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1 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
e idee più belle, onde effigiare le più magnifiche opere atte a rapir chi si sia con lusinghevole invaghimento ? Da qual’al
riconosciuti vennero dagli antichi sotto questo speciosissimo nome ; Chi fù Giove poichè però al solo figlio di Saturno, e
soldi due le più principali, e del pari le più adatte a far conoscere chi propriamente il terribile Giove si fosse. Sue ba
pel mare, e non pel Dio di esso ; percio con questi riconosco anch’io Chi fù Nettuno Nettuno figlio di Saturno, e di Rea pe
lo tradi nelle sue soglie, E allor si fù del rìo voler punito. Guai a chi è brutto, vecchio, e prende moglie. Dichirazi
sser suo, gli siano servito di appoggio, e sgabello alle sue fortune. Chi fù Vulcano. Nacque egli da Giove, e da Giunone, o
rendevasi il terror di chiunque osava far resistenza a suoi cenni. E chi in vero gli prestò braccio forte nelle sue antich
iù bello, svisato, e storpio ad ampi i suoi fianchi, sicche ben disse chi disse, che la sua figura derogava non poco alla s
Il flagello di Dio Marte è chiamato. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Marte. Avvegnachè figlio del troppo augusto ma
storiette di questo Dio per qua lunque verso considerarlo ci aggrada. Chi fù Mercurio. Nato appena da Maia primogenita di A
ure assai spesso inseguire i più rinomati Eroi, e miriam sovente, che chi per qualche dono di natura infra gli altri singol
olta a dure vicende fin dal seno di sua madre miseramente soggiacque. Chi fù Apollo. Corrucciata Giunone perche Giove suo m
ndo di attaccare il potente uccisore, le sue furie convertì contro di chi n’ era stato il ministro, ammazzando perciò i Cic
tata finalmente la grazia dí Giove, e chiamato novellamente nel cielo chi mai creduto non avrebbe esser per lui terminati o
so suo genio. E che altro invero bramar più poteva per esser felice ? Chi fù Giunone. Figlia essa di Saturno, e di Opi, e S
neficii ricevuti fù certamente la figlia di Saturno, e Cibile Cerere. Chi fù Cerere. Per essa invero si scosse la terra, ed
, veniva salutata co’ dolci nomi di Mammosa, di Alma, e di Nutrice. E chi in vero in veder le sue poppe soltanto gravose di
iù bella, e la più antica fù. Il suo rito scordarsi omai non può, E a chi lo conservò con fedeltà Eccelsi premii di sua man
Dea stessa di quella ? Descrivasene perciò con tutto piacere la vita. Chi fù Vesta, Fù questa Dea gentil germogtio di Satur
a, troppo chiaro adombrò i rari pregi, de’ quali andava ella fastosa. Chi fù Minerva. Giove credendo troppo ciecamente ai v
e d’amore, Fonte d’immense grazie, e dolce ardore, Che in ciel non fù chi somigliasse ad ella. Febo, e Marte provar fatal q
tatezza di essa nell’agire, cosi di mia riserbatezza nel favellarne. Chi fù Venere. Nacque Venere dalla spuma formatasi in
velenosi suoi strali ? fù detta finalmente Melene, cioè tenebrosa, e chi non sa, che le opre del sozzo amore amano la secr
è il poter della gran Dea triforme. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Diana. Germoglio quanto travagliato nel seno d
lla chiunque rivolgevasi direttamente contro il suo pudore, ma ancora chi osava insidiare qualche seguace sua Ninfa. La inf
val forza mortal contro al destino. Dichiarazione e sviluppo Chi fù il Destino. Una divinità sempre la stessa, e n
cità delle opinioni. A mio credere più plausibile sembra il parere di chi afferma, che la prosperità dell’empio, e la infel
onde piacque istruir gl’agricoltori. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Saturno. Il nume più ammirabile perchè padre d
E di pace il piacer da lui s’impara. Dichiarazione e sviluppo Chi fù Giano. Se è vero, come pur troppo lo è, che le
umi a rea battaglia sfida Flagello del mortal fin da che nasce. Cieco chi il siegue a precipizio guida, Egli è tormento all
a, contro il Dragone Alcide, contro il Minotauro finalmente Teseo, ma chi scappò mai i micidiali colpi d’amore ? Lo scppe i
Cielo, non avrebbero al certo mai più acquistata la antica lor pace. Chi fù Genio. In terra poi disceso questo velenoso ge
o velenoso germoglio di Venere radice assai più micidiale, ed infetta chi mai spiegar potrà le tante sue causate ruine ? Vi
suoi fianchi, qual’idea di instabilità, e leggerezza(1). Misero pero chi si lascia adescare da tal lusinghiera apparenza.
e a lui più da presso appartenenti sarà per me unicamente l’obietto. Chi fù Plutone. Riconobbe Plutone da Saturno, e da Op
o, che scompagnato, e solo rimasto sarehbe perpetuamente sul trono. E chi in vero per soddisfar le sue brame avrebbe voluto
. Arbitro d’ogni core, eccovi Bacco. Dichirazione, e sviluppo Chi fù Bacco. Che lo spirito della gelosia sia il fom
Chè dipende da lei dominio, e regno Dichirazione, e sviluppo Chi fù Cibele. Se in gloria de’genitori cede mai semp
o appunto accadde alla Dea, di cui in quest’ultimo capitolo si parla. Chi fù Proserpina. Nata essa da Giove, e da Cerere al
ta in erba dello stesso suo nome : onde così non avendo il marito con chi dividere gli affetti fosse ella sola del cuor di
regio, e grandezza meriti dagli uommi esser venerata qual Dea non v’è chi o stoltamente l’ignori, o sfacciatamente lo neghi
tei, che eterna maraviglia Desta nell’alma, e l’incoraggia, e guida ? Chi è mai costei che ogni periglio sfida, E nel sembi
stei che ogni periglio sfida, E nel sembiante agli Angioli somiglia ? Chi è mai costei, che la ragion consiglia, Nuda del t
i, che la ragion consiglia, Nuda del tutto, e in pochi cor s’annida ? Chi è mai costei, che ad un cristallo affida Le propr
ad un cristallo affida Le proprie forme, e al retto sol s’appiglia ? Chi è mai costei, che da ciascuno odiata Se stessa a
della innocenza sotto le rappresentanze di un tenero fanciullo. E da chi altro mai, eceettuati i bambini con poche anime a
nte un sembiante non tristo, nè lieto per significar esser proprio di chi l’amministre accoppiar mirabilmente la severità a
ti pingesi seder su d’un monte per indicare l’altezza, cui si sublima chi la pruova. Scorgesi reggere un timone, perchè ess
oi degno di somma lode, e compenso al cospetto di Dio, e degli uomini chi nel petto gelosamente la nudre ? Scolpisca ognun
a alla tomba è all’Uom sostegno Promette sempre negli avversi guai, A chi assicura un trono, e a chi dà un regno. Ma le pro
egno Promette sempre negli avversi guai, A chi assicura un trono, e a chi dà un regno. Ma le promesse sue non compie mai, S
ssa molto promette, e poco, o nulla concede. Se è vero però, che solo chi in Dio spera non resta giammai confuso, giusta qu
ottiera e Guida Miseri, e grandi tutti accoglie in seno, Nè sa tradir chi al suo poter confida. Annotazioni. La prov
corruttibilità, questo per scovrire la stabilità de’suoi precetti. Ma chi oggi è fedele amico di si bella virtù ? Ahi ! Di
v. 20. Virum fidelem quis inveniet ? Se è vero però, che Dio non teme chi il prossimo con sincerità non ama al dir di Giobb
ai cangia desìo, Nè in alcun tempo alle preghiere è sorda. Mortal odi chi è questa, e nel tuo fio Dell’alta sua pietà sol t
on la man destra un’ ancora poi fà Fissare al suol, che mobile non è, Chi questo bel problema scioglierà Scorgerà quello, c
ita inoltre il corno dell’abbondanza qual simbolo, che niente manca a chi è felice. Ma chi mai è felice ? Mille, mille cese
rno dell’abbondanza qual simbolo, che niente manca a chi è felice. Ma chi mai è felice ? Mille, mille cese diconsi da Scrit
che ognun le presta fede, I morti, e i vivi svela al mondo intero. E chi amica non l’hà spento si vede. Annotazioni.
fa inarcar le ciglia. Il nemico comune in esso io scerno, E se saper chi fia genio consiglia : Esso è il Travaglio all’nom
tratto chiaro rilevasi quanto per l’uomo penoso sia il travaglio, pur chi seriamente riflette essere il giusto travaglio al
piere gli angustiati suoi giorni troppo chiaro ci dimostra il rimorso chi sia, e con quanta ragione verace inferno si appel
e arcano : Collera è questa di ciascun flagello. Annotazioni E chi non direbbe sufficienti ad indicare il gran malo
to l’aspetto di bella donna, perchè bellamente s’induce nell’animo di chi l’ascolta, e per tal cagione poi un serpe si mira
ortale, è d’ogni mal radice, Frode è questa, che tien la rete tesa, E chi la scampa si può dir felice. Annotazioni.
indura : Trema mortal, che la discordia è questa. Annotazioni. Chi non orridisce al ritratto di questa furia d’Avern
r d’ogni superbo il viso. Santa religion tu quella sei Che fai tremar chi sol negarti ardisce, E mentre chi ti adora inebbr
ligion tu quella sei Che fai tremar chi sol negarti ardisce, E mentre chi ti adora inebbri, e bei Un sol tuo sguardo il mal
a, e perdono può essere di tal verità il più luminoso attestato. E da chi altro poi, se non dal lor padre l’esempio apprese
ll’ombra, vita al nulla al soglio siede delle più alte magnificenze o chi forse all’esistenza mai non comparve, o chi di ta
e più alte magnificenze o chi forse all’esistenza mai non comparve, o chi di tante doti, quante essa l’accorda non mai fù f
ndustria, ed arte, onde conciliarsi l’attenzione, e la benevolenza di chi ascolta ; ma sibbene una ben adatta maniera di pr
amo omai un’ occhiata alla narrazione. 2. Il più sollecito impegno di chi s’accinge a comporre un canto, un poema, in quest
e risveglia forti impressioni nel cuore atte ad attirarlo dove voglia chi parla. Ed ecco perchè gli Spartani fino a tal seg
dell’uomo, che tutti ne han ammirato, e ne ammireranno il portento. E chi in vero non ravvisa quale abbondanza di rettorica
I sommi Dei Quanto imitar mi piace Abborrisco emular. Gli perde amici Chi gli vanta compagni, e non si trova. Follia la più
8 nella morte di Argante può forse meglio descriversi il carattere di chi fiero visse, e disperato morì ? Moriva Argante,
el sentenzioso, e mellifluo parlare, che padroni ci rende del cuor di chi ci ascolta. Il verso però in altro modo riguardat
perisci, La tua sorte E finisci Seguirò. Di regnar, Se privato Chi sa mai Di le sono Se si trova Il mio trono Ch
gnar, Se privato Chi sa mai Di le sono Se si trova Il mio trono Chi tal nuova Scenderò. Può recar Che verrai, La
stocle in esiglio Del folle sdegno antico, Esposto a reo periglio E chi odiò nemico Muove dolente il piè. Innalza amico
dine Nel suo dolor gemea In squadre appien distende ; Non sanno a chi rivolgersi, Quindi con voce stridola, E a chi c
tende ; Non sanno a chi rivolgersi, Quindi con voce stridola, E a chi cercar pietà. Parla a’ Spartan così : Sparta, c
dissonor. Dicon : se andremo a batterci Meglio sarà di togliere Chi batterem ? le donne A lor cotal rampogna O vinc
fatto, Lasso me ! Che far degg’io ? L’alta quercia ancor traballa, Chi più regge il viver mio ? Che dal vento è svelta
ugia. Rapisce in vero la sua armonia, ma a troppo duro cimento espone chi il tratta. Quindi è, che appena qualche estempora
ivieto Perchè osservasi l’impero Dunque hai franto il mio decreto Chi obliare lo potrà Traditor dimmi perche ? Reo di
itore Contro i Galli in gran tenzone, Nulla vale addur la scusa E chi ardisse al paragone Grida il padre chi si abusa
Nulla vale addur la scusa E chi ardisse al paragone Grida il padre chi si abusa Contro il cenno di veuir Della legge a
sangue mio L’ultima mia speranza, Che più soffrir degg’io Non hò chi più m’aiuta In sorte sì dogliosa Che va la mia
en d’altrui col suo dolore Che il camin di giustizia un re disegna, E chi è chiamato a dominar sul trono La data legge coll
causa così venne decisa. Cap. XVI. Dell’ode saffica. Non v’è chi ignori essersi chiamato Saffico questo metro, ohe
de dunque Curiazio, e tu spietato Mirar potesti gli ultimi momenti Di chi tanto amò : ed or di orgoglio armato I fasti oste
, otto, e più versi Endecasillabi, e Settenarii da rimarsi a genio di chi compone, meno che nella chiusura, dove la rima o
gere una norma invariabile della Canzone. Per la morte di Pio VII. Chi al pianto porgerà cotanta vena Onde fugar dal cor
gar dal core Il cumulo d’affanni, che l’opprime, E in si fatal dolore Chi al seno porgerà forza cotanta Perchè il pastore e
a tanto ? Così fini la vita ? Dov’è il gran difensor de’sventurati ? Chi ne darà più aita ? Ma perchè invidiar l’alta sua
ubblici scarcasmi pagar meritamente il fio del loro audace ardimento. Chi vuol montare a questo segno deve spargere pria no
risulti il Sonetto, essa in particolar modo occupar deve l’ingegno di chi compona ; mentre il Sonetto, al pari d’un torrent
BO L’uomo, che mascherando ognor si và Mostra, che ragionevole non è, Chi di farsi temer timor non hà Sotto maschera mai no
Chi di farsi temer timor non hà Sotto maschera mai non s’ascondè. Ma chi la conoscenza altrui non dà Perchè forse talor ma
e il più, E fa dir facilmente il si, e il nò. Abbia dunque per norma chi è quaggiù La maschera evitare, ed io ben sò, Che
i questa pertanto eccone la norma. Ovidio, che si licenzia da suoi Chi preveder potea si orribil danno ? Danno Chi preve
i in tal guisa il mio giudizio efformato sù tal proposito, non sarà a chi siasi di maraviglia se con affrettato passo perco
la origine della idolatria istessa riprovar non intesi o il parere di chi la vuole discesa dalla introduzione de’due princi
alla introduzione de’due principii buono, e cattivo, o la sentenza di chi ne ascrive la cagione al timore, giusta quel di L
de Nat. Deor. Varr. apud Aug. Cic. lib. 2 de Nat. Deor. Virg. Egl. 3. Chi fù Giove Come Campato da Marte, e fatto Re Sue ba
za, e liberalità gli meritarono un tal nome. Suo ritratto. Suo culto. Chi fù Nettuno (1). Parlando i Mitologi di questo D
mplorato, e perciò di lui facevasi comunemente gran conto. Sue feste. Chi fù Vulcano. Suo impiego. (1). I Ciclopi furono
Minerva. Sua qualità. Suoi nomi. Suo ritratto. Suoi tempii, e feste. Chi fù Marte. Sua contesa con Nettuno. (1). Saggia p
arte, giusta la costituzione ricevuta dal religioso Numa. Sue vittime Chi fù Mercurio. (1). Da questo fatto di Mercurio po
ercurium. Imperocchè se parlasi della profondità, e facondia nel dire chi fra tutti i banditori del vangelo fù di Paolo più
angelo fù di Paolo più sublime per la cognizione delle cose celesti ? Chi di esso più eloquente nel perorare ? L’attesta la
anza nel servizio Divino ad onta di qualunque avversità, ed ostacolo. Chi fù Apollo. Sue vendette. Sue nozze (1). Da quest
Aris ergo dehine tacitis abscedite nostris. Suo ritratto, e culto. Chi fù Giunone. Suc azioni (1). Bella assai al suo
n la tua vendetta. Suo castigo. Suo ritratto. Suoi nomi. Sue feste. Chi fù Cerere. Sue disgrazie. Sue vendette. Suo ritra
antichi fedeli, nonchè calunniar per pagana la vera Chiesa di Cristo. Chi fù Vesta, Suo ossequio e culto. (1). Il venerand
doveano deviare del cammino, o abbassare le loro autorevoli insegne. Chi fù Minerva. (1). Sulle oscure, e confuse idee, c
ù villane, del Serpente cioè, della Civetta, e del popolo. Suo culto Chi fù Venere. (1). Non solo a Dei però, ma agl’uomi
a la voleva religiosamente in suo onore : che anzi severamente puniva chi fuor dell’uso de suoi sacrificii l’avesse ammazza
ibi rinserrarsi nel suo erario i tributi pagati con tal sozzo danaro. Chi fù Diana. Sue vendette. Suo potere e suoi nomi. S
in verità se avvi animale, che la natura finse casto esso è l’Ape, ma chi ignora esser questo fornito di squame, e di acule
gnora esser questo fornito di squame, e di aculeo ? Se avvi fra fiori chi è il simbolo della illibata castità esso appunto
todivansi le imagini della gran Dea di quel tempio, benchè non manchi chi le vuole tavolette, o simulacri, che in atteggiam
e per mostrar qual in ciò fosse la sua mente disse : Argentea vota. Chi fù il Destino. (1). Qui vorrei però che a qualch
, la sollecitudine, l’impegno presso dell’uomo uno dei mezzi previsi, chi può fare ammeno di metterlo ? fuor di senno inver
le opportune medicine ; quanto più insano dunque dir non si dovrebbe chi commosso per la divina prescienza, disperato indi
, e perciò la tua sorte è nelle tue mani. Da qual fonte ebbe origine. Chi fù Saturno. Suoi viaggi. (1). Che il Saturno de’
malorum Quas peperit saepe scelerosa, atque impia facta. Sue feste. Chi fù Giano. (1). Nell’ esporre la discendenza di q
la discendenza di questo Dio hò creduto meglio seguire la opinione di chi lo vuole figlio di Creusa adottato però dal detto
vuole figlio di Creusa adottato però dal detto Sifeo, che il parer di chi il dice figlio del Cielo, e di Ecate, perchè sott
rudentiam, iu lingua Silentium, et in vultu Verecundiam. Suo tempio. Chi fù Genio. (1). Se nient’altro fosse vero in rapp
tuti quam ceruimus hostem, Nec quisquam ex illo vulnere sanus abit. Chi fù Plutone. Suo ritratto. (1). Tra le più belle
e profonda Si apre la bocca d’atro sangue immonda. Suoi sacrificii. Chi fù Bacco. (1). Che il celebre conduttiere degl’E
fù dalle acque vicine, detto perciò Misa ossia salvate dalle acque, e chi non sà aver avuto parimenti Mosè due madri, la pr
ta di uomini, e donne varcò l’Eritreo per la conquista delle Indie, e chi ignora aver Mosè tragettato il mare istesso con n
vendetta di Penteo, che ritirato avea i sudditi da suoi sacrifici, e chi non conosce aver Mosè punito Faraone, che ricusat
tre di argento : Di che materia poi era la corona di questo Dio legga chi vuole S : Ag. lib. de Civ. Dei 4. Cap. 10. Chi fù
na di questo Dio legga chi vuole S : Ag. lib. de Civ. Dei 4. Cap. 10. Chi fù Cibele. Suo ritratto. (1). Non ignoro io esse
p. 10. Chi fù Cibele. Suo ritratto. (1). Non ignoro io esservi stato chi ha preteso, che questa celebrata Cibele fù figliu
itinere, aut certe dormit ut excitetur. 3. Reg. 18. Suoi sacrificii. Chi fù Proserpina. Suo rapimento (1). Da qual fatto
di più versi di diversa specie senza alcuna legge al solo arbitrio di chi compone. Tal è il ditirambo del celebre Francesco
ome Annibal Caro, Ceruti, Cesarotti, Leone, Barbieri ecc. li consulti chi vuole a suo genio. (1). Dicesi Spondiaco quell’
2 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
ometeo, son quadri significanti il rimorso : e Medusa che impietrisce chi la rimira, ci dipinge il danno cagionato dalle pa
ppellettile da patibolo, per significare che il cattivo destino è per chi lo merita, e che il male par necessario solamente
e Saturno assalì Celo, lo vinse, e si conquistò il dominio del mondo. Chi non direbbe adombrato in questa favola un primo s
aute, consigliate da sfrenata e crudele ambizione, tornino a danno di chi le fa. Intanto Cibele (40), sorella e moglie di S
, libero e schietto, Servando ognun la fè, dicendo il vero. Né v’ era chi temesse il fiero aspetto Del giudice implacabile
che ti fidi ? Risposi : Nel Signor, che mai fallito Non ha promessa a chi si fida in lui…. Cibele. Vesta. Vestali.
