dolo
sena, ch’ Euripide e Seneca, tradotti, vi narreranno. — Seneca, la di
cui
descrizione ho tradotta come le forze del mio ing
imposta colpa, Torna a nuovo misfatto ove d’Achille Posta è la tomba,
cui
l’estremo fianco Lambe il flutto reteo. L’avversa
dall’oracolo di Apollo. Lo stesso autore infama la memoria di Teseo,
cui
lo stesso dio ordinò di uccidere Antiope sua mogl
aggini, quasi le colpe con altre colpe potessero espiarsi. Seneca, di
cui
la descrizione serbiamo alla seguente Lezione, ci
e per celebrare queste empietà si osservavano ve lo dirà Euripide, da
cui
ho tradotto quei versi immortali ai quali è conse
ravi aurate Ornamento e sostegno. Appo le note Pompe che adora, e per
cui
serve il volgo. Sembra la reggia allontanarsi in
eggiando, dubitar. Si cangia In sangue il vino che libò l’ iniquo Re,
cui
cadon le bende. 1 rei ministri Tremano: immoto è
angue. Nè questo è il fine della colpa: è grado A delitto maggiore, a
cui
la fede Mancherà dei nipoti. Appena ei vide La st
e in un tempio veneratissìmo vedevasi la statua della Fortuna, dal di
cui
seno beato suggeva Giove con Giunone il primo ali
Drepano fu chiamato Corcira dalla falce ministra di quell’ingiuria, a
cui
deve il suo nascere la madre degli amori. Favoleg
ro all’orlo estremo V’era Mercurio effigiato, e presso L’ucciso Argo,
cui
preme unica notte I cento lumi; dal recente sangu
Lieo re dei Tebani, fu violata da Giove mutato in Satiro. Il marito,
cui
non placò l’essere un dio autore della colpa, rep
iove non le avesse rapito il pudore mentendo le forme della dea, i di
cui
studj seguiva) diede alla luce Arcade: e la coste
a, i di cui studj seguiva) diede alla luce Arcade: e la costellazione
cui
dà il suo nome stancava gli occhi dei greci nocch
i due occhi del cielo; la bionda Cerere generò da lui Proserpina, per
cui
tanto pianse ed errò, che col primo sorriso mansu
i grano e miele. Fra queste antichità io pongo ancora una colonna, su
cui
è la statua di Socrate, uomo degno di memoria, ch
e, opera di Fidia, che niuno, al dir di Quintiliano, potè emulare; in
cui
l’oro e l’avorio erano distribuiti con tal lavoro
oro, Che goderà così leggiadra fera! Cerca saper qual sia, donde e di
cui
, E di che armento, e chi l’ha data a lui. Per tro
e coir asta nella sinistra. Che dirò del celebrato Giove Capitolino,
cui
doni mandava il mondo soggetto, che fu venerato i
ma le pareti erano dorate nel magnifico tempio che sorgeva sul monte,
cui
die nome ancora Tarpea, della quale vi narrerà la
opo la guerra Cantabrica, gii eresse un simulacro nel Campidoglio, di
cui
Plinio forse favella, commendandolo sopra le altr
deo. Così chiamavasi per la pietra che adoperavano nel giuramento, di
cui
ci ha conservato memoria Polibio nella guerra fra
i in mezzo a due figure, una virile detta Onore, 1’ altra muliebre su
cui
si leggeva Verità: come simulacro, di Fidio inscr
che ho tradotta, quantunque disperi che le straordinarie bellezze di
cui
ridonda possano in altra lingua trasportarsi. «
o Stagioni, come in un medaglione di Commodo in Vaticano. Il capo, a
cui
servono d’ornamento la barba e i capelli inanella
vi, onorando un simulacro di lei assiso sul trono, e collo scettro su
cui
posava il cuculo, ministro della frode amorosa. I
antichi che il latte parte scorrendo pel cielo ne colorisse quel lato
cui
dà il nome, e parte scorrendo per la terra mutass
dei gigli già crocei il colore. Ercole adulto ferì lo stesso seno da
cui
fu nutrito, come Omero nel quinto libro dell’Ilia
il secondo, perchè nacque, al dir dei Mitologi, dalla morte di Argo,
cui
fu inutile la vigilia dei cento lumi coi quali cu
no pose fine alla sua caduta, e i pietosi cittadini aiutarono il dio,
cui
l’infermo piede i passi ritardava. Ancelle di Giu
amo distinguere con precisione la maniera di quel gran maestro, delle
cui
opere non conosciamo che alcune copie per plausib
l tempo di questa scultura per molto remoto, e per quello appunto, in
cui
l’arte essendo giunta sotto Prassitele alla maggi
ritano ancora le crespe della tonaca, e il lembo della sopraveste, su
cui
si scorge un riporto aggiuntovi per abbellimento.
Ebbrezza di delizia, e quanto alfine Forma il senso inefFabbile, per
cui
Delira il saggio e s’incatena il forte. Placido e
questo Monil, che tolte dall’Eoe conchiglie Formar candide bacche, a
cui
frammisto Fulgido elettro de’ suoi rai l’asperge.
o incerta Così a lungo restar? Troppo mi punge La memoria del fallo a
cui
mi trasse Sconsigliata pietà, troppo m’ è grave L
Cinzia dicevanla quando diminuiva il sollecito pudore delle vergini,
cui
lo sposo, con mano ardita, scioglieva il cinto be
ne, sotto lo stesso nome, sorgeva in Ardea, perchè accenna l’epoca in
cui
la pittura fu conosciuta nel Lazio mercè di Marco
gazioni. « Il primo intende pel velo le nubi che ofi’uscano Taria, di
cui
questo nume è il simbolo; l’altro crede additarsi
capo un piano rotondo che lo reggeva, oltre un foro quadrangolare in
cui
s’innestava. questo fosse un vestigio delle colon
ha pubblicato questo curioso simulacro, l’ha creduto Ercole bambino,
cui
Giunone porsela mammella, o ingannata da Giove, c
simboleggiarsi dal putta che stringe al seno. « Ma questa statua, la
cui
testa per la maestà dei lineamenti e per la dolce
ettuno, fra gli Dei consiglieri, dopo Giove per impero il maggiore, a
cui
servono l’onde sortite, sarà della presente Lezio
onde, L’altro col dorso le tre navi indietro Ritirar dallo scoglio in
cui
percossero: Le tre che nell’arena eran sepolte, E
i questo simulacro, e la grana finissima del marmo, quasi diafano, in
cui
è stato scolpito. » Lezione decimaterza. Merc
rdì pei piedi nuovo riparo. Lo vide dall’ombroso Onchesto un vecchio,
cui
lo dio comandò il silenzio dicendo: vecchio, che
esto, scoperse l’autore del furto dagl’indizii datigli dal vecchio di
cui
favellammo, volò al selvoso monte Cillenio; il gi
il giocondo odore che diffondeasi accusò la casa del nume fanciullo,
cui
minacciò, se non manifestava la preda il tartaro
che il nostro marmo alluda a qualche fatto più conveniente all’età in
cui
si esprime Mercurio. Omero, altri che sia l’autor
uesta favola sembra presentarci il momento della nostra statuetta, in
cui
si mira l’avveduto bambino dissimulare con un ris
osa del volto, son rammentati da Luciano in uno dei suoi Dialoghi, in
cui
delinea collo spiritoso suo stile il carattere di
l’antico ed ora porta la borsa, distintivo notissimo di questo dio, a
cui
si attribuiva il lucro ed il commercio; il quale
volta al braccio sinistro, emblema consueto della sua speditezza, per
cui
gli furono anche attribuite le ali alle piante. Q
si sempre le opere degli antichi. Adornava il Foro di Preneste, nelle
cui
ruine fu dissotterrato, e deve dirsi perciò Mer c
ra volando Giunto là ‘ve d’Atlante il capo e il fianco Scorgea, delle
cui
spalle il Cielo è soma; D’Atlante, la cui testa i
e il fianco Scorgea, delle cui spalle il Cielo è soma; D’Atlante, la
cui
testa irta di pini, Di nubi involta, a pioggia, a
ni, Di nubi involta, a pioggia, a venti, a nembi E sempre esposta, il
cui
mento, il cui dorso E per nevi e per gel canuto e
volta, a pioggia, a venti, a nembi E sempre esposta, il cui mento, il
cui
dorso E per nevi e per gel canuto e curvo E da fi
del nume, al quale un vento è sostegno mentre s accinge al volo, per
cui
dal cielo fino agli abissi discende apportatore d
come narra Giulio Cesare nei suoi Commentarj. Di Mercurio Agoreo, di
cui
il simulacro vi descrisse il Visconti nella passa
rie dei diversi cognomi, coi quali fu dai Pagani distinto Mercurio, a
cui
come suo ministro favoleggiarono che Giove affida
la congettura a dimostrazione si chiede di vederne un’antica copia in
cui
esistano tuttora i segni non equivoci di Mercurio
l miglior dei numi, Che per te lascia le Cimmerie grotte: Dical Argo,
cui
preme i cento lumi Unica notte. Lezione decim
to, l’eterno rettore dei corsieri del sole, il custode del futuro, di
cui
dilegua le tenebre; il re della Delfica terra, di
o terrore sarebbe in ogni colpa trascorsa, uccise questo raro medico,
cui
non valsero le sue arti. Apollo percosso dalla pi
er la terra lungo tempo, e finalmente ricovrossi presso Admeto, nella
cui
casa sofferse la mensa servile, e tutti i danni
o finalmente l’ospite divino, e nacque fra loro non volgare amicizia,
cui
fu debitore il primo d’infiniti benefizii, onde n
preghiere, le promesse per fermare il timido corso della giovinetta,
cui
la fuga accresceva bellezza. Ali dava la speranza
ceva bellezza. Ali dava la speranza al primo; il timore alla seconda,
cui
l’implorata divinità paterna salvò il pudore, mut
ionfò Apollo delli stessi suoi danni, facendo a sé sacro l’ albero in
cui
si cangiò l’amata ninfa, che quindi divenne « On
o di bronzo dei più rinomati dello spesse volte lodato Prassitele, di
cui
non solo in marmo, ma in bronzo ancora ed in gemm
ria del figlio di Latona, sebbene conviene particolarmente all’età in
cui
è figurato, nella quale, secondo Giovenale, fanno
rte di conoscere l’avvenire col volo degli uccelli, e che la città di
cui
è fondatore fosse sommersa nel diluvio di Deucali
per figlia Celeno, che partorì ad Apollo un figlio chiamato Delfo, da
cui
la città ha tolto la sua denominazione. Altri dic
one più comune è che Apollo vi.uccidesse un uomo colle freccio. il di
cui
corpo essendo rimasto insepolto, infettò gii abit
l’aria dell’isola. « I poeti dicono che fu da Apollo ucciso un drago,
cui
la sicurezza dei suoi oracoli aveva la Terra affi
quello che si dice, data ad Omero, la quale si legge nella colonna a
cui
sovrasta la statua del principe dei poeti. — Feli
nde un altro più vicino. Sotto i piedi di Anfialo v’è un fanciullo di
cui
s’ignora il nome. Fronti è il solo che abbia la b
lo di cui s’ignora il nome. Fronti è il solo che abbia la barba, e di
cui
Polignoto abbia preso il nome da Omero. Briseide
petta I miei cenni tremante; a me di Cadmo Serve là reggia, e Tebe, a
cui
le mura Del marito la cetra unì: rimiro Ampli tes
o. Ancor cercate Cause alla mia superbia? A me Latona Preporre osate,
cui
l’immensa terra Un asilo negava allor che il seno
e Cadmee Mura minaccia. Innanzi a queste un piano Campo largheggia, a
cui
le dure glebe Frangono le confuse orme dei carri,
ra non potrebbe esser 1’ argomento del simulacro, o alla medicina, di
cui
Apollo è il nume, e il simbolo la serpe. « Questa
la superfìcie. Eccolo: egli ha inseguito il serpente Pitone contro di
cui
ha per la prima volta piegato il suo arco, e coll
adre degli Dei, nessuno ve n’ha che si avvicini a quella sublimità in
cui
egli manifestossi alla mente di Omero: ma. in que
inarcati; é la sua bocca un’immagine di quella dell’amato Branco, in
cui
respirava la voluttà: la sua morbida chioma simil
si agitata da una dolce auretta intorno al divino suo capo, in cima a
cui
sembra con bella pompa annodata dalle Grazie e di
celebre statua dell’Apollo di Belvedere, e alla qualità del marmo in
cui
è scolpita. Affermò non potersi supporre opera di
i: così Glicone perfezionò nell’Ercole di Farnese quel di Lisippo, di
cui
esiste una copia antica in Firenze: così Cleomede
ollo, cioè il bastone di pastore incurvato, appoggiato alla pietra su
cui
siede la figura: dal che appare che siasi voluto
all’insù, e legati in cima al capo come le quattro mentovate teste, a
cui
pure affatto si assomiglia nella fìsonomia, e son
ione di un Apollo tenente un gallo sulla mano per indicare il Sole di
cui
annunzia il comparir sull’orizzonte. Il frontispi
ndeva che questa statua fosse fino dai tempi di Ercole. Il delfino di
cui
si fa uso nei tripodi di Apollo, è un ornamento a
’espressione di questa bellissima statua è giustificata dal pregio in
cui
si conosce essere stata presso gli antichi dalle
ndremo a suo luogo notando. « Raccogliamoci alquanto dallo stupore in
cui
ci trasporta l’osservazione di così bel simulacro
si sospendevano, vengono da Esichio dette φορμιγγες, parola greca con
cui
talora si denota ogni sorta di cetra o lira: nomi
rviva per chiudere un vuoto che desse maggior voce allo strumento, le
cui
corde sulla magade si terminavano. Questa concavi
ministro maggior della natura. » Più incerta ancora è la ragione per
cui
Licio fu detto; e Pausania si contradice, perchè
adia; Agieo fu detto dalle vie, e così lo nomina Orazio in un’Ode, di
cui
vi ho letta la traduzione. 14 Patareo da Patara
l’esser genitrice, dimandò a Giove padre verginità eterna. La diva a
cui
sono a core i dardi, la caccia delle lepri, le al
inee. Eccovi esposti i principii della fanciullezza di questa diva, i
cui
attributi unì l’ Ariosto nella seguente maravigli
bbigliamento, poiché le Muse stesse non sono aliene da questo nume, a
cui
è sacra una delle sommità del Parnaso. La nostra
ere per Leucotea, o per persona a lei aderente, qualunque immagine la
cui
testa è dal credenmo legata, come Winkelmann stes
ice anch’essa e in atto di cacciatrice dipinta una volta da Lesche, a
cui
sarebbe stato dato il credemno come ad una Cadmei
’Ercole l’ultima impresa. « Tu, virginea Diana, ucciditrice di Tizio,
cui
un avoltoio divora il core rinascente, avendo d’o
o chi è veritiero, ed io sia quegli; abbia sempre a cuore il canto in
cui
si odano le nozze di Latona, e tu molto regni con
di cervi amasti sopra le altre; Britomarte certa saettatrice, del di
cui
amore preso Minosse errò pei monti di Creta. La n
ni chiamaron la ninfa Dittinna, cioè dalle reti, e Ditteo il monte da
cui
saltò; eressero altari, vi fanno sacrifizii, e in
al velo della donzella mentre fuggiva. Fu tua compagna ancora Cirene,
cui
desti due cani da caccia, e la bionda Procri cons
o sono legati a molta distanza dalla testa, e cinti da un diadema, su
cui
stanno otto rose rilevate d’un color rosseggiante
ta dea eh’ è nella Villa Borghese in Roma. Le sue Oreadi, o ninfe, di
cui
Obi è la più conosciuta, hanno delle lunghe ali d
o delle querce. Una pittura di Ercolano ci rappresenta una Driade, di
cui
la parte inferiore è formata di foglie, e che tie
emulo della castità di questa dea, tanto da meritare l’ira di Venere,
cui
soddisfece l’amore della delusa matrigna. Diana,
pli, giacché non consisteva che in una nicchia scavata in un olmo, in
cui
apparentemente era la statua di Diana. Quello del
si potuti mettere in opera architravi di sì gran peso. L’artificio di
cui
servissi questo valente artefice per ve nirne a c
desi la pietra discendere da per se stessa, e adattarsi nel luogo in
cui
si dovea collocare. Si potrà ben credere che il t
ma non so se vorremo prestar fede a ciò ch’egli dice della scala, per
cui
salivasi sino alla cima del tetto e ch’era fatta
ico cibo degli uomini. Il resto del petto è coperto dallo Zodiaco, su
cui
ci son visibili i segni dell’Ariete, del Toro, de
ta in oro dagli antichi, e sta rinchiusa nel castone di un anello, la
cui
gemma trasparente, eh’ era una sottil calcedonia,
aggior fama e riconoscenza dai mortali che pel dono dell’oliva, il di
cui
albero, al dire di Erodoto, non trovavasi anticam
uesta dea i capelli più lunghi dell’altre sia il solo fondamento, per
cui
sulla sua chioma biònda giurar si solea. Si trova
incorruttibile, che vibra Per cento fiocchi sanguinoso lume: L’Egida
cui
d’intorno erano accolti Tutti di guerra gli abbor
che ascrive la nascita di Minerva alla palude Tritonide ed a Nettuno,
cui
pure occhi glauchi danno i poeti. Altri dalla not
contro Agamennone. Ritornato in sua casa l’eroe ebbe una visione, in
cui
Pallade gli mostrava la ricevuta offesa: cadde at
ta in Atene col nome di Minerva Musica, i serpenti di bronzo della di
cui
armatura erano con tanta sottigliezza ed artifizi
, detta dai Greci (grec), diversa dal (grec) o striscia di cuoio, per
cui
si porta van gli scudi in tempi più vetusti appes
he impugna l’asta, colla quale rompe l’ intere squadre d’eroi, contro
cui
, al dire di Omero, si adira la figlia del forte p
ci le clamidi virili, regie e militari, e quale appunto era quella di
cui
Minerva medesima volle adorno Giasone, poiché Teb
e dalla solenne bas’natura occasione Callimaco nel sesruente Inno, in
cui
si propone di cantare le lodi della dea, alle qua
proponendo loro per esempio la disavventura occorsa a Tiresia, nella
cui
storia molto si diffonde. Poi, ritornando a Miner
, del Cielo e del Giorno figlia, ebbe tempio in Elide; la seconda, di
cui
abbiamo favellato, generata dalla spuma, diede co
iodo nella Teogonia vuole che appena nata andasse al monte Citerò, da
cui
di Citerea sortì il cognome, e quindi a Cipro, do
affo dipinge Venere sopra un carro tirato da dei passeri, immagine di
cui
l’arte non pare che abbia profittato, poiché ella
apparir del sole dopo una bella aurora, e par che senta quell’ età in
cui
le membra prendono una più compiuta forma, e comi
nella Teti seminuda della Villa Albani rappresentata in quell’età in
cui
sposò Peleo. « Venere Celeste, cioè quella che di
h’ è proprio a Giunone. Porta pure questo diadema Venere vittrice, di
cui
una statua che posa un piede su un elmo fu dissot
re gemme e statue dello stesso soggetto. E ammirabile il giudizio con
cui
ha ancora impiegato per sostegno dell’ anca sinis
anto lontano e così presso all’infanzia della scultura come quello in
cui
visse questo rinomato artefice: prima cioè che le
le poi per tutto l’anno, Finché non riede l’annual funesto Giorno, in
cui
dee rinnovellarsi il pianto. Idillio, XXIII.
