tte e dettate da chiari ingegni ; analizzare i vantaggi indiscutibili
che
il progresso ha fatto fare all’umanità ; tutto ci
a ; lunge da noi cosiffatte meschine vanità !.. Noi vogliam solamente
che
i nostri lettori, e soprattutto la gioventù studi
i nostri lettori, e soprattutto la gioventù studiosa e culta, quella
che
forma la più eletta parte della cittadinanza di u
bia in questa prefazione, un’idea chiara, netta, precisa, dello scopo
che
ci trasse a spendere più anni di penoso lavoro in
a quale noi, dopo aver delucidato in questa Prefazione, alcuni punti (
che
, per avventura, potevano non esser chiari abb ast
a fisica e materiale del nostro libro) demmo nello Studio Preliminare
che
segue, una idea generale, una specie d’illustrazi
sulla Mitologia, adoperandoci con accuratezza di studio, onde l’idea
che
dà vita ai simboli mitologici, risplendesse della
risplendesse della maggior luce possibile all’intelligenza di coloro
che
, per lo studio delle antichità pagane, si faranno
scrivere un’opera per la gioventù studiosa ; dare ad essa una guida,
che
con mano ferma e secura, avesse potuto accompagna
e sensibilmente visibile di essa, spiegando ed analizzando le ragioni
che
ci indussero, dopo lunga riflessione, a preferire
o lunga riflessione, a preferire questa maniera di esporre, piuttosto
che
un’altra. Fisicamente parlando, la facoltà visiva
il carattere, la bella armonia della disposizione di tutto l’obbietto
che
si vuol farle studiare e comprendere, sarà in tut
izione di un’opera qualunque, con la nettezza e precisione dell’idea,
che
è il principio motore di essa. La struttura mater
della natura ; il miracolo della riproduzione per mezzo dell’istinto,
che
porta incessantemente il maschio verso la femmina
l maschio verso la femmina ; l’insieme perfetto, armonioso, completo,
che
la natura ha posto nel compimento di tutte le sue
po, il suo essere infine, nell’ordine ammirevole, assoluto, perfetto,
che
regna nella natura. Da ciò noi vogliamo dedurre c
soluto, perfetto, che regna nella natura. Da ciò noi vogliamo dedurre
che
un’opera qualunque, sia materiale o spirituale, d
; nell’armonia con la quale è tessuta ed esposta ; ordine ed armenia
che
debbono essenzialmente regnare nel modo più compl
che debbono essenzialmente regnare nel modo più completo, fra l’idea,
che
è l’anima, l’essenza animatrice di ogni opera del
ssere assolutamente in relazione con quello stesso ammirevole accordo
che
passa fra la volontà impalpabile, ossia l’anima,
fra il fine ed i mezzi. Seguendo, adunque, questo principio d’ordine
che
a noi sembra, ed è, essenzialmente necessario nel
una qualunque idea, cominciamo ad esaminare l’opera nostra dal titolo
che
vi apponemmo. Ristretto analitico del Dizionario
ere una specie di storia dettaglita delle divine ed umane personalità
che
formavano la Mitologia, ovvero l’idolatra credenz
imenti, dei fatti più importanti, compiutisi in quel periodo di tempo
che
tutti gli scrittori si accordano col chiamare tem
il nostro Ristretto analitico della Favola da uno Studio Preliminare,
che
segue questa Introduzione, onde dare in esso (com
ii, cominciando a spiegare la storia della Mitologia da quei vocaboli
che
ne compongono la nomenclatura, dalla lettera A fi
uardo alle citazioni dei più rinomati scrittori antichi e moderni, di
che
noi abbiamo arricchita l’opera, non ci resta altr
che noi abbiamo arricchita l’opera, non ci resta altro a dire se non
che
noi abbiamo personalmente riscontrate quelle cita
giera omissione. Abbiamo sovente riportati interi brani, sia in verso
che
in prosa, degli autori da noi citati, per mostrar
mpre a raggiungere lo scopo della maggior lucidità, diremo brevemente
che
fra le molte opere classiche da noi citate, ci si
erto meno sviluppata delle altre, essendo anzi in quasi tutti i canti
che
compongono l’eterno poema, assai di soventi immag
ti della natura bruta, colla natura umana ; tutte le nefande immagini
che
lo studio della Mitologia ci rivela innestate nel
avvoltoi nelle parti posteriori ; tutte le turpitudini contro natura,
che
formavano tanta parte delle credenze dei pagani,
uesta è stata, per non toccar delle altre, la ragione più convincente
che
in tutto il corso di questa opera, ci ha fatto di
questa opera da tanto numero di epigrafi. In generale tutte le volte
che
un libro, un’opera, un lavoro qualsiasi, si fa pr
ro qualsiasi, si fa precedere da una epigrafe, altro non si vuol fare
che
dare in essa un’idea, diremo, preconcetta del lav
desimo, il quale viene, in certo modo, compendiato nelle poche parole
che
compongono l’epigrafe che vi si appone. Questo è
certo modo, compendiato nelle poche parole che compongono l’epigrafe
che
vi si appone. Questo è almeno il costume generale
. Questo è almeno il costume generale degli scrittori, tanto an tichi
che
moderni ; questo, diremo, è quasi il metodo che s
ttori, tanto an tichi che moderni ; questo, diremo, è quasi il metodo
che
si è già da lungo tempo adottato da tutti gli sci
le, negli archivii e nelle biblioteche. Nel nostro caso, a noi parve,
che
un numero di epigrafi avrebbe dato un, diremo, ta
to un, diremo, tacito attestato dell’importanza del nostro lavoro ; e
che
esse sarebbero state altrettante citazioni di ill
o insieme materiale e fisicame nte visibile di esso. Ora non ci resta
che
a dimostrare l’utilità dell’opera nostra, e il va
che a dimostrare l’utilità dell’opera nostra, e il vantaggio positivo
che
gli studiosi ne ritrarranno, e questo brevemente
a penuria di opere nel genere della nostra, chè anzi varie sono belle
che
parlano delle diverse religioni dei popoli dell’a
ligioso dei primitivi popoli della terra. A prima vista parrà, forse,
che
noi, altro non facemmo se non riportare, restring
altro non facemmo se non riportare, restringendo o ampliando, secondo
che
ci è sembrato necessario, gli avvenimenti più imp
e profonda di questo lavoro. Certo le allegorie, i fatti, i simboli,
che
formano il sostrato mitologico, il tutto configur
on potevamo nè inventarne dei nuovi, nè rivestirli di altre immagini,
che
non fossero quelle trasmesseci dalle cronache mit
llo studioso la conoscenza limpida e sfolgorante degli innumeri fatti
che
ne componevano la storia, ma un insieme di quello
innumeri fatti che ne componevano la storia, ma un insieme di quello
che
i più rinomati scrittori, e sopratutto i classici
le loro opere da noi riportati. Sarà quindi innegabile, a noi sembra,
che
la gioventù studiosa avrà in questo ristretto, no
ani. Infatti un avvenimento qualunque, religioso, storico, o politico
che
sia, rimarrà tanto più indelebile nella mente, qu
te, anche sotto l’aspetto letterario, quell’opera scientifico-storica
che
riporti interi brani dell’ Iliade d’ Omero ; dell
ero ; dell’ Eneide di Virgilio ; delle Metamorfosi di Ovidio : quella
che
riunisce citazioni di Eschilo, di Euripide, di Eg
uripide, di Egino, di Cicerone, di Tacito, ecc. ; quella, finalmente,
che
riporti frammenti della Divina Commedia di Dante
della Mitologia viene insegnata dal racconto degli stessi avvenimenti
che
vi sono narrati ; la scienza si rivela dallo stud
e la letterature vi è esposta per mezzo delle citazioni dei classici
che
noi abbiamo fedelmente riportate, quantunque volt
n avvenimento, ce ne à porto il destro. Ed ora, conchiudendo, diremo,
che
parendoci di aver completamente raggiunto la meta
iremo, che parendoci di aver completamente raggiunto la meta luminosa
che
ci eravamo imposti, noi faremo di pubblica ragion
e i nostri concittadini accettino di buon animo la nostra intenzione,
che
fu quella di esser loro utili con l’eterno insegn
tologia. Questo vocabolo deriva da due parole greche Mithos e Loghos,
che
significano, Mithos : miio, enigma, allegoria, si
enso primitivo, vale discorso o ragionamento mitico. Essa altro non è
che
il complesso delle tra dizioni, degli enigmi, il
la credenza religiosa dei popoli dell’antichità, il culto degli idoli
che
gli antichi adoravano. Questa e non altra, è l’in
li che gli antichi adoravano. Questa e non altra, è l’interpretazione
che
tutti gli scrittori danno alla Mitologia, ossia a
igine la parola latina Fabula, ebbe un amplo significato, come quella
che
dinotava la enunciazione del pensiero col mezzo d
azione del pensiero col mezzo della parola ; un discorso un racconto,
che
va ripetendosi, che circola, mediante orale tradi
col mezzo della parola ; un discorso un racconto, che va ripetendosi,
che
circola, mediante orale tradizione, senza riguard
a nella LXV Olimpiade (518 anni avanti Gesù Cristoj. Bockh, asserisce
che
Pindaro fosse nato nella LXIV Olimpiade (522 anni
Pindaro mori nell’ 80° anno della sua vita, e ammettendo, con Bockh,
che
fosse nato nel 522 avanti Cristo, la sua morte sa
figurato della loro religione ; forma propria dell’alta antichità, e
che
parve segnatamente acconcia alla tradizione delle
i. — Gli Elleni abitarono la Grecia, la quale fu la regione d’Europa,
che
prima accoise i germi dell’orientale civiltà, e i
antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo della lingua,
che
resistette ai conquistatori ed al tempo : il comm
e minute e materiali della vita, commesse agli schiavi ; l’educazione
che
riceveva il libero cittadino nello sviluppo armon
stici della civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi per coloro
che
si faranno a studiare questo popolo nella religio
di aver dato i natali ad Omero, e se volessimo numerare tutte quelle
che
troviamo mentovate in varii passi di antichi scri
ssi di antichi scrittori, noteremmo ben dieciotto o dieciannove città
che
si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese d
pretese della più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sospette,
che
cadono facilmente innanzi ad un serio esame. Tutt
le di ogni deità degli antichi ; anche nelle turpi ed infami lascivie
che
componevano tutto il culto di Priapo,12 presso i
corge visibile e luminosa la verità di quanto asseriamo, quella cioè,
che
una religione qualunque ha sempre i suoi Mili, e
, si è servito della simbolica allegoria del roveto ardente, per fare
che
i figli d’Israello si curvassero ossequiosi e rev
adoperò simboli ed emblemi allegorici, attinti nelle stesse credenze
che
egli voleva imporre ai popoli, onde farsi credere
nostre parole. Anche a traverso le folte e tristi nebble dell’eresie,
che
dai più remoti tempi funestarono il mondo cristia
il mondo cristiano, i simboli proprii delle stesse religiose credenze
che
quelle cercarono di attaccare e di abbattere, era
o secolo dell’ Era Cristiana ci porge, nelle numerose eresie e sette,
che
ne afflissero il corso, un esempio meno palpabile
nomenclatura, noi potremmo giungere fino alle più recenti eresie, di
che
fu afflitta la maestà della Chiesa Cattolica, ai
a di per sè, nè abbisogna di frasi suonanti, o di storiche citazioni,
che
facciano maggiormente limpida la luce che emana d
i, o di storiche citazioni, che facciano maggiormente limpida la luce
che
emana da esso. Solamente aggiungeremo, a maggior
e emana da esso. Solamente aggiungeremo, a maggior trionfo di verità,
che
i simboli mitologici hanno sopravvissuto alla qua
ei monumenti, i quali resisterono all’opera devastatrice del tempo, e
che
altra volta furono destinati al culto delle divin
. Il monte Soracte è oggi la collina di Santo Oreste, e presso l’urna
che
, si vuole, racchiuda le ossa di Santo Ranieri, so
Santo Ranieri, sorge una statua di Santo Potito, la quale altro non è
che
un simulacro pagano del dio Marte, con la lieve v
o Marte, con la lieve variante d’aver sostituito un libro, alla spada
che
brandiva il Dio della Guerra. Anche più presso a
cconti lo si ritrova nelle tradizioni Egiziane. Per gl’indiani quello
che
si salva nell’ Arca è Satyaxrata — Iao, in Cina,
à cominciamento al suo regno con lo scolamento delle acque diluviane,
che
avean tocca la cima delle più alte montagne. Se d
maggioranza dei simboli della religione del Cristo, è segno evidente
che
tutti i culti, tutte le credenze, hanno, siccome
nti e di dottrine, per quanto più enigmatici sono i simboli o i miti,
che
ne compongono il sostrato. Il paganesimo contava
zioni, emergenti da così alto numero di divinità. Similmente è chiaro
che
non bisogna cercare, nello studio della Mitologia
, secondo leggi ben diverse da quelle della storia, e sovente avviene
che
intere epoche più recenti, sono trasferite in sen
stizione pagana tenne alto e riverito il culto dei suoi numi ; rino a
che
una credenza più mite, una vera religione di pace
E allora, i simboli o miti atroci ed impuri, proprii di una religione
che
serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che a
prii di una religione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo,
che
al principio della verità, cedettero il posto ai
gnere in culla il neonato fortissimo,26 sparisce e diventa null’altro
che
un sogno allegorico, ideato dalla fervida immagin
minoso ed immortale, il mito dell’ancella di Dio, sine labe concepta,
che
sotto l’usbergo della sua celeste purità, schiacc
ratro. Nello studio della Mitologia non bisogna considerare le favole
che
la compongono, come altrettanti fatti particolari
ti ; ma gioverà nell’insieme osservare il pensiero del simbolo o mito
che
essa racchiude sotto il velame della enigma e del
n facilità, gioverà attentamente riflettere sui tre punti principali,
che
formano l’anima del nostro lavoro. Codesta studio
a, porta l’uomo con grande facilità, ad assimilare sè stesso all’ente
che
adora ; e quanto questo è meno visibile ai suoi s
. Nell’osservazione scientifica dei tempi della favola, noi scorgiamo
che
assai di sovente la divinità non è rappresentata
atto umile e dimesso, innanzi alla sognata maestà di quell’obbietto,
che
egli crede divino e soprannaturale, lo riverisce
raunata tutta la sua famiglia, disse : gettate via gli dei stranieri
che
avete tra voi, e mondatevi e cangiate le vostre v
ono le lodi ; ne fecero infine un culto armonioso, inspirato, poetico
che
fu quello appunto che diffuse tania freschezze d’
o infine un culto armonioso, inspirato, poetico che fu quello appunto
che
diffuse tania freschezze d’immagini, in tutte le
intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni della natura, è ciò
che
si chiama propriamente Arte. Le arti si divisero
del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordinamento politico,
che
furono tanto quella che questo favorevoli allo st
loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella
che
questo favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte
, i quali giovarono immensamente allo sviluppo delle arti tutte, cosa
che
non avrebbe potuto sussistere se tutta la Grecia
iù marcatamente nel canto XXII della Iliade, allorchè narra l’agguato
che
Minerva tese ad Eltore. Da queste simili ardite c
delle divinità pagane, le quali non dissimilmente dagli uomini stessi
che
le avevano ideate, nei sogni sbrigliati d’un’età
ti e sentimenti, affatto simili nel principio e nella forma, a quelli
che
agitano, quasi mare in tempesta, la vita dell’uom
dell’uomo. Da quanto esponemmo fin quì, emerge chiara la conseguenza
che
i miti sono la forma più saliente che assume la r
ì, emerge chiara la conseguenza che i miti sono la forma più saliente
che
assume la religione di un popolo, e per quanto mo
mente compiuta, ottiene il plauso generale ; e questo cresce a misura
che
la lontananza o la morte dell’eroe di quel fatto,
e di quel fatto, ne ingrandisce il merito primitivo e reale ; ed ecco
che
l’uomo valorosamente illustre, diventa un dio, ed
scala ascendente di gloriosa rino manza, scaturisce il mito di Ercole
che
in cullz strangola i draghi, e finisce col famoso
ole, sotto alla quale è nascosta l’idea, non meno terribile, del mito
che
il Tempo è l’eterno e vorace consumatore di tutte
principio, debbono essenzialmente avere una fine. Osserveremo ancora
che
siffatte credenze popolari, proprie delle differe
nelle sue opere cosiffatta dottrina. Milton 36 favella di voci arcane
che
ragionano fra il cielo e la terra. Al Fato ed ai
omini. Nell’ Irlanda, terra eminentemente cattolica, non v’è famiglia
che
non abbia la sua Bauskie, specie di genio tutelar
Mitologia. La famiglia dei Lusignuno 37 aveva la sua Meleusina, larva
che
appariva quantunque volte ad alcuno di quell’ ill
erete per sottrarvi al carnefice ! E, continuando, predice a Chambord
che
si taglierebbe la gola ; a Bailly, a Malherbes, a
hambord che si taglierebbe la gola ; a Bailly, a Malherbes, a Boucher
che
morirebbero sul patibolo ; e avendogli la Duchess
llora Cazotte, diventando pallidissimo, rispose : L’ultimo condannato
che
axrà un confessore, sarà il Re di Francia ! I con
non intendiamo di spiegare quì, il perchè ed il come di questi fatti,
che
sembrano soprannaturali, ma che pure ànno tuttora
il perchè ed il come di questi fatti, che sembrano soprannaturali, ma
che
pure ànno tuttora la testimonianza d’intere nazio
discutere. E, a questo proposito, ci viene alla mente un altro fatto,
che
per essere recentissimo ci da maggiore incoraggia
re incoraggiamento a tenerne parola. In un giornale dei Dibattimenti,
che
vedeva la luce a Berlino nel 1850, dopo aver narr
ibattimenti, che vedeva la luce a Berlino nel 1850, dopo aver narrato
che
una larva bianca compariva nella casa degli Hohen
larva bianca compariva nella casa degli Hohenzollern, tutte le volte
che
stava per succedere qualche sventura a taluno dei
o dei componenti di codesta illustre famiglia, assicurava correr voce
che
, nella notte del 10 aprile 1850, la dama bianca e
10 aprile 1850, la dama bianca era comparsa al castello di Berlino, e
che
questo era certamente segno di prossima sciagura
he una volta, nella citazione dei fatti, non discutiamo, volendo solo
che
essi vengano in appoggio di quanto asseriamo, e s
nuando dunque questo studio preliminare sulla Mitologia, aggiungeremo
che
, presso i pagani, data una volta ad un ente sopra
a Terra ; avrà forme gigantesche, come giganti sono le onde di sabbia
che
il vento del deserto solleva, e che nulla vale ad
me giganti sono le onde di sabbia che il vento del deserto solleva, e
che
nulla vale ad arrestare, finchè ampi canali costr
itologici, onde è rivestita, fece di quel canali le braccia di Ercole
che
soffoca il gigante, distaccandolo da sua madre. L
eligioso del Dio Api,42 venivano rinchiuse le mummie, in talune casse
che
avevano la figura di un toro ; e questo fatto sem
identi della favola Itiaca, un racconto interamente fantastico, disse
che
il mondo era sospeso ad una catena d’oro, che Gio
mente fantastico, disse che il mondo era sospeso ad una catena d’oro,
che
Giove s esso aveva fissato nell’Olimpo. Fino a qu
i ricordati dalla tradizione mitologica, e configurati nei suoi miti,
che
noi non esponiamo per amore di brevità. Diremo, i
uoi miti, che noi non esponiamo per amore di brevità. Diremo, invece,
che
tanto nello insieme, quanto partitamente, le simb
ni e dei costumi tradizionali e particolari alle molteplici contrade,
che
formavano il mondo conosciuto dagli antichi. Da c
’un pianeta, diventa il viaggio d’un eroe ; l’arco baleno altro non è
che
il ponte aereo sul quale Iride, la divina messagg
imboli della Mitologia, racchiudono il fondamento di tutte le nozioni
che
ebbero le società primitive. In essi si trovano p
ia. Giovan Battisia Vico 47 l’illustre italiano, ha lasciato scritto
che
la « Mitologia è la più ricca forma della tradizi
la « Mitologia è la più ricca forma della tradizione dell’umanità, e
che
essa contiene in due grandi diramazioni gli avven
storia ». Egli è dunque un fatto riconosciuto, constatato, innegabile
che
i miti religiosi appartengono alle più remote età
le che i miti religiosi appartengono alle più remote età del mondo, e
che
lo studio della Mitologia, ossia del ragionamento
classificare il numero e la natura dei varî sistemi d’interpetrazione
che
valgono a render conto delle antiche tradizioni,
adizioni, e dell’oscuro significato dei miti della Favola ; tanto più
che
lo esame accurato, e lo studio paziente e minuto
eremo, da ultimo, l’attenzione dei lettori a considerare la relazione
che
passa tra la Forma del simbolo mitologico, ed il
, le figure staccate e visibili, anche nell’immaginazione, le persone
che
animano i miti dí senso vitale. Imperocchè la per
ro essenza, con tutti i singoli caratteri proprî dell’umanità ; ond’è
che
essi parlano, operano, sentono e pensano, in modo
itologia l’idea si personifica alternativamente, poscia, per generale
che
essa sia, si individualizza, unificandosi, e quin
idea, le realtà positive e corporee. È dunque irrecusabilmente chiaro
che
nel mito il Fondo s’incorpora nella Forma, come l
la realtà del fatto compiuto, qualunque sia la realtà di questo fatto
che
si presenta alla mente. Un altro particolare car
riflessione. L’allegoria nel fatto esprime una cosa, mentre nell’idea
che
l’informa ne chiude una dissimile ; il mito per c
orma ne chiude una dissimile ; il mito per contrario, rappresenta ciò
che
è, e come è : esprime la Forma immedesimata al Fo
nza avvertire codesta distinzione. In una parola, il mito altro non è
che
un simbolo attuato nell’istesso tempo dal pensier
nte, ponendo termine a questo Studio preliminare, noteremo brevemente
che
nella Mitologia, ciò che colpisce a prima vista è
esto Studio preliminare, noteremo brevemente che nella Mitologia, ciò
che
colpisce a prima vista è la forma enigmatica dell
ia, ciò che colpisce a prima vista è la forma enigmatica delle favole
che
la raccontano, e dei monumenti che la rappresenta
è la forma enigmatica delle favole che la raccontano, e dei monumenti
che
la rappresentano. Infatti se gli avvenimenti assu
a divinità, ha bisogno di appoggiarsi a prattiche esterne e sensibili
che
colpiscano i suoi sensi, e sieno ín relazione con
elementi, tanto più facilmente essi li adorarono. E tanto ciò è vero
che
il culto degli astri, detto con vocabolo proprio
onisio, Dionisio. — Soprannome dato dal Greci a Bacco. per alludere
che
egli era stato loro padre. ed anche perchè era st
e però dei mitologi sostiene essere la voce Dionisio composta da Dios
che
vuol dire Giove, Nysso, ío ferisco ; perchè Giove
principio ruvido e grossolano, veniva man mano raffinandosi a misura
che
l’arte metteva una più armonica relazione fra il
relazione fra il concetto dell’idea simbolica, e l’obbietto materiale
che
la rappresenta. La giovenca, per esempio, per la
olata dal pastore per la espiazione del gregge ; il cavallo ed il bue
che
, aggiogati all’aratro, fecondano col lavoro il se
zodiaco ; le cento braccia di Briareo, il gigante centimano51 Cibele,
che
come dea dell’agricoltura, ha il seno coperto di
a il seno coperto di moltiplici e ricolme mammelle52 ; Giano bifronte
che
intima la guerra e proclama la pace Giano. — Di
e a riempire una secchia senza fondo,54 e finalmente le Parche fatali
che
tessono il filo della vita umana. Parche. — Nom
tessono il filo della vita umana. Parche. — Nome delle tre divinità
che
presiedevano alla vita e alla morte. Erano tre so
quanto più potemmo ristretto e conciso della Mitologia, a noi sembra
che
l’idea informatrice di tutta la nostra opera, deb
e di tutta la nostra opera, debba mostrarsi lucidamente ai lettori, e
che
questi non possono avere la più lieve incertezza
alcune scene mitologiche, o da racconti e rappresentazioni di oggetti
che
non si vedon mai, apprendono e si persuadono che
entazioni di oggetti che non si vedon mai, apprendono e si persuadono
che
gli dei minacciano, spaventano, castigano. Ora ci
trarone — Nelle Opere Da principio le immagini degli dei non crano
che
segni simbolici d’una idea o d’una forza invisibi
audiendium. M. T. Cicerone — Oraliones. ….aspettano gli ascoltanti
che
egli adduca esempii antichi e gravi, ripieni di d
to in ascoltare. M. T. Cicerone — Nelle Orazioni. ….L’uomo è cosa
che
passa, sopra cosa che passa. Forse raffigurando l
Cicerone — Nelle Orazioni. ….L’uomo è cosa che passa, sopra cosa
che
passa. Forse raffigurando le generazioni umane in
e à de telles réalités. V. Hugo. — L’homme qui rit — Vol. 1. E così
che
il tempo passa e lavora, nè si stanca mai, è la s
E così che il tempo passa e lavora, nè si stanca mai, è la sua mano
che
muta e travolge, che solleva e rovescia, che dist
passa e lavora, nè si stanca mai, è la sua mano che muta e travolge,
che
solleva e rovescia, che distrugge e rinnova le co
tanca mai, è la sua mano che muta e travolge, che solleva e rovescia,
che
distrugge e rinnova le cose di questa terra. È il
eorum. Cicer. De natura deorum. Lib. 3° Cap. 24. … .veramente quei
che
Iddii vengon chiamati altro non dinotano se non e
ante si discorre Per le molte intricate e cieche strade Del labirinto
che
si dice in Creta Esser costrutto. Virgilio id. T
elletto ha la potenza Di comprendere il tempo, e lo misura Dalle cose
che
vede allegre e triste, Picciole e grandi. Immense
estinti soli Han quest’occhi veduto, e contemplando L’eternità parea
che
in me trasfusa Fosse una stilla della sua grandez
poi… … . . Genesi. Cap. VI. Una religione, qualunque essa sia, fa
che
un popolo sia civile. Introduz. al Giornale — La
ux Misérables. I magi d’Oriente e i sofi della Grecia insegnarono,
che
Dio favella in lingua di bellezza. L’età ghiaccia
i calcoli, a noi lasci le nostre immagini ; serbi il suo argomentare,
che
distrugge, a me talenta il palpito che crea. I pe
ni ; serbi il suo argomentare, che distrugge, a me talenta il palpito
che
crea. I pellegrini intelletti illuminano di un tr
elle sue grotte Apollo, e tu soggiorno Già delle Muse, or non sii lor
che
tomba ; Pur questi ermi recessi anco penètra Qual
on — Pellegrinaggio di Aroldo — Canto I. Vol. I. … .or non sai tu
che
per una cattiva usanza quelle cose sogliono esser
e batte la misura. E l’uomo presume mettere il chiodo a questa ruota,
che
affatica il cielo e la terra ? Ah ! ella è preten
D. Guerrazzi — Beatrice Cenci — cap.° VII. Comechè la terra sappia
che
il sole tornerà domane a portarie luce e calore,
tornerà domane a portarie luce e calore, pure ella conosce egualmente
che
i giorni dalla mano del tempo cadono irrevocabili
o abisso della eternità. Molto certamente hanno vissuto insieme prima
che
l’uomo nascesse, e molto vivranno ancora dopo che
ssuto insieme prima che l’uomo nascesse, e molto vivranno ancora dopo
che
la nostra razza sarà scomparsa ; passeranno secol
e la nostra razza sarà scomparsa ; passeranno secoli e secoli, avanti
che
si rompano sfasciati a rovinare in corsa disordin
a vie. Frèdol — Le monde de la mer. Ma le scienze ci fanno sapere
che
infiniti sono i mondi che popolano lo spazio, che
de la mer. Ma le scienze ci fanno sapere che infiniti sono i mondi
che
popolano lo spazio, che il nostro globo, sebbene
nze ci fanno sapere che infiniti sono i mondi che popolano lo spazio,
che
il nostro globo, sebbene considerevole, si agglom
eo e d’Ipernestra. 2. Abadil o Betile. — Così fu denominata la pietra
che
Rea, moglie di Saturno, dette al marito onde la d
. Secondo il mito gli antichi vollero idealizzare in Saturno il Tempo
che
divora tutto, anche i suoi figli. 3. Abans. — Nom
mbe nipoti di Abas re degli Argivi. 6. Abarbarea. — Una delle Najadi,
che
Bucolione, primogenito di Laumedonte sposò, e da
mero — Iliade libro 6° Trad. V. Monti). 7. Abaride. — Era uno scito,
che
per aver cantato il viaggio d’Apollo, fu nominato
inazione, una freccia sulla quale egli traversava l’aria. Si racconta
che
avendo fabbricato un flauto per Minerva, con le o
pidi, egli lo rendesse ai Trojani, i quali credettero alle sue parole
che
confermavano esser quello istrumento disceso dal
trumento disceso dal cielo per opera sua. Si dice esser questo flauto
che
poi fu celebre sotto il nome di Palladio. Ma ques
u celebre sotto il nome di Palladio. Ma questa è una semplice diceria
che
non ha nemmeno la forza di una tradizione. Vi son
i, stanca e trafelata dal lungo cammino, bevè avidamente ad una tazza
che
le fu offerta. Egli derise la Dea, e questa per p
la sua oltracotanza lo cangiò in lucertola. Si crede da molti storici
che
egli fosse anche conosciuto sotto il nome di Alas
ucertola detta Stellia. Enea ebbe un compagno molto a lui affezionato
che
chiamavasi anche Abas, come pure vi fu un Centaur
Vi fu anche un altro Abas, da non confondersi col re degli Argivi, e
che
fu del paro figlio di Linceo e d’Ipernestra, altr
nte la guerra. Abas era finalmente il nome d’uno dei principali greci
che
furono uccisi nella memorabile notte della presa
e dove Osiride aveva un tempio. 11. Abbondanza. — Divinità allegorica
che
si rappresenta sotto le forme di una donna giovan
ti fu scacciato dal cielo da Giove. 12. Abdera. — Città della Tracia,
che
Abdera, sorella di Diomede fece fabbricare. Altri
racia, che Abdera, sorella di Diomede fece fabbricare. Altri vogliono
che
Ercole edificasse questa città in onore del suo a
no che Ercole edificasse questa città in onore del suo amico Abdereo,
che
fu miseramente divorato dai cavalli di Diomede. G
a : ma questa cattiva opinione non va punto d’accordo con la passione
che
gli Abdereniani han sempre dimostrato per la poes
re la loro città a causa d’una quantità prodigiosa di rane e di topi,
che
si moltiplicarono in modo spaventevole nel loro p
o paese, e si ritirarono nella Mandonia. 13. Abdereo. — Giovane greco
che
fu divorato dai cavalli di Diomede, che Ercole av
13. Abdereo. — Giovane greco che fu divorato dai cavalli di Diomede,
che
Ercole aveva affidati alla sua custodia, dopo ave
ne. — Antica divinità dei Galli. È credenza di molti chiari scrittori
che
sia lo stesso che Apollo o il Sole, che i Cretesi
ità dei Galli. È credenza di molti chiari scrittori che sia lo stesso
che
Apollo o il Sole, che i Cretesi chiamavano anche
nza di molti chiari scrittori che sia lo stesso che Apollo o il Sole,
che
i Cretesi chiamavano anche Abelios. 15. Abeone e
e i Cretesi chiamavano anche Abelios. 15. Abeone e Adeone. — Divinità
che
presiedevano ai viaggi. La prima alla partenza, l
à d’Ira alla quale dette il suo nome. Questa città fu una delle sette
che
Agamennone promise ad Achille, onde calmarne l’ir
sette che Agamennone promise ad Achille, onde calmarne l’ira funesta
che
infiniti addusse tutti agit Achei. Sette città.
zia, nelle circostanze della Tracia. Mal si apposero quegli scrittori
che
confusero questi Sciti con gli Ipomolgami. Questi
tre molti altri aveano ad onore la poligamia. 20. Aborigeni. — Popoli
che
Saturno condusse dall’ Egitto in Italia, dove ess
ve essi presero stanza. È credenza generalizzata fra molti scrittori,
che
gli Aborigeni fossero venuti dall’ Arcadia, guida
origeni fossero venuti dall’ Arcadia, guidati da Oenotrus (Onotrio) e
che
appunto perciò Virgilio li denominasse Oenotrii v
è di una profonda incertezza. Non c’è storico o accreditato scrittore
che
possa dare sugli Aborigeni delle nette e precise
cise notizie, o fissare a loro riguardo una data qualunque. Tutto ciò
che
ha riguardo alla vera origine di questi popoli, s
sendo principalmente composta dalle lettere del nome Abraca lo stesso
che
Abracox o Abraxas che si credeva essere il più an
omposta dalle lettere del nome Abraca lo stesso che Abracox o Abraxas
che
si credeva essere il più antico degli Dei, veniva
e essa come una divinità. 22. Abracax o Abraxas. — Divinità singolare
che
alcnni scrittori vogliono sia la Mithia dei Persi
re greco, presa ognuna per la sua cifra, formano in totale il N.° 365
che
è quello dei giorni dell’anno. (V. Abracadabra la
(V. Abracadabra la figura dell’art. precedente). 23. Abrezia. — Ninfa
che
dette il suo nome alla Misia, città in cui Giove
cise e quindi ne lasciò le spoglie palpitanti inciampo al padre !
che
la perseguitava, quando ella cieca d’amore, fuggì
Calpè posta in Ispagna sullo stretto di Gibilterra, erano i due monti
che
formavano le così dette Colonne d’Ercole. Secondo
ventore della lega e del compasso. Dedalo, suo zio, ne fu così geloso
che
lo precipitò dall’alto di una torre. Minerva però
Figlio di Teseo e di Fedra. All’assedio di Troja fu uno dei deputati
che
accompagnarono Diomede onde ridimandare Elena. Du
scirono inutili, Laodice ; figlia di Priamo ebbe da Acamao un figlio,
che
fu allevato, da Ethra ava paterna di Acamao, la q
otto con Elena. Allorchè i Greci si resero padroni di Troja, Acamao, (
che
Virgilio chiama Athamas o Athamao) fu uno di quei
mao, (che Virgilio chiama Athamas o Athamao) fu uno di quei guerrieri
che
vennero rinchiusi nel famoso Cavallo di legno. Al
errieri che vennero rinchiusi nel famoso Cavallo di legno. Al momento
che
ardea più accanita la carneficina, questo princip
a De Natura deorum si è stranamente ingannato facendo dire a Cicerone
che
il quarto sole nacque da un padre chiamato Acanto
erano figli di Alaneone e di Calliope. La loro madre ottenne da Giove
che
essi appena fanciulli di pochi anni, fossero dive
abbandonò ai Centauri, ed alle belve. Ma il famoso Centauro Chirone (
che
fu maestro di Achille) liberò dai mostri questo v
illa. Vi fu anche un’altra Acca Laurentia moglie del pastore Faustolo
che
allevò Romolo e Remo, al quale per questo motivo
i decretarono gli onori divini. 40. Aceleo. — Uno dei figli di Ercole
che
dette il suo nome ad una città di Licya. 41. Acer
Licya. 41. Acersecome. — I Greci davano questo soprannome ad Apollo,
che
i Latini chiamavano con lo stesso significato Irt
e i Latini chiamavano con lo stesso significato Irtonsus, vale a dire
che
non si sapea tagliare i capelli. In effetti quest
Apollo come dio della medicina. Dalla significazione di questa parola
che
libera dalle malaitie si dava anche a Teleforo il
e volevano a viva forza portarlo a bordo del vascello di Acete, allor
che
questi si oppose vivamente, ed obbligò i compagni
de questi versi : Cantami, o diva, del Pelide Achille L’Ira funesta,
che
infiniti addusse Lutti agli Achei ec. (Omero Il C
ello di Bofalos o Poffalvos, entrambi Ciclopi. Essi erano così arditi
che
attaccavan briga ed insultavano tutti coloro che
si erano così arditi che attaccavan briga ed insultavano tutti coloro
che
incontravano per via. Sènnone loro madre, li avvi
a dire l’uomo delle reni nere. Un giorno essi s’abbatterono in Ercole
che
dormiva all’ombra di un albero, e lo insultarono
ume. In questa posizione poco comoda essi sclamarono : Ecco Melampigo
che
noi dovevamo evitare : Ercole ascoltandoli si mis
e li lasciò liberi. 52. Acheo. — Detto per soprannome Calicone greco
che
si rese famoso per la sua stupidità. Si racconta
one greco che si rese famoso per la sua stupidità. Si racconta di lui
che
avendo una volta pieno un vaso di fiori per servi
econdo altri del Sole e della Terra. Avendo amato Dejanira, e sapendo
che
essa doveva sposare un gran conquistatore, combat
a, detto da quel tempo Acheolo. Il vinto allora, per riavere il corno
che
Ercole gli aveva strappato, gli dette in cambio u
eva strappato, gli dette in cambio uno di quelli della capra Amantea,
che
aveva nutrito Giove. Altri scrittori dicono gli a
dicono gli avesse dato il corno dell’ Abbondanza. 54. Acheroc. — Nome
che
Omero dà al pioppo bianco (detto Gattice, vedi Di
a) come consacrato agli Dei infernali, e perchè era generale credenza
che
quest’albero nascesse sulle rive del flume Achero
cielo. Le sue acque divennero fangose ed amare ed è uno di quei fiumi
che
le ombre dei morti passavano senza ritorno. Vi so
cherusa. — Caverna sulle rive del Ponte-Eusino. Era generale credenza
che
essa avesse una sotterranea comunicazione con l’i
unicazione con l’inferno, e gli abitanti delle vicinanze, sostenevano
che
da quella caverna fosse stato tirato il cane Cerb
iera crudele e diversa, Con tre gole caninamente latra Sopra la gente
che
quivi è sommersa, Gli occhi ha vermigli, e la bar
il luogo destinato alla sepoltura dei morti di quella città, per modo
che
bisognava traversare la palude Acherusio per entr
er entrare in Eliopoli. Come gli onori funebri non venivano accordati
che
a quelli che aveano vissuto onoratamente, non era
Eliopoli. Come gli onori funebri non venivano accordati che a quelli
che
aveano vissuto onoratamente, non era permesso al
lli che aveano vissuto onoratamente, non era permesso al battelliero,
che
in lingua Egiziana si chiama Caronte, di ricevere
ome di una penisola presso Eraclea del Ponte : si credeva comunemente
che
da quel sito fosse passato Ercole per discendere
to fosse passato Ercole per discendere all’inferno. Senofonte riporta
che
ai suoi tempi si vedevano ancora le vestigie di t
fiume Stige, per renderlo invulnerabile, ed egli infatto lo fu, meno
che
al tallone sinistro, pel quale la madre sua lo te
. Bambino ancora, Achille fu dato come discepolo al centauro Chirone,
che
lo nudrì di midolla di leoni, di tigri, e di orsi
di tigri, e di orsi. Sua madre avendo saputo dall’indovino Calcante,
che
Achille perirebbe sotto Troja, e che senza di lui
o saputo dall’indovino Calcante, che Achille perirebbe sotto Troja, e
che
senza di lui quella città, non si sarebbe mai pre
, dal procedere del Revillano, si rinchiuse nella sua tenda ; e giurò
che
non avrebbe più combattuto. ……..Il solo Premio v
e giurò che non avrebbe più combattuto. ……..Il solo Premio vi manca
che
mi diè l’Atride, E re villano mel ritolse ei posc
el ritolse ei poscia. Torna adunque all’ ingrato, e gli riporta Tutto
che
dico e a tutti in faccia, ond’anco Negli altri Ac
iusta ira E un avvisato diffidar dell’arti, Di quel franco impudente,
che
pur tale Non ardirebbe di mirarmi in fronte. (Ome
e Pirro suo figlio gl’immolò Polissena. Si racconta ancora di Achille
che
Teti sua madre, gli avesse proposto di vivere lun
lla per la gloria, ovvero, morir giovine ricco della fama di prode, e
che
egli si fosse decisamente attenuto a quest’ultima
Sarà buono osservare a proposito di questo famoso eroe della Grecia,
che
l’opinione della sua invulnerabilità al tallone,
ua invulnerabilità al tallone, non era accettata ai tempi di Omero, e
che
la opinione del Poeta sovrano è assolutamente con
raria a questa credenza. Plutarco nella vita di Alessandro, racconta,
che
essendo stato dimandato a questo re, se avesse vo
Achmenide uno de’ compagni di Ulisse. Egli sfuggì al gigante Polifemo
che
voleva ucciderlo, e fu salvato da Enea che lo acc
sfuggì al gigante Polifemo che voleva ucciderlo, e fu salvato da Enea
che
lo accolse sulle sue navi. 65. Achmeno figlio di
hemone 67. Acidaila. — Soprannome dato a Venere per esser quella Dea
che
cagionava dell’ansie e delle inquietudini. Si pre
li fu dato questo nome da Acisio giovane siculo ucciso da Polifemo, e
che
Nettuno per compiacere Galatea, che lo aveva amat
vane siculo ucciso da Polifemo, e che Nettuno per compiacere Galatea,
che
lo aveva amato, cangiò in fiume. 69. Acisio V. Ac
a questo Dio ricchi sacrifizii per essere liberati da quegl’insetti,
che
col loro moltiplicarsi erano sovente cagione di c
e di un povero pescatore. Egli non viene ricordato nell’antichichità,
che
per la bellissima descrizione che fa Ovidio della
viene ricordato nell’antichichità, che per la bellissima descrizione
che
fa Ovidio della sua povertà estrema. Mio nome è
ipio di tutte le cose. I Greci ereditarono dagli Egizii tale opinione
che
, per questi ultimi, era una conseguenza della fer
e annuali inondazioni del Nilo. Daciò la grande ed antica venerazione
che
gli Egizii ebbero per l’acqua, e che al dire di S
la grande ed antica venerazione che gli Egizii ebbero per l’acqua, e
che
al dire di S. Atanagio anch’egli Egiziano, avea s
arne una delle sue principali divinità. Non minore era la venerazione
che
gli antichi Persiani avevano per l’acqua, i quali
acqua, a cui consacrarono altari e offerirono sacrifizii ; credettero
che
le acque del mare e dei flumi avessero la virtù d
ia Edipo nell’atto V fa dire ad uno dei suoi personaggi queste parole
che
traduciamo alla lettera : « Nè io credo già che
onaggi queste parole che traduciamo alla lettera : « Nè io credo già
che
tutte le acque del Danubio e del Fasi lavar possa
avar possano gli errori della deplorabile casa di Labdaco . Dal culto
che
generalmente i Pagani ebbero per l’acqua, discese
Pagani ebbero per l’acqua, discesero a venerare i fiumi e le fontane
che
furono divinizzate. 81. Acqua lustrale. — Davano
Acqua lustrale. — Davano i Pagani codesto nome all’acqua comune dopo
che
in essa fosse stato spento un tizzone ardente tra
ua lustrale nella quale si lavavano come per purificarsi tutti coloro
che
entravano per pregare. Nelle case ove era un mort
nome di Figalia. Questo soprannome deriva dalla parola greca αϰσατον
che
significa vino puro senza alcuna mescolanza. 85.
scolanza. 85. Acratopote. — Soprannome dato a Bacco : dal significato
che
beve il vino puro e lo resiste. 86. Acrea. — Fu i
rea. — Fu il nome di una delle nutrici di Giunone. La favola racconta
che
fu figliuola del fiume Asterione e del paese Argo
sterione e del paese Argo. In questa parola è compreso il significato
che
codesta balia soggiornava sulle rive di quel fium
il soprannome di Acrea a diverse Dee, e più particolarmente a quelle
che
avevano dei tempî dedicati al loro culto sulle mo
tempî dedicati al loro culto sulle montagne, dalla parola greca αϰρος
che
significa luogo elevato. 87. Acrephius. — Soprann
ad Apollo. 88. Acrise. — Re d’Argo. Avendo consultato l’oracolo seppe
che
uno dei suoi nipoti un giorno l’avrebbe ucciso. P
nchiuse in una torre dî bronzo la sua unica figliuola Danae. Ma Giove
che
n’era innamorato, cangiatosi in pioggia d’oro pen
to, cangiatosi in pioggia d’oro penetrò nella torre. Acrise avvertito
che
Danae era incinta, la fece legare in una piccola
piacero volendo far prova della sua destrezza nel lanciare il disco,
che
egli aveva inventato, il disco ricadde sventurata
l disco ricadde sventuratamente sul capo di Acrise con tanta violenza
che
questi ne morì. 89. Acrisionade. — Soprannome dat
d’una pietra queste parole : Io giuro per Diana di non esser giammai
che
d’ Acroncio . Cedippe, ai piedi della quale egli
a maritarsi, veniva attaccata da una febbre violenta. Credendo allora
che
questa fosse una punizione degli Dei ella sposò A
endo un giorno sorpresa Diana in un bagno, la Dea ne fu così irritata
che
lo cangiò in cervo e lo fece divorare dai suoi ca
a due teste, quattro mani e quattro piedi. Ercole non li potè vincere
che
adoperando l’astuzia. Vi furono diversi altri col
o. 94. Adad, Adargatide o Atergatide. — Divinità degli Afri, si crede
che
Adad sia il sole, e Adargatide la terra. 95. Adam
e. È generalizzata credenza degli scrittori più rinomati della favola
che
sia la stessa Amaltea. Vedi Amaltea. 96. Adarcat
la morte fu col marito deificata. È comune credenza di molti mitologi
che
ella sia la Dergeto dei Babilonesi e la Venere de
oria fu a lui devoluta. Come essi aveano bevuto in proporzione di ciò
che
aveano mangiato, vennero a contese fra loro, si d
veano mangiato, vennero a contese fra loro, si dissero delle ingiurie
che
terminarono con una lotta nella quale Ercole atte
ta prodezza valse ad Ercole il soprannome d’insaziabile di cui sembra
che
gli eroi favolosi si tenessero altamente onorati.
tempio di lei. Intanto gli abitanti di Argo sdegnati di un abbandono
che
nulla giustificava, promisero ad alcuni corsari u
forte somma di danaro onde far rapire la statua di Giunone dal tempio
che
Admeta custodiva, sperando così che i Samii avess
e la statua di Giunone dal tempio che Admeta custodiva, sperando così
che
i Samii avessero fatto vendetta di Admeta. I cors
riuscirono vani, dappoichè il vascello non potè far cammino. Persuasi
che
quella fosse una punizione del cielo, discesero n
a Dea, e, offertole un sacrifizio ritornarono a bordo della loro nave
che
questa volta salpò felicemente. Admeta sul far de
e ritrovò la statua sulia spiaggia del mare. Admeta persuase ai Samii
che
la Dea per punirli voleva abbandonare il loro pae
uaria, a cui gli abitanti dettero il nome di Tenea, volendo ricordare
che
essi avean teso intorno al simulacro di Giunone a
a di Tessaglia di cui Phra era la Capitale. Fu uno dei principi greci
che
si riunirono per dare la caccia al cignale di Cal
rese anche parte alla spedizione degli Argonauti. Fu presso questo re
che
Apollo fu costretto a custodire gli armenti, quan
o invaghitosi di Alceste figlia di Pelio non potè ottenerla in isposa
che
a condizione che avrebbe regalato a Pelio un carr
Alceste figlia di Pelio non potè ottenerla in isposa che a condizione
che
avrebbe regalato a Pelio un carro tirato da un le
ro tirato da un leone e da un cignale. Apollo riconoscente alla bontà
che
Admeto avea avuto per lui, gl’insegnò il modo di
sotto lo stesso giogo le due belve. Apollo ottenne anche dalle Parche
che
quando Admeto sarebbe vicino alla sua ultima ora,
i : quando Alceste lo fece generosamente : Admeto ne fu tanto dolente
che
Proserpina, commossa dalle lagrime di lui, volle
eloso di tal preferenza avventò contro di Adone uno smisurato cignale
che
lo ridusse in brani. Venere allora lo cangiò in a
orazione avevano principio con tutti i contrassegni del lutto. Coloro
che
vi prendevano parte portavano il bruno, e venivan
i un fiume presso la città di Biblo nella Fenicia. La favola racconta
che
Adone lavasse nelle acque di questo fiume le feri
vola racconta che Adone lavasse nelle acque di questo fiume le ferite
che
lo fecero morire, e siccome quelle onde, in una c
’anno, diventavano rossastre a cagione della sabbia del monte Libano,
che
il vento vi faceva cadere, fu ritenuto generalmen
monte Libano, che il vento vi faceva cadere, fu ritenuto generalmente
che
il sangue d’Adone avesse cangiato il colore delle
l sangue d’Adone avesse cangiato il colore delle acque di quel fiume,
che
poi prese il suo nome. 113. Adoneo. — Era questo
a Bacco ed a Plutone. 114. Adonie. — Feste in onore d’Adone. I giorni
che
duravano queste cerimonie si passavano nel lutto
no piangevano per delle ore intere. V. Adone. 115. Adorea. — Divinità
che
si crede essere la stessa che la Vittoria. Si chi
tere. V. Adone. 115. Adorea. — Divinità che si crede essere la stessa
che
la Vittoria. Si chiamava anche Adorea una festa i
orina o Aporrina o Asporena. — Soprannome dato a Cibele, da un tempio
che
ella aveva in Asporena, città dell’Asia minore vi
ittà dell’Asia minore vicino Pergamo. Veniva anche detta Montana, ciò
che
vale lo stesso. 117. Adramech Anamelech. — Idolo
articolare della Sicilia, forse perchè in quell’isola v’era una città
che
portava lo stesso nome, oggi è la città di Adernò
a — Nome della Dea Nemesi. Essa era figlia di Giove e della fatalità,
che
altrimenti chiamasi anche essa Nemesi. Secondo Pl
rco era l’unica furia ministra della vendetta degli Dei. Il suo nome,
che
viene dall’α privativa e da δραω, δαδρασϰω io son
ttevano Adrastea al disopra della Luna. È opinione di molti scrittori
che
presso i Greci, Adrastea non fosse che un soprann
È opinione di molti scrittori che presso i Greci, Adrastea non fosse
che
un soprannome di Nemesi. Adrastea era anche il no
bio, suo avo paterno, per sottrarsi alle persecuzioni dell’usurpatore
che
si era impadronito dei suoi stati. Egli levò cont
si mise egli stesso alla testa di quell’esercito. È questa spedizione
che
viene ricordata nella storia sotto il nome d’Impr
viene ricordata nella storia sotto il nome d’Impresa dei sette prodi
che
assediarono Tebe, sotto le cui mura perirorono qu
la prima, alla quale fu dato il nome di Armata degli Epigoni, secondo
che
narra Pindaro e Euripide. Adrasto era anche il no
arra Pindaro e Euripide. Adrasto era anche il nome di un Re dei Dori,
che
Telemaco uccise a causa della sua perfidia. Adra
inavvertenza uccise Atiso figlio di Creso, e ne fu tanto addolorato,
che
sebbene il padre del morto lo avesse perdonato, e
imorso, si trafisse sulla tomba dell’estinto amico. 124. Adreo. — Dio
che
presiedeva alla maturità delle spiche. 125. Adult
era una delle Arpie figlia di Tauma e di Elettra. 128. Aeree. — Feste
che
gli agricoltori celebravano in onore di Bacco e d
. Aeta. — Re della Colchide. Egli ebbe una figliuola a nome Calciope,
che
dette in moglie ad uno straniero per nome Frisso,
o la tradizione mitologica trae argomento ad un responso dell’oracolo
che
avrebbe detto ad Aeta che uno straniero gli togli
trae argomento ad un responso dell’oracolo che avrebbe detto ad Aeta
che
uno straniero gli toglierebbe il regno e la vita
etto ad Aeta che uno straniero gli toglierebbe il regno e la vita ; e
che
perciò egli avesse adottato il barbaro costume di
to il barbaro costume di far sagrificare agli Dei tutti gli stranieri
che
approdavano nei suoi stati. 130. Aetherea. V. Ath
— Fu uno dei figliuoli di Eolo : sposò una giovanetta per nome Calice
che
lo rese padre di Endimione. In Grecia fu venerato
nerato come un eroe. 132. Aetone. — Uno dei quattro cavalli del sole,
che
al dire di Ovidio, fu principale cagione della ca
elle circostanze un piccolo lago simile ad una cisterna, tutti coloro
che
venivano a consultare l’oracolo Afaciteo, gittava
ano al fondo, se venivan respinte, ritornavano a galla, oro o argento
che
fossero. Nelle cronache mitologiche di Zosimo è d
o o argento che fossero. Nelle cronache mitologiche di Zosimo è detto
che
l’oracolo di Afacita fu consultato dai Palmireni
dai Palmireni quando essi si ribellarono allo imperatore Aureliano e
che
di tutt’i doni da essi gettati nelle acque, nessu
te. 136. Afanio (V. l’art. precedente). 137. Afareo — Padre di Lynceo
che
Ovidio chiama Aphareja proles. 138. Afea. — Denom
quali si credeva presiedessero alla partenza dallo steccato di coloro
che
prendevano parte ai giuochi olimpici. 140. Afeter
n tempio consagrato al loro culto nel recinto da cui partivano coloro
che
si disputavano il premio della corsa. 141. Afetor
lla corsa. 141. Afetore. — Denominazione data ad Apollo dagli oracoli
che
egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote che li rip
ta ad Apollo dagli oracoli che egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote
che
li ripeteva al popolo. 142. Afneo. — Altro sopran
to a Venere onde prender parte a queste feste volendo così dimostrare
che
la Dea era tenuta generalmente come femmina da co
ricevevano da lei regali degni di essa. 149. Afrodite. — Parola greca
che
significa schiuma. Con questo nome veniva denotat
guato nel quale cadde Agamede, e da cui non valse a tirarsi, per modo
che
suo fratello Trofonio non seppe trovare altro sca
e suo fratello Trofonio non seppe trovare altro scampo per se stesso,
che
quello di tagliare la testa al fratello. Qualche
glio di Plistene, e nipote d’Atreo. Egli fu il capo dell’armata Greca
che
dopo 10 anni d’assedio espugnò e distrusse Troja.
(Alfieri — Agamennone Tragedia Atto III) …. A voi degg’io Rammentar
che
dal Greci ebbi il supremo Scettro fino a quel di
egg’io Rammentar che dal Greci ebbi il supremo Scettro fino a quel di
che
vegga sciolte Dal suol Sigeo le vincitrici navi ?
itornare in patria, allorchè Cassandra, figlia di Priamo gli predisse
che
egli sarebbe stato assassinato in Argo, ma Agamen
onidi. — Discendenti di Agamennone. 153. Aganice o Aglaonice. — Donna
che
avendo conosciuta la causa e il tempo degli eccli
ecclissi lunari., ne prese occasione onde farsi credere una maga, ciò
che
fu alla disgraziata causa d’infinite sciagure. 15
tana Aganippe a loro consacrata. 155. Aganippa. — Figlia di un fiume
che
scende dal monte Elicona. Ella fu cangiata in fon
e di Aganipidi. 156. Agapenore. — Figlio di Anceo fu uno dei principi
che
avrebbero voluto sposare Elena. Egli andò per que
sto all’assedio di Troia, e fece forte la flotta greca di 60 vascelli
che
conduceva con se. Dopo la caduta di Troja, una te
ne. — Re degli Elleni, e padre di Polissene. Egli fu uno dei principi
che
si recarono allo assedio di Troja. 158. Agastrofo
recarono allo assedio di Troja. 158. Agastrofo. — Nome di un troiano
che
fu ucciso da Diomede. 159. Agathirno o Agatirno.
athirno o Agatirno. — Figlio di Eolo : dette il suo nome ad una città
che
fece fabbricare in Sicilia. 160. Agathirso. — Fig
o. — Figliuolo di Ercole. Fu padre di un popolo sanguinario e crudele
che
da lui fu detto Agathirsio. 161. Agathodomeni. —
i. I pagani davano questo nome ai dragoni e agli altri serpenti alati
che
essi adoravano come divinità. 162. Agathone. — Un
Armenia. Ancor giovanetta sposò certo Echione da cui ebbe un bambino
che
fu chiamato Penteo. La favola racconta di Agave u
amo. 166. Agdelfo, Agdifio o Agdisto. — Mostro metà uomo e metà donna
che
la favola fa nascere dal commercio di Giove e del
l terrore degli uomini e degli Dei, i quali lo cangiarono in mandorlo
che
produceva un bellissimo frutto. La favola raccont
no in mandorlo che produceva un bellissimo frutto. La favola racconta
che
una figliuola del fiume Sangaro, avendo nascosto
spinto da gelosia, ispirò nell’animo di Ati tale sentimento di furore
che
da stesso si rese eunuco e lo stesso fece il re d
eunuco e lo stesso fece il re di Pessinunte. Colpito Agdisto dal male
che
aveva fatto, ottenne da Giove che anche dopo la m
essinunte. Colpito Agdisto dal male che aveva fatto, ottenne da Giove
che
anche dopo la morte di Ati qualcuna delle sue mem
sue membra non sarebbe andata soggetta alla corruzione. Questa favola
che
è una delle più stravaganti della mitologia pagan
Pietra di una grandezza straordinaria dalla quale è credenza generale
che
Deucalione e Pirra prendessero le altre pietre ch
credenza generale che Deucalione e Pirra prendessero le altre pietre
che
gettarono dietro le loro spalle per ripopolare il
ove innamorato di questa pietra la cangiò in donna e n’ebbe un figlio
che
fu detto Agdelfo. 170. Agelao. Vedi l’articolo se
. Agelaso Agelasto o Agelao. — Figlio di Damastore : fu uno di coloro
che
vollero sposare Penelope durante l’assenza di Uli
di una delle Grazie. 184. Aglao. — Nome del più povero degli Arcadi,
che
Apollo giudicò più felice di Gige perchè viveva c
le era rinchiuso un mostro Diè la cesta a tre vergini in deposto, Ma
che
non la scoprisser loro impose ……………. Ma ben ch’Ag
e pazzamente gelosa di sua sorella Erse, amata da Mercurio. Un giorno
che
questo Dio voleva entrare nelle stanze di Erse, A
empi di Seleuco, Defilo, re di Cipro, abolì l’orribile usanza facendo
che
invece d’una vittima umana fosse sagrificato un b
n compagnia d’un’altra Divinità detta Malachbelo. È generale credenza
che
sotto il nome del primo si adorasse il sole, e so
ad una fontana celebre per favolose meraviglie. 193. Agonali. — Festa
che
i Romani celebravano in onore di Giano, agli 11 g
zione. 194. Agoni. — Si designavano con questo soprannome i sacerdoti
che
colpivano la vittima sulle are della Divinità. 19
vittima sulle are della Divinità. 195. Agoniani. — Con questa parola
che
deriva dal verbo latino Ago, venivano designate q
che deriva dal verbo latino Ago, venivano designate quelle divinità,
che
s’invocavano prima d’intraprendere qualche cosa d
o prima d’intraprendere qualche cosa d’importante. 196. Agonio. — Dio
che
presiedeva alle intraprese. Mercurio era anche ch
197. Agoreo. — Soprannome dato a Giove e Mercurio dai diversi templi
che
essi avevano sulle pubbliche piazze delle varie c
o sulle pubbliche piazze delle varie città, dalla parola greca αγορα,
che
significa piazza. Per la stessa ragione Minerva v
sovente denominata Agorea. 198. Agranie Agranie, e Agrionie. — Feste
che
si celebravano in onore di Bacco. 199. Agrao o Ag
i celebravano in onore di Bacco. 199. Agrao o Agray. — Uno dei Titani
che
dettero la scalata al cielo. 200. Agraulie. — Dag
d’Ulisse e della maga Circe. Agrio è anche il nome di uno dei Titani
che
dettero la scalata al cielo e che morì ucciso dal
o è anche il nome di uno dei Titani che dettero la scalata al cielo e
che
morì ucciso dalle Parche. 207. Agriodo. — Vale a
te designata con questo nome. Vol. I. Vi fu anche un’altra Agriope,
che
fu moglie di Agenore V. Agenore. 210. Agro. — Fig
era. 214. Agyeo. — Soprannome di Apollo derivante da una parola greca
che
significa strada, cammino ; perchè le strade eran
ari prodigi. 215. Agytel. — Sacerdoti di Cibele, o piuttosto indovini
che
dicevano la buona ventura nelle pubbliche strade,
ie d’Anfione, perchè era madre di sei principi, mentre ella non aveva
che
un solo figlio. Spinta dalla sua cieca passione,
cieca passione, ella uccise una notte il suo proprio figliuolo Itilo,
che
l’oscurità le impedi di riconoscere, e ch’ella sc
il suo terribile errore, pianse tanto la morte del suo unico figlio,
che
gli Dei, mossi a compassione della colpevole madr
olirechno. I due conjugi vissero lungamente felici e contenti, fino a
che
, superbi delle dolcezze della loro unione, ardiro
one. Gli Dei allora irritati mandarono loro uno spirito di discordia,
che
fu per essi la sorgente d’infinite sventure. 217.
iche, il quale sposò una donna per nome Ifimedia. La favola racconta,
che
, essendogli sua moglie stata infedele, essa fe’cr
ndogli sua moglie stata infedele, essa fe’credere ad Aloo suo marito,
che
i due figliuoli ai quali dette la luce e che furo
dere ad Aloo suo marito, che i due figliuoli ai quali dette la luce e
che
furono chiamati Aloidi dal nome di lui, fossero i
rsona. 219. Aixa, isola del mare Egeo, seminata di roccie scoscese, e
che
presenta da lunge la figura d’una capra, che i Gr
ta di roccie scoscese, e che presenta da lunge la figura d’una capra,
che
i Greci chiamavano Aix. Aixa era anche il nome di
cordi circa alla storia ed alla discendenza dei medesimi, ed ai fatti
che
vengono loro attribuiti. Noi citeremo in questo a
che vengono loro attribuiti. Noi citeremo in questo articolo i fatti
che
sono menzionati da quelli scrittori che godono pi
mo in questo articolo i fatti che sono menzionati da quelli scrittori
che
godono più credito. Oileo, re dei Locresi, ebbe u
e dei Locresi, ebbe un figlio a nome Ajace. Fu uno dei principi Greci
che
combatterono all’assedio di Troja. Egli era di un
errarsi ad una roccia, ove rivolto al cielo imprecava gli Dei dicendo
che
si sarebbe salvato loro malgrado. L’orribile best
o loro malgrado. L’orribile bestemmia irritò così fortemente Nettuno,
che
con un colpo di tridente spaccò la roccia, sprofo
amone io sono erede, Da cui fu vinto già Laomedonte : Ei d’Eaco usci,
che
giudice risiede Nel formidabil regno di Acheronte
le valore, cessarono dal combattere e si scambiarono dei ricchi doni,
che
per altro furono loro funesti ; poichè il calteo,
oni, che per altro furono loro funesti ; poichè il calteo, o budriere
che
Ajace donò ad Ettore fu lo stesso col quale quest
rente di delira febbre, Sospinsi, avvolsi. Ei dalla strage alfine Poi
che
cessò, bovi ed agnelli insieme, Quanti ancor vivi
llotti). Appena tornato in ragione rivolse contro se stesso la spada
che
gli avea donata Ettore, e si uccise. Il suo sangu
re conosciuto sotto il nome di giacinto. È credenza di molti mitologi
che
perfi ore, di giacinto bisogna sottintendere il p
l piede della lodoletta in cui si crede scorgere le due lettere A. I.
che
formano il principio della parola Ajace, e il suo
ale si esprime il dolore nel ricevere una ferita. Questa osservazione
che
potrebbe forse taluno credere ovvia, è pure neces
ta il corpo umano. E di cader le membra esangui sforza ; E del sangue
che
in copia ivi si sparse. Un fior purpureo in un mo
foglie in un momento aprio. Formarsi ancor nel bel vermiglio Le note
che
v’impresse il biondo Dio : E mostrò il novo fior
ma 364, un uomo del popolo a nome Ceditio, andò a rivelare ai Tribuai
che
, nel traversare di notte la strada nuova, aveva i
uomo, la quale gli aveva imposto di andare ad avvertire i magistrati
che
i Galli si avvicinavano. Come Ceditio era un uomo
agistrati nel non aver voluto prestar fede alla voce notturna, ordinò
che
si fosse inalzato un tempio in onore del Dio Ajo
iò si è chiamato Ajo Locutio. Ma dal momento ch’è divenuto celebre, e
che
gli si è innalzato un altare ed un tempio, egli h
o di tacere, ed è diventato muto ». 224. Alabanda, figlio di Calliroe
che
fu divinizzato. Il suo culto fu celebre in Alaban
la Caria Ala il cavallo e Banda la vittoria. 225. Alahgaba, lo stesso
che
Eliogabalo V. Eliogabalo. 226. Alala soprannome d
bilì il culto di questa Dea in una città, ch’egli edifico in Beozia e
che
da lui prese nome. 230. Alastore uno dei Cavalli
i Neleo, figlio di Nestore ; e quello d’uno dei compagni di Sarpedone
che
fu ucciso da Ulisse all’assedio di Troja, venivan
i schiaccò sotto una grandine di pietre. 234. Albunea, famosa Sibilla
che
rendeva i suoi oracoli in una foresta vicina alla
che rendeva i suoi oracoli in una foresta vicina alla città di Tybur,
che
dal suo nome era anche detta Albunea e che era a
icina alla città di Tybur, che dal suo nome era anche detta Albunea e
che
era a lei consagrata. Questa Sibilla si chiamava
erita come una Dea. 235. Alburneo. — Dio riverito su di una montagna,
che
aveva lo stesso nome nella Lucania. 236. Alcatee
risippo suo fratello, egli si rifugiò in Megara, dove uccise un leone
che
aveva divorato Eurippo, figlio del re di quella c
comunemente il nome di Alcide. Vi fu un altro Alceo figlio di Ercole
che
fu il primo degli Eraclidi, così chiamati dal nom
icolosamente infermo, sua moglie consultò l’oracolo, il quale rispose
che
Admeto morrebbe, se altri non si fosse offerto in
i più crudeli rimorsi e perseguitato dalle Furie, a causa del delitto
che
avea commesso, si rifugiò in Arcadia per sottopor
ua figlia Arfinoe, a cui Alchmeone fece dono di una magnifica collana
che
Polinice aveva regalata alla morta Erifile per sa
per sapere da lei il luogo ove Anfiaroe erasi celato. Vedendo intanto
che
le prime espiazioni alle quali egli erasi sottopo
dre di Calliroe, la quale in seguito egli sposò dimenticando i legami
che
lo stringevano ad Arfinoe, e spingendo l’audacia
one. Allora Calliroe avendo saputo il fatto supplicò Giove, e ottenne
che
i suoi due figli Acarnasso ed Anfotero, ancora ba
un momento uomini maturi per vendicare la morte del loro padre : ciò
che
essi fecero uccidendo non solo Temeno e Axione, m
oe, e consacrarono la fatale collana ad Apollo. Properzio dice invece
che
Arfinoe stessa per vendicare suo marito uccidesse
l’avo Alceo. Minerva era anche soprannominata Alcea dalla parola Alce
che
significa forza. Vi erano delle divinità alle qua
to ed i figli, ma poi divenne così furiosamente gelosa del suo amante
che
disperata si precipitò nel mare. 246. Alcinoo. —
bellezza dei giardini da lui coltivati, o piuttosto per le meraviglie
che
ne racconta Omero, narrando il naufragio che Ulis
ttosto per le meraviglie che ne racconta Omero, narrando il naufragio
che
Ulisse fece sulle rive di quell’isola, ove Alcino
ve si contavano le più luride canzoni, di cui la più celebre è quella
che
Fennio cantò alla presenza di Ulisse, sull’adulte
e. 247. Alcio. — Una delle divinità dei Germani. Si crede comunemente
che
sotto questo nome fossero venerati Castore e Poll
nette di una rara bellezza furono così dolenti per la morte del padre
che
si precipitano nel mare, dove vennero cangiate ne
Deucalione. Amò con tanta passione il suo sposo Ceix, re di Traflina,
che
morì di dolore quand’egli naufragò. È generale op
orì di dolore quand’egli naufragò. È generale opinione fra i Mitologi
che
ella si precipitasse nel mare disperata della mor
ella si precipitasse nel mare disperata della morte di suo marito, e
che
gli Dei mossi a compassione cangiarono essa e lo
essa e lo sposo in quell’uccello conosciuto sotto il nome di Alcione,
che
presso gli antichi era simbolo dell’amor coniugal
rì scrittori dell’antichità fra cui Ovidio riportano il fatto in modo
che
ha qualche analogia con le tradizioni della favol
ato a Teti fu chiamato anche Alcione. 249. Alcioneo. — Famoso gigante
che
soccorse gli Dei in una disputa che questi ebbero
. 249. Alcioneo. — Famoso gigante che soccorse gli Dei in una disputa
che
questi ebbero contro Giove. Minerva lo gettò fuor
i di Nettuno. 251. Alcippe. — Figlia di Marte, fu rapita da Allyrotio
che
Marte uccise per vendicare l’oltraggio. Per quest
ettrione re di Micene e di Lisidicia. Ella sposò Anfitrione col patto
che
vendicherebbe la morte di suo fratello, che i Tel
posò Anfitrione col patto che vendicherebbe la morte di suo fratello,
che
i Telebani avevano ucciso. Mentre che Anfitrione
rebbe la morte di suo fratello, che i Telebani avevano ucciso. Mentre
che
Anfitrione era al campo, Giove innamorato d’Alcme
sia il parto crudelmente doloroso, e cercò di far morire il fanciullo
che
dovea nascere, sapendo che Giove avea promesso un
loroso, e cercò di far morire il fanciullo che dovea nascere, sapendo
che
Giove avea promesso uno splendido destino del neo
re, sapendo che Giove avea promesso uno splendido destino del neonato
che
sarebbe stato Ercole. Giunone che avea giurato di
o uno splendido destino del neonato che sarebbe stato Ercole. Giunone
che
avea giurato di perseguitare della sua gelosa ven
sua gelosa vendetta i frutti dell’adultero amore di suo marito, fece
che
Alcmena incinta di due gemelli, partorisse prima
ece che Alcmena incinta di due gemelli, partorisse prima il fanciullo
che
fu chiamato Euristeo, e poi l’altro che fu detto
partorisse prima il fanciullo che fu chiamato Euristeo, e poi l’altro
che
fu detto Ercole, per fare che il primo avesse avu
che fu chiamato Euristeo, e poi l’altro che fu detto Ercole, per fare
che
il primo avesse avuto predominio ed impero sul se
lcmena dopo la morte di suo marito Anfitrione sposò Radamento. Ed io
che
avea nel sen si raro pegno. Con immenso dolor pre
entre ampio e ripieno Che Giove era l’autor di tanto seno ……………. Quel
che
verrà nel tal tempo alla luce Sarà dell’alma Grec
fernali dette anche Eumenidi. 258. Alectore. — Fu uno dei capi Argivi
che
assediarono Tebe. 259. Ale-Deo. — Dio alato, sopr
cui fu imposto un tal nome. 262. Alemanno eroe degli antichi Germani
che
essi deificarono ed adorarono. 263. Alemona Dea t
o. — Re d’Arcadia. Si rese celebre pel considerevole numero di templi
che
fece fabbricare. 266. Aleppo V. Alope. 267. Aleso
leppo V. Alope. 267. Aleso. — Uno dei figliuoli d’Agamennone. Temendo
che
Egisto e Clitennestra, dopo aver dato morte al pa
n Italia ove fabbricò la città di Falischi. 268. Alessandra la stessa
che
Cassandra, indovina che fu figlia di Priamo re di
città di Falischi. 268. Alessandra la stessa che Cassandra, indovina
che
fu figlia di Priamo re di Troia. 269. Alessandro
ia di Priamo re di Troia. 269. Alessandro figlio di Priamo. I pastori
che
l’allevarono lo chiamarono Paride V. Paride. Vi f
gone detta anche Aleti. 272. Aetryomanzia. — Formola di uno scongiuro
che
si faceva per mezzo di un gallo. 273. Aletrione.
ia. — Città nella Celtica edificata da Ercole. 277. Alexiroe. — Ninfa
che
fu una delle mogli di Priamo. 278. Alfeo. — Famo
na. V. Acetusa. 279. Alfesibea o Arfinoe. — La stessa figlia di Fegeo
che
sposò Alchmeone ricevendone in dono la fatale col
80. Alfiassa. — Diana viene conosciuta sotto questo nome da un tempio
che
essa aveva sulle rive del fiume Alfeo. 281. Alfit
rive del fiume Alfeo. 281. Alfitomansia. — Dalla parola greca αγφιτον
che
significa farina, davasi questo nome ad una divin
— Era una delle cinquanta Nereidi. Il suo nome le viene dall’elemento
che
essa abitava poichè in greco la parola αλς signif
cerimonie. L’etimologia di questa parola Aliee viene dal greco αλιος
che
significa sole. 285. Alilat. — Una delle divinità
o. 288. Aliterio. — V. l’articolo precedente. 289. Alixotoe. — Ninfa
che
fu madre d’Esaco. Il re Priamo da cui ella ebbe q
0. Allegrezza. — Dal latino hilaritas. Non v’è tradizione particolare
che
faccia menzione avere i Romani deificata l’allegr
ei figliuoli di Nettuno. La tradizione mitologica ci racconta di lui,
che
per vendicare suo padre, il quale in una contesa
stato vinto da quella Dea, avesse tagliato tutti gli alberi di ulivo
che
crescevano nelle circostanze di Atene, onde recar
però sdegnata contro il colpevole gli fece cader dalle mani la scure
che
lo ferì così sconciamente che Allirozio rimase uc
vole gli fece cader dalle mani la scure che lo ferì così sconciamente
che
Allirozio rimase ucciso. Le opinioni degli scritt
di Roma. Fu padre della ninfa Lara. 295. Almopo. — Fu uno dei giganti
che
dettero la scalata al cielo. 296. Aloe V. Aine. 2
Oto ed Efialto. Aloeo li allevò come suoi proprii figliuoli. Vedendo
che
ogni mese essi crescevano di nove pollici, e non
ia. 298. Aloidi. — Nome di due fra i più formidabili e famosi giganti
che
imponendo montagne sopra montagne dettero la scal
di ferro, da cui andò poi Mercurio a liberarlo. Diana allora, vedendo
che
perfino la forza celeste era impotente contro sì
llegoria della favola mitologica si rinchiude la verità più palpabile
che
sotto qualunque altro simbolo della favola. Infat
gioniero è tenuto schiavo per tredici mesi, potrebbe non essere altro
che
un famoso generale, che mosso contro i corsari fo
o per tredici mesi, potrebbe non essere altro che un famoso generale,
che
mosso contro i corsari fosse stato da essi debell
stato da essi debellato e fatto prigione. Mercurio dio del commercio
che
libera Marte altro non raffigura che un abile tra
ione. Mercurio dio del commercio che libera Marte altro non raffigura
che
un abile trafficante, il quale tratta coi vincito
iscia altro non è se non la configurazione allegorica della discordia
che
armò la mano dei due invincibili e li spinse a di
i due invincibili e li spinse a distruggersi fra loro. Omero racconta
che
prima che gli Aloidi avessero raggiunto l’età del
ncibili e li spinse a distruggersi fra loro. Omero racconta che prima
che
gli Aloidi avessero raggiunto l’età della prima g
, Apollo li avesse precipitati all’inferno. Gli Aloidi furono i primi
che
sul monte Licone sagrificarono alle nove muse e c
301. Alpheja. — Soprannome di Aretusa. V. Alfeo. 302. Alrune. — Nome
che
i Germani davano ai loro Dei Penati. 303. Altea.
la dea per vendicarsi di quest’oltraggio gli spinse contro un cignale
che
devastò le terre di Calidone. Gli altri principi
una giovanetta, involarono ad Atalanta il corpo della belva. Meleageo
che
amava Atalanta non seppe frenare il suo sdegno, e
a cui le Parche avevano legato i destini di questo principe. A misura
che
il tizzo bruciava, Meleagro si consumava visibilm
sura che il tizzo bruciava, Meleagro si consumava visibilmente fino a
che
morì, e Altea si uccise per disperazione. 304. Al
le a dire nutrice. Soprannome dato a Cererc come Dea dell’Agricoltura
che
fecondando la terra nutrisce gli uomini. 307. Aly
riade. — Fu moglie e sorella di Ossilo. Ateneo, nelle sue opere, dice
che
essa fu madre di otto figliuole note comunemente
di ninfe Amadriadi. Ognuna di esse però aveva il suo nome particolare
che
comunemente era quello di un albero. 310. Amadria
di alcuni alberi coi quali esse nascevano e morivano. L’arcano legame
che
le univa in particolar modo alla quercia fa loro
ei, nè giammai porta O mano o ferro a quelle plante oltraggio. Poscia
che
l’ora destinata è sorta. In che debbe lor vita ve
rro a quelle plante oltraggio. Poscia che l’ora destinata è sorta. In
che
debbe lor vita venir meno. L’arbore, ch’era verde
i Queste ninfe testimoniarono sovente la loro riconoscenza a coloro
che
aveano risparmiato le piante nelle quali esse abi
ano ; come facevano sentire il peso della loro vendetta a que’crudeli
che
avessero respinte le loro suppliche, e a malgrado
l’albero abitato da un’amadriade. Così, al dire d’Ovidio, l’amadriade
che
abitava il tronco di un’antica quercia, la quale
della pianta, e seguitò ad abbatteria non curando la vista del sangue
che
ai primi colpi spruzzò dal tronco della quercia.
ano con la pianta in cui avevano vissuto. 311. Amaltea. — Fu la capra
che
nutri del suo latte Giove, il quale in segno di r
scenza la trasportò nel cielo, e dette una delle sue corna alle ninfe
che
avean curata la sue infanzia, con la virtù di pro
rno dell’abbondanza. È opinione generalizzata presso varii scrittori,
che
Amaltea fosse una giovanetta figlia di Melisso, r
ori, che Amaltea fosse una giovanetta figlia di Melisso, re di Creta,
che
avesse preso cura di Giove, facendolo nutrire con
13. Amano o Amanio. — Divinità dei Persiani. È credenza generalizzata
che
fosse il sole. 314. Amaraco. — Fu questo il nome
lmente il re, e la sua famiglia. Avendo un giorno rotto un recipiente
che
conteneva un profumo preziosissimo, ne fu così ad
ipiente che conteneva un profumo preziosissimo, ne fu così addolorato
che
ne morì. Ma gli Dei mossi a compassione lo cangia
tino, fu madre di Lavinia. Ella si strangolò per disperazione vedendo
che
non avea potuto impedire le nozze di sua figlia c
e ad Adone. 321. Amatus. — Fu figlio d’Ercole e fondatore della città
che
dal suo nome fu detto Amatunta. 322. Amazonto. —
endevano alla guerra e abitavano senza uomini. Furono dette Amazzoni,
che
vuol dire senza una mammella, perchè bruciavano a
nel trar d’arco alcun fisico impedimento. Esse non ricevevano uomini
che
una volta l’anno ; lasciavano morire i loro figli
ed educavano con gran cura le femmine. Uccidevano tutti gli stranieri
che
approdavano sulle loro sponde, percui canta l’Ari
a riva Tutta letteau le femmine omieide. Di cui l’antigua legge ognua
che
arriva In perpetuo lien servo o che l’uccide. Ar
ide. Di cui l’antigua legge ognua che arriva In perpetuo lien servo o
che
l’uccide. Artosto — Orl. Fur. 1..XIX. Finalmen
Orl. Fur. 1..XIX. Finalmente le Amazzoni furono distrutte da Ercole
che
fece prigioniera la loro regina. Al dire di Cesar
fizio in onore di Cerere. Il popolo seguiva in processione le vittime
che
si doveano sacrificare, facendo il giro delle bia
icare, facendo il giro delle biade prima della mietitura. I sacerdoti
che
presiedevano a questi sacrifizi, erano al numero
aveano innalzati dei templi a cui sagrificavano con maggior frequenza
che
alle are degli altri numi. Dipingevano questa Div
l nutrimento degli Dei, ed è opinione sufficientemente generalizzata,
che
gommasse da una delle corna della capra Amaltea ;
tea ; mentre dall’altra stillasse il Nettare, ossia la bevanda divina
che
dava l’immortalità a tutti coloro che ne bevevano
ettare, ossia la bevanda divina che dava l’immortalità a tutti coloro
che
ne bevevano. Virgilio, nell’Eneide dice che alla
mmortalità a tutti coloro che ne bevevano. Virgilio, nell’Eneide dice
che
alla fragranza dell’Ambrosia, si riconoscevano le
Virg. — Entide Lib. 1. — trad. di A. Caro. Omero nell’Iliade, ripete
che
il corpo di Ettore, trascinato da Achille per ben
rea, gli allontanava E il cadavere ungea d’una celeste Rosata essenza
che
impedia del corpo Strascinato l’offesa. Omero. —
esa. Omero. — Iliade Lib. XXIII. — trad. di V. Monti. Il certo si è
che
la favola non poteva inventare cosa più divinamen
ce del miele : mangiando del miele si prova la nona parte del piacere
che
si proverebbe mangiando dell’ambrosia ». Finalmen
re di Bacco. 327. Ambuibio. — Nome dato ad alcune pubbliche preghiere
che
si facevano in forma di processione, in qualche d
29. Amburbale Vedi Ambarvale. 330. Amente. — La stessa significazione
che
i Greci davano alla parola Ades, cioè luogo sotte
erra, dove tutte le anime dovevano raccogliersi. Gli Egiziani, popolo
che
ritiene tuttavia in gran parte la metempsicosi co
te la metempsicosi come un fatto positivo ed indiscutibile, credevano
che
quella voragine a cui davano il nome di Amente, a
cui davano il nome di Amente, accogliesse tutte le anime dei morti, e
che
di là dopo qualche tempo andassero ad abitar nuov
della notte e dell’Erebo. Le opinioni degli scrittori così prosatori
che
poeti, sono su tale proposito altrettanto numeros
Lilio Geraldi parlando dell’Amicizia deificata dai Romani, ci ripete
che
essi la rappresentavano come una bella e giovane
le seguenti parole : Da lunge e du vicino — Tutto ciò altro non era
che
la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non
u vicino — Tutto ciò altro non era che la raffigurazione del simbolo
che
l’amicizia non invecchia mai, che rimane salda, u
a che la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non invecchia mai,
che
rimane salda, uniforme e costante in tutt’i tempi
ante in tutt’i tempi, da vicino e da lontano ; in vita ed in morte, e
che
tutto si sagrifica a questo santissimo affetto. 3
he un’altra città di questo nome, di cui la tradizione favolosa narra
che
gli abitanti furono distrutti da una spaventevole
più ricco e famoso tempio di tutto il Peloponneso. Pausania asserisce
che
Amicleo era anche il nome di un dio particolare d
ia, ove avea tempii ed altari. 336. Amico. — Uno dei compagni di Enea
che
fu ucciso da Turno re dei Rutoli. …………… Amico, u
trad. di A. Caru. Vi fu un altro conoscinto sotto il nome di Amico,
che
fu figlio di Nettuno e di Bisinide. Visse vita da
pponesi. 338. Amisodar. — Re della Licia. La tradizione favolosa dice
che
egli fu marito d’una donna a nome Chimera, la qua
quali erano strettamente uniti con la loro sorella. Da ciò la favola
che
dà al mostro detto chimera il volto di donna, il
tuno, il quale la liberò dal satiro, ma le fece egli stesso l’insulto
che
il satiro volea farle. 341. Ammone o Hammon. — È
nsulto che il satiro volea farle. 341. Ammone o Hammon. — È lo stesso
che
Giove, il quale veniva sotto questo nome particol
ebe, capitale dell’alto Egitto. I cronisti più accreditati raccontano
che
Bacco, smarrito in un deserto, e vicino a morire
cenza e rendimento di grazie, fece innalzare in quel luogo un tempio,
che
fu detto Ammone cioè Arenario, per essere colloca
ra di un montone. Ammone fu similmente il nome di un figlio di Cinira
che
sposò Mirra e ne ebbe un figliuolo per nome Adone
no discordi nella ripetizione di questo fatto. Il solo fra i mitologi
che
ripete la cosa all’istesso modo è Furnuto. Questa
ia. Cinira addormentato in una sconcia positura, e deriso dalla nuora
che
egli poi maledice e discaccia dal tetto paterno,
n fatto indiscutibile, in appoggio del quale vengono infiniti esempi,
che
tutte le religioni hanno simboli ed allegorie pro
lerne al sommo Giove Tasso. Aminto. Secondo Aristofane quell’amore
che
ebbe principio col caos fu l’amore benefico, e da
one vennero gli uomini e gli animali. Non esisteva alcuna Deità prima
che
Amore avesse unite fra loro le cose, e non fu che
alcuna Deità prima che Amore avesse unite fra loro le cose, e non fu
che
da questa comunanza fatta da lui, che furono gene
nite fra loro le cose, e non fu che da questa comunanza fatta da lui,
che
furono generati i cieli, gli dei immortali e la t
ei Bebrici. Vi fu anche uno dei più famosi centauri compagno di Enea,
che
ebbe questo nome ; ed un fratello d’Ippolita, reg
ebbe questo nome ; ed un fratello d’Ippolita, regina delle Amazzoni,
che
fu uccisa da Ercole. 357. Amynta. — Nome di pasto
Amintore. 359. Amyone. — Una delle cinquanta Danaldi, sposò Encelado
che
ella uccise la prima notte delle nozze, per ubbid
olendo tirare con una freccia su di una biscia, ferì invece un satiro
che
la violò, malgrado che ella avesse implorato Nett
reccia su di una biscia, ferì invece un satiro che la violò, malgrado
che
ella avesse implorato Nettuno, il quale qualche t
i Dioscuri i quali venivano anche detti Anaci dalla parola greca Λναξ
che
significa protettore. 361. Anachiso. — Uno dei qu
Anaclesa. — Era il nome di una pietra sulla quale credevano i Greci,
che
si fosse riposata Cerere, dopo la lunga corsa ch’
bocca nel porto di Siracusa. 369. Anassagora. — Filosofo della Grecia
che
negava l’esistenza degli Dei. Luciano, nelle oper
recia che negava l’esistenza degli Dei. Luciano, nelle opere racconta
che
avendo Giove scagliato il fulmine contro Anassago
per punirlo della sua miscredenza, Pericle lo avesse salvato facendo
che
la folgore cadesse invece sul tempio di Castore e
acendo che la folgore cadesse invece sul tempio di Castore e Polluce,
che
fu ridotto in cenere. 370. Anatole. — Nome di una
i di Priamo. 373. Anax. — Figlio del Cielo e della Terra. Il suo nome
che
significa padrone, signore, veniva, secondo asser
secondo asseriscono Plutarco e Cicerone, ritenuto come sacro per modo
che
non si dava che ai semidei, agli eroi od ai re in
ono Plutarco e Cicerone, ritenuto come sacro per modo che non si dava
che
ai semidei, agli eroi od ai re in atto di grande
agli eroi od ai re in atto di grande onoranza. 374. Anaxabia. — Ninfa
che
disparvé nel tempio di Diana dove si era rifuggit
si alle persecuzioni di Apollo. 375. Anaxandra. — Nome di una eroina,
che
fu poi adorata in Laconia come una Dea. 376. Anax
ali l’amò passionatamente e non potendo resistere alla cieca passione
che
essa gli avea ispirato, ardi svelarle l’amor suo,
e tutto il suo corpo si coprì di mortale pallidezza. Di qua la favola
che
Venere sdegnata della crudeltà di Anaxarete, l’av
ve. 380. Anaxo. — Figlio di Augeo. Alcuni scrittori mitologici dicono
che
fosse la stessa che fu madre di Alcmena ; ma ques
glio di Augeo. Alcuni scrittori mitologici dicono che fosse la stessa
che
fu madre di Alcmena ; ma questa è un’assai dubbia
to, dal quale dedurre positivamente tale notizia. 381. Ancarla. — Dea
che
veniva invocata nell’escursione dei nemicl. 382.
ei nemicl. 382. Ancarlo. — vedi Anchialo. 383. Anceo. — Re d’Arcadia,
che
fece parte della spedizione degli Argonauti. Un g
se la predizione e per provare col fatto la falsità di quella, ordinò
che
gli fosse incontanente portata una coppa piena di
va la tazza alle labbra, gli fu annunciato da uno dei suoi ufficiali,
che
il cignale di Calidone devastava la sua vigna. An
a la tazza e il labbro. 384. Anchialo o Ancario. — I Pagani credevano
che
così fosse nominato il dio dei Giudei. Vi fu anch
se nominato il dio dei Giudei. Vi fu anche un greco, figlio di Menteo
che
avea questo nome. 385. Anchisladi. — Furono così
saraco e di una ninfa. Egli fondò Troia, e dai suoi amori con Venere,
che
si era perdutamente innamorata di lui, ebbe un fi
Venere, che si era perdutamente innamorata di lui, ebbe un figliuolo
che
fu poi il famoso Enea. Avendo osato vantarsi di t
Egli visse lunghissimi anni, e alla presa di Troia era così vecchio,
che
non potendo camminare fu da suo figlio Enea porta
Acconciamente ; ch’io robusto e forte Sono a tal peso ; e sia poscia
che
vuole. …………….. …… e tu con le tue mani Sosterrai,
fatto perfettamente simile a quello di Curzio Romano. Narra Plutarco,
che
essendosi in Celene, città della Frigia, spalanca
88. Ancile. — Veniva così chiamato un piccolo scudo di forma rotonda,
che
Numa Pompilio disse esser caduto dal cielo, e dip
e dalla conservazione di esso il destino di Roma. Tito Livio racconta
che
Numa temendo non venisse involato un oggetto così
o il nome di Salii. Quando si portavano i dodici ancilii in una festa
che
durava tre giorni al principio del mese di marzo,
i servi e delle serve. Venivano così denominate dalla pardla Anculari
che
significa servire. Per la stessa ragione si dava
to soprannome veniva adorata Venere marina, di cui la favola racconta
che
uscì dal mare, nascendo dalla spuma delle onde. A
e uscì dal mare, nascendo dalla spuma delle onde. Andiomena significa
che
esce dal mare. 392. Andirina. — Soprannome della
Vedi Andate. 394. Andremone. — Padre di Toaso, fu uno dei capi Greci
che
assediarono Troia. Vi fu anche un altro Andremone
dei capi Greci che assediarono Troia. Vi fu anche un altro Andremone
che
fu genero di Oeneo. 395. Androclea. — Una delle f
e fu genero di Oeneo. 395. Androclea. — Una delle figlie di Antipono,
che
si sagrificarono per la salute di Tebe. L’oracolo
he si sagrificarono per la salute di Tebe. L’oracolo avea sentenziato
che
la città non sarebbe mai libera dai suoi nemici,
nemici, se non si fosse trovato fra le più illustri famiglie, taluno
che
avesse voluto immolarsi al bene comune. A tale ri
Antipono si tolsero spontaneamente la vita. 396. Androfona. — Parola
che
significa omicida. La tradizione favolosa raccont
fona. — Parola che significa omicida. La tradizione favolosa racconta
che
tal soprannome era dato a Venere per aver fatto m
ando in Atene alla festa delle Panatee, ne riportò tutt’i premii, ciò
che
gli valse la stima generale e l’amicizia di Palla
erale e l’amicizia di Pallante, fratello del re Egeo. Questi, temendo
che
Androgeo, forte di tutte le simpatie che si era g
del re Egeo. Questi, temendo che Androgeo, forte di tutte le simpatie
che
si era guadagnate, non avesse voluto detronizzarl
divorati dal mostro Minotauro. 399. Androgini. — Popoli dell’Africa,
che
al dire di Plinio erano ermafroditi. Questa crede
e moglie di Ettore, il più famoso eroe Troiano da cui ebbe un figlio
che
fu detto Astianatte. Dopo la presa di Troia, ella
uolo di Priamo. Ella amò così teneramente il suo primo marito Ettore,
che
parlava continuamente di lui, e non potendo dimen
ede : V’accorre, in fretta, e subito la scioglie. E poi con l’onestà,
che
si richiede, Saluta allegro la salvata moglie. (O
ad. di Dell’Anguillara). 402. Androso o Andruso. — Figlio d’Eurimaco
che
dette il suo nome all’isola d’Andros. Uno dei fig
rato da Minos, il quale negava a lui d’esser figlio di Nettuno, disse
che
avrebbe accettata qualunque prova fosse piaciuta
gli la verità. Allora Minos gettò nel mare un anello, dicendo a Teseo
che
se era veramente figlio del mare, non doveva aver
o di precipizii e di foreste. Ne esalava un così pestilenziale vapore
che
credevasi assai comunemente esser quello uno spir
i piedi inabissandolo coi suoi cavalli. Plinio ed Ovidio, riferiscono
che
i poeti dell’antichità confondono Anfiareo con Al
Anfiareo con Alcmeone suo figlio. 409. Anfidamo. — Figlio di Busiride
che
fu ucciso da Ercole. 410. Anfidione. — Figlio di
nfidione il quale fu figlio di Eleno e fondatore del famoso tribunale
che
dal nome di suo padre fu detto Helenus, i cui dec
un dio. 412. Anfimaco. Fu questo il nome di due famosi capitani Greci
che
assediarono Troia. 413. Anfimedone. — Figlio di M
ni Greci che assediarono Troia. 413. Anfimedone. — Figlio di Melanto,
che
fu ucciso da Telemaco. Fu uno di coloro che volev
one. — Figlio di Melanto, che fu ucciso da Telemaco. Fu uno di coloro
che
volevano sposare Penelope. La favola fa anche men
415. Anfinomea. — Fu madre di Giasone, capo degli Argonauti. Credendo
che
il figlio fosse morto nella spedizione per la con
lo uccise. …… da tergo Tra le spalle il feri con la pungente Lancia,
che
fuor gli riusci dal petto. Quell’infelice rimbomb
della sua lira fabbricò le mura di quella città. — La favola racconta
che
le pietre, sensibili alla dolcissima melodia, si
fratello, si attribuiva dagli antichi l’invenzione della musica. So
che
Anfione agli nomini salvatici Colla lira insegnò
Anfione era anche il nome d’uno degli Argonauti, ed un re d’Orcomeno,
che
fu padre di Cloro. 418. Anfioro. — Una delle ninf
o i destini di questo principe Fu durante il periodo di questa guerra
che
Giove prendendo le sembianze di Anfitrione ingann
che mitologiche, concordano nella gran maggioranza, sulla probabilità
che
dette vita a questa favola, dal vedere i primi ef
a cui fu d’uopo dare un dio per padre. Seneca nelle sue opere ricorda
che
Ercole rispose ad un tale che gli addebitava di n
r padre. Seneca nelle sue opere ricorda che Ercole rispose ad un tale
che
gli addebitava di non essere figlio di Giove, que
mpo gli armenti del re Admeto. Fu del paro sulle rive di questo fiume
che
egli uccise il satiro Marfiaso e che amò Evadnea,
paro sulle rive di questo fiume che egli uccise il satiro Marfiaso e
che
amò Evadnea, Licoride e Hacinta la quale egli poi
. 426. Angelio. — Figliuola di Giove e di Giunone. La favola racconta
che
essendo molto amica di Europa, rebò alla madre Gi
che essendo molto amica di Europa, rebò alla madre Giunone la biacca
che
ella adoperava dopo il bagno e de fece presente E
e, somigliava a quella dei serpenti. Ovidio dà questo nome ai giganti
che
vollero detronizzar Giove. 431. Anguitia o Angiti
Angitia. — V. Anguitia. 433. Anieno. — Dio del fiume Anio. Lo stesso
che
oggi chiamasi Teverone. 434. Anigero. — Fiume del
i Teverone. 434. Anigero. — Fiume della Tessaglia. La favola racconta
che
fu nelle sue acque che i centauri, sconfitti da E
o. — Fiume della Tessaglia. La favola racconta che fu nelle sue acque
che
i centauri, sconfitti da Ercole, andarono a lavar
qualità naturale. 436. Anima. — I Greci chiamavano Psiche la farfalla
che
è il simbolo dell’anima. Presso quel popolo, la c
niva raffigurato come un fanciullo in atto di tormentare una farfalla
che
ha nelle mani, esprimendo così il tormento dell’a
37. Animali. — Divinità così chiamate perchè erano le anime di coloro
che
dopo la morte venivano deificati. Gli antichi li
ette le quali avevano ricevuto da Bacco il dono di cangiare tutto ciò
che
toccavano una in vino, l’altra in biada e la terz
le costringere le tre figlie di Anio a seguirlo alla guerra, contando
che
col loro aiuto, l’armata dei Greci non avrebbe ma
nel fiume Numicio ove fu cangiata in ninfa. 441. Anna Perenna. — Dea
che
presiedeva all’anno e alla quale durante il mese
corde è l’opinione dei mitologi su questa divinità : gli uni vogliono
che
sia la stessa che la luna ; altri asseriscono ess
dei mitologi su questa divinità : gli uni vogliono che sia la stessa
che
la luna ; altri asseriscono essere Temi ; altri f
o, la quale viene anche scambiata di sovente con una delle Atlantidi,
che
nudrirono Giove. La credenza più generalizzata è
delle Atlantidi, che nudrirono Giove. La credenza più generalizzata è
che
ella fosse una ninfa del fiume Numicio, forse la
ompleta analogia. 443. Annemotisa. — Soprannome di Pallade, significa
che
calma i venti. 444. Annona. — Dea dell’abbondanza
dell’abbondanza e delle provvigioni da bocca. 445. Anoaretha. — Ninfa
che
fu una delle mogli di Saturno, che la rese madre
da bocca. 445. Anoaretha. — Ninfa che fu una delle mogli di Saturno,
che
la rese madre di Ieodo. 446. Anogone. — Figlio di
446. Anogone. — Figlio di Castore e d’Ilaria. 447. Anosia. — Vocabolo
che
significa senza pietà. Venere veniva cosi denomin
e senza barba, veniva onorato con questo nome. Altri scrittori dicono
che
questo nome di Assur fosse dato a Giove, da una c
453. Antelio o Anthelio. — Uno degli dei di Atene. Vi erano dei genii
che
si veneravano sotto la denominazione di Antelii d
ipalmente si addebita la taccia di traditore, designandolo come colui
che
avesse nascosto nella sua casa Ulisse, guerriero
come colui che avesse nascosto nella sua casa Ulisse, guerriero greco
che
assediava Troia. Dopo la caduta di questa città,
lla Mauritania, dove massacrava tutt’i viandanti per compiere un voto
che
avea fatto a Nettuno, di erigergli un tempio di c
lo strangolò. 458. Antero. — Veniva venerato sutto questo nome un dio
che
si adorava come l’opposto di Cupido. Lo si credev
opposto di Cupido. Lo si credeva figlio di Venere e di Marte. Vedendo
che
Cupido col passare degli anni non diventava mai a
ventava mai adulto, ne chiese la ragione a Temi, la quale gli rispose
che
ciò avveniva perchè quegli non aveva un compagno
un compagno di infanzia ; e convinta ella stessa di tale ragione fece
che
Antero e Cupido vivessero insieme : dopo qualche
meri. Antero deriva da αντ contro e ερως amore. 459. Antevorta. — Dea
che
presiedeva alla commemorazione delle cose passate
in cui ella aveva un tempio assai celebre. 464. Anthio. — Da Anthius
che
vuol dire fiorente. Era questo uno dei soprannomi
— Era questo il nome di un pozzo, presso il quale la favola racconta
che
Cerere, sotto la figura di una vecchia, si fosse
di Evandro — Egli era nativo di Argo. 468. Antia. — Sorella di Priamo
che
i Greci fecero prigioniera quando s’impadronirono
9. Anticlea — Figlia di Diocleo e madre di Ulisse. La favola racconta
che
al momento in cui Laerte stava per impalmaria, Si
in cui Laerte stava per impalmaria, Sisifo figlio di Eolo la violò, e
che
quindi egli e non Laerte fosse il vero padre di U
l golfo di Corinto celebrata dai poeti per l’abbondanza dell’elleboro
che
vi cresceva in modo maraviglioso. 471. Anti-Dei.
che vi cresceva in modo maraviglioso. 471. Anti-Dei. — Genii malefici
che
ingannavano gli uomini per mezzo delle più seduce
suo dolore Immenso ? Qual compagna nel piangere ? qual figlia Altra,
che
Antigon’ebbe ? Ella è d’ Edippo Prole. di tu ? ma
tra Antigone figlia di Laomedone. Avendo un giorno detto ad alta voce
che
essa era assai più bella di Giunone, la dea sdegn
ucciso da Mennone figlio dell’ Aurora. 476. Antinoo. — Uno di coloro
che
volevano sposare Penelope. Ulisse, marito di ques
noo, giovane di maravigliosa bellezza. L’imperatore lo ebbe così caro
che
dopo la sua morte lo fece annoverare fra gli dei.
itante della Sabina per nome Antron orace, aveva una vacca bellissima
che
formava tutta la sua ricchezza. Un indovino predi
ma che formava tutta la sua ricchezza. Un indovino predisse a Corace,
che
colui il quale avesse sul monte Aventino sagrific
ccordo col pontefice, fecero sapere a Corace, onde trarlo in inganno,
che
prima di consumare il sacrifizio avesse dovuto la
bbe così tutto l’onore del sacrifizio. 481. Anubi. — Re degli Egizii
che
lo adoravano sotto la forma di un cane. Discorde
iù rinomati scrittori mitologici su tale personaggio. Alcuni vogliono
che
fosse figlio di Osiride ; altri di Mercurio ; alt
no che fosse figlio di Osiride ; altri di Mercurio ; altri finalmente
che
fosse Mercurio stesso. 482. Anxuro. — Anxuyro e A
nte che fosse Mercurio stesso. 482. Anxuro. — Anxuyro e Axuro, parole
che
significano senza barba ; qualificazione sotto la
le quali, secondo la tradizione, si movevano e rispondevano a coloro
che
si recavano a consultarle. 485. Aone. — Figlio di
uno. Essendo stato obbligato di fuggire dalla sua patria, per ragioni
che
la favola non ripete, egli si stabili su di una m
a favola non ripete, egli si stabili su di una montagna della Beozia,
che
da lui prese il suo nome. Coll’andare del tempo t
ativa e dal verbo αραω io vedo. Presso i pagani era generale credenza
che
allorquando gli Dei discendevano sulla terra non
nea, suo figlio, in sembianza di cacciatrice, l’erce non la riconosce
che
quando essa nel partire gli volge le spalle. ……
ura movea, divina luce E divino spirar d’ambrosia odore ; E la veste,
che
dianzi era succinta, Con tanta maestà le si diste
he dianzi era succinta, Con tanta maestà le si distese Infino a’ piè,
che
a l’andar anco, e Dea. Veracemente e Venere mostr
in quella Che si partiva, e me l’avvisa il core Che di battaglia più
che
mai bramoso Mi ferve in petto si che mani e piedi
isa il core Che di battaglia più che mai bramoso Mi ferve in petto si
che
mani e piedi Brillar mi sento del disio la pugna
i lettori su quanto dicemmo nello Studio preliminare sulla mitologia,
che
precede questo risiretto. Il senso rinchiuso nell
ale gli Dei si palesavano talvolta agli uomini, è uno di quei simboli
che
nello studio preliminare di sopra accennato, noi
o studio preliminare di sopra accennato, noi abbiam detto essere, più
che
proprii del paganesimo, fusi in esso da simboli e
tre religioni. Infatti, nelle sacre pagine della Bibbia, noi troviamo
che
quando Iddio si rivela a Mosè gli dice : Tu mi ve
agli Ateniesi, e Xanto, re di quelli, dichiarò a Timete re di Atene,
che
ad evitare spargimento di sangue voleva avesse ac
ora gli Ateniesi proclamarono re un loro concittadino a nome Melanto,
che
accettò la sfida del re dei Beozii. Melanto trion
tto l’istituzione delle feste dette Apatuarie dalla parole greca απαη
che
significa inganno. Il periodo delle feste Apatuar
fizio agli Dei ; nel terzo si classificavano tutte le giovani persone
che
dalla propria tribù venivano ad Atene per essere
e rispettivo di ognuna di esse, non avesse proclamato con giuramento,
che
il novello ascritto era suo figlio. Sino al compi
l nome di Apatuarie a queste feste, forse dalla parola greca απατορες
che
significa senza padre. Senofonte dà un’origine di
. — Soprannome di Giove a lui dato dalla montagna Apefae nella Nemea,
che
gli era consacrata. 491. Api. V. Apis. 492. Apis.
ndosi impadronito dell’ Egitto, governò quel popolo con tale dolcezza
che
fu ritenuto come nn Dio. Veniva adorato sotto la
uando i sacerdoti consacrati al culto del dio Api, scoprivano un toro
che
aveva se non tutti, almeno buon numero dei requis
trito da alcune donne a cui solo era permesso di avvicinare il dio, e
che
lo accostavano sempre quasi nude e con atti sconc
e ; in una delle quali rimaneva sempre rinchiuso non facendolo uscire
che
molto di rado, lasciandolo allora per poche ore i
e dignitari del regno, e preceduto da un numeroso coro di fanciulle,
che
cantavano inni in sua lode. Ma l’occasione in cui
casione in cui si addimostrava più palesemente il culto superstizioso
che
gli Egizii avevano per il dio Apis, era quando il
perstizioso che gli Egizii avevano per il dio Apis, era quando il bue
che
lo rappresentava doveva morire, essendo la sua vi
libri sacri dell’antico Egitto. Giunto il fine del periodo degli anni
che
il bue dovea vivere, i sacerdoti consacrati al su
erdoti consacrati al suo culto in gran pompa e con tutte le cerimonie
che
la superstizione imponeva, lo guidavano sulle riv
tenevano come segno di favorevole risposta quando il bue mangiava ciò
che
essi gli presentavano, prima d’interrogare il suo
o, prima d’interrogare il suo oracolo. Nelle opere di Plinio troviamo
che
il bue Apis, non volle mangiare le offerte del pr
il bue Apis, non volle mangiare le offerte del principe Germanico, e
che
questi morì pochi giorni dopo. Finalmente coloro
ipe Germanico, e che questi morì pochi giorni dopo. Finalmente coloro
che
si recavano a consultarlo, avvicinavano le orecch
amente otturate, fino all’uscita del tempio, e quivi nella prima cosa
che
veniva lor fatta di udire trovavano la risposta d
e rive del fiume Ippocreno, ove pasceva il cavallo Pegaso, o Pegaseo,
che
gli serviva di montura. Giove avendo fulminato Es
Pegaseo, che gli serviva di montura. Giove avendo fulminato Esculapio
che
aveva risuscitato Ippolito, Apollo uccise i Ciclo
ato Esculapio che aveva risuscitato Ippolito, Apollo uccise i Ciclopi
che
avevano fabqricato i fulmini al padre degli Dei,
o di Deucalione si furono ritirate, Apollo uccise il serpente Pitone,
che
nato dal fango che esse aveano lasciato, devastav
furono ritirate, Apollo uccise il serpente Pitone, che nato dal fango
che
esse aveano lasciato, devastava le circostanti ca
coli. Il famoso tempio di Delfo, il più ricco e rinomato fra tutti, e
che
era una delle sette maraviglie del mondo, era con
olivo erano consacrati al Apollo, perchè fra i mortali uomini e donne
che
ebbero contatto con lui, molti furono cangiati in
oggiorna il freddo inverno, A la materna Delo il biondo Apollo, Allor
che
festeggiando accolti o misti Infra gii altari i D
lonie. — Feste in onore di Apollo. 497. Apomio. — Soprannome di Giove
che
gli veniva dal potere a lui attribuito sulle mosc
le acque Appie in Roma. 505. Aquila. — La tradizione mitologica narra
che
avendo un’aquila portato a Giove l’ambrosia duran
nte e i capelli lunghissimi e bianchi. 507. Arabo. — Figlio di Apollo
che
alcuni scrittori riguardano come inventore della
ricamato una ricchissima tela. La Dea accettò la disfida, ma vedendo
che
il lavoro della sua rivale, sarebbe riuscito migl
del suo, sdegnatasi ruppe il telaio. Aracne fu così afflitta di ciò,
che
per disperazione appiccossi, e Minerva la cangiò
e si vedea lo te Già mezza ragna, trista in su gli stracci Dell’opera
che
mal per te si fè. Dante. — Purg. C. XII. ……
Feste in onore di Arabo, il quale, secondo Plutarco, fu un eroe greco
che
dopo la morte venne annoverato fra gli Dei per le
rcade. — Figlio di Giove e di Calisto. Dette il suo nome all’ Arcadia
che
è la contrada più rinomata di tutta la Grecia per
vi era venerato con culto particolare, perchè generalmente si credeva
che
egli non abbandonasse mai il recinto di quella ci
la poesia ed alla musica. 516. Arcesilao. — Uno dei capi della Beozia
che
assediarono Troia. 517. Arcesio. — Figlio di Giov
rcesio. — Figlio di Giove e padre di Laerte. 518. Archegete. — Parola
che
significa principe. E soprannome dato ad Apollo e
di prezzemolo, mentre essa si recò a mostrare una fontana ai principi
che
traversavano quella città, per recarsi all’assedi
o di Tebe. Il piccolo Archemore morì della morsicatura di un serpente
che
trovandolo assopito fra l’erba ne succhiò il sang
e. L’archigallo vestiva come una donna, con una tonaca ed un mantello
che
gli scendevano sino ai piedi : portava il capo co
dei versi contro il padre della sua amata, così satiricamente mordaci
che
Licambo si appiccò per disperazione. Qualche temp
azione. Qualche tempo dopo Archiloco fu ucciso. Si credè generalmente
che
l’oracolo di Delfo avesse altamente biasimati gli
Delfo avesse altamente biasimati gli uccisori del poeta per la stima
che
tutti facevano del suo genio. Egli nacque nell’is
flauto. 527. Ardea. — Città del Lazio edificata da Danao. Ovidio dice
che
essa fu consumata dalle flamme e cangiata in quel
fu consumata dalle flamme e cangiata in quell’uccello chiamato Airone
che
in latino si dice Ardea. 528. Ardenna. — Sopranno
rone che in latino si dice Ardea. 528. Ardenna. — Soprannome di Diana
che
le veniva da una foresta delle Gallie chiamata an
e le veniva da una foresta delle Gallie chiamata anche oggi Ardenna e
che
era a lei consacrata. 529. Areo. — I poeti dell’a
go. — Famoso tribunale d’Atene. Questa parola deriva dalla voce Ares,
che
era un soprannome di Marte, perchè la favola racc
voce Ares, che era un soprannome di Marte, perchè la favola racconta
che
fu appunto in quel luogo, che Marte essendo stato
ome di Marte, perchè la favola racconta che fu appunto in quel luogo,
che
Marte essendo stato citato in giudizio innanzi a
o di cui era accusato. Vedi Allirozio. È opinione di alcuni scrittori
che
la prima sentenza dell’ Areopago, fosse contro Ce
lmente è credenza assai generalizzata fra gli scrittori della favola,
che
l’ Areopago sorgesse nel posto ove era il campo d
an bevitore di vino. Ateneo, nelle sue cronache mitologiche, rapporta
che
nella città di Munichia si dava questo nome ad un
città di Munichia si dava questo nome ad un eroe. 532. Areso. — Nome
che
i Greci davano a Marte perchè in quella lingua si
Proci. 535. Aretusa. — Figlia di Nereo e di Dori e compagna di Diana,
che
questa Dea cangiò in fontana allorchè Alfeo la pe
è vede Che più lunge il mio piè stampa non forma, Ed io fra la fatica
che
mi diede Il formar si veloce in terra l’orma ; E
ica che mi diede Il formar si veloce in terra l’orma ; E fra il timor
che
mi tormenta e fiede, Veggio che in umor freddo si
loce in terra l’orma ; E fra il timor che mi tormenta e fiede, Veggio
che
in umor freddo si trasforma La carne, il sangue e
arne, il sangue e l’ossa e l’auree chiome, E non mi resta salvo altro
che
il nome. Come son le mie membra in acqua sparse C
membra in acqua sparse Conosce l’onde amate il caldo Dio ; E la forma
che
avea quando m’apparse Dell’uom pensa cangiar nel
uillara. Vi fu un’altra Aretusa, fontana posta nell’isola d’Ortigia,
che
chiudeva il palagio degli antichi re di Siracusa.
, che chiudeva il palagio degli antichi re di Siracusa. Cicerone dice
che
se questa fontana non fosse circondata da una tri
lutti del mare. Molti altri scrittori e Plinio fra questi, ritenevano
che
il fiume Alfeo nell’ Arcadia, seguendo il suo cor
ottomarino venisse a spuntare sulle rive della Sicilia, ed asserivano
che
tutto ciò che si gettava nell’ Alfeo si ritrovava
isse a spuntare sulle rive della Sicilia, ed asserivano che tutto ciò
che
si gettava nell’ Alfeo si ritrovava dopo qualche
uille onde della fontana Aretusa. Ad avvalorare questa falsa credenza
che
Strabono combatte e nega nelle sue opere ; lo ste
Strabono combatte e nega nelle sue opere ; lo stesso Plinio racconta
che
le acque dell’ Aretusa esalavano un odore di leta
etame nel tempo in cui in Grecia si celebravano i giuochi olimpici, e
che
ciò avveniva appunto perchè il fiume Alfeo, trave
preparate per la celebrazione di quei giuochi. 536. Areuso. — Parola
che
significa guerriero. Era il soprannome dato a Gio
ea. 538. Arga. — Vedi Argea. 539. Argantona. — Moglie di un guerriero
che
fu ucciso all’assedio di Troia. Essa nel ricevere
e di Giunone e sorella di Ebe e di Vulcano. Fu il frutto degli amori
che
Giove ebbe con la propria moglie Giunone, quando
e ebbe con la propria moglie Giunone, quando per averne gli amplessi,
che
ella gli negava mossa da gelosia, si trasformò in
mossa da gelosia, si trasformò in cuculo. 541. Argea o Arga. — Ninfa
che
il sole cangiò in biscia. Era anche così chiamata
amata una delle figliuole di Giove. La tradizione mitologica racconta
che
il nome di Argea veniva similmente dato ad una fe
delle rive di quel fiume, annegavano in esso tutt’i viaggiatori greci
che
cadevano in loro mano ; ma che poi Ercole persuad
avano in esso tutt’i viaggiatori greci che cadevano in loro mano ; ma
che
poi Ercole persuadesse loro di smettere la barbar
e ad un’altra origine la istituzione della festa Argea. Esso racconta
che
Evandro d’ Arcadia, nemico degli Argiani, in comm
. 542. Argel. — Venivano così detti alcuni luoghi della città di Roma
che
Numa Pompilio avea consacrati ai Numi. Argei eran
mi. Argei erano del paro dette alcune figure di uomo fatte di giunchi
che
le Vestali gettavano nel Tevere alla celebrazione
Figlio di Pelopo. Ve ne fu anche un altro seguace ed amico di Ercole
che
egli ebbe carissimo. 545. Argesio. — Fu il nome d
per rendergli gli ultimi onori, questo irritò siffattamente Creonte,
che
, cieco di furore, le uccise tutt’e due. Argia fu
nome. 547. Argianna o Argolica. — Soprannome di Giunone, da un tempio
che
ella aveva nella città di Argo. 548. Argifonte. —
rannome dato a Mercurio come uccisore di Argo. 549. Argilete. — Allor
che
Evandro si stabili in Italia, vi fu cortesemente
à fece fare i funerali allo scellerato, e gli fece elevare una tomba,
che
da lui fu detta Argilete. 550. Arginide. — Il re
imase alla Dea degli amori. 551. Arginno. — Nome di un giovane greco,
che
si annegò bagnandosi. Narra Properzio che il Re A
— Nome di un giovane greco, che si annegò bagnandosi. Narra Properzio
che
il Re Agamennone, che lo aveva assai caro, fece f
reco, che si annegò bagnandosi. Narra Properzio che il Re Agamennone,
che
lo aveva assai caro, fece fabbricare un tempio in
eva cara. Essendo Argira vicino a morire, Seleno ne fu così afflitto,
che
fu prossimo anch’egli a perdere la vita pel gran
iume ebbero la virtù di dare l’obblio delle passioni d’amore a coloro
che
vi si bagnavano o che ne bevevano. 554. Argiva. —
i dare l’obblio delle passioni d’amore a coloro che vi si bagnavano o
che
ne bevevano. 554. Argiva. — Soprannome di Giunone
ano o che ne bevevano. 554. Argiva. — Soprannome di Giunone dal culto
che
ella aveva nella città di Arga. 555. Argo. — Navi
pi greci, mosse alla conquista del vello d’oro. Si crede generalmente
che
fosse questo il primo vascello che avesse solcato
vello d’oro. Si crede generalmente che fosse questo il primo vascello
che
avesse solcato le onde. Questo nome gli viene dal
che avesse solcato le onde. Questo nome gli viene dal suo costruttore
che
lo inventò e lo costruì con gli alberi della fore
e lo inventò e lo costruì con gli alberi della foresta di Dodona, ciò
che
gli faceva anche attribuire la favolosa virtù di
anta chiusi dal sonno. Giunone gli aflidò la custodia della ninfa lo,
che
Giove avea cangiata in giovenca. Ma Mercurio col
rgo fu famoso architetto figlio di Polibio ; generalmente è lo stesso
che
inventò il naviglio che prese il suo nome. Finalm
figlio di Polibio ; generalmente è lo stesso che inventò il naviglio
che
prese il suo nome. Finalmente la tradizione mitol
zione mitologica fa menzione di un Argo, figlio di Giove, e di Niobe,
che
fu re della contrada chiamata col suo nome, ed il
di Niobe, che fu re della contrada chiamata col suo nome, ed il primo
che
coltivò le terre della Grecia. 556. Argolea. — So
edi Argianna. 558. Argonauti. — Furono così detti quei principi greci
che
sotto il comando di Giasone andarono alla conquis
Eraclidi discendenti di Ercole. 560. Argoreo. — Dal latino Argoreus,
che
significa Dio della mercatura, fu dato questo sop
dovea combattere il Minotauro, nel famoso laberinto di quella città,
che
gli dette un gomitolo di filo per mezzo del quale
nte la sua disgrazia, si fece sacerdotessa di Bacco il quale, secondo
che
narrano Properzio ed Ovidio, la tolse in moglie e
i spinge E di lume maggior sè stessa informa ; E giunta presso a quel
che
’l serpe stringe ; Ogni sua gemma in foco si tras
pessa del regio sangue di Atene. 567. Arieina. — Soprannome di Diana
che
le veniva dal culto con cui era venerata nelle fo
bele. 569. Arimane. — Dio adorato dai Persiani. Si crede generalmente
che
come Plutone fosse il dio delle Tenebre. 570. Ari
i Axinomanzia. 571. Ario. — Fu il nome di uno dei più famosi centauri
che
combatterono i Lapidi. 572. Arione. — Celebre mus
ora Arione d’un salto si gettò in mare e fu salvato da quegli animali
che
sul loro dorso lo portarono a terra. Arione fu os
n. (Virgilio. — Ecl. V. — r. 56.) Arione fu pure il nome del cavallo
che
Nettuno fece sorgere dalla terra con un colpo del
omini. 573. Aristene. — Secondo Pausania così eb be nome quel pastore
che
trovò Esculapio fanciullo allorchè la madre Coron
oni di lui, fu morsicata da un serpente e morì nell’istesso giorno in
che
dovea diventar moglie d’ Orfeo. Le ninfe allora s
di Aristeo consigliò il fi gliuolo di consultare Proteo da cui seppe
che
avrebbe dovuto placare l’ombra di Euridice facend
il consiglio di Proteo e dalle viscere delle vittime, narra la favola
che
uscisse una quantità di Api. Ricorda Virgilio che
me, narra la favola che uscisse una quantità di Api. Ricorda Virgilio
che
Aristeo dopo la sua morte fu messo nel numero deg
ei soprannomi di Diana. 576. Aristone. — Nome di un citaredo Ateniese
che
vinse sei volte nei giuochi Pitii secondo, raccon
denominazione i Lacedemoni adoravano Venere in memoria della vittoria
che
le loro donne avevano riportata sopra i Messeni.
ro donne avevano riportata sopra i Messeni. 579. Armifera Dea. — Cioè
che
porta le armi. Era così detta Minerva perchè la f
è che porta le armi. Era così detta Minerva perchè la favola racconta
che
uscisse armata dal cervello di Giove. 580. Armilu
Dei, per la prosperità delle armi Romane. Durante la cerimonia coloro
che
vi prendevano parte, giravano armati intorno alla
aro. Il simbolo racchiuso sotto l’allegoria mitologica è l’attrazione
che
questo uccello ha per l’argento. 585. Arno. — Fu
cciso nella città di Naupata, da un nipote di Ercole per nome Ippote,
che
lo avea creduto una spia dei nemici. Appena morto
lo, il quale facea per tal modo espiare la morte del suo indovino ; e
che
il flagello non sarebbe cessato se non quando si
n potendo dopo la sua terribile vendetta sopportare l’infame passione
che
avea ispirato a suo padre, supplicò giorno e nott
ssione che avea ispirato a suo padre, supplicò giorno e notte gli Dei
che
l’avessero tolta dal mondo, e i numi mossi a comp
limeneo allora non potendo sopravvivere alla perdita della sola donna
che
avesse amata, si tolse di propria mano la vita. A
chi a viver vita da masnadiere. I cronisti della mitologia raccontano
che
essa era così veloce al corso che nessuno potè ra
cronisti della mitologia raccontano che essa era così veloce al corso
che
nessuno potè raggiungerla mai se pure montato su
terrore delle campagne circostanti fu presa ed uccisa. Virgilio canta
che
Venere presentossi ad Enea suo figlio in sembianz
o come veniva rappresentata la celebre Arpalice inforcando un cavallo
che
correva più rapido delle onde dell’ Ebro. In mez
Virg. Eneide L. 1 trad. A.. Caro. Finalmente vi fu un’altra Arpalice
che
mori di dolore nel vedersi disprezzata da Ifielo,
’altra Arpalice che mori di dolore nel vedersi disprezzata da Ifielo,
che
fu uno degli argonauti da lei passionatamente ama
e vivessero in frotta ce lo asserisce Virgilio ripetendo nell’ Eneide
che
esse si avventarono sulle navi Troiane e divoraro
’ Alighieri ci ripete una bellissima descrizione delle Arpie, dicendo
che
esse predissero ai Troiani il triste fato della l
tenuto come figliuolo d’ Osiride e d’ Iside e Dio del silenzio, ond’è
che
la sua statua viene rappresentata con un dito all
ritrovava sulla soglia di tutt’i tempii pagani, volendo cosi indicare
che
col silenzio si doveano primamente onorare gli De
sico era l’albero a lui sacro e vi sono non poche statue di Arpocrate
che
hanno un ramo di persico fra le mani. Plutarco ci
co fra le mani. Plutarco ci dà una logica spiegazione di ciò, dicendo
che
le foglie del persico hanno la figura d’una lingu
con ciò dimostrare l’allegoria racchiusa sotto il simbolo mitologico
che
, cioè, deve esservi tra il cuore e la lingua una
ipe. — Fu una delle ninfe seguaci di Diana, di cui la favola racconta
che
avendo un giorno incontrato in una foresta Imolo
a, questi restasse talmente preso dalla straordinaria bellezza di lei
che
la inseguì per lungo tempo e non la raggiunse che
ria bellezza di lei che la inseguì per lungo tempo e non la raggiunse
che
nel tempio stesso di Diana, ov’ella si rifuggì sp
ravvivere a così vergognoso oltraggio e si uccise. La favola racconta
che
Diana non lasciò impunita la morte della sua bell
che Diana non lasciò impunita la morte della sua bellissima ninfa, e
che
a vendicarla facesse trasportare in aria da un to
Arsace. — Re dei Parti, Ammiano Marcellino narra, nelle sue cronache,
che
dopo la sua morte fosse annoverato fra gli astri.
ta assistette alla cerimonia funebre con una gelida indifferenza, del
che
sdegnata Venere la cangiò in pietra. Arsinoe fu a
ficare quel monumento in pietre di calamita onde le statue d’Arsinoe,
che
erano in ferro dorato, rimanessero sospese in ari
e erano in ferro dorato, rimanessero sospese in aria. Plinio racconta
che
lo splendido disegno di Dinocrete, rimase incompi
lendido disegno di Dinocrete, rimase incompiuto per la morte di lui e
che
solo la facciata del tempio fosse fabbricata con
Arte. — Gli antichi ne avevano fatta una divinità. Ariano ci rapporta
che
i Gadarii avevano lo stesso culto per le arti e p
. — Una delle più strane tradizioni della mitologia Egiziana racconta
che
Arteride fosse figlia d’Iside e di Osiride, e che
a Egiziana racconta che Arteride fosse figlia d’Iside e di Osiride, e
che
il suo concepimento avvenisse in modo affatto par
’istesso momento si erano di già maritati nell’utero materno per modo
che
Iside nascendo era già gravida d’ Arteride. 598.
dalla quale fu ucciso. 601. Aruspici. — Venivano così chiamati coloro
che
dall’esame delle viscere delle vittime immolate n
vano l’avvenire. 602. Arvali. — Si dava cotesto nome a quei sacerdoti
che
facevano i sacrifizi detti Ambarvali. Questi sace
favola lo fa essere figlio del fiume Acheronte, e della notte. Fu lui
che
dichiarò aver Proserpina mangiato sette acini di
Proserpina mangiato sette acini di una melograna nell’ Inferno ; ciò
che
fu causa che Proserpina non potette essere restit
angiato sette acini di una melograna nell’ Inferno ; ciò che fu causa
che
Proserpina non potette essere restituita a sua ma
cercarla nei regni della morte, poichè Giove avea promesso a Cerere,
che
avrebbe avuto la figlia a condizione di non aver
no. Cerere fu così indegnata contro Ascalafo, per la sua rivelazione,
che
gli gettò sul volto dell’acqua del fiume Flegeton
l volto dell’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo, uccello
che
poi Minerva prese sotto la sua protezione perchè
ua protezione perchè Ascalafo l’avvertisse col suo grido di tutto ciò
che
avveniva la notte. Fece del molle labbro un duro
iva la notte. Fece del molle labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel
che
viva della caccia : Fa che fra gli altri augei ra
le labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel che viva della caccia : Fa
che
fra gli altri augei rassembra mostro La grande, a
ad. Dell’ Anguillara. Vi fu anche un altro Ascalafo, figlio di Marte
che
fu uno dei più rinomati guerrieri Greci, che asse
scalafo, figlio di Marte che fu uno dei più rinomati guerrieri Greci,
che
assediarono Troia. 604. Ascalapo. — Uno dei capit
Greci, che assediarono Troia. 604. Ascalapo. — Uno dei capitani Greci
che
assediarono Troia, nativo d’ Orcomene nella Beozi
eno, ambo di Marte Egregia prole ……. …… Eran di questi Trenta le navi
che
schierarsi al lido. Omero Iliade — Libro II trad
de. — È questo il nome di un Greco assai versato in medicina. Secondo
che
riferisce Apuleio nel IV libro dei suoi Fiori, e
scoperta di medicare col vino. Salvator Rosa nelle satire dice : So
che
Asclepiade con un suo trombone I sordi medicava.
. La Musica sat. 1. 607. Asclepiadi. — Così erano dette alcune feste
che
in tutta la Grecia venivano celebrate in onore di
ecco gonfiata e unta d’olio. La parola Ascolie deriva dal Greco ασϰος
che
significa un otro. 611. Ascra. — Città fabbricata
eo al poeta Esiodo, perchè nativo di quella città. La favola racconta
che
il poeta fosse stato rapito dalle muse mentre cus
armento sul monte Elicona. Si dicevano invasi da furore Ascreo coloro
che
improvvisavano dei versi. Che da furor Ascreo sp
zza. 614. Asfalione. — Detto anche Asfalio, cioè tutelare, soprannome
che
veniva dato a Nettuno. 615. Asia. — Ninfa figlia
Priapo, il luogo suo, Se gli asini a te sol son dedicati, Bisogna dir
che
il mondo d’oggi è tuo. Salvator. Rosa. La musica
che analogia con la voce dell’asino. 618. Asio. — Soprannome di Giove
che
gli veniva da una città di questo nome nell’isola
nella città di Acaia, egualmente detto Asopo da un figlio di Nettuno
che
aveva l’istesso nome. 620. Asporina. — V. Adporin
a l’istesso nome. 620. Asporina. — V. Adporina. 621. Assabino. — Nome
che
gli Etiopi davano e Giove. 622. Assaraco. — Figli
a giovinetta a nome Europa figlia del re di Fenicia. Di qui la favola
che
Giove trasformato in toro rapisse Europa. 628. As
a cui la favola attribuisce due figliuole a nome Porcinna ed Arcona,
che
furono tra le nutrici di Giunone. Nelle acque di
0. Asterope. — Una delle Pleiadi. 631. Asteropeo. — Giovane guerriero
che
essendo venuto in soccorso dei Troiani fu ucciso
fianco allora Trasse Achille la spada, e furibondo Assalse Asteropèo
che
invan dall’alta Sponda si studia di sferrar d’ Ac
Omero — Iliade Libro XXI, trad. di V.Monti. 632. Astiale. — Troiano
che
fu ucciso da Neaptolemo. 633. Astianasse. — Ancel
tidamia. — Una delle mogli di Ercole. 636. Astilo. — Uno dei centauri
che
consigliò ai suoi compagni a non intraprendere la
liuole di Ettore la quale non potendo opporre resistenza al dio Marte
che
ne era innamorato, fu da lui resa madre di un fig
dio Marte che ne era innamorato, fu da lui resa madre di un figliuolo
che
sotto il nome di Ialmeno si distinse poi all’asse
spugnò la città di Efina in Elide fu da lui amata e ne ebbe un figlio
che
fu poi noto sotto il nome Tlepolemo. Finalmente l
il nome Tlepolemo. Finalmente la favola ricorda di un’altra Astioche
che
fu una delle figliuole di Niobe. V. Niobe. 639. A
Dio dei venti, il quale dopo del padre regnò nelle isole Lipari, nome
che
egli in memoria del padre cangiò in quello di iso
o il nome proprio della bella figliuola del sacerdote di Apollo Crise
che
dal padre viene comunemente conosciuta sotto il n
paleo dato ad Apollo. 643. Astirea. — Soprannome di Minerva dal culto
che
le si rendeva in Astira città della Fenicia. 644.
Greca οτομα bocca Plinio dà questo nome ad alcuni popoli delle Indie
che
non avevano bocca. La verità di questa credenza è
oli delle Indie che non avevano bocca. La verità di questa credenza è
che
presso quei popoli era ritenuta come cosa vergogn
quei popoli era ritenuta come cosa vergognosa il mostrare la bocca, e
che
perciò essi la coprivano accuratamente. 646. Astr
inosa dimora, ed ella andò a collocarsi in quella parte dello Zodiaco
che
si chiama la costellazione della Vergine. 647. As
i i figli di Astreo e di Eribea. La favola li dipinge come dei Titani
che
avessero voluto dare la scalata al cielo, ma posc
, e alcuni presero le parti di Giove contro i propri fratelli. Quelli
che
persisterono nell’empio disegno furono tutti fulm
649. Astreo. — Uno di Titani padre degli Astri e dei venti ; Vedendo
che
i suoi fratelli avean dichiarato la guerra a Giov
reditati fanno Eolo loro padre e re. 650. Astri. — I Pagani credevano
che
gli Astri fossero animati ed immortali ; che aves
ri. — I Pagani credevano che gli Astri fossero animati ed immortali ;
che
avessero influenza benefica o malefica sopra gli
con particolare vocabolo chiamato Sabeismo vedi lo Studio preliminare
che
precede questo ristretto. 651. Astrabaco. — Eroe
eliminare che precede questo ristretto. 651. Astrabaco. — Eroe Greco,
che
si rese celebre nel Peloponneso. Dopo la sua mort
trimonio da molti giovani principi, ma suo padre non volle concederla
che
a colui che avesse vinto il premio della corsa. I
molti giovani principi, ma suo padre non volle concederla che a colui
che
avesse vinto il premio della corsa. Ippomene ebbe
consiglio della dea di gettare cioè lungo il cammino dei pomi di oro
che
Atalante si fermò a raccogliere invece di seguita
insieme in un tempio dedicato a Cibele, essi accecati dalla passione
che
li dominava, dimenticarono il luogo dov’erano e i
o, Melicerte e Learco. 658. Atamaso. — Figlio di Eulo e padre di Elle
che
egli ebbe da Nefila sua prima moglie. sposò in se
liastri a fuggire dalla casa paterna. 659. Atea o Ata. — Dea malefica
che
spingeva gli uomini nelle sventure turbando loro
ntate alcune commedie dette perciò Atellane. 661. Atena. — Soprannome
che
i Greci davano a Minerva. 662. Atenea. — Cecrope
elle lettere e nel mestiere delle armi fu riguardata come la Divinità
che
presiede alle une e alle altre. Infine essa è la
e alle altre. Infine essa è la Minerva dei Greci. Gli antichi dissero
che
ella uscisse dal cerebro del padre, imperciocchè
ebro del padre, imperciocchè il suo nome significa saggezza. Fu dessa
che
dette il nome di Atene alla città che prima si ch
me significa saggezza. Fu dessa che dette il nome di Atene alla città
che
prima si chiamava Posidonia, che aveva prima rice
he dette il nome di Atene alla città che prima si chiamava Posidonia,
che
aveva prima ricevuto da Nettuno. La favola raccon
va Posidonia, che aveva prima ricevuto da Nettuno. La favola racconta
che
a proposito del nome da conservarsi o cangiarsi a
stabilirono un tribunale composto di dodici mortali, il quale decise
che
la città si sarebbe chiamata secondo il volere di
n albero d’ulivo. Allora il tribunale aggiudicò la vittoria a Minerva
che
dette il nome di Atene alla capitale Greca. 663.
a testa di donna e il rimanente di pesce. Vossio nelle sue opere dice
che
la parola Atergate significa senza pesce perchè c
opere dice che la parola Atergate significa senza pesce perchè coloro
che
l’adoravano dovevano astenersi dal mangiarne. 665
putazione per averlo sorpreso fra le braccia di una giovane rivale, e
che
dopo di ciò lo avesse ricevuto nel numero dei suo
po di ciò lo avesse ricevuto nel numero dei suoi sacerdoti. Tutto ciò
che
evvi di vero sotto codesta favola, è forse la bar
che evvi di vero sotto codesta favola, è forse la barbara costumanza
che
imponeva ai sacerdoti di Cibele lo stesso suppliz
da Tideo, mentre conduceva all’altare Ismene. 670. Atlante. — Gigante
che
fu figlio di Giove e di Climene. La favola finse
lante. — Gigante che fu figlio di Giove e di Climene. La favola finse
che
suo padre l’avesse incaricato di reggere il mondo
i in guardia contro un altro figlio di Giove egli ne fu così afflitto
che
non volle più vedere alcuno. Perseo si condusse d
nia e la Tracia sulla quale Giove era particolarmente adorato, onde è
che
gli veniva il soprannome di Athuso.. 673. Atreo.
glio di Pelopo e d’ Ippodamia. Per vendicarsi della vergognosa tresca
che
Eropa sua moglie aveva con suo fratello Tieste lo
ece mangiare i suoi propri figliuoli. La tradizione favolosa racconta
che
il sole inorridito dall’orribile scena avesse ret
ocesso dal suo corso quotidiano. È questo uno degli episodi più truci
che
ci ricordi la storia dei tempi favolosi. 674. Atr
ndenti di Atreo. 675. Atropo. — Una delle Parche. Propriamente quella
che
tagliava il filo della vita umana. 676. Attea. —
o le cronache del mitologo Fulgenzio, così si chiamava uno dei cavali
che
tiravano il carro del sole quando avvenne la cadu
ne la caduta di Fetonte. La parola Atteone viene dal Greco αϰτιν-ινος
che
significa raggio di sole, risplendente luminosa.
ebre Aristeo. Essendo un giorno alla caccia sorprese Diana e le ninfe
che
si bagnavano e si mise a spiarle ; di che sdegnat
a sorprese Diana e le ninfe che si bagnavano e si mise a spiarle ; di
che
sdegnata fortemente la Dea lo cangiò in cervo Ve
Dell’ Anguillara. e lo fece divorare dai propri cani. Euripide narra
che
Atteone fosse divorato dai cani di Diana per esse
o più esperto di quella Dea nell’arte della caccia. Diodoro asserisce
che
Atteone fosse considerato come un empio per aver
r dispregiato il culto di Diana fino al segno di mangiare della carne
che
era preparata per un sacrifizio a quella Dea. Dop
ro riconoscimento. 680. Augia. — Re d’ Elide. Egli stabili con Ercole
che
gli avrebbe ceduto la decima parte dei suoi besti
avesse aiutato a netture le sue stalle dalla gran quantità di letame
che
infettava l’aria nel suo regno. Ercole per riusci
i suoi stati a Fileo suo figlio. 681. Augurio. — Specie di sortilegio
che
si compiva coll’osservazione del volo degli uccel
li uccelli come aurispizio dall’ispezione degl’intestini. I sacerdoti
che
presedevono a tali cerimonie venivano chiamati au
— Piccolo paese della Beozia la cui capitale fu Aulisia. Servio dice
che
era questa una piccola isola con un porto capace
sola con un porto capace di contenere 50 vascelli. Fu in qnesto porto
che
si riunirono le navi Greche all’epoea della spedi
poea della spedizione di Troia. 683. Aulisea. — Soprannome di Minerva
che
a lei veniva da una parola Greca che significa fl
Aulisea. — Soprannome di Minerva che a lei veniva da una parola Greca
che
significa flauto attribuendosi da taluno a quella
figlio chiamato Mennone. La passione di Aurora per lui fu così grande
che
gli propose di domandarle un pegno della sua tene
no della sua tenerezza e ne ottenne una longevità senza eguale, tanto
che
Titone giunse ad una estrema vecchiezza e allora
chiezza e allora fu cangiato in cicala. Dopo di lui Aurora amò Cefalo
che
rapì alla moglie Procride e per farsi amare da lu
o. Ben presto però disgustata di lui lo abbandonò per amore di Orione
che
alla sua volta fu da lei abbandonato per altri. 6
ona. — Fu figlia di Cadmo e madre di Acteone. 697. Autopsia. — Coloro
che
erano in una stretta intelligenza con gli Dei, er
ane. 699. Auxo. — Una delle Grazie. Gli Ateniesi non ne riconoscevano
che
dua sole. Una Auxo, l’altra Egmona. 700. Aventino
Averno. — Palude nella Campania, consacrata a Plutone perchè i miasmi
che
ne esalavano erano talmente pestilenziali ed infe
hè i miasmi che ne esalavano erano talmente pestilenziali ed infetti,
che
quel luogo era ritenuto come la bocca dell’infern
, che quel luogo era ritenuto come la bocca dell’inferno. Gli uccelli
che
passavano a volo sulla voragine, cadevano all’ist
uella, morti d’asfissia. 702. Averunei, Avverunei o Averungani. — Dei
che
i Romani adoravano particolarmente in tempo di ca
che i Romani adoravano particolarmente in tempo di calamità, credendo
che
fossero potentissimi ad allontanare una pubblica
o. — Soprannome di Marte. 714. Azoni. — Si chiamavano così quegli Dei
che
i Pagani credevano comuni a tutti i popoli. B
me principale divinità il sole, così è generale opinione dei mitologi
che
sotto il nome di Baal si venerasse il sole. Alcun
il sole. Alcuni lo han fatto figlio di Nettuno e della regina Lidia,
che
regnò nell’ Assiria verso l’anno 2700 dopo la cre
dell’antichità, l’invenzione di schierare le truppe con quell’ordine
che
oggi si direbbe di attacco. Da ciò forse la voce
e che oggi si direbbe di attacco. Da ciò forse la voce latina bellum,
che
significa guerra. Abbiamo da Erodoto una descrizi
i. La fornicazione, al dire della Bibbia, era consacrata a Baal-Fegor
che
è riguardato come il dio Priapo della mitologia G
colare, sulla montagna di Peor. Si crede generalmente dagli scrittori
che
Baal-Peor fosse il Priapo degli Arabi. 721. Baal-
st’idolo nel deserto, per impedire la fuga agli Ebrei. Da ciò il nome
che
porta. 723. Baaltide. — Divinità dei Fenicii, ado
a città di Biblo. Era ritenuta come moglie di Saturno da cui non ebbe
che
delle figliuole È la luna, ossia la Diana dei Gre
ci. 724. Babelle. — È opinione di non pochi scrittori dell’antichità,
che
la famosa Torre di Babelle o di Babilonia ; (la q
ontro il cielo), abbia dato origine alla favola dei giganti o Titani,
che
imponendo montagne sopra montagne, avessero tenta
ella Caldea, così chiamata per la sua ampiezza e pel tumulto continuo
che
l’immenso numero de’ suoi abitanti facevano nelle
si resero gli abitatori di Babilonia, per la loro sfrenata libidine,
che
arrivò al suo maggior punto di corruttela, sotto
u si rotta, Che libito fè lecito in sua legge, Per torre il biasmo in
che
era condotta. Ell’è Semiramis, di cui si legge Ch
e grazia alla preghiera di Pallade. 728. Baccanali. — Feste o misteri
che
si celebravano in onore di Bacco, nei quali si co
e. I Greci chiamavano anche queste cerimonie Dionisiache da Dionisio,
che
era uno dei soprannomi di Bacco. In Atene la rico
di questi misteri bacchici, era tenuta in così grande considerazione,
che
si numeravano persino gli anni dai baccanali e da
umi, ed il suo nome andò perduto nella notte dei tempi. Nel principio
che
in Grecia furono stabiliti i baccanali, vi prende
omeda. 731. Baccheo-Toro o Bagi-Toro. — Così veniva chiamato un toro,
che
nelle principali città dell’ Egitto, era consacra
orinto, andò a stabilirsi in Sicilia. 733. Bacchiadi. — Denominazione
che
si dava agli antichi re di Corinto, i quali per l
rittori dell’antichità, sul conto di questo dio, volendosi da diversi
che
fosse figliuolo di Proserpina. Cicerone conta fin
erpina. Cicerone conta fino a cinque dii di questo nome ; ed è perciò
che
la grande generalità degli autori non si accorda
ostrarsi a lei in tutto lo splendore della sua gloria immortale ; ciò
che
ella ottenne da lui, dopo replicate repulse. Ma i
mele, ed ella stessa mori, ravvolta nelle fiamme. Giove allora, prima
che
Semele fosse del tutto spirata, per salvare la vi
oscia diritta, ove lo tenne fino al termine dei nove mesi. L’infante
che
nel corpo era imperfetto Dell’infelice donna che
ove mesi. L’infante che nel corpo era imperfetto Dell’infelice donna
che
s’accese. Che dal seme di Giove avea concetto, De
, Del ventre ch’aprir fece, il padre prese : E se creder vogliam quel
che
vien detto. Con tanta industria a quel fanciul s’
tri crebbe. Giove da sè spiccolla, e ne die cura Ad Ino, una sua zia,
che
cura n’ebbe, La qual, sebben di Gluno avea paura.
be, La qual, sebben di Gluno avea paura. Non mancò al nipotin di quel
che
debbe : Alle ninfe Niselde il diè di notte, Ch’as
di suo marito, ma faceva ricadere le sue terribili vendette sui figli
che
nascevano da quelle. Quando i giganti dettero la
perchè nei suoi viaggi rivestiva sempre la pelle d’un becco, animale
che
a lui si sagrificava ; talvolta a cavalcioni d’un
Metamorfosi Lib. III trad. di dell’ Anguillara. Fra i molti animali
che
si sacrificavano a Bacco, quelli che più generalm
Anguillara. Fra i molti animali che si sacrificavano a Bacco, quelli
che
più generalmente venivano immolati nei suoi sacri
rco, perchè distrugge i germogli delle viti ; e la gazza per dinotare
che
il vino fa parlare indiscretamente. A maggiore de
oi metteremo sotto gli occhi dei nostri lettori un parallelo storico,
che
, secondo le opinioni di alcuni fra i più rinomati
biblica figura di Mosè, il legislatore d’ Israello. Questo parallelo,
che
noi, seguendo le opinioni dei suddetti scrittori,
la esistenza non solo dei miti allegorici in tutte le religioni, miti
che
noi dicemmo propri ed individuali di esse, ma del
ividuali di esse, ma della trasmissione, o direm quasi della eredità,
che
la fusione delle religioni e credenze primitive,
iuntura di essere salvato dalle acque gli fece dare. Il nome di Misas
che
vuol dire appunto, salvato dalle onde. Bacco pass
re appunto, salvato dalle onde. Bacco passò il Mar Rosso seguito, più
che
da un’armala, da un popolo intero di uomini, di d
Nisa. MOSÈ nativo anch’egli d’ Egitto, ebbe similmente due madri, una
che
lo partori l’altra che lo adottò. Abbandonato nel
egli d’ Egitto, ebbe similmente due madri, una che lo partori l’altra
che
lo adottò. Abbandonato nelle acque del Nilo, anch
anch’egli il Mar Rosso e l’Arabia, percondurre il popolo degli Ebrei,
che
lo seguiva, alla Terra Promessa. A Mosè splendono
sulla fronte due raggi di luce e ha fra le mani la verga miracolosa,
che
opera prodigii soprannaturali. Mosè passò quarant
a Nisa è in qualche modo l’anagramma. 735. Baciso. — Famoso indovino
che
poi detta il suo nome a tutti coloro che predicev
5. Baciso. — Famoso indovino che poi detta il suo nome a tutti coloro
che
predicevano l’avvenire. 736. Bagi-Toro. — V. Bacc
no l’avvenire. 736. Bagi-Toro. — V. Baccheo-Toro. 737. Bagoe. — Ninfa
che
insegnò agli Etrurii l’arte di predire il futuro,
lle saette. È opinione diffusa presso molti scrittori dell’antichità,
che
Bagoe fosse la stessa che la sibilla Eritrea. 738
fusa presso molti scrittori dell’antichità, che Bagoe fosse la stessa
che
la sibilla Eritrea. 738. Balana. — Figlia di una
lebri per le loro infami dissolutezze e brutalità. Giovenale racconta
che
la loro turpe lussuria e gli esecrandi eccessi ai
Cotitto. 740. Ballo. — Nome di uno dei cavalli di Achille. Omero dice
che
erano immortali e figli di Zeffìro. 741. Bapto. —
araico, detto anche Buroico. Era questo uno dei soprannomi d’ Ercole,
che
gli veniva da una città d’ Acaia, nota sotto l’is
maniera affatto particolare, con la quale rendeva i responsi. Coloro
che
venivano a consultare l’oracolo, dopo aver pregat
ttenuto dal getto dei dadi. 743. Barbata. — Soprannome dato a Venere,
che
, sebbene di rado, veniva rappresentata con la bar
che, sebbene di rado, veniva rappresentata con la barba, per dinotare
che
le erano attribuiti tanto il sesso maschile quant
silea. — Figliuola di Urano e di Titea e sorella dei Titani. Si crede
che
sia la stessa che Cibele o Giunone, forse perchè
di Urano e di Titea e sorella dei Titani. Si crede che sia la stessa
che
Cibele o Giunone, forse perchè Basilea in Greco v
è Basilea in Greco vuol dir regina. La tradizione mitologica racconta
che
Basilea sposò Iperione, suo fratello, che essa av
dizione mitologica racconta che Basilea sposò Iperione, suo fratello,
che
essa avea più caro degli altri, e ne ebbe due fig
one. 747. Bassareo. — Soprannome dato a Bacco, dal perchè si pretende
che
questa parola fosse il grido che si ripeteva nei
dato a Bacco, dal perchè si pretende che questa parola fosse il grido
che
si ripeteva nei baccanali. Però l’opinione più ac
ipeteva nei baccanali. Però l’opinione più accreditata e più logica è
che
questo soprannome fosse dato a Bacco perchè signi
rono resi gli onori divini. 751. Batto. — Così avea nome quel pastore
che
fu testimonio del furto degli armenti che Mercuri
Così avea nome quel pastore che fu testimonio del furto degli armenti
che
Mercurio rubò ad Apollo. In premio del suo silenz
l tutto, e Mercurio allora lo cangiò in pietra di paragone, la stessa
che
si adoperava per provare l’oro, e della quale si
si adoperava per provare l’oro, e della quale si credeva generalmente
che
fossero fatti i simulacri egiziani. Vi fu anche u
e che fossero fatti i simulacri egiziani. Vi fu anche un altro Batto,
che
la tradizione mitologica ci ricorda come fondator
un dio. 752. Baubo. — Detta anche Becubo. Così avea nome quella donna
che
ospitò Cerere, quando essa cercava la figlia Pros
tà, dal santo aspetto. Cercò farla restar di sè contenta : E del vin,
che
nel suo povero tetto Teneva, e d’una rustica pole
tti gli abitanti della contrada in cui dimoravano Bauci e suo marito,
che
furono i soli che li ospitarono. Per ricompensarl
ella contrada in cui dimoravano Bauci e suo marito, che furono i soli
che
li ospitarono. Per ricompensarli, Giove ordinò lo
borgata, sommersi con le case dalle acque d’uno spaventevole diluvio,
che
aveva allagato ogni cosa, meno la piccola panna,
la quale era divenuta un tempio. Giove promise di conceder loro tutto
che
avessero dimandato ; ed essi altro non chiesero c
nceder loro tutto che avessero dimandato ; ed essi altro non chiesero
che
di essere i ministri di quel tempio, e di non mor
ri fronde ; E mentre il guarda e la cagion ne chiede, L’arbor vede ei
che
la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende
vede ei che la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende al fin
che
n’esce. Più vede che la selva abbonda e cresce. V
onna asconde : E più ch’un mira e attende al fin che n’esce. Più vede
che
la selva abbonda e cresce. Vuol tosto questa e qu
ce. Vuol tosto questa e quel mover le piante Per far l’offizio altrui
che
si conviene, E trova, mentre pensa andare avante,
rfosi. — Libro VIII trad. di Dell’Anguillara. 754. Bebrici, — Popoli
che
sortirono dalla Tracia, per andarsi a stabilire n
i spettatori e poi ne facevano un orrendo massacro. Racconta Strabone
che
Amico, loro re, fu ucciso da Polluce, al quale in
ica di quei popoli, aveva un tempio ove tutto era tenebre ed acqua, e
che
conteneva mostruosi animali. I Caldei credevano c
nebre ed acqua, e che conteneva mostruosi animali. I Caldei credevano
che
Bel, dopo aver formato il cielo e la terra, avess
e ricomposto il caos primitivo dando ordine e metodo all’universo, ma
che
, vedendo la terra deserta ed inabitata, avesse im
ini e gli animali. Questa tradizione della favola Caldea, altro non è
che
una sfigurate ripetizione della creazione del mon
itudine dell’idea informatrice, variante solo nei differenti episodii
che
l’accompagnano. 758. Belatucadua o Belertucadi. —
adorata sotto questo nome, siccome ne fanno fede le varie iscrizioni
che
sono state dissotterrate nelle circostanze di que
essere pronipote dello stesso Belo. 763. Belifama o Belizama. — Nome
che
significa regina del cielo e che i Galli davano i
lo. 763. Belifama o Belizama. — Nome che significa regina del cielo e
che
i Galli davano indistintamente a Giunone, a Miner
mente Pireno. Fu fratello di Bellerofonte. 767. Bellino. — Soprannome
che
gli antichi Galli dell’Alvernia davano al dio Bel
— Sorella di Marte e dea della guerra. Al dire di Virgilio, era essa
che
allestiva il carro e i cavalli di Marte, quando q
questa dea, pungendosi il corpo con le spade, e offerendole il sangue
che
grondava dalle loro ferite. Il popolo aveva i Bel
contro di lui, montò il cavallo Pegaseo, ed uccise la Chimera, mostro
che
Lobate gli avea ordinato combattere nell’intenzio
ia, e re degli Assiri. Si rendevano gli onori divini alla sua statua,
che
venne poi adorata anche dai Caldei sotto il nome
ata anche dai Caldei sotto il nome di Baal. Vi fu anche un altro Belo
che
fu padre di Danao re d’Egitto. Belo fu similmente
’Egitto. Belo fu similmente il nome di un re di Tiro e della Fenicia,
che
fu padre di Pigmalione e d’Elissa, soprannominata
più grande divinità dei Bibilonesi, i quali le innalzarono un tempio
che
fu il più ricco, sontuoso e magnifico di tutti i
ifico di tutti i tempi del Paganesimo. La tradizione favolosa ricorda
che
la famosa Torre di Babele non avendo potuto servi
famosa Torre di Babele non avendo potuto servire al disegno di coloro
che
l’intrapresero, fu convertita nel tempio di Belo.
a esente da questi insetti. Non pochi scrittori dell’antichità dicono
che
una tale denominazione fosse data a questo dio pe
coperta di mosche. 773. Bendide. — Divinità dei Tracii. Era la stessa
che
la Diana dei Greci e dei Romani. 774. Bendidie. —
vinità particolare a diversi popoli dell’Italia. Si suppone da taluni
che
fosse qualche eroe dell’antica Roma. 777. Bergios
lche eroe dell’antica Roma. 777. Bergioso. — Uno dei figli di Nettuno
che
fu ucciso da Ercole. 778. Berecinta o Berecintia.
Nettuno che fu ucciso da Ercole. 778. Berecinta o Berecintia. — Nome
che
fu dato a Cibele, perchè sopra d’una montagna del
Nome che fu dato a Cibele, perchè sopra d’una montagna della Frigia,
che
portava l’istesso nome, aveva un tempio a lei con
Moglie di Tolomeo Evergete, la quale aveva una magnifica capellatura,
che
ella recise ed offrì agli dei, per la prosperità
o fu profondamente commosso da questa prova di attaccamento, per modo
che
, qualche giorno dopo, non vedendo nel tempio al p
ecise chiome della consorte, montò in gran furore contro i sacerdoti,
che
non le avevano più solertemente custodite : ma un
er insinuarsi nelle buone grazie di Tolomeo e di Berenice, sostenendo
che
i capelli di lei fossero stati trasportati in cie
quel tempo si dette il nome di chioma di Berenice alle sette stelle,
che
formano la costellazione nota anche oggidì sotto
ità Egiziana, particolarmente venerata in una città dell’alto Egitto,
che
portava lo stesso nome. 784. Betannoni. — Soprann
lo stesso nome. 784. Betannoni. — Soprannome dei Coribanti, sacerdoti
che
presero cura dell’infanzia di Giove. 785. Bettill
nzia di Giove. 785. Bettille. — Così venivano nominate alcune pietre,
che
si credevano animate e dotate della facoltà di da
. Erano rotonde e di media grandezza. In Grecia era generale credenza
che
la pietra detta Abadir, divorata da Saturno, foss
moso altare di Betel di cui facemmo menzione nello studio preliminare
che
precede questo ristretto. 786. Beza. — Nella citt
ll’estrema punta della Tebaide, vi era un oracolo di questa divinità,
che
rispondeva per mezzo di alcuni biglietti suggella
deva per mezzo di alcuni biglietti suggellati. La tradizione racconta
che
furono spediti all’imperatore Costanzo, alcuni di
tanzo, alcuni di questi biglietti, trovati nel tempio del dio Beza, e
che
l’imperatore, dopo averne fatto fare un minuto ed
quello del padre suo. Vi fu anche un principe Troiano, così chiamato,
che
fu ucciso da Agamennone. 788. Bibesia ed Edesia.
ltra alla gozzoviglia. La loro denominazione deriva dal latino bibere
che
significa bere, ed edere, mangiare. 789. Bibli. —
suo fratello, nè avendo potuto piegarlo alle sue voglie, pianse tanto
che
fu cangiata in fontana. V. Cauno. Qual dalla sc
incisa esce la pece. Qual dalla terra gravida il bitume, Qual l’onda
che
già neve il verno fece, L’Austro col caldo sol fo
nemente quello di Biblia. 791. Bibratte. — Antica città degli Edueni,
che
oggi di si crede essere la stessa conosciuta sott
sere la stessa conosciuta sotto il nome di Autim. È generale credenza
che
un tal nome fosse dato a quella città, per essers
a quella città, per essersi ritrovato nel suo ricinto una iscrizione
che
diceva, Deœ Bibracli, cioè : alla Dea Bibratte. 7
cioè : alla Dea Bibratte. 792. Bicornide, Bicornigero e Bucorno. Cioè
che
ha due corna : soprannome che si dà a Bacco per l
Bicornide, Bicornigero e Bucorno. Cioè che ha due corna : soprannome
che
si dà a Bacco per la sua sfrontatezza. La luna ve
l luogo divenuto sacro, veniva recinto di una palizzata, per impedire
che
vi si caminasse. 796. Bieunio. — Uno dei sacerdot
i si caminasse. 796. Bieunio. — Uno dei sacerdoti Coribanti o Cureti,
che
presero cura di Giove. Da questo Bieunio si dà ta
alvolta questo soprannome a Giove stesso. 797. Biforme. — Vale a dire
che
la due forme o nature. Soprannome che veniva dato
so. 797. Biforme. — Vale a dire che la due forme o nature. Soprannome
che
veniva dato a Bacco, perchè il vino rende gli uom
ia. — Il settimo segno dello Zodiaco, contrassegnato da una bilancia,
che
la tradizione favolosa dice esser quella di Astre
nciare del secolo di ferro abbandonò la terra. 799. Bimatere. — Ossia
che
ha due madri : soprannome di Bacco a cui Giove fe
eniva soprannominato Licurgo re della Tracia. Alcuni scrittori dicono
che
tal nome gli venisse dalla scure di cui egli si s
ttile consacrato a Diana. Agamennone stando alla caccia ne uccise una
che
apparteneva particolarmente a quella dea, la qual
uccisero una biscia di Diana, e ciò fu causa della disastrosa guerra
che
essi dovettero sostenere contro i Rutuli. 803. Bi
cui è menzione nell’articolo precedente. Orazio dice essere le stesse
che
le baccanti. 805. Bistonio. — Diomede, tiranno e
inotato con questo soprannome. 806. Bisultore. — Soprannome di Marte,
che
significa due volle vendicatore. 807. Bitia. — Tr
. Entrambi si resero celebri per la pietà verso la loro madre e tanto
che
meritarono dopo la morte gli onori eroici. Erodot
tanto che meritarono dopo la morte gli onori eroici. Erodoto racconta
che
dovendo la madre loro recarsi al tempio di Giunon
la Dea a voler concedere ai suoi figli tutta quella maggiore felicità
che
un uomo possa conseguire sulla terra. Terminata l
i Argos, ove accadde l’evento eressero a Bittone e Cleobe due statue,
che
posero nel tempio di Delfo. 809. Bizeno. — Figlio
gli si rese celebre per la estrema franchezza con la quale diceva ciò
che
pensava. 810. Boedromie. — Feste che gli Ateniesi
anchezza con la quale diceva ciò che pensava. 810. Boedromie. — Feste
che
gli Ateniesi celebravano in commemorazione d’una
lo. 812. Bolatheno. — Soprannome dato a Saturno. 813. Bolina. — Ninfa
che
per sottrarsi alle persecuzioni di Apollo si prec
a salvò e la rese immortale. 814. Bolomancia. — Specie di divinazione
che
si eseguiva con delle frecce. Ezechiello ne fa me
ne vicina a quella dell’orsa maggiore presso il polo artico. Si crede
che
sia lo stesso che Icaro. Altri scrittori vogliono
dell’orsa maggiore presso il polo artico. Si crede che sia lo stesso
che
Icaro. Altri scrittori vogliono che sia Arcaso, c
rtico. Si crede che sia lo stesso che Icaro. Altri scrittori vogliono
che
sia Arcaso, cangiato in orso e posto fra le coste
ssere figlio di Astrea e di Eribeo. La tradizione mitologica racconta
che
appena divenuto adulto rapì Oritia, figlia di Ori
ante atterra e strugge ; E vede in Grecia appresso il regio nido Lei,
che
dal suo furor con molte fugge : La toglie in grem
si procurò a Dardano 12 poledri, i quali correvano con tanta velocità
che
sorpassavano un campo di spighe senza curvarle, e
rande venerazione le foreste : non v’era tempio di qualche importanza
che
non avesse un bosco consacrato alla divinità che
i qualche importanza che non avesse un bosco consacrato alla divinità
che
vi si adorava. Presso i primitivi popoli dell’ant
oltezza delle piante rendeva le tenebre troppo fitte. Eliano racconta
che
il dio Esculapio avesse severamente proibito che
tte. Eliano racconta che il dio Esculapio avesse severamente proibito
che
nel bosco sacro, a lui consacrato presso Epidauro
gli uomini, per quanto sia in potere della scienza. Era quindi logico
che
il dio della medicina proibisse che in un luogo a
della scienza. Era quindi logico che il dio della medicina proibisse
che
in un luogo a lui consacrato morisse alcuno ; ma
un luogo a lui consacrato morisse alcuno ; ma non è egualmente logico
che
lo stesso Iddio proibisse per sempre la nascita d
i cacciatori andavano a ricoverarsi senz’aver nulla a tenere dai cani
che
li perseguistavano, poichè lo stesso Apollo, non
nquillamente l’erbe del bosco. 820. Branchide. — Soprannome di Apollo
che
a lui veniva da un tempio che egli fece innalzare
820. Branchide. — Soprannome di Apollo che a lui veniva da un tempio
che
egli fece innalzare in onore di un giovanetto per
io che egli fece innalzare in onore di un giovanetto per nome Branco,
che
quel nume ebbe estremamente caro durante la vita
e furono resi gli onori divini. 822. Brauronia. — Soprannome di Diana
che
le veniva da un tempio ch’ella aveva nella città
e. Gigante, figlio del cielo e della terra ; prese parte nella guerra
che
i giganti mossero a Giove. La favola dice che ave
rese parte nella guerra che i giganti mossero a Giove. La favola dice
che
aveva cento braccia e cinquanta teste : da ciò il
rad. di V. Monti. La verità nascota sotto questo simbolo favoloso, è
che
Briareo era un principe Titano, formidabile guerr
avoloso, è che Briareo era un principe Titano, formidabile guerriero,
che
comandava un numeroso corpo di truppe. 824. Brimo
ppe. 824. Brimo. — Divinità infernale, comunemente ritenuta la stessa
che
Ecate. 825. Brise. — Sacerdote di Giove e padre d
co suo. 827. Briseo. — Soprannome di Bacco a lui dato dall’invenzione
che
gli si attribuisce di schiacciar l’uva per estrar
delle immortali. 830. Britormati. — V. Britomarte. 831. Brizo. — Dea
che
presiedeva a sogni. 832. Bromio. — Altro sopranno
ro VIII trad. di A. Caro 835. Bronteo. — Dalla parola greca Βριντη,
che
significa tuono. Veniva dato codesto soprannome a
ni. 836. Broteo. — Figlio di Vulcano e di Minerva. La Favola racconta
che
, non potendo sopportare gl’insulti e le derisioni
e in lingua Egiziana la parola Bubaste significa Gatto, così fu detto
che
Diana si fosse cangiata in quell’animale. Nella c
ione la Dea Bubaste ed ogni anno si celebrava in suo onore una festa,
che
era una delle principali dell’Egitto, e che richi
a in suo onore una festa, che era una delle principali dell’Egitto, e
che
richiamava un numero immenso di forestieri. 839.
e che richiamava un numero immenso di forestieri. 839. Bubona. — Dea
che
s’invocava per la conservazione degli armenti. 84
ti. 840. Bucentauro. — Si dava questo nome ad una specie di Centauro,
che
invece di avere la parte inferiore di cavallo, l’
a Dea alla quale si dava codesto soprannome, poichè alcuni pretendono
che
fosse Cerere, altri Proserpina, ed altri Cibele.
lla castità coniugale. Lattanzio, nelle sue cronache, racconta invece
che
la moglie di Fauno, avendo contro l’uso dei tempi
bevuto del vino, fosse dal marito fatta morire a colpi di verga ; ma
che
poi, rinvenuto da quella specie di ebbrezza di fu
numero di torce. I Cartaginesi avevano anch’essi una loro Buona-Dea,
che
comunemente si crede essere Giunone. 845. Buonie.
sta ragione veniva sovente confuso con Bacco. In Grecia, sulla strada
che
da Tebe menava al monte Menalo, vi era un tempio
a. Il poeta per vendicarsi la punse così spietatamente in una satira,
che
il pittore, deriso da tutti, si appiccò per dispe
a tutti, si appiccò per disperazione. 850. Bupalo. — Celebre scultore
che
visse all’epoca della sessantesima olimpiade. Egl
e ne fa menzione come d’un artista di merito eminente, e narra di lui
che
avendo gli abitanti di Scio ordinata una Diana, e
na Diana, egli l’avesse fatta collocare in un luogo elevato, per modo
che
chi entrava vedeva il volto della Dea tristo e se
dell’Egitto. Aveva per costume d’immolare a Giove tutti gli stranieri
che
approdavano nei suoi stati. Fu ucciso con suo fig
È generale credenza, avvalorata dall’opinione dei migliori scrittori,
che
Busiride sia lo stesso che Osiride ; e che il san
rata dall’opinione dei migliori scrittori, che Busiride sia lo stesso
che
Osiride ; e che il sanguinoso culto con cui quest
ne dei migliori scrittori, che Busiride sia lo stesso che Osiride ; e
che
il sanguinoso culto con cui quest’ultimo veniva a
ella era stata nutrice, ispirò al rapitore un tale accesso di rabbia,
che
questi si precipitò in un pozzo. Altri scrittori
i rabbia, che questi si precipitò in un pozzo. Altri scrittori dicono
che
Buteo sposasse una donna, la quale, per la sua in
, per punirlo, lo uccise a colpi di frecce. 858. Caballina. — Fontana
che
aveva la sua sorgente ai piedi del monte Elicona.
ai piedi del monte Elicona. Era consacrata alle muse ed era la stessa
che
quella d’Ippocrene, perchè la parola Caballina si
Caballina si può anche spiegare così : Fontana del cavallo Pegaso ,
che
al dire degli scrittori più rinomati della Favola
ia di Proteo : fu una delle mogli di Vulcano. 862. Cabiri. — Divinità
che
venivano adorate con un culto tetro e misterioso,
ome : Osiride, Iside, Ascalafi, ecc. Alcuni scrittori non riconoscono
che
tre Deità : Plutone, Proserpina e Cerere, alle qu
valida e più generalmente ritenuta dagli scrittori dell’antichità è,
che
significando la parola Cabiri in lingua Fenicia p
orella di Caco. Si pretende ch’ella avesse palesato il furto dei buoi
che
suo fratello aveva fatto ad Ercole, e che perciò
palesato il furto dei buoi che suo fratello aveva fatto ad Ercole, e
che
perciò avesse meritato gli onori divini. 868. Cac
ebbe vicino : Onde cessar le sue opere biece Sotto la mazza d’Ercole,
che
forse Gliene die cento, e non senti le diece. Da
ella peste od altra pubblica calamità. 871. Camdea o Cadmia. — Pietra
che
veniva fusa col rame rosso, per farne una specie
olo, per interrogarlo sulla sorte dei suoi figli, ne ebbe in risposta
che
erano loro riserbate le più grandi sventure. Allo
i Dell’Anguillara. 876. Caduceo. — Così veniva chiamata la bacchetta
che
Apollo fece presente Mercurio quando questi gli e
la sua lira. Un giorno Mercurio trovò sul monte Citerone due serpenti
che
combattevano fra loro, e gettò fra di essi la sua
r separarli. Le due serpi si attorcigliarono intorno a quella in modo
che
la parte superiore del loro corpo veniva a formar
lla quale mise due ali in segno di rapidità. 877. Caducifero. — Ossia
che
porta il Caduceo : soprannome di Mercurio. (vedi
a penisola Italiana, dove essa morì, come pure al porto ed alla città
che
venne poi costruita in quel luogo, oggi detta Gae
onore di Diana. 885. Calcante. — Famoso indovino, figlio di Testore,
che
seguì l’armata dei Greci all’assesedio di Troja,
Calcante aizossi, De’veggenti il più saggio, a cui le cose Eran conte
che
fur, sono e saranno, E per quella che dono era d’
aggio, a cui le cose Eran conte che fur, sono e saranno, E per quella
che
dono era d’Apollo, Profetica virtù, de’Greci a Tr
….. Omero — Iliade libro I trad. di V. Monti. e predisse in Aulide,
che
quello sarebbe durato dieci anni ; e che i venti
onti. e predisse in Aulide, che quello sarebbe durato dieci anni ; e
che
i venti non sarebbero stati favorevoli alle navi
itrasse a Colofone, ove morì di dolore, non avendo potuto predire ciò
che
Mopso, altro indovino, aveva predetto. Così Calca
, altro indovino, aveva predetto. Così Calcante compì il suo destino,
che
era quello di morire quando avesse ritrovato un i
onirsi dei tesori di Frisso, lo fece assassinare ; onde ella, temendo
che
l’istessa sorte fosse toccata ai suoi figli, li f
poscia fuggì con Calciope, da cui ebbe un figliuolo per nome Tessalo,
che
poi dette il suo nome alla Tessaglia. 893. Calend
il suo nome alla Tessaglia. 893. Calendaria. — Soprannome di Giunone,
che
le veniva dai giorni delle Calende, a lei consacr
ro. 897. Calidone. — Città e foresta dell’Etiolia. Fu in quest’ultima
che
Meleagro uccise il famoso cignale, conosciuto sot
l’istesso nome. 898. Calidonio. — Soprannome di Bacco preso dal culto
che
gli si rendeva nella città di Calidone. È opinion
opinione erronea, quantunque ripetuta da varii scrittori, il credere
che
sotto la denominazione di Eroe Calidonio volesser
pso per sua moglie Penelope ; e non curando la promessa d’immortalità
che
la Ninfa gli aveva fatto se avesse voluto continu
o il nome di Boote. V. Boote. 902. Callianasse o Callianira. — Ninfa
che
presiedeva alla buona condotta, ed alla decenza d
eguito secondo altri. La più antica e la più generalizzata opinione è
che
Calligenie fosse uno dei soprannomi di Cerere ste
i quali però le fecero grazia, ordinando da quel tempo con una legge
che
i maestri degli esercizii dovessero essere nudi,
egli esercizii dovessero essere nudi, come gli atleti, tutte le volte
che
si fossero celebrati i giuochi olimpici. 908. Cal
i i giuochi olimpici. 908. Callipica. — Uno dei soprannomi di Venere,
che
le veniva dalla bellezza fisica di una parte del
rot. — Secondo Esiodo, fu figliuola dell’Oceano e moglie di Crisaore,
che
la rese madre di due mostri, uno dei quali fu Ger
a più bella donna. Questo vocabolo Callistee deriva dal greco Κάλλος,
che
vuol dire bellezza. 911. Calpe. — Una delle due m
re se avessero potuto tentarne il disseccamento ; e l’oracolo rispose
che
avrebbero dovuto guardarsi non che dal compiere u
isseccamento ; e l’oracolo rispose che avrebbero dovuto guardarsi non
che
dal compiere una simile impresa, pur dal pensarla
ricorda come la Dea del canto. 917. Camene. — Soprannome delle Muse,
che
trae la sua origine dalla parola cano, io canto.
trae la sua origine dalla parola cano, io canto. I pagani ritenevano
che
le Muse celebrassero col canto le azioni degli De
otto. Si chiamavano con nome collettivo Camilli tutti quel giovanetti
che
servivano alle cerimonie dei sacrifizii ; come ve
4. Camos. — Secondo il Vossio, il Dio Camos dei Moabiti era lo stesso
che
il Como dei Romani e dei Greci. Il re Salomone, p
ignato quel luogo degli inferni, ove si credeva fossero puniti coloro
che
la forza di una passione d’amore, avesse tratti a
ni. È opinione assai generalizzata presso gli scrittori della Favola,
che
il vero sesso di Campea fosse rimasto un mistero.
mpea fosse rimasto un mistero. Molti la dicono donna ; altri vogliono
che
fosse un uomo dalle forme gigantesche ; altri fin
vogliono che fosse un uomo dalle forme gigantesche ; altri finalmente
che
fosse un mostro di natura ermafrodito. 927. Campi
mulo. — Veniva così chiamata una delle Divinità dei Savizii. Si crede
che
fosse lo stesso che il Dio Marte della Mitologia
chiamata una delle Divinità dei Savizii. Si crede che fosse lo stesso
che
il Dio Marte della Mitologia Greca e Romana, e ci
u figliuola di Eolo, la quale essendo stata sedotta da un Dio marino,
che
la Favola non determina se fosse Nettuno o altro,
ino, il quale coi suoi vagiti palesò appena nato, il mistero di colpa
che
avvolgeva la sua nascita. Il padre di Canacea, fu
pollo. 932. Canate. — Monte della Spagna, ove generalmente si credeva
che
i genii malefici facessero loro abituale soggiorn
passionatamente sua moglie, e fu così superbo della bellezza di lei,
che
volle un giorno che ella si facesse veder nuda ad
moglie, e fu così superbo della bellezza di lei, che volle un giorno
che
ella si facesse veder nuda ad un suo favorito, pe
uo favorito, per nome Gige. La regina fu così profondamente sdegnata,
che
comandò a Gige di uccidere Candaulo e poi sposò G
alienti della indole di quel quadrupede. Plinio nelle sue opere, dice
che
i pagani avevano in gran conto la carne dei cani
-Dei. In Egitto i cani furono tenuti in grande considerazione, fino a
che
il re Cambise, avendo ucciso il bue Api, fu notat
azione, fino a che il re Cambise, avendo ucciso il bue Api, fu notato
che
fra tutti gli animali che si avvicinarono al cada
ambise, avendo ucciso il bue Api, fu notato che fra tutti gli animali
che
si avvicinarono al cadavere di quello, solo i can
o dell’ucciso animale. Taluno, tra gli scrittori della Favola, ripete
che
nel tempio di Esculapio, in Roma, si conservava i
mpio di Esculapio, in Roma, si conservava il simulacro di un cane ; e
che
i Romani sagrificassero ogni anno uno di questi a
gni anno uno di questi animali, volendo con ciò ricordare la sorpresa
che
i Galli fecero loro quand o assediarono il Campid
lla sua benevolenza o della sua coliera. E l’istesso autore ci ripete
che
, sul monte Etna in Sicilia, in un tempio consagra
cano, si crescevano dei cani, ritenuti come sacri, i quali lasciavano
che
coloro che si avvicinavano al tempio con la dovut
escevano dei cani, ritenuti come sacri, i quali lasciavano che coloro
che
si avvicinavano al tempio con la dovuta reverenza
ntrassero liberamente ; mentre latravano e talvolta laceravano coloro
che
non comparivano con la dovuta nettezza. Finalment
Satono, e re d’Italia. Ella fu così afflitta della morte del marito,
che
si consumò per modo che svanì nell’aria, non lasc
Ella fu così afflitta della morte del marito, che si consumò per modo
che
svanì nell’aria, non lasciando di sè che la sola
ito, che si consumò per modo che svanì nell’aria, non lasciando di sè
che
la sola voce. 939. Canicola. — È opinione di vari
i sè che la sola voce. 939. Canicola. — È opinione di varii scrittori
che
la costellazione detta Canicola altro non fosse s
ri che la costellazione detta Canicola altro non fosse se non il cane
che
Giove dette ad Europa come custode ; altri voglio
e non il cane che Giove dette ad Europa come custode ; altri vogliono
che
sia la cagna di Erigone (V. Erigone). I Romani er
Erigone (V. Erigone). I Romani erano così convinti del funesto potere
che
la Canicola avesse avuto sui destini umani, che l
ti del funesto potere che la Canicola avesse avuto sui destini umani,
che
le sacrificavano ogni anno un cane rosso, forse p
e sacrificavano ogni anno un cane rosso, forse per la grande affinità
che
passa tra la vittima offerta e il nome della Divi
i del fuoco, disprezzavano gli Dei di tutte le altre nazioni, dicendo
che
quelli essendo di oro, di argento to, di ferro, d
essi videro ben presto uscire da quella una grande quantità di acqua,
che
spense interamente le fiamme. Il Dio Canope dichi
ta sotto il nome di Canope, così detta da Canobo, pilota del vascello
che
conducea Menelao. Questo principe essendo stato g
41. Canopio Ercole. — Era l’Ercole Egiziano, così detto per un tempio
che
egli aveva nella Città di Canope, di cui nell’art
o un giorno a caccia fu ucciso inavvertentemente ; il fratello Eleno,
che
lo aveva assai caro, dette, in memoria dell’uccis
te, furono generati dal caos, volendo spiegare sotto questa allegorìa
che
questa materia prima era ravviluppata nelle più f
re. 946. Capaneo. — Figlio di Ipponoo e di Astinome. Fu uno di coloro
che
portarono soccorso a Polinice nel famoso assedio
ove egli comandava gli Argivi. Giove irritato dalle atroci bestemmie
che
egli scagliava contro il cielo, lo incenerì con u
à ai novelli imperatori ; vi si facevano i voti pubblici ; ed era ivi
che
i vincitori delle battaglie, a cui il Senato avea
arte di trarre gli augurii e d’indovinare il futuro nei globi di fumo
che
s’innalzavano dagli altari su cui si facea un sac
severità ucciderne alcuno, essendo radicale credenza di quei popoli,
che
il Dio Pane si fosse nascoto sotto la figura di u
nascoto sotto la figura di una capra. Erodoto, nelle sue opere, narra
che
la devozione degli Egiziani per le capre, stendev
giziani per le capre, stendevasi anche ai caprai loro custodi ; tanto
che
, essendone morto uno, gli abitanti di Mendes dimo
abitanti di Mendes dimostrarono il più vivo dolore. È ancora a notare
che
nella città di Mendes, le vittime più ordinarie d
le pecore il maggiore rispetto. 951. Capretto. — Era questo l’animale
che
si sagrificava in generale a tutti gli Dei campes
glio, a lei consacrate. 953. Caprotinee. — Feste in onore di Giunone,
che
venivano celebrate il 9 di luglio. Le sole donne
o di queste feste, la cui principale cerimonia consisteva nella corsa
che
esse facevano, percuotendosi con delle bacchette.
se fra i segni dello Zodiaco. È opinione di molti rinomati scrittori,
che
questo segno di una delle costellazioni della fas
tà nota anche oggidi sotto il nome di Capua. …… Ma un altro Trojano,
che
aveva nome Capi. il quale poi fondò la città di C
o e soprattutto al cuore. Questa parola Carda deriva dal greco Καρδία
che
vuol dir cuore. Le storie romane ci ripetono che
iva dal greco Καρδία che vuol dir cuore. Le storie romane ci ripetono
che
Bruto, dopo aver scacciato Tarquinio il Superbo,
dell’Asia minore, fra la Licia e la Jonia, celebre per le metamorfosi
che
vi operarono diverse Divinità. Cario, figlio di G
se Divinità. Cario, figlio di Giove, ne fu il fondatore, onde il nome
che
porta. 960. Cariatide. — Soprannome di Diana, a l
riatide. — Soprannome di Diana, a lei venuto dalla festa detta Caria,
che
le donne della Laconia celebravano in onore di le
ovra Cariddi, Che si frange con quella in cui s’intoppa, Cosi convien
che
qui la gente riddi. Dante. — Inf. cant VII. T
d. di A. Maffei. Questi due scogli sono così vicini l’uno a l’altro,
che
le navi devono vogare direttamente nel mezzo, alt
con questo connubio allegorico, la grazia e la bellezza delle opere,
che
quel Dio faceva col ferro e col fuoco. 964. Carie
re, che quel Dio faceva col ferro e col fuoco. 964. Carienne. — Feste
che
si celebravano a Cario, città della Laconia, in o
tide. V. Cariatide. 965. Carille. — Così aveva nome quella giovanetta
che
si appiccò, non potendo sopravvivere all’oltraggi
lla giovanetta che si appiccò, non potendo sopravvivere all’oltraggio
che
le fece il re di Delfo, violandola. Gli abitanti
amiglie, divise per dissapori domestici. Ovidio, nei suoi Fasti, dice
che
veniva dato un gran pranzo, al quale non era amme
ristie. 971. Carmelo. — Divinità della Siria e propria di quei popoli
che
abitavano nelle circostanze del monte Carmelo. Al
del monte Carmelo. Al dire di Tacito, fu un sacerdote del Dio Carmelo
che
predisse a Vespasiano la clamide imperiale. 972.
nta. — Conosciuta anche sotto il nome di Nicostrata, celebre indovina
che
fu madre di Evandro. Ella fu onorata come una Div
enta. 975. Carna. — Figliuola di Ebulo. Fu una delle amanti di Giove,
che
la rese madre di Britomarte. Carna era anche la D
nti di Giove, che la rese madre di Britomarte. Carna era anche la Dea
che
presiedeva alle parti vitali del corpo e che s’in
. Carna era anche la Dea che presiedeva alle parti vitali del corpo e
che
s’invocava principalmente per ottenere la sanità
la Notte. Egli era, al dire di Virgilio, il navicellajo dell’Inferno,
che
traghettava le ombre dei morti sulle rive del fiu
ava le ombre dei morti sulle rive del fiume Acheronte, per una moneta
che
esse erano obbligate a dargli al momento di prend
osto nella sua barca. Questa credenza degli antichi spiega il costume
che
essi avevano di mettere fra i denti di un morto u
ronte, il quale lasciava errare per cento anni le anime di quei morti
che
non avevano la moneta da pagargli. Caron, dimoni
augel per suo richiamo. Cosi sen vanno su per l’onda bruna, Ed avanti
che
sien di là discese, Anche di qua nuova schiera s’
nte. — Inf. Cant. III. 981. Caropx. — Soprannome dell’Ercole Beozio,
che
a lui veniva da un tempio che aveva in Beozia, e
aropx. — Soprannome dell’Ercole Beozio, che a lui veniva da un tempio
che
aveva in Beozia, e propriamente nel luogo ove si
. — La Favola fa una notevole distinzione a questo proposito, dicendo
che
Giunone aveva due carri, uno tirato da due cavall
crificavano i propri figliuoli. Giustino rapporta nelle sue cronache,
che
trovandosi i Cartaginesi decimati da una grande p
l’altro sesso, e spargendo di sangue le are di quel Dio. Diodoro dice
che
la vittoria che Agatocle riportò sopra i Cartagin
spargendo di sangue le are di quel Dio. Diodoro dice che la vittoria
che
Agatocle riportò sopra i Cartaginesi, dei quali f
e più nobili famiglie duecento giovanetti destinati al sacrifizio ; e
che
ve ne furono più di trecento, che si offrirono vo
vanetti destinati al sacrifizio ; e che ve ne furono più di trecento,
che
si offrirono volontariamente come vittime espiato
si offrirono volontariamente come vittime espiatorie. Si narra ancora
che
, a soffocare le grida del fanciullo sacrificato,
ra ancora che, a soffocare le grida del fanciullo sacrificato, coloro
che
servivano al sacrificio, facessero grande strepit
ano al sacrificio, facessero grande strepito di tamburi di flauti ; e
che
le madri stesse delle vittime, dovessero interven
V. Camillo. 986. Casio. — Soprannome di Giove ; a lui dato dal culto
che
gli si rendeva su due montagne di questo nome, un
on volle più tenere la sua parola, e Apollo, per vendicarsi, le giurò
che
non si sarebbe mai da alcuno prestato fede alle s
annunciatrice D’oracoli fra questi orbi di lumi ? E svelar un destin
che
non mi lice Dalla patria sviar ? Che irrevocato C
ja, essa toccò come preda di bottino ad Agamennone, al quale predisse
che
sua moglie Clitennestra lo avrebbe assassinato ;
cisa da Egisto, nel giungere nella Lacedemonia. Ivi Cassandra, allor
che
il Nume in petto La fea parlar di Troia il di mor
figlia, più bella di Giunone e delle Nereidi. Che non solo osó dir,
che
in tutto il mondo Di beltà donna a lei non era pa
osó dir, che in tutto il mondo Di beltà donna a lei non era pare, Ma
che
non era viso più giocondo Fra le ninfe più nobili
sfare le ninfe del suo seguito, mandò sulle terre di Cefeo, un mostro
che
riempi di spavento e desolazione quelle contrade.
olo per sapere come placare lo sdegno dei numi, e ne ebbe in risposta
che
il mostro sarebbe sparito, allorchè Andromeda, le
lo scudo con la testa di Medusa, liberò Andromeda, e ottenne da Giove
che
Cassiope fosse messa fra gli astri. 989. Cassotid
ciute più comunemente con quello di Castalia. 990. Castalia. — Ninfa,
che
Apollo cangiò in fontana, dando alle sue acque la
o alle sue acque la virtù di ispirare il genio della poesia, a coloro
che
ne avessero bevuta. Cotesta allegoria favolosa de
. Cotesta allegoria favolosa deriva forse della parola araba Castala,
che
in quella lingua significa susurro dell’acqua. La
fontana Castalia ad esse consagrata. 992. Castalio. — Re delle terre
che
circondavano il monte Parnaso. Apollo amò passion
cando la prima di queste parole : figliuoli valorosi di Giove, titolo
che
essi si meritarono per le loro gloriose azioni ;
gonauti. Al ritorno di quella spedizione, essi inseguirono i Corsari,
che
recavano considerevoli danni nell’ Arcipelago ; p
ome divinità favorevoli ai nocchieri. La tradizione favolosa racconta
che
, durante una spaventevole burrasca, furono vedute
te aggirarsi alcune flammelle intorno alla testa dei due Tindaridi, e
che
un momento dopo l’apparizione di quelle, la tempe
e di quelle, la tempesta cessò del tutto. Da quel momento quei fuochi
che
sovente si veggono durante le burrasche, furono d
richiamare l’attenzione dei nostri lettori, sulla grande somiglianza
che
passa tra la pagana credenza dei fuochi di Castor
à a Polluce, questi la divid sse col suo bene amato Castore, per modo
che
, essendo quest’ultimo sempre sottoposto alla legg
r vendetta d’uno degli oltraggiati sposi. A cagione della immortalità
che
, come dicemmo, Polluce divise con Castore, i Roma
altro destidero, su cui non montava alcuno ; volendo con ciò spiegare
che
dei due fratelli uno solo poteva stare nel mondo,
ovimento della costellazione dei gemelli, imperocchè delle due stelle
che
formano quella costellazione, unasi cela sotto l’
ore e Polluce apparirono varie volte sulla terra ; e in una battaglia
che
i Crotoniati ebbero contro i Locriani, furono ved
ieri. Pausania però combatte nei suoi scritti quest’opinione, dicendo
che
le supposte apparizioni erano l’effetto di un tra
uochi olimpici. 995. Catabato o Cataibate. — Soprannome dato a Giove,
che
gli veniva dai prodigi per mezzo dei quali si cre
to a Giove, che gli veniva dai prodigi per mezzo dei quali si credeva
che
egli palesasse agli uomini la sua volontà. 996. C
. — Nella città di Opunto, veniva così chiamato il sovrano pontefice,
che
presiedeva al culto degli dei infernali e terrest
eva al culto degli dei infernali e terrestri. 997. Catadriani. — Nome
che
si dava in diverse città della Grecia ai sacerdot
Caucaso. — Famosa montagna della Colchide. La cronaca favolosa narra
che
sopra una delle sue rocce fu incatenato Prometeo,
esso, Arneo, Licida, Medone, Piferone, Eurito, Amico, Folo e Chirone,
che
fu precettore di Achille. V. Chirone e Centauri.
one e Centauri. 1005. Cauno. — Figlio di Mileto e di Ciane. Accortosi
che
sua sorella Bibli, ardeva per lui di una flamma i
auto. — Dio della prudenza. 1008. Cavalli di Achille. — Omero ricorda
che
i cavalli di questo eroe erano figli di Zefiro e
avalli di questo eroe erano figli di Zefiro e dell’ Arpia Podarga ; e
che
erano immortali. Essi si chiamavano uno Balio e l
l’altro Xanto V. Balio e Xanto. 1009. Cavalli del Sole. — Ovidio dice
che
il carro del sole era tirato da quattro destrieri
nchi, per nome Eoo, Piroi, Aelone e Flegone. Altri scrittori vogliono
che
essi avessero nome Eritoo, ovvero il rosso ; Alte
senta il tramonto, quando il sole abbandona la terra, quasi un amante
che
lasci la sua donna. 1010. Cavalli di Enea. — Al d
mero i cavalli di questo famoso guerriero erano della razza di quelli
che
Giove stesso regalò a Tros, quando rapì il figliu
alli di Laomedone. — Una muta di questi famosi destrieri fu il premio
che
il re Laomedone promise ad Ercole per la liberazi
er la liberazione della figliuola Esione. La tradizione favolosa dice
che
questi cavalli erano così rapidi e leggeri che co
adizione favolosa dice che questi cavalli erano così rapidi e leggeri
che
correvano sulla superficie delle acque senza affo
vano nome Fobos e Demos ossia il terrore e il timore. Omero però dice
che
questi erano i nomi dei cocchieri di Marte e non
prestasse maggior credenza. 1015. Cavallo di Troia. — Narra Virgilio,
che
essendo i Greci stanchi dell’assedio di questa ci
a Virgilio, che essendo i Greci stanchi dell’assedio di questa città,
che
già durava da dieci anni, docisero finalmente di
isero finalmente di rendersene padroni, per mezzo di uno stratagemma,
che
molti scrittori attribuiscono ad Uli sse. Seguend
d. di A. Caro. E dentro dalla lor flamma si geme L’aguato del caval
che
fè la porta Ond’usci de’ Romani il gentil seme.
mani il gentil seme. Dante Inf. C. XXVI. Ciò fatto sparsero la voce
che
i greci, prima di togliere l’assedio, volevano fa
uesta è la cagione perchè lo fecero fare cosi grande ; e se avvenisse
che
voi questo cavallo ardeste, o in altro modo guast
decenne assedio della famosa città di Priamo. È opinione di Pausania
che
questo cavallo altro non fosse che una macchina d
di Priamo. È opinione di Pausania che questo cavallo altro non fosse
che
una macchina di guerra, specie di ariete, inventa
la grandezza di quello d’una capra. 1020. Cebrione. — Uno dei giganti
che
mossero guerra agli Dei. Fu ucciso da Venere. Vi
Patroclo l’uccise allo assedio di Troja. 1021. Cecio. — Uno dei venti
che
spira prima del tempo dell’equinozio. 1022. Cecol
22. Cecolo. — Figlio di Vulcano e di Prenesta. La tradizione racconta
che
sua madre, essendo seduta dappresso alla fucina d
esso alla fucina di Vulcano, fu colpita da una scintilla di fuoco ; e
che
dopo nove mesi partorisse un bambino a cui ella p
si trovavano fu all’istante circondato di fiamme. Allora tutti coloro
che
erano presenti, colpiti di spavento, aderirono al
lpiti di spavento, aderirono alla sua volontà. Altri scrittori dicono
che
Cecolo, ancora bambino, fu trovato da alcuni past
rovato da alcuni pastori nelle fiamme senza esserne punto offeso, ciò
che
lo fece ritenere da tutti come figlio di Vulcano.
scrittori è dubbia sulla origine di questo soprannome, volendo alcuni
che
gli venisse dall’aver fatto delle leggi sull’unio
da cui condusse una colonia nella Grecia ove fondò il regno d’Atene,
che
dal suo nome fu detta Cecropia. Alcuni la confond
otettrice di Atene, città fondata da Cecrope. 1026. Cecropidi. — Nome
che
si dava agli Ateniesi : Ovidio chiama particolarm
rò di vendicarsene, e lo lasciò ritornare presso Procride, sua moglie
che
egli amava passionatamente. Ritornato in patria,
si della fedeltà di sua moglie, le si presentò sotto un travestimento
che
lo rendeva irriconoscibile ; ed ebbe il dolore di
stimento che lo rendeva irriconoscibile ; ed ebbe il dolore di vedere
che
essa condiscendeva all’incognito seduttore. Cefal
ella casa del marito, essa lo presentò di un giavellotto e di un cane
che
Minosse le aveva dato, e amò così teneramente il
i un cane che Minosse le aveva dato, e amò così teneramente il marito
che
ne divenne furiosamente gelosa. Un giorno ella si
giorno ella si nascose in un cespuglio per spiarlo, e Cefalo credendo
che
fosse una fiera, la uccise con l’istessa arme ch’
i Lucifero e di Chione. Egli fu così dolente della morte di sua madre
che
si recò nella città di Claro onde consultare l’or
sua morte ottenne dagli Dei di essere cangiata, con lui, nell’uccello
che
si chiama Alcione V. Alcione. Altri scrittori dic
nell’uccello che si chiama Alcione V. Alcione. Altri scrittori dicono
che
Ceix fosse amato da Aurora, e che questa lo avess
V. Alcione. Altri scrittori dicono che Ceix fosse amato da Aurora, e
che
questa lo avesse sposato. 1035. Celadone. — Uno d
rora, e che questa lo avesse sposato. 1035. Celadone. — Uno di coloro
che
furono uccisi alle nozze di Perseo con Andromeda.
38. Celeo. — Re di Eleusi il quale accolse assai benignamente Cerere,
che
per ricompensarlo gl’insegnò l’agricoltura. 1039.
Cartaginesi : aveva nell’ Africa settentrionale un magnifico tempio,
che
fu poi demolito, da Costantino. Si crede generalm
ico tempio, che fu poi demolito, da Costantino. Si crede generalmente
che
fosse la stessa che la luna ; altre opinioni vogl
oi demolito, da Costantino. Si crede generalmente che fosse la stessa
che
la luna ; altre opinioni vogliono che si adorasse
eneralmente che fosse la stessa che la luna ; altre opinioni vogliono
che
si adorasse sotto quel nome la Dea Venere. 1041.
— Dama tessala la quale fu cangiata in diamante, per avere sostenuto
che
Giove era mortale. Al dire di Ovidio, Celma era i
Celma era il nome dell’ajo di Giove, il quale aveva voluto sostenere,
che
quel Dio anch’esso fosse sottomesso alla morte. P
rene. Essendo stata uccisa involontariamente da Diana con una freccia
che
questa lanciava ad una fiera, la madre di lei fu
ad una fiera, la madre di lei fu così afflitta e versò tante lagrime,
che
la Dea mossa a pietà, la cangiò in una fontana ch
rsò tante lagrime, che la Dea mossa a pietà, la cangiò in una fontana
che
dal suo nome fu detta Pirene. 1045. Cencrea. — V.
sa pel proprio padre. 1047. Ceneriso. — Fiume della Jonia. Si credeva
che
nelle sue acque fosse stata tuffata dalla nutrice
Perocchè da principio ei fu donzella. …………….. Fu in dubbio allor ciò
che
di Ceneo avvenne, E quasi ognun di noi giudizio d
ndo andare a caccia. Dante. — Inf. Cant. XII. Quelli fra i Centauri
che
furono invitati alle nozze di Piritoo e d’Ippodam
ici. 1051. Centimano. — Così viene soprannominato il gigante Briareo,
che
la favola dipinge con cinquanta braccia e cento m
1052. Ceo. — Così avea nome uno dei Titani, figliuoli della terra,
che
dettero la scalata alcielo. Ceo era anche il nome
ici di quella montagna, cangiato in uccello. Altri scrittori vogliono
che
fosse cangiato in quella specie di scarafaggio ch
scrittori vogliono che fosse cangiato in quella specie di scarafaggio
che
ha le corna. Questa credenza viene dall’ etimolog
e ha le corna. Questa credenza viene dall’ etimologia greca Κεραμπτον
che
significa con le corna. 1055. Cerasti. — Popoli d
per la loro crudeltà. Venere li cangiò in torisdegnata del sacrifizio
che
essi le facevano, uccidendo tutti gli stranieri c
ta del sacrifizio che essi le facevano, uccidendo tutti gli stranieri
che
transitavano il loro paese. 1056. Ceraunio. — Val
transitavano il loro paese. 1056. Ceraunio. — Vale a dire fulminatore
che
lancia la folgore ; soprannome di Giove. 1057. Ce
da Echidna I pagani credevano ch’egli divorasse le anime dei dannati
che
tentavano uscire dall’ inferno. Quando Orfeo disc
resistere, e s’adira. E per tre gole abbaia, e cerca scampo. La bava,
che
gli fa lo sdegno e l’ira, Del suo crudo veneno em
vittime a due grossi alberi di cui aveva ravvicinato le cime per modo
che
queste, riprendendo il loro posto, per forza natu
Alope la quale Nettuno rese madre, e il padre di lei fu così irritato
che
la condusse in un bosco insieme al bambino e ve l
’abbandonò per esservi divorata dalle fiere. 1060. Cercopi. — Popoli,
che
Giove cambiò in scimmie perchè essi si abbandonav
a. — Nome di una delle divinità degli Egiziani : si crede comunemente
che
fosse la stessa che Cebo. 1062. Cereali. — Feste
le divinità degli Egiziani : si crede comunemente che fosse la stessa
che
Cebo. 1062. Cereali. — Feste in onore di Cerere.
etusa, le dimandò novelle di sua figlia Proserpina. La ninfa le disse
che
Plutone l’aveva rapita. Cerere discese immediatam
figlia la quale, per altro, si ricusò a seguirla sulla terra. Vedendo
che
non poteva persuaderla, Cerere ebbe ricorso a Gio
fo (V. Ascalafo). Giove intanto, commosso dal dolore di Cerere ordinò
che
Proserpina avesse passato sei mesi dell’anno con
le venivano scrupolosamente offerte, ed erano puniti di morte coloro
che
per qualunque ragione avessero turbati i solenni
sottoposta al lavoro dell’ agricoltura. È questa la idea più generale
che
, seguendo la favola, si può dare su questa Dea, p
rse opinioni in proposito di questa famosa Divinità. Ve ne sono molti
che
la confondono con Cibele ; ossia la Terra, quantu
na grande venerazione. 1065. Cerixo. — Fu uno dei sacerdoti di Cerere
che
sovraintendeva ai misteri di quella Dea. 1066. C
sciuto come un Dio dopo la morte, e onorato come tale essendosi detto
che
Venere apparve nel Senato, quando i congiurati pu
sare e ne avesse trasportata l’anima fra gli astri. Racconta Svetonio
che
durante la celebrazione dei giuochi funebri in on
lio Cesare, fosse apparsa una cometa con la coda, o stella crinita, e
che
questa apparizione contribuì non poco alla apoteo
e contribuì non poco alla apoteosi di lui, essendosi creduto da tutti
che
in quell’astro fosse andata a dimorare l’anima de
andata a dimorare l’anima del morto. La tradizione mitologica ripete
che
in tutto il corso dell’anno che seguì la morte di
orto. La tradizione mitologica ripete che in tutto il corso dell’anno
che
seguì la morte di Giulio Cesare, il sole comparis
ì la morte di Giulio Cesare, il sole comparisse pallido e sbiadito, e
che
questo era un segnale dello sdegno di Apollo. 107
llo sdegno di Apollo. 1070. Cesto. — Così veniva chiamata una cintura
che
Venere portava abitualmente, e nella quale la Fav
intura che Venere portava abitualmente, e nella quale la Favola narra
che
fossero rinchiuse le grazie, i desiderii e le att
desiderii e le attrattive. Giunone per piacere a Giove, pregò Venere
che
le prestasse quella cintura. A proposito del famo
dre egli andò a dimorare sulle rive del fiume Tiamio in una contrada,
che
fu detta Cestrina dal nome di lui. 1072. Ceto. —
. 1072. Ceto. — Secondo Esiodo così si chiamava la moglie di Forcino,
che
fu madre di Bellona. 1073. Chaonia. — Contrada de
i suoi abitanti, prima dell’invenzione del pane, e per i suoi colombi
che
, secondo la tradizione mitologica, predicevano l’
edicevano l’avvenire. 1074. Chariclea e Teagene. — Sono questi i nomi
che
Eliodoro nelle sue storie dà a due personaggi di
che Eliodoro nelle sue storie dà a due personaggi di sua invenzione,
che
non vissero mai. Le cronache mitologiche, e le tr
menzione alcuna. 1075. Charise. — V. Caride. 1076. Chelonea. — Ninfa
che
fu cangiata in testuggine. 1077. Chera. — Vale a
ne. 1078. Cherone. — Figlio di Apollo. Dette il suo nome ad una città
che
da lui cangiò il suo antico nome di Arnea in quel
atleta del quale i Greci facevano gran conto. 1081. Chimera. — Mostro
che
aveva la testa di leone, il corpo di capra e la c
mo ebbe Filammone, celebre suonatore di liuto ; dal secondo Autolico,
che
si rese non meno famoso di suo padre nell’inganna
e nell’ingannare tutti. Chione fu così orgogliosa della sua bellezza,
che
osò vantarsi d’esser più bella di Diana, del che
della sua bellezza, che osò vantarsi d’esser più bella di Diana, del
che
sdegnata la Dea, le forò la lingua con una frecci
o, perdutamente innamorata di questa donna bellissima, tutte le volte
che
si recava da lei si trasformava in cavallo per de
anza di sua moglie Rea ; ed è perciò ch’egli ebbe da Filira un figlio
che
, secondo la tradizione mitologica, ebbe il corpo
re di Achille. E quel di mezzo ch’al petto si mira È ’l gran Chirone
che
nudri Achille. Dante — Inferno — Canto XII. Una
to XII. Una ferita ad un piede cagionatagli da una freccia di quelle
che
Ercole aveva bagnate nel sangue dell’idra di Lern
on lunge un’altra fonte : V’è chi dal nome suo Ciane l’appella, Nïnfa
che
l’à in custodia a piè del monte, Che preme di Tif
. Essa fu cangiata in roccia per non aver voluto ascoltare un giovane
che
l’amava passionatamente, e che si uccise in prese
r non aver voluto ascoltare un giovane che l’amava passionatamente, e
che
si uccise in presenza di lei senza cagionarle la
ntevole rumore fra quelle rocce, spingevano nell’aria certa caligine,
che
rendeva estremamente pericoloso quel passaggio ;
’allontanarsi da quegli scogli, per effetto della dubbia e fioca luce
che
ivi regnava, pareva che le rocce si movessero le
scogli, per effetto della dubbia e fioca luce che ivi regnava, pareva
che
le rocce si movessero le une contro le altre ; co
sero le une contro le altre ; così si credeva generalmente dai pagani
che
esse fossero movibili e che ingojassero i vascell
; così si credeva generalmente dai pagani che esse fossero movibili e
che
ingojassero i vascelli al loro passaggio. La trad
gojassero i vascelli al loro passaggio. La tradizione favolosa ripete
che
gli Argonauti, spaventati da un simile effetto ot
ba la quale giunse felicemente a traversare il terribile stretto ; ma
che
apparisse dall’altra parte senza coda. Allora gli
e senza coda. Allora gli Argonauti offrirono un sacrifizio a Giunone,
che
concesse loro un tempo sereno, ed a Nettuno che r
sacrifizio a Giunone, che concesse loro un tempo sereno, ed a Nettuno
che
rese immobili quelle rocce, e impedì alla nave Ar
ì alla nave Argo ove quelli erano imbarcati di naufragarsi ; per modo
che
gli Argonauti giunsero felicemente al loro destin
steri di Bacco, questo Dio, per punirlo, lo colpì d’una tale ebbrezza
che
quasi demente fece violenza a sua figlia. Appena
fu desolata da un’orribile pestilenza. L’oracolo interrogato rispose
che
il flagello avrebbe fine col sacrifizio dell’ince
spirare il furore. Veniva chiamata la madre degli Dei, non altrimenti
che
Cibelle con la quale per altro non bisogna punto
Madre degli Dei, Buona Dea ecc : La tradizione favolosa narra di lei
che
, appena nata venisse esposta in un bosco per esse
nata venisse esposta in un bosco per essere divorata dalle fiere ; ma
che
queste ne ebbero cura e la nudrirono col loro lat
bbero cura e la nudrirono col loro latte. Si crede assai generalmente
che
sia la stessa che la terra ; viene raffigurata so
drirono col loro latte. Si crede assai generalmente che sia la stessa
che
la terra ; viene raffigurata sotto le sembianze d
ncia maniera. 1093. Cibernesie. — Così venivano chiamate alcune feste
che
Teseo istituì per onorare la memoria del suo pilo
. Cleinnia. — Dea dell’infamia. 1096. Cicladi. — Ninfe del mare Egeo,
che
furono cangiate in isole, perchè non vollero sacr
ettuno. Oggi sono note sotto l’istesso nome. 1097. Cielopi. — Giganti
che
fondevano i fulmini a Giove sul monte Etna, ove s
lapio suo figlio, fulminato da Giove, distrusse i ciclopi come coloro
che
avevan fuso i fulmini. I principali fra i Ciclopi
e a sacco la loro città capitale, chiamata Imarte. La favola racconta
che
le donne dei Ciconi avessoro ucciso Orfeo, perchè
come il più antico degli Dei. Fu detronizzato da suo figlio Saturno,
che
regnò in sua vece. 1104. Cigno o Cieno. — Uccello
questi animali. V. Leda. Cigno ebbe anche nome un figliuolo di Marte,
che
combattè contro Ercole e fu vinto. Marte allora s
ulla tomba dell’amico suo. Egli cantò così soavemente nel suo dolore,
che
divenuto vecchio, gli Dei mossi a compassione can
olosa, seguitando il suo simbolo anche dopo codesta metamorfosi, dice
che
egli ricordandosi del fulmine di Giove, che aveva
codesta metamorfosi, dice che egli ricordandosi del fulmine di Giove,
che
aveva ucciso l’amico suo, non avesse mai spinto i
quale fu da suo padre reso invulnerabile fino dall’infanzia, e tanto
che
essendosi confederato ai trojani nel famoso assed
ontro Achille rimanendo esente da ogni ferita. Achille allora vedendo
che
le sue armi erano impotenti contro il suo nemico,
addosso e afferratolo alla gola lo strangolò : ma nel medesimo tempo
che
l’eroe vincitore si accingeva a spogliare il vint
eno. — Fu una delle Plejadi. 1106. Cilixo. — Uno dei figli di Fenicio
che
andò a stabilirsi in quella parte dell’ Asia mino
i di Fenicio che andò a stabilirsi in quella parte dell’ Asia minore,
che
poi dal suo nome fu detta Cilicia. Cilixo fu anch
llene. — Montagna dell’Arcadia. Vogliono alcuni scrittori mitologici,
che
essa debba il suo nome, ad una figlia di Menofron
nome, ad una figlia di Menofrone, chiamata Cillene : altri pretendono
che
lo abbia da una principessa di questo nome pronip
rincipessa di questo nome pronipote d’Afanaso re d’Arcadia. Mercurio,
che
secondo la tradizione favolosa nacque su questa m
ene sovente dedominato Cillenio. 1110. Cilleo. — Soprannome di Apollo
che
gli veniva dalla città di Cilla, nella Beozia, do
mpio. 1111. Cillo. — Cocchiere di Pelopo, il quale lo ebbe così caro,
che
dopo la morte di lui, fond ò una città a cui impo
poli dell’Italia, nelle circostanze di Baja. La cronaca favolosa dice
che
in una delle contrade abitate da questi popoli, s
a delle compagne di Cirene, madre d’Aristeo. 1116. Cimodocea. — Ninfa
che
predisse ad Enea l’evento della sua flotta. Fu un
infa che predisse ad Enea l’evento della sua flotta. Fu una di coloro
che
si presentarono a Cibele, quando questa Dea trasf
8. Cimoloe. — Una delle Nereidi. Essa ajutò i Trojani in una burrasca
che
Giunone aveva sollevata contro di loro. 1119. Cin
ollevata contro di loro. 1119. Cinarada. — Dette anche Cinaredo, nome
che
si dava al gran sacerdote sagrificatore della Ven
nuove maritate. 1121. Cindiade. — Soprannome di Diana. Narra Polibio,
che
la statua di Diana Cindiade, se pure posta in luo
Adone. 1126. Cinisca. — Figliuola d’Archisane, la quale fu la prima,
che
ne’giuochi olimpici avesse ottenuto il premio nel
. Cinocefalo. — Divinità Egiziana. Al dire di Plutarco, era la stessa
che
Anubi. Vi erano, secondo la mitologia indiana, al
di cane V. Anubi. 1128. Cinofontisa. — Detta anche Cinofontea : nome
che
si dava ad una festa celebrata ad Argo, durante l
esta celebrata ad Argo, durante la quale venivano uccisi tutti i cani
che
s’incontravano per la via. 1129. Cinosora. — Ninf
o per la via. 1129. Cinosora. — Ninfa del monte Ida. Fu una di quelle
che
presero cura dell’infanzia di Giove. Dopo la sua
e un grosso cane bianco sbranò la vittima e fuggì. Didimo non sapendo
che
pensare dell’accaduto, rimase qualche tempo perpl
ll’accaduto, rimase qualche tempo perplesso, allorchè intese una voce
che
gl’imponeva d’innalzare un altare nel luogo ove i
e estinta. …. e dal seno il bel trapunto e vago Cinto si sciolse, in
che
raccolte e chiuse Erano tutte le lusinghe. V’era
ionato. Un giorno per inavvertenza lo ucoise, e ne fu così addolorato
che
volle darsi la morte, ma Apollo mosso a pietà lo
re, dall’isola di Cipro, a lei consagrata. 1138. Circe. — Famosa maga
che
alcuni mitologi dicono figlia del Giorno e della
e nell’isola di Ea, o, secondo altri in un promontorio della Campania
che
poi dal suo nome fu detto Circeo, e dov’essa cang
ò Scilla in mostro marino, avendole un giovane greco per nome Glauco,
che
essa amava, preferita quella ninfa. Circe accolse
o nella sua patria. ………. la Deessa udiro Dai ben torti capei, Circe,
che
dentro Canterellava con leggiadra voce, Ed un amp
sa divenne madre di Aristea. Vi fu un’altra Cirene ninfa della Tracia
che
fu dal Dio Marte resa madre del famoso Diomede. 1
de vicino alla quale esisteva una caverna da cui soffiavano dei venti
che
ispiravano una specie di divino furore, e facevan
tre danzava nei misteri di Bacco, innanzi al simulacro di questo Dio,
che
lo cangiò in ellera. 1146. Cissotonie. — Feste gr
148. Citera. — Isola del mediterraneo. La tradizione mitologica narra
che
fu in quest’isola che Venere nascesse dalla spuma
el mediterraneo. La tradizione mitologica narra che fu in quest’isola
che
Venere nascesse dalla spuma del mare gli abitanti
del citato scrittore, la virtù di guarire dalle malattie, gl’infermi
che
vi si bagnavano. 1151. Citereo-Eroe. — Così veniv
aprile perchè era consacrato a Venere. 1152. Citeriadi. — Soprannome
che
talvolta si dava alle Muse tenute anch’esse in co
to in conto di saggio e prudente uomo. La cronaca mitologica racconta
che
essendo Giunone, altamente irritata contro di Gio
osì veniva denominato Giove perchè aveva un tempio sopra una montagna
che
portava l’istesso nome. 1156. Citora. — Città e m
dato alla capitale dei Dolioni, la quale fu detta Cizzica o Cisia, e
che
poi divenne una delle più fiorenti città della Gr
lle più fiorenti città della Grecia. 1159. Cladea. — Fiume dell’Elide
che
veniva adorato dai greci come una divinità. 1160.
ivinità. 1160. Cladeo. — Uno degli eroi della Grecia. Pausania ripete
che
dopo la sua morte gli furono tributati gli onori
rte gli furono tributati gli onori eroici. 1161. Cladeuterie. — Feste
che
si celebravano all’epoche del taglio delle vigne.
e, così veniva denominata Iride. 1163. Clario. — Soprannome di Apollo
che
gli veniva dalla città di Claro o Claros, dove eg
stale, la quale accusata di libertinaggio fu salvata dalla dea Vesta,
che
operò un miracolo per provare la virtù di lei. La
n miracolo per provare la virtù di lei. La tradizione favolosa narra,
che
Claudia, per mezzo della sua cintura, avesse tira
rive del Tevere, e dove il vascello si era così fortemente incastrato
che
non riusci a più centinaja di uomini di rimuoverl
riusci a più centinaja di uomini di rimuoverlo. 1166. Clausio. — Dio
che
veniva invocato nella chiusura delle porte. Deriv
iudere. 1167. Clava. — Questa specie di arma terribile, è l’attributo
che
concordemente gli scrittori dell’antichità danno
sue imprese, si servì sempre della clava. La cronaca mitologica dice
che
fosse dapprima appartenuta a Mercurio, il quale l
apprima appartenuta a Mercurio, il quale l’avesse poi data ad Ercole,
che
la depose in un dato luogo, ove la clava avendo p
signata con l’epiteto di Epidauriana, perchè fu appunto nell’Epidauro
che
Teseo la rapì a Perifete, dopo averlo ucciso. È q
est’ultimo si dava l’epiteto di porta-chiavi, come custode del tempio
che
si apriva in tempo di guerra e si chiudeva in tem
Detta anche Cledonismo, era una famosa magia ; specie di divinazione
che
si tirava da certe parole, che dette in alcuni da
a famosa magia ; specie di divinazione che si tirava da certe parole,
che
dette in alcuni dati rincontri, erano ritenute co
o, re di Troja, e di Ecuba. 1174. Cleodora. — Così avea nome la ninfa
che
fu madre di Parnaso. 1175. Cleodossa. — Una delle
ole di Niobe. 1176. Cleomede. — Famoso atleta. Egli era così robusto,
che
sdegnato di non aver conseguito il premio nella l
ritrovato. L’oracolo consultato su questo strano avvenimento, rispose
che
Cleomede era scomparso perchè l’ultimo dei semi-d
1178. Cleopatra. — Una delle Danaidi. Vi fu anche un’altra Cleopatra,
che
fu figlia di Borea e moglie di Fineo. 1179. Clero
pretendeva conoscere la sorte per mezzo dei dadi. 1180. Cleta. — Nome
che
i Lacedemoni davano ad una delle tre grazie. 1181
ni davano ad una delle tre grazie. 1181. Clidomanzia. — Indovinamento
che
si facea per mezzo di alcune chiavi. 1182. Climen
V. Arpalice. 1185. Clio. — Una delle nove muse, e propriamente quella
che
presiedeva alla storia. I poeti la rappresentano
di regicidio, il suo trono ed il suo talamo. … Ahi ! lassa ! ohimè !
che
bramo ? Elettra, Piangi l’error di traviata madre
enere i favori di Leupotea. Clizia concepi una così violenta gelosia,
che
in un accesso di disperazione volle lasciarsi mor
me di Eliotropo. La cronaca mitologica ricorda due altre Clizie : una
che
fu moglie di Tantalo, l’altra di Amintore. 1192.
1192. Cloacina. — Dea delle cloache. La tradizione favolosa racconta
che
Tito Tazio avendo per caso trovata una statua in
io, Cloacina era anche un soprannome di Venere, a cagione d’un tempio
che
ella aveva presso Roma, in un luogo paludoso. Sec
in un luogo paludoso. Secondo il suddetto scrittore, fu in quel luogo
che
i Sabini e i Romani s’unirono in un sol popolo, d
eniva a lei sacrificato un capro. Questa parola deriva dal greco Κλδα
che
significa erba verde, e conviene perciò a Cerere,
perciò a Cerere, come dea dell’agricoltura. 1197. Clone. — Soprannome
che
gli Egiziani davano ad Ercole. 1198. Clonio. — Un
i Egiziani davano ad Ercole. 1198. Clonio. — Uno dei capitani Beozii,
che
si recarono all’assedio di Troia. 1199. Cloreo. —
d’esser più bella della seconda. Clori fu anche il nome di una ninfa
che
sposò Zeffiro, il quale le dette per dote l’imper
che sposò Zeffiro, il quale le dette per dote l’impero sui fiori, ciò
che
la fece adorare sotto il nome di Flora, come una
credevano ch’egli avesse esistito prima della creazione del mondo, e
che
dalla sua bocca fosse uscito il primo uovo, che d
reazione del mondo, e che dalla sua bocca fosse uscito il primo uovo,
che
dette poi vita a tutti gli esseri mortali. Plutar
vo, che dette poi vita a tutti gli esseri mortali. Plutarco riferisce
che
gli Egiziani della Tebaide, per un lungo elasso d
on questa sola divinità immortale, e non riconobbero alcuna divinità,
che
fosse sottomessa alla legge inevitabile della mor
tà dell’essere supremo. 1205. Cnufi. — V. Cnef. 1206. Coalemo. — Nome
che
si dava alla divinità della imprudenza. 1207. Cob
divinità della imprudenza. 1207. Cobali. — Dalla parola greca Κσβαλὅς
che
significa ingannatori ; venivano così indicati al
significa ingannatori ; venivano così indicati alcuni genii malefici,
che
facevano parte del seguito di Bacco. 1208. Cocalo
. 1208. Cocalo. — Re della Sicilia. La tradizione mitologica racconta
che
fu presso di lui che si ricoverò Dedalo, allorchè
della Sicilia. La tradizione mitologica racconta che fu presso di lui
che
si ricoverò Dedalo, allorchè Minos lo perseguitav
inos lo perseguitava. Cocalo soddisfatto d’aver presso di sè un uomo,
che
come Dedalo si era reso celebre pel suo ingegno,
edalo si era reso celebre pel suo ingegno, lo difese contro di Minos,
che
veniva a dimandarglielo a mano armata e fece peri
. Vi sono per altro alcuni scrittori dell’antichità, i quali ripetano
che
se pure Cocalo avesse sottratto Dedalo alle perse
e di Coccodrillopoli, ossia città dei Coccodrilli. Presso gli Ombiti,
che
era il popolo più superstizioso dell’Egitto, era
cielo, quando un coccodrillo avesse divorato uno de’loro bambini, del
che
essi si tenevano felicissimi. Però non era codest
ivano uccisi e riguardati con orrore, dappoichè era diffusa credenza,
che
Tifone, il quale nella tradizione mitologica egiz
lingua era ritenuto come il simbolo della divinità. Presso gli Egizii
che
adoravano il coccodrillo, si credeva fermamente c
Presso gli Egizii che adoravano il coccodrillo, si credeva fermamente
che
i vecchi coccodrilli avessero la virtù d’indovina
esagio, se avessero ricusato di cibarsi. Tazio, nelle sue opere, dice
che
gli Egiziani ponevano l’immagine del sole nella b
opere, dice che gli Egiziani ponevano l’immagine del sole nella barca
che
dovea trasportare un coccodrillo, perchè il numer
nno. Gli Egizii, adoratori de’coccodrilli, ritenevano come cosa certa
che
durante i primi sette giorni della nascita del bu
ttili deponessero affatto la loro innata ferocia, per non riprenderla
che
all’ottavo giorno. E finalmente la loro superstiz
credenza riguardo a questi animali, guingeva fino al punto da credere
che
essi avevano un grande rispetto per la dea Iside,
to da credere che essi avevano un grande rispetto per la dea Iside, e
che
non facessero alcun male a coloro che navigavano
de rispetto per la dea Iside, e che non facessero alcun male a coloro
che
navigavano il Nilo in una barca fatta dello stess
o in una barca fatta dello stesso legno di cui era fabbrita quella di
che
si serviva la dea Iside ne’suoi viaggi. 1210. Coe
i viaggi. 1210. Coeinomanzia o Coseinomanzia. — Specie di divinazione
che
si faceva per mezzo d’un crivello o staccio. 1211
una delle tre furie. V. Alectone. 1212. Cocito. — Fiume dell’inferno
che
circonda il Tartaro e arricchisce le sue tristi a
Cellina. — Secondo l’opinione di S. Agostino aveva questo nome la dea
che
presiedeva alle montagne e alle valli. 1218. Coll
— Detto uccello di Citerea, per essere sacro a Venere. Apulejo ripete
che
questa dea facea tirare il suo carro da due colom
rispetto le colombe e non osavano cibarsi della loro carne, ritenendo
che
sarebbe stato lo stesso che cibarsi delle loro di
avano cibarsi della loro carne, ritenendo che sarebbe stato lo stesso
che
cibarsi delle loro divinità. Anche presso gli Ass
razione per le colombe ; ed era generale credenza presso quei popoli,
che
l’anima della loro famosa regina Semiramide, foss
e sembianze di una colomba. Silvio Italico, rapporta nelle sue opere,
che
due colombe si fossero fermate sulla città di Teb
sue opere, che due colombe si fossero fermate sulla città di Tebe : e
che
dopo qualche istante una prendesse il volo verso
era di oro, riposava su di una quercia circondata da numeroso popolo,
che
vi si recava parte per offrirle dei sacrifizii, p
a sua vita. 1221.Colonne d’Ercole. — La tradizione mitologica ricorda
che
Ercole, seguendo le sue imprese, si fosse interna
imprese, si fosse internato fino alla città di Gadira, oggi Cadice, e
che
quivi, credendo d’esser giunto all’estremità dell
. Il più famoso è quello conosciuto sotto il nome di colosso di Rodi,
che
era una delle sette maraviglie del mondo, e che r
e di colosso di Rodi, che era una delle sette maraviglie del mondo, e
che
rappresentava Apollo, solo dio dei Rodiani. La pi
rappresentava Apollo, solo dio dei Rodiani. La più comune opinione è
che
codesta statua fosse alta settanta cubiti. Solo F
à, e posava i piedi su due basi quad rate di così sterminata altezza,
che
un vascello, a vele gonfie, passava tra le gambe
nitisi dell’isola di Rodi, venderono la statua colossale ad un ebreo,
che
la fece in pezzi e, pel solo trasporto della gran
l Ponto Eusino, v’era un altro colosso dell’altezza di trenta cubiti,
che
similmente rappresentava Apollo, e che Lucullo fe
dell’altezza di trenta cubiti, che similmente rappresentava Apollo, e
che
Lucullo fece trasportare a Roma. Finalmente i cro
rticolo precedente. 1224.Comani. — Ministri subalterni dei sacrificii
che
si facevano alla dea Bellona, nella città di Coma
i quella dea aveva un tempio famoso. 1225.Comeo. — Dalla parola coma,
che
significa capigliatura ; veniva dato codesto sopr
lebrava in Grecia una festa ad Apollo Comeo, nella quale tutti coloro
che
vi prendevano parte vestivano una tunica bianca.
Figlia di Peterela, re dei Teleboeni : la tradizione racconta di lei
che
per un trasporto amoroso tradi il proprio padre,
e di una sacerdotessa di Diana. 1228.Como — Dalla parola greca Κὠμος,
che
significa lusso, libertinaggio ; si dava codesto
di rose, secondo si costumava nei banchetti. 1229.Compitalie. — Feste
che
si celebravano nelle crocivie, in onore degli dei
no nelle crocivie, in onore degli dei Penati. 1230.Comuso. — Divinità
che
presiedeva alle gioje notturne ed allo abbigliame
ua morte, gli tributarono gli onori divini. 1234.Consedio. — Divinità
che
presso i Romani presiedeva al concepimento degli
Giano, chiamandolo Giano Conservio. 1235.Consenti. — Nome collettivo
che
si dava agli dei ed alle dee di prim’ordine, cono
onservatrice. — Soprannomedi Giunone. La tradizione favolosa racconta
che
un giorno essendo Diana a caccia nella pianura de
le corna d’oro. Diana si dette a inseguirle, ma non potè impadronirsi
che
di quattro soltanto, essendo stata la quinta pres
tro soltanto, essendo stata la quinta preservata da morte da Giunone,
che
la volle salvare : da ciò il titolo di Conservatr
to la stessa denominazione. 1239.Conso. — Dio dei consigli : si crede
che
sia lo stesso che Nettuno Ippio. 1240.Consuali. —
inazione. 1239.Conso. — Dio dei consigli : si crede che sia lo stesso
che
Nettuno Ippio. 1240.Consuali. — Feste che si cele
si crede che sia lo stesso che Nettuno Ippio. 1240.Consuali. — Feste
che
si celebravano particolarmente con gli spettacoli
t’ultimo egualmente ucciso. 1243.Coppa. — Narra la cronaca mitologica
che
Demofonte, re d’Atene, accolse amorevolmente Ores
questi lasciò Argo, dopo l’uccisione di Egisto e di Clitennestra ; ma
che
avendo poi saputo essere Oreste reo di parricidio
particolarmente in una coppa di forma e di materia diversa da quelle
che
comunemente si costumavano in quei tempi. In memo
llo. — Secondo la tradizione favolosa questa pianta nacque dal sangue
che
grondò dalla testa di Medusa, allorchè Perseo nas
a quel contatto divennero pietrose e sanguigne. 1246.Corcira. — Isola
che
deve il suo nome ad una ninfa che fu una delle mo
e sanguigne. 1246.Corcira. — Isola che deve il suo nome ad una ninfa
che
fu una delle mogli di Nettuno. Quest’isola è cele
dal quale i Coribanti han preso il loro nome. 1256. Coricia. — Ninfa
che
fu una delle mogli di Apollo : dimorava abitualme
Corifea. — Secondo il parere di Eschilo, così avea nome quella furia
che
da parte delle sue compagne espose l’accusa terri
perderla di vista. Ma Paride, divenuto geloso del proprio figliuolo,
che
era di non comune belleza, un giorno trovatolo se
un accesso di gelosia, lo uccise. Si ricorda anche di un altro Corito
che
fu re dell’Etruria e padre di Dardano e di Tasio.
lo delle immagini di Cerere, di Bacco e degli altri semi-dei ed eroi,
che
procurarono agli uomini l’abbondanza dei beni dei
sul braccio, perchè Acheolo gliene fece un dono per riavere il corno
che
Ercole gli aveva tagliato. 1267. Coroneo. — Fu fi
roneo. — Fu figlio di Foroneo e re dei Lapidi. Fu uno degli Argonauti
che
presero parte alla spedizione del vello d’oro. 12
i meravigliosa bellezza. Il nume fu talmente irritato dell’abbandono,
che
uccise Coronide ed il suo novello amante ; ma non
si penti ben presto della crudele sua vendetta, e per punire il corvo
che
gli aveva denunziato l’infedeltà di Coronide, lo
o l’infedeltà di Coronide, lo cangiò di bianco in nero. Tempo fu già
che
amava una fanciulla Febo in Tessaglia, nata Laris
a nulla Di qual si voglia in ciel superba dea. La vede il corvo un di
che
si trastulla Con altro amante, e che ad Apollo è
erba dea. La vede il corvo un di che si trastulla Con altro amante, e
che
ad Apollo è rea ; E va per accusar l’ingrata e fe
. Vi fu anche un’altra Coronide, figlia di Coroneo, re della Focide,
che
Minerva cangiò in cornacchia, per sottrarla alle
1269. Cortina. — Generalmente si è creduto dai cronisti della favola
che
sotto il nome di Cortina si volesse dai pagani in
eva i suoi oracoli. Taluno fra gli scrittori dell’antichità, pretende
che
il nome di Cortina, fosse adoperato per indicare
indicare il tripode stesso. L’opinione più fondata però sembra quella
che
attribuisce il nome di Cortina ad una specie di p
piccolo bacino, ordinariamente d’oro o di argento, così poco concavo,
che
somigliava ad una piccola tavola, la quale veniva
ponsi. 1270. Corvo. — Uccello consacrato ad Apollo, perchè si credeva
che
avesse un istinto naturale di predir l’avvenire.
onsiderati come i più infami. Al dire di Giovenale, le turpi libidini
che
si commettevano dai sacerdoti della dea, giunsero
o dai sacerdoti della dea, giunsero a tal segno di bestiale oscenità,
che
richiamarono su di essi il furore della dea stess
rono dalla Tracia il culto di questa turpe divinità. La cronaca narra
che
Alcibiade si fosse fatto iniziare nei misteri di
narra che Alcibiade si fosse fatto iniziare nei misteri di Cotitto, e
che
avendo il poeta Eupoli, scritta una commedia ove
abuso. — Uno degli dei della mitologia egiziana. 1276. Crane. — Ninfa
che
fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente
Crane. — Ninfa che fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente
che
sia la stessa che Carnea. 1277. Cranto. — Uno deg
e fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente che sia la stessa
che
Carnea. 1277. Cranto. — Uno degli eroi a cui dopo
della famosa Scilla. Omero e altri scrittori dell’antichità, vogliono
che
sia la stessa che Ecate. 1279. Crateo o Creteo. —
a. Omero e altri scrittori dell’antichità, vogliono che sia la stessa
che
Ecate. 1279. Crateo o Creteo. — Figlio di Minosse
l’oracolo per conoscere i destini della sua vita, ne ebbe in risposta
che
sarebbe stato ucciso da suo figlio Altmeno. Quest
uo figlio Altmeno. Questo giovane principe, spaventato dalla sventura
che
minacciava suo padre, prima di esiliarsi volontar
iarsi volontariamente dalla sua patria, uccise una delle sue sorelle,
che
Mercurio avea deflorata, e dopo aver maritate le
ll’isola di Rodi, ove stava Altmeno. Gli abitanti di quella, credendo
che
Crateo fosse un nemico che venisse a sorprenderli
Altmeno. Gli abitanti di quella, credendo che Crateo fosse un nemico
che
venisse a sorprenderli, presero le armi e ne segu
spogliarlo delle armi, essi si riconobbero. Altmeno ottenne dagli dei
che
la terra gli si fosse spalancata sotto i piedi e
se allo istante inghiottito. 1280. Crau. — La favola mitologica narra
che
combattendo Ercole contro il gigante Gerione, gli
ndo Ercole contro il gigante Gerione, gli fossero mancate le frecce e
che
egli avesse implorato l’ajuto di Giove, il quale
e particolarmente in Egitto. 1282. Crenee. — Dalla parola greca Κυγυγ
che
significa fontana : veniva dato questo sopranome
atore della crudele inimicizia dei due fratelli Eteocle e Polinice, e
che
li avesse spinti ad uccidersi scambievolmente. Vi
ad uccidersi scambievolmente. Vi fu un altro Creonte, re di Corinto,
che
Medea fece miseramente perire. — V. Medea. 1285.
carsi mandò in dono a Creusa una piccola scatola da cui uscì un fuoco
che
s’appiccò alla reggia e fece morire la sventurata
ece morire la sventurata principessa e il padre di lei. Euripide dice
che
il dono inviato da Medea, consisteva in ornamenti
ono non appena Creusa se ne fu adornata, producendo lo stesso effetto
che
il fuoco nella scattola. È opinione di molti preg
che il fuoco nella scattola. È opinione di molti pregiati scrittor i
che
la figlia di Creonte si chiamasse Glauca e non Cr
o Lic’sca. A lei presenta Questo mio dono, e nella mente imprimi Ciò
che
dirle dovrai…….. ……………….. …… poscia a’suoi piedi
Le due precedenti citazioni varranno a comprovare ai nostri lettori
che
dagli scrittori si dà vicendevolmente alla figlia
i Creusa. La tradizione mitologica ricorda anche di una altra Creusa,
che
fu figlia di Priamo e moglie di Enea. Ella dispar
m’ammutii. Prese ella a dirmi. E consolarmi : O mio dolce consorte. A
che
si folle affanno ? A gli dei piace Che cosi segua
riedificare le mura di Troja ; ma poi negò ai due numi la ricompensa
che
avea loro promessa. Nettuno per vendicarsi mandò
e ogni giorno bisognava dare una giovanetta per pasto. Tutte le volte
che
il mostro compariva, le giovanette del cantone ti
, e approdò in Sicilia ; ma non avendo potuto ritrovarla pianse tanto
che
i numi mossi a compassione, lo cangiarono in flum
rprendere molte ninfe, e combattè contro Acheolo per la ninfa Egesta,
che
poi sposò e da cui ebbe un figlio per nome Aceste
Apollo stesso uccise a colpi di frecce quegli animali divoratori, il
che
valse a quel Dio il soprannome di Sminitheus, che
mali divoratori, il che valse a quel Dio il soprannome di Sminitheus,
che
vuol dire distruttori di sorci. 1300. Criobole. —
uol dire distruttori di sorci. 1300. Criobole. — Specie di sacrifizio
che
si offeriva alla madre degli dei : la vittima abi
nità alla quale si dava questo nome pel gran numero di quegli animali
che
venivano sagrificati su’suoi altari. 1302. Criofo
03. Crisaore. — Secondo l’opinione di Esiodo, fu cosi chiamato l’uomo
che
nacque dal sangue della testa recisa di Medusa :
mennone ricusato alle preghiere del vecchio, questi ottenne da Apollo
che
una terribile pestilenza avesse decimato l’eserci
ostretto a cederla, ritolse ad Achille una schiava per nome Briseide,
che
era a lui spettata in sorte nella divisione di un
rdotessa di Giunone in Argo. Addormentatasi ai piedi dell’ara, lasciò
che
il fuoco si appiccasse ai sacri ornamenti, e quin
ri bruciata ella stessa. 1307. Crisippo. — Figlio naturale di Pelopo,
che
lo amò teneramente. Ippodamia, moglie di Pelopo e
eramente. Ippodamia, moglie di Pelopo e matrigna di Crisippo, temendo
che
un giorno questo fanciullo non regnasse in pregiu
ito visse ancora tanto tempo da poter palesare la verità, ed impedire
che
la sua morte fosse imputata ai due suoi fratelli.
mennone e di Clitennestra. 1311. Critomanzia. — Specie di divinazione
che
si faceva dall’osservazione della pasta delle foc
ivinazione che si faceva dall’osservazione della pasta delle focacce,
che
venivano offerte nei sagrifizii, e della farina c
ta delle focacce, che venivano offerte nei sagrifizii, e della farina
che
si spargeva sulle vittime per trarne i presagi. L
me per trarne i presagi. La parola Critomanzia viene dal greco Κριδη,
che
significa orzo. 1312. Crocale. — Ninfa che fu rig
zia viene dal greco Κριδη, che significa orzo. 1312. Crocale. — Ninfa
che
fu riglia del fiume Ifmeno. 1313. Croco. — Più co
o di Smilaxa. Essi si amavano cosi teneramente e con tanta innocenza,
che
gli dei li cangiarono in arboscelli. 1314. Crodo.
— Divinità degli antichi Sassoni : si crede in generale dai cronisti,
che
fosse la stessa che Saturno. 1315. Cromio. — Figl
ichi Sassoni : si crede in generale dai cronisti, che fosse la stessa
che
Saturno. 1315. Cromio. — Figliuolo di Priamo : fu
e. — Contrada posta nelle circostanze di Corinto, celebre per i danni
che
ebbe a soffrire da un mostro che poi dette la vit
anze di Corinto, celebre per i danni che ebbe a soffrire da un mostro
che
poi dette la vita, secondo la tradizione favolosa
quel mostro e l’uccise. 1317. Cromisio. — Figlio di Neleo di Cloride,
che
fu ucciso da Ercole. 1318. Cromise. — Figliuolo d
attribuisce l’istesso nome. 1319. Cronie. — Feste in onore di Saturno
che
i greci veneravano anche come il Tempo. 1320. Cro
. Cronio. — Fu il nome di uno dei centauri. 1321. Crono. — Soprannome
che
veniva dato a Saturno, ritenuto come dio del temp
re di Famateo. 1324. Cteato. — Padre d’Anfimaco : fu uno dei capitani
che
assediarono Troja. 1325. Ctonlo. — Uno dei sopran
uccello era particolarmente consacrato a Giove ; e la favola racconta
che
la metamorfosi di quel dio in cuculo avvenisse ne
race, chiamato da allora in poi monte Cuculo dalla parola greca Χδων,
che
significa terra e dall’altra Χδονως che è per ter
culo dalla parola greca Χδων, che significa terra e dall’altra Χδονως
che
è per terra. 1328. Cuma. — Città d’Italia ove av
e Apatuarie. L’etimologia della parola Cureoti viene dal greco Κονρος
che
vuol dire uomo giovane, perchè appunto in quel gi
ς che vuol dire uomo giovane, perchè appunto in quel giorno i giovani
che
erano giunti alla pubertà, prima di preder parte
a. D 1337. Dadea. — V. Dadesia. 1338. Dadesia o Dadea. — Festa
che
si celebrava in Atene in onore della nascita di a
i torcie. 1339. Daducheo. — Detto anche Dauduque : era questo il nome
che
gli Ateniesi davano al gran sacerdote di Ercole.
o al gran sacerdote di Ercole. Si chiamavano anche Daduci i sacerdote
che
nella festa Dadesia, portavano le torcie accese.
ungi d’aver perduto. Apollo sdegnato, fece dalla Pitonessa rispondere
che
non sarebbe trascorso molto tempo ed avrebbe ritr
to animale : infatti poco dipoi Attalo fece morire Dafida in un luogo
che
si chiamava comunemente il Cavallo. 1341. Dafne.
ava comunemente il Cavallo. 1341. Dafne. — Figliuola del fiume Peneo,
che
fu passionatamente amata da Apollo. Un giorno men
rboscello a Dafne ed egli stesso si fece di quelle foglie una corona,
che
poi porto sempre. Vi fu anche un’altra Dafne, più
à di Delfo rendeva gli oracoli in versi, cosi armoniosamente poetici,
che
si credeva averne Omero stesso inseriti buon nume
e di Pausania, fu scelta dalla dea Tello per presiedere agli oracoli,
che
la medesima dea rendea in quel luogo assai prima
sponsi, mangiavano delle foglie di lauro, volendo far credere con cio
che
essi fossero ispirati da Apollo, a cui quell’arbo
lo ; nel secondo la luna ; e negli altri le stelle ; mentre le corone
che
circondavano questi globi, contrasegnavano i gior
esse. 1344. Dafneo. — Soprannome di Apollo, a lui date per l’affetto
che
portò a Dafne. 1345. Dafni. — Giovane pastore del
curio. Egli amò con passione una ninfa ed ottenne dagli dei la grazia
che
di essi due, quello che primo violerebbe la fede
ione una ninfa ed ottenne dagli dei la grazia che di essi due, quello
che
primo violerebbe la fede coniugale, sarebbe diven
rimanente dei suoi giorni. 1346. Dafnomanzia. — Specie di divinazione
che
si traeva dall’esame dell’alloro, consacrato ad A
a Gaza. 1348. Damasictone. — Così si chiamava uno dei figli di Niobe,
che
fu ucciso da Apollo. 1349. Damoso. — Uno dei sopr
oso gigante celebre per la sua crudeltà. Egli deve il suo soprannome,
che
significa estendere per forza, perchè si narra ch
il suo soprannome, che significa estendere per forza, perchè si narra
che
facesse tirare per le gambe e per il collo, tutti
li dava ospitalità, onde raggiungessero la misura di un suo letto ; e
che
faceva mozzare le gambe, a quelli che oltrepassav
o la misura di un suo letto ; e che faceva mozzare le gambe, a quelli
che
oltrepassavano la misura. La cronaca mitologica r
a quelli che oltrepassavano la misura. La cronaca mitologica ricorda
che
Teseo lo fece morire, infliggendogli lo stesso su
corrisponde al nostro mese di luglio. 1352. Damia. — Da un sacrifizio
che
il popolo faceva a Cibele, nel giorno detto damio
o. ». 1353. Danaca. — Nome particolare alla moneta di piccolo valore,
che
Caronte, il navicellajo dell’inferno, esigeva dal
togliere Danae alla conoscenza degli uomini, e sottrarsi così al fato
che
lo minacciava, Acrisio fece rinchiudere sua figli
ra dea Sembrava al viso, a’modi, e alla favella. Il padre per lo ben,
che
le volea. Saper cercò il destin della sua stella
a Ipernestra salvò il suo, per nome Linceo, mentre le sorelle di lei,
che
seguirono il crudele volere del padre, furono con
a Banaidi, di cui nell’articolo precedente. Dal nome di lui, i Greci,
che
prima si chiamavano Pelasgi, furono detti Danai o
Danubio. — Il più gran fiume d’Europa. La cronaca mitologica ricorda
che
i Geti e i Traci lo venerarono particolarmente co
ricovero in Asia, ove costrui una città detta dal suo nome Dardania,
che
fu più tardi la famosa Troja. 1360. Dardani o Dar
ove nelle loro mani appena venuto alla luce ; ed essi, tutte le volte
che
l’infante divino piangeva, danzando e gridando in
nfante divino piangeva, danzando e gridando intorno a lui, impedivano
che
i suoi gridi fossero intesi da Saturno, che lo av
intorno a lui, impedivano che i suoi gridi fossero intesi da Saturno,
che
lo avrebbe divorato come gli altri suoi figli. 13
come gli altri suoi figli. 1364. Dattlomancia. — Specie d’incantesimo
che
si faceva per mezzo di alcuni anelli disegnati su
ura di talune particolari costellazioni. La cronaca favolosa racconta
che
Gige, uno dei Titani, col solo passarsi uno di qu
e di Danae. Egli ebbe un figlio al quale impose il suo stesso nome, e
che
poi sposò Venilia da cui ebbe Turno. 1370. Daunio
e padre di Chione. Egli fu così addolorato della morte di sua figlia,
che
si precipitò dal monte Parnaso. Apollo, mosso a p
ed architetto. Al dire d’Aristotille, Dedalo fabbricava degli automi
che
camminavano ed avevano ogui altro movimento, loro
nferno — Canto XII. Per maggiore intelligenza riportiamo il commento
che
il Costa ed il Bianchi hanno dato a questo passo
iò l’Alighieri dice falsa vacca ». Minosse ritenendo, come forse era,
che
la vacca di legno nella quale si fece rinserrare
pensarono al modo di sottrarsi con la fuga all’orribile e lenta morte
che
loro sovrastava, e giovandosi delle sotrigliezze
giovandosi delle sotrigliezze dell’arte loro, fabbricarono delle ali
che
Dedalo attaccò con grossi pezzi di cera alle spal
e nè troppo basso, nè troppo alto, temendo, con giusto discernimento,
che
nel primo caso i miasmi della terra, e nel second
o dimenticò la paterna lezione e si avvicinò troppo al sole, per modo
che
i raggi liquefecero la cera e lcaro precipitò da
Mitologia. La tradizione mitologica fa sovente menzione di varie dee
che
si sono accoppiate ai mortali, come per esempio V
varie dee che si sono accoppiate ai mortali, come per esempio Venere,
che
sposò Anchise, Teti, che sposò Peleo, ecc. Presso
oppiate ai mortali, come per esempio Venere, che sposò Anchise, Teti,
che
sposò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale op
se, Teti, che sposò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale opinione
che
quei mortali che avevano contatto con le dee non
sò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale opinione che quei mortali
che
avevano contatto con le dee non vivessero a lungo
. 1375. Dee Madri — Con questo nome venivano dinotate quelle divinità
che
presiedevano alla campagna ed ai prodotti della t
e e Semele, a cui venne affidata l’educazione di Bacco. Il certo si è
che
il culto delle Dee Madri, rimonta ai primissimi t
ffrir loro sagrifizî ed onori solenni ; e dove era generale credenza,
che
esse apparissero di tratto in tratto. Al dire di
di quello, un’assai larga estensione di paese e oltre a 3000 buoi, il
che
, per quei tempi, era un’assai cospicua ricchezza.
ì naturale agli uomini, è così profondamente impressa nel loro cuore,
che
se pure disconoscenti del vero Dio, gli sostituir
i alla specie umana, tali quali essi se li formarono, o alterando ciò
che
loro era rimasto di vero ; o secondo l’impulso de
uali essi non esitarono a crearsi altrettante divinità. Egli è perciò
che
il numero di queste era prodigioso presso i pagan
Momo, ecc. Altri finalmente detti Semi Dei, erano propriamente quelli
che
avevano per padre un dio e per madre una donna mo
enivano anche annoverati, dopo la morte, quegli uomini e quelle donne
che
per le loro eroiche azioni avessero meritato di e
le, Teseo, Minosse e molti altri. A maggior chiarimento noteremo qui,
che
, sebbene presso gli scrittori dell’antichità, si
in generale, pure la parola dii, nel suo senso proprio, non conviene
che
agli dei di prim’ordine, agli dei grandi più indi
secondari, detti dii minorum gentium, e più particolarmente a quelli
che
non erano riconosciuti dei che per l’apoteosi. Fr
entium, e più particolarmente a quelli che non erano riconosciuti dei
che
per l’apoteosi. Fra i più antichi obbietti del cu
acqua, elementi tutti personificati dall’idea religiosa degli uomini,
che
vissero nei remoti tempi dell’antichità. Ben pres
umani poteri e una grande influenza sui destini degli uomini. Ed ora,
che
seguendo il carattere particolare della nostra op
e le differenti e numerose denominazioni, particolarità ed attributi,
che
essi avevano nel culto degli idolatri. Dei natu
animati. Più comunemente detti Semi Dei : vale a dire quei mortali
che
per una qualche eroica azione durante la vita, ve
ogia greca e romana non riconosceva sotto questa denominazione se non
che
dodici numi, i cui nomi proprî, sono, secondo l’o
ti era estesissimo e, al dire di Tito Livio, non v’era angolo di Roma
che
non fosse pieno di dei. Il numero di essi crebbe
i dei. Il numero di essi crebbe a dismisura dal superstizioso costume
che
i Romani avevano di abbracciare il culto religios
i Romani avevano di abbracciare il culto religioso di quelle nazioni
che
essi rendevano soggette colla forza delle armi.
non si offerivano sacrifizii, nè si ergevano altari. È però a notare
che
molti fra gli scrittori dell’antichità, fanno men
rte ; Nettuno e Anfitrite ; Eolo, dio dei venti ; Nerea e le Nereidi,
che
erano 50 ; le Driadi, i Tritoni, le Napee e le Si
Canto XXVI. 1378. Deifleazione. — Così si chiamava il culto divino
che
veniva reso pubblicamente a quegli uomini che ave
hiamava il culto divino che veniva reso pubblicamente a quegli uomini
che
avevano compiuta una qualche gloriosa e memoranda
esta una delle principali sorgenti dell’idolatria dei pagani, e tanto
che
vi sono non pochi scrittori i quali asseriscono c
i pagani, e tanto che vi sono non pochi scrittori i quali asseriscono
che
i primi abitatori della Grecia, quelli la cui ori
i origine si perde nella notte dei tempi, non avessero altre divinità
che
uomini deificati. Diodoro Siculo afferma che gli
avessero altre divinità che uomini deificati. Diodoro Siculo afferma
che
gli dei principali della mitologia greca e romana
a greca e romana come Giove, Saturno, Apollo, Bacco ecc : non fossero
che
degli uomini celebri. In Omero e in Esiodo, poeti
c : non fossero che degli uomini celebri. In Omero e in Esiodo, poeti
che
entrambi han fatto la genealogia del maggior nume
aggior numero degli dei pagani, si trova ripetuta la stessa credenza,
che
cioè i numi altro non fossero che degli uomini. L
trova ripetuta la stessa credenza, che cioè i numi altro non fossero
che
degli uomini. La Deificazione non era propria esc
idolatra dei Greci e dei Romani ; ma la tradizione favolosa ci ripete
che
gli Egizii ed i Fenici, che sono i popoli riconos
ani ; ma la tradizione favolosa ci ripete che gli Egizii ed i Fenici,
che
sono i popoli riconosciuti come i più antichi del
sero dato il primo esempio. È opinione di varii accreditati scrittori
che
la origine primitiva della idolatria fosse stato
nella intera città, quindi in tutta la contrada, ed è in questo modo
che
di una divinità particolare ad una famiglia, si v
ti hanno avuto origine e principio quasi tutte le innumerevoli deità,
che
formarono per tanti anni il sostrato animatore de
i il sostrato animatore del culto pagano ; poichè non bisogna credere
che
il popolo creasse da sè solo per mezzo della Deif
rze fisiche e morali, all’apoteosi di quegli illustri o cari defunti,
che
poi furono venerati come altrettanti esseri sopra
ci permette di avere una cognizione solida e certa sopra altri uomini
che
avessero esercitato una certa sovranità sui loro
mezzo dell’apoteosi, il modo di eternare la memoria di quegli uomini
che
, o per l’invenzione di qualche arte necessaria al
a riconoscenza. Poi furono deificati i fondatori delle città ; quelli
che
avevano scoperto qualche terra ignorata ; coloro
e città ; quelli che avevano scoperto qualche terra ignorata ; coloro
che
avevan stabilite delle colonie in lontane e remot
elle colonie in lontane e remote contrade ; e finalmente tutti quelli
che
l’adulazione o il plagio dei cortigiani avessero
enato comandava si rendessero dopo la morte gli onori divini. Secondo
che
narra Erodiano nelle cronache, la cerimonia della
ore, era sempre preceduta da un decreto del senato, il quale imponeva
che
dopo la cerimonia gli venissero innalzati dei tem
di dolore e di allegrezza, e veniva celebrata da tutta la città. Dopo
che
il corpo era stato sepolto con gran pompa, si met
corpo era stato sepolto con gran pompa, si metteva una figura di cera
che
ne somigliasse il volto su di un letto d’avorio n
volando in mezzo alle flamme ed al fumo s’innalzava nell’aria, quasi
che
l’anima del morto volasse nel cielo fra gl’immort
orto volasse nel cielo fra gl’immortali suoi pari a ricevere il culto
che
da quel momento le era dovuto. 1379. Delfila. — F
sue buone grazie. Deifobo. di Priamo il gran figlio, Vide ancor qui,
che
crudelmente anciso. In disonesta e miserabil guis
altre opinioni, figlio d’Ippotoone. Cerere l’amò con passione, tanto
che
per renderlo immortale, e per purificarlo da ogni
ù bella e più leggiadra È Dejopea — Costei vogl’io, per merto Di ciò,
che
sia tua sposa ; e che tu, seco Di nodo indossolub
a È Dejopea — Costei vogl’io, per merto Di ciò, che sia tua sposa ; e
che
tu, seco Di nodo indossolubile congiunto. Viva li
prannaturale, ritornò d’onde era partito. La sera istessa, l’alloggio
che
gli era stato preparato sulla strada che doveva p
La sera istessa, l’alloggio che gli era stato preparato sulla strada
che
doveva percorrere, crollò dalle fondamenta, ed eg
sto schiacciato dalle pietre. 1389. Deipiro. — Uno dei capitani greci
che
assediarono Troja. 1390. Deisa. — Vale a dire fig
cole senza sospettare di nulla, a cettò l’offerta gentile, ma vedendo
che
il centauro erasi dato a precipitosa fuga, per ra
dato a precipitosa fuga, per rapirgli la sposa, gli tiro una freccia
che
lo ferì mortalmente. Nesso, sentendosi vicino a m
orato di altre donne. Morto Nesso, la credula Dejanira venne a sapere
che
Ercole era preso d’amore per la bella Jole, e pen
orza : E con vermigli fior tale il lin rese, Ch’ogni occhio a creder,
che
vi guarda, sforza Che i vaghi e sparsi fior ch’or
a Che i vaghi e sparsi fior ch’ornan il panno, Non denno altrove star
che
dove stanno. Ovidio — Metamorfosi — Libro IX. tr
rio, si gettò sui carboni accesi d’un sacrifizio, malgrado gli sforzi
che
Lica e Filotette, suoi amici, fecero per arrestar
zi che Lica e Filotette, suoi amici, fecero per arrestarlo. Dejanira,
che
amava passionatamente il marito, si uccise per di
uccise per disperazione. 1392. Delfa. — Detta anche Delfisa : sibilla
che
era nel tempo stesso sacerdotessa del tempio di D
iazione del nome di Delfino a questa costellazione. Taluni pretendono
che
fosse così detta dal delfino di Arione ; — V. Ari
osse così detta dal delfino di Arione ; — V. Arione — altri da quello
che
trattò il matrimonio di Nettuno con Anfitrite ; a
il matrimonio di Nettuno con Anfitrite ; altri da uno di quei marinai
che
Bacco cangiò in delfini ; ed altri finalmente dal
marinai che Bacco cangiò in delfini ; ed altri finalmente dal delfino
che
Apollo dette per condottiero ad una colonia di Cr
l delfino che Apollo dette per condottiero ad una colonia di Cretesi,
che
andarono a stabilirsi nella Focide. Sotto questa
legoria della favola, altro non si deve scorgere senonchè un vascello
che
aveva sulla poppa scolpita la figura di un delfin
, come il punto medio della superficie terrestre. La favola racconta,
che
Giove Altotonante, volendo che il punto medio del
erficie terrestre. La favola racconta, che Giove Altotonante, volendo
che
il punto medio della terra rimanesse contrasegnat
. La tradizione favolosa, a proposito dell’oracolo di Delfo, racconta
che
un pastore, per nome Coreta, stando un giorno a g
uardia del suo gregge, nelle circonstanza del monte Parnaso, s’avvide
che
le sue capre, avvicinandosi ad una caverna, gitta
ratto dalla curiosità, si avvicinò egli stesso, e colpitto dai vapori
che
esalvano da quell’antro, si dette a predir l’avve
uel tempo si dette opera a fabbricare la città ed il tempio si Delfo,
che
sorgevano appunto in quell’istesso luogo. La Terr
simi e maravigliosi suoni, s’impadroni del santuario, uccise il drago
che
la Terra avea posto a custodia di quello, e si re
sto a custodia di quello, e si rese solo padrone del celebre oracolo,
che
da quel tempo fu detto l’oracolo d’Apollo. Sotto
si deve oggi scorgere senonchè una delle tante astuzie dei sacerdoti,
che
facevano allora come han fatto in ogni età, oscen
privati interessi. Delfo era anche il nome di uno dei figli di Apollo
che
edificò quella città. 1398. Delia. — Soprannome d
Apollo che edificò quella città. 1398. Delia. — Soprannome di Diana,
che
le veniva dall’isola di Delo, ove essa, secondo l
asti e Delo. 1400. Deliasti. — Nome collettivo dei deputati Ateniesi,
che
si recavano ogni anno a Delo. 1401. Delicoone. —
nore di Apollo da Tesco, quand’egli ricondusse da Creta i giovanetti,
che
dovevano essere divorati dal Minotauro. — V. Mino
Piccoli stagni o paludi presso le quali la tradizione favolosa narra
che
Taìia avesse dato alla luce i fratelli Palici. —
— V. Palici e Talia. 1404. Delo. — Isola del mare Egeo, una di quelle
che
componevano il gruppo delle Cicladi. La cronaca m
che componevano il gruppo delle Cicladi. La cronaca mitologica narra,
che
quando Latona vi partori Apollo e Diana, quell’is
ola galleggiava sulle onde. ….. e si chiamò poi Delo Tuo nome allor,
che
in le Latona sorse A partorir li due occhi del ci
no a Delo. trad. di Dionici Stroc III. I suoi abitatori pretendevano
che
Apollo, dopo aver passato sei mesi dell’anno sul
mmolata a Giove, fu cangiato in lupo. La tradizione mitologica ripete
che
dopo dieci anni, egli riacquistasse la sua primit
dopo dieci anni, egli riacquistasse la sua primitiva forma di uomo, e
che
fosse vincitore ai giuochi olimpici. 1406. Demete
limpici. 1406. Demetera. — Detta più comunemente Demetra : soprannome
che
i Greci davano a Cerere. 1407. Democoonte. — Uno
o a Cerere. 1407. Democoonte. — Uno dei figli di Priamo, re di Troja,
che
fu ucciso da Ulisse. ….. e feri Democoonte Priam
a, che fu ucciso da Ulisse. ….. e feri Democoonte Priamide bastardo,
che
d’Abido Con veloci puledre era venuto. A costui f
lancia, e trapassolle La ferrea punta. Tenebrarsi i lumi Al trafitto
che
cadde fragoroso, E cupo gli tuonar l’armi sul pet
la corte di Alcinoo. Demodoco, io te sopra ogni vivente Sollevo, te,
che
la canora figlia Del sommo Giove, e Apollo stesso
da lei vennero i libri sibillini. Racconta la tradizione mitologica,
che
essa portasse un giorno a Tarquinio il vecchio, n
ei volumi alle fiamme, pretendendo lo stesso prezzo per gli altri sei
che
rimanevano. Il reperò la respinse di nuovo, ed al
eranza della sibilla, fece interrogare gli Auspici, i quali risposero
che
bisognava pagarle il prezzo che essa pretendeva p
rogare gli Auspici, i quali risposero che bisognava pagarle il prezzo
che
essa pretendeva per gli ultimi tre volumi, essend
Tracia, ove fu accolto benignamente dà Licurgo, redi quella contrada,
che
gli fece sposare sua figlia Fillide. — V. Fillide
nte. 1413. Demogorgone. — Dalle parole greche Δάιμῶν, genio e εώργων,
che
presiede alla terra : si dava codesto nome alla d
o la tradizione favolosa, era un lurido vecchio, pallido e sfigurato,
che
insieme alla Eternità ed al Caos, dimorava nelle
aos, dimorava nelle viscere della terra. L’allegoria mitologica narra
che
egli si fosse innalzato nell’aria su di una palla
logica narra che egli si fosse innalzato nell’aria su di una palla, e
che
facendo su quella il giro della terra avesse crea
spazii dell’aria, e formò così il sole onde illuminare il creato ; e
che
poscia, avendo uniti in matrimonio il Sole e la T
di Platone si dava questo nome, ad una categoria di esseri fantastici
che
popolavano l’immenso vuoto che esiste fra Dio e g
ad una categoria di esseri fantastici che popolavano l’immenso vuoto
che
esiste fra Dio e gli uomini. I demonii erano divi
do la loro potenza. Al dire di Menandro i pagani credevano fermamente
che
ogni uomo, nascendo, aveva a guida un demonio o g
e che ogni uomo, nascendo, aveva a guida un demonio o genio tutelare,
che
gli serviva per tutta la vita. È questa una crede
ede, all’angelo custode della religione cristiana. Plutarco asserisce
che
i demonii prendevano amicizia cogli uomini ; li g
vano punto alla parola demonio la sinistra e malvagia interpretazione
che
oggi vi è collegata. 1415. Demonio di Socrate. —
rate. — È oggidì cosa cognita a tutti gli studiosi. La forma credenza
che
il sommo filosofo aveva nella esistenza di un suo
ue azioni. 1416. Dendroforia. — Si dava codesto nome ad una cerimonia
che
si eseguiva nelle feste di Cibele e di Bacco e ch
e ad una cerimonia che si eseguiva nelle feste di Cibele e di Bacco e
che
consisteva nel portare in giro per la città un gr
o e che consisteva nel portare in giro per la città un grosso albero,
che
poi veniva piantato di contro al tempio di quelle
lo e propriamente un ramo di cipresso. La parola Dendroforo significa
che
porta un albero (V. l’articolo precedente). 1418.
uno stagno, ove, non essendosi più ritrovato il suo corpo, fu creduto
che
fosse stata cangiata in pesce. Gli Assiri a dorav
sce. Gli Assiri a doravano una divinità sotto la figura di una donna,
che
dalla cintura in giù aveva il corpo di pesce. Ess
specie di mostri una grande venerazione. La cronaca favolosa ripete,
che
il frutto degli amori della disgraziata Derceto,
e il frutto degli amori della disgraziata Derceto, fosse una bambina,
che
fu poi la famosa Semiramide, regina di Babilonia,
nella tradizione mitologica, per aver derubati ad Ercole, gli armenti
che
questi avea tolti al gigante Gerione. 1421. Despe
o dei soprannomi di Proserpina. 1422. Destino. — Divinità allegorica,
che
si credeva nata dal Caos. Viene rappresentata ave
e al dire di Esiodo, la Notte era la madre di questo spaventoso dio,
che
essa aveva generato sola. 1423. Deucalione. — Re
oro colpe. Deucalione e Pirra, sua moglie, furono i soli esseri umani
che
per la loro virtù sopravvissero alla generale dis
tare un certo numero di pietre dietro le loro spalle, e attendere ciò
che
ne sarebbe avvenuto. Essi si sottomisero strettam
n la fronte, Indi ciascun di lor scinto e disciolto, Gli stessi sassi
che
produce il monte, Gitta alla parte ove non guarda
rrena Cangiossi in carne, in sangue, in barbe e ’n chiome : E quella,
che
ne’ sassi è detta vena. Tenne in quest’altra form
o esteriore e l’intelletto. E come dagli dei lor fu concesso, I sassi
che
dall’uom furo gittati Tutti sortir faccia virile
nomato fu un figliuolo di Minosse, re di Creta. 1424. Deverona. — Dea
che
presiedeva alla raccolta dei frutti : molti scrit
che presiedeva alla raccolta dei frutti : molti scrittori pretendono
che
sia la stessa che Deverra. 1425. Deverra. — Dalla
la raccolta dei frutti : molti scrittori pretendono che sia la stessa
che
Deverra. 1425. Deverra. — Dalla parola latina dev
rola latina deverrere, scopare, veniva così chiamata quella divinità,
che
presso il culto pagano dei romani, presiedeva all
renderla favorevole al neonato. 1426. Dediana. — Soprannome di Diana
che
le veniva dal senso compreso in questo vocabolo,
imposte ai sacerdoti di Giove cerimonie molteplici ancora nei libri,
che
sono stati composti pei pubblici sacerdoti. Leggi
o scritto del libri di Fabio Pittore, nel quale spesso vi sono queste
che
ci ricordiamo : È religione del sacerdoti di Giov
queste che ci ricordiamo : È religione del sacerdoti di Giove, badare
che
la pronta cavalleria vada a cavallo, fuori il pom
urare al Sacerdote di Giove ; ne è lecito servirsi dell’anello se non
che
aperto e vuoto. Non è permesso portar via dalla c
della dea, ove venivano battuti con le verghe in così aspra maniera,
che
il maggior numero vi lasciavano la vita. 1431. Di
Inno a Diana Trad. di D. Strocchi, Moltiplici sono le denominazioni
che
gli scrittori della Favola danno a Diana, secondo
nerata come dea della castità ; e questa virtù era in lei così tenace
che
cangiò Atteone in cervo per averla sorpresa colle
ito di Diana si componeva di un numeroso corteo di ninfe e pretendeva
che
tutte serbassero la stessa sua castità. Dammi, p
. Dammi, padre, dicea, ch’io serbi eterne Vergini brame, e tai nomi,
che
orgoglio Apollo sovra me non deggia averne. La gr
aro cittadine mura. Abitatrice di contrada alpina M’inurberò ne l’ora
che
dogliose Le genitrici chiameran Lucina. Il carco
chiameran Lucina. Il carco fianco ad allegiar di spose Io nacqui, poi
che
senza duol la madre Di me gravossi e senza duol m
e. Callimaco — Inno a Diana Trad. di D. Strocchi. La ninfa Calisto,
che
apparteneva al seguito di Diana fu scacciata igno
alle lascive brame di Giove. La tradizione mitologica narra peraltro
che
Diana amasse perdutamente il pastore Endimione, b
amasse perdutamente il pastore Endimione, bellissimo della persona, e
che
la notte lasciasse sovente la sua dimora celeste
a lei consagrato. Il famoso tempio di Efeso tutto sfolgorante d’oro e
che
era ritenuto come una delle sette meraviglie del
eraviglie del mondo, e come il più superbo monumento di simil genere,
che
fosse conosciuto in quei tempi, era destinato esc
o designati i cani addestrati alla caccia : ritenendosi pubblicamente
che
fossero sotto la particolar protezione di Diana c
i ed offerte agli dei, e più ancora per la delicatezza delle cortesie
che
essi scambiavano fra loro in questa occasione. 14
di Giove e di Temi. Essa presiedeva alla giustizia, dalla parola Διϰς
che
significa appunto giustizia punitrice. 1436. Dict
tea-corona. — Cosi gli antichi chiamavano la costellazione di Arianna
che
Teseo avea seco condotta dalla isola di Creta, ov
no l’invenzione delle reti per uccellare. Taluni scrittori pretendono
che
sia la stessa che Britomarte ; è questa per altro
lle reti per uccellare. Taluni scrittori pretendono che sia la stessa
che
Britomarte ; è questa per altro un’opinione assai
ed un tempio famoso. 1443. Didimo. — Soprannome particolare di Apollo
che
secondo alcuni scrittori veniva a lui dato dall’i
Elisa e conosciuta con l’appellazione di Dido : fu moglie di Sicheo,
che
ella amò teneramente. Pigmalione, fratello di Did
Tiro… . » G. da Pisa — I fatti d’Eneo. Avendo fatto sparger la voce
che
Sicheo fosse stato ucciso dai ladroni, restò per
uoi tesori, le consigliò di fuggire e sparì. Didone calmato il do’ore
che
le avea posto nell’al’animo la tremenda rivelazio
ente ai preparativi della fuga, ed un giorno impadronitasi delle navi
che
stavano nel porto, e accompagnata da gran numero
ana, governata da Iarba, re dei Getuli. Dapprincipio egli si oppose a
che
Didone coi suoi seguaci si stabilissero sulle ter
ma essa respinse l’offerta in memoria dell’ucciso consorte, e vedendo
che
Iarba, offeso dalla inattesa ripulsa, marciava co
tro la nascente Cartagine per distruggerla, amò meglio darsi la morte
che
violare il suo giuramento di fedeltá. Ella si ucs
ltá. Ella si ucsise con un pugnale, e ciò le valse il nome di Didone,
che
vuol dire donna risoluta. Il Metastasio per l’eff
l’effetto scenico del suo celebre melodramma, Didone abbandonata, fa
che
ella morisse precipitandosi nelle fiamme che arde
, Didone abbandonata, fa che ella morisse precipitandosi nelle fiamme
che
ardevano la sua reggia, disperata di vedersi abba
riconosciuta come la fondatrice dello impero cartaginese. L’episodio
che
racconta Virgilio nell’Eneide, è una mera invenzi
ssione di Didone per l’eroe trojano, per innestarvi le famose ragioni
che
persì lungo tempo fecero ardere la face della dis
e, per amore di Enea, mancato di fede alla ombra di Sicheo. …… colei
che
s’ancise amorosa. E ruppe fede al conet di Sicheo
alle voci latine dies piter. 1446. Difie. — Era questo il soprannome.
che
comunemente i pagani davano a Cecrope, forse per
pagani davano a Cecrope, forse per alludere alla tradizione favolosa
che
lo faceva metà uomo e metà serpente. La parola Di
te Dipolie. Si dava codesto nome ad una specie di cerimonia religiosa
che
gli Ateniesi celebravano in onore di Giove Polien
i zoppi e di ciechi. Parlano degli amori di Anubi con la Luna ; fanno
che
Diana venisse sferzata ; che a Giunone fossero, a
degli amori di Anubi con la Luna ; fanno che Diana venisse sferzata ;
che
a Giunone fossero, appesi ai piedi due incudi d’o
ata ; che a Giunone fossero, appesi ai piedi due incudi d’oro ; fanno
che
gli uomini bastonassero e ferissero gli dei, e ch
cudi d’oro ; fanno che gli uomini bastonassero e ferissero gli dei, e
che
questi dovesseso fuggire ora in questa ora in que
one ed immagini così basse ed abbiette e spesso così turpi ed infami,
che
può ben dirsi tutto l’olimpo pagano altro non ess
nfami, che può ben dirsi tutto l’olimpo pagano altro non essere stato
che
una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più, al c
sere stato che una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più, al certo,
che
non fosse l’idea informatrice di un culto, rivela
ocleide. — Più comunemonte Dioclie. Si dava codesto nome ad una festa
che
si celebrava nell’ Attica, in onore di Dioclie, u
giuochi detti Dioclesi. 1457. Diomeda. — Così si chiamava la schiava
che
prese presso ad Achille il posto di Briseide — V.
ia, ebbe tanto orrore degli eccessi lussuriosi di sua moglie Egialea,
che
abbandonò il governo dell’Etiolia, e venne a stab
donò il governo dell’Etiolia, e venne a stabilirsi in Italia. Si dice
che
egli vi fosse ucciso da Enea e che i suoi seguaci
ne a stabilirsi in Italia. Si dice che egli vi fosse ucciso da Enea e
che
i suoi seguaci ne furono così addolorati, che gli
fosse ucciso da Enea e che i suoi seguaci ne furono così addolorati,
che
gli dei compassionevoli li cangiarono in uccelli.
e gli dei compassionevoli li cangiarono in uccelli. Diomede fu quello
che
rapì dall’isola di Lenno le frecce di Ercole ; e
quello che rapì dall’isola di Lenno le frecce di Ercole ; e fu colui
che
insieme ad Ulisse penetrò nella città di Troja, e
nsieme ad Ulisse penetrò nella città di Troja, e ne tolse il Palladio
che
era la più grande sicurezza dei Trojani, uccidend
do ei trascorre Il campo tutto : simile alla fiera Di tumido torrente
che
cresciuto Dalle pioggie di Giove, ed improvvisa P
a questa guisa Sgominava il Tidide e dissipava Le caterve de’Teucri,
che
sostenerne Non potean, benchè molti, la ruina. O
ossedeva dei cavalli furiosi, i quali mandavano flamme dalle nari ; e
che
egli nutriva di carne umana. Ercole per comando d
endente di Venere, veniva detto Dioneo. 1460. Dionea. — La dea Venere
che
fu moglie di Vulcano è quella a cui si da propria
propriamente questo soprannome. Essa fu perduttamente amata da Marte,
che
le rese madre di una figlia, di cui nell’articolo
iuoli di Giove. La tradizione mitologica ricorda di un altro Dioniso,
che
fu tiranno di Siracusa, il quale si rese celebre
quale si rese celebre per le sue crudeltà, e per la nessuna reverenza
che
egli ebbe verso gli dei. Egli demoli il tempio di
erpina a Locri ; tolse nel tempio di Giove Olimpio un mantello d’oro,
che
copriva una statua di questo dio, e nel tempi di
sculapio, in Epidauro, tolse ad un simulacro di questo la barba d’oro
che
aveva ; e si rese padrone di tutti gli arredi sac
’oro che aveva ; e si rese padrone di tutti gli arredi sacri, dicendo
che
volea profittare della bontà degli dei ; e fece v
i ; e fece vendere su i pubblici mercati a suo profitto le spoglie di
che
si rendeva padrone con sacrilega violenza. Ciò no
strumenti musicali di Giove, di Diana, di Apollo, e di altre divinità
che
si credeva abitassero sovente sopra la terra. 146
antichi veneravano diverse altre divinità a cui davano questo nome, e
che
si credeva proteggessero in modo particolare i na
ione dell’anno, si celebrava dagli abitanti una festa ìn onore di lui
che
durava dodici giorni, e nella quale portavano in
itto su quella il destino degli uomini. 1468. Diradiato. — Soprannome
che
si dava in Argo ad Apollo, a causa di un tempio c
ato. — Soprannome che si dava in Argo ad Apollo, a causa di un tempio
che
egli avea sopra altissimi dirupi. La cronaca mito
la trattò con assai aspra maniera per lungo tempo Anflone ed Antiope,
che
poi fu madre di Zeto ; ma poi caduta in loro pote
vendicò la morte di lei, facendo perdere il senno ad Anfione, dopo di
che
cangio Dirce in fontana. 1470. Dircea. — Cosi ave
ngio Dirce in fontana. 1470. Dircea. — Cosi avea nome una giovanetta,
che
Minerva cangiò in pesce, avendo osato vantarsi d’
a Beozia, conosciuto sotto il nome di fontana Dircea quella stessa in
che
Bacce transformerà Dirce. V. Dirce. 1472. Dirceto
— libro VII trad. di A. Caro 1474. Dirfia. — Soprannome di Giunone,
che
le veniva dal culto a lei reso sul monte Dirfio,
1475. Disarea o Disari. — Divinità degli Arabi. Si crede comunemente
che
fosse la stessa che Bacco o il Sole. 1476. Disari
ari. — Divinità degli Arabi. Si crede comunemente che fosse la stessa
che
Bacco o il Sole. 1476. Disari. — V. Disareo. 1477
rico del giudizio, pose termine alla querela in favore di Venere, ciò
che
fu causa d’infinite sventure. La Discordia si dip
ra una torcia accesa, e nella sinistra un pugnale. L’empia discordia
che
di serpi ha ’l crine, E di sangue mai sempre il v
ù particolarmente codesta denominazione ad una specie di inno osceno,
che
si cantava nei misteri di quel dio. Presso i mode
Creta, vi era un antro chiamato Dite, ove la tradizione favolosa dice
che
Rea avesse partorito Giove : da ciò si dava il so
itteo al padre degli dei. 1481. Dittina. — Ninfa dell’isola di Creta,
che
assai di sovente viene confusa con Diana. La trad
te viene confusa con Diana. La tradizione mitologica racconta di lei,
che
la sua non comune bellezza avesse ispirata a Mino
e ispirata a Minosse, re dell’isola, una violenta passione ; per mode
che
, avendo un giorno sorpresa la ninfa, volle farle
are, ove cadde in una rete. La parola Dittina viene dal greco Δἱϰνυνγ
che
significa rete. Da ciò forse i pagani attribuivan
dei Sabini, il culto della quale passò a Roma poco tempo dopo la pace
che
seguì il famoso ratto delle Sabine. Questo nume e
e. Questo nume era ritenuto come il dio della buona fede, ed è perciò
che
presso gli antichi era così frequente l’uso di pr
o di prestar giuramento per questa divinità. Taluni scrittori dissero
che
Fidio fosse uno dei figli di Giove : altri lo han
nome. Esse furono stabilite in occasione di una pericolosa squinanzia
che
attaccò gli uomini e gli animali, e dalla quale s
nanzia che attaccò gli uomini e gli animali, e dalla quale si credeva
che
la dea Angeronia avesse liberato i Greci. 1484. D
esercitava dagli astrologhi, dagli auguri, e da tutte quelle persone
che
venivano designate sotto i nomi d’indovini o di m
e che venivano designate sotto i nomi d’indovini o di maghi. Le donne
che
esercitavano la divinazione, venivano chiamate pi
; quella in cui si adoperava il fuoco si chiamava Piromanzia ; quella
che
si faceva con la terra chiamavasi Geromanzia ; e
; quella che si faceva con la terra chiamavasi Geromanzia ; e quella
che
si faceva per mezzo dell’aria, Aeromanzia. Oltre
a ec. 1485. Divinità. — V. Deificazione e dei. 1486. Divipoti. — Dei
che
i Samotraci chiamavano Theedinates, vale a dire d
l Corpo. Gran numero trà i mitologi e cronisti della favola, vogliono
che
i Divipoti altro non fossero che gli dei Cabiri,
gi e cronisti della favola, vogliono che i Divipoti altro non fossero
che
gli dei Cabiri, V. Cabiri. 1487. Dodona. — Città
in Epiro, nella selva di Dodona, ove disse agli abitatori del paese,
che
era volontà di Giove, che in quel luogo sorgesse
Dodona, ove disse agli abitatori del paese, che era volontà di Giove,
che
in quel luogo sorgesse un oracolo. Erodoto nelle
se un oracolo. Erodoto nelle sue opere spiega codesta favola, dicendo
che
alcuni mercanti Fenici avessero rapito due sacerd
canti Fenici avessero rapito due sacerdotesse della città di Tebe ; e
che
avendo venduta una di esse nella Grecia questa av
stata in Tebe sacerdotessa ; da ciò ebbe origine l’oracolo di Dodona,
che
poi fu famoso per tutta la Grecia. Quanto ella fa
to ella favola delle colombe, essa avviene dalla parola Greca Πελεια,
che
significa colomba. 1488. Dodonee. — V. Dodonidi.
drici di Bacco ; quasi tutti gli scrittori si accordano nell’opinione
che
fossero le stesse che le Atlantidi. 1490. Doliche
tutti gli scrittori si accordano nell’opinione che fossero le stesse
che
le Atlantidi. 1490. Dolichenio. — V. Dolicheo. 14
. Dolicheo o Dolichenio. — Sopranome di Giove, a lui venuto dal culto
che
gli si rendeva nella città di Dolichene. 1492. Do
. Dolope. — Popolo della Tessaglia. All’assedio di Troja tutti coloro
che
appartenevano a questo popolo erano comandati da
e dell’Aria. 1495. Domicio. — V. Domizio. 1496. Domiduca. — Divinità
che
s’invocava al momento di condurre la novella spos
Giunone, come protettrice delle spose. 1497. Domizio o Domicie. — Dio
che
i pagani invocavano nella celebrazione degli spon
di Teti. Essa sposò suo fratello Nereo, da cui ebbe cinquanta figlie,
che
dal nome del padre furono dette le cinquan-Nereid
aghi. — Questi animali erano consacrati a Minerva, forse per dinotare
che
la vera saggezza non si addormenta mai. Anche a B
addormenta mai. Anche a Bacco erano consacrati i draghi, per dinotare
che
uno degli attributi dell’ubbriachezza è il furore
dell’ubbriachezza è il furore. La parola drago viene dal greco Δρἁϰου
che
significa perspicace, vigilante. Quei famosi drag
lle Esperidi, il vello d’oro, l’antro di Delfo, ecc. altro non furono
che
quei grossi e fedeli cani, ovvero degli uomini po
rivilegiate. Drago di Anchise. Narra la tradizione mitologica,
che
mentre Enea rendeva i funebri onori al corpo del
un enorme drago, il cui dorso era coperto di squame gialle e verdi, e
che
dopo aver fatto il giro degli altari, assaggiò di
ientrò nel fondo del sepolcro senza far male ad alcuno. Virgilio dice
che
Enea credè che quel drago altro non fosse che il
o del sepolcro senza far male ad alcuno. Virgilio dice che Enea credè
che
quel drago altro non fosse che il genio tutelare
d alcuno. Virgilio dice che Enea credè che quel drago altro non fosse
che
il genio tutelare dell’anima del defunto. Dra
rieri offrivano un sacrifizio agli dei, all’ombra di un gran platano,
che
sorgeva a qualche distanza dalla riva, uscì di so
, uscì di sotto l’altare preparato pel sacrifizio, un orribile drago,
che
strisciando sull’albero divoro otto passere che c
o, un orribile drago, che strisciando sull’albero divoro otto passere
che
con la loro madre vi annidavano ; e dopo d’averle
azione, ma questi, traendo dall’accaduto un favorevole augurio, disse
che
le otto passere e la loro madre divorate dal drag
ssere e la loro madre divorate dal drago, altro non indicavano se non
che
il numero degli anni che i greci avrebbero impieg
orate dal drago, altro non indicavano se non che il numero degli anni
che
i greci avrebbero impiegato per abbattere la pote
i che i greci avrebbero impiegato per abbattere la potenza troiana, e
che
nel decimo anno le armi greche avrebbero avuto il
admo. Drago di Delfo. Secondo narra la favola l’istesso drago
che
custodiva l’antro in cui Temi prediceva il futuro
ago che custodiva l’antro in cui Temi prediceva il futuro, era quello
che
pronunziava gli oracoli, Apollo lo uccise a colpi
a da Plutone. Draghi di Medea. La cronaca mitologica racconta
che
Medea, furibonda per l’abbandono di Giasone, foss
ce, montata su di un carro tirato da due di questi mostruosi animali,
che
vomitavano flamme. 1506. Dranceo. — Uno dei grand
. 1507. Dria. — Fu figlio di Fauno. La Tradizione mitologica racconta
che
essa era di una così severa castità, che fuggiva
adizione mitologica racconta che essa era di una così severa castità,
che
fuggiva perfino la vista degli uomini. Anche nell
ressamente proibito agli uomini d’intervenirvi. 1508. Driadi. — Ninfe
che
presiedevano ai boschi ed alle foreste, nelle qua
e, nelle quali dimoravano notte e giorno. Presso i pagani si credeva,
che
non si potesse entrare in un hosco o in una selva
rgo. di cui qui sopra. V. Driantiade, così avea nome uno dei principi
che
vennero in soccorso di Eteocle contro Polinice :
Eteocle contro Polinice : Diana lo uccise. 1511. Drimaco. — Brigante
che
alla testa di un numeroso drappello di schiavi fu
cio. Gli abitanti misero a prezzo la sua testa, e la cronaca racconta
che
egli stesso, stanco della sua vita di delitto, pe
giustizia, onde ottenere la somma promessa. Alcuni mitologi vogliono
che
gli abitanti di Scio, dopo la morte di Drimaco, l
za nelle cose del loro culto. Esse comandavano e regolavano tutto ciò
che
riguardava i sacrifizii e gli affari della religi
tre le Druidesse, la religione Celtica aveva delle altre sacerdotesse
che
vivevano nel celibato, ed erano le Vestali del cu
erano le Vestali del culto. E v’erano finalmente altre sacerdotesse,
che
se pure maritate, vivevano nel tempio a cui erano
che se pure maritate, vivevano nel tempio a cui erano addette, senza
che
fosse loro permesso d’avere contatto coi loro spo
, senza che fosse loro permesso d’avere contatto coi loro sposi, meno
che
una sola volta l’anno, in un dato giorno. in cui
ra presso i Galli Celtici. Questo nome veniva loro dalla parola Deru,
che
in lingua celtica vuol dire quercia, che in greco
niva loro dalla parola Deru, che in lingua celtica vuol dire quercia,
che
in greco si dice Δρὑς perchè essi dimoravano nell
i generali ed i re, quando non osservavano le leggi del paese, senza
che
il popolo avesse menomamente mormorato, tanto era
menomamente mormorato, tanto era grande il rispetto e la venerazione
che
si aveva per essi. Essi davano le loro lezioni se
memoria ai loro discepoli, un prodigioso numero di oscurissimi versi,
che
racchiudevano i principii fondamentali della loro
più cupe foreste, all’ombra di quercie secolari ; e ricevevano coloro
che
li andavano a consultare, con le cerimonie più so
rce la stessa denominazione. La favola racconta di un’altra Ea, ninfa
che
avendo implorato il soccorso degli dei, onde sott
del fiume Paflo, fu cangiata in isola. 1520. Eaci. — Solenni giuochi
che
si celebravano in onore di Eaco. 1521. Eaco. — Fi
1. Eaco. — Figlio di Giove e di Egina, egli era re dell’isola Enopia,
che
egli chiamò Egina, dal nome di sua madre. Essendo
i stati, da una terribile pestilenza, egli ottenne da suo padre Giove
che
tutte le formiche si fossero cangiate in uomini,
vo popolo impose il nome di Mirmidoni. Eaco regnò con tanta giustizia
che
alla sua morte Plutone lo associò a Minosse ed a
ei morti. 1522. Eagro. — Così avea nome il marito della musa Polinia,
che
lo rese padre di Orfeo. Eano. — Al dire di Macro
te il nome di Iano a questa divinità, ritenuta come simbolo del mondo
che
gira sempre. Secondo il citato autore, i Fenici r
i Fenici raffigurano Eano, ossia il mondo sotto la forma di un drago
che
si morde la coda, volendo indicare che il mondo g
ndo sotto la forma di un drago che si morde la coda, volendo indicare
che
il mondo gira sopra sè stesso. A Roma vi erano de
pra sè stesso. A Roma vi erano dei sacerdoti ministri di Eano o Iano,
che
venivan detti Eani. 1524. Ebalo. — Marito di Gorg
ivan detti Eani. 1524. Ebalo. — Marito di Gorgofona, figlia di Perso,
che
lo rese padre di Tindaro. Ebalo fu uno dei miglio
e di Giunone e dea della giovanezza. La tradizione favolosa racconta
che
Giunone, invidiosa del supremo potere di Giove, c
favolosa racconta che Giunone, invidiosa del supremo potere di Giove,
che
avea da sè solo procreato Minerva, dea della sagg
i dell’antichità raccontano la medesima favola in altro modo. È detto
che
avendo Apollo invitato Giunone ad un festino, nel
do Apollo invitato Giunone ad un festino, nel palagio di Giove, essa,
che
fino a quel tempo era rimasta sterile, mangiò dei
tolse ii suo incarico e fece Ganimede il coppiere degli dei. La dea
che
la più bella età governa. Nel nappo trasparente a
che la più bella età governa. Nel nappo trasparente adamantino Al re
che
la città regge superna, Solea il dolce portar cel
dolce portar celeste vino. Or mentre in un convito ella e pincerna E
che
porta il licor santo e divino. Le viene a sdrucci
alzata e vinta Mostrò le sue vergogne a tutto il cielo ; E dell’alme
che
stan nel santo regno, Mosse i giovani a riso, i v
o gran numero di templi, fra cui il più famoso era quello di Corinto,
che
avea il privilegio d’asilo. 1526. Ebone. — Dalla
che avea il privilegio d’asilo. 1526. Ebone. — Dalla parola greca Ἔβη
che
vuol dire gioventù, si dava questo soprannome a B
he vuol dire gioventù, si dava questo soprannome a Bacco per indicare
che
la giovanezza era inseparabile da quel dio. La tr
za era inseparabile da quel dio. La tradizione dell’antichità afferma
che
i popoli di Napoli adoravano un tempo Bacco sotto
Ebota. — Al dire di Pausania, cosi avea nome il primo degli Acheeni,
che
fu vincitore ai giuochi olimpici. Narra la cronac
degli Acheeni, che fu vincitore ai giuochi olimpici. Narra la cronaca
che
Ebota, fortemente sdegnato contro i suoi concitta
sua vittoria con un monumento, imprecò contro di essi una maledizione
che
fu esaudita dai celesti. Gli Acheeni vedendo coll
fu esaudita dai celesti. Gli Acheeni vedendo coll’andare degli anni,
che
alcuno di essi non riusciva vincitore ai guochi o
a consultare l’oracolo, per saperne la ragione : e l’oracolo rispose
che
pesava su di essi la maledizione di Ebota. Allora
izii olimpici, andavano a visitare il sepolcro di Ebota, e poi coloro
che
riuscivano vincitori, incoronavano la sua statua
rlanda di flori. 1528. Ecaerga. — Così avea nome una ninfa dei boschi
che
fu celebre cacciatrice, ed estremamente esperta n
tà favorevole ai cacciatori. È opinione di varii accreditati mitologi
che
Ecaerga fosse uno dei soprannome di Diana. 1529.