ed egli fu subito trasformato in sozzo gufo notturno. Infatti Non è chi sia nel mondo peggio visto D’un che rapporta ciò
to, e finalmente morì divorando con orrenda rabbia le proprie membra. Chi non vede in questa favola atroce quanto grave del
on sai qual contro a Dio Fé di sue forze abuso, Con temeraria fronte, Chi monte impose a monte ? Parini. Alcuni di quei m
rmiche, accompagnarono Achille (536) all’assedio di Troia. — E guai a chi avesse offeso la vanità di Giunone ! Piga, piccol
o nel mare da alcuni pescatori. Costoro, dopo molte contese intorno a chi dovesse possedere la ricca preda, consultaron l’o
fiori secondo Marziano, o di elicrisio secondo alcuni altri. La veste chi vuol che sia lunga fino ai piedi, chi corta fino
secondo alcuni altri. La veste chi vuol che sia lunga fino ai piedi, chi corta fino Ile ginocchia, succinta sotto le mamme
il fasto e la splendida protezione dei grandi sieno causa di rovina a chi stoltamente agogna e vagheg gia quelle cose vane 
iulle, dice il Foscolo nel più volte ricordato suo carme alle Grazie. Chi vuol meglio conoscere le immagini della Mitologia
bbandonava la donzella ai tormenti d’ una curiosità non sodisfatta. «  Chi sei tu dunque, esclamava : chi sei tu che dici di
nti d’ una curiosità non sodisfatta. « Chi sei tu dunque, esclamava : chi sei tu che dici di amarmi e di vivere per me ? Tu
so. « Bada, le dicevano, bada di non esser vittima della tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha paura della luce del
orelle ? Ah ! è il dio Amore, egli stesso nel più bel fior dell’età ! Chi più felice di me ? Amore mi sceglie per sua sposa
rono grande carestia, ed infettarono l’aria coi loro cadaveri. — V’ è chi non riconosce nelle Arpie altro che gli uccelli d
e seppe imitare con la voce e co’gesti ogni specie di persone ; e v’è chi lo paragona agl’incantatori egiziani, i quali coi
Dei dovevano tenere una mano stesa sulla terra e l’altra sul mare ; e chi rompea questo giuramento era per dieci anni bandi
inato Scettro, e sul trono gli t’assidi al lato. ……..A voi diletta Di chi delira il canto, E su pallide labbra inno di pian
abbra inno di pianto : Raccor [ILLISIBLE]e in atri vasi il sangue Di chi [ILLISIBLE] Svegliar subiti a[ILLISIBLE] Negli at
me e gli scettri, e le corone, E le mitre con purpurei colori ? Miser chi speme in cosa mortal pone ! (Ma chi non ve la pon
mitre con purpurei colori ? Miser chi speme in cosa mortal pone ! (Ma chi non ve la pone ?) e s’ei si trova Alla fine ingan
ma, si che’l pasto eterno Ed eterna pur sia la pena sua ; Che fatto a chi lo scempia esca e ricetto, Del suo proprio martir
le per celebrare la tenerezza coniugale d’Ipermestra. Ecco dunque da chi era popolato il Tartaro ; e poi …… Tra questi ta
o dunque da chi era popolato il Tartaro ; e poi …… Tra questi tali È chi vende la patria, chi la pose A giogo de’ tiranni,
opolato il Tartaro ; e poi …… Tra questi tali È chi vende la patria, chi la pose A giogo de’ tiranni, chi per prezzo Fece
a questi tali È chi vende la patria, chi la pose A giogo de’ tiranni, chi per prezzo Fece leggi e disfece……… ……… Quei che f
ci Numi principali furono eletti arbitri, e decretarono quest’onore a chi dei due avesse creata la cosa più utile per una c
ere (170). Così al Nume più deforme toccò la più bella tra le Dee ; e chi sa che Giove non lo facesse per ammonirla a non i
e porta quel nome, e rese così eterna l’esecrazione della prepotenza. Chi non riconoscerebbe in Polifemo un tiranno violent
gli stessi Dei ; e non fu mai capace di far nulla di suo, come suole chi pretende troppo dagli altri. Scelto da Nettuno. d
one agli agricoltori, poichè non potrebbe meritare il favor di Pomona chi non si studiasse per opera di moltiplici esperime
io ed are. Ed a voi mi rivolgo, o Dei, ch’avete Degli orti cura e di chi agli orti attende. Fa dunque, Clori (553), tu, ch
ettecentoventi ! Dopo morte ottenevano un posto nell’Olimpo. 314. V’è chi le fa ascendere al numero di tremila ; ed erano r
nga la barba, con in mano un gufo, uccello di cattivo augurio. Guai a chi non sentiva raccapriccio al solo immaginarselo ac
ogni giorno i lacrimevoli esempj ; ma la buona Fortuna sta in mano di chi la vuole, se per essa intendiamo un vivere agiato
no : Colui, lo cui saper tutto trascende67 Fece li cieli, e diè lor chi conduce,68 Sicché ogni parte ad ogni parte splen
ion non hanno triegue : Necessità la fa esser veloce ; Si spesso vien chi vicenda consegue.72 Quest’ è colei ch’è tanto po
n venerazione questa Dea. Libertà va cercando ch’ è si cara, Come sa chi per lei vita rifiuta. (Dante, Purg., c. I.) Il p
lo La man che stringe e cela il reo coltello. La virtù. 351. Chi non avrebbe fatto una Dea di questa augusta figli
e la perseveranza, la imperturbabilità, la fortezza della vera virtù. Chi non si sentirebbe infiammato al suo culto ? Bene
ea egli pronta alla vendetta la mano ; raffrenavalo il non vedere di chi vendicarsi, e che nello stato presente piuttosto
i chi vendicarsi, e che nello stato presente piuttosto abbisognava di chi spiegasse l’oracolo. Scorgevasi appunto Tiresia (
ia, o garzon, che pregi : Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi della gloria è vago, Sol di virtù sia pago. 370
spanna, ma pieni appunto di sfacciatissima presunzione, ed abitavano, chi volesse prestar fede alla favola, nell’Etiopia o
erabili andirivieni, sicchè diveniva impossibile trovarne l’ uscita a chi vi fosse stato rinchiuso. 420. I Laberinli più ce
bero compito questo ratto, pattuirono che la sorte decidesse fra loro chi dovesse essere il possessore della rapita, a cond
rofonte, che sono quelle contenenti sensi contrarj all’espettativa di chi le porta. Omero fa narrare queste avventure con b
proponendo loro a sciogliere enimmi suggeriti dalle Muse, e divorando chi non li sapeva spiegare. Questo flagello era stato
e le sventure dei Tebani non sarebbero finite se non dopo l’esilio di chi aveva cagionato la ruina della famiglia di Laio.
aio. 502. Dopo molte ricerche, edipo stesso conobbe l’esser suo da chi l’aveva condotto bambino fuor di Tebe, e scoperse
enti, dichiarò che non avrebbe accordato la mano d’Ippodamia se non a chi lo avesse vinto nella corsa dei carri. I perdenti
le, sospirando disse : Oh fortunato, che si chiara tromba Trovasti, e chi di te si alto scrisse ! Petrarca. Parte I. Son.
propose che le armi fossero lanciate in mezzo ai nemici e concesse a chi dei due fosse andato il primo a riscattarle ; ma
. Io vo’cadere Supplichevole ai piè di quell’iniquo Violento uccisor. Chi sa che il crudo Il mio crin bianco non rispetti,
mi sono. In questo punto ei forse Da’ potenti vicini assedïato Non ha chi lo soccorra, e all’imminente Periglio il tolga. N
buoni figliuoli ; e l’esempio che donaste sarà prediletto argomento a chi brama significare in carte, in marmi ed in tele l
tore al suo ingegno della più bella e della più virtuosa delle mogli. Chi non vede ingegnosamente adombrata in questa favol
lla importuna di pretendenti, che non voleva dar la sua mano se non a chi l’avesse vinta nel corso ; quindi minacciava di f
lle di Deucalione si cangiavano in uomini e quelle di Pirra in donne. Chi non riscontra nella durezza delle pietre divenute
scelto giudice d’una contesa insorta tra Giove (63) e Giunone (85) su chi sia più felice, o l’uomo o la donna. Vedi senno d
la beltà celeste. E da questa favola può cavarne grande insegnamento chi audacemente presume investigare gli arcani che l’
lfo, e poi diventò comune a tutte le donne che pronunziavano oracoli. Chi annovera tre, chi quattro, chi dieci Sibille, e l
comune a tutte le donne che pronunziavano oracoli. Chi annovera tre, chi quattro, chi dieci Sibille, e le più famose furon
te le donne che pronunziavano oracoli. Chi annovera tre, chi quattro, chi dieci Sibille, e le più famose furono quella d’Er
eide canta quelli co’ quali Enea onora l’ ombra del padre Anchise. Ma chi brama più ampie notizie dei certami propriamente
he si può ricavare dai già dichiarati avvenimenti mitologici : Folle chi spera d’adoprar celato Al Dio che veglia intorno.