ine di Venere collo scudo in mano del dio Marte: l’affibbiatura della
cui
veste caduta dalFomero manco, sino verso il gomit
ienti alla più bella di tutte le dee; non tanto la gentil positura in
cui
è situata, reggendo colla manca un panno ornato d
ecclissava nel suo tempio i capi d’opera di Scopa e di Briasside; per
cui
tanti navigavano a bella posta in Asia, e per cui
e di Briasside; per cui tanti navigavano a bella posta in Asia, e per
cui
il fanatismo degli antichi giunse agli eccessi i.
uesti accessorii nelle statue di Venere; così in quella di Troade, di
cui
esiste in Roma una copia antica di Menofanto, ha
La seconda riguardava quel frammento di pilastro o di colonnetta, su
cui
ora tien posato un elmo che suole accompagnare pa
Si affaticavano di portarle accese fino alla meta prescritta: quello
cui
si estingueva era con infamia escluso dal corso.
niera d’ indovinare col mezzo del fuoco, ascrivono pure a Vulcano, di
cui
Virgilio così descrive la fucina: « Giace tra la
’iscrizione al Re dell’Arte; il che si riporta all’arte monetaria, di
cui
l’inspezione sembra qui essere attribuita a quest
Ampio là vedi Ricco di pingui rammollite zolle Stendersi un campo, in
cui
tre volte il dente Fisse l’aratro; di cultor call
a i doni del licer celeste Che l’uom rintegra, agli anelanti sposi In
cui
fame non dorme apprestan mensa Men lauta sì, ma p
antico scrittore. Ma un Marte, qual lo vorrebbe il signor Vatelet, di
cui
ogni minima fibra esprimesse la forza, il coraggi
St. 1, 2. Andando in traccia della figlia pervenne ad un castello di
cui
era signore Eleusio, cui la moglie Jona avendo pa
ccia della figlia pervenne ad un castello di cui era signore Eleusio,
cui
la moglie Jona avendo partorito Trittolemo cercav
coglie L’unghie dorate: col meonio tirso Regge l’orma mal certa. Dei,
cui
serve L’inerte volgo dell’immenso Averno, Pei qua
inocchi Supplicanti abbracciar, non senza pianto, Con quelle mani per
cui
trema il mondo E serve; che dei fati il lungo sta
sparse chiome: della notte Arbitro, o sommo imperator dell’ombre. Per
cui
corrono sempre i nostri fusi. Che, di tutto princ
utto principio e fin, compensa Con le veci di vita alterna morte, Per
cui
s’avviva la materia, ei corpi Vestono l’alme che
mesta nube la sublime testa Aspreggia, e tutta la crudel sembianza A
cui
cresce terrore il duol; la bocca Solleva e tuona:
che accennava i mal graditi abbracciamenti di Nettuno, e il dolore in
cui
l’immerse Plutone rapitore di Proserpina, eterna
vi sono, secondo il solito, impresse delle spiche di frumento, sulle
cui
foglie posa un sorcio. Essa ha qui, come sopra al
no questa scultura un esemplare nel suo genere quasi inimitabile, e a
cui
non si sono da lungi nemmeno saputi appressare i
eale. Si può dire che questo marmo sia trattato nella vera maniera in
cui
conviene lavorare figure colossali, restandone i
chi che Tordmario, ho creduto che siasi voluto rappresentar Cerere, a
cui
si compete una beltà alquanto rustica come alla d
evo antico pubblicato dal Lami nell’opera del Meursio sul soggetto di
cui
si tratta. L’ottavo giorno si diceva Epidaurio, p
ne resti. (Notate che ancora non si erano scoperti gli altri due, di
cui
parla Visconti nel terzo tomo. « Ha già avvertito
e nell’ordinarie espressioni del linguaggio per simbolo del Sonno, le
cui
apparenze mentisce l’iemal torpore di questo picc
« Presso al Sonno è scolpita ancor la farfalla, insetto leggiadro, le
cui
ali adornano qualche volta del Sonno istesso le t
anzi voler indicare la positura di sovrappor una all’altra gamba, in
cui
sono espresse ordinariamente sì fatte immagini, m
e nutrita non è però tale oltre quelle che porta l’età infantile, in
cui
le figure si rappresentano; ed in fatti le lor fo
e se volesse richiamare qualche idea alla mente; l’altra superiore, a
cui
applicano 1’ iscrizione Sofia, o la Sapienza, tie
otando in queste esposizioni, e che egli avea dall’antico dedotti, di
cui
era oltre modo amatore e studioso.» Temi figliuo
ma il sopra lodato scrittore, e a ciò mi muove l’autorità di Luciano,
cui
veruno negherà la notizia perfetta delle antiche
mpano di insolita grandezza. Ella è volta alla sinistra verso Ati, di
cui
narreremo le avventure, il quale abbigliato alla
destra oziosa. Accanto di questo vedesi una punta di fabbrica, avanti
cui
stanno due figure muliebri di statura molto minor
scorgesi incontro il cocchio della dea quasi all’ombra di un pino, al
cui
tronco egli si appoggia. L’abbigliamento di esso
esse dopo la dolorosa operazione. Non starò a indagare se l’Eunuco di
cui
parla questo poeta sia per l’appunto il Frigio, c
tuo lieve timballo, o frigia Diva, Che di tromba ti tien luogo, e con
cui
Consacri, o madre, i sacerdoti tui: E le terga de
so. Il sesto terminava la solennità colla purificazione della dea, il
cui
simulacro, unitamente ai sacri arredi per la cele
ente onorato, e questo culto empio e barbaro è stato sempre quello su
cui
è fondato il maggior rimprovero, che la posterità
ili a quelli delle nostre novelle. Se ne conosce una terza specie, di
cui
la memoria si era conservata nell’Argolide, e che
Lenno ebbe già un Vulcano, che le fece dare il nome di Etalia, ma di
cui
non resta alcun vestigio. Questa circostanza fisi
onserva la sua celebrità nel Levante. Fin qui il signor Fréret, le si
cui
dotte osservazioni mi faro lecito di rettificare
irete quanto que;,to mo.struo.so ardesse di Oalatea, da 7’eocrito, di
cui
l’Idillio, detto il CìcIojjC, ho tradotto, ‘;,~;[
à nella metallurgia: èglino (era fama) avevano fabbricata la falce di
cui
Rea armò Saturno, e il tridente di Nettuno. Proba
edio, o calato, emblema di ricchezze e d’abbondanza, come a quel nume
cui
le dovizie diedero il nome, e che l’arbitro ne fu
voglia interpretarsi per simbolo dell’abbondanza e della dovizia, di
cui
si riguardarono questi numi come dispensatori, si
orvo e di feroce notato da Winkelmann come caratteristico di Plutone,
cui
sovente è apposto dai Greci l’epiteto di (grec),
l capo velato: onde presso i Greci avea sortito il nome di (grec), il
cui
senso vale oscuro, invisibile.» Lezione quaran
: in ciò da Giove diverso, ed accostantesi al costume di Serapide, di
cui
però non ha in testa il medio, come per inavverte
ralmente usa nei monumenti etruschi, forse accennano la velocità, con
cui
, a guisa di cacciatori inseguono i rei, quantunqu
‘sepolcro di Eteocle e Polinice stava scolpita una delle tre Parche,
cui
Pausania assegna un’aria feroce, gran denti, mani
Proserpina non ostante le ragioni della severa Minerva. Mercurio, di
cui
l’intervento non è inutile in questo genere di av
asseggiero a questa riva imposto Caron, demonio spaventoso e sozzo, A
cui
lunga dal mento, inculta ed irta Pende canuta bar
na l’idea della sua nuova grandezza, così le dice in Claudiano, il dì
cui
Poemetto vi tradussi: La porpora deposta, ai pie
morte. Ella solo infatti confessa quanto piccola cosa sia l’uomo di
cui
ristabilisce i diritti e fa sicure vendette batte
ttà assediata se ne innamorò, e recise al padre il capello fatale, da
cui
dipendeva la sorte della patria. Minosse inorridì
bunale; esamina la loro vita; indaga tutti i loro delitti. Radamanto,
cui
la Mitologia assegna gli stessi genitori, fu anch
figlia la dicono della Terra. Vogliono che si sposasse a Fallante, a
cui
generò l’Idra: ebbe da Acheronte la Vittoria, la
chiamata Minta, che fu dalla regina dell’ombre convertita in un’ erba
cui
diede il nome. Omero lasciò scrìtto nell’Odissea
to di un platano prendea riposo: apparizione, a meglio dire, sogno, a
cui
dovette Smirne la sua nuova edificazione e la sua
quale è stato ristaurato con in mano un ramo di frassino, simbolo di
cui
danno esempio i monumenti, e che ci accennano gli
ducono, l’invidia non vuole darne loro tutto il merito. « Il marmo in
cui
fu scolpita la superba statua era stato destinato
fu confuso col frassino di Nemesi. Dall’altra reggeva un’ampolla, sul
cui
corpo erano rappresentate le figure degli Etiopi.