Perseo e da questo connubio nacque Ecate. Teocrito lo Scoliaste, dice
che
Giove ebbe dai suoi amori con Cerere una figliuol
coliaste, dice che Giove ebbe dai suoi amori con Cerere una figliuola
che
fu detta Ecate, la quale fu celebre per la sua gr
a Ecate, la quale fu celebre per la sua grande statura. È detto anche
che
Cerere, quando Plutone rapì sua figlia Proserpina
a. L’opinione però più generalizzata fra gli scrittori della favola è
che
Ecate fosse uno dei nomi di Proserpina stessa : e
della favola è che Ecate fosse uno dei nomi di Proserpina stessa : e
che
questa venisse detta la triplice Ecate e che foss
di Proserpina stessa : e che questa venisse detta la triplice Ecate e
che
fosse la Luna nel cielo, Diana quando abitava la
me proteggitrice della nascita dei bambini ; si dicea Diana, come dea
che
presiedeva alla buona salute ; e finalmente era d
siedeva alla buona salute ; e finalmente era detta Ecate, come la dea
che
presiedeva alla morte. Esiodo, nelle sue cronache
sue cronache dell’antichità, ci presenta Ecate come una dea terribile
che
ba nelle sue mani il destino degli uomini e degli
il destino degli uomini e degli dei ; quello della terra e del mare ;
che
distribuisce onori e ricchezze ; che presiede all
quello della terra e del mare ; che distribuisce onori e ricchezze ;
che
presiede alle battaglie ai consigli dei re, ai pa
ore, Ecate veniva riguardata come madre di Medea e di Circe, come dea
che
presiedeva alle magiche operazioni e agli incante
magiche operazioni e agli incantesimi. I pagani credevano fermamente
che
Ecate fosse la dea dei sogni, e che ella ispirass
mi. I pagani credevano fermamente che Ecate fosse la dea dei sogni, e
che
ella ispirasse quel vago terrore delle tenebre ch
a dea dei sogni, e che ella ispirasse quel vago terrore delle tenebre
che
degenera in ismanie, e produce uno spevento invin
ie, e produce uno spevento invincibile. La tradizione favolosa ripete
che
Ulisse, onde liberarsi dai tetri sogni che lo con
tradizione favolosa ripete che Ulisse, onde liberarsi dai tetri sogni
che
lo conturbavano, facesse in Sicilia innalzare un
le visioni notturne. 1532. Ecatesie. — Così avevano nome alcune feste
che
si celebravavo in Atene, in onore di Ecate, la qu
demente venerata in quella città. Durante il periodo di queste feste,
che
si celebravano in ogni novilunio, i cittadini più
de della città, un pubblico banchetto, al quale si credeva fermamente
che
Ecate assistesse invisibilmente. 1533. Ecatombe.
o nel quale si svenavano cento buoi. Coll’andare del tempo fu trovato
che
cotesto sacrifizio era di così forte spesa, che f
del tempo fu trovato che cotesto sacrifizio era di così forte spesa,
che
furono sostituiti ai buoi altri animali di minor
ma si seguitò a chiamare col nome di Ecatombe qualunque sacrifizio in
che
si uccidevano cento animali della medesima specie
cento animali della medesima specie. Lo scrittore Capitolino ricorda
che
quando una Ecatombe veniva offerta da un imperato
oti sacrificatori. Abitualmente non si offeriva un’ Ecatombe agli dei
che
in casi straordinarii ; sia per sollennizzare un
’una publica calamità. Diogene Laerzio, riferisce nelle sue cronache,
che
Pitagora ovesse offerto agli dei un’ Ecatombe in
li scrittori dell’antichità, di cui per contrario moltissimi ripetono
che
quel filosofo inculcava ai suoi discepoli di non
ttanti agnelli per farne delle Ecatombi. E l’istesso autore ci ripete
che
l’indovino Calcante avesse consigliato ai Greci d
placarne lo sdegno. 1534. Ecatombee. — Così avevano nome alcune feste
che
si offerivano in Atene durante il primo mese Atti
e nelle quali si offeriva una Ecatombe. 1535. Ecatombe. — Dal costume
che
i pagani avevano di offerire a Giove e ad Apollo,
dava cotesto nome collettivo ai tre giganti Cotide, Gige, e Briareo,
che
la tradizione favolosa ci presenta come centimani
nta come centimani. 1537. Ecatonfonie. — Presso i Messeni era costume
che
coloro i quali in guerra avessero ucciso cento ne
li si faceva l’ Ecatombe per la suddetta ragione. Riferisce Pausania,
che
certo Aristomene di Corinto, avendo ucciso in gue
tonfonie. 1538. Ecatompedone. — Questo vocabolo deriva dal greco Πούς
che
significa piede e si chiamava così un tempio che
eriva dal greco Πούς che significa piede e si chiamava così un tempio
che
Minerva aveva in Atene, la cui lunghezza era appu
i. 1539. Ecdusie. — Venivano così denominate alcune feste e cerimonie
che
si celebravano in Fefte, città dell’isola di Cret
, la Chimera, il Leone Nemeo, e l’Idra di Lerna. Echidna è una parola
che
deriva dal vocabolo greco Εϰιδρα, che significa v
di Lerna. Echidna è una parola che deriva dal vocabolo greco Εϰιδρα,
che
significa vipera. 1541. Echidnea. — Regina degli
pera. 1541. Echidnea. — Regina degli Sciti. La cronaca favolosa narra
che
Ercole la tolse in moglie e ne ebbe diversi figli
e e ne ebbe diversi figliuoli. 1542. Echinadi. — Nome di alcune ninfe
che
furono cangiate in isole, perchè dimenticarono di
tici. 1543.Echione. — Re di Tebe. La tradizione favolosa narra di lui
che
essendo sopravvenuta nei suoi stati una grande si
iati, dalle ceneri uscirono due biondi giovanetti, coronati di flori,
che
celebrarono col canto la morte di quelle eroiche
fanciulle. Vi fu un altro Echione, padre di Penteo. Fu uno di coloro
che
la favola dice nati dai denti del drago di Cadmo
o che la favola dice nati dai denti del drago di Cadmo — V. Cadmo — e
che
aiutarono quest’ultimo nell’edificazione di Tebe.
Tebani furono detti Echionidi. La favola ricorda di un altro Echione,
che
fu uno degli araldi degli Argonauti. 1544. Echion
o, liberò la madre ed il figlio. 1547. Ecelissi. — I pagani credevano
che
la causa dell’ecclissi lunare fossero le visite c
pagani credevano che la causa dell’ecclissi lunare fossero le visite
che
Diana, ossia la luna, faceva al suo amante Endimi
ravigliosa degli ecclissi, e la più generalizzata fu questa. Si disse
che
le streghe e tutti coloro che esercitavano la mag
a più generalizzata fu questa. Si disse che le streghe e tutti coloro
che
esercitavano la magìa, e particolarmente le indov
oi loro incantesimi il potere di far discendere dal cielo la luna ; e
che
bisognava fare un assordante rumore di calderoni,
dante rumore di calderoni, martelli ed altri strumenti, onde impedire
che
la luna sentisse le grida richiamatrici delle str
bbiamo dei luoghi, come nel regno di Tunchino e nella Persia, secondo
che
riferisce il Taverniere, nelle sue relazioni di v
il Taverniere, nelle sue relazioni di viaggi e scoperte, ove si crede
che
durante il tempo dell’ecclissi la luna combatta c
e che durante il tempo dell’ecclissi la luna combatta contro un drago
che
vorrebbe impadronirsene, e che allora gl’indigeni
lissi la luna combatta contro un drago che vorrebbe impadronirsene, e
che
allora gl’indigeni fanno uno strepito spaventevol
a sua relazione di viaggio nell’Indie orientali. Il certo per altro è
che
qualunque fosse la ragione alla quale i pagani at
i pagani attribuivano così fallacemente gli ecclissi, essi ritenevano
che
questi fenomeni della natura fossero del più fune
in un sol cocchio. A questi S’avventò Diomede ; e col furore Di lion
che
una mandra al bosco assalta E di giovenca o bue f
d. di V. Monti. 1549. Eco. — Ninfa, figlia dell’ Aria e della Terra,
che
abitava le rive del fiume Cefiso. La tradizione d
le rive del fiume Cefiso. La tradizione della favola racconta di lei
che
avendo un giorno di comune accordo con Giove, int
voli discorsi, onde questa non avesse disturbato un colloquio amoroso
che
Giove aveva con una ninfa del seguito di sua mogl
, saputo l’inganno, condannò Eco a ripetere l’ultima parola di coloro
che
la interrogavano. Eco amò con passione Narciso, m
oreste, e nelle grotte, e finalmente morì di dolore. La favola ripete
che
dopo la morte fu cangiata in roccia. Ecuba. — Fi
Figlia di Cisseide, re della Tracia e moglie di Priamo, re di Troja,
che
la rese madre di molti figli, fra cui i più famos
uerra ; ma essa non potè vincere il profondo sentimento di avversione
che
le ispirava il guerriero greco, che essa aveva ve
profondo sentimento di avversione che le ispirava il guerriero greco,
che
essa aveva veduto, quando era regina, implorare a
oi piedi la sua protezione, ond’essere salvato dai guerrieri Trojani,
che
lo avevano sorpreso travestito nel loro campo, on
, era una trafittura mortale il vedersi schiava di quell’istesso uomo
che
essa aveva protetto nei suoi giorni felici. Dopo
efunto re Priamo aveva affidato suo figlio Polidoro. Ma avendo saputo
che
Polinnestore aveva fatto morire l’amato figliuolo
l re Polinnestore ; ed avendolo condotto in mezzo alle donne Trojane,
che
l’avevano seguita, queste si avventarono sul trad
ronache dell’antichità concordano nella gran maggioranza nel ripetere
che
, ai tempi di Strabone, si vedeva ancora nella Tra
dell’antica regina di Troja. Ecuba, trista misera e cattiva, Poscia
che
vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la
ente torta. Dante — Infermo — Canto XXX. Qualche autore ha ripetuto
che
Ulisse forse stato l’autore della morte di Ecuba,
cate e lo dedicò ad Ecuba ; credendo così liberarsi dai sogni funesti
che
lo tormentavano. 1551. Edipo. — Re di Tebe, figli
i Tebe, figlio di Lajo e di Giocasta. L’oracolo aveva predetto a Lajo
che
morrebbe ucciso da suo figlio, il quale dopo aver
re. Appena nato Edipo, il padre, onde scongiurare i terribili destini
che
si legavano alla vita del fanciullo, lo consegnò
rese cura come di un suo proprio figliuolo, e lo chiamò Edipo, parola
che
significa dal piede gonfiato, e lo fece educare.
orte, e avendogli l’oracolo predette le stesse spaventevoli sciagure,
che
aveva già annunziate al suo vero padre, Edipo si
verse contrade, giunse a Tebe, ove entrò dopo aver decifrato l’enigma
che
la Sfinge proponeva ai viandanti, e come Giocasta
ome Giocasta, la vedova regina di Tebe, era il premio serbato a colui
che
avesse risposto alla Sfinge, egli la sposò divide
to connubio nacquero i due fratelli Eteocle e Polinice, ed una figlia
che
ebbe nome Antigone. Gli dei, irritati dall’orribi
glia che ebbe nome Antigone. Gli dei, irritati dall’orribile incesto,
che
sebbene compiuto ad insaputa di Edipo, era pur se
rono la città di Tebe con una orribile pestilenza, la quale non cessò
che
quando il pastore che aveva portato il fanciullo
con una orribile pestilenza, la quale non cessò che quando il pastore
che
aveva portato il fanciullo a Polibio, venne a Teb
di Zetto, il quale fu fratello d’Anfione. Da questa unione non nacque
che
un solo figliuolo chiamato Itilo. La tradizione f
che un solo figliuolo chiamato Itilo. La tradizione favolosa racconta
che
essendo Edo gelosa di vedere che Niobe, sua cogna
ilo. La tradizione favolosa racconta che essendo Edo gelosa di vedere
che
Niobe, sua cognata, aveva una numerosa famiglia,
iobe, sua cognata, aveva una numerosa famiglia, mentre essa non aveva
che
un solo figlio, risolvette di uccidere il primo g
solo figlio, risolvette di uccidere il primo genito dei suoi nipoti,
che
dormiva nel medesimo tetto di Itilo. Onde mandare
figliuolo di cangiare di posto la notte seguente e mettersi nel luogo
che
occupava in letto il figliuolo di Niobe. Itilo, c
o. Questi due sposi si amavano così teneramente ed erano così felici,
che
, resi orgogliosi dalla loro stessa felicità, osar
felici, che, resi orgogliosi dalla loro stessa felicità, osarono dire
che
si amavano più perfettamente di Giove e di Giunon
famiglia in uccelli. Da ciò la favola, ripetuta anche dal Boccaccio,
che
Edone fosse cangiato in un cardellino, uccello ch
che dal Boccaccio, che Edone fosse cangiato in un cardellino, uccello
che
canta con un tuono triste e malinconico. 1554. Ed
rannomi di Bacco. Vedi l’articolo precedente. 1556. Educa. — Divinità
che
presso i pagani, presiedeva alla nutrizione dei b
città dell’ Asia minore, nella Jonia La tradizione mitologica ripete
che
il nome di questa città derivasse da una donna ch
Caistro, nelle circostanze del mare Egeo. Rinomati autori pretendono
che
la esistenza di questa città, fosse di molti anni
lti anni anteriore allo stabilimento dei Greci nell’ Asia minore ; ma
che
allora altro non fosse se non una piccola borgata
di Diana, la quale fin da quel tempo era venerata in quei luoghi ; e
che
poscia una colonia greca avesse costruita la citt
; e che poscia una colonia greca avesse costruita la città di Efeso,
che
si rese poi tanto celebre. Il famoso tempio di Di
à di Efeso, che si rese poi tanto celebre. Il famoso tempio di Diana,
che
fu una delle sette meraviglie del mondo, fu fatto
to tempio costò molti milioni e più di duecento anni di lavoro, tanto
che
il celebre architetto Taesifonte, che ne fece il
duecento anni di lavoro, tanto che il celebre architetto Taesifonte,
che
ne fece il disegno e diresse per lungo tempo i la
mpo i lavori d’impianto, non potè vedere, come molti altri architetti
che
gli successero, neanche la metà di tutta la costr
mura, si contavano 227 colonne, innalzatevi da altrettanti sovrani, e
che
erano tutte dei marmi più rari e preziosi : le su
statue e quadri di un valore favoloso. E pure questa opera colossale,
che
riuniva tante meraviglie d’arte, e tanto lusso di
inuarono, mediante enormi sagrifizii, la costruzione del loro tempio,
che
essi menarono nuovamente a termine dopo lunghissi
ne dopo lunghissimi anni, con più magnificenza e ricchezza. Ma sembra
che
il destino si opponesse nei suoi voleri a che il
e ricchezza. Ma sembra che il destino si opponesse nei suoi voleri a
che
il tempio di Efeso rimanesse perenne monumento de
esta dei suoi eserciti, e per ricompensare il popolo della confidenza
che
poneva in lui, vi ristabilì il governo democratic
no al 1206, epoca in cui passò nuovamente sotto il dominio dei Greci,
che
ne restarono signori fino al 1283. Da quest’epoca
festie. 1564. Efestie o Efestee. — Era questo il nome di alcune feste
che
si celebravano in onore di Vulcano. La cerimonia
di Vulcano. La cerimonia più saliente di esse consisteva nella corsa
che
tre giovanetti facevano, ciascuno con una torcia
cevano, ciascuno con una torcia accesa nella destra. Quello fra i tre
che
giungeva alla meta con la torcia accesa, gualagna
no. 1565. Efestione. — Amico e confidente di Alessandro, il Macedone,
che
lo ebbe estremamente caro, e tanto che dopo la mo
te di Alessandro, il Macedone, che lo ebbe estremamente caro, e tanto
che
dopo la morte di quello, avvenuta nella città di
, e dedicato per fino un oracolo. Luciano, nelle sue opere, asserisce
che
lo stesso Alessandro fu uno dei seguaci più caldi
a novella divinità. 1566. Efestrie. — Venivano così chiamate le feste
che
si celebravano in onore dell’indovino Tiresia, il
uali i Tebani facevano girare per la loro città la statua di Tiresia,
che
all’andare era vestito da uomo ed al ritorno da d
all’andare era vestito da uomo ed al ritorno da donna. Vedi Tiresia
che
mutò sembiante. Quando di maschio femmina divenue
iù cubiti ciascun anno, e d’ingrossarsi in proporzione. Non contavano
che
quindici anni allorquando gli altri giganti tenta
peria se la leggiadra Madrigna Ecribea nol rivelava Al buon Mercurio,
che
di la furtivo Lo sottrasse, già tutto per la lung
dissidio fra loro, essi morirono entrambi, in seguito alle ferite con
che
si erano reciprocamente offesi. 1568. Efialti. —
rano reciprocamente offesi. 1568. Efialti. — Specie di sogni malefici
che
i latini chiamavano Incubi ; nome che poi è rimas
lti. — Specie di sogni malefici che i latini chiamavano Incubi ; nome
che
poi è rimasto anche presso di noi a quella specie
è rimasto anche presso di noi a quella specie di dolorosa impressione
che
talvolta si risente nel sonno, accompagnato da sp
l sonno, accompagnato da spaventose visioni. 1569. Efidriadi. — Ninfe
che
presiedevano alle acque e che più comunemente ven
ntose visioni. 1569. Efidriadi. — Ninfe che presiedevano alle acque e
che
più comunemente venivano dette Idriadi, dalla par
che più comunemente venivano dette Idriadi, dalla parola greca Υδρδς,
che
significa acqua. 1570. Efira. — Figliuola dell’ O
’ Oceano e di Teti, la quale dette il suo nome alla città di Corinto,
che
dal principio chiamavasi Efira. Al dire di Virgil
n’isola, vicina a quella di Melus, conosciuta sotto il nome di Efira,
che
fu patria di Sisifo. Efira, una città, natia con
che fu patria di Sisifo. Efira, una città, natia contrada Di Sisifo,
che
ognun vincea nel senno. Omero — Iliade — Libro V
gidì col nome di capra. Del vello di Ega, Giove rivestì il suo scudo,
che
perciò fu detto Egida. Questo scudo fu dato poi a
1573. Egemone. — Che significa conduttrice. Era questo il soprannome
che
Cromio dette a Diana, quando le fabbricò in Tegea
ale gli abitanti dell’isola Camarin, adoravano Apollo, ossia il sole,
che
rinasce ogni giorno. 1575. Egeo. — Figlio di Pand
i Mezioniti eransi resi padroni. Egeo fu il solo fra i suoi fratelli
che
non potette aver prole ; onde consultato l’oracol
u anche visitata dal dio Nettuno. Poco tempo dopo, Egeo seppe da Etra
che
ella era incinta, e non dubitando che il nascitur
tempo dopo, Egeo seppe da Etra che ella era incinta, e non dubitando
che
il nascituro fosse suo figlio, consegno ad Etra u
rosieguo Egeo sposò la famosa Medea, abbandonata da Giasone, ma quasi
che
le maledizioni del cielo seguissero le orme di qu
o, ed avendoli vinti, impose loro un sanguinoso tributo ;quello cioè,
che
ogni anno gli Ateniesi avessero dovuto mandare in
tempo la sorte cadde sopra Teseo, designandolo come una delle vittime
che
ogni anno, per patto della sconfitta, dovevano es
con le più calde preghiere di far cangiare le nere vele del vascello,
che
faceva il terribile viaggio, con altrettante di c
ndo ucciso il Minotauro, fece ritorno in patria sull’istesso vascello
che
lo avea ricondotto in Creta ; ma egli e i suoi co
il quale, dalla riva vedendo il fatale colore, si precipitò nel mare,
che
da quel tempo prese il nome di Egeo. Gli Ateniesi
neide — Libro X. Trad. di A. Caro. La tradizione mitologica racconta
che
Giunone, Minerva e Nettuno, vollero nella guerra
Minerva e Nettuno, vollero nella guerra degli dei, incatenar Giove e
che
sarebbero forse riuscili nel loro intento, se Tet
questo servigio, gli rese la sua amicizia, dimenticando la parte più
che
attiva che Egeone o Briareo aveva avuto nella sca
vigio, gli rese la sua amicizia, dimenticando la parte più che attiva
che
Egeone o Briareo aveva avuto nella scalata che i
a parte più che attiva che Egeone o Briareo aveva avuto nella scalata
che
i Titani tentarono dare al cielo. 1577. Eger. — N
con lei dei segreti colloquii, affine di dare più autorità alle leggi
che
impose ai Romani. La tradizone mitologica attribu
ria anche il nome di Camena, cioè cantatrice e profetessa, e racconta
che
avesse presso forma umana, ed avesse sposato il r
ale fu allora nominata Locus Camanarum e ch’è propriamente quel luogo
che
è detto oggi Caffarelli. Alla morte di Numa Pompi
Caffarelli. Alla morte di Numa Pompilio, Egeria fu talmente afflitta,
che
pianse giorno e notte, riempiendo l’aria nei suoi
e pianse giorno e notte, riempiendo l’aria nei suoi lamenti, per modo
che
Diana, sturbata nei suoi sagrifizi, la cangliò in
do che Diana, sturbata nei suoi sagrifizi, la cangliò in una fontana,
che
dal suo nome fu detta Egeria. Tra i moderni scrit
Idromanzia, personificando in essa l’idea informata della solitudine,
che
profonde i tesori del raccoglimento altesmoforo e
ed al saggio, amico dello studio lungo e meditativo. Numa non è altro
che
la personificazione della legge fatta uomo ; è lo
delle primitive mitologie. I Romani adorarono ancora un’altra Egeria,
che
presiedeva allo sgravo, ed alla quale le donne in
sta denominazione i Greci indicavano quelle donne e quelle fanciulle,
che
nelle funebri cerimonie portavano l’acqua lustral
o e di Melisse, e diede il suo nome alla contrada di cui poi fu re, e
che
da lui fu detta Egialea. Questa contrada è propri
e che da lui fu detta Egialea. Questa contrada è propriamente quella
che
i moderni geografi chiamano Morea. 1581. Egibolo
amano Morea. 1581. Egibolo o Egobolo. — Dalla parola Greca άηξ άηγδς,
che
significa capra ; i pagani indicavano con questo
imonie di questi sagrifizii i sacerdoti, consacrati al culto del nume
che
si adorava, scavavano una fossa in mezzo ad un ca
gettava su di essa il sangue fumante delle vittime sgozzate, per modo
che
il sommo sacerdote riceveva tutto su di sè il san
tichità danno questo nome allo scudo di tutti gli dei ; ed Omero dice
che
l’ Egida d’ Apollo era di oro, ma che questo nome
i tutti gli dei ; ed Omero dice che l’ Egida d’ Apollo era di oro, ma
che
questo nome fu proprio dello scudo di Minerva, do
ttoria da lei riportata sui mostro Egide — V. Egide ; e Virgilio dice
che
Minerva combatteva coprendosi tutta la persona co
ida, o scudo di Giove, era ricoperta della pelle della capra Amaltea,
che
avea col suo latte nutrito il re dei numi e che e
della capra Amaltea, che avea col suo latte nutrito il re dei numi e
che
egli aveva chiamata col nome particolare di Egida
chiamata col nome particolare di Egida, dalla parola greca άηξ άηγδς
che
significa Capra. 1583. Egide. — Mostro spaventevo
ta lo uccise. La Terra, sdegnata per questa morte, partorì i Giganti,
che
poi mossero guerra agli dei. 1584. Egilia. — Sore
ngiata in pioppo. La tradizione mitologica ricorda di un’altra Egilia
che
fu figlia di Adrasto, re di Argo, e moglie di Dio
o, e moglie di Diomede. Venere, sdegnata contro Diomede per la ferita
che
quest’ultimo le fece all’assedio di Troja, onde v
pirò ad Egilia, l’infame desiderio di prostituirsi a tutti gli uomini
che
incontrava. Quando Diomede ritornò in patria, Egi
a. — Figlia del flume Asopo, la quale fu con passione amata da Giove,
che
sotto la forma di un’aquila la rese madre di Eaco
una isola del Golfo Saronico, detta Enone o Enopia. Fu in quest’isola
che
Egina dette alla luce Eaco, il quale poi chiamò c
ri amori, ed Egina fu tolta in moglie da Attore, figlio di Mirmidone,
che
la rese madre di Menezio. 1586. Egineti. — Con qu
. Durante il periodo delle guerre persiane, gli Egineti furono quelli
che
più si distinsero per aver fornito maggior numero
da questo tentato colpo di mano ebbe principio l’odio inestinguibile
che
divise poi sempre, con mortale inimicizia gli Ate
ntichi ne fossero i ruderi. Strabone ed Eforo dicono nelle loro opere
che
gli Egineti fossero i primi fra i Greci a coniar
opere che gli Egineti fossero i primi fra i Greci a coniar moneta, e
che
fu uno di essi, per nome Fidone, che consiglio i
i fra i Greci a coniar moneta, e che fu uno di essi, per nome Fidone,
che
consiglio i suoi concittadini, onde facilitare il
onda sterilità della loro isola. 1587. Egioco. — Soprannome di Giove,
che
a lui veniva, secondo la tradizione favolosa, dal
i. — Così venivano col nome collettivo denotate tutte quelle divinità
che
nel culto religioso dei pagani si credeva abitass
dei pagani si credeva abitassero le montagne, i boschi e le selve ; e
che
venivano rappresentate coi piedi di capra, colle
mostri della Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agipani e
che
al dire del citato scrittore, erano perfettamente
al dire del citato scrittore, erano perfettamente simili alla figura
che
presso di noi rappresenta la costellazione dello
non riuscì a spegnere colla sazietà del possesso, l’ardente desiderio
che
questa donna bellissima gli aveva acceso nel sang
li aveva acceso nel sangue. Neofronte intanto, per vendicare l’offesa
che
gli aveva fatta l’amico, fece in maniera che tirò
, per vendicare l’offesa che gli aveva fatta l’amico, fece in maniera
che
tirò alle sue voglie Bulis, madre di Egipio ; nè
tal modo non sospettando di nulla ebbe commercio colla propria madre,
che
, immersa nelle tenebre, ad arte procurate da Neof
osco, fu allattato da una capra, e poi raccolto da alcuni pastori. A
che
m’insegui, o sanguinosa. irata Dell’inulto mio pa
nza saperne l’origine, e gli affido l’incarico di assassinare Tieste,
che
allora egli riteneva prigione. Tieste riconobbe l
conobbe la propria spada, e avendo interrogato Egisto, questi rispose
che
gliela aveva data la madre. Tieste alle parole de
ore del figlio il quale, indegnato contro Atreo per l’infame incarico
che
gli aveva affidato lo raggiunse a Micene e lo ucc
i di Egisto il fratello Oreste, allora fanciullo ancor di due lustri,
che
alla sua volta, ritornato adulto in Micene, uccis
cui la tradizione mitologica attribuisce cotesto nome. Il falso velo
che
ricopre gran parte, anzi quasi tutta l’epoca dei
rte, anzi quasi tutta l’epoca dei tempi favolosi, non consente oggi a
che
noi battessimo nelle ricerche, una via libera e s
lle ricerche, una via libera e spianata : noi altro non possiam fare,
che
attenerci alle opinioni degli autori più accredit
ventù studiosa, la differenza e bene spesso la contradizione completa
che
esiste fra quei pareri a noi tramandati da numero
uni fu figlio di Belo e d’una figlia del fiume Nelo. Altri pretendono
che
fosse figliuolo di Nettuno e di Libia e fratello
acconsenti alle nozze, ma impose alle figliuole l’infame comandamento
che
fu causa della morte dei quarantanove figliuolo d
. Danaidi. È opinione generalizzata presso i cronisti più accreditati
che
Egitto regnasse trecento e sei anni prima della g
i suoi scherzi i pastori e perfino gli dei campestri. La favola narra
che
avendo un giorno rinvenuto il vecchio Sileno che,
tri. La favola narra che avendo un giorno rinvenuto il vecchio Sileno
che
, preso dal vino, dormiva profondamente, essa chia
come una dea nella Puglia in cui gli abitanti credevano generalmente
che
il fuoco si appiccasse da sè stesso alle legna su
o si appiccasse da sè stesso alle legna su cui si ponevano le vittime
che
le venivano immolate. 1597. Egobolo V. Egibolo. 1
. 1597. Egobolo V. Egibolo. 1598. Egocero. — Soprannome del dio Pane,
che
a lui veniva da una parola Greca che significa ca
cero. — Soprannome del dio Pane, che a lui veniva da una parola Greca
che
significa capro, perchè egli essendo stato posto
gura di un Capro. 1599. Egofaga. — Detta anche Caprivoca, vale a dire
che
divora le capre. Con questo soprannome i Lacedemo
volosa ci ricorda in proposito di Questo soprannome della Dea Giunone
che
Ercole, dopo assersi vendicato dei suoi nemici, a
; e le avesse sacrificato una Capra ; da cio il soprannome di Egofaro
che
significa porta capra. 1601 Egollo. — Giovanetto
gnia di altri suoi campagni entro in una caverna consacrata a Giove, (
che
secondo la tradizione era nato in quella) onde de
(che secondo la tradizione era nato in quella) onde derubare il mele
che
una immensa quantità di Ape vi lavoravano. Egolio
tava già per fulminarli, allorchè Teni Leparche, gli fecero osservare
che
non era conveniente farli morire in un luogo sacr
fin sulla vetta di un’altissima montagna, onde farne dono alla donna
che
amava. La cronaca tradizionale ripete che la forz
onde farne dono alla donna che amava. La cronaca tradizionale ripete
che
la forza di Egone non fosse minore del suo appeti
uno dei re degli Argiri, i quali quando mori l’ultimo degli Erachidi,
che
reggeva il loro governo, consultarono l’oracolo o
sapere chi avessero dovuto in nalzare al potere. L’oracolo rispose :
che
un’aquila avrebbe palesato la volontà dei numi, e
nume marino a cui i Pagani davano il nome di Proteo. Narra la cronaca
che
Menelao, ritornando dall’assedio di Troja fosse d
retto a ricoverarsi in un’isola deserta nelle vicinanze dell’Egitto e
che
egli fosse costretto a far colà una lunga dimora
lao e Proteo. 1604. Eirena. — Detta anche semplicemente Irena : nome
che
i dei davano alla Pace. 1605. Elseterie. — In Ate
Ateniesi in onore di Diana : venivano cosi dette da una parola greca
che
significa Cervo, perchè in queste ceremonie si of
ervo, perchè in queste ceremonie si offerivano alla Dea delle focacce
che
avevano la forma di quegli animali. Da questo cos
a dagli abitanti una deità a cui essi davano il nome dil Elagabalo, e
che
comunemente si ritiene essere stata il Sole ; e c
dil Elagabalo, e che comunemente si ritiene essere stata il Sole ; e
che
veniva rappresentata sotto la figura di un gran c
. Eleeno. — Soprannome di Giove a lui venuto da un ricchissimo tempio
che
aveva in una città del Peloponnese chiamata Elts.
Bacco erano sovente adoperati degli Elefanti per ricordare il viaggio
che
quel Dio faceva nell’Indie. Presso gl’Indiani, e
stirpe di Marte. Al dire di Omero egli comandava gli Abanti di Eubea
che
aveva condotto all’assedio di Troja sopra quarant
di V. Monti. 1617. Eleidi. — Soprannome delle sacerdotesse di Bacco,
che
venivano così dette dal rumore che facevano nelle
nnome delle sacerdotesse di Bacco, che venivano così dette dal rumore
che
facevano nelle orgie dei baccanali. V. Eleleeno.
cevano nelle orgie dei baccanali. V. Eleleeno. 1618. Eleleeno. — Cioè
che
fa molto strepito : si dava cotesto soprannome a
pito : si dava cotesto soprannome a Bacco per alludere al gran rumore
che
si faceva nella celebrazione dei suoi misteri. 16
imenti. Noi però ci atterremo alla stretta esposizione di quei fatti,
che
per essere più generalmente ripetuti dagli scritt
Polluce e di Clitennestra, sebbene la tradizione della favola ripeta
che
tutti questi figli, ed Elena stessa, fossero nati
eta che tutti questi figli, ed Elena stessa, fossero nati dagli amori
che
Giove ebbe con Leda — V. Castore e Polluce. Tind
tempi. La bellezza di lei levò tanto grido, fino da’ suoi primi anni,
che
Teseo, affascinato alla vista di una così incante
cinato alla vista di una così incantevole creatura, la rapì un giorno
che
essa insieme, ad altre fanciulle della sua età, e
ero invece la già famosa rinomanza della sua divina bellezza, e tanto
che
ben quaranta fra i più rinomati principi della Gr
turata, ma ben presto il destino cangiò in amara angoscia la gioia di
che
sembrava aver da principio sparsa la loro esisten
Menelao, la vera cagione della sanguinosa guerra tra Greci e Troiani,
che
finì con la totale distruzione della città di Tro
roiani, che finì con la totale distruzione della città di Troia, dopo
che
i Greci l’ebbero assediata pel non breve spazio d
— Inferno — Canto V Elena dico. origine e cagione Di tanti mali, e
che
fu d’Ilio e d’Argo Furia comune. Virgilio — Enei
da Deifobo, altro figlio di Priamo, col quale alcuni scrittori dicono
che
fin dal tempo in cui Paride vivea, avesse ella av
cittadella, dopo aver fatto avvisare i capitani dell’esercito greco,
che
a quel convenuto segnale avrebbero trovati i Troi
stumi era stata cagione. Elena si chiamò pure una giovanetta Spartana
che
, secondo la tradizione, fu dalla sorte destinata
u dalla sorte destinata ad esser vittima espiatoria in un sagrifizio,
che
i Lacedemoni aveano avuto imposto dall’oracolo, o
di Priamo. Amò una giovanetta per nome Cassandra e la favola racconta
che
dormendo un giorno con lei nel vestibolo interno
e — libro III. trad. di A. Caro Eleno fu tra i suoi fratelli quello
che
più sì distinse all’ assedio di Troja. Comandava
di V. Monti E feri Achille in un braccio in virtù dell’arco di oro
che
Apollo gli aveva regalato, senza di che sarebbe s
cio in virtù dell’arco di oro che Apollo gli aveva regalato, senza di
che
sarebbe stato impossibile ferire Achille che era
aveva regalato, senza di che sarebbe stato impossibile ferire Achille
che
era invulnerabile — V. Achille — quando Elena, ve
ise, e poi dimorò sul monte Ida ; ma siccome stava nel fato di Troja,
che
la città non poteva esser presa senza la presenza
di Eleno con l’astuzia. Giunto al campo nemico egli predisse ai Greci
che
non avrebbero mai distrutta Troja, se non avesser
uoni consigli di lui, gli dette in moglie Andromaca vedova di Ettore,
che
a lui era toccata in sorte come preda del bottino
lio Di Priamo, re nostro, era a quel regno Di greche terre assunto, e
che
di Pirro E del suo scettro e del suo letto erede
ide — Libro III. Trad. di A. Caro. E gli dono gran parte dell’Epiro,
che
egli in memoria di un suo fratello per nome Caone
un re di Meonia, e di una schiava per nome Licinnia. Fu uno di coloro
che
dopo l’assedio di Troja, seguirono le sorti di En
zza maggiore della loro città, un tempio a lei dedicato. Tutti coloro
che
, o per sventure, o per delitti, si rifugiavano ne
Agamennone e di Clitennestra e sorella di Oreste. … Elettra io son,
che
al sen ti stringo Fra le mie braccia…… …… Pilade,
i — Oreste — Tragedia Atto II Scena I. Serbandolo così alla vendetta
che
quegli compì sette anni dopo, epoca in cui ritorn
idario. Alfieri — Oreste — Tragedia Atto II Scena II. Euripide dice
che
l’iniqua madre di Eletira per accontentare il des
ti del matrimonio la servì come uno schiavo fedele, fino al giorno in
che
Oreste la dette in moglie a Pilade. L’Eumenidi pe
. Egli corse pericolo della vita per compiere questa impresa, e tanto
che
la notizia della sua morte si sparse rapidamente
de. Elettra allora si recò ella stessa nella Tauride, ove le fu detto
che
la sacerdotessa Ifigenia aveva ella stessa vibrat
r nome Iasio. Giove, invaghitosi di Elettra la rese madre di Dardano,
che
fu poi il fondatore di Troia. Vi fu finalmente un
a. Vi fu finalmente un’ altra Elettra, figlia di Edipo ; ed un’ altra
che
fu figlia dell’ Oceano e di Teti. 1624. Elettridi
un così forte odore di zolfo, e tramandarono dei miasmi così ardenti,
che
gli uccelli cadevano morti se volando radevano tr
Le arene di quelle rive erano piene di una gran quantità di elettro,
che
è una specie di metallo, la quinta parte del qual
io è grande la disparità dei cronisti della favola. Alcuni pretendono
che
fosse figlio di Perseo e di Andromeda : altri che
. Alcuni pretendono che fosse figlio di Perseo e di Andromeda : altri
che
fosse figlio di Alceo e fratello di Anfitrione. I
primo, seguendo il quale Elettrione tolse in moglie sua nipote Anaxo,
che
lo rese padre di Alcmena, Anfimaco ed altri — V.
ire l’ animale, percosse Elettrione così violentemente in una tempia,
che
gli produsse una morte istantanea. Elettrione era
morte istantanea. Elettrione era similmente il nome di una giovanetta
che
secondo la tradizione favolosa era figlia del Sol
città di Eleusi nell’Attica. In alcuni scrittori si trova l’opinione
che
la città ricevesse il nome di Eleusi, parola che
si trova l’opinione che la città ricevesse il nome di Eleusi, parola
che
in greco significa arrivo, dall’epoca in cui Cere
, di cui nell’articolo precedente, ove i suoi misteri venivano meglio
che
altrove celebrati. 1628. Eleusine. — Dette anche
olpevoli di qualunque reato. Ai misteri Eleusini non venivano ammessi
che
i nativi dell’Attica ; pure si legge, in vari aut
ano ammessi che i nativi dell’Attica ; pure si legge, in vari autori,
che
Anacarsi lo Scita, e Ippocrate, non che Ercole, C
ure si legge, in vari autori, che Anacarsi lo Scita, e Ippocrate, non
che
Ercole, Castore, Polluce, Esculapio, ed altri, fo
libertà. 1632. Eleuterie. — Così venivan dette alcune sacre cerimonie
che
i greci celebravano in onore di Giove-Eleuterio,
iove-Eleuterio, vale a dire liberatore. 1633. Eleuterio. — Soprannome
che
i greci davano particolarmente a Bacco. Essi anne
te a Bacco. Essi annettevano a questa parola la stessa significazione
che
i Latini al loro liber pater. 1634. Eleuto. — Dal
occorrere le partorienti. 1635. Eliache. — Cosi avevano nome le feste
che
si celebravano in onore del Sole. 1636. Eliadì. —
La tradizione ripete a traverso il velo di una bellissima allegoria,
che
anche dopo la loro metamorfosi, quelle pietose co
osi, quelle pietose continuarono a piangere la morte del loro caro, e
che
le gocce di ambra che il tronco dei pioppi trasud
ntinuarono a piangere la morte del loro caro, e che le gocce di ambra
che
il tronco dei pioppi trasuda continuamente, altro
ambra che il tronco dei pioppi trasuda continuamente, altro non sono
che
le lagrime che, nel loro dolore, versano ancora q
ronco dei pioppi trasuda continuamente, altro non sono che le lagrime
che
, nel loro dolore, versano ancora quelle affettuos
i Elio. Quando gli Eliadi giunsero all’età virile, seppero da Apollo,
che
Minerva, dea della saggezza, aveva risoluto di fi
lla saggezza, aveva risoluto di fissare la sua dimora fra quel popolo
che
prima di ogni altro le avesse offerto un sacrifiz
niesi, profittando di ciò, sacrificò per il primo a Minerva e ottenne
che
la dea dimorasse in Atene. Da ciò la tanta saggez
dettero un grande impulso all’arte della navigazione. Fra gli Eliadi,
che
erano sette fratelli di cui al dire di Diodoro ec
di suo padre Elio, dette il nome di Eliopoli. La tradizione aggiunge
che
Atti fosse il primo ad insegnare agli Egizii il c
ed è propriamente quella conosciuta sotto il nome di Orsa maggiore, e
che
, secondo la tradizione, fu la guida costante di t
1638. Elielo. — I Romani con questo nome adoravano Giove e credevano
che
pronunziando alcune date parole, fra le quali ven
39. Eliconia. — Detta più comunemente Elicona : montagna della Beozia
che
sorgeva tra il monte Parnaso e il monte Citerone.
e. Questa montagna era consacrata alle muse e ad Apollo, e si credeva
che
esse vi abitassero quasi sempre, prendendo cura d
cura della fontana di Ippocrene e della tomba di Orfeo. O musa, tu,
che
di caduchi allori Non circondi la fronte in Elico
ità per gli spettacoli conosciuti sotto il nome di giuochi olimpici e
che
si celebravano in onore di Giove Olimpico. 1642.
stanca del faticoso cammino s’addormentò e vide in sogno il figliuolo
che
la confortò a non affliggersi della sua morte, gi
dell’Egitto è celebre pel culto del Sole. Alcuni scrittori pretendono
che
sia la stessa che Tebe. Era antico costume dei Fe
bre pel culto del Sole. Alcuni scrittori pretendono che sia la stessa
che
Tebe. Era antico costume dei Fenici il portare og
all’oracolo, posava una grande lamina inargentata, specie di specchio
che
rifletteva i raggi del sole, e collocata in modo
ecie di specchio che rifletteva i raggi del sole, e collocata in modo
che
tutto il tempio ne era illuminato di una luce viv
pio ne era illuminato di una luce vivissima. Si narra nelle cronache,
che
allorquando l’imperatore Trajano mosse per la spe
per la spedizione contro i Parti, vi fu taluno fra i suoi confidenti,
che
gli consigliò di consultare l’oracolo di Eliopoli
oli, onde sapere quale sarebbe stata la sorte delle sue armi. Trajano
che
non divideva la superstiziosa credenza dei suoi c
on divideva la superstiziosa credenza dei suoi contemporanei, rispose
che
non voleva fare il viaggio fino ad Eliopoli, tant
i, rispose che non voleva fare il viaggio fino ad Eliopoli, tanto più
che
qualunque sarebbe stata la risposta dell’oracolo,
la risposta dell’oracolo, egli avrebbe sempre compiuta la spedizione,
che
da lungo tempo meditava. Però avendo il confident
a. Però avendo il confidente risposto all’obbiezione del suo signore,
che
non occorreva recarsi di persona onde consultare
e, che non occorreva recarsi di persona onde consultare l’oracolo, ma
che
era sufficiente scrivere la dimanda su di un pezz
sua miscredenza, egli non scrisse nessuna domanda ; ma non andò guari
che
fosse rimorso, fosse, com’è più probabile, imperi
dall’oracolo una vite fatta in pezzi. Macrobio, nelle sue opere, dice
che
l’evento si avverò in tutta la sua terribile veri
poichè Trajano fu ucciso in guerra, ed in Roma altro non ritornarono
che
le sue ossa, le quali secondo il suddetto scritto
re, erano state figurate nella vite fatta in pezzi. Oltre ai responsi
che
l’oraco lo di Eliopoli dava per iscritto, comunic
into si chiamava anch’essa Eliopoli, prima di chiamarsi Corinto, nome
che
le fu dato a causa del calore del clima e dell’ar
— Cosi venivano denominati i Cartaginesi da Elisa, poi detta Didone,
che
fu la fondatrice dell’impero di Cartagine. 1646.
mpi. — Parte degl’inferni in cui i poeti dell’antichità, immaginarono
che
regnasse una eterna primavera, e dove le ombre de
el definire la posizione topografica dei campi Elisi. Taluni vogliono
che
stessero presso l’Egitto : altri poco lungi da Le
a dai più rinomati cronisti della favola. Pindaro ed Esiodo ripetono,
che
Saturno era il sovrano dei campi Elisi ; ove egli
lisi ; ove egli regnava con sua moglie Rea. Omero e Virglio scrissero
che
gli eroi, abitatori di quel celeste soggiorno, tr
si col suono della lira, l’eroiche gesta dei semidei. È però a notare
che
i poeti osceni, di cui non è certo penuria fra gl
di cui non è certo penuria fra gli scrittori dell’antichità, ripetono
che
gli abitatori degli Elisi, avessero in premio del
premio della loro virtù sulla terra, tutte le più raffinate lascivie
che
il genio della voluttà potesse mai immaginare. 16
ia di Nefelea e di Atamante, re di Tebe. La cronaca mitologica narra,
che
stanca delle crudeli persecuzioni che la matrigna
e. La cronaca mitologica narra, che stanca delle crudeli persecuzioni
che
la matrigna le faceva patire, ebbe il coraggio di
a cavallo del famoso ariete dal vello d’oro, e traversare lo stretto
che
divideva la Troade dalla Tracia e fuggire in Colc
ggire in Colco. Allorchè ella si vide in mezzo alle onde, il coraggio
che
fino allora l’aveva accompagnata, l’abbandonò per
l coraggio che fino allora l’aveva accompagnata, l’abbandonò per modo
che
affogò miseramente, rendendo, con la sua morte, c
miseramente, rendendo, con la sua morte, celebre quel tratto di mare,
che
da lei fu detto Ellesponto. 1648. Ellera. — Quest
mare, che da lei fu detto Ellesponto. 1648. Ellera. — Questa pianta,
che
più comunemente si chiama edera, era consacrata a
di Elettra e di Tamante. 1650. Ellotia. — Detta anche Ellozia : festa
che
si celebrava in Grecia in onore di Europa Ellote,
te, e durante la quale si portava in giro una enorme corona di mirto,
che
, secondo la tradizione, si chiamava Ellotide, ed
mpio di Minerva, fra le cui fiamme morì arsa la sacerdotessa Ellotide
che
lo aveva in custodia. Qualche tempo dopo una terr
olo onde sapere il modo di far cessare il flagello. L’oracolo rispose
che
bisognava rifabbricare il tempio di Minerva, e pl
l’articolo precedente. V. Ellotia. 1652. Elmo di Plutone. — I Ciclopi
che
, secondo la favola, fabbricavano i fulmini a Giov
vano i fulmini a Giove ebbero da Plutone l’incarico di fargli un elmo
che
aveva la singolare proprietà di rendere invisibil
i rendere invisibile chi lo portava. La tradizione mitologica ripete,
che
quando Perseo ando a combattere la Gorgone Medusa
l padre. V. Polifemo. 1655. Elpenore. — Fu uno dei compagni di Ulisse
che
, insieme agli altri seguaci di lui, fu dalla maga
onde raggiungere i suoi compagni, la cui nave già stava per far vela,
che
precipitò da una rupe assai alta e si uccise. Un
sue cronache, e con lui varii altri scrittori dell’antichità, narrano
che
essendo Elpide approdato in Africa, s’imbattesse
rano che essendo Elpide approdato in Africa, s’imbattesse in un leone
che
restò fermo innanzi a lui, con la bocca spalancat
la bocca, piuttosto in atto di domandare sollievo ad una sofferenza,
che
in attitudine minacciosa Elpide allora, sorpreso
dio, discese dall’albero, si accostò all’animale, e si accorse allora
che
i lamenti di quello venivano dallo avere un osso
i lamenti di quello venivano dallo avere un osso a traverso la gola,
che
gli cagionava una dolorosa ferita. Elpide non esi
renza. In memoria di questo fatto, ed in rendimento di grazie al nume
che
Elpide aveva invocato nel suo pericolo, egli, rit
glio di Titone. Feroce e sanguinario egli trucidava tutti i viandanti
che
cadevano nelle sue mani. Ercole lo uccise e le co
Le veniva attribuito un potere estesissimo, e si credeva generalmente
che
tutt’i malati che dormissero una notte nel recint
to un potere estesissimo, e si credeva generalmente che tutt’i malati
che
dormissero una notte nel recinto del tempio a lei
l tutto. Era inoltre Emitea ritenuta come protettrice dei parti ond’è
che
le donne incinta ne invocavano la protezione con
e di questa divinità era estesa e divulgata per tutta l’Asia per modo
che
il suo tempio nella città di Castabea era carico
e non circondato di mura, fu sempre rispettato, e per sino i Persiani
che
spogliarono tutt’i templi della Grecia, lasciaron
ità parlano di questa divinità, il cui nome primitivo era Malpadia, e
che
poi fu detta Emitea, dalla parola Greca Ἐμιδεα Se
e che poi fu detta Emitea, dalla parola Greca Ἐμιδεα Semidea, secondo
che
suona il vocabolo stesso di Emitea. 1663. Emo. —
Di notte entrai, per ischernir tua legge. Di velenoso sdegno, è ver,
che
avea Gonfio Antigone il cor ; disegni mille Volge
del supplizio, e quivi vedendo la sua amata Antigone sospesa al nodo
che
essa stessa aveva formato del suo velo, l’abbracc
morte, e le tradite Nozze, e l’opre del padre. Il padre a lui, Tosto
che
il vede, alto sclamando accorre, E con rotti sing
alto sclamando accorre, E con rotti singulti : Oh sciagurato ! « Oh !
che
mai festi ? e che pensier fu il tuo ? In qual gui
orre, E con rotti singulti : Oh sciagurato ! « Oh ! che mai festi ? e
che
pensier fu il tuo ? In qual guisa ti perdi ? Esci
ava cotesto nome a quella divinità sotto la cui protezione si credeva
che
stessero i villaggi. 1666. Emploei. — Pubblici gi
ecciati di nastri e di fiori. 1667. Empoleo. — Soprannome di Mercurio
che
veniva con esso riverito come protettore dei merc
rito come protettore dei mercanti. 1668. Empusa. — Fantasma femminino
che
secondo la cronaca favolosa aveva un sol piede, e
esto fantasma ai colpevoli onde tormentarli. Forse Empusa altro non è
che
la personificazione del rimorso. 1669. Encaddiri.
rticolari divinità. 1670. Encelado. — Il più formidabile fra i Titani
che
vollero dare la scalata al cielo. Era figlio del
areri a noi trasmessi dagli scrittori dell’antichità. Vogliono alcuni
che
Giove rovesciasse su di Encelado, il monte Etna e
l monte Etna e lo seppellisse sotto di questo. I poeti da ciò finsero
che
le eruzioni di questo vulcano, le quali scossero
nelle visceri profonde, l’intera isola di Sicilia, altro non fossero
che
gli inutili conati e gli sforzi impotenti che di
ilia, altro non fossero che gli inutili conati e gli sforzi impotenti
che
di tratto in tratto il fulminato gigante ritenta
in tratto il fulminato gigante ritenta onde volgersi su i fianchi, e
che
al suo più piccolo movimento l’Etna vomiti dal su
e e la Trinacria tutta. V. Monti — La Musogonia — Canto. Altri narra
che
Encelado fosse schiacciato sotto il carro di Mine
Encelado fosse schiacciato sotto il carro di Minerva. Altri pretende
che
egli fosse già in fuga e che Minerva lo arrestass
otto il carro di Minerva. Altri pretende che egli fosse già in fuga e
che
Minerva lo arrestasse gettando l’isola di Sicilia
ontatto eguale e costante nella generalità dei cronisti ; eguaglianza
che
emerge dalla etimotogia stessa dei nomi. In fatti
lica in sè stessa l’idea del fumo ; immagini e configurazioni queste,
che
si addicono entrambi con assai convenienza ad un
za ad un vulcano. La cronaca fa anche menzione di un altro Encelado,
che
fu uno dei cinquanta figli di Egitto che sposò un
nzione di un altro Encelado, che fu uno dei cinquanta figli di Egitto
che
sposò una delle cinquanta Danaidi la quale, a som
che Endia o Endeja. Fu figlia del centauro Chirone, e moglie di Eaco,
che
la rese madre di Telamone e di Teleo. 1673. Endim
ommercio nacquero diversi figli. 1674. Endoco. — Discepolo di Dedalo,
che
si rese celebre quasi quanto il suo maestro. In u
nelle circostanze di Atene, si ammirava una statua di Minerva seduta,
che
era opera di lui, e che veniva altamente pregiata
ne, si ammirava una statua di Minerva seduta, che era opera di lui, e
che
veniva altamente pregiata. Egli aveva pel suo mae
semi-celestiale sua origine ; e lo addestrò in tutti quegli esercizii
che
allora formavano l’educazione di un eroe ; compiu
di Menelao, alla corte di Priamo, Enea previde le fatali conseguenze
che
un tanto oltraggio avrebbe trascinato seco, e fec
glio d’Anchise, il bellicoso Diomede si spinge, nè l’arresta Il saper
che
la man d’Apollo il copre. Desioso di porre Enea s
clo, l’amico più caro di Achille, fu ucciso da Ettore, Enea fu quello
che
riaccese nell’animo dei già fuggenti trojani, il
estrieri di Achille, ma non riuscì mai nel suo intento. La protezione
che
Nettuno aveva accordata ad Enea onde accondiscend
rose sue gesta senza aver mai nulla a soffrire, poichè tutte le volte
che
Enea correva in uno scentro con l’inimico, un pos
la eroicamente difesa, ne uscì la notte stessa con tutti quei Trojani
che
vollero seguire le sue sorti, fuggendo per una po
le da quella notte non potette più averne notizia. Le cronache stesse
che
riportano il fatto doloroso, non tengono più paro
tti i suoi seguaci, potè dopo qualche tempo, imbarcarsi su d’una nave
che
la favola dice costrutta da Mercurio, e che i poe
imbarcarsi su d’una nave che la favola dice costrutta da Mercurio, e
che
i poeti e i mitologi fanno diventare un’intera fl
se, dopo una fortunosa traversata, nella Tracia ove edificò una città
che
fu detta Eno, forse dal nome di lui. Recatosi qui
oggiorna il freddo inverno. A la materna Delo il biondo Apollo, Allor
che
festeggiando accolti e misti Infra gli altari i D
elebre Sibilla Cumana, s’ebbe la rivelazione delle differenti vicende
che
ancora doveva affrontare. La tradizione favolosa
ti vicende che ancora doveva affrontare. La tradizione favolosa narra
che
essendogli guida la stessa Sibilla, Enea discende
Or se del vero Punto è ’l mio cor presago, egli è quel desso Cred’io
che
’l Fato accenna, e ’l credo e ’l bramo. Virgilio
ncitore Ed lo son vinto. E già gli Ausoni tutti Mi ti veggiono a piè,
che
supplicando Mercè ti chieggio. E già Lavinia è tu
iono a piè, che supplicando Mercè ti chieggio. E già Lavinia è tua. A
che
più contro un morto odio e tenzone ? Enea ferocem
e spoglie d’un mio tanto amico Adorno, oggi di man presumi uscirmi Si
che
non muoia ? Muori… ………….. E, ciò dicendo, il pett
ò pacificamente per lo spazio di quattro anni, durante i quali sembrò
che
il destino volesse finalmente accordargli giorni
ad Enea, quando egli sparì ad un tratto, e l’opinione degli storici è
che
egli si annegasse nelle acque del fiume. La favol
ci è che egli si annegasse nelle acque del fiume. La favola però dice
che
Venere, vedendolo coperto di ferite lo avesse tra
ligiosi e pii sentimenti. e cantai di quel giusto Figliuol d’Anchise
che
venne da Troja, Poi che il superbo Ilion fu combu
. e cantai di quel giusto Figliuol d’Anchise che venne da Troja, Poi
che
il superbo Ilion fu combusto. Dante — Inferno —
tradizione mitologica ricorda di un’altro Enea, figliuolo di Cefalo,
che
succedette nel governo della Focide a Dejoneo, su
e di Eolidi. Eneo sposò in prime nozze una giovanetta per nome Altea,
che
morì assai presto dopo averlo reso padre di Melea
padre di Meleagro e di Dejanira. Unito a Peribea ebbe da questa Tideo
che
fu poi padre del famoso Diomede. Eneo in età assa
ll’avo paterno, gli onori funebri con gran pompa e solennità, e volle
che
il luogo ove egli morì fosse dal suo nome detto E
gli morì fosse dal suo nome detto Eneo. È opinione di varii scrittori
che
durante la vita di Eneo, avesse avuto luogo la fa
abbia nozione nella geografia del mondo antico. Leggesi nella Genesi,
che
fu fabbricata da Caino, il quale la chiamò così d
p. IV. trad. di G. Diodati. 1681. Enloca. — Dalla parola greca Ηυιολ
che
significa redini, si dava cotesto soprannome a Gi
gli Pelio e Neleo. 1684. Enisterie. — Ossia feste del vino. Cerimonie
che
venivano celebrate in Atene dai giovanetti avanti
avano a bere ai circostanti. La parola Enisteria viene dal greco οωος
che
significa vino. 1685. Ennea. — Cerere veniva così
omi del Dio Nettuno. 1687. Ennomo. — Così aveva nome uno degli Auguri
che
era ritenuto come uno dei più sapienti dell’Asia.
ra ritenuto come uno dei più sapienti dell’Asia. La tradizione ripete
che
egli comandasse i Miseni ausiliarii dei Trojani n
e loro campagne, a cagione delle fosse fatte dalla corrente, per modo
che
le loro terre divennero affatto inatte alla colti
La tradizione mitologica ricorda di un’altra Enoe, regina dei Pigmei
che
fu cangiata in grue. 1691. Enomao. — Re della cit
nome Ippodamia. Secondo le cronache, Enomao, spaventato da un oracolo
che
gli aveva predetto ch’egli sarebbe ucciso da suo
ucciso da suo genero, essendo del continuo assediato dalle richieste
che
gli si facevano della mano della figlia, impose a
ano della mano della figlia, impose a questo matrimonio la condizione
che
lo sposo d’Ippodamia dovesse vincerlo nella corsa
e che lo sposo d’Ippodamia dovesse vincerlo nella corsa ; aggiungendo
che
coloro i quali volevano accettare questa condizio
ontentandosi di farli seppellire in un luogo eminente. È detto ancora
che
il principe Pelope il quale fu il quattordicesimo
È detto ancora che il principe Pelope il quale fu il quattordicesimo
che
accettò la sfida di Enomao, fosse riuscito vincit
ente, ed essa lungi dal resistergli, si abbandonò alle voglie di lui,
che
per mostrar le la sua gratitudine le concesse una
enire, e delle diverse virtù medicinali delle piante. Avvenne intanto
che
Paride, al tempo in cui era ridotto alla condizio
l monte Ida seppe farsi amare da Enone, e la rese madre di un bambino
che
fu chiamato Coritto. Quando Enone intese che Pari
rese madre di un bambino che fu chiamato Coritto. Quando Enone intese
che
Paride voleva lasciarla per ritornare in patria,
gni sforzo per impedirgli il viaggio, predicendogli tutte le sventure
che
erano per accadergli, ma Paride la scacciò da sè
orata, lo segui da lungi, col fermo divisamento di guarirlo, ma prima
che
avesse potuto raggiungerlo, Paride morì, ed essa
clamato re. Tolta in moglie la ninfa Elise, ebbe da questa una figlia
che
chiamò Merope. Questa giovanetta di soli tre lust
ma non bastandogli l’animo di provocare il gigante, colse il momento
che
quegli, preso dal vino, dormiva e gli fece cavare
i fece cavare gli occhi. 1694. Enoptromanzia. — Specie di divinazione
che
si faceva per mezzo di uno specchio ; ed era così
zzo di uno specchio ; ed era così detta dalla parola greca ευοπιρου ;
che
significa appunto specchio. 1695. Enorigeo. — Sop
οπιρου ; che significa appunto specchio. 1695. Enorigeo. — Soprannome
che
si dava a Nettuno come personificazione del mare
esso gli antichi ad Enorigeo si contraponeva Asfalione ; cioe Nettuno
che
sofferma la terra. Nei poeti dell’antichità si tr
esso significato. 1696. Enotoceti. — Nelle opere di Strabone si trova
che
questo era il nome di alcuni popoli selvaggi, orr
Secondo Virgilio egli dette anche il suo nome a tutta questa contrada
che
da principio fu detta Esperia, poscia da questo E
hiamata Enotria, e finalmente Italia da Italo. Una parte d’Europa è,
che
da Greci Si disse Esperia, antica, bellicosa. E f
Entheatus, vale a dire : pieno di divinità, ispirato , ogni persona
che
predicesse l’avvenire, ed il luogo dove si davano
alla tradizione mitologica creduta dagli abitanti dell’isola di Rodi,
che
cioè, Elena dopo la sua morte fosse stata sospesa
adorarono come una divinità, alla quale dettero il nome di Entitride,
che
significa appunto sospeso ad un albero. 1701. Eol
o, e dava utili consigli ai navigatori. Da ciò la tradizione favolosa
che
lo fa dio delle tempeste, e padre di dodici figli
delle tempeste, e padre di dodici figliuoli sei maschi e sei femmine,
che
si maritano fra di loro e che altro non sono che
ici figliuoli sei maschi e sei femmine, che si maritano fra di loro e
che
altro non sono che i dodici venti principali che
aschi e sei femmine, che si maritano fra di loro e che altro non sono
che
i dodici venti principali che nei giorni delle bu
ritano fra di loro e che altro non sono che i dodici venti principali
che
nei giorni delle burrasche sconvolgono l’aria, la
l’articolo precedente. Al dire di Omero, una sola fra le isole Eolie,
che
è quella di cui egli fa menzione, era galleggiant
tello di Alcmena, e cugino di Ercole. Narra la tradizione mitologica,
che
Ercole, ancora giovanetto, andando a diporto per
o per le vie di Sparta, passò dinanzi la casa d’Ipocoonte, ed il cane
che
la custodiva gli si avventò addosso. Eono veggend
dre ed i figli, onde vendicare la morte di Eono. Fu dopo questo fatto
che
Ercole innalzò un tempio a Giunone sotto il nome
V. Egofora. Ed un altro a Minerva sotto la denominazione di αξιοποωη
che
significa vendicatrice. Dopo la morte Eono fu inn
o. — Così si chiamava uno dei cavalli del sole, e propriamente quello
che
dinota l’oriente. In alcuni poeti dell’antichità
ifero. 1706. Eorie. — Feste in onore di Erigone. Si crede comunemente
che
sieno le stesse dette Aletidi. 1707. Eoso. — Giga
comunemente che sieno le stesse dette Aletidi. 1707. Eoso. — Gigante
che
fu figlio di Tifone. 1708. Epafo. — Figlio di Gio
del Nilo, dopo di aver ricuperato le sembianze umane. Onde si tiene
che
a Giove nascesse, Epafo, un bel figliuol che usci
ze umane. Onde si tiene che a Giove nascesse, Epafo, un bel figliuol
che
usci di lei, Ovidio — Metamorfosi — Lib. I. trad
la celebre città di Menfi. 1709. Epatoscopia. — Specie di divinazione
che
gli Aruspici facevano coll’osservazione del fegat
fegato delle vittime. Questa parola deriva da due vocaboli greci Ηπρα
che
significa fegato σϰοπἑω che suona io considero. 1
parola deriva da due vocaboli greci Ηπρα che significa fegato σϰοπἑω
che
suona io considero. 1710. Epaulie. — Cerimonie ch
fica fegato σϰοπἑω che suona io considero. 1710. Epaulie. — Cerimonie
che
i greci celebravano il secondo giorno delle nozze
reci celebravano il secondo giorno delle nozze per consacrare la casa
che
lo sposo aveva scelto per domicilio. Lo stesso no
aveva scelto per domicilio. Lo stesso nome di Epaulie davansi ai doni
che
i convitati facevano agli sposi, e particolarment
ose in Olimpia un premio alla corsa a tre suoi figliuoli, proclamando
che
il vincitore gli sarebbe succeduto al trono. I fr
sfida, e quest’ultimo riuscito vincitore fu proclamato re degli Elei,
che
da lui presero la denominazione di Epei. Etolo, i
’invenzione di diverse macchine da guerra. Vari scrittori asseriscono
che
egli avesse fabbricato il famoso cavallo di Troja
rezene, in ringraziamento a quel dio di averlo salvato dal naufragio,
che
fece perire gran numero dei suoi compagni nel rit
quale assisteva il Gerofante all’altare. 1718. Epicasta. — La stessa
che
Giocasta, madre di Edipo, la quale, al dire di Om
sto da lei commesso. V. Edipo. La favola ricorda di un’altra Epicasta
che
fu figliuola di Egeo, ed una delle mogli di Ercol
Epicaste. — Figlia di Calidone e di Eolia. Ella sposò il re Agenore,
che
la rese madre di Demonice e di Partaone. 1720. Ep
che la rese madre di Demonice e di Partaone. 1720. Epiclidie. — Feste
che
gli abitanti dell’Attica celebravano con gran pom
e. — Ossia feste delle fontane. Così avea nome una pubblica cerimonia
che
i Lacedemoni celebravano in una data epoca dell’a
o lo stesso nome. La cronaca mitologica ricorda di un’altro Epidauro,
che
fu figlio di Argo e di Evadne, il quale dette il
uro. 1725. Epidelio. — Uno dei soprannomi di Apollo. Narra la cronaca
che
quando Menofane comandava la flotta di Mitridate,
cui davano la stessa denominazione. Gli antichi credevano fermamente
che
quelle divinità assistessero invisibilmente alla
nità assistessero invisibilmente alla cerimonia. 1727. Epidoti. — Dei
che
avevano un tempio in Epidauro, e che erano ritenu
cerimonia. 1727. Epidoti. — Dei che avevano un tempio in Epidauro, e
che
erano ritenuti come protettori della crescenza de
stessa appellazione al sonno, ed in generale a tutti i genii benefici
che
s’invocavano onde placare le anime dei trapassati
le anime dei trapassati. 1728. Epifane. — Soprannome dato a Giove, e
che
aveva presso i greci lo stesso significato della
colla quale i romani indicavano Giove stesso. Tanto la parola Epifane
che
Elicius racchiude il senso della presenza del pad
Epigone. — Presso i pagani si chiamava la guerra degli Epigoni quella
che
fecero i discendenti di coloro che erano morti al
ava la guerra degli Epigoni quella che fecero i discendenti di coloro
che
erano morti alla prima guerra di Tebe, combattuta
questa, a cui fu dato il nome degli Epigoni. 1732. Epimelidi. — Ninfe
che
presiedevano alle mandre. Mercurio, per la stessa
uale visse ai tempi di Solone. La cronaca mitologica racconta di lui,
che
nella sua gioventù avendolo suo padre posto a cus
a gregge, egli assiso in una caverna fu sorpreso da un profondo sonno
che
durò per lo spazio di cinquantasette anni. Destat
ena picchiò all’uscio, da persone a lui sconosciute, gli fu domandato
che
cosa volesse e chi fosse. Finalmente fu riconosci
chi fosse. Finalmente fu riconosciuto dall’ultimo dei suoi fratelli,
che
egli avea lasciato bambino di pochi anni, e che r
mo dei suoi fratelli, che egli avea lasciato bambino di pochi anni, e
che
ritrovava vecchio, ed al quale Epimenide raccontò
e pestilenza in Atene, gli abitanti fecero venire Epimenide, persuasi
che
offerendo ai numi nn sacrificio espiatorio per le
lero ricompensare Epimenide, offerendogli un’ingente somma di danaro,
che
egli ricusò, accettando solo un ramoscello di all
, accettando solo un ramoscello di alloro. 1736. Epimeteo. — Vocabolo
che
nel linguaggio antico significa che non riflette
lloro. 1736. Epimeteo. — Vocabolo che nel linguaggio antico significa
che
non riflette se non dopo il fallo. Era questo il
consigliato Epimeteo a non accettar mai un presente da Giove, temendo
che
questi sdegnato contro Prometeo per aver questi f
Prometeo per aver questi fatta con la creta una figura umana e detto
che
era anch’egli un creatore, non avesse voluto vend
gli per altro trascurò l’avviso del fratello ed accolse il falal dono
che
Giove gli fece inviandogli per mezzo di Mercurio
che Giove gli fece inviandogli per mezzo di Mercurio la bella Pandora
che
egli sposò e che lo rese padre di Pirra. Vedendo
e inviandogli per mezzo di Mercurio la bella Pandora che egli sposò e
che
lo rese padre di Pirra. Vedendo però Giove che ad
ndora che egli sposò e che lo rese padre di Pirra. Vedendo però Giove
che
ad altro non era riuscito che a far felice Epimet
rese padre di Pirra. Vedendo però Giove che ad altro non era riuscito
che
a far felice Epimeteo lo mutò in una scimmia. 173
mutò in una scimmia. 1737. Epinicie. — Davasi questo nome alle feste
che
gli antichi celebravano per solennizzare una vitt
izzare una vittoria. 1738. Epinicio. — Si dava questo nome ad un inno
che
gli antichi costumavano di cantare per celebrare
emici. Coll’andare del tempo si cantò l’Epinicio per acclamare coloro
che
riuscivano vincitori ai pubblici giuochi. Non bis
dia canzone funebre, alla quale davasi comunemente il nome di Nenia e
che
si cantava ai funerali. 1739. Epione. — Moglie di
, Igiea, Egla e Giaso. 1740. Epipirgide. — Dalla parola greca Ηπηρλορ
che
significa torre gli Ateniesi avevan dato questo n
a formata, di tre corpi in uno, ch’essi avevano consacrato ad Ecate e
che
rassomigliava molto ad una torre. 1741. Epipola.
a giovanetta, figlia di un greco chiamato Trachione. Narra la cronaca
che
Epipola fortemente sdegnata dell’oltraggio che Pa
ione. Narra la cronaca che Epipola fortemente sdegnata dell’oltraggio
che
Paride aveva fatto a tutti i greci, col rapimento
la una spia. 1742. Epiponsia. — Soprannome data a Venere per indicare
che
essa era nata dalla spuma del mare. 1743. Episcaf
nata dalla spuma del mare. 1743. Episcafie. — Dalla parola greca σϰηη
che
significa barca, si dava codesto nome ad una fest
che significa barca, si dava codesto nome ad una festa delle barche,
che
si celebrava con grande apparato nell’isola di Ro
veva nella piccola città di Sciro. È opinione di pregevoli scrittori,
che
questa solennità venisse detta Episcira in commem
esta solennità venisse detta Episcira in commemorazione dell’ombrella
che
il sacerdote sacrificatore portava in tale congiu
giunta al nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo della statua
che
questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicar
o della statua che questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicare
che
essa che come dea degli amori presiedeva ai nasci
tatua che questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicare che essa
che
come dea degli amori presiedeva ai nascimento, pr
nto, presiedeva in pari tempo alla morte, dovendo aver fine tutto ciò
che
ha principio. 1747. Epitragie. — Altro soprannome
o Teseo a cavallo ad un capro, e lo chiamarono col nome di Epitragie,
che
significa popolare. 1748. Epizelo. — Era questo i
una ferita. Erodoto racconta di lui, sotto il manto della tradizione,
che
mentre si aggirava pel campo, gli comparve un uom
gli comparve un uomo di una grande statura, e con lunga barba nera, e
che
avendolo ucciso rimase all’istante cieco per tutt
ll’istante cieco per tutta la vita. 1749. Epona. — Era questo il nome
che
i romani del paganesimo, davano alla divinità pro
e divinità. 1750. Epopeo. — Dalla ninfa Canace ebbe Nettuno un figlio
che
chiamò con questo nome. Divenuto adulto, Epopeo,
uivi, profittando con grande avvedutezza e coraggio, delle inimicizie
che
le crudeltà di Corace avevano accese nei suoi sud
ta la sua vita una particolare divozione. La tradizione favolosa dice
che
la dea, in attestato dell’affetto con che ebbe ca
La tradizione favolosa dice che la dea, in attestato dell’affetto con
che
ebbe caro Epopeo, fece quand’egli morì, scaturire
con che ebbe caro Epopeo, fece quand’egli morì, scaturire dal tempio
che
egli stesso le aveva innalzata una fontana di oli
a innalzata una fontana di olio. 1751. Epopte. — Era questo il titolo
che
si dava all’ultimo iniziato ai misteri di Eleusi,
quale solo era permesso di assistere alle più segrete cerimonie, cosa
che
non ottenevasi se non dopo un lungo noviziato di
vevano l’incarico speciale di preparare il banchetto a cui si credeva
che
gli dei prendessero parte, e che perciò veniva ap
parare il banchetto a cui si credeva che gli dei prendessero parte, e
che
perciò veniva apparecchiato solo per essi. I sace
sta guerra ebbe Quinto Fulvio il comando delle cavalleria, e per fare
che
la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi
er fare che la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi soldati
che
al momento di caricare avessero tolte le briglie
fu eseguito alla lettera, e l’urto della cavalleria fu così impetuoso
che
bastò una sola carica per decidere della vittoria
bastò una sola carica per decidere della vittoria. Sebbene più assai
che
alla protezione della dea, dovesse Quinto la ripo
dire, ed alla bravura dei soldati, pure egli tenne il voto e per fare
che
il tempio della Fortuna fosse quant altri mai, ma
altri mai, magnifico e splendido, fece togliere le grondaje di marmo
che
ricoprivano il tempio di Giunone Lucinia, negli A
oprivano il tempio di Giunone Lucinia, negli Abbruzzi, e dette ordine
che
fossero trasportate in Roma. Pero il popolo si op
he fossero trasportate in Roma. Pero il popolo si oppose a quest’atto
che
riteneva come un sacrilegio e Quinto fu obbligato
onore di Marte, dio della guerra. Nel giorno 26 del mese di Febbrajo,
che
ricadeva nel periodo di questa solennità, si face
dea con Astrea. Al dire di Pindaro l’Equità fu madre di tre figliuole
che
furono Eunomia. Dice e la Pace. 1756. Era. — Disc
mitologi su questo soprannome di Giunone, imperocchè alcuni vogliono
che
venisse detta Era, per significare Sovrana essend
are Sovrana essendo ella moglie del re dei numi ; ed altri pretendono
che
Era significhi aria, e che benissimo poteva venir
glie del re dei numi ; ed altri pretendono che Era significhi aria, e
che
benissimo poteva venir dato a Giunone un tal sopr
, venendo ella stessa riguardata come l’aria deificata. Il certo si è
che
in Grecia il tempio di Giunone chiamavasi Ereone,
ia si dava cotesta denominazione ad Ercole, forse per voler ricordare
che
le fatiche che Giunone fece intraprendere a quest
sta denominazione ad Ercole, forse per voler ricordare che le fatiche
che
Giunone fece intraprendere a questo eroe, furono
omanza e di gloria. La parola Eracle deriva da due vocaboli greci Ηρα
che
significa Giunone e ϰλιος gloria. 1758. Eraclea.
ϰλιος gloria. 1758. Eraclea. — Sul monte Oeta dove la cronaca ripete
che
sorgesse il sepolcro di Ercole, si celebravano al
olcro di Ercole, si celebravano alcune feste in onore di quell’eroe e
che
in memoria di lui furono istituite dal re di Tebe
di una città della Friotide, nella quale la tradizione favolosa narra
che
Ercole si abbruciò. 1759. Eraclidi. — Nome collet
lettivo dei discendenti di Ercole. Narrano gli scrittori della favola
che
Euristeo, re d’Argo, non soddisfatto di veder mor
si presero le difese degli Eraclidi e uccisero Euristeo al momento in
che
si accingeva a cogliere il frutto sanguinoso dell
o, ma poco tempo dopo la peste decimò siffattamente il loro esercito,
che
essi spaventati ricorsero all’oracolo di Delfo, o
acolo rispose ch’es si avevano invaso troppo presto il Peloponneso, e
che
perciò la peste non sarebbe cessata se non quando
non quando essi avessero prontamente eseguita la loro ritirata, cosa
che
fecero immediatamente. Trascorsi tre anni essi, i
nterpetrando la primitiva risposta dell’oracolo (il quale aveva detto
che
per occupare il Peloponneso, gli Eraclidi avesser
ne furono novellamente scacciati da Atreo, ed allora essi compresero
che
per impadronirsi del Peloponneso, dovevano attend
ndo questa la vera spiega della risposta dell’oracolo. Infatti non fu
che
un secolo dopo la morte di Euristeo, che gli Erac
dell’oracolo. Infatti non fu che un secolo dopo la morte di Euristeo,
che
gli Eraclidi poterono finalmente occupare quelle
le cronache mitologiche ricordano di uno strano avvenimento. È detto
che
gli Eraclidi prima d’intraprendere la loro spediz
d’intraprendere la loro spedizione, avessero consultato l’oracolo, e
che
questo imponesse loro di prendere per capo un uom
o l’oracolo, e che questo imponesse loro di prendere per capo un uomo
che
avesse tre occhi. Nel cammino essi incontrarono u
orinto, d’Argo e di Micene ponendo così le basi a quel ristabilimento
che
forma una dell’epoche principali della storia gre
i della storia greca. 1760. Eratelea. — Cosi aveva nome il sagrifizio
che
si faceva a Giunone nella celebrazione di un matr
la vittima sgozzata si gettava ai piedi dell’altare, volendo dinotare
che
gli sposi dovessero vivere sempre in pace tra lor
donna perfetta e si dava a Giunone in tali occasione, per significare
che
le fanciulle vanno a marito quando sono completam
completamente donne. Questo vocabolo viene da due parole greche : Ηρα
che
significa donna, e ϰλιος perfetta. 1761. Erato. —
ano particolarmente nel mese di aprile, consacrato all’amore. Erato,
che
d’amor dolce sospira Monti — La Musogonia — Cant
Al dire di Pausania, essa aveva nella città di Lebadia, molte statue
che
la rappresentavano con un’oca in mano. 1764. Erco
ero, l’Iliade e l’Odissea, sono essenzialmente greche, non altrimenti
che
il nome stesso di Ercole. Infatti, se coteste tra
damento, il nome dell’eroe potrebbe facilmente derivare da due parole
che
in lingua greca significano gloria e soccorso. Se
rtale onde Ercole si rese famoso, compiendo le straordinarie fatiche,
che
il geloso odio della dea gli avea imposto fin dal
uno fra i dodici dei maggiori dell’antico Egitto, e non à nulla in sè
che
riveli l’eroica grandezza ; e finalmente il mito
vo al famoso figliuolo di Alcmena, à una tinta particolarmente greca,
che
armonizza con grande concordia tanto coll’assieme
la conoscenza dei diversi scrittori dell’antichità, basterà ricordare
che
gli egiziani potevano avere una ampia conoscenza,
o rispetto per l’Ercole greco, per mezzo dei popoli di questa nazione
che
emigrarono in Egitto. Quanto a Melkarth, divinità
azione che emigrarono in Egitto. Quanto a Melkarth, divinità Fenicia,
che
assai di sovente viene identificata con l’eroe gr
legare, come Som, nel numero di quelle locali e particolari divinità,
che
un cieco spirito di sistema à potuto, per una str
zione, paragonare a creazioni completamente differenti. La etimologia
che
fa derivare Eraclide dalla parola racal, che sign
ifferenti. La etimologia che fa derivare Eraclide dalla parola racal,
che
significa errante, colono, merciajuolo, è senza d
ndamento. L’Ercole greco non à nulla in se stesso, e nelle sue opere,
che
lo riveli di una indole di colono ; e nè si pales
i soldati e di marinai, muove al famoso assedio. In ciò non v’è nulla
che
possa a ver riguardo alla formazione di una colon
sserzioni non potrebbero avere altro intendimento, quando noi vediamo
che
tutti si accordano nel ripetere che originariamen
intendimento, quando noi vediamo che tutti si accordano nel ripetere
che
originariamente Ercole si chiamava Alcide (nome e
riginariamente Ercole si chiamava Alcide (nome eminentemente greco) ;
che
egli ricevette poi a causa delle persecuzioni di
volontà di difendere la nazionalità, l’originalità di una creazione,
che
è quanto lo spirito inventivo dell’antica Grecia
ori, e compie le imprese più ardue. Egli purga la patria dai flagelli
che
la infestano, combatte i mostri, protegge i debol
erà dunque meravigliare delle coincidenze, assai spesso sorprendenti,
che
presentano i diversi tipi dell’Ercole favoloso in
gli dei ed eroi greci a quelli delle altre nazioni. Allora sembrando
che
l’enorme fardello delle tradizioni mistiche, accu
quali si dette, per la stessa ragione, lo stesso nome. La confusione
che
naturalmente dovea portar seco codesta ampia sudd
ndo e poetico. Prima di passare alla esposizione dei differenti fatti
che
la tradizione della favola ci ripete sull’Ercole
emerge nitida e sfolgorante l’opinione di Plutarco, il quale ricorda
che
tanto Omero, quando Esiodo, Archilogo, Pindaro, P
sandro e molti altri scrittori, non ànno mai conosciuto altro Ercole,
che
quello dell’antica Grecia. Vero è che nelle opere
no mai conosciuto altro Ercole, che quello dell’antica Grecia. Vero è
che
nelle opere di Esiodo si trova qualche traccia de
ne conta sette, e Varone non meno di quarantatrè. È chiaro per altro
che
un tale sistema storico tradizionale, non tendeva
altro che un tale sistema storico tradizionale, non tendeva ad altro
che
ad individualizzare le azioni dell’eroe, e conseg
ittà di Tebe in Beozia, Ercole è il tipo perfetto di un eroe benefico
che
consacra la sua vita al bene dell’umanità ; e in
non si cura più dell’eroe, il quale lasciando la sua spoglia mortale,
che
va ad abitare i regni di Plutone, s’innalza nell’
re al già fatto, si contentò di stabilire fin dall’infanzia di Ercole
che
questi sarebbe annoverato fra gli immortali dopo
altro completamente assurda e contraria al buon senso, tutte le volte
che
non si voglia vedere in essa il simbolo mitologic
mortali e belve, Compiute ch’egli avrà, dodici imprese, E suo destin,
che
alberghi in casa a Giove, E la Trachinia pira avr
Pagnini. Ercole fu allevato nella città di Tebe, e Diodoro racconta,
che
Alcmena sua madre, spaventata dalgeloso furore di
Pagnini. Lo Scita Eurito fu suo maestro nel tirar d’arco ; Eurito,
che
da i padri ampie campagne Redato avea, l’instruss
onseguenza di questa legge, egli fu assoluto ; ma Anfitrione, temendo
che
l’indole irrascibile di lui, non lo avesse condot
miche — Ode IV trad. di G. Borchi. A dieciotto anni, uccise un leone
che
, uscendo dal monte Citerone, decimava gli armenti
a Ercole. Del resto la tradizione del leone del monte Citerone, non è
che
una copia di quella del leone Nemeo, la cui pelle
lora gli apparvero due donne di grande statura di cui una bellissima,
che
era la Virtù, aveva il volto maestoso e pieno di
suoi movimenti ed era rivestita di una tunica bianchissima ; l’altra,
che
era la Voluttà, di forme provocanti e marcate e v
». Un giorno tornando dalla caccia Ercole si incontrò con gli araldi
che
Ergino inviava a Tebe onde ricevere il tributo im
ie, li rimandò imponendo dicessero al loro re esser quello il tributo
che
i Tebani intendevano pagare. Ergino allora alla t
gnifica armatura. Anfitrione stesso fu ucciso in questo combattimento
che
valse ad Ercole, in premio del suo valore, la man
e, la mano di Megara figlia di Creonte. Diodoro dice nelle sue opere,
che
Ercole riuscisse vincitore in questa battaglia pe
cavalleria nemica di agire, mediante gran numero di rocce e di scogli
che
egli, con la sua forza soprannaturale, aveva fatt
colpito di furore, e in un accesso di delirio gettò nel fuoco i figli
che
aveva avuto da Megara e due bambini figliuoli di
, egli si recò a Delfo onde consultare l’oracolo, per sapere il luogo
che
dovesse abitare, e fu, secondo il parere di Apoll
vesse abitare, e fu, secondo il parere di Apollodoro, in questa città
che
egli ricevette per la prima volta dalla Pitonessa
ire Euristeo durante lo spazio di dodici anni, di compiere i travagli
che
gli verrebbero imposti, e che dopo averli compiut
di dodici anni, di compiere i travagli che gli verrebbero imposti, e
che
dopo averli compiuti, avrebbe ottenuto l’immortal
sono, nella grande maggioranza, discordi sulle opinioni tradizionali
che
riguardano il periodo della esistenza di Ercole c
ioni tradizionali che riguardano il periodo della esistenza di Ercole
che
precede il tempo che egli passò presso Euristeo.
riguardano il periodo della esistenza di Ercole che precede il tempo
che
egli passò presso Euristeo. Essi sono soprattutto
usa della follia di Ercole. Secondo Euripide, il delirio non lo colpì
che
al suo ritorno dai regni infernali. Fu allora che
elirio non lo colpì che al suo ritorno dai regni infernali. Fu allora
che
egli uccise Megara e i suoi figli, ma cadde egli
i suoi figli, ma cadde egli stesso sotto il peso di un’enorme pietra
che
Minerva gli lanciò, onde raffrenare il suo terrib
e del figlio di Alemena, dopo la riposta dell’oracolo. Altri pretende
che
avendo Ercole domandato all’oracolo di Apollo il
vesse involato il sacro Tripode, e non lo avesse rimesso al suo posto
che
dietro un assoluto comando di Giove, per la qual
seguenza sottomesso ad Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice
che
Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice ch
za tradizione dice che Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice
che
Euristeo, mosso da un sentimento di gelosia, per
e dice che Euristeo, mosso da un sentimento di gelosia, per la gloria
che
Ercole si acquistava, lo avesse richiamato presso
loria che Ercole si acquistava, lo avesse richiamato presso di sè ; e
che
Giove avesse imposto ad Ercole di ubbidire, prome
La più generale e la più ricevuta delle tradizioni antiche, è quella
che
egli eseguisse le sue celebri dodici fatiche, e c
antiche, è quella che egli eseguisse le sue celebri dodici fatiche, e
che
in premio di esse, avesse ottenuta la immortalità
guendo la opinione più generalizzata dei mitologi, avvertiremo ancora
che
l’ordine delle dodici fatiche non è lo stesso pre
dodici fatiche non è lo stesso presso tutti i cronisti della favola,
che
il tempo del servaggio di Ercole, à secondo alcun
aldo avea Di frondoso olcastro, con sua scorza. Di non vulgar misura,
che
alle falde Del sacrato Elicona intero svelsi Con
Teocrito — Idillio — XXV. trad. di G. M. Pagnini. Gioverà qui notare
che
la maggioranza delle tradizioni favolose, ci pres
destrezza e persino uno dei suoi cavalli si chiama Airone, nome greco
che
Esiodo ed Omero ci ripetono nelle loro opere, ess
ondo altri scrittori era un ramo d’olivo selvaggio. Pausania aggiunge
che
essendosi un giorno l’eroe appoggiato contro una
uso sotto il simbolo della sua forza soprannaturale. Il primo comando
che
Euristeo dette ad Ercole, fu quello dì combattere
isteo dette ad Ercole, fu quello dì combattere il leone Nemeo, mostro
che
desolava le campagne. Ercole lo combattè e l’ucci
o la terribile idra di Lerna, le cui sette teste rinascevano a misura
che
egli le avea troncate. Ciò non pertanto l’eroe tr
uesto terribile nemico e giunse ad ucciderlo. Euristeo però non volle
che
l’uccisione dell’idra, fosse annoverata fra le do
ra, fosse annoverata fra le dodici fatiche imposte ad Ercole, dicendo
che
per uccidere l’idra egli aveva dovuto avere il so
terza fatica Ercole pervenne ad impadronirsi della cerva. Cerinitide,
che
egli raggiunse al corso, e che portò viva nella c
impadronirsi della cerva. Cerinitide, che egli raggiunse al corso, e
che
portò viva nella città di Micene. Dopo di questo,
h mani Oh mani ! oh dorso ! oh petto ! oh braccia mie ! Foste pur voi
che
di Nemea l’orrendo Leon, feroce inaccessibil belv
— Le Trachinie — Tragedia. trad. di F. Bellotti. Le stalle di Augia,
che
Ercole dovette nettare in un sol giorno, segnano
l re Augia, il quale ricusò di dargli il premio promesso, e allora fu
che
Ercole, resosi nella città di Oleno, ebbe a comba
nella città di Oleno, ebbe a combattere contro il Centauro Euritione
che
voleva a viva forza sposare la figlia del re di q
to i colpi di Ercole, il quale tolse in moglie la giovane Mnesimachea
che
più tardi aiutò Ercole a vendicarsi di Augia. Il
so a Nettuno di sacrificargli qualunque cosa fosse uscita dal mare, e
che
il dio delle acque, per provare la fedeltà di Min
toro, lo portò ad Euristeo e poscia gli rese la libertà. Diodoro dice
che
Ercole se ne servisse come cavalcatura e che mont
la libertà. Diodoro dice che Ercole se ne servisse come cavalcatura e
che
montato su di esso traversò a nuoto il mare del P
oli selvaggi e finalmente giunse nella Libia. Fu in questa traversata
che
egli uccise il famoso ladro Caco il quale aveva d
rna del masnadiere, e lo strangolò fra le sue braccia V. Caco. …… Ei
che
nè fuga Aveva nè schermo al suo periglio altronde
Vapori e nubi a vomitar si diede Di fumo, di caligine e di vampa, Tal
che
miste le tenebre col foco Togliean la vista a gli
fece un nodo De le sue braccia, e si la gola e’l fianco Gli strinse,
che
scoppiar gli fece il petto, E schizzar gli occhi,
zò due colonne in memoria del suo viaggio, sulle due opposte montagne
che
terminano l’Europa e l’Africa. In questa spedizio
In questa spedizione essendo vivamente incomodato dai raggi infocati
che
il sole saettava su di lui, egli tese l’arco cont
ricondusse la maggior parte verso l’ Ellesponio. Un’altra delle fati
che
di Ercole fu la distruzione degli uccelli del lag
iardino dell’ Esperidi, i quali erano custoditi da un terribile drago
che
vomitava fiamme dalla bocca. Ercole combattè il m
e, sollevandolo dalla terra, e togliendogli così lo strano privilegio
che
a lui accordava la Terra, sua madre, cioè, di rad
dava la Terra, sua madre, cioè, di raddoppiargli le forze, ogni volta
che
egli toccava il suolo. V. Anteo. Finalmente dopo
nose fatiche, egli giunse a guidare quasi tutto l’armento ad Euristeo
che
lo sacrificò a Giunone. Tale è almeno il racconto
nto ad Euristeo che lo sacrificò a Giunone. Tale è almeno il racconto
che
ce ne fa Apollodoro. Un altro dei caratteri parti
particolari dell’ Ercole greco, è di essere un gran bevitore, per il
che
lo si vede uscir vincitore dalla lotta contro Lep
quando si rapporta alla ruvida asprezza della vita eroica, per l’uso
che
essi aveano di vuotare completamente la coppa, ne
uso che essi aveano di vuotare completamente la coppa, nei sacrifizii
che
si offerivano ad Ercole. Finalmente egli discese
tessa di Ercole. Poco tempo dopo il suo ritorno a Tebe, avendo saputo
che
il re Euriteo aveva levato un bando, col quale pr
to un bando, col quale prometteva la mano di sua figlia Iole, a colui
che
lo avesse vinto, insieme ai suoi figli, nell’eser
in traccia di avesse voluto purificarlo da quella uccisione, e non fu
che
dopo lunghe ricerche, che incontrò finalmente Dei
o purificarlo da quella uccisione, e non fu che dopo lunghe ricerche,
che
incontrò finalmente Deifobo, figlio d’Ippolito, i
con un colpo di fulmine. L’oracolo novellamente interrogato, rispose
che
Ercole guarirebbe dalla sua malattia, allorchè sa
al servigio di lui durante tre anni. Ercole si sottomise e allora fu
che
Mercurio lo vendette per tre talenti ad Onfale, r
lo vendette per tre talenti ad Onfale, regina di Lidia. Sofocle dice
che
l’eroe fu venduto per comando dell’oracolo di Gio
focle dice che l’eroe fu venduto per comando dell’oracolo di Giove, e
che
la sua schiavitù non durò più di un anno. Comunqu
il periodo passato da Ercole fra le mollezze dell’amore, altro non è
che
la confusione surta fra le opinioni di molti scri
di Onfale a nome Cleoasia, e da Onfale stessa, ebbe Ercole un figlio
che
fu detto secondo taluni Lamio, e secondo altri Ti
Lamio, e secondo altri Tirrenio o Agelao. Gioverà per altro ricordare
che
tuttociò riposa su tradizioni non molto antiche r
obbligava i passanti a lavorare la terra. Altri scrittori pretendono
che
Sileo dimorasse sul monte Pelia in Tessaglia, e c
ittori pretendono che Sileo dimorasse sul monte Pelia in Tessaglia, e
che
il fratello di lui, Diceo, avesse fatto sposare s
poco tempo dopo le nozze, ed Ercole fu colpito da tale disperazione,
che
volle gittarsi nelle fiamme del rogo di lei, ma g
la quale Ercole tirò una pietra credendo, mentre vi passava a fianco,
che
fosse un corpo animato. Avendo in seguito ucciso
e fosse un corpo animato. Avendo in seguito ucciso un enorme serpente
che
desolava le rive del fiume Sangaride, fu da Giove
gura anche fra gli Argonauti, sebbene è opinione dello stesso autore,
che
Ercole rimanesse affatto estraneo alla famosa spe
sta del Vello d’oro. Secondo questo scrittore, Ercole costrui la nave
che
servi a quella spedizione, dandole il nome di Arg
ole il nome di Argo in onore di un suo diletto amico così chiamato, e
che
la tradizione ci presenta come figlio di Giasone.
gli Argonauti a combattere le Amazzoni. Qualche altro autore pretende
che
gli Argonauti avessero abbandonato su di un’isola
rcole, perchè l’enorme peso del suo corpo faceva affondare la nave, e
che
abbandonato dai suoi compagni egli fosse giunto i
altri, con sole sei navi, ed accompagnato da un drappello di valorosi
che
volontariamente il seguirono. Appena preso terra,
ia nelle fortificazioni e si slanciò il primo sulle mura nemiche, ciò
che
gli valse, forse per gelosia, l’inimicizia di Erc
he gli valse, forse per gelosia, l’inimicizia di Ercole. Diodoro dice
che
insieme ad Ificlo, fossero stati inviati come par
ice che insieme ad Ificlo, fossero stati inviati come parlamentarî, e
che
gettati in una prigione, essi si fossero aperta u
i quali tutti caddero sotto i suoi colpi. Fu in questo combattimento
che
Ercole ferì Pluto ne, che era venuto in soccorso
to i suoi colpi. Fu in questo combattimento che Ercole ferì Pluto ne,
che
era venuto in soccorso degli abitanti di Pilo. Da
Ippocoone, e in ciò si ebbe a compagno Cefeo ed i venti figli di lui,
che
tutti morirono in questa spedizione. Avendo uccis
i rese a Calidone per dimandare la mano di Dejanira, figlia di Oeneo,
che
Acheolo gli disputò invano. Inseguito i Calidones
questo principe a nome Antigone, e secondo altri Astiochea, un figlio
che
chiamò Tlepolemo. Poco tempo dopo resosi colpevol
nella città di Trachina presso Ceixo. Fu nell’andare in questa città,
che
Dejanira ebbe a sopportare l’oltraggio del centau
si impadroni delle città dei Driopi, protesse Eginio contro i Lapidi,
che
lo aveano detronizzato, e avendo resa a questo pr
quale seguendo l’opinione di Stesicore, uccideva tutti i viaggiatori,
che
transitavano per quella città, onde innalzare coi
suo padre. Ercole andò in seguito ad Ormenio, di cui era re Amintore
che
egualmente Ercole uccise perchè si era opposto al
pposto al suo passaggio per i suoi stati, quantunque Diodoro rapporto
che
Amintore fosse ucciso da Ercole per avergli negat
icarsi di Euriteo, levò un’armata, marciò contro la città di Oecalia,
che
alcuni scrittori pongono nella Eubea, ed altri in
sta : Ercole da quindici mesi è lontano dalla città di Trachina senza
che
Dejanira conosca il luogo del suo soggiorno. L’er
Trachina, onde avere un’abito da festa. Dejanira saputo dall’araldo,
che
Ercole avea con sè la giovanetta Iole, e temendo
uto dall’araldo, che Ercole avea con sè la giovanetta Iole, e temendo
che
innamoratosi di questa, non l’avesse completament
esse completamente dimenticata, asperse del filtro di Nesso la tunica
che
mandò al marito, ed attese l’esito dell’incantesi
er nome Lica e lo lanciò dall’alto di una roccia nel mare. …… poscia
che
il tosco Senti della fatal veste di Nesso, Svelse
di A.Maffei. ….. Già preparando ei stava Un lauto sacrificio, allor
che
giunse Lica l’araldo, e quel tuo don gli porge. F
oglia, e un rio nell’ossa Gli penetro pruriginoso ardore. Ond’ei, poi
che
dell’idra il fatal tosco Le sue carni pascea. lo
ando. Domandò per qual fraude a lui recata Avea tal veste. Il misero,
che
nulla Sapea, rispose che tuo dono ell’era, E tu s
aude a lui recata Avea tal veste. Il misero, che nulla Sapea, rispose
che
tuo dono ell’era, E tu sel che la mandi. A questi
e. Il misero, che nulla Sapea, rispose che tuo dono ell’era, E tu sel
che
la mandi. A questi accenti, Ei che da fiero spasm
ose che tuo dono ell’era, E tu sel che la mandi. A questi accenti, Ei
che
da fiero spasmo straziarsi Le viscere sentia, d’u
ale tessuto, il quale si era come incollato sulle sue carni, per modo
che
ad ogni sforzo che Ercole faceva per strapparselo
le si era come incollato sulle sue carni, per modo che ad ogni sforzo
che
Ercole faceva per strapparselo di dosso, la carne
i moribondo, si fece portare a Trachina, ove Dejanira vedendo il male
che
aveva fatto, si uccise per disperazione. La lumin
avendovi fatto innalzare un rogo, egli dopo esservisi coricato ordinò
che
vi venisse appiccato il fuoco, obbedendo per tal
egli s’era rivolto nelle sue più crudeli sofferenze. Non vi fu alcuno
che
avesse voluto mettere il fuoco alle legna per mol
a le famose frecce dell’eroe. Non piccolo numero di autori pretendono
che
colui che compì codesta triste funzione fosse sta
e frecce dell’eroe. Non piccolo numero di autori pretendono che colui
che
compì codesta triste funzione fosse stato un grec
la sua invitta e nobite alma Scarca sarà dal suo mortal tormento, Vo
che
venga alla patria eterna ed alma, E credo che ogn
suo mortal tormento, Vo che venga alla patria eterna ed alma, E credo
che
ogni Dio ne sia contento ; Che s’ei portò laggiú
noi la palma Di mille imprese carche di spavento, Giusta cosa mi par
che
’l suo gran lume, Nel ciel risplenda e sia celest
ia, farebbe credere ad uno scambio erroneo e vizioso con quell’Ercole
che
Cicerone sa esser siglio di Giove e di Asteria. P
er siglio di Giove e di Asteria. Prodigioso è il numero dei figliuoli
che
i cronisti della mitologia attribuiscono ad Ercol
à, alla sua nascita quasi divina, o a qualcheduna delle singole città
che
con un culto particolare, venerava codesto simbol
î ed altari in tutte le parti di Italia. Da ciò non bisognerà dedurre
che
il culto dell’eroe fosse, presso i popoli Italici
ll’eroe fosse, presso i popoli Italici, interamente conforme al culto
che
a lui tributavano i popoli della Grecia. Questo c
usione necessariamente avvenuta fra le leggende Fenicie ed Asiatiche,
che
sopraccaricarono inevitabilmente della loro impro
consacrargil la decima parte dei beni della propria famiglia, secondo
che
fecero Silla, Crasso e Lucullo. Questa consuetudi
o, al quale si offeriva una decima. È anche nella sola città di Roma,
che
Ercole viene adorato sotto il soprannome di Musag
a cui denominazione non si sa con esattezza d’onde derivi. Il certo è
che
Marcio Filippo, ai tempi di Augusto, innalzò ad E
, e finalmente custodito dal Pretore stesso della città. I giuramenti
che
si facevano sull’ Ara Maxima erano riguardati com
dato fine a questo tipo di creazioni ideali, e oltrepassando i limiti
che
la tradizione gli aveva assegnato, ha lasciato al
a assegnato, ha lasciato alla posterità più monumenti di questo eroe,
che
di alcun altro personaggio dell’antichità. Il car
io d’Alemena, e nello sviluppo della sua maschile maturità. Le statue
che
si trovano nelle Gallerie di Firenze, nel Museo d
e, nel Museo di Napoli ed a Roma, ce lo rappresentano appena poppante
che
strangola i draghi mandati dalla gelosia di Giuno
nato a sostener con onore la lotta terribile ed accanita con tuttociò
che
si riveste di un apparato fisicamente brutale. A
atasi dall’infanzia nella pubertà, non è in minor relazione di quella
che
già sorprende ed atterrisce quasi nel simbolico n
ncibile, soprannaturale e fanno quasi balenare l’idea della vittoria,
che
coronò tutte le fatiche di questo dio. La statua
un Ercole in riposo, ma qui le forme non rivelano quella prostrazione
che
segue dal compimento di penosi e lunghi lavori, m
dodici fatiche di Ercole. 1765. Ere. — V. Es. 1766. Eresidi. — Ninfe
che
prendevano cura del bagno di Giunone. Nella città
one. Nella città di Argo veniva dato lo stesso nome alle sacerdotesse
che
presiedevano al culto di quella dea. Esse godevan
o al culto di quella dea. Esse godevano di tanta pubblica venerazione
che
gli anni del loro sacerdozio servivano di data ne
ittà dell’isola di Lesbo, ebbe questo nome da un figliuolo di Macario
che
così si chiamava. 1768.Eretrio. — Uno dei figli d
Atene. Divenuto adulto, fu re di quella città, e narrano le cronache,
che
essendo in guerra contro gli Eleusini, seppe dall
onache, che essendo in guerra contro gli Eleusini, seppe dall’oracolo
che
per riuscire vittorioso, avrebbe dovuto sagrifica
avrebbe dovuto sagrificare a Proserpina, una delle quattro figliuole
che
egli aveva carissime. Però le quattro giovanette
erò le quattro giovanette si amavano fra di loro con tanta tenerezza,
che
si erano scambievolmente giurato, che ove una di
ra di loro con tanta tenerezza, che si erano scambievolmente giurato,
che
ove una di esse, fosse venuta a morire, le altre
i Ateniesi in commemorazione della loro gratitudine a questo loro re,
che
per il bene comune non aveva esitato un momento a
te Ergastine quelle giovanette le quali tessevano il peplo della dea,
che
si portava processionalmente anche nella celebraz
di altre feste dette Panatenee. 1773. Ergazie. — Nome di alcune feste
che
si calebravano a Sparta in onore di Ercole. 1774.
vano a Sparta in onore di Ercole. 1774. Ergino. — Fu uno dei marinai,
che
in qualità di pilota, succedette a Tifi nel gover
Avendo un giorno sfidato alla lotta Ercole, questi accettò col patto
che
premio della pugna fossero, per parte del princip
Venere a lei venuto dall’avere un tempio fabbricato sul monte Erice,
che
essendo stato abbattuto fu poi rifabbricato da Cl
e essendo stato abbattuto fu poi rifabbricato da Claudio Imperadore e
che
si rese celebre nei fasti dell’antichità religios
numerosi miracoli avvenuti nel tempio maggiore di Ericina. Egli narra
che
le vittime andavano senza esser guidate ad offrir
date ad offrire il loro collo al coltello del Flamine sagrificatore ;
che
l’urna dei sacrificii si trovava sull’altare senz
agrificatore ; che l’urna dei sacrificii si trovava sull’altare senza
che
alcino ve l’avesse deposta ; e che finalmente il
ficii si trovava sull’altare senza che alcino ve l’avesse deposta ; e
che
finalmente il fuoco del Sacrifizio si trovava acc
cacciatore chiamato Menalca. Ella non potendo sopportare la freddezza
che
il suo prediletto le addimostrava, morì consunta
, furono rappresentate le avventure di Erifane, e lo sventurato amore
che
l’aveva uccisa, sul fiore degli anni. 1779. Erifi
invece di andare all’assedio di Tebe, ove egli sarebbe morto, secondo
che
gli aveva rivelato l’arte della negromanzia, in c
arao decise di partire per la guerra, non ostante l’inevitabile morte
che
lo aspettava, ma prima di allontanarsi, impose ad
acrò al servigio di Diana. La cronaca ricorda di un un’altra Erigone,
che
fu figliuola di Icaria. Seconda la tradizione, es
ronia e re di Preneste. La tradizione ripete di lui uno strano fatto,
che
egli cioè avesse ricevuta da sua madre tre anime
cioè avesse ricevuta da sua madre tre anime e tre armature, per modo
che
per ucciderlo bisognava trucidarlo tre volte. Eva
. 1782. Erimanto. — Figliuolo di Apollo. Egli avendo sorpreso Venere
che
usciva dal bagno dalle braccia di Adone fu per vo
era anche il nome di una montagna nell’Arcadia, famosa per il cignale
che
è conosciuto nella tradizione favolosa sotto lo s
V. Ercole. 1783. Erinnie. — Venivano così in Grecia chiamate le Furie
che
sotto questa denominazione avevano un tempio in A
ntichità si trova di sovente data questa denominazione a quelle donne
che
furono cagione di grave danno al proprio paese. L
Italia ; e Virgilio dice lo stesso ad Elena. Erinni era anche il nome
che
in Sicilia si dava a Cerere, a cui la tradizione
cui la tradizione favolosa lo attribuiva dal fatto seguente. È detto
che
allorquando Cerere andava in cerca, nelle campagn
i, la sedusse. Cerere su talmente afflitta di quanto le era avvenuto,
che
andò a nascondersi in una caverna. Inlanto colla
d avvisarne Giove, il quale mandò subito a cercarla dalle tre Parche,
che
a forza di preghiere la persuasero ad uscire dal
e ceraste avean per crine. Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei
che
ben conobhe le meschine Della regina dell’eterno
rno — Canto IX. 1785. Erinno. — Così avea nome una poetessa di Lesbo
che
le cronache del tempo fanno contemporanea di Saff
o. 1786. Erisittone. — Così avea nome uno degli avi materni di Utisse
che
ebbe fama di audacissimo ed empio disprezzatore d
ed empio disprezzatore degli dei. La cronaca mitologica narra di lui
che
un giorno ebbe la temerità di fare oltraggio a Ce
bastone alcune piante in un bosco consacrato a quella dea. Le Driadi
che
secondo la favola, abitavano quelle piante, ricor
dosi a divorare dalla fame cominciò dal mangiare avidamente tutto ciò
che
gli cadeva alle mani e finì col lacerarsi coi pro
la futura grandezza di Roma. 1789. Eritolde. — Fu una delle Esperidi
che
fu cangiata in olmo. V. Esperidi. 1790. Eritro. —
di che fu cangiata in olmo. V. Esperidi. 1790. Eritro. — Da un tempio
che
Ercole aveva nella città di Eritre, in Acaja, si
sopra una specie di Zattera, ed una tradizione degli Eritrei ripeteva
che
fosse giunta nella loro città da Tiro per mare, e
ritrei ripeteva che fosse giunta nella loro città da Tiro per mare, e
che
entrata nel mare Jonio, si fosse fermata nelle vi
io di Giunone, fra Chio ed Eritre. Narra Pausania nelle sue cronache,
che
quando i due popoli delle suddette città scopriro
on riuscirono a poteria rimuovere ; allorchè un pescatore di Eritrea,
che
era cieco, disse di essere stato avvertito in sog
di Eritrea, che era cieco, disse di essere stato avvertito in sogno,
che
se le donne di Eritrea avessero voluto tutte tagl
consentire a sacrificare la loro capigliatura. Allora le donne Tracie
che
servivano in Eritrea, spontaneamente accondiscese
lcuno. Gli Eritrei per ricompensare lo zelo delle Tracie, stabilirono
che
in avvenire nel tempio di Ercole, avessero access
esso solamente le donne. In quanto al pescatore, la tradizione ripete
che
da quel momento egli ricuperò la vista, della qua
idio di tutta la sua famiglia. 1792. Erittonio. — Quarto re di Atene,
che
la tradizione mitologica fa figliuolo di Vulcano
a fa figliuolo di Vulcano e di Minerva. La dea sua madre accorgendosi
che
Erittonio aveva la parte inferiore come quella di
ia. — Una delle Esperidi. 1794. Eritreo. — Dalla parola Greca Ἐρυδρδς
che
significa rosso, si dava questo nome ad uno dei c
atolo strettamente, supplicò gli dei perchè le concedessero la grazia
che
i loro corpi ne formassero uno solo. Da ciò la tr
he i loro corpi ne formassero uno solo. Da ciò la tradizione favolosa
che
dà ad Ermafrodito il soprannome di Antrogino, che
tradizione favolosa che dà ad Ermafrodito il soprannome di Antrogino,
che
significa maschio e femmina. 1796. Ermanubi. — Gl
testa di Arpocrate, si dava cotesto nome forse per voler significare
che
talvolta il silenzio, raffigurato da Arpocrate —
to da Arpocrate — V. Arpocrate — è eloquente quanto la parola facile,
che
era una delle qualità del dio Mercurio. 1799. Erm
ità del dio Mercurio. 1799. Ermatene. — Così si chiamava il simulacro
che
rappresentava le due figure di Minerva, il cui no
rva ; e dall’altra il cimiero colle ali, un seno di uomo, ed un gallo
che
erano gli attributi di Mercurio. 1800. Ermete. —
ore. 1801. Ermenitra. — Si dava cotesta denominazione ad un simulacro
che
aveva il corpo del dio Mercurio e la testa di Nit
li nelle accademie e nei luoghi di esercizii, quasi a volere indicare
che
Mercurio ed Ercole ossia la destrezza e la forza,
ticolare denominazione di Eros, e da ciò dissero Ermero quelle statue
che
avevano una testa di Cupido. 1804. Ermete. — I Gr
te origine a questa strana configurazione. Il citato scrittore narra,
che
alcuni pastori avendo trovato su di una montagna
nte una tempesta. Un’antica tradizione, non molto divulgata, racconta
che
il delfino, sebbene Ermia fosse morto, lo riporta
che il delfino, sebbene Ermia fosse morto, lo riportasse alla riva, e
che
quivi morisse esso stesso, quasi conoscendosi col
stremo lembo della penisola Argolide. Una vecchia tradizione racconta
che
in questa città eravi una strada per la quale si
aziata famiglia ne è venuta la seguente tradizione favolosa. Fu detto
che
Vulcano per vendicarsi della infedeltà di Venere,
presente quest’ultima di una clamide intrisa di tutt’i delitti, cosa
che
fece che tutt’i figliuoli della sventurata furono
quest’ultima di una clamide intrisa di tutt’i delitti, cosa che fece
che
tutt’i figliuoli della sventurata furono scellera
ndo la tradizione Mitologica dall’avere ella dimorato sul monte Ermo,
che
sorgeva tra Tiro e Sidone, allorchè Cadmo la tols
cronache dell’antichità fanno similmente menzione di un’altra Ermione
che
fu figlia della famosa Elena e di Menelao. Fino d
promessa in moglie ad Oreste, figlio di Agamennone, dall’avo Pindaro
che
nell’assenza di Menelao teneva le redini del gove
to della parola di Menelao e senza por mente alle lagrime di Ermione,
che
era perdutamente innammorata di Oreste, la condus
osa di Pirro, ripianse sempre il perduto amante e non ebbe pel marito
che
odio e disprezzo. Mentre Euripide dal canto suo c
uendo la opinione di Euripide, non potendo Ermione vincere la gelosia
che
le ispirava la vedova del famoso Trojano, stabilì
sotto il nome di Hermopolis parva e l’ultima detta Hermopolis magna,
che
sorgeva a poca distanza dal Nilo. 1808. Ermosirid
n conto di un possente mago. I suoi concittadini credevano fermamente
che
l’anima di lui si separasse dal corpo, andasse in
ito alle donne di entrare. 1810. Ero o Eros. — Sacerdotessa di Venere
che
visse molti anni della sua vita a Sesto, città de
di lei, poneva ogni notte sull’alto di una torre una fiaccola accesa
che
serviva di faro al giovine nuotatore. Sesto è ci
abili Leggiadre stelle d’ambo le cittadi, L’uno all’altro simili O tu
che
passi Buon peregrin su la deserta spiaggia, Vedi
amante Ero appendea ; Mira lo stretto de l’antica Abido Ondisonante,
che
l’amor, la morte Di Leandro infelice anco deplora
recarsi all’amoroso ritrovo, ma finalmente non più reggendo all’ansia
che
lo divorava, nella settima notte egli si lanciò n
e disperata si precipitò nel mare volendo morire della morte istessa,
che
per amore di lei aveva incontrata quegli ch’ella
o. 1811. Eroe. — Cotesto appellativo davano i greci a quegli uomini
che
si erano resi celebri con una serie di azioni glo
e concorda in generale col dare l’appellazione di eroe a quel mortale
che
aveva per madre una dea e per padre un uomo, o vi
anza di questi scrittori trae il nome di eroe dalla parola greca Ἐρως
che
significa amore. Le anime degli eroi si alzavano
con ciò diventavano degne degli onori divini, e di quella adorazione
che
il culto superstizioso del pagane imo tributava a
butava alle proprie divinità. Seguendo l’opinione di Lucano, il culto
che
si prestava agli eroi consisteva in una specie di
la medesima opinione, allorchè dice nelle sue cronache dell’antichità
che
all’ Ercole greco figlio di Alcmena, si fanno piu
all’ Ercole greco figlio di Alcmena, si fanno piuttosto dei funerali
che
dei sacrifizi. In quanto ai monumenti eroici di c
a greca e romana, essi altro non erano, se non i sepolcri degli eroi,
che
ordinariamente erano circondati da un bosco sacro
logia greca e romana, nelle quali si trova assai di sovente ricordato
che
gli onori eroici furono spesso rese anche alle do
acrato al Tempo. 1813. Eromanzia. — Nome di una specie di divinazione
che
i Persiani praticavano per mezzo dell’aria. In gr
Ἀηρ significa avia. 1814. Erope. — Così avea nome la moglie di Atreo,
che
à poi acquistata tanta lagrimevole rinomanza, nel
rope era figlia di Euristeo, re di Argo, e la cronaca racconta di lei
che
, prima di cedere all’infame voglie del cognato, m
innamorata di lui, lo avesse aiutato a derubare ad Atreo un montone,
che
aveva il vello d’oro, e che questo fosse il primo
e aiutato a derubare ad Atreo un montone, che aveva il vello d’oro, e
che
questo fosse il primo motivo che valse ad accende
montone, che aveva il vello d’oro, e che questo fosse il primo motivo
che
valse ad accendere la fiamma di quell’odio terrib
. V. Ero. 1816. Erostrato. — Così avea nome quell’abitante di Efeso,
che
per rendersi celebre concepì l’infame e pazzo pen
ersi celebre concepì l’infame e pazzo pensiero d’incendiare il tempio
che
Diana aveva in quella città, e che era una delle
zo pensiero d’incendiare il tempio che Diana aveva in quella città, e
che
era una delle sette meraviglie del mondo. Vi sono
sette meraviglie del mondo. Vi sono alcuni autori i quali pretendono
che
il suo vero nome fosse Erotostrato. Erostrato era
Erotidi. — Dette più comunemente Erotidie ; feste in onore di Cupido
che
i Tespi celebravano con grande solennità e ricche
cangiò in una statua di pietra di colore nerastro, forse per indicare
che
la bianchezza di quella era stata oscurata dal ve
tribulati gli onori divini, e da lei furono dette Erseforie, le feste
che
in suo onore si celebravano dai Greci nel mese di
nel mese di scroforione (Giugno). 1819. Erseo. — Soprannome di Giove
che
a lui veniva dall’essere i suoi altari in luogo s
di Achille uccise Priamo re di Troja presso un’altare di Giove Erseo,
che
sorgeva nella reggia trojana. 1820.Ersilia. — Fu
dalla bellezza di lei, la prescelse come sua sposa e n’ebbe un figlio
che
poi fu chiamato Aollio, ed una figlia per nome Pr
a per nome Prima. La morte di Romolo penetrò Ersilia di tanto dolore,
che
Giunone mossa a pietà, la fece condurre da Iride
i a seguire il sentiero della virtù. 1821. Erta. — Era questo il nome
che
gli antichi popoli della Germania davano alla mad
me che gli antichi popoli della Germania davano alla madre degli dei,
che
essi adoravano in un’isola dello Oceano la quale,
isce Tacito, era quella di Rugen nel mar Baltico. Narrano le cronache
che
in quell’isola vi era una selva conosciuta sotto
solo, a piedi, e con atti di grande venerazione. Il periodo di tempo
che
durava questa cerimonia era ritenuto come festivo
guerra veniva sospesa ; le armi venivano nascoste, e non si respirava
che
la pace ed il riposo. Ciò finchè il sacerdote non
n guidava novellamente il carro coperto nel tempio, quasi ad indicare
che
la dea fosse stanca della conversazione degli uom
1822. Es, Esculano o Ere. — Erano queste le differenti denominazioni
che
i pagani davano alla divinità che presiedeva alla
queste le differenti denominazioni che i pagani davano alla divinità
che
presiedeva alla fabbricazione della moneta di ram
e di Arisba, prima moglie di quel re. La tradizione mitologica narra
che
Merope, avola materna di Esaco, gl’insegnò l’arte
e, avola materna di Esaco, gl’insegnò l’arte di predir l’avvenire ; e
che
egli ancor giovanissimo, predisse a Priamo (quand
o, predisse a Priamo (quando questi ripudiò Arisba per sposare Ecuba)
che
il secondo siglio che avrebbe da questa seconda m
quando questi ripudiò Arisba per sposare Ecuba) che il secondo siglio
che
avrebbe da questa seconda moglie, sarebbe stato c
ene, la quale morì poco dopo le nozze. Egli ne fu talmente addolorato
che
si gettò dall’allo di uno scoglio nel mare, ma Te
dall’allo di uno scoglio nel mare, ma Teti lo cangiò in uccello prima
che
fosse caduto nelle onde. 1824. Esaforo. — Specie
daveri dei ricchi. 1825. Eschinadi. — Così si chiamavano quelle isole
che
il fiume Acheolo formava all’imboccatura del mare
el mare Jonio. La tradizione mitologica raccontata da Ovidio, ripete,
che
alcune ninfe Najadi, avendo fatto un sacrifizio d
lia dei Lapidi. Le tradizioni più accreditate però raccontano, invece
che
Apollo avendo saputo per mezzo di un corvo che la
erò raccontano, invece che Apollo avendo saputo per mezzo di un corvo
che
la sua amante aveva una tresca con Ischiso figlio
cor vivo fanciullo, e ’n braccio il tolse. E quindi il trasportò, poi
che
partissi. A te, saggio Chiron, perché ’l nutrissi
o — Metamorfosi — Libro II. trad. di Dell’Anguillara. Altri racconta
che
Coronide, accompagnando suo padre Flegia nel Pelo
Coll’andare del tempo in tutte le circostanti campagne, corse la voce
che
un fanciullo miracoloso era nato, il quale guariv
lapio avesse acquistato tanto meraviglioso potere : Apollonio riporta
che
Minerva gli avesse dato il sangue della Gorgone,
ui somma virtute Di te gloria sarà, d’altrui salute. Alma gentil, più
che
mai fosse in terra Accetta, salutifera e gradita
o — Metamorfosi — Libro II. trad. di Dell’Anguillara. Igino pretende
che
trovandosi Esculapio in casa di Glauco, il quale
casa di Glauco, il quale era gravemente infermo, vedesse un serpente
che
essendoglisi avvicinato, si avvolse intorno al su
compagno e lo richiamò alla vita stropicciandogli sulla testa l’erba
che
aveva fra i denti. Da ciò, secondo Igino, Esculap
iamava in vita i cadaveri. Esculapio ebbe una moglie per nome Epione (
che
significa calmante). Fra i suoi molti figli i più
mati alla vita Ippolito e Glauco, fu egli stesso ucciso dalla folgore
che
Giove gli lanciò temendo che il progresso della s
uco, fu egli stesso ucciso dalla folgore che Giove gli lanciò temendo
che
il progresso della sua arte non giungesse a sottr
rarre tutti gli uomini alla morte. …….. e l’iuventore Di cotal arte,
che
d’Apollo nacque, Fulminando mandò nè regni hui.
Virgilio — Eneide — Libro VII. trad. di A. Caro. Però Giove stesso
che
lo aveva ucciso, sia per propria amicirazione, si
, mise Esculapio nel numero degli astri. Un’altra tradizione racconta
che
Apollo sdegnato contro i Ciclopi, che avevano fab
i. Un’altra tradizione racconta che Apollo sdegnato contro i Ciclopi,
che
avevano fabbricata la folgore colla quale fu ucci
i Admeto come semplice pastore. Ovidio nelle sue metamorfosi racconta
che
Esculapio avesse sposato Lampezia figlia del Sole
un Dio, e non fu città, horgo o villaggio di questa popolosa contrada
che
non avesse un tempio a lui sacro. Così il tempio
bolo della saggezza erano a lui consacrati, e soprattutto il serpente
che
era intimamente legato ai misteri del culto di qu
divinità adorate come dei della medicina. Da ciò si potrebbe arguire
che
tutte codeste numerose e diverse divinità avesser
ste numerose e diverse divinità avessero avuto una comune origine ; e
che
il cuito del serpente come emblema di sanità è un
i mercatanti indigeni. Nella storia degli Israeliti troviamo ripetuto
che
persino Mosè avesse esposto alla vista del suo po
della guarigione. Esistono molte statue e busti in marmo ed in bronzo
che
rappresentano il dio della medicina, e si sono tr
idauro di cui fa menzione Valerio Massimo, nella sua storia romana, e
che
fu portato in Roma nell’anno 462 della sua fondaz
romana, e che fu portato in Roma nell’anno 462 della sua fondazione e
che
era adorato sotto la figura di un serpente, statu
a fondazione e che era adorato sotto la figura di un serpente, statua
che
gli fu, secondo la tradizione, eretta da Dionigi
tiranno. Di un altro Esculapio fa anche parola la cronaca favolosa, e
che
, secondo Cicerone, nel suo libro IV De natura deo
cere l’avvenire, percuotendoli uno contro l’altro. La tradizione dice
che
per mezzo di un simile incantesimo egli avesse sa
un simile incantesimo egli avesse saputa l’epoca della sua morte, ciò
che
per altro non gl’impedì di morire ucciso a tradim
à di Clazomene si dava questa denominazione, dalla parola greca Ἠονπα
che
significa silenzio, alle sacerdotesse della dea P
oro culto, nel più profondo silenzio. 1830. Esimnete. — Da una statua
che
Vulcano fece del dio Bacco, e che secondo la trad
io. 1830. Esimnete. — Da una statua che Vulcano fece del dio Bacco, e
che
secondo la tradizione fu da Giove medesimo donata
onte, re di Troja e sorella di Priamo. La tradizione mitologica narra
che
fra Nettuno e Laomedonte fosse stabilito un patto
n patto, ma non fa menzione della ragione di questo ; e solo aggiunge
che
avendo Laomedonte mancato alla sua parola, Nettun
do Laomedonte mancato alla sua parola, Nettuno mandò un mostro marino
che
divorava tutti gli abitanti delle spiagge vicine,
vicine, ed era seguito nel suo pasaggio da una terribile pestilenza,
che
non solo uccideva gli uomini e gli animali, ma fa
consultarlo sul modo di far cessare tanto flagello. L’oracolo rispose
che
la cagione di tanto lutto, era la collera di Nett
a di Nettuno, il quale non si sarebbe placato se non quando i troiani
che
avevano dei figli non avessero esposto alla vorac
vessero esposto alla voracità del mostro, quello tra i loro figliuoli
che
la sorte designerebbe. E la sorte volle che dall’
ello tra i loro figliuoli che la sorte designerebbe. E la sorte volle
che
dall’urna fatale si estraesse il nome di Esione f
fu incatenata alla spiaggia ad attendervi l’orribile morte. Ma Ercole
che
si trovava allora nelle circostanze di Troja, ins
propria famiglia. La giovanetta preferi di seguire Ercole, ma questi,
che
dovea muovere in Colchide, alla conquista del Vel
Colchide, alla conquista del Vello d’oro, lasciò Esione ed i cavalli
che
il re gli aveva donato, a Laomedonte stesso, a pa
cavalli che il re gli aveva donato, a Laomedonte stesso, a patto però
che
gli avrebbe restituito il tutto al suo ritorno da
ole di Danao, la quale, amata da Giove, lo rese padre di un fanciullo
che
fu chiamato Orcomeno. Divenuto adulto egli fondò
. Monti. 1832. Eso. — Con questo nome i Galli adoravano una divinità
che
si suppone fosse il loro dio della guerra. Quei p
attaglia, ma persino tutt’i prigionieri. Al dire di Luciano nelle sue
che
dell’antichità, i Galli spingevano la loro barbar
ittà come un semplice particolare. Esone fu padre del famoso Giasone,
che
egli sottrasse con ogni amorevole cura, alla crud
temeva in lui un vendicatore dei dritti paterni. La tradizione narra
che
Giasone, divenuto adulto al suo ritorno dalla con
n opera alcuno dei suoi possenti segreti onde Esone ringiovanisse ; e
che
in fatti Medea, cedendo alle preghiere del suo am
di lui il sangue agghiacciato daila vecchiezza, vi filtrò il liquore
che
aveva preparato. La cronaca favolosa aggiunge che
i filtrò il liquore che aveva preparato. La cronaca favolosa aggiunge
che
l’incantesimo riuscì pienamente e che Esone riacq
o. La cronaca favolosa aggiunge che l’incantesimo riuscì pienamente e
che
Esone riacquistò da quel giorno forza e salute. F
à, qualunque manto di allegoria favolosa, altro non ci ricorda se non
che
Esone, essendo stato obbligato da Pelia suo frate
tello, a bere del sangue di toro, fosse morto in seguito di ciò prima
che
suo figlio Giasone fosse ritornato dalla Colchide
o di ciò prima che suo figlio Giasone fosse ritornato dalla Colchide,
che
sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e
dalla Colchide, che sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e
che
Giasone al suo ritorno avesse per onorare la memo
erò una opinione poco generalizzata. Narrano le cronache mitologiche,
che
quando Giove sposò Giunone, questa regalasse al m
ndo Giove sposò Giunone, questa regalasse al marito un albero di pomi
che
faceva le frutta di oro. Giove allora in segno di
r l’albero nell’orto delle Esperidi, e vi pose a guardiano un dragone
che
aveva cento teste e altrettante voci. Ercole ucci
ettivo. Al dire del citato scrittore, esse erano d’una tale bellezza,
che
la sola rinomanza di questa, spiese Busiride, re
non si seppe più novella di lui. Da ciò ha vita il simbolo mitologico
che
ha fatto dare il nome di Espero ad uno dei più br
uomini. 1838. Espiazione. — Specie di solennità o cerimonia religiosa
che
gli antichi istituirono per purificare le persone
monia religiosa che gli antichi istituirono per purificare le persone
che
aveano commesso un qualche misfatto ed i luoghi o
stato consumato. Lo studio dei tempi dell’antichità rivela per altro
che
presso i romani ed i greci si faceva uso di tal c
all esito di una guerra, al compimento di un qualche fatto importante
che
interessasse radicalmente tutta una città, furono
ntichi di lustrare, expiare, februare, altro non vogliono significare
che
il compimento di alcuni atti ritenuti proprî a ca
na colpa, o a scongiurare il cattivo influsso di una qualche sventura
che
minacciasse la patria. Presso i pagani le princip
per Giasone e Medea. Allorquando il reo si presentava innanzi a colui
che
poteva espiarlo doveva, senza profferir parola, c
spiarlo doveva, senza profferir parola, conficcare nel terreno l’arme
che
era stata strumento del suo delitto. Se l’espiato
stata strumento del suo delitto. Se l’espiatore accettava l’incarico
che
tacitamente gli dava il reo, col suindicato indiz
con acqua e mele tre volte alcuni rami di olivo in simbolo della pace
che
l’omicida cercava di riacquistare. Finalmente si
icida cercava di riacquistare. Finalmente si copriva l’ara di focacce
che
il reo inginocchiato offeriva alle sdegnate divin
di perdonare al suo misfatto. Si trova anche ripetuto in vari autori
che
molti rei d’omicidio si erano assoggettati a succ
tesso modo, e la tradizione ricorda più di un nome illustre e famoso,
che
avesse espiato una qualche uccisione in modo ben
ua corrente. Così fece Enea, il quale non ardì toccare gli dei Penati
che
volea portar seco prima di essersi tuffato nella
si lordo e si recente uscito Da tanta uccisïon, toccar non lece Pria
che
di vivo fiume onda mi lave. Virgilio — Eneide —
ultrici. Questa espiazione praticò Fedra, invasa dal colpevole amore
che
Venere le aveva inspirato pel figliastro Ippolito
epoca del famoso duello dei tre Orazii contro i tre Curiazii. « Dopo
che
Orazio fu assoluto dal delitto di parricidio, il
io fu assoluto dal delitto di parricidio, il re il quale non credette
che
in una città in cui professavasi di temere gli de
astasse per assolvere un delinquente, fece venire i pontefici e volle
che
placassero gli dei e che il reo subisse tutte le
delinquente, fece venire i pontefici e volle che placassero gli dei e
che
il reo subisse tutte le pruove che erano in uso p
i e volle che placassero gli dei e che il reo subisse tutte le pruove
che
erano in uso per espiare quei delitti, in cui non
paese ; offrirono su questo altare molti sacrifizî espiatori, dopo di
che
fecero passare il reo sotto il giogo (specie di f
le popolazioni al cessare di una pubblica calamità. Però è da notarsi
che
nella cerimonia della lustrazione, l’esercito da
Non si deve però confondere questa lustrazione espiatoria, con quella
che
facevasi ogni cinque anni dal popolo, dopo il cen
dai delitti della militaire licenza. Una delle più solenni espiazioni
che
troviamo ripetuta in tutti i cronisti della favol
ripetuta in tutti i cronisti della favola, era presso i romani quella
che
veniva solennizzata alla visibile manifestazione
trare, nel significato di espiare, avuto riguardo al periodo di tempo
che
trascorreva tra una di queste pubbliche cerimonie
i, ossia di un lustro, come gli antichi chiamavano un elasso di tempo
che
comprendesse cinque anni. I pagani ritenevano pro
edenze, assolutamente necessaria. Per citare uno dei tanti esempi, di
che
fà menzione la tradizione favolosa, ricorderemo i
ia l’onda sacra di perenne fonte Con pure mani attingi. Edipo E poi
che
attinta L’avrò ? Coro Crateri troverai, lavoro
onde o lana ? Coro Del recente pelo L’una tenera agnella. Edipo E
che
far poscia ? Coro Far libagioni all’oriente in
i cosi. Edipo Ciò udir vogl’io ; chè udirlo Rileva assai Coro Poi
che
il benigno nome D’Eumenidi lor diam, benignamente
ste avevano gli antichi molte altri cerimonie espiatorie, come quelle
che
si facevano in occasione di viaggi, di nozze e di
si facevano in occasione di viaggi, di nozze e di funerali. Tutto ciò
che
si credeva di cattivo augurio, come l’incontro di
atorie. Finalmente i pagani celebravano le espiazioni, tutte le volte
che
qualcuno veniva iniziato ai grandi o piccoli mist
ssiterio. — Dalla voce latina Exitus si dava questo nome alle feste
che
si celebravano in onore degli dei, prima della pa
loro dei donativi per averli propizî. 1841. Esta. — Nome particolare
che
si dava alle viscere delle vittime, che gli Arusp
841. Esta. — Nome particolare che si dava alle viscere delle vittime,
che
gli Aruspici esaminavano per prodire l’avvenire.
aminavano per prodire l’avvenire. Questa voce deriva dal latino Exta,
che
significa viscere. 1842. Estiel. — Dette anche Es
stiel. — Dette anche Estie : religiose cerimonie e sacrifizî solenni,
che
si celebravano quasi in tutte le città della Grec
rimonie, era espressamente proibito il trasporto di qualunque oggetto
che
non fosse una delle vittime da immolarsi. Da ciò,
delle vittime da immolarsi. Da ciò, forse, derivò l’antico proverbio
che
i pagani applicavano agli avari : sacrificare ad
i applicavano agli avari : sacrificare ad Estia, vol endo significare
che
gli avari non concedono ad altri la meno ma parte
eno ma parte di quanto posseggono. 1843. Estipiel. — Nome particolare
che
si dava agli Aruspici quando esaminavano le visce
eva nella Tessaglia tra il monte Parnaso e il Pindo. La cronaca narra
che
fu sul monte Eta che Ercole fece in nalzare il ro
ra il monte Parnaso e il Pindo. La cronaca narra che fu sul monte Eta
che
Ercole fece in nalzare il rogo sul quale abbruciò
in nalzare il rogo sul quale abbruciò. Finsero i poeti dell’antichità
che
il sole, le stelle e la luna si levassero dal mon
ichità che il sole, le stelle e la luna si levassero dal monte Eta, e
che
da esso nascesse il giorno e la notte. La storia
a, i frutti ed i fiori, ed era irrigata da fiumi di latte e di miele,
che
scorrevano soavissimamente, fra sponde eternament
azioni tradizionali, imperocchè noi vediamo dalle cronache del tempo,
che
sotto il regno di Saturno, vale a dire quando cor
ente della stirpe reale degli Eolidi. La tradizione favolosa racconta
che
Etalide avesse domandato a suo padre due grazie ;
oscenza anche dopo la morte, di quanto avveniva nel mondo ; e l’altra
che
egli passerebbe metà dell’anno tra i vivi e l’alt
o Etalide araldo degli Argonauti ; e sugli obblighi della sua carica,
che
a lui imponevano di essere talora presente, e tal
nitore ebbe abdicato il trono di Tebe, Eteocle convenne col fratello,
che
avrebbero regnato a vicende un anno per ciascuno.
le guerra di Tebe, la quale ebbe termine col duello dei due fratelli,
che
restarono entrambi vittime della loro inimicizia.
ivo di Eteocle. 1840. Eteoclo. — Uno del sette capi dell’armata Greca
che
mosse alla famosa guerra di Tebe, fu fratello di
0. Etelina. — I Greci davano questo nome ad una specie d’inno lugubre
che
si cantava nelle cerimonie dei funerali. Era chia
eva denotare, per mezzo di simboli allegorici, i caratteri principali
che
il simbolo della favola attribuiva all’eternità.
bolo della favola attribuiva all’eternità. Infatti la Fenice (uccello
che
si rinnova sempre, rinascente dalle sue ceneri) e
ga vita ; e finalmente aveva il globo nella destra, perchè è un corpo
che
non ha confini. 1853. Eteta. — Giovanetta di Laod
etta di Laodicea, città della Siria. Amò così perdutamente suo marito
che
, secondo riferisce la cronaca, domandò ed ottenne
delle molte figliuole del re Priamo. Caduta in potere di Protesilao,
che
la fece prigioniera all’assedio di Troja, ella pr
fece prigioniera all’assedio di Troja, ella profittò di una tempesta,
che
costrinse la nave dove si trovava, ad approdare f
i pagani ai cavalli. 1856. Etna — La tradizione della favola racconta
che
la fucina del dio Vulcano, e quella dei ciclopi c
a favola racconta che la fucina del dio Vulcano, e quella dei ciclopi
che
fabbricavano i fulmini a Giove, stessero nelle vi
e malaugurata e funesta. 1857. Etolo — Così ebbe nome il terzo figlio
che
Endimione ebbe dalla ninfa Naide. Divenuto adulto
gezza. Etra fu segretamente, dallo stesso suo padre, maritata ad Egeo
che
la rese madre di Teseo. Piteo per alcune particol
ante il tempo della gravidanza di Etra, non volendo palesare l’unione
che
le aveva fatto contrarre, sparse voce che Nettuno
n volendo palesare l’unione che le aveva fatto contrarre, sparse voce
che
Nettuno, nume particolarmente adorato in Trezene,
orato in Trezene, innammoratosi della figlia, l’avesse resa madre ; e
che
per conseguenza Teseo era figlio di Nettuno. Allo
mpio a lui consacrato sul monte Etna. 1861. Etrurj — Nome particolare
che
si dava a coloro, che senza essere sacerdoti eran
sul monte Etna. 1861. Etrurj — Nome particolare che si dava a coloro,
che
senza essere sacerdoti erano periti nell’arte deg
a i figliuoli di Priamo, re di Troja, e il più valoroso dei guerrieri
che
spesero la propria vita in difesa della sventurat
a in difesa della sventurata città. …… e questi Furiando parea Marte
che
crolla La grand’asta in battaglia, o di vorace Fu
rte che crolla La grand’asta in battaglia, o di vorace Fuoco la vampa
che
ruggendo involve Una folta foresta alla montagna.
o sotto il nome di Astianatte. V. Astianatte. L’oracolo avea predetto
che
finchè Ettore avrebbe vissuto, il regno di Priamo
suto, il regno di Priamo resisterebbe agli attacchi dei greci, onde è
che
questi fecero del terribile avversario il bersagl
o anno del famoso assedio, allorchè Ettore, inorgoglito dalla fortuna
che
arrideva propizia alle armi trojane, e profittand
un istante, vacillare il proprio coraggio, e quella intrepida energia
che
non lo aveva mai abbandonato un solo istante per
vate glorïose spoglie. Stimolò col flagello a tutto corso I corridori
che
volar bramosi. Omero — Iliade — Libro XXII trad.
osi. Omero — Iliade — Libro XXII trad. di V. Monti. Omero ci ripete
che
Apollo, tocco di compassione allo spettacolo mise
ione e coprì il corpo dell’eroe con la sua egida di oro, per impedire
che
Achille, col trascinarlo tante volte, così veloce
di V. Monti. Finalmente gli dei, mossi a compassione per un valoroso
che
li aveva sempre onorati, inspirarono al vecchio r
con pompa solenne posto sul rogo, nelle mura stesse di quella città,
che
egli aveva difesa a costo della sua vita, fu abbr
de — Libro XXIV trad. di. V. Monti. 1863. Eubagl. — Nome particolare
che
si dava ad alcuni filosofi galli, la cui occupazi
naturali. 1864. Eubea. — Così ebbe nome una delle amanti di Mercurio,
che
ebbe da lei un figliuolo chiamato Polibio. La fav
mpiuti, con molto decoro della repubblica, alcune importanti missioni
che
aveva ricevuto dai sacerdoti di Bacco e di Escula
Delfo, per consultare la Pitia, s’innammorò così perdutamente di lei,
che
la rapì e la condusse nella sua patria. Ad ovviar
amente di lei, che la rapì e la condusse nella sua patria. Ad ovviare
che
simili sconci si fossero ripetuti nell’avvenire,
licità. In greco la parola Ευγαῳουια deriva da due vocaboli Ευ, ημερα
che
significano giorni felici. 1871. Eudora. — Una de
ell’Oceano. 1872. Eufemo. — Uno degli Argonauti e propriamente quello
che
alla morte del pilota Tifi ebbe l’incarico di tim
lpi di frecce. V. Niobe. 1874. Eufrade. — Così aveva nome la divinità
che
presiedeva ai conviti. In segno di allegria si me
sovente sulla tavola stessa. La parola Eufrade deriva dal greco Εορων
che
significa allegro. 1875. Eufrobio. — Fu uno dei p
ja per mano di Menelao. 1876. Eufrona. — Dalle due parole greche φρης
che
significano consiglio si dette il nome di Eufrona
igli. 1877. Eufrosina. — Nome particolare di quella fra le tre grazie
che
presiedeva all’allegria. 1878. Eugenia. — Si dava
ivinità. Veniva raffigurata sotto le sembianze di una donna in piedi,
che
ha nella mano sinistra una picca e nella destra u
79, Eumelo. — Figliuolo di Alceste e di Admeto. Fu uno dei capi greci
che
assediarono Troja. Omero ce lo addita come posses
lo addita come possessore delle due più belle cavalle dell’esercito,
che
secondo la tradizione favolosa, erano state nutri
delle Eumenidi. 1882. Eumenidi. — Ossia benefattrici nome particolare
che
i greci davano alle furie. Questo vocabolo deriva
che Ευλεης benefattore e μενος animo. Racconta la tradizione favolosa
che
Apollo, per liberare Oreste dalle furie che lo to
ta la tradizione favolosa che Apollo, per liberare Oreste dalle furie
che
lo tormentavano dopo l’uccisione di sua madre Cli
r tutto ; Ma tu prosegui il tuo cammino. e stanco Non t’arrestar, fin
che
venuto sei Alla città di Pallade. Là siedi. Abbra
nalzato loro un tempio in prossimità dell’Areopago. Minerva — Pol
che
tal beneficio a questa terra Per lor s’appresta,
er lor s’appresta, lo ne vo lieta ; e grata Sono alla dea Persuasion,
che
il labbro Inspirommi e la lingua a piegar queste
o. — Così avea nome il figliuolo del re di Scio, isola del mare Egeo,
che
fu il più fedele seguace d’Ulisse. Narra la tradi
mare Egeo, che fu il più fedele seguace d’Ulisse. Narra la tradizione
che
Eumeo, nella sua infanzia, fu rubato da alcuni Pi
ssea — Libro XIV Trad. di I. Pindemonte. Fu in casa di questo Eumeo,
che
si ricoverò Ulisse, dopo venti anni di lontananza
tananza dalla sua patria ; e fu con l’ajuto di questo fedel servitore
che
egli potè sterminare tutti gli amanti di Penelope
o altri di Orfeo. La tradizione più accreditata però, racconta di lui
che
, avendo contrastato il possesso della città di At
i Atene ad Eretteo, questi gli mosse guerra. Nella battaglia decisiva
che
fu da ambe le parti combattuta con accanito furor
di sommo sacerdote o Jerofante dei misteri Eleusini. Eumolpo fu colui
che
insegnò ad Ercole la musica. V. Ercole. 1887. Eun
aggio all’isola di Lemnos, s’innamorò d’Isifile e n’ebbe un figliuolo
che
fu questo Euneo. Secondo la tradizione egli diven
nomia. — Fu figlia dell’Oceano e secondo la favola madre delle Grazie
che
furono il frutto dei suoi amori con Giove. 1890.
famoso musico della città di Locri. La cronaca favolosa narra di lui
che
recandosi nella città di Delfo, insieme ad un alt
tano onde sostenere una sfida nella loro arte, avvenne strada facendo
che
una corda del liuto di Eunomo si fosse spezzata ;
supplì col suo canto con tanta aggiustatezza al difetto della corda,
che
Eunomo fu il vincitore nell’artistica disfida. In
liuto sul quale era posata una cicala. I Locresi ritenevano per fermo
che
le cicale cantavano solamente sulle rive del fium
che le cicale cantavano solamente sulle rive del fiume Alex o Alice, (
che
divideva le due città di Locri e di Reggio), dall
e vietato alle donne di entrare in quel tempio, era generale credenza
che
tutte le volte che una pubblica calamità affligge
e di entrare in quel tempio, era generale credenza che tutte le volte
che
una pubblica calamità affliggeva la città di Tana
ontro di un eunuco nell’uscire di casa. Quando la combinazione faceva
che
s’imbattessero in uno di essi, ritornavano in cas
asa e non uscivano per tutto quel giorno. 1893. Euploca. — Soprannome
che
si dava a Venere prima d’intraprendere un viaggio
de ottenere, una felice navigazione. La geografia antica ci ammaestra
che
nelle circostanze della città di Napoli, vi era u
ra i guerrieri trojani e celebre nella tradizione per il grande amore
che
lo legava a Niso, altro giovane guerriero, e che
per il grande amore che lo legava a Niso, altro giovane guerriero, e
che
fu causa della morte di entrambi. Eurïalo era se
nome un figliolo di Mecisteo, nipote del re Talao. Omero dice di lui
che
insieme a Diomede e Stenelo comandava gli argivi
— Libro II trad. di. V. Monti. 1897. Euribate. — Uno degli Argonauti
che
si rese celebre per la sua agilità negli esercizi
se celebre per la sua agilità negli esercizii del corpo, e per l’arte
che
aveva di risanare le ferite. Oileo gravemente pia
o egli ritorno un giorno ferito dalla caccia al cignale. Omero ripete
che
Laerte, padre di Ulisse, avea comperata Euridea a
. Euridice. — Moglie di Orfeo. La tradizione favolosa racconta di lei
che
, qualche giorno dopo il suo matrimonio, essendo i
sulle sponde di un fiume, e morì in seguito di quella ferita. Orfeo,
che
amava teneramente quella sua dilettissima, si rit
e giorno, al suono dolcissimo della sua lira, la perdita irreparabile
che
aveva fatta, ma non potendo più a lungo sopportar
serpina e Plutone stesso, inteneriti dalle divine armonie, ordinarono
che
la morta Euridice fosse ritornata sulla terra, su
ritornata sulla terra, sui passi dello sposo fedele ; con patto però
che
Orfeo non si rivolgesse a riguardarla, se non qua
sorte e dispietata, Orfeo. Me misera ad un tempo, e te perdeo ? Ecco
che
nuovamente i crudi fati Già mi chiamano addietro
nella città di Aorno, ove, secondo la tradizione, esisteva un oracolo
che
faceva rivedere le anime dei morti, richiamandole
ime dei morti, richiamandole per poco al contatto degli uomini. Fu là
che
Orfeo rivide la diletta Euridice, e lusingandosi
li uomini. Fu là che Orfeo rivide la diletta Euridice, e lusingandosi
che
ella l’avrebbe questa volta seguito per non abban
più mai, si rivolse a guardarla, ma Euridice era scomparsa. Allora fu
che
Orfeo, ripieno l’animo di un disperato dolore, si
olore, si fece ad interrogare nuovamente l’oracolo, ma questo rispose
che
Euridice era morta per sempre, e ch’egli non l’av
riveduta più. In seguito di questa risposta, perduta l’unica speranza
che
lo teneva in vita, Orfeo si uccise di propria man
e oggetto dell’ amor suo. Euridice fu anche il nome di una figliuola,
che
Endimione ebbe dalla ninfa Asterodia. 1901. Eurim
a Asterodia. 1901. Eurimedonte. — La favola dà questo nome äl gigante
che
fu padre di Prometeo. Giunone prima di diventar m
moglie di Giove lo aveva amato, e questa fu la vera ragione dell’odio
che
Giove ebbe poi tanto con Eurimedonte quanto col f
zie. Eurinome veniva rappresentata sotto le sembianze di uua giovane,
che
dalla cintura in giù aveva il corpo di pesce. Ebb
statua era legata con delle catene d’oro. Il suo tempio non si apriva
che
una sola volta l’anno e in un giorno determinato
bava della carne dei morti. Nel tempio di Delo vi era una sua statua,
che
la rappresentava seduta su di una pelle d’avvolto
amato. 1904. Euripile. — Figlio di Evemone. Fu uno dei capitani greci
che
assediarono Troja. I lor prodi mandar sotto il c
gnato Omero — Iliade — Libro II trad. di V. Monti. Narra la cronaca
che
quando Troja cadde in potere dei greci, ad Euripi
sa nella quale era rinchiusa una statua di Bacco, fatta da Vulcano, e
che
Giove stesso aveva donato a Dardano. Euripile imp
iove stesso aveva donato a Dardano. Euripile impaziente di vedere ciò
che
contenesse la cassa, la ruppe, ma non appena ebbe
el luogo ove avesse visto gli apparecchi di un sacrifizio cruento ; e
che
in quel luogo egli avesse dovuto deporre la cassa
zio cruento ; e che in quel luogo egli avesse dovuto deporre la cassa
che
gli era stata tanto fatale. Ubbidiente alla voce
enaica. Le cronache delle antichità dicono, a proposito di questo re,
che
essendo stati gli Argonauti spinti da una tempest
rta, e avesse loro additato il modo di schivare gli scanni di sabbia,
che
s’incontrano nelle circostanze delle isole Sirti.
licissimo, argomento ad un altro dei suoi innumerevoli miti, racconta
che
essendo stata la nave degli Argonauti spinta da u
e spiagge della Libia, apparve loro un tritone in forma umana e disse
che
mediante una ricompensa, avrebbe mostrato loro un
a al tritone un tripode di rame ; e in conseguenza di ciò il tritone,
che
non era altro che Euripile, staccò dal carro di N
ipode di rame ; e in conseguenza di ciò il tritone, che non era altro
che
Euripile, staccò dal carro di Nettuno uno degli a
innanzi agli Argonauti, ordinando loro di seguire esattamente la via
che
avrebbe percorsa il divino corridore. Finalmente
ivino corridore. Finalmente Euripile si chiamava un nipote di Ercole,
che
fu uno dei più valorosi alleati dei trojani. La t
he fu uno dei più valorosi alleati dei trojani. La tradizione ripete,
che
Euripile non giungesse a Troja che verso la fine
dei trojani. La tradizione ripete, che Euripile non giungesse a Troja
che
verso la fine dello assedio e che in un aspro com
che Euripile non giungesse a Troja che verso la fine dello assedio e
che
in un aspro combattimento uccidesse di propria ma
cippe figliuola di Pelope e re di Micene. La cronaca mitologica narra
che
avendo Giove giurato che dei due bambini Euristeo
e re di Micene. La cronaca mitologica narra che avendo Giove giurato
che
dei due bambini Euristeo ed Ercole, quegli figlio
isteo ed Ercole, quegli figlio di Micippe, e questi di Alemena quello
che
nascerebbe primo, avrebbe ottenuto un gran predom
inio sull’ altro, Giunone irritata contro Alemena, si vendicò facendo
che
Micippe partorisse di sette mesi Euristeo, procur
Ciò non ostante Euristeo ebbe sempre gran timore di Ercole, e tanto,
che
non gli permetteva di entrare in città, e facevag
ò per fino i suoi discendenti. — V. Eraclidi. — La tradizione ripete,
che
durante la vita di Ercole, Euristeo ebbe tanta pa
pete, che durante la vita di Ercole, Euristeo ebbe tanta paura di lui
che
non osava presentarsi mai alla sua presenza, e ch
tanta paura di lui che non osava presentarsi mai alla sua presenza, e
che
sì era fatto fabbricare una botte di bronzo per n
, e σερυου petto. Nella città di Ege in Acaja, essa aveva un tempio,
che
era il più antico della Grecia, e nel quale era a
la Grecia, e nel quale era adorata sotto questo nome. La sacerdotessa
che
veniva eletta al servigio di questo tempio, dovev
doveva esser stata maritata una sola volta nella vita, e dal momento
che
veniva insignita del suo sacro carattere, doveva
r tutto il rimanente dei suoi giorni. 1907. Eurito. — Uno dei giganti
che
dettero la scalata al cielo. Ercole lo uccise con
Eurito aveva anche nome quello Scita, re di Oecalia, nella Tessaglia,
che
fu maestro di Ercole nel tirar d’arco. V. Ercole.
aveva una figlia per nome Jole, di cui aveva promesso la mano a colui
che
lo avesse vinto nell’esercizio della freccia. Ino
me al suo spietato signore. Eurizione si chiamava anche quel centauro
che
fu cagione della celebre contesa fra i Lapidi ed
iritoo, il vino alterò siffattamente le facoltà mentali di Eurizione,
che
insultò villanamente alcuni Lacedemoni che assist
oltà mentali di Eurizione, che insultò villanamente alcuni Lacedemoni
che
assistevano a quel banchetto. Questi sdegnati lo
mensi, Compreso di furor, mali commise. Molto ne dolse a quegli eroi,
che
incontro Se gli avventaro, e del vestibol fuori T
a. Essa era di una bellezza incantevole, e avea la pelle così bianca,
che
si disse aver rubato il belletto a Venere. Giove
via dell’isola di Creta, ove giunse per l’imboccatura del fiume Lete,
che
passava a Goritna. Giove sotto il bugiardo e nov
— Libro II Trad. di Dell’ Anguillara. La tradizione favolosa ripete
che
avendo i greci osservato che sulle sponde di ques
guillara. La tradizione favolosa ripete che avendo i greci osservato
che
sulle sponde di questo fiume, gli alberi erano se
e di questo fiume, gli alberi erano sempre verdeggianti, pubblicarono
che
fu sotto uno di questi, che si compirono i primi
i erano sempre verdeggianti, pubblicarono che fu sotto uno di questi,
che
si compirono i primi amori di Giove con Europa. G
una festa in suo onore. È opinione di varì scrittori dell’ antichità,
che
il nome di Europa fosse dato a questa principessa
uropa fosse dato a questa principessa, perchè significa bianchezza, e
che
da ciò si chiamasse Europa quella parte del globo
di Egialeo e re di Sicione. Al dire di Apollodoro fu questo principe,
che
chiamò Europa una delle cinque parti del mondo. Q
con gli Ateniesi, aspettavano per fissare il giorno della battaglia,
che
fosse compiuto il plenilunio. Però il generale de
a credenza dei suoi soldati e poco curante dei fulmini e dei lampi di
che
era il cielo corrusco, schierò i suoi guerrieri i
oni, il cui comandante si precipitò per disperazione nel fiume Imero,
che
da quel tempo fu, per questa ragione, chiamato Eu
ragione, chiamato Eurota. 1911. Eusebia — Dalla parola greca ευοεβεια
che
significa pietà, si dava dagli antichi questo nom
ntichi questo nome alla Pietà deificata. 1912. Eutenia — Nome proprio
che
i greci davano alla Abbondanza, che avevano perso
ata. 1912. Eutenia — Nome proprio che i greci davano alla Abbondanza,
che
avevano personificata e deificata, senza però inn
inventrice. La parola Euterpe deriva dai due vocaboli greci Ευ, τερπω
che
significano rallegro. Euterpe amante delle doppi
pive. V. Monti — La Musogonia. 1914. Eutico. — Narrano le cronache,
che
quando Augusto mosse da Roma, per la spedizione c
rano le cronache, che quando Augusto mosse da Roma, per la spedizione
che
poi finì con la battaglia di Azio, avesse incontr
un asinello, pungendolo con un bastone. Quell’uomo avea nome Eutico,
che
in greco vuol dire ben formato ; e l’asino si chi
o, che in greco vuol dire ben formato ; e l’asino si chiamava Nicone,
che
vuol dire vinvitore, da ciò prese Augusto lieto p
re, da ciò prese Augusto lieto presagio per la vittoria, ed è scritto
che
riportata che l’ebbe, fece fabbricare nel luogo s
se Augusto lieto presagio per la vittoria, ed è scritto che riportata
che
l’ebbe, fece fabbricare nel luogo stesso ove acca
amme ardevano l’amato cadavere, ella si precipitò fra quelle, volendo
che
le proprie fossero unite per sempre alle ceneri d
volendo che le proprie fossero unite per sempre alle ceneri dell’uomo
che
essa aveva amato più della vita. 1916. Evagora —
eidi. 1917. Evan. — Soprannome di Bacco a lui dato dalla parola Evan,
che
le Baccanti ripetevano nella celebrazione delle s
irono sempre ritenendolo come un uomo caro agli dei. Narra la cronaca
che
Evandro, accolse nella sua casa Ercole, senza sap
a la cronaca che Evandro, accolse nella sua casa Ercole, senza sapere
che
era figlio di Giove : ma appena venne in conoscen
o. Presso gli scrittori dell’antichità, è quasi generale l’opinione,
che
Evandro avesse portato in Italia il culto delle d
che Evandro avesse portato in Italia il culto delle divinità greche ;
che
avesse istituito i sacerdoti Sali, ed i Lupercali
tà greche ; che avesse istituito i sacerdoti Sali, ed i Lupercali ; e
che
avesse edificato, sul monte Palatino, un tempio a
come dea dell’agricoltura. Virgilio, nella sua Eneide, ha immaginato
che
Evandro vivesse ancora ai tempi di Enea, che foss
ua Eneide, ha immaginato che Evandro vivesse ancora ai tempi di Enea,
che
fosse a lui legato coi vincoli della parentela, e
tempi di Enea, che fosse a lui legato coi vincoli della parentela, e
che
lo aiutasse colle sue soldatesche. E non fia il
gli avea beneficati. Vi sono anzi alcuni scrittori i quali pretendono
che
Evandro, fosse la stessa divinità adorata in Ital
ro, fosse la stessa divinità adorata in Italia col nome di Saturno, e
che
sotto il regno di lui fiorisse quel periodo di te
, i quali lo invocavano ogni giorno all’ora del tramonto. Il suo nome
che
significa che vive felicemente deriva da due paro
nvocavano ogni giorno all’ora del tramonto. Il suo nome che significa
che
vive felicemente deriva da due parole greche Ev e
parole greche Ev e ημερα giorni felici. 1921. Evio — Narra la cronaca
che
allorquando Bacco combattè nella guerra dei gigan
lla guerra dei giganti a fianco di suo padre Giove, questi nel vedere
che
il figliuolo aveva ucciso un gigante, avesse grid
impresse tutte dello stesso carattere. La prima Evocazione era quella
che
si praticava per chiamare gli dei, quando si cred
oclo ed a Orfeo stesso. In essi si conteneva una specie di preghiera,
che
avea potere di far discendere gli dei, nel luogo
la Roma antica, evocò anch’egli di sovente il fulmine e Tullo Ostilio
che
succedette a Numa nel governo, volle fare anche e
e, incenerito egli stesso. La seconda specie di Evocazione era quella
che
i pagani praticavano per evocare gli dei tutelari
che i pagani praticavano per evocare gli dei tutelari. Dice Macrobio,
che
quando i romani cingevano d’assedio una città, av
are l’evocazione degli dei tutelari, cantando alcune strofe, senza di
che
credevano impossibile impadronirsi della città ne
credevano impossibile impadronirsi della città nemica ; e ritenevano
che
quand’anche avessero potuto rendersi padroni dell
llora il Dittatore uscito fuori, avendo preso gli augurü, e comandato
che
i soldati pigliassero le armi, disse : O Apollo P
one regina, la quale al presente abiti questa città, prego parimente,
che
tu seguiti noi vincitori nella nostra, e tosto tu
Lib. V. trad. di F. Nardi. Finalmente la terza Evocazione era quella
che
si faceva per evocare le anime dei morti, ed era
autori profani ritengono Orfeo come l’inventore di questa cerimonia,
che
aveva un ordinamento lugubre e solenne. Ai tempi
nuta come colpevole ed odiosa e vi era non piccolo numero di persone,
che
facevano pubblica professione di evocare i defunt
’evocazione ; Poi degli estinti le debili teste Pregai, promisi lor,
che
nel mio tetto, Entrato con la nave in porto appen
dell’armento fiore, Lor sacrificherei, di dono il rogo Riempiendo ; e
che
al sol Tiresia, e a parte. Immolerei nerissimo ar
le ombre dagli eroi e dagli dei stessi del paganesimo, altro non sono
che
altrettante cerimonie in cui si praticava cotesta
cui si praticava cotesta evocazione dei defunti. 1923. Evoè. — Grido
che
ripetevano le baccanti nelle feste del loro dio.
tte Fabariae, le calende di giugno. 1925. Fabiani. — Nome particolare
che
si dava dai Romani, ai sacerdoti del dio Pane, de
i, e l’altro dei Fabiani. 1926. Fabio. — Uno dei figliuoli di Ercole,
che
egli ebbe da una figlia del re Evandro, per nome
Al dire di Festo, egli chiamavasi da principio Fovio dal latino Fovea
che
significa fossa, perchè, secondo la tradizione, g
cole e di Vinduna, avvennero in una fossa. Altri scrittori pretendono
che
questo primitivo nome di Fovio, gli venisse per e
numerose e ghiotte vivande. La parola Fagesie deriva dal greco φαγειυ
che
significa mangiare. 1929. Faggio. — Albero consac
ie. 1930. Fagutale. — Soprannome di Giove Dodoneo dalla parola fagus,
che
significa, colui che abita nel faggio. I responsi
Soprannome di Giove Dodoneo dalla parola fagus, che significa, colui
che
abita nel faggio. I responsi dell’oracolo che Gio
s, che significa, colui che abita nel faggio. I responsi dell’oracolo
che
Giove aveva in Dodona, uscivano dalla cavità di u
a dà questo nome alla cignala madre del famoso cignale di Calidone, e
che
desolò per più tempo le circostanze del borgo di
e l’uccise. Secondo riferisce Plutarco, Faja fu il nome di una donna,
che
vivea di prostituzione, di assassinio e di furto.
i costumi. 1932. Falce. — Questo strumento era l’attributo principale
che
i pagani davano a Saturno ossia il tempo ; volend
avano a Saturno ossia il tempo ; volendo così caratterizzare il tempo
che
tronca e miete ogni cosa. 1933. Fallsio. — Così a
cide. La tradizione mitologica narra di lui uno strano fatto, dicendo
che
egli aveva male gli occhi in così triste modo, ch
ano fatto, dicendo che egli aveva male gli occhi in così triste modo,
che
era quasi interamente cieco. Un giorno il dio di
ggellata, con ordine di aprirla e leggerla. Falisio credette da prima
che
la donna volesse prendersi giuoco di lui, insulta
si giuoco di lui, insultando, per basso animo, alla dolorosa sventura
che
lo avea colpito ; ma sentendo poscia da Anite, ch
dolorosa sventura che lo avea colpito ; ma sentendo poscia da Anite,
che
ella non faceva se non se ubbidire al comandament
e gettandovi sopra gli sguardi si trovò così miracolosamente guarito
che
potè leggere da capo a fondo il contenuto di quel
culapio, e rimandò Anite con un dono di duemila monete d’oro, secondo
che
era scritto nella lettera di cui ella era stata p
ce. 1934. Falliche. — Venivano così nominate alcune feste e cerimonie
che
si celebravano nella città di Atene, in onore di
ere indicato il mezzo onde far cessare il flagello. L’oracolo rispose
che
quella era conseguenza dello sdegno di Bacco, irr
acolo sul modo di placare l’oltraggiata divinità, si ebbe in risposta
che
dovevano ricevere Bacco nella loro città con sole
sperse membra di Osiride e le rinchiuse in un’ urna : ma accorgendosi
che
non aveva potuto trovare tutte le membra, fece da
i artefici, copiare in cera e in altre materie quelle parti del corpo
che
mancavano allo amato cadavere. Qualche cosa di si
ste dette Falliche — V. Falliche. 1936. Fallolori. — Nome collettivo,
che
si dava ai ministri delle orgie di Bacco per dino
collettivo, che si dava ai ministri delle orgie di Bacco per dinotare
che
essi portavano il fatto nella processione che si
e di Bacco per dinotare che essi portavano il fatto nella processione
che
si faceva durante le cerimonie falliche. I Fallol
figlia della terra, e sorella dei giganti Encelado e Ceo, e ci ripete
che
la terra, irritata contro gli dei che nella guerr
nti Encelado e Ceo, e ci ripete che la terra, irritata contro gli dei
che
nella guerra coi giganti, avevano distrutti tutti
s’avanza ; e sopra terra Sen va movendo e sormontando a l’aura, Tanto
che
’l capo infra le nubi asconde, Dicon che già la n
sormontando a l’aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde, Dicon
che
già la nostra madre antica, Per la ruina de’ giga
sorella : Mostro orribile e grande, e d’ali presta E veloce de’ piè :
che
quante ha piume, Tanti ha sott’occhi vigitanti, e
tetti, e per le torri Sen va de le città, spïando tutto Che si vede e
che
s’ode : e seminando, Non men che ’l bene e ’l ver
e città, spïando tutto Che si vede e che s’ode : e seminando, Non men
che
’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor e
lle malattie, ai travagli, alla povertà, e a tutti i mali della vita,
che
similmente essi personificavano ed adoravano, sup
esta particolare denominazione gli antichi chiamavano quelle persone,
che
dimoravano nei templi, e durante la preghiera cad
pide, d’Iside e in quasi tutti i tempi delle altre divinità. Del pari
che
presso di noi, presso gli antichi, il nome di fan
nte superstiziosa e cattiva. 1940. Faneo. — Dalla parola greca φανειν
che
significa illuminare, si dava questo nome ad Apol
ca illuminare, si dava questo nome ad Apollo nel significato di colui
che
dà la luce. Vi era anche un promontorio nell’isol
ale si dava lo stesso nome, e di dove narra la tradizione mitologica,
che
Latona avesse visto l’isola di Delo. 1941. Fano.
tona avesse visto l’isola di Delo. 1941. Fano. — Dio dei viaggiatori,
che
presiedeva anche all’anno. Riferisce Macrobio nel
anche all’anno. Riferisce Macrobio nelle sue cronache dell’antichità,
che
i Fenici rappresentavano il dio Fano, sotto la fi
Assai di sovente si trova ripetuto nei fasti della mitologia pagana,
che
gli dei formavano spesso dei fantasmi per salvare
er ingannare gli uomini. Così Giunone per salvare Turno re dei Rutoli
che
si esponeva con troppo audace coraggio nella batt
i dette a precipitosa fuga, e Turno lo inseguì fino su di un vascello
che
si trovava nel porto. Allora per volere della dea
di simili fantastiche apparizioni. 1943. Fantaso. — Uno dei tre sogni
che
la tradizione mitologica fa figliuoli del Sonno.
a figliuoli del Sonno. Il suo nome gli veniva dai differenti fantasmi
che
forma l’immaginazione durante il sonno. Al dire d
lebre per la sua straordinaria bellezza. I poeti della favola finsero
che
Venere lo avesse fatto così sorprendentemente bel
fatto così sorprendentemente belio, per ricompensarlo di un servigio
che
egli le aveva reso nel tempo che era padrone di u
io, per ricompensarlo di un servigio che egli le aveva reso nel tempo
che
era padrone di una nave. Narra la tradizione, che
veva reso nel tempo che era padrone di una nave. Narra la tradizione,
che
Venere, un giorno, trasformata in vecchia, fosse
il corpo, diventò di una bellezza simile a quello di un dio, per modo
che
tutte le donne di Mitilene furono pazze di lui.
……… Eccolo : ei sembra Il forte, il bello, la natura e l’arte : Par
che
sien fusi in quelle svelte membra Adone e Marte.
dutamente innammoratasene, non potè piegarlo alle sue voglie, permodo
che
, disperata si precipitò nel mare dall’altezza del
o fu con la disgraziata poetessa ; imperocchè la tradizione ci ripete
che
, colto in adulterio, morì ucciso dall’oltraggiato
era una città conosciuta sotto questo nome, e celebre per un oracolo
che
la dea Vesta e Mercurio, avevano nella piazza mag
uolo al quale dette il nome di Faside. La cronaca mitologica racconta
che
divenuto adulto, avendo sorpresa la madre in adul
’onore paterno. Le Furie impossessatesi di lui lo straziarono in modo
che
si precipitò nel fiume Arturo, il quale da quel g
e particolare davano gli antichi a quella necessità di un avvenimento
che
nulla poteva impedire e che veniva attribuito al
ichi a quella necessità di un avvenimento che nulla poteva impedire e
che
veniva attribuito al destino. I pagani accagionav
giche, nonchè gli scrittori più accreditati concordano sulla opinione
che
fra i greci si ritenesse come certa ed immutabile
one che fra i greci si ritenesse come certa ed immutabile la credenza
che
la caduta di Troja, andava collegata al compiment
à Priamea. La prima di codeste fatalità, era quella la quale imponeva
che
i greci non si sarebbero mai impossati di Troja,
le altre, nasceva da una antica tradizione secondo la quale era detto
che
Apollo e Nettuno, occupati a fabbricare le mura d
Pirro, sebbene ancora fanciullo. In secondo luogo, la fatalità voleva
che
per la caduta di Troja fossero adoperate le frecc
e le frecce di Ercole, le quali erano rimaste in potere di Filottete,
che
era stato dai greci abbandonato nell’isola di Lem
. La terza fatalità, e la più grave ed importante di tutte era quella
che
voleva si togliesse ai Trojani il Palladio, che e
e di tutte era quella che voleva si togliesse ai Trojani il Palladio,
che
essi custodivano accuratamente nel tempio di Pall
odivano accuratamente nel tempio di Pallade Minerva. Narra la cronaca
che
Ulisse e Diomede avessero trovato il mezzo d’intr
lle pericoli fossero riusciuti ad involare questo pegno di sicurezza,
che
i trojani custo livano con ogni solerzia. Bisogna
solerzia. Bisognava inoltre al compimento dell’estremo fato di Troja,
che
i cavalli di Reso re di Tracia, non avessero bevu
famosi destieri li condussero seco loro. In quinto luogo era mestieri
che
Troilo, figlio di Priamo fosse morto in combattim
di Priamo fosse morto in combattimento, e il sepolcro di Laomedonte,
che
sorgeva vicino alla porta Scea, fosse stato abbat
i Laomedonte, allorchè fecero nelle mura della loro città una breccia
che
dette passaggio al famoso cavallo di legno. Final
passaggio al famoso cavallo di legno. Finalmente il destino imponeva
che
Troja non poteva essere presa senza che nelle fil
inalmente il destino imponeva che Troja non poteva essere presa senza
che
nelle file dell’esercito greco avesse combattuto
, figliuola del re Priamo. Eppure il destino inevitabile fece in modo
che
Teleso ferito in un combattimento abbandonò il ca
ile dei greci. In cotal guisa ebbero compimento tutte quelle fatalità
che
il destino imponeva alla finale caduta della citt
è stata quella fra tutte le altre del mondo conosciuto dagli antichi,
che
è cosiata più sangue. 1950. Fatidica — Ossia indo
più sangue. 1950. Fatidica — Ossia indovina dalla parola latina fatum
che
significa destino, si dava questo nome particolar
va questo nome particolare ad una indovina chiamata Fauna come quella
che
annunziava i decreti del destino, e prediceva l’a
sservando il volo degli uccelli. 1951. Fatua — Soprannome particolare
che
i pagani davano alle mogli degli dei campestri in
ea. V. Buone Dea. 1952. Fatuel — Al dire di Servio era questo il nome
che
si dava ad un Fauno, Il quale più sovente dei suo
enire, e dava persino degli oracoli. 1953. Faviani — Nome particolare
che
i romani davano a taluni giovani, i quali nei sac
one è attribuita a Romolo e Remo. 1954. Favola — È questo il vocabolo
che
si dà generalmente ad una narrazione, ed in parti
gli antichi poi si dava il nome di favola, a tutti quei singoli fatti
che
avevano relazione con la religione pagana, coi su
di esso. Lo studio dell’antichità pagana è tutto composto di favole,
che
rinchiudono l’idea del simbolo mitologico e che s
o composto di favole, che rinchiudono l’idea del simbolo mitologico e
che
sono suddivise, secondo la gran maggioranza degli
di molte finzioni. Queste favole sono in gran maggioranza come quelle
che
hanno per sobbietto principale gli dei maggiori,
nzione è tutta dovuta all’immaginazione dei poeti ; ed altro non sono
che
una specie di parabole, sotto al cui velo traspar
e i costumi. Favole allegoriche si chiamava quella specie di parabole
che
nascondeva sotto ad un precetto un senso mistico
nso mistico e configurato. Favole miste finalmente si dicevano quelle
che
non avendo in se stesse alcun che di storico, fac
miste finalmente si dicevano quelle che non avendo in se stesse alcun
che
di storico, facevano ciò non ostante diretta e li
ne alla fisica ed alla morale. 1955. Favore — Dalla voce latina Favor
che
in quella lingua è di genere mascolino, come nell
uesto, uno dei loro dei. Secondo Lilio Giraldi, ch’è uno dei cronisti
che
si è addentrato nei più remoti recessi dell’antic
ei delitti. Veniva raffigurato cieco e con le ali, forse per dinotare
che
non riconosce i suoi amici quando s’innalza. 1956
a quale, secondo la tradizione, era di una tale scrupolosa pudicizia,
che
non guardò in viso altro uomo che suo marito. Era
a di una tale scrupolosa pudicizia, che non guardò in viso altro uomo
che
suo marito. Era la stessa che sotto il nome di Bu
izia, che non guardò in viso altro uomo che suo marito. Era la stessa
che
sotto il nome di Buona Dea prediceva l’avvenire a
eva neanche alle donne, quando talune di esse la interrogava per cosa
che
riguardasse un uomo. 1958. Faunali — Presso i pag
i svenava una pecora. 1959. Fauni — Dei campestri, figliuoli di Fauno
che
ebbe per padre Pico. Ovidio li chiama Fauni bicor
i viene confuso con Saturno, forse perchè in alcuni cronisti si trova
che
Fauno a somiglianza di Saturno avesse introdotto
acoli in un vasto bosco prossimo alla fontana Albunea. Dice Virgilio,
che
l’oracolo di Fauno richiamava moltissima gente no
tta l’Italia. Al dire del citato scrittore, allorquando il sacerdote,
che
custodiva quell’oracolo, aveva sacrificato le vit
per terra e vi si coricava sopra durante la notte. Per tutto il tempo
che
durava il suo sonno si credeva fermamente che egl
tte. Per tutto il tempo che durava il suo sonno si credeva fermamente
che
egli s’intrattenesse cogli dei. …… È questa selv
l’Inferi Virgilio — Eneide — Libro VII. Trad. di A. Caro. Tutto ciò
che
egli diceva al suo svegliarsi era ritenuto dai pa
dio Fauno. Presso i romani questo dio aveva un culto simile a quello
che
i greci avevano per il dio Pane. 1961. Faustolo —
o Pane. 1961. Faustolo — Ci ammaestra la tradizione storico-favolosa,
che
così aveva nome il capo dei pastori di Numitore,
dei pastori di Numitore, re della città di Alba. Narrano le cronache,
che
avendo un giorno osservato un uccello che col cib
Alba. Narrano le cronache, che avendo un giorno osservato un uccello
che
col cibo nel becco volava sempre presso una data
due bambini allattati da una lupa. Sorpreso da tale fatto, e convinto
che
era quella una rivelazione divina, portò con se i
e infanti erano Romolo e Remo, i celeberrimi fondatori di Roma, ond’è
che
Faustolo, ebbe dopo la morte, una statua nel temp
1962. Feacidi — Al dire di Omero così aveva nome il popolo primitivo
che
abitò l’isola di Corcira, ora Corfù. Secondo il c
ittore, esso viveva nel lusso e nella mollezza, non di altro occupato
che
di feste, conviti e banchetti. Ulisse onde metter
d’Itaca, e narra la tradizione, alla quale si rapporta Omero stesso,
che
Ulisse fosse trasportato sul vascello durante il
stesso, che Ulisse fosse trasportato sul vascello durante il sonno, e
che
così addormentato avesse fatto il tragitto senza
Omero — Odissea — Libro XIII. trad. di I. Pindemonte. Però Nettuno,
che
odiava Ulisse, sdegnato contro i Feacidi, per ave
dei quali suo padre gli aveva fatto rivelazione, ed in cui era detto
che
Nettuno odiava i Feacidi per essere questi dei ce
che Nettuno odiava i Feacidi per essere questi dei celebri piloti, e
che
perciò mostravano di poco curarsi di lui, come di
fatto perire fra le acque, uno dei loro migliori vascelli, nel giorno
che
avrebbe fatto ritorno nel porto, dopo aver lascia
no nel porto, dopo aver lasciato un mortale nella sua patria. Se non
che
Alcinoo a ragionar tra loro Prese in tal foggia :
colto io mi veggo. Qual dubbio v’ha ? Dai vaticinj antichi Del padre,
che
dicca, come sdegnato Nettun fosse con noi, perchè
sse con noi, perchè securo Riconduciam su l’acque ogni mortale. Dicea
che
insigne de’ Feaci nave, Dagli altrui nel redire a
colo, dopo le esortazioni di Alcinoo, i Feacidi ne ebbero in risposta
che
per placare lo sdegno di Nettuno, bisognava offri
a offrirgli un sacrifizio di dodici tori, e promettere con giuramento
che
non avrebbero più nell’avvenire ricondotto alcun
mento che non avrebbero più nell’avvenire ricondotto alcun forestiere
che
fosse approdato nella loro isola. E così fu fatto
osse approdato nella loro isola. E così fu fatto. 1963. Febade — Nome
che
si dava in generale a tutti i sacerdoti del tempi
ti del tempio di Apollo in Delfo, ed in particolare alla sacerdotessa
che
presiedeva a quello. 1964. Feba ed Ilaria — Così
inazione, sia come sorella di Apollo o Febo ; sia per voler intendere
che
la Luna riceve la luce dal Sole. La sorella di ’S
che la Luna riceve la luce dal Sole. La sorella di ’Saturno e di Rea
che
fu madre di Latona, chiamavasi anche Febe. 1966.
ne ad Apollo come dio della Luce e forse per alludere anche al calore
che
emana dal Sole e che dà la vita a tutte le cose.
della Luce e forse per alludere anche al calore che emana dal Sole e
che
dà la vita a tutte le cose. In greco le parole φω
τδ βιου significano : lume della vita. L’opinione più generale però è
che
Apollo si chiamasse Febo da Febea o Febe sua avol
ingevano sotto la figura dì una donna vestita di una tunica succinta,
che
lasciava scoperto sino al ginocchio ; avendo nell
ese di febbraio delle espiazioni chiamate Febbrua dalla parola latina
che
significa purificazione. 1968. Februa o Februata
orata in Roma, sotto questa denominazione. Altri scrittori pretendono
che
la dea fosse così soprannominata, perchè sollevav
nnominata, perchè sollevava le partorienti. Altri finalmente vogliono
che
Giunone venisse così detta dal mese di febbraio,
imonie Februali, avevano la durata di dodici giorni ; elasso di tempo
che
si occupava ordinariamente per tutte le specie di
cupava ordinariamente per tutte le specie di espiazioni, sia private,
che
pubbliche. 1970. Februo — Discorde è l’opinione d
rittori della favola, su questa divinità ; imperocchè, Macrobio, dice
che
era un dio particolare, che presiedeva alle purif
sta divinità ; imperocchè, Macrobio, dice che era un dio particolare,
che
presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende
io particolare, che presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende
che
fosse lo stesso che Plutone, al quale venivano an
presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende che fosse lo stesso
che
Plutone, al quale venivano anche offerti dei sacr
a opinione è avvalorata dalle cronache di Cedreno, il quale ci ripete
che
la parola Februus, in lingua etrusca significa ch
il quale ci ripete che la parola Februus, in lingua etrusca significa
che
sta nell’inferno, la qual cosa, come si vede, si
ri della religione pagana, i quali erano una specie di araldi d’arme,
che
intimavano la guerra, e dichiaravano la pace, è d
, dichiarava apertamente la guerra. 1973. Fecondità — Divinità romana
che
viene sovente confusa con la dea Tellure, che non
ndità — Divinità romana che viene sovente confusa con la dea Tellure,
che
non è altro se non la Terra. Le donne romane invo
anto oscena altrettanto ridicola. Narrano le cronache dell’antichità,
che
quando le donne si recavano nel tempio della dea,
mbe. 1974. Fede — Vedi Fedelta’. 1975. Fedeltà — In latino fides, dea
che
presiedeva al giuramento delle promesse ed alla i
l’altra, essendo questo uccello il simbolo della fedeltà, per la fede
che
porta alla sua compagna. 1976. Fedra — Così aveva
anna e di Deucalione, e moglie di Teseo re di Atene. Narra la cronaca
che
Teseo aveva avuto da una prima moglie un figliuol
così fattamente la fiamma colpevole nel seno della disgraziata donna,
che
temendo di dover ritornare in Atene, e di restar
, fece Fedra ogni sforzo per vincere da principio la funesta passione
che
le si era accesa nel sangue, ma non riuscì che a
io la funesta passione che le si era accesa nel sangue, ma non riuscì
che
a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggen
cesa nel sangue, ma non riuscì che a renderla vieppiù ardente e tanto
che
non reggendo al fuoco che la divorava, decise di
uscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggendo al fuoco
che
la divorava, decise di darsi la morte. ……… Poi c
reggendo al fuoco che la divorava, decise di darsi la morte. ……… Poi
che
ferita M’ebbe amor, divisai com’io potessi Soffri
ndo confidato alla sua nutrice Oenone, il suo colpevole amore, questa
che
amava ciecamente la sua padrona prese impegno con
le effetto, palesò con accorte e seducenti parole ad Ippolito l’amore
che
bruciava il sangue della matrigna per lui. Ma ave
in faccia al mondo ed al marito, la sua riputazione. Narra la cronaca
che
ella, disperata si appiccasse, dopo aver scritta
e, dopo aver scritta una lettera a Teseo, nella quale gli manifestava
che
tentata nell’onore dal figliastro Ippolito, ella
lle più antiche tradizioni della favola, aggiunge a questo proposito,
che
vicino alla sepoltura di Fedra in Trezene, sorgev
ne, sorgeva un albero di mitro, le cui foglie erano tutte bucate ; ma
che
quell’ albero non fosse così di sua natura, e che
o tutte bucate ; ma che quell’ albero non fosse così di sua natura, e
che
Fedra nel tempo in cui la sua funesta passione la
bero, bucandone le foglie con uno spillo, assorta nell’unico pensiero
che
le travagliava la mente. 1977. Fegoneo. — Soprann
a mente. 1977. Fegoneo. — Soprannome particolare del Giove di Dodona,
che
a lui veniva dalla credenza che avevano i pagani
nome particolare del Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza
che
avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del
Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza che avevano i pagani
che
egli abitasse nel tronco del faggio che rendeva g
credenza che avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del faggio
che
rendeva gli oracoli di Dodona. La parola Fegoneo
ndeva gli oracoli di Dodona. La parola Fegoneo deriva dal greco φηγος
che
significa fuggio. 1978. Felicità. — I greci e i r
ta, la quale fu la prima Pitia, o sacerdotessa dell’oracolo di Delfo,
che
rispose alle interrogazioni in versi esametri. 19
esametri. 1980. Feniee. — Uccello favoloso del colore della porpora,
che
gli antichi credevano unico della sua specie, e d
i occhi scintillanti come due stelle. Gli Egizi ritenevano per fermo,
che
quando l’uccello Fenice si sentiva prossimo a mor
orire, formava da se stesso un nido di legna aromatiche e di gomma, e
che
coricatosi in quello, si consumava ai raggi del s
consumava ai raggi del sole. Dalle midolle, ritenevano gli egiziani,
che
nascesse un verme da cui poi formavasi un’altra F
poi formavasi un’altra Fenice. L’opinione generale dei naturalisti è
che
l’uccello Fenice nasce nei deserti dell’Arabia ed
resso gli scrittori dell’antichità, è concorde ed unanime l’opinione,
che
fa contare a quattro sole le apparizioni di quest
a introduzione di questa nostra opera, gioverà grandemente far notare
che
molti padri della chiesa cristiana, come S. Tertu
oggio a quanto noi esponemmo nello studio preliminare sulla mitologia
che
precede questa nostra opera. L’opinione dell’esis
gata alla morte. Fenice fu anche il nome di un flume nella Tessaglia,
che
univa le sue acque a quelle del fiume Asopo. Feni
o un figliuolo di Amintore, re dei Dolopi, in Epiro. Narra la cronaca
che
Fenice per soddisfare il giusto risentimento di s
usse nella città di Ftia, della quale era re Peleo, padre di Achille,
che
lo accolse con ogni cortese amorevolezza e lo fec
— Iliade — Libro IX trad. di V. Monti. Da quel tempo un’amicizia più
che
fraterna, legò il riconoscente animo di Fenice, a
si ; Son io divino Achille, io mi son quegli Che ti crebbe qual sei,
che
caramente T’amai ; …… Omero — Iliade — Libro IX
e T’amai ; …… Omero — Iliade — Libro IX trad. di V. Monti. e tanto
che
lo accompagnò perfino all’assedio di Troja e fu u
accompagnò perfino all’assedio di Troja e fu uno degli ambasciatori,
che
, al dire di Omero, il quale chiama Fenice l’amico
i V. Monti. Agamennone inviò ad Achille onde placarne l’ira funesta,
che
infiniti addusse lutti agli Achei. Allorquando Ac
e per lui lo stesso paterno amore, e la stessa inalterabile amicizia,
che
aveva avuta per Achille. Finalmente, caduta Troia
gli dei della sua nazione. Alcune cronache dell’antichità, pretendono
che
questo Fenice fosse l’inventore delle lettere e d
e questo Fenice fosse l’inventore delle lettere e della scrittura ; e
che
avesse trovato il mezzo di servirsi di un piccolo
isce Pausania, i Lacedemoni riconoscevano due sole Grazie, fra le dee
che
essi adoravano, una chiamata Fenna, dalla parola
dee che essi adoravano, una chiamata Fenna, dalla parola greca δαωεω
che
significa, risplendente ; e l’altra Clita, dal vo
ω che significa, risplendente ; e l’altra Clita, dal vocabolo ϰλειτες
che
significa tenebre. 1982. Fennide. — Così avea nom
edire l’avvenire e dopo la sua morte, riferisce il cennato scrittore,
che
fu fatta una raccolta di tutte le predizioni di l
3. Ferali. — Presso i romani, così avevano nome alcune feste funebri,
che
essi celebravano una volta l’anno, e propriamente
te la notte si intesero delle grida per la strade di Roma, e fu detto
che
le anime dei morti si agirassero per le vie della
bri. Secondo alcuni scrittori la parola Ferali deriva dal latino Fero
che
significa portare, perchè durante la cerimonia si
onia si portava un desinare sulle sepolture. Altri pretendono invece,
che
quel vocabolo venga da Fera ossia Crudele, essend
ga da Fera ossia Crudele, essendo questo il soprannome qualificativo,
che
gli antichi romani davano alla morte. 1984. Feref
chi romani davano alla morte. 1984. Ferefatta. — Soprannome primitivo
che
si dava a Proserpina, sotto il quale si celebrava
polo. Gli abitanti di Smirne innalzarono alla dea fortuna una statua,
che
aveva il polo sulla testa e un cornucopia fra le
l dire di Pindaro, fu dato questo nome alla dea fortuna, per dinotare
che
ella governa e sostiene il mondo. 1986. Feretrio.
so i romani un tal soprannome a Giove, come vincitore dei loro nemici
che
aveva abbattuti col terrore. Altri scrittori pret
o nemici che aveva abbattuti col terrore. Altri scrittori pretendono,
che
si desse questo epiteto al padre degli dei, perch
omani chiamavano con questo nome alcuni particolari giorni dell’anno,
che
erano consacrati agli dei ; e durante i quali si
articolo seguente menzione delle così dette Ferie latine, come quelle
che
hanno un carattere particolare nelle credenze rel
alla quale prese il suo nome particolare. Credevano i pagani, secondo
che
riferisce Strabone, che coloro i quali erano poss
nome particolare. Credevano i pagani, secondo che riferisce Strabone,
che
coloro i quali erano posseduti dallo spirito di q
sta dea camminavano sui carboni accesi senza soffrire. Orazio ripete,
che
aveva prestato omaggio e devozione alla dea Feron
one alla dea Feronia, lavandosi il volto e le mani nella fonte sacra,
che
scorreva presso il tempio di lei. Una cronaca all
so il tempio di lei. Una cronaca alla quale si rapporta Ovidio, narra
che
avendo una volta il fuoco consumato un bosco sacr
abitanti vollero trasportare in altro luogo la statua della dea ; ma
che
al momento in cui si accingevano al trasporto, fu
to il simulacro di lei dove si trovava. Finalmante Virgilio riferisce
che
la dea Feronia si deliziava di vivere nei boschi.
eliziava di vivere nei boschi. Molti scrittori dell’antichità credono
che
Feronia sia la stessa che Giunome vergine. 1900.
chi. Molti scrittori dell’antichità credono che Feronia sia la stessa
che
Giunome vergine. 1900. Ferro. — Fu l’ultima delle
insegnò agli uomini a conservare il fuoco nel gambo di questa pianta,
che
per naturale conformazione, puo, ritenerlo acceso
esserne divorata. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache della favola,
che
Bacco, che fu uno dei più famosi legislatori dell
orata. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache della favola, che Bacco,
che
fu uno dei più famosi legislatori dell’ antichità
ori dell’ antichità avesse proibito ai primitivi abitanti della terra
che
servirono del vino come bevanda, di far uso di al
endersi scambievolmente coi bastoni di cui erano armati ; e allora fu
che
il dio legislatore, impose loro di servirsi sola
toria — Dea del riposo : veniva particolarmente onorata dai guerrieri
che
la invocavano dopo le fatiche del campo. 1994. Fe
ed innumerevoli erano le feste, i giuochi pubblici, le cerimonie ecc.
che
erano in vigore presso i popoli della antichità f
i. Questi ultimi particolarmente avevano tante e si moltiplici feste,
che
non v’era quasi giorno dell’anno, in cui non ne r
titamente delle principali feste e cerimonie del paganesimo, a misura
che
l’ordine alfabetico che noi seguitiamo nella espo
li feste e cerimonie del paganesimo, a misura che l’ordine alfabetico
che
noi seguitiamo nella esposizione di questa nostra
mene. Le cronache della favola ne fanno tutte menzione, come di colui
che
si rese celebre per la sua famosa caduta, la cui
nte avendo avuto una contesa con Epafo, questi lo insultò, dicendogli
che
egli non era, come se ne dava vanto, figliuolo de
to gli era avvenuto, e lo supplicò a non negargli una grazia speciale
che
avrebbegli domandata. Il Sole, trasportato d’affe
Il Sole, trasportato d’affetto pel figliuolo suo, giuro per lo Stige,
che
non gli avrebbe nulla negato, e allora l’audace g
egar giammai. Fetonte. Ch’un ramo tu non Sia dell’arbor mio. Per quel
che
mostran l’animo e la fronte. Che ti scopron figli
ed ho pronte Le voglie ad empir meglio il tuo desio : Chiedi pur quel
che
più t’aggrada e giova. Che di questo vedrai più c
cchè i cavalli riconoscendo di non essere governati dalla solita mano
che
li guidava, si sviarono dal loro ordinario cammin
arsa fino nelle viscere profonde, e sentendo insopportabile il dolore
che
le dilaniava i fianchi fecondi, portò a Giove i s
aniava i fianchi fecondi, portò a Giove i suoi lamenti, supplicandolo
che
la liberasse da tanta rovina ; L’alma gran Terra
l’arsa fronte, e mentre Vuol dir, trema e si move, e gir si lassa Più
che
star non solea, terrena e bassa. Ovidio — Metamo
emente col nome di Fetontee e di Eliadi, erano le sorelle di Fetonte,
che
furono cangiate in pioppi per aver pianto troppo
tte le circonda. E toglie a loro il volto e le parole : Il pianto no,
che
più che main’abbonda L’arbor ch’or sol col lagrim
irconda. E toglie a loro il volto e le parole : Il pianto no, che più
che
main’abbonda L’arbor ch’or sol col lagrimar si do
e del Sole, e della ninfa Neerea. Esse erano le custodi delle mandre,
che
il loro immortale genitore possedeva in Sicilia —
ome di queste due immortali ha qualche cosa del linguaggio simbolico,
che
rivestiva generalmente il nome stesso delle diffe
stesso delle differenti deità della favola : infatti Fetusa, secondo
che
riferiscono le cronache mitologiche alludeva allo
, della quale le cronache mitologiche raccontano un curioso accidente
che
ci rivela, a somiglianza di molti altri, la fecon
ci rivela, a somiglianza di molti altri, la fecondità d’immaginativa
che
avevano i pagani per tutto ciò che si collegava a
altri, la fecondità d’immaginativa che avevano i pagani per tutto ciò
che
si collegava alle loro religiose credenze. È scri
er tutto ciò che si collegava alle loro religiose credenze. È scritto
che
i parieggiani del tiranno Pisistrato, volendo che
credenze. È scritto che i parieggiani del tiranno Pisistrato, volendo
che
gli ateniesi lo avessero riconosciuto come loro r
iuto come loro re, avessero rivestito la bella Fia degli stessi abiti
che
aveva Minerva nel maggior tempio di quella città
stessi abiti che aveva Minerva nel maggior tempio di quella città ; e
che
facendola salire su di un carro, riuscirono a far
facendola salire su di un carro, riuscirono a far credere al popolo,
che
la stessa dea conduceva Pisistrato al governo di
uceva Pisistrato al governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare
che
si dava al dio della fedeltà, per il quale si pre
il giuramento dicendo : Me Dius Fidius. Pretendono alcuni scrittori,
che
il dio Fidio altro non fosse Giove, considerato c
e, considerato come vendicatore dei falsi giuramenti : altri vogliono
che
sia Ercole figliuolo di Giove. Come che sia il di
i giuramenti : altri vogliono che sia Ercole figliuolo di Giove. Come
che
sia il dio Fidio aveva molti templi in Roma ed er
tc. Furono in secondo luogo ritenuti come figliuoli degli dei, coloro
che
si illustrarono nelle arti stesse, esercitate da
te da qualche nume come Orfeo, Lino ed altri moltissimi. Tutti coloro
che
si distinsero per gloriose azioni, o fatti memora
piuti sul mare, furono rig uardati come figliuoli di Nettuno ; quelli
che
si illustrarono in guerra per invitto coraggio, e
ti coloro la cui origine era sconosciuta, così per esempio, i giganti
che
dettero la scalata al cielo, i mostri etc. Sarà f
stri etc. Sarà facile intendere come il tenebroso potere sacerdotale,
che
in tutte le epoche, ha sempre cercato di tener sc
denze, facendo passare come figliuoli degli dei, tutti quei fanciulli
che
la sfrenata libidine sacerdotale, aveva dalle don
uei fanciulli che la sfrenata libidine sacerdotale, aveva dalle donne
che
i ministri della divinità subornavano nei templi
a, all’empio e tenebroso potere dei ministri della divinità, per modo
che
la tradizione mitologica, ci ammaestra del vero a
e la tradizione mitologica, ci ammaestra del vero allorquando ci dice
che
tutte le volte che un principe aveva ragione di n
ologica, ci ammaestra del vero allorquando ci dice che tutte le volte
che
un principe aveva ragione di nascondere un qualch
ne di nascondere un qualche scandaloso commercio, faceva sparger voce
che
un dio era il padre di quel frutto della colpa :
c. ecc. Così il maggior numero dei sovrani, degli eroi, dei principi,
che
sono stati deificati per mezzo dell’apoteosi, dop
dina, Deverra, Rumia ed altre. 2003. Fila. — Dalla parola greca φιλεω
che
significa amare, si dava dai pagani codesta denom
oli della ninfa Acadallide e di Apollo. La tradizione mitologica dice
che
essi furono allattati da una capra, la quale esse
ica tradizione alla quale si rapportano le cronache di Pausania, dice
che
questo era il nome d’un cittadino di Delfo, il qu
posto sul trono del padre suo, perchè volle opporsi alla ingiustizia
che
Augia voleva usare ad Ercole, con negargli la ric
rico mitologiche, narrano di questi due fratelli un’eroica avventura,
che
ad essi costò la vita, ma valse a dimostrare l’im
ura, che ad essi costò la vita, ma valse a dimostrare l’immenso amore
che
essi portavano a Cartagine loro patria. Fra gli a
ni ; e onde non sparger sangue, fu dopo lunghe discussioni, stabilito
che
si sarebbero scelte due persone di ciascuna città
ovuto partire contemporaneamente, facendo il giro per opposta via ; e
che
quel punto ov’esse si sarebbero incontrate, avreb
to il limite dei rispettivi confini. Accettatasi la proposta, avvenne
che
i fratelli Fileni che rappresentavano gli interes
ttivi confini. Accettatasi la proposta, avvenne che i fratelli Fileni
che
rappresentavano gli interessi dei Cartaginesi, s’
ui loro passi. Ma gli eroici fratelli, ricusarono recisamente, per lo
che
furono dai Cirenesi che erano più forti, uccisi d
oici fratelli, ricusarono recisamente, per lo che furono dai Cirenesi
che
erano più forti, uccisi dell’orribile morte. I Ca
. Filira. — Figlia dell’Oceano. La tradizione mitologica narra di lei
che
Saturno l’amò passionatamente ; e che per sottrar
dizione mitologica narra di lei che Saturno l’amò passionatamente ; e
che
per sottrarsi alle gelose investigazioni di sua m
i di sua moglie Rea, prendeva la figura di un cavallo, tutte le volte
che
si recava presso la bella Filira. Ciò per altro n
e la gelosia di Rea, la quale un giorno sorprese i due amanti, per il
che
Saturno si dette a fuggire rapidadamente, facendo
ne dei Pelagi, ove, dopo qualche tempo, dette alla luce un figliuolo,
che
poi fu il famoso Chirone, Centauro. Il dolore per
l mondo un mostro, metà uomo e metà cavallo, la ferì così crudelmente
che
supplicò notte e giorno gli dei, di toglierle la
icò notte e giorno gli dei, di toglierle la sua umana natura ; per lo
che
mossi a compassione i numi, la cangiarono in un a
. Ma la maggioranza delle opinioni, la ripete figlia di Sitone e dice
che
ella non aveva l’età di venti anni, quando per la
o per la morte del padre fu fatta regina. Un’antica tradizione, narra
che
Demofoonte, re d’Atene, gettato da una tempesta s
suo regno ; e onde calmare il dolore disperato di Fillide, le promise
che
dopo un mese sarebbe a lei ritornato. Ma trascors
o, una lettera piena di rimproveri, nella quale gli diceva terminando
che
si sarebbe di sua mano uccisa nel modo più crudel
a regina mori, fu chiamato, le nove strade, in ricordanza della corsa
che
la povera Fillide aveva fatto per nove volte ; e
el sepolcro di Fillide. La tradizione allegoria della favola aggiunge
che
gli dei mossi a compassione del triste fato di Fi
ro di mandorlo, perchè in greco la parola ιλλα significa mandorlo ; e
che
Demofoonte approdando qualche tempo dopo su quell
tempo dopo su quella spiaggia, vide improvvisamente florire l’albero,
che
cresceva sulla quella riva fatale ; quasi che la
mente florire l’albero, che cresceva sulla quella riva fatale ; quasi
che
la povera Fillide fosse anche dopo la morte sensi
vera Fillide fosse anche dopo la morte sensibile alla prova d’affetto
che
le dava il suo amante. Igino nelle sue cronache d
e antichità, non tiene parola di tale metamorfosi, ma riferisce solo,
che
alcuni alberi di mandorlo, che crescevano sul sep
i tale metamorfosi, ma riferisce solo, che alcuni alberi di mandorlo,
che
crescevano sul sepolcro dell’innammorata regina,
one dell’anno, avevano le foglie inumidite, come se fossero bagnate e
che
quell’umore altro non era se non le lagrime della
ta, la quale fu da Ercole resa madre di un bambino. Narra la cronaca,
che
Alcimedonte, severo custode dell’onore della fami
montagna detta Ostracina, nelle circostanze della città di Figalia, e
che
quivi una gazza sentendo continuamente gridare il
esse imparato a contraffarne la voce con tale incredibile perfezione,
che
un giorno passando Ercole per di là, sentendo la
le dette il nome di Fare. 2015. Filodoce. — Così aveva nome una ninfa
che
apparteneva al seguito di Cirene, madre di Ariste
i Tracia, sposato Progne, la più giovanetta delle due sorelle, questa
che
amava teneramente Filomena, non potendo vivere lo
mente Filomena, non potendo vivere lontana da lei, ottenne dal marito
che
egli stesso sarebbe andato in Atene, onde avere d
gli stesso sarebbe andato in Atene, onde avere da Pandione, la grazia
che
Filomena sarebbe andata a vivere in Tracia, press
asi il suo animo paterno fosse stato presago dell’amarissima sventura
che
minacciava la cara giovanetta. Pure, amorosissimo
are i sanguinosi rimproveri di lei, e le contumelie e gli oltraggi di
che
l’eroica giovanetta lo ricolmava, le fece tagliar
fettuosa anima di Progne, fu colpita dal più profondo dolore, e tanto
che
passò lunghi giorni a piangere, rinchiusa nelle s
rani di Tereo, i quali la custodivano con vigilante solerzia, e tanto
che
passò un anno intero, senza che ella avesse potut
ivano con vigilante solerzia, e tanto che passò un anno intero, senza
che
ella avesse potuto informare l’amorosa sorella, d
attentato di Tereo, e la triste sua situazione, e si adoperò in modo
che
quella tela, capitò nelle mani di Progne ; la qua
vendetta. Infatti, giovandosi della ricorrenza di una festa a Bacco,
che
si celebrava nella Tracia, con grande solennità,
re le membra, le quali la sera ella stessa fece ser vire al banchetto
che
il marito dava in occasione della festa di Bacco.
rono alla volta di Atene, su di un vascello all’uopo preparato, prima
che
Tereo avesse potuto raggiungerle. Al dire di Paus
ssimi ricordi ; e ciò diede motivo alla cronaca favolosa di ripetere,
che
Filomena fosse stata cangiata in usignuolo e Prog
di questo avvenimento una delle sue più belle Metamorfosi. E mentre
che
per l’aria anch’ei s’affretta. E si sostien per n
icato, e l’ira. Nel più propinquo bosco entra, e s’asconde, La Greca,
che
restò senza favella : La lingua oggi ha sputata,
to ancor vergogua e cura E non osa albergar dentro alle mura. Progne,
che
diede alla vendetta effetto, E fu d’ogni altro er
gica fa menzione di una figlia di Craugaso così chiamata, aggiungendo
che
ella fosse stata colpita dalla stessa sventura ch
amata, aggiungendo che ella fosse stata colpita dalla stessa sventura
che
colpì nel fiore degli anni la disgraziata Fedra.
ura che colpì nel fiore degli anni la disgraziata Fedra. V. Fedra ; e
che
pazzamente innammorata di un suo figliastro per n
ola di Nittimo e della ninfa Arcadia. Narra la tradizione mitologica,
che
Filonome, accompagnando un giorno Diana alla cacc
a veduta dal dio Marte, il quale s’invaghi così violentemente di lei,
che
sotto le spoglie di un pastore la piegò alle sue
ono le sue famose frecce, facendogli prima promettere con giuramento,
che
non avrebbe mai palesato ad anima viva il luogo o
mpo dalla morte di Ercole, i greci i quali avean saputo dall’oracolo,
che
nel destino di Troja era scritto, che essi non si
uali avean saputo dall’oracolo, che nel destino di Troja era scritto,
che
essi non si sarebbero impadroniti della città, se
n una orribile piaga da cui esalava un insopportabile puzzo, per modo
che
i greci temendo che egli non, fosse stata causa d
da cui esalava un insopportabile puzzo, per modo che i greci temendo
che
egli non, fosse stata causa d’infettazione, lo ab
uonavano vuote ed inutili. Una caverna gli servì di rifugio ; l’acqua
che
scaturiva dal fondo di essa, valse a dissetarlo,
scaturiva dal fondo di essa, valse a dissetarlo, e le frecce istesse
che
aveano richiamato sul suo capo l’ira degli dei, s
re di Filottete, i destini della città non potevano compirsi ; ond’ è
che
Ulisse, sebbene si sapesse mortalmente odiato da
. ………Ivi Esculapio Risanator della ferita in breve Ti manderò. Fato é
che
Troja in somma Ricada ancor per l’armi mie. Sofo
, s’imbarcò alla volta della Calabria in compagnia di alcuni Tessali,
che
lo avevano seguito da Troja, e aiutato da questi,
questi, fondò in quella contrada la città di Petilia. Fu in Calabria
che
egli combattè il celebre duello col re Adrasto di
es douleurs : Fénélon — Télémaque — Livre XV. Omero dice finalmente
che
Filottete fosse stato uno degli Argonauti ; e a p
to uno degli Argonauti ; e a proposito della sua famosa ferita ripete
che
questa non fu cagionata dalla freccia, ma sibbene
a di Borea e di Oritia, chiamata Cleobola, e secondo altri Cleopatra,
che
lo rese padre di due figliuoli Pandione e Plesipp
in odio i suoi figliastri e per liberarsene li accusò a Fineo dicendo
che
essi avevano attentato al pudore di lei. Fineo pe
il quale fu sottoposto da Borea suo avo all’istesso crudele supplizio
che
egli aveva fatto subire ai suoi innocenti figliuo
i aveva fatto subire ai suoi innocenti figliuoli. La cronaca aggiunge
che
gli dei non soddisfatti del supplizio che avevano
liuoli. La cronaca aggiunge che gli dei non soddisfatti del supplizio
che
avevano imposto a Fineo, lo dettero in preda alle
Fineo, lo dettero in preda alle arpie, le quali infettavano tutto ciò
che
si apprestava sulla mensa di Fineo facendogli per
a. Diodoro nelle cronache dell’ antichità aggiunge a questo proposito
che
Ercole il quale, come vedemmo, faceva parte della
Fineo la grazia di porre in libertà i suoi sventurati figliuoli ; ma
che
quegli avesse recisamente negato di condiscendere
recisamente negato di condiscendere alla preghiera dell’eroe, per il
che
sdegnato Ercole liberò a viva forza Pandione e Pl
ore della contrada d’Elide visse una giovanetta chiamata in tal modo,
che
fu amata da Bacco e resa da lui madre di un figli
dei solenni sacrifizi a Bacco suo padre, nei quali si cantava un coro
che
fu per lungo tempo chiamato il coro di Fiscoa, pe
, divinizzato dopo la morte. La tradizione ce lo presenta come quello
che
accolse in sua casa Cerere, allorquando questa de
pianta, il cui prezioso frutto non era servito, prima di quella epoca
che
al banchetto degl’immortali. 2024. Flumi — Quasi
o fiumi ; e specialmente in Grecia ed in tutto l’ Italia non vi erano
che
ben pochi templi, nei quali oltre al simulacro de
e ed esteso in tutte le città e le borgate dell’Egitto, il fiume Nilo
che
era uno dei più venerati numi della loro religion
ù venerati numi della loro religione ; a motivo degl’immensi vantaggi
che
essi ricevevano dalle acque di quel fiume. Gli Sc
l fiume Peneo ; i Lacedemoni adoravano l’Eurota in virtù di una legge
che
imponeva siffatto culto ; e finalmente gli Atenie
capelli lunghi e generalmente incollati alle tempie, quasi a dinotare
che
fossero bagnati e appoggiati ad un’ urna da cui s
he fossero bagnati e appoggiati ad un’ urna da cui scaturisce l’acqua
che
forma il flume. Da ultimo aggiungeremo che nelle
da cui scaturisce l’acqua che forma il flume. Da ultimo aggiungeremo
che
nelle cronache dell’antichità, ve n’è qualcuna se
le cronache dell’antichità, ve n’è qualcuna secondo la quale parrebbe
che
i pagani avessero fatta una distinzione nella con
configurazione generale dei fiumi ; e avessero rappresentato i fiumi
che
sboccano immediatamente nel mare, sotto la figura
diatamente nel mare, sotto la figura di altrettanti vecchi ; e quelli
che
metton foce in altri fiumi, li avessero rappresen
isti più accreditati. 2025. Fiumi dello inferno. — I pagani credevano
che
cinque fiumi scorressero nell’inferno, ai quali t
lo Stige, Noi ricidemmo il cerchio all’altra riva Sovra una fonte,
che
bolle, e riversa Per un fossato che da lei diriva
o all’altra riva Sovra una fonte, che bolle, e riversa Per un fossato
che
da lei diriva. L’acqua era buia molto più che per
riversa Per un fossato che da lei diriva. L’acqua era buia molto più
che
persa : E noi in compagnia dell’ onde bige. Entra
stro, ove si trova Flegetonte e Letè, chè dell’ un taci, E l’altro di
che
si fa d’esta piova ? In tutte tue question certo
iaci, Rispose ; ma ’l bollor dell’ acqua rossa Dovea ben solver l’una
che
tu faci. Letè vedrai, ma fuor di questa fossa. Là
zione dal popolo. La dignità di Flamine era a perpetuità, vale a dire
che
essa durava quanto la vita dell’ individuo ; però
ssi poteva essere rimosso dal suo grado per alcune date ragioni ; ciò
che
si diceva, con frase speciale : Flaminio abire, c
della divinità a cui erano consacrati. anche quello dello imperatore
che
li avevano istituiti. Così la storia romana ci ri
i un Flamine, istituito dall’ imperatore Commodo, in oncre di Ercole,
che
fu detto Flamen Herculaneus Comodianus. Però ques
nus. Però questo sacerdote fu abolito dopo la morte dell’ imperatore,
che
lo aveva creato e ciò a testimonianza dell’ odio
che lo aveva creato e ciò a testimonianza dell’ odio e del disprezzo
che
i romani ebbero per lui. Similmente troviamo la i
petto universale. Egli andava sottomesso ad alcune leggi particolari,
che
lo distinguevano dagli altri sacerdoti. 2028. Fla
a Siringa. V . Siringa. 2030. Flegetonte. — Dalla parola greca φλεγω
che
significa ardere, si dava questo nome ad un fiume
ω che significa ardere, si dava questo nome ad un fiume dell’ inferno
che
secondo la tradizione, circondava d’un triplo cer
di Fiumi Dell’Inferno. ….. e sotto un’ alta rupe Vide un’ampia città
che
tre gironi Avea di mura, ed un di fiume intorno :
o. 2031. Flegia. — Re della Beozia e propriamente di quella contrada
che
dal suo nome fu detta Flegiade. La tradizione mit
e di una giovanetta per nome Crisa figliuola di Almo. Flegia non ebbe
che
una sola figlia chiamata Coronide la quale fu sed
e che una sola figlia chiamata Coronide la quale fu sedotta da Apollo
che
la rese madre di Esculapio. V . Coronide. La cro
la rese madre di Esculapio. V . Coronide. La cronaca favolosa ripete
che
Flegia per vendicare l’ingiuria fattagli da Apoll
ro, dove Flegia è condannato a rimanere eternamente sotto ad una rupe
che
minaccia di cadergli da un momento all’altro sul
questa volta : Più non ci avrai, se non passando tl loto. Quale colui
che
grande inganno ascolta Che gli sia fatto, e poi s
felicissimo Va tra l’ombre gridando ad alta voce : Imparate da me voi
che
mirate La pena mia. Non violate il giusto. Riveri
to : il nome di un popolo composto tutto di uomini arditi e valorosi,
che
Flegia aveva riuniti da tutte le parti della Grec
ti della Grecia e condotti seco ad abitare quella parte della Beozia,
che
dal nome di lui fu detta Flegia — vedi l’articolo
e. — Al dire di Pausania furono questi popoli e non il loro re Flegia
che
incendiarono e saccheggiarono il tempio di Apollo
da continui terremoti, dalla peste, e finalmente dal fuoco del cielo
che
piovve sopra di loro. Un moderno scrittore è di a
del cielo che piovve sopra di loro. Un moderno scrittore è di avviso
che
a questi popoli Flegiani, e con loro a tutti gli
he a questi popoli Flegiani, e con loro a tutti gli empi e sacrileghi
che
le cronache dell’ antichità, ci presentano come d
i presentano come dannati nel Tartaro, siano rivolte le famose parole
che
Flegia, ripete fra i tormenti, allora che dice, s
no rivolte le famose parole che Flegia, ripete fra i tormenti, allora
che
dice, secondo Virgilio :Imparale dal mio esempio
arale dal mio esempio a non disprezzare gli dei. È per altro a notare
che
questo passo del classico scrittore, si trova con
a questo il nome di una dei cavalli del Sole e propriamente di quello
che
presiedeva all’ ora del mezzogiorno. 2034. Flora.
all’ ora del mezzogiorno. 2034. Flora. — Ninfa delle isole Fortunate
che
i greci chiamarono Clori ed i latini Flora. L’all
. L’allegoria mitologica rivestita del suo poetico ammanto, ci rivela
che
Zeffiro attratto dalla risplendente bellezza di F
igore presso i Sabini, molti anni prima della fondazione di Roma ; lo
che
ci dimostra che la dea Flora è una più antiche di
abini, molti anni prima della fondazione di Roma ; lo che ci dimostra
che
la dea Flora è una più antiche divinità del pagan
sta dea una leggiera confusione, la quale emerge unicamente dal fatto
che
riporteremo qui appresso. Una cortigiana il cui p
emo qui appresso. Una cortigiana il cui primitivo nome era Larenzia e
che
poi si fece chiamare Flora, aveva guadagnato un’
ricompensa la mise fra le sue numerose divinità. Fu questa la ragione
che
fece confonderla spesso coll’antica dea Flora, in
la Flora, e dei quali si prevaleva annulmente la spesa dalle sostanze
che
la cortegiana aveva lasciato a Roma. Poi coll’and
paro i giuochi istituiti in onore della dea Flora. Varrone asserisce
che
sotto il regno di Romolo furono istituiti questi
elle sibille ne riordinarono la celebrazione. Le cronache c’insegnano
che
non fu se non all’ anno 580 di Roma che fu fissat
ione. Le cronache c’insegnano che non fu se non all’ anno 580 di Roma
che
fu fissato annualmente la celebrazione di queste
nte la celebrazione di queste cerimonie in occasione di una sterilità
che
durò lungo tempo e produsse gravissimi danni. Il
durò lungo tempo e produsse gravissimi danni. Il Senato ordinò allora
che
si celebrassero ogni anno i giuochi Florali alla
facevano durante la notte a lume delle torcie in un vastissimo circo
che
stava sulla strada patrizia. Al dire di Giovenale
tà ed infami dissolutezze, riunendosi al suono di una tromba le pubbl
che
cortegiane e le meretrici più abbiette, le quali
de davano al popolo il più abbominevole spettacolo. Narra la cronaca,
che
essendo una volta intervenuto ai giuochi Florali,
enissimo spettacolo. Favonio amico di Catone, lo avverti del riguardo
che
avevano per lui i suoi concittadini, ond’egli per
, si ritrasse sollecitamente. 2036. Fluonia. — Soprannome di Giunone,
che
veniva a lei dato dalle buone cure che si credeva
onia. — Soprannome di Giunone, che veniva a lei dato dalle buone cure
che
si credeva fermamente prestasse alle partorite. 2
prestasse alle partorite. 2037. Fobetore. — Dalla parola greca φοβεω
che
significa atterrisco, si dava questo nome ad uno
εω che significa atterrisco, si dava questo nome ad uno dei tre Sogni
che
la favola fa figliuoli del Sonno. I pagani credev
i che la favola fa figliuoli del Sonno. I pagani credevano fermamente
che
Fobetore fosse quello, che atterriva e spaventava
i del Sonno. I pagani credevano fermamente che Fobetore fosse quello,
che
atterriva e spaventava, presentandosi nei sogni s
terriva e spaventava, presentandosi nei sogni sotto tutti gli aspetti
che
ispirano il terrore. 2038. Fobo. — Dea della paur
9. Foco. — Figlio di Eaco e della Nereide Pfammate. Narra la cronaca,
che
Eaco aveva avuto da una sua prima moglie due altr
a matrigna erano in continua dissenzione fra loro. Avvenne un giorno,
che
Foco giuocando con Telamone e Peleo al giuoco del
one nel lanciare la sua, ferì così gravemente al capo il piccolo Foco
che
l’uccise sul colpo. Eaco, loro genitore, informat
i dei suoi figliuoli, vide nell’ accaduto, più un perfido assassinio,
che
una dolorosa combinazione, mandò in perpetuo band
infa Melia e del dio Sileno. Le cronache della favola narrano di lui,
che
allorquando Ercole dette la caccia al famoso cing
cena. Durante il banchetto, avendo voluto Ercole assaggiare del vino
che
era di proprietà di altri centauri, questi si opp
ni e di pietre ; ma l’eroe ne uccise molti a colpi di clava, per modo
che
gli altri intimoriti si dettero alla fuga. Folo f
lienza, onorò Folo di splendidi funerali e lo seppelli sulla montagna
che
da lui prese il nome di Foloe. 2041. Fontinali. —
celebravano nel mese di ottobre alcune feste così chiamate, dall’ uso
che
essi avevano di gettare in quel giorno nelle pubb
fontane delle ghirlande di fiori, di cui poi coronavano i fanciulli,
che
prendevano parte alla festa. 2042. Forbante. — Uo
di un forte stuolo dei suoi seguaci, costringeva tutti i passaggieri
che
transitavano per la via principale, che conduceva
stringeva tutti i passaggieri che transitavano per la via principale,
che
conduceva a Delfo, a battersi con lui al pugillat
vinti li faceva morire fra i tormenti. La tradizione mitologica dice,
che
Apollo sdegnato contro questo masnadiere, assunse
la parte mitologico-favolosa. La parte storica di questa allegoria, è
che
Forco era un re della Corsica, il quale sconfitto
il quale sconfitto in un combattimento navale da Atlante, morì senza
che
si potesse trovare il suo cadavere. Da ciò i paga
che si potesse trovare il suo cadavere. Da ciò i pagani immaginarono
che
fosse stato cangiato in dio marino. 2044. Forculo
ono che fosse stato cangiato in dio marino. 2044. Forculo. — Divinità
che
presiedeva alla custodia delle porte e propriamen
la gancio in latino sì dice fores. 2045. Fordicali. — Pubbliche feste
che
si celebravano in Roma il 15 aprile di ogni anno,
ilio. 2046. Formiche. — Gli antichi popoli della Tessaglia, credevano
che
essi avessero tratta la la loro origine da quest’
uale per una malattia d’occhi perdette la vista. La tradizione ripete
che
egli dovette la sua guarigione ad Ercole Eritreo.
a una divinità ed avevano in suo onore consacrata una pubblica festa,
che
si celebrava annualmente dodici giorni prima dell
storica ce lo presenta come figlio d’ Inaco, re di Argo, e come colui
che
avesse insegnato agli abitanti del suo paese, a v
olci, laddove prima traevano vita di selvaggi. Egli edificò una città
che
dal suo nome fu detta Foronica. Fin qui la storia
2051. Fortuna. — Tra le divinità del paganesimo, la Fortuna fu quella
che
si ebbe il culto più esteso e generalizzato, e il
individuali e particolari su questa dea. In fatti, Pausania asserisce
che
nella città di Egina, vi era una statua della For
vicino un Cupido alato, per significare, secondo il citato scrittore,
che
in amore val più la fortuna che l’ aspetto. Pinda
ificare, secondo il citato scrittore, che in amore val più la fortuna
che
l’ aspetto. Pindaro invece, fa della Fortuna, una
sulla testa. Nella città di Tebe si venerava una statua della Fortuna
che
la rappresentava conducente per mano Plutone fanc
la rappresentava conducente per mano Plutone fanciullo, per dinotare
che
la fortuna è arbitra del dio delle ricchezze. Vi
on un sole sulla testa e tal’ altra con una mezza luna, per esprimere
che
essa al paro di questi due pianeti, regola e pres
che essa al paro di questi due pianeti, regola e presiede a tutto ciò
che
accade sulla terra. Col suo braccio sinistro cing
suo braccio sinistro cinge due corni dell’abbondanza, per dimostrare
che
essa è la dispensatrice dei beni del mondo, e app
mondo, e appoggia la mano destra sul timone di una nave, per spiegare
che
essa governa tutto l’ universo e che impera egual
timone di una nave, per spiegare che essa governa tutto l’ universo e
che
impera egualmente, con assoluto e dispotico poter
piede al tuo soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia di Giove, e
che
germana al Falo Sovra il trono immortale A lui mi
esso i romani, era stato trasmesso dai greci ; e il primo dei sovrani
che
adoro questa dea, fu Servio Tullio, che le fece i
reci ; e il primo dei sovrani che adoro questa dea, fu Servio Tullio,
che
le fece inalzare un magnifico tempio nel mercato
io nel mercato di Roma ; e la tradizione aggiunge a questo proposito,
che
la colossale statua in legno che Servio Tullio av
dizione aggiunge a questo proposito, che la colossale statua in legno
che
Servio Tullio aveva fatto porre nel tempio, fosse
o aveva fatto porre nel tempio, fosse rimasta intatta da un incendio,
che
distrusse quel monumento pochi anni dopo la sua c
questa dea, erano del pari infiniti e svariati i nomi ed i soprannomi
che
i pagani le davano. Così tutte le tradizioni dell
gani accompagnavano la veneratissima dea, quaute volte si rifletterà,
che
essi la consideravano come le dispensatrice supre
tto nomi differenti e moltiplici, secondo i diversi bisogni di coloro
che
la invocavano. Il più famoso tempio della Fortuna
loro che la invocavano. Il più famoso tempio della Fortuna, fu quello
che
le venne fabbricato nella città di Preneste, il q
o che le venne fabbricato nella città di Preneste, il quale aveva più
che
di tempio, la forma e la configurazione di un vas
n onore di questa dea un tempio fabbricato tutto di una certa pietra,
che
aveva la durezza e la bianchezza del marmo, e fin
une, chiamato propriamente il tempio delle sorelle Anziatine. O dea,
che
in Anzio a te diletta hai sede, Pronta a inalzare
generalizzata fra i più rinomati scrittori e mitologi dell’antichità,
che
le freccie di Apollo altro non erano se non i rag
aggi del sole ; cosicchè quando la tradizione della favola ci ricorda
che
i figliuoli di Niobe fossero uccisi da Diana e da
anta parte del campo greco, al tempo dello assedio di Troja, si disse
che
Apollo sdegnato contro i greci che non volevano l
o dello assedio di Troja, si disse che Apollo sdegnato contro i greci
che
non volevano lasciar libera la figlia di Crise, s
. Monti. È nota similmente la tradizione mitologica, la quale ripete
che
dalle acque del diluvio di Deucalione e propriame
el diluvio di Deucalione e propriamente dalla fermentazione del fango
che
quelle lasciarono sulla terra, fosse nato il Pito
lle lasciarono sulla terra, fosse nato il Pitone, mostruoso serpente,
che
Apollo uccise a colpi di freccia. L’ arco, che s
, mostruoso serpente, che Apollo uccise a colpi di freccia. L’ arco,
che
solo in cervi, in capri e in dame Dal biondo dio
tro crudel tutto era armato : E cosi Febo quella ingorda fame Spense,
che
il mondo avria tutto ingoiato ; Ed ucciso che l’
la ingorda fame Spense, che il mondo avria tutto ingoiato ; Ed ucciso
che
l’ ebbe, si disperse. E come prima in terra si co
erna, bagnò le sue freccie nel sangue avvelenato del mostro, per modo
che
le ferite fatte con quelle armi, erano incurabili
ccise il Centauro Nesso, e furono similmente queste le famose freccie
che
Ercole legò a Filottete. V. Fatalita’ di Troja e
isso, senonchè la loro madre Calciope li sottrasse alla funesta sorte
che
li attendeva e li fece passare in Grecia. V. Élle
2057. Fruttessea. — Più comunemente Fruttifera e Fruttifea, divinità
che
presiedeva alle frutta e che i pagani invocavano
nemente Fruttifera e Fruttifea, divinità che presiedeva alle frutta e
che
i pagani invocavano per ottenere un largo raccolt
per ottenere un largo raccolto. 2058. Fulgora. — Nome della divinità
che
presiedeva ai lampi ed ai luoni ; e che non deve
ulgora. — Nome della divinità che presiedeva ai lampi ed ai luoni ; e
che
non deve confondersi con l’ appellativo di Fulgur
adrone dei fulmini. Fra gli scrittori dell’antichità, Seneca è quello
che
fa menzione della dea Fulgora, dicendo che essa e
antichità, Seneca è quello che fa menzione della dea Fulgora, dicendo
che
essa era una dea vedova. A ciò solo si limitano l
el citato scrittore. 2059. Fulmine. — La tradizione favolosa racconta
che
essendo stato Cielo, padre di Saturno, liberato d
tano i Ciclopi come i fabbricanti dei fulmini ; e Virgilio ci ripete,
che
ogni fulmine conteneva tre raggi di grandine, tre
ombo e i lampi terribili, coi quali si rivelava la collera di Giove e
che
produceva un invincibile terrore nel petto dei mo
lmine, era il contrassegno della suprema autorità ed è appunto perciò
che
nel tempio di Diana in Efeso, Alessandro, il conq
l celebre Apelle con un fulmine nella destra, volendo così dimostrare
che
al suo potere nulla resisteva. Il fulmine di Giov
usania, la principale divinità dell’ antica Seleucia, era il fulmine,
che
veniva onorato con un culto particolare. Al dire
fulmini ; e solo Stazio, fra gli scrittori dell’ antichità, asserisce
che
la Giunone di Argo aveva lo stesso potere. Presso
edicato generalmente a Giove. Plinio nella sua storia naturale, dice,
che
era per fino proibito di abbruciare il cadavere d
proibito di abbruciare il cadavere di un uomo colpito dal fulmine, ma
che
bisognava seppellirlo tal quale esso lo aveva las
gnava seppellirlo tal quale esso lo aveva lasciato. Faremo qui notare
che
questa antica tradizione religiosa, riferita da P
nio, non avesse dovuto restare in vigore ai tempi di Euripide, da poi
che
quest’ ultimo scrittore ne istruisce, come essend
della terra. Essendo il fuoco il più nobile degli elementi, e quello
che
racchiude in se l’ immagine più fedele del Sole,
el Sole, così tutte le nazioni si accordarono nel venerarlo. I Caldei
che
sono i più antichi fra i primitivi popoli della t
cune ore del giorno, a fare le sue preghiere innanzi ad un gran fuoco
che
ardeva continuamente. I patrizi e per sino le dam
novello signore. Comune ed estesissima era la credenza dei persiani,
che
il fuoco fosse stato portato dal cielo e posto su
co fosse stato portato dal cielo e posto suil’altare nel primo tempio
che
Zoroastro innalzò nella città di Xis nella Media
innalzò nella città di Xis nella Media ; ed era tanta la venerazione
che
quei popoli avevano per il fuoco, che non osavano
a ; ed era tanta la venerazione che quei popoli avevano per il fuoco,
che
non osavano neppure di guardarlo fissamente, e ri
e non osavano neppure di guardarlo fissamente, e ritenevano per fermo
che
la sacra fiamma ardesse di per sè e senza aliment
impostura dei loro sacerdoti, era comune alla Grecia, ove si credeva
che
nel tempio, che Minerva aveva nella città di Aten
oro sacerdoti, era comune alla Grecia, ove si credeva che nel tempio,
che
Minerva aveva nella città di Atene, ardesse conti
n parte, venendo per fino onorato con ogni specie di riguardo, quello
che
si preparava per consumare le vittime. La tradizi
he si preparava per consumare le vittime. La tradizione favolosa dice
che
Prometeo fosse quello che rubò il fuoco sacro dal
are le vittime. La tradizione favolosa dice che Prometeo fosse quello
che
rubò il fuoco sacro dal cielo, e lo dette in dono
in dono agli uomini. Diodoro, nelle sue cronache dell’antich tà, dice
che
fu un re d’Egitto, per nome Vulcano, quello che i
dell’antich tà, dice che fu un re d’Egitto, per nome Vulcano, quello
che
insegnò agli uomini il modo di servirsi del fuoco
l modo di servirsi del fuoco. Da ciò l’ allegoria del mito simbolico,
che
fa Vulcano dio del fuoco. 2062. Fuochi di Castore
fone, Megèra ed Aletto. Questa è Megera dal sinistro canto : Quella,
che
piange dal destro, è Aletto : Tesifone è nel mezz
o : Tesifone è nel mezzo : Dante — Inferno — Canto IX. Appellazioni
che
rispon lono nel nostro idioma alle parole Rabbia,
idioma alle parole Rabbia, Strage ed Invidia ; qualificazioni tutte,
che
si addicono perfettamente a queste terribili divi
e ministre dell’ ira dei numi, ciascuno assegnando loro quei genitori
che
parve meglio convenissero al loro carattere ed al
Saturno ; sebbene in altre opere del citato scrittore egli asserisca
che
esse erano figliuo’e della Discordia e nate nel q
lotti. Apollodoro asserisce esser nate le furie nel mare, dal sangue
che
grondò dalla ferita che Saturno fece a Cielo, suo
isce esser nate le furie nel mare, dal sangue che grondò dalla ferita
che
Saturno fece a Cielo, suo padre. Al dire di Sofoc
te di riposo, perseguitandoli continuamente con spaventevoli visioni,
che
facevano di sovente perdere il senno a quegli sci
tres LXVII a Émilie : sur la Mythologie. Moltiplici sono gli esempi,
che
gli scrittori dell’ antichità ci riportano delle
pi, che gli scrittori dell’ antichità ci riportano delle persecuzioni
che
le Furie facevano subire ai colpevoli ; così Staz
dalle Furie mandate da Giunone per vendicare Atamante ; nonchè quello
che
ebbe a soffrire Ifide per la Furia suscitatale co
mille modi dalle Furie vendicatrici del suo matricidio. Non è strano
che
divinità cotanto terribili venissero dalla pagana
di cui erano armate. In fatti secondo asserisce Euripide, il rispetto
che
i pagani avevano per le Furie, era cosi grande ch
ipide, il rispetto che i pagani avevano per le Furie, era cosi grande
che
non osavano nemmeno di nominarle nè di alzar gli
zar gli occhi sui templi ov’esse venivano venerate. Sofocle asserisce
che
il ricoverarsi in un bosco consacrato alle Furie,
o templi ed altari consacrati alle Furie, e presso i Sicioni, secondo
che
riferisce Pausania, si faceva ogni anno la loro f
te corone e ghirlande di fiori, e specialmente di narcisi, credendosi
che
questo fosse il fiore più ad esse gradito. Nella
conservavano, con grande venerazione, delle piccole statue di legno,
che
le rappresentavano. La tradizione mitologica ripe
ue di legno, che le rappresentavano. La tradizione mitologica ripete,
che
questo tempio delle Furie in Corina, era così fat
he questo tempio delle Furie in Corina, era così fatale ai colpevoli,
che
appena essi entravano in quel temuto recinto, ven
no in quel temuto recinto, venivano assaliti da una specie di furore,
che
faceva loro perdere la ragione. Un altro non men
re da Oreste, quando le Furie cessarono di tormentarlo ; e fu in esso
che
il celebre oratore Demostene, fu per un dato spaz
di tempo ministro e sacerdote di queste implacabili divinità, secondo
che
egli stesso asserisce. Tutti coloro che si presen
implacabili divinità, secondo che egli stesso asserisce. Tutti coloro
che
si presentavano al tribunale dell’ Areopago, dove
ovevano prima di entrare in quello, giurare sull’ altare delle Furie,
che
erano pronti a rivelare il vero sul fatto, pel qu
hiamati in giudizio. Le tradizioni dell’antichità, ci rivelano ancora
che
Oreste, avesse innalzato alle Furie altri due tem
e l’ altro là dove gli si erano mostrate meno avverse. Nei sacrifizi
che
si facevano alle Furie veniva loro offerto il nar
tore e delle pecore. Eschilo fu il primo, fra i poeti dell’antichità,
che
fece comparire sul teatro, nella sua tragedia int
parato, e fu tale l’ impressione di orrore prodotto negli spettatori,
che
la tradizione ripete che molte donne si sconciaro
essione di orrore prodotto negli spettatori, che la tradizione ripete
che
molte donne si sconciarono, e molti fanciulli mor
rtali Le cuse entrando. Una simil genia Non vidi io mai : terra non è
che
possa Di nudrir cotal razza impunemente Senza dol
inni — Eumenidi — Nemesi ecc. ecc. 2064. Furina. — Divinità dei ladri
che
presso i romani veniva onorata con una pubblica f
resso i romani veniva onorata con una pubblica festa detta Furinalia,
che
si celebrava il sesto giorno precedente alle cale
torica, fu ucciso Cajo Gracco. La parola furina deriva dal latino Fur
che
significa ladro. Si trova talvolta negli scrittor
e fremente in tutto il corpo per tremito rabbioso. I pagani credevano
che
in tempo di guerra il Furore spezzasse le sue cat
ta circondata di raggi. È opinione di molti scrittori dell’antichità,
che
questa divinità sia la stessa che quella conosciu
di molti scrittori dell’antichità, che questa divinità sia la stessa
che
quella conosciuta sotto la denominazione di Elaga
(oggi Cadice) si dava questo soprannome ad Ercole perchè si riteneva
che
fosse in quel punto ch’ egli avesse innalzate le
tide. — Schiava di Alcmena. La tradizione ricorda a proposito di lei,
che
essendo la sua padrona tormentata dai dolori del
alantide fosse uscita per breve tempo dal palazzo della sua signora e
che
nel rientrare premurosamente in quello, avesse os
vecchia donna immobile in un atteggiamento assai strano. Sospettando
che
quella vecchia fosse la stessa Giunone, che per g
assai strano. Sospettando che quella vecchia fosse la stessa Giunone,
che
per gelosia contro Alcmena le ritardasse il parto
cino alla vecchia, dicendole, con i controsegni della più viva gioia,
che
la sua padrona si era sgravata. All’ annunzio ina
a gola. Al dire di Eliano, i Tebani adoravano quell’animale, credendo
che
avesse sollevata Alcmena dagli atroci dolori del
delle dee, allude ad un errore reso popolare dall’ ignoranza, da poi
che
la Donnola porta quasi sempre in bocca i suoi pic
elle numerosissime ninfe Oceanidi. 2073. Galassia. — Nome particolare
che
i greci davano a quella lunga zona, bianchiccia e
colare che i greci davano a quella lunga zona, bianchiccia e luminosa
che
i moderni astronomi han chiamata Via lattea. Dice
luminosa che i moderni astronomi han chiamata Via lattea. Dice Ovidio
che
per questa via si andava al palazzo di Giove ; ed
r questa via si andava al palazzo di Giove ; ed era anche per questa,
che
gli eroi avevano accesso in cielo. Al dire del ci
gli dei più potenti. Una splendida via nel ciel riluce : Candida si,
che
del latte s’ appella : La nobiltà del ciel vi si
— Lib. I. trad. di Dell’ Anguillara. La tradizione mitologica, dice,
che
la via lattea fosse stata formata dalle goccie di
donato in un campo. Il pargolo atleta succhiò con tanta forza il seno
che
gli veniva offerto, che il latte cadde da quella
argolo atleta succhiò con tanta forza il seno che gli veniva offerto,
che
il latte cadde da quella in gran copia, macchiand
egrinaggio di S. Jacopo nella città di Galizia : da ciò la confusione
che
abitualmente si fa, fra i due nomi di Galassia e
— Feste consacrate ad Apollo. Alcuni cronisti della favola vogliono,
che
le feste Galassie prendessero la loro denominazio
che le feste Galassie prendessero la loro denominazione, dal costume
che
avevano i pagani, di cibarsi nei giorni delle Gal
liscia di conchiglia Da’ flutti travagliata senza posa : Gradita più
che
nell’ inverno il sole. E più che l’ ombra nella s
travagliata senza posa : Gradita più che nell’ inverno il sole. E più
che
l’ ombra nella sferza estiva. Più gentil d’ ogni
biata con tutta l’ ardenza di una vera passione. Ma la sciagura volle
che
Polifemo, un orrido e spaventevole Ciclope, avend
e di stragi, seguì come un fanciullo le traccie della bella creatura,
che
lo innamorava, ricercando continuamente di lei. E
lo innamorava, ricercando continuamente di lei. E avvenne un giorno,
che
assiso su d’ una rupe sotto alla quale erano asco
ori e l’ erba : Ben la sua voce allor cruda ed altera Passò, per quel
che
udii, la nona sfera. Ovidio — Metamorf : Libro X
i ; i quali si traducevano in una così aspra e rimbombante dissonanza
che
Aci e Galatea spaventati vollero darsi a fuggire.
che Aci e Galatea spaventati vollero darsi a fuggire. Posato il pin,
che
suol guidar l’ armento, Ch’ arbor farebbe ad ogni
ta trave : La fistula dà fuor l’ usato accento, Più tosto strepitoso,
che
soave ; E da lo stral d’ Amor piagato e punto, Co
ereidi sue sorelle. Lo persegue il Ciclope, ed abbrancata Una roccia
che
parte era del monte, La scagliava divelta, e benc
. del Cav. Ermolao Federico La parola Galatea deriva dal greco γαλα
che
significa di latte, e si dava a questa Nereide a
i quali pretendevano di scendere dallo stesso figliuolo di Apollo, di
che
nell’articolo precedente. Al dire di Cicerone, la
ndovini Galeoti per sapere la sorte del figlio ; ed essi le risposero
che
il fanciullo sarebbe stato l’uomo più felice di t
— Una delle eroine della Grecia, in cui veniva onorata con una festa,
che
dal nome di lei fu detta Galintiade. Fu figliuola
iuola di Proeto. 2080. Galli — Riferiscono le cronache dell’antichità
che
cotesti sacerdoti di Cibele, traevano la loro den
contrada, sonando una specie di crotalo, e raccogliendo le elemosine
che
essi chiedevano in nome della loro dea, e distrib
e più abbietta della plebe, e siccome rispondevano alle varie dimande
che
loro venivano fatte, servendosi di una specie di
una specie di ritmo cadenzato e monotono, così si diceva comunemente
che
i sacerdoti galli rendevano i loro oracoli in ver
generalmente, era tenuta la poesia degli oracoli. Cicerone aggiunge,
che
i sacerdoti galli conducevano seco loro delle vec
, codeste incantatrici vendevano al popolo dei filtri e delle medele,
che
avevano il potere di turbare la pace delle famigl
e. Il cronista Luciano, riferisce nelle suo cronache sull’ antichità,
che
allorquando uno dei sacerdoti galli moriva, i suo
tenendo come un sacrilegio il metter piedi in un sacro ricinto, prima
che
questo periodo di tempo fosse passato. Oltre a ci
corpo morto. I loro sacrifizii non potevano essere d’ altre vittime,
che
di capre, di pecore, di vacche e di tori. Era lor
nimali. Essi ritenevano come sacri i colombi ; e credevano fermamente
che
essi non potevano toccare nemmeno uno di questi v
ili, riguardando come impuro e maledetto quello, fra i loro compagni,
che
ne avesse toccato uno, anche inavvertentemente. I
higallo. Galli si chiamavano similmente alcuni popoli dell’antichità,
che
Giulio Cesare ci dipinge, nei commentari, come un
dipinge, nei commentari, come un popolo eminentemente superstizioso,
che
avesse dato origine e fondamento alla religione d
sto volatile a Minerva, come simbolo della vigilanza e per dimostrare
che
la vera saggezza non si lascia mai sorprendere da
o Marte, il quale lo poneva a guardia della sua tenda, tutte le volte
che
la dea Venere, perdutamente innammorata di lui, a
er inebbriarsi d’ amore nelle sue braccia. Narra la cronaca favolosa,
che
un giorno Gallo si addormentò alla porta della te
e della poca solerzia del suo confidente, lo cangiò in quello animale
che
porta anche oggi lo stesso nome, condannandolo a
rta anche oggi lo stesso nome, condannandolo a cantare tutte le volte
che
spunta il Sole. Il annonce aux amants le lecer d
Émilie sur la Mythologie 2082. Gamella. — Dalla parola greca γαμος
che
significa nozze, i greci davano questo nome a Giu
Nuziale dette Gamelie, durante le quali venivano fatti più matrimoni
che
in tutto il rimanente dell’ anno, ritenendosi com
V. l’ art. precedente. 2084. Gamelio. — Uno dei soprannomi di Giove,
che
gli veniva dall’essere ritenuto come protettore d
enuto da quegli abitanti come una delle loro più possenti divinità, e
che
essi adoravano con un culto particolare. Le acque
sconosciuta virtù. 2086. Ganimede. — Figliuolo di Tros, re di Troja,
che
si rese celebre per la sua incomparabile e femmin
a sua incomparabile e femminea bellezza. Narra la cronaca mitologica,
che
Giove perdutamente preso dalla bellezza di questo
ire come coppiere al banchetto degli dei, e assegnandogli le funzioni
che
prima di lui aveva Ebe, dea della giovinezza. V.
rmolao Federico Codesta allegoria favolosa ha un fondamento storico
che
noi riporteremo per maggiore delucidazione. Tros
di recarsi in Lidia, onde offrire dei sacrifizi a Giove in un tempio,
che
quel dio aveva in quella contrada. Ganimede obbed
dell’ antichità, i quali asseriscono come vero un tal fatto, dicendo
che
Tanalo usasse come un diritto di rappresaglia ver
ndo che Tanalo usasse come un diritto di rappresaglia verso i Trojani
che
accompagna ano il principe giovanetto e verso Gan
onsacrati. Al dire di Omero, fu sulla più alta estremità del Gargaro,
che
Giove andò a posarsi onde essere testimonio di un
te dagl’indovini, i quali rispondevano alle differenti interrogazioni
che
venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per
rrogazioni che venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per modo
che
sembrava che una voce aerea avesse risposto alle
e venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per modo che sembrava
che
una voce aerea avesse risposto alle dimande. 2090
avesse risposto alle dimande. 2090. Gatti. — Gli egiziani ritenevano
che
allorquando i Titani dettero la scalata al cielo,
re degli assalitori.V. giganti. Da ciò ne venne la grande venerazione
che
quei popoli tributarono a quest’animale, del qual
veniva severamente punito e sottoposto ai più crudeli supplizi, colui
che
anche inavvedutamente avesse cagionato la morte d
ei più antichi cronisti della favola per nome Sanconiatone, riferisce
che
Ge fu figlia d’Ipisto, e moglie del proprio frate
risce che Ge fu figlia d’Ipisto, e moglie del proprio fratello Urano,
che
la rese madre di molti figliuoli, di cui più rino
ica denominazione delle tre Grazie ; pure è quasi generale l’opinione
che
queste tre dee giovanette si chiamassero Gelasia
stabili nella Scizia Europea, e fu lo stipite della nazione Scitica,
che
dal suo nome prese quella di Gelone, popoli che s
ella nazione Scitica, che dal suo nome prese quella di Gelone, popoli
che
si resero celebri per la loro forza e pel loro co
, popoli che si resero celebri per la loro forza e pel loro coraggio,
che
li fece generalmente ritenere come discendenti da
no a questo segno zodiacale diversa interpretazione. Taluno asserisce
che
i Gemini siano i due figliuoli di Borea Leto e An
Gemini siano i due figliuoli di Borea Leto e Anfione. Igino pretende
che
siano Giasione e Trittolemo, favoriti della dea C
i, quella più generalmente seguita da tutti i poeti dell’antichità, è
che
sotto il segno dei gemini siamo raffigurati i due
ro V. trad.Giambattista Bianchi. 2097. Gemino. — Uno dei soprannomi
che
si dava al dio Giano, a causa delle due facce che
Uno dei soprannomi che si dava al dio Giano, a causa delle due facce
che
gli venivano attribuite. 2098. Genetillidi. — Il
e gli venivano attribuite. 2098. Genetillidi. — Il solo autore antico
che
parli di questa divinità è il cronista Pausania,
e parli di questa divinità è il cronista Pausania, il quale riferisce
che
nel tempio di Venere Colliade, vi era un certo nu
che nel tempio di Venere Colliade, vi era un certo numero di statue,
che
ne riproduceva l’immagine. Però lo stesso citato
parere degli scrittori, i quali però tutti si accordano nel convenire
che
geniali era il nome collettivo degli dei che pres
accordano nel convenire che geniali era il nome collettivo degli dei
che
presiedevano alla generazione. Al dire di Festo,
elementi cioè il Fuoco, l’Aria, la Terra e l’Acqua. Altri pretendono
che
sotto la de nominazione di numi Geniali s’intende
ici segni dello zodiaco. 2100. Genio. — I pagani ritenevano per fermo
che
ogni uomo nascendo avesse avuto il suo genio tute
gni uomo nascendo avesse avuto il suo genio tutelare ; nè più nè meno
che
i cristiani, i quali ritengono per positiva e rea
a nei tempi della religione pagàna, emerge giustissima l’osservazione
che
Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichit
azione che Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichità ; cioè,
che
al tempo del paganesimo, dovevano esistere più nu
ioè, che al tempo del paganesimo, dovevano esistere più numi e genii,
che
non uomini mortali ; quante volte si volesse rite
mi e genii, che non uomini mortali ; quante volte si volesse ritenere
che
ogni uomo nascendo avesse due Genii, il buono ed
nella mano. Al dire del cronista Apulejo, i pagani ritenevano ancora
che
le anime dei defunti apparissero loro soventi vol
i volte sotto la figura di altrettante Geni, prendendo cura di quelli
che
rimanevano della loro famiglia ed erano pacifici
in quella parte come condannati all’esilio. Questi Geni erano quelli
che
cagionavano il terrore panico, e spaventavano i c
erenti voci. 2101. Genisse. — Era questa la denominazione collettiva,
che
si dava a tutte le vittime sacrificate in onore d
— Secondo asseriscono Plinio e Plutarco, si chiamava così quella dea,
che
presiedeva al parto. Era una specie di configuraz
ecie di configurazione della Giunone Lucina. Il sacrifizio più comune
che
i romani offerivano a questa divinità, era un can
mani offerivano a questa divinità, era un cane : a somiglianza di ciò
che
praticavano i greci in onore di Ecale, e gli Argi
ani consacrato al Dio Giano, perchè a somiglianza di questa divinità,
che
aveva due facce, una per l’avvenire l’altra pel p
ντεια divinazione, si dava questo nome ad una specie d’indovinamento,
che
si faceva in generale presso i pagani in diverse
ticavano la Geomanzia osservando attentamente i crepacci e le fessure
che
si trovano naturalmente’ sulla superficie della t
i trovano naturalmente’ sulla superficie della terra. Essi ritenevano
che
da quelle fenditure uscissero come dall’antro di
caso sulla terra o sulla carta una gran quantità di punti. Le figure
che
la combinazione dei diversi punti producevano, ve
diversi punti producevano, venivano attentamente studiate ritenendosi
che
da quelle differenti combinazioni si potesse pred
sse predire l’avvenire. 2105. Gerania. — A proposito di questa città,
che
secondo la geografia antica, sorgeva sul monte Em
sorgeva sul monte Emo, nella Tracia, narra la tradizione mitologica,
che
gli abitanti non avevano più di un cubo di altezz
mitologica, che gli abitanti non avevano più di un cubo di altezza e
che
fossero discacciati dalla loro patria da una imme
— Si chiamavano così nella città di Atene, quelle quattordici donne,
che
servivano la regina dei sacrifizi, in occasione d
acea guardia insieme ad un cane a due teste e ad un mostruoso dragone
che
, vomitava flamme dalle sue sette bocche. Ercole l
per la spedizione nell’Illiria. Da ciò il cronista Cluverio, conclude
che
dovea esservi anche un tempio di Gerione, perchè
lo senza tempio. 2108. Geris o Geride. — Nome di una divinità pagana,
che
al dire di qualche autore, era la stessa che Cere
di una divinità pagana, che al dire di qualche autore, era la stessa
che
Cerere o la Terra. E questa per altro un’opinione
dire di Giulio Cesare nei suoi commentari, non avevano altre divinità
che
il Sole, la Luna ed il fuoco ossia Apollo, Diana
a sorgeva un promontorio, detto di Geroeste, ove in onore di Nettuno,
che
vi aveva un tempio famoso, venivano annualmente c
e, a cui si dava il nome di Geroestie. 2111. Gerontree. — A Gerontre,
che
era una delle isole Sporadi, si celebravano dai g
e. 2112. Ghianda. — Abbiamo dalle più antiche tradizioni della favola
che
i capi delle prime colonie Egizie e Fenicie che a
adizioni della favola che i capi delle prime colonie Egizie e Fenicie
che
andarono a stabilirsi in Grecia, insegnarono agli
ora quasi selvaggio non aveva punto idea. Noi faremo notare per altro
che
non essendo la ghianda atta a nudrir l’uomo, qui
oi vengono nudriti i majali. 2113. Giacco. — Dalla parola greca ιαγωυ
che
significa gridatore, i greci davano questo sopran
i davano questo soprannome a Bacco, per alludere alle alte grida, con
che
le baccanti celebravano le orgie di quel dio. Que
Giacco e fanno quest’ultimo figliuolo della dea Cerere ; aggiungendo
che
sua madre lo avesse preso in sua compagnia, allor
er poco la madre sua e le dette a bere certo liquore chiamato Cyceon,
che
valse a farle per brev’ora dimenticare la sua ang
Giacintie. — Feste celebrate in onore di Apollo nella Lacedemonia, e
che
avevano la durata di tre giorni. Vicino al sepolc
er quanto poetico. Giacinto era così passionatamente amato da Apollo,
che
questi abbandonò sovente la sua celeste dimora pe
a lanciare il suo disco, lo spinse così forte e con tanta destrezza,
che
quasi si nascose fra le nubi. Nel momento che con
e con tanta destrezza, che quasi si nascose fra le nubi. Nel momento
che
con tutta la forza di gravità ricadeva sulla terr
iovanetto, volle eternare la memoria di lui e lo cangiò in quel fiore
che
porta anche oggli lo stesso nome. Infatti dal san
r della porpora, sulle cui foglie era impresso un doppio Ahi ! Voce
che
anche oggidì esprime il dolore. non è più sangue
hi ! Voce che anche oggidì esprime il dolore. non è più sangue Quel
che
sparso pur ora, avea dipinto Il suolo erboso. Spu
Quel che sparso pur ora, avea dipinto Il suolo erboso. Spunta un flor
che
vince Di splendore la porpora di Tiro. Che tien d
dore la porpora di Tiro. Che tien de’gigli non diversa forma : Se non
che
questi argenteo hanno colore. Purpureo l’altro. N
è la sola, imperocchè alcune altre cronache dell’antichità ripetono,
che
Giacinto fosse in pari tempo amato da Apollo e da
tono, che Giacinto fosse in pari tempo amato da Apollo e da Borea ; e
che
quest’ultimo vedendo di mal’occhio la preferenza
o e da Borea ; e che quest’ultimo vedendo di mal’occhio la preferenza
che
il giovane accordava a Febo, avesse per vendicars
te ninfe Nereidi. 2117. Gialemo. — I greci davano codesto nome al dio
che
presiedeva tutte le cerimonie funebri in generale
Coll’andare del tempo si dette l’istesso nome di Gialemo alle canzoni
che
si cantavano ai funerali. V. Nenie. 2118. Gialme
eno. — Figlio della bella Astioche e del dio Marte. Fu uno degli eroi
che
più si distinse all’assedio di Troja, ove insieme
rebo, o secondo altre opinioni, di Atene. Un’antica tradizione narra,
che
Creusa, figlia di Eretteo re di Atene, avesse inn
da bellezza il dio Apollo, il quale la sorprese, e ne ebbe un figlio,
che
fece nudrire ed educare in Delfo — Eretteo intant
’oracolo, onde essere indicato il mezzo di averne. L’oracolo rispose,
che
avrebbe dovuto adottare il primo fanciullo, nel q
siffatto responso, s’imbattè per via in un fanciullo chiamato Giano,
che
era appunto il figliuolo che Creuse aveva avuto d
per via in un fanciullo chiamato Giano, che era appunto il figliuolo
che
Creuse aveva avuto dai suoi amori con Apollo, e l
ola, e la cacciata di Saturno dal cielo per opera di Giove ; e ripete
che
Giano accogliesse amorevolmente Saturno, e lo ass
quali si è fin dai più remoti tempi rappresentato Giano, per dinotare
che
la potenza reale era divisa fra questi due princi
er dinotare che la potenza reale era divisa fra questi due principi e
che
essi tenevano a vicenda le redini del loro govern
e essi tenevano a vicenda le redini del loro governo. È detto ancora,
che
Saturno, per mostrarsi riconoscente della reale o
dare il passato, e di saper l’avvenire. Questa è un’altra congiuntura
che
dà interpretazione alle due simboliche facce di G
ra che dà interpretazione alle due simboliche facce di Giano, dicendo
che
con una di esse guardava il passato, e con l’altr
ardava il passato, e con l’altra leggeva nell’avvenire. Numa Pompilio
che
fu il secondo e il più saggio dei re di Roma, fec
fece innalzare un tempio a Saturno come dio della Pace, considerando
che
il regno di questo dio non era stato turbato da a
Giano era ritenuto anche dagli antichi come il Caos. La prisca età (
che
cosa antica io sono) Diemmi il nome di Caos : oss
hi. Gli venivano del paro attribuite due facce, alludendo al potere
che
egli aveva sul cielo e sulla terra ; ritenendosi
udendo al potere che egli aveva sul cielo e sulla terra ; ritenendosi
che
egli avesse in custodia la vasta estenzione dell’
an melato Posto sull’ara il sacerdote onora : Rideresti a’miei nomi :
che
or mi è dato. Quel di Clusio da lui che il sacrif
ora : Rideresti a’miei nomi : che or mi è dato. Quel di Clusio da lui
che
il sacrifizio Compie, e talor Patulcio io son chi
nvocavano il dio Giano in tutti i loro sacrifizi, ritenendo per fermo
che
egli fosse stato il primo ad istituire i sacri ri
ni per le quali Giano veniva raffigurato con due facce. Una ritenendo
che
Giano avesse insegnato agl’italiani l’agricoltura
uali indicavano le quattro stagioni dell’anno, mentre le tre finestre
che
si aprivano sopra ognuno dei quattro lati, indica
nsieme i dodici mesi dell’anno. Varrone riferisce a questo proposito,
che
in Roma vi erano dodici altari consacrati a Giano
Teleste e rinomata per la sua bellezza. Un’antica tradizione ripele,
che
ella fu tolta in moglie da un giovane per nome If
ipele, che ella fu tolta in moglie da un giovane per nome Ifi o Ifide
che
si cangiò in uomo lo stesso giorno delle nozze. —
i una delle ninfe Nereidi. 2127. Gianuale. — Festa in onore di Giano,
che
i romani celebravano il primo dell’anno, con tutt
. Narra la cronaca alla quale si attengono Macrobio ed Ovidio stesso,
che
allorquando i Sabini cinsero d’assedio le mura di
ini cinsero d’assedio le mura di Roma, avevano già attaccata la porta
che
è sotto al monte Viminale, la quale i romani avev
ti però la porta si apri ad un tratto per tre volte di seguito, senza
che
i ripetuti sforzi fatti dai romani per rinchiuder
aveva tolto i ganci e abbattuti i chiavistelli, e infrante le toppe,
che
assicuravano quella poria. Colpiti i sabini da si
fatto scaturiré dal suo tempio, una larga sorgente di acqua bollente,
che
travolse nei suoi gorghi gl’irrompenti nemici e g
Fasti — Libro I. trad. di G. B. Bianchi. Da ciò il senato decretava
che
le portedel tempio di Giano fossero aperte in tem
a, di venire novellamenle in soccorso della sua città, tutte le volte
che
ne avesse avuto bisogno. 2128. Giapeto. — Gigante
— Gigante figliuolo di Urano e fratello di Saturno. Fu uno dei Titani
che
mossero guerra a Giove, e dettero la scalata al c
iti. È opinione forse non infondata ai vari scrittori dell’antichità,
che
il Giapeto della mitologia pagana sia lo stesso c
i dell’antichità, che il Giapeto della mitologia pagana sia lo stesso
che
lafet, figliuolo di Noè. 2129. Giapi. — Figlio di
ir l’avvenire. Ma Giapi ricusò tutti gli altri splendidi donativi, di
che
l’amore di un dio lo faceva signore, e pregò solo
e qual de l’arti sue Più gli aggradasse, a sua scella gli offerse. Ei
che
del vecchio infermo e già caduco Suo padre la sal
e, e senza lingua E senza lode e del futuro ignaro Mostrarsi in pria,
che
non ritorre a morte Chi gli diè vita. Virgilio —
2130. Giara. — Una delle isole Cicladi. Narra un’antica tradizione
che
l’isola di Delo fosse stata lungo tempo fluttuant
amantide una delle ninfe Napee, fu re di Getulja. La tradizione narra
che
egli avesse fatto nei suoi stati innalzare in ono
to nella tradizione mitologica, come padre di quella giovanetta Jole,
che
fu così appassionatamente amata da Ercole — V.jol
133. Glardini. — Presso i pagani quattro erano le principali divinità
che
presiedevano alla cultura dei Giardini, cioè Pria
a figliuolo di Giove e di Elettra, una delle ninfe Atlantidi. È detto
che
Giasione sposasse Cibele, da cui ebbe un figliuol
coltura, di cui Cerere era la dea, così la tradizione favolosa, narra
che
egli fosse divenuto amante di Cerere e che avendo
tradizione favolosa, narra che egli fosse divenuto amante di Cerere e
che
avendola voluta tentare nel pudore fosse stato co
osse stato colpito da un fulmine. Il cronista Igino asserisce invece,
che
Giasione sposò legittimamente Cerere, da cui ebbe
e, che Giasione sposò legittimamente Cerere, da cui ebbe un figliuolo
che
fu Plutone dio delle ricchezze ; volendo con ciò
lutone dio delle ricchezze ; volendo con ciò alludere all’agricoltura
che
è fonte di ricchezza per quelli che lavorano la t
con ciò alludere all’agricoltura che è fonte di ricchezza per quelli
che
lavorano la terra. Dopo la morte, Giasione fu pos
— Fu figlio di Alcimeda e di Esone, re di Jolco. Narra la tradizione,
che
avendo l’oracolo predetto a Pelia, zio di Giasone
o l’oracolo predetto a Pelia, zio di Giasone ed usurpatore del trono,
che
sarebbe stato alla sua volta spogliato, da un pri
ato alla sua volta spogliato, da un principe degli Eolidi, del potere
che
aveva usurpato, Pelia perseguitò il piccolo Giaso
trarre il figlio alle persecuzioni dell’usurpatore, fece sparger voce
che
il bambino fosse morto, pochi mesi dopo la sua na
divenuto adulto gl’insegnò le scienze, e sopratutto la medicina, ciò
che
al dire di vari scrittori, valse algiovanetto pri
lgiovanetto principe il nome di Giasone, invece di quello di Diomede,
che
dapprima gli era stato imposto. Giunto Giasone al
ignorato ritiro ; mosse a consultare l’oracolo, onde sapere i destini
che
lo attendevano. La fatidica voce rispose che egli
o, onde sapere i destini che lo attendevano. La fatidica voce rispose
che
egli avesse dovuto rivestirsi, come il suo maestr
nde pretendere dall’usurprtore Pelia, la restituzione di quel diadema
che
era paterno ed esclusivo retaggio del giovanetto.
unse all’altra sponda, non avendo a lamentare altro accidente, se non
che
la perdita di una scarpa, caduta nel fiume mentr’
nei destini futuri dell’eroe giovanetto ; imperocchè l’oracolo stesso
che
aveva predetto a Pelia, che un principe discenden
giovanetto ; imperocchè l’oracolo stesso che aveva predetto a Pelia,
che
un principe discendente della stirpe degli Eolidi
giorno spogliato della mal conquistata corona, aveva anche soggiunto
che
egli avesse dovuto guardarsi da un uomo che gli s
na, aveva anche soggiunto che egli avesse dovuto guardarsi da un uomo
che
gli sarebbe venuto incontro con un piede ignudo e
a sua strana vestitura ; e la sua nobile e bella persona, la fierezza
che
traspariva nei suoi atti, la disinvolta eleganza
a. Ma Pelia, astuto per quanto perverso, avendo osservato l’interesse
che
il popolo prendeva a favore del giovanetto, e sap
o e giovanile, condiscese facilmente alla volontà di Pelia, tanto più
che
questi gli promise formalmente che al suo ritorno
e alla volontà di Pelia, tanto più che questi gli promise formalmente
che
al suo ritorno dalla gloriosa spedizione della Co
ipitosi palpiti un cuore, appena quadrilustro ; e quindi non è strano
che
fece, con ogni sollecitudine, spargere per tutta
ia la nuova della prossima sua spedizione, ed ebbe la gioia di vedere
che
il fiore della nobiltà e della cittadinanza greca
o, onde accompagnare l’eroe giovanetto attraverso il glorioso cammino
che
si riprometteva di percorrere. Giasone, compiuti
rere. Giasone, compiuti i preparativi del viaggio, riunì tutti coloro
che
erano accorsi per dividere con lui gloria e perig
de rapire ad Aete, re di quella contrada, il montone dal Vello d’oro,
che
Frisso vi aveva lasciato, — V. frisso — e che ven
ontone dal Vello d’oro, che Frisso vi aveva lasciato, — V. frisso — e
che
veniva custodito da un enorme ed orrendo drago, e
veniva custodito da un enorme ed orrendo drago, e da due tori furiosi
che
vomitavano flamme e fumo dalla bocca. Le tradizio
alla bocca. Le tradizioni mitologiche aggiungono, a questo proposito,
che
perfino gli dei avessero preso interesse alla per
ssero preso interesse alla perigliora intrapresa di Giasone ; e tanto
che
giunse felicemente al Porto Pegaso, da cui fece p
a egli in seguito l’abbandonò, lasciandola incinta. Quelli è Jason,
che
per cuore e per seuno Li Colchi del monton privat
Colchi del monton privati fene Egli passò per l’isola di Lenno. Poi
che
le ardite femmine spietate Tutti li maschi loro a
iunone stessa, sempre per proteggerlo, convennero fra di loro di fare
che
Medea, figlia di Aete, si fosse innamorata di Gia
e che Medea, figlia di Aete, si fosse innamorata di Giasone, ond’ella
che
era già, sebbene giovanetta, una famosa maga, ave
esse potuto sottrarre coi suoi incantesimi Giasone, ai molti pericoli
che
lo circondavano. Alcune altre cronache aggiungono
pericoli che lo circondavano. Alcune altre cronache aggiungono ancora
che
Medea, essendosi incontrata con Giasone presso il
proda all’aspra mia contrada Giovin cercante sotto stranio cielo Quel
che
cercau gli eroi, gloria e periglio. Chiede del pa
vedute del suo amante. Aete aveva imposto a Giasone alcune condizioni
che
egli riteneva insormontabili ; e quasi a farsi gi
quasi a farsi giuoco dell’audacia del giovane eroe, aveva prescritto
che
per avere il possesso del vello d’oro, avesse dov
aggiogare i due tori, i quali avevano i piedi e le corna di bronzo, e
che
erano un dono del dio Vulcano : quindi attaccarli
ugeri di terreno di un campo consacrato a Marte, e non mai lavorato ;
che
quindi avesse dovuto in quei solchi seminare i de
i denti di un drago, dai quali sarebbero nati altrettanti guerrieri,
che
bisognava uccider tutti l’unn dopo l’altro, senza
anti guerrieri, che bisognava uccider tutti l’unn dopo l’altro, senza
che
ne fosse rimasto uno solo ; e che finalmente, a c
der tutti l’unn dopo l’altro, senza che ne fosse rimasto uno solo ; e
che
finalmente, a coronare la difficile e pericolosis
issima impresa, bisognava combattere ed uccidere il dragone mostruoso
che
vegliava del continuo alla difesa del prezioso de
uori le porte di Colco, onde assistere alle differenti ed ardue prove
che
il giovanetto eroe si accingeva ad affrontare. In
ili tori, la cui sola vista fece fremere di orrore gli spettatori, ma
che
non valse ad intimorire l’eroico coraggio di Gias
drago, e poscia lanciò nel mezzo di un numeroso stuolo di guerrieri,
che
come per incanto sursero da quelli, una grossa pi
tò a Pelia, onde pretendere da lui la restituzione del trono paterno,
che
ora gli era doppiamente dovuto, sia per essere su
ente dovuto, sia per essere suo retaggio, sia per gli enormi pericoli
che
aveva dovuto affrontare onde riconquistarlo. Ma P
e le proprie figliuole del re, ad uccidere il genitore, persuadendole
che
lo avreb bero visto rinascere giovane e rigoglios
asciò sulla via la spoglia ancor palpitante, onde arrestare il padre,
che
accortosi della fuga di lei, la inseguiva. Sopra
hondo Aeta Ci apparisce alle spalle ; e si c’insegne. E si c’incalza,
che
parea perduta Ogni speme per noi — Furente allora
la rivale Creusa, il resuo padre, e per fino i due figliuoli di Medea
che
ella uccise di propria mano, furono le ostie crue
, visse vita errante e vagabonda. Al dire di Euripide, una predizione
che
Medea stessa gli aveva fatta, che, cioè egli sare
Al dire di Euripide, una predizione che Medea stessa gli aveva fatta,
che
, cioè egli sarebbe morto sotto gli avanzi della n
e dell’antichità mitologica, emerge il simbolo allegorico di Saturno,
che
divora i propri figliuoli. Notino i nostri lettor
di questo Gehud favoloso ; e la bibblica figura del patriarca Abramo
che
al cenno di Jehova si accinge ad offrire in oloca
ome di Lipari, aveva codesto nome presso i pagani, i quali ritenevano
che
in questa isola, Vulcano avesse una delle sue fuc
ome di una delle Nereidi. 2140. Gierace. — Così aveva nome un giovane
che
, secondo narra la tradizione, Mercurio cangiò in
, secondo narra la tradizione, Mercurio cangiò in sparviere, sdegnato
che
egli avesse col suono del suo flauto rotto il son
e col suono del suo flauto rotto il sonno di Argo, al momento istesso
che
Mercurio si accingeva a rapirgli la ninfa Io, che
al momento istesso che Mercurio si accingeva a rapirgli la ninfa Io,
che
Argo aveva in custodia. Non potendo a causa della
cangiò Gierace in sparviero. La parola Gierace viene dal greco ιεραξ
che
vuol dire sparviere. 2141. Gieracuboschi. — Nome
dal greco ιεραξ che vuol dire sparviere. 2141. Gieracuboschi. — Nome
che
si dava in Egitto a quei sacerdoti, i quali aveva
del dio Mitrà, perchè essi avevano il costume di rivestirsi con abiti
che
figuravano quegli animali, di cui portavano il no
eri. La parola Gieroglifici deriva da due vocaboli greci ιερος, γλυφω
che
suonano scolpisco, perchè gli Egiziani quando com
a moltiplicità di esse. Il senso configurato, e l’allegoria simbolica
che
forma il sostrato principale della mitologia paga
cui gli antichi egiziani volevano far servire i diversi Gieroglifici,
che
adoperavano per rendere un’idea ; così per esempi
varii Gieroglifici i quali formavano insieme la figura di un vecchio
che
aveva un dito alla bocca e gli occhi bassi, come
venivano disegnati vari occhi e varie orecchie umane, per dimostrare
che
nulla sfugge agli dei e che essi veggono e senton
hi e varie orecchie umane, per dimostrare che nulla sfugge agli dei e
che
essi veggono e sentono ogni cosa. Nè solamente a
cui Gieroglifici formavano un’intera frase, dice il citato scrittore
che
da una parte si vedeva effigiato un bambino, simb
della morte ; un pesce, simbolo dell’odio ; e finalmente un avvoltojo
che
raffigurava l’idea della divinità. Dall’altra par
mbolo dell’impudicizia e della temerità. Tutte queste figure, secondo
che
riferisce il suddetto cronista, significavano un’
dotta nel nostro idioma comprenderebbe in sè la seguente idea : O voi
che
nascete e morite, riflettete che la divinità odia
rebbe in sè la seguente idea : O voi che nascete e morite, riflettete
che
la divinità odia coloro che sono impuri, sfacciat
: O voi che nascete e morite, riflettete che la divinità odia coloro
che
sono impuri, sfacciati e temerarii. 2145. Gierofa
o destinati particolarmente all’insegnamento dei novizi per tutto ciò
che
riguardava i misteri della loro dea. Essi erano t
Dette anche Gerofantrie, erano queste presso i greci le appellazioni
che
si davano alle donne dei sacerdoti Gierofanti. Pe
i accreditati, imperocchè è scritto in varie cronache dell’antichità,
che
i Gierofanti avevano fra i loro obblighi quello d
quello di vivere nel celibato. Altri scrittori pretendono similmente
che
ai sacerdoti Gierofanti era inibito solamente il
lamente il passare a seconde nozze ; e finalmente altri autori dicono
che
il nome di Gierofanzie si dava ad alcune sacerdot
ll’applicazione di questo nome presso gli egiziani. Taluni pretendono
che
fossero dei sacerdoti, i quali presiedevano alla
misteri religiosi, ed alle cerimonie del culto. Altri vogliono invece
che
quest’appellazione si dava a quei sacerdoti che s
Altri vogliono invece che quest’appellazione si dava a quei sacerdoti
che
scrivevano i geroglifici sacri, e ne davano la sp
Finalmente altri, ed il cronista Suida fra questi ultimi, asseriscono
che
il nome di Gierogrammatei si dava agli indovini,
imi, asseriscono che il nome di Gierogrammatei si dava agli indovini,
che
si servivano delle cognizioni astronomiche per sp
servivano delle cognizioni astronomiche per spiegare i gieroglitici e
che
erano tenuti in somma considerazione. 2148. Giero
ti in somma considerazione. 2148. Gieroscopia. — Sorta di divinazione
che
si faceva dal riflettere e ricordare tutto quanto
avi. La parola Gieromanzia deriva da due vocaboli greci ἱερος, σϰοπεα
che
significano considero. 2149. Giganti. — Era quest
cano considero. 2149. Giganti. — Era questa la denominazione generale
che
si dava a quegli esseri favolosi che mossero guer
questa la denominazione generale che si dava a quegli esseri favolosi
che
mossero guerra a Giove. Per quanto moltiplice e s
ori in generale, sulla nascita dei giganti, e sulle differenti azioni
che
ne resero famosa la vita. Esiodo li fa nascere da
azioni che ne resero famosa la vita. Esiodo li fa nascere dal sangue
che
grondò dalla ferita di Urano ; mentre Apollodoro,
dalla ferita di Urano ; mentre Apollodoro, Ovidio ed altri ; ripetono
che
i Giganti fossero figli della Terra, la quale per
atta fosse tiepida la Terra, È fama, e desse vita al caldo sangue : E
che
quello mutasse in corpi umani, Onde ogni resto de
AO FEDERICO. E qui cade in acconcio di far notare ai nostri lettori,
che
sehhene vi siano molti autori i quali, nelle loro
i occuperemo particolarmente, parlandone allorchè l’ordine alfabetico
che
noi seguiamo in questa nostra opera, ci porgerà p
torvi Stender le braccia a noi, le teste al cielo. Concilio orrendo ;
che
ristretti insieme Erano qual di querce annose a G
. Caro. L’allegoria favolosa e le tradizioni dell’antichità ripetono
che
ognuno di essi, aveva cento mani e spesso dei ser
ette Ossa ed Olimpo Ma coraggio no perde la terrestre Stirpe, nè par
che
troppo le ne caglia. Di divelte montagne arman le
massi di pietre, dei quali, secondo la tradizione mitologica, quelli
che
ricadevano nel mare diventavano isole ; e quelli
tologica, quelli che ricadevano nel mare diventavano isole ; e quelli
che
piombavano sulla terra formavano altrettante mont
avano sulla terra formavano altrettante montagne. E fu tale la scossa
che
questi spaventosi figli della Terra dettero a tut
sa che questi spaventosi figli della Terra dettero a tutto il creato,
che
Giove stesso altamente atterrito dagli sforzi sov
ll’altra parte del globo, sotto la figura di animali diversi. …….. e
che
sotto mentite Forme si nascondessero gli Dei. E n
si. …….. e che sotto mentite Forme si nascondessero gli Dei. E narrò
che
in marito della greggia Giove si trasformasse, on
v. Ermolao Federico. Un’antica tradizione narra, a questo proposito,
che
una predizione dell’oracolo aveva profetizzato, c
questo proposito, che una predizione dell’oracolo aveva profetizzato,
che
i Giganti sarebbero stati invincibili, e che ness
colo aveva profetizzato, che i Giganti sarebbero stati invincibili, e
che
nessuno degli dei, compreso lo stesso Giove, avre
i, se un mortale non fosse venuto in ajuto del sommo Gione. Allora fu
che
Pallade Minerva, vedendo lo scompiglio ed il terr
e. Allora fu che Pallade Minerva, vedendo lo scompiglio ed il terrore
che
aveva invaso tutti gli animi, e ricordando la min
de avesse combattuto al suo fianco. Giove seguì il salutare consiglio
che
le veniva dalla dea della saggezza, ed in fatti,
elado — Anteo, Noi procedemmo più avanti allotta E venimmo ad Anteo,
che
ben cinq’alle. Senza la testa, uscia fuor della g
ello smisurato Briareo Esperienza avesser gli occhi miel. ………….. Quel
che
tu vuol veder, più là è molto. Ed è legato e fatt
tu vuol veder, più là è molto. Ed è legato e fatto come questo, Salvo
che
più feroce par nel volto. Dante — Inferno — Cant
nte, Agrio, Polibote, Tizio, Graziano ed altri, ed il terribile Tifeo
che
valse egli solo, al dire di Omero a portar più te
lo, al dire di Omero a portar più terrore fra gl’immortali, di quello
che
non facessero tutti i suoi formidabili compagni r
facessero tutti i suoi formidabili compagni riuniti insieme. E narra
che
Tifeo dal più profondo Della terra sorgendo, alto
terrore A’celesti portasse, onde rivolti Tutti fossero in fuga, infin
che
asilo Stanchi trovaro nell’Egizio suolo, E presso
av. Ermolao Federico E qui, a proposito di questa favolosa scalata,
che
i figli della Terra, nella loro cieca superbia, t
a nostra, richiameremo l’attenzione dei lettori sulla grande analogia
che
passa fra la sognata impresa dei Giganti, che vol
i sulla grande analogia che passa fra la sognata impresa dei Giganti,
che
vollero detronizzare il Giove pagano, e penetrare
ri ed i poeti più rinomati di essa, fanno continua menzione di uomini
che
si resero celebri per la loro gigantesca figura.
io — Eneide — Lib. VII trad. di A. Caro. Omero favellando degli eroi
che
assediavano Troja, dice ve n’erano alcuni, le cui
inaria struttura. Al dire di Pausania, Filostrato il giovane ripeteva
che
Ajace aveva undici cubiti di altezza ; e che il g
rato il giovane ripeteva che Ajace aveva undici cubiti di altezza ; e
che
il gigante Ariade, il cui cadavere fu trovato sul
u trovato sulle sponde del fiume Oronte, ne aveva cinquantacinque ; e
che
finalmente fu rinvenuto un cadavere nell’isola di
un cadavere nell’isola di Lemnos, la cui testa era di tale grandezza
che
per riempirla di acqua bisognò vuotarvi due inter
he per riempirla di acqua bisognò vuotarvi due intere zucche, secondo
che
gli antichi chiamavano questa misura di liquido,
ucche, secondo che gli antichi chiamavano questa misura di liquido, e
che
era la più grande da essi adoperata. Al dire del
costole di cui avevano non meno di ventotto braccia di lunghezza ; e
che
presso ad Atene fu rinvenuto un sepolcro, lungo c
era stato deposto il corpo del gigante Macrofiride. Plinio asserisce,
che
essendo nell’isola di Creta crollata una montagna
ino, fu mostrato al proconsole romano Metello, un gigantesco cadavere
che
aveva trentasei cubiti di altezza. Narra Plutarco
tesco cadavere che aveva trentasei cubiti di altezza. Narra Plutarco,
che
essendosi Sertorio, Generale romano, impadronito
sessanta cubiti. Il Boccaccio nella sua Genealogia degli dei, scrive
che
in una caverna del monte Erice, in Sicilia, fu ri
o il corpo di un gigante seduto, il quale si appoggiava ad un bastone
che
era un albero di nave ; e che appena toccato si r
o, il quale si appoggiava ad un bastone che era un albero di nave ; e
che
appena toccato si ridusse in polvere, meno tre de
to si ridusse in polvere, meno tre denti, ed una porzione del cranio,
che
furono portati nella città di Erice, per ordiname
rono portati nella città di Erice, per ordinamento dei magistrati ; e
che
in quella porzione di cranio si contenevano varie
cui parla il Boccaccio, era quello di un gigante ucciso da Ercole, e
che
si chiamava appunto Erice ; il cui corpo, che ave
nte ucciso da Ercole, e che si chiamava appunto Erice ; il cui corpo,
che
aveva venti cubiti di lunghezza, si ridusse in po
un parallelo storico — mitologico, sarà facile dedurne la conseguenza
che
altra volta la terra sia stata in realtà abitata
ni di gigantesca struttura. Noi però senza internarci in ragionamenti
che
ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta,
ionamenti che ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta, diremo
che
tutto ciò che si racconta in generale, di questi
ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta, diremo che tutto ciò
che
si racconta in generale, di questi avanzi mostruo
di smisurata grandezza, potrebbe benissimo non aver il suo fondamento
che
su relazioni di artefici e di operai ; ovvero su
astiche e favolose. 2150. Gigantofontide. — Dalla parola greca φωντος
che
significa che uccide ; e dall’altra latina Gigas.
lose. 2150. Gigantofontide. — Dalla parola greca φωντος che significa
che
uccide ; e dall’altra latina Gigas. Si dava quest
ina Gigas. Si dava questo soprannome a Pallade Minerva, per ricordare
che
essa aveva aiutato Giove suo padre nella guerra c
— V. l’articolo precedente. 2151. Gige. — Uno dei formidabili Giganti
che
insieme a Briareo ed a Cotto suoi fratelli, dette
te opinione, circa questi tre formidabili fratelli giganti. Egli dice
che
essi altro non erano che tre impetuosi venti, e d
tre formidabili fratelli giganti. Egli dice che essi altro non erano
che
tre impetuosi venti, e dà il nome di Gige al magg
i venti, e dà il nome di Gige al maggiore, dalla parola greca γογαιος
che
significa oscuro ; perchè, secondo il citato scri
A Gige prese vaghezza di penetrare in una di quelle cupe voragini, di
che
era solcata la terra, e posto ad esecuzione il su
visceri della terra, ove trovò il simulacro di un cavallo di bronzo,
che
aveva ai fianchi due aperture a guisa di porte. A
nvenne chiuso nel corpo del cavallo lo smisurato cadavere di un uomo,
che
aveva al dito un anello d’oro, che Gige passò imm
lo smisurato cadavere di un uomo, che aveva al dito un anello d’oro,
che
Gige passò immediatamente alla propria mano, dopo
nello d’oro, che Gige passò immediatamente alla propria mano, dopo di
che
fece ritorno presso i compagni. Appena ritornato
i compagni. Appena ritornato alla sua abituale dimora, egli s’accorse
che
quante volte la pietra preziosa, che ornava il ce
abituale dimora, egli s’accorse che quante volte la pietra preziosa,
che
ornava il centro dell’anello, si volgeva verso l’
egina, colla quale concertatosi si liberò poco a poco di tutti coloro
che
potevano fare ostacolo ai suoi ambiziosi disegni
e a rendersi padrone del regno. Le cronache dell’antichità aggiungono
che
l’uccisione di Candaule fu causa d’una sommossa n
e risposto l’oracolo di Delfo ; il quale fu favorevole a Gige, per il
che
egli restò pacifico possessore del trono. Qualche
colo, onde chiedergli se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al
che
l’oracolo rispose che un certo Aglao era assai pi
se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo rispose
che
un certo Aglao era assai più fortunato. Plinio, n
glao era assai più fortunato. Plinio, nella sua storia Naturale, dice
che
questo Aglao era un modesto pastore, che viveva l
la sua storia Naturale, dice che questo Aglao era un modesto pastore,
che
viveva lavorando il suo campicello, dal quale rit
llo, dal quale ritraeva tutto quanto abbisognava alla sua famiglia, e
che
, libero da ogni altra cura, viveva tranquillo e f
ttore, questi popoli furono sconfitti dalle Amazzoni in una battaglia
che
combatterono contro di esse sulla riva del Termod
zoni imposero ai vinti guerrieri di avere commercio con esse, a patto
che
i figliuoli che sarebbero nati da questo connubio
vinti guerrieri di avere commercio con esse, a patto che i figliuoli
che
sarebbero nati da questo connubio, sarebbero stat
erdoti se fossero uomini. 2153. Ginniel. — Dal vocabolo greco γνμνοε,
che
significa ignudo, furono così detti alcuni giuoch
, furono così detti alcuni giuochi e combattimenti, in cui gli atleti
che
vi prendevano parte, erano nudi, per essere più l
ude ; ma semplicemente vestite di leggiere e corte tuniche ; e non fu
che
alla 32’ Olimpiade, che un greco per nome Orcippo
estite di leggiere e corte tuniche ; e non fu che alla 32’ Olimpiade,
che
un greco per nome Orcippo, introdusse l’uso di an
sopratutto se fatta a cavallo o sulle bighe, specie di piccoli carri
che
si guidavano in piedi. Per contrario il pugillato
eno stimato. Questi differenti esercizi costituivano l’insieme di ciò
che
noi chiameremmo Ginnastica. E a notare che presso
tituivano l’insieme di ciò che noi chiameremmo Ginnastica. E a notare
che
presso i pagani non si celebrava nessuna gran fes
γυμνος ignudo, i Lacedemoni davano questo nome ad una specie di ballo
che
alcuni giovanetti interamente nudi, ballavano dur
o dei piaceri del senso. Nelle antiche tradizioni indiane, è scritto,
che
i Ginnosofisti giunti all’età della vecchiezza, s
bbruciavano da sè stessi onde non lasciarsi opprimere da quei malori,
che
sono generalmente inevitabili compagni dell’età c
o, re di Tebe. Per volere inevitabile del destino fu moglie di Edipo,
che
era nell’istesso tempo suo figlio D’Edippo io mo
Edipo. Da questo incesto nacquero quattro figli, Eteocle e Polinice,
che
si distrussero a vicenda spinti dal cicco furore
carli ; vedendoli cadere sotto i propri occhi, coperti di quel sangue
che
essi a vicenda facevano grondare dai loro corpi ;
i ; ella, quasi pazza di dolore, svelse dal corpo di Eteocle la spada
che
il fratello vi aveva confitta, e si uccise di pro
a vari antori antichi, fra cui Pausania ed Omero, i quali asseriscono
che
l’incesto di Giocasta, per essere stato incontane
dea Lætizia e la Ilarità. — V. Ilarità. 2159. Giorno. — Il paganesimo
che
raffigurava sotto differenti e sensibili sembianz
e senza relazione coll’anno, col mese e con la settimana. Nè si creda
che
quanto noi ci facciamo ad asserire sia una nostra
vendo una magnifica pompa, fatta in Grecia ad Antioco Epifane, ripete
che
si vedevano nel corteo un gran numero di statue,
che si vedevano nel corteo un gran numero di statue, e fra queste una
che
rappresentava la Notte, un’altra il Giorno e un’a
l’Aurora. Per maggiore chiarezza noi faremo notare ai nostri lettori,
che
essendo in lingua greca la parola Giorno γμερο di
otto le sembianze d’una donna ; mentre il Crepuscolo, in greco ορδρος
che
è di genere maschile, veniva rappresentato come u
hile, veniva rappresentato come un giovanetto, coperto d’un gran velo
che
dal capo gli scendeva fino ai piedi, e avente una
una torcia nella mano, volendo con siffatta configurazione esprimero
che
il Crepuscolo è come il punto intermedio fra il G
ato sotto le sembianze d’una donna, essendo la parola greca μιοημβρια
che
significa mezzodi di geuere femminile. Per la ste
ticamente al crepuscolo dell’aurora, ma senza la torcia, per alludere
che
quell’ora della sera va a precipitarsi nella Nott
di uno dei cavalli del carro di Diana, ossia la Luna, per significare
che
all’ora del Crepuscolo serale, suole abitualmente
primi a fare codesta distinzione ; ed i romani ed i greci non fecero
che
seguire le orme di quelli, attenendosi ad una con
. Virgilio nelle sue Georgiche, si attiene alle istesse idee, dicendo
che
nel quinto giorno del mese erano nate le Furie e
cendo che nel quinto giorno del mese erano nate le Furie e l’Orco ; e
che
la terra avesse partorito Giapeto, Tifeo e gli al
terra avesse partorito Giapeto, Tifeo e gli altri mostruosi giganti,
che
dettero la scalata al cielo. Non uno ordi la Lun
giorno del mese, erano ritenuti come fortunati. Tito Livio riferisce
che
presso i romani tutti i giorni che seguivano le N
me fortunati. Tito Livio riferisce che presso i romani tutti i giorni
che
seguivano le None, gl’Idi e le Calende d’ogui mes
to seguente. Nell’anno di Roma 363, i tribuni militari, avendo notato
che
la repubblica aveva di sovente a soffrire qualche
ato, affinchè ne venisse indagata la ragione. Il senato allora decise
che
fosse chiamato l’indovino Lucio Aquinio, onde ris
ovino Lucio Aquinio, onde rispondere alle domande. L’indovino rispose
che
tale era la volontà degli dei, i quali erano sdeg
fiume Allia, fatto un sacrifizio nel giorno dopo gl’Idi di luglio ; e
che
per la stessa ragione i Fabii furono tutti uccisi
lgò una legge di comune accordo col collegio dei Pontefici, ordinando
che
in avvenire non si fosse nè intrapresa cosa alcun
avano alle ombre de’ morti ; le Ferie Latine, le Saturnali, il giorno
che
seguiva le Volcanali, il quarto prima delle None
fondamento universale della religione dei pagani, pure vi erano molti
che
disprezzavano coteste ridicole credenze, riguardo
la storia ci ammaestra della bella risposta data da Lucullo a coloro
che
volevano dissuaderlo dal combattere contro Tigran
elle None di ottobre, facendogli osservare, con superstizioso timore,
che
qualche anno prima in quegli stessi giorni, i Cim
i Cepione : io, rispose Lucullo, attaccherò l’ inimico e farò in modo
che
le None di ottobre diventino fauste alla potenza
la potenza di Roma. E Giulio Cesare stesso non tralasciò di comandare
che
le milizie romane passassero in Africa, sebbene i
ero in Africa, sebbene il movimento doveva eseguirsi in alcuni giorni
che
gli Auguri avevano additati siccome infausti. E f
radizione mitologica lo fa figliuolo di Rea e di Saturno, aggiungendo
che
questi lo avrebbe divorato, a somiglianza di tutt
arito, invece del pargoletto Giove, una pietra ravvolta nelle fascie,
che
Suturno ingoiò, credendo così di distruggere il p
, non appena dati alla luce, pensò di sottrarre alla morte il bambino
che
aveva in seno, e sentendo prossimo il tempo di da
ompagnò con Meti, ossia la Prudenza, e la cronaca mitologica aggiunge
che
egli avesse dato a suo padre Saturno una bevanda,
colosa di fargli recere dapprima la pietra, e poi i diversi figliuoli
che
avea divorati. Ciò fatto, sentendosi Giove forte
padronirsi del regno dell’ universo ; ed avendogli la Terra predetto,
che
egli non avrebbe raggiunto il suo scopo, se non q
o dell’ universo. Te le animose man, non l’orba sorte Forza e virtù,
che
sempre è tua vicina, Han fatto re della superna c
dell’ inferno. Sterminato è il numero delle mogli e delle concubine,
che
resero Giove padre di un eguale sterminato numero
ebbe Vulcano, Marte ed altri figliuoli, e da Mnemosina nove figliuole
che
furono poi le nove Muse. Tre volte e sei l’onnip
DESTINO. Il culto di Giove e i misteri, le cerimonie ed i sacrifizii
che
lo accompagnavano, erano sparsi universalmente co
iù famosi furono quello di Trofonio, di Dodona e di Lidia. Le vittime
che
ordinariamente si sacrificavano a Giove, erano la
incenso più prezioso. Al dire di Pausania, il solo Licaone, fu quello
che
una volta sacrificò a Giove un fanciullo, ma l’es
, sino alla caduta del paganesimo, monde di umano sangue. Ovidio dice
che
Licaone svenasse su di un altare di Giove, un pri
prigioniero di guerra, in ringraziamento dell’ottenuta vittoria ; ma
che
questo sacrifizio, cruento di umano sangue, gli v
ini, e ai piedi un’aquila con le ali spiegate. La tradizione aggiunge
che
al muovere del suo capo divino, tremasse il mondo
gorica, rinchiusa in tutti i simboli della mitologia pagana, ripetono
che
Giove veniva generalmente raffigurato nella sudde
questo basso mondo : il fulmine, ricordava il suo invincibile potere,
che
dalle sfere supreme si estendeva agli dei ed agli
supreme si estendeva agli dei ed agli uomini : e finalmente l’aquila,
che
con le ali spiegate riposa a’ suoi piedi, era l’e
rivo affatto di orecchie, volendo con simile configurazione ricordare
che
la suprema divinità non doveva ascoltare alcuno i
ivavano dai luoghi, nei quali veniva adorato ; molti altri dai popoli
che
ne introdussero in altre contrade il culto ; e fi
doneo, Capitolino, Trofonio, Fulminante, Espiatore e moltissimi altri
che
sebbene non molto ripetuti dalla grande generalit
lato, nelle loro opere, del Giove pagano assai diversamente di quello
che
han fatto i poeti. Infatti secondo le opinioni pi
pagano, sotto l’ aspetto puramente storico e filosofico, asseriscono
che
vi fossero stati più di un Giove. Secondo l’ opin
adre di Bacco e di Proserpina. Lo stesso autore asserisce similmente,
che
nell’isola di Creta si vedeva il sepolcro di un G
, appoggiando l’opinione del classico scrittore sopra cennato, ripete
che
dei due Giovi d’ Arcadia, uno era antico quanto i
Arcadia, uno era antico quanto il mondo, e nato da ignoti genitori, e
che
si fosse fatto poi conoscere dagli Arcadi, ed ave
’uomo al quale essi andavano debitore di un tanto bene ; ed allora fu
che
per nascondere la origine di lui, lo dissero figl
oro divinità. Le cronache dei tempi favolosi ci ammaestrano peraltro,
che
non fu il Giove dell’Arcadia quello che primo por
losi ci ammaestrano peraltro, che non fu il Giove dell’Arcadia quello
che
primo portò un simile nome. Infatti presso i cron
ome. Infatti presso i cronisti più accreditati, è generale l’opinione
che
il primo di tutti fosse il Giove Ammone della Lib
a, la cui origine rimonta ai tempi primitivi della creazione, e tanto
che
molti lo hanno confuso con Cam, figliuolo di Noè.