la lode che spontanea muove Quando l’avel ne prema, Sol quella mostra chi quassu fu degno Di storia o di poema. Sé stesso i
lidi tiranni, Né i tesori gli assicurano ; Ma nascosto passa gli anni Chi fortuna umil sorti. Rattemprando i voti fervidi A
e invidia Mi ghermisce invan l’artiglio ; Ella stessa è strazio a sè. Chi verso un bene aspira Che aver non può, delira. Ma
è strazio a sè. Chi verso un bene aspira Che aver non può, delira. Ma chi nell’arche tacite Tesor raduna occulti, e altrui
coraggio e di forza, secondo alcuni l’anno 884 av. G. C. Vi è ancora chi li crede istituiti da cinque fratelli chiamati Da
dici costellazioni dello Zodiaco sono senza dubbio le più antiche. Or chi ne attribuisce l’invenzione agli Egizj, chi a’ Ca
dubbio le più antiche. Or chi ne attribuisce l’invenzione agli Egizj, chi a’ Caldei, chi agl’ Indiani e chi finalmente ad u
ntiche. Or chi ne attribuisce l’invenzione agli Egizj, chi a’ Caldei, chi agl’ Indiani e chi finalmente ad un altro popolo
ttribuisce l’invenzione agli Egizj, chi a’ Caldei, chi agl’ Indiani e chi finalmente ad un altro popolo asiatico anteriore
d alla varietà delle stagioni ; l’altro li fa derivare dall’istoria ; chi dalla mitologia ; e chi, all’incontro, sostien ch
gioni ; l’altro li fa derivare dall’istoria ; chi dalla mitologia ; e chi , all’incontro, sostien che la favola non sia altr
opa (483). Il Nume riconoscente lo pose tra le costellazioni ; ma v’è chi dice piuttosto essere la ninfa Io condotta in cie
opinione sono i due Tindaridi, cioè Castore e Polluce (441), nè manca chi li dichiari Apollo (96) ed Ercole (364). 680. Il
in su come fa la capra Amaltea (29) nutrice del padre degli Dei. 687. Chi non dirà che l’ Aquario sia il simbolo delle piog
ndo acque lustrali Amaranti educavano e viole Sulla funebre zolla ; e chi sedea A libar latte e a raccontar sue pene Ai car
al fuoco, e parte a l’acque, E parte intorno al freddo corpo intenti Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l’unse. Poichè fu pi
te a l’acque, E parte intorno al freddo corpo intenti Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l’unse. Poichè fu pianto, in una ric
E parte intorno al freddo corpo intenti Chi lo spogliò, chi lo lavò, chi l’unse. Poichè fu pianto, in una ricca bara Lo co
piè dell’altare aspettando il momento fatale, rimiravano i teschi di chi le avea precedute, ed un sacerdote, tenendo in ma
lle, lo madri e i figli, o due del medesimo sesso, o via diseorrendo. Chi volesse porre un ordine nella genealogia, tanto d
lo al mnggito di un toro, all’urlo d’uu Jeone o all’abbaiar dei cani. Chi non ravvisa in lai detti un vulcano allora sorto
nte invece di gigno o genero. 67. La infinita sapienza di Dio. 68. Chi li conduce. Una intelligenza molrice. 69. Sicchè
o. 71. Qui intendiamo gli Angeli. 72. Però havvi sì spesso al mondo chi soffre mulamento di slalo. 73. Il fuoco di Vesla
3 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
eticamente esposti, possono con tutta facilità offrirsi agli occhi di chi or l’uno or l’altro vuole separatemente conoscere
ura ; il Politico vi ritrovò le più raffinate direzioni de’ Governi ; chi vi riconobbe espressi i lumi della più pura Moral
’ Governi ; chi vi riconobbe espressi i lumi della più pura Morale, e chi l’Istoria funesta degli errori dello spirito uman
altrui, come non avrebbesi a trovare vacillante e incerto il passo di chi volesse salire alla vera sorgente di siffatte Des
ione sarebbe lo steaso, che voler costituirsi interprete de’ sogni di chi delira. La migliore spiegazione (soggiunge Heyne)
ni de’ sacri e profani Scrittori non lasciano stabilire con sicurezza chi di sì enormi delirj ne sia stato l’autore. Certo
ere alcun figliuolo maschio, affinchè il regno dopo di lui passasse a chi per diritto creditario apparteneva(7). Saturno pr
abile deposito, si conservavano i testamenti ; era punito colla morte chi le insultava ; se a caso incotravano un reo conda
un augustissimo tempio e una statua, con tale artifizio formata, che chi la mirava, o credeva di vedere Cerere stessa, o l
imiamavano gli uomini, e seco loro viveano in alegrezze e conviti(a). Chi celebrava le Demetrie, si percuoteva con flagelli
suo, sempre più affamato. Si scuoprì alfine l’artifizio, nè più vi fu chi comperasse Metra. Erisittone allora disperato si
e i vagiti del Nume bambino (b). Variano i Mitografi nel riferirci da chi Giove sia stato nutrito e allevato. Lattanzio dic
il quale prima era di ferro, in quello d’oro (g) (3). V’è finalmente chi dice, che Giove sia stato allevato da Celmo, uno
ume Alfeo (f). Niente si sa di certo intorno all’origine di essi. V’è chi dice che uno de’Dattili, di nome Ercole, trasferi
tuì da Numa Pompilio (b), ed era la più distinta tra tutti i Flamini. Chi n’era fregiato, usava di una veste reale, di una
sere stato salvato dal fulmine, che colpì la di lui lettica, e uccise chi la dirigeva, mentre egli di notte viaggiava verso
ri moti, che interpretati da di lui Ministri, servivano di risposta a chi ne lo consultava. Così Alessandro il Grande otten
eano perciò molto riguardo degli stranieri Non v’era tra gli Antichi chi veggendo uno straniero, nol introducesse in casa
erito, sotto la figura di tal volatile rapì Ganimede. Evvi finalmente chi dice che Perifa, uno de’ primi re dell’ Attica, d
rosia, Pasitoe, Coronide, Plesaure, Pito, e Tiche o Tite(i) (4). V’ è chi asserisce, che nell’ Isola di Nasso ebbero cura d
ravano due volte per ciasoun anno(i), e continuavano un mese(l). V’ è chi pretende, che fosseso le medesime che le Liberali
iero, coperto con nera pelle di capra. Santio girò il capo per vedere chi era seco, e restò frattanto da Melanto ucciso. Gl
recare a quell’ ospite. In questo dì si faceva grande uso di vino, e chi nel bere superava ogni altro, conseguiva in premi
vi saltavano sopra, studiandosi di rimanervi ritti con un solo piede. Chi cadeva, era deriso. Il viacitore poi ne riportava
l greco verbo, ascoliazin, saltar con un solo piede sopra l’otre. V’è chi crede, che coloro, i quali celebravano questa Fes
ssò in uso anche appresso i Romani. Eglino distribuivano varj premj a chi vi dimostrava maggiore destrezza. Dopo la festa p
ere di Bacco lo rendette cieco, e lo fece morire di tristezza(c). V’è chi dice, che Licurgo avea comandato, che si tagliass
a pregarlo di ristorarli da’loro travagli marittimi, e di perdonare a chi lo avea ivi trasportato. Dittide ne interruppe le
, dove fu in modo particolare onorata (c). Neppure si va d’accordo da chi si sia allevata : alcuni pretendono dalle Ore (d)
parte del suo reno, e una delle stesse sue figliuole in matrimonio a chi le avesse ritornate a salute. Melampode, aglio di
e la tessitura d’una tela. Proposero di gareggiaro, e stabilirono che chi di loro fosse per compire più presto la sua opera
anno una corona di mirto, e uno scudo di bronzo, preposto in premio a chi ascendeva sul teatro, penetrava in un luogo, di c
elmo ammirabile, perchè esso fa scorgere tutti gli oggetti, senzachè chi ne usa, sia dagli altri veduto(a). Egli stringe i
indicano, che le porte del di lui Regno sono talmente custodite, che chi v’ entra, non può più uscirne(b). Egli finalmente
e la sua rovina, e quella della sua patria(b). Strabone aggrunge, che chi bevea di quelle acque, contraeva la virtù di pred
nel tempio di Delfo vedeasi un simulacro di lupo in bronzo. V’ è però chi soggiunge, che per altro motivo gli si diede ques
er liberarsi da tale castigo abbiano instituite le Feste Carnie. V’ è chi pretende, che le abbiano introdotte i Greci, perc
l’ anno. Questo ramo così preparato portavasi con gran pompa in giro. Chi ciò faceva, chiamavasi Dafneforo. Egli era copert
gliuoli, qual’ era stata colei, non dovea essere posta a confronto di chi ne avea assai più. Se ne querelò Latona con Diana
ei figliuole, eccettuata Clori, la quale fu lasciata in vita(h). V’ è chi dice, che traquelle sieno sopravvìssute Melibea e
Fu detta Ecate, o perchè riteneva cento anni al di là del fiume Stige chi dopo morte era rimasto senza sepoltura, o perchè
ano il suo predecessore, e stringeva sempre una spada per resistere a chi tentava di privare lui pure di vita. Quì si celeb
Ateniesi le aveano eretto un tempio, il quale serviva anche d’asilo a chi vi si rifugiava. Sotto questo nome Diana ebbe in
racio, Sabino, possedeva una bellissima giovenca. Gli fu predetto che chi la avesse sacrificata a Diana sul monte Aventino,
detto Afaca, tra Biblo ed Eliopoli, appresso il quale eravi un Lago. Chi recavasi a consultarlo, gettava in quelle acque d
rito e Alcameno, celebri statuarj e discepoli di Fidia, contrastarono chi di loro era per formare la più bella Venere. Quel
l’anemone dalle lagrime, che sparse allora Venere (c). V’è finalmente chi dice, che la Dea siasi rivolta a Giove per riaver
e, che le acque del predetto fiume avessero la virtù di far perdere a chi ne bevea, o vi si bagnava, la ricordanza de’loro
mò in cavallo, perchè anche la Dea erasi cangiata in giumenta(f). V’è chi soggiunge, che Nettuno con un colpo di tridente a
e della di lui pelle si fece uno scudo, detto egide. Evvi finalmente chi asserisce, che sia stata appellata Pallade, da ch
eretto a Vulcano sul monte Etna, v’erano dei cani, che accarezzavano chi rispettosamente v’entrava, e divoravano chiunque
ttuno(g). Apollonio gli dà per madre Europa, figlia di Tizio(h). V’ è chi lo dice figlio di Elaso e della Ninfa Stilbe, e c
di Tizio(h). V’ è chi lo dice figlio di Elaso e della Ninfa Stilbe, e chi di Elaso e di Amimone(i). Il corpo di Polifemo er
tempio d’ Apollo Delfinio(g). (b). Apollod. l. 1. c. 4. (10). V’è chi dice, che Saturno non potè mai uscire da quel luo
per cattivo augurio. Non si assoggettava alcuno a verun supplizio ; e chi per debiti giaceva nelle carceri, a spese pubblic
o. La vita però di lui dipendeva dalla volontà degli spettatori, o di chi vi presiedeva ; e allora soltanto facilmente gli
to lituo, per disegnare nel Cielo quattro parti, ciascuna delle quali chi mavano tempio. Ciò fatto, esaminavano, quali ucce
’ Opera ; fu tolta a’ Trojani dai due Greci, Ulisse e Diomede(b). V’è chi pretende, che i predetti Greci non abbiano rapito
dicare, che la sopraddetta Sibilla patimenti rispondeva oscuramente a chi la interrogava. Eraclide vuole che costei enunzia
ubigo ne allontanava la ruggine (r). Varrone vuole, che fosse un Nume chi ciò faceva, e che a di lui onore si celebrassero
a quale ebbe da Nettuno il figlio Cercione, di cui parleremo (b). V’è chi credette, che Trittolemo ed Eubuleo fossero figli
uno di loro fosse sempre il Gerofante del tempio di Cerere in Eleusi. Chi avea conseguito tale dignità, dovea vivere celibe
eva pure da due, i quali si sforzavano di suambievolmente atterrarsi. Chi più vi resisteva, n’era premiato (e). Sì la Lotta
gli era permesso di prendersela. Così fece Ercole, non avendo trovato chi osasse di cimentarsi seco lui (a). La loro celebr
i stabiliva ; e si pronunziavano altresì orribili imprecazioni contro chi avesse spergiurato. Costui era considerato il più
ta con essi, si doveva da loro indispensabilmente osservare, ancorchè chi l’avesse fatta, fosse stato costretto dalla viole
cia in Siria, e onoravasi con inni e altre particolari ceremonie. V’è chi pensa, che fosse così onorato Giove stesso sotto
). Job. Iacob. Hofman. Lex. Univ. (28). Non v’era tra gli Antichi chi veggendo uno straniero, nol introducesse in casa
corsa dicevasi Lampadedromia ; e Lampadeforo o Pirseforo appellavasi chi portava la face (a). Le medesime Feste ricorrevan
o veniva sorpreso dalla morte, e sommerso nelle stesse acque (b). V’è chi dice, che l’anzidetta maniera di comprovare la ve
ri da Cadmo(a), ed altri da Atlante e da Etra, una delle Oceanidi(b). Chi ne numera cinque, e chi sette. I primi le denomin
da Atlante e da Etra, una delle Oceanidi(b). Chi ne numera cinque, e chi sette. I primi le denominano Feole, Coronide, Cle
unone, e alla crudeltà di Licurgo, re della Tracia(g). Finalmente v’è chi le chiama Dodonine da Dodono, figlio d’ Europa(h)
pre chiuse, onde il popolo non potesse vedere ciò, che racchiudevano. Chi rivelava a’non iniziati i misterj ivi nascosti, d
delle quali erasi servito per guarire le Pretidi (c). Dopo tal fatto chi si dissetava a quelle acque, contraeva subito gra
orgone (h) ; altri da Etere, ossia da una Nereide (i). V’è finalmente chi dice, che Giove lo ebbe dalla Ninfa Eneide (l). P
oltà di fabbricare la città di Roma sul monte Palatino V’è finalmente chi asserisce, che le medesime si celebrarono da’ Rom
hezze. Le due faccie significano, che la Morte riesce dolce e soave a chi ben visse, spiacevole poi ed amara a chi condusse
Morte riesce dolce e soave a chi ben visse, spiacevole poi ed amara a chi condusse malvagia vita. Ha la barba bianca, perch
Scelto giudice tra Minerva, Nettuno, e Vulcano, i quali contendevano chi di loro avesse prodotto il miglior lavoro, trovò
lui non accoglieva mai alçuno appresso di se gratuitamente : quindi a chi moriva, si poneva sempre in bocca una piccola mon
è si fiuse, che le acque dello stesso avessero la virtù di togliere a chi le bevea, la ricordanza del passato(e). Tale imma
perire. Tutti a vista di sì atroce delitto inorridirono, nè più v’era chi volesse accogliere quel crudele Monarca. Giove pe
acoli. Si continuò a consultarlo anche dopo morte nello stesso luogo. Chi ciò faceva, era solito a sedere nudo sull’ingress
gli altari, senzachè nè egli, nè colei avessero alcun lume riguardo a chi gli aveva dato la vita. Il giovine frattanto si a
vino, sparso in terra, e cadde morta. Si scuoprì il reo attentato, e chi lo aveva commesso. Jone alla testa de’ convitati
ello di Caballino, ossia fonte del Cavallo (g). Secondo i Poeti anche chi bevea a questa sorgente, formava degli eccellenti
ciorlo, perchè un’ antica tradizione di quel paese avea indicato, che chi avesse potuto ciò fare, avrebbe conseguito l’Impe
li Astri, e ornata dalle Muse di nove insigni stelle(a). V’ è altresì chi narra, che Orfeo dopo la morte di Euridice non si
La religione de’ sepolcri era somma, e con gravissime pene si puniva chi la violava. Si onoravano pure in quel tempo gli D
erbull. de Idelol. c. 14. (c). Nat. Com. Mythol. l. 3. (15). V’è chi pretende, che le Caneforie si facessero in onore
ominate Cariti. Al tempo di quelle Feste si danzava tutta la notte, e chi più resisteva alla fatica e al sonno, riportava i
cesse sott’acqua le Foche, ossia i Vitelli marini di Nettuno (a). V’è chi lo confonde cori Vertunno, Dio de’giardini, perch
le, e che Giove poscia la abbia convertita in mostro. Evvi finalmente chi attribuisce il mentovato furto all’anzidetta Scil
e cangio il nome di lui in Palemone, e quello d’Ino in Leucotea. V’è chi soggiunge, che il corpo di Melicerta, essendo rim
è favoriva col dolce suo soffio alla comune generazione : benchè evvi chi distingue l’uno dall’altro Vento(f). Zefiro amò l
inità furono venerate da’ viaggiatori. Abeona e Adeona presiedevano a chi andava e ritornava(b). La Temposta, ossia la proc
i della Repubblica(h). (b). Id. Ibid. (c). Id. Ibid. (8). V’ è chi dice, che Erittonio nacque da Vulcano e da Minerv
o si teneva per profanato. All’ espiazioni dovea parimenti sottoporsi chi s’iniziava ne’ Misterj di Religione, o celebrava
4 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
sì fosse, convertissero lui pure in serpente : Io che avvenne(a). V’è chi dice, che Cadmo, dope d’aver goduto per molti ann
i vogliono, che sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è poi chi pretende, che il nome di Trivespero siasi attribu
le con intrepide mani talmente li strinse, che li uccise(a) (3). V’ è chi dice, che siccorne Alcmena partorì nello stesso t