mpolla che una fiala di preziosi unguenti tutta propria di Venere, su
cui
sono scolpiti gli Etiopi, non per la loro giustiz
Artisti, fuggisse con Icaro suo mal avventurato figlio a Minosse, di
cui
vi favellai nella passata Lezione. Dedal, che Cr
della nostra religione, e fede ne fanno i seguenti versi: «Colui, lo
cui
saver tutto trascende. Fece li cieli, e die lor c
Parche ne adempivano gli ufficii. Quindi quell’inno sopra Cerere, in
cui
Pausania scrive avere Omero nominato (grec), o Fo
le ì filosofi pagani circonscrivevano la possanza del loro Dio, e con
cui
si lusingavano di spiegare l’origine del male: ne
a De l’odiata maestà latina. Rammentar non vogl’io l’orrida spada Con
cui
fui sopra al cavalier tradito Sul menfitico lito:
, o sieno esse reputate degne di lode, ovvero di biasimo. Il sasso su
cui
siede la Musa può simboleggiare le rocche di Parn
esservi vestigio alcuno del globo, principale distintivo di Urania, a
cui
corrisponde il radio, o bacchetta, che suole aver
i funerali, e fin nella guerra. Gli appropriano perciò ad Euterpe, il
cui
nome significa dilettevole. « Come nelle pitture
principalmente, come dal baston pastorale e dalla corona di edera di
cui
ha fregiata la chioma. Questa corona è sacra a Ba
doppio uffìzio, sì ai piaceri e ai divertimenti, che sono i fiori di
cui
si sparge il disastroso sentiero della vita, sì a
n sasso il pie sinistro: sono tanti distintivi del genere di poesia a
cui
generalmente presiede. « Infatti nulla di piìi pr
i piìi proprio per denotare la Tragedia che la maschera di Ercole, la
cui
clava suole esser il suo simbolo più comune nella
ristaurata, e il ristauratore avea cangiato la spada in una clava di
cui
rimanevano le vestigia in alcuni perni rugginosi
di Omero Melpomene è la figura muliebre velata, più vicina a Giove a
cui
rivolge il volto: la contrassegna il coturno alti
ne a questi eruditi di poter giungere alla vera idea dell’artefice, a
cui
non poteva condurre che la diligente osservazione
sa la maschera tragica nella manca, e l’abito cinto di gran fascia di
cui
è adorna. Tersicore. « Due sono, secondo
gina di Svezia. Il rincontro dei monumenti è una prova della stima in
cui
si avevano anticamente gli originali di queste fi
ravvisiamo Tersicore, Musa della Lirica eziandio secondo Pindaro, la
cui
assertiva, anche sola, e per l’antichità e pel me
ornare alla considerazione del nostro marmo, chi sa che quel manto in
cui
la veggiamo involta non voglia indicare le tenebr
tra è nel giardino Quirinale, e che nel nostro Museo è una statua, la
cui
testa è il ritratto di una matrona romana, tal qu
na del Museo Pio-Clementino, sarà forse stata opera di Filisco, dalle
cui
Muse sospetto copiata la nostra collezione. « Nel
eralmente le matematiche. Il globo e il radio, o sia la bacchetta con
cui
i matematici indicavano nelle scuole loro le figu
delle nove Muse che adornavano forse l’antico teatro di Pompeo, nelle
cui
ruine si suppone trovata quella della Cancelleria
a vicinanza del sito ne può essere di qualche indizio. La fabbrica al
cui
abbellimento erano queste statue destinate fu for
già dei pastori che gli presentano latte e vino eh’ egli riceve, e di
cui
si compiace. Certo questi Etiopi sono piacevoli a
ci delle belle copie di bellissimi originali. Questa all’incontro, il
cui
capo era in antico d’un pezzo stesso col rimanent
scoltura è il panneggiamento, sì per la maniera nobile e leggiadra in
cui
è trattato, sì per la qualità dell’abito che si è
e la nudrice di Omero. Questo genere di poesia si è dovuto esprimere
cui
pugillarì, e perchè appunto Omero, eh’ è il maest
no, come la lira, la cetra, la maschera: alla musa della poesia Epica
cui
convien solo l’esser recitata, non poteano darsi
on poteano darsi che i pugillari sui quali si compone, o il volume su
cui
si registra o si legge. Il volume le hanno assegn
opinioni. « Per farmi meglio comprendere, seguito lo stesso ordine in
cui
sono disposte nel rame del Tesoro Brandeburgico.
a, e lo dimostra l’aratro eh’ è nell’area, emblema dell’Agricoltura a
cui
presiede, dagli eruditi non osservato, egualmente
moneta ci presenta Tersicore musa della Lira, propriamente detta, la
cui
origine si vede indicata nella testuggine espress
nzi, nè dopo, e che si sia dimenticato del Laberinto e del motivo per
cui
navigò in Creta: tanto egli riguarda quelle cose
più giovane di tutti i Greci, e pensate a quel mezzo talento d’oro di
cui
gli fece dono nei giuochi. Da lui pure gli fu ann
ilievo Capitolino, •l’unione delle quali coi fonti e colle Naiadi, al
cui
onore è dedicato il monumento, non era stato fino
eramente e con una certa audacia contro le onde, è Aiace Locrense, di
cui
la nave dal fulmine è già stata colpita. Egli ess
a barba che appena gli fa ombra al volto; ben ciò conviene all’età in
cui
fu ucciso. Voi non direte che Mennone fosse nero
ne, son presi dal sanare; a’ quali Snida aggiunge Acesio Sanatare, di
cui
fa menzione Pausania insieme con Evamerione, che
bblicato dallo Sponio si vede un fanciullo colla penula cuculiata, di
cui
è rivestita la figura del mese di Dicembre in un
rdino delle Monache Barberine sul Quirinale maggior del naturale, nel
cui
viso imberbe sospetto il ritratto di qualche Medi
sa colonna. Le imprese del Nume sono consegnate al poema di Nonno, da
cui
estrarrò quello che per voi vi ha di più interess
non giungerà mai ad esprimere quella morbidezza e quella carnosità a
cui
è ridotta la pietra, nè quella delicatezza di lin
, secondo i siti dove i simulacri li destinavano, secondo i poeti, le
cui
descrizioni seguivano, i sacerdoti a’ cui misteri
navano, secondo i poeti, le cui descrizioni seguivano, i sacerdoti a’
cui
misteri alludevano, le varie persone alle cui spe
guivano, i sacerdoti a’ cui misteri alludevano, le varie persone alle
cui
spese operavano. Questo appunto aggiunge a tanti
e ne troveremmo il motivo: giacché sappiamo che le parti del corpo su
cui
si fa forza e si preme, acquistano in grossezza c
Fiacco della strage di Lenno, che vi accennai parlando di Vulcano, a
cui
la riconoscenza rendeva cara quest’isola. Sarà co
pano tutti i dolori. Accusa Pandora di aver aperto il vaso fatale, da
cui
sono escite tutte le sciagure, e non riconosce la
i si distingueva sopra tutto un presagio che annunziava il fulmine da
cui
sarebbe colpita, e la cura che prese Giove del su
gianti, accusano la sua colpa. Ella già prende gusto per 1’ edera, di
cui
ella intralcia la corona ornamento della sua test
dmo. Finge d’intenerirsi sulla sorte della giovine principessa, il di
cui
onore è pubblicamente attaccato. La interroga qua
orona d’edera. Intralciano ì suoi capelli di un serpente tortuoso, di
cui
la fronte è armata di corna, coll’oggetto di ritr
el Sole loro padre, ove riscontrano Espero e la Luna crescente, il di
cui
carro è tirato dai bovi. Vi si legge la descrizio
a a raggiungere le sue sorelle, e ritorna verso il mare d’oriente, da
cui
esce il Sole. Bacco però era sempre inconsolabile
pplaudisce della sua scoperta. Apostrofa l’ombra del suo amico, la di
cui
morte ha preparata la felicità dei mortali. Dà gl
fece un foro in questa rupe per procurarsi una specie di strettoio in
cui
mettere l’ uve. Egli le preme coi Satiri, che ben
iano Astraide, che accampa il suo esercito sulle rive dell’Astaco, di
cui
vuole a Bacco contrastare il passaggio. Ne rappre
ontegno delle due armate nemiche trincierate sulle rive del fiume, di
cui
le acque son cangiate in vino da Bacco dopo la di
oro perdita, bevono 1’ onda del fiume, che prendono per nettare, e di
cui
non possono mai saziarsi. Il nume si approfitta d
che coglie la favorevole occasione per commettere così caro furto, di
cui
Pane stesso è geloso. La Ninfa si sveglia, e pror
ene il seguito della battaglia data sulle rive dell’ Idaspe, nelle di
cui
acque sono precipitati gl’Indiani fuggenti innanz
presagivano le vittorie di Bacco. Il nume vergognandosi del riposo in
cui
languiva, si duole degli ostacoli che Giunone ai
coli che Giunone ai suoi trionfi frappone. Ati l’amante di Cibele, di
cui
il poeta ci rammenta la famosa castrazione, viene
ivamente, e n’accusa la vile paura. Morreo ferisce Eurimedonte, al di
cui
soccorso vola Alcone suo fratello. Eurimedonte in
la che si scorge in un piccolo Bacco di bronzo con un Genio alato, di
cui
la testa è adornata del lungo collo di un’ oca, c
Padre Libero, cioè Bacco, vicino a Lerna, e dell’altra in Pellene, in
cui
per questo chiamavansi Lamptera, cioè festa delle
a antica ha un’idea bella divinamente, e ben conviene a quel nume, di
cui
si potea dire: Tu bellissimo sei riguardato nell’
turni, calzatura dei tragici, essendo egli il dio della Tragedia, per
cui
il giudizio fra le tragedie di Eschilo presso Ari
Fauni, non possono comunemente riputarsi per tali, perchè i Greci, di
cui
sono opera i vasi, non conobbero Fauni, ma Satiri
i del volto e delle membra si ravvisa per un personaggio assennato, a
cui
potea confidarsi l’educazione del nume. Lo sculto
imaquima. I Centauri. Fra i seguaci di Bacco furono i Centauri, di
cui
vi esporrò l’origine, i nomi, le imprese, quindi
i dei Lapiti; ma furono superati con l’aiuto di Teseo nella pugna, in
cui
da principio volavano le mense e i bicchieri. Sup
e nozze. Le siede accanto un fiume, che potrebbe essere il Biblino, a
cui
pare che Zeffìro, portandosi placidamente per ari
a risonare. In un cammeo antico di vetro riportato dal Buonarroti, in
cui
Bacco sta a giacere su una rupe in seno ad una de
mbe le mani, s’avanza il nume oppresso dalla crapula, e vacillante, a
cui
più che il tirso che gli crolla nella destra, è s
e fanciulli coi tirsi gli recan dietro una sottocoppa a tre piedi, su
cui
si scorge una piccola ara dove ardono incensi. Un
i originali medesimi, non riflettendo che il color nero del marmo, in
cui
han lavorato i due artefici di Cipro, esigeva qua
he ha nella sinistra il pedo detto (grec) dalla caccia delle lepri in
cui
s’adoprava, e sull’esempio d’una bell’ara della V
e gli è posta in mano una lepre, preda riportata nella sua caccia, di
cui
dimostra la gioia negli occhi e nel volto: ma int
i è copiato il pedo, che si osserva antico nel Capitolino, a norma di
cui
si è supplita ogni altra parte mancante. Con somm
ntorno alla vita, o cinti al capo. Questi eccessi però di furore, per
cui
sappiamo che i serpenti si facean mansuefare, non
lla, il troco, la pigna, lo specchio, i pomi, la trottola, le lane, a
cui
s’aggiungano le scale, le maschere, le piramidi,
andavano miste l’Amazzoni, nell’esercito almeno del vecchio Bacco, al
cui
aiuto, secondo Diodoro, le condusse Minerva. Cost
lzari. Il Bacco indico e barbato, quale Diodoro il descrive, è quello
cui
servono i Fauni con tanto rispetto. « Fulvio Orsi
e nella sintesi, e fìsse ambedue collo sguardo alla principal figura,
cui
sembra al gesto della man destra che il giovinett
nque figure seguono il Dio, che s’affretta a godere di quel licore di
cui
ha beato i mortali. Due sembrano preparargli un d
a studiasi di sottrarre il capretto dalle poppe della madre, presso a
cui
appoggiato graziosamente col mento al bastone sta
ua con tutte le sue circostanze. È effigiato nel marmo un uomo, il di
cui
volto maestoso e sereno è decorato da una lunga e
e che tanti ritratti e simulacri ci sien pervenuti di un principe, la
cui
storia rimaneva isolata da quella dei Greci e dei
la cui storia rimaneva isolata da quella dei Greci e dei Romani, e le
cui
memorie quasi ignote ai vetusti annali, si ricava
posto con ottimo gusto. È da notarsi la manica del braccio destro, il
cui
principio è antico ed è ben diversa dalle consuet
o che abbiamo sovente udito ricordare dai mitologi e dai poeti, ma di
cui
non avevamo finora incontrato negli avanzi dell’a
coi quali è stato rappresentato da Salpione nel bel vaso di Gaeta, il
cui
soggetto è quasi la seconda scena del nostro, cio
di questo nume. Il presente bassorilievo staccato da un sarcofago la
cui
fronte adornava, ci offre Bacco nel mezzo dei suo
l’altra conosciuta prima per Sardanapalo, era il grandioso ammanto di
cui
una statuetta di Bacco sostenuta in mano da un Fa
trove dei sacerdoti di mentir l’abito e le sembianze delle divinità a
cui
si consacravano: e immagini di numi agresti e del
rgomento della provenienza di figure sì fatte da nobile originale, di
cui
però nelle scarse notizie che ci sono pervenute n
devano ravvisarvi Olimpiade, la madre del gran Macedone, col serpe in
cui
si pretese trasformato per amor di lei Giove Ammo
, o nella maestria dello scalpello. « Bacco vien tratto in un carro a
cui
sono aggiunti invece delle pantere i centauri, un
fanciullo, e sì le altre sue immagini, sì lo stato di ubbriachezza in
cui
Bacco si presenta me lo fanno congetturare. Il nu
nno congetturare. Il nume è coricato su d’un carro a quattro ruote su
cui
è steso un origliere a guisa di letto. Egli sembr
nsacrate al nume, sono accompagnate da una pantera e da un leone, sul
cui
dorso, giusta la descrizione di Nonno, siede senz
acco. « Son tre Fauni e due Baccanti che conducon via un elefante, su
cui
è avvinto un prigioniere indiano, appunto come si
cocchi degli sposi; due Fauni sostengono con fatica 1’ ebro Sileno, i
cui
cembali caduti al suolo sono il primo oggetto, ch
sa, e che serve di pronuba a queste nozze. Se costei sia Venere, i di
cui
amori con Bacco non sono ignoti, e dai quali nacq
e fra le maschere e gli animali bacchici il carro a quattro ruote, su
cui
sono assisi i due numi. Ercole nudo interamente s
i Greci reputasse men degna la destra, o perchè Alcide è qui l’ospite
cui
Bacco ha ricevuto nel suo cocchio. Infatti l’estr
le celebrata dai poeti era un altro motivo per unirlo a Bacco, per le
cui
cerimonie mostrò, mentre visse, non ordinaria ven
Sileno ubriaco sostenuto dai Fauni. « Il quadretto a bassorilievo, il
cui
disegno osserviamo, ci mostra un gruppo la cui co
tto a bassorilievo, il cui disegno osserviamo, ci mostra un gruppo la
cui
composizione ò così felice, la cui espressione sì
osserviamo, ci mostra un gruppo la cui composizione ò così felice, la
cui
espressione sì vera, le cui parti sì belle che pu
ppo la cui composizione ò così felice, la cui espressione sì vera, le
cui
parti sì belle che può estimarsi uno dei più ecce
quali è sul punto d’ inciampare. Son queste una tunica manuleata, in
cui
soltanto ha il destro braccio inserito, ed un pal
a che sembra la corifea del Triaso, è forse Nisa nudrice di Bacco, il
cui
simulacro colossale e mobile da per se stesso in
co a quelle di Cibele confuse, e ci danno argomento di quel furore da
cui
comprese le Menadi rendeansi più forti delle più
lessandri, che mi assicurò reputarlo tale anche il celebre Canova, da
cui
gli fu commendato come uno dei più reputati avanz
tere nel seminario di cava L’autore F in da quel momento, in
cui
un grazioso volere del nostro illustre Ordinario
n lusinghevole invaghimento ? Da qual’altra scienza un uom letterato,
cui
si appartiene render ragione d’ogni cosa richiest
enicia(3) e che propriamente sia nato nella famiglia di Rel. Cham, da
cui
partendo, quasi da suo fonte, si pernicioso error
astratte divinità : sacrificando la terza parte alla poesia toscana,
cui
quasi per appendice seguirà la quarta alle latine
icordevole delle parole di suo padre, dover cioè venire un giorno, in
cui
da uno degli stessi suoi figli era spogliato teme
inchiuse. L’altra battaglia della prima ancor più terribile, e fiera,
cui
dovè far fronte Giove fu contro i Giganti. Questi
l Ponto prodigioso germoglio della terra ; ed almo padre di Nereo, da
cui
, come pretendesi, venne il famoso stuolo delle Ni
e avvenne, che egli fù creduto ancora il Dio governatore de’ navilii,
cui
solo perciò ricorrere dovea ogni pilota semprechè
anti alle marine spiagge venne Nettuno riguardato per una gran Deità,
cui
di tratto in tratto innalzarono famosi tempii, is
critto della natura, ed un tal acceleramento forse fù la ragione, per
cui
mal formato, e deforme comparve fin dal primo pun
nnoso respiro ; ma al ravvïsar gli abitanti di Lenno l’infausto fato,
cui
cadendo andava egli soggetto, richiamando nel lor
bella di pascersi dell’immortale lor Nettare, la cagione furono, per
cui
la bella Ebe il piacere incontrò di subentrare al
vano da campioni accorsi a celebrar tali feste, con legge, che colui,
cui
correndo smorzavasi la fiaccola, dritto più non a
e il disegno del suo cammino con dolce sorriso un fiore additolle, di
cui
il solo tocco, ed odore valevole era all’impresa.