di Noè. Da questa prima configurazione del Giove pagano, ne venne poi
che
ogni popolo dell’ antichità, ebbe il suo Giove pa
estava la sbrigliata superstizione dei pagani, imperocchè noi vediamo
che
nella città di Argo, si venerava il Giove Api, ri
i, ritenuto nipote d’ Inaco ; nell’ isola di Creta, il Giove Asterio,
che
rapisce Europa ed è padre di Minosse e di Radaman
i dei cronisti e degli scrittori. Infatti molti fra questi pretendono
che
una tal divisione, fosse quella che stabilirono f
fatti molti fra questi pretendono che una tal divisione, fosse quella
che
stabilirono fra di loro i figliuoli di Noè. Altri
quella che stabilirono fra di loro i figliuoli di Noè. Altri vogliono
che
essendosi i Titani dispersi per tutta la terra, a
ta l’Asia Minore, ma si estendeva persino sulle coste dell’ Africa, e
che
Giove avesse diviso coi suoi fratelli l’ immenso
ed a Nettuno la supremazia su tutti i mari. È questa forse la ragione
che
fece ritenere questi tre fratelli come altrettant
sull’inferno. E lo stesso autore, a proposito d’una statua di Giove,
che
si adorava nella città di Argo, in un tempio cons
ava nella città di Argo, in un tempio consacrato a Minerva, riferisce
che
quel simulacro aveva tre occhi, uno in mezzo alla
li altri due al medesimo posto ove gli ànno le teste degli uomini ; e
che
ciò dinotava il trino potere di Giove sul cielo,
2162. Gioventù — Presso i pagani della Grecia, due erano le divinità
che
presiedevano alla giovanezza, cioè : Ebe ed Orta.
dava il nome di Pretesta. La dea Giuventa veniva onorata in un tempio
che
sorgeva nel Campidoglio. Al dire di Tacito, l’alt
scrittore dell’antichità. 2163. Giovio — Uno dei soprannomi di Ercole
che
a lui veniva per esser figlio di Giove. 2164. Gir
seguati alcuni caratteri cabalistici, lettere ed altre figure. Coloro
che
eseguivano questa divinazione giravano con tanta
ivinazione giravano con tanta celerità, intorno al cerchio tracciato,
che
finivano per cadere per terra, e dall’unione dell
va il presagio del futuro. La parola Giromanzia deriva dal greco ύρος
che
significa rotondo. 2165. Giuba — Re di Mauritania
più rinomati cronisti e storici dell’ antichità, fra i quali Platone,
che
esisteva un’antichissima legge, la quale imponeva
quali Platone, che esisteva un’antichissima legge, la quale imponeva
che
le anime dei morti, dovessero essere giudicate al
lle buone o delle cattive azioni. Però la tradizione favolosa ripete,
che
questo giudizio sommario venendo pronunziato al m
tristo regno, Là dov’egli ode, esamina, condanna E discopre i peccati
che
di sopra Son da le genti o vanamente ascosi In vi
, e ringhia : Esamina le colpe nell’entrata, Giudica e manda, secondo
che
avvinghia. Dico, che quando l’anima mal nata Li v
le colpe nell’entrata, Giudica e manda, secondo che avvinghia. Dico,
che
quando l’anima mal nata Li vien dinanzi, tutta si
rno è da essa : Cignesi colla coda tante volte, Quantunque gradi vuol
che
giù sia messa. DANTE — Inferno — Canto V. Questo
i campi Elisi, in un luogo chiamato campo della Verità, per alludere
che
non vi poteva mai penetrare nè la menzogna uè la
dizio di Paride — V. PARIDE. 2168. Giuga — Dalla parola latina jugum,
che
significa giogo, i greci davano codesto nome a Gi
che significa giogo, i greci davano codesto nome a Giunone, come dea
che
presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giog
one, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giogo,
che
durante la cerimonia nuziale, si metteva per poco
a in mezzo alla quale sorgeva un altare consacrato a Giunone Giuga, e
che
per questa ragione si chiamava Vicus Iugatinus. 2
iamava Vicus Iugatinus. 2169. Giugantino — I pagani non riconoscevano
che
due soli numi così chiamati, uno che presiedeva,
ino — I pagani non riconoscevano che due soli numi così chiamati, uno
che
presiedeva, come la Giunone Giuga, alle cerimonie
ramente nudo, e con una torcia accesa nella mano destra, per dinotare
che
portava i bollori della stagione. 2171. Giuliani
endere la fuga, Venere, madre d’Enea, li spinse a questa risoluzione,
che
fu poi cagione della loro salvezza, per mezzo di
elle prime Vestali, la quale si rese celebre per la sua grande virtù,
che
le valse, dopo la morte, gli onori divini. Il cen
valse, dopo la morte, gli onori divini. Il cennato scrittore racconta
che
il fratello di lei, Cajo Silvano, proconsole in A
è si disputavano l’onore della nascita di Giunone, ognuno pretendendo
che
la dea fosse nata nella rispettiva patria. Al di
estremi a visitar men vado L’antica Teti e l’Oceàn de’numi Generator,
che
présami da Rea, Quando sotto la terra e le profon
— Iliade — Libro XIV. trad. di V. MONTI. Altri scrittori pretendono
che
la cura della sua educazione venisse affidata all
zione venisse affidata alle Ore ; e finalmente altri sono di opinione
che
Giunone fosse stata allevata dalle tre figliuole
l nome di Porsinna, Eubea ed Acrea. La tradizione mitologica racconta
che
Giove, innamoratosi di sua sorella Giunone, l’ave
annata trasformandosi in quell’uccello chiamato Cuculo V. CUCULO — e
che
dopo qualche tempo, l’avesse sposata con tutta la
. Le cronache mitologiche aggiungono, a proposito delle famose nozze,
che
Giove avesse ordinato a Mercurio d’invitare alle
ondeggiavi,…. OMERO — Iliade — Libro XV. trad. di V. MONTI. Vulcano,
che
tentò liberarla, fu da Giove precipitato dall’Oli
iberarla, fu da Giove precipitato dall’Olimpo con un calcio, per modo
che
percosse violentemente sulla terra e ne restò zop
e ne restò zoppo per tutta la vita. Per altro i mitologi asseriscono
che
Giunone, sebbene divorata dalla gelosia, avesse p
unone perseguitò senza tregua non solo le amanti di Giove, ma i figli
che
egli ebbe, tanto da altre dee, quanto da donne mo
rcole, Europa, Jo, Semele ecc. Presso i pagani era generale credenza,
che
Giunone odiasse tutte le donne di facili costumi,
— V. Canatosa, la quale era consacrata a Giunone, perchè si riteneva
che
la dea andasse a bagnarvisi una volta l’anno. Si
va che la dea andasse a bagnarvisi una volta l’anno. Si credeva anche
che
le acque di quella fonte avessero la strana prero
avessero la strana prerogativa, di ritoruare la verginità alle donne
che
l’avevano perduta. Ma se in molti punti opinioni
quattro figli, cioè : Vulcano, Ebe, Venere e Lucina ; altri vogliono
che
a questi si aggiungessero altri due, cioè : Marte
ltri due, cioè : Marte, Dio della guerra, e Tifone. Fra gli scrittori
che
aggiungono questi ultimi due, ai figli di Giunone
one la nascita di questi figliuoli. Infatti, troviamo nelle cronache,
che
Giunone divenne madre di Tifone, facendo uscire d
enne madre di Tifone, facendo uscire dalla terra una specie di miasmo
che
ella ricevette nel seno ; che dette la luce a Mar
uscire dalla terra una specie di miasmo che ella ricevette nel seno ;
che
dette la luce a Marte, ponendosi in grembo un fio
un qualche speciale incarico ; così le cronache mitologiche, ripetono
che
Giunone sopraintendeva agli imperi e alle ricchez
tendeva agli imperi e alle ricchezze della terra. Da ciò si asserisce
che
ella offerisse a Paride, gran parte dei beni dell
di Giunone ; ma essa nel culto pagano era ritenuta ancora come la dea
che
presiedeva ai matrimonii, alle nozze, ai parti —
ri, e di tutti gli ornamenti, e presiedeva anche alla moneta per modo
che
veniva sovente chiamata col soprannome di Juno Mo
odigi da essa operati, e delle terribili vendette compiute, su coloro
che
aveano osato sprezzarla, o solamente paragonarsi
solamente paragonarsi a lei ; aveva inspirata tanta rispettosa paura,
che
i pagani non trascuravano nulla onde placare il t
ile sdegno di lei, quante volte aveano la sventura di aver fatto cosa
che
menomamente offendesse la sua maestà. Essa non ve
i Cartagine. Ci cade in acconcio di far qui notare ai nostri lettori,
che
presso i pagani tutte le primitive statue delle d
e differenti divinità altro non erano se non delle pietre informi ; e
che
da principio anche la statua della Giunone d’Argo
e la statua della Giunone d’Argo, era una semplice colonna ; e non fu
che
allorquando l’incivilimento dette all’arte greca
’arte greca e latina un così splendido sviluppo, come avvenne di poi,
che
le differenti statue delle deità pagane, raggiuns
enti statue delle deità pagane, raggiunsero quel grado di perfezione,
che
anche oggidì si ammira, come una prova stupenda d
. Ai suoi piedi riposava comunemente un pavone, suo uccello favorito,
che
non si dà come attributo a nessun’altra divinità.
almente a Giunoue il papavero, il dittamo ed il granato ; e l’animale
che
le si sacrificava era l’agnella ; mentre il primo
altari di lei, una vacca ; perchè la tradizione mitologica ripeteva,
che
durante la guerra dei giganti contro Ciove, Giuno
rola latina juvare, a simiglianza della etimologia del nome di Giove,
che
deriva da juvans pater. V. Giove. Finalmente per
ori dell’antichità ci hanno trasmesso sulla dea Giunone, aggiungeremo
che
i pagani le davano una gran quantità di appellati
i nomi vedi gli articoli particolari. 2173. Giunoni — Nome collettivo
che
i pagani davano ai genii particolari delle donne.
rticolari delle donne. Era credenza generalizzata presso gli antichi,
che
tutte le donne avessero una loro Giunone particol
a verità di quanto asseriamo, fanno fede le molte iscrizioni antiche,
che
ci sono state tramandate sia dai ruderi dei monum
ti dal tempo, sia nei papiri. Infatti su di una pietra d’un monumento
che
si vuole sia quello della vestale Giunia Torquata
parlammo all’articolo particolare, si leggono in greco queste parole
che
noi traduciamo alla lettera : Alla Giunone di Gi
Roma in onore della dea Giunone. 2175. Giunonio — I pagani credevano
che
il dio Giano Bifronte avesse introdotto in Italia
sieme. Vi sono anzi varì cronisti dell’antichità, i quali asseriscono
che
in Roma il senato avesse promulgata una legge, la
che in Roma il senato avesse promulgata una legge, la quale ordinava
che
tutti i pubblici giuochi fossero solennizzati con
iuochi fossero solennizzati con gran pompa in onore di qualche nume ;
che
non si poteva dar principio a questa pubblica sol
re religiose cerimonie. Da ciò emerge chiara e nitida la conseguenza,
che
la istituzione dei giuochi pubblici, presso i pag
ligione ; ma lo studio dell’antichità ci prova abbastanza chiaramente
che
la politica aveva, nella celebrazione di questi p
svelti, e robusti, essendo continuamente occupati in questi esercizi,
che
sviluppano così potentemente le forze del corpo,
e proprio giuochi equestri o curuli, consistevano in alcuni esertcizì
che
si eseguivano nel circo dedicato a Nettuno, e sec
stevano nella rappresentazione di alcune satire, commedie e tragedie,
che
si ese guivano nel teatro pubblico, in onore di A
Grecia, erano i giuochi detti Olimpici, i Nemei, gl’Istmi ed i Pilj,
che
erano tenuti in grande considerazione, sopratutto
i, la cui celebrazione si faceva con minor pompa dei sopracennati, ma
che
ciò non pertanto avevano presso gli antichi una t
. Così Virgilio ci ripete la descrizione dei solenni giuochi funebri,
che
Enea celebra sul sepolcro di suo padre Anchise. S
i dava Ed al perdente una leggiadra uncella Quattro tauri estimata, e
che
di molti Bei lavori donneschi era perita. Rizzoss
stringendosi a vicenda Colle man forti s’afferrar, siccome Due travi
che
valente architettore Congegna insieme a sostener
gli sferra. Al ginocchio di retro ove si piega. Tale un sùbito colpo,
che
le forze Scioglie ad Aiace, e resupino il gitta C
un groppo, Densi globi di polvere levando. Avanzù gli altri Clitoneo,
che
, giunto Della carriera al fin, lasciolli indietro
e, giunto Della carriera al fin, lasciolli indietro Quell’intervallo,
che
i gagliardi muli I tardi lascian compulenti buoi,
acro. Giove presiedeva ai giuramenti, e i pagani ritenevano per fermo
che
il violatore d’un giuramento veniva colpito dal f
radizione mitologica racconta a proposito dell’inviolabile giuramento
che
gli dei stessi facevano per le acque stigie, che
violabile giuramento che gli dei stessi facevano per le acque stigie,
che
avendo la Vitto ria figlia del fiume Stigie, socc
ro i giganti, il padre dei numi in riconoscenza verso di lei, comandò
che
tutti gli dei avessero giurato per le acque stigi
i, comandò che tutti gli dei avessero giurato per le acque stigie ; e
che
quello che avesse violato codesto giuramento, dov
che tutti gli dei avessero giurato per le acque stigie ; e che quello
che
avesse violato codesto giuramento, dovesse aggira
anni. Lo storico Serbio, rende ragione di simile tradizione col dire
che
gli dei essendo beati ed immortali giuravano per
dire che gli dei essendo beati ed immortali giuravano per lo stigie,
che
è un fiume di mestizie e di dolore, come per una
ie e di dolore, come per una cosa completamente ad essi contraria ; e
che
quindi questo era ritenuto come un giuramento di
Sicilia, andavano uel tempio degli dei Palici a fare i giuramenti ; e
che
gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e
amenti ; e che gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e tanto
che
al dire del cennato scrittore, vi sono state dell
uardo quest’ultima formola di giuramento, lo storico Aulo Gellio dire
che
questa fu introdotta presso i romani anche nei mi
nio, l’efferata mattezza dell’imperatore Caligola, giunse a tal punto
che
impose si giurasse pel cavallo bucefalo, facendo
vi sono varii scrittori e cronisti dell’antichità i quali asseriscono
che
in Roma la dea chiamata Temi era diversa dalla gi
la dea chiamata Temi era diversa dalla giustizia. Scrive Anlo Gellio
che
la giustizia veniva comunemente raffigurata sotto
eci la raffiguravano con una bilancia ed una spada nuda, per dinotare
che
la giustizia premia e castiga, dopo aver pesato l
mia e castiga, dopo aver pesato le azioni degli uomini. Esiodo ripete
che
la giustizia figlinola di Giove stava nel cielo s
re suo, al quale dimandava vendetta contro gli uomini, tutte le volte
che
questi offendevano le sue leggi. Al dire di Arato
o loro le sue leggi. Durante l’età d’argento, ella non si fece vedere
che
in tempo di notte ; e finalmente venuto il terrib
la di Turno, re dei Rutuli e figlia di Dauno. La tradizione ci ripete
che
Giove, innamoratosi di lei, la richiese dei suoi
presidenza sugli stagni e sui piccoli fiumi. Le cronache raccontano,
che
Giuturna, informata da Giunone che Turno ed Enea
oli fiumi. Le cronache raccontano, che Giuturna, informata da Giunone
che
Turno ed Enea avrebbero posto fine a la guerra ch
formata da Giunone che Turno ed Enea avrebbero posto fine a la guerra
che
sostenevano l’uno contro l’altro, con un particol
o fratello e mischiatasi ai soldati di lui, si adoperò a fare in modo
che
questi avessero rotto il trattato. Ma non essendo
rotto il trattato. Ma non essendo riuscita nel suo intento, e vedendo
che
Enea incalzava da vicino Turno, montò sul carro d
I. trad. di A. Caro. Infatti le cronache dell’antichità, ci rivelano
che
nel Lazio, vi era una fontana chiamata Giuturna,
ità, ci rivelano che nel Lazio, vi era una fontana chiamata Giuturna,
che
metteva foce nel fiume Numico, alle cui acque i p
Al dire di Varrone, Giuturna era anche il nome di un’altra divinità,
che
i romani invocava no particolarmente quando intra
Scagliandoli, destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor,
che
il tutto Divorasse………… Omero — Itiade — Libro XX
uso, fu seguitato ; e ai funerali dei ricchi s’immolavano gli schiavi
che
loro avevano appartenuto. Però a misura che la ci
s’immolavano gli schiavi che loro avevano appartenuto. Però a misura
che
la civiltà spandeva la sua luce rigeneratrice pre
chi, codesta barbara usanza cadde poco a poco in disuso ; e allora fu
che
alle pompe dei funerali solenni, fu introdotto il
che alle pompe dei funerali solenni, fu introdotto il costume di far
che
gli schiavi combattessero fra di loro, piuttosto
l costume di far che gli schiavi combattessero fra di loro, piuttosto
che
ucciderli come bestie. Da ciò ne venne che la pro
ero fra di loro, piuttosto che ucciderli come bestie. Da ciò ne venne
che
la professione di gladiatore, fu poi un’arte pubb
dovè distruggere il tempio della Misericordia, non essendo possibile
che
si fosse adorata questa mite e soave divinità da
sibile che si fosse adorata questa mite e soave divinità da un popolo
che
assisteva con tanta passione ad un si disumano sp
nosciuta nella tradizione storico mitologica sotto il nome di Creusa,
che
fu figlia di Creonte, re di Corinto. ….Unica fig
nome uno dei figliuoli d’Ippolito, del quale la tradizione racconta,
che
essendo caduto in una botte di miele, vi restò so
conta, che essendo caduto in una botte di miele, vi restò soffocato e
che
il dio Esculapio, l’avesse ritornato alla vita, f
nelle sue cronache sull’antichità, codesta tradizione favolosa, dice
che
Glauco, avendo fatto troppo e frequente uso di mi
to troppo e frequente uso di miele, era presso a morte per anemia ; e
che
un famoso medico per nome Dracone, lo avesse rito
izioni della favola, danno lo stesso nome di Glauco, fu un dio marino
che
alcuni mitologici presentano come figlio di Nettu
e mitologica narra di questo Glauco, uno strano avvenimento ; dicendo
che
egli che era un famoso pescatore della città di A
ica narra di questo Glauco, uno strano avvenimento ; dicendo che egli
che
era un famoso pescatore della città di Antedone i
ia, avesse preso un giorno gran quantità di pesci con le sue reti ; e
che
avendoli posti sull’erba della spiaggia, vide sal
Colpito da quel fatto per sè stesso semplicissimo, Glauco non dubitò
che
l’erba che nasceva su quelle spiagge, avesse una
quel fatto per sè stesso semplicissimo, Glauco non dubitò che l’erba
che
nasceva su quelle spiagge, avesse una qualche seg
to da un ardente ed indomabile desiderio di cangiar natura ; per modo
che
si precipitò in mare ; ove al della tradizione, l
presi Sovresso l’erba ; cosi que’che colti Fur nelle reti, come quei
che
troppo Creduli s’impigliar nell’amo adunco. Sembr
eni. Il cronista Ateneo ampliando codesta strana tradizione, aggiunge
che
Glauco s’innammorò di Arianne, quando Bacco l’abb
ne, quando Bacco l’abbandonò ; e si dette ad amarla con passione ; ma
che
Bacco per castigarlo lo avesse fatto legare ad un
o conosciuto, al dire di Pausania, sotto il nome di Salto di Glauco ;
che
sorgeva nel luogo ove egli si precipitò in mare,
. Secondo le opinioni di Diodoro, questo Glauco dio-marino, fu quello
che
servi di scorta agli argonauti, quando mossero al
di Glauco. Secondo il cennato poeta, Glauco non volle accondiscendere
che
le sue cavalle fossero fecondate dagli stalloni a
, sdegnata contro di Glauco, rese le cavalle di lui furiose al punto,
che
fecero in pezzi il loro padrone. Ma non cadde si
ofonte, e figliuolo d’Ippoloco ; e come uno dei comandanti dei Licii,
che
sotto gli ordini del famoso Sarpedone, soccorsero
essi si accingevano al combattimento, allorchè Diomede avendo saputo
che
Glauco era nipote di Bellorofonte, la cui famigli
a sacra all’eroe greco per dritto d’ospitalità, depose a terra l’asta
che
avea brandita ; abbracciò Glauco con effusione d’
he avea brandita ; abbracciò Glauco con effusione d’affetto ; e giurò
che
non avrebbe più combattuto contro di lui. Però no
ei trojani, essi scambiarono le loro armi, volendo con ciò dimostrare
che
se pure nemici per ragioni di patria, essi erano
se pure nemici per ragioni di patria, essi erano amici per l’affetto
che
li legrava insieme. Glauco ricordandosi le ingiun
generosità ogni altro guerriero, dette in cambio delle armi di bronze
che
Diomede gli avea dato, un’intera armatura d’oro,
ento buoi. Questo fatto dette, presso i troiani, vita ad un proverbio
che
diceva : Questo è il baratto di Glauco e Diomede.
fasti del paganesimo, per la sua destrezza e per la sua forza ; cosa
che
gli valse più volte gli onori del premio nei giuo
ù volte gli onori del premio nei giuochi Ginnici. Narra la tradizione
che
un giorno, mentr’egli era ancora giovanissimo, su
ora giovanissimo, suo padre lo vide accomodare con un pugno l’aratro,
che
si cra torto, mentre coltivava la terra. Sorpreso
ava l’universo. Sulle antiche medaglie portanti l’effigie del sovrano
che
le avea coniate, si vedeva spesso un globo nella
e simbolo della sua potenza. 2187. Goezia — Dalla parola greca οντεια
che
significa incantesimo. I pagani davano questo nom
fica incantesimo. I pagani davano questo nome ad una specie di magia,
che
si faceva per compiere i maleficii. I genii malef
ii. I genii malefici erano i soli evocati durante questo incantesimo,
che
si faceva di notte, presso i sepolcri, con gemiti
Gordiano — La tradizione mitologica spiega nel seguente modo il fatto
che
si rapporta a questo nodo così chiamato. Il padre
l timone per mezzo di un nodo di così intrigato e difficile magistero
che
non era possibile, non solo di scioglierlo, ma di
comprendere come fosse fatto. Ora un’antica tradizione Frigia diceva,
che
l’oracolo avea predetto che colui che avesse sapu
. Ora un’antica tradizione Frigia diceva, che l’oracolo avea predetto
che
colui che avesse saputo sciogliere quel nodo, avr
ntica tradizione Frigia diceva, che l’oracolo avea predetto che colui
che
avesse saputo sciogliere quel nodo, avrebbe avuto
o per la Frigia, ebbe vaghezza di vedere il nodo Gordiano, e persuaso
che
la predizione dell’oracolo lo riguardasse persona
i tentativi per scioglierlo ; ma non essendone venuto a capo, temendo
che
i suoi soldati non avessero da ciò tratto cattivi
ione dell’oracolo. Il cronista Arriano aggiunge, a questo proposito,
che
appena Alessandro ebbe tagliato il nodo ; si ritr
l suo seguito, come se avesse del tutto compiuta la predizione ; cosa
che
fu confermata nell’opinione generale, dalla tempe
ione ; cosa che fu confermata nell’opinione generale, dalla tempesta,
che
segui nella notte di quel giorno, durante la qual
ente molti sacrifizii agli dei, in ringraziamento dei segni di favore
che
gli avevano dato. 2189. Gordio — Padre di Mida V.
ano avvenimento. Durante la sua gioventù, egli era stato niente altro
che
un povero lavoratore, ricco solo d’un pajo di buo
isce il cronista Arriano, l’arte della divinazione era così naturale,
che
perfino le loro donne e i loro fanciulli eseguiva
dei villaggi ove dimoravano i Telmissi, s’incontrò in una giovanetta
che
andava ad attinger acqua ad una prossima fonte ;
ttinger acqua ad una prossima fonte ; e attratto da quella confidenza
che
ispira sempre un volto sereno e giovanile, Gordio
nile, Gordio le palesò il motivo del suo viaggio, e quella fanciulla,
che
era della schiatta degli indovini, gli rispose ch
quella fanciulla, che era della schiatta degli indovini, gli rispose
che
doveva sagrificare a Giove sotto l’appellazione d
ellazione di Giove re o di sovrano. Gordio pregò allora la giovanetta
che
volesse accompagnarsi con lui, onde insegnargli l
desiderio, e dopo qualche tempo Gordio la sposò, e ne ebbe un figlio
che
fu chiamato Mida. Intanto con l’andare degli anni
gravi dissensioni ; essi fecero ricorso all’oracolo, il quale rispose
che
la pace sarebbe ritornata nel loro paese, per mez
pose che la pace sarebbe ritornata nel loro paese, per mezzo di un re
che
fosse venuto ad essi su di un carro. Mentre gli a
morì all’assedio di Troja, ucciso per mano di Teucro con una freccia
che
avea mancato Ettore. Al colpo tutta Ei l’anima d
Forco, dio marino, e di una donna per nome Ceto, formavano la triade
che
insieme alle Arpie, ai Ceutauri e agli altri most
i attiene il citato scrittore, le Gorgoni non avevano fra tutte e tre
che
un occhio solo, ed nu sol dente, di cui si serviv
; ed un solo loro sguardo valeva ad uccidere un uomo. Pindaro ripete
che
bastava che le Gorgoni avessero fissato un uomo,
o loro sguardo valeva ad uccidere un uomo. Pindaro ripete che bastava
che
le Gorgoni avessero fissato un uomo, perchè quest
, perchè questo restasse all’istante pietrificato. Virgilio asserisce
che
Medusa era la loro regina e che quando questa fu
ante pietrificato. Virgilio asserisce che Medusa era la loro regina e
che
quando questa fu disfatta V. Medusa le tre sorell
Virgilio — Encide — Lib. VI. trad. di A. Caro. Il cronista Diodoro,
che
è uno dei più accreditati scrittori dell’antichit
odoro, che è uno dei più accreditati scrittori dell’antichità, ripete
che
le gorgoni abitavano la Lidia, vicino al lago Tri
ripete che le gorgoni abitavano la Lidia, vicino al lago Tritonide, e
che
altro non erano se non donne guerriere governate
non erano se non donne guerriere governate da Medusa, loro regina, e
che
fossero poi completamente distrutte da Ercole. Pe
tuta dal cronista Ateneo, secondo il quale le gorgoni non erano altro
che
dei terribili e mostruosi animali che uccidevano
uale le gorgoni non erano altro che dei terribili e mostruosi animali
che
uccidevano con lo sguardo. Il citato autore ripet
truosi animali che uccidevano con lo sguardo. Il citato autore ripete
che
nella Lidia, i popoli conosciuti col nome di Noma
i popoli conosciuti col nome di Nomadi, chiamavano gorgone un animale
che
so migliava ad una pecora ; il cui alito era così
imale che so migliava ad una pecora ; il cui alito era così velenoso,
che
uccideva all’istante tutti coloro che gli si avvi
il cui alito era così velenoso, che uccideva all’istante tutti coloro
che
gli si avvicinavano. Aveva sulla testa una massa
cronaca storico-favolosa, a cui s’attiene lo stesso Ateneo, asserisce
che
alcuni soldati dell’esercito di Mario, nel tempo
teneo, asserisce che alcuni soldati dell’esercito di Mario, nel tempo
che
le legioni romane combattevano nella guerra contr
evenne e con uno sguardo le rese tutti cadaveri. Finalmente è scritto
che
alcuni cavalieri Nomadi, essendosi un giorno imba
giorno imbattuti con una delle gorgoni, la uccisero da lontano senza
che
essa avesse potuto vederli, a colpi di freccia. N
ttori sono i pareri di molti altri autori. Infatti alcuni pretendono,
che
le gorgoni, lungi dall’essere degli animali mostr
, largamente fornite di tutti i doni e le prerogative della bellezza,
che
vale ad ammaliare con uno sguardo. L’impressione
della bellezza, che vale ad ammaliare con uno sguardo. L’impressione
che
produceva la loro bellezza era così istantanea, c
do. L’impressione che produceva la loro bellezza era così istantanea,
che
fu detto caugiassero in pietre gli uomini. Plinio
ici delle Gorgati, da cui venne loro il Lome di gorgoni ; ed aggiunge
che
il solo Annone, generale dei cartaginesi, fosse p
padronirsi di alcuna di esse, ma dopo molta fatica non potè prenderne
che
due sole, il cui corpo era tutto coperto di folti
utto coperto di foltissimi e lunghi crini. Il citato scrittore ripete
che
Annone per conservare memoria dello strano avveni
a distruzione di Cartagine. Il cronista Palesato, a sua volta, ripete
che
le Gorgoni regnarono su tre isole dell’Oceano, e
ua volta, ripete che le Gorgoni regnarono su tre isole dell’Oceano, e
che
alla sopraintendenza degli affari del loro govern
e che alla sopraintendenza degli affari del loro governo, non avevano
che
un solo ministro, di cui si servivano a vicenda.
eduta una statua di Minerva, di oro massiccio, alta quattro cubiti, e
che
le Gorgoni custodivano nel loro tesoro. La cronac
e Gorgoni custodivano nel loro tesoro. La cronaca mitologica aggiunge
che
, non avendo Medusa voluto accondiscendere alla vo
re nel nome delle tre Gorgoni, quello di altrettante navi mercantili,
che
facevano il traffico sulle coste dell’Africa, ove
inse all’atra foce La Gorgone feroce. Poi tornando all’orrido Teschio
che
avea pendenti, Di chioma invece, squallidi Vilupp
de X. trad. G. Borgin. Secondo altre moderne credenze vi sono autori
che
pretendono essere le Gorgoni una razza di cavalle
ro III trad. di D. Strocchi. 2194. Gorgonia o Gorgofora — Soprannome
che
si dava a Pallade Minerva, perchè essa portava, u
he Cortina, città dell’isola di Creta ; famosa per gli ottimi pascoli
che
vi si trovavano. Riferisce Omero che ivi pascevan
; famosa per gli ottimi pascoli che vi si trovavano. Riferisce Omero
che
ivi pascevano i cavalli del carro del Sole. 2196.
itologica narra a proposito di lui un bizzarro avvenimento. È scritto
che
un giorno ci trovasse due serpenti nella sua casa
to. È scritto che un giorno ci trovasse due serpenti nella sua casa e
che
sorpreso d’avere gl’inaspettati ospiti nei suoi d
gli Aruspici, onde saper il modo di regolarsi. Gli Aruspici risposero
che
s’egli avesse lasciato audare il maschio dei due
due serpenti, ben presto Cornelia moglie di Tiberio sarebbe morta ; e
che
per contrario cesserebbe egli stesso di vivere, s
eneramente la moglie sua, ed essendo già iu età molto avanzata, pensò
che
era meglio sacrificare la propria vita a quella d
ntitolata De Devinatione. 2197. Gradivo — Dalla parola latina gradior
che
significa cammino. I pagani davano questo soprann
a Marte Gradivo. V. Quirino. 2198. Grajè — Dalla parola greca γραιαι
che
vuol dire vecchie. Gli antichi davano questo nome
Pefredo. La tradizione mitologica, a cui si attiene Esiodo, riferisce
che
i capelli della Graje incanutirono nel punto stes
acquero. Il citato scrittore spiegando codesta favola allegorica dice
che
le Graje essendo figliuole di Glauco dio marino a
e che le Graje essendo figliuole di Glauco dio marino altro non crano
che
la personificazione mitologica delle onde del mar
e della ninfa Amadriade, la quale ebbe da lui sette altre figliuole,
che
insieme a questa Granea furono dal nome, della lo
200. Gran madre — Con l’appellazione di Magna mater indicavano Cibele
che
come dea dell’agricoltura, che feconda la terra,
zione di Magna mater indicavano Cibele che come dea dell’agricoltura,
che
feconda la terra, è madre comune di tutti gli uom
— Fra l’estesissimo numero delle divinità pagane, non ve n’era alcuna
che
come queste tre sorelle riunite insieme, avessero
e e di Giove e di Giunone ; ma l’opinione più generalmente adottata è
che
le tre Grazie fossero figliuole di Bacco e di Ven
erano per altro alcuni, come i Lacedemoni, i quali non riconoscevano
che
due sole Grazie chiamate Faenne e Clito ; e gli s
elle Grazie, la dea della Persuasione, volendo per tal modo indicarci
che
il mezzo più efficace a persuadere è quello di pi
o scrittore ; quantunque altri cronisti suoi contemporanei, attestano
che
le Grazie venivano dipinte interamente nude ; e q
di bassorilievi dell’antichità, nei quali, se pure ve ne ha qualcuno
che
ci presenta le Grazie secondo la descrizione fatt
scrizione fattaci da Paufania, pure è estesissimo il numero di quelli
che
ce le mostrano interamente nude. I pagani ritenev
e ed i simulacri di questi ultimi, eran vuoti nello interno, per modo
che
aprendosi vi si trovavano quasi sempre delle stat
ichi ammaestrarci del come non si debba prestar fede alle apparenze ;
che
i difetti della persona possono mitigarsi con le
i difetti della persona possono mitigarsi con le grazie dell’anima, e
che
un fisico ributtante allo sguardo, può nascondere
e in loro onore un tempio, e a stabilire un culto particolare, per il
che
fu detto ch’egli fosse loro padre. Secondo riferi
sse, re di Creta, per offerire un sacrifizio alle Grazie, nel momento
che
s’accingeva a dar principio alla sacra cerimonia,
suo amatissimo figliuolo. Alla dolorosa notizia il re gettò la corona
che
, secondo l’uso di tali cerimonie, gli ornava la f
di tali cerimonie, gli ornava la fronte e ordinò tacessero i suoni di
che
era costume accompagnare le offerte alla divinità
eniva pure di quelli dedicati a Mercurio, volendo con ciò significare
che
lo stesso dio dell’eloquenza, avea bisogno dell’a
quali dovevano avere stretta correlazione con le Grazie, come quelle
che
presiedevano alle arti che ingentiliscono lo spir
ta correlazione con le Grazie, come quelle che presiedevano alle arti
che
ingentiliscono lo spirito. A cui d’arcanto la ma
lla delle Grazie amiche Dive senza il cui nume opra e favella Nulla è
che
piaccia, e nulla cosa è bella. Monti — La Musogo
e tre Grazie. Nè a ciò solo si limitava la superstiziosa venerazione,
che
i pagani avevano per queste tre divinità ; impero
r tributo d’omaggi e di generale considerazione, credevano fermamente
che
le tre Grazie fossero le dispensatrici dell’alleg
uenza e perfino della gratitudine e della riconoscenza. Gli Ateniesi,
che
erano il popolo più incivilito di tutta la Grecia
atto, innalzarono un altare consacrandolo a quella fra le tre Grazie,
che
presiedeva alla riconoscenza. Finalmente, secondo
un piccolo gruppo rappresentante le tre Grazie, e ciò per significare
che
se con la sinistra feriva, con la destra arrecava
zie si ritenevano le dispensatrici. 2202. Grazione. — Uno dei giganti
che
dettero la scalata al cielo. 2203. Grifone. — Uno
calata al cielo. 2203. Grifone. — Uno dei tanti mostruosi animali, di
che
la mitologia fa del continuo menzione. Secondo la
ittori dell’antichità, fra cui Eliano, Solino ed Erodoto, han creduto
che
simili mostri esistessero davvero nel regno anima
han creduto che simili mostri esistessero davvero nel regno animale e
che
nel paese degli Arimaspi vi era una miniera di or
erni, non facendo alcuno di essi menzione di questi favolosi animali,
che
non hanno avuto vita che nell’immaginazione dei p
di essi menzione di questi favolosi animali, che non hanno avuto vita
che
nell’immaginazione dei poeti. Il Grifone mitologi
se con le quali si distinguevano i Grifoni, alludevano all’attenzione
che
si deve avere ai propri doveri. La forma di leone
dell’esistenza dei Grifoni nelle credenze pagane ; imperocchè vediamo
che
il Grifone si trova come uno degli attributi di A
zavano intorno all’altare di Apollo, nel giorno delle Delie. Si vuole
che
gl’intricati giri che le danzatrici eseguivano gu
are di Apollo, nel giorno delle Delie. Si vuole che gl’intricati giri
che
le danzatrici eseguivano guivano ballando, figura
ccise il mostro. 2207. Guadaletta. — Così avea nome un piccolo fiume,
che
metteva foce nel golfo di Cadice e del quale i pa
— V. Fiumi dell’Inferno. 2208. Gufo. — Uccello dei cattivi presagi, e
che
, come simbolo della vigilanza, era consacrato a M
lio — Eneide — Libro IV trad. di A. Caro. 2209. Grundili. — Divinità
che
i romani ponevano nel numero dei loro Penati. Si
— Divinità che i romani ponevano nel numero dei loro Penati. Si vuole
che
Romolo li avesse istituiti in occasione del parto
che Romolo li avesse istituiti in occasione del parto di una scrofa,
che
dette alla luce trenta porcellini. H 2210.
ilonesi davano questa appellazione alla loro più alta dea : la stessa
che
i greci chiamano Giunone. 2211. Hafedà. — I popol
ndatori della loro religione. Un’antica tradizione del paese, diceva,
che
il profeta Ud avesse fatto abbandonare, coll’anda
e, coll’andare degli anni, il culto di questo dio dagli stessi popoli
che
l’avevano collocato nel numero delle loro divinit
dio incarnato. Hakem era presso quei popoli l’identica idea di quello
che
è il Gesù Cristo dei cristiani : vale a dire la p
sù Cristo dei cristiani : vale a dire la più alta intelligenza umana,
che
si offre ostia espiatrice, per la redenzione univ
pio non solo divise, ma nemiche fra loro ; e non si riunirono insieme
che
per combattere Brahma. Gl’indiani rappresentavano
ra presso i Parsi uno dei loro cinque dei Gahi, e propriamente quello
che
presiedeva alla prima parte del giorno, vale a di
um. 2217. Heja. — Presso i Samojedi si dava questo nome alla divinità
che
rappresentava il dio supremo : era lo stesso che
o nome alla divinità che rappresentava il dio supremo : era lo stesso
che
il Giove dei greci e dei romani. 2218. Hell. — Id
ve del flume Fromo, nella contea di Dorset. Sono ben pochi gli autori
che
ne han fatta menzione. 2219. Heriafadur. — Fu da
l tempo, e probabilmente dopo la morte di lui, il nome di Heriafadur,
che
significa padre della guerra, fu una delle più ce
uale nelle credenze religiose di quei popoli, rappresentava lo stesso
che
il dio Marte presso i greci. 2220. Higolajo. — De
i gl’isolani dell’arcipelago. Un’antica tradizione locale assicurava,
che
gli dei stessi servivano dopo la morte gli uomini
rava, che gli dei stessi servivano dopo la morte gli uomini virtuosi,
che
Higolajo ammetteva nel soggiorno dei beati. 2221.
ne, figlia di Odur e di Freja, dea dell’Amore. La tradizione aggiunge
che
Hnossa fosse più bella della stessa madre, e che
tradizione aggiunge che Hnossa fosse più bella della stessa madre, e
che
aveva in sè tanto splendore e tanta bellezza, che
lla stessa madre, e che aveva in sè tanto splendore e tanta bellezza,
che
dal nome di lei furono detti Hossir o Hnosser i g
hiama Baal, e da ciò gli arabi danno il nome di Hobal, ad un loro dio
che
raffigurava il Sole. Il simulacro di Hobal era un
io venerando, dalla lunga barba d’argento. Le cronache arabe ripetono
che
essendosi una volta infranta la mano destra di qu
metallo, ed a cui dettero il nome di frecce della sorte. È probabile
che
queste sette frecce raffigurassero simbolicamente
con un culto particolare, forse in ringraziamento dei molti vantaggi
che
quest’animale recava loro. Infatti nel tempo dell
i di cavallette e di bruchi, nonchè un gran numero di serpenti alati,
che
gli ibi distruggevano interamente. I naturalisti
ti, che gli ibi distruggevano interamente. I naturalisti asseriscono,
che
quando un ibi viene trasportato in altro paese, s
da una inguaribile nostalgia. Il cronista Eliano a sua volta ripete,
che
quest’animale, quando mette la testa sotto le ali
si trova ripetuta una singolare credenza su questo volatile. Si vuole
che
l’ibi avesse per il primo fatto nascere l’idea di
virsi dei cristieri come rimedio medicinale ; imperocchè fu osservato
che
da sè stesso si appresta un tal rimedio, a cui si
imonie ibristiche, furono istituite in onore di quelle valorose donne
che
, senza aiuto degli uomini, presero le armi e resp
rno della luna, alcune feste così chiamate, perchè si credeva appunto
che
in un novilunio fosse nato Epicuro. Nella celebra
e aveva già avuto numerose richieste, ond’egli per evitare le contese
che
sarebbero certamente surte fra i molti pretendent
olti pretendenti, bandì in Sparta solenni e pubblici giuochi, dicendo
che
il vincitore avrebbe riportato in premio la mano
remio ed ebbe infatti in moglie la bellissima giovanetta. Icario pero
che
amava teneramente la figlia sua, fece di tutto pe
a col marito salì sul carro, Icario segui correndo i veloci corsieri,
che
gli rapivano il suo tesoro, per modo che Ulisse,
correndo i veloci corsieri, che gli rapivano il suo tesoro, per modo
che
Ulisse, stanco della tenace importunità del vecch
tenace importunità del vecchio, arrestò i cavalli e disse alla moglie
che
non reggendogli più oltre il core di vedere così
andar col marito ; e in memoria di questo fatto, e del casto rossore
che
avea veduto sul volto della figlia adorata, dedic
uto sul volto della figlia adorata, dedicò alla pudicizia una statua,
che
poi fece mettere nello stesso luogo, ove Penelope
me al padre suo, colla fuga dalle persecuzioni di Minos, re di Creta,
che
li teneva rinchiusi nella sua isola. Riferisce Di
ella sua isola. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache sull’antichità,
che
i due fuggitivi, giunti ad una remota spiaggia lo
ma dall’isola inospitale, prendessero terra con tanta precipitazione,
che
Icaro ricadde nell’acqua e si annegò ; e che da q
on tanta precipitazione, che Icaro ricadde nell’acqua e si annegò ; e
che
da quell’epoca, tanto quel tratto di mare, quanto
ro. Diversa, per altro, sebbene informata su questa base, è la favola
che
i poeti e i cronisti della mitologia, foggiarono
ta da Diodoro. Infatti, presso tutti i poeti dell’antichità, si vuole
che
Dedalo, famoso operajo fabbricasse per sè e pel f
delle ali, le cui penne erano unite fra loro per mezzo della cera, e
che
con queste ali intraprendesse la fuga dall’isola
nè basso, ma a spingere il suo volo nè troppo vivino al sole, temendo
che
gl’infocati raggi di quello non avessero liquefat
rano assicurate le ali ; ovvero nè troppo accosto alla terra, temendo
che
la esalazione dei miasmi non avesse prodotto l’is
che la esalazione dei miasmi non avesse prodotto l’istesso effetto ;
che
nella sua posizione sarebbe tornato funesto allo
inesperta, Icaro spinse l’audace suo volo troppo oltre le nubi, così
che
i raggi del sole, saettando caldi ed infuocati le
ati le spalle del temerario giovanetto, liquefecero la cera per modo,
che
mancato ad un tratto l’appoggio che lo manteneva
to, liquefecero la cera per modo, che mancato ad un tratto l’appoggio
che
lo manteneva in equilibrio nel vuoto, egli precip
uali appena ebbero fatto il vino ne bevettero in così larga quantità,
che
esaltati dai fumi dell’ubbriachezza, credendosi a
ne se non quando furono morti un dopo l’altro, gli uccisori d’Icaro ;
che
fu dopo la morte posto nella cosiellazione di Boo
erisce Ovidio, ch’egli aveva il potere di cangiarsi in tutte le forme
che
voleva assume re alle quali somigliava con una pe
come uomo V. Fobetore, Morfeo. 2231. Icnea. — Con questo soprannome,
che
deriva dalla parola greca ιϰνοω che significa ves
. Icnea. — Con questo soprannome, che deriva dalla parola greca ιϰνοω
che
significa vestiglo, i pagani indicavano talvolta
La parola Icnea nella lingua degli antichi racchiudeva il significato
che
cammina sulle vestigia altrui ; e si dava dai pag
i ; e si dava dai pagani a queste due divinità ritenendosi fermamente
che
esse seguitassero le tracce dei rei senza mai abb
di grosso sorcio, il quale ha l’istinto di distruggere i coccodrilli
che
infesterebbero le rive del Nilo senza di lui. Scr
nfesterebbero le rive del Nilo senza di lui. Scrive il citato autore,
che
l’Icneumone, dopo essersi avvoltolato nel fango p
o a Lucina ed a Latona. 2233. Icziomanzia. — Dalla parola greca ιχὀνς
che
significa pesce. Veniva così denominata una speci
che significa pesce. Veniva così denominata una specie di divinazione
che
si faceva consultando le viscere dei pesci. Si vu
divinazione che si faceva consultando le viscere dei pesci. Si vuole
che
Polidamante e Tiresia si servissero di questo inc
to incantesimo nei loro indovinamenti. 2234. Ida. — Celebre montagna
che
sorgeva nel mezzo dell’isola di Creta, e che veni
Ida. — Celebre montagna che sorgeva nel mezzo dell’isola di Creta, e
che
veniva chiamata anche monte Giove perchè la tradi
iva chiamata anche monte Giove perchè la tradizione mitologica ripete
che
Giove vi nascesse e vi fosse allevato. Anche Enea
di V. Monti. Un’antica cronaca dice anche a proposito del monte Ida,
che
essendo una volta caduto del fuoco dal cielo, poc
o di Deucalione, i Dattili, abitatori di quella montagna, osservarono
che
il ferro essendosi fuso pel calore del fuoco, sco
peraltro oppugnata da Diodoro, il quale asserisce nelle sue cronache,
che
fu la madre degli dei, quella che insegnò agli uo
quale asserisce nelle sue cronache, che fu la madre degli dei, quella
che
insegnò agli uomini un così utile ritrovato. Ida
ità, nel mezzo di questa montagna era scavato un antro ove, si vuole,
che
Paride avesse pronunciato il suo famoso giudizio.
e anche parte alla caccia del cinghiale di Calidone. Riferisce Omero,
che
Ida aveva tanto coraggio che avendogli Apollo der
cinghiale di Calidone. Riferisce Omero, che Ida aveva tanto coraggio
che
avendogli Apollo derubata la moglie, che fu la be
che Ida aveva tanto coraggio che avendogli Apollo derubata la moglie,
che
fu la bellissima Marpesa, figlia di Venere, Ida o
o Che tra’guerrieri de’ suoi tempi il grido Di fortissimo avea, tanto
che
contra Lo stesso Apollo per la tolta ninfa Ardi l
consacrata a Venere. La tradizione a cui si attiene Virgilio, ripete
che
vicino alla città di Idalia, sorgeva un bosco sac
sorgeva un bosco sacro visitato assai di sovente da Venere stessa ; e
che
anzi fu colà che ella trasportò durante il sonno
sacro visitato assai di sovente da Venere stessa ; e che anzi fu colà
che
ella trasportò durante il sonno il giovanetto Asc
mbra il pose Virgilio — Eneide — Libro I. trad. di A. Caro : mentre
che
Cupido, sotto le sembianze di Ascanio stesso, era
sovente, chiamandola Jdea Magna Maler. Dionigi di Alicarnasso ripete
che
ogni anno, si celebrava una festa in onore della
Palatina. È opinione assai ripetuta fra gli scrittori dell’antichità,
che
il nome d’Idea si dava più particolarmente ad una
ità protettrice e madre delle arti. 2237. Idei. — Riferisce Strabone,
che
si dava il soprannome di Dattili Idei, ai primi a
re al giorno 13 e 15 d’ogni mese. Nelle loro credenze essi ritenevano
che
il dio Mercurio fosse nato negli Idi di maggio, e
o dedicati a Diana e quei giorni venivano ritenuti come festivi tanto
che
gli schiavi non lavoravano. Per contrario gli idi
della città di Argo, il quale, secondo la tradizione, avea preveduto
che
, seguendo Giasone nella famosa spedizione degli A
2. Idomeneo. — Figlio di Deucalione e nipote di Minosse secondo. Egli
che
era re di Creta condusse all’assedio di Troja un’
inente, Idomeneo fe voto a Nettuno, di sacrificargli la prima persona
che
gli si presenterebbe allo sguardo, nel metter pie
pentirsi atrocemente del voto disumano ; imperocchè la prima persona
che
gli si parò innanzi fu il proprio figliuolo, l’un
io del mare. Fra gli autori antichi ve ne ha molti i quali pretendono
che
il sacrificio fosse consumato ; e questa opinione
ure di Telemaco. Vi sono per altro alcuni autori, i quali asseriscono
che
il popolo di Creta impedisse con la forza delle a
asseriscono che il popolo di Creta impedisse con la forza delle armi
che
il padre dispietato compisse il suo voto, e lo sc
verarsi sulle spiagge della grande Esperia, ove la tradizione ripete,
che
il profugo re avesse fondata la città di Salento,
’opinione del cronista Diodoro, il quale asserisce nelle sue cronache
che
Idomeneo, caduta Troja, ritornò felicemente nei s
La tradizione mitologica, a cui s’attiene il cennato scrittore, dice
che
l’Idra avea sette teste le quali avevano la spave
il fuoco sulla ferita. Il veleno di questo mostro era così terribile,
che
una sola goccia di esso, applicato su di una part
e del corpo, cagionava istantaneamente la morte. Le cronache ripetono
che
l’Idra fece, per più tempo orrende stragi di uomi
ele amico Iolao, il quale gli servi da cocchiere. La favola aggiunge,
che
quando l’eroe greco attaccò l’Idra, un enorme can
colpo di clava, e uccise l’Idra. La generalità degli autori ripete,
che
Ercole bagnasse le sue famose frecce, nel sangue
endere inguaribili le ferite di esse, mediante il terribile veleno di
che
erano asperse. V. Filottete. 2245. Idria. — Gli e
esto nome ad una specie di grande anfora, forata da tutte le parti, e
che
presso di loro raffigurava il dio dell’acqua. Al
ale cerimonia il culto egiziano rendeva grazia agli dei, pei vantaggi
che
l’acqua reca agli uomini e l’adoravano come il pr
a reca agli uomini e l’adoravano come il principio di tutte le cose e
che
dà vita e movimento a tutto ciò che respira. 2246
e il principio di tutte le cose e che dà vita e movimento a tutto ciò
che
respira. 2246. Idroforie. — Funebri cerimonie cel
imonie celebrate dagli egineti e dagli ateniesi, in memoria di quelli
che
erano morti nel diluvio di Deucalione. 2247. Idro
elle quattro specie generali d’incantesimi, in uso presso i pa gani e
che
si faceva con l’acqua. L’idromanzia veniva comune
ia veniva comunemente praticata in due modi : o invocando gli spiriti
che
si supponeva si vedessero in fondo alla conca all
e nel mezzo di essa un filo, a cui era attaccato un anello, e facendo
che
questo anello battesse, oscillando, nelle pareti
areti della conca. La prima maniera fu quella, secondo la tradizione,
che
adopero sempre Numa Pompilio. La seconda era in g
io. La seconda era in grande estimazione presso i greci, ed è scritto
che
Pitagora stesso, se ne servì per tutta la vita. 2
la vita. 2248. Idullo. — Così si chiamava la vittima del sacrificio,
che
si offeriva a Giove negli idi d’ogni mese. 2249.
ove negli idi d’ogni mese. 2249. Ifi. — Padre di Eteoclo e di Evadne,
che
fu moglie del famoso Capaneo. Allorquando Evadne
uando Evadne fuggì segretamente onde andare a morire sul rogo stesso,
che
dovea divorare il corpo del suo diletto consorte,
della diletta figliuola. V. Evadne. Ifi ebbe pure nome una giovanetta
che
fu amato da Anassarete. Ifi finalmente era il nom
di una schiava giovanetta rinomata per l’eleganza delle sue forme, e
che
divise una notte il letto di Patroclo, quando que
ola di Gefte. Ciò, secondo riferisce Fozio, ha potuto lasciar credere
che
i greci dal sagrifizio della figlia di Iefte, di
ofocle, fu una delle quattro figliuole di Agamennone ; e Omero ripete
che
Ifianassa, avesse nome quella principessa, che Ag
nnone ; e Omero ripete che Ifianassa, avesse nome quella principessa,
che
Agamennone mandò ad offerire in isposa ad Achille
chiamato Melampo, per questo singolare avvenimento. Narra la cronaca,
che
Ifianassa in compagnia delle sue sorelle, Ifinoe
e, ove ben lontane dal rimanere con quel devoto e castigato contegno,
che
imponeva la divina maestà del luogo ; avessero mo
ta contro le incaute giovanette, turbò loro siffattamente la ragione,
che
credendosi cangiate in vacche, si dettero a corre
in tutti i suoi stati ; promettendo la mano di una di esse, all’uomo
che
le avesse guarite. Un famoso medico per nome Mela
uarite. Un famoso medico per nome Melampo, a cui la tradizione ripete
che
Apollo istesso avea conceduto il dono di predir l
; onde sapere da lui il mezzo di aver prole. Melampo gli disse allora
che
avesse conficcato un largo coltello in un albero
in un albero consacrato a Giove e ve lo avesse lasciato irruginire, e
che
dopo qualche tempo avesse stemperato quella ruggi
e di varii figliuoli, fra cui il più celebre fu il famoso Protesilao,
che
fu il primo dei greci guerrieri, caduto combatten
rgonauti, e come vincitore al premio della corsa nei giuochi funebri,
che
Giasone fece celebrare in onore di Pelia. Ificlo
celebrare in onore di Pelia. Ificlo ebbe anche nome uno dei guerrieri
che
presero parte alla prima spedizione di Ercole, co
erali ritenendolo come un eroe. Le cronache dell’antichità aggiungono
che
questo Ificlo ebbe un figliuolo per nome Iolao ch
tichità aggiungono che questo Ificlo ebbe un figliuolo per nome Iolao
che
fu uno dei più fedeli amici di Ercole. V. Idra di
Idra di Lerna. Ificlo similmente avea nome un altro fra gli Argonauti
che
fu figlio di Testio, e fratello di Altea. Ificlo
ica alla quale si attiene Apollodoro, nelle sue cronache pagane, dice
che
questi due fanciulli nacquero di 10 mesi e fosser
ca alla quale si attiene Ovidio stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete
che
ella era nata femmina e che al momento di contrar
dio stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete che ella era nata femmina e
che
al momento di contrar matrimonio cangiasse di ses
onio cangiasse di sesso divenendo uomo. Il citato scrittore riferisce
che
nella città di Festo viveva un uomo poverissimo p
poterla allevare. Sgomentata la povera madre pregò caldamente gli dei
che
le avessero mandato un figliuolo maschio ; ma il
uggerì a Feletusa una pietosa astuzia, ed ella fece credere al marito
che
si fosse sgravata d’un maschio. La cosa rimase pe
La cosa rimase per lungo tempo nascosta, perchè forse per un miracolo
che
gli dei vollero operare in favore di Feletusa, la
pregato, nel far ritorno presso il marito, la buona madre si accorse
che
Ifide camminava più spedito ; che il colorito del
l marito, la buona madre si accorse che Ifide camminava più spedito ;
che
il colorito del suo volto, lasciando quella tinta
a propria della donna, acquistava un tono più bruno e maschile ; vide
che
le si accorciarono i capelli ; e finalmente si co
le ; vide che le si accorciarono i capelli ; e finalmente si convinse
che
Ifide aveva completamente acquistata la natura ma
cquistata la natura maschile. Dalle guance fugge La candidezza, e un
che
più forte appare : E il volto istesso più severo
più severo è fatto ; E la chioma più ruvida e più breve. Più di vigor
che
a femmina s’addica In te si manifesta, e giovanet
r che a femmina s’addica In te si manifesta, e giovanetto Già sel tu,
che
pur ora eri donzella. Ovidio — Metamorf. — Libro
una pietra la seguente iscrizione : Ifide giovanetto scioglie i voti
che
avea fatto fanciulla. Nel giorno seguente furono
nia. — Moltiplici e diverse sono le opinioni, i pareri, e le credenze
che
gli autori così antichi come moderni ci hanno tra
Plutarco, Pausania e molti altri scrittori dell’antichità, pretendono
che
Ifigenia fu figlia di Elena e di Teseo, e che qua
l’antichità, pretendono che Ifigenia fu figlia di Elena e di Teseo, e
che
quando la madre di lei fu tolta al suo primo rapi
o rapitore, avesse nella città di Argo, dato i natali ed una bambina,
che
fu appunto questa Ifigenia ; e che Clitennestra s
rgo, dato i natali ed una bambina, che fu appunto questa Ifigenia ; e
che
Clitennestra sorella di Elena, onde salvare l’ono
cosa non vide mai di buon occhio la principessa Ifigenia, e si vuole
che
cogliesse con piacere l’occasione di liberarsene,
ua figlia. In varie cronache dell’antichità si trova perfino ripetuto
che
il famoso oracolo di Aulide, che richiedeva il cr
’antichità si trova perfino ripetuto che il famoso oracolo di Aulide,
che
richiedeva il cruento sacrificio, fosse dato di c
. É questa almeno l’opinione seguita dal Racine, nella sua Iphigénie,
che
è una delle più belle tragedie del teatro tragico
interminabile bonaccia, i capitani greci, e segnatamente Agamennone,
che
aveva il comando supremo pensarono di ricorrere a
piutesi dall’ indovino Calcante le solite cerimonie e gl’incantesimi,
che
si credevano indispensabili a conoscere la volont
evano indispensabili a conoscere la volontà dei celesti, egli rispose
che
le navi greche avrebbero novellamente avuto favor
indovino, i greci si sarebbero un giorno impadroniti di quella città,
che
già tanto sangue costava alla Grecia. Ifigenia,…
ottrarre Ifigenia, all’ affettuosa vigilanza materna di Clitennestra,
che
seco in Argo la teneva carissima. Per raggiungere
e la presenta da principio atterrita alla vista del terribile destino
che
le era preparato ; implorar grazia dal padre, e p
o tempo, e convinta in certo modo dalle ragioni di patria e di gloria
che
Agamennone le pose sott’occhio finì ella stessa p
eroicamente il sacrifizio della propria figlia ; respinse il soccorso
che
Achille era pronto a portarle ; preparò ella stes
, svenata e palpitante, una cerva bianchissima, di una rara bellezza,
che
Diana stessa ha sostituito alla giovane principes
ne persuade alla regina e a tutti i testimoni del fatto maraviglioso,
che
Ifigenia fosse stata trasportata nel cielo, e pos
e tutto il campo acclama, Riguardando il divino inopinato Spettacolo,
che
fede anco veduto Non otteneva. Palpitante al suol
ferentemente dalla tradizione mitologica seguita dal tragico greco, e
che
noi abbiamo di sopra esposta, è opinione di altri
e di altri non meno accreditati scrittori e cronisti dell’ antichità,
che
Ifigenia fosse cangiata in una giovenca ; secondo
lmente secondo altri in un’orsa. Il cronista Lucrezio pretende invece
che
Ifigenia fosse stata realmente svenata, e che l’i
ucrezio pretende invece che Ifigenia fosse stata realmente svenata, e
che
l’innocente sangue di lei avesse bagnato le are d
religiosa dei soldati. L’opinione però più generalmente adottata si è
che
minacciato Agamennone dello sdegno celeste avesse
te avesse risoluto di sacrificare la figlia onde placare gli dei ; ma
che
i soldati greci si fossero opposti vivamente al d
e i soldati greci si fossero opposti vivamente al disumano disegno, e
che
allora l’indovino Calcante temendo una sollevazio
lcante temendo una sollevazione nel campo greco, avesse fatto credere
che
Diana, placata dalla sommessione del padre e dell
ssa. Il cronista Candiotto, combatte quest’ultima opinione, asserendo
che
Agamennone non volle accondiscere a questo sugger
amennone non volle accondiscere a questo suggerimento di Calcante ; e
che
allora Ulisse fosse segretamente partito dal camp
, atterrito da alcuni presagi, e spaventato dalle minacce di Achille,
che
aveva scoperto il raggiro, non avesse rimandata I
perto il raggiro, non avesse rimandata Ifigenia in Tauride, ordinando
che
in sua vece si fosse sacrificato, sull’altare del
fra i tragici greci. Il soggetto di quest’altra tragedia altro non è
che
la continuazione ed il compimento dell’idea infor
er doveri della sua carica l’era imposto d’iniziare le vittime umane,
che
doveano sacrificarsi alla divinità del luogo, e d
a Apollo di recarsi in Tauride, levare dal tempio la statua di Diana,
che
si credeva discesa dal cielo, e trasportarla in A
cielo, e trasportarla in Attica. Una barbara usanza voleva, intanto,
che
si svenassero sull’ara della dea Diana tutti i fo
ntanto, che si svenassero sull’ara della dea Diana tutti i forestieri
che
approdavano in Tauride ; per modo che Oreste e Pi
la dea Diana tutti i forestieri che approdavano in Tauride ; per modo
che
Oreste e Pilade furono entrambi presi e trascinat
el tempio, per esservi sacrificati ; allorchè Ifigenia, avendo inteso
che
quegli stranieri erano di Argo, propose loro di s
Toante, re della Tauride, e col pretesto di una cerimonia espiatoria,
che
dovea farsi sulle rive del mare, s’imbarca, con O
tuno s’innammorò perdutamente di lei, e la rese madre di due giganti,
che
dal nome del loro supposto padre, furono detti Al
Traci ed Ifimedia da uno dei favoriti. 2255. Ifito. — Re dell’Elide,
che
si rese celebre nei fasti del paganesimo, per ave
in vigore la celebrazione dei giuochi Olimpici. La tradizione ripete
che
ai tempi d’Ifito, la Grecia, lacerata da intestin
r cessare tante sciagure. La Pitia sacerdotessa dell’oracolo, rispose
che
, ripristinamento dei giuochi Olimpici avrebbe fat
mpo in mezzo ordinò un sacrifizio ad Ercole, onde placare questo dio,
che
i suoi popoli credevano loro nemico, e appena tor
tro nella destra e avendo attoreigliato al braccio un grosso serpente
che
ripiegandosele sul seno sporge la testa per bere
chi pagani, di dedicare alla dea Igiea una sua statua, tutte le volte
che
risanavano da una malattia. Si trova in varie cro
e le volte che risanavano da una malattia. Si trova in varie cronache
che
il nome di Igiea si dava sovente a Minevra, la qu
zione. Anche i romani adoravano Igiea come dea della salute, credendo
che
da essa dipendesse la salute dell’impero. 2258. I
8. Ila. — Figlio di Tiodamante, re della Misia, e compagno di Ercole,
che
seguì in Colchide. La tradizione narra, a proposi
oposito di questo giovane principe un luttuoso avvenimento, ripetendo
che
giunti gli Argonauti sulle spiagge della Troade m
ato divorato da qualche belva. La cronaca della favola ripete invece,
che
le ninfe del luogo, innamorate della stupenda bel
stupenda bellezza del giovine Ila lo avessero rapito. Ercole intanto
che
lo aveva carissimo, discese sulla spiaggia per ri
utori moderni italiani e stranieri, fra cui il Clerc sono di opinione
che
la parola Hila significhi legno, e che Ercole dis
cui il Clerc sono di opinione che la parola Hila significhi legno, e
che
Ercole discendesse dalla nave insieme a Telamone,
monte Ida, onde fabbricare un vascello per la spedizione di Troja ; e
che
il rumore prodotto dai rami tagliati, ripetuto ce
giovanette si son rese celebri nei fasti del paganesimo per il ratto
che
Castore e Polluce fecero di esse, nel momento ist
er il ratto che Castore e Polluce fecero di esse, nel momento istesso
che
stavano per dare la loro fede di spose, a Linceo
eo ed Ida, cugini germani dei due divini gemelli. Narra la tradizione
che
Linceo ed Ida ricorsero alle armi, per vendicare
va il nome di Ilarie, forse alludendo alle molte allegrezze di coloro
che
vi prendevano parte. Ognuno recava con sè quanto
à. — V. Allegrezza. 2263. Iliade. — Il nome di questo classico poema,
che
è la più stupenda creazione epica della immortale
a più stupenda creazione epica della immortale intelligenza di Omero,
che
l’Alighieri stesso chiamò il poeta sovrano, viene
l’Odissea, sono la fonte da cui scaturisco tutti i simboli allegorici
che
formano il sostrato e la vita dell’antica mitolog
inestore volendo far morire il figliuolo di suo suocero, dette ordine
che
si uccidesse il fanciullo, e senza aver coscienza
un vendicatore. 2266. Ilissidi. — Dette anche Ilissiadi : soprannome
che
i pagani davano alle muse e che loro veniva dal f
— Dette anche Ilissiadi : soprannome che i pagani davano alle muse e
che
loro veniva dal flume Ilisso nell’Attica, le cui
izia. — Sorella di Ebe e figlia della dea Giunone. I pagani credevano
che
Ilizia, a somiglianza di sua madre, presiedesse a
sì di liberarsi più presto. Le cronache dell’antichità ci ammaestrano
che
il re Servio Tullio, avesse stabilito in Roma che
hità ci ammaestrano che il re Servio Tullio, avesse stabilito in Roma
che
si dovesse portare nel tempio consacrato alla dea
a, una moneta, alla nascita ed alla morte di ogni persona, e ripetono
che
il saggio re avesse promulgata codesta legge, per
dei cittadini romani. 2268. Ilo. — I cronisti della mitologia dicono,
che
Ascanio figliuolo di Enea, si chiamasse con quest
i Enea, si chiamasse con questo primitivo nome durante tutto il tempo
che
la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e che n
urante tutto il tempo che la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e
che
non fu che dopo la caduta di questa che egli si c
o il tempo che la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e che non fu
che
dopo la caduta di questa che egli si chiamasse Iu
d’Ilione, stette in piedi ; e che non fu che dopo la caduta di questa
che
egli si chiamasse Iulio e secondo altri Ascanio.
mente un figliuolo di Ercole e della bella Dejanira. Durante il tempo
che
Ercole trascorse a compiere le sue 12 famose impr
i figliuolo alla custodia di Ceice, re di Trachina. Narra la cronaca
che
trascorso più d’un anno senza che Ercole avesse f
e, re di Trachina. Narra la cronaca che trascorso più d’un anno senza
che
Ercole avesse fatto ritorno, Dejanira, inquieta s
mpio a Giove ; ma sventuratamente giunse presso di lui nel momento in
che
il fatale dono della camicia di Nesso. V. Dejanir
o. V. Dejanira, Ercole, Nesso — aveva sconvolta la ragione dell’eroe,
che
riconoscendo il figliuolo lo incaricò di portare
ole, accolse benignamente il figlio di lui, riconoscente al beneficio
che
avea ricevuto dal morto eroe. Ma l’irreconciliabi
personalmente contro chiunque si fosse presentato, a condizione però
che
s’egli restava vincitore, Atreo, re dei Pelopidi,
era vinto, gli Eraclidi non avrebbero potuto entrare nel Peloponneso
che
dopo un periodo di cento anni. Nel combattimento
fu ucciso e gli Eraclidi perciò non poterono entrare nel Peloponneso
che
dopo il tempo stabilito. 2269. Imbrasia. — Sopran
che dopo il tempo stabilito. 2269. Imbrasia. — Soprannome di Giunone,
che
a lei veniva da un flume chiamato Imbraso, che sc
Soprannome di Giunone, che a lei veniva da un flume chiamato Imbraso,
che
scorreva nell’isola di Samo. I sacerdoti della de
ell’anno andavano a lavare la statua di lei nelle acque di quel flume
che
perciò erano ritenute come sacre. 2270. Imene. —
ntire qualche volta il suono della sua voce adorata. Avvenne intanto,
che
nella città di Atene si cominciavano a fare i pre
di Atene si cominciavano a fare i preparativi per le feste di Cerere,
che
con gran pompa si celebravano una volta l’anno su
a quelle feste intervenivano tutte le dame ateniesi, così Imene seppe
che
anche la diletta del suo cuore si sarebbe recata
postosi alla testa delle più coraggiose fra le rapite, uccise quelli
che
dormivano e si dette con le sue poche seguaci a c
vincitore e in premio dell’eroico coraggio sposò la nobile giovanetta
che
formava tutto il suo amore. Gli ateniesi in comme
chiamate Imenee. Da ciò emerge il simbolo di Imeneo dio delle nozze,
che
alcuni autori fanno figliuolo di Bacco e di Vener
’antichità ci han trasmesso un doloroso ricordo. Ripete la tradizione
che
essendosi Imero tirato addosso l’ira di Venere, l
o tirato addosso l’ira di Venere, la dea per vendicarsi fece in modo,
che
una sera egli senza conoscere la propria sorella
eguente venuto a conoscenza dell’incesto commesso n’ebbe tanto dolore
che
disperato si gittò nel fiume Maratona ove si anne
gò ; e da quel giorno il fiume fu detto Imero. Plutarco il geografo,
che
riferisce lo stesso fatto, aggiunge che appena Im
Imero. Plutarco il geografo, che riferisce lo stesso fatto, aggiunge
che
appena Imero si fu anneganelle acque del fiume ch
so fatto, aggiunge che appena Imero si fu anneganelle acque del fiume
che
poi prese il suo nome, uscisse dalle onde una pie
ue del fiume che poi prese il suo nome, uscisse dalle onde una pietra
che
aveva la forma di un elmo che gli antichi chiamar
suo nome, uscisse dalle onde una pietra che aveva la forma di un elmo
che
gli antichi chiamarono Trafitide ; e che questa p
he aveva la forma di un elmo che gli antichi chiamarono Trafitide ; e
che
questa pietra aveva la strana facoltà di saltare
la strana facoltà di saltare da sè sola, sulla sponda tutte le volte
che
gli echi circostanti ripetevano lo squillo di una
tanti ripetevano lo squillo di una tromba. Altre opinioni asseriscono
che
il fiume Imero cangiasse nuovamente il suo nome i
ngiuntura V. Eurota. Imero era anche il nome di un dio dei desiderii,
che
i pagani ponevano insieme ad Ero e a Poto, numi c
io dei desiderii, che i pagani ponevano insieme ad Ero e a Poto, numi
che
raffiguravano i desiderii dell’amore, e che tutti
eme ad Ero e a Poto, numi che raffiguravano i desiderii dell’amore, e
che
tutti e tre venivano simboleggiati sotto la figur
Giove aveva un tempio a lui consacrato, perchè la tradizione asseriva
che
le api di quella montagna avevan cibato Giove bam
api di quella montagna avevan cibato Giove bambino del loro miele ; e
che
in ricompensa di ciò, il padre degli dei avea con
l quale aveva nel Campidoglio una statua chiamata Jupiter-imperator e
che
secondo la cronaca, Tito Quinzio Flamminio portò
ni. — In latino dirœ. Era questa la denominazione di alcune divinità,
che
presso i pagani eran ritenute come le vendicatric
menidi nell’inferno. La credenza religiosa dei romani non riconosceva
che
due sole Dirœ ; mentre i greci ne ammettevano tre
, stassi il regicida occulto, Io sovra me, sovra me stesso invoco Ciò
che
agli altri imprecal. Sofocle — Edipo Re — Traged
e aveano consacrato un altare ed un uccello, propriamente la pernice,
che
nòn sappiamo per quale ragione era ritenuto press
di : fu figliuolo dell’Oceano. Pausania riferisce a proposito di lui,
che
avendo fatto scavare un nuovo letto al fiume Anfi
del mar Tirreno conosciuta oggi sotto il nome d’Ischia. Virgilio dice
che
sotto le rupi di quell’isola giace fulminato da G
fulminato da Giove il gigante Tifeo. 2278. Incubi. — Specie di Genii
che
i pagani classificavano fra i loro dei rustici. I
chiamavano Ifialti ; e i latini Incubi da incubare, perchè ritenevano
che
questi genii dividessero la notte il letto delle
idessero la notte il letto delle donne. 2279. Indicanie. — Soprannome
che
si dava ad Ercole, secondo Cicerone, dal fatto se
pesantissima di grande valore, la quale un bel giorno fu rubata serza
che
si potesse scoprire l’autore del furto. Narra la
ta serza che si potesse scoprire l’autore del furto. Narra la cronaca
che
il poeta Sofocle, ebbe in sogno una visione nella
visione nella quale gli apparve Ercole stesso e gli mostrò la persona
che
avea consumato il furto. Il poeta tacque per allo
ibunale dell’Areopago, e svelò il sogno ; e avendo i giudici ordinato
che
il reo fosse posto alla tortura, questi confessò
e posto alla tortura, questi confessò il delitto e restituì la tazza,
che
fu rimessa al suo posto. Da questo fatto Ercole e
digeto, i romani indicavano Enea, perchè un’antica tradizione diceva,
che
avendo questo principe perduta la vita in una bat
i davano la denominazione collettiva di dei indigeti a tutti gli eroi
che
essi avevano divinizzato, per mezzo dell’apoteosi
ssi ci hanno trasmesso sulle costumanze dei popoli antichi, si rileva
che
la Indovinazione altro non fu da principio se non
corsi : e ciò dovea tanto più facilmente accadere presso quei popoli,
che
professavano un culto di religione pieno a ribocc
pre di penetrare negli arcani di quello e di squarciare il fitto velo
che
lo nasconde ai suoi occhi mortali. I primi popoli
e il fitto velo che lo nasconde ai suoi occhi mortali. I primi popoli
che
formarono della indovinazione, una scienza arcana
su precetti più o meno strani, e di legarla alla religione, onde fare
che
, venendo essa accettata dagli uomini in generale,
abolo Teurgia, di quanto concerne la divinazione naturale, diremo qui
che
quattro erano, presso i pagani, le specie di divi
arghissimo numero, i cui vocaboli abbiamo noi già menzionati, secondo
che
l’ordine alfabetico da noi seguito nel corso di q
ce e malinconico ; e seduta tra un toro ed un bue, forse per indicare
che
l’indulgenza ammanzisce gli animi più brutali. 22
e in generale, il luogo dove andavano tutte le anime, dopo la morte e
che
nella loro credenza religiosa come prendeva i cam
e ciò, secondo l’opinione di Cicerone, veniva asserito per esprimere
che
dev’essere agli uomini indifferente il morire, pi
dev’essere agli uomini indifferente il morire, piuttosto in un luogo,
che
in altro ; e che qualunque sia l’angolo della ter
omini indifferente il morire, piuttosto in un luogo, che in altro ; e
che
qualunque sia l’angolo della terra, ove si muoia,
passo, detto Bocca di Plutone, nella Laodicea ecc. Senofonte, scrive
che
Ercole penetrò nello Inferno dalla parte della pe
enisola Achenesiade, vicina ad Eraclea del Ponto. Virgilio asserisce,
che
Enea discese nei regni della morte, traversando i
ei regni della morte, traversando il lago d’Averno ; ed Omero ripete,
che
Ulisse per scendere all’Inferno, traversò l’ocean
no, traversò l’oceano dal paese dei Cimmeri. Il cronista Apulejo, fa,
che
Psiche per discendere all’Inferno e presentarsi a
la caverna di Tenaro in fondo alia quale ritrovò il fiume Acheronte,
che
traversò sulla barca di Caronte, la quale la lasc
pete la cronaca, a cui si attiene Strabone nelle sue opere, la strada
che
conduceva all’Inferno, era brevissima, ond’è che
sue opere, la strada che conduceva all’Inferno, era brevissima, ond’è
che
i concittadini del celebre scrittore, non avevano
lla cioè, di mettere nelle labbra dei loro morti, una piccola moneta,
che
serviva a pagare a Caronte navicellajo dell’Infer
digenza, la Morte, la Chimera, le Gorgoni e tutti infine i mostri, di
che
l’immaginazione dei poeti dell’antichità, e le su
da, e de le Furie I ferrati covili, il Furor folle, L’empia Discordia
che
di serpi lui ’l crine, E di sangue mai sempre il
e le biformi Due Scille : Brïareo di cento doppi : La Chimera di tre,
che
con tre hocche Il foco avventa : il gran Serpe di
2285. Iniziali. — Detti anche Initali, dal vocabolo latino initiare,
che
significa consacrare, introdurre. Si dava codesto
gna, Elle e Frisso, figliuoli del primo letto di suo marito ; e tanto
che
, sapendo che, per diritto di primogenitura, sareb
risso, figliuoli del primo letto di suo marito ; e tanto che, sapendo
che
, per diritto di primogenitura, sarebbe a questi s
esolata da una terribile carestia, (della quale molti autori ripetono
che
Ino stessa fosse stata cagione, avendo, secondo a
i dall’oro della regina, e venduti alle infami mire di lei, risposero
che
a far cessare il flagello, bisognava immolare sul
sso. Questi però si sottrassero, con una precipitosa fuga, al destino
che
era loro riserbato ; ma, Elle morì nel traversare
tti percosso nello intelletto dalle terribili dee vendicatrici, credè
che
il suo palagio fosse trasformato in un bosco ; la
na belva, Corre sull’orme della sposa, insano ; E Learco il figliuol,
che
stendea lieti Le pargolette braccia, della madre
o ; e Carmenta, invasa dello spirito divino d’Apollo, rispose ad Ino,
che
ben presto ella in premio delle sofferte persecuz
fferte persecuzioni sarebbe stata cangiata in una divinità marittima,
che
i romani avrebbero adorata sotto il nome proprio
tino intercidere, i romani davano questa denominazione, alla divinità
che
presiedeva a tutti i lavori che si facevano con l
o questa denominazione, alla divinità che presiedeva a tutti i lavori
che
si facevano con la scure. Alcuni autori ripetono,
tutti i lavori che si facevano con la scure. Alcuni autori ripetono,
che
la dea Intercidona era onorata anche come la prot
tercidona era onorata anche come la protettrice delle donne gravide e
che
la invocavano insieme a Deverra e Piluno, per ess
Non si saprebbe in verità dare una spiegazione esatta, dell’analogia
che
vedevano gli antichi, fra il nome d’Intercidona e
a che vedevano gli antichi, fra il nome d’Intercidona e la protezione
che
credevano accordasse alle donne incinte. 2288. In
te nei sacrificii, era esclusivamente devoluto ai sacerdoti Aruspici,
che
soli leggevano in quelle, i presagi dell’avvenire
in quelle, i presagi dell’avvenire. Cicerone ripete, nelle sue opere,
che
era questa una delle più forti mattezze, che la s
ripete, nelle sue opere, che era questa una delle più forti mattezze,
che
la superstizione facea commettere ai pagani ; i q
perstizione facea commettere ai pagani ; i quali credevano fermamente
che
gli dei cangiassero le viscere delle vittime, nel
che gli dei cangiassero le viscere delle vittime, nel momento stesso
che
esse venivano esaminate, onde significare per mez
, la loro volontà. Però presso gli antichi stessi, vi erano ben molti
che
non prestavano fede a codesti superstiziosi raggi
roviamo infatti registrata nelle cronache dell’antichità, la risposta
che
il guerriero Annibale, dette al re Prusia, il qua
ale, dette al re Prusia, il quale si ricusava a combattere, asserendo
che
le visceri degli animali svenati nel sagrificio d
Come, rispose Annibale, presterete più fede agli intestini d’un bue,
che
all’ esperienza e al parere d’un vecchio generale
Io. — Figlia del fiume Inaco. La cronaca mitologica racconta di lei,
che
essendosene Giove perdutamente invaghito, la sorp
sotto la novella sembianza tutto l’incanto delle sue forme, per modo
che
Giunone stesso non potè fare a meno di ammirarla,
lla giovenca e a qual mandra appartenesse ; e avendole Giove risposte
che
l’avea prodotta la terra, Giunone chiese al marit
ado condiscese alla inchiesta e Giunone la dette in custodia ad Argo,
che
secondo la favola avea cent’occhi. V. Argo. Avut
: Nè fiduciava in Giove, e nel pensiero Fitto le stava un furto : si
che
quella Commise in guardia all’Aristorid’Argo. Ov
morf — Libro I. Fav. X. trad. del Cav. Ermolao Federico. Ora avvenne
che
mentre Io, sotto la custodia instancabile di Argo
ia col piede il suo nome. Giove intanto addolorato suile persecuzioni
che
la gelosa Giunone, faceva soffrire alla sventurat
atica e dalla stanchezza, si lasciò cadere sulla sabbia e pregò Giove
che
le concedesse il riposo. Giunone allora commossa
va sua forma umana. Dopo qualche tempo lo dette alla luce un bambino,
che
fu chiamato Epafo, ed ella stessa fu adorata sott
ngiunture. Infatti, presso quasi tutti gliantichi scrittori, è detto
che
Giunone, per vendicare sull’odiata giovanetta la
sa mosca, la quale pungendola senza posa, la mise in furore, per modo
che
agitata in strana guisa, e quasi demente si preci
o che agitata in strana guisa, e quasi demente si precipitò nel mare,
che
dal suo nome fu detto mare Ionio, …….. e tutto p
fu detto mare Ionio, …….. e tutto poi Quel gran tratto di mar, sappi
che
sempre Sarà Ionio nomato, appo i mortali Del tuo
no, donde traversando il monte Emo calò nella Tracia. Giunta al golfo
che
porta lo stesso nome, lo passò come il mare e da
. Bellotti. Ma non si arrestò quivi, perchè spinta sempre dal furore
che
le sconvolgeva la mente andò nella Scizia, in Eur
del Nilo. Eschilo, nella sua tragedia intitolata Prometeo legato, fa
che
lo giunga nella Scizia sulla rupe, ove egli era i
che lo giunga nella Scizia sulla rupe, ove egli era incatenato, e fa
che
Prometeo disveli ad Io la durata delle sue pene e
disveli ad Io la durata delle sue pene e le mostri gli altri travagli
che
la gelosa Giunone le riserbava, e le dice finalme
tri travagli che la gelosa Giunone le riserbava, e le dice finalmente
che
avrebbe fissato la sua dimora in Egitto, ove avre
mo attenendoci alle opinioni dei più chiari scrittori dell’antichità,
che
Io, sacerdotessa di Giunone, fu amata da un re di
da un re di Argo, per nome Api, il quale era soprannominato Giove ; e
che
ingelosita la regina avesse fatto rapire Io, affi
a vendetta della regina, s’imbarcò per lontani viaggi su di una nave,
che
avea nella prora la figura di una vacca, e questo
otivo alla favolosa metamorfosi di Io in giovenca. Pausania riferisce
che
lo non fosse figliuola del fiume Inaco, come vuol
pante, detto anche Triopa, settimo re di Argo. Erodoto ripete invece,
che
la principessa Io, fosse stata da alcuni mercadan
presenza degli dei ; poichè la opinione generale presso i pagani, era
che
gli dei si rivelassero agl’uomini, o per mezzo de
so, era talmente persuaso della manifestazione degli dei agli uomini,
che
riguardava come atei tutti coloro che la negavano
stazione degli dei agli uomini, che riguardava come atei tutti coloro
che
la negavano. Cicerone stesso, al quale fra tutti
on si può dar certo nome di credulo, ripete sovente, nelle sue opere,
che
le frequenti apparizioni degli dei, provavano la
i dava, secondo riferisce Diodoro, il nome d’Iperborei, a quei popoli
che
abitavano le parti settentrionali del mondo conos
omunemente ritenuta come il luogo ove nacque Latona, madre d’Apollo e
che
perciò quegl’ isolani venerassero con un culto pa
le più ricche offerte. Finalmente gl’ Iperborei ritenevano per fermo
che
Apollo discendesse nella loro isola, ogni diciann
rmo che Apollo discendesse nella loro isola, ogni diciannove anni ; e
che
egli stesso nella notte anniversaria della sua na
ta, ballasse, al suono della sua lira, come a rallegrarsi degli onori
che
gli si rendevano. Ricchissime e continue erano le
si rendevano. Ricchissime e continue erano le offerte e i sacrifizii,
che
quei popoli facevano ad Apollo ; e spingevano la
o tre vergini accompagnate da cento giovani di sperimentato coraggio,
che
portavano le offerte ; ma poi essendo state una v
erciò gli accordi nenessarii con gli abitanti delle differenti città,
che
si trovavano sulla via, che dal paese degl’ Iperb
con gli abitanti delle differenti città, che si trovavano sulla via,
che
dal paese degl’ Iperborei, conduceva all’ isola d
eva all’ isola di Delo, ove Apollo a causa di questa grande devozione
che
aveano per lui quegl’isolani, veniva generalmente
ndo una spiegazione più logica a codesta allegoria della favola, dice
che
Iperione era un principe Titano, il quale erasi d
l quale erasi dato, con grande amore, allo studio dell’astronomia ; e
che
avendo conosciuto con l’assiduità delle sue osser
oni, il corso del sole, e il movimento di rotazione degli altri corpi
che
occupano lo spazio ; marcò distintamente il perio
spazio ; marcò distintamente il periodo ed il ritorno delle stagioni,
che
sono la conseguenza diretta del movimento dei cor
to come padre del sole e della luna. Nè a ciò si arrestano le notizie
che
gli autori dell’ antichità, ci hanno tramandate s
andate su questo celebre uomo, inperocchè lo stesso Diodoro aggiunge,
che
Iperione avesse tolta in moglie la stessa sua sor
erione avesse tolta in moglie la stessa sua sorella chiamata Basilea,
che
lo rese padre di due figliuoli, un maschio ed una
lo rese padre di due figliuoli, un maschio ed una femmina ; il primo
che
fu chiamato Elio, e la seconda Selene ; vocaboli
mmina ; il primo che fu chiamato Elio, e la seconda Selene ; vocaboli
che
in lingua greca significano il sole e la luna. In
nificano il sole e la luna. Ingelositi intanto gl’altri re dal vedere
che
Iperione avesse prole di così stupenda e maravigl
stra. — Una delle cinquanta figliuole di Danao, e propriamente quella
che
si ricusò di uccidere il suo sposo nella prima no
per nome Linceo, gli porse il mezzo di sottrarsi alla grave sciagura
che
lo minacciava. Danao intanto, sdegnato contro Ipe
— Presso i pagani s’indicavano con tale denominazione alcuni templi,
che
aveano all’intorno nella parte esterna due ordini
sacro a Giunone costruito in siffatta guisa, senza tetto nè porte, e
che
sorgeva nella strada che da Falera conduceva ad A
o in siffatta guisa, senza tetto nè porte, e che sorgeva nella strada
che
da Falera conduceva ad Atene ; ed il secondo rico
e una delle nutrici di Bacco. 2301. Ippia. — Dalla parola greca ιππος
che
significa cavallo, si dava codesto soprannome a q
me a quella Minerva ritenuta comunemente come figliuola di Nettuno, e
che
veniva raffigurata a cavallo : da ciò il sopranno
i Ippia cioè, la cavaliera. 2302. Ippio. — Ossia Equestre. Soprannome
che
si dava assai generalmente a Nettuno, perchè, sec
i attribuiva a quel dio, l’arte di domare i cavalli. Scrive Pausania,
che
il più antico tempio di Nettuno Ippio sorgeva di
he il più antico tempio di Nettuno Ippio sorgeva di là da Mantinea, e
che
non era permesso ad alcuno di entrare in quel tem
so ad alcuno di entrare in quel tempio. La cronaca tradizionale, dice
che
traverso la porta maggiore di quel tempio era sta
a, dalla parte interna, una fascia tessuta in lana di color rosso ; e
che
questo fragilissimo riparo bastava a non fare ent
acqua marina, la quale percosse Epito così violentemente negli occhi,
che
lo sciagurato fu cieco per tutta la vita. Ippio e
esignate dagli antichi col nome di Equestri, perchè erano i soli numi
che
il paganesino raffigurava montati a cavallo. 2303
Oceanidi. 2304. Ippocampi — Nome particolare dei cavalli di Nettuno e
che
erano anche assegnati alle altre divinità del mar
pure alcuni naturalisti dell’antichità, e Plinio, fra questi, dicono
che
si dà il nome di cavallo marino o Ippocampo ad un
e di cavallo marino o Ippocampo ad un insetto lungo circa sei once, e
che
non ha alcuna somiglianza con la figura che i poe
o lungo circa sei once, e che non ha alcuna somiglianza con la figura
che
i poeti antichi davano agl’Ippocampi di Nettuno.
ntauri, perchè essendo stati i primi a montare i cavalli, si credette
che
essi fossero dei mostri, metà cavalli e metà uomi
sero dei mostri, metà cavalli e metà uomini. La tradizione mitologica
che
dette principio a codesta credenza, raccontava ch
dizione mitologica che dette principio a codesta credenza, raccontava
che
essendosi quei popoli mischiati in carnale commer
on le cavalle, nacquero da questo mostruoso connubio gl’Ippocentauri,
che
avevano nel tempo stesso della natura umana e di
esso della natura umana e di quella del cavallo. È a notare per altro
che
non sono pochi gli autori dell’antichità, i quali
tempi dell’ Imperator Claudio, un Ippocentauro portato dall’Egitto e
che
era stato imbalsamato col miele, secondo l’uso di
uei tempi. Anche fra i padri della chiesa cattolica gioverà ricordare
che
ve ne è taluno, che riferisce come positiva l’esi
i padri della chiesa cattolica gioverà ricordare che ve ne è taluno,
che
riferisce come positiva l’esistenza di simili mos
nza di simili mostri ; e S. Girolamo, dottore di santa chiesa, ripete
che
portandosi S. Antonio nel deserto della Tebaide a
de a visitare S. Paolo eremita, incontrò un Ippocentauro, ed aggiunge
che
l’ Africa produceva sovente di tali mostri. 2306.
parole greche ιππος ποσειδῶυ si chiamavano così alcune feste solenni
che
si celebravano nell’Arcadia in onore di Nettuno c
ti e coperti di ghirlande di fiori. 2307. Ippocrene. — Famosa fontana
che
scaturiva nella Beozia sul monte Elicona. La trad
riva nella Beozia sul monte Elicona. La tradizione mitologica ripete,
che
il cavallo Pegaseo battendo con l’unghia sonora s
a sonora su di una pietra, ne avesse fatto scaturire questa sorgente,
che
poi da lui prese il nome di fonte del cavallo, da
lla cui sommità scaturiva quella fontana. La tradizione storica narra
che
Cadmo il quale introdusse in Grecia le scienze fe
a le scienze fenicie, fosse stato il primo a scoprire quella fontana,
che
fu per questa ragione chiamata fonte delle muse —
. Deidamia. Ippodamia chiamavasi anche la figlia del sacerdote Brise,
che
fu causa primiera della inesorata ira di Achille
sa, nell’Elide, a proposito del quale la tradizione mitologica narra,
che
giunta la figlia in età da marito, era di una cos
ta la figlia in età da marito, era di una così sorprendente bellezza,
che
colpì vivamente l’istesso suo padre, il quale non
quale non volendo concederla in moglie ad alcuno dei molti principi,
che
gliene avevano fatto formale richiesta, e carezza
oci cavalli della sua contrada, promulgò un bando nel quale esponeva,
che
la mano d’Ippodamia sarebbe conceduta a quel prin
e esponeva, che la mano d’Ippodamia sarebbe conceduta a quel principe
che
lo avesse vinto nella corsa del carro ; sottopone
to sanguinoso, appena scesi dal carro furono posti a morte : per modo
che
Enomao si credeva già unico possessore della fata
ale concessero, per la disfida, quattro immortali destrieri, e fecero
che
egli si presentasse quattordicesimo concorrente.
remio della corsa, e sposò la bella Ippodamia. Vi sono vari scrittori
che
raccontano l’istesso fatto con qualche leggiera v
annome era dato ad Ercole, per essergli attribuito il singolare fatto
che
riportiamo qui appresso. Essendosi l’armata degli
o e fece legare le code dei loro cavalli, le une alle altre, per modo
che
, al momento della battaglia la cavalleria nemica
2311. Ippolito. — Dal nome della madre così fu chiamato il figliuolo
che
Teseo ebbe dalla famosa regina delle Amazzoni. V.
ebbe dalla famosa regina delle Amazzoni. V. l’articolo precedente, e
che
fu allevato da Piteo suo avolo, nella città di Tr
icarsi ispirò a Fedra, madrigna di lui una violenta passione d’amore,
che
crebbe al punto che la misera regina ebbra d’amor
a, madrigna di lui una violenta passione d’amore, che crebbe al punto
che
la misera regina ebbra d’amore, fece dalla sua nu
di vedersi siffattamente di sprezzata, giurò di vendicarsi, e temendo
che
Ippolito non l’avesse accusata al proprio consort
e lo incolpò, scrivendo a Teseo una lettera, nella quale gli diceva,
che
il figliastro avea voluto attentare all’ onore di
dette di propria mano la morte. Teseo intanto, ingannato dall’ accusa
che
Fedra avea lanciata contro d’Ippolito, maledisse
ioso, i cui terribili muggiti, spaventarono siffattamente i destrieri
che
indocili alle redini, nè più riconoscendo la voce
roprio padrone, lo trascinarono nella loro corsa precipitosa per modo
che
, dopo poco, altro non rimase del bellissimo giova
a per modo che, dopo poco, altro non rimase del bellissimo giovanetto
che
, un ammasso informe lacero e sanguinoso. È questo
a Ippolito. …. Al di là del confin nostro V’ è una spiaggia deserta,
che
fa lido M Saronico mar : quivi un rimbombo, Come
o sguardo al mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto al ciel s’alzava,
che
la vista Delle Scironie rupi ne impedia. E ascond
ripiena spaventosamente Rimugghiò la contrada : orrendo mostro : Tal
che
ogni sguardo si smarri. S’apprende Un subito ai c
i Verso le rupi rivolgean la corsa, Cheto appresso ei correva : infin
che
urtando. Rudemente la rota ad un macigno. N’andò
agedia. Trad. di F. Bellotti. Diodoro poi narra, nelle sue cronache,
che
dubitando Teseo della verità dell’ accusa terribi
ungerlo nella città, ove egli si trovava, e giustificarsi del delitto
che
gli veniva apposto. Ippolito intraprese il viaggi
, intese al suo passaggio vociferare ripetute volte l’infame calunnia
che
lo colpiva, onde turbato profondamente nell’animo
va, onde turbato profondamente nell’animo innalzò un grido disperato,
che
ripercosso dall’eco, spaventò siffattamente i cav
disperato, che ripercosso dall’eco, spaventò siffattamente i cavalli
che
guadagnarono la mano, e trascinarono il misero gi
tuoso Ippolito. Coll’ andare del tempo, i sacerdoti sparsero la voce,
che
Ippolito fosse stato preservato dalla morte per v
di Boote, ossia condultore del carro. Un’antica tradizione racconta,
che
ai tempi di Numa Pompilio, comparve in Italia un
ente risuscitato da Esculapio. 2312. Ippolizione. — Fu questo il nome
che
Fedra impose ad un tempio, che ella avea fatto fa
2312. Ippolizione. — Fu questo il nome che Fedra impose ad un tempio,
che
ella avea fatto fabbricare su di una montagna vic
ad adorare la dea Fedra, si recava quasi ogni giorno in quel tempio,
che
per la sua elevata posizione, dominava la pianura
un culto particolare, volendo con ciò gli Egizii scongiurare il male
che
egli avrebbe potuto fare agli altri animali, che
scongiurare il male che egli avrebbe potuto fare agli altri animali,
che
essi avevano deificato. 2316. Ippotette. — Così a
indovino Arno, da lui creduto spia dei Pelopidi. Narra la tradizione,
che
Apollo, per vendicare la morte di uno dei suoi sa
nterrogarono l’oracolo onde far cessare il fiagello, e quello rispose
che
bisognava esiliare l’ uccisore di Arno, e placare
li, e giuochi funebri, celebrati in suo onore. Ippotette allora prima
che
si fosse agito contro di lui, cedette a suo figli
gito contro di lui, cedette a suo figlio Alete il comando dell’armata
che
avea sotto i suoi ordini, e si esiliò dalla città
isole Eschinadi. Dopo qualche tempo ella dette alla luce un figliuolo
che
fu poi chiamato Tasio. 2319. Ippotoo. — Figliuolo
olo di Alope e di Nettuno. È opinione fra varii accreditati scrittori
che
il suo nome che ha qualche somiglianza etimologic
i Nettuno. È opinione fra varii accreditati scrittori che il suo nome
che
ha qualche somiglianza etimologica con la parola
a cavallo abbia dato vita alla tradizione favolosa, la quale racconta
che
Ippotoo, fosse, appena nato, esposto in un bosco
ppena nato, esposto in un bosco per ordine di Cercione, suo avolo ; e
che
quivi egli fosse stato nudrito da due cavalle V.
egnò nella contrada di Eleusi, della quale fu assunto al governo dopo
che
Teseo ebbe ucciso Cercione. 2320. Ippotono. — Dal
dell’antichità ci ricordano un singolare avvenimento. Dice la favola
che
avendo le donne di Lenno trascurati gli altari di
Venere, la dea per punirle, le rese di un tale insopportabile odore,
che
esse furono tutte abbandonate dai loro mariti. Ir
re Toante nell’isola di Chio. Intanto compiutasi la strage, Ipsipile (
che
alcuni scrittori chiamano semplicemente Isifile,
ieri fra questi, V. Giasone) fu assunta regina al governo dell’isola,
che
tenne per qualche tempo pacificamente. Allorquand
rii figliuoli, non avendo potuto frenare l’impetuosa passione d’amore
che
il bellissimo eroe le aveva acceso nel core. Così
cuotendosi dall’ ebbrezza in cui giacevasi ricordò dell’alta missione
che
avea giurato di compiere, e volle ad ogni costo p
e per calmare la disgraziata giovanetta le giurò, come ella chiedeva,
che
al ritorno della gloriosa spedizione sarebbe, pri
e profonda ferita nell’enima. Le donne di Lenno scoprirono finalmente
che
Toante padre della loro regina, lunge dall’esser
e regnava in Chio ; furono così fattamente sdegnate contro d’Ipsipile
che
la costrinsero ad abbandonare il trono, e andare
l bambino addormentato, onde mostrare ad alcuni forestieri il cammino
che
essi aveano smarrito, al suo ritorno trovò il bam
i un figlio chiamato Urano, e di una figliuola detta Ge ; nomi questi
che
significano il Cielo e la Terra e che al dire del
igliuola detta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e
che
al dire del citato scrittore, i greci dettero all
ci ritenevano il dio Ipsisto come il padre degli dei ; nè più nè meno
che
i romani ed i greci ritenevano il loro Giove. 232
invenzione di alcuni giuochi, e l’uso dei papiri. Aggiunge la cronaca
che
dopo la sua morte, i suoi figliuoli dedicarono al
ore. 2324. Iria. — Così avea nome la madre di Cigno. Narra la cronaca
che
ella amasse così teneramente il figliuolo, che al
igno. Narra la cronaca che ella amasse così teneramente il figliuolo,
che
all’ annunzio della morte di lui, si precipitò in
no e ne divenne la divinità tutelare. 2325. Iride. — È questo il nome
che
Esiodo nelle sue cronache dell’antichità, dà ad u
ta ed Ello. Iride era similmente chiamata quella divinità dei pagani,
che
essi ritenevano come la messaggera degli dei, e s
o. …… De l’affannosa morte Fatta Giuno pietosa, Iri dal cielo Mandò,
che
’l groppo disciogliesse tosto, Che la tenea, malg
ne, quella di abbigliarla e di purificarla coi profumi tutte le volte
che
la dea ritornava dall’ inferno nell’ Olimpo. La I
i nell’ arco baleno, i cui differenti colori sono ricordati da quelli
che
Iride aveva nelle ali. La dicevano figliuola di T
a di Taomante, il cui nome significa in greco ammirare per dimostrare
che
non c’ è cosa più mirabile dell’arcobaleno, forma
annunzia le mutazioni dell’ atmosfera, così il simbolo mitologico fa
che
Giunone, dea dell’aria, abbia Iride come messagge
ione. Narra la cronaca mitologica a cui si attiene il cronista Igino,
che
al tempo in cui Nettuno, Giove e Mercurio viaggia
rieo allora anelando da lungo tempo a diventar padre, chiese agli dei
che
gli avessero conceduto un figliuolo, ed infatti d
o, ed infatti dopo poco tempo, sua moglie dette alla luce un bambino,
che
fu poi il famoso Orione. Irieo è anche il nome di
igioso dei popoli sassoni. È opinione di varii accredita ti scrittori
che
quei popoli l’ avessero in conto del loro Marte ;
l’ avessero in conto del loro Marte ; ma vi sono anche altro opinioni
che
dicono Irminsul essere lo stesso che il Mercurio
ma vi sono anche altro opinioni che dicono Irminsul essere lo stesso
che
il Mercurio Ermete dei greci. I sacerdoti e le sa
tesso che il Mercurio Ermete dei greci. I sacerdoti e le sacerdotesse
che
si consacravano al culto religioso d’ Irminsul, v
ù illustri e considerate famiglie della nazione. Il più famoso tempio
che
le cronache ci additano come eretto in onore d’Ir
to atterrare da Carlo Magno. 2329. Iro. — Nativo dell’ isola d’Itaca,
che
si rese celebre per le sue mariolerie, per essere
va incaricato, così fu detto Iro dai due vocaboli greci ιρῆν per ῆρην
che
significano portar la parola. Egli avea nome Arn
cano portar la parola. Egli avea nome Arneo : cosi chiamollo, Nel di
che
nacque, la diletta madre : Ma dai giovani tutti i
, la diletta madre : Ma dai giovani tutti iro nomato Era, come colui,
che
le imbasciate Portar solea, qual gliene desse il
mero — Odissea — Libro XVIII trad. di I. Pindemonte Riferisce Omero
che
nell’isola d’Itaca viveva alla porta di un palazz
a di un palazzo un mendico, il quale era reso famoso per la sua fame,
che
non era mai satolla. Egli era di una grande statu
e di forza. Aggiunge la cronaca a cui si attiene il citato scrittore,
che
Arneo detto Iro, avesse provocato ad un singolare
o Iro, avesse provocato ad un singolare combattimento Ulisse medesimo
che
pure stette qualche tempo sotto le spoglie di men
co sembrasse all’ aspetto di tarda età, assestò un tale colpo ad Iro,
che
gli fracassò una mascella, e lo stese al suolo co
e su di un rogo acceso senza bruciarsi, durante il sacrifizio annuale
che
si faceva in onore d’ Apollo sul monte Soracte. A
e si faceva in onore d’ Apollo sul monte Soracte. Aggiunge la cronaca
che
in considerazione, di questa maraviglia, il senat
della religione degli Egizii e i misteri d’ Iside. Codesto monumento,
che
secondo riferiscono le cronache, avea cinque pied
la sua naturale grandezza. È opinione di molti accreditati scrittori,
che
il monumento originale fosse andato nuovemente sm
rrito nel 1730 ; cosicchè della famosa favola Isiaca, non restano ora
che
delle copie. Dallo studio per altro delle figure
non restano ora che delle copie. Dallo studio per altro delle figure
che
ci sono restate della favola Isiaca, non si può c
ro spiegazioni, le loro congetture, i loro ragionamenti, non riescono
che
ad avviluppare di più dense tenebre il già impene
cui si servivano nelle loro cerimonie ; e non rientravano nel tempio
che
la sera, ove restavano qualche tempo in piedi ado
o abitualmente i piedi coperti di una scorza d’albero finissima, cosa
che
ha fatto dire che esse andavano a piedi nudi. Dai
iedi coperti di una scorza d’albero finissima, cosa che ha fatto dire
che
esse andavano a piedi nudi. Dai precetti del loro
nendosi il citato scrittore ad una strana tradizione egizia, aggiunge
che
Iside ed Oriside concepiti gemelli, si erano cong
unti coi legami maritali nell’ alvo stesso della madre loro, per modo
che
Iside nell’ istesso momento in che nacque, era gi
stesso della madre loro, per modo che Iside nell’ istesso momento in
che
nacque, era già gravida di un figlio. Iside ed Os
vilizzare i loro sudditi, a cui insegnarono l’ agricoltura e le arti,
che
ingentiliscono la vita. Coll’andare del tempo, es
ndare del tempo, essendo Osiride morto in seguito delle persecuzioni,
che
ebbe a soffrire da suo fratello Tifone, Iside ne
la cui salutare conoscenza andavan loro debitori. In seguito si disse
che
Osiride, ed Iside erano andati a dimorare nel sol
iziana, prendendo argomento dallo straripamento delle acque del Nilo,
che
avveniva in una data epoca dell’anno, diceva che
elle acque del Nilo, che avveniva in una data epoca dell’anno, diceva
che
il Nilo, ingrossato dalle lagrime che Iside versò
na data epoca dell’anno, diceva che il Nilo, ingrossato dalle lagrime
che
Iside versò alla morte del benamato consorte, str
ppoggia su di un’ antica iscrizione, trovata da tempo immemorabile, e
che
diceva « dea Iside che è una e tutte le cose ».
a iscrizione, trovata da tempo immemorabile, e che diceva « dea Iside
che
è una e tutte le cose ». Io sono la sola Divinit
va « dea Iside che è una e tutte le cose ». Io sono la sola Divinità
che
sia nell’uníverso ; che tutta la terra onora sott
e tutte le cose ». Io sono la sola Divinità che sia nell’uníverso ;
che
tutta la terra onora sotto diverse forme, con nom
diverse forme, con nomi e cerimonie diverse. ………………. I popoli Etiopi
che
il sole illumina dei primi suoi raggi, e gli Egiz
oli Etiopi che il sole illumina dei primi suoi raggi, e gli Egiziani,
che
sono i primi sapienti del mondo, mi chiamano col
o, nella città di Alessandria, a Copto ed a Bubaste. Pausania ripete,
che
la dea Iside era invisibile agli uomini e che l’a
baste. Pausania ripete, che la dea Iside era invisibile agli uomini e
che
l’assistere solo ai misteri di lei recava la mort
i e che l’assistere solo ai misteri di lei recava la morte ; e ripete
che
essendo un uomo nella città di Copto, entrato nel
l’ andare degl’ anni finì con l’essere riconosciuto da tutti, e tanto
che
molti luoghi pubblici furono perfino controsegnat
urono perfino controsegnati col nome di Iside. L’attributo più usuale
che
veniva assegnato ad Iside, era il sistro, strumen
Iside, era il sistro, strumento vuoto nel mezzo con un lungo manico,
che
ha la parte superiore più larga dell’ inferiore,
lungo manico, che ha la parte superiore più larga dell’ inferiore, e
che
finisce in forma di mezzo cerchio, dal cui vuoto
volta quattro bacchette di ferro a guisa di corde. Plutarco asserisce
che
assai comunemente sulla parte superiore del sistr
; e altra volta un globo, o un flore di loto. Aggiungeremo finalmente
che
il culto d’ Iside passò dall’ Egitto nelle Gallie
’ Egitto nelle Gallie ; e vi sono varii scrittori, i quali pretendono
che
la stessa città di Parigi, avesse preso il suo no
dal luogo, ove fu fabbricata. Da ciò le due parole greche παρα λοιδος
che
significano : vivino al tempio d’ Iside. 2336. Is
lebrazione delle quali, si esigeva il più stretto silenzio da coloro,
che
prendevano parte ai misteri di quelle cerimonie.
delle cerimonie Isie, pure le tradizioni dell’antichità, ci ripetono
che
durante il periodo delle feste Isie, che era di n
dell’antichità, ci ripetono che durante il periodo delle feste Isie,
che
era di nove giorni, i sacerdoti, le Isiache, e tu
’ iniziati, commettevano le più orrende e turpi dissolutezze, e tanto
che
il senato romano verso l’anno di Roma 696, proibì
ì rigorosamente la celebrazione delle feste Isie, le quali non furono
che
200 anni dopo rimesse in pieno vigore dall’ Imper
o che 200 anni dopo rimesse in pieno vigore dall’ Imperatore Commodo,
che
non ebbe ritegno di mischiarsi personalmente agl’
del fiume Ismeno. V. Ismeno. 2339. Ismenia. — Soprannome di Minerva,
che
a lei veniva dall’avere un tempio sulla sponda de
el fiume. V. l’ articolo seguente. 2341. Ismeno. — Fiume della Beozia
che
scorreva nelle circostanze di Tebe. Da principio
piede di Cadmo, a cagione di un’ antica tradizione, la quale racconta
che
avendo Cadmo ucciso a colpi di freccia, il dragon
a colpi di freccia, il dragone custode di quella fonte, e sospettando
che
quelle acque fossero avvelenate, fece il giro di
il suo piede destro, e vide scaturire una sorgente di acqua limpida,
che
formo poi quel fiume chiamato, da questo fatto, i
figliuolo della sventurata Niobe, per liberarsi dagli atroci dolori,
che
gli cagionavano le ferite fattegli da Apollo con
ite fattegli da Apollo con le sue frecce, si precipitò in quel fiume,
che
dopo questo luttuoso avvenimento cangiò il suo no
demonî e da genî, e consacrate agli eroi. Il citato autore racconta,
che
essendo stato il viaggiatore Demetrio, incaricato
re di riconoscere quelle isole, egli fosse approdato alla prima isola
che
incontrò nel suo cammino, ove poco dopo si scaten
rioso uragano, accompagnato da fulmini di così spaventevole rimbombo,
che
tutti ritennero come cosa certa, che uno dei prin
i di così spaventevole rimbombo, che tutti ritennero come cosa certa,
che
uno dei principali demonî abitatori di quell’isol
stesso Demetrio nelle sue cronache di relazione del viaggio, aggiunge
che
una di quelle isole era la prigione di Saturno, i
aveano nome taluni popoli vicini degli Iperborei, i quali non aveano
che
un occhio solo. Il citato scrittore aggiunge, che
i quali non aveano che un occhio solo. Il citato scrittore aggiunge,
che
allorquando alcuno degli Issedoni perdeva il prop
dono gran numero di animali come pecore, buoi, agnelli e volatili, e
che
in questa occasione essi compivano una barbara e
ano dell’orribile vivanda riserbando solo intatta la testa del morto,
che
poi legata in oro formava un idolo, a cui venivan
Igino asserisce esser egli figliuolo di Leonzio ; e Diodoro pretende
che
suo padre si chiamasse Anzione. Checchè ne sia, l
hi aveva vigore di legge una tradizionale costumanza, la quale voleva
che
allorquando si toglieva in moglie una donzella, l
esser preso in trastullo, fece un giorno rapire i giumenti di Issione
che
pascevano nelle campagne della Tessaglia. Issione
o cadde in quella e vi perdè miseramente la vita. Immenso fu l’orrore
che
l’atroce misfatto, che tutti addebitavano con cer
perdè miseramente la vita. Immenso fu l’orrore che l’atroce misfatto,
che
tutti addebitavano con certa ragione ad Issione,
bitavano con certa ragione ad Issione, suscitò contro di lui, e tanto
che
invano egli sollecitò tutti i principi della Grec
o alcuno. Finalmente fu ricevuto nella propria dimora da un principe,
che
aveva il soprannome di Giove, il quale meno susce
gica prendendo argomento dal soprannome del principe, racconta invece
che
il padre degli dei, mosso a pietà d’Issione, abba
Issione, il quale disfogò sulla supposta dea l’ardenza della passione
che
lo inebbriava ; e poscia non ebbe ritegno di vant
sïon le luci volse Di nuovo la Regina degli Dei : Che si ricorda quel
che
far le volse, Nel tempo che credendo abbracciar l
la Regina degli Dei : Che si ricorda quel che far le volse, Nel tempo
che
credendo abbracciar lei, Una nube in suo cambio i
sciagurato millantatore ad una ruota circondata d’innumeri serpenti e
che
doveva girare eternamente ; al dire di Ovidio una
2347. Isterie. — Feste in onore di Venere : il sacrifizio più usuale
che
si faceva alla dea nella celebrazione di quelle f
i in onoranza presso i greci. Le cronache dell’antichità, asseriscono
che
il nome di questi giuochi prese occasione dall’is
ccasione dall’istmo di Corinto, dove furono istituiti ; ed aggiungono
che
i giuochi istmici ebbero la loro istituzione da S
sulle spiagge dell’ istmo. Plutarco invece asserisce nelle sue opere,
che
i giuochi istmici fossero istituiti da Teseo, in
olare protezione l’istmo di Corinto. Aggiunge il prelodato scrittore,
che
Teseo volle in ciò seguire l’esempio di Ercole, c
lodato scrittore, che Teseo volle in ciò seguire l’esempio di Ercole,
che
alla sua volta era stato istitutore dei giuochi O
nza ogni tre anni, e questa usanza era per i Corinti così importante,
che
anche allorquando la loro città fu distrutta da M
re la celebrazione di quei giuochi. Immenso era il concorso di popolo
che
affluiva in Corinto, da tutte le altre città dell
e ai giuochi istmici e solo gli Eleati erano fra tutti i greci quelli
che
si astenevano dal recarsi in Corinto, in quella o
città, asseriva a questo proposito. Gli Eleati ritenevano per fermo,
che
avrebbero evitate gravi sventure col non recarsi
, imperocchè si sarebbero sottratti alle imprecazioni ed agli anatemi
che
Moliona, moglie di Attore, aveva lanciati contro
liona, moglie di Attore, aveva lanciati contro qualunque degli Eleati
che
avesse assistito a quei giuochi. I giuochi istmic
iuochi istmici marcavano per i greci una data epoca ; nè più, nè meno
che
la celebrazione annuale dei giuochi olimpici, con
lle bighe e a piedi, il pugillato ecc. erano gli abituali esperimenti
che
si eseguivano nei giuochi istmici, coll’ andare d
— Odi Ismiche — Ode III. trad. di G. Borghi. con la differenza, però
che
i vincitori dei giuochi Nemei erano inghirlandati
Poi fu decretata una somma di danaro da Solone fissata a cento dramme
che
doveva unirsi alla ghirlanda ; e finalmente i rom
citori, fino a fer loro dei preziosissimi donativi. Il poeta Pindaro,
che
è uno dei più leggiadri scrittori dell’antica let
nia ; i corinti avevano un’ antica loro tradizione, la quale ripeteva
che
Nettuno ed il Sole avevano avuto fra loro una con
ce della querela Briareo, questi per conciliare le differenze, decise
che
il paese intero avrebbe la protezione di Nettuno,
he il paese intero avrebbe la protezione di Nettuno, e il promontorio
che
sovrasta a quelio avrebbe riconosciuta la suprema
Oggi la patria del famoso inventore del cavallo troiano, altro non è
che
un piccolo scoglio, perduto nelle onde, e abitato
i amuleto in forma di cuore, a cui attribuivano molta segreta virtu e
che
generalmente si appendeva al collo dei fanciulli
o in grande venerazione. Itifallo era anche il soprannome particolare
che
gli egiziani e dopo di essi i greci, dettero a Pr
tezze. 2353. Itifallori. — Nome particolare dei ministri delle orgie,
che
si celebravano in onore di Priapo e di Bacco. Osc
e veniva particolarmente adorato in Messenia, per un magnifico tempio
che
egli aveva sul monte Itome vicino a quella città.
o a quella città. Un’antica tradizione non molto generalizzata, vuole
che
si sacrificassero a Giove Itomato, vittime umane
zzata, vuole che si sacrificassero a Giove Itomato, vittime umane ; e
che
certo Aristomene, nativo di quella città avesse f
mata Itomea nella quale si compiva una strana cerimonia. Tutti coloro
che
vi prendevano parte passavano l’intera giornata p
oio espressamente scavato in una parte del tempio, tutta quell’ acqua
che
poi serviva ad uso dei sacerdoti. 2356. Itonia. —
divinità, i pagani volevano alludere alla prudenza ed alla industria,
che
è la fonte della ricchezza. 2357. Iuga. — Uno dei
egli morì sbranato da una leonessa. — V. Jadi. — Vi sono varii autori
che
lo chiamano anche Jade. 2359. Jacco. — Uno dei so
oronide, Eudora, Fileto, Prodica, Polifo e Tiona. Racconta la cronaca
che
allorquando il loro fratello Ja, morì sbranato da
onessa, esse piansero così disperatamente la morte di quel loro caro,
che
gli dei mossi a compassione, le cangiarono in ste
a queste stelle il nome complessivo di Jadi, dalla parola greca ιαδος
che
significa pioggia. Altri scrittori dicono, che le
lla parola greca ιαδος che significa pioggia. Altri scrittori dicono,
che
le Jadi fossero sette nudrici di Bacco, e che Gio
Altri scrittori dicono, che le Jadi fossero sette nudrici di Bacco, e
che
Giove, onde sottrarle all’odio persecutore della
triarca Noè ; ma non pochi fra i più accreditati mitologi, pretendono
che
il gigante Japeto, conosciuto più comunemente sot
a. 2363. Jale. — Così avea nome una delle ninfe del seguito di Diana,
che
si trovava in compagnia della dea allorquando Att
per la sua bellezza, quando si maritò con Ifide, sebbene non contasse
che
13 anni. Giungea fra tanto il tredicesim’anno Al
non contasse che 13 anni. Giungea fra tanto il tredicesim’anno Allor
che
il genitor la bionda Jante A te, Ifi, in isposa d
o. 2365. Japeto. — Plù comunemente detto Giapeto. Fu uno dei giganti
che
Giove fulminò per aver dato coi suoi compagni la
a al cielo. V. Giapeto. Ivi Giapeto si rivolve e Ceo E l’altra turba
che
i celesti assalse. Monti La Musogonia — Canto.
esso al quale si dà, da quasi tutti gli scrittori, il nome di Giarba,
che
fu uno degli amanti della regina Didone. — V. Gia
ro III trad. di A.Caro. 2368. Jodama. — Madre del famoso Deucalione,
che
ebbe dai suoi amori con Giove. 2369. Jola. — Dett
mpagnò, secondo era suo costume. Dopo qualche tempo, convinto l’ eroe
che
quella unione gli sarebbe tornata funesta, fece s
unesta, fece sposare Megara a Jolao, il quale per la grande affezione
che
aveva per lo zio, accondiscese anche in ciò a far
testa degli Eraclidi e mosse con essi alla volta di Atene, onde fare
che
Teseo, re di quella contrada, avesse preso i disc
ritornarono il vigore giovanile alle membra dell’ invitto guerriero,
che
nella pugna si coprì di valore, e uccise di sua m
piaggla dell’arcipelago, ai piedi del monte Pelio. Fu in questa città
che
Giasone, dopo il suo ritorno dalla famosa conquis
nquista del vello d’oro, celebrò i giuochi funebri in onore di Pelia,
che
poi ebbero tanta rinomanza in tutta la Grecia. 23
ità, sulla paternità di questa giovanetta : infatti alcuni pretendono
che
ella fosse figlia di un re della Lidia, per nome
a Lidia, per nome Giardano ; ed altri, segnatamente Ovidio e Sofocle,
che
ella fosse figliuola di Eurito, re di Ecalia. D’
rcole, perdutamente invaghito di lei, a causa della stupenda bellezza
che
la rese famosa, volle ottenerla in isposa ; ma av
agedia. trad. di F. Bellotti. 2372. Jolee. — Feste in onore di Jolao
che
gli ateniesi celebravano con gran pompa nella lor
ta Jon. Creusa, sedotta da Apollo, dette alla luce un fanciullo senza
che
il padre di lei si fosse accorto di nulla ; ma qu
, ove lo aveva partorito ; ma per quel santo istinto della maternità,
che
parla potentemente al cuore più indurito, rinchiu
chiuse il neonato in un paniere avvolgendolo in alcuni finissimi lini
che
ella aveva. Apollo intanto, mosso a compassione s
suoi genitori, i quali restarono similmente ignoti alla sacerdotessa
che
lo aveva allevato. Fatto adulto, Jone si acquistò
quistò l’affetto degli abitanti di Delfo e la loro fiducia ; per modo
che
, ad onta della sua età giovanissima, lo fecero de
fetto pel figliuolo, si adoperò, con solerte cura, onde fare in modo,
che
Jone passasse un giorno come figlio di Xuto, onde
alche tempo di matrimonio, portossi a Delfo, onde saper dall’ oracolo
che
cosa avesse dovuto fare per averne ; e l’oracolo
oracolo che cosa avesse dovuto fare per averne ; e l’oracolo rispose
che
la prima persona che avrebbe incontrato all’ usci
sse dovuto fare per averne ; e l’oracolo rispose che la prima persona
che
avrebbe incontrato all’ uscire dal tempio, sarebb
di quello, e lo chiamò col dolcissimo nome di figlio. Riflettendo poi
che
l’età del giovanetto era in esatta corrispondenza
igliuolo, e gl’ impose il nome di Jone, dalla parola greca εξιοντιμες
che
racchiude in sè il significato d’essersi quel gio
re Jone col veleno. Quando fu portata la tazza avvelenata nel convito
che
Jone avea fatto imbandire, per sollennizzare il s
suolo. Il tentato delitto sarebbe così rimasto nelle tenebre, se non
che
un colombo che era entrato nella tenda, ove Jone
ato delitto sarebbe così rimasto nelle tenebre, se non che un colombo
che
era entrato nella tenda, ove Jone banchettava, av
estarono immediatamente il coppiere, il quale, non esitò a confessare
che
la regina in persona, gli avea dato l’incarico mi
ta da Apollo, comparve nel tempio, con un piccolo paniere nelle mani,
che
era quello stesso, in cui l’avea riposto la madre
rì di baci e di carezze, chiamandolo suo figlio. Ma la suprema gioia,
che
Jone sentiva nell’ aver ritrovata la madre sua fu
itrovata la madre sua fu presto intorbidata dall’aver ella confessato
che
Jone era figlio di Apollo e non già di Xuto. Non
figlio di Apollo e non già di Xuto. Non è a dire l’alta costernazione
che
una simile notizia sparse negli astanti, i quali
ali rimasero indecisi e perplessi su quanto sarebbe succeduto, se non
che
Minerva, apparendo d’improvviso, consigliò Creusa
, se non che Minerva, apparendo d’improvviso, consigliò Creusa a fare
che
Jone fosse erede del trono degli Erettidi, non pa
rici greci riconosce Jone come figlio di Xuto e di Creusa, e aggiunge
che
la posterità di lui, fu così numerosa, che coll’
to e di Creusa, e aggiunge che la posterità di lui, fu così numerosa,
che
coll’ andare degl’ anni, divenuta la contrada del
ttolemo e moglie di Eleusio. Ella prese parte ai famosi onori funebri
che
i greci resero al figliuolo suo. V. Trittolemo. 2
ui poi discesero gli Jossidi. A proposito di questi, scrive Pausania,
che
per una superstiz iosa credenza, piuttosto di fam
Pausania, che per una superstiz iosa credenza, piuttosto di famiglia,
che
di religione, essi conservavano, di padre in figl
me di Iove ossia Giove. I celti chiamavano questo dio col nome di Jov
che
nella loro lingua vuol dire giovane, per dinotare
zione del dio del bene, ritenuto come principio assoluto di tutto ciò
che
è buono. Presso quei popoli, Kacimana regolava le
leda. — Nella mitologia slava veniva così chiamato il dio della pace,
che
ha molta rassomiglianza col dio Giano, venerato d
ta Rati. Gli si era consacrato l’ albero chiamato in botanica Tulasi,
che
è una delle numerose varietà del gran fico delle
Tulasi, che è una delle numerose varietà del gran fico delle Indie, e
che
è notevole per la sua ricca e splendida floritura
almente parlando, chiamano col nome collettivo di Kamis quegli uomini
che
, divinizzati dopo la morte, hanno meritata l’ imm
te, hanno meritata l’ immortalità eroica. Si vede la grande relazione
che
passa fra i Kamis del Giappone e gli Eroi o Semid
gli Eroi o Semidei della mitologia greca e romana. È ancora a notare
che
i dogmi della religione giappone e ammettono un e
Nia, sono quasi sempre privi di ornamenti e di statue. Il solo arredo
che
vi si osserva è uno specchio assai grande, che, c
statue. Il solo arredo che vi si osserva è uno specchio assai grande,
che
, come emblema di purezza, sta in quei templi, qua
ome emblema di purezza, sta in quei templi, quasi a voler significare
che
all’ occhio della divinità sono palesi tutte le m
ssoluto di vita e di morte su tutta la specie umana. Credono i cinesi
che
altri tre dei subalterni, chiamati Tei-Kuan, Zui-
utti i fenomeni metereologici. 2384. Kano o Kanon. — È questo il nome
che
nel culto mitologico del Giappone, detto con voca
e maraviglioso e fantastico, ritenuto come il principe delle scimmie,
che
morì annegato in un pozzo. 2386. Kaor-Buk. — Gli
regno di Asem dànno questo nome al dio dei quattro venti. I sacerdoti
che
in Africa esercitano tutti la medicina, mandano a
, mandano alla capanna, chiamata il tempio di Kaor-Bus, quegl’infermi
che
essi non han potuto guarire, e questi debbono off
debbono offrire al dio quattro uccelli, prima di esporre la malattia
che
li affligge. 2387. Kapa, Laighne e Luassat. — Nel
lla mitologia irlandese, così vengono chiamati tre vigorosi pescatori
che
, provenienti dalla Spagna, si resero celebri nell
i immortali della divinità. La tradizione mitologica irlandese narra,
che
il diluvio sorprese Kapa e i suoi due compagni in
orprese Kapa e i suoi due compagni in un luogo chiamato Tuat-Imbir, e
che
da quel giorno essi divennero i tre più grandi e
condo come suo marito, ed il terzo come suo fratello. Però è a notare
che
, il più delle volte, questi tre grandi numi tenut
tre madri occidentali, dirozzatrici e incivilitrici dell’Irlanda ; e
che
queste tre dee vengono considerate come tre idee
leste feminile rappresentata da Keasaire, dea suprema. Da ciò risulta
che
il sesso feminile domina nella storia mitica dell
e cronache mitologiche irlandesi, le quali parlano tutte di tre donne
che
prendono possesso di quella contrada, dànno il lo
ioè libro dei fiori eccellenti, è una specie di catechismo religioso,
che
poi divenne la bibbia dei Buddisti. 2389. Kekki.
la. 2390. Ker. — E opinione di varî scrittori dell’ antichità pagane,
che
i Kers fossero degl’enti immaginarî e fantastici,
ue opere, qualifica Ker come un dio, figlio della Notte ; ed aggiunge
che
abitualmente veniva raffigurato con gli occhi spa
nze. 2391. Keraone. — Presso gli spartani era questo il nome del dio,
che
presiedeva particolarmente ai banchetti e segnata
one del vino. 2392. Kuan-in. — Nella Cina è questo il nome della dea,
che
si crede guarisca le donne dalla sterilità. Viene
cia. 2393. Kurù. — Nel culto religioso degl’ indiani, è questa la dea
che
presiede al giorno in cui succede il novilunio. K
della loro religione, offrire ogni giorno un sacrifizio sul focolare
che
stà in tutte le case, e sul quale si debbono alle
are che stà in tutte le case, e sul quale si debbono allestire i cibi
che
essi offrono agli dei. 2394. Kolna. — Nella mitol
scandinava, Kolna è un genio scacciato da Odino dal regno d’Asgart, e
che
sopraintende alle nozze dei fiori. Nelle tradizio
considerate come una delle maraviglie del mondo. La tradizione vuole,
che
nella costruzione delle piramidi, fossero adopera
no di 360 mila operai, i quali lavorassero 23 anni. Plinio asserisce,
che
una somma non minore di 1800 talenti, fosse spesa
a costruzione della sola piramide grande del centro ; mentre si vuole
che
le altre due più piccole laterali siano state cos
oi genitori discendevano dalla stirpe degl’ Indù. Narrano le cronache
che
Kansa fratello della regina Devakì, nemico del di
mico del dio Visnù, anelava di far propria la corona di Vassudeva ; e
che
quest’ambizioso disegno era in lui fomentato da u
ni Muni ispirati, specie d’indovini, i quali gli avevano profetizzato
che
un giorno, egli avrebbe jerduta la corona e la vi
sa allorquando sua sorella fu sposata da Vassudeva, giurò a sè stesso
che
nessun figlio maschio della giovine regina avrebb
a uccidere di sua mano i proprii figliuoli. Finalmente l’ottava volta
che
ella partorì un maschio, resa accorta dalle dolor
dalle dolorose prove del passato, fece allontanare il piccolo Krisna,
che
fu il suo ottavo maschio, onde sottrarlo allo spi
mbino. Kansa allora comandò una strage generale di tutti i fanciulli,
che
non avessero oltrepassato l’età di un anno, spera
ssente siccome un vero dio, uccide i Daitri scherani del perfido zio,
che
movevano contro di lui per compiere il sanguinoso
undagroma, si presentarono loro alcune donne dalle forme gigantesche,
che
erano segrete mandatarie di Kansa, e domandano a
bambino ch’egli porta seco. Krisna allora, sapendo per volere divino
che
il seno che gli si porge è avvelenato, taglia coi
egli porta seco. Krisna allora, sapendo per volere divino che il seno
che
gli si porge è avvelenato, taglia coi denti già p
gli si porge è avvelenato, taglia coi denti già possenti, la mammella
che
si offre alle sue labbra e fa che il veleno che q
coi denti già possenti, la mammella che si offre alle sue labbra e fa
che
il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene
possenti, la mammella che si offre alle sue labbra e fa che il veleno
che
quella rinchiude filtri nelle vene della gigantes
che il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene della gigantessa
che
spira ai suoi piedi. Kansa allora ; non punto sco
L 2397. Labda. — Una delle figliuole di Anfione. Narra la cronaca
che
essendo nata zoppa, non trovò alcuno della stirpe
a che essendo nata zoppa, non trovò alcuno della stirpe dei Bacchidi,
che
avesse voluto torla in moglie. Labda allora ricor
torla in moglie. Labda allora ricorse all’oracolo, e questo rispose,
che
ella sarebbe divenuta madre di un figliuolo che p
lo, e questo rispose, che ella sarebbe divenuta madre di un figliuolo
che
poi avrebbe usurpata la suprema autorità in Corin
ttadino di Corinto per nome Echecrate, ed ebbe da quello un figliuolo
che
fu chiamato Cipfelo, perchè secondo la tradizione
econdo la tradizione, essendo stati i Corinti istrutti della risposta
che
l’oracolo avea data a Labda, vollero uccidere il
iullo, onde sua madre per salvarlo, lo nascose in una misura di biada
che
i greci chiamavano Cipfelo. Da ciò il nome del ba
Creta ; sebbene quest’ultimo, al dire di Plinio lo storico, non fosse
che
la centesima parte di quello d’Egitto. Al dire di
dire di Erodoto, il laberinto di Egitto fu edificato per i dodici re,
che
secondo la tradizione storica, regnarono insieme
di esse. Le camere sotterranee contenevano i sepolcri dei dodici re,
che
avevano intrapresa, continuata e finita la costru
vi si conservavano anche i cadaveri imbalsamati di que i coccodrilli,
che
il culto religioso degl’egiziani riteneva come sa
i, dei passaggi, dei corridoi e delle uscite praticate in queste sale
che
mettevano le une nelle altre, e tutte erano ricop
pietra bianca. Cosi Erodoto. Però il cronista Pomponio Mela, aggiunge
che
il famoso laberinto del lago Meride era opera del
oso laberinto del lago Meride era opera dell’architetto Psanmetico, e
che
con teneva tremila appartamenti, e dodici palagi,
o, e trovandosi sempre nel medesimo punto donde si era partiti, senza
che
si giungesse mai a ritrovare la via della uscita.
giungesse mai a ritrovare la via della uscita. Il laberinto di Grecia
che
sorgeva nell’isola di Creta, fu costruito da Deda
ome di Minotauro. È questo il laberinto di cui fà menzione Virgilio e
che
sorgeva vicino alla città di Gnosso. …… in quant
ante si discorre Per le molte intricate e cieche strade Del Laberinto
che
si dice in Creta Esser costrutto ; …….. Virgilio
dell’Etruria, nell’intenzione di farne il proprio sepolcro, e l’altro
che
sorgeva nell’isola di Lenno. 2400. Labradeo. — Al
lse le sue bellissime armi, fra cui una scure di maraviglioso lavoro,
che
l’eroe, donò ad Onfale sua ; amante. Questa princ
à della Grecia. Questo Lacedemone fu, secondo la tradizione, il primo
che
avesse dedicato un tempio alle Muse. Dopo la sua
Sparta. 2403. Lachesi. — Una delle tre Parche, e propriamente quella
che
torceva il filo della vita. V. Parche. 2404. Laci
io, un tempio consacrato alla dea Giunone, sotto questo soprannome, e
che
era famoso per i ricchi donativi che lo adornavan
none, sotto questo soprannome, e che era famoso per i ricchi donativi
che
lo adornavano. Questo tempio, dedicato a Giunone
he lo adornavano. Questo tempio, dedicato a Giunone Lacinia, è quello
che
il censore Quinto Fulvio Flacco, spogliò delle ma
ensore Quinto Fulvio Flacco, spogliò delle magnifiche tegole di marmo
che
ne formavano il tetto, onde servirsene per la edi
etto, onde servirsene per la edificazione di un tempio della Fortuna,
che
egli faceva fabbricare in Roma. Però essendo mort
rto improvvisamente il censore Flacco, i suoi contemporanei ritennero
che
quella morte fosse avvenuta per vendetta di Giuno
di Giunone Lacinia, la quale avesse per tal modo punito il tracotante
che
si facea reo di quel sacrilegio. Questa popolare
reo di quel sacrilegio. Questa popolare credenza prese tanto vigore,
che
il senato emanò un editto, col quale comandava ch
rese tanto vigore, che il senato emanò un editto, col quale comandava
che
le tegole di marmo fossero rimesse al loro posto.
esto avvenimento, per sè stesso semplicissimo ; imperocchè si credeva
che
se taluno avesse inciso il proprio nome su quelle
su quelle tegole di marmo, la incisione svaniva nell’ istesso momento
che
l’individuo veniva a morire. Cicerone attribuisce
sce, nelle sue opere, un altro prodigio a Giunone Lacinia, e racconta
che
Annibale, volendo impadronirsi d’ una colonna d’o
, e racconta che Annibale, volendo impadronirsi d’ una colonna d’oro,
che
sorgeva in quel tempio, e non sapendo se fosse d’
mente di foglie d’ oro, la fece puntare con taluni istrumenti e trovò
che
era d’ oro massiccio, onde comandò che venisse tr
con taluni istrumenti e trovò che era d’ oro massiccio, onde comandò
che
venisse trasportata altrove. Ma nella notte segue
e dall’ opera incominciata, minacciandolo di privarlo del solo occhio
che
avea (avendo Annibale perduto un occhio in una ba
suo comando. Annibale allora, prestand o piena fede al sogno, ordinò
che
dell’ oro che si era cavato dalla colonna nel pun
Annibale allora, prestand o piena fede al sogno, ordinò che dell’ oro
che
si era cavato dalla colonna nel puntarla, venisse
cavato dalla colonna nel puntarla, venisse fusa una piccola giovenca,
che
poi fu posta sul capitello della colonna istessa.
olonna istessa. 2405. Lacinio. — Cosi avea nome un famoso masnadiere,
che
per lung o tempo, desolò il paese di Crotone. Erc
, fu consacrato, in memoria delle sue gesta un bosco in una contrada,
che
, dal suo nome, fu detta borgata dei Lacidi ; e ch
o in una contrada, che, dal suo nome, fu detta borgata dei Lacidi ; e
che
poi divenne famosa nei fasti del paganesimo per a
ganesimo per aver dato i natali a Milziade ed a Cimone figlio di lui,
che
entrambi andarono annoverati fra i più grandi e v
la Grecia. 2407. Lacturno. — Detto anche semplicemente Latturno : dio
che
presso i romani, presiedeva alla conservazione de
biade, prima della mietitura. Vi sono alcuni scrittori dell’antichità
che
chiamano questo nume Lacteus Deus, ed altri ancor
dell’antichità che chiamano questo nume Lacteus Deus, ed altri ancora
che
ne fanno una dea chiamata Lacturcia. 2408. Ladone
anno una dea chiamata Lacturcia. 2408. Ladone. — Fiume dell’ Arcadia,
che
secondo la tradizione favolosa, fu padre delle du
volosa, fu padre delle due celebri ninfe Dafne e Siringa. Delle canne
che
crescevano sulle rive del fiume Ladone, si servì
o di Arcesio e marito di una figliuola di Autolico, chiamata Anticha,
che
poi lo rese padre del famoso Ulisse. Al dire dell
, e fu uno degli Argonauti. 2410. Lafira. — Dalla parola greca λαϕυσα
che
significa bollino, si dava questo soprannome a Mi
e delle spoglie e del bottino. 2411. Lafistio. — Soprannome di Giove,
che
a lui fu dato dagli Orcomeni, dopo che Frisso gli
fistio. — Soprannome di Giove, che a lui fu dato dagli Orcomeni, dopo
che
Frisso gli ebbe sacrificato il montone di Colco.
annome di Diana a lei dato dai Calidonii, allorquando essi credettero
che
l’ira che la dea avea fatta ricadere su di Oeneo,
Diana a lei dato dai Calidonii, allorquando essi credettero che l’ira
che
la dea avea fatta ricadere su di Oeneo, e suoi di
. Le cronache dell’antichità aggiungono in proposito di Diana Lafria,
che
allorquando l’imperatore Augusto saccheggiò la ci
anti di Patra nell’ Acaja, e segnatamente una statua di Diana Lafria,
che
essi custodirono gelosamente nella loro cittadell
i Tolomei, nella città di Alessandria. Erano così dette perchè coloro
che
prendevano parte al banchetto della cena, erano a
Laghi. — I Galli celtici avevano una grande venerazione per i laghi,
che
essi consideravano come altrettante divinità ; ri
i laghi, che essi consideravano come altrettante divinità ; ritenendo
che
in essi avessero stanza i numi. Presso quei popol
anti delle circostanze, onde gettare in quelle acque tutte le offerte
che
si facevano alla luna. Strabone, nelle sue opere
igeni raccontavano le più strane cose. Il cennato scrittore aggiunge,
che
allorquando fra gli abitanti delle Gallie sorgeva
niera con la quale si risolveva la questione, nel caso non difficile,
che
i corvi avessero mangiate tutte e due le focacce.
te e due le focacce. 2415. Laide. — La stessa famosa cortigiana greca
che
molti scrittori chiamano Taide, e l’ Alighieri, n
per una notte di piacere, onde provocò la famosa risposta del saggio,
che
le disse : Non compro un pentimento a così caro
oi avi. ….. In questa terra Laio, o Signor tenea di re possanza Pria
che
tu l’assumessi. Sofocle — Edipo Re — Tragedia tr
— Edipo Re — Tragedia trad. di F. Bellotti. È questo il famoso Lajo
che
morì ucciso per mano del proprio figliuolo Edipo.
, conosciuta nei fasti della cronaca pagana, sotto il nome di Ilaria,
che
fu rapita da Castore al momento che dovea sposare
pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu rapita da Castore al momento
che
dovea sposare Linceo. V. Castore e Polluce. 2418.
Nettuno. Giove l’amò con passione e Giunone ne concepì tanta gelosia,
che
allorquando Lamia fu prossima a partorire, la fec
ini morti. La povera giovanetta fu così addolorata di questa sventura
che
in pochi giorni perdette affatto la sua stupenda
affatto la sua stupenda bellezza, e cadde in tale eccesso di furore,
che
divorava tutti i bambini che le cadevano fra le m
ezza, e cadde in tale eccesso di furore, che divorava tutti i bambini
che
le cadevano fra le mani. Questa tradizione della
simbolica esistenza delle Lamie, specie di mostri dal volto di donna,
che
attirano i passeggieri e poi li divorano. Lamia a
aveva anche nome una famosa cortigiana d’ Atene, figlia di Cleonora e
che
si rese celebre per la perizia con la quale suona
lungo tempo pazzamente innamorato. All’ epoca della battaglia navale
che
Demetrio Poliocerte vinse contro Tolomeo, Lamia c
i a Demetrio, seppe coi suoi irresistibili vezzi innamorarlo in modo,
che
ben presto egli la proferì a tutte le sue amanti,
ene ed in Epidauro. La cronaca a cui si attiene Pausania stesso, dice
che
Lamia ed Aussesia erano due giovanette cretesi, l
he Lamia ed Aussesia erano due giovanette cretesi, le quali nel tempo
che
Trezene era tumultuosa per dissidii politici e di
l’interna agitazione. Però appena ebbero varcate le porte di Trezene,
che
il popolo in piena sommossa le uccise a colpi di
tuirono in onore delle sventurate giovanette, una pubblica solennità,
che
poi fu celebrata ogni anno, sotto il nome di fest
ano, secondo l’attestazione di molti chiari scrittori dell’antichità,
che
quelle lampadi ardessero per lungo tratto di anni
crata da Callimaco, innanzi ad una statua di Diana in Atene, e ripete
che
quella lampada veniva riempiuta d’olio una sola v
va riempiuta d’olio una sola volta l’anno, e ardeva poi sempre, senza
che
vi fosse stato bisogno di più ritoccarla. Il cron
tri meltissimi, degni anch’essi di fede e di considerazione tanto più
che
quanto asseriscono Pausania e Solino non ha altra
tanto più che quanto asseriscono Pausania e Solino non ha altra base
che
l’attestazione dei sacerdoti pagani, i quali alim
lle lampadi, onde mantener vive le superstiziose credenze del popolo,
che
giovavano altamente ai tenebrosi maneggi di quegl
ai tenebrosi maneggi di quegli impostori. Plutarco istesso racconta,
che
un abitante della Lacedemonia, per nome Cleombrot
ombroto, avesse vista una lampada perpetua ardere in un tempio, senza
che
i sacerdoti avessero mai preso cura d’alimentarla
i avessero mai preso cura d’alimentarla d’olio. Ma Plutarco medesimo,
che
riferisce questo fatto come un prodigio, non fa c
lutarco medesimo, che riferisce questo fatto come un prodigio, non fa
che
ripetere quanto veniva attestato da quegli istess
me dio del fuoco e inventore delle lampadi ; ed in quelle di Prometeo
che
, secondo la favola avea rapito il fuoco sacro nel
elle lampadi. 2421. Lampadoforo. — Nome particolare di quel sacerdote
che
portava le lampadi nei sacrifizii ; talvolta inve
Sole avea affidato a queste sue dilettissime la custodia delle mandre
che
possedeva in Sicilia. Narra la tradizione, alla q
Sicilia. Narra la tradizione, alla quale si attiene il citato poeta,
che
avendo una tempesta gettato Ulisse e i suoi compa
e di quell’isola, i seguaci del guerriero greco uccisero alcuni buoi,
che
facean parte della mandra affidata dal Sole alla
onò la Sicilia, la sua nave fu assalita da una così furiosa tempesta,
che
a stento riuscì egli solo a salvarsi, mentre tutt
questo il nome di uno dei cavalli del sole, e propriamente di quello
che
presiedeva al mezzogiorno, ora in cui il Sole rif
lli bianchi del carro solare aveano nome Atteone, Filogeo, ed Eriloo,
che
altri scrittori chiamano anche Eritreo. V. Cavall
narra di lui un lagrimevole fatto. Allorquando i trojani consentirono
che
il famoso cavallo di legno fosse introdotto nella
ando un’insidia, cercò di persuadere i suoi concittadini ad opporsi a
che
il cavallo fosse introdotto al di là delle mura,
avallo fosse introdotto al di là delle mura, e fu in questa occasione
che
egli pronunziò il famoso motto, che Virgilio pone
le mura, e fu in questa occasione che egli pronunziò il famoso motto,
che
Virgilio pone sulle labbra di lui : timeo Danaos
isciare sulla superficie delle acque due orribili ed enormi serpenti,
che
slanciandosi sulla riva, sibilando orribilmente s
ttere i terribili nemici : l’arco non era ancora teso nelle sue mani,
che
i mostri si slanciarono su di lui, e lo strinsero
tta la testa e della parte superiore del corpo, lo strinsero per modo
che
quasi lo soffocarono. Finalmente coperto di bava
Laocoonte a sorte eletto Sacerdote a Nettuno ……. …………… Poscia a lui,
che
a’fanciulli era coll’arme Giunto in aiuto, s’avve
era coll’arme Giunto in aiuto, s’avventaro, e stretto L’avvinser sì,
che
le scagliose terga Con due spire nel petto, e due
lorofonte. Giove l’amò con passione e la rese madre di quel Sarpedone
che
fu poi re di Licia. Omero riferisce che Diana sde
rese madre di quel Sarpedone che fu poi re di Licia. Omero riferisce
che
Diana sdegnata del superbo orgoglio di Laodamia,
a era similmente il nome di una giovanetta moglie di quel Protesilao,
che
morì ucciso all’assedio di Troja. Quando la dolor
edio di Troja. Quando la dolorosa novella fu portata a Laodamia, essa
che
amava teneramente il marito, fece fare una statua
Laodamia, essa che amava teneramente il marito, fece fare una statua
che
riproduceva fedelmente la cara immagine del suo s
tempo dopo uno schiavo andò a riferire ad Acasto, padre di Laodamia,
che
la figliuola s’era lasciata sorprendere in turpi
ecò immantinenti nella camera della figlia, onde punire la sciagurata
che
insozzava di tanta macchia il decoro della famigl
ia e la fece mascondere, onde Laodamia non vedesse più quell’oggetto,
che
manteneva sempre vivo il dolore nell’anima sua. M
ma sua. Ma Laodamia, maggiormente afflitta, chiese in grazia agli dei
che
le avessero conceduto per sole tre ore di poter f
ato ; e pianse tanto amaramente nel chiadere al cielo codesta grazia,
che
gli dei impietositi gliela concessero. Mercurio i
ordine di Giove discese all’inferno e ne trasse l’anima di Protesilao
che
presentò alla fedele Laodamia. Ma questa, trascor
si contentò piuttosto di andar con lui nel regno dei morti, di quello
che
rimanere sulla terra divisa dal suo diletto. Laod
suo diletto. Laodamia finalmente avea nome una principessa di Epiro,
che
insieme a sua sorella Nereide, riuseì per poco te
iedi d’una statua della dea, fu uccisa spietatamente da certo Milone,
che
cieco d’ira contro la disgraziata giovanetta. le
il sangue innocente di lei ricadde goccia a goccia sull’iniqua terra
che
lo aveva versato, e la guerra, la pestilenza, la
nistri dell’ira degli dei si scatenarono sull’Epiro con tale rapidità
che
ben presto quella grande contrada fu quasi desert
esto quella grande contrada fu quasi deserta. E quell’istesso Milone,
che
avea dato alla misera Laodamia il colpo mortale,
Secondo alcuni scrittori, così avea nome la madre della famosa Niobe,
che
altri autori tanto antichi che moderni chiamano d
avea nome la madre della famosa Niobe, che altri autori tanto antichi
che
moderni chiamano differentemente. V. Niobe. Laodi
. V. Niobe. Laodice è un nome assai generalizzato presso i pagani ; e
che
sovente si trova ripetuto nei fasti eroici e favo
carattere della nostra opera, parleremo partitamente di quelle donne
che
così ebbero nome e che sono ricordate dagl’autori
opera, parleremo partitamente di quelle donne che così ebbero nome e
che
sono ricordate dagl’autori come le più famose. La
come la più avvenute delle reali fanciulle trojane. L’inclita madre
che
a trovar sen gia Laodice, la più delle sue figlie
di Ercole per nome Telefo, Laodice fu ben presto abbandonata da lui,
che
dapprima combatteva nelle fila dei trojani, e che
abbandonata da lui, che dapprima combatteva nelle fila dei trojani, e
che
poi passò in quelle dei greci. Priamo onde consol
igliuoli maschi e imponendole di tenere le redini del governo, fino a
che
il primo dei suoi figliuoli avesse raggiunta l’et
mente dalla reggia. Laodice, da ultimo, fu una figliuola di Agapenore
che
seguì il padre suo all’assedio di Troja, ov’egli
rquando Paride e Menelao offrirono di combattere il singolare duello,
che
dovea por fine alla lunga guerra di Troia. Laodoc
llo, che dovea por fine alla lunga guerra di Troia. Laodoco fu quello
che
esortò i troiani a rompere il trattato. Omero agg
fu quello che esortò i troiani a rompere il trattato. Omero aggiunge,
che
Giove avesse ordinato a Minerva di prendera le se
a le sembianze di Laodoco, e di andare in cerca di Pandaro, onde fare
che
i troiani avessero violato i patti. La Dea misch
ndare di fortissime e salde mura, la capitale del suo regno ; e tanto
che
quest’opera fu dai pagani attribuita allo stesso
buita allo stesso Apollo, dio delle arti. Come pure i possenti argini
che
egli fece costruire, onde proteggere la cittadell
l tempo le onde fatto rovinare uno degli argini, fu ritenuto da tutti
che
Nettuno sdegnato contro Laomedonte, per non averg
era vendicato della mala fede del re, distruggendo uno di quei ripari
che
erano opera sua. Questa è almeno se non la sola,
sua. Questa è almeno se non la sola, la più generalizzata tradizione
che
i cronisti dell’antichità ci abbiano trasmessa su
scrittori, egualmente degni di fede, e ricchi di rinomanza, ripotono
che
Laomedonte, onde abbellire e fortificare la capit
, Laomedonte non restituì le ricchezze di cui s’era servito, per modo
che
Apollo afflisse il popolo troiano con una terribi
tilenza, e Nettuno mandò dal fondo del mare un’orrendo mostro marino,
che
divorava tutti coloro che passavano sulla spiaggi
al fondo del mare un’orrendo mostro marino, che divorava tutti coloro
che
passavano sulla spiaggia. Desolati i troiani, ric
piaggia. Desolati i troiani, ricorsero all’oracolo, e questo rispose,
che
Nettuno non placherebbe la sua terribile ira, se
rifizio ; ma nell’istesso tempo emanò un editto col quale proclamava,
che
chiunque avesse combattuto il mostro e salvata la
lvata la figlia, l’avrebbe avuto in legittima sposa. A questo appello
che
richiedeva un eroico coraggio, Ercole si offerse
la contrada, e uccise lo stesso Laomedonte, a cui Priamo, suo figlio
che
gli successe sul trono di Troia fece innalzare un
ece innalzare un magnifico sepolcro. Questo monumento è quello stesso
che
fu abbattuto dai Troiani medesimi per dar passagg
idazione. — Con questo nome veniva dagli Egineti denominata una festa
che
essi celebravano in memoria di due giovanette cre
apidate. V. Lamia ed Aussesia. 2436. Lapis. — In memoria della pietra
che
Saturno aveva divorata, invece del proprio figliu
mento fatto sotto questa misteriosa parola. Cicerone stesso asserisce
che
un giuramento fatto con questa formola : Jovem l
rare, era ritenuto come infrangibile. 2437. Lapiti. — Da un figliuolo
che
Apollo ebbe dai suoi amori con una giovanetta chi
dai suoi amori con una giovanetta chiamata Stobia, figlia di Pineo, e
che
fu detto Lapito, presero la loro denominazione qu
tto Lapito, presero la loro denominazione quei popoli della Tessaglia
che
si resero celebri nei fasti dell’antichità per la
e si resero celebri nei fasti dell’antichità per la sanguinosa guerra
che
sostennero contro i Centauri, e che ebbe principi
ntichità per la sanguinosa guerra che sostennero contro i Centauri, e
che
ebbe principio per una dissensione surta fra di l
. 2438. Lara. — Figlia del fiume Almone. Narra la cronaca mitologica
che
essa palesò a Giunone la tresca amorosa che egli
rra la cronaca mitologica che essa palesò a Giunone la tresca amorosa
che
egli aveva con la ninfa Giuturna ; per il che sde
unone la tresca amorosa che egli aveva con la ninfa Giuturna ; per il
che
sdegnato Giove le fece tagliare la lingua e coman
il che sdegnato Giove le fece tagliare la lingua e comandò a Mercurio
che
l’avesse condotta all’inferno. Mossa a pietà del
I Fasti — Libro II. trad. di Giambattista Bianchi. Narra la cronaca,
che
la sua disgrazia non aveva punto alterata la sorp
zia non aveva punto alterata la sorprendente bellezza di Lara ; tanto
che
Mercurio stesso, durante il tragitto invaghitosen
il tragitto invaghitosene perdutamente, la rese madre di due gemelli
che
poi furono detti, dal nome della madre Lari, ed a
sti — Libro II. trad. Giambattista Bianchi. 2439. Larentali. — Feste
che
i Romani celebravano in onore di Acca Laurenzia,
— Altamente seria era, nel culto religioso dei pagani, la importanza
che
essi davano agli dei Lari, detti anche Penati ; e
, la importanza che essi davano agli dei Lari, detti anche Penati ; e
che
essi ritenevano come gli dei domestici, i genii t
culto pagano degli dei Lari, trasse la primitiva sua origine dall’uso
che
avevano gli antichi di sotterrare cioè i loro mor
avevano gli antichi di sotterrare cioè i loro morti nelle case ; cosa
che
dette motivo a quelle menti ottenebrate dalla sup
a quelle menti ottenebrate dalla superstizione di ritenere per fermo
che
le anime dei trapassati soggiornassero nelle stes
giornassero nelle stesse case, ove avean dimorato durante la vita ; e
che
prendessero la casa e la famiglia sotto la loro p
i anni i morti vennero sepolti lungo le strade maestre ; ed allora fu
che
i Lari o Penati furono considerati come dei prote
. Secondo riferisce il cronista Apuleio, gli dei Lari altro non erano
che
le anime di coloro che avevano onestamente vissut
cronista Apuleio, gli dei Lari altro non erano che le anime di coloro
che
avevano onestamente vissuto e che perciò dimorava
ro non erano che le anime di coloro che avevano onestamente vissuto e
che
perciò dimoravano anche dopo la morte nel seno de
da principio rappresentati sotto la figura di un cane onde ricordare
che
essi erano i custodi della casa, e che vigilavano
gura di un cane onde ricordare che essi erano i custodi della casa, e
che
vigilavano continuamente onde allontanare tutto c
della casa, e che vigilavano continuamente onde allontanare tutto ciò
che
potesse esser nocivo. Ordinariamente i pagani met
altari un maiale ; mentre quando si facevano loro offerte private, il
che
avveniva quotidianamente, si offriva loro del vin
el vino, dell’incenso, dei fiori e perfino una porzione delle vivande
che
erano imbandite sulla mensa. Giornalmente poi le
larmente al servizio degli dei Penati. Grandissima era la venerazione
che
i pagani avevano per queste loro divinità tutelar
ronache dell’antichità ci rapportano più d’un esempio, in cui si vede
che
particolarmente in occasione della morte di un qu
sia genî malefici. A questo proposito narra un’antica cronaca romana,
che
l’imperatore Caligola ; scontento dei proprî Lari
sa, i pagani ne distinguevano diversi altri. V’erano i Lari pubblici,
che
avevano la speciale presidenza dei lavori della c
, come strade, monumenti, sepolcri, ecc. V’erano i Lari detti Urbani,
che
avevano in custodia la città ; Compitales, quelli
i detti Urbani, che avevano in custodia la città ; Compitales, quelli
che
presiedevano alle crociere delle vie ; Viales, qu
Rurales, quelli della campagna ; e finalmente i Lari Hostiles, quelli
che
avevano la cura speciale di allontanare i nemici.
i nemici. Fra le maggiori divinità del paganesimo, ve n’erano alcune
che
facevano parte degli dei Lari, come Apollo, Mercu
Macrobio, era compreso fra gli dei Lari dei romani, perchè si credeva
che
avesse le strade sotto la sua speciale protezione
trade sotto la sua speciale protezione. Infine, tutti quelle divinità
che
i pagani sceglievano come protettrici sia d’una c
es, alludendo al grugnito proprio dei maiali, in memoria della scrofa
che
avea partoriti trenta porcelli in una volta. V. G
ce Macrobio, celebritas sigillariorum, ossia festa delle statuette, e
che
si solennizzava negl’undici giorni prima delle ca
nsacrato. 2443. Laristo. — Fiume del Peloponneso. Riferisce Pausania,
che
sulle sponde di quello, sorgeva un tempio dedicat
me collettivo, i pagani indicavano le anime dei perversi, e credevano
che
ritornassero sulla terra per tormentare i vivi. L
chiamavano lateres, una specie di cammino fabbricato in pietre cotte,
che
ricopriva il focolare di ogni casa. Da ciò, secon
del Lazio. Kra Signore, Quando ciò fu, di Lazio il Be Latino, Un re,
che
veglio, e placido gran tempo Avea ’l suo regno am
Eneide — Libro VII. trad. di A. Caro : Narra la cronaca mitologica,
che
Latino avesse avuto dalla regina Amata, un figliu
mitologica, che Latino avesse avuto dalla regina Amata, un figliuolo
che
gli fu rapito da alcuni delfini ; per modo che no
na Amata, un figliuolo che gli fu rapito da alcuni delfini ; per modo
che
non gli restò altra prole, che una leggiadra giov
fu rapito da alcuni delfini ; per modo che non gli restò altra prole,
che
una leggiadra giovanetta per nome Lavinia, la qua
co oracolo, il quale gli aveva imposto di non maritare la figlia sua,
che
con un principe straniero, egli fece alleanza con
l loro Esculapio, ossia del dio della sanità. Vogliono alcuni autori,
che
Latobio propriamente fosse il nome di un famoso m
i autori, che Latobio propriamente fosse il nome di un famoso medico,
che
i norici divinizzarono dopo la morte. 2450. Laton
e, a causa della sua stupenda bellezza e la rese madre di due gemelli
che
furono Apollo e Diana. Narra la tradizione, che G
madre di due gemelli che furono Apollo e Diana. Narra la tradizione,
che
Giunone mossa da geloso furore, perseguitò instan
lla terra, spaventò siffattamente Latona, inseguendola continuamente,
che
essa, prossima a partorire, non trovò un angolo d
none spinta sempre dalla sua gelosia, istrutta dell’inatteso ricovero
che
la sua rivale avea avuto da Nettuno, la obbligò a
a’, di gemella prole Sgravossi, della suocera a dispetto. Fama è però
che
per fuggir lo sdegno Di Giuno, la puerpera da Del
a bellissima amante di Giove giunse nella Licia, ove la cronaca narra
che
oppressa un giorno, dagli ardori del sole e dalla
eli in rane. Erodoto però asserisce, nei suoi scritti sull’antichità,
che
Latona altro non fu se non la nutrice di Apollo,
ull’antichità, che Latona altro non fu se non la nutrice di Apollo, e
che
Iside, la dea suprema, fosse la vera madre di lui
le crudeli persecuzioni di Tifone, lo nascose nell’isola di Chemnide,
che
sorgeva in mezzo ad un lago, chiamato Bute. Da qu
chiamato Bute. Da questa ultima opinione del classico autore, sembra
che
i greci, altro non abbian fatto se non che masche
el classico autore, sembra che i greci, altro non abbian fatto se non
che
mascherare con la larva simbolica dell’allegoria
esti ultimi popoli, Apollo, ossia il sole ha per madre Latona (parola
che
significa nel linguaggio egiziano, nascosto), vol
he significa nel linguaggio egiziano, nascosto), volendo significare,
che
prima della nascita del sole, tutte le cose creat
ole, tutte le cose create erano nascoste nell’oscurità delle tenebre,
che
ravvolgevano nella notte del caos primitivo la cr
bbe ben presto altari e templi, e tra questi, il più famoso fu quello
che
sorgeva nell’isola di Delo, vicino a quello del f
dell’immortale scalpello di Prassitele. Fra i popoli dell’antichità,
che
onoravano Latona di un culto particolare, è mesti
mente nominare gli Egiziani, i quali delle sei grandi e solenni feste
che
celebravano nel corso dell’anno, avevano istituit
el corso dell’anno, avevano istituita la quinta in onore di Latona, e
che
veniva solenuizzata nella città di Butite con gra
onne adoravano Latona come protettrice delle partorienti e si credeva
che
presiedesse anche al parto degli animali. A compl
che presiedesse anche al parto degli animali. A completare le notizie
che
le cronache dell’antichità ci hanno trasmesse su
e lo scrittore Ateneo, nelle sue cronache. Narra il citato scrittore,
che
un greco per nome Parmenisco Netapontino, il qual
bbe la temerità di volere a forza penetrare nell’antro di Trofonio, e
che
in pena della sua azione sagrilega, fosse condann
dovuto fare per essere liberato da tale castigo ; e l’oracolo rispose
che
sua madre gli avrebbe restituita nella propria ca
uita nella propria casa la facoltà di ridere. Par menisco si convinse
che
la madre a cui accennava l’oracolo era la patria
si convinse che la madre a cui accennava l’oracolo era la patria ; e
che
appena sarebbe rientrato nella sua dimora, avrebb
lusa, poichè appena rientrato nelle sue domestiche pareti, si accorse
che
il ridere gli era sempre inibito da una forza sup
entrò nel tempio di Latona col proposto di vedere la magnifica statua
che
Prassitele avea scolpito di quella dea ; ma invec
statua che Prassitele avea scolpito di quella dea ; ma invece di ciò
che
si aspettava di vedere, altro non scorse che un i
a dea ; ma invece di ciò che si aspettava di vedere, altro non scorse
che
un informe simulacro di legno, con una faccia cos
nforme simulacro di legno, con una faccia così contrafatta e sconcia,
che
appena i suoi occhi l’ebbero fissata, egli ruppe
’ebbero fissata, egli ruppe in un violento scoppio di riso. Fu allora
che
comprese il senso della risposta dell’oracolo, e
nel tempio istesso di Licurgo. 2452. Lavazione. — Era questo il nome
che
i romani davano ed una festa, che essi celebravan
52. Lavazione. — Era questo il nome che i romani davano ed una festa,
che
essi celebravano annualmente in onore della madre
ione, avvalorata dalla testimonianza cronologica delle date, aggiunge
che
la festa della lavazione si celebrava il 25 marzo
dei. S. Agostino, nelle sue opere, sferza inesorabilmente le oscenità
che
i pagani di Roma commettevano in questa occasione
regina Amata. Fu erede del trono paterno. V. Latino. Narra la cronaca
che
essa già innanzi con gl’anni si vide scopo alle r
ne a cangiare l’ordine delle cose ; imperocchè, la tradizione ripete,
che
offerendo Lavinia un giorno un sacrifizio, insiem
l’altare, si appiccò alla sua folta e magnifica capellatura, per modo
che
la ricca acconciatura di perle, di cui ella aveva
vesti di lei, la ravvolse come in una nube di pallida luce e di fumo,
che
ben presto riempì tutta la reggia. Codesto avveni
si la principessa incolume, come per miracolo, gl’indovini predissero
che
ella avrebbe uno splendidissimo destino, il quale
issimo destino, il quale pero sarebbe riuscito funesto al suo popolo,
che
per cagione di lei avrebbe avuto a sostenere una
edizioni, mosse a consultare l’oracolo di Fauna e questo gli rispose,
che
non avrebbe dovuto concedere la mano di Lavinia,
sto gli rispose, che non avrebbe dovuto concedere la mano di Lavinia,
che
ad un principe straniero. Poco tempo dopo infatti
stenere, contro Turno re dei Rutuli, una lunga guerra, perchè questo,
che
era nipote della regina, contrastò ad Enea colle
ato da Ascanio, figlio d’Enea, e di Creusa, prima moglie di lui, temè
che
il giovanetto principe non avesse attentato ai su
Lazio cominciarono a mormorare della lontananza di Lavinia, per modo
che
Ascanio fu costretto a ricercare della matrigna e
ere ad essa ed al figliuolo Silvio il governo della città di Lavinio,
che
essa tenne fino alla morte di Ascanio, epoca in c
orte di Ascanio, epoca in cui risalì sull’antico trono degl’avi suoi,
che
poi ella trasmise ai suoi successori, non lascian
trasmise ai suoi successori, non lasciando ai discendenti di Ascanio,
che
la dignità ereditaria di sommo sacerdote. 2455. L
a di sommo sacerdote. 2455. Lavinio. — Fu questo il nome di una città
che
Enea edificò, secondo il dettato dell’oracolo, in
ale primiti vamente venivano additati alcuni antichi popoli italiani,
che
taluni scrittori vogliono che fossero gli stessi
dditati alcuni antichi popoli italiani, che taluni scrittori vogliono
che
fossero gli stessi abitatori del Lazio, sudditi d
. Un’ antica tradizione alla quale si attiene Virgilio stesso, ripete
che
nel palazzo del re sorgeva un albero d’ alloro, i
ale, per essere secolare, era tenuto con certo religioso rispetto ; e
che
avendolo il re trovato colà dove avea deciso di f
e la sua reggia, lo avesse consacrato ad Apollo Febo. Da ciò si vuole
che
i Laurentini avessero presa la loro denominazione
an tempo consecrato e colto Con molta riverenza era serbato. Si dicea
che
Latino esso re stesso Nel desiguare i suoi primi
— Eneide — Libro VII trad. di A. Caro. 2458. Laziale. — Dal costume
che
avevano alcune città del Lazio di sagrificare a G
me di Laziale ad una statua fatta scolpire da Tarquinio il superbo, e
che
sorgeva sopra un’alta montagna, nelle circostanze
latine. Da quanto riferiscono le cronache dell’ antichità, si rileva
che
i romani sacrificavano a Giove Laziale annualment
ualmente una vittima umana ; sebbene avessero preteso dai cartaginesi
che
non avessero più sacrificato i propri figliuoli a
ebbe principio dal fatto seguente. La cronaca tradizionale asserisce,
che
avendo il re Tarquinio conchiuso un trattato di a
ato di alleanza coi latini, volle, per eternare la memoria del fatto,
che
si fosse fabbricato uno splendido tempio comune,
i latini. La tradizione ripete, a proposito del nome di questo paese,
che
deriva dalla parola latina latere, nascondersi, e
itò tutti i discendenti di Cadmo. Leargo fu ucciso dal proprio padre,
che
Giunone aveva a tale scopo colpito di un accesso
ndo altri autori, di Sparta. La tradizione mitologica racconta di lei
che
Giove l’amò perdutamente a causa della sua stupen
che Giove l’amò perdutamente a causa della sua stupenda bellezza ; e
che
avendola un giorno veduta mentre si bagnava nelle
va sovente combattuta da altri chiarissimi autori, i quali pretendono
che
le uova partorite da Leda fossero due, e che da u
tori, i quali pretendono che le uova partorite da Leda fossero due, e
che
da uno uscissero Castore e Polluce, e dall’altro
Nemesi, Leda in atto di condurre Elena a quella dea. Pausania pretese
che
Leda altro non fosse se non la nutrice di Elena.
on fosse se non la nutrice di Elena. Altri autori finalmente vogliono
che
Nemesi stessa, avesse partorito un uovo, il quale
l nome di Leona. Fu una famosa cortigiana d’ Atene, la quale al tempo
che
la sua patria gemeva sotto il ferreo giogo d’ Ipp
giana Leona, facendola rappresentare sotto la figura di una Leonessa,
che
avea tronca la lingua. 2467. Lelapo. — Al dire d’
io e di molti altri scrittori dell’ antichità, così avea nome il cane
che
Procri regalò a Cefalo, quando questi mosse alla
galò a Cefalo, quando questi mosse alla caccia della mostruosa volpe,
che
, secondo la cronaca, desolava le campagne di Tebe
he, secondo la cronaca, desolava le campagne di Tebe. Il mio Lelapo (
che
del cane a me donato Tal era il nome) ad una voce
o Federico. Ripete la tradizione a cui si attiene il citato poeta,
che
offesa Temi per la morte della sfinge, e per vede
lle campagne di Tebe un’ enorme volpe, la quale produsse tante morti,
che
tutta la nobiltà tebana e delle circonvicine citt
cane di Cefalo chiamato Lelapo, il quale aveva un così rapido corso,
che
appena fu sguinzagliato contro la volpe che la se
eva un così rapido corso, che appena fu sguinzagliato contro la volpe
che
la seguitò così da vicino, che sembrava ad ora ad
ppena fu sguinzagliato contro la volpe che la seguitò così da vicino,
che
sembrava ad ora ad ora avesse potuto addentarla,
a ad ora ad ora avesse potuto addentarla, ma non riusciva a stringere
che
l’ aria. Finalmente dopo una lunghissima corsa, i
endo. Questo prodigio fu detto avvenisse per volontà di qualche nume,
che
non avea voluto permettere che uno dei due maravi
avvenisse per volontà di qualche nume, che non avea voluto permettere
che
uno dei due maravigliosi animali rimanesse vinto.
sembra. Così pìacque ad un nume (se del fatto Qualche nume ebbe cura)
che
le belve Restassero ambedue nel corso invitte. O
ad. del Cav. Ermolao Federico. Nei fasti della mitologia è ripetuto
che
il cane Lelapo era stato formato da Vulcano, che
mitologia è ripetuto che il cane Lelapo era stato formato da Vulcano,
che
ne fece un dono a Giove, il quale al tempo dei su
padre lo precipitò dal cielo con un calcio. La cronaca favolosa narra
che
i Lemni lo avessero ritenuto in aria, impedendogl
ro ritenuto in aria, impedendogli così di fracassarsi nella caduta, e
che
Vulcano, in ricompensa di tale servigio, avesse p
anche con un’appellazione complessiva larve, specie di genî malefici,
che
i pagani adoravano, credendo che fossero le anime
siva larve, specie di genî malefici, che i pagani adoravano, credendo
che
fossero le anime dei cattivi che tornassero a tor
ci, che i pagani adoravano, credendo che fossero le anime dei cattivi
che
tornassero a tormentare i viventi. In Roma si cel
lo di placare codeste anime irrequiete. I romani credevano fermamente
che
il mezzo più efficace per allontanare i lemuri fo
allontanare i lemuri fosse quello di abbruciare delle fave, ritenendo
che
l’ acre odore di quegli arsi legumi, riuscisse lo
iuscisse loro insopportabile. Durante il periodo delle feste Lemurie,
che
ricadevano nel mese di maggio, e si celebravano d
tutti i templi rimanevano chiusi. La istituzione delle feste Lemurie,
che
Ovi dio chiama feste notturne o degli spettri, vi
li spettri, viene dalle cronache dell’ antichità attribuita a Romolo,
che
volle con quelle cerimonie, placare l’ ombra di R
lui ucciso. È questa la ragione per la quale molti autori han creduto
che
la parola Lemuri derivasse da Remures, ossia fest
ossia feste in onore di Remo. 2470. Leneo. — Dalla parola greca ληὑς
che
significa torchio, si dava questo soprannome a Ba
fine dell’ autunno, e propriamente all’ epoca della vendemmia, ond’ è
che
il mese consacrato a questa operazione agricola,
pote di Nettuno e figlio di Glaucone e di Astidamia. Narra la cronaca
che
Lepreo d’accordo col re Augia, avesse stabilito d
bevuto più vino. Ercole vinse sempre in tutti gli esercizii, per modo
che
Lepreo, ebbro di collera e di vino, sfidò Ercole
il cui circuito al dire di Pausania era di un terzo di stadio, misura
che
corrisponde alla ventiquattresima parte di un leg
fasti della mitologia, il lago di Lerna è celebre per la famosa Idra
che
fu uccisa da Ercole e che formò una delle dodici
lago di Lerna è celebre per la famosa Idra che fu uccisa da Ercole e
che
formò una delle dodici fatiche dell’ eroe, sebben
e formò una delle dodici fatiche dell’ eroe, sebbene la cronaca dice,
che
avendo Iolao accompagnato Ercole nel combattiment
e, anche l’ uccisione della terribile Idra. V. Ercole. Euripide dice,
che
l’arme della quale Ercole si servì per uccidere i
una falce d’oro. Al dire di Platone ; l’Idra di Lerna altro non era,
che
la simbolica configurazione d’un sofista nemico d
e d’un sofista nemico di Ercole, il quale si scatenò contro l’eroe, e
che
le sette teste rinascenti a misura che venivan re
le si scatenò contro l’eroe, e che le sette teste rinascenti a misura
che
venivan recise, altro non fossero che i cattivi r
sette teste rinascenti a misura che venivan recise, altro non fossero
che
i cattivi ragionamenti e i falsi raziocinii di cu
serviva il detrattore dell’ eroe. Fra gli autori antichi però, quello
che
ci ha trasmesse più dettagliate notizie sul lago
dettagliate notizie sul lago di Lerna, è Pausania, il quale asserisce
che
gli argivi pretendevano che fu da questo lago che
di Lerna, è Pausania, il quale asserisce che gli argivi pretendevano
che
fu da questo lago che Bacco discendesse all’infer
il quale asserisce che gli argivi pretendevano che fu da questo lago
che
Bacco discendesse all’inferno, onde ricondurre su
l’inferno, onde ricondurre sulla terra la madre Semele. Il certo si è
che
ai tempi in cui scriveva il cennato storico, non
la profondità di quelle acque. Finalmente lo stesso Pausania aggiunge
che
le onde del lago di Lerna, che giacevano sempre,
Finalmente lo stesso Pausania aggiunge che le onde del lago di Lerna,
che
giacevano sempre, all’apparenze, in una immobilit
misteri dette Lernee, nei quali si compivano tali mostruose oscenità,
che
lo stesso storico Pausania dice, non poterle divu
elle vittime umane. 2478. Lestrigoni. — Antichi popoli della Sicilia,
che
le cronache ci presentano come antropofagi. Narra
ia, che le cronache ci presentano come antropofagi. Narra la cronaca,
che
allorquando Ulisse giunse sulle spiagge della Les
ono la moglie del re, la cui speventevole vista gli inorridì per modo
che
essi vollero ritornare sui loro passi, essendo el
otte Antifate chiamava Dalla pubblica piazza, il rinomato Marito suo,
che
disegnò lor tosto Morte barbara e orrenda. Uno af
L’immane voce del mostruoso signore rimbombò per tutta l’ isola, sì
che
i Lestrigoni dall’alto delle rupi schiacciarono a
lle rupi schiacciarono a colpi di sassi i seguaci d’ Ulisse, e quelli
che
non morirono sotto le pietre furono infilzati com
lzati come pesci e imbanditi ad un orrendo banchetto. Il solo Ulisse,
che
non era ancora sbarcato, potè allontanarsi precip
di I. Pindemonte. 2479. Letea. — Moglie di Oleno. Narra la cronaca,
che
essa insuperbita della propria bellezza, osò vant
gnati la condannarono ad esser trasformata in sasso. Oleno suo marito
che
amava passionatamente Letea volle addossarsi la c
amava passionatamente Letea volle addossarsi la colpa, ma non riuscì
che
a dividere il castigo di lei, imperocchè fu anch’
di lei, imperocchè fu anch’egli cangiato in rupe. O ad Oléno simil,
che
a sè medesmo Affibbiò l’altrui colpa, e che fu va
rupe. O ad Oléno simil, che a sè medesmo Affibbiò l’altrui colpa, e
che
fu vago Di reo mostrarsi : o a te, Letéa, simile,
umerabili……. Virgilio — Eneide — Libro VI trad. di A. Caro. Coloro
che
ammettevano la metempsicosi, credevano che le ani
trad. di A. Caro. Coloro che ammettevano la metempsicosi, credevano
che
le anime che avessero bevuto l’acqua di Lete, era
aro. Coloro che ammettevano la metempsicosi, credevano che le anime
che
avessero bevuto l’acqua di Lete, erano destinate
e, erano destinate a ritornar sulla terra ad animare altri corpi ; ma
che
doveano aggirarsi per lo spazio di mille anni nel
che in Africa v’era un fiume conosciuto sotto l’appellazione di Lete,
che
metteva foce nel Mediterraneo, vicino al capo del
ino al capo delle sirti, e del quale la tradizione mitologica ripete,
che
dopo aver corso per una sufficiente lunghezza, sc
anti acque, vicino alla città di Bereniee. Fu questa forse la ragione
che
fece ritenere dalla superstione pagana, che il fi
u questa forse la ragione che fece ritenere dalla superstione pagana,
che
il fiume Lete sca turiva dall’inferno. Da ultimo
sca turiva dall’inferno. Da ultimo la tradizione mitologica aggiunge,
che
nell’isola di Creta, correva un fiume a cui fu da
isola di Creta, correva un fiume a cui fu dato (il nome di Lete, dopo
che
Ermione, avendo bevuto di quell’acqua, dimenticò
admo. 2481. Lettisternio. — Solenne ed imponente cerimonia religiosa,
che
i romani compivano, con grandissimo rispetto, in
dei. Consisteva il Lettisternio in un sontuoso e splendido banchetto,
che
per più giorni, in nome ed a spesa della repubbbl
dava alle principali divinità, ed in uno dei loro templi, credendosi
che
gli dei, a cui veniva offerto il banchetto vi ave
rose ; sovra ognuno di quei letti veniva posta la statua di quel nume
che
prendeva parie al convito, mentre il posto delle
e il flagello prendeva ogni giorno più consistenza, il senato decretò
che
si fossero interrogati i libri sibillini. Infatti
fossero interrogati i libri sibillini. Infatti i sacerdoti risposero,
che
per far cessare il castigo, bisognava celebraré u
alità veniva esercitata riguardo ad ogni classe di persone tanto note
che
sconosciute ; e tale sentimento di ospitalità ven
italità veniva spinto tant’ oltre, durante il tempo del Lettisternio,
che
ogni antico rancore spariva e si videro uomini fr
to autore, questa cerimonia riusci completamente inefficace, per modo
che
si dovè ricorrere ad altra divozione per raggiung
sta fu la istituzione dei giuochi scenici, V. Giuochi, nella speranza
che
non essendosi fino allora veduti in Roma tali rap
inità, cioè, Giove, Giunone e Mercurio ; aggiungendo la particolarità
che
, intorno al banchetto del convito, era posto un s
dualmente romana ; ma vi è stato pure fra gli scrittori tanto antichi
che
moderni, e fra questi il critico Casauvono, che h
rittori tanto antichi che moderni, e fra questi il critico Casauvono,
che
han dimostrato essere il Lettisternio in uso anch
e, in varii brani delle sue opere, di alcuni cuscini detti Pulvinaria
che
nei conviti eran posti sotto le statue degli dei
degli dei e degli eroi. Lo Spon, nel suo viaggio della Grecia, scrive
che
nella città di Atene si vedeva ancora il Lettiste
na aveva partorito, posavano sulla nuda terra il neonato, e bisognava
che
il padre, o in sua assenza taluno che lo rapprese
a terra il neonato, e bisognava che il padre, o in sua assenza taluno
che
lo rappresentasse, lo avesse immediatamente preso
ediatamente preso fra le sue braccia, levandolo dalla terra, senza di
che
il bambino passava per illegittimo. Al dire del c
illegittimo. Al dire del cronista Vossio, la dea Levana era la stessa
che
Ilizia o Lucina. 2483. Leucadio — Da un tempio ch
vana era la stessa che Ilizia o Lucina. 2483. Leucadio — Da un tempio
che
Apollo aveva sulla spiaggia di Epiro, nell’isola
Azio, ove Apollo veniva particolarmente adorato. La tradizione ripete
che
fu a Leucade che Enea fece celebrare i famosi giu
veniva particolarmente adorato. La tradizione ripete che fu a Leucade
che
Enea fece celebrare i famosi giuochi funebri, in
Isola del Ponto Eusino, della quale la tradizione mitologica ripete,
che
gli antichi avevano formata una specie di Campi E
gli antichi avevano formata una specie di Campi Elisi, ove ritenevano
che
dimorassero le anime degli eroi. Al dire di Pausa
, il primo a penetrare fu certo Leonimo di Crotona. Narra la cronaca,
che
quando ardeva la guerra fra i Locresi ed i Croton
sportare a Delfo, onde consultare quell’oracolo. La Pitia gli rispose
che
avrebbe dovuto recarsi nell’isola di Leuce, ove A
isanò interamente. Da quell’ epoca si sparse fra i Crotoniati la voce
che
Leonimo aveva detto d’aver visto coi proprii occh
ssa, la quale sposata ad Achille, aveva parlato a Leonimo, dicendogli
che
appena giunto ad Imera avesse avvertito il poeta
ndogli che appena giunto ad Imera avesse avvertito il poeta Stesicoro
che
egli aveva perduta la vista per effetto della col
ome collettivo deile due figliuole di Leucippo, dette Febea ed Ilaria
che
furono rapite da Castore e da Polluce. V. Ilaria
furono rapite da Castore e da Polluce. V. Ilaria e Febea. È a notare
che
varii autori dell’ antichità, chiamano la prima d
mò perdutamente la giovanetta Dafne ; ma sapendo la grande avversione
che
essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pe
e avversione che essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pensò
che
piuttosio che richiederne inutilmente la mano, ch
he essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pensò che piuttosio
che
richiederne inutilmente la mano, che ella certo g
in generale, pensò che piuttosio che richiederne inutilmente la mano,
che
ella certo gli avrebbe negata, valeva meglio rico
entatosi a lei come figlia di Oenomao, le chiese di volerle concedere
che
l’accompagnasse alla caccia. Dafne delusa dalle a
e non trascurava nulla per tornar bene accetto a Dafne, così avvenne
che
ben presto si acquistò tutta la grazia di lei. Ap
nne che ben presto si acquistò tutta la grazia di lei. Apollo intanto
che
anch’egli avea concepito un ardente desiderio d’a
i delle sue vesti e discendere nel fiume ; ma appalesatosi il mistero
che
egli ascondeva, fu ucciso a colpi di puguale e di
ondeva, fu ucciso a colpi di puguale e di frecce. V’ à qualche autore
che
da questa tradizione toglie solamente l’intervent
ripetono le cronache. 2488. Leucofrina. — Uno dei soprannomi di Diana
che
a lei veniva da un luogo, sulle rive del fiume Me
a Magnesia, ov’essa aveva un tempio, in cui si adorava una sua statua
che
la rappresentava col seno coperto di più mammelle
due vittorie. 2489. Leucosia. — Una delle Sirene. Riferisce Strabone,
che
quando essa e le sue compagne si precipitarono in
quando essa e le sue compagne si precipitarono in mare, fu da questa
che
l’isola del mar Tirreno, sulla spiaggia occidenta
stirpe di Belo. Leucotea si rese famosa per la sua stupenda bellezza,
che
vinceva d’assai quella della madre di lei, ritenu
v. III. trad. del Cav. Ermolao Federico Narra la cronaca mitologica
che
Apollo innamorato della straordinaria bellezza di
ata giovinetta. Orcamo intanto, avvisato da certa Clizia del tranello
che
per amore gli faceva Apollo, cieco di furore, e c
faceva Apollo, cieco di furore, e cedendo alle perfide insinuazioni,
che
per gelosia del divino amante, l’abbandonata Cliz
gelosia del divino amante, l’abbandonata Clizia gli suggeriva, ordinò
che
Leucotea fosse sotterrata viva, e fosse gettato s
e, asperse di nettare il bellissimo corpo della sua amata, e la terra
che
lo ricopriva ; dalla quale surse come per incanto
che lo ricopriva ; dalla quale surse come per incanto, quell’ albero
che
produce l’incenso. Il mito allegorico che racchiu
per incanto, quell’ albero che produce l’incenso. Il mito allegorico
che
racchiude in sè codesta favola fisica, viene così
isica, viene così spiegato dalla generalità dei naturalisti. L’albero
che
produce l’incenso si chiama egli stesso Leucotea.
L’albero che produce l’incenso si chiama egli stesso Leucotea. Orcamo
che
fu padre di questa giovanetta, fu il primo che fe
tesso Leucotea. Orcamo che fu padre di questa giovanetta, fu il primo
che
fece piantare alcuni alberi d’incenso nel suo reg
otea perchè l’incenso si produce solo in gran copia da quelle piante,
che
ricevono largamente i raggi del Sole. E finalment
evono largamente i raggi del Sole. E finalmente la gelosia di Clizia,
che
fu cangiata in girasole, viene raffigurata dalla
Clizia, che fu cangiata in girasole, viene raffigurata dalla qualità
che
i naturalisti assegnano al girasole, di far cioè,
che i naturalisti assegnano al girasole, di far cioè, morire l’albero
che
produce l’incenso. 2491. Leucotoe. — La stessa ba
e col nome di Matuta V. Matuta. 2492. Lia. — Appellazione particolare
che
gli abitanti della Sicilia davano alla Luna, cred
particolare che gli abitanti della Sicilia davano alla Luna, credendo
che
essa li avesse liberati da una epidemia. 2493. Li
agni uno splendido banchetto, ove Liba si inebbriò per siffatto modo,
che
nel tripudio osò violentare una giovanetta nativa
abitanti di Temessa, fra cui portò la desolazione e sovente la morte,
che
il popolo in rivolta decise di abbandonare la pro
mento, fu stabilito d’interrogare l’oracolo di Apollo, e la pitonessa
che
comunicava i responsi, ordinò agli abitanti di re
ombra di Liba lasciò in pace i suoi uccisori. Aggiunge la tradizione
che
trovandosi in Temessa un atleta per nome Eutimo,
della vergine, egli entrò nel tempio e vide una bellissima giovanetta
che
inginocchiata sull’ ara aspettava rassegnata la m
avendolo vinto, liberò la città di Temessa dalle persecuzioni di lui,
che
disperato d’esser stato vinto, si precipitò nel m
sser stato vinto, si precipitò nel mare ed Eutimo sposò la giovanetta
che
avea così miracolosam ente salvata. 2495. Libazio
i. — Cerimonie proprie di tutti i sacrifizii dei pagani. Il sacerdote
che
presiedeva alla cerimonia, spargeva del vino, del
altro liquore in onore di quel nume a cui si sacrificava. È a notare
che
presso gli antichi assai di sovente tutto il sacr
vede dalla Bibbia e dagli altri libri sacri della religione ebraica,
che
il dio di Mosè aveva comandate le Libazioni al po
Sacra Bibbia — L’Esodo Cap. XXV. Note alla Bibbia — Le libagioni,
che
erano quasi appen dici e condimenti del sacrifizi
ri due vocaboli libido e libidinosus. È opinione di alcuni scrittori,
che
la dea Libentina, detta anche Libertina, altro no
rittori, che la dea Libentina, detta anche Libertina, altro non fosse
che
una configurazione della dea di Venere, a cui le
i giuochi della infanzia. Plauto chiama dea Lubentina quella divinità
che
permetteva di fare tutto ciò che piaceva. 2497. L
chiama dea Lubentina quella divinità che permetteva di fare tutto ciò
che
piaceva. 2497. Libera. — Dea che assai di sovente
ità che permetteva di fare tutto ciò che piaceva. 2497. Libera. — Dea
che
assai di sovente viene confusa con Proserpina. Ci
na. Cicerone la fa figliuola di Cerere e di Giove, mentre Ovidio dice
che
la dea Libera altro non era che Arianna deificata
Cerere e di Giove, mentre Ovidio dice che la dea Libera altro non era
che
Arianna deificata dopo la morte, con tal nome, da
la morte, con tal nome, dal dio Bacco. Tu a me consorte, non vogl’io
che
priva Di nome sii compagno al mio : ti appella Li
per le campagne un Fallo in trionfo sopra d’un carro ; mentre coloro
che
accompagnavano e seguivano la sconcia processione
della città, una matrona incoronava innanzi a tutti il turpe emblema,
che
si portava in trionfo. Si credeva così di rendere
are, secondo le tradizioni, la quantità di grano, di danaro e di vino
che
l’imperatore regnante aveva donato ai suoi popoli
ente Liber pater, perchè come dio del vino, era ritenuto come quello,
che
faceva parlare liberamente — V. Liberali. Anche g
erò, presso i quali il culto di questa divinità era molto più celebre
che
in Grecia, ritenevano che la dea Libertà fosse fi
to di questa divinità era molto più celebre che in Grecia, ritenevano
che
la dea Libertà fosse figlia di Giove e di Giunone
dea Libertà fosse figlia di Giove e di Giunone. Nel magnifico tempio
che
ella aveva in Roma, e che primieramente fu innalz
di Giove e di Giunone. Nel magnifico tempio che ella aveva in Roma, e
che
primieramente fu innalzato dal padre dei Gracchi,
e dee, dette Adeona e Abeona, cioè l’Andare e il Venire, per alludere
che
essa poteva andare ove più le piaceva. Il berrett
ei romani di mettere, cioè un berretto sulla testa di quegli schiavi,
che
volevano emancipare ; e finalmente il gatto era i
ea della Libertà, perchè fra gli animali domestici, il gatto è quello
che
non soffre alcuna violenza, ed ha un istinto d’in
’indipendenza dichiaratissimo. 2504. Libetra. — Su quest’antica città
che
una volta sorgeva sul monte Olimpo, e vicino alla
e mitologica ci ha tramandato uno strano ricordo. Narrano le cronache
che
avendo gli abitanti di Libetra, spedito una deput
ere quale sarebbe il destino della loro città, la risposta del dio fu
che
quella sarebbe stata distrutta non appena il Sole
distrutta non appena il Sole avesse visto le ossa di Orfeo Libetra, e
che
il distruttore si chiamerebbe Sus. Ora è a notare
rfeo Libetra, e che il distruttore si chiamerebbe Sus. Ora è a notare
che
in greco la parola óõó significa cignale ; mentre
ati da questa oscura ambiguità dell’ oracolo, gli abitanti credettero
che
il dio avesse voluto parlare di una belva, e pers
credettero che il dio avesse voluto parlare di una belva, e persuasi
che
non vi fosse al mondo un animale che avesse avuto
parlare di una belva, e persuasi che non vi fosse al mondo un animale
che
avesse avuto la forza di rovesciare una città, no
presagio. Ma qualche tempo dopo, secondo riferisce Pausania, avvenne
che
un pastore coricatosi verso l’ora del pomeriggio
itanti della città ; e fecero tale ressa onde accostarsi al dormente,
che
la colonna che sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si r
ttà ; e fecero tale ressa onde accostarsi al dormente, che la colonna
che
sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si rovesciò e s’inf
che sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si rovesciò e s’infranse, per modo
che
il Sole vide le ossa di Orfeo. Nella notte che se
e s’infranse, per modo che il Sole vide le ossa di Orfeo. Nella notte
che
seguì codesto avvenimento, una pioggia dirotta in
una pioggia dirotta ingrossò siffattamente le acque del torrente Sus,
che
rotto gl’ argini, straripò con tanta violenza, ch
del torrente Sus, che rotto gl’ argini, straripò con tanta violenza,
che
allagando la città di Libetra, ne atterrò le mura
ponti, le case, i monumenti, e si spinse con tale precipitoso impeto
che
la città fu interamente distrutta, e gli abitanti
na scaturiva la fonte chiamata Libetride, la quale usciva da un sasso
che
imitava così perfettamente il seno di una donna c
sciva da un sasso che imitava così perfettamente il seno di una donna
che
pareva l’acqua scaturisse da due mammelle, nè più
a donna che pareva l’acqua scaturisse da due mammelle, nè più nè meno
che
il latte. Sul monte Libe trio, le Muse e le ninfe
06. Libia. — Figliuola di Epafo e di Cassiopea : fu amata da Nettuno,
che
la rese madre di Belo e di Agenore. Da lei prese
ntrada conosciuta sotto l’appellazione di Libia. Vi sono varii autori
che
dicono Libia fosse figliuola di Pamfiloga e dell’
ri avevano diverse denominazioni. Erano detti Libri Sibillini, quelli
che
contenevano le predizioni delle Sibille, la custo
ll’avvenire dallo strisciare della folgore. È scritto nelle cronache,
che
nell’Etruria la ninfa Bigoide avesse scritto un l
cronache, che nell’Etruria la ninfa Bigoide avesse scritto un libro,
che
trattava del tuono, dei lampi e della interpretaz
o un libro, che trattava del tuono, dei lampi e della interpretazione
che
dovea darsi a codeste meteore. Libri aruspicini,
darsi a codeste meteore. Libri aruspicini, venivano chiamati quelli,
che
racchiudevano i misteri e la scienza di conoscere
same delle visceri delle vittime. Libri fatali, si chiamavano quelli
che
, secondo la credenza superstiziosa dei pagani, co
la collera dei celesti. Libri rituali, finalmente eran detti quelli
che
contenevano la maniera, ovvero il rito che si dov
nalmente eran detti quelli che contenevano la maniera, ovvero il rito
che
si doveva compiere per consacrare le città, i tem
e porte principali, le are e tutti i monumenti. 2508. Libitina. — Dea
che
presiedeva ai fu nerali. Secondo varii scrittori,
Proserpina, come regina del regno dei morti ; ma Plutarco asserisce,
che
questo soprannome era imposto a Venere, la quale
poi col nome proprio di Libitinarii, i sacerdoti o ministri pubblici,
che
regolavano e sopraintendevauo alla cerimonia dei
tare nel tempio di Libitina una data somma di danaro per ogni persona
che
moriva. I ministri del tempio, che erano incarica
a somma di danaro per ogni persona che moriva. I ministri del tempio,
che
erano incaricati a riscuotere quella specie di tr
io di Libitina. 2509. Lica. — Giovanetto compagno ed amico di Ercole,
che
lo ebbe carissimo, e che non ostante lo fece mori
a. — Giovanetto compagno ed amico di Ercole, che lo ebbe carissimo, e
che
non ostante lo fece morire, infrangendone il corp
nica intrisa del sangue del centauro Nesso, inviatagli da Deianira, e
che
rese l’eroe furibondo. Ovidio, dice che Ercole do
so, inviatagli da Deianira, e che rese l’eroe furibondo. Ovidio, dice
che
Ercole dopo averlo raggirato varie volte nel vuot
e un sasso. La tradizione a cui si attiene il cennato poeta, aggiunge
che
il corpo di Lica s’indurì per l’aria, ed egli fu
orpo di Lica s’indurì per l’aria, ed egli fu cangiato in uno scoglio,
che
si vedeva nel mare Eubeo, e al quale i marinari n
marinari non osavano accostarsi, credendo, nella loro superstizione,
che
lo sfortunato Lica avesse conservato, anche dopo
e poichè il volse Tre volte e quattro intorno, con più forte Impulso
che
di macchina guerriera, Al flutto Euboico lo arran
iona Che ploggia a freddo soffio si rassodi, E in neve si converta, e
che
la neve Coll’ aggirarsi, in massa si costringa, F
inga, Finchè in ispessa grandine s’aggruppa ; Cosi l’antica età narra
che
spinto Colui nell’ aere dalla man robusta, Già pe
nti figliuoli del re Priamo, e propriamente quello di cui Omero dice,
che
prestò al fratello Paride, la propria corazza per
prestò al fratello Paride, la propria corazza per il singolare duello
che
quegli combattè contro Menelao, …… Quindi una lo
ombattè contro Menelao, …… Quindi una lorica Del suo germano Licaon,
che
fatta I suo sesto parea, si pose al petto : Omer
itologica, a cui si attiene Omero stesso, racconta di questo Licaone,
che
caduto in potere di Achille, fu da questo venduto
di Lenno ; poscia fu riscattato con molti e preziosi doni da Eezione,
che
lo mandò nella città di Arisbo. A Licaone riuscì,
er la morte del suo amico Patreclo, Perchè si piangi ? Mori Patròclo
che
miglior ben era, E me bello qual vedi e valoroso
di V. Monti. Licaone fu similmente il nome di un figlio di Pelasgo,
che
fu il primo re dell’ Arcadia. Narra la tradizione
sgo, che fu il primo re dell’ Arcadia. Narra la tradizione mitologica
che
Licaone sì rese celebre per la efferata sua barba
sua barbarie, la quale lo spinse a far trucidare tutti gli stranieri
che
transitavano pei suoi stati. Si vuole che Giove s
ucidare tutti gli stranieri che transitavano pei suoi stati. Si vuole
che
Giove stesso, viaggiando, fosse andato a chiedere
viaggiando, fosse andato a chiedere ospitalità nella reggia di lui, e
che
Licaone si fosse apprestato a levargli la vita, d
ante il sonno, come faceva con gli altri. Però, avendo avuto sospetto
che
quello straniero fosse un dio, fece sgozzare un s
che quello straniero fosse un dio, fece sgozzare un soldato Molosso,
che
riteneva in ostaggio, presso di sè, ed approntò l
sè, ed approntò le membra di lui, onde servirle la sera al banchetto
che
dava al suo ospite. Ma ben presto, per comando di
del citato scrittore, gli abitanti dell’Arcadia ritenevano per fermo
che
oltre a questo Licaone, loro re, cangiato in lupo
ficando a Giove Liceo, fosse similmente cangiato in quell’ animale, e
che
ogni dieci anni ripigliava per poco la forma uman
osse astenuto, in quel periodo di tempo, dal nudrirsi di carne umana,
che
se ciò fosse avvenuto, rimaneva sempre lupo. La g
za degli scrittori greci, creduli quanto Pausania stesso, ci ripetono
che
Licaone, primo re d’ Arcadia, regnò nell’ istesso
ripetono che Licaone, primo re d’ Arcadia, regnò nell’ istesso tempo
che
Cecrope regnava in Atene ; e che sul principio de
’ Arcadia, regnò nell’ istesso tempo che Cecrope regnava in Atene ; e
che
sul principio del suo regno fu caro ai suoi popol
in Atene ; e che sul principio del suo regno fu caro ai suoi popoli,
che
egli cercò d’incivilire. La città di Licosura, la
col tempo colpevole Licaone, e dalla stessa etimologia del suo nome,
che
in greco significa Lupo, han dato fondamento alla
atti Suida, uno dei cronisti più accreditati del paganesimo, racconta
che
Licaone per indurre i suoi sudditi all’ osservanz
oi sudditi all’ osservanza delle sue leggi, avesse fatto sparger voce
che
Giove andava sovente a visitarlo nella sua reggia
larono le carni di questo, alle vivande del reale banchetto, persuasi
che
solamente Giove avrebbe potuto accorgersi del lor
, incenerì gli autori di quell’ opera nefanda. Fu in questa occasione
che
generalmente fu ritenuto aver Licaone istituiti i
11. Licasto. — Fratello di Parrasio. La cronaca mitologica riferisce,
che
furono, a somiglianza di Romolo e Remo, nutriti d
oprannome di Liceo. V. Liceo. 2513. Licee. — Dalla parola greca ëõ?ïò
che
significa lupo, si dava questo nome ad alcune fes
ome ad alcune feste celebrate in Argo, in onore d’Apollo, ritenendosi
che
quel dio dava la caccia ai lupi che infestavano l
o, in onore d’Apollo, ritenendosi che quel dio dava la caccia ai lupi
che
infestavano le campagne di quel territorio. Licee
delle quali si voleva fosse stato istitutore quello stesso re Licaone
che
fu poi cangiato in lupo. Durante la celebrazione
veva in premio un’ armatura di rame. Vi è anche qualche autore antico
che
ripete, che nelle feste Licee si sacrificavano so
io un’ armatura di rame. Vi è anche qualche autore antico che ripete,
che
nelle feste Licee si sacrificavano sovente vittim
e. 2514. Liceo. — Soprannome dato a Giove dal monte Liceo in Arcadia,
che
da principio era conosciuto col nome di monte sac
li abitanti d’ Arcadia, chiamavano sacro quel monte, perchè credevano
che
in un dato luogo, chiamato Creteo, fosse stato al
lle tre ninfe dette Agno, Tifoa e Neda. Il citato scrittore aggiunge,
che
sul monte Liceo ci era un altare consacrato a Gio
i giuochi e le feste in onore del dio Pane. 2515. Licio. — Soprannome
che
Danao dette ad Apollo, e che le cronache dell’ an
del dio Pane. 2515. Licio. — Soprannome che Danao dette ad Apollo, e
che
le cronache dell’ antichità attribuiscono al fatt
e Gelanore, gli accadde un giorno d’incontrarsi in un toro ed un lupo
che
combattevano insieme, e dopo poco vide cadere il
rstizione di un popolo rozzo, qual’era l’argivo, Danao sparse la voce
che
Apollo, avea voluto far comprendere, con la vitto
ce che Apollo, avea voluto far comprendere, con la vittoria del lupo,
che
uno straniero doveva avere la supremazia sopra un
Apollo Liceo, ovvero Lupo. 2516. Licnomanzia. — Specie di divinazione
che
si eseguiva colla fiamma di una lucerna. 2517. Li
urpatore del trono di Tebe spettante per diritto a Lajo. Questo Lico,
che
taluni autori chiamano anche Sico, perseguitò acc
te la misera Antiope. Lico era anche il nome di un compagno di Ercole
che
lo seguì quando l’eroe combattè contro le Amazzon
mine guerriere, donò a Lico, in premio della sua fedeltà una contrada
che
quegli chiamò Eraclea, in memoria dell’amico bene
proposito narra uno strano avvenimento. Riferisce il citato scrittore
che
essendo Latona, sul punto di partorire, si fosse
onista e da molti altri autori attribuita al seguente fatto. Si vuole
che
avendo alcuni ladri spogliato di tutte le ricchez
irare la veste e rivolgendosi, scorse con estrema maraviglia, un lupo
che
accennava quasi a voler esser segnito. Infatti il
l’ antichità ricordano di lui un tratto di fredda perfidia. È scritto
che
allorquando Teseo abbandonò Atene, avesse chiesto
re, e un giorno Licomede condusse Teseo sul più alto di una montagna,
che
sovrastava alla sua isola, e col pretesto di farg
la sua isola, e col pretesto di fargli ammirare il magnifico panorama
che
si stendeva ai suoi piedi, precipitò con un urto
esso in casa del quale Teti mandò il figliuolo Achille, onde impedire
che
si fosse recato all’ assedio di Troia. Fu durante
pedire che si fosse recato all’ assedio di Troia. Fu durante il tempo
che
l’ eroe giovanetto dimorò presso Licomede che amò
ia. Fu durante il tempo che l’ eroe giovanetto dimorò presso Licomede
che
amò Deidamia, figlia di lui, e la rese madre di P
e significa Città dei Lupi. Al dire dello storico Diodoro gli egizii,
che
erano un popolo eminentemente superstizioso, avev
izioso, avevano in quella città tanta venerazione per quegli animali,
che
non solo non li uccidevano, ma non li perseguitav
l’ edificatore della città di Licoria sul monte Parnaso, aggiungendo,
che
dopo il diluvio di Deucalione, i pochi uomini sca
itò sul monte Nisseio le ninfe nutrici di Bacco, percotendole in modo
che
quelle si dettero a precipitosa fuga, e Bacco ste
rilego, lo colpì di cecità, e dopo qualche tempo lo fece morire. …….
che
lunghi giorni Nè pur non visse di Driante il fort
che lunghi giorni Nè pur non visse di Driante il forte Figlio Licurgo
che
agli dei fè guerra. Su pel sacro Nisselo egli di
Omero — Iliade — Libro VI trad. di V. Monti. Il senso configurato
che
si racchiude sotto codesto mito simbolico della f
icurgo fatto sbarbicare tutte le viti dalla sua patria ; da ciò Bacco
che
si precipita in mare, insieme alle sue nutrici ;
ome si rileva dalla citazione posta di sopra, altri autori aggiungono
che
Licurgo stesso, volendo eccitare gli operai a seg
ca fa menzione per aver egli ricorso all’ oracolo di Delfo, onde fare
che
una certa tinta di religioso rispetto, tenesse a
enesse a freno i popoli, e facesse loro osservare ciecamente le leggi
che
egli aveva dettate. I cronisti più accreditati de
li aveva dettate. I cronisti più accreditati del paganesimo, ripetono
che
, allorquando Licurgo si presentò alla Pitia, che
paganesimo, ripetono che, allorquando Licurgo si presentò alla Pitia,
che
dava i responsi, questa lo chiamasse il diletto d
nfatti gli spartani accettarono, con reverente riconoscenza, le leggi
che
da allora in poi dovevano reggere il loro paese ;
sottomisero a quelle, imperocchè un altro oracolo avea loro promesso
che
Sparta sarebbe il più florido stato del mondo con
aggiunto per tal modo, lo scopo desiderato, Licurgo fece sparger voce
che
, fra poco, si sarebbe di nuovo recato in Delfo, o
codice. Prima però di partire, fece giurare dal Senato e dal popolo,
che
le sue leggi sarebbero mantenute in pieno vigore,
ui. È opinione di vari accreditati cronisti e storici del paganesimo,
che
dopo qualche tempo Licurgo si ritraesse segretame
si ritraesse segretamente nell’ isola di Creta, ove morì ; ordinando
che
il suo corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri di
o corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri disperse al vento ; temendo
che
se queste venissero trasportate nella Lacedemonia
uramento, e avessero ricusata nell’ avvenire quella docile obbedienza
che
fino a quel giorno, avean tributata alle ottime l
leggi da lui imposte. Gli spartani, riconoscenti ai grandi benefizii
che
avea lor fatto l’immortale legislatore, gl’innalz
venne adorato siccome un dio. 2525. Lieo. — Dalla parola greca λυειν
che
significa dissipare, si dava codesto soprannome a
codesto soprannome a Diana Ortia, perchè un’antica tradizione ripetea
che
la statua di quella dea fosse venuta dalla Taurid
iana avevano due magnifici templi. 2530. Limace. — Dalla parola lyma,
che
significa purificazione, si dava questo nome ad u
ia, nelle acque del quale, secondo la tradizione mitologica, le ninfe
che
assistettero Rea, moglie di Saturno, quand’ ella
ssero fatto a quella dea le abluzioni. 2531. Limenetide. — Soprannome
che
si dava a Diana, quando veniva riguardata come pr
dava la denominazione anche femminile di Limentina a quella divinità
che
presiedeva alla custodia delle porte. 2533. Limir
dava la strana prerogativa di rendere gli oracoli per mezzo dei pesci
che
vivevano nelle sue acque. Al dire di Plinio, colo
zzo dei pesci che vivevano nelle sue acque. Al dire di Plinio, coloro
che
volevano interrogare l’ oracolo davano da mangiar
acolo davano da mangiare ai pesci, e se quegli animali mangiavano ciò
che
veniva loro gettato, si riteneva come propizio au
usto e di cattivo successo. 2534. Limnadi. — Dalla parola greca λημνʹ
che
significa stagno o palude, si dava codesto nome a
ome protettore dei laghi. Per altro è questa una tradizione favolosa,
che
non ha molto logico fondamento, imperocchè non si
2539. Limnoniadi. — Dette anche Linoniadi. Dalla parola greca λειμον
che
significa prato, venivano così chiamate le ninfe,
Argonauti. Secondo il poeta Pindaro, egli aveva una vista così acuta,
che
ad una grandissima distanza, scoprì Castore nel t
e — Ode X. trad. di G. Borghi. Secondo l’ opinione di altri autori,
che
vinse di gran lunga quella di Pindaro, Linceo ved
diversamente dalle sue quarantanove sorelle, lo salvò dalla uccisione
che
Danao avea ordinato alle sue figliuole. V. Danao,
di cui la tradizione ricorda un odioso fatto. Geloso della preferenza
che
la dea Cerere avea data a Trittolemo, Linco ebbe
volle ; e lui col ferro Assalì, mentre grave era dal sonno. Ma colui
che
vibrar tentava il ferro Fu da Cerere in lince tra
ollo, sdegnato, lo tolse di vita. Le tradizioni mitologiche ripetono,
che
perfino le nazioni più barbare avessero deplorato
perfino le nazioni più barbare avessero deplorato la morte di Lino, e
che
gli abitanti di Elicona celebravano ogni anno il
similmente ebbe nome quel figliuolo di Apollo e della musa Tersicore,
che
la tradizione ci mostra come maestro di Orfeo e p
scientifiche, egli insegnò uno strumento musicale, specie di violino
che
si suonava coll’arco. Narra la cronaca, che quest
sicale, specie di violino che si suonava coll’arco. Narra la cronaca,
che
questo fu causa della morte di Lino, imperocchè a
i sdegnato lo percosse così violentemente coll’arco dello istrumento,
che
gli produsse una ferita sulla fronte, della quale
ale era consacrato al Sole, perchè egli è solo fra tutti i quadrupedi
che
vede appenanato, e perchè, secondo la credenza pa
te dimora, e alla sua indole di fuoco. La tradizione mitologica dice,
che
il carro di Cibele era tirato da due lioni ; e vi
irato da due lioni ; e vi sono infatti ancora molte medaglie antiche,
che
rappresentano la dea sopra un carro tirato da due
44. Lira. — L’invenzione di questo antichissimo istrumento di musica,
che
era uno degli attributi del dio Apollo, viene da
tori antichi attribuita ad Anfione, mentre altre opinioni pre tendono
che
l’inventore ne fosse Orfeo ; ed altre finalmente
uonava con le dita. Da principio i pagani non si servivano della lira
che
per cantare le lodi degli dei ; poi fu adoperata
uale, secondo la favola, la rese madre di Narciso. La tradizione dice
che
Liriade dette il suo nome a quella fonte, ove il
i Euripide, così avea nome una delle tre Furie, e propriamente quella
che
ispirava il furore. Fu a questa Furia che Giunone
urie, e propriamente quella che ispirava il furore. Fu a questa Furia
che
Giunone ordinò di farsi accompagnare da Iride pre
arsi accompagnare da Iride presso Ercole, onde ispirargli quel furore
che
poi cagionò la morte dell’eroe. 2547. Liti. — Dal
poi cagionò la morte dell’eroe. 2547. Liti. — Dalla parola greca λιτη
che
significa supplica, preghiera, i poeti dell’antic
ta della lapidazione. V. Lapidazione. 2549. Litomanzia. — Divinazione
che
si faceva per mezzo di molti anelli di metallo, i
li dei. Il vocabolo Litomanzia prende origine dalla parola greca λιτο
che
significa : cosa che rende suono. 2550. Littorale
itomanzia prende origine dalla parola greca λιτο che significa : cosa
che
rende suono. 2550. Littorale. — Qualificazione da
va quella specie di bastone augurale, ricurvo ad una delle estremità,
che
i sacerdoti Auguri portavano quando si facevano a
e somiglianza coi moderni corni da caccia. 2552. Locuzio. — Lo stesso
che
Ceditio, conosciuto comunemente in Roma sotto il
via Nuova. V. Ajo Locutio. 2553. Loimio. — Dalla parola greca λοιμος
che
significa peste, gli abitanti della Lidia davano
nti della Lidia davano questo soprannome ad Apollo, perchè si credeva
che
egli allontanasse la peste e le altre epidemie.
o, gli egiziani dipingevano allegoricamente, da questo fiore, il sole
che
nasce. In tutti i misteri della religione egizian
, si trovava sempre il fiore di Loto, a motivo della grande relazione
che
gli egizii credevano avesse quel fiore coll’astro
a del tramonto. Questo fenomeno naturalissimo in tutte quelle piante,
che
nella scienza botanica sono classificate nella es
quel fiore nelle mani. Un altro fiore di Loto, e propriamente quello
che
i botanici chiamano Persea, era consacrato ad Isi
a consacrato ad Iside anche in Egitto ; e forse la grande somiglianza
che
il nocciuolo di quella pianta ha con la forma del
oto è sempremai introdotto. Il succo del fior di Loto, è quel liquore
che
parve talmente squisito ai compagni di Ulisse, ch
to, è quel liquore che parve talmente squisito ai compagni di Ulisse,
che
non vollero più, secondo riferisce la cronaca fav
tatori della costa di Barbaria, nel gran golfo di Sirte. Narra Omero,
che
Ulisse gettato da una furiosa tempesta sulla spia
fagi, mandò dopo dieci giorni di burrasca ad investigare il luogo ; e
che
quegli abitanti lunge dal far male ai suoi messag
dissea — Libro IX. trad. di I. Pindemonte Aggiunge il citato poeta,
che
i due compagni di Ulisse, e l’araldo che egli ave
Aggiunge il citato poeta, che i due compagni di Ulisse, e l’araldo
che
egli aveva mandati a terra, e tutti gli altri suo
raldo che egli aveva mandati a terra, e tutti gli altri suoi seguaci,
che
poi gustarono di quel frutto, non vollero più rit
re nella propria patria, nè dar notizia di sè ; altro non desiderando
che
di vivere di Loto, in un completo oblìo di tutto.
otta. — I pagani onoravano Mercurio come dio di questo combattimento,
che
veniva eseguito generalmente in tutte le feste e
nato un largo premio al vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità,
che
, al dire di Tito Livio, i romani invocavano in te
vio, i romani invocavano in tempo di guerra. Il cennato autore scrive
che
il console Plauzio, comandante supremo delle legi
ata generalmente come la dea della espiazione, e sopratutto di quelle
che
un esercito vittorioso celebrava dopo la battagli
per espiare il sangue versato. Il nome di Lua viene dal latino luere
che
significa espiare. Trovossi gran copia di armi,
si tra i corpi morti, si ancora in campo, le quali il console disse,
che
le dava e consacrava alla dea Lua. Tito Livio —
mana — Libro VIII. 2559. Lucarie — Dette anche Lucerie, feste romane
che
prendevano la loro denominazione da un bosco sacr
un bosco sacro chiamato Lucus, nel quale si celebravano le Lucarie, e
che
stava fra la via detta Salaria e il Tevere. Un’an
tava fra la via detta Salaria e il Tevere. Un’antica tradizione dice,
che
le Lucarie furono istituite in commemorazione del
e dice, che le Lucarie furono istituite in commemorazione della rotta
che
le armi romane ebbero dai Galli e nella quale i f
iamati ad accrescere il brio di quelle feste, erano pagati col danaro
che
si ricavava dalla vendita del legname, tagliato i
traggono l’origine delle feste Lucarie, da alcuni donativi di moneta
che
si facevano ai boschi sacri, e che si chiamavano
arie, da alcuni donativi di moneta che si facevano ai boschi sacri, e
che
si chiamavano Luci. Le Lucarie venivano celebrate
erisce Cicerone, come protettrice del parto, a somiglianza dei romani
che
invocavano Giunone Lucina. Diana, sotto l’appella
iglio dell’Aurora, e custode e conduttore degli astri. È detto ancora
che
Lucifero avesse cura del carro del Sole, e che in
astri. È detto ancora che Lucifero avesse cura del carro del Sole, e
che
insieme alle ninfe Ore, ne attaccasse e staccasse
sacerdotessa presso gli Eliani. 2564. Luciniana. — Questo soprannome
che
sembra essere lo stesso che Lucina, veniva similm
ani. 2564. Luciniana. — Questo soprannome che sembra essere lo stesso
che
Lucina, veniva similmente dato dai pagani a Giuno
va similmente dato dai pagani a Giunone. Un’antica tradizione ripete,
che
le ceneri delle vittime bruciate sugli altari di
na, restavano immobili per qualunque si fosse l’impetuosità del vento
che
avesse sconvolto l’atmosfera. 2565. Luglio. — I p
cchè oltre ai giuochi Apollinari, ai Minervali, e a quelli del Circo,
che
si celebravano in Luglio, ai cinque di questo mes
splendori della creazione, e riconoscenti agli effetti ed ai vantaggi
che
essi ne ritraevano, si persuasero di leggieri che
etti ed ai vantaggi che essi ne ritraevano, si persuasero di leggieri
che
quegli astri doppiamente visibili tanto alla loro
, quanto alla loro mente, fossero le principali e supreme divinità, e
che
avessero diritio al rispetto ed alla religiosa ve
spoglie d’incivilimento, così i primi adoratori della Luna, ritenendo
che
quell’astro colle proprie influenze, e perfino co
a pallida luce, fosse talvolta cagione di gravi mali, così credettero
che
fosse animata ; e vedendo le fasi sempre eguali,
ostantemente lo stesso nell’ampia volta del firmamento, si convinsero
che
la luna fosse immortale, e allora genufiessi inna
rifizii, onde rendersela benignamente propizia. Il cronista Macrobio,
che
è uno dei più accreditati autori del paganesimo ;
che è uno dei più accreditati autori del paganesimo ; asserisce anzi
che
tutte le divinità degli antichi venissero in cert
ntichi venissero in certo modo compendiate e quasi raccolte nel culto
che
i primitivi popoli della terra, tributarono al So
inili dalla Luna. Gli Egiziani sotto la denominazione d’Iside, parola
che
significa vecchia, antica, adorarono la Luna con
stimonianze irrecusabili di chiari e profondi scrittori, così antichi
che
moderni, c’insegnano che i fenici, adorarono la L
di chiari e profondi scrittori, così antichi che moderni, c’insegnano
che
i fenici, adorarono la Luna sotto il nome di dea
ossia il Sole. Esiodo, nelle sue opere sull’antichità pagana, ripete
che
Fea, la divinità suprema, fu madre della Luna e d
ità suprema, fu madre della Luna e di tutti gli altri minori pianeti,
che
si aggirarono a popolare il regno dello spazio in
cue famiglie dei Druidi. Innumerevoli sono poi le tradizioni favolose
che
la superstizione pagana innestava al culto religi
oni favolose che la superstizione pagana innestava al culto religioso
che
si tributava alla Luna. Da ciò è che si dette vit
ana innestava al culto religioso che si tributava alla Luna. Da ciò è
che
si dette vita agli amori che la Luna, ossia Diana
oso che si tributava alla Luna. Da ciò è che si dette vita agli amori
che
la Luna, ossia Diana, ebbe col bellissimo Endimio
ndere dal cielo ; e lo stesso storico Luciano ripete nelle sue opere,
che
un uomo faceva a suo talento discender la Luna so
nto discender la Luna sopra la terra ; e Petronio medesimo asserisce,
che
le donne di Crotona attiravano la Luna coi loro s
dal suo nome medesimo, consacrato a Diana Luna, ed è forse per questo
che
sui ruderi dei monumenti antichi si trova personi
nte come uomo, e sovente come donna. Da ciò il dio Luno altro non era
che
la Luna medesima, alla quale, secondo riferisce i
uno splendido tempio, dedicato al dio Luno. Il citato cronista dice,
che
gli abitanti di Carres avevano personificato masc
cato maschilmente la Luna, chiamandola il dio Luno, perchè ritenevano
che
coloro che adoravano la dea Luna, andavano facilm
lmente la Luna, chiamandola il dio Luno, perchè ritenevano che coloro
che
adoravano la dea Luna, andavano facilmente sogget
essere ingannati da esse. Da ciò nasce, sempre al dire di Sparziano,
che
gli egizi ed i greci, se pure comunemente avesser
Strabone, l’appellativo di dio Luno deriva dal vocabolo greco σεληνη
che
in quella lingua rinchiude in sè stesso il signif
re lingue orientali è esclusivamente o maschile o feminile ; quindi è
che
molti popoli dell’antichità, han fatto di quell’a
militari, con una picca nella destra e con ai piedi un gallo, animale
che
col suo canto avvisa il ritorno della luce. Final
una strana e ridicola congiuntura ; quella cioè, durante i sacrifizi
che
si facevano al dio Luno, gli uomini vestivano da
n (stupende cose !) Fresca del parto orribil lupa venne. Chi crederia
che
a lor nuocer non ose ? Poco è non nuocer lora cur
e a lor nuocer non ose ? Poco è non nuocer lora cura ne tenne : Quei,
che
mossa a pietà lupa nodrisce, Di far perir d’un zi
ove furono nutriti dalla lupa Romolo e Remo. Lo storico Servio dice,
che
il nome di Lupercale le veniva per essere quella
a a Pane, antichissimo dio dell’Arcadia. Il cennato storico aggiunge,
che
essendo venuto in Italia Evandro Arcade, dedicò a
n dato luogo, a cui impose similmente il nome di Lupercale, ritenendo
che
la protezione di quel dio, avesse salvato il suo
bestiame da’lupi. 2571. Lupercali. — Così venivano chiamate le feste,
che
si celebravano, con grande solennità in Roma, in
i celebravano, con grande solennità in Roma, in onore del dio Pane, e
che
, secondo asserisce Ovidio, cominciavano nel terzo
poeta, è combattuta dal cronista Valerio Massimo, il quale asserisce
che
le feste Lupercali furono istituite dal pastore F
pio del regno di Romolo. In memoria di quella festa e dopo il convito
che
si dava in tale occasione, tutti i giovani che vi
esta e dopo il convito che si dava in tale occasione, tutti i giovani
che
vi prendevano parte, correvano del tutto ignudi,
ndavano anche armati di uno staffile col quale battevano tutti quelli
che
incontravano e segnatamente le donne, che per alt
uale battevano tutti quelli che incontravano e segnatamente le donne,
che
per altro ricevevano quei colpi assai volentieri,
assai volentieri, ed andavano incontro a quei giovani nella credenza
che
quelle staffilate le avessero rese feconde, e ave
loro procurato un felice e sollecito parto. Altri autori asseriscono
che
la ragione per la quale i giovani correvano nudi
le i giovani correvano nudi nelle Lupercali era la seguente. Si vuole
che
un giorno Romolo e Remo, celebrando codesta festa
congiuntura per fare il colpo. Però i due fratelli, e tutti i giovani
che
erano con essi, accortisi del fatto, si spogliaro
a per quanto riguarda la parte storico-mitologica della nostra opera,
che
sul principio del regno di Augusto le Lupercali c
el regno di Augusto le Lupercali cominciavano a cadere in disuso ; ma
che
qualche tempo dopo furono restituite al loro prim
comparso. 2572. Luperci. — Nome collettivo dei sacerdoti del dio Pane
che
celebravano le Lupercali. V. l’articolo precedent
celebravano le Lupercali. V. l’articolo precedente. Questi sacerdoti
che
erano i più antichi del culto religioso dei roman
are in quell’ordino sacerdotale, fu una delle tante ragioni dell’odio
che
il popolo ebbe ben presto contro quell’imperatore
a nella LXV Olimpiade (518 anni avanti Gesù Cristoj. Bockh, asserisce
che
Pindaro fosse nato nella LXIV Olimpiade (522 anni
Pindaro mori nell’ 80° anno della sua vita, e ammettendo, con Bockh,
che
fosse nato nel 522 avanti Cristo, la sua morte sa
i. — Gli Elleni abitarono la Grecia, la quale fu la regione d’Europa,
che
prima accoise i germi dell’orientale civiltà, e i
antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo della lingua,
che
resistette ai conquistatori ed al tempo : il comm
e minute e materiali della vita, commesse agli schiavi ; l’educazione
che
riceveva il libero cittadino nello sviluppo armon
stici della civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi per coloro
che
si faranno a studiare questo popolo nella religio
di aver dato i natali ad Omero, e se volessimo numerare tutte quelle
che
troviamo mentovate in varii passi di antichi scri
ssi di antichi scrittori, noteremmo ben dieciotto o dieciannove città
che
si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese d
pretese della più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sospette,
che
cadono facilmente innanzi ad un serio esame. Tutt
a di una donna con le corna di vacca. 11. .Brahma. — Voce sanscrita,
che
è il nome dell’ente supremo del sistema religioso
i greci non fanno cenno di codesto nume, e solamente Strabone afferma
che
negli ultimi tempi del paganesimo soltanto fu ven
na falce. 13. Gnostici, professanti lo Gnosticismo. — Questa parola
che
significa scienza, cognizione, deriva dal greco e
quali pretesero accomodare i dogmi cristiani, al sistema di filosofia
che
prima seguivano. Furono dunque eretici del primo
colari, cosi ne venne la fondazione di altrettante scuole differenti,
che
portarono il nome dei loro singoli capi. In gener
e Gnostiche, quantunque è opinione di chiari e accreditati scrittori,
che
i germi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molt
e Gnostiche, quantunque è opinione di chiari e accreditati scrittori,
che
i germi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molt
a riguardo di Menandro e di Dositeo. 18. Nicolaiti. — Altri eretici
che
professavano le più oscene dottrine, vivendo in c
de, l’amore contro natura. 19. Ebioniti. — Cosi chiamati da Ebione,
che
fu il fondatore di una delle tante scuole o diram
che di Carpocrate, il quate fondò, nell’isola di Cefalonia, una setta
che
uni il culto di Gesù Cristo, a quello dei persona
lo dei personaggi più famosi del Politeismo. 21. Cainiti. — Eretici
che
professavano le più stravaganti dottrine, fra cui
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in
che
venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in
che
venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in
che
venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
ro setta. 25. La processione dell’ Assunzione, e propriamente quella
che
si esegue nella città di Messina, ha luogo il 15
utore narra : « Scorgevasi appunto Tiresia (insigne indovino di Tebe)
che
vaticinando presagiva il fato del gran fanciullo,
raunata tutta la sua famiglia, disse : gettate via gli dei stranieri
che
avete tra voi, e mondatevi e cangiate le vostre v
bia, secondo la volgata 28. Dio Termine. Deus Terminus — Divinità
che
presiedeva ai confini dei campi, e vendicava le u
hi numi del paganesimo romano. 29. Caaba detta anche Caabah. — Nome
che
viene particolarmente dato dai maomettani ai temp
ttivi da più musulmani, i quali lo tengono in cosi grande venerazione
che
considerano il dare una sola occhiata alle sue sa
intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni della natura, è ciò
che
si chiama propriamente Arte. Le arti si divisero
del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordinamento politico,
che
furono tanto quella che questo favorevoli allo st
loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella
che
questo favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte
, i quali giovarono immensamente allo sviluppo delle arti tutte, cosa
che
non avrebbe potuto sussistere se tutta la Grecia
o consiste in un enorme masso di rocce di 400 a 470 metri di altezza,
che
presenta una fronte dirupata e quasi perpendicola
tori sacri, onde riportare citazioni dirette, tratte tanto da quella.
che
da questi ; ma non consentendoci lo spazio una lu
lla storia della scienza come autore del primo trattato di astronomia
che
l’Europa abbia posseduto, indipendentemente dagli
er nato in questa città della Marca d’Ancona nell’ anno 1237. Narrasi
che
essendosi dato dalla prima gioventù. con eguale s
egate nel cimitero di San Giles. 37. Lusignano. — Famiglia francese
che
regnò a Gerusaleme ed a Cipro e si rese celebre n
Meleusigne, anagramma di Leusignem, (Lusiguam), e raccontarono ancora
che
to spettro di Meleusina apparisse solo al castell
o di Voltaire col quale é conosciuto in tutta l’ Europa, da una terra
che
faceva parte della fortuna di sua madre. 40. PO
to dato numero di anni, spirato il qual termine, i sacerdoti dicevano
che
si precipitava in un pozzo a tutti ignoto, ed all
fae. — Fu moglie di Minosse, re di Creta : di lei la Favola racconta,
che
per soddisfare alla sua bestiale libbline, fosse
ercarono di liberarla : essi furono costretti di ricorrere a Vulcano.
che
non si decise a farlo se non quando gli ebbero pr
hissimo conto. — Mori il 21 gennaio 1744. 48. Sabeismo. — Idolatria
che
consisteva nel culto degli astri. e fu una delle
l’anno 513 avanti Cristo in età di 76 anni. Egli fu una delle vittime
che
caddero nella generale uccisione degli adoratori
p. 50. Dionisio. — Soprannome dato dal Greci a Bacco. per alludere
che
egli era stato loro padre. ed anche perchè era st
e però dei mitologi sostiene essere la voce Dionisio composta da Dios
che
vuol dire Giove, Nysso, ío ferisco ; perchè Giove
to. lettera D. articolo 924. 55. Parche. — Nome delle tre divinità
che
presiedevano alla vita e alla morte. Erano tre so
e siete maestro, giustamente commendato in Europa. Non isgradite ora,
che
io, a testimonianza di grato animo e di affetto,
n isgradite ora, che io, a testimonianza di grato animo e di affetto,
che
non iscema per lontananza nè per tempo, v’intitol
che non iscema per lontananza nè per tempo, v’intitoli, fra le Opere
che
tutte riunisco e do alla luce del sommo Toscano d
ostro Poeta nell’anno 1807-8 per gli Artisti queste Lezioni, di guisa
che
non possiam ricercarvi quel più peregrino sapere,
m ricercarvi quel più peregrino sapere, quella più squisita dottrina,
che
in tali studj addimandasi dalla matura Filologia,
peva, e lo scrisse a chiare note da sè medesimo. Tuttavia le versioni
che
qua e là vi ponea dagli antichi Poeti, rendono ta
ni che qua e là vi ponea dagli antichi Poeti, rendono tale il Volume,
che
, eziandio senza il gran nome dell’Autore, potrebb
late da’ vostri affettuosi ricordi, quello di un ammiratore ed amico,
che
bramò anche in questa raccolta apparecchiare, per
ichiedeva di stampare il suo Corso; « Son grato alla cortese opinione
che
il Prof. Valeri ha delle mie Lezioni di Mitolo
simo agli Editori Fiorentini: « Ben volentieri permetto loro, secondo
che
desiderano, di stampare le Lezioni da me recita
nel primo anno del mio Corso. Li prego nulladimeno di fare avvertire
che
sono scritte coll’ unico scopo di porre nei giova
ia Storica 3 immediatamente dopo la Teologica: e aggiungiam solo qui,
che
stampate tutte le Lezioni dell’Autore, si acquist
odo4 e de’ suoi fini, e apparirà splendidamente la singolare armonia,
che
in tant’ Uomo avverossi fra il letterato, il poet
a. Poiché gli uomini da Dio ribellatisi ne meritarono la vendetta,
che
sulla terra gli sparse atterriti e maravigliati,
aravigliati, il loro culto rivolsero alla Natura; e quindi l’universo
che
annunziar dovea la maestà del suo Autore, tempio
ella origine loro. E consegnato infatti agli annali di tutte le genti
che
agli astri, e specialmente al sole ed alla luna,
so ride e si rinnova, il vincitor delle tenebre, la vera sede di Dio,
che
, al dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. M
man genere, dai vizj e dalle sciagure avvilito, così il mondo divise,
che
ogni bisogno ebbe un dio, e fu facile allora agli
ebbe un dio, e fu facile allora agli istitutori dei popoli idolatri,
che
utili cose vollero persuadere al volgo, il finger
ono alle divinità l’origine delle nazioni per essi ordinate. Quindi è
che
l’istoria di tutte le genti (se quella dei Giudei
che l’istoria di tutte le genti (se quella dei Giudei se ne eccettua,
che
Iddio scelse pel sacro deposito del suo culto) co
ostro compatimento, ho quasi dimenticato la difficoltà dell’impresa a
che
accinto mi sono. Non fu mai maggiore l’opportunit
o Alighieri; « Che chi pensasse al poderoso tema, E all’omero mortai
che
se ne carca, Noi biasmerebbe se sott’esso trema.
e ne carca, Noi biasmerebbe se sott’esso trema. » Ma per dimostrarvi
che
arduo è l’assunto, ed accrescere ad un tempo in v
ere ad un tempo in voi il desiderio di impadronirvi di quelle notizie
che
sono l’oggetto delle mie fatiche, ho deliberato d
delle mie fatiche, ho deliberato di darvi il prospetto delle Lezioni
che
formeranno il Corso della Mitologia nel presente
che formeranno il Corso della Mitologia nel presente anno. La strada
che
dobbiamo percorrere ò difficile ad un tempo stess
io lo concede, porrò ogni mia cura per allontanare tutti gli ostacoli
che
s’incontrano in così lungo cammino. Essendomi pre
d’Istoria, mi è necessario dì par lare in primo luogo delle opinioni
che
sulla formazione degli Dei e del mondo avevano le
tta la Mitologia, e in molti vetusti monumenti, non conoscendo quello
che
immaginarono gli antichi su questo particolare, n
particolare, nulla i simboli direbbero agli occhi ineruditi. Percorsa
che
avremo l’istoria di questi vaneggiamenti coi qual
anterà le lodi e le gesta dei numi, io leggerò la migliore traduzione
che
siavi; e quando questa manchi, sia tale che vivam
rò la migliore traduzione che siavi; e quando questa manchi, sia tale
che
vivamente e con dignità non rappresenti l’origina
imendo nelle tele e nei marmi, accrescerà quella nobile e antica gara
che
regna fra la Pittura e la Poesia. L’amenità di qu
maggiore quando esaurita la teologica Mitologia, giungeremo ai tempi
che
chiamò favolosi Varrone, nei quali si contengono
ai tempi che chiamò favolosi Varrone, nei quali si contengono imprese
che
argomento furono dei più celebrati antichi poemi.
gli Argonauti di cui fu prezzo il vello d’oro conquistato da Giasone,
che
, soccorso da Giunone, dal coraggio e più dall’amo
di Valerio Flacco, nelle di cui carte vivono ancora « Quei gloriosi
che
passaro a Coleo: » vi sembrerà di errare sulle s
dalle glebe incantate nascere fatali guerrieri; spirar fiamma i tori
che
tardano a riconoscere lo stesso tiranno di Coleo,
profani di due fratelli destinati alla colpa ed all’odio vicendevole,
che
nè la pietosa sorella, nè la madre veneranda per
la maestà dei mali, nè la morte stessa può estinguere, poiché la pira
che
il consuma, si divide, o sembra far guerra. Stazi
violato ospizio di Menelao; eccoci all’istoria d’Ilio sciagure d’Ilio
che
fama divennero di Omero, « Di quel signor dell’a
tanto poeta, del « Primo pittor delle memorie antiche. » di quello
che
colla divina Iliade dettò i più sublimi concetti
i quelli ho pugnarono e cadiloro sotto le mura, opera degli Dei! Dopo
che
Omero ci avrà descritto l’ira di Achille, la disc
lle, la discordia degli Dei, il tenero addio di Andromaca ad lettore,
che
rimprovera a Paride lo sciagiure della patria e l
Paride lo sciagiure della patria e la sua viltà, e fìnalmente Priamo
che
bacia le mani lorde del sangue del suo figlio per
per riaverne il cadavere. Quinto Calabro ci dirà gli altri infortunj
che
successero fino a quel giorno fatale in cui i Gre
’errore di Ulisse, mentre i Proci insidiavano la fedeltà di Penelope,
che
aspettandolo, canuta divenne. Sofocle ed Euripid
ua luce l’universo, nell’Odissea ancora imita l’astro medesimo allora
che
tramontando, sembra coi suoi raggi mandare l’ulti
he, tralasciassi di parlarvi delle divinità adorate da quelle nazioni
che
barbare furono dai Greci e dai Romani chiamate: o
non posso, quanto bisogna, raccomandarvi l’importanza. Basterà dirvi
che
il celebre Winkelman, tanto benemerito delle arti
nemerito delle arti belle, ha scritto su questo soggetto un’operetta,
che
per l’utilità quasi gareggia colla famosa istoria
gure allegoriche, delle quali negli scritti degli antichi si parla, e
che
tuttora si vedono nei loro monumenti. Difficile è
Difficile è l’arte di esprimere le idee col mezzo delle immagini, in
che
consiste l’allegoria, la quale vedrete che, per e
l mezzo delle immagini, in che consiste l’allegoria, la quale vedrete
che
, per esser vera, dee contenere con chiarezza le q
enere con chiarezza le qualità distinte della cosa indicata. Imparata
che
avrete dagli antichi la difficil pittura del pens
Virtù, la Costanza, la Ragione, e mille altre divinità della Morale,
che
nel segreto del loro cuore più che i falsi numi a
mille altre divinità della Morale, che nel segreto del loro cuore più
che
i falsi numi adorate furono dai filosofi dell’ant
uore più che i falsi numi adorate furono dai filosofi dell’antichità,
che
meno di noi le nominavano, ma più n’erano fedeli
rei nel prospetto di queste Lezioni aver potuto imitare l’architetto,
che
colla facciata dell’edifizio ne raccomanda i più
segreti divisamenti, e costringe a percorrerlo l’attonito pellegrino
che
di esso ha piena la vista. Ma se la conoscenza de
la conoscenza delle mie forze mi vieta così care speranze, io confido
che
, me dimenticando, rivolgerete la mente alla digni
rsi vostre; giacché i concetti della mente dirigono la mano di coloro
che
nati sono alla gloria dell’arte. Michelangelo, le
elangelo, leggendo gli alti versi di quel magnanimo suo concittadino,
che
sdegnando trattare argomento mortale, dagli abiss
rete in voi stessi, udendo i versi immortali di quei sommi intelletti
che
trionfano di tanti secoli, e dei quali la fama du
l’invidia e l’ammirazione, per cui disperino di emularci, conoscendo
che
il genio non può mai coll’armi acquistarsi. Ma ch
ularci, conoscendo che il genio non può mai coll’armi acquistarsi. Ma
che
:… Non sono io in questo recinto che è consacrato
può mai coll’armi acquistarsi. Ma che:… Non sono io in questo recinto
che
è consacrato a presentare alla pubblica ammirazio
Lezione seconda. Sulle diverse Cosmogonie. Non vi ha monumento
che
attesti l’imbecillità dell’umana mente alle propr
popolo antichissimo, ove nacque l’autore di quell’insensato progetto,
che
Iddio arrestò e punì colla diversità delle lingue
i mostri simili a lui. Questi chiamato Cannes, ov vero Oen, insegnava
che
già tutte le cose erano possedute dall’acque, dal
va che già tutte le cose erano possedute dall’acque, dalle tenebre, e
che
in queste erano chiusi uomini ed animali mostruos
e in queste erano chiusi uomini ed animali mostruosi, simili a quelli
che
erano ritratti nel tempio di Belo da Erodoto desc
i che erano ritratti nel tempio di Belo da Erodoto descritto. Omorca,
che
signoreggiava l’universo, narra lo stesso, fu da
ise tutti i mostri ed ordinò l’universo. Avendo distrutti gli animali
che
non tolleravano la luce, s’accorse essere il mond
mondo deserto, impose a un nume di troncargli la testa, e col sangue
che
dalla^ piaga scorreva formarne gli animali e l’uo
se questa serie di assurdità sia un’alterazione della Genesi di Mosè;
che
io non sono nè curioso nè ardito per investigarlo
non sono nè curioso nè ardito per investigarlo. Aggiungerò solamente
che
questo Belo ordinatore della materie non é probab
olamente che questo Belo ordinatore della materie non é probabilmente
che
il sole, poiché in un monumento riportato dal Beg
meno assurde erano le opinioni dei Fenicj, come si rileva da Eusebio,
che
ci ha conservato un frammento di Sanconiatone, ch
rileva da Eusebio, che ci ha conservato un frammento di Sanconiatone,
che
forse egli trasse da Filone, traduttore delle ope
be da verun altro la sua produzione. Si unì finalmente col mot, o mud
che
è lo stesso del fango, e secondo altri una corruz
i di seotimento, dai quali furono prodotti altri dotati d’intelletto,
che
detti furono contemplatori dei cieli Zophasemen.
diedero al folgore, il di cui tuono riscosse gli animali ragionevoli,
che
cominciarono allora a moversi sopra la terra. Ecc
a a tanto sospetto soggiacque, perchè fu derivata da quella di Thoth,
che
fu pure agli Egiziani comune, dei quali Diodoro S
uori tutte le famiglie degli animali onde è popolata la terra. Quelle
che
avevano ricevuto maggior grado di calore divenner
e avevano ricevuto maggior grado di calore divennero volatili; quelle
che
in loro avevano più terra, furono rettili ed anim
ui generazione preponderò l’acqua, balzarono come pesci nell’elemento
che
loro conveniva. Col progresso del tempo la terra,
inaridita dal sole e dai venti, perde il potere di produrre animali,
che
quindi moltiplicarono col mezzo della generazione
l’eccitatore dell’universo. Parve altrimenti al dottissimo Cudworth,
che
mostrò le contradizioni di Eusebio di Cesarea. No
del nostro istituto il comporre sì ardua lite: riporteremo solamente
che
dagli Egiziani era adorata fra l’altre una certa
l’altre una certa divinità detta Neph, da cui era opinione di alcuno
che
fosse formata la macchina del mondo. Questa era s
. Questa era simboleggiata nel sembiante di un uomo di color celeste,
che
avea nelle mani una cintura ed uno scettro, sulla
ui si schiudeva un altro iddio detto Phta, il quale forse è lo stesso
che
il Vulcano dei Greci. Il senso degli espressi sim
to la forma di serpente col capo di sparviere, è sentimento di alcuni
che
fosse da loro Iddio ancora adorato. Se questo apr
iudeva. Percorsa la teogonia e dei Fenicj e degli Egizj, ragion vuole
che
quella dei Greci si discorra, che da ambedue ques
Fenicj e degli Egizj, ragion vuole che quella dei Greci si discorra,
che
da ambedue queste nazioni riceverono parte della
ioni riceverono parte della loro religione e dei loro costumi. Orfeo,
che
molte cerimonie relio’iose istituì colla divinità
gia. Altri, al contrario, lo difendono da tanto rimprovero, asserendo
che
di Dìo ebbe idee più giuste di ogni altro pagano.
itore dei guasti costumi dei mortali; e se fede si dasse al compendio
che
Timoteo fece della cosmogonia orfica, egli potreb
alunnie dei suoi avversarj. In tanta discordia di opinioni, non posso
che
riportare le parole del mentovato scrittore. « N
abitavano gli Dei, e da ogni parte di questo erano il Caos e la Notte
che
sta sotto l’Etere, volendo con ciò significare ch
il Caos e la Notte che sta sotto l’Etere, volendo con ciò significare
che
la Notte era prima della creazione, e che la Terr
volendo con ciò significare che la Notte era prima della creazione, e
che
la Terra, attesa l’oscurità, era invisibile, ma c
ella creazione, e che la Terra, attesa l’oscurità, era invisibile, ma
che
la Luce penetrando l’Etere, aveva il mondo intier
tutto il sistema mitologico comprende Dopo questo, diminuirò la noia
che
forse avrà ca gionata l’istoria di tanti delirj,
leggendovi la descri zione della battaglia dei Giganti contro gli Dei
che
è nel poema del mentovato scrittore. Ho cer cato,
figli, onde la Terra era afflitta. Nel suo dolore fabbricò una falce,
che
diede a Saturno; ed egli, insidiando il padre men
mentre inviavasi al letto materno, gli fé’ colla falce quell’ingiuria
che
in lui fu ripetuta da Giove suo figlio. Dal sangu
quell’ingiuria che in lui fu ripetuta da Giove suo figlio. Dal sangue
che
piovea dalla ferita nacquero i Giganti, le Furie,
pomi d’oro, le Parche, cioè Cleto, Lachesi ed Atropo, dee terribili,
che
filano la vita dei mortali e vendicano i delitti.
dei mortali e vendicano i delitti. Nacquero dalla Notte ancora Nemesi
che
premia le virtù, e i vizj punisce, la Frode, l’Am
Affanni, delle Guerre, delle Stragie delle Sconfitte, e di tutto ciò
che
i mortali tormenta, come le querele, le dissensio
Iride e l’Arpie Aello e Ocipete. Forci da Ceto ebbe Pefredo ed Enio,
che
ambedue furono subito chiamate gree dalla parola
nio, che ambedue furono subito chiamate gree dalla parola greca γραυσ
che
significa vecchia, perchè nascendo erano già canu
a Calliroe die la vita ad un altro mostro detto Echidna, cioè vipera,
che
nella metà era simile ad una bellissima ninfa, e
Siria, pure da Tifone ebbe Orco, Cerbero, l’Idra Lernea, la Chimera,
che
fu uccisa da Bellerofonte, e la Sfinge onde tanto
erofonte, e la Sfinge onde tanto in Tebe si pianse, e il Leone Nemeo,
che
da Ercole fu ucciso. Ceto generò pure da Forci il
orabil vendetta. Stige giunse la prima sull’Olimpo coi suoi figli; lo
che
tanto piacque a Giove che doni ed onori le rese i
nse la prima sull’Olimpo coi suoi figli; lo che tanto piacque a Giove
che
doni ed onori le rese in gui derdone; ritenne i f
doni ed onori le rese in gui derdone; ritenne i figli di lei, e volle
che
nel di lei nome temessero di spergiurare gli Dei.
i spergiurare gli Dei. Febea ebbe da Geo l’amabile Latona ed Asteria,
che
poi maritata a Perseo, divenne madre dì Ecate, di
a tutte, cui Giove die l’arbitrio del cielo e della terra e del mare,
che
sempre era fra gli antichi principio di sacrifizj
tone, Nettuno e Giove. Avea l’accorto vecchio consultati gli oracoli,
che
predetto gli avevano che uno dei suoi figli gli a
ea l’accorto vecchio consultati gli oracoli, che predetto gli avevano
che
uno dei suoi figli gli avrebbe tolto l’impero del
pero del cielo, onde questo padre snaturato tutti gli divorava subito
che
Rea gli dava alla luce. Ma nulla basta contro il
ori presentò a Saturno una pietra coperta di fasce, invece del figlio
che
occultò in Creta; onde questa isola va superba pe
ortali. Erasi intanto Giapeto congiunto a Climene figlia dell’Oceano,
che
diede alla Terra Atlante magnanimo, il perfido Me
tante, e die loro per custodi Cotto, Gige e Briareo, onde erra Banier
che
sembra creder questi confinati in pena, giacché c
ientissima; e questa era per dare alla luce Minerva. Sapendo il padre
che
il figlio, il quale da lei fosse nato, dominerebb
ominerebbe l’universo, divorò la madre e la prole. Sposò quindi Temi,
che
generò le Stagioni, Eunomia, Dice, Irene; e le tr
i, che generò le Stagioni, Eunomia, Dice, Irene; e le tre Parche, nel
che
sembra Esiodo contradirsi, poiché innanzi le fa f
figlie della Notte. Natale Conti concilia questa difficoltà dicendo,
che
quando le Parche rendevano ragione, figlie chiama
caso guidava le forbici fatali erano figlie della Notte. A me sembra
che
questa coatradizione, e mille altre, abbiano orig
ano le tre Grazie: Talia, Eufrosine ed Aglaia; da Cerere, Proserpina,
che
fu da Plutone rapita, da Mnemosine le Nove Muse,
ed Armonia la bella. Maia figlia di Atlante partorì Mercurio a Giove,
che
ebbe pure da Semele Bacco, ed Ercole da Alcmena.
parlò: Uditemi, del cielo e della terra Illustri figli, onde io quel
che
comanda Il core a me nell’animoso petto Dica: Gra
rli, e della mente Gli accorgimenti e i providi consigli Del tuo cor,
che
scacciò dagl’ immortali L’ immenso danno, sappiam
urno. È mercè tua se qui siamo Alla notte involati e alle catene: Noi
che
maggior della paura il danno Soffrimmo, or con pr
lava, e lodar gli accorti detti I benefici numi, e guerra il core Più
che
innanzi chiedeva, e guerra a gara Moveano tutti,
ara Moveano tutti, uomi e donne, i figli Di Saturno, i Titani, e quei
che
Giove Dell’Erebo all’orror tolse tremendi, Che d’
ll’eterno braccio Terribil gloria. Già risuona acceso Il fertil suolo
che
gli stride intorno : D’ inestins^uibil fuoco arde
terra: arriva Già la fiamma al divino eter: la luce Del fulmin sacro,
che
tonando scende, Dei possenti gli eterni occhi con
lioso ardor l’Èrebo investe, Ode, e vede la pugna, e con la terra Par
che
di nuovo si confonda il cielo, E il caos antico l
ttoria incerta: Ma fra le prime schiere ivano Gige E Cotto e Briareo,
che
avean di guerra Insaziabil sete, e dalle forti Ma
iverso. Perciò i Persiani vietarono i simulacri, e deridevano i Greci
che
sembravano volere nei templi circoscrivere Iddio.
i che sembravano volere nei templi circoscrivere Iddio. Banier reputa
che
il tabernacolo di Mosè costruito nel deserto foss
il primo: ma questa opinione dà troppo tardo principio all’idolatria,
che
grandeggiava innanzi lui nell’Egitto. Vi è anzi r
he grandeggiava innanzi lui nell’Egitto. Vi è anzi ragione di credere
che
da questo paese piuttosto derivasse il costume di
ose, la Grecia ne fa autore Deucalione, e l’Italia Fauno o Giano. Che
che
ne sia, è certo che i luoghi sacri agli Dei, che
autore Deucalione, e l’Italia Fauno o Giano. Che che ne sia, è certo
che
i luoghi sacri agli Dei, che in prima erano rozze
a Fauno o Giano. Che che ne sia, è certo che i luoghi sacri agli Dei,
che
in prima erano rozze fabbriche, divennero col tem
ome da Erodoto si rileva. È da notarsi, specialmente per gli artisti,
che
gli antichi nel genere ancora degli edifìzj signi
erano causa i moltiplici attributi del nume, o la pluralità degli Dei
che
nel tempio erano adorati. E con ogni altra iorma
i altra iorma della fabbrica alludevano alle qualità degli frnmortali
che
credevano abitarvi, poiché lunghi e scoperti eran
cco, e riquadrato era quello di Giano. Nè ciò bastava: conveniva pure
che
il luogo ancora additasse la natura e 1’ ufficio
ime. Lunga opra sarebbe l’annoverare quante pitture, quanti simulacri
che
fama sono ancora degli artefici antichi, ornasser
zioni non hanno tregua. Difendeva la presenza degli Dei ancora l’oro,
che
non avea violata l’ingenua semplicità dei loro te
e ne diedero i primi l’esempio i Galli guidati dal sacrilego Brenno,
che
derubarono il tempio di Delfo, e deridendo la rel
no con memoranda avidità l’oro fra le ceneri degli estinti, mostrando
che
dalla barbarie dei vincitori nemmeno il sonno del
il sonno della morte è sicuro. Converrà adesso parlare dei sacrifizj,
che
divideremo, secondo il genere dei numi ai quali e
dal paterno furore. Ma gli Dei aveano già dato l’esempio della colpa:
che
r ara di Diana era stata tinta in Aulide col sang
Lezione, questi sacrifizj, eterna vergogna degli uomini e degli Dei,
che
furono « Famoso pianto della scena Argiva. » Fa
« Famoso pianto della scena Argiva. » Favelleremo intanto di quelli
che
si offrivano ai celesti. — Erano soliti celebrars
cavasi, coronavano le vittime, gli altari, i sacerdoti, i vasi stessi
che
accogliere dovevano il sangue delle vittime. Con
el gregge. Puro esserne doveva il colore, perfette le membra, nè bove
che
mostrasse dall’ ingrato aratro consumato il collo
fiumi purgar doveva le mani asperse di stragi recenti ancora a coloro
che
escivano dalle battaglie. Tanto credevasi piacere
adopravasi nell’isceglier legittimi legni, cioè ordinati dalle leggi,
che
prescrivevano il modo di sacrificare. Doveva arde
ure dagli astanti, giacché Virgilio ne rappresenta Didone bellissima,
che
tenendo dalla destra la patera, diffonde il liquo
la, coi peli strappati alla fronte dell’ animale consacrato, nel foco
che
sopra l’ara splendeva, il che diceasi primo libam
onte dell’ animale consacrato, nel foco che sopra l’ara splendeva, il
che
diceasi primo libamento; quello per cui propiziav
o riceveva l’oceano paventato; e Virgilio ne rappresenta il suo eroe,
che
ornato le chiome di ulivo, getta dalla prora nei
l’onde fa libazioni il condottiero degli Argonauti, perchè reputavasi
che
dei numeri impari si compiacesser gii Dei: opinio
ai celesti, scannavansi da sacerdoti in veste nera gli atri animali,
che
mansuefar doveano l’eterna mestizia e del re di S
o il tiepido sangue, e l’olio invece del vino versavasi sulle viscere
che
fumavano all’imperatore dell’ombre. Di tutte le p
iazioni agii Dei infernali madre era la paura, e perciò il sacrifizio
che
loro facevasi da quei che scampati erano al furor
madre era la paura, e perciò il sacrifizio che loro facevasi da quei
che
scampati erano al furore di una malattia chiamava
. Una nera pecora gravida sgozzavano a Brimo, dea severa e terribile,
che
nel più profondo della notte, quando « Del sonno
iore al giuramento, vi dirà Omero, tradotto dall’ immortai Cesarotti,
che
osserva la derivazione di questo rito dall’Egitto
tutti io giuro Che ‘l pudor di Briseide e la beltade Mi furon sacri,
che
l’amore e i dritti D’Achille rispettai, che intat
a beltade Mi furon sacri, che l’amore e i dritti D’Achille rispettai,
che
intatta e pura Io gliela rendo (ella al Signore u
ti danni. Aggiungerò a questi bei versi alcune notizie sui sacrifìzj
che
ai morti si facevano, come mi sono prefisso nella
terra avanzo è della morte? » Nulla di più santo presso gli antichi
che
le tombe: onde Tibullo, ne’ di cui versi odi anco
la corone bagnate dalle mie lacrime: sederò supplichevole sulla terra
che
la ricoprirà, e col cenere muto mi lamenterò dell
ano gli estinti, costruivasi loro insigne pira, e vi ardevano le cose
che
nella vita loro erano state le più care, le armi,
le più care, le armi, i destrieri e (oh barbarie:) gli uomini stessi,
che
fatti schiavi avevano le vicende instabili della
o ed il corpo, erano le reliquie e le ossa cercate fra le faville; il
che
appare chiaramente in Virgilio nel funerale di Mi
ente in Virgilio nel funerale di Miseno, quantunque Teofrasto ne dica
che
una pietra circolare chiudeva la salma destinata
salvo E vincitor di Troia alle sue braccia Ritornato m’avessi. Invan,
che
a tanto Non giunge il tuo poter; vuol altro il Fa
o e cibo. Disse, ha d’uopo la turba; alle sue navi Tu la rinvia; quei
che
del rogo han cura Restin qui meco e i primi duci,
Godi del dono mio; s’Ettor vi manca Non ti lagnar; peggio è per lui,
che
a pasto Del foco no, ma de’ miei cani il serbo. —
Ettorea salma Venere e Febo: ella il bel corpo inonda D’ambrosio odor
che
delle fere edaci Gl’ impeti affrena, e inviolato
rugghianti Scuotono a gara; ecco inalzarsi a un tratto Vampa vorace,
che
s’apprende e sparge Per l’ammontata arida selva,
li, si ragionò ancora de’ sacrifizj, argomento vasto ed importante, e
che
per esser esaurito quanto è permesso dal metodo p
esso dal metodo prefissoci nei nostri studj, addimanda nuove notizie,
che
farò succedere a quelle che intorno agli altari h
ei nostri studj, addimanda nuove notizie, che farò succedere a quelle
che
intorno agli altari ho raccolte. Lasceremo ai gra
ista veramente la differenza notata fra l’are e gli altari da Servio,
che
afferma questi ultimi solamente proprj delle divi
fferma questi ultimi solamente proprj delle divinità celesti. Certo è
che
ai numi infernali sacrifìcavasi nelle fosse, e ne
ìcavasi nelle fosse, e ne fa fede fra molti Ovidio, descrivendo Medea
che
d’Ecate implora il soccorso. Ed è fuori d’ogni du
vendo Medea che d’Ecate implora il soccorso. Ed è fuori d’ogni dubbio
che
sopra il suolo si offrivano le vittime agli Dei d
ra. Tutto additava fra i primi uomini la semplicità dei loro costumi,
che
più ancora si manifestava nel modo d’o norare gl’
più ancora si manifestava nel modo d’o norare gl’immortali: quindi è
che
nel principio gli altari non furono che ammassi d
norare gl’immortali: quindi è che nel principio gli altari non furono
che
ammassi di erbe, pietre informi, mucchi di terra,
va. La cenere stessa fa destinata a questo uso, ed è celebre l’altare
che
a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in facci
colo del mondo era l’ara formata di corna inalzata ad Apollo in Delo,
che
niun glutine, verun legame congiungeva; onde Call
sopra le montagne, forse perchè l’immaginazione dei mortali reputava
che
così avvicinandosi al cielo, giungessero più rapi
riplici qualche volta erano gli altari, e tribomi dicevansi, e sembra
che
si praticassero nel culto di divinità, di ufficj
raccomanda, altre l’ornamento, gli Dei, i genj, i sonatori di flauto
che
vi sono scolpiti; la maggior parte di esse ha neg
no gli altari, e Virgilio ci mostra larba, il barbaro rivale di Enea,
che
cento, così traduce Annibal Caro, « N’avea sacra
estre, nei circhi, negli stadj, si vedevano pure nei teatri. Il primo
che
ivi sorgeva dalla parte destra sacro era al dio c
teatri. Il primo che ivi sorgeva dalla parte destra sacro era al dio
che
si onorava cogli spettacoli; l’altro, alla sinist
a sinistra collocato, consacravasi ad Apollo, ovvero a Bacco, secondo
che
una commedia una tragedia veniva rappresentata. Q
dei celesti, ma perchè gli schiavi temerono mai sempre più i tiranni
che
la divinità. Esiste ancora in Narbona l’ara dedic
volte laco. Onde cessar le sue opere bieco Sotto la mazza di Ercole,
che
forse Gliene die cento, e non sentì le diece. »
oma nel Foro Boario presso la porta Carmentale. Solenne il rispetto
che
gli antichi avevano per gli altari, onde nè lume
Ovidio quel raro e memore amico, a cui scriveva nell’esigilo lettere
che
dettava il dolore; ed Enea, lagnandosi della rott
uando alle promesse si aggiungeva il giuramento; onde Giovenale disse
che
gli empj venditori di spergiuri, che intrepidamen
giuramento; onde Giovenale disse che gli empj venditori di spergiuri,
che
intrepidamente vi si accostavano, ponevano la man
rminato. Assai degli altari. Intorno ai sacrifìzj eccovi quel di pili
che
importa sapere; poiché, se tener conto si dovesse
ta sapere; poiché, se tener conto si dovesse delle numerose divisioni
che
ne facevano gli antichi, mancherebbe a così lunga
efìcj, o per chieder l’adempimento dei loro voti, parlerò delle ostie
che
allora si offrivano, poiché ogni genere di sacrif
ri i pellegrini; ad Ercole Invitto le salve legioni; a Nettuno coloro
che
all’alto mare aperto fidati, avea fragil legno di
Sacrificavano a Giunone una giovenca colle corna dorate quei felici,
che
credevano aver sortito dal cielo una moglie pudic
ianco toro, una corona, opime spoglie offrivano a Giove quei Consoli,
che
sul Campidoglio venivano dall’aratro ai trionfi.
e le forze del mio ingegno il permettevano, vi racconterà il secondo,
che
fu di doppio dolore cagione ad Ecuba, al pari d’I
Quindi seguivano vaghi fanciulli e giovinette gloria del loro sesso,
che
ministravano al sacrificio. Il ministro detto pre
eva; e se dalla scure atterrata, al ministro detto popa consegnavanla
che
succinto e mezzo nudo la percoteva. Gli ufficj di
confusi. Fra i Gentili erano preceduti i sacrifizj dalle lustrazioni,
che
facevansi con un ramo di ulivo, o con istrumento
le medaglie argentee di Giulio Cesare e di Antonino Pio. Presentata
che
si era l’ostia, il vittimario portava la teca, ch
Pio. Presentata che si era l’ostia, il vittimario portava la teca,
che
conteneva i ferri; il sacerdote sceglieva o il ma
la pelle: le parti di esse ponevano in vasi detti in genere anclabri,
che
ciholi si chiamavano allorché la forma n’era roto
ssette ove l’incenso era riposto; nei canestri portavansi le primizie
che
si offrivano agli eterni. Accrescerei il catalogo
avellare di quei sacrifìzj, i quali vorrei per onore del genere umano
che
non fossero mai stati in uso, come un letterato f
stati in uso, come un letterato francese pretende. A questa opinione,
che
onora il core e non la mente di chi la produsse,
sse, si oppone in primo luogo l’autorità di Erodoto, il quale afferma
che
i popoli della Tauride immolavano ad una Venirine
i popoli della Tauride immolavano ad una Venirine tutti gli stranieri
che
il nau fragìo gettava nella loro terra. Umani sac
e, volendo dimostrare la poca fede dei loro giuramenti: « Cosa volete
che
vi sia di santo e di religioso per coloro i quali
se prima violata non l’hanno con qualche delitto. Chi fra voi ignora
che
così barbara e mostruosa usanza si mantiene press
i mantiene presso loro ancora ai dì nostri? Laonde quale reputate voi
che
esser possa la fede di chi i numi crede doversi p
o del principe degli Oratori, l’accennato parere non può considerarsi
che
come un sogno, e non è senno nè lode combatter co
rei colla vostra indulgenza se non rimediassi colla brevità alla noia
che
in voi deve produrre l’aridità di queste ricerche
ni ramo dell’ombroso bosco Per la sospesa plebe, e son coperte D’Ilio
che
fuma le ruine altere; E v’ha chi stassi spettator
pettator feroce Sopra l’ettorea tomba, e calca l’ossa Di quel famoso,
che
l’achive squadre Sol della vista sgomentò. Ma giu
venia tranquillo in volto Il fanciul generoso all’aspra torre. Allor
che
stette sulla cima, il volgo, I capitani, Ulisse s
ll’ettoreo figlio L’innocente alterezza. In core acheo Breve è pietà:
che
già ripete Ulisse Le preci di Calcante, e al crud
anco Lambe il flutto reteo. L’avversa parte Chiusa è da colle facile,
che
sorge A guisa di teatro. Era ogni lido Ingombro,
r facea più bella, Come più dolce del morente sole E il raggio, allor
che
la vicina notte Fa guerra al dubbio giorno, e il
Beltade, e chi di gioventude il fiore, Tutti fortuna; e il fermo cor
che
morte Incontrar sembra, e desta in cor di tutti M
divinità, erbe ed incensi, quindi animali, arrivarono a tanta insania
che
con umane vittime contaminarono le loro mani e i
contaminarono le loro mani e i templi degli Dei. È opinione di alcuni
che
questa orribile costumanza avesse principio coli’
zione; e se ciò sussiste, antica è la colpa. In Igino ancora si legge
che
Callistene alla salute della patria immolò la fig
ra si legge che Callistene alla salute della patria immolò la figlia;
che
i Tiri sacrificarono i figli di Sisifo, persuasi
tesso dio ordinò di uccidere Antiope sua moglie e figliuola di Marte,
che
Adrasto ed Ipponoo suoi figli seguirono gettandos
cadaveri offertogli dai Cananei e da altri popoli nemici d’Isdraele,
che
prevaricando, macchiò anch’egli le mani già pure,
erasti; ninna divinità si compiacque maggiormente di questi sacrifìzj
che
Diana, e lo mostreremo quando della di lei statua
ezione opportunità di parlare. Causa di tanta empietà era la credenza
che
questa abominazione allontanasse l’ira divina, me
i di Tieste, e maggiore compassione desterà nei vostri cori di quella
che
sentiste udendo del sacrificio di Astianatte e di
sta orribile espiazione: ferivano i Sardi il tremulo collo dei vecchi
che
avevano oltrepassati i settant’anni; da alcuni gl
i maestro ai Romani, eluse con accorta ripulsa la dimanda di quel dio
che
parlar facevano i sacerdoti crudeli. A Saturno i
artaginesi i propri figli offerivano, il fiore della gioventù; e quel
che
é più terribile, doveano assistere al sacrifizio
e, detta del ruggito, dove s’immolavano i bambini dai padri, persuasi
che
questo sacrifizio avrebbe gli altri figli scampat
la morte, e resi loro per tutta la vita felici. Degni di lode i Siri,
che
tutti i sacrifizj cruenti vietarono, conoscendo c
i di lode i Siri, che tutti i sacrifizj cruenti vietarono, conoscendo
che
coli’ uccisione degli animali si avvezzava alla c
lla crudeltà ed al sangue il core dei mortali ! Ma quali erano i riti
che
per celebrare queste empietà si osservavano ve lo
e d’Ifigenia. Ambedue queste descrizioni sono meno adorne d’immagini
che
quella di Seneca: ma pure di molta compassione pe
Udite la morte della prima, narrata ad Ecuba dal nunzio: Perchè vuoi
che
il dolor rinnovi, o donna, Narrando il fato di tu
essa grida: Achivi, onde io più non ho patria, alcuno Non sia tra voi
che
d’appressarsi ardisca: Vittima volontaria offro i
li ultimi detti Del dardanio valor memoria eterna: II collo e’l petto
che
ferir bramasti. Eccoti, Pirro: ove tu vuoi ferisc
morte d’Ifigenia è prezzo dell’opera il far precedere alcune notizie
che
riguardano questo sacrifizio. Vi sarà in primo lu
notizie che riguardano questo sacrifizio. Vi sarà in primo luogo noto
che
Timante nella pittura che lo rappresentava avendo
sto sacrifizio. Vi sarà in primo luogo noto che Timante nella pittura
che
lo rappresentava avendo tutte le immagini di mest
o Euripide, coperse di un velo, quasi disperasse dell’arte, Pausania,
che
dovrebbe essere nelle mani di tutti gli artisti,
, Pausania, che dovrebbe essere nelle mani di tutti gli artisti, dice
che
presso gli Egineti vi era un’antica statua credut
cordia di pareri regna sull’esito di questo sacrifizio. Alcuni dicono
che
Ifigenia fosse immolata, come Eschilo nell’Agamen
ofocle nell’Elettra, Lucrezio ed Orazio. Altri, come Euripide, dicono
che
Diana, compassionando la giovine principessa, l’a
’ha posta nel numero delle sue Metamorfosi. Antonino Liberale riporta
che
fu cangiata in una specie di Genio immortale, e c
Liberale riporta che fu cangiata in una specie di Genio immortale, e
che
nell’isola di Leuce si congiunse ad Achille. Evvi
a da molti famosi lirici, e specialmente da Stesicoro, la quale narra
che
una donzella di questo nome fu in Aulide sagrific
le narra che una donzella di questo nome fu in Aulide sagrificata, ma
che
di Teseo, e non di Agamennone era figlia, e che E
ulide sagrificata, ma che di Teseo, e non di Agamennone era figlia, e
che
Elena a lui l’aveva generata quando al rapimento
na a lui l’aveva generata quando al rapimento fe’ succedere V imeneo,
che
essa non ardì a Menelao manifestare. Racine, prim
aducendo la parlata di Clitennestra, e la descrizione del sacrifizio,
che
di bellezze classiche ridonda. Udite, innanzi, i
da. Udite, innanzi, i divini versi di Lucrezio sull’istesso soggetto,
che
ho desunti dal volgarizzamento del Marchetti. A q
ara a macchiar della gran dea triforme Co ’l sangue d’Ifigenia, allor
che
cinta Di sacra fascia il bel virgineo crine Vid’e
o Stillar per gli occhi in larga vena il pianto Sol per pietà di lei,
che
muta e mesta Teneva a terra le ginocchia inchine.
a dolente tua consorte. Oh mia Madre, son queste le sperate nozze? Ma
che
? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi
rate nozze? Ma che? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi,
che
sicura al ferro Offro il collo animoso. — In ques
ose. Achille lo prende, intorno all’ara Corse, e quindi esclamò: Dea,
che
godi Col certo strale saettar le belve, E col tuo
cun non vide. Un grido alzava il sacerdote; e tutto L’esercito gridò,
che
inopinato Era il portento, sì che visto ancora Fe
acerdote; e tutto L’esercito gridò, che inopinato Era il portento, sì
che
visto ancora Fede non ottenea. Giaceva al suolo P
e, e tutta avea Sparso del sangue suo Tara del nume. Con quella gioia
che
pensar ti puoi Allor Calcante esclama: dell’ Ache
e esclama: dell’ Acheo Campo duci supremi, or la montana Cerva mirate
che
la dea si pose Qual vittima dinanzi, e se ne appa
ati navigli e membra infrante Ira miglior degli accusati venti. sole,
che
nell’esecrata terra D’Atreo ravvisi il vero erede
li apprestaf Il genitore. E già Calcante Oh crudi: Fermate; il sangue
che
già scorre, è sangue Di chi il fulmine vibra; il
s’accinge. Ma la vergine esclama: arresta, il sangue Di quel possente
che
nel sen mi scorre. Verserò senza della man profan
pio, e non giunsero a quell’alto grado di bellezza e di perfezione in
che
collocate sono, se non arricchite dall’ eredità d
ricchite dall’ eredità del sapere. Così le statue non furono dapprima
che
rozze ed informi pietre, destinate a rappresentar
motivo per concedere precedenza ad un paese anziché ad un altro. Dopo
che
Iddio fu dimenticato dai potenti felici, il bisog
ne, nobilitando così la nostra natura, e diminuendo i’ immenso spazio
che
l’uomo dalla divinità divide. Qual terra adunque
a adunque esser vi può dove non sia nato quest’ uso, e chi non scorge
che
l’origine di esso nelle tenebre della più remota
le tenebre della più remota antichità sta nascosa? Osserva Winkelman,
che
coloro i quali trattano del nascer di un’arte, so
altre è maestra. Per evitare questo errore sarò contento di osservare
che
nelle più antiche statue egizie non erano separat
in Arcadia foggiati erano Nettuno e Giove: tale era la Venere Urania
che
Pausania vide in Atene. Erme (come noto è a tutti
i, con profondo scherzo, paragona Giovenale gl’inetti nobili di Roma,
che
si appoggiavano sulla fama degli avi. A questi ab
n si dava solamente alle statue di Mercurio, ma a tutte quelle ancora
che
ne imitavano la figura. Onde diceasi Ermatene, Er
ulacri erano sparsi, ed Alcibiade fé’ troncare il capo a tutti quelli
che
erano in Atene, a riserva di quello che stava ava
oncare il capo a tutti quelli che erano in Atene, a riserva di quello
che
stava avanti la porta di Andocide, che per questo
in Atene, a riserva di quello che stava avanti la porta di Andocide,
che
per questo motivo la prigionia sofferse. Nè fuggì
to. Ma di tutte le teste rimaste fu modello il volto di Alcibiade; al
che
allude l’eleofante Ariste lieto in una sua letter
to in una sua lettera, dove una donna di sue bellezze gloriosa scrive
che
norma il sembiante di lei, e non quello di Alcibi
il cipresso erano materia all’effigie degli Dei. Nel Giove Olimpico,
che
veruno emulò, e neir Esculapio di Epidauro, l’avo
no emulò, e neir Esculapio di Epidauro, l’avorio erano con artificio,
che
vincea la preziosa materia, distribuiti. Anticame
eria, distribuiti. Anticamente la creta serviva alle statue degli Dei
che
furono detti Fictilia, dall’arte di gettarle, e P
i Dei che furono detti Fictilia, dall’arte di gettarle, e Plinio dice
che
la semplicità dei primi Romani escludeva l’oro an
so gli Egiziani ne erano alcuni colossali, altri piccolissimi, e tali
che
comandavano riso ed affronti, e gli ebbero da Cam
tali che comandavano riso ed affronti, e gli ebbero da Cambise allora
che
a Memfi vide il tempio di Vulcano. Però quando l’
Tolomei, imitarono i greci costumi nel rappresentare la divinità; il
che
fu loro di doppio vantaggio cagione, giacché del
del vincitore evitarono gli scherni, ed ai Greci vani fecero credere
che
la loro mitologia veniva interamente dall’ Egitto
piccole, come quelle de’ Lari e degli dei Pataici d’ origine fenicia,
che
sulla prora dei vascelli si collocavano. Numerose
ttore, ne farà memoria, sarà mia cura riferirne la descrizione allora
che
tesserò l’istoria degli Dei. Costumavasi offrir l
e preci nei pubblici infortunj, e così piene della deità reputavansi,
che
Dei erano dette. Nel giorno festivo dei numi, ai
re. Esposte intorno alle statue le notizie piii importanti, conviene,
che
de’ boschi sacri ancora favelli; l’uso dei quali
onviene, che de’ boschi sacri ancora favelli; l’uso dei quali è certo
che
ha preceduto quello dei templi, come vi ho dimost
lle selve, spaventò dai più remoti tempi l’ignavo timore dei mortali,
che
vi adoravano lo stesso silenzio, e l’ombre di div
era vietato ai profani; quindi vi si fabbricarono ed altari e templi,
che
n’accrebbero la religione. E quando questi ultimi
ale li traea il loro genio e delle altre genti l’esempio, non permise
che
l’altare di Dio fosse circondato da alberi a fogg
ato da alberi a foggia di selva. Pure, tanto l’inclinazione prevalse,
che
Gerusalemme stessa vide un bosco fra le sue mura.