ie di ferro. Addestrati da Marte a combattere, vibravano dardi contro chi li assaliva. Erano poi in sì grande numero, e di
ma fabbricò una città, che dal nome di lui appellò Abdera(a) (8). V’è chi pretende, che gli anzidetti cavalli sieno stati c
erò col primo per opera di Astidamia : bensì gli propose di far prova chi di essi due giuocasse meglio al Disco ; chi fosse
gli propose di far prova chi di essi due giuocasse meglio al Disco ; chi fosse capace d’attignere maggior quantità d’acqua
attignere maggior quantità d’acqua entro lo spazio d’un certo tempo ; chi avrebbe mangiato più presto un toro d’un determin
o ; chi avrebbe mangiato più presto un toro d’un determinato peso ; e chi più avrebbe bevuto. Ercole in tutti questi eserci
o. Gli abitanti, avendo ucciso due de’di lui compagni, come conobbero chi egli era, si ritirarono in città. Ercole li strin
mpio d’Ercole. Questi comparve in sogno al Poeta Sofocle, e gl’indicò chi n’era stato il ladro. Sofocle non ne fece parola
tirare d’arco, e prometteva di dare in moglie la predetta sua figlia chi lo avesse superato. Ercole vi riuscì, e colui no
dal tempio di Bacco a quello di Minerva Scirade nel Porto Falero(f). Chi prima v’arrivava, si riputava il vincitore, aveva
be ivi la cura di numeroso gregge ; il suo coraggio nel difenderlo da chi cercava di rubarglielo, gli acquistò il nome di A
go. Allora fu, che nacque generosa gara tra gli amici per determinare chi di loro dovea restare pel sacrifizio, e chi parti
gli amici per determinare chi di loro dovea restare pel sacrifizio, e chi partire. Ifigenia finalmente, pregata da Oreste,
isposa Penelope, figlia d’Icario(3). Questi aveva proposto di darla a chi fosse rimasto vincitore in certi Giuochi, ch’egli
di mescere olce vino ; bevuto il quale, Arete ricercò al Greco ospite chi egli era. Ulisse allora diedesi a conoscere. e na
ricerche de’suoi amanti, propose loro un giuoco, in cui promise, che chi vi sarebbe rimasto vincitore, avrebbe avuto in pr
avvertito di guardarsi da un suo figliuolo. Ei tuttavia volle sapere chi era quello, che lo aveva ferito, e morì tralle di
da tutti quelli, che gliela ricercavano in moglie, propose di darla a chi lo avesse oltrepassato, mentre egli correva sopra
azio da corrersi cominciava dal fume Clade sino all’Istmo di Corinto. Chi aspirava al possesso d’Ippodamia, doveva preceder
va profano uso ; ed una moneta d’oro o d’argento gettavasi in essa de chi neoveniva risanato(b). Alcmeone dopo la morta del
ccello, girando quà e là di notte, meglio discerne gli oggetti ; così chi vuole riuscire uomo di sani consigli, conviene ch
direzione, che deo coltivare l’Economo per promuovere la felicità di chi egli ha cura. Diligenza. La Diligenza è pro
loro, che operano il bene. L’ Emulazione punge altresì in certa guisa chi la coltiva, e lo incita a procurarsi il bene, che
uindi la Giustizia da altri venne anche rappresentata con velo agli o chi , per indicare ch’ella non ha riguardo a chiccbess
dimostra, che non è diverso l’animo dell’uomo obbediente a’ cenni di chi legittimamente gli comanda. Sta a canto di lei un
a destra le tre Grazie, le quali hanno le mani intrecciate a guisa di chi danza. Esse esprimono le tre sorta di benefattori
fizj sogliono passare dall’uno nell’altro, finchè tornano ad utile di chi primo li fece. La Beneficenza comparisce anche co
La Beneficenza comparisce anche colle ali, le quali ammaestrano, che chi vuole esercitare questa virtù, dee farlo con pron
ino, perchè l’amicizia è sempre fedele, ossiachè si trovi appresso di chi ella ama, ossiachè ne sia lontana. Nell’ estremit
tta. La Vendetta è offesa fatta di privata autorità, è con odio di chi primo offese. E’vestita di colore rosso, ed ha un
refrigerio e piacere. Intese questo replicato nome di aura un non so chi sfaccendato e maligno ; e immaginandosi, che ques
isera nelle di lui braccia, e non molto dopo esalò lo spirito(a). V è chi dice che Procride erasi ritirata non ne’ boschi ;
ue e si annienta. La Vanagloria tiene colla destra una tromba, perchè chi è dominato da siffatta passione, di propria bocca
, che fa l’animale in tale guisa le orecchie per non udire la voce di chi a se lo chiama, mette in vista la proprietà della
cresce la sete, quanto più beve ; non altrimenti l’Avarizia cresce in chi la coltiva, a misura che si moltiplica in mano di
l Furto è l’appropriazione di ciò, ch’è d’altrui contro la volontà di chi n’era il legittimo possessore. Vedesi di aspatto
ensiero di migliorare la sua condizione. Giace in luogo sozzo, perchè chi è preso da essa, ama la vita sorrida. Ha in mano
usioné dì false o esaggerate lodi, che il proprio interesse inspira a chi le proferisce. Questa rappresentasi in varie mani
so, in atto di suonare il flauto, e con un Cervo a’ di lei piedi. V’è chi la dimostra coperta con veste di colore cangiante
, facilmente si lascia prendere dal cacciatore. E’ questa l’indole di chi ama d’essere adulato, di lasciarsi cioè trasporta
ce all’ Adulatore. La veste è di color cangiante, perchè è proprio di chi coltiva questo vizio, il cangiare volto parole e
i difetti, che dagli Adulatori vengono dissimulati. Il Cane accarezza chi lo cioa, nè ha riguardo a distinzione di meriti :
lo cioa, nè ha riguardo a distinzione di meriti : anzi talvolta morde chi nol merita, e quello stesso che lo cibava, se avv
ascii di farlo Anche gli Adulatori si mostrano geniali, e accarezzano chi li benefica, ma poi inveiscono contro lo stesso b
vendetta. La face accesa mostra il favore, di cui arde continuamente chi si abbandona in preda di questo Vizio. Invidia
; e tal’ è l’indole dell’ Accidioso. Ozio. L’Ozio è inazione in chi dovrebbe operare. Giace in oscura caverna : lo ch
gginito ; perchè se il vomere non adoperato contrae la ruggine, anche chi vive ozioso, contrae molti vizj. Pigrizia.
riduce. La Pigrizia siede e dorme, perchè essa cagiona stupidezza in chi la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine,
o di colore verde, per simboleggiare le speranze, continuo pascolo di chi giuoca. In capo ha una mezza luna e un oriuolo. Q
a venne chiamata Viriplaca, ossia pacificatrice del marito. V’ è però chi sotto questo nome riconosce un’ altra Dea, la qua
si veggono con fiori e frutta in mano, e calvolta col cornucopio. V’è chi per Dee Madri intende le balie di Giove, le quali
(d), da cui nacque Megapente, il quale regnò in Tirinto(e). (3). V’è chi dice, che le onde portarono da prima Danae e il f
o come vuole Apollonio di Rodi, a Giove Fixio, ossia che favorisce a chi fugge ; e vi sposò Calciope, figlia del re Eeta(c
he secolui si unirono in quella spedizione, erano Argivi(e). V’ è pur chi pretende, che la stessa nave siasi così appellata
(a). Apellon. l. 3. Argon., Eurip. in Med., Paus. l. 2. (21). Fuvi chi disse, che Eeta, comportando di mal’ animo la glo
Absirto è forse uno de’ punti più controversi nella Mitologia. V’ ha chi affatto la nega ; e a tale opinione può favorire
) pretendono, che Absirto sia stato ucciso da Giasone.Finalmente fuvi chi ebbe a dire, che Medea privò di vita il fratello,
me abbiamo esposto, ma inoltre privarono lui pure della vista(b). V’è chi pretende, che Fineo sia rimasto cieco, perchè abu
ut. in Vit. Thes. (b). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (19). V’ è chi pretende, che quel mare siasi denominato Egeo da
o di vivere. Era in fuga anche Greneo, il quale, voltatosi a guardare chi lo incalzava, rimase gravemente ferito fra l’uno
i furono celebri pel loro valore Pelibo, Agenore, e Acamante (d). V’è chi dà ad Antenore altti due figliuoli, Elicaone cioè
ni caratteri, da se si muovevan e quasi con voce pnerile rispondeva a chi la consultava(b). Eleno, preso da’Greci, indicò l
emente a Paride L’enorme perfidia, dimostrata nel rapire la moglie di chi lo avea enorato della sua ospitalità. Soggiumse,
(f). Id. Iliad. l. 7. (e). Declaustre Diction. Mythol. (5). V’è chi dice, che il messaggiero, il quale riferì ad Enon
dallo spavento, che più non ubbidivano nè alla voce, nè alla mano di chi li reggeva, e rovesciavano soventi volte il carre
i non intraprendevano alcuna spedizione senza avere nel loro esercito chi presiedesse a’sacrifizi, e predicesse col mezzo d
sato dinanzi all’ Areopago da Tindaro, padre di Clitennestra (e). V’è chi soggiunge, che lo abbia fatto Erigona, figlia d’E
ec. l. 2. (a). Nat. Com. Mythol. l. 8. (1). Non manca tra’Mitologi chi , seguendo Licofrone(a), accusi Tetide d’aver tent
nizzarlo. Teutrante promise la propria corona ed Auge in matrimonio a chi lo avesse liberato da quel nemico. Telefo alla te
iderazione di Mercurio, suo padre. (d). Eurip. in Orest. (6). V’è chi dice, che il mentovato mare fu detto Mirtoo non d
segnò la situazione, e se ne andò a Delfo per sapere dall’ Oracolo di chi fosse quell’osso, e qual’uso doveva farne. S’inco
o sposò, Io riconobbe per suo figlio, ed ella tosto si uccise(d). V’è chi , seguendo questa opinione, soggiunge, che i pred
Oedip. Col. (a). Sophool. in Ocd. Tyr. , Apollod. l. 3. (6). V’è chi dice, ch’Edipo, dopo aver ripudiato Giocasta, abb
va profano uso ; ed una moneta d’oro o d’argento gettavasi in essa de chi neoveniva risanato(b). Alcmeone dopo la morta del
h. Hofman. Lex. Univ. (b). Potter. Archatol. Graec. l. 2 (8). V’è chi pretende, che i Giuochi Nemei sieno stati introdo
5 (1880) Lezioni di mitologia
arlò l’Autore meglio di qualunque lettore, scrivendo, è gran tempo, a chi lo richiedeva di stampare il suo Corso; « Son gra
u mai maggiore l’opportunità di ripetere col divino Alighieri; « Che chi pensasse al poderoso tema, E all’omero mortai che
signor dell’altissimo canto. Che sovra gli altri com’aquila vola. » Chi fra voi non rivolgorà la sua attenzione ai versi
, e quasi ultimo dono, le ponevano, non senza pianto, nei sepolcri. E chi ardirà di riprendere questi tributi, i quali solo
ere il loro foco, nè da questo poteva accendersi lume profano. Guai a chi santamente le are non toccava, giacché inevitabil
cese pretende. A questa opinione, che onora il core e non la mente di chi la produsse, si oppone in primo luogo l’autorità
ssono la religione, se prima violata non l’hanno con qualche delitto. Chi fra voi ignora che così barbara e mostruosa usanz
ra ai dì nostri? Laonde quale reputate voi che esser possa la fede di chi i numi crede doversi placare colle colpe e col sa
ra è dirupo. Lo circonda a gara Il volgo, i duci, e son vote le navi. Chi di colle minor le vette ingombra, d’altra rupe su
sospesa plebe, e son coperte D’Ilio che fuma le ruine altere; E v’ha chi stassi spettator feroce Sopra l’ettorea tomba, e
o impero Chiede del mondo la regina antica. Tace attonito il volgo, e chi commove Beltade, e chi di gioventude il fiore, Tu
do la regina antica. Tace attonito il volgo, e chi commove Beltade, e chi di gioventude il fiore, Tutti fortuna; e il fermo
a già cinge Abominato serto, ed offre il collo Ai coltelli sacrati. E chi gli apprestaf Il genitore. E già Calcante Oh crud
già Calcante Oh crudi: Fermate; il sangue che già scorre, è sangue Di chi il fulmine vibra; il tuono io sento, Trema la ter
vide. Qual terra adunque esser vi può dove non sia nato quest’ uso, e chi non scorge che l’origine di esso nelle tenebre de
ratello i figli, Dalle Furie condotto, occupa Atreo Il recesso fatai. Chi mi dà voce Che pareggi l’orror dell’alto eccesso,
isputano nell’antichità l’aurea culla del fi"lio di Saturno. Nè mancò chi le colombe e l’aquile ministre del folgore gli as
ruppe: sogni. Perchè turbate del tranquillo letto La sicura quiete? e chi dei numi La vision m’offerse, e chi fu quella Str
nquillo letto La sicura quiete? e chi dei numi La vision m’offerse, e chi fu quella Straniera? oh come amor di lei mi prese
ti, Che a vicenda traean vario diletto Di primavera dai beati alunni. Chi il soave narciso, e chi del croco A gara toglie l
vario diletto Di primavera dai beati alunni. Chi il soave narciso, e chi del croco A gara toglie l’odorosa chioma, Chi le
Chi il soave narciso, e chi del croco A gara toglie l’odorosa chioma, Chi le viole e mille e mille fiori, Memoria e pianto
re. Europa alle dilette amiche Volgea la faccia e le distese mani: Ma chi giungere un dio puote? Nel mare Già balza, e nuot
immenso, intorno intorno Guatando, disse: Ove mi porti, o dio! Toro, chi sei? perchè coi duri piedi Solchi l’umida via, nè
sua veste. Depose allora il mentito aspetto`. ed a un dio innamorato chi resiste? Dal primo furto di Giove nacquero le Pre
io speco Giove, e disse ver lei con caldo affetto: O ben degna di me, chi fìa, che teco Vorrai bear nel tuo felice letto? D
iadra fera! Cerca saper qual sia, donde e di cui, E di che armento, e chi l’ha data a lui. Per troncar Giove ogni sospetto
i parte Mentre ch’io penso al tuo nefando caso: dolce figlia mia; deh chi t’ha tolto Il tuo leggiadro e dilicato volto? De
sacro pure alle Muse, Plutarco. Giove Espiatore commemorò Erodoto, e chi era macchiato del sangue degli amici e dei parent
carmi Io vorrei darti, o bello; a te conviene La pinta toga, e non a chi nutria Il fero latte d’inumana lupa, Rossor mater
vergin Tarpea morte e sepolcro. Al regio letto in questo modo ascese Chi le fiamme ingannar tentò di Vesta. E fu data la m
o dagli Olenii campi Sorge il fior tuo soccorso e tua vendetta. Disse chi lo recò: Steril giovenca Tocca, e madre sarà. Lod
ngannata suggesse il latte, che a parte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’autore degli Inni, narra che appena dalla r
della sua sorpresa, e far cenno col dito per inculcare il silenzio a chi l’avea osservato. Questo riso appunto che brilla
ovinette. Apollo A tutti non appar, che cari solo Gli sono i buoni, e chi noi vede è vile . Vedremti, o lungo Saettante, e
ttesta con immoto lutto Di superbe parole alta vendetta. Misero è ben chi cogli Dei contrasta: Pugna col rege chi con dio c
e alta vendetta. Misero è ben chi cogli Dei contrasta: Pugna col rege chi con dio combatte. Apollo il coro onorerà se canta
ge chi con dio combatte. Apollo il coro onorerà se canta A senno suo: chi al par di lui lo puote. Che siede a destra del gr
d’oro Tien pur la lira, la faretra e Tarco, I coturni e la fibbia. E chi più ricco E dello dio? Per me Delfo lo dica : Dec
minore Solo di Giuno, non avrò gli altari Che i secoli onorar, nè fia chi adori Mia dubitata deitade? figli, Soccorretemi v
mpiacenza che mostra la soddisfazione delle divine sue ire; ma contro chi ha vibrato gli strali? non dubitano tutti di risp
espressa, che non cade in equivoco. Se questa sola basta ad incantare chi osserva questo bel simulacro nel tutto insieme, c
opere ammirate dalla Grecia. Questa opinione, comecché faccia onore a chi l’ha proposta, perchè nasce da un’idea di perfezi
sere stato collocato piuttosto ad Anzo che a Roma non è da badarsi da chi ò versato nella storia romana e degl’imperatori,
ove ti affretti; Non fuggir tanto; io pur freno il mio corso; Pensa a chi piaci: abitator del monte E pastore io non sono,
qui gli armenti E il gregge inculto non osservo — ignori. Temeraria, chi fuggi: a me di Delfo Serve la reggia e Claro, io
son le Muse, Amabil coro che il circonda e segue. « La maraviglia di chi considera il movimento e l’espressione di questa
tremenda Vibra i fulmini suoi, paventa, o figlio, Questo mio carro, e chi maggior di Giove? Arduo è il primo cammin: lo vin
a sola mensa le parenti, le cognate. Sia, o veneranda, caro a me solo chi è veritiero, ed io sia quegli; abbia sempre a cuo
e le donne seguaci furono di Diana, ma fra gli uo’mini ancora vi ebbe chi imitavane gli studii. Giova rammentare fra molti
. Spesso sul volto Stava il pallor della futura colpa: Ora è simile a chi crudel minaccia; Ch’ impietosisca or crederesti.