cor riconosce le sue, per aver divisi i suoi affetti e con Venere, da
cui
ebbe Ermione, e con Bistonide, da cui ebbe Tereo,
i suoi affetti e con Venere, da cui ebbe Ermione, e con Bistonide, da
cui
ebbe Tereo, e con Ilia, da cui ebbe i celebri gem
cui ebbe Ermione, e con Bistonide, da cui ebbe Tereo, e con Ilia, da
cui
ebbe i celebri gemelli Romolo, e Remo. Suoi nomi
. Nominavasi finalmente Quirinus da quiris, che significa lancia, per
cui
i Romani si dissero Quirites dal lor fondatore Ro
e, non altra vittima svenar si dovea in suo onore, che sol quella, di
cui
prendevasi piacere ; quindi il toro, il verre, l’
roposito quella ragione, che porta Ovidio nell’ enarrar la causa, per
cui
il sole godesse d’un cavallo per vittima. Ne detu
leggierezze vieppiù si diede a confirmarle, commettendo un furto, in
cui
più rilusse l’astuzia. Sue prodezze. Mentre Apol
latini Vialis, e da Greci Cyllenius : il titolo poi di Argicida, con
cui
sovente vien salutato dagli scrittori delle favol
olere del padre degli Dei il pastore Argo dotato di cento occhi, alla
cui
vigilanza per cagion di gelosia era stata affidat
da Venere, come dimostrano le stesse parole Hermes, ed Aphrodite, di
cui
costa tal nome, e tolto ancora, secondo alcuni, C
rlo alle porte di loro case, acciò quindi respinto avesse i ladri, di
cui
egli era Dio, quantunque volte avveniva passar pe
o fianco sì Climene figlia di Teti, che Coronide figlia di Flegia, da
cui
ebbe in figlio quell’ Esculapio, che istruito nel
, della eloquenza, della Medicina, e di tutte quelle nobili arti, per
cui
si ingentiliscono i costumi, e si nobilita l’ uma
suo nome credevasi così chiamato, come ancora quello di febbrajo, in
cui
in suo culto celebravansi i giuochi Lupercali in
è questa onor d’ agricoltura Dichiarazione e sviluppo La Dea,
cui
più fosse obbligata la società degl’uomini per be
ecretato aveva poter Proserpina uscir da quel luogo nel solo caso, in
cui
gustato non avesse alcun frutto, perciò essendosi
quercu Det motus incompositos, et carmina dicat. Che l’Ostia poi, di
cui
qui parla il poeta sia stata una troja chiaro si
ben tosto divenne presso tutti la principal domestica Divinità, alla
cui
cura, e tutela con religioso affetto affidavano s
scire dall’atrio ; eccettuato soltanto il caso di grave infermità, in
cui
partendosi in compagnia del gran pontefice, erano
Dichiarazione e sviluppo La prodigiosa, e singolar maniera, in
cui
al mondo comparve questa Dea, troppo chiaro adomb
d’Urano, che Meti sua moglie data avrebbe alla luce con un fanciullo,
cui
dal fato si riserbava l’impero del mondo, una bam
li della bella Medusa, se non perchè erano stati essi la cagione, per
cui
l’appassionato Nettuno senza rispettare il sacro
ta venisse dalla amata sue castità. Suoi nomi. Fra gl’altri nomi con
cui
veniva riverita Minerva evvi quello di Pallade da
roi. Venne ancor chiamata Partenia titolo designante la verginità, di
cui
era amante. Fu detta Tritonia dal lago Tritone, d
o, ma pur nobile nome di Operaria. Suo ritratto. L’atteggiamento, in
cui
pingevasi questa Dea ha più il terribile delle ba
furono Gnido, Cipro, Amatunta, Idalio, Citera, e finalmente Pafo, di
cui
fa menzione Virgilio : Ipsa Paphum sublimis adit
naria di questa Dea fosse stata la caccia, come sopra si è detto, per
cui
qual principal divinità de’cacciatori era comunem
ome di Proserpina godeva ampio impero sopra le anime quivi rinchiuse,
cui
perciò rivolgevansi spesso i gentili mossi dalla
mana. Tal triplice suo potere in Cielo, in terra, e nell’inferno, per
cui
chiamasi cumunemente la Dea triforme, ingegnosame
nae, Iovisque prolis ?(1) quale ammirabile tempio poi nel giorno, in
cui
nacque Alessandro fù incendiato da Erostrato anch
Destino Sonetto B endato vecchio in fiero trono assiso, Da
cui
pendono ognor mille catene, In cui stretto dell’u
vecchio in fiero trono assiso, Da cui pendono ognor mille catene, In
cui
stretto dell’uom gl’eventi tiene Con atto grave,
egli vuol tutto, è preciso. Libro eterno sostien con mano ardita, In
cui
scritto a carattere Divino Sta quel che fia di qu
avvenir, d’ogn’possanza : Il Nume è questo, che ogni Nume avvanza, Da
cui
vien la genia, che in Ciel impera. La sua possanz
a stanza Quando formò de’ Dei la vasta schiera. Questo è quel Dio, di
cui
i rei consigli Fer la moglie tremar, ma i suoi fu
giorno sempre più ingelosendo il suo figlio Giove, fù la cagione, per
cui
obliando questi tutti i dritti paterni con mano a
to all’albo degli Dei ascritto il suo Nome. Le avvenenti maniere, con
cui
accolse l’esule Dio Saturno, il liberal genio nel
ò simboleggiar non voglia la conoscenza del passato, e del futuro, di
cui
in grazia del detto Nume andava egli fregiato ; c
oprio suo nome, se pur non dinoti con quella esser egli la porta, per
cui
sol le umane preci potevano avere accesso presso
, che nessun del suo regno disserrar mai più poteva quella porta, per
cui
ebbe una volta in quel luogo l’ingresso(1) … Fa
re, che del fresco tirso ; onde dalle esterne insegne, e dal furor da
cui
erano rapite dar chiaro ad intendere in onor di q
Altra consimile festa introdussero i Romani ìn memoria del giorno, in
cui
dalla Frigia ad essi pervenne il culto di tal Dea
gloriarsi d’un più nobil trionfo. Questo appunto accadde alla Dea, di
cui
in quest’ultimo capitolo si parla. Chi fù Proserp
llo di narcisi, onde rammentar sempre la causa, e la circostanza, per
cui
sposa di quel Nume addivenne. Per quest’ultimo se
ali mostri infelicemente assaliti dovè esser la infausta cagione, per
cui
per tenerli mai sempre lontani se ci mostrarono d
’ cuori ben fatti pingesi seder su d’un monte per indicare l’altezza,
cui
si sublima chi la pruova. Scorgesi reggere un tim
conto oggi si faccia di tal principale virtù è stata la ragione, per
cui
nella morale del sonetto si è conchiuso, che essa
e sublime tipo di sua beneficenza, e liberalità ? E quella verga, con
cui
segna il globo non mostra evidentemente il vasto,
o confida, giusta quel di Davidde Psal. 143. Beatum dixerunt populum,
cui
haec sunt : beatus populus, cuius dominus Deus ei
gazione. Sol dunque aggiungo, che quella succinta, e lacera veste, di
cui
ella si ammanta simbolo è del bestial suo natural
co ammanto cele, Porta una benda in man, che gli occhi vela Ad ognun,
cui
favella assai melata. Le opre d’ognuno cautamente
a, perchè nascosta sotto le divise della verità : e quella benda, con
cui
covre gli occhi de’creduli è il primo, e vero seg
hio i falli appien palesa : Dunque si lasci il vil profano canto, Per
cui
la gloria sua ne resta offesa Essa, che nel morta
esempio tal sprezzar la morte, Trono innalzò sù quel felice monte, In
cui
seppe cangiar dell’ uom la sorte. E da colà stend
ni lo decori con invocare Dio, Maria, i Ss. o quel S. in particolare,
cui
il poema è sagrato. Nè s’ induca ad imitar di leg
e assai fina, acciò mentre dilettano colla loro varietà, in grazia di
cui
sono stati introdotti, non ristucchino colla lung
i precetti potrebbonsi mai dare, ad esempio dell’ epico latino, nelle
cui
opere se campeggia il sentenzioso, ed il grande,
somma che la tessitura del verso sia sempre analoga all’ obbietto, di
cui
si parla in tutt’ i suoi rapporti ; in modo però
che in un sol verso di 11. sillabe restrinse un quinario dialogo, di
cui
al parere di tutt’ i conoscitori dell’arte non pu
i, i Bardi, gli Enobardi, e finalmente i popoli della Scandinavia, da
cui
vennero i Goti, i Visigoti, i Longobardi, e tanti
ra in tutte le composizioni liriche, e specialmente nel ditirambo, in
cui
fa maggior pompa, sempre per altro adattabile ass
però sempre a tal numero, costituiscono una strofa nel lor metro, di
cui
eccone l’esempio. Sileno alla tomba di Uranio.
chiamar dalle sue ceneri l’antica sestina. Di quella sestina cioè, in
cui
sei strofe pender dovevano dai sei versi della pr
questi, in tal metro si dilettarono scrivere delle molte comedie, per
cui
un tal verso comunemente divenne la delizia, ed i
tura. Cap. XIII. Dell’ode alcaica. Eccoci allo scoglio, in
cui
non pochi ingegni han fatto naufragio. La vera od
nche settenario, che rima al primo, il quarto è simile al secondo con
cui
rima, il quinto, ed il sesto sono tronchi, che ri
dia ; in questo scrisse Francesco Berni le sue scherzevoli poesie, da
cui
poi è venuto il nome di stile bernesco ; in quest
uali il primo rima col terzo, ed il secondo col quarto. La legge poi,
cui
soggiace un tal metro di chiudere con sentenzioso
orbottar, saluta Venere, Che in si bella stagione i campi decora, Per
cui
fa i fiori uscir fin dalla cenere. Odi il cantar
con sommo piacere degli spettatori ; lo che poi fù la occasione, per
cui
Omero, vecchio pittor delle memorie antiche, vole
a parte però perchè in preferenza delle altre la ragion contiene, per
cui
maestoso, e bello risulti il Sonetto, essa in par
mi, castagne hò ancor nel tetto. Colà la tua zampogna suonerai, Al di
cui
suono unendo il canto mio Godrò dolce piacere, e
poss’ io. II. Il Sonetto coll’ intercalare disegna quel Sonetto, in
cui
alla fine de’rispettivi Quartetti, e Ter zine si
cangiò del fato ? Fato Tardi conosco il folle, e vil desio, Desio Per
cui
l’ esiglio mio soffro spietato. Spietato Deh ! Ra
ede il presente sentiero. Per dar però alla materia qualch’ordine, da
cui
acquista non poco la chiarezza, che de’libri suol
di tre, cioè il Tribraco, il Dattilo, e l’Anapesto. I. Lo spondeo, di
cui
un di per la sua gravità facevasi grand’uso ne’ s
carinae. Or. lib. 1. Od. 14. IV. L’ Adonio così nominato da Adone, di
cui
in onor si cantava, ha un dattilo, ed uno Spondeo
II. De’ Giambici. Per verso Giambico intendesi quel verso, in
cui
domina il piede Giambo, e sebbene un tempo vi dom
i mortali, qualor ciechi non sieguono i belli lumi della ragione, di
cui
, quasi di sicura guida per ben oprare, arricchiti
è ei si fù il primo, che inalzò un tempio in onor del suo padre Belo,
cui
volle, che si tributassero gli stessi omaggi divi
e come un dì dovrà avvenire al Corifeo de’Teomachi l’Anticristo ; di
cui
sta scritto nella seconda a Tassalonicesi. 2. Que
nar dall’appetito sensitivo non merita il nome di uome, ma di bestia,
cui
sol è più connaturale, e propria una tal passione
non abbia egli il S. uomo voluto intendere l’orrore della solitudine,
cui
era ridotto, prendendo allegoria da alcuni solita
abilità, e professione del figlio di Lamech, e di Sella Tubalcain, di
cui
parlando la Scrittura dice Genes. 4. 22. Sella qu
uncta opera aeris, et ferri, non altrimenti che la sua sorella Noema,
cui
comunemente si attribuisce, la invenzione di fila
sse caddero nel Campidoglio, e si disfecero, come riferisce Dione, di
cui
fu menzione Filostr. in Tyan : I, Hist. così il f
venerando cellegio delle vergini dette Vestali dal nome della Dea, di
cui
avevano la cura, che che altri si dicano, fù isti
sta Lucano : Vestalemque chorum ducit vittata Sacerdos, Troimam soli
cui
fas vidisse Minervam. Modo di eleggersi le Vest
ori. Sue vendette. Suoi nomi. Suo ritratto. (1). Questa Civetta, di
cui
fù amante Minerva fù la Principessa Nittimene, ch
argento, che presentavansi in questo gran tempio in onor di Diana, di
cui
il culto abolito voleva S. Paolo ebbe questi a so
chiama Ciborii. Il Lirano pensa essere stati piccoli tabernacoli, in
cui
custodivansi le imagini della gran Dea di quel te
in quest’ arte fù Noè Credesi, che Saturno predisse gran pioggia, ne’
cui
vortici annegar si doveano gl’ uomini insieme co’
condo la tradizione degl’ Ebrei pascevasi di si barbare offerte ; per
cui
nel Levitico al 18 si legge : De semine tuo non
enanche presso i Greci, Sciti, Traci, Africani, ed altri popoli ; per
cui
Lattanzio dopo aver esposte, e rampognate si barb
ppo, che in più circostanze dimostrò più gloriarsi della prudenza, di
cui
servivasi a conciliare gl’ animi vertiginosi, che
che colla divina sua penna delineò nella sua Gerusalemme il Tasso, in
cui
dopo aver descritto di quel Nume lo scettro, la f
e. Suo ritratto. (1). Non una, e sempre la stessa era la materia, di
cui
erano composte le corone degl’Idoli gentili. Alcu
lti chi vuole a suo genio. (1). Dicesi Spondiaco quell’ Esametro, di
cui
il quinto piede è occupato da uno Spondeo. come :
uccise il fratello Absirto e ne gettò le membra sparse sulla via per
cui
passar doveva suo padre, affinchè questo ferale s
oro rive le navi di Colombo. Ma di tutte le invenzioni mitologiche di
cui
fu abbellito il racconto della spedizione degli A
figli degli Dei, o ispirati da loro. Tali erano Orfeo ed Anfione, la
cui
esistenza appartiene ai tempi eroici più remoti.