Corone, ghirlande, doni vi appendeva la superstizione, prodiga tanto,
che
appena, al dire di Stazio, luogo restava ai rami.
dei quali la descrizione presso gli antichi si legge. Famosa è quella
che
Lucano ne ha data del bosco di Marsiglia, che i s
legge. Famosa è quella che Lucano ne ha data del bosco di Marsiglia,
che
i soldati romani atterrarono, non liberati coll’e
garizzato quella parte del Tieste di Seneca, ove si descrive il bosco
che
era presso alla reggia degli empj fratelli. Confi
rive il bosco che era presso alla reggia degli empj fratelli. Confido
che
vi riempirà di maraviglia e di terrore non meno i
e le sono mille travi aurate Ornamento e sostegno. Appo le note Pompe
che
adora, e per cui serve il volgo. Sembra la reggia
tan tutte altere L’avite colpe, gran base di regno. Nasce fra l’ombre
che
ogni augello teme Un rivo, e pigro qual palude st
catene, ulular l’ombre. Ombre di sangue. Qui, con gli occhi vedi Ciò
che
udire è terror; splende la selva Come da fiamme a
buio d’ inferno. Han certa Pur qui risposta i dubitati voti, E allor
che
il nume i fati apre, lo speco Mugge. Traendo del
nocenti mani Al tergo avvince: i giovinetti al cielo Levan la fronte,
che
purpurea benda Mestamente circonda: incensi, il s
esta reggia Sembra, ondeggiando, dubitar. Si cangia In sangue il vino
che
libò l’ iniquo Re, cui cadon le bende. 1 rei mini
ampia ferita Gli fa nel petto Atreo: si cela il ferro Tutto nel seno,
che
alla man si giunge. Lo tragge, e sopra i pie mal
e l’ampia fame Sol depone e non l’ ira, e il ruggito Dei fieri denti
che
minaccian stanchi I timidi torelli: ahi: tale Atr
ell’ingegno mio lo concedeva, di rendere vostre tutte quelle notìzie,
che
preceder deggiono lo studio delle favole e la sto
, che preceder deggiono lo studio delle favole e la storia degli Dei,
che
colla scorta de’ Classici e dei monumenti mi acci
e difficile, come Pausania l’attesta, sarebbe il numerare le nazioni
che
si gloriarono di aver data a Giove l’educaziono o
cuna, o perchè i re tutti ebbero presso gli antichi questo nome, sia
che
la patria dei sommi fu sempre di dubbi e di contr
etesi mendaci, i quali additano pure il sepolcro di Giove, i Messenj,
che
?ul giogo d’Itome mostrano un fonte, dove le ninfe
dia è illustre ancora pel fiume Lusio, il quale per Cortina scorre, e
che
, secondo Pausania, servì allo stesso uso del font
fine alle morti dalla peste e dalla fame cagionate, fu loro risposto
che
cesserebbero quando l’ossa di Ettore fossero da O
quando l’ossa di Ettore fossero da Obrino trasportate in quella città
che
non avesse militato all’eccidio di Troia, e che f
rtate in quella città che non avesse militato all’eccidio di Troia, e
che
fosse ad un tempo patria di Giove; ed ambedue que
alità si trovarono riunite in Tebe, città della nominata regione. Che
che
ne sia, l’istoria dei natali di Giove, del parto
to, si trova espressa in un’ara grande, scolpita nelle quattro faccio
che
fu trovata in Albano, e che il celebre Gori fece
ara grande, scolpita nelle quattro faccio che fu trovata in Albano, e
che
il celebre Gori fece incidere, e pubblicò nella C
i di tanto fanciullo, poiché Luciano e Arato, con molti altri, dicono
che
alimento gli fosse il latte della Capra di nome A
ove b'ambino portato da questo animale. Virgilio nelle Georgiche dice
che
dalle Api fu pasciuto di miele nell’antro Ditteo
iche dice che dalle Api fu pasciuto di miele nell’antro Ditteo Giove,
che
in mercede loro quindi concesse maraviglioso inte
tre del folgore gli assegnasse in educatrici. Lasciò scritto Cicerone
che
in un tempio veneratissìmo vedevasi la statua del
mma veduta dal Bandini. Protessero l’educazione del nume i Coribanti,
che
furono detti Cureti ancora, e Dattili Idei, che c
del nume i Coribanti, che furono detti Cureti ancora, e Dattili Idei,
che
con celere ed armonica danza movendosi, picchiava
d onorare due imperatori romani, Caracalla e Decio. Titano si accorse
che
Giove e i fratelli di lui erano contro il giurame
i di lui erano contro il giuramento educati; onde di tale sdegno arse
che
Saturno e Rea circondò di catene. Udì Giove adult
e gli apparve un’aquila, augurio della vittoria futura; perciò volle
che
sacra gli fosse, e quando, al dir di Orazio, l’es
Nel Museo Gherardesca, vedrete Giove assiso sopra ornatissimo trovo,
che
il destro piede fa posar sull’aquila, quasi base
riunì il primiero esercito, e cercò di aggiungere i Cecropi fallaci,
che
ricevuti gli stipendj, derisero la fede del giura
deve il suo nascere la madre degli amori. Favoleggiarono gli antichi
che
Apollo coronato di lauro e vestito di porpora can
stà de’ suoi versi ci dipinge l’aquila, assisa sullo scettro del dio,
che
l’ale e gli occhi dechina per la dolcezza del suo
ghe chiome: sii tale come quando cantasti lodi a Giove vincitore dopo
che
fu posto in fuga Saturno. » Ma col regno di Giove
la terra non era domata dall’aratro; i limiti non dividevano i campi,
che
volontarj producevano tutti i frutti. Veleno non
con altri giganti congiurati tentò rapirgli l’occupato trono; Egeone,
che
contro il fulmine del Saturnio picchiar faceva ce
uesta vittoria Giove soggiogò le nazioni dell’Oriente, instituì i re,
che
secondo Omero, sono la prima cura di lui. Domò al
a prima cura di lui. Domò altri giganti dei quali era capitano Tifone
che
si accamparono nei campi Pallenj in Macedonia e n
i accamparono nei campi Pallenj in Macedonia e nei Flegrei in Italia,
che
poscia furono chiamati Cumani. Istituì leggi, vie
l’uso delle carni umane, mostrando ai mortali le ghiande della querce
che
perciò gli fu sacra, e divise l’universo trionfat
la sorte. Peride Callireuco non ammette questa credenza, considerando
che
solo le cose eguali si lasciano, e fra gli eguali
ria sua casa. Lattanzio spiega questa favola istoricamente, asserendo
che
l’oriente fu di Giove, l’occidente di Plutone, e
regioni marittime di Nettuno. Non ostante, fu opinione degli antichi
che
il potere di Giove non solamente al cielo si limi
ntichi che il potere di Giove non solamente al cielo si limitasse, ma
che
sul mare e sulla terra ancora fosse esteso. E que
ania nel tempio di Minerva in Corinto. Era fama presso quei cittadini
che
davanti a quella statua Priamo, nell’eccidio di T
ell’eccidio di Troia, tentasse fuggire l’imminente fortuna, ignorando
che
fra le cure dei vincitori non fu mai la riverenza
tranquillo. Ozio beato regnò nell’Olimpo, e coll’ozio vennero i vizj,
che
mai sempre furono la ricreazione dei potenti sicu
ne dei potenti sicuri. L’amore divenne gran parte della vita di Giove
che
vestì mille sembianze per deludere il geloso inge
ociando in tal maniera col cielo la terra. Il celebre ratto di Europa
che
die nome ad una parte del mondo, è fra le segnala
o dà descritto in un Idilio, con tanta grazia e semplicità così bella
che
vince ogni dire. Uditene la traduzioue che ho ten
ia e semplicità così bella che vince ogni dire. Uditene la traduzioue
che
ho tentata, e che sarà copia infelice di così leg
sì bella che vince ogni dire. Uditene la traduzioue che ho tentata, e
che
sarà copia infelice di così leggiadro originale.
leggiadro originale. Già Venere ad Europa un caro sogno Mise allora
che
l’ombra ultima cade Alla sorgente aurora, e dolce
aureo canestro Opra del dio Vulcano: in dono il diede A Libia allora
che
fu sposa al nume Scotitor della terra: ella alla
ui preme unica notte I cento lumi; dal recente sangue L’augel nascea,
che
delle occhiute piume Colla pompa emular sembra le
, che delle occhiute piume Colla pompa emular sembra le vele Di nave,
che
pel mare aperto vola. Le labbra estreme dell’aura
Ognuna D’appressarsi s’invoglia, e il mansueto Amabil toro carezzar,
che
vince Coll’alito divino ancor dei prati La fragra
sì dicea ridendo, E sopra il toro ascese. Appena il caro Peso sentia,
che
salta in piedi, e vola Al mare. Europa alle dilet
ra Del bianco seno, ed ai liberi crini L’error felice accresce. Allor
che
lunge Dalla terra già sua non vide Europa Più lid
li illustri, Scettrati regi all’universo intero. — Disse, e fu fatto,
che
di Giove i detti Son fato. Apparve Creta, e spogl
spogliò Giove La mentita sembianza, e sciolse il cinto Alla donzella,
che
divenne donna E chiara madre alla sperata prole.
i e i terapli di Giove. A diverse sembianze favoleggiarono i poeti
che
sottoponesse la sua divinità il padre degli uomin
re dei suoi amori contento. Dopo le nozze di Meti figlia dell’Oceano,
che
a mostruoso fato soggiacque, e quella pure di Tem
ngiò in cuculo, e volò nei campi corintj sul colle già detto Tronace,
che
Coccige quindi, con greco vocabolo, fu per tal mo
eco vocabolo, fu per tal motivo chiamato. Tempesta, comandata dal dio
che
a sua voglia il cielo oscura e rasserena, coperse
cuculo, e con ali umide e tremanti si pose sulle ginocchia della dea,
che
impietosita lo celò nella sua veste. Depose allor
o innamorato chi resiste? Dal primo furto di Giove nacquero le Preci,
che
, al dir d’ Omero, seguono con tardo piede l’ingiu
trasformato volò presso lei, fìngendo evitare l’artiglio di un’aquila
che
sopra gli pendeva. Elena e Polluce nacquero dal p
o vi ha narrato nella passata Lezione il ratto di Europa. x\ggiungerò
che
Giove ehbe da lei Minosse e Radamanto. Fra le ama
ore della colpa, repudiò la consorte, e le successe nel talamo Dirce,
che
alle tenebre di una prigione condannò la rivale.
e condannò la rivale. Sua propizia fortuna, o di Giove il volere, fé’
che
vicina a partorire fuggisse nel Citerone, ove die
partorire fuggisse nel Citerone, ove diede alla luce Anfione e Zeto,
che
adulti, divennero vendicatori dell’ingiuria mater
trigna. Nò di minore compassione percuotono il cuore le vicende d’Io,
che
Ovidio, volgarizzato dall’ Anguillara, vi narrerà
sanza dell’oro:) deve a Giove l’esser madre di Perseo, di quel famoso
che
liberò Andromeda bella, benché bruna pel colore d
da bella, benché bruna pel colore della sua patria. Argo e Sarpedone (
che
tanta lode ottenne pugnando sotto le mura d’Ilio)
di Deidamia, da Giove delusa. Che dirò d’Ercole, prima lode di Giove,
che
in tante imprese vincitore stancò la fama, ma non
vincitore stancò la fama, ma non l’ire della matrigna? E noto a tutti
che
tanto figlio ebbe Giove da Alcmena, che ingannò c
ella matrigna? E noto a tutti che tanto figlio ebbe Giove da Alcmena,
che
ingannò colle sembianze d’Anfitrione marito. Nè m
unita della dimanda superba, poiché celebre al pari d’Ercole è Bacco,
che
empì l’ Oriente e 1’ Occidente di sua fama, e fu
ndro. A questi s’aggiunga Piritoo, tìglio della consorte d’Issione, e
che
l’ardire e l’amicizia rendono illustre. Eccovi il
bionda Cerere generò da lui Proserpina, per cui tanto pianse ed errò,
che
col primo sorriso mansuefece la severa mestizia d
i, oblio sicuro delle mortali sciagure. E Giove non fu meno ambizioso
che
lascivo, poiché, come. Lattanzio riferisce, sul m
tanzio riferisce, sul monte Olimpo abitando, proponeva premj a coloro
che
d’utili ritrovati arricchissero l’uman genere, e
enere, e quindi s’arrogava la gloria dell’invenzione. Ma tutto quello
che
d’isterico hanno preteso di ritrovare gli antichi
e qualora vi sia qualche parte di vero, é colla favola tanto confuso
che
é impresa ardita ed inutile lo sceverarlo, abband
licenza di congetture difficili ed infelici. Beve render cauti coloro
che
di mendace fama in traccia non vanno, il vaneggia
i mendace fama in traccia non vanno, il vaneggiare di molti illustri,
che
tanto differiscono nei resultati delle loro ricer
ebre di una religione così diversa per origine, indole, tempo ed uso,
che
tanto deve alle costumanze, ai bisogni, alle sper
pinioni, vi parlerò dei templi più famosi di Giove e dei nomi diversi
che
l’evento, i luoghi e le persone gli diedero, i qu
anti di entrarvi (così favella il mentovato scrittore) conviene dirvi
che
Adriano imperatore dei Romani l’ha consacrato, po
imperatore dei Romani l’ha consacrato, ponendovi quella bella statua
che
converte gli occhi di tutto il mondo, non per la
per la sua ricchezza perchè è d’avorio e d’oro, e per la proporzione
che
vi re gna, in che si dimostra dell’artefice l’ecc
zza perchè è d’avorio e d’oro, e per la proporzione che vi re gna, in
che
si dimostra dell’artefice l’eccellenza. Voi vedet
Sulle colonne del tempio sono rappresentate in bronzo tutte le città
che
gli Ateniesi chiamano colonie di Adriano. Il reci
to passi geometrici), ed in così lungo circuito voi non trovate luogo
che
non sia pieno di statue, perchè ciascuna città ha
a gli Ateniesi si sono particolarmente distinti col magnifìco colosso
che
hanno eretto ad Adriano, che è situato dietro il
olarmente distinti col magnifìco colosso che hanno eretto ad Adriano,
che
è situato dietro il tempio. Contiene tanto spazio
ra una colonna, su cui è la statua di Socrate, uomo degno di memoria,
che
alla posterità lasciò tre grandi esempj: il primo
to d’insegnare e di avere discepoli; il secondo di una modestia rara,
che
dagli affari pubblici e dalle cure del governo lo
l governo lontano lo tenne; il terzo di amore supremo per la libertà,
che
attestò essergli più cara della vita, perchè udit
di mestieri porre nella stessa classe quei Persiani di marmo frigio,
che
sostengono un treppiede di bronzo, e che sono cap
ei Persiani di marmo frigio, che sostengono un treppiede di bronzo, e
che
sono capilavori tanto essi che il treppiede. Del
e sostengono un treppiede di bronzo, e che sono capilavori tanto essi
che
il treppiede. Del resto, il tempio di Giove Olimp
eppiede. Del resto, il tempio di Giove Olimpico è antico: si pretende
che
da Deucalione fosse edificato; ed in prova, la to
icolarità rileva nelle Illustrazioni dei marmi Arimdelliani Prideaux,
che
osserva come questo tempio era grande quanto quel
era grande quanto quello di Salomone, e minore al solo tempio di Belo
che
in Babilonia sorgeva. Pisistrato gli die principi
tto sopra, ad Adriano. La costruzione e gli ornamenti costarono somme
che
sembrerebbero incredibili, se s’ignorasse che set
namenti costarono somme che sembrerebbero incredibili, se s’ignorasse
che
settecento anni scorsero dalla fondazione al comp
to anni scorsero dalla fondazione al compimento. É vanto per l’Italia
che
Copuzio Romano fosse l’architetto della navata. N
o fosse l’architetto della navata. Nè minor pompa spiegava il tempio,
che
costruito in Elide a Giove, detto pure Olimpico,
intorno al tempio un cordone, e vi erano affissi ventuno scudi aurei,
che
da Mummie vincitore furono consacrati al dio. Con
colonne si arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia,
che
niuno, al dir di Quintiliano, potè emulare; in cu
tè emulare; in cui l’oro e l’avorio erano distribuiti con tal lavoro,
che
la preziosa materia era vinta. Una corona che imi
ribuiti con tal lavoro, che la preziosa materia era vinta. Una corona
che
imitava le foglie di ulivo cingeva la fronte del
Una corona che imitava le foglie di ulivo cingeva la fronte del nume,
che
nella destra tenea una Vittoria, pure di avorio e
alle figure di animali diversi: agli angoli vi erano quattro Vittorie
che
pareano darsi la mano per danzare; altre due stav
rano figurati sette vincitori dei giuochi olimpici, nell’altra Ercole
che
coll’Amazzoni a combattere si prepara. Oltre i gr
re si prepara. Oltre i gradini del trono, vi erano ancora due colonne
che
gli erano di sostegno. Finalmente una gran balaus
opera racchiudeva. Paneno fratello di Fidia vi avea ritratto Atlante
che
sosteneva il cielo, ed Alcide pronto ad ofi’rire
scolpito da una parte Giunone, Giove e le Grazie; dall’altra il Sole
che
guidava l’eterno suo carro. Vi si ammirava Venere
’altra il Sole che guidava l’eterno suo carro. Vi si ammirava Venere,
che
appena nata dal mare era accolta dall’Amore, e la
sto bassorilievo dimenticati erano Ercole e Minerva, Apollo e Diana,,
che
con Anfitrite e Nettuno era scolpita pure nel l’e
al suolo. Sarebbe lungo annoverare gli splendidi doni di ogni nazione
che
accresceano la maestà di questo tempio misurato d
esto tempio misurato dalla statua e dal trono di Giove. Basterà dirne
che
dagli antichi, nel loro entusiasmo, questo edifiz
Giove, e disse ver lei con caldo affetto: O ben degna di me, chi fìa,
che
teco Vorrai bear nel tuo felice letto? Deh: vieni
ombre meco Che fian oggi per noi dolce ricetto. Mentre alto è il Sol,
che
‘1 suo torrido raggio Non fesse a tal beltà noia
beltà noia ed oltrasrofio. E se qualche animai nocivo e strano Temi,
che
non t’offenda o ti spaventa. Non temer, che quel
mai nocivo e strano Temi, che non t’offenda o ti spaventa. Non temer,
che
quel dio vero e soprano, Ch’ha lo scettro del cie
ro e soprano, Ch’ha lo scettro del ciel, mai gliel consenta Quel dio,
che
con la sua sicura mano Il tremendo dal ciel folgo
a mano Il tremendo dal ciel folgore avventa. Non fuggir, ninfa, a me,
che
son quell’io Del ciel signore, e folgorante dio.
nore, e folgorante dio. Fugge la bella ninfa, e non ascolta; Ma Giove
che
d’averla era disposto, Fé’ nascer una nebbia oscu
to Giunon chinando a terra, Vide la spessa nebbia in quel contorno, E
che
poco terren ricopre e serra, E ch’in ogni parlar
rren ricopre e serra, E ch’in ogni parlar è chiaro il giorno. Vedendo
che
nè i fiumi nò la terra L’han generata, riguardand
nò la terra L’han generata, riguardando intorno. Del marito ha timor,
che
in ciel non vede, E conosce i suoi furti e la sua
E conosce i suoi furti e la sua fede. Noi ritrovando in cielo, è più
che
certa, Che sian contro di sé fraudi ed offese: Di
d offese: Discende in terra, e quella nube aperta, Non se le fé’ quel
che
credea palese. Giove, che tal venuta avea scopert
a, e quella nube aperta, Non se le fé’ quel che credea palese. Giove,
che
tal venuta avea scoperta, Fé’ che la donna un’alt
fé’ quel che credea palese. Giove, che tal venuta avea scoperta, Fé’
che
la donna un’altra forma prese, E fé’ la violata n
oderà così leggiadra fera! Cerca saper qual sia, donde e di cui, E di
che
armento, e chi l’ha data a lui. Per troncar Giove
rra, Che la gelosa già nel suo cor sente. Perchè non ne cerchi altro,
che
la terra L’ha da sé partorita, afferma e mente. E
, afferma e mente. Ella, ch’aver non vuol quel dubbio in terra, Cerca
che
voglia a lei farne un presente. Che farai, Giove?
terra, Cerca che voglia a lei farne un presente. Che farai, Giove? a
che
risolvi il core? Quinci il dover ti sprona, e qui
so il suo maggior diletto. Così la dea ben curiosa ottiene Quel don,
che
tanto travagliata l’ave: Nè però tolto quel timor
l cor ritiene. Che nuovi inganni e nuovi furti pavé; Onde die il don,
che
sì l’accora e infesta. In guardia ad un ch’avea c
lui si parte o riede, Dinanzi agii occhi suoi sempre la vede. Lascia
che
pasca il dì l’erbose sponde, Che sparte son nel s
da se lo scaccia. Nò man può ritrovar onde l’annode. Pregar il vuol
che
d’ascoltar gli piaccia, Ma come il suo muggire or
ra e mugge, E mille volte vi si specchia, e fugge. Le Najadi non san
che
la vitella, Che vuol giocar con loro, e le scompi
ro, e le scompiglia. Sia la perduta lor cara sorella; Ed Inaco non sa
che
sia la figlia: Tutto quel ch’esse fan vuol fare a
e direbbe anche forte, Se potesse parlar, l’empia sua sorte. Pur fa
che
il padre (tanto e tanto accenna) Seguendo lei nel
scende, Dove l’unghia sua fessa usa per penna Per far noto quel mal,
che
sì l’offende; Rompe col piede al lito la cotenna
nna Per dritto, per traverso, e in giro il fende; E tanto e tanto fa,
che
mostra scritto Il suo caso infelice al padre affl
ro padre in terra legge Che la fìo’lia da lui cercata tanto E quella,
che
credeva esser nel gregge Nascosta sotto a quel ho
a abbraccia, Baciando spesso la cangiata faccia. O dolce figlia mia,
che
in ogni parte, Da dove nasce il Sol fin all’occas
nfondi, E col muggito il mio pianto accompagni? Tu sai dal mio parlar
che
duol m’abbondi; Ved’io dal tuo muggir come tu pia
m’abbondi; Ved’io dal tuo muggir come tu piagni. Io parlo, e fo quel
che
si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel che f
. Io parlo, e fo quel che si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel
che
far puoi. Ohimè: che le tue nozze io preparava F
che si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel che far puoi. Ohimè:
che
le tue nozze io preparava Far con pompa, con gaud
re dio: Poich’ai morir mi son chiuse le porte. Che posso altro per te
che
dolerm’io? E mentre rotan le celesti tempre, Il t
or si duole, E tutte le sue pene in un raccoglie. Lo stellato pastor,
che
la rivuole. Presente il padre la rilega e toglie,
’amata sua s’invecchi; Onde al suo figlio e nipote d’Atlante Commette
che
contr’Argo ir s’apparecchi: E perchè non sia più
erbe il suo gregge ristora: E con le canne sue sì dolce canto Rende,
che
n’addolcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto past
canto Rende, che n’addolcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto pastor,
che
l’ode intanto, Di sì soavi accenti s’innamora, E
vrem grata erba ed ombra il gregge e noi. Il cauto Dio fa tutto quel
che
vuole L’avveduto custode e circospetto, E col suo
e l’intelletto. D’Argo molti occhi han già perduto il sole, E forza è
che
stian chiusi a lor dispetto: Ma molti ei ne tien
rso il sognare, Col pensier desto di sapere agogna, E il pastor prega
che
voglia contare Come fu ritrovata la sampogna, Che
cchia del suo sangue i fiori e l’erba. Argo, tu giaci, e 1 gran lume
che
avevi In tanti lumi un sol colpo ti fura; Tanti o
vegghiar sempre solevi Perpetuo sonno or t’addormenta e tura; E ‘1 dì
che
più d’ognun chiaro vedevi. Una infelice e tetra n
scorno T’ha tolto i lumi, la vigilia e ‘1 giorno. Ma la gelosa dea,
che
gli occhi a terra Chinava spesso al suo fido past
iù belle. Empie di gioie la superba coda Del suo pavone, e gli occhi
che
distacca Dal capo tronco, ivi gl’imprimé e inchio
ciel s’eresse, E con un sospirar, con un muggito, Che veramente parca
che
piangesse. Parca che con Giunone e col marito De’
un sospirar, con un muggito, Che veramente parca che piangesse. Parca
che
con Giunone e col marito De’ suoi strani accident
che con Giunone e col marito De’ suoi strani accidenti si dolesse, E
che
chiedesse il fin, come innocente, Del suo doppio
olesse, E che chiedesse il fin, come innocente, Del suo doppio martir
che
prova e sente. Giove con grato modo e caldo affe
avrà di lei sospetto, E tenga il giuramento Stigio in pegno: E prega
che
placar ornai si voglia, E torle quella rabbia e q
glie commiato: L’occhio suo come pria picciol ritorna, Il volto è più
che
mai giocondo e grato E tornata che fu l’umana fac
ia picciol ritorna, Il volto è più che mai giocondo e grato E tornata
che
fu l’umana faccia, I pie dinanzi suoi si fer due
due braccia. L’unghia sua fessa di nuovo si fende D’altri tre fessi,
che
fan cinque dita; La man già si disnoda e già s’ar
e fan cinque dita; La man già si disnoda e già s’arrende, E torna più
che
mai sciolta e spedita. Tosto si leva e in alto si
non muggire: Apre la bocca al dir, poi la suggella Per non udir quel
che
fuggia d’^udire. S’ arrischia alfin, ma con rotta
Metamorfosi, lib. I. Lezione nona. Dei cognomi di Giove. I nomi
che
diedero a Giove le nazioni, presso le quali fu ad
ali fu rappresentato; in che’ gran parte ebbero ancora i varii poteri
che
gli erano attribuiti. Generalmente il simulacro d
ò del celebrato Giove Capitolino, cui doni mandava il mondo soggetto,
che
fu venerato in molte greche città, e specialmente
e greche città, e specialmente in Corinto col nome di Corifeo? E noto
che
non solo il tetto, ma le pareti erano dorate nel
che non solo il tetto, ma le pareti erano dorate nel magnifico tempio
che
sorgeva sul monte, cui die nome ancora Tarpea, de
a Tarpea, della quale vi narrerà la morte Properzio, ingegno sovrano,
che
col volo della fantasia, col fuoco delle immagini
o dato a Giove: io, non invidiando queste dispute ai grammatici, dirò
che
vi consacrarono opime spoglie Romolo, Cornelio Co
go stesso io ti prometto sotto il nome di Giove Statore un monumento,
che
ai posteri attesti che col tuo presente soccorso
o sotto il nome di Giove Statore un monumento, che ai posteri attesti
che
col tuo presente soccorso hai Roma salvata. — In
ruvio nel terzo libro, degli edifizi peritteri ragionando, ne avverte
che
di tal genere era il tempio di Giove Statore nel
rato era presso i Romani Giove Lapideo. Così chiamavasi per la pietra
che
adoperavano nel giuramento, di cui ci ha conserva
proprj templi, nei proprj sepolcri, e vada in pezzi come questo sasso
che
cade dalla mia mano. » — Queste cose il Megalopol
dalla mia mano. » — Queste cose il Megalopolitano. E Livio asserisce
che
così giuravano i Cartaginesi, e ci mostra Annibal
ivio asserisce che così giuravano i Cartaginesi, e ci mostra Annibale
che
nella sinistra afferrando un agnello, nella destr
l’ara nel Campidoglio, perche ai Romani assediati dai Galli fama era
che
avesse consigliato di gettare del pane negli acca
ere i Romani col mezzo della fame. È opinione di alcuni, ma ridicola,
che
la statua detta Marforio sia il simulacro di Giov
d il commentatore di Pindaro: i Pagani gli attribuirono quel miracolo
che
fece il Redentore per le preghiere di una legione
nne dell’elettricismo. Nè deve passarsi sotto silenzio Giove Vimineo,
che
diede, o più probabilmente ebbe nome da un colle
icità altari gli eresse. Sacra era la vendetta per gli uomini innanzi
che
l’Evangelo insegnasse la sublime scienza del perd
Giove occhi vendicatori. » Eccovi quasi esausta la serie dei cognomi
che
il padre degli uomini e degli Dei ebbe presso i L
e degli Dei ebbe presso i Latini ed i Romani. Ora mi rivolgo a quelli
che
presso i Greci e presso i barbari ottenne. Sarò b
, secondo alcuni, si disse dai turbini, ma più comunemente dall’egida
che
Omero descrive, e che sortì questo nome dalla pel
isse dai turbini, ma più comunemente dall’egida che Omero descrive, e
che
sortì questo nome dalla pelle della capra Amaltea
a colla quale fìguravasi, vi fece in un’altra Lezione saggi Pausania,
che
lasciò scritto che Priamo davanti a questo simula
avasi, vi fece in un’altra Lezione saggi Pausania, che lasciò scritto
che
Priamo davanti a questo simulacro fu ucciso da Pi
acchiato del sangue degli amici e dei parenti ne abbracciava l’altare
che
in Olimpia, al dir di Pausania, sorgeva. Con somm
ione Giove ospitale, o Xenio, riguardavasi, e Virgilio cantò: « Giove
che
sacri diritti agli ospiti concedi. » Nè può omett
che sacri diritti agli ospiti concedi. » Nè può omettersi il cognome
che
gli dava Dodona, celebre selva, ove le Caonie col
Un equivoco della lingua fenicia, nella quale colomba suona lo stesso
che
sacerdotessa., ha la favola originata. E dove las
erdotessa., ha la favola originata. E dove lascio l’antro di Trofonio
che
diede a Giove l’oracolo e il nome? Frequente menz
rarono i Fenici i. Ammone fu detto nell’Affrica dall’arena, ed è noto
che
avea le corna d’ariete, e Lucano ci ha conservato
d’ariete, e Lucano ci ha conservato le alte parole e degne d’un nume
che
rispose a Labieno Catone, quando fu pregato di in
i Ermonto. Con Belo fu confuso dagli Assiri, benché sia più probabile
che
sotto questo nome anticamente adorassero il Sole.
il Sole. Pongo fine e questo lungo catalogo leggendovi la descrizione
che
del Giove del Museo Pio dementino, detto forse da
o, cioè propizio, ha data il padre del famoso Ennio Quirino Visconti,
che
secondo il parere di molti si giovò totalmente de
lumi del figlio. A questa succederà la promessa Elegia di Properzio,
che
ho tradotta, quantunque disperi che le straordina
la promessa Elegia di Properzio, che ho tradotta, quantunque disperi
che
le straordinarie bellezze di cui ridonda possano
ossano in altra lingua trasportarsi. « Il più bel simulacro di Giove
che
ne abbia, come si esprime Visconti, lasciata l’ar
l Museo Pio dementino, dove questa divinità è siffattamente effigiata
che
sembra accostarsi all’idea che n’ebbero le nazion
sta divinità è siffattamente effigiata che sembra accostarsi all’idea
che
n’ebbero le nazioni pagane. Siede egli qual si co
quell’aria, « …qua coslum tempestatesque serenat, » può farci credere
che
invece del fulmine reggesse, come divinità propiz
come il Vin citore in quelle di Domiziano, e come ancor le tre Grazie
che
adornavano il trono del Giove di Fidia in Olimpia
rrata una copia in piccolo, presso Corinto, da un viaggiatore inglese
che
la reputò un Nettuno Ismico. » Tarpea. Dirò la se
con la fida terra Fece al campo corona. Altera Roma, Che fosti allor
che
la guerriera tromba Crollava i sassi del tuo Giov
tupida. mira L’armi diverse e la regal sembianza Tarpea. — Già l’urna
che
appressava al fonte Dall’immemore man le cade: il
Ah non offenda mai l’asta romana Al mio Tazio il bel volto; — e allor
che
il primo Fumo scorgea sulla città levarsi, Salia
re insegni: O belle agli occhi miei tende sabine: Ahi, voglia il ciel
che
nuova preda ai vostri Penati io venga, e del mio
o sia Prigioniera felice: Addio romani Monti, addio Roma, addio Vesta
che
infama La mia vergogna. Ah quel destrier. Sabini,
a mia vergogna. Ah quel destrier. Sabini, Datemi quel destrier stesso
che
porge Volontaria la bocca al fren beato: Del sign
erna chioma, Onde latra il bel corpo, e l’onda freme, E te fanciulla,
che
il fraterno mostro Un dì tradisti col seguace fil
nzelle io sarò colpa Empia ministra del virgineo foco, E di quell’ara
che
il mio pianto irriga. Diman si pugna, ed è pubbli
iso Petto sen balza l’amazzonia schiera Sul Termodonte. Il giorno era
che
a Pale L’ebra turba consacra inni e conviti, E so
i quali era rappresentata a tenore dei nomi e degli attributi diversi
che
l’antica credulità le concesse Nacque ad un parto
chè questi avea patteggiato coi Titani solamente la morte dei maschi:
che
nulla da femmine imbelli potevan temere quegli an
ei maschi: che nulla da femmine imbelli potevan temere quegli animosi
che
appena il fulmine vinse, e che vinti minacciavano
imbelli potevan temere quegli animosi che appena il fulmine vinse, e
che
vinti minacciavano dalle ruine. La cura di educar
e Asterione, come lasciò scritto nel suo Viaggio corintiaco Pausania,
che
nell arcadico sembra contradirsi, dicendo che da
io corintiaco Pausania, che nell arcadico sembra contradirsi, dicendo
che
da Temeno fu educata. Ole antichissimo poeta, att
a quella di Omero, ove Giunone andando a visitare Teti, l’Oceano dice
che
nelle loro case già fu da essi beatamente nutrita
Giunone il divenir moglie del proprio fratello: aggiungerò solamente
che
vi alludevano gli Argivi, onorando un simulacro d
re dell’immortalità all’inimicizia famosa. Favoleggiarono gli antichi
che
lo sdegno di Giunone andasse tant’ oltre che fugg
voleggiarono gli antichi che lo sdegno di Giunone andasse tant’ oltre
che
fuggitasi nella Eubea, non poteva dal suo ritiro
, Pallade, o Giove secondo altri, le accostò al petto Alcide bambino,
che
succhiò il primo alimento dalla sua nemica, che s
petto Alcide bambino, che succhiò il primo alimento dalla sua nemica,
che
svegliata scosse l’odiato fanciullo; onde fìnsero
ca, che svegliata scosse l’odiato fanciullo; onde fìnsero gli antichi
che
il latte parte scorrendo pel cielo ne colorisse q
avano, a tenore di una legge di Numa, le donne famose per impudicizia
che
avessero osato di profanare il tempio colla loro
Devote pure le erano le oche ed il pavone; le prime perchè dell’aria (
che
reputavasi dagli antichi lo stesso che Giunone) s
ne; le prime perchè dell’aria (che reputavasi dagli antichi lo stesso
che
Giunone) sentono il più piccolo cangiamento: il s
le il crine, fatale indugio alla morte cercata. Eccovi esposto quello
che
intorno a Giunone immaginato fa dai poeti e dai t
tutto il merito. E certamente una delle più perfette statue vestite,
che
ci rimanga dell’antichità, e la conservazione e l
la conservazione e l’integrità ne aumentano il pregio, non mancandovi
che
le sole braccia ch’erano già riportate in antico.
Le medaglie e gli altri monumenti antichi c’insegnano facilmente ciò
che
dovea sostenere; la patera, cioè, e lo scettro, s
e l’identità, si potrebbe dire cbe fosse quella stessa di Prassitele,
che
si ammirava nel tempio di Platea in piedi appunto
sione la maniera di quel gran maestro, delle cui opere non conosciamo
che
alcune copie per plausibile congettura, nè sappia
iamo la provenienza della statua da tempi remoti. Ci é soltanto noto,
che
fu nel passato secolo, cioè nel 600, disotterrata
onardo Agostini antiquario. Dalla similitudine del diadema con quello
che
si osserva in alcune medaglie sulla testa della G
ol nome di questa prima Augusta, fu contradistinta, non riflettendosi
che
la bellezza sublime dei lineamenti del volto lung
l’indicarci qualche ritratto, ci mostra una fisonomia affatto ideale,
che
non combina coli’ immagini più sicure di quell’Au
ideale, che non combina coli’ immagini più sicure di quell’Augusta, e
che
lo stile stesso della scultura reclama un secolo
amente se si considera lo stile della testa, ci ravviseremo un non so
che
di quel quadrato, secondo la frase di Varrone, ra
uniformi, solita osservarsi nei monumenti di quello stile più antico
che
noi chia miamo etrusco. Questi caratteri ci danno
erfezione, conservava ancora qualche traccia della maniera più antica
che
l’avea preceduta, come appunto nelle pitture di R
lle maniere usate nelle scuole dei più abili quattrocentisti. Nè meno
che
per la scultura è osservabile questo marmo nobili
no che per la scultura è osservabile questo marmo nobilissimo per ciò
che
può avere relazione alle antiche costumanze. Nota
e coronœ dai Latini. Il nome però più particolare di queste si fatte,
che
sorgono verso il mezzo e vanno decrescendo nei la
ti, ci è stato conservato da Polluce, e più precisamente da Eustazio,
che
così lo descrive. — Dicono gli antichi che la sfe
precisamente da Eustazio, che così lo descrive. — Dicono gli antichi
che
la sfendone è un ornamento femminile, così detto
fionda da lanciare, perchè anch’esso è largo nel mezzo, o nella parte
che
resta sopra la fronte, più stretto e sottile vers
e quali si lega dietro la testa. — La esatta descrizione di un ornato
che
si vede sul capo di tante statue e busti muliebri
una di queste così pieghettate fa menzione Senofonte. Osserva Polluce
che
solevano esser di lino, e che col tenerle piegate
fa menzione Senofonte. Osserva Polluce che solevano esser di lino, e
che
col tenerle piegate si obbligavano a prendere sim
ntivo delle gentildonne e delle matrone, onde ben conviensi a una dea
che
era chiamata dai Gentili Magni Matrona Tonantis.
onantis. » Omero, tradotto dal celebre Cesarotti, vi mostrerà la dea
che
col cinto di Venere accresce la sua eterna bellez
togliere col piacere Giove dalle cure, onde ritardava il fato d’Ilio,
che
maggiore rinacque dalle rovine, «………………………………………
il tenero Sorriso, E’I Desio tutto foco, e la Repulsa, Dolce ritrosa
che
negando invita, E ‘1 Silenzio che chiede, e ‘1 be
o foco, e la Repulsa, Dolce ritrosa che negando invita, E ‘1 Silenzio
che
chiede, e ‘1 bel Mistero Col dito in su le labbra
o spirto, e al core Scende e l’allaccia in dolce nodo e saldo L’amor,
che
l’altro portentoso arnese Di Ciprigna diffonde. U
altro portentoso arnese Di Ciprigna diffonde. Un vago è questo Monil,
che
tolte dall’Eoe conchiglie Formar candide bacche,
ascoste traspaiono a vicenda Celesti forme: tenera Amistade, Che più
che
in sé vive in altrui; l’ignudo Non fucato Candor;
ive in altrui; l’ignudo Non fucato Candor; di sé sicura Nobil Fiducia
che
alla fede invita; E l’ingenuo Pudore, amabil velo
za accorta Che i tempi esplora, e di contrasti ignara Condiscendenza,
che
alle proprie voglie Cede così che delle altrui s’
di contrasti ignara Condiscendenza, che alle proprie voglie Cede così
che
delle altrui s’indonna. Grazie decenti. Atti gent
altrui s’indonna. Grazie decenti. Atti gentili, e quelle Arti celesti
che
dal bello han nome E son alma del bel, gli acconc
l Piacer la Ragione, e d’alma e spirto Mesce i diletti a quell’ardor,
che
senza Leggiadra ésca vital langue e si spegne. Co
vital langue e si spegne. Con tai due nuove e di diversa tempra Arti,
che
all’uopo adattamente appresta, Tutto vince la dea
perdono. Con questo a Giuno ella ritorna; e, prendi, Disse, ecco ciò
che
più t’è d’uopo: il collo Tu ne circonda, e checch
ecché brami o tenti Certa sii d’ottener. De’ tuoi trionfi Godo al par
che
de’ miei; nè del mio zelo Chieggo mercé: solo Giu
r sorpreso Di lei, di se: Tu qui dal ciel? domanda, Compagna amata, e
che
ti guida? — sposo, (Tinta le guance d’un rossor g
il giuro Pel capo tuo, per quell’augusto letto Conscio della mia fé,
che
mai non seppi Nè profanar nè spergiurar: prescriv
asce. Per man la prende, e: Sì, dice, vincesti, Tuo ritorno, son tuo:
che
ignota forza Esce da te, dai detti tuoi: qual nov
e tutto M’empie lo spirto e ‘1 cor: No dea, no donna Non fu giammai,
che
con sì cara e degna Seduzion mi risvegliasse in p
, riprese Sospirosetta con sogghigno accorto, Scherzi o t’infinofi: e
che
? t’uscir di mente La candida Latona, e Cerer bion
emole, Alcmena, e Leda, e Danae, e…? — Taci, L’interruppe commosso, a
che
richiami Obliate memorie? oh fossi ognora Stata q
osso, a che richiami Obliate memorie? oh fossi ognora Stata qual sei,
che
dal tuo sen divelto Altro mai non m’avria. Non ri
terra a questi Deve Alcide, e Polluce, e Perseo, e Bacco, Veraci eroi
che
di tiranni e mostri Purgar cittadi e disertar for
mia compagna e sposa Volle il destin: sopra ogni dea t’esalta Il nodo
che
ne stringe, esempio augusto Dei solenni Imenei, f
io augusto Dei solenni Imenei, figura e pegno Di quel nesso vivifico,
che
cielo Con terra innesta, e l’universo attempra. N
ipiglia il re del cielo): occhio profano Di nume, o di mortai non fìa
che
turbi Le nostre gioie: inaccessibil velo Anche al
di purpurei solchi Cela i riti d’amor. Sentì la terra La sacra fiamma
che
‘1 Tonante accende, E dall’intime viscere dischiu
e teneri giacinti, E di candidi gigli, e d’aureo croco Messe odorosa,
che
a’ due sposi appresta Profumato d’ambrosia amico
ne. Moltiplici, quasi al pari di quelli di Giove, furono i cognomi
che
la verità degli ufficii, la fantasia dei poeti, l
lie di Faustina è effigiata nelle sem. bianze di una matrona stolata,
che
ha nella destra la patera e l’asta nella sinistra
Juga dicevasi, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi,
che
davanti al suo altare si univano con un laccio in
iale, cognominata era, perchè nelle nozze onoravasi, e fra i precetti
che
il sommo filosofante di Cheronea diede ai maritat
into beato. Regina appellavanla i Latini, e celebre era il suo tempio
che
Camillo, unica lode della patria cadente, traspor
rasportò da Yeio sull’Aventino. Altro pure ne sorgeva sul Campidoglio
che
C. Flaminio nella sua guerra contro i Liguri avea
lla consorte del Tonante. Insigne nella storia delle arti è il tempio
che
a Giunone, sotto lo stesso nome, sorgeva in Ardea
o se onore di tempio avesse sul Campidoglio, o sull’Aventino. Certo è
che
ivi si conservano i libri, nei quali era opinione
così l’asta significavano i Sabini, Roma la invocò, e di qui vogliono
che
derivasse il costume di dividere coU’asta le chio
Lacinia, e santo a tutti i popoli era il suo tempio: e Fulvio Censore
che
lo scemò di marmi per ornar il tempio della Fortu
ornar il tempio della Fortuna Equestre, volle l’antica superstizione
che
colla morte de’ suoi figli fosse della sacrilega
punito. Giunone Caprivora fu adorata dai Lacedemoni, e Pausania vuole
che
l’uso di sacrificarle quell’animale fosse stabili
po aver pugnato con Ippocoonte ed i suoi figli, volle onorare la dea,
che
favorevole gli era stata. Samia ed Argiva fu dett
evole gli era stata. Samia ed Argiva fu detta dalle due greche città,
che
vi accennai disputarsi la gloria di esser patria.
vi accennai disputarsi la gloria di esser patria. La statua della dea
che
in Argo amruiravasi, era opera di Policleto, comp
utarco nella vita di Aristide. Di Telchinia, così detta dai Telchini,
che
primi fecero le statue dei numi, favella Diodoro.
ionar degli altri sarebbe inutile e noioso. Aggiungerò la descrizione
che
Visconti nel Museo Pio Clementino dà di due statu
iunone velata, e di Giunone lattante. Udirete, ch’egli porta opinione
che
il fanciullo, il quale è nelle braccia della se c
ardini. Molte immagini, onde può far tesoro il pittore, mi è sembrato
che
adornino questo mitologico racconto, che per vost
ro il pittore, mi è sembrato che adornino questo mitologico racconto,
che
per vostra utilità, seguendo il mio costume, ho a
è considerabile per la sua integrità, essendosi conservata la destra
che
sostiene la patera. Questo simbolo, il velo e il
mbolo, il velo e il diadema la caratterizzano abbastanza per Giunone,
che
velata appunto s’incontra e colla patera nelle an
che velata appunto s’incontra e colla patera nelle antiche medaglie,
che
portano l’epigrafe di Giunone regina. E velata er
che portano l’epigrafe di Giunone regina. E velata era la sua statua
che
sul Campidoglio si venerava, come dai medaglioni
no le tre divinità capitoline. Era così proprio il velo dì questa dea
che
Albrico e Fulgenzio, vissuti in un tempo nel qual
danno dell’industri spiegazioni. « Il primo intende pel velo le nubi
che
ofi’uscano Taria, di cui questo nume è il simbolo
ia, di cui questo nume è il simbolo; l’altro crede additarsi col velo
che
le ricchezze, delle quali Giunone è arbitra, si t
aglie; ed oltre il velo aveva ancora sul capo una specie di modio: lo
che
più volentieri osservo, perchè nel nostro simulac
ticamente questo attributo, rimanendovi ora sul capo un piano rotondo
che
lo reggeva, oltre un foro quadrangolare in cui s’
drangolare in cui s’innestava. questo fosse un vestigio delle colonne
che
negli antichissimi tempi si venerano per statue,
per statue, o un vero moggio, segno della gratitudine degli adoratori
che
dichiaravano così tenere dai numi le loro dovizie
chiaravano così tenere dai numi le loro dovizie: nella nostra statua,
che
non è certamente di uno stile così antico, può di
pel soggetto questa statua di Giunone lattante. Ma quanto siamo certi
che
la dea sia appunto la sposa e la germana di Giove
Giove, e per l’ornamento del capo, e per una certa nobile fiso nomia
che
è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambi
le fiso nomia che è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambino
che
tiene al petto. Winkelmann, che il primo ha pubbl
altrettanto siamo dubbii sai bambino che tiene al petto. Winkelmann,
che
il primo ha pubblicato questo curioso simulacro,
crede Pausania, o persuasa da Pallade, al dir di Tzetze. Si aggiunge
che
il robusto infante la morse, onde essendosi spars
effigie di Giunone in simile atto, non avendo il bambino nessun segno
che
lo distingua pel figlio di Giove e di Alcmena, no
Giove e di Alcmena, non siamo sicuri di questo soggetto. Sembra anzi
che
Albrico abbia supposto che in simili immagini il
amo sicuri di questo soggetto. Sembra anzi che Albrico abbia supposto
che
in simili immagini il bambino sia Mercurio, anch’
o marmo; non solo perchè dovea esserle il più diletto, siccome quello
che
, secondo la Mitologia meno antica, riconosceva la
nella sinistra. L’epigrafe intorno, Julia Augusta, mostra chiaramente
che
vuole alludersi all’imperatrice. Quest’allusione
nte che vuole alludersi all’imperatrice. Quest’allusione non permette
che
il bambino possa interpretarsi per altro che per
t’allusione non permette che il bambino possa interpretarsi per altro
che
per Marte. Il fiore che è nella destra della dea
che il bambino possa interpretarsi per altro che per Marte. Il fiore
che
è nella destra della dea n’è un’altra prova. Sapp
e che è nella destra della dea n’è un’altra prova. Sappiamo da Ovidio
che
offesa Giunone per non aver avuta parte nel natal
r avuta parte nel natale di Pallade, voleva anch’essa avere una prole
che
fosse sua unicamente, doride o Flora fu quella ch
sa avere una prole che fosse sua unicamente, doride o Flora fu quella
che
trovò il mezzo di appagarla presentandole un fior
o di appagarla presentandole un fiore nato ne’ campi olenii di Acaia,
che
col solo contatto la rese feconda. La prole fu Ma
della dea confermano questo pensiero. Può dirsi una Giunone Marziale,
che
ad altro per avventura non si riferisce questo su
er avventura non si riferisce questo suo epiteto, e l’erba o il fiore
che
ha nella destra nelle monete di Gallo e di Volusi
vigliosa generazione del dio della guerra. Mi resta solo ad osservare
che
Giunone ebbe ancora il titolo di Natalis, ed allo
e che Giunone ebbe ancora il titolo di Natalis, ed allora è lo stesso
che
Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal p
ncora il titolo di Natalis, ed allora è lo stesso che Lucina, ufficio
che
potrebbe simboleggiarsi dal putta che stringe al
è lo stesso che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal putta
che
stringe al seno. « Ma questa statua, la cui testa
o il resto delle membra e del panneggiamento d’uno stile così diverso
che
non può attribuirsi ad un solo maestro, benché il
zi della gente prima. Come fui bella io noi dirò: lo vieta Il rossore
che
grazie accrebbe al volto, Onde a mia madre fu gen
enero un dio. Primavera fìoria: nei verdi prati Errar mi vede Zeffiro
che
chiama L’erbe novelle: io fuggo, e già mi segue,
forte; Che dato avea della rapina il dritto Al lascivo fratel Borea,
che
ardio Nei talami Erettei la cara preda Portar, st
rbe il suolo. Nella terra dotai possiedo un orto. Che educa l’aura, e
che
coli’ acqua irriga Limpido rivo; dei gentili fior
contar volli, Ne lo potei. La copia era maggiore Del numero. Ed allor
che
col primiero. Raggio alle foglie la rugiada il so
ancor sei lode, Perchè simile a te non fer gli Dei Altro fanciullo. A
che
di Croco io parlo E d’Ati e del fìgiiuol di Mirra
iuol di Mirra infame. Famoso pianto della Cipria dea, E d’altri mille
che
non han qui nome, Che dall’altrui dolor cresce il
balzò dalla divina testa Palla nelle paterne armi sonante. All’Ocean
che
tutto il mondo abbraccia Iva Giunone, e del marit
nè compensa i danni E la vergogna prole unica e mia. Oserò tutto, pur
che
resti il letto Inviolato: non avrà la terra Alla
ubbio. Lo mirò la diva, E disse: ninfa, in prò mio tu potresti Non so
che
… Per tre volte io le volea Darle promessa di socc
ente Lezione argomento. A Saturno lo partorì Rea: ma il patto crudele
che
fermato il genitore avea coi Titani comandò all’a
di lui; la quale, alcuni opponendosi all’accennata opinione, vogliono
che
alla ninfa Apno fosse commessa, altri a Giunone.
vogliono che alla ninfa Apno fosse commessa, altri a Giunone. Sapendo
che
l’ infanzia dei potenti fu sempre miracolosa, son
e e non di comporre questa lite; e seguendo l’ istoria del nume, dirò
che
adulto fu alleato a Giove nelle guerre, le quali
, dirò che adulto fu alleato a Giove nelle guerre, le quali ebbe dopo
che
Saturno fu balzato dal trono. Il felice evento di
llo dio. L’impegno di conciliarla alle sue voglie commise al delfino,
che
fortunato nell’impresa n’ ebbe in premio (come la
risplendere nel cielo non lungi dal Capricorno. E opinione di alcuni
che
Venilia, e non Anfitrite, fosse moglie di Nettuno
eo ancora, secondo la Mitologia, era suo figlio, quantunque Plutarco,
che
nella vita di lui ha soggiogate le favole col ver
o, che nella vita di lui ha soggiogate le favole col vero, ne avverta
che
questa fama fu sparsa accortamente da Piteo, avol
avolo materno dell’eroe, per conciliargli la reverenza dei Trezenii,
che
sommamente onorano l’imperatore dell’onde, offere
ali colle finzioni fu violata l’antica semplicità mitologica, finsero
che
Nettuno, come padre di Teseo, mandasse quella foc
a, o mostro marino, onde il misero Ippolito fu trascinato dai cavalli
che
avea colle proprie mani nutriti. Devono pure agli
sente dall’ambizione, giacché congiurò con gli altri per legar Giove,
che
fatto accorto da Teti, fu contento di punire la r
tuita mercede; onde Nettuno sdegnato mise orribile ed immensa balena,
che
tutta la regione inondò coll’acque dalla vasta bo
ostro vendicatore. Erodoto spiega l’origine di questa favola dicendo,
che
Laomedonte si servi per edificare i muri iliaci d
on Minerva e Vulcano per la preferenza dell’arte; e commemorò Luciano
che
Nettuno formò un toro. Minerva inventò il modo di
ipo Colonco. Il commentatore di Apollonio gli contrasta questo vanto,
che
attribuisce a quel Sesonoschi, detto altrimenti S
vanto, che attribuisce a quel Sesonoschi, detto altrimenti Sesostri,
che
regnò nell’Egitto dopo Oro, che d’Iside e Osiride
esonoschi, detto altrimenti Sesostri, che regnò nell’Egitto dopo Oro,
che
d’Iside e Osiride fu figlio. Eccovi esposto quell
itto dopo Oro, che d’Iside e Osiride fu figlio. Eccovi esposto quello
che
intorno alle gesta di Nettuno favoleggiarono i po
quali è rappresentato dai poeti e dai monumenti, ed i diversi cognomi
che
attribuiti gli furono dagli antichi. Luciano nei
ii, e Cicerone nel suo libro Intorno alla natura degli Dei, avvertono
che
effìgiavasi con neri capelli ed occhi cerulei. I
doce e Talia. E quando Giunone ai fati d’Enea oppose l’ira dei venti,
che
prima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìns
enti, che prima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìnse il poeta
che
Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori
eta che Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori del mare, e
che
ai suoi detti i rivali fratelli le contrastate ac
le tre navi indietro Ritirar dallo scoglio in cui percossero: Le tre
che
nell’arena eran sepolte, Egli stesso, le vaste si
to nelle Immagini unisce i cavalli e le balene al cocchio di Nettuno,
che
fa ridere il seno del tranquillo Oceano. Platone,
di Adriano, intitolate a Nettuno Reduce, si scorge l’immagine di lui,
che
colla sinistra vibra triplice scutica, e colla de
dai barbari Spartani furono trucidati gì’ Iloti. Dal celebre edifizio
che
sacro gli era in Tenedo, Tenedio fu detto. Elitio
enedio fu detto. Elitio lo chiamarono in Lesbo ed in Eubea. Nè tacerò
che
Conso appellarono i Romani Nettuno, e che Consual
esbo ed in Eubea. Nè tacerò che Conso appellarono i Romani Nettuno, e
che
Consuali si dissero i giuochi che successivamente
nso appellarono i Romani Nettuno, e che Consuali si dissero i giuochi
che
successivamente denominati furono Circensi. Un’ a
, e si onorava col corso dei cavalli. Ippico lo chiamò la Grecia, sia
che
maestro lo reputassero di frenare i destrieri, o
un’isola del mare Carpazio; Egeo da Egide isola dell’Eubea. Si legge
che
Portunno ancoralo cognominassero i Latini, quantu
Da Ennosigeo, cioè scotitore della terra, è volgare la denominazione
che
deriva dalle idee tenute dagli antichi sulla ca-’
a ca-’ gione del terremoto, secondo essi prodotto dalle acque; onde è
che
in figura di toro vengono rap. presentati nelle a
cco quasi compita la serie dei cognomi dal Paganesimo dati a Nettuno,
che
ninno atteggiò con maestà degna di un dio quanto
lebre Monti. « Nè invan si stava alla vedetta intanto Il re Nettuuo,
che
su l’alte assiso Selvose cime della tracia Samo,
stinguiamo l’immagine del dio del mare non solo dall’ idea del volto,
che
ha qualche tratto della fìsonomia di Giove senza
però averne l’aspetto egualmente maestoso e sereno, nè dalla nudità,
che
ben conviene al nume dell’acque senza però essern
il nome tridente deriva, sieno moderne, la forma dell’ asta medesima,
che
non é rotonda ma quadrangolare, e che perciò non
, la forma dell’ asta medesima, che non é rotonda ma quadrangolare, e
che
perciò non dovea essere uno scettro, non lascia d
del volto e la nudità della persona escludono Plutone, resta evidente
che
il nume rappresentato è un Nettuno, che affatto n
udono Plutone, resta evidente che il nume rappresentato è un Nettuno,
che
affatto nudo é rappresentato in una statuetta di
erne. Ora, per vieppiù distinguerlo, gli è stato aggiunto il delfino,
che
nei marmi e nelle medaglie suole accompagnarlo. O
Lezione decimaterza. Mercurio. La favola non essendo in parte
che
una serie di racconti alterati dalla maraviglia,
ensatori della fama, sono spesse volte attribuite le azioni di molti,
che
ebbero la sventura di un nome comune. Infatti, al
elo e dal Giorno, il secondo di Valente e di Foronide, ed è lo stesso
che
Trofonio: il terzo dal Nilo; del quarto s’ignoran
gli antichi della patria del nume. Omero ed Or feo lasciarono scritto
che
nacque in Cillene monte dell’Arcadia; Pausania af
illene monte dell’Arcadia; Pausania afferma nel suo Viaggio in Beozia
che
non lungi da Tanagro, in un monte chiamato Corici
ivino fanciullo, allora nato, lavarono il tenero corpo. Alcuni dicono
che
Mercurio, e non Ercole, da Giunone ingannata sugg
o che Mercurio, e non Ercole, da Giunone ingannata suggesse il latte,
che
a parte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’a
arte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’autore degli Inni, narra
che
appena dalla ricciuta Maia fu partorito, abbandon
re del fulmine. Escito, incontrò presso la casa una lènta testuggine,
che
pasceva la florida erba, e guardandola rise, e di
corde, e tentandole ad una ad una col plettro ne risvegliò l’armonia,
che
colla propria voce accompagnò cantando gl’immorta
mmità dell’odorifero albergo, alto inganno agitando nella mente, vide
che
il cocchio ed i cavalli il Sole nell’Oceano nasco
Onchesto un vecchio, cui lo dio comandò il silenzio dicendo: vecchio,
che
scavi le piante coi curvi omeri certamente molto
cavi le piante coi curvi omeri certamente molto ti affaticherai prima
che
ti rendano il frutto sperato; ma ora fai vista di
di cui favellammo, volò al selvoso monte Cillenio; il giocondo odore
che
diffondeasi accusò la casa del nume fanciullo, cu
enebre della morte. L’infanzia fu la scusa e la risposta di Mercurio,
che
dopo molte frodi e parole andò col Saettante sull
frodi e parole andò col Saettante sull’Olimpo al tribunale di Giove,
che
rise vedendo l’accorto fanciulletto, che colla fa
limpo al tribunale di Giove, che rise vedendo l’accorto fanciulletto,
che
colla fascia nella destra negava accortamente l’i
ercurio di mostrare dove avesse nascoso i rapiti giovenchi ad Apollo,
che
rimase maravigliato del sottile inganno, e più de
se maravigliato del sottile inganno, e più dell’accennato istrumento,
che
celermente percosso dal figlio di Maia suonò inco
, che celermente percosso dal figlio di Maia suonò incognita armonia,
che
l’amabil voce seguiva. A quel concento gli Dei im
cipii dell’infanzia del nipote di Atlante narrati per Omero. Luciano,
che
sovranamente era fornito del talento di spargere
spargere il ridicolo su tutto, amplificò il racconto di Omero dicendo
che
, mentre Vulcano educavalo, gli rapì l’incudine e
entre Vulcano educavalo, gli rapì l’incudine e il martello; a Venere,
che
l’abbracciava, involò il cinto; lo scettro a Giov
se non avesse temuto la fiamma. Poco altro la favola aggiunge. Dicesi
che
a Batto, in pena della perfidia, cangiò in pietra
o i pastori, perchè primo diede 1’ esempio della rapina: tanto è vero
che
tutti gli incliti ladri sono santificati dalla fo
Visconti nel Museo Pio Clementino. Da Omero è narrata la pietosa cura
che
il nume si prese di Priamo, che verso la tenda di
o. Da Omero è narrata la pietosa cura che il nume si prese di Priamo,
che
verso la tenda di Achille avviavasi per chiedere
enti rappresentavasi: un gallo presso gii ponevano. Nella via Lechea,
che
conduceva a Corinto, fu effigiato in bronzo, con
due serpi, simbolo dalla sicurezza della concordia, e favoleggiarono
che
alla verga, donatagli da Apollo gli aggiungesse i
questa statuetta di grandezza naturale, di Mercurio fanciullo. L’ali
che
ha sulla testa assai bizzarramente frammischiate
ono legate al capo con un semplice nastro, come appunto nel bel marmo
che
ora spieghiamo. La fìsonomia fina e vivace, rilev
ia come Omero l’appella, παιδα πολυτροπον` nè lascia il miuimo dubbio
che
questo marmo ci offra il pesante Morfeo, dio del
l’ali sulla fronte nei marmi antichi, quantunque l’atto del silenzio,
che
esprime appressando l’ indice della destra alle l
elmann. Conviene infatti il segreto al messaggero dei numi, ma dubito
che
il nostro marmo alluda a qualche fatto più conven
atto più conveniente all’età in cui si esprime Mercurio. Omero, altri
che
sia l’autore dell’antichissimo inno in sua lode,
ero, altri che sia l’autore dell’antichissimo inno in sua lode, narra
che
avendo egli involato lo stesso giorno che nacque
imo inno in sua lode, narra che avendo egli involato lo stesso giorno
che
nacque i buoi di Apolline, per quanto colla sua a
voratore dei campi di Onchesto, al quale raccomandò con tutta energia
che
tacesse: « Veggendo come non veggente sii, E s
per inculcare il silenzio a chi l’avea osservato. Questo riso appunto
che
brilla insidiosamente sulle sue labbra, e l’aria
toso suo stile il carattere di Mercurio infante, similissimo a quello
che
ha segnato l’antico scultore nei tratti di questa
colpo d’occhio conoscere. L’abito è una specie di camicia o suhucida,
che
si osserva qualche volta nei putti antichi. Fu di
ilio Varo. Gli eruditi spositori delle antichità Tiburtine convengono
che
in questo sito fose precisamente il predio di Cin
verga della felicità e della ricchezza dall’autore dell’inno omerico,
che
ne descrive i pregi e le virtù, eh’ erano d’ este
stensione mirabile, e solo non giungevano alla divinazione. Da’ serpi
che
sogliono intrecciarvisi vuol denotarsi, secondo P
concordia dei feroci, o si allude ad una favola rammentata da Igino,
che
ha lo stesso significato. « Benché il simulacro n
ultura ha però una certa nobila semplicità nella composizione, pregio
che
raccomanda quasi sempre le opere degli antichi. A
gli schiavi intrapresi nell’orto dei Padri Dottrinarii di Palestrina,
che
resta immediatamente sotto le sustruzioni arcuate
di Palestrina, che resta immediatamente sotto le sustruzioni arcuate
che
servono ora di muro alla città. Questo è il piano
è il piano sottoposto al monte ed al tempio della Fortuna Primigenia,
che
ne abbelliva le falde fino ad una certa altezza,
ia, che ne abbelliva le falde fino ad una certa altezza, e di maniera
che
se ne godeva nel Foro il maestoso prospetto, comp
ersi ordini, di sustruzioni, portici ed edifizii, nella guisa appunto
che
si godeva dal Foro Romano l’ imminente Campidogli
abbriche e coi suoi templi. In questo piano adunque, oltre le colonne
che
adornavano la piazza pubblica e le statue, fra le
uppo d’Esculapio e d’Igia, questa di Mercurio Agoreo, e diverse altre
che
si riporteranno a suo luogo, si sono scoperte due
gran mole con singolari iscrizioni, le quali dimostrano evidentemente
che
spettavano questi avanzi al Foro Prenestino, che
strano evidentemente che spettavano questi avanzi al Foro Prenestino,
che
in una di esse vien menzionato: e non altrove app
Prenestino, che in una di esse vien menzionato: e non altrove appunto
che
nei Fori solevano inalzarsi le statue dei benemer
cimaquarta. Dei simboli e degli uffìcj di Mercurio. Fra i cosinomi
che
l’antichità diede all’astuto figlìo di Maia, non
iede all’astuto figlìo di Maia, non ve n’ha forse alcuno più ripetuto
che
quello di Cillenio, il quale da Cillene, monte di
do la più comune opinione deriva. L’alato Cillenio lo chiamò Virgilio
che
apportatore lo fa dei cenni di Giove ad Enea imme
de, e lungi al lito Di Libia se n’andò l’aure secando In quella guisa
che
marino augello D’un’ altra ripa, a nuova pesca in
urio pure fu detto, e per tanto ufficio attribuito gli fu il caduceo,
che
come segno di pace scolpito si mira nelle antiche
de della prima semplicità della favola, nell’Inno attribuitogli narra
che
gli fu data l’aurea verga in cambio della lira da
i narra che gli fu data l’aurea verga in cambio della lira da Apollo,
che
la cura gli affidò degli armenti. I mitologi più
e la cura gli affidò degli armenti. I mitologi più recenti aggiungono
che
col potere di questo l’ire separò nell’Arcadia di
niti per significare la concordia degli animi più efferati. Jamblico,
che
col velo dell’allegoria adonestar volle di soverc
ole per opporle con insana fiducia alla luce dell’Evangelo, asserisce
che
i serpenti simboleggiavano la dialettica arte ins
. Vergadoro fu il nipote d’Atlante pure cognominato per questo segno,
che
era con molto artifizio composto; perchè aureo fu
artifizio composto; perchè aureo fu detto ancora dagli antichi quello
che
era bello, come da Esichio e da Ateneo si rileva.
Alessandrini, Taaut da’ Fenicii, Tentate dai Cartaginesi e dai Galli,
che
con umano sangue lo placavano onorandolo sopra og
oviamo fatta memoria spesse volte nei Classici; e Pausania ci avverte
che
neir Attica specialmente onoravasi, ed in Tebe gl
neir Attica specialmente onoravasi, ed in Tebe gli sorgeva un tempio
che
Pindaro, illustre per versi e per la pietà, gli a
imulacro del dio scolpito da Calami antichissimo artefice, in memoria
che
il nume avea liberato quei popoli dalla peste, po
ali, condottiero. Secondo alcuni l’Anubi de2:li Eo’iziani è lo stesso
che
Mercurio. Esaminerò la verità di questa asserzion
dai Pagani distinto Mercurio, a cui come suo ministro favoleggiarono
che
Giove affidasse pure la cura di Bacco fanciullo,
rpetre. Mercurio detto l’Antinoo di Belvedere. « Ecco la prima volta
che
questa insigne statua comparisce al pubblico senz
ta insigne statua comparisce al pubblico senza la falsa denominazione
che
per ben due secoli ebbe dal volgo degli eruditi e
più esperti uomini d’ ambedue le accennate classi s’erano giù avvisti
che
le immagini sicure di quel famoso Bitino non avva
oiché lo sogliamo sedente vedere colla benda, nè finalmente i capelli
che
crespi in nessuna immagine di Teseo s’incontrano.
di Teseo s’incontrano. Se d’Ercole ha una certa robusta muscolatura,
che
anco traspare sotto la rotondità delle forme giov
ente la fisonomia, ch’è nel nostro marmo assai più divina. L’opinione
che
lo crede un Meleagro, benché la più seguita, è la
seguita, è la meno probabile delle tre: non ha forse altro fondamento
che
una leggera somiglianza di attitudine conia celeb
leggera somiglianza di attitudine conia celebre statua di quell’eroe,
che
si con serva in questo stesso Museo, Disconvengon
ne delle membra molto più robusta e per così dire atletica, di quella
che
si osserva nei Meleagri; disconviene la graziosa
leagri; disconviene la graziosa pendenza del capo, propria di un nume
che
s’ inchina ad ascoltar le preghiere dei mortali;
l’assenza totale dei distintivi del vincitor della belva di Calidone,
che
non solamente nella nostra statua posson mancare,
on mancare, ma nelle tante copie antiche e ripetizioni della medesima
che
sussistono in Roma e fuori, non appariscono affat
rdo dolcemente penetrante; a lui la vigorosa complession delle membra
che
palesa l’inventore o il padre della palestra, al
il caduceo, la borsa. Non sono però questi simboli tanto suoi proprii
che
senza uno o più di questi non s’incontrino immagi
statua, non essedovene alcuno caretteristico del Mercurio Eisagonìo,
che
presiede alla palestra e agli atleti, che n’era f
ico del Mercurio Eisagonìo, che presiede alla palestra e agli atleti,
che
n’era forse il soggetto. « Alcuno di questi simbo
imboli è indubitatamente antica, e il ristauratore non ha fatto altro
che
terminarli. « Ecco dunque schiarito e ridotto a c
avesse il nostro Mercurio tratta la comune denominazione, potrei dire
che
l’avvenenza del volto e l’increspatura dei capell
increspatura dei capelli suscitarono l’idea di questa rassomiglianza,
che
non ha poi retto alla diligente osservazione dei
di avere un altro fondamento per tale opinione nel nome di Adrianello
che
davasi, ai tempi del Nardini, al sito dell’Esquil
fizio ch’ebbe per fondatore Adriano, non potesse appartenere ad altri
che
al suo favorito. « Paolo III la reputò degna di f
testa non cede nella bellezza del disegno e dell’esecuzione ad alcuna
che
sia mai stata scolpita, ed ha un’aria così tranqu
na che sia mai stata scolpita, ed ha un’aria così tranquilla e divina
che
incanta gli spettatori. Nessuna statua ha accoppi
elle gambe, e sin l’espressione delle articolazioni dei piedi. È vero
che
nelle gambe trovano alcuni conoscitori qualche di
armoniosa relazion delle parti è tanto sorprendente in questa statua,
che
l’intelligente Pussino non ha prese sopra altro m
e più belle proporzioni della figura. E il numero delle copie antiche
che
ci rimangono ne dà una maggiore idea del merito d
che ci rimangono ne dà una maggiore idea del merito dell’ originale,
che
tale è senza quistione il marmo Vaticano, come ne
o, come ne fa fede la nobil franchezza dell’ esecuzione. Tra le molte
che
n’esistono, due ne furono dissotterrate per la Vi
ò si asserisca. È questo uno dei piccoli nei di quelr opera classica,
che
non ne oscurano il merito singolarissimo. La figu
se, riportata in Grutero, ne dimostra la totale diversità. È ben vero
che
si dice rappresentare r immagine di Antinoo come
l’asserzione di questa pretesa rassomiglianza ha sedotto Winkelmann,
che
sicuramente non avea veduto l’originale. « Mi res
che sicuramente non avea veduto l’originale. « Mi resta da osservare
che
il contorno del basamento antico nel quale è inca
o il piantato della statua, è tutto segnato di colpi di scalpello; lo
che
indica essere stato rivestito di più preziosa mat
liso la tua verga conduce I Giusti sciolti dal corporeo manto, E quei
che
spargon per la nova luce Provido pianto. Tu vinc
Al figlio di Saturno lo partorì Latona con la sorella, emula illustre
che
seco divide l’impero del cielo, e va superba dell
li umani mali esperimento. Illustre fra gl’infortunii di lui è quello
che
gli procurò l’amore paterno. Aveva Esculapio, per
te vendicata. Sdegnato il padre degli uomini rilegò dal cielo Apollo,
che
esule famoso errò per la terra lungo tempo, e fin
tragedia di Euripide il nume col suo pietoso ministero aiuta Ercole,
che
libera dalla morte l’unica Alceste. Nè la se
resse l’arco di Paride contro Achille, di lui solamente minore. Egli,
che
al dire di Orazio, del mentito destriero col timi
o bruttò nella polvere troiana. Così ritardò i fatti troiani il nume,
che
in altre opere servili domò la divina alterezza p
ercò Apollo l’oblivione di tante cure, ed inventò la musica; scoperta
che
da altre divinità gli venne contrastata. Infatti
li venne contrastata. Infatti nella passata Lezione vi feci osservare
che
questo ritrovato fu pure a Mercurio attribuito: c
ellissimo e ricco di tanti doni. Superbo pel vinto Pitone, vide Amore
che
torceva l’arco, e rampognò il potente fanciullo p
ore, mutandole forma: in fronde i crini, in rami crebbero le braccia,
che
il dio intorno al collo sperava. Trionfò Apollo d
i danni, facendo a sé sacro l’ albero in cui si cangiò l’amata ninfa,
che
quindi divenne « Onor d’imperadori e di poeti. »
enne « Onor d’imperadori e di poeti. » Misere pure furono le amanti
che
a Febo non furono crudeli. Clizia, volgendogli la
famò la colpa di lei, onde il padre spietato sotterrò viva la misera,
che
invano al consapevol nume tendeva le braccia. Ten
uo dolore, convertì la giovinetta in una verga dell’ incenso odorato,
che
sale alle sedi degli immortali. Ma Clizia, quantu
rno a questa divinità insegnate vi saranno da Callimaco nel suo Inno,
che
in parte ho tradotto. Apollo detto il Saurottono
urono eternati dall’ammirazione degli antichi, non solo colla memoria
che
ce ne hanno lasciata nei loro scritti, ma più col
o le copie. Ci ha lasciato Marziale un epigramma sovra il Saurottono,
che
si ammirava in Roma a’ suoi giorni, e così si esp
morire per le tue mani. — Poco più c’insegna questo epigramma di ciò
che
il nome stesso della statua ci apprenderebbe, gia
a statua ci apprenderebbe, giacché altro non vale in greco saurottono
che
uccisore della lucertola. Nò il soggetto rapprese
rtefice di sì bell’opera, sono menzionati nel distico. La descrizione
che
ce ne dà Plinio è più accurata, e servì per far r
rammentata per ambedue. Anzi, quando questo scrittore non ci dicesse
che
il garzoncello rappresentato è Apollo stesso, eff
to è Apollo stesso, effigiato dallo scultore fra giovane e fanciullo,
che
fa prova contro una lucertola puerilmente di quel
prova contro una lucertola puerilmente di quelli strali inevitabili,
che
dovevano un giorno trafiggere il Pitone, lo potre
o conoscere per un nume. L’azione di saettare non può essere equivoca
che
fra Apollo e. Cupido, ma la mancanza delle ali es
della Villa Al bani è in bronzo, ma non posso crederla quella stessa
che
ha- fuso Prassitele, anzi una copia alquanto mino
modi alterni Deh v’accingete, o giovinette. Apollo A tutti non appar,
che
cari solo Gli sono i buoni, e chi noi vede è vile
rime sospende, e più non apre La mesta bocca in miserabil atto Niobe,
che
in Frigia sorge umida pietra, E ognora attesta co
invidia ai gigantei trionfi? Nè un giorno solo regnerà nel canto Febo
che
d’inni è colmo: il dir sue lodi E lieve. Apollo a
la chioma. Olj odorati Stilla, e la stessa panacea. Beata È la città
che
tal rugiada asperge. Salvo sia tutto: in varie ar
cure, e di morte All’invitta ragione oppor dimora. E pastor lo dirò,
che
il vide assiso Pascer cavalli, e nel temuto incon
llo Insegnò l’arte dei curati strali. Scendevi in Pito, o nume, allor
che
l’atro Serpe incontrasti, che terror novello Era
strali. Scendevi in Pito, o nume, allor che l’atro Serpe incontrasti,
che
terror novello Era ai mortali: tu consumi il peso
soccorso. A te il livore sussurrò di furto: Io non ammiro quel cantor
che
lascia Di narrar quanto il vasto mare abbraccia;
ba di sozzura. All’alta Cerere, madre delle bionde spighe. La Melissa
che
è a lei sacra, non reca Da tutti i fonti l’acque,
a, non reca Da tutti i fonti l’acque, e rivo sceglie Limpido e sacro,
che
soave stilla, Dell’onde onor fra gli educati fior
Non posso dar principio migliore alla seconda Lezione sopra Apollo
che
con Delfo, nobilitato dalle imprese, dal tempio e
di Delfo, e più ve n’ha ancora sull’oracolo di Apollo, perchè dicesi
che
anticamente Delfo era il luogo ove la Terra rende
nticamente Delfo era il luogo ove la Terra rendeva le sue risposte, e
che
Dafne, una delle ninfe della montagna fu scelta d
sedesse. I Greci hanno antiche poesie intitolate Consigli di Eumolpó,
che
attribuiscono a Museo figlio di Antifemo. È fama
igli di Eumolpó, che attribuiscono a Museo figlio di Antifemo. È fama
che
la Terra pronunziasse ella stessa i suoi oracoli
to luogo, e pure i suoi Nettuno col ministero di Pircone. Si pretende
che
snccessivamente la dea dasse la sua porzione a Te
i pretende che snccessivamente la dea dasse la sua porzione a Temi, e
che
Temi ne facesse dono ad Apollo, e che quest’ultim
dasse la sua porzione a Temi, e che Temi ne facesse dono ad Apollo, e
che
quest’ultimo, per aver la parte di Nettuno, gli c
che quest’ultimo, per aver la parte di Nettuno, gli cedesse Calaurea
che
è dirimpetto a Trezene. Ho sentito dire a degli a
se Calaurea che è dirimpetto a Trezene. Ho sentito dire a degli altri
che
dei pastori avendo condotto per caso i loro armen
ti verso questo luogo, si trovarono ad un tratto agitati da un vapore
che
gli occupò, e che inspirati da Apollo cominciaron
ogo, si trovarono ad un tratto agitati da un vapore che gli occupò, e
che
inspirati da Apollo cominciarono a predire il fut
si esametri. Non ostante Boeo nativa del luogo, e conosciuta per Inni
che
fece per gli abitanti di Delfo, attribuisce a str
truzione del tempio ove Apollo dava i suoi oracoli: asserisce inoltre
che
molti fra loro profetizzarono, e che Oleno, fra g
suoi oracoli: asserisce inoltre che molti fra loro profetizzarono, e
che
Oleno, fra gli altri, inventò il verso esametro p
r quest’ uso. Non ostante, l’opinione più probabile e più seguitata è
che
Apollo ha sempre avuto delle donne per interpreti
e avuto delle donne per interpreti delle sue risposte. « Si pretende
che
la prima cappella del dio fosse composta dai remi
pella del dio fosse composta dai remi di un lauro di Tempo, e non era
che
una semplice capanna. È grido che successivamente
emi di un lauro di Tempo, e non era che una semplice capanna. È grido
che
successivamente dell’api ne fabbricarono un’altra
l’api ne fabbricarono un’altra colla cera e colle loro proprie ali, e
che
la prima fu agli Iperborei mandata da Apollo. Ma
questa seconda cappella fu edificata da uno di Delfo chiamato Ptera,
che
coll’equivoco del suo nome, che in greco signific
icata da uno di Delfo chiamato Ptera, che coll’equivoco del suo nome,
che
in greco significa ala, diede luogo alla favola m
fica ala, diede luogo alla favola mentovata. Credono, in terzo luogo,
che
il tempio di Apollo fosse composto di rame; il ch
o, in terzo luogo, che il tempio di Apollo fosse composto di rame; il
che
non deve sembrare incredibile, poiché Acrisie ave
e si amministra la giustizia, sorprende per la sua gran dezza: ma ciò
che
più vi si ammira è un pavimento di rame che per t
la sua gran dezza: ma ciò che più vi si ammira è un pavimento di rame
che
per tutto si stende. « Così non è incredibile che
n pavimento di rame che per tutto si stende. « Così non è incredibile
che
il tempio di Apollo in Delfo fosse di rame, ma ch
non è incredibile che il tempio di Apollo in Delfo fosse di rame, ma
che
Vulcano lo fabbricasse; il che non credo, come re
o di Apollo in Delfo fosse di rame, ma che Vulcano lo fabbricasse; il
che
non credo, come repugna che vi fossero delle verg
i rame, ma che Vulcano lo fabbricasse; il che non credo, come repugna
che
vi fossero delle vergini d’oro, che voce armonios
e; il che non credo, come repugna che vi fossero delle vergini d’oro,
che
voce armoniosa risuonavano, nella maniera che Pin
ro delle vergini d’oro, che voce armoniosa risuonavano, nella maniera
che
Pindaro ha immaginato, giovandosi, a quel ch’io p
era che Pindaro ha immaginato, giovandosi, a quel ch’io penso, di ciò
che
Omero disse sulle Sirene. « Vi è discordia sulla
sulla maniera, nella quale questo tempio fu distrutto. Alcuni dicono
che
dall’ aperta terra fu inghiottito; altri che si f
distrutto. Alcuni dicono che dall’ aperta terra fu inghiottito; altri
che
si fuse il rame onde era composto. Che che ne sia
erra fu inghiottito; altri che si fuse il rame onde era composto. Che
che
ne sia, il tempio di Apollo fu rifatto di pietra
n Atene, il primo anno della Lvm Olimpiade, illustrato dalla vittoria
che
Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici.
he Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici. Quanto al tempio,
che
oggi sussiste, furono gli Antizioni che ne ordina
i olimpici. Quanto al tempio, che oggi sussiste, furono gli Antizioni
che
ne ordinarono la costruzione col danaro dal popol
uno. Il monte Parnaso, e la selva, da lui ebbero, il nome. Aggiungono
che
trovasse l’arte di conoscere l’avvenire col volo
che trovasse l’arte di conoscere l’avvenire col volo degli uccelli, e
che
la città di cui è fondatore fosse sommersa nel di
fondatore fosse sommersa nel diluvio di Deucalione. « I pochi uomini
che
avanzarono all’acque avendo guadagnata la sommità
guadagnata la sommità del Parnaso coi lupi e le altre hestie feroci,
che
con gli urli servivano loro di scorta, vi edifica
Licorea per questo motivo. Con tutto ciò, un’ altra tradizione porta
che
Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro, che diede
n’ altra tradizione porta che Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro,
che
diede il suo nome al detto luogo, e quello di sua
diede il suo nome al detto luogo, e quello di sua madre ad un altro,
che
Coricio ai tempi nostri ancora vien chiamato. « E
o, che Coricio ai tempi nostri ancora vien chiamato. « E fama inoltre
che
lamo nato da Licore ehhe per figlia Celeno, che p
ato. « E fama inoltre che lamo nato da Licore ehhe per figlia Celeno,
che
partorì ad Apollo un figlio chiamato Delfo, da cu
to Delfo, da cui la città ha tolto la sua denominazione. Altri dicono
che
Castalio, figlio della Terra, ehhe una fanciulla
no che Castalio, figlio della Terra, ehhe una fanciulla chiamata Tia,
che
fu la prima insignita del sacerdozio di Bacco, e
gnita del sacerdozio di Bacco, e celebrò Torgie in onore del dio; dal
che
, dicono, è nato che tutte le donne prese d’ una s
di Bacco, e celebrò Torgie in onore del dio; dal che, dicono, è nato
che
tutte le donne prese d’ una santa ebbrezza hanno
o la gente del paese chiamò la città non solamente Delfo, ma Pito: di
che
Omero fa testimonianza nella enumerazione dei Foc
: di che Omero fa testimonianza nella enumerazione dei Focesi. Coloro
che
si piccano di sapere le genealogie, pretendono ch
dei Focesi. Coloro che si piccano di sapere le genealogie, pretendono
che
Delfo avesse un figlio chiamato Piti, che regnand
e le genealogie, pretendono che Delfo avesse un figlio chiamato Piti,
che
regnando diede il suo cognome alla terra. « Ma l’
egnando diede il suo cognome alla terra. « Ma l’opinione più comune è
che
Apollo vi.uccidesse un uomo colle freccio. il di
lla città il nome di Pito, cioè cattivo odore. Infatti Omero ha detto
che
l’isola delle Sirene era piena d’ossa; perchè col
ero ha detto che l’isola delle Sirene era piena d’ossa; perchè coloro
che
prestavano orecchie a queste incantatrici morivan
rpi, privi di tomba, avvelenavano l’aria dell’isola. « I poeti dicono
che
fu da Apollo ucciso un drago, cui la sicurezza de
icurezza dei suoi oracoli aveva la Terra affidata. Si racconta ancora
che
Crio potente nelTisola Eubea, aveva un figlio sce
ta ancora che Crio potente nelTisola Eubea, aveva un figlio scelerato
che
ardì saccheggiare a mano armata il tempio di Apol
Egli portò via cinquecento statue di bronzo, tanto d’uomini illustri
che
dei numi. « Passiamo adesso all’istituzione de’ g
ei numi. « Passiamo adesso all’istituzione de’ giuochi Pitici. Dicesi
che
questi giuochi consistevano anticamente in una ga
ara di musica e di poesia, nella quale il premio concedevasi a colui,
che
avesse cantato i) più bell’inno in onor del nume.
ne Crisotemi di Creta fu vincitore: egli era figlio di quel Carmanore
che
aveva purificato Apollo. « Dopo lui Filamrnone fi
Crisotemi, ed in seguito Tamiri figlio di Filammone, poiché si vuole
che
nò Orfeo, il quale rispettabile rendeva un’alta s
va un’alta saviezza con una perfetta cognizione dei misteri, nè Museo
che
si era propoposto d’imitare Orfeo, vollero avvili
ollero avvilirsi a disputare la palma dei giuochi Pitici. Si racconta
che
Eleutero fu dichiarato vincitore per la sua bella
bella e sonora voce, quantunque cantasse un inno non suo. « Vogliono
che
Esiodo non fosse ammesso alla gara perchè non sap
sapea colla lira accompagnare il canto. Quanto ad Omero, si pretende
che
venisse a Delfo per consultare l’oracolo: ma che
d Omero, si pretende che venisse a Delfo per consultare l’oracolo: ma
che
essendo divenuto cieco, facesse poco uso del tale
della musica e della poesia, ne aggiunsero due altri; uno per quelli
che
accompagnavano col flauto, l’altro per quelli che
tri; uno per quelli che accompagnavano col flauto, l’altro per quelli
che
lo sonavano. Allora s’istituì a Delfo gli stessi
Allora s’istituì a Delfo gli stessi giuochi, li stessi combattimenti
che
in Olimpia: la quadriga fu solamente eccettuata.
etuto; ma nella Pitiade successiva si abolì il premio, e fu stabilito
che
non vi sarebbero che delle corone pei vincitori.
de successiva si abolì il premio, e fu stabilito che non vi sarebbero
che
delle corone pei vincitori. Si tolse l’accompagna
ncitori. Si tolse l’accompagnatura dei flauti, perchè aveva un non so
che
di tristo, e non poteva convenire che alle lament
flauti, perchè aveva un non so che di tristo, e non poteva convenire
che
alle lamentazioni ed all’elegie, ed infatti quest
nire che alle lamentazioni ed all’elegie, ed infatti questo era l’uso
che
se ne faceva. « Nel seguito ai giuochi Pitici si
mprese la corsa degli uomini armati. » Fin qui Pausania. Daremo quel
che
avanza del suo racconto nella se^’uente Lezione.
e^’uente Lezione. Udite intanto da Orazio nuove lodi del nume. Nume,
che
ultor della fastosa lingua Sentì la prole Niobea,
el nume. Nume, che ultor della fastosa lingua Sentì la prole Niobea,
che
l’ arco Certo sul rapitor Tizio volgesti, E contr
nel materno seno Con le fiamme rapite al frigio rogo Arsi, se Giove,
che
dei numi è padre. Non donava ad Enea patria migli
alla voce tua, padre del canto. Eterna gloria della lira argiva. Febo
che
lavi nel tuo Xanto i crini, L’onor difendi della
spirti Mi desti, e la divina arte dei versi Ed il nome di vate. voi,
che
siete Fra le vergini prime, e voi di chiara Stirp
Lesbio metro l’armonìa serbate. Ed i numeri miei. Dite Latona, E lei
che
adorna del fraterno lume La notte, e sola soffre
o lume La notte, e sola soffre occhio mortale. Alla messe propizia, e
che
degli anni Mostra la fuga col crescente raggio. Q
numenti del tempio di Delfo. Pausania, nell’enumerazione dei doni
che
ornavano il tempio di Delfo, tesse la storia dell
on conviene allo scopo delle mie Lezioni, lasciando sussistere quello
che
riguarda la mitologia e l’arte. « Delfo è situat
nti consacrati al dio. Lasciando le statue dei musici e degli atleti,
che
hanno nell’arte loro riportata la palma, Faille d
enta quindi a vostri occhi il dono dei Te^eati in memoria del trionfo
che
riportarono su gli Spartani. Consiste in un Apoll
egli eroi originarii di Tegea; come Callisto figlia di Licaone Arcade
che
diede il suo nome a tutta la contrada, il figlio
a tutta la contrada, il figlio di lui Elato, Afida e Azano, Trifilo,
che
ebbe per madre non Erato, ma Laodamia, figlia di
no altri nuovi dei Lacedemoni in rendimento di grazie per la vittoria
che
riportarono sopra gli Ateniesi. j) Dietro queste
secondo posto, si scorgono quelle di quegli animosi guerrieri greci,
che
favorivano ad Egospotamo l’impresa di Lisandro. P
di Lisandro. Patrocle e Canaco se ne credono gli autori. Gli Argivi,
che
in questo combattimento ebbero la presunzione di
« Sul piedistallo del medesimo vi è un’iscrizione la quale riferisce
che
le statue onde è circondato provengono dalla deci
che le statue onde è circondato provengono dalla decima del bottino,
che
gli Ateniesi conqaistarono dai Persiani nella bat
Milziade, come generale dell’armata ateniese, in terzo luogo gli eroi
che
diedero il nome alle varie tribiì ateniesi: Erett
resso del nominato cavallo si mirano pure altre offerte degli Argivi,
che
consistono nelle immagini dei principali capi che
ferte degli Argivi, che consistono nelle immagini dei principali capi
che
presero il partito di Polinice, e si unirono con
re vedesi il carro di Anfiarao con Batone suo parente e suo scudiere,
che
tiene le briglie dei cavalli. L’ultima di queste
rseo d’Ercole ancora più antico. « Succede il presente dei Tarentini,
che
consiste in cavalli di bronzo e nelle immagini de
a, Apollo e Diana: questi ultimi scoccano le loro frecce sopra Tizio,
che
sembra averne le membra forate. Gli Ateniesi ed i
alla nominata testa sta un simulacro donato dagli abitanti di Andro,
che
credesi rappresentare Andreo loro fondatore. Segu
estre di Achille, dei Tessali; un Apollo con una cerva, dei Macedoni,
che
abitano la città di Dione sotto il monte Pierio.
abitano la città di Dione sotto il monte Pierio. La statua di Ercole,
che
quindi si scorge, è dono dei Tebani, il Giove in
ne agli Arcadi di Mantinea. Un poco più lontano vi è Apollo ed Ercole
che
disputano un tripode: ognuno di loro vuole averlo
ento di Dillo e di Amicle scnltori di Corinto. Ve tradizione in Delfo
che
Ercole figlio di Anfitrione, essendo venuto per c
elfo venuto. Finalmente Alcide avendo reso il tripode, ottenne quello
che
desiderava, e quindi i poeti hanno presa l’occasi
aveva pugnato con Apollo per un treppiede. « Dopo la famosa vittoria
che
i Greci riportarono insieme a Platea, la nazione
tea, la nazione intera stimò di suo dovere il fare un dono ad Apollo,
che
consistè in un tripode d’oro sostenuto da un drag
a: ma il tripode fu rubato dai generali dell’armata focose. « L’ascia
che
si vede fu offerta da Periclito figlio di Eutimac
a che si vede fu offerta da Periclito figlio di Eutimaco. Ecco quello
che
intorno ad essa si racconta. Cigno figlio di Nett
Ecco quello che intorno ad essa si racconta. Cigno figlio di Nettuno,
che
regnò a Colono città della Troade, verso l’isola
a Leucofri, sposò Proclea figlia di Clizio e sorella di quel Caletore
che
, secondo Omero nell’Iliade, fu ucciso da Aiace, m
la prima moglie, sposò in seconde nozze Filonome figlia di Craugaso,
che
s’innamorò di Tene figliastro. Non essendo riesci
e li gettò nel mare. Salvati per loro ventura, arrivarono a Leucofri,
che
dal nome di Tene Tenedo fu detta. Qualche tempo d
onfessar loro la sua imprudenza, e dimandarne perdono. Ma nel momento
che
tocca la riva, e che attacca il canape del suo na
imprudenza, e dimandarne perdono. Ma nel momento che tocca la riva, e
che
attacca il canape del suo naviglio a un albero, o
ana, e fugge preda dei venti. L’ascia di Tene ha fondato un proverbio
che
si applica a quelli che sono inflessibili nel lor
enti. L’ascia di Tene ha fondato un proverbio che si applica a quelli
che
sono inflessibili nel loro sdegno. « I Greci invi
egno. « I Greci inviarono pure a Delfo un Apollo di bronzo egualmente
che
che un Giove in Olimpia, dopo le due vittorie mar
. « I Greci inviarono pure a Delfo un Apollo di bronzo egualmente che
che
un Giove in Olimpia, dopo le due vittorie maritti
arlerò solo del come è concepita la risposta dell’oracolo, per quello
che
si dice, data ad Omero, la quale si legge nella c
vi sarete entrato, vedrete sopra un muro a man dritta un gran quadro
che
rappresenta la presa di Troia, e a sinistra i Gre
n gran quadro che rappresenta la presa di Troia, e a sinistra i Greci
che
s’imbarcano per il ritorno. « Si prepara il vasce
stra i Greci che s’imbarcano per il ritorno. « Si prepara il vascello
che
deve salire Menelao, equipaggiato da soldati, mar
è in mezzo, con un remo in mano. Sopra lui si vede un certo Ictemene,
che
porta dei vestiti, ed Echeace che discende da un
opra lui si vede un certo Ictemene, che porta dei vestiti, ed Echeace
che
discende da un ponte con un’urna di bronzo. Polit
i bronzo. Polite, Strofìo ed Alfio disfanno il padiglione di Menelao,
che
era un poco lontano dalla nave, ed Anfialo ne ten
di Anfialo v’è un fanciullo di cui s’ignora il nome. Fronti è il solo
che
abbia la barba, e di cui Polignoto abbia preso il
Omero si serve di altri nomi nell’Iliade, quando ci sappresenta Elena
che
va colle sue donne verso le mura della città. Sop
ed esternamente afflitto. Non vi è bisogno d’iscrizione per conoscere
che
è Eleno figliuolo di Priamo. — (È da notarsi ques
amo. — (È da notarsi questo passo di Pausania, perchè ci fa intendere
che
in questa pittura, ove vi era più di ottanta figu
tanta figure, ogni principale era distinta col nome. Conviene credere
che
non pregiudicassero alla bellezza dell’opera, gia
Presso Eleno sta Megete col braccio fasciato nella stessa attitudine
che
Lesche lo dipinge nel suo poema sul sacco di Troi
e che Lesche lo dipinge nel suo poema sul sacco di Troia, poiché dice
che
il medesimo fu ferito da Admeto argivo, nel comba
hé dice che il medesimo fu ferito da Admeto argivo, nel combattimento
che
i Troiani sostennero nella notte stessa che la ci
argivo, nel combattimento che i Troiani sostennero nella notte stessa
che
la città loro fu presa. Dopo lui é Licomede figli
te queste figure sono al di sopra di Elena situate. » Questa pittura
che
ci convince quanto la Mitologia scritta influisca
guente Lezione. Udite la sorte di Niobe e dei figli di lei da Ovidio,
che
in questa parte ho volgarizzato. Vi recherà marav
da Ovidio, che in questa parte ho volgarizzato. Vi recherà maraviglia
che
ncii sia accinto a questa impresa dopo la celebre
ni costumi agli antichi, nuoce allo scopo dei nostri studii. Quindi è
che
mi perdonerete se avventurato mi sono a così dise
ebani, Gli uditi numi preferire a quelli Cho sugli occhi vi stanno? a
che
si adora Sugli altari Latona, e senza incensi E i
sti: ed è sorella Alle Pleiadi la madre, ed avo Atlante, Quel potente
che
il ciel sostiene e i numi Sull’eguale cervice, ed
o aggiungi un volto Degno di diva, e sette figli, e sette Giovinette,
che
son di mille amanti E speranza e sospiro. Ancor c
A me Latona Preporre osate, cui l’immensa terra Un asilo negava allor
che
il seno La colpa le aggravò? la terra, il cielo E
fine Dielle l’errante Delo instabil suolo. Qui fu madre di due figli,
che
sono Settima parte della nostra prole. Io son fel
i beni del timor. Fingete Che pera alcun dei figli miei: saranno Più
che
due sempre su: l’allor strappate Al crine, e l’ar
imoso petto. E sì parlava colla doppia prole Sulla vetta di Cinto. Io
che
son madre Di voi superba, e fra le dee minore Sol
orar, nè fia chi adori Mia dubitata deitade? figli, Soccorretemi voi;
che
non è questo Sol mio dolore: è ancor vergogna. —
mava Priva di prole: dell’altero detto In lei cada l’ingiuria, in lei
che
il fasto Paterno vinse. — Le preghiere univa Lato
nti con dimesse vele Il furor, quando unica nube ingombra Il cielo, e
che
la nera onda s’avventa: Vana è la fuga: che il se
nube ingombra Il cielo, e che la nera onda s’avventa: Vana è la fuga:
che
il seguace dardo Lo giunge, e passa la cervice, e
stra, e petto a petto Con stretto nodo opposto era e congiunto, Allor
che
uniti gli trafìsse il dardo. Gemono insieme; ed a
le una fra queste; cade, E muor baciando la fraterna bocca. All’altra
che
volea porger conforto Alla madre, troncò morte la
ne di quelle pitture colle quali Polignoto celebrò Delfo, ma pensando
che
veruna lode per Apollo è più grande che il simula
to celebrò Delfo, ma pensando che veruna lode per Apollo è più grande
che
il simulacro di lui, detto di Belvedere, non ho v
statua, eterna maraviglia e disperazione dell’arte. « Questa statua,
che
già da tre secoli si am mira in Vaticano come il
ome il miracolo della scultura non.può essere sì degnamente descritta
che
si possa figurare alla fantasia con tutti quei pr
e descritta che si possa figurare alla fantasia con tutti quei pregi,
che
si apprendono dall’ispezione oculare. L’artefice,
tti quei pregi, che si apprendono dall’ispezione oculare. L’artefice,
che
si era sollevato fino a concepire una bellezza ch
ulare. L’artefice, che si era sollevato fino a concepire una bellezza
che
con venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tant
n venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tanta fé licita nel marmo,
che
sembra aver realizzato la sua idea con un semplic
ndo è sdegnato e ha ritratto nel suo volto lo sdegno; ma in quel modo
che
non ne altera la soave bellezza, nè la interna se
in alto colla sinistra, è già scaricato; la destra è un solo istante
che
ne ha abbandonato la cocca; il moto dell’azione n
ca; il moto dell’azione non è per anco sedato nelle agili sue membra,
che
ne conservano ancora un certo ondeggiamento, come
ondeggiamento, come quello della superfìcie del mare il momento dopo
che
è cessato il vento. Guarda egli il colpo delle si
o. Guarda egli il colpo delle sicure saette con una certa compiacenza
che
mostra la soddisfazione delle divine sue ire; ma
chei per vendicare l’oltraggio del suo sacerdote, vendetta memorabile
che
è l’occasione dell’ Iliade? Perchè non piuttosto
na offesa non resti inulta? Perchè non contro dell’infedele Coronide,
che
faceva essere il figlio di Giove geloso di un uom
? Tutti questi soggetti son più nobili e più degni d’esser immaginati
che
la morte di un rettile, e il suo sguardo sollevat
un rettile, e il suo sguardo sollevato non sembra osservare un mostro
che
strisci sul suolo. Qualunque però sia stato lo sc
e freccie, l’ azione di aver saettato è tanto evidentemente espressa,
che
non cade in equivoco. Se questa sola basta ad inc
rio dei numi e de’ re, sono così elegantemente increspati e ravvolti,
che
danno idea della sorprendente bellezza della chio
, che danno idea della sorprendente bellezza della chioma di Febo più
che
gli epiteti di χρυσοκομοςe di, ακερσερσεκομης, ch
co’ quali l’hanno espressa i poeti; il solo Callimaco quando ha detto
che
stillavano la panacea sembra essersi più avvicina
bra essersi più avvicinato alla sublime idea dell’artefice. Lo sdegno
che
appena s’affaccia nelle narici insensibilmente en
i ravvisa nei suoi sguardi, e la sua faretra appena agli omeri sembra
che
, secondo la frase d’ Omero, suoni sulle spalle de
orpo, così giudiziosamente misto di agilità, di vigore e di eleganza,
che
vi si vede il più bello e il più attivo degli Dei
ro, e i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere
che
i Greci chiamavano sandali, di sottili strisce. I
ante, ma vi è scolpito un serpe, o alludente alla vittoria di Pitone,
che
allora non potrebbe esser 1’ argomento del simula
izie imperiali chiamate da Filostrato col nome di reggia dei- Cesari,
che
tale poteano dirsi, attesa la premura che si pres
nome di reggia dei- Cesari, che tale poteano dirsi, attesa la premura
che
si presero di abbellirle tanti imperalori romani
mpero e seggio ordinario degli Augusti. Non dee far maraviglia dunque
che
tante insigni sculture lo adornassero, come l’Apo
i. Il marmo è un finissimo greco di somma conservazione, non mancando
che
la mano sinistra, ed essendo le gambe riunite dei
sinistra, ed essendo le gambe riunite dei loro pezzi antichi. Quello
che
avanza circa la qualità del marmo, onde è formato
iga a dissentire da un grand’uomo dei nostri tempi (il celebre Mengs)
che
non contento di aver rapita la meraviglia del sec
mercè l’amicizia di persona distinta per impieghi e per letteratura,
che
si è compiaciuta fare al pubblico un dono postumo
dono postumo dei suoi scrìtti. Mi conviene, dissi, dissentire in ciò
che
riguarda il marmo, non solo di questa statua, ma
re in ciò che riguarda il marmo, non solo di questa statua, ma in ciò
che
ne deduce; cioè che questa, e gli altri capi d’op
da il marmo, non solo di questa statua, ma in ciò che ne deduce; cioè
che
questa, e gli altri capi d’opera dell’arte antica
cioè che questa, e gli altri capi d’opera dell’arte antica non sieno
che
copie d’alti perfetti originali, o almeno origina
originali di second’ordine, impareggiabili, se si confrontino con ciò
che
l’arte rediviva fra le nazioni moderne ha saputo
è nasce da un’idea di perfezione assai superiore alla comune capacità
che
quel grande uomo si era fissata in mente, e che e
alla comune capacità che quel grande uomo si era fissata in mente, e
che
era l’archetipo che si sforzava ritrarre nelle su
à che quel grande uomo si era fissata in mente, e che era l’archetipo
che
si sforzava ritrarre nelle sue pitture, formata s
sforzava ritrarre nelle sue pitture, formata sull’astrazione di ciò,
che
vi ha di più sorprendente nei pezzi dei più insig
nti argomenti, quando si voglia estendere a tutto indistintamente ciò
che
ci è pervenuto dalle antiche scuole dell’arte. I
ti difetti osservati nella figura, riconosciuta d’altra parte per ciò
che
di più bello esista nell’arte. « L’opinione falsa
a parte per ciò che di più bello esista nell’arte. « L’opinione falsa
che
fosse marmo di Carrara, era la ragion più forte,
tendere i dubbi sopra qualunque altra scultura. « Verificato pertanto
che
sia marmo delle cave di Grecia e del più bello, c
o di di tutto il discorso. L’essere stato collocato piuttosto ad Anzo
che
a Roma non è da badarsi da chi ò versato nella st
uranza del pubblico di Roma per le arti del disegno. E poi, una villa
che
onoravano tanto spesso del loro soggiorno i signo
ciuto, potea ben meritare l’ornamento dei capi d’opera della scultura
che
si vedeano tal volta ornare come l’Ercole di Miro
e e il Giove di Prassitele, i portici e i giardini privati. I difetti
che
voglionsi riconoscere nell’Apollo sono la perfett
fficoltà può incontrar più d’una risposta. E per lasciare la generale
che
nulla vi ha di veramente perfetto, e che perciò s
. E per lasciare la generale che nulla vi ha di veramente perfetto, e
che
perciò si trovano degli errori nei capi d’opera,
olo dell’arti del disegno, ma delle lettere ancora e delle scienze, e
che
ciò che distingue l’autore eccellente non è tanto
’arti del disegno, ma delle lettere ancora e delle scienze, e che ciò
che
distingue l’autore eccellente non è tanto l’assen
a dei difetti, quanto l’esistenza di certe bellezze e di certi pregi,
che
non possono esser il prodotto che di talenti non
di certe bellezze e di certi pregi, che non possono esser il prodotto
che
di talenti non comuni: può dirsi ancora che è sta
possono esser il prodotto che di talenti non comuni: può dirsi ancora
che
è stato consiglio dell’artefice di allentanarsi i
i in ciò dal rigido vero per servire alla destinazione del simulacro,
che
, veduto nel sito dove dovea collocarsi, avrebbe n
llente non abbiano parlato gli antichi, non mi curerei di rispondere,
che
poche memorie ci sou restate nelli scritti a noi
ie ci sou restate nelli scritti a noi pervenuti, e soltanto di quelle
che
o per la situazione in luoghi assai frequentati,
re; non mi curerei, dico, di questa risposta, ma sosterrei piuttosto,
che
veramente è questo uno dei quattro celebri Apolli
to uno dei quattro celebri Apollini in marmo rammentati da Plinio, ma
che
non può determinarsi per mancanza di piìi accurat
per mancanza di piìi accurata descrizione, Lasciando da parte quelli
che
non possono convenire all’azione del nostro, ne r
e questo aggiunge ch’era nudo. Da tal particolarità sembra inferirsi
che
l’altro fosse vestito. Ma l’essere anche ai tempi
pi di Plinio situati ambedue in luogo pubblico e sacro, mi fa pensare
che
non fossero poi trasportati ad Anzo dove fu scope
facilmente può credersi questa statua l’Apollo di marmo di Prassitele
che
Plinio annovera fra le più belle opere di quello
stata trasferita nelle delizie Anziatine, o da Antonio, o da Adriano
che
frequentavano quel soggiorno. « Questa statua, un
col serpe ai piedi, simbolo dei rimedii e della salute; per mostrare
che
il morbo eccitato dall’ira del nume cessava poi p
e Averrunco, giacché questa favola fìsica non aveva altro significato
che
la dissipazione operata dal sole de’ vapori malig
e piena d’estro di questa statua dettata a Winkelmann dall’entusiasmo
che
concepiva in considerarne cogli occhi e coll’imma
lvedere è il più sublime ideale dell’arte, fra tutte le opere antiche
che
sino a noi si sono conservate. Direbbesi che l’ a
a tutte le opere antiche che sino a noi si sono conservate. Direbbesi
che
l’ artista ha qui formata una statua puramente in
una statua puramente intellettuale, prendendo dalla materia quel solo
che
era necessario per esprimere la sua idea e render
pra l’umana natura, e il suo atteggiamento mostra la grandezza divina
che
l’investe. « Una primavera eterna, qual regna nei
i un’età perfetta i piacevoli tratti della ridente gioventù, e sembra
che
una tenera morbidezza scherzi sulla robusta strut
idezza scherzi sulla robusta struttura delle sue membra. — Vola, o tu
che
ami i monumenti dell’arte, vola col tuo spirito s
ssuno indizio si scorge dell’umana fralezza. Non vi son nervi nè vene
che
a quel corpo diano delle ineguaglianze e del movi
ne che a quel corpo diano delle ineguaglianze e del movimento: ma par
che
un soffio celeste, simile a fiume che va placidis
glianze e del movimento: ma par che un soffio celeste, simile a fiume
che
va placidissimo, tutta abbiane formata la superfì
della sua vittoria. Siede nelle sue labbra il disprezzo, e lo sdegno
che
in sé racchiude gli dilata alquanto le nari, e fi
embrano inalterabili, e gli occhi suoi sono pieni di quella dolcezza,
che
mostrar suole allorché lo circondano le muse e lo
Fra tutti i rimastici simulacri del padre degli Dei, nessuno ve n’ha
che
si avvicini a quella sublimità in cui egli manife
utte rappresentare come in una nuova Pandora le bellezze particolari,
che
ad ognuna delle altre deità sono proprie. Egli ha
Giove la fronte gravida della dea della Sapienza, e le sovracciglia,
che
il voler supremo manifestan con i cenni; gli occh
o investiti, e già mi sento trasportato in Delo, e nelle Licie selve,
che
Apollo onorò di sua presenza. Farmi già che l’imm
elo, e nelle Licie selve, che Apollo onorò di sua presenza. Farmi già
che
l’immagine, che io men formo, vita acquisti e mot
ie selve, che Apollo onorò di sua presenza. Farmi già che l’immagine,
che
io men formo, vita acquisti e moto come la bella
io ben dipingerla e descriverla? Io avrei bisogno dell’arte medesima,
che
guidasse la mia mano anche nei primi e più sensib
ima, che guidasse la mia mano anche nei primi e più sensibili tratti,
che
n’ho abbozzati. Depongo pertanto a’ piedi di ques
che n’ho abbozzati. Depongo pertanto a’ piedi di questa statua l’idea
che
ne ho dato, imitando così coloro che posavano a p
a’ piedi di questa statua l’idea che ne ho dato, imitando così coloro
che
posavano a pie dei simulacri degli Dei le corone
ando così coloro che posavano a pie dei simulacri degli Dei le corone
che
non giungevano a metter loro sul capo. » Debbo f
e che non giungevano a metter loro sul capo. » Debbo farvi avvertire
che
il celebre Visconti, poiché fermò sua dimora in P
a magrezza delle scuole più antiche. Quindi non è lontano dal credere
che
lo scultore dell’Apollo abbia imitata questa stat
o al marmo della statua il Visconti dice sostenersi dai mineralogisti
che
nelle cave abbandonate di Carrara si trovan vene
te simili a quella dell’Apollo, e vide in Parigi un marmo di Carrara,
che
si credeva greco. Udite adesso da Ovidio, che, in
gi un marmo di Carrara, che si credeva greco. Udite adesso da Ovidio,
che
, incoraggito dal voNicccLiNi. Lez. di Mit. ecc. 3
el suo primo amore sventurato. Dafne. Fu Dafne a Febo il primo amor,
che
diede Non sorte ignara, ma il furor di un nume Iv
mostro. Quando mirò curvar l’arco a Cupido, E disse: Colle forti armi
che
tenti, Fanciul lascivo? ai nostri omeri solo Ques
mico, Temon le fere l’infallibil dardo Di me, ch’or dianzi sul Piton,
che
mille Campi ascondea con spazioso giro, Votai del
beltà. — Ma Febo intanto Ama Dafne, la mira, e come amante Spera quel
che
desia; mentono al nume Pur gli oracoli suoi. Qual
e, e quella bocca. Che non basta il veder: loda le mani E le braccia,
che
appena il vel nasconde, Quel ch’è celato col desi
la tal fugge colomba: Ma son nemici: io per amor ti seguo; Misero me,
che
tu non cada, e il pruno Non ti punga il bel pie,
eguo; Misero me, che tu non cada, e il pruno Non ti punga il bel pie,
che
non è degno Di essere oifeso, che di pianto io si
e il pruno Non ti punga il bel pie, che non è degno Di essere oifeso,
che
di pianto io sia Cagione: aspra è la via dove ti
rso Nella veste fiammeggia; un’aura lieve Dolcemente solleva il crin,
che
torna Indietro, e sua beltà la fuga accresce. Nè
campo Siegue una lepre: ella col pie salute Cerca, ei la preda, e par
che
già l’afferri. E lei spera tener: suona il deluso
e quasi capo Scosse l’onor della frondosa cima, Raro dono al Poeta, e
che
di Giove E del fulmine suo l’ire prescrive. Ov
ea della giovinezza virile ideale si scorge principalmente in Apollo,
che
riputavasi il più bello fra i numi. Nelle sue fig
, e nato a grandi imprese. Si vede nella sua figura una sanità vivace
che
annunzia la forza, simile all’aurora di un bel gi
unzia la forza, simile all’aurora di un bel giorno. Non pretendo però
che
tanta beltà si trovi in tutte le statue di Apollo
o e tranquillo. Tale statua è altresì rimarchevole per esser la sola,
che
io sappia, che ha un particolar attributo di Apol
Tale statua è altresì rimarchevole per esser la sola, che io sappia,
che
ha un particolar attributo di Apollo, cioè il bas
pastore incurvato, appoggiato alla pietra su cui siede la figura: dal
che
appare che siasi voluto rappresentare Apollo past
urvato, appoggiato alla pietra su cui siede la figura: dal che appare
che
siasi voluto rappresentare Apollo pastore (νομιος
a. Da questa si può prendere un’idea di quell’acconciatura di capelli
che
i Greci chiamavano κρωβυλος, e che presso gli scr
a di quell’acconciatura di capelli che i Greci chiamavano κρωβυλος, e
che
presso gli scrittori non trovasi mai con sufficie
ritta. Questa voce significa nei maschi quella maniera di acconciarsi
che
nelle fanciulle chiamavasi κορυμβος, cioè i capel
su tutti air intorno del capo, in cima al quale annodavangli in guisa
che
non dovea vedersi il laccio che li sosteneva. « T
n cima al quale annodavangli in guisa che non dovea vedersi il laccio
che
li sosteneva. « Tale è la capigliatura di una fig
il nome di Berenice ad un bell’Apollo di bronzo nel Museo di Ercolano
che
ha i capelli voltati all’insù, e legati in cima a
a, non tradotta, per quel ch’io sappia, ancora nella nostra lingua, e
che
vi esporrò nel fine del mio Corso mitologico, cos
chezza della carne è troppo duro, e produce un effetto meno piacevole
che
quello dei capelli biondi; verità di pratica, ric
tà di pratica, riconosciuta da tutti gli artisti. Un passo di Ateneo
che
contiene due espressioni di Simonide m’impegna a
are questa osservazione. La prima è il tono della voce di una vergine
che
esce da una bocca di porpora, ed il personaggio m
ogo, perchè la bella natura ci prova al contrario, ed è da presumersi
che
i Greci avranno fatta la stessa osservazione, per
lo, conformemente a l’epiteto in quistione e ad altri di simil genere
che
gii hanno dati i poeti, saranno state dipinte con
ura bionda, come noi possiamo giudicare dal piccolo numero di pitture
che
sono giunte sino a noi, nelle quali questo dio è
i, nelle quali questo dio è rappresentato. Noi troviamo in Plutarco
che
gli antichi pittori hanno dato dei capelli biondi
tutte le divinità giovanili, neppur Zeffiro eccettuato. Sembra dunque
che
nel passo di Ateneo , che ho citato, bisogni por
, neppur Zeffiro eccettuato. Sembra dunque che nel passo di Ateneo ,
che
ho citato, bisogni porre un interrogativo dopo la
ome ve n’ha uno dopo la prima, per salvare la manifesta contradizione
che
ha imbarazzato alcuni autori, e fra gli altri Fr
che ha imbarazzato alcuni autori, e fra gli altri Francesco Giunio ,
che
ha scritto sulla pittura degli antichi. Forse cos
lla pittura degli antichi. Forse così uno s’inganna nella spiegazione
che
si dà alla maniera, nella quale Anacreonte desi
iegazione che si dà alla maniera, nella quale Anacreonte desiderava
che
fossero dipinti i capelli del suo favorito: gli v
chioma bionda quando divisa vi si forma delle cavità. Così mi sembra
che
deva intendersi dei capelli di color blu che Ome
e cavità. Così mi sembra che deva intendersi dei capelli di color blu
che
Omero dà ad Ettore ed a Bacco: vale a dire dei
che Omero dà ad Ettore ed a Bacco: vale a dire dei capelli biondi,
che
interiormente, e nei luoghi ove sono ombrati, off
inkelmann, questa digressione di lui medesimo sopra i capelli biondi,
che
può esservi forse di qualche utilità, e mostrarvi
ome di θαυμαντις13, indovino del dio, vale a dire di Apollo, a quelli
che
morendo di fame masticavano le foglie di lauro. S
mità del capo, ordinario ornamento alle giovinette, il quale annunzia
che
non erano maritate. Una statua in Campidoglio e d
no maritate. Una statua in Campidoglio e due altre nella Villa Medici
che
gli rassomigliano, hanno i capelli annodati nella
stessa maniera. Il pomo posto nella mano di Apollo indicava il premio
che
si dava nei primi tempi ai giuochi Pitici, il qua
portato da un cigno è un’immagine rara, ma bella e significantissima,
che
si trova in una medaglia. La medaglie della città
n una medaglia. La medaglie della città di Tessalonica offrono Apollo
che
si corona da sé stesso di lauro come vincitore ne
re, con altri attributi propri: di Apollo, rappresenta la ninfa Arge,
che
fu trasformata in questo animale per essersi vant
che fu trasformata in questo animale per essersi vantata, seguendolo,
che
ella l’avrebbe raggiunto ancora che la velocità d
per essersi vantata, seguendolo, che ella l’avrebbe raggiunto ancora
che
la velocità di lui fosse rapida quanto quella del
del settimo volume dell’ Antichità Greche di Gronovio, mostra Apollo
che
tiene il piede sopra un orso: non ho potuto trova
tra Apollo che tiene il piede sopra un orso: non ho potuto trovare da
che
questo simbolo sia derivato. Un topo accanto alla
sulle medaglie di Tenedo indica il soprannome Smìnteo di questo dio,
che
nel dialetto cretese significa Topo, perchè Apoll
l flauto, l’altra la siringa, quella del mezzo la lira: si pretendeva
che
questa statua fosse fino dai tempi di Ercole. Il
ino di cui si fa uso nei tripodi di Apollo, è un ornamento allegorico
che
significa la metamorfosi di questo dio in pesce:
te nei lati di una tomba di marmo antico trovata in Francia, non sono
che
maschere che trovansi frequentemente nei monument
i una tomba di marmo antico trovata in Francia, non sono che maschere
che
trovansi frequentemente nei monumenti di simil ge
enti di simil genere, onde si è ingannato De Boze nella Dissertazione
che
ha stampata nelle Memorie dell’Accademia delle Is
la statua dell’Apollo Citaredo. « Nell’insigne simulacro di Apollo,
che
abbiamo descritto (l’Apollo del Belvedere), ci ha
esentato r artefice la possanza e lo sdegno di questo nume: in quello
che
ora spieghiamo, ravvisiamo solamente il padre del
ato dall’estro, nelle labbra semiaperte al canto, nell’abito teatrale
che
lo copre sino a’ piedi, nella cetra che tien sosp
al canto, nell’abito teatrale che lo copre sino a’ piedi, nella cetra
che
tien sospesa dal lato manco, nel moto delle bracc
esa dal lato manco, nel moto delle braccia al suono, apparisce un dio
che
accompagna sulla cetra celeste le soavi modulazio
osservare questa bella statua attorniata dalle altre nove delle Muse,
che
fan corona al loro corifeo, ci rammentiamo di que
rca di Cipselo unitamente al coro delle nove dee d’Elicona; e i versi
che
v’erano sottoposti convengono perfettamente colle
r, figlio a Latona Apollo è questo: e queste son le Muse, Amabil coro
che
il circonda e segue. « La maraviglia di chi consi
egio in cui si conosce essere stata presso gli antichi dalle medaglie
che
ci rimangono. È noto, per infamia della storia au
a, il fanatico trasporto di Nerone pel suono della cetra e pel canto,
che
lo fece discendere sino a comparire su i palchi d
riportarla come di uno dei più gloriosi suoi fasti. Ci narra Svetonio
che
volle esser venerato qual nuovo Apolline, e come
aglie greche e latine si conservano tuttora con tale impronta, e. ciò
che
più singolarmente fa al nostro proposito si è che
le impronta, e. ciò che più singolarmente fa al nostro proposito si è
che
la figura di Nerone Citaredo è tanto simile a que
a figura di Nerone Citaredo è tanto simile a questa statua di Apollo,
che
ne sembra copiata nel modo e nell’attitudine e si
llo, che ne sembra copiata nel modo e nell’attitudine e sin nel lauro
che
gli corona le chiome. È credibile che l’adulazion
nell’attitudine e sin nel lauro che gli corona le chiome. È credibile
che
l’adulazione, in un secolo specialmente pieno di
telligenza nelle belle arti, non abbia scelto fra i simulacri di Febo
che
il più nobile e il più celebrato, perchè servisse
ervisse di emblema del citaredo imperatore. Possiamo dunque inferirne
che
questa che abbiamo presente fosse presso gli anti
emblema del citaredo imperatore. Possiamo dunque inferirne che questa
che
abbiamo presente fosse presso gli antichi la più
sta che abbiamo presente fosse presso gli antichi la più bella figura
che
offrisse Apollo in abito di Citaredo. E se mi sar
bito di Citaredo. E se mi sarà lacito d’inoltrare le confetture, dirò
che
è una replica, o una copia fatta da mano maestra,
dell’Apollo sonatore di cetra di Timarchide Ateniese, famosa scultura
che
accompagnava nei portici di Ottavia le nove Muse
di Ottavia le nove Muse di Filisco. La mae stria del lavoro, non meno
che
la celebrità del luogo dove erano esposte queste
à del luogo dove erano esposte queste statue alla luce dell’universo,
che
si affollava nella sua metropoli, può essere stat
rso, che si affollava nella sua metropoli, può essere stato il motivo
che
indusse gli antichi scultori a copiarla per fare
statua dell’imperatore, come ancora delle diverse repliche delle Muse
che
ci sono rimaste in attitudini simili forse a quel
ui ci trasporta l’osservazione di così bel simulacro per esaminar ciò
che
d’istruttivo, circa le antiche costumanze, ci pre
ei vincitori e dei poeti. Era simil corona tanto propria dei citaredi
che
nel certame delfico dei sonatori di cetra compari
comparivano questi coronati di lauro. Osserva Luciano a tal proposito
che
i più poveri si contentavano dell’alloro naturala
vano di lauree d’oro, ornate di smeraldi in luogo di bacche. La gemma
che
distingue la corona del nostro Apolline può rifer
iferirsi a simil costume: questa gemma unica nel centro della corona,
che
corrisponde alla fronte, soleva adornare le laure
Augusto in età senile in questo nostro Museo. L’abito è quello stesso
che
i poeti latini attribuiscono a’ citaredi e alle p
palla dei Latini era, secondo Tosservazione di Servio, la stessa cosa
che
il peplo dei Greci). Questa danno ad Apollo quand
ra dì rara arte, risplendente per la testuggine e l’oro. « Qui sembra
che
il poeta avesse innanzi agli occhi la nostra stat
voluto significare la ricchezza di questo abito di Apollo colla gemma
che
lo guarnisce sul petto. La clamide che gli sta so
to abito di Apollo colla gemma che lo guarnisce sul petto. La clamide
che
gli sta sospesa agli omeri con due borchie è anch
redico, per testimonianza degli antichi scrittori. La fascia, o zona,
che
gli circonda il petto, é più alta delle cinture o
li omeri del nume per una specie di armacollo. Tali cetre più grandi,
che
così per comodo si sospendevano, vengono da Esich
miscuamente. La nostra è notabile pel basso rilievo di Marsia appeso,
che
ne adorna uno dei corni, o braccia, dette dai Gre
anta ragione fosse prescelto questo simulacro a rappresentare Nerone,
che
mostrava una somma emulazione coi più famosi sona
er motivo di più compiacersi della vittoria. Quel corpo rettangolare,
che
si distingue verso la estremità inferiore della c
Esichio qual lo veggiamo rappresentato. Serviva per chiudere un vuoto
che
desse maggior voce allo strumento, le cui corde s
rminavano. Questa concavità distingueva le lire dalle semplici cetre,
che
non ne erano fornite, secondo l’opinione degli es
Nereo le schiere, E dai lampi dell’armi il mar dipinto Tremava, allor
che
lasciò Delo Apollo; Delo che sta, vindice il nume
dell’armi il mar dipinto Tremava, allor che lasciò Delo Apollo; Delo
che
sta, vindice il nume, e un giorno Soffiò Noto din
inanzi al suo furore. Sopra Augusto ristette, e nuova fiamma Apparve,
che
curvossi in face obbliqna Tre volte. Non avea spa
si sul collo I crini, e della lira il suono inerme; Ma quel sembiante
che
al maggior Atride Rivolse, onde con mille avidi r
avidi roghi Vuotò le tende Achee, e i giri immensi Sciolse al Pitone,
che
l’ imbelle Lira Temeva: disse: salvator del mondo
ttorei, Augusto: Vinci sul mare, è tua la terra: e l’arco Milita a te
che
sull’irate spalle Risuona. Salva la tremante Roma
lla morte il Fato. Ahi: trionfo miglior fora una donna Per quelle vie
che
incatenato scorse Giugurta. Avresti, o Febo, onor
vigesima. Dei cognomi di Apollo. Questa Lezione, ultima fra quelle
che
trattano di Apollo, è destinata a tesservi la ser
lia, fu chiamato il nume Libico, perchè colla peste vinse quei popoli
che
invader volevano le fortunate contrade alle quali
ominazione, ed P^pidelio fu detto il simulacro di lui, il quale, dopo
che
l’isola predetta fu da un Prefetto di Mitridate s
. Regna discordia sulle cause per le quali Febo si nomina: l’opinione
che
più al vero si avvicina è quella che derivar fa q
quali Febo si nomina: l’opinione che più al vero si avvicina è quella
che
derivar fa questo nome dalla luce, prima qualità
a che derivar fa questo nome dalla luce, prima qualità di questo dio,
che
simboleggia il Sole « Il ministro maggior della
duce da Lieo figliuolo di Pandione, e nel Viaggio a Corinto, dal lupo
che
sacro era al nume, forse, onde la velocità signif
esenta subito il motivo, avendovi Pausania descritto il famoso tempio
che
in Delfo ad Apollo sorgeva. Stazio volendo esprim
a morte di Anfìarao, reputò di non poter meglio giungere al suo scopo
che
dicendo: « Sarai sempre di Febo eterno e nuovo do
ovo dolore^ e lungamente in Delfo sarai pianto. » È celebre il tempio
che
aveva pure a Triopo città della Caria il dio, ond
la Caria il dio, onde Triopo fu appellato, ed i vincitori nei giuochi
che
sacri gli erano ne riportavano in premio tripodi
io tripodi di bronzo. Diede al dio il nome d’Ismenio il colle Ismene,
che
sorgeva della destra porta di Tebe all’ingresso,
una città sola, ma quasi padre di tutte. Rendevano famoso il tempio,
che
sotto questo titolo aveva in Atene, le opere di E
empio, che sotto questo titolo aveva in Atene, le opere di Eufranore,
che
primeggia fra gli antichi pittori. Pitio lo disse
li antichi pittori. Pitio lo dissero dalla morte del serpente Pitone,
che
le membra anelanti abbandonò sul giogo Cirreo, do
divise questo nome colla sorella. Didimeo, perchè credevasi lo stesso
che
il Sole, il quale con doppio lume fa heto l’unive
heto l’universo, rallegrando ancora le tenebre della notte colla luce
che
sparge nel volto della Luna. Filesio chiamarono A
che sparge nel volto della Luna. Filesio chiamarono Apollo dal bacio
che
diede a Branco fanciullo caro al nume, o perchè a
Lungi-saettante, sovente è detto da Omero, perchè equiparato al sole
che
da lontano i suoi effetti produce. Pagaseo, perch
ella quale ebbe oracoli ed altari fondato da Manto figlia di Tiresia,
che
qui fuggiva la vendetta degli Epigoni vincitori d
lo dissero, onde il Lirico mentovato cantò: « Delio e Patareo Apollo,
che
i liberi crini lava colla pura rugiada Castalia,
Patareo Apollo, che i liberi crini lava colla pura rugiada Castalia,
che
tiene i gioghi e la selva nobile di Licia. » Amic
ano il motivo di questo nome in Carno figliuolo di Giove e di Europa,
che
fu educato dal nume, altri in diversa favola che
i Giove e di Europa, che fu educato dal nume, altri in diversa favola
che
per brevità tralascio. Timbreo afferma Strabene c
in diversa favola che per brevità tralascio. Timbreo afferma Strabene
che
fosse chiamato da Timbra, luogo prossimo a Troia,
e che fosse chiamato da Timbra, luogo prossimo a Troia, dove vogliono
che
Achille, essendo da Paride ucciso, fosse inventat
iono che Achille, essendo da Paride ucciso, fosse inventata ìa favola
che
Apollo dirigesse l’arco dell’imbelle figlio di Pr
itani effigiato era Apollo nelle sembianze di un giovine senza barba,
che
colla destra teneva inalzata la sferza a guisa di
fondea colla sinistra. Dal catalogo di questi cognomi potete ricavare
che
Apollo presso gli antichi si confondeva col Sole
. Prevalendomi di questa conseguenza, narrerò l’avventura di Fetonte;
che
ho tradotto dalle Metamorfosi di Ovidio, giacché
o, e dal lavoro La materia era vinta. È da Vulcano Qui sculto il mar,
che
della terra abbraccia Il globo, e il cielo che so
ano Qui sculto il mar, che della terra abbraccia Il globo, e il cielo
che
sovrasta al globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi i
che sovrasta al globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi il canoro Triton
che
suona la ritorta conca, E Proteo dubbio, ed Egeon
l canoro Triton che suona la ritorta conca, E Proteo dubbio, ed Egeon
che
preme Con le sue braccia alle balene il tergo: Do
altra è peso: Non hanno tutte un sol sembiante, eppure Non è diverso,
che
cosi conviene A sorelle. La terra uomini porta E
Il pie ritenne Lungi, perchè non soffre occhio mortale Luce di Febo,
che
sul soglio siede Di smeraldi distinto, ed ha vela
l’abbraccia e dice: Degno tu sei d’essermi figlio, e vera L’origin fu
che
t’additò la madre; E perchè escluda i dubbi ogni
: il ciel non vuole Ch’io ti sconsigli. Ah tu. Fetonte, ignori Quello
che
brami: è grande il dono, e vince L’età le forze:
sull’ardente carro Non oserian posarsi, e dell’immenso Olimpo il re,
che
colla man tremenda Vibra i fulmini suoi, paventa,
ll’avversa parte Io mi sostengo, e per contraria forza L’impeto vinco
che
comanda al mondo. Fingiti il cocchio fra i rotant
l vicino cancro La diversa minaccia. Èlieve forse Gli animosi frenar,
che
dalle nari E dalla bocca spiran fiamma? Appena To
o solo Non dimandar, ten prego: è pena il dono, Non gloria. stollo, a
che
forza mi fai Coi lusinghieri amplessi? avrai, non
a che forza mi fai Coi lusinghieri amplessi? avrai, non temi. Quello
che
brami: ch’io giurai di Stige L’inviolabil acque:
ucifero aduna, e lascia il cielo Fra gli astri ultimi. Il padre allor
che
vide Rosseggiare la terra, e i corni estremi Quas
dio seguon l’ancelle, E traggon fuor dalle sublimi stalle I cavalli,
che
pasce ambrosia, e fuoco Spirano dalle nari, e il
ra, e se il mutabil petto Cede ai consigli miei, lascia l’impresa, Or
che
a te si concede, e ancor non premi L’asse mal des
roento, Eoo Del Sol destrieri, e percotean coi piedi La sbarra: allor
che
dell’immenso cielo La libertà Teti concesse, igna
simile a nave Che leggera al furor cede dei flutti, Salta il cocchio
che
par vuoto: abbandona Il trito spazio: già trema F
Prese il serpente, e tu pigro Boote Col tuo plaustro fuggisti. Allor
che
vide Giù giù la terra di Olimene il figlio Impall
i nasce, e te condanna, Fasto infelice del paterno sangue. Come legno
che
Borea ha vinto, e lascia Il pallido nocchiero al
ungo tratto Segnò di luce nel turbato cielo: Così membra cader stella
che
fende Il liquido seren. Spengi il fumante Volto,
. II. Lezione vigesimaprima. Diana. Secondo Cicerone, nel libro
che
intorno alla natura degli Dei ha scritto, più fur
re; l’altra figlia di Giove e di Latona; la terza di Upi e di Glauce,
che
i Greci sovente chiamano col vocabolo paterno. I
chiamano col vocabolo paterno. I vanti di tutte s’arroga la seconda,
che
è sorella di Apollo e custode delle selve ed onor
lve ed onore degli astri, perchè, come dai poeti appare era lo stesso
che
la luna, quantunque a quest’ultima l’antichità di
ichità dia per genitore ora Iperione, or Fallante. Fingono i Mitologi
che
prima del fratello nata, uffìcii di levatrice pre
o le parole di lui. « Primi fra tutti vennero gli Efesii commemorando
che
, non come è credenza volgare, procreati furono Ap
come è credenza volgare, procreati furono Apollo e Diana in Delo, ma
che
presso un loro fiume chiamato Cencrio situato in
. » Nè questa differenza deve farci maraviglia, giacché tutto quello
che
è argomento alla vanità delle nazioni soggiace a
nazioni soggiace a infiniti cangiamenti. Sappiamo infatti da Erodoto
che
gli Egiziani dicevano generate da Cerere e da Dio
re e da Dionisio queste due divinità, alle quali Latona non era stata
che
una semplice nutrice. Questa opinione fu seguita
tata che una semplice nutrice. Questa opinione fu seguita da Eschilo,
che
chiamò Diana figlia di Cerere, la quale, al dire
Diana figlia di Cerere, la quale, al dire di Pausania, era lo stesso
che
l’Iside degli Egiziani. Checché ne sia, avendo ve
so che l’Iside degli Egiziani. Checché ne sia, avendo veduto i dolori
che
costava l’esser genitrice, dimandò a Giove padre
ra, tutte fanciulle. Yoglio inoltre venti ninfe Amnisidi per ancelle,
che
abbiano cura dei miei coturni da caccia, e dell’a
nti: assegnami però qualunque città ti piaccia, poiché sarà cosa rara
che
io vi scenda. Abiterò sempre nei poggi, e mi mesc
barba del padre (questo atto presso i Greci facevasi dai supplicanti,
che
abbracciavano ancora le ginocchia), e invano stes
figli, poco curerei Tire di Giunone gelosa. Abbiti, figliuola, quello
che
dimandi; avrai cose ancora maggiori. Ti do, non c
figliuola, quello che dimandi; avrai cose ancora maggiori. Ti do, non
che
una torre, trenta cittadi trenta che non sapranno
cose ancora maggiori. Ti do, non che una torre, trenta cittadi trenta
che
non sapranno esaltare altro dio che te sola, e da
una torre, trenta cittadi trenta che non sapranno esaltare altro dio
che
te sola, e da te si chiameranno. Disegnerai pure
chiameranno. Disegnerai pure a comune molte ville, tanto mediterranee
che
isole, e in tutte vi saranno i tuoi altari, i tuo
nte di Creta, crinito di boschi; poscia all’Oceano, e scelse le ninfe
che
desiderava per seguaci. Gioì Cerato, gioì Teti pe
compagnia di Diana. Circondata da queste andò ai Ciclopi, e gli trovò
che
nell’isola, Lipari or detta, e già Meliguni, stav
ano intorno ad una massa infocata, la quale preparavano per un lavoro
che
dovea servire per Nettuno, e consisteva in un vas
incudini sonanti, il vento dei mantici e l’urlo delli stessi Ciclopi,
che
rimbombava l’Etna, l’isola tutta, l’Italia vicina
va, i cui attributi unì l’ Ariosto nella seguente maravigliosa ottava
che
fa indirizzare a Diana da Medoro, famoso per la f
à e per gli amori non sperati, frutti della sventura. « O santa Dea,
che
dagli antichi nostri Debitamente sei detta trifor
ità, tratta dal Museo Clementino del celebre Visconti. Quindi Ovidio,
che
ho tradotto seguendo il mio costume, vi narrerà i
la quale esprime eccellentemente il movimento della dea e ne’ capelli
che
leggermente svolazzano, e nell’andamento dei pann
la figlia di Latona. Si vede la dea in atto di estrarre dal turcasso,
che
tiene appeso agii omeri, una freccia per lanciarl
, così appunto senza maniche come un antico scoliaste ce la descrive,
che
lasciava il braccio nudo incominciando dagli omer
la descrive, che lasciava il braccio nudo incominciando dagli omeri e
che
si vedeva in moltissime statue di divinità femmin
; tutto l’abito insomma è tanto semplice quanto a una dea si conviene
che
è nemica d’amore. Notabile è nella no stra statua
dea si conviene che è nemica d’amore. Notabile è nella no stra statua
che
non è succinta come le sue immagiai ce l’offrono
ol quale ha creduto il senator Bonarroti di render ragione dell’abito
che
giunge fino a’ piedi di una sua Diana. La sua azi
ua Diana. La sua azione è quella di saettare, nè dee farci maraviglia
che
tuttavia non sia stata scolpita succinta, quando
eta della famiglia Ostiglia l’osserviamo in veste talare con un cervo
che
ha raggiunto, stretto da lei per le corna colla s
ra, e con una lancia da cacciatrice nella sinistra. E poi si può dare
che
l’espressione del nostro simulacro non sia quella
he l’espressione del nostro simulacro non sia quella della caccia, ma
che
lanci i suoi dardi o contro il tentatore Orione,
ssima statua mi è sembrata meritare tanta attenzione, quanto la benda
che
le avvince la fronte. Ha osservato Winkelmann che
ne, quanto la benda che le avvince la fronte. Ha osservato Winkelmann
che
siffatta benda è propriamente il credemnum de’ Gr
siffatta benda è propriamente il credemnum de’ Greci, ed io rifletto
che
l’etimologia stessa di quella voce lo insegna. Cr
uella voce lo insegna. Credemnum non è altro, anche secondo Eustazio,
che
vìncolo o laccio del capo; ottimamente dunque si
l capo; ottimamente dunque si appropria questo nome a siffatte bende,
che
non solo i capelli, ma il capo stesso e la fronte
engono alla descrizione dell’antico credeimio anche le due estremità,
che
in alcune immagini si osservano pendenti, poiché
esso Omero con quelle appunto si copre e asconde le gote. Quello però
che
non sembrami avere il Winkelmann dimostrato, e ch
gote. Quello però che non sembrami avere il Winkelmann dimostrato, e
che
io credo insussistente, è la sua massima che qual
Winkelmann dimostrato, e che io credo insussistente, è la sua massima
che
qualunque statua con tal benda si osservi debba a
cotea. Il fondamento di ciò è la favola Omerica, nella quale si narra
che
questa diva del mare die il suo credemno al naufr
al naufrago Ulisse perchè gii fosse di scampo. Deducesi da tutto ciò
che
Ino o Leucotea con tal benda soleva effigiarsi: n
effigiarsi: non mi sembra per altro legittima conseguenza l’inferirne
che
questa sola dea ne avesse il capo adornato. L’isp
ce la mostra assai frequentemente in figure virili, e anche barbate,
che
sono per altro della compagnia di Bacco, per tace
altro della compagnia di Bacco, per tacere l’immagine di questo nume,
che
ne hanno cinta la fronte. E dunque piuttosto il c
no cinta la fronte. E dunque piuttosto il credemno un ornato bacchico
che
si dava a Leucotea come nudrice di Bacco, non cos
drice di Bacco, non così proprio per altro di questa seconda divinità
che
non possa attribuirsi ad altro soggetto; così ne
a circondata la fronte l’Urania colossale del Palazzo Farnese, e quel
che
è più osservabile questa nostra Diana, Omero stes
suo poema ne adorna le ninfe dello Scamandro. « Vero è con tutto ciò
che
forse questa è la sola figura che non sia bacchic
o Scamandro. « Vero è con tutto ciò che forse questa è la sola figura
che
non sia bacchica, la quale s’incontri con simile
non avendo col jiume tebano alcuna cognita relazione. Potrebbe dirsi
che
Bacco, come deità della campagna, era ancora una
ia. Spesso in atto di cacciatori veggonsi i Fauni e anche i Centauri,
che
pur sono suoi seguaci: Narcisso in una pittura de
e cacciatore, è ornato d’una corona bacchica. Anzi osservo in Polluce
che
un abbigliamento, che da lui ai cacciatori si att
d’una corona bacchica. Anzi osservo in Polluce che un abbigliamento,
che
da lui ai cacciatori si attribuisce, non si osser
liamento, che da lui ai cacciatori si attribuisce, non si osserva ora
che
nelle immao’ini di Bacco de’ suoi seguaci. E ques
a che nelle immao’ini di Bacco de’ suoi seguaci. E questo l’ephaptis,
che
secondo Polluce è un piccol manto col quale si co
secondo Polluce è un piccol manto col quale si coprivan le mani quei
che
sul teatro rappresentavano i cacciatori. Simili m
ani quei che sul teatro rappresentavano i cacciatori. Simili mantelli
che
nascondono per lo più una sola mano, si veggono s
Sileno, uno dei quali in bronzo, è presso di me e in altre immagini,
che
pure a simili soggetti appartengonsi. « Commento
perchè non la veggo peranco dagli eruditi rilevata in que’ monumenti
che
ce la mostrano. Anzi questa riflessione mi fa sov
isa avvolta nel manto. Non mi sembra d’errare quando lo credo Alcide,
che
presso ad Onfale o presso a Jole così mollemente
zo di Napoli dalla corona di pampani. « Finalmente se taluno vi fosse
che
amasse tanto l’opinione di Winkelmann che volesse
nalmente se taluno vi fosse che amasse tanto l’opinione di Winkelmann
che
volesse assolutamente avere per Leucotea, o per p
elmann stesso denominò Cadmo una simil testa virile, si potrebbe dire
che
la nostra statua non Diana rappresenti, ma Agave
antiche e più belle statue greche. Diana succinta. « L’abito succinto
che
appena giunge al ginocchio, la faretra appesa agl
li omeri, l’attitudine del corso espresso in tutte le membra, il cane
che
Taocompagna, indicano abbastanza la cacciatrice D
quella figura alla presente statua in ogni più minuta particolarità,
che
non può dubitarsi che non provengano queste diver
esente statua in ogni più minuta particolarità, che non può dubitarsi
che
non provengano queste diverse immagini da un mede
rii degli antichi, de’ quali doveva esser calzata l’immagine di Diana
che
le promette in voto il virgiliano Micene in que’
avvinte le gambe. » La tonaca è breve, e così raccolta dalla cintura
che
le lascia scoperte le gambe, come appunto bramava
e spalle, la faretra le pende dagli omeri. Alcuni eruditi han creduto
che
il portar alle spalle il turcasso sìa distintivo
non delitto: Ahi qual può nell’error esser delitto: Sorgeva un monte
che
di varie belve Macchiò la strage: il sole in mezz
chiò la strage: il sole in mezzo al cielo Facea l’ombre minori, allor
che
chiama L’Ianzio giovinetto i suoi compagni, Che g
ente ai detti La schiera le dilette opre interrompe. S’apre una valle
che
Gargafia ha nome Cui l’acuto cipresso orrore accr
soleva Terger nell’acque le virginee membra Nella caccia stancate. Or
che
vi giunse, A ninfa delle certe armi custode Conse
a col collo a tutte Sopravanza Diana:15 avea la faccia Eguale a nube,
che
pel sole avverso Fiammeggia, o come è dell’Aurora
: e detti aggiunge Che nunzi sono del futuro danno: Or ti lice narrar
che
senza velo Mi vedesti se il puoi: — nè più minacc
on tutti Rapidi più del vento, Ileo feroce, E Lelape, e Teronte, Agre
che
trova Orme di belve con sagaci nari, E mille velt
Teronte, Agre che trova Orme di belve con sagaci nari, E mille veltri
che
è il ridir dimora. La turba, che furor di preda i
elve con sagaci nari, E mille veltri che è il ridir dimora. La turba,
che
furor di preda infiamma, Fra rupi e tane, fra sco
il capo Al suo nome rivolge: essi querela Fanno ch’ei sia lontano, o
che
non pasca Gli occhi bramosi nell’offerta preda. E
be, ed è presente: Vedere e non sentir le prove atroci Dei feri cani,
che
immergean la bocca Nel petto, e in forma di falla
armi), le freccie, la faretra: io sono figlia di Latona come Apollo:
che
s’io prenderò in caccia qualche serpe solingo, qu
vetta del monte Parrasìo delle cerve saltanti, alta e mirabile cosa,
che
pasceano sempre sulla riva dell’ Anauro da’ neri
mortali con grave gelo flagella. Qui da un pino tagliasti la fiaccola
che
accendesti sul Miso Olimpo con quella luce inesti
accola che accendesti sul Miso Olimpo con quella luce inestinguibile,
che
dai fulmini del tuo padre deriva. Quante volte, d
quarta scoccasti le infallibili saette sopra una città di scelerati,
che
contro i suoi, contro gli stranieri, molte colpe
figliuoli, muoion le gravide donne, o partoriscono nell’esilio figli
che
non si reggono sopra i piedi. A quelli che tu pla
oriscono nell’esilio figli che non si reggono sopra i piedi. A quelli
che
tu placida e dolce-ridente guardi, sono feconde l
rtando lungo spazio d’anni: non divora le loro famiglie la discordia,
che
scote le case piii ferme; pongono le sedie intorn
di tutte l’imprese tue si favelli, dei cani, degli archi, dei cocchi,
che
leggermente ti trasportano quando vai verso la se
eve le tue armi. Apollo la tua caccia. Ma non ha più questo premio da
che
il fiero Alcide è venuto nel cielo. Egli ostinata
cide è venuto nel cielo. Egli ostinatamente sta alla porta aspettando
che
tu rechi qualche pingue pasto, e ridono senza fin
l soccorso: lascia pascere sui monti le capre selvaggie e le lepri: e
che
fanno di male? ma i cignali offendono i seminati,
orace, ed ha quel medesimo ventre col quale s’in contro in Teodamante
che
arava, e fé’ suo pasto un bove. A te, o Diana, le
ve distaccate dal giogo, e recano loro il trifoglio facile a nascere,
che
mietono dai prati di Giunone, e che pascon i dest
ro il trifoglio facile a nascere, che mietono dai prati di Giunone, e
che
pascon i destrieri di Giove. Tu vai, diva, intant
a Procri consorte di Cefalo Peionide amato dall’Aurora. Dicono ancora
che
tu ami al pari delle tue pupille la bella Antidea
ueste già portavano gli agili archi e il turcasso intorno agli omeri,
che
spogliati dal lato destro mostravano l’ignudo sen
ti accertare il colpo ed inseguir le fiere coi cani. La lodano quelli
che
furono chiamati per la caccia del cignale di Cali
gnale di Calidone: infatti i segni della vittoria vennero in Arcadia,
che
possiede ancora i denti della belva. Nè Ileo e lo
eo e lo stolto Reco, benché nemici, possono vituperarla nell’inferno:
che
non mentirebbero le loro viscere, che sparsero di
ssono vituperarla nell’inferno: che non mentirebbero le loro viscere,
che
sparsero di sangue la Menalia montagna. « O Diana
ntagna. « O Diana, tu hai molti templi, molte città: tu abiti Mileto,
che
fondò sotto i tuoi auspici Neleo figliuolo di Cod
troiano. Salve, o venerabile custode dei porti; e niuno ti disprezzi:
che
ad Eneo, il quale ne spregiava gli altari, toccar
giava gli altari, toccarono in sorte pugne infelici: nè vi sia alcuno
che
ardisca di contrastarle l’arte di ferir cervi, ch
: nè vi sia alcuno che ardisca di contrastarle l’arte di ferir cervi,
che
premio doloroso di questo vanto riportò Agamennon
le tue nozze. Non ricusate la solenne danza annuale in onore di lei;
che
questo rifiuto costò lacrime a Ippona. » Fin qui
sa é dipinto l’orlo della sottoveste. Rossa è la cigna della faretra,
che
dalla spalla destra viene a passare sulla mammell
ci dei calzari. Stava questa statua in un piccol tempio di una villa,
che
apparteneva alla sepolta città di Pompeia. « Gene
e apparteneva alla sepolta città di Pompeia. « Generalmente Diana più
che
ogni altra delle dee maggiori ha la figura e le s
a, sua piacevole occupazione, e quale appunto si conviene ad una dea,
che
per lo più rappresentasi in atto di correre; cioè
ppresentasi in atto di correre; cioè diretto orizzontalmente in guisa
che
stendasi sui circostanti oggetti. I suoi capelli
uppo, o nodo, senza diadema, e senza quegli altri attributi, o fregia
che
le furono dati nei tempi posteriori. La sua figur
i posteriori. La sua figura è più svelta, ed ha membra più pieghevoli
che
Giunone e Pallade; cosicché Diana mutilata si ric
Omero, fra tutte le sue belle Oreadi distinguevasi: per lo più non ha
che
una corta veste, la quale non le oltrepassa il gi
inocchio; ma talora è pure effigiata in veste lunga, ed è la sola d^a
che
in alcune sue figure porti scoperta la destra mam
presentato il sacrifizio di Oreste e di Pilade, si vede Diana Taurica
che
tiene un ferro nel fodero per indicare i sacrifiz
vi è indicato per una testa di toro scorticato, sospesa ad un albero
che
ad essa è vicino. « La sola antica testa di Diana
per dare un bacio a Endimione addormentato. Giulio Scaligero pretende
che
queste ninfe per esser distinte non portino il tu
esser distinte non portino il turcasso sulle spalle, ma al fianco, il
che
non si saprebbe provare cogli antichi monumenti,
presenta una Driade, di cui la parte inferiore è formata di foglie, e
che
tiene un’ asce nelle sue mani: la più cognita fra
sciogliere Fazione, ci palesa l’innocenza del suo seguace, ed ordina
che
nella patria onori gli sieno fatti. Quindi ho cre
escrizione della morte di Ippolito, la quale ho tra ciotta da Racine,
che
ne accrebbe le bellezze derivate dal nominato tra
o Schiera ch’imita il suo silenzio, e gara Ha di mestizia col signor,
che
segue Pensoso il calle Miceneo. Le briglie Erran
to, il cielo Inorridisce e si avvelena, il suolo Crolla, e quell’onda
che
il portò sul lido Verso il mare dà volta impaurit
’eroe frenarli tenta, E per, sanguigna spuma è rosso il morso. Fama è
che
un nume nel tumulto orrendo Pungea di sproni il p
d’eterno pianto Questa immagin crudele. Io vidi, io vidi Dai destrier
che
la sua mano nutria Strascinato quel tuo misero fi
, brevi e generali notizie intorno ai templi vi diedi, promisi ancora
che
dei più famosi derivata avrei dagli scrittori la
lla mia promessa ragionando del famoso tempio sacro a Diana in Efeso,
che
si annoverava fra le sette meraviglie del mondo.
ando andarono a far guerra a Teseo ed agli Ateniesi. Ma Pausania dice
che
a questo gran poeta non era nota 1’ antichità di
ei tempio si erano rifugiate. Ci vien riferito da Dionigi il Geografo
che
ve ne ha uno molto più antico fabbricato dalle me
ene dimostrava la semplicità dei primi templi, giacché non consisteva
che
in una nicchia scavata in un olmo, in cui apparen
Diana. Quello del quale io parlo era meno antico. Ecco la descrizione
che
fa Plinio di questa magnifica mole. « Fu fabbric
in un luogo paludoso per assicurarlo dai terremoti e dalle crepature,
che
alcune volte nella terra si fanno; ed affinchè le
sso autore, 425 piedi di lunghezza e 200 di larghezza: le 127 colonne
che
sostenevano Tedifizio sono state donate da altret
vorate collo scalpello, e una di mano del celebre Scopa. L’architetto
che
condusse a fino questa greca mole fu Chersifrone,
fino questa greca mole fu Chersifrone, Ctesifone, ed è cosa mirabile
che
siansi potuti mettere in opera architravi di sì g
una pietra di maggior mole sopra la porta del tempio. » Crederebbesi
che
Plinio, mancandone la relazione, avesse immaginat
’architetto, al quale apparve Diana esortandolo a farsi animo: e dice
che
il seguente mattino vi-, desi la pietra discender
e adattarsi nel luogo in cui si dovea collocare. Si potrà ben credere
che
il tetto del tempio fosse di tavole di cedro, con
architetti vi travagliarono, e ben 220 anni di tempo ci vollero prima
che
fosse interamente compita. Dovevano le ricchezze
ificio, non tanto per la divozione, quanto pel gran concorso di gente
che
portavasi ad Efeso. Quel che racconta San Paolo d
zione, quanto pel gran concorso di gente che portavasi ad Efeso. Quel
che
racconta San Paolo della sedizione tramata dagli
onta San Paolo della sedizione tramata dagli orefici di questa città,
che
tiravano il loro sostentamento nel formar piccole
può ben provare la celebrità del culto di quella dea. Sembra peraltro
che
la descrizione fattane da Plinio riguardi il temp
bra peraltro che la descrizione fattane da Plinio riguardi il tempio,
che
fu bruciato da Erostrato nella maniera che a tutt
Plinio riguardi il tempio, che fu bruciato da Erostrato nella maniera
che
a tutti è ben nota: imperocché quello che esistev
da Erostrato nella maniera che a tutti è ben nota: imperocché quello
che
esisteva a suo tempo era stato fabbricato da Dino
stato fabbricato da Dinocrate, o, secondo Plinio, Dinocare, ristesse
che
disegnò la città di Alessandria, e che del monte
ndo Plinio, Dinocare, ristesse che disegnò la città di Alessandria, e
che
del monte Atos voleva fare una statua ad Alessand
he del monte Atos voleva fare una statua ad Alessandro. Quest’ultimo,
che
fu veduto da Strabene, era altrettanto vago e pie
. Parla Senofonte di una statua d’oro massiccio, della quale Erodoto,
che
visitato avea questo tempio, non fa parola. Assic
to, che visitato avea questo tempio, non fa parola. Assicura Strabene
che
gli Efesii aveano ancora collocata per gratitudin
o in onore d’Artemidoro, uno degli artefici del tempio. Dice Yitruvio
che
questo tempio d’ ordine ionico era dipterico, val
ti circondato da due ordini di colonne in forma di un doppio portico,
che
aveva 71 pertica di lunghezza, più di 36 di largh
portico, che aveva 71 pertica di lunghezza, più di 36 di larghezza, e
che
vi si contavano 127 colonne tilte 60 piedi. Era q
Marcantonio raddoppiò questo spazio; ma Tiberio per evitare gli abusi
che
commettevansi col favore di tali privilegi, abolì
, abolì quest’asilo. Non troviamo in oggi di un così celebre edifizio
che
alcune ruine, delle quali può vedersi la relazion
to tempio colla figura di Diana: ma il frontespizio, nel breve spazio
che
ha tal sorta di monumenti, non è adornato che di
pizio, nel breve spazio che ha tal sorta di monumenti, non è adornato
che
di sole otto colonne, qualche volta di sei, di qu
cia di Meleagro, e le sventure e i delitti onde venne accompagnata, e
che
ho tradotto da Ovidio. Caccia di Meleagro. Dedal
. Per l’argive città la fama errante Spargea di Teseo il nome, e quei
che
chiude L’Achea ferace a lui chieser soccorso Nei
cinghiai ministro E vindice. Volò pubblico grido Che Eneo, per l’anno
che
con larga usura Rese ai cultori gli affidati frut
’umor biondo di olivo, Onde a tutti gli Dei giunse l’onore Ambizioso,
che
agli agresti numi Nel principio si dee. Solo a Di
di compagni illustri A schiera eletta. Vi è la doppia prole Di Leda,
che
diverso onor commenda; Giason ch’osava violare i
. Appena L’eroe di Calidon la vide, ed arse, E felice, esclamò, colui
che
degno Di tue nozze farai: nè più concesse Il loco
il suo periglio. Vi era concava valle, ove discende L’acqua dei rivi
che
le piogge unisce. Qui violento i suoi nemici inco
nemici incontra Il cinghial, più di folgore veloce, Che vien da nube
che
squarciata tuona. Cede ogni ramo, l’abbattuta sel
nume Quanto puote acconsente: egli percuote Senza piaghe il cinghiai,
che
tolto avea Diana il ferro dello strai volante. Cr
e. Cresce la rabbia della belva. È lieve Sembianza all’ira sua folgor
che
abbatte Ed arde i templi del suo Giove: orrenda L
gli, Non stelle ancora eh’ il nocchiero implora. Su due destrieri più
che
neve bianchi Ivano, e d’ambo dalla man vibrato Fi
sta dei compagni: e chiede Toccare ognun la vincitrice destra. E lui,
che
tanto della terra ingombra, Miran stupiti, e l’ac
o, e tinger tutti a gara Il vano ferro nell’irsuto tergo Della belva,
che
morta ancor spaventa. Ma d’Eneo il figlio coli’ i
il dolore, e muta In amor di vendetta il vano pianto. Eravi un ramo,
che
le tre sorelle Arbitro della vita avean sul fuoco
ava il furor; lacrime nuove Trova sul ciglio la stupita mano ual nave
che
rapisce il vento e l’onda Sente il doppio furore,
rli affetti. Or depon l’ira, or la nutrisce: alfine È sorella miglior
che
madre, e vuole Placare le cognate ombre col sangu
re Aggiungi, crudo, alle fraterne tombe. Ah lo voglio, e noi posso: e
che
far deggio? Dei fratelli mi stanno innanzi agli o
fu presso gli antichi rappresentata. Luna fu detta, perchè non altro
che
questo astro reputavasi, come dal consenso risult
eputavasi, come dal consenso risulta di tutti i poeti. E favoleggiano
che
per Endimione pastore le stelle abbandonasse, col
one pastore le stelle abbandonasse, colla speranza dei furti amorosi,
che
nei sassi del monte Latmo celar pretese « Ai tan
lenzio sedea tuo fido auriga. » Ecate fu da molti reputata lo stesso
che
Diana e la Luna. Non è qui luogo di discutere 1’
luogo di discutere 1’ origine di questa opinione. Osserverò solamente
che
secondo Esiodo, che ha conservata l’antica sempli
’ origine di questa opinione. Osserverò solamente che secondo Esiodo,
che
ha conservata l’antica semplicità delle favole, q
questo. titolo ebbe un tempio presso gli Argivi. Ortia scrive Esichio
che
fosse denominata Diana da una regione dell’Arcadi
zione ai luoghi, ove le sorgevano templi, ovvero ai diversi attributi
che
stimavano spettarle. Quanto al simulacro ed al cu
azione: « Assai ci sorprenderebbe la stravagante immagine della dea,
che
in questa tavola ci si presenta, quando già da tr
Se dunque non ce ne giunge nuova la rappresentanza, altro non faremo
che
considerar di passaggio il rapporto de’ moltiplic
de’ moltiplici attributi dei quali è carico, colla divinità medesima,
che
n’ è il so^ra^etto. A ragione si è lamentato Gron
è il so^ra^etto. A ragione si è lamentato Gronovio degli antiquarii,
che
invece di spiegare tutti que’ simboli coll’arcana
uarii, che invece di spiegare tutti que’ simboli coll’arcana teologia
che
questa dea riguardava, abbiano accozzati insieme
l sistema dei Gentili riguardo a questo antichissimo simulacro, cioè,
che
lo consideravano come un simbolo della natura. Co
na con molte mammelle adoravano quei d’Efeso, non quella cacciatrice,
che
tiene l’arco ed è succinta, ma quella multimammia
la cacciatrice, che tiene l’arco ed è succinta, ma quella multimammia
che
i Greci chiamano (grec) affinchè con quella effìg
o quaggiù vediamo. « Su questo principio andremo spiegando tutto quel
che
ci offre di misterioso questa bizzarra figura. In
Se si vuol riconoscere in questa figura un vestigio dell’arte egizia,
che
pure ne’ tempi antichissimi potè avere sulle arti
vi lo stile egiziano di rappresentare come fasciate le loro immagini,
che
potè dalle loro mummie trarre 1’ origine. Questo
to rozzo corpo del simulacro è stato poi di varii emblemi arricchito,
che
tutti han relazione all’idea che si eran formata
ato poi di varii emblemi arricchito, che tutti han relazione all’idea
che
si eran formata que’ popoli del significato della
lor divinità. A questa sola spiegazione lian rapporto le varie fasce
che
la circondano, dove hanno alcuni travedute, o le
iò si veggono nelle medaglie e nelle gemme come rette da due bastoni,
che
veru si appellavano dall’antichità, per esser sim
cia, e così confacenti a Diana. Un luogo di Minucio Felice l’attesta,
che
, guasto da’ critici, è stato colla sua vera lezio
a. » Questa descrizione vien confermata da tutte le antiche medaglie,
che
di simili sostegni fornita ce la presentano. Sicc
munita in eccelsi luoghi sostiene le città, come simbolo della Terra,
che
riguardata come la madre delle cose quaggiù esist
ntichi essere presa indifferentemente per la stessa natura, tanto più
che
da lei alcuni filosofi derivavano persino il Sole
he da lei alcuni filosofi derivavano persino il Sole. Quel gran disco
che
le contorna tutto il capo non è già un velo, come
mbo, solito aggiungersi intorno al volto delle deità. L’orlo rilevato
che
lo termina, dimostra abbastanza che non è un velo
olto delle deità. L’orlo rilevato che lo termina, dimostra abbastanza
che
non è un velo; e ne’ monumenti che ci mostran vel
he lo termina, dimostra abbastanza che non è un velo; e ne’ monumenti
che
ci mostran velata la Diana d’Efeso, questo velo è
sovente nelle antichità dell’ Egitto, e il nome di (grec), o lunette,
che
avevano presso i Greci simili nimbi, è un’ altra
I leoni si veggono sulle spalle e sulle braccia della dea: ma quello
che
v’è di più osservabile è il suo petto e la sua co
ità, di due mezze figure femminili nude ed alate. Si scorge benissimo
che
la forma umana non si estende sino alla metà infe
on sembra sì facile il supplirla colla immaginazione. Io per me credo
che
le lor gambe dovrebbero essere di volatile in cor
or gambe dovrebbero essere di volatile in corrispondenza delle ali, e
che
queste altro non siano che le sirene. La lor figu
di volatile in corrispondenza delle ali, e che queste altro non siano
che
le sirene. La lor figura intera sembra indicata i
no che le sirene. La lor figura intera sembra indicata in alcuni rami
che
sono nel Tesoro Gronoviano uniti alla dissertazio
Menestrier rappresentanti questa Diana medesima. Ed è molto probabile
che
siccome in altre si sono espresse le sfingi per d
ella nostra, e in altre ancora, sieno state scolpite le sirene. Certo
che
chiamarle sfingi, come taluno ha fatto, mi sembra
braccia. Si potrebbero dire le Stìnfalidi, secondo alcuni scrittori,
che
iianno rappresentato questi uccelli come mostri d
ti son le Stinfalidi diversamente espresse, sarà sempre più credibile
che
sien sirene. « Enumerati così i varii simboli di
rati così i varii simboli di questa immagine misteriosa, e conosciuto
che
abbiamo esser tutti emblemi della natura, altro n
iatica religione, conformemente a quelle parole di un certo Demetrio,
che
leggiamo negli Atti degli Apostoli, che l’Asia no
parole di un certo Demetrio, che leggiamo negli Atti degli Apostoli,
che
l’Asia non solo, ma tutto l’universo adorava la g
niverso adorava la gran Diana Efesina. Era questo Demetrio un orefice
che
lavorava in argento dei tempietti della dea con u
sopra di questa la mezza luna, simbolo di Diana, e il suo simulacro,
che
dovea esservi in antico, ora manca. « Si comprend
imulacro, che dovea esservi in antico, ora manca. « Si comprende però
che
avea maggior risalto che il rimanente del lavoro,
vi in antico, ora manca. « Si comprende però che avea maggior risalto
che
il rimanente del lavoro, perchè la gemma è alquan
il rimanente del lavoro, perchè la gemma è alquanto scavata nel sito
che
gli corrispondeva. Nelle porte laterali si vedono
Apostolici, e perchè è troppo aderente al nostro argomento. Ho detto
che
lo credo piuttosto il sa cello della dea che il g
stro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto il sa cello della dea
che
il gran tempio, perchè diversamente architettato
chè diversamente architettato si osserva questo nelle medaglie. Si sa
che
le colonne erano scanalate, quasi ad imitazione d
unto le colonne incise in una patera etrusca insieme con due Amazoni,
che
ora si è smarrita, e che certameute alludeva alla
una patera etrusca insieme con due Amazoni, che ora si è smarrita, e
che
certameute alludeva alla fondazione di quel gran
sto, ed è prezzo dell’opera riportar le avventure di questa infelice,
che
Giove sedusse, mentre s’aggirava sulla terra biso
ni dall’ ardimento di Fetonte prodotti. Uditene il racconto da Ovidio
che
ho tradotto: Cura del nume era l’Arcadia: impera
eloci. È breve ogni favor: Pv^egnava il sole In mezzo al cielo, allor
che
in denso bosco Cercò le note ombre Calisto, e tol
aggior di Giove, Giudice me. L’ascolta il nume, e ride, E cento baci,
che
non dà fanciulla, Sopra la bocca alla risposta pr
o fiore. Ben lo vider le ninfe. Avea la luna Nove giri compiti, allor
che
stanca Per le fraterne fiamme un bosco grato Di f
a maritai colpa di Giove L’alta matrona, e differia la pena, Qual uom
che
a nuocer luogo e tempo aspetta. Or d’indugio ragi
pietà col suo pregar non mova, E si disserra dalla roca gola La voce
che
ha terror, minaccie ed ire. Orsa è fatta: ma rest
cora a quella mistura di diverse opinioni or popolari or filosolìche,
che
formano la religione dei popoli antichi. Erodoto
ione dei popoli antichi. Erodoto, citato da Pausania, lasciò scritto
che
Minerva dicevasi figlia di Nettuno e della palude
ebrata era in quel loco la nascita della dea. Inventore dell’opinione
che
vuol Pallade nata dal capo di Giove fu Stesicoro,
e dell’opinione che vuol Pallade nata dal capo di Giove fu Stesicoro,
che
volle forse con questo racconto, in apparenza rid
orse con questo racconto, in apparenza ridicolo, insegnare ai mortali
che
la sapienza in Pallade figurata era interamente f
apienza in Pallade figurata era interamente fisrlia di dio. Luciano,
che
burlando or insegnò, or pervertì, nei dialoghi de
on quella grazia ch’è tutta sua, Giove afflitto dai dolori del parto,
che
non il soccorso di Lucina implora, ma quello di V
l parto, che non il soccorso di Lucina implora, ma quello di Vulcano,
che
con acutissima scure fa gli uffizii di levatrice,
erva; e questo luogo per patria del nume vien confermato da Strabone,
che
riporta che Rodi ancora si arrogava questo vanto.
to luogo per patria del nume vien confermato da Strabone, che riporta
che
Rodi ancora si arrogava questo vanto. Apollodoro
ue da Pallade Minerva, scrivendo la prima esser madre alla seconda, e
che
vennero ambedue, come guerriere, in contesa: Pall
: Giove oppose l’egida, onde spaventata fu uccisa dalla madre rivale,
che
afflitta quindi ne formò l’effìgie, e le pose sul
to quell’arme, cagione di terrore e di morte. Questo simulacro è fama
che
fosse il celebre Palladio che Troia difendeva. Ta
ore e di morte. Questo simulacro è fama che fosse il celebre Palladio
che
Troia difendeva. Tale discordia di natali e di ge
l capo di Giove si attribuiscono tutte le glorie dell’altre, e dicono
che
Teducazione di lei fu subito confidata a Dedale i
Teducazione di lei fu subito confidata a Dedale ingegnosissima donna,
che
in ogni buona arte ammaestrò la fanciulla. Nella
i, il cocchio e le cavalle macchiò di molto sangue, e vogliono alcuni
che
in tal circostanza di Pallade sortisse il cognome
della Terra. Nei petti più sicuri poneva terrore lo scudo della dea,
che
nel fine della presente Lezione vi sarà descritto
e cento intrichi Facean guizzando di Medusa intorno Al fiero teschio,
che
così com’era Disanimato e tronco, le sue luci Vol
o chi sia l’autore delllnno a Venere, così parla di Minerva, dicendo
che
ignote le erano le dolcezze dell’amore: « Alla fi
Il nitrir dei cavalli, Il picchiar degli scudi, Delle rote il fragor;
che
la grand’asta Sull’egida battendo empi di lampi D
gida battendo empi di lampi Di Maratona i campi E le rupi Erettee: tu
che
d’Atene Vai per la notte oscura Visitando le mura
serpi Sull’usbergo immortal: tu qui presente, Vergine armipotente, o
che
ti piaccia Poliade chiamarti. Od Equestre Minerva
dea. Mostrò alle fanciulle, secondo l’Inno omerico, tutti gli uffìcii
che
la solitudine rendono cara delle domestiche paret
estiche pareti. Luciano in un suo dialogo intitolato Hermolimo narra
che
venuta a contesa con Nettuno, oppose al toro, ovv
per ninno ritrovato acquistò maggior fama e riconoscenza dai mortali
che
pel dono dell’oliva, il di cui albero, al dire di
liva, il di cui albero, al dire di Erodoto, non trovavasi anticamente
che
presso gli Ateniesi. La castità di Minerva è post
ra, e così credesi vederla in una medaglia posteriore a Troia. Avanti
che
le fosse data la civetta, il suo attributo era la
sopra il braccio sinistro per servire di difesa, nella stessa maniera
che
i Greci portavano i loro scudi all’assedio di Tro
ella parte interiore dello scudo per passarvi il braccio: circostanza
che
si avrebbe potuto riportare per schiarire un pass
e un passo di Snida. Nel combattimento si voltava lo scudo in maniera
che
copriva il braccio sinistro, e fuori dell’azione
uesto simbolo indica la sua vittoria sopra Nettuno cagionata dal nome
che
si trattava di dare ad Atene. Quando ella è col s
d’Igia dea della salute, come vi accennai: cosa talmente conosciuta,
che
mi sono maravigliato che Gronovio abbia potuto pr
come vi accennai: cosa talmente conosciuta, che mi sono maravigliato
che
Gronovio abbia potuto prendere simil figura per C
to prendere simil figura per Circe. La testa di toro ornata di bende,
che
si vede da un lato nelle medaglie ateniesi, signi
esentazioni rare è quella d’una pasta antica del Gabinetto Stosciano,
che
offre Pallade sonante due flauti, e rappresentata
in questa maniera si chiamava Pallade Musicale, perchè si pretendeva
che
i serpenti della sua egida si movesseso quando si
esseso quando si suonava il flauto in vicinanza. La Pallade Mecanica,
che
sopra un basso rilievo presiede alla costruzione
egualmente rara. Si è portati a prender per una trombetta il carcasse
che
una figura mutilata di una pittura di Ercolano ar
mata di arco e di freccia portata sulla spalla, per farne una Pallade
che
avea il soprannome di trombetta. La veste di ques
rombetta. La veste di questa dea è rossa, ed il manto, o la drapperia
che
vi è sopra è ordinariamente gialla nelle antiche
tigli di leone, il viso e il busto di fanciulla: e Pausania c’insegna
che
gli Ateniesi rappresentavano questo animale sull’
agine del pudor verginale scevra di ogni debolezza di sesso, in guisa
che
sembra aver domato lo stesso amoreIndi è che gli
lezza di sesso, in guisa che sembra aver domato lo stesso amoreIndi è
che
gli occhi di Pallade servono ad ispiegare quel no
o amoreIndi è che gli occhi di Pallade servono ad ispiegare quel nome
che
aveano le pupille sì presso i Greci che presso i
ervono ad ispiegare quel nome che aveano le pupille sì presso i Greci
che
presso i Romani. Questi chiamavanle pupille, cioè
Romani. Questi chiamavanle pupille, cioè fancilline, e quelli (grec),
che
suona lo stesso. Ha gli occhi meglio tondeggianti
llade aver lo suole, il capo armato d’elmo. Deggio qui però osservare
che
questa dea sulle greche monete d’argento della ci
t’epiteto indica una maniera particolare di legare le chiome: maniera
che
ha pur voluto spiegare il mentovato scrittore. E
a che ha pur voluto spiegare il mentovato scrittore. E anche vesimile
che
l’aver questa dea i capelli più lunghi dell’altre
a medaglia di Adriano nella biblioteca Vaticana. » Udite adesso quel
che
Visconti nota sopra una statua della dea. « Ques
insieme e sua difesa, onde trasse i titoli di (grec), e (grec), cìoò
che
ha bella ed aurea celata. E questa fregiata da du
Gli antichi, accuratissimi osservatori delle proprietà, reflettevano
che
questo appunto è il colore degli occhi de’ più fe
e’ più feroci e guerrieri animali, e per ciò l’attribuivano a Pallade
che
uscita dalla testa del padre degli Dei tutta arma
che uscita dalla testa del padre degli Dei tutta armata non respirava
che
battaglie e stragi. Ha F egida al petto, corazza
terrore, la tenzone e la fuga, simboleggiata nel capo della Gorgone,
che
vi trionfa nel mezzo. Ecco come ce la descrive Om
i a lacrimosa guerra. Cacciò alle spalle l’egida co’ fiocchi Orrenda,
che
‘1 timore da per tutto, E la fuga d’intorno incor
in altri monumenti antichi, i serpi non appariscano. Osserva Fornuto
che
talvolta si figurava la Gorgone dell’ egida colla
cuni antiquari: tanto si son dilettati di misteriose interpretazioni,
che
in una simile testa rappresentata in gemma han tr
ntichi per altro supponessero la spoglia istessa del mostro piuttosto
che
la sua immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo
piuttosto che la sua immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo da ciò
che
narra Pausania, che nel tempio di Minerva Itonia
immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo da ciò che narra Pausania,
che
nel tempio di Minerva Itonia essendo apparsa la d
In fatti la dea del sapere non poteva stare in compagnia più propria
che
quella delle Belle Arti, e il parto del cervello
propria che quella delle Belle Arti, e il parto del cervello di Giove
che
colle figlie di lui e della Memoria. Si vedevano
embi Veste l’usbergo, indi alle spalle adatta L’Egida incorruttibile,
che
vibra Per cento fiocchi sanguinoso lume: L’Egida
ruppi attorta L’anguivelluta Gorgone tremenda, Portento inenarrabile,
che
in mezzo Grandeggia, e sporge coU’atroce testa, E
Minerva. Gli attributi delle divinità antiche, le stesse sembianze
che
gii artefici ed i poeti loro davano sono consegna
cro della dea era con occhi di questo colore figurato. Pensano alcuni
che
di ciò fosse cagione la libica credenza che ascri
figurato. Pensano alcuni che di ciò fosse cagione la libica credenza
che
ascrive la nascita di Minerva alla palude Tritoni
dea derivano questo cognome, e Gellio crede con probabilità maggiore
che
glauchi gli occhi di Pallade si dicessero perchè
, o Guerriera, fu adorata dagli antichi, ed ebbe un’ara nell’Areopago
che
le consacrò Oreste, assoluto pel di lei voto dell
il cocchio con evento più felice della tibia, giacché favoleggiarono
che
dopo l’invenzione di questa, avendone tentato il
tentato il suono, si vide nell’acque per l’enfiate gote così deforme
che
da sé gettò lungi il mal trovato istrumento. Cust
ognominata Calcieca, perchè aveva presso loro un simulacro di bronzo,
che
Gitiade, pure spartano, aveva composto. E nella n
veva composto. E nella nona regione di Roma antica afferma P. Vittore
che
fu col titolo di Calcidica venerata: anzi è parer
tore che fu col titolo di Calcidica venerata: anzi è parere di alcuni
che
consecrato le fosse il tempio ove si adora adesso
fosse il tempio ove si adora adesso, vero nume, la Madre di Cristo, e
che
conserva nonostante coli’ unito ‘convento il nome
alla dea, perchè gli fu tolto un occhio da Alcandro, giovine feroce,
che
il popolo consegnò alla vendetta del suo legislat
d’imitare le opere antiche, eressero a Pallade i primi un simulacro,
che
da loro fu nominato. Rinomato presso i Danni, ant
chi popoli della Puglia, fu il tempio di Pallade Achea, dove fama era
che
si conservassero tutte l’armi di Diomede, che dal
de Achea, dove fama era che si conservassero tutte l’armi di Diomede,
che
dall’opportunità del luogo invitato, scese coi su
itolo d’ Igiea, o dea della Salute, ebbe statua nella rocca di Atene,
che
Pericle le pose facendo credere al volgo sempre s
ne, che Pericle le pose facendo credere al volgo sempre superstizioso
che
questa divinità gli si era in sogno manifestata p
insegnargli il modo di guarire un artefice insigne, caro alla plebe,
che
era caduto nell’assistere alla costruzione delle
simulacro di lei era d’avorio e d’oro, ed opera di Fidia, per quello
che
si credeva. Sul casco della dea l’artefice avea r
euti, Minerva ha una statua ove è rappresentata ferita in una coscia,
che
dice aver veduta Pausania con una legatura di pur
Spiega lo stesso il motivo di questo modo di rappresentarla, narrando
che
Teuti, il quale diede al luogo il suo nome, ferì
lade gli mostrava la ricevuta offesa: cadde atterrito in tal languore
che
ne perì; fu maladetta la terra ove abitava, e con
terilità eterna. Col tempo i popoli consultarono l’oracolo di Dodona,
che
loro propose di placare coll’accennato simulacro
imulacro Minerva. « L’attitudine di questa figura (così il Visconti)
che
tien posato lo scudo a terra, gentilmente reggend
somigliante a quello della Minerva Pacifera delle medaglie imperiali
che
si può sospettare che nella destra piuttosto che
della Minerva Pacifera delle medaglie imperiali che si può sospettare
che
nella destra piuttosto che l’asta, ristauro moder
e medaglie imperiali che si può sospettare che nella destra piuttosto
che
l’asta, ristauro moderno, sostenesse il suo olivo
l’insieme, e una buona disposizione di panneggiamento sì nella tonaca
che
nel manto, ed in oltre ci offre le armi di Pallad
o spesso la chiami (grec) Tryphaliam, nel triplicato cimiero, (grec),
che
ne adorna la sommità. L’ egida presenta così rile
che ne adorna la sommità. L’ egida presenta così rilevati i serpenti
che
la guerniscono, cbe ci dà qualche idea come doves
la di cui armatura erano con tanta sottigliezza ed artifizio lavorati
che
risuonavano al sonar di una cetra. Lo scudo final
a. Che poi tale si fin gesse lo scudo di Pollade apparisce da Plinio,
che
lo chiama parma al libro xxvi. Gli scudi argolici
kelmann (Monumenti antichi inediti, tomo II); quindi un simile scudo,
che
cadde dal tempio di Pallade in Argo, nello sposal
li scudi in tempi più vetusti appesi al collo. « La statua di Pallade
che
presentiamo è interessante pel movimento e per l’
i Pallade che presentiamo è interessante pel movimento e per l’azione
che
ci esprime al vivo il carattere bellicoso e feroc
aspetto della dea, niuna immagine ci può meglio rappresentare Minerva
che
impugna l’asta, colla quale rompe l’ intere squad
amertini. La dea ha le sue solite insegne, l’elmo, lo scudo argolieo,
che
a lei forse si dava perchè le armature fabbricate
io maggiore. Nel centro di questo è figurata, anzi è ripetuta l’egida
che
ha sul petto. L’egida usata da Giove per scudo sì
ppella di Parigi, rappresentante l’apoteosi di x\ugusto. È da notarsi
che
rari sono i simulacri degli Dei in un movimento s
le figure di Diana cacciatrice, di Minerva guerreggiante, e di Cupido
che
scocca il dardo. M’era caduto in pensiero se ques
iuttosto ad attribuire ad Enio dea della guerra, anzi la furia stessa
che
presiede alla strage: ma l’attributo dell’egida m
tributo dell’egida mi ha fatto abbandonare tal congettura, tanto piiì
che
l’attitudine minacciosa, all’idea che avevano di
nare tal congettura, tanto piiì che l’attitudine minacciosa, all’idea
che
avevano di Minerva i Gentili ed ai nomi che le di
dine minacciosa, all’idea che avevano di Minerva i Gentili ed ai nomi
che
le dierono ben corrisponde. La statua di scalpell
ono ben corrisponde. La statua di scalpello -infelice non ci conserva
che
il bel movimento dell’originale. MINERVA PACIFERA
ginale. MINERVA PACIFERA. « La clamide affibbiata sull’ omero destro,
che
distingue al primo sguardo questa maestosa figura
ltri simboli proprii di questa dea del valore e del sapere. Non è già
che
non apprendiamo dagli antichi scrittori la clamid
la nostra figura. oltre il vedersi più grandiosa e ricca delle altre,
che
in qualche rara statua femminile si osservano, ed
a statua femminile si osservano, ed esser propriamente di quel genere
che
paludamento appellavasi ed insigniva i capitani,
queste sulla parte manca del petto alquanto interrotte come in drappo
che
resti per qualche part^ aderente ad una superfìci
erfìcie aspra sottopostagli, la quale aiteri quella caduta del panno,
che
sarebbe determinata naturalmente dalla sua gravit
panno, che sarebbe determinata naturalmente dalla sua gravità. Sembra
che
da tal circostanza, certamente non rappresentata
mmagini della dea di Atene coperta del paludamento della guisa stessa
che
la nostra è rappresentata: fra l’altre così vesti
a nostra statua una testa antica non armata del suo consueto cimiero,
che
invece le si è fatto reggere colla destra, come l
e lodi della dea, alle quali dà principio esaltando la cura e l’amore
che
porta ai cavalli, la sua natia beltà, la nettezza
le in tal giorno anniversario non tocchino l’acqua del fiume Inaco, e
che
gii uomini non riguardino Pallade nuda, proponend
ivina bellezza, e termina col solito saluto e richiesta. Uscite voi,
che
nell’Inachio fiume Pallade laverete: e tutte usci
se ai corsier la polve Prima non tolse allo stancato fianco; Nè allor
che
vinti della terra i figli Tutte l’armi portò lord
e: a Palla cari Non son composti unguenti; e non portate Lo specchio,
che
alla dea regna nel volto Decoro eterno. E allor c
tate Lo specchio, che alla dea regna nel volto Decoro eterno. E allor
che
in Ida venne Alla gran lite del pastor troiano, N
è il frutto Del melagrano. Il maschio olio soltanto Però recate, con
che
s’unge Alcide E Castore; togliete un pettin d’oro
to, onde il crine e le disperse treccie Unisca. Esci, o Minerva, ecco
che
grata Schiera t’incontra d’Acestorie figlie. Lo s
iomede arreca, Come in Argo è costume antico. Eumede Lo insegnò allor
che
decretata morte Oli preparava il popolar furore.
balze. Che Pallatìdi han nome. Esci, Minerva Sterminatrice di città,
che
l’elmo Dorato porti, della bionda testa Ornamento
e voi l’urne recate. Ancelle ad Amimone, a Danao prole, O a Fisadea,
che
, sparse d’oro e fiori Inaco l’onde sue, verrà dai
d’oro e fiori Inaco l’onde sue, verrà dai colli Lieti per erba, e fia
che
rechi a Palla Gentil lavacro: ma, Pelasgo, avvert
espia antica O ad Aliarto, o a Coronea volgeva Le frementi cavalle, e
che
scorrea L’are e la selva del Coralio fìume, E l’o
ma il volto incerto Adombra. Lo condusse al sacro fonte Coi cani sete
che
ogni dire avanza, E quivi ciò che ad un mortai no
ndusse al sacro fonte Coi cani sete che ogni dire avanza, E quivi ciò
che
ad un mortai non lice, Misero: ei vide: a lui, be
divina, Ritratta i detti del furor; non feci Io cieco il figlio tuo,
che
grato a Palla Non è rapir gii occhi ai fanciulli;
regando di veder cieco soltanto Atteon giovinetto, il caro figlio: Ah
che
a lui non varranno esser nel corso A Diana compag
nel corso A Diana compagno, e dei volanti Dardi l’arte comune, allor
che
ai bagni Cari a Diana involontario errore Lo cond
, e l’ossa sole Troverà del suo figlio; e tu felice, Diva, sei stata,
che
dai monti avesti Privo soltanto della vista il fi
a il figlio. Deh non piangere, o cara: il tuo fanciullo Attendon doni
che
del nostro amore Saranno eterna fede: illustre va
iran del sacro petto L’avverate risposte. E gran sostegno A lui darò,
che
l’orme e guidi e regga, E spaziosa vita. Ancora a
le paterne armi sonante Dalla testa immortal. Vieni, o Minerva, E voi
che
Argo, o fanciulle, in cura avete, Acclamate la de
Dei, degli uomini, delle belve, favoleggiarono i più fra gli antichi
che
nascesse dal sangue della disonesta ferita, colla
obile opera dell’illustre Apelle. Spreme dalle lunghe chiome la spuma
che
è nei crini. Pallade, avendola veduta, così parlò
parlò con Giunone: E giusto cedere a Venere nella bellezza. — Dicesi
che
concepita in una conchiglia ripiena di perle, nav
re degli Inni Omerici al contrario narra l’aura rugiadosa di Zeffìro,
che
dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in
rando la porta sopra molle spuma in mezzo al mare risonante. L’Ore (e
che
bel quadro sarebbe mai questo:), l’Ore coi capell
to ebbero disposto intorno al corpo di Venere, la condussero dai numi
che
gareggiavauo per abbracciarla, ed ognuno chiedeva
ole, e dalle nere palpebre. Fin qui Omero: ma Cicerone lasciò scritto
che
più furono le Veneri adorate dagli antichi, nate
rza, da Giove e da Dionea creata, fu moglie di Vulcano. Platone vuole
che
vi siano due Veneri, la celeste e la popolare, di
este. Epimenide Cretese, seguendo un parere del tutto op posto, pensa
che
di Saturno ed Evenirne Venere fosse figlia. L’opi
no ed Evenirne Venere fosse figlia. L’opinione più comune si è quella
che
alla spuma del mare fecondata dal sangue di Celo
di Afrodite, col quale i Greci chiamavano Venere, non altro significa
che
spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole che app
re, non altro significa che spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole
che
appena nata andasse al monte Citerò, da cui di Ci
nelle loro caverne. Arrivata alla capanna dell’eroe Anchise lo vide,
che
in disparte dagli altri suonava la cetra. La figl
ogni tempo dell’anno vaghe ostie ti saranno immolate: e tu concedimi
che
fra i Troiani io mi distingua; dammi spaziosa e f
a. Dissimulò Venere la sua divinità dicendo di esser figlia di Otreo,
che
alla ben munita Frigia comandava, e rapita da Mer
e. Crebbe l’amore nel petto del Troiano non contenuto dalla riverenza
che
come dea le inspirava, e condusse al talamo coper
pelli d’orse e di leoni di propria mano uccisi la creduta fanciulla,
che
indietro si volgeva chinando a terra gli occhi ve
ritengo dell’ antica sembianza. — Sollevò la testa Anchise, ma allor
che
vide le divine forme di Citerea rivolse altrove g
bel volto, e gridò: Tu m’ ingannasti, diva: ma pietà ti prenda di me
che
poco vivrò ed infermo fra i mortali, perchè quest
’amante. Ma gli fé’ severo comando di tacere la vera madre del figlio
che
nascerebbe, e d’ imputarlo alla ninfa Calciopida;
adre del figlio che nascerebbe, e d’ imputarlo alla ninfa Calciopida;
che
se egli avesse manifestata la sua fortuna provato
ti antichi scrittori si rileva. Si trova più raramente come un fiore,
che
sembra essere il giglio ch’ella amava: ed in sì f
ancia con la punta rivolta verso la terra, probabilmente per indicare
che
ella move querele, ma tali che esser non devono s
o la terra, probabilmente per indicare che ella move querele, ma tali
che
esser non devono sansruinose. Una meda2:lia dell’
sopra un carro tirato da dei passeri, immagine di cui l’arte non pare
che
abbia profittato, poiché ella non si trova sopra
o attributo la distingue da Venere Afrodite. Di simili teste isolate,
che
sono state scoperte divise dai loro busti, o stat
ma degli occhi proprii di Venere vi fa conoscere questa dea piuttosto
che
Giunone, della quale gli occhi avevano un’ aria d
Venere Celeste in una bella figura vestita delle pitture di Ercolano,
che
dalla mano diritta porta un ramo con due pomi, ed
no Venere a cavalcioni sopra un ariete: ma il soprannome di Epitragia
che
significa lo stesso, sembra appartenere a Venere
partenere a Venere eh’ è assisa sopra ariete marino; rappresentazione
che
si vede in molti bassi rilievi, e particolarmente
piede sopra una testuggine per indicare (secondo Plutarco) alle donne
che
il loro dovere era di custodire la casa come ques
bellezza, e perchè (tranne le Grazie, le Stagioni e l’Ore) è la sola
che
si rappresenti ignuda, e per essere stata più fre
arie età effigiata. La Venere dei Medici a Firenze è simile alla rosa
che
esce fuor dalla boccia al primo apparir del sole
r dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e par
che
senta quell’ età in cui le membra prendono una pi
ncia il seno a sollevarsi. Io mi figuro di vedere in lei quella Laide
che
Apelle iniziava ai misteri di amore, e me la imma
la stessa attitudine una Venere del Museo Capitolino serbatasi meglio
che
tutte le altre statue dì questa dea, poiché, ecce
che tutte le altre statue dì questa dea, poiché, eccetto qualche dito
che
le manca, non è punto guasta; tal pure è altra st
ure è altra statua, la quale è copia fatta da Menofanto di una Venere
che
stava presso Troade, come scorgesi dall’epigrafe.
due statue la rappresentano in un’ età più matura, e più grandi sono
che
la Venere dei Medici. Le belle forme dell’ adoles
che la Venere dei Medici. Le belle forme dell’ adolescenza femminile
che
in questa si scorgono, ammiransi pure nella Teti
entata in quell’età in cui sposò Peleo. « Venere Celeste, cioè quella
che
di Giove e d’Armonia è figlia, distinguesi per un
Giunone. Porta pure questo diadema Venere vittrice, di cui una statua
che
posa un piede su un elmo fu dissotterrata nel tea
ntica città di Capua, e sta ora in Caserta. Essa è bellissima, se non
che
le mancano le braccia. In alcuni bassi rilievi ch
bellissima, se non che le mancano le braccia. In alcuni bassi rilievi
che
rappresentano il rapimento di Proserpina, e singo
di terra cotta esistente nella Biblioteca Vaticana. Sì questa Venere
che
la prima ha negli occhi dolcemente aperti un lusi
a prima ha negli occhi dolcemente aperti un lusinghiero ed affettuoso
che
i Greci chiamavano (grec), cioè umidità. Un tal g
ezza. « Quando io dissi poc’ anzi non trovarsi altre dee ignude fuori
che
Venere, le Grazie e l’Ore, non fu già mio pensier
fuori che Venere, le Grazie e l’Ore, non fu già mio pensiero asserire
che
Venere si rappresentasse costantemente ignuda. Ve
Venere di Prassitele a Coo, vestita è una bella statua di questa dea,
che
dianzi vedevasi nel Palazzo Spada in Roma, e fu p
fu poscia trasportata in Inghilterra. Venere al bagno. « Lo scultore
che
ha voluto (così il Visconti) rappresentare in que
tare in questo marmo la dea della beltà in tutto quel maggior risalto
che
acquistano nelr uscir dal bagno le sue membra div
to così bene nell’aggruppamento delle membra darci l’idea dell’azione
che
fa di sorger dal bagno, che resta a prima vista e
nto delle membra darci l’idea dell’azione che fa di sorger dal bagno,
che
resta a prima vista evidente, benché non siavi ra
stegno dell’ anca sinistra uno di quei vasi d’unguento senza manichi,
che
alabastri grecamente appellavansi, e che hanno da
si d’unguento senza manichi, che alabastri grecamente appellavansi, e
che
hanno dato il lor nome alla pietra che n’era comu
tri grecamente appellavansi, e che hanno dato il lor nome alla pietra
che
n’era comunemente la materia. Oltre l’additarsi v
gli antichi di ungersi, è ancora un utensile tutto proprio di Venere,
che
amava i preziosi unguenti a segno che il poeta Ag
ensile tutto proprio di Venere, che amava i preziosi unguenti a segno
che
il poeta Agatia in un epigramma dell’ A ntolos^ia
imulacro, perchè non converrebbe a Diana veduta nel bagno da Atteone,
che
in qualche antico marmo viene rappresentata nuda,
e neppure il giorno del contrastato giudizio. L’amore degli ornamenti
che
distingue Criprigna si é voluto indicare dal giud
si é voluto indicare dal giudizioso artefice anche in un braccialetto
che
adorna alla dea il solo braccio sinistro, e che è
he in un braccialetto che adorna alla dea il solo braccio sinistro, e
che
è formato a guisa di un piccol serpe che se le si
il solo braccio sinistro, e che è formato a guisa di un piccol serpe
che
se le sia avvolto. Questo costume di portare simi
al sinistro, non è taciuto dagli antichi; anzi è illustrato da Festo,
che
lo appella spinther, e lo spiega: genere di bracc
a Festo, che lo appella spinther, e lo spiega: genere di braccialetto
che
le donne sogliono portare nella sommità del bracc
nostra statua, e la foggia stessa del serpe è rammentata da Polluce,
che
fra gli ornati muliebri che solean portarsi egual
stessa del serpe è rammentata da Polluce, che fra gli ornati muliebri
che
solean portarsi egualmente ai polsi che nella par
, che fra gli ornati muliebri che solean portarsi egualmente ai polsi
che
nella parte superiore del braccio al gomito, nomi
un sito ancor oggi detto Prato bagnato, forse dall’acque e dai bagni
che
lo rendevano anticamente delizioso. Presso della
sso della medesima fu disotterrata una base antica con lettere greche
che
significano: Bupalo lo fece. Per quanto però sia
reche che significano: Bupalo lo fece. Per quanto però sia verisimile
che
questa base appartenesse alla nostra statua, non
mile che questa base appartenesse alla nostra statua, non crederò mai
che
una scultura così elegante e gentile sia stata la
cultura come quello in cui visse questo rinomato artefice: prima cioè
che
le Grazie chiamate da Prassitele fossero discese
sero discese ad animare il greco scalpello. Sarà stato dunque un nome
che
l’avarizia, o l’ignoranza del possessore avrà ant
mai; Di lui morto anco il bacio a Vener piace; Ma Adon non sa chi sia
che
morto il bacia. Io piango Adone, ecc. Crudel, cru
i sangue andava, E giù dal fianco rosseggiava il petto, E il costato,
che
dianzi era di neve, Di porpora era fatto al morto
e insieme Il divino suo aspetto; avea Criprigna Bello l’aspetto allor
che
Adon vivea. Morì sua forma con Adone, ahi ahi! Di
morto il bello Adone. Ahi l’amor di Ciprigna e chi non piagne? Tosto
che
vide e che conobbe Adone, E scorse in lui la mort
ello Adone. Ahi l’amor di Ciprigna e chi non piagne? Tosto che vide e
che
conobbe Adone, E scorse in lui la mortai piaga im
e che conobbe Adone, E scorse in lui la mortai piaga impressa, Tosto
che
vide il porporino sangue Via via spicciar dal mor
e baciami; Sia l’ultimo tuo bacio il mio congedo. Baciami tu, fino a
che
il bacio vive. Finché dall’alma tua nella mia boc
a son, tutta dolente. Nè di doler mi veggio mai satolla. Piango Adon,
che
m’è morto, e te pavento. Tu muori, o mio diletto,
l letto tuo, vi giace morto Adone, . Ch’è bello ancorché morto, e par
che
dorma, Ponlo in morbidi panni, qual solea Teco co
ianchi, e la ferita lava. Un dietro a Adon col ventilar delle ali Par
che
lui in vita richiamar procacci. Gridando Citerea
non l’ascolta; Ch’ei pur non vuole, e Proserpina il tiene Legato sì,
che
mai non lo discioglie. Pon fine, o Citerea, al tu
erie dei cognomi più illustri di Venere l’altre maniere di effigiarla
che
rilevar si possono dai monumenti e dagli scrittor
rrone in Macrobio, non fu molto antico presso i Latini. Vuol Cicerone
che
l’ etimologia rintracciar se ne debba nel proveni
iglia dal mare in forma di giovinetta, ma pure con sembianze di donna
che
teneva la stessa conchiglia ornata di rose, e ch’
ata di rose, e ch’era circondata dalle Grazie e dagli Amori. Leggiamo
che
fosse sopra un carro or tratto dalle colombe or d
o Sicionio fé’ l’immagine di Venere sedente col capo ornato di nimbo,
che
in una mano aveva un papavero, nell’altra un pomo
in greco si chiama l’accennato animale. Venere Versicordia, lo stesso
che
(grec) dei Grccì, adoravano i creduli amanti anti
so che (grec) dei Grccì, adoravano i creduli amanti antichi, stimando
che
in potere di lei fosse il dare, o togliere l’amor
ioè l’astro di Venere, fu adorato dai Bidoni, ed è opinione di alcuni
che
fosse lo stesso che la dea Siria, quantunque Luci
e, fu adorato dai Bidoni, ed è opinione di alcuni che fosse lo stesso
che
la dea Siria, quantunque Luciano creda che sotto
alcuni che fosse lo stesso che la dea Siria, quantunque Luciano creda
che
sotto questa denominazione adorassero la luna. Am
Cipro, ove veneravasi sommamente. Di Citerea è freqirente il cognome,
che
secondo Pausania deriva da Citerà, isola nell’est
ta ebbe dagli Spartani ad orazione in memoria dell’ amore improvviso,
che
nacque nel loro core, quando videro le donne svel
vanle credendoli Messenii perchè erano armate. E grazioso l’epigramma
che
su questo simulacro si legge in Ausonio, che lo t
. E grazioso l’epigramma che su questo simulacro si legge in Ausonio,
che
lo tradusse dal arreco. Eccone il senso: Pallade
giudice Paride. Venere le rispose: Temeraria, tu disprezzi armata me
che
quando ti vinsi ero nuda? — Venere fu cognominata
inata fu pure Arginnide da Arginno fanciullo amato dal re Agamennone,
che
nuotando nel fiume Cefiso vi perì; onde dal re, i
non sono state abbastanza osservate e distinte dagli eruditi. Questa
che
conosciamo, con sicurezza ci fa strada a ravvisar
ora mi sono avvenuto in un passo degli Argonautici di Apollonio Rodio
che
dà gran lume a siffatte immagini. Egli, nella des
on maggiore opportunità pel nostro argomento. Inoltre giova osservare
che
le pieghe regolari ed artefatte della sua tunica,
isce evidentemente da un epigramma di Antipatro nella greca Antologia
che
la maniera più comune di rappresentare Venere era
eche assai di buon’ora, e almeno fin dai tempi di Polignoto. Per quel
che
riguarda le Veneri vestite non mi tratterrò a con
ha prevenuto in ciò il celeberrimo signor Heyne: osserverò solamente
che
una Venere ignuda col cesto cinto sotto le mammel
tuata, reggendo colla manca un panno ornato di frange per asciugarsi,
che
cade aggruppato sopra di un’urna, rende singolare
essione di Plinio. Avea giudiziosamente riflettuto il cavalier Mengs,
che
la straordinaria bellezza della testa di questa s
di qualche sorprendente originale. Ma come indovinarne l’autore? Quel
che
sembrava difficilissimo è reso facile, anzi è pos
o nel rovescio la famosa Venere di Prassitele. Nessuno vorrà dubitare
che
la Venere de’ medaglioni di Guido, replicata la s
amento del corpo, il panno, l’urna, e fin l’acconciatura dei capelli,
che
non sono, come la maggior parte delle statue di V
dere così intiera e conservata una immagine di quel nobile simulacro,
che
i Gnidi per somme immense d’oro non voller cedere
i per somme immense d’oro non voller cedere a Nicomede re di Bitinia,
che
ecclissava nel suo tempio i capi d’opera di Scopa
’incendio Neroniano. Il fato di quella di marmo non ci è noto. Chi sa
che
la testa che è in Madrid non ne sia una parte, fo
oniano. Il fato di quella di marmo non ci è noto. Chi sa che la testa
che
è in Madrid non ne sia una parte, fortunatamente
coli vide ancor la luce questa graziosa figura, così però mal concia,
che
difficilmente facea congetturare il soggetto. Due
lvolta nelle medaglie imperiali il titolo di Vincitrice. La prima era
che
la presente statua avea la tunica dal petto con l
frammento di pilastro o di colonnetta, su cui ora tien posato un elmo
che
suole accompagnare parecchie di siffatte immagini
magini di Venere, e nelle gemme e nelle medaglie non ad altro effetto
che
a sostenere alcun pezzo d’armatura di quelli che
non ad altro effetto che a sostenere alcun pezzo d’armatura di quelli
che
Venere ostenta. Fu dunque ristaurata su questa id
dea, e le fu aggiunta la palma allusiva al suo epiteto di Vincitrice,
che
in più monumenti si scorge. Se la favola di Virgi
umenti si scorge. Se la favola di Virgilio, il quale introduce Venere
che
reca ad Enea suo figlio l’armi, opera di Vulcano,
ltre del suo poema avesse preesistito all’Eneide, sarebbe da credersi
che
questa favola si fosse voluta volgere in un compl
ola si fosse voluta volgere in un complimento a Giulio Cesare stesso,
che
discendente da Venere e vincitore, si paragonasse
ro per credere anteriore tal favola al latino poeta: sembra piuttosto
che
gloriandosi la famiglia Giulia di quell’origine,
oluto rappresentar Venere come la dea della mollezza, ma in una guisa
che
convenisse ad una madre di Roma e di Enea. Siccom
la Venere, annoverata fra gli autori del nome Romano. Cesare stesso,
che
nella pugna Farsalica avea dato Venere per segnal
o Venere per segnale, non doveva in altra maniera farla rappresentare
che
come una dea vittoriosa. Infatti, Venere armata e
allorché accarezzando Marte sospende il furore della guerra, e fa sì
che
i feri uffici della milizia pei mari e per le ter
degli Augusti. Quantunque la figura sia composta con certa eleganza,
che
la dimostra proveniente dal buon secolo dell’arte
lta trascuratezza. La novità dell’ invenzione e del soggetto è quella
che
le dà qualche pregio, e non la fa disconvenire ad
. Vulcano. Alla moglie succede il poco avventurato marito Vulcano,
che
, secondo Esiodo, di Giunone e di Giove fu figlio,
e il suo natale alla madre. A questo dio furono dati i vanti d’altri,
che
ebbero la sventura di aver seco lui il nome comun
nacque, ed Opa fu detto dagli Egiziani; il terzo daMenalio generato,
che
tenne l’ isole alla Sicilia vicine. Vogliono che
daMenalio generato, che tenne l’ isole alla Sicilia vicine. Vogliono
che
fosse educato dalle scimmie, e per la sua deformi
on le quali era Giunone legata, come la più litigiosa delle divinità,
che
mal soffrendo la novità del reirno maritale, turb
maritale, turbava i silenzi della pace celeste. Ed altrove asserisce
che
dalla madre fu lanciato nel mare, ove l’educò Tet
ne nel secondo libro della Republica e Pausania nelle Attiche narrano
che
il nume, memore dell’ingiuria, mandò una sedia d’
l’ingiuria, mandò una sedia d’oro a Giunone con alcuni lacci nascosi,
che
legarono tosto la dea quando fé’ prova del dono d
o Scoliaste di Sofocle, e ch’ebbe con esso ara comune. Ma delle arti
che
col fuoco si esercitano, per comune consenso auto
do l’Inno Omerico, l’onore con Minerva di avere insegnato agli uomini
che
abitavano nelle spelonche opere vantaggiose al vi
sedi, ove il nume fabbrica le armi degl’Immortah, e i fulmini stessi
che
resero Giove vincitore nella guerra dei Giganti.
rra dei Giganti. Chiese Vulcano in mercede per tanto ufficio Minerva,
che
virilmente la giurata castità difese. Dell’inutil
ntativo fu figlio Erittonio. Il Sole gli svelò l’adulterio di Venere,
che
ottenne in moglie (quantunque alcuni gli diano Ag
no Aglaia una delle Grazie), e fabbricò una rete con tanto artificio,
che
la consorte ed il drudo sorprese. Incauto: mostrò
ergogna; favola del Cielo divenne, e non vi fu alcuno deg’ Immortali,
che
non invidiasse la sorte di Marte. La piromanzia,
dine, le tanaglie e il martello, con l’iscrizione al Re dell’Arte; il
che
si riporta all’arte monetaria, di cui l’inspezion
vo della Villa Borghesi, si vede lavorar coi suoi compagni i Ciclopi,
che
qui hanno due occhi. I Fauni dai quali è accompag
no due occhi. I Fauni dai quali è accompagnato sopra un basso rilievo
che
apparteneva al cardinale Polignac, hanno fatto na
austa Pandora, del cane in bronzo di Procri, e di quel famoso scettro
che
, fatto per Giove, passò da esso a Mercurio, da Me
i di Pausania la principale divinità dei Cheronei. Fra le tante opere
che
i poeti gli attribuiscono, ho scelto l’armi d’Ach
nti Ferrate bocche esce ad un tempo un soffio Moltiforme, pieghevole,
che
a norma Della man che lo regge o pieno, o parco,
e ad un tempo un soffio Moltiforme, pieghevole, che a norma Della man
che
lo regge o pieno, o parco, Cresce, o s’allenta, e
a manca Salda tenaglia, e colla destra inalza Pesante mole di martel,
che
cala Con grossi colpi: il docile metallo Cede all
di martel, che cala Con grossi colpi: il docile metallo Cede alla man
che
lo governa, e ‘1 segna D’orme diverse, e a suo pi
ro sovrapposte falde Ne fanno il corpo; ma ‘1 più nobil fregio È quel
che
tutto lo figura e veste Di sculti gruppi e svaria
vose, e a’ naviganti amiche Le vaghe Pleadi, ed Orióne armato, L’Orsa
che
intorno a se lenta s’avvolge E guarda al cacciato
L’Orsa che intorno a se lenta s’avvolge E guarda al cacciator, l’Orsa
che
sola Sdegna lavarsi d’Oceàn ne’ gorghi. Poi due c
, l’Orsa che sola Sdegna lavarsi d’Oceàn ne’ gorghi. Poi due cittadi,
che
in sembianze opposte Stavansi a fronte, effigiò:
oso aspetto L’altra cittade. Ella d’assedio è cinta Da squadra ostil,
che
nel suo cor già certa È di pronta conquista, e so
i e della preda. Ma non per questo l’assediata gente Perdea la speme;
che
un drappel de’ forti Gli altri lasciando per età
sangue Tinge la veste, e se ne lorda il volto. Vero e vivo spettacolo
che
immoto Mobil ti sembra, e non pur atti e forme. M
bil ti sembra, e non pur atti e forme. Ma figura i pensieri, e in ciò
che
appare Quel che dianzi passò rappella e arresta.
non pur atti e forme. Ma figura i pensieri, e in ciò che appare Quel
che
dianzi passò rappella e arresta. Di rustisch’opre
, ed a prova In bei canestri d’intessuti vinchi Portano il frutto più
che
mei soave: Mentre in mezzo un garzon lieve toccan
cannoso fiume, Quando dal bosco due leoni ingordi Sbucano, e al toro
che
alla torma è duce Scagliansi al collo: il misero
aggior lo sporto artefice Un coro figurò vario girevole Simile a quel
che
l’ingegnoso Dedalo In Creta ordì per Arianna amab
amente in circolo volubile Seguendosi, fuggendosi, qual fervida Ruota
che
sopra sé corre e s’avvoltola. Ecco poi d’improvvi
fiammante lorica, e i rilucenti Schinieri, e l’elmo e’l gran cimier,
che
vibra Dorati lampi, e in fulgid’oro ondeggia. »
mezzo d’ un fiore indicatole dalla moglie di Zeftìro vi esposi allora
che
questa gelosa matrona del Tonante fu l’oggetto de
non nega a Giove la gloria di esser padre del dio della guerra. Tero,
che
in greco suona lo stesso che la ferocia, gli fu n
esser padre del dio della guerra. Tero, che in greco suona lo stesso
che
la ferocia, gli fu nutrice, e presso barbare nazi
pii della favolosa infanzia del nume vollero gli antichi significarci
che
dei meno culti popoli dovrebbe essere propria la
tutte le età ha mostrato quanto all’intentenzione lodevole di coloro,
che
sotto il velo di strane immaginazioni nascosero p
a certa Neriene, nome oscurissimo nella Mitologia. Molti sono i figli
che
la colpa gli diede: Enomao, Ascalafo, Testio, Jal
molo e Remo ed altri si gloriarono di dovergli i natali. Favoleggiano
che
sia tratto in un carro sul quale auriga, siede Be
ro sul quale auriga, siede Bellona con sanguinoso flagello. I cavalli
che
lo trasportano, prendendo il nome dall’ effetto c
agello. I cavalli che lo trasportano, prendendo il nome dall’ effetto
che
producono, si chiamano Terrore e Paura. Gli era s
uccello del suo nome, giacché Alettrione in greco significa lo stesso
che
gallo, e porta ancora la pena della sua negligenz
ato il nome a quel luogo celebre in Atene per la santità dei giudizi,
che
Areopago si disse. Dicesi che Marte accusato di a
re in Atene per la santità dei giudizi, che Areopago si disse. Dicesi
che
Marte accusato di avere ucciso Alirrozio figlio d
bbe se di questa disavventura non fosse stato fatto accorto Mercurio,
che
con le arti usate lo tolse di furto. Ascalafo fig
che con le arti usate lo tolse di furto. Ascalafo figliuolo di Marte,
che
comandava ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso
a ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso cagionò al nume tanto dolore
che
senza temere l’ ira di Giove, il quale avea vieta
sta, ed in un tuono pieno di asprezza gli disse: Furioso ed insensato
che
sei, non conserverai piiì alcuna reverenza pel re
l re degli Dei, e ti sei dimenticato il suo comando? Frena la collera
che
t’ inspira la morte del figliuolo. Anche dei più
te parole ricondusse Marte. Favoriva Marte i Troiani contro la parola
che
ne avea data a Minerva stessa, onde la dea suscit
ugnare contro lo stesso dio della guerra. Appena lo ebbe Marte veduto
che
la lunga asta contro gli diresse, ma la dea ne fé
rarla gettò un grido spaventevole, quale è quello di un’intera armata
che
segue il nemico. In mezzo ad una nuvola di polver
po, e col core oppresso dal dolore mostrò a Giove il sangue immortale
che
scorreva dalla ferita, lagnandosi di Diomede e di
ortale che scorreva dalla ferita, lagnandosi di Diomede e di Minerva,
che
tanto gli aveva fatto osare. Giove guardandolo co
pieni di collera: Incostante e perfido, gli disse, fra tutti gli Dei
che
abitano 1’ Olimpo tu mi sei il più odioso. Tu non
abitano 1’ Olimpo tu mi sei il più odioso. Tu non provi altro piacere
che
quello della discordia e delle guerre. — Pure, es
delle guerre. — Pure, essendo suo figlio, ordinò al medico degli Dei
che
lo sanasse. Peone pose sulla sua ferita un balsam
Dei che lo sanasse. Peone pose sulla sua ferita un balsamo eccellente
che
lo risanò senza, fatica; che nulla è di mortale i
e sulla sua ferita un balsamo eccellente che lo risanò senza, fatica;
che
nulla è di mortale in un Dio. Omero nell’Odissea
in Pafo, e Marte nella Tracia. Palefato spiega questa favola dicendo
che
Sol figliuolo di Vulcano re di Egitto volendo far
omulgata da suo padre contro gli adulteri, ed essendo stato informato
che
una dama della sua corte avea commercio impudico
a casa, ed avendola sorpresa coll’amante castigolla severamente, cosa
che
conciliò al principe tutta la benevolenza del pop
ro. Dare un senso istorico alle favole è impresa pericolosa, e dubito
che
Palefato troppo del suo sistema si compiacesse. V
si motivi di questa appellazione il più probabile è quello di Servio,
che
lo vuole derivato perchè nelle guerre or l’ una o
ando era tranquillo; il secondo quando nelle armi infuriava. Leggiamo
che
avesse due templi: il primo nella città col titol
allontanare i nemici. Fu detto Enialio da Enio, la quale è lo stesso
che
Bellona, ed è del nume sorella, come ad altri pia
ssio e di Bruto la libertà dell’ universo. L’osservazione di Vitruvio
che
ordinariamente i templi di Marte erano fuori dell
gli soffrire dai figli di Aloeo, o alla maniera dei più antichi Greci
che
aveano costume di effigiarlo coi piedi incatenati
tani adducevano in ragione di questo uso di figurarlo, il vano timore
che
gli abbandonasse. Vedesi con un olivo in mano il
crudeltà, e in quella sua massima tirannica accennata da Capitolino,
che
senza crudeltà non si manteneva l’Impero. Marte c
ta da Capitolino, che senza crudeltà non si manteneva l’Impero. Marte
che
va presso Rea Silvia, origine favolosa del potere
presentato, dice Winkelmann, come un giovine eroe, e senza harba: del
che
pur ci fa fede un antico scrittore. Ma un Marte,
, di cui ogni minima fibra esprimesse la forza, il coraggio, il fuoco
che
a lui conviene, non trovasi certamente fra tutti
d un piccolo Marte su una delle basi dei due bei candelabri di marmo,
che
erano dianzi nel Palazzo Barberini: ambedue sono
e il conte Rangiaschi nella Dissertazione sul Marte Ciprio ha pensato
che
dalla barba di Adriano, il quale nell’immagine de
è il chiamato Pirro del Campidoglio. Ma Quirino Visconti ha osservato
che
non solo le monete greco-italiche, ma alcune d’or
Giove Le minacele e i comandi. A lui diceva Marte il primo: dal ciel
che
rechi? a questo Cielo, alle nevi mie, certo non v
enni, E Marte non dimora, e volge indietro I volanti destrieri, ancor
che
fumi Loro il sudor sull’anelante collo. Odia dei
Fra le figlie di Saturno e di Rea bellissima fu Cerere, onde Giove,
che
coi domestici stupri cercò diminuire le cure del
colpa ne’ grandi è maggiore perchè ne persuade infinite agli schiavi,
che
fanno lor gloria d’imitar il tiranno ancora negli
dal delitto fraterno, violò anch’egli Cerere, e n’ebbe una figliuola
che
i Greci stimavano sacrilegio il nominare. Pausani
acrilegio il nominare. Pausania lasciò scritto nel Viaggio in Arcadia
che
Here chiamavansi essa e la madre. Vi furono alcun
gio in Arcadia che Here chiamavansi essa e la madre. Vi furono alcuni
che
dall’incesto di Cerere dissero nato un cavallo, o
he dall’incesto di Cerere dissero nato un cavallo, onde favoleggiossi
che
fra vergogna ed ira divisa nere vesti prendesse,
ll’Arcadia scoperse l’antro custode di tanto pegno, lo indicò a Giove
che
mandò le Parche a Cerere perchè la giusta sua col
deponesse. Alcuni attribuiscono questo evento al ratto di Proserpina,
che
infinita tristezza cagionò alla diva. Cerere disc
di Giove, come attesta Omero nel quinto libro dell’ Odissea 17. Terra
che
tre volte avea sofferto le ferite dell’aratro fu
glio un rivale, col fulmine l’uccise. Lo Scoliaste di Teocrito vuole
che
da questo amore infelice nascesse Pluto, il dio d
che da questo amore infelice nascesse Pluto, il dio delle ricchezze,
che
cieco finsero gli antichi, volendo indicare che l
dio delle ricchezze, che cieco finsero gli antichi, volendo indicare
che
l’oro toglie la luce dell’intelletto a chi lo pos
e, a chi lo cerca. Abitò Cerere in Corcira, o Corfù, la quale innanzi
che
la figlia di Asopo ivi sepolto le dasse il suo no
no dalla falce di Saturno, come è la più comune opinione, o da quelle
che
Cerere fé’ fabbricare a Vulcano onde il modo di m
ndole incautamente la figlia, la preferì al Cielo. Il diverso viaggio
che
fece per ritrovarla così descrisse l’ Ariosto in
arla così descrisse l’ Ariosto in questi versi divini: « Cerere, poi
che
della madre Idea Lasciata in fretta la solinga va
potere esser mai spenti, E portandosi questi uno per mano Sul carro,
che
tiravan due serpenti. Cercò le selve, i campi, il
i andamenti della nutrice. Scorse il padre fra le tenebre in agguato,
che
la donna lo nascondeva fra le fiamme; gridò, e Ce
re le biade. Altri narrano la stessa avventura di Celeo, soggiungendo
che
fu padre di Trittolemo, e che amendoe furono da C
stessa avventura di Celeo, soggiungendo che fu padre di Trittolemo, e
che
amendoe furono da Cerere nella mentovata arte dot
re nella mentovata arte dottrinati. Ed ancora altre opinioni vi sono,
che
saranno da me accennate quando vi leggerò l’Inno
me accennate quando vi leggerò l’Inno su Cerere ad Omero attribuito,
che
fu scoperto dal Mattei, e dal Runchenio pubblicat
one del basso rilievo di una patera non ancora compreso. Tanto è vero
che
gli antichi artefici si formavano sui poeti, perc
l’invenzione dell’una necessitò lo stabilimento dell’altra. Quindi è
che
gli antichi attribuivano la gloria di tutte due a
uindi è che gli antichi attribuivano la gloria di tutte due a Cerere,
che
i Latini confusero da principio con Rea, la Terra
tti gli animali; finalmente ella ebbe una folla di epiteti consimili,
che
l’autore degl’Inni, falsamente attribuiti ad Orfe
a mano; altre volte un fanciullo ne offre in un vaso alla dea assisa,
che
ha un velo sulla testa e tiene un’asta. Ella port
la cornucopia, e dei piatti di frutti. Giove avendo promesso a Cerere
che
Proserpina sua figlia starebbe seco sei mesi, ric
to, intralciò con le spighe i capelli, e la raccolta fu sì abbondante
che
i granai non poterono contenerla. E facile d’imma
i e latini. Son troppo conosciuti per fermarvisi, e servirà di notare
che
l’uso di rappresentare la dea con le spighe di gr
cri presiedeva ai lavori della campagna, sia, come pretende Vitruvio,
che
i costumi semplici e puri degli abitanti fossero
rere, soprannominata Nutrice, è stata rappresentata con due fanciulli
che
tengono il corno dell’abbondanza, e ciascuno è po
una delle sue mammelle. Questa attitudine le conveniva, supponendosi
che
avesse somministrato agli uomini il loro principa
nome di Cerere per significare il pane. Si faceva onore di tutto ciò
che
si referisce all’agricoltura a questa divinità, e
tà, e ai suoi primi allievi. Così lo staccio non poteva essere a meno
che
consacrato non le fosse; infatti lo porta sopra m
. Il papavero era un simbolo della fecondità, ed è per questa ragione
che
sopra alcune medaglie si vede Cerere con delle sp
no, in mezzo delle quali si scorge una testa di papavero. Il serpente
che
è, per così dire, figlio della terra, doveva esse
per così dire, figlio della terra, doveva esser caro a Cerere, ancora
che
non si riguardasse con essa sotto relazioni miste
ente eglino hanno l’ali. Apuleio gli riguardò come i servi della dea,
che
si rappresentava ancora tirata da cavalli, o da b
sul suo carro, teneva da una mano le redini, dall’altra una fiaccola,
che
in origine non era che un pezzo di pino. N’era ri
a una mano le redini, dall’altra una fiaccola, che in origine non era
che
un pezzo di pino. N’era rigorosamente prescritto
questo possa aver relazione ad Iside modello di Cerere, io non penso
che
questa maniera di rappresentare la dea greca sia
tichi Cerere tenente della mano diritta una testa di montone, animale
che
le sacrificavano. Ma il porco era l’offerta più c
steri Eleusini, i quali, sui teatri stessi rappresentati, non possono
che
interessare la vostra curiosità. Non perdonando a
taggio, ho tradotto il poemetto di Claudiano sul ratto di Proserpina,
che
può prestare tante immagini al pittore. Ne distri
volgo dell’immenso Averno, Pei quai si dona alle ricchezze avare Ciò
che
pere nel mondo, e che circonda Livida Stige, sacr
erno, Pei quai si dona alle ricchezze avare Ciò che pere nel mondo, e
che
circonda Livida Stige, sacramento ai numi. Tre vo
l’error della delusa madre, Alma inventrice delle bionde spighe, Con
che
mutossi la Dodonia querce. D’Erebo il re d’ira or
ar, non senza pianto, Con quelle mani per cui trema il mondo E serve;
che
dei fati il lungo stame Filano e stanno sulle fer
a alterna morte, Per cui s’avviva la materia, ei corpi Vestono l’alme
che
han principio in Lete, Perchè tenti far forza e l
ciel le strade aperte? Dimanda a Giove una consorte, e Giove Non fia
che
a te la neghi. — Udì le preci Il re di Dite, e n’
e n’arrossì: l’atroce Indocil’alma illanguidiva, eguale A Borea allor
che
di pruine armato L’ispido mento e le sonanti penn
ipercosse indietro Le sonore procelle agli antri loro. Quindi comanda
che
di Maja il figlio Si faccia innanzi, onde gli ard
La potente verga Scotendo, fassi il messaggero alato Innanzi al dio,
che
sopra il soglio assiso Sta, per atroce maestà, tr
a riva. — O tu d’Atlante Tegeo nipote, deità comune A Dite e al ciel,
che
l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo, e che de
mune A Dite e al ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo, e
che
del doppio mondo Formi il commercio: va, dividi i
go dei Ciclopi i dardi, E col tuono le vane aure deludo? Non ti basta
che
sola è mia la notte, Ch’ ultimo nella sorte io so
uce il cielo Cinge, e calpesti con altero piede Gli altri sosro’etti,
che
d’Imene ancora Mi vieti i dritti? E pur nel glauc
ta fronte. Già la matura giovinetta in core Sente la fiamma d’Imeneo,
che
detta Al tenero pudor timidi voti. Suona la reggi
logi delle nazioni, abbiano degli artefici guidata la mano. L’istinto
che
ha la formica di riunire il grano l’avrà fatta po
Ecco la ragione per la quale si trova nel rovescio di molte medaglie
che
hanno una spiga di grano, sulla quale siede uno d
i nel principio dal popolo, ne ha creati grandissimo numero di altri,
che
ad altra divinità possono riferirsi. Eglino hanno
lobo. Lo scettro ed il fulmine ch’ella tiene, sono segni di possanza,
che
comuni le sono con altri numi. Similmente la vitt
ono con altri numi. Similmente la vittoria ch’ella ad Enna portava, e
che
si vede ancora sopra alcuni monumenti non è parti
alcuni monumenti non è particolare attributo di lei; e non può essere
che
l’offerta di capitani che abbiano creduto doverle
ticolare attributo di lei; e non può essere che l’offerta di capitani
che
abbiano creduto doverle dell’armi loro la fortuna
a. La palma, la corona di lauro altra origine non hanno; ed il leone,
che
sulle ginocchia della dea si vede, parmi alludere
a di nero, con un delfino in una mano, con una colomba nell’altra, lo
che
accennava i mal graditi abbracciamenti di Nettuno
à Cerere non ebbe tutti questi attributi: le statue di lei non furono
che
informi pietre, legni, come quelle di tutte le di
ria, o Egiziana, perchè poco da Iside differisce, o sia per accennare
che
deve lo stabilimento della sua religione alle col
formi, di quelle figure mostruose, e di quelli atteggiamenti sforzati
che
caratterizzano l’antico stile egiziano. Cercarono
a del bello ideale. Ogni accessorio fu bandito, e non fu dato ai numi
che
il loro simbolo principale. Cangiò il gusto, l’un
i simbolici. Innanzi questa epoca si vede Cerere espressa con un velo
che
cade sulla parte posteriore della veste di lei: p
, dal quale escono di sopra foglie e spighe. Quella parte di capelli,
che
non è nascosa, con felice disordine adombra la fr
ttribuisce pure a Cerere una falce, un flagello. Quante cose inutili:
che
grossolana maniera: era senza dubbio destinata ta
iviene tutto enimma e confusione. Tale è la statua di Cerere con ali,
che
hanno neir estremità un raggio coi sette pianeti.
un poco meno difficile di penetrare il senso allegorico di un altro,
che
ofi’re la fisrura di Cerere fra due alberi carich
alberi carichi di frutta. Si vede a destra Giunone dea delle nuvole,
che
sparge la pioggia sulla terra arata; a sinistra A
sparge la pioggia sulla terra arata; a sinistra Apollo, cioè il Soie,
che
secca il grano vicino alla mietitura. Importava e
ne? Dei secoli barbari è tutta propria questa maniera. Spanemio crede
che
la Pace rappresentata sopra le medaglie con spigh
opra le medaglie con spighe nella mano, da Cerere non differisca. Che
che
ne sia di questa congettura, egli è certo che gra
ere non differisca. Che che ne sia di questa congettura, egli è certo
che
grande amicizia regnava fra le dee. Perciò Cofìsi
fra le dee. Perciò Cofìsidoro immaginò di fare una statua della Pace,
che
avesse in seno il giovine Pluto figlio di Cerere.
oria divien sensibile pei racconti di Esiodo e di Omero.- Dicono essi
che
questo dio delle ricchezze fu il frutto degli amo
e. Gli scrittori seguenti hanno aggiunto a questa favola circostanze,
che
non la rendono nè più facile, nè più ingegnosa. G
anze, che non la rendono nè più facile, nè più ingegnosa. Gli storici
che
dell’allegoria scrissero, hanno dato a questo rac
senso il più semplice ed il più vero. Petellide di Cnosso assicurava
che
Pluto ebbe il fratello Filomelo, che in lite col
. Petellide di Cnosso assicurava che Pluto ebbe il fratello Filomelo,
che
in lite col maggiore ed al puro necessario ridott
lite col maggiore ed al puro necessario ridotto. comprò con quel poco
che
gli restava dei bovi, inventò l’aratro, ed ebbe d
sprezzare, se è savio, i doni della Fortuna. Questa dea era lo stesso
che
Cerere, secondo Dione Crisostomo. Infatti sopra a
el principio della sua tragedia delle Eiimenidi fa comparire la Pitia
che
parla in questi termini: Offriamo i nostri oma^^s
arla in questi termini: Offriamo i nostri oma^^sri innanzi alla Terra
che
la prima fra gli Dei qui rese i suoi oracoli; in
a che la prima fra gli Dei qui rese i suoi oracoli; in seguito a Temi
che
a sua madre nel santuario profetico successe. Per
un dono, e gli diede il cognome di Febo. — Apollo fu dunque il quarto
che
rispose gli oracoli, i quali erano le sole leggi
erano le sole leggi dei primi greci. In conseguenza non è maraviglia
che
Cerere sia stata presa per la Terra e per Temi, e
tte e tre dovevano necessariamente avere simboli comuni. E da notarsi
che
i Greci considerando Cerere come la terra chiamav
del corpo umano, e per la maniera nella quale è decomposto, piuttosto
che
distrutto dopo la morte. Ciò può aver dato luogo
dopo la morte. Ciò può aver dato luogo alla favola, la quale suppone
che
Cerere divori la spalla di Pelope, alla quale ne
egoria, la quale indica la consumazione dalla terra del nostro corpo,
che
conserva più lungamente le ossa dall’avorio signi
imenti della storia di Cerere. Ai primi poeti, e fra gli altri Fante,
che
viveva innanzi Omero, fu argomento. I pili grandi
icilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo antico si vede Plutone
che
rapisce Proserpina malgrado le dissuasioni di Min
sopra una colonna la Persuasione; sotto i piedi di lei Venere seduta,
che
ha sulle ginocchia Paride che l’abbraccia: innanz
ne; sotto i piedi di lei Venere seduta, che ha sulle ginocchia Paride
che
l’abbraccia: innanzi a questa sta Amore ohe guard
zione i personaggi, ai quali non ha dato nè espressione, nè attributi
che
possano fargli conoscere. Ritornando al ratto di
so soggetto sotto il quale si vedono i dodici segni dello Zodiaco, lo
che
si riferisce alle relazioni immaginate più tardi
le membra Avvinte ognor, dall’anelante petto Respira fiamme, e allor
che
il peso immenso Di scoter tenta dal ribelle collo
a. Or le native Nuvole innalza; in improvisa notte Splendon le fiamme
che
nel cielo avventa, E con i danni suoi l’incendio
or volo li soggetti campi, E si feconda la solcata terra Per la polve
che
cade, e delle rote Coprono Torma le sorgenti spig
ro il seno Non aprirà; vedrà fiorire i campi L’ozioso giovenco, e fia
che
ammiri Il ricco abitator le messi offerte. — Sì p
tirato da due elefanti. In un’ altra si vede presso lei una formica,
che
trasporta una spiga di grano. Credesi trovare in
figura riportata dallo Spon la Cenere Nutrice; ma vi ha chi pretende
che
ciò che tiene inviluppato nelle sue vesti sia un
riportata dallo Spon la Cenere Nutrice; ma vi ha chi pretende che ciò
che
tiene inviluppato nelle sue vesti sia un piccolo
la bella coppa di Farnese, già nel Gabinetto del re di Napoli: quello
che
è tenuto da questa figura sembra essere una speci
ioè col capo coperto da una parte della sua veste. Osserva Winkelmann
che
non si vede mai con una chiave sulle spalle, come
trovare nei monumenti delle arti le divinità con tutti gli attributi
che
loro danno i poeti; e d’altronde Callimaco nel lu
iadema elevato alla marniera di Giunone, coperto in parte dai capelli
che
ha giudiziosamente sparsi e sciolti sulla fronte,
dai capelli che ha giudiziosamente sparsi e sciolti sulla fronte, il
che
forse n’ esprime il dolore per la rapita sua figl
brano essersi molto studiate di dare sulle loro monete sì alla madre
che
alla figlia, delle due testé mentovate dee, la pi
sse Proserpina coronata di frondi lunghe e appuntate, simile a quelle
che
ornano insieme alle spiche la testa di Cerere: e
nziché di canna palustre, quali furono giudicate da alcuni scrittori,
che
perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l
in quelle monete l’effigie della ninfa Aretusa. Quali siano le forme
che
a Cerere convengono, le potete rilevare da Viscon
moderni. Quanto è certo però e riconoscibile da ogni intendente quel
che
esponiamo sulr artifizio del bellissimo simulacro
lr artifizio del bellissimo simulacro, altrettanto è dubbio tutto ciò
che
può dirsi del soggetto rappresentato. « Ha ottima
ato. « Ha ottimamente riflettuto il chiarissimo signor Abate Amaduzzi
che
senza imbarazzarsi del ritratto, che è forse idea
hiarissimo signor Abate Amaduzzi che senza imbarazzarsi del ritratto,
che
è forse ideale, i papaveri e le spighe che ha nel
imbarazzarsi del ritratto, che è forse ideale, i papaveri e le spighe
che
ha nella manca sono le qualificazioni di Cerere:
a mano con quanto contiene, di moderno risarcimento, non siamo sicuri
che
siasi sempre in questo bel marmo ravvisata la dea
visata la dea dell’agricoltura. Stranissima era l’opinione del Venuti
che
la credeva una Giulia Pia: men strana quella di P
credeva una Giulia Pia: men strana quella di Paolo Alessandro Maffeì,
che
nel pub])licarla fra le più insigni statue di Rom
tue di Roma, l’appellò Crispina, quantunque non simigli quell’Augusta
che
neir acconciatura della chioma, ben diversa nelle
di lodare l’avvedimento di chi l’ha fatta ristaurare per Cerere, però
che
la sopravvesta, o palla, che tutta la circonda e
i l’ha fatta ristaurare per Cerere, però che la sopravvesta, o palla,
che
tutta la circonda e la copre, può con gran propri
nell’effigiarla cosi ravvolta nel manto, come appunto la musa Tacita
che
abbiamo esposta. Gli antichi monetarii han forse
ente, dal cortile della Cancelleria. La semplicità del disegno sembra
che
ne formi il carattere principale. Naturale n’è la
sonomia, poca varietà è nei partiti del panneggiamento, e quella sola
che
vi regna nasce dalla diversità dei contorni del n
quella sola che vi regna nasce dalla diversità dei contorni del nudo
che
ne è coperto: hasta però contentare 1’ occhio egu
del nudo che ne è coperto: hasta però contentare 1’ occhio egualmente
che
la riflessione, la quale non lascia di distinguer
la quale non lascia di distinguervi la scelta e l’ideale. Si può dire
che
questo marmo sia trattato nella vera maniera in c
sso punto di rozzo, di trascurato: ma essendo quelle linee parallele,
che
formano le pieghe del panneggiamento, con tale in
del panneggiamento, con tale intelligenza disposte e variate di spazi
che
al tempo istesso che non cagionano veruna confusi
on tale intelligenza disposte e variate di spazi che al tempo istesso
che
non cagionano veruna confusione in qualche distan
stretta e alquanto ripresa dalla cintura, nè avente altra sopraveste
che
un peplo senza maniche che le copre il petto sino
dalla cintura, nè avente altra sopraveste che un peplo senza maniche
che
le copre il petto sino alla cintura medesima e ch
eplo senza maniche che le copre il petto sino alla cintura medesima e
che
siegue tutto l’andamento della veste soprapostavi
e soprapostavi; priva ancora nel capo di ogni ornamento straordinario
che
simbolico potesse essere o caratteristico, sembra
ente risarcirla, nè all’erudito per acconciamente denominarla. Pensai
che
qualche soccorso potea trarsi dall’abitudine e da
trarsi dall’abitudine e dal carattere della figura medesima, persuaso
che
gli antichi così conseguenti nelle loro pratiche,
ti nelle loro pratiche, come altre forme davano alle membra di un dio
che
a quelle d’un eroe e d’un uomo, altre a quelle d’
di un dio che a quelle d’un eroe e d’un uomo, altre a quelle d’Apollo
che
a quelle di Bacco, o di Mercurio, di Marte, così
rva. Quindi osservando nella figura una certa proporzione meno svelta
che
in altre figure, una maggior larghezza di spalle,
na maggior larghezza di spalle, maggior rilievo di petto e di fianchi
che
Tordmario, ho creduto che siasi voluto rappresent
alle, maggior rilievo di petto e di fianchi che Tordmario, ho creduto
che
siasi voluto rappresentar Cerere, a cui si compet
ì bene espressa da Lucrezio con quei due epiteti di doppia e mammosa,
che
sembrano aver suggerito al nostro artefice il car
i questa scultura destinata, come suppongo, per effigie di quella dea
che
fu propriamente cognominata Alma, e riconosciuta
nella destra ostenta le spighe, dono da lei fatto alla nostra specie,
che
pei suoi insegnamenti mutò la ghianda caonia con
ma dispositrice, finalmente per ogni luogo a cagione dei suoi misteri
che
sembravano conciUare la filosofia colla religione
he sembravano conciUare la filosofia colla religione, non farà specie
che
le si ergessero simulacri colossali, e che forse
religione, non farà specie che le si ergessero simulacri colossali, e
che
forse uno di questi fosse collocato nel teatro di
ora appare Sul balzo d’Oriente, ai prati guida Di Cerere la figlia. E
che
: staranno Gli ultimi regni senza amore? immune Te
emme inalza: Mentiti flutti il filo asconde, e l’arte Così l’increspa
che
tu l’alga credi Frangersi negli scogli, e lambir
n gli stagni, onde lor spuma D’oblio sicuro l’assopita lingua. Orfneo
che
di crudel luce risplende, Eton che indietro la sa
o sicuro l’assopita lingua. Orfneo che di crudel luce risplende, Eton
che
indietro la saetta lascia, E Nitteo gloria dello
ietro la saetta lascia, E Nitteo gloria dello stigio armento, Alastor
che
di Dite il fumo segna, Si stanno innanzi alle alt
e dalle torve nari, E nitrito crudel, quasi presaghi Sian della preda
che
il signore attende. (Fine del primo libro di Cla
o e Plutarco, trasferite dall’Egitto nella Grecia col mezzo di Orfeo,
che
le cerimonie sacre ad Osiride ed Iside ridusse al
ondo Meursio, si celebravano, è incerto. Da Aristofane sembra dedursi
che
fossero sei; Esichio vuole che per quattro giorni
incerto. Da Aristofane sembra dedursi che fossero sei; Esichio vuole
che
per quattro giorni la solennità durasse. Merita n
so. La spesa della festa era, secondo il solito, a carico dei mariti,
che
, per così dire, vi si obbli gavano nella scritta,
li gavano nella scritta, quando avevano ricevuti in dote tre talenti,
che
equivalgono a quasi tremila ducati veneti. Avevan
i castità. Per togliere ancora il sospetto dell’impudicizia, le donne
che
ministravano alle cose sacre erano alimentate a s
avano alle cose sacre erano alimentate a spese pubbliche in un luogo,
che
perciò Tesmoforio era detto. Era sacrilegio l’usa
teri eleusini. Sono queste due cose diverse, come vedrete, ed è certo
che
le Tesmoforie furono stabilite per la rimembranza
teri. Per mostrarci in qual conto fossero presso gli antichi, basterà
che
tutta la Grecia vi concorreva, che i Romani istit
ossero presso gli antichi, basterà che tutta la Grecia vi concorreva,
che
i Romani istituirono a gara di quelli i celebri g
i secolari, documento dell’ altezza di quel popolo signore del mondo,
che
fissò i limiti dell’umana natura, il quale solo n
aco, e v’ ha chi a Cerere stessa. Vien riferita ad Eamolpo per altri,
che
ne prendono motivo dal nome di Eumolpidi, che i s
a ad Eamolpo per altri, che ne prendono motivo dal nome di Eumolpidi,
che
i sacerdoti dei Misteri avevano in Atene. Mal si
è conviene alla brevità proscrittami il riportare le opinioni diverse
che
regnano in questo particolare. Tertulliano nel su
liano nel suo Apologetico divide la gloria di questa impresa, dicendo
che
Orfeo in Pieria, Museo in Atene, Melampo in Argo,
della figlia per tutta la terra, seppe finalmente dagli Erminionensi
che
Plutone glie l’avea rapita. Irata con gli Dei, la
a riso, presso il pozzo Callicoro. Poscia venuta nella sede di Celeo,
che
comandava agli Eleusini, rinacque dopo tanto temp
il riso sopra le sue labbra, mercè una vecchia detta Jambe. Quindi è
che
le donne Eleusine, istituito un coro, cantarono u
do di Euristeo trar Cerbero dall’ Inferno, e non volendovi discendere
che
iniziato, si diresse per questo oggetto ad Eumolp
iniziato, si diresse per questo oggetto ad Eumolpo. Vietava la legge
che
fosse ammesso uno straniero: non si ardiva con tu
fficoltà. Piglio adottò Ercole, e così fu iniziato ai misteri minori,
che
facilmente potevano comunicarsi. I maggiori erano
ponendo le pelli di vittime immolate a Giove sotto i piedi di quelli
che
avevano dei sacrilegi commessi. D’uopo vi era anc
ra ancora di corone e fiori; ed Idrano, dall’acqua, si chiamava colui
che
purificava gì’ iniziandi; che prima dovevano, oss
d Idrano, dall’acqua, si chiamava colui che purificava gì’ iniziandi;
che
prima dovevano, osservando il silenzio, dar prova
o il rito, osservata la castità, si rendevano degni dell’iniziazione,
che
altrimenti non produceva i vantaggi sperati. L’os
iniziazione, che altrimenti non produceva i vantaggi sperati. L’ostia
che
doveva immolare chi desiderava iniziarsi, era una
che doveva immolare chi desiderava iniziarsi, era una troia gravida,
che
prima era lavata in Cantaro uno dei tre porti del
re una ^rendita per l’erario di Atene fissando una mercede per coloro
che
volevano iniziarzi. Convien però fissare che tutt
o una mercede per coloro che volevano iniziarzi. Convien però fissare
che
tutte queste cerimonie erano proprie dei misteri
issare che tutte queste cerimonie erano proprie dei misteri minori, e
che
nei maggiori si comprendevano gli arcani fondamen
i quelli ammessi a’ primi chiamavansi Misti, o contemplanti, e quelli
che
giungevano ai secondi denominati erano Epopte, ci
nteriore del tempio. Dei veli pendenti assicuravano il segreto di ciò
che
si faceva nel sacrario. Che più? vi erano arcani,
segreto di ciò che si faceva nel sacrario. Che più? vi erano arcani,
che
dai Sacerdoti i più intimi erano solo conosciuti,
veniva aspettare cinque anni avanti di essere ammesso all’iniziazione
che
si celebrava di notte. Il ratto di Proserpina. (
nco la purpurea veste. Lei la Regina del Liceo seguiva, E la potente,
che
dell’asta all’ombra Sicure fa le Pandionie rocche
erra, e l’altra Terror di belve: è nel cimiero aurato Tifon scolpito,
che
nell’ima parte Vivendo par che con la morte scher
: è nel cimiero aurato Tifon scolpito, che nell’ima parte Vivendo par
che
con la morte scherzi: S’inalza al cielo con terri
e trentesimaquinta. Iniziazione nei misteri Eleusini. Nella notte,
che
fa maggiori le proprie ombre e i fantasmi della s
tempio Eleusino accoglieva nel suo recinto maggior numero di persone
che
ogni città di Grecia nelle sue feste. Il sacrario
crebbe la maestà del tempio sotto Demetrio Falereo il celebre Filone,
che
vi aggiunse colonne nella fronte. Questa fabbrica
o, si tergevano le mani coiraccjua sacra avanti di entrar nel tempio,
che
senza un sacrifizio non s’apriva Mani pure, mente
one. Quindi imponevasi il silenzio più religioso sul rito dei misteri
che
si leggevano in due libri, custoditi in due pietr
sicuravano al sacerdote il secreto. Gli iniziandi descrivevano i riti
che
gli erano letti innanzi dal gran sacerdote detto
, e bevvi il ciceone, — ch’era una bevanda composta di molti liquori,
che
Cerere per le persuasioni di una donna chiamata B
e la danza. Colle due voci (grec), (grec), si acclama agli iniziati,
che
davano allora luogo agli altri che volevano esser
(grec), si acclama agli iniziati, che davano allora luogo agli altri
che
volevano essere ammessi ai misteri. GÌ’ iniziati
per l’età venerando, Atene aveva il diritto di dare questi ministri,
che
dedicandosi ad una perpetua verginità, stimavano
te in questi misteri il daduco, il banditore. Daduco si diceva colui,
che
teneva la fiaccola, distinto anch’egli dalla cape
edeva poi ai misteri un prefetto col titolo di re, il quale comandava
che
ogni nemico dalle cerimonie si astenesse, e che d
e, il quale comandava che ogni nemico dalle cerimonie si astenesse, e
che
dopo la solennità radunava il senato nell’Eleusin
solennità radunava il senato nell’Eleusinio per conoscere quelle cose
che
si fossero fatte contro il rito. Ad altri quattro
ò lo Scita Anacarsi, reso ancor più famoso dall’ opera di Barthélemy,
che
combina il gusto e l’erudizione. Le donne che a C
l’ opera di Barthélemy, che combina il gusto e l’erudizione. Le donne
che
a Cerere in tal maniera si consacravano furono ch
vano furono chiamate Melissee. Uno dei vantaggi di questi misteri era
che
gl’iniziati obbligati si credevano all’ esercizio
ti si credevano all’ esercizio della virtù più severa. Cicerone dice
che
non solo erano causa di vivere con allegrezza, ma
re con allegrezza, ma pure di morire con buone speranze. Era opinione
che
le dee Eleusine, Cerere e Proserpina, fossero lib
pio di Cerere; e ciò fu cagione di guerra fra Filippo e gli Ateniesi,
che
dell’antica fortuna non conservano che la superbi
ra fra Filippo e gli Ateniesi, che dell’antica fortuna non conservano
che
la superbia. Due giovani di Acarnia ignari di que
niziati erano dall’opinione puniti ancora dopo la "vita. Era credenza
che
fossero condannati nelI’Averno a riempire un vaso
fossero condannati nelI’Averno a riempire un vaso forato, come quello
che
i poeti diedero alle Danaidi ree del sangue dei l
zio, forse il più filosofo dei poeti, dice in una sua Ode: Io vieterò
che
chi ha divulgato gli arcani Eleusini abiti sotto
gno pel mare. — E a tanto arrivava lo scrupolo del rigoroso silenzio,
che
cogli Dei stessi credevano delitto violarlo. Comp
ogli Dei stessi credevano delitto violarlo. Compirò le altre notizie,
che
ho dedotte dal Meursio su questo soggetto, nella
fan densa corona Che danno fama ai tuoi fonti, Crimniso, E a Pantagia
che
rota i sassi, e a Gela Che dà suo nome alla cìtta
na irresoluta nutre Nello stagno palustre, e il noto fonte D’Aretusa,
che
con sicuro errore Segue l’ospite Alfeo. Così la s
ella luna, esulta allora Che dalla depredata Orsa ritorna Ippolita, e
che
trae Tinti in battaglia Gli abitatori delle nevi
a sua cima il sacro volgo Etna mirò madre dei fiori, e dice A Zeffiro
che
siede in curva valle: Di primavera genitor soave,
rugiada l’anno, Mira le ninfe, e del signor del tuono L’altera prole,
che
nei nostri campi Degna scherzare; deh ti prego, a
i conceda La gloria dei suoi vinti orti: dispergi Nelle mie vene quel
che
spira Idaspe, E Panchea nelle selve, e ciò che to
gi Nelle mie vene quel che spira Idaspe, E Panchea nelle selve, e ciò
che
toglie Da genti ignote la fenice eterna: Così toc
gia, serpe L’edra, e la vite si marita all’olmo. Non lungi è un lago,
che
i Sicani Pergo Chiamar: lo cinge colle frondi il
dolci studii avviva Citerea colla voce e grida: Adesso Gite, sorelle,
che
sul biondo suolo L’astro più caro a me sparge dal
ninfe i varii boschi. La rapina così del timo Ibleo Trae l’api allora
che
le ceree schiere Movono i regi, e che per l’erbe
el timo Ibleo Trae l’api allora che le ceree schiere Movono i regi, e
che
per l’erbe elette L’esercito gentil da cavo faggi
raco adorna, e va di rose Coronata, e del bel ligustro adorna Il sen,
che
tanto paragon non teme. Lezione trentesimases
. e mìe ricerche sopra Cerere avranno fine nella presente Lezione,
che
comprenderà quel che vi resta a sapere intorno ai
opra Cerere avranno fine nella presente Lezione, che comprenderà quel
che
vi resta a sapere intorno ai misteri Eleusini, gr
i Alessandro si rileva. È incerto per quanto tempo durasse, e Meursio
che
nell’oscurità dei misteri portò primo ]a luce del
basso rilievo pubblicato recentemente dal celebre Zoega. Dopo questo,
che
lentamente procedeva, veniano le donne con le ces
ca, e vi eran nascosi serpenti, piramidi, volumi di lane e melagrani,
che
vietarono a Proserpina di esser restituita a Cere
esto Bacco non era il Tebano figlio di Giove e di Semele, ma un altro
che
dal re degli Dei e da Cerere, o Proserpina, era n
nto, le danze e il picchiar degli scudi. Sacra la porta, sacra la via
che
frequentavano gli Eleusini era detta. Nel settimo
i era detta. Nel settimo giorno vi era una specie di caccia, certame,
che
giovani a piedi e a cavallo facevano coi tori. Un
Una misura di orzo n’era il premio, perchè questo vegetabile era fama
che
per la prima volta fosse nato in Eleusi. Potete v
va Epidaurio, perchè instituito dagli Ateniesi in onore di Esculapio,
che
venne da Epidauro dopo i celebrati misteri, per e
dei misteri, empivano due vasi, detti plemochoe, ch’erano testacei, e
che
aveano un fondo non acuto ma stabile e piano. Uno
Eleusi colle bighe, e gli asini avean l’onore di portare tutto quello
che
era necessario pei misteri. Questi erano in tanta
io pei misteri. Questi erano in tanta venerazione presso gli antichi,
che
sacro era per essi il giuramento. Tanto è l’imper
cro era per essi il giuramento. Tanto è l’impero della superstizione,
che
questi prestigi durarono fino agl’imperatori cris
izione, che questi prestigi durarono fino agl’imperatori cristiani, e
che
Valentiniano, che proibir gli voleva, fu costrett
prestigi durarono fino agl’imperatori cristiani, e che Valentiniano,
che
proibir gli voleva, fu costretto di concederne al
con molte altre ridicolezze del Paganesimo ancora i misteri Eleusini,
che
furono celebrati dagli Ateniesi, non solo, ma dai
osta col tempo in effetto da Adriano. Eccovi date, con quella brevità
che
si poteva, le notizie più importanti intorno ad u
r di Marte, e la placata cresta Tien Primavera. Coi sagaci cani Colei
che
scorre del Partenio i boschi Or sprezza i cori, e
città: cagione ascosa Move il dubbio tumulto, e nota è solo A Citerea
che
spaventata gode. Cerca una strada fra l’opaca ter
e lasciò l’opra L’attonito Vulcan: cade al tremante Ciclope il fulmin
che
prepara a Giove. L’udì l’abitator dei ghiacci alp
percossa orrenda Loro insegna a soffrire il Sole, e vanno Rapidi più
che
rovinoso fiume; Vincon del Parto la saetta, i ven
i castità comune Le move, e l’odio al rapitore accende; Ei qual lione
che
giovenca afferra Decoro dell’armento, e con gli a
stigie ancelle. Torna alla notte tua, lascia il fraterno Retaggio; a
che
calpesti il nostro mondo, Ospite infame? — E perc
re al Cielo inalza: Ah dai Ciclopi i fabbricati dardi, Oh Padre in me
che
non torcesti? ali* ombre Mi consegni, o crudel: d
ole di Saturno, e serve A me la mole delle cose: il giorno Non stimar
che
ti sia rapito: abbiam o Altre stelle, altro sol,
Ed i beati abitatori, e prole, Aurea dimora, e più felice etade. Ciò
che
i numi mertaro una sol volta Sempre tenghiamo, pi
a sacro, e ricca Sarai tu sempre degli aurati pomi. Poco ti dico: ciò
che
il Ciel sereno Contiene, quello che produce il su
li aurati pomi. Poco ti dico: ciò che il Ciel sereno Contiene, quello
che
produce il suolo, Abbraccia il mare, e traggon se
n feroce; i serpi eterni Son miti; accendon con diverso lume La face,
che
nuzial teda diviene. Lachesi alcun stame non rupp
oti a Cerer date. Lezione trentesimasettima. Vesta. Non rimane
che
Vesta tra gli Dei maggiori, la quale debba essere
ità delle mie forze e la vastità del subietto. È sentimento di alcuni
che
due Veste vi siano state: una, madre" di Saturno,
mento di alcuni che due Veste vi siano state: una, madre" di Saturno,
che
Pale ancora fu detta; e Y altra figlia di lui. La
erano: in queste effigiata vedovasi per attestare, secondo Posidonio,
che
a lei dovevasi l’arte di fabbricarle. Narra Arist
osidonio, che a lei dovevasi l’arte di fabbricarle. Narra Aristocrito
che
dopo la vittoria riportata sui Giganti, Giove die
vittoria riportata sui Giganti, Giove diede a Vesta la scelta di ciò
che
più le piacesse, ed essa, oltre le prime libazion
, ottenne di castità perpetua il dono. Reputavasi il fuoco etereo, di
che
simbolo è Vesta, perpetuo degli antichi, onde da
vien chiamata. Quindi l’autor dei frammenti attribuiti ad Orfeo disse
che
la dea abitava nel mezzo dell’eterea regione del
inione segue Ovidio nei Fasti, dicendo: Non intendere per Vesta altro
che
la viva fiamma, che non vede nascer da questa alc
nei Fasti, dicendo: Non intendere per Vesta altro che la viva fiamma,
che
non vede nascer da questa alcun corpo. — Infatti,
a statua, e vi si vedeva solamente nel mezzo un altare pei sacrifizii
che
facevano alla dea, la quale presso i Greci ed i R
la quale presso i Greci ed i Romani non avea anticamente altro segno
che
il fuoco con solenne religione custodito. Numa Po
e quasi in forma di un globo, non già, dice Plutarco, per significare
che
questo fosse il globo della Terra, ma per additar
itare con esso tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco
che
chiamavano di Vesta. Pure lo stesso nei Problemi,
perchè le tavole rotonde degli antichi si chiamassero veste, afi’erma
che
tal nome loro fosse dato per la somiglianza che a
ssero veste, afi’erma che tal nome loro fosse dato per la somiglianza
che
avevano colla Terra, reputata lo stesso che Vesta
e dato per la somiglianza che avevano colla Terra, reputata lo stesso
che
Vesta. Questa differenza rende maggiormente proba
ccennato mantenevano i Romani il fuoco sacro con tanta superstizione,
che
veniva riguardato come pegno dell’impero del mond
tro di un vaso concavo presentato al Sole. Ciò forse potrebbe provare
che
fin d’ allora erano gli specchi concavi in uso. P
fin d’ allora erano gli specchi concavi in uso. Pesto però pretende,
che
questo nuovo fuoco si facesse collo sfregamento d
forandolo. Lo rinnovavano ogni anno nel primo giorno di Marzo ancora
che
non si estinguesse. Il fuoco sacro di Vesta non c
lamente nei templi, ma ancora alla porta di ogni casa particolare, da
che
la parola vestibolo è derivata. Il tempio di Vest
, in Argo, in Efeso, in Mileto. Ecateo Milesio nelle Genealogie dice
che
Vesta si figura in una donna sedente circondata d
onna sedente circondata da delle piante, e da ogni genere di animali,
che
l’accarezza. È chiaro che confonde Vesta colla Te
delle piante, e da ogni genere di animali, che l’accarezza. È chiaro
che
confonde Vesta colla Terra. Sopra una lampade di
la Terra. Sopra una lampade di bronzo del Museo Romano si vede la dea
che
tiene una fiaccola accesa in forma di lancia nell
glio, inciso nei Monumenti inediti di Winkelmann, Vesta è la sola dea
che
abbia un lungo scettro. L’abito suo è di matrona;
a lampade ha una torcia, il Palladio o una piccola Vittoria. I titoli
che
ha nelle medaglie e nei monumenti sono di Santa,
i fatti di quel popolo signore dell’universo. Il vostro cuore dimanda
che
avvenisse di Cerere quando si accorse che le era
so. Il vostro cuore dimanda che avvenisse di Cerere quando si accorse
che
le era stata rapita la figlia. Soddisfarà a così
lve i rami incolti. Cercò la colpa, e rispondean piangenti Le Driadi,
che
abbattuto il sacro alloro Avean le Furie con tart
materno affetto Tutto dal core non scacciasti, e sei Cerere santa, e
che
di tigre ircana Il sen non ti nutrì, da questi la
on delle catene. S’alza sul letto palpitando, e muta Gran tempo, gode
che
la vista orrenda Sia sogno; eppur del lacrimato a
che la vista orrenda Sia sogno; eppur del lacrimato amplesso Si duole
che
il piacer fugga col sonno. Balza e grida a Cibele
’Ida appena è scesa, E paventa di tutto, e nulla spera. Sì teme augel
che
non pennuta prole Commise ad umil orno, allor che
pera. Sì teme augel che non pennuta prole Commise ad umil orno, allor
che
l’esca Recando, pensa che il diletto nido Scosso
n pennuta prole Commise ad umil orno, allor che l’esca Recando, pensa
che
il diletto nido Scosso dal vento non sia furto al
Per favellarvi delle altre divinità minori io terrò lo stesso ordine
che
Esiodo, il quale nella sua Teogonia, se crediamo
va il Tartaro tenebroso. V’era ancora l’Amore bellissimo fra gli Dei,
che
scioglie le cure, e doma nel cuore degl’immortali
vidio Caos fu detto l’unico aspetto di tutta la natura nell’universo,
che
consisteva in una rozza ed indigesta mole, in un
iama gran madre degli Dei e consorte del Cielo stellato. Erodoto dice
che
presso gli Sciti, dai quali era sommamente onorat
Esiodo certamente non le dà per consorte, ma per figlio il Cielo. Che
che
ne sia, fu annoverata, come Eschilo lasciò scritt
i nomi come lo stesso scrittore nel Prometeo attesta. Pausania narra
che
diede la prima gli oracoli, e che avendo ceduta l
l Prometeo attesta. Pausania narra che diede la prima gli oracoli, e
che
avendo ceduta la sede e il privilegio a Temide, q
i Omero. Orazio le assegna altra vittima nel porco, ed Eschilo scrive
che
usanza era d’offrirle gli stessi sacrifizii che a
co, ed Eschilo scrive che usanza era d’offrirle gli stessi sacrifizii
che
agli Dei mfernali, chiamati inferie dai Latini. Q
a avea luogo nella composizione di questa tavola come madre di Anteo,
che
rinnuovava le sue forze ogni volta che toccava la
ta tavola come madre di Anteo, che rinnuovava le sue forze ogni volta
che
toccava la Terra. Sopra una pasta antica è indica
tica è indicata da uno scoglio sul quale Temide è assisa per indicare
che
questa dea era figlia della Terra. « Una medaglia
daglia dell’imperator Comodo, dice Addison, offre l’immagine del Sole
che
comincia il suo corso; il disegno n’è bello, e ra
o felicita Nerone della sua maestria nel guidare il carro, dicendogli
che
s’egli fosse salito sui fiammanti Coc chi di Febo
attro fanciullini, tutti rivolti verso la Terra; ed il primo di essi,
che
rappresenta l’Inverno, ha un manto che gli pende
la Terra; ed il primo di essi, che rappresenta l’Inverno, ha un manto
che
gli pende dagli omeri: gli altri poi sono nudi, e
o nudi, ed in tal guisa appunto sono rappresentati questi pargoletti,
che
figurano le stagioni, nel Museo Passeri al tomo I
ome annodate pongono in mezzo la Terra: sotto a Marte stassi la Luna,
che
ha di fronte Giove, ed in mezzo tutto raggiante m
mezzo tutto raggiante mirasi il Sole. L’Olivieri suppone eruditamente
che
la Terra venga qui accompagnata dai sette pianeti
a Poro, e della Povertà. Darò compimento nella presente Lezione a ciò
che
riguarda Cerere col leggervi il delitto e la pena
che riguarda Cerere col leggervi il delitto e la pena di Eresittone.
che
da Ovidio ho tradotto: Eresittone selva a Cerer
. Gli rapisce la scure, e in questi accenti Scelerato prorompe: Ancor
che
fosse La diva stessa, non che a lei diletta Cotes
uesti accenti Scelerato prorompe: Ancor che fosse La diva stessa, non
che
a lei diletta Cotesta querce toccherà la terra Co
a testa. — In colpo obliquo, Ciò detto libra la bipenne; trema, E par
che
pianga di Dodona il legno, E colle frondi impalli
giace il freddo inerte, E col Tremore la digiuna Fame. A lei comanda
che
nel sen si celi Di quel profano, nè alla copia ce
sopra l’aspro monte Che Caucaso si noma: e qui la Fame Cercata trova,
che
in sassoso campo Strappa con l’unghie e con i rad
ia, e regna la vorace fame Nelle viscere immense, ond’egli chiede Ciò
che
rinchiude e mare ed aria e terra, E a mensa piena
l’arco e la face, consueto ornamento, noi sappiamo da un antico poeta
che
sosteneva nelle mani un delfino e un fiore, per i
ra e sul mare. Tanta audacia attribuirono allo dio sii antichi poeti,
che
finsero essere stati da lui spogliati tutti i num
Inimicizie, la Contesa. Seguì l’idee degli antichi il Petrarca allora
che
disse di questo dio: « Ei nacque d’ozio e di las
accortezza ed artifizio poetico gli attributi d’Amore: « Chiunque fu
che
primo dipinse Amore fanciullo non lo giudichi mar
so artista: « Egli primo conobbe viver gli amanti senza sentimento, e
che
per lievi cure gran beni periscono: « E non invan
a faretra pende dall’una all’altra spalla. « Infatti ne ferisce prima
che
ce n’avvediamo, poiché da noi senza paura si mira
l favellare dei monumenti dell’Amore veduti nella Grecia da Pausania,
che
non può mai esser letto abbastanza dagli artisti,
ia vi era 1’ altare dell’Amore con un’ iscrizione, la quale attestava
che
Carmo fu il primo Ateniese che consacrò un altare
con un’ iscrizione, la quale attestava che Carmo fu il primo Ateniese
che
consacrò un altare a questa divinità. A Megara sc
Passione. Fra le pitture di Pausia contemporaneo ed emulo di Apelle,
che
si ammiravano nel tempio di Esculapio in Epidauro
miravano nel tempio di Esculapio in Epidauro, distinguevasi un Amore,
che
, gettato l’arco e la freccia, teneva una lira Pre
uno per loro del bel marmo del Monte Pentelico. I Tespiesi narravano
che
loro fu tolto da Cajo imperatore dei Romani, che
I Tespiesi narravano che loro fu tolto da Cajo imperatore dei Romani,
che
Claudio lo rimandò, ed ultimamente fu di nuovo ru
to da Nerone e situato in Roma, ove fu consumato dal fuoco. Il Cupido
che
vedovasi in Tespi ai tempi di Pausania era di Met
che vedovasi in Tespi ai tempi di Pausania era di Metrodoro Ateniese,
che
aveva imitata la statua di Prassitele, la quale a
aveva imitata la statua di Prassitele, la quale aveva tanta celerità,
che
si faceva il viaggio di Tespi unicamente per vede
piccola cappella accanto alla Fortuna, probabilmente per significare
che
in amore la fortuna giova più della bellezza. L’A
o. Una delle sue immagini più dotte è quella del Gabinetto di Stosch,
che
l’offre tenente un gruppo di chiavi in mano, che
Gabinetto di Stosch, che l’offre tenente un gruppo di chiavi in mano,
che
egli è il padrone ed il guardiano del talamo di V
lle Grazie e di Venere. Una gemma del Museo Fiorentino ci offre Amore
che
naviga sopra un’anfora, e questa immagine sembra
o rettile, come il ramarro, credevasi simbolo del predire l’avvenire,
che
gli antichi e i moderni hanno creduto essere prop
uto essere proprietà del sonno, onde disse Dante « ……………… il sonno,
che
sovente Anzi che il fatto sia, sa la novella. »
età del sonno, onde disse Dante « ……………… il sonno, che sovente Anzi
che
il fatto sia, sa la novella. » Questo dio mi ram
tto sia, sa la novella. » Questo dio mi rammenta la Notte sua madre,
che
nacque dal Caos, e che Esiodo annovera dopo l’Amo
» Questo dio mi rammenta la Notte sua madre, che nacque dal Caos, e
che
Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è che io seg
re, che nacque dal Caos, e che Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è
che
io seguitando il sistema che mi sono prefìsso, di
e Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è che io seguitando il sistema
che
mi sono prefìsso, dirovvi ciò che intorno a quest
indi è che io seguitando il sistema che mi sono prefìsso, dirovvi ciò
che
intorno a questa dea pensavano gli antichi. Regin
torno a questa dea pensavano gli antichi. Regina del Caos era innanzi
che
Iddio togliesse la lite degli elementi, e leggi p
crivesse alla materia informe. Con ragione quindi l’autore degl’Inni,
che
vanno sotto il nome di Orfeo, la chiamò madre deg
feo, la chiamò madre degli uomini e degli Dei. Favoleggiarono i poeti
che
fosse tratta sopra un cocchio, avanti alle rote d
a Miseria, sono sua prole, per tacere di molti altri. Vogliono alcuni
che
senza marito la generasse, ed altri, coll’Èrebo c
gura dipinta in un antico manoscritto, della quale il drappo è blu, e
che
tiene una fiaccola rovesciata, con l’iscrizione:
on l’iscrizione: La Notte. Sopra un basso rilievo del Palazzo Albani,
che
esprime la scoperta dell’ adulterio di Venere con
iene al di sopra di essa un manto volante, per indicare probabilmente
che
questo delitto fu commesso di notte. Sopra un alt
te che questo delitto fu commesso di notte. Sopra un altro monumento,
che
rappresentava lo stesso soggetto, ma che non esis
e. Sopra un altro monumento, che rappresentava lo stesso soggetto, ma
che
non esiste più, la Notte era effigiata nella figu
gio di questa bellissima mezza figura quando colla stessa probabilità
che
della precedente se ne potesse rintracciar l’auto
« La grazia e la venustà sono le doti principali di questa scultura,
che
non manca nè di verità, nè di morbidezza. La cele
re pel figlio di Venere compagno delle Grazie, anche senza riflettere
che
aveva in antico le ali, riportate forse di bronzo
rippina. Quantunque però non esista monumento antico a mia conoscenza
che
possa illustrare l’origine di questa graziosa fig
amo da Plinio ch’egli scolpì l’Amore a Tespi piccola città di Beozia,
che
per questo solo era visitata dai forestieri; che
ola città di Beozia, che per questo solo era visitata dai forestieri;
che
fu tolta ai Tespiesi da Caligola e portata a Roma
gola e portata a Roma, donde Claudio la rimosse per restituirla loro:
che
Nerone tornò a ritorla e la fece di hel nuovo tra
nche ai suoi giorni ne’ porticati di Ottavia. Asserisce questo autore
che
Prassitele scolpì un’ altra volta Cupido tutto nu
e fama e avventure pari a quelle del simulacro materno di Guido. Quel
che
sicuro è, che la moltiplicità delle copie ce lo a
ture pari a quelle del simulacro materno di Guido. Quel che sicuro è,
che
la moltiplicità delle copie ce lo attesta per una
colpito da Prassitele a Parlo; e quell’altra in età più fanciullesca,
che
si ammira in Campidoglio, nel Palazzo Laute e alt
più nell’amator celato, Che spoglie anguine ed omicida artiglio, Fin
che
il terror poteo nel cor turbato Strano eccitar d’
lanciò nel fiume: Cara un tempo ad Amore La rispettaron l’acque. Lei
che
raminga in traccia Del perduto Signor scorrea la
traccia Del perduto Signor scorrea la terra. Incoraggi soave La Dea,
che
al crin le bionde spiche allaccia; A lei stendea
uri uffici: Chi l’auree lane, e la difficil’onda: Amor, dov’eri? a te
che
tutto sai, Come furono ignoti Della tua Psiche i
ervò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali, E innanzi al Re,
che
i maggior Dii governa, Narrò di Psiche e di se st
ndogli per sorelle ancora le Speranze. Così forse vollero significare
che
spesso egli offre agli infelici dei sogni, coi qu
inazione, stanca di vere sciagure, cerca un miglior avvenire. Certo è
che
i sogni sono la compagnia eterna di questa cara d
la compagnia eterna di questa cara divinità, come appare da Tibullo,
che
dice: — E poi viene il sonno colle ali fulve, e i
e da lui derivò il Casa nella prima terzina di questo famoso Sonetto,
che
voi udirete volentieri. « Sonno, o de la queta,
i mali Sì gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; Soccorri al core ornai
che
langue, e posa Non ave; e queste membra stanche e
Sonno, e l’ali Tue brune sopra me distendi e posa. Ov’è il silenzio,
che
il di fugge e il lume? E i lievi sogni, che con n
e posa. Ov’è il silenzio, che il di fugge e il lume? E i lievi sogni,
che
con non secure Vestigia di seguirti han per costu
ogni, che con non secure Vestigia di seguirti han per costume? Lasso:
che
invan te chiamo; e queste oscure E gelid’ ombre i
disprezzare la servitù, il dolore, la miseria, e tutti gli altri mali
che
sono sulla terra perpetua eredità dell’uomo. Ques
ele esattore, la metà della vita, e fa, come dice il divino Dante: «
che
seggendo in piuma In fama non si vien, nè sotto c
a di sé lascia, Qual fumo in aere od in acqua la schiuma. » Quindi è
che
fratello di Lete lo disse con ragione Orfeo, che
schiuma. » Quindi è che fratello di Lete lo disse con ragione Orfeo,
che
chiamò pure quiete dell’universo, e re degli uomi
i Dei. In Omero tutti gli Dei cedono al Sonno: solo veglia Giove; con
che
quel principe dei poeti volle indicarci che color
o: solo veglia Giove; con che quel principe dei poeti volle indicarci
che
coloro i quali presiedono al destino degli uomini
e degli Dei non lo avesse salvato. Non vi è istoria nè favola veruna
che
mostri esenti mai sempre i grandi dalle umane deb
una selva di papaveri grossi come alberi, e di mandragore: mille erbe
che
producono il sonno fioriscono sotto le frondi, fr
rso è cheto, e le sue acque sono simili all’odio. Nasce da due fonti,
che
sgorgano in sconosciuto loco. Uno di questi si ch
e artifizio mostra espresse, come in basso rilievo, tutte le immagini
che
cadono nella fantasia di chi dorme. Nell’altra di
a statura e non men leggiadri di volto e di portamento. Vi sono Sogni
che
alati minacciano, con tremendo aspetto, sciagure,
e alati minacciano, con tremendo aspetto, sciagure, e ve n’ha diversi
che
promettono felicità vestiti con pompa reale. Se q
me di non poco lume per l’arte vi possono essere le seguenti notizie,
che
intorno ai modi di figurare il Sonno derivo dagli
e l’una sull’altra. Il Sonno è pur rappresentato con un giovine genio
che
si appoggia sopra una fiaccola rovesciata, e sì t
e una statua di lui è posta dopo le figlie di Mnemosine dal Visconti,
che
illustra due altri simulacri dello stesso Nume, c
ine dal Visconti, che illustra due altri simulacri dello stesso Nume,
che
erano parte di quella preziosa raccolta delle più
soglio, le illustrazioni di tanto antiquario. « Non farà maraviglia
che
nel Museo Tiburtino di Cassio fosse stata unita l
a quella delle nove Dee a chiunque conosca l’opinione degli antichi,
che
nessuna deità stimarono tanto amica alle Muse qua
che nessuna deità stimarono tanto amica alle Muse quanto il Sonno, e
che
eressero in Trezene un’ara comune a questa divini
è tal maniera di pensare deve sembrare affatto strana a chi rifletta,
che
se nessuna facoltà dello spirito umano debba esse
bba essere cotanto accetta alle Muse quanto la fantasìa, convenìa pur
che
da loro si onorasse il Sonno, il quale, tenendo l
legati i sensi, lascia libero il nostro sensorio all’ immagi nazione,
che
è la madre dei sogni. E in sogno in fatti si cred
ii poeti antichi d’essere stati sensibilmente inspirati, come Esiodo,
che
vide nelle valli d’Ascra le Muse; e come Ennio, c
ati, come Esiodo, che vide nelle valli d’Ascra le Muse; e come Ennio,
che
si sentì qualche volta eccitato alla poesia dall’
Sonno, noi possiamo considerare in questo bel marmo l’unico simulacro
che
ce ne resti. (Notate che ancora non si erano scop
derare in questo bel marmo l’unico simulacro che ce ne resti. (Notate
che
ancora non si erano scoperti gli altri due, di cu
, di cui parla Visconti nel terzo tomo. « Ha già avvertito Winkelmann
che
quello della Villa Borghesi scolpito in pietra di
ragone, è opera moderna dell’ Algardi, come risulta ancor dalla vita,
che
ne ha scritta il Bellori, benché pubblicato per a
antico da Montfaucon. Con questo Nume sia effigiato nel bel monumento
che
ora esponiamo, non accade porlo in dubbio, giacch
mbra, e particolarmente nelle palpebre mollemente chiuse, e nel capo,
che
pieno di grave sonnolenza pende sull’omero manco.
l’idea di porgli in mano una face rovesciata, simbolo dei seutimenti
che
per lui si estinguono. L’ara che è ai suoi piedi
e rovesciata, simbolo dei seutimenti che per lui si estinguono. L’ara
che
è ai suoi piedi é forse quella di Trezene, ch’ebb
r avventura il fatidico alloro, simbolo dell’oracolo e dei vaticinii,
che
anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo: al
dei vaticinii, che anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo: al
che
può anche alludere avere unito la statua del Sonn
chio è barbato è scolpito ancora il Sonno negli antichi bassi rilievi
che
ci offrono Endimione dormiente. Quello del Museo
oltre l’ali alle tempie, ha più agli omeri due altre ali di farfalla
che
lo adornano ancora nel Museo Matteiano. « Queste
mmagini del Sonno m’inducono ad attribuirne a questo Nume dell’altre,
che
niuno forse avrebbe pensato che lo rappresentasse
attribuirne a questo Nume dell’altre, che niuno forse avrebbe pensato
che
lo rappresentassero. « La prima è la testa barba
a puntuta, capelli acconciati quasi all’uso femminile ed ali al capo,
che
vedesi nelle medaglie della famiglia Tizia. Chi r
al capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Tizia. Chi riflette
che
in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso d
te che in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso del Parnaso, e
che
al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede orig
nume anch’esso del Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo,
che
diede origine al celebre Ippocrene, e che inoltre
scio di tutte è il Pegaseo, che diede origine al celebre Ippocrene, e
che
inoltre poeta rinomato fu ai tempi di Augusto uno
sta famiglia, il quale si suppone essere stato il Triumviro Monetale,
che
fece coniar tali medaglie, troverà tante probabil
oniar tali medaglie, troverà tante probabilità per questa spiegazione
che
giungeranno a rendergliela verosimile. Crescerann
rendergliela verosimile. Cresceranno le probabilità quando consideri
che
la testa alata non può essere Perseo, perchè quel
hè quell’eroe imberbe in ogni monumento s’incontra; non Bellerofonte,
che
avrebbe qualche rapporto col Pegeso, perchè la su
ne veruna, e perchè non gli può competere quell’acconciatura di capo,
che
pur ci offrono le più sicure immagini dell’Erebo
i dell’Erebo e della Notte. « Un’ altra effìgie del Sonno sarà quella
che
in varie gemme s’incontra, similissima a quella d
issima a quella delle citate medaglie, eccetto nell’ali delle tempia,
che
sono di farfalla. È stata dagli antiquari attribu
i farfalla. È stata dagli antiquari attribuita a Platone, non ostante
che
gli smentissero i ricci della lunga chioma, poco
uel grand’ uomo conservatoci in alcune di quelle medaglie contornate,
che
cotroni comunemente si appellano, e finalmente il
e finalmente il suo busto col nome greco pubblicato da Fulvio Orsino,
che
si custodisce a Firenze nella Galleria. « Con più
, e nella nostra statua medesima, e finalmente per le ali di farfalla
che
adornano gli omeri di quel Nume in vari bassirili
le sovraccennate difficoltà, cade immediatamente, quando si rifletta
che
una testa simile alle monete della famiglia Tizia
mile alle monete della famiglia Tizia, ha le ali come fatte di piume,
che
non sostengono simile allusione, e che dall’altra
ha le ali come fatte di piume, che non sostengono simile allusione, e
che
dall’altra parte non può in verun conto rappresen
o riposo, disteso tutto sul suolo, ed una delle ripiegate sue ali par
che
gli serva di morbido letto. « I letei papaveri, p
dei sensi, poiché presso gli antichi naturalisti opinione era invalsa
che
più vegeto e pingue apparisse il gentile animale
ali adornano qualche volta del Sonno istesso le tempie e gli omeri: o
che
l’accostarsi del Sonno quasi insensibile sia stat
si insensibile sia stato paragonato al leggier volo della farfalla, o
che
vi sia qual simbolo dell’anima umana, che per vir
gier volo della farfalla, o che vi sia qual simbolo dell’anima umana,
che
per virtù del Sonno sembrò libera da’ lacci della
tanze spirituali e divine. « Ma qual sarà il significato del ramarro,
che
vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stes
del ramarro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stesso
che
quel del ghiro per l’apparente sua sonnolenza dur
per così dire sinonimi, parrebbemi alquanto inelegante. Io congetturo
che
l’immagine di questo rettile vi sia aggiunta con
indovino Trasibulo non avea altro simbolo della sacra sua professione
che
l’immagine di un ramarro, che parea strisciargli
tro simbolo della sacra sua professione che l’immagine di un ramarro,
che
parea strisciargli dall’omero verso l’orecchio. E
nazione. Scolpito in compagnia del Sonno potrà significare i presagi,
che
gli uomini di ogni secolo e di ogni nazione si so
gli antichi e moderni amori mancano di rado di una qualche avventura,
che
i sogni degli amanti non abbiano prevenuta; e Apo
nto del futuro sia stato dalle rozze nazioni attribuito al alcune più
che
ad altre specie di viventi, dovrà attribuirsi a q
ecie di viventi, dovrà attribuirsi a quei cangiamenti dell’atmosfera,
che
alcuni delicati animali sentono più facilmente de
ni delicati animali sentono più facilmente dell’uomo, e perciò sembra
che
li presentano. Quindi la virtù profetica fu attri
precedente è l’immagine del Sonno incisa in questo rame, come quello
che
nel capo reclinato e cascante, nelle gambe incroc
ate, nella face rovesciata, quasi per estinguerla, somiglia le tante,
che
sogliono a coppia vedersi scolpite attorno ai sep
iti della loro rappresentanza. « Il celebre Lessing è stato di parere
che
sì fatti genii, giovinetti, o fanciulli quando ve
supponga Omero. Meglio però il chiaro signor Herder è stato d’avviso
che
quantunque i genii colla face rovesciata veggansi
epolcrali per denotare la Morte, non siano però mai altra cosa se non
che
genii del Sonno, tratti a quel più tristo signifi
nazione, come se il defunto dormisse, e non fosse altra cosa la morte
che
un placido sonno. « In argomento già abbastanza e
o già abbastanza esornato mi tratterrò solo a fare alcune riflessioni
che
possano servire a determinare le nostre idee su q
rminare le nostre idee su questo genere e sui luoghi degli scrittori,
che
vi han relazione. La prima sarà l’osservare, che
ghi degli scrittori, che vi han relazione. La prima sarà l’osservare,
che
non ostante la verità della surriferita riflessio
rappresentanti la tragedia di Medea, ed accompagna i doni avvelenati
che
i fanciulli figli di Giasone recano alla sposa, c
i doni avvelenati che i fanciulli figli di Giasone recano alla sposa,
che
dee divenir loro madrigna. Qui il significato non
ficato non può essere equivoco: la figura vi sta solo per significare
che
in quei doni è la morte; e la natura della rappre
l’interpretazione dello stesso Lessing al luogo di Pausania, ove dice
che
nell’arca di Cipselo la Morte e il Sonno erano du
a Morte e il Sonno erano due fanciulli con le gambe torte. Pretendere
che
la frase greca possa significare altra cosa, anzi
uarda l’abitudine pingue e complessa d’alcuna delle accennate figure,
che
a Lessing è sembrata impropria, ed è attribuita d
e figure, che a Lessing è sembrata impropria, ed è attribuita da lui,
che
non vedeva gli originali, all’ inesattezza dei di
a lui, che non vedeva gli originali, all’ inesattezza dei disegnatori
che
han ricopiate le cose antiche. Questa corporatura
Questa corporatura più pingue e nutrita non è però tale oltre quelle
che
porta l’età infantile, in cui le figure si rappre
e si rappresentano; ed in fatti le lor forme son più rotonde a misura
che
i genii vengono avvicinati all’ infanzia. Del res
sacrata reggia Per la fulgida vesta., Alfine il nume Inalza gli occhi
che
il sopore aggrava: Cade, ricade, col mento notant
o arco ritorna. Ma fra la plebe dei suoi figli il padre Chiama Morfeo
che
mente ogni figura, Finge sembianze, portamento e
l Giorno. Ma Cicerone nel libro terzo dà per genitori allo dio quelli
che
il poeta di Ascra gli assegna per fratelli. Celo
eta di Ascra gli assegna per fratelli. Celo sposò col tempo la Terra,
che
lo fé’ padre d’insigne moltitudine di figli. Ques
ne, Febe, Teti, Saturno, Brente, Sterope, Arge, Cotto, Briareo e Già,
che
tutti Esiodo commemora nella sua opera sugli Dei,
ati i fratelli fece al padre con una falce adamantina quell’ingiuria,
che
in lui fu ripetuta da Giove, e nacquero dal sangu
o un re, il quale essendo reputato un dio per quella vile venerazione
che
gli uomini ebbero sempre pel potere, fu col tempo
come Omero attesta relativamente a Giunone. Fu credenza degli antichi
che
avesse il capo di toro, come attesta Euripide nel
e avesse il capo di toro, come attesta Euripide nell’Oreste. Io penso
che
ciò derivasse dal crederlo autore dei terremoti c
Perseide, Zante, Daira, Leucippe, Melofosi, Ociroe e moltissime altre
che
, secondo Esiodo, ascendono a tremila. D’Iperione
condo Esiodo, ascendono a tremila. D’Iperione altro non è noto se non
che
fu padre del Sole, secondo Esiodo, come Tia ne fu
Sole, secondo Esiodo, come Tia ne fu madre, e Giapeto uno dei Titani,
che
contro Giove prese le armi illustrando l’ardiment
glio. Avanti la guerra dei Giganti ebbe una figlia chiamata Anchiale,
che
diede il suo nome ad una città della Cilicia. Di
suo nome ad una città della Cilicia. Di Mnemosine non sappiamo se non
che
fu madre delle Muse ed amica di Giove, che per se
mosine non sappiamo se non che fu madre delle Muse ed amica di Giove,
che
per sedurla si trasformò in Pastore. L’unico simu
ve, che per sedurla si trasformò in Pastore. L’unico simulacro di lei
che
ne resti è nel Museo Clementine, e così viene ill
iglia della Terra e del Cielo, madre delle Muse. Il nome greco (grec)
che
sta scritto in vetusti caratteri sulla sua base,
ri sulla sua base, non solo ci dà il significato di questo simulacro,
che
sarebbe restato oscurissimo, ma ci è servito per
simo, ma ci è servito per riconoscere con maggior chiarezza di quella
che
potevamo sperare l’immagine della sua figlia Poli
rsi al pensiero le impressioni degli oggetti provati altre volte, nel
che
consiste questa facoltà dell’umano intelletto, si
si è voluto simboleggiare nel panneggiamento della nostra Mnemosine,
che
tutta la racchiude, e le involge persino le mani.
ttili interpretazioni, pure questa maniera di portare la sopravvesta,
che
costantemente si osserva in quasi tutti i simulac
la Memoria eh’ è Polinnia, e in questo della stessa Mnemosine, sembra
che
basti a giustificare un simil divisamento. «La de
di questa scultura abbastanza è nota pei carmi non meno degli antichi
che
dei moderni poeti; anzi l’hanno questi ultimi inv
; anzi l’hanno questi ultimi invocata espressamente nei lor poemi, il
che
non mi sovviene aver fatto gli antichi. A lei par
ene aver fatto gli antichi. A lei parla Dante allorché dice: «Mente,
che
scrivesti ciò ch’io vidi ; » lei chiama il Canto
telletto, adombrata in Giove, giacché non consistendo cotesto scienze
che
in combinazioni d’idee, il lor fondamento e la me
to scienze che in combinazioni d’idee, il lor fondamento e la memoria
che
quelle conserva, e fornisce così la materia all’i
sce così la materia all’ingegno. «Ma per tornare al nostro marmo dirò
che
é l’unica statua, e forse, più generalmente parla
erla nel bassorilievo dell’Apoteosi di Omero in quella figura istessa
che
abbiamo riconosciuto per Calliope. Lo Scott peral
eci le figure femminili ritratte sul Parnaso in quel monumento, credo
che
la decima alla sinistra di Apollo sia piuttosto l
stremamente questa suo congettura: aggiungo solamente per avvalorarla
che
non tiene già in mano, come apparisce dalle statu
i profilo per presentarvi sopra le offerte, una cassettina di profumi
che
i Latini chiamavano acerra. « Se poi si chiedess
dualmente si voglia indicare fra le ministre d’Apollo, io risponderei
che
la credo Femonoe, prima di quel ministero, ed inv
glia, secondo alcuni, di Febo istesso. « Lodevole è l’interpretazione
che
fa lo Scott sì della spelonca da lui riconosciuta
ad un tripode, ingegnosamente da lui spiegata per Biante Prieneo: lo
che
tanto più si rende verisimile quanto è certo dall
he tanto più si rende verisimile quanto è certo dall’annessa epigrafe
che
il borgo di Priene, patria di questo savio, lo er
era altresì di Apollonio scultore di tal monumento. Osservo soltanto
che
il soggetto di quel simulacro potrebbe essere il
trebbe essere il Licio Oleno poeta vetustissimo, e profeta di Apollo,
che
secondo alcuni tenne l’oracolo di Delfo pria dell
Cassio a Tivoli, con questo stesso, di rigettarla. « Debbo avvertire
che
in questo insigne bassorilievo abbiamo pure un’al
ire che in questo insigne bassorilievo abbiamo pure un’altra immagine
che
può riferirsi a Mnemosine poiché rappresenta la M
i personaggi, eccetto quello di Omero, son tutti allegorici piuttosto
che
mitologici e storici. È una dell’ultime figure: e
o dell’immagine: è questa velata e involta nella sopravesta, anzi par
che
tenga la mano al mento come se volesse richiamare
are. Quantunque queste figure corrispondano assai bene al significato
che
loro si dà, pure quando non si volesse far violen
se far violenza all’ordine delle leggende, e si persistesse a credere
che
l’epigrafe superiore debba appartenere alla figur
ondo l’ ordine eh’ è evidente nelle restanti immagini, potrebbe dirsi
che
la Ricordanza è quella che, alzando la mano, sta
te nelle restanti immagini, potrebbe dirsi che la Ricordanza è quella
che
, alzando la mano, sta come descrivendo e rammenta
, quanto per rintracciare e scoprire novelle verità. Il velo sul capo
che
vedremo dato all’ immagine di Aspasia unica nel n
asia unica nel nostro Museo col suo nome greco, non rende improbabile
che
possa darsi questo abbigliamento a Sofia, come si
come si è dato ad una filosofessa. « Mi resta finalmente ad osservare
che
in una maniera, per la sua semplicità e nobiltà d
e qualche rammemoranza. E non è già la sola osservazione della natura
che
ha somministrata al pittore filosofo questa bella
esto luogo menzione di questa eccellente pittura, osservo con piacere
che
le Muse si veggono in quella distinte a seconda d
le Muse si veggono in quella distinte a seconda dei diversi attributi
che
siamo andati notando in queste esposizioni, e che
i diversi attributi che siamo andati notando in queste esposizioni, e
che
egli avea dall’antico dedotti, di cui era oltre m
la sua prudenza ed amore per la giustizia; ed è quella, dice Diodoro,
che
istituì la divinazione, i sacrifizii, le leggi de
a divinazione, i sacrifizii, le leggi della religione, e tutto quello
che
serve a mantener l’ordine e la pace fra gli uomin
ia, e si applicò con tanta saviezza a render giustizia ai suoi popoli
che
fu considerata sempre dopo come la dea della Gius
i aveano degli oracoli. Pausania favella dì un tempio e di un oracolo
che
avea sul monte Parnaso insieme colla Terra, e ch’
l’ingresso del quale era il sepolcro d’Ippolito. Abbiamo dalla favola
che
Temi volea custodire la sua verginità, ma Giove l
e la Equità, la Legge e la Pace. Questo è un emblema della Giustizia,
che
produce le leggi e la pace dando a ciascheduno il
isce Temi madre dell’Ore e delle Parche. Temi, dice Feste, era quella
che
comandava agli uomini di chiedere agli Dei ciò ch
Feste, era quella che comandava agli uomini di chiedere agli Dei ciò
che
era giusto e ragionevole: presiedeva ai patti e c
i ciò che era giusto e ragionevole: presiedeva ai patti e convenzioni
che
si fanno fra gli uomini, e voleva che fossero oss
esiedeva ai patti e convenzioni che si fanno fra gli uomini, e voleva
che
fossero osservati. Teraistiadi si dicevano le sac
Roma. Differisce pure il modo di rappresentarle: sono tanto distinte
che
spesse volte è rappresentata giacente sotto il ca
spesse volte è rappresentata giacente sotto il carro di Rea la Terra,
che
spessissimo nei bassirilievi vien rappresentata c
sentata coricata sul suolo e sopra un toro appoggiata. Non così penso
che
Rea differisca da Cibele, come afferma il sopra l
, cui veruno negherà la notizia perfetta delle antiche superstizioni,
che
con la potente arme del ridicolo ha combattute. Q
à. L’ introduzione del culto di Cibele, o Rea, si deve agli Ateniesi,
che
dopo aver bandito il Gallo (così chiamavansi i sa
e dopo aver bandito il Gallo (così chiamavansi i sacerdoti della dea)
che
apportò i misteri di lei, furono afflitti dalla f
carono la dea ergendole un tempio detto Metroo cioè della gran madre,
che
così Cibele era chiamata. Deve Tebe a Pindaro, il
le avendo veduta con Olimpico, sonatore di flauto, la madre degli dei
che
con fragore e lampi scendeva dal cielo, eresse un
accanto alla sua casa. Nè in altro luogo la onorarono i Tebani, dopo
che
, colpiti dalla novità, interrogarono l’oracolo di
ni, dopo che, colpiti dalla novità, interrogarono l’oracolo di Delfo,
che
rispose loro di alzare un tempio alla Dea. Roma n
ese ad Attalo re di Pessinunte nella Galazia il simulacro di Cil)ele,
che
si credeva caduto dal cielo in terra, il quale no
i Cil)ele, che si credeva caduto dal cielo in terra, il quale non era
che
una pietra grigia informe di mediocre grandezza.
i tanto dono da immensa folla verso l’imboccatura del Tevere. Narrano
che
non poteva essere spinta più innanzi, e che Quint
atura del Tevere. Narrano che non poteva essere spinta più innanzi, e
che
Quinta Claudia donna d’illustre famiglia, ma di c
ostumi. Dopo la preghiera afferrò la fune in mezzo a una moltitudine,
che
invano si affaticava, e trasse con picciolo sforz
l suo ingresso in Roma per la porta Capena. Avea prescritto l’oracolo
che
il migliore dei Romani dovesse ricevere la dea. I
to un tempio in forma di Tolo, o cupoletta, e la pietra di Pessinunte
che
somigliava per la sua scabrosità una testa umana,
sità una testa umana, videsi sopraposta a guisa di volto nella statua
che
ivi le fu eretta. Altro simulacro, nel modo che l
di volto nella statua che ivi le fu eretta. Altro simulacro, nel modo
che
l’avea dipinta Nicomaco, seduta sopra un leone, m
poiché nelle medaglie di genere così viene effigiata. ed è verisimile
che
la statua di tanto scultore servisse di modello a
sso i monarchi dell’Asia. E in Cibele tanto solenne lo stare a sedere
che
nelle monete, le quali come protettrice di Smirne
evo conservato nella libreria di San Marco in Venezia ci offre Cibele
che
ha sul capo un modio, in parte coperto dal peplo;
ima col capo velato, la destra alzata verso le due deità, la seconda,
che
è ancora piu piccola, portando fra le mani uno sc
ni uno schifo. Ma gli attributi piiì costanti di Cibele sono la torre
che
il capo le fregia, e il timpano che usa tenere ne
costanti di Cibele sono la torre che il capo le fregia, e il timpano
che
usa tenere nella sinistra ed appoggiarvi sopra il
sinistra ed appoggiarvi sopra il braccio. Suole essere velata in modo
che
il peplo dall’occipite cadente sulle spalle e sul
no, mentre lo percote colla destra armata di un plettro a più sferze,
che
invece di nodi hanno di quegli ossi, che tali si
di un plettro a più sferze, che invece di nodi hanno di quegli ossi,
che
tali si dicono: ora il timpano le rimane appoggia
è ancora qualche monumento dove non altro porta sul braccio sinistro
che
un cornucopie, il timpano accostato al trono, e d
celebrato Nicomaco la dipinse. Tale è l’unione tra Cibele e il leone,
che
talvolta la sola figura di questo in medaglie, ed
da quello degli altri Frigii si distingue per quel sottabito angusto,
che
in un formando tunica e calzari, tutta la persona
lle mani ricopre sino alle noci dei piedi, e sino dentro le scarpe, e
che
di taglio aperto a riprese, con bottoncini astret
La clamide ora la porta, ora n’è senza. Nel marmo, dice Zoega, sembra
che
siasi voluto alludere all’ occultazione di Ati, e
e Zoega, sembra che siasi voluto alludere all’ occultazione di Ati, e
che
Cibele ne vada in cerca risuonar facendo le selve
dersi, nella sinistra tenendo il timpano sollevato quasi per indicare
che
col tempo farà ritorno alla servitù dell’antica p
giovinetto. La favola di Ati è in diversi modi narrata. Ovidio narra
che
Ati scelto dalla dea per custode dei suoi santuar
il voto, e perciò da Cibele accesa di furore si privò di quelle parti
che
mancano ai soprani. I ministri della dea imitavan
ne: In altro luogo Ovidio lo canta converso in pino. Pretendono altri
che
Cibele innamorata punisse in lui l’infedeltà e no
Cibele innamorata punisse in lui l’infedeltà e non lo spergiuro. Che
che
ne sia, Ati è celebre nella Mitologia, e noi abbi
ogia, e noi abbiamo un poemetto di Catullo ove descrive il pentimento
che
successe dopo la dolorosa operazione. Non starò a
re se l’Eunuco di cui parla questo poeta sia per l’appunto il Frigio,
che
ciò poco importa, ma vi leggerò la traduzione dei
che ciò poco importa, ma vi leggerò la traduzione dei mentovati versi
che
ha fatta con impareggiabile felicità uno dei più
itene, o Galle Tutte di schiera, Tutte alla nera Alta foresta, Di lei
che
al Dindimo Monte si venera: Su, greggia tenera, S
te si venera: Su, greggia tenera, Su, di Cibelle Erranti Ancelle: Voi
che
vaghe di terra straniera. Della patria, com’ esul
che vaghe di terra straniera. Della patria, com’ esuli, usciste; Voi
che
me duce già della schiera A tal’ opra, a tal vita
che me duce già della schiera A tal’ opra, a tal vita seguiste; Voi,
che
il rapido ponto, e la fera Rabbia meco del mare s
placido riposo Si dilegua e fugge via La rabbiosa frenesia. Ma tosto
che
coi chiari occhi raggianti. Il facciaurato sol mi
casi la flebile storia, E veggendo chiaramente Qual’ ei fosse, e fra
che
gente, Piena il cor di tempesta Alle sponde del m
in quella Loro tana, ohimè, farnetica A entrar m’ abbatterò. Ove, in
che
parte, Amata patria mia, Crederò che tu sia? Vorr
a A entrar m’ abbatterò. Ove, in che parte, Amata patria mia, Crederò
che
tu sia? Vorrian pur questi occhi miei Mirar fiso
cerva, Ov’è il torvo cignal boschivagante? Or sì dolore Porto di ciò
che
fai; Or sì l’errore Poter mutar vorrei. Come la v
e alle rosate labbia D’Ati men venne, e fu dal duol dispersa, Cibele,
che
l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion, che al c
l duol dispersa, Cibele, che l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion,
che
al carro avea congiunti, E fa che lor nuovo coman
o, scompagna e scioglie I duo lion, che al carro avea congiunti, E fa
che
lor nuovo comando e avviso Suoni alle orecchie: e
a le terga percoti, E con sì fatta sferza Per te stesso ti sferza: Fa
che
dei tuoi ruggiti Suonin le selve e i liti: Del ve
. Feste d’Ati. — Saturno Nella passata Lezione tralasciai di dirvi
che
Ati. l’amante o il sacerdote di Cibele, era con a
vasi al tempio. Il significato di questa favola fu indagato da quelli
che
nel decadimento del Paganesimo si armarono di pla
Evangelo. Ati, secondo essi, è il sole: più probabile, ma non certo è
che
questa invenzione significasse le diverse fasi o
facciata opposta. In questa si vedono effigiati i mentovati animali,
che
colle bende pei sacrifizj stanno all’ombra di un
alcone, scherzo della madre Idea. I cembali hanno ciò di particolare,
che
nel centro della concavità apparisce un quasi cam
colare, che nel centro della concavità apparisce un quasi campanello,
che
l’illustratore dei bassi rilievi di Roma non si r
tà di pertugj a modo di crivello: occultavasi sotto questo la persona
che
ricever dovea il taurobolo, ornata di ricca veste
montone, delle volte ancora un caprone) ed ivi si scannavano in modo
che
il lor sangue per quei fori piombasse come pioggi
ttima, ascendeva sul paleo tutto di sangue grondante il tauroboliato,
che
mediante tal bagno, si credeva purgato d’ogni del
figlio lo fanno gli antichi. L’opinione più comune è quella di Esiodo
che
ne attribuisce l’origine a Celo ed alla Terra. Gi
Celo ed alla Terra. Giunto questo dio all’adolescenza udì dalla madre
che
il genitore avea nel Tartaro precipitati i Ciclop
Iperione, Teti, Tebe, Mnemosine, Tia, Dione, Titano e Giapeto. È fama
che
questi due ultimi dividessero Y impero con Saturn
questi due ultimi dividessero Y impero con Saturno nel priijcipio, e
che
quindi, essendo ogni re intollerante di compagno,
gno, la madre Vesta, o la Terra, le sorelle Opi e Cerere impetrassero
che
Saturno solo regnasse a condizione che educasse i
elle Opi e Cerere impetrassero che Saturno solo regnasse a condizione
che
educasse i tigli maschi che da lui nascessero, on
ro che Saturno solo regnasse a condizione che educasse i tigli maschi
che
da lui nascessero, onde in uno di esso pervenisse
Saturno scelse allora per moglie Opi, o Rea, sorella; ed avendo udito
che
un figlio lo avrebbe cacciato dal trono, stabilì
deltà, onde fuggì in Creta per partorire Giove, come vi esposi allora
che
favellai di questo dio. Si crede per alcuni che s
come vi esposi allora che favellai di questo dio. Si crede per alcuni
che
sì mostruosa colpa patteggiasse Saturno coi Titan
per alcuni che sì mostruosa colpa patteggiasse Saturno coi Titani, e
che
la sua pietà facendolo spergiuro, fosse colla mog
no dei potenti, persuase Saturno a tramare insidie al proprio figlio,
che
accortosene, col soccorso di Prometeo nel Tartaro
fuggitosi dalla sua carcere giunse con una flotta da Giano in Italia,
che
gli fu ospite cortese. Lo dio in ricompensa gì’ i
e fu tanta la gratitudine del re per questa inestimabile cognizione,
che
gli cede la metà del suo regno. La grata posterit
parte una nave, e dall’altra un’effigie con due fronti, per denotare
che
due re, ma un solo consiglio governava quei popol
orato con Rea, e Virgilio fé’ dire ad Evandro. « Saturno il primo fu
che
in queste parti Venne, dal ciel cacciato, e vi si
parti Venne, dal ciel cacciato, e vi si ascose; E quelle rozze genti,
che
disperse Eran per questi monti, insieme accolse E
e lor leggi; onde il paese poi Dalle latebre sue Lazio nomossi. Dicon
che
sotto il suo placido impero Con giustizia, con pa
ro Con giustizia, con pace e con amore Si visse un secol d’oro, infin
che
poscia L’età degenerando, a poco a poco Si fé’ d’
i. L’assalir gli Ausonii, L’inondaro i Sicanii, onde più volte Questa
che
pria Saturnia era nomata, Ha con la signoria cang
i uomini e con loro invecchiava. Pensano alcuni, fra i quali Platone,
che
Saturno non fuggisse, e che legge eterna lo tenes
ava. Pensano alcuni, fra i quali Platone, che Saturno non fuggisse, e
che
legge eterna lo tenesse con Oiapeto fratello di l
ome piace ad Omero, nel l’Èrebo incatenato. Ma Luciano lasciò scritto
che
a Saturno non furono posti ceppi, nè tolto il reg
barbaro è stato sempre quello su cui è fondato il maggior rimprovero,
che
la posterità abbia fatto a questa Nazione. Diodor
posterità abbia fatto a questa Nazione. Diodoro di Sicilia riferisce
che
essendo i Cartaginesi stati vinti da Agatocle, at
e irritato Saturno col sostituire altri fanciulli invece dei proprii,
che
doveano essere sacrificati: e per riparare questo
i ofi’rirono volontarii per lo sacrifizio. A questo, scrive Plutarco,
che
il suono dei flauti e dei timpani faceva un remor
o, che il suono dei flauti e dei timpani faceva un remore così grande
che
non potevano udirsi le grida del fanciullo sacrif
rificavano pure a Saturno vittime umane. Narra Dionigi di Alicarnasso
che
Ercole, volendo abolire in Italia l’uso di questi
iera di placare l’ira di Saturno col sostituire, invece degli uomini,
che
, legati piedi e mani, gettavano nel Tevere, delle
Tevere, delle figure loro rassomiglianti, e con ciò levò lo scrupolo
che
poteva nascere da questo cangiamento. Roma e molt
ncurvato sotto il peso degli anni, con una falce in mano per indicare
che
presiede al tempo e all’agricoltura. Sopra una ba
iluppata in un drappo. Si mettevano dei legami alla statua di Saturno
che
rappresentava il Tempo, e questi consistevano in
che rappresentava il Tempo, e questi consistevano in fascie di lana,
che
si toglievano il giorno della sua festa. Una stat
uali mi prevarrò nella presente Lezione. Egli riflette in primo luogo
che
tutti gli autori non annettevano a questo nome Fi
igliuoli del Cielo e della Terra, simili agli altri immortali, se non
che
eglino non avevano che un occhio tondo e posto in
lla Terra, simili agli altri immortali, se non che eglino non avevano
che
un occhio tondo e posto in mezzo della fronte. Es
occhio tondo e posto in mezzo della fronte. Esiodo ne distingue tre,
che
egli nomina Arge, Bronte e Sterope, cioè il lampo
sarie. Polifemo figlio di Nettuno è loro capo, e porta lo stesso nome
che
uno degli eroi dell’Iliade. Non vi ha alcuna cosa
lo stesso nome che uno degli eroi dell’Iliade. Non vi ha alcuna cosa
che
meno si rassomigli di queste due sorta di Ciclopi
na terza specie, di cui la memoria si era conservata nell’Argolide, e
che
avevano tempio e sacrifizii a Corinto. Questi son
ai tempi, di Strabene le reliquie della loro opera, e questi avanzi,
che
sussistono ancora, danno l’idea dei primi tentati
o immaginato una quarta specie di Ciclopi, dei quali fanno dei fabbri
che
lavorano nell’Isola di Lipari. Euripide nella sua
igli del Cielo e fratelli di Saturno, ma il poeta tragico dimenticava
che
eglino erano immortali. Così lo Scoliaste osserva
ico dimenticava che eglino erano immortali. Così lo Scoliaste osserva
che
secondo Ferecidè, Apollo non uccise i Ciclopi, ma
e ha la sua fucina in cielo: vi lavora solo, servito da statue d’oro,
che
sono il capolavoro della sua arte. I Ciclopi di C
voro della sua arte. I Ciclopi di Callimaco sono probabilmente quelli
che
portano il nome di Cabiri su molte medaglie, nell
eti citati in questa isola una fabbrica, quantunque Ellanico pretenda
che
fabbricate vi fossero le prime armature. Lenno eb
e fabbricate vi fossero le prime armature. Lenno ebbe già un Vulcano,
che
le fece dare il nome di Etalia, ma di cui non res
oti avevano la reputazione di guarire le morsicature dei serpenti: lo
che
eglino facevano probabilmente applicandovi l’argi
l’argilla, della quale le proprietà eran conosciute fin d’ allora, e
che
pure ‘adesso conserva la sua celebrità nel Levant
azioni mi faro lecito di rettificare e di supplire. Non può asserirsi
che
i Ciclopi d’ Euripide siano figliuoli del Cielo e
elo e della Terra come quelli di Esiopò, giacche egli nella tragedia,
che
porta il loro titolo, ne fa padre Nettuno. Polife
ne fa padre Nettuno. Polifemo il piu potenti e il piu famoso di essi,
che
furono cento, nacque, secondo Apollonio, dal nomi
produce spontanea la terra. La vite stessa si arrichisce di grappoli,
che
Giove accresce colla pioggria. Ignote lor sono le
i. — Natale Conti ha male interpretato questo passo d’ Omero, dicendo
che
di cose importanti dava sentenza la moglie, il fi
uando l’ordine delle mie Lezioni ne condurra al viaggio rti [jli.sse,
che
scampo alla crudeltà di [-"olifemo lasciandogli d
eocrito, di cui l’Idillio, detto il CìcIojjC, ho tradotto, ‘;,~;[jero
che
ofjTiurj di voi ^’onv.-rra con Quiri tiliano che
tradotto, ‘;,~;[jero che ofjTiurj di voi ^’onv.-rra con Quiri tiliano
che
questo poeta è nel suo genere maraviglioso. Mi pr
è nel suo genere maraviglioso. Mi prevarrò intanto dell’altre notizie
che
intorno ai Dattili, simiglianti per loro uftlcio
più antica nell’Oriente: come una specie di medici e d’ incantatori,
che
univano all’ applicazione dei rimedi naturali cer
uiva la virtù di sopire i dolori, e ancora di dissiparli: come quelli
che
stabilirono nella Grecia il nuovo culto di Giove:
i nutritori di questo dio e Genii addetti al servizio di Rea, qualità
che
loro si dà, confondendoli coi Cureti e coi Coriba
destino delle nazioni orientali. Ne nacquero rivoluzioni e mutamenti,
che
mescolarono i popoli fra loro, e contribuirono co
lli nella Frigia, e dalla Frigia passò nella Grecia, perchè i Dattili
che
la portarono erano Frigi, secondo l’opinione più
la portarono erano Frigi, secondo l’opinione più comune. Egli è vero
che
alcuni autori li facevano venire da Creta, ma la
ni autori li facevano venire da Creta, ma la maggior parte suppongono
che
eglino aveano passato dalla Frigia in questa isol
no aveano passato dalla Frigia in questa isola e lo sbaglio di quelli
che
s’allontanano in questo punto dal sentimento ordi
ino istruirono gli uomini a lavorare questo metallo col fuoco. I nomi
che
loro dà l’autore della Foronide non sono che epit
etallo col fuoco. I nomi che loro dà l’autore della Foronide non sono
che
epiteti relativi alle differenti pratiche della l
latea, sul lido Sedea fin dall’aurora: in lui lo strale Della potente
che
su Cipro impera Fisso si sta: trovò rimedio alfin
eh’ un sonno Dolce mi prende, e con lui fuggi, e fuggi Qual pecorella
che
canuto lupo Rimiri. Io m’invaghii di te, fanciull
nde uu largo naso. Ma come son, pecore mille io pasco, L’ottimo umore
che
da lor si munge Mi bevo, e copia di rappreso latt
e sola allevo Undici cavrioli e quattro orsacchi; Or vieni a me, quel
che
prometto avrai; Lascia che il mare col ceruleo fl
li e quattro orsacchi; Or vieni a me, quel che prometto avrai; Lascia
che
il mare col ceruleo flutto Flagelli il lido, che
ometto avrai; Lascia che il mare col ceruleo flutto Flagelli il lido,
che
più lieta notte Avrai nell’antro mio. Lauri vi so
rce, e inestinguibil foco Sotto il cerere mio vive. Io potrei Soffrir
che
l’alma ancor tu mi bruciassi E l’unico occhio mio
co occhio mio di te men caro. O madre mia, perchè non farmi l’ali Con
che
guizzano i pesci: allor per l’onde A te verrei, t
nde, come sembra al nominato poeta, dal numero indicato il loro nome,
che
in greco significa diti. Ferecide gli accresceva
e in polvere, si riparava tutti gli anni nell’equinozio di primavera,
che
cadeva dell’anno Olimpico nell’ultimo mese. Abbas
i dobbiamo, egli dice, rigettare egualmente le due tradizioni opposte
che
facevano i Telchini padri o figli dei Dattili Ide
di famiglie, ma semplici epiteti. Dalla più leggera attenzione su ciò
che
significava la parola di Telchini sarebbero stati
demonio, d’incantatore. I Telchini con tutto ciò avevano partigiani,
che
consideravano queste imputazioni come conseguenze
ffidata l’educazione di Nettuno, e chiamati furono figli del mare: lo
che
mostra la loro perizia nella navigazione. Nè mino
le sue miniere, l’arte di lavorare il ferro e il rame dagli abitanti,
che
seppero i primi mettere in opera questo secondo m
chi confusi. Omero indica con questo nome un popolo presso Calidone,
che
sono gli Etoli situati all’ oriente del fiume Ach
i quasi convulsivi di tutto il corpo e di tutta la testa. Eccovi quel
che
importa sapere dei Coribanti. Tutte le altre rice
utte le altre ricerche del signor Fréret si aggirano sulla differenza
che
passa fra Cibele e Rea, e fra questa ultima e la
o sopra lodato, tralasciando ogni discussione per voi noiosa, vi dirò
che
i Cabiri erano presso gli antichi considerati com
inità. Come Dei subalterni, Erodoto chiama Cabiri alcuni Dei Egiziani
che
dicevansi figli di Vulcano, la più antica divinit
i, i Coribanti, i Cabiri, Esiodo pone le Furie primogenite del sangue
che
esci dalla ferita di Celo. Ma io credo necessario
rnale: onde discendete meco col pensiero nell’Inferno degli Idolatri,
che
prestò all’ immaginazione di Polignoto una pittur
ente Lezione Pausania vi descriverà questo quadro con tanta esattezza
che
potreste rifarlo. Plutone, che dio dell’Inferno f
verà questo quadro con tanta esattezza che potreste rifarlo. Plutone,
che
dio dell’Inferno fu reputato dagli antichi nacque
i questo dio fanciullo con la Pace per nutrice, forse per significare
che
questa dea regna solo fra i morti. È opinione di
gnificare che questa dea regna solo fra i morti. È opinione di alcuni
che
la favola dell’Inferno assegnatogli in dominio ri
gine dell’aver egli avuto soggetti al suo impero i paesi occidentali,
che
sino all’Oceano si estendevano. Altri dicono che
i paesi occidentali, che sino all’Oceano si estendevano. Altri dicono
che
Plutone fu il primo a far lavorare le miniere d’o
le miniere d’oro e d’argento eh’ erano nella Spagna, e siccome coloro
che
sono destinati ad un tal lavoro sono costretti a
e bene addentro la terra, e per così dire, fin nell’inferno, fu detto
che
Plutone abitava nel centro della terra. La corta
o che Plutone abitava nel centro della terra. La corta vita di coloro
che
si applicano a questo lavoro può avere accreditat
zione. Le geste di questo dio si limitano al suo ratto di Proserpina,
che
Claudiano da me tradotto vi ha descritto nelle pa
ttro a due denti come ì moderni lo rappresentano, ma con uno scettro,
che
Pindaro chiama verga, colla quale questo dio asse
e Dite, conosciuto comunemente col nome di Plutone, o Dio Ricco, nome
che
al latino dite si riferisce. L’ orrenda maestà ne
aspetto lo manifesta pel re dell’ombre, e più lo distingue il Cerbero
che
gli posa ai piedi, portinaio dell’Orco. Non fo mo
osa ai piedi, portinaio dell’Orco. Non fo motto del biforcuto scettro
che
ha nella sinistra, essendo questo riportato dal r
ze e d’abbondanza, come a quel nume cui le dovizie diedero il nome, e
che
l’arbitro ne fu reputato, confuso perciò sovente
, divinità allegorica e immaginata piuttosto dai filosofi e dai poeti
che
venerata dai popoli. Le miniere dei preziosi meta
e dai poeti che venerata dai popoli. Le miniere dei preziosi metalli
che
nelle viscere della terra si ascondono, furono mo
osi metalli che nelle viscere della terra si ascondono, furono motivo
che
se ne ascrivesse la signoria al nume dei regni so
ne ascrivesse la signoria al nume dei regni sotterranei, o infernali,
che
vale lo stesso. Forse per una simile ragione fu c
e i cadaveri, e così nascondere quelle memorie della nostra caducità,
che
offendono i sensi e contristano la fantasia. « I
ucità, che offendono i sensi e contristano la fantasia. « Il Cerbero
che
sta ai piedi del nume è rappresentato in figura d
sotto le quali gli antichi poeti e mitologi sei figurarono. Gli angui
che
gli avvincono il triplice collo non sono omessi n
cono il triplice collo non sono omessi nelle più eleganti descrizioni
che
a noi sono pervenute. « Quello che nel nostro sim
ssi nelle più eleganti descrizioni che a noi sono pervenute. « Quello
che
nel nostro simulacro interessa più di ogni altra
tra cosa lo sguardo del sagace conoscitore, è la perfetta somiglianza
che
ha con le immagini di Serapide. Sì osservi, fra 1
servi, fra 1’ altre quella riportata dal Fabbretti, e poi dal Cupero,
che
in tutto confronta colla presente, ed è a basso r
ia rendono conto di tal somiglianza. « Sappiamo dalla teologia pagana
che
il dio dei morti si chiamava Serapide presse gli
antichissimo, un altro in Racòti, luogo ove fu edificata Alessandria;
che
incominciò appunto da questa epoca ad essere più
cominciò appunto da questa epoca ad essere più conosciuto Serapide, e
che
il suo culto divenne più divulgato da che il prim
più conosciuto Serapide, e che il suo culto divenne più divulgato da
che
il primo dei Tolomei fece, a motivo d’un suo sogn
na. Tali sono la barba, il calato e l’abito affatto greco, cose tutte
che
non dovevano far dubitare i moderni dell’origine
riconosce pel gran Giove di Sinope ; e nelle monete di questa città,
che
divenne poi colonia romana, s’incontra frequentem
a, s’incontra frequentemente l’effigie di questo nume. Osserva ancora
che
il calato, modio, si vede sul capo di quasi tutte
e Dite, Giove Ricco dei Sinopiti: qualunque sia, dico, il significato
che
voglia darsi a quel modio, sempre dovrà riconosce
c orazioni sian le teste delle figure egiziane, nulla vi si distingue
che
al modio delle prische divinità asiatiche si asso
mmagine stessa di Plutone da Sinope trasportata in Alessandria. Certo
che
il vedere sulle monete di tante città greco-asiat
a quale è stata innestata una testa imberbe e non sua fa congetturare
che
celebre per la devozione dei popoli ne fosse dive
nostro marmo non lascia di esprimere nell’aria del volto quel non so
che
di torvo e di feroce notato da Winkelmann come ca
tico di Plutone, cui sovente è apposto dai Greci l’epiteto di (grec),
che
vale odioso. L’amor della vita avea destato quel
odioso. L’amor della vita avea destato quel sentimento di avversione
che
si ebbe pel dio della morte: quindi come deità no
presso quegli antichi Dualisti.» Tornando al simulacro è da notarsi
che
le mani sono di moderno ristauro, che la destra d
nando al simulacro è da notarsi che le mani sono di moderno ristauro,
che
la destra doveva reggere la patera, o stare stesa
cettro, quale suol vedersi in mano di Serapide nei monumenti: scettro
che
ben conviene a Plutone non solo come a re dell’Èr
a re dell’Èrebo, ma bene anche come a condottiero dei popoli, scettro
che
vien sovente interpretato dagli antichi pel Nilom
inte sono state omesse dal disegnatore. Quantunque peraltro non sieno
che
accennate, ci additano alberi glandiferi, la rela
presso il rinomato scultore signor Bartolommeo Cavaceppi, e su quello
che
adorna il fine del capitolo primo, libro sesto, d
presso gli antichi per arbore tristo e lugubre. Il raro basso rilievo
che
adorna nel rame il piedistallo del nostro Plutone
statua nella positura, nell’abito e negli attributi, tranne il calato
che
non ha sul capo, benché sembrasse a Winkelmann, f
le opere delle quali era ripiena, ma egli conosceva più 1’ antiquaria
che
le arti, e il celebre conte Caylus, disegnatore v
pitture di Polignoto fatta da questo autore. Vi regna una confusione
che
oscura la distribuzione delle parti pittoriche. I
aylus cercò di rimediarvi; e, pose tanta chiarezza nella descrizione,
che
il signor Lorrain potè eseguire ad acqua forte il
ei pesci, ma leggerissimi come ombre. Sopra questo fiume vi è Caronte
che
rema, ed è rappresen tato molto vecchio. Vi sono
hilo co. Cleobea tiene sulle sue ginocchia una cista, eguale a quelle
che
sono in uso nelle feste di Cerere: ella fu la pri
uale a quelle che sono in uso nelle feste di Cerere: ella fu la prima
che
trasportò dall’isola di Paro in quella di Taso il
ice il conte di Caylus: bisogna tagliarlo pel terreno, e non mostrare
che
la riva ove la barca approda. Riguardo all’ombre,
altrettanto partecipar del bianco ch’egli sarà possibile col giorno,
che
si usa di spargere per illuminare gli oggetti dei
Quanto all’ombre dei pesci, dei quali parla Pausania, Caylus sospetta
che
questo autore abbia creduto di vedervi un artifiz
tti d’un’utilità mediocre, e generalmente un pesce comune come quelli
che
qui son descritti, è poco distinto dalla forma, d
ta dai corpi. Sulla ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e
che
è al di sotto della barca di Caronte; un figlio s
; un figlio snaturato è strozzato da suo padre. Accanto vi è un empio
che
ha saccheggiati i tempi degli Dei: egli è punito
donna perita nella composizione dei veleni, e so prattutto di quelli
che
sono stati ritrovati pel supplizio dei mortali. G
on scancellare ridea di giustizia. Egli era impossibile di far capire
che
queste bevande erano veleni preparati per l’empio
ste bevande erano veleni preparati per l’empio: ora Pausania indovina
che
lo scritto suppliva all’ espressione della pittur
spirito dell’arte. Al di sopra di questi due gruppi si vede Eurinome,
che
ha un color nero che al blu si avvicina, ed è ass
di sopra di questi due gruppi si vede Eurinome, che ha un color nero
che
al blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle d
e al blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle di avoltoio. Quelli
che
spiegano questa pittura a Delfo dicono che Eurino
pelle di avoltoio. Quelli che spiegano questa pittura a Delfo dicono
che
Eurinome è una divinità dell’Inferno che mangia l
uesta pittura a Delfo dicono che Eurinome è una divinità dell’Inferno
che
mangia la carne dei morti, e loro non lascia che
ivinità dell’Inferno che mangia la carne dei morti, e loro non lascia
che
le ossa. I poeti non parlano di questa Eurinome.