donna Ella repugna (ah men crudel saresti Se la vedessi, o Giuno:); e chi resiste A Giove? al cielo vincitor ritorna Il num
Marte la gloria feroce di presiedere alla guerra; ed infatti Omero, o chi sia l’autore delllnno a Venere, così parla di Min
none; non solleva la testa orgogliosa, ed ha modesto lo sguardo, come chi tranquillamente medita. Tale però non è la testa
d in oltre ci offre le armi di Pallade in una maniera assai distinta. Chi osserva la sua celata vede in un colpo d’occhio l
olontari i lumi Tu non rivolga. Per l’estrema volta Queste mura vedrà chi mira ignuda Minerva di città custode. Ah vieni, O
a Palla Non è rapir gii occhi ai fanciulli; è questa Legge di Giove: chi gli eterni mira. Se non l’elegge Iddio, grave mer
a popolare, distinte per origine e per attributi, quantunque Orfeo, o chi sia l’autore degli Inni, confonda la marina, o vo
a, e vera dea nell’aspetto comparve dicendo: Sorgi, o Dardanide, vedi chi sono, e se nulla ritengo dell’ antica sembianza.
e che poco vivrò ed infermo fra i mortali, perchè questa è la pena di chi giace con le dee. — Consolò Venere i timori dell’
asciato mai; Di lui morto anco il bacio a Vener piace; Ma Adon non sa chi sia che morto il bacia. Io piango Adone, ecc. Cru
done! L’Eco risuona: È morto il bello Adone. Ahi l’amor di Ciprigna e chi non piagne? Tosto che vide e che conobbe Adone, E
rì nell’incendio Neroniano. Il fato di quella di marmo non ci è noto. Chi sa che la testa che è in Madrid non ne sia una pa
tingueva era con infamia escluso dal corso. Se alcuno era superato da chi lo seguiva, per legge del giuoco era costretto a
’uccisor chiede la pena; ei giura Che assalito ferì: ciascuno ha seco Chi ‘1 ravvalora, e sua ragion difende Con dubbiosa t
antichi, volendo indicare che l’oro toglie la luce dell’intelletto a chi lo possiede, a chi lo cerca. Abitò Cerere in Corc
ndicare che l’oro toglie la luce dell’intelletto a chi lo possiede, a chi lo cerca. Abitò Cerere in Corcira, o Corfù, la qu
idi i venti Nell’agil corso, ed al superbo Giove Reca i miei cenni. E chi ti die tal dritto, dei fratelli il più crudel? No
la sacra mente Vari pareri: del richiesto nodo Qual sarà il frutto? e chi col puro sole L’ombre di Stige Gambiera? Piaceva
Polluce: sta in piedi accanto ad un altare con una patera nella mano. Chi cercherà la spiegazione di questo monumento? E un
rovare in una figura riportata dallo Spon la Cenere Nutrice; ma vi ha chi pretende che ciò che tiene inviluppato nelle sue
ali. In questa oscurità non posso omettere di lodare l’avvedimento di chi l’ha fatta ristaurare per Cerere, però che la sop
igine ne ascrivono a Eretteo, altri a Cadmo, ovvero ad Inaco, e v’ ha chi a Cerere stessa. Vien riferita ad Eamolpo per alt
pidi, che i sacerdoti dei Misteri avevano in Atene. Mal si rintraccia chi fosse quest’ Eumolpo fra tanti ch’ebbero questo n
rimenti non produceva i vantaggi sperati. L’ostia che doveva immolare chi desiderava iniziarsi, era una troia gravida, che
i fu proscritto dagli Ateniesi Diagora Melio, e preposto un talento a chi lo uccidesse, due a chi vivo lo conduceva. Ed Esc
eniesi Diagora Melio, e preposto un talento a chi lo uccidesse, due a chi vivo lo conduceva. Ed Eschilo, padre della Traged
forse il più filosofo dei poeti, dice in una sua Ode: Io vieterò che chi ha divulgato gli arcani Eleusini abiti sotto le s
i prati Tutto si spoglia, alle viole intesse Altra i candidi gigli, e chi le tempia Coll’amaraco adorna, e va di rose Coron
dicea la madre: O di qual colpa sei punita, e donde Questo pallore? A chi dei numi è dato Questo dritto crudele, e questi f
io veggo! Regna il marito, o il trionfato Cielo Occupare i Giganti? e chi potea Cotanto ardir, vivo il Tonante? i nostri Pe
escrive l’origine di lei, ma immediatamente dopo il Caos la pone. V’è chi la fa moglie di Titano. L’autore delllnno Omerico
uidare il carro, dicendogli che s’egli fosse salito sui fiammanti Coc chi di Febo, la Terra niente pel mutato auriga avrebb
i ove gran messe biondeggia, E di tormento lacrimabil serto Ordia; ma chi sopra Eresitton piange? Lacerarlo tu devi, o Fame
mò l’ire gravi, e su l’afflitta Compier giurò la sua vendetta intera; Chi dir potria l’oscura Carcere, e i duri uffici: Chi
ua vendetta intera; Chi dir potria l’oscura Carcere, e i duri uffici: Chi l’auree lane, e la difficil’onda: Amor, dov’eri?
seggendo in piuma In fama non si vien, nè sotto coltre: Sanza la qual chi sua vita consuma, Cotal vestigio in terra di sé l
come in basso rilievo, tutte le immagini che cadono nella fantasia di chi dorme. Nell’altra di avorio bianchissimo non sono
divinità. « Nè tal maniera di pensare deve sembrare affatto strana a chi rifletta, che se nessuna facoltà dello spirito um
inile ed ali al capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Tizia. Chi riflette che in altre vi è la testa di Bacco, num
E sola nebbia di caligin mista. Con vigil canto non invoca il giorno Chi soffre il danno del rossor di Marte: Le frondi im
giovine ritirato sotto il pino porta la destra mano alla guancia come chi finge di nascondersi, nella sinistra tenendo il t
’Oceàn sedea Sopra alta rupe e alla crudel cantava: O Galatea, perchè chi ti ama aborri? O nel sembiante più bianca del lat
etto, assai più senno avresti: Mungi agnella presente: e perchè segui Chi ti fugge? altra Galatea potrai Trovarti, e forse
a il crudo Precetto e fero? ahimè: debb’ io giammai Toglier la vita a chi mi brama vita? A chi mi giace addormentato in gre
fero? ahimè: debb’ io giammai Toglier la vita a chi mi brama vita? A chi mi giace addormentato in grembo? Ma segui ardita
ermisero di regnare. Non sono d’accordo sulla sua patria gli antichi. Chi lo vuole forestiero, chi nativo di Creta, e non f
sono d’accordo sulla sua patria gli antichi. Chi lo vuole forestiero, chi nativo di Creta, e non figlio di Giove. Omero, f
ersi: «Colui, lo cui saver tutto trascende. Fece li cieli, e die lor chi conduce. Sì che ogni parte ad ogni parte splende,
azion non hanno triegue: Necessità la fa esser veloce; Sì spesso vien chi vicenda consegue. Questa è colei, ch’è tanto post
nete di Vespasiano e di Tito, si vede la Vittoria col rostro di nave. Chi sa che non fosse una semplice imitazione di quell
i in pastorale albergo Dentro l’inopia, e sotto pelli irsute : Nè v’è chi a tua salute Porga soccorso: io sola Te chiamo a
antichi. « E troppo chiaro che convengono assai bene queste ultime a chi scrive dei versi come Calliope, e che ha spesso d
nell’ubriachezza sono uccisi. Quanto all’aspetto degli estinti, vi è chi ha il collo tagliato, cercando d’inghiottire un b
va sul nappo, quello ha tagliato il pugno coi quale solleva la tazza. Chi cadendo dal suo letto trae dietro a sé la tavola,
n diverse maniere scritto, ci offra differenti etimologie, vi ha pure chi lo deriva dal molto ricordarsi delle passate cose
hi scrittori. « Ma, per tornare alla considerazione del nostro marmo, chi sa che quel manto in cui la veggiamo involta non
ssero? Perchè un benefìzio passando per diverse mani ritorna sempre a chi lo dà, e perchè tutta la sua bontà se ne perde se
biato. Unocerca di legarlo d’agguato, l’altro di prenderlo nel corpo: chi grida, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prend
erca di legarlo d’agguato, l’altro di prenderlo nel corpo: chi grida, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prende le gambe,
altro di prenderlo nel corpo: chi grida, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prende le gambe, chi gli salta al collo. Erco
rpo: chi grida, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prende le gambe, chi gli salta al collo. Ercole non conosce nulla: spi
chi gli salta al collo. Ercole non conosce nulla: spinge ferocemente chi cerca di avvicinarsegli, gli calpesta, mentre dal
d’ invidia e di conquiste ad Alessandro. Non è fuor d’ogni dubbio di chi fosse figlio e dove nascesse. Diodoro Siculo rife
a gara ascolta e dice Le intese voci ognuna, e fede al danno Non v’ha chi neghi: di querele e gridi Empiono i templi, e sul
la sanguinosa insegna. Ma delitto maggior Venere imprende: Gemiti di chi cade e di chi spira Finge, scorre le case, e nell
insegna. Ma delitto maggior Venere imprende: Gemiti di chi cade e di chi spira Finge, scorre le case, e nella destra Porta
dele, II poeta conduci? Oh: qual di colpe Serie orrenda si svela: Oh, chi mi ferma Mentre il vero ridico? Oh, le mie notti
la spada, o la tremenda face Nella mano a pugnar pronta: la fuga V è chi tentar vorrebbe, e veglia e spira Tutto: vieta il
al pianto sonar barbaro grido, E mille ignote voci empiono il cielo . Chi mi darà parole all’alto ardire Eguali, della tua
ali, della tua patria cadente, Issipile, sostegno? Unica lode Non fia chi te dai versi miei cancelli Fin che ai fasti Latin
visi ancora Me che educasti? Ah non mi vedi? i lumi, 11 senno, ahimè, chi t’ha rapito? Addio, Citerone, addio monti di Tebe
ra, Riconosci il tuo figlio. Il premio è questo Che rendi, o Bacco, a chi nutriati? Illustri Doni mi diede alle divine nozz
o figlio Agave. Esul d’Atene Erra il mio Polidoro. Ed io non solo E a chi fugga non so, che Penteo è morto, Polidoro smarri
il mio padre mi dite; Narrate a me del genitor la morte O noti tori: chi l’uccise: e dove, Dove, mio dolce padre, a me sei
tefice ha espresso il suo concetto non può abbastanza comprendersi da chi non ha sotto gli occhi il marmo stesso: la testa
ritore di Bacco, abito che finora è stato cagione di molti equivoci a chi si è accinto a dar l’esposizione di quel marmo. »
Kircheriana lo ha Bacco Nictelio, e in oltre alla ferula, insegna di chi presiede alle sue orgie, e qualche particolar dis
n si discerne il mento sbarbato. Nè può abbracciarsi il sentimento di chi lo volle un ritratto di Platone. Oltre le ragioni
re invasa da quella religiosa mania, dalla quale credeasi comprendere chi toccava, scuoteva i misteriosi arredi dei Baccana
reni, ce lo indica un Fauno fanciullo. « Sembrerà strano, cred’io, a chi non ha idea della negligenza di molti espositori
sti, Firenze 1855, Barbèra, Bianchi e Compagni, Vol. I. 3. V’è stato chi ha lodata la Mitologia Storica, conosciutala in p
enatorii, e diversi dai teatrali, eran specie di stivaletti propri di chi frequentava la campagna, che difendevano i piedi,
6 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
si sulle spalle la loro nave a traverso i monti per andare a trovare, chi dice il Mar Rosso, e chi il Mare Adriatico ; e su
ave a traverso i monti per andare a trovare, chi dice il Mar Rosso, e chi il Mare Adriatico ; e su questa fatica che ora di
caratteri poetici dei primi civilizzatori dei popoli. Essendo incerto chi di loro due esistesse prima, comincierò da Anfion
guardati da un terribil dragone con cento teste pronte all’offesa di chi si accostasse. Ercole uccise il dragone, e presi
in terra come fanno i cani di questo mondo, quando non voglion seguir chi li tira ; ma l’irresistibil forza del braccio d’E
(alcuni dicono tre mila) talmente a bella posta disposti da non poter chi vi entrava ritrovar la porta per uscirne. Gli Ant
straordinarie opere d’arte. Anche l’Ariosto chiamò Dedalo Architetto chi costruì il gran palazzo di gemme e d’oro che il D
sua sposa e quindi regina di Atene. Due erano i pericoli di morte per chi fosse entrato nel labirinto : quello d’incontrare
e tiranno di Agrigento in Sicilia. Questo tiranno propose un premio a chi inventasse un nuovo e più tormentoso genere di su
così arroventando a poco a poco il metallo, gli urli e gli spasimi di chi v’era dentro tormentato imitassero i muggiti del
primi impresero a domare i cavalli e sottoporli ai loro servigii ; e chi per la prima volta da lontano li vide cavalcare,
mmentare nel Purgatorio in questi versi : « Sì tra le frasche non so chi diceva : « Ricordivi, dicea, de’maladetti « Ne’n
debbonsi mantener le promesse quando le cose dimandate sono dannose a chi le richiede115. Il modo che tenne Nettuno per app
ndere o vendicare il cocchiere, Edipo uccise anch’esso senza conoscer chi fosse. Così avverossi nella prima parte la rispos
o molte persone e sbigottito tutti, fu promesso con pubblico editto a chi liberasse da quel mostro il paese, la mano della
sistono tragedie antiche e moderne. E per parlare soltanto di queste, chi non conosce il Polinice e l’Antigone d’Alfier i,
o incerte le notizie : devastazioni e stragi non ne mancarono ; e v’è chi afferma che fu anche saccheggiata la città di Teb
a noncuranza, e per salvar la propria figlia promise un gran premio a chi uccidesse l’orca marina che dovea divorarla. In q
ei Greci osava scendere a terra, perchè credevasi che primo perirebbe chi primo scendesse ; e così avvenne infatti a Protes
ende, secondo i computi degli eruditi, tutt’al più a 51 giorno. Anche chi non abbia prima d’ora letto l’Iliade, potrà, dopo
m’egli avea desiderato. Insorse quindi una grave contesa per decidere chi dovesse possedere quelle armi che furono opra di
o a lungo quanto suggerisce o ispira loro la Musa, senza curarsi se a chi legge sia noto o no quel che essi dicono, o sono
’isola di Tènedo, venti e più miglia distante. Nè mancò fra i Troiani chi proponesse d’incendiar quel cavallo di legno, o g
l vino, come dice Virgilio134, la incendiano e distruggono, uccidendo chi resisteva e facendo schiavi gl’ inermi, gl’ imbel
pre errando contro il suo desiderio e per necessità o forza maggiore. Chi sente dir per la prima volta che Ulisse errò per
ieci anni, crederà che egli in quel lungo spazio di tempo fosse stato chi sa quante volte agli antipodi e ritornato, e fatt