guire Euridice, che fuggendo per la campagna calpestò una vipera, pel
cui
morso velenoso morì, come abbiam detto di sopra.
sua vita si riferisce il moralissimo racconto di Ercole al Bivio, in
cui
si finge che il giovane eroe, invece di sceglier
elebri da lui spontaneamente compiute. Le dispongo in quell’ordine in
cui
si trovano rammentate da Ausonio in 12 esametri l
o nelle gambe, affinchè l’Eroe, voltandosi, fosse ferito dall’Idra il
cui
veleno era letale. Ercole fu costretto a chiamare
olao che lo schermisse dalle offese di uno dei due nemici, in mezzo a
cui
si trovava : schiacciò prima il Cancro, e poi fin
n esse per togliere ad Ippolita loro regina un preziosissimo cinto di
cui
si era invogliata Admeta figlia di Euristeo. Colo
ava, e da quella ivi nacque la pianta erbacea chiamata Acònito, dalle
cui
foglie estraesi l’aconitìna che spiega una potent
Sparta e di Leda sua moglie ; mitologicamente son figli di Giove, di
cui
fu detto che comparve a Leda sotto la forma di Ci
rigine della guerra Troiana, che derivò da un uovo, da quello cioè da
cui
nacque la bella Elena, la quale fu la vera causa
lari della loro vita nel mondo. Oltre la spedizione degli Argonauti a
cui
presero parte, come dicemmo, si racconta che moss
costellazione dei Gemini, o Gemelli, che è quel segno del Zodiaco in
cui
, secondo l’antico linguaggio astronomico, entra i
ieni104. » Alcuni Mitologi attribuiscono a Dedalo un grave delitto a
cui
lo spinse l’invidia, quello cioè di aver precipit
ioni ingegnosissime di dover divenire eccellente nelle arti stesse di
cui
gli era stato maestro lo zio. Sin qui potrebbe il
Eroe. LI Teseo Gli Ateniesi ambirono che il loro Eroe Teseo a
cui
tanto è debitrice l’Attica civiltà ne’suoi primor
uo avvenente e nobile aspetto, e più per la destrezza e il valore con
cui
superò i più famosi competitori ; e a tutti dispi
a Ippolita (secondo alcuni chiamata Antiope) gli era nato un figlio a
cui
diede il nome di Ippolito. Dipoi rapì la bella El
ni anno poi facevangli un grandissimo sacrificio nel giorno stesso in
cui
egli era ritornato da Creta coi giovani liberati
ia. Parlando di Cadmo dicemmo della origine mirabilissima di Tebe, di
cui
altra non havvene che sia più maravigliosa : sapp
egli avendo saputo dall’Oracolo di dover essere ucciso dal figlio di
cui
era incinta Giocasta sua moglie, diede ordine di
minute investigazioni ; e dalle circostanze del tempo e del luogo in
cui
fu ucciso Laio, come pure dai connotati della per
e incontrato nel Purgatorio il poeta Stazio autore della Tebaide, con
cui
parla di questo poema, e fa dire all’autore stess
e perfino a vantarsi di prender Tebe egli solo a dispetto di Giove, i
cui
fulmini, a quanto egli diceva, non gli facevano m
lunque molesta insistenza e sollecitazione, si nascose. Ma Polinice a
cui
stava a cuore che non mancasse in quella impresa
irgilio glielo indicò dicendo : « Drizza la testa, drizza, e vedi a
cui
« S’aperse, agli occhi de’Teban, la terra, « Perc
sono in comune appellati col patronimico di Pelopidi. Ma il modo con
cui
Pelope ottenne la sposa non è senza delitto. Si r
eredi. Questi si rifugiarono a Sparta nella corte del re Tindaro, di
cui
sposarono le figlie Clitennestra ed Elena ; quind
e vendicativa Giunone, usa a perseguitar sempre famiglie e popoli per
cui
Giove mostrasse qualche predilezione, mandò una s
il dipartiro. » E poichè ora siamo giunti col racconto all’ epoca in
cui
ebbe luogo la famosa guerra di Troia, è tempo di
isa ubicazione della famosa città di Troia123. Il nome di Troia, con
cui
questa città è passata ai posteri, consacrata all
anto xxiv dell’Inferno nomina la costellazione o segno del Zodiaco in
cui
fu cangiato Ganimede : « In quella parte del gio
di farlo riconoscere per figlio di Priamo e di Ecuba in un torneo in
cui
Paride vinse tutti i figli del re ; e in tale occ
son privi, i Greci stessi « Lo piangon tutti. A questo Palamede, « A
cui
per parentela era congiunto, « Il pover padre mio
gno ; e per maggiore sciagura rimase colpito dall’asta di Achille, le
cui
ferite erano insanabili. Consultato l’Oracolo, gl
gamennone, e termina con la morte e le esequie di Ettore. Il tempo in
cui
avvennero tutti i fatti ivi narrati si estende, s
Paride a tradimento lo ferì nel calcagno, sola parte del suo corpo in
cui
egli era vulnerabile, e tagliatogli quel tendine,
presenza di un Eacide, e perciò la prima delle fatalità di Troia, di
cui
abbiamo parlato. Ma Ulisse sapeva bene che di Ach
ato, come dicemmo, in quell’isola, ove pel dolor della sua ferita, di
cui
non era ancora guarito, condusse una vita piena d
lla rôcca « Dardania, pregno (stratagemma insigne !) « Degli eroi per
cui
Troia andò in faville. » (Traduz. di Pindemonte.
da Enea la presa e l’incendio di Troia palesa pur anco il motivo per
cui
ricorsero i Greci a questa insidia : « ……….. Sba
coll’aver dato il nome di Antenòra a quella divisione dell’Inferno in
cui
son puniti i traditori della patria, tra i quali
resso in marmo dal celebre scultore Lorenzo Bartolini in un gruppo in
cui
si rappresenta Pirro che tiene sospeso in aria il
costamente nella sua reggia, e non senza incontrar gravi pericoli, da
cui
fecero a gara a sottrarlo l’affetto della sorella
a il regno dei suoi antenati, e ricoveratasi presso una sua parente a
cui
era morto il marito in quella guerra, fu, per ord
. Di schiava la fece divenire sua moglie, ed ebbe da essa un figlio a
cui
alcuni Mitologi antichi danno il nome di Molosso
l Peloponneso) visse ancora alcuni anni in seno alla sua famiglia, in
cui
però mancava il figlio Antìloco, ucciso sotto le
e a sposare uno di loro. Erano questi i Proci (cioè i pretendenti) di
cui
tanto a lungo favella Omero nell’Odissea 139, nar
rybdim, » cioè quel che avvenne ad Ulisse nel paese dei Lestrìgoni di
cui
era re Antifate, poi fra Scilla e Cariddi e nella
iombar con gran tonfo all’onde in mezzo, « Non lunge da que’ legni, a
cui
m’assisi « Di sopra e delle man remi io mi feci.
tologia, e noi dobbiamo, sia pur brevemente, parlarne. Il prodigio di
cui
Enea fu testimone in Tracia è il primo non solo c
assico traduttore : « ………….. Era nel lito « Un picciol monticello, a
cui
sorgea « Di mirti in sulla cima e di cornioli « U
« Da Roma ad Ostia ; e quindi si tragitta « Per mare alla cittade, a
cui
commise « Il pietoso figliuol l’ossa d’Anchise 1
l tempio, « E là dov’era la spelonca immane « Dell’orrenda Sibilla, a
cui
fu dato « Dal gran Delio profeta animo e mente «
udito del Paganesimo ; e sono le seguenti : 1ª La Sibilla Persica, di
cui
fece menzione Nicànore che scrisse le gesta di Al
entata da Euripide nel prologo della Lamia. 3ª La Sibilla Dèlfica, di
cui
parlò il filosofo Crisippo in quel libro che egli
llodoro, asserendo che era sua concittadina. 6ª La Sibilla Samia, di
cui
Eratòstene lasciò scritto che ne era stata fatta
vo (il quale, generalmente, scorciava o troncava la vita ai giovani a
cui
toglievasi il sangue senza prolungare quella dei
ovani a cui toglievasi il sangue senza prolungare quella dei vecchi a
cui
s’infondeva) fu posto in pratica più volte per al
, riporterò la celebre osservazione del romano oratore e filosofo, di
cui
ho fatto cenno di sopra nel testo : « Ergo ut hic
ettò le prime basi e delineò il campo del Diritto Internazionale, per
cui
meritò e merita il glorioso titolo di Precursore
ere promissum aliquod et conventum, ut id effici sit inutile, vel ei,
cui
promissum sit, vel ei, qui promiserit. Nam si, ut
ed applaudita dal pubblico quella scena della tragedia di Pacuvio, in
cui
Oreste e Pilade gareggiano a dar la vita per salv
o Quid non mortalia pectora cogis ecc. non ha propriamente il senso a
cui
è tirato qui. » È vero, io soggiungo, che Dante v
blema non lascia luogo alla scelta. Vi sono bensì delle favole, il di
cui
sviluppo è si chiaro, che per negarlo bisognerebb
ha prefisso, senza determinarci ad alcun partito per tante altre, la
cui
spiegazione ci è affatto ignota. Ma tali sistemi,
rano, presso i Greci Cibebe, era la sorella, e la sposa di Saturno, a
cui
partorì molti figli. Varj furono i suoi nomi. Ebb
to tutte le divinità. La Dea Stige, che regnava sopra ai fiumi, le di
cui
acque circondavano l’inferno, fu la prima ad acco
attutto si distinse Minerva, che seppellì Encelado sotte l’Etna, i di
cui
sforzi si risentono tuttavia, al dire de’ Poeti,
’opprime. Per mano di Minerva cadde pur il Gigante Pallante, della di
cui
pelle ella si coprì, con prenderne anche il nome
lersi difendere dalla violenza di Plutone : e dalla Ninfa Aretusa, le
cui
acque scorrevano fino a Stige, fu pienamente info
di Saturno, e Cibele era Vesta Dea della verginità, e del fuoco, per
cui
portava una fiaccola nelle mani. Il principale su
tto la figura di un uomo grave, coperto da un mantello con bastone, a
cui
sta una serpe attortigliata in una mano, ed una t
one, e lo spavento. In sì fiera traversìa fu consultato l’Oracolo, la
cui
risposta fu che Laomedonte poteva disarmare la co
e se le adatta talvolta sulla sommità della fronte una mezza luna, le
cui
estremità sono rivolte verso il Cielo : ornamento
o quì piuttosto miglior partito indicare un’ altra Venere celeste, di
cui
parla Platone, tutta spirante decenza, e grazie n
nte decenza, e grazie non affettate, e riposta saviezza. La Venere di
cui
parliamo, non è certamente un sogno di Platone. P
luce una bambina dotata di una perfetta saviezza, ed uu fanciullino a
cui
il Destino aveva riserbato l’impero del mondo, eg
ttore degli affari tiene in mano un caducèo, cioè una verga intorno a
cui
sono attorcigliati due serpenti. Come protettore
i se restare il giocoso Sileno, che lo seguiva sopra un asinello, sul
cui
dorso talvolta appena si reggeva, perchè semiebri
visione dell’Inferno Cinque fiumi ivi scorrevano, cioè l’Acheronte di
cui
abbiamo già parlato : il fiume Stige, le cui acqu
ano, cioè l’Acheronte di cui abbiamo già parlato : il fiume Stige, le
cui
acque giravano nove volte per que’ contorni, e pe
acqua correva in fiamme : e ’l fiume Lete, o sia dell’Obblìo 1, le di
cui
acque facevano perdre la memoria del passato. Gli
Parte seconda Divinità del second’ordine. GL’Iddj maggiori, di
cui
abbiamo già letta la storia, partecipavano della
o di frutta, era l’effigie di Pomona. Termine. Il Dio Termine, la
cui
statua non era altro che una pietra, o un tronco
tale indignazione, sen fuggirono seco portando un superbo Ariete, la
cui
pelle era di oro. Traversando il mare sul dorso d
due scogli pericolosi. Scilla è un golfo tra Reggio, e Messina, il di
cui
fragore rassomiglia all’abbajare de’ cani. Caridd
d ingannare. La Prudenza. Si ravvisa la Prudenza allo specchio, a
cui
si attorciglia un serpente. La Fama. I Modern
mostro di straordinaria grandezza coverto di occhi, e di orecchi, la
cui
voce imita lo scroscio del tuono : i piedi poggia
rono. I Romani la figuravano qual donna vestita di una tunica, nel di
cui
lembo si leggeva questo motto : la morte, e la vi
Giove ardì creare, un uomo, servendosi del semplice limo della terra
cui
diede l’anima con una particella di quel fuoco ce
ida vinse le tre Gorgoni, e ritornò in Argo colla testa di Medusa, di
cui
si servì per cangiar gli uomini in pietra. Tal so
ccatesi le penne per l’ardore del Sole, cadde infelicemente nel mare,
cui
diede per tale occasione il suo nome. Icarus Icar
questi da Ino loro madrigna, sen fuggirono sul dorso di un ariete, la
cui
lana era di oro, e traversarono un canale del mar
ri (dono di Vulcano) che avevano le corna, e i piedi di bronzo, dalle
cui
fauci correvano torrenti di fuoco, indi assoggett
per Giasone a Medèa figliuola del re di Celco, maga espertissima, al
cui
potere ubbidiva il cielo, e la terra. Venuto il g
ortezza fu l’aver ucciso un lione che infestava la selva Nemèa, della
cui
pelle si vestì. Il secondo fu contro l’Idra, che
he si tagliavano. Ercole le sterminò coll’ajuto di Jolo suo cugino, a
cui
impose di bruciarle appena ch’egli le recidesse.