Teutra, e fra tutte le donne ch’ebbero commercio con Ercole fu quella
che
partorì un figlio il più somigliante al padre. If
no dei montoni neri pel sacrifizio. Da presso si vede un uomo seduto,
che
fa una corda col giunco: è Ocno, come lo mostra l
iunco: è Ocno, come lo mostra l’iscrizione; vicino ad esso è un’asina
che
mangia la corda. Ocno era un uomo faticante. ma l
è rappresentato nei tormenti, ma col corpo arido dai patimenti; non è
che
un’ombra appena visibile. Quindi è Arianna seduta
ra uno scoglio, e guarda la sorella di lei Fedra sospesa ad una corda
che
tiene con due mani. Questa disposizione presenta
spettacoli dispiacenti, ed a rammentarli allo spirito con delle cose
che
equivalgono. Un tal compenso, dice Caylus, mi sor
. Accanto a Tia si vede Procri figlia di Eretteo, e dopo essa Glimene
che
le volge le spalle. L’istoria rende ragione di qu
un piano più da lungi si vede Megara tebana. Ercole privato dei figli
che
da essa aveva avuti, la repudiò come una sposa di
Salmoneo seduta sopra una pietra, ed accanto a lei Erifìle in piedi,
che
fa passar la sua mano al di sotto della sua tunic
polla qualità ed il numero dei circostanti: egli presenta un oggetto
che
colpisce in se stesso: le posizioni delle fìgure
iglie di Pandaro sparge una varietà grata. L’ attitudine di Antiloco,
che
posa il piede sopra una pietra, si riscontra sove
dato a questo principe questo bastone di comando, perchè lo scettro,
che
ne era il segno naturale, qui perdeva il suo uso:
nobiltà, egli ha un anello in uno dei diti della mano sinistra. lasco
che
gli è accanto, e che dalla sua barba sembra più a
nello in uno dei diti della mano sinistra. lasco che gli è accanto, e
che
dalla sua barba sembra più avanzato, tira questo
to di Foco: quest’ultimo, figlio di Aiace, passò in Egina in un paese
che
si chiamò dopo la Focide: essendosene impadronito
opo la Focide: essendosene impadronito legò forte amicizia con lasco,
che
fra gli altri regali gli diede un anello. Foco es
so dell’anello di Foco per provare l’ antichità degli anelli. Si vede
che
dai tempi più remoti le pietre erano incise, o po
cio: gli alberi accanto ai quali siede, sembrano pioppi neri e salci,
che
secondo Omero, sono a Proserpina consacrati. Egli
Promedonte è appoggiato dall’altra parte dell’albero. Alcuni credono
che
sia un personaggio inventato da Polignoto: altri
i credono che sia un personaggio inventato da Polignoto: altri dicono
che
era un Greco amante della musica e sopra tutto de
n Greco amante della musica e sopra tutto dei canti di Orfeo. Schedio
che
comandava i Focei all’assedio di Troia ha una cor
gli occhi fìssi sopra Orfeo. Tamiri è seduto accanto a Pelia: si vede
che
è divenuto cieco: la sua aria è melanconica ed ab
ri nel l’istoria e nella religione, avevano nell’antichità un effetto
che
più non sussiste. Al di sopra di Tamiri è Marsia
ed accanto a lui Olimpo, rappresentato nelle sembianze di un giovine
che
impara a suonare la tibia. Se voi rivolgete gli o
lo stesso piano di Atteone, di Aiace di Salamina, Palamede e Tersite,
che
giuocano agli scacchi inventati dal primo. Aiace
ntati dal primo. Aiace figlio di Oileo guarda il loro giuoco. Si vede
che
ha naufragato dalla spuma che lo copre: Polignoto
di Oileo guarda il loro giuoco. Si vede che ha naufragato dalla spuma
che
lo copre: Polignoto ha qui riuniti tutti i nemici
qui riuniti tutti i nemici di Ulisse. Pausania avrebbe dovuto notare
che
l’artista aveva avuto cura di allontanare il re d
o cura di allontanare il re d’ Itaca da questo gruppo. L’osservazione
che
fa sulla schiuma, della quale Aiace è coperto, ca
genio dell’arte deve allontanare il pittore: ma conviene rammentarsi
che
gli antichi reputavano questo genere di morte la
pressioni mediocri: questa stessa considerazione giustifica Virgilio,
che
fa gemere Enea all’aspetto di una violenta tempes
al di sopra d’ Aiace figlio di Oileo si vede Meleagro figlio di Eneo,
che
guarda questo eroe. Fra questi personaggi Palamed
neo, che guarda questo eroe. Fra questi personaggi Palamede è il solo
che
non abbia barba. In basso della tavola, dopo Tami
lui è Memnone seduto sopra una pietra. Accanto a Memnone è Sarpedone,
che
appoggia la testa sulle mani. Memnone tiene una d
mano Memnonidi. Accanto a lui si vede uno schiavo etiope per indicare
che
era re di quella nazione. Sopra Sarpedone e Memno
tesilea ad avvicinarsegli. Questa lo guarda, ma dal suo volto si vede
che
lo disprezza: è ritratta nelle sembianze di una g
o si vede che lo disprezza: è ritratta nelle sembianze di una giovine
che
tiene un arco scitico, e che ha le spalle coperte
ritratta nelle sembianze di una giovine che tiene un arco scitico, e
che
ha le spalle coperte da una pelle di leopardo. Pi
palle coperte da una pelle di leopardo. Più in alto vi sono due donne
che
portano dell’acqua in idrie rotte, onde questa si
crizione in particolare, ma una sola comune ad ambedue, la quale nota
che
queste donne sono fra le non iniziate. Più alto s
Pero figlia di Neleo. Una pelle d’ orso serve di tappeto a Callisto,
che
ha i piedi sulle ginocchia di Nomia. Gli Arcadi d
Callisto, che ha i piedi sulle ginocchia di Nomia. Gli Arcadi dicono
che
Nomia era una ninfa del loro paese, ed i poeti c’
dicono che Nomia era una ninfa del loro paese, ed i poeti c’insegnano
che
le ninfe vivono per molto tempo, ma non sono immo
maggior parte non sono stati trattati. Dopo Callisto e l’altre donne
che
la circondano si vede una balza dirupata. Sisifo
vecchia tiene un’idria fracassata, e versa nel doglio il poco d’acqua
che
può contenere. Io congetturo, aggiunge Pausania,
il poco d’acqua che può contenere. Io congetturo, aggiunge Pausania,
che
questo gruppo rappresenti quelli che disprezzano
o congetturo, aggiunge Pausania, che questo gruppo rappresenti quelli
che
disprezzano i imsteri di Cerere, perchè gli antic
alo in mezzo ai tormenti descritti da Omero. Di più vi ha uno scoglio
che
minaccia schiacciarlo, e lo tiene in continuo spa
lo tiene in continuo spavento. Omero non dà altri tormenti a Tantalo
che
una sete ardente, e una fame che lo divora. Ma Pa
mero non dà altri tormenti a Tantalo che una sete ardente, e una fame
che
lo divora. Ma Pausania osserva che Polignoto ha s
o che una sete ardente, e una fame che lo divora. Ma Pausania osserva
che
Polignoto ha seguito il racconto di Archiloco, ch
a Pausania osserva che Polignoto ha seguito il racconto di Archiloco,
che
ha parlato di questo scoglio. Tale è la descrizio
di Archiloco, che ha parlato di questo scoglio. Tale è la descrizione
che
dà Pausania di uno dei più celebri dipinti, stupo
etttura, onde possiate arricchire il vostro intelletto di cognizioni,
che
possono guidarvi nei vostri studii. L’avventura d
izioni, che possono guidarvi nei vostri studii. L’avventura di Orfeo,
che
coli’ armonia del suo canto potè riavere dall’Inf
che coli’ armonia del suo canto potè riavere dall’Inferno la moglie,
che
da subitanea follia occupato perde, violando la l
na, è con tanta maestà di stile descritta nella Georgica di Virgilio,
che
io ho tentata la traduzione di quei versi, benché
e di quei versi, benché persuaso dell’impossibilità di esprimere, non
che
di pareggiare la bellezza di quei versi immortali
etosir non sanno. Mossi dal canto, simulacri lievi Ed ombre vane fuor
che
nell’aspetto, Lascian d’abisso le profonde sedi,
tana pioggia Nell’inverno gli caccia. Uomini e donne E magnanimi Eroi
che
morte spense. Pargoletti, fanciulle ai cari sposi
gre l’inamabil stagno, E Stige sparsa nove volte intorno Gli frena. E
che
? stupir le case istesse E i regni della morte, e
non più tua, le palme: — Vacillante sì disse, e sparve, eguale A fumo
che
si mesca in aure lievi, E lui fra l’ombre brancol
o che si mesca in aure lievi, E lui fra l’ombre brancolante invano, E
che
molto volea dir, più non vide. E gli vietava trag
o i numi e l’Ombre? Ella già fredda sulla stigia barca Naviga. È fama
che
per sette mesi Dello Strimon nella deserta riva P
ficilmente rintracciare queste notizie nei libri comuni di Mitologia,
che
spesse volte ingannano più di quello che illumini
i libri comuni di Mitologia, che spesse volte ingannano più di quello
che
illuminino gli artisti, onde vi esorto a sentire
a chioma calante giù sopra la fronte, al contrario di quella di Giove
che
si solleva: ma non è in ciò d’accordo con gli ant
che si solleva: ma non è in ciò d’accordo con gli antichi monumenti,
che
il vero Plutone rappresentano, del quale la chiom
mprare il silenzio delle leggi e non quello dei rimorsi. Gli antichi,
che
erigevano in divinità le fantasie della mente ed
la mente ed i sentimenti del core, fecero dei rimorsi altrettante dee
che
i Latini dissero Furie, ed i Greci Erinni per lo
eci Erinni per lo stesso motivo, giacché loro si attribuiva il furore
che
agitava gli scellerati. Eumenidi furono chiamate
a, e de le Furie I ferrati covili: il Furor folle. L’empia Discordia,
che
di serpi ha il crine E di sangue mai sempre il vo
ppresentante Oreste in Delfo, sono fornite di grandi ali alle spalle,
che
gli Etruschi, e senza dubbio ancora i primi Greci
dubbio ancora i primi Greci, dar loro usavano in luogo delle alette,
che
nell’opere del solito stile sovente portano alle
o stile sovente portano alle tempie. Altre sono senz’ali, contro quel
che
più comunemente veder fanno le opere etrusche nel
l medesimo fa guerra, come riflette Zoega, la presente scultura, cioè
che
quel cinto incrociato sul petto, ovvio nelle figu
di legami destinati a reggere l’abito succinto a foggia di grembiule,
che
generalmente vestono le figure che tal cintura ha
to succinto a foggia di grembiule, che generalmente vestono le figure
che
tal cintura hanno, usata ancora dalle figure egiz
ancora dalle figure egizie di solo grembiule vestite. Gli stivaletti
che
in questo basso rilievo portavano tutte e cinque
no i rei, quantunque sembrerebbero come fatti piuttosto ad ingombrare
che
a facilitar la corsa: e se non fosse che ancora i
atti piuttosto ad ingombrare che a facilitar la corsa: e se non fosse
che
ancora in qualche greco monumento si veggono con
iche. Succinte sono le Furie avendo intorno i fianchi un largo cinto,
che
in alcune è fregiato di perle. Una di essa tiene
quale è perduta la testa: un’altra porta una torcia ardente, e sembra
che
le tre restanti, che molto hanno sofferto dal tem
sta: un’altra porta una torcia ardente, e sembra che le tre restanti,
che
molto hanno sofferto dal tempo, parimente di torc
oderna. Nel basso rilievo le Furie sono cinque, ed il nu mero di tre,
che
vien loro assegnato, non altro denota che plurali
nque, ed il nu mero di tre, che vien loro assegnato, non altro denota
che
pluralità, onde sul più antico teatro greco compa
ende e venerande, Tisifone, Aletto e divina Megera, notturne, arcane,
che
abitate nell’antro ombroso, all’onde sacre del ne
fiume Stige, sempre ministre della giustizia e del retto. — Quindi è
che
essendo considerate come vendicatrici dei delitti
ono grandemente temute dalle Nazioni. Il terrore andava tanto innanzi
che
non osavano proferirne il nome. Quindi Elettra di
rirne il nome. Quindi Elettra dice nell’Oreste di Euripide: Le Furie,
che
io non ardisco nominare, spaventano il mio fratel
bosco, e solenne meraviglia prese quei popoli, come Sofocle attesta,
che
egli si fosse rifugiato in un luogo che eglino ap
popoli, come Sofocle attesta, che egli si fosse rifugiato in un luogo
che
eglino appena osavano guardare, e non senza terro
che eglino appena osavano guardare, e non senza terrore. Ed era fama
che
se alcuno macchiato di delitto fosse entrato nel
era fama che se alcuno macchiato di delitto fosse entrato nel tempio,
che
Oreste loro avea consacrato in Corina villaggio d
stante da furori e paure agitato. Gli antichi di nere vesti credevano
che
fossero ammantate, poiché gli uomini hanno dato s
li l’intervenirvi. Esichidi, dalla quiete, si chiamavano i sacerdoti,
che
si astenevano dal libare a queste Dee il vino. In
azione piegare a terra con ambe le mani nove rami di ulivo. Le corone
che
si ponevano quelli che si sacrificavano alle Furi
con ambe le mani nove rami di ulivo. Le corone che si ponevano quelli
che
si sacrificavano alle Furie erano di narciso e di
gione ridicola relativamente al primo fiore. Questi autori pretendono
che
la derivazione di questo nome provenga da (grec)
leno ispirano terrore ai rei. Relativamente alle Furie dice Pausania,
che
andando da Megalopoli in Messenia non si è fatto
nia, che andando da Megalopoli in Messenia non si è fatto sette stadi
che
si trova a sinistra della via maestra un tempio d
i che si trova a sinistra della via maestra un tempio dedicato a Dee,
che
le genti di quel luogo chiamano Manie, e tutto il
ano Manie, e tutto il cantone d’ intorno ne porta il nome. Qui dicono
che
Oreste, avendo ucciso sua madre, divenne furioso.
di un dito. Eglino chiamano questo luogo sepoltura del dito, e dicono
che
Oreste, divenuto furioso, ivi tadìò coi denti uno
ori, ed eglino vi hanno edificato un tempio all’ Eumenidi. Raccontano
che
alla prima apparizione di queste Dee, quando elle
e, quando elleno levaron di cervello Oreste, egli le vide tutte nere,
che
alla seconda apparizione, dopo che egli si fu tag
o Oreste, egli le vide tutte nere, che alla seconda apparizione, dopo
che
egli si fu tagliato il dito, le vide tutte bianch
iato il dito, le vide tutte bianche, ed allora ricuperò la ragione, e
che
perciò onde placarle, egli onorò le prime, come s
e placarle, egli onorò le prime, come si usa coll’ombre de’ morti, ma
che
sacrificò alle seconde. Ed ancora ai tempi di Pau
e ceraste avean per crine, Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei,
che
ben conobbe le meschine Della regina dell’eterno
i disse, le feroci Erine. Questa è Megera dal sinistro canto: Quella,
che
piange dal destro, è Aletto: Tesifone è nel mezzo
o, canto IX, v. 37 e segg. Le Parche furono tre sorelle così concordi
che
mai fra loro vi fu lite. Esiodo lasciò scritto ne
rdi che mai fra loro vi fu lite. Esiodo lasciò scritto nella Teogonia
che
Giove e Temide n’erano i genitori. Non ostante in
Altri ascrivono la loro origine alla necessità, o all’informe materia
che
generò Pane con gli altri Dei. Licofrone finalmen
chesi e Cleto. Questa divisione loro dà il tempo, secondo Aristotile,
che
si divide in passato, presente, avvenire. Atropo,
ndo Aristotile, che si divide in passato, presente, avvenire. Atropo,
che
vuol dire immutabile, riguarda il passato; Laches
nire. Atropo, che vuol dire immutabile, riguarda il passato; Lachesi,
che
significa sorte, riguarda l’avvenire; Cloto che v
il passato; Lachesi, che significa sorte, riguarda l’avvenire; Cloto
che
vien da (grec), filare, pensa al presente. Quindi
vere le Parche sotto la dettatura di Plutone. L’opinione più comune è
che
il Fato, il quale comandava a Giove, ed agli altr
e sirene. Ivi, die’ egli, Lachesi canta le cose passate, Cleto quelle
che
avvengono alla giornata, ed Atropo quelle che avv
e passate, Cleto quelle che avvengono alla giornata, ed Atropo quelle
che
avverranno un giorno, Pausania ci ragiona di alc
elle che avverranno un giorno, Pausania ci ragiona di alcuni templi,
che
avevano nella Grecia: i Lacedemoni ne avevano ere
dove onoravano le Parche collo stesso culto delle Furie, vale a dire
che
loro sacrificavano pecore nere. Nella città di Ol
e fratelli nati al delitto. Ma generalmente però, osserva Winkelmann,
che
le Parche, le quali da Catullo vengonci descritte
este si figura. Fra la gente tormentata nell’Inferno sono le Danaidi,
che
con eterna fatica versano nel Tartaro l’acqua in
mente r istoria. Queste erano cinquanta figliuole di Danao re d’Argo,
che
negava di sposarle ad altrettanti figli di Egitto
nti figli di Egitto suo fratello, perchè l’oracolo gli aveva predetto
che
un suo genero lo avrebbe ucciso. Costretto dalla
n vino artefatto assopiti. Tutte eseguirono il comando paterno, fuori
che
Ipermestra, la quale salvò Linceo suo sposo. Udir
tro padre iniquo. Ove il socero nostro, e nostro zio, Non men nel cor
che
nella fronte allegro, Per man ne prese, e ne baci
ronte allegro, Per man ne prese, e ne baciò le guance, Non sapend’ ei
che
noi sue nuore acerbe Avessi m sotto a nostre gonn
r nel doloroso albergo I mal felici e mal graditi sposi Ebri dal vin,
che
mal bevuto a mensa Miseri aveano, e dall’ignaro v
all’ignaro vulgo Compressi intorno, e di novelli fiori Cinti i capei,
che
preziosi unguenti Facevan molli, e di letizia pie
e udir le voci afflitte, Ed i gemiti tristi, e i tristi omei Di quei,
che
fuor de’ gl’impiagati petti Versavan l’alme, e l’
tremar più puossi, E tu senza sospetto ebro dormivi, Perchè quel vin
che
tu bevuto avevi Era liquor d’addormentar altrui.
oce Dissi queste parole: Ahi trista amante, Ahi dolente Ipermestra, a
che
ti spinge L’empio tuo padre? a che ti sforza il c
amante, Ahi dolente Ipermestra, a che ti spinge L’empio tuo padre? a
che
ti sforza il crudo Precetto e fero? ahimè: debb’
i, e segui L’animose tue suore audaci e forti, Ch’ornai creder si può
che
d’esse ognuna Abbia già tolto al suo cugin la vit
manti? Ma presuppongo, e lo confermo vero. Che fosser degni di morir:
che
abbiamo Misere noi commesso? or per qual colpa. P
er qual cagion non mi lice esser pia? Che deggio io far del ferro? in
che
conviensì Coll’arme una donzella? io piiì conform
, ed egli Non potendo soffrir la vita in uno. Si lamentava e si dolea
che
poco Sangue s’era versato: ond’ei mi prese Per le
to, Eaco. Proserpina, Caronte, Minosse, Eaco, Radamanto, sono nomi
che
rammentano a chiunqne l’Inferno degli antichi. Di
adattate all’opportunità del presente argomento. Non tutti opinarono
che
Proserpina fosse figliuola di Cerere, e quelli ch
on tutti opinarono che Proserpina fosse figliuola di Cerere, e quelli
che
con Ecate la confusero le diedero la stessa madre
sero le diedero la stessa madre, cioè la Notte. Con tutto ciò Esiodo,
che
non violò l’antica semplicità delle Favole, le dà
Favole, le dà Cerere per genitrice, contro l’opinione di Apollodoro,
che
figliuola la dice di Stige e di Giove. È inutile
È inutile il ridirvi come fu rapita in Sicilia; solamente aggiungerò
che
di questa credenza erano tanto persuasi gli abita
di questa credenza erano tanto persuasi gli abitanti di quell’Isola,
che
usavano di giurar sempre per |Proserpina. Ora can
feconde vittime immolavano a questa dea gli antichi, e Virgilio narra
che
Enea le sacrificò una sterile giovenca. Ma passan
sando a cognizioni per voi più importanti, vi ripeterò con Winkelmann
che
le città della Magna Grecia e della Sicilia sembr
mbrano essersi molto studiate di dare sulle loro monete, sia a Cerere
che
a Proserpina, la più sublime bellezza: e difficil
esse Proserpina coronata di frondi lunghe e appuntate simili a quelle
che
ornano insieme alle spighe la testa di Cerere, e
nziché di canna palustre, quali furono giudicate da alcuni scrittori,
che
perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l
cilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo antico si vede Plutone,
che
rapisce Proserpina non ostante le ragioni della s
di Cerere voler consolare la figlia. Questa composizione allegorica,
che
potrete riscontrar nel primo tomo dell’Antichità
portare simil giudizio sulla rappresentazione dello stesso soggetto,
che
si trova pure nel primo tomo dell’opera mentovata
ondo del basso rilievo sono espressi i dodici segni dello Zodiaco, lo
che
fa allusione alle relazioni, immaginate più tardi
ntemente dal celebre Zoega, è accanto a Plutone effigiata una figura,
che
colla destra raccoglie il peplo, e che la sinistr
Plutone effigiata una figura, che colla destra raccoglie il peplo, e
che
la sinistra forse appoggiava ad un’asce insieme c
va ad un’asce insieme colla mano perita. Il prelodato scrittore pensa
che
sia Proserpinà senza la quale non si vede Plutone
alcun monumento rappresentato, e dà peso alla sua congettura un certo
che
di mesto e di riserbato che si vede nella figura
o, e dà peso alla sua congettura un certo che di mesto e di riserbato
che
si vede nella figura di lei, come se ancora si ri
bo e della Notte, secondo Esiodo, il quale nella sua Teogonia afferma
che
da questi due nacquero la maggior parte dei mostr
o e verde è sempre.» Eneide, lib. IV, v. 441 e segg. Annibal Caro,
che
così tradusse Virgilio, ebbe per certo in mente q
osì tradusse Virgilio, ebbe per certo in mente questi versi di Dante,
che
così introduce Caronte nel suo Inferno: « Ed ecc
enarvi all’altra riva, Nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo: E tu
che
se’ costì, anima viva, Partiti da cotesti che son
n caldo e in gelo: E tu che se’ costì, anima viva, Partiti da cotesti
che
son morti. Ma poi ch’ei vide ch’io non mi partiva
porti Verrai a piaggia, non qui: per passare, Più lieve legno convien
che
ti porti. E il Duca a lui: Caron, non ti crucciar
a a lui: Caron, non ti crucciare; Vuoisi cosi colà, dove si puote Ciò
che
si vuole, e più non dimandare. Quinci fur quete l
anime ch’eran lasse e nude, Cangiar colore e dibatterò i denti. Ratto
che
inteser le parole crude. Bestemmiavano Iddio e i
insieme. Forte piangendo, alla riva malvagia, Ch’attende ciascun uom
che
Dio non teme. Caron dimenio, con occhi di bragia.
rudele; e davanti a lui, come dice un antico poeta, tanto era Achille
che
Tersite. E con ragione ai Numi infernali questa i
atore dei morti. Questo prezzo fu accresciuto fino a tre dai potenti^
che
si sono sempre voluti distinguere dal povero anco
a, figliuola, secondo alcuni, di Fenice, secondo altri, di Agenore^ e
che
dal furto di Giove partorì pure Sarpedonte e Rada
no paterno. Egli volendo loro persuadere la sua origine divina, disse
che
avrebbe a Nettuno sacrificato un toro qualora un
ero, fra gli altri, nell’Odissea, lo vuole discepolo di Giove, e dice
che
in quest’isola regnò per nove anni, quantunque Eu
altri scrittori molto da lui dissentano su questo particolare. E fama
che
fosse tanto potente per mare da imporre tributo a
non contando Androgeo) Glauco, Deucalione, Fedra ed Arianna. Vogliono
che
inseguendo Dedalo autore del laberinto venisse in
inseguendo Dedalo autore del laberinto venisse in Sicilia da Cocalo,
che
gli fu ospite liberale. Ma le di lui figlie ingan
uccisero gettando all’improvviso acqua bollente nel bagno. Ma quello
che
è fuori di dubbio si è che per la fama della sua
ovviso acqua bollente nel bagno. Ma quello che è fuori di dubbio si è
che
per la fama della sua giustizia meritò di esser c
mare, e fu cangiata dagli Dei in allodola, e suo padre in isparviere,
che
piombò subito sopra la figlia per lacerarla. Colo
n isparviere, che piombò subito sopra la figlia per lacerarla. Coloro
che
vogliono spiegar coli’ istoria la favola, dicono
acerarla. Coloro che vogliono spiegar coli’ istoria la favola, dicono
che
nel purpureo capello di Niso sono significate le
dente della Corte infernale, e a lui spettava di giudicare delle cose
che
erano dubbie. Omero ce lo presenta con uno scett
re, dalle quali si trattan le cause alla sua presenza. Virgilio dice
che
agita l’urna fatale, nella quale stanno chiuse le
to regno, Là dove egli ode, esamina, condanna, E discuopre i peccati,
che
di sopra Son dalle genti o vanamente ascosi In vi
ia però ci fa molto dubitare della giustizia di Radamanto, narrandoci
che
fuggì da Creta per aver ucciso il fratello, e rif
. Ella diede il suo nome a un’Isola dove, suo figlio regnando, accade
che
dalla peste consunti perirono tutti gli abitanti.
iove dalle preghiere del suo figlio convertì in uomini delle formiche
che
erravano in una querce vuota ed antica. Questi nu
esti nuovi mortali furono chiamati Mirmidoni, e ninno di voi ignorerà
che
di essi fu condottiero Achille, che ad Eaco fu ni
irmidoni, e ninno di voi ignorerà che di essi fu condottiero Achille,
che
ad Eaco fu nipote. Egli ebbe tre figli da due don
da Endaide figlia di Chirone. Del resto Eaco fu in tanta riputazione,
che
essendo tutta la Grecia travagliata dalla siccità
utta la Grecia travagliata dalla siccità, l’oracolo di Delfo rispose,
che
se volevano placare Giove si servissero di Eaco p
lla barca di Caronte questo fiume torbo e fangoso, pieno di voragini,
che
bolle e si frange, e che col suo nero loto si per
to fiume torbo e fangoso, pieno di voragini, che bolle e si frange, e
che
col suo nero loto si perde in Cocito. Alcuni fann
Alcuni fanno figliuolo questo fiume di Titano e della Terra, e dicono
che
discese fino nell’Inferno per sottrarsi al furore
nell’Inferno per sottrarsi al furore dei fratelli. Favoleggiano altri
che
fu da Giove precipitato nell’Inferno, perchè le s
nferno, e fiume ne divenne. L’Acheronte era un fiume della Tesprozia,
che
avea le sue sorgenti dalle paludi di Acherusa, e
ciò unito alla sua lunga dimora sotto la terra servì per far credere
che
fosse un fiume infernale, nè poco vi contribuì lo
re che fosse un fiume infernale, nè poco vi contribuì lo stesso nome,
che
significa soffocazione, urlamento. È parere d’alt
stesso nome, che significa soffocazione, urlamento. È parere d’altri
che
abbia dato origine alla favola, Acherusa, lago de
presso Menfi, circondato da campagne ripiene di tombe. E il giudizio
che
si esercitava in questo luogo sui morti può avere
. Stige nell’inferno dei Pagani si offre dopo Acheronte. Esiodo vuole
che
questa fiumana sia nata dall’Oceano: altri figlia
na sia nata dall’Oceano: altri figlia la dicono della Terra. Vogliono
che
si sposasse a Fallante, a cui generò l’Idra: ebbe
cui generò l’Idra: ebbe da Acheronte la Vittoria, la Forza, lo Zelo,
che
militarono con Giove contro i Titani, onde egli i
militarono con Giove contro i Titani, onde egli in premio le concesse
che
il giuramento pel nume e l’acque di lei sarebbe s
di lei sarebbe stato formidabile e tremendo agli stessi numi. Quelli
che
fra loro nel di lei nome spergiuravano erano per
del Cielo portava ai numi mentitori un vaso pieno dell’acqua stigia,
che
sospendeva per nove anni la loro divinità. Gli De
’acqua stigia, che sospendeva per nove anni la loro divinità. Gli Dei
che
giuravano per Stige dovevano tenere una mano sull
mare. E dubbio dove fosse il fiume divenuto favoloso. Opinano alcuni
che
fosse nel seno di Baia vicino al lago Averno, e c
o. Opinano alcuni che fosse nel seno di Baia vicino al lago Averno, e
che
i Sacerdoti avari avvalorassero quest’opinione, p
beato; secondo altri è un fonie dell’Arcadia vicino al monte Cilleno,
che
cadendo da una rupe altissima dopo poco cammino f
etallo. L’unghie sole del cavallo resistevano alla sua forza. Credono
che
Alessandro fosse con quest’acqua avvelenato. Ques
uò senza dubbio aver dato causa alle menzogne dei poeti; come all’uso
che
ne facevano per provar la reità, o l’innocenza de
r la reità, o l’innocenza degli accusati, ascriver conviene tutto ciò
che
fu immaginato intorno al giuramento degl’Immortal
palude Acherusia, ma non mescola con esso le sue onde. Favoleggiarono
che
Plutone ruppe la fedeltà giurata a Proserpina con
giurata a Proserpina con una figlia di questo fiume, chiamata Minta,
che
fu dalla regina dell’ombre convertita in un’ erba
tita in un’ erba cui diede il nome. Omero lasciò scrìtto nell’Odissea
che
questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheron
ll’Odissea che questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheronte, e
che
non è che un rivo di Stige. Il nome di esso deriv
che questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheronte, e che non è
che
un rivo di Stige. Il nome di esso deriva dalle qu
empiono le sue rive 1’ ombre dei malvagi. Di Flegetonte sappiamo solo
che
vi sgorgavano torrenti di fiamme, e che gli erano
. Di Flegetonte sappiamo solo che vi sgorgavano torrenti di fiamme, e
che
gli erano corona le carceri dei condannati da Rad
corona le carceri dei condannati da Radamanto. Dirò adesso di Nemesi,
che
vendicava gli oppressi in vita, dai superbi. Così
ta, motrice della vita, dea dagli occhi neri, figlia della Giustizia,
che
i lievi fremiti dei mortali contieni con freno di
ce della vita. Veneriamo Nemesi dea immortale, verace, e la Giustizia
che
presso le siede, la Giustizia che stende le sue a
a immortale, verace, e la Giustizia che presso le siede, la Giustizia
che
stende le sue ali immense, che la superbia dei mo
izia che presso le siede, la Giustizia che stende le sue ali immense,
che
la superbia dei mortali toglie da Nemesi e dal Ta
da Nemesi e dal Tartaro. — Da questi versi non dissentono gli artisti
che
Nemesi hanno rappresentata. Infatti questa dea de
resentata con una ruota ai suoi piedi, e tenente un freno nella mano,
che
da Buonarroti e da Winkelmann è stato preso per u
un ramo nella mano dritta: colla sinistra ella solleva la sua veste,
che
ella tiene un poco allontanata dal suo seno. Ques
gato dal gomito sino alla prima falange dei diti, significa la misura
che
i Greci chiamavano (grec), simbolo di una retribu
olo di una retribuzione giusta ed equa di tutte le azioni. Lo sguardo
che
ella volge nel suo seno per la parte del suo vest
gione dissente, come udirete, Visconti. La figura di una donna alata,
che
in un quadro dell’ Ercolano sembra consolare Aria
re Arianna da Teseo abbandonata, mostrandole col braccio teso la nave
che
si allontana, e che non è stata determinata nella
abbandonata, mostrandole col braccio teso la nave che si allontana, e
che
non è stata determinata nella spiegazione di quel
cima della testa. L’allegoria degli Etiopi rappresentati sulla coppa
che
teneva nella mano la Nemesi di Fidia, della quale
lla sua facoltà, e si dimentica delle taccie di frivolo, immaginario,
che
sogliono darsi da’ belli spiriti a questo genere
questo genere di letteratura. « La bella statuetta della dea Nemesi,
che
presentiamo in questo rame, ha certamente i surri
, specialmente di Smirne, ove erano venerate due Nemesi in un tempio,
che
gareggiava in magnificenza ed in ricchezza coli’
li’ Efesino. « Queste immagini ne’medaglioni così ben si distinguono,
che
vi si ravvisano tutti quei simboli che gli antich
lioni così ben si distinguono, che vi si ravvisano tutti quei simboli
che
gli antichi attribuiscono a questa nemica dei sup
a della divina indignazione, e della giustizia distributiva dei Numi,
che
perseguitava i delinquenti sin anche nella quiete
ezza del cubito, è il simbolo più costante, onde argomentò Spanhemio,
che
a questo gesto si riferisse ciò che dissero gli a
stante, onde argomentò Spanhemio, che a questo gesto si riferisse ciò
che
dissero gli antichi del cubito di Nemesi, dalla m
chi del cubito di Nemesi, dalla maggior parte spiegato per una verga,
che
il simulacro della dea stringesse in mano. Il dub
e dai bassi rilievi. Quest’attitudine caratteristica è quella appunto
che
nella statua osserviamo, la quale combina coir in
bina coir indubitate figure di Nemesi, e fra le altre colle più certe
che
sono in un medaglione del re di Francia, ove si r
iera ad ofi’rire allo sguardo l’intera misura del cubito. Sembra però
che
il braccio delle Nemesi di Smirnee restasse afi’a
iamo. « Gran cose hanno detto i filologi su questo sollevar del manto
che
fa Nemesi, tutte ingegnose, ma che non hanno nell
ologi su questo sollevar del manto che fa Nemesi, tutte ingegnose, ma
che
non hanno nell’antica tradizione verun appoggio.
verun appoggio. « Se ardissi avanzar su di ciò la mia opinione direi
che
invano si cerca il mistero in un ripiego dello sc
ne direi che invano si cerca il mistero in un ripiego dello scultore,
che
non contento di questo braccio isolato delle Neme
rzata, ha pensato ingegnosamente di dare al braccio stesso un’ azione
che
lo fissasse nella positura caratteristica, nel te
zione che lo fissasse nella positura caratteristica, nel tempo stesso
che
lo facesse apparir verisimile. Più naturale azion
sa del braccio non poteva pensarsi della presente, nella quale sembra
che
la dea si racconci il peplo sul petto. « Quindi,
peplo sul petto. « Quindi, appena ideata, ebbe una folla d’imitatori,
che
la replicarono in varii generi di lavoro, ed in v
mano un ramo di frassino, simbolo di cui danno esempio i monumenti, e
che
ci accennano gli scrittori. Un’altra simile fu pa
fu parimente trovata nello scavo medesimo, dai tempo men rispettata,
che
combinava nell’attitudine essenziale d’un braccio
rispettata, che combinava nell’attitudine essenziale d’un braccio, ma
che
parimente era mancante dell’altro. A quest’altro
on ci si rende molto sensibile, attesa la conservazione di quel gesto
che
esprime il cubito e la misura. Questo è l’indubit
me il cubito e la misura. Questo è l’indubitato distintivo di Nemesi,
che
ce la fa riconoscere in questo unico simulacro ce
dagli autori, dalle medaglie, dalla combinazione di tutti i monumenti
che
ci rimangono. Più non chiederebbesi ad una tal qu
borgo dell’Attica, simulacro per la divozione e per l’arte memorando,
che
da Varrone venia preposto a quanto sino da’ suoi
alita dal più bello della natura umana all’ideale della divina, tempi
che
aveva già preceduti il secol d’oro dell’arte. Ago
Fidia n’era stato l’artefice, e tanta eccellenza rilucea nel lavoro,
che
spesso gli scrittori l’anno attribuito al maestro
o ebbe egli la disgrazia comune ad altri discepoli d’uomini insigni,
che
se qualche opera grande producono, l’invidia non
niese a Maratona, venne quel marmo in mano dello scultore Agoracrito,
che
lo prescelse ad efiSgiare una Venere, soggetto ch
ultore Agoracrito, che lo prescelse ad efiSgiare una Venere, soggetto
che
volea rappresentare in concorrenza di Alcamene su
il nome della dea del piacere in quello della dea dell’ indegnazione,
che
sperava ultrice dei suoi torti, e tale infatti la
lla religione. Ebbeperò il simulacro di Nemesi Ramnusia simboli tali,
che
poco felicemente alla dea si appropriavano, e che
nusia simboli tali, che poco felicemente alla dea si appropriavano, e
che
a Pausania stesso, non informato della precedente
degli antichi scrittori ci pone ora in istato di rischiarare i dubbi,
che
non seppero dileguare in Pausania i più colti Att
ià degradata la Grecia! « Il simulacro avea in mano un ramo di pomi,,
che
alludeva alla vittoria d’Ida, e che poi fu confus
ro avea in mano un ramo di pomi,, che alludeva alla vittoria d’Ida, e
che
poi fu confuso col frassino di Nemesi. Dall’altra
tiopi. Qui è la maggior esitanza di Pausania: ma non è questa ampolla
che
una fiala di preziosi unguenti tutta propria di V
balsami, e dei più ambiti dall’antico lusso muliebre. La corona d’oro
che
cingeva il capo della dea si conveniva pure a Ven
orona d’oro che cingeva il capo della dea si conveniva pure a Venere,
che
presso i poeti è talora denominata (grec), dalla
Le vittorie incise sono quelle riportate sulle dee rivali, e i cervi
che
le framezzano indicano abbastanza che non sono le
ate sulle dee rivali, e i cervi che le framezzano indicano abbastanza
che
non sono le vittorie dei forti. » Questa illustr
imo amico, l’ Abate Zannoni, in un bella dissertazione su questa dea,
che
non ha veduto ancora la pubblica luce. Egli osser
on ha veduto ancora la pubblica luce. Egli osserva fra le altre cose,
che
la fiala non è un vaso per unguenti, come pretend
he la fiala non è un vaso per unguenti, come pretende il Visconti, ma
che
gli antichi se ne servivano per bere e per giuram
no per bere e per giuramenti. Ma io non voglio con altre riflessioni,
che
la bontà dell’amico mi ha suggerite, stancar la v
mi ha suggerite, stancar la vostra attenzione, onde udite da Ovidio,
che
ho tradotto, come Dedalo, il più antico degli Art
o figlio a Minosse, di cui vi favellai nella passata Lezione. Dedal,
che
Creta odiava, e il lungo esiglio. Tocca la carità
ungo esiglio. Tocca la carità del suol natio. Il mar si oppone. Ancor
che
il suolo 1’ onda Sia chiuso, ei disse, aperto è i
olle cresca; in questa guisa Sorge zampogna con dispari canne. Quelle
che
in mezzo sono aggiunge all’ime Con cera e lino, e
ratta con ridente volto I suoi perigli, ignaro, ed or le piume Serra,
che
mosse son dall’aura errante Ed ammollisce la doci
l pianto la mutata guancia; Sulla bocca del suo figlio trattiene Baci
che
non ripeterà: s’inalza Sulle penne, e precede il
ii l’aere aduna Perchè gli manca il remeggiar dell’ale. Già la bocca,
che
grida il patrio nome, Occupa l’acqua che da lui s
giar dell’ale. Già la bocca, che grida il patrio nome, Occupa l’acqua
che
da lui si chiama. Ma il padre, ahi non più padre
sei; Icaro, in quale Terra ti cercherò? — Sempre diceva Icaro, allor
che
rimirò nell’onde Le penne, e maledì l’arti novell
chiama dell’Oceano, e questa origine vien pure da Pausania attestata,
che
1’ annovera fra l’altre ninfe oceanine, compagne
adino o straniero. Prova infatti l’Istoria e l’esperienza dei secoli,
che
i primi re furono tutti soldati. Euripide fu tant
dati. Euripide fu tanto invaso dal potere della fortuna, da affermare
che
non Giove, ma essa tutte le cose mortali governav
. Ed altro antico scrittore disse a ragione, non esser la nostra vita
che
un continuo scherzo della fortuna, una perpetua v
olto ella possa negli avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più
che
al coraggio ed al sapere, a lei debbano i potenti
lei debbano i potenti l’esito felice delle loro imprese. Dante stimò
che
il potere di quest’ Essere morale combinarsi pote
o cui saver tutto trascende. Fece li cieli, e die lor chi conduce. Sì
che
ogni parte ad ogni parte splende, Distribuendo ug
enda consegue. Questa è colei, ch’è tanto posta in croce Pur da color
che
le dovrian dar lode, Dandole biasmo a torto e mal
II, v. 73 e segg. Ma passando a ricerche relative alla Mitologia dirò
che
Omero non parla della Fortuna, non perchè, com’è
nominato (grec), o Fortuna, sarà stato come si crede di quegli altri
che
ci restano, a lui falsamente attribuito. La Fortu
gione. Dione così spiega i simboli della Fortuna: Il timone significa
che
governa la vita degli uomini, e il corno d’Amalte
a, ed a proposito delle Nemesi con essa identificata, scrive Pausania
che
nè quella di Raamunte, nè altra, che antica fosse
sa identificata, scrive Pausania che nè quella di Raamunte, nè altra,
che
antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservat
a che nè quella di Raamunte, nè altra, che antica fosse, ne aveva; ma
che
poi aveva osservato che la Nemesi, che noi nelle
nte, nè altra, che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservato
che
la Nemesi, che noi nelle medaglie vediamo senz’al
che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservato che la Nemesi,
che
noi nelle medaglie vediamo senz’ali, le aveva: pe
ali di Cupido. Ma forse sarà stata un’invenzione degli artefici, dopo
che
il padre di Bupalo aggiunse il primo le ali a Cup
adre di Bupalo aggiunse il primo le ali a Cupido e alla Vittoria: nel
che
fu seguito dal figliuolo, che facendo la statua d
mo le ali a Cupido e alla Vittoria: nel che fu seguito dal figliuolo,
che
facendo la statua della Fortuna agli Smirnei le m
na Nemesi pur coir ali si vede in una iscrizione appresso il Grutero,
che
venne presa da alcuni per l’Aurora. Nessuna cosa
, il ramo di ulivo; bisogna più lodarne la buona intenzione ed i voti
che
concepiva per l’impero che il buon gusto. Per esc
più lodarne la buona intenzione ed i voti che concepiva per l’impero
che
il buon gusto. Per escludere ogni sospetto di gen
tà, gli fece sacrifizii. Da questo fatto di Costantino forse ne venne
che
molti imperatori cristiani in avvenire credendo l
segni, per levarle ogni superstizione, e distinguerla dalla Vittoria,
che
i Gentili in Roma e con tanta cura conservavano n
ta cura conservavano nel Senato, avendola, dopo la morte di Costanzo,
che
l’avea fatta levare, rimessa, e ritenendola ancor
i vede dalla relazione di Simmaco, e da Sant’Ambrogio, e da Prudenzio
che
ne scrissero contro. La Fortuna felice in una med
e nell’altra il corno dell’abbondanza. Il timone indica le ricchezze
che
dà il commercio marittimo. E noto che gli antichi
. Il timone indica le ricchezze che dà il commercio marittimo. E noto
che
gli antichi staccavano il timone dai loro navigli
così viene illustrata da Visconti: « l simulacro inciso nella tavola
che
osserviamo ottiene dall’integrità quella consider
la tavola che osserviamo ottiene dall’integrità quella considerazione
che
non può meritare per l’arte. Comunissimo sono l’i
i padri della Mitologia su tal proposito ad idee più giuste di quelle
che
si ebbero nell’età susseguenti, come altra Fortun
bbero nell’età susseguenti, come altra Fortuna non avessero ravvisata
che
la volontà e il decreto di Giove. Io però sospett
sero ravvisata che la volontà e il decreto di Giove. Io però sospetto
che
si voglia con tal divisamento far onore a quei du
oglia con tal divisamento far onore a quei due Poeti di una filosofia
che
non hanno mai immaginata. Esiodo dà alle Parche t
n hanno mai immaginata. Esiodo dà alle Parche tutti quegli ufnzii, di
che
i posteriori mitologi hanno investita la Fortuna.
volontà di Giove non é molto consentaneo all’ esattezza delle nozioni
che
in questo particolare se gli vuole ascrivere. Sem
nozioni che in questo particolare se gli vuole ascrivere. Sembra anzi
che
il suo fato abbia molta relazione a quella necess
o, e con cui si lusingavano di spiegare l’origine del male: necessità
che
i Poeti dell’età posteriori non han saputo disgiu
ruota, altro suo distintivo, conosciuto come i precedenti, ci ricorda
che
Le sue permutazion non hanno tregue. « Il cornuco
, ci ricorda che Le sue permutazion non hanno tregue. « Il cornucopio
che
ha nella manca ci dà l’idea dell’abbondanza, che
gue. « Il cornucopio che ha nella manca ci dà l’idea dell’abbondanza,
che
scende ad un suo volere a beare le nazioni, le ci
di un altro simbolo adornò Bupalo questo suo simulacro, e fu il polo
che
le pose sul capo. « Alcuni si contentano d’ inten
o d’ intendere per questa voce il Cielo senza curarsi di sapere sotto
che
forma, e in qual guisa posava sul capo della Fort
o, o calato, fregio consueto di molte antiche divinità. « A me sembra
che
la parola (grec) mal si tragga ad un simile signi
non di qualche cosa di concavo, quindi fu tratta a denotare il cielo,
che
solido e concavo si figuravano gli antichi, il cr
o di conca. Come dunque si vuol questa volta appropriare ad un corpo,
che
piuttosto somiglia un cono troncato, o cilindro?
fesina, quello di Serapide, quello della Diana Pergea, e tante altre,
che
simili al modio della Fortuna torreggiano sulla t
nare dal senso più naturale e più certo di quel vocabolo, quando vedo
che
i monumenti non mei contrastano. Intendo per polo
a quasi ad un berretto frigio. Ecco adunque quella specie di callotta
che
copriva la testa della Fortuua Smirnea, forse per
di averlo deposto: — espressioni, le quali non ci offrono altrimenti
che
un’ immagine assai fredda e indeterminata, non de
non manca alla nostra statua, ma è però di una figura molto comune, e
che
somiglia quasi alle torri dalle quali si vede cor
lle torri dalle quali si vede coronata la Fortuna in più monumenti, e
che
gli ottenero forse da Pindaro il magnifico titolo
Generalmente la Vittoria è rappresentata coll’ali; ma Pausania scrive
che
gli Ateniesi effigiare la fecero senza esse, acci
per l’ordinario, sotto la figura di una donna seduta, mezza vestita,
che
tiene il caduceo nella destra. In una pittura di
medaglia dell’imperatore Filippo. Indica una Vittoria certa immagine,
che
ci rammenta l’idea di quel quadro, col quale si r
na prendeva delle città colle reti. Una vittoria splendida e gloriosa
che
sia stata celebrata, o che meriti d’esserlo, semb
le reti. Una vittoria splendida e gloriosa che sia stata celebrata, o
che
meriti d’esserlo, sembra essere stata indicata co
eriti d’esserlo, sembra essere stata indicata con una Vittoria alata,
che
fa libazione ad una Musa: vale a dire, che con un
ta con una Vittoria alata, che fa libazione ad una Musa: vale a dire,
che
con un vaso ella versa acqua o vino in una coppa,
a: vale a dire, che con un vaso ella versa acqua o vino in una coppa,
che
la Musa, caratterizzata colla lira, sostiene. Que
ene. Questa immagine è stata rappresentata sopra alcune opere antiche
che
si vedono nella Villa Albani, e Winkelmann ha dat
ce e tutelare per undici secoli dell’Impero romano, fu quella altresì
che
riscosse più lungo culto fra le deità del Paganes
deità del Paganesimo, non essendo cessati i suoi pubblici sacrifìzii
che
verso la fine del quarto secolo con tanta resiste
dal bisogno e dall’ ava rizia, perchè, perduti i simboli distintivi,
che
la dea suole avere nelle mani e sugli omeri, sien
romano, ad abolire ogni monumento di questa idolatria. « Fra i pochi
che
ne restano in marmo, se piccolo per mole, assai s
oll’appoggiare il piede su di un rostro di nave, ad esempio di quella
che
si vede nelle medaglie. Non perciò è priva del su
r terra e per mare, o forse ancora il trofeo non indica uno di quelli
che
si ergevano sul campo di battaglia, ma uno di que
hi, i palagi si decoravano. E tanto proprio della Vittoria il trofeo,
che
un greco autore non l’ha altrimenti definita che
Vittoria il trofeo, che un greco autore non l’ha altrimenti definita
che
per l’ottenimento del trofeo medesimo (grec), la
fuga e disarmato i nemici. A questa espressione di sicurezza parebbe
che
possa alludere la situazione del braccio sinistro
ovata posteriormente e in questa parte più intera, non ci apprendesse
che
la sua vera attitudine era di coprirsi il capo, q
’antro di Mitra, per denotare vittime de’ trionfi. La corona moderna,
che
ha nella destra, è imitata dai vetusti esemplari.
ia Aziaca non offre la storia altro combattimento navale nei tempi in
che
fiorirono le arti in Roma. Pur nelle monete di Ve
Vespasiano e di Tito, si vede la Vittoria col rostro di nave. Chi sa
che
non fosse una semplice imitazione di quelle tante
hi sa che non fosse una semplice imitazione di quelle tante immagini,
che
nell’auge dell’impero d’Augusto avranno rappresen
dro Guidi sulla Fortuna ridonda di bellissime immagini, onde io credo
che
vi sarà utile udirla. « Una donna superba al par
eo piede al tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di Giove: e
che
germana al Fato, Sovra il trono immortale A lui m
rribili, inquiete, Avvezze in cielo a colorir comete. Questa è la man
che
fabbricò sul Gange I regni a gl’Indi, e su l’Oron
i piedi Tutta la terra doma, Del vinto mondo fei gran dono a Roma. So
che
ne’ tuoi pensieri Altre figlie di Giove Ragionano
a lui temuto? Son forse l’opre de’ mìei sdegni ignote? Nè ancor sì sa
che
l’Oriente corsi Co’ piedi irati, e a le provincie
an donne in fronte, E le commisi a le stagion funeste: Ben mi sovvien
che
il temerario Serse Cercò de l’Asia con la destra
on cui fui sopra al cavalier tradito Sul menfitico lito: Nò la crudel
che
il duro Cato uccise. Nè il ferro che de’ Cesari l
Sul menfitico lito: Nò la crudel che il duro Cato uccise. Nè il ferro
che
de’ Cesari le membra Cominciò a violar per man di
non fosti de le gran venture: Avrai de Tira mìa piccioli segni: Farò
che
il suono altero De’ tuoi fervidi carmi Lento e ro
ò che il suono altero De’ tuoi fervidi carmi Lento e roco rimbombo, E
che
l’umil siringhe Or sembrino uguagliare anco le tr
no e i primi degli Dei. Ma l’opinione meno inveterata e più seguita è
che
fossero figlie di Mnemosine e di Giove. Dagli ant
contrasto a diversi scrittori; ma ogni querela ha sopito il Visconti,
che
combinando la tradizione degli scrittori coi monu
mezzi sicuri di rappresentarle distintamente. Io non posso prevalermi
che
delle sue stesse parole, e seguire l’ordine ch’eg
do per la prima la statua di Clio. « La distinguo per tale dal volume
che
ha in seno, quasi svolgendolo e recitandolo, come
e si leggono inoltre i nomi e i dipartimenti di ciascuna Musa. Vero è
che
il volume è ancora in mano di Calliope musa dell’
Calliope musa dell’Epopea nelle stesse pitture: ma questa uniformità
che
darebbe delFimbarazzo negli intonachi Ercolanensi
e incerate, ove collo stilo scrivevano gli antichi. « E troppo chiaro
che
convengono assai bene queste ultime a chi scrive
gono assai bene queste ultime a chi scrive dei versi come Calliope, e
che
ha spesso d’uopo di cancellare o di riformare dov
o sarebbe assai improprio darli per simbolo di Clio musa deiristoria,
che
siccome rammenta i secoli addietro in prosa, da u
iiì franchezza, e dall’altra suol tanto diffondersi nei suoi scritti,
che
male a proposito cercherebbe di registrarli nei p
rima delle nostre statue ci presentassero le Muse, e nel quale meglio
che
in qualunque altro se ne scorgono i differenti at
se ne scorgono i differenti attributi, dà il volume a una sola Musa,
che
perciò deve interpretarsi per quella dell’Istoria
gnar francamente l’Istoria a Clio, ed in ciò, oltre le lodate pitture
che
danno a Clio la Storia, mi è d’ autorità il citat
leio, e la testimonianza finalmente del dotto scoliaste di Apollonio,
che
dice la storia invenzione di Clio. Una prova dell
ll’impiego di questa Musa è il suo nome medesimo. Diodoro e Plutarco,
che
le attribuiscono gli elogi e la poesia eroica, lo
le attribuiscono gli elogi e la poesia eroica, lo derivano da (grec)
che
dicon significare gloria e’ lode. Non vi ha dubbi
vano da (grec) che dicon significare gloria e’ lode. Non vi ha dubbio
che
non trovisi la parola (grec) in questo senso, e c
Non vi ha dubbio che non trovisi la parola (grec) in questo senso, e
che
convenga pure all’Istoria che rammenta i fasti de
isi la parola (grec) in questo senso, e che convenga pure all’Istoria
che
rammenta i fasti dei tempi passati, ed è la depos
randi azioni. Ma il senso più antico e più genuino di questa voce, in
che
è con preferenza adoprata da Omero, è quello di e
e è con preferenza adoprata da Omero, è quello di esprimere piuttosto
che
gloria, fama soltanto e rinoìnanza. A meraviglia
ocche di Parnaso, dell’Elicona, e ci fa sovvenire il nome delle Ninfe
che
dà Virgilio alle Muse. Il suo vestire consiste in
toncini, chiamata dagli antichi tunica axillaris, e in una sopraveste
che
le si avvolge intorno dal mezzo in giù. Meritano
si avvolge intorno dal mezzo in giù. Meritano osservazione le scarpe
che
sono fatte a sandali, come quelle della maggior p
e della maggior parte delle statue mitologiche, ma sembrano di cuoio,
che
coprono il piede nè mostrano allacciatura. Simili
rte avessero le Muse negli spettacoli. « Non mi trattengo sull’alloro
che
le circonda i capelli, e perchè tutti sanno come
ensì, ma probabilmente di una Musa, non è la propria di questa statua
che
ne fu trovata mancante. Merita osservazione il vo
esta statua che ne fu trovata mancante. Merita osservazione il volume
che
ha in seno. Quello che vi rimane di antico è bast
rovata mancante. Merita osservazione il volume che ha in seno. Quello
che
vi rimane di antico è bastante a dimostrare non e
, dacché la reser nota le conquiste di Alessandro, prima specialmente
che
la gelosia di Tolomeo Fi ladelfo negandole l’estr
queste statue delle Muse fossero copie di quelle celebri di Filisco,
che
abbellivano i portici di Ottavia, questo volume p
È questo un Termine, o erma, mancante di capo, coir iscrizione latina
che
significa: A Giunone Istoria, Telefo e Prisco ded
se ne incontra qualche rara immagine, come presso il Winkelmann. Ciò
che
è veramente singolare è il vedere la musa della S
mann. Ciò che è veramente singolare è il vedere la musa della Storia,
che
non è altro che il Genio o la Divinità tutelare d
veramente singolare è il vedere la musa della Storia, che non è altro
che
il Genio o la Divinità tutelare di essa, onorata
to nome. — Telefo e Prisco eran forse due sofisti amici dell’Istoria,
che
eressero questo monumento a Clio, musa del genere
Clio, musa del genere lor prediletto. « Mi resta finalmente a notare
che
la Musa Clio, nel celebre monumento dell’Apoteosi
nda figura nel piano superiore del basso rilievo, distinta dal volume
che
ha nella mano, e che si vede in piedi presso Call
superiore del basso rilievo, distinta dal volume che ha nella mano, e
che
si vede in piedi presso Calliope che ha i pugilla
dal volume che ha nella mano, e che si vede in piedi presso Calliope
che
ha i pugillari. La Storia nel piano più basso in
di sacrificare ha un simile distintivo. Dissento in ciò dallo Schott,
che
dà questo nome alla Musa colla lira del piano di
di mezzo. Così nel sarcofago del Campidoglio sarà Clio la prima Musa
che
ha il volume, piuttosto che la settima che ha la
o del Campidoglio sarà Clio la prima Musa che ha il volume, piuttosto
che
la settima che ha la cetra. Così parimente tra qu
io sarà Clio la prima Musa che ha il volume, piuttosto che la settima
che
ha la cetra. Così parimente tra quelle della Yill
erisimilmente Clio la musa col volume scolpita in una delle fiancate,
che
quella della cetra che è la prima sulla facciata.
usa col volume scolpita in una delle fiancate, che quella della cetra
che
è la prima sulla facciata. Stimo a proposito di r
acciata. Stimo a proposito di rammentare questi monumenti delle Muse,
che
sono i più cogniti, perchè ne restino sempre più
econda opinione, giacché di rado le Ninfe in altra guisa s’incontrano
che
seminude. Le mani sono antiche: la destra appoggi
a alla rupe non ha sostenuto mai verun simbolo; non così la sinistra,
che
per altro non poteva altra cosa reggere per la su
, che per altro non poteva altra cosa reggere per la sua disposizione
che
una bacchetta o una tibia. La prima l’avrebbe dim
chetta o una tibia. La prima l’avrebbe dimostrata Urania, la seconda,
che
vi è stata supplita, la distingue per Euterpe, Mu
, la seconda, che vi è stata supplita, la distingue per Euterpe, Musa
che
ha specialmente sortito il suono dei flauti. « Di
fisiche. Non però a caso se l’è dato piuttosto l’attributo di Euterpe
che
quelle di Urania, perchè nell’abito di questa Mus
cipale distintivo di Urania, a cui corrisponde il radio, o bacchetta,
che
suole avere in mano per additare i segni. La Musa
ili ornamenti più sono proprii di una musa teatrale qual’era Euterpe,
che
della severa Urania, tutta fissa nelle osservazio
severa Urania, tutta fissa nelle osservazioni astronomiche. Infatti,
che
il suono dei flauti fosse inseparabile dagli spet
prova l’iscrizione delle Commedie di Terenzio in molti antichi testi
che
hanno: — rappresentate colle tibie destre e sinis
presentate colle tibie destre e sinistre, pari o impari. — « Quindi è
che
nel sarcofago Capitolino Euterpe coi flauti è rap
le a quello delle muse teatrali della Tragedia e della Lira. Il genio
che
ebber gli antichi per simili istrumenti si compre
gli antichi per simili istrumenti si comprende dall’ uso tanto esteso
che
ne fiicevano, adoperandolo, oltre il teatro, nell
statue Tiburtine mancava Euterpe: vi è perciò sostituita la presente,
che
si è ammirata lungo tempo per le scale del Palazz
azzo Lancillotti a Coronari insieme con un’altra perfettamente simile
che
vi è rimasta. Queste repliche servono sempre più
rimasta. Queste repliche servono sempre più ad avvalorare il sospetto
che
fosser copie d’insigni originali, e forse delle l
orse delle lodate Muse di Filisco; al qual proposito giova riflettere
che
nello stesso palazzo si conserva una Polinnia del
una Polinnia del tutto simile alla nostra, mancante però del capo, e
che
nell’altro palazzo a Velletri era la statua di Ur
el capo, e che nell’altro palazzo a Velletri era la statua di Urania,
che
ora compisce il numero delle nostre Muse: onde pu
ra compisce il numero delle nostre Muse: onde può nascere il sospetto
che
siano state le Muse trovate insieme, e che fosser
de può nascere il sospetto che siano state le Muse trovate insieme, e
che
fossero anticamente tutta una collezione. « Mi re
he fossero anticamente tutta una collezione. « Mi resta a soggiungere
che
nel basso rilievo dell’Apoteosi d’ Omero, Euterpe
e che nel basso rilievo dell’Apoteosi d’ Omero, Euterpe è quella Musa
che
regge colla destra due flauti, presi dal Kirkero
periore. Il Cupero e lo Schott la ravvisano per tale: quello soltanto
che
rilevo dall’ osservazione del marmo si è che la c
er tale: quello soltanto che rilevo dall’ osservazione del marmo si è
che
la cetra posata in terra resta presso di questa M
a danzante. In ciò questo greco monumento differisce da^-li scrittori
che
ci rimangono. Nel sarcofago della Villa Mattei, E
perciò alla sagace Talia, inventrice di quel ramo dell’arte scenica,
che
se non è il più utile, è di sicuro il più general
rmini la stessa Musa: Io dei comici numeri maestra Son la Musa Talia,
che
dalle scene Festive il vizio uman scherzando pung
a, è adattato al suo doppio uffìzio, sì ai piaceri e ai divertimenti,
che
sono i fiori di cui si sparge il disastroso senti
tessi attributi la caratterizzano nelle pitture di Erodano ugualmente
che
nel lodato bassorilievo Capitolino, dove anzi è a
l lodato bassorilievo Capitolino, dove anzi è abbigliata di un manto,
che
dall’omero sinistro le scende sotto al destro, ne
che dall’omero sinistro le scende sotto al destro, nella stessa guisa
che
in quelle antiche pitture. I calzari che ha ai pi
l destro, nella stessa guisa che in quelle antiche pitture. I calzari
che
ha ai piedi in quel monumento son ben diversi dai
era, e Talia non può essere se non la terza musa del piano superiore,
che
ha la cetra nella sinistra, e sta colla destra in
tire e recitare. Questo gesto simile a molti delle fi<?ure comiche
che
sono nelle miniature del Terenzio Vaticano, allud
i, i quali avevano presso i Greci lo stesso nome colla nostra Musa, e
che
perciò dovevano esserle sacri. Fi vestita di una
sino a mezzo braccio strette con borchie, fra le quali le due prime,
che
restano su gli omeri, sono più grandi. Ha una sop
i sandali ai piedi, e il timpano moderno nella sinistra, istrumento,
che
allude, come l’edera, all’origine Bacchica degli
li teatra li. È stato supplito sull’indizio di un vestigio circolare,
che
altro non poteva indicare che un timpano appunto,
sull’indizio di un vestigio circolare, che altro non poteva indicare
che
un timpano appunto, un troco, o altro simile stru
umento rotondo.» Voi dimandate spesso dei soggetti, e le descrizioni
che
per vostro vantaggio traduco dai poeti non sono s
Mitologia Bacchica, una delle Immagini di Filostrato. Queste non sono
che
descrizioni di quadri antichi, ma fatte con quell
sono che descrizioni di quadri antichi, ma fatte con quell’ eleganza
che
è tutta propria di questo scrittore. Ve ne sia d’
sia d’esempio la seguente, ove è descritta Tebe assediata, e Meneceo
che
per la patria offre la vita. — Questa è Tebe, per
ueste Anfìarao si avvicina con meste sembianze prevedendo la sciagura
che
gli sovrasta. Gli altri duci temono anch’essi, ed
ri duci temono anch’essi, ed inalzano le loro mani al cielo: non vi è
che
il solo Capaneo che misuri con occhi arditi le mu
essi, ed inalzano le loro mani al cielo: non vi è che il solo Capaneo
che
misuri con occhi arditi le mura, delle quali si r
cile di scalarle. Pure non 1’ hanno offeso ancora coi sassi i Tebani,
che
paventano di dare principio alla battaglia. E qui
eggono le teste, o i petti o gli elmi, e dopo questi niente si scorge
che
la punte dell’aste. Ma tutto questo è prospettiva
spettiva: perchè bisogna ingannar gli occhi per certi serpeggiamenti,
che
s’allontanano e vanno quanto la vista. Inoltre Te
non è priva di predizioni, perchè Tiresia, il profeta, dà un oracolo,
che
riguarda Meneceo figlio di Creonte. Tebe, egli di
pel suo generoso coraggio. Volgete adesso il vostro occhio su quello
che
dipende dall’artista: egli non ha dipinto un giov
so, capace della palestra come sono quei brunastri di pelle olivastra
che
Platone loda tanto. E l’ha munito di stomaco e di
egli già si è trafìtto nel petto: riceviamo nel nostro vaso il sangue
che
esce dalla piaga, poiché scorre in abbondanza. E
dei bei corpi ove stanno, e con dispiacere gli abbandonano. Il sangue
che
scorre a poco a poco fa sì che ei traballi, e con
dispiacere gli abbandonano. Il sangue che scorre a poco a poco fa sì
che
ei traballi, e con un’occhiata dolce e graziosa,
oco a poco fa sì che ei traballi, e con un’occhiata dolce e graziosa,
che
sembra chiamare il sonno, egli saluta ed abbracci
iosa, che sembra chiamare il sonno, egli saluta ed abbraccia la morte
che
viene ad impadronirsene. — Lezione cinquantes
mo sguardo la musa della Tragedia. La maschera tragica, anzi erculea,
che
ha nella destr-a la bellézza del volto nobilmente
te presiede. « Infatti nulla di piìi proprio per denotare la Tragedia
che
la maschera di Ercole, la cui clava suole esser i
iù comune nella maggior parte dei monumenti. Qui però è da osservarsi
che
la capigliera di queste maschere detta dai Greci
Greci ò’/xo;, dai Latini Superficies, è coperta della pelle di leone,
che
secondo Polluce formava una parte del l’apparato
che secondo Polluce formava una parte del l’apparato tragico. Sembra
che
ì simboli di questo eroe siano stati prescelti pe
no la sua tristezza, affetto seguace della compassione e del terrore,
che
sono i due poli dell’arte tragica, onde Ausonio r
oni più nobili dello spirito umano, e i rustici furono i primi attori
che
le recitarono, tinto il volto di mosto. Il suo no
le recitarono, tinto il volto di mosto. Il suo nome stesso Tragedia,
che
vale canto del capro, mostra che simili divertime
mosto. Il suo nome stesso Tragedia, che vale canto del capro, mostra
che
simili divertimenti non erano che una sequela del
a, che vale canto del capro, mostra che simili divertimenti non erano
che
una sequela del sacrificio, che facevasi al nume
tra che simili divertimenti non erano che una sequela del sacrificio,
che
facevasi al nume inventore del vino, di questo qu
a usata dagli antichi artefici nelle immagini degli eroi. Agli esempi
che
adduce può aggiungersi la bella statua Capitolina
i. Agli esempi che adduce può aggiungersi la bella statua Capitolina,
che
non dovrebbe perciò riguardarsi come quella di un
agedia ad Euterpe, a Melpomene il barbito. L’etimologia del suo nome,
che
vai Cantante, è stato forse il principio d’ascriv
rta, e di piiì il sirma teatrale bizzarramente aggruppato. Il pugnale
che
ha nella manca, benché moderno, non è posto a cap
preso metodo di distinguere nei celebri monumenti ciascuna Musa, dirò
che
nell’Apoteosi di Omero Melpomene è la figura muli
a Giove a cui rivolge il volto: la contrassegna il coturno altissimo
che
porta al piede, come ò chiaro nel marmo, e il vel
urno altissimo che porta al piede, come ò chiaro nel marmo, e il velo
che
le copre la testa come nella stessa scultura: è r
oter giungere alla vera idea dell’artefice, a cui non poteva condurre
che
la diligente osservazione del marmo originale. «
ne del sarcofago Capitolino: ha la maschera tragica alzata dal volto,
che
le serve come di cuffia ed ornamento del capo, ed
uffia ed ornamento del capo, ed altissimi coturni alle piante. Quello
che
più fa al nostro proposito è che appoggia il pied
ltissimi coturni alle piante. Quello che più fa al nostro proposito è
che
appoggia il piede sovra un sasso nella stessa gui
ia il piede sovra un sasso nella stessa guisa della nostra statua, lo
che
sempre più ci assicura che r artefice non ha usat
nella stessa guisa della nostra statua, lo che sempre più ci assicura
che
r artefice non ha usata di questa situazione senz
olle e amorosa. « Quale dunque delle due Muse liriche sarà la nostra,
che
sedendo come le altre sulla rupe del Parnaso, ves
a mezze maniche, coronata di alloro, calzata di quel genere di scarpe
che
abbiamo ravvisate per le antiche alute, col plett
ere di scarpe che abbiamo ravvisate per le antiche alute, col plettro
che
ha nella destra, va destando i concenti dell’armo
e per la somiglianza appunto di questo musicale istrumento con quello
che
ha la Tersicore dei begli intonachi Ercolanensi,
Tersicore la Lira. « A dir vero si vede in questa Lira la testuggine
che
ne forma il corpo, secondo l’ invenzione di Mercu
amente nell’Inno Omerico; e due corna di capra ne formano le braccia,
che
perciò si trovano spesso appellate corna della ce
la Lira di Tersicore nell’accennate pitture. « Il nome di Tersicore,
che
vale dilettante della danza, non sembra avere un
embra avere un immediato rapporto alla lirica, quando non si rifletta
che
le canzoni liriche furono primitivamente composte
rno all’altare. Sì stretta connessione degl’inni e delle danze sacre,
che
poi si accompagnavano indispensabilmente colla li
cui si avevano anticamente gli originali di queste figure delle Muse,
che
eran forse, come abbiamo più volte notato, quelle
ei portici di Ottavia. Questa statua era mancante del capo: ma quello
che
l’è stato supplito è antico, ed abbastanza conven
core nel singolare bassorilievo dell’Apoteosi di Omero, ed è la prima
che
siede sul secondo piano col plettro nella destra
ora la nostra Musa dal dotto espositore dei bassi rilievi Capitolini,
che
si è contentato di seguire l’epigramma di Callima
ervato come il più lontano dalle comuni opinioni. Noi però dalla Lira
che
sta sonando la nomineremo Tersicore, avendo già r
delle pitture di Ercolano. « Così nel sarcofago Matteiano, Tersicore
che
è la prima della facciata, è parimente descritta
ze, ecco gli ufficii di Erato secondo la maggior parte degli antichi,
che
dall’amore ne derivarono l’amabile denominazione.
avesti il caro nome. « Le pitture di Ercolano hanno Erato la saltria,
che
regola cioè l’arte della danza e del suono, come
ella pittura di Ercolano nella situazione, nel movimento, nell’abito,
che
sta suonando la cetra per dar il tempo di qualche
ezze maniche, fermata con piccole borchie sul braccio, e con un manto
che
le scende dagli omeri vezzosamente negletto. « Se
esti studii d’ Erato bastano a spiegar la maggior parte dei monumenti
che
ce la rappresentano, come r insigne bassorilievo
à degli antichi appellata Tersicore; altre sei hanno i loro attributi
che
le distinguono abbastanza; Clio ha il Yolume per
lle quali sarà Erato, l’altra Polinnia. Recheremo appresso le ragioni
che
abbiamo per credere quest’ultima la Musa ravvolta
ravvolta nel manto e appoggiata al sasso, onde Erato non potrà esser
che
la terza figura, che posando la sinistra su di un
appoggiata al sasso, onde Erato non potrà esser che la terza figura,
che
posando la sinistra su di una base, sta pensieros
a ed ha il capo coperto di una specie di velo stretto a guisa di rete
che
(grec) dai Greci appellavasi. Nel rame che la rap
lo stretto a guisa di rete che (grec) dai Greci appellavasi. Nel rame
che
la rappresenta è stato trascurato questo abbiglia
enta Safi’o nelle monete di Lesbo. Infatti, non sotto altre sembianze
che
sotto quelle di Erato dovea rappresentarsi la dec
e canzoni.» Udite da Filostrato di altre due pitture la descrizione,
che
ho tradotta, mosso dal gradimento che aveste per
tre due pitture la descrizione, che ho tradotta, mosso dal gradimento
che
aveste per questo animato scrittore nella passata
uesto animato scrittore nella passata Lezione. Anfiarao. — Le bighe (
che
ancora le quadrighe non solevano guidare gli eroi
li eroi, eccettuato Ettore audacissimo fra loro) trasportano Anfìarao
che
ritorna da Tebe, nel qual tempo si dice che la te
oro) trasportano Anfìarao che ritorna da Tebe, nel qual tempo si dice
che
la terra per lui sprofondasse, onde nell’Attica r
a risposta sapiente fra gente illustre per sapienza. Fra questi sette
che
a Polinice Tebano tentavano di restituire V imper
linice Tebano tentavano di restituire V impero, nessuno ritornò fuori
che
Adrasto ed Anfìarao; gli altri ha la città di Cad
tà di Cadmo: perirono per l’aste, pei sassi e per le scuri. Ma è fama
che
Capaneo fosse ferito dal fulmine, avendo il primo
no ad esso bagnati di sudore-, si è sparsa intorno una lieve polvere,
che
gli mostra meno belli, ma più veri. Anfìarao, arm
a veste, ivi la porta dei sogni, poiché di sonno hanno bisogno quelli
che
interrogano l’oracolo, e lo stesso sonno è dipint
o la notte e il giorno. Tiene ancora un corno nelle mani, come quello
che
è solito di condurci i sogni per la vera porta. —
in là per la stanza del convito, il sangue mescolato col vino, questi
che
spirano sulla mensa, questo nappo rovesciato dal
he spirano sulla mensa, questo nappo rovesciato dal calcio di un uomo
che
gli palpita accanto, questa fanciulla profetessa
gli palpita accanto, questa fanciulla profetessa vestita colla stola,
che
riguarda la scure che cadrà sopra lei, tutto ciò
uesta fanciulla profetessa vestita colla stola, che riguarda la scure
che
cadrà sopra lei, tutto ciò rappresenta il modo, n
tornando da Troia, fu ricevuto da Clitennestra Agamennone, cosi ebro,
che
lo stesso Egisto non ha temuto di osare tanto del
hè ciò successe di notte: i nappi ove il vino spumava risplendono più
che
il fuoco, essendo d’oro: le tavole erano tutte co
nutrivano i principi eroi. Ma tutto è scompigliato, poiché da quelli
che
banchettando spirano, parte è rovesciato dai calc
questo ha la testa recisa di sotto le spalle nella stessa attitudine
che
si abbassava sul nappo, quello ha tagliato il pug
a, un altro si rovescia prono sulla testa e sulle spalle. Vi é alcuno
che
cerca di evitare la morte, un altro vorrebbe fugg
a glielo impedisce come se avesse ai piedi catene. E fra tutti questi
che
sono per terra non ve n’è uno che sia pallido, po
ai piedi catene. E fra tutti questi che sono per terra non ve n’è uno
che
sia pallido, poiché, spirando fra il vino, il col
o, ma tra fanciulli e donnicciole come un bove nel presepio. Ecco ciò
che
gli è accaduto dopo tanta gloria e tante fatiche
che nel mezzo dell’infausta cena! Ma pietà maggiore ancora merita ciò
che
accade a Cassandra, poiché Clitennestra si affret
ure è alzata: ella vi rivolge gli occhi paurosi, ed esclama un non so
che
di compassionevole, affinchè Agamennone, udendola
so che di compassionevole, affinchè Agamennone, udendola in quel poco
che
gli rimane di vita, ne sia commosso: egli raccont
ntesimaterza. Polinnia, Urania. Polinnia. « Non vi ha dubbio
che
questa statua, una delle più eleganti e conservat
uesta statua, una delle più eleganti e conservate della collezione, e
che
non ha nelle mani simbolo alcuno che la distingua
e conservate della collezione, e che non ha nelle mani simbolo alcuno
che
la distingua, non appartenga alla Musa Polinnia.
o attributo, e la sola situazione, o piuttosto il solo gesto è quello
che
la determina. Non sembrerà strana questa maniera
colarmente appropriato alla nostra Musa, come ne fan fede gli antichi
che
l’hanno espressamente chiamata la Musa della Memo
ua della Memoria del nostro Museo, indubitata per la greca iscrizione
che
ha nella base (grec), Rimembranza, la quale statu
nza, la quale statua non esprime in altra guisa la qualità della dea,
che
rappresentandocela tutta involta nel manto, e per
ndocela tutta involta nel manto, e persino le mani, come il simulacro
che
stiamo esponendo. Questo raccoglimento necessario
della favola, come ne fa fede l’Epigrafe della Polinnia Ercolanense,
che
ha Polinnia le favole, così la sua taciturnità e
e della favola fecero presiedere questa Musa all’ arte dei Pantomimi,
che
a forza di gesti sapevano rendere facondo il loro
ttori. « Ma, per tornare alla considerazione del nostro marmo, chi sa
che
quel manto in cui la veggiamo involta non voglia
oscurate queste remote avventure? Inoltre, anche secondo quel sistema
che
vuol le Muse non altro che i Genii delle sfere pl
nture? Inoltre, anche secondo quel sistema che vuol le Muse non altro
che
i Genii delle sfere planetarie, che tessono intor
istema che vuol le Muse non altro che i Genii delle sfere planetarie,
che
tessono intorno al sole danza armoniosa e perpetu
fera del tardo Saturno. La nostra Polinnia è coronata di rose, corona
che
attribuiscono alle Muse i greci poeti, e fra gli
simile alla bella statua detta la Flora Capitolina. Siccome i simboli
che
la distinguono per Flora sono aggiunti modernamen
nnia Ercolanense. « Del rimanente, per non dubitare della reputazione
che
godeva questa figura presso gli antichi, basta ri
tazione che godeva questa figura presso gli antichi, basta riflettere
che
una similissima, ma senza capo, è in Roma nel Pal
he una similissima, ma senza capo, è in Roma nel Palazzo Lancellotti,
che
un’altra è nel giardino Quirinale, e che nel nost
oma nel Palazzo Lancellotti, che un’altra è nel giardino Quirinale, e
che
nel nostro Museo è una statua, la cui testa è il
al quale anch’ essa alla Polinnia, sì nella composizione della figura
che
nel panneggiamento. Questo panneggiamento appunto
neggiamento appunto è nella nostra statua con tal’ eleganza trattato,
che
può servire di esemplare, vedendosi trasparire al
onsideriamo ora la nostra Musa ne’ restanti monumenti più accreditati
che
ci offrono queste Dee dell’Arti; nel sarcofago Ca
sarcofago Capitolino ninna più convenientemente potrà dirsi Polinnia
che
la quinta, la quale sta appoggiata col gomito ad
iata col gomito ad una rupe, e così colla destra si sostiene il mento
che
non le sarebbe possibile di favellare. Simile sit
, giacché non seguiremo in ciò l’erudito espositore di quel monumento
che
la chiama Erato, e dà il nome di Polinnia alla Mu
abbiamo altrove accennato, e confermeremo in appresso. « È da notarsi
che
la stessa Musa, nella situazione medesima, ‘ s’ i
i di Omero, ed è la terza del secondo piano presso Apollo. Lo Schott,
che
1’ ha creduta Calliope, non avea bene considerata
ndo, come abbiamo detto, Calliope assai riconoscibile dalle tavolette
che
ha nella mano in quello del Campidoglio. La parti
indicano la sua perizia nella musica e nel suono di varii istrumenti,
che
possedeva egli in un grado così elevato, eh’ era
pidoglio, benché nell’esposizione venga determinata per Erato. Ma ciò
che
comprova mirabilmente la nostra opinione d’interp
le figure, sono i suoi distintivi, tanto conosciuti e tanto costanti,
che
il dipintore delle Muse Ercolanensi, che avea agg
conosciuti e tanto costanti, che il dipintore delle Muse Ercolanensi,
che
avea aggiunto a ciascheduna il nome e 1’ ufficio,
una a questa Musa come abbastanza palese dai suoi attributi. « E vero
che
nella nostra statua cotesti simboli sono di moder
potevano essere quando fosse stata pur questa la figura di Urania: e
che
la statua a questa Musa si appartenesse, resta ev
è tutto d’ un pezzo col simulacro, inciso a caratteri antichi Urania,
che
ne determinano il soggetto, e colla certezza mede
tra, eh’ è precisamente un duplicato dell’altra in tutte quelle parli
che
nella Capitolina son genuine e non riportate. « È
monumenti equivocata, non così è accaduto della sua statua colossale,
che
si vede nel portico del Palazzo Farnese verso str
a Musa dell’Astronomia, e perchè sul globo sono tracciati dei circoli
che
rappresentano quelli che gli astronomi hanno segn
perchè sul globo sono tracciati dei circoli che rappresentano quelli
che
gli astronomi hanno segnati in cielo, quali appun
nostra Polinnia, ed è vestita di un abito teatrale a lunghe maniche,
che
abbiamo osservato esser la palla citaredica l’ort
lla Villa Panfili, e nella Melpomene del sarcofago Capitolino, e quel
che
è più decisivo, nella Musa colossale eh’ era già
tue colossali neir abito e nella mole mi sembra facile a congetturare
che
sieno due delle nove Muse che adornavano forse l’
la mole mi sembra facile a congetturare che sieno due delle nove Muse
che
adornavano forse l’antico teatro di Pompeo, nelle
anche Urania di un abbigliamento teatrale.» Eccovi altre descrizioni
che
traggo da Filostrato. Antigone. — Gli Ateniesi a
igone. — Gli Ateniesi avendo intrapresa la guerra pei corpi di quelli
che
caddero davanti Tebe, daranno qui sepoltura a Tid
notte fuori del recinto delle mura, contro l’editto fatto da Creonte,
che
nessuno osasse di seppellirlo nella terra che egl
ditto fatto da Creonte, che nessuno osasse di seppellirlo nella terra
che
egli avea tentato di render serva. Ecco ciò eh’ è
giacciono distesi i corpi dei capitani, grandi invero e membruti più
che
il comune degli uomini: ma Capaneo è pari a un gi
ba di Eteocle, cercando con questo di riconciliare i due fratelli. Ma
che
diremo noi dell’artifizio di questa pittura? Poic
ccia. Ella rattiene non ostante le sue lacrime avendo paura di quelli
che
sono in sentinella. E quantunque ella desideri di
, ma le allontana l’una dall’altra, attestando la guerra e la querela
che
dura ancora in questa tomba. — Andromeda. — Que
ma gli Etiopi, e un Greco nell’Etiopia, e il combattimento di questo
che
di buona voglia ha intrapreso per amore. Io penso
mento di questo che di buona voglia ha intrapreso per amore. Io penso
che
avrete udito parlare di Perseo, che dicesi avere
ha intrapreso per amore. Io penso che avrete udito parlare di Perseo,
che
dicesi avere ucciso nell’Etiopia un gran mostro d
e dicesi avere ucciso nell’Etiopia un gran mostro del mare Atlantico,
che
si gettava sulla terra per divorare gli uomini e
di coraggio tutte le Spar tane. È dipinta in un gesto conforme a ciò
che
succede, perchè ella sembra essere in dubbio, e g
rte la sua spaventevole Gorgone onde non converta in pietre il popolo
che
viene a visitarlo: ecco già dei pastori che gli p
verta in pietre il popolo che viene a visitarlo: ecco già dei pastori
che
gli presentano latte e vino eh’ egli riceve, e di
al vento la sua clamide di porpora tutta sparsa di stille di sangue,
che
la bestia nel combattimento ha spruzzato contro l
queste altre due statue Yoi avrete avuto da Visconti tutte le notizie
che
sono necessarie a sapersi intorno alle muse; e fr
ato il potervi trattenere sull’imprese onde l’ isterica è composta, e
che
formano la parte più amena e più interessante dei
usa, comecché mancante delle braccia e del capo, pure non giudicherei
che
fosse stata destinata colle altre alla medesima c
amovibili, di lavoro più elegante e gentile, come apparisce dalle tre
che
si sono conservate: nel resto l’artifizio, quantu
ggiamento, perfetta in ogni più piccola e men significante sua parte,
che
non possiamo far a meno di crederla un elegante o
a cetra, o i pugillari, il volume, e perchè finalmente non avea segno
che
per Musa la caratterizzasse, determinandola al te
lle muse di Pindo lo star seduta come le altre sovra un sasso. Quello
che
è singolare in questa eccellente scoltura è il pa
ra nobile e leggiadra in cui è trattato, sì per la qualità dell’abito
che
si è voluto rappresentare. È questa una tunica pi
mo altrove notato: ma ciò eh’ è veramente unico nel nostro marmo si è
che
circa la metà della vita varia il panno di essa,
a il panno di essa, vedendovisi diligentemente segnata la cucitura, e
che
il drappo della metà inferiore è notabilmente più
ezzo del vestimento, ma non ci mostrano cosa dobbiamo pensare di quel
che
abbiamo sott’ occhi. Io vado pensando che siccome
sa dobbiamo pensare di quel che abbiamo sott’ occhi. Io vado pensando
che
siccome la tonaca dal mezzo in su è trasparente,
sia fatta dal mezzo in giù di più grosso drappo non per altra ragione
che
per quella della decenza, osservata sempre dagli
ee d’Elicona, come altrove abbiamo avvertito, onde sfuggire le taccio
che
incontravano presso i moralisti di quei tempi sim
contravano presso i moralisti di quei tempi simili abiti trasparenti,
che
Coe, vesti di vetro, o lucide dai Latini eran det
el genere dei sandali, essendo stretti dai lacci sopra il nudo piede,
che
tengon ferma al di sotto la suola, la quale é di
i da Polluce quali li veggiamo scolpiti. Aggiunge il mentovato autore
che
di questi era calzata la Pallade di Fidia, onde n
dia, onde non debbonsi avere per abbigliamento improprio di una Musa,
che
ol’ tre r essere come tale amica di Pallade, lo è
i questi motivi, si escluderà sempre quello arrecato dall’Aldovrandi,
che
crede le penne poste sul capo delle Muse perchè f
arsi alla buona critica del secol nostro. Calliope. « La Musa
che
in aspetto serio è immersa in profonda meditazion
’ Latini pugillares e pinacides dai Greci, e sta colla destra alzata,
che
reggeva anticamente lo stilo, non so se disposta
ne appunto Laide incontrò nei giardini di Corinto il tenero Euripide,
che
stava componendo dei versi: e così forse il più p
e canta egli stesso, sulle rive del paterno Mela scriveva quei carmi,
che
dovevano esser l’incanto di tutte le generazioni
oeti han costumato di registrare i loro versi su di simili tavolette,
che
, colla facilità che offrivano di cancellare lo sc
i registrare i loro versi su di simili tavolette, che, colla facilità
che
offrivano di cancellare lo scritto, animavan l’au
glioramenti e a quelle mutazioni, senza le quali non avvien quasi mai
che
possa scriversi cosa la qual meriti di esser lett
letta, nessun simbolo più adattato di questo potrà darsi a Calliope,
che
è la musa propriamente della Poesia, e particolar
itti sulle tavolette, e perchè la lirica e la drammatica, come quelle
che
debbono cantarli o rappresentarli, possono distin
bbono cantarli o rappresentarli, possono distinguersi con altri segni
che
più decisamente le determinino, come la lira, la
lla poesia Epica cui convien solo l’esser recitata, non poteano darsi
che
i pugillari sui quali si compone, o il volume su
bisogno dell’epigrafe: Calliope, il poema, per distinguerla da Clio,
che
ha pure in quelli intonachi lo stesso attributo.
buto. Più avvedutamente r artefice delle nostre Muse, o secondo l’uso
che
osserviamo più comune nei monumenti, per non conf
quanto più di riflessione e di ponderazione richiegga lo scrivere ciò
che
in versi si vuole esporre che ciò che in prosa. «
ponderazione richiegga lo scrivere ciò che in versi si vuole esporre
che
ciò che in prosa. « Nè solo ha espresso ciò nel d
zione richiegga lo scrivere ciò che in versi si vuole esporre che ciò
che
in prosa. « Nè solo ha espresso ciò nel dare alla
ugillari e lo stilo, ma l’ ha indicato nell’aria attenta e pensierosa
che
ha saputo dare a questa figura, per la quale meri
llustrati: li ha nel superbo bassorilievo Capitolino la settima Musa,
che
per Polinnia è stata descritta senza considerargl
a, che per Polinnia è stata descritta senza considerargli i pugillari
che
ha nella manca: in una pittura di Ercolano è ques
uello della Calliope ch’era nella Collezione della regina Cristina, e
che
non è già perita come sopra abbiamo avanzato, ma
o, ma sì conserva tuttora nella deliziosa Villa d’Aranjuez. I simboli
che
sono in quelle sono moderni, e perciò diversi dai
ello spiegar queste statue abbiamo fatto talvolta menzione delle Muse
che
veggonsi nelle medaglie della famiglia Pomponia,
verse Muse. « Il Begero lo ha tentato, ma non ha seguito altra scorta
che
quell’epigramma dell’ Antologia, riportato da noi
rta che quell’epigramma dell’ Antologia, riportato da noi nella Clio,
che
abbiamo già notato aver confusi gli antiquarii, e
noi nella Clio, che abbiamo già notato aver confusi gli antiquarii, e
che
dissente dalle più ricevute opinioni. « Per farmi
o la testa di una musa coronata, come tutte le seguenti, di alloro, e
che
ha nell’area un volume coi suoi lacci svolazzanti
ta il plettro, come ha osservato l’Havercampo, e al rovescio una Musa
che
suona la cetra retta da una colonna, ed è prohabi
itto, e nel rovescio accenna col radio i circoli segnati su del globo
che
vien sostentato da una specie di tripode. La quin
l’Agricoltura a cui presiede, dagli eruditi non osservato, egualmente
che
la maschera comica che ella sostiene. La clava e
siede, dagli eruditi non osservato, egualmente che la maschera comica
che
ella sostiene. La clava e la maschera tragica fan
Begero, la quale ha lo scettro dietro la testa nell’area del dritto,
che
troppo ben si compete alla musa della Tragedia, e
rea del dritto, che troppo ben si compete alla musa della Tragedia, e
che
si dà agli attori tragici dallo stesso Polluce. L
quali si ammirano fra le tante erudite reliquie dell’antica Ercolano,
che
il Vesuvio sotto le sue eruzioni ha conservate pe
o e inaspettato. » Ed ora udite altre descrizioni di antiche pitture
che
io traggo da Filostrato. Arianna. — Che Teseo in
non per ingratitudine di lui, ma per volontà di Bacco pensino alcuni
che
sia avvenuto, avrai forse udito ancora dalla nutr
quando vogliono, ancora col pianto. Non avrò dunque bisogno di dirti
che
Teseo è quello che è nella nave, Bacco quello eh’
ncora col pianto. Non avrò dunque bisogno di dirti che Teseo è quello
che
è nella nave, Bacco quello eh’ è in terra, nè a t
n è difficile a veruno: di Bacco ancora vi sono innumerabili forme in
che
può esser ritratto, delle quali se alcuno arriva
dio, poiché i corimbi tessuti in serto sono indizio di Bacco, ancora
che
l’opera sia inetta, e il corno nato nelle tempie
nifesto segno dello dio. Ma qui Bacco non è dipinto con altro simbolo
che
con quello dell’Amore. Poiché la florida veste, i
le Baccanti si servono di cimbali, nè i Satiri di tibie presentemente
che
lo stesso Pane frena il suo saltare perchè non tu
si accosta ad Arianna, ebro di Amore, come dice Anacreonte di quelli
che
amano smisuratamente. Teseo poi ama, ma il fumo d
amano smisuratamente. Teseo poi ama, ma il fumo di Atene, e può dirsi
che
Arianna non abbia conosciuta, nè innanzi, nè dopo
e può dirsi che Arianna non abbia conosciuta, nè innanzi, nè dopo, e
che
si sia dimenticato del Laberinto e del motivo per
e del motivo per cui navigò in Creta: tanto egli riguarda quelle cose
che
sono innanzi la prora. Rimira anche Arianna, o pi
Queste sono le pitture di Omero, ma il soggetto di questa è Mennone,
che
venuto di Etiopia uccide Antiloco che difendeva N
l soggetto di questa è Mennone, che venuto di Etiopia uccide Antiloco
che
difendeva Nestore suo padre, ed il terrore che sp
tiopia uccide Antiloco che difendeva Nestore suo padre, ed il terrore
che
spaventa i Greci, perchè avanti all’arrivo di Men
il fierezza, e quello di Locri alla sua agile velocità. I soldati poi
che
gli sono tutti intorno piangono il giovinetto app
mi e la testa di Mennone, ed egual vendetta finalmente alla memoranda
che
fece sull’uccisore di Patroclo. Mennone è non ost
o giovinetto niente tristo e somigliante a un morto: al contrario par
che
sorrida e porta nella sua faccia impresso il cont
Le Grazie. Quali dee hanno maggior diritto di succedere alle Muse
che
le Grazie, ch’ebbero fra gli antichi comune il te
che le Grazie, ch’ebbero fra gli antichi comune il tempio con loro, e
che
dispensatrici sono anch’esse di tanti doni agli u
doni agli uomini, ed alle quali ninno è in obbligo di sacrificare più
che
l’artista? Disputata è pure l’origine di queste a
l nate da Eurinome figlia dell’Oceano e da Giove. L’ autore degl’Inni
che
si attribuiscono ad Orfeo non Eurinome, ma Eunomi
a terza un ramo di mirto. Bupalo pure le fé’ vestite a Smirne, e quel
che
è più, furono nell’Odea così dipinte dal primo pi
Pitagora in Pergamo, e Socrate figliuolo di Sofronisco, nelle statue
che
fece in Atene, praticarono la stessa maniera. Noi
la stessa maniera. Noi vedremo fra poco come si trovano nei monumenti
che
ne sono rimasti. Giova intanto di sapere che sino
si trovano nei monumenti che ne sono rimasti. Giova intanto di sapere
che
sino dai tempi di Pausania vi era 1’ uso di dipin
gli ultimi tempi piegata la favola all’allegorie volevano significare
che
queste amabili divinità non abbisognano di alcuno
re che queste amabili divinità non abbisognano di alcuno ornamento, e
che
a coloro ai quali elleno sono state liberali dei
tate liberali dei loro doni basta la sola natura per piacere. Certo è
che
gli antichi moralizzavano su queste divinità, com
il mezzo di giovare, e la scienza allontana dal suo santuario coloro
che
potrebbero innamorarsi del vero. A così care dee
igerne ed istituire loro un culto particolare: e la fama grata sparse
che
fosse suo padre. Elide, Delfo, Perga, Perinto, Bi
no, secondo Pausania, templi alle Grazie consacrati. Narra Apollodoro
che
Minosse sacrificando alle Grazie nell’ultimo dei
li pure di Mercurio, erano ancora alle Grazie dedicati, per indicarci
che
da esse deve essere accompagnato 1’ amore, la bel
o un altare, nel quale era scritto: Consacrato a quella fra le Grazie
che
presiede alla riconoscenza. E certamente per niun
ributo meritarono dagli antichi maggior venerazione. Osserva Macrobio
che
le statue di Apollo portano nella destra le Grazi
tra le Grazie, nella sinistra l’arco e le freccie, perchè la sinistra
che
fa il male è più lenta, e la benefattrice che dà
cie, perchè la sinistra che fa il male è più lenta, e la benefattrice
che
dà la sanità è più pronta dell’altra. Crisippo co
i, giovani, vergini, con veste sciolta e trasparente. Vogliono alcuni
che
una dia il benefìzio, l’altra lo riceva, la terza
dia il benefìzio, l’altra lo riceva, la terza lo renda. Pensano altri
che
vi siano tre generi di benefizi: di quelli che gl
o renda. Pensano altri che vi siano tre generi di benefizi: di quelli
che
gli meritano, di quelli che gli rendono, di quell
i siano tre generi di benefizi: di quelli che gli meritano, di quelli
che
gli rendono, di quelli che gli ricevono e gli ren
izi: di quelli che gli meritano, di quelli che gli rendono, di quelli
che
gli ricevono e gli rendono. Ma in qualunque manie
no e gli rendono. Ma in qualunque maniera si giudichi di queste cose,
che
n’ importa di questa scienza? Perchè quelle mani
nterrotto. Sono ridenti i volti delle Grazie, perchè così sono quelli
che
fanno il bene e quelli che lo ricevono. Giovani,
olti delle Grazie, perchè così sono quelli che fanno il bene e quelli
che
lo ricevono. Giovani, perchè non deve invecchiare
è il bene perde il merito quando uno vi è costretto, e perchè bisogna
che
il benefizio si vegga.» Ma lasciando questo vasto
benefizio si vegga.» Ma lasciando questo vasto campo delle illusioni,
che
può trarre la morale da queste dee, ragionerò di
llusioni, che può trarre la morale da queste dee, ragionerò di quello
che
più v’ interessa, cioè degli antichi monumenti ne
no rappresentate. Le Grazie compagne di Venere non si trovano vestite
che
sull’ altare etrusco così spesso citato, che è ne
e non si trovano vestite che sull’ altare etrusco così spesso citato,
che
è nella Villa Borghese. Sono effigiate di tutto r
entata da Winkelmann nei suoi Monumenti inediti, si vedono due Grazie
che
a Venere accomodano la chioma. Può essere illustr
ioma. Può essere illustrata da questa delicata immagine di Claudiano,
che
ho espressa in questi versi: Cosi d’intorno a Ve
no di sostegno due vasi collocati alle due estremità, simili a quelli
che
sogliono accompagnare le statue di Venere. A ciò
ervato dal prelodato Visconti, 1’ autore dell’epigramma sulle Grazie,
che
leggesi nell’Antologia, quando finse che Amore ru
dell’epigramma sulle Grazie, che leggesi nell’Antologia, quando finse
che
Amore rubasse loro le vesti mentre che si lavavan
i nell’Antologia, quando finse che Amore rubasse loro le vesti mentre
che
si lavavano. Tre donzelle nude che adornano il pi
Amore rubasse loro le vesti mentre che si lavavano. Tre donzelle nude
che
adornano il piede di un vaso nella Villa Borghese
esentare le Grazie nude non vi ebbe sovente fra esse e le tre Parche (
che
come le tre Grazie si tengono per le mani su qual
e Grazie si tengono per le mani su qualche medaglia) altra differenza
che
il vestito di queste ultime. In un vetro riportat
Grazie, tre donzelle coi loro nomi scritti, e pensano gli antiquari:
che
le teste pure delle tre Grazie del Palazzo Ruspol
i capelli. Non è nuovo il rappresentare i mortali negli Dei, e sapete
che
il più scellerato fra gì’ imperatori romani fu ri
o. Questa è probabilmente Aglaia o Egle, la più giovine delle Grazie,
che
, come vi ho accennato, i mitologi fanno moglie di
mitologi fanno moglie di Vulcano. Simil berretto sospetta il Visconti
che
fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed o
Visconti che fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed osserva
che
nel caso che fosse un elmo, come appare dal diseg
fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed osserva che nel caso
che
fosse un elmo, come appare dal disegno, non disco
egli dice, scorge mi ad Esculapio un uomo barbato vestito di pallio,
che
rende grazie al Nume con un ginocchio a terra e l
hiena, e l’altre due di fronte, e tutte nude, in quella guisa appunto
che
tante statue, bassirilievi, gemme e pitture ce le
buti del ramoscello e delle spiche di grano. Pensa a ragione Visconti
che
sia una tavola votiva offerta da un convalescente
erta da un convalescente al dio della Medicina, fondato sull’analogia
che
colla gratitudine hanno le dee. E a questa, soggi
lucidato. Nè altra relazione hanno le tre Grazie posate sulla patera,
che
ha in mano Gi anone in una medaglia inedita di Fa
ure antiche da Filostrato descritte. Aiace Locrense. — Questi scogli
che
s’avanzano sopra il mare, che loro intorno spuma,
ritte. Aiace Locrense. — Questi scogli che s’avanzano sopra il mare,
che
loro intorno spuma, questo guerriero magnanimo ch
ano sopra il mare, che loro intorno spuma, questo guerriero magnanimo
che
riguarda fieramente e con una certa audacia contr
i coll’intrepido petto. Finalmente avendo guadagnato le Gire, (scogli
che
s’inalzano sul mare Egeo) vomitava arroganti best
a adesso ch’egli è oltraggiato, impugna il suo tridente, e lo scoglio
che
Aiace sostiene sarà scosso onde cada col bestemmi
e Aiace sostiene sarà scosso onde cada col bestemmiatore. Ecco quello
che
vuol dir la pittura. Ma ciò che è evidente si è q
e cada col bestemmiatore. Ecco quello che vuol dir la pittura. Ma ciò
che
è evidente si è questo mare spumante e le rupi ca
. Ma ciò che è evidente si è questo mare spumante e le rupi cavernose
che
ne sono bagnate incessantemente. Quindi una larga
uardare nè al legno, nè verso la terra; e meno teme l’animoso Nettuno
che
viene contro lui, ma persiste sempre nelle ardime
rà immobile contro tutti gli urti dello Dio. — Mennone. — I soldati
che
voi vedete qui sono di Mennone: ma non hanno armi
armi perchè si propongono di fare l’esequie del più grande fra loro,
che
ha ricevuto un colpo d’asta nel petto. Vedendo qu
rchè non sarebbero questi gli Etiopi e quella Troia. Certamente colui
che
si piange è Mennone figlio dell’Aurora, il quale
i minore. Infatti guardate quali immense membra sono stese per terra:
che
folta chioma nutriva per sacrificarla al Nilo, pe
occhi benché spenti dalla morte I Mirate la lanugine della sua barba
che
appena gli fa ombra al volto; ben ciò conviene al
a al volto; ben ciò conviene all’età in cui fu ucciso. Voi non direte
che
Mennone fosse nero perchè questa pura e nativa ne
grato colore. Gli Dei nonostante sono tutti mesti e pensosi; l’Aurora
che
piange a calde lacrime il suo caro figlio contris
calde lacrime il suo caro figlio contrista il Sole, e prega la Notte
che
si affretti di venire più presto del solito per a
orpo col consenso di Giove. Ecco lo trasporta già: essendo la premura
che
si dà espressa nell’estremità del quadro. La sepo
percoterà la bocca, quasi cetra da plettro percossa manderà una voce,
che
consolerà il giorno coll’artifìcioso linguaggio.
esta l’autore degli Inni ed Omero attribuiti. Lasciò scritto Pausania
che
Flegia padre della Ninfa, andando nel Peloponneso
nfini di Epidauro partorì Esculapio, il quale fu esposto in un monte,
che
da questo evento fu chiamato Tittione, quantunque
he da questo evento fu chiamato Tittione, quantunque altri rammentino
che
ciò nei campi Telpusi avvenisse. Ivi è fama ohe i
e il grido di questo prodigio si sparse per quelle regioni. Si vuole
che
questo aio di Esculapio fosse un bastardo di Arca
. Si vuole che questo aio di Esculapio fosse un bastardo di Arcade, e
che
presto pure si diffondesse l’opinione che il nume
se un bastardo di Arcade, e che presto pure si diffondesse l’opinione
che
il nume di poco nato guariva da ogni malat tia. T
ucò nelle arti mediche, per le quali tanto celebrato divenne. Credesi
che
il primo a risentire gli effetti della sua scienz
ella sua scienza salutare fosse un certo Asole di Epidauro tiranno, e
che
in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome d
e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome di lui al dio,
che
prima Apio era detto. Io penso che il nome di Esc
se aggiunto il nome di lui al dio, che prima Apio era detto. Io penso
che
il nome di Esculapio derivi dagli effetti che pro
pio era detto. Io penso che il nome di Esculapio derivi dagli effetti
che
produceva la medicina semplice degli antichi, cio
a questa parte delle umane cognizioni, divenuta col tempo così vasta,
che
alla cura delle ferite. Quantunque Esculapio sia
n perciò il primo esercizio ne fu a lui attribuito. Abbiamo osservato
che
fu istruito, secondo Pindaro, da Chirone l’invent
oglie Epione, e n’ebbe Podalirio rinomato per la medicina, e Macaone,
che
militò con gli altri Greci a Troia. Igia, dea del
aone, che militò con gli altri Greci a Troia. Igia, dea della Salute,
che
con lui si trova sempre unita nei monumenti, seco
ssendo ritornato in vita per la perizia di lui, Giove si sdegnò tanto
che
gli uomini potessero trionfare della morte, che u
Giove si sdegnò tanto che gli uomini potessero trionfare della morte,
che
uccise Esculapio, da Apollo suo padre vendicato e
i più famosi del nume erano in Pergamo e in Tetrapoli. Narra Strabone
che
in questa ultima città, situata fra i Carii e gl’
li tavolette, ove erano scritte le malattie e i nomi di quei creduli,
che
stimavano essere stati coll’aiuto del nume guarit
no, descrive la statua di questo dio velata di un gran panno (di modo
che
si vedeva solamente la faccia, le mani, i piedi)
n panno (di modo che si vedeva solamente la faccia, le mani, i piedi)
che
pare però differente dal solito pallio, che si ve
faccia, le mani, i piedi) che pare però differente dal solito pallio,
che
si vede nel rovescio del medaglione di Vero pubbl
vede nel rovescio del medaglione di Vero pubblicato dal Buonarotti, e
che
vien descritto da Tertulliano, per ornamento dell
apio. In quanto al bastone col serpente avviticchiato, racconta Igino
che
Esculapio se ne servisse per ammazzare il serpent
er ammazzare il serpente, e vien così descritto da Apuleio: — Diresti
che
del dio medico nel bastone, che porta nodoso per
così descritto da Apuleio: — Diresti che del dio medico nel bastone,
che
porta nodoso per rami mezzo potati, fosse attacca
con lubrico ravvolgimento. — Ciò veniva preso per simbolo degli aiuti
che
alla natura umana deve dare la medicina, particol
chiato allo scettro, in mano a due statue del bosco di Trofonio, dice
che
da quello avrebbe qualcheduno congetturato che fo
osco di Trofonio, dice che da quello avrebbe qualcheduno congetturato
che
fossero di Esculapio e della Salute. Era sovente
, secondo l’opinione dei Fenicii e dei Greci, Esculapio altro non era
che
l’aria, dalla quale proviene Igia, sia la buona s
ere ai serpenti in varii templi di Esculapio nutriti, ai quali coloro
che
sacrificavano alla Salute avranno portati i cibi
e secondo Macrobio, riferendosi questi due numi al sole e alla luna,
che
conferiscono alla salute dei corpi, sono forse i
spresso dagli Egizi col ieroglifico della serpe. Ma in quella maniera
che
veniva attribuita la Salute per figliuola ad Escu
r essere il cibo del grano più salubre di tutti; e per moglie Epione,
che
secondo altri gl’insegnò la medicina, per signifi
medicina, per significare i medicamenti lenitivi; sicché dall’autore
che
va sotto il nome di Orfeo, viene invocato Epiodor
l’autore che va sotto il nome di Orfeo, viene invocato Epiodoro, cioè
che
dà le cose lenitive: e tra i figliuoli vi furono
Acesio Sanatare, di cui fa menzione Pausania insieme con Evamerione,
che
significa esser di buona salute e complessione, e
mplessione, e dice essere una medesima cosa con Telesforo e Alexanore
che
vuol dire Scacciatore dei mali. Plinio annovera
Marino poeta de’ Lupercali dà per figliuola di Esculapio anche Roma,
che
significa forza, che i Romani chiamarono valetudi
ercali dà per figliuola di Esculapio anche Roma, che significa forza,
che
i Romani chiamarono valetudine. Era tutta questa
nio si conosce: ma con verun altro non fu fatto così spesso Esculapio
che
con la Salute, e moltissime volte ancora con quel
con la Salute, e moltissime volte ancora con quel piccolo Telesforo,
che
Pausania dice esser così chiamato da’ Pergameni,
lare, e così si scorge nel medeglione pubblicato dal Buonarroti. Pare
che
gli antichi abbiano voluto esprimere in lui un di
sua figlia dea della Salute parlano tanto i mitologi e gli antiquarii
che
non occorre qui ricopiarli, nè aggiunger nulla su
’antico fòro di Preneste, per esser l’unico in marmo di tutto rilievo
che
ci offra unite queste divinità assai spesso congi
« Dico l’unico, perchè di quello di Firenze nella Galleria non resta
che
la statua di Esculapio e una sola mano della Salu
tanto superiore alla mediocre esecuzione del gruppo, nel tempo stesso
che
lo dimostra una copia, ne persuade sempre più la
o dalla stupenda gemma del Museo Stosch, col nome di Aulo. Non è però
che
di Esculapii imberbi non facciano menzione gli an
imamente conservato, ed ha la cortina ai piedi, simbolo degli oracoli
che
solca dare Esculàpio, qual si vede nella bella st
are Esculàpio, qual si vede nella bella statua degli Orti Farnesiani,
che
si crede la stessa di quella dell’Isola Tiberina,
l’altre volte lodato signor Pacetti, e in altre figure. È da notarsi
che
la cortina dell’Esculapio Farnesiano è chiamata n
igli davanti, poiché egli non si asterrà da questo infelice fanciullo
che
resta, mentre i due altri giacciono per terra: eg
Argo, e di uccidere i figli di Euristeo. Voi avete udito in Euripide
che
affrettava colla sferza i cavalli uniti alla biga
rore regna nel suo volto. Voi avete sovente udito dire nelle tragedie
che
le Furie sono causa di tutto questo, ma adesso no
o e dove nascesse. Diodoro Siculo riferisce, dagli Egiziani asserirsi
che
tutto quello che narrasi di Semele e Giove, genit
. Diodoro Siculo riferisce, dagli Egiziani asserirsi che tutto quello
che
narrasi di Semele e Giove, genitori di lui second
ambizione. Cadmo, ripiglia lo storico, profittando della simiglianza
che
un fanciullo nato da Semele sua figlia non unita
suo onore dei sacrifizii, insinuando nell’ingannato volgo la credenza
che
figlio fosse d’Osiride, giacché gran scusa a ques
della colpa. Ma perchè l’umana mente si diletta più del maraviglioso
che
del vero, la storia cede alla favola abbellita da
Ed il sentimento dei sacerdoti egiziani avvalorato viene da Erodoto,
che
paragonando le feste di Bacco e di Osiride, sorpr
ancora dal nome di Dionisio, vale a dire dio di Niso. Giova osservare
che
di Osiride qui era la famosa colonna. Le imprese
se del Nume sono consegnate al poema di Nonno, da cui estrarrò quello
che
per voi vi ha di più interessante. Non vi è nulla
i vi ha di più interessante. Non vi è nulla di più necessario per voi
che
il sapere quale idea gli antichi artefici, guidat
ntichi artefici, guidati sempre dagli scrittori, avessero sulle forme
che
conveniva dare a Bacco. Ed a questa importante ri
e a Bacco. Ed a questa importante ricerca ninno può meglio soddisfare
che
Visconti nella seguente illustrazione di una dell
e Visconti nella seguente illustrazione di una delle più belle statue
che
rappresentino il dio del Vino. « La sorprendente
col disegno: le prime non la dipingeran mai così bene alla fantasia,
che
una giusta immagine se ne faccia: il secondo, per
osità a cui è ridotta la pietra, nè quella delicatezza di lineamenti,
che
serpeggiando quasi insensibilmente su quel bellis
chioma di Bacco, come cose troppo note e comuni: basta il riflettere
che
questo forse è il più costante degli attributi ba
teste sicuramente bacchiche, colle chiome nella stessa guisa disposte
che
quelle che rimanevano attaccate al torso del simu
amente bacchiche, colle chiome nella stessa guisa disposte che quelle
che
rimanevano attaccate al torso del simulacro, comp
esta, fra le altre, merita esser particolarmente rammentata: è quella
che
si ammira nella Galleria di Firenze sul corpo di
teneva a quel gruppo, come lo indica il differente lavoro dei capelli
che
pendono dal capo, e di quelli rimasti congiunti a
ile, gì’ incisi delle treccie, le proporzioni, e quasi le commissure,
che
pare indubitato esser stata quella, o simile, la
a testa è certamente di Bacco, come la corona di pampini, e la fascia
che
stringe la fronte, lo provano. Ma un’altra prova
o di Bacco: o provenisse ciò dall’uso e dal capriccio degli scultori,
che
in tal foggia abbiano voluto rappresentare il dio
re e delle ninfe, o da dogmi di un’antica teologia rediviva nei tempi
che
precedettero la caduta del culto pagano, o da un
recedettero la caduta del culto pagano, o da un genio di moralizzare,
che
fosse dai poeti passato agli artefici, giacché tu
li artefici, giacché tutte e tre le opinioni han fondamento sulle gre
che
e latine autorità: da qualunque principio, ho det
e autorità: da qualunque principio, ho detto, ciò provenisse, certo è
che
uno dei caratteri di Bacco fu quello di essere ra
tatua, non saprei immaginare un più evidente rapporto. « Vero è però
che
come differenti qualità diedero i mitologi a Bacc
tore. Da ciò dee ripetersi tanta varietà di rappresentarlo, tanto più
che
gli statuarii han voluto esprimere in un sol simu
imulacro i suoi diversi attributi, altre volte non ne han considerato
che
un solo. Non tutti, per « sempio, hanno esagerato
hanno misto o una sveltezza o una robustezza maggiore secondo le idee
che
aveano in mente, secondo i siti dove i simulacri
noi in altro monumento così bene espresso queir epiteto feminiforme,
che
lo scrittore della Natura degli Dei credeva esser
uasi all’occhio e alla mano. « Taluno ha creduto rilevarvi il difetto
che
una coscia sia più sottile dell’altra: se si foss
cro, forse nella situazione ne troveremmo il motivo: giacché sappiamo
che
le parti del corpo su cui si fa forza e si preme,
del corpo su cui si fa forza e si preme, acquistano in grossezza ciò
che
perdono in estensione. » Ma prima che v’ inoltri
e, acquistano in grossezza ciò che perdono in estensione. » Ma prima
che
v’ inoltriate in questo mare di Mitologia adempir
scelta la viva pittura fatta da Valerio Fiacco della strage di Lenno,
che
vi accennai parlando di Vulcano, a cui la riconos
ano, a cui la riconoscenza rendeva cara quest’isola. Sarà colpa di me
che
ho tentato tradurre questa parte del poema di lui
ava immenso, E le pene d’Averno: ancor dal Cielo Vulcano egli lanciò,
che
torre osava 1 certi lacci alla tremante madre. Pr
tà: lo trova Prono sopra uno scoglio; aiuto e pianto Offerse al Nume,
che
col fianco infermo Tarda l’alterno passo. Alfine
lieti templi Visita il Nume. Di Ciprigna è sempre Freddo l’altare da
che
i lacci ascosi Svelare al Ciel l’invidiata colpa.
eguale, un pino Sonante vibra con ferale ammanto. Già presso è il dì
che
, vincitor nell’armi. Disperso i Traci avea di Len
cerca: il Padre onnipotente Nega dell’Eter le tranquille sedi A lei,
che
degne e turpi cose grida, E sparge le paure, onde
Annunzia a Lenno La novità del vergognoso amore. Ch’arde i mariti, e
che
nei freddi letti Dolce preda verran le Tracie don
anch’io fra poco Verrò: trarrolle preparate. — Appena Tacque la Dea,
che
alla cittade in mezzo Vola lieta la Fama. Era di
este Di Neera incontrò la Diva, e disse: Sorella mia, volesse il Ciel
che
tale A te nuncia non fossi, e in mar sommerso Fos
A te nuncia non fossi, e in mar sommerso Fosse il nostro dolor: Colui
che
cerchi E coi voti e col pianto, arde l’indegno De
’indegno Dell’amor di una schiava: arde, e ritorna Coll’adultera sua,
che
al casto letto Già s’avvicina: Non per fama egual
piace Sol per le pinte mani, e l’arso mento. Ma con fato miglior fìa
che
tu scelga Altri Penati: pei tuoi figli io tremo:
va matrigna, e dentro il nappo Ai fanciulli spumar l’atro veneno. Sai
che
simili siamo: all’ire aggiungi La ferocia nativa:
finoe e d’Amiton desta nei lari, Risuona tutta la città: raminghe Par
che
da Lenno debban gire, e sorge Ira, dolore: a gara
tace La notte, e traggon colle schiave spose I nuovi sonni, un non so
che
di grande Amor c’ispirerà. — Disse, e rivolse Gli
ccesso! Trucida, e strappa dagl’infausti letti La razza femminil quei
che
gl’immensi Bessi e la Scizia congiurata e l’onde
pile, sostegno? Unica lode Non fia chi te dai versi miei cancelli Fin
che
ai fasti Latini il tempo serva, E staran d’Ilio i
cco , Argon. lib. II, v. 78. Udite adesso la fine infelice di Penteo,
che
dal Poema di Nonno ho tradotto. Vide dell’ arbor
uo figlio: ov’è l’irsuto petto, Ove il ruggito? non ravvisi ancora Me
che
educasti? Ah non mi vedi? i lumi, 11 senno, ahimè
e, addio monti di Tebe, Arbori male ascesi: madre, addio, Cara Agave,
che
il tuo fanciullo uccidi. Mira le guance di lanugi
ia, ed alza Ver lui le mani nel furor concordi; Ed una i piedi a lui,
che
nella polve Si rivolge, traeva: altra gli svelle
a Cadmea Soglia fìggete il sanguinoso capo, Dono di mia vittoria. Ahi
che
tal belva Mai non uccise Ino cognata. Mira, Auton
ul d’Atene Erra il mio Polidoro. Ed io non solo E a chi fugga non so,
che
Penteo è morto, Polidoro smarrito. A qual m’accol
e del sanguigno capo, E gridando mandò tal voce: Bacco, Bacco crudel,
che
mai non sazia il sangue Della tua stirpe. A me la
ai non sazia il sangue Della tua stirpe. A me la rabbia antica Rendi:
che
di furor specie più cruda Ho, la saviezza. Fa che
abbia antica Rendi: che di furor specie più cruda Ho, la saviezza. Fa
che
un’altra volta Forsennata divenga, e Penteo fiera
mio figlio inalzo il capo, Non quello d’un leone. te felice Autonoe,
che
Atteon morto piangesti; Ma tu fosti innocente: io
Canto del poema di Nonno; onde da questo io dò principio all’estratto
che
ho promesso di darvi di questo poema. Ci presenta
e rovine del mondo. La specie umana era in preda alle cure, e il vino
che
le dissipa non era ancora stato concesso ai morta
no escite tutte le sciagure, e non riconosce la prudenza di Prometeo,
che
per rimediarvi non ha pensato dì togliere agli De
diarvi non ha pensato dì togliere agli Dei il loro nettare, piuttosto
che
il fuoco sacro. Giove dopo averlo udito, cerca di
no, e gli rivela il mistero della nascita futura di Bacco suo figlio,
che
deve portare agli uomini un liquore dolce quanto
ighe i solchi, e presto mio figlio farà scorrere dei ruscelli di vino
che
spremerà dai frutti dell’autunno. Tutta la terra
Giove al palazzo di Giunone. Non ostante l’Amore, quel nume accorto,
che
non prende lezioni che da se stesso, e che govern
unone. Non ostante l’Amore, quel nume accorto, che non prende lezioni
che
da se stesso, e che governa il tempo, dopo avere
’Amore, quel nume accorto, che non prende lezioni che da se stesso, e
che
governa il tempo, dopo avere scosse le porte tene
vere scosse le porte tenebrose del Caos, si avanzava col suo turcasso
che
rinchiudeva i dodici dardi di fuoco destinati a t
i diverse. Ogni dardo aveva la sua iscrizione. Egli scelse il quinto,
che
renderlo doveva amante di Semole: lo allacciò di
edera, lo intinse nel nettare, afiinchè Bacco facesse salire l’umore
che
ci dona l’autunno. Qui il poeta ci dipinge Semele
’umore che ci dona l’autunno. Qui il poeta ci dipinge Semele giovine,
che
nel mattino, vigilante al par dell’Aurora, sferza
ra, sferzava i muli attaccati a un carro, in conseguenza di un sogno,
che
aveva avuto, e del quale il poeta racconta i part
eta racconta i particolari. Vi si distingueva sopra tutto un presagio
che
annunziava il fulmine da cui sarebbe colpita, e l
presagio che annunziava il fulmine da cui sarebbe colpita, e la cura
che
prese Giove del suo figlio, che nascose nella sua
ine da cui sarebbe colpita, e la cura che prese Giove del suo figlio,
che
nascose nella sua coscia, finché avesse condotto
hé avesse condotto al termine un fanciullo armato di corna di toro, e
che
sembrava essere della natura di questo animale. C
el tempio di Minerva per sacrificare a Giove dio del Fulmine un toro,
che
rappresenta l’immagine di Bacco, ed un capro nemi
ve scese per bagnarsi. Amore vibrò la sua freccia nel cuore di Giove,
che
per meglio osservare la sua amante si cangiò in a
maraviglia del re degli Dei nel mirare le grazie della bella Semele,
che
a Venere paragona. Lo splendore del giorno nuoce
i suoi piaceri. Finalmente giunge la notte: il cielo non è illuminato
che
dalle stelle. Giove discende sopra Semele, e gli
ele, e gli prodiga i suoi favori, prendendo presso lei tutte le forme
che
r antichità attribuisce a Bacco. Finalmente si fa
ità attribuisce a Bacco. Finalmente si fa conoscere dalla sua amante.
che
divien madre in mezzo ai fiori, e tra il fragore
ivien madre in mezzo ai fiori, e tra il fragore dei fulmini del nume,
che
solo fra gì’ immortali li vibra. Egli la consola,
a figlia di Cadmo incinta nel palazzo di suo padre. Già le sue forme,
che
diventano rotondeggianti, accusano la sua colpa.
si prepara a danzare, e a imitare i cori delle Baccanti, e il figlio
che
s’ agita nel suo seno sembra accompagnare la madr
l suo sposo, delle quali il cielo conserva ancora tutta l’istoria, da
che
egli vi ha trasportate tutte le sue amanti, e i f
istoria, da che egli vi ha trasportate tutte le sue amanti, e i figli
che
ha avuti da donne mortali. Callisto occupa le vic
tutta la razza dei mortali. Io vado a ritirarmi in Tracia, piuttosto
che
esser testimonio di questa profanazione del tempi
della balena. — Così parlava l’ Invidia gelosa dei destini di Semele,
che
la chiamavano al cielo col suo fiolio. Giunone me
rsi di questa nuova amante. Ella s’indirizza alla dea della Furberia,
che
errava sulle montagne di Creta sua casa: le racco
le racconta i suoi dispiaceri e i suoi timori: ella le dice di temer
che
Giove non finisca per bandirla dal cielo, e ne fa
finchè ella possa con questo richiamare nell’Olimpo Marte suo figlio,
che
se n’ è esiliato. La dea della Furberia, ingannat
e è pubblicamente attaccato. La interroga qual è il mortale, o il dio
che
ha avuto i suoi primi favori. Dopo molte dimando
dio che ha avuto i suoi primi favori. Dopo molte dimando la persuade
che
, se lo crede Giove, lo inviti a venire da lei in
o amante questo contrassegno distinto della sua tenerezza. Ella vuole
che
si mostri a lei come a Giunone quando con essa il
acco, incarica Mercurio di togliere il fanciullo ai fuochi. terribili
che
consumeranno la madre. Fa rivelare all’ amante i
pericoli ai quali si espone: termina finalmente coli’ accordarle ciò
che
richiede. Semele s’ insuperbisce di questo favor
e ciò che richiede. Semele s’ insuperbisce di questo favor singolare,
che
la pone infinitamente al di sopra delle sue sorel
co. Il suo figlio per mezzo delle cure di Mercurio fugge all’incendio
che
consuma sua madre. Giove sensibile all’infelicità
quanto fosse terribile l’ira di Giunone. Il caso di Atamante e d’ Ino
che
ho tradotto da Ovidio n’ è un esempio ancor più t
crizione del poeta vi espongo la favola brevemente. Irritata Giunone,
che
dopo la morte di Semele Ino sua sorella si fosse
andò ad Atamante Tisifone, la quale turbògli in tal maniera la mente,
che
prese il proprio palazzo per un bosco, la moglie
pero, promesse, onde commova Le dive. Appena di parlar Giunone Cessò,
che
scosse l’arruffata chioma Tisifone, e divise i se
i serpi opposti Dalla pallida fronte. Uopo di detti, Dicea, non avvi,
che
fatto figura Quello che imponi: l’inamabil regno,
llida fronte. Uopo di detti, Dicea, non avvi, che fatto figura Quello
che
imponi: l’inamabil regno, O diva, lascia, e torna
tre paventa L’alta prole di Cadmo, in sen le vibra Il composto furor,
che
le percorre L’intime fibre. Allor, scagliata in a
elva, della moglie insegue L’orme, e rapisce dal materno seno Learco,
che
ridendo a lui tendeva Le pargolette braccia, e be
ondo, Vicino a Giove nel poter, ti chieggo Alte cose: pietà dei miei,
che
vedi Neir Ionio per vasta onda sonante Sbalzati.
ome. Adora Leucotoe in Ino, e Palemon nel figlio Travagliato nocchier
che
il lido afferra. Ovidio , Metamorf., lib. IV,
ne Bacco, finché il parto arrivasse al suo termine, e non ve lo tolse
che
per darlo alla luce. Nell’istante di questa nuova
cco, cioè di toro e di serpente. Quindi il poeta ci dipinge Mercurio,
che
lo porta a traverso dell’aria per confidarlo alle
nume bambino dalle mani d’Ino per darlo in deposito a Rea, a Cibele,
che
ne prende cura. Dalla sua più tenera giovinezza l
eniva forte ogni giorno sotto la tutela di Rea. Nonno dipinge i Pani
che
danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il
danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il corteggio del dio,
che
ha le forme di toro. Celebrano queste danze, ripe
e di toro. Celebrano queste danze, ripetendo il nome del dio, intanto
che
Semole ancora ardente nei cieli s’ insuperbisce d
’ insuperbisce della fortuna del suo figlio, e delle cure particolari
che
ne prendono Cibele e Giove. Nonostante Giunone ir
he ne prendono Cibele e Giove. Nonostante Giunone irritata contro Ino
che
aveva osato di nutrire, Bacco si dichiara contro
si dichiara contro essa, e riempie la sua casa di quelle infelicità,
che
Ovidio vi descrisse in parte nella passata Lezion
. Il poeta ci dipinge questo bel fanciullo, e le sue grazie nascenti,
che
a Bacco inspirano affetto. Il dio si volge verso
più lusinghiere: lo interroga sulla sua nascita, e finisce per dire,
che
lo conosce e sa che è figlio del Sole e della Lun
interroga sulla sua nascita, e finisce per dire, che lo conosce e sa
che
è figlio del Sole e della Luna. Bacco se ne innam
è figlio del Sole e della Luna. Bacco se ne innamora: non è contento
che
con lui, e si affligge della sua assenza. L’amore
ze. Qui il poeta ci fa la descrizione dei loro giuochi. Si vede Bacco
che
prende piacere a lasciarsi superare da quello che
ochi. Si vede Bacco che prende piacere a lasciarsi superare da quello
che
ama. Ampelo è sempre vincitore alla lotta e alla
elo è sempre vincitore alla lotta e alla corsa. È facile di avvedersi
che
tutto ciò non è che un’ allegoria sull’ amore di
re alla lotta e alla corsa. È facile di avvedersi che tutto ciò non è
che
un’ allegoria sull’ amore di Bacco per la vigna.
ore di Bacco per la vigna. Diodoro espone ciò semplicemente, narrando
che
Bacco allevato in Nisa scoperse in mezzo ai giuoc
to in Nisa scoperse in mezzo ai giuochi della fanciullezza la vite, e
che
imparò a spremerne l’umore. Il Canto seguente con
delle foreste, e si espone a ricevere dei teneri rimproveri da Bacco,
che
tutti i pericoli gli dimostra: lo avverte sopratu
, come Bellerofonte sul Pegaso, e con altrettanta sicurezza di Europa
che
non ebbe bisogno di freno per condur quello che l
a sicurezza di Europa che non ebbe bisogno di freno per condur quello
che
la rapì. Il caso conduce precisamente un toro dis
otto. Que sta dea lo punisce della sua insolenza, mandando un assillo
che
punge il toro. L’animale furioso rovescia il giov
sillo che punge il toro. L’animale furioso rovescia il giovine Ampelo
che
muore della caduta. Un Satiro testimonio di quest
a caduta. Un Satiro testimonio di questa sventura l’annunzia a Bacco,
che
inconsolabile diviene. Egli bagna di lacrime il c
e di rose e di gigli. Versa nelle piaghe l’ambrosia donatagli da Rea,
che
dopo la metamorfosi di Ampelo in vite, bastò per
olore: minaccia della sua vendetta il toro crudele nello stesso tempo
che
pasce i suoi occhi nel veder le grazie del suo mi
r le grazie del suo misero amante. Egli accusa l’ Inferno inesorabile
che
non rende le sue prede. Scongiura Giove di voler
o giovinetto. Gli racconta per questo oggetto una graziosa favoletta,
che
contiene un’ allegoria fisica sulla spiga e sul g
favoletta, che contiene un’ allegoria fisica sulla spiga e sul gambo
che
la sostiene, nei nomi di Calamo e Carpo. Ma nulla
escrizione, vanno alla reggia del Sole, e ognuna di loro ha ornamenti
che
la caratterizzano. Il Canto duodecimo ci rapprese
caratterizzano. Il Canto duodecimo ci rappresenta le Stagioni stesse
che
arrivano sulle rive dell’Oceano nel pa lazzo del
e della sera, nella quale si distingue la pittura dei quattro cavalli
che
traggono il carro del Sole, e quella delle dodici
tro cavalli che traggono il carro del Sole, e quella delle dodici Ore
che
gii danzano intorno formando un coro circolare. Q
he gii danzano intorno formando un coro circolare. Qui è la preghiera
che
indirizza a Giove una delle Stagioni, quella dell
ghiera che indirizza a Giove una delle Stagioni, quella dell’Autunno,
che
gli dimanda di non restar sola senza funzioni, e
ola senza funzioni, e di affidarle la cura di maturare i nuovi frutti
che
produrrà la vigna. Giove le dà lusinghiere speran
dalla mano dell’ indovino Fanes, il primogenito dei mortali: le dice
che
sulla terza tavola, ove sono scolpite le figure d
Lione e della Vergine ella vi troverà il frutto prodotto dalla vigna;
che
nella quarta vi distinguerà certo re che presiede
frutto prodotto dalla vigna; che nella quarta vi distinguerà certo re
che
presiede al nettare delizioso che si spreme dalla
ella quarta vi distinguerà certo re che presiede al nettare delizioso
che
si spreme dalla vite, e la figura di Ganimede cht
niverso il fato sta scritto. Vi scorge una Tavola antica quanto esso,
che
conteneva tutto ciò che aveano fatto Ofione e il
tto. Vi scorge una Tavola antica quanto esso, che conteneva tutto ciò
che
aveano fatto Ofione e il vecchio Saturno. Sulla s
lla seconda Tavola erano gli avvenimenti dell’altra età, e il diluvio
che
gli compisce. Nella terza l’avventura dTo, d’Argo
ferenti per giungere a quello ove sono scolpiti i caratteri del Lione
che
segue la Vergine, la quale tiene il frutto dell’A
unno. Finalmente la giovine ninfa cerca cogli occhi la quarta Tavola,
che
offre l’immagine della coppa di Ganimede dalla qu
mmagine della coppa di Ganimede dalla quale il nettare scorre, e vede
che
il destino accordava a Bacco la vite, come conces
natura intera sembrava dividere il suo dolore. La Parca gli annunzia
che
il suo caro Ampelo non è morto del tutto; che non
. La Parca gli annunzia che il suo caro Ampelo non è morto del tutto;
che
non passerà l’Acheronte, e diverrà per i mortali
heronte, e diverrà per i mortali la sorgente di un liquore delizioso,
che
sarà la consolazione del genere umano e ritrarrà
ime dei mortali siano asciugate. Appena ebbe terminate queste parole,
che
un prodigio colpì gli occhi del dio. Il corpo del
o amico si cangia in un istante, s’inalza sotto le forme d’un arbusto
che
produce l’uva, e forma una vite. Il nuovo albero
spreme fra le sue dita, e ne fa scorrere l’umore in un corno di bove
che
gli serve di coppa. Lo gusta, e s’applaudisce del
i dice, sarà un rimedio contro tutti i dolori. Ecco r origine poetica
che
Nonno dà a questo liquore. A questa prima tradizi
uore. A questa prima tradizione ne aggiunge pure un’ altra. Supponete
che
la vite, pianta selvaggia, crescesse sulle rupi,
specie di strettoio in cui mettere l’ uve. Egli le preme coi Satiri,
che
ben presto divengono ubriachi per la forza del nu
er la forza del nuovo liquore. Vien descritta la vendemmia e le danze
che
1’ accompagnano, e questo episodio termina il duo
Questo fulmine, in apparenza così terribile ed impetuoso, e il baleno
che
così scintilla alla vista, il fuoco che si sprigi
ile ed impetuoso, e il baleno che così scintilla alla vista, il fuoco
che
si sprigiona dalla sede degli Dei, tutto ciò si r
mole, la quale è già spirata, e Bacco nasce in mezzo al fuoco, mentre
che
la madre nelle sembianze di un’ ombra sale nel ci
o. Ma Bacco esce dal seno materno più rilucente di una stella, mentre
che
la fiamma, separandosi, gli forma una grotta più
Ma Citerone in umane sembianze piangerà ben tosto i lacrimevoli casi
che
vi avverranno. Ha per ora una corona di edera che
i lacrimevoli casi che vi avverranno. Ha per ora una corona di edera
che
gli pende con negligenza sulla testa, e sembra pr
overe essere ornato per la nascita di Bacco. Ecco l’arrabbiata Megera
che
pianta dei salci accanto a lui, e fa sorgere una
a sorgere una fontana d’ acqua viva pel sangue di Atteone e di Penteo
che
sparger vi si deve. — Penteo. — Qui sono dipint
Penteo che sparger vi si deve. — Penteo. — Qui sono dipinte le cose
che
avvennero sul Monte Citerone: le danze, i cori de
rupi dalle quali scorre il vino, nettare dei mortali. Vedete l’edera
che
s’arrampica, i serpenti che strisciano sul monte,
vino, nettare dei mortali. Vedete l’edera che s’arrampica, i serpenti
che
strisciano sul monte, o annodano i tirsi, gli alb
, i serpenti che strisciano sul monte, o annodano i tirsi, gli alberi
che
stillano, miele. Ecco là un grosso salcio rovesci
le. Ecco là un grosso salcio rovesciato, forza maravigliosa per donne
che
non siano invase da Bacco. Le scellerate hanno ge
ra il proprio figlio pe’ capelli. Voi direste di vederle veramente, e
che
gridino dalla gioia: tanto i loro spiriti dal fur
le donne coi suoi sdegni violenti. Elleno non s’ avveggono di quello
che
fanno, nè come Penteo loro gridi misericordia: no
i quello che fanno, nè come Penteo loro gridi misericordia: non odono
che
il ruggito di un leone. Ecco le cose che passano
ridi misericordia: non odono che il ruggito di un leone. Ecco le cose
che
passano sopra la montagna. Quanto a quello che do
un leone. Ecco le cose che passano sopra la montagna. Quanto a quello
che
dopo vedete, è Tebe, la reggia di Cadmo, e un gra
la reggia di Cadmo, e un gran pianto nel Fòro. I parenti, gli amici,
che
riuniscono il corpo onde porlo sulla pira. La tes
corpo onde porlo sulla pira. La testa di Penteo è talmente sfigurata
che
Bacco stesso n’ha compassione: è nel primo fiore
ad ira. Ah fu ben stoltezza il non avere infuriato con Bacco: Ma ciò
che
accade alle donne è degno di gran compassione: qu
Bacco: Ma ciò che accade alle donne è degno di gran compassione: quel
che
non conobbero nel Citerone, qui è loro tutto mani
manifesto. Non solamente il furore le ha stancate, ma ancora la forza
che
le rese forsennate. Sulla montagna piene di ardor
e. Agave vorrebbe abbracciare il suo figlio, ma non ardisce toccarlo:
che
ha le mani, il seno, le gote tinte del di lui san
dell’Indie, Giove invia Iride al palazzo di Rea per comandare a Bacco
che
vada a combattere gl’Indiani, cacci dall’Asia que
Indiani, cacci dall’Asia questi ingiusti, uccida il principe Deriade,
che
significa Bissa, loro re, che sotto forma di Cera
i ingiusti, uccida il principe Deriade, che significa Bissa, loro re,
che
sotto forma di Cerasta nata dall’acqua dei fiumi,
nichi quindi a questi popoli le sue orgie e i doni della vite. E noto
che
i misteri di Bacco e l’invenzione del vino si cel
la da Rea, beve il nuovo liquore, intima a Bacco gli ordini di Giove,
che
gli comanda di sterminare una nazione che non sa
Bacco gli ordini di Giove, che gli comanda di sterminare una nazione
che
non sa rispettare gli Dei. Gli annunzia che solo
di sterminare una nazione che non sa rispettare gli Dei. Gli annunzia
che
solo a questo patto le Ore gli apriranno un giorn
olo a questo patto le Ore gli apriranno un giorno le porte del cielo,
che
non si acquista senza gloriose fatiche. Lo stesso
quista senza gloriose fatiche. Lo stesso re degli Dei non vi è giunto
che
dopo aver vinti ed incatenati i Giganti. Adempiut
invia il capo dei suoi cori e delle sue danze per riunire un’armata,
che
deve esser comandata da Bacco. Si legge il lungo
esser comandata da Bacco. Si legge il lungo cataloga di tutti quelli
che
si riuniscono sotto gli stendardi del nume. Vi si
o stati cogli Argonauti, nè vi manca l’ordinario corteggio di Cibele,
che
rassomiglia molto quello dei misteri di Bacco. Vi
e le genti dell’Attica hanno parte in somma nella spedizione del pari
che
gl’Italiani da Fauno comandati. Emazione conduce
Canto comprende l’enumerazione dei differenti popoli dell’Asia Minore
che
si riuniscono a Bacco. Nel Canto seguente il poet
si riuniscono a Bacco. Nel Canto seguente il poeta ci dipinge Cibele
che
arma in favore di Bacco i suoi Genii e i suoi Dei
no, tutta la truppa dei Satiri, i figli delle ladi, le figlie di Lamo
che
aveano nutrito Bacco. Le ninfe Oreadi, le Baccant
Bacco si move. Il poeta ne descrive la sua armatura, i suoi vestiti,
che
rappresentavano il cielo e le stelle. Con questo
o. Dipinge quindi il poeta l’insolenza del generale indiano Astraide,
che
accampa il suo esercito sulle rive dell’Astaco, d
e in vino da Bacco dopo la disfatta di una parte degl’Indiani. Quelli
che
avanzano, maravigliati della loro perdita, bevono
avanzano, maravigliati della loro perdita, bevono 1’ onda del fiume,
che
prendono per nettare, e di cui non possono mai sa
a una ninfa detta Nice, Vittoria. Questa era una giovine cacciatrice,
che
stava sopra una rupe scoscesa avendo ai suoi pied
tava sopra una rupe scoscesa avendo ai suoi piedi un leone terribile,
che
abbassava davanti a lei la sua terribile criniera
ua terribile criniera. In vicinanza abitava un bifolco chiamato Imno,
che
si era innamorato della ninfa. E espressa la pass
ella ninfa. E espressa la passione di lui, con l’ostinazione di Nice,
che
ribelle a’ suoi voti respinge le sue preghiere, e
te d’ Imno non fu impunita. L’ amore scocca una freccia contro Bacco,
che
scorge la fanciulla in un bagno, e ne diviene ama
va per togliersi la sete, si ubriaca e dorme. L’amore avverte Bacco,
che
coglie la favorevole occasione per commettere cos
ende le armi di nuovo. Il diciassettesimo Canto ci rappresenta Bacco,
che
di nuovo marcia contro gl’Indiani, prosegue le su
ue le sue conquiste in Oriente coli’ apparecchio meno di un guerriero
che
del capo di una festa Bacchica. Arriva sulla terr
del capo di una festa Bacchica. Arriva sulla terra fertile di Alibe,
che
il tranquillo Eudi bagna colle sue acque. Quivi u
la descrizione della capanna e del convito frugale offerto allo dio,
che
all’ospite dà in ricompensa a gustare del suo nuo
di già partecipata la furberia impiegata da Bacco contro gl’Indiani,
che
avea sulle rive dell’Astaco disfatti. Oronte era
vo per domandargli la pace. Il seguente Libro ci rappresenta la Fama,
che
pubblica in tutta l’Assiria le maravigliose impre
o e Meti sua moglie, ed aveva Pito per capitano. Questi eroi non sono
che
allegorici: Stafilo significa uva, Botri grappolo
Meti ubriachezza, Pito botte. Il poeta ci rappresenta Stafilo e Botri
che
sopra un carro vanno davanti a Bacco, e lo invita
el re di Assiria, delle ricchezze delle quali fa pompa, e del convito
che
prepara. Vi si distingue sopra tutto la principes
convito che prepara. Vi si distingue sopra tutto la principessa Meti,
che
per la prima volta che beve il liquore che Bacco
si distingue sopra tutto la principessa Meti, che per la prima volta
che
beve il liquore che Bacco le versa, diviene ebra,
tutto la principessa Meti, che per la prima volta che beve il liquore
che
Bacco le versa, diviene ebra, come il suo sposo S
ro ebrezza: in seguito vanno a dormire come Bacco. Lo dio ha un sogno
che
lo sveglia, s’arma, chiama i suoi Satiri: Stafilo
secondo. Il resto di questo Canto contiene la descrizione dei giuochi
che
fa celebrare Bacco accanto al sepolcro di Stafilo
l’udire da Manilio poeta latino la descrizione di questo avvenimento,
che
ho tradotta. Il fatto è troppo noto per aver biso
ta. Il fatto è troppo noto per aver bisogno di spiegazione: dirò solo
che
Andromeda era figliuola di Cefeo re di Etiopia, e
lo che Andromeda era figliuola di Cefeo re di Etiopia, e di Cassiopea
che
aveva avuto r ardire di credersi più bella di Giu
più bella di Giunone. Nettuno per vendicar la sorella mandò un mostro
che
desolava il paese, e al quale, onde por fine al p
usa della pena, ha fermo Per la guerra del mar gire alle nozze, Ancor
che
venga altra Medusa. Affretta L’aereo corso, e i g
alza, e Tonde Fuggono accavallate in lunghe schiere L’urto del mostro
che
s’ inalza: il mare Scorre e suona nei denti, ed a
irava, e teme Del suo liberator di sé scordata: Sospira, e il cor più
che
le membra pende: Ruina alfin col lacerato corpo I
prepara gli appartamenti per dormire. Vi è la descrizione di un sogno
che
ha lo dio, nel quale la Discordia, colle sembianz
move l’esercito. Botri e Pito si uniscono ai Satiri e alle Baccanti,
che
compongono l’armata di Bacco. Lo dio dirige le su
feroce, del quale il poeta fa un ritratto così terribile, come quello
che
Y antichità ha fatto di Enomao, col quale Licurgo
allevato. Ornava le porte del suo palazzo colle teste degl’ infelici
che
aveva uccisi, come Polifemo in Virgilio. Questo p
li inerme. Bacco persuaso arriva senz’ armi al palazzo del re feroce,
che
sorride con aria sdegnosa del suo corteggio: mina
a Nereo consolato. Licurgo minaccia con un discorso insolente il mare
che
ha ricevuto Bacco. Il Canto seguente comincia col
Canto seguente comincia col combattimento di Ambrosia contro Licurgo,
che
la fa prigioniera. La Terra soccorre Ambrosia e l
are, scatena le tempeste, scuote la terra: ma nulla spaventa Licurgo,
che
sfida le Baccanti e il potere degli Dei che prote
a nulla spaventa Licurgo, che sfida le Baccanti e il potere degli Dei
che
proteggono il dio del Vino. Comanda che si taghno
accanti e il potere degli Dei che proteggono il dio del Vino. Comanda
che
si taghno le vigne per tutto, e minaccia Nereo e
un dio: ma Giove, onde togliere questo esempio, acceca il re feroce,
che
non può riconoscere il suo cammino. Intanto le Ne
suoi parenti, divinità marine, gli sono liberali d’ ogni cura, mentre
che
i Satiri lo cercano e lo piangono sopra la terra.
a contro il nume le prime minacele, e rimanda il suo araldo. Gli dice
che
se vuol rivolgere i suoi passi verso la Battriana
tonte. Quanto a lui ricusa i suoi doni e il suo vino, e non vuol bere
che
le acque dell’Idaspe. L’Acqua e la Terra, queste
divinità. Porta queste risposte a Bacco, dice Deriade, ed annunziagli
che
io l’aspetto. Intanto la gioia pel ritorno di Bac
la pugna. Ma un Amadriade scopre il loro disegno ai soldati di Bacco,
che
s’ armano segretamente. Gl’Indiani schierati assa
rmano segretamente. Gl’Indiani schierati assalgono l’armata di Bacco,
che
fugge con inganno per condurli neUa pianura. Inco
Baco e a Bacco. I miseri si uccidono tra loro, e Bacco non risparmia
che
il solo Turco, perchè sia testimonio della sua vi
nemica dello dio invita l’Idaspe a dichiarar la guerra al vincitore,
che
si prepara a traversarlo. Appena si è inoltrato n
citore, che si prepara a traversarlo. Appena si è inoltrato nel fiume
che
l’Idaspe impegna Eolo a sollevar le sue onde spri
sollevar le sue onde sprigionando i venti. È descritta la confusione
che
questo avvenimento pone neir esercito di Bacco. L
to avvenimento pone neir esercito di Bacco. Lo dio minaccia il fiume,
che
diviene più furioso. Bacco gli arde il suo letto.
aria Eaco suo figlio. Intanto Turco annunzia a Deriade la gran strage
che
Bacco ha fatta degl’ Indiani sulle rive dell’Idas
ha fatta degl’ Indiani sulle rive dell’Idaspe. È descritto il dolore
che
sparse la nuova nel campo di Deriade, e la gioia
critto il dolore che sparse la nuova nel campo di Deriade, e la gioia
che
regnava in quello di Bacco. I vincitori, fra i pi
iche Cosmogonìe, la guerra dei Giganti, l’imprigionamento di Saturno,
che
negli abissi del Tartaro impiega vanamente le arm
rtaro impiega vanamente le armi dell’Inferno per difendersi, e Venere
che
lavora l’opera di Minerva. Quindi i soldati si ab
lla Musa per invitarla a cantare la guerra delle Indie, e si protesta
che
, seguendo l’esempio di Omero, non canterà che gli
le Indie, e si protesta che, seguendo l’esempio di Omero, non canterà
che
gli ultimi anni. Pone Bacco al di sopra di Perseo
ltimi anni. Pone Bacco al di sopra di Perseo, di Ercole, e degli eroi
che
pugnarono sotto le mura di Troia. Quindi descrive
ne degli abitanti sulle rive del Gange, e la disperazione di Deriade,
che
avea saputo che le acque dell’Idaspe si erano can
i sulle rive del Gange, e la disperazione di Deriade, che avea saputo
che
le acque dell’Idaspe si erano cangiate in vino, e
ume vergognandosi del riposo in cui languiva, si duole degli ostacoli
che
Giunone ai suoi trionfi frappone. Ati l’amante di
eh’ edificarono col suono della lira Tebe dalle sette porte; l’aquila
che
rapisce Ganimede, e il combattimento di Damasene
e è risuscitato per virtù d’ una certa pianta chiamata fior di Giove,
che
applicata richiama pure in vita Tilo vittima infe
re in vita Tilo vittima infelice di questo animale. Si vedeva pur Rea
che
aveva partorito di poco; e Saturno che divora le
sto animale. Si vedeva pur Rea che aveva partorito di poco; e Saturno
che
divora le pietre che prende pei suoi figli. Tali
a pur Rea che aveva partorito di poco; e Saturno che divora le pietre
che
prende pei suoi figli. Tali erano a un dipresso i
tti mitologici scolpiti sul magnifico scudo inviato da Rea a Bacco, e
che
attraeva la vista di tutte le schiere. Giunge la
lo muove a combattere con Bacco. — Tu dormi, Deriade, gli dice. Un re
che
deve esser vegliante per difendere il suo popolo
nte tuo genero vive ancora, ed egli non è vendicato. Mira questo seno
che
porta l’orma della larga ferita che vi ha fatto i
non è vendicato. Mira questo seno che porta l’orma della larga ferita
che
vi ha fatto il tirso del tuo nemico. Perchè Licur
e le antiche sembianze. Deriade unisce incontanente i suoi guerrieri,
che
chiama da tutte le parti dell’Oriente. Agreo e Fl
ndre di elefanti compaiono. Comanda questo esercito numeroso Deriade,
che
si gloria di discendere dall’Idaspe e da Astraide
ta degl’Indiani, la loro veste, la loro armatura è descritta del pari
che
l’armata di Bacco, la quale si distribuisce in qu
nteressarsi per la difesa di Bacco, mostrando loro le diverse ragioni
che
esigono da esse questo interesse. Gli Dei si divi
: Pallade, Apollo, Vulcano, Minerva secondano i voti di Giove, mentre
che
Giunone riunisce contro Bacco Marte, l’Idaspe e l
che Giunone riunisce contro Bacco Marte, l’Idaspe e la gelosa Cerere,
che
devono opporsi alle imprese del dio. Ora udite da
ere, che devono opporsi alle imprese del dio. Ora udite da Flostrato,
che
traduco, la descrizione di antiche pitture. Pelo
escrizione di antiche pitture. Pelope ed Ippodamia. — La maraviglia,
che
qui vedete, deriva da Enomao arcade, e di Arcadia
he qui vedete, deriva da Enomao arcade, e di Arcadia sono pure quelli
che
gridando incontro gli si fanno, perchè la quadrig
bianchi. agili, obbedienti al freno, e nitriscono in modo sì benigno,
che
la vittoria promette. Considerate Enomao rovescia
mao rovesciato, fiero ed orribile, e simigliante a Diomede di Tracia,
che
il suo destriero pasceva di sangue. Riconoscerete
suo destriero pasceva di sangue. Riconoscerete alla bellezza Pelope,
che
giovine ministrava il vino agli Dei sul monte Sip
no agli Dei sul monte Sipilo, onde Nettuno talmente s’ invaghì di lui
che
gli fé’ dono di questo cocchio, col quale potrebb
e profonde onde presentare una corona di ulivo selvaggio al vincitore
che
passa lungo le sue rive. Quelli che cercavano le
a di ulivo selvaggio al vincitore che passa lungo le sue rive. Quelli
che
cercavano le nozze d’Ippodamia sono sepolti nei m
Quelli che cercavano le nozze d’Ippodamia sono sepolti nei monumenti
che
vedete, e sono nel numero di tredici: la terra ha
la terra ha prodotti dei fiori intorno ai loro sepolcri, onde sembra
che
si rallegrino della vittoria ottenuta sul loro cr
o morto in mezzo alle fiamme, più grande dell’ordinario, questa donna
che
si getta disperatamente nel fuoco, tutto ciò è st
i portato cogli altri alla patria, ed ebbe gli stessi onori ed uffici
che
Tideo, Ippomedonte e gli altri. Di più la sua mog
coli amorini danno fuoco al rogo colle loro fiaccole. Ed è ben giusto
che
la loro fiamma sia destinata a così nobile uso, p
tinata a così nobile uso, poiché qual vittima più degna di una moglie
che
s’ immola per amor del marito: — Lezione sess
eta nel Canto xviii ne descrive l’ordinanza dell’esercito, egualmente
che
il primo assalto. Faleno si misura con Deriade, e
ani viene per rianimare il coraggio e il furore di Deriade loro capo,
che
unisce le sue truppe, e con nuovo impeto rinnova
co sostiene l’urto dell’esercito, animato dall’esortazione dello dio,
che
investe con nuovo vigore i nemici. Melaneo, il ne
orso vola Alcone suo fratello. Eurimedonte invoca Vulcano loro padre,
che
copre Morreo colle sue fiamme. Ma l’I daspe padre
ingue: uccide Flogio, ed insulta alla sua disfatta. Il famoso Tettafo
che
la sua figlia avea nutrito col proprio latte nell
iglia, numera le altre vittime di Morreo, Alcimachia ed altre Menadi,
che
hanno i nomi coll’Iadi comune. Giunone sostiene D
e. Giunone sostiene Deriade, e terribile lo rende agli occhi di Bacco
che
prende la fuga: Minerva lo richiama al combattime
o, fa strage di gran quantità d’Indiani, e ferisce Melanione il nero,
che
nascoso sopra un albero avea molti uccisi. Ma Giu
La tremenda s’irrita delle fortune di Bacco più della stessa Giunone,
che
a lei si rivolge con un sorriso disdegnoso e con
spoglia della figura di serpente, e prende quella di gufo, aspettando
che
Giunone le annunzi il sonno di Giove, secondo gli
d Iride va nell’Olimpo a render conto della sua imbasciata a Giunone,
che
prepara altri artifizi per sedurre Giove. Va a tr
ione: Giunone le espone i suoi timori sulle conseguenze dell’afi’etto
che
Giove ha per Semole e per Bacco, al quala dà sede
ve ha per Semole e per Bacco, al quala dà sede nell’Olimpo. Ella teme
che
non giunga a piantare nell’Olimpo la vigna e sost
sostituisca questo liquore al nettare delizioso. Prevede i disordini,
che
l’ubriachezza porterà fra gli Dei, e l’esiglio al
dal sonno dell’amore domato. Venere aderisce alle dimando di Giunone,
che
tosto dirige il suo volo verso l’Olimpo, ove ella
uovi ornamenti aggiunge alla sua bellezza. Quindi s’avvicina a Giove,
che
dell’antica fiamma i segni risente. Il suo amore
ua sposa, alla quale confessa il suo violento afietto per lei. Mentre
che
gustano il piacere pei desiderati abbracciamenti,
nte dei loro fonti, e le Amadriadi negli alberi delle foreste. Mentre
che
Bacco come un toro ferito dall’ assillo si precip
di una menzogna, ed il fan cìullo vola verso la reggia di sua madre,
che
teneramente lo abbraccia. Gli espone il motivo de
causa dello dio. Gli parla della leggiadra Calcomedia, vergine saggia
che
presentemente è neir armata delle Baccanti, e lo
e si arma contro l’eroe indiano, scocca contro esso un dardo potente,
che
lo accende dell’amore il più ardente per la bella
te, che lo accende dell’amore il più ardente per la bella Calcomedia,
che
finge di amarlo. L’insensato credeva di potere, b
incatenato da Bacco. Il poeta dopo averci descritto i teneri sospiri
che
Morreo manda dal petto affannoso, ci pone davanti
o manda dal petto affannoso, ci pone davanti agli occhi lo spettacolo
che
offre il cielo nella notte. Yi si distingue il to
La ninfa terribile lo fugge, e vuole precipitarsi nel mare piuttosto
che
sposarlo. Ma Teti, sotto l’aspetto di una Baccant
’ ella pure ha custodita la sua verginità contro gli assalti di Giove
che
l’ha perseguitata: le consiglia d’ingannare il fi
: questo è il solo mezzo di salvare l’armata delle Baccanti. Aggiunge
che
se l’Indiano volesse costringerla, ella ha in sua
se l’Indiano volesse costringerla, ella ha in sua difesa il serpente
che
orna l’acconciatura della sua testa. Bacco la por
ratto, ho tradotto in versi la descrizione della morte d’Erigone dopo
che
le fu noto il destino del padre, che in sogno le
zione della morte d’Erigone dopo che le fu noto il destino del padre,
che
in sogno le apparve. Credo utile innanzi di espor
stare il nuovo liquore, ed insegnandogli il modo di coltivare la vite
che
lo produce. Icaro fece parte del segreto e del li
roduce. Icaro fece parte del segreto e del liquore ad altri contadini
che
divenuti ubriachi uccisero il donatore. L’ombra d
hi uccisero il donatore. L’ombra di lui apparve in sogno alla figlia,
che
disperata andò in traccia del padre: lo trovò alf
ver custodito il corpo della fanciulla, e mostratolo a dei pellegrini
che
lo seppeUirono, morì sul sepolcro della padrona.
e sembianze antiche Prese, ed entrava nella nota casa. Avea la veste,
che
l’ incerta strage Dicea, rossa di sangue, e per l
re Icaro grida: Infelice, ti sveglia, e cerca il padre, Il padre tuo,
che
nel furor di Bacco I barbari villani han colle sc
o col bifolco a mensa Cura il ritiene del comune armento? Ditelo a me
che
piango: io soffrir posso Finch’ ei non giunge: se
inità e ad un tempo la Teologica Mitologia. Nel quadro di Filo strato
che
rappresenta Bacco ed Arianna, questo dio porta un
Bacco ed Arianna, questo dio porta un vestito di porpora, egualmente
che
in due pitture scoperte ad Ercolano. Un’ iscrizio
tto il nome di Grande. Una singolar foggia di rappresentarlo è quella
che
si scorge in un piccolo Bacco di bronzo con un Ge
n Genio alato, di cui la testa è adornata del lungo collo di un’ oca,
che
tenendosi in ginocchio sopra le sue spalle, gli v
ue spalle, gli versa da un vaso il liquore nella bocca. Il Gori pensa
che
il collo d’oca indichi l’elemento liquido, perchè
liquido, perchè quest’ animale è acquatico; e pretende con Buonarroti
che
questa figura rappresenti Bacco, quando, temendo
ne unica di Bacco vincitore d’un’Amazone: e Plutarco è il solo autore
che
n’abbia data la spiegazione, conservandoci la tra
edi di questo animale. Omero dà a Bacco la capellatura di color blu,
che
ad Ettore pure assegna: Winkelmann intende capell
r blu, che ad Ettore pure assegna: Winkelmann intende capelli biondi,
che
interiormente e nei luoghi ove sono ombreggiati m
eggiati mostrano una tinta di questo colore. Con tutta la venerazione
che
aver si debbe al maestro dell’antiquaria, io non
dell’antiquaria, io non sono contento di questa spiegazione, e reputo
che
Omero abbia dato un colore alle chiome di Bacco s
o abbia dato un colore alle chiome di Bacco simile a quello dell’uva,
che
sovente è blu. Una statua di Bacco nell’isola di
quella nella quale teneva una fiaccola in mano per far lume a Cerere
che
cerca Proserpina. Ma lo dio si effigiava con essa
a lo dio si effigiava con essa nella mano, come si rileva da Euripide
che
dice: Di più lo vedrai sulle delfiche rupi saltan
ulle delfiche rupi saltante con le faci. — E in Atene, secondo quello
che
racconta Pausania, si vedeva una statua di Jacco,
conta Pausania, si vedeva una statua di Jacco, il quale era lo stesso
che
Bacco, con la face. E Libanio, descrivendo Alcibi
lcibiade come vestito da Bacco in atto di celebrare gli Orgii, mostra
che
aveva una face. Si adopravano queste, non tanto p
i adopravano queste, non tanto perchè lo credessero una medesima cosa
che
il sole, come vi accennai nel principio delle mie
tenebre portano venerazione. In un cammeo riportato dal Buonarroti, e
che
rappresenta Bacco, il nume porta per bicchiere un
rroti, e che rappresenta Bacco, il nume porta per bicchiere un corno,
che
finisce in una testa di capro: siccome sono fatti
ndi di marmo tutti rabescati duellerà o di vite nella Villa Borghese,
che
hanno per fondo un capo di vitella; e nella Pompa
cubiti: e dei Centauri medesimi, dei quali parleremo, scrive Pindaro
che
si servivano dei corni per bere. Conviene adesso
i servivano dei corni per bere. Conviene adesso favellarvi del tirso,
che
voi vedete tante volte espresso nei bassirilievi,
ievi, ed è uno degli attributi di Bacco. Io mi prevarrò delle notizie
che
intorno a quest’oggetto ha raccolte il senator Fi
o Buonarroti, il primo a veder luce nell’antichità figurata. Vogliono
che
Bacco e i suoi seguaci si servissero delle aste a
tagemma usato cogl’ Indiani, portavano la punta coperta di ellera, al
che
allude San Giustino dicendo: Come le Baccanti con
i coperte le punte: — i quali luoghi fanno al Buonarroti congetturare
che
quella pannocchia che si suol vedere in cima all’
i quali luoghi fanno al Buonarroti congetturare che quella pannocchia
che
si suol vedere in cima all’aste di Bacco rapprese
na, con de nominarne anche il medesimo tirso; sicché il Bochart trova
che
in Fenicia il tirso significasse il pino. Poteva
. Poteva ancora nella Fenicia aver preso quel nome dalla similitudine
che
ne rappresentava la cima. È noto per altro che il
ome dalla similitudine che ne rappresentava la cima. È noto per altro
che
il pino era consacrato anche a Bacco per l’amiciz
posto; ed in un Baccanale osservato dal Buonarroti vi era un Centauro
che
ne portava un ramo. Poteva inoltre la pina essere
modo, come sarebbe per uno dei segni sacri della cesta mistica, senza
che
noi siamo costretti a dire che la portassero sui
segni sacri della cesta mistica, senza che noi siamo costretti a dire
che
la portassero sui tirsi: quando per altro le scag
conveniente ad una pina, e sovente di proporzione maggiore di quelle
che
sieno le cortecce di fuori di quel frutto, come s
sservare nel bel cammeo riportato dal mentovato Buonarroti. Tanto più
che
come si cava dall’ osservare alcuni passi d’ auto
tirso, onde sovente con figura lo chiamavano ellera: se noi vogliamo
che
la sia quella in cima, di rado e forse non mai po
i monumenti i tirsi, non osservandosi in loro l’ellera in altra forma
che
in questa, eccetto che alcune volte si vede un’as
n osservandosi in loro l’ellera in altra forma che in questa, eccetto
che
alcune volte si vede un’asta circondata di tralci
cune volte si vede un’asta circondata di tralci e di foglie bensì, ma
che
sono piuttosto di vite, secondo quello d’ Ovidio:
ucite ad una per una, non attaccate ai rami. Poiché per lo più, senza
che
vi fosse altro ferro di sotto e dentro, dovevano
e per semplice e sola mostra per non far male: siccome scrive Diodoro
che
per il medesimo fine Bacco levò alla sua gente l’
so e pannocchia in cima, fossero veramente i tirsi sacri a Bacco, par
che
si cavi dagli autori botanici, i quali assomiglia
cavi dagli autori botanici, i quali assomigliano ai tirsi molte erbe,
che
chiamano capitate, fatte nel loro fusto in quella
nella Pompa di Bacco di Tolomeo, da citarsi sovente, vi era la statua
che
rappresentava la città di Nisa, la quale aveva ne
erro coperto di ellera ebbero origine i tirsi, così è molto probabile
che
alcune aste col ferro in cima tondo e grosso foss
ne aste col ferro in cima tondo e grosso fossero, per la similitudine
che
avevano coi tirsi, chiamate aste tirssi; e forse
atane da Visconti. Voi ci troverete rammentati i caratteri distintivi
che
gli antichi artefici davano alle statue del nume,
e quali vi furono esposti dal medesimo autore nel primo ragionamento
che
vi tenni su questa divinità. « Un altro caratter
cevano le statue di più pezzi, e comunemente di due, quelle (cred’io)
che
lungi dal luogo della loro destinazione si lavora
i a loro piacimento con più facilità trasferire. Si crede comunemente
che
tal costume di lavorare sia stato usato dagli Egi
Museo Capitolino, e d’un Adriano col torace del Palazzo Ruspoli. Quel
che
si è conservato ci fa desiderare il rimanente: co
— « Lo scultore non gli ha dato quella feminile e molle corporatura,
che
ha ritratta l’artefice del marmo precedente, ma s
sembra essersi rammentato, senza tradire l’avvenenza del dio Tebano,
che
questo nume a un tempo voluttuoso e guerriero era
riero era di mezzo alla pace e alla guerra. Vi ammiriamo quella beltà
che
incantò i Tirreni non disgiunta dalla robustezza
uto alla divinità. Nè del nume bacchico è privo il fonte, come quello
che
lo dio apparir fece in grazia delle Baccanti. Cos
i, e candidi fiori vi sono sul margine non ancora perfetti, onde pare
che
siano nati in grazia del giovinetto. Il dipinto s
no nati in grazia del giovinetto. Il dipinto seguendo la natura finge
che
distilli dai fiori la rugiada: vi sta un’ape che
endo la natura finge che distilli dai fiori la rugiada: vi sta un’ape
che
potrebbe essere stata ingannata dal pittore. Ma s
re. Ma sia: te, o giovinetto, ninna tela o statua ingannò, ma l’acqua
che
ti rappresenta; e gli vai incontro come ad un ami
’acqua che ti rappresenta; e gli vai incontro come ad un amico e pare
che
aspetti qualche cosa da lui. Noi lo descriveremo
ché essendo per natura loro glauchi e feroci sono mitigati dall’amore
che
vi siede. Egli crede di esser amato, perchè l’omb
di essere stato procreato dalla terra per amore di un bel giovinetto
che
piange quando è primavera. Ma non vi arrestate a
non vi arrestate a questo prato ove la pianta è nata in quella guisa
che
il suolo l’ha prodotta. Infatti questa pittura ne
ella guisa che il suolo l’ha prodotta. Infatti questa pittura ne dice
che
il colore dei capelli del giovinetto somiglia al
dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia al giacinto, e
che
il sangue ancor pieno dì vita, inondando il terre
e rassomiglianza, poiché comincia a scorrere dalla testa incontanente
che
il disco vi piombò. Errore ben grave, e da dubita
incontanente che il disco vi piombò. Errore ben grave, e da dubitarsi
che
da Apollo sia stato commesso. Ma siccome qui venu
eremo un poco il quadro. E prima ci faremo a considerare il poggio su
che
il disco vien mandato via. Certo, il poggio è pic
sco vien mandato via. Certo, il poggio è piccolo, e da bastare ad uno
che
sta in piedi. Quest’ altura sostenendo le parti d
ieme saltare e seguire la mano destra. E questa è l’attitudine di uno
che
sostiene il disco: conviene che abbassando la tes
estra. E questa è l’attitudine di uno che sostiene il disco: conviene
che
abbassando la testa tanto la pieghi fino alla par
viene che abbassando la testa tanto la pieghi fino alla parte destra,
che
guardi i suoi fianchi, e che lo lanci come levand
tanto la pieghi fino alla parte destra, che guardi i suoi fianchi, e
che
lo lanci come levandosi da terra, appoggiato tutt
l nume incontrasi con breve pelle di fiera, o spesso con lunga vesta,
che
Tibullo e Stazio vogliono gialla, detta Bassaride
zio vogliono gialla, detta Bassaride, o sia dal luogo ov’ era in uso,
che
Polluce crede la Lidia, Snida la Tracia. Ma le pi
da la Tracia. Ma le più volte è ornato di un panno, o di una nebride,
che
è quanto dire di una pelle di cerbiatto, in memor
è quanto dire di una pelle di cerbiatto, in memoria della metamorfosi
che
di lui in questo animale fece Giove per salvarlo,
l’occultarono le Ninfe, dalle quali fu educato, e inol tre la benda,
che
copre parte del capo, e la mitra che vela tutto.
fu educato, e inol tre la benda, che copre parte del capo, e la mitra
che
vela tutto. Luciano lo deride, quasi la cuffia f
i la cuffia fosse nel guerreggiare il suo elmo; ma la Grecia credette
che
questo fosse un rimedio da lui inventato contro l
atore del vino; spesso asta o tirso, qualche volta un ramo di ferula,
che
come simbolo d’iniziazione ai suoi misteri si dà
a lui, perchè avendo ogli introdotto l’uso del vino, accadeva spesso
che
i conviti, anche sacri, finissero in percotersi s
me rileva il dottissimo Lanzi, furono più compagni di Bacco in guerra
che
compagni deirOrgie e dei Baccanali. Tanto dai Gre
ci quanto dai Latini questi si rappresentano simili all’arcadico Pan,
che
aveva volto e corna caprigne, e dal mezzo in giù
qualche medaglia, facendolo di coscie e gambe e piedi d’uomo, non par
che
fossero molto seguitati. Rimangono dunque esclusi
i, soggiunge il chiarissimo autore, si mostruose deità, e non restano
che
i Satiri e i Sileni, e con questa compagnia nell’
Tutta questa famiglia si credette derivata da un antichissimo Sileno,
che
avendo avuto coda a’ lombi, tutta la sua posterit
r dei vasi è raro vederli moltiplicati; e i più moderni artefici pare
che
non conoscessero se non il Sileno educatore di Ba
tefici pare che non conoscessero se non il Sileno educatore di Bacco,
che
ritraggono simo, calvo, basso, panciuto. I Sileni
pelose tuniche con pallio fiorato: in Grecia pure con vesti villose,
che
nella Pompa di Tolomeo erano rosse o di porpora:
si fa pur menzione di cappello. Si rileva da ciò l’enorme difi’erenza
che
correva fra i Satiri e i Pani; i quali se dovevan
cosa era il contraffare le loro sottili gambe e i piedi caprigni: il
che
facevasi con certi trampani detti grallae, dei qu
no Tulliano Cotta ignora cosa sia il Fauno? Ripeterò col Lanzi quello
che
ha provato Heine. La Mitologia dei Latini è diver
ieno di fantasia per abbellire, pieno di scrittori per conservare ciò
che
gli antichi aveano creduto e detto. L’ Italia man
inguono i Fauni così dai Satiri come dai Pani. Da tutto ciò ne deriva
che
i giovani caudati che s’ incontrano nei Baccanali
ai Satiri come dai Pani. Da tutto ciò ne deriva che i giovani caudati
che
s’ incontrano nei Baccanali, fin qui chiamati Fau
i vasi, non conobbero Fauni, ma Satiri giovani: e perchè gl’Italiani
che
ne fecero, ne dipinsero, e in barbaro latino in a
e in barbaro latino in alquanti di essi scrissero, furono più antichi
che
non la favola di questi numi uniti al coro di Bac
isonomia. Quello del Fauno parmi più uniforme: lo distingue un non so
che
di lieto e di semplice, come nei villanelli un ri
i spighe. Tra i libri degli antiquarii il Lanzi non ha trovato alcuno
che
il vero ed antico sistema greco rischiari prima d
io credo farvi cosa grata inserendo nel mio discorso la descrizione,
che
di un Fauno del Museo dementino ha data Visconti.
. Nell’ altre Lezioni unirò tutti i monumenti Bacchici, onde io spero
che
raddoppierete la vostra attenzione, perchè in tal
zione, perchè in tal guisa la maggior parte dei bassirilievi antichi,
che
alle solennità dello dio sono relativi, sarà da v
ai poeti, dagli antichi monumenti togliere, come Prometeo, quel fuoco
che
deve dar vita alle vostre tele, ai vostri marmi.
. « Si è ricevuta comunemente presso gli antiquari: una distinzione,
che
molto serve a classificare le tanto variate immag
in senile, or in giovenile età, si è dato il nome di Satiro a quelli
che
nell’aria del volto, nelle corna, nelle anche e g
vano le antiche rappresentanze del dio Pan; il nome di Fauni a quelli
che
coll’orecchie sole e colla coda e qualche volta c
di corna si veggono, ma le gambe e coscie dei quali sono tutte umane:
che
se questi, non in giovanile e virile età, ma solo
i le diverse maniere di Fauni, lasciando questa appellazione a quelli
che
in forma umana han di capra gli orecchi, le corna
le corna, la coda, e chiamando Titiri quelle rare figure di Baccanti
che
nulla tengono del caprino. — Merita sicuramente q
cché si studiano di far corrispondere a diversi nomi diverse idee; lo
che
alla chiarezza di queste molto contribuisce. Semb
idee; lo che alla chiarezza di queste molto contribuisce. Sembra però
che
troppo siansi inoltrati, quando tal divisione, ch
uisce. Sembra però che troppo siansi inoltrati, quando tal divisione,
che
non può avere altro oggetto fuori del comodo degl
all’ idee degli antichi, e censurano con poca esattezza quei Classici
che
non l’hanno osservata. Per far cadere affatto sim
no osservata. Per far cadere affatto simile opinione hasta riflettere
che
si trovano immagini di lavoro greco e di remota a
mota antichità di tutti i divisati generi di Baccanti: eppur sappiamo
che
i Greci non conobbero giammai i Fauni, ma col nom
e di Sileni chiamarono promiscuamente i seguaci di Bacco. Non è però
che
talvolta non distinguessero ancora i Greci i cara
ne’ due accennati caratteri, e niuna descrizione è più viva di quella
che
fa di loro Luciano, additandoceli alla testa dell
Sileno troviamo nelle sue immagini scolpita quella varietà medesima,
che
scorgiamo negli autori che ne discorrono. E dove
immagini scolpita quella varietà medesima, che scorgiamo negli autori
che
ne discorrono. E dove alcuni di questi ultimi ce
colo, altri ce lo descrivono per un savio così lontano dall’impostura
che
si lascia confondere nel volgo dei voluttuosi, ma
dall’impostura che si lascia confondere nel volgo dei voluttuosi, ma
che
conosce le cagioni ed i fini delle cose, ed ha pi
a costituzione delle membra non si è partito dalla comica descrizione
che
ne fa Luciano, eccettuate le orecchie, che nel si
o dalla comica descrizione che ne fa Luciano, eccettuate le orecchie,
che
nel simulacro non sono caprine; e quantunque sia
nel simulacro non sono caprine; e quantunque sia moderno restauro ciò
che
ha nelle mani, pure non è dubbia l’azione di aver
di aver premuto il grappolo dell’uva nel nappo; in quel nappo istesso
che
gli si vedeva propinato dall’Ebrietà in un bel gr
naturalezza, la carnosità del torso pingue ed irsuto è tutto quello a
che
può giungere la scultura. Se ne osservi la fìsono
ale, non solo ne’ tempi antichi fu rilevata da Aristofane maligno, ma
che
ha indotto i moderni a dar la hella denominazione
ella denominazione di Socrate e d’Alcibiade ad alcuni gruppi lascivi,
che
rappresentano la licenza de’ Baccanali. Questa st
ta statua di Sileno è assai stimabile, ed è affatto diversa da quelle
che
si conoscono, come dalla famosa Borghesiana, che
to diversa da quelle che si conoscono, come dalla famosa Borghesiana,
che
vedesi ripetuta due volte in antico nel Palazzo R
li, ove Sileno vedesi vestito di un abito teatrale lavorato a maglia,
che
si poneano indosso gli attori per meglio rapprese
ppresentare le membra pingui ed irsute |del nutritore di Bacco, abito
che
finora è stato cagione di molti equivoci a chi si
obbligo liberare. Trovò Eineo la morte nella casa del perfido genero,
che
cader lo fece in una fossa di carboni accesi, all
avea fragili tavole sopraposte. L’infelice fu vendicato dai rimorsi,
che
tanto poterono in Issione che furibondo ne divenn
e. L’infelice fu vendicato dai rimorsi, che tanto poterono in Issione
che
furibondo ne divenne, e non sapea a quale degli D
llerato; ma il re degli Dei volendo accertarsi della verità di quello
che
asserito gli veniva, diede ad una nuvola le sembi
hè fossero creduti amici assai del vino come erano tutti gli animali,
che
gli sono stati dati dalle favole; onde Virgilio s
e Ileo minacciante i Lapiti col gran vaso; — intendendo della guerra
che
per soverchio vino intrapresero coi Lapiti. Per q
Bacco, delle quali vi ho dato r estratto, gli annovera nell’esercito
che
radunò al nume la madre degli Dei, e introduce un
ercito che radunò al nume la madre degli Dei, e introduce un Centauro
che
s’ off’re a portare lo stesso Bacco: E il Centaur
e un Centauro che s’ off’re a portare lo stesso Bacco: E il Centauro,
che
ha l’ispida ed orrida barba, spontaneamente porge
cavallo nitriva, bramando alzare con le sue spalle Bacco: — quindi è
che
spesso negli antichi bassirilievi si veggono i Ce
cammeo di cinque strati di diverso colore riportato dal Buonarroti, e
che
rappresenta la pompa e trionfo del dio del Vino.
a opera sui medaglioni antichi. In questo si rappresenta forse Bacco,
che
dall’isola di Nasso conduce in cielo Arianna: gui
sia Genio, con una face; ed Amore re<^i:>‘e la veste ad Arianna
che
, secondo favoleggia Nonno, era con Bacco quando a
ll’ onde del mare vi è la Ninfa, o Genio di quell’isola, con una vela
che
le svolazza sulla testa per indicare il suo sito
sta per indicare il suo sito sul mare; e sarà forse la Naiade stessa,
che
il medesimo poeta fìnge applaudisse a queste nozz
mo poeta fìnge applaudisse a queste nozze. Le siede accanto un fiume,
che
potrebbe essere il Biblino, a cui pare che Zeffìr
Le siede accanto un fiume, che potrebbe essere il Biblino, a cui pare
che
Zeffìro, portandosi placidamente per aria, gli ve
portandosi placidamente per aria, gli versi nel cornucopie la buccina
che
si suol dare ai venti, quasi che per festeggiare
gli versi nel cornucopie la buccina che si suol dare ai venti, quasi
che
per festeggiare ancor egli le nozze di Bacco, le
i nobilissimi vini detti Biblini, pei quali fu celebre quell’isola, e
che
diedero occasione alla favola che vi fosse un fon
pei quali fu celebre quell’isola, e che diedero occasione alla favola
che
vi fosse un fonte di vino. Ma per tornare al nost
Centauri con Bacco: poiché paragonando a quegli i cacciatori, scrive
che
fosse questo dio educato da Chirone: quindi è che
cacciatori, scrive che fosse questo dio educato da Chirone: quindi è
che
si vedono negli antichi intagli Centauri col bast
i Centauri come un poco tozza la parte della bestia, vorranno credere
che
siano onocentauri, cioè mezzi uomini e mezzi asin
destra per essere rotto, tiene coll’altra una lampade, o face accesa,
che
soleva portarsi nelle feste di Bacco, come vi ho
feste di Bacco, come vi ho accennato nella passata Lezione. Il corno
che
ha nella sinistra 1’ altro Centauro fu costumato
me si può vedere dal medesimo Ateneo, dove parla dell’olmo e del rito
che
fu ordinato la prima volta da Tolomeo Filadelfo p
meo Filadelfo per adornarne la statua di Arsinoe: onde si può credere
che
fosse simile a quei due cornucopi che si veggono
di Arsinoe: onde si può credere che fosse simile a quei due cornucopi
che
si veggono nelle medaglie di quella regina. Le Ce
aglie di quella regina. Le Centauresse si trovano ancora coi cembali,
che
erano fatti come i nostri d’un cerchio, al quale
ualche volta dei sonagli, come si vede in quello portato dal Bartoli,
che
ha il fondo dipinto, come si usa ancor oggi, d’un
iccole e sottili lamine di rame infilate eoa un fìl di ferro, di modo
che
battendo colle mani il cembalo, venivano a risona
a accanto e fra due Fauni, vedesi fra due tirsi questo cembalo stesso
che
, ripetuto infinite volte, avrete veduto negli int
te volte, avrete veduto negli intonachi Ercolanensi. L’Agostini vuole
che
gli antichi chiamassero questi strumenti crepitac
umenti crepitacoli, dei quali fa menzione Ateneo; ma sembra piuttosto
che
fossero detti timpani onde Catullo scrisse: Perco
e l’hanno trovato i Coribanti, — Dal medesimo poeta poco dopo si vede
che
le tibie, le quali sono sonate dall’ altra Centau
del mentovato cammeo, erano in uso nelle feste di Bacco, come quelle
che
furono prese da’ Misteri della madre degli Dei. A
rende ragione perchè le tibie fossero ado prate da’ Baccanti, dicendo
che
in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si ven
cendo che in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si vendemmia; al
che
allude quel di Euripide: Rallegrarsi colla tibia,
lmente le Centauresse sulle spalle alcune pelli consuete a’ Baccanti,
che
per lo più erano le nebridi, le quali propriament
e nebridi, le quali propriamente erano quelle prese da cervi giovani,
che
il primo anno si chiamavano (grec) poi dai Greci.
ano (grec) poi dai Greci. E Lattanzio commentatore di Stazio pretende
che
si chiamassero pure nebridi le pelli di daino. P
conti. « Che Zeusi sia stato il primo ad immaginar le Centauresse par
che
Luciano l’ insinui. E da una pittura di lui, cred
nkelmann, imitata una gemma eh’ egli riporta nei Monumenti inediti, e
che
rappresenta una Centauressa in atto di allattare
banchetto. Preceduto da un Fauno barbato e cinto d’una pelle ai lombi
che
si fa scorta con face in ambe le mani, s’avanza i
ani, s’avanza il nume oppresso dalla crapula, e vacillante, a cui più
che
il tirso che gli crolla nella destra, è sostegno
il nume oppresso dalla crapula, e vacillante, a cui più che il tirso
che
gli crolla nella destra, è sostegno un Fauno fanc
e il tirso che gli crolla nella destra, è sostegno un Fauno fanciullo
che
l’abbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri
bbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri al piede in una palla,
che
gli scopre il lato e il braccio destro, ha il cap
composto di due verghette rotonde di metallo da una parte più sottili
che
dall’altra dove terminano come in un capo di chio
un capo di chiodo mal difende dalla petulanza di un giovin Baccante,
che
salito in ginocchio sulla sua groppa si adopera c
rli ad essa. Un altro giovin Baccante porta anch’egli accesa la face,
che
un Fauno barbato e fornito di tirso tenta involar
me con un Faunetto si sforza scotere dal suo dorso il Fauno insolente
che
vi è salito, chiude il bassorilievo. Centauro. «
sso al Laterano, ed è una prova novella del merito del suo originale,
che
è il più giovane dei due famosi Centauri del Muse
giungano queste due copie ad eguagliare la bellezza degli originali,
che
furono scolpiti da Aristeo e Pappo Afrodisio in u
l soggetto hanno un grandissimo merito di lavoro, e per alcune parti,
che
si sono in questo mantenute, schiariscono l’azion
piti con maggior morbidezza degli originali medesimi, non riflettendo
che
il color nero del marmo, in cui han lavorato i du
egnate perchè potessero distinguersi nell’oscurità della pietra. Quel
che
si è conservato nelle copie è il Cupidino, che è
ità della pietra. Quel che si è conservato nelle copie è il Cupidino,
che
è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto d
he è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto del Borghesiano, e
che
manca affatto nei Centauri del Campidoglio, nei q
nei quali non mancava però l’orma del piccolo cavaliere. « L’Amorino,
che
è sul secondo, è cinto di una fascia per sospende
ghesiano un Centauro adulto di robusta corporatura e di fiera indole,
che
domato dal nume infante ha perduto la naturai for
braccio come nell’originale, e poiché rimaneva nel torso un attacco,
che
additava aver sostenuto qualche cosa di massiccio
si è seguito in ciò l’esempio del ristauro Capitolino: ma riflettendo
che
ha nella sinistra il pedo detto (grec) dalla cacc
di cui dimostra la gioia negli occhi e nel volto: ma intanto l’amore
che
ha fatto la preda del cacciator feroce, ride del
o del secondo Idilio di Bione, dov’è descritto un giovine cacciatore,
che
vedendo Cupido per la foresta volea farne sua pre
o per la foresta volea farne sua preda; ma fu avvertito da un vecchio
che
lasciasse l’inutil caccia, e che anzi a suo tempo
preda; ma fu avvertito da un vecchio che lasciasse l’inutil caccia, e
che
anzi a suo tempo Amore avrebbe fatto preda di lui
di uomo e cavallo. Sappiamo anche coll’analogia della storia moderna
che
i primi a cavalcare sembrarono ai rozzi uomini tu
uomini tutto un animale’, essi e il destriero. Comprendiamo da Omero
che
molto tempo prima che si cavalcasse si usava di a
le’, essi e il destriero. Comprendiamo da Omero che molto tempo prima
che
si cavalcasse si usava di attaccare i cavalli a’
carri, e altri cavalieri non s’incontrano nell’Iliade e nell’Odissea
che
combattenti sui cocchi. La favola però di Fedro,
La favola però di Fedro, del cavallo e del cinghiale, ci fa conoscere
che
l’occasione della caccia fu quella che introdusse
del cinghiale, ci fa conoscere che l’occasione della caccia fu quella
che
introdusse la prima 1’ uso di sedere sul dorso de
’ uso di sedere sul dorso del destriero. Non furono dunque i Centauri
che
i primi cacciatori equestri, quantunque l’etimolo
uri che i primi cacciatori equestri, quantunque l’etimologia del nome
che
sembra indicare feritori di tori abbia fatto inve
e del ristauro del braccio destro: nel sinistro si è copiato il pedo,
che
si osserva antico nel Capitolino, a norma di cui
e narici quasi mosse al nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo
che
di cavallino, che si mesce colle sembianze umane,
se al nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo che di cavallino,
che
si mesce colle sembianze umane, e forma dell’uomo
seguito di Bacco, essendo noto il trasporto di tali mostri pel vino,
che
servì ad Ercole per cavarli dalle loro tane e dom
i e cam mei accompagnare, o ancor trarre i carri di Bacco. Nel tronco
che
sostiene il ventre del Centauro simile al Capitol
ine prefissomi mi conduce a favellarvi delle donne compagne di Bacco,
che
si distinguono tra loro col mezzo delle diverse d
idi, di Naiadi. Il nome di Baccanti deriva dalla greca parola (grec),
che
significa ululare smodatamente, come quello di Me
ululare smodatamente, come quello di Menadi ha sua origine da (grec)
che
equivale ad infuriare. Ma il furore non era in es
contro se stesso. Le femmine di Lemno spensero tutto il sesso virile
che
aveano nella città loro. Questo era l’uffìzio del
ano strepitoso suono dei timpani, dei cimbali, dei flauti, dei corni,
che
accompagnavano con movimenti della persona violen
ita, o cinti al capo. Questi eccessi però di furore, per cui sappiamo
che
i serpenti si facean mansuefare, non sono ovvii n
dell’Eneide, e Stazio nel iv della Tebaide: ma le Baccanti non credo
che
tutte fossero egualmente Tie, tenute solo, se non
, celebravano oscure Orgie, misteri di Bacco nelle cave ciste. Quelli
che
considerar vogliono le Tiadi come Baccanti ne ded
le Tiadi come Baccanti ne deducono il nome da (grec), infurio: altri
che
la riguardano come sacerdotesse, prendono l’etimo
logia da (grec), sacrifico, o da Tuia sacerdotessa di Bacco, la prima
che
istituì le Orgie. Pausania tiene la seconda sente
seconda sentenza, e da Tuia dice derivato quel coro di donne attiche,
che
insieme con le delfiche donne andavano ogni anno
le Tiadi gridanti Evoe con le sparse chiome. — Non può dunque negarsi
che
stando all’etimologia e alla storia, questo nome
mologia e alla storia, questo nome non convenga specialmente a quelle
che
veggiamo nelle pitture dei vasi occupate intorno
pitture dei vasi occupate intorno a ciste da Orgie, e a tanti simboli
che
in esse si racchiudevano, e che per la più parte
o a ciste da Orgie, e a tanti simboli che in esse si racchiudevano, e
che
per la più parte sappiamo da Clemente Alessandrin
ule, Tellere, i papaveri, il sale, le melagrane, e se vi è altra cosa
che
spettasse a quella superstizione. Le Tiadi ritira
ano aver seco un’altra sacerdotessa. Le Mimallonidi, lasciando coloro
che
derivano il loro nome da Mima città dell’Asia, ha
Asia, hanno il nome da (grec), imito, e sono propriamente le Baccanti
che
imitavano le prodezze virili guerreggiando, e nei
acco, al cui aiuto, secondo Diodoro, le condusse Minerva. Costoro par
che
possano riconoscersi al vestito corto che s’incon
ndusse Minerva. Costoro par che possano riconoscersi al vestito corto
che
s’incontra nei vasi. Lene eran tenute dagli antic
), torcolare, onde pure e Bacco leneo, e le feste lenee. Le ministre,
che
Strabene chiama così, non erano punto ninfe, ma d
i vedeasi la principessa col suo coro scorrere per la reggia nel modo
che
Euripide descrive Agave nel Citerone. Non è dunqu
o che Euripide descrive Agave nel Citerone. Non è dunque da dubitarsi
che
quelle nei vasi dipinti dispensan vino, o siano d
classe o ne imitino il ministero: potrian talora sopporsi fra coloro
che
mescon liquore ancora le Naiadi, che alcuno ha de
trian talora sopporsi fra coloro che mescon liquore ancora le Naiadi,
che
alcuno ha detto aver temprato coli’ acqua il vino
ate sempre dai Satiri, quasi non convenisse al lor grado altri amanti
che
semidei. Cinquanta ne conta Igino, cento Virgilio
ta ne conta Igino, cento Virgilio, e tutte paiono addette a Bacco, da
che
generalmente trovo in Tibullo: Bacco, ama le Naia
Bacco, ama le Naiadi. — Dopo queste notizie chiamerei Naiadi le ninfe
che
nei vasi antichi vengono attruppate con Bacco coi
che nei vasi antichi vengono attruppate con Bacco coi Satiri: se non
che
avendo creduto gli antichi che queste divinità on
ttruppate con Bacco coi Satiri: se non che avendo creduto gli antichi
che
queste divinità onorassero ancora l’Orgie delle M
i. Insegnarono le prime l’uso del vino ed a cantare gli onori del dio
che
soccorsero contro Licurgo: quindi possono conside
siderarsi come la norma di tutte l’altre Baccanti. Non è inverisimile
che
si riscontrino nei vasi al vestito seminato di st
particolar distinzione, giacché Bacco l’onorò molto. Tale è la donna
che
dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella, che
to. Tale è la donna che dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella,
che
assisa in un toro, che vuol credersi Bacco con co
dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella, che assisa in un toro,
che
vuol credersi Bacco con corno potorio in mano, le
ommità. E ornato di cornici e di membri intagliati sì nella superiore
che
nell’estremità iuferiore, e si regge sospeso su q
riore, e si regge sospeso su quattro piedi cavati dal pezzo medesimo,
che
han forma di quattro alate chimere. La sua superf
ssere stata quella delle Parche nell’Alti d’Olimpia. « I bassirilievi
che
adornano le quattro facce del monumento cel fanno
rrestri. A questa sorta di divinità era costume ordinario ergere are,
che
poco si sollevassero dal suolo, e alle quali perc
ripetuta una composizione così famosa e frequente negli antichi marmi
che
sicuramente ne rappresenta alcuna delle più ammir
ve, è quello cui servono i Fauni con tanto rispetto. « Fulvio Orsino,
che
lo chiamò Sileno, non avrebbe potuto addur prova
li cimostran Bacco espresso più volte in una simil figura. Il Bellori
che
lo chiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di
ellori che lo chiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di osservare
che
i ministri della mensa eran Fauni. « Posate su d’
o sguardo alla principal figura, cui sembra al gesto della man destra
che
il giovinetto diriga una dell’acclamazioni solite
perta di vasi destinati alla bevanda. « Cinque figure seguono il Dio,
che
s’affretta a godere di quel licore di cui ha beat
nato. « Fin qui si estendono le tappezzerie, dette aulei peripetasmi,
che
separano ed abbelliscono il luogo destinato al co
Fauno, sembra portare un’otre sull’omero manco, una Baccante ubriaca,
che
sostien lentamente colla sinistra un timpano o ta
o, e vien sorretta da un altro Fauno. La statua di Priapo in profilo,
che
termina dal mezzo in giù a guisa d’erma, ed è pos
a scena, quale appunto amavasi da quel nume pei suoi diporti non meno
che
per gli arcani riti. « I bassirilievi laterali pr
campagna. Qua, presso un albero, sorge la statua della Speranza: ella
che
solo può far durare nell’uomo le anticipate fatic
nzione di Bacco. Sostengo il primo una piccola Menade cinta piuttosto
che
vestita di nebride, l’altra un fanciullo citaredo
, e rivolgono intanto piangenti la faccia altrove, ci muove a credere
che
funebre fosse la destinazione e l’oggetto del mon
el monumento abbellito con bacchiche rappresentazioni, o per indicare
che
il defunto iniziato anch’egli a quei venerati mis
rava distinguersi in grazia di ciò dal volgo dei trapassati, o ancora
che
pur cotento sull’esempio del dio del Vino di una
a poi alla sorte comune d’ogni vivente, non altrimenti d’un convitato
che
sì levi pago e satollo da ricca mensa. » Il Visc
esposto nelle passate Lezioni tutte le gesta di Bacco; e sui compagni
che
gli dava la religione pagana ho cercato di portar
e la luce delle congetture aiutata dai monumenti. Non mi resta adesso
che
a darvi le altre illustrazioni delle statue più c
ranno agli occhi, ne ravvisiate il soggetto, gli attribuiti e le idee
che
vi univano gli antichi, e tutte le cose, insomma,
buiti e le idee che vi univano gli antichi, e tutte le cose, insomma,
che
sono l’anima dei monumenti, e che distinguono l’a
antichi, e tutte le cose, insomma, che sono l’anima dei monumenti, e
che
distinguono l’artista erudito dal volgo degl’igno
gnoranti. Dopo questa serie di memorie avanzate agli sdeigni di colui
che
muta i regni, nell’interpetrazione delle quali ci
n nuovo linguaggio mercè le opere dei sommi scrittori dell’antichità,
che
dettarono agli artefici antichi i più sublimi con
stato considerato dagli eruditi con critica sufficiente. Winkelmann,
che
lo ha pubblicato il primo, non ha bastantemente,
ui volto maestoso e sereno è decorato da una lunga e coltissima barba
che
gli cade sul petto, artificiosamente sparsa e dis
iente. Insomma è il ritratto stesso assai ovvio nell’antica scultura,
che
a Platone dai nostri maggiori solea attribuirsi,
tica scultura, che a Platone dai nostri maggiori solea attribuirsi, e
che
vedesi ripetuto su di tanti ermi. I capelli più d
rte rimane femìnilmente raccolta sul collo e stretta da un’alta benda
che
gli circonda la testa. La molezza e la grandiosit
o minutamente: è poi avvolto in un pallio del pari ampio e magnifico,
che
tutta la figura circonda e copre, lasciando fuori
figura circonda e copre, lasciando fuori soltanto il destro braccio,
che
, da quel che rimane d’ antico apparisce sollevato
nda e copre, lasciando fuori soltanto il destro braccio, che, da quel
che
rimane d’ antico apparisce sollevato in alto. Il
trovata nei ruderi d’una Villa Tosculana, era situata in una nicchia
che
veniva da quattro feminili statue sorretta, le qu
monumento un’assai dispendiosa satira al divino filos’ofo. Winkelmann
che
non die retta a questo parere, dottissimo com’egl
uenze della comune opinione, e tra le altre rilevò quella della barba
che
il decantato Sardanapalo solea radersi ogni giorn
ppresentato nutrita con gran cura e disposta. Immaginò per tal motivo
che
spettasse il simulacro ad un più antico e sobrio
ritratto di Platone, assolutamente diverso da’creduti volgaramente, e
che
si vede nella Galleria di Firenze. L’opinione poi
ione poi di Winkelmann non è affatto probabile, poiché non verisimile
che
tanti ritratti e simulacri ci sien pervenuti di u
gran pena ed assai dubbiamente da qualche notizia indiretta. Io penso
che
prima di dar nome alla statua, secondo l’epigrafe
retta. Io penso che prima di dar nome alla statua, secondo l’epigrafe
che
porta incisa, dovesse considerarsi se la figura s
ta incisa, dovesse considerarsi se la figura stessa ha caratteri tali
che
possano determinarla ad un argomento incompatibil
del simulacro è per se notissimo, e può dimostrarsi altro non essere
che
Bacco vecchio e barbato assai familiare nell’anti
sentarci un Bacco barbato, ma per tale confermanla quelle circostanze
che
più debbono rilevarsi nel simulacro proposto. La
cione. Il numero di quattro corrisponde alla tradizione dell’anonimo,
che
assegna quattro donne al Nume tebano. La sola cir
videnza del soggetto? Il Nettuno equestre in Atene avea un’iscrizione
che
gli dava un altro nome, ma che non trattenne Paus
o equestre in Atene avea un’iscrizione che gli dava un altro nome, ma
che
non trattenne Pausania dal riconoscerlo per Nettu
delle immagini simili con iscrizioni contradditorie? La stessa testa
che
nel Campidoglio ha il nome greco di Pindaro, nel
Museo Clementine ha quello di Sofocle. Il bassorilievo di tre figure,
che
in Villa Pinciana ha i nomi antichi di Anfione, d
, come lo provano tanti simili e non equivoci monumenti, l’iscrizione
che
lo vuol Sardanapalo, quantunque antica non sarà g
te più dopo i tempi degli Antonini. Quindi la buona critica c’insegna
che
se non debbono avvicinarci l’epoca di un monument
tica c’insegna che se non debbono avvicinarci l’epoca di un monumento
che
abbia tutti i segni dell’anteriorità, servono per
rvono però a confermarci neiropinione della posteriorità di un’altro,
che
già ne somministri non leggieri sospetti. Che se
ra, o l’ignoranza r abbia segnata, non esiterei d’ indovinar i motivi
che
abbiano indotto in errore gli antichi espositori
rrore gli antichi espositori delle più antiche rappresentanze. Sembra
che
tal sorta di gente si moltiplicasse verso il temp
orta di gente si moltiplicasse verso il tempo degli Antonini a misura
che
andavano ad offuscarsi le antiche tradizioni. All
andavano ad offuscarsi le antiche tradizioni. Allora fu probabilmente
che
i possessori gradirono avere scritti i nomi delle
i possessori gradirono avere scritti i nomi delle statue loro. Colui
che
die alla nostra il nome di Sardanapalo cadde in u
danapalo cadde in un errore conforme a quello dei moderni antiquarii,
che
hanno dato ad una figura simile il nome di Trimal
delicatezza di questo soggetto, gli hanno attribuito quelle immagini
che
rappresentano un uom barbato, immerso nei piaceri
dare all’orecchie faunine e alle code delle figure del suo corteggio,
che
facilmente l’ avrebbero contrasegnato per Bacco.
riconosciuto in quelle rappresentanze, e quindi nella nostra statua,
che
alla figura di quei tanti bassirilievi perfettame
atue Bacchiche negli attributi forse non differiva. Può congetturarsi
che
l’errore avesse un ulterior motivo, del che ci av
feriva. Può congetturarsi che l’errore avesse un ulterior motivo, del
che
ci avrebbe fatti certi la conservazione del destr
lzava la destra colle dita disposte in guisa da fare uno scoppio, col
che
s’ indicava ciò che schiarivasi dalla sottoposta
e dita disposte in guisa da fare uno scoppio, col che s’ indicava ciò
che
schiarivasi dalla sottoposta iscrizione, che tutt
col che s’ indicava ciò che schiarivasi dalla sottoposta iscrizione,
che
tutto fra gli uomini è vanità fuori dei sensuali
ra gli uomini è vanità fuori dei sensuali piaceri; quasi volesse dire
che
quel rimanente neppur valea quel nulla che indica
iaceri; quasi volesse dire che quel rimanente neppur valea quel nulla
che
indicava il gesto. Ora una simile attitudine ed e
o esser tali figure di Bacco: la nostra, per avventura, avea la mano,
che
certamente era levata in alto, appunto in quel ge
l cosa adunque fu allora il confonderla coir immagine dì Sardanapalo,
che
per quel gesto era nota, e lo scriverne il nome s
e sull’orlo del pallio allontanandosi dall’usanza ordinaria. Per quel
che
riguarda l’arte, il nostro Bacco barbato è un pez
a quella stupida contentezza di una persona abbandonata a’ piaceri, e
che
non sente rimorsi. L’aria del volto è però grandi
andi idee. Può dirsi veramente un dio d’Epicuro inebriato ai piaceri,
che
però non giungono ad alterarlo, e spogliato di tu
io è antico ed è ben diversa dalle consuete: non saprei assomigliarla
che
a quella di un Bacco barbato, o di un sacerdote s
bianze del nume dipinto su d’un bellissimo vaso. « Le statue feminili
che
accompagnavano la figura del nostro nume sono all
no farlo considerare, come uno dei più rari monumenti di simil genere
che
ne’ Musei si conservino. La nascita di Bacco dall
onservino. La nascita di Bacco dalla coscia di Giove è un avvenimento
che
abbiamo sovente udito ricordare dai mitologi e da
rappresentato Giove femminilmente acconciato e femminilmente gemente,
che
partoriva Bacco in mezzo alle dee levatrici. Ma q
iva Bacco in mezzo alle dee levatrici. Ma questa pittura convien dire
che
fosse una specie di parodia d’ altre composizioni
altre composizioni esprimenti il fatto medesimo con tutta la dignità
che
esigevano la religione, la vetustà del racconto,
gevano la religione, la vetustà del racconto, e forse il senso arcano
che
i misteri vi aveano congiunto. « Due monumenti di
a patera del Museo Borgiano in Velletri. ambedue inediti e singolari,
che
comunichiamo al pubblico per la prima volta. « Co
udato. Si appoggia colla manca allo scettro, colla destra alla rocca,
che
colle del puerperio quindi fu detta. Egli è certa
alla sua tranquillità. Dinanzi a lui s’ inchina alcun poco Mercurio,
che
ha fatto seno del gomito, e lo ha coperto di una
scente deità, per riceverlo fra le sue braccia, e condurlo alle Ninfe
che
l’educheranno. Il pargoletto nume si scioglie dal
e fatta da Mercurio a Leucotea. Nè mancano al nostro bassorilievo ciò
che
Plinio chiamò Dee levatrici: anche qui tre dee as
e qui tre dee assistono al parto di Giove, alla nascita di quel nume,
che
fu detto l’allegria de’ mortali. Ha il primo luog
te panneggiamento. « Egualmente graziosa e composta è la seconda dea,
che
non avendo nessun particolar distintivo, sendo lo
da dea, che non avendo nessun particolar distintivo, sendo lo scettro
che
regge colla sinistra fregio comune d’ogni deità,
denominar Proserpina o Libera, e ciò sì per le sue relazioni col nume
che
nasce, sì per l’altre più cognite colle deità seg
col nume che nasce, sì per l’altre più cognite colle deità seguenti,
che
abbastanza vien contrassegnata per Cerere. Aggiun
ità seguenti, che abbastanza vien contrassegnata per Cerere. Aggiungo
che
quella specie di rete che le raccoglie le chiome
za vien contrassegnata per Cerere. Aggiungo che quella specie di rete
che
le raccoglie le chiome è la solita acconciatura d
’unione di Bacco e di Proserpina ha motivi meno evidenti, come quelli
che
nei Misteri soltanto si rilevavano, ma certo è ch
denti, come quelli che nei Misteri soltanto si rilevavano, ma certo è
che
il culto di queste tre divinità fu congiunto, sì
getti nei monumenti di antiche arti più sovente s’ incontra di quello
che
le favole, le feste, i simboli, i riti bacchici n
di simile rappresentazione i luoghi dei pubblici divertimenti; o sia
che
preside delle vendemmie ed inventore del vino, fo
a vita e della felicità dopo la morte degli estinti iniziati: certo è
che
la metà presso degli avanzi delle arti vetuste so
e adornava, ci offre Bacco nel mezzo dei suoi seguaci. Le nove figure
che
io compongono sono distribuite sul campo con buon
egregi maestri Greci: hanno, è vero, il minor pregio nell’esecuzione,
che
non manca però di quella forza e sicurezza di sti
accio da una Baccante, ch’è forse Mete dea dell’Ubriachezza. Il manto
che
dalle spalle gli cade sulla destra coscia infino
fronte di una fascia, o credemno, il suo petto di un serto d’ alloro
che
dal sinistro omero scende a traverso insino al de
nsino al destro fianco. D’ un simil serto è cinto il giovin Baccante,
che
lo sostiene, e Mete dall’altra parte scuote un ti
l’altra parte scuote un timpano, simbolo di quell’ insana compiacenza
che
accompagna il delirio dell’ebrietà. « Vicino al g
alla manca dei riguardanti, è scolpito l’educatore di Bacco, Sileno,
che
rattempra al suono della cetra gli affetti del Nu
nare i profani col suono, e i male augurati oggetti con quella forza,
che
dava allo strepito dei bronzi l’antica superstizi
, la quale è poi seguita da quella di una Menade, o Baccante furiosa,
che
può sembrare invasa da quella religiosa mania, da
ono il basso del quadro. Que st’ ultimo gruppo è di minor proporzione
che
non esige il resto delle figure, ed è piuttosto p
elle figure, ed è piuttosto prova della diligenza e della laboriosità
che
del gusto dell’artefice, il quale dee aver tratto
del Vino allusivi, saranno argomento della presente Lezione. Confido
che
le illustrazioni di questi monumenti saranno util
to nume, l’ abito del re di Taprobana. Simile per avventura al pallio
che
avvolge questa statua, o l’altra conosciuta prima
o Plinio stesso il nome di Palla, nome equivalente a quello di peplo,
che
grecamente qualunque ampio mantello o coltre era
nte qualunque ampio mantello o coltre era proprio a significare, come
che
avessero poi strettamente lo stesso nome due dive
glio di Giove: onde ne ha il capo cinto persino in quel bassorilievo,
che
rappresenta il suo nascimento. « E credibile che
n quel bassorilievo, che rappresenta il suo nascimento. « E credibile
che
in antico si vedessero nelle mani di questa statu
fiala, insegne proprie del nume, come si osservano in varii monumenti
che
ci presentano immagini di Bacco barbato. Queste i
ano immagini di Bacco barbato. Queste immagini appunto provano ancora
che
a Bacco stesso, piuttosto che ai suoi seguaci e m
Queste immagini appunto provano ancora che a Bacco stesso, piuttosto
che
ai suoi seguaci e ministri, debbono attribuirsi s
seguaci e ministri, debbono attribuirsi statue sì fatte. È però vero
che
in altri monumenti possono supporsi in tal foggia
no: e immagini di numi agresti e del corteggio Bacchico saran quelle,
che
a guisa di erme e di termini adornarono gli antic
La scultura di questo marmo è diligente, e tratta da buono esemplare,
che
vi è stato reso con fedeltà ma con una certa dure
, primizie dei campi e oblazione propria di Bacco, nella sua nebride,
che
pendente dall’omero e raccolta colla manca fa sen
sacrifizi ebbe origine, ove i movimenti usati nelle sacre cerimonie,
che
presso i Greci eran la più parte liete e ridenti,
ostra statua è commendabile per la sua integrità, non avendo restauro
che
nelle braccia, e per la grazia e la vivezza dell’
in altra Collezione non sono egualmente conservati. « La somiglianza
che
accenno è argomento della provenienza di figure s
figure sì fatte da nobile originale, di cui però nelle scarse notizie
che
ci sono pervenute non trovo memoria, Ninfa bacc
pente Orgio, rettile venerato in quei famosi misteri della Gentilità,
che
perciò nell’argento asiatico si avvolge attorno a
ti la testa e il seno. Sopra tutto però conviene il serpe alle Ninfe,
che
oltr’ essere le amiche e le madri dei Satiri e de
antichi Etnici popolata tutta la terra. Il grato mormorio delle acque
che
persuade sì dolcemente i sonni, sarà stato forse
acque che persuade sì dolcemente i sonni, sarà stato forse il motivo
che
avrà indotto gli antichi, intesi ognora a rilevar
chi, intesi ognora a rilevare e condire tutte le piacevoli sensazioni
che
la natura fornisce a decorar le scaturigini delle
tate cervici. A queste eran talvolta soscritti dei gentili epigrammi,
che
raccomandavano silenzio e quiete per non destarle
e i Baccanali. Un angue striscia pure sul petto di una piccola ninfa,
che
dorme appoggiata all’urna, simile in atto alla pr
e in atto alla pretesa Cleopatra di questa Collezione, e di un’ altra
che
è ancor senz’ urna come la nostra, edita fra le s
nazione, e nello stesso tempo dimostra quanto andassero errati coloro
che
per nobilitare con qualche celebrata avventura la
"vestite appaiano, pure dalla mancanza dell’urna mi sembra verisimile
che
il soggetto del nostro marmo sia piuttosto r imma
oso Apidano. « E notabile in molti lavori antichi la maggior modestia
che
si è usata nel vestiario delle figure, quando sot
utamente eseguita di tutto rilievo; ma tranne le estremità e le parti
che
risaltano e sono quasi isolate, il resto del corp
ti che risaltano e sono quasi isolate, il resto del corpo è più basso
che
non sarebbe nel vero, e trattato quasi di mezzo r
di mezzo rilievo. Una tal pratica mai da me non osservata in immagini
che
non possono credersi appartenenti a sepolcro, mi
mmagini che non possono credersi appartenenti a sepolcro, mi persuade
che
tal fosse il destino della presente scultura: il
lle Ninfe, avranno anche avuto relazione alla superstiziosa credenza,
che
molto quei misteri e quelle cerimonie avessero di
o il nutritore di Bacco dalla torma dei Fauni, e le striscie di cuoio
che
stringe nella manca trattengono alcun poco lo sgu
riscie, colle quali nelle licenze di quei giuochi percuotevano quelli
che
incontravano, specialmente le donne che speravano
i giuochi percuotevano quelli che incontravano, specialmente le donne
che
speravano riportarne fecondità. Quindi Silio Ital
i il labaro degl’imperatori cristiani, cioè un drappo quasi quadrato,
che
pende da ambe le parti di un bastone incrociato n
e da un passo di Plinio rilevarsi come invenzione di Bacco. « Acrato,
che
vuol dire vin puro, è, come io penso, rappresenta
be le mani corone di fiori secondo il costume de’ banchetti. La donna
che
presso al cocchio par che lo guardi con af fetto,
secondo il costume de’ banchetti. La donna che presso al cocchio par
che
lo guardi con af fetto, è forse Nisa, la sua nutr
co altare. Innanzi un Fauno ed una Canefora, cioè una di quelle donne
che
portavano nei canestri le primizie delle frutta c
asfuse le imprese di Sesostri, o d’ altro antichissimo conquistatore,
che
l’Oriente fosse la patria di quell’uomo singolare
conquistatore, che l’Oriente fosse la patria di quell’uomo singolare
che
insegnò ai Greci tante arti ignote, ed introdusse
da quelle contrade come il ritorno trionfale di un capitano sì prode,
che
non trovò altri emuli delle sue gesta, se non che
capitano sì prode, che non trovò altri emuli delle sue gesta, se non
che
, molti secoli dopo, Alessandro e Pompeo. « Il sog
tà. L’abito barbarico dei prigionieri, e pili l’elefante, ci additano
che
l’azione è nell’Indie, famosa conquista di Bacco.
nell’Indie, famosa conquista di Bacco. « Son tre Fauni e due Baccanti
che
conducon via un elefante, su cui è avvinto un pri
icolarmente degli Orientali, è distinto dalla lunga inanellata chioma
che
, secondo il costume indico, non dovea mai recider
onosciuto gli antichi naturalisti anche un genere di minori elefanti,
che
dicevano avvezzi nell’India a trarre l’aratro, e
minori elefanti, che dicevano avvezzi nell’India a trarre l’aratro, e
che
spurii appellavansi. « Segue una coppia d’altri p
sorilievo è dei men comuni fra i ‘soggetti Bacchici. Non esprime quel
che
la maggior parte, i tiasi cioè le orgie, i triete
quel che la maggior parte, i tiasi cioè le orgie, i trieterici, feste
che
si facevano ogni tre anni in onore di Bacco, altr
ltre solennità Dionisiache, ma una delle più famose favole fra quelle
che
alla storia appartengono di questo nume. ch’egli
sto nume. ch’egli s’invaghisse di Arianna abbandonata già da Teseo, o
che
a forza e con naval certame gliela togliesse, tut
la figlia di Minosse e di Pasifae. Parecchie sono le antiche sculture
che
ci presentano il domatore delle Indie nel sorpren
lle Indie nel sorprendere la tradita Cretense, poche però, o nessuna,
che
ci ofirano, come il presente bassorilievo, la pom
1’ ebro Sileno, i cui cembali caduti al suolo sono il primo oggetto,
che
nel marmo ci si presenti. Un altro Fauno segue sa
ltro Fauno segue saltando ad onta del non lieve peso del gran cratere
che
sostiene con ambedue le mani sugli omeri in assai
rato dalle pantere segue la sposa involta da quel gran peplo, o velo,
che
poi dai Latini si disse flammeo. Un giovinetto Ba
tale. Amore è mezzo seduto sulla groppa d’una delle pantere, e sembra
che
la governi, « I pettorali, o phalerɶ delle fiere,
giace in seno di una dea seminuda, velata anch’essa come la sposa, e
che
serve di pronuba a queste nozze. Se costei sia Ve
e greco non disdice la nudità; se finalmente Giunone dea delle Nozze,
che
ad onta dell’antica gelosia e del primiero odio c
posizione però è la più verisimile, come fondata sulla favola stessa,
che
fa intervenir Ciprigna a queste nozze, e donò all
a intervenir Ciprigna a queste nozze, e donò alla sposa quella corona
che
fu poi riposta fra le stelle. Un Fauno veduto qua
ncora osservata la figura del Fauno coli’ otre. L’ artefice per altro
che
ha eseguito nello stile solito dei sarcofagi sì b
ssorilievo, ha reso alcuni oggetti con sì poca esattezza o correzione
che
non s’intendono abbastanza. « La positura di Cupi
o correzione che non s’intendono abbastanza. « La positura di Cupido,
che
parte siede sulla pantera, parte striscia i pie s
dell’artefice. Non è figura, ciò non ostante, in questo bassorilievo,
che
studiata e corretta non possa divenir degna di qu
diata e corretta non possa divenir degna di qualunque nome più grande
che
illustrasse a quegli aurei secoli le Belle Arti.
ona. Altri monumenti bacchici. Questa Lezione é l’ultima di quelle
che
trattano della teologia mitologica, ed altri monu
mitologica, ed altri monumenti Bacchici vi sono illustrati. La strada
che
dobbiamo calcare diviene adesso più dilettevole.
più dilettevole. Il primo soggetto della Mitologia storica è Giasone,
che
col fior della Grecia ardisce violar l’onde non t
. Seguendo il mio costume vi esporrò quelli fra gli antichi monumenti
che
riguardano questa famosa impresa. Vi prego di acc
o del suo artifizio. E il più evidente monumento della stretta unione
che
riconosceva la pagana mitologia fra questi due fi
mitologia fra questi due figli di Giove, Ercole e Bacco. L’antichità
che
gli considerava come Dei soci, o secendo la frase
eroi divinizzati molte maniere di rassembrarsi. Sono accennate presso
che
tutte in questo greco epigramma: Ambo Tehani, am
e monete romane coli’ epigrafe: Agli Bei Auspici. Le medaglie provano
che
questa venerazione indivisa ad Ercole e Bacco per
ero romano anche nel regno di Caracalla. « Mi sembra assai verisimile
che
il nostro bas sorilievo eziandio ne sia un monume
andio ne sia un monumento, e ciò non tanto per la bassezza dell’arte,
che
si sostenne ancora a quei tempi con qualche decor
uanto perchè vi osservo prodigamente impiegato il lavoro del trapano,
che
appunto vedesi usato con sì poco risparmio nell’a
emplice, si regge in pie sulla groppa del Centauro a destra. Un Fauno
che
suona un simile istrumento e una Vittoria che sol
auro a destra. Un Fauno che suona un simile istrumento e una Vittoria
che
solleva un trofeo scorgono tra le are coronate fr
amente siede sulla spoglia del leone, e alzando colla destra la clava
che
appoggia all’ omero, abbraccia colla sinistra Bac
ra, gl’intagli del giogo rappresentanti delfìni, mostrano ad evidenza
che
il cocchio a Bacco appartiene, quantunque ì Centa
di stucco arricchito di greche epigrafi, già Farnesiano, ora Albano,
che
ha per soggetto l’apoteosi di quest’ultimo. Egli
leone abbracciando una gran tazza da bere in m’ezzo a Satiri e Fauni,
che
gli recano in grembo, quasi traendola a forza, gi
i cerimonie mostrò, mentre visse, non ordinaria venerazione. Quindi è
che
si adornin sovente della sua effige le pompe dei
ione ò così felice, la cui espressione sì vera, le cui parti sì belle
che
può estimarsi uno dei più eccellenti ohe sian mai
bene con quella nobiltà d’idee, eh’ è pur l’anima delle antiche arti,
che
poco ha in ciò di comparabile, forse nulla di sup
e del suo corpo, dall’abbigliamento rusticano e disordinato, è quello
che
nel bassorilievo sembra muovere scompostamente, b
i acclamazione e di accompagnare col gesto i clamorosi Evoè. Il tirso
che
gli dovea servir di sostegno, non è più in suo po
d accresce l’imbarazzo della sua situazione: mentre un altro Faunetto
che
il segue, veduto di profilo, cerca distrigarlo da
uleata, in cui soltanto ha il destro braccio inserito, ed un palliolo
che
tien ravvolto al sinistro. « Il tirso, sfuggito d
la piramidal forma del gruppo intero. L’otre già lento e quasi vuoto
che
scende colla bocca sossopra dall’omero manco del
i quei gran tini appellati dai Romani lacus, e anche labra dai Greci,
che
servivano alla vendemmia. L’ orlo superiore adorn
rvivano alla vendemmia. L’ orlo superiore adorno di bellissimi ovoli,
che
sembrano averlo terminato senza coperchio: le due
e e capaci sembrano richiamarlo ad uso campestre e Bacchico piuttosto
che
al sepolcrale, e caratterizzarlo per monumento de
rlo per monumento del lusso dei predii rustici e delle antiche ville,
che
contrastavano colle fabbriche più grandiose delle
dieci figure maggiori rappresentano cinque Fauni con cinque Baccanti,
che
intrecciano insieme quella danza ebra e scomposta
. Sì varie, sì eleganti, sì ben composte sono le figure dei danzatori
che
possiamo ravvisarvi con sicurezza copie ed imitaz
positura dell’ultimo, verso la destra dei riguardanti, è la medesima
che
di un’elegantissima statuetta in bronzo dell’Erco
nque coronati la testa di pino, egualmente dalle sue capillate frondi
che
dalle piccole pine o coni contrassegnato. « Era q
crine di corone d’oro imitanti le foglie di pino. Le spoglie di fiere
che
hanno intorno alle membra non son già nebridi, ma
nsì sulle punte dei piedi in movimento di danza concitata e violenta,
che
al gettar la testa indietro in alcuna, in tutte a
in leggiadrissimo atto solleva soltanto le falde di un breve ammanto
che
le s’inarca dietro le spalle. La tunica spartana
el tutto ignuda nel rimanente; la quarta sembra eseguir quella danza,
che
diceasi cernophoros sostenendo il vaglio mistico
inistra, dentro il quale apparisce il Fallo velato. « L’ultima fìgura
che
sembra la corifea del Triaso, è forse Nisa nudric
compariva nella pompa Alessandrina su d’un carro nell’abito medesimo
che
qui vediamo, e si rizzava in piedi spargendo latt
h’ era nella sua destra e tornava di tempo in tempo a sedersi. Se non
che
la nostra figura invece del tirso ha una gran fac
gran face nella manca, arnese ugualmente proprio delle feste di Bacco
che
di quelle di Cerere. « I teschi dei capri scolpit
nel terrazzo alludono ai sacrifizi costumati nelle vendemmie: i Genii
che
cavalcano le pantere son genii Bacchici, e le due
ran teste di leone ci ricordano i rapporti Dionisiaci di questa fiera
che
, sacra alla madre degli Dei, passò nelle solennit
ti nella sua tragedia intitolata Le Baccanti la modestia e la decenza
che
queste seguaci di Bacco sapevano conservare nel f
are alla loro opera un vezzo maggiore, di rappresentare piuttosto ciò
che
accadeva talvolta ne’ Baccanali contro l’intenzio
accadeva talvolta ne’ Baccanali contro l’intenzione degl’istitutori,
che
il men licenzioso e più ordinario costume: perchè
Baccante di questo bel bassorilievo è quasi del tutto ignuda, se non
che
ha rigettato con neghgenza un ammanto sull’omero
timpano inventato dai Corjbanti, ch’ella ha nelle mani, e colla tibia
che
ispirano i suoi compagni. Un flauto è alla bocca
ca del Fauno abbigliato della spoglia di una pantera, e il Satiretto,
che
viene appresso, è ancora in atto di dar fiato a u
cora in atto di dar fiato a un’altra tibia. L’altro Satiro fanciullo,
che
la precede, sembra intento anch’ esso a trar suon
nome di tibia otricularia, cioè tibia coll’otre. « Il suolo sassoso,
che
serve di terrazzo alla composizione, ci richiama
o di frequentatore di montagne, dato a Bacco dai Poeti per dimostrare
che
le solennità delle sue rumorose orgie sui monti p
acro costume si celebravano. Fauno Bambino. « Uno dei più bei putti
che
abbia saputo l’arte ritrarre, è certamente il par
l’arte ritrarre, è certamente il pargoletto Fauno coronato di edera,
che
seduto a terra con espressione maravigiiosa di av
membra sono rotonde, quanto in soggetto simile debbono esserlo, senza
che
perciò sien gonfie ed esagerate, le forme tutte s
del putto è tutta pròpria del suo carattere, giacché la piccola coda,
che
se gli attorce sotto le reni, ce lo indica un Fau
miglianza col nostro putto, ma ne toglie ogni dubbio la coda faunina,
che
appare senza equivoco nell’originale, quantunque
appare senza equivoco nell’originale, quantunque omessa nelle stampe
che
ne sono state pubblicate finora. Darò fine all’i
stesso alla Mitologia Teologica con queste tre ottave del Poliziano,
che
la dolente Arianna e il corteggio del dio del Vin
Arianna Con le sorde acque di Teseo si dole, E dell’aura e del sonno
che
la inganna. Di paura tremando, come suole Per pic
Di paura tremando, come suole Per piccol ventolin palustre canna. Par
che
in atto abbia impresso tai parole: Ogni fiera di
e di pampino Coperto Bacco, il qual duo tigri guidano, E con lui par
che
l’alta rena stampino Satiri e Bacchi, e con voci
i e Bacchi, e con voci alle gridano; Quel si vede ondeggiar, quei par
che
inciampino, Quel con un cembal bee, quei par che
ondeggiar, quei par che inciampino, Quel con un cembal bee, quei par
che
ridano, Qual fa d’un corno e qual della man cioto
già pubblicata dal Professore Atto Vannucci. — Dobbiamo esser certi,
che
ancora degli ultimi avanzamenti negli studj di Mi
ne di Numerio intorno al racconto di Mosè sulla creazione, ove dicesi
che
lo spirito di Dio era portato sopra l’acque, narr
ne, ove dicesi che lo spirito di Dio era portato sopra l’acque, narra
che
le divinità egiziane non posavano sopra un fondo
giziane non posavano sopra un fondo stabile, ma bensì sopra una nave;
che
non solamente il sole, ma eziandio le anime, seco
ell’antichità. Nella Villa Ludovisi vi ha una piccola Iside di marmo,
che
tiene sopra una nave il pie sinistro; e sopra una
osa i piedi un’ altra figura nella Villa Mattei, dove Winkelman crede
che
il culto egizio si esercitasse. Quello che più, s
ttei, dove Winkelman crede che il culto egizio si esercitasse. Quello
che
più, secondo il medesimo, comprova questa idea, s
Callimaco può averne somministrata l’idea. Vedi l’Inno sopra Apollo,
che
si legge in fine della Lezione Decimaquinta. 14.
er antico un Amorino nel cortile del palazzo del cavalier Alessandri,
che
mi assicurò reputarlo tale anche il celebre Canov
ali, eran specie di stivaletti propri di chi frequentava la campagna,
che
difendevano i piedi, e parte della gamba meglio c
tava la campagna, che difendevano i piedi, e parte della gamba meglio
che
non facessero i calceamenti ordinari.
olti libri sulla Mitologia, ma pochi se ne trovano, a nostro credere,
che
convengano ai giovani e la lettura dei quali sia
e profitto. Peccano gli uni di prolissità la quale ad altro non serve
che
a confondere le loro menti, e nulla posson appren
son apprendere dall’arida nomenclatura di tanti altri ; inconvenienti
che
ci siamo sforzati d’evitare in questo libro, in c
rzati d’evitare in questo libro, in cui si è procurato di non parlare
che
di articoli interessanti e creduti indispensabili
e fatta in termini così misurati dal lato della morale e del costume,
che
questo libro potesse girare tra le mani de’ giovi
si è fatto, in alcune particolarità e col togliere il velo allegorico
che
copre alcune favole si è avuto in animo di dare u
in questo Compendio sono state aggiunte per corredo a quest’operetta,
che
speriamo vedere per vari titoli preferita ad altr
itoli preferita ad altre di simil genere. Desideriamo poi soprattutto
che
questa nostra fatica possa esser di qualche utili
ad essi conoscere le finzioni dei poeti, di scoprir loro le ricchezze
che
da più di tremila anni asconde questa perenne min
di quegli stessi Dei a noi rappresentati come inferiori agli uomini e
che
non sono da paragonarsi a quei filosofi che tanti
e inferiori agli uomini e che non sono da paragonarsi a quei filosofi
che
tanti diritti si sono acquistati alla riconoscenz
versato delle lagrime, potranno ben tosto asciugarle quando sapranno
che
Saturno non fu mai padre sì snaturato per divorar
e Saturno non fu mai padre sì snaturato per divorare i propri figli ;
che
Giove non fu un figlio ingrato, nè un Dio mille v
figlio ingrato, nè un Dio mille volte più colpevole degli scellerati
che
fulminò dall’ Olimpo. Se a caso non s’avvedessero
egli scellerati che fulminò dall’ Olimpo. Se a caso non s’avvedessero
che
gli autori di queste allegorie hanno avuto in mir
e hanno avuto in mira d’istruire i popoli mentre questi non credevano
che
di divertirsi ; se giugnessero a credere che ques
tre questi non credevano che di divertirsi ; se giugnessero a credere
che
questi sono racconti puerili nati nel seno dell’i
oranza e della barbarie, diremo loro : « No non furono barbari quelli
che
inventarono le favole della Mitologia, ma geni ch
ono barbari quelli che inventarono le favole della Mitologia, ma geni
che
infiammati da un fuoco divino, riscaldati dalle b
il loro cuore, e lo guidavano alla pratica del bene. » Diremo loro
che
la poesia sarebbe spoglia de’ suoi ornamenti senz
ondo il precetto oraziano avvicinarsi alla pittura. Il Tasso per dire
che
Rinaldo aveva un aspetto avvenente e guerriero co
volto, Marte lo stimi ; Amor, se scopre il volto. Che bell’effetto e
che
forza aggiungono all’ espressione del poeta i due
espressione del poeta i due nomi Marte e Amor ! Diremo loro inoltre
che
senza la Mitologia a nulla si ridurrebber le bell
rebbe ai capi d’opera di pittura e di scultura ; gli ornamenti stessi
che
abbelliscono le città ov’essi son nati apparirebb
’essi son nati apparirebber agli occhi loro di niun valore ; e giunti
che
saranno all’età di poterne conoscere il merito s’
nti che saranno all’età di poterne conoscere il merito s’accorgeranno
che
la trascuratezza di questo studio ha esposto i pi
ostri tempi scritto in difesa della Mitologia contro una nuova scuola
che
condanna altamente e dispregia questa maniera di
oi errori(1) : Audace scuola boreal, dannando Tutti a morte gli Dei,
che
di leggiadre Fantasie già fiorîr le carte argive
nimato nel mondo in acconcio della poetica invenzione. Tempo già fu,
che
, dilettando, i prischi Dell’apollineo culto archi
eria e la terrestre Uno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea,
che
l’alma era del mondo. Tutto avea vita allor, tutt
ltro al Sol converso Una Ninfa, a cui nocque, esser gelosa. Il Canto
che
alla queta ombra notturna Ti vien sì dolce da que
egnamente offesa. Quel lauro onor de’ forti e de’ poeti, Quella canna
che
fischia, e quella scorza Che ne’ boschi Sabei lag
a l’odoroso pianto(1). Così chiuse poi il discorso con alcuni versi
che
si potrebbero dire un Inno di vittoria cantato in
di tue figure implora, Onde mezzo nascosa e mezzo aperta, Come rosa
che
al raggio mattutino Vereconda si schiude, in più
e le spiche e i fiori e l’erbe E le rugiade e tutte alfin le cose (Da
che
fur morti i Numi, onde ciascuna Avea nel nostro i
, non più mosse da Dive Intelligenze, ma dannate al freno Della legge
che
tira al centro i pesi : Potente legge di Sofia, m
Igiea, Ebe, il Destino, ecc. Semidei chiamavansi propriamente quelli
che
avevano per padre un Dio o una Dea per madre. Sem
er padre un Dio o una Dea per madre. Semidei si dissero pure gli eroi
che
distinti si erano con qualche grande azione e che
ssero pure gli eroi che distinti si erano con qualche grande azione e
che
ebbero l’onore degli altari innalzati loro dulla
ano alcuni una classe particolare degli esseri intellettuali e morali
che
furono divinizzati, come la Fortuna, la Mente, l’
ome la Fortuna, la Mente, l’Onore, ecc. La più generale divisione poi
che
fucevasi una volta degli Dei era in celesti, terr
e in tre classi di Dei Inferiori, Dei Superiori e Semidei come quello
che
è il più seguito, scostandoci nulladimeno qualche
ccennata nomenclatura. Abbiamo parlato anche brevemente dei sacrifici
che
si facevano agli Dei, degli Oracoli, delle Sibill
agli Dei, degli Oracoli, delle Sibille, ecc., onde nulla tralasciare
che
possa viemeglio facilitare ai giovanetti lo studi
Oceano e Teti di cui furon figli Taumante padre d’Iride e delle Arpie
che
altri fanno figlie di Nettuno e della Terra ; e f
rra ; e furon pur figli di Urano e della Terra Nereo e Doride o Dori,
che
generarono le Ninfe, tra le quali fu rinomata Gal
a Saturno dietro le preghiere di sua madre Tellure, a condizione però
che
il fratello Saturno non alleverebbe figli maschi
on alleverebbe figli maschi ; e questi divorava i suoi figli a misura
che
nascevano. Tuttavia Rea o Cibele sua moglie trovò
rato poscia da Giove cresciuto in età. Avvertito Saturno dal Destino
che
Giove un giorno gli avrebbe tolto l’inspero, tram
la facoltà di conoscere le cose passate e le future, per cui si disse
che
Giano aveva due facce, una per conoscere il passa
Saturno arrivò in Italia, i costumi di quegli abitanti erano sì puri
che
quel tempo fu chiamato età dell’oro. Si rappresen
mente e distrugge ogni cosa. Gli siodà anche là figura di un serpento
che
si morde la coda, simbolo della perpetua rivoluzi
a, simbolo della perpetua rivoluzione dei tempi. L’orologio a polvere
che
gli si vede a canto indica la rapidità di questa
Dei, Dindimea, Idea e Berecinzia ; appena nata fu esposta alle fiere
che
n’ebbero cura e la nutrirono. Essa ha gli stessi
ritarsi. Se per negligenza di alcuna il fuoco sacro si estingueva, il
che
avevasi per funestissimo augurio, ella era dal po
, e sepolta viva in una stanza sotterranca a ciò costrutta nel campo,
che
dicevasi scellerato. Si crede da alcuni che il fu
ciò costrutta nel campo, che dicevasi scellerato. Si crede da alcuni
che
il fuoco sacro così detto fosse il lume delle lam
così detto fosse il lume delle lampade accese nel tempio di Vesta, e
che
se si estinguevano, la Vestale, per la cui incura
ccola in mano e con una patera, per ispargere profumi sul fuoco sacro
che
si manteneva contínuamente ne’ suoi templi. Il pi
o che si manteneva contínuamente ne’ suoi templi. Il pino è la pianta
che
le si consacrava. Vesta ha dato il suo nome ad un
ati anche Nettuno e Plutone. Rea consegnò Giove ai Cureti o Coribanti
che
lo condussero in Creta ove fu allattato dalla cap
tea. Cresciuto in età e venuto in cognizione della sua nascita chiese
che
Saturno lo riconoscesse erede. Titano ignaro dell
berò suo padre e lo rimise in trono. Ma informato Saturno dal Destino
che
Giove era nato per dar leggi all’universo, attent
agne da essi ammonticchiate. Dopo questa vittoria Giove più non pensò
che
agli amori ed ebbe un infinito numero di concubin
hiusa Danae da cui ebbe Perseo ; sotto le forme di cigno sedusse Leda
che
fu madre di Castore e Polluce, di Elena e Clitenn
e n’ebbe Minosse e Radamanto ; trasformato in Satiro sorprese Antiope
che
fu madre di Ansione e di Zeto. Prese la figura di
lo creò suo coppiere in vece di Ebe. Giove era la divinità dei pagani
che
lo riguardavano come il padrone assoluto di ogni
i da esso abitati. Quello di Olimpico era il principale perchè dicesi
che
facesse dimora colla sua corte sul monte Olimpo i
e. Magnifici templi gli furono elevati per tutto il mondo. La vittima
che
si offriva a Giove nei sacrifici era un bue biano
o, la folgore nell’altra, l’aquila ai piedi e Ganimede a lato. Quelli
che
toglier vogliono il velo della favola, dicono che
mede a lato. Quelli che toglier vogliono il velo della favola, dicono
che
Saturno fu re di Creta ; che fu spogliato del reg
er vogliono il velo della favola, dicono che Saturno fu re di Creta ;
che
fu spogliato del regno da’ suoi figli com’egli ne
ato del regno da’ suoi figli com’egli ne aveva privato il padre suo ;
che
nella divisione essendo toccata a Giove la parte
o il primo re del cielo, dell’inferno il secondo, del mare il terzo ;
che
molti ebbero il nome di Giove, ed avendo abusato
ttribuiti ad un solo, e ornati colle favole delle trasformazioni ; ma
che
per la pioggia d’oro intender si deve l’oro col q
e l’oro col quale Giove corruppe i custodi di Danae, pel toro la nave
che
aveva l’insegna del toro colla quale rapì Europa,
essendo stato riconosciuto, ella si decise di ascoltarlo a condizione
che
la sposasse. Questa Dea superba e vendicativa spo
tta del marito e perseguitò mai sempre le concubine di lui ed i figli
che
da quelle egli aveva. Contro Io figlio di Inaco r
ta in vacca per nasconderla alla moglie. Insospettita Giunone di quel
che
era, la chiese in dono, ed ottenutala la mise sot
iese in dono, ed ottenutala la mise sotto la guardia del pastore Argo
che
aveva cento occhi, ed essendo questi stato ucciso
occhi, ed essendo questi stato ucciso per ordine di Giove da Mercurio
che
lo avea indormentato prima col suono della zampog
tica forma fu adorata sotto il nome di Iside, e partorì Epafo od Api,
che
da’ medesimi Egiziani veneravasi sotto la forma d
rsie al figlio di quest’ ultima, Ercole, ed a molti altri. Ma vedendo
che
Giove non le dava retta, si ritirò in Samo, ove d
quale stava magnificamente addobbata una statua, facendo pubblicare,
che
quella era Platesa figlia di Asopo ch’ ei voleva
re Enea colle sue navi ; ma Enea fu protetto da Venere. Avendo saputo
che
Giove senza di lei aveva posto al mondo Pallade,
Sua messaggiera e ministra era Iride figlia di Taumante e di Elettra,
che
fu cangiata in arco baleno da Giunone per compens
cangiata in arco baleno da Giunone per compensarla delle buone nuove
che
le arrecava continuamente. In Argo, Samo e Cartag
l pavone ai piedi, o sopra d’un cocchio tirato da’ pavoni. I filosofi
che
prendono Giove per l’aria più pura o l’etere, rig
ll’agricoltura : e di servirsene. Avendole la ninfa Aretusa palesato
che
il rapitore di Proserpina era stato Plutone, Cere
di Proserpina era stato Plutone, Cerere ricorse a Giove per ottenere
che
le fosse restituita, ed ebbe da lui promessa di r
n cibo. Ascalafo figlio di Acheronte e della Notte avendo manifestato
che
Proserpina avea colto nei giardini di Plutone una
fo in barbagianni. Giove per alleviare il dolore di questa Dea ordinò
che
Proserpina passasse sei mesi colla ma dre e gli a
a ; i Greci riconoscenti istituirono in onore di questa Dea una festa
che
si celebrava colla più grande magnificenza in Ele
tenuto a rigoroso segreto, cui era sommo delitto il manifestare. Pare
che
i Greci abbian tolto questa festa dagli Egizi per
an tolto questa festa dagli Egizi perchè i misteri cleusini non erano
che
una imitazione di quelli di Iside, la stessa cosa
usini non erano che una imitazione di quelli di Iside, la stessa cosa
che
Cerere per quanto sembra. Le furono innalzati de’
nemente sotto le forme di una bella donna di statura alta e maestosa,
che
ha il seno abbondante, un bel colorito, gli occhi
sta coronata di spiche e di papaveri, piante fecondissime, e la veste
che
le cade fino a’ piedi sparsa di spiche e di papav
chè Giove era riescito a fargliene mangiare per conciliarle il sonno,
che
l’afflizione pel ratto di Proserpina, le avea fat
ologi ed i poeti però non s’accordano su la storia di questa divinità
che
confondono con Cibele. Da questa Dea ha preso il
stato annunciato dall’oracolo ch’essa dovea divenir madre d’un figlio
che
avrebbe l’impero dell’universo, egli inghiottì la
ettuno per dare il nome alla città fabbricata da Cecrope, e fu deciso
che
chi avesse fatto nascere una cosa più utile di un
nore. Percosso il terreno da Nettuno col tridente ne uscì un cavallo,
che
dicesi essere il Caval Pegaso ; Minerva percuoten
ra è figlio di Giunone. Questa Dea, come si è già detto, indispettita
che
Giove avesse fatto da sè solo Pallade o Minerva,
cognizione, le promise di insegnarle il desiderato segreto, col patto
che
nol palesasse ad alcuno ; le additò poi un fiore
il quale una donna sedendo concepiva immediatamente ; e dicesi di più
che
al solo toccarlo bastasse ad una donna per diveni
r madre. Giunone fece quanto le aveva Flora insegnato e partorì Marte
che
chiamò Dio della guerra e che destinò a presieder
e aveva Flora insegnato e partorì Marte che chiamò Dio della guerra e
che
destinò a presiedere alle battaglie. Marte amò pa
on una falce da Saturno, da Giove e da Dione come opinano molti. Pare
che
molte Veneri sieno state annoverate nella storia,
o molti. Pare che molte Veneri sieno state annoverate nella storia, e
che
le dissolutezze di molte donne di questo nome sia
molte donne di questo nome siano state attribuite ad una sola. Dicesi
che
appena nata le Ore cui incombeva di educarla, la
rla, la portarono in cielo, ove fu trovata sì bella da tutti gli Dei,
che
tutti vollero sposarla ; ma Giove la diede a Vulc
i fulmini in occasione della guerra coi Giganti. Dicono altri invece
che
Giove colto dalla bellezza di Venere, ne divenne
invece che Giove colto dalla bellezza di Venere, ne divenne amante e
che
non avendo potuto essere corrisposto, ne trasse v
r fondarvi un nuovo regno dopo l’eccidio di Troia. Amò il bello Adone
che
fu ucciso da un cignale. Venere aveva un cinto de
Adone che fu ucciso da un cignale. Venere aveva un cinto detto ceste
che
inspirava infallibilmente la più viva tenerezza.
prestarglielo ; la Dea di Citera glielo offrì all’istante dicendole,
che
poteva tutto compromettersi da Giove perchè stava
llezza, le diede il pomo d’oro, contrastatole da Giunone e Pallade, e
che
la Discordia aveva gettato sulla mensa alle nozze
a tra le Dee. Questa Dea presiedeva ai matrimoni ed a tutti i piaceri
che
traggon il principio dalla tenerezza. Le sue fest
, in Pafo, in Gnido, in Citera e in Cipro. E più famosi sono i templi
che
in questi paesi le si innalzarono. L’infinito num
esti paesi le si innalzarono. L’infinito numero di statue e di templi
che
furono eretti in onore di lei, le fecero dare una
etti in onore di lei, le fecero dare una quantità di soprannomi. Quei
che
più comunemente le vengon attribuiti sono Citerea
monte Ida in Cipro, Acidalia dal fonte Acidalio in Beozia ove dicesi
che
colle Grazie usasse di lavarsi soventi. Volle che
n Beozia ove dicesi che colle Grazie usasse di lavarsi soventi. Volle
che
le si consacrasse la colomba, perchè la ninfa Per
da lei amata fu convertita in colomba da Cupido, poichè in una sfida
che
questi ebbe con Venere a chi sapeva coglier più f
lberi le era dedicato il mirto. Fra i fiori le si consacrava la rosa,
che
di bianca qual era prima si disse cambiata in ros
estimonio dei patimenti della madre concepì tant’odio pel matrimonio,
che
ottenne da Giove per sè e per la sorella sua Mine
Si riconosceva pure per la Dea della castità, ed era tanto vergognosa
che
converse Atteone in cervo per averla rimirata in
e scacciò per questo Calisto perchè si era lasciata sedurre da Giove,
che
aveva vestite le sembianze della stessa Diana.
e sembianze della stessa Diana. Diana Pretendesi nondimeno
che
amasse il pastore Endimione, che scendesse più vo
Diana Pretendesi nondimeno che amasse il pastore Endimione,
che
scendesse più volte di notte dal cielo per venir
one, che scendesse più volte di notte dal cielo per venir a vederlo e
che
avesse da lui cinquanta figli. Il dio Pane ed Ori
rlo e che avesse da lui cinquanta figli. Il dio Pane ed Orione vuolsi
che
sieno stati amanti corrisposti di Diana ; e che a
Pane ed Orione vuolsi che sieno stati amanti corrisposti di Diana ; e
che
anzi ella uccidesse il secondo per gelosia, non p
che anzi ella uccidesse il secondo per gelosia, non potendo soffrire
che
amasse la bella Aurora. Se non era più saggia del
almeno più riservata. Andava continuamente alla caccia, e non abitava
che
nelle selve, accompagnata da’ suoi cani. Fu sempr
fa prova. Si uccidevano in onor suo nella Tauride tutti gli stranieri
che
la tempesta gettava su quelle coste. I Satiri, le
in atto di lanciare un dardo. Porta i coturni alle gambe ed ai piedi
che
son per altro nudi ; come porta scoperta la parte
’isola e dal monte ov’era nata aveva in Efeso il più magnifico tempio
che
si fosse mai veduto ed annoverato fra le sette ma
n cui nacque Alessandro il Grande, 366 anni avanti G. C. da Erostrato
che
non trovò altro mezzo di tramandare il suo nome a
nsegnato a certi pastori d’Arcadia perchè ne avessero cura. Cresciuto
che
fu in età sposò Anfitrite figlia dell’Oceano e di
andò un delfino il quale fu sì abile nell’eseguire la sua commissione
che
persuase Anfitrite a sposare Nettuno ; e questi p
io a lui renduto, lo collocò fra gli astri ove forma la costellazione
che
porta il suo nome. Si pretende che abbia avuto un
i astri ove forma la costellazione che porta il suo nome. Si pretende
che
abbia avuto un infinito numero di amanti per le q
convenuto premio a Nettuno, esso lo punì mandandogli un mostro marino
che
devastò tutto il paese. Questa favola trae origin
a tirato da cavalli marini o tritoni con un tridente in mano. Vuolsi
che
abbia avuto più di cinquanta figli. Figlie di Net
glie di Nettuno e della Terra erano le Arpie, mostri alati e malefici
che
portavano la carestia in tutti i luoghi per cui p
no, rapivano le vivande su le tavole e spargevano un odore sì fetente
che
non si poteva avvicinarsi a tutto ciò che non ave
rgevano un odore sì fetente che non si poteva avvicinarsi a tutto ciò
che
non avean seco portato. Non valeva lo scacciarle,
none le mandò per infettare e rapire le vivande dalla tavola di Fineo
che
aveva cortesemente accolto Enea. Zete e Calai fig
e Celeno. Alcuni le prendono per un prodigioso numero di cavallette
che
dopo avere devastato una parte dell’Asia minore,
cacciate dai figli di Borea. Altri riconoscono nelle Arpie dei pirati
che
facevano delle frequenti discese negli stati di F
pocrene e del Permesso, ove pascolava ordinariamente il Caval Pegaso,
che
loro serviva di cavalcatura. Riguardo alla sua na
o, che loro serviva di cavalcatura. Riguardo alla sua nascita, dicesi
che
Latona sua madre, perseguitata dall’implacabile G
nell’isola Ortigia o Delo, allora natante e ch’egli poi rese ferma, e
che
ivi diede alla luce i due suoi figli. Apoll
ivi diede alla luce i due suoi figli. Apollo Il primo uso
che
Apollo fece delle sue frecce, nel lanciar le qual
isuscitato Ippolito, Giove lo fulminò, istigato a ciò fare da Plutone
che
vedeva pel sapere di Esculapio diminuirsi il nume
uirsi il numero de’morti. Furioso per questo Apollo ammazzò i Ciclopi
che
avevano somministrato i fulmini al padre degli De
Tessaglia, del cui gregge fu fatto custode ; ed è per questa ragione
che
venne onorato come Dio de’pastori. Mercurio venne
apirgli le gregge, e mentre cercava il suo arco e le frecce, s’avvide
che
nel momento stesso gli erano state anche quelle i
idonò la divinità ad Apollo e lo richiamò in cielo. Pretendono alcuni
che
durante il suo soggiorno sulla terra egli inventa
ulla terra egli inventasse la lira, ma credesi con maggior fondamento
che
gli fosse data da Mercurio in cambio del famoso c
a da Mercurio in cambio del famoso caduceo. Il più rinomato de’templi
che
gli fossero eretti fu quello di Delfo. Leucotoe,
uocando con Giacinto al disco, lo uccise involontariamente, ed Apollo
che
amava Giacinto lo cangiò in un fiore che porta il
involontariamente, ed Apollo che amava Giacinto lo cangiò in un fiore
che
porta il suo nome. Ciparissa avendo con uno stral
avendo con uno strale ucciso per disavventura un cervo addomesticato
che
gli era carissimo, volle ammazzarsi, ma Apollo ch
ervo addomesticato che gli era carissimo, volle ammazzarsi, ma Apollo
che
l’amava prevenne il colpo e lo cangiò in cipresso
lpo e lo cangiò in cipresso. Vinse il temerario Marsia, famoso satiro
che
lo sfidò a chi canterebbe meglio e per punirlo lo
ripetevano le parole del barbiere e si fece in tal modo noto a tutti
che
Mida aveva le orecchie d’asino. Questo Mida è lo
li furono consagrati perchè in queste cose aveva egli cangiati coloro
che
da lui furono amati. Il grifone, il cigno, il cor
orvo e la cornacchia erangli parimenti consagrati, perocchè credevasi
che
questi uccelli avessero un particolare istinto a
enti d’arti a lui vicini e sopra un carro condotto da quattro cavalli
che
percorrono lo zodiaco. Questo Dio è considerato s
i affidò anche la cura d’illuminare il mondo Il più celebre monumento
che
ci resta dell’antichità è il famoso Apollo del Be
onumento che ci resta dell’antichità è il famoso Apollo del Belvedere
che
trovasi nella Galleria del Gran Duca di Toscana a
Gran Duca di Toscana a Firenze. Fra le statue antiche questa è quella
che
ha meno sofferto dal furore de’ barbari e dalla m
ere cavarnele e non si poteva morire se egli non aveva rotti i legami
che
univano l’anima al corpo. Ambasciatore e plenipot
mente. Fu molto amato da Venere e da lei ebbe Ermafrodito. Pretendesi
che
abbia inventata la lira e che la formasse la prim
e e da lei ebbe Ermafrodito. Pretendesi che abbia inventata la lira e
che
la formasse la prima volta coi tesi nervi di una
e la formasse la prima volta coi tesi nervi di una testudine morta, e
che
in cambio della lira avesse da Apollo il caduceo.
della lira avesse da Apollo il caduceo. Questo caduceo era una verga,
che
Mercurio imbattutosi un giorno in due serpenti su
per separarli. I due serpenti s’avviticchiarono ad essa in tal modo,
che
la parte più alta del corpo loro veniva a formare
li alla testa ed ai piedi. Ora nudo ed ora con un manto su le spalle,
che
non gli copre se non la metà del corpo. Talvolta
enti Mercurio appare a canto a Venere, ingegnoso emblema per indicare
che
i piaceri d’Amore non hanno prezzo se non quando
a Pittagora perchè questo filosofo insegnò l’immortalità dell’anima e
che
questo Dio n’era il condottiero. Col caduceo vuol
a e che questo Dio n’era il condottiero. Col caduceo vuolsi da alcuni
che
avesse il potere di chiamare o fugare a suo talen
borsa come Dio del commercio ; e come quello dell’eloquenza si finse
che
dalla sua bocca uscissero catene d’oro, che dolce
o dell’eloquenza si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’oro,
che
dolcemente legavano gli ascoltanti ; come tale ch
mente legavano gli ascoltanti ; come tale chiamavasi Ermete. Il gallo
che
gli si vede alle volte vicino serve a dinotare la
vede alle volte vicino serve a dinotare la vigilanza di lui. L’ariete
che
or gli si vede a canto, or su le spalle indica ch
a di lui. L’ariete che or gli si vede a canto, or su le spalle indica
che
egli era il protettore de’ pastori. Il cigno che
su le spalle indica che egli era il protettore de’ pastori. Il cigno
che
gli sta vicino soventi è il simbolo della dolcezz
redeva ch’ei fosse nato su quel monte. Come Dio dei ladri si racconta
che
commettesse varie truffe e dei furti. Mentre era
iso in Tessaglia le gregge di Admeto, Mercurio gli rubò alcune vache,
che
fece camminare all’indietro, onde non se ne scopr
all’indietro, onde non se ne scoprissero le tracce. Il pastore Batto
che
era stato testimonio del furto avea avuto una bel
l suono della lira si servì di quella di Apollo per addormentare Argo
che
custodiva Io ed ucciderlo. Liberò Marte dalla pri
rinchiuso da Vulcano e attaccò Prometeo sul monte Caucaso. Le statue
che
si ponevano su le vie a guisa di termini or con t
on quattro facce erano dette Mercuri da’ Romani, ed Ermeti dai Greci,
che
tale è il nome di Mercurio in quella lingua. Mer
a favola di questo Dio ; cinque almeno devono essere stati i soggetti
che
portarono questo nome ; da ciò traggono origine l
ia donna di Epidauro, nutrice di Semele, andò a visitare quest’ultima
che
sapeva essere incinta e dopo avere mosso dei dubb
animo un’ardente brama di veder Giove in tutta la sua maestà. Semele
che
non si avvedeva della malignità di questo consigl
edergliela, ed allora ella gli chiese come una prova di amore, quello
che
dovea esserle cagione di morte. Giove che non pot
una prova di amore, quello che dovea esserle cagione di morte. Giove
che
non poteva violare il suo giuramento comparì arma
i, e Semele, semplice mortale, restò arsa col suo palazzo. Per timore
che
Bacco, di cui era incinta Semele, non abbruciasse
el suo nascere fu nascostamente consegnato ad Ino, sorella di Semele,
che
n’ebbe cura coll’aiuto delle Iadi, delle Ore e de
he n’ebbe cura coll’aiuto delle Iadi, delle Ore e delle Ninfe, fino a
che
arrivasse all’ età da poter essere istruito dalle
’ età da poter essere istruito dalle Muse e da Sileno, vecchio satiro
che
fu poi amato molto da Bacco. Cresciuto in età que
Dio andò a conquistare le Indie con un esercito di uomini e di donne,
che
invece di armi portavano dei tirsi, specie di lan
lato. Il corteggio era preceduto da una banda di Satiri. Lo spavento
che
inspirava un esercito cotanto singolare e tumultu
vento che inspirava un esercito cotanto singolare e tumultuoso, fe’sì
che
Bacco non provasse alcuna resistenza per parte de
te de’ popoli ; egli fu ricevuto ovunque come una Divinità, tanto più
che
non era già suo scopo di imporre tributo ai vinti
are il mele e l’invenzione dell’aratro. Punì severamente tutti quelli
che
vollero opporsi allo stabilimento del suo culto,
amanti di Giove, ma estendeva puranco la sua vendetta contro i figli
che
di esse nascevano. Licurgo re di Tracia avendo in
o. Licurgo re di Tracia avendo inseguito Bacco e le sue sacerdotesse,
che
celebravano le orgie sul monte Nisa, fu accecato
mente da Mida re di Frigia ed avendogli di più Mida restituito Sileno
che
era stato preso da’ contadini, Bacco in ricambio
ei dimandasse. L’avarizia spinse Mida a dimandargli sconsigliatamente
che
in oro si convertisse tutto quello che da lui fos
dimandargli sconsigliatamente che in oro si convertisse tutto quello
che
da lui fosse toccato. Ma ebbe ben tosto a pentirs
il suo dono, e questi allora gl’impose di lavarsi nel fiume Pattolo,
che
quindi acquistò la virtù di volgere arene d’oro.