punto « Alle pure scendea linfe d’argento. « Le si fero d’appresso, e chi del loco « Re fosse, e su qual gente avesse imper
ittade intanto empiea « Antifate. I Lestrigoni l’udiro, « E accorrean chi da un lato e chi dall’altro, « Forti di braccio,
piea « Antifate. I Lestrigoni l’udiro, « E accorrean chi da un lato e chi dall’altro, « Forti di braccio, in numero infinit
a Beozia, scavò un antro nel quale si chiuse, e ove rendeva oracoli a chi andasse a consultarlo ; ed ivi morì di fame. Si a
ise un premio di lire 1500 e una medaglia d’oro di lire 500. 74. Per chi studia o sa il latino, e si diletta non solo di s
orzo un bel concetto poetico in un Sonetto, dissuade dal cimentarvisi chi non sia nato poeta : « In questo di Procuste orr
isi chi non sia nato poeta : « In questo di Procuste orrido letto «  Chi ti sforza a giacer ? Forse in rovina « Andrà Parn
intorno a sè per consiglieri meno Centauri che sia possibile. 123. Chi fosse vago di conoscere le particolarità relative
ar la vita per salvare quella dell’amico, quando Egisto voleva sapere chi di loro due fosso Oreste, ed entrambi si affatica
. » 147. Dante fa la perifrasi del nome di Didone rammentando di chi essa era figlia e la sua malaugurata predilezione
7 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
ono gli scellerati, quanti quelli che dal retto sentiero traviano ! E chi lo nega ? Contuttociò quello che è veramente male
opera biasimevole fa che sia accompagnata dal timore e dal rossore di chi la commette. Finalmente gli uomini cattivi si aff
elle cose, per un certo stupore del mondo ; e quasi avreste cercato a chi comandare. Sarebbero a voi rimasi più nemici che
ttà. Ma voi piuttosto avete voluto chiamarli nemici del genere umano. Chi di voi però da quegli occulti nemici che devastan
lla ostinazione stessa, che voi calunniate, n’è la maestra, mentre, e chi mai, ciò considerando, non è sospinto a ricercare
è sospinto a ricercare che cosa infatti ella intrinsecamente sia ? Ma chi è che, dopo averne ricercato, a noi non s’unisca,
notte levarsi ad adorare Dio. Discorrono in quella guisa che discorre chi sa che il suo Signore l’ascolta ; poichè, data l’
a le truppe di coloro che fanno alle coltellate, nè tra le schiere di chi va gridando a far delle insolenze o delle disones
la ragione stessa onde della fazioni suol darsi querela. In danno di chi ci aduniamo mai ? Congregati, siamo gli stessi ch
56 Certo voi dite : Calano di giorno in giorno l’entrate de’templi. E chi omai vi getta più un quattrino di limosina ? Ma n
stri Dei mendicanti ; nè crediamo di dover dare la limosina, se non a chi la chiede. Del rimanente, se la vuole, porga Giov
atro e del circo. 154. I Saturnali ai celebravano d’inverno ; perciò chi ai lavava innanzi di metteva a rischio la sua sal
8 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
lo, Nel mar, nel foco, e nella terra il Cielo. ……………………………… Non v’era chi portasse il nuovo giorno Col maggior lume in Orie
offribile. Parlando di se stessa, ella dicea « Io sposa, e sorella di chi regge il tuono, Regina degli Dei, del Cielo, e de
acerdotesse dette Vestali erano obbligate ad esser vergini : e guai a chi non osservava un tale divieto, come pure a chi no
ser vergini : e guai a chi non osservava un tale divieto, come pure a chi non manteneva il fuoco acceso sopra il suo altare
Esculapio, che da bambino fu dato ad allevare al Centauro Chirone, da chi fu istruito della virtù delle piante Diventò così
io di sfidare il Dio delle Muse. Accettò Apollo la sfida a patto, che chi restava al di sotto, fosse stato a discrezione de
e, che doveva darsi alla nascente città di Atene. I Dei decisero, che chi de’ due rendesse un più utile servizio alla nuova
ncidere la terribile testa di Medusa con i capelli di serpenti. Vi ha chi dice, che l’Egida era fatta dalla pelle della cap
due punte in una mano, e nell’altra delle chiavi, per dinotare, che a chi entrava nel suo regno, non era permesso di più us
e. Sopravisse solamente la sua voce, per ripetere le ultime parole di chi la interrogava. Narciso. Narciso passò i suo
. Tanto loro aveva promesso il Destino, finchè non si fosse ritrovato chi sapesse ingannarle. Al saggio Ulisse spettò l’ese
rrevano nell’altro, ebbe origine il proverbio, che incontrava Scilla, chi fuggir voleva Cariddi, allorchè taluno per isfugg
e i dritti della gente bassa, e dei grandi. Astrea. Vi ha tra poeti, chi crede Temi la stessa che Astrea, figliuola di Gio
ione. Talvolta è dipinta con benda avanti gli occhi, perchè non vegga chi si presenta al suo tribunale : sia ricco, sia pov
a mortale, oppur da un uomo, e da una Dea. Davasi il titolo di Eroe a chi per qualche impresa segnalata o illustre azione s
cò ad Atlante re della Mauritania, che gli aveva negata l’ospitalità. Chi guardava questa testa era soggetto ad un tale des
chitetto ingegnosissimo, formò un edifizio detto Laberinto, nel quale chi entrava non ritrovava mai l’uscita, consistendo l
arte tanto contento di questa offerta che promise immense ricchezze a chi avrebbe il possesso di quella lana, e ne propose
e fu eretto in giudice Paride, detto anche Alessandro, per decidere a chi delle tre Dive spettasse quel pomo. Era questi fi
iera, ed ostinata la pugna, che gli stessi Numi erano ondeggianti per chi si decidesse la vittoria. Achille finalmente la v
varli. Ciò fatto, e dopo breve campestre ristoro, si fermano alquanto chi per bagnarsi, chi per giocare alla palla. Desta a
e dopo breve campestre ristoro, si fermano alquanto chi per bagnarsi, chi per giocare alla palla. Desta allora Minerva il f
l loto2, frutto che aveva la proprietà di far dimenticare la patria a chi lo mangiava. Ulisse usò l’accortezza di far legar
ori. Nel dì vegnente questa principessa promette di dar la sua mano a chi meglio sapesse maneggiare l’arco di Ulisse. Tutt’
te per punire gli abitanti del paese, e per mostrare il loro potere a chi gli aveva alloggiati, li conducono alla cima di u
otto che si scagliava a colpo sicuro, e ritornava dopo fralle mani di chi lo aveva lanciato. Per parte sua Procri divenne e
ta l’origine di questo nome Sebeto, si disputa dagli antiquarj. Vi ha chi crede di ricavarla dal Sabbato degli Ebrei, giorn
apassato se avesse veduto verificata la sua congettura. Vi ha in fine chi ha creduto, che Eunosto fosse stato il Dio che pr
Molte sono le opinioni degli scrittori sull’influenza de’ Genj. Vi ha chi lo crede padre degli uomini, e Plutarco un Nume t
lle selci, o perchè radunò i raggi solari nello specchio ustorio. 1. Chi non vede in questa favola un’ allusione dell’univ
vano gli antichi, che la sua dolcezza facesse dimenticare la patria a chi ne mangiava. 1. Utis, voce Greca indicante Ness
ono occupati di questo argomento, e pende tuttavia incerta la lite, a chi di questi due valenti uomini debba darsi il primo
9 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
usi, ov’ ebber principio i misteri di lei chiamati Eleusini, ai quali chi iniziavasi era tenuto a rigoroso segreto, cui era
i. Le si offrivano le primizie de’ frutti e v’era pena della vita per chi avesse sturbato i suoi misteri. Se le sacrificava
no per dare il nome alla città fabbricata da Cecrope, e fu deciso che chi avesse fatto nascere una cosa più utile di un’alt
n colomba da Cupido, poichè in una sfida che questi ebbe con Venere a chi sapeva coglier più fiori, Peristera aiutando Vene
i uomini. Vendicativa ed implacabile si mostrò ella mai sempre contro chi eccitò il suo risentimento, recando stragi nelle
in cipresso. Vinse il temerario Marsia, famoso satiro che lo sfidò a chi canterebbe meglio e per punirlo lo fece scorticar
l’Islanda la Tile o Tule degli antichi secondo una generale opinione. Chi li pone nel œntro della terra, chi sulle sponde d
chi secondo una generale opinione. Chi li pone nel œntro della terra, chi sulle sponde dell’Oceano. La maggior parte si acc
poichè ella ha in mano, per così dire, il destino della terra, premia chi l’onora, fa conseguir la vittoria, scorta i viagg
lla terra. Sopraintendendo ai sogni ed agli spettri, essa compariva a chi l’invocava. Come Dea delle espiazioni, le erano i
nare nelle valli che circondano il Parnaso. Nella loro deformità avvi chi scorge un’allegoria relativa all’ineguaglianza ed
anno figlie della Terra da alcuni, da altri della Discordia ; ed avvi chi le vuole figlie della Notte e del fiume Acheronte
ieme. Poichè Giove gli ebbe sconfitti precipitolli nel Tartaro ; avvi chi pretende che fossero seppelliti vivi parte sotto
i Inferiori. Gli autori antichi non sono d’accordo sulla sua origine. Chi lo vuol figlio di Giove, chi di Mercurio. Si riti
hi non sono d’accordo sulla sua origine. Chi lo vuol figlio di Giove, chi di Mercurio. Si ritiene però più comunemente che
se fuggire, perchè altrimenti prendeva tutte le forme per ispaventare chi cercava di avvicinarlo. Comparve in forma di spet
erstizioso e quindi l’idea di prendere tutte le forme per ispaventare chi cercava di avvicinarlo. Da altri fu detto che Pro
attrattive della sua eloquenza conduceva a suo talento lo spirito di chi l’ascoltava. Avvi chi ne fa un commediante, un mi
eloquenza conduceva a suo talento lo spirito di chi l’ascoltava. Avvi chi ne fa un commediante, un mimo tanto agile che mos
a caverna di Eolo in atto di asciugarsi le ali dopo la tempesta. Avvi chi lo personifica sotto la figura di un uomo alato,
come due piccioli fanciulli alati con turcasso, frecce e balteo. Avvi chi per Antero intende una divinità che guarisoe dall
ade, vuolsi da alcuni che fosse figlia di Forcide o Forco e di Ceto ; chi la dice figlia di Marte, chi sorella ; a lei spet
se figlia di Forcide o Forco e di Ceto ; chi la dice figlia di Marte, chi sorella ; a lei spettava la cura di preparare il
ni figlia di Stige e della Terra ; di Stige e Pallante altri, ed avvi chi la fa nascere dal Cielo e dalla Terra. Si rappres
rna di quel Dio uscire i beni ed i mali. Prendeva diletto ad umiliare chi non sapeva esser moderato nelle prosperità, e chi
diletto ad umiliare chi non sapeva esser moderato nelle prosperità, e chi si mostrava orgoglioso per la bellezza e per la f
a, nè mai ritornava da quello senza portare qualche nuova legge. Avvi chi asserisce che Minosse ricevè le sue leggi da Apol
ista tuttora col suo dorso e le sue ali i poeti di primo ordine. Avvi chi confonde con Pegaso il cavallo alato che Nettuno
omune opinione si è che fossero tre : Egle, Aretusa e Iperetusa. Avvi chi conta la quarta chiamandola Espera, chi una quint
le, Aretusa e Iperetusa. Avvi chi conta la quarta chiamandola Espera, chi una quinta detta Eriteide ed altri parlano della
di bella voce, e con frequenti metamorfosi abbagliavano gli occhi di chi le mirava. Euristeo comandò ad Ercole di portarsi
ea e Leucosia. Altri le fanno figlie dell’Oceàno e di Anfitrite. Avvi chi ne nomina quattro : Aglaosi o Aglaope, Telsipia,
amanti fatta a forma di falce ; Plutone l’elmo che rendeva invisibile chi lo portava, e Pallade uno scudo che risplendeva a
lte gli tolse la vita. Variano i racconti su la morte di Orfeo ; avvi chi pretende che nell’eccesso del suo dolore si uccid
trovasi soventi Bellerofonte col caval Pegaso. La Chimera, dicesi da chi vuol spiegare questa favola, era una montagna del
ui frattanto aveva preso il governo, e la vedova di Laio in isposa, a chi sciogliesse l’enimma, e perir facesse la Sfinge,
lle Sibille, ma non sono tutti concordi riguardo al loro numero. Avvi chi ne conta una sola, quella di Eritrea nella Ionia 
o numero. Avvi chi ne conta una sola, quella di Eritrea nella Ionia ; chi tre, l’Eritrea, la Sardica e la Cumea ; altri ne
non si tralasciava di ricorrervi. Sotto pena di morte era proibito a chi custodiva questi libri di lasciarli vedere a chic
e sotto vari nomi di Baccanti, Menadi, Bassaridi, Tiadi, ecc. In Roma chi aveva la suprema autorità nelle cose sacre era il
10 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
el vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla fronte di Bacco l
conducendola sempre seco in continua festa ed allegria. Arianna (per chi non lo sapesse) significa molto piacente ; e Bacc
olari predominanti. Il vino (come dice il proverbio) è un balsamo per chi sa usarne temperatamente e secondo il bisogno208)
a usarne temperatamente e secondo il bisogno208) ; ed è un veleno per chi ne abusa : oltre al nuocere alla salute, scorcia
nt risus, tune pauper cornua sumit. » (Ovid., i, 239.) « Or venut’è chi gli ha spezzato il corno « Di tant’orgoglio. »
ll’uva. Perciò nel ditirambo del Redi ne parla in questi termini : «  Chi la squallida cervogia « Alle labbra sue congiung
giunge « All’età vecchia e barbogia : « Beva il sidro d’Inghilterra «  Chi vuol gir presto sotterra ; « Chi vuol gir presto
ia : « Beva il sidro d’Inghilterra « Chi vuol gir presto sotterra ; «  Chi vuol gir presto alla morte « Le bevande usi del N
11 (1897) Mitologia classica illustrata
che narrazioni. E quanto alle opere statuarie di soggetto mitologico, chi è che, ricordando il celebre Giove di Fidia, imma
nnità, a fissare con gran cura le cerimonie del culto e gli uffici di chi vi attendeva. Solo più tardi, allorchè i Romani v
ene di energia e di vita. Fra le descrizioni poetiche di queste lotte chi non ricorda quella che si legge nella Teogonia di
e greci e latini, dove generalmente le due guerre si fondono in una, chi non ripensa la IV ode del libro terzo d’ Orazio,
ome di lui si presentano i mendicanti e i forestieri, ed egli punisce chi trascura di accoglierli e ospitarli benignamente.