o non era il padre suo. Volle a tale oggetto consultare l’oracolo, da
cui
gli fu risposto, che giammai non pensasse a far r
del paese lo accolse, e gli diede per moglie Alfesibea sua figlia, a
cui
Alcmeone donò la fatale collana. Avendola però do
po insieme con Ippodamia. Rifuggironsi presso Euristeo re di Argo, la
cui
figlia Erope sposò Atrèo, che divenne re, essendo
. Questo re prima di partire si riconciliò sinceramente con Egisto, a
cui
con poca prudenza affidò Clitennestra, ed i figli
si eccettuino le ultime cose, accadde prima della guerra di Troja, di
cui
daremo una minuta descrizione nella seguente quar
lla da Vulcano che spese tutta la notte a fabbricarne delle nuove, di
cui
armato Achille ricomparve fra i capi dell’Armata,
do per brevità altre riflessioni che potrebbero farsi. L’ Odissèa, di
cui
ci accingiamo a fare l’analisi, racchiude la stor
giamo a fare l’analisi, racchiude la storia de’ viaggi di un Eroe, la
cui
prudenza e saviezza abbiamo già ammirata. Questo
Conoscendo Giove, che si accostava il giorno fissato dal Destino, in
cui
Ulisse doveva uscire dall’isola di Calipso, spicc
volle inseguirli, e gittò a caso un macigno di straordinaria mole, di
cui
fu facile evitare l’incontro. Indi corsero al lid
flotta approdò all’isola di Circe, famosa maga figlia del Sole, i di
cui
incantesimi sorpassavano le forze della natura is
dove bene accolto si tenne sconosciuto fino al ritorno di Telemaco, a
cui
Minerva aveva ispirato il desiderio di lasciare S
ce tempo ha rispettato. Non vi ha angolo nella città, e nel Regno, in
cui
non ritrovansi preziosi monumenti, marmi, iscrizi
cè il lume del Vangelo, e della santa nostra Religione Cattolica, nel
cui
seno abbiamo avuto la fortuna di nascere. I.
uarj. Vi ha chi crede di ricavarla dal Sabbato degli Ebrei, giorno in
cui
cessavano da ogni lavoro, per indicare l’indole d
questo giovane Dio, o Eroe piuttosto così lasciò scritto Plutarco, il
cui
testo alquanto lungo in poche parole esporremo. E
voce abbia tratta la sua origine dalla cassa, o tumulo detto σορος in
cui
fu riposto dopo morto, onde i Greci prima lo chia
Sorapis. Oltre di un tempio grandioso a lui eretto in Pozzuoli, i di
cui
superbi avanzi ancor oggi si ammirano, credesi vi
al presente la Chiese di S. Maria Maggiore (la Pietrasanta), luogo in
cui
mentre a suoi tempi si edificava, furono ritrovat
igne cavallo di bronzo di Greco lavoro, antico stemma della Città, la
cui
testa vedesi oggi nel Regale Museo de’ Regj Studj
Il nostro Stazio a chiare note lo indica : Tuque Actèa Ceres, cursu
cui
semper anhelo Votivam taciti quassamus lampada my
oso ladrone Caco nel Lazio, visitò varie contrade del nostro regno, a
cui
diede il suo nome. Oltre di Eraclea nella magna G
Ercole la sua origine, come altresì il Portico di Ercole, Portici, di
cui
parla Petronio nella cena di Trimalchione. Credes
dicare la rotondità della terra, o per meglio dire dell’Universo, nel
cui
centro collocavano il fuoco i Pittagorici, che ch
razie. Resta a dire brevemente qualche cosa di quelle Divinità, a
cui
la nostra patria dispensava gli onori divini, e n
Χὰριτες, Charites. Di Priapo sappiamo, che nelle feste di Cerere, di
cui
sopra abbiamo parlato, si portava processionalmen
tori profani all’infuori di Sanconiatone Fenicio, e Ermete Egizio, di
cui
parlan Porfirio, e Manetone antico Storico Egizia
o taluni, che Vulcano favoloso sia una copia del famoso Tubalcain, di
cui
parlasi nel libro della Genesi, inventore de’ for
quile perdute dalle legioni di Crasso. 2. Questi è quel Mercurio, di
cui
parla Cicerone de nat. Deor. che trovò le leggi,
e della virtù, ed occorrendo, della forza propria delle bestie, della
cui
natura partecipava il Centauro Chirone. 1. Quest
e degli stati di Cefèo. Fu consultato l’Oracolo in tale occasione, la
cui
risposta fu che non sarebbe cessato il flagello,
ro molti secoli prima della fondazione di Roma, questo vocabolo sotto
cui
si conoscono in italiano e in altre lingue modern
nifica talvolta lo stesso che responso, e tal’altra il luogo sacro in
cui
si rendevano i responsi : e questa differenza di
elebre del mondo pagano era senza dubbio quello di Delfo ; e Apollo a
cui
attribuivansi quei responsi fu perciò chiamato De
i dalle osservazioni degli smeraldi e delle altre pietre preziose, di
cui
era formata l’immagine del Nume, come asseriscono
racoli delle Sibille, vale a dire le risposte dei libri sibillini, di
cui
parleremo altrove. V’erano per altro anche in Ita
nti. E come se tutto ciò fosse poco, vi si aggiunsero gli Augurii, di
cui
eran solenni mæstri gli Etruschi ; e da essi li a
secoli dopo che furon riconosciuti falsi e bugiardi gli stessi Dei a
cui
quegli oracoli erano attribuiti. Sebbene i primi
a cessazione di alcuni oracoli, che derivò soltanto dal discredito in
cui
eran caduti ? Egli che visse sino all’anno 119 de
on furon composte le denominazioni di Necromanzia e Geomanzia ecc. di
cui
parleremo altrove. 282. Perciò Ugo Foscolo nel
i ….. » 283. Orazio nell’Ode vii del lib. i, notando i pregi per
cui
distinguevansi diverse città della Grecia, rammen
ologiche : Delfica deità per Apollo, e fronda Peneia per l’alloro, in
cui
fu cangiata Dafne figlia di Peneo. 285. Son ce
eterni veri, quanta filosofia non racchiude la immutabilità del Fato,
cui
non vincono nè i potenti della terra nè gli stess
lvere è la misura del tempo, mentre le ali rammentano la velocità con
cui
passa ; e il serpente che forma un cerchio è l’ e
ia, e lo chiama maledetto lupo, qual si conviene al nume di coloro in
cui
usa avarizia il suo soperchio) ; ed il suo regno,
Solone, il quale riponeva la vera ricchezza nella virtù, solo tesoro
cui
nè tempo nè fortuna possono far perire. Laonde an
li animali favolosi eragli sacra la Fenice, e tra le piante l’ellera,
cui
s’ attribuisce la prerogativa di dissipare i vapo
ceo fu simbolo della concordia e dell’astuzia, od anche della pace di
cui
molto si giova il commercio. 162. I poeti attribu
collera aveva separato, nuovo simbolo dell’ eloquenza. La credenza in
cui
erano gli antichi che Mercurio dopo un certo nume
oteanti del cielo il mar fecondi Navigero, e le glebe fruttuoso ; Per
cui
quantunque gente d’animali Concepe, e nata a’ rai
tra si propaghi Stirpe la vita con accesa brama. 171. Le dodici Ore,
cui
fu commessa la sua educazione, la condussero in c
ineffabili e infiniti diletti, pure ha sempre bisogno dell’oggetto in
cui
si pone ; e se questo gli manca, riman privo di t
bell’ opera Voi dispensate, Accanto a Delio Dall’ arco d’or ; Presso
cui
nobileTrono v’ergeste, D’onde all’olimpico Nume c
le si ferma sul volto : si specchia, e scorge la deforme maschera da
cui
è rimasta coperta. A tal vista sviene, e si riduc
al luce abbella. Segga, e carezzi il fanciulletto figlio Del Sonno, a
cui
le rose Amor sacrava Perché in silenzio i furti s
(202) : Come fa l’onda là sopra Cariddi, Che si frange con quella in
cui
s’intoppa…. (Dante, Inf. c. VII.) Omero suppone
nea fu condotto dalla Sibilla Cumana (665) : Era un’atra spelonca la
cui
bocca Fin nel baratro aperta, ampia vorago Facea
e e folte. Escia della sua bocca all’aura un fiato, Anzi una peste, a
cui
volar di sopra Con la vita agli uccelli era inter
li conforta mai, Non che di posa, ma di minor pena. L’altra regione,
cui
davano il nome di Campi Elisi, era tutta ridente
n paese guasto,44 Diss’ egli45 allora, che s’appella Creta, Sotto ’l
cui
rege fu già ’l mondo casto.46 Una montagna v’è,
l « nocchier della livida palude : » ……Demonio spaventoso e sozzo, A
cui
lunga dal mento, incolta ed irta Pende canuta bar
tempio in Atene vicino all’Areopago formavano un tribunale, avanti a
cui
non era lecito comparire se non dopo aver giurato
he si importuna e fera Chiamata son da voi, e sorda, e cieca, Gente a
cui
si fa notte innanzi sera. I’ ho condotta al fin l
là presso con acerba pena Tantalo in piedi entro un argenteo lago, La
cui
bell’ onda gli toccava il mento. Sitibondo mostra
frode Hanno ordito ai clienti ; i ricchi avari, E scarsi a’ suoi, di
cui
la turba è grande…. Tutti, che brutte ed empie sc
e così lo descrive a Didone : Sembrato mi sarebbe un alto monte, A
cui
la gregge sua pascesse intorno ; Se non che si mo
chiamate anche le nove sorelle, e le Figlie della Memoria. Apollo, a
cui
piacque vivere insieme con loro, statuì che la co
ne, poichè ebbero per padre un pastore, ed alla belta e verecondia di
cui
furono dotate, sarà manifesto come la verità nell
in giro i soli, incoronando L’ampio creato di fiammanti mura, Contro
cui
del caosse il mar mugghiando, E crollando le digh
Calliopea alquanto surga ; Seguitando il mio canto con quel suono Di
cui
le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disperâr
to da uno dei più colti ed arguti ingegni del nostro tempo. Momo, di
cui
la nominanza dura, E durerà nelle lontane genti,
ori vi accorrevano da ogni parte incoronati d’olivo e di ramerino, il
cui
odore disinfetta le stalle. Vi portavano anche gr
o sorriso degli Dei, gioconda Essenza della gioja, alma famiglia, Per
cui
natura di bellezza abbonda. Per te Religïon, del
acqua, che per certe rotture cadendo, e mormorando, rendeva suono, al
cui
numero sembrava che battendo si accomodasse l’att
perla invenne, e Doto e Proto E tutta di Nereo l’ampia famiglia ; Tra
cui
confuse de’Tritoni a nuoto Van le torme proterve.
a e versi sublimi ne ragiona Dante nel VII dell’ Inferno : Colui, lo
cui
saper tutto trascende67 Fece li cieli, e diè lor
le pene e le ricompense, e per serbare quella giusta eguaglianza per
cui
sia protetto l’innocente e il debole contro l’opp
oni, e quando mescolano il falso col vero : È questa Fama un mal, di
cui
null’ altro È più veloce, e com’ più va più cresc
ozze di Teti e di Peleo, gettò nel mezzo alle Dee un pomo fatale, per
cui
nacque la famosa disputa che fu giudicata da Pari
omposte le chiome in sulla testa, Come campo di biada già matura, Nel
cui
mezzo passata è la tempesta. (Monti, Basvilliana
no a Tebe la ruina di quella città sventurata ; quella stessa Paura a
cui
i Romani messi in fuga alzarono altari, e andaron
della Calunnia eranvi alcune femmine, quasi damigelle e compagne, il
cui
officio era incitare e metter su la signora, acco
nistro aperto, e con l’indice della destra scopriva il suo cuore, nel
cui
mezzo erano scritte queste parole : Da vicino e d
La Dea era rappresentata a mani giunte, e con lungo abito bianco, per
cui
forse Virgilio la chiama Cana Fides, se pure con
lante i dragoni, sendo ivi presente Anfitrione e la madre Alcmena, in
cui
si scorgea lo spavento. E se questa non fu la med
i, soccorrendo gli sventurati, liberando gli uomini dalle calamità da
cui
erano oppressi. Anche Prometeo (70) andò a lui de
accinsero ad involare la bella Elena, sacerdotessa di Diana (137), la
cui
bellezza fu poi causa di rovina alla città di Tro
e, ove furono ricevute con solenne festa ; e un bellissimo tempio, di
cui
tuttora vedonsi le vestigia, ne consacra la memor
ta, e ne inonda di pietade il petto. Qui Baccanti non son, ma ninfe a
cui
L’alma é gentile : e più d’ogni altro affetto È d
li prediceva dover esser colpevole di un gran delitto il figliuolo di
cui
era incinta Giocasta sua moglie, ordinò che il pa
527), e successe a Tindaro sul trono di Sparta ; ma Elena bella « per
cui
tanto reo tempo si volse » essendogli stata invol
l quale aveva additata la tomba d’ Ercole, e vi produsse una piaga da
cui
esalava un fetore così insopportabile, che gli am
la vita del genitore : Ecco al Nestoreo cocchio s’implica Destrier,
cui
Paride feri col dardo : Ecco discendere contra il
Itaca, dove Lo scuotifronde Nérito99 si leva Superbo in vista, ed a
cui
giaccion, molto Non lontane tra loro, isole intor
i morda, Se ad uom che tanti avea d’arredi vivo Fallisse un drappo in
cui
giacersi estinto. ………… Intanto, Finchè il giorno
mi dolgo Si di lor tutti, oimèl quanto d’un solo, Quanto d’Ettor, di
cui
trarrammi in breve L’empia doglia alla tomba. Oh
n più gentile poetica finzione, è narrato da altri l’ avvenimento per
cui
Tiresia perdette la vista. Leggiamolo in questi b
hè anche quella città partecipasse di tanta gloria ; ma il figlio, in
cui
l’ amor di patria era sprone al valore, spregiand
giadre. Ma co’ rischi un gran cor non si consiglia. Perchè fra quelli
cui
morir conviene Alcun trapassa i gelid’anni, e gia
endo loro spettacolo di beffe gli stessi derisori. Ma già un carro, i
cui
destrieri erano biondi con nere chiome, trascorre
ò che, a turbare così liete lusinghe, si appressa un altro cocchio, i
cui
destrieri erano foschi come quelli di Pluto rapit
dono un elmo ed un usbergo d’acciajo, ornato di argento, sul petto di
cui
si vedeva scolpita una quadriga in oro, col motto
la caldaia. Si preparavano gli esercizj ginnastici nella palestra, in
cui
molti pugillatori apparvero, armati di cesti ; e
a ; il quale, a lui presentandosi, gettò con impeto un breve manto in
cui
era involto, e si mostrò ignudo, con una fascia a
ò su quella ambe le mani, ed allargando le gambe spiccò un salto, per
cui
rimase di nuovo a tergo del suo deluso competitor
mmobili, aspettando ciascuno di loro qualche atto dell’avversario, da
cui
ritrarre vantaggio ; e quasi si combaciavano le v
corona su le tempie di lui, ed aggiunse in premio un lucido elmo, da
cui
pendevano bianchissime chiome di destriero, e un
cui pendevano bianchissime chiome di destriero, e un ampio scudo, nel
cui
centro era incisa la torva Medusa. Alessandro Ve
armenti che quello della vegetazione delle piante, ed è l’animale in
cui
si trasformò Giove per rapire Europa (483). Il Nu
strascina. Come poi nunzio della luce al mondo Lucifero brillò, dopo
cui
stendo Sul pelago l’Aurora il croceo velo, Mori l
o devoti amici i venti, E stabil seggio, ove gli s’erga un tempio. In
cui
sian queste esequie e questi onori Rinnovellati e
n gran numero d’anni, scompartì la sua stanza in due parti eguali, di
cui
formò il cielo e la terra. Brama governò l’India
esto germe l’uomo e la donna. Riconoscono essi pure dei cattivi Genii
cui
consacrano le ossa degli animali che hanno mangia
zio consiste nell’offrire agli Dei, per bruciarle poscia, le merci di
cui
trafficano cogli Europei, ed il sacrifizio giunge
di Conoue e di Tolomeo, accreditò l’adulazione con questo pœmetto, di
cui
reslando rari vestigj in greco, non sarebbe noto
tro non fu che un simbolo della imparzialità dell’Areopago, davanti a
cui
, non cho i re, i Numi stessi erano giudicati al p
Cleopatra ai facesse recare in un canestro di fiori quell’aspide, con
cui
ai diè morte per non cader nelle mani d’Augusto.