Arianna abbandonata dall’ingrato Teseo nell’isola di Dia o di Nasso e
che
fosse scoperta dai Satiri e dai Fauni immersa in
dai Satiri e dai Fauni immersa in un profondo sonno ; vogliono altri
che
la rapisse a Teseo medesimo. Il fatto è che la sp
do sonno ; vogliono altri che la rapisse a Teseo medesimo. Il fatto è
che
la sposò e le fe’ dono d’una corona d’oro lavoro
la sposò e le fe’ dono d’una corona d’oro lavoro egregio di Vulcano,
che
pose tra gli astri dopo la morte della sua sposa.
coperto sempre della pelle di un capro. Suoi seguaci erano i Satiri,
che
figuravansi colle orecchie, le corna e le gambe d
cchie, le corna e le gambe di capro, ed il vecchio Sileno aio di lui,
che
lo seguiva seduto sopra d’un asino. Bacco ebbe mo
ezione de’bevitori. Il senato romano credè utile di proibire le feste
che
sotto il nome di Baccanali o Orgie si celebravano
ndicavano sotto diversi nomi : le più note sono le Baccanti. Le Ninfe
che
allevarono questo Dio, le donne che lo accompagna
ù note sono le Baccanti. Le Ninfe che allevarono questo Dio, le donne
che
lo accompagnarono nella conquista delle Indie, fu
ne che lo accompagnarono nella conquista delle Indie, furono le prime
che
portarono un tal nome. Vulcano Vulcano dio
del fuoco era figlio di Giove e di Giunone. Nacque egli così deforme,
che
appena nato, i suoi genitori lo precipitarono dal
a coscia e restò zoppo da ambi i lati perpetuamente. Pretendono altri
che
fosse precipitato da Giove, per punirlo di aver v
propria madre da lui appesa alla volta dell’Olimpo. Egli è certo però
che
dopo la caduta stette nove anni in una grotta pro
Anfitrite o di Urano e della Terra detti monocoli perchè non avevano
che
un occhio in mezzo alla fronte lavoravano continu
tre principali erano Bronte, il quale fabbricava il fulminee, Sterope
che
lo teneva su l’incudine e Piracmone che lo battev
bbricava il fulminee, Sterope che lo teneva su l’incudine e Piracmone
che
lo batteva a colpi raddoppiati. Se ne conta però
loro sacrifici. I moderni non videro nella favola dei Ciclopi se non
che
l’emblema dei vulcani. Si dicevano figli di Urano
fabbri per le cose maravigliose da esso fatte. Celebri sono i tripodi
che
camminavano da sè stessi, le donne d’oro che aiut
. Celebri sono i tripodi che camminavano da sè stessi, le donne d’oro
che
aiutavanlo ne’suoi lavori, i cani d’argento e d’o
e donne d’oro che aiutavanlo ne’suoi lavori, i cani d’argento e d’oro
che
stavano a guardia di Alcinoo, le armi impenetrabi
gamennone e la famosa rete di fili di metallo d’una sì grande finezza
che
era invisibile, di cui si servì per cogliere Mart
tutte le opere di Vulcano la più maravigliosa fu la statua di Pandera
che
fu da lui anche animata. Si racconta che gli Dei
iosa fu la statua di Pandera che fu da lui anche animata. Si racconta
che
gli Dei irritati nel vedere che Giove si arrogass
fu da lui anche animata. Si racconta che gli Dei irritati nel vedere
che
Giove si arrogasse solo il diritto di creare gli
o a Vulcano di fabbricare una donna cui diedero il nome di Pandora, e
che
per renderla perfetta ognun di essi le fece un do
Pandora, le regalò un vaso in cui racchiudevansi tutti i mali. Dicesi
che
Pandora ebbe ordine da Giove di presentarlo a Pro
d avendo egli avuta l’imprudenza di aprirlo, ne uscirono tutti i mali
che
infestano il mondo, restando solo la speranza inf
po da ambe le parti, con folta barba, coi capelli sparsi, conun abito
che
gli arriva appena ai ginocchi, appoggiato ad un i
ri suoi fratelli, ebbe in parte l’impero dell’inferno nella divisione
che
fece con Giove e Nettuno dell’eredità paterna. Es
tuno dell’eredità paterna. Essendo il Dio dell’inferno e non regnando
che
sui morti, la natura del suo impero inspirava una
orti, la natura del suo impero inspirava una tale avversione a tutti,
che
non potè ritrovare alcuna donna che volesse sposa
rava una tale avversione a tutti, che non potè ritrovare alcuna donna
che
volesse sposarlo, e fu per questo che si determin
non potè ritrovare alcuna donna che volesse sposarlo, e fu per questo
che
si determinò di rapire Proserpina. Plutone
i monti della Sicilia, Tifeo o Tifone gigante mostruoso, uno di quei
che
diedero l’assalto al cielo e che toccava le nuvol
ifone gigante mostruoso, uno di quei che diedero l’assalto al cielo e
che
toccava le nuvole col capo, si agitò di tal manie
e che toccava le nuvole col capo, si agitò di tal maniera la Sicilia,
che
Plutone temè non si aprisse la terra, e uscì dall
Plutone temè non si aprisse la terra, e uscì dall’inferno per vedere
che
fosse. Stava ne’ campi dell’Enna Proserpina figli
dispari. Il suo culto era celebre in Grecia ed in Roma. Sono i Romani
che
l’avevano messo nel numero delle dodici prime div
lorchè sortono dal corpo. Lo ritengono altri come l’emblema del sole,
che
, nella sua assenza durante l’inverno, piomba la n
ella corona boreale, bella costellazione posta presso il serpentario,
che
accompagna il sole mentre egli percorre l’inferio
i passati nell’inferno e sei mesi in cielo. Alcuni storici pretendono
che
prima dell’esistenza di un principe chiamato Plut
pe chiamato Plutone, gli uomini non conoscevano l’uso dei funerali, e
che
quel nuovo stabilimento lo rendette meritevole de
la corte infernale, e gli altri due giudici, non erano per così dire,
che
gli assessori di lui. Le due grandi divisioni del
egnava una eterna primavera ; il fiato de’venti non si faceva sentire
che
per ispandere intorno l’olezizo de’fiori ; un sol
lo aveva diritto di cantarvi i propri piaceri, e non erano interrotti
che
dalle toccanti voci de’grandi poeti e de’rinomati
mpi Elisi. Li situavono alcuni nella Luna, altri nelle Isole Canarie,
che
dissero Fortunate, o nell’Islanda la Tile o Tule
della Betica parte della Spagna meridionale. L’idea del Tartano pare
che
sin stata presa da Tartesso piccola isola che esi
L’idea del Tartano pare che sin stata presa da Tartesso piccola isola
che
esisteva una volta all’imboccatura del Beti, oggi
ecchio coperto d’un abito umido. Riposa sopra un’urna nera, e le onde
che
ne escono sono piene di spuma, perchè il loro cor
che ne escono sono piene di spuma, perchè il loro corso era sì rapido
che
rotolavano degli scogli e niuna cosa poteva tratt
ppresenta sotto la figura di un vecchio la cui urna versa delle acque
che
dopo aver formato un cerchio perfetto, sfuggono e
niral a quelle dell’Acheronte. Sulle sue sponde si vedevano dei tassi
che
porgevano un’ombra mesta e tenebrosa, e si vedeva
a proprietà delle quali consisteva nel far obliare il passato. Coloro
che
amrnettevano la metempsicosi gli attribuivano ano
erchè il suo corso era placido ; sulle sue sponde si vedeva una porta
che
comunicava col Tartaro. Si raffigura come un vecc
va una porta che comunicava col Tartaro. Si raffigura come un vecchio
che
da una mano tiene l’urna, dall’altra la tazza del
nta anche coronato di papaveri e di loto. Stige è una celebre fontana
che
gli Egizi avevano collocata nel regno delle Ombre
i Titani, chiamò in soccorso tutti gl’immortali, lo Stige fu il primo
che
vi accorse con tutta quella formidable famiglia.
ltremodo contento di tanto ossequio lo colmò di beneficenze e stabili
che
quando gli Dei avessero giurato per le sue acque,
l’Erebo figlio del Caos e della Notte, padre dell’Etera e del Giorno,
che
fu cangiato in fiume e precipitato nel Tartaro pe
Nessun mortale vivente poteva entrare nella barca di Caronte, a meno
che
non avesse seco un ramo d’oro consacrato a Minerv
Enea, allorchè volle entrare nel regno di Plutone. Molto tempo avanti
che
questo principe vi scendesse il nocchiero inferna
ramo. La favola di Caronte si spiega in vari modi. Credesi da alcuni
che
Caronte fosse un potente principe che diede leggi
in vari modi. Credesi da alcuni che Caronte fosse un potente principe
che
diede leggi all’Egitto e che fu il primo ad impor
ni che Caronte fosse un potente principe che diede leggi all’Egitto e
che
fu il primo ad imporre un diritto su le sepolture
o su le sepolture. Lo vogliono altri un semplice sacerdote di Vulcano
che
seppe usurpare in Egitto il supremo potere e che,
sacerdote di Vulcano che seppe usurpare in Egitto il supremo potere e
che
, coi tesori procedenti dal tributo ch’egli impose
tardò guari a porre il vestibulo dell’Inferno. L’opinione comune si è
che
questo nome in lingua egizia suoni barcaiuolo, e
ione comune si è che questo nome in lingua egizia suoni barcaiuolo, e
che
con esso si denotasse colui che per ordine del re
in lingua egizia suoni barcaiuolo, e che con esso si denotasse colui
che
per ordine del re tragittava nella sua barca quel
notasse colui che per ordine del re tragittava nella sua barca quelli
che
avevano pagato il diritto della sepoltura, e che
lla sua barca quelli che avevano pagato il diritto della sepoltura, e
che
li conduceva vicino a Menfi nelle amene campagne
cherusa. I sacerdoti egizi rifiutavano il passaggio del lago a quelli
che
erano morti senza pagare i loro debiti, e i paren
i, e i parenti erano obbligati di tenere presso di sè il corpo fino a
che
li avessero pagati essi medesimi. La moneta posta
ro pagati essi medesimi. La moneta posta in bocca al defunto indicava
che
tutti i suoi creditori erano soddisfatti, giacchè
o anni sulle sponde del Cocito le anime degl’insepolti, perchè quelli
che
si annegavano nel lago Acherusa non ricevevano fu
li se non un secolo dopo e si facevano a spese del pubblico. Dal lago
che
alcuni chiamano Palude di Acherusa nell’Epiro in
o in Tesprozia sorgeva l’Acheronte, la cui acqua era amara e malsana,
che
dimorava lungamente nascosta sotto e rra, e scari
, e scaricavasi nel golfo Adriatico. Il Cocito era una palude fangosa
che
terminava in quella di Acherusa. Di là dell’Ache
ll’Acheronte errava il Can Cerbero cui alcuni danno cinquanta teste e
che
secondo l’opinione comune non ne aveva che tre. Q
ni danno cinquanta teste e che secondo l’opinione comune non ne aveva
che
tre. Questo mostro nacque da Echidna metà ninfa e
ed il Leone di Nemea. Cerbero era il custode dell’Inferno ed impediva
che
vi entrassero i viventi e ne sortissero le ombre.
l suono della sua lira, allorchè andò a cercare Euridice. La Sibilla
che
conduceva Enea nell’Inferno lo sopì pure con una
cia di mele e di papavero. Molti si son dati a spiegare questa favola
che
credesi derivata dall’uso degli Egizi di far cust
resso i conquistatori dell’Egitto, gli Arabi. Trovano credenza quelli
che
sostengono esser questo mostro l’emblema della di
uelli che sostengono esser questo mostro l’emblema della dissoluzione
che
succede nel sepolcro ; e se Ercole lo vinse dopo
erali. A Roma si adorava anche Libitina come Dea dei funerali, e pare
che
fosse la stessa Proserpina. Dea dell’Inferno era
pare che fosse la stessa Proserpina. Dea dell’Inferno era pur Ecate
che
alcuni confondono con Diana, altri cólla stessa P
caratteri a questa Dea e varia all’infinito la sua genealogia ; pare
che
ogni paese avesse la sua Ecate di cui i mitologi
questo nome una benefica deità, per la quale Giove aveva più riguardi
che
per qualunque altra divinità, poichè ella ha in m
ai sogni, ai parti, alle conversazioni e al crescimento dei fanciulti
che
nascono. Ecate figlia del titano Perseo si dipin
titano Perseo si dipinge come brava cacciatrice, dotta avvelenatrice,
che
fa prova de’ suoi veneficii cogli stranieri, avve
l’incantesimi, era invocata prima di cominciare le magiche operazioni
che
la costringevano a comparir sulla terra. Sopraint
te e dell’Averno, da altri di Giove e di Temi. Gli antichi credevano
che
queste divinità presiedessero alla vita ed alla m
siedessero alla vita ed alla morte ed erano riguardate siccome quelle
che
avevano un potere il più assoluto di tutte le alt
che della sorte degli uomini esse ne regolavano i destini : tutto ciò
che
avveniva nel mondo era sottoposto al loro impero.
ita di ciascuno era giunta al suo termine. Si voleva con ciò indicare
che
la prima preparava i destini, la seconda li distr
se questa la ragione per cui fra tutte le divinità furon esse le sole
che
vissero in un’amicizia ed in un’inalterabile unio
e loro occupazioni cantando le sorti de’ mortali. L’orribile ritratto
che
ne fanno i poeti giustifica l’avversione che si h
ali. L’orribile ritratto che ne fanno i poeti giustifica l’avversione
che
si ha sempre avuto per esse. Si rappresentano ner
loro delle alì, i capelli bianchi e si fanno soggiornare nelle valli
che
circondano il Parnaso. Nella loro deformità avvi
volare sopra i corpi per succhiarne il sangue e disputarsi i cadaveri
che
respirano ancora, trascinare pei piedi i morti, s
o ancora, trascinare pei piedi i morti, senza risparmiare i guerrieri
che
dalla morte erano ancor rispettati. Si vedono avv
opporre a tali dolorose pitture lo spettacolo delle Parche intenerite
che
restituiscono la vita allo sfortunato Pelope. Clo
commuovere. La dolce melodia della lira di Orfeo le intenerì a segno,
che
, per udirlo, lasciarono in abbandono i loro fusi,
Dei contro i colpevoli ed incaricate della esecuzione delle sentenze
che
contr’essi emanansi dai giudici dell’Inferno. Si
e con visioni spaventevoli, le quali gettavanli nel più gran delirio,
che
sovente non cessava che colla loro vita. Gli Dei
li, le quali gettavanli nel più gran delirio, che sovente non cessava
che
colla loro vita. Gli Dei le impiegarono anche a p
ivinità si guadagnarono particolari omaggi. Era sì grande il rispetto
che
avevasi per esse che quasi non osavasi nominarle,
no particolari omaggi. Era sì grande il rispetto che avevasi per esse
che
quasi non osavasi nominarle, nè fissare lo sguard
Grecia e servivano di inviolabile asilo ai delinquenti. Nei sacrifici
che
loro si offrivano impiegavasi il narciso, lo zaff
o al trono di Plutone, attendono esse i suoi ordini con un’impazienza
che
mostra tutto il loro furore. Le Furie si chiamaro
io più strepitoso delle loro vendette di quello dell’infelice Oreste,
che
perseguitarono tanto orribilmente. Nelle Furie ha
orribilmente. Nelle Furie hanno i poeti voluto raffigurare i rimorsi
che
accompagnano i delitti. I Mani erano una specie d
i rimorsi che accompagnano i delitti. I Mani erano una specie di Geni
che
presiedevano a morti. Da alcuni furono presi per
i facevano de’ sacrifici per pacificarli ed il cipresso era la pianta
che
loro si consacrava. La Notte figlia del Cielo e d
onsacrava. La Notte figlia del Cielo e della Terra, Dea delle Tenebre
che
sposò l’Erebo fiume d’Averno, da cui ebbe molti f
e Tenebre che sposò l’Erebo fiume d’Averno, da cui ebbe molti figli e
che
rappresentavasi per lo più in veste nera sparsa d
n una falce in mano. Il Sonno figlio dell’Erebo e della Notte, dicono
che
ebbe il suo palazzo in luogo deserto e sconosciut
ti il sonno. Il fiume dell’oblivione gli scorre intorno e non sentesi
che
il lento mormorio delle acque di questo fiume. Il
uesto fiume. Il Sonno sta disteso in una sala su di un letto di piume
che
ha le tende nere. I Sogni gli stanno dintorno sdr
I Sogni gli stanno dintorno sdraiati, e Morfeo suo figlio o ministro,
che
addormenta tutti quelli che tocca con un gambo di
sdraiati, e Morfeo suo figlio o ministro, che addormenta tutti quelli
che
tocca con un gambo di papavero e fa sognare, sta
cca con un gambo di papavero e fa sognare, sta vegliando per impedire
che
non si faccia rumore. Il Sonno possente Dio cui t
la ragione. Quando era giovine dicesi avesse una buonissima vista, ma
che
avendo dichiarato a Giove ch’ei non volea seguire
liergli il discernimento. Si rappresenta sotto la forma di un vecchio
che
tiene una borsa in mano. I poeti hanno conservato
iove e della ninfa Plote o Ploto o Pluto figlia di Teoclimene, dicesi
che
in un convito offerto agli Dei, per far prova del
diè loro a mangiare il propro figlio Pelope tagliato in pezzi. Vuolsi
che
Cerere più avida degli altri o distratta dall’aff
ezzi. Vuolsi che Cerere più avida degli altri o distratta dall’affano
che
le cagionava il ratto di sua figlia senza avverde
terno tormento della fame e della sete, ponendolo in mezzo alle acque
che
gli giungono fino al mento, ma che gli sfuggon di
ete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giungono fino al mento, ma
che
gli sfuggon di sotto quando si abbassa per bevern
beverne ; e collocandogli sopra la testa un albero carico di frutta,
che
s’innalzano ogni volta che stende il braccio per
sopra la testa un albero carico di frutta, che s’innalzano ogni volta
che
stende il braccio per coglierne. Le Danaidi eran
uanta figli di Egitto suo fratello. Avendo inteso Danao dagl’indovini
che
dai generi dovea essere privato del regno ordinò
riti. Quarantanove di esse eseguirono il barbaro comando, e non fuvvi
che
Ipermestra la quale salvò il marito Linceo ; furo
Si è immaginato questo favoloso castigo perchè si pretende da certuni
che
le Danaidi comunicassero agli Argivi l’invenzione
rtuni che le Danaidi comunicassero agli Argivi l’invenzione dei pozzi
che
avevano recata dall’Egitto, dove le acque erano r
e avevano recata dall’Egitto, dove le acque erano rare ; altri dicono
che
palesassero l’invenzione delle trombe ; e siccome
l unezzo di queste trombe pei differenti usi delle Danaidi, così quei
che
erano impiegati in questo disagioso lavoro, disse
he erano impiegati in questo disagioso lavoro, dissero verisimilmente
che
queste principesse erano condannate a riempire un
ica co’ suoi latrocinii e schiacciava col peso di enorme sasso quelli
che
gli cadevano tra le mani. Fu ucciso da Teseo e co
dannato nell’ Inferno a spingere sulla cima d’un monte un gran sasso,
che
quando è vicino a toccare la sommità, ricade nuov
do è vicino a toccare la sommità, ricade nuovamente al basso. La rupe
che
gli fanno incessantemente muovere, è l’emblema di
i fanno incessantemente muovere, è l’emblema di un ambizioso principe
che
lunga pezza ravvolse in capo dei grandi disegni s
senza eseguirli. Flegia re de’ Lapiti volendosi vendicare di Apollo
che
aveva sedotta l’unica sua figlia Coronide incendi
ollo che aveva sedotta l’unica sua figlia Coronide incendiò il tempio
che
quel Dio aveva in Delfo. Irritato Apollo uccise F
ei nel Tartaro fu condannato a starsi perpetuamente sotto di un sasso
che
sempre minaccia di rovinargli addosso e schiaccia
Deione o Deioneo. Volendosi vendicare di suo suocero per un’ingiuria
che
ne aveva ricevuto lo fece morire in modo barbaro.
he ne aveva ricevuto lo fece morire in modo barbaro. Egli fu il primo
che
si fece reo dell’uccisione di una persona della s
ò orrore ; e siccome era senza esempio, così non trovò persona veruna
che
volesse espiarlo. Indarno sollecitò tutti i princ
egare dalle Furie nell’ Inferno ad una ruota circondata da serpenti e
che
gira sempre. I serpenti che circondano la ruota s
rno ad una ruota circondata da serpenti e che gira sempre. I serpenti
che
circondano la ruota servono ad indicare i rimorsi
eti tra i più celebri condannati del Tartaro anche i Giganti o Titani
che
mossero guerra a Giove, il più formidabile dei qu
ni che mossero guerra a Giove, il più formidabile dei quali fu Tifone
che
da sè solo diede a fare agli Dei più assai che tu
le dei quali fu Tifone che da sè solo diede a fare agli Dei più assai
che
tutti gli altri giganti insieme. Poichè Giove gli
Giove gli ebbe sconfitti precipitolli nel Tartaro ; avvi chi pretende
che
fossero seppelliti vivi parte sotto l’Etna, parte
iti vivi parte sotto l’Etna, parte in diversi paesi. Vuolsi da alouni
che
Briareo famoso tra i giganti, che avea cento brac
in diversi paesi. Vuolsi da alouni che Briareo famoso tra i giganti,
che
avea cento braccia e cento mani e che mandava fia
e Briareo famoso tra i giganti, che avea cento braccia e cento mani e
che
mandava fiamme da cinquanta bocche e da cinquanta
Dei contro Giove, salisse al cielo e si sedesse al fianco di Giove, e
che
col suo fiero e terribile contegno spaventasse i
e Cotto, suoi fratelli, per servirgli di guardia. Pretendesi da altri
che
Briareo avesse parte nella guerra de’Titani contr
tri che Briareo avesse parte nella guerra de’Titani contro gli Dei, e
che
fosse oppresso sotto il peso del monte Etna e che
i contro gli Dei, e che fosse oppresso sotto il peso del monte Etna e
che
venisse poscia liberato. Degli dei inferiori
ofumi mescolati di sangue di cavallo, di ceneri di un giovane vitello
che
facevano bruciare, e di gambi di fave. Purificava
, e di gambi di fave. Purificavano eziandio le stalle e gli ovili non
che
le mandre col fumo di sabina e di zolfo ; poscia
uol figlio di Giove, chi di Mercurio. Si ritiene però più comunemente
che
il Pane dei Greci fosse figlio di quest’ultimo Di
i gli abitanti delle campagne. Siccome Pane viene da una parola greca
che
significa tutto, fu egli perciò riguardato da alc
viene considerato come figlio di Demogorgone, il più antico degli Dei
che
aveva per compagni il Tempo ed il Caos, la cui se
sta da alcuni nelle viscere della terra. Questi era un Dio terribile,
che
non era permesso di nominare. Oltre l’esser stato
on era permesso di nominare. Oltre l’esser stato padre di Pane dicesi
che
fosser pur anche figli suoi le tre Parche, il ser
pente Pitone ed il Cielo stesso e la Terra. Pane ebbe molte concubine
che
sedusse sotto diverse figure. Ma non potè vincere
gendo in riva al fiume paterno, fu cangiata in un canneto e dal suono
che
fecero le canne fra lor percosse, prese poscia l’
a piacere di incutere, con subitanee apparizioni, timore agli animali
che
abitavano il monte Liceo ed il monte Menalo in vi
andava a cantar sulla lira la metamorfosi di Dafne. Narrasi dai Greci
che
quando i Galli sotto la condotta di Brenno s’acci
a fuggire. Da ciò prese origine di chiamar Terror Panico quel terrore
che
ci assale improvvisamente senza conoscerne tante
no, una corona rozzamente fatta di foglie e di pine, un abito rustico
che
gli scende sino alle ginocchia, un cane a lato ed
o dalla sinistra mano un ramo di pino carico di pine, locchè dimostra
che
il pino era l’albero favorito di questo Dio. Spes
pino ha un ramo di cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso
che
da lui non da Apollo, come si è già detto, preten
metà uomini e metà capri con le corna in testa, colla sola differenza
che
i Satiri si rappresentavano col pelo al mento ed
gra. Si consacrava ad essi il pino ed il selvatico ulivo. Si pretende
che
la voce dei Fauni si facesse sentire nel più folt
si riguardava anche come il Dio dei pensieri e dei cambiamenti. Pare
che
sotto il nome di Vertunno volessero gli antichi p
a Dea de’ frutti e de’ giardini, molto distinta per la sua bellezza e
che
avea rifiutato la mano di vari Dei, impiegò tutti
no di vari Dei, impiegò tutti i mezzi per farle superare l’avversione
che
aveva per le nozae e riescì a piegarla colle pers
à avanzata, ringiovanissi insieme con lei e non violò giammai la fede
che
le aveva data. Non era il solo Vertunno che avess
non violò giammai la fede che le aveva data. Non era il solo Vertunno
che
avesse il potere di cambiar di forme, ebbervi Pro
arpanto isola situata tra quelle di Rodi e di Creta. I Greci vogliono
che
nascesse a Pallene città della Tessaglia. Era cus
ultarlo. Bisognava sorprenderlo però mentre dormiva e legarlo in modo
che
non potesse fuggire, perchè altrimenti prendeva t
i figli Tmolo e Telegone giganti crudelissimi, e fu tanto lo spavento
che
incusse loro, per, cui desistettero dalle sceller
spavento che incusse loro, per, cui desistettero dalle scelleraggini
che
commettevano. Aristeo figlio di Apollo e di Ciren
a e con questo artificio gli riuscì di farlo parlare. Vogliono alcuni
che
Proteo sia stato re d’Egitto saggio ed avveduto.
sua prudenza gli faceva prevedere tutti i pericoli, e si disse perciò
che
conoscesse l’avyenire. Era impenetrabile ne’suoi
e forme per ispaventare chi cercava di avvicinarlo. Da altri fu detto
che
Proteo era un oratore che colle attrattive della
i cercava di avvicinarlo. Da altri fu detto che Proteo era un oratore
che
colle attrattive della sua eloquenza conduceva a
i chi l’ascoltava. Avvi chi ne fa un commediante, un mimo tanto agile
che
mostravasi sotto un’infinità di differenti figure
infine nel numero di quegli incantatori di cui abbondava l’Egitto, e
che
affascinavano, co’ loro prestigi, gli occhi della
offerte, oltre un annuo sacrificio in un giorno determinato. Si vuole
che
il suo culto sia stato trasportato in Italia dai
di Astrea. Spira questo vento così soavemente ed ha pur tanta virtù,
che
ravviva tutta la natura. Il suo nome significa in
nta virtù, che ravviva tutta la natura. Il suo nome significa infatti
che
reca la vita. Si rappresenta sotto la figura di u
lande con vicino di lei molte ceste di fiori. Flora era una delle dee
che
presiedeva al frumento, ed in certi tempi dell’an
ali, correvano giorno e notte, ballando al suon delle trombe e quelle
che
vincevano al corso erano coronate di fiori. La Cl
nnegli dato il soprannome di Lampsacio, Lampsaceno o Lampsaco. Dicesi
che
Venere essendosi innamorata del Dio del vino per
r capriccio, andò ad incontrarlo mentre egli ritornava dalle Indie, e
che
si fermò in Lampsaco per isgravarsi. Giunone, che
nava dalle Indie, e che si fermò in Lampsaco per isgravarsi. Giunone,
che
dopo il giudizio di Paride la odiava tanto, le of
frì la sua assistenza nel parto, e ricevette il fanciullo sì deforme,
che
non osando Venere di riconoscerlo, ordinò fosse e
statua negli orti, nella persuasione ch’egli ne fosse il guardiano e
che
ne procurasse la fertilità. Questo Dio che presie
li ne fosse il guardiano e che ne procurasse la fertilità. Questo Dio
che
presiedeva ad ogni sorta di dissolutezze era part
ad ogni sorta di dissolutezze era particolarmente venerato da coloro
che
mantenevano delle mandre di capre o di pecore o d
eva ai limiti de’ campi, cui era grave delitto il violare. Pretendesi
che
si debba a Numa l’invenzione di questa divinità c
pra il Campidoglio si dovette trasportare altrove le statue degli Dei
che
vi si trovavano. Tutti gli Dei cedettero per rive
l dio Termine rimase nel suo posto senza muoversi malgrado gli sforzi
che
si fecero per levarnelo, ed egli si trovò in tal
in quel luogo. Si fece credere al popolo un tal fatto per persuaderlo
che
non vi era cosa più sacra dei limiti de’ campi, e
cosa più sacra dei limiti de’ campi, ed era lecito l’uccidere quelli
che
non li rispettavano. A principio si rappresentava
rappresentava come una pietra quadrata o come un palo fitto in terra
che
segnava il confine tra un campo e l’altro ; gli s
poscia spargeasi su le brace del vino ed una parte delle provvisioni
che
avevano portate. Dopo le preghiere ed il sacrific
praticavasi di fregare col sangue della vittima il limite o la pietra
che
serviva di confine, e in mancanza di sangue ; ung
olio semplice o preparato. Eolo ed altri venti Sí è già detto
che
Giove si riserbò l’impero dell’aria. Egli poi aff
e dell’Italia ov’egli risiedeva. Era tale il potere di Eolo sui venti
che
la sola sua volontà li riteneva. Quando i venti g
vinti dalla curiosità, aprirono questi otri, donde fuggirono i venti
che
furono causa di una sì spaventevole tempesta che
de fuggirono i venti che furono causa di una sì spaventevole tempesta
che
fece perire tutti i vascelli di Ulisse, il quale
ttribuiscono ad Eolo dodici figli, dei quali sei maschi e sei femmine
che
si maritarono gli uni colle altre, avendo forse c
se con ciò voluto indicare i dodici venti principali. Levando il velo
che
copre questa favola pare ad alcuni che Eolo sia s
ti principali. Levando il velo che copre questa favola pare ad alcuni
che
Eolo sia stato un principe dedito allo studio del
a, qual vento dovea soffiare, e porgeva degli utili consigli a coloro
che
intraprendevano marittimi viaggi. Si fa padre dei
di dodici giannetti (specie di cavalli spagnuoli) di tanta velocità,
che
correano sulle spiche senza curvarle e sulla supe
e senza curvarle e sulla superficie del mare senza affondare. Quelli
che
distinguono Aquilone da Borea rappresentano il pr
re. Quelli che distinguono Aquilone da Borea rappresentano il primo,
che
dicono vento furioso e freddissimo, con una coda
re bianchi. Euro vento d’oriente vien dipinto come un vento impetuoso
che
seguita la tempesta da lui suscitata. I moderni l
ta da lui suscitata. I moderni lo rappresentano con un giovine a lato
che
va con ambe le mani seminando fiori ovunque passa
imi caldi del mezzogiorno. Il suo fiato era alcuna volta sì infuocato
che
ardeva le città ed i vascelli in mare. Si dipinge
notare la sua violenza, e tiene in mano un innaffiatoio, per indicare
che
conduce ordinariamente la pioggia. Deificate che
iatoio, per indicare che conduce ordinariamente la pioggia. Deificate
che
furono dalla superstizione le terribili potenze d
utti lo hanno destinato a presiedere alle nozze. Dicono alcuni autori
che
Imene era un giovine il quale nel giorno delle su
quale nel giorno delle sue nozze fu schiacciato nella propria casa, e
che
i Greci per ispiare tale sventura, avevano stabil
mani invocavano Talassio ; questi però, secondo alcuni, non era altro
che
un grido di gioia ripetuto nei maritaggi. L’Imene
ssione, quindi si contentò di seguirla ovunque ella andava. Un giorno
che
le signore di Atene dovevano celebrare sulla spia
in Atene, e dichiarò in un’assemblea del popolo il suo essere, e ciò
che
gli era accaduto, promettendo di far ritornare in
ro nozze sotto il nome d’Imene, e celebrarono delle feste in onor suo
che
furono chiamate Imenee. Chiamavansi anche Imenei
onor suo che furono chiamate Imenee. Chiamavansi anche Imenei i versi
che
cantavansi alle nozze. Imene si rappresenta sempr
on una corona di rose e di spini, un giogo ornato di fiori e due faci
che
hanno una fiamma medesima. Cupido Sono mol
o la Discordia, di Venere e Vulcano, di Venere e Celo. Dicono alcuni
che
la Notte fece un uomo, lo covò sotto le sue nere
orate, e pigliò il volo a traverso il nascente mondo. Vuolsi da altri
che
Amore fosse figlio di Giove e di Venere e Cupido
osse figlio di Giove e di Venere e Cupido della Notte e dell’Erebo, e
che
entrambi facessero parte della corte di Venere Am
e di Venere Ammettevasi una differenza tra Amore e Cupido, e dicevasi
che
il primo impetuoso e violento invasava gli stolti
oderato ispirava i saggi. Cupido figlio di Marte e di Venere è quello
che
più comunemente si conosce ; esso presiedeva alla
o, con frecce di cipresso, e fece saggio sopra le bestie delle ferite
che
si proponeva di portare agli uomini. In appresso
8 anni, colla fisonomia di uno sfaccendato ma maligno, per dimostrare
che
Amore non ha niente di proprio ; con un arco ed u
ino nell’altra. Ora si vede tra Ercole e Mercurio, simbolo del potere
che
hanno in amore il valore e l’eloquenza ; ora post
lca leoni e pantere, la cui chioma gli serve di guida, per dimostrare
che
non c’è creatura tanto selvatica che non sia amma
i serve di guida, per dimostrare che non c’è creatura tanto selvatica
che
non sia ammansata da Amore. Si fa calvacare alcun
da Amore. Si fa calvacare alcune volte su di un delfino per indicare
che
il suo potere si estende fino sui mari. Non è cos
e già stringe una freccia. Altre volte egli vuol prendere una paglia,
che
Venere tiene in equilibrio sopra un dito ; delle
lto verso il cielo. Si vede anche in atto di abbraociare un uccello,
che
bene spesso è un cigno : esso porta un’anfora ; o
o scudo in braccio, camminando con aria trionfante, quasi dimostrando
che
Marte disarmato si abbandona all’Amore. Assiso da
lauto di molte canne ; o, all’ombra di una palma, abbraccia un ariete
che
guarda un altare fiammeggiante. Esiste un quadro
rda un altare fiammeggiante. Esiste un quadro ove sonvi degli Amorini
che
fanno girare una cote. Un altro Amore che si è pu
dro ove sonvi degli Amorini che fanno girare una cote. Un altro Amore
che
si è punto un braccio fa spillare il suo sangue s
l suo sangue su questa pietra, e Cupido affila su di essa certi dardi
che
mandano scintille di fuoco. Cupido fu molto amat
n senso di contrarietà, ma dinota amor reciproco, scambievole. Dicesi
che
Venere si lagnasse un giorno con Temi, perchè Cup
gnasse un giorno con Temi, perchè Cupido rimaneva sempre fanciullo, e
che
la Dea consultata rispondesse che il solo mezzo p
Cupido rimaneva sempre fanciullo, e che la Dea consultata rispondesse
che
il solo mezzo per farlo crescere era di dargli un
diede per fratello un altro Amore il quale fu chiamato Antero. Appena
che
questo Amore ebbe veduta la luce, suo fratello se
la luce, suo fratello sentì aumentar le sue forze e dilatarsi le ali
che
ripigliavano il loro antico stato ogni volta che
e e dilatarsi le ali che ripigliavano il loro antico stato ogni volta
che
Antero era lontano da lui. Non è difficile di sc
gni volta che Antero era lontano da lui. Non è difficile di scorgere
che
questo secondo Amore è stato immaginato per dinot
di scorgere che questo secondo Amore è stato immaginato per dinotare
che
la corrispondenza fa crescere l’amorosa passione.
n turcasso, frecce e balteo. Avvi chi per Antero intende una divinità
che
guarisoe dall’amore. Altri lo fanno nascer dalla
agni l’Ebrezza, il Duolo e la Contesa. Gli danno dei dardi di piombo,
che
cagionano una passione di breve durata, alla qual
ede presto la sazietà, mentrechè il vero Amore scocca dei dardi d’oro
che
inspirano una gioia pura ed un’affezione virtuosa
su la perfezione delle loro opere. Momo le criticò tutte e tre. Disse
che
le corna del toro dovean essere più vicine agli o
lle, onde potesse percuotere con maggior violenza. Avrebbe desiderato
che
fosse stata fatta all’uomo una finestrella vicino
i ; biasimò infine la casa per esserne difficile il trasporto in caso
che
si avesse un cattivo vicino. Venere stessa non an
o. Venere stessa non andò salva dalla critica di Momo ; e non sapendo
che
dire su di lei perchè era troppo perfetta, trovò
; e non sapendo che dire su di lei perchè era troppo perfetta, trovò
che
non era bastantemente ben calzata. Arpocrate e
figlio di Iside e di Osiri era il Dio del silenzio. Vogliono i poeti
che
sua madre, avendolo perduto mentre era fanciullo,
se in cerca di lui per mare e per terra finchè l’ebbe trovato. Vuolsi
che
fosse in questa circostanza ch’ella inventò le ve
ticamento impressa su i sigilli una figura di Arpocrate per insegnare
che
si deve custodire il secreto delle lettere. Si pr
che si deve custodire il secreto delle lettere. Si pretende da alcuni
che
sua madre lo desse alla luce prima del termine e
etende da alcuni che sua madre lo desse alla luce prima del termine e
che
nascesse estremamente debole e colle mani sulla b
i Greci per comando del silenzio. Altri lo hanno creduto un filosofo
che
parlasse poco. Si rappresenta questo Dio come un
gua, e il suo frutto quella del cuore : emblema della perfetta unione
che
dee esistere tra il cuore e la lingua. Muta o Lar
di Giove e di Giunone secondo l’opinione di molti ; alcuni pretendono
che
dovesse la vita alla sola Giunone. Giove le aveva
di tutti gli Dei in un modo poco decente, ella n’ebbe tanta vergogna,
che
non volle più lasciarsi vedere. Giove diede il su
o e n’ebbe un figlio ed una figlia. In questa unione si vuol indicare
che
la forza va comunemente unita alla gioventù. Ad i
oventù. Ad istanza d’Ercole Ebe ringiovenì lola nipote di suo marito,
che
si pretende avesse abbruciata la testa dell’idra
e di suo marito, che si pretende avesse abbruciata la testa dell’idra
che
Ercole aveva tagliata. Questa Dea avea diversi te
a diversi tempii, e tra gli altri uno in Flio, città del Peloponneso,
che
aveva il privilegio dell’immunità. Si rappresenta
degli Dei, benchè da alcuni sia considerato come alimento ; e bisogna
che
fosse ben squisita bevanda poichè questa parola è
enti liquori. Quando in Roma facevasi l’apoteosi di qualcuno dioevasi
che
ei beveva già il nettare nella tazza degli Dei :
dioevasi che ei beveva già il nettare nella tazza degli Dei : coloro
che
avevano una volta assaggiato il nettare degli Dei
avevano una volta assaggiato il nettare degli Dei non potevano morire
che
di un colpo di folgore. Tale fu la morte d’Ission
quale lo mise in discordia per farsi amare ; ma non passò molto tempo
che
Cefalo si rappacificò colla moglie. Avendo egli u
a face in una mano, mentre coll’altra sparge delle rose, per indicare
che
i fiori i quali abbelliscono la terra, vanno debi
lliscono la terra, vanno debitori della loro freschezza alla rugiada,
che
come bellissime perle liquide cade dagli occhi de
erle liquide cade dagli occhi dell’Aurora. La Fortuna Divinità
che
presiedeva a tutti gli avvenimenti e distribuiva
rappresentata con un sole ed una mezza luna su la testa, per indicare
che
essa presiede come questi due astri, a tutto ciò
ta, per indicare che essa presiede come questi due astri, a tutto ciò
che
accade sopra la terra. Viene alle volte sostituit
i suoi seguaci, e le cammina sempre dinanzi la Sicurezza per indicare
che
la Fortuna arriva soventi quando è meno attesa. E
torce, col capo cinto di fiori, accompagnati da garzoni e da donzelle
che
cantavano e ballavano sonando. Andavano in tal gu
all’ebrezza, coronato il capo di rose, con una face nella mano destra
che
sta per cadergli, e in atto di appoggiarsi colla
ra un piedestallo ornato di fiori. Il Destino Vuolsi da alcuni
che
il Destino sia nato dal Caos, da altri si crede f
il Destino sia nato dal Caos, da altri si crede figlio della Notte, e
che
essa lo generasse senza il concorso di nessuna al
ottomessi al suo impero, e niun potere aveva la forza di cangiare ciò
che
aveva risolutò, o per meglio dire il Destino era
ni cosa avveniva nel mondo. Giove vorrebbe salvare Ettore, ma bisogna
che
egli esamini il suo Destino che non gli è noto. L
e vorrebbe salvare Ettore, ma bisogna che egli esamini il suo Destino
che
non gli è noto. Lo stesso Dio si duole di non pot
a natogli da Laodamia figlia di Bellerofonte, nè salvarlo dalla morte
che
incontrò all’assedio di Troia per mano di Patrocl
rò all’assedio di Troia per mano di Patroclo. Si fa dir anche a Giove
che
se potesse cambiare il Destino, Eaco, Radamanto,
uni irrevocabili, e dai quali dipendevano gli stessi Dei : gli altri
che
potevano essere cangiati o modificati dai voti de
a di stelle ed uno scettro simbolo del sommò suo potere. Per indicare
che
esso non variava e che era inevitabile, si figurò
tro simbolo del sommò suo potere. Per indicare che esso non variava e
che
era inevitabile, si figurò dagli antichi con una
ò dagli antichi con una ruota tenuta ferma da una catena. Si pretende
che
sia miserabile e che ogni uomo abbia il suo. Il D
na ruota tenuta ferma da una catena. Si pretende che sia miserabile e
che
ogni uomo abbia il suo. Il Destino non aveva stat
grande venerazione. Da Igiea si è formato Igiene parte della medicina
che
riguarda la conservazione della salute. Si attrib
a questa Dea varie invenzioni, appartenenti alla medicina. Le statue
che
le furono dedicate si distinguono all’aspetto di
l quale sta avviticchiato un serpente il quale si diseta in una tazza
che
la Dea ha in una mano. Il serpente è l’emblema d
te e della immortalità, perchè cangiando di pelle tutti gli anni pare
che
ringiovanisca sempre. Aveva dessa in un tempio di
o Coronide amato il giovane Ischi, Apollo di ciò avvertito dal corvo,
che
poi di bianco fu tramutato in nero, uccise Coroni
quistò una perfetta cognizione de’semplici sotto la scuola di Chirone
che
gl’insegnò a comporre de’rimedi ed egli stesso ne
di servigi agli Argonauti. Egli divenne tanto valente nella medicina,
che
potè ad istanza di Diana richiamare da morte a vi
da morte a vita Ippolito figlio di Teseo. Abbiam già detto in Apollo
che
Giove sdegnato che tanto potere si arrogasse Escu
polito figlio di Teseo. Abbiam già detto in Apollo che Giove sdegnato
che
tanto potere si arrogasse Esculapio, lo fulminò,
otere si arrogasse Esculapio, lo fulminò, eccitatovi anche da Plutone
che
vedeva diminuirsi notabilmente il numero dei mort
ero dei morti. Ebbe Esculapio da Eppione due figli Macaone e Podaliro
che
anch’essi divennero medici rinomatissimi, e quatt
particolarmente in Epidauro, città del Peloponneso famosa pel tempio
che
vi fu eretto in onore di Esculapio e pel crudele
he vi fu eretto in onore di Esculapio e pel crudele gigante Perìsete,
che
divorava gli uomini e sacrificavali, il quale fu
divorava gli uomini e sacrificavali, il quale fu poi ucciso da Teseo
che
ne disperse le membra. Esculapio si adorava sotto
trovavano sollevati dai loro mali, lasciavano nel tempio qualche cosa
che
rappresentasse la parte del loro corpo che era st
no nel tempio qualche cosa che rappresentasse la parte del loro corpo
che
era stata risanata. Si rappresentava generalmente
. Il serpente ed il gallo erano a lui specialmente dedicati. Si vuole
che
Esculapio sia lo stesso che il Sole considerato s
ano a lui specialmente dedicati. Si vuole che Esculapio sia lo stesso
che
il Sole considerato sotto i benefici rapporti di
mide figlia del Cielo e della Terra è la dea della giustizia. È dessa
che
ha istituito le divinazioni, i sacrifici, le legg
ito le divinazioni, i sacrifici, le leggi della religione e tutto ciò
che
serve a mantenere l’ordine e la pace tra gli altr
n molta saggezza nell’amministrare con tanta giustizia i suoi popoli,
che
fu sempre dappoi riguardata come Dea della giusti
Dea raccomandava agli uomini, di non chiedere agli Dei se non quello
che
era giusto e ragionevole. Presiedeva ai trattati
e era giusto e ragionevole. Presiedeva ai trattati e alle convenzioni
che
hanno luogo fra gli uomini, e teneva mano affinch
mano affinchè tutto fosse esattamente osservato : da alcuni si vuole
che
versasse pur anche il nettare a Giove quando era
dello zodiaco. Da alcuni si dipinge con una spada in mano. Ogni volta
che
presso i Romani si voleva arringare il popolo si
, affinchè la vista di quell’immagine lo impegnasse a non espor nulla
che
alla giustizia ed alla verità non fosse conforme.
le si innalzarono in molti luoghi delle statue e dei tempii : quello
che
Agrippina cominciò e Vespasiano terminò in Roma,
oma, era il più magnifico tempio di quella grande città. Tutti coloro
che
le belle arti professavano, s’univano al tempio d
, ogni asprezza fosse dalle loro discussioni bandita ; ingegnosa idea
che
dovrebbe dovunque trovare la sua applicazione. Gl
e nel tempio di lei una prodigiosa folla di malati, oppure di persone
che
facevano voti pei loro amici obbligati al letto.
ata Enio da’ Greci, confusa molte volte con Pallade, vuolsi da alcuni
che
fosse figlia di Forcide o Forco e di Ceto ; chi l
porta Carmentale ove il senato dava udienza agli ambasciatori, prima
che
entrassero nella città. Si rappresenta armata dal
’altra, in atto di slanciarsi dal suo carro tirato da cavalli focosi,
che
calpestano tutto quanto rincontrano sul loro camm
tutto quanto rincontrano sul loro cammino. Le sta vicina la Discordia
che
colle sue faci mette fuoco ai tempii ed ai palazz
co ai tempii ed ai palazzi ; ed in certa distanza si scorge la Carità
che
fugge con un fanciullo nelle braccia. I suoi sace
ggetti all’autorità di un pontefice il quale non cedeva la precedenza
che
al solo re ; egli era scelto nella famiglia reale
Fetonte Fetonte era figlio del Sole e di Climene. In una gara
che
ebbe con Epafo figlio di Giove e di Io, il quale
mentre ancor fanciulli giuocavano insieme, Epafo rinfacciò a Fetonte
che
non era figlio del Sole come si credeva. Fetonte
no del paterno affetto giurò per lo Stige di accordargli tutto quello
che
avesse chiesto e l’imprudente figlio richiese di
minacciano il cielo d’inevitabile incendio, mettendo così in pericolo
che
tutto perisca su la terra di gelo ; or scendendo
i annegò nell’Eridano, fiume oggi denominato Po. Fu tanto il piangere
che
fecero per la morte di Fetonte le Eliadi sue sore
er la morte di Fetonte le Eliadi sue sorelle e l’amico Cicno o Cigno,
che
furono esse cambiate in pioppi, in ambra le loro
rpretazioni alla favola di Fetonte. Fra le tante adottate avvi quella
che
Fetonte fosse un principe il quale si applicò som
mmamente all’astronomia e soprattutto a conoscere il corso del sole ;
che
morì in freschissima età, e lasciò le sue osserva
carro del Sole sino al termine della sua carriera. Aggiungono alcuni
che
questo principe fosse re dei Molossi, popolo dell
o alcuni che questo principe fosse re dei Molossi, popolo dell’Epiro,
che
si annegò nel Po, e che essendosi applicato molto
cipe fosse re dei Molossi, popolo dell’Epiro, che si annegò nel Po, e
che
essendosi applicato molto all’astronomia, aveva p
si applicato molto all’astronomia, aveva predetto quel calore immenso
che
ebbe luogo ai suoi tempi e che desolò il suo regn
ia, aveva predetto quel calore immenso che ebbe luogo ai suoi tempi e
che
desolò il suo regno. Vittoria La Vittoria
il suo regno. Vittoria La Vittoria fu personificata dai Greci
che
ne fecero anche una divinità. La vogliono alcuni
rdinariamente è abbigliata di lunga veste sulla quale evvi una tunica
che
le scende sin verso la metà delle coscie e che è
quale evvi una tunica che le scende sin verso la metà delle coscie e
che
è ritenuta sotto la gola da una cintura. Gli Egi
Gli Egizi la rappresentavano sotto l’emblema di un’aquila, uccello,
che
nei combattimenti contro gli altri uccelli, è sem
ll’alto dei cieli, assorta in un’arcana eternità, osservava tutto ciò
che
aveva luogo su la terra, vegliava in questo mondo
. Questa divinità sovrana dei mortali, giudice delle segrete opinioni
che
li facevano operare, comandava eziandio al cieco
ellezza e per la forza del corpo e per l’ingegno, e coloro finalmente
che
disobbedivano agli ordini delle persone che aveva
egno, e coloro finalmente che disobbedivano agli ordini delle persone
che
avevano diritto d’imporli. Volgeva la sua attenzi
otte, le quali da altri sono prese per le Eumenidi. Una era il Pudore
che
dopo l’età dell’oro ritornò in cielo ; l’altra ri
r eccitare al bene. Si portano esse un dito alla bocca per insegnarne
che
è d’uopo essere discreti. La maggior parte di cot
non solo i fiumi e le fonti, ma la maggior parte anche delle persone
che
avevano regnato o abitato sulle coste del mare, c
ome Proteo, Etra, madre d’Atlante, Persa, madre di Circe, ecc. Dicesi
che
Giove essendo stato strettamente legato dagli alt
riareo gli restituì la libertà ; vale a dire prendendo Teti pel mare,
che
Giove trovò il mezzo di sottrarsi su questo cleme
che Giove trovò il mezzo di sottrarsi su questo clemento agli agguati
che
gli avevano tesi i Titani, co quali era in allora
stranieri soccorsi per trar Giove da qualche periglio. Pare nondimeno
che
Teti altro non fosse che una divinità puramente f
ar Giove da qualche periglio. Pare nondimeno che Teti altro non fosse
che
una divinità puramente fisica : chiamavasi essa a
una divinità puramente fisica : chiamavasi essa anche col greco nome
che
significa nutrice, perchè era la Dea dell’umidità
igliosa figura e di una bianchezza dell’avorio più rilucente ; pareva
che
quel carro volasse sulla superficie delle onde. Q
l carro della Dea, tirato da cavalli marini più della neve bianchi, e
che
il salso flutto solcando, dietro di sè lasciavano
lla. Aveva essa sereno il sembiante da una dolce maestà accompagnato,
che
faceva i sediziosi venti e le nere tempeste fuggi
a le Ncreidi. Giove, Nettuno e Apollo volevano sposarla, ma avvertiti
che
era stabilito dal Destino che il figlio da essa n
Apollo volevano sposarla, ma avvertiti che era stabilito dal Destino
che
il figlio da essa nato sarebbe più grande e più p
tata invitata, gittò in mezzo del banchetto quel rinomato pomo d’ oro
che
fu di tanti mali funesta sorgente. Teti ebbe pare
’ oro che fu di tanti mali funesta sorgente. Teti ebbe parecchi figli
che
morirono in tenera età, meno Achille. Durante la
a notte, li poneva sotto il fuoco affinchè si consumasse tutto quello
che
avevano di mortale, ma tutti vi soccombevano. Ach
tte invulnerabile, tranne il tallone ch’essa teneva per immergerlo, e
che
dall’acque del fiume non fu punto bagnato. Dopo l
ì Teti dal seno delle onde per recarsi a consolare Achille, e vedendo
che
insieme all’ amico aveva egli perdute le sue armi
figlio delle armi divine e dalle proprie sue mani lavorate. Ottenute
che
le ebbe le portò tosto ad Achille, e lo esortò a
iare al suo risentimento contro di Agamennone, e gl’inspirò un ardire
che
niun periglio poteva far vacillare. A questa Nin
esta Ninfa si attribuisce di aver salvato Giove nel più gran pericolo
che
gli sovrastasse nella guerra che gli fecero gli a
salvato Giove nel più gran pericolo che gli sovrastasse nella guerra
che
gli fecero gli altri Dei, ma questo fatto spetta
e di Trezene nell’Argolide in Morea. Amava con tanto ardore la caccia
che
un giorno mentre cacciava un cervo lo inseguì sin
inosse. A quanto se n’è già detto aggiungneremo qualche altra notizia
che
lo risguarda. Egli visse verso l’ anno 1430 prima
edificare molte città. La sua giustizia e l’ amore pe’ suoi sudditi,
che
lo risguardavano come il favorito degli Dei, gli
maggiore autorità, ogni nove anni, ritiravasi in un antro ove diceva
che
Giove, suo padre, a lui le dettava, nè mai ritorn
rnava da quello senza portare qualche nuova legge. Avvi chi asserisce
che
Minosse ricevè le sue leggi da Apollo e che viagg
legge. Avvi chi asserisce che Minosse ricevè le sue leggi da Apollo e
che
viaggiò a Delfo per apprenderle da quel Dio. Si r
loro vita al più rigoroso esame. Si rimprovera a Minosse una mancanza
che
fu cagione d’una delle dodici fatiche d’Ercole. A
fatiche d’Ercole. Aveva egli ommesso di sacrificare a Nettuno un toro
che
gli aveva promesso. Il Dio per punirlo di siffatt
messo. Il Dio per punirlo di siffatto errore, mandò un toro furibondo
che
lanciava fuoco dalle nari, e che devastava gli st
atto errore, mandò un toro furibondo che lanciava fuoco dalle nari, e
che
devastava gli stati di Minosse. Minosse fu sposo
so di Itona la quale il rendette padre di un figlio chiamato Licasto,
che
a lui succedette nel regno, e che fu padre di Min
adre di un figlio chiamato Licasto, che a lui succedette nel regno, e
che
fu padre di Minosse, secondo di questo nome, che
cedette nel regno, e che fu padre di Minosse, secondo di questo nome,
che
quasi tutti i mitologi confondono col primo. Min
i fosse acquistato l’odio degli Ateniesi e dei Magariani colla guerra
che
fece loro per vendicare la morte del proprio figl
osse avendo vinto gli uni e gli altri non accordò loro la pace se non
che
alla condizione ch’ eglino gli avrebbero ogni set
oglie, il quale distruggeva tutto e si pasceva di carne umana. Vuolsi
che
Minosse dopo aver devastata l’Attica s’impadronis
Attica s’impadronisse di Megara coll’ aiuto di Scilla, figlia di Niso
che
ne era il re, la quale troncò al padre il capello
stino e quello pur anche del suo impero. Informato Niso dall’ oracolo
che
dalla conservazione di quel capello dipendeva la
ficile l’immaginarsi qual cura ne avesse ; e non poteva esser tradito
che
dalla propria figlia, in cui riponeva tutta la su
iponeva tutta la sua confidenza. Essendosi essa innamorata di Minosse
che
aveva veduto dall’ alto d’una torre della città,
mpadronito della città, non volle nè anco parlarle ; e narrano alcuni
che
la facesse gittar in mare, ed altri che scioglies
o parlarle ; e narrano alcuni che la facesse gittar in mare, ed altri
che
sciogliesse sollecito le vele senza volerla condu
sse con tutta la forza attaccata alla nave di lui ; si vuole da altri
che
disperata si precipitasse nelle onde. Gli Dei cam
nelle onde. Gli Dei cambiarono Scilla in un pesce, e il padre di lei
che
si era da sè stesso ucciso per non cadere nelle m
r non cadere nelle mani del vincitore, in una specie d’aquila di mare
che
non vive che di pesci. I Greci pagarono il barba
nelle mani del vincitore, in una specie d’aquila di mare che non vive
che
di pesci. I Greci pagarono il barbaro tributo tr
go e sortì felicemente dal labirinto col mezzo di un gomitolo di filo
che
Arianna figlia di Minosse gli aveva dato. Nel par
va dato. Nel partire da Creta Teseo condusse seco la sua liberatrice,
che
abbandonò poi nell’isola di Nasso. La favola del
sola di Nasso. La favola del Minotauro si spiega in tal guisa. Dicesi
che
Pasifae era stata colta da amorosa inclinazione p
Dicesi che Pasifae era stata colta da amorosa inclinazione per Tauro
che
si vuole uno de’ segretari di Minosse. Dedalo fav
tori nominano Asterio o Asterione, siccome incerto ne era il padre, e
che
si poteva credere figlio tanto di Tauro quanto di
oteva credere figlio tanto di Tauro quanto di Minosse, secondo alcuni
che
somigliava all’uno ed all’ altro, così gli venne
nome di Mino-Tauro. Minosse per nascondere agli sguardi di tutti ciò
che
insieme alla moglie il ricopriva di disonore, fec
ricopriva di disonore, fece rinchiudere nel famoso labirinto Asterio
che
la favola dipinge come un mostro il quale si nutr
rinto era un ricinto ripieno di boschi e di edifizi disposti in guisa
che
entrativi una volta più non se ne trovava l’uscit
Meride ; se ne crede il costruttore Petesuco o Titoes, altri vogliono
che
fosse opera di dodici re. Questo edificio per qua
sa, ma nell’ interno trovavansi infinite strade tortuose. Si pretende
che
fosse un monumento dedicato al Sole. Altri lo han
ti di cotesto edificio il nome di palazzo di Caronte, e sono persuasi
che
sia desso l’opera di quel Caronte, il quale, dopo
uel Caronte, il quale, dopo aver guadagnato immense somme col tributo
che
egli esigeva col tragitto degli estinti, abbia fa
abbia fatto costruire questo edificio per rinchiudervi i suoi tesori
che
, in forza di potenti talismani, erano garantiti d
ti talismani, erano garantiti da’ ladri. Da ciò deriva il loro timore
che
i viaggiatori non vengano a rapire que’ tesori, c
viaggiatori non vengano a rapire que’ tesori, come pure la ripugnanza
che
essi palesano di condurveli. Il Labirinto di Cret
Egitto, espressamente per rinchiudervi il Minotauro, colla differenza
che
quello era coperto ed oscuro e questo era scopert
che quello era coperto ed oscuro e questo era scoperto. Considerando
che
il Minotauro stava, per così dire, sepolto nel La
ì dire, sepolto nel Labirinto, i Romani, dice un autore, per indicare
che
i piani e i divisamenti dei generali dovevano sta
dei generali dovevano star sepolti nel loro cuore, nella stessa guisa
che
il mostro lo era nel labirinto, portavano talvolt
eo sesto re di Atene, fu l’uomo più ingegnoso de’ suoi tempi e vuolsi
che
fosse allievo di Mercurio. Egli fu eccellente sop
si rese specialmente famoso per la sua abilità nel fare certe statue
che
uscendo dalla sua mano croatrice, erano come auto
erte statue che uscendo dalla sua mano croatrice, erano come automati
che
si credevano animati. Dedalo aveva fra i suoi al
asso, il torno e la ruota del vasellaio. Dedalo ne ebbe tanta gelosia
che
lo precipitò dall’alto di una torre. Un’ azione t
più abbominevole l’omicidio si processavano perfino le cose inanimate
che
avevano cagionato la morte di un uomo. Dedalo fu
si rifuggì nell’ isola di Creta, dove fu tanto meglio accolto, quanto
che
la fama vi avea fatto conoscere i suoi rari talen
o che la fama vi avea fatto conoscere i suoi rari talenti. Minosse II
che
regnava allora in Creta, approfittò dell’ingegno
igione, da cui altra speranza non poteva animarli di sortirne, se non
che
di andare a terminar la loro vita coll’ultimo sup
essendo più sostenuto cadde in quella parte del mar Egeo o Arcipelago
che
portò poi il nome di Icario e precisamente tra l’
icaria e l’Asia Minore. Nelle ali di Dedalo altro non veggono quelli
che
cercano l’origine della favola che le vele della
di Dedalo altro non veggono quelli che cercano l’origine della favola
che
le vele della nave sulla quale egli salì per salv
cipe lo accolse amichevolmente e ricusò di restituirlo al re di Creta
che
andò a chiederglielo, e pretendesi da alcuni che
uirlo al re di Creta che andò a chiederglielo, e pretendesi da alcuni
che
Minosse trovasse in Sicilia la morte datagli a tr
dizj. Questo tribunale fu istituito circa nove secoli prima di Solone
che
ne fu il ristauratore ritornandolo al suo antico
escatore della città di Antedone in Beozia. Osservando egli un giorno
che
i pesci da lui presi e posti su di una certa erba
rirono dei sacrifici. Fuvvi poscia anche un oracolo sotto questo nome
che
i navigatori solevano consultare. Vuolsi che Cirœ
racolo sotto questo nome che i navigatori solevano consultare. Vuolsi
che
Cirœ lo amasse, ma ch’egli fosse insensibile al d
tt’acqua, così(per conciliarsi molta estimazione, dava egli a credere
che
in quel tempo avesse delle conversazioni colle ma
però di tutta la sua abilità un giorno si annegò, ed allora fu detto
che
gli Dei marini lo avevano del tutto ammesso nella
enza essere interrogata, ed a rispondere in poche parole alle dimande
che
le venissero fatte, non ripetendo che l’ultime pa
re in poche parole alle dimande che le venissero fatte, non ripetendo
che
l’ultime parole di quelli che la interrogherebber
e che le venissero fatte, non ripetendo che l’ultime parole di quelli
che
la interrogherebbero per avere imprudentemente pa
e parlato di quella Dea e tenutala a bada con lunghi discorsi intanto
che
Giove si tratteneva in intrighi amorosi colle Nin
accortasi di essere dispregiata si ritirò nei boschi e piû non abitò
che
spelonche e luoghi dirupati ove consumata dal dol
uoghi dirupati ove consumata dal dolore e dall’affanno non le rimaser
che
le ossa e la voce, e fu cangiata in rupe. Vuolsi
o non le rimaser che le ossa e la voce, e fu cangiata in rupe. Vuolsi
che
Pane innamorato di lei ne avesse una figlia iamat
ggior parte de’poeti, benchè ne variasse il numero presso gli antichi
che
ne annoveravano due ed anche quattro. Omero dà il
cate. I Gréci le chiamavano Carite, nome derivato da una parola greca
che
significa gioia. Esse estendevano il loro potere
ia, l’umore sempre uguale, le facili maniere e tutte le altre qualità
che
spandono tanta dolcezza nella vita sociale, ma la
o forme umane, vestite di velo, indi ignude. Si voleva così esprimere
che
non avvi cosa più gradita della semplice natura,
così esprimere che non avvi cosa più gradita della semplice natura, e
che
se qualche volta essa chiama l’arte in suo soccor
in suo soccorso, non deve quest’ultima far uso di ornamenti stranieri
che
con moderazione. Si dipingevano giovani, belle e
ono anche le più seducenti. Il loro atteggiamento alla danza indicava
che
essendo amiche della gioia innocente, non sapevan
namenti ; e nelle opere dello spirito come in tutto il resto un certo
che
di trascurato è preferibile ad una fredda regolar
e giuravasi per la loro divinità. Pausania ammette una quarta Grazia
che
è la Persuasione facendo così comprendere che il
mette una quarta Grazia che è la Persuasione facendo così comprendere
che
il gran secreto di piacere è quello di persuadere
erchè inalterabili sonoducazione. Sono dette Muse da una parola greca
che
significa spiegare i misteri, perchè hanno insegn
misteri, perchè hanno insegnato agli uomini delle cose importanti, ma
che
non sono alla portata degl’ignoranti. Gli antichi
sotto il nome di Camene. Le Muse e le Grazie d’ordinario non avevano
che
un tempio ; e di rado facevansi deliziosi banchet
d’ispirar loro quell’entusiasmo tanto all’arte lor necessario. Clio
che
prende il suo nome da Kleos, gloria, fama, presie
iuto, presiede alle galanti, appassionate o erotiche poesie, da Eros,
che
significa amore. Calliope, il cui nome annuncia l
di, dal monte Pierio sul quale credesi essere elleno nate, o da Piero
che
alcuni danno loro per padre. Facevano per lo più
rchè avendo elle in una sfida di canto vinte le figliuole di Acheloo,
che
, per consiglio di Giunone, le avevano sfidate, st
sa tutta la natura e presiedeva alle generazioni : non era altra cosa
che
la brama che ha ogni essere creato di unirsi a ci
atura e presiedeva alle generazioni : non era altra cosa che la brama
che
ha ogni essere creato di unirsi a ciò che più gli
era altra cosa che la brama che ha ogni essere creato di unirsi a ciò
che
più gli si addice. Urania non ispirava che dei ca
ere creato di unirsi a ciò che più gli si addice. Urania non ispirava
che
dei casti amori, e sciolti dai sensi, mentre la V
il quale passa per il più antico ed il più celebre di tutti i tempii
che
abbia Venere in tutta la Grecia : la statua della
a un piede su di una testuggine per indicare la castità e la modestia
che
le erano proprie. La testuggine è il simbolo del
erano proprie. La testuggine è il simbolo del ritiro e del silenzio,
che
a donna maritata contanto si addicono. Urania e B
tutte le statue dell’antichità una delle piû celebri nel suo genere e
che
dir si può un miracolo dell’arte, il modello dell
ella vera beltà femminile è la Venere detta comunemente Medioea, nome
che
le venne dalla Villa Medici ove fu in origine tra
iustizia e la Pace. Volendo indicare senza dubbio con questa finzione
che
il buon uso delle Ore mantiene le Leggi, la Giust
mantiene le Leggi, la Giustizia e la Concordia. Pretendesi da alcuni
che
non se ne contassero che tre dagli antichi perchè
ustizia e la Concordia. Pretendesi da alcuni che non se ne contassero
che
tre dagli antichi perchè non eranvi che tre stagi
cuni che non se ne contassero che tre dagli antichi perchè non eranvi
che
tre stagioni, cioè la primavera, l’estate e l’inv
si crearono due nuove Ore, cui si diede il nome di Carpo e Tallatta,
che
furono stabilite per vegliare alla custodia dei f
. Era loro cura di allestire il carro ed i cavalli del Sole. Si vuole
che
presiedessero all’educazione de’ fanciulli e che
i del Sole. Si vuole che presiedessero all’educazione de’ fanciulli e
che
esse regolassero tutta la vita degli uomini ; mot
soccorso della pioggia, venissero a poco a poco a maturità. Il tempio
che
avevano in Atene fu edificato in loro onore da An
nte danzando e d’una medesima età ; il loro vestimento non discendeva
che
fino alle ginocchia, la loro testa era coronata d
e dei giardini delle Esperidi. Le Gorgoni secondo alcuni non avevano
che
un sol occhio e un sol dente tra tutte e tre e se
erpenti, delle grandi ale e delle ugne di lione ai piedi ed alle mani
che
erano di bronzo. Erano pei mortali un oggetto di
oro sguardo uccidevano gli uommi o almeno trasformavano in sasso quei
che
guardavano. Esse davano il guasto alla campagna e
la testa a Medusa, la più eelebre per le sue disavventure, ma la sola
che
fosse mortale, mentre le sue sorelle non erano so
con tutti gli altri mostri immaginati dai poeti. Asseriscono alcuni
che
le Gorgoni erano donne guerriere le quali abitava
onne guerriere le quali abitavano la Libia presso il lago Tritonide ;
che
furono soventi in guerra colle Amazzoni loro vici
itonide ; che furono soventi in guerra colle Amazzoni loro vicine ; e
che
Ercole finalmente le distrusse insieme alle loro
che Ercole finalmente le distrusse insieme alle loro rivali, persuaso
che
nel gran progetto da lui concepito di rendersi ut
oncepito di rendersi utile al genere umano, egli non avrebbe eseguito
che
una sola parte del suo divisamento, allora quando
he una sola parte del suo divisamento, allora quando avesse tollerato
che
al mondo vi fossero delle nazioni sottoposte al d
ero delle nazioni sottoposte al dominio delle donne. Pretendono altri
che
le Gorgoni fossero vere bestie feroci le quali co
ificavano gli uomini, e raccontano esservi stato in Africa un animale
che
i Nomadi chiamano Gorgone, il quale è molto somig
somigliante ad una pecora selvatica, ed il cui alito è tanto velenoso
che
infetta tutti coloro che gli si avvicinano. Nel
selvatica, ed il cui alito è tanto velenoso che infetta tutti coloro
che
gli si avvicinano. Nel nome delle tre Gorgoni co
enti animali, degli occhi di iena e delle altre mercanzie. Nel cambio
che
facevasi di coteste cose in diversi porti della F
lla Grecia, rinchiudesi il mistero del dente, del corno e dell’occhio
che
le Gorgoni prestavansi vicendevolmente ; quindi l
uali era composta la piccola flotta di questo principe, come si vuole
che
lo provino i cinque loro nomi fenici. In tutte le
lie. Allorchè Perseo troncò il capo di Medusa, dalle gocce del sangue
che
caddero da esso si vuole che nascessero tutte le
l capo di Medusa, dalle gocce del sangue che caddero da esso si vuole
che
nascessero tutte le specie di serpenti che veggon
e caddero da esso si vuole che nascessero tutte le specie di serpenti
che
veggonsi nell’Africa, come nacque Crisaore ed il
nell’Africa, come nacque Crisaore ed il Pegaso cavallo alato. Appena
che
quest’ultimo vide la luce volò nel soggiorno degl
percuotendo il piede in terra fece scaturire il fonte Ippocrene, nome
che
equivale a fontana di cavallo. Questo fonte consa
vallo. Questo fonte consacrato ad Apollo ed alle Muse vogliono alcuni
che
fosse scoperto da Cadmo che insegnò ai Greci le l
to ad Apollo ed alle Muse vogliono alcuni che fosse scoperto da Cadmo
che
insegnò ai Greci le lettere dell’alfabeto e le sc
o e le scienze. Minerva domò il caval Pegaso, lo diede a Bellerofonte
che
servissene per combattere la Chimera. Avendo posc
vallo abitava i monti Parnaso, Elicona, Pierio e Permesso. Pretendesi
che
assista tuttora col suo dorso e le sue ali i poet
poeti di primo ordine. Avvi chi confonde con Pegaso il cavallo alato
che
Nettuno percuotendo la terra col suo tridente fec
Nettuno percuotendo la terra col suo tridente fece nascere nella gara
che
ebbe con Minerva, come si è già riferito all’arti
perando dell’oro dagli Africani aveva preso anche da loro un artefice
che
sapesse porlo in uso. Il Pegaso era un animale se
a uscito dalla nave fuggì e non fu fermato se non se da Bellerofonte,
che
lo ferì ei pure e disparve. Le Ninfe, Galatea,
ventura, ma eziandio fino alle semplici pastorelle e a tutte le belle
che
i poeti fanno entrare nel soggetto de’loro canti.
so aveva le sue Ninfe, nel cuirango convien mettere eziandio le Muse,
che
sono le Ninfe di Apollo. Le Ninfe sono sempre rap
egolano la sfera del cielo. Poco si dice delle Ninfe infernali se non
che
tra di esse distinguevasi per bellezza Orfne che
nfe infernali se non che tra di esse distinguevasi per bellezza Orfne
che
dicesi moglie di Acheronte e madre di Ascalafo cu
delle foreste dette Driadi ed Amadriadi. Le Oreadi, Ninfe de’ monti
che
si fanno nascere da Foroneo antico re d’Argo ed u
nti che si fanno nascere da Foroneo antico re d’Argo ed uno de’ primi
che
contribuirono all’incivilimento de’ Greci, e da E
rilievo vedesi Diana discesa dal suo carro per contemplare Endimione,
che
fa tenere dalle Oreadi i propri cavalli. Sotto il
ro nome nella lingua greca significa luogo coperto d’alberi. Il culto
che
si rendeva loro era presso a poco eguale di quell
mpagne, ai boschi ed agli alberi. Erano state immaginate per impedire
che
i popoli distruggessero troppo facilmente le fore
sero troppo facilmente le foreste. Per tagliare una foresta bisognava
che
i ministri della religione dichiarassero che le N
re una foresta bisognava che i ministri della religione dichiarassero
che
le Ninfe l’avevano abbandonata. Erravano esse gio
pei boschi e per le foreste, e potevano ballare intorno alle quercie
che
erano loro consacrate, e sopravvivere alla distru
e erano loro consacrate, e sopravvivere alla distruzione degli alberi
che
erano da esse protetti. Potevano maritarsi. Eurid
di foglie di quercia, ed avevano in mano una scure, perchè si credeva
che
queste Ninfe punissero gli oltraggi fatti alla pi
si credeva che queste Ninfe punissero gli oltraggi fatti alla pianta
che
avevano in custodia. Le Amadriadi ninfe anch’ess
parare ; tali alberi erano per lo più le querce. Pretendesi da alcuni
che
non ne fossero assolutamente inseparabili perchè
mbinando colla durata degli alberi. Queste Ninfe erano grate a coloro
che
le salvavano dalla morte, ma punivano severamente
ultare gli alberi da cui esse dipendevano. Narrasi a questo proposito
che
un certo Parebio stava per abbattere una superba
momenti di tua vita ; all’ombra di queste foglie incontrasti la donna
che
ti rese il più felice fra i mariti e fra i padri
» Non si lasciò neppur terminar il discorso all’afflitta Amadriade,
che
la quercia venne abbattuta ; ma la Ninfa se ne ve
eme col figlio da inaspettata morte immatura. Un altro storico narra
che
un certo Reco della città di Gnido, vide un giorn
questo lavoro gh comparve la Ninfa di quell’albero, la quale dissegli
che
era disposta ad accordargli quanto cra in suo pot
accordargli quanto cra in suo potere, per ricompensarlo del servigio
che
avevale reso con prolungare la sua esistenza, che
nsarlo del servigio che avevale reso con prolungare la sua esistenza,
che
da quella quercia dipendeva ; e la Ninfa non manc
promessa. Molti fatti citansi a un dipresso consimili i quali provano
che
gli antichi erano persuasi che la vita delle Amad
un dipresso consimili i quali provano che gli antichi erano persuasi
che
la vita delle Amadriadi dipendesse dalle piante c
hi erano persuasi che la vita delle Amadriadi dipendesse dalle piante
che
le medesime avevano in custodia ; ed era questo u
ide, le Oceanidi o Oceanitidi figlie dell’Oceano e di Teti. Sì le une
che
le altre erano delle famiglie delle Ninfe marine.
e più. Sarebbe quindi inutile il riportare i nomi dati da que’ poeti
che
ne contano soltanto da sette a cinquanta. I loro
no Anfitrite e Tetide. Sono chiamate le caste Ninfe dagli occhi neri,
che
abitano il fondo del mare. Scorrono sollazzandosi
Alle Nereidi offrivasi del latte, dell’olio e del mele ne’ sacrifici
che
loro facevansi ; talvolta erano ad esse immolate
li marini. Si diede un tempo il nome di Nereidi ad alcune principesse
che
abitavano delle isole o sopra le coste, oppure ch
alcune principesse che abitavano delle isole o sopra le coste, oppure
che
si rendettero celebri collo stabilimento del comm
teva in preci ed in sacrifici. Questo culto era fondato sul vantaggio
che
traevasi dall’Oceano e dal mare e sui pericoli ch
dato sul vantaggio che traevasi dall’Oceano e dal mare e sui pericoli
che
incontravansi su quell’elemento. Quando il mare e
gli s’immolava un agnello ed un porco, ma il toro era però l’animale
che
più comunemente a quelle divinità veniva immolato
e se il sacrificio facevasi a bordo di un vascello, allora lasciavasi
che
il sangue della vittima colasse in mare. Una dell
o e vedendone le acque molto limpide volle bagnarvisi. Il fiume Alfeo
che
la vide spogliarsi ed entrare nell’ acqua se ne i
e ne fuggì. Il Dio del fiume la inseguì pei campi e pei monti, fino a
che
la Ninfa non potendo più reggere dalla stanchezza
non potendo più reggere dalla stanchezza implorò il soccorso di Diana
che
la cangiò in fonte. Alfeo che la riconobbe sotto
stanchezza implorò il soccorso di Diana che la cangiò in fonte. Alfeo
che
la riconobbe sotto questa trasformazione abbandon
desi ancora. L’Aretusa era realmente una fontana dell’isola d’Ortigia
che
rinchiudeva il palazzo degli antichi re di Siracu
ichi re di Siracusa. Le Naiadi dette anche Crenee e Pegee erano Ninfe
che
presiedevano alle fontane, ai fiumi, alle riviere
e, ai fiumi, alle riviere ed ai torrenti. Alcuni distinguono le Ninfe
che
presiedevano ai fiumi ed alle riviere dalle Naiad
o di tutte le divinità marine ed ai fiumi. Le Limniadi erano le ninfe
che
presiedevano ai laghi ed agli stagni. Erano onora
città di Colofone nella Ionia, la quale lavorava così bene in ricamo,
che
traeva in sua casa un’infinità di stranieri per a
nità di stranieri per ammirare la bellezza delle sue opere. Gli elogi
che
le si tributarono, le inspirò una tale presunzion
re. Gli elogi che le si tributarono, le inspirò una tale presunzione,
che
osò sfidare Minerva stessa, ripromettendosi di so
ato sulla tela Europa sedotta da Giove trasformato in toro ; Asteria,
che
si dibatte contro lo stesso Dio cangiato in aquil
gno ne era sì regolare e vedevansi così vivamente espresse le figure,
che
la Dea non potendo scoprirvi alcun difetto, lacer
a quale erano troppo ben rappresentate le colpe degli Dei. Aggiungesi
che
la Dea portò il suo risentimento a segno di percu
che la Dea portò il suo risentimento a segno di percuotere Aracne, il
che
pose in tanta disperazione questa giovine, che an
percuotere Aracne, il che pose in tanta disperazione questa giovine,
che
andò incontanente ad appiccarsi. Ma Minerva mossa
carsi. Ma Minerva mossa a compassione la sostenne in aria, per timore
che
essa non riuscisse a strozzarsi, cangiandola in r
orfosi ella ha conservato la passione di filare e di far tele. Dicesi
che
gli Egizi per rammentare continuamente al popolo
trama della loro stoffa, e davano a quest’immagine il nome di Minerva
che
nella loro lingua indicava mestiere di tessitore.
esta figura eravi quella di un ragno, da essi chiamato Aracne, parola
che
significa, fare della tela ; emblemi che trasport
essi chiamato Aracne, parola che significa, fare della tela ; emblemi
che
trasportati in Grecia hanno dato luogo alle finzi
te e di Cherecrate, o di Forco e di Ceto. La più comune opinione si è
che
fossero tre : Egle, Aretusa e Iperetusa. Avvi chi
a Vesta. Giunone maritandosi con Giove gli diede delle piante di pomi
che
fruttavano de’ pomi d’oro. Questi pomi furono pos
e di portarsi a prender que’ pomi. Ercole s’indirizzò ad alcune Ninfe
che
abitavano presso l’Eridano, onde sapere da loro o
rargli que’ pomi offrendosi a sostenere in sua vece il cielo, intanto
che
Atlante si recasse alle Esperidi. Le Esperidi o
d’Egitto tratto dalla loro fama ne divenne amante e spedì dei pirati
che
le rapirono nel loro giardino ; ma furono sorpres
rati che le rapirono nel loro giardino ; ma furono sorpresi da Ercole
che
li ucelse, e Atlante in prova della sua riconosce
olti hanno intesi gli aranci ed i cedri. Nel drago non hanno scoperto
che
l’immagine dell’avarizia, la quale si consuma per
he l’immagine dell’avarizia, la quale si consuma per custodire un oro
che
le diviene inutìle, e che non vuole sia toccato d
a, la quale si consuma per custodire un oro che le diviene inutìle, e
che
non vuole sia toccato da nessuno. Nella favola de
a toccato da nessuno. Nella favola delle Esperidi non iscorgono altri
che
un quadro de’ fenomeni celesti. Le Esperidi sono
i gli astri minori. Quest’ultima opinione trova un appoggio in quelli
che
figurano in Ercole un essere allegorico il quale
no in Ercole un essere allegorico il quale non vuol significare altro
che
il sole. I giardini delle Esperidi, vuolsi che fo
vuol significare altro che il sole. I giardini delle Esperidi, vuolsi
che
fossero nelle Isole Esperidi chiamate anche dagli
anti dalla costa d’Africa, di cui gli antichi avevano poche nozioni e
che
credevano l’estremità del mondo ; oggi si ritiene
remità del mondo ; oggi si ritiene essere le Isole Esperidi le stesse
che
le Canarie. Altri vogliono che i Giardini delle E
ene essere le Isole Esperidi le stesse che le Canarie. Altri vogliono
che
i Giardini delle Esperidi fossero in vicinanza de
mavera per esempio è coronata di fiori e appresso lei evvi un arbusto
che
mette le prime foglie ; tien essa da una mano nu
e, era un Dio marino, la cui figura offriva sino alla schiena un uomo
che
nuota, ed il resto del corpo mostrava un pesce co
e di pesce ritenendo nel volto e nel busto la forma muliebre ; dicesi
che
ottenessero di essere in tal guisa trasformate pe
che ottenessero di essere in tal guisa trasformate pel gran desiderio
che
mostrarono di andare in traccia di Proserpina per
di Proserpina per aria, per terra e per acqua ; si sostiene da altri
che
Cerere in punizione di non aver soccorso sua figl
l’isola di Capri dirimpetto a Napoli o in alcune isolette colà vicine
che
ancora si chiamano le isole delle Sirene. L’oraco
olo aveva predetto alle Sirene ch’esse avrebbero vissuto sino a tanto
che
fossero giunte a trattenere tutti i passaggeri, m
o sino a tanto che fossero giunte a trattenere tutti i passaggeri, ma
che
dal momento in cui un solo fosse passato, senza f
atrici non tralasciarono di arrestare colla loro armonia tutti coloro
che
giungevano a quella volta, e che erano tanto impr
tare colla loro armonia tutti coloro che giungevano a quella volta, e
che
erano tanto imprudenti per fermarsi ad udirne i c
per fermarsi ad udirne i canti. Ne rimanevano essi incantati a tale,
che
più non pensavano al loro paese, obliavano di pre
no d’inedia. La terra di que’contorni era coperta di ossami di coloro
che
erano in tal guisa periti. Ulisse dovendo passare
ben chiuse, lungi dal secondare i suoi desiderii, a norma dell’ordine
che
avevano da lui ricevuto, con nuove corde più fort
ato de’ lusinghieri suoni di quelle Sirene e delle seducenti promesse
che
gli facevano, di insegnargli mille belle cose, ch
seducenti promesse che gli facevano, di insegnargli mille belle cose,
che
fè cenno a’ suoi compagni di scioglierlo, loochè
chia oggi Pozzuolo ; la sua tomba fu trovata nell’edificare una città
che
dal suo nome fu detta Partenope. Questa città fu
donavasi Cuma per ivi andare a stabilirsi ; ma avvertiti dall’oracolo
che
per liberarsi dai guasti della peste, era lor d’u
n rotolo, come per cantare. Sono tanto discordi le opinioni di coloro
che
hanno voluto dare un’interpretazione alla favola
re un’interpretazione alla favola delle Sirene, e sì poco verisimili,
che
si crede opportuno di non riportarne alcuna. È pe
simili, che si crede opportuno di non riportarne alcuna. È però fatto
che
le Sirene secondo i poeti vollero essere trasform
lla medesima ricorse a Circe, famosa maga, la quale compose un veleno
che
gettò nella fontana in cui la Ninfa era solita ba
Appena Scilla fu entrata nella fontana, si vide cangiata in un mostro
che
aveva dodici artigli, sei booche e sei teste ; un
sua figura gittossi in mare, vicino al luogo ove è il famoso stretto
che
porta il suo nome ; ma vendicossi di Circe, facen
si di Circe, facendo perire i vascelli di Ulisse, suo amante. Si dice
che
Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue
lli di Ulisse, suo amante. Si dice che Seilla ha una voce terribile e
che
le orrende sue grida rassembrano al muggito del l
rribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del lione ;
che
è un mostro il cui aspetto farebbe fremere anche
lione ; che è un mostro il cui aspetto farebbe fremere anche un Dio ;
che
ha sei lunghi colli e sei teste enormi, e in cias
ghi colli e sei teste enormi, e in ciascuna testa tre ordini di denti
che
racchiudono la morte. Allorchè vede passare i vas
anente del corpo, ha una coda di delfino e un ventre di lupo. Credesi
che
Scilla fosse un naviglio dei Tirreni che devastav
e un ventre di lupo. Credesi che Scilla fosse un naviglio dei Tirreni
che
devastava le coste della Sicilia e portava su la
a figura di una donna il cui corpo era circondato di cani. Aggiungesi
che
lo strepito delle onde frangentesi contro le rocc
contro le rocce dello stretto, imitando i latrati dei cani, e l’acqua
che
si precipita impetuosamente nei vortici, hanno da
hanno dato motivo alla favola. Cariddi nome di una donna voracissima
che
avendo rubato ad Ercole certi buoi, dicesi da cer
voracissima che avendo rubato ad Ercole certi buoi, dicesi da certuni
che
fosse da lui uocisa, da certi altri fulminata da
Giove e cangiata in una voragine vorticosa, nello stretto di Sicilia,
che
inghiottiva le navi ed i naviganti che sovr’essa
osa, nello stretto di Sicilia, che inghiottiva le navi ed i naviganti
che
sovr’essa passavano. Fra Messina in Sicilia e Reg
ia vi ha un passo molto stretto, ove vi sono grandi e scoscesi scogli
che
sporgono nel mare dai due lati opposti. È celebre
ati opposti. È celebre nell’antichità questo passaggio per i pericoli
che
vi correvano i navigatori. Questo passo era chiam
quel passaggio era pericolosissimo, e succedeva pur troppo di soventi
che
per evitare le terre alla sinistra, si radeva tro
per evitare le terre alla sinistra, si radeva troppo da vicino quelle
che
si trovano a destra ; d’onde nacque il proverbio
nde nacque il proverbio : Cadere da Scilla a Cariddi. Non è cosa rara
che
bene spesso il timore di un male ci conduce in un
ma comunemente prendevansi gli uni per gli altri. Si vuole da alcuni
che
i Lari fossero figli di Mercurio e di Lara ninfa
cuni che i Lari fossero figli di Mercurio e di Lara ninfa del Tevere,
che
Mercurio condusse all’inferno per ordine di Giove
no. Li volevano inoltre figli di Giove e di Larunda, forse la stessa
che
Lara. I Lari o Penati erano piccole statue rappre
a che Lara. I Lari o Penati erano piccole statue rappresentanti Deità
che
nelle case si onoravano e si custodivano con molt
pubblico si sacrificava loro un gallo ed anche un porco ; le offerte
che
ad essi si facevano in particolare erano incenso,
, vino, una coperta di lana ed una parte dei cibi giornalieri. Vuolsi
che
anticamente tutte le anime dei morti fossero cono
le anime dei morti fossero conosciute sotto il nome di Lemuri. Quelli
che
avevano cura degli abitanti delle case ove eglino
o cura degli abitanti delle case ove eglino stessi avevano dimorato e
che
erano dolci e pacifici si chiamavano Lari famigli
dolci e pacifici si chiamavano Lari famigliari ; quelli al contrario
che
in pena della loro cattiva vita non avevano sicur
ro soggiorno erano considerati per Geni malefici, erranti e vagabondi
che
ritornavano a tormentare i viventi, cagionando pa
ose campestri avevano la loro Divinità particolare. Ippona era la dea
che
presiedeva ai cavalli, Bubona ai buoi, Seia o Seg
ea della maturità ; Mellona proteggeva le api ed i loro lavori. Colui
che
rubava del mele o guastava gli alveari del suo vi
tercuzio o Stercuto o Sterculio o Sterquilino era il dio del concime,
che
dicevasi figlio di Fauno e che aveva per il primo
o Sterquilino era il dio del concime, che dicevasi figlio di Fauno e
che
aveva per il primo introdotta la concimazione de’
atte. Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare chiamato Genio, e
che
lo accompagnava per tutta la vita. Secondo alcuni
cio o Natio diceasi la dea del nascere ; Vagitano o Vaticano era quel
che
presiedeva ai vagiti dei fanciulli ; Levana quell
icano era quel che presiedeva ai vagiti dei fanciulli ; Levana quella
che
sollevava i bambini. La dea Rumia, Rumilia, Ruma
e, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. Strenua dicevasi la dea
che
rende gli uomini valorosi, Agenoria o Stimula que
evasi la dea che rende gli uomini valorosi, Agenoria o Stimula quella
che
gli spingeva ad agire. Gli Agonii erano Dei che s
oria o Stimula quella che gli spingeva ad agire. Gli Agonii erano Dei
che
si invocavano quando trattavasi d’intraprendere q
mpagnava i viaggiatori perchè non si smarissero ; Avveruno era quello
che
allontanava i mali ed i pericoli. Nerina era la d
i notturni. Martea veneravasi dagli eredi. Strenia presiedeva ai doni
che
si facevano il primo giorno dell’anno e che si ch
trenia presiedeva ai doni che si facevano il primo giorno dell’anno e
che
si chiamavano strenne. Laverna era venerata dai l
Ercole Questo nome è comune a molti celebri Greci nell’antichità,
che
si recarono ad onore di portar un tal nome, il qu
tal nome, il quale suolevasi dare anche a tutti i negozianti rinomati
che
andavano a scoprire nuovi paesi e vi conducevano
lei marito mentre questi era alla guerra di Tebe. Giove aveva giurato
che
dei due bambini i quali doveano nascere da Alcmen
lcmena e secondo alcuni da Alcmena uno e da Stenelo l’altro, il primo
che
nascesse avrebbe l’impero sopra il secondo ; Giun
d assicurandogli così la superiorità sul suo competitore. Nel giorno
che
nacque Ercole il tuono si fece sentire in Tebe a
zzò i due serpenti, dando in tal modo a conoscere fin dal suo nascere
che
era degno figlio di Giove. La maggior parte dei m
degno figlio di Giove. La maggior parte dei mitologi raccontano però
che
Giunone la quale da’ primi giorni di Ercole diede
la quale da’ primi giorni di Ercole diede strepitose prove dell’odio
che
gli portava in causa della madre, mandò due orrib
del proprio latte onde renderlo immortale. Una goccia di questo latte
che
Ercole lasciò cadere, produsse quella striscia bi
te che Ercole lasciò cadere, produsse quella striscia bianca in cielo
che
ora chiamasi Via Lattea. Narrano alcuni questo fa
te. Giunone vi acconsentì, ma il bambino la mordette con tanta forza,
che
essa ne provò un violento dolore e lasciò colà il
in astronomia e in medicina. Lino gl’ insegnò a suonare un istrumento
che
trattavasi con l’archetto, e siccome Ercole stuon
figlio, sorpresi dalla fame ambidue, chiese da mangiare ad un bifolco
che
stava lavorando coll’ aratro ; e perchè quegli no
gran bevitore, se si deve giudicarlo dalla grandezza della sua tazza,
che
dicesi fossero necessari due uomini per portarla
ssero necessari due uomini per portarla : egli però non aveva bisogno
che
di una mano per valersene quando la vuotava. Dat
ti e le sue fatiche per la sorte della sua nascita. Alcuni pretendono
che
questo suo procedere non fossé volontario e che d
ta. Alcuni pretendono che questo suo procedere non fossé volontario e
che
da principio ricusasse di sottomettersi agli ordi
Giunoue per punirlo della sua disubbedienza lo colpì con tale delirio
che
uccise i propri figli natigli da Megara sua prima
vita quelli di Euristeo. Ritornato in sè stesso ne fu tanto afflitto
che
rinunciò al commercio degli uomini, indi consultò
rinunciò al commercio degli uomini, indi consultò l’oracolo di Apollo
che
gli ordinò di sottomettersi, per lo spazio di dod
dini di Euristeo, in conformità dei decreti di Giove ; e gli annunciò
che
sarebbe posto nel rango degli Dei allorchè avesse
lagevoli dette poi dai mitologi le dodici fatiche di Ercole, persuaso
che
dovesse perire ; ma Ercole ne sortì con gloria. D
eramente combattere il terribile leone figlio di Tifone e di Echidna,
che
infestava i contorni di Nemea, celebre città dell
l paese di Argo pugnò coll’ Idra Lernea, nata da Echidna anch’essa, e
che
era un serpente di sette teste, a cui se una veni
de. 3.° Pugnò e prese vivo sul monte Erimanto un ferocissimo cignale
che
devastava l’Arcadia. Euristeo vedendo Ercole che
ferocissimo cignale che devastava l’Arcadia. Euristeo vedendo Ercole
che
portava su le spalle questo cignale vivo, ne fu t
che portava su le spalle questo cignale vivo, ne fu tanto spaventato
che
corse a nascondersi sotto di un tino di bronzo. 4
di bronzo. 4.° Sul monte Menalo inseguì per un anno intiero una cerva
che
aveva i piedi di bronzo e le corna d’oro. Siccome
ta a Diana era proibito di ucciderla. Ercole per ubbidire ad Euristeo
che
la voleva per sè, raggiunta che l’ebbe su le spon
erla. Ercole per ubbidire ad Euristeo che la voleva per sè, raggiunta
che
l’ebbe su le sponde del Ladone, la prese viva, se
di càrne umana. Ve n’era un gran numero e la loro grossezza era tale
che
le loro ali impedivano che la luce del sole si sp
n gran numero e la loro grossezza era tale che le loro ali impedivano
che
la luce del sole si spandesse su la terra. 6.° S
fatta prigioniera la loro regina Ippolita la diede in isposa a Teseo
che
gli era stato compagno in quell’impresa. Le Amazz
ra stato compagno in quell’impresa. Le Amazzoni erano donne guerriere
che
abitavano le ripe del Termodonte in Capadocia. No
Capadocia. Non volevano uomini seco loro e non conversavano con essi
che
una volta ogni anno, e li rimandavano dopo alle l
a volta ogni anno, e li rimandavano dopo alle loro case esigendo però
che
avessero ucciso prima tre de’ loro nemici : facev
le stalle di Augia re dell’Elide, le quali contenevano tremila buoi e
che
non erano state pulite da trent’anni, col farvi p
mpenso delle sue fatiche, il quale consisteva nel decimo delle gregge
che
gli dovea appartenere. Siccome Augia gli rifiutò
Augia gli rifiutò il compenso malgrado il parere di Fileo suo figlio
che
lo consigliò a mantenere i patti, Ercole offeso d
nominò Fileo erede degli stati di suo padre. 8.° Domò un furioso toro
che
devastava l’isola di Creta e lo condusse legato a
lli di carne umana facendo loro divorare principalmente gli stranieri
che
avevano la mala sorte di cadere nelle sue mani. E
ieri che avevano la mala sorte di cadere nelle sue mani. Ercole preso
che
ebbe Diomede lo fece divorare da quegli stessi ca
valli, i quali condusse poscia ad Euristeo e non li lasciò in libertà
che
sul monte Olimpo ove furono divorati da animali f
in Eritia isola vicino di Cadice. Questi era un gigante con tre corpi
che
faceva pascere i suoi buoi con carne umana. Per c
ue spalle il cielo. 12.° Discese all’inferno, incatenò il can Cerbero
che
ebbe anch’esso Echidna per madre, cavonne Alceste
altre memorabili azioni. Vinse il fiume Acheloo e gli tolse un corno,
che
fu poi chiamato Cornucopia. Soffocò il gigante An
, Tirreno ed altri. Domò i Centauri, uccise Busiride tiranno d’Egitto
che
sacrificava a Nettuno suo padre i forastieri. Ucc
o che sacrificava a Nettuno suo padre i forastieri. Uccise l’avoltoio
che
rodeva il cuore a Prometeo legato al monte Caucas
ale Esione figlia di Laomedonte era esposta ; e per punire Laomedonte
che
gli negava i promessigli cavalli, rovesciò le mur
e Calpe, unendo in tal guisa il Mediterraneo all’ Oceano, e credendo
che
quel punto fosse la fine del mondo, vi eresse due
punte e la ferì nel seno, e n’ebbe essa a provare dolori così grandi,
che
sembrava non dovesser più calmarsi. Ercole ferì a
ta, Partenope, Auge, Astioca, Astidamia, Deianira e la giovinetta Ebe
che
sposò in cielo. L’amore ch’ebbe per Onfale regina
ò in cielo. L’amore ch’ebbe per Onfale regina di Lidia fu sì ardente,
che
si vestiva da donna per piacerle e silava con lei
l centauro Nesso si offerse di portarla sul dosso sull’altra ripa, al
che
Ercole acconsentì ; ma accortosi che Nesso si pre
la sul dosso sull’altra ripa, al che Ercole acconsentì ; ma accortosi
che
Nesso si preparava a fuggire con Deianira, scocco
che Nesso si preparava a fuggire con Deianira, scoccogli una freocia
che
lo costrinse a fermarsi. Sentendosi il Centauro v
a Deianira la sua camicia intrisa nel proprio sangue, a ssicurandola
che
quella vesta aveva tal virtù, che suo marito indo
nel proprio sangue, a ssicurandola che quella vesta aveva tal virtù,
che
suo marito indossandola non avrebbe potuto lascia
suo marito indossandola non avrebbe potuto lasciarla per un’altra, o
che
se l’avesse abbandonata avrebb’essa avuto potere
andò a lui la fatal camicia, ed appena se l’ebbe egli posta in dosso,
che
sentissi subito ardere da un crudel fuoco, ed il
precazioni contro la moglie ; vedendo finalmente seccarsi le membra e
che
si avvicinava il suo fine, alzò un rogo sul monte
oco e di aver cura delle sue ceneri. Appena fu acceso il rogo, dicesi
che
cadesse il fulmine dal cielo e riducesse tutto in
cielo e riducesse tutto in cenere in un istante, onde purificare ciò
che
v’era di mortale in Ercole. Giove lo innalzò al c
rato, perchè se n’era cinto il capo quando discese nell’inferno : ciò
che
toccavagli il capo conservò il suo bianco colore,
re la parte esterna fu fatta nera dal fumo. La sua clava era d’ulivo,
che
, secondo alcuni, dopo la sua morte, piantata nell
di Deianira sposò Iolea, ma Euristeo serbando verso del figlio l’odio
che
nutrito avea contro del padre lo scacciò dal regn
he in cui si raccontano avvenute congetturarono a ragione sì i Romani
che
i Greci e dietro essi i moderni che più di un Erc
getturarono a ragione sì i Romani che i Greci e dietro essi i moderni
che
più di un Ercole vi avesse come si è già detto e
o essi i moderni che più di un Ercole vi avesse come si è già detto e
che
ciascuna nazione vantasse il suo, e che tutte poi
avesse come si è già detto e che ciascuna nazione vantasse il suo, e
che
tutte poi attribuite fossero le imprese di tanti
te fossero le imprese di tanti Ercoli al figlio di Alcmena e di Giove
che
si rendette così il più celebre tra i Semidei. In
ette così il più celebre tra i Semidei. Insorse nondimeno un sistema,
che
prevale fors’anche, il quale riducendo ad un solo
l culto antico cioè della natura, fece di Ercole un essere allegorico
che
al par di Bacco, di Giove, di Esculapio e di tant
iove, di Esculapio e di tante altre deità, non vuol significare altro
che
il sole. L’universalità del culto di Ercole, l’an
chità de’ suoi templi di Fenicia, di Egitto, quivi innalzatigli prima
che
le colonie di que’ due paesi andassero a popolare
popolare la Grecia, i tratti con cui gli antichi hanno dipinto Ercole
che
tutti convengono al sole formano il principal fon
rmano il principal fondamento di questo sistema. La perfeta analogia
che
passa tra le dodici fatiche attribuite ad Ercole
che passa tra le dodici fatiche attribuite ad Ercole e i dodici segni
che
trascorre il sole nello zodiaco è uno de’ più for
il sole. I sostenitori del sistema astronomico di Ercole asseriscono
che
non solo all’estremità del Mediterraneo, ma a que
colle altre il termine dei viaggi di questo eroe verso occidente ; e
che
due altari vedevansi nelle Indie in onore del med
ali colonne e tali altari servono a convalidare sempre più il sistema
che
Ercole non fosse altro che il sole, poichè si ved
ervono a convalidare sempre più il sistema che Ercole non fosse altro
che
il sole, poichè si vedono espressi chiaramente in
il quale ogni giorno trascorre dall’orto all’occaso. Osservisi ancora
che
le colonne misteriose innalzate dagli antichi era
no sacre tutte agli astri, prima base della loro religione. Tutto ciò
che
abbiamo qui brevemente accennato sul sistema astr
iglio di Giapeto uno de’ Titani e di Asia figlia dell’Oceano. Egli fu
che
formò i primi uomini di terra e di acqua. Minerva
zza dell’opera di Prometeo, gli fece l’offerta di dargli tutto quello
che
poteva contribuire a perfezionarla. Prometeo le d
utto quello che poteva contribuire a perfezionarla. Prometeo le disse
che
avrebbe desiderato di scorrere egli medesimo le c
ato di scorrere egli medesimo le celesti regioni per scegliere quello
che
più gli fosse sembrato conveniente all’uomo che e
per scegliere quello che più gli fosse sembrato conveniente all’uomo
che
esso aveva formato. Innalzato al cielo da Minerva
sso aveva formato. Innalzato al cielo da Minerva, ed avendo osservato
che
tutti i corpi celesti erano animati dal fuoco, vi
ni per cui fu detta Pandora e la mandarono a Prometeo con una scatola
che
conteneva tutti i mali. Prometeo ebbe l’avvedutez
se lietamente il dono e sposò Pandora contro il consiglio di Prometeo
che
detto gli aveva di rifiutare qualunque presente g
are qualunque presente gli venisse da Giove. L’ira di Giove nel veder
che
Prometeo era sfuggito a questo agguato non ebbe f
meteo sul monte Caucaso, ove un avoltoio gli rodeva il cuore a misura
che
gli rinasceva ; e sofferse tale supplizio, sintan
uore a misura che gli rinasceva ; e sofferse tale supplizio, sintanto
che
andò a liberarlo Ercole. L’uomo formato da Prome
o che andò a liberarlo Ercole. L’uomo formato da Prometeo per quelli
che
vogliono spiegare questa favola era una statua ch
era una statua ch’ei seppe formare coll’ argilla, e fu desso il primo
che
insegnò agli uomini la statuaria. Prometeo essend
insegnò loro a condurre una vita umana, e per questo si è forse detto
che
coll’assistenza di Minerva aveva formato l’uomo.
degli uomini, e Pirra sua sposa la più virtuosa tra le donne, i soli
che
per essere gente dabbene gli Dei vollero eccettua
nte dabbene gli Dei vollero eccettuare dal generale eccidio. Ritirate
che
si furono le acque andarono i due coniugi a consu
racolo di Temi sul modo di ripopolare la terra e n’ebbero in risposta
che
si gettassero dietro le spalle le ossa della madr
ero su le prime il senso dell’oracolo e furono allarmati da un ordine
che
parve loro crudele. Ma Deucalione dopo avervi rif
che parve loro crudele. Ma Deucalione dopo avervi riflettuto s’avvide
che
per madre dovevasi intendere la terra, madre comu
la terra, madre comune, le ossa della quale erano le pietre. Riunite
che
n’ebbero buon numero, quelle gettate da Deucalion
o da sè stessi dall’umida terra, tra quali citasi il serpente Pitone,
che
fu poi ucciso da Apollo. Anche Cerambo, abitante
a montagna, o secondo altri, trasformato in quella specie di scarabeo
che
ha le corna. La favola di Deucalione e di Pirra
ltri va a scaricarsi nel mare. In quell’anno stesso cadde tanta acqua
che
tutta la Tessaglia fu inondata. Deucalione e que’
a che tutta la Tessaglia fu inondata. Deucalione e que’ pochi sudditi
che
fuggirono si salvarono con lui sul monte Parnaso,
o, e venute meno le acque scesero nella pianura. Le pietre misteriose
che
ripopolarono il paese furono forse i figli di que
e misteriose che ripopolarono il paese furono forse i figli di quelli
che
si salvarono dall’inondazione. Deucalione ebbe da
alvarono dall’inondazione. Deucalione ebbe da Pirra due figli. Elleno
che
alcuni mitologi chiamano figlio di Giove, ed Anfi
i. Elleno che alcuni mitologi chiamano figlio di Giove, ed Anfittione
che
regnò nell’Attica. Ebbe inoltre una figlia per no
bbe inoltre una figlia per nome Protogenea la quale fu amata da Giove
che
la rese madre di Etlio. L’epoca del diluvio di De
n figlio chiamato Perseo. Pretendono alcuni, ma son creduti da pochi,
che
quegli che s’introdusse nella torre fosse Preto e
iamato Perseo. Pretendono alcuni, ma son creduti da pochi, che quegli
che
s’introdusse nella torre fosse Preto e che da ciò
eduti da pochi, che quegli che s’introdusse nella torre fosse Preto e
che
da ciò ne naeque l’odio implacabile che regnò tra
sse nella torre fosse Preto e che da ciò ne naeque l’odio implacabile
che
regnò tra i due fratelli. Conscio che fu Acrisio
iò ne naeque l’odio implacabile che regnò tra i due fratelli. Conscio
che
fu Acrisio della nascita di Perseo fecelo esporre
eo fecelo esporre colla madre in una sdruscita nave nel mare sperando
che
i flutti non tardassero ad inghiottirli, ma fu de
l quale condusse la madre ed il figlio a Polidete sovrano dell’isola,
che
dicesi da alcuni fratello a Ditti. Il re accolse
itati gli facesse dono d’un cavallo ; ed invitò. Perseo perchè sapeva
che
non ne aveva. Questo giovine ardente di far prova
invece del cavallo la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni, la sola
che
fosse mortale ; cui Pallade per punirla di aver a
suo tempio aveva cangiato i capelli in serpenti, ed aveva prescritto
che
chiunque la riguardava dovesse rimanere pietrific
no una scimitarra di diamanti fatta a forma di falce ; Plutone l’elmo
che
rendeva invisibile chi lo portava, e Pallade uno
one l’elmo che rendeva invisibile chi lo portava, e Pallade uno scudo
che
risplendeva ad uso di specchio. Armato in tal gui
istito da Minerva partì, vinse le Gorgoni e tagliò la testa di Medusa
che
portò seco. Volando sempre in balía de’ venti, sa
. Volando sempre in balía de’ venti, salito sul caval Pegaso, vedendo
che
il giorno era vicino a fmire, si fermò in Maurita
scere per figlio di Giove. Atlante rammentandosi di un oracolo antico
che
gli aveva annunciato di diffidarsi di un figlio d
o antico che gli aveva annunciato di diffidarsi di un figlio di Giove
che
gli avrebbe un giorno rapiti i più bei frutti del
l’ospitalità e lo scacciò. Perseo non potendosi misurare con Atlante
che
era un gigante di una enorme altezza, lo punì con
suoi giorni divorata da un mostro marino colà mandato dalle Nereidi,
che
l’avevano prima legata nuda ad uno scoglio per or
ine di Giunone e per espiare il delitto della propria madre Cassiopea
che
aveva gareggiato per la bellezza con Giunone e le
e la madre di lei Cassiopea accolsero colla più grande gioia Perseo,
che
riconobbero pel liberatore della figlia e gliela
romeda Perseo tornò in Grecia. Pietrificò col teschio di Medusa Preto
che
aveva scacciato Acrisio dal regno di Argo, conver
scacciato Acrisio dal regno di Argo, convertì pure in pietra Polidete
che
invidioso della gloria di lui cercava ogni mezzo
a di violenze Danae, e per ultimo trasmutò in sasso lo stesso Acrisio
che
volevagli contrastare il passaggio pe’ suoi stati
i Medusa ch’essa non mise su lo scudo ma su l’egida. Sostengono altri
che
Perseo trovandosi a Larissa volle far prova della
ar prova della sua destrezza nel lanciare il disco da lui inventato e
che
ebbe la disgrazia di uccidere innocentemente Acri
e per le sue cognizioni astronomiche ; fu il primo per quanto narrasi
che
rappresentò la terra sotto la forma sferica per c
rrasi che rappresentò la terra sotto la forma sferica per cui si dice
che
portava il cielo. Si narra da altri che Giove lo
forma sferica per cui si dice che portava il cielo. Si narra da altri
che
Giove lo condannò veramente a sostenere colle sue
am già visto, ed essendogli negata l’ospitalità, n’ebbe tanto sdegno,
che
facendo vedere ad Atlante la testa di Medusa, con
ad Atlante la testa di Medusa, converselo in una così alta montagna,
che
l’occhio non giugne a scoprirne la sommità. Atlan
a o Endora, Pasitoe, Coronide, Polisso, Fileto e Tienea sorelle di la
che
venne divorato da un leone. Fu tanto il dolore ch
enea sorelle di la che venne divorato da un leone. Fu tanto il dolore
che
provarono le figlie di Atlante per la morte del l
su la fronte del toro, ov’esse piangono tuttora. Si racconta da altri
che
le Iadi erano ninfe trasportate in cielo da Giove
da Giove e convertite in astri, per sottrarle alla collera di Giunone
che
voleva punirle delle cure da esse avute per educa
lle Iadi. Fanno alcuni queste Ninfe figlie di Cadmo. Altri pretendono
che
le figlie di Atlante dette Atlantidi non fossero
Altri pretendono che le figlie di Atlante dette Atlantidi non fossero
che
sette dette dai Greci Iadi, Pleiadi dai Latini. D
ssi dopo Ercole. Fu sempre nemico del vizio. Purgò l’Attica dai ladri
che
la infestavano. Liberò il suo paese dal vergognos
ladri che la infestavano. Liberò il suo paese dal vergognoso tributo
che
pagava a Minosse, salvandosi dai pericoli che avr
dal vergognoso tributo che pagava a Minosse, salvandosi dai pericoli
che
avrebbe corso in tale difficile impresa coll’assi
l’assistenza di Arianna figlia di Minosse innamoratasi di lui. Ucciso
che
ebbe il Minotauro tornò ad Atene ove riformò le l
andò a liberarlo ; ed era stato sì strettamente legato a quel sasso,
che
vi lasciò attaccata una parte della pelle. Egli a
figlio al furore di Nettuno, il quale fece sortire dal mare un mostro
che
spaventò i cavalli di Ippolito mentre questi se n
di Teseo in patria fu prima fatale ad Egeo. Questi gli aveva ordinato
che
tòrnando salvo in patria, per dargliene indizio,
ere vele, e credendo il figlio estinto, per duolo affogossi nel mare,
che
da lui prese il nome di mar Egeo ora Arcipelago.
amicizia. Giovò assaissimo a Piritoo l’amicizia di Teseo nella pugna
che
egli ebbe contro i Centauri. Perciocchè avendo eg
e su di un sasso, finchè ne venne liberato da Ercole. Vuolsi da molti
che
questa Proserpina fosse moglie di Edomo re dell’E
erato poi da Ercole. Si pone Piritoo nel numero dei famosi scellerati
che
sono nel Tartaro puniti. I Centauri mezzo uomini
Variano le opinioni su l’origine di questi mostri favolosi. Ecco ciò
che
narrasi riguardo all’accidente che ha dato l’idea
i questi mostri favolosi. Ecco ciò che narrasi riguardo all’accidente
che
ha dato l’idea dei Centauri. Una quantità di buoi
astavano le terre vicine del monte Pelia in Tessaglia. Alcuni giovani
che
avevano pei primi addestrati in que’paesi dei cav
isero un gran numero ed obbligarono gli altri a fuggire. Narrasi pure
che
i Centauri essendo la maggior parte parenti del r
ti, il giovine principe fece alcune trattative di pace con essi, pace
che
non durò lunga pezza ; imperciocchè avendoli invi
e essi risolvettero di rapire Ippodamia sposa di lui e le altre donne
che
assistevano a questa festa. Ercole, Teseo e gli a
e opere di antichi artisti come bassirilievi, sculture, ecc. scorgesi
che
esistettero pei mitologi anche delle Centauresse.
e di Libia. Europa sua sorella essendo stata rapita da Giove, Agenore
che
ignorava la qualità del rapitore, ordinò a Cadmo
a cercare acqua in un vicino bosco consacrato a Marte, ma un dragone
che
aveva in custodia questo luogo li divorò tutti. C
o e lo uccise. Ne seminò indi i denti dai quali nacquero degli uomini
che
si uccisero immantinenti tra di loro, eccetto cin
la giovenca di cui aveva parlato l’oracolo. Per conciliare la favola
che
dice che le mura di Tebe furono innalzate dall’ar
nca di cui aveva parlato l’oracolo. Per conciliare la favola che dice
che
le mura di Tebe furono innalzate dall’armonia del
rono innalzate dall’armonia della lira di Anfione, prentendono alcuni
che
Cadmo non abbia fondata che una cittadella, la qu
della lira di Anfione, prentendono alcuni che Cadmo non abbia fondata
che
una cittadella, la quale pigliò da lui il nome di
cipii. Cadmo si vedeva genero di due grandi divinità e amato del pari
che
rispettato da’suoi sudditi ; egli era padre di un
n potè tollerare a lungo tale felicità. Questa Dea non poteva obliare
che
Cadmo era fratello di Europa, sua rivale. La prim
, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo al fine al dolore
che
gli cagionavano tante sciagure avvenute nella sua
nte errato in diversi paesi, giunse in Illiria con Ermione sua sposa,
che
avevalo sempre accompagnato. Oppressi entrambi da
i da Giove nei Campi Elisi, sopra un carro tirato da serpenti. Vuolsi
che
Cadmo insegnasse ai Greci l’uso delle lettere o d
di lei marito ; l’altro fecondato da Giove produsse Polluce ed Elena
che
partecipavano dell’immortalità di colui da cui tr
atelli legatisi colla più stretta amicizia, sì teneramente si amavano
che
uno non abbandonava mai l’altro. Si accinsero pri
l’altro. Si accinsero prima di tutto a purgar l’Arcipelago dai pirati
che
lo infestavano, e furono perciò messi tra il nume
h’esso da Ida. Polluce afflitto per la morte del fratello pregò Giove
che
rendesse questi alla vita e togliesse a lui medes
ui medesimo la sua immortalità. Tutto ciò ch’egli potè ottenere si fu
che
passerebbe nel regno de’morti tutto il tempo che
potè ottenere si fu che passerebbe nel regno de’morti tutto il tempo
che
Castore resterebbe sulla terra ; di maniera che v
’morti tutto il tempo che Castore resterebbe sulla terra ; di maniera
che
vivevano e morivano alternativamente ogni giorno
o loro in sacrificio degli agnelli bianchi. Castore proteggeva quelli
che
si disputavano il premio nella corsa de’cavalli,
opinione adottata da alcuni poeti è divenuta quasi generale. Narrasi
che
Apollo, o secondo altri, Mercurio gli fece dono d
rio gli fece dono di una cetra cui egli aggiunse due eorde alle sette
che
già aveva quell’ istrumento. Era egli tanto eccel
arne melodiosi suoni, e nell’accompagnare con quelli la propria voce,
che
fin le cose insensibili allettava ; le più feroci
lla fuggiva dal giovine Aristeo figlio di Apollo e della ninfa Cirene
che
per farle violenza la inseguiva. Orfeo inconsolab
la, prima d’uscire dai limiti del loro impero. Non gli restava a fare
che
un passo ed avrebbe riveduta la luce colla sua am
ssa gli stende le braccia ; egli tenta di afferrarla ma non abbraccia
che
un’ombra vana. Orfeo oppresso dal dolore vorrebbe
l’inflessibile Caronte non gli permette di ripassare il fiume. Vuolsi
che
restasse sette giorni su le rive dell’Acheronte s
a, e gettarono la testa di lui nell’ Ebro ora Maritza fiume di Tracia
che
nel mar Egeo mette le sue foci. Così la morte di
la vita. Variano i racconti su la morte di Orfeo ; avvi chi pretende
che
nell’eccesso del suo dolore si uccidesse da sè st
ui trasportata dai flutti, si fermò presso l’isola di Lesbo, e dicesi
che
dalla sua bocca udivansi uscire tristi e lugubri
, e dicesi che dalla sua bocca udivansi uscire tristi e lugubri suoni
che
erano dall’eco ripetuti ; e che un serpe voleva m
divansi uscire tristi e lugubri suoni che erano dall’eco ripetuti ; e
che
un serpe voleva morderla nel momento che apriva l
erano dall’eco ripetuti ; e che un serpe voleva morderla nel momento
che
apriva la bocca, ma Apollo lo cangiò in rupe e lo
, ma Apollo lo cangiò in rupe e lo lasciò nell’attitudine di un serpe
che
sta per mordere. Quella testa fu tenuta in grande
ope moglie di Lico re di Tebe fu ripudiata da suo marito per sospetto
che
fosse invaghita di Epafo o Epopeo re di Sicione.
luce due gemelli Anfione e Zeto, i quali furono allevati dal pastore
che
aveva dato ospitalità alla loro madre. Le inclina
oltivò la poesia e la musica, facendo tanti progressi in quest’ultima
che
passò per inventore di tale arte. Alcuni accertan
n quest’ultima che passò per inventore di tale arte. Alcuni accertano
che
Mercurio gliene insegnò i principii, e gli donò u
ò una lira alla quale Anfione aggiunse tre corde. Vien anche asserito
che
questo musico innalzò il primo altare del quale s
ltare del quale sia stato onorato Mercurio nella Grecia. Altri dicono
che
Anfione ricevesse la lira dalle mani delle Muse.
Muse. Divenuti grandi i due fratelli, e istruiti dei mali trattamenti
che
Dirce aveva fatto subire alla loro madre radunaro
a porsi le une su le altre. Egli vi fe’ sette porte e diverse torri,
che
situò ad eguali distanze. Vedevansi ancora a Tebe
i Antonini, vicino alla tomba di questo principe, molte pietre rozze,
che
dioevansi essere un avanzo di quelle ch’egli avev
eva fatte venire al suono della sua lira. Non è difficile l’intendere
che
i poeti nel dirci che Anfione aveva edificato le
ono della sua lira. Non è difficile l’intendere che i poeti nel dirci
che
Anfione aveva edificato le mura di Tebe col suono
che Anfione aveva edificato le mura di Tebe col suono della sua lira,
che
indipendentemente del suo talento nel maneggiare
facevano ogni anno l’anniversario di lui. Questo non è lo stesso Lino
che
insegnò la musica ad Ercole, il quale in un trasp
la cattiva sua maniera di maneggiare quell’istromento. A questo Lino
che
era Tebano e secondo alcuni fratello di Orfeo si
zato dal trono dal fratello Pelia ; l’oracolo predisse a quest’ultimo
che
sarebbe scacciato da un figlio di Es one. Quindi
ne. Quindi appena Giasone vide la luce suo padre fece sparger la voce
che
il bambino era gravemente ammalato ; e pochi gior
il suo primo nome di Diomede in quello di Giasone. Pretendono alcuni
che
fosse Pelia medesimo che desse Giasone ad educare
mede in quello di Giasone. Pretendono alcuni che fosse Pelia medesimo
che
desse Giasone ad educare a Chirone regnando egli
munirsi di due lance e portarsi in tal guisa alla corte di Iolco, lo
che
egli eseguì. Giunto Giasone in lolco trasse a sè
rono paterno. Pelia odiato dal popolo, avendo notato l’interessamento
che
il giovine principe a tutti inspirava, non osò op
terribili sogni, fa consultare l’oracolo di Apollo e questi risponde
che
bisogna placare l’ombra di Frisso discendente da
e trucidato nella Colchide e trasportarlo in Grecia ; di più aggiunge
che
Frisso costretto d’allontanarsi da Tebe, ha porta
nvitano ; e Pelia giura per Giove dal quale hanno tutti e due origine
che
al suo ritorno gli darà il possesso del trono che
tutti e due origine che al suo ritorno gli darà il possesso del trono
che
gli appartiene. Giasone era in quella età in cui
ui si va in traccia della gloria, perciò colse avidamente l’occasione
che
gli si presentava per acquistarne. Fu annunciata
a due tori vomitanti fiamme e da un orribile drago. Giunone e Minerva
che
proteggevano Giasone, fecero sì che Medea figlia
orribile drago. Giunone e Minerva che proteggevano Giasone, fecero sì
che
Medea figlia di Eete re della Colchide, famosa ma
endue recati si erano per implorare il soccorso di quella Diva. Medea
che
già incominciava ad interessarsi affettuosamente
iprochi giuramenti si separarono, e Medea andò subito a preparare ciò
che
erale necessario per salvare il suo amante. Le co
e degli uomini armati, ch’egli era tenuto di sterminare tutti ; senza
che
ve ne rimanesse un solo ; infine gli era imposto
e ne rimanesse un solo ; infine gli era imposto di uccidere il mostro
che
vegliava incessantemente alla custodia del vello
rammezzo ai combattenti sortiti dalla terra, li pone in tanto furore,
che
rivoltisi l’un contro l’altro tra di loro si ucci
oro compagni si danno tosto alla fuga e veggendosi inseguiti, narrasi
che
Medea d’accordo col marito prese il barbaro parti
berare il suo sposo da questo nemico, consigliando le figlie di Pelia
che
era oltremodo avanzato in età ad uccidere il padr
abbandonare la Tessaglia ed a ritirarsi a Corinto con Medea. Creonte
che
ne era il re li accolse cordialmente ed accordò l
essa stessa colle proprie mani sotto gli occhi di Giasone i due figli
che
da lui aveva avuti e predisse al traditore marito
one i due figli che da lui aveva avuti e predisse al traditore marito
che
dopo aver vissuto molto tempo tormentato dal peso
egli perirebbe colpito dagli avanzi del vascello degli Argonauti, ciò
che
gli accadde in fatti. Un giorno ch’egli stava rip
iparato dai raggi del sole da quel vascello tirato a terra, una trave
che
se ne distaccò improvvisamente gli schiacciò la t
se ne distaccò improvvisamente gli schiacciò la testa. Narrano altri
che
Medea dopo aver uccisi i propri figli se ne fuggì
Chirone nacque dagli amori di Filira figlia dell’Oceano con Saturno
che
si era trasformato in cavallo per occultarsi a Re
esti eroi la medicina, la chirurgia, la musica, l’astronomia. Fu egli
che
compose il calendario di cui si servirono gli Arg
l Bacco greco fu per quanto si crede un discepolo favorito di Chirone
che
gl’insegnò le orgie, i baccanali e tutte le cerim
lto bacchico. Chirone portò a tal segno il suo talento per la musica,
che
giunse a guarire le malattie coi soli concenti de
ella sua lira ed era tanto valente nella cognizione de’corpi celesti,
che
giunse a saperne allontanare ed a prevenirne le i
tanare ed a prevenirne le influenze funeste all’umanità. Nella guerra
che
fece Ercole ai Gentauri, sperando questi di calma
n ginocchio. Ercole disperato corse prontamente ed applicò un rimedio
che
aveva imparato dal suo antico precettore : ma il
agittario. Argonauti. Nome col quale si distinguono i principi greci
che
s’imbarcarono con Giasone per andare nella Colchi
monte Pelio e con una quercia tolta alla selva Dodonea formò la nave
che
da’poeti fu celebrata come la prima nave che foss
va Dodonea formò la nave che da’poeti fu celebrata come la prima nave
che
fosse costrutta e le diede il suo nome ; Tifi ne
rono al capo di Magnesia in Tessaglia. Approdarono all’isola di Lenno
che
trovarono abitata da sole donne, le quali per viv
i dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegadi,
che
urtandosi fra di loro impedivano l’uscita del Bos
in ricompensa ordinò agli alati figli di Borea di scaociare le Arpie,
che
lordavano le mense di Fineo, e questi le inseguir
vano le mense di Fineo, e questi le inseguirono fino alle isole Plote
che
furono poi dette Strofadi ora Strivali. Fineo se
ore e figlio di Fenice e di Cassiopea sposò in prime nozze Cleopatra,
che
altri chiamarono Stenobea o Stenobae, da cui ebbe
palice figlia di Borea e di Orizia, ad istanza di cui accecò i figli,
che
dalla prima aveva avuti. Borea vendicò l’innocenz
o si sarebbe ridotto a morir di fame senza l’aiuto di Calai e di Zete
che
vennero a scacciare que’mostri. Gli Argonauti ent
per esso e pel mar Ionio se ne tornarono a Iolco. Asseriscono alcuni
che
prima d’arrivarvi furono gettati su le coste d’Af
prima d’arrivarvi furono gettati su le coste d’Africa. Vogliono altri
che
arrivassero nel mare di Sardegna passando il Faro
i che arrivassero nel mare di Sardegna passando il Faro di Messina, e
che
Teti e le sue Ninfe dirigessero la nave degli Arg
A Drepane o Corcira oggi Corfù incontrarono la flotta della Colchide
che
gl’inseguiva, ma riuscì loro di evitarne l’incont
la guerra di Troia. Il Vello o Toson d’oro era la spoglia del montone
che
trasportò Frisso ed Elle nella Colchide, e la di
le opinioni sull’origine di questo misterioso ariete. Dicono gli uni
che
all’istante in cui stavasi per immolare Frisso ed
ele lo aveva dato ai suoi figli per sottrarli all’orribile sacrificio
che
la loro matrigna stava per consumare. Nefele fu l
ll’Europa in Asia sopra l’ariete dal vello d’oro Elle cadde nel mare,
che
per questa ragione fu detto Ellesponto ora strett
crato e lo diede in guardia a un drago il quale divorava tutti quelli
che
venivano per togliorlo e a due tori spiranti fuoc
za coloro, presso a’quali tal vello sarebbe stato, per tutto il tempo
che
conservato l’avrebbero, e fu permesso ad ognuno d
messo ad ognuno di provarsi a farne la conquista. Raccontasi da altri
che
Ino meditava la morte di Frisso e di Elle e che i
. Raccontasi da altri che Ino meditava la morte di Frisso e di Elle e
che
il primo fu spedito a scegliere la più bella peco
o a Giove. Mentre la stava cercando Giove die’la parola ad un montone
che
a Frisso tutti i disegni della matrigna discopers
d un albero nel campo di Marte e Mercurio la convertì in oro, di modo
che
, secondo gli uni il vello d’oro era d’oro dapprin
ro era d’oro dapprincipio, secondo altri, fu cambìato in metallo dopo
che
l’ariete ne fu spogliato. Vuolsi da alcuni che qu
mbìato in metallo dopo che l’ariete ne fu spogliato. Vuolsi da alcuni
che
quell’animale fosse coperto d’oro invece di lana
ell’animale fosse coperto d’oro invece di lana fin dal suo nascere, e
che
era il frutto degli amori di Nettuno trasformato
agnella. Nettuno aveva affidato questo prodigioso montone a Mercurio
che
ne fe’dono a Nefele. Del resto tutti i mitologi s
fe’dono a Nefele. Del resto tutti i mitologi sono d’accordo nel dire
che
dopo il sacrificio, l’animale fu trasportato in c
oro e di quanto vi ha rapporto, non varian meno le opinioni di quelli
che
si sono accinti a spiegarla. Vogliono alcuni che
e opinioni di quelli che si sono accinti a spiegarla. Vogliono alcuni
che
la favola di questo vello d’oro fosse fondata sul
questo vello d’oro fosse fondata sull’esservi nella Colchide torrenti
che
volgevano le loro acque sopra una rena d’oro la q
ipieni, possono essere riguardati come tosoni d’oro. Altri pretendono
che
questa favola tragga origine dalle belle lane di
ono che questa favola tragga origine dalle belle lane di quel paese e
che
il viaggio fatto da alcuni greci mercatanti per r
se dato argomento a siffatta finzione. Hanno forse più ragione coloro
che
spiegano la favola del toson d’oro con tutto ciò
ù ragione coloro che spiegano la favola del toson d’oro con tutto ciò
che
vi ha rapporto coll’astronomia, come fanno di tan
er madre Eurimede. Egli portò prima il nome di Ipponoo, come il primo
che
insegnò l’arte di condurre un cavallo col soccors
no o Delrade o Bellero (perciocchè gli vengon dati tutti questi nomi)
che
pretendeva farsi tiranno di Corinto secondo alcun
uni e secondo altri innocentemente a caccia, fu chiamato Bellerofonte
che
in greco significa uccisore di Bellero. Dopo ques
po questa uccisione si rifuggì volontariamente presso Preto re d’Argo
che
non debbesi confondere col fratello di Acrisio, d
glie di Preto Antea o Stenobea se ne invaghì fortemente e gli promise
che
se voleva corrispondere a’suoi desiderii lo avreb
ver voluto sedurla e pretese ch’ei lo facesse morire ; giacchè è noto
che
niuno è più crudele di una donna il cui risentime
rtatore di una lettera colla quale istruiva il suocero dell’oltraggio
che
credeva aver ricevuto, pregandolo di vendicarlo c
ono chiamate lettere di Bellerofonte, le lettere sfavorevoli a quelli
che
le portano. Partì Bellerofonte e giunse felicemen
del felice arrivo del giovine eroe. Nel decimo dì gli chiese i segni
che
mandavagli il re suo genero : aspettò fino allora
creta curiosità e d’inciviltà. Allorchè Giobate ebbe lette le lettere
che
gl’inviava Preto, ordinò a Bellerofonte, coll’ide
e gl’inviava Preto, ordinò a Bellerofonte, coll’idea di farlo perire,
che
andasse a combattere la Chimera, che infestava un
onte, coll’idea di farlo perire, che andasse a combattere la Chimera,
che
infestava un monte della Licia dello stesso nome.
andò poi a combattere contro i Solimi, popolo della Pisidia, credendo
che
dovesse sicuramente perire in questa impresa, ma
rofonte da questa terza spedizione, fu assalito da una truppa di Lici
che
erano stati inboscati da Giobate per assassinarlo
irpe divina, lo ritenne ne’suoi stati, gli partecipò i crudeli ordini
che
aveva ricevuti, e gli diede in isposa sua figlia
ormarono per lui un immenso dominio, ch’ei riunì alla corona di Licia
che
aveva creditata dopo la morte di Giobate, il qual
i Giobate, il quale non aveva lasciato figli maschi. Narrasi da altri
che
Minerva diede il caval Pegaso a questo principe p
ue vittorie, tentò di salire in cielo : allora Giove mandò un assillo
che
punse il cavallo, e fe’cadere l’eroe, il quale si
ue figli, Isandro morto in un combattimento contro i Solimi, Ippoloco
che
fu padre di Glauco, ed una figlia per nome Laodam
piegare questa favola, era una montagna dell’Asia minore nella Licia,
che
al pari dell’Etna e del Vesuvio mandava fiamme, d
no delle paludi infestate da sérpenti. Bellerofonte fu forse il primo
che
lo rese abitabile, e di qui venne il suo finto co
, e di qui venne il suo finto combattimento con questo mostro. Dicesi
che
il fuoco di questo vulcano ardeva perfino nell’ac
to vulcano ardeva perfino nell’acqua e non potevasi estinguere se non
che
colla terra. Meleagro, Atalanta ed Ippomene
due città della Grecia nell’Etolia. Al suo nascere sua madre s’avvide
che
le Parche misero un tizzone sul fuoco dicendo, ch
sua madre s’avvide che le Parche misero un tizzone sul fuoco dicendo,
che
tanto sarebbe durata la vita di lui quanto il tiz
cendo, che tanto sarebbe durata la vita di lui quanto il tizzone ; il
che
udendo la madre, appena le Parche furonsi ritirat
e, ritrasse il tizzone dal fuoco e gelosamento il nasçose. Cresciuto
che
fu Meleagro, avvenne che Oeneo offrendo per l’ott
l fuoco e gelosamento il nasçose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne
che
Oeneo offrendo per l’ottenuta fecondità delle cam
solenni sacrifici a tutti gli Dei, dimenticò di offrirne a Diana, di
che
essa sdegnata spedì a disertare le campagne di Ca
erocchè Altea di ciò irritata rimisi il tizzone nel fuoco, e a misura
che
questo andò consumandosi, egli pur divorato da in
elle di Meleagro la morte di lui piangendo furon cangiate in uccelli,
che
il nome ebbero di Meleagridi, che si credeva pass
iangendo furon cangiate in uccelli, che il nome ebbero di Meleagridi,
che
si credeva passassero tutti gli anni dall’Affrica
nome è celebre nella storia eroica. Appena ch’essa fu nata, suo padre
che
non voleva aver se non figli maschi, la fece espo
ta dalla fortuna essendo stata allevata per cura di alcuni cacciatori
che
la rinvennero. Divenuta grande ella abborrì per m
ava altri diletti se non quelli della caccia. Ella era tanto leggiera
che
nessumo animale potea sfuggirle e tanto bella che
era tanto leggiera che nessumo animale potea sfuggirle e tanto bella
che
non si poteva vederla senza amarla. Atalanta sogg
i avendola veduta risolvettero di farle violenza. La giovine Atalanta
che
sospettava la loro intenzione, vedendoli avvicina
a, non ne fu commossa ; ma stende l’arco e ferisce mortalmente quello
che
si avanza pel primo ; l’altro ebbe tosto la stess
fosse restituita a suo padre ; ma la maggior parte combinano nel dire
che
dessa si trovò alla famosa caccia del cinghiale d
re che dessa si trovò alla famosa caccia del cinghiale di Calidone, e
che
Meleagro capo di questa spendizione ne divenne in
ne, e che Meleagro capo di questa spendizione ne divenne innamorato ;
che
avendo essa ferito per la prima il terribile anim
nnamorato ; che avendo essa ferito per la prima il terribile animale,
che
Meleagro finì di uccidere, questo giovine princip
e presentò il capo di quel cinghiale, dicendole : « Egli è ben giusto
che
avendo incominciata la vittoria, voi ne dividiate
a. » Atalanta fu tanto più lusingata da questa distinzione, in quanto
che
i più illustri principi della Grecia, che interve
esta distinzione, in quanto che i più illustri principi della Grecia,
che
intervennero a quella caccia, l’avevano ambita. E
rimonio da molti principi ; ma sia ch’ella non amasse gli uomini, sia
che
fosse informata dall’oracolo che il maritaggio le
a ch’ella non amasse gli uomini, sia che fosse informata dall’oracolo
che
il maritaggio le sarebbe stato funesto, come asse
entissima nel correre, quindi propose a’suoi amanti di sposare quello
che
la superasse in questo esercizio, a condizione ch
di sposare quello che la superasse in questo esercizio, a condizione
che
i concorrenti dovessero essere senz’armi, e che e
ercizio, a condizione che i concorrenti dovessero essere senz’armi, e
che
essa corresse con un giavellotto, col quale avreb
che essa corresse con un giavellotto, col quale avrebbe uccisi quelli
che
non l’avessero vinta. Per quanto pericolosa fosse
l sangue di Nettuno e di Merope. Questo giovine principe era sì casto
che
per non veder femmine ritirossi nei boschi e nell
orno incontrato a caccia Atalanta fu sì colpito dall’avvenenza di lei
che
rinunciando alla vita selvaggia da lui sin allora
favorito dalla dea Venere, la quale gli fece dono di tre pomi d’oro,
che
aveva colto nel giardino delle Esperidi al dir di
e madre di un figlio chiamato Partenopeo, il quale fu uno de’capitani
che
trovaronsi all’assedio di Tebe in Beozia sotto il
no per ciò in lioni, e Cibele li attaccò al suo carro. Vogliono altri
che
Atalanta ed Ippomene non fossero già trasformati
nell’antro consacrato a Cibele ov’eransi ricorati e ciò fece credere
che
avessero subito tale metamorfosi. Alcione e Ce
di Luciefero e re di Trachina nella Ftiotide regione della Tessaglia,
che
era perito in un naufragio mentre andava a Claro
l’oracolo d’Apollo, morì di cordoglio o si gettò nel mare al ricever
che
fece questa triste nuova mandatagli dalla regina
nsarono la loro fedeltà trasformandoli entrambi in alcioni, e vollero
che
il mare fosse tranquillo in tutto il tempo che qu
in alcioni, e vollero che il mare fosse tranquillo in tutto il tempo
che
questi uccelli facevano i loro nidi. Epperò l’alc
no i loro nidi. Epperò l’alcione era consacrato a Teti, perchè dicesi
che
quest’uccello cova su l’acqua e fra le canne. Gli
questi, a colpi di frecce, atterrò più volte il suo nemico ; ma tosto
che
Alcione toccava la terra sua madre, prendeva nuov
ette fanciulle, delle quali egli era padre, furono talmente afflitte,
che
precipitaronsi di disperazione nel mare, ove furo
erazione nel mare, ove furono cangiate in alcioni. Giano Giano
che
alcuni fanno Scita d’origine, era figlio secondo
r l’Italia, ove approdato, conquistò molto paese e fabbricò una città
che
dal suo nome fu chiamata Gianicola. Nel tempo del
, ove fu da Giano cortesemente accolto ed associato al proprio regno,
che
nominò Lazio dalla parola latinalatere, nasconder
ogo derivare l’uso di rappresentare Giano con due facce, per dinotare
che
la regia potestà era divisa fra questi due princi
r dinotare che la regia potestà era divisa fra questi due principi, e
che
lo stato veniva dai consigli dell’uno e dell’altr
o veniva dai consigli dell’uno e dell’altro governato. Vogliono altri
che
le due facce attribuite a Giano indichino la rara
altri che le due facce attribuite a Giano indichino la rara prudenza
che
ponevagli sempre sott’occhio il passato ed il fut
edesi inventasse le toppe e perchè aprisse l’anno nel mese di gennaio
che
da lui tratto aveva il suo nome ; ed un bastone p
i lo posero nel numero degli Dei. Il regno di Giano fu tanto pacifico
che
fu risguardato come il Dio della pace ; sotto il
della pace ; sotto il qual titolo, Numa gli fece edificare un tempio
che
stava aperto in tempo di guerra e chiudevasi in t
e dedicato, e in esso i cittadini mandavansi scambievolmente dei doni
che
erano chiamati Strenne. Gordio, descrizione de
di Mida, era figlio di un agricoltore. Altra eredità non aveva fatta
che
due soli paia di buoi, uno pel suo aratro, l’altr
re, ai quali, secondo si riferisce, questa scienza era tanto naturale
che
passava fin nelle donne e nei fanciulli. A misura
andava avvicinandosi ad uno de’loro villaggi, incontrò una giovinetta
che
veniva ad attinger acqua, ed avendole significato
suo viaggio, ella, essendo della schiatta degli indovini, gli rispose
che
doveva sacrificare a Giove sotto il titolo di re
ssensioni tra i Frigi, per cui ricorsero all’oracolo, il quale disse,
che
tali divisioni non sarebbero cessate se non per m
ol padre e colla madre sopra di un carro, e allora, più non dubitando
che
questi fosse colui indicato dall’oracolo, lo eles
ose fine a tutte le loro differenze. Mida, in riconoscenza del favore
che
Gordio aveva ottenuto da Giove, gli dedicò il car
i scorza di corniolo, fatto con tant’arte e in tal guisa intrecciato,
che
non si poteva scoprirne le estremità. Secondo l’a
à. Secondo l’antica tradizione del paese, un oracolo aveva dichiarato
che
colui il quale fosse giunto a scioglierlo, avrebb
famoso carro cui stava attaccato il Nodo Gordiano ed essendo persuaso
che
la promessa dell’oracolo risguardasse lui solo, f
tentativi per isciornelo : ma non avendo potuto riuscirvi, e temendo
che
i suoi soldati ne traessero cattivo augurio : Non
agliato colla spada, in tale guisa deluse e compì l’oracolo. Narrasi
che
Alessandro e tutti coloro che erano presenti si r
uisa deluse e compì l’oracolo. Narrasi che Alessandro e tutti coloro
che
erano presenti si ritirarono come se l’oracolo fo
e fece nell’indomani dei sacrifici per ringraziare gli Dei del favore
che
gli avevano accordato e dei contrassegni che glie
ziare gli Dei del favore che gli avevano accordato e dei contrassegni
che
gliene davano. Edipo, Giocasta, Eteocle e poli
Tebe e di Giocasta figlia di Creonte. L’oracolo aveva predetto a Laio
che
sarebbe ucciso da suo figlio il quale avrebbe poi
aver contezza de’suoi parenti, e l’oracolo gli predisse le disgrazie
che
a Laio erano state predette e lo avvisò di non ri
avvisò di non ritornare nella sua patria per evitarle. Credendo Edipo
che
l’oracolo parlasse di Corinto, se ne esiliò volon
ender le parti di questi, uccise, senza conoscerlo, il proprio padre,
che
a favore di quelli si era intromesso. Pretendono
rio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Pretendono altri
che
l’uccidesse, mentre in un angusto sentiero del mo
paese infestato dalla Sfinge mostro alato nato da Tifone e da Echidna
che
aveva la testa ed il petto di donna, il corpo di
i sciogliesse l’enimma, e perir facesse la Sfinge, perchè era destino
che
questa dovesse morire sì tosto che l’enimma da al
esse la Sfinge, perchè era destino che questa dovesse morire sì tosto
che
l’enimma da alcuno fosse disciolto. Presentossi E
isciolto. Presentossi Edipo e la Sfinge gli propose il fatale enimma,
che
era : Qual fosse l’animale che in sul mattino ave
a Sfinge gli propose il fatale enimma, che era : Qual fosse l’animale
che
in sul mattino aveva quattro piedi, diue sul mezz
veva quattro piedi, diue sul mezzogiorno e tre la sera. Edipo conobbe
che
in questo animale si figurava l’uomo, perchè l’uo
a sua vita, cioè quando è bambino, se ne va carponi, onde si può dire
che
cammini con quattro gambe ; sul mezzogiorno, cioè
chiezza, è costretto ad aiutarsi col bastone, onde qui pur dir si può
che
con tre piedi, e non più con due cammini. Così in
li Dei irritati di un tale incesto percossero i Tebani con una peste,
che
, secondo la risposta dell’oracolo di Delfo su ciò
emurosamente a farne ricerca, venne a scoprire, col mezzo del pastore
che
lo aveva salvato, non solamente che l’uccisore di
a scoprire, col mezzo del pastore che lo aveva salvato, non solamente
che
l’uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di
n solamente che l’uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di più
che
Laio era suo padre e Giocasta sua madre. Preso da
olo d’Apollo, il quale gli predisse ch’egli doveva morire a Colonos e
che
la sua tomba sarebbe il segnale della vittoria de
ebani viene a supplicare Edipo acciò ritorni in Tebe. Questo principe
che
sospetta in Creonte la mira di privarlo della pro
, e dopo di essersi purificato, si riveste d’un abito simile a quelli
che
si davano ai morti, fa chiamare Teseo, al quale r
nel numero de’più famosi condannati del Tartaro. Eteocle e Polinice
che
eran gemelli o per ordine del padre, come alcuni
ero fra di loro di regnare alternativamente un anno per ciascheduno e
che
per evitare qualunque contesa, quello che non fos
e un anno per ciascheduno e che per evitare qualunque contesa, quello
che
non fosse sul trono, si dovesse allontanare da Te
sso maritò la prima a Polinice, a Tideo figlio di Eneo re di Calidone
che
si era alla corte di Adrasto ritirato per aver di
ni e gran parte delle sue genti dovè tornarsene scornato in Argo. Più
che
ad altri però fatale fu la guerra a’fratelli nemi
e due armate, con tale accanimento pugnarono essi l’un contro l’altro
che
amendue scambievolmente si uccisero. Aggiungesi c
un contro l’altro che amendue scambievolmente si uccisero. Aggiungesi
che
la loro discorde maniera di pensare era stata, du
rante la loro vita, sì grande, e il loro odio tanto irreconciliabile,
che
durò anche dopo la loro morte ; e credesi d’aver
abile, che durò anche dopo la loro morte ; e credesi d’aver osservato
che
le fiamme del rogo su cui facevansi bruoiare i lo
me del rogo su cui facevansi bruoiare i loro corpi siensi separate, e
che
la stessa cosa sia accaduta ne’sacrifici che gli
corpi siensi separate, e che la stessa cosa sia accaduta ne’sacrifici
che
gli venivano offerti insieme, poichè per quanto c
rendere gli onori del sepolcro alle ceneri d’Eteocle, siccome quello
che
aveva combattuto contro i nemici della patria, e
me quello che aveva combattuto contro i nemici della patria, e ordinò
che
quelle di Polinice fossero sparse al vento, per a
opria patria un’armata straniera ; ma Antigone, non potendo tollerare
che
Polinice suo fratello divenisse preda dei cani e
, segretamente lo seppellì. Creonte, essendone stato istrutto, ordinò
che
questa amorosa sorella fosse sepolta viva, in pen
alcuna al governo, erasi posta alla testa di una truppa di masnadieri
che
nei contorni di Tebe mille e mille disordini ivan
sciva loro impossibile di liberarsi per non saperne le diverse uscite
che
essa perfettamente conosceva. Edipo la forzò fin
ità e da essi risuscitato ebbe una spalla d’avorio in luogo di quella
che
Cerere aveva mangiato. Dicesi che quella spalla,
spalla d’avorio in luogo di quella che Cerere aveva mangiato. Dicesi
che
quella spalla, col semplice suo tocco, aveva la v
ntalo erano immediatamente uniti a quelli di Troo re di Troia. Vuolsi
che
Tantalo essendo stato precipitato nell’inferno, P
el corso de’ cocchi, nel quale egli era abilissimo, colla condizione,
che
se taluno fosse rimasto vincitore, avrebbe avuto
o Ippodamia, ma i vinti sarebbero puniti di morte. Era difficilissimo
che
questo principe fosse vinto, in quanto che egli p
morte. Era difficilissimo che questo principe fosse vinto, in quanto
che
egli possedeva il più leggiero carro e i più rapi
n fragil asse, il quale essendosi spezzato nel corso precipitò Enomao
che
ne morì, ed egli così ottenne Ippodamia ed il reg
’Apia e di Argolide, ricevette quello di Peloponneso. Questa contrada
che
fu la culla di tanti grandi uomini ed il teatro d
pe sospettandoli ambedue rei della morte di Crisippo altro suo figlio
che
aveva avuto da una concubina per nome Astioche, n
vuto da una concubina per nome Astioche, non volle mai più permettere
che
comparissero alla sua presenza, dimodochè essi sp
a, lo associò al suo governo e morendo gli lasciò la corona. Tieste,
che
aveva seguito suo fratello Atreo nell’Argolide, s
a riconciliazione ordinò un gran banchetto e avendo trucidato i figli
che
Tieste aveva avuti dalla regina, ne fece imbandir
verso la fine del pasto le braccia e le teste di questi figli. Dicesi
che
il sole retrocedette inorridito da sì fiero spett
prima dalla quale ebbe Plistene, Agamennone e Menelao ; dicono alcuni
che
era Aerope figlia di Euristeo. Altri accertano ch
ao ; dicono alcuni che era Aerope figlia di Euristeo. Altri accertano
che
Aerope fu moglie di Plistene figlio di Atreo ; ch
o. Altri accertano che Aerope fu moglie di Plistene figlio di Atreo ;
che
la rese madre di Agamennone e di Menelao, i quali
Atreo ; che la rese madre di Agamennone e di Menelao, i quali dicesi
che
non siano reputati figli di Atreo, se non perchè
e Menelao. I due giovani principi si ritirarono appo Eneo re d’Etolia
che
li ricevette amichevolmente e si dichiarò loro pr
ro accordò loro delle truppe colle quali assalirono e vinsero Tieste,
che
trattarono con umanità contentandosi di esiliarlo
Divenuto Agamennone e per le sue conquiste e per la morte di Tieste,
che
gli aveva ceduti i suoi diritti, signore di Argo
a spedizione contro i Troiani, per ricuperare Elena moglie di Menelao
che
era stata rapita da Paride figlio di Priamo re di
l sacerdote Calcante consultato l’oracolo di Delfo portò in risposta,
che
per avere propizi i venti conveniva sacrificare I
nnone a Diana, irritata perchè questo principe aveva uccisa una cerva
che
erale consacrata. Il re d’Argo dopo un lungo cont
n lungo contrasto tra la tenerezza paterna e l’ambizione della gloria
che
doveva fruttargli la spedizione di Troia, acconse
greca ai lidi di Troia. Agamennone lasciò Egisto l’uccisore di Atreo
che
era suo cugino per vegliare al governo de’ suoi s
ente si oppose alla generosa di lui menzogna, finchè avendo Ifigenia,
che
era sacerdotessa di Diana, riconosciuto a sicuri
a Elettra in isposa ; e premendogli d’aver Ermione figlia di Menelao,
che
prima a lui promessa, era stata poi data a Pirro,
lui promessa, era stata poi data a Pirro, andato a Delfo, ove sapeva
che
Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi v
, andato a Delfo, ove sapeva che Pirro allora trovavasi, sparse voce,
che
questi venuto fosse per ispogliare il tempio, e i
nare ; questa è almeno l’opinione generale, malgrado dicasi da alcuni
che
Pirro fosse ucciso da Oreste medesimo innanzi al
Priamo re di Troia e di Ecuba figlia di Dimante re di Frigia. Dicesi
che
mentre Ecuba era incinta, parvele in sogno di ave
in seno una fiaccola ardente ; consultati gl’indovini le fu risposto
che
il fanciullo di cui era incinta, sarebbe stato un
petto, le rare sue qualità e certi tratti di spirito e di magnanimità
che
talvolta gli sfuggivano, fecero sospettare ch’ei
a illustre famiglia. Venne a lui affidata la cura di numerose mandre,
che
seppe in più occasioni difendere col suo coraggio
strò egli di essere di sì rara prudenza e di sì grande equità dotato,
che
i vicini pastori lo prendevano come arbitro delle
etta unione, sino all’epoca delle nozze di Teti e di Peleo. L’azione
che
più d’ogni altro il rendette celebre, si è il suo
Minerva gli offrì la saggezza siccome il maggiore di tutti i beni non
che
la gloria delle armi. Venere s’impegnò di renderl
onna dell’universo. Giunone si abbigliò poscia nel modo più magnifico
che
le fu possibile, lo stesso fecero pur anche Miner
ere ; e quest’ultima non dimenticò il suo cinto. Paride dichiarò loro
che
vedendole coi loro vestimenti le trovava egualmen
loro che vedendole coi loro vestimenti le trovava egualmente belle, e
che
per giudicare, eragli d’uopo di vederle ignude. L
un semplice mortale ; nè la casta Minerva potè pur essa ricusare. Sia
che
l’offerta di Venere fosse a Paride più gradita, s
esimo suo fratello Ettore senza conoscerlo ; e siccome non si parlava
che
di questo pastore Priamo il volle vedere, e dopo
algrado le predizioni degl’indovini, lo ricevette e diedegli il posto
che
gli conveniva. Poco dopo fu eletto da Priamo per
ridomandare Esione sua avola, condotta via da Telamone fin dal tempo
che
regnava Laomedonte. Accolto ospitalmente in Ispar
omedonte. Accolto ospitalmente in Isparta da Menelao marito di Elena,
che
era riputata la più bella donna di quell’età, col
ra riputata la più bella donna di quell’età, colse Paride l’occasione
che
Menelao ebbe a partire per Creta, e abusando dell
trinse ad entrar nella lega cogli altri. Teti madre d’Achille sapendo
che
sotto Troia sarebbe questi perito l’occultò sotto
essendo insorta grave rissa tra Agamennone ed Achille per una schiava
che
il primo al secondo voleva togliere, Achille s’as
i Aiace figlio di Telamone, ebbero dei grandi vantaggi ; e poco mancò
che
da quelli incendiate non fossero le navi che trat
vantaggi ; e poco mancò che da quelli incendiate non fossero le navi
che
tratte in secco servivano al campo de’Greci di tr
occhio, tre volte lo strascinò intorno le mura di Troia, nè si arrese
che
a gran fatica a restituirlo al misero padre, che
Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre,
che
venne in persona a chiederglielo. Riconciliatosi
con Priamo chiese in isposa la figlia di lui Polissena, ma nell’atto
che
celebravasi lo sposalizio nel tempio di Apollo, P
ro l’isola di Tenedo si nascosero. Invano Cassandra figlia di Priamo,
che
era per destino verace sempre e non creduta mai,
di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai, gridò
che
quel cavallo era un’insidia e che si doveva distr
ace sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’insidia e
che
si doveva distruggere. Invano pure Laocoonte sace
erriti da tal portento, fu innanzi a Priamo condotto il greco Sinone,
che
istrutto da Ulisse, appostamente erasi ascoso nel
amente erasi ascoso nelle paludi, fingendo d’essere fuggito da’ Greci
che
volevano sacrificarlo. Costui seppe persuadere ai
’ Greci che volevano sacrificarlo. Costui seppe persuadere ai Troiani
che
il cavallo era stato fabbricato da’ Greci onde pl
allade irritata per la violazione del Palladio o simulacro di Pallade
che
Ulisse con arte introdottosi in Troia aveva prece
dottosi in Troia aveva precedentemente rapito, sapendo essere destino
che
Troia non fosse presa finchè il Palladio conserva
o che Troia non fosse presa finchè il Palladio conservasse ; aggiunse
che
Troia sarebbe stata eternamente sicura, se quel c
e buia diede dall’alto della rocca con una fiaccola il segno a quelli
che
dietro Tenedo erano nascosti e aperse l’uscita a
a quelli che dietro Tenedo erano nascosti e aperse l’uscita a quelli
che
stavan dentro il cavallo, i quali assalendo i Tro
e Menelao uccisero Deifobo figlio di Priamo, e via condussero Elena,
che
dopo la morte di Paride a quello era stata data i
mucchio di sassi e di cenere. Dei capi troiani e loro alleati i soli
che
avanzarono da quella guerra e che dopo la presa e
capi troiani e loro alleati i soli che avanzarono da quella guerra e
che
dopo la presa e l’incendio della città salvi e li
la città salvi e liberi partirono, furono Antenore ed Enea. Antenore
che
fu creduto favorevole al partito dei Greci, perch
, dopo l’incendio di Troia partì cogli Eneti popolo della Paflagonia,
che
sotto Troia perduto avevano il loro re Filemone ;
per ordine di Venere prese sulle spalle il vecchio suo padre Anchise
che
portava gli Dei Penati, e guidando a mano il figl
l figlio Ascanio, partì seguíto dalla moglie Creusa figlia di Priamo,
che
poi si smarrì nel viaggio. Enea col padre e col f
messa. Enea lasciò nel Lazio suo successore il figlio Giulio Ascanio,
che
edificò Alba e vi trasportò la sua sede. Dopo una
eci prima, indi ai Troiani, formano l’argomento del primo poema epico
che
sia apparso, vale a dire dell’Iliade di Omero. Le
epico che sia apparso, vale a dire dell’Iliade di Omero. Le avversità
che
Ulisse ebbe a soffrire nel ritorno dopo la guerra
aocoonte ha dato argomento ad uno de’ più bei pezzi di greca scultura
che
noi possediamo. Questo gruppo è opera di Polidoro
. Esso fu rinvenuto a’ tempi di Giulio II sotto la volta di un salone
che
sembra aver fatto parte delle terme di Tito. Il L
chi Pubblici, ecc. Chiamavansi dagli antichi Oracoli le risposte
che
gli Dei davano agli uomini ; e lo stesso nome dav
zione tributata agli Oracoli erasi aumentata per mezzo di ricchi doni
che
si facevano ai loro templi e specialmente per le
chi doni che si facevano ai loro templi e specialmente per le persone
che
recavansi a consultarli. I luoghi scelti per cost
dulità del volgo. Nella Beozia sì fertile in Oracoli non iscorgevansi
che
rupi inaccessibili, circondate da monti, da bosch
to. I sacerdoti di tutti questi tempii non volevano essere consultati
che
da grandi personaggi o da uomini che fossero a pa
i non volevano essere consultati che da grandi personaggi o da uomini
che
fossero a parte de’ loro secreti ; e dovevano ess
Effestione. Vespasiano fa allontanare la sua scorta nel presentarsi
che
fa al tempio di Serapi. Quando un particolare vol
urre a buon fine qualche impresa, tosto recavasi a consultare gli Dei
che
avevan fama di predire il futuro. Gli Oracoli ren
erano quelli cui presiedeva Apollo, figliuolo di lui, siccome quello
che
nella cognizione dell’avvenire era il più versato
nelle querce del bosco a Giove consacrato, per cui le favole dissero
che
le querce parlavano. L’oracolo di Giove Ammone ne
ove la statua di lui solennemente portavasi da sacerdoti, e da’ segni
che
ella dava coi suoi movimenti, i sacerdoti interpr
rendeva gli oracoli su di un tripode, scranna piccola con tre piedi,
che
Apollo aveva coperto colla pelle del serpente Pit
e la chiarezza delle sue risposte, in confronto degli altri ; di modo
che
gli Oracoli del tripode passavano in proverbio pe
sempre favorevole. Questa asserzione è convalidata da infiniti esempi
che
presenta la storia. Per consultare gli Oracoli er
ultare gli Oracoli era necessario scegliere il tempo in cui credevasi
che
gli Dei ne pronunciassero ; poichè tutti i giorni
ichè tutti i giorni non erano eguali. Da principio a Delfo, non eravi
che
un mese dell’anno, in cui la Pizia rispondesse a
non eravi che un mese dell’anno, in cui la Pizia rispondesse a coloro
che
ivi recavansi a consultare Apollo. Col tratto del
o tutti nella stessa maniera : qui la sacerdotessa rispondeva pel Dio
che
veniva consultato ; là era l’Oracolo pronunciato
rante il sonno, e quel sonno preparavasi con particolari disposizioni
che
avevano qualche cosa di misterioso ; talvolta ciò
buivano la cognizione del futuro. Convengono generalmente gli antichi
che
vi siano state delle Sibille, ma non sono tutti c
annovera dieci, la Persica, la Libica, la Delfica, la Cumea o Cumana,
che
risiedeva in Cuma città d’Italia, l’Eritrea, la S
le figlia di Tiresia famoso indovino, o di Ercole o di Glauco. Dicesi
che
Apollo ne divenne amante e che per renderla sensi
ovino, o di Ercole o di Glauco. Dicesi che Apollo ne divenne amante e
che
per renderla sensibile, le offrì d’accordarle tut
Gli dimandò essa di vivere tanti anni, quanti erano i grani di sabbia
che
essa teneva in sua mano, poc’anzi raccolti ; locc
di chiedere nel tempo stesso il dono di conservare quella freschezza
che
tanto rendeala interessante. Apollo istesso le of
interessante. Apollo istesso le offrì quel favore novello, col patto
che
dovesse ella pure esser con lui condiscendente ;
rna gioventù, quello preferì essa di un’inviolabile castità ; di modo
che
una trista decrepitezza non tardò a distruggere l
ncavanle ancora tre secoli per compiere il numero dei grani di sabbia
che
dovevano por fine alla misura degli anni di sua v
rese dal padre tutti i perigli cui sarebbe stato esposto nelle guerre
che
, per fondare in Italia un nuovo impero, doveva so
er fondare in Italia un nuovo impero, doveva sostenere. Alcuni dicono
che
fosse la Sibilla Cumana italiana quella che offer
sostenere. Alcuni dicono che fosse la Sibilla Cumana italiana quella
che
offerse al re Tarquinio i Libri Sibillini. Voglio
quella che offerse al re Tarquinio i Libri Sibillini. Vogliono altri
che
fosse Demofila o Erofila, la settima delle Sibill
esi diversi. Qualunque sia la procedenza di questi libri è però certo
che
nulla avvi di più celebre nella Storia romana qua
ttribuiti. alle Sibille la quale conteneva i destini di Roma. Narrasi
che
una donna si presentò un giorno a Tarquinio Prisc
uali chiese 300 monete d’oro. Il re la scacciò con disprezzo ; per il
che
essa ne gettò tre nel fuoco in sua presenza e chi
tò tre nel fuoco in sua presenza e chiese lo stesso prezzo per quelli
che
rimanevano. Essendole negata nuovamente la richie
nsigliarono ch’egli dovesse pagare pei tre rimanenti volumi tutto ciò
che
si chiedeva. Ricevuta la somma l’incognita avvert
inio di custodire diligentemente questi libri come contenenti oracoli
che
presagivano i destini di Roma, e poscia dicesi ch
contenenti oracoli che presagivano i destini di Roma, e poscia dicesi
che
disparve. Sebbene questa storia senta in tutto de
Sebbene questa storia senta in tutto del favoloso, egli è però certo
che
i Romani possedevano una raccolta di sibillini ve
l Campidoglio. La custodia ne fu primamente commessa a due pontefici,
che
furono chiamati duumviri. Questo numero fu succes
il nome di quindecimviri. In origine questi sacerdoti non incombevano
che
alle cure le quali esigeva quel sacro deposito, p
fo dai Greci. Molti altri Libri Sibillini ebbero i Romani ma non avvi
che
i versi creduti della Sibilla Cumana il segreto d
consumato dalle fiamme, con molta fatica furono conservati quei libri
che
poscia vennero per certo in qualche altro religio
o per certo in qualche altro religioso luogo collocati ; poichè si sa
che
Onorio nel 403 li fece consultare nella circostan
tanza della prima invasione d’Alarico re dei Goti in Italia. Il culto
che
si prestò agli Dei, a’ Semidei e agli uomini che
in Italia. Il culto che si prestò agli Dei, a’ Semidei e agli uomini
che
per qualche straordinaria azione si erano resi il
limpio in Atene, ed in Roma quello di Giove Capitolino, ed il Panteon
che
tuttavia sussiste ; ne’ Sacrifici oltre a’frutti
acolo d’Apollo I Sacrifici erano sempre accompagnati da libazioni,
che
consistevano nel versare del vino, o in mancanza
di grandi prerogative, ed annoverate tra le Sacerdotesse. Ai conviti
che
celebravansi dopo i sacrifici presiedevano gli Ep
tali banchetti dovevano aver luogo in onore degli Dei. Il loro numero
che
da principio era solo di tre, venne portato sino
sino a dieci. Solevano i Romani offrine alle divinità i primi frutti
che
raccoglievano dalla terra in segno di riconoscenz
re siffatte offerte nei templi, fu d’uopo di proporre alcusse persone
che
avessero cura di conservarle, di distribuirle al
a certe divinità consacrati. Quest’incarico fu affidato agli Epuloni
che
da alcuni furono chiamati Parassiti. Questo nome
ato agli Epuloni che da alcuni furono chiamati Parassiti. Questo nome
che
da lungo tempo è divenuto spregevole fu in origin
e molto onorifico. Esso ha avuto la stessa sorte di quello di Sofista
che
si dava anticamente ai filosofi o retori, e il ca
ofista che si dava anticamente ai filosofi o retori, e il cattivo uso
che
poscia ne venne fatto, ambidue gli ha egualmente
maltrattarli e talvolta anche pereuoterli. Gli Anuspici erano quelli
che
esaminavano le interiora degli animali per trarne
a degli animali per trarne i presagi. I sacerdoti Akvali erano quelli
che
sacrificavano per la fertilità de’ campi ; le fes
erano quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi ; le feste
che
si celebravano due volte in onore di Cerere per q
la guerra e le tregue. La loro principale cura era quella d’impedire
che
s’intraprendessero delle guerre ingiuste dalla re
io degli Auguri, nè cosa alcuna di gran momento s’intraprendeva prima
che
questi non avessero deciso, se l’augurio era faus
dall’osservazione del cielo, altri dal canto e dal volo degli uccelli
che
si chiamavano auspicii, altri dal mangiare dei po
o presagio, perchè riguardavansi come avvisi spediti dagli Dei di ciò
che
aveva a succedere. Fra le cerimonie religiose dei
are le Espiazioni colle quali pretendevasi purificare i colpevoli non
che
i luoghi profanati. Ve n’erano di più specie, e c
ascuna aveva le sue particolari cerimonie. Le principali erano quelle
che
praticavansi per l’omicida, per i prodigi, per le
enuta in un vaso posto alla porta o al vestibolo dei templi, e quelli
che
entravano se ne lavavano da sè modesimi o se ne f
preso in qualche altra casa, ove non vi fossero morti ; tutti quelli
che
recavansi alla casa ove era il morto, nell’uscirn
ed anche a molti insieme dedicato. Eravi un decreto del senato romano
che
gli ordinava espressamente. Principiavasi sempre
nte motivo la religione, oppure qualche obbligo di pietà. È però vero
che
nou poca parte vi aveva la politica, mentre gli e
l’altro ; il salto o all’insù ovvero orizzontalmente ; il giavellotto
che
lanciavasi colla mano, o la saetta, che si scagli
zzontalmente ; il giavellotto che lanciavasi colla mano, o la saetta,
che
si scagliava coll’arco al segno prefisso ; il dis
o la saetta, che si scagliava coll’arco al segno prefisso ; il disco
che
era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro a
co che era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro assai pesante,
che
i giocatori si sforzavano di gettare quanto potes
ugilato nel quale combattevasi ora coi pugni soltanto, ora co’ cesti,
che
erano guanti di duro cuoio guarniti spesso di fer
Giuochi Scenici, questi si rappresentavano sul teatro, o sulla scena
che
si prende per l’intero teatro. I giuochi di music
ri. I più famosi giuochi della Grecia erano : I.° I Giuochi Olimpici,
che
celebravansi in Olimpia città dell’Elide ogni qua
a cui prese origine il computo delle Olimpiadi : 2.° I Pitici o Pizi,
che
celebravansi a Delfo ; 3.° I Nemei, che si celebr
mpiadi : 2.° I Pitici o Pizi, che celebravansi a Delfo ; 3.° I Nemei,
che
si celebravano a Nemea ; 4.° Gl’Istmici, che si t
i a Delfo ; 3.° I Nemei, che si celebravano a Nemea ; 4.° Gl’Istmici,
che
si tenevano nell’istmo di Corinto. In questi giuo
Gl’Istmici, che si tenevano nell’istmo di Corinto. In questi giuochi
che
facevansi con tanta pompa, ai quali non solo da t
e i più atroci e crudeli spettacoli dei combattimenti de’ gladiatori,
che
spesso costretti erano a pugnare fino alla morte.
o in onore delle divinità abitatrici del cielo, ma eziandio di quelle
che
regnavano nell’inferno. Indice A Abila. V.
a quale arse di colpevole amore pel proprio padre. Pretendono certuni
che
l’ira del Sole fosse il principal movente della c
Sole fosse il principal movente della colpa di lei. Pretendono altri
che
attribuir se ne debba la causa a Venere sdegnatas
ad un antico mio obbligo, ch’è quello di far palese nel miglior modo
che
posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuo
e posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuore. E veramente da
che
posi il piede in questa città di Napoli, fra le a
lodarmi, i quali, come volle la bontà di Dio, di me presero cura più
che
paterna. Or fra essi senza fallo l’E. V. R. è de’
eziandio, in ogni mio frangente, tenne tutte le vie per giovarmi. Di
che
con questa mia dedicatoria intendo renderle cordi
scrittura, ed è appunto la poca cosa ch’essa è, essendo io pur certo
che
il portarlo in fronte aggiungerà quella vaghezza
to che il portarlo in fronte aggiungerà quella vaghezza ed eccellenza
che
manca all’umile mio dettato. Ed a ciò pur mi conf
ha compatita qualche altra cosuccia per me data alla stampa, in guisa
che
potrei dirle come Catullo al suo Cornelio : … na
ue tu solebas Meas esse aliquid putare nugas. Or sebbene io conosca
che
commetto non leggier fallo, secondo lo stile de’
uirono in guisa l’ammirazione di tutt’i secoli e di tutte le nazioni,
che
pare spenta ogni speranza di mai più trapassarli.
iù trapassarli. Or se questi sovrani ingegni vivranno perpetui sino a
che
vi sarà nel mondo qualche grata disciplina, chi o
mani de’ loro allievi i greci ed i latini scrittori, se non vogliono
che
si spenga del tutto fra noi ogni benigno lume di
tudiosi l’intelligenza de’ Poeti e greci e latini, non son molti anni
che
diedi alla luce un Corso di Mitologia, il quale h
anche menoma espressione contraria all’ onestà de’ costumi ; essendo
che
non è mica agevole ritrovare una Mitologia che in
de’ costumi ; essendo che non è mica agevole ritrovare una Mitologia
che
insozzata non fosse o più o meno delle turpi legg
i. E forse mi fu dato, la Dio mercè, di conseguire l’intento, atteso
che
quel libro può porsi senza timore alcuno anche ne
o, il quale potesse studiarsi da’ fanciulli nelle scuole, e da quelli
che
non amano il corredo di molta erudizione. E ques
non amano il corredo di molta erudizione. E questo appunto è quello
che
ora presento al pubblico fregiato del chiarissimo
pubblico fregiato del chiarissimo Nome di V. E. R. la quale son certo
che
l’accoglierà con serena fronte qual sincero e pub
i quali follemente credevano, non uno, ma innumerevoli essere i Numi
che
le create cose signoreggiano. Noi tanta moltitudi
ρονος quasi Χρονος, tempus), cioè tempo, perchè Satùrno era quel nume
che
in se contiene il corso ed il rivolgimento degli
a comune madre degli uomini ; Rea (Ρεα, Phea) da un verbo greco (ρεω)
che
significa scorrere, perchè dalla terra scorrono t
lla terra scorrono tutt’i fiumi ; e Vesta (Εστια) da una parola greca
che
vuol dir fuoco, come appresso diremo. Giano fu de
eundo), perchè era il soprintendente delle vie : ma Ovidio (1) vuole
che
fu così detto a ianuis, perchè fu il ritrovatore
hè fu il ritrovatore delle porte. Si chiamava pur Caos (Χαος, Chaos),
che
si credeva il principio di tutte le cose. II.
ensione pel fratello Satùrno, a questo la cedè, ma con espressa legge
che
nessun suo figlio maschio lasciasse vivere. E per
che nessun suo figlio maschio lasciasse vivere. E però Satùrno tosto
che
la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il
ò Satùrno tosto che la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il
che
significa che il tempo tutto consuma e di anni in
o che la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il che significa
che
il tempo tutto consuma e di anni insaziabilmente
tume d’immolargli vittime umane. Or di ciò la moglie fu tanto dolente
che
di due gemelli occultò il maschio ch’era Giove, a
il maschio ch’era Giove, a Satùrno mostrando la sola Giunòne. Dicono
che
invece di Giove gli presentò una pietra avvolta i
llato i Titàni. Nulladimeno Satùrno, sapendo, esser ne’libri del fato
che
Giove dovea un dì spogliarlo del regno, gli mosse
no, gli mosse guerra ; ma fu da lui vinto e discacciato dal cielo. Il
che
vuol significare che il novello corso del tempo d
; ma fu da lui vinto e discacciato dal cielo. Il che vuol significare
che
il novello corso del tempo discaccia e vince il p
si ricoverò in quella parte d’Italia, ove fu poscia edificata Roma, e
che
si chiamò Lazio (Latium) dal verbo latère, occult
, come Giove, Nettùno e Plutòne si divisero l’universo. Giano intanto
che
a que’dì era signore del Lazio, accolse Satùrno c
del suo reame ; percui questi il regalò di una sì segnalata prudenza,
che
le future cose non meno che le passate conosceva.
i il regalò di una sì segnalata prudenza, che le future cose non meno
che
le passate conosceva. Satùrno ammaestrò quella ro
e a coltivar la terra, a seminare il grano ed a piantare le viti ; il
che
simboleggia Noè, il quale uscito dell’arca attese
ra e fu il primo a piantare le viti. Diede buone leggi a que’ popoli,
che
chiamavansi Aborigeni (1) e ne riformò i sel vati
cielo, o dal cielo discesi coloro di cui ammiriamo le grandi virtù, o
che
vengono inaspettatamente a recarci qualche gran b
rra diciamo coloro, de’ quali ignoriamo i genitori. Quindi la regione
che
poscia fu detta Italia, era consacrata a Satùrno
regno di questo nume fu l’età dell’oro. I poeti nel descrivere l’età
che
trascorsero dalla creazione dell’uomo in poi, die
eziosità facesse rilevare la bontà di ciascun secolo. Ciò voleva dire
che
il genere umano dal suo primitivo stato di felici
nque Satùrno fu l’aurea età o il secolo d’oro, in cui la terra, senza
che
coltivata fosse, ogni maniera di frutti produceva
oltivata fosse, ogni maniera di frutti produceva ; nè vi erano limiti
che
dividessero i campi, non servi, non mio e tuo, ma
a temere di ostile assalto ; nè il suono si udiva di marziali trombe
che
turbasse i tranquilli sonni e la dolcezza della p
imo mele. IV. Pico e Canènte-Fauno. Degli antichi re Aborigeni
che
regnarono in Italia avanti alla guerra di Troia,
oro ed il cangiò nell’uccello detto pico (1). I compagni del principe
che
per la campagna il cercavano, furono dalla Maga a
ender cibo e senza sonno. Finalmente in un luogo alla riva del Tevere
che
portò poscia il suo nome, finì disciolta in leggi
il suo nome, finì disciolta in leggiera auretta, di se non lasciando
che
la voce. Fauno si vuole figlio di Pico e quindi n
a sacra selva di Albùna (Albunea), ov’era un fonte lungo il Teverone,
che
dava larga vena di acque sulfuree ; ma Ovidio (3)
que eran superbi di aver avuto Satùrno per fondatore di lor nazione e
che
nelle vene de’lor primi e più antichi signori era
ichi signori era un sangue proveniente dal vecchio padre di Giove. Di
che
i Romani vollero serbare solenne memoria nelle fe
teneasi chiuso ; e se aperto, di guerra. Ovidio (1) rappresenta Giano
che
nel suo tempio tiene rinchiusa e la pace e la gue
nta Giano che nel suo tempio tiene rinchiusa e la pace e la guerra, e
che
a suo talento or questa ne fa uscire ed or quella
cento chiavistelli di bronzo stare incatenati e la Guerra e Marte, e
che
Giano siede sempre alla custodia delle due sue po
ν, Chiron), ch’era mezzo uomo e mezzo cavallo, cioè uno di que’mostri
che
i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolent
zo cavallo, cioè uno di que’mostri che i poeti chiamaron Centauri. Di
che
fu così dolente la madre che da Giove fu cangiata
ostri che i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolente la madre
che
da Giove fu cangiata in tiglio ; percui filira si
punteruolo di ferro (Stylus), la cui testa serviva per cancellare ciò
che
si era scritto. Chiròne da’poeti fu celebrato per
. Egli abitava un antro del monte Pelio, ove educò i più insigni Eroi
che
furono a tempo della spedizione degli Argonauti,
a ninfa Cariclo una figlia detta Ociroe (Οκυροη, Ocyroë) o Melanippe,
che
fu valentissima nella medicina, nell’astronomia e
a scienza di predire il futuro. Avendo un giorno presagito il destino
che
aspettava il giovinetto Esculapio, e la morte del
, cedè la sua immortalità a Prometeo, cui Giove donata l’avea a patto
che
un immortale avesse voluto morire per lui. Fu egl
perchè avean allevato Giove nell’isola di Creta. E Virgilio (1) dice
che
il culto di Cibèle fu portato da Creta nella Troa
no le loro sacre canzoni, e ch’era ricurva ed aveva aggiunto un corno
che
ne accresceva l’acuto e stridulo suono. Gran part
da stranissimo furore in un bosco consacrato a Cibèle, mentre pareva
che
volesse far danno alla propria persona, fu per pi
danno alla propria persona, fu per pietà della Dea cangiato in pino,
che
fu poscia a lei dedicato. I Coribànti ogni anno p
correva per le montagne, e chi percuoteva timpani e cembali, in guisa
che
il monte Ida era tutto ripieno di tumulto e di fu
sima magnificenza. Da questa città fu portata a Roma la famosa pietra
che
dicevano essere la Madre Idèa, e che da P. Cornel
portata a Roma la famosa pietra che dicevano essere la Madre Idèa, e
che
da P. Cornelio Scipione fu collocata nel tempio d
ollocata nel tempio della Vittoria sul Palatino, a’quattro di Aprile,
che
fu festa grandissima, celebrandosi il lettisterni
i, i quali malamente si confondono co’ giuochi detti grandi o Romani,
che
celebravansi in onore de’grandi Dei Giove, Giunòn
i o espiarsi col Taurobolio, si faceva scendere in una profonda fossa
che
coprivasi di un graticcio, sul quale s’immolava u
va l’uomo quasi rinascere a novella vita, e però non poteva ripetersi
che
dopo venti anni. Terminato il sacrificio, si cons
si, come in sua sede, il fuoco, secondo i Pittagorici. Altri vogliono
che
quella figura rappresentava la terra che credevan
Pittagorici. Altri vogliono che quella figura rappresentava la terra
che
credevan gli antichi della forma di una sfera. In
vi era pure il Palladio, famoso pegno del Romano impero ; ed i Penati
che
da Troia recò Enèa in Italia, erano in quel tempi
a recò Enèa in Italia, erano in quel tempio allogati. Le Sacerdotesse
che
avean cura di questo fuoco, si chiamavano le Verg
uffizio principale, vegliare alla custodia del sacro fuoco della Dea,
che
esser dovea continuamente acceso, perchè siccome
a il fuoco di Vesta a tutela della Republica. Era esso fuoco di legna
che
ardevano su di un focolare ; e se per colpa della
llido e mesto. Spesso ha il capo velato o mezzo coperto, per dinotare
che
i tempi sono oscuri e coperti di un velo densissi
, Satùrno velato e seduto è in atto di prendere e divorare una pietra
che
Rea gli presenta avvolta nelle fasce. Quasi sempr
per significare la velocità del tempo, o sotto figura di un serpente
che
si morde la coda, per mostrare l’eternità ch’è se
l capo coronato di torri e di merli di mura, per significare le città
che
sono come la corona della terra. Per lo più si ra
sparsa di fiori ; ed alle volte coronavasi di quercia, per ricordare
che
gli uomini un tempo nudrivansi del frutto di quel
costumi e di attendere all’agricoltura ; o perchè Giano figurava Noè
che
veduta avea la terra prima e dopo del diluvio. Al
na parte vedeansi le due facce, e dall’altra, una nave, per ricordare
che
Satùrno su di una nave erasi salvato nell’Italia
Giano a due facce o a due capi-Janus quadriceps et quadrifrons, Giano
che
ba quattro capi o facce-Janus claviger, Giano che
quadrifrons, Giano che ba quattro capi o facce-Janus claviger, Giano
che
porta la chiave, perchè si dipingeva colla chiave
Pater, quasi padre degli Dei-Janus Quirinus, detto da curis o quiris,
che
in lingua Sabina significa l’asta come se fosse D
donia, provincia della Frigia ; Pessinuntia Dea, da Pessinunte, città
che
fu così detta da una parola greca (πεσειν) che si
, da Pessinunte, città che fu così detta da una parola greca (πεσειν)
che
significa cadere, perchè quivi cadde dal cielo un
e di Giano. Satùrno si annoverava piuttosto fra gli Dei infernali
che
fra i celesti ; la quale credenza nacque dal giud
turnii alcuni versi giambici e satirici, o perchè ritrovati in Italia
che
dicevasi Saturnia ; o per quella specie di malign
ti in Italia che dicevasi Saturnia ; o per quella specie di malignità
che
si attribuiva a Satùrno. Sotto la tutela di quest
rincipio di tutt’i sacrificii, perchè come portinaio del cielo faceva
che
le preghiere avessero libera entrata agli Dei ; o
’ sacrificii. Egli ritrovò pure le corone ed i navigli, e fu il primo
che
coniasse monete. Era in Roma un vico assai freque
ve stavano in gran numero gli usurai ed i mercadanti, ed un tribunale
che
condannava i debitori a pagare ; il quale vico ch
io di lui quivi allogato. Esso dividevasi come in tre parti, in guisa
che
il capo del vico si chiamava Janus summus ; il me
piter significa l’aere disciolto in pioggia. Da’ Greci dicevasi Ζευς,
che
pur significa l’aria forse da ζαν, vivere, perchè
, Vesta, Cerere, Giunòne, Plutòne, Nettùno e Giove. Veggendo la madre
che
il marito avea tanti figliuoli divorato, vicino a
erlo alla crudeltà del genitore. I quali aprirono alla figliuola quel
che
per decreto del Fato avvenir dovea di Satùrno e d
que del fiume Ladone ; ed in fasce avvoltolo, diello alla ninfa Neda,
che
lo portasse a Creta e quivi il nutricasse di nasc
li a poppare il latte della Capra Amaltèa, con un dolce favo di mele,
che
tosto fabbricò l’ape Panàcre sul monte Ida. Altri
di mele, che tosto fabbricò l’ape Panàcre sul monte Ida. Altri dicono
che
Melissèo, re di Creta, ebbe due figliuole, Amaltè
o donò virtù di provvedere abbondevolmente quella ninfa di ogni cosa,
che
a lei fosse piaciuta. E questo chiamasi Cornucopi
ta a farsi, quando si celebrava il natale di Giove. Virgilio (1) dice
che
le api, allettate dal suono de’ cembali de’ Curet
iove, dal quale ebbero in premio quell’stinto nel fabbricare il mele,
che
le rende fra gli animali tanto ammirabili. Così a
ande onore presso gli antichi, e vi era una divinità chiamata Veiovis
che
vuol dire Giove infante. Ovidio (1) vuole che Vei
vinità chiamata Veiovis che vuol dire Giove infante. Ovidio (1) vuole
che
Veiovis significhi Giove fanciullo e senza que’ f
III. Potenza e maestà di Giove. Di lui fulmine. Salmonèo. Dopo
che
ebbe Giove co’ fulmini represso l’empio orgoglio
l.). Al suo lato sedevano, secondo i Poeti, la potenza e la giustizia
che
governano l’universo ; ed egli ottenne il primato
rso ; ed egli ottenne il primato per ragione del potere e della forza
che
sedevan sempre con lui nel medesimo cocchio. Ma d
ti gli Dei Pallade o la Sapienza era più d’appresso al trono di Giove
che
sempre valevasi de’ consigli di lei. Niente di me
remava tutto quanto l’Olimpo. Ma nulla meglio mostrava la sua potenza
che
il tuono e la folgore, ond’era sempremai armato ;
tuono e la folgore, ond’era sempremai armato ; ed Orazio (2) afferma
che
il tuonare che fa Giove nel cielo, ci addita ch’e
gore, ond’era sempremai armato ; ed Orazio (2) afferma che il tuonare
che
fa Giove nel cielo, ci addita ch’egli colassù reg
do imitare il Dio del fulmine, fabbricò un altissimo ponte di bronzo,
che
passava sopra di Elide ; sul quale passeggiando c
mini di Giove. Il qual folle divisamento questi mal sofferendo, quasi
che
volesse Salmonèo disputargli la sovranità dell’Ol
ell’inferno. Ma niuno dispregiò con più orgoglio la potenza di Giove,
che
Capanèo, di Argo, figliuolo d’Ipponoo e di Astino
e, volere impadronirsi della città a dispetto del medesimo Giove ; di
che
questi adirato tosto il fulminò. Dice Vegezio, ch
edesimo Giove ; di che questi adirato tosto il fulminò. Dice Vegezio,
che
coloro i quali nell’assedio delle città adoperano
adoperano le scale, sono esposti a frequenti pericoli, come Capanèo,
che
vuolsi essere stato primo inventore della scalata
a scalata, il quale fu da’Tebani con sì gran mole di pietre oppresso,
che
si disse morto da un fulmine di Giove. IV. Con
è niun’ aquila è stata mai tocca dal fulmine ; o pel volare altissimo
che
fa verso le nubi. Orazio (1) crede che Giove died
lmine ; o pel volare altissimo che fa verso le nubi. Orazio (1) crede
che
Giove diede all’aquila la signoria sopra gli altr
ri uccelli pel fedele servigio prestatogli nel rapir Ganimède. Dicesi
che
Perifànte, antichissimo re di Atene, governò con
, antichissimo re di Atene, governò con tanta sapienza il suo popolo,
che
fu adorato qual altro Giove ; il quale di ciò adi
valevasi nell’attraversare gli spazii dell’aria. E la consorte di lui
che
non volle esser disgiunta dal marito, fu trasform
os. Prometeo ed Epimeteo. Pandora. A principio l’universo non era
che
un’informe e confusa mole di materia, che gli ant
rincipio l’universo non era che un’informe e confusa mole di materia,
che
gli antichi dissero caos, cioè confusione univers
e gli antichi dissero caos, cioè confusione universale della materia,
che
contenea in se misti gli elementi di tutte le cos
ria, che contenea in se misti gli elementi di tutte le cose, in guisa
che
ove era terra, ivi pure ed aria ed acqua e fuoco
ielo e terra e mare far magnifica mostra di lor bellezza ; e l’ordine
che
uscì del caos fu sì maraviglioso che il mondo da’
tra di lor bellezza ; e l’ordine che uscì del caos fu sì maraviglioso
che
il mondo da’ Greci fu chiamato κοσμος, l’ordine p
li Dei, dandogli un sembiante nobile e fatto per mirare il cielo. Nel
che
traluce la vera origine del primo padre degli uom
cielo. Nel che traluce la vera origine del primo padre degli uomini,
che
Dio formò del fango della terra e cui diede l’ani
suo soffio divino. Di fatto vedendo Prometeo altro non essere l’uomo
che
una bella statua di vita priva e di senso, col fa
i uomini donò un tal fuoco, e loro mostrò la maniera di farne uso. Il
che
mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio che lo l
maniera di farne uso. Il che mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio
che
lo legasse al monte Caucaso, e che un’aquila, o u
fferendo Giove, comandò a Mercurio che lo legasse al monte Caucaso, e
che
un’aquila, o un avvoltoio gli divorasse il cuore
monte Caucaso, e che un’aquila, o un avvoltoio gli divorasse il cuore
che
sempre rinasceva. Ma Ercole colle sue saette ucci
endicare il temerario attentato del fig. di Giapeto, ordinò a Vulcano
che
di fango eziandio formasse il corpo della donna,
Pandora (Πανδωρα, Pandora), quasi ornata di tutt’i doni. Altri dicono
che
gli Dei, mal sofferendo che Giove volea per se so
quasi ornata di tutt’i doni. Altri dicono che gli Dei, mal sofferendo
che
Giove volea per se solo il poter formare degli uo
i, fabbricarono questa donna e tutti l’arricchirono de’ loro doni ; e
che
Giove, per vendicarsi di ciò, comandò a Mercurio
me tutti gli stotti, conobbe suo danno dopo essergli intervenuto ; da
che
la proverbiale maniera presso Luciano (μεταβουλευ
aniera presso Luciano (μεταβουλευεσται Επιμηθεως ερηων ου Προμηθεως),
che
dopo il fatto dir quello che si poteva o dovea fa
υλευεσται Επιμηθεως ερηων ου Προμηθεως), che dopo il fatto dir quello
che
si poteva o dovea far prima, è imitar Epimeteo, n
rima, è imitar Epimeteo, non l’antivedimento di Prometeo. Si racconta
che
avendo Epimeteo fatto di creta una figura umana,
tto dal cielo, per indicare la sua origine da Dio. Potrebbe pur dirsi
che
Prometeo, avendo colla sua sapienza ridotto gli u
; ovvero avendo ritrovato il primo l’arte di fare le statue, si finse
che
avesse formato l’uomo di creta e lo avesse animat
la ferula o canna d’India. O infine fu Prometeo un uomo di gran senno
che
collo specchio di metallo primo raccolse i solari
colse i solari raggi, ed insegnò agli uemini di far uso di quel fuoco
che
parea calato dal cielo. VI. Continuazione. Ast
nta felicità, ed il genere umano mosse a sdeguo sì fattamente gli Dei
che
tutti lasciarono la terra pe’ delitti degli uomin
rèa però, fig. di Giove e di Temi, e Dea della giustizia, fu l’ultima
che
lasciò la socièta degli uomini. Ebbe luogo fra i
i si videro sicuri dagl’insulti de’ mortali. Imperocchè è antica fama
che
i Giganti, uomini o piuttosto mostri di smisurata
fama che i Giganti, uomini o piuttosto mostri di smisurata grandezza,
che
avean mille braccia e gambe di serpenti, aspirand
Allora Giove con un fulmine abbattè quella superba congerie di monti,
che
ben tre volte avean tentato d’innalzare que’ bald
e Ossa(2), e ciò forse diede luogo alla favola. La Terra intanto (3),
che
avea veduto da Giove debellati i Titani ed i Giga
nimali feroci, e vomitando orrende fiamme, dava urli sì spaventevoli,
che
ne rintronava stranamente e cielo, e terra e mare
sassi contra il cielo, pose a’Numi tutti grandissima paura. E fu tale
che
fuggendo andarono a nascondersi in Egitto, ove no
rio, d’ibi. Da questa trasformazione ebbe origine il ridicoloso culto
che
gli Egiziani prestavano a certi animali. Ma final
pesso invano fa tutt’i suoi sforzi per liberarsi da quell’eterno peso
che
sdegna, gettando fiamme, e scuotendo il suolo del
di Tifeo han dato luogo que’venti procellosi e quelle orribili fiamme
che
dal seno della terra di tratto in tratto si veggo
nell’Oceano. Forse i primi uomini al vedere l’esplosioni de’ vulcani
che
sollevano in aria le intere rupi, si formarono l’
rono l’idea di una guerra fra la terra ed il cielo. Virgilio (1) dice
che
Tifeo fu sepolto sotto l’isola ch’egli chiama Ina
o l’isola ch’egli chiama Inarime, oggidì Ischia, dalla quale vogliono
che
un tempo fu distaccata Procida per forza di orrib
che un tempo fu distaccata Procida per forza di orribile tremuoto. Il
che
ha dovuto avere origine da’ versi di Omero (2), n
Il che ha dovuto avere origine da’ versi di Omero (2), ne’ quali dice
che
Tifeo giace sepolto in Arimis (εν Αριμοις) luoghi
famosi per frequenti tremuoli e per sotterranei fuochi. Alcuni dicono
che
i Giganti mossero guerra a’ Numi nella Macedonia,
nella Macedonia, scagliando sassi ed alberi accesi contra il cielo, e
che
gli Dei, chiamato Ercole in aiuto, li debellarono
i, o Laborini, ora Campo Quarto, così detti da un verbo greco (φλεγω)
che
significa ardere, perchè conservano le tracce di
generale, i Giganti erano uomini di grandissima robustezza e ferocia,
che
insolentivano contra gli Dei e gli uomini, a’ qua
rre monti a monti. Che altro mai, dice Macrobio (3), furono i giganti
che
una qualche empia generazione di uomini, i quali
razione di uomini, i quali negando l’esistenza degli Dei, fecero dire
che
volevano discacciarli dal cielo ? VII. Licaone
tà di perdere il genere umano sì stranamente malvagio. In conferma di
che
raccontò l’empio fatto di Licaone, fig. di Titano
fig. di Titano e della Terra e re di Arcadia. Il quale, avendo udito
che
Giove, mosso dall’empietà degli uomini, sotto uma
ve allora trasformò l’empio Re in orribile lupo e fulminò i figliuoli
che
vollero fare la stessa pruova. La quale favola pu
vollero fare la stessa pruova. La quale favola può spiegarsi dicendo
che
il nome di Licaòne (da λυκος, lupus) ha dato occa
che il nome di Licaòne (da λυκος, lupus) ha dato occasione di fingere
che
quel Re, forse crudele ed empio, fu trasformato i
e la malattia, per la quale gli uomini credonsi trasmutati in lupi, e
che
i Medici chiamano licantropia (λυκανθρωπια). Or l
ne ed i grandi vizii degli uomini avean mossa talmente l’ira di Giove
che
in quel gran consesso stabilì di perdere gli uomi
io. Era nella Focide un monte insigne pe’ due suoi vertici, e sì alto
che
trapassava le nubi, chiamato Parnaso. Sulla cima
tto quanto dalle acque, ed essi soli sopravviventi, consultarono Temi
che
a que’ di dava oracoli a Delfo, o Giove stesso, c
le vesti discinte, si gettarono dietro le spalle le ossa della madre,
che
interpetrarono essero le pietre, giacchè madre co
lo, menavan la vita in lieta e contenta poverlà ; ma eran sì virtuosi
che
il nome di Bauci perproverbio denotava una povera
pietosa vecchierella. Or viaggiando Giove per la Frigia con Mercurio
che
solea portar seco per compagno, da niuno furono a
Mercurio che solea portar seco per compagno, da niuno furono accolti
che
da que’ vecchi, i quali, ponendo in moto tutta la
rchissima mensa, fecero a quegli ospiti ogni buona accoglienza. Giove
che
molto gradì que’ sinceri e pietosi ufficii, manif
diluvio divenuto un gran lago, e sola rimaner salva la loro casuccia,
che
fu mutata in un magnifico tempio. Essi dimandaron
fu mutata in un magnifico tempio. Essi dimandarono a Giove non altro
che
esser ministri di quel tempio e di morire insieme
a, un giorno, stando presso alla porta del tempio, Filemone si avvide
che
Bauci si mutava in tiglio, e Bauci, che lo sposo
el tempio, Filemone si avvide che Bauci si mutava in tiglio, e Bauci,
che
lo sposo diveniva una quercia ; e così si diedero
amente è un monte di Tessaglia vicino all’Ossa ed al Pelio, così alto
che
dicesi trascendere la region delle nubi ; e però
te del cielo, dov’è la sede di Giove e degli altri Dei. Or ogni volta
che
Giove risolver dovea qualche gravissimo affare, c
α, orbis lacteus, via lactea), ch’è quel magnifico e sublime sentiero
che
vedesi in cielo in alcune notti serene, tutto luc
pel mezzo, sul suo cocchio, Giove era solito di passeggiare. E’ fama
che
Mercurio fu per qualche tempo allattato da Giunòn
re. E’ fama che Mercurio fu per qualche tempo allattato da Giunòne, e
che
dal poco latte per caso caduto dalla bocca di lui
sostenere sulle spalle il non leggier peso del cielo(2). Si racconta
che
avvertito dall’oracolo a guardarsi da un figliuol
vvertito dall’oracolo a guardarsi da un figliuolo di Giove, non volea
che
abitasse in casa sua uomo del mondo. Pel qual rif
po di Medùsa ed il trasformò in monte. L’Atlante è un monte altissimo
che
nasconde la cima fra le nubi, e da’ vicini si chi
e nubi, e da’ vicini si chiama colonna del cielo ; e da ciò la favola
che
quel Re sosteneva il cielo colle spalle, essendo
quel Re sosteneva il cielo colle spalle, essendo naturale il supporre
che
il cielo poggi sulle cime delle alte montagne. Al
rre che il cielo poggi sulle cime delle alte montagne. Altri vogliono
che
quel Re fosse stato un Astronomo di gran valore,
. Altri vogliono che quel Re fosse stato un Astronomo di gran valore,
che
andava sulla vetta del monte Atlante a contemplar
, che andava sulla vetta del monte Atlante a contemplare gli astri, e
che
sostenne la scienza del cielo co’ suoi studii ind
l dire, esser posto nel numero degli Dei(1). Nell’Iliade (2) si legge
che
teneva gran tavola co’ Numi nell’Etiopia per dodi
iopi vi son chiamati irreprensibili per l’innoncenza de’ costumi ; il
che
forse ha dato luogo alla favola, perchè la Divini
intorno alla Libia, facendo feste grandissime per dodici giorni ; il
che
pure ha potuto dar luogo alla favola. L’ambrosia
mortalis), ch’era il cibo degli Dei, significa cibo degl’Immortali, o
che
dona l’immortalità, e credevasi di una dolcezza n
sia il corpo del figliuolo Sarpedone ucciso da Patroclo. La fragranza
che
diffondeva, era soavissima e tutta cosa divina ;
cosa divina ; e da essa si riconoscevan le Dee. Virgilio (7) racconta
che
Venere si manifestò ad Enèa dal divino odore che
irgilio (7) racconta che Venere si manifestò ad Enèa dal divino odore
che
spiravano le sue chiome tutte sparse di ambrosia.
fra gli Dei. Quanto ha ragione di dolcezza e di amabilità, tutto ciò
che
ristora e reca giocondità, si qualifica da’ poeti
(3) hanno le mammelle ricolme di nettare, cioè di latte ; e le acque
che
beveano i primi uomini a mani giunte, erano il lo
i Dei, ed il nettare, la loro bevanda ; sebbene non mancano scrittori
che
l’una coll’altro confondono. Tre in varii tempi f
che l’una coll’altro confondono. Tre in varii tempi furono i coppieri
che
mescevano il nettare alla mensa di Giove, Vulcano
ella gioventù e fig. di Giove e di Giunòne ; la qual cosa voleva dire
che
gli Dei non invecchiano, godendo una perpetua gio
(Iuventas), la quale prendeva sotto il suo patrocinio i giovani dopo
che
aveano indossata la pretesta. Quando s’imprese a
, il Dio Termine e la Dea Gioventù non vollero cedere il loro posto ;
che
fu felice presagio della perpetua floridezza e st
sua beltade, Ed abitasse cogli Eterni. Monti. Strabone (1) riferisce
che
il ratto di Ganimède avvenne in un luogo vicino a
, chiamato Arpagio, o sul promontorio Dardanio ; ma Virgilio (2) dice
che
fu rapito sul monte Ida, mentre dava opera alla c
no del zodiaco, detto Aquario, di cui le stelle son disposte in guisa
che
rappresentano un giovinetto. X. Egida-Gorgoni-
enti ricoprivano le spalle nell’andare alla pugna. Virgilio però pare
che
per egida intenda una corazza, un’armatura da pet
un’armatura da petto, su cui era il capo della Gorgone. Diremo quindi
che
per egida i poeti intendevano ora lo scudo, ora l
r egida i poeti intendevano ora lo scudo, ora la corazza sì di Giove,
che
di Pallade e di altri numi. Per dare ad intendere
γις, aegis da αιξ, αιγος, capra) era propriamente una pelle di capra,
che
ricopriva lo scudo o la corazza di Giove e di Min
azza di Giove e di Minerva ; e questa fu la pelle della capra Amaltea
che
allattò Giove ; o quella del mostro Egis, ucciso
ες, Gorgones, da γοργος, terror) erano tre, Medusa, Steno ed Euriale,
che
Esiodo chiama inaccessibili, perchè abitavano in
e eroe Perseo (Περσευς, Perseus). Acrisio cui l’oracolo avea predetto
che
sarebbe morto da un figliuolo di Danae, e la madr
e pretese la figliuola ed il nipote da Polidètte ; ma questi ottenne
che
si acchetasse ad una solenne promessa di Persèo,
a questi ottenne che si acchetasse ad una solenne promessa di Persèo,
che
non avrebbe mai poste le mani addosso all’avo. Es
Acrisio nella corte di Polidètte, venne questi a morte ; ed allora fu
che
celebrandosi funebri giuochi in di lui onore, Per
brandosi funebri giuochi in di lui onore, Persèo lanciò il suo disco,
che
il vento portò a percuotere il capo dell’avo ; e
sco, che il vento portò a percuotere il capo dell’avo ; e così, senza
che
il volesse, come piacque a’ Numi, l’uccise. Altri
ncipessa greca di famosa bellezza ; e per farle più splendide, ordinò
che
ciascuno degl’invitati facesse qualche pruova di
ordinò che ciascuno degl’invitati facesse qualche pruova di valore, e
che
Persèo vi recasse il capo della Gorgone. L’eroe a
he Persèo vi recasse il capo della Gorgone. L’eroe accettò l’impresa,
che
si annoverava fra le impossibili ; ed avuli, da M
d a Mercurio era carissimo ; e postosi l’elmo di Plutòne (Orci galea)
che
rendeva invisibile chi lo portava, a volo recossi
ina, le recise il capo, e fuggi a volo, portando in mano quel teschio
che
grondava sangue, qual trofeo di sua vittoria. Dal
uola a quello scoglio per essere divorata da una balena. Altri dicono
che
le Nereidi pregarono Nettùno, che avesse il regno
ivorata da una balena. Altri dicono che le Nereidi pregarono Nettùno,
che
avesse il regno di Cefèo ricoperto di acque, e ch
pregarono Nettùno, che avesse il regno di Cefèo ricoperto di acque, e
che
dall’oracolo di Giove Ammòne avea questo re intes
resa ed uccide la bestia con applauso grande de’ riguardanti. Dopo di
che
, per lavarsi le mani, nascose fra certe piante ma
po di Medùsa ; le quali tosto si convertirono in pietra, ed il sangue
che
ne grondava, le tinse di un bel rosso. Questi son
o e Cassiopea intanto il riguardarono come salvatore della figliuola,
che
il vittorioso Eroe con grandissima festa impalmò
sima festa impalmò nella loro reggia medesima. Da’ quali nacque Perse
che
diede il nome alla Persia. Cassiopèa pe’ prieghi
tello Ditte ritirata in un luogo sacro. Egli di ciò adirato e vedendo
che
quegli abitanti avean favorito Polidette contro l
oi sudditi cangiò in sassi. L’isola di Serifo (2) è pietrosa a segno,
che
ha dovuto dare occasione a’Poeti di fingere la tr
n Grecia qual trofeo da servire di spettacolo a quella gente. Si dice
che
in Africa vi sia un animale, forse il Catoblepa d
la riva del mare. E come volle la sua ventura, approdò colà una nave,
che
avea dipìnta l’immagine di un toro ; della quale
se per lo spavento, fu trasportata nell’isola di Creta. Palefato dice
che
un Signore di Creta, chiamato Tauro, invase colle
e nobili donzelle portò seco prigioniera la figliuola di Agenore ; da
che
uscì tosto in campo Giove trasformato in toro. Ag
Europa chiamati a se i figliuoli Fenìce, Cilice e Cadmo, loro impose
che
fossero tosto partiti a ritrovar la sorella ; sen
fricani furon detti Poeni ; e Cilice, in una regione dell’Asia Minore
che
dal suo nome si chiamò Cilicia. Ma Cadmo, dopo va
fo per consultare l’oracolo della futura sua sorte. Il quale rispose,
che
fosse andato nella Focide da Pelagòne, fig. di An
fonte, gli furono i compagni morti da un dragone, figliuolo di Marte,
che
il fonte guardava. Cadmo uccise quel mostro con u
iglio di Minerva ne seminò i denti, da’ quali nacquero uomini armati,
che
si chiamarono sparti (σπαρτος, satus, a σπειρω, s
, a σπειρω, sero), de’ quali venuti a pugna fra loro rimasero non più
che
cinque, i quali aiutarono Cadmo nella fabbrica di
uendo le orme, ov’essa fermerà il suo cammino, edificherai una città,
che
chiamerassi Beozia. Scende l’eroe Fenicio dal Par
fonte nella vicina selva. Quivi era appiattato il mostruoso dragone,
che
gl’infelici compagni di Cadmo divorò crudelmente.
nte, da’ quali sorge tosto mirabile schiera di armati guerrie ri (1),
che
fra loro battendosi crudelmente, salvo che cinque
di armati guerrie ri (1), che fra loro battendosi crudelmente, salvo
che
cinque, tutti si uccisero. E questi cinque aiutar
no Cadmo ad edificare la città di Tebe, o più veramente la cittadella
che
chiamò Cadmèa (Καδμεια), perchè Tebe fu posterior
e civili fra loro, per le quali perirono non pochi uomini ; e di que’
che
nel paese primeggiavano sopravvissero soli cinque
ni ; e di que’ che nel paese primeggiavano sopravvissero soli cinque,
che
si unirono a Cadmo. Fiorente e lungo fu il regno
ì conte nelle favole vinsero per modo l’animo dell’infelice genitore,
che
colla moglie uscì di Tebe, e dopo molto errare ap
uron cangiati in serpenti in pena dell’ucciso dragone di Marte. Si sa
che
Cadmo il primo portò dalla Fenicia in Grecia l’us
mo il primo portò dalla Fenicia in Grecia l’uso delle sedici lettere,
che
sono bastevoli ad esprimere tutt’i suoni del grec
suoni del greco linguaggio. Plutarco(1) dice, essere antica opinione
che
Cadmo allogò in primo luogo fra le lettere l’alfa
o. Non vi ha forse nome nella Mitologia più grande del nome di Minos,
che
regnò nell’isola di Creta o Candia, alla quale de
ll’isola di Creta o Candia, alla quale dettò leggi di tanta sapienza,
che
credevasi averle date lo stesso Giove, col quale
co e famigliare di Giove (Διος μεγαλον οαριστης). Egli faceva credere
che
ogni nove anni scendeva in una spelonca profondis
monte Ida per ricevere nuove leggi, la giustizia delle quali fece si
che
i poeti lo ponessero per giudice dell’inferno. Er
ero per giudice dell’inferno. Era forse un re di moltissima sapienza,
che
i Cretesi adorarono col nome di Giove, e che in q
di moltissima sapienza, che i Cretesi adorarono col nome di Giove, e
che
in quell’isola avea anche la sua tomba. Celebre n
quell’isola avea anche la sua tomba. Celebre nelle favole è la guerra
che
Minos portò agli Ateniesi. Dalla moglie Pasifae,
i lei fu dal mare trasportato presso ad un promontorio dell’Argolide,
che
fu detto Scilleo (1). Della quale mossi a pietà i
trasformato in una specie di sparviere, ch’è nemico del ciri. Vuolsi
che
sia opera di Virgilio un bel poemetto intitolato
ale di Niso intende un qualche arcano e segreto consiglio di quel re,
che
Scilla palesò a Minos, percui gli fu facile impad
no a Creta per essere miseramente divorati dal Minotauro. Si racconta
che
gli Ateniesi furono oppressi da crudele carestia
estia e pestilenza, dalla quale disse l’oracolo non potersi liberare,
che
dopo di aver dato a Minos quella terribile soddis
edesi un mostro con corpo di toro, e di uomo insieme. A questo mostro
che
dimorava nel laberinto di Creta gli Ateniesi mand
ngegnosamente descritto da Ovidio nelle Metamorfosi (1). Plinio vuole
che
fosse stato costruito ad imitazione di quello sì
fosse stato costruito ad imitazione di quello sì famoso di Egitto, ma
che
n’era solo la centesima parte, e che avea in se i
i quello sì famoso di Egitto, ma che n’era solo la centesima parte, e
che
avea in se inestrigabili ravvolgimenti. Altri per
arte, e che avea in se inestrigabili ravvolgimenti. Altri però dicono
che
il laberinto di Creta fu una spelonca con moltiss
etese laberinto fu autore Dedalo, Ateniese, artefice di alto ingegno,
che
fece opere ammirabili e statue che parevano aver
teniese, artefice di alto ingegno, che fece opere ammirabili e statue
che
parevano aver anima e vita, percui i Greci dedalc
dalce chiamavano le macchine, le quali per se stesse si muovono senza
che
ne apparisca la cagione. Inventò pure non pochi s
per le arti, come la scure, la livella, il succhiello ; e fu il primo
che
fornì le navi di antenne e di vele. Ma tanta sua
affinchè lo ammaestrasse. Il giovinetto sì bene diede opera alle arti
che
ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ov
a alle arti che ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ovidio
che
la spina del dorse di un pesce gli avesse data la
casuale caduta. Minèrva n’ebbe pietà e cangiollo in pernice, uccello
che
memore della sua caduta pone il nido nelle siepi
i e vola poco alto da terra. Il canto della pernice è simile al suono
che
fa la sega nel tagliare il legno, e però finsero
simile al suono che fa la sega nel tagliare il legno, e però finsero
che
l’inventore della sega fosse stato cangiato in pe
gendo, si ricoverò in Creta e chiese la protezione di Minos. E qui fu
che
per colpa del suo ingegno avendo offeso quel prin
del suo ingegno avendo offeso quel principe, fu da lui nel laberinto
che
aveva egli stesso mirabilmente costrutto, incarce
so mirabilmente costrutto, incarcerato. Ma quel gran senno, mostrando
che
a’ mortali niente è disdetto, trovò il modo di us
e. Con mirabile artificio(1), di cera e di piume fece due paia di ali
che
imitavano quelle degli uccelli, e ponendosele agl
e agli omeri, seguito dal figliuolo Icaro ch’era seco nel laberinto e
che
pure fornì di ali, si librò nell’aria, e con volo
cera, disciolse le piume accozzate, e l’infelice Icaro cadde nel mare
che
da ciò ebbe il nome di mare Icario (2). I poeti s
lo ritrovato. Dedalo, secondo Luciano, fu non dispregevole Astronomo,
che
nella scienza del cielo ammaestrò il figliuolo Ic
rrori, chè veramente questa è gran massima : non investigare le cose
che
vincono il tuo intendimento . Dedalo intanto, dop
suo viaggio e giunse in Sicilia, ove accolto dal re Cocalo fu cagione
che
Minos gli movesse guerra. Ma Servio dice che Deda
dal re Cocalo fu cagione che Minos gli movesse guerra. Ma Servio dice
che
Dedalo andò prima nella Sardegna e poscia nella n
ella Licia ; e ciò per una contesa avuta col fratello Minos. Si vuole
che
visse l’elà di tre uomini. Per somigliante cagion
per ciò Tindaridi (Tyndaridae), ed Ebalidi (Oebalidae). Dicono alcuni
che
nacquero da due uova, uno immortale, da cui uscì
l’altro mortale, dal quale nacque Castore e Clitennèstra. Omero dice
che
Leda ebbe da Tindaro i due gemelli Castore e Poll
attribuito comunemente a Castore, domator de’ cavalli ; ciò viene da
che
entrambi questi fratelli appellavansi i Castori,
ute ed Erice di segnalata destrezza nel combattimento del cesto, dice
che
discendevano da Amico e dalla gente de’ Bebrici.
ndevano da Amico e dalla gente de’ Bebrici. Or questo re tutti coloro
che
per sorte giungevano nel suo regno, obbligava a s
giungevano nel suo regno, obbligava a seco combattere al cesto ; nel
che
essendo valentissimo, li vinceva e vinti li facev
arono la palma Castore nella corsa, e Polluce, al cesto. Pindaro dice
che
i Dioscuri, accolti amorevolmente in casa di Panf
chetano, diradansi le nubi e cade il minaccioso furore de’ fiotti. Il
che
nacque dall’avere quei due fratelli, dopo la sped
dopo la spedizione del vello d’oro liberato l’Arcipelago da’ corsali
che
l’infestavano ; ed ancora perchè una gran fortuna
corsali che l’infestavano ; ed ancora perchè una gran fortuna di mare
che
poneva a rischio di rompersi la nave degli Argona
oneva a rischio di rompersi la nave degli Argonauti, acchetossi tosto
che
si videro due fuochi girare intorno al capo de’ T
videro due fuochi girare intorno al capo de’ Tindaridi. Questi fuochi
che
spesso apparir si veggono nelle tempeste, si chia
; e son segno di vicina tempesta, se ne apparisce un solo. Ma vediamo
che
dicono i poeti dell’estremo fato di questi eroi.
ulmine colpì Ida, il quale percosso avea Polluce con un gran sasso sì
che
n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro, Pol
che n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro, Polluce pregò Giove
che
lo avesse fatto morire, perchè non volea vivere s
lo avesse fatto morire, perchè non volea vivere senza di Castore ; e
che
Giove gli lasciò la scelta o di abitar solo nel c
tar solo nel cielo, o di dividere l’immortalità col fratello in guisa
che
un giorno fossero con Giove sull’Olimpo, ed un al
’Olimpo, ed un altro sulla terra co’ mortali ; sebbene Omero (1) dica
che
que’ due fratelli un giorno vivano entrambi, ed u
o ricompariscono in cielo. Ma secondo Macrobio (2), Castore e Polluce
che
rinascono a vicenda, significano il Sole che ora
o (2), Castore e Polluce che rinascono a vicenda, significano il Sole
che
ora scende, diciam così, sotterra, ed ora sale su
iciam così, sotterra, ed ora sale sull’orizzonte. Nelle medaglie anti
che
i Dioscuri son rappresentati in forma di due giov
chi dice Anfione fig. di Mercurio, dal quale ebbe quella famosa lira
che
altri vogliono ricevuta da Apollo, o dalle Muse,
pollo, o dalle Muse, o da Giove stesso, da lui sì dolcemente suonata,
che
mosse i sassi ad unirsi da se per fabbricare le m
tane, andava vagando pel Citerone, ed imbattutasi nel figliuolo Zeto,
che
quivi pascolava gli armenti, fu da lui villanamen
agne di Diana primeggiava. Da lei ebbe Giove un fig. chiamato Arcade,
che
fu nella caccia valentissimo, edificò la città di
ata in orsa, la quale più anni errando pe’ boschi di Arcadia, avvenne
che
il figliuolo, già di alcuni lustri, era vicino a
rtò in cielo, e ne fece due costellazioni, l’una all’altra vicina. Il
che
vedendo l’implacabile Giunone, andò tosto da Teti
to da Teti, moglie dell’Oceano e di loro nutrice, dalla quale ottenne
che
vietato l’avesse di tuffarsi nelle onde. Da ciò è
a quale ottenne che vietato l’avesse di tuffarsi nelle onde. Da ciò è
che
questa costellazione, aldir de’ poeti, non mai tr
poeti, non mai tramonta. Callisto fu trasformata nella costellazione
che
dicesi Orsa maggiore, Arto, ed Elice ; ed Arcade,
ad Artofilace fu dato il nome di Boote, o guidatore di buoi, essendo
che
siegue l’Orsa, come un bifolco il suo carro. Chia
il settentrionale ; e Trioni (1), cioè buoi d’aratro, sono le stelle
che
formano le due Orse, dette per ciò i gemini Trion
due Orse, dette per ciò i gemini Trioni(2) ; le quali dicono i poeti
che
non mai tramontano e non cangian sito, perchè il
o, detta per ciò Asopiade da Ovidio. Regnò nell’isola Enopia o Enone,
che
dal nome della madre chiamò Egina(1), ond’ebbe or
il popolo de’ Mirmidoni, i quali avendo seguito Peleo, fig. di Eaco,
che
fuggiva dalla patria, si stabilirono nella Tessag
fuggiva dalla patria, si stabilirono nella Tessaglia. Fingono i Poeti
che
, rimasta Egina spopolata per una pestilenza manda
duto a piè di una quercia grandissimo stuolo di formiche, pregò Giove
che
gli desse un popolo nel numero uguale a quegli an
, e quelle formiche furon cangiate in uomini. Eran questi i Mirmidoni
che
seguirono Achille alla guerra di Troia(2). Fu pur
on cui i Numi afflissero l’Attica per punire la perfidia del re Egeo,
che
avea fatto morire Androgeo. Della qual cosa consu
a fatto morire Androgeo. Della qual cosa consultato l’oracolo rispose
che
la siccità sarebbe cessata, se il re di Egina ave
significa formica (μυρμηες) ; e ciò ha potuto dar luogo alla favola,
che
i Mirmidoni eran formiche cangiate in uomini. Può
a, che i Mirmidoni eran formiche cangiate in uomini. Può dirsi ancora
che
i Mirmidoni, per la piccola loro statura rassomig
(Ιω, Io, gen. Ius), la quale(1) fu fig. d’Inaco, fiume dell’Argolide,
che
nasce da Artemisio o dal Linceo, monti di Arcadia
d’Io era nello scudo di Turno, il quale discendeva da Inaco(2). Giove
che
da Io avea avuto un figliuolo, la trasformò in va
o(2). Giove che da Io avea avuto un figliuolo, la trasformò in vacca,
che
poscia donò a Giunone, la quale, lodandone la bel
ezza, gliel’avea domandata. La pose ella in guardia del pastore Argo,
che
Eschilo dice d’ignota origine (γηγενες) ; ed altr
chè avea tutto il corpo coperto di occhi. Or Giove comandò a Mercurio
che
, ucciso Argo, liberasse la giovenca ; il che queg
Giove comandò a Mercurio che, ucciso Argo, liberasse la giovenca ; il
che
quegli eseguì, col dolcissimo suono del flauto ad
la qual cosa avvedutasi Giunone, quell’odiata vacca rese sì furibonda
che
andò vagando quasi per tutta la terra, agitata o
o, ch’era l’ombra stessa di Argo ; o da una furia ; o dall’animaletto
che
appellasi estro (οιστρον, oestrum), specie di mos
punture li mette in grandissimo furore. E la sua smania fu sì strana
che
precipitossi in quel mare, il quale da lei prese
d’Ionio. Passò quindi nella Scizia per lo stretto di Costantinopoli,
che
da siffatto avvenimento ebbe il nome di Bosforo.
orì Epafo. Allora Giove restituì ad Io la primiera sua forma, e volle
che
fosse da que’ popoli adorata qual Dea sotto il no
eci amavano colle proprie favole unire quelle degli Egiziani, avvenne
che
Io ed Epafo si rassomigliassero ad Iside e ad Api
cerdoti di lei(1) ; forse perchè Iside era stata una regina di Egitto
che
mostrò a quel popolo l’uso del lino. In quanto ad
Egitto, ove, per ordine di Giove medesimo, edificò una città famosa,
che
chiamò Menfi dal nome della moglie, da cui ebbe u
’Africa, a questo paese diede il nome di Libia. Questo fu quell’Epafo
che
cagionò la famosa sventura di Fetonte, come si di
Frigia(2), ove introdusse un segreto e misterioso culto de’ suoi Dei,
che
si conservò lungo tempo in quelle contrade. Ideo,
iuola, da cui ebbe Erittonio. Quivi edificò una città detta Dardania,
che
fu pure il nome da lui dato a tutta quella region
ome da lui dato a tutta quella regione. Dopo Dardano regnò Erittonio,
che
Omero chiama il più dovizioso de’ mortali, e cui
). A lui successe nel regno Troio o Troe (Τρως, Tros), suo figliuolo,
che
alla città diede il nome di Troia, e che fu padre
(Τρως, Tros), suo figliuolo, che alla città diede il nome di Troia, e
che
fu padre d’Ilo, di Assaraco e di Ganimede. Da Ilo
Dardano ebbe gli onori onori divini, e fu studiosissimo della magia,
che
perciò chiamossi arte dardania dagli antichi(1).
ad Eolo, e gli concesse di sedere alla mensa de’ Numi. Plinio(4) dice
che
fu fig. di Elleno e che ritrovò la ragione de’ven
di sedere alla mensa de’ Numi. Plinio(4) dice che fu fig. di Elleno e
che
ritrovò la ragione de’venti ; ma da’più si vuole
e padre de’venti si appella (ταμιας ανεμων. Hom.). Virgilio(5) finge
che
i venti eran rinchiusi in un antro vastissimo, ov
tro vastissimo, ove rumoreggiano a lor talento, e da cui non uscivano
che
quando Eolo il permetteva. Ve li avea rinchiusi G
he quando Eolo il permetteva. Ve li avea rinchiusi Giove per impedire
che
ponessero sossopra e cielo e terra col loro mal r
e ponessero sossopra e cielo e terra col loro mal regolato furore. Il
che
finsero, perchè nelle sotterranee caverne s’ingen
sero, perchè nelle sotterranee caverne s’ingenerano fortissimi venti,
che
poscia turbano l’aria circonstante. Eolo regnò in
no l’aria circonstante. Eolo regnò in sette isole vicine alla Sicilia
che
alcuni chiamano Eolie, ed alcuni, Vulcanie, da Vu
(στρογγυλος, rotundus), così detta dalla rotondità della sua forma, e
che
getta fuoco con grande splendore ; e quivi, dice
nd’otre legato nella sua nave ad una catena di argento, salvo Zeffiro
che
spirar dovea a prospero fine di sua navigazione.
dovea a prospero fine di sua navigazione. Ma i compagni, per sospetto
che
nell’otre non vi fossero riposte molte preziose c
e Liparo, ne divenne signore. Egli era uomo giusto e pio ; e vogliono
che
avesse mostrato a’ marinari l’uso delle vele. E p
. E perchè assai perito era nel pronosticare i venti, finsero i poeti
che
egli fosse il loro Dio. Alcuni dicono che gli abi
re i venti, finsero i poeti che egli fosse il loro Dio. Alcuni dicono
che
gli abitatori delle isole Vulcanie, le quali gett
evano quali venti per tre giorni dovessero spirare(2). Da ciò avvenne
che
avendo Eolo il primo osservato i movimenti e le d
quelle fiamme, e predetto qual vento dovesse spirare, non altrimenti
che
se loro comandasse, fu stimato Dio de’venti. X
Cirenaica, paese della Libia, e quello di Dodona, nell’Epiro ; tanto
che
negli antichi tempi niuna cosa rilevante s’impren
suo oracolo giungere a tanta gloria ; la quale poscia svanì in guisa
che
divenne deserto del tutto ed abbandonato. Ammone
un tal soprannome. Altri il fan derivare da una parola greca (αμμος),
che
significa sabbia, perchè il tempio di Giove Ammon
ibia ; pe’quali viaggiando e sofferendo grandissima sete, pregò Giove
che
gli desse un ristoro. Quel nume gli apparve in se
co tempio a Giove sotto il nome di Ammone, o arenario. Altri scrivono
che
un ariete mostrò un bel fonte a Bacco, il quale p
pe’deserti della Libia guidava l’assetato suo esercito ; in premio di
che
fu quell’animale posto fra’segni celesti ; e Bacc
segni celesti ; e Bacco in quel luogo edificò un gran tempio, l’unico
che
gli Dei avessero nella Libia. Il quale sorgeva in
e il sacro recinto intorniato fosse da sempre verdeggiante selva ; il
che
aveasi qual miracolo del nume. Una fontana ricchi
l che aveasi qual miracolo del nume. Una fontana ricchissima di acque
che
presso al tempio si divideva in mille rigagnoli,
o antro. Il suo simulacro era un capo bovino innestato a corpo umano,
che
sotto due gran corna ritorte nascondeva la frente
, che sotto due gran corna ritorte nascondeva la frente. Altri dicono
che
avea sembianza di ariete. Lucano afferma che il s
la frente. Altri dicono che avea sembianza di ariete. Lucano afferma
che
il santuario era di semplice struttura, e povero
l tempio di Giove Ammone, rappresentato sotto la figura di un ariete,
che
i Sacerdoti portavano su di una nave dorata, da’c
e di argento, con il processional seguito di matrone e di verginelle,
che
cantavano inconditi carmi per rendere propizio il
r rendere propizio il nume. Alessandro ebbe da’ Sacerdoti la risposta
che
dovea aspettarsi ; essere figliuolo di Giove e me
e maraviglie, perchè Giove, il quale per natura è padre di tutti, ama
che
gli ottimi sien chiamati suoi figliuoli. Vicino a
ino al tempio di Giove Ammone ritrovasi il così detto sale ammoniaco,
che
ha preso il nome o dalle arene, cui è frammischia
colo di Giove Dodoneo, il più antico di quanti ne avesse la Grecia, e
che
per molto tempo era anche il solo(2). Fu fondato
antico popolo della Grecia ; o secondo Erodoto, da una donna Egiziana
che
ne fu la prima sacerdotessa. Omero chiama Selli o
sacerdotessa. Omero chiama Selli o Elli i Sacerdoti di quest’oracolo,
che
menavano vita austerissima. Or in quella città er
ce consacrate a Giove, le quali con umana voce rendevano gli oracoli,
che
i Selli raccoglievano e comunicavano alla credula
raccoglievano e comunicavano alla credula gente(3). Alcuni(4) dicono,
che
in quella selva dava gli oracoli una colomba dal
a colomba dal ramo di una sacra quercia ; la quale finzione nacque da
che
nel linguaggio di quel paese sì le colombe, e sì
, e sì le indovine aveano il nome di Peliadi. Altri finalmente dicono
che
a Dodona davano gli oracoli due colombe, delle qu
oracolo di Giove Dodoneo era tutto circondato di certi vasi di bronzo
che
si toccavano l’un l’altro, sì che, percossone un
circondato di certi vasi di bronzo che si toccavano l’un l’altro, sì
che
, percossone un solo, tutti gli altri davano un su
l’altro, sì che, percossone un solo, tutti gli altri davano un suono,
che
durava per ben lungo tempo. Ulisse andò a Dodona
lungo tempo. Ulisse andò a Dodona per conoscere la volontà di Giove,
che
dava oracoli dalla sua altissima quercia ; ed Ene
i Olimpici (Ολυμπια μεγαλα) a differenza di altri meno considerevoli,
che
si celebravano in alcune città della Grecia, come
naica e da più altri paesi. Ed era tanto lo splendore di que’giuochi,
che
Pindaro(2) ebbe a dire che siccome l’acqua supera
Ed era tanto lo splendore di que’giuochi, che Pindaro(2) ebbe a dire
che
siccome l’acqua supera tutti gli elementi, e l’or
li edificarono Olimpia e celebrarono la prima Olimpiade. Altri dicono
che
l’istituì Atreo per onorare i funerali di Pelope,
ma di G. C. erano quasi dimenticati, o almeno assai rari ; ed egli fu
che
li richiamò a nuova vita più di quattro secoli do
coli dopo la guerra di Troia. Da quest epoca si contano le Olimpiadi,
che
sono lo spazio di cinque anni, o meglio, di quatt
po nella storia greca si legge qualche cosa di certo, giacchè i fatti
che
precedono il periodo d’ Ifito o delle olimpiadi,
a statua di Giove Olimpico, di avorio e di oro, capolavoro di Fidia e
che
Plinio chiama superiore ad ogni imitazione. Era d
e Plinio chiama superiore ad ogni imitazione. Era di tanta grandezza,
che
parve essersi peccato contro le leggi della propo
lla proporzione, perchè seduto com’era, toccava il tetto del tempio ;
che
se si fosse dritto levato, l’avrebbe dovuto tutto
atuario quale innanzi avesse avnto nel fare sì nobile statua, rispose
che
quei versì dell’ Iliade, ne’ quali il poeta descr
ispose che quei versì dell’ Iliade, ne’ quali il poeta descrive Giove
che
col muovere delle sopraceiglia fa tremare l’olimp
e il dispiacere di vedervi i versi di Corinna preferiti a’suoi. Si sa
che
Tucidide, fanciullo, vi udì Erodoto recitare la s
Giove Olimpico, nella Grecia, soggiungiamo quello di Giove Capitolino
che
a Roma n’emulò la magnificenza. Giove Capitolino,
o, e di oro eziandio la barba ; donde la ridevole follia di Caligola,
che
per imitare Giove portava il fulmine e la barba d
dugento piedi. Vi si saliva dal foro romano per ben cento scaglioni,
che
ne rendevano più maestoso il prospetto. Le porte
i doni senza numero. Fra le più rare opere di scoltura vi era il cane
che
lambisce la propria ferita, l’Ercole Capitolino,
il quale fece venir dalla Grecia quelle colonne di pietra pentelica,
che
tuttavia si ammirano nella chiesa di Aracoeli. Ed
ramo ornato di nastri(2). E giunsero questi giuochi a tanta rinomanza
che
i Romani, non più per lustri, ma per giuochi Capi
ronarsi solennemente i poeti ed i retori dagli stessi Imperatori ; il
che
forse ha dato luogo alla coronazione de’poeti lau
dava il fulmine ; e non di rado vedesi in atto di fulminare i giganti
che
tiene sotto i piedi. Il Giove Pluvio si figurava
no vi è Giove barbato, con corona di quercia ed adagiato sulle nuvole
che
addensa col suo cenno ; ha vicino l’arco baleno e
; all’ ampiezza della fronte rilevata e quasi gonfia ; ed alla chioma
che
, come quella del leone, gli scende giù dal capo.
quella del leone, gli scende giù dal capo. Il Winckelmann è di parere
che
il capo di Giove abbia sempre gli stessi caratter
nn è di parere che il capo di Giove abbia sempre gli stessi caratteri
che
dagli altri Dei il distinguano, cioè uno sguardo
Dei il distinguano, cioè uno sguardo costantemente sereno, co’capelli
che
dalla fronte gli si sollevano, e poscia ìn varie
re, col taglio dell’occhio grande, rotondamente ricurvato e men lungo
che
comunemente esser non suole, per tenerne l’arco p
re figurarsi con quel sembiante tranquillo e con quella fronte serena
che
addita la serenità del cielo. Si vede pure Giove
nità del cielo. Si vede pure Giove detto Serapide col modio sul capo,
che
Millin crede essere un avanzo del fusto della col
ola del gabinetto del Re di Francia, l’Olimpo è indicato da un Giove,
che
siede sul trono colla folgore nella sinistra ed u
scontorcono, e con le loro maestose facce minacciano il supremo Nume,
che
vibra contro di loro ì fulmini ». In una statua d
nuta in un tempio di Pompei, quel Nume si vede con corona di quercia,
che
gli circonda le chiome cadenti. Giove Dodoneo ave
o di quercia, albero a lui sacro. Giove Ammone dipingesi colle corna,
che
forse dinotano la forza de’raggi del sole, i qual
apo coronato di fiori, e con una coppa d’oro in una mano, come quella
che
versava il nettare agli Dei ; e pasceva di ambros
eus, da Ditte, monte di Creta, ch’ebbe un tal nome dalla ninfa Ditte,
che
vi si adorava. In un antro di quel monte fu nudri
è a lui si portarano o dedicavano le spoglie opime, cioè quel bottino
che
il generale di un esercito riportava sul re o cap
lmine gaudens ; εριβρεμετης, magnitonans ; υβρεμετης, altitonans, ec.
che
tornano ad un medesimo significato. Iupiter Hosp
qual vindice dell’ospitalità quasi da tutt’i popoli, perchè credevasi
che
i forestieri ed i mendici vengon da Giove(1), e c
perchè credevasi che i forestieri ed i mendici vengon da Giove(1), e
che
sono da lui particolarmente protetti. Iupiter Id
la culla e la tomba di quel nume. Iupiter Lapis, detto dalla pietra
che
inghiottì Saturno invece del figliuolo. Presso i
il famoso suo tempio ; o dal monte Olimpo, in Tessaglia ; o dal cielo
che
diceasi Olimpo. Nei conviti il primo bicchiere si
rare. Nel luogo ove gli Elei tenean senato, era un simulacro di Giove
che
nelle mani avea i fulmini, pronto a punire gli sp
uvius, Giove datore della pioggia, detto da’ Greci ομβριος ed Υετιος,
che
avea un altare sul monte Imetto nell’ Attica(1).
1). Iupiter Stator, Giove Statore, così detto, perchè fermò i Romani
che
fuggivano vergognosamente davanti a’ Sabini, a si
hio (aesculus), piante ghiandifere, e perciò riputate sacre(3). Si sa
che
Giove richiamò gli antichissimi uomini dal ferino
carne umana a quello più mite delle ghiande, di cui si cibavano prima
che
s’introducesse l’uso del frumento. La voce iuglan
è quasi Iovis glans, perchè quest’albero dà frutti di miglior sapore
che
la ghianda. A Giove si sacrificava il giovenco, e
, ed era cattivo augurio sacrificargli un toro ; sebbene altri dicono
che
se gli poteva sacrificare(4). Tra i pianeti vi è
benigna e prospera al genere umano, a differenza del pianeta di Marte
che
l’ha terribile e sanguigna(5). Omero(6) fa menzio
iama l’arbitro della guerra fra gli uomini ; e lo Scoliaste riferisce
che
la terra aggravata dalla soverchia moltitudine de
oltitudine de’malvagi pregò Giove a sollevarla di sì molesto peso ; e
che
per ciò quel Nume mandò prima la guerra di Tebe,
prima la guerra di Tebe, e poi quella di Troia. Percui le guerre più
che
i fulmini e le inondazioni, vengono da Giove per
agana Teologia(2) Giove è l’anima del mondo ; e però i poeti dicevano
che
tutto era pieno di Giove, e che tutto dee cominci
a del mondo ; e però i poeti dicevano che tutto era pieno di Giove, e
che
tutto dee cominciare da Giove. Omero(3) di passag
iove, e che tutto dee cominciare da Giove. Omero(3) di passaggio dice
che
le timide colombe recano l’ambrosia a Giove.
unone I. Nomi di questa Dea e lor ragione. Cicerone(4) crede
che
il nome Iuno venga a iuvando, come quello di Giov
che il nome Iuno venga a iuvando, come quello di Giove ; e riferisce
che
, secondo gli Stoici, Giunone era l’aere posto in
coll’etere, ch’era Giove. E siccome Giove presso gli antichi non era
che
il sole(5) : così per Giunone intendevasi la luna
(5) : così per Giunone intendevasi la luna. Dai Greci chiamavasi Ηρα,
che
Platone nel Cratilo fa derivare dal verbo εραω, a
one ci è amabile, vivendo noi col respirarla. Laonde alcuni affermano
che
Ηρα sia detta quasi αηρ, per metatesi, o trasposi
turno e di Cibele. Samo era il suo soggiorno gradito, perchè si vuole
che
quivi abbia avuto il suo natale, vicino al fiume
a ed Ascrea, fig. del fiume Asterione ; o da Temeno, fig. di Pelasgo,
che
abitava nella città di Stinfalo. Omero(2) però fa
che abitava nella città di Stinfalo. Omero(2) però fa dire a Giunone
che
quando Saturno fu cacciato da Giove nel tartaro,
Giunone, è alimentata e restaurata dall’acqua. Alcuni però affermano
che
l’educazione di Giunone fu affidata alle Ore. La
alle Ore. La Dea adunque ebbe in Samo un culto singolare ; e si vuole
che
il pavone, uccello caro a Giunone, nato a Samo, d
a Giunone, nato a Samo, di là si fosse propagato in altri luoghi ; e
che
perciò fosse consacrato alla Dea di Samo(3) ; ed
trasformazione di lui in pavone. Mosco, e dopo lui Ovidio, favoleggiò
che
Giunone, ucciso Argo da Mercurio, ne pose sulla c
Mercurio, ne pose sulla coda del pavone i soli occhi ; ma Nonno dice
che
quel pastore fu cangiato in pavone(4). Oltre a Sa
avea un gran simulacro ; e niuna cosa era più rispettata nella Grecia
che
i Sacerdoti di Giunone in Argo. Secondo Virgilio(
epose la superba Cartagine, ov’erano le sue armi ed il cocchio, tanto
che
meditava farla donna e signora di tutte le altre
nora di tutte le altre città. I Cartaginesi la veneravano con un nome
che
in greco significava Urania o Celeste. A Samo Giu
cava Urania o Celeste. A Samo Giunone sposò Giove ; e Varrone attesta
che
vi era un suo antico tempio ed una statua che la
ove ; e Varrone attesta che vi era un suo antico tempio ed una statua
che
la rappresentava in abito di novella sposa. Quest
fiume, presso al quale abitava, e la trasformò in testuggine, animale
che
ancora porta la casa sul dosso, ed in pena de’ su
d in pena de’ suoi scherni condannolla ad un perpetuo silenzio. Si sa
che
chelone (Χελωνη) in greco vuol dire testuggine.
poeti la dipingono oltremodo superba e pertinace nel suo sdegno ; di
che
nelle favole sono non pochi esempi. L’Emo ed il R
un fratello ed una sorella di tal nome, i quali sì forte si amavano,
che
, per un tal vezzo di stolta superbia, chiamavansi
none. Per la qual follia questa Dea li cangiò in due monti altissimi,
che
serbano ancora que’nomi(2). Fu pure bersaglio all
iava Come stormo di augei, forte gridando E schiamazzando, col romor
che
mena Lo squadron delle grù, quando del verno Fugg
ngori, e guerra e morte Porta al popol Pigmeo. Monti. Gameron crede
che
Pigmeo (a πυγμη, pugnus), significhi uomo di brac
ede che Pigmeo (a πυγμη, pugnus), significhi uomo di braccio forte, e
che
poscia male a proposito l’abbiano trasportato a d
biano trasportato a denotare un uomo di bassa statura. Iaquelot vuole
che
la favola de’Pigmei sia nata dal costume degli Et
glia, o Pigmei, ne’loro campi, per ispaventare le grù ed impedir loro
che
portassero via il grano seminato. Ma secondo Mad.
do Mad. Dacier, i Pigmei erano popoli di Etiopia di sì bassa statura,
che
i Greci li chiamarono Pigmei, cioè dell’altezza d
gliarsi a Giunone, la quale trasformò la donzella in cicogna, uccello
che
col suo canto pare che applaudisca a se stessa e
uale trasformò la donzella in cicogna, uccello che col suo canto pare
che
applaudisca a se stessa e mostri la sua favolosa
pplaudisca a se stessa e mostri la sua favolosa origine. Altri dicono
che
Giunone le cangiò i capelli in serpenti, e che pe
origine. Altri dicono che Giunone le cangiò i capelli in serpenti, e
che
per compassione degli Dei fu trasformata in cicog
liabile nemica e tentò ogni mezzo per vederne l’estrema rovina, tanto
che
non finì mai di perseguitare il pio Enea, miserab
e fra le due eterne rivali Roma e Cartagine un odio tanto implacabile
che
la loro ostinata lotta non finì che colla totale
rtagine un odio tanto implacabile che la loro ostinata lotta non finì
che
colla totale distruzione di quest’ultima. E poich
iade e dell’Eneide ; ci conviene dal principio raccontare l’oltraggio
che
toccò sì al vivo l’animo altero della Dea, e che
ccontare l’oltraggio che toccò sì al vivo l’animo altero della Dea, e
che
fu la fatale cagione di tanti famosi avvenimenti.
ento a Nettuno e ad Apollo d’immolar in loro onore tutto il bestiame,
che
in quell’anno sarebbe nato nel suo regno, se gli
gna di Troia, ed Apollo mandò micidiale pestilenza. Omero(1) racconta
che
Giove sdegnato con Nettuno ed Apollo che avea seg
estilenza. Omero(1) racconta che Giove sdegnato con Nettuno ed Apollo
che
avea seguito le parti di Giunone contra di lui, l
vir Laomedonte nel fabbricar le mura di Troia ; e Pindaro(2) aggiunge
che
sapendo que’ Numi esser nei libri del Fato che Tr
e Pindaro(2) aggiunge che sapendo que’ Numi esser nei libri del Fato
che
Troia dovea un giorno esser distrutta dalle fiamm
i del Fato che Troia dovea un giorno esser distrutta dalle fiamme ; e
che
le mura fabbricate da mano divina sarebbero state
a. Ora spaventato Laomedonte, consulta l’oracolo, e gli vien risposto
che
se volea veder finita la peste, ogni anno dovea e
a la regale donzella fu liberata da Ercole, e Telamone, fig. di Eaco,
che
ritornavano dalla spedizione contro le Amazzoni.
igliuola, alcuni cavalli ch’eran figli a’ cavalli del Sole, sì veloci
che
correvano sul mare, e sulle ariste, e che Giove d
cavalli del Sole, sì veloci che correvano sul mare, e sulle ariste, e
che
Giove donati avea a Laomedonte pel rapito Ganimed
tichi ebbero tanto in orrore siffatta doppia perfidia del re Troiano,
che
l’imputarono a tutto il suo popolo e da quelle ri
a quelle ripetevano le sciagure de’ Troiani e de’ loro posteri, tanto
che
Virgilio(1) afferma che lo spergiuro di Laomedont
ciagure de’ Troiani e de’ loro posteri, tanto che Virgilio(1) afferma
che
lo spergiuro di Laomedonte era la cagione delle c
o assedia Troia, uccide Laomedonte e dà Esione per isposa a Telamone,
che
primo era entrato nella città. Ad Esione fu data
Or Ecuba, essendo gravida di Paride, sognò di partorire una fiaccola,
che
tutta quanta incendiava Troia. Siffatto sogno get
rande costernazione ; si corre all’oracolo di Apollo, e vien risposto
che
sarebbe nato un fanciullo in quel parto, che dove
Apollo, e vien risposto che sarebbe nato un fanciullo in quel parto,
che
dovea essere un giorno l’infelice cagione della r
felice cagione della rovina di Troia. Priamo pieno di affanno comanda
che
appena nato il fatale fanciullo fosse fatto morir
llissimo, il diede secretamente ad allevare ad alcuni pastori del Re,
che
abitavano sul monte Ida. Igino vuole che i minist
re ad alcuni pastori del Re, che abitavano sul monte Ida. Igino vuole
che
i ministri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l
inistri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l’esposero in un bosco e
che
avendolo ritrovato alcuni pastori, l’educarono co
o per isposa una Dea. Catullo ha scritto su tali nozze un epitalamio,
che
sarà in onore fino a che i dotti avranno cara la
ullo ha scritto su tali nozze un epitalamio, che sarà in onore fino a
che
i dotti avranno cara la lingua del Lazio. Peleo a
tà della Tessaglia. Temi intanto, o le Parche avean presagito a Giove
che
dal matrimonio che fermato avea con Teti, sarebbe
Temi intanto, o le Parche avean presagito a Giove che dal matrimonio
che
fermato avea con Teti, sarebbe nato un figliuolo
un figliuolo maggiore del padre. Perciò si tenne di sposarla, temendo
che
un tal figliuolo l’avesse a spogliare del regno,
se a spogliare del regno, com’egli fatto avea a Saturno. Fece adunque
che
Peleo, suo nipote, sposasse quella Dea ; alle qua
a Dea ; alle quali nozze furon invitati gli Dei e le Dee tutte, salvo
che
la Discordia o Eride, Dea che non istava mica ben
invitati gli Dei e le Dee tutte, salvo che la Discordia o Eride, Dea
che
non istava mica bene a sì lieto banchetto. Di che
cordia o Eride, Dea che non istava mica bene a sì lieto banchetto. Di
che
oltre modo sdegnata gettò sulla tavola un bel pom
aria bellezza. Or Menelao andò per suoi affari a Creta ; ed allora fu
che
Paride, mancando alle sante leggi dell’ospitalità
ra donna non già, ma un essere immaginario inventato per significare,
che
la bellezza appresso è cagione d’innumerevoli mal
vinto dal desiderio di rivedere Ulisse, si rivolge sdegnoso ad Elena
che
a tutta la Grecia fu sì funesta e per la quale si
Ovidio(2) Penelope lagnandosi della lunga assenza di Ulisse, desidera
che
dalle insane onde del mare fosse stata coperta qu
sidera che dalle insane onde del mare fosse stata coperta quella nave
che
portò a Sparta il fatale figliuolo di Priamo, cag
n lor cuore di non ritornare, se non se distrutta Troia(3). Allora fu
che
Nereo, vedendo la nave del perfido Pastore Ideo,
! gli disse, con infausto augurio una tal donna tu meni a casa, donna
che
tutta in armi ripeterà la Grecia congiurata a dis
ida, il cocchio e gli sdegni guerrieri(1). Ed il vaticinio fu vero sì
che
l’ostinata vendetta di Giunone rimase pienamente
n cenere la sacra città di Troia, tomba fatale di Asia e di Europa, e
che
distrusse il fior degli Eroi e tanta virtù guerri
Romolo, nel celestial consiglio, in grazia di Marte, Giunone consentì
che
questo suo nipote fosse annoverato fra gli Dei, c
se annoverato fra gli Dei, contenta di aver veduta Troia distrutta, e
che
Roma distendesse il suo impero per tutta la terra
e di Paride insultassero gli armenti. Virgilio(4) al contrario finge
che
Giunone, sapendo essere ne’ fatali libri fermato
contrario finge che Giunone, sapendo essere ne’ fatali libri fermato
che
il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede al
il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede al destino e consente
che
i Troiani sieno potenti in Italia e che Roma sia
i, cede al destino e consente che i Troiani sieno potenti in Italia e
che
Roma sia grande, purchè neppure il nome abbia ad
po ne fremean di rabbia i Numi, Ma sciorti non potean. Monti. Dicono
che
Vulcano, volendosi vendicar di Giunone, le regalò
appresentava Vulcano in atto di sciogliere Giunone. Il ch. Heyne dice
che
per Giunone s’intende l’atmosfera, o sia l’aere i
’intende l’atmosfera, o sia l’aere inferiore, come per Giove, l’etere
che
all’aria soprasta. Or per significare che la terr
re, come per Giove, l’etere che all’aria soprasta. Or per significare
che
la terra ed il mare, i quali occupano un luogo in
ungere ad atti di sommissione poco degni della sua grandezza, di modo
che
il titolo di regina del cielo, ed il trono di oro
ndezza, di modo che il titolo di regina del cielo, ed il trono di oro
che
le dà Callimaco, lo scettro ed il diadema non bas
nuamente agitato. Nel primo dell’Eneide(1) la povera Dea considera sì
che
biondeggiano le biade nel suolo, ove un dì era Tr
novella e più potente ; prevede la grandezza della posterità di lui,
che
un dì signoreggiar dovea tutt’i popoli e distrugg
ene tanto a lui superiore, non isdegna in atto supplichevole pregarlo
che
scatenasse i venti per disperdere la nemica flott
dere da una fredda nube il trionfo di Enea, e permettere suo malgrado
che
fosse posto nel numero degli Dei e che i suoi pos
nea, e permettere suo malgrado che fosse posto nel numero degli Dei e
che
i suoi posteri regnassero su tutta la terra. V
tessa si vanta della nobiltà divina de’ suoi natali ; e ben conveniva
che
Giove avesse una consorte degna della sua grandez
lla Repubblica erano in grandissima venerazione. E ben Giove predisse
che
, mutato consiglio, Giunone dovea un dì prender Ro
, mutato consiglio, Giunone dovea un dì prender Roma a proteggere ; e
che
quivi a lei più che ad ogni altro nume si sarebbe
Giunone dovea un dì prender Roma a proteggere ; e che quivi a lei più
che
ad ogni altro nume si sarebbero resi grandissimi
re di Giove, se ha l’impero de’ venti e siede alla mensa de’ Numi. Il
che
può spiegarsi dicendo che per beneficio di Giunon
o de’ venti e siede alla mensa de’ Numi. Il che può spiegarsi dicendo
che
per beneficio di Giunone, cioè dell’aria, Eolo si
dell’aria, Eolo signoreggiava i venti, perchè l’aria agitata è quella
che
li produce. Di quest’Eolo fu fig. Etlio, il quale
Inferno. Abbiamo pure un argomento della grandezza di Giunone in quel
che
dicono i poeti d’Iride. È vero che in Omero(4) Eb
della grandezza di Giunone in quel che dicono i poeti d’Iride. È vero
che
in Omero(4) Ebe pone le ruote al cocchio di Giuno
piede di rose segnava velocemente quel sentiere arcuato di più colori
che
in tempo di pioggia si vede nell’aria di riucontr
er reciderle il crine fatale e così accelerarle la morte(4). Vogliono
che
Iride fosse fig. del Ponto e della Terra, perchè
no colle sue estremità o corna attigne le acque dal mare. Esiodo dice
che
nacque da Taumante, che in greco significa ammira
corna attigne le acque dal mare. Esiodo dice che nacque da Taumante,
che
in greco significa ammirabile, perchè non vi è co
gocce di acqua di una nube posta di rincontro al sole ; e da Elettra,
che
significa splendore del sole. Come Giunone è la D
le dispensava a’ mortali le ricchezze ed ogni altro bene temporale, e
che
dal Guidi chiamasi superba al par di Giuno. Era e
pecialmente le ricchezze. Virgilio(5) la chiama onnipotente, aggiunto
che
dà pure a Giunone. Da’ Latini dicevasi Fors, e τυ
hè da Giove è mandato ad arricchire alcuni, pe’ quali giunge sì tardi
che
spesso li trova invecchiati ; alato al contrario
ortuna, negli scavi di Pompei si è ritrovata una statuetta di argento
che
rappresenta la Fortuna vestita di tunica talare,
rmezza di lei, o per esprimere la forza e la potenza della necessità,
che
spesso accompagna la Fortuna. A Roma la Fortuna a
di Cesare era : Virtute duce, comite Fortuna ; ed i Romani dicevano
che
la Fortuna avea stabilita l’eterna sua dimora in
cia Alessandro il grande ed i suoi successori. Giova infine avvertire
che
il Fato dicevasi in riguardo agli Dei ; la Fortun
riguardo agli Dei ; la Fortuna, per riguardo degli uomini. Tutto ciò
che
accade, dicevano gli antichi, è da’ Numi con immu
li Dei ed ignoranti del futuro, nel vedere la serie degli avvenimenti
che
accadono contra ogni aspettativa, hanno inventata
Fortuna. Giunone presedeva pure a’ matrimonii ed a tutte le cerimonie
che
li riguardavano ; ed anticamente i mariti chiamav
ungeva la porta della casa di suo marito prima di entrarvi, in segno
che
dovea recarvi l’abbondanza. Avea particolar cura
IX. Iconologia di Giunone. Da Pindaro(1) si chiama Giunone la Dea
che
siede sull’aureo trono. Il pavone è sì proprio di
one la Dea che siede sull’aureo trono. Il pavone è sì proprio di lei,
che
nel cerchio marmoreo de’ dodici Dei co’ segni zod
o un ornamento del capo a guisa di corona, detto volgarmente diadema,
che
usavasi dalle donne greche ; il quale come le fio
unone del Museo Pio-Clementino, una delle più perfette statue vestite
che
l’antichità ci abbia dato, in cui si ammira la gr
lcune Vittorie di oro ch’erano nel tempio di Giunone a Malta. Si noti
che
lo sfendone non era di metallo, ma tessuto o lavo
imperiosa, i cui tratti sono sì particolarmente proprii a questa Dea,
che
ad un semplice profilo rimasto di una testa mulie
si può sicuramente esser quella una Giunone. » Massimo Tirio(1) dice
che
Policleto fece in Argo una statua di Giunone, col
ne Samia in piedi col velo e col modio. Velata era pure la sua statua
che
nel Campidoglio si venerava, come da’ medaglioni
ine. Giunone Lucina in un’antica moneta dipingesi in forma di matrona
che
sta ritta in piedi, avendo una tazza nella destra
era di Policleto. Iuno aspera, atrox, iniqua, saeva, torva ; epiteti
che
spesso si danno a Giunone, specialmente nell’Enei
oso e vendicativo, e quindi crudele ed ingiusto. Βοωπις, occhigrande,
che
ha gli occhi di bue. Appresso i Greci gli occhi g
Iuno praeses nuptiarum (a τελος, matrimonium) ; Domiduca, come quella
che
accompagnava la novella sposa alla casa del marit
, antic. Lacinium, detto da Lacinio, masnadiere ivi ucciso da Ercole,
che
poscia vi fabbricò un superbissimo tempio a Giuno
cina vi è non poca confusione negli antichi scrittori. Solo può dirsi
che
le donne greche nel parto invocavano Diana Ilitia
vocavano Diana Ilitia ; e le romane, Giunone Lucina. Cicerone(6) dice
che
come appresso i Greci nel parto s’invocava Diana
Ilitia, e la chiama figliuola della potente Giunone ; ed Esiodo dice
che
questa Dea partorì Ebe, Marte ed Ilitia o Lucina.
loro tenuto in somma venerazione. E per uso di esso dipinse un’Elena,
che
rappresentar dovea il più perfetto tipo della bel
più perfetto tipo della bellezza ; percui copiò da più sembianti quel
che
ciascuno avea di più leggiadro e perfetto. Termin
perfetto. Terminata l’opera, e conoscendone l’eccellenza, non aspettò
che
gli uomini ne giudicassero, ma tosto vi appose qu
ei occhi : pigliali e parratti una Dea (2). Malamente Plinio(3) dice
che
ciò avvenne a Girgenti. Giunone avea al suo serv
Giunone avea al suo servigio quattordici bellissime Ninfe(1) ; ma più
che
di ogni altra, ella servivasi dell’opera d’Iride,
to difatti è l’aquila della notte, e il re di quella tribù di uccelli
che
temono la luce del giorno e volano soltanto quand
ie si chiamavano alcune feste Romane in onore di questa Dea. Si vuole
che
Giano avesse introdotto in Italia il culto di lei
i lei le tessevano delle corone, e coprivano i suoi altari di un’erba
che
nasceva nel fiume Asterione, sulle cui rive era i
orona di ulivo. Quelle donne ricamavano un velo o stoffa detta peplo,
che
consacravano a Giunone. Nel tempio della Dea ad O
descritto il fatto de’ due fratelli Cleobi e Bitone, i quali, vedendo
che
la madre Cidippe andava al tempio su di un carro
madre a casa nella stessa guisa dopo il sacrificio, ella pregò la Dea
che
in premio di ciò concedesse a’ figliuoli il maggi
ò la Dea che in premio di ciò concedesse a’ figliuoli il maggior bene
che
può toccare all’uomo. Si addormentarono essi plac
ssi placidamente di un sonno, da cui mai più non si svegliarono ; con
che
significò la Dea, niuna cosa esser maggior bene a
no ; con che significò la Dea, niuna cosa esser maggior bene all’uomo
che
il morire(1). Minerva o Pallade I. Diver
principali, Minerva, e Pallade. Il primo davasi propriamente alla Dea
che
presiede alle scienze, detta da’ Greci Αθηνα, sul
e sembra di minacciare (quia minatur. Cic.). Cornificio pure afferma
che
dicesi Minerva, perchè dipingesi minaccevole nell
la memoria derivano il nome di Minerva, quasi Meminerva ; ed ognun sa
che
gli antichi aveano Minerva per la memoria, o per
esta Dea poi chiamavasi Pallade (Pallas), da un verbo greco (παλλειν)
che
significa vibrare l’asta, perchè quantunque Miner
o Eusebio si dice figliuola di Giove e di Temi. Stesicoro fu il primo
che
finse, Minerva esser nata dal cervello di Giove ;
di Giove ; e Luciano in un suo dialogo lepidamente introduce Vulcano
che
con una scure ben affilata sta innanzi a Giove e
una scure ben affilata sta innanzi a Giove e da lui riceve il comando
che
con quella gli aprisse il capo ; e che Vulcano, d
ove e da lui riceve il comando che con quella gli aprisse il capo ; e
che
Vulcano, dopo lungo ricusare, s’induce finalmente
po, pel quale dal divin capo uscì una Vergine armata da capo a piedi,
che
scuoteva lo scudo ed agitava l’asta ; di età matu
à matura e bellissima, benchè di occhi azzurri. Anche Esiodo racconta
che
Giove, quando niun’altra cosa avea prodotto, part
o, partorì dal suo cervello Minerva, uguale al padre sì nella potenza
che
nel consiglio, ed indomabile signora degli eserci
ella potenza che nel consiglio, ed indomabile signora degli eserciti,
che
chiamavasi Tritone o Tritogenia. Quindi negl’inni
o(2) volendo lodare l’isola di Rodi, cara a Minerva per le belle arti
che
vi fiorivano e per la doviziosa felicità di cui g
fiorivano e per la doviziosa felicità di cui godeva, finge nobilmente
che
quando dal cervello di Giove, per un colpo di man
scoltura, vedendosi nelle loro strade statue di uomini e di animali,
che
sembravano aver moto e vita. Pallade(1) uscita ap
allade(1) uscita appena del cervello di Giove, si mostrò nella Libia,
che
credevasi la più antica terra del mondo e più vic
donzelle il celebravano con diverse specie di giuochi. Ma Omero dice
che
in Alalcomenio, città di Beozia, nacque Minerva ;
Ma Omero dice che in Alalcomenio, città di Beozia, nacque Minerva ; e
che
un Beozio chiamato Alalcomeno allevò quella Dea e
a statua di avorio, la quale fu da Silla recata a Roma. Eusebio vuole
che
vi era una donzella nelle vicinanze del lago Trit
finse ch’ella era nata dal cervello di Giove. L’opinione più comune è
che
Minerva sia stata fig. di Cecrope, primo re di At
comune è che Minerva sia stata fig. di Cecrope, primo re di Atene, e
che
si crede il Giove degli Ateniesi ; e perchè ella
forse ancor nelle armi, dopo la sua morte fu tenuta come una Divinità
che
alle belle lettere ed alle armi soprantende, e ch
scita del capo di suo padre. Ma più veramente volevano dirci i poeti,
che
le scienze e le arti, alle quali Minerva presiede
remai si avvaleva. Quindi nel tempio di Giove Olimpico era una statua
che
lo rappresentava sopra il suo trono con Minerva a
nerva(3) adoravasi a Roma nel tempio Capitolino alla destra di Giove,
che
avea Giunone alla sua sinistra. Essa, dice il cit
era l’intelletto stesso e la provvidenza di Giove(5) ; ed Esiodo dice
che
quella Dea ha una potenza ed una intelligenza sim
ntelligenza simile a quella del Padre de’ Numi(6). Quindi si disse(7)
che
Minerva era la forza stessa di Giove ; che tutto
umi(6). Quindi si disse(7) che Minerva era la forza stessa di Giove ;
che
tutto era comune a lei con quel Nume di modo che
za stessa di Giove ; che tutto era comune a lei con quel Nume di modo
che
quanto essa disponeva, tutto era dal suo cenno di
erò Omero ne’ suoi poemi rappresenta Achille, Ulisse e tutti gli eroi
che
per valore e per senno sopra gli altri si alzaron
fortuna, fedelissima scorta. E con ciò i poeti volevano significarci
che
la divina sapienza i grandi nomini, ne’ fortunosi
ella sua potenza davasi a Minerva anche il fulmine, ma di minor forza
che
quello di Giove ; e però quando volle vendicarsi
dopo molti pericoli si salvò sullo scoglio Cafarea, ove avendo detto
che
anche a dispetto de’ Numi ne sarebbe uscito liber
lio di Aiace. Altro argomento della potenza di questa Dea è il sapere
che
quando Prometeo di fango formò il corpo dell’uomo
se, nelle quali più chiaro si scorge vigore d’intelletto ed un non so
che
di divino, eran soliti gli antichi di attribuirle
e di divino, eran soliti gli antichi di attribuirle a Minerva. E pare
che
per ciò abbian detto i poeti che non debbasi impr
chi di attribuirle a Minerva. E pare che per ciò abbian detto i poeti
che
non debbasi imprendere opera alcuna se non siamo
o. IV. Minerva, Dea delle scienze e delle arti. Atene. Essendo
che
Minerva nacque dal cervello di Giove ; e l’ingegn
cienze e nelle arti, risiede nel capo ; avvedutamente dissero i poeti
che
Minerva era la Dea delle scienze e delle arti ; c
e dissero i poeti che Minerva era la Dea delle scienze e delle arti ;
che
a lei si doveano le utili scoperte ; e che le let
lle scienze e delle arti ; che a lei si doveano le utili scoperte ; e
che
le lettere ed i letterati erano sotto la guardia
letterati erano sotto la guardia e tutela di lei. Da ciò pure avvenne
che
questa Dea fu qual signora e protettrice venerata
Ateniesi. Celebre ne’ poeti è la gara fra Nettuno e Minerva pel nome
che
dar si dovea alla novella città di Atene, percui
le piacque averla nella sua special tutela. Varrone(1) però racconta
che
, regnando Cecrope, nacque da se un ulivo nella ci
ed Apollo rispose, l’ulivo significare Minerva, e l’acqua, Nettuno ;
che
quegli Dei contendevano a chi dovesse dare il nom
; che quegli Dei contendevano a chi dovesse dare il nome alla città e
che
spettava al popolo il giudicare qual de’ due Numi
Nettuno adirato coprì di acqua il paese dell’Attica. Virgilio dice(1)
che
nella contesa fra Minerva e Nettuno, questi con u
striero. Plinio dice : In Atene dura ancora un ulivo, il quale vuolsi
che
sia quello che fu fatto nascere da Minerva, quand
dice : In Atene dura ancora un ulivo, il quale vuolsi che sia quello
che
fu fatto nascere da Minerva, quando ella venne a
l’agricoltura. Da ciò venne grande ribellamento di quel popolo fiero,
che
Cecrope s’ingegnò di acchetare col trarre dalla s
ama delle sue opere maravigliose andava sì grande per quelle contrade
che
spesso le ninfe del Tmolo, e quelle dell’aureo Pa
maletto tesse una tela finissima di sì bello e maraviglioso artifizio
che
ha dato occasione a’poeti di foggiare quell’Aracn
o che ha dato occasione a’poeti di foggiare quell’Aracne industriosa,
che
da Minerva fu trasformata in ragno e che pur non
re quell’Aracne industriosa, che da Minerva fu trasformata in ragno e
che
pur non lascia di esercitare l’arte sua predilett
uale per caso avea commesso quel fallo, per mitigarne il dolore, fece
che
il figliuolo, privo degli occhi del corpo, fosse
a di sette o di otto secoli ; e al dir d’Omero(2) gli fu pur concesso
che
nell’inferno egli solo avesse senno ed accorgimen
r concesso che nell’inferno egli solo avesse senno ed accorgimento, e
che
tutti gli altri vagassero a modo di ombre. Alla D
della nostra Dea, troncò il capo della foro sorella Medusa. Allora fu
che
Minerva, dice il Poeta, ai labbri recossi La dol
col canto Delle Gorgoni audaci il tristo pianto. Igino però racconta
che
Minerva la prima fece il flauto di un osso di cer
quale andata a specchiarsi in una limpida fontana del monte Ida, vide
che
non era senza ragione derisa ; percui sdegnosa ge
ettò via il flauto, e pregò male a chiunque osato avesse suonarlo. Il
che
avendo fatto il satiro Marsia, nella gara con Apo
alute. Minerva presedeva alle opere fabbrili. Argo, la prima nave
che
portò Giasone alla conquista del vello d’oro, fu
rezione della Dea della sapienza ; perchè la divina sapienza è quella
che
le umane menti dirige nelle memorande ed utili sc
ella spedizione degli Argonauti vi erano già navi al mondo, sapendosi
che
molte colonie del continente eran passate ad abit
te colonie del continente eran passate ad abitare rimote isole(1) ; e
che
Minos II, re di Creta, che visse 120 anni prima d
ran passate ad abitare rimote isole(1) ; e che Minos II, re di Creta,
che
visse 120 anni prima degli Argonauti, con una flo
corsari, e s’impadronì delle Cicladi. Ciò non ostante i poeti dicono
che
la prima nave che solcato avesse il mare, fu la n
dronì delle Cicladi. Ciò non ostante i poeti dicono che la prima nave
che
solcato avesse il mare, fu la nave Argo, chiamata
one, al ritorno della sua spedizione, consacrò questa nave a Minerva,
che
la collocò fra le stelle. Il cavallo che riuscì s
sacrò questa nave a Minerva, che la collocò fra le stelle. Il cavallo
che
riuscì sì fatale a Troia, fu eziandio per opera e
ni a partire questo dono consacrano. Ma lo Scoliaste di Omero afferma
che
il cavallo Troiano fu un trovato di Ulisse, il qu
e in ogni sua azione era dalla Prudenza, cioè da Minerva, diretto ; e
che
però ebbe dal poeta l’epiteto di sterminatore di
he però ebbe dal poeta l’epiteto di sterminatore di città. Si osservi
che
un artefice, il quale lavora di legno, da Esiodo
lli offerivano le primizie de’ loro studii ad una immagine di Minerva
che
ponevano ne’ ginnasii. Anche la medicina era sott
lzare in Atene una statua a Minerva Salutare. L’arte della guerra più
che
ogni altra apparteneva a questa Dea. Esiodo fa us
ce della loro città di accordo con Nettuno. VII. Minerva la stessa
che
l’Iside degli Egiziani. Areopago di Atene. Il
ce nel suo libro su i Misteri del Paganesimo, si studia di dimostrare
che
i Greci foggiarono la loro Minerva sul tipo dell’
l tipo dell’Iside di Egitto. Di fatto Platone ed Erodoto(1) affermano
che
Minerva era l’Iside venerata a Sais, città di Egi
ui venne l’agricoltura. A Sais Iside era rappresentata come una donna
che
ordisce ; e Diodoro afferma ch’ella proteggeva le
onna che ordisce ; e Diodoro afferma ch’ella proteggeva le arti ; nel
che
si vede Minerva, inventrice e protettrice di esse
sse. In Ermopoli Iside si credeva la prima delle Muse, e Platone dice
che
i più antichi canti si attribuivano a quella Dea
e dice che i più antichi canti si attribuivano a quella Dea ; e si sa
che
il sistro era sua invenzione. Così Minerva invent
e. Così Minerva inventò il flauto ; e Pindaro chiama la Musica l’arte
che
inventò Pallade. E Plinio a Minerva attribuisce l
ad Iside, e nelle sue feste si portava una nave ; ed i Greci dissero
che
Minerva avea insegnata la maniera di costruire le
ire le navi. Minerva presedeva alla guerra ; ed Iside eziandio, tanto
che
lo scarafaggio che nella scrittura geroglifica si
a presedeva alla guerra ; ed Iside eziandio, tanto che lo scarafaggio
che
nella scrittura geroglifica significa un soldato,
ui luogo di favellare della incorruttibile severità di quel tribunale
che
presso gli antichi ebbe tanta rinomanza di saviez
saviezza e di giustizia. Socrate(2) affermava di non conoscere uomini
che
giudicassero con maggior costanza, onestà e giust
cere uomini che giudicassero con maggior costanza, onestà e giustizia
che
gli Areopagiti. Quindi un giudice severo e grave
ua madre, fu dalle infernali furie assalito. Per liberarsi da’ mostri
che
notte e giorno il tormentavano, va al tempio di A
ulivo. Prostrato all’altare di lei, la prega a liberarlo dalle Furie,
che
ad onta delle espiazioni, non avean lasciato di t
un formale giudizio, assicura l’animo dell’infelice Principe dicendo
che
per suo riguardo istituito avrebbe un tribunale p
ttonio. L’asta, lo scudo e l’elmo erano tanto proprii di Pallade,
che
per questi soli, nel tempio di Giunone in Elea, i
divinità. Ma oltre a ciò portava il peplo, ch’era una veste donnesca
che
mettevasi sopra tutte le altre ed era aperta solo
croceo peplo (κροκόπεπλος). Questa veste era in gran pregio in guisa
che
quando una donna a qualche Dea far voleva un’offe
a un’offerta, niuna cosa più accetta e pregevole credeva poterle dare
che
un bel peplo. Callimaco(2) descrive Pallade e la
ortavasi per le strade al tempio della Dea una nave fornita di remi e
che
per vela avea un peplo. Se questo fosse una veste
ti(2). Queste feste Panatenee erano presso gli Ateniesi quelle stesse
che
da’ Romani appellavansi Quinquatria. Le maggiori
el teatro fanciulli e fanciulle intrecciavano la danza detta pirrica,
che
facevasi colle armi addosso e colla spada. Alcuni
rrica, che facevasi colle armi addosso e colla spada. Alcuni vogliono
che
le Panatenee furono ristabilite da Teseo per riun
e feste o giuochi annuali istituiti da Domiziano in onore di Minerva,
che
si celebravano sul monte Albano, e ne’quali gareg
i ed oratori. IX. Iconologia di Minerva. Massimo Tirio(3) dice
che
Fidia rappresentò Minerva in nulla inferiore a qu
cui Minerva dicesi inventrice. Pausania parla di una statua della Dea
che
avea un gallo sul cimiero ; ed il Montfaucon, di
monumento riferito da Gorleo vedesi la Dea vincitrice di un gigante,
che
ha steso a terra colla sua asta ; per cui cantò D
ta di scudo e di lancia, mentre esce del capo di Giove. Alcuni dicono
che
quando uscì dal cervello del Nume, avea l’elmo, l
volte era come le pelli di cui van coperti alcuni pastori, veggendosi
che
Pallade ne ha coperto non solo il petto, ma la sc
na ancora ; ed alle volte, a guisa di mantello. Dice il Winckelmann «
che
quasi tutte le figure di Minerva hanno la chioma
iena o pettinata solamente o in ricci lunghi inanellati, in modo però
che
questa chioma si spande e si slarga verso il fine
λεγμενη(3). Polluce spiega questo termine colla parola αναπεπλεγμενη,
che
vuol dire che ha i capelli messi in trecce e lega
lluce spiega questo termine colla parola αναπεπλεγμενη, che vuol dire
che
ha i capelli messi in trecce e legati. » In un an
na tibia in ciascuna mano. Sopra una medaglia di Atene vedesi Minerva
che
disputa con Nettuno sul nome da darsi alla città
ile e formidabile, perchè Dea della guerra. Il ch. Visconti(5) dice «
che
gli antichi, accuratissimi osservatori delle prop
gli antichi, accuratissimi osservatori delle proprietà, riflettevano
che
questo appunto, cioè il colore glauco, è il color
de’ più feroci e guerrieri animali, e perciò l’attribuivano a Pallade
che
uscita della testa del padre degli Dei tutta arma
he uscita della testa del padre degli Dei tutta armata, non respirava
che
battaglie e stragi ». In un niccolo antico pubbl
cato da Pietro Vivenzio, vedesi Pallade colla Vittoria in una mano, e
che
con un piede posa su di un globo, per indicare ch
ria in una mano, e che con un piede posa su di un globo, per indicare
che
la sapienza regola il mondo. Gli Ateniesi venerav
veneravano Minerva sotto il nome di Pallade vincitrice. Alcuni dicono
che
Minerva portava la spada ; ma comunemente le si a
ervello di Giove. Armipotente ed Armisona, armipotens ; gr. δαιφρων,
che
significa sapiente e bellicosa. Da Ovidio appella
e bellicosa. Da Ovidio appellasi Diva bellatrix ; e Pausania racconta
che
Oreste, essendo stato assoluto nell’Areopago del
pita, perchè nata dal capo di Giove ; o da captus, voce degli Auguri,
che
significava, il suo tempio essere stato disegnato
l bianco ed il verde azzurro. Ma come nell’Iliade γλαυκιοων significa
che
guarda bieco, o con volto minaccioso e terribile
bieco, o con volto minaccioso e terribile ; così pare più verisimile
che
Minerva Glaucopide voglia dire Minerva che guarda
; così pare più verisimile che Minerva Glaucopide voglia dire Minerva
che
guarda bieco, che fa il viso delle armi, come dic
risimile che Minerva Glaucopide voglia dire Minerva che guarda bieco,
che
fa il viso delle armi, come dicono gl’Italiani. C
one della Libia. Innupta ; epiteto di Minerva adoperato da Virgilio,
che
vuol dire vergine. Itonia, Ιτωνια, soprannome di
va da Catullo(3), perchè nacque di padre senza madre. Ma altri dicono
che
patrimus significa un giovinetto che, dopo la mor
dre senza madre. Ma altri dicono che patrimus significa un giovinetto
che
, dopo la morte della madre, ha il padre ancora vi
netto che, dopo la morte della madre, ha il padre ancora vivente ; il
che
non conviene alla nostra Dea. E però si vuol legg
e non conviene alla nostra Dea. E però si vuol leggere Patrona Virgo,
che
sta bene a Minerva, ch’è protettrice de’ poeti e
poeti e della poesia. Ed alcuni critici, contra lo Spondano, vogliono
che
la Dea invocata nel primo verso dell’Iliade sia M
d arti, così pure alla poesia presedeva. Anche Dante cantò ; L’acqua
che
io prendo, giammai non si scorse : Minerva spira,
perchè apparve la prima volta presso la palude Tritonia ; o da τριτω,
che
appo i Cretesi significava capo, perchè nacque da
tenione poi è l’erba detta camamilla, o secondo altri, la parietaria,
che
Minerva additò in sogno a Pericle per guarire un
prudenza e della vigilanza. Anche il gallo era sacro alla nostra Dea,
che
nelle monete di molti antichi popoli si vede effi
. In quanto poi alla civetta, è noto il proverbio « noctuas Athenas »
che
vuol dire portar cosa in luogo, ove se ne ha dovi
namento alla sua accademia. Vi è chi crede ch’essa sia la stessa cosa
che
il Dio Termine, confondendo gli Ermi ed i Termini
che il Dio Termine, confondendo gli Ermi ed i Termini. Altri credono
che
un’Ermatena sia un pilastro, o colonna su di cui
ta una testa o un busto di Minerva senza braccia. Fulvio Orsini pensò
che
un’Ermatena fosse una Minerva armata di cimiero,
quale se va scompagnata la sapienza cui presiede Minerva, essa non è
che
un vano strepito di parole(1). Il Palladio era un
un piccolo scudo simile agli ancili de’ Romani. Del quale raccontano
che
caduto dal cielo, mentre Ilo fabbricava la fortez
prodigiosa statua, perchè la città sarebbe stata inespugnabile sino a
che
ve l’avessero custodita. Il Palladio secondo altr
la Frigia, coll’asta nella destra, e nella sinistra, la conocchia ; e
che
recata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò
ata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò l’oracolo, da cui seppe
che
la città sarebbe stata in piedi sino a che avesse
tò l’oracolo, da cui seppe che la città sarebbe stata in piedi sino a
che
avesse conservato quel fatale deposito. Altri rac
i sino a che avesse conservato quel fatale deposito. Altri raccontano
che
una figliuola di Pallante, avendo sposato Dardano
Romani vantavano il lor Palladio, fatale pegno dell’impero ; dicevano
che
i Greci aveano rapito un falso Palladio ; e che E
ell’impero ; dicevano che i Greci aveano rapito un falso Palladio ; e
che
Enea avendo seco portato il vero in Italia, essi
tempio di Vesta, affidandone la custodia alle Vestali. E si racconta
che
a tempo dell’assedio di Troia, sapendo i Greci ch
ali. E si racconta che a tempo dell’assedio di Troia, sapendo i Greci
che
il Palladio rendeva quella città inespugnabile, U
vasi la fatale effigie ; ed uccisi i custodi, col favore di Antenore,
che
avea per moglie una sacerdotessa di Pallade, con
pegno spogliata fu Troia facile preda del nemico. Silio Italico dice
che
il vero Palladio fu da Diomede restituito ad Enea
Nomi diversi dati a questo Nume e lor ragione. Il Banier dimostra
che
presso gli antichi Apollo era tutt’altro che il S
. Il Banier dimostra che presso gli antichi Apollo era tutt’altro
che
il Sole ; ma noi per brevità seguiremo Cicerone,
ro che il Sole ; ma noi per brevità seguiremo Cicerone, il quale dice
che
i Greci credevano, Apollo essere lo stesso Sole(1
in un solo articolo. La voce Apollo (Απολλων) viene da un verbo greco
che
significa perdere (απολλυμι), e par che voglia di
λλων) viene da un verbo greco che significa perdere (απολλυμι), e par
che
voglia dire apportator di rovina, perchè il soper
uomini frequenti morbi. Così nell’Iliade Apollo irato con Agamennone
che
avea oltraggiato Crise, suo sacerdote, col tirare
eco esercito le sue micidiali saette, vi suscita grave pestilenza. Il
che
Omero prese dagli Egiziani che dal sole credeano
aette, vi suscita grave pestilenza. Il che Omero prese dagli Egiziani
che
dal sole credeano nascere le pestifere infezioni
scere le pestifere infezioni ne’popoli. Chiamavasi pur Febo (Φοιβος),
che
vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità che a
si pur Febo (Φοιβος), che vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità
che
al sole assai bene convengono. Questo nume in cie
fa le sue passeggiate per le soprane regioni del cielo, Porfirio dice
che
un medesimo Dio era il Sole in cielo, il padre Li
un parto con Diana nell’isola di Delo. Della quale raccontano i Poeti
che
Giove trasformò Asteria, fig. di Titano, in quagl
a, fig. di Titano, in quaglia, per essere stato da lei dispregiato, e
che
avendola gettata in mare, ne fosse nata un’isola,
a abbondava, ed era una delle Cicladi, nell’ Egeo. Era mobile a segno
che
ad un leggier soffio di vento vedeasi galleggiare
he ad un leggier soffio di vento vedeasi galleggiare sulle acque ; il
che
finsero per essere quell’isola scossa da frequent
ona ch’era fig. di Polo e di Tebe, essendo gravida di Apollo, avvenne
che
Pitone, serpente nato dalla putredine della terra
ne della terra dopo il diluvio di Deucalione, sapendo da’fatali libri
che
un figliuolo di Latona dovea ucciderlo, si diede
cabilmente, e non le lasciava luogo a partorire. Callimaco(2) afferma
che
quella bestia con nove giri circondava il Parnaso
quella bestia con nove giri circondava il Parnaso ; e Stazio(3) dice
che
uccisa occupava lo spazio di ben cento iugeri. Es
uogo ; e nelle medaglie veggonsi tripodi attortigliati di un serpente
che
credeasi animale dotato della virtù d’indovinare.
e far fronte apertamente a Giunone, e però menolla nell’isola Ortigia
che
ricoprì di acque ; il che la salvò dal dente di q
Giunone, e però menolla nell’isola Ortigia che ricoprì di acque ; il
che
la salvò dal dente di quel mostro. La favola di q
il Sole, uccise, o sia dissipò e distrusse colla forza de’suoi raggi,
che
son le saette di Apollo. Or Nettuno fece uscir fu
e di Apollo. Or Nettuno fece uscir fuori delle acque l’isola Ortigia,
che
chiamossi Delo (da δηλος, manifestus), come la pi
sul Parnaso uccise il Pitone, ne gittò le ossa sul tripode o cortina
che
pose nel suo tempio, ed in memoria di ciò istituì
pio, ed in memoria di ciò istituì solenni giuochi funebri detti Pizii
che
celebravansi ogni quattro anni, non lungi dalla c
ungi dalla città di Crissa, detta Pito, e poscia Delfo. Omero(1) dice
che
Apollo non fu dalla madre allattato, ma che Temi
scia Delfo. Omero(1) dice che Apollo non fu dalla madre allattato, ma
che
Temi gli diede a bere il nettare degli Dei. Belli
Bellissime cose ci dicono i poeti della eterna giovinezza di Apollo,
che
dipingevano co’ più dolci colori della bellezza,
zza di Apollo, che dipingevano co’ più dolci colori della bellezza, e
che
non mai per volger di anni scadeva. Quindi leggia
rissimo e con biondi e ben lunghi capelli il rappresentavano, di modo
che
, scriveva Tibullo(2). Febo e Bacco avean soli ete
etto quelle chiare acque intorbidarono. Sdegnata Latona pregò gli Dei
che
trasformassero que’ villani in ranocchie, come av
anto, per disfogare il suo mal talento contro Latona, comandò a Tizio
che
facesse le sue vendette. Era questi un enorme gig
chetare il dolore del figliuolo, disse non trovare spediente migliore
che
andar dal padre a chiarirsi del vero ; e Fetonte
discostandosene, faceva morir di freddo gli uomini e gli animali. Il
che
vedendo Giove, percosse di un fulmine l’audace gi
imali. Il che vedendo Giove, percosse di un fulmine l’audace giovane,
che
precipitò nel Po, ovvero Eridano, come quel fuoco
e, che precipitò nel Po, ovvero Eridano, come quel fuoco scintillante
che
a ciel sereno vedesi di notte trascorrere per l’a
di Fetonte, alla riva dell’Eridano lo piangevano continuamente, tanto
che
furono convertite in alni o sia ontani, o in piop
in pioppi ; dalla corteccia de’ quali alberi grondano delle gocciole
che
paion lagrime, e che addensate danno l’elettro o
rteccia de’ quali alberi grondano delle gocciole che paion lagrime, e
che
addensate danno l’elettro o sia l’ambra. Fu piant
nelo, re de’Liguri, il quale pel dolore fu cangiato in cigno, uccello
che
per la dolcezza del canto e perchè credevasi dar
dar qualche presagio del futuro, fu consacrato ad Apollo(1). Da ciò è
che
i poeti si chiamano cigni, e che finsero questo u
fu consacrato ad Apollo(1). Da ciò è che i poeti si chiamano cigni, e
che
finsero questo uccello cantar dolcemente, quando
ente l’ Ariosto : Terrà costui con più felice scettro La bella Terra
che
siede sul fiume, Dove chiamò con lagrimoso plettr
. I poeti poi con questa favola ci avvertono a non cercar quelle cose
che
son sopra le nostre forze, ed a lasciarci reggere
d a lasciarci reggere da’ consigli degli uomini sapienti. Ovidio dice
che
Febo si sdegnò sì fortemente pel lagrimevole caso
dice che Febo si sdegnò sì fortemente pel lagrimevole caso di Fetonte
che
volea lasciar la cura del suo cocchio. Ma le magg
Coronide fu Esculapio nella medicina ammaestrato da Chirone in guisa
che
fu posto nel numero degli Dei. Del quale i due fi
a, veduta in Epidauro la statua di Esculapio con barba d’oro, comandò
che
gli fosse tolta, dicendo essere sconvenevole che
barba d’oro, comandò che gli fosse tolta, dicendo essere sconvenevole
che
il figliuolo avesse barba, quando il padre Apollo
meto, re di Fere, in Tessaglia, lungo il fiume Anfriso(2). Omero dice
che
Apollo pascolò le giumente di Fere, agguagliate i
vogliono ch’eran mandre di tori(3). Admeto fu uno del principi greci
che
convennero alla celebre caccia del cinghiale Cale
sposare Alceste, fig. di Perilao, e consentendolo questi a condizione
che
gli donasse un cocchio tirato da un leone e da un
il modo di aggiogare sì feroci animali. Gli ottenne pure dalle Parche
che
giunto all’ora estrema, potesse evitarla, se trov
avesse voluto morire. Infermatosi a morte Admeto, Alceste l’amò tanto
che
per lui si offrì generosamente a perder la vita.
el Re, volea rendergli Alceste ; ma non consentendolo Plutone, Ercole
che
albergava allora in casa di Admeto, pugnò colla m
Questa pianta fu a lui dedicata, e di essa s’inghirlandava ogni cosa
che
gli apparteneva, il tripode, i tempii, i poeti, i
n mano un ramoscello di esso. Gl’indovini ne mangiavano le frondi(3),
che
credevano comunicare un presentimento del futuro.
che credevano comunicare un presentimento del futuro. Esiodo(4) dice
che
le Muse nel farlo poeta gli diedero come per isce
e dal suo sangue fece nascere un fiore del colore dell’ostro di Tiro,
che
chiamasi giacinto, nelle cui frondi, in memoria d
a di tanto dolore volle scritte le greche lettere αι, αι, ahi ! ahi !
che
sono la naturale espressione del pianto. Amico an
parisso, senza avvedersene, il ferì con un dardo ; e ne fu sì dolente
che
pregò i Numi di poterlo piangere sempre. Allora A
igne poeta, con tal magistero toccava la lira e sì dolcemente cantava
che
non solo gli uomini di fiera indole, ma le tigri
do un giorno i villani insulti del giovane Aristeo, un velenoso serpe
che
stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’u
serpe che stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’uccise. Di
che
fu sì grave il dolore di Orfeo che ne piangeva se
e, le ferì il piede e l’uccise. Di che fu sì grave il dolore di Orfeo
che
ne piangeva senza speranza di conforto, e l’estin
pianto le rupi del monte Rodope. E tanta fidanza ebbe nella sua lira,
che
discese all’inferno per la profonda caverna del T
r la profonda caverna del Tenaro. Quivi sì dolcemente suonò, pregando
che
gli fosse restituita Euridice, che mosse a pietà
uivi sì dolcemente suonò, pregando che gli fosse restituita Euridice,
che
mosse a pietà gl’infernali ministri e fece alle o
ministri e fece alle ombre dimenticare le proprie pene ; ed allora fu
che
le Eumenidi stupirono di quell’insolito canto, il
ione. Proserpina stessa al Tracio cantore donò la sposa, ma con patto
che
non si voltasse a guardarla prima di uscire del d
one ha potuto avere origine dalla sacra istoria della moglie di Loth,
che
fu trasformata in una statua di sale. Or l’infeli
o delle ombre. Allora squallido, per sette giorni(1), senz’altro cibo
che
il suo dolore, pianse con mesto canto la perduta
usignuolo piange, soavemente cantando, i rapiti figliuolini. Si vuole
che
nell’inferno celebrò tutt’i numi, salvo che Bacco
iti figliuolini. Si vuole che nell’inferno celebrò tutt’i numi, salvo
che
Bacco, il quale per ciò spinse contro di lui le B
ti indussero gli uomini selvaggi ad unirsi in società. Orazio(2) dice
che
Orfeo dirozzò le selvatiche genti co’dolci modi d
a le tigri ed i feroci leoni. Pausania poi racconta, esser tradizione
che
Orfeo, morta Euridice, andò ad Aorno, luogo nell’
moso per l’esercizio della negromanzia, in cui erano antri tenebrosi,
che
parevan la via dell’inferno, ed ove si evocavano
a di sette corde rappresentava l’armonia de’pianeti. Dicevano i Tracî
che
gli usignuoli i quali nidificavano presso la tomb
uali nidificavano presso la tomba di lui, facevano un canto più soave
che
altreve. Aristeo che fu cagione della morte di Eu
sso la tomba di lui, facevano un canto più soave che altreve. Aristeo
che
fu cagione della morte di Euridice, nacque da Apo
e e l’olio, il primo ne insegnò l’uso al genere umano. Plinio(1) dice
che
Aristeo ritrovò pure il fattoio. È fama(2) che un
umano. Plinio(1) dice che Aristeo ritrovò pure il fattoio. È fama(2)
che
un dì, morte di morbo e di fame le industriose pe
o, ed ove la reggia era della madre Cirene. Quivi lagrimando la prega
che
il modo gli additasse di riprodurre le sue api. L
nove giorni, vide con grata maraviglia volare infinito numero di api
che
ronzando aggrupparonsi a’ rami degli alberi, pend
li alberi, pendendo a guisa di grossi grappoli di uva. Plinio(3) dice
che
quando le pecehie son tutte perdute, si rifanno,
o, ad Ercole ed a Tamira, poeta insigne di Tracia e cantore sì nobile
che
osò gareggiare nel canto colle Muse, le quali, vi
to, veniva al paragone col medesimo Apollo(2). Imolo, re della Lidia,
che
n’era l’arbitro, giudieò a favore di questo Nume.
ollo in pena gli fece crescere due lunghissime orecchie di asino ; il
che
volendo egli celare, portava una tiara o mitra al
canne mosse dal vento ripetevano : Mida ha le orecchie di asino . Il
che
fece a tutti aperto il difetto del re. Ciò signif
i asino . Il che fece a tutti aperto il difetto del re. Ciò significa
che
non è agevol cosa occultare i difetti de’ princip
osa occultare i difetti de’ principi, attesa la naturale inclinazione
che
hanno gli uomini a manifestarli. Anche Marsia osò
oso satiro della Frigia, fig. d’Iagne, celebre musico. I poeti dicono
che
Marsia, avendo trovata la cornamusa, strumento da
strumento da fiato inventato da Minerva, la suonò sì maestrevolmente
che
ne venne in gran superbia ed ardì provocare al ca
I Satiri e le Ninfe piansero con tante lagrime l’acerbo fato di lui,
che
di quelle si fece un fiume, detto Marsia, ch’è ne
in quel luogo e di quelle cannucce fece la prima volta i pifferi ; di
che
fu tanto superbo che parlò in modo da paragonarsi
elle cannucce fece la prima volta i pifferi ; di che fu tanto superbo
che
parlò in modo da paragonarsi ad un Nume. E come i
e della lira, ed il gastigo del Satiro. Senofonte dice chiaramente(2)
che
Marsia fu un filosofo che ritrovò il flauto e dis
o del Satiro. Senofonte dice chiaramente(2) che Marsia fu un filosofo
che
ritrovò il flauto e disputò con Apollo di cose fi
ette figliuoli, ed altrettante figliuole di grandissima bellezza ; di
che
venne in molta superbia. La fatidica Manto, fig.
a Dea, oltre sette figliuoli ed altrettante figliuole di una bellezza
che
non avea pari sotto le stelle ; che a Latona la t
ettante figliuole di una bellezza che non avea pari sotto le stelle ;
che
a Latona la terra avea negato un luogo a partorir
ità a segno di sconfortare i Tebani dal culto de’ Numi. Timagora dice
che
i Tebani a tradimento uccisero i figliuoli di Anf
ll’alterigia e dell’irreligioso animo della Regina. Eustazio racconta
che
morirono in una pestilenza ; il che i poeti disse
o della Regina. Eustazio racconta che morirono in una pestilenza ; il
che
i poeti dissero effetto delle saette di Apollo. E
ffetto delle saette di Apollo. E l’empia Regina n’ebbe sì gran dolore
che
restò immobile qual sasso e serbò eterno silenzio
che restò immobile qual sasso e serbò eterno silenzio. Palefato vuole
che
sia nata la favola dall’aver Niobe posta una sua
pietra sul sepolcro de’ suoi figliuoli. Finalmente Pausania racconta
che
fu egli di persona sulla vetta del Sipilo per ved
li di persona sulla vetta del Sipilo per vedervi la favolosa Niobe, e
che
quivi vide una rupe, la quale di lontano avea sem
i pastore, colle saette uccise tutti que’ topi ; e comandò al pastore
che
dicesse a Crine, avergli Apollo di persona sgombe
gli Apollo di persona sgomberato i campi di que’ nocevoli animali, il
che
udendo Crine, fece un tempio in onor dt Apollo, p
virtù di presagire il futuro ; ma poscia, di lei mal contento, volle
che
non le si prestasse mai fede, comechè dicesse sem
uta città ; ma non si volle dar fede a’ suoi presagi(1). Sposò Corebo
che
perì nell’ultima notte di Troia ; e questa incend
questa incendiata, toccò in sorte ad Agamennone, cui più volte disse
che
guardato si fosse dalle insidie della moglie Clit
Apollo. E primieramente egli era il Dio de’ carmi e della poesia, non
che
della musica e di tutte le belle arti. I poeti er
elle. Qual signore del canto, andava superbo di una bella lira di oro
che
avea ricevuta da Mercurio ; ed era il duce e quas
e di Moneta, ch’era la Mnemosine de’ Greci ; o di Giove e di Minerva
che
secondo alcuni era la Memoria. Fedro(2) dice, le
inerva che secondo alcuni era la Memoria. Fedro(2) dice, le nove Muse
che
sono il coro delle arti, esser nate da Giove e da
coro delle arti, esser nate da Giove e dalla veneranda Mnemosine. Il
che
finsero i poeti, per avere Giove il primo ritrova
Urania. Alcuni(1) fan derivare la parola Musa da un verbo greco (μαω)
che
significa ricercare, investigare, essendo l’inves
ene (Camoenae), quasi canienae a canendo dal canto ; ma Varrone vuole
che
prima chiama vansi Casmenae, poscia Carmenae, e f
ollo e della ninfa Chione, uno de’ più antichi Musici(1), ed il primo
che
istituì i cori di donzelle, fu amico dei versi e
a Focide, e quivi tirannicamente regnava. Vide egli un giorno le Muse
che
andavano sul Parnaso, colte da improvvisa tempest
i andarono esse, ma come furono entrate, conobbero le coperte insidie
che
loro tramava quel tristo ; per cui, prese le ali,
o ; per cui, prese le ali, fuggirono velocissime per l’aria ; ed egli
che
salito su di un’alta torre del suo palagio, volea
la tranquillità di quel paese con continue guerre, si disse da’ Poeti
che
tramò insidie alle Muse, le quali per ciò si dipi
ra delle Pieridi colle Muse. Alcuni per un luogo di Strabone avvisano
che
la regione detta Pieria ed il monte apparteneva u
mio canto con quel suono, Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal
che
disperar perdono. Alcuni vogliono che Piero ebbe
he misere sentiro Lo colpo tal che disperar perdono. Alcuni vogliono
che
Piero ebbe nove figliuolo, alle quali diede il no
o(1) osarono sfidare al canto le Muse ; ma furon vinte da quelle Dee,
che
strapparon loro le piume e e ne ornarono il capo.
uazione. Aganippe. Ippocrene. Pegaso. Parnaso. Persio(2) per dire
che
non era poeta, afferma di non aver bagnato le lab
le labbra nel fonte del cavallo. Era questo il bel fonte d’Ippocrene,
che
alcuni mal confondono coll’ Aganippe, che forse e
o il bel fonte d’Ippocrene, che alcuni mal confondono coll’ Aganippe,
che
forse ebbe il nome da Aganippe, fig. del fiume Te
e ebbe il nome da Aganippe, fig. del fiume Termesso, essendo naturale
che
una fontana si chiami figliuola di un fiume. L’Ar
tana si chiami figliuola di un fiume. L’Ariosto, parlando delle donne
che
acquistaron fama nel poetare, disse : Poichè mol
ηνη, fons), o fonte del cavallo, ebbe origine dal Pegaso. Esiodo dice
che
fu esso così detto da πηγη, fonte, sorgente, per
Igino il crede nato da Nettuno e da Medusa ; ma comunemente si vuole
che
quando Perseo recise il capo di Medusa, dal sangu
mente si vuole che quando Perseo recise il capo di Medusa, dal sangue
che
gocciolonne sul suolo, nacque un destriero fornit
occiolonne sul suolo, nacque un destriero fornito di ali velocissime,
che
fu appunto il Pegaso, il quale un giorno sull’Eli
delle lettere. Il Pegaso alato, secondo Fulgenzio, significa la fama
che
diffondesi velocissima. Ma il monte delle Muse er
altro vasto e bellissimo, sì leggiadramente descritto da Pausania, e
che
gli abitatori del Parnasso aveano in grandissima
del Parnasso, ove stavasi rìntanato, avea tutti morti i suoi compagni
che
a quel fonte erano andati ad attignere dell’acqua
to Dirceo. Secondo alcuni fu chiamato Castalio o dalla ninfa Castalia
che
Apollo trasformò in fontana, o da Castalio, re de
o da Castalio, re dei dintorni del Parnasso. Dirce era fonte e fiume
che
bagnava Tebe, e da cui Pindaro, il più sublime al
esentato in un bel gruppo del palazzo Farnese, detto il toro Farnese,
che
ritrovasi nel R. Museo Borbonico di Napoli. Alcun
arnese, che ritrovasi nel R. Museo Borbonico di Napoli. Alcuni dicono
che
Anfione e Zeto furon fig. di Giove e di Antiope ;
. Alcuni dicono che Anfione e Zeto furon fig. di Giove e di Antiope ;
che
per comando di Apollo circondaron di mura la citt
e ; che per comando di Apollo circondaron di mura la città di Tebe, e
che
discacciato dal trono Laio, fig. di Labdaco, quiv
i Labdaco, quivi essi regnarono. Le Muse donarono ad Anfione la lira,
che
toccava sì dolcemente, che al suon di quelle cord
rono. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava sì dolcemente,
che
al suon di quelle corde i sassi, movendosi da se,
a se, andarono in bell’ ordine ad unirsi per costruir quelle mura. Il
che
vuol dire, che Anfione colla dolcezza del suono e
in bell’ ordine ad unirsi per costruir quelle mura. Il che vuol dire,
che
Anfione colla dolcezza del suono e del canto pers
tà de’ loro versi(1). Orazio è qual’ape industriosa del monte Matino,
che
negli ombrosi boschetti di Tivolì, dal timo fabbr
endone a pien dicer gli onori Bisogna non la mia, ma quella cetra Cou
che
tu dopo i gigantei furori Rendesti grazie al regn
, al loro canto divino rallegravasi tutto l’Olimpo(5). Le Clerc crede
che
la favola delle Muse ebbe origine da una qualche
egolar concerto musicale, simile forse a Jubal della Sacra Scrittura,
che
fu, per così dire, il primo maestro di cappella,
si stende sino alle Termopili, e dal suo bel mezzo si spicca un ramo
che
forma il Parnaso, e colla sua estremità l’Elicona
nippe, ec. a’ quali beono i poeti maggiori, tutto al contrario di lui
che
bevea al Permesso, fiumicello che scorre dall’Eli
maggiori, tutto al contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicello
che
scorre dall’Elicona. Poeta Ascreo chiamossi Esiod
lle Muse, da esso dette Libetridi presso Virgilio(2). Alcuni vogliono
che
sia un autro a piè del monte Libetro, così detto
e sia un autro a piè del monte Libetro, così detto dal poeta Libetro,
che
il primo insegnò la musica. Pimpla, monte in Mace
primo insegnò la musica. Pimpla, monte in Macedonia, forse lo stesso
che
il Pierio, ne’ confini della Tessaglia, vicino al
ini della Tessaglia, vicino all’Olimpo, con un fonte sacro alle Muse,
che
avea il medesimo nome. Perciò Pimpleide in Orazio
Bellorofonte, mentre bevea al fonte di Pirene. Anzi Stazio(3) afferma
che
questa fontana eziandio scaturì per un colpo che
zi Stazio(3) afferma che questa fontana eziandio scaturì per un colpo
che
col suo piè diede il Pegaso ad un sasso. Vicino a
Apollo, e le sue acque davano pure la virtù di poetare. Notisi infine
che
in generale gli antri e gli ameni recessi si cred
inspirazione della poesia, per cui alle Muse eran dedicati, non meno
che
i boschi ; e che le Muse consacravano i Poeti, de
la poesia, per cui alle Muse eran dedicati, non meno che i boschi ; e
che
le Muse consacravano i Poeti, detti sì spesso lor
si dipingono belle e vestite con molta semplicità e modestia, di modo
che
possonsi riconoscere pel solo carattere di un dec
rini e nella villa Albani. Anzi spesso le Muse e le Grazie non aveano
che
un sol tempio, per indicare che uno de’ principal
spesso le Muse e le Grazie non aveano che un sol tempio, per indicare
che
uno de’ principali fini della poesia è dilettare.
della poesia è dilettare. Clio, così detta da un verbo greco (κλειω)
che
significa celebrare, presedeva alla storia, la qu
Euterpe, (ab ευ, bene, et τερπω, delecto), così chiamata dal diletto
che
dà la poesia lirica, alla quale ella presiede. Se
ii campestri. Nel bassorilievo dell’apoteosi di Omero, Talia è quella
che
tiene la lira ed è in atteggiamento di recitare.
della cetra. Si rappresenta in forma di una giovane inghirlandata, e
che
ha in mano un’arpa, ed alcuni strumenti musicali
hymnus), era la Musa dell’eloquenza ; o la Memoria stessa deificata,
che
, raccolti i fatti illustri degli Dei e degli Eroi
e medaglie della famiglia Pomponia tocca colla sua bacchetta un globo
che
poggia su tre piedi, ed ha dietro al suo capo una
Lino. Calliope infine, (a καλος, pulcher, et οψ, οπος, cantus), Musa
che
presiede all’ eloquenza ed alla poesia epica. Da
ltri vicino a se, cioè l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide. Infine diciamo
che
, secondo Plutarco(4), l’invenzione degli strument
so gli antichi la musica aveasi in grandissimo pregio. Quindi dissero
che
Apollo inventò la cetra(5), e ch’ebbe la lira da
ri e suonatori, i vati e gli auguri. Lo Scoliaste di Pindaro afferma
che
Apollo appreso avea da Pan la scienza dell’avveni
ollo appreso avea da Pan la scienza dell’avvenire ; ma altri vogliono
che
avesse ricevuto sì maraviglioso dono da Giove con
vogliono che avesse ricevuto sì maraviglioso dono da Giove con patto
che
non l’avesse mai agli altri Dei comunicato. Apoll
n l’avesse mai agli altri Dei comunicato. Apollo era la medesima cosa
che
il Sole, detto occhio del mondo, che vede tutte l
ato. Apollo era la medesima cosa che il Sole, detto occhio del mondo,
che
vede tutte le cose ; e perciò finsero ch’ei era i
la terra, e però la chiamavano l’ombelico di essa(3). Notano i dotti
che
lo stesso credevano i Giudei, di Gerusalemme, gli
salemme, gli Ateniesi, di Atene, e così di altre città. E si racconta
che
Giove, volendo sapere qual fosse il mezzo della t
pollo, ricco delle dovizie di tutt’ i popoli e di molti monarchi, non
che
de’ più pregevoli monumenti delle arti(5). Livio
non che de’ più pregevoli monumenti delle arti(5). Livio racconta(6)
che
, dovendo i Romani mandare a Delfo un dono promess
elfo un dono promesso con voto da Camillo, e non trovandosi tant’ oro
che
bastasse ; le donne romane diedero i più cari orn
e rupi, si udiva più grande e quasi moltiplicato il rumoreggiare ; il
che
rendeva attoniti quei che l’ascoltavano(1). L’ora
e e quasi moltiplicato il rumoreggiare ; il che rendeva attoniti quei
che
l’ascoltavano(1). L’oracolo era una spelonca prof
onca profondissima con piccola apertura, onde usciva un freddo vento,
che
alla Pitonessa ispirava un furore divino, pel qua
è compagna de’debiti e delle liti .. Ed appresso i Greci correva voce
che
Socrate dall’oracolo stesso di Delfo era stato di
ini. Omero(2) riferisce, avere Apollo stesso edificato quel tempio, e
che
vi diedero opera ancora Agamede e Trofonio, fig.
dimandarono al Nume un guiderdone pari alla fatica, cioè quella cosa
che
gli fosse sembrata di loro maggior vantaggio. Apo
sa che gli fosse sembrata di loro maggior vantaggio. Apollo significò
che
di là a tre giorni avrebbero veduto l’effetto del
n ciò Apollo dare ad intendere, niuna cosa essere per l’uomo migliore
che
la morte(3). Nel tempio di Delfo era il celebre t
3). Nel tempio di Delfo era il celebre tripode o cortina. Servio dice
che
i tripodi erano mense nel tempio di Apollo Delfic
dava gli oracoli(1), ispirata dal Nume per mezzo di un vento o vapore
che
usciva da un freddo sotterraneo, quando essa sede
sciva da un freddo sotterraneo, quando essa sedea sul tripode. Dicono
che
Flegia fig. di Marte e re de’ Lapiti, ’in Tessagl
e il fulminò e cacciollo all’inferno, ove sedendo sotto un gran sasso
che
minaccia di cadere, è condannato a sempre temerne
cadere, è condannato a sempre temerne la rovina(2). I Greci dicevano
che
nel tempio di Delfo la radice del rafano era stat
celebri oracoli di Apollo. In Claro, città della Ionia, era un tempio
che
in magnificenza appena cedeva a quello di Diana i
a Delfo, spesso si prende l’uno per l’altro. Le sue risposte non eran
che
liete ; e s’eran triste, esso taceva. Da una cave
iste, esso taceva. Da una caverna vicino a quella città uscivan venti
che
ispiravano un furore divino, pel quale i sacerdot
r combattere il Minotauro, promise con voto ad Apollo Delio di far sì
che
gli Ateniesi ogni anno facessero un viaggio al su
e si annoverava fra gli uccelli maggiori augurali. Racconta Ovidio(1)
che
il corvo avea le piume candidissime, e che Apollo
gurali. Racconta Ovidio(1) che il corvo avea le piume candidissime, e
che
Apollo gliele trasformò in nere per punirlo della
immaturi, dimentico del comando, si adagiò sull’albero per aspettare
che
venuti fossero a maturità. Ritornò poscia da Febo
ossero a maturità. Ritornò poscia da Febo con un’idra fra gli artigli
che
avea ghermito, scusandosi quasi quel serpente gli
l Dio degl’indovini, fu condannato a non poter bere in tutto il tempo
che
il fico ha immaturi i suoi frutti. Apollo pose fr
tazza. Alcuni scrittori sull’autorità di Aristotele(3) hanno asserito
che
i corvi veramente non beono nel tempo di està ; i
hanno asserito che i corvi veramente non beono nel tempo di està ; il
che
ha potuto dar luogo alla favola. Gli auguri dicev
di està ; il che ha potuto dar luogo alla favola. Gli auguri dicevano
che
i corvi veduti a man destra davano fausti augurii
iarao, indovino ed augure insigne, ed uno de’sette a Tebe. Prevedendo
che
se andato fosse a quella guerra, vi sarebbe morto
sse a quella guerra, vi sarebbe morto, si tenne celato a tutti, salvo
che
alla moglie Erifile, fig. di Talao e sorella di A
mai il vero. I suoi oracoli eran reputati veraci e fermi ; e si finse
che
quando nacque Apollo, al parto suo assistesse la
amorfosi(1) Apollo stesso afferma ch’egli avea trovata la medicina, e
che
conosceva la virtù di ciascun’erba ; nel che glia
a trovata la medicina, e che conosceva la virtù di ciascun’erba ; nel
che
gliantichi facevan consistere propriamente la med
nzione della medicina oculare. Da non pochi luoghi di Omero si scorge
che
ad Apollo attribuivan gli antichi le morti repent
delle femmine. Così Ecuba assomiglia il corpo di Ettore ad un fiore,
che
Apollo uccide co’ dolci suoi raggi : ……..Tu fres
entore dell’arte sagittaria, nella quale era peritissimo ; e si vuole
che
sia stato detto Peane (παιαν, Paean) dal greco (π
si vuole che sia stato detto Peane (παιαν, Paean) dal greco (παιειν)
che
significa ferire. I suoi dardi uccisero il mostru
chiamasi Febo tremendo per l’infallibile suo arco ; e dice ancora(2)
che
il gigante Tizio, avendo usato poco rispetto a La
lo spazio di ben nove iugeri collo smisurato suo corpo. Altri dicono
che
fu da Giove ucciso di un fulmine. Morto Ettore, l
orire, predetto avea al suo inesorabile vincitore(3). Alcuni vogliono
che
Paride stesso uccise Achille ; ed altri, che Apol
tore(3). Alcuni vogliono che Paride stesso uccise Achille ; ed altri,
che
Apollo diresse il suo dardo. Infine è certo che p
e Achille ; ed altri, che Apollo diresse il suo dardo. Infine è certo
che
principale attributo di Apollo è l’arco ed il tur
certo che principale attributo di Apollo è l’arco ed il turcasso ; da
che
ebbe i soprannomi di Arciero, di Ecaergo, o che c
o ed il turcasso ; da che ebbe i soprannomi di Arciero, di Ecaergo, o
che
colpisce da lungi, e più altri ; i quali dinotano
, di Ecaergo, o che colpisce da lungi, e più altri ; i quali dinotano
che
il sole co’ suoi raggi che sono gli slrali di Apo
e da lungi, e più altri ; i quali dinotano che il sole co’ suoi raggi
che
sono gli slrali di Apollo, da lontano fa sentire
li slrali di Apollo, da lontano fa sentire la sua influenza. Si vuole
che
avesse ricevuto da Vulcano e l’arco e le sue frec
protezione di Apollo erano inoltre i fondatori delle città ; e quelli
che
conducevan le colonie o fondar doveano qualche ci
e a chi meglio si dovesse affidare l’impresa(1). Callimaco(2) afferma
che
Apollo non solo era maestro di fondare città, ma
imaco(2) afferma che Apollo non solo era maestro di fondare città, ma
che
n’era pure fondatore egli stesso. Quindi molte ci
elle maraviglie del mondo. Era essa tutta costrutta di corna di capra
che
Diana ucciso avea sul monte Cinto, le quali erano
attribuiva ad Apollo la costruzione delle mura di Megara ; e si vuole
che
avesse aiutato Alcatoo, fig. di Pelope e nipote d
ietra, sulla quale il celeste muratore avea appoggiata la sua lira, e
che
da quell’istante rendeva toccata un suono simile
e ben governare il gregge. Quindi chiamossi Nomio o pastorale fin da
che
guardò gli armenti di Admeto. Se gl’immolava il l
il Mitra dei Persiani, e l’Apollo de’Greci e de’ Romani. Pare dunque
che
l’idolatria abbia avuto principio dal culto del s
re dunque che l’idolatria abbia avuto principio dal culto del sole, e
che
quest’astro fosse stato la divinità di quasi tutt
quale gli Egiziani avean consacrata la città di Eliopoli ; il quarto
che
in Rodi ebbe per figliuoli Gialiso, Camero e Lind
che in Rodi ebbe per figliuoli Gialiso, Camero e Lindo ; ed il quinto
che
a Colco procreò Eeta e Circe. Fu chiamato Sole, p
olo risplende nel cielo ; e da’Greci Ηλιος o Ηελιος da una voce greca
che
significa splendore. Dal Sole e da Perseide, una
il quale da Idìa procreò Medea. Circe poi era una maga assai celebre,
che
soggiornava nell’isola Eèa in un superbo palagio
a assai celebre, che soggiornava nell’isola Eèa in un superbo palagio
che
sorgeva in mezzo ad una selva di annose querce. D
Diva terribile, dal crespo erine e dal dolce canto ; ed egli racconta
che
, approdato Ulisse a quell’isola, ebbe il dolore d
bianco di latte ; Moli i Numi la chiamano : resiste Alla mano mortal
che
vuol dal suolo Staccarla ; ai Dei che tutto ponno
mano : resiste Alla mano mortal che vuol dal suolo Staccarla ; ai Dei
che
tutto ponno, cede. Pindem. Colla virtù di quest’
tù di quest’erba sciolse Ulisse l’incanto, ed ottenne da quella ninfa
che
i compagni ritornassero alla primiera forma umana
e i compagni ritornassero alla primiera forma umana. Eraclito(2) dice
che
Circe era una donna d’indole malvagia, che co’suo
ma umana. Eraclito(2) dice che Circe era una donna d’indole malvagia,
che
co’suoi artificii rendeva gli uomini dissennati e
iale la tazza di Circe si adopera da Cicerone(3) per dinotare un uomo
che
subitaneamente veggasi cambiato in altro. Dicono
n uomo che subitaneamente veggasi cambiato in altro. Dicono dippiù(4)
che
desiderosa Circe di vendicare alcuni torti ricevu
o scoglio all’estremità dell’Italia meridionale dirimpetto a Cariddi,
che
nel profondo e vorticoso suo gorgo assorbiva i va
i vascelli con rumoreggiare spaventoso ; da ciò la finzione di Omero,
che
Scilla, mostro marino, presso alla Sicilia, avea
quella rabbia Scillea di Virgilio(1). Circe ancora(2) avverti Ulisse
che
si fosse ben guardato dal recar danno agli arment
alla fame, ne uccisero alcuni. La quale cosa dispiacque tanto al Sole
che
pregò Giove a punir quell’oltraggio ; e ciò fu ca
ra il Sole li distacca dal cocchio, e va con esso a tuffarsi nel mare
che
colora delle sue vampe. I Greci asserivano di sen
la favola di considerare il Sole come un Nume portato sul cocchio, e
che
vada a riposare ogni notte nell’Oceano in seno a
chio, e che vada a riposare ogni notte nell’Oceano in seno a Teti ; e
che
le Ore ligano ogni mattina i quattro cavalli al s
rine Tolto di grembo alla nutrice antica. Ed altrove : Era nell’ora
che
traea i cavalli Febo del mar con rugiadoso pelo ;
i già il velo. E l’Aurora appunto credevasi la messaggiera del sole,
che
apriva le porte rosseggianti dell’oriente e le sa
il nostro Torquato : Già l’alba messaggiera erasi desta Ad annunziar
che
se ne vien l’Aurora. Ella intanto si adorna e l’a
’ aureo trono (χρυσοθρονος). Nell’Odissea(2) si rappresenta nell’atto
che
sorge dall’oceano su di un cocchio a due cavalli,
ro la dipinge con un gran velo sulla testa rivoltato indietro, e dice
che
colle sue dita di rose apre le porte dell’oriente
iere della consorte ; la quale non avendo pensato a pregare quel Nume
che
lo avesse reso libero anche dalla vecchiezza, il
il povero Titono dovea tollerare i disagi di un’ età decrepita senza
che
potesse morire ; tanto che si dice la vecchiezza
lerare i disagi di un’ età decrepita senza che potesse morire ; tanto
che
si dice la vecchiezza di Titone per una età molto
avuto dall’ Aurora un figliuolo di grande bellezza, chiamato Mennone,
che
recò soccorso a Troia ed avea le armi fabbricate
Nestore, ed egli stesso fu ucciso da Achille. Titono ne fu sì dolente
che
dagli Dei ottenne di esser cangiato in cicala. La
iuolo, ed il piange tuttavia, giacchè le gocciole di matutina rugiada
che
cadono sull’ erba e sui fiori, sono appunto le la
na rugiada che cadono sull’ erba e sui fiori, sono appunto le lagrime
che
l’Aurora continuamente sparge pel figliuolo Menno
Delo consacrarono una statua ad Apollo, opera di un loro concittadino
che
visse a tempo di Dedalo. Il Nume teneva l’arco ne
per gli avvenimenti della guerra, ritornò nel Vaticano. È verisimile
che
fra le statue della Casa aurea di Nerone tolte al
vi fosse anche questa, la quale è la più sublime fra le opere antiche
che
sino a noi si son conservate. Pare che l’artista
ù sublime fra le opere antiche che sino a noi si son conservate. Pare
che
l’artista abbia formata nna statua puramente idea
ra l’umana natura, ed il suo atteggiamento mostra la grandezza divina
che
lo investe. « Una primavera eterna, qual regnà ne
forme di un’età perfetta i tratti della piacevole gioventù, e sembra
che
una tenera morbidezza scherzi sull’altera struttu
uttura delle sue membra…… Gli occhi suoi son pieni di quella dolcezza
che
mostrar suole allorchè le circondano le Muse. La
iceva il ch. Winckelmann. E l’immortale Visconti : « Lo sdegno, dìce,
che
appena si affaccia nelle narici insensibilmente e
ntesi ravvisa ne’ suoi sguardi, e la faretra appesa agli omeri sembra
che
, secondo la frase di Omero, suoni sulle spalle de
corpo, così giudiziosamente misto di agilità, di vigore, di eleganza,
che
vi si vede il più bello, il più attivo degli Dei,
o, ed i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere
che
dai Greci si appellavanosandalia leptoschide, san
o avere scagliato i suoi dardi contro i Greci ; altri, dopo la strage
che
fece degli orgogliosi giganti, o de’figliuoli di
a presso il Sig. De la Chausse si rappresenta il Sole sul suo cochio,
che
nella destra tiene un flagello, e colla sinistra
de’ suoi velocissimi cavalli. Ha intorno a se i dodici segni celesti
che
formano il Zodiaco. E si noti che a Febo solament
intorno a se i dodici segni celesti che formano il Zodiaco. E si noti
che
a Febo solamente e non ad Apollo si appropriano c
i che a Febo solamente e non ad Apollo si appropriano certi attributi
che
convengono al Sole, come il cocchio luminoso, il
asta, e nell’altra un flagello per indicare ch’egli agita il cocchio,
che
corre sì veloce le strade del cielo(1). I due pie
e piedi di questa famosa statua di bronzo poggiavano sopra i due moli
che
formavano il porto di Rodi ; e le navi a vele gon
di bellezza. Egli va superbo per la bella sua chioma lunghissima(2),
che
portava tutta profumata di odorosi unguenti e di
bbia di oro ; ed alle volte la veste lunga citaredica, o sia la palla
che
scendeva sino a’piedi. Gli si attribuiva un color
ua eterna gioventù era più cara per cagione di una fiorente avvenenza
che
ornava le fresche sue guance, sulle quali non mai
guance, sulle quali non mai spuntò anche picciola lanugine. Or si sa
che
presso gli orientali il sole per gli uomini, e la
è il sole sorge sempre mai collo stesso splendore. La sua lira infine
che
avea sette corde, significava i sette pianeti, de
ens Apollo, cioè valente in tirar d’arco. I Greci dicevano τοξοφορος,
che
porta l’arco ; τοξοτης, arciero ; αργυροτοξος, da
d abbellito da Augusto. Vi si celebravano alcuni giuochi detti Actia,
che
quell’imperatore trasportò a Roma dopo la vittori
eratore trasportò a Roma dopo la vittoria di Azio. Apollo αλεξικακος,
che
allontana il male. Essendo che per Apollo e Diana
a vittoria di Azio. Apollo αλεξικακος, che allontana il male. Essendo
che
per Apollo e Diana intendevasi il sole e la luna,
χρυσοκομης, Apollo dall’aurea chioma, detto così dal fulgore de’raggi
che
sono l’aurea chioma del sole. Apollo Branchideo
un tempio presso i Milesii, ove prima era l’oracolo de’ Branchidi, e
che
fu bruciato da Serse. Fu così detto da un giovane
o Apollo e Diana, la quale per ciò fu pur detta Cinzia. Stefano vuole
che
tutta l’isola di Delo un tempo si chiamava Cinto.
ella Focide, presso alla quale era una caverna, da cui sortivan venti
che
infondevano un furore divino e facevan dare oraco
oracoli. Apollo Clario, Clarius, da un oracolo e tempio nobilissimo
che
avea in Claro, città della Ionia, vicino a Colofo
i alloro presso Antiochia. Chiamavasi pure Dafneforo,δαφνηφορος, cioè
che
porta alloro. Dafneforo pure appellavasi un giova
ria di Azio. Apollo Paean, παιαν, così detto o dal verbo greco παιω,
che
significa sedare, perchè Apollo seda i morbi e li
esi il Sole, perchè tutto vede. Apollo Patareo, Patareus, pel tempio
che
avea a Patara, antica città dell’ Asia Minore, ov
Sosiano, Sosianus, cioè Salvatore (a σωζειν, salvare). Altri vogliono
che
fu così detto, perchè allogavasi nelle botteghe d
erchè allogavasi nelle botteghe de’ librai, fra’ quali dice Orazio(1)
che
i Sosii erano i principali. XIX. Alcune altre
di Ambracia nell’ Epiro, trasportò a Roma le statue delle nove Muse,
che
allogò nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice che
tue delle nove Muse, che allogò nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice
che
Fulvio nella Grecia apprese che anche Ercole era
nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice che Fulvio nella Grecia apprese
che
anche Ercole era Musagete o guida Muse, come dice
dice il Salvini. Spada Delfica (δελφικον ξιφος) significava una cosa
che
facilmente può accomodarsi ad usi diversi, perchè
glia altro nume od eroe, quando era imminente la battaglia ; e quelli
che
la gioventù cantava nelle panatenee, o per celebr
livo, l’alloro erano piante consacrate ad Apollo, come pure il mirto,
che
come l’alloro credevasi un albero inspiratore, il
i, avendo commesso non so qual fallo contro di Febo, ne fu sì dolente
che
ricusò di prender cibo, stando sempre cogli occhi
da Febo fu per compassione convertita in eliotropio o girasole, fiore
che
si volta sensibilmente secondo il corso del sole.