cialmente di statue se ne trovasse in antico un numero incalcolabile, chi pensi alla grande diffusione del culto e al numer
ela; Iuno Lucina presiedeva all’ atto del nascere, ed era invocata da chi stava per divenir madre; Iuno Pronuba presiedeva
il corpo fatto squamoso, lo sguardo reso si terribile, da impietrare chi la riguardasse. Quando Perseo l’ uccise, Atena n’
to con Posidone il re del mare, avendone Zeus assegnata la signoria a chi le facesse il dono più utile. Ora Posidone le ave
e novelle generazioni. Una bella pittura di Diana al bagno la troverà chi scorra il terzo delle Metamorfosi di Ovidio, là d
fine, come facondo oratore, era il dio che dava facilita d’ eloquio a chi l’ invocava nel momento del bisogno, e in genere
ve si diceva che Giano avesse avuto sua sede prima che fosse Roma. 3. Chi voglia leggere artisticamente riassunte le attrib
e) I Venti. 1. Erano anch’ essi oggetto di culto; segnatamente chi doveva intraprender viaggi di mare, soleva propiz
ol quale egli soleva lanciar le sue freccie infallibili producendo in chi voleva, o Dei od uomini, la piaga d’ amore. Alla
’ avvenire. Non sempre, a dir vero, offriva volontieri l’ opera sua a chi ne lo richiedeva; quando Eracle nel suo viaggio a
forza, per cui il mare si popola di mostri, e atterrisce l’ animo di chi su di esso si avventura. Forchi (Phorkys) era il
io; ma non si induceva a predire la ventura se non costretto a forza; chi voleva consultarlo doveva coglierlo all’ impensat
l’ abbandonò e senza di lei salpo colle navi alla volta dell’ Attica. Chi può ridire il dolore della infelice Arianna quand
commedie, e si distribuivano solennemente le pubbliche onorificenze a chi se n’ era reso degno. 3. Antica Deità italica ris
se la silvestre natura risuona di lieti canti e rallegra l’ animo di chi vive in essa, ha anche i suoi solenni silenzi e n
e il riposo; in quell’ ora nessun pastore osava sonare perche guai a chi avesse disturbato il sonno di lui! D’ altra parte
i latini cogli epiteti « grande, veneranda, canuta, longeva » ecc. ma chi ne parla più a lungo è Ovidio nel quarto dei Fast
tunno, per poi ridursi novellamente d’ inverno alla stanza infernale. Chi non riconosce in Persefone la personificazione de
aveva luogo il quinto giorno, e movendo da Atene si recava ad Eleusi. Chi vi prendeva parte, talvolta non meno di 30,000 pe
ficò la dea Libera, il contrapposto femminile di Liber o Bacchus. 3. Chi rieorda i furvae regna Proserpinae di Orazio e
teste, che non impedisce ad alcuno l’ entrata, ma respinge abbaiando chi tentasse riuscire a riveder le stelle. Appena ent
i, le dee della vendetta, le quali avevano il compito di perseguitare chi s’ era reso colpevole di qualsiasi violazione del
ee benefattrici, terribili bensì contro i colpevoli, ma benigno verso chi si pentisse e datrici di beni agli onesti. 2. Non
Parca A noi filando incommutabil sorte, Tal n’ assegnò vicenda: Onde chi ’l giusto varca, Suoi congiunti ponendo a iniqua
ando morte al congiunto osa il congiunto Recar. Tosto con rapido Pie’ chi sparso ha col ferro il nuovo sangue Noi seguiam,
parlavasi di lui come di uno armato di falce che al tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i polpacci di chi tenta sf
alce che al tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i polpacci di chi tenta sfuggirgli; ora si pensava come una figura
nati due figliuoli, Prometeo (il previdente o prudente) ed Epimeteo ( chi pensa dopo, chi non ha che il senno di poi). Ora
oli, Prometeo (il previdente o prudente) ed Epimeteo (chi pensa dopo, chi non ha che il senno di poi). Ora Prometeo rubò da
otivo di grande effetto artistico doveva essere la sciagura di Niobe. Chi non ricorda le superbe parole messe a lei in bocc
to, Fradmone e Cresila, per desiderio di quei d’ Efeso, fecero a gara chi scolpisse la più bella Amazone. Vinse Policleto c
n una bianca vacca e l’ affidò alla custodia di Argo dai cent’ occhi. Chi puè dire il dolore e della povera fanciulla che s
i da Atena. Siccome lo sguardo di Medusa aveva la forza d’ impietrare chi la riguardasse, così Perseo s’ accostò camminando
toso. E i mostri che nascono dal tronco di Medusa, Crisaore e Pegaso, chi può dubitare rappresentino anch’ essi il lampo e
iù celebre e come a dire l’ Eracle dell’ Attica, è da ricordare prima chi gli fu madre. Essendo Egeo senza figli ed essendo
re Eurito prometteva la sua bionda e bella figliuola Iole in isposa a chi sapesse vincere lui e i suoi figli nel trar d’ ar
dalla bellezza di Atalanta, lo cedette a lei, dicendo che spettava a chi primo aveva ferito il cinghiale. Ciò destò le gel
di quattro gambe al mattino, di due a mezzogiorno, di tre alla sera; chi non sapeva rispondere, lo uccideva buttandolo giù
la Sfinge, promise il trono di Tebe e la mano della vedova Giocasta a chi avesse sciolto l’ enigma. Edipo avendo saputo ris
n potendo più difendere la città, fuggirono notte tempo e ripararonsi chi in Tessaglia chi altrove. La città fu presa e sac
endere la città, fuggirono notte tempo e ripararonsi chi in Tessaglia chi altrove. La città fu presa e saccheggiata. Una bu
colui che sapesse vincerlo alla corsa dei cocchi; con questo però che chi si lasciava vincere doveva pagar il fio della sua
e. Poco appresso sorse la famosa controversia per l’ armi d’ Achille. Chi doveva portare l’ armatura dei più grande degli e
fagi. Costoro abitavano una terra dove le notti erano così chiare che chi potesse far a meno del sonno, avrebbe potuto guad
che quel giorno avrebbe fatto la sua scelta; sarebbe stato preferito chi fosse in grado di tendere il grand’ arco di Uliss
rbarono per secoli e secoli la virtù loro di commuovere profondamente chi aveva fibra per sentire l’ eterno umano. — Venend
Membra d’ un tauro, ed altre s’ avvinghiavano Di ritorti serpenti; e chi le arcane Orgie compiva nelle cave ceste… Battean
Palermo 75). 48. « I caso di Fetonte abbruciato è tale che spaventa chi concepisce troppo avide speranze, e un grave esem
12 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
a aix aigos (capra) fu detto egida, e stabili che di tutto abbondasse chi di lei avesse le corna, dette perciò le corna del
a. Fabbricando Cecrope la citta di Atene, Minerva e Nettuno contesero chi avesse a darle il nome. Fu deciso che dato l’ avr
o contesero chi avesse a darle il nome. Fu deciso che dato l’ avrebbe chi avesse fatto uscir di terra la cosa più utile all
lla guerra teneasi pur Bellona chiamata Enio da’ Greci, e supposta da chi madre, da chi sorella, e da chi moglie di Marte.
easi pur Bellona chiamata Enio da’ Greci, e supposta da chi madre, da chi sorella, e da chi moglie di Marte. E tra le divin
hiamata Enio da’ Greci, e supposta da chi madre, da chi sorella, e da chi moglie di Marte. E tra le divinità riponevasi anc
iglio di Giove e di Giunone, alluder sogliono i poeti, e vi ebbe pure chi della sola Giunone lo volle figlio, come altri di
: Diasi alla più bella, nacque contesa fra Giunone, Pallade, e Venere chi averlo dovesse. Ma essendosi tutte e tre riportat
e vivea secondo il rito da lui divisa, alla fine desideroso di vedere chi fosse, Cinira fè recarsi un lume, e riconosciuta
do la ninfa Peristera, perchè in una sfida ch’ egli ebbe con Venere a chi sapesse coglier più fiori, Peristera aiutando Ven
tondono Cupidine con Amore, e gli danno per madre Venere, e per padre chi il Cielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi
ne con Amore, e gli danno per madre Venere, e per padre chi il Cielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi Mercurio, nè
e, e gli danno per madre Venere, e per padre chi il Cielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi Mercurio, nè manca pure
o per madre Venere, e per padre chi il Cielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi Mercurio, nè manca pure chi il dice f
Venere, e per padre chi il Cielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi Mercurio, nè manca pure chi il dice figliodi Vene
ielo, chi Giove, chi Vulcano, chi Marte e chi Mercurio, nè manca pure chi il dice figliodi Venere solamente. Dipingesi nudo
i liberata da Ercole. In Frigia fu Apollo dal Satiro Marsia sfidato a chi meglio sonar sapesse o questi la zampogna, o queg
usi, ov’ ebber principio i misteri di lei chiamati Eleusini, a’ quali chi iniziavasi era tenuto à rigoroso segreto, cui era
llo di rame. Che se taluna delle Vestali violava il voto di verginità chi l’ avea sedotta morir faceasi a forza di battitur
Micene incinta di Euristeo. Giunone carpi da Giove il giuramento che chi nascerebbe il primo avesse impero sopra dell’ alt
lle nozze che abborriva, promise alla fine che data avrebbe la mano a chi lei avanzasse nel corso, con questa legge però, c
cui frattanto avea preso il governo, e la vedova di Laio in isposa a chi sciogliesse l’ enimma, e perir facesse la Sfinge,
ell’ Adriatico, per esso e pel mare Ionio se ne tornarono a Ioleo. Fu chi aggiunse che prima di arrivarvi essi vennero dall
di, o Mimallonidi, o Edonidi, o Bliadi sacerdotesse di Bacco. In Roma chi aveva nelle cose sacre la suprema autorità era il
lui, e che in quella stessa caverna il suo oracolo fu indi stabilito. Chi andava per consultarlo dopo varie preparazioni en
13 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
heggiassero di ossa umane delle vittime delle Sirene, pur non ostante chi udiva anche da lontano il loro canto non poteva r
ere sapere dai libri di Storia Naturale, o aver sentito raccontare da chi li ha letti, che la vera e propria Balena,231 sen
puon calar di sopra, « Nè alzar di sotto le mascelle orrende. « Così chi nelle mine il ferro adopra, « La terra, ovunque s
apelli sparsi, « Glauci e Tritoni, o gli altri, non sappiendo « Dove, chi qua, chi là van per salvarsi. « Orlando al lito t
arsi, « Glauci e Tritoni, o gli altri, non sappiendo « Dove, chi qua, chi là van per salvarsi. « Orlando al lito trasse il
lassiche e mitologiche e di tutto lo splendor dello stile ariostesco, chi potrà legger pazientemente nel Ricciardetto la se
role dell’autore : « E s’ella d’elefanti e di balene « Non si pente, chi guarda sottilmente « Più giusta e più discreta la
14 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
gni genere di follie non la cedevano alle più effrenate Baccanti. E a chi si maravigliasse di sì spregevol razza di Dei dir
ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Nascere a chi la vede ; così fatti « Vid’io color, quando presi
i di esso. Gravissime pene eran minacciate anche dalle Leggi civili a chi rimuovesse il Dio Termine dal suo posto per esten
nol vegga, cautamente piluccando. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indan
el libro 2° dei Fasti. Ne riporto alcuni distici dei più notabili per chi studia il latino, o come grata reminiscenza per c
più notabili per chi studia il latino, o come grata reminiscenza per chi l’ha studiato : « Nox ubi transierit, solito cel
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294
cun frutto, perchè non è possibile conciliarle tra loro, nè scuoprire chi meglio abbia colto nel segno. Perciò converrà con
più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bast
rno all’etimologia del nome ed alla origine di questi Dei, poichè v’è chi li crede così chiamati, perchè figli della Ninfa
o il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. Chi non la pretende a filologo è indifferente per l’u
nitus insident : ex quo etiam penetrales a poetis vocantur. » 38. Chi non è affatto ignaro della lingua latina sa bene
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
vano i Mitologi ad assegnargli i genitori, poichè lo stimavano figlio chi di Giove e di Calisto, chi di Mercurio e di Penel
gli i genitori, poichè lo stimavano figlio chi di Giove e di Calisto, chi di Mercurio e di Penelope, ed anche di Urano e di
tacere se nessun le parlava, ed a ripeter soltanto le ultime voci di chi le dirigeva il discorso : favola ricavata evident
vita si aggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come
ggiungono sempre molti timori vani, da cui tutti gli uomini, chi più, chi meno, sono assaliti ; e quindi nota come immensam
17 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
ranno perpetui sino a che vi sarà nel mondo qualche grata disciplina, chi oserà dirsi colto uomo se non abbia bevuto a que’
ei dedicato. I Coribànti ogni anno piangevano l’amaro fato di Ati ; e chi colle chiome rabbuffate discorreva per le montagn
di Ati ; e chi colle chiome rabbuffate discorreva per le montagne, e chi percuoteva timpani e cembali, in guisa che il mon
riete, ed allora si diceva Criobolio ; e si offeriva in onore di Ati. Chi doveva consacrarsi o espiarsi col Taurobolio, si
imo ; e postosi l’elmo di Plutòne (Orci galea) che rendeva invisibile chi lo portava, a volo recossi al luogo ove dimoravan
usa, di cui gli occhi hanno la virtù di far morire e quasi impietrire chi il rimirasse. Tutto ciò ha potuto dare occasione
tiope, fig. del fiume Asopo, o di Nitteo, e regina di Tebe. Non manca chi dice Anfione fig. di Mercurio, dal quale ebbe que
costituivano il pancrazio o pentallo, detto quinquertium da’ Latini. Chi desiderava combattere, dava il suo nome dieci mes
con molte preziose cose tolte alla reggia del tradito Menelao. Vi fu chi disse, quest’Elena essere stata una vera donna no
; ma di rado i poeti ne lodano la chioma di bellezza. In Tibulto vi è chi giura pe’crini di Minerva, come in Properzio si g
ò un verdeggiante e bellissimo ulivo. Di ciò fu gran piato fra loro a chi dovesse dare il nome alla novella città ; e per d
gnificare Minerva, e l’acqua, Nettuno ; che quegli Dei contendevano a chi dovesse dare il nome alla città e che spettava al
Attico un’Ermatena, da servire per ornamento alla sua accademia. Vi è chi crede ch’essa sia la stessa cosa che il Dio Termi
l suo regno, percosse di un fulmine Esculapio, e così tolse la vita a chi altrui la dava(1). Esculapio vuolsi inventore del
che che giunto all’ora estrema, potesse evitarla, se trovato si fosse chi per lui avesse voluto morire. Infermatosi a morte
ì riguardo al luogo ed al modo d’impadronirsene, e sì per conoscere a chi meglio si dovesse affidare l’impresa(1). Callimac
ndalia leptoschide, sandali di sottili strisce ec. » In questa statua chi ravvisa Apollo cacciatore, chi quel Nume, dopo av
sottili strisce ec. » In questa statua chi ravvisa Apollo cacciatore, chi quel Nume, dopo avere scagliato i suoi dardi cont
strage che fece degli orgogliosi giganti, o de’figliuoli di Niobe ; e chi dopo l’uccisione del serpente Pitone. Molte statu
issima giovinezza. Ma altri dicono che ciò ottenne da Teti. Vi è pure chi dice che queste ninfe dette Dodonidi furon da Gio
viti fra le Cicladi feracissima(1). Allora fu che il fanciullo mostrò chi era ; e resa immobile la nave, ed i remi e le vel
e e raccolte tutte le lusinghe e che avea la virtù di rendere amabile chi lo portava, tanto che Luciano dice che Mercurio i
o che avea tanto nobilitato la loro patria. Nell’Antologia greca(1) «  Chi mai, dice Antipatro, ha dato vita al marmo ? e ch
tologia greca(1) « Chi mai, dice Antipatro, ha dato vita al marmo ? e chi ha veduto sulla terra la bella Ciprigna ? o chi m
ato vita al marmo ? e chi ha veduto sulla terra la bella Ciprigna ? o chi mai ha posto sì a mabile avvenenza in un sasso ?