e ove le acque del fiume Tignalga sboccano nel Benaco, è un luogo, in
cui
possono segnare, cioé benedire, e però dov’ hauno
strature, non aveano più fede nessuna in quella moltitudine d’Iddii a
cui
il popolo bruciava ancora gl’incensi ; e la relig
inuo alimento alla fede dei soldati. Vincitori, credeano negli Dei da
cui
si sentivano protetti ; vinti, attribuivano i rov
anto più le credenze del politeismo signoreggiavano ne’loro cuori, di
cui
formavano continuamente o la speranza o lo spaven
e assemblee, sconcertare o preparare intrighi, la facilità stessa con
cui
ne veniva a capo, era una prova della superstizio
dello stato, l’ardente curiosità del popolo di conoscer l’avvenire in
cui
leggea sempre affrancamento e libertà, l’ambizion
omunicazioni che aveano avuto da tempo immemorabile coll’Europa, e le
cui
tracce, smarrite nella storia, si rinvengono così
lto dei Magi. In Armenia segnatamente veneravasi il culto di Mitra, i
cui
misteri erano celebri nei primi tempi del Cristia
vano tra la plebe, la quale, meno corrotta forse, volea che i vizj, a
cui
rendeva ossequio sotto finti nomi, avessero alman
i templi. Le altre imposte ringraziano i Cristiani per la fedeltà con
cui
sono pagate puntualmente, essendo noi lontani dal
ungeva coi dogmi religiosi la metafisica e la morale. La necessità in
cui
si trovarono i sacerdoti cristiani di pubblicare
ontinuamente fra l’anarchia popolare ed il dispotismo : ecco i mali a
cui
il Cristianesimo apportò un rimedio sicuro, come
si dopo la predicazione dell’Evangelio. Notabilissimo è il momento in
cui
s’avverò la venuta del Figlio dell’uomo : un po’p
na voce greca, che suona vecchio. 152. Numera lulte le occasioni in
cui
i Romani facevano immenso spese nelle crapole e n
ve di comparirle innanzi con tutta la maestà e tutti i distintivi con
cui
si mostrava in Cielo agli Dei. La maligna astuzia
ora diremmo per aio o educatore) un vecchio satiro chiamato Sileno, a
cui
molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto
pini con grappoli d’uva pendenti ; in mano un tirso (cioè una verga a
cui
era attortigliata l’ellera, oppure i pampini) ; u
el vino ; e gli animali feroci significavano il furore e la brutalità
cui
produce l’abuso di questo liquore. Anzi per indic
bravansi in Roma le feste di questo Dio che furon dette Baccanali, di
cui
gli eccessi giunsero anticamente tant’oltre in Ro
Arianna (per chi non lo sapesse) significa molto piacente ; e Bacco a
cui
piaceva il bello ed il buono se ne trovò molto co
ori, ma i suoi doni erano pericolosi per la sovrabbondanza stessa con
cui
li accordava, talchè divenivano facilmente dannos
istrello e pipistrello, perchè è più simile al latino vespertilio, di
cui
ci dà l’etimologia Ovidio nelle Metamorfosi, dice
la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra
cui
prospera sono dal 30° al 50° di latitudine. 208.
ligiosamente, e assicurato con molte cautele e magiche invenzioni, di
cui
parleremo in appresso. Alla pericolosa conquista
donia, cioè Teseo, Piritoo, Castore, Polluce e Telamone ; ed altri di
cui
non si è ancora parlato, cioè Calai e Zete figli
ceo, Tifi, Tideo, ecc. È ben facile che alla primitiva tradizione, di
cui
fa cenno anche Omero, non che Esiodo, siano stati
esta comune e nazionale impresa per altro il solo Giasone è quello di
cui
si raccontano fatti straordinarii e maravigliosi,
reve la narrazione. Giasone era figlio di Esone re di Tessaglia65, a
cui
fu usurpato il regno dal fratello Pelia ; perciò
cia l’imitazione degli Antichi, e con le invenzioni del Medio Evo, di
cui
si era valso in altri luoghi del suo poema, narra
ci greci e latini. I mezzi che egli adopera sono due l’ Ippogrifo, di
cui
abbiamo riportato altrove la descrizione stessa f
fattane dall’Ariosto, e l’altro non meno straordinario e mirabile, di
cui
riporterò parimente la descrizione coi versi stes
i i Saracini conquistatori di quell’isola ne venderono il metallo, di
cui
furon caricati 900 cammelli. A spiegare il crepus
rappresentare in scultura il Crepuscolo mattutino e il vespertino, le
cui
statue si ammirano nell’ antica sacrestia di San
tto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. Fetonte, il
cui
nome di greca etimologia significa splendente, er
del favoleggiato serpente Pitone per darlo a un genere di rettili, in
cui
son compresi i serpenti dell’India e dell’Affrica
a figlio di Apollo e della Ninfa Coronide. Egli fu il primo medico di
cui
le antiche tradizioni ci abbiano tramandato il no
Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a
cui
raccomandavansi nelle loro infermità. Esculapio e
ri poeti l’appellano il re dei fiumi, sottinteso però dell’Italia, di
cui
è realmente il più gran fiume. 114. L’ambra è d
arte fessos Corporis artus. 121. La famosa Scuola Salernitana, di
cui
si citano tanti aforismi latini, che si odono spe
presso i pittori, i poeti e i filosofi. Trovansi pitture e stampe in
cui
vedesi Endimione addormentato in una caverna e la
casso cogli strali, in una mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con
cui
trattiene un levriero che si volta a guardarla ;
cacciò dal suo coro di ninfe e cangiò in orsa la giovane Callisto (il
cui
nome significa bellissima), perchè si accorse che
teone, il quale essendo penetrato in un boschetto ov’era una fonte in
cui
si bagnava Diana colle sue Ninfe, la Dea gli gett
ntesimi. Omero però non parla di questa ributtante Dea, e il passo in
cui
ne discorre Esiodo credesi interpolato dagli Orfi
pur d’acquistar fama ancorchè infame, da Erostrato Efesio la notte in
cui
nacque Alessandro Magno, cioè il 6 di giugno, 356
i che qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianura paludosa da
cui
sollevansi esalazioni deleterie dell’organismo vi
nto ai piaceri e ai divertimenti ; e Orazio in uno di quei momenti in
cui
indossava la ruvida veste dello stoico e del mora
(Manatus), che formano la transizione fra le balene e le foche, e la
cui
forma, nelle parti superiori del corpo, si discos
e : « Come fa l’onda là sovra Cariddi, « Che si frange con quella in
cui
s’intoppa, « Così convien che qui la gente riddi.
e dei mostri marini che erano soltanto animali viventi nel mare, e le
cui
specie son tuttora esistenti, convien notare prim
e devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomedonte, e l’altra da
cui
Perseo liberò Andromeda : e di queste dovremo par
iti guerreschi e sanguinarii, è assolutamente priva di coraggio ; per
cui
se anche un uccelletto marino le si posa sul dors
estremo. » Mirabile è poi sovra le altre la descrizione del modo con
cui
Orlando libera Olimpia dall’ Orca che stava per d
. Tal volta gli si poneva a lato Proserpina, sua moglie per forza, di
cui
dicemmo il ratto e le vicende nel capitolo di Cer
cata Ninfa che sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna, e a
cui
Dante assomigliò la bella e cortese giardiniera d
sinonimo di Plutone, denominando città di Dite la città del fuoco (di
cui
abbiam detto nel Cap. precedente) : e poi da Virg
posto tra le Divinità infernali. Gli si davano per figli i Sogni, di
cui
si rammentano con nomi speciali soltanto tre, che
o Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da
cui
escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima
da cui escono i sogni per venire sulla Terra ; la prima è di corno da
cui
escono i sogni veri, e la seconda di avorio, e n’
lo dimostra elegantissimamente nella Orazione pro Roscio Amerino, di
cui
riporto qui le precise parole per chi studia la l
sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a
cui
pur presiedevano almeno altrettante Ninfe. Ninfa
etto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la
cui
esistenza era legata alla vita vegetativa di una
mini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a
cui
erano assegnati, conviene che li tengano a memori
ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani. Molte di quelle Ninfe a
cui
fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti
capra detta comunemente Amaltea dal nome di una di queste due Ninfe a
cui
apparteneva. La qual capra fu poi da Giove traspo
bellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da
cui
derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegaz
se nemica la stessa loro Dea protettrice, la quale in quelle pugne in
cui
prendevano parte anche gli Dei, come nella guerra
metteva sempre dalla fazione contraria a Marte. In Roma per altro, la
cui
fondazione ebbe luogo tre in quattro secoli dopo
agini sculte o dipinte del Dio Marte, prima perchè non era il Dio per
cui
avessero maggior devozione, e poi perchè il truce
nel linguaggio della chimica, come sostanze o preparati marziali, in
cui
cioè entra in composizione il ferro181. Al Dio Ma
ragi. I moderni astronomi attribuiscono quel colore o alle materie di
cui
è composto il pianeta, atte a rifletterlo, o ad u
. 181. L’epiteto di marziali alle sostanze o ai prodotti chimici, in
cui
trovasi in combinazione o mistione anche il ferro
efficacemente nella battaglia di Flegra fabbricandogli i fulmini con
cui
atterrò e vinse i Giganti. Venere non si oppose e
dato ; e questi son tutti simboli dell’Amore facili a spiegarsi, ed a
cui
si fanno interminabili allusioni in verso e in pr
o evo, o delle Mille e una notti, e conclusero che dopo mille prove a
cui
Cupido, nascondendo l’esser suo, sottopose la cur
e, che subito un poeta qualunque non componesse un epitalamio 188, in
cui
v’era sempre Imene con le catene, per rima obblig
n si è ancora ben purgato neppure il nostro secolo. Le tre Grazie, di
cui
l’appellativo stesso spiega l’ufficio o attributo
ssimo poemetto intitolato Le Grazie, le ricuopre d’un candido velo in
cui
finge istoriato il mito di Psiche, per indicare c
occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per
cui
furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne
Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive « Giovinette simili, entro il
cui
seno « Avea messo il gran fabbro e voce e vita «
versi automi di Leonardo da Vinci, e specialmente il famoso leone, di
cui
parla anche il Vasari, le teste parlanti dell’aba
steriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di
cui
la scienza è giunta in questo secolo a sapersi va
bbricare i fulmini ; e quindi enumera gli elementi o materie prime di
cui
li componevano : « …….Stavan nell’antro allora «
ato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal
cui
greco nome di electron fu appunto denominato ques
lle Favole pastorali, ossia in quelle drammatiche rappresentazioni, i
cui
personaggi erano antichi pastori mitologici. Tra
ppo leziosamente, ragiona però bestialmente, come « …. Semiramis, di
cui
si legge « Che libito fe’licito in sua legge. »
l piccolo Bacco nelle braccia, che trovasi nella villa Pinciana, e di
cui
una copia in bronzo esiste nel primo vestibolo de
sacre focacce e di latte accendevansi fuochi di paglia, a traverso le
cui
vivide fiamme saltavano quei villici, credendo co
il dì 1° di maggio, nei quali giorni v’era un gran lusso di fiori, di
cui
tutti facevano a gara a cingersi la testa e ornar
essa di Priapo, fatta di fico, l’origine sua e le sconce prodezze con
cui
spaventò le streghe Canidia e Sagana mentre facev
a come dio della Musica e di tutte quelle altre belle arti speciali a
cui
presiedeva ciascuna delle nove Muse, delle quali
. Fra i titoli dati alle Muse v’è quello di Pieridi, o Pierie Dee, di
cui
è questa l’ origine. Le figlie di Pierio re di Te
liopea alquanto surga, « Seguitando il mio canto con quel suono, « Di
cui
le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che disper
Dei a sottrarla da tal persecuzione, fu cangiata in quella pianta di
cui
portava il nome, cioè in alloro, poichè Dafne in
poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo, che se ne fece una corona di
cui
portò sempre cinta la fronte ; e i poeti subito l
; e insieme con Nettuno fabbricò le mura della città di Troia ; della
cui
divina origine e costruzione parlano Omero e Virg
n re, e specialmente a un re assoluto che è padrone di tutto217), e a
cui
non può mancar mai un lauto trattamento per una n
suoni ; ma, comunque ciò fosse, questo strumento è il distintivo per
cui
riconosconsi i Tritoni stessi nelle opere d’arte.
rano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di
cui
farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne
tano uno dei più strani e singolari miti, unico nel suo genere ; e di
cui
nulladimeno seppe valersi Dante come di similitud
a, cominciando a contare da Cosimo I. 213. Questa è quella Teti nel
cui
palazzo andava tutte le sere il Sole a riposarsi
te per preludio alla descrizione di quelle furibonde anime dannate di
cui
allora voleva parlare. Ma nel i Canto del Paradis
l’ordinario soggiorno di tali Dei sulla Terra. Gli Dei Superiori, di
cui
abbiamo parlato nella Iª Parte, erano soltanto ve
generali denominazioni, come ora suol farsi nella Storia Naturale in
cui
si distinguono soltanto i generi, le specie, le f
re d’Italia deificato per sì utile insegnamento3. Di tali divinità il
cui
ufficio si conosce e s’intende dal significato de
deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in
cui
scriveva S. Agostino, cioè in più di quattro seco
ce, ecc.) troviamo rammentati col titolo di Divi quegli Imperatori di
cui
si citano le leggi o i rescritti (Divus Julius, D
mato, e quel ch’ei più apprezza « Fu della volontà la libertate, « Di
cui
le creature intelligenti « E tutte e sole furo e
dei suoi lettori questa fondamentale dottrina del libero arbitrio, da
cui
dipende la moralità delle azioni, e quindi il mer
ndicare la facile sua mutabilità. Le si dava inoltre il cornucopia da
cui
spargeva inesauribilmente frutti e fiori sopra la
le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo
cui
saver tutto trascende, (cioè Dio) « Ordinò genera
a son sostituite le monete d’oro e d’argento ; e i moderni tempii, in
cui
è esposta l’immagine della Fortuna ad allettament
anno tre diverse etimologie,45deducendole da tre diverse accezioni in
cui
trovasi usata quella voce, cioè di Semidei, di De
ll’Odissea. Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a
cui
è diretto questo lavoro m’impediscano di estender
erra di Troia. E a far questo ci aiuteranno diverse celebri imprese a
cui
intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei,
in queste diverse imprese trovansi rammentati quasi tutti gli Eroi di
cui
si ha notizia, e talvolta in una son nominati i p
mo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in
cui
avvennero quelle, e già divenuti Indigeti Dei, op
ea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi che i 4 elementi di
cui
esso era composto si divisero ; e divisi che furo
questi Dei ebbero perciò il titolo di Delio e di Delia dall’isola in
cui
nacquero ; come pure il nome di Cinzio e di Cinzi
’origine delle montagne, ma perfino l’età, ossia l’epoca geologica in
cui
esse si sollevarono. Per terminare in questo capi
gnificare la sua rassomiglianza col Tellurio, altro corpo analogo, di
cui
dicemmo nel Capitolo della Dea Tellure. Fu scoper
otanti in mezzo alla corrente e portanti gran copia di vegetabili, le
cui
radici si abbarbicano e s’intrecciano facilmente.