I cigni poi chiamansi da Callimaco cantori di Febo ; e Plutarco dice
che
Apollo dilettavasi della musica e della voce de’c
pollo dilettavasi della musica e della voce de’cigni. Platone afferma
che
l’anima di Orfeo avea scelto di abitare nel corpo
corpo di un cigno. Carme secolare (carmen saeculare) era una poesia
che
cantavasi ne’giuochi secolari che si celebravan d
e (carmen saeculare) era una poesia che cantavasi ne’giuochi secolari
che
si celebravan da’ Romani con gran pompa per tre g
la Repubblica. Ignorasi il tempo della loro istituzione, e si sa solo
che
i libri Sibillini ne prescrivevano il rito. Augus
l’anno della città 737, dovendosi celebrare i giuochi secolari, volle
che
Orazio componesse il bellissimo Carmen saeculare
o componesse il bellissimo Carmen saeculare pro incolumitate imperii,
che
sarà in pregio presso i letterati sino a che si g
ro incolumitate imperii, che sarà in pregio presso i letterati sino a
che
si gusterà al mondo fiore di poesia. In esso si c
nno i poeti posteriori ad Esiodo e ad Omero. Da Virgilio(1) si scorge
che
la Luna non era diversa da Diana. Niso, egli dice
schi, ch’era proprio di Diana. Onde cantò l’Ariosto(2) : O santa Dea
che
dagli antichi nostri Debitamente sei detta trifor
mostri Vai cacciatrice seguitando l’orme. Quindi comunemente si dice
che
una sola è la figliuola di Latona, la quale appel
; ovvero perchè di notte sola risplende (sola lucet). Altri vogliono
che
fu così detta perchè riluce con luce aliena, cioè
cioè presa in prestito dal sole. Dai Greci dicevasi Σεληνη da σελας,
che
vuol dire splendore. II. Storia favolosa di qu
eci ; ed i Romani, Venere, Giunone e piú spesso Diana. Cesare attesta
che
le divinità degli antichi Germani non erano altre
Cesare attesta che le divinità degli antichi Germani non erano altre
che
il Fuoco, il Sole e la Luna. E veramente i primi
volmente s’indussero a credere ch’erano i padroni del mondo e gli Dei
che
tutte le cose governano. La Luna da Omero ora si
e fig. di Pallante, ed ora d’Iperione, e di Eurifessa. Ma Esiodo dice
che
da Iperione e da Tea nacque il Sole, la Luna e l’
sue influenze si temeano assai dagli antichi, come quelle di una Dea
che
si mostra solo di notte. Da ciò gl’incantesimi de
ar calare la Luna dal cielo(1), e dicevano poterla liberare dal drago
che
volea divorarla ; il che accadeva nell’ecclissi d
lo(1), e dicevano poterla liberare dal drago che volea divorarla ; il
che
accadeva nell’ecclissi di questo corpo celeste, l
(2). Gli antichi confondevano alle volte la Notte con Diana in quanto
che
rappresenta la Luna, percui dipingesi l’una e l’a
e però non sarà inopportuno dir qualche cosa della Notte e del Sonno
che
han tanta attenenza colla Luna. III. Continuaz
l Sonno, detto perciò dai poeti fratello della morte. Esiodo(1) finge
che
il giorno e la notte con perpetua vicenda entrano
ελαμπεπλος νυξ, Nox nigro-peplo. Eurip.). Tibullo(2) dipinge la Notte
che
attacca al suo cocchio i destrieri, ed un coro di
la Notte che attacca al suo cocchio i destrieri, ed un coro di stelle
che
il sieguono ; ella si porta dietro il Sonno dalle
ro attribuivano i poeti una specie di ballo ; anzi Luciano(3) afferma
che
gli astri diedero la prima idea della danza. Virg
iedero la prima idea della danza. Virgilio(4) ci rappresenta la Notte
che
precipita dal cielo e colle nere sue ali abbracci
te di breve tempo. E come il sonno è uno de’più maravigliosi fenomeni
che
nell’uomo si scorgano, così gli antichi ne fecero
ell’uomo si scorgano, così gli antichi ne fecero un Nume potentissimo
che
sopra gli uomini signoreggia e sopra gli Dei, sec
ia e sopra gli Dei, secondo Omero. Un greco autore dice elegantemente
che
il Sonno era nè immortale, nè mortale ; che nè fr
autore dice elegantemente che il Sonno era nè immortale, nè mortale ;
che
nè fra’ celesti viveva, nè sulla terra ; ma che n
mortale, nè mortale ; che nè fra’ celesti viveva, nè sulla terra ; ma
che
nasceva sempre e sempre spariva ; e ch’era invisi
rsa su gli occhi loro un fluido detto anche υπνος, il quale faceva sì
che
le palpebre si chiudessero. Quindi presso Omero :
orno secondo Omero era nell’isola di Lenno ; o nel paese de’ Cimmerii
che
gli antichi credevano sepolto nelle più dense ten
Cimmerii che gli antichi credevano sepolto nelle più dense tenebre, e
che
lo stesso Omero ripone oltre i confini dell’ Ocea
o Omero ripone oltre i confini dell’ Oceano ; sebbene altri(3) dicano
che
i Cimmerii erano un antico popolo de’ dintorni de
un antico popolo de’ dintorni della Campania presso Baia e Pozzuoli,
che
abitava negli antri di quella contrada. In un ant
la Notte dipingesi colle ali di pipistrello. Riferisce Pausania (2),
che
i Lacedemonii rappresentavan ne’ loro tempii il S
llo alato col papavero ed una lucerna rappresenta il Sonno. Credevasi
che
colle sue ali ricoprisse quelli che voleva addorm
a rappresenta il Sonno. Credevasi che colle sue ali ricoprisse quelli
che
voleva addormentare. Il vediamo pure in sembianza
d Igino li faccia fig. dell’ Erebo e della Notte. Gli antichi finsero
che
i sogni erano o veri o falsi ; che abitavano al v
e della Notte. Gli antichi finsero che i sogni erano o veri o falsi ;
che
abitavano al vestibolo dell’inferno, onde uscivan
poi era il principal ministro del Sonno e quasi il corifeo de’ sogni,
che
ad ogni cenno del suo signore imita qualunque sem
gestire stesso degli uomini. Fobetore (a φοβος, timor) poi, lo stesso
che
Icelo, mandava i sogni paurosi e si cangiava in i
i ; ora con grandi ali ; ora coperta di un largo e nero velo stellato
che
tiene con una mano, e con una fiaccola nell’altra
velo stellato che tiene con una mano, e con una fiaccola nell’altra,
che
tiene rovesciata in giù verso la terra per esting
estinguerla. IV. Continuazione – Endimione. Leggesi nel Banier
che
la prima delle figliuole di Urano, chiamata per e
le figliuole di Urano, chiamata per eccellenza Basilea o la Regina, e
che
vuolsi la stessa che Rea o Pandora, da Iperione e
, chiamata per eccellenza Basilea o la Regina, e che vuolsi la stessa
che
Rea o Pandora, da Iperione ebbe un figliuolo chia
due per bellezza e per senno. I Titani, fratelli di Basilea, temendo
che
l’impero dell’universo potesse venire in mano di
di una aureola di luce e trasformato nella sostanza del Sole. Selene
che
molto amava il fratello, alla nuova del suo infor
e la Luna, ebbero onori divini. Nel fatto di Elio si ravvisa il Sole
che
nel suo tramontare si tuffa nell’oceano, perchè l
ontare si tuffa nell’oceano, perchè l’Eridano significa il gran fiume
che
Omero chiama Oceano. E qui è mestieri parlare di
ortalità, un’eterna giovinezza ed un perpetuo sonno. Altri raccontano
che
Giove, per la sua giustizia e probità, accolto lo
iove, per la sua giustizia e probità, accolto lo avesse in cielo ; ma
che
, avendo egli osato di oltraggiare Giunone, ne fos
osservare e descrivere il corso della Luna ; e perciò finsero i poeti
che
la Luna godeva a rimirarlo dal cielo. E Plutarco
ro i poeti che la Luna godeva a rimirarlo dal cielo. E Plutarco pensa
che
il conversare di alcuni Dei cogli uomini, come i
, voleva significare in linguaggio poetico quella specie di commercio
che
la Divinità tiene cogli uomini intesi alla contem
era in alcuni simulacri vedesi con face accesa in ambedue le mani. Il
che
donotava che Selene o Diana Luna illumina di nott
simulacri vedesi con face accesa in ambedue le mani. Il che donotava
che
Selene o Diana Luna illumina di notte il mondo, c
giorno. Ed in un bassorilievo(1) si vede la Luna preceduta da Espero
che
spegne la sua face nelle onde, e seguita da uno d
, e nell’arco di Costantino a Roma vedesi su di un cocchio con Espero
che
fa le veci di cocchiere. L’immortale Raffaello di
o tirato da due ninfe nell’atto d’indicar loro colla destra la strada
che
debbono battere nell’ aereo sentiero. In un antic
l capo, ed in mano una face. Nell’articolo di Diana diremo altre cose
che
riguardano l’iconologia della Luna. VI. Princi
col luminoso corno. Da Orazio chiamasi Noctiluca, e regina siderum,
che
risplende di notte, e regina degli astri. Da’ Gre
φορος, da’ Greci si chiamava Diana ; epiteti convenienti a Diana Luna
che
illumina colla sua luce la notte. E credo che si
onvenienti a Diana Luna che illumina colla sua luce la notte. E credo
che
si chiamò Fascelis non dal fascio di legna, in cu
perpetuo cinguettare, poteva soccorrere al deliquio della Luna senza
che
si adoperassero bronzi e trombe, come i superstiz
trombe e corni, affinchè la Luna non ascoltasse le voci delle streghe
che
co’ loro incantesimi tentavano farla calare dal c
’eran colpiti dal fulmine. Sul monte Aventino la Luna aveva un tempio
che
Rufo pone nel duodecimo rione della città (2). Ta
yne(5) crede assai oscuro il senso di questa favola ; e Krebsio vuole
che
forse vi fu una Selene che visse fra gli Arcadi e
l senso di questa favola ; e Krebsio vuole che forse vi fu una Selene
che
visse fra gli Arcadi e che dopo la morte fu posta
e Krebsio vuole che forse vi fu una Selene che visse fra gli Arcadi e
che
dopo la morte fu posta nel numero delle Dee ; ed
asi Bacchus da’ Latini, e Βακχος da’ Greci ; nome derivato da βακχος,
che
significa uomo trasportato dal furore e che parla
nome derivato da βακχος, che significa uomo trasportato dal furore e
che
parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice che vi
asportato dal furore e che parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice
che
viene da Bacca, ninfa che colla sorella Brome lo
parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice che viene da Bacca, ninfa
che
colla sorella Brome lo aveano educato. Dicevasi p
ure Iaccus dal greco ιαχω, gridare, per le grida tumultuose di coloro
che
sacrificavano a questo nume. Gli si dava pure il
ne di Niso, o dall’isola di Nisa ove fu educato. Macrobio(7) dimostra
che
Libero, cioè Bacco, era presso gli antichi il Sol
ostra che Libero, cioè Bacco, era presso gli antichi il Sole ; e pare
che
Virgilio ed Ovidio(1) rafforzino questa opinione.
annovera anche Bacco o Libero. Diodoro conta tre Bacchi ; uno Indiano
che
fu il primo a piantar le viti ; l’altro, fig. di
ve e di Semele, cui i Greci attribuiscono le vittorie e le invenzioni
che
de’ primi due si raccontano. Ampelio dice che vi
ittorie e le invenzioni che de’ primi due si raccontano. Ampelio dice
che
vi sono cinque Liberi ; il primo fig. di Giove e
un antico nome del Nilo(4), e di Flora ; il terzo, di Cabito o Cabiro
che
regnò nell’Asia ; il quarto, di Saturno e di Seme
Semele ; ed il quinto di Niso e di Esione. Cicerone(5)finalmente dice
che
abbiamo più Dionisii ; il primo nato di Giove e d
e si facevano i sacrificii Orfici ; ed il quinto, da Niso e da Tione,
che
istituì le feste Trieteridi. Non veggo però perch
admo e di Ermione o Armonia, era incinta di questo fanciullo. Giunone
che
la odiava, prese le sembianze di una vecchia appe
. La vecchia adunque, per insidiosa maniera, induce Semele a chiedere
che
Giove le si mostrasse armato di fulmini e nello s
l’incauta giovane di tanta visione, e sì ardentemente ne prega Giove
che
sel fa promettere con irrevocabile giuramento ; m
stenne l’infelice quella grandezza e morì o pel timore di una folgore
che
le scoppiò innanzi, o pel fuoco, onde divampò la
, come pure il monte Mero consacrato a Bacco. E Pomponio Mela(3) dice
che
, fra le città dell’ India, Nisa era chiarissima e
r nato Bacco, ed in un antro di detto monte essere stato nudrito ; il
che
diede luogo e materia di favoleggiare a’ greci po
e luogo e materia di favoleggiare a’ greci poeti. Strabone(4) afferma
che
la città di Nisa era stata edificata da Bacco ; e
ascervi ellera e viti. Quanto poi alle nutrici di Bacco si dee sapere
che
le stelle le quali sono nella costellazione del t
Ferecide fu il primo a dire ch’esse sono le ninfe nutrici di Baceo, e
che
chiamavansi pure Dodonidi da Dodona, città dell’E
e che chiamavansi pure Dodonidi da Dodona, città dell’Epiro. Si vuole
che
Bacco, vedendo che Medea colla virtù de’ suoi inc
ure Dodonidi da Dodona, città dell’Epiro. Si vuole che Bacco, vedendo
che
Medea colla virtù de’ suoi incantesimi restituito
imiera gioventù, pregò quella famosa maga a far lo stesso colle ninfe
che
nudrito lo aveano ; e di fatto per di lei opera t
o per di lei opera tornarono a bellissima giovinezza. Ma altri dicono
che
ciò ottenne da Teti. Vi è pure chi dice che quest
ovinezza. Ma altri dicono che ciò ottenne da Teti. Vi è pure chi dice
che
queste ninfe dette Dodonidi furon da Giove conver
nta ch’eran fig. di Atlante e di Etra, fig. dell’ Oceano e di Teti, e
che
molto amavano un lor fratello detto Iante, il qua
delle ninfe sorelle mosso Giove a pietà, queste mutò in sette stelle
che
pose sul capo del toro. Chiamavansi Ambrosia, Bud
rosia, Budora, Pasitoe, Coronide, Plesauri, Pito e Tiche. Ovidio dice
che
furon dette Iadi da Iante ; ma prima avea detto d
i Latini, da’ quali le Iadi si nominarono Suculae, porcellette, quasi
che
υαδες venisse da υες, porci. Ed invero portano se
teo. In molte pietre incise, dice Millin, si rappresenta Mercurio
che
porta Bacco a Nisa e l’accoglimento fattogli dall
alla ninfa Leucotoe ; ed in un marmo della villa Albani vi è Leucotoe
che
tiene il fanciulletto Bacco fra le braccia. Della
l timone un tale Acete, nativo della Lidia. Veggendo questi un giorno
che
un suo compagno trovato avea sul lido un fanciull
ggravato dal vino, vi scorse una bellezza, in cui traluceva un non so
che
di divino, tanto che se gli raccomandò fortemente
scorse una bellezza, in cui traluceva un non so che di divino, tanto
che
se gli raccomandò fortemente. Di ciò risero quei
ò risero quei corsari, ed il fanciullo trattarono con modi sì villani
che
vollero pur legarlo ; ma le catene gli caddero da
italità o perchè era di viti fra le Cicladi feracissima(1). Allora fu
che
il fanciullo mostrò chi era ; e resa immobile la
sso il nume, suo benefattore. Luciano in uno de’ dialoghi marini dice
che
Bacco in un combattimento navale vinse i Tirreni
delfini ; percui questi pesci pongono all’uomo grandissimo amore. Di
che
più esempii riferisce Luciano stesso e Plinio(2),
e Plinio(2), fra’ quali quello di Arione è notissimo. Vuolsi pure(3)
che
sieno molto amanti della musica ; e però si disse
Vuolsi pure(3) che sieno molto amanti della musica ; e però si disse
che
col suono di musicali strumenti Bacco fece che i
sica ; e però si disse che col suono di musicali strumenti Bacco fece
che
i Tirreni corsari si gettassero nel mare e diveni
e si aprirono le porte della carcere, onde uscì libero. Ovidio dice,
che
Bacco stesso, presa la figura di Acete, fu presen
bbriare ; e spesso ancora di pampini. Vestiva un abito di color d’oro
che
giungeva sino a’delicati suoi piedi ed era fatto
per cui era fatto più per le danze e per le sollazzevoli occupazioni
che
per le guerriere imprese(1). Questo carattere di
o Penteo a tal dispregio di Bacco ed a tanto sdegno per le sue feste,
che
a tutto potere cercò distoglierne i suoi Tebani.
almente di Bacco, ed il dipinge più stranamente furioso, anzi feroce,
che
non fa Euripide nelle sue Baccanti. Il cieco vate
eva i pronostici, gli avea presagita una morte funesta pel dispregiar
che
faceva le orgie di Bacco ; ma quegli, schernendo
misteri, a’ fatti aggiungendo l’onta : esser cosa di grande vergogna
che
uomini avvezzi a non temere i nemici brandi, sien
vinti da insani ululati donneschi e da sozzo gregge di avvinazzati ;
che
conveniva alla Tebana gioventù impugnar la spada,
, non il tirso ; coprirsi di celata, non di una ghirlanda di ellera ;
che
pensassero all’onor della patria, e l’imbelle str
dalla Lidia era venuto a Tebe, ed egli stesso presso Euripide(2) dice
che
prima di ogni altra greca città aveva ripiena Teb
fece grande in que’ luoghi il nome e la gloria di Bacco. È verisimile
che
Penteo fosse stato un re sapiente, il quale volen
le volendo mettere un modo a’ gravi disordini ed al pericoloso furore
che
nelle intere città destavano le orgie di Bacco, o
ucciso dalle Baccanti, cioè da persone furiose per immoderato bere il
che
ha dato luogo alla favola. IV. Continuazione.
ando starsene fra le mura paterne ed attendere a’donneschi lavori più
che
impazzare colle altre ed aver parte a’disordini d
lor lavoro fu turbato da forte suonar di timpani e di altri strumenti
che
lor pareva udire. Le misere donzelle per campare
pareva udire. Le misere donzelle per campare dalla vendetta del Nume,
che
mostrasi presente per l’improvviso apparire di va
mente si veggon mutate in brutte figure di pipistrelli. Alcuni dicono
che
quelle donzelle prese dal furore di Bacco lacerar
elle prese dal furore di Bacco lacerarono Ippaso, fig. di Leucippe, e
che
andarono ad unirsi alle Baccanti, dalle quali rig
furon in varii uccelli ed anche in pipistrelli cangiate. Eliano dice
che
le Mineidi erano trè sorelle di saviezza, e di on
si fra la turba insana delle Baccanti. A terrore delle altre si finse
che
Bacco le punì severamente con quella trasformazio
he Bacco le punì severamente con quella trasformazione. Conviene dire
che
i sapienti reggitori de’popoli mal volentieri ved
edevano, il culto di Bacco allignare ne’loro paesi. Omero(1) racconta
che
Licurgo, fig. di Driante e re di Tracia, armato d
da buoi inseguiva le nutrici di Bacco e ne faceva mal governo, tanto
che
furon costrette a gittare, fuggendo, i loro tirsi
de’ folle impresa essere il pugnar contro i numi. Igino però racconta
che
Licurgo, essendo nemico di Bacco e non volendolo
ce tagliare tutte le viti, dicendo essere il vino perniciosa medicina
che
le umane menti trasforma. Onde reso furioso per o
fig. di Abante e padre di Danae. Egli(1) ebbe di Bacco sì poca stima,
che
non volle riconoscerlo per figliuolo di Giove ; c
co sì poca stima, che non volle riconoscerlo per figliuolo di Giove ;
che
anzi, armata mano, gl’impedì ch’entrasse in Argo
che anzi, armata mano, gl’impedì ch’entrasse in Argo ; nè mai permise
che
nella sua città prendessero piede le orgie di que
e orgie di quel nume. Parliamo ora d’Icaro e della figliuola Erigone,
che
non riportarono gran pro dall’amicizia di Bacco,
avendone bevuto fuor di misura, caddero in grave letargo ; e credendo
che
Icaro avesse lor data qualche avvelenata bevanda,
Icaro fu cangiato nella costellazione detta Boote, e con lui il cane,
che
si chiama la canicola, la quale, e specialemente
ne il furore, essendo stato detto cane o canicola pei rabbiosi calori
che
spesso son cagione di pericolose infermità. Or pe
r vendicare la morte di Erigone, Bacco mandò tal morbo agli Ateniesi,
che
le loro figliuole, cadute in gran furore, si dava
no da loro stesse la morte. Per rimedio di tanto male volle l’oracolo
che
gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e che
ale volle l’oracolo che gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e
che
in ciascun anno al padre ed alla figliuola offeri
ospitalità, il regalò della vite e gli additò il modo di coltivarla ;
che
anzi il vino chiamò οινος dall’ospite ; ma è più
rla ; che anzi il vino chiamò οινος dall’ospite ; ma è più verisimile
che
la favola sia nata dal nome di Eneo, ovvero Oeneo
più verisimile che la favola sia nata dal nome di Eneo, ovvero Oeneo
che
in greco significa vino. V. Propagazione del c
le e le cerimonie di una divinità Egiziana, cioè di Osiride, in guisa
che
il Bacco de’ Greci era l’Osiride degli Egiziani.
na tigre, liberò Giove da’loro assalti, e ne fu tagliato a pezzi ; il
che
han dovuto i Greci copiare dalla storia della mor
di Osiride ucciso dal gigante Tifone, suo fratello. Orazio(1) afferma
che
quando i gigan ti vollero scacciare Giove dal suo
Osiride era consacrata l’ellera, come a Bacco ; e Diodoro Sicolo dice
che
Osiride fu il primo a trovare la vite nel territo
e che Osiride fu il primo a trovare la vite nel territorio di Nisa, e
che
avendo scoperto il modo di coltivarla, fu il prim
l vino, ed agli altri uomini insegnò la maniera di farlo ; cose tutte
che
convengono a Bacco. Marziano Capella afferma che
i farlo ; cose tutte che convengono a Bacco. Marziano Capella afferma
che
gli Egiziani indicavano il sole sotto il nome di
sole sotto il nome di Osiride ; e da Virgilio e da Macrobio sappiamo
che
Bacco era lo stesso che il sole. Ed il vedere Bac
siride ; e da Virgilio e da Macrobio sappiamo che Bacco era lo stesso
che
il sole. Ed il vedere Bacco con due corna sul cap
sso che il sole. Ed il vedere Bacco con due corna sul capo ci ricorda
che
Osiride dagli Egiziani era rappresentato sotto la
appresentato sotto la forma di un toro. Ma niuna cosa meglio dimostra
che
il Bacco de’ Greci era l’Osiride degli Egiziani,
canto, delle quali era capo Apollo, e da una turba di uomini velluti
che
chiamavansi Satiri ; la quale spedizione fu un vi
guerriero fatto per ammaestrare que’ popoli. Imperocchè, volendo egli
che
la sua beneficenza non si restringesse nel solo s
atosi l’uccise con un colpo di sermento. Fu pure per l’odio della Dea
che
il povero Bacco impazzò stranamente ed errò per l
quale da Orazio(1) chiamasi signore delle Naiadi ; e Tibullo(2) dice
che
Bacco ama le Naiadi. Oltre le Ninfe, le Ore e Sil
una specie di cembalo, solito a suonarsi ne’ sacrificii di Bacco. Il
che
finsero per significare che i centauri erano gran
to a suonarsi ne’ sacrificii di Bacco. Il che finsero per significare
che
i centauri erano grandi bevitori ed inchinati all
ni e di ellera, usato dal nostro nume nelle sue guerre dell’ India, e
che
i suoi seguaci portavano nelle feste di lui ; e p
soli vasi del Museo Borbon. Ritrovasi piú di quaranta volte. Si vuole
che
questo tirso si fosse usato per ingannare i rozzi
vuole che questo tirso si fosse usato per ingannare i rozzi Indiani,
che
non avean cognizione delle armi, giacchè la punta
t’i popoli di quella penisola, da’ quali fu accolto come una divinità
che
porta seco non il terrore delle armi, ma l’insegn
terra. In questa spedizione egli toccò col tirso l’Oronte e l’Idaspe,
che
arrestarono il loro corso, dando all’esercito di
lle Baccanti in questa famosa spedizione fu il vecchio Sileno, satiro
che
Bacco oltremodo amava, come a suo balio e pedagog
ostantemente son munite le altre di lui immagini. Diodoro Sicolo dice
che
il primo Sileno avea una coda, della quale fu for
e, coronato di edera e con una tazza in mano. Or avvenne un giorno(2)
che
Sileno addormentatosi non potè seguire l’armata d
o addormentatosi non potè seguire l’armata di Bacco. Ansi si racconta
che
il re Mida avea fatto un fonte di vino per ubbria
mpadronirsi del buon Sileno ; dal quale apprese assai buone cose ; il
che
finse per conciliare autorità alle sue leggi ; e
zia chiesto gli avesse ; ed egli domandò di cangiare in oro tutto ciò
che
toccato avesse. Ma tal dono fu funesto all’avaro
oro anche il cibo e la bevanda. Vedendosi così vicino a morire, pregò
che
se gli togliesse sì pernicioso privilegio. Bacco
vilegio. Bacco gli comanda di lavarsi nel Pattolo, fiume della Lidia,
che
da quel tempo ebbe l’arena d’oro ; percui di cosa
esi l’oro di Lidia, o le ricchezze del Pattolo. Il ch. Goguet(3) dice
che
questo re assai caro vendeva i proventi de’suoi t
3) dice che questo re assai caro vendeva i proventi de’suoi terreni e
che
accumulò moltissimo oro colla mercatura, la quale
i e che accumulò moltissimo oro colla mercatura, la quale si può dire
che
tutto converta in oro. Ritrovò pure l’ancora ; e
Mida andavano in proverbio. Egli fu successore di Gordio, suo padre,
che
fondò il regno di Frigia. Anio(4), vecchio sacerd
o data la virtù di cangiare in frumento, in vino, o in olio tutto ciò
che
toccato avessero ; percui furon dette Enotrope (a
ercui furon dette Enotrope (ab οινος, vinum, et τροπη, conversio). Di
che
fatto certo Agamennone, duce de’ Greci contro Tro
sa gl’insegnò la maniera di vincerlo, dandogli un gomitolo di filo(1)
che
ella teneva per un capo, stando alla porta del la
co tempo dopo il nostro Bacco, il quale, veduta l’abbandonata giovane
che
disperatamente raccontava alle rupi il ricevuto t
o, Diana stessa trattenne Arianna in quell’isola per volontà di Bacco
che
intendeva menarla in moglie. Le fece poscia il do
endeva menarla in moglie. Le fece poscia il dono d’una corona di oro,
che
avea ricevuta da Venere. Era essa lavoro egregio
onzelle con crotali e timpani in mano ; vi comparivano Fauni e Satiri
che
tenevano vasi e tazze ; i sacerdoti portavano le
el sacrificio ; e finalmente il vecchio Sileno ubbriaco sul suo asino
che
il conduce a stento. In memoria de’tre anni che i
bbriaco sul suo asino che il conduce a stento. In memoria de’tre anni
che
il nostro nume impiegò in quella spedizione, isti
stro nume impiegò in quella spedizione, istituì le feste trieteriche,
che
si celebravano da’ Tebani ogni terzo anno con not
eozia era consacrato a Bacco ed alle Muse, ed era famoso per le orgie
che
vi si celebravano di notte, tanto che Ovidio(3) i
use, ed era famoso per le orgie che vi si celebravano di notte, tanto
che
Ovidio(3) il chiama monte fatto per le cose sacre
avansi dalle Baccanti, le qualì si cingevano di serpenti sì la chioma
che
il resto del corpo(4) ; andavano coronate di eder
di Bacco, nei quali, fra le altre cose misteriose, era una piramide,
che
alludeva o a’ due aggiunti misteriosi che Orfeo d
steriose, era una piramide, che alludeva o a’ due aggiunti misteriosi
che
Orfeo dà a Bacco, chiamandolo di tre generazioni
este trieteriche. Questa cesta per lo più si vede mezzo aperta e pare
che
n’esca un serpente ; ed è tutta coronata di edera
nata di edera. Vi erano pure le Canefore, cioè alcune donzelle nobili
che
portavano piccoli canestri d’oro colmi di ogni ma
e primizie(2). Alle volte in questi canestri si tenevan de’ serpenti,
che
facevansi ad un tratto uscir fuora per ispaventar
ir fuora per ispaventare glì spettatori. Vi erano infine i licnofori,
che
portavano il misterioso vaglio (μυστικον λικνον)(
per le strade, facendo balli e cento altre cose da forsennati, tanto
che
Orazio(4) grandi cose ci dice della forza delle B
i disordini delle feste baccanali erano sì vituperevoli e pericolosi
che
l’anno 568 di Roma il Senato fu obbligato a proib
de passarono all’ Etruria e poscia a Roma, se ne faceva sì gran conto
che
da’ Baccanali o feste Dionisiache si contavano gl
; o da una figliuola di Cefisso, fiume della Beozia, chiamata Tiade,
che
fu la prima iniziata nelle misteriose orgie di Ba
e di Bacco. VIII. Varie incumbenze di Bacco. Bacco fu il primo
che
insegnò agli uomini l’uso del vino, ed il modo di
vato, quegli abitanti, dice Millin, tributavano i loro omaggi al nume
che
avea loro viti del nettare involato agli Dei. Olt
ncipio igneo ; per cui Bacco chiamossi Pirigeno, Lamptero ec. epiteti
che
dinotavano Bacco, ovvero il vino, generato da ign
e, e qua e là per le contrade collocavansi crateri pieni di vino ; il
che
, al dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sol
i di vino ; il che, al dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sole
che
in vino cangia il suo raggio giunto al licor che
significava il Sole che in vino cangia il suo raggio giunto al licor
che
dalla vite cola. Quindi il Redi, parlando del vin
lando del vino, dice : Sì bel sangue è un raggio acceso Di quel Sol
che
in ciel vedete, E rimase avvinto e preso Di più g
e avvinto e preso Di più grappoli alla rete. Ed in Ovidio(1) abbiamo
che
Bacco si donò ad Erigone, fig. d’ Icaro, trasform
come la vite in greco chiamasi ampelos, così quel poeta(2) favoleggiò
che
vi fu un tale Ampelo, fig. di un Satiro e di una
orno cadde da un pergolato, e fu da Bacco convertito in costellazione
che
dicesi il Vendemmiatore (προτρυγητης). I poeti ac
ra’ Centauri ed i Lapiti si accese la più sanguinosa pugna del mondo,
che
Ovidio(5) descrive con tutt’i colori della sua vi
o di estrarre e di apparecchiare il mele ; ed in Euripide(1) leggiamo
che
scorreva latte, vino e mele quel paese, pel quale
quale egli guidava il suo esercito ; forse alludendo alla sparsa voce
che
la terra promessa, ove Mosè condur dovea gl’ Isra
, avea ruscelli di latte e di mele. Ovidio (2) seriamente ci racconta
che
viaggiando Bacco vicino al monte Rodope, i suoi s
o al monte Rodope, i suoi seguaci per caso batterono i loro bronzi, e
che
un novello sciame seguì quel grato suono, percui
ere, e da Strabone(4), il genio di Cerere. E gli Spartani(5) dicevano
che
avea pur ritrovato la coltura de’ fichi ; e però
a teatrale e della drammatica poesia. Per questa ragione ancora credo
che
Pausania(6), descrivendo una statua di Bacco fatt
Pausania(6), descrivendo una statua di Bacco fatta da Policleto, dice
che
i coturni che appartenevano alla tragedia, erano
escrivendo una statua di Bacco fatta da Policleto, dice che i coturni
che
appartenevano alla tragedia, erano i calzari prop
acendo parte del tiaso, cadde e morì, per cui fu trasformato in edera
che
chiamasi pure cisso (κισσος). IX. Iconologia d
po ; corona di pampini e di ellera ; bionda e lunga chioma inanellata
che
gli cade su gli omeri ; vaso di oro per uso di be
ive Bacco nella tragedia delle Baccanti di Euripide(1). Egli non meno
che
Apollo celebravasi per un’eterna bellezza, e pel
pollo celebravasi per un’eterna bellezza, e pel fiore di una gioventù
che
non veniva mai meno. Quindi da Orazio(2) fu detto
ti ; ed oltre a ciò i pittori ed i poeti gli danno due picciole corna
che
potea levarsi a suo talento : il che era simbolo
eti gli danno due picciole corna che potea levarsi a suo talento : il
che
era simbolo di maestà e di potenza(3)). Tibullo r
o di un simulacro di quel nume (4). Ornato di corona fatta di corimbi
che
sono i frutti dell’edera, ed armato di tirso il v
si rappresentava stante in piedi ; ed Ateneo(5) riprende gli artisti
che
lo facevan giacente. Ma Pausania lo descrive con
Siculo. Sidonio Apollinare(6) descrive Bacco con un vaso nella destra
che
fors’era il cantaro potatorio di Arnobio, ed il t
Bacco tirato o da tigri, o da pantere, o da linci, per indicare forse
che
la forza del vino doma ed ammansisce ogni più ind
ntera alle spalle ; or sul dosso di Pane, or fra le braccia di Sileno
che
fu il suo balio ; or sopra un carro circondato di
ma di oro, come cel rappresenta Orazio ; e sovente come un fanciullo
che
scherza colle ninfe e co’satiri. Uno de’più bei m
o nella città di Rennes. Questo rappresenta nel mezzo Bacco ed Ercole
che
si fanno versare da bere. Bacco si serve del ryth
acco si serve del rython, ed è osservabile pel tirso e per la pantera
che
ha a’ piedi. Ercole è assiso sulla spoglia del le
clava, e beve in un cantaro ; intorno ad essi vedonsi Fauni e Satiri
che
suonano doppii flauti, e siringhe. Presso a Bacco
ed il suo trionfo. La truppa è preceduta da Baccanti d’ambi i sessi,
che
danzano co’ crotali, co’cembali e co’ timpani ; a
appoli d’uva, mentre i giovani Fauni premono la vendemmia ; un satiro
che
cozza corno a corno con un caprone ; Sileno coric
e ; Sileno coricato sopra un cammello, e per ultimo un coro di musici
che
assistono alla festa. Ercole comparisce in tale s
o di musici che assistono alla festa. Ercole comparisce in tale stato
che
la sua forza vinta si vede dalla ubbriachezza, po
hezza, poichè non solamente è stato obbligato ad abbandonare a’ Fauni
che
gli sono accanto, la cura di portare l’enorme sua
o suo antagonista ». Nel Museo Borbon. si vede una Baccante infuriata
che
suona il cembalo. Vi è un Fauno, dal cui omero si
pra un trono di oro borchiato di gemme, e strato di porpora. Il peplo
che
dagli omeri gli discende sino a’piedi è violaceo
i cembali si veggono da un lato e dall’altro del trono di questo dio
che
sta dipinto sopra un fondo rosso(2) ». Anche Erod
o che sta dipinto sopra un fondo rosso(2) ». Anche Erodoto(3) afferma
che
Bacco dipingevasi col tirso nella sinistra, la ta
zza nella destra, ed una pantera a’ piedi, il quale animale significa
che
il vino doma ogni più feroce natura(4). Nel Museo
chiere facevano uso delle corna de’ buoi per bere. Rodigino riferisce
che
Bacco, dopo aver ritrovato il vino, bevea in un c
bue. X. Epiteti principali di Bacco. Acratoforo, ακρατοφορος,
che
porta vin puro ; ed Acratapote, ακρατοποτης, bevi
cco. Bassareo, Bassareus, fu detto Bacco dalla voce Tracia βασσαρος,
che
significa volpe, perchè le Baccanti dette Bassari
corno. Ebone, nume adorato nella nostra Campania, creduto lo stesso
che
Bacco, o meglio il sole, che rappresentavasi con
nella nostra Campania, creduto lo stesso che Bacco, o meglio il sole,
che
rappresentavasi con testa di toro, e faccia di uo
ato. Evante o Evan, cognome di Bacco, dal grido delle Baccanti evan,
che
corrisponde all’evoè, ed al nostro evviva. Perciò
ed al nostro evviva. Perciò le Baccanti furon dette Evanti. Ευκομος,
che
ha bella chioma ; αβροκομης, che ha una chioma de
accanti furon dette Evanti. Ευκομος, che ha bella chioma ; αβροκομης,
che
ha una chioma delicata ; κρυσοκομης, dall’aurea c
tura. Κρισσοκομης, e κισσοστεφανος, coronato di edera. Plinio(1) dice
che
Bacco fu il primo a porsi in testa una corona, e
. Plinio(1) dice che Bacco fu il primo a porsi in testa una corona, e
che
questa fu di edera. Leneo, Lenaeus pater, da λυα
Nisa, cit. dell’ Arabia, ove Bacco fu educato. Racemifer, cioè Bacco
che
ha il capo coronato di grappoli. Semeleius, Seme
sua madre, perchè egli scese all’inferno per trarne la madre Semele,
che
Giove, ad istanza del figliuolo, allogò fra le im
immortali col nome di Tione. Tirsigero, θυρσοφορος, Thyrsiger, Bacco
che
porta il tirso. XI. Alcune altre cose di Bacco
ora l’uso de’ serpenti nelle orgie di Bacco. Euripide(1) ci fa sapere
che
Bacco appena nato portò il capo cinto di una coro
to portò il capo cinto di una corona di serpenti ; e Nonno(2) afferma
che
Bacco, in segno della sua perpetua gioventù, avea
accanti in alcune ceste portava de’ serpenti, forse di quella specie,
che
anche mordendo, non nuoce. Altri dicono che non e
, forse di quella specie, che anche mordendo, non nuoce. Altri dicono
che
non eran mica veri serpenti, ma fatti di oro o di
serpenti, ma fatti di oro o di altro metallo ; ed il Vossio(3) avvisa
che
le scuriate che quelle strane sacerdotesse teneva
ti di oro o di altro metallo ; ed il Vossio(3) avvisa che le scuriate
che
quelle strane sacerdotesse tenevano in mano e di
o e di crini a guisa di serpenti. Da Cicerone e da Ovidio(4) sappiamo
che
i giovanetti Romani nelle feste di Bacco dette Li
i Bacco fu chiamato Ditirambo, per, essere stato allevato in un antro
che
avea due porte o uscite (διθυρω). Or da questo su
dal vino, dee regnare una licenza ed un’audacia assai grande in guisa
che
il poeta, servendo al soperchio suo estro, passa
esta Orazio(1) di Pindaro ; ed egli stesso in due odi a Bacco(2) pare
che
abbia voluto seguire la foggia ditirambica, ma no
li antichi non vi sono restati esempi perfetti di ditirambica poesia,
che
potessero farci concepire una giusta idea di siff
ento ; ma gl’Italiani vantano il Bacco in Toscana del Redi, ditirambo
che
può dirsi perfetto ed a cui nè le antiche nè le m
può dirsi perfetto ed a cui nè le antiche nè le moderne nazioni hanno
che
opporre. Da’ poeti ditirambici nacque il proverbi
ritroviamo essergli state immolate pecore e tori ; ed Erodoto afferma
che
gli Egiziani gli sacrificavano anche il porco. Se
ola latina venustus, grazioso, avvenente ; ed il composto invenustus,
che
significa non solo disgrazioso, ma eziandio svent
a dalla schiuma del mare. Didimo(2) la fa derivare da due voci greche
che
significano un vivere molle e delicato. I Sirii p
almente annoveravano fra le loro divinità tre Dee dette le tre Grazie
che
finsero compagne di Venere. I Greci le chiamarono
elle grazie. Gli antichi ne distinguevano parecchie. Cicerone(3) dice
che
una era fig. del Cielo o di Urano, e della Luce o
a Mercurio nacque Cupido secondo ; la terza nata da Giove e da Dione,
che
sposò Vulcano, e dalla quale nacque Antero ; e la
e nacque Antero ; e la quarta Siria e nata in Tiro, chiamata Astarte,
che
sposò Adone. Or la ninfa Dione, fig. dell’Oceano
ne, fig. dell’Oceano e di Teti, era la madre di Venere, percui Cesare
che
si vantava discendere da Venere e da Anchise per
ero. Anzi si venerava pure come dea della marina. Plinio(4) riferisce
che
Augusto pose nel tempio di Giulio Cesare un quadr
o(4) riferisce che Augusto pose nel tempio di Giulio Cesare un quadro
che
rappresentava Venere nell’atto di uscire dalle on
e dalle onde del mare, detta perciò Anadiomene. Igino poi(5) racconta
che
una volta dal cielo cadde nell’ Eufrate un uovo,
poi(5) racconta che una volta dal cielo cadde nell’ Eufrate un uovo,
che
sulla riva fu covato da alcune colombe e che da e
e nell’ Eufrate un uovo, che sulla riva fu covato da alcune colombe e
che
da esso nacque Venere, la quale fu poscia chiamat
da esso nacque Venere, la quale fu poscia chiamata Dea Siria. I pesci
che
portaron quell’uovo alla riva, e le colombe, ad i
le per cosa sacra(6). Macrobio finalmente(7), seguendo il suo sistema
che
il sole e la luna erano le sole divinità degli an
degli antichi, adorate da diverse nazioni sotto diversi nomi, afferma
che
Venere era la luna e che perciò chiamavasi noctil
diverse nazioni sotto diversi nomi, afferma che Venere era la luna e
che
perciò chiamavasi noctiluca. Dalla schiuma del ma
ed era accompagnata da Cupido, suo figliuolo, dal giuoco, e dal riso,
che
la rendevano la delizia degli uomini e degli Dei.
i pittori e gli scultori, a loro imitazione, ne hanno formato una Dea
che
in se riunisce quanto vi è di più bello e di più
i più bello e di più amabile. Secondo Lattanzio, Venere non era altro
che
i poeti ne foggiarono una dea. Ma il Banier ricer
conoscenza della loro religione. Quindi in poetico linguaggio dissero
che
presso a quell’isola Venere uscita delle onde era
rchè qui vi la prima volta ne aveano inteso parlare. E come i Fenicii
che
i primi avean recato colà il culto di Venere, era
n recato colà il culto di Venere, eran venuti per mare ; così i Greci
che
portavan tutto al maraviglioso, finsero ch’era na
onte Idalo, di Cipro(2), fu mortalmente ferito da un grosso cinghiale
che
vuolsi essere stato mandato da Marte ; sebbene al
hiale che vuolsi essere stato mandato da Marte ; sebbene altri dicano
che
Apollo, cangiato in cinghiale, avesse ucciso Adon
di Venere, la quale avea privato di vista Erimanto, di lui figliuolo,
che
l’avea veduta nel bagno. Alle grida dell’infelice
se del nettare sulla ferita e dal sangue di lui fece nascere un fiore
che
Bione crede essere la rosa, per ciò consacrata a
che Bione crede essere la rosa, per ciò consacrata a quella Dea ; ma
che
Ovidio dice essere l’anemone, fiore che si apre s
consacrata a quella Dea ; ma che Ovidio dice essere l’anemone, fiore
che
si apre solo allo spirare del vento (ανεμος, vent
si apre solo allo spirare del vento (ανεμος, ventus). Altri vogliono
che
l’anemone nacque dalle lagrime di Venere, la qual
la spina di un rosaio le punse il piede, ed una goccia del suo sangue
che
zampillò dalla ferita, cangiò in rosso il colore
rosso il colore delle rose ch’eran tutte bianche. Adonie erano feste
che
si celebravano in onore di Adone. In esse tutta l
In esse tutta la città vestivasi a lutto, e non si udivano per tutto
che
pianti e grida. Le donne correvano per le strade
icare il porco a Venere (Αφροδιτη υν εθυκεν), per significare un uomo
che
fa cosa ingrata ad alcuno. Bione, poeta buccolico
e. Fu essa figliuola di Scheneo, re di Argo. Un oracolo avea predetto
che
maritandosi sarebbe stata cangiata in altra forma
lo alla caccia. Ora, per evitare le importune richieste, fece sentire
che
avrebbe sposato colui che l’avesse superata nel c
vitare le importune richieste, fece sentire che avrebbe sposato colui
che
l’avesse superata nel corso. Ella ch’era velociss
nere, cui dimenticato avea di rendere le dovute grazie, sdegnata fece
che
profanassero un tempio di Cibele, la quale di ciò
oltremodo offesa vendicò l’oltraggio, trasformando entrambi in leoni
che
attaccò al suo cocchio. La corsa di Atalanta e d’
tto di due belle figure del giardino delle Tuilèries. Que’ pomi d’oro
che
Venere donò ad Ippomene, erano consacrati a quell
a e si custodivano negli ameni orti delle Esperidi. Plinio(1) attesta
che
i giardini in generale erano sotto la protezione
izione : « Gli Editui di Venere degli orti Sallustiani. » Si racconta
che
quando Giove sposò Giunone, gli Dei fecero de’ re
e quando Giove sposò Giunone, gli Dei fecero de’ regali alla sposa, e
che
la Terra donato le avesse de’ pomi d’oro co’ ramo
zza detto Ladone e nato da Tifone e da Echidna, o da Forco e da Ceto,
che
avea cento teste e non dormiva mai. Fu esso uccis
Ercole, e da Giunone collocato fra gli astri. Altri però favoleggiano
che
le Esperidi possedevano in Africa non lungi dal m
l fatal pomo della discordia, del giudizio di Paride e della vittoria
che
riportò la nostra Dea sulle due rivali. Or questa
ostra Dea sulle due rivali. Or questa vittoria non fu la sola cagione
che
spinse Venere a proteggere l’infelice città di Tr
avanzi di essa. Ella da Anchise, principe Troiano e nipote di Priamo,
che
alcuni dicono fig. di Assaraco, e ch’era bellissi
dicono fig. di Assaraco, e ch’era bellissimo, avea avuto un figliuolo
che
fu il celebre Enea. Giunone, pel pomo della Disco
per salvare e l’una e l’altro, se stato fosse possibile, dal turbine
che
loro soprastava per volere del fato. Nel terzo li
Ettore si dichiara pronto a combattere in duello con Menelao a patto
che
il vincitore abbiasi Elena e i suoi tesori. Si vi
e, se Venere, sua madre, oprendolo del suo peplo, non avesse impedito
che
» ferro Acheo gli passi il petto, e l’anima gl’
nata da Peone. Icore (ικορ), è un bianco umore, o un sangue finissimo
che
Omero assegna agli Dei, cioè, come spiega Mad. Da
e ne sono feriti. La qual cosa sembrò così ingiuriosa alla divinità,
che
per questa ragione Platone cacciò Omero dalla sua
e solo scusare, dicendo avere egli seguita l’opinione de’ tempi suoi,
che
questi Dei inferiori, cioè, avessero i loro corpi
i Dei inferiori, cioè, avessero i loro corpi, sebbene di altra natura
che
i nostri, e che per ciò potevano molto bene parte
cioè, avessero i loro corpi, sebbene di altra natura che i nostri, e
che
per ciò potevano molto bene partecipare delle uma
none dovè un giorno la nostra Venere concorrere ad una orrenda strage
che
i Greci aiutati da Nettuno fecero de’ Troiani. Gi
Giunone scaltramente ottiene il misterioso cinto di Venere, fingendo
che
volea avvalersene per comporre una difficile lite
e Teti ; ma veramente servì per rendersi benevolo il consorte Giove,
che
fece addormentare dal Sonno, e così diede agio a
tus), ornamento nel quale erano chiuse e raccolte tutte le lusinghe e
che
avea la virtù di rendere amabile chi lo portava,
lusinghe e che avea la virtù di rendere amabile chi lo portava, tanto
che
Luciano dice che Mercurio involò a Venere la sua
ea la virtù di rendere amabile chi lo portava, tanto che Luciano dice
che
Mercurio involò a Venere la sua cintura per signi
iano dice che Mercurio involò a Venere la sua cintura per significare
che
questo nume possedeva tutte le grazie del discors
deva tutte le grazie del discorso. Il Tasso ha imitato la descrizione
che
fa Omero del cinto di Venere, quando descrive la
rzi, benchè potenti, di Marte di Venere, di Apollo e degli altri numi
che
ne favorivano la causa, non valsero a salvarla da
figura fa Venere nell’ Eneide. Questa Dea predetto avea ad Anchise(1)
che
l’ Italia sarebbe stata il termine delle sventure
l’ Italia sarebbe stata il termine delle sventure di Enea ; ed è noto
che
Apollo avea presagita la serie fatale degli avven
degli avvenimenti di quell’eroe, de’ suoi posteri e della nuova città
che
sorger dovea in Italia(2). Or navigando a piene v
el Lazio, una tempesta ad istanza di Giunone suscitata da Eolo, fa sì
che
l’eroe troiano sia sbalzato con poche navi alle s
etose rimostranze della Dea Giove sorrise, promettendo alla figliuola
che
un dì sarebbe risorta una novella Troia e che avr
mettendo alla figliuola che un dì sarebbe risorta una novella Troia e
che
avrebbe riposto in cielo il magnanimo Enea ; le r
rigine da Giulio o Ascanio, fig. di Enea e nipote di Venere(1), tanto
che
nello stemma della famiglia Giulia vedeasi segnat
me di Venere. Per ciò Cesare consacrò a questa Dea il mese di Aprile,
che
Ovidio(2) afferma, essere stato così detto da Afr
ri dicono ab aperiendo, dall’aprire, perchè in quel mese la terra par
che
si apre e manda fuori i nuovi germogli de’fiori e
aura movea, divina luce, E divino spirar d’ambrosia odore. E la veste
che
dianzi era succinta, Con tanta maestà le si diste
eracemente, e Venere mostrossi. Caro. Or l’amorosa madre sospettando
che
tra via il figlluolo Enea ed il compagno Acate di
done sfolgorante di singolare dignità e bellezza. Temendo intanto(2),
che
in una città consacrata a Giunone, qual’era Carta
za sicura, ritenuto Ascanio ne’sacri boschetti del monte Idalo, fa sì
che
Cupido, preso il sembiante di lui, ispirasse a Di
e di accordo con Giunone, e per diversi fini le nemiche Dee procurano
che
Didone ed Enea in marital nodo si stringano ; Giu
buio regno di Plutone, e Venere manda una coppia di amorose colombe,
che
col fausto lor volo gli mostrano l’albero dell’au
finalmente Enea nel Lazio, e timorosa la madre pel turbine di guerra
che
addensar si vedeva sul capo del diletto figliuolo
igliuolo, con mille carezze induce Vulcano a fabbricargli un’armatura
che
il dovea rendere invitto, ed in cui erano bellame
li accagiona i Troiani, e quindi Venere stessa ; percui Giove vedendo
che
indarno tentava di richiamare quelle Dee alla con
e quell’eroe. Si adopera ogni mezzo per togliere l’acuto strale e far
che
tosto ritorni alla battaglia ; ma vana riesce ogn
e avventure di Enea sono descritte nell’Eneide di Virgilio, bel poema
che
pe’ Romani potea dirsi poema nazionale, come era
lia presso il Numicio, fiumicello nella Campagna di Roma ; e si disse
che
Venere, a malgrado di Giunone, l’avesse portato i
in un inno di Omero, nel seguito di Venere si pone la Gioventù o Ebe,
che
Igino dice fig. di Giove e di Giunone, che sposò
si pone la Gioventù o Ebe, che Igino dice fig. di Giove e di Giunone,
che
sposò Ercole in cielo. Apuleio poi afferma (4) ch
iove e di Giunone, che sposò Ercole in cielo. Apuleio poi afferma (4)
che
Mercurio sempremai assisteva Venere colla sua elo
a in altro luogo (1) con pochi versi soavemente ci rappresenta Venere
che
, al ritorno della primavera, regola le allegre da
enta Venere che, al ritorno della primavera, regola le allegre danze,
che
al chiaror della Luna intrecciano le Ninfe e le a
ie. Ed invero da Lucrezio (2) si scorge, essere stata antica credenza
che
questa Dea principalmente all’apparire della prim
’alato Zeffiro, come da suo foriere. E nell’inno di Apollo dice Omero
che
le Grazie intrecciano nell’Olimpo lietissime danz
re forza de’ genitori. Da’Greci si appellava Eros (Ερως), come Antero
che
pur si voleva fig. di Venere e di Marte, era il s
, per cui si chiama il faretrato Arciero. Qualche volta vedesi Venere
che
tiene alta la faretra piena di strali, e Cupido c
lta vedesi Venere che tiene alta la faretra piena di strali, e Cupido
che
saltando si sforza di afferrarla. Ne’ vasi di Mil
ndo si sforza di afferrarla. Ne’ vasi di Millin si rappresenta Venere
che
abbraccia Cupido. Essa che forse era la Venere Ur
. Ne’ vasi di Millin si rappresenta Venere che abbraccia Cupido. Essa
che
forse era la Venere Urania o celeste, è assisa so
mento. Egli infine era non solo di grande bellezza, ma da Ovidio (1),
che
ne descrive elegantemente il trionfo, chiamasi au
descrive colle ali e le chiome screziate di gemme, e su di un cocchio
che
ha le ruote dorate, mentre la madre Venere gli fa
della Beozia, ed era consacrato a Venere, detta perciò Acidalia ; il
che
forse significava che i beneficii debbono essere
consacrato a Venere, detta perciò Acidalia ; il che forse significava
che
i beneficii debbono essere puri e senza sordida s
ro regine della ricca Orcomeno. Quivi Eteocle, fig. di Cefisso, fiume
che
bagna Orcomeno, sacrificò la prima volta in di lo
acco e da Venere. Omero (2), delle tre Grazie nomina la sola Pasitea,
che
Giunone promette in moglie al dio Sonno ; forse p
, che Giunone promette in moglie al dio Sonno ; forse per significare
che
il sonno sta in grazia ed è caro a tutti. Ed in a
oè una delle Grazie, per indicare la grazia e la bellezza delle opere
che
col fuoco faceva quel fabbro divino. Da Esiodo si
di Giove e della bella Eurinome, una delle Oceanine. Pausania afferma
che
qualche scrittore nel numero delle Grazie poneva
poneva anche Pito, o la Dea della persuasione, forse per significare
che
il gran segreto del persuadere è il saper piacere
eto del persuadere è il saper piacere. Esse ordinariamente non aveano
che
un tempio colle Muse ; ed in Delfo le statue dell
carmi, figliuole del più potente de’ numi. Il fin qui detto dimostra
che
nella poesia debbono essere d’accordo le Grazie c
sia debbono essere d’accordo le Grazie colle Muse. E Plutarco afferma
che
a Mercurio erano congiunte le Grazie per signific
arco afferma che a Mercurio erano congiunte le Grazie per significare
che
la piacevolezza, per così dire, dell’eloquenza cu
invocarle e salutarle col bicchiere alla mano. Anzi Pindaro aggiunge
che
in cielo senza le Grazie non facevasi dagli Dei a
stinate ad essere il decoro e l’ornamento dell’olimpo. Omero (1) dice
che
le due cameriere di Nausicaa, fig. di Alcinoo, ri
Banier, nel gran numero delle Divinità degli antichi alcuna non vi è
che
sia vestita di più amabili circostanze che le Gra
li antichi alcuna non vi è che sia vestita di più amabili circostanze
che
le Grazie, dalle quali tutte le altre prendono in
to hanno di amabile e di vezzoso. Esse erano la sorgente di tutto ciò
che
vi è di dilettevole e di gaio in natura ; esse da
lunque altra cosa nel genere suo quell’ultimo finimento, diciam così,
che
fa belle tutte le altre perfezioni e che n’è come
timo finimento, diciam così, che fa belle tutte le altre perfezioni e
che
n’è come il fiore. Infine da loro solamente potea
ni altro è inutile, cioè, il dono di piacere. Perciò esse avevano più
che
tutte le altre Dee un gran numero di adoratori :
ro delle Grazie. Quindi la frase « cantare a mal grado delle Grazie »
che
disse Properzio (1), equivale alle altre « in dis
i Minerva » (Musis iniquis, invita Minerva). E Plutarco (2) riferisce
che
, essendo il Filosofo Senocrate di volto austero e
Queste Dee per lo più si dipingevano nude e discinte, per significare
che
l’amicizia esser dee schietta e senza orpello ; e
e, per indicare la concordia degli amici (3). Anacreonte dice di loro
che
spargon rose a piene mani (ροδα βρυουσι). Il più
presentano quali giovani donne belle e ridenti, vestite più con garbo
che
con magnificenza, coronate di fiori, con in mano
magnificenza, coronate di fiori, con in mano alcune rose senza spine,
che
vanno spargendo. Un poeta (4) finalmente invita l
le Grazie a venirne a lui dalla città di Orcomeno, ed in prima Aglaia
che
si distingue al lieto e decoroso sembiante ; Tali
n prima Aglaia che si distingue al lieto e decoroso sembiante ; Talia
che
ha il sacro capo cinto di verdeggiante ghirlanda
chiama Eunomia, Dice ed Irene, e fig. di Giove e di Temi ; ed afferma
che
le Grazie e Suada ornarono Pandora di aureo monil
; ma poscia, avendo diviso il giorno in dodici parti uguali, finsero
che
le Ore fossero dodici sorelle ministre di Giove e
Ore fossero dodici sorelle ministre di Giove e compagne delle Grazie,
che
avean cura de’ fanciulli e regolavano tutta la vi
anzatrici, fino alle ginocchia ; la testa coronata di foglie di palma
che
si raddrizzano. I moderni di ordinario le rappres
i e quadranti. VII. Continuazione. Fra le altre deità gamelie o
che
presedevano alle nozze, i Greci annoveravano anch
onsacravano a Venere, prima di sposare, i loro fantocci, per indicare
che
davano un addio a’puerilì trastulli. E figliuolo
liuolo di Venere e di Bacco si vuole Imene o Imeneo, dio delle nozze,
che
altri dicono fig. di Apollo e di Calliope. Catull
ma, proprio delle novelle spose ; con calzari anche di colore giallo,
che
portavansi dagli uomini studiosi del vestire eleg
i de’ principali Padri, eran menate loro a casa da certi della plebe,
che
di ciò avevano avuto commissione. Tra le quali si
lla plebe, che di ciò avevano avuto commissione. Tra le quali si dice
che
, essendo stata presa una di eccelente bellezza da
te bellezza dalla compagnia di un certo Talassio ; e domandando molti
che
la rincontravano, a cui ella fosse menata ; color
ata ; coloro i quali la menavano, perchè non le fosse fatta violenza,
che
di Talassio era e che a Talassio era menata, risp
a menavano, perchè non le fosse fatta violenza, che di Talassio era e
che
a Talassio era menata, rispondevano ad alta voce
voce nelle nozze gridata e celebrata. » Varrone al contrario afferma
che
nel celebrarsi le nozze si ripeteva la parola Tal
llo per usodi filar lana (θαλασιον, lana. Plutarch.). Si noti in fine
che
imeneo dicevasi pure un inno solito a cantarsi ne
le nozze, quando portavasi a casa del marito la novella sposa (1) ; e
che
questa voce si adopera spesso a significare le st
a o Ermione, la quale nacque da Marte e da Venere, forse per dinotare
che
l’armonia e l’ordine spesso deriva dalla guerra e
) ; per cui Eraclito poneva la guerra per principio di tutte le cose,
che
potrebbe essere l’amicizia e la discordia, cioè l
rono una veste tinta di ogni maniera di vizii e di scelleratezze ; il
che
fu cagione di tutt’i delitti de’ posteri di Cadmo
si prestava a Venere un culto speciale. Assai esteso era il culto
che
prestavano a Venere i ciechi gentili, e però non
ghi, ov’essa veniva in particolar modo venerata. E qui è da por mente
che
il maggior numero delle città, in cui un nume era
nte che il maggior numero delle città, in cui un nume era venerato, e
che
avea sotto la sua tutela, era per esso argomento
città marittima dell’isola di Cipro, specialmente consacrata a Venere
che
vi avea un magnifico tempio assai frequentato. Il
tenuto pel più antico di quanti ne avea questa Dea nella Grecia ; il
che
dimostra che il culto di lei da quella città dovè
iù antico di quanti ne avea questa Dea nella Grecia ; il che dimostra
che
il culto di lei da quella città dovè passare nell
sa non si spargeva mai sangue e specialmente in Pafo. Tacito racconta
che
Tito, navigando presso l’isola di Cipro, volle vi
ie, egli dice (2), lo dicono fondato dal re Aeria ; ma altri vogliono
che
fu dedicato da Cinira, e che la Dea stessa, nata
fondato dal re Aeria ; ma altri vogliono che fu dedicato da Cinira, e
che
la Dea stessa, nata dal mare, fosse quivi approda
liava ad una piramide. Clemente Alessandrino (3) a proposito riflette
che
queste figure di Venere e di altri Dei e Dee, che
proposito riflette che queste figure di Venere e di altri Dei e Dee,
che
non aveano figura umana, erano argomento di assai
ialmente di mirti, rendeva delizioso quel soggiorno e degno della Dea
che
vi si adorava. Vi andavano a folla per ammirarne
etta bellezza, descritta elegantemente da Luciano. Plinio (4) afferma
che
quella statua non solo di tutte le altre opere di
tutte le altre opere di quell’insigne statuario era la più bella, ma
che
in tutto il mondo non se ne vedea la simile, e ch
a la più bella, ma che in tutto il mondo non se ne vedea la simile, e
che
molti solo per vederla andavano a Gnido. Nicomede
issimo ; ma que’ generosi cittadini non vollero privarsi di un tesoro
che
avea tanto nobilitato la loro patria. Nell’Antolo
ì a mabile avvenenza in un sasso ? Fu di Prassitele la mano ; e credo
che
Venere stessa, abbandonato l’olimpo, venuta sia a
l’Erice, monte della Sicilia, fu uno de’ più ricchi tempii di Venere,
che
vuolsi edificato insieme colla città di tal nome
da Erice, fig. di Venere e di Bute, e re di una parte della Sicilia,
che
fu ucciso da Ercole ch’ era stato provocato a sin
uando portò in Sicilia i buoi di Gerione. Virgilio, però racconta(2),
che
avendo Enea fondato in Sicilia la città di Acesta
Diodoro Siculo. IX. Iconologia di Venere. Eratostene riferisce
che
Canace Sicionio avea fatta di oro e di avorio una
a Venere col pomo e coll’epigrafe « a Venere vincitrice ». L’opinione
che
Venere sia nata dalla spuma del mare, è consacrat
, fu riposta la principal gloria di quell’insigne pittore. È noto poi
che
si rappresentava su di una conchiglia, come si ve
higlia, come si vede in molti antichi monumenti(1). La Venere celeste
che
nacque da Giove e da Armonia, e diversa dall’altr
. di Dione, era caratterizzata da un diadema sul capo simile a quello
che
porta Giunone. La Venere Vittoriosa (victrix) è a
n simile serto. La più bella statua di questa Dea, ma senza braccia e
che
pone il sinistro piede sopra di uncasco, è stata
i Capua, ed ora orna il real palazzo di Caserta. Winckelmann pretende
che
il diadema sia proprio della sola Venere Urania ;
il diadema sia proprio della sola Venere Urania ; ma Lessing sostiene
che
presso i poeti tutte le Dee hanno il diadema. All
na bella aurora, Heyne con molti versi dell’ Antologia greca dimostra
che
la Venere de’ Medici ha dovuto essere rappresenta
sere rappresentata come stante in piedi avanti a Paride. Lessing dice
che
questa Venere non può essere che la Gnidia, vale
piedi avanti a Paride. Lessing dice che questa Venere non può essere
che
la Gnidia, vale a dire, il capolavoro di Prassite
ere che la Gnidia, vale a dire, il capolavoro di Prassitele in marmo,
che
fu portata a Gnido ed alla quale fu debitrice que
te o sorgente dal mare ; della quale i poeti dissero sì bei concetti,
che
in un certo modo superarono Apelle, ma lo resero
l prezioso tesoro di bionda chioma ; e mentre quella spremeano, parea
che
da nugola d’oro diluviasse pioggia di perle. Sì s
gloria di Apelle. I tarli finalmente affatto la consumarono, parendo
che
il cielo invidiasse così bella cosa alla terra ;
ella quale fece la testa e la sommità del petto, e non più, e credesi
che
avrebbe vantaggiato la prima, ma la morte invidio
ndosi quelle mani mancate in mezzo a sì nobil lavoro. Non fu alcuno(1)
che
si attentasse d’entrare a finir la parte abbozzat
, mentre dipingeva la seconda Venere, la quale rimase imperfetta ; ma
che
forse non potea meglio perfezionarsi che chiarame
quale rimase imperfetta ; ma che forse non potea meglio perfezionarsi
che
chiaramente mostrando non potersi passar più oltr
ima, dice lo stesso Dati, un Cupido coronato di rose fatto da Zeusi e
che
si vedeva in Atene nel tempio di Venere, del qual
dia(3) fece di marmo di Paro una statua di Venere di esimia bellezza,
che
vedevasi a Roma nel portico di Ottavia ; ed Alcam
lo. Questa Dea(1) il più si dipingeva a guisa di bellissima donzella
che
sta sulle acque del mare e con una conchiglia in
do, sul quale è dipinta una testa. Cavalcando un cavallo marino, pare
che
la Dea voli sulle onde, con un velo sul capo, che
avallo marino, pare che la Dea voli sulle onde, con un velo sul capo,
che
i venti gonfiano leggermente, mentre Cupido le nu
, a spuma, perchè nata dalla schiuma del mare. Ma il P. Arduino vuole
che
la voce Aphrodite derivi da απο, e ροδιτης, cangi
απο, e ροδιτης, cangiata in απο la tenue π nell’aspirata φ ; di modo
che
αφροδιτη sia quasi απροδιτη, cioè simile al color
χρυσος, Hesiod. Forse per la bellezza, perchè diceasi aureo tutto ciò
che
ha ragione di bellezza. Orazio chiamòaurea la med
memorabile tempio di Venere. Filomede, φιλομμειδης Αφροδιτη, Venere
che
ride dolcemente, o che ama il riso. Genitrice, G
enere. Filomede, φιλομμειδης Αφροδιτη, Venere che ride dolcemente, o
che
ama il riso. Genitrice, Genitrix. Romolo(1) dedi
genitrix). In mezzo al foro Giulio era il tempio di Venere Genitrice,
che
quel gran generale, la notte precedente alla batt
Libentina, lat.Libintina, da libet, piacere. Era la dea de’ funerali,
che
alcuni confondono con Venere ; ed altri dicono es
no le cose necessarie pe’ funerali ; e Libitinariiappellavansi coloro
che
le custodivano ; per cui Libitina presso Orazio(3
detto Callinico, il quale nel decreto degli Smirnesi avea dichiarato
che
il tempio di Venere Stratonica godesse del dritto
ortavano del cielo Per l’ampie strade. B. Quaranta. Virgilio(2) dice
che
Enea riconobbe i materni uccelli, cioè le colombe
a superare la madre ; per cui s’incollerì fuor di misura, quando vide
che
la ninfa Peristera era venuta ad aintarla, e però
i simulacri di quella dea si coronavano di rose(3). Ovidio(4) afferma
che
Venere l’avvertì toccandolo leggermente con un ra
rta affinità colle Grazie, compagne di Venere. Gli antichi credevano,
che
tutte le arti ed i mestieri erano sotto la protez
la sinistra, ed un ramo di ulivo nella destra. Fu poi antica credenza
che
i Genii fossero i custodi degli uomini, ed i mini
eozia assai conto pe’ suoi vaticinii, consultato dalla madre, rispose
che
il fanciullo viverebbe sino a che non avesse vedu
ii, consultato dalla madre, rispose che il fanciullo viverebbe sino a
che
non avesse veduto se stesso. Si risero i più del
no a che non avesse veduto se stesso. Si risero i più del pronostico,
che
il fatto dimostrò vero ; perocchè nel meglio dell
sua immagine, fu attonito di quella singolare e freschissima bellezza
che
non indegna pareva dello stesso Apollo. Invaghito
orì, alla riva di quel fonte, di puro disagio ; sebbene alcuni dicono
che
fosse in quelle acque caduto. Fu poscia per compa
aduto. Fu poscia per compassione delle ninfe cangiato in un bel fiore
che
tiene il suo nome. In un dipinto di Pompei rappre
In un dipinto di Pompei rappresentasi Narciso in forma di bel garzone
che
al margine di un fonte si specchia nelle acque, t
iso. Questa favola significa l’amor folle e disordinato di se stesso,
che
i Greci dissero filauzia (φιλαυτια) il quale l’uo
enendo al dio della guerra il titolo di distruggitore sì degli uomini
che
delle città. Da questo nome di Marte forse nacque
iamente la virtù bellica, il valore ; perchè la forza ed il coraggio,
che
forse sono utili all’uomo nello stato naturale, f
’uomo nello stato naturale, furono da lui trasformati in una divinità
che
presiede all’arte funesta della guerra. Festo poi
ivinità che presiede all’arte funesta della guerra. Festo poi insegna
che
Mamers nel linguaggio degli Osci significava Mart
Osci, tolta la sillaba me, come dice lo Scaligero, il quale asserisce
che
le parole Mamers, Mavors e Mars in quel linguaggi
fa derivare la parola Mavors da due voci latine, le quali significano
che
travolge grandi cose (quia magna verteret, Mavors
grandi cose (quia magna verteret, Mavors) ; e ne adducono per ragione
che
queste non sono voci latine. Marte infine si chia
fuori di essa, nella via Appia, come nume bellicoso. Vogliono alcuni
che
la voce Gradivo sia Tracia e che significhi, pres
come nume bellicoso. Vogliono alcuni che la voce Gradivo sia Tracia e
che
significhi, presso quel popolo guerriero, forte,
, presso quel popolo guerriero, forte, bellicoso. Altri però vogliono
che
derivi o da κραδευειν, vibrare l’asta ; o da grad
anticamente Duellona, fu così chiamata da bellum, la guerra, e si sa
che
gli antichi dicevano duellum per bellum. Da’ Grec
no duellum per bellum. Da’ Greci dicevasi Ενυω, Enyo, dal verbo ενυω,
che
significa uccidere. II. Storia favolosa di Mar
o(4), egli siede sull’alto vertice del monte Emo. E Virgilio(5), dice
che
il padre Gradivo presiede al paese de’ Geti, anti
quindi nella zona torrida quella eziandio di far morire. Da ciò venne
che
al dio Marte fu assegnata la guerra e le battagli
de’ quali i Greci fecero un solo. Il primo fu il Belo degli Egiziani
che
i Greci dissero fig. di Nettuno e di Libia, e che
Belo degli Egiziani che i Greci dissero fig. di Nettuno e di Libia, e
che
fu padre di Danao e di Egitto ; egli fu il primo
itto ; il terzo fu un re di Tracia, chiamato Odino, assai bellicoso e
che
fece grandi conquiste, per cui fu da quel popolo
popoli della Bitinia(2) raccontavano per una loro antica tradizione,
che
Giunone fece educare il figliuolo Marte, fanciull
gliuolo Marte, fanciullo d’indole dura ed oltremodo virile, da Priapo
che
Luciano crede uno de’ Titani o de’ Dattili Idei e
rile, da Priapo che Luciano crede uno de’ Titani o de’ Dattili Idei e
che
chiama Dio guerriero. Dal quale apprese prima la
ro. Dal quale apprese prima la danza e gli altri esercizii ginnastici
che
servir doveano quasi di preludio all’arte della g
udio all’arte della guerra, per cui divenne un insigne capitano, dopo
che
il suo educatore ne avea fatto un perfetto danzat
zatore. In premio di ciò Giunone diede a Priapo la decima del bottino
che
avrebbe fatto Marte nelle battaglie ; e nella Bit
l decimo delle spoglie consacrate a Marte. E lo stesso autore osserva
che
anche a Roma nobilissimi cittadini, quali erano i
e della guerra il soprannome di danzatore. Diodoro Siculo(1) racconta
che
Marte fu il primo che, fabbricate le armi, poness
annome di danzatore. Diodoro Siculo(1) racconta che Marte fu il primo
che
, fabbricate le armi, ponesse in campo eserciti pe
armi, ponesse in campo eserciti per combattere i nemici degli Dei ; e
che
così, avendo introdotta l’arte della guerra, ne f
lia con Ercole ; ma Giove li separò con un fulmine. Altri però dicono
che
fu Marte ferito e vinto, e che a stento salvossi
parò con un fulmine. Altri però dicono che fu Marte ferito e vinto, e
che
a stento salvossi coll’aiuto de’suoi veloci destr
ue rivali per volontà di Giunone(4), più risorse la contesa fra’ numi
che
tenevano pe’ Greci o pe’ Troiani. E Marte fu il p
i. E Marte fu il primo ad assalir Minerva colla lancia, rampognandola
che
avea concitato ella stessa Diomede a ferirlo. E d
uella Dea, la quale con un macigno colpì nel collo l’impetuoso Iddio,
che
cadde e steso ingombrò sette iugeri. Venere accor
le sfere, e col padre de’ numi lamentossi della tracotanza di Minerva
che
stimolato avea il figliuol di Tideo a guerreggiar
evastatrici discordie delle ingiuste guerre. Nel fatto poi di Minerva
che
vince ed abbatte l’impetuoso Marte, Omero c’inseg
oi di Minerva che vince ed abbatte l’impetuoso Marte, Omero c’insegna
che
la prudenza ed il senno escono sempremai vittorio
a lo impetuoso furore di Marte(2), allorchè, udito avendo questo nume
che
Deifobo avea ucciso nella pugna un suo figliuolo
entre egli(1), eccita alla pugna i Troiani, il Terrore e la Fuga, non
che
la Discordia d’insaziabil furore (αμοτον μεμανια)
mento e siede sul cocchio, allato al quale sta il Terrore e la Paura,
che
lo Scoliaste di Eschilo chiama ministri o servi d
arte accompagna le Furie, la Discordia e Bellona ; E Marte in mezzo,
che
nel campo d’oro Di ferro era scolpito, or questi,
io(2) in una comparazione fra il dio della guerra ed il giovane Turno
che
si spinge alla pugna : Qual è dell’Ebro in su la
mpagna aprendo, Uccidendo, insultando. Caro. Oltre a ciò gli epiteti
che
a lui si danno da’ poeti, sono i più atti a farce
sferza ne sollecita i veloci destrieri. Orazio(4), parlando di quelli
che
muoiono in guerra, con bella immagine dice che le
4), parlando di quelli che muoiono in guerra, con bella immagine dice
che
le Furie con queste vittime infelici del guerrier
origine assai celebre. Ed in vero un popolo di natura sua bellicoso e
che
al valore guerriero doveva la sua origine e la su
va assai bene sotto la protezione del Dio delle armi. Finsero adunque
che
Romolo fosse nato da Marte e da Ilia o Rea Silvia
enitore, e perciò chiamò Martius, da Marte, il primo mese dell’ anno,
che
allora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, an
hiamò Martius, da Marte, il primo mese dell’ anno, che allora non era
che
di dieci mesi(1). Una lupa, animale dedicato al d
di Marte, Romolo e Remo ; e Properzio(2), rivolto a Romolo, gli dice
che
avea col latte succhiato l’indole sua feroce. Or
che perchè l’origine di cotanta città ed il principio di quell’impero
che
dopo il potere degl’Iddii avea ad esser grandissi
ielo dal padre Marte sullo stesso suo cocchio. E T. Livio(5) racconta
che
avendo fatto Romolo tante immortali opere, e rass
pito e romore di tuoni, e con sì folta nebbia e caligine lo circondò,
che
privò i circostanti interamente della vista della
d’Iddio, re e padre della città romana. Ma allora vi furono di quelli
che
tacitamente seco stessi giudicassero, Romolo esse
rato per le mani de’ senatori nel tempio di Vulcano, donde si credeva
che
ciascun senatore avesse sotto la toga portata fuo
erata fra’ numi col soprannome di Orta o di Ora (1). Ma non fu Romolo
che
avesse il primo introdotto il culto di Marte in q
to il culto di Marte in quelle contrade. Gli antichi Latini(2), prima
che
fosse Roma, più di ogni altro nume il veneravano
e ciò per l’indole bellicosa di essi popoli. Anche Varrone asserisce
che
i Romani aveano preso il nome de’ mesi da’ popoli
risce che i Romani aveano preso il nome de’ mesi da’ popoli latini, e
che
il mese di Marzo fu così chiamato da Marte, non p
iata dal poeta per esprimere più vivamente la sua idea. Livio(4) dice
che
Numa statuì dodici sacerdoti a Marte Gradivo, chi
e sopra la tunica nel petto un certo pettorale di bronzo ; ed ordinò
che
portassero quegli scudi che caddero dal cielo, ch
un certo pettorale di bronzo ; ed ordinò che portassero quegli scudi
che
caddero dal cielo, chiamati Ancili ; ed andassero
iari, ballando e saltando solennemente. Plutarco poi in Numa racconta
che
nell’ottavo anno del regno di Numa, mentre un’ or
bronzo. Allora Numa, sulla parola di Egeria, fece intendere al popolo
che
quello scudo era stato mandato dal cielo per salv
e quello scudo era stato mandato dal cielo per salvezza della città e
che
doveasi gelosamente conservare con altri undici c
zza della città e che doveasi gelosamente conservare con altri undici
che
avessero la medesima forma del celeste. Così si f
Così si fece e la peste cessò. Allora Numa istituì i Salii, sacerdoti
che
aver doveano in custodia que’ dodici scudi. Ovidi
e aver doveano in custodia que’ dodici scudi. Ovidio però racconta(1)
che
Giove con frequenti e spaventosi fulmini pieno av
l’oracolo e coll’intervento di que’ numi ottiene da Giove la promessa
che
sarebbe cessato il gastigo e che gliene avrebbe d
e’ numi ottiene da Giove la promessa che sarebbe cessato il gastigo e
che
gliene avrebbe dato un pubblico segno. Ed il dima
cielo uno scudo ch’era il pegno della salvezza di Roma. Per impedire
che
involato fosse, Numa ne fece formare altri undici
io, artefice assai ingegnoso, il quale dal re altra mercede non volle
che
quella di porre il suo nome, a perpetua memoria,
gli ancili erano scudi non rotondi, ma così tagliati intorno intorno
che
non presentano alcun angolo, e per ciò detti anci
. Essi accordavano il loro canto ed il passo al tintinnio degli scudi
che
percuotevano con una bacchetta o specie di pugnal
ta durava tredici giorni, ed in tutto quel tempo era vietato far cosa
che
fosse importante, come maritarsi, imprendere un v
anchetti saliari volevan dire banchetti lauti e sontuosi (2). I carmi
che
questi sacerdoti cantavano e che si attribuivano
chetti lauti e sontuosi (2). I carmi che questi sacerdoti cantavano e
che
si attribuivano a Numa, eran tanto oscuri e compo
attribuivano a Numa, eran tanto oscuri e composti di voci sì strane,
che
Quintiliano afferma, appena intendersi dagli stes
alche militare spedizione, entravano, e scuotendo gli ancili e l’asta
che
il nume teneva in mano, dicevano : « Marte, sii v
» (Mars, vigila). Oltre i Salii, vi era eziandio il Flamine Marziale,
che
in dignità si avvicinava al Diale, cioè al Flamin
gliuolo, chiamò Marte in giudizio ; ma i migliori cittadini di Atene,
che
formavano il tribunale destinato a sì famoso giud
dici, ed appartenevano alle prime famiglie di Atene ; e però si disse
che
Marte fu giudicato da dodici numi, ed assoluto co
dicono di lui figliuola. Era essa una celebre Amazzone, o lor regina,
che
fabbricò il celebre tempio di Diana in Efeso ; e
ne acquisto ; percui mosse contro di lei e l’uccise. Ma Plutarco dice
che
Ippolita fu schiava e poi moglie di Teseo, dalla
alorosa Pentesilea fu fig. di Marte e di Otrera(1) ; anzi vogliono(2)
che
le Amazzoni nacquero da Marte e dalla naiade Armo
dussero anche queste donne bellicose nella guerra di Troia, e finsero
che
un drappello di esse portò ainto a Priamo. Ed a p
. Ed a proposito di Pentesilea, son bellissimi due luoghi di Virgilio
che
la descrivono. Mentre Enea(3) in una parete del t
egio d’oro L’adusta mamma, ardente e furiosa Tra mille e mille, ancor
che
donna e vergine, Di qual sia cavalier non teme in
aro. Le Amazzoni poi, come si finse, eran donne bellicose nell’Asia,
che
formavano un popolo presso il Caucaso sulle rive
guerriero della Tracia. Esso avea quattro cavalli di natura sì feroce
che
doveano star legati con catene di ferro, e non ma
feroce che doveano star legati con catene di ferro, e non mangiavano
che
carne umana, chiamati Podargo, Lampo, Xanto e Din
ti Podargo, Lampo, Xanto e Dino. Diomede faceva uccidere i forestieri
che
giungevan nel suo regno per alimentare que’ destr
ue’ destrieri ; ma Ercole gli mosse guerra e tolse a lui quei cavalli
che
poscia donò ad Euristeo. Anche Enomao fu fig. di
rete, fig. di Acrisio, procreò Ippodamia, vergine di esimia bellezza,
che
a niuno dar volea in matrimonio per aver inteso d
zza, che a niuno dar volea in matrimonio per aver inteso dall’oracolo
che
un suo genero l’avrebbe ucciso. Ora, essendo la f
e ucciso. Ora, essendo la figliuola pretesa da molti, non volle darla
che
a colui che lo vincesse nella corsa del carro. Av
a, essendo la figliuola pretesa da molti, non volle darla che a colui
che
lo vincesse nella corsa del carro. Avea egli cava
costò a quel principe infelice la vita. Pelope allora sposò Ippodamia
che
portò a casa ; e nel viaggio, non volendo mantene
volendo mantener la parola al perfido Mirtilo, il precipitò nel mare
che
da lui prese il nome di Mirtoo. Da Ippodamia Pelo
tempio ed a Mirtilo un funebre monumento. Lico infine, fig, di Marte,
che
regnava in una parte dell’Africa, in onore di suo
te dell’Africa, in onore di suo padre sacrificava tutti gli stranieri
che
giungevano nel suo paese. A Diomede sarebbe tocca
lla quale erano dipinti più mostri di varie forme ; ed Orazio(1) dice
che
Marte andava coperto di una corazza di diamante.
narli nelle battaglie. Alle volte vicino a Marte si dipingeva un lupo
che
portava seco una pecora, perchè il lupo per la su
acrato. Ed a piè delle statue di lui si vede spesso un gallo, uccello
che
gli era sacro per la sua indole guerresca, e come
mano ; e Marte Gradivo vedevasi dipinto nell’atteggiamento di un uomo
che
marcia a gran passi. In una parola, gli antichi m
principali di Marte e di Bellona. Αλαλαξιος, soprannome di Marte,
che
deriva dalla voce αλαλα, la quale era un grido mi
o Enio o Bellona. Arete, da Αρης, virtù, forza, soprannome di Marte,
che
forse è l’αρετη de’ Greci. Armiger, οπλοφορος ;
a οπλα, arma, e φερω, occido. Da Ovidio(1) si chiama arbiter armorum,
che
presiede alle armi ; e da Virgilio(2) armipotens,
a Omero si chiama devastatrice di città, πτολιπορθος Ενυω. Bisultor,
che
si vendica due volte. Fu così detto da Augusto, p
ars communis, Αρης κοινος, significa l’incerto evento della guerra, e
che
questo nume piega ora all’una, ora all’altra part
così chiamasi Marte da’ greci e da’ latini poeti ; ma alcuni vogliono
che
Enialio sia diverso da Marte, e propriamente un n
e ; ed Achille eziandio si rassomiglia al prode Enialio, cioè a Marte
che
crolla il suo elmo. Questa voce poi deriva o dal
, cioè Jovis pater (3). Mars ultor, Marte vendicatore. Pitisco crede
che
debbonsi riconoscere due tempii, uno di Marte ult
4) ; e l’altro di Marte bisultor, nel Campidoglio. Altri però pensano
che
uno sia il tempio da Augusto dedicato a Marte Ult
dio della guerra. Quindi Χαλκοχιτων, vestito di bronzo ; Χαλκεωθωρηξ,
che
ha il petto armato di una corazza di bronzo, sono
nsacrato a Marte, uccello assai in uso negli oracoli. E però si finse
che
Romolo e Remo non solo da una lupa, ma da un pico
della guerra, presedeva Marte a’ giuochì gladiatorii ed alla caccia,
che
ne sono un’immagine(5). Quindi i Traci, popolo be
ellicoso e devoto a Marte, aveano nelle selve i loro tempii di Marte,
che
chiamavasi pure Silvano(6) Ovidio(1) fa menzion
; ed in Livio(2) ritroviamo un tempio di Marte avanti a questa porta,
che
si vuole ristaurata da Silla. Nel mese di Ottobre
assembrava il Senato per ricevere gli ambasciatori stranieri ed altri
che
non si volevano ammettere fra le mura. Da questo
to tempio cominciavano il loro ingresso nella città i generali romani
che
aveano l’onore del trionfo. Una turba di fanatici
o furore di Bellona, spacciavano di predire il futuro. Potrebbe dirsi
che
questa superstizione sia venuta dalla Cappadocia,
e, ai quali molto si rassomigliavano que’ di Bellona. Tibullo(3) dice
che
la sacerdotessa di quella Dea, invasata dal suo f
o è l’interpetre ed il messaggiere fra gli uomini e gli Dei ; ma pare
che
quel verbo piuttosto venga dal nome Ermete. Ne’ l
Ne’ lessicì si fa derivare dal verbo ειρω, annunziare, per l’ufficio
che
Mercurio avea di messaggiere de’ numi. Meglio è p
de’ numi. Meglio è però attenerci a Diodoro Siculo, il quale afferma
che
il nome greco di Mercurio è parola egiziana, giac
Hermes presso gli Egizii significava un interpetre o un oratore ; il
che
conviene assai bene a Mercurio. E poi si vedrà ch
o un oratore ; il che conviene assai bene a Mercurio. E poi si vedrà
che
l’Ermete de’ Greci ed il Mercurio de’ Latini sono
e doversi trarre co’ più dalle merci (a mercibus), perchè era il nume
che
presedeva al commercio ed alla mercatura(3). Altr
me che presedeva al commercio ed alla mercatura(3). Altri però dicono
che
Mercurius sia quasi medius currens o Medicurrius,
o o del Giorno ; il secondo, di Valente e di Coronide, ch’è lo stesso
che
Trofonio ; il terzo, di Giove terzo e di Maia, da
Maia, dal quale e da Penelope nacque Pan ; il quarto, nato dal Nilo,
che
gli Egiziani non credevan lecito di nominare ; il
ella città di Feneo, in Arcadia, il quale dicesi avere ucciso Argo, e
che
perciò fuggì in Egitto, ove dettò leggi ed insegn
lebravano una gran festa in onore di Mercurio(3). Servio(4), pur dice
che
Mercurio, ucciso Argo, fuggì in Egitto, e che qui
3). Servio(4), pur dice che Mercurio, ucciso Argo, fuggì in Egitto, e
che
quivi insegnò l’uso delle lettere ed i numeri agl
tò nell’Egitto l’uso delle lettere e de’ numeri. Ma i poeti tutto ciò
che
narrasi di Mercurio, l’attribuiscono al Mercurio
Delle quali Maia(6) vinceva le altre sorelle in bellezza, ed ella fu
che
da Giove ebbe il nostro Mercurio, che diede alla
sorelle in bellezza, ed ella fu che da Giove ebbe il nostro Mercurio,
che
diede alla luce sullo stesso monte Cilleno, sul p
to dagli Arcadi ; ed Evandro, partito dall’Arcadia colla madre, prima
che
fosse Roma, portò nel Lazio il culto di Mercurio.
io. E questo Evandro era fig. di quel nume e di una ninfa di Arcadia,
che
i Greci chiamavan Temi, ed i Latini Carmenta, cos
menta, così detta, perchè vaticinava in versi (a carmen)(1). Quindi è
che
Mercurio chiamavasi facondo ed illustre nipote di
urio chiamavasi facondo ed illustre nipote di Atlante (2). E si vuole
che
Mercurio avesse dato il nome al quinto mese dell’
bino ed avvolto nelle fasce (εν τοις σπαργανοις), e fa dire ad Apollo
che
quel buon bambino, ancora in culla, avea rubato i
a Marte, a Venere, il cesto, a lui stesso, l’arco ed il turcasso ; e
che
a Giove pure avrebbe rubato il fulmine, se non av
anaglie ed altri fabbrili strumenti. Omero nell’inno di Mercurio dice
che
questo nume nacque la mattina, a mezzodì già suon
oi ad Apollo. Ma dei suoi furti parleremo appresso ; solo quì notiamo
che
Guinone gli volle dar latte e che da poche goccio
rleremo appresso ; solo quì notiamo che Guinone gli volle dar latte e
che
da poche gocciole di esso a caso cadute ebbe orig
Autolico. Da Diodoro Siculo e da altri scrittori chiaro si scorge
che
i Greci, come la maggior parte de’ loro numi, cos
quale fu detto eziandio e Mercurio, e Thoth, e Thoyth e Trismegisto,
che
vuol dire tre volte grandissimo (a τρεις, tres, e
dell’eloquenza, percui meritò il nome di Ermete, cioè di oratore ; il
che
ben conviene al Mercurio de’ Greci (1). Ed affinc
l Mercurio de’ Greci (1). Ed affinchè meglio si scorga la somiglianza
che
fra il greco e l’egiziano Mercurio intercede, ved
osa forte si duole colla madre Maia in un dialogo di Luciano, dicendo
che
non v’era fra’ celesti aleuno più infelice di lui
iù infelice di lui, (εν ουρανω θεος αθλιωτερος) per le tante faccende
che
lo rendevano stanco e distratto. Appena svegliato
so, debbo propinare il nettare e preparare l’ambrosia. Ed il peggio è
che
neppure la notte mi è dato dormire, dovendo di no
vendita le merci, chiamasi officina mercuriale. Alcuni son di parere
che
i Greci abbiano preso il loro Mercurio da Chanaan
braico significa mercatante, come Mercurio dalle merci ; ed i Fenicii
che
discendevano da Chanaan, furono i primi ad eserci
Maggio era in Roma solenne festa pe’ mercatanti in onore di Mercurio
che
si voleva nato in quel giorno ; e gli sacrificava
rcurio, ch’era vicino alla porta Capena (4). Con ragione poi si disse
che
Mercurio presedeva alla mercatura, perchè in ques
questa professione vi abbisogna molta industria e destrezza d’ingegno
che
credevano darsi da quel nume. E perciò negli anti
scia in qual guisa, ancora fanciallo, avendo rubato i buoi di Admeto,
che
Apollo avea in guardia, nell’atto stesso che n’er
rubato i buoi di Admeto, che Apollo avea in guardia, nell’atto stesso
che
n’era da lui fortemente rampognato, gli rubò il t
sso che n’era da lui fortemente rampognato, gli rubò il turcasso ; di
che
avvedutosi Apollo, non potè tenersi dal riderne g
landroncello avanti a Giove per la restituzione dei suoi buoi, ed in
che
modo Mercurio si schermì destramente dall’accusa
uoi, ed in che modo Mercurio si schermì destramente dall’accusa tanto
che
Giove stesso ne rise, ed Apollo con lui strinse a
paragone, della quale ci serviamo per saggiare l’oro. Ovidio (3) dice
che
fu trasformato in duro sasso, il quale anche ora
famia della sua origine. In un monte della Messenia vedevasi un sasso
che
avea sembianza di uomo e nel quale gli antichi di
ed è un vizio di elocuzione consistente in una moltiplicità di parole
che
non contengono alcun sentimento. Secondo Suida, q
ndo Suida, questo nome deriva da un certo Batto, cattivo poeta greco,
che
ripeteva sempre le stesse canzoni. Altri però fan
sta risposta (1) la quale ripete due volte la stessa cosa, fa credere
che
Ovidio avesse seguita siffatta etimologia. Erodot
oduce inosservato nel padiglione del figlinol di Peleo. Così, secondo
che
dice Orazio (4), il ricco Priamo, colla scorta di
e non molestare il re troiano ; e ciò vuol dire in linguaggio poetico
che
Mercurio avesse addormentato i custodi. In somma
ddormentato i custodi. In somma a Mercurio si attribuiva tutto ciò in
che
si ravvisa destrezza e sagacità d’ingegno, e perc
avasi maestro di ogni dolo e frode, cioè di quella scaltra accortezza
che
impone agli altri ed illude sì nella civile e bel
furtum da’ Latini ; per le quali voci prese in cattivo senso dissero
che
Mercurio era ladro, e dio de’ ladri. Da Chione, f
Mercurio nacque Autolico (1). La madre di lui fu a tal segno superba
che
osò vantarsi di essere più bella di Diana ; percu
percui questa dea in una caccia le forò la lingua con una freccia. Di
che
fu sì dolente il padre Dedalione che si precipitò
rò la lingua con una freccia. Di che fu sì dolente il padre Dedalione
che
si precipitò dal monte Parnaso ; ma Apollo per co
o ebbe il dono di una singolar destrezza nel rubare, e di cangiar ciò
che
involava in qualunque forma, in guisa che trasfor
el rubare, e di cangiar ciò che involava in qualunque forma, in guisa
che
trasformava il bianco in nero ed il nero in bianc
che trasformava il bianco in nero ed il nero in bianco, e cornuto ciò
che
non evea corna, e ciò che le avea, faceva compari
in nero ed il nero in bianco, e cornuto ciò che non evea corna, e ciò
che
le avea, faceva comparir senza corna ; anzi esso
atore delle sue pecore. Piacque tanto ad Autolico l’astuzia di Sisifo
che
volle dargli in moglie la figliuola Anticlia.
atene, e negli antichi monumenti (1) ; qualche volta si vede Mercurio
che
nella destra tiene il caduceo e colla sinistra ab
ella destra tiene il caduceo e colla sinistra abbraccia Minerva ; con
che
significavan quell’amichevole accordo ch’esser de
uenza e la filosofia ; le quali se vanno disgiunte, la prima non sarà
che
un vano strepito di parole. E per ciò pure gli an
a Minerva. Gli scrittori egiziani dedicavano i loro libri a Mercurio
che
credevano inventore e nume delle scienze e dell’e
tù della parola, ingentilì i selvatici costumi de’ primi uomini (3) ;
che
inventò la palestra e la lira, e che presedeva a
i costumi de’ primi uomini (3) ; che inventò la palestra e la lira, e
che
presedeva a quanto hanno di bello le scienze e le
va a quanto hanno di bello le scienze e le arti. Ed Igino (4) afferma
che
, avendo Mercurio inventato l’uso della parola, di
ntato l’uso della parola, divise il genere umano in varie nazioni ; e
che
inventô alcune lettere greche dal volo delle gru,
e a Mercurio la lingua ; e se i cittadini di Listri (6), vedendo quel
che
operava il Signore per mezzo di S. Barnaba e di S
lto e de’ sacrificii agli Dei, come ancora di aver ridotto gli uomini
che
vivevano a guisa di bestie, alla vita socievole e
o a guisa di bestie, alla vita socievole ed umana, dobbiam ricordarci
che
, giusta le parole di Cicerone (1), niun’altra for
anche dio della musica e della poesia, ed inventore della lira, tanto
che
Orazio (2) chiama Fauno custode degli uomini Merc
si del guscio della tartaruga ch’è materia assai sonora. Si vuole (4)
che
Mercurio, avendo per caso ritrovato il guscio di
l Nilo, ed i soli nervi secchi rimasti, ne avesse avuto un suono ; il
che
diede la prima idea della lira, che facevasi di t
ti, ne avesse avuto un suono ; il che diede la prima idea della lira,
che
facevasi di tartaruga. Essa per lo più avea sette
di tartaruga. Essa per lo più avea sette corde ; ed Ovidio (5) finge
che
Mercurio avesse scelto questo numero per onorare
one, Tebano, da Mercurio apprese a suonar la lira, sì maestrevolmente
che
si tirava appresso le fiere ed i sassi (6). E dic
E di fatto presso Plauto (1) egli stesso afferma, esser noto a tutti
che
gli Dei aveano a lui concesso di farla da lor mes
ini suoi. Omero (2) e Virgilio (3) in bella guisa descrivono Mercurio
che
si accinge ad eseguire gli ordini di Giove. Il qu
e fendea. Pindem. Ad imitazione di Omero, Virgilio descrive Mercurio
che
si accinge ad eseguire gli ordini di Giove. « Ud
viaggi portava in mano Mercurio questa verga detta caduceo (ραβδος),
che
Omero ed Orazio chiamano aurea. Essa ha in cima a
cima attaccate due ali, e vi sono attorcigliati due serpenti in guisa
che
i loro corpi formano due semicerchi, e le teste s
o al di sopra dell’estremità della verga, mentre le code non arrivano
che
a due terzi della medesima. Il caduceo era simbol
(1) vien salutato arbitro della pace e della guerra. E Servio osserva
che
Mercurio da’ poeti è quasi sempre adoperato come
con essa i contendenti, o in mezzo a loro frapponendola. Si racconta
che
quando Apollo pasceva le greggi di Admento, Mercu
prodigiosa, colla quale quel nume guidava al pascolo gli armenti ; e
che
Mercurio, volendo far pruova della sua virtù, ed
a Ovidio. In un antico candelabro del Museo Borbonico vedesi Mercurio
che
ha due picciole ali alla testa, nella destra tien
caduceo di antichissima forma, cioè senza serpi. Era antica credenza
che
niuno potesse morire, se Mercurio non avesse scio
morire, se Mercurio non avesse sciolta dal vincolo del corpo l’anima
che
ad esso era unita per virtù divina. Da Virgilio (
dosi al costume de’ Romani di aprire sul rogo gli occhi de’ cadaveri,
che
avean chiusi in casa (1). Non s’intende però, per
rò, perchè lo stesso poeta (2), parlando della morte di Didone, finge
che
l’infelice Regina non potea morire, perchè « non
converso, Restò senza calore e senza vita. Caro. Macrobio (3) crede
che
Virgilio abbia ciò ricavato da Euripide, il quale
uripide, il quale nella tragedia l’Alceste introduce l’Orco o Caronte
che
porta in mano una spada per tagliare la ciocca fa
gliare la ciocca fatale di Alceste. Ma comunque ciò sia, certa cosa è
che
principale e nobile ufficio di Mercurio era quell
re le anime de’ trapassati o ai beati Elisi, o all’inferno. Pare però
che
Pindaro a Plutone piuttosto attribuisca siffatto
fatto incarico ; ma la verga di Mercurio, dice Virgilio (4), e quella
che
ha sua possanza fin nell’inferno, e con essa egli
na divinità infernali ; e da Orazio (5) si chiama grato sì a’ celesti
che
agl’infernali Iddii. E ne’ dialoghi de’ morti di
so occupato a trattar colle ombre e con Caronte ; ed in essi si lagna
che
neppure di notte gli era dato di riposare alquant
one, e farla da duce e scorta delle ombre. Omero(1) descrive Mercurio
che
conduce all’inferno le anime de’ Proci, de’ quali
ella in man verga dell’oro, Onde i mortali dolcemente assouna, Sempre
che
il vuole e li dissonua ancora. Con questa conduce
relli nottivaghi nel cupo Fondo talor d’una solenne grotta, Se avvien
che
alcun dal sasso, ove congiunti L’uno appo l’altro
e e i simulacri ignudi. Pindem. Anche Orazio(2) rappresenta Mercurio
che
conduce le anime de’ giusti al lieto soggiorno de
rio che conduce le anime de’ giusti al lieto soggiorno degli Elisi, e
che
coll’aurea sua verga, a guisa di pastore, si mena
om.). Quanto finsero i Greci di Mercurio, fu loro insegnato da Orfeo,
che
l’avea, appreso dagli Egizii. L’Oceano, di cui pa
deggiante loto e di canne. E Mercurio presso gli Egiziani era un uomo
che
acompagnava il cadavere di Api, re e dio da loro
va ad una persona mascherata da Cerbero. Orazio(1) finalmente afferma
che
a Mercurio si dee l’invenzione della palestra, lo
o di Ercole, a cui debbesi l’invenzione della palestra. Altri dicono
che
Corico, re di Arcadia, ebbe due figliuoli, Plesip
figliuoli, Plesippo ed Eneto, ed una figliuola chiamata Palestra ; e
che
avendo i due primi inventata l’arte della lotta,
e, così spesso questo animale si vede ai suoi piedi. La lucertola poi
che
se gli vede vicino, forse simboleggia quelle occu
ercurio(1) coll’elmo in testa, vestito di tonaca, e di una clamide, e
che
porta un ariete sotto il braccio. Ed in una strad
l braccio. Ed in una strada di Corinto vedeasi un Mercurio di bronzo,
che
seduto avea un artete a lato(2), forse perchè que
i di Pompei si è trovato un idoletto di bronzo graziosamente lavorato
che
rappresenta Mercurio seduto sopra uno seoglio col
un ariete sta pure in piedi al suo fianco. « Mercurio Crioforo, cioè
che
porta l’ariete, dice Millin, avea in Lesbo, ov’er
Lesbo, ov’era onorato con quel titolo, una statua, opera di Calamide,
che
lo rappresentava nell’attodi portare un montone s
sulle spalle, per significare ch’era il dio de’ pastori. Altri dicono
che
avea liberato i cittadini di Tanagra dalla peste,
Crioforo un bell’intaglio di Dioscoride, ov’è rappresentato Mercurio
che
porta una testa di montone in un piatto ». In alc
ni antichi monumenti(4) si vede rappresentato Mercurio con una catena
che
gli esce di bocca e si attacca alle orecchie di c
una catena che gli esce di bocca e si attacca alle orecchie di coloro
che
volea seco condurre ; bel simbolo della forza che
orecchie di coloro che volea seco condurre ; bel simbolo della forza
che
ha l’eloquenza sul cuore umano. Qualche volta(1)
era il protettore dei letterati. Nel Museo Borbonico vedesi Mercurio
che
discorre con Ercole ; ha la clamide, il petaso co
Mercurius ministrator nelle iscrizioni tutti soprannomi di Mercurio,
che
significano l’ufficio di messaggiere e di ministr
ς, (a κερδος, lucrum, et πορος, transitus), datore di lucri, κερδωος,
che
presiede at lucro o apportatore di lucro ; πολυτρ
nsigli, ed altri simili. Agonio, Αγωνιος, appresso Pindaro, Mercurio
che
presiede a’ giuochi. Eustazio vuole che αγωνιοι θ
ς, appresso Pindaro, Mercurio che presiede a’ giuochi. Eustazio vuole
che
αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi che θεοι
’ giuochi. Eustazio vuole che αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi
che
θεοι αγοραιοι, Dei che presiedono alle piazze o c
le che αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi che θεοι αγοραιοι, Dei
che
presiedono alle piazze o che si venerano nelle pi
o sono gli stessi che θεοι αγοραιοι, Dei che presiedono alle piazze o
che
si venerano nelle piazze. Ales o Alipes Deus chi
rgus, et φοντης pro φονητης, occisor), cioè uccisore del pastore Argo
che
avea cento occhi, come nell’articolo di Giove si
urio nipote di Atlante, padre di Maia. Caducifero e Caduceatore (2),
che
porta il caduceo. Da Omero dicesi Χρυσορραπις, ci
uceatore (2), che porta il caduceo. Da Omero dicesi Χρυσορραπις, cioè
che
porta una verga di oro, e Vergadoro, secondo il S
oro, secondo il Salvini. Gli antichi chiamavano Caduciferi gli araldi
che
annunziavano la pace, e gli ambasciadori che ne t
no Caduciferi gli araldi che annunziavano la pace, e gli ambasciadori
che
ne trattavano, perchè portavano il caduceo. I Rom
appunto un ministro. E Camilli dicevansi a Roma que’ nobili fanciulli
che
assistevano alle cerimonie religiose portando l’a
aries, et φερω, fero) ; soprannome dato a Mercurio per avere impedito
che
la peste distruggesse Tebe, portando un ariete in
iorum) ed υπνον προστατης (praeses somni), perchè portava’ il caduceo
che
avea virtù di conciliare il sonno. Χαρμοφρων o Χα
urio. Nella gigantomachia, Mercurio coll’elmo di Plutone sul capo
che
rendeva invisibile chi lo portava, uccise, pugnan
se, pugnando, il gigante Ippolito ; liberò Giove dal mostruoso Tifone
che
lenealo avvinto co’ suoi serpentini stragrandi ra
o(3) ; per comando anche di Giove attaccò l’audace Issione alla ruota
che
lo tormenta nell’inferno(4) ; inchiodò Prometeo c
ferro ad un sasso smisurato del monte Caucaso e gli assegnò l’aquila
che
dovea divorargli il enore che sempre rinasceva (5
el monte Caucaso e gli assegnò l’aquila che dovea divorargli il enore
che
sempre rinasceva (5) ; trasportò Castore e Polluc
asportò Castore e Polluce in Pallene ; accompagnò il carro di Plutone
che
andava a rapire Proserpina ; aiutò Perseo nell’im
fig. di Almone, ebbe Mercurio i Lari (Lares) ch’erano la stessa cosa
che
i Genii de’ Greci (δαιμονες(1). Così chiamavansi
Greci (δαιμονες(1). Così chiamavansi propriamente gli Dei domestici o
che
aveano cura della casa, a differenza dei Penati,
nza dei Penati, i quali soprantendevano ad una città o ad un regno, e
che
a Roma si veneravano sul Campidoglio ; sebbene qu
festa delta Compitalia. Servio li confonde co’ Dei Mani ; e si vuole
che
il loro nome derivi da Lar o Lars, parola etrusca
ni ; e si vuole che il loro nome derivi da Lar o Lars, parola etrusca
che
significa principe o signore. Si veneravano su’ f
erba mercuriale, detta mercorella, si vuole così chiamata da Mercurio
che
la ritrovò ; ed ha virtù sommamente purgativa(2).
e la ritrovò ; ed ha virtù sommamente purgativa(2). Lattanzio(3) dice
che
Mercurio fu un uomo antichissimo e di gran dottri
che Mercurio fu un uomo antichissimo e di gran dottrina fornito, non
che
della conoscenza di molte arti e scienze. Perciò
adopera per denotare la Dea, e la parola Terra significava il pianeta
che
noi abitiamo. Così Peneo era un antico fiume dell
Peneo era un antico fiume della Tessaglia, e nel tempo stesso il nume
che
presedeva a quel fiume. Nell’articolo di Saturno
ume che presedeva a quel fiume. Nell’articolo di Saturno abbiam detto
che
la moglie di lui chiamavasi Opi, cioè ricca, fors
di lui chiamavasi Opi, cioè ricca, forse dall’antico ops (unde inops)
che
significava ricco, perchè la terra sì per le biad
orgente di ogni nostra ricchezza (1) ; o secondo Macrobio(2), da ops,
che
vuol dire aiuto, perchè coll’aiuto della terra l’
della terra nascono i frutti e le biade. Varrone(1) finalmente vuole
che
la Terra fu detta Opi, perchè di essa abbiamo bis
beni. II. Storia favolosa della Terra o sia di Opi. Igino dice
che
la Terra insieme col Cielo e col Mare, nacque dal
scere dopo il Caos, fu la spaziosa Terra, dalla quale nacque il Cielo
che
dovea tutta circondarla ed essere la sede sicura
elebri e vetusti Dei del gentilesimo. E ciò nacque dal naturale amore
che
ha l’uomo per la propria conservazione, percui ch
tre Dee de’ Greci, una divinità speciale ; ma era piuttosto tutto ciò
che
si vuole ; era la Natura o la madre universale de
che si vuole ; era la Natura o la madre universale delle cose, quella
che
produce tutti gli esseri. E però spesso chiamavas
sì la Terra appellasi madre, perchè nudrisce gli uomini e gli animali
che
sono i figli suoi. E Plinio(4) dice che per ragio
isce gli uomini e gli animali che sono i figli suoi. E Plinio(4) dice
che
per ragione de’ grandi meriti della Terra verso d
e finalmente, quando il resto della natura ci abbandona , allora più
che
mai qual madre affettuosa ci accoglie e ricuopre.
lure genitrice, e madre degli Dei ; ed il più degli antichi credevano
che
l’uomo fosse fatto di terra ed acqua riscaldata d
. E dagli Etruschi la Dea Tellure con Vesta si annoverava fra gli Dei
che
presiedono alle nozze (1), perchè riputavasi la m
uasi la nutrice di tutte le cose. È noto finalmente il fatto di Bruto
che
baciò la Terra come madre comune di tull’i mortal
ruto che baciò la Terra come madre comune di tull’i mortali (2). Pare
che
gli antichi avessero attributo alta Terra una vir
tributo alta Terra una virtù fatidica. Appresso Cicerone (3) leggiamo
che
alcuni credevano, la cessazione dell’oracolo di D
cagione del lungo volgere degli anni, mancata era quella virtù divina
che
quivi aveano le esalazioni della Terra, dalle qua
ravolgere La mente e ad inspirare un furore divino. A ciò si aggiunge
che
la Terra era la stessa che Temi ; ma Pausania dic
pirare un furore divino. A ciò si aggiunge che la Terra era la stessa
che
Temi ; ma Pausania dice che ne’ primi tempi a Del
iò si aggiunge che la Terra era la stessa che Temi ; ma Pausania dice
che
ne’ primi tempi a Delfo dava gli oracoli la Dea T
iunge, quivi essere stato comune oracolo della Terra e di Nettuno ; e
che
poscia la Terra avesse ceduto il suo oracolo a Te
o. Euripide (4) chiama il tripode di Apollo, tripode di Temi ; e dice
che
a lei erano suggerite le risposte degli Dei in so
acolo della Dea Tellure vicino ad Olimpia. E qui è mestieri osservare
che
la più parte degli antichi oracoli erano collocat
caverne, abbondavano più degli altri di oracoli. Tale era la Beozia,
che
, al dir di Plutarco, ne avea moltissimi. La quale
are negli animi de’creduli gentili un religioso orrore. Così sappiamo
che
a principio si consultava l’oracolo di Delfo coll
ad un’oscura caverna ch’era nel monte Parnaso, e respirarne il vapore
che
di essa usciva. Ma non pochi fanatici essendovi c
a di alcuni figliuoli della Terra. Abbiam notato nella prima parte
che
gli antichi chiamavan figliuoli della Terra color
la prima parte che gli antichi chiamavan figliuoli della Terra coloro
che
si distinguevano per mostruosa statura e stratord
ndi ogni maniera di giganti si volle procreata dalla Terra, avvisando
che
ad uomini di strana corporatura ben conveniva una
ratura ben conveniva una madre di smisurata grandezza. Perciò vediamo
che
oltre i Titani ed i Giganti, da Esiodo anche i Ci
lcuni li dicano fig. di Nettuno e di Anfitrite. Anche Apollodoro dice
che
la Terra, dopo i Centimani, procreò i Ciclopi, i
procreò i Ciclopi, i quali aveano un sol occhio in mezzo alla fronte,
che
i Poeti rassomigliar soleano ad un rotondo scudo
te, che i Poeti rassomigliar soleano ad un rotondo scudo od alla luna
che
risplende in mezzo al cielo (2), sebbene per tamp
ero(2), essi erano mostruosi giganti, sprezzatori de’ Numi e superbi,
che
in niuna cosa aveano fidanza fuorchè nella forza.
sce un particolar modo di fabbricare, detto ciclopeo (4). Servio dice
che
chiamasi ciclopea ogni fabbrica vasta e grandiosa
ma irregolare, per cui adoperavano piccole pietre, per empiere i vani
che
lasciavan tra loro i massi rozzi ed informi. Fu l
li posero a ministri nella fucina di lui. Che i Ciclopi non avessero
che
un sol occhio in mezzo alla fronte, è la volgare
cchio in mezzo alla fronte, è la volgare opinione ; ma alcuni pensano
che
la voce Ciclope, cioè dall’occhio rotondo, dinota
Egiziani nelle miniere facevano uso di una lucerna legata alla fronte
che
li scorgesse in quelle tenebre ; così nacque la f
lla fronte che li scorgesse in quelle tenebre ; così nacque la favola
che
i Ciclopi fossero giganti forniti di un sol occhi
la Terra e di Nettuno fu Anteo, giganti alto sessanta quattro cubiti,
che
regnava nella Libia. Il quate, avendo promesso in
are tutto di cranii umani, costringeva a lottar seco tutt’i viandanti
che
capitavano nel suo regno e coll’enorme suo peso l
a invano, perchè la Terra, sua madre, gli dava nuova forza ogni volta
che
, cadendo, la toccava. Di che avvedutosi Ercole, s
a madre, gli dava nuova forza ogni volta che, cadendo, la toccava. Di
che
avvedutosi Ercole, sollevatolo in aria e con amen
ia stringendolo, il soffogò. Nel real Museo Borbonic vedesi un Ercole
che
, afferrato Anteo, lo stringe con un braccio pe’ f
stennero le parti di Giove, comechè alcuni l’annoverano fra i giganti
che
congiurarono contro quel nume. Virgilio(2) pone B
riareo cogli altri mostri alla porta del Tartaro ; ed altrove(3) dice
che
ad Egeone arde il petto, perchè provocò i fulmini
re un passo senza abbattersi in qualche nume. Quindi ban detto alcuni
che
forse i ciechi pagani furon costretti a ciò finge
i pagani furon costretti a ciò fingere per significare in certa guisa
che
la Divinità è in tutt’i luoghi. Or noi per ragion
li abitanti della campagna. Quindi lo dipingevano in modo da sembrare
che
partecipasse di tutto l’universo. Avea le corna p
pra ; sebbene Egipani o Semicapri erano propriamente uomini favolosi,
che
aveano forma di capra dal mezzo all’ingiù. E da P
gli Dei delle foreste e de’campi ; e per la deformità di essi avvenne
che
tutt’i mostruosi e segnalali per qualche sconcezz
concezza di corpo si chiamassero Satiri, o Pani, o Egipani. E si noti
che
timor panico appellasi quella subita costernazion
ani. E si noti che timor panico appellasi quella subita costernazione
che
non può vincersi per alcun imperio della ragione,
om’è lo spavento mandato, senza sapersene la cagione, negli eserciti,
che
ne sono scompigliati e posti in fuga. Or questo d
rgone, o di Giove e di Fimbride ; o di Mercurio. Pan suggerì agli Dei
che
si fossero cangiali in varie forme di animali, al
rchè si rifuggirono in Egitto, per lo spavento del crudele Tifone ; e
che
in grazia di sì prudente consiglio, fu da essi tr
questa trasformazione degli Dei in bestie nacque il culto vergognoso
che
gli Egiziani prestavano a certi animali. Apollodo
noso che gli Egiziani prestavano a certi animali. Apollodoro (1) dice
che
Pan insegnò ad Apollo l’arte d’indovinare ; ma ch
pollodoro (1) dice che Pan insegnò ad Apollo l’arte d’indovinare ; ma
che
poi vennero a contesa sulla perizia del suono ; e
o tre maniere di quesio strumento, quello ad una canna (μονοκαλαμος),
che
ritrovò Mercurio ; l’altro di più cannucce formal
io (4), in fistola fu trasformata Siringa, una delle più belle Naiadi
che
abitavano un monte vicino a Nonaera , città di Ar
icino a Nonaera , città di Arcadia, e figliuola del Ladone, bel fiume
che
si scarica nell’Alfeo. La quale fuggendo alla vis
infe sorelle, cangiata in palustre canna, di cui Pan formò la fistola
che
dal nome di quella ninfa fu detta siringa. Lucrez
ola che dal nome di quella ninfa fu detta siringa. Lucrezio (5) vuole
che
il sibilare che fa naturalmente un leggiero venti
di quella ninfa fu detta siringa. Lucrezio (5) vuole che il sibilare
che
fa naturalmente un leggiero venticello intromesso
irlandato il capo, come anche facevano i Fauni ; ma il Vossio afferma
che
a Pan era consacrato l’elce o leccio (ilex). V
de’ rusticani Iddii, volgeremo lo sguardo a’ varii luoghi della Terra
che
vedransi tutti popolati di numi. E primieramente
di Silvani e di altri siffatti Dei ; anzi ogni albero avea una ninfa
che
il custodiva ; e son pur troppo conte le Driadi e
i ; ed allora a Fauno davano i piedi di capra. Alcuni vogliono ancora
che
Silvano fosse lo stesso che Pan ; ma Virgilio (1)
i piedi di capra. Alcuni vogliono ancora che Silvano fosse lo stesso
che
Pan ; ma Virgilio (1) manifestamente li distingue
I Fauni poi erano Iddii favolosi de’ campi, de’ monti e delle selve,
che
rappresentavansi a guisa di Satiri. Si considerav
avansi a guisa di Satiri. Si consideravano come semidei, ma credevasi
che
dopo lunga vita soggiacessero alla morte. Era lor
l’avvenire , dando degli oracoli. Di fatto fatuarii dicevansi quelli,
che
sembravano ispirati e predicevano il futuro ; ed
auno ; e Lupercali si dicevano alcune feste in onore di quel nume(2),
che
celebravansi a’15 di Febbraio. Lupercale poi era
l’Arcadia portò in Italia queste feste, e le introdusse in quel luogo
che
da lupus si disse Lupercal, come il Liceo deriva
omini solamente gli sacrificavano. In un marmo (2) si vede un Silvano
che
ha in mano il tronco di un picciolo cipresso ; e
un Silvano che ha in mano il tronco di un picciolo cipresso ; e si sa
che
Virgilio (3) anche lo rappresenta con un giovane
i campestri. Selvani poi o Silvani chiamavansi quegli Dei boscherecci
che
spesso si confondono coi Fauni e cogli altri numi
ezio (5), il quale, parlando dell’eco, così espone le varie favolette
che
il volgo spacciava per ispiegare questo e simili
han finto Che Fauni e Ninfe e Satiri e Silvani Ne sieno abitatori, e
che
la notte Con giochi e scherzi e strepitosi balli
a da dotta man spargano all’aure Dolci querele e armoniosi pianti ; E
che
il rozzo villan sente da lungi Qualor scotendo de
oschi, Spesso con labbro adunco in varie guise Anima la siringa, e fa
che
dolce Versin le canne sue musa silvestre. Marchet
poi era di capra. Plinio dice de’ Satiri, essere animali velocissimi
che
vivono sopra alcune montagne dell’India, i quali
ed a quattro piedi ed alla maniera degli uomini, nè possonsi prendere
che
quando sono infermi o vecchi. In un ninfeo, luogo
ninfeo, luogo sacro presso la città di Apollonia, fu preso un Satiro
che
dormiva a terra, di quella sembianza appunto, in
a Silla, innanzi a cui dimandato chi egli fosse, proruppe in una voce
che
niente avea dell’umano, ma che sembrava partecipa
o chi egli fosse, proruppe in una voce che niente avea dell’umano, ma
che
sembrava partecipare del nitrito, e del belato de
orma di uomo di picciola statura, col naso adunco, col capo cornuto e
che
avea di capra l’altra metà del corpo. Ed a tempo
ssandria, ove servì di maraviglioso spettacolo a quel gran popolo ; e
che
poscia morto si portò ben conservato in Antiochia
in Antiochia, ove l’imperatore stesso volle vederlo. Plinio riferisce
che
sul monte Atlante di giorno era gran silenzio ; m
inio riferisce che sul monte Atlante di giorno era gran silenzio ; ma
che
la notte vi si vedeano fuochi accesi ed un danzar
suoni. Forse la specie di scimmia detta orang-outang (simia satyrus)
che
mollo si avvicina all’uomo, ha dato origine alla
e setolose e piedi come di becco. Erano inchinati ad un ballo comico,
che
consisteva in certe mosse assai ridevoli, detto c
2) appella i Satiri gioventù fatta per le danze ; e Virgilio (3) dice
che
Alfesibeo imitava il danzare de’ Satiri. Da quest
(3) dice che Alfesibeo imitava il danzare de’ Satiri. Da questi pure
che
s’introducevano sulla scena e ch’eran Dei sucidi
imi dopo la tragedia. Satira poi chiamasi eziandio una poesia mordace
che
si propone di riprendere i vizi degli uomini, com
to in basso stile. Ebbe un tal nome da una scodella (a lance satura),
che
piena di varii frutti si offeriva a Cerere ; e co
specie di cibi. E Pescennio Festo scrisse le sue storie per saturam,
che
eran le varie istorie (ποικιλαι ιστοριαι, vel παν
, vel πινακες, i. e. lances vel tabulae) de’ Greci. Ma Scaligero dice
che
la Satira ebbe nome da’ Satiri, i quali portavan
rtalità, ma solo una vita lunghissima, come a’ Fauni, a’ Satiri ec. e
che
riputavansi una specie di Genii locali che aveano
a’ Fauni, a’ Satiri ec. e che riputavansi una specie di Genii locali
che
aveano un culto particolare ed alcune feste lor p
te lor proprie. Eran considerate come gentili e leggiadre giovinette,
che
tutte vincevano in bellezza. I luoghi lor consacr
degli antri ed amiche delle spelonche. Celebre è l’antro delle ninfe
che
Omero descrive (1) ; e Virgilio (2) nella spiaggi
nota tempesta presero porto le navi di Enea, alloga un antro ombroso
che
chiama abitazione delle Ninfe, formato da due sco
dei fiumi ed i prati erbosi. Di fatto vi eran molte specie di Ninfe,
che
il nome prendevano da’luoghi. Le Oreadi (ab ορος,
da’luoghi. Le Oreadi (ab ορος, mons) eran ninfe abitatrici de’ monti
che
si voglion compagne di Diana. La Terra, dice Esio
iodo (4), partorì gli alti mouti, grate abitazioni delle divine Ninfe
che
su di essi dimorano. Le valli aveano le loro Nape
su di essi dimorano. Le valli aveano le loro Napee (a ναπος, vallis)
che
presiedevano pure alle colline, a’ boschetti, ai
di (a δρυς, arbor) e le Amadriadi eran ninfe abitatrici degli alberi,
che
vivevano e morivano con queglistessi, sotto la cu
rinchiuse. Il nome di Driadi però si dava a quelle Ninfe boscherecce
che
, a differenza delle Amadriadi, eran riputate immo
eran soggette alla morte, come le altre deità campestri. Delle Ninfe,
che
presedevano alle acque, parleremo in altro luogo.
resedeva a’ pensieri degli uomini ed a’ loro cambiamenti, come quegli
che
poteva cangiar di forma, come Proteo. Era anche i
t. Orazio (3) chiamò nato in disgrazia di Vertunno un uomo volubile e
che
non è padrone de’ suoi pensieri. Alcuni derivano
uti, e di lui moglie. Ovidio(3) la dice una delle Amadriadi del Lazio
che
per la sua destrezza nel coltivare i giardini, me
pi di Proca, re de’ Latini ; ed avea un sacerdote (flamen Pomonalis),
che
offerivale sacrificii per la conservazione de’fru
sacrificii per la conservazione de’frutti. Pomona poi dicesi un libro
che
parla de’frutti, come Flora, de’ fiori, e Fauna,
io Termine. Flora era la Dea de’ fiori e da’ Greci diceasi Clori,
che
sposò il vento Zeffiro, detto perciò l’alato cava
ndo un picciol seno verso il braccio sinistro, raccoglie alcuni fiori
che
la caratterizzano per la Dea della primavera. Si
sacerdote detto Flamine Florale, e giuochi detti anche Florali. Pare
che
Plutarco confonda la Dea Bona con Flora ; ma il v
rali. Pare che Plutarco confonda la Dea Bona con Flora ; ma il vero è
che
gli antichi davano quel nome a Vesta, a Rea, ad O
ampi, o antica pietra incontrasse in un trivio coronata di fiori ; il
che
intendono gl’interpetri dell’erme de’ Termini che
onata di fiori ; il che intendono gl’interpetri dell’erme de’ Termini
che
spesso si trovavano ne’ campi e per le vie (6). N
o Termine dette Terminalia, pel dì 20 di Febbraio, Livio (7) racconta
che
volendo Tarquinio Superbo edificare sul Tarpeio u
cazione di esso, ordinò di esaugurare tutt’i tempii di quel luogo, ma
che
quello del dio Termine non fu ammesso dagli augur
l dio Termine non fu ammesso dagli auguri. Per siffatto augurio parve
che
non essendo stata mossa la sedia di Termine e il
Alcune altre cose della Terra. Gli antichi auguravano a’ defonti
che
fosse loro leggiera la terra con quelle conte par
per modo d’imprecazione, la desideravano grave e pesante. La vittima
che
si sacrificava alla Terra era una troia gravida,
a, come praticavasi nelle rusticane feste dette da’ Romani sementine,
che
si celebravano dopo la semente, ed in cui si offe
ητηρ, quasi Γημητηρ, o sia terra madre, essendo Cerere la stessa cosa
che
la Terra. Forse diminutivo di tal nome è l’altro
e nelle acque dei fonti spegnevano la lor sete. Or Cerere fu la prima
che
col curvo aratro insegnò agli uomini a coltivar l
quel ferino cibo delle ghiande, l’eletto frumento ; e perciò si disse
che
dettò loro le leggi (3). Di tutt’i luoghi della t
ggi (3). Di tutt’i luoghi della terra niuno fu più grato a questa dea
che
la Sicilia, la quale era tutta a lei ed a Proserp
pimento della figliuola, disperata a cercarla tutta sola si diede, sì
che
e la nascente aurora ed il sole vicino a tramonta
ll’Etna per la notte ; ed in tutto quel tempo, non gustò cibo, se non
che
il papavero, che per la sua virtù sonnifera, vals
tte ; ed in tutto quel tempo, non gustò cibo, se non che il papavero,
che
per la sua virtù sonnifera, valse ad ammorzar qua
iaccole della nostra Dea cantò leggiadramente l’Ariosto : Cerere poi
che
dalla madre Idea Tornando in fretta alla solinga
potere esser mai spenti ; E portandosi questi uno per mano Sul carro
che
tiravan due serpenti, Cercò le selve, i campi, i
Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, La terra, il mare ; e poi
che
tutto il mondo Cercò di sopra, andò al tartareo f
ad una rustica casuccia, da cui, picchiando, vide uscire una vecchia
che
al chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse
a che al chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse certa polenta,
che
la dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise
dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise sì forte un giovinetto
che
la dea adirata il trasformò in ramarro di vario c
inetto che la dea adirata il trasformò in ramarro di vario colore(1),
che
fuggì tosto di mano alla dolente vecchia e si asc
amico fonte di Ciane, la quale più lingua non avea da dire alla madre
che
cosa fosse della figliuola. Ma pur vide su le sue
Ma pur vide su le sue acque galleggiare la cintura di Proserpina ; il
che
fu argomento di essere stata per que’ luoghi rapi
ina ; il che fu argomento di essere stata per que’ luoghi rapita ; di
che
pianse, e fu in collera colla Sicilia tutta, quas
ninfa Aretusa, dalle sue chiare acque levando il capo, alla dea disse
che
Proserpina per forza rapita, già moglie del dio d
spetto ne va al cielo, sopra il suo cocchio, e piangendo dice a Giove
che
Proserpina era pur sua figliuola, e non convenire
do dice a Giove che Proserpina era pur sua figliuola, e non convenire
che
se l’abbia in moglie quel villano rapitore con sì
ve onta di Giove stesso e della madre. Giove la racconsola, mostrando
che
non tornavan certo quelle nozze a sua vergogna ;
nsola, mostrando che non tornavan certo quelle nozze a sua vergogna ;
che
Plutone era suo germano e che Proserpina signoreg
van certo quelle nozze a sua vergogna ; che Plutone era suo germano e
che
Proserpina signoreggiava in ampio reame. E poi es
o. Infine Giove, volendo far piacere a Plutone ed a Cerere, sentenziò
che
Proserpina per sei mesi fosse colla madre in ciel
o stare Proserpina per sei mesi con Plutone, era simbolo de’ sei mesi
che
la semenza del grano è sotterra in quel tempo che
imbolo de’ sei mesi che la semenza del grano è sotterra in quel tempo
che
il sole corre per i sei segni australi del zodiac
V. Continuazione – Sirene – Aretusa – Trittolemo. Ovidio racconta
che
quando Proserpina, essendo nei campi di Enna a co
Leucosia e Ligea ; ed eran figliuole dell’Acheloo, fiume della Grecia
che
ha la sua origine dal monte Pindo, e di Sterope.
luogo della terra. Or, riuscendo vana ogni lor cura, pregaron gli dei
che
potessero, fornite di ale, andar sulle acque del
in uccelli con volto di donzella e dolcissima voce umana. Igino dice
che
furon cangiate in uccelli da Cerere sdegnata con
irene varie cose troviamo presso gli antichi, Omero nell’Odissea dice
che
le Sirene col dolce lor canto affascinando i vian
nto ed in qual guisa schivò egli un tal periglio. Comunemente si dice
che
le Sirene dal mezzo in su aveano forma di donzell
i spinsero a rompicollo nel mare. Plinio e forse anche Omero, afferma
che
il loro soggiorno era il promontorio o capo della
soggiorno era il promontorio o capo della Minerva presso Sorrento ; e
che
la Sirena Leucasia fu sepolta in un’isoletta o sc
ta o scoglio nel golfo di Pesto, detto oggidì la Licosa. Si vuole poi
che
Napoli fu detta Partenope dalla Sirena di questo
chi tempi tre principesse, signore delle tre isolette del mar Tirreno
che
Aristotele chiama delle Sirene. Le quali, intese
oè, divorati dalle Sirene. La favola poi di Alfeo e di Aretusa non ha
che
fare propriamente con Cerere ; ma Ovidio (1) fing
che fare propriamente con Cerere ; ma Ovidio (1) finge ingegnosamente
che
la ninfa Aretusa, vedendo sterilite le campagne d
Aretusa, vedendo sterilite le campagne di Sicilia per l’ira di Cerere
che
volea ad ogni modo trovar la figliuola, aprì a qu
Cerere che volea ad ogni modo trovar la figliuola, aprì a quella Dea
che
nella sua isola prediletta non già, ma bensì nel
ma bensì nel regno infernale era Proserpina, indegnamente rapita ; e
che
aveala veduta cogli occhi proprii seder regina, q
e sue acque con quelle dell’Alfeo. Or lieta la dea a tal nuova, volle
che
Aretusa i tristi suoi casi narrasse e per qual mo
lissima ; ma, ad altri studii intesa, poco o nulla mi caleva di ciò ;
che
anzi vedendo un giorno non poter io fuggire da Al
eva di ciò ; che anzi vedendo un giorno non poter io fuggire da Alfeo
che
mi perseguitava, pregai Diana di aiuto, e la buon
frettolosa in Sicilia presso l’isola Ortigia. Ma non potei far tanto
che
Alfeo, mutato in un fiume non mi seguisse, alle m
ebroso mare della Trinacria giace l’isola Ortigia, ove sgorga l’Alfeo
che
confonde le sue acque colla fontana Aretusa . Si
l’Alfeo che confonde le sue acque colla fontana Aretusa . Si racconta
che
una tazza caduta nell’Alfeo presso ad Olimpia, si
l’Alfeo manifestamente mette foce nel mare, e niuna apertura si vede
che
ne assorbisca le onde ; percui non par possibile
apertura si vede che ne assorbisca le onde ; percui non par possibile
che
rimangono dolci le acque di un fiume che passa pe
e ; percui non par possibile che rimangono dolci le acque di un fiume
che
passa pel mare o sotto ad esso. Trittolemo finalm
di una vecchia. Era Celeo padrone di quel podere e marito di Metanira
che
piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata
rito di Metanira che piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata
che
fu la dea, donò al fanciullo il vigor della vita
mo. Entrata che fu la dea, donò al fanciullo il vigor della vita ; di
che
fu lietissima quella famigliuola. E poscia l’amò
vita ; di che fu lietissima quella famigliuola. E poscia l’amò tanto
che
volle con latte divino nutricarlo di giorno, ment
no, mentre di notte il passava pel fuoco, per renderlo immortale ; il
che
dalla madre osservato, fu cagione a lei di spaven
Cerere di disgusto ; percui Trittolemo restò mortale, ma volle la dea
che
su di un cocchio tirato da dragoni alati, discorr
gelosa crudeltà di Linco, cangiandolo in lince, fiera di vario colore
che
significa la sua indole astuta ; e volle che Trit
e, fiera di vario colore che significa la sua indole astuta ; e volle
che
Trittolemo continuasse il suo viaggio. Il bue rip
a gli astri più splendidi. Dal bue venne il nome di Buzige, Ateniese,
che
fu il primo a porre i buoi all’aratro. VII. Fe
ere socievole e diede loro savie leggi ; la terza, Aloea (αλυα, area)
che
celebravasi ogni anno nel tempo, in cui trebbiava
era quella de’ misteri Eleusini, appellati i Misteri per eccellenza,
che
si celebravano in Eleusi, città fra Megara ed Ate
tene, o da Museo, o da Eumolpo o da Orfeo. Avendo Trittolemo ordinato
che
niuno straniero potesse iniziarsi ne’ grandi mist
straniero potesse iniziarsi ne’ grandi misteri, per ammettersi Ercole
che
n’avea fatta la dimanda ed a cui niente potea neg
manda ed a cui niente potea negarsi, s’istituirono i piccioli misteri
che
si celebravano vicino ad Atene con offerire a Gio
dal gran Sacerdote condannati a morte, comechè stato fosse manifesto
che
quello era fallo di pura ignoranza. Il Gerofante
za. Il Gerofante o sommo sacerdote apriva agl’iniziati alcuni segreti
che
giuravano di non manifestare ; e chi mancava, rip
e spesso si puniva colla morte. Il nome del Gerofante era sì venerato
che
non potea profferirsi da’ non iniziati. Era pur d
ziarono a questi misteri, e fra gli altri Cicerone, il quale dice (1)
che
gli uomini v’imparavano l’arte di ben vivere ed e
vivere ed erano aiutati a menare una vita migliore. Alcuni pretendono
che
in essi s’insegnavano i principali dommi dell’uni
enevano con tanta cura celati. Ma i Padri della Chiesa ci fanno certi
che
sotto il venerando nome di misteri nascondevano q
una ramosa quercia, intorno a cui le Driadi facevano i loro balli, e
che
di una Driade era pure il grato albergo. Cerere,
ntalo e di Taigete. Volendo questi sperimentare la divinità degli Dei
che
nel loro pellegrinaggio avea in sua casa ricevuti
di corona di foglie fermate con un diadema ; colla doppia fiaccola, e
che
colla sinistra prende un lembo del manto, nel qua
nto, nel quale Mercurio mette una borsa piena di danaro, per indicare
che
i due grandi mezzi di ricchezza sono l’agricoltur
a vedesi Cerere coronata di molte spighe ; e Tibullo (1) ci fa sapere
che
gli antichi ponevano una corona di spighe avanti
ra un trono di oro, coronata di spighe intrecciate fra un velo bianco
che
le discende su gli omeri. Ha sopra una tunica sen
rubar la farina. Ctonia (Χθων, terra), epiteto della Dea dal tempio
che
le edificò Ctonia sul monte Prono nel Peloponneso
pecial modo venerata. Flava Ceres dicesi da’ Latini pel biondeggiare
che
fa la messe matura (1) ; e da Virgilio chiamasi r
.) prima di mietere le biade ; sebbene vittime precidanee eran quelle
che
s’immolavano la vigilia delle grandi solennità ;
romane vestite di bianco e con fiaccole in mano, in memoria di Cerere
che
andava in cerca della sua Proserpina ; e si facev
e per l’aria, nascendo dalle nuvole. Non so poi come il Calepino dica
che
fu detto quasi canus volitans per aerem, perchè l
ca che fu detto quasi canus volitans per aerem, perchè la fiamma pare
che
vola ed è candida. Qualche erudito crede che veng
m, perchè la fiamma pare che vola ed è candida. Qualche erudito crede
che
venga da Tubalcain, con cui ha una manifesta somi
etto Opa dagli Egiziani ; il terzo, fig. di Giove terzo e di Giunone,
che
avea la sua fucina a Lenno ; ed il quarto, fig. d
signore di alcune isole dette Vulcanie. Or Vulcano nacque sì deforme
che
Giove per dispetto il precipitò dal cielo con un
n lo avessero fra Ie loro braccia raccolto. Nella quale isola si dice
che
fosse stato nudrito da Eurinome, fig dell’Oceano
soggette a’tremuoti ed abbondano di fuochi sotterranei. Ed il rumore
che
fa il fuoco nel tentare di uscire di sotterra, si
i primi ad inventare l’arte di lavorare il ferro ; e perciò si finse
che
avessero aiutato Vulcano nel fabbricare i fulmini
I poeti han foggiato il loro Vulcano su di Tubalcain, fig. di Lamech,
che
fu artefice di ogni sorta di lavori di rame e di
artefice di ogni sorta di lavori di rame e di ferro(1). Gouguet dice
che
gli Egizii ebbero a re un Vulcano che ritrovò il
ame e di ferro(1). Gouguet dice che gli Egizii ebbero a re un Vulcano
che
ritrovò il martello, l’incudine e le tanaglie. Qu
no i Greci il loro Dio del fuoco, ch’era pure il protettore di quelli
che
lavorano il ferro. Ed era sì perfetto nell’arte s
ore di quelli che lavorano il ferro. Ed era sì perfetto nell’arte sua
che
tutte le armi degli Dei, ed anche i fulmini di Gi
de ad Ercole la corazza d’oro ; ad Eèta, re di Colco, due grandi tori
che
aveano piedi di bronzo e gettavan fuoco dalla boc
fuoco dalla bocca ; a Minerva, alcuni crotali o campanelli di bronzo
che
poscia la Dea donò ad Ercole. Cadmo nel dì delle
ortici della casa di Giove ; il talamo di questo nume, ed uno scettro
che
Vulcano diede a Giove, Giove a Mercurio, questi a
a Tieste, e questi ad Agamennone. Nè son da tacere il bel trono d’oro
che
Giunone promise al Sonno in guiderdone ; e la cor
Sonno in guiderdone ; e la corazza di Diomede, e la tazza di argento
che
Fedimo, re di Sidone, donato avea a Menelao ; ed
; ed i cani d’oro e di argento nella reggia di Alcinoo, re de’ Feaci,
che
pareau vivi(1). Mirabile opera di Vulcano fu pure
ad istanza di Venere e sì bene da Virgilio(4) descritte. Si vuole(5)
che
la collana di Armonia fosse stata ad Erifile, mog
Molte altre mirabili opere attribuiva l’antichità a Vulcano in guisa
che
Omero(7) chiama istruito da Minerva e da Vulcano
in guisa che Omero(7) chiama istruito da Minerva e da Vulcano un uomo
che
faccia molte e bellissime opere di arte. Ma di tu
lo scudo di Achille descritto con arte maravigliosa da Omero(8) ; il
che
solo fa vedere che fu stoltezza il credere cieco
e descritto con arte maravigliosa da Omero(8) ; il che solo fa vedere
che
fu stoltezza il credere cieco il primo pittor del
e dell’amico grandissimo fu il cordoglio e la disperazione dell’eroe,
che
vuol correre al campo per vendicarla ; ma la madr
cudo, di cui Omero fa una descrizione ch’è il più bel pezzo di poesia
che
ci abbia conservata la greca favella. Si vuole ch
el pezzo di poesia che ci abbia conservata la greca favella. Si vuole
che
la descrizione dello scudo di Enea fatta da Virgi
ndo di Giove egli ancora di fango fece la prima donna, detta Pandora,
che
presentò agli Dei coperta di velo e con aurea cor
dell’arte di lavorare il ferro, il rame, l’oro, l’argento e tutto ciò
che
abbisogna del fuoco per maneggiarsi, e l’insegnò
abbisogna del fuoco per maneggiarsi, e l’insegnò agli uomini. E quei
che
professavan quest’arte, offerivano voti e sacrifi
o. Or come la sua deformità non era conveniente ad inspirare la gioia
che
regnar dee nei banchetti, gli fu sostituita la be
uce sembianza, e grande calamità di chi in que’luoghi capitava(3) ; e
che
da Virgilio(4) chiamasi mezzo uomo e mezzo bestia
di Vulcano e di Anticlea fu Perifete o Corinete, il quale era gigante
che
armato di una mazza di ferro, uccideva i viandant
le era gigante che armato di una mazza di ferro, uccideva i viandanti
che
capitavano ad Epidauro, città del Peloponneso. Te
accava i viandanti a due alberi piegati ed avvicinati nella cima cosi
che
risalendo in alto li facevano in due parti. Teseo
risalendo in alto li facevano in due parti. Teseo fecegli provare ciò
che
faceva soffrire agli altri. V.Iconologia di Vu
guisa ; folta barba, capellatura negletta ; mezzo coperto di un abito
che
gli giunge sopra il ginocchio, cou una berretta r
un martello nella diritta, e le tanaglie nella sinistra. Dice Millin
che
quantunque tutt’i mitologi affermano che Vulcano
nella sinistra. Dice Millin che quantunque tutt’i mitologi affermano
che
Vulcano era zoppo, pure in nessuna delle immagini
ologi affermano che Vulcano era zoppo, pure in nessuna delle immagini
che
abbiamo di questo nume, si rappresenta con siffat
o doma. VII.Alcune altre cose di Vulcano. Luciano racconta(1),
che
vennero a gara una volta, sull’eccellenza dell’ar
una volta, sull’eccellenza dell’arte, Minerva, Nettuno e Vulcano ; e
che
Nettuno fece un toro, Minerva una casa, e Vulcano
ad arbitro della contesa, nell’opera di Vulcano notò questo difetto,
che
non avea fatto una porta al petto dell’uomo, per
cominciava le sue letterarie vigilie net di delle feste Volcanali, e
che
ciò faceva non per ragion di augurio, ma per atte
ro a Vulcano il leone. Finalmente, dice Apollodoro, Vulcano fu quello
che
per commessione di Giove, attaccò Prometeo al mon
al monte Caucaso in pena di aver rubato il fuoco dal cielo. Si vuole
che
per ciò si servì di catene d’oro e di chiodi di d
dati a questa Dea e lor ragione. Nell’articolo di Giano si disse
che
Diana fu detta quasi Jana, aggiunta la lettera D
D per dolcezza di suono, come afferma Macrobio(1), il quale riferisce
che
, secondo il sistema degli antichi Fisici, Giano e
sce che, secondo il sistema degli antichi Fisici, Giano era lo stesso
che
Apollo, o sia il Sole, e Jana, la stessa che Dian
ici, Giano era lo stesso che Apollo, o sia il Sole, e Jana, la stessa
che
Diana, o sia la Luna. Cicerone però(2) deriva il
(2) deriva il nome Diana da dies, perchè la Luna col suo splendore fa
che
la notte sia simile al giorno. Altri finalmente v
re fa che la notte sia simile al giorno. Altri finalmente vogliono(3)
che
fu così detta dal greco διος, Giove, quasi Jovian
la prima, fig. di Giove e di Proserpina ; la seconda, più conosciuta,
che
nacque da Giove terzo e da Latona ; e la terza, f
adunque di cui si parla comunemente, è la fig. di Giove e di Latona,
che
nacque gemella con Apollo nell’isola di Delo. Cal
con Apollo nell’isola di Delo. Callimaco nel bell’inno di Diana dice
che
Giove amò assai questa sua figliuola specialmente
pello di sessanta ninfe Oceanine per suo corteggio, oltre venti altre
che
le custodivano l’arco, i coturni ed i cani. Le co
a fu fatale a Cencria, fig. della ninfa Pirene, il quale fu dalla Dea
che
cacciava, per imprudenza ucciso, di che la madre
Pirene, il quale fu dalla Dea che cacciava, per imprudenza ucciso, di
che
la madre sparse tante lagrime da farne un fonte c
udenza ucciso, di che la madre sparse tante lagrime da farne un fonte
che
portò poscia il suo nome ed in cui dicesi che fu
grime da farne un fonte che portò poscia il suo nome ed in cui dicesi
che
fu ella convertita. Nè meno funesto fu il fato di
per la lunga caccia, in un bel giorno di està, si lavava. Or Atteone
che
là vicino passava coi suoi veltri, seguendo l’orm
seramente lacerato. Apollodoro dice, essere stati cinquanta que’ cani
che
Diana rese rabbiosi contro l’infelice Atteone.
Da non pochi fatti della storia favolosa di questa Dea si scorge
che
il suo carattere era quello di una Dea gelosa del
il suo carattere era quello di una Dea gelosa della sua bellezza, non
che
della sua virtù, e degli omaggi degli uomini, ven
degli uomini, vendicativa, implacabile ed inchinevole a punire coloro
che
l’oltraggiavano. Ed i sacrificii di vittime umane
e della sua veste corta a foggia di uomo. Di Orione ancora raccontasi
che
avendo oltraggiata la nostra Dea, fu da essa di p
ier governi e sarte. Ma fra tutte le altre strepitosa fu la vendetta
che
fece Diana di Eneo, re di Caledone o Calidonia, c
, dalla quale ebbe Meleagro, Deianira e Tideo. Di Meleagro raccontasi
che
, sette giorni dopo la sua nascita, apparvero ad A
le tre Parche, le quali filavano lo stame fatale di quel fanciullo, e
che
vaticinando avessero detto : Durerà la vita di q
ticinando avessero detto : Durerà la vita di questo fanciullo fino a
che
durerà questo fanciullo fino a che durerà questo
la vita di questo fanciullo fino a che durerà questo fanciullo fino a
che
durerà questo acceso tizzone . Spaventata la madr
fu posteriore alla spedizione del vello d’oro, e quasi tutti gli eroi
che
presero parte alla prima, non mancarono di cercar
Castore e Polluce, Giasone, Piritoo e l’amico Teseo, di cui dicevasi
che
non vi era impresa senza Teseo, vi eran Plesippo
vi, compagna di Diana, velocissima nel corso e sì valente cacciatrice
che
Ovidio la chiama onore de’boschi. Riunito sì nobi
nò il colpo ; nè quello di Castore e Polluce fu più felice. Lo strale
che
dovea ucciderlo, fu lanciato dalla giovane Atalan
o strale che dovea ucciderlo, fu lanciato dalla giovane Atalanta ; di
che
ebbero vergogna que’ forti eroi. Meleagro che ave
a giovane Atalanta ; di che ebbero vergogna que’ forti eroi. Meleagro
che
avea con uno spiedo trapassata la belva da un fia
ad Atalanta diede il teschio e la spoglia dell’ucciso cinghiale, cose
che
in que’ tempi si desideravano quasi argomenti di
ome le spoglie de’vinti nemici. Ma i fratelli di Altea, mal soffrendo
che
il premio del valore si fosse dato ad una donzell
onzella, violentemente le tolgono la pelle dell’ucciso cinghiale ; di
che
sdegnato Meleagro non dubitò di uccidere i fratel
elle di Meleagro furono da Diana cangiate in quella specie di galline
che
noi chiamiamo di Faraone e che forse è l’uccello
a cangiate in quella specie di galline che noi chiamiamo di Faraone e
che
forse è l’uccello Africano (Afra avis) di Orazio.
io. Fra gli antichi monumenti ci restano varii bassirilievi e statue
che
rappresentano Meleagro. Il Museo Pio–Clementino n
ppresentano Meleagro. Il Museo Pio–Clementino ne possedeva una statua
che
ora trovasi in quello delle Arti a Parigi ed è st
è la testa dell’enorme bestia e due cani ; e vi si veggono due uomini
che
pensierosi guardano, ove Meleagro fa ad Atalanta
che pensierosi guardano, ove Meleagro fa ad Atalanta il dono fatale,
che
sono certamente i fratelli di Altea. IV. Conti
tti della terra, buoi, montoni, cervi ec. ed anche vittime umane ; il
che
dinotava in questa Dea un’indole crudele. Cosi gl
olava ogni anno un uomo. Ma nella Tauride, paese della Scizia, pareva
che
Diana fosse stata più avida di sangue umano ; e q
dello sparso sangue de’ forestieri rosseggia. Ed Erodoto afferma (2)
che
i popoli della Tauride ad una vergine immolavano
i della Tauride ad una vergine immolavano qualunque naufrago o Greco,
che
fosse in quelle inospitali contrade capitato ; e
aufrago o Greco, che fosse in quelle inospitali contrade capitato ; e
che
quella vergine credeva essere Ifigenia, di cui e
ccidere nella caccia una cerva a lei consacrata e per essersi vantato
che
Diana stessa non avrebbe tirato un colpo più sicu
in quella guerra intrapresa cosa alcuna da’Greci ; il quale dichiarò
che
Diana opponevasi al loro tragitto in Asia ; e che
; il quale dichiarò che Diana opponevasi al loro tragitto in Asia ; e
che
perciò doveasi placare col sacrificio d’Ifigenia,
citò le funzioni di sacerdotessa. Alcuni antichi scrittori (1) dicono
che
Ifigenia fu veramente sacrificata. Nè dee ciò rec
crificata. Nè dee ciò recar maraviglia, poichè il Pottero(2) dimostra
che
anche i Greci qualche volta ebbero il barbaro cos
ale destinò Ifigenia a sacrificare sull’altare di Diana gli stranieri
che
nei confini del suo regno capitavano. Ma uno stra
l’aiuto dello scellerato Egisto uccise il proprio consorte. Allora fu
che
Elettra, di lui sorella, vedendo il fanciullo Ore
idato, mandollo segretamente nella corte di Strofio, re della Focide,
che
avea per moglie una sorella di Agamennone. Il qua
o ; per cui fra questi due principi si strinse un’amicizia si grande,
che
cresciuta coll’età fu una delle più famose amiciz
abbandona Argo e va in Delfo a consultare l’oracolo, dal quale seppe
che
per liberarsi da quel tormento, recar si dovea ne
ed in tutt’altro, e volendo Toante dar morte ad Oreste, tanto questi,
che
Pilade affermavano di essere Oreste, perchè l’uno
da sì generosa gara, volle amendue salvi dalla morte. Ovidio(2) dice
che
Ifigenia, vicina a sacrificare i due stranieri, d
sacrificare i due stranieri, dal linguaggio conobbe ch’eran greci ; e
che
la sacerdotessa stessa propose che uno di loro fo
nguaggio conobbe ch’eran greci ; e che la sacerdotessa stessa propose
che
uno di loro fosse immolato e rimandato l’altro li
i loro fosse immolato e rimandato l’altro libero alla sua patria ; il
che
diede occasione alla gara de’ due amici. Or ella
gara de’ due amici. Or ella dà una lettera diretta al fratello Oreste
che
credeva in Argo ; e ciò fu cagione di riconoscers
ipide. V. Varie incumbenze di Diana. Abbiam di sopra avvertito
che
Diana era Dea della caccia. Perciò portava la ves
succinta e quindi fermata con una zona o cintura. Senofonte(1) scrive
che
la caccia ed i cani da caccia erano stati invenzi
da Orazio vergine custode de’monti e delle foreste ; e Callimaco dice
che
a questa Dea sono a cuore gli archi, ed il ferir
archi, ed il ferir lepri, e le liete danze su per le montagne ; anzi
che
a Giove cercò quasi per retaggio tutt’i monti. Om
Giove cercò quasi per retaggio tutt’i monti. Omero(2) descrive Diana
che
scorre pei monti, e tra questi nomina il Taigete
l’Erimanto, dilettandosi di ferire i cervi ed i cinghiali. E si noti
che
presso i Greci nella caccia delle lepri, per cias
ancora una danza solita a farsi in onore di questa Dea dalle donzelle
che
prendevansi tutte in giro per le mani ; la quale
cciatrice ; e presso Euripide nelle Troadi si descrivono le fanciulle
che
al suono delle tibie danzano tutte unite ed in gi
Guys(1), vedesi tuttora un’esatta immagine de’cori delle Ninfe greche
che
tenendosi per la mano danzano sul prato o nel bos
enendosi per la mano danzano sul prato o nel bosco nella stessa guisa
che
dai poeti ci venne rappresentata Diana su’monti d
e a ciò presedeva a’parti, deta perciò da Macrobio (2) duce di coloro
che
nascono e de’mortali corpi autrice. Da Catullo ch
’ dolori del parto, e forse tre volte (4). Quindi Ovidio (5) per dire
che
Evippe avea nove figliuoli dice che essa nove vol
e (4). Quindi Ovidio (5) per dire che Evippe avea nove figliuoli dice
che
essa nove volte avea chiamata Lucina in aiuto. Da
lte avea chiamata Lucina in aiuto. Da un luogo di Orazio(6) si scorge
che
quantunque presso i Latini Ilitia era la stessa c
azio(6) si scorge che quantunque presso i Latini Ilitia era la stessa
che
Giunone-Lucina, pure talvolta l’invocavano sotto
stesso fatto colle corna delle capre uccise da Diana sul monte Cinto,
che
era una delle maraviglie del mondo. Essa fu pure
o, fig. di Teseo, e di Antiope. Nella Grecia non vi era borgo o città
che
non avesse tempii e simulacri della nostra Dea ;
o città che non avesse tempii e simulacri della nostra Dea ; ma pare
che
il culto di lei avesse avuto la principale sua se
te Efesie. Ciò si pruova dal fatto di Demetrio(1), capo degli orefici
che
vivevano del lucro ricavato da certi tempietti di
simulacro di Diana e l’effigie del tempio di Efeso. Il quale, vedendo
che
S. Paolo allontanava il popolo da quel superstizi
perstizioso culto, suscitò grave tumulto fra quegli artefici, dicendo
che
per opera di Paolo si perdeva l’onore prestato al
perdeva l’onore prestato al tempio della grande Diana degli Efesii e
che
cominciava ad obbliarsi la maestà di esso venerat
nque era il tempio di Diana Efesina, il più magnifico ed il più ricco
che
mai vi fosse stato sulla terra, noverato perciò f
i pene di porre il suo nome nelle pubbliche carte ; ma ciò non impedì
che
quel nome fosse tramandato alla posterità insieme
nga verginal veste discinta, cavalca una cerva. I poeti tanto al sole
che
alla luna assegnano il trono di oro ; ma sembra p
apo. Presso Virgilio(2), Didone si rassomiglia leggiadramente a Diana
che
, lungo la riva dell’ Eurota o sul monte Cinto, da
ne con l’altra l’arco, ed afferra per le corna una cerva. Dice Millin
che
le due trecce che formano la pettinatura di Diana
rco, ed afferra per le corna una cerva. Dice Millin che le due trecce
che
formano la pettinatura di Diana e che vengono a c
. Dice Millin che le due trecce che formano la pettinatura di Diana e
che
vengono a congiungersi ed attaccarsi sulla sommit
Agrotera, gr. αγροτερα, presso Omero, cioè cacciatrice ; αγραυλος,
che
pernotta nella campagna ; o ουρεια, montana, mont
selva di Aricia, ove avea un culto particolare. Aventina, dal tempio
che
la nostra Dea aveva sul monte aventino. Cinzia,
a δικτυον, rete), dalle reti da caccia. Efesia, dal magnifico tempio
che
avea in Efeso. Elafiea, soprannome di Diana, col
feso. Elafiea, soprannome di Diana, col quale era adorata in Elide e
che
significa cacciatrice di cervi cervus et βολος, i
(a φως, lux, et φερω, fero). Faretrata (1), dalla faretra o turcasso
che
portava, come Dea cacciatrice. Ilitia, lat. Ilit
fanciulle di Tiro godevano di portare siffatti calzari a mezza gamba
che
ben convenivano a donzelle cacciatrici. Fra le pi
quindi i primi albori di quel gran popolo come un riflesso di gloria
che
gli veniva dall’eroismo de’suoi fondatori e de’su
de’suoi fondatori e de’suoi primi sovrani ; e la storia di quel tempo
che
passò dalla fondazione degli antichi regni della
o che passò dalla fondazione degli antichi regni della Grecia, sino a
che
l’un dopo l’altro divennero regolate repubbliche,
a, sino a che l’un dopo l’altro divennero regolate repubbliche, non è
che
un quadro maraviglioso di favole bellamente dipin
reca ; poichè, avendo essi un’origine oscura ed ignobile, come quelli
che
discendevano da uomini, i quali, a guisa di fiere
guisa di fiere, viveano senza freno di leggi e senza coltura, finsero
che
i loro maggiori venivano da uomini preclari, dett
ortali, ma dissero ch’eran discesi da qualche nume. A ciò si aggiunge
che
gli scrittori delle prime loro memorie erano poet
iò si aggiunge che gli scrittori delle prime loro memorie erano poeti
che
cantavano i grandi avvenimenti della patria, ed i
stranissimi avvenimenti e di favolose tradizioni. Ora è qui da notare
che
l’epoca degli Eroi della Grecia, ricca di memoran
di Sicione, forse il più antico degli altri tutti. Si osservi in fine
che
Eroe (Ηρως, Heros) ne’ tempi favolosi dicevasi un
vi in fine che Eroe (Ηρως, Heros) ne’ tempi favolosi dicevasi un uomo
che
si era reso celebre per prodigiosa forza, o per u
ni. Davasi poi il nome di Semidei (ημιθεοι) agli Dei di second’ordine
che
traevano la loro origine da’Numi. Da Esiodo(1) si
Numi. Da Esiodo(1) si appellano gli Eroi divina generazione di uomini
che
diconsi Semidei ; ma Omero dà questo titolo a tut
esto nome l’espressione generale della fortezza. Ragion vuole adunque
che
di lui si parli in primo luogo. Ercole o Alci
mena. Gli Autori Inglesi della Storia universale ed il Lavaur credono
che
la maggior parte delle decantate imprese di Ercol
storia di Sansone, seguendo le orme di S. Agostino, il quale sostiene
che
da Sansone principalmente, per la prodigiosa sua
ar punto atterrito, li uccise. Plinio(1) parla di un Ercole fanciullo
che
vuolsi opera della mano di Zeusi ; ed in una pitt
mano di Zeusi ; ed in una pittura di Ercolano si vede Ercole bambino
che
strangola i due serpenti mandati da Giunone. Erco
a statura e di forza stragrande, avvenue, come racconta Senofonte(1),
che
uscito il giovane eroe nella solitudine a deliber
, consultò l’oracolo, da cui ebbe risposta, essere volontà degl’Iddii
che
servisse Euristeo per dodici anni. Il quale gl’im
sse Euristeo per dodici anni. Il quale gl’impose dodici ardue imprese
che
diconsi i dodici travagli o fatiche di Ercole (αθ
leone di enorme grandezza ch’era in una selva d’Acaia detta Nemea, e
che
si appella il leone Nemeo. Il quale essendo invul
della sua pelle. Furono per ciò istituiti celebri giuochi detti Nemei
che
si celebravano in quella selva. La seconda fu l’u
o in quella selva. La seconda fu l’uccisione dell’Idra (lat. excetra)
che
vivea in Lerna, palude dell’Argolide, o dell’Arca
tare gli uomini e gli armenti. Enorme era la grandezza di quel mostro
che
avea sette teste, ed anche più, secondo alcuni. D
mostro che avea sette teste, ed anche più, secondo alcuni. Dice Igino
che
il veleno di questo serpente era sì pestifero che
alcuni. Dice Igino che il veleno di questo serpente era sì pestifero
che
il solo alito uccideva i viandanti. Ercole l’assa
llo con un sol colpo. Del suo velenoso fiele Ercole intinse le saette
che
facevano ferite immedicabili, del quale morì egli
La terza fatica fu quella di portar viva a Micene la cerva Cerinitide
che
avea le corna d’oro ed era consacrata a Diana. L’
di Arcadia, sbucando, devastava il paese della Psofide. Alcuni dicono
che
l’avesse ucciso. La quinta fatica fu quella di ri
e re di Elide, il quale, avendo un bovile ampissimo con tremila buoi
che
per trenta anni non era stato purgato, promise ad
a decima parte de’suoi armenti, se in un giorno l’avesse nettato ; il
che
fu dall’eroe eseguito, facendo passare il fiume A
Ercole ucciso. Da ciò il proverbio : nettare la stalla di Augia (3),
che
vuol dire, fare un’opera d’immensa fatica. La ses
la di purgare il lago Stinfalo, dell’Arcadia, dagli uccelli di rapina
che
si pascevano di carne umana, i quali furon [dal n
da quella palude col suono di campanelli di bronzo fatti da Vulcano e
che
aveagli donato Minerva. Questi uccelli, perchè pu
lui Prometeo, avendolo disciolto dal monte Caucaso. Virgilio(1) dice
che
Ercole uccise quel toro ; ma i più vogliono ch’ei
enea legate con catene di ferro e le alimentava della carne di coloro
che
passavano per que’ luoghi. Ercole, avendo prima c
inumano tiranno ad essere da quelle lacerato, le condusse ad Euristeo
che
le consacrò a Giunone. La nona fatica fu quella d
e isole Baleari, o nella Spagna. I tre corpi erano forse tre fratelli
che
viveano con tanta amorevolezza ed armonia che sem
rano forse tre fratelli che viveano con tanta amorevolezza ed armonia
che
sembrava che avessero un’anima sola ; o perchè eg
e fratelli che viveano con tanta amorevolezza ed armonia che sembrava
che
avessero un’anima sola ; o perchè egli regnava su
peridi ch’era vicino al monte Atlante. Un dragone dalle cento teste e
che
teneva gli occhi sempre aperti, li custodiva. Or
teneva gli occhi sempre aperti, li custodiva. Or racconta Apollodoro
che
il nostro eroe giunto nel paese dell’Esperidi, pe
eroe giunto nel paese dell’Esperidi, per avviso di Prometeo, fece sì
che
Atlante fosse andato a cogliere le poma d’oro nel
omeri suoi sosteneva il cielo invece di lui ; sebbene altri affermano
che
Ercole stesso, ucciso il drago, avesse colti queg
i travagli di Ercole. Un bassorilievo, dice Millin, fa vedere l’eroe
che
saetta gli uccelli di Stinfalo, che abbatte l’idr
vo, dice Millin, fa vedere l’eroe che saetta gli uccelli di Stinfalo,
che
abbatte l’idra e che s’impadronisce de’ pomi d’or
edere l’eroe che saetta gli uccelli di Stinfalo, che abbatte l’idra e
che
s’impadronisce de’ pomi d’oro dell’Esperidi. Un b
erevoli altre imprese di Ercole si raccontano. Egli debellò i giganti
che
assalirono il cielo ; giacchè essendo ne’libri de
i giganti che assalirono il cielo ; giacchè essendo ne’libri del fato
che
senza l’ainto di un mortale non potean esser vint
ch’erano i principali fra que’ mostri. Famoso è poi il combattimento
che
per Deianira, fig. di Eneo, re di Caledonia, ebbe
ti e di fiori, fecero il Cornucopia, o corno dell’abbondanza. Si noti
che
gli antichi davano a’ fiumi capo e corna di toro
rva, da quella di Ercole. Uccise Eurizione, Centauro, fig. d’Issione,
che
pretendeva di sposar la detta Deianira ; e nelle
o stretto di Gibilterra. Quivi giunto il figliuol di Giove e credendo
che
que’ due monti fossero il termine del mondo, vi f
i di Ercole. Innumerevoli altre imprese si attribuiscono a quest’eroe
che
troppo lungo sarebbe qui riferirle tutte ; per cu
a moglie Deianira per recarsi a quella città, e giunti al fiume Eveno
che
allora per molte acque era gonfio, Ercole il pass
a Deianira la sua camicia tinta del proprio sangue, facendole credere
che
se mai Ercole l’avesse indossata, cresciuto sareb
di cui eran tinte le saette dell’eroe. Or dopo qualche tempo accadde
che
Deianira per conciliarsi vie più l’amore dello sp
messo nel numero degli Dei ed allogato fra gli astri. Apollodoro dice
che
una nube lo accolse con un gran tuono e lo portò
rcole era il pioppo, di cui si coronavano i suoi sacerdoti e gli eroi
che
aveano operato famose imprese. Sopra i monumenti,
o de’suoi re e fig. di Giove. I suoi pascoli erano di tanta rinomanza
che
si finge, Nettuno avervi pascolato i suoi cavalli
li maschi il fratello Egitto, re dell’Egitto ; e l’oracolo avea detto
che
uno de’generi di Danao lo avrebbe ucciso ; percui
colle cinquanta figliuole si recò in Argo, dove fece valere il dritto
che
vi avea, come discendente di Epafo, fig. d’Io, ch
uron condannate nell’inferno a versare dell’acqua in una botte forata
che
non si riempiva mai ; onde il proverbio « la bott
uona dose di elleboro. Acrisio poi ebbe una figliuola chiamata Danae,
che
fu madre di Perseo, che uccise Acrisio e fondò Mi
crisio poi ebbe una figliuola chiamata Danae, che fu madre di Perseo,
che
uccise Acrisio e fondò Micene. Dopo Euristeo salì
e apparecchiò le carni in vivanda al padre ; alla quale vista fingesi
che
il sole si volse indietro. È noto che gli antichi
adre ; alla quale vista fingesi che il sole si volse indietro. È noto
che
gli antichi credevano che il sole come godeva deg
ngesi che il sole si volse indietro. È noto che gli antichi credevano
che
il sole come godeva degli onesti fatti degli nomi
dato agli antichi argomento di molte tragedie ; ed Orazio(1) per dire
che
la tragedia rigetta un verseggiare dimesso, nomin
stigazione del padre, uccise Atreo, cui successe nel regno Agamennone
che
fu potente e ricco sopra ogni altro monarca che f
nel regno Agamennone che fu potente e ricco sopra ogni altro monarca
che
fosse, allora in tutta la Grecia. E però, nella f
Dauno, re di quel tratto della Puglia da esso detto Daunia, da’nemici
che
forte lo stringevano di assedio, ne ottenne buona
natura, ma per l’industria degli abitanti reudeasi fertile. Si finse
che
fossero stati prodotti dal terreno, a guisa degl’
finse che fossero stati prodotti dal terreno, a guisa degl’insetti, e
che
per ciò portavano sul capo una locusta d’oro(1).
meggiava Atene chiamata occhio della Grecia. Fu fabbricata da Cecrope
che
primo diede divini onori a Giove ; e dopo più alt
gua alla cognata Filomela e postala in segreta prigione in un viaggio
che
con lei faceva da Atene nella Tracia, l’infelice
, e lo diede al padre in forma di vivanda, acciocchè il mangiasse. Di
che
avvedutosi Tereo si diede ad inseguirla insieme c
a Properzio Pandionia dall’avo. La quale venendogli negata dal padre,
che
avea fresco ancora nella memoria l’orrendo fatto
quel barbaro re se la condusse via per forza. Perciò finsero i poeti
che
Oritia fosse stata rapita dal vento Borea, mentre
Tracia tenevasi per la regione de’venti e specialmente dell’Aquilone
che
si credeva abitare in un antro del monte Emo. Da
e da Oritia nacquero Zete e Calai, gemelli, poscia uccisi da Ercole,
che
si fingono alati ne’piedì e nel capo, come gli al
di figli, consultò l’oracolo di Delfo, da cui ebbe sì oscura risposta
che
, non bastandogli l’ingegno ad intenderla, si recò
non bastandogli l’ingegno ad intenderla, si recò a Trezene da Pitteo,
che
con fama di gran sapienza reggea quella città. Il
, sordo a’pianti della sconsolata, si accommiatò da lei ingiungendole
che
se partorisse un maschio, subito che giunto fosse
accommiatò da lei ingiungendole che se partorisse un maschio, subito
che
giunto fosse in età di poter sollevare quel sasso
lo avesse inviato da lui in Atene. E di fatto Etra partorì un figlio
che
si chiamò Teseo, il quale fu riconosciuto dal pad
, e bramoso d’imitarlo, uccise Perifete ed il masnadiere Sinnide, non
che
Scirone, fig. di Eaco, e famoso ladrone dell’Atti
va i viandanti a stendersi sopra un letto di ferro, stirandoli sino a
che
divenissero della stessa lunghezza, ovvero taglia
o in Atene, sacrificandolo ad Apollo. Dopo ciò giunse Teseo in Atene,
che
col padre Egeo trovò assai costernata per l’infam
Atene, che col padre Egeo trovò assai costernata per l’infame tributo
che
doveasi ogni anno pagare al Cretese Minotauro. Il
ro, ed uccisolo, libera gli Ateniesi dal sanguinoso tributo. Si vuole
che
Arianna, fig. del re, che Teseo avea sposata, dat
i Ateniesi dal sanguinoso tributo. Si vuole che Arianna, fig. del re,
che
Teseo avea sposata, dato avesse a lui un gomitolo
e nere e credendo il figlio divorato dal Minotauro, gittossi nel mare
che
da lui prese il nome di mare Egeo. Oltre le mento
Elena a Sparta, trasportandola in Atene. Giove comandò loro in sogno
che
dimandassero a Plutone Proserpina per moglie a Pi
Ercole, da Plutone ottenne la loro liberazione ; sebbene altri dicono
che
niuno di loro fosse di là uscito(1). Antico re
la quale faceva ombra a settentrione il monte Elicona, percui le Muse
che
l’abitavano furon delle Tespiadi ; e la città di
da Cadmo, ove, dopo la morte di Anfione e Zeto, sali sul trono Laio,
che
sposò Giocasta, fig. di Creonte, dalla quale ebbe
Laio, che sposò Giocasta, fig. di Creonte, dalla quale ebbe un figlio
che
fu dal padre consegnato ad un pastore, acciocchè,
reggia qual suo figliuolo. Edipo intanto, cresciuto in età, e sapendo
che
non era figliuolo di Polibo, andò a consultare l’
uolo di Polibo, andò a consultare l’oracolo di Delfo nel tempo stesso
che
Laio viaggiava per que’luoghi in cerca del figlio
ono nella Focide, ed insorta fra loro una contesa, Edipo ammazzò Laio
che
non conosceva ; e poscia andô a Tebe, ove per ave
sfinge, ottenne la signoria di quella città. La Sfinge era un mostro
che
infestava tutto il paese vicino a Tebe, e che nel
La Sfinge era un mostro che infestava tutto il paese vicino a Tebe, e
che
nel volto e nelle mani rassembrava una donzella,
gone. Esso divorava i viandanti ; e l’oracolo avea risposto a Creonte
che
sarebbe cessato il flagello, quando si fosse da a
to il flagello, quando si fosse da alcuno spiegato il seguente enigma
che
la sfinge proponeva ad essi : Quale animale il ma
a due, e la sera, a tre. Edipo spiegò l’enigma dicendo essere l’uomo
che
nella fanciullezza cammina spesso colle mani e co
i e col bastone. Della quale spiegazione ebbe tanto dolore la Sfinge,
che
da uno scoglio si precipitò nel mare. Quindi un s
regno a Polinice, il quale in Argo sposò la figliuola del re Adrasto
che
gli promise di riporlo sul trono. E di fatto prep
uale il celebre indovino Anfiarao prevedendo dover tutti perire salvo
che
Adrasto, ricusava di prendervi parte e ne dissuad
col mezzo della moglie Erifile l’indusse a seguire la poderosa armata
che
Adrasto condusse alle sette porte di Tebe ; percu
to condusse alle sette porte di Tebe ; percui sette furono i capitani
che
l’accompagnarono, Adrasto, di Argo ; Polinice, Te
r tutti e sette questi principi perirono avanti le mura di Tebe salvo
che
Adrasto, il quale salvossi per la velocità del ca
detto vocale da Properzio(1), perchè prediceva il futuro. Raccontasi
che
i nemici fratelli, convennero di decidere l’affar
fare, venendo a singolar tenzone, la quale si eseguì con tanto furore
che
vi perirono entrambi ; e che fu sì irreconciliabi
one, la quale si eseguì con tanto furore che vi perirono entrambi ; e
che
fu sì irreconciliabile il loro odio che durò anch
che vi perirono entrambi ; e che fu sì irreconciliabile il loro odio
che
durò anche dopo la morte, essendosi separate le f
ι, post, et γεινομαι, nascor), cioè figliuoli e posteri de’primi eroi
che
caddero sotto le mura di Tebe. Scelto Alcmeone pe
orno delle Muse, e le sue delizie andarono in proverbio. Si vuole poi
che
nella Tessaglia nascessero assai erbe velenose ;
cui i Tessali furon famosi pe’ veneficii e per le arti magiche, tanto
che
un venefico qualunque da Plauto(1) si chiama Tess
orpo la forma di uomo ; e nel resto, quella di cavallo. Dicono alcuni
che
l’idea de’ Centauri nacque dal vedere la prima vo
ntauri nacque dal vedere la prima volta gli uomini montali a cavallo,
che
doveano a quelle rozze fantasie sembrare mostri m
vede un centauro ricoperto di una nebride svolazzante e senza barba,
che
tiene colla sinistra una siringa. Vuolsi che sia
olazzante e senza barba, che tiene colla sinistra una siringa. Vuolsi
che
sia il celebre Centauro Chirone. Ma nella storia
Pelia, suo fratello uterino, al governo del regno dì Tessaglia fino a
che
non divenisse maggiore Giasone, suo figliuolo. Pe
are il regno per se, ne consultò l’oracolo, dal quale gli fu risposto
che
si fosse guardato da colui che portava una sola s
ò l’oracolo, dal quale gli fu risposto che si fosse guardato da colui
che
portava una sola scarpa. Indi a poco, facendo egl
mentre si affrettava di varcarlo, gli cadde dal piede una scarpa ; il
che
fece credere a Pelia che di lui dovea guardarsi,
arcarlo, gli cadde dal piede una scarpa ; il che fece credere a Pelia
che
di lui dovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde
ovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde, avendo domandato al nipote
che
dovesse mai fare di una persona, da cui esso per
i esso per detto dell’oracolo avesse a temere la morte, tosto rispose
che
l’avrebbe inviato in Coleo alla conquista del vel
iato in Coleo alla conquista del vello d’oro. Or raccontano le favole
che
Atamante, fig. di Eolo, e re di Orcomeno, nella B
per quivi porre in salvo la vita ; ma l’infelice Elle cadde nel mare
che
da lei prese il nome di Ellesponto. Forse quest’a
nome di Ellesponto. Forse quest’ariete era una nave chiamata l’Ariete
che
in su la prora avea la figura dorata di quest’ani
sacrato a Marte o in un di lui tempio, ov’era custodito da un dragone
che
sempre vegliava. Eeta poi diede in moglie a Friss
fece da lui, sotto la direzione di Minerva, fabbricare la prima nave
che
dall’artefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma
re la prima nave che dall’artefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma
che
questa fu la prima nave che avesse solcato l’infi
tefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma che questa fu la prima nave
che
avesse solcato l’infido elemento e che fu costrui
ma che questa fu la prima nave che avesse solcato l’infido elemento e
che
fu costruita di pini tagliati sul monte Pelio. Qu
rasportata in cielo e posta fra le costellazioni, come anche l’ariete
che
portò Frisso e ch’è il segno di Ariete. Allestita
i principali ; Tifi, a cui Giasone affidò il timone di quella nave e
che
morì nel viaggio presso i Mariandinii, ed ebbe pe
o ; Ida e Linceo, di Afareo, il quale Linceo aveva una vista sì acuta
che
vedea sino nelle viscere delle montagne, percui v
amente in guerra, avvenne sì fiera battaglia fra gli uni e gli altri,
che
Cizico ed un gran numero de’suoi restaron miseram
Poscia fecero vela per la Misia, ove Ercole, avendo con maggior forza
che
pratica piegato il suo remo, lo ruppe, e mentre c
con maggior forza che pratica piegato il suo remo, lo ruppe, e mentre
che
andava nel bosco per farsene un altro, Ila, fig.
aro a quell’eroe, fu per la sua bellezza dalle Ninfe rapito nell’atto
che
bevea ad una fonte. Or mentre si tratteneva Ercol
priva il futuro a’ mortali ; ed era di continuo molestato dalle Arpie
che
infestavano il paese. Erano queste mostruosi ucce
li. Spargevano esse un odore spiacevolissimo, insozzavano tutt’l cibi
che
toccavano e rapivano dalle tavole le vivande(1).
vano i cani di Giove e di Giunone, de’ quali servivansi contro quelli
che
volevan punire ; anzi Servio le pone nel numero d
di Teti. Or giunti gli Argonauti alla corte di Fineo, questi li pregò
che
lo avessero liberato dalla molestia di que’ mostr
vanti una colomba e non si cimentarono di passare lo stretto fintanto
che
non la videro salva fuori di esso ; e le Simplega
comandandogli di sottoporre al giogo due grandi, e fierissimi tori e
che
avesse con essi solcata la terra, seminandovi alc
tò l’arduo cimento, ed istruito da Medea, insigne maga, fig. di Eeta,
che
da lui si avea fatto promettere con giuramento di
viaggio per la Grecia. Eeta, oltremodo adirato, inseguì Giasone ; di
che
accortasi Medea fece in pezzi Absirto e qua e là
nfelice giovane ; e da ciò si chiamano lettere di Bellerofonte quelle
che
sono dannose a chi le porta. Allora lobate mandò
chi le porta. Allora lobate mandò quell’eroe a combattere la Chimera
che
infestava un monte della Licia. Questo mostro era
ò coraggioso ad assalire l’orribile mostro e l’uccise. Alcuni pensano
che
la Chimera fosse un monte della Licia che nella c
e l’uccise. Alcuni pensano che la Chimera fosse un monte della Licia
che
nella cima gettava fuoco, e che nella parte super
la Chimera fosse un monte della Licia che nella cima gettava fuoco, e
che
nella parte superiore era abitato da leoni, nel m
abitato da leoni, nel mezzo da capre, ed alle falde, da serpenti ; e
che
avendo Bellerofonte distrutte quelle bestie, aves
bestie, avesse dato origine alla favola della Chimera. Igino racconta
che
dopo l’impresa della Chimera, l’eroe tentò coll’a
della Chimera, l’eroe tentò coll’alato Pegaso di salire in cielo ; e
che
avendo Giove mandato un assillo, il cavallo fece
Storia dell’assedio di troia. Ecco, dice Banier, un avvenimento
che
senza fallo è il più celebre de’ tempi favolosi e
nto che senza fallo è il più celebre de’ tempi favolosi ed eroici ; e
che
nel tempo stesso può dirsi l’ultimo, perchè da qu
discendenti di Ercole con Euristeo. Ma quale fu mai la fatale cagione
che
mosse il fiore de’ Greci guerrieri a cingere di s
ere di sì ostinato assedio quell’infelice città, il quale non terminò
che
colla sua totale distruzione ? Lo sdegno de’ numi
giudizio di Paride ed il rapimento di Elena ; ora rimane a dire quel
che
tocca più da vicino la greca celebratissima spedi
questa guerra è quella di Omero nella sua Iliade, poema inimitabile,
che
non debbe essere già riguardato come una mera fin
i quel tempo, la quale era divisa in molti piccioli principati ; dice
che
Agamennone, re di Micene, di Sicione e di Corinto
icione e di Corinto, era il più potente principe di tutta la Grecia e
che
fu eletto supremo capitano ; novera partitamente
itano ; novera partitamente i nomi delle varie nazioni e de’ principi
che
favorivano i Troiani ; e descrive l’arte della gu
ere, e la situazione de’paesi e delle città, con infinite altre cose,
che
sono pura istoria. Quindi è che il poema di Omero
delle città, con infinite altre cose, che sono pura istoria. Quindi è
che
il poema di Omero merita di esser tenuto per la p
primi tempi sono sepolti nell’obblio, per non esservi stati scrittori
che
ne tramandassero a’posteri gli avvenimenti. Secon
1200. In questa guerra erano impegnate tutte le forze de’Greci, salvo
che
quelle degli Acarnani. Troia sostenne l’assedio d
le non fu in quella guerra intrapresa cosa alcuna da’ Greci, predisse
che
sarebbero stati ben dieci anni all’assedio di Tro
e che sarebbero stati ben dieci anni all’assedio di Troia, e dichiarò
che
Diana era quella che opponevasi al tragitto dell’
ben dieci anni all’assedio di Troia, e dichiarò che Diana era quella
che
opponevasi al tragitto dell’armata nell’Asia co’
opponevasi al tragitto dell’armata nell’Asia co’ contrarii venti ; e
che
doveasi placare col sacrificio di una vittima, la
e contrastato lo sbarco da’ Troiani. L’oracolo avea predetto a’ Greci
che
sarebbe stato ucciso chiunque il primo avesse pos
τος, primus, et λαως, populus) per esser morto il primo fra tutti. Il
che
saputosi dalla moglie Laodamia, fig. di Acasto, o
Acasto, ottenne dagli Dei di poter parlare coll’estinto sposo non più
che
tre ore. Ma dopo siffatto tempo ricondotto Protes
e acque della palude Stigia, e così egli diventò invulnerabile, salvo
che
nel calcagno pel quale la madre lo avea tenuto. E
ducare al centauro Chirone, il quale, oltre tutti gli altri esercizii
che
convengono ad un principe, a lui insegnò la music
re dell’isola di Sciro, ove, sotto nome di Pirra, si trattenne sino a
che
avendo Calcante predetto che Troia non potea espu
sotto nome di Pirra, si trattenne sino a che avendo Calcante predetto
che
Troia non potea espugnarsi senza il soccorso di A
rnare alla gara fra quest’eroe ed il supremo duce Agamennone, diciamo
che
avendo questi restituita al padre la sua schiava
i a farlo uscire di questa specie d’inazione ; allorchè, avendo udito
che
in una zuffa Patroclo, fig. di Menezio, cui Achil
stesso Ettore, la morte del suo amico, il quale gli era stato sì caro
che
l’amicizia di Patroclo e di Achille si annovera f
’egli uccise di propria mano sul rogo dell’estinto amico. Ovidio dice
che
Achille fu ucciso da Paride ; ed Igino aggiunge c
mico. Ovidio dice che Achille fu ucciso da Paride ; ed Igino aggiunge
che
il dardo ferì il calcagno, ove solamente l’eroe e
ppello di scelti guerrieri, e fingendo esser quello un voto a Minerva
che
aveano offesa col rapimento del Palladio, fanno m
na breccia nelle mura della città, vi fanno entrare il fatale cavallo
che
allogano sul Pergamo, ch’era la cittadella di Tro
epolti nel vino e nel sonno, lasciano la città incustodita. Allora fu
che
i Greci guerrieri rinchiusi nel cavallo ne scendo
ne scendono chetamente, e dato il convenuto seguo alla greca flotta’
che
si era nascosta dietro l’isoletta di Tenedo, col
diamo a Virgilio, in una notte sola fu interamente distrutta, di modo
che
altro non vi restò che il solo nome(1) ; nome che
a notte sola fu interamente distrutta, di modo che altro non vi restò
che
il solo nome(1) ; nome che ha reso immortali i du
distrutta, di modo che altro non vi restò che il solo nome(1) ; nome
che
ha reso immortali i due più insigni poeti che abb
il solo nome(1) ; nome che ha reso immortali i due più insigni poeti
che
abbia mai veduto il mondo, Omero e Virgilio. Term
ccome i Romani non lasciarono di derivare la loro origine da’ Troiani
che
seguirono Enea. Il solo Livio sembra che sia stat
la loro origine da’ Troiani che seguirono Enea. Il solo Livio sembra
che
sia stato dubbioso in affermare un tal fatto, e s
ttori il dotto Bocarto(2) ha raccolto validissimi argomenti a provare
che
la venuta di Enea in Italia sia una mera favola.
Plutone era Nettuno, detto da’ Latini Neptunus. Cicerone(1) pretende
che
questo nome venga da una parola latina (a nando),
one(1) pretende che questo nome venga da una parola latina (a nando),
che
significa nuotare, per una semplice mutazione del
o di qualche lettera. Il Vossio però approva l’etimologia di Varrone,
che
fa nascere questo nome da un’altra parola latina
ascere questo nome da un’altra parola latina (a’nubendo vel a nuptu),
che
significa coprire, perchè come una nube ricopre i
. Da’Greci chiamasi Posidone (Ποσειδων), o da due voci (ποσιν δουναι)
che
significano dare a bere, perchè il mare è il rice
e acque ; o da alcune altre parole (σειειν, movere, et πεδον, solum),
che
voglion dire scuotere il suolo, perchè il mare co
scuote la terra. II. Storia favolosa di Nettuno. Omero(2) dice
che
Giove e Nettuno erano figliuoli di un medesimo pa
(2) dice che Giove e Nettuno erano figliuoli di un medesimo padre, ma
che
il primo il vinceva in sapienza, come negli anni.
e l’impero del mare, come nell’articolo di Giove si è detto. Quindi è
che
spesso appo i poeti Nettuno si adopera per signif
re(1) ; e Virgilio(2) bellamente ci pone avanti gli occhi la signoria
che
quel nume vanta sul mare, allorchè descrive il mo
anta sul mare, allorchè descrive il modo come egli sdegnato con Eolo,
che
senza saputa sua suscitato avea, ad istanza di Gi
convolte e riconduce la serenità desiderata. Anche magnifica è l’idea
che
Omero(3) ci dà della potenza di Nettuno, ch’era d
e degli altri greci capitani. Presso Ovidio(4) Venere dice a Nettuno
che
la sua potenza è prossima a quella di Giove. Egli
emò non solo la terra, ma lo stesso Plutone nella sua reggia, temendo
che
a quella scossa non si aprisse la terra e nel tri
si scotitor della terra, egli dimostrava particolarmente col tridente
che
era una specie di scettro a tre punte, che sempre
rticolarmente col tridente che era una specie di scettro a tre punte,
che
sempre mai portava in mano e che forse, secondo M
a una specie di scettro a tre punte, che sempre mai portava in mano e
che
forse, secondo Millin, non era che un istrumento
, che sempre mai portava in mano e che forse, secondo Millin, non era
che
un istrumento da prendere i pesci, di cui anche a
si adira Il Tridentier dalle cerulee chiome. Apollodoro(1) racconta
che
i Ciclopi donarono il fulmine a Giove, l’elmo a P
ono il fulmine a Giove, l’elmo a Plutone ed a Nettuno il tridente ; e
che
coll’aiuto di siffatte armi vinsero i Titani e li
o di siffatte armi vinsero i Titani e li rinchiusero nel Tartaro ; il
che
fatto si divisero quei tre fratelli l’impero dell
nte Polibote con avergli scagliato contra il promontorio detto Nisiro
che
avea staccato dall’isola di Coo. III. Continua
attribuiva una grandissima potenza, attesochè maraviglioso è l’impero
che
anche sulla terra esercita quell’infido elemento,
esercita quell’infido elemento, e tremendi sono gli effetti di esso,
che
noi tuttodì sperimentiamo. Di fatto al mare, e qu
i a Nettuno, attribuivansi i tremuoti ed altri straordinarii fenomeni
che
succedono sulla terra, come pure i considerabili
Erodoto(2) riferisce una tradizione de’ Tessali, i quali affermavano
che
la valle per la quale scorre il fiume Peneo a gui
ta opera di Nettuno ; ed a ragione, egli soggiunge, perchè credendosi
che
quel nume scuota la terra e che tutte le grandi a
ne, egli soggiunge, perchè credendosi che quel nume scuota la terra e
che
tutte le grandi aperture fatte in essa sieno oper
ò si scorge la ragione, per cui egli chiamavasi Ennosigeo, cioè colui
che
fatremare la terra ; e perchè dopo Giove, Nettuno
lui che fatremare la terra ; e perchè dopo Giove, Nettuno era il nume
che
avea più potere degli altri. Ed una grande idea d
ro ne abbandona le redini ; ch’ei vola sulla superficie delle onde, e
che
al suo cospetto i fiotti si cal mano e dileguansi
entre cento mostri marini intorno al suo cocchio si raccolgono. Si sa
che
Omero(1) lo rappresenta nell’atto che sorte dalle
uo cocchio si raccolgono. Si sa che Omero(1) lo rappresenta nell’atto
che
sorte dalle onde, facendo tremare sotto i suoi pi
presenza di lui. Sotto al suo cocchio si curvano i fiotti, e le ruote
che
fuggono colla rapidità del lampo, sfiorano appena
r de’cavalli, ed il conservatore delle navi. Anzi Virgilio(2) afferma
che
la terra percossa dal gran tridente di Nettuno pr
nella prima parte di quest’ operetta abbiam raccontata la famosa gara
che
fu fra Nettuno e Minerva per la città di Atene, e
città di Atene, e come Nettuno fece uscir della terra un bel cavallo,
che
qual simbolo di guerra fu nel consiglio degli Dei
esimo ; ed Erodoto asserisce ch’esso era sconosciuto agli Egiziani, e
che
a’ Greci ne venne la notizia da’ popoli della Lib
i Egiziani, e che a’ Greci ne venne la notizia da’ popoli della Libia
che
il riguardavano come la più grande loro divinità.
uesta potenza di Nettuno e per una tale idea di ferocia e di crudeltà
che
gli uomini meritamente attribuiscono al mare, è a
crudeltà che gli uomini meritamente attribuiscono al mare, è avvenuto
che
i poeti, come chiamano figliuoli di Giove tutti q
è avvenuto che i poeti, come chiamano figliuoli di Giove tutti quelli
che
per insigne virtù si distinguono, quasi fossero p
li di Nettuno, cioè quasi partecipi della inumanil à del mare, coloro
che
per immane ferocia o singolare empietà son famosi
upe Etnea. Telemo, fig. di Eurimo, famoso indovino, gli avea predetto
che
un dì Ulisse gli avrebbe cavato quell’unico suo o
un dì Ulisse gli avrebbe cavato quell’unico suo occhio(4) ; vaticinio
che
il superbo gigante prese a scherno, ma che dopo f
suo occhio(4) ; vaticinio che il superbo gigante prese a scherno, ma
che
dopo fungo tempo avverossi pur troppo. Per quell’
a di esser letto da’giovani studiosi. Il Chiabrera, alludendo al vino
che
per opera di Ulisse imbriacò Polifemo, cantò legg
to fuor di misura l’uccise, lanciando uno scoglio di enorme grandezza
che
lo schiacciò. Il quale, per opera di Galatea, fu
reidi, sue sorelle. Dopo di Polifemo dirò alcuna cosa de’ Lestrigoni,
che
Gellio chiama fig. di Nettuno : ed uno Scoliaste
oni. Erano questi una razza di uomini di gigantesca statura e feroci,
che
cibavansi di carne umana, ed abitavano nella Sici
Il primo diede il nome alla Beozia, ed Eolo, all’Eolia. Pausania dice
che
Eumolpo fu pure figliuolo del nostro Nettuno e di
acerdoti Ateniesi, tanto celebri nell’antichità ; e fu uno de’quattro
che
Cerere stabili direttori de’suoi misteri. La fami
. La famiglia degli Eumolpidi diede un ferofante agli Eleusini fino a
che
fu fra loro il tempio di quella Dea. Molti altri
oro il tempio di quella Dea. Molti altri figli ebbe Nettuno ; Ergino,
che
fu uno d’egli Argonauti, e che per le sue molte c
lti altri figli ebbe Nettuno ; Ergino, che fu uno d’egli Argonauti, e
che
per le sue molte conoscenze nautiche ed astronomi
e, successe a Tifi, pilota della nave Argo ; Erice, re della Sicilia.
che
per avere posto fra i suoi armenti uno de’buoi di
cilia. che per avere posto fra i suoi armenti uno de’buoi di Gerione,
che
Ercole avea smarrito, fu da questo eroe ucciso in
e stato dato generalmente il nome di figlio di Nettuno a tutti coloro
che
si distinsero nelle marittime pugne, e per la lor
stata, volle anche egli essere chiamato figliuolo di Nettuno ; titolo
che
trovasi sulle medaglie di lui. Da Orazio fu detto
Da Orazio fu detto Neptunius dux (1) IV. – Di alcune Deità marine
che
hanno relazione con Nettuno. Gli antichi, dic
del Cielo e della Terra, e marito di Teti, diversa dalla Nereide Teti
che
fu madre di Achille. Da Omero e da Virgilio chiam
e origine dall’opinione di alcuni antichi filosofi, i quali credevano
che
tutte le cose aveano avuto principio da due eleme
erra, o sia da Teti. Nella descrizione dello scudo di Achille si dice
che
il gran fiume Oceano chiudea l’orlo di esso ; dal
Oceano chiudea l’orlo di esso ; dalle quali parole argomentano alcuni
che
quel gran poeta dovea conoscere questa verità geo
alcuni che quel gran poeta dovea conoscere questa verità geografica,
che
il mare circonda la terra. Dicesi ch’esso sia sta
acqua. Si dipinge pure bicornigero. Una delle Oceanidi fu Anfitrite
che
sposò il nostro Nettuno e che spesso si adopera a
igero. Una delle Oceanidi fu Anfitrite che sposò il nostro Nettuno e
che
spesso si adopera a dinotare il mare(1). Essa si
andare a diporto su per le onde del mare, accompagnata dalle Nereidi
che
portano le redini, e da’Tritoni che col suono del
mare, accompagnata dalle Nereidi che portano le redini, e da’Tritoni
che
col suono delle lor trombe ricurve annunziano l’a
te ; anzi da Ovidio(3) si scorge, essere stata credenza degli antichi
che
quel trombettiere col suono fragoroso della sua c
ol suono fragoroso della sua conca quasi sgridava le onde commosse, e
che
queste, come se avessero avuto senso, ubbidivano
ti tutti la stessa figura e le stesse incumbenze ; ed ora son figura,
che
serve di ornamento all’architettura ed in certi d
rnati a vita per virtù di quell’erba, saltarono di nuovo nel mare. Di
che
avvedutosi Glauco e fatto accorto di quella occul
ta la famiglia di Cadmo, pose sì strano furore nell’animo di quel re,
che
pigliando Ino per una leonessa, ed i figliuoli Le
delle Nereidi, ninfe marine. fig. di lui e di Dori. Omero(1) afferma
che
le Nereidi in un antro ch’era nel fondo del mare,
capo sulle onde del mare e di ammirare stupefatte la prima nave Argo
che
per loro era una novità mostruosa ; e ad esse att
la seconda sopra un grosso pesce ; e la terza su di un giovane toro,
che
finisce in delfino. A lutte queste divinità aggiu
i presagire il futuro, ed Orfeo dice ch’egli conosceva si le presenti
che
le future cose. Egli prendeva molte e stranissime
i tutt’i corpi ; opinione abbracciata da molti antichi filosofi greci
che
l’attinsero dall’Egitto. Proteo adunque che prend
ti antichi filosofi greci che l’attinsero dall’Egitto. Proteo adunque
che
prendea tante e sì diverse figure, simboleggiava
rendea tante e sì diverse figure, simboleggiava l’elemento dell’acqua
che
si trasforma in varii corpi. Ora per ottenere che
elemento dell’acqua che si trasforma in varii corpi. Ora per ottenere
che
Proteo desse le sue fatidiche risposte, era mesti
estieri sorprenderlo nel suo antro e legarlo, essendo antica credenza
che
quest’indovini non predicevano il futuro, se non
Sileno e dello stesso Proteo afferma Virgilio(1). Da Omero si scorge
che
Proteo era il guardiano del gregge di Nettuno, ch
iano del gregge di Nettuno, ch’era composto di foche, animali anfibii
che
hanno voce simile a quella di un fanciullo, e di
a di un fanciullo, e di altri mostri marini : pereui disse Orazio(2),
che
a tempo del diluvio di Deucalione, Proteo guidava
itorta e lunga, come gli Dei fluviali, col tridente nella sinistra, e
che
colla destra calma le onde agitate. Dipingesi pur
sulla terra, scuotendola talvolta col suo tridente. Winckelmann dice
che
la configurazione di Nettuno è alquanto diversa d
spata, ed essendovi una considerevole differenza nel getto de’capelli
che
al disopra della sua fronte s’innalzano. Alle vo
. Sulle medaglie della città di Berito nella Fenicia i cavalli marini
che
portano il suo cocchio, hanno di cavallo tutta la
rini. « Assiso sopra un mare tranquillo, dice Millin, con due delfini
che
nuotano sulla superficie dell’acqua, e con la pro
porta la folgore, come pure sopra una pietra incisa. Alcuni vogliono
che
negli antichi monumenti non si vede mai Nettuno c
non se a’ Tritoni e ad altre subalterne marine deità. Si noti infine
che
le statue antiche del Dio del mare sono rarissime
uesti epiteti si veggono spesso adoperati da Omero. Γαιηοκος, Nettuno
che
cinge o contiene la terra (a γαια, et εχω, contin
tempio consacrato in Eleusi a Nettuno Padre(1). Neptunus redux, cioè
che
riconduce a buon porto, ed a cui i marinari offer
uta in Ostia(2). Taenarius, dicesi Nettuno(3), perchè avea un tempio
che
serviva d’inviolabile asilo, sul Tenaro, promonto
e consacrati il pino e l’appio palustre. A lui s’immolava un toro(5),
che
Pindaro chiama pigro, con voce greca che alcuni m
A lui s’immolava un toro(5), che Pindaro chiama pigro, con voce greca
che
alcuni malamente, interpetrano bianco o veloce, s
e greca che alcuni malamente, interpetrano bianco o veloce, sapendosi
che
a quel nume si sacrificavano tori di color nero(6
no fig. di Forco e di Ecate, o di Tifone e di Echidna. Raccontasi (1)
che
la maga Circe, ingelosita di Scilla, de’ suoi vel
a nella metà inferiore del corpo cangiata in più rabbiosi cani marini
che
orribilmente latravano. Alcuni vogliono che per r
più rabbiosi cani marini che orribilmente latravano. Alcuni vogliono
che
per ragion di Nettuno, la moglie Anfitrite avesse
ce a trasformare Scilla colle sue magiche arti in mostro marino. Pare
che
Virgilio abbia confuso questa Scilla con l’altra
in corpi di lupi colle code di delfini (2), in una egloga poi afferma
che
finiva in cani marini (3), come Lucrezio, Ovidio,
e’buoi di Gerione, fu da Giove fulminata e trasformata nella voragine
che
porta il suo nome e ch’è nello stretto di Messina
i Scilla. Questa voragine detta violenta da Tibullo, e non altrimenti
che
lo scoglio di Scilla, celebratissima nell’epopea
ssorbisce e tre volte rigetta e spinge sino al cielo le onde (5) ; il
che
tutto deriva dal noto flusso e riflusso dello str
flusso dello stretto di Messina. Ed i latrati di Scilla non son altro
che
lo strepito ed il rumoreggiare delle onde che s’i
di Scilla non son altro che lo strepito ed il rumoreggiare delle onde
che
s’infrangono fra quegli scogli. E come avvicinand
erna di Cariddi, si corre pericolo di naufragare, così, per esprimere
che
spesso il timore di un male ci conduce in un altr
nerata da’ Romani come il Dio del consiglio, credesi essere lo stesso
che
Nettuno Equestre, in onore del quale Romolo fece
del quale Romolo fece celebrare quei solenni giuochi detti Consuali,
che
porsero il destro alla feroce gioventù romana di
o inferno. I. Nomi diversi dell’Inferno. In Igino leggiamo
che
dalla Caligine nacque il Caos ; da questo, l’Ereb
one a coloro, i cui delitti non erano espiabili. Lo chiamavano Erebo,
che
Esiodo a ragione dice figliuolo del Caos e fratel
e figliuolo del Caos e fratello della Notte ; sebbene altri affermano
che
nacque da Demogorgone e dalla Terra ; ed era prop
ος, giuramento, perchè non vi era più santo ed invidiabile giuramento
che
quando giuravasi per la palude Stigia, o per l’Or
amento che quando giuravasi per la palude Stigia, o per l’Orco, fiume
che
nasceva da quella palude. Or questi nomi di Aide,
erno, e talvolta si prende per l’inferno stesso ; come Virgilio disse
che
notte e dì stassi aperta l’atra porta di Dite (1)
ntò : E’l buon maestro disse : omai, figliuolo, Si appressa la città
che
ha nome Dite. Averno pure da’ poeti dicesi l’inf
scrizione dell’Inferno secondo gli antichi poeti. Erodoto afferma
che
gli Egiziani i primi han creduta l’immortalità de
e varii corpi di animali, e ciò per lo spazio di ben tremila anni. Da
che
nacque la loro gran cura d’imbalsamare i cadaveri
cura d’imbalsamare i cadaveri e di fabbricare quelle tombe magnifiche
che
fecero dire a Diodoro Siculo che gli Egiziani ave
i fabbricare quelle tombe magnifiche che fecero dire a Diodoro Siculo
che
gli Egiziani aveano più cura de’sepolcri de’morti
Diodoro Siculo che gli Egiziani aveano più cura de’sepolcri de’morti
che
de’palagi de’vivi. Dall’Egitto Melampo, Orfeo ed
ell’anima, e quella della metempsicosi, e quindi l’idea di due luoghi
che
accoglier debbono le anime dopo la morte, uno di
poeti li han descritti colla loro vivace fantasia. Omero (1) afferma
che
Mercurio conduce all’inferno le anime de’morti in
tenebre eterne. Or di quali Cimmerii parla il greco poeta ? Sappiamo
che
i Cimmerii eran popoli dell’Asia, presso al Bosfo
uoli, perchè Ulisse, secondo quel poeta, vi giunge il medesimo giorno
che
si accommiata da Circe, il che non avrebbe potuto
el poeta, vi giunge il medesimo giorno che si accommiata da Circe, il
che
non avrebbe potuto avvenire, se quei Cimmerii fos
ne all’estremità dell’Oceano i Cimmerii dell’Italia. Strabone afferma
che
i Cimmerii di Omero erano sulle coste d’Italia, e
trabone afferma che i Cimmerii di Omero erano sulle coste d’Italia, e
che
gli antichi ponevano presso al lago d’Averno la N
non lungi da Pozzuoli, da’Campi Flegrei e dalla palude Acherusia. Il
che
ebbe origine dall’essere que’luoghi bassi ed oscu
igine dall’essere que’luoghi bassi ed oscuri e circondati da montagne
che
impedivano di vedere il tramontar del sole. Nell’
rra è un baratro profondissimo, porte di ferro e soglia di bronzo ; e
che
tanto è di sotto all’Orco, quanto la terra al cie
de’Titani, i quali vinti furon precipitati in quel caliginoso luogo,
che
tanto è lontano dalla terra, quanto questa dal ci
’incudine di ferro fatta cadere dal cielo non giungerebbe sulla terra
che
il decimo giorno, come quella che dalla superfici
l cielo non giungerebbe sulla terra che il decimo giorno, come quella
che
dalla superficie della terra si facesse cadere gi
e la Morte, nè vi giunge mai raggio di sole ; ed un terribile mastino
che
fa mille moine a chi entra, ma che non lascia usc
di sole ; ed un terribile mastino che fa mille moine a chi entra, ma
che
non lascia uscirne alcuno, ne guarda l’entrata. V
ro dell’Eneide è un lavoro d’inestimabile pregio su questo proposito,
che
dovrebbesi riferire per intero, affinchè si conos
i, una strada silenziosa e declive, fiancheggiata mestamente di tassi
che
danno un’ombra funesta, conduce all’infernale mag
ia palude. Per quella via scendono le ombre di fresco uscite de’corpi
che
sono stati sepolti. Il Pallore ed il Verno signor
o signoreggiano que’luoghi incolti, pe’quali errano le ombre de’morti
che
ignorano la strada che mena alla feral reggia di
ghi incolti, pe’quali errano le ombre de’morti che ignorano la strada
che
mena alla feral reggia di Plutone. La vasta infer
sì quel luogo, Ie anime di ogni paese. Quivi errano le ombre esangui,
che
son tutte dedite ad occupazioni simili a quelle c
le ombre esangui, che son tutte dedite ad occupazioni simili a quelle
che
amarono in vita. All’ingresso vi è il Cerbero che
oni simili a quelle che amarono in vita. All’ingresso vi è il Cerbero
che
da tre gole manda fuori tre orrendi latrati ; e l
orno al quale fiumi di nera acqua risuonano. Quivi l’orrenda Tisifone
che
invece di crini ha il capo attorto di crudeli ser
de, e latra e veglia in guardia delle ferrate soglie. Quivi d’Issione
che
osò oltraggiare Giunone, le inique membra si aggi
ingeri è prosteso al suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua
che
fugge e che quando è già presso al labbro, più av
steso al suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua che fugge e
che
quando è già presso al labbro, più avviva la rabb
Continuazione. Campi Elisii. Certo è, se crediamo a Macrobio (2),
che
gli antichi allogarono gli Elisii sopra gli astri
acrobio (2), che gli antichi allogarono gli Elisii sopra gli astri, e
che
disserole anime giuste essere accolte in quell’ul
ri, e che disserole anime giuste essere accolte in quell’ultima sfera
che
si chiama Aplanes. Alcuni poeti però pongono que’
ed i Campi Elisii, de’quali è signore Saturno, ove giudica Radamanto,
che
tutti gli altri poeti pongono nel regno di Pluton
nto, che tutti gli altri poeti pongono nel regno di Plutone. Dice poi
che
coloro i quali saranno ritrovati mondi da ogni co
e, eterno soggiorno de’giusti. Quivi da ogni parte veggonsi bei fiori
che
risplendono al pari dell’oro e che o spuntano dal
i da ogni parte veggonsi bei fiori che risplendono al pari dell’oro e
che
o spuntano dal suolo o pendono dagli alberi che s
no al pari dell’oro e che o spuntano dal suolo o pendono dagli alberi
che
son nutricati da limpide acque. Di essi que fortu
ine adorno. Il tutto si governa secondo i giusti decreti di Radamanto
che
sempremai siede allato a Saturno, padre de’numi e
nate, ove regna Saturno. Quivi soggiornano le anime felici degli eroi
che
godono di una coscienza tranquilla e sicura, a’qu
te l’anno produce saporosi frutti. Molto gaia ancora è la descrizione
che
degli Elisii leggiamo in Tibullo (1), il quale, c
quale, credendosi vicino a morire, con nuova e ridente immagine finge
che
Venere stessa l’avrebbe condotto ne’ fortunati El
e con più lodevole filosofia ci pone avanti gli occhi la felice turba
che
alberga negli Elisii. Quivi, al dir del poeta, no
ici, vivono tranquilla e beata vita, e gli studii loro son pur quelli
che
amarono in vita. La virtù li guidò quasi per mano
urtandosi cadono nell’Acheronte. Il lago di Averno, per folte tenebre
che
il circondavano, spaventoso, era una delle porte
di Minos è mestieri passar l’Acheronte, comechè generalmente si dica
che
le Ombre debban passare il fiume Slige su di una
lla Stigia palude, nè da Caronte sono ammesse nella vecchia sua barca
che
dopo sì lungo spazio di tempo. Nè quel nocchiero
alcun uomo vivente, il quale non avesse mostrato il fatal ramo di oro
che
dovea staccare da un albero sacro a Proserpina, c
fatal ramo di oro che dovea staccare da un albero sacro a Proserpina,
che
trovavasi in una selva all’ingresso dell’Inferno.
de’ bambini morti sul nascere ; nel secondo, eran le ombre di quelli
che
per falsi delitti apposti, furono ingiustamente c
sti, furono ingiustamente condannati a morte ; nel terzo, eran quelli
che
un crudele destino avea spinto a darsi colle prop
nto a darsi colle proprie mani la morte ; nel quarto si vedean coloro
che
morirono per un forsennato amore ; nel quinto, st
alcuni luoghi dell’ Inferno. Primieramente osservino i giovanetti
che
ad ogni cosa che avea relazione con Plutone e cog
l’ Inferno. Primieramente osservino i giovanetti che ad ogni cosa
che
avea relazione con Plutone e cogl’infernali luogh
merii eternamente coperti, pose il suo Inferno. E perciò pure finsero
che
l’Averno era la bocca dell’inferno, o l’inferno s
ioè senza uccelli (ab α priv. et ορνις, avis). Pausania (2) riferisce
che
nella Tesprozia, antica contrada dell’ Epiro, era
l’ Epiro, era un lago detto Aorno, ove consultavasi un famoso oracolo
che
si dava coll’evocazione delle ombre de’morti medi
vocazione delle ombre de’morti mediante le arti della negromanzia ; e
che
quivi Orfeo avesse evocata l’ombra della consorte
el sesto libro dell’Eneide è noto anche a’fanciulli. Strabone(2) dice
che
l’Averno negli antichissimi tempi era da una selv
andi alberi circondato, percui non vi penetrava mai raggio di sole, e
che
il volgo credeva, gli uccelli che sopra di esso v
vi penetrava mai raggio di sole, e che il volgo credeva, gli uccelli
che
sopra di esso volavano, dalle pestifere esalazion
que, come avvenir suole in tanti altri luoghi simili detti Plutonii ;
che
in quella contrada erano i Cimmerii e le lor grot
ntrada erano i Cimmerii e le lor grotte ; e più altre simili cose. Ma
che
poi, per ordine dell’imperatore Augusto, avendo A
iare quella selva e costruire intorno al lago degli edificii, si vide
che
tutto era favola. A questo proposito dice il ch.
to era favola. A questo proposito dice il ch. Malte-Brun : « L’Averno
che
i Greci chiamarono Aornos, perchè gli uccelli ne
pori pestilenziali, oggidì ve li trae per l’abbondanza del nutrimento
che
loro offre. In alcuni siti ha 180 piedi di profon
dipingono gli storici ed i poeti dell’antichità. Alle vecchie foreste
che
ne coprivano le sponde trarupate, son succedute p
coprivano le sponde trarupate, son succedute piccole selve e cespugli
che
in tutto l’anno conservano la loro verdura ; i pa
che in tutto l’anno conservano la loro verdura ; i pantani insalubri
che
lo circondano, sono stati cangiati in vigneti. Si
ebre grotta della Sibilla Cumana. Infine non vi è cosa più pittoresca
che
l’aspetto di questo lago che gli antichi riguarda
ana. Infine non vi è cosa più pittoresca che l’aspetto di questo lago
che
gli antichi riguardavano come la bocca dell’infer
a Miseno la palude Acherusia formata da un fangoso sporgere in fuori
che
quivi fa il mare. Aveva pur questo nome una caver
vi fa il mare. Aveva pur questo nome una caverna vicina all’Acheronte
che
comunicava coll’inferno e per la quale gli abitan
icava coll’inferno e per la quale gli abitanti del paese pretendevano
che
Ercole avesse tratto fuori dell’inferno il Can Ce
no amare e malsane e dimoravano lungo tempo nascoste sotto terra ; da
che
nacque la favola di essere quello un fiume infern
re quello un fiume infernale. Dal fatto di Alessandro, re dell’Epiro,
che
distesamente si racconta da Livio (1), si scorge
, re dell’Epiro, che distesamente si racconta da Livio (1), si scorge
che
vi erano due Acheronti, uno che avea la sua sorge
e si racconta da Livio (1), si scorge che vi erano due Acheronti, uno
che
avea la sua sorgente nella Molossia, parte dell’a
rozia, e si gettava nel golfo Tesprozio, oggidì di Butrintò ; l’altro
che
scorreva presso ad un’altra Pandosia a’ confini,
il Piriflegetonte vicino al lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare
che
Virgilio dica che l’Acheronte si scarica nel Coci
vicino al lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare che Virgilio dica
che
l’Acheronte si scarica nel Cocito (2) ; nel che n
are che Virgilio dica che l’Acheronte si scarica nel Cocito (2) ; nel
che
non si accorda con Omero, il quale afferma che ne
a nel Cocito (2) ; nel che non si accorda con Omero, il quale afferma
che
nell’Acheronte si getta il Piriflegetonte ed il C
poi il Piriflegetonte si confonde col Flegetonte, fiume dell’inferno
che
deriva dallo Stige. Esso volgeva torrenti di fiam
parte dell’ Inferno, dice Silio Italico(3), si apre un enorme abisso
che
termina in fangosa palude ; il terribile Flegeton
lanciando infuocati macigni. Anche il Cocito era fiume dell’Inferno,
che
i geografi pongono nella Tesprozia, ed altri pres
, per essere assai torbido e limaccioso più ad una palude rassomiglia
che
ad un fiume. Il Cocito, dice Virgilio (1), fiume
lia che ad un fiume. Il Cocito, dice Virgilio (1), fiume limaccioso e
che
abbonda di canne, colla tarda sua onda, e lo Stig
e limaccioso e che abbonda di canne, colla tarda sua onda, e lo Stige
che
con nove giri l’Erebo circonda, impediscono alle
i Elisii. Le acque del qual fiumicello beveansi dalle anime di coloro
che
passar doveano ad albergare in nuovi corpi, avend
ce il Dizionario Storico-mitologico, le acque di Lete e tutte le cose
che
di quelle acque venivano asperse, oltre l’oblio,
o da un vecchio gittati i nomi di tutt’i mortali. tranne alcuni pochi
che
certi benefici cigni a gran fatica pescavano col
morti e dei Mani. Del Cerbero e delle Furie. Credevano i gentili
che
le anime, deposto questo corpo terrestre, prendev
rpi vani ed ombratili, e da Virgilio, ombre tenui e simulacri. E quel
che
i Greci chiamarono idolo, da’ Latini appellavasi
l’uomo, il corpo, l’anima e l’ombra o fantasma ; e fu antica credenza
che
le ombre de’ morti erano placate e pacifiche, qua
loro corpi aveano ricevuto l’onore dei funerali e della sepoltura ; e
che
le anime degl’insepotti erravano o intorno al pro
ntorno al proprio corpo, o secondo altri, intorno alla palude Stigia,
che
loro era vietato di varcare, per lo spazio di cen
di varcare, per lo spazio di cento anni (3). Credevano pure i gentili
che
un certo idolo diverso dall’ombra e dai Mani, per
ni, per qualche tempo vagava intorno al proprio tumolo. E quest’idoli
che
alle volte dicevansi esser comparsi ai viventi, e
i Lemuri, cui si offrivano cibi e si preparavano mense su i sepoleri,
che
dicevansi inferiae. E principalmente le anime di
rte del fanciullo Glaucia affermò Stazio (4). Finsero inoltre i poeti
che
le ombre scendevano all’inferno con quella forma
inoltre i poeti che le ombre scendevano all’inferno con quella forma
che
aveano nel tempo della lor morte. Così Deifobo mo
iva nell’inferno il suo Orfeo con lenti passi per cagion della ferita
che
le diè morte (2). E Tibullo (3) dice che intorno
assi per cagion della ferita che le diè morte (2). E Tibullo (3) dice
che
intorno agli oscuri laghi del Tartaro la turba de
ne e co’ capelli bruciati dalla fiamma del rogo. Oltre a ciò si finse
che
le ombre de’ morti nell’inferno si radunavano chi
e’ morti, intendendo alcuni per Dei Mani una maniera di Dei Infernali
che
si placavano con certi sacrificii, sebbene altri
i i sepolcrali monumenti. Secondo altri poi gli Dei Mani erano Genii,
che
credevano assegnati a ciascun uomo nel suo nascim
andonavano, e questi distrutti, ne abitavano i sepolcri. Da ciò venne
che
coloro i quali avessero demolito o in altra guisa
ani, secondo una legge delle dodici tavole (4) ; sebbene altri dicano
che
in detta legge voglionsi intendere le anime dei m
ere le anime dei morti, alle quali erano indirizzate le lettere D. M.
che
poneansi su’ sepolcri e che gli antichi credevano
quali erano indirizzate le lettere D. M. che poneansi su’ sepolcri e
che
gli antichi credevano sacre ed inviolabili. Si no
u’ sepolcri e che gli antichi credevano sacre ed inviolabili. Si noti
che
la voce Manes spesso si adopera a significare l’i
stesse dell’inferno, come nel celebre luogo di Virgilio, ove si dice
che
ciascuno soffre i suoi Mani(5), cioè i suoi mali,
porta dell’inferno, forse alludendo al costume degli antichi principi
che
avanti le porte tenevano grossi mastini. Appresso
(4) gli dà pure il collo crinito di serpenti. Alcuni poeti han finto
che
Cerbero toccato dalla verga di Mercurio restava a
nifera. Orazio (6) finalmente, facendo plauso al canto di Orfeo, dice
che
alla dolcezza di quello dovette darsi vinto il cr
fiato e tetro veleno esca della trilingue sua bocca ; ma questo poeta
che
qui dà al Cerbero tre capi, in un altro luogo (7)
ere ed inesorabili, intente solo a punire il delitto sì nell’ inferno
che
in questa vita, e che ponevano nel cuore degli sc
tente solo a punire il delitto sì nell’ inferno che in questa vita, e
che
ponevano nel cuore degli scellerati sì terribili
vita, e che ponevano nel cuore degli scellerati sì terribili rimorsi
che
toglievan loro ogni riposo, e visioni tanto spave
rimorsi che toglievan loro ogni riposo, e visioni tanto spaventevoli
che
spesso facevan loro perdere il senno. Non vogliat
van loro perdere il senno. Non vogliate credere, diceva Cicerone (1),
che
, siccome spesso da’ poeti si raeconta, coloro i q
il carnefice ; questi sono degli empii le assidue e domestiche Furie
che
giorno e notte tormentano i parricidi. E Nerone,
o racconta (2), confessava di non essersi potuto liberare dalle Furie
che
continuamente colle loro ardenti fiaccole il torm
e – Eaco – Radamanto e Minos. Il nocchiero della palude infernale
che
tragittava in una barca le anime de’morti, chiama
ortarlo di là della stigia palude (1). E di fatto ricordavasi Caronte
che
avendo per timore accolto Ercole nella sua barca,
temeva pure ch’ Enca imitato avesse l’audacia di Teseo e di Piritoo,
che
un dì tentarono di rapire la stessa Proserpina. M
ro o di argento per pagare a Caronte il nolo del loro passaggio. Pare
che
Virgilio (2) ci descriva il Tartaro come una orre
ani, eseguiva le sentenze de’giudici ed i rei dava in mano a Tisifone
che
nella tartarea prigione li rinchiudeva e faceva l
udeva e faceva loro pagare il fio delle commesse scelleratezze. Si sa
che
Radamanto era fig. di Giove e di Europa, come lo
del fiume Asopo, con ugual fama di giustizia regnò in quella contrada
che
dicevasi Enopia o Enone e che Eaco stesso chiamò.
a di giustizia regnò in quella contrada che dicevasi Enopia o Enone e
che
Eaco stesso chiamò. Egina dal nome della madre. L
d Ulisse, aver veduto nell’inferno Minos, l’illustre figlio di Giove,
che
assiso, con aureo scettro in mano, giudicava le a
o tribunale avanti la porta dell’ampia casa di Plutone. È noto infine
che
questo gran principe di Creta, di cui abbiam parl
o a stare nell’inferno in mezzo ad un lago di fresche e limpide acque
che
gli giungevano sino alle labbra, senza poterne ma
i pendono sul capo, de’quali non può gustare un solo. Pindaro afferma
che
Tantalo rubò il nettare e l’ambrosia dalla mensa
sto fatto il poeta attribuisce la cagione della pena datagli da Giove
che
gli sospese sul capo un sasso, dalla caduta del q
ssa ucciso a colpi di frecce. Era di enorme statura, e da’più si dice
che
il suo corpo occupava nove iugeri di terra. Lucre
che il suo corpo occupava nove iugeri di terra. Lucrezio (2) afferma
che
i poeti sotto l’immagine di Tizio ci han voluto r
mente passione. Sisifo poi, discendente di Eolo, regnò a Corinto dopo
che
Medea se ne allontanò. I poeti lo collocano nell’
potere supremo nella valle sottoposta. Lo Scoliaste di Omero afferma
che
fu condannato a tal pena per aver rivelato agli u
uzia e pe’suoi ladronecci, poichè, dopo avere spogliato gli stranieri
che
cadevano nelle sue mani, li faceva morire con un
Tartaro, ove Mercurio lo attaccò ad una ruota circondata di serpenti,
che
gira velocemente senza fermarsi un istante ; sull
o il loro Inferno ed i Campi Elisii. Diodoro di Sicilia riferisce
che
i Sacerdoti di Egitto trovavano scritto ne’loro a
riferisce che i Sacerdoti di Egitto trovavano scritto ne’loro annali
che
Orfeo, Museo, Omero, Pittagora, Platone ed altri
in quell’antichissimo paese a consultare la loro riposta sapienza ; e
che
quanto poteano vantare i Greci di più ammirabile,
ll’Egitto nella Grecia. E di fatto Ermete chiamavasi in Egitto quegli
che
accompagnava il cadavere di Api fino ad un certo
a guisa di Cerbero. Da Orfeo l’appresero i Greci ; e però Omero disse
che
Mercurio o Ermete accompagnava le anime degli ero
me degli eroi, avendo in mano una verga ch’era il caduceo. Disse pure
che
l’inferno era oltre l’oceano, cioè al Nilo, chè d
i prati eran la sede delle ombre, secondo Omero ; or questi non erano
che
un luogo presso la palude Acherusia non lungi da
iani erano soliti per quella palude traghettare i cadaveri de’ morti,
che
sepellivano nelle tombe ch’erano in quel prato. L
’ morti, che sepellivano nelle tombe ch’erano in quel prato. La barca
che
trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις),
he trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις), ed al barcaiuolo
che
volgarmente gli Egiziani chiamavano Caronte, dava
e gli Egiziani chiamavano Caronte, davasi un obolo pel trasporto ; da
che
è nata la favola di Caronte e della sua barca. Le
favola di Caronte e della sua barca. Le varie dimore, dice il Banier,
che
Virgilio pone nell’inferno e particolarmente quel
to da quelle ch’eran sotterra, al dir di Erodoto. I Coccodrilli sacri
che
gli Egiziani nudrivano in que’ luoghi sotterranei
vano in que’ luoghi sotterranei, han dovuto dare l’idea di que’mostri
che
i poeti allogarono nel regno di Plutone e special
enne l’idea de’ giudici dell’Inferno. E di fatto, dice Rollin, è noto
che
non era permesso in quel paese il lodare indiffer
lico giudizio un tale onore. Si radunavano i giudici di là da un lago
che
tragittavano in una barca. Appena un uomo era mor
là da un lago che tragittavano in una barca. Appena un uomo era morto
che
conducevasi al giudizio. Se il pubblico accusator
e privavasi della sepoltura. Il popolo ammirava il potere delle leggi
che
sino alla morte stendevasi, e ciascuno mosso dall
ono dal seno della terra, ove sono le miniere. E Cicerone (1) afferma
che
quel nume che dai Greci appellavasi Plutone (Πλου
ella terra, ove sono le miniere. E Cicerone (1) afferma che quel nume
che
dai Greci appellavasi Plutone (Πλουτων), si chiam
e per esso intende la forza stessa e la natura della terra. Or è noto
che
dis significava ricco, ed era lo stesso che dives
ra della terra. Or è noto che dis significava ricco, ed era lo stesso
che
dives. Dicevasi pure Orco (Orcus), e Summano (Sum
ncerta. Ad esso attribuivansi i fulmini notturni, come a Giove quelli
che
si scagliavano di giorno (2). Presso Plauto (3) s
mavano Aide (Αιδης) da due parole greche (ab α, priv. et ειδω, video)
che
significano non vedere, perchè era signore di que
ovvero un Dio invisibile. Chiamavasi pure Aidoneo (Αιδωνευς Hesiod.)
che
significa lo stesso. II. Storia favolosa di Pl
iove e di Nettuno. Egli era il più giovane di loro, e nel modo stesso
che
i due primi, fu sottratto alla crudele voracità d
visione dell’universo a lui toccò l’inferno. Diodoro di Sicilia vuole
che
questa favola abbia avuto origine dall’essere sta
dio, tiranno del profondo inferno. Claudiano (5) introduce una Parca,
che
chiama Plutone sommo arbitro della notte e signor
sto Empirico (1), abborrito dagli stessi immortali. Ed Omero ha detto
che
Plutone fra tutte le divinità è la più formidabil
utone poi, come degli altri infernali Dei, si è sempre detto da’poeti
che
hanno un cuore crudele ed inesorabile ; e ci vien
cosa ha potuto avere origine l’elmo di Plutone (Orci galea), armatura
che
rendeva invisibile colui che la portava. Agamenno
l’elmo di Plutone (Orci galea), armatura che rendeva invisibile colui
che
la portava. Agamennone presso Omero chiama Pluton
e quindi a’mortali odiosissimo ; e ciò è tanto vero, dice M. Dacier,
che
a lui solo fra tutti gli Dei in niun luogo gli uo
ed altari o cantato inni in suo onore (3). E la stessa Dacier osserva
che
gli antichi davano il nome di Giove non solo al s
ma ancora al Dio del mare, come in Eschilo, ed a quello dell’inferno,
che
da Omero dicesi Giove sotterraneo ed infernale ;
ell’inferno, che da Omero dicesi Giove sotterraneo ed infernale ; con
che
volevano farci intendere i poeti che una sola è l
e sotterraneo ed infernale ; con che volevano farci intendere i poeti
che
una sola è la divinità che governa l’universo. Ab
; con che volevano farci intendere i poeti che una sola è la divinità
che
governa l’universo. Abbiam detto che Plutone avea
poeti che una sola è la divinità che governa l’universo. Abbiam detto
che
Plutone avea il suo soggiorno e la sua signoria n
che Plutone avea il suo soggiorno e la sua signoria nelle miniere, e
che
per ciò era tenuto pel Dio delle ricchezze. Quind
Dio delle ricchezze. Quindi piacevolmente Demetrio Falereo (4) diceva
che
gli abitanti dell’Attica con tanta ostinazione sc
ti dell’Attica con tanta ostinazione scavavano la terra nelle miniere
che
pareva, volessero trarne lo stesso Plutone. II
enente un’allegoria astronomica. Dicono alcuni, essere certa cosa
che
gli antichi sacerdoti greci, seguendo le orme di
endo le orme di quelli di Egitto, hanno spesso inventato delle favole
che
aveano per base i fenomeni celesti. E veramente E
o ; e quando Luciano discorre dell’ Astrologia, fa chiaramente vedere
che
ne’poemi di Omero e di Esiodo vi ha un’ analogia
grandissima fra l’astronomia e le favole. Ciò posto, è cosa evidente
che
il Plutone de’ Greci era il Serapide degli Egizia
, come dice Diodoro di Sicilia ; il quale Serapide era la stessa cosa
che
Osiride, o il Sole, giacchè tutti questi nomi spe
il Sole, cioè il Genio solare, sotto il nome di Osiride, bisogna dire
che
il Plutone o il Giove infernale de’Greci, o l’Osi
de’Greci, o l’Osiride di Egitto, era il sole d’inverno, cioè il sole
che
al solstizio d’inverno passa sotto la terra, e lo
embo della terra, avendo essi potuto cadere in questo errore a motivo
che
gli antichi credevano che i metalli si formano ne
ssi potuto cadere in questo errore a motivo che gli antichi credevano
che
i metalli si formano nelle viscere della terra pe
sole d’inverno, è molto chiaramente esposta da Macrobio (2) ; e pare
che
possa confermarsi con ciò che i mitologi dicono d
amente esposta da Macrobio (2) ; e pare che possa confermarsi con ciò
che
i mitologi dicono del celebre elmo di Plutone. Qu
grandissimo danno, poichè avea la virtù di rendere invisibili coloro
che
il portavano. Esiodo, nella descrizione dello scu
e il portavano. Esiodo, nella descrizione dello scudo di Ercole, dice
che
l’elmo di Plutone, di folte tenebre circondato, s
mmaginare quest’elmo di Plutone. Oltre a ciò il Sig. Dupuis fa vedere
che
Proserpina, moglie del Dio dell’inferno, era l’em
o tipo di Giove terrestre o infernale. Questo au tore dimostra ancora
che
la corona boreale, la quale accompagna il Sole, m
utunno ed insieme col sole tramonta sulla Sicilia, per un osservatore
che
si ritrovi in Egitto o nella Fenicia ; dalla qual
gitto o nella Fenicia ; dalla quale cosa presero argomento di fingere
che
in quell’isola Proserpina sia stata rapita da Plu
feo in un suo inno. IV. Iconologia di Plutone. Alcuni vogliono
che
negli antichi monumenti ritrovasi Plutone col cap
to straordinario tipo rappresenta i tre figliuoli di Saturno riuniti,
che
si riconoscono Giove, per l’aquila, Nettuno, pel
di Serapi-Plutone. Spesso i monumenti numismatici ci offrono Plutone
che
rapisce Proserpina da lui portata su di una quadr
utone di una corona di ebano, altri, di adianto o capelvenere, pianta
che
nasce nei luoghi umidi, profondi e scogliosi. Egl
carro d’oro di antica forma, tirato da quattro neri e focosi cavalli,
che
si chiamavano Orfneo, Eton, Nitte ed Alastore. Pl
Alastore. Plutone si rappresentava, dice Albrico Filosofo, in un modo
che
conveniva al principe delle tenebre. Il suo aspet
perchè dalla terra, dice S. Agostino (1), si nutriscono tutte le cose
che
sono nate da essa. Februo, lat. Februus, chiamav
ebruo, lat. Februus, chiamavasi Plutone, come Dio delle purificazioni
che
facevansi per le ombre de’ morti nel mese di Febb
a tellus. VI. Alcune altre cose di Plutone. Omero(2) racconta
che
Ercole osò ferire di saetta lo stesso Plutone all
da di grandissimo dolore, e ne fu guarito da Peone, medico degli Dei,
che
avea pur sanata una ferita di Marte fattagli da D
Lo scultore Cefisodoto (3) avea fatta in Atene una statua della Pace,
che
portava Pluto o Plutone in grembo, per dinotare c
tatua della Pace, che portava Pluto o Plutone in grembo, per dinotare
che
le ricchezze cui questo Dio presedeva, sono il fr
ezze cui questo Dio presedeva, sono il frutto della pace. Ovidio dice
che
Plutone portava redini di rugginoso ferro, ch’era
oso ferro, ch’era colore proprio di tutte le infernali cose, in guisa
che
di color ferrigno dicesi da Claudiano la sopravve
neri i cavalli di questo nume, di cui la cura era affidata ad Aletto,
che
facevali pascolare sulle rive di Cocito, e li att
ropizii a Giasone gl’infernali Iddii, loro sacrifica tre neri agnelli
che
son poscia consumati dal fuoco. Anche i tori e le
funebre avanti la porta de’ defonti (6), e ciò per una sua proprietà,
che
una volta reciso, non rinasce mai più, simbolo de
, che una volta reciso, non rinasce mai più, simbolo della vita umana
che
quando giunge al suo tramonto, non vi è speranza
della vita umana che quando giunge al suo tramonto, non vi è speranza
che
mai più risorga. Nella Grecia era generale l’uso
isorga. Nella Grecia era generale l’uso di ornare la porta delle case
che
rinchiudevano un cadavere, di rami di cipresso, p
e perciò l’uso n’era riserbato a’ soli ricchi. Quindi Orazio afferma
che
di tutt’i beni nessuno lo seguirà alla tomba, sal
razio afferma che di tutt’i beni nessuno lo seguirà alla tomba, salvo
che
il ferale cipresso (praeter invisas cupressus. Li
one. Dovendo noi parlare di Proserpina, Dea dell’inferno, diciamo
che
questo nome deriva da un verbo latino (proserpo),
nferno, diciamo che questo nome deriva da un verbo latino (proserpo),
che
significa germogliare, perchè per essa le biade g
mogliano ne’campi ; percui questa Dea fu annoverata eziandio fra’numi
che
presiedono all’agricoltura (1) ; e spesso confond
’agricoltura (1) ; e spesso confondesi con Cerere stessa, e con Iside
che
presso gli Egiziani dinotava la terra. Dicevasi p
colla morte distrugge (η τω φωνω παντα περθονσα). Finalmente si noti
che
alle volte Κορη, e doricamente Κωρη, vergine, don
avolosa di Proserpina. Secondo Cicerone (3), Libera era la stessa
che
Proserpina, ed era sorella di Libero o Bacco ; e
nderseli propizii(1). Tibullo espressamente fa menzione della potestà
che
avea Proserpina sulla vita umana(2) ; ed aveasi p
ella morte ; per cui non solo si chiamava Giunone Lucina, come quella
che
presiedeva alla nascita degli uomini, ma ancora G
ancora Giunone infernale, perchè loro toglieva la vita. Da ciò venne
che
Orazio disse, niuno aver mai potuto evitare la cr
niuno aver mai potuto evitare la crudele Proserpina, per significare
che
niuno ha mai evitata la morte (nullum saeva caput
. 1, od. 28, v. 19) ; essendo noto, come in altro luogo abbiam detto,
che
Proserpina strappava pochi capelli dal capo di ch
che Proserpina strappava pochi capelli dal capo di chi dovea morire e
che
così ne condannava la vita all’orco. Il che ebbe
apo di chi dovea morire e che così ne condannava la vita all’orco. Il
che
ebbe forse origine dal considerare gli uomini qua
rare gli uomini quali vittime destinate al Dio dell’inferno ; e si sa
che
costumavano gli antichi di svellere de’peli dalla
stumavano gli antichi di svellere de’peli dalla fronte di una vittima
che
dovea sacrificarsi agli Dei e gettarli nel fuoco
he dovea sacrificarsi agli Dei e gettarli nel fuoco ; perciò si finge
che
Proserpina toglieva una ciocca di capelli agli uo
ella brana Proserpina vuol dir morire. E dallo stesso poeta si rileva
che
le ombre uscite dell’inferno doveano ritornarvi n
rescritto dall’imperiosa Proserpina. E pure, ad onta di tanta potenza
che
vantar potea la moglie di Plutone, Piritoo e Tese
rno e rapire sullo stesso suo trono la regina dell’Erebo. È probabile
che
Ercole ed i due mentovati eroi fossero entrati ne
ll’inferno, se portato non avesse seco un ramoscello con foglie d’oro
che
offrir doveasi in dono a Proserpina. Claudiano(1)
e offrir doveasi in dono a Proserpina. Claudiano(1) introduce Plutone
che
, usando ogni maniera di argomenti per mitigare il
lore di Proserpina indegnamente rapita, fra le altre cose le promette
che
a lei sarebbe consacrato l’albero de’rami d’oro,
cose le promette che a lei sarebbe consacrato l’albero de’rami d’oro,
che
nella selva infernale bellamente risplendeva. Ma
o de’rami d’oro, che nella selva infernale bellamente risplendeva. Ma
che
cosa abbiano voluto intendere i poeti con tal fin
le streghe aveano troppo stretto commercio ; ed anche perchè la luna
che
presiede alla notte e ch’è la stessa cosa che Pro
ed anche perchè la luna che presiede alla notte e ch’è la stessa cosa
che
Proserpina, è l’arbitra ed il fedel testimone de’
ci), come fa Medea appresso Ovidio(3) ; ed i monti e le rive de’fiumi
che
alle maghe somministravano in gran copia erbe di
on una giovane Dea, e non trovandone una nell’Olimpo, nè sulla terra,
che
accettar volesse lo scettro del tenebroso suo reg
edì a lei le Parche. Le loro preghiere calmarono quell’afflitta madre
che
acconsentì di rivedere la luce e di presentarsi a
sendo questa fatal legge delle Parche(1). Il mentovato Claudiano dice
che
durante il tempo delle nozze di Plutone, esse ces
nte il tempo delle nozze di Plutone, esse cessarono da’loro lavori, e
che
furono incaricate di ricondurre Proserpina sulla
sso di ritornare fra le braccia della propria madre. Or queste Parche
che
si annoverano fra le divinità infernali, perchè p
ispotiche della sorte di tutti, di cui regolavano i destini, in guisa
che
quanto avviene in questo mondo, tutto è soggetto
n questo mondo, tutto è soggetto al loro impero. Lo Spanheim dimostra
che
gli antichi davano al Fato anche il nome di Parch
antichi davano al Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferma
che
al Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidisco
io afferma che al Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono, e
che
le Parche possono più che tutt’i celesti numi. Es
Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono, e che le Parche possono più
che
tutt’i celesti numi. Esse erano tre, delle quali
va o tagliava lo stame della vita dell’uomo. Ma Albrico Filosofo dice
che
la prima detta Cloto (Κλωθω, Clothus) teneva la c
ere di ciascuno il tenore della sua vita, filando quello stame fatale
che
a nessuno de’ numi è dato di sciogliere. Secondo
gliere. Secondo Igìno, esse erano fig. dell’Erebo e della Notte ; con
che
forse vollero darci ad intendere l’oscurità impen
ollero darci ad intendere l’oscurità impenetrabile della nostra sorte
che
, come dice, Orazio(1), la Divinità cuopre di cali
tte. Apollodoro però le dice fig. di Giove e di Temi. Alcuni vogliono
che
furon dette Parche per antifrasi, essendo che ess
i Temi. Alcuni vogliono che furon dette Parche per antifrasi, essendo
che
esse sono inesorabili e non perdonano ad alcuno.
buito ad Omero, il soggiorno delle Parche si finge essere nelle valli
che
circondano il Parnasso ; il che conviene molto be
le Parche si finge essere nelle valli che circondano il Parnasso ; il
che
conviene molto bene colla bellissima invenzione d
elebre epitalamio sulle nozze di Peleo e di Teti, introduce le Parche
che
cantano i grandi destini del fatale eroe che da l
eti, introduce le Parche che cantano i grandi destini del fatale eroe
che
da loro nascer dovea, essendo noto che quelle noz
grandi destini del fatale eroe che da loro nascer dovea, essendo noto
che
quelle nozze si celebrarono in Tessaglia. In ques
essaglia. In questo luogo con inimitabile eleganza descrive le Parche
che
, volgendo i loro fusi, cantano gli eterni decreti
, di cui erano ministre(2). Da un verso del lodato poeta(3) si scorge
che
le Parche erano vestite di un abito ricamato di r
interpetri vogliono, sebbene altri intendano di una corona di quercia
che
portano sul capo, perchè anche Platone dice ch’es
tate scolpite da Teocosmo sulla testa di un Giove, forse per dinotare
che
anche questo nume era soggetto al Destino, di cui
colla conocchia, col fuso e colle forbici, di così grande espressione
che
riempiono di spavento a vederle. Il destino di ci
o, ove gli Dei andavano a consultarlo. Così presso Ovidio(1) si legge
che
Giove stesso con Venere va a consultarlo per legg
i vi era scritta sul diamante, come quella di Cesare, in quella guisa
che
presso Claudiano A tropo sul diamante segna le fa
predicano il fato glorioso di Achille ; e spesso prescrivono il tempo
che
l’uomo dee dimorar sulla terra, come da Ovidio si
di Meleagro. Esse presiedono al ritorno dall’inferno di tutti coloro
che
, essendovi entrati, a veano da Plutone ottenuto i
i è compiuto il corso. Così elegantemente Virgilio(3) per significare
che
Aleso dovea morire per mano del figliuolo di Evan
ficare che Aleso dovea morire per mano del figliuolo di Evandro, dice
che
le Parche gli posero le mani addosso e lo consacr
de’loro fusi dinotava il fatale rivolgimento degli anni e de’ secoli
che
le Parche con immutabile volontà regolavano(4). P
e un uomo, di cui la vita fosse stata una serie di sventure, dicevasi
che
in sul suo nascere la Parca gli si era mostrata c
cui servivansi in Grecia per coglier fiori, era simbolo del canestro
che
teneva Proserpina, allorchè fu rapita da Plutone.