’imposto tributo. Essendosi guasta nella parte di sotto, non si trovò chi osasse restaurarla ; onde tale offesa ridondò in
i guerra, quando rappresentavasi armato di picca e nell’attitudine di chi cammina velocemente. Bellona poi, detta anticamen
raggirare e cogliere nella trappola i compratori. In Plauto (3) vi è chi dice, essere suo costume, quando ritornava a casa
e il dio dei ladri, forse perchè fra quelli non è difficile ritrovare chi rubi. Anzi egli stesso fu un solennissimo ladro.
una vacca ed un toro, se gli avesse manifestato ove le vacche erano e chi rubate le avesse. Batto accettò il dono e gli sve
machia, Mercurio coll’elmo di Plutone sul capo che rendeva invisibile chi lo portava, uccise, pugnando, il gigante Ippolito
ittori rappresentato(2). Il recarono a Silla, innanzi a cui dimandato chi egli fosse, proruppe in una voce che niente avea
mpio reame. E poi esser legge del fato, non potere uscir dell’inferno chi vi avesse toccato cibo. Or per mala ventura, Pros
terza, la lira ; e per loro dolce canto e suono facevano addormentare chi le udiva, e così li divoravano. Ma non avendo pot
correvano verso il mese di Agosto. Passati i cinque anni di pruova, a chi volea iniziarsi si aprivano i segreti riti, salvo
riva agl’iniziati alcuni segreti che giuravano di non manifestare ; e chi mancava, riputavasi esecrando e spesso si puniva
rade, di gigantesca statura, di truce sembianza, e grande calamità di chi in que’luoghi capitava(3) ; e che da Virgilio(4)
da ciò si chiamano lettere di Bellerofonte quelle che sono dannose a chi le porta. Allora lobate mandò quell’eroe a combat
nge mai raggio di sole ; ed un terribile mastino che fa mille moine a chi entra, ma che non lascia uscirne alcuno, ne guard
i Dei Mani e come ottenne l’aureo ramo, di cui non poteva fare a meno chi volea penetrare nella casa di Plutone, descrive n
ltre a ciò si finse che le ombre de’ morti nell’inferno si radunavano chi al foro per attendere alle liti, chi nella reggia
morti nell’inferno si radunavano chi al foro per attendere alle liti, chi nella reggia di Plutone, e chi si occupava nelle
o chi al foro per attendere alle liti, chi nella reggia di Plutone, e chi si occupava nelle arti professate in vita. Presso
iso, con aureo scettro in mano, giudicava le anime de’morti, i quali, chi seduto e chi in piedi, stavano al suo tribunale a
o scettro in mano, giudicava le anime de’morti, i quali, chi seduto e chi in piedi, stavano al suo tribunale avanti la port
morto non era convinto di alcun mancamento, sepellivasi con onore. Or chi non vede da questo costume essere nata presso i G
uogo abbiam detto, che Proserpina strappava pochi capelli dal capo di chi dovea morire e che così ne condannava la vita all
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
: qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini. Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno c
berto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano
iama esser logici nel portare l’errore sino alle ultime conseguenze ! Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerat
o poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra T
19 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
dusa la testa cinta di orribili serpenti, che facea divenir di pietra chi la guardava. I poeti antichi dicono che Medusa av
i portò sempre seco e se ne servì utilmente per far diventar di sasso chi più gli piacque, come vedremo. Intanto sarà bene
ra il rumor si trovò presta. « E vede l’oste e tutta la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati a
ovò presta. « E vede l’oste e tutta la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati al ciel gli occhi
20 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
on tali caratteri che potrebbero convenire anche ad un Angelo : « Da chi lo feo gli fu dat’anco « Quel santo precettor, qu
Geni, cape thura libens, votisque faveto. » (Tib., iv, 5ª.) 279. Chi ha letto i classici latini sa bene che son comuni
cese affatto. Perciò soltanto il tribunal della Crusca potrà decidere chi di loro abbia ragione. Il Fanfani invece accenna
onario dei Sinonimi, e son queste le sue parole : « Il genio genera : chi confronta, raccozza, non è un genio. » Nessun voc
21 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
sti e da innumeri altri miti, che potremmo portare in mezzo, non v’ha chi non comprende di leggieri, essere i miti un parla
A Venere si dava per figlio il Dio Cupido, ed una a lei era venerato. Chi sia questo nume ben si scorge da un frammento del
 non esser grazia quella che viene lentamente, e deve tosto obbligare chi ne va beneficato. Rappresentavansi strette le pal
llulando nelle molte sue teste, quando altri le troncasse, non vi era chi potesse del tutto morirla : idra variante di tre
dici fatiche per ogni parte della terra dall’orto fino all’occaso — A chi non sfugge una profonda intellettiva non può sfug
, che volevano per sè arare i clienti, ovvero famoli : nascono da’sol chi uomini armati, per la contesa eroica della prima
e e l’Occidente. — Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui, che sì perduto d’intelletto non vede di
’intelletto non vede di esser tutta un’allegoria la favola di Giano ? chi non vede essere egli non un principe del Lazio, m
enigmi, opprimendo non pochi de’Tebani. Cadmo promise largo prezzo a chi avrebbe morto siffatta Sfinge — Edipo lo uccise.
do un simulacro di una dea in una gran cloaca romana, ed ignorando di chi fosse le diede il nome dal luogo ove fu trovata.
22 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
io lui condanna, « Ed anche di Medea si fa vendetta. « Con lui sen va chi da tal parte inganna. » Dopo questo episodio, po
ferro stringe. « Uno sul collo, un altro su la groppa « Percuote, e chi nel petto e chi nell’ala ; « Ma come fera in su u
« Uno sul collo, un altro su la groppa « Percuote, e chi nel petto e chi nell’ala ; « Ma come fera in su un sacco di stopp
tterra una profonda grotta, « Che certissima porta esser si dice « Di chi all’inferno vuol scender talotta. « Quivi s’è qu
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14
nche dai nostri poeti. Dante stesso fa dire a Virgilio esservi « ……. chi creda « Più volte il mondo in caos converso, » c
erano di trovarne molti altri. Può riuscir piacevole e divertente per chi intende bene le lingue dotte il leggere nei poeti
tologia, dalle Storie sacre e dalle profane. Sembra che voglia dire a chi ha orecchi da intendere : Vedete ! anche gli Anti
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
degli Dei, come li chiama Ovidio : de plebe Deos. Fortunatamente, per chi deve studiar la Mitologia, a ben pochi di questi
dire i singoli prodotti naturali. E a render più facile il còmpito di chi vuole imparar la Mitologia contribuisce ancora il
per voi suoni la tromba, « Perocchè nella terza bolgia state. » 6. Chi ha letto almeno una volta tutta la Divina Commedi
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
e idee mitologiche dei classici greci e latini riporto nel testo, per chi non conosce le lingue dotte, gli opportuni esempi
almeno poco soave al gusto. Possono perciò riuscire utili soltanto a chi è valente nelle lingue greca e latina. Per tutti
di tutti i termini scientifici che derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131
XX Mercurio Chi è che non conosca qualcuno dei molti significati
omia, in Fisica, in Chimica e perfino in Medicina o materia medica. E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto c
prova col denaro ; e la conclusione o morale della favola è questa : chi , nelle cose illecite, per lucro favorisce, per lu
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
del 2° il Dio della Poesia. Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più o men val
a l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai : « In
di questi segni del zodiaco furono riuniti, per comodo di memoria di chi sa o studia il latino, nei due seguenti esametri 
28 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
abbia odorato e lume ; « E bisogno al fuggire eran le piume. « Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce p
orato e lume ; « E bisogno al fuggire eran le piume. « Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più che ’
Orazione pro Roscio Amerino, di cui riporto qui le precise parole per chi studia la lingua latina, affinchè ciascuno le leg
29 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
nno avuto i loro storici, i loro cronisti, i loro scrittori, i quali, chi più chi meno, ànno disseminata, con le loro opere
o i loro storici, i loro cronisti, i loro scrittori, i quali, chi più chi meno, ànno disseminata, con le loro opere antiche
i fece un giorno una scommessa con certo Depreo, figlio di Nettuno, a chi avesse mangiato un intero bue. A ciascuno fu serv
, (Ovidio. — Metamorfosi, Libro XIII. Trad. di Dell’Anguillara). …… Chi quell’altro sia Che ha membra di gigante, e va so
r tu padre. Sì, ne saresti al par di me ; tu stesso, Più assai di me, chi , sotto il crudo impero D’ Eteocle, mostrarsi amic
Polinice ardi ? L’ardia sol ella.Il padre cieco, da tutti diserto, In chi trovò, se non in lei, pietade ? Giocasta infin. g
uito dai suoi. Alle inattese parole, Xanto rivolse il capo per vedere chi lo seguisse, e Melanto allora gli immerse il bran
Ella fu un’abilissima ricamatrice, e osò un giorno sfidare Minerva a chi avrebbe meglio ricamato una ricchissima tela. La
un colpo del suo tridente, allorchè sostenne con Minerva la disputa a chi di loro due avesse fatto il più ricco presente ag
iana, egli l’avesse fatta collocare in un luogo elevato, per modo che chi entrava vedeva il volto della Dea tristo e severo
che chi entrava vedeva il volto della Dea tristo e severo ; mentre a chi usciva sorrideva gaio ed allegro. 851. Buphago. —
al ratto di Proserpina. Da quel sorge non lunge un’altra fonte : V’è chi dal nome suo Ciane l’appella, Nïnfa che l’à in cu
dizione, questa misteriosa cintura aveva il poterc di rendere amabile chi la possedeva, e riaccendeva il fuoco di una passi
hidi, che reggeva il loro governo, consultarono l’oracolo onde sapere chi avessero dovuto in nalzare al potere. L’oracolo r
in terra. Ruzzolò risonante la celata Fra le gambe agli achivi, e fu chi tosto La raccolse : ma negra eterna notte Deiporo
to il fior nascente Dall’amorosa sponda, Dall’arboscel, dall’onda ; E chi sen fa monili, E chi ne intreccia al crin serti g
all’amorosa sponda, Dall’arboscel, dall’onda ; E chi sen fa monili, E chi ne intreccia al crin serti gentili. Pindaro — Od
ni vogliono che stessero presso l’Egitto : altri poco lungi da Lesbo, chi in Italia ; chi nelle isole Fortunate ; chi nel p
stessero presso l’Egitto : altri poco lungi da Lesbo, chi in Italia ; chi nelle isole Fortunate ; chi nel paese della Betic
ltri poco lungi da Lesbo, chi in Italia ; chi nelle isole Fortunate ; chi nel paese della Betica, oggi Andalusia in Ispagna
fargli un elmo che aveva la singolare proprietà di rendere invisibile chi lo portava. La tradizione mitologica ripete, che
io, da persone a lui sconosciute, gli fu domandato che cosa volesse e chi fosse. Finalmente fu riconosciuto dall’ultimo dei
Là siedi. Abbracciando l’antico simulacro Dell’Alma dea : là vi sarà chi debbe Giudicar questa lite ; e suasive Parole e m
ra Giunone e Nettuno, per la contesa surta fra queste due divinità, a chi fosse toccato il regno del paese di Argo. I tre f
Nella lugubre pompa del sepolcro ; ……………. ………nonna del mare Te ïnvoca chi su nave di Bitinia Accingesi a solcar l’ onde Car
i amaro, Soavissima morte, Se così vuol la sorte. Egli è il morir con chi più a noi fu caro. Euripide — Le supplicanti — t
a lode e del futuro ignaro Mostrarsi in pria, che non ritorre a morte Chi gli diè vita. Virgilio — Eneide — Libro XII. tra
chiamò in suo soccorso tutti gli dei ; ma questi spaventati fuggirono chi in questa e chi in quell’altra parte del globo, s
ccorso tutti gli dei ; ma questi spaventati fuggirono chi in questa e chi in quell’altra parte del globo, sotto la figura d
hi era perita. Rizzossi Achille e a quegli eroi rivolto Sorga, disse, chi vuole in questo ludo Del suo valor far prova. Imm
che impose si giurasse pel cavallo bucefalo, facendo punire di morte chi ricusava di farlo. 2178. Giustizia — A questa div
. Corrono indarno ad aitarla il padre, Il marito, le ancelle… Ahime ! Chi puote Tutta ridir la miseranda scena…. Della Val
mbe furono rapite da alcuni corsari traci, i quali giuocarono a sorte chi avrebbe dovuto possedere la madre e chi la figlia
i, i quali giuocarono a sorte chi avrebbe dovuto possedere la madre e chi la figlia ; e Pancratide ebbe la fortuna d’esser
rarla, e fingendo di ignorare quanto era avvenuto, dimandò a Giove di chi fosse quella giovenca e a qual mandra apparteness
a affettuosa liberatrice, e all’ombra degli altari, affatto ignaro di chi fossero i suoi genitori, i quali restarono similm
tempo sostenne una triplice sfida, prima al giuoco del disco ; poi a chi fra i due avesse attinto maggior copia d’acqua in
to maggior copia d’acqua in un dato periodo di tempo ; e finalmente a chi avrebbe bevuto più vino. Ercole vinse sempre in t
della metà dei suoi compagni. ….. I Lestrigoni l’ udiro, E accorrean chi da un lato e chi dall’ altro Forti di braccio, in
oi compagni. ….. I Lestrigoni l’ udiro, E accorrean chi da un lato e chi dall’ altro Forti di braccio, in numero infiniti,
esposti bambin (stupende cose !) Fresca del parto orribil lupa venne. Chi crederia che a lor nuocer non ose ? Poco è non nu
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
ntorno intorno tante aggiunte e frangie, da tener lungamente occupato chi volesse darne di tutte la descrizione e la spiega
hine a vapore e dà la forza anche alle braccia degli uomini. — Felice chi potè conoscer le cause delle cose 84), diceva Vir
31 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
do : fisicamente subisce continue modificazioni e trasformazioni ; ma chi può asserire e provare che le leggi fisiche vadan
colo, e si crede che significhi l’eternità e l’avverbio sempre. 36. Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Ora
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151
mancò di adornarsene quando si presentò a Paride che doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee. Oltre Cupido, Imen
do su questa Ninfa che aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a chi coglieva più rose. La rosa erale sacra perchè per
33 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
credono, o vogliono che si creda. Ma son pur anco sdegnosi, e guai a chi li tocca !132 e ne hanno non solo l’esempio delle
ivo il satiro Marsia, dopo averlo vinto nella sfida da lui ricevuta a chi meglio cantasse. A Dante non sfuggì neppur questo
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
gli dà tale spiegazione da lui richiesta : « Filosofia, mi disse, a chi la intende, « Nota non pure in una sola parte, « 
e neppure della spalla di san Secondo. — A scanso di equivoci, e per chi non lo sapesse, chiamasi spalla di san Secondo, n
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492
ello « Dorme lo scheletro « Di Stenterello. » (Il Mementomo.) 167. Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che que
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499
rtù dei suoi uomini illustri, e grate dei benefizii da essi ricevuti. Chi poteva infatti stimar benefici Dei i proprii tira
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
i Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla : «  Chi , o Vòluso, non sa quai mostruose « Adora deità l’
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
ici Dei superiori che formavano il consiglio di Giove. Li riporto per chi studia la lingua latina : « Juno, Vesta, Minerva
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78
ltri, accostandosi più alle materie o roccie sedimentarie. Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi, che s
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137
avvenimenti. Una giovane lidia, di nome Aracne, osò sfidar Minerva a chi meglio sapesse lavorare e ricamare in lana. Miner
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54
, dipinto dal Turchi soprannominato L’ Orbetto. 55. Si vendicò. 56. Chi studia o sa il latino farà bene a leggere e rileg
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
tes repente celeriterque procurrerunt. (De Bello Gall., i, 71.) 176. Chi conosce o studia la lingua latina sa bene che i R
43 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
ne di Artofilace andò perduto o dimenticato nella poesia italiana ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o perso
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di essere smentiti da chi , dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel c
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
e cornee. » — Cosi risponderebbe tutto in un fiato quel chimico ; e a chi volesse sapere ancora come si fa a liberare, ossi
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
l Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per sapere chi dovesse regnare in Roma. Tito Livio nel lib. I de
47 (1909) The myths of Greece and Rome
mæ′ra. Monster slain by Bellerophon, 257-260; significance, 358, 366 Chi ′o-ne. Daughter of Boreas and Orithyia, 187 Chi′o
gnificance, 358, 366 Chi′o-ne. Daughter of Boreas and Orithyia, 187 Chi ′os. One of the islands of the Archipelago, 78 Ch
and Orithyia, 187 Chi′os. One of the islands of the Archipelago, 78 Chi ′ron. Learned Centaur, 189, 230, 233, 279; death o
10-214; Ægis decorated by head of one of, 41; significance, 366 Grac′ chi , The. Unborn souls of Roman heroes, seen by Anchi
48 (1895) The youth’s dictionary of mythology for boys and girls
aky flames expire, Her gaping throat emits infernal fire.” Milton. Chi ′ron [Chiron], the centaur who taught Achilles hun
49 (1810) Arabesques mythologiques, ou les Attributs de toutes les divinités de la fable. Tome II
ande : e sol perche non muto Un decreto giammai, non trovi esempio Di chi voglia innalzargli nu’ ara, un tempio44. Demof
50 (1898) Classic myths in english literature
e, i, y, æ, and œ: Ce′-to, Ge′-ry-on, Gy′-ges; ch has the sound of k: Chi ′-os; and c, s, and t, immediately preceded by the
347, 369. Charyb′dis, 264, 321, 341. Chimæ′ra, 233, 346; Com. § 138. Chi ′os (Scio), 24, 146; Com. §§ 11, 90,99. Chi′ron, 1
′ra, 233, 346; Com. § 138. Chi′os (Scio), 24, 146; Com. §§ 11, 90,99. Chi ′ron, 130, 245, 277; Com. § 79. Cho′rus, 214. Chri
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