naturali come se fossero Dei, e in quella gli esseri soprannaturali a
cui
se ne attribuiva l’invenzione o la creazione. Ce
d ella primavera. » A questo punto cederò la parola all’ Ariosto, la
cui
splendida poesia è facile ad intendersi come la p
ell’ Inferno, se non era la ninfa di una fontana chiamata Aretusa, le
cui
acque scorrevano sotto terra, che le avesse signi
fu rappresentata ancora talvolta con una doppia fila di mammelle, per
cui
le si dava il titolo di Mammosa. Non è però possi
esto celebre mito, e se ne vale per una similitudine della magrezza a
cui
per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio :
ravansi più specialmente in Roma che altrove. Nel mese di Gennaio, il
cui
nome facevasi derivare da quello di Giano, si cel
ali. Nel mese di Febbraio è da notarsi la festa della Dea Sospita, il
cui
nome significa salvatrice. In origine e grammatic
ea Bona. Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di
cui
abbiamo parlato nel Cap. XXXV. Fu detta la Dea Bo
simili stolte superstizioni nel lib. ii De Divinatione. Bellona, il
cui
nome è di origine tutta romana, derivando da bell
m, concludono col Preller che Summanus è un Dio del cielo notturno, a
cui
si attribuivano i temporali notturni come a Giove
a, significa ciò che resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a
cui
può sottintendersi il nome di qualunque luogo od
sa esistessero due inferne regioni molto diverse tra loro per l’uso a
cui
erano destinate. La prima chiamavasi il Tartaro,
bevere a quelle anime, che, secondo la dottrina della Metempsicosi di
cui
parleremo in appresso, dovevano ritornare nel mon
elle regioni sotterranee. Se poi si considerano i dati scientifici su
cui
si fondano i calcoli di centinaia di secoli che p
zo del campo maligno « Vaneggia un pozzo assai largo e profondo, « Di
cui
suo loco dicerà l’ordigno. « Quel cinghio che rim
me di Iside ; e parimente d’Argo era re Danao padre delle Danaidi, di
cui
parlammo nel N. XXXI ; ed ora troviamo Perseo di
arsi che quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. E Pindaro, a
cui
forse piaceva poco questa strana invenzione di Es
ltimi giorni da una improvvisa invasione delle truppe del re Fineo, a
cui
Andromeda era stata promessa in isposa, ma che pe
e, del quale gli antichi favoleggiavano che sostenesse il Cielo, e il
cui
nome hanno dato i moderni, con evidente allusione
di 91. Aggiungono inoltre che una gran quantità di stelle cadenti, di
cui
hanno luogo fiammeggianti pioggie ordinarie circa
« Era nel mezzo del palagio all’aura « Scoperto un grande altare, a
cui
vicino « Sorgea di molti e di molt’anni un lauro
l troiano linguaggio, come i Romani dai Troiani. E poichè Cicerone, a
cui
parrebbe che questa squisitezza filologica avesse
l Palladio, sacre reliquie troiane, che nessun vide giammai, ma nella
cui
esistenza tutti credevano ; — e quando si tratta
veduto di sopra, si potrebbero citare molte autorità di classici, da
cui
chiaramente apparisce il differente ufficio dei P
perciò a significare la creduta stabilità o immobilità della Terra, a
cui
presiedeva Cibele. Chiamavasi in greco e in latin
asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerdoti a
cui
fosse lasciata per pochi giorni la facoltà di far
he significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per
cui
sembravano tori infuriati che tra lor si cozzasse
i un monte. E questa è la prima metamorfosi, ossia trasformazione, di
cui
ci è occorso di far parola nella Mitologia. Ne tr
ome assonnaro « Gli occhi spietati, udendo di Siringa, « Gli occhi a
cui
più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che co
perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da
cui
deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo cred
la conservazion della vita si aggiungono sempre molti timori vani, da
cui
tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assalit
; Pan curat oves oviumque magistros. » (Virg., Ecl., ii.) « Fistula
cui
semper decrescit arundinis ordo, « Nam calamus ce
del mondo, e che nel territorio ove ora è Roma esisteva un regno, di
cui
la capitale era sul monte Gianicolo. Raccontano d
ono nel Paradiso terrestre è considerato come la vera età dell’oro, a
cui
debbono riferirsi le fantastiche descrizioni che
turnali in memoria di quel tempo felice sotto il regno di Saturno, in
cui
non si conoscevano nè servi nè padroni, ma tutti
i mortali presso gli altri Dei. Ecco uno dei molti casi mitologici in
cui
più e diversi attributi ed uffici si riunivano in
due piccole ali al capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a
cui
stanno attortigliati due serpenti ? È quella l’im
ngiò in livido sasso, simbolo del livore, ossia dell’invidia. Dante a
cui
nulla sfugge, e che ovunque stenda la mano o colo
vivo a causa del suo color bianco argenteo e della sua mobilità ; per
cui
serve ottimamente nei tubi dei termometri e dei b
o ed elegantissimo proverbio latino : male parta, male dilabuntur ; a
cui
corrisponde il volgarissimo, ma non meno espressi
« Replicava il Pelide. Io pria torrei « Servir bifolco per mercede, a
cui
« Più scarso il cibo difendesse i giorni, « Che d
resso con acerba pena « Tantalo in piedi entro un argenteo lago, « La
cui
bell’onda gli toccava il mento. « Sitibondo mostr
minalisti. Nel Canto xi dell’Inferno espone i principii filosofici su
cui
è basata la classificazione dei delitti e la prop
et Tytion, Terræ omniparentis alumnum, « Cernere erat, per tota novem
cui
jugera corpus « Porrigitur ; restroque immanis vu
oli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon sì civili, e della
cui
civiltà è figlia la nostra. Se una gran parte di
lle armi di pietra e delle abitazioni lacustri, di quel tempo cioè in
cui
i nostri antenati Europei eran forse più rozzi de
nta efficacia sulla civiltà greca e romana. Se negli Dei superiori di
cui
abbiam parlato in questa prima Parte troviamo per
la deificazione degli uomini dopo la morte167. Il culto più antico di
cui
si trovi memoria negli scrittori fu quello del So
ssaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in
cui
si fece l’apoteosi di tutte le forze e leggi dell
mpareggiabile dai Greci e dai Romani i più celebri e graziosi miti di
cui
non perirà mai la memoria, finchè si leggeranno e
llita viva, in un campo, detto scellerato, fuori di Roma. I giorni in
cui
avessero luogo queste pene o espiazioni considera
del circo : la loro parola valeva come un giuramento, e la fiducia di
cui
godevano era tanto grande, e talmente sicura l’in
no adattarvisi e non rimpiangere l’impareggiabil condizione di vita a
cui
avevano rinununziato. Il che non conferiva di cer
alogia e i pretesi miracoli. Tali favole o miracolose supposizioni di
cui
son piene tutte le antiche istorie, specialmente
ltro più specialmente applicabile a quella dei Greci e dei Romani, le
cui
classiche lingue e letterature tanto contribuiron
nno tratte dai vocaboli mitologici molte delle loro denominazioni, la
cui
etimologia, o vera spiegazione del termine, può s
moltiplicò. Fra i più celebri si annoverano Prometeo ed Epimeteo, di
cui
ora occorre parlare. Prometeo ed Epimeteo erano
fatal vaso, le avesse ordinato di portarlo a Prometeo ; ma questi il
cui
nome significa provvido o cauto, non volle aprirl
, non volle aprirlo ; ed avendolo essa portato quindi ad Epimeteo, il
cui
nome significa l’opposto, cioè improvvido o incau
Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore di Roma a
cui
si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si de
nevano nel loro tempio e prestavano il loro culto ad un bue vivente a
cui
davasi il nome di Bue Api. Questo bue aveva il pe
parere « Sol d’azzannarli, fora un fallo immenso. « O sante genti, a
cui
da terra sorti « Questi Numi sì ben nascon negli
e, il primo come dovere assoluto e il secondo come dovere relativo, a
cui
si sottintende se puoi e per quanto puoi 58 ; ma
cesi, corno di Ammone. Ecco un’altra scienza, e delle più recenti, in
cui
non è disprezzato l’uso antico di adottare nel li
e chiome « Ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo. » 65. L’oasi in
cui
fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella ch
la pendenza dell’ alveo : ha ciascuno di essi presso di sè un’urna da
cui
esce l’acqua per significar la sorgente ; e se il
io pera « D’oscura morte, ohimè ! come fanciullo « Di mandre guardïan
cui
ne’piovosi « Tempi il torrente, nel guadarlo, aff
uaggio degli Dei, e il più moderno a quello degli uomini. Nel caso di
cui
si parla nel testo il Xanto è il nome più antico,
ente, finchè ne apparisce qualcuna tutta cangiata in forma umana, o a
cui
manca soltanto il complemento di un piede che ved
preistorici ; e quello storico, chiamato il diluvio universale, e di
cui
trovasi una general tradizione in tutti i popoli,
che significa trasformazione, come abbiamo spiegato altra volta, e di
cui
tanto avvien di parlare nella Mitologia, intender
r divenne un Indigete Dio ; ma è considerato un Eroe e per l’epoca in
cui
visse e per quanto oprò. Il racconto della sua vi
ibat, uti nos « Sermoni propriora, putes hunc esse poetam. « Ingenium
cui
sit, cui mens divinior atque os « Magna sonaturu
nos « Sermoni propriora, putes hunc esse poetam. « Ingenium cui sit,
cui
mens divinior atque os « Magna sonaturum, des no
tamorfosi della involata donzella. — Acrisio, nipote di Linceo, la
cui
figlia Danae sposò Perseo. — Megapente, figli
i dicono che questa festa fu istituita nell’Attica. — Il vascello, su
cui
Danao approdò in Grecia, servi di modello ai grec
, Maratone, Corinto, Polibio che accolse Edipo bambino, Creonte, appo
cui
rifugiaronsi Giasone e Medea. Ma vero fondatore d
occhi, bianche le braccia93), lunga la veste matronale e il manto, i
cui
lembi estremi le stanno ricinti a mezzo la person
are antonomasticamente un uomo oculatissimo, cioè vigilantissimo ed a
cui
nulla sfugga. Anche Dante descrivendo nel Canto x
ga. Anche Dante descrivendo nel Canto xxix del Purgatorio il carro in
cui
era trionfalmente portata Beatrice e facendolo si
guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la
cui
violazione produsse nel Cielo la prima guerra fra
Ed è questo uno dei più evidenti esempi a dimostrazione del modo con
cui
gli Antichi trasformavano in racconti mitologici
ei lo mio maestro e ’l[ILLISIBLE]mio autore : « Tu se’ solo colui, da
cui
io tolsi « Lo bello stile che m’ha fatto onore. »
eligione dello Stato e corruttore della gioventù. Il Dèmone dunque di
cui
egli parlava non poteva significare, nella sua se
divinità mitologica, ma piuttosto l’ispirazione di quell’unico Dio in
cui
egli credeva. Abbiamo veduto di sopra, che i Geni
ersi del Cecchi, del Parini, del Monti, del Manzoni, e del Giusti, in
cui
trovasi usato il vocabolo Genio in più e diversi
io e la sua dignità, e non servì più allo scopo altamente sociale per
cui
fu istituita. In Roma insiem coi vizii penetraron
ime apoteosi sorgeva e ben presto diffondevasi una nuova religione, i
cui
seguaci destarono l’ammirazione di tutti per la b
se o radicale di questa parola si son formati in italiano vocaboli di
cui
non esistono gli equivalenti neppure in latino, c
ed empio si estese anche ad altre prove, come a quella del fuoco, la
cui
sola proposta fanaticamente fattane dagli avversa
inghiale di Calidonia È questa la prima impresa dei tempi eroici in
cui
si trovino riuniti molti celebri eroi, e che serv
i lui. Non molto lungi dalla città v’era la folta selva Calidonia, da
cui
usciva il cinghiale per devastare ed uccidere, ed
venti Dei superiori, dodici formavano il supremo consiglio celeste a
cui
presiedeva Giove come re del Cielo ; e questi era
o. Minerva nacque miracolosamente dal cervello di Giove. Il Genio (il
cui
nome derivava dall’antico verbo latino geno, che
istrato dalla moglie di lui : « …..Se tu se’ Sire della villa « Del
cui
nome ne’ Dei fu tanta lite, « Ed onde ogni scienz
gior titolo d’onore che di esser chiamata l’Atene di quella nazione a
cui
appartenga. Così fu lieta Firenze di esser detta
ia di Eretteo re di Atene, e n’ebbe 2 figli chiamati Calai e Zete, di
cui
dovremo parlare nella spedizione degli Argonauti.
tutti i poeti epici han per costume di descrivere qualche tempesta in
cui
inevitabilmente incappano sempre i loro protagoni
dell’autore medesimo, accettato da più di una Scuola in Toscana, e di
cui
l’avveduto signor Barbèra credette utile farsi ed
oria uccisione di Giulio Cesare, il desiderio di sì cara esistenza, a
cui
era dovuta la prostrazione del partito aristocrat
sce però che il Caos stesso fosse l’ordinatore dei propri elementi di
cui
ab eterno componevasi, ma un Dio o una miglior na
ero gli Antichi quasi indovinate le moderne ipotesi astronomiche, per
cui
si ammetta nello spazio una materia cosmica, onde
mette in versi la preghiera di un ladro a Laverna, Dea dei ladri, in
cui
alla furfanteria è congiunta la ipocrisia colle p
cerimonia religiosa nei sacrifizj. Il sacerdote assaggiava il vino di
cui
era colma la tazza, l’offriva ad alcuno degli ass
son distinti con caratteri italici, e posti subito dopo quei nomi da
cui
derivano. Per mezzo di quest’ Indice alfabetico p
— sua morte, 395-398 ; — sposa Ebe in cielo, 399 ; — nomi diversi con
cui
vien chiamato, 400 ; — come è rappresentato, 401.
steps. No. 10. Page 349 Monstrum horrendum, informe, ingens,
cui
lumen ademptum. — Virgil . A horrible monster, m
. Cowper’s translation. 380. Monstrum horrendum, informe, ingens,
cui
lumen ademptum. Verg. Æn. 3: 658. 381. Tan
asso in his Rime Amorose (canz. viii. 25), has «Rose dico e viole, A
cui
madre è la Terra e padre il Sole ;» and in his n
▲