Il rapimento di questa Dea è quasi il solo avvenimento della sua vita
che
i pittori e gli scultori abbiano rappresentato. P
che i pittori e gli scultori abbiano rappresentato. Plinio(2) scrive
che
Prassitele fece di bronzo una Proserpina rapita,
rla di un ratto di Proserpina rappresentato in un quadro di Nicomaco,
che
vedevasi nel Campidoglio in un tempio di Minerva.
o di Minerva. Sopra un vaso della galleria del principe Ponialowscki,
che
rappresenta l’istituzione de’misteri eleusini, Pr
i medaglioni e le medaglie di Siracusa vedesi la testa di Proserpina
che
fu presa da alcuni per quella di Aretusa, credend
Aretusa, credendo di raffigurarvi delle foglie di canne, nelle spighe
che
le servono di corona ; ma la parola Κορας, donzel
nelle spighe che le servono di corona ; ma la parola Κορας, donzella,
che
trovasi in molte medaglie, prova ch’essa è una Pr
sceglieva, allorchè fu rapita. Core, gr. Κορη, donzella ; soprannome
che
leggesi nelle medaglie di Sicilia, come abbiam de
bero o Bacco, di cui si voleva sorella. Libitina, lat. Libitina, Dea
che
presedeva a’ funerali, che aleuni prendono per Ve
eva sorella. Libitina, lat. Libitina, Dea che presedeva a’ funerali,
che
aleuni prendono per Venere, altri per Proserpina.
i prendono per Venere, altri per Proserpina. Libitinarii erano quelli
che
presedevano in Roma a’funerali e somministravano
de’Gladiatori uccisi. Sotera o Conservatrice, gr. ςωτειρϰ, lo stesso
che
sospita, soprannome dato a Proserpina nell’Arcadi
a nell’Arcadia, a Sparta e nella Sicilia, forse alludendo al frumento
che
conserva l’uomo e lo libera dalla morte. Teogami
e quel filo misterioso, quanto poco dobbiamo appoggiarci ad una vita
che
si attiene a cosa sì debole. Se esse aveano le al
sa sì debole. Se esse aveano le ali, ciò dinota la velocità del tempo
che
vola e passa come un sogno. Le corone che portano
inota la velocità del tempo che vola e passa come un sogno. Le corone
che
portano sul capo, dimostrano l’assoluto potere ch
n sogno. Le corone che portano sul capo, dimostrano l’assoluto potere
che
le Parche hanno su tutto l’universo ; l’antro ten
to potere che le Parche hanno su tutto l’universo ; l’antro tenebroso
che
esse abitano, era un simbolo dell’oscurità del no
rdano la loro voce col canto delle Sirene e delle Muse, ciò vuol dire
che
quelle Dee regolano l’armonia maravigliosa di ess
parere del Regio Revisore Sig. D. Girolamo d’Alessandro ; Si permette
che
la suddetta opera si stampi ; però non si pubblic
ta opera si stampi ; però non si pubblichi senza un secondo permesso,
che
non si darà se prima lo stesso Regio Revisore non
XLVI Giasone e Medea Re della Colchide al tempo
che
vi giunsero gli Argonauti, cioè 13 secoli avanti
per l’arte magica, e Medea apparteneva al novero « Di quelle triste
che
lasciaron l’ago, « La spola e ‘l fuso, e fecersi
ti distinguevasi Giasone per avvenenza e per regale aspetto ; e Dante
che
lo pose nell’ Inferno come ingannatore di femmine
sue egregie doti, facendo dire a Virgilio : « ….. Guarda quel grande
che
viene « E per dolor non par lagrima spanda : « Qu
rima spanda : « Quanto aspetto reale ancor ritiene ! « Quegli è Iason
che
per cuore e per senno « Li Colchi del monton pri
minati i denti del serpente ucciso da Cadmo, combattere coi guerrieri
che
nascevano da quelli ; e finalmente uccidere il dr
rrieri che nascevano da quelli ; e finalmente uccidere il drago alato
che
vegliava a guardia dell’aureo vello. Medea coll’a
dia dell’aureo vello. Medea coll’arte magica premunì talmente Giasone
che
vinse ogni prova, e, impadronitosi dell’ambito te
vamente sulla nave Argo ancorata nel fiume Fasi 71. Non vi fu bisogno
che
alcuno degli altri Argonauti prendesse parte alle
atto mitologico nel Canto ii del Paradiso, dicendo : « Quei glorïosi
che
passaro a Colco « Non s’ammiraron, come voi faret
Quando Jason vider fatto bifolco. » Medea per altro avea preveduto
che
suo padre Eeta li avrebbe fatti inseguire, e perc
que più tristo evento il suo piccolo fratello Absirto ; e quando vide
che
il padre stesso li inseguiva con un esercito, inv
Con questo orrendo delitto ottenne l’intento, e dimostrò a tutti, non
che
allo sposo, di qual tempra ella fosse72. Quanto a
, non che allo sposo, di qual tempra ella fosse72. Quanto alla strada
che
tennero gli Argonauti per ritornare in Grecia, vi
gli Argonauti per ritornare in Grecia, vi sono tre opinioni diverse,
che
sarebbero poco divertenti a raccontarsi e a udirs
importa il saperlo. Si accordano però i diversi Mitologi ad asserire
che
volendo gli Argonauti ritornare in Grecia per alt
, chi dice il Mar Rosso, e chi il Mare Adriatico ; e su questa fatica
che
ora direbbesi erculea (benchè vi mancasse, come s
rebbesi erculea (benchè vi mancasse, come sappiamo, l’aiuto di Ercole
che
aveva lasciati molto prima i compagni), si estend
con molte amplificazioni i poeti antichi, come faranno i futuri poeti
che
questo tempo chiameranno antico, narrando il pass
ntica è probabilmente una invenzione poetica per encomiar quegli Eroi
che
non ebber nulla da fare nella conquista del vello
he frodi. È una invenzione di alcuni poeti, e specialmente di Ovidio,
che
Medea col sugo di certe erbe trasfuso nelle vene
e del vecchio Esone lo ringiovanisse,73 poichè tutti gli altri dicono
che
il padre di Giasone fosse stato molto prima uccis
molto prima ucciso da Pelia ; ma però tutti si accordano ad asserire
che
Medea per punir crudelmente Pelia fe’ credere all
che Medea per punir crudelmente Pelia fe’ credere alle figlie di lui
che
potrebbero ringiovanire il vecchio padre con cert
i che potrebbero ringiovanire il vecchio padre con certe erbe magiche
che
ella diè loro ; ed esse troppo credule furono orr
ato lungamente alla corte di Creonte re di Corinto, si sparse la fama
che
egli avrebbe sposato Glauca figlia del re, e ripu
Medea. Questa appena lo seppe, corse a Corinto coi figli ; e trovando
che
la fama non era stata bugiarda, finse rassegnazio
osa, e le diede un abito ed anche un cinto spalmati di magici succhi,
che
divamparono in fiamme nell’appressarsi della spos
ea, ma uccise anche i figli, potendo più in lei l’odio contro Giasone
che
l’amore di madre ; e poi, benchè chiusa nella reg
se ne andò ad Atene nella corte del vecchio Egeo padre di Teseo. Quel
che
ivi macchinasse sarà detto nel racconto particola
lore nel suo regno di Tessaglia ; e di lui null’altro più si racconta
che
la trista fine. Si narra che la nave Argo dopo il
ia ; e di lui null’altro più si racconta che la trista fine. Si narra
che
la nave Argo dopo il famoso viaggio fu collocata
llocata sulla riva del mare sopra una base come un glorioso trofeo, e
che
Giasone frequentemente all’ombra di essa arrestav
Giasone frequentemente all’ombra di essa arrestavasi ripensando ai dì
che
furono, quando egli duce dei più degni Eroi, varc
uesta fine ingloriosa non ebbe egli dopo la morte quegli onori divini
che
solevano prodigarsi agli altri Eroi. Invece fu on
prodigarsi agli altri Eroi. Invece fu onorata ben più la stessa nave,
che
i poeti asserirono assunta in cielo e trasformata
eti asserirono assunta in cielo e trasformata in quella costellazione
che
ne porta tuttora il nome, e nella quale i moderni
7 fulgidissime stelle. Per quanto gli Antichi si affaticassero a dire
che
Argo fu la prima nave inventata dagli uomini, nes
prima nave inventata dagli uomini, nessuno dei moderni vorrà credere
che
non ve ne fossero state altre anche avanti. Si pu
che non ve ne fossero state altre anche avanti. Si può bene ammettere
che
fosse la prima di quella particolare ed egregia c
sse la prima di quella particolare ed egregia costruzione, ma non già
che
gli Argonauti fossero i primi navigatori. Le isol
isole stesse dell’ Arcipelago greco, per quanto vicine tra loro, non
che
le più distanti negli altri mari, non avrebbero p
stanti negli altri mari, non avrebbero potuto esser popolate da gente
che
vi si fosse trasportata a nuoto ; e sappiamo dall
ortata a nuoto ; e sappiamo dalla Storia della scoperta dell’America,
che
anche i selvaggi di quella parte del mondo adopra
ente col fuoco o con stromenti di pietra. Anzi gli scrittori filosofi
che
studiano le origini storiche, e fra questi princi
le origini storiche, e fra questi principalmente il Vico, asseriscono
che
il toro che rapì Europa non fosse altro che una n
toriche, e fra questi principalmente il Vico, asseriscono che il toro
che
rapì Europa non fosse altro che una nave coll’ins
ente il Vico, asseriscono che il toro che rapì Europa non fosse altro
che
una nave coll’insegna o col nome di quell’animale
i andarono per ricuperarlo. I poeti per altro prescelgono sempre quel
che
è più maraviglioso, ancorchè sia men vero, e vi a
tragedia degli Argonauti di Lucio Accio, nella quale il poeta finge,
che
un pastore che non aveva mai prima veduto una nav
Argonauti di Lucio Accio, nella quale il poeta finge, che un pastore
che
non aveva mai prima veduto una nave, nello scorge
oi e ode il suon della cetra e i nautici canti, comincia a sospettare
che
sia quella una nuova invenzione maravigliosa dell
nuova invenzione maravigliosa dell’umano ingegno. E Cicerone afferma
che
i primi filosofi dovettero imitar questo pastore
ì ben dipinta dall’antico tragico latino, sembra così vera e naturale
che
apparisce più favoloso il racconto storicamente v
l vocabolo usato dall’Alfieri ; ed anche nel secolo di Augusto sembra
che
si recitassero frequentemente tragedie sui fatti
agedie sui fatti atroci di Medea, poichè Orazio nella poetica avverte
che
nelle tragedie di tale argomento non si deve intr
più celebri scrittori latini ne parlano con tante lodi da far credere
che
fosse un capo lavoro dell’arte tragica76 ; e tant
arte tragica76 ; e tanto più è da lamentare una tal perdita in quanto
che
nessuna altra tragedia ci resta dell’aureo secolo
la stessa città o dello stesso Stato ; le quali guerre son tutt’altro
che
civili nel senso morale, essendo invece le più in
mpagnata dalla moralità, non è altro, secondo la frase del Romagnosi,
che
una barbarie decorata. La civiltà infatti com’ebb
guasi79. Furon pertanto i più grandi benefattori della umanità coloro
che
primi indussero gli uomini selvaggi ad unirsi in
i semplici Eroi, e, secondo il sistema del Vico, altro non sarebbero
che
caratteri poetici dei primi civilizzatori dei pop
creduto figlio di Giove e di Antiope (o secondo altri di Mercurio), e
che
fosse re di Tebe. Di lui si narra un solo fatto m
rio), e che fosse re di Tebe. Di lui si narra un solo fatto mirabile,
che
val per mille ; e quasi nessun poeta tralascia di
essun poeta tralascia di accennarlo, e tra questi anche Dante. Dicono
che
Anfione col suon della cetra e col canto facesse
della cetra e col canto facesse scender dal monte Citerone i macigni,
che
per udirlo si disposero in giro l’uno sopra l’alt
ltro intorno a lui, e formarono le mura di Tebe80. È facile intendere
che
questa favolosa invenzione significa il potere de
onne aiutino il mio verso, « Che aiutaro Anfione a chiuder Tebe, « Sì
che
dal fatto il dir non sia diverso. » Se quest’ An
dal fatto il dir non sia diverso. » Se quest’ Anfione era quel desso
che
fu marito di Niobe, come dice Ovidio81, egli ebbe
rcie egli traevasi dietro ad ascoltarlo anche le tigri e i leoni : il
che
, secondo Orazio, significava che ei seppe distogl
ltarlo anche le tigri e i leoni : il che, secondo Orazio, significava
che
ei seppe distogliere gli uomini selvaggi e antrop
. Narrano i poeti, e tra questi più splendidamente di tutti Virgilio,
che
Orfeo nel giorno stesso destinato alle sue nozze
sso destinato alle sue nozze colla Ninfa Euridice, perdè la sua sposa
che
morì per essere stata morsa in un piede da una vi
una vipera. La desolazione di Orfeo è indescrivibile : basti il dire
che
egli osò scendere nelle Infernali regioni per pre
fu tanto potente il suo canto accompagnato dal suono della sua cetra,
che
lo stesso Can Cerbero ne rimase ammaliato, e le F
Euridice. Vi aggiunsero per altro una condizione (sic erat in fatis),
che
precedendola nel suo ritorno non si voltasse mai
monte Rodope nella nativa Tracia, e rifiutò qualunque nuovo connubio
che
gli fosse offerto. Il che fu causa della sua fine
Tracia, e rifiutò qualunque nuovo connubio che gli fosse offerto. Il
che
fu causa della sua fine funesta, perchè le Tracie
a lira fu presa dalle Muse e cangiata in quella costellazione boreale
che
ne porta tuttora il nome e vedesi fregiata di 21
ico di Euridice trovasi sempre congiunto nei poeti quello di Aristeo,
che
fu il primo Apicultore dell’Antichità. Egli era f
uno dei Semidei. Ambiva anch’egli di sposare Euridice, e quando seppe
che
era stato preferito Orfeo, il giorno stesso fissa
stesso fissato per le nozze si diede furibondo ad inseguire Euridice,
che
fuggendo per la campagna calpestò una vipera, pel
ome riparare a tal perdita, consigliato dalla Madre ricorse a Proteo,
che
dopo i soliti sutterfugii di molteplici trasforma
isse di sacrificar quattro giovenche in espiazione della sua colpa, e
che
lasciandone putrefare le carni, ne sorgerebbero n
carni, ne sorgerebbero nuovi sciami a ripopolare i suoi alveari. Quel
che
disse il vecchio profeta si avverò. Ed ecco una n
Ed ecco una nuova metamorfosi mitologica non mai osservata in natura,
che
cioè i vermi della putredine si cangino in api me
Il nome e la forza d’Ercole hanno fama tanto divulgata e generale,
che
non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il
a d’Ercole hanno fama tanto divulgata e generale, che non v’è persona
che
l’ignori : tant’è vero che il volgo dice che è un
divulgata e generale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero
che
il volgo dice che è un Ercole chiunque sia dotato
ale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il volgo dice
che
è un Ercole chiunque sia dotato di robustezza e f
hiunque sia dotato di robustezza e forza straordinaria. Ma le imprese
che
si attribuiscono al greco Eroe son tante, perchè
figlio di Anfitrione re di Tebe e di Alcmena sua moglie ; ma fu detto
che
era figlio di Giove, per render più credibili, se
ue straordinarie e prodigiose gesta. Le quali generalmente si afferma
che
fossero 12, conosciute sotto il nome di fatiche d
spontaneamente dovunque trovasse da uccider mostri o tiranni. Ammesso
che
egli fosse figlio di Giove e di Alcmena v’è da as
Ammesso che egli fosse figlio di Giove e di Alcmena v’è da aspettarsi
che
Giunone lo perseguiterà. Infatti si racconta che
na v’è da aspettarsi che Giunone lo perseguiterà. Infatti si racconta
che
questa Dea cominciò a perseguitarlo prima che egl
rà. Infatti si racconta che questa Dea cominciò a perseguitarlo prima
che
egli nascesse. Era scritto nel libro del Fato che
perseguitarlo prima che egli nascesse. Era scritto nel libro del Fato
che
regnerebbe in Tebe quello dei due cugini (altri d
o che regnerebbe in Tebe quello dei due cugini (altri dicono gemelli)
che
prima nascesse nella Corte Tebana. Giunone come D
nascesse nella Corte Tebana. Giunone come Dea dei parti fece in modo
che
nascesse prima Euristèo, e perciò Ercole fosse a
nascesse prima Euristèo, e perciò Ercole fosse a lui sottoposto. Nato
che
ei fu ed essendo ancora in culla, Giunone gli man
unone gli mandò due grossi serpenti a strangolarlo ; ma il fanciullo,
che
, per quanto dicono i poeti, anche in culla era de
egno di Giove, strangolò loro. Questo fatto divenne tanto famigerato,
che
anche i pittori, e principalmente gli scultori si
ipalmente gli scultori si dilettarono di rappresentare Ercole infante
che
stringe in ciascuna mano un serpente e sta in att
none contro un bambino parve troppo atroce e crudele a tutti gli Dei,
che
le ne fecero un rimprovero ; ed essa finse di can
si recare in cielo il piccolo Ercole gli diede del suo proprio latte,
che
però al pargoletto Eroe non piacque e lo lasciò c
re nella volta celeste, ove scorgesi tuttora una striscia biancastra,
che
perciò gli antichi chiamarono Via lattea ; la qua
milioni di stelle. Galassia la chiamavano i Greci in lor linguaggio,
che
significa lo stesso che Via lattea nel nostro ; e
ssia la chiamavano i Greci in lor linguaggio, che significa lo stesso
che
Via lattea nel nostro ; e col greco nome la ramme
inori e maggi « Lumi biancheggia tra i poli del mondo, « Galassia sì,
che
fa dubbiar ben saggi. Ercole può dirsi veramente
e un seggio tra gli Dei nel Cielo. Il suo nome in greco fu Heracles,
che
in quella lingua significa reso illustre da Era,
a Dea. I Latini con poca differenza di ortografia lo dissero Hercules
che
noi traduciamo per Ercole. Chiamavasi anche Alcid
forza e per traslato virtù, come affermano gli etimologisti. La forza
che
Ercole manifestò sin dalla prima infanzia andò se
sua impetuosa ci tramandarono un tristo esempio gli Antichi, il solo
che
sia a disdoro di quest’eroe, che cioè rimproverat
tristo esempio gli Antichi, il solo che sia a disdoro di quest’eroe,
che
cioè rimproverato dal suo maestro di musica chiam
riferisce il moralissimo racconto di Ercole al Bivio, in cui si finge
che
il giovane eroe, invece di sceglier la via della
lier la via della Voluttà, per quanto sembrasse amena e piacevole, ma
che
induceva all’oblio dei proprii doveri e della fam
ii doveri e della fama, preferì quella ardua e malagevole della Virtù
che
guida al bene della umanità ed alla gloria. Accen
ordine in cui si trovano rammentate da Ausonio in 12 esametri latini,
che
riporto in nota86 : il titolo delle medesime ne i
uccise Ercole il Leone della selva Nemea, e gli tolse l’irsuto vello,
che
portò sempre in dosso per manto e come il suo pri
sca corporatura dell’Eroe fanno riconoscere Ercole nelle molte statue
che
di lui vedonsi ovunque. L’estinto Leone, non si s
one, non si sa per quali suoi meriti, fu cangiato nella costellazione
che
ne porta il nome, ed è uno dei 12 segni del Zodia
Fatica : L’Idra di Lerna La parola Idra derivando da un vocabolo
che
significa acqua è il nome che davano gli Antichi
La parola Idra derivando da un vocabolo che significa acqua è il nome
che
davano gli Antichi ai serpenti aquatici. I Natura
e molteplici teste dell’Idra favolosa. Agli Antichi non bastò il dire
che
la loro mitologica Idra fosse insanabilmente vele
loro mitologica Idra fosse insanabilmente velenosa, ma vi aggiunsero
che
avea sette teste, e (maggior maraviglia), che rec
enosa, ma vi aggiunsero che avea sette teste, e (maggior maraviglia),
che
recisa una testa ne rinascessero due. Questa Idra
se ne accorse Ercole quando vide raddoppiarsi all’Idra tutte le teste
che
egli tagliava. Adoprò allora anche il fuoco per r
egli tagliava. Adoprò allora anche il fuoco per ristagnare il sangue
che
sgorgando dalle ferite produceva quel terribile e
e. Ercole fu costretto a chiamare in aiuto il suo servo o amico Jolao
che
lo schermisse dalle offese di uno dei due nemici,
tagliar le teste all’Idra, e nel sangue di essa tinse le sue freccie
che
divennero in appresso tanto famose anche nei poet
inghiale di Calidonia. Ercole da sè solo compiè una più ardua impresa
che
ucciderlo, perchè lo prese vivo e lo portò ad Eur
a impresa che ucciderlo, perchè lo prese vivo e lo portò ad Euristeo,
che
soltanto a vederlo ebbe a morir di paura. 4ª F
na gran fatica se Ercole avesse dovuto uccidere un sì timido animale,
che
abitava sul monte Mènalo in Arcadia ; ma poichè q
ante nel parlare della spedizione degli Argonauti, quando raccontammo
che
Calai e Zete ne avevano liberato Fineo. Ma sembra
ndo raccontammo che Calai e Zete ne avevano liberato Fineo. Ma sembra
che
la fatica d’Ercole, riferibile alle Arpie, fosse
in questo fatto le Arpie son chiamate uccelli stinfalidi, dall’abitar
che
facevano presso il lago Stìnfalo in Arcadia. Erco
zzoni Le Donne antiche eran più fiere delle moderne. Oltre quelle
che
nell’isola di Lenno « Tutti li maschi loro a mor
d’arco, spinsero le loro spedizioni guerresche nell’Asia Minore, non
che
nella Grecia sino all’Attica ed alla Beozia. Furo
aventi : io riporterò soltanto la più comune e adottata generalmente,
che
fa derivare la parola Amazzone da due vocaboli gr
eneralmente, che fa derivare la parola Amazzone da due vocaboli greci
che
significano senza mammella, ed allude a quel che
a due vocaboli greci che significano senza mammella, ed allude a quel
che
raccontano di queste guerriere i Mitologi, che ci
ella, ed allude a quel che raccontano di queste guerriere i Mitologi,
che
cioè per esser più spedite a tirar d’arco, si tag
simo cinto di cui si era invogliata Admeta figlia di Euristeo. Coloro
che
dissero che Ercole oltre a togliere il cinto ad I
i cui si era invogliata Admeta figlia di Euristeo. Coloro che dissero
che
Ercole oltre a togliere il cinto ad Ippolita la u
ole oltre a togliere il cinto ad Ippolita la uccidesse, non pensarono
che
questa stessa Amazzone fu data da Ercole in mogli
, perchè si prestò fede al racconto di Orellana compagno di Pizzarro,
che
nel 1540, quand’egli primo vi penetrò, avesse tro
ni87. 7ª Fatica : Le Stalle di Augia Augìa era un re d’Elide,
che
possedendo tremila bovi, (altri dicono trentamila
cono trentamila) non aveva mai fatto in dieci anni nettarne le stalle
che
eran vicine alla città. Dal puzzo che ne usciva t
n dieci anni nettarne le stalle che eran vicine alla città. Dal puzzo
che
ne usciva temevasi una infezione, tanto lasciando
mente a questo fatto mitologico dicesi ancora oggidì, come in antico,
che
par la stalla di Augia qualunque abituro ove sia
ituro ove sia poca nettezza. 8ª Fatica : Il Toro Cretense Dopo
che
Ercole ebbe ucciso il Leon Nemeo e l’Idra di Lern
se, Mythologi certant, et adhuc sub judice lis est ; e poco c’importa
che
sia data la sentenza definitiva. 9ª Fatica : I
crudeli sono i tiranni ; ed Ercole da par suo non li risparmia. Seppe
che
Diomede re dei Bistonii in Tracia pasceva di sang
alia tutte piene « Son di tiranni, ed un Marcel diventa « Ogni villan
che
parteggiando viene. » Ci vorrebbe sempre un Erco
’ di mano, » come l’antico, a purgarne la Terra. Ercole aveva saputo
che
nella Spagna esisteva un re di statura gigantesca
corpi, tre teste e sei ale ; e più mostruoso era l’ animo suo crudele
che
dilettavasi di straziare i popoli, e dar, come Di
n esse i Pirenei e le Alpi per ritornare in Grecia. Di questo viaggio
che
diede occasione ad altre straordinarie imprese di
non comandate a lui da Euristeo, parleremo fra poco. Qui convien dire
che
quando egli fu giunto allo stretto, che ora dices
mo fra poco. Qui convien dire che quando egli fu giunto allo stretto,
che
ora dicesi di Gibilterra e allora di Gades, ivi a
esto stretto due colonne coll’ iscrizione : Non più oltre. Fu creduto
che
fosse questo un avvertimento, che dava Ercole ai
rizione : Non più oltre. Fu creduto che fosse questo un avvertimento,
che
dava Ercole ai naviganti, di non avanzarsi nell’O
nete, dette perciò volgarmente colonnati. Non deve credersi per altro
che
le così dette colonne d’Ercole fossero fatte come
i Da Espero fratello di Atlante deriva il patronimico di Espèridi
che
perciò significa le figlie di Espero ; le quali e
d Esperetusa 88. Avevano esse nell’Affrica un bel giardino con alberi
che
producevano pomi di solido oro ; ma perchè questi
a compiersi nell’Inferno ; ed Ercole vi si accinse ben più volentieri
che
alle altre, perchè trattavasi di liberar l’amico
icie della Terra per farlo vedere ad Euristeo, e poi lo lasciò libero
che
se ne ritornasse all’Inferno. I poeti aggiungono
lo lasciò libero che se ne ritornasse all’Inferno. I poeti aggiungono
che
il can Cerbero arrivato all’aria aperta sparse su
ianta erbacea chiamata Acònito, dalle cui foglie estraesi l’aconitìna
che
spiega una potente azione velenosa sull’economia
a potente azione velenosa sull’economia animale. Dante ci fa supporre
che
Cerbero trascinato da Ercole tentasse di resister
e di prima a combattere : la madre Terra rendevagli novelle forze. Di
che
accortosi Ercole, lo sollevò per aria e lo soffoc
Anteo re di Libia assaltato da Ercole Egizio fu insuperabile, mentre
che
lo aspettò dentro a’confini del suo regno ; ma co
, perdè lo Stato e la vita. E ne deduce questo politico insegnamento,
che
quando i regni sono armati, come era armata Roma,
perchè questi corpi possono avere più forze a resistere ad uno impeto
che
non possono ad assaltare altrui. » Questo Anteo
on possono ad assaltare altrui. » Questo Anteo è uno di quei giganti
che
Dante dice di aver veduto nell’Inferno, anzi fu q
nti che Dante dice di aver veduto nell’Inferno, anzi fu quello stesso
che
pregato da Virgilio prese colle sue mani i due po
grande altezza nel profondo dell’Inferno : « Ma lievemente al fondo
che
divora « Lucifero con Giuda ci posò ; « Nè sì chi
evò. » (Inf., xxxi,v. 142.) Tra i più famosi masnadieri e assassini
che
Ercole uccise è da rammentarsi principalmente il
ammentarsi principalmente il gigante Caco. È questo un vocabolo greco
che
significa cattivo o malvagio 91, e perciò fu dato
questo mostro per antonomasia, ad indicare cioè il più gran malvagio
che
sia mai esistito. I poeti dicono che era figlio d
dicare cioè il più gran malvagio che sia mai esistito. I poeti dicono
che
era figlio di Vulcano e che abitava in una cavern
agio che sia mai esistito. I poeti dicono che era figlio di Vulcano e
che
abitava in una caverna del Monte Aventino, che eg
ra figlio di Vulcano e che abitava in una caverna del Monte Aventino,
che
egli chiudeva con un macigno e con ordigni di fer
, ed ivi le lasciò a pascere per andare a far visita al greco Evandro
che
abitava sul prossimo colle, che poi fu detto il P
andare a far visita al greco Evandro che abitava sul prossimo colle,
che
poi fu detto il Palatino. In questo tempo Caco ru
andate. Ercole però se ne accorse dai muggiti delle giovenche rubate
che
rispondevano a quelli delle loro compagne ; ed ap
compagne ; ed aperta a forza la caverna, a colpi di clava uccise Caco
che
inutilmente gettava contro di lui fumo e fiamme d
lla bocca e dalle narici. Tutti i vicini ne furono talmente contenti,
che
eressero ad Ercole un’ara appellata Massima ed iv
avvenimento furono a gara descritte da Virgilio e da Ovidio ; e Dante
che
vide Caco nell’Inferno lo fa rammentar concisamen
vicino : « Onde cessâr le sue opere biece « Sotto la mazza d’Ercole,
che
forse « Glie ne diè cento, e non sentì le diece.
on sentì le diece. » (Inf., xxv, v. 25.) Alcuni Mitologi raccontano
che
Ercole per far riposare Atlante dalla fatica di s
o colle spalle, si sottopose a quel peso per un giorno ; e suppongono
che
l’Eroe Tebano fosse già adulto a tempo di Perseo,
cemmo. Non apparisce però da altri fatti o invenzioni della Mitologia
che
Ercole fosse contemporaneo di Perseo. Non staremo
Ercole fosse contemporaneo di Perseo. Non staremo a narrar la mischia
che
ebbe Ercole coi Centauri, perchè nulla di straord
sario effetto di tutte le risse e di tutte le guerre. Diremo soltanto
che
i Centauri erano mezzi cavalli e mezzi uomini ; c
racconto dei re di Troia. Basti qui l’avere accennate queste imprese
che
in appresso racconteremo più a lungo. È tempo orm
ueste imprese che in appresso racconteremo più a lungo. È tempo ormai
che
Ercole abbia un poco di riposo dalle sue moltepli
e abbia un poco di riposo dalle sue molteplici e sovrumane fatiche, e
che
noi assistiamo alle nozze di lui, senza trascurar
lui, senza trascurar però di notare in appresso qualche sua debolezza
che
in ultimo fu causa della sua morte ; la quale per
gli da lui sposate in Grecia, ed anche una in Italia, e questa dicono
che
fu la figlia di Evandro. Ebbe perciò molti figli,
e questa dicono che fu la figlia di Evandro. Ebbe perciò molti figli,
che
nella Mitologia e nella Storia Greca son tutti co
di Eràclidi, patronimico significante figli e discendenti di Eracle,
che
è il greco nome, come abbiam detto, di Ercole. Ma
rciò da Omero chiamato il re dei fiumi. Questi fu il solo pretendente
che
non cedesse al nome ed alla fama del valore di Er
te che non cedesse al nome ed alla fama del valore di Ercole, il solo
che
osò cimentarsi con lui in singolar tenzone, fidan
imentarsi con lui in singolar tenzone, fidandosi forse nel privilegio
che
avea di trasformarsi in toro e in serpente. Infat
o e in serpente. Infatti combattè anche sotto queste due forme, oltre
che
in quella di Nume fluviatile ; ma Ercole avvezzo
Nesso sentendosi mortalmente ferito si vendicò col persuader Deianira
che
quella sua veste insanguinata sarebbe un talisman
mpo ricominciò la sua vita randagia e di avventure, e la Fama divulgò
che
a menomar la gloria delle sue imprese eroiche, av
a donna fra le ancelle di Onfale regina di Lidia ; e fu detto inoltre
che
egli voleva sposare la bella e giovane Jole figli
e di strapparsi di dosso quella tunica, ma era sì aderente alla pelle
che
ne venivano insieme a brani le carni ; e mentre f
arni ; e mentre furibondo cercava una fonte ove gittarsi, veduto Lica
che
impaurito erasi nascosto dietro una rupe, credè c
o scagliò tre miglia lontano nel mare, ove fu cangiato in uno scoglio
che
si chiamò e tuttora chiamasi Lica. Ma trovando in
to le freccie tinte nel sangue dell’Idra di Lerna all’amico Filottete
che
era presente, imponendogli però di sotterrarle e
antichi diedero il nome di Ercole ad una delle costellazioni boreali
che
è composta di 128 stelle ; e gli Astronomi modern
8 stelle ; e gli Astronomi moderni, incominciando da Herschel, dicono
che
il nostro Sole con tutto il cortèo dei pianeti è
scana. I poeti cantarono concordemente inni a quest’Eroe94, e dissero
che
era stato posto in cielo e nel numero degli Dei
o degli Dei « Non già perchè figliuol fosse di Giove, « Ma per mille
che
ei fece illustri prove95. » XLIX CastoRe e
Leda sua moglie ; mitologicamente son figli di Giove, di cui fu detto
che
comparve a Leda sotto la forma di Cigno. Inventat
ta questa trasformazione di Giove in cigno, i Mitologi fantasticarono
che
Leda avesse partorito due uova ; che in uno vi fo
cigno, i Mitologi fantasticarono che Leda avesse partorito due uova ;
che
in uno vi fossero Polluce ed Elena, e nell’altro
Elena, e nell’altro Castore e Clitennestra. I più antichi affermarono
che
Polluce ed Elena, nati dallo stesso uovo, eran fi
eran figli di Giove, e perciò Semidei, mentre Castore e Clitennestra,
che
uscirono dall’altro uovo, eran figli di Tindaro,
ran figli di Tindaro, e perciò semplici mortali. Orazio poi asserisce
che
Castore e Polluce nacquero dall’ uovo stesso96, s
e che Castore e Polluce nacquero dall’ uovo stesso96, senza escludere
che
l’un fratello fosse mortale e l’altro immortale.
verità soltanto è una. La storiella dell’uovo divenne tanto popolare
che
se ne formò il proverbio latino ab ovo per signif
re dalla prima origine, alludendosi all’origine della guerra Troiana,
che
derivò da un uovo, da quello cioè da cui nacque l
izione degli Argonauti a cui presero parte, come dicemmo, si racconta
che
mossero guerra agli Ateniesi per ritogliere ad es
ero guerra agli Ateniesi per ritogliere ad essi la loro sorella Elena
che
era stata rapita da Teseo ; ma avendola trovata n
ero via entrambe senza incontrare verun ostacolo. L’impresa più utile
che
fecero a vantaggio della umanità fu di purgare il
avigazione ; e perciò Orazio li invoca propizii al suo amico Virgilio
che
andava per mare nell’Attica. Ebbero poi a sostene
’Attica. Ebbero poi a sostenere un duello coi pretendenti delle spose
che
avevano scelte. Eran queste due sorelle chiamate
scelte. Eran queste due sorelle chiamate Febèa ed Ilaìra o Talaìra, e
che
dai parenti erano state promesse a due fratelli L
promesse a due fratelli Linceo ed Ida. L’esito del duello fu questo,
che
Linceo uccise Castore, e che Polluce, per vendica
eo ed Ida. L’esito del duello fu questo, che Linceo uccise Castore, e
che
Polluce, per vendicar la morte del fratello, ucci
r l’affetto costante ai loro sposi, e principalmente Ilaira o Talaira
che
serbò fede sino alla morte all’ombra di Castore.
dagli Dei di star per lui la metà dell’anno nel regno delle Ombre, e
che
egli a vicenda stesse per sei mesi nel Cielo. Gli
cenda stesse per sei mesi nel Cielo. Gli Astronomi antichi aggiunsero
che
questi due affettuosissimi fratelli furon cangiat
mi fratelli furon cangiati nella costellazione dei Gemini, o Gemelli,
che
è quel segno del Zodiaco in cui, secondo l’antico
no col telescopio sino a 85 stelle, ma quasi tutte piccolissime, meno
che
due di prima grandezza, le quali perciò si scorgo
nte in pittura, con una stella sopra la fronte. Credevano gli Antichi
che
quando compariva questa costellazione, si rassere
empeste, come dice Orazio nell’Ode 12ª del lib. i 98 ; ma è probabile
che
confondessero le stelle di Castore e Polluce coll
i Sant’Elmo (come le chiamano i marinari), fenomeno di luce elettrica
che
sovente si osserva sulle punte delle antenne e de
, « Se non uscisse fuor del cammin vecchio. » La chiama poi il segno
che
segue il Tauro, quando racconta che questa fu una
ecchio. » La chiama poi il segno che segue il Tauro, quando racconta
che
questa fu una delle sue stazioni nell’ascendere a
, o lume pregno « Di gran virtù, dal quale io riconosco « Tutto, qual
che
si sia, il mio ingegno ; « Con voi nasceva, e s’a
co. » (Parad., C. xxii, v. 107…..) Finalmente alludendo alla favola
che
Castore e Polluce fossero nati da un uovo partori
Leda nella seguente terzina del C. xxvii del Paradiso : « E la virtù
che
lo sguardo m’indulse, « Del bel nido di Leda mi d
» L Minosse re e legislatore dei Cretesi Dicemmo nel N° XXX
che
Minosse era figlio di Giove e di Europa, la quale
re di quel popolo. Nella sua vita pubblica appartiene più alla Storia
che
alla Mitologia ; ed all’opposto nella vita privat
ed all’opposto nella vita privata, o di famiglia, più alla Mitologia
che
alla Storia. La Cronologia greca fissa l’epoca de
ichi (tranne qualche autore drammatico ateniese), si accordano a dire
che
fu giustissimo ; e perciò si credè che dopo la mo
ateniese), si accordano a dire che fu giustissimo ; e perciò si credè
che
dopo la morte divenisse il primo dei tre giudici
moglie Pasifae, una delle figlie del Sole, dalla quale ebbe un figlio
che
fu chiamato Androgeo e due figlie di nome Arianna
eo e due figlie di nome Arianna e Fedra. Dipoi i Mitologi aggiunsero,
che
Pasifae, avendo veduto un bel toro bianco ed esse
uto un bel toro bianco ed essendole molto piaciuto, partorì un mostro
che
era mezz’uomo e mezzo toro ; il quale fu chiamato
mposta dei nomi di Minosse e di Tauro, ossia toro101. Di più fu detto
che
questo mostro era carnivoro e pascevasi anche di
llo di Chiusi, attribuito al re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi
che
ancor ne restano, pare che fosse un ipogeo come l
l re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi che ancor ne restano, pare
che
fosse un ipogeo come le catacombe dei primi Crist
e anch’egli nell’acqua e rimase annegato in quel tratto del mare Egeo
che
bagna le isole Sporadi e la prossima costa dell’A
tichi fu perciò chiamato Icario dal nome di questo incauto giovinetto
che
vi annegò102. I classici antichi encomiano tanto
02. I classici antichi encomiano tanto l’ingegno inventivo di Dedalo,
che
del suo nome formarono un aggettivo che significa
’ingegno inventivo di Dedalo, che del suo nome formarono un aggettivo
che
significa mirabilmente ingegnoso 103, e diedero q
ingegnoso 103, e diedero questo epiteto anche ad alcune Divinità, non
che
alle più straordinarie opere d’arte. Anche l’Ario
chiamò Dedalo Architetto chi costruì il gran palazzo di gemme e d’oro
che
il Duca Astolfo trovò nel mondo della Luna. Dante
parlando a giuoco : « Io mi saprei levar per l’aere a volo ; « E quei
che
avea vaghezza e senno poco, « Volle ch’io gli mos
ssi l’arte, e solo « Perch’io nol feci Dedalo, mi fece « Ardere a tal
che
l’avea per figliuolo. » Dante rammenta anche il
ioè di aver precipitato dalla fortezza di Atene il suo nipote Perdice
che
dimostrava con nuove invenzioni ingegnosissime di
te storico ; ma entra nel dominio della Mitologia, quando si aggiunge
che
Minerva protettrice degl’ingegni cangiò quest’ in
ce degl’ingegni cangiò quest’ infelice giovinetto in pernice, animale
che
vola terra terra, perchè memore, come dice Ovidio
come dice Ovidio, dell’antica caduta105 Di Minosse raccontasi ancora
che
liberò i mari vicini dai pirati ; ma questa impre
Polluce, come abbiamo già detto. Notabilissima per altro è la guerra
che
Minosse fece agli Ateniesi non tanto per la causa
tro è la guerra che Minosse fece agli Ateniesi non tanto per la causa
che
la fece sorgere, quanto e più ancora per gli stra
he la fece sorgere, quanto e più ancora per gli straordinarii effetti
che
ne derivarono. Androgeo figlio di Minosse ed ere
se ed erede del trono era così valente negli esercizii della palestra
che
superava tutti i competitori nei pubblici giuochi
, e avendoli vinti impose ad essi un tributo di sangue, esigendo cioè
che
fossero mandati in Creta 7 giovanetti e 7 giovane
sso nel parlare di quest’Eroe. LI Teseo Gli Ateniesi ambirono
che
il loro Eroe Teseo a cui tanto è debitrice l’Atti
ori lo resero famoso non meno dell’Eroe Tebano106. Lo stesso Plutarco
che
è sì credulo e miracolaio ed inserisce nelle sue
arlega alcuna colla probabilità, mi sarà d’uopo avere uditori benigni
che
accolgano senza rigore ciò che si narra intorno a
, mi sarà d’uopo avere uditori benigni che accolgano senza rigore ciò
che
si narra intorno a fatti sì antichi. » E di certo
torno a fatti sì antichi. » E di certo neppur la decima parte di quel
che
egli narra di Teseo è da considerarsi come verità
nacque il proverbio : Non senza Teseo, per alludere a qualche persona
che
sempre si trova in tutte le comitive, o Comitati,
qualche persona che sempre si trova in tutte le comitive, o Comitati,
che
prende parte in tutte le imprese o speculazioni.
cita, la vita, la morte e i pretesi miracoli. Non bastò agli Ateniesi
che
Teseo fosse figlio di un loro re, ma dissero che
bastò agli Ateniesi che Teseo fosse figlio di un loro re, ma dissero
che
era figlio di Nettuno, e così lo fecero appartene
chè anzi, come vedremo in appresso, gli nocque. Contenti dalla boria
che
il loro Eroe fosse di origine divina, non vollero
Cecrope, aveva sposato Etra figlia di Pitteo re di Trezene nel tempo
che
era ospite in casa di lui ; ma dovendo partir per
sa di lui ; ma dovendo partir per la guerra, lasciò ad Etra una spada
che
essa dovea consegnare al figlio quando fosse adul
i mosse tosto per andarlo a trovare. L’avo e la madre avrebber voluto
che
egli andasse ad Atene per mare con viaggio più br
di schivare, ma di affrontare i pericoli dei masnadieri e dei mostri
che
infestavano quelle regioni. E qui incominciano i
uoi fatti eroici ; dei quali accenneremo soltanto i più straordinarii
che
si distinguono per qualche singolarità da quelli
masnadieri coi quali combattè è da rammentarsi l’assassino Perifete,
che
era armato di una clava di rame ; Teseo lo uccise
clava la portò sempre come il suo primo trofeo, a imitazione di quel
che
fece Ercole della pelle del Leon Nemeo. In Eleusi
pelle del Leon Nemeo. In Eleusi vinse ed uccise nella lotta Cercione
che
era stimato invincibile. Avanzandosi nell’Attica
invincibile. Avanzandosi nell’Attica incontrò il masnadiere Procuste,
che
costringendo i passeggieri a prendere ospizio in
n un letto, e poi se eran più lunghi di quello tagliava loro le gambe
che
sopravanzavano, e se eran più corti li faceva giu
i nelle gazzette), ossia senza farsi conoscere, aspettava l’occasione
che
il re Egeo da sè stesso lo riconoscesse per figli
e raggiri) sull’animo del vecchio re Egeo, gli fe’nascere il sospetto
che
quello straniero volesse impadronirsi del regno ;
in un pranzo. Teseo fu invitato a corte ; e nel porsi a mensa avvenne
che
Egeo vide la spada del giovane Eroe, e riconosciu
sse), nel numero dei giovani destinati per cibo al Minotauro. La nave
che
portava a Creta queste innocenti vittime aveva in
e innocenti vittime aveva in segno di lutto le vele nere. Egeo ordinò
che
al ritorno, se era reduce il figlio, vi si mettes
nosso capitale dell’isola di Creta il giorno avanti i funebri giuochi
che
Minosse faceva celebrare in onor del suo estinto
con cui superò i più famosi competitori ; e a tutti dispiacque, e più
che
agli altri ad Arianna figlia di Minosse, che quel
tutti dispiacque, e più che agli altri ad Arianna figlia di Minosse,
che
quel giovane Eroe dovesse sì tosto miseramente pe
e per non poter ritrovare l’uscita. Dal primo, era ben sicura Arianna
che
Teseo avrebbe saputo difendersi ; provvide dunque
birinto coi giovanetti e colle giovanette Ateniesi, e trovata Arianna
che
l’aspettava, entrò con sì bella e giuliva compagn
na che l’aspettava, entrò con sì bella e giuliva compagnia nella nave
che
era pronta a far vela, e si diressero tutti insie
rso Atene. L’invenzione del filo di Arianna divenne tanto famigerata,
che
anche nelle lingue moderne vi si allude metaforic
uro e del filo di Arianna parla anche Dante nell’Inferno, ove afferma
che
egli trovò il Minotauro a guardia del 7° cerchio
o libero il passo, fa dire da Virgilio : « ……………….. Forse « Tu credi
che
qui sia ‘l Duca d’Atene, « Che su nel mondo la mo
Fortunatamente per essa giunse il giorno stesso in quell’isola Bacco,
che
la fece sua sposa, come dicemmo parlando di quest
avanzava per mare senza ricordarsi di cangiar le vele alla nave. Egeo
che
tutti i giorni andava sopra una altura sporgente
e vi annegò. D’allora in poi dagli Antichi fu detto Mare Egeo quello
che
ora chiamasi l’Arcipelago. La letizia di Teseo ne
prima dei più celebri fatti felicemente da lui compiuti, rammenteremo
che
egli prese vivo il cinghiale di Maratona e lo sac
li aveva prima combattuto in compagnia d’Ercole ; e poi, secondo quel
che
dice Plutarco, « uccise Tèrmero cozzando insieme
Teseo andò gastigando i ribaldi usando contro di loro quella violenza
che
essi usavano contro degli altri ; onde nel modo s
ravano, fossero giustamente puniti 108. » Alcuni Mitologi asserirono
che
Teseo uccidesse ancora Falàride tiranno di Agrige
tto, come dice Dante, ossia fu pena ben meritata dall’iniquo artefice
che
si fece ministro di crudeltà del più efferato tir
a similitudine nel Canto xxvii dell’Inferno : « Come ‘l bue Cicilian
che
mugghiò prima « Col pianto di colui (e ciò fu dri
a temperato con sua lima, « Mugghiava con la voce dell’afflitto, « Sì
che
, con tutto ch’e’fosse di rame, « Pure el pareva d
molte volte di questo toro nelle sue opere, e dice fra le altre cose,
che
essendo conservato in Agrigento come una rarità e
pena i due campioni si furon veduti nacque tra loro una tal simpatia,
che
, deposte le armi, si abbracciarono e divennero i
i più fidi amici dell’antichità. Senza citare i poeti, dirò soltanto
che
anche Cicerone rammenta Teseo come esempio di ver
vera amicizia. Quando Piritoo sposò Ippodamia, s’indovina facilmente
che
Teseo fosse il primo ad essere invitato alla fest
ile assai la sua presenza e l’opera del suo forte braccio per impedir
che
all’amico fosse tolta la sposa e la vita dai Cent
nchetto di nozze. Storicamente i Centauri eran popoli della Tessaglia
che
primi impresero a domare i cavalli e sottoporli a
rvigii ; e chi per la prima volta da lontano li vide cavalcare, credè
che
uomo e cavallo fossero un solo animale mostruoso
i queste due forme o nature111. Mitologicamente poi non solo fu detto
che
i Centauri erano mezzi uomini e mezzi cavalli, ma
tto che i Centauri erano mezzi uomini e mezzi cavalli, ma si aggiunse
che
eran nati dalle Nuvole ; e per quanto sia strana
o chi diceva : « Ricordivi, dicea, de’maladetti « Ne’nuvoli formati,
che
satolli « Teseo combattêr co’doppi petti. » I p
ssendo riscaldati dal vino, manifestarono la loro natura più bestiale
che
umana, tentando di rapire la sposa ed altre donne
he umana, tentando di rapire la sposa ed altre donne convitate : onde
che
nacque una tal mischia così terribile e sanguinos
vitate : onde che nacque una tal mischia così terribile e sanguinosa,
che
quasi tutti i poeti (tra questi anche Dante come
m veduto) o la descrivono o almeno vi alludono112. Se non v’era Teseo
che
facesse prodigii di valore, la vittoria restava a
o uccisi o feriti113. Non v’era però fra questi il Centauro Chirone,
che
fu il più umano e il più sapiente e dotto, non so
u il più umano e il più sapiente e dotto, non solo fra i Centauri (il
che
non sarebbe un gran vanto) ma fra tutti gli antic
nno a mille a mille « Saettando qual’anima si svelle « Del sangue più
che
sua colpa sortille. » Anche nelle Belle Arti fu
oggie dell’Orgagna in Firenze. Tralasciando di parlare di altri fatti
che
nulla hanno di straordinario o singolare, la magg
essersi aiutati scambievolmente nelle più strane e perigliose imprese
che
o all’uno o all’altro venisse in idea di tentare.
nell’isola di Nasso : e qui non si sa intendere come Fedra, dopo quel
che
era accaduto alla sorella, non sospettasse della
ausa di gravissimo lutto. Essendo già adulto Ippolito, parve da prima
che
Fedra, deposto il madrignal talento, come direbbe
nile stizza la benevolenza, lo calunniò con tal sopraffina malignità,
che
Teseo divenne crudele contro il proprio figlio ;
farsene micidiale egli stesso, ottenne da Nettuno (creduto suo padre)
che
punisse Ippolito. Lo stesso Cicerone riferisce qu
te del figlio, ed avendola impetrata, cadde in gravissimo lutto. » Il
che
dice il romano oratore per dimostrare che non deb
e in gravissimo lutto. » Il che dice il romano oratore per dimostrare
che
non debbonsi mantener le promesse quando le cose
e quando le cose dimandate sono dannose a chi le richiede115. Il modo
che
tenne Nettuno per appagar Teseo si fu di far comp
eseo si fu di far comparire all’improvviso un mostro marino nel tempo
che
Ippolito in cocchio passava lungo la spiaggia del
amente tra gli scogli ove miseramente perì. Altri Mitologi aggiungono
che
Ippolito fu risuscitato da Esculapio e trasportat
n splendida pompa e con sacrifizi, come se stato fosse Teseo medesimo
che
ritornasse. » Ogni anno poi facevangli un grandis
dicemmo della origine mirabilissima di Tebe, di cui altra non havvene
che
sia più maravigliosa : sappiamo inoltre che da ma
di cui altra non havvene che sia più maravigliosa : sappiamo inoltre
che
da madre Tebana nacque Bacco ; di sangue Tebano f
e della vita di questo re raccontansi soltanto due fatti : il primo,
che
egli avendo saputo dall’Oracolo di dover essere u
ta sua moglie, diede ordine di farlo perire appena nato ; il secondo,
che
non ostante non potè sfuggire il suo destino, e f
Ma invece di una fiera crudele passò prima di là un pietoso pastore,
che
lo prese e lo portò alla sua capanna e lo tenne c
portò alla sua capanna e lo tenne come suo figlio, chiamandolo Edipo,
che
significa piede gonfio, perchè aveva enfiato il p
e pel quale fu sospeso all’albero. Cresciuto Edipo si accorse o seppe
che
il pastor Forba (o secondo altri Polibo) non era
el tempo infestava le vicinanze di Tebe un mostro chiamato la Sfinge,
che
aveva ucciso molte persone e sbigottito tutti, fu
; e se non lo indovinavano li strangolava ; il nome stesso di Sfinge
che
le fu dato dai Greci significa Strangolatrice. Er
u dato dai Greci significa Strangolatrice. Era però voler del destino
che
se qualcuno indovinasse il suo enigma, sarebbe to
lo fermò e gli diede a indovinar quest’enigma : Qual è quell’animale
che
la mattina va con quattro piedi, a mezzogiorno co
la sera con tre ? Edipo rispose : l’uomo ; e ne diede la spiegazione
che
il nostro poeta Berni ha messa in versi : « …………
ocasta e fu proclamato re di Tebe. Gli nacquero in appresso due figli
che
furono chiamati Eteocle e Polinice, e due figlie
una fiera pestilenza devastava il regno ; e dall’Oracolo fu risposto
che
per farla cessare conveniva bandire dallo Stato l
ciso Laio, come pure dai connotati della persona dell’estinto scuoprì
che
ne era stato egli stesso l’uccisore ; e inoltre r
anzia e confrontando le relazioni del pastor Forba e quelle del servo
che
aveva esposto nel bosco il regio infante, compres
elle del servo che aveva esposto nel bosco il regio infante, comprese
che
egli era figlio di Laio e parricida, e che Giocas
il regio infante, comprese che egli era figlio di Laio e parricida, e
che
Giocasta era sua madre. Allora inorridito di ques
ore li modificò o alterò secondo la sua fantasia e lo scenico effetto
che
ne sperava : tutti però si accordano nel dire che
lo scenico effetto che ne sperava : tutti però si accordano nel dire
che
egli morì lungi da Tebe di disagio e di cordoglio
iò a regnare in Tebe, e dimostrò subito indole da despota e non da re
che
dopo un anno doveva diventar suddito ; quindi inv
e, divenuto suo suocero, ad aiutarlo a ricuperare il regno. La guerra
che
ne seguì fu detta dei sette Prodi, perchè sette f
lli, ci affretteremo a parlar di questo, tacendo delle inutili stragi
che
lo precedettero, e riserbandoci in ultimo a dar n
cchio a nessuna transazione o accordo ; e istigato dallo zio Creonte,
che
sperava di profittare della discordia dei nipoti
per l’ultima volta ; e, raccolte tutte le sue forze, con un pugnale,
che
portava sempre nascosto fra le vesti, uccise prod
di lui, con questa infernale soddisfazione spirò. I poeti inventarono
che
posti i corpi di entrambi i fratelli ad ardere ne
nello stesso rogo, le fiamme della pira si divisero, segno sensibile
che
l’avversione degli animi loro erasi comunicata a
rodigio fa menzione anche Dante là dove parlando della duplice fiamma
che
ricuopre nell’Inferno le anime di Ulisse e di Dio
che ricuopre nell’Inferno le anime di Ulisse e di Diomede, egli dice
che
quella fiamma « ……. par surger dalla pira « Ove
e tosto uno dei più esecrati tiranni. E per primo atto inumano proibì
che
fossero seppellite le ceneri di Polinice, dichiar
n potè co’suoi delitti esser felice com’egli credeva ; poichè avvenne
che
il figlio di lui Emone essendo invaghito di Antig
Ennemis di Racine ? Troppo lungo sarebbe l’enumerare soltanto i poeti
che
rammentano queste atrocità Tebane. E basterà cita
i poeti che rammentano queste atrocità Tebane. E basterà citar Dante
che
molte volte ne parla o vi allude. Oltre l’esempio
hiamare Eteocle e Polinice la doppia tristizia di Giocasta, e narrare
che
trovansi nel Limbo « Antigone, Deifile ed Argia
eifile ed Argia « Ed Ismene sì trista come fue. » Dei prodi generali
che
aiutarono Polinice nella guerra di Tebe parleremo
alcun momento nel determinar le catastrofi della real famiglia Tebana
che
abbiamo già raccontate. LIII I sette Prodi e
città, perchè l’Oracolo gli aveva predetto (o egli l’aveva sognato),
che
sarebbero state rapite da un leone e da un cinghi
questi sposi la spiegazione della risposta dell’oracolo (o del sogno
che
fosse), che tanto lo aveva tenuto in sospetto e t
i la spiegazione della risposta dell’oracolo (o del sogno che fosse),
che
tanto lo aveva tenuto in sospetto e timore per le
come fratello di Meleagro una pelle di cinghiale, Adrasto interpretò
che
le parole dell’Oracolo si riferissero a questi du
che le parole dell’Oracolo si riferissero a questi due giovani Eroi,
che
gli avrebbero rapite le figlie sposandole e condu
asciatore plenipotenziario Tideo, l’altro suo genero. Bisogna credere
che
Adrasto non conoscesse bene l’indole di questo su
andogli una sì delicata missione, poichè questi è quello stesso Tideo
che
« …………… rose « Le tempie a Menalippo per disdegn
rale avvelenato morì sotto le mura di Tebe. Ebbe da Deifile un figlio
che
fu il famoso Diomede, il più valoroso, dopo Achil
so Diomede, il più valoroso, dopo Achille, fra tutti i capitani greci
che
andarono alla guerra di Troia. Di Ippomedonte è d
che andarono alla guerra di Troia. Di Ippomedonte è da dirsi soltanto
che
egli era nipote di Adrasto e valorosissimo ; ma d
li pure morì alla guerra di Tebe. Capanèo era un Argivo arditissimo,
che
primo inventò di dar la scalata alle fortezze. Al
gi del Sole sul mezzogiorno. Ma Giove gli fece conoscer la differenza
che
v’era, fulminandolo mentre egli dava la scalata a
va la scalata alle mura di Tebe, e precipitandolo nell’Inferno. Dante
che
aborre gli empi senza alcuna religione, e li chia
mpi senza alcuna religione, e li chiama violenti contro Dio, ci narra
che
egli vide Capaneo nell’Inferno sotto una pioggia
i narra che egli vide Capaneo nell’Inferno sotto una pioggia di fuoco
che
cadeva dall’alto « ……….. in dilatate falde, « Co
in dilatate falde, « Come di neve in alpe senza vento ; » e aggiunge
che
anche laggiù quell’anima dannata sfidava il supre
anche laggiù quell’anima dannata sfidava il supremo dei Numi, dicendo
che
quantunque Giove lo sættasse di tutta sua forza,
« Non ne potrebbe aver vendetta allegra. » A questo punto Dante fa
che
Virgilio gli rintuzzi severamente la sua impotent
ente la sua impotente stizza con queste parole : « O Capaneo, in ciò
che
non s’ammorza « La tua superbia, se’ tu più punit
ammorza « La tua superbia, se’ tu più punito : « Nullo martirio, fuor
che
la tua rabbia, « Sarebbe al tuo furor dolor compi
Quest’uomo bestiale aveva una moglie affettuosissima chiamata Evadne
che
non volle sopravvivere ad esso, e si gettò nel ro
funebri onori. Dal loro connubio era nato un figlio di nome Stènelo,
che
fu poi uno dei più valorosi guerrieri all’assedio
atello di Adrasto, ed altri figlio di Atalanta, la famosa cacciatrice
che
fu la prima a ferire il cinghiale di Calidonia. P
rato di Anfiarao e della sua famiglia. Essendo egli indovino, previde
che
sarebbe stato tutt’altro che felice l’esito della
famiglia. Essendo egli indovino, previde che sarebbe stato tutt’altro
che
felice l’esito della spedizione contro Tebe, e pe
istenza e sollecitazione, si nascose. Ma Polinice a cui stava a cuore
che
non mancasse in quella impresa un così saggio e p
guerra, e sicuro di dovervi perire, lasciò detto al figlio Alcmeone,
che
appena udita la sua morte lo vendicasse. Perì di
rologi, argomento di predizioni, gli si aperse sotto i piedi la terra
che
lo inghiottì, e vivo precipitò nel regno delle Om
iottì, e vivo precipitò nel regno delle Ombre117. Gli antichi dissero
che
non andò al Tartaro ma agli Elisii, e che in Grec
bre117. Gli antichi dissero che non andò al Tartaro ma agli Elisii, e
che
in Grecia aveva un Oracolo dei più celebrati e re
acolo dei più celebrati e rendeva responsi dei più veridici. Ma Dante
che
non credeva concessa all’uomo la facoltà d’indovi
he non credeva concessa all’uomo la facoltà d’indovinare il futuro, e
che
perciò stimava un’impostura l’arte dell’Indovino,
tesi Indovini antichi e moderni. Dice di averlo veduto egli stesso, e
che
Virgilio glielo indicò dicendo : « Drizza la te
chè lasci la guerra ? « E non restò di ruinare a valle « Fino a Minòs
che
ciascheduno afferra. « Mira che ha fatto petto de
stò di ruinare a valle « Fino a Minòs che ciascheduno afferra. « Mira
che
ha fatto petto delle spalle : « Perchè volle vede
etto in una similitudine del Canto iv del Paradiso : « Come Alcmeone
che
di ciò pregato « Dal padre suo, la propria madre
rte di Anfiarao e di Erifile, riuscì funesto anche al figlio Alcmeone
che
ne fu l’erede. Ne fece egli un dono alla sua prim
dei figli di Edipo produsse una serie infinita di guai e di sciagure
che
di conseguenza in conseguenza durarono per molti
avesse perduto ambedue i suoi generi ed una delle sue due figlie, non
che
il fratello e la sorella, il cognato e il nipote
, o discendenti ; ed ebbe luogo dieci anni dopo la prima per aspettar
che
questi rampolli fosser cresciuti ed atti alle bat
notizie : devastazioni e stragi non ne mancarono ; e v’è chi afferma
che
fu anche saccheggiata la città di Tebe e che Ters
rono ; e v’è chi afferma che fu anche saccheggiata la città di Tebe e
che
Tersandro figlio di Polinice ne prendesse il gove
che Tersandro figlio di Polinice ne prendesse il governo ; e inoltre
che
molti Tebani prima del saccheggio preferirono di
litti. Nel parlare dei dannati celebri dell’ Inferno pagano, dicemmo
che
padre di Pelope fu Tantalo condannato alle pene d
ne le carni per cibo alla mensa dei Numi da lui convitati ; e inoltre
che
Pelope fu restituito alla sua pristina forma corp
lla sua pristina forma corporea e risuscitato da Giove. Ora è a dirsi
che
egli sposò Ippodamia figlia di Enomao, re d’ Elid
Enomao, re d’ Elide e Pisa119, ed ebbe molti figliuoli e discendenti
che
sono in comune appellati col patronimico di Pelop
modo con cui Pelope ottenne la sposa non è senza delitto. Si racconta
che
Enomao era riluttante dal maritare la sua unica f
itare la sua unica figlia Ippodamia, perchè aveva saputo dall’Oracolo
che
il genero sarebbe causa della morte del suocero ;
a Mìrtilo cocchiere diEnomao, lo indusse a toglier dall’asse il ferro
che
riteneva le ruote del cocchio del re ; e così Eno
’ amministrazione del regno fu così fortunato e divenne tanto potente
che
estese il suo dominio su tutta quella penisola de
tente che estese il suo dominio su tutta quella penisola della Grecia
che
ora chiamasi Morea, e che dal nome di Pelope fu d
minio su tutta quella penisola della Grecia che ora chiamasi Morea, e
che
dal nome di Pelope fu detta dagli antichi Pelopon
elope fu detta dagli antichi Peloponneso. Da Ippodamia ebbe sei figli
che
tutti divennero re, ma i più noti per fama infame
e più orribili dalle amplificazioni degli antichi pœti. Basti il dire
che
Atreo sospettando che la sua propria moglie fosse
mplificazioni degli antichi pœti. Basti il dire che Atreo sospettando
che
la sua propria moglie fosse segretamente d’accord
ortare in tavola i teschi delle due misere vittime. I pœti aggiungono
che
in quel giorno il Sole inorridito ritornò indietr
o le carni umane sul palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il
che
fa supporre che sì orrendo e ributtante spettacol
sul palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il che fa supporre
che
sì orrendo e ributtante spettacolo fosse dato più
to più volte sui teatri romani ; e Cicerone nel De Officiis riferisce
che
in una tragedia latina si faceva dire ad Atreo :
e e vietate nozze ; e poichè fu allattato da una capra ebbe quel nome
che
in greco indica un tale allattamento. Di Atreo na
nei loro domestici casi. Infatti occorre prima di tutto di dover dire
che
Egisto uccise a tradimento Atreo suo zio, e quind
hè eran già morti e divenuti Dei ed Astri Castore e Polluce. Lasciamo
che
per pochi anni i due famosi Atridi godano in pace
el riandar la vita e le gesta degli Antenati di Achille, di quell’Erœ
che
fu invidiato da Alessandro Magno, perchè ebbe per
iglio di Giove e di Egina. Eaco nacque in quell’isola dell’Arcipelago
che
portò anticamente il nome di sua madre, e che ora
l’isola dell’Arcipelago che portò anticamente il nome di sua madre, e
che
ora con poca differenza di suono chiamasi Engía o
he predilezione, mandò una sì spaventevole pestilenza in quell’isola,
che
morirono tutti i sudditi ed anche la regina, e vi
n e compagni Antropologi a far derivare gli uomini dalle bestie senza
che
alcuno li contraddicesse. E questi guerrieri deri
ti di Achille all’ assedio di Troia. Forse la radicale del loro nome,
che
in greco significa formica, diede motivo a invent
entar questa favola della loro origine ; la quale però parve sì bella
che
tutti i pœti l’accettarono, e Dante stesso se ne
a bellissima similitudine nel Canto xxix dell’ Inferno : « Non credo
che
a veder maggior tristizia « Fosse in Egina il pop
al picciol vermo, « Cascaron tutti ; e poi le genti antiche « Secondo
che
i pœti hanno per fermo, « Si ristorâr di seme di
ici, un piccolo fratello chiamato Foco. Di Telamone abbiamo già detto
che
fu uno degli Argonauti ; e di altre sue imprese e
, parleremo più opportunamente in appresso. Ora convien dire di Peleo
che
fu il padre di Achille. Peleo dopo la morte di E
ragici) potè formare un piccolo regno in quella parte della Tessaglia
che
era detta Ftiòtide dalla città di Ftia sua capita
e tutti d’accordo convennero di unirla in matrimonio con quel mortale
che
ne fosse più degno per bontà di animo e per paren
timo principe e nipote di Giove. Furono queste le più splendide nozze
che
fossero mai celebrate sulla Terra : al banchetto
e scusò prudentemente, e propose di farne giudice un semplice pastore
che
senza prevenzione alcuna dichiarasse qual Dea gli
rà detto nel parlar dell’origine della guerra di Troia. Ora è a dirsi
che
dal matrimonio di Peleo con Teti nacque un figlio
. Ora è a dirsi che dal matrimonio di Peleo con Teti nacque un figlio
che
fu chiamato Achille. La madre, come Dea, sapeva g
u chiamato Achille. La madre, come Dea, sapeva già dal libro del Fato
che
questo suo figlio sarebbe un fulmine di guerra ;
teneva sospeso per un piede, rimase vulnerabile soltanto il calcagno
che
non potè esser bagnato da quelle acque infernali.
i re Dalla Grecia convien passare all’Asia Minore, in quella parte
che
chiamavasi Frigia, presso le coste della Proponti
n si seppe neppur dire con sicurezza di non errare : qui fu ; di modo
che
taluni dubitaron perfino se la città di Troia fos
va questo dubbio senza risolverlo ; e soltanto si affermò da qualcuno
che
sopra una parte di quel classico terreno sorge un
priorità di tale scoperta, questa è pel mondo letterario una conferma
che
sia ora finalmente accertata non solo l’esistenza
ata all’immortalità dai più sublimi pœti, non era il solo nè il primo
che
essa ebbe ; e si trova anche chiamata Dardania, T
a Virgilio : « Pœta fui e cantai di quel giusto « Figliuol d’Anchise
che
venne da Troia « Poi che ‘l superbo Ilïòn fu com
cantai di quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia « Poi
che
‘l superbo Ilïòn fu combusto. » Ed inoltre ripet
cenere e caverne : « O Ilïòn come te basso e vile « Mostrava il segno
che
lì si discerne ! » Chiunque sa quanto sia concis
due termini per intendere il preciso concetto espresso da Dante : il
che
noi faremo ben tosto nel dar la spiegazione degli
izio sicuro sulla genealogia dei re di Troia e sulla verità dei fatti
che
di loro si raccontano. Dovendosi quindi ricorrere
ia stirpe udire « Al mondo chiara, primamente Giove « Dàrdano generò,
che
fondamento « Pose qui poscia alle Dardanie mura.
sti versi è considerato Dardano come fondatore e primo re della città
che
da lui prese il nome di Dardania. Egli era figlio
una delle 7 figlie di Atlante. In tutto ciò concorda anche Virgilio,
che
spesse volte rammenta Dardano come autore della r
cun fatto notabile ; e molti danno questo nome ad Eretteo re di Atene
che
fu figlio di Vulcano. Anche Omero, come abbiam ve
il fabbricato della città ed anche il territorio. Questa distinzione
che
riconoscesi più d’una volta nelle espressioni di
onimo di pulpito. Tra i figli di Trœ o Troo è da notarsi non solo Ilo
che
fu re di Troia dopo la morte del padre, ma anche
a anche Assàraco e Ganimede. « Assàraco ebbe Capi e Capi Anchise, »
che
fu genitore di Enea, come fa dire Omero da Enea s
discendenti di Assaraco. Quanto poi a Ganimede dicemmo già nel N° XV
che
fu rapito dall’aquila di Giove e trasportato in c
anche l’onore di esser posto nella Costellazione detta dell’ Aquario,
che
è uno dei dodici segni del Zodiaco e rifulge di 1
e il penultimo re di Troia ; e di lui parlano più a lungo i Mitologi
che
di tutti i suoi predecessori ; ma lo rappresentan
ritto della Divinità e ridotti alla condizione degli uomini. Compiute
che
furon le mura, il re spergiuro negò la pattuita m
za nella Troade. Così accadde anche allora, come avvien quasi sempre,
che
son puniti i popoli dei peccati del loro re128. C
ti i popoli dei peccati del loro re128. Consultato l’Oracolo, rispose
che
i Troiani per liberarsi da questi mali dovevano t
a propria figlia promise un gran premio a chi uccidesse l’orca marina
che
dovea divorarla. In quell’anno stesso aveva Ercol
itto di Laomedonte, s’impegnò col re di uccidere l’orca, a patto però
che
gli desse in premio quelle polledre figlie del ve
lavano de’flutti « Senza toccarli. » Laomedonte promise ; ma, uccisa
che
fu l’orca, non volle mantener la promessa ; ed Er
on volle mantener la promessa ; ed Ercole non stette a pregar gli Dei
che
punissero il re spergiuro e mancator di parola ;
mone suo amico, e portò seco in ostaggio Podarce principe ereditario,
che
dopo il suo riscatto fu chiamato Priamo. Questo
rammentati da Omero nei versi sopracitati è notabile soltanto Titone
che
sposò l’Aurora, come dicemmo. Ora è da aggiungers
oltanto Titone che sposò l’Aurora, come dicemmo. Ora è da aggiungersi
che
avendo l’Aurora ottenuto per esso dagli Dei l’imm
a perpetua giovinezza del suo sposo ; e perciò Titone invecchiò tanto
che
venne in uggia a sè stesso, e desiderò di morire.
o egli fosse divenuto querulo nell’estrema sua vecchiezza. Riscattato
che
fu Priamo e proclamato re di Troia, sposò Ècuba f
estreme sventure della loro patria ; e prima converrà dire di quello
che
ne fu causa, cioè di Paride. I poeti si fanno dal
Paride. I poeti si fanno dalla lontana, e veramente ab ovo, narrando
che
Ecuba quand’era incinta di questo figlio sognò di
quand’era incinta di questo figlio sognò di aver partorito una fiamma
che
incendiava tutta l’Asia. Gl’interpreti dei sogni
mma che incendiava tutta l’Asia. Gl’interpreti dei sogni dichiararono
che
il figlio nascituro sarebbe stato causa della rov
e divorato da qualche fiera ; ma invece avvenne di lui come di Edipo,
che
fu trovato vivo da un pastore ed allevato come su
rigine, e fu tra i pastori chiamato Alessandro ; ed egli è quel desso
che
fu eletto per giudice della bellezza delle tre De
Origine della guerra di Troia e preparativi per la medesima Dopo
che
Venere ebbe riportato pel giudizio di Paride il p
do trionfo nel vanto della bellezza sopra tutte le Dee, convenne pure
che
pensasse a mantener la promessafatta al giudice,
i cioè per moglie la più bella donna del mondo. Ma la più bella donna
che
allor vivesse era la spartana Elena, rapita prima
; e in tale occasione investigando essi l’origine di lui, scuoprirono
che
egli era il loro fratello esposto da bambino nell
a poichè Menelao non volle morir così presto, e Venere era tutt’altro
che
una Dea sanguinaria e micidiale, ricorse alle art
portò via tutti i più preziosi tesori della corte spartana. Menelao,
che
allora era assente, conosciuto questo fatto molto
lto spiacevole, si affrettò a reclamare la moglie e i tesori : a quel
che
pare, si sarebbe poi contentato anche dei tesori
si sarebbe poi contentato anche dei tesori soltanto, perchè vide bene
che
la moglie sarebbe stato meglio perderla che riacq
oltanto, perchè vide bene che la moglie sarebbe stato meglio perderla
che
riacquistarla. Ma i Troiani non vollero rendere n
gli Antichi re dei re, e da Dante lo Gran Duca dei Greci. Fu risoluto
che
il luogo di convegno per far tutti insieme il pas
giavano a bella posta, e mancavano fra gli altri quei due famosi Eroi
che
meritarono in appresso, per le loro grandi gesta
e non sapevasi dove fosse, ed Ulisse dicevasi divenuto pazzo « D’uom
che
sì saggio era stimato prima. » Fortunatamente es
isola di Eubea, egli, ingegnosissimo qual era, sospettò accortamente
che
Ulisse fingesse di esser pazzo per non andare all
rlo. Ulisse poi si diede ad investigare dove fosse Achille, e il modo
che
tenne per trovarlo (poichè dubitava che si nascon
dove fosse Achille, e il modo che tenne per trovarlo (poichè dubitava
che
si nascondesse in abito femminile) fu questo : Si
nneschi portato ancora una finissima armatura da guerrieri, fu questa
che
fece palese Achille ; il quale dimenticando il su
itardarlo e trattenerlo in Sciro l’affetto di Deidamia figlia del re,
che
egli aveva segretamente sposata ; e dalla mollezz
li della guerra. Intanto in Aulide si erano raccolti tanti guerrieri,
che
per quanto fece dire Dante a Virgilio, « ……. Gre
nto fece dire Dante a Virgilio, « ……. Grecia fu di maschi vota « Sì,
che
appena rimaser per le cune ; » ed eran già da 1
io alla loro partenza. Allora gl’indovini Eurìpilo e Calcante dissero
che
per ottenere favorevoli i venti conveniva placar
con una vittima umana ; e tanto poteva le superstizione a quei tempi,
che
lo stesso Agamennone re dei re consentì ad immola
ad immolare la propria figlia Ifigenía, e la immolò difatti, secondo
che
scrivono i più, e tra questi anche Dante, che ram
immolò difatti, secondo che scrivono i più, e tra questi anche Dante,
che
rammentando nel Canto v del Paradiso questo barba
Decenne assedio e battaglie intorno alle mura di Troia Nel tempo
che
i Greci si preparavano per la guerra, i Troiani n
invasione. Nessuno dei Greci osava scendere a terra, perchè credevasi
che
primo perirebbe chi primo scendesse ; e così avve
del marito e poi morire, fu trovata estinta nel suo letto e fu detto
che
era morta dopo averlo veduto in sogno, come desid
n sogno, come desiderava. Molti altri perirono in quel primo scontro,
che
non ebbero ugual fama, e colla loro morte pagaron
eci, tirate a terra le navi, avanzarsi nella Troade. Ora convien dire
che
ai tempi nostri non si capisce facilmente qual ge
il piano di guerra, perchè non cinsero mai la città di Troia in modo
che
non potesse ricever di fuori e viveri e truppe au
loro sforzi si diressero contro Troia. Trovarono forse degli ostacoli
che
non avevano preveduti : la mancanza di provvision
straordinario meritava però miglior sorte, poichè di lui si racconta
che
fu condannato a morte dai Greci per falso sospett
e questo giudizio fu dichiarato iniquo da Platone stesso nel discorso
che
ei riferisce come fatto da Socrate ai giudici che
stesso nel discorso che ei riferisce come fatto da Socrate ai giudici
che
lo condannarono 129. Fu un infame delitto di Ulis
r detestar la guerra, « Ei fu da’Greci indegnamente ucciso : « Com’or
che
ne son privi, i Greci stessi « Lo piangon tutti.
« Come ognun sa, del traditore Ulisse), « Amaramente il piansi. » Ma
che
Ulisse avesse ciò fatto per vendicarsi di Palamed
piansi. » Ma che Ulisse avesse ciò fatto per vendicarsi di Palamede,
che
aveva scoperto la sua simulazione d’insania e cos
strettolo a partir per la guerra, non è facile dimostrarlo, in quanto
che
Omero non ne parla, e perciò appunto Cicerone non
non ne parla, e perciò appunto Cicerone non lo crede, e stima invece
che
sia questa una invenzione dei Tragici 130. Se per
i certe fatalità, come le chiamano i Mitologi, cioè decreti del fato,
che
dovevano avverarsi o compiersi affinchè Troia pot
Eaco ; e questa fatalità si avverò la prima colla venuta di Achille,
che
era figlio di Peleo e nipote di Eaco, e perciò ch
. 2ª Fatalità. — Dovevano aversi nel campo greco le freccie d’Ercole,
che
quest’Eroe morendo lasciò a Filottete coll’obblig
nifestarle ad alcuno, come dicemmo. I Greci pregarono tanto Filottete
che
ei le portò in Aulide ; ma in pena di aver mancat
r mancato alla promessa fatta ad Ercole, nel maneggiar quelle freccie
che
erano tinte nel sangue dell’Idra di Lerna, glie n
glie ne cadde una in un piede, e gli cagionò una piaga così fetente,
che
i Greci nell’andare a Troia lo abbandonarono solo
urare dai medici dell’armata Macaone e Podalirio, figli di Esculapio,
che
lo guarirono. 3ª Fatalità. — Doveva divenire amic
le, le cui ferite erano insanabili. Consultato l’Oracolo, gli rispose
che
l’asta sola che lo aveva ferito poteva sanarlo. D
e erano insanabili. Consultato l’Oracolo, gli rispose che l’asta sola
che
lo aveva ferito poteva sanarlo. Dovè dunque, se v
chille nei seguenti versi del Canto xxx dell’Inferno : « Così od’io
che
soleva la lancia « D’Achille e del suo padre ess
di trista e poi di buona mancia. » 4ª Fatalità. — Bisognava impedire
che
i cavalli di Reso re di Tracia, bevessero le acqu
cavalli di Reso re di Tracia, bevessero le acque del fiume Xanto ; il
che
significava di impedire a Reso di recar soccorsi
ma una necessaria precauzione di guerra. Ulisse e Diomede provvidero
che
si avverasse questa fatalità, uccidendo Reso prim
ede provvidero che si avverasse questa fatalità, uccidendo Reso prima
che
arrivasse a Troia e portando nelle greche trincie
lli di lui. 5ª Fatalità. — Dovevano i Greci impadronirsi del Palladio
che
era nel tempio di Pallade dentro alla rocca di Tr
me all’ira ; « E dentro dalla lor fiamma si geme « L’aguato del caval
che
fe’ la porta « Ond’uscì de’Romani il gentil seme.
roia avvennero intorno alle mura di essa le più memorabili battaglie,
che
furono narrate maravigliosamente da Omero. L’Ilia
ure a significare una lunga serie di esse. Sebbene il titolo d’Iliade
che
diede Omero al suo poema, derivando da Ilio, appe
l soggetto : « Cantami, o Diva, del Pelìde Achille « L’ ira funesta
che
infiniti addusse « Lutti agli Achei, molte anzi t
funeste conseguenze di quella. Il poema comincia dal narrare la causa
che
produsse l’inimicizia fra Achille ed Agamennone,
ta lettura, intender tutto il poema senza fatica. Supponendo pertanto
che
quanto prima leggerà questo poema chiunque non l’
non l’abbia ancor letto, accennerò brevissimamente i fatti principali
che
vi si contengono, per l’obbligo che mi corre di n
revissimamente i fatti principali che vi si contengono, per l’obbligo
che
mi corre di non lasciar lacune nel mio umile racc
o che mi corre di non lasciar lacune nel mio umile racconto. La causa
che
inimicò Achille con Agamennone fu una prepotenza
o parlamento, e quindi incoraggiato e rassicurato da Achille dichiarò
che
bisognava render Criseide al padre con doni ed of
un’altra schiava in compenso, diversamente toglierebbe a forza quella
che
più gli piacesse a qualunque degli altri capitani
allora una tale altercazione con parole e frasi sì poco parlamentari,
che
fu per terminare colla uccisione di Agamennone pe
enti esortazioni del vecchio Nestore, e più ancora dalla Dea Minerva,
che
« Gli venne a tergo e per la bionda chioma « Pre
va Briseide, rispettando in essi il diritto delle genti, e confidando
che
farebber le sue vendette i nemici. Infatti i Troi
ed in pochi giorni furon date le più straordinarie e famose battaglie
che
sieno mai state descritte, con vicende così mirab
se battaglie che sieno mai state descritte, con vicende così mirabili
che
furon copiate o imitate da tutti i poeti epici. S
te poetica : diverrebbero monotone narrandole in prosa, ora tanto più
che
le armi da fuoco hanno resa inutile la straordina
rmi da fuoco hanno resa inutile la straordinaria forza del braccio, e
che
il più debole artigliere col suo cannone è più po
hille e di Diomede colle spade e colle lance. Convien qui notare quel
che
i rètori hanno chiamato la macchina, cioè l’inter
inità nelle contese degli uomini ; e nella guerra troiana le Divinità
che
vi prendono parte perdono anzichè guadagnare dell
rte perdono anzichè guadagnare della lor dignità. È facile indovinare
che
Venere favorirà i Troiani in grazia del giudizio
are che Venere favorirà i Troiani in grazia del giudizio di Paride, e
che
Marte campione di Venere la seconderà in tutto e
e o per gli uni o per gli altri combattenti 132. Il fatto più strano
che
si possa immaginare si è che Venere e Marte furon
ri combattenti 132. Il fatto più strano che si possa immaginare si è
che
Venere e Marte furon feriti in battaglia da Diome
eppure non invulnerabili membra, ma quasi sangue, cioè un certo umore
che
i celesti, per quanto ci assicura Omero, chiamano
on le divine armi di lui per trattenere alquanto l’impeto dei Troiani
che
stavano per irrompere nelle greche trincee. L’ott
ndo con lui rimase ucciso. Il tristo annunzio colpì talmente Achille,
che
dopo aver con gemiti e con pianto sfogato il suo
anno rivolse contro Ettore, per vendicar l’amico estinto, tutta l’ira
che
aveva prima contro Agamennone. Non voleva aspetta
a contro Agamennone. Non voleva aspettare un sol giorno le nuove armi
che
la madre Teti gli fece far da Vulcano (poichè del
tende lo trascinò altre volte intorno al cadavere di Patroclo, quasi
che
l’estinto amico dovesse esultar degli strazii del
; quando la sera vede comparire nella sua tenda il vecchio re Priamo,
che
inginocchiatosi davanti a lui gli bacia piangendo
mo, che inginocchiatosi davanti a lui gli bacia piangendo quella mano
che
gli uccise il figlio, e lo prega singhiozzando di
i Ettore per dargli sepoltura, offrendo per riscatto ricchissimi doni
che
seco aveva recati. A questa vista Achille si sent
perto di un ricchissimo manto e gli assegna un drappello di Mirmidoni
che
lo accompagnino sino a Troia. Colla descrizione d
e finchè il Sole « Risplenderà sulle sciagure umane 133. » Parrebbe
che
dopo la morte di Ettore, che era il più formidabi
rà sulle sciagure umane 133. » Parrebbe che dopo la morte di Ettore,
che
era il più formidabil guerriero Troiano, e soprav
disfatta dai Greci in pochi giorni ; ma non fu così. Apparisce invece
che
per la stanchezza delle precedenti battaglie e pe
he per la stanchezza delle precedenti battaglie e per le gravi ferite
che
avevano tocche i più dei capitani di ambe le part
pattuirla, una tregua necessaria indispensabile. È da credersi ancora
che
Achille dopo essersi intenerito per Priamo s’inte
el suo corpo in cui egli era vulnerabile, e tagliatogli quel tendine,
che
d’allora in poi fu chiamato di Achille, gli cagio
indi una grave contesa per decidere chi dovesse possedere quelle armi
che
furono opra di Vulcano, impareggiabili per tempra
sse col fascino della sua facondia ; e Aiace ne rimase così indignato
che
perdè il senno, e divenuto furibondo, mentre erra
elle fatalità di Troia, di cui abbiamo parlato. Ma Ulisse sapeva bene
che
di Achille esisteva un figlio nato da Deidamia, e
n’usciro i frutti. » I Greci gli posero il soprannome di Neottòlemo,
che
significa il nuovo venuto alla guerra, il nuovo g
di Ulisse, e solo consentì e si risolse di andar con lui, rassicurato
che
fu dalle parole del giovinetto Pirro che tanto so
i andar con lui, rassicurato che fu dalle parole del giovinetto Pirro
che
tanto somigliava il leale e generoso Achille. Giu
e allora mise in opera subito una di quelle freccie saettando Paride,
che
di quella ferita morì. La qual morte del rapitore
ntalmente, di quei principi e guerrieri, amici ed alleati dei Troiani
che
recaron loro soccorso personalmente e perderon pe
o ardeva uscirono degli uccelli di una nuova specie non prima veduta,
che
furon chiamati uccelli Mennònidi ; ma non v’è sta
nomenclatura degli Ornitologi. Si racconta ancora un altro miracolo,
che
dalla statua di Mènnone, quando era percossa dai
icali come quelli di una cetra : i sacerdoti facevan credere al volgo
che
lo spirito di Mènnone animando quella statua tram
uoni per salutare il Sole suo avo quando la irradiava ; ed erano essi
che
penetrando per occulti accessi nella cavità della
on convien passar sotto silenzio la regina delle Amazzoni Pentesilèa,
che
Virgilio e Ovidio asseriscono essere accorsa in a
ere accorsa in aiuto dei Troiani con una schiera delle sue compagne e
che
fu uccisa da Achille. Virgilio così la descrive n
d’oro « L’adusta mamma, ardente e furïosa « Tra mille e mille, ancor
che
donna e vergine, « Di qual sia cavalier, non teme
Troia è non solo di nuovo genere, ma unica nel suo genere. Omero dice
che
fu uno stratagemma, Virgilio un’insidia e Dante u
ltanto un cenno, perchè sempre suppone noto ai suoi lettori tutto ciò
che
hanno scritto i classici greci e latini, e princi
ispira loro la Musa, senza curarsi se a chi legge sia noto o no quel
che
essi dicono, o sono per dire. Omero nel libro vi
l cavallo di legno, lo chiama « ……………. l’edifizio « Del gran cavallo
che
d’inteste travi « Con Pallade al suo fianco Epeo
en confitti abeti « In sembianza d’un monte edificaro. « Poscia finto
che
ciò fosse per vóto « Del lor ritorno, di tornar s
iò fosse per vóto « Del lor ritorno, di tornar sembiante « Fecero tal
che
se ne sparse il grido. « Dentro al suo cieco vent
ll’ebbrezza ed al sonno. E nella notte usciti dal cavallo i guerrieri
che
vi si erano racchiusi, e tornati indietro da Tene
do chi resisteva e facendo schiavi gl’ inermi, gl’ imbelli e le donne
che
non furono in tempo a mettersi in salvo altrove.
tragico avvenimento della presa di Troia ; ma gli episodii son tanti
che
empirebbero un volume, e conviene almeno accennar
greca scultura. Laocoonte sacerdote di Apollo fu uno di quei Troiani
che
volevano incendiare o in qualunque altro modo dis
modo distruggere il cavallo di legno, e inoltre gli scagliò un dardo
che
rimase confitto nel fianco e fece risuonare le in
o e fece risuonare le interne cavità. Poco dopo avvenne (vero o falso
che
sia) che due grossi serpenti si avvinghiarono a l
risuonare le interne cavità. Poco dopo avvenne (vero o falso che sia)
che
due grossi serpenti si avvinghiarono a lui e a du
ui e a due suoi figli e li strangolarono tutti e tre. Fu detto subito
che
questo era un castigo di Minerva, perchè Laocoont
i fare i supremi sforzi per liberarsi da quelli spaventevoli serpenti
che
li cingono con le loro spire. Può vedersene anche
al farne la più eloquente narrazione Virgilio, ne parla anche Dante,
che
mette Sinone nell’Inferno tra i fraudolenti, e fa
la anche Dante, che mette Sinone nell’Inferno tra i fraudolenti, e fa
che
un altro dannato altercando con esso gli rimprove
ieti reo, chè tutto il mondo sallo. » Quanto ai principali guerrieri
che
entrarono nel cavallo sarà bene di conoscerne i n
n ostante non sarà male il sentir come fecero i Troiani, secondo quel
che
Virgilio fa dire da Enea : « Ruiniamo la porta,
mati. Ella per mezzo « Tratta della città, mentre si scuote, « Mentre
che
nell’andar cigola e freme, « Sembra che la minacc
à, mentre si scuote, « Mentre che nell’andar cigola e freme, « Sembra
che
la minacci. » Fu in quel giorno che si avverò l’
l’andar cigola e freme, « Sembra che la minacci. » Fu in quel giorno
che
si avverò l’ultima fatalità di Troia, che consist
nacci. » Fu in quel giorno che si avverò l’ultima fatalità di Troia,
che
consisteva, come dicemmo, nell’atterrare il sepol
il cavallo, venne così ad essere atterrato dai Troiani stessi. Ma più
che
all’insidia del cavallo di legno è probabile che
oiani stessi. Ma più che all’insidia del cavallo di legno è probabile
che
dovessero i Greci la presa di Troia al tradimento
vessero i Greci la presa di Troia al tradimento. Tal ne corse la fama
che
fu accolta come nunziatrice del vero anche da cel
ri scrittori, e tra questi dall’Alighieri. Fu detto antichissimamente
che
Antènore nipote di Priamo ex sorore tradisse i Tr
mamente che Antènore nipote di Priamo ex sorore tradisse i Troiani, e
che
perciò potè uscire illeso di mezzo alle argive sc
crittori greci per non menomare il merito dei loro Eroi nascosero più
che
poterono il tradimento, talchè a noi di quel fatt
appena giunge. » Il sospetto di tradimento cresce ancora dal sapersi
che
Elena dopo la morte di Paride, pur restando nella
i avvenne. Anche di Enea fu detto da qualche scrittore di minor conto
che
egli fosse stato in qualche modo d’accordo coi Gr
o che egli fosse stato in qualche modo d’accordo coi Greci ; ma oltre
che
di sì grave accusa non si trova traccia alcuna in
sì altamente encomiato come il pio Enea nel poema epico di Virgilio,
che
lo stesso Dante ha detto di lui : « Ch’ei fu del
a uno dei più lagrimevoli è quello della morte del vecchio re Priamo,
che
dopo aver veduti spenti i suoi più prodi e più ca
r mano di Pirro. Nè qui si arrestò la vendetta del giovane guerriero,
che
impadronitosi di Polissèna, causa innocente della
one all’ombra di lui. Nè meno miseranda è la fine di Ecuba. Fu allora
che
« Ecuba trista, misera e cattiva, « Poscia che v
e di Ecuba. Fu allora che « Ecuba trista, misera e cattiva, « Poscia
che
vide Polissena morta « E del suo Polidoro in su l
ane ; « Tanto il dolor le fe’ la mente torta. » Gli Antichi dissero
che
Ecuba per aver provato tante sciagure, piangendo
rpretò al tempo stesso secondo le più comuni leggi dell’umana natura,
che
cioè Ecuba, oppressa in sì breve tempo da tanti a
della parola, e negli effetti, da quello delle Sabine), ha dimostrato
che
non è inutile neppure ai giorni nostri lo studio
lo studio dei Classici e della Mitologia. In quel gruppo vedesi Pirro
che
si è impadronito di Polissena e la sostiene col b
ta al suo fianco, mentre colla destra alzando la spada minaccia Ecuba
che
inginocchiata e supplicante tenta invano di tratt
fra i vincitori le prede, nessun’altra maggior premura ebbero i Greci
che
di ritornare in patria dopo tanti anni, tanti per
non eran soltanto di schiavi e di schiave, ma anche di ricchi tesori
che
i Greci non avevan dimenticato di rapire dai troi
che i Greci non avevan dimenticato di rapire dai troiani palagi prima
che
vi giungesser le fiamme. Furon tutti contenti del
vincolo di subordinazione al comandante supremo ; e lo stesso Menelao
che
sempre era stato così concorde col fratello Agame
ine di Troia insieme con Pirro figlio di Achille e gli altri capitani
che
non vollero partire con Menelao. Nel tempo che iv
e e gli altri capitani che non vollero partire con Menelao. Nel tempo
che
ivi si trattenevano per placare con sacrifizii e
Astianatte rimasto solo in quella tomba, e si tratteneva con lui più
che
poteva per fargli compagnia ed avvertirlo del per
on lui più che poteva per fargli compagnia ed avvertirlo del pericolo
che
correva, se fosse scoperto. Ma Pirro se ne accors
sottoposta campagna ove morì sul colpo. Un figlio dell’ucciso Ettore
che
sopravvivesse al padre era sempre un imminente pe
e scultore Lorenzo Bartolini in un gruppo in cui si rappresenta Pirro
che
tiene sospeso in aria il piccolo Astianatte, ed è
Quando Agamennone credè opportuno di partire, tutti i principi greci
che
erano rimasti con esso salparono contemporaneamen
sola di Eubea. Ivi viveva ancora Nauplio padre dell’infelice Palamede
che
fu calunniato da Ulisse ed ucciso ingiustamente d
ato di nuocere in ogni modo alle famiglie ed agli Stati di quei Greci
che
erano andati alla guerra di Troia. Egli dunque al
alla tempesta, ed invece percuotendovi naufragassero ; ma non vi perì
che
Aiace figlio di Oileo, e tutti gli altri si salva
tto anche il minore Aiace per distinguerlo dall’altro Aiace Telamonio
che
si uccise da sè stesso), perì, anzichè per l’insi
idia di Nauplio, per l’ira di Minerva e di Nettuno : Minerva sdegnata
che
nel tempio di lei avesse egli insultato la profet
o ad onta degli Dei e dello stesso Nettuno. Tutti gli altri guerrieri
che
partirono dalla Troade o con Menelao o con Agamen
giunsero salvi nella Grecia. E qui finisce il racconto delle vicende
che
provò l’armata greca nel suo ritorno ; e resta so
ici dei principali guerrieri. E incominciando dal re dei re, troviamo
che
a lui più funesto che agli altri fu il ritorno in
rrieri. E incominciando dal re dei re, troviamo che a lui più funesto
che
agli altri fu il ritorno in patria. Nel tempo del
nesto che agli altri fu il ritorno in patria. Nel tempo della sua più
che
decenne assenza, Egisto suo cugino e figlio di Ti
gamennone e nell’animo di Clitennestra ; ed avendo fatto sparger voce
che
Agamennone fosse morto, avea persuaso la regina a
eppur egli vi prestò fede ; e quindi non potè schivare la trista fine
che
lo attendeva nella sua propria reggia. L’iniquo E
ente il debole e corrotto animo di Clitennestra, da renderla convinta
che
per evitare di essere uccisi entrambi da Agamenno
vitare di essere uccisi entrambi da Agamennone non v’era altro riparo
che
uccider lui. E il re dei re scampato da mille per
ider lui. E il re dei re scampato da mille pericoli, il giorno stesso
che
giunse nel suo regno e nella sua reggia, in mezzo
surpatore tiranno. Egisto, il quale molto prima di Machiavelli sapeva
che
« è necessario all’usurpatore di un trono estirpa
ll’usurpatore di un trono estirpare tutti i « rampolli della famiglia
che
regnava prima di lui, » avea tese insidie alla vi
lla Fòcide. Questa saggia precauzione di Elettra, congiunta alla voce
che
in appresso fece spargere della morte del fratell
otè uccidere Egisto, e nel furore della vendetta, incontrata la madre
che
veniva in soccorso del tiranno, uccise anch’essa
tempo in preda ai rimorsi, sempre accompagnato dal fidissimo Pilade,
che
più e più volte espose la propria vita per salvar
acrificava all’idolo di Diana vit time umane, scelte tra i forestieri
che
vi approdavano nel suo Stato. Quei Mitologi i qua
stieri che vi approdavano nel suo Stato. Quei Mitologi i quali dicono
che
invece di Ifigenia fosse sacrificata una cerva, a
icono che invece di Ifigenia fosse sacrificata una cerva, asseriscono
che
Diana trasportò Ifigenia a far da ministra in que
he Diana trasportò Ifigenia a far da ministra in questi sacrifizii, e
che
essa, quando vi giunsero Oreste e Pilade, riconob
maggior parte del Peloponneso. Egli ebbe un figlio chiamato Tisamène,
che
fu re dopo di lui ; e l’amico Pilade sposando l’e
te tragedie antiche e moderne, e tra le altre a quelle due di Alfieri
che
hanno per titolo il nome del gran re dei re e que
là tornati a Sparta vissero insieme in pace più anni. Ma Elena, morto
che
fu Menelao, essendo odiata da tutti come causa de
isastrosa guerra di Troia, fu costretta a fuggire dal regno di Sparta
che
era il regno dei suoi antenati, e ricoveratasi pr
eno, e diede ad entrambi la libertà ed una parte del regno dell’Epiro
che
era divenuto suo, non si sa bene se per volontà d
idi o Eàcidi 138, fra i quali il più celebre è quel Pirro re di Epiro
che
venne in Italia cogli elefanti a combattere contr
Venne invece in Italia nella Puglia, ove sposò la figlia del re Dauno
che
gli diede per dote una parte del suo regno, ed iv
con lui per distruggere quest’ultimo avanzo di Troia, ricusò dicendo
che
la guerra con quella nazione era stata dannosa ag
di Creta e nipote di Minosse la fondazione di questa città ; ma Omero
che
parla più volte con gran lode del valore di Idome
gran lode del valore di Idomeneo, quanto al suo ritorno dice soltanto
che
« …………. in Creta « Rimenò Idomeneo quanti compag
da vorace. » (Odiss., iii.) È una invenzione dei successivi Mitologi
che
Idomeneo avesse fatto un voto imprudente come que
che Idomeneo avesse fatto un voto imprudente come quello di Jefte ; e
che
volendo adempierlo coll’uccidere il figlio che er
me quello di Jefte ; e che volendo adempierlo coll’uccidere il figlio
che
era stato il primo a venirgli incontro, fu caccia
apitolo separato. LXI I Viaggi di Ulisse « Già tutti i Greci
che
la nera Parca « Rapiti non avea, ne’loro alberghi
Pindemonte.) E lungi rimase dieci anni dopo la presa di Troia senza
che
di lui giungesse alla sua famiglia novella alcuna
oia senza che di lui giungesse alla sua famiglia novella alcuna. E sì
che
vi sarebbe stato bisogno quanto prima della sua p
cciar dalla sua reggia una turba di principi greci delle Isole Ionie,
che
credendolo estinto pretendevano che Penelope sua
principi greci delle Isole Ionie, che credendolo estinto pretendevano
che
Penelope sua moglie si risolvesse a sposare uno d
ndenti) di cui tanto a lungo favella Omero nell’Odissea 139, narrando
che
divoravano le sostanze di Ulisse e passavano il t
promise di far la scelta di uno dei Proci dopo di aver finito un tela
che
avea incominciata ; ma di giorno la tesseva e di
Quindi passò in proverbio la tela di Penelope a significare un lavoro
che
non ha mai termine. In tal modo l’accorta ed affe
e e a Sparta da Menelao e da Elena a dimandarne ; ma dopo la tempesta
che
avea divisa la flotta greca nessuno seppe più nul
flotta greca nessuno seppe più nulla di Ulisse. V’ era però speranza
che
egli vivesse, perchè nessuno aveva detto o sentit
speranza che egli vivesse, perchè nessuno aveva detto o sentito dire
che
ei fosse morto. Infatti Omero dice di Ulisse, «
entito dire che ei fosse morto. Infatti Omero dice di Ulisse, « …..
che
molto errò, poi ch’ebbe a terra « Gittate d’Ilïon
sacre mura ; « Che città vide molte e delle genti « L’indol conobbe ;
che
sovr’esso il mare « Molti dentro del cor sofferse
io e per necessità o forza maggiore. Chi sente dir per la prima volta
che
Ulisse errò per dieci anni, crederà che egli in q
sente dir per la prima volta che Ulisse errò per dieci anni, crederà
che
egli in quel lungo spazio di tempo fosse stato ch
al di là delle acque del Mediterraneo, qualunque sia il nome speciale
che
prende dallo stretto di Gibilterra alle foci del
Don nel Mar d’ Azof. Ma non è da farne le maraviglie, quando sappiamo
che
Ulisse, come gli fa dire anche Dante, stette con
anche Dante, stette con Circe più d’un anno là presso Gaeta « Prima
che
sì Enea la nominasse ; » e poi fu trattenuto dal
coste marittime dei continenti. Nè osta a tal conclusione il viaggio
che
fece Ulisse all’Inferno, perchè quello fu opera d
o scongiuro da Negromanti, ossia evocazione delle anime degli estinti
che
un’impresa propria di Ulisse. Infatti egli stesso
o labbro « Dea veneranda un gonfiator di vele « Vento in poppa mandò,
che
fedelmente « Ci accompagnava per l’ondosa via : «
oppa mandò, che fedelmente « Ci accompagnava per l’ondosa via : « Tal
che
oziosi nella ratta nave « Dalla cerulea prua giac
. di Pindemonte.) E questo viaggio fu compiuto in un sol giorno prima
che
Ulisse abbandonasse l’isola di Circe, mentre a co
dentro i loro veri limiti di tempo e di spazio, determiniamo i luoghi
che
, secondo Omero, egli toccò, e dove più o meno si
e fra la Sicilia e l’Italia, e inoltre nel territorio dei Lestrìgoni,
che
non si trova ben determinato dove fosse precisame
, ossia in Sicilia. Partito da quell’isola e perduti tutti i compagni
che
perirono in una tempesta, arrivò Ulisse nuotando
odigi) « Antiphatem Scyllamque et cum Cyclope Charybdim, » cioè quel
che
avvenne ad Ulisse nel paese dei Lestrìgoni di cui
Antifate chiamava « Dalla pubblica piazza, il rinomato « Marito suo,
che
disegnò lor tosto « Morte barbara e orrenda. Uno
Se il fuggir morte premea loro ; e quelli « Di tal modo arrancavano,
che
i gravi « Massi, che piovean d’alto, il mio navig
emea loro ; e quelli « Di tal modo arrancavano, che i gravi « Massi,
che
piovean d’alto, il mio naviglio « Lietamente schi
’orribile Cariddi, « Che del mare inghiottia l’onde spumose. « Sempre
che
rigettavale, siccome « Caldaia in molto rilucente
iardi, « Scilla rapimmi dal naviglio. Io gli occhi « Torsi, e li vidi
che
levati in alto « Braccia e piedi agitavano, ed Ul
, ed Ulisse « Chiamavan, lassi ! per l’estrema volta. « Qual pescator
che
su pendente rupe « Tuffa di bue silvestre in mare
scampasse è prezzo dell’opera udirlo raccontare a lui stesso secondo
che
lo fa parlare Omero : « Io pel naviglio su e giù
giù movea, « Finchè gli sciolse la tempesta i fianchi « Della carena
che
rimase inerme. « Poi la base dell’albero l’irata
pingean sull’onde. « Zefiro a un tratto rallentò la rabbia : « Se non
che
sopraggiunse un Austro in fretta, « Che, noiandom
ungi le radici, e tanto « Remoti dalla mano i lunghi, immensi « Rami,
che
d’ombra ricoprian Cariddi. « Là dunque io m’atten
nave. Al fine « Dopo un lungo desio vennero a galla. « Nella stagion
che
il giudicante, sciolte « Varie di caldi giovani c
ortava. » (Odiss., xii. Trad. di Pindemonte). Da questa descrizione,
che
è una delle quattro più maravigliose rammentate d
attro più maravigliose rammentate da Orazio nella Poetica, apparisce,
che
a tempo di Omero, o non era stata ancora inventat
che a tempo di Omero, o non era stata ancora inventata l’altra favola
che
Cariddi fosse un mostro marino, come abbiamo acce
ddi fosse un mostro marino, come abbiamo accennato nel Cap. XXVIII, o
che
egli non l’adottò, e preferì soltanto di abbellir
li Antichi, come ora il Maelstrom sulle coste della Norvegia. Di quel
che
avvenne ad Ulisse e ai suoi compagni nell’antro d
zio a riportarla qui tutta ; ma se ne trova il compendio in Virgilio,
che
ne pone il racconto sulle labbra di Achèmene, uno
dei compagni di Ulisse : « ……….. È questo un antro « Opaco, immenso,
che
macello è sempre « D’umana carne, onde ancor semp
« È di sanie e di sangue. Ed è il Ciclopo « Un mostro spaventoso, un
che
col capo « Tocca le stelle (o Dio, leva di terra
restrinse. Ed invocati in prima « I santi Numi, divisò le veci « Sì,
che
parte il tenemmo in terra saldo, « Parte con un g
lui l’ombre de’ nostri. » (Eneid., iii. Traduz. del Caro). Non è già
che
sien questi soli gli splendidi miracoli della poe
marini (V. il N° XXIII) ho detto ancora delle Sirene, ed ho riferito
che
lo stesso Dante trovò il modo d’inserire nella Di
rena, alla quale fa dire, tra le altre cose, ch’ell’era quella stessa
che
attirò Ulisse a passarle vicino per udirla cantar
cantare. Mi affretto dunque a terminar la biografia di Ulisse dicendo
che
, secondo Omero, Ulisse fu ricondotto dai Feaci ne
tuzie, potè finalmente coll’aiuto del figlio e di alcuni suoi sudditi
che
gli erano rimasti fedeli, vendicarsi dei Proci uc
141. Non tutti però gli antichi autori si accordano con Omero a dire
che
Ulisse tornò in Itaca ; anzi alcuni asseriscono c
con Omero a dire che Ulisse tornò in Itaca ; anzi alcuni asseriscono
che
egli fu ucciso prima di giungervi, ed altri che n
zi alcuni asseriscono che egli fu ucciso prima di giungervi, ed altri
che
non tornò più in patria e perì insieme co’ suoi c
e co’ suoi compagni in una tempesta. E quest’ultima opinione è quella
che
segue Dante nella Divina Commedia. Anzi è qui da
o alla stima da aversi dell’indole e delle imprese di Ulisse non meno
che
di Achille. Omero poeta pagano e cantore di Eroi
n attribuisce alcun demerito agli eccessi della forza e dell’astuzia,
che
le fanno divenire barbarie e frode. Ma Dante poet
rie e frode. Ma Dante poeta e filosofo cristiano dopo aver dichiarato
che
« D’ogni malizia ch’odio in Cielo acquista « Ing
spiace a Dio ; » dovè esser perciò assai meno indulgente con Ulisse
che
con Achille. Infatti gli eccessi di Achille dipen
Infatti gli eccessi di Achille dipendevano dall’impeto degli affetti,
che
anche nei tribunali umani sono una causa attenuan
egli affetti, che anche nei tribunali umani sono una causa attenuante
che
induce i giudici a minorare la pena ; ma la malig
no, e fa raccontare a lui stesso la sua fine (molto diversa da quella
che
narra Omero), affinchè sembri più vera ; ed è que
da quella che narra Omero), affinchè sembri più vera ; ed è questa :
che
Ulisse volle passar le colonne d’Ercole, ossia lo
per andare in cerca di nuove regioni nell’Oceano atlantico ; e, quel
che
è più notabile, tenne presso a poco la stessa dir
mai ne avesse vedute, e da quella nuova terra nacque un tal turbine,
che
fece affondar nel mare la sua nave con esso lui e
sua nave con esso lui e tutti i suoi compagni. Queste particolarità,
che
son tutte d’invenzione di Dante, dimostrano che e
Queste particolarità, che son tutte d’invenzione di Dante, dimostrano
che
egli quasi due secoli prima di Colombo e di Paolo
supponeva l’esistenza di nuove terre in mezzo all’Oceano, ma credeva
che
non fossero abitate, poichè le chiama il mondo se
udiato e imparato a memoria. Io ne riporto soltanto le ultime terzine
che
contengono la narrazione della fine di Ulisse pos
poppa in suso, « E la prora ire in giù, come altrui piacque, « In fin
che
‘l mar fu sopra noi richiuso. » LXII Venuta
re un Eroe secondario, molto inferiore ad Ettore, il solo antagonista
che
potesse stare a fronte di Achille. Tutta la fama
solo antagonista che potesse stare a fronte di Achille. Tutta la fama
che
rese uno dei più illustri il nome di Enea e degno
chè venne in Italia e fondò un regno nel Lazio, dal quale derivò Roma
che
fu poi dominatrice del Mondo. Quindi Virgilio lo
compiuto dove di Enea s’impadronisce lo Storico per narrar di lui ciò
che
crede conforme alla verità, o almeno alla morale
almeno alla morale certezza. Noi dunque ne diremo principalmente ciò
che
ne tace T. Livio, e poi accenneremo brevemente qu
ente ciò che ne tace T. Livio, e poi accenneremo brevemente quello in
che
egli concorda coi Mitologi e coi poeti. Enea ebb
alle e conducendo per mano il figlio Ascanio, mentre la moglie Creusa
che
li seguiva d’appresso disparve, nè mai si seppe c
la moglie Creusa che li seguiva d’appresso disparve, nè mai si seppe
che
ne fosse avvenuto : e sebbene Enea si trattenesse
nti mesi sul monte Ida per costruir le navi e per raccoglier compagni
che
lo seguissero nella sua emigrazione, non potè ave
però fermato a lungo in più luoghi. T. Livio per altro dice soltanto
che
Enea profugo dalla patria dopo l’eccidio di Troia
onia, poi nella Sicilia e di là nel territorio di Laurento. Tutto ciò
che
di maraviglioso raccontasi di questo viaggio sino
il taccio ?) « Un sospiroso e lagrimabil suono « Dall’imo poggio odo
che
grida e dice : « Ah perchè sì mi laceri e mi scem
mpi ? « Perchè di così pio, così spietato « Enea ver me ti mostri ? a
che
molesti « Un ch’è morto e sepolto ? a che contami
« Enea ver me ti mostri ? a che molesti « Un ch’è morto e sepolto ? a
che
contamini « Col sangue mio le consanguinee mani ?
ui confitto « M’ha nembo micidiale e ria semenza « Di ferri e d’aste,
che
dal corpo mio « Umor preso e radici han fatto sel
o divenni, « Di Polidoro udendo. Un de’figliuoli « Era questi del re,
che
al tracio rege « Fu con molto tesoro occultament
tracio rege « Fu con molto tesoro occultamente « Accomandato, allor
che
da’Troiani « Incominciossi a diffidar dell’armi,
a diffidar dell’armi, « E temer dell’assedio. Il rio tiranno « Tosto
che
a Troia la fortuna vide « Volger le spalle, anch’
e, anch’ei si volse, e l’armi « E la sorte seguì dei vincitori ; « Sì
che
dell’amicizia e dell’ospizio « E dell’umanità rot
fanciul la vita e l’oro. « Ahi dell’oro empia ed esecrabil fame ! « E
che
per te non osa, e che non tenta « Quest’umana ing
o. « Ahi dell’oro empia ed esecrabil fame ! « E che per te non osa, e
che
non tenta « Quest’umana ingordigia ?143 Dante h
igio di un solo albero ad un’intera selva infernale, immaginando cioè
che
in ciascun albero di quella selva fosse chiusa co
o del famoso Pier delle Vigne, Segretario dell’Imperator Federigo II,
che
essendo calunniato dagl’invidiosi cortigiani e im
ionato si uccise per disdegno144. Ma in qual modo si accorgesse Dante
che
quella selva era animata, e venisse poi a scuopri
e per farne il confronto colla virgiliana invenzione, e assicu- rarsi
che
il nostro sommo poeta gareggiando cogli antichi m
vince : « Io sentia d’ogni parte tragger guai, « E non vedea persona
che
‘l facesse ; « Perch’io tutto smarrito m’arrestai
e ch’io credesse « Che tante voci uscisser tra que’bronchi « Da gente
che
per noi si nascondesse. « Però disse ‘l Maestro :
a un gran pruno ; « E ‘l tronco suo gridò : Perchè mi schiante ? « Da
che
fatto fu poi di sangue bruno, « Ricominciò a grid
ime di serpi. « Come d’un stizzo verde, ch’arso sia « Dall’un de’capi
che
dall’altro geme, « E cigola per vento che va via
’arso sia « Dall’un de’capi che dall’altro geme, « E cigola per vento
che
va via ; « Così di quella scheggia usciva insieme
arole e sangue : ond’io lasciai la cima « Cadere, e stetti come l’uom
che
teme. » Anche l’Ariosto ha fatto cangiare Astolf
e. Noi descrivemmo questi mostri nei Cap. XLV e XLVIII, ed accennammo
che
oltre gli antichi poeti ne avevan parlato anche D
hi poeti ne avevan parlato anche Dante e l’Ariosto. Virgilio racconta
che
i Troiani per non morir di fame furon costretti a
e vivande potevano afferrare, e infettavano le rimanenti ; e aggiunge
che
Celeno 145, la maggiore di esse, presagì ai Troia
; e aggiunge che Celeno 145, la maggiore di esse, presagì ai Troiani
che
in pena di averle offese soffrirebbero talmente l
La quale strana predizione si avverò poi blandamente, perchè le mense
che
i Troiani divorarono furono le focacce che serviv
andamente, perchè le mense che i Troiani divorarono furono le focacce
che
servivan loro di piatto e di tavola quando nelle
finestra 146. » Un ingegnosissimo episodio fu inventato da Virgilio,
che
cioè Enea sospinto dalla tempesta sulle coste di
avesse trovato in quel territorio, ove ora è Tunisi, la regina Didone
che
facea fabbricare la città di Cartagine. Secondo i
e viveva tre secoli dopo la guerra di Troia, e perciò era impossibile
che
avesse conosciuto Enea ; ma per quanto vi sia que
di Belo re di Tiro e Sidone nella Fenicia ; ed ebbe per marito Sichèo
che
poi fu ucciso da Pigmalione fratello di lei, per
offerta, stimò rafforzato il suo nuovo regno, e lasciò correr la fama
che
Enea fosse divenuto sposo di lei che prima avea r
o regno, e lasciò correr la fama che Enea fosse divenuto sposo di lei
che
prima avea rifiutato le nozze con altri principi
ignificare questa città facendo una perifrasi allusiva alla sepoltura
che
ivi diede Enea alla salma di suo padre ; e così l
e mente « D’aprir l’occulte e le future cose. » La Sibilla Cumana,
che
era solita dare agli altri le sue risposte per me
amo parlato a lungo nei Cap. XXIX, XXX e XXXI. E qui è bene osservare
che
di questo viaggio, che nell’Eneide di Virgilio è
Cap. XXIX, XXX e XXXI. E qui è bene osservare che di questo viaggio,
che
nell’Eneide di Virgilio è un episodio, Dante ha f
secoli sorse Roma, sarà opportuno rammentare alcuni luoghi d’Italia,
che
, secondo l’antica tradizione, ebbero il nome, che
ni luoghi d’Italia, che, secondo l’antica tradizione, ebbero il nome,
che
tuttora conservano, da qualcuno dei compagni di E
eso « Vider Miseno indegnamente estinto ; « Miseno, il figlio d’Eolo,
che
araldo « Era supremo, e col suo fiato solo « Poss
lui « Combattendo, or la tromba ed or la lancia « Adoperava : e poi
che
‘l fiero Achille « Ettore ancise, come ardito e f
ltri Enea. » Qui il poeta fa una lunga descrizione dei funebri onori
che
furon resi a Miseno, e termina dicendo : « Oltre
ntuosa mole, « E l’armi e ‘l remo e la sonora tuba « Al monte appese,
che
d’Aerio il nome « Fino allor ebbe, ed or da lui n
eriva Virgilio, finchèsarà in onore la lingua latina. Nè può credersi
che
sia questa una mera invenzione di Virgilio, poich
stesso modo l’aggettivo Caietanus divenne Gaetano. Anche Dante ripete
che
alla città di Gaeta fu dato questo nome da Enea,
no, facendo dire ad Ulisse : « ……………… Quando « Mi dipartii da Circe,
che
sottrasse « Me più d’un anno là presso a Gaeta. «
da Circe, che sottrasse « Me più d’un anno là presso a Gaeta. « Prima
che
sì Enea la nominasse, » volle fare intendere che
so a Gaeta. « Prima che sì Enea la nominasse, » volle fare intendere
che
Ulisse avea navigato lungo le coste d’Italia prim
fare intendere che Ulisse avea navigato lungo le coste d’Italia prima
che
vi giungesse Enea, come difatti si deduce dai poe
Tevere, allora chiamato il fiume Àlbula, si avanzò in quella regione
che
doveva divenir sì celebre nella storia con la cit
vio, concordano coi poeti, e principalmente con Virgilio, ad asserire
che
Enea strinse alleanza con Latino re di Laurento n
o re di Laurento nel paese dei Latini, e ne sposò la figlia Lavinia ;
che
sostenne una pericolosissima guerra contro di Tur
secondo alcuni, promesso sposo di Lavinia, e lo vinse ed uccise 152 ;
che
fondò in onor di sua moglie la città di Lavinio,
d uccise 152 ; che fondò in onor di sua moglie la città di Lavinio, e
che
in appresso Ascanio figlio suo e di Creusa, fabbr
perchè si stendeva lungo il dorso del colle Albano153 ; e finalmente
che
Enea morì due anni dopo, e fu adorato come un Ind
sostituirsi alla Mitologia, la sana critica per altro ci fa conoscere
che
nei primi tre secoli di Roma alla verità istorica
nvien parlare pur anco delle principali superstizioni del Paganesimo,
che
derivarono dal culto di tali Dei : il che faremo
perstizioni del Paganesimo, che derivarono dal culto di tali Dei : il
che
faremo nei seguenti capitoli. LXIII Della Di
noscere il futuro, e al tempo stesso una classica illusione a credere
che
facilmente se ne potesse squarciare il velo. Ma a
ente se ne potesse squarciare il velo. Ma appena vi furono gli stolti
che
ciò credetter possibile, si trovaron subito gl’im
i stolti che ciò credetter possibile, si trovaron subito gl’impostori
che
asserirono di possederne il privilegio o il segre
one delle Divinità Superiori ; ora convien parlare della Divinazione,
che
incominciata nei tempi preistorici fu il perpetuo
nterpretazione della volontà di essi. Quindi è fondata sulla credenza
che
gli Dei manifestino agli uomini la loro volontà e
po soggiunge : cosa veramente magnifica e salutare, se però esiste, e
che
avvicina l’umana natura all’essenza divina 154. C
rone argomenta molto a lungo e molto sillogisticamente per dimostrare
che
la Divinazione non esiste 155 ; ma noi non avremo
imostrazione, dopo quanto abbiam detto parlando degli Oracoli, e dopo
che
gli Dei del Paganesimo furon riconosciuti falsi e
n Europa. I Greci la chiamarono in loro linguaggio Mantiche, vocabolo
che
significa furore, esaltazione mentale ; quindi la
inii ed i sogni : l’artificiale tutte le altre specie di divinazione,
che
si facevano derivare dal canto e dal volo degli u
di origine latina, e Cicerone la fa derivare da superstite, dicendo «
che
tutti coloro i quali ogni giorno pregavano gli De
ni giorno pregavano gli Dei e ad essi immolavano vittime per ottenere
che
i loro figli fossero superstiti (cioè sopravvives
ero ai genitori) furon chiamati superstiziosi 157 ; » ed aggiunge poi
che
quel vocabolo di superstizione ebbe in appresso u
le stolte e vane pratiche religiose, proprie delle vecchie imbecilli
che
hanno un irrazionale terror degli Dei. Quindi egr
nale terror degli Dei. Quindi egregiamente Bacone da Verulamio asserì
che
la superstizione altro non è veramente che un ter
Bacone da Verulamio asserì che la superstizione altro non è veramente
che
un terror pànico. Cicerone inoltre ci fa sapere
non è veramente che un terror pànico. Cicerone inoltre ci fa sapere
che
non è stato egli il primo a far questa distinzion
i fa sapere che non è stato egli il primo a far questa distinzione, e
che
non solo i filosofi, ma anche gli antichi romani
eri per filo e per segno tutte le idee e le pratiche del culto pagano
che
egli credeva superstiziose, a noi basta il sapere
utte le sue parti, specie e distinzioni, come indicammo di sopra : il
che
in altri termini equivale a dire che la Divinazio
ni, come indicammo di sopra : il che in altri termini equivale a dire
che
la Divinazione di qualunque genere o specie era u
one. Ma perchè gli scrupolosi politeisti di quel tempo non credessero
che
dicendo egli così mirasse ad abbattere la religio
e ad abbattere la religione, oltre all’avere accennata la distinzione
che
facevano non solo i filosofi ma ancora i più cele
i antichi romani fra religione e superstizione, asserisce formalmente
che
col toglier la superstizione non si toglie già la
er la superstizione non si toglie già la religione, facendo intendere
che
invece si purifica e si nobilita eliminandone ciò
cendo intendere che invece si purifica e si nobilita eliminandone ciò
che
vi sia stato intruso di vano e di irrazionale dal
Trattandosi in questo capitolo di quel genere di divinazione soltanto
che
credevasi derivare da spirito profetico negl’Indo
e soltanto che credevasi derivare da spirito profetico negl’Indovini,
che
erano considerati come i profeti dei Pagani, bast
i più celebri dell’Epoca eroica. Tra i quali ha maggior fama Tiresia,
che
era Tebano e viveva ai tempi della guerra dei set
della guerra dei sette Prodi. Di lui si raccontano più mirabili fatti
che
di qualunque altro indovino. Basti il rammentare
ù mirabili fatti che di qualunque altro indovino. Basti il rammentare
che
fu detto e creduto che egli avendo un giorno perc
qualunque altro indovino. Basti il rammentare che fu detto e creduto
che
egli avendo un giorno percosso colla sua verga du
eduto che egli avendo un giorno percosso colla sua verga due serpenti
che
si battevano, fu cangiato in femmina, e che sette
la sua verga due serpenti che si battevano, fu cangiato in femmina, e
che
sette anni dopo ritrovando quegli stessi serpenti
l Canto xx dell’Inferno, ove Virgilio così gli dice : « Vedi Tiresia
che
mutò sembiante « Quando di maschio femmina divenn
verga, « Che riavesse le maschili penne. » La qual favola significa
che
egli conosceva più d’ogni altro i pregi e i difet
di ambedue i sessi ; e perciò appunto inventarono i Mitologi antichi,
che
Tiresia fosse chiamato a decidere una questione i
izione dell’uomo o della donna ; e poichè egli diede ragione a Giove,
che
cioè fosse più felice la donna, Giunone per dispe
rofetico. Perciò divenne così famoso, e fu creduto infallibile, tanto
che
niuno osava dubitare della veracità dei suoi pres
uoi presagi. Avendo egli detto nel tempo della guerra dei Sette Prodi
che
Tebe non sarebbe vinta, se per la patria avesse s
cuni, o trafiggendosi colla propria spada 161. Quando Tiresia presagì
che
sarebbe saccheggiata la città, molti Tebani esula
andarono a cercar nuove terre ed una nuova patria. Credevasi inoltre
che
anche dopo la morte egli avesse conservato lo spi
destini. Ebbe Tiresia una figlia chiamata Manto, indovina anche essa,
che
esercitò, finchè visse, l’arti paterne, e dopo av
ar sue arti, « E visse, e vi lasciò suo corpo vano. « Gli uomini poi
che
intorno erano sparti « S’accolsero a quel luogo c
erano sparti « S’accolsero a quel luogo ch’era forte « Per lo pantan
che
avea da tutte parti. « Fer la città sovra quell’o
da tutte parti. « Fer la città sovra quell’ossa morte ; « E per colei
che
il luogo prima elesse, « Mantova l’appellar senz’
Mantova l’appellar senz’altra sorte. » Tale è l’origine di Mantova,
che
Dante fa raccontare a Virgilio stesso, ed assicur
di Mantova, che Dante fa raccontare a Virgilio stesso, ed assicurare
che
questa è la verità, e che qualunque altra asserzi
raccontare a Virgilio stesso, ed assicurare che questa è la verità, e
che
qualunque altra asserzione è una menzogna. Meno r
ltra asserzione è una menzogna. Meno rammentato, sì dai poeti antichi
che
dai moderni, è Trofonio ; ma poichè ne parlano Ci
to, convien darne qualche notizia. Trofonio era un insigne architetto
che
in Lebadia, nella Beozia, scavò un antro nel qual
a chi andasse a consultarlo ; ed ivi morì di fame. Si aggiunse dipoi
che
un Genio andò ad abitare e a dar responsi in quel
dipoi che un Genio andò ad abitare e a dar responsi in quella caverna
che
si continuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma c
in quella caverna che si continuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma
che
era un luogo così orrido che chiunque vi discende
inuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma che era un luogo così orrido
che
chiunque vi discendeva diveniva poi tanto serio e
sì orrido che chiunque vi discendeva diveniva poi tanto serio e mesto
che
non rideva mai più finchè vivesse. Perciò di un u
he non rideva mai più finchè vivesse. Perciò di un uomo malinconico e
che
sembrasse spaurato dicevasi dai Greci, come in pr
onico e che sembrasse spaurato dicevasi dai Greci, come in proverbio,
che
era disceso nell’antro di Trofonio. Dell’indovino
nor fama fia laudabile tacerci, e concluder di tutti in generale quel
che
abbiamo accennato in principio, che cioè l’arte l
ncluder di tutti in generale quel che abbiamo accennato in principio,
che
cioè l’arte loro era un effetto d’impostura da un
di stupida credulità dall’altro ; e decisiva è la sentenza di Dante,
che
li condanna tutti quanti, antichi e moderni, all’
la incidentalmente rammentando in una similitudine la Sibilla Cumana,
che
dava i suoi responsi colle foglie nella sua caver
ibilla. » (Parad., xxxiii, v. 65). Anche gli scrittori ecclesiastici
che
composero polemiche e sillogizzarono contro le fa
venuta del Messia e su diversi fatti della vita di lui 163. Quindi è
che
le immagini delle Sibille si trovano anche nelle
eci Sibille, sotto ciascuna delle quali è posta una iscrizione latina
che
accenna qual fosse la profezia a ciascuna di esse
a a ciascuna di esse attribuita164. Non dovrà dunque recar maraviglia
che
se ne parli con tanto rispetto dagli storici lati
li con tanto rispetto dagli storici latini e dallo stesso T. Livio, e
che
si ammetta tra i fatti istorici che Tarquinio Pri
latini e dallo stesso T. Livio, e che si ammetta tra i fatti istorici
che
Tarquinio Prisco avesse comprato da una donna mis
libri sibillini. I quali poi furon tenuti in sì gran conto daì Romani
che
ne affidarono la conservazione e la interpretazio
a o di qualche altra pubblica sventura. Non potremo ammetter di certo
che
le Sibille fossero profetesse ispirate dal Dio di
erto che le Sibille fossero profetesse ispirate dal Dio di Abramo, nè
che
gli Dei falsi e bugiardi potessero accordar loro
etica. Non si deve dunque cercarne la spiegazione nel soprannaturale,
che
può essere oggetto di fede nelle idee religiose,
enze umane. Solo potremo rendercene una ragione probabile riflettendo
che
Sibille chiamavansi le sacerdotesse del culto di
i responsi, poichè avevano imparato anch’esse quel gergo amfibologico
che
potea significar bianco o nero, retto o curvo a p
degl’interpreti o degl’interessati ad intendere in un modo piuttosto
che
in un altro. Molti dei loro responsi eran conserv
ati e attribuiti alle Sibille ; e siccome si credè, e forse era vero,
che
alcune di queste Sacerdotesse preferissero una vi
ini comprati da Tarquinio. Se poi quelle donne girovaghe e misteriose
che
si spacciavano per Sibille fossero state o no sac
assicurarlo, e si credeva più facilmente l’inesplicabile maraviglioso
che
il dimostrabile positivo. E poichè era utile ai r
. E poichè era utile ai reggitori degli Stati per facilità di governo
che
il popolo fosse così credulo ed ignorante, non so
le Sibille rammentate dagli Antichi più pel luogo della loro nascita
che
pel nome loro o dei loro parenti ; ma dieci solta
no le seguenti : 1ª La Sibilla Persica, di cui fece menzione Nicànore
che
scrisse le gesta di Alessandro Magno. 2ª La Sibil
ª La Sibilla Dèlfica, di cui parlò il filosofo Crisippo in quel libro
che
egli compose sulla Divinazione. 4ª La Sibilla Cum
pose sulla Divinazione. 4ª La Sibilla Cumea, ossia di Cuma in Italia,
che
è rammentata da Nevio, da Pisone e da Virgilio. 5
rammentata da Nevio, da Pisone e da Virgilio. 5ª La Sibilla Eritrèa,
che
nacque in Babilonia come afferma Apollodoro, asse
a Eritrèa, che nacque in Babilonia come afferma Apollodoro, asserendo
che
era sua concittadina. 6ª La Sibilla Samia, di cu
concittadina. 6ª La Sibilla Samia, di cui Eratòstene lasciò scritto
che
ne era stata fatta menzione negli antichi annali
mato anticamente Marpessio. 9ª LaSibilla Frigia, della quale fu detto
che
vaticinò in Ancira. 10ª La Sibilla Tiburtina, oss
Orazio in una delle sue Odi165. 71. Dicono gli scrittori antichi
che
alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima
crittori antichi che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima
che
apparteneva al regno della Colchide. Perciò Medea
mihi notum nil, nisi Phasis, erat. » E i Naturalisti confermano quel
che
dice il fagiano di Marziale ; poichè chiamano Fag
o di Marziale ; poichè chiamano Fagiano del Fasi la specie più comune
che
si conserva e moltiplica nelle fagianiere. 72.
comune che si conserva e moltiplica nelle fagianiere. 72. Ovidio,
che
fu relegato nell’antica città di Tomi sul Mar Ner
i sul Mar Nero presso Odessa, ci dice in una elegia (Trist. iii, 9ª),
che
Medea uccise e fece a pezzi il suo fratello Absir
ea uccise e fece a pezzi il suo fratello Absirto in quella regione, e
che
la città ivi dipoi fabbricata dai Milesii fu dett
vi dipoi fabbricata dai Milesii fu detta appunto Tomi, greco vocabolo
che
significa dissezione (e dal quale fu composto pur
eticamente tutto l’atroce delitto di Medea, ed asserito con sicurezza
che
questo nome di Tomi lo aveva il territorio anche
sicurezza che questo nome di Tomi lo aveva il territorio anche prima
che
vi fosse fabbricata la città : « Sed vetus huic
« Constat ab Absyrti cœde fuisse loco. » I Geografi moderni credono
che
l’attuale città di Ovidiopol, fabbricata da Cater
ter, sia sul luogo stesso dell’antica Tomi dove fu relegato Ovidio, e
che
perciò fosse chiamata Ovidiopol (città d’Ovidio)
chiezza, e viver più a lungo. Disgraziatamente la Storia ci fa sapere
che
questo barbaro metodo curativo (il quale, general
condannata anche per legge. Non ostante si asserisce da alcuni autori
che
di tanto in tanto i medici francesi ne abbiano ri
V. il giornale La Nazione del 23 novembre 1872). È da sapersi inoltre
che
il Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere i
tuzioni Oratorie, nel lodare questa tragedia ne riporta un sol verso,
che
è tanto citato ed analizzato dai retori e dai log
ingenio suo temperare quam indulgere maluisset. » — E Ovidio stesso,
che
per lo più rammenta modestamente altre sue Opere,
di quella eroica), parlerò qui brevemente della principal maraviglia
che
gli Antichi raccontavano di Arione, vissuto sei i
into, colmo di ricchezze acquistate col canto e col suono, i marinari
che
lo riconducevano a Metimna sua patria nell’isola
sul dorso sino alla costa del Peloponneso. Di questo fatto mitologico
che
credevasi accaduto in tempi storici parlano anche
evasi accaduto in tempi storici parlano anche Erodoto e Cicerone, non
che
i poeti : tra i quali Ovidio lo racconta a lungo
asti, e chiude la sua narrazione con le lodi del delfino e col premio
che
ebbe dagli Dei di esser cangiato nella costellazi
e col premio che ebbe dagli Dei di esser cangiato nella costellazione
che
porta quel nome : « Dì pia facta vident : astris
le sia celebrato da tutti i più antichi poeti, incominciando da Omero
che
accenna a cantici e poemi antichissimi in onore d
preziosa (feldspato) ordinariamente di colore verdastro o olivastro,
che
si scava nelle regioni prossime a quel gran fiume
ava nelle regioni prossime a quel gran fiume. 88. I Mitologi dissero
che
Espero fu cangiato in quella stella omonima che p
8. I Mitologi dissero che Espero fu cangiato in quella stella omonima
che
prima comparisce la sera dalla parte di occidente
latino e vespero in italiano. Ma questa stella non è veramente altro
che
il pianeta di Venere. Infatti, troviamo che anche
lla non è veramente altro che il pianeta di Venere. Infatti, troviamo
che
anche Cicerone nel lib. ii De Nat. Deor. lasciò s
ntio, « Disse a me : Fatti in qua, si ch’io ti prenda : « Poi fece sì
che
un fascio era egli ed io. » (Inf., C. xxxi, v. 1
e di Ercole esiste in greco un elegantissimo Idillio del poeta Mosco,
che
fu tradotto squisitamente da quel sommo ingegno d
. le Metamorfosi di Ovidio,lib. ix, dal principio. 94. Vedasi l’inno
che
Virgilio nel lib. viii dell’Eneide afferma cantat
cole. 95. Vedasi la canzone di Fulvio Testiintitolata : La virtù più
che
la nobiltà fa l’uomo ragguardevole. 96. « Castor
precetti sul modo di ordinare e comporre il poema epico non fa altro
che
portar l’ esempio del modo tenuto da Omero, del q
…..) V’era anche un altro proverbio in latino : ab ovo usque ad mala,
che
voleva significare dal principio alla fine ; ma q
roverbio alludeva al principio e alla fine dei pranzi antichi romani,
che
incominciavano coll’ imbandigione delle uova e fi
punta degli altri 12 parafulmini non si vide nulla. Però è da notare
che
il parafulmine della cupola si eleva molto al di
ore 8 e 45 minuti e finì alle 9 50. La mattina seguente fu osservato
che
le punte del parafulmine del telegrafo avevano pe
le punte del parafulmine del telegrafo avevano perduto la doratura, e
che
v’ erano dei segni a zig-zag sulla lamina che com
perduto la doratura, e che v’ erano dei segni a zig-zag sulla lamina
che
comunica col suolo. I contadini delle vicinanze d
la lamina che comunica col suolo. I contadini delle vicinanze dissero
che
una mezz’ ora prima che incominciasse la bufera,
ol suolo. I contadini delle vicinanze dissero che una mezz’ ora prima
che
incominciasse la bufera, i buoi muggivano tanto d
riflesso della luce divina. 101. Alcuni Mitologi inventarono ancora
che
Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto
ora che Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto al naturale
che
i tori mugghiavano intorno ad essa credendola viv
v. 233.) La caduta d’Icaro fu dipinta dal Domenichino in un quadretto
che
vedesi nella Galleria Farnese. 105. Lo stesso
a facilità di verso e di locuzione, accenna, tra le altre somiglianze
che
diedero motivo alla trasformazione del giovinetto
» 106. A più forte ragione può applicarsi ai fatti mitologici quel
che
afferma Sallustio dei fatti storici degli Atenies
rse in rovina « Andrà Parnaso senza il tuo Sonetto ? « Lascia a color
che
a tanto il Ciel destina « L’opra scabrosa ; o per
più l’ingegno affina. » 108. Con queste ultime parole sembrerebbe
che
Plutarco lodasse e dichiarasse più giusta di tutt
ta di tutte la pena del taglione. Notino peraltro i giovani studiosi,
che
sebbene anticamente fosse creduta tale, e sia anc
nel lib. xii delle Metamorfosi, e la fa raccontare al vecchio Nestore
che
vi si era ritrovato presente e vi avea preso part
so parte. 114. Virgilio peraltro asserisce nel lib. vi dell’Eneide
che
Teseo non fu liberato, e che resterà eternamente
raltro asserisce nel lib. vi dell’Eneide che Teseo non fu liberato, e
che
resterà eternamente nell’Inferno : « ……. Sedet æ
nde pianse Ifigenia il suo bel volto ; ecc. » 116. Dante ammette
che
Ippolito fosse costretto a partir d’Atene per le
lib. ii) da quei guerrieri della greca città di Pisa nel Peloponneso,
che
nel loro ritorno dalla guerra di Troia furono spi
ei tempi eroici. Cade qui in acconcio il riferire com’egli interpretò
che
i principi e gli eroi antichi erano dati ad educa
Ercole e di Giasone, ed ora diciamo di Achille) al Centauro Chirone,
che
era, come tutti gli altri Centauri, mezzo uomo e
ti gli altri Centauri, mezzo uomo e mezzo bestia. Ecco la spiegazione
che
ne dà il Machiavelli : « Dovete dunque sapere co
di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone Centauro,
che
sotto la sua disciplina li custodisse : il che no
re a Chirone Centauro, che sotto la sua disciplina li custodisse : il
che
non vuol dire altro l’avere per precettore un mez
ire altro l’avere per precettore un mezzo bestia e mezzo uomo, se non
che
bisogna ad un principe sapere usare l’una e l’alt
ra non è durabile. » — (Il Principe, cap. xviii.) Bisogna però notare
che
il Machiavelli parlava del principato assoluto o
otare che il Machiavelli parlava del principato assoluto o dispotico,
che
in oggi è divenuto un mestiere fallito ; quindi a
al principe costituzionale devesi suggerire il precetto opposto, cioè
che
tenga intorno a sè per consiglieri meno Centauri
to opposto, cioè che tenga intorno a sè per consiglieri meno Centauri
che
sia possibile. 123. Chi fosse vago di conoscere
ortata nell’ Atheneum, del 7 novembre 1874, celebre periodico inglese
che
si pubblica in Londra, ed è diffuso per tutto. 1
m sanguine fudit. » (Virg., Æ-neid. ii, 525-532.) 136. Il Giusti,
che
bene a ragione ammirava le opere del Bartolini, v
iunto a compieta, « Lorenzo, come mai « Infondi nella creta « La vita
che
non hai ? » 137. Cicerone nel De Amicitia e
Pirro è chiamato Eacide, alludendosi allo stipite di quella dinastia,
che
fu Eaco, avo di Achille. 139. La parola Odissea
fu Eaco, avo di Achille. 139. La parola Odissea deriva da Odisseo,
che
era il greco nome di Ulisse ; e perciò quel poema
nella nostra lingua per lo più si seguono i Latini e non si fa altro
che
tradurli. Essi conservarono al poema di Omero il
e fanno gl’Italiani. 140. Quest’isola di Ogige dicevasi e credevasi
che
fosse situata nel mar Tirreno presso le coste del
corrisponda : perciò taluni la credono un’isola favolosa, come la Dea
che
vi risiedeva. 141. Essendo Ulisse figlio di Laer
divini. 142. Anche nel Canto xxvii del Paradiso conferma l’opinione
che
Ulisse fosse annegato nell’Oceano Atlantico, e ri
amoso « ….. Quid non mortalia pectora cogis, « Auri sacra fames ? »
che
Virgilio proferì « Crucciato quasi all’umana nat
quali parole il can. Bianchi fa la seguente annotazione : « È inutile
che
io osservi che il virgiliano Quid non mortalia pe
can. Bianchi fa la seguente annotazione : « È inutile che io osservi
che
il virgiliano Quid non mortalia pectora cogis ecc
ha propriamente il senso a cui è tirato qui. » È vero, io soggiungo,
che
Dante voleva applicare il detto virgiliano ai pro
re il detto virgiliano ai prodighi e non agli avari, e potrebbe darsi
che
lo avesse interpretato come gli faceva comodo ; m
avesse interpretato come gli faceva comodo ; ma forse è più probabile
che
nelle copie di Virgilio vedute da Dante fosse scr
irgilio vedute da Dante fosse scritto Cur invece di Quid, come dicesi
che
si trovi tuttora in qualche antico manoscritto de
qualche antico manoscritto dell’Eneide. 144. Son queste le parole
che
Dante fa dire a Pier delle Vigne : « L’animo mio
145. I poeti ci hanno conservato il nome anche di due altre Arpie,
che
eran chiamate Occìpete e Aello. Il numero ternari
Sicheo ed a Creusa. » (Parad. xix, 97.) Rammenta ancora col biasimo
che
si merita Pigmalione, fratello di lei : « Noi ri
rgat. xx, 103.) 148. Perciò Dante, parlando di Didone, disse di lei
che
ruppe fede al cener di Sicheo. 149. E celebre i
49. E celebre in Virgilio (Eneide, lib. iv) l’imprecazione di Didone
che
sembra un presagio delle guerre Puniche e delle t
presagio delle guerre Puniche e delle tremende battaglie di Annibale
che
tanta strage fecero dei Romani e misero in forse
a da Napoli. 152. I poeti latini, e principalmente Virgilio, dicono
che
la regina Amata moglie del re Latino, aveva prome
ata moglie del re Latino, aveva promessa Lavinia in isposa a Turno, e
che
quando vide la sorte delle armi favorevole ad Ene
Ancisa t’hai per non perder Lavina ; « Or m’hai perduta ; i’son essa
che
lutto, « Madre, alla tua pria ch’all’altrui ruina
De Divinat., ii, 72.) 160. Si noti come Dante avendo detto di sopra
che
Tiresia diventò femmina, usa qui il pronome le, c
mina. Perciò usa il pronome di genere femminile. 161. Alcuni credono
che
quella celebre statua detta comunemente il Gladia
o che quella celebre statua detta comunemente il Gladiator moribondo (
che
vedesi in una delle sale della Galleria Capitolin
itolina in Roma) rappresenti Meneceo. — E questa una di quelle statue
che
dai primi repubblicani francesi furono portate a
alche cosa di misterioso, poichè, secondo alcuni Etimologisti, vuolsi
che
sia una parola composta che in lingua greca signi
ichè, secondo alcuni Etimologisti, vuolsi che sia una parola composta
che
in lingua greca significhi per decreto divino, qu
to riconoscere nelle Sibille una missione divina. 163. In quell’inno
che
la Chiesa cattolica recita o canta in suffragio d
no che la Chiesa cattolica recita o canta in suffragio dei defunti, e
che
incomincia colle parole Dies iræ, è rammentata l’
Prefazione. Molte sono le opere
che
trattano della Mitologia, e dotte, e voluminose ;
lla Mitologia, e dotte, e voluminose ; ma poche sono le elementari, e
che
servir possano utilmente alla gioventù d’introduz
te alla gioventù d’introduzione a questo studio non meno interessante
che
ameno, e necessario sopratutto all’intelligenza d
atutto all’intelligenza de’ Classici antichi, e moderni. Il ristretto
che
ora vien presentato al Pubblico per uso dei Reali
icavato con sobrietà e giudizio dai migliori mitologi tanto Italiani,
che
oltramontani, e si è pensato di escluderne non so
tutte le superflue dilucidazioni della favola, e tutte l’espressioni
che
avessero potuto, benchè in minima guisa, ledere l
ai Napoletani ne’ secoli vetusti, colla spiegazione delle anticaglie,
che
oggigiorno anche si ammirano nella nostra Città.
icaglie, che oggigiorno anche si ammirano nella nostra Città. Sperasi
che
questo lavoro sia come altra volta benignamente a
e prima Della Mitologia in generale. La Mitologia1 non è altro
che
la Storia, e la spiegazione della favola. L’indic
significano discorso sulla favola. La serie numerosa delle avventure,
che
andando innanzi osserveremo, non sono in sostanza
enture, che andando innanzi osserveremo, non sono in sostanza per noi
che
semplici favole : noi le consideriamo come piacev
orale. Gli Egiziani, presso de’ quali ebbero la loro origine, i Greci
che
le accolsero, ed i Romani, che parimente le adott
quali ebbero la loro origine, i Greci che le accolsero, ed i Romani,
che
parimente le adottarono, riguardavano questi imma
misteriosi da non doversene punto dubitare, e non vedevano nel tutto,
che
il sistema di religione dagl’Iddj ad essi present
el tutto, che il sistema di religione dagl’Iddj ad essi presentato, e
che
i Poeti, ed i Savj colle cure più sollecite aveva
dato le più plausibili congetture con fabbricare altresì de’ sistemi,
che
potessero appagare almeno la fantasia : ma non ma
lle favole l’abbozzo di varj effetti naturali2 : altri hanno creduto,
che
contenessero precetti di morale ; parecchi si son
uto, che contenessero precetti di morale ; parecchi si sono avvisati,
che
racchiudessero istoriche verità sfigurate dalla b
arria di una immaginazione amica della menzogna : non esclusi coloro,
che
hanno ravvisato nella favola diverse figure simbo
a scelta. Vi sono bensì delle favole, il di cui sviluppo è si chiaro,
che
per negarlo bisognerebbe rinunciare all’istessa e
In quelle solamente non si può perdere di vista l’oggetto misterioso,
che
l’antichità si ha prefisso, senza determinarci ad
noi accennate, ciò è stato per fare intendere alla gioventù studiosa,
che
le favole non sono puerili invenzioni a capriccio
? Ecco la risposta. In rapporto alla morale, il frutto non può essere
che
scarsissimo : ma per l’opposto ci fornirà di gran
vapori, è Giove armato per ispaventare i mortali. Sorge una tempesta,
che
sgomenta il Nocchiero, è Nettuno sdegnato, che me
i. Sorge una tempesta, che sgomenta il Nocchiero, è Nettuno sdegnato,
che
mette le onde in sconquasso. L’eco non è più un s
o sdegnato, che mette le onde in sconquasso. L’eco non è più un suono
che
rimbomba nell’acre, è una Ninfa, che si duole, o
quasso. L’eco non è più un suono che rimbomba nell’acre, è una Ninfa,
che
si duole, o piange la morte di Narciso. Così il p
tate invenzioni. Omero non è sempre di accordo con Esiodo : e Ovidio,
che
visse molto dopo, ha sovente opinioni diverse dag
sovente opinioni diverse dagli altri. Questa circostanza ci avverte,
che
gli antichi scrittori si assumevano il dritto di
tenere un posto nel cielo ad un novello Dio1. Ma fa d’uopo osservare,
che
la maggior parte di questi Dei sconosciuti nel si
ogia in generale. Noi faremo immediatamente la numerazione degli Dei,
che
riscuotevano un culto più esteso, e perciò detti
le, e Proserpina 2. Vedremo in seguito le Divinità di secondo ordine,
che
preseggono ai campi, ai fiori, agli arbori, in gu
ondo ordine, che preseggono ai campi, ai fiori, agli arbori, in guisa
che
Pane, Pomona, Vertunno, e tanti altri sono allega
ltresì una moltitudine di favole accoppiate alla storia degli Dei, ma
che
per altro non forma una parte del sistema religio
ente gli Uomini fermi nel principio di un’idea sublime, e consolante,
che
la Divinità regnasse sovranamente da pertutto, as
egno fra gli Dei, e nel dritto di riscuotere gli omaggi de’ mortali :
che
anzi a lui non si faceva offerta di veruna sorta,
re sulla sua testa. Si dà ancora il nome di Caos alla mole indigesta,
che
formavano gli elementi prima che fossero segregat
il nome di Caos alla mole indigesta, che formavano gli elementi prima
che
fossero segregati. Ecco il sublime tratto di Ovid
’Anguillara, nel quale troviamo descritto cotesto scioglimento. Pria
che
il Ciel fosse, il mar, la terra, e ’l fuoco : Era
o Fatto intorno alla terra il vario Lido. ……………………………… Quindi nascea,
che
stando in un composto Confuso il Ciel, e gli elem
o : Contro il secco l’umor, col freddo il caldo. ……………………………… Ma quel
che
ha cura di tutte le cose, La natura migliore, e ’
squarcio di questo celebre pezzo di Ovidio, per far conoscere l’idea,
che
avevano gli antichi della Creazione : credevano e
ere l’idea, che avevano gli antichi della Creazione : credevano essi,
che
la materia fosse eterna, e che l’alta potenza del
ichi della Creazione : credevano essi, che la materia fosse eterna, e
che
l’alta potenza del Creatore l’avesse posta in mot
io, e presso il suo anzidetto traduttore. Il Cielo. Urano (parola
che
significa il Cielo) è il più antico degli Dei. Eg
, e sposò sua sorella Gè, o Titèa, eioè la Terra. Ebbero molti figli,
che
da Titèa furon detti Titani, o figli della Terra.
Briarèo, Gige. La terra altresì concepì dal Tartaro il gigante Tifeo,
che
molto si distinse nella guerra degli Dei. Urano,
l gigante Tifeo, che molto si distinse nella guerra degli Dei. Urano,
che
temeva per parte de’ figli, li rinchiuse secondo
egli Dei. Urano, che temeva per parte de’ figli, li rinchiuse secondo
che
nacquero in un abisso, ove il giorno non penetrav
l’usurpazione il parricidio, mutilò suo padre con una falce di ferro,
che
sua madre gli avea dato. Dal sangue di Urano, che
una falce di ferro, che sua madre gli avea dato. Dal sangue di Urano,
che
si sparse sulla terra nacquero i Giganti, e le tr
sparse sulla terra nacquero i Giganti, e le tre Furie : quella parte,
che
si mischiò colla schiuma del mare produsse Venere
cederlo, e lo ritenne per se. Si venne pertanto ad un aggiustamento,
che
gli propose Titano, col quale Saturno si obbligav
o a tale trattato, per avergli Urano presagito stando presso a morte,
che
uno de’ suoi figli lo avrebbe sbalzato dal Trono,
Giove fu esente da tale disgrazia, mercè le cure di Cibele sua madre,
che
accorgendosi essere incinta, volle questa volta s
rdava la sola prole maschile. Giove divenuto adulto debellò i Titani,
che
nuovamente avevano dichiarata la guerra a Saturno
r sottrarsi dall’ira di Giove. Fu accolto da Giano, principe Tessalo,
che
regnava allora nel Lazio. Col consiglio, ed assis
ben vivere sotto il governo delle leggi. Finalmente durante il tempo
che
Saturno conversò con gli uomini, fu sì grande la
tempo che Saturno conversò con gli uomini, fu sì grande la felicità,
che
tal’epoca fu chiamato l’età dell’oro. Giano entrò
a fu chiamato l’età dell’oro. Giano entrò a parte della riconoscenza,
che
questo Nume meritava dagli uomini. Fu ascritto eg
rra era finita : onde in seguito dicevasi di qualche principe Romano,
che
aveva data la pace all’imperio : Egli ha chiuso
li il dritto sul mese di Gennajo riguardasse l’anno scorso, e quello,
che
cominciava, sia perchè avesse egli la conoscenza
perchè avesse diviso il suo regno con Saturno, non formando entrambi
che
un Re solo. Vien figurato talvolta con quattro fa
egarsi. I Greci lo chiamarono Cronos, cioè il tempo, ed era naturale,
che
i poeti lo facessero nascere dal Cielo, e dalla T
gli scema nè attività, nè le forze. Ha le ali sul dorso per dinotare,
che
il tempo veloce giunge, ed al momento sen fugge :
mostra il corso sempre eguale, e misurato del tempo, ed il serpente,
che
si morde la coda formando un cerchio, è simbolo d
e, che si morde la coda formando un cerchio, è simbolo dell’eternità,
che
non ha cominciamento, nè fine. Le sue vicende, al
o Globo. Fu detta Rèa del Greco Rhèo, fluo per le piogge, ed i fiumi,
che
scorrono sulla Terra, ed Opi pel soccorso che app
le piogge, ed i fiumi, che scorrono sulla Terra, ed Opi pel soccorso
che
apprestava agli uomini. Migdonia, Pessinunzia, F
parecchi templi dell’antichità, le statue di Cibele altro non erano,
che
semplici piramidi, per simboleggiare la fermezza,
e di soccombere, chiamò in suo ajuto tutte le divinità. La Dea Stige,
che
regnava sopra ai fiumi, le di cui acque circondav
Potere, l’Emulazione, la Forza da lei nati. Per compenso volle Giove,
che
i giuramenti fatti in nome di Stige neppure i Dei
ge neppure i Dei potessero violare. Il Destino avea altresì predetto,
che
per ultimar questa guerra ci voleva la destra di
i voleva la destra di un uomo : Giove a tal tempo si servì di Ercole,
che
diede non equivoci contrassegni del suo valore. C
Dei ebbe parte in questa mischia, e soprattutto si distinse Minerva,
che
seppellì Encelado sotte l’Etna, i di cui sforzi s
e de’ Poeti, con gittar fiamme, e sassi per liberarsi dal grave peso,
che
l’opprime. Per mano di Minerva cadde pur il Gigan
e finalmente in questa guerra Briarèo il più terribile tra i Giganti,
che
aveva cento braccia ; e pareva, che già la guerra
o il più terribile tra i Giganti, che aveva cento braccia ; e pareva,
che
già la guerra fosse terminata, allorchè uscì in c
icare la morte de’ suoi fratelli. Questo Gigante era si spaventevole,
che
la sua forza sorpassava il terrore, che ispirava.
Gigante era si spaventevole, che la sua forza sorpassava il terrore,
che
ispirava. Egli aveva cento teste con serpenti arm
este con serpenti armati di lingue nere, ed avvelenate, vibranti urli
che
incutevano spavento, sfavillando dagli occhi infu
rovesciò, e restituì la pace all’Olimpo. In seguito di tale vittoria,
che
sommamente accrebbe la potenza di Giove, volle qu
iù ancora de’ suoi piaceri, ai quali si diede in preda sì fattamente,
che
la sua maestà fu più degradata di quello, che sar
in preda sì fattamente, che la sua maestà fu più degradata di quello,
che
sarebbe avvenuto ad un uomo. Noi avremo sovente o
mbianze, sotto le quali si cangiò con avvilire la sua dignità. Omero,
che
ci ha data fra i poeti un’idea più nobile di Giov
llo il Rispetto, e l’Equità : ed in poter suo sono i beni, ed i mali,
che
a suo talento distribuisce. Talvolta è rappresent
rappresentato assiso sopra di un carro, e spessissimo sopra l’aquila,
che
per tale ragione chiamasi comunemente l’Augello d
per tale ragione chiamasi comunemente l’Augello di Giove. L’armatura,
che
difendeva questo Dio, era l’Egida, vale a dire un
Egida, vale a dire uno scudo formato dalla pelle della Capra Amaltea,
che
aveva nutrito Giove, e ne armava il braccio sinis
dine fra le costellazioni, e della sua pelle ne compose l’Egida, voce
che
in Greco indica Capra, che in progresso fu donata
e della sua pelle ne compose l’Egida, voce che in Greco indica Capra,
che
in progresso fu donata a Minerva, che ci appiccò
voce che in Greco indica Capra, che in progresso fu donata a Minerva,
che
ci appiccò la testa di Medusa. Vedremo non di rad
nosi deserti della Libia, non trovò acqua per cavarsi la sete. Appena
che
questo Dio ebbe implorato il soccorso di Giove, s
o Dio ebbe implorato il soccorso di Giove, si vide innanzi un ariete,
che
battendo la terra col suo piede ne scaturì una so
, e della Terra : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese al Mondo,
che
questi Dei sì potenti nulla possono al paragone d
te sopra di Io, Europa, Semele, e Latona. Argo fornito di cent’occhi,
che
aveva in guardia Io cangiata da Giove in vacca, f
ddetto alla coda del suo pavone. Giunone fu detta pronuba, come colei
che
presedeva alle nozze. Quindi le matrone Romane le
a di Cicerone fu altresì detta Moneta dal Latino monere per una voce,
che
fu udita nel suo tempio in occasione di un fiero
e affidato il suo segreto a Flora, le fu da questa indicato un fiore,
che
appena toccato dalla Dea la fece diventar madre d
al di loro cospetto. A tale uffizio fu destinato il gentile Ganimede,
che
Giove fingendosi un’aquila aveva al padre suo Tro
l padre suo Troe involato. Vulcano nacque sì brutto, e scontraffatto,
che
avendone Giove rossore lo fece precipitare dal Ci
curò questo maltrattamento di suo padre, ma non perdonò a sua madre,
che
lo aveva dato alla luce così storpio, e mal fatto
rle ajuto : ma questi non si determinò di farlo, se non a condizione,
che
gli si darebbe in isposa Venere la più bella fral
terìe di Sicilia accanto la fontana di Enna, incontrossi con Plutone,
che
lasciato per poco l’Inferno, volle visitar l’Etna
itar l’Etna. Questo Dio concepì per lei un amor violento ; e malgrado
che
non fosse corrisposto, la rapì, e la fece sedere
cavalli di color nero a dispetto delle lagnanze di Minerva, e Cianea,
che
fu punita per tal cagione da Plutone, con averla
con averla cangiata in un fonte ne’ contorni di Siracusa. Al momento,
che
Cerere si accorse della mancanza di sua figlia, l
r tutta la terra con fiaccole accese nell’Etna. Ritrovò ella il velo,
che
a Proserpina era caduto sul lago di Siracusa nel
rmata dell’accaduto. Per liberare Proserpina, Cerere ricorse a Giove,
che
per altro esaudì i suoi voti : ma si ci opponeva
altro esaudì i suoi voti : ma si ci opponeva un decreto del Destino,
che
Proserpina non sarebbe giammai useita dall’Infern
del Destino, che Proserpina non sarebbe giammai useita dall’Inferno,
che
nel solo caso ch’ella non avesse gustato alcun nu
di poter passare sei mesi con sua madre, ed altrettanti con Plutone,
che
l’aveva sposata. Calmatasi Cerere si applicò nuov
ipj a Trittolemo figlio di Celèo Re di Eleusi, inculcando al medesimo
che
ne avesse istituiti altresì gli uomini. In vista
di tal comando scorse Trittolemo l’Asia, e l’Europa. Mancò poco però,
che
nella Scizia non fosse perito per parte di Linco
a Scizia non fosse perito per parte di Linco geloso della preminenza,
che
in tal mestiere a Trittolemo aveva Cerere accorda
ssaglia per aver questi tagliata una foresta consagrata a questa Dea,
che
gli comunicò una fame sì terribile, che lo riduss
esta consagrata a questa Dea, che gli comunicò una fame sì terribile,
che
lo ridusse a consumare tutt’i suoi averi per sodd
ni. Il principale suo culto consisteva a tenere sempre vivo il fuoco,
che
ai raggi solari ogni anno si raccendeva nelle cal
o da quattro furiosi cavalli. « Nume del giorno, e della luce sei tu,
che
regoli il corso de’ giorni, delle stagioni, degli
cere dal limo lasciato dalle acque un orribile serpente detto Pitone,
che
inseguiva da per ogni dove la sventurata Latona.
tica, e sommamente assetata fermossi presso uno stagno ; i terrazzani
che
tagliavano giunchi, le proibirono di dissetarsi.
dine fissò quest’isola fralle Cicladi pria errante nel mare : e tosto
che
fu adulto, ed istruito nell’arte di maneggiar l’a
d istruito nell’arte di maneggiar l’arco, ammazzò il serpente Pitone,
che
aveva sì crudelmente perseguitato Latona. Questo
sue tempia, e la lira delle foglie di questa pianta, e volle altresì,
che
la corona di alloro fosse in seguito il premio de
sse sotto l’aspetto di Eurinome sua madre. Clizia figlia dell’Oceano,
che
inutilmente amava Apollo, scoverto l’inganno, nè
che inutilmente amava Apollo, scoverto l’inganno, nè avvertì Oreamo,
che
infuriato contro sua figlia la fece sotterrare vi
che infuriato contro sua figlia la fece sotterrare viva ; ma Apollo,
che
non potè salvarla, la tramutò in una pianta, che
re viva ; ma Apollo, che non potè salvarla, la tramutò in una pianta,
che
dà l’incenso. Il rimorso di un tal attentato cond
sse a morte Clizia cangiata pur essa in Eliotropio (Girasole), pianta
che
gira guardando sempre il sole, come volendo rinfa
i la sua poca corrispondenza. Nacque da Apollo, e Coronide Esculapio,
che
da bambino fu dato ad allevare al Centauro Chiron
lla virtù delle piante Diventò così celebre Esculapio nella medicina,
che
giunse a risuscitare anche gli estinti, e fra que
lito figlio di Tesèo. Un potere così grande ingelosì lo stesso Giove,
che
con un fulmine troncò i giorni ad Esculapio, e lo
famoso di questo Dio era in Epidauro, dove i Sacerdoti pretendevano,
che
loro si manifestasse sovente in forma di serpente
Giove di fronte per vendicarsi, ammazzò a furia di frecce i Ciclopi,
che
avevano fabbricato il fulmine. Riputando Giove fa
impiego avendo lasciato per i furti di Mercurio, non trovò altra via,
che
di fare il muratore con offrire unito a Nettuno,
lla fabbrica delle mura di Troja. La mercede fu convenuta : ma questi
che
non aveva molta dilicatezza, terminato il lavoro,
inato il lavoro, gli mancò di parola. Lo sdegno di Apollo fu cagione,
che
una pestilenza attaccò gli stati di questo princi
to. In sì fiera traversìa fu consultato l’Oracolo, la cui risposta fu
che
Laomedonte poteva disarmare la collera degli Dei
ità, assediò Troja, e preso Laomedonte, lo ammazzò. Volle in seguito,
che
Telamone figliuolo di Eaco Re di Salamina sposass
edeva. Il giovane Fetonte portò le sue doglianze a Climene sua madre,
che
gl’insinuò di recarsi ad Apollo per assicurarsene
uito. Apollo depose tutt’i suoi raggi luminosi, e giurò per la Stige,
che
avrebbe acconsentito a tutto ciò che suo figlio g
luminosi, e giurò per la Stige, che avrebbe acconsentito a tutto ciò
che
suo figlio gli domandasse in contrassegno della p
o il suo carro per le vie del Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo,
che
si pentì del giuramento, che rivocare non era per
Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo, che si pentì del giuramento,
che
rivocare non era permesso agli Dei. Cercò dissuad
discono, il mare si abbassa, e la madre Terra spaventata dal pericolo
che
le sovrasta, indirizza a Giove i suoi prieghi. Il
igli maschi, e sette femmine ardì di aver la preminenza su di Latona,
che
non ne aveva che due, portando la sua empietà al
tte femmine ardì di aver la preminenza su di Latona, che non ne aveva
che
due, portando la sua empietà al segno di frastorn
va che due, portando la sua empietà al segno di frastornare le feste,
che
si celebravano in onore di questa Dea, che per pu
o di frastornare le feste, che si celebravano in onore di questa Dea,
che
per punirla si rivolse a’ suoi figli. Apollo a co
a si rivolse a’ suoi figli. Apollo a colpi di frecce uccise i maschi,
che
si esercitavano in un circo : e Diana nella stess
in un circo : e Diana nella stessa guisa tolse la vita alle femmine,
che
si aggiravano intorno ai roghi de’ loro germani.
suo flauto alla lira del figlio di Latona : gli propose una disfida,
che
Apollo volentieri accettò. Tmolo Re di Lidia fu s
tta. Per disgrazia era al suo servizio un barbiere d’indole cicalone,
che
non osando svelare l’arcano fece un buco sotterra
ndo svelare l’arcano fece un buco sotterra, ed ivi depose il segreto,
che
celar non sapeva. Intorno a questo buco nacque un
celar non sapeva. Intorno a questo buco nacque un canneto, e le canne
che
tutto il giorno crescevano, palesavano ai viandan
, e le canne che tutto il giorno crescevano, palesavano ai viandanti,
che
il Re Mida aveva gli orecchi dell’asino. Apollo n
o non fu però così discreto con Marsia satiro, e musico valentissimo,
che
parimente ebbe il coraggio di sfidare il Dio dell
raggio di sfidare il Dio delle Muse. Accettò Apollo la sfida a patto,
che
chi restava al di sotto, fosse stato a discrezion
si dilettavano delle cantilene di questo satiro, e lo piansero tanto,
che
colle di loro lagrime crebbe di molto il volume d
, sorella gemella di Apollo veniva riguardata in tre diversi aspetti,
che
le davano una triplice situazione ; cioè nel Ciel
quanti momenti prima di Apollo, non sì tosto vide la luce del giorno,
che
apportò degli ajuti a Latona, e tocca dai dolori,
uce del giorno, che apportò degli ajuti a Latona, e tocca dai dolori,
che
provava sua madre nel partorire, giurò di serbare
di serbare in perpetuo la sua verginità. Il suo pudore fu si grande,
che
arrivò a punire severamente Attèone, ch’ebbe la s
ò in cervo. L’infelice Attèone volle darsi alla fuga, ma i suoi cani,
che
sotto tale aspetto nol riconobbero, l’inseguirono
, l’inseguirono, e lo fecero in brani. Ella castigò altresì le Ninfe,
che
la seguivano. Callisto figliuola di Licaone fu am
e, che la seguivano. Callisto figliuola di Licaone fu amata da Giove,
che
per sedurla più facilmemte, prese l’aspetto di Di
venuta in cognizione del tutto, discacciò ignominiosamente Callisto,
che
dopo qualche tempo diede alla luce Arcade. Furono
iove : Giunone implacabile trasformò in orsa questa Ninfa sventurata,
che
andò vagando per ben quindici anni sotto tal form
ttato di evitare un parricidio con aver sottratto la madre al figlio,
che
amendue situò nel cielo tra ’l numero delle coste
i Calidonia, per non essersi questi ricordato di lei in un sacrifizio
che
offrì a tutti gli Dei, con aver inviato un cignal
rlo. Meleagro figliuodi Enèo finì di ucciderlo, e spinto dal coraggio
che
aveva mostrato questa giovane principessa, le off
l teschio del cignale. I fratelli di Altea moglie di Enèo credettero,
che
questa spoglia dovesse essere di loro pertinenza.
o di vincere i suoi nemici : in seguito egli sposò Atalanta. Malgrado
che
Diana giurasse di esser casta, e sommo fosse il s
nell’inferno, per avere osato di pretendere sopra Giunone. Ma Diana,
che
sotto il nome di Ecate aveva una grande influenza
mezza luna, le cui estremità sono rivolte verso il Cielo : ornamento,
che
indica, il suo impiego di condurre il carro della
li animali selvaggi da’ loro covili1. Le Muse. Nove sono le Muse,
che
sovrastano alle scienze, alle arti, ai talenti. H
ciò vien chiamato Musagete, cioè conduttore delle muse. Clio, parola
che
significa gloria, era destinata ad eternare col s
a seco il significato di molti Inni, per indicare i diversi soggetti,
che
canta questa Musa. Ella regola altresì il gesto,
, ed una corona : nell’altra una tromba. Urania non ha altr’oggetto,
che
il Cielo, ed è perciò la Musa dell’astronomia. La
llezza, e la Regina degli amori, nacque, come si è detto, dal sangue,
che
versò nel mare Urano, allorchè fu ferito da Satur
ti figli ; fra questi i più rinomati sono Cupido, Priapo, Imeneo, Dio
che
sovrastava alle nozze. Furono anche suoi figli En
ono anche suoi figli Enea. e le tre Grazie1. La sua bellezza era tale
che
fu giudicata la più bella fra le Dee, ed a lei in
in concorso di Pallade, e Giunone, fu dato da Paride il pomo di oro,
che
la Discordia aveva gittato dove si celebrarono le
e un sogno di Platone. Parecchi accreditati scrittori ci assisicurano
che
a questa Venere virtuosa si erano eretti magnific
olomba. L’ornamento principale di Venere era una zona, o sia cintura,
che
aveva la proprietà di darle sempre nuove attratti
. Il Riso, il Gioco, il Piacere, il Vezzo vengono espressi egualmente
che
lui sotto le forme di alati Amoretti. Sul nascere
o le forme di alati Amoretti. Sul nascere di Cupido ognuno prevedeva,
che
sarebbe il più tristo fra gli Dei. Giove voleva o
nascose ne’ boschi, ove succhiò il latte delle bestie feroci. Appena
che
Amore arrivò all’età di poter maneggiare l’arco,
rtare in un luogo di delizie, ove la trattenne per molto tempo, senza
che
costei lo avesse conosciuto. Venere afflitta per
glio fatto suddito di questa giovane, la perseguitò con tanta stizza,
che
infelicemente alla fine se ne morì. Ma Giove, ch’
agazza ingenua, e colle ali di farfalla. Vulcano. Si è già detto,
che
Vulcano1 nacque talmente brutto, che Giove con un
la. Vulcano. Si è già detto, che Vulcano1 nacque talmente brutto,
che
Giove con un calcio lo fece cadere dal Cielo. Il
bracciò una professione dove poteva far mostra de’ suoi rari talenti,
che
fu appunto quella di fabbro ; e stabilì la sua fu
de’ suoi lavori erano i Ciclopi, specie di giganti figli della Terra,
che
avevano un occhio solo nella fronte. I più conosc
e. Vulcano fece uscire dalla sua fucina una quantità di capi d’opera,
che
formavano l’ammirazione degli Dei, e degli uomini
più decente, qual’era quello di porgere il nettare agli Dei. Vero è,
che
la poca grazia, colla quale esercitava le funzion
ca grazia, colla quale esercitava le funzioni di coppiere, fu cagione
che
Ebe avesse un tale incarico. Questa giovane, e le
iove dopo la guerra de’ Titani sposò Meti ; ma avendogli detto Urano,
che
questa donna avrebbe dato alla luce una bambina d
tto Pirrico, annunciandosi con soverchia gentilezza per una Divinità,
che
durante la sua vita doveva mantenere un portament
della vista. Questa Dea si contrastò il dritto con Nettuno pel nome,
che
doveva darsi alla nascente città di Atene. I Dei
nome, che doveva darsi alla nascente città di Atene. I Dei decisero,
che
chi de’ due rendesse un più utile servizio alla n
per l’appunto uno scudo fatto dalla pelle di un mostro chiamato Egi,
che
Minerva aveva ammazzato nella guerra de’ Giganti.
terribile testa di Medusa con i capelli di serpenti. Vi ha chi dice,
che
l’Egida era fatta dalla pelle della capra Amaltea
lei donata. Marte Dio della guerra. Piccata Giunone contro Giove,
che
da se solo aveva fatto nascere Minerva, volle ell
o nascere Minerva, volle ella fare altrettanto, creando un Dio, senza
che
Giove ci avesse parte1. Forte nel suo proposito s
ove ci avesse parte1. Forte nel suo proposito si consigliò con Flora,
che
le indicò un fiore, che al solo toccarlo concepì
rte nel suo proposito si consigliò con Flora, che le indicò un fiore,
che
al solo toccarlo concepì Marte. Questa è l’origin
guerra. Tal favola ci hanno tramandato i poeti latini : ma1 i Greci,
che
in lingua loro chiamano Marte Ares lo dicono figl
ubò alcune vacche degli armenti del Re Admeto, e da Apollo custodite,
che
trasportò nei boschi. Un pastore per nome Batto f
dite, che trasportò nei boschi. Un pastore per nome Batto fu il solo,
che
se ne avvide. Mercurio per timore di essere scove
rio per timore di essere scoverto gli donò la più bella delle vacche,
che
aveva involate : ma non fidandosi interamente di
sotto un altro aspetto gli offerì una vacca, ed un bue a condizione,
che
avesse svelato il luogo, ove il furto stava nasco
o, ove il furto stava nascosto. Batto sedotto dal guadagno svelò ciò,
che
sapeva : allora Mercurio diedesi a conoscere, e l
io diedesi a conoscere, e lo trasformò in pietra di paragone : pietra
che
ha la virtu di scoprire la natura de’ metalli da
: presedeva ai giuochi, alle adunanze, ascoltava i pubblici indovini,
che
lo consultavano, e dava ad essi le risposte. Era
i Giove, e di Semele nata da Cadmo2. Ella ad insinuazione di Giunone,
che
le comparve sotto l’aspetto di Beroe sua nutrice,
rice, chiedette a Giove una grazia, obbligandolo a giurare per Stige,
che
glie l’accorderebbe : questa fu che Giove venisse
obbligandolo a giurare per Stige, che glie l’accorderebbe : questa fu
che
Giove venisse a visitarla con tutto l’apparato ce
tutto avvampò, e la stessa Semele fu divorata dalle fiamme. Mercurio,
che
accompagnava il Sovrano degli Dei, ebbe appena il
Sovrano degli Dei, ebbe appena il tempo di salvare il picciolo Bacco,
che
stavasi ancora nel seno di sua madre. Ma siccome
asi ancora nel seno di sua madre. Ma siccome non era giunto il tempo,
che
doveva nascere, Giove aprì una sua coscia, ed ivi
ed ivi racchiuse il bambino. Quando nel trasse, il diede a Mercurio,
che
lo consegnò a Niso. Questi lo educò nelle caverne
isa nell’Arabia. Le figliuole di Atlante, e ’l vecchio Sileno satiro,
che
amava molto il vino, ebbero cura della sua infanz
stelle dette Jadi, e facendo presso di se restare il giocoso Sileno,
che
lo seguiva sopra un asinello, sul cui dorso talvo
quistò le Indie. Tutta la sua armata era composta di uomini, e donne,
che
portavano un tirso, cioè frecce circondate di pam
he portavano un tirso, cioè frecce circondate di pampini, e di edere,
che
ne nascondevano la punta. Per tale conquista Bacc
conquista Bacco fu detto il domatore delle Indie, o del Gange, fiume
che
attraversa questa contrada. Era cosa pericolosiss
rsa questa contrada. Era cosa pericolosissima l’irritare questo Nume,
che
acremente volle vendicarsi di Penteo, e di Licurg
adre del Re, ed alle sue Menadi, o siano Baccanti un sì fatto furore,
che
esse lo ammazzarono senza conoscerlo. Licurgo Re
e, che esse lo ammazzarono senza conoscerlo. Licurgo Re della Tracia,
che
aveva osato di dichiararsi nemico di Bacco, si ru
cco, si ruppe le gambe, mentre s’impegnava di tagliare tutte le vigne
che
stavano ne’ suoi stati. Vedesi ordinariamente rap
i rinserrarsi nelle loro caverne. La sua corte è composta di Tritoni,
che
fanno echeggiare l’aere al suono delle conche mar
echeggiare l’aere al suono delle conche marine, e degli Dei del mare,
che
tutti circondano, e sieguono a nuoto il suo carro
Dei del mare, che tutti circondano, e sieguono a nuoto il suo carro,
che
galleggiando vola sulle acque. Noi abbiamo già os
porzione il regno degli estinti, e stabili la sua sede nell’inferno,
che
stava nelle viscere della terra. Si figura assiso
tro a due punte in una mano, e nell’altra delle chiavi, per dinotare,
che
a chi entrava nel suo regno, non era permesso di
la più ridente ; ed in conseguenza non si sarebbe ritrovata una Dea,
che
di tutto suo genio si fosse a lui accoppiata.
nse sotterranee voragini, ove risplendeva una luce diversa da quella,
che
sfavilla sotto le volte de’ Cieli. L’Averno era u
questi mostri fantastici, vedevasi Acheronte fiume grande, e torbido,
che
deponeva il suo limo nello stagno di Cocito, dopo
avere attraversato l’impero di Plutone. Bisognava tragittarlo. Appena
che
Mercurio armato della sua verga, aveva condotte l
osta. Questo rigido barcajuolo poteva ricevere quello ombre soltanto,
che
avevano avuto gli onori della sepoltura1, allonta
li onori della sepoltura1, allontanando a colpi del suo remo le altre
che
si affollavano per passare. L’orrida sua ciera ba
la riva opposta di Acheronte stava Cerbero, cane di enorme grandezza,
che
aveva tre teste, e tre gole spaventevoli. Questi
tevano mandare a vuoto : Cocito da sole lagrime formato : Flegetonte,
che
in vece di acqua correva in fiamme : e ’l fiume L
ine di pene. Da tale separazione di buoni, e di cattivi si argomenta,
che
tutte le ombre erano giudicate al loro arrivo all
rano condotte innanzi a tre giudici, cioè Minosse, Eaco, e Radamanto,
che
colà perpetuamente dimoravano, sedendo nel di lor
a quale ffagellavano le ombre a loro consegnate. Varie erano le pene,
che
si soffrivano nel Tartaro1. Sisifo, che durante l
segnate. Varie erano le pene, che si soffrivano nel Tartaro1. Sisifo,
che
durante la sua vita aveva colmata di delitti la G
a, d’onde gravitando pel proprio peso ricadeva immantinente. Flegia,
che
aveva appiccato il fuoco al tempio di Apollo, sta
il fuoco al tempio di Apollo, stava inchiodato a’ piedi di una rupe,
che
sembrava ad ogn’istante di schiacciarlo colla sua
va ad ogn’istante di schiacciarlo colla sua caduta. Il gigante Tizio,
che
ardì di attentare all’onore di Latona, sentiva la
tare all’onore di Latona, sentiva lacerarsi i visceri da un avoltojo,
che
li divorava a misura, che si rinnovavano. Ission
sentiva lacerarsi i visceri da un avoltojo, che li divorava a misura,
che
si rinnovavano. Issione era attaccato ad una ruo
va a misura, che si rinnovavano. Issione era attaccato ad una ruota,
che
girava di continuo. Egli aveva osato di aspirare
litto, gli avea consegnata una figura fantastica formata di nuvole, e
che
s’assomigliava perfettamente alla Dea. Tantalo q
che s’assomigliava perfettamente alla Dea. Tantalo quel Re crudele,
che
per mettere a prova la divinità degli Dei in una
olo, sente eternamente gli stimoli della fame, e della sete, malgrado
che
una pianta carica di frutta gli penda sulla testa
fato nell’acqua. Quando vuol dissetarsi, le acque spariscono a misura
che
vi porta le labbra : se stende la mano per coglie
delitto. Le Danaidi, alle quali era concesso tregua, e riposo allora
che
avessero riempiuta una botte, che non avea fondo.
ra concesso tregua, e riposo allora che avessero riempiuta una botte,
che
non avea fondo. La loro istoria esige qualche det
messa, e concepire un orribile disegno. Come l’oracolo avea predetto,
che
uno de’ figli del suo germano lo avrebbe rovescia
ie un pugnale con ordine di ammazzare i loro sposi nella prima notte,
che
ad essi si univano. La sola Ipermnestra rifiutò d
a sola Ipermnestra rifiutò di obbedire, salvando il suo sposo Linceo,
che
amava teneramente ; e questi verificò il presagio
potuto senza dubbio governare l’universo : ma la cecità degli uomini,
che
non potevano concepire le divinità separate da tu
credette indispensabile l’immaginare delle divinità di second’ordine,
che
si occupavano dei dettagli, che per necessità dov
nare delle divinità di second’ordine, che si occupavano dei dettagli,
che
per necessità dovevano sfuggire agli Dei del prim
za furono gli uomini obbligati a creare altrettanti Dei, secondo quel
che
loro suggeriva la fantasia riscaldata, o a misura
i, secondo quel che loro suggeriva la fantasia riscaldata, o a misura
che
il bisogno lo richiedeva. Divinità Campestri.
specialmente il Dio de’ pastori. La sua figura non lusinghiera pareva
che
dovesse spaventare i pastori piuttosto che riscuo
ura non lusinghiera pareva che dovesse spaventare i pastori piuttosto
che
riscuotere da essi un culto. Vedesi rappresentato
e cosce irsute, ed i piedi di capra. Il flauto composto di più canne,
che
porta fralle mani, ci fa sovvenire di un avvenime
gli uni, come gli altri colle corna, e piedi di becco, non altrimenti
che
Fauno, e Pane. Sileno. Sileno figliuolo di u
mava moltissimo, e lo portò seco al conquisto delle Indie. Un giorno,
che
il buon uomo viaggiava per la Lidia, smontato dal
al suo asinello si fermò presso di un fonte, ed ivi prese sonno. Mida
che
lo seppe, bramando di averlo per un poco nella Co
e, mentre dormiva, fece empire la fontana di vino in luogo dell’acqua
che
conteneva. Svegliatosi il piacevole vecchio, e cr
da allora lo fece trasportare alla sua Reggia, e lo trattò così bene,
che
Sileno ritornato presso di Bacco parlava sempre i
in compenso di tanti favori prestati al suo caro Sileno, disse a Mida
che
avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al
ri prestati al suo caro Sileno, disse a Mida che avesse dimandato ciò
che
voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convert
se a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al Nume,
che
avesse convertito in oro tutto ciò che toccava, c
voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convertito in oro tutto ciò
che
toccava, credendo questo un bene inestimabile. Ta
er ottenuto un dono dei più funesti. Allorchè volle mangiare, il cibo
che
accostava alle sue labbra, diventava oro sotto i
addormentato : da lungo tempo Sileno aveva loro promesso alcuni versi
che
mai non diede, le ninfe lo legarono con alcune gh
loro mani : dimandò loro di esser posto in libertà, e non l’ottenne,
che
dopo di avere adempiuto alla sua promessa. Sil
alla sua promessa. Silvano. È questi uno degli Dei delle foreste,
che
talvolta si confonde con Pane, perchè rappresenta
ede una freccia avvelenata di Ercole, provò un dolore tanto sensibile
che
cercò in grazia agli Dei di poter morire : il suo
ome di Sagittario. Ociroe sua figlia parimente istruita nelle scienze
che
possedeva suo padre, sapeva altresì presagire il
riacquistarono la loro giovinezza, e non ismentirono quella fedeltà,
che
a vicenda avevano giurato di mantenere. Era rappr
e di Pomona. Termine. Il Dio Termine, la cui statua non era altro
che
una pietra, o un tronco di albero, vegliava ai co
i ad uso di fantoccio per ispauracchio : questo basta per dimostrare,
che
questo Dio non era bello : aveva l’aspetto di un
utto, era pertanto figliuolo di Venere, e fratello di Cupido. Giunone
che
per effetto di rivalità odiava Venere, mercè i su
è i suoi incantesimi, trovò il mezzo per rendere mostruoso il bambino
che
questa Dea portava nel seno : fu inoltre così pro
che questa Dea portava nel seno : fu inoltre così proclive al vizio,
che
se ne formò il Dio del libertinaggio. A lui fu sa
lui fu sagrato l’asino. I fiumi. I Fiumi, o per dir meglio i Genj
che
preseggono alla sorgente, ed al corso de’ fiumi,
e di Ninfe. I particolari loro nomi derivavano dai diversi attributi,
che
loro si davano. Chiamavansi Driadi, e Amadriadi q
attributi, che loro si davano. Chiamavansi Driadi, e Amadriadi quelle
che
presedevano alle foreste : Napèe quelle delle pra
este : Napèe quelle delle praterie, e de’ boschetti : Najadi le ninfe
che
vegliavano alla sorgente dei fiumi, e delle fonta
vegliavano alla sorgente dei fiumi, e delle fontane : Oreadi le ninfe
che
guardavano i monti : tutte quelle che avevano l’i
delle fontane : Oreadi le ninfe che guardavano i monti : tutte quelle
che
avevano l’impero sulle acque del mare, erano dett
enitore. Eco. Eco figlia dell’Aria, e della Terra era una ninfa,
che
si nascondeva ne’ boschi fralle rupi, e le montag
, e della ninfa Liriope. Era questi insensibile verso tutte le ninfe,
che
lo amavano. Eco fu egualmente che le altre sfortu
i insensibile verso tutte le ninfe, che lo amavano. Eco fu egualmente
che
le altre sfortunata : fu tale il suo dolore, che
o. Eco fu egualmente che le altre sfortunata : fu tale il suo dolore,
che
si ritirò ne’ siti i più solitarj, ed ivi fu cang
iorno mentre si riposava sulla riva di un fonte, vide la sua immagine
che
traspariva nell’acqua : fu talmente sorpreso dell
che traspariva nell’acqua : fu talmente sorpreso della sua bellezza,
che
divenne amante di se stesso. Ma inutilmente egli
ttenere l’oggetto de’ suoi desiri : le onde cristalline non offrivano
che
una lusinghiera immagine. Non volle pertanto abba
ontentò di morire sulla riva di quel fonte ; fu cangiato in un fiore,
che
conserva anche oggi il suo nome. Divinità del
sia la Terra. Sposò Teti sua germana, dalla quale ebbe Nereo, e Dori
che
si maritarono insieme. Questi, come si è detto, p
ono le Ninfe, e le Nereidi. Tra il numero di quest’ultime vi ha Teti,
che
bisogna distinguere da Teti sua madre. Giove la g
adre. Giove la guardava di buon occhio : ma avendo saputo dal Destino
che
da quella nascerebbe un bambino, che avrebbe un g
o : ma avendo saputo dal Destino che da quella nascerebbe un bambino,
che
avrebbe un giorno superato la gloria di suo padre
avendo perduto l’intero sciame delle api, recossi a sua madre Cirene,
che
così gli parlò : Est in Carpathio Neptuni gurgit
e giunse felicemente in Colco, ove sasagrificò a Marte il suo ariete,
che
dopo fu situato fra i dodici segni del zodiaco. Q
fra i dodici segni del zodiaco. Questa fuga afflisse molto Atamante,
che
trasportato dalla rabbia volle ammazzare Ino col
zzare Ino col suo figliuolo Melicerta. Ella non potè salvarsi, se non
che
precipitandosi nel mare col figlio, dove furono a
arini. Ino prese il nome di Leucotoe, e Melicerta quello di Palemone,
che
i Romani chiamarono Portunno. Glauco. Glauco
e pescatore della Città di Anteona nella Beozia. Un giorno si avvide,
che
alcuni pesci che aveva nascosti sotto una cert’er
Città di Anteona nella Beozia. Un giorno si avvide, che alcuni pesci
che
aveva nascosti sotto una cert’erba, ripresero nuo
ipresero nuove forze, e si slanciarono nelle acque. Egli si assicurò,
che
quest’erba aveva una proprietà particolare : ne m
o poste fra la Sicilia, e l’Italia, e dipendeva dai cenni di Nettuno,
che
gli ordinava di mettere i venti in libertà, o d’i
iati cogli omeri coverti da scaglie dorate, e co’ piedi alati. Austro
che
spira dal mezzodì ; Euro che parte dall’Oriente ;
caglie dorate, e co’ piedi alati. Austro che spira dal mezzodì ; Euro
che
parte dall’Oriente ; e Zefiro che viene dall’Occi
Austro che spira dal mezzodì ; Euro che parte dall’Oriente ; e Zefiro
che
viene dall’Occidente. Fra’ venti è questi il più
o cangiate in pesci dalla sola cintura in giù. Le Arpie. Malgrado
che
le Arpie fossero figlie di Nettuno, e della Terra
, ed a’ piedi. Cariddi, e Scilla. Cariddi era una donna crudele,
che
dava addosso, o assassinava i passeggleri. Fu amm
ale avvelenò la fontana, ove questa ninfa era solita bagnarsi. Appena
che
Scilla si tuffò in quest’acqua, disparvero all’is
ngozzava i vascelli tutt’intieri, e la sua cintura era armata di cani
che
abbajavano senza interruzione, e che divoravano c
a sua cintura era armata di cani che abbajavano senza interruzione, e
che
divoravano chiunque aveva la disgrazia di cadere
di altro golfo a lui opposto giace poco lontano. Come spesso accadeva
che
i naviganti mentre volevano evitare uno di questi
o di questi scogli incorrevano nell’altro, ebbe origine il proverbio,
che
incontrava Scilla, chi fuggir voleva Cariddi, all
l’Erebo, e dalla Notte. Abitavano nel Tartaro per dinotare l’oscurità
che
vela l’avvenire. I loro nomi erano Cloto, Lachesi
La Morte. La Morte figlia della Notte, e germana del Sonno, è la Dea
che
presiede agli ultimi istanti della nostra vita. E
la Notte, e fratello della Morte, ch’è un sonno perpetuo. La pittura,
che
fa Ovidio di questo Dio, è sì bella, che ci fa ch
sonno perpetuo. La pittura, che fa Ovidio di questo Dio, è sì bella,
che
ci fa chiaramente conoscere la natura, e gli effe
ese de Cimmerj1 ove raggio di luce non penetra, ed altro non si sente
che
il solo mormorio del fiume Lete, che c’invita a d
n penetra, ed altro non si sente che il solo mormorio del fiume Lete,
che
c’invita a dormire. Innanzi alla sua abitazione s
. Innanzi alla sua abitazione si trovano de’ papaveri, ed altre erbe,
che
hanno la virtù d’addormentare i mortali. Riposa i
da cortine di color nero. Gli si vede appresso una quantità di sogni,
che
dormono ammonticchiati l’uno sopra l’altro. Morfe
o. Il suo altare era collocato presso quello delle Muse per dinotare,
che
gli uomini di lettere hanno bisogno del riposo, e
bre. Manes erano dette dai Latini le ombre degli estinti, o i Genj,
che
assistevano ai sepolcri. Nemesi. Figliuola de
embianze più dolci : talvolta porta un velo sulla testa per dinotare,
che
la celeste vendetta è impenetrabile, e colpisce a
celeste vendetta è impenetrabile, e colpisce all’istante i colpevoli,
che
si credono in sicurezza. Vedesi altresì assisa so
delle abitazioni stavano i Lari per allontanare una qualche disgrazia
che
avesse potuto entrare. Questi Dei erano piccole s
ella famiglia trapassato. Presso queste immagini stava anche un cane,
che
egualmente era rispettato. I Genj. Credevano
ne, che egualmente era rispettato. I Genj. Credevano gli antichi,
che
i Genj fossero destinati alla custodia degli uomi
gli antichi, che i Genj fossero destinati alla custodia degli uomini,
che
erano assistiti secondo il proprio naturale da du
asone. Vedesi rappresentato qual vecchio zoppo, ma alato per dinotare
che
le ricchezze con pena si ammassano, e con celerit
dati, dovunque passa questo Dio, spande a capriccio l’oro, l’argento,
che
cava dal corno dell’abbondanza che porta con se.
ande a capriccio l’oro, l’argento, che cava dal corno dell’abbondanza
che
porta con se. La Fortuna. La Fortuna è dipint
e gli occhi bendati con un piede in aria, e l’altro su di una ruota,
che
gira con velocità. Gli antichi credevano ch’ ella
i, indizio della sua incostanza, ed un ciuffo di capelli sulla testa,
che
fa d’uopo afferrare, perchè non iscappi dalle man
di una pelle di lupo picchiettata d’occhi, e di orecchi per indicare,
che
bisogna vedere, e sentir molto, e parlar poco. I
ilenzio nel numero degl’Iddii, e lo dipingevano in forma di una donna
che
chiamarono Muta. Temi. Figliuola del Cielo, e
u creduta da Eusebio quella tale Carmenta donna savissima di Arcadia,
che
presagiva il futuro. Le matrone Romane le avevano
li. I pagani supponevano in lei una grande penetrazione, per indicare
che
la giustizia scopre la verità più nascosta. È rap
ssa, e dei grandi. Astrea. Vi ha tra poeti, chi crede Temi la stessa
che
Astrea, figliuola di Giove, e di Temi. Durante il
oro Astrea conversò cogli uomini : ma stanca, ed annojata dai delitti
che
si commettevano, involossi dalla terra, e volle r
ozze. Egli per aver salvate alcune donzelle dalle mani de’ corsari, e
che
restituì ai proprj genitori, era dalle donne invo
Aglaja, Talia, ed Eufrosine. Erano contente delle semplici attrattive
che
avevano sortite dalla natura. Vengono rappresenta
vevano i Greci, ed i Romani fatta l’apoteosi alle passioni umane, non
che
alle virtù, ed ai vizj, ai beni, ed ai mali. Non
, non che alle virtù, ed ai vizj, ai beni, ed ai mali. Non altrimenti
che
a Giove, si erano a questi Dei innalzati templi,
i, ed altari, ed erano rappresentati con que’ caratteri, ed attributi
che
avvertivano gli uomini di quanto potevano temere,
la spada punisce i malfattori. Il di lei tranquillo aspetto annunzia,
che
i suoi giudizj sono sceveri di qualunque prevenzi
o fece Lucullo, dopo aver vinto Mitridate, e Tigrane. Crede il Vossio
che
la Felicità adorata da Greci col nome di Ευδαιμον
che la Felicità adorata da Greci col nome di Ευδαιμονια sia la stessa
che
Salus la salute pubblica. L’Abbondanza. Vedes
queste due Divinità ciascuna il suo tempio in Roma, ma fatto in modo
che
non si poteva entrare nel tempio dell’onore senza
allegoria era tanto bella, quanto istruiva, per insegnare agli uomini
che
bisogna essere virtuoso per poter aver dritto all
erra, spargendo veri, e falsi rumori. » Leggasi la bella descrizione
che
fa Ovidio del palazzo della Fama. La Concordia
eggi, e la bilancia della Giustizia. La Natura. Era questa la Dea
che
sovrastava a quanto esiste, e vediamo. Vien ella
do doppio ordine di mammelle per indicare la sua fecondità, e la cura
che
si prende per la sussistenza di quanto ha creato.
na col corno dell’abbondanza in una mano, e nell’altra una bacchetta,
che
si stende nell’intero globo. L’Amicizia. Meri
l’està, e l’inverno. Il suo fianco era aperto fino a vedersi il cuore
che
mostrava col dito, ov’era il detto, da vicino, e
a il detto, da vicino, e da lontano : simboli ingegnosi per mostrare,
che
l’amicizia è la stessa in ogni tempo, in ogni luo
abile nella felicità, e nelle disgrazie. Il suo cuore aperto indicava
che
non ha ella segreti per gli oggetti a lei cari.
ra espressa in figura gigantesca, e circondata da tutti gli strumenti
che
indicavano la sua attività. I suoi genitori erano
sentata presso a poco come la Fortuna con un piede sopra di una ruota
che
gira rapidamente. La sua testa è calva al di diet
calva al di dietro : nella parte d’avanti presenta soltanto un ciuffo
che
bisogna afferrare. La sua mano era armata di un r
tra. Smunta, pallida, con ciglio torvo, e viso malinconico. Il veleno
che
ha nel cuore sbocca dalle labbra. Ella non ride m
suo supplizio è di vedere innalzati i talenti. In somma è un mostro,
che
da se stesso si macera, e da tutti è detestato.
Vedesi ordinariamente dipinto l’Inverno sotto l’aspetto di un vecchio
che
si riscalda, o stassene rinchiuso in una grotta.
calda, o stassene rinchiuso in una grotta. Egli è vestito di un abito
che
tutto lo circonda ; i suoi capelli, e la barba bi
, come si è detto, avevano ascritto nel numero degli Dei tutt’i mali,
che
circondano l’umano genere. Essi li credevano tant
i avesse sorpresi quando combattevano. Il delirio andò tanto innanzi,
che
immaginarono un Nume, che non abbiamo l’ardire di
ombattevano. Il delirio andò tanto innanzi, che immaginarono un Nume,
che
non abbiamo l’ardire di nominare in lingua nostra
detto crepitus ventris 1 La serie di tante stravaganze, nel momento
che
prova la debolezza dello spirito umano, ci avvert
to che prova la debolezza dello spirito umano, ci avverte del bisogno
che
abbiamo della mano di Dio in tutti gli eventi del
tore dell’Universo, formarono altrettanti Dei di tutti gli attributi,
che
al vero Ente supremo si convenivano. Parte t
un miscuglio di fatti veri, e di favole. Storia eroica diremo quella
che
narra i fatti, e le azioni degli uomini, e de’ gu
quella che narra i fatti, e le azioni degli uomini, e de’ guerrieri,
che
hanno meritato un tale distintivo. Questa storia
tivo. Questa storia porta l’epoca della nascita del mondo, al momento
che
Prometeo formò il primo uomo, e l’animò con una p
lla terra cui diede l’anima con una particella di quel fuoco celeste,
che
dal carro del sole aveva rapita. Ingelosito Giove
fuoco celeste, che dal carro del sole aveva rapita. Ingelosito Giove,
che
un mortale si fosse usurpato il dritto della crea
to Giove, che un mortale si fosse usurpato il dritto della creazione,
che
a lui solo si apparteneva, diede l’ordine a Mercu
el monte Caucaso, ove un’ aquila, o un avoltojo gli rodeva il fegato,
che
la notte si rinnovellava per essere al dì vegnent
e divorato di nuovo. Eterno sarebbe stato il suo supplizio, se Ercole
che
si trovò di là passando, non lo avesse liberato.
r punire gli uomini delle loro temerarie intraprese ordinò a Vulcano,
che
avesse formata una statua. Volle altresì che cias
aprese ordinò a Vulcano, che avesse formata una statua. Volle altresì
che
ciascuno degli Dei le avesse comuuicato qualche p
ni. Volle altresi Giove adempiere la parte sua. Egli le donò un vaso,
che
doveva presentare a Prometeo, forse allora non an
o Prometeo, volle aprir questo vaso donde scapparon fuori tutt’i mali
che
inondarono la terra. La sola speranza. restò nel
suoi ospiti, immaginò una prova terribile. Fece scannare un ostaggio,
che
abitava nella sua reggia, e ne apprestò delle viv
icaone tentò sottrarsi alla vendetta, ed all’istante diventò un lupo,
che
cerca immacchiarsi nel fondo delle foreste. Ineso
ve giurò la perdita del genere umano ; ma senza far danno alla terra,
che
voleva popolare di una nuova specie. Ordinò ai ve
alla terra, che voleva popolare di una nuova specie. Ordinò ai venti,
che
avessero unite insieme le nuvole, d’onde caddero
sero unite insieme le nuvole, d’onde caddero le acque in tanta copia,
che
tutta ne fu inondata la terra. Deucalione, e P
ue sole persone furono preservate, cioè Deucalione, e Pirra sua sposa
che
non avevano partecipato dei delitti degli uomini.
cipato dei delitti degli uomini. Questi si salvarono in una barchetta
che
si fermò nella cima del monte Parnaso, e dopo ave
are la terra. A tale oggetto consultaron Temi, la quale loro rispose,
che
avessero scavate le ossa della gran madre, e col
ssero gittato dietro i loro passi. Pareva in apparenza questo oracolo
che
contenesse un sacrilegio, ma riflettendo, che la
pparenza questo oracolo che contenesse un sacrilegio, ma riflettendo,
che
la gran madre era la terra, e le pietre le di lei
iglio. Dai sassi gittati da Deucalione nacquero gli uomini, e da quei
che
gittava Pirra ne usciron fuori le donne1. Cecr
ttèo re del paese, e della sua colonia se ne formarono dodici borghi,
che
diedero principio al Regno di Atene. Al culto deg
llo de’ suoi, e sopra tutto quello di Minerva, e di Giove, e di tanti
che
aveva dall’Egitto portati. Cadmo. Figliuolo f
Europa rapita da Giove sotto l’aspetto di un toro. Disperato Agenore,
che
non aveva nouve di sua figlia, impose a Cadmo di
non aveva nouve di sua figlia, impose a Cadmo di andarla cercando sin
che
la trovasse. Essendo stata vana ogni ricerca, Cad
ana ogni ricerca, Cadmo consultò l’oracolo, dal quale gli fu risposto
che
avesse fabbricato una città in una contrada della
ad attinger dell’acqua in una fontana consagrata a Marte, un dragone
che
ivi era in guardia, li divorò tutti. Cadmo non ve
di Minerva seminati i denti del dragone produssero de’ nuovi soldati
che
si scannarono fra di loro, restandone soli cinque
’ nuovi soldati che si scannarono fra di loro, restandone soli cinque
che
lo ajutarono alla fabbrica della famosa Tebe. Cad
a di rara bellezza chiamata Danae. Come l’oracolo gli aveva predetto,
che
da costei nascerebbe un bambino, che avrebbe dato
me l’oracolo gli aveva predetto, che da costei nascerebbe un bambino,
che
avrebbe dato la morte all’avo, rinchiuse Acrisio
a Giove di penetrare nella torre. Divenne Danae madre di Perseo : del
che
accortosi Acrisio la fece mettere in una barchett
per azzardo arrivò ad una delle isole Cicladi dove regnava Polidette,
che
volentieri accolse la madre col bambino, con pren
Medusa, ch’ era una delle tre Gorgoni figliuole di Forco Dio marino,
che
regnavano nelle isole Gorgonidi. Medusa, Stenio,
Gorgonidi. Medusa, Stenio, ed Euriale chiamavansi queste tre sorelle,
che
avevano un occhio solo, ed un solo dente, che s’i
nsi queste tre sorelle, che avevano un occhio solo, ed un solo dente,
che
s’improntavano a vicenda. La loro chioma era comp
he s’improntavano a vicenda. La loro chioma era composta di serpenti,
che
si rizzavano, e fischiavano di continuo. Taluni p
ti, che si rizzavano, e fischiavano di continuo. Taluni poeti credono
che
tal sorte infelice avesse avuta solamente Medusa
tal sorte infelice avesse avuta solamente Medusa per odio di Minerva,
che
in tal guisa la sfigurò perchè amata da Nettuno,
odio di Minerva, che in tal guisa la sfigurò perchè amata da Nettuno,
che
con poco rispetto di questa Dea attestò la sua pr
gli uomini in pietra. Tal sorte toccò ad Atlante re della Mauritania,
che
gli aveva negata l’ospitalità. Chi guardava quest
a questa testa era soggetto ad un tale destino, e le stille di sangue
che
ne grondarono, divennero serpenti. Continuando i
meda1 legata nuda ad uno scoglio per esser preda di un mostro marino,
che
uccise all’istante, ed in premio sposò questa gio
lidette : indi con sua madre Danae ritornò ad Argo. Ivi ammazzò Preto
che
aveva cacciato Acrisio dai suoi stati, col quale
rtale colla testa di lione, il corpo di capra, la coda di serpente, e
che
gittava fiamme dalla gola. L’intrepido figliuolo
il mostro, e ne riportò compiuta vittoria. Conoscendo allora Giobate,
che
il valore di Bellerofonté era superiore ai perigl
la testa di una armata poderosa assediò Atene, e non si ritirò fino a
che
non fu segnato un trattato, col quale gli Atenies
igarono di dargli annualmente sette donzelle, ed altrettanti garzoni,
che
dovevano essere divorati dal Minotauro, mostro me
e di cera, e di penne per se, e per Icaro. Avvertì pertanto il figlio
che
spiccandosi a volo non si levasse troppo in alto,
o profittando del consiglio del padre temerariamente s’innalzò tanto,
che
staccatesi le penne per l’ardore del Sole, cadde
Androgèo, Fedra, ed Arianna. Il suo governo fu sì giusto, e regolato,
che
divenne il modello de’ principi. Per la sua giust
del suo valore. Passando pel territorio di Epidauro, uccise Perifeto
che
lo aveva sfidato a battersi seco. Di là traversan
rsi seco. Di là traversando l’istmo di Corinto, punì Sinni assassino,
che
aveva una forza prodigiosa, solito ad attaccare l
ssino, che aveva una forza prodigiosa, solito ad attaccare le vittime
che
cadevano fra le di lui mani, a due rami di pino c
vittime che cadevano fra le di lui mani, a due rami di pino curvati,
che
poscia si raddrizzavano collo squarcio de’ loro c
frontiere di Megara precipitò dall’alto di una rupe l’infame Scirrone
che
spogliava i viandanti, e li faceva rotolare nel m
stendere i forestieri sopra di un letto di ferro, e tagliava le parti
che
sporgevano in fuori. Coll’istesso supplizio pagò
ve non potendosi vedere ozioso volle combattere col toro di Maratona,
che
menò vivo in Città per sacrificarlo ad Apollo. Ve
tortuosi di quel luogo. Volle Arianna seguire i passi di quest’Eroe,
che
amava per il suo valore : ma questi ebbe la crude
ma questi ebbe la crudeltà di abbandonare nell’isola di Nasso colei,
che
gli aveva salvata la vita. Restò l’infelice Arian
ta. Restò l’infelice Arianna in quell’isola fino all’arrivo di Bacco,
che
ritornava vincitore dall’Indie ; questo Dio asciu
e sue lagrime, e la sposò. Teseo nel partire, aveva promesso ad Egèo,
che
se ritornava vittorioso avrebbe fatto inalberare
tto inalberare al suo vascello una bandiera bianca in vece della nera
che
ivi si trovava. Disgraziatamente tanto egli, che
a in vece della nera che ivi si trovava. Disgraziatamente tanto egli,
che
il piloto obbliarono questa promessa. Egèo che im
ziatamente tanto egli, che il piloto obbliarono questa promessa. Egèo
che
impaziente attendeva sulla riva il ritorno del fi
endeva sulla riva il ritorno del figlio, osservando il bruno segnale,
che
indicava la morte dell’Eroe, per disperazione git
che indicava la morte dell’Eroe, per disperazione gittossi nel mare,
che
dal suo nome fu chiamato Egèo. Teseo montò sul tr
chiamato Egèo. Teseo montò sul trono di Atene : promulgò delle leggi,
che
contribuirono moltissimo ad accrescere la potenza
ie. Trovò in fine da pertutto occasioni per accrescere la riputazione
che
godeva. In compagnia di Ercole fece la guerra all
a Antiopa, dalla quale nacque Ippolito. Fu Teseo uno degli Argonauti,
che
andarono alla conquista del Vello d’oro. Accompag
ò Fedra figliuola di Minosse, e sorella di Arianna. Ben sapendo egli,
che
le madrigne guardano di mal occhio i figli del pr
una nera calunnia di Fedra. Volendo Teseo vendicarsene, pregò Nettuno
che
gli promise di esaudire i suoi voti. Un giorno, m
e, fece venir fuori delle acque un mostro metà uomo, e metà serpente,
che
gittava fiamme per la bocca. Spaventati i cavalli
pena. Teseo di ritorno alla terra procurò di rientrare ne’ suoi stati
che
aveva occupati Mnesteo : ma i sudditi malcontenti
stati che aveva occupati Mnesteo : ma i sudditi malcontenti di un re
che
loro attirava una folla di sventure, non vollero
sse miserabilmente, e dopo la sua morte gli furono renduti gli onori,
che
vivendo aveva meritati. Castore, e Polluce. R
mbi andarono al conquisto del vello d’oro, e fecero la guerra a Teseo
che
aveva rapita Elena germana. Essi punirono soltant
a a Teseo che aveva rapita Elena germana. Essi punirono soltanto quei
che
avevano preso parte al ratto. Tal moderazione lor
eritare la stima e l’ammirazione degli Ateniesi. Mercè la nobile cura
che
entrambi si presero di purgar l’Arcipelago dai co
obile cura che entrambi si presero di purgar l’Arcipelago dai corsari
che
lo infestavano, furono riguardati quai Numi da’ m
o, furono riguardati quai Numi da’ marinari. Nel corso della tempesta
che
assalì gli Argonauti, si viddero de’ fuochi scint
fratelli, e cessò tosto quel fiero temporale. Le fiamme di tal sorta
che
apparivano nel sorgere, o nel mezzo di qualche te
fratelli nel tempo istesso le figliuole di Leucippe, Febe, e Talaria,
che
bisognò rapire, perchè promesse a Ida, e Lincèo.
per giustificare, e per sostenere l’oltraggio. Castore uccise Lincèo,
che
da Ida fu vendicato colla morte del primo. Polluc
i era insoffribile perchè, diviso da Castore. Quindi supplicò Giove o
che
lo avesse privato della vita, o avesse divisa la
sua immortalità col fratello. Esaudì Giove i suoi voti, e fu deciso,
che
i due germani passassero sei mesi nell’inferno, e
venuto adulto gli fu proposto dallo zio la conquista del vello d’oro,
che
il giovane avido di gloria non esitò punto d’intr
gloria non esitò punto d’intraprendere a traverso di tanti pericoli,
che
ne impedivano il possesso. Bisogna sovvenirsi quì
arrivò in Colco, ove offerì in sacrifizio a Marte quel bello ariete,
che
fu poi collocato in un campo consagrato a quel Di
ia di un dragone terribile. Fu Marte tanto contento di questa offerta
che
promise immense ricchezze a chi avrebbe il posses
impresa tutti gli Eroi della Grecia. Il vascello detto Argo fu quello
che
trasportò questa schiera di Eroi, perciò detti Ar
diceria di tutte le avventnre precedenti al viaggio, e degli ostacoli
che
sormontarono mercè l’assistenza di Giunone, e di
mo luogo rompere una barriera custodita da due tori (dono di Vulcano)
che
avevano le corna, e i piedi di bronzo, dalle cui
i di un dragone, da’ quali dovevano venir fuora alcuni uomini armati,
che
faceva d’uopo sterminare fino a che non ve ne res
venir fuora alcuni uomini armati, che faceva d’uopo sterminare fino a
che
non ve ne restasse un solo : finalmente uccidere
ino a che non ve ne restasse un solo : finalmente uccidere un mostro,
che
stava alla guardia di sì prezioso deposito. Il pi
che stava alla guardia di sì prezioso deposito. Il più difficile era
che
tutto questo doveva effettuarsi nel breve corso d
il giorno prefisso si accinse al cimento il valoroso Giasone. Appena
che
comparve, i tori diventarono manieri, si sottopos
al giogo, fu lavorata la terra, uscirono dal di lei seno gli armati,
che
in vista di una pietra ad essi lanciata posti in
una bevanda apprestata da Medèa. S’impadronì Giasone dell’aureo vello
che
portò sulla nave con istupore de’ suoi compagni,
dell’aureo vello che portò sulla nave con istupore de’ suoi compagni,
che
si erano scoraggiti all’aspetto di tanti pericoli
ggiti all’aspetto di tanti pericoli. Ciò fatto di concerto con Medèa,
che
sposò, pensarono di fuggirsene col favore della n
o suo fratello minore lo trucidò, spargendo le membra lungo la strada
che
doveva battere suo padre, perchè si occupasse il
ta di diamanti. La sventurata figlia di Creonte appena ne fu vestita,
che
fu consumata da un fuoco sul momento. Non content
mento. Non contenta la maga di tale strepitosa vendetta prese i figli
che
aveva avuti da Giasone, ed al cospetto del padre
mente ritornò in Tessaglia, dove standosi un giorno sul vascello Argo
che
stava sulla riva, fu schiacciato dalla caduta di
o Argo che stava sulla riva, fu schiacciato dalla caduta di una trave
che
si era staccata. Ercole. Nacque quest’Eroe da
i era staccata. Ercole. Nacque quest’Eroe da Alcmena, e da Giove,
che
la sedusse sotto l’aspetto del suo sposo Anfitrio
ne figliuolo di Alcèo. Come Giove aveva detto nel concilio degli Dei,
che
il bambino, che doveva nascere, sarebbe divenuto
Alcèo. Come Giove aveva detto nel concilio degli Dei, che il bambino,
che
doveva nascere, sarebbe divenuto un Eroe, irritat
figliuolo di Giove, avendo preso ambo i serpenti, e stretti talmente,
che
li schiacciò. Creonte re di Tebe prese cura della
che li schiacciò. Creonte re di Tebe prese cura della sua educazione,
che
fu qual si conveniva ad un Eroe. Ercole gli mostr
n compenso gli diede in isposa Megaride sua figlia. Questi non furono
che
piccioli saggi del suo valore, e preludj de’ trav
non furono che piccioli saggi del suo valore, e preludj de’ travagli,
che
gli aveva riserbati lo sdegno di Giunone, che noi
e preludj de’ travagli, che gli aveva riserbati lo sdegno di Giunone,
che
noi in un fiato accenneremo. Il primo tratto dell
nneremo. Il primo tratto della sua fortezza fu l’aver ucciso un lione
che
infestava la selva Nemèa, della cui pelle si vest
a selva Nemèa, della cui pelle si vestì. Il secondo fu contro l’Idra,
che
desolava le paludi di Lerna presso Argo. Questo m
lava le paludi di Lerna presso Argo. Questo mostro aveva cento colli,
che
terminavano in altrettante teste spaventevoli rin
he terminavano in altrettante teste spaventevoli rinascendo a misura,
che
si tagliavano. Ercole le sterminò coll’ajuto di J
desse. Temprò egli in seguito le sue frecce nel sangue di quest’Idra,
che
conteneva un veleno potentissimo. Per mano di Erc
inarj del Lago Stimfalo in Arcadia. Era tanto numeroso il loro stuclo
che
oscurava l’aria. Avevano il becco di ferro, e dal
mostri abbattuti, e scacciati dal rumore di alcuni timpani di bronzo,
che
Minerva gli aveva donati. La quarta spedizione fu
onati. La quarta spedizione fu la presa della cerva del monte MenaIo,
che
aveva i piedi di bronzo, e le corna di oro, che p
rva del monte MenaIo, che aveva i piedi di bronzo, e le corna di oro,
che
per un anno intero inseguì. Fu ucciso parimente d
nseguì. Fu ucciso parimente da Ercole il famoso cinghiale di Erimanto
che
trasportò vivo sulle spalle. Era tanto grande, e
manto che trasportò vivo sulle spalle. Era tanto grande, e terribile,
che
in vederlo ritornare Euristeo si nascose per la p
a botte di bronzo. Erano tante sporche le stalle di Augìa re di Argo,
che
l’Eroe per nettarle deviò il corso del fiume Alfe
Argo, che l’Eroe per nettarle deviò il corso del fiume Alfeo. Un toro
che
gittava fiamme dalle narici desolava l’isola di C
le Amazoni, e diede in isposa a Teseo la loro regina. Uccise Gerione,
che
aveva tre corpi. Essendosi altresì fatto iniziare
ncatenato lo trascinò sulla terra. Finalmente conquistò i pomi d’oro,
che
stavano agli orti dell’Esperidi guardati da un dr
omi d’oro, che stavano agli orti dell’Esperidi guardati da un dragone
che
ammazzò. L’Esperidi erano tre, Egle, Aretusa, ed
e, Egle, Aretusa, ed Esperusa figliuole di Espero germano di Atlante,
che
fu cangiato in una stella che comparisce al levar
figliuole di Espero germano di Atlante, che fu cangiato in una stella
che
comparisce al levarsi, ed al tramontare del sole,
ramontare del sole, detta perciò Lucifer, ed Hesperus. Osservammo già
che
Atlante era stato trasformato in una montagna, ch
us. Osservammo già che Atlante era stato trasformato in una montagna,
che
sostiene il cielo ; le sue quattordici figlie can
strò quest’Eroe la sua vita con tante altre brillanti azioni. Egli fu
che
diede la morte a Caco, che abitava in un antro so
con tante altre brillanti azioni. Egli fu che diede la morte a Caco,
che
abitava in un antro sotto le falde dell’Aventino1
la sua caverna, tirandoli per la coda per non far conoscere la strada
che
avevano battuta. Ercole li avrebbe affatto perdut
rcole i bovi, ed uccise l’indegno ladrone. Stupenda è la descrizione,
che
fa Virgilio di questa grotta nel lib. 8. Dell’Ene
eide. Stava nelle arene della Libia un famoso gigante chiamato Antèo,
che
attaccava i viandanti. Aveva questi promesso a Ne
olte ; ma come figlio della Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre
che
la toccava ; del che avvedutosi Ercole lo tenne s
della Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre che la toccava ; del
che
avvedutosi Ercole lo tenne sospeso in aria finchè
e sospeso in aria finchè spirò l’ultimo fiato. Una fucinata di uomini
che
avevano picciolissima statura detti Pigmei per ve
per vendicare la morte di Antèo loro re si affollò intorno di Ercole,
che
ridendo li pose in fuga. Questo Eroe diseese duc
lia, ed Anassabia. Suo padre per sottrarla dalle premure degli amanti
che
la circondavano, fece loro sentire che per ottene
rla dalle premure degli amanti che la circondavano, fece loro sentire
che
per ottenerla in isposa dovevano condurla sopra d
sa, avendo adempito a tale condizione mercè un lione, ed un cinghiale
che
Apollo gli diede. Ma il Destino geloso della feli
elicità di Admeto era presso a troncare i suoi giorni, quando Alceste
che
lo amava alla follìa, si offrì di morire per lui.
mava alla follìa, si offrì di morire per lui. Fu questa l’unica fiata
che
le Parche s’intenerirono : recisero quindi il fil
alla corte di Admeto. Commosso dalla sposizione del fatto non volle,
che
un’azione sì grande restasse senza compenso. Sces
onda volta maritarsi, e chiese la destra di Jole figliuola di Eurito,
che
domandò tempo per pensarci, sull’idea che sua fig
i Jole figliuola di Eurito, che domandò tempo per pensarci, sull’idea
che
sua figlia non potesse essere contenta accoppiata
dea che sua figlia non potesse essere contenta accoppiata ad un uomo,
che
aveva ammazzato di propria mano i suoi figli. Erc
ad un uomo, che aveva ammazzato di propria mano i suoi figli. Ercole
che
fra le sue virtù non contava la pazienza, credend
fiuto, crucciato si portò via i cavalli di Eurito : suo figlio Ifito,
che
volle reclamarli, cadde vittima di Ercole. Il suo
orso avendo costretto Ercole a consultare l’oracolo, gli fu risposto,
che
l’uccisore avrebbe espiato il suo delitto a solo
risposto, che l’uccisore avrebbe espiato il suo delitto a solo patto
che
si fosse pubblicamente lasciato vendere. Ercole v
inalmente ritornando nella Grecia sposò Dejanira sorella di Meleagro,
che
volendo condurre alla patria, pregò Nesso centaur
ava a fare un sagrifizio sul monte Eta. Appena Ercole ne fu rivestito
che
sentì divorarsi da un fuoco interno, indi preso d
eso da furore precipitò dall’alto della montagna il suo schiavo Lica,
che
gli aveva recato quel dono così funesto. Finalmen
ando i suoi amici di appiccarvi il fuoco. Il solo Filottete fra tanti
che
ricusarono, secondò il suo volere. Per compenso n
li non poteva cader Troja. Le fiamme consumarono solamente quel tanto
che
aveva di mortale ; ma come figlio di Giove dopo m
n aver giurato di non rivelare il luogo della sua tomba ; ma i Greci,
che
avevano bisogno delle frecce che ivi erano rinchi
luogo della sua tomba ; ma i Greci, che avevano bisogno delle frecce
che
ivi erano rinchiuse per poter prendere Troja, lo
o ove stavano le ceneri di Ercole : ma gli Dei lo punirono egualmente
che
se avesse colla viva voce indicato quel sito. App
uel sito. Appena imbarcatosi per recarsi a Troja, gli cadde sul piede
che
aveva battuta la terra, un dardo avvelenato dal s
la sua ferita divenne insanabile. L’infezione, ed il fetore era tale,
che
i Greci lo lasciarono nell’isola di Lenno, ove me
ì in fatti di riavere da Plutone la cara sua sposa a condizione però,
che
non si fosse rivoltato indietro fino a che non fo
a sposa a condizione però, che non si fosse rivoltato indietro fino a
che
non fosse uscito dall’inferno. Lo smanioso Orfèo
rì per la seconda fiata Euridice. Questa perdita lo afflisse in modo,
che
giurò di fuggire per sempre la compagnia delle do
delle donne. Le femmine di Tracia furono sì offese da tale disprezzo,
che
avendolo incontrato mentre celebravano le feste d
ano le feste di Bacco, lo fecero in pezzi, e ne dispersero le membra,
che
poi le Muse raccolsero, e seppellirono in un luog
ta la morte di Euridice, ne attribuisce la cagione al pastore Aristèo
che
la inseguiva mentre coglieva de’ fiori, e nella f
Edipo. Lajo re di Tebe aveva sposata Giocasta figliuola di Creonte,
che
aveva prima di Lajo parimente regnato in Tebe.Gli
prima di Lajo parimente regnato in Tebe.Gli fu predetto dall’oracolo,
che
il figlio che nascerebbe da questo matrimonio avr
parimente regnato in Tebe.Gli fu predetto dall’oracolo, che il figlio
che
nascerebbe da questo matrimonio avrebbe a suo tem
l genitore ; quindi sgravatasi la regina, ordinò ad un suo familiare,
che
avesse esposto il bambino in un deserto. Ma quest
iede. Per tal ragione il faneiullo ebbe il nome di Edipo, voce Greca,
che
dinotò piè gonfio. Forba guardiano degli armenti
mpassione de’ suoi vagiti lo staccò dall’albero, e lo presentò al re,
che
lo fece educare con attenzione, adottandolo anche
ttenzione, adottandolo anche per figlio. Edipo divenuto adulto seppe,
che
Polibo non era il padre suo. Volle a tale oggetto
o. Volle a tale oggetto consultare l’oracolo, da cui gli fu risposto,
che
giammai non pensasse a far ritorno alla patria, p
o stretto del monte Citerone ebbe la sventura d’incontrarsi con Lajo,
che
avendogli imposto bruscamente di scostarsi, Edipo
rarsi con Lajo, che avendogli imposto bruscamente di scostarsi, Edipo
che
nol conosceva, credendosi offeso tirò fuori la su
racolo fu pienamente adempiuto. Questa fu la sorgente delle disgrazie
che
afflissero Tebe. Un mostro alato chiamato Sfinge
andosi in aguato in un passo del monte Ficèo, assaliva i passaggieri,
che
uccideva dopo aver proposto ai medesimi degli cni
a dopo aver proposto ai medesimi degli cnigmi indissolubili. Creonte,
che
dopo la morte di Lajo aveva ripreso le redini del
te di Lajo aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico,
che
colui che uccidesse la Sfinge, sarebbe divenuto l
aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico, che colui
che
uccidesse la Sfinge, sarebbe divenuto l’immediato
. La vita del mostro dipendeva dallo scioglimento di uno degli enigmi
che
proponeva. Edipo intraprendente, ed ardito, malgr
degli enigmi che proponeva. Edipo intraprendente, ed ardito, malgrado
che
tanti prima di lui fossero periti, ebbe il coragg
ima di lui fossero periti, ebbe il coraggio di presentarsi al mostro,
che
gli dimandò qual era quell’animale che sul matino
ggio di presentarsi al mostro, che gli dimandò qual era quell’animale
che
sul matino và brancolando a quattro piedi, sul me
due, e verso la sera con tre piedi. Edipo senza punto esitare rispose
che
questi era l’uomo, che nell’infanzia si rotola so
n tre piedi. Edipo senza punto esitare rispose che questi era l’uomo,
che
nell’infanzia si rotola sovente anche colle mani
spaventevole in Tebe ; si ebbe ricorso all’oracolo, e la risposta fu,
che
il flagello cesserebbe allora quando l’uccisore d
sciuto, e punito. Lo sventurato Edipo convinto del delitto, e vedendo
che
al parricidio aveva aggiunto l’incesto, andossene
il comando. Sdegnato Polinice ritirossi in Argo, dove regnava Adrasto
che
gli fece grande accoglienza, e gli diede una sua
renze tra i due fratelli, inviando Tidèo altro suo genero ad Eteocle,
che
violando il dritto delle genti fece tendere un’im
tè appena salvarsi, e ritornato ad Argo raccontò il fatto ad Adrasto,
che
si accinse tosto a vendicare i suoi dritti colle
o a corpo. Si azzuffarono dunque entrambi, ed era tale l’accanimento,
che
l’odio reciproco loro ispirava, che dopo aversi d
rambi, ed era tale l’accanimento, che l’odio reciproco loro ispirava,
che
dopo aversi dato de’ colpi terribili, restarono n
raviglia, e spavento degli astanti. Nomi de’ principali Guerrieri,
che
si distinsero nella guerra di Tebe. La guerra di
a è stata il soggetto del canto di molti poeti, come quella di Troja,
che
diede occasione al poema di Omero. Tra i capi che
me quella di Troja, che diede occasione al poema di Omero. Tra i capi
che
allora si distinsero, si contano Adrasto, Polinic
ante la morte all’assedio di Tebe. Egli fu padre del celebre Diomede,
che
si segnalò nella guerra di Troja. Amfiarao famoso
figliuola di Adrasto, fu anche pressato ad armarsi : ma sapendo egli
che
doveva perire in questa guerra, si ritirò dalla c
to, e si nascose. La sola Erifile sapeva il luogo della sua ritirata,
che
non tardò a scoprire mercè di una bella collana a
fu obbligato a partire con aver però imposto al suo figlio Alcmeone,
che
appena intesa la nuova di sua morte, avesse tolta
roe figliuola di Acheloo, chiese di nuovo questa collana ai fratelli,
che
vendicarono l’affronto fatto alla sorella colla m
atto alla sorella colla morte del perfido Alcmeone. Capanèo è l’Eroe,
che
forma il soggetto del poema di Stazio intitolato
aggio, ma accompagnato dalla prudenza. Sprezzava il fulmine di Giove,
che
credeva incapace di offendere. Giove volle punire
bero poca fama, e perirono sotto le mura di Tebe. Adrasto fu il solo,
che
ritornò alla patria. Del resto questa guerra fu f
itornò alla patria. Del resto questa guerra fu fatale a tutti coloro,
che
ci avevano preso parte. Fra i personaggi, che si
fatale a tutti coloro, che ci avevano preso parte. Fra i personaggi,
che
si segnalarono in questa celebre epoca, non possi
epoca, non possiamo dispensarci dal nominare Tiresia famoso indovino,
che
per sette anni fu donna. Suscitatasi fra Giove, e
none la quistione sugli attributi de’ due sessi, fu chiamato Tiresia,
che
decise a favor di Giove, e contro di Giunone. Spi
asta salì sul trono di Tebe, e la prima delle sue cure fu di proibire
che
si desse la sepoltura alle ceneri di Polinice, pe
lo gli ultimi uffizj. Ciò saputosi dal re, condannò Antigone a morte,
che
di sua mano precedentemente si era uccisa prevede
tà della ragione, si riaccese la guerra di Tebe per opera di Adrasto,
che
stuzzicava i guerrieri della Grecia a vendicare l
ai tempi eroici, per indagare l’origine della famiglia de’ Pelopidi,
che
figurò molto in tal’epoca. Tantalo ne fu il capo
nella Frigia. Non essendo questi stato chiamato da Troe in una festa
che
si celebrò nella città di Troja, per vendicarsi d
scitanza, rapì al padre il gentile Ganimede. Ecco la prima scintilla,
che
produsse a suo tempo l’incendio di Troja. Abbench
lope. Con un fulmine Giove incenerì Tantalo : indi ordinò a Mercurio,
che
lo avesse confinato in un lago dell’inferno, inca
e lo avesse confinato in un lago dell’inferno, incatenandolo in guisa
che
vedesse bensì l’acqua, ma senza poter giammai dis
devano sul capo. Pelope. Tornò in vita Pelope per opra degli Dei,
che
in luogo della spalla mangiata da Cerere, gliene
re di Elide. Questo principe aveva una figliuola chiamata Ippodamia,
che
voleva maritare a condizione, che lo sposo dovess
a una figliuola chiamata Ippodamia, che voleva maritare a condizione,
che
lo sposo dovesse superare al corso i suoi cavalli
i suoi cavalli, ch’erano velocissimi, perchè figli del vento. Pelope
che
anelava di ottenerla, se la intese con Mirtilo au
che anelava di ottenerla, se la intese con Mirtilo auriga di Enomao,
che
gli promise di spezzare l’asse che sosteneva le r
tese con Mirtilo auriga di Enomao, che gli promise di spezzare l’asse
che
sosteneva le ruote del carro, a patto però, che P
se di spezzare l’asse che sosteneva le ruote del carro, a patto però,
che
Pelope gli desse per un solo giorno Ippodamia. Ci
etesto di vendicare la morte di Enomao. Pelope s’impadronì del paese,
che
fu detto in seguito Peloponneso, oggi la Morea.
ggironsi presso Euristeo re di Argo, la cui figlia Erope sposò Atrèo,
che
divenne re, essendo stato ucciso Euristeo dagli E
re, essendo stato ucciso Euristeo dagli Eraclidi nell’Attica. Tieste
che
restò in sua corte corruppe il cuore di Erope, e
de a mangiare allo stesso padre, ed alla madre Erope. Dicono i poeti,
che
in quel giorno il sole si oscurò, per non vedere
per non vedere un sì atroce misfatto. Tieste non aveva a rinfacciarsi
che
un solo delitto. Avendo una volta incontrata una
sco consagrato a Minerva, la violentò. Questa era Pelopea sua figlia,
che
da gran tempo aveva perduta. Ella gli strappò la
li strappò la spada, e la conservò. Nacque Egisto da questa violenza,
che
esposto dalla madre fu allevato da’ pastori. Atrè
allevato da’ pastori. Atrèo, seguita la morte di Erope, sposò Pelopea
che
non riconosceva per sua nipote, facendo allevare
va vendetta, mandò Agamennone, Menelao, ed Egisto in cerca di Tieste,
che
lo colsero nel tempio di Delfo. Alla vista di que
ngannò con dargli la morte, e con far salire sul trono d’Argo Tieste,
che
non vi stette gran tempo. Agamennone, e Menela
dopo la morte del padre, si ritirarono presso Polifide re di Sicione,
che
gl’inviò ad Eneo re dell’Ecalia. Maritati entramb
a, ed Elena, giurarono la vendetta di Atrèo, e perseguitarono Tieste,
che
per altro non uccisero. Allora nel tempo stesso A
uccisero. Allora nel tempo stesso Agamennone ascese sul trono d’Argo
che
trasferì a Micene, e Menelao divenne il successor
Priamo re di Troja recossi alla Grecia per reclamare Esione sua zia,
che
Telamone altra volta aveva menata via sotto il re
eva menata via sotto il regno di Laomedonte. Il giovane ambasciadore,
che
spirava galanteria, ebbe l’attività di sedurre El
imede figliuolo di Troe, rapito da Tantalo. Ecco la terribile guerra,
che
interessò tanto tutta la Grecia contro di Troja.
a contro di Troja. Agamennone fu il generale in capo di quest’armata,
che
doveva vendicare l’insulto fatto a suo fratello.
di Agamennone, sedusse la di lui sposa, e fece uccidere un rapsodo 1,
che
il re aveva lasciato presso la regina, per sapere
do 1, che il re aveva lasciato presso la regina, per sapere tutto ciò
che
si faceva nella sua corte. Giunse tant’oltre la d
eva nella sua corte. Giunse tant’oltre la di lui scandalosa condotta,
che
fece assassinare Agamennone nel proprio palazzo i
nare Agamennone nel proprio palazzo in una festa, nel giorno medesimo
che
ritornò dalla guerra. Oreste, e Pilade. Clite
sse celato, ed indi fatto partire per la Focide, ove regnava Strofio,
che
aveva in moglie la sorella di Agamennone. Colà Or
o di Strofio, ed alla parentela unì puranche la più stretta amicizia,
che
divenne celebre. Dopo qualche anno volle Oreste v
ano ammazzò la rea coppia. Ciò fatto, Oreste fu assalito dalle Furie,
che
malgrado tante espiazioni non lo lasciarono giamm
Furie, che malgrado tante espiazioni non lo lasciarono giammai fino a
che
non liberò sua sorella Ifigenìa, che languiva sot
non lo lasciarono giammai fino a che non liberò sua sorella Ifigenìa,
che
languiva sotto la tirannia di Toante. Da costci f
entiva una forte inclinazione per Teti figliuola di Nereo, e di Dori,
che
fa d’uopo distinguere da Teti moglie dell’Oceano.
stinguere da Teti moglie dell’Oceano. Sapendo però per detto di Temi,
che
il figlio che nascerebbe da Teti avanzerebbe di g
eti moglie dell’Oceano. Sapendo però per detto di Temi, che il figlio
che
nascerebbe da Teti avanzerebbe di gran lunga la g
a Peleo figliuolo di Eaco re della Ftiotide nella Tessaglia. Achille,
che
superò la gloria del padre, nacque da questa copp
custodire i suoi armenti sul monte Ida, colà confinato da Ecuba senza
che
Priamo lo sapesse, giacchè gli era stato predetto
lo sapesse, giacchè gli era stato predetto, mentre Ecuba era incinta,
che
il bambino che stava per nascere, sarebbe stata l
cchè gli era stato predetto, mentre Ecuba era incinta, che il bambino
che
stava per nascere, sarebbe stata la causa della r
la causa della ruina della patria : quindi diede ordine ad Archelao,
che
appena nato lo facesse morire ; ma avendone compa
di riconciliazione non ebbero l’effetto desiderato, opponendo Priamo,
che
i Greci non avevano data alcuna soddisfazione ai
to. Consultato in tale circostanza Calcante celebre indovino rispose,
che
la flotta non avrebbe avuto giammai favorevole il
e prima non si fosse placato lo sdegno di Diana contro di Agamennone,
che
le aveva uccisa una cerva a lei cara : questo del
Agamennone a sacrificare sua figlia Ifigenia alla collera della Dea,
che
placatasi dell’offerta sostituì in luogo di quell
corso di nove anni varia fu la fortuna delle armi. La presa di Troja,
che
accadde nel decimo anno della guerra, non dipende
mo luogo doveva trovarsi in quest’armata uno de’ discendenti di Eaco,
che
aveva in compagnia di Apollo, e di Nettuno fatica
ja. Achille discendeva da questo principe : ma Teti sua madre sapendo
che
il figlio morirebbe nell’assedio, lo aveva vestit
ria ad una vita così vergognosa. Un altro decreto del fato comandava,
che
si cercassero le frecce di Filottete lasciategli
dava, che si cercassero le frecce di Filottete lasciategli da Ercole,
che
i Greci avevano vilmente abbandonato, come si è d
ta Palladium, nella quale consisteva la salvezza della città. Ulisse,
che
accorreva da per ogni dove, colla sua destrezza s
strezza seppe involarla coll’ajuto bensì di Diomede. Impedì parimente
che
i cavalli di Reso re della Tracia bevessero nel f
elefo figliuolo di Ercole ferito da Achille con un colpo di lancia, e
che
si era dichiarato nemico de’ Greci. Come questi n
ito, e di divisione non fosse entrato nell’armata : divisione appunto
che
forma il soggetto del divino poema del grande Ome
sublime L’opra maggior, la memorabil morte Del Trojano campion, morte
che
a Troja Fu d’eccidio final terribil pegno, Cantam
enire al campo de’ Greci carico di doni per riscattare la sua figlia,
che
Agamennone volle onninamente tenere presso di se.
uscitò nell’armata una fiera pestilenza. Consultato Calcante rispose,
che
il flagello non cesserebbe, finchè non si restitu
ll’esercito. Achille il più risentito giunse a minacciare Agamennone,
che
vinto dalle premure di tutti, fu costretto a cede
rigioniera, ma per vendicarsi spedì due araldi alla tenda di Achille,
che
rapirono Briscide schiava del figliuolo di Pelco,
a di Achille, che rapirono Briscide schiava del figliuolo di Pelco, e
che
amava alla follìa. Montato in furie Achille giurò
i Greci con far vincere i Trojani, perchè ognuno conoscesse il danno
che
poteva produrre alla Greca armata il riposo di Ac
re così le contese. La dissida fu accettata dal momento a condizione,
che
il vincitore sarebbe il pacifico possessore di El
alle gambe. Il poeta per palliare questa fuga l’abbellisce con dire,
che
Venere inviluppò in una nuvola il guerriero da le
Pretesero giustamente i Greci l’adempimento del trattato, ma gli Dei
che
si erano radunati per decidere sulla sorte di Tro
Dei che si erano radunati per decidere sulla sorte di Troja, vollero
che
l’assedio si fosse prolungato. Minerva stessa, ch
di Troja, vollero che l’assedio si fosse prolungato. Minerva stessa,
che
non sapeva perdonarla ai Trojani per il giudizio
i piedi. Egli si rendette formidabile agli Dei medesimi. Ferì Venere,
che
voleva torgli d’innanzi Enea al punto di essere s
olpo a Marte Dio della guerra. Finalmente Ettore il solo de’ Trojani,
che
ardì di farglisi innanzi, ritornò in città a cons
matrone Trojane di recarsi al tempio di Pallade, per pregare la Dea,
che
allontanasse Diomede dalla mischia. Andromaca sua
Diomede dalla mischia. Andromaca sua sposa per sottrarlo al pericolo,
che
correva, gli presentò il piccolo Astianatte suo f
scompiglio nelle file de’ Greci. Discende Minerva dal Cielo : Apollo,
che
favoriva i Trojani, s’incontra colla Dea, ed insi
sorte sopra di Ajace figliuolo di Telamone. Corre questi alla pugna,
che
malgrado terribile, restò dubbia. Spossati i due
rendere gli onori della sepoltura ai cadaveri degli estinti. Gli Dei,
che
avevano preso grandissimo interesse per questa gu
esse per questa guerra, furono convocati nell’Olimpo, e Giove ordinò,
che
nessuno avesse sposato partito per l’una, e per l
necessario il suo braccio. Ne fu dato l’incarico ad Ulisse, ed Ajace,
che
partirono all’istante. Ulisse procurò d’interessa
a Grecia con fargli conoscere quanto potrebbe giovare il suo valore :
che
la sua collera finalmente doveva aver fine, e gli
guente le due armate si schierarono in ordine di battaglia. Ma Giove,
che
voleva donare la vittoria ai Trojani, inviò Iride
nda. Così fu fatto, e la presenza di Ettore animò talmente i Trojani,
che
respinsero i Greci, e li astrinsero a ricovrarsi
zi, come distruggerli. Ella dimandò a Venere una zona, o sia cintura,
che
aveva la proprietà di aggiungere nuovi vezzi, e m
i vezzi, e maggior pregio alla bellezza, e rendeva amabile quella Dea
che
la portava. Giove non potè resistere a tale incan
so dal sonno. Dormiva Giove, ma vegliava Nettuno a danno de’ Trojani,
che
furono posti in fuga, allorchè Giove si svegliò.
vino. Marcia Ettore guidato da Apollo : abbatte le trincee de’ Greci,
che
per la seconda volta dovettero ritirarsi ai loro
e armi di Achille, e seguito da’ Tessali si gitta in mezzo ai nemici,
che
credendolo il figlio di Peleo, si danno alla fuga
redendolo il figlio di Peleo, si danno alla fuga. Superbo pel terrore
che
spargeva, e per la morte data a Sarpedone re dell
progressi. Questo Dio per la terza volta spinse Ettore a combattere,
che
venuto a battaglia con Patroclo, dopo un’ ostinat
le. Ettore si burlò del presagio, e lo spogliò delle sue armi. Appena
che
giunse a notizia di Achille la morte di Patroclo,
rte di Patroclo, il suo dolore non ebbe limiti. La sentì sì vivamente
che
l’avrebbe vendicata all’istante, se avesse avute
promettergli le armi pel dì vegnente. Infatti recossi ella da Vulcano
che
spese tutta la notte a fabbricarne delle nuove, d
cui armato Achille ricomparve fra i capi dell’Armata, con protestarsi
che
scordava l’antica sua collera. Agamennone per non
à, mandò alla tenda di Achille la cara Briseide, carica di que’ doni,
che
gli aveva inutilmente prima offerti. Impaziente A
eri, e insieme si azzuffarono. Era tanto fiera, ed ostinata la pugna,
che
gli stessi Numi erano ondeggianti per chi si deci
el suo amico, e vi appiccò il fuoco. Indi recise la sua bella chioma,
che
divenne preda delle fiamme : volle inoltre, che q
la sua bella chioma, che divenne preda delle fiamme : volle inoltre,
che
quattro de’ suoi più belli cavalli con alcuni can
nove giorni trascinò tre volte il mattino il cadavere del suo nemico,
che
Apollo covrì col suo scudo per non farlo corrompe
arlo corrompere. Finalmente si contentò di cederlo al vecchio Priamo,
che
in persona era venuto supplichevole a dimandarlo,
cchio Priamo, che in persona era venuto supplichevole a dimandarlo, e
che
offrì de’ doni di gran valore rifiutati peraltro
a nell’Odissea la distruzione di quest’ infelice città, e l’artifizio
che
usarono i Greci per rendersene padroni. Fine d
i Priamo. Quest’Eroe divenne amante di Polissena figliuola di Priamo,
che
aveva veduta sulle mura di Troja. La chiedette a
esa degli stati di questo re. Priamo accettò l’offerta ; ma nel punto
che
tali nozze si celebravano, da Paride fu lanciata
nto che tali nozze si celebravano, da Paride fu lanciata una freccia,
che
Apollo diresse al calcagno di Achille. Era questa
teneva, non fu bagnato da quest’acque salutari. È inutile quì notare,
che
Omero non abbia fatta menzione di tale favola : i
ato meno grande, se lo avesse dipinto fornito di un tal dono. I poeti
che
scrissero dopo di Omero, immaginarono questa favo
i fare gli onori della sepoltura, furono obbligati a fare altrettanto
che
fece Priamo per avere il corpo di Ettore. Pel cor
rastarono le sue armi al cospetto di tutta l’armata : ma questa volle
che
si dessero ad Ulisse. Ajace ne fu tanto indispett
uesta volle che si dessero ad Ulisse. Ajace ne fu tanto indispettito,
che
giunse a massacrare una moltitudine di porci, cre
Agamennone con tutt’i Greci. Ritornato in se, n’ebbe tanta vergogna,
che
si diede da se stesso la morte, ed indi fu cangia
e di Omero ci ha presentate delle sanguinose battaglie, e degli Eroi,
che
diedero pruove non equivoche del più sublime cora
far morire il migliore dei suoi amici, ed una quantità di guerrieri,
che
avrebbe potuto soccorrere. Abbiamo per l’opposto
posto veduto gl’Iddj dominati da uno spirito di partito : il ritratto
che
il poeta ce ne ha lasciato sarebbe pur troppo a g
o orrevole per gli uomini, tralasciando per brevità altre riflessioni
che
potrebbero farsi. L’ Odissèa, di cui ci accingiam
dere la sua cara Penelope, e’ l giovanetto Telemaco. Minerva intanto,
che
aveva spiegata per lui la sua protezione, discesa
e probabilmente avrebbe avuto nuove di suo padre. Si avvide Telemaco,
che
Minerva stessa gli parlava per essersi ritirata l
di un uccello, come altresì perchè si sentì animato da una forza più
che
naturale. Intima pel dì vegnente un’assemblea gen
a pel dì vegnente un’assemblea generale : si duole aspramente di quei
che
aspiravano alla mano di sua madre : ordina che si
ole aspramente di quei che aspiravano alla mano di sua madre : ordina
che
siano cacciati dalla reggia, scongiurando i suoi
ca a Sparta da Menelao. Colà appena arrivato, è chiamato ad una festa
che
si celebrava per le nozze di una figliuola di que
una festa che si celebrava per le nozze di una figliuola di quel re,
che
gli disse aver inteso da Proteo Dio marino, che s
figliuola di quel re, che gli disse aver inteso da Proteo Dio marino,
che
suo Padre Ulisse è trattenuto da una ninfa in un’
rta, e per far passare i leggitori da un luogo all’altro, espone quel
che
accadeva nel Cielo. Conoscendo Giove, che si acco
uogo all’altro, espone quel che accadeva nel Cielo. Conoscendo Giove,
che
si accostava il giorno fissato dal Destino, in cu
Nettuno sempre a lui contrario suscita una burrasca cotanto furiosa,
che
il naviglio di Ulisse ne resta fracassato, ed egl
ell’isola de’ Feaci, dove ritroverà la sua salvezza : gli dà un velo,
che
lo garantisce da ogui periglio, con ordine di git
ia, e la consiglia a lavare le più belle sue vesti, con dirle di più,
che
le sue nozze erano vicine a celebrarsi. Appena sv
per giocare alla palla. Desta allora Minerva il figliuolo di Laerte,
che
prima di farsi innanzi a Nausicae si avvolge in u
ramicelli. Ma asperso ancora di polvere spaventa le giovani donzelle,
che
fuggono da pertutto. La sola figliuola di Alcinoo
he fuggono da pertutto. La sola figliuola di Alcinoo non si sgomenta,
che
anzi lo aspetta. Ulisse la prega d’indicargli la
sgomenta, che anzi lo aspetta. Ulisse la prega d’indicargli la strada
che
conduce alla città, e dargli qualche panno per ve
i profumare. L’eroe essendosi lavato nel fiume, e vestito degli abiti
che
aveva ricevuto, si presenta alla sua benefattrice
, rifiuto delle onde furiose. Il buon re lo accoglie con quella bontà
che
forma il carattere di quei temdi remoti. Ulisse i
d’era stato spinto dalla tempesta negli stati di Alcinoo : soggiunge,
che
un fulmine di Giove avendo sfasciato il suo navig
impegnandolo a divenire suo sposo. Finalmente il destino ha permesso
che
scappasse da questa terra fatale, e battuto da nu
olta. All’istante si danno le disposizioni per allestire un vascello,
che
debba condurlo alla patria : un’ecatombe1 si offr
a de’ fatti colà accaduti non potè Ulisse frenare le lagrime. Alcinoo
che
se ne avvide gliene dimanda la cagione, ed Ulisse
il pericolo : gli abitanti offrirono a suoi compagni il loto2, frutto
che
aveva la proprietà di far dimenticare la patria a
’isola de’ Ciclopi, fermandosi in una picciola isoletta della Sicilia
che
stava a fronte del porto. Avendo posto piede a te
e abitava Polifemo figliuolo di Nettuno, gigante di enorme grandezza,
che
avea un occhio solo nel mezzo della fronte. Quest
ndezza, che avea un occhio solo nel mezzo della fronte. Questo mostro
che
riconduceva i suoi armenti, accortosi che vi era
della fronte. Questo mostro che riconduceva i suoi armenti, accortosi
che
vi era gente nella caverna, ne chiuse l’ingresso
si che vi era gente nella caverna, ne chiuse l’ingresso con un sasso,
che
la forza di venti uomini non avrebbe potuto smuov
inari : e ’l dì vegnente altri due gli servirono di colezione. Ulisse
che
per tutte le vie trovava mezzi per salvarsi, tenn
bada il Ciclope con i suoi racconti, e lo ubbriacò con vino generoso,
che
aveva portato, e ch’ ebbe la forza d’immergerlo i
fondo. Profittando allora del momento, Ulisse preso un forte bastone,
che
aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo,
forte bastone, che aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo,
che
al sentirsi ferito cominciò ad urlare altamente.
rito, ripigliò Polifemo1 : (aveva Ulisse avuta l’accortezza di dirgli
che
questo era il suo nome). Credettero i Ciclopi, ch
cortezza di dirgli che questo era il suo nome). Credettero i Ciclopi,
che
avesse perduta la ragione, e lo lasciarono così.
rotta : anche a questo pensò l’astuto Ulisse. Impose a suoi compagni,
che
nell’uscire gli armenti, si fossero tenuti fermi
i dal gigante. Nello staccare la pietra si situò Polifemo in maniera,
che
i montoni potessero ad uno ad uno passare fra le
toni potessero ad uno ad uno passare fra le gambe. Allorchè si avvide
che
eran fuori Ulisse con i compagni, volle inseguirl
azione di Ulisse, dopo avergli fatto una gentile accoglienza, ordinò,
che
tutt’i venti si fossero rinchiusi in un otre, con
orreggiare i palagi di quest’isola, quando i socj di Ulisse, credendo
che
in quell’otre si conservasse qualche sorta di vin
vino prezioso, lo aprirono. All’istante scapparono fuori tutt’i venti
che
posero in iscompiglio le onde, e suscitarono una
’onde, si diresse alla fin fine verso il paese dei Lestrigoni, popoli
che
si dilettavano di mangiar la carne umana, ed in f
aver fatto gentile accoglimento agl’inviati, loro offrì una bevanda,
che
li trasformò al momento in porci. Avvisato l’Eroe
di questo nuovo disastro, strada facendo ricevè da Mercurio un’ erba,
che
lo garantiva dalle più funeste malìe. Ulisse al c
Ulisse si trovò così contento del trattamento, e dell’amor della Dea,
che
si trattenne volentieri per un anno nell’isola. D
la, e Cariddi. Circe lo aveva altresì avvertito a non toccare i bovi,
che
faceva pascere la bella Lampezia in un’isola cons
pelli da per se si stendevano. Un tale prodigio li spaventò in modo,
che
sen fuggirono alle navi : ma la collera degli Dei
sovrana dell’isola. Questo fu il contenuto della narrativa di Ulisse,
che
Alcinoo, ed i Feaci ascoltarono con ammirazione.
e, con aggiungere di aver egli in Creta accolto Ulisse in sua casa, e
che
a momenti avrebbe riveduto. Le dà parimente de’ c
ad altrettante colonne. Questo era il segnale convenuto con Telemaco,
che
avvicinatosi a lui snuda la sua spada, e piomba s
al sangue di questi perfidi, e da quello dei loro aderenti. I sudditi
che
attendevano con impazienza il ritorno del re, fan
fanno risuonare la reggia delle loro grida : va l’avviso a Penelope,
che
Ulisse è in Itaca : egli viene riconosciuto, e co
se è in Itaca : egli viene riconosciuto, e corre da suo padre Laerte,
che
piangeva la perdita di un figlio, che credeva di
o, e corre da suo padre Laerte, che piangeva la perdita di un figlio,
che
credeva di non mai più rivedere. Restituito Uliss
come Ulisse, ed all’occasione è coraggioso, quanto Achille. L’oggetto
che
si ha prefisso Virgilio, è quello di dare una ori
a, e sarebbe sicuramente perita, se Nettuno sorpreso da tanto tumulto
che
regnava nel suo impero, non fusse uscito dall’umi
a reggia, ordinando ai venti di rientrare nelle proprie caverne. Enea
che
vedeva appena sette de’ suoi vascelli credendo no
e vedeva appena sette de’ suoi vascelli credendo non senza fondamento
che
i rimanenti fossero divenuti preda dell’infuriato
se fatte in di lui favore. Questo Dio le rinnova, ed assicura Venere,
che
il suo figliuolo arriverà felicemente in Italia,
il principe Trojano. Venere intanto discesa dall’Olimpo avvisa Enea,
che
i suoi vascelli sono salvi, menochè un solo, in u
fedele Acate s’incamina l’Eroe verso Cartagine, e coverto da un velo
che
lo rende invisibile, si approssima alla bella Did
ella Didone detta anche Elisa1. Dopo un istante vede i suoi compagni,
che
credeva annegati, avanzarsi, e dimandare l’ospita
, che credeva annegati, avanzarsi, e dimandare l’ospitalità a Didone,
che
gentilmente li ricevette, e diede gli ordini che
ospitalità a Didone, che gentilmente li ricevette, e diede gli ordini
che
si andasse in cerca del principe Trojano. Venere
questo Eroe, e sensibile alle di lui disgrazie, gli contesta la gioja
che
sente pel suo arrivo, dando le disposizioni per u
Principi della Grecia, Enea imprese a dire, di anni dieci di assedio,
che
li teneva lontani dalla patria, escogitarono uno
i Trojani di essere sicuri corrono a vedere questo smisurato cavallo,
che
i Greci lasciarono nel sito dove stavano accampat
j sono i sentimenti sopra questa macchina immensa : alcuni pretendono
che
si butti nel mare : altri che ci si attacchi il f
ta macchina immensa : alcuni pretendono che si butti nel mare : altri
che
ci si attacchi il fuoco : taluni la vogliono intr
no introdurre nella città. Laocoonte sacerdote di Nettuno è di avviso
che
si abbatta questo mostruoso cavallo, ed egli stes
quello. Arrestano intanto i Trojani un giovine Greco per nome Sinone,
che
andava errando. Quest’impostore inganna i Trojani
un falso racconto, dicendo, esser egli l’odio de’ Greci : soggiunge,
che
il cavallo di legno è un’offerta fatta a Minerva
carla : di più li consiglia ad introdurre questo colosso nella città,
che
conservando un tal pegno, sarebbe sotto la protez
Trojani, un avvenimento terribile interamente li determinò. Laocoonte
che
aveva scagliata la sua asta contro del cavallo, s
di fare un sagrifizio a Nettuno, fu assalito da due grossi serpenti,
che
uscirono dal mare. Questi rettili prodigiosi si a
Ciò credettero i Trojani un segno manifesto della collera degli Dei,
che
gradivano le offerte de’ Greci. Quindi ognun cred
ati ivi nascosti ; in un istante l’infelice città è piena di soldati,
che
portano da per tutto il ferro, il fuoco, e la des
tano nel tempo istesso inviluppati fra i Greci, e fra i concittadini,
che
non li riconoscono. Corre pertanto Enea in soccor
tanto Enea in soccorso di Priamo, assediato nel suo palazzo da Pirro,
che
ivi l’uccide con quanti a lui si presentano. Non
Creusa, del figlio suo, e di Anchise suo padre. Presi gli Dei Penati,
che
diede in mano di Anchise, si accolla questo vecch
rla, ma gli apparve l’ombra soltanto della sposa morta nell’incendio,
che
lo consiglia a fuggire, con predirgli ch’egli and
o dove aveva lasciato Anchise, ed Ascanio suo figlio con tutti quelli
che
avevano abbracciata la stessa sua sorte, Enea for
sua sorte, Enea forma il progetto di andare in cerca di quella terra
che
il Destino gli prometteva. Fa costruire all’infre
Avendo Enea dato fine al suo racconto, si ritira negli appartamenti
che
gli aveva assegnati la regina. Rapita intanto Did
alla virtù di Enea, confessa la sua inclinazione ad Anna sua germana,
che
la consiglia a farlo suo sposo. Giunone per imped
il corso dei destini a favore di Enea propose a Venere queste nozze,
che
finse di acconsentirvi. Profittano le due Dive de
i rifugiano in una caverna, con uscirne divenuti già sposi. Ma Giove,
che
aveva riserbato quest’Eroe a più sublimi imprese,
eva riserbato quest’Eroe a più sublimi imprese, gli spedisce Mercurio
che
lo persuade ad abbandonare Cartagine. Docile Enea
a a vista delle fuggenti vele : carica l’ingrato Enea di maledizioni,
che
dopo molti socoli si verificarono fra i Cartagine
innalza un rogo : lo ascende, e si ammazza con quella spada medesima
che
aveva donata ad Enea, e che colà aveva questi las
e, e si ammazza con quella spada medesima che aveva donata ad Enea, e
che
colà aveva questi lasciata. Accorre Anna mente co
ti. Nella seguente notte apparve in sogno ad Enea l’ombra di Anchise,
che
lo consigliò a lasciare in Trapani i vecchi, e le
mi. Gl’insinuò parimente di portarsi a Cuma per consultar la Sibilla,
che
lo avrebbe condotto all’inferno. Eseguì a puntino
di Anchise. Arrivato a Cuma, recossi all’antro della Sibilla Deifobe,
che
gli predisse quanto doveva accadergli nell’Italia
i penetrare in una oscura foresta, dove avrebbe ritrovata una pianta,
che
aveva un ramicello, senza del quale non avrebbe p
ici, e gli addita Anchise sulle rive di Lete le ombre di quelli Eroi,
che
dovevano un giorno formare la gloria dell’impero
re. Il Re Latino regnava in questa contrada. Una sua figliuola unica,
che
l’Oracolo destinava in isposa a questo principe s
lamente gentilmente accolse i deputati ; ma loro promise dippiù, cioè
che
Enea sarebbe divenuto suo genero. Piccata Giunone
rendono parimente lo armi contro Enea, il quale non ha in suo favore,
che
il solo Evandro, che abitava sul monte Palatino.
armi contro Enea, il quale non ha in suo favore, che il solo Evandro,
che
abitava sul monte Palatino. Questo principe gli s
mento si azzuffano. Restò Turno perditore, e terminò così una guerra,
che
mettea sossopra l’Italia intera1. Giunta di va
nteresse immediato colla religione, nè tampoco contengano avvenimenti
che
possano illustrare la storia de’ tempi eroici, co
sciuti nelle campagne della Frigia, chiedendo ospitalità agli uomini,
che
dapertutto loro la negarono. Bauci, e Filemone ab
panna coperta di giunchi, dove appena si trovava una tavola di legno,
che
ne formava tutto l’addobbo. Furono questi intanto
legno, che ne formava tutto l’addobbo. Furono questi intanto i soli,
che
accolsero il sovrano degli Dei, e Mercurio, con p
rio, con preparar loro una mensa assai frugale, non permettendo Giove
che
ammazzassero un’ oca, ch’ era tutta la loro ricch
erso, e gli abitatori in preda dell’acqua, all’infuori della capanna,
che
gli aveva accolti, che fu cangiata in un tempio m
n preda dell’acqua, all’infuori della capanna, che gli aveva accolti,
che
fu cangiata in un tempio magnifico. Bauci, e File
e Tisbe. Piramo, e Tisbe erano due amanti : ma i rispettivi parenti,
che
appartenevano a due principali famiglie di Tebe,
Tisbe partì la prima : mentre aspettava la sua cara metà, si avvide,
che
un lione se le avvicinava : quindi fuggì, ma nell
ione se le avvicinava : quindi fuggì, ma nella fuga le cadde un velo,
che
preso dal lione, dopo averlo lacerato, lo intrise
gue della sua gola. Sopraggiunto Piramo, vide questo velo, e credendo
che
Tisbe fosse stata la vittima di qualche belva, co
si diede la morte. Non tardò a colà far ritorno la sfortunata Tisbe,
che
ritrovò sotto la pianta del moro l’infelice Piram
tunata Tisbe, che ritrovò sotto la pianta del moro l’infelice Piramo,
che
spirava l’ultimo fiato. Sospettando la vera cagio
sua figura gigantesca, un solo occhio sulla fronte spaventavano anzi
che
no questa ninfa. Inutilmente si ornava il crine,
si ornava il crine, e si radeva la barba. Galatea era sorda, malgrado
che
non fosse insensibile. Ella amava Aci figliuolo d
nde : ma Aci ebbe la sventura di essere schiacciato da un gran sasso,
che
il Ciclope gli scagliò. Inconsolabile la ninfa, p
infa, pregò gli Dei, ed il sangue di Aci diede la nascita ad un fiume
che
fu chiamato Aci dal nome del pastorello. Driop
frutta a suo figlio. Alcune gocce di sangue caddero da questa pianta
che
prima era stata donna, ed inseguita da Pane aveva
uno scultore abilissimo. Formò una statua bellissima, e pregò Venere
che
l’avesse animata. I suoi voti furono esauditi : i
e diventò carne. Pigmalione la sposò, e da questa coppia nacque Pafo,
che
fabbricò la città di Pafo nell’isola di Cipro.
Era tanta la miseria di un abitante di Festo in Creta chiamato Ligda,
che
fece sentire a sua moglie Teletusa, allora incint
iamato Ligda, che fece sentire a sua moglie Teletusa, allora incinta,
che
se desse alla luce una femmina, avrebbe data la m
non potendo resistere a tanta crudeltà, si raccomandò alla Dea Iside,
che
le ispirò il progetto di allevare la bambina sott
tava in Sesto, ed Ero in Abido sull’opposta riva. Questo non impediva
che
gli amanti non fossero sovente insieme. Leandro o
nzella di Calidonia non volle giammai corrispondere all’inclinazione,
che
aveva per lei Coreso sacerdote di Bacco, che vend
ondere all’inclinazione, che aveva per lei Coreso sacerdote di Bacco,
che
vendicò il suo ministro con far sorgere una malat
furiosi tutti gli abitanti. Fu consultato l’oracolo : la risposta fu,
che
il malore cesserebbe, quando si fosse sacrificata
dell’amor filiale. Essi trascinarono il carro dov’era la loro madre,
che
si recava al tempio. Gli Dei per compensarli, ed
pio. Gli Dei per compensarli, ed esaudire nel tempo istesso la madre,
che
li supplicava a renderli felici, li fecero all’is
andava a consultare l’oracolo di Apollo a Claro. Alcione sua moglie,
che
teneramente lo amava, stavalo attendendo con impa
dendo il cadavere dello sposo gittato dal mare sulla riva. Al momento
che
si accostava, si avvide di avere sul dorso le ali
va. Al momento che si accostava, si avvide di avere sul dorso le ali,
che
la sostenevano all’aria, essendo stata cangiata i
ato in uccello, ed entrambi ebbero il nome di Alcioni. Dicono i poeti
che
questi uccelli fanno il loro nido nel mare, che s
cioni. Dicono i poeti che questi uccelli fanno il loro nido nel mare,
che
sta in calma, durante il tempo che lo formano, e
celli fanno il loro nido nel mare, che sta in calma, durante il tempo
che
lo formano, e ne nascono i figli. L’Aurora. L
iuolo di Laomedonte, volle altresì trasportarlo nel cielo, con dirgli
che
avesse dimandato quanto sapeva desiderare. Titono
rpetua gioventù unita alla vecchiaja, divenne tanto debole, e scarno,
che
l’Aurora istessa per compassione lo cangiò in cic
teva stringere in mano sua. Il Nume la esaudì. Divenne tanto vecchia,
che
appena le restò la voce. Cefalo, e Procri. L’
a fu vano qualunque tentativo : quindi dovette rimandarlo con dirgli,
che
un giorno si pentirebbe di tanta poca sua sensibi
spettoso. Travestito volle mettere a pruova la fedeltà di sua moglie,
che
per vergogna sen fuggì fra le selve. Cefalo che n
edeltà di sua moglie, che per vergogna sen fuggì fra le selve. Cefalo
che
non poteva vivere lontano da Procri, la richiamò
lla diede in dono a suo marito un cane velocissimo, ed un giavellotto
che
si scagliava a colpo sicuro, e ritornava dopo fra
ia, si avvide di un certo calpestio in un vicino cespuglio : credendo
che
fosse una qualche bestia feroce, scagliò il suo g
fosse una qualche bestia feroce, scagliò il suo giavellotto. Un grido
che
si alzò lo fece avvedere dell’errore, avendo ucci
on quel medesimo giavellotto. Giove trasportò nel cielo questi sposi,
che
cangiò in due stelle. Filomela, e Tereo. Tere
eva Progne lasciata nella casa paterna una sorella per nome Filomela,
che
amava colla massima tenerezza. Dopo cinque anni d
ia. Continua lo scellerato il suo cammino, e reca a Progne l’annunzio
che
Filomela più non esiste. Quest’ultima era rinchiu
e api. Sposò Aristeo Autonoe figliuola di Cadmo, fu padre di Atteone,
che
Diana cangiò in cervo. Dopo la morte di questo su
no, e di Venilia. Fu amato da Circe famosa maga, e figlia del Sole, e
che
lo vide mentre andava in cerca di erbe, e dalla m
di Roma per ben governare. La morte di Numa le cagionò tanto dolore,
che
fu cangiata in una fontana. Arione. Arione fu
potendo ottenere tal grazia si lanciò nelle onde, ed uno de’ delfini,
che
si erano accostati al naviglio per sentir la sua
nire i marinari, e gli Dei assegnarono un posto nel cielo al Delfino,
che
aveva salvato un musico tanto ben veduto da Apoll
gina di Tebe. Il suono della sua lira, e la sua voce era tanto dolce,
che
per sentirla gli corsero dietro le pietre, e si s
er sentirla gli corsero dietro le pietre, e si situarono in tal modo,
che
ne formarono le mura di Tebe. Ciò basti per un co
atura consultare i fonti, gli originali delle favole, e gli scrittori
che
hanno ampiamente trattato un tale argomento : con
mo studiati di accennarne almeno l’applicazione, l’oggetto, la morale
che
conteneva. Abbiamo altresi osservato il gran nume
re, laddove per poco si fosse data un’ occhiata alla folla degl’Iddj,
che
adoravano gli Egizj, i Fenicj, i Caldei, i Persia
i, i Persiani ed altre nazioni. Saremmo in tal caso usciti dal piano,
che
da principio ci abbiamo proposto : riserbandoci n
dispensarci dall’aggiugnere quì un breve trattato degli Dei indigeni,
che
ricevevano un culto particolare dai Napoletani. S
a del Greco, e Latino idioma, ed ignorare nel tempo istesso la lingua
che
parliamo ; così stranissimo sarebbe lo affaticarc
osa folla degl’Iddj della Grecia, e del Lazio, senza conoscere quelli
che
riscuotevano un culto nel suolo ove siamo nati. G
opera della pittura, e scultura, e della più ricercata architettura,
che
malgrado il corso di tanti secoli, l’edace tempo
ansi preziosi monumenti, marmi, iscrizioni nell’una e l’altra lingua,
che
ci mettono al giorno de’ sacri riti, e della vita
ua grandezza, onde fralle Greche città andò superba la nostra Napoli,
che
favorita dalla natura di un dolce clima, e fertil
: Quam tu Urbem hanc cernis, quae regna futura ! Ci duole soltanto
che
in mezzo a tante patrie ricchezze non possiamo co
tture stabilire le basi del nostro argomento. Dee credersi certamente
che
istituiti i nostri padri coi costumi della Grecia
ra ci somministrano bastante materia da parlare delle varie Divinità,
che
presedevano a tali giuochi, e giornalieri eserciz
e giornalieri esercizj. Oltre a ciò le rispettive reliquie di templi
che
ancor oggi ammiriamo, fanno fede abbastanza delle
ccrescimento della grandezza Romana più gli altari a Giove innalzati,
che
la potenza degli Augusti medesimi. Quindi ci è se
la potenza degli Augusti medesimi. Quindi ci è sembrato non inutile,
che
anzi necessario lavoro il presentare alla Giovent
ma necessità rinnovarne il discorso per l’intelligenza de’ monumenti,
che
anche a nostri giorni sono esistenti. Senza dipar
uistare la Gioventù le idee necessarie del primo antico culto. Vero è
che
l’argomento che trattiamo non è nuovo : ma piace
ntù le idee necessarie del primo antico culto. Vero è che l’argomento
che
trattiamo non è nuovo : ma piace lusingarci che l
ero è che l’argomento che trattiamo non è nuovo : ma piace lusingarci
che
l’ordine almeno, e ’l vantaggio di veder tutto ad
loro discordi. A tale proposito abbiamo procurato di scegliere quello
che
pareva più plausibile, avendo dovuto aggirarci tr
e il delirio, e le fantastiche idee di religione de’ nostri maggiori,
che
ad imitazione degli altri popoli professavano un
un culto tutto loro proprio verso le assurde e false Divinità ; culto
che
immantinente cessò, allorchè furono a nuova vita
iamo avuto la fortuna di nascere. I. Partenope. Dicemmo già
che
una delle Sirene chiamata Partenope, che colle al
Partenope. Dicemmo già che una delle Sirene chiamata Partenope,
che
colle altre abitava nella spiaggia di Sorrento, e
mata Partenope, che colle altre abitava nella spiaggia di Sorrento, e
che
in vicinanza di Napoli cessò di vivere, diede il
credesi figliuola di Eumelo re di Fera in Tessaglia. Scrivono taluni
che
questa giovane amantissima della castità ritiross
s blande felix Eumelis adorat. Dove la voce Eumelis vale lo stesso
che
Partenope. Noi lasciando da parte le poetiche opi
lo stesso che Partenope. Noi lasciando da parte le poetiche opinioni,
che
trattandosi dell’origine delle grandi città sogli
so il nome di Napoli, ritenendo per lo più quello di Partenope fino a
che
Augusto, al dire di Solino, dopo di aver ornato d
e di Solino, dopo di aver ornato di marmi il di lei fabbricato, volle
che
Napoli, o sia nuova città, e non già Partenope fo
nciso il capo di Partenope ; ed attesta Licofrone antichissimo poeta,
che
al di lei sepolcro bruciavano saci i Napoletani,
utelari : ed i Napoletani con tanta gelosia ne conservano la memoria,
che
anche a dì nostri osservasi una grande testa pres
a dì nostri osservasi una grande testa presso la Chiesa di S. Eligio,
che
credevano essere appunto quella che apparteneva a
ta presso la Chiesa di S. Eligio, che credevano essere appunto quella
che
apparteneva alla statua colossale di Partenope. I
del padre di Stazio. II. Il Sebeto. L’antichissimo culto
che
professavano i primi abitatori di Napoli a questo
le della voce riposo, quiete, adattando questo nome a que’ rigagnoli,
che
con lentissimo corso scaricavansi al mare, qual è
o Sibboleth, fluentum, cioè piccolo siume. Comunque sia, certa cosa è
che
fu egli ascritto fralle patrie Divinità. Probabil
P. Maevivs Evtychvs Aedicvlam Restituit Sebetho. Dov’è da notarsi
che
questo tale Eutico di origine Greca rinnovò l’ant
gloria mal corrispondono al piccolo volume delle sue acque. Malgrado
che
sia egli decantato in ogni pagina dalla fervida f
i pagina dalla fervida fantasia de’ poeti, la sua picciolezza è tale,
che
Boccaccio allorchè recossi a Napoli, al momento c
cciolezza è tale, che Boccaccio allorchè recossi a Napoli, al momento
che
lo vidde, stupefatto esclamò : Minuit praesentia
Eumelo. Se i primi nostri padri adorarono Partenope come colei
che
diede il nome alla Città, dovettero per conseguen
lto Divino anche al di lei padre Eumelo. Fralle antichissime Fratrie1
che
in Napoli esistevano ad imitazione di Atene, trov
ma di quanto da noi si assersce. A questa Fratria crede il Martorelli
che
fosse stato ascritto Stazio poeta, nostro concitt
artorelli che fosse stato ascritto Stazio poeta, nostro concittadino,
che
vivea a’ tempi di Domiziano. IV. Eunosto.
vane eroe conosciutissimo per la sua elegante figura, e diverse virtù
che
lo adornavano, e fra queste in grado eminente que
parlando della Fratia dove adoravasi Eunosto, azzardò una congettura,
che
in seguito dopo la di lui morte il tempo verificò
, che in seguito dopo la di lui morte il tempo verificò. Credeva egli
che
una tale Fratria, alla quale non erano ammessi, s
gli che una tale Fratria, alla quale non erano ammessi, se non quelli
che
conservavano il celibato, avesse dato il nome al
to il nome al quartiere della città, oggi detto borgo dei Vergini, et
che
ivi appunto avesse la suddetta dovuto esistere. N
nuto ciò a notizia del Governo, furono deputate persone intelligenti,
che
recatesi sulla faccia del luogo, ritrovarono in f
sulla faccia del luogo, ritrovarono in fatti e marmi, ed iscrizioni,
che
chiaramente manifestavano colà avere esistito la
se veduto verificata la sua congettura. Vi ha in fine chi ha creduto,
che
Eunosto fosse stato il Dio che presiedeva ai muli
gettura. Vi ha in fine chi ha creduto, che Eunosto fosse stato il Dio
che
presiedeva ai mulini ; opinione che ha procurato
o, che Eunosto fosse stato il Dio che presiedeva ai mulini ; opinione
che
ha procurato di confutare a tutta possa il mentov
Mitologia nell’articolo Apollo, è da notarsi riguardo a questo Nume,
che
un culto assai esteso riceveva dai Napoletani, co
Nume, che un culto assai esteso riceveva dai Napoletani, come quello
che
fu il Duce della colonia Eubea venuta a Napoli, g
ratum Soli colunt taurum . Nè è da dispregiarsi l’opinione di taluni,
che
credono adorato il toro in Napoli, in Pozzuoli, A
a varia figura di questo Nume, secondo lo stesso Macrobio, dee dirsi,
che
i Napoletani lo veneravano sotto l’aspetto di un
vano sotto l’aspetto di un vecchio, a differenza delle altre nazioni,
che
lo riconoscevano col volto di un fanciullo, di un
o studio dell’astrologia, come è noto, non dee recar punto maraviglia
che
avessero professato un culto particolare verso il
hram, Mitra, con vocabolo Persiano indicante il sole medesimo. Se non
che
il culto che professavano a questo Nume si eserci
con vocabolo Persiano indicante il sole medesimo. Se non che il culto
che
professavano a questo Nume si esercitava negli an
i, e ne’ sotterranei, per alludere forse alla virtù de’ raggi solari,
che
vibrati sulla terra hanno l’attività di animare q
ani molte vittime, e specialmente bianchi cavalli. Senefonte attesta,
che
il gran Ciro giurava per questo Dio, e Lampridio
i Serapide. Il di lui culto era etesissimo nell’Egitto. Crede Varrone
che
questa voce abbia tratta la sua origine dalla cas
dio dell’astrologia. Di questa scienza erano tatalmente appassionati,
che
Virgilio istesso ne era istruitissimo, come appar
ga intitolata Pharmaceutria. Non altro significa quell’ignobile otium
che
la perfetta cognizione del corso e dell’influsso
fondamento il Can. Celano esatto indagatore delle cose patric, crede
che
il tempio della luna fosse dov’è al presente la C
on pochi antichi monumenti riguardanti questa Deità. Ed è verisimile,
che
siccome al tempio del sole fu sostituito il nostr
li chiamasi Via Solis, et Lunae : ed assicura il testè lodato Celano,
che
nella casa d’Ippolita Ruffo fondatrice della Chie
a. Colà tuttavia si ammirano diverse reliquie di fabbriche a mattoni,
che
ritengono presso di noi il nome di Anticaglie.
Nume a padre Nettuno, e sua madre fu Euriale. Di lui narra la favola,
che
amato da Diana era già presso a sposarla. Mal sof
mana : onde sfidatala un giorno a tirare una freccia ad un punto nero
che
nel mare si vedeva (ch’era la testa di Orione), f
Orione dal mare semivivo sul lido, si dolse dell’affronto con Diana,
che
amaramente piangendo non potè far altro per lui c
fronto con Diana, che amaramente piangendo non potè far altro per lui
che
trasportarlo nel Cielo, ed ivi situarlo nel Zodia
n Napoli dalla gente di mare, e nel sito da noi enunciato è probabile
che
stesse il tempio a lui dedicato, perchè vicinissi
a lui dedicato, perchè vicinissimo al mare. Sappiamo per tradizione,
che
fino a’ tempi da noi non molto remoti avevano per
ngannato dalla storia di un tale Nicola Pesce espertissimo nuotatore,
che
vivea a tempi del Governo Viceregnale. Costui con
il poverino mentre una volta faceva il solito tragitto, e fu creduto
che
un qualche grosso cetaceo lo avesse ingojato.
celebrate con grandissima pompa ad imitazione delle feste Eleusinie,
che
con solenne rito nella Grecia si rinnovavano. Dur
onne di ordine Corintio, come al presente si osservano. Malgrado però
che
la mentovata testè iscrizione ci manifesti un’epo
el teatro, e specialmente nel circo : ed avendo i Napoletani sì l’uno
che
l’altro, è da supporsi che adorassero cotali Deit
el circo : ed avendo i Napoletani sì l’uno che l’altro, è da supporsi
che
adorassero cotali Deità fin da tempi più remoti.
iganti, come nel di loro articolo abbiamo dimostrato, sembra naturale
che
Napoli antichissima città marittima li avesse per
tutelari riconosciuti. Quindi non senza fondamento crede il Capaccio,
che
questo tempio fosse stato rifatto e ristorato, vi
tto fra i Penati e gl’Iddj tutelari della Patria. Attesta il Pontano,
che
ritornato Ercole vittorioso dalla Spagna, ed ucci
rtici, di cui parla Petronio nella cena di Trimalchione. Credesi però
che
tali luoghi ripetano il loro nascimento dai Fenic
Credesi però che tali luoghi ripetano il loro nascimento dai Fenicj,
che
loro adattarono una denominazione corrispondente
oro adattarono una denominazione corrispondente all’indole del suolo,
che
dava fuoco dapertutto, perchè sottoposti immediat
nostri giorni demolita, ha fatto credere a parecchi eruditi antiquarj
che
fosse stato il tempio a Vesta dedicato. Infatti l
, possono abbastanza persuaderci di una tale verità. Affermano taluni
che
di forma rotonda era il tempio di Vesta per indic
ire dell’Universo, nel cui centro collocavano il fuoco i Pittagorici,
che
chiamavano Vesta. Osservavasi questo tempio accan
ntichissima iscrizione ritrovata sul colle di Posilipo verso la parte
che
guarda Euplea, la Gajola o scuola di Virgilio, ap
la parte che guarda Euplea, la Gajola o scuola di Virgilio, apparisce
che
a lei erano consegrati templi ed altari. Vesoriu
a erano innalzati de’ tempj alla Fortuna, bisogna tuttavia confessare
che
nella Campagna Felice esigeva questa Dea un culto
posto eguale a quello dei Demonj, e dei Lari. Cebete Tebano asserisce
che
il Genio sia un Dio animatore de’ mortali allora
Tebano asserisce che il Genio sia un Dio animatore de’ mortali allora
che
nascono, consigliandoli a non fidarsi della Fortu
osservatore di tutte le nostre azioni. Servio parla di due Genj : uno
che
ci esorta a bene operare, l’altro che le prave op
Servio parla di due Genj : uno che ci esorta a bene operare, l’altro
che
le prave opere ci consiglia. Filone chiama Genj l
le antiche iscrizioni Genio loci, Genio coloniae, Genio theatri etc.,
che
anzi Prudenzio gli dà maggiori facoltà : Quamqua
iscrizioni ritrovate in Pozzuoli, ed in Napolï ci dimostrano il culto
che
al Genio si professava. Nelle monete di Adriano,
a il corno dell’ za. Celebre fu il Genio di Socrate, ed a questi Genj
che
noi chiamiamo folletti, e farfarelli attribuire s
razie, oltre quanto si è precedentemente osservato, si può aggiugnere
che
nelle antiche nostre monete da una parte si legge
di una delle Grazie col motto Χὰριτες, Charites. Di Priapo sappiamo,
che
nelle feste di Cerere, di cui sopra abbiamo parla
, saltare, come praticavasi nelle feste di Bacco. Probabile è altresì
che
la vera lezione fosse Jovi Abazio, cioè taciturno
casi di qualche seria disgrazia della Repubblica. Si è già osservato,
che
gli Eumelidi avevano Eumelo per loro Nume tutelar
un’idea della prima religione de’ nostri padri, e dei tanti monumenti
che
nelle pubbliche piazze, e nei Regj Musei gelosame
a gioventù medesima potrà ricavarlo dalla lettura di tanti scrittori,
che
diffusamente hanno trattato un tale argomento.
nze animate o di Dei, o di Eroi spacciavano presso il popolo tuttociò
che
per tradizione loro era stato tramandato, che abb
esso il popolo tuttociò che per tradizione loro era stato tramandato,
che
abbellivano poi con i parti della loro fantasia.
orico Egiziano. Da Suida, e dall’anzidetto Porfirio parlasi di Abari,
che
credono sia vissuto a’ tempi della guerra di Troj
ro, e la Teogonia. Credesi lo stesso autore di amuleti e talismani, e
che
avesse costruito il famoso Palladio colle ossa di
smani, e che avesse costruito il famoso Palladio colle ossa di Pelope
che
vendette ai Trojani. 1. Marco Terenzio Varrone r
pure perchè ne ignora il fato prende la bilancia ; e perchè il lato,
che
decide della morte di quest’eroe, trabocca, è obb
ulmine lo dissero i Greci. Gli Ebrei chiamarono Iddio Jehova con voce
che
comprendeva tutte le vocali ; e che distintamente
chiamarono Iddio Jehova con voce che comprendeva tutte le vocali ; e
che
distintamente pronunziavano, affinchè anche il no
prannomi : e se Varrone fa montare sino a trecento il numero di quei,
che
gli vennero da’ Romani, e dagli altri popoli dell
ero da’ Romani, e dagli altri popoli della sola Italia ; si può dire,
che
noi abbiamo perduto molto in questa parte. Di ess
etto Capitolium da caput, cioè da una testa di un uomo chiamato Tolo,
che
si trovò nel cavare le fondamenta. Gli avanzi di
o per voglia di cosi poter tramandare il suo nome alla posterità ; il
che
gli riuscì, malgrado il decreto fatto dagli Efesj
del mare ; la terza figlia di Giove, e di Dione ; la quarta Astarte,
che
sposò Dione. Ma i poeti che nulla han curato di e
di Giove, e di Dione ; la quarta Astarte, che sposò Dione. Ma i poeti
che
nulla han curato di esser conseguenti nelle favol
ia, ed Esichio. Senofonte lasciò scritto ch’ella presedeva alle virtù
che
formano le delizie del cuore, a differenza dell’a
ormano le delizie del cuore, a differenza dell’altra Venere popolare,
che
presedeva al piacere dei sensi. 1. Esistono tutt
zoppo, ma senza difformità. 2. Non senza fondamento credono taluni,
che
Vulcano favoloso sia una copia del famoso Tubalca
in Mensi, in Sicilia, in Roma. È rappresentato barbuto con una roba,
che
non gli giunge al ginocchio, con berretta in test
le medaglie Romane. 1. Palladium era la famosa statua di questa Dea
che
conservavasi in Troja, e trasportata da Enea in I
civetta, ed il serpente erano gli animali consacrati a questa Dea. Il
che
diè luogo a Demostene bandito dagli Ateniesi di d
sta Dea. Il che diè luogo a Demostene bandito dagli Ateniesi di dire,
che
Minerva si compiaceva di tre villane bestie, del
ondo Omero, e tutt’i poeti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è
che
appresso de’ Latini che si legge questo dispetto
ti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini
che
si legge questo dispetto di Giunone di voler conc
ondo Omero, e tutt’i poeti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è
che
appresso de’ Latini che si legge questo dispetto
ti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini
che
si legge questo dispetto di Giunone di voler conc
o, Bellicoso ec. Dato gli venne da Augusto il soprannome di Bisultor,
che
accorda due vittorie, allorchè i Parti gli resero
asso. 2. Questi è quel Mercurio, di cui parla Cicerone de nat. Deor.
che
trovò le leggi, e le lettere. Gli Egizj lo chiama
a giovine con viso gaio, con capelli biondi e crespi, e con mantello,
che
attaccato sotto al petto gli cade con grazia sull
to sotto al petto gli cade con grazia sulle spalle. Tal’è il ritratto
che
ne fa Apuleio, e gli altri autori. Winkelmann ha
gli altri autori. Winkelmann ha osservato dopo Clemente Alessandrino,
che
gli scultori greci facevano i loro Mercurj rassem
gli scultori greci facevano i loro Mercurj rassembranti Alcibiade, e
che
gli artisti, che vennero dopo, seguirono il loro
ci facevano i loro Mercurj rassembranti Alcibiade, e che gli artisti,
che
vennero dopo, seguirono il loro esempio. Bellissi
ro dopo, seguirono il loro esempio. Bellissima è la statua di bronzo,
che
si conserva nel Real Museo Borbonico, e più espre
che si conserva nel Real Museo Borbonico, e più espressiva di quella
che
si ammira nelle ville Negroni, e Ludovici in Roma
bolo della stabile sua giovinezza ; o forse ancora, perchè si credeva
che
l’ellera fosse un antidoto contro l’ubbriachezza.
di là del Nilo i cadaveri in un sito destinato alle sepolture. Colui
che
aveva un tale incarico chiamavasi Charon, onde i
Lete uno de’ rami del Nilo. L’autore di questa favola forse fu Orfeo,
che
viaggiò nell’Egitto, e visse prima di Omero. 1.
gono alcune grotte nel promontorio di Tenaro, al presente Capo Maina,
che
gli antichi supponevano fossero tante bocche dell
no fossero tante bocche dell’Inferno. 1. Afferma un dotto scrittore,
che
Chirone fu eletto precettore di Achille per dinot
o scrittore, che Chirone fu eletto precettore di Achille per dinotare
che
gli Eroi debbonsi servire della virtù, ed occorre
sa, come quella di Roma, e di tutte le grandi Città. Credono i poeti,
che
le Sirene abitassero nella spiaggia di Sorrento,
utore dell’opera intitolata i Fenicj primi abitatori di Napoli, crede
che
il nome Partenope, come infiniti altri, sia di or
. clima felix. 1. Omero nell’Odis. parla sovente de’ Cimmerj, popoli
che
abitavano nelle grotte, ed in luoghi oscuri, e te
si nella Campania presso il lago di Averno. 1. Il corno, e l’avorio,
che
porta in mano questo Nume, ha data occasione a Vi
ume, ha data occasione a Virgilio di dire al sesto Libro dell’Eneide,
che
i sogni nell’inferno entravano per due porte, una
avorio, come materia meno diafana passavano i falsi sogni. 1. Pare,
che
i Pagani avessero avuta qualche cognizione della
suo Genio particolare. L’Imperatore Caligola fece morire moltissimi,
che
non avevano voluto giurare per il suo Genio. 1.
ni la stupenda canzone sulla Fortuna dell’immortale Alessandro Guidi,
che
comincia Una donna superba al par di Giuno. 1. D
nna superba al par di Giuno. 1. Descrizione pur troppo ruvida. Pare,
che
le preghiere si dovessero piuttosto rappresentare
Si è detto essere infinito il numero de’ Numi foggiati dagli antichi,
che
gli ritrovarono sino ne’ cessi. Giovenale parland
i, che gli ritrovarono sino ne’ cessi. Giovenale parlando degli Egizj
che
adoravane le cipolle, esclama : O sanctas gentes
sta favola ci rappresenta la caduta degli uomini. Pandora è lo stesso
che
la Natura nello stato dell’innocenza. La temerità
nza del primo uomo. Cicerone nel libro quinto delle Tusculane scrive,
che
Prometeo era un grande Astronomo ; e per fare le
risto. 1. Andromeda era figlia di Cefèo re di Etiopia, e di Cassiope
che
si vantava di essere più bella di Giunone. La Dea
per punirla di tale vanità, volle vendicarsene per mezzo di Nettuno,
che
inviò un mostro marino che desolava le spiagge de
, volle vendicarsene per mezzo di Nettuno, che inviò un mostro marino
che
desolava le spiagge degli stati di Cefèo. Fu cons
Cefèo. Fu consultato l’Oracolo in tale occasione, la cui risposta fu
che
non sarebbe cessato il flagello, se la primogenit
in Roma la spelonca di Caco alle falde del Monte Aventino. 1. Sembra
che
i Greci abbiano foggiata questa favola, per fare
fiamme. Le virtù, ed i buoni andamenti di Loth piacquero tanto a Dio,
che
fu esente dalla pioggia di fuoco che cadde in Sod
i di Loth piacquero tanto a Dio, che fu esente dalla pioggia di fuoco
che
cadde in Sodoma. L’aspetto di questa Città pareva
inferno. Il divieto imposto a Loth di non rivoltarsi in dietro fino a
che
non fosse fuori di pericolo colla moglie, è lo st
a che non fosse fuori di pericolo colla moglie, è lo stesso di quello
che
diede Plutone ad Orfèo. Gli antichi imitarono anc
erduto, come accadde alla moglie di Loth dal marito posta in salvo, e
che
poi nuovamente Loth istesso perdette. 1. Rapsod
poi nuovamente Loth istesso perdette. 1. Rapsodi erano detti quei,
che
cantavano per le piazze gli squarci de’ rinomati
tavano per le piazze gli squarci de’ rinomati poeti. Tali erano quei,
che
in seguito cantarono i pezzi di Omero. Molti crit
pezzi di Omero. Molti critici, e fra questi il nostro Vico, credono,
che
il poema di Omero sia composto di tanti piccioli
to di tanti piccioli squarci composti, e messi insieme dai rapsodi, e
che
Omero non abbia mai esistito. Quale opinione è co
a dell’Autore suddetto. 1. Ecatombe era un sacrifizio di cento bovi,
che
si faceva agli Dei in qualche grande occasione.
che si faceva agli Dei in qualche grande occasione. 2. Loto, frutto
che
nasce nell’Africa : credevano gli antichi, che la
ione. 2. Loto, frutto che nasce nell’Africa : credevano gli antichi,
che
la sua dolcezza facesse dimenticare la patria a c
ce Greca indicante Nessuno. 1. Si è altra volta parlato de’ Cimmerj,
che
abitavano ne’ sotterranei. Leggasi su quest’artic
a intitolata : I Fenicj primi abitatori di Napoli, il quale sostiene,
che
quasi tutta la navigazione di Ulisse si aggirò ne
a navigazione di Ulisse si aggirò nel seno di Baja. 1. Sembra strano
che
Ulisse non sia stato riconosciuto nel proprio pae
on sia stato riconosciuto nel proprio paese, mentre Omero ci assicura
che
un suo cane per nome Argo diede segni manifesti d
oda. 1. Niente di più favoloso quanto l’incontro di Enea con Didone,
che
visse 300 anni dopo. Bisogna dire, che Virgilio,
l’incontro di Enea con Didone, che visse 300 anni dopo. Bisogna dire,
che
Virgilio, tuttochè conscio di questo anacronismo,
uesti due valenti uomini debba darsi il primo luogo. Basta a noi dire
che
Virgilio sulle orme di Omero ha lavorato il divin
ire che Virgilio sulle orme di Omero ha lavorato il divino suo poema,
che
malgrado varj difetti, non lascia di essere uno d
malgrado varj difetti, non lascia di essere uno de’ migliori squarci
che
l’antichità ci ha tramandati : tanta è la delicat
i che l’antichità ci ha tramandati : tanta è la delicatezza del gusto
che
in esso si ravvisa. Virgilio nacque in un villagg
io presso Mantova : visse gran tempo nella Corte di Augusto, principe
che
amava a maggior segno i letterati. Fu grande amic
io, Mecenate, Pollione, e di tanti altri insigni personaggi, e poeti,
che
in quell’età fiorirono. Ritornando da Atene con A
da Atene con Augusto, si ammalò in Brindisi : prima di morire ordinò,
che
si desse alle fiamme la sua Eneide, che non aveva
isi : prima di morire ordinò, che si desse alle fiamme la sua Eneide,
che
non aveva ancora limata, ma nol permise Augusto.
uo cadavere fu trasferito a Napoli allora città fioritissima Greca, e
che
Virgilio amava moltissimo. Quivi aveva dato l’ult
sulla grotta di Coccejo volgarmente detta di Pozzuoli, in una tomba,
che
ancora oggi si vede. Poco prima di morire compose
e Virgilio nel 7. Dell’Eneide. 1. Fra tanti rispettabili personaggi
che
in Napoli godevano vivere, sono da contarsi Virgi
issimo Antonio Vetrani. 1. La voce φρατρια, fratria altro non indica
che
un’ adunanza di cittadini che formavano un corpo,
voce φρατρια, fratria altro non indica che un’ adunanza di cittadini
che
formavano un corpo, un collegio in ciascheduna re
Queste erano ben molte, ed ognuna aveva il suo nome particolare. Queî
che
vi erano ascritti detti φρητορες, fretores tratta
trattavano gli affari appartenenti alla Religione, e talvolta quelli
che
riguardavano la pubblica amministrazione. All’ist
vinità del Paganesimo, è chiamata Mitologia coi vocaboli greci mythos
che
significa favola, e logos, trattato o parola o de
racconti relativi ai buoni costumi od alla Morale. Molti asseriscono
che
le antichissime e fantastiche tradizioni mitologi
allora potrebbero esser dette favole fisiche. Infatti i primi popoli
che
doverono più spesso essere spettatori delle rivol
seppero nella loro rozzezza attribuire questi sconvolgimenti, se non
che
allo sdegno di altrettante potenze oceulte o Dei
lgimenti, se non che allo sdegno di altrettante potenze oceulte o Dei
che
presiedessero ai diversi elementi. Quindi un Nett
; un Plutone in sotterraneo regno con la reggia di fuoco e eon fiumi
che
menavano fiamme. 3. Le favole storiche sono sempl
emplice reminiscenza dei fatti conservata nella memoria degli uomini,
che
è quanto dire la tradizione delle cose accadute t
radizione delle cose accadute tra i primi popoli. Laonde è verosimile
che
i falsi Dei o Idoli chiamati Giove, Apollo, Bacco
pessime, e adorati per gratitudine o per paura ; e così possiam dire
che
il fondamento delle favole ad essi relative sia s
cehè questa specie di favole è per lo più un modo di parlar figurato,
che
poi negl’idioti divenne religiosa credenza c fond
favole allegoriche sono specie di parabole o paragoni o similitudini,
che
descrivendo un’ azione o un oggetto, tendono a ch
oquenza e della musica sugli uomini, ed anche l’ effetto maraviglioso
che
i naturali oggetti e le loro proprietà producevan
di civil convivenza ; e va d’ accordo con la morale antica il credere
che
le stelle inviate da Giove splendessero sulla ter
ndessero sulla terra quali occhi del cielo per rammentare agli uomini
che
tutte le loro azioni son note a Dio. 10. Le Furie
son note a Dio. 10. Le Furie scatenate contro Oreste, o l’ Avvoltojo
che
divorava le viscere di Prometeo, son quadri signi
le viscere di Prometeo, son quadri significanti il rimorso : e Medusa
che
impietrisce chi la rimira, ci dipinge il danno ca
imira, ci dipinge il danno cagionato dalle passioni sfrenate ; mentre
che
Narciso invaghito e vittima della propria bellezz
i gli uomini a cavallo, e le arance furono dette aurei pomi. 12. Dopo
che
gli uomini ebbero perduto la memoria del vero Dio
sti di grande ingegno ed i legislatori dei popoli. Cosicchè Esculapio
che
fu eccellente nella medicina ebbe vanto d’ essere
di questo universo fu assegnata la propria divinità ; nè vi fu luogo
che
non fosse sotto la protezione di uno Dio. Sicchè
ntichi Dei Titani, figli di Celo e della Terra, forse non erano altro
che
le forze naturali e le potenze motrici della terr
ali e le potenze motrici della terra e dei corpi celesti, mentre pare
che
Giove, Nettuno e Vulcano successi ai Titani rappr
il regno del cielo e della terra. E così le origini di queste favole,
che
forse furon le prime ad essere inventate, possono
quasi schiacciato dal peso del cielo, a motivo del gran numero di Dei
che
vi erano stati collocati. 17. Gli Dei eran distin
a, Vertunno, Pale, ec. Potremmo chiamarli piuttosto poetica famiglia,
che
classe mitologica. 19. Nella terza eran collocati
a, come Ercole, Esculapio, Castore, Polluce, ec., e con essi gli eroi
che
avevano meritata l’ immortalità, come Achille, Et
e e Vulcano. Il destino. Celo. 21. Il Destino o Fato, secondo
che
insegna Esiodo, poeta greco e contemporaneo d’Ome
to, secondo che insegna Esiodo, poeta greco e contemporaneo d’Omero e
che
fiorì 9 o 10 secoli prima di G. C., nacque dal Ca
biò l’aspetto e lo stato di questa materia inerte ; ne trasse l’etere
che
formò il cielo, dimora degl’immortali, il fuoco e
ondo la favola, potenza ordinatrice. 23. Il Destino poi altro non era
che
un’ immagine della fatale necessità che tutto gov
Il Destino poi altro non era che un’ immagine della fatale necessità
che
tutto governa nel mondo ; e gli altri Dei, come a
piombo, e tutta intera una suppellettile da patibolo, per significare
che
il cattivo destino è per chi lo merita, e che il
tibolo, per significare che il cattivo destino è per chi lo merita, e
che
il male par necessario solamente perchè l’ uomo d
quanto il Destino. I poeti lo chiamano anche Urano (45), e suppongono
che
sposasse Titea o la Terra sua sorella, detta anch
lendo sopportare questa ingiustizia, aperse loro le carceri, e lasciò
che
facessero uso delle proprie forze ; laonde Saturn
mento cagionato sulla superficie della terra dalle riposte sue forze,
che
parevano essersi ribellate incontro al cielo (14)
rno ; ma ad istanza di Cibele, Titano lo cedè al minore, a condizione
che
questi non allevasse figliuoli maschi. Saturno os
i. Saturno osservò i patti ; ed essendo in lui personificato il Tempo
che
distrugge tutto ciò che egli stesso produce, la f
ti ; ed essendo in lui personificato il Tempo che distrugge tutto ciò
che
egli stesso produce, la favola con bene accomodat
marito, e gli tenne celato Giove, offrendogli in sua vece una pietra
che
da Saturno fu subito divorata. E ciò fece anche q
anti o Dattili (48) ; e la capra Amaltea (77) gli fu nutrice. Narrasi
che
le Ninfe e i Coribanti, che furon poi anche sacer
apra Amaltea (77) gli fu nutrice. Narrasi che le Ninfe e i Coribanti,
che
furon poi anche sacerdoti di Giove, per celar meg
a capo di liberarli ambedue. Il più celebre tra i Titani fu Giapeto,
che
i Greci tenevano per padre del genere umano ; od
apeto abitava in Tessaglia, vale a dire in uno dei paesi dell’ Europa
che
furono i primi ad essere abitati e inciviliti : e
e passa qualche relazione fra questo Giapeto dei Greci e quell’ Jafet
che
la Genesi racconta essere andato a popolare l’ Eu
che la Genesi racconta essere andato a popolare l’ Europa, nel tempo
che
Sem restò nell’ Asia e Cam passò l’ istmo di Suez
er istabilirsi nell’ Affrica. 31. Poichè Saturno udì dal Destino (21)
che
Giove gli avrebbe usurpato il regno, appena fu li
o, appena fu libero, gli mosse guerra ; ma Giove lo vinse ; e temendo
che
il padre usasse un’ altra volta a suo danno della
temendo che il padre usasse un’ altra volta a suo danno della libertà
che
gli avea procurata, lo discacciò dal Cielo. 32. S
mpero, si rifugiò in quella parte d’ Italia ove poi fu eretta Roma, e
che
ebbe il nome di Lazio dal latino vocabolo Latere,
talità generosa, lo dotò di così raro intelletto e di tanta prudenza,
che
non dimenticava mai il passato, e prevedeva il fu
enticava mai il passato, e prevedeva il futuro ; laonde è stato detto
che
Giano aveva due teste o due volti per conoscere t
etto che Giano aveva due teste o due volti per conoscere tanto l’ uno
che
l’altro, ed ebbe perciò il soprannome di bifronte
Secondo ch’ era in Cancro o in Capricorno. Età del rame. Dal metallo,
che
, fuso in varie forme, Rende adorno il Tarpejo e i
rno il Tarpejo e il Vaticano, Sorti la terza età nome conforme A quel
che
trovò poi l’ ingegno umano, Che nacque all’ uom s
l’ altro, impetuosi o feri In lor discordi, ostinati pareri. All’ uom
che
già vivea del suo sudore, S’ aggiunse noja, incom
aggio, L’invita seco a cena, e poi l’ uccide. Il cittadin più cortese
che
saggio Alberga con amor persone infide, Che scann
con amor persone infide, Che scannan poi, per rubarlo nel letto, Lui
che
con tanto amor diè lor ricetto. S’accendon l’aspr
in con l’angosciosa madre Resta senza governo e senza padre. Astrea11
che
con la libra e con la spada Conosce di ciascun l’
la libra e con la spada Conosce di ciascun l’ errore e il merto, Poi
che
s’ avvide che non v’ era strada Da giunger con la
n la spada Conosce di ciascun l’ errore e il merto, Poi che s’ avvide
che
non v’ era strada Da giunger con la pena al gran
on rendeva per ogni contrada Il mondo affatto inutile e deserto, Pria
che
veder che il tutto si consumi Ultima andò fra i p
per ogni contrada Il mondo affatto inutile e deserto, Pria che veder
che
il tutto si consumi Ultima andò fra i più beati N
erra, e chiuso in tempo di pace. Gli fu consacrato il monte Gianicolo
che
è uno dei sette colli di Roma ; e le porte delle
altro un uomo con due leste, ossia il ritratto del re Giano. Si crede
che
fossero di bronzo ; e i Latini solevano offrirle
i bronzo ; e i Latini solevano offrirle in dono per capo d’ anno, dal
che
forse ebbero parimente origine le strenne. 39. Sa
so degli anni e armato di falce, per indicare ch’ei presiede al tempo
che
tutto distrugge ed all’ agricoltura che tutto rip
icare ch’ei presiede al tempo che tutto distrugge ed all’ agricoltura
che
tutto riproduce. È anche alato, e gli sta presso
e alato, e gli sta presso un orologio a polvere, e talora un serpente
che
si morde la coda od è in atto di divorare un fanc
o, mentre le ali rammentano la velocità con cui passa ; e il serpente
che
forma un cerchio è l’ emblema dell’ eternità e de
io è l’ emblema dell’ eternità e della prudenza ; mentre il fanciullo
che
sta per essere divorato allude alla favola dei fi
misurate il tempo largo : Chè piaga antiveduta assai men dole. Forse
che
’ndarno mie parole spargo : Ma io v’ annunzio che
sai men dole. Forse che ’ndarno mie parole spargo : Ma io v’ annunzio
che
voi siete offesi Di un grave e mortifero letargo
lgete gli occhi, Mentr’ emendar potete il vostro fallo. Non aspettate
che
la morte scocchi, Come fa la più parte : chè per
a schiera degli sciocchi. Ma vi sono i grandi ingegni, i famosi Eroi
che
non temono la falce del tempo, sicchè messer Fran
to fine ; laonde lo stesso poeta nel Trionfo della Divinità : Da poi
che
sotto ’l ciel cosa non vidi Stabile e ferma, tutt
vidi Stabile e ferma, tutto sbigottito Mi volsi e dissi : Guarda ; in
che
ti fidi ? Risposi : Nel Signor, che mai fallito N
to Mi volsi e dissi : Guarda ; in che ti fidi ? Risposi : Nel Signor,
che
mai fallito Non ha promessa a chi si fida in lui…
sieduto al cielo ; ed Ops, cioè soccorso, ricchezza, perchè stimavano
che
procacciasse ai mortali ogni sorta di beni. 42. E
mortali ogni sorta di beni. 42. Ebbe il nome di Rea, dal greco rhéin
che
vuol dire, scorrere, essendochè la benefica terra
lici e robusti si nutriron di ghiande ; e le torri e le merlate mura,
che
le ricingon la fronte, additano le città poste so
el proprio peso ; e le vesti di color verde alludono alla vegetazione
che
ne abbellisce la superficie. Indi le posero ai pi
bbondanza ; talora le si vedevano ai piedi due leoni, per la custodia
che
Pindaro le attribuisce degli stati e dei regni. B
veneranda Deità di Vesta. Vi s’ appressa e deriva indi una pura Luce
che
, mista allo splendor del Sole, Tinge gli aerei ca
o splendor del Sole, Tinge gli aerei campi di zaffiro, E i mari allor
che
ondeggiano al tranquillo Spirto del vento, facili
condotto al supplizio, poteva intercedergli grazia, purchè asserisse
che
l’incontro era stato casuale ; e nei più serj neg
urono dette Megalesiache, o giuochi megalesii dal greco mégas megále,
che
vuol dir grande, perchè istituite dai Frigii in o
ndo inni in sua lode e mendicando. Talora avevano seco alcune vecchie
che
facevano professione d’ impostura con versi di ma
tero per isposare la ninfa Sangaride (sangarius in latino è lo stesso
che
frigio) ; e la Dea per punirlo della sua ingratit
e ferire quella ninfa, e abbandonò lui in preda a tanta disperazione,
che
era sul punto di uccidersi ; quand’ella impietosi
) ; ed il suo regno, benchè pieno di dovizie, incuteva tale spavento,
che
nessuna Dea volle unirsi in matrimonio con lui :
to, che nessuna Dea volle unirsi in matrimonio con lui : tanto è vero
che
la sola ricchezza non ha alcun pregio. Laonde un
ricchezza non ha alcun pregio. Laonde un giorno adocchiata Proserpina
che
stava cogliendo fiori con le sue compagne sulla p
nna in Sicilia, rapilla ; nè valse l’ ardita difesa della ninfa Ciane
che
fu da lui trasformata in fontana. La terra si spa
te ch’ io vi narro, Le afferrò un braccio, e la tirò sul carro. Ella,
che
tutto avea vòlto il pensiero Alle ghirlande e a’
li ancor selvaggi. Ma Tritlolemo sarebbe stato vittima della gelosia,
che
tanti favori svegliarono in Linco re della Sicili
i uno dei più famosi della Grecia pei misteri Eleusini e per le feste
che
ogni quattro anni vi erano celebrate. 55. Nell
enne di voler estinguere la sete ad una fonte ov’ erano certi villani
che
per malvezzo gliela intorbidarono ; ed essa, quan
zzo gufo notturno. Infatti Non è chi sia nel mondo peggio visto D’un
che
rapporta ciò che sente e vede…. Senza amor, senza
. Infatti Non è chi sia nel mondo peggio visto D’un che rapporta ciò
che
sente e vede…. Senza amor, senza legge e senza fe
lafo poi sotto questa forma diventò il favorito di Minerva, indicando
che
quanto la coperta delazione è vituperevole, altre
entata dalla sete, entrò in casa di una vecchiarella per nome Bècubo,
che
amorevolmente le offerse da bevere, e le dette da
dir vero ne faceva onore alla vecchia, trangugiandola sì ingordamente
che
il fanciullo Stelle o Stellio, all’aspetto di tan
to di tanta avidità non potè fare a meno di riderne e di beffarla. Di
che
offesa la Dea gli scaraventò in faccia il resto d
tà bene ai fanciulli pigliarsi beffe d’alcuno, e in ispecie di coloro
che
essendo per miseria o per altre necessità travagl
tone la sua figliuola ; ma ogni preghiera fu vana. Corse poi opinione
che
Giove, impietosito da Cerere, concedesse a Proser
fattori. Niuno degl’iniziati in coteste cerimonie poteva divulgare in
che
modo fossero eseguite ; sicchè tanto lo svelarne
eva divulgare in che modo fossero eseguite ; sicchè tanto lo svelarne
che
l’udirne il segreto era sacrilegio. Quindi la por
tri ad Eumolpo.16Gli Ateniesi poi le fanno derivare da Cerere stessa,
che
sotto spoglie mortali aveva abitato alcun tempo a
re aveva dato tregua all’affanno della madre sventurata. — È opinione
che
Cerere sia l’Iside (696) degli Egiziani e la Cibe
un padre colpevole sì, ma troppo crudelmente punito ! Nanrano alcuni
che
Erisittone perisse d’un colpo d’asce datosi da sè
Omero. 64. Giove sposò Giunone (85) sua sorella, ad esempio del padre
che
aveva sposato Cibele (40), e del nonno Urano (25)
el padre che aveva sposato Cibele (40), e del nonno Urano (25) o Celo
che
s’era congiunto a Vesta (43). 65. Ma il suo regno
no (25) o Celo che s’era congiunto a Vesta (43). 65. Ma il suo regno,
che
gli costava un delitto di violenza incontro al pa
enti favolosi erano uomini di statura e di forza tanto straordinaria,
che
osarono d’assalire il re del cielo. 66. Deliberat
eruzioni vulcaniche di quei tempi, ingrandita dal terrore dei popoli
che
ne furono spettatori senza saperne spiegare le ca
nimali. Forse di qui, secondo alcuni, ebbero origine gli onori divini
che
gli Egiziani rendevano ai bruti (704). 68. Bacco
leone, combattè per qualche tempo con intrepidezza, animato da Giove
che
di continuo gli gridava : Coraggio, figlio mio, c
a così detta pugna di Flegra (valle della Tessaglia) furono Encelado,
che
lanciava i più grandi massi contro l’Olimpo ; Bri
o Encelado, che lanciava i più grandi massi contro l’Olimpo ; Briareo
che
aveva cento braccia e cinquanta teste : Vedeva B
Dante, Inf., c. XII. e Tifone o Tifeo, mezz’uomo e mezzo serpente,
che
arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo
eo, mezz’uomo e mezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e
che
per sè solo, al dir d’Omero, più degli altri Giga
ltri Giganti insieme uniti, sgomentava gli Dei ; Fialte poi fu quello
che
pose il monte Ossa sul Pelio. Giove sotterrò vivi
ado sotto l’Etna. Il fine dei giganti adombra quello degli orgogliosi
che
presumono sollevarsi contro il cielo. È fama che
lo degli orgogliosi che presumono sollevarsi contro il cielo. È fama
che
dal fulmine percosso, E non estinto, sotto questa
non estinto, sotto questa mole Giace il corpo d’Encelado superbo ; E
che
quando per duolo e per lassezza Ei si travolve o
o cagione di continuo martirio allo sventurato. Con tal favola sembra
che
i poeti volessero indicare la prepotenza dispotic
prepotenza dispotica, la quale si studiava di tenere oppressi coloro
che
, illuminando le menti della moltitudine, davano o
ppariva ordinata da Giove. Ma lo stesso rigeneratore a veva presagito
che
alfine la forza della giustizia avrebbe trionfato
imulacro dell’uman pensiero, Stassi Prometeo, e il preme Forza crudel
che
a’generosi insulta ; Ma il profetato Alcide in c
orati gli altri Dei per la severità di Giove, e ingelositi nel vedere
che
egli solo si arrogava il diritto di creare gli uo
Dei (pan tutto, dôron dono, gr.). « E i doni degli Dei altro non sono
che
le arti e le cose tutte giovevoli all’uomo, il tr
compreso il regno della Fortuna (332), ossia l’invenzione delle arti
che
avvenne nella seconda età del mondo. » (Mario Pag
sposò. Allora fu aperto il vaso fatale, onde scaturirono tutti i mali
che
poi si sono sparsi sopra la terra ; e la sola Spe
re di Micene nell’Argolide, ebbe favori dalla di lui moglie Alcmena,
che
fu madre d’Ercole (364). 75. Si cangiò in pioggia
me, memoria, gr.). 76. Perifa (da perì e phaino, io splendo intorno),
che
era uno dei Lapiti, popoli di Tessaglia famosi pe
oli di Tessaglia famosi per le loro guerre contro i Centauri (430), e
che
fu re d’Atene prima di Cecrope, per le sue belle
ritato anche in vita onori divini ; ma il re del cielo mal sofferendo
che
un mortale acconsentisse d’essere adorato in terr
de delle sue folgori. 77. La capra Amaltea (amaltheyo, io nutro, gr.)
che
aveva allattato Giove, ebbe l’onore d’esser collo
ocata fra le Costellazioni (676) co’suoi dodici capretti ; e le Ninfe
che
avevano costudito il Nume nell’infanzia, ebbero i
lle atrocità divenne crudele a segno da far morire tutti i forestieri
che
passavano pe’suoi stati. Giove in sembianza umana
Licaone s’apparecchiò a levargli la vita mentre dormiva ; ma sapendo
che
gli Dei solevan talora scendere sulla terra, s’ar
deltà e la rapacità dei despoti, e nasce dallo stesso nome di Licaone
che
in greco significa lupo. 79. Giove ha parecchi n
iluco, gr.) Lo chiamavano inoltre Ottimo Massimo, e Sancus o Sanctus,
che
secondo alcuni era lo stesso che Pistius, altra s
Ottimo Massimo, e Sancus o Sanctus, che secondo alcuni era lo stesso
che
Pistius, altra sua denominazione. Lo invocavano c
uale sono simbolo di forza e di coraggio. Ma i più sono di sentimento
che
questo Giove Ammone altro non sia che il dio Osir
io. Ma i più sono di sentimento che questo Giove Ammone altro non sia
che
il dio Osiride (696, 697) degli Egiziani. 81. Sic
suo culto fu sempre il più solenne ed il più diffuso tanto in Europa
che
in Asia. Il suo tempio più celebre fu in Olimpia,
turno aveva insegnato agli uomini a cibarsi di ghiande. Credevano poi
che
le querci della foresta vicina alla città di Dodo
e (87). 84. Gli autori sono discordi sul numero degli enti mitologici
che
hanno avuto il nome di Giove ; e Varrone ed Euseb
i Giove ; e Varrone ed Eusebio li fanno ascendere sino a trecento, lo
che
viene spiegato dall’uso che la maggior parte dei
io li fanno ascendere sino a trecento, lo che viene spiegato dall’uso
che
la maggior parte dei re avevano di prendere quest
ne, rampognando Giove, la battè incollerita col piede ; Vulcano (270)
che
Giove precipitò dal cielo sulla terra da quanto e
ere nel bel mezzo della celeste assemblea, ella n’ebbe tanta vergogna
che
non s’arrischiò più a comparirvi. Allora Giove de
igliuolo di Tros re di Troja, facendolo rapire da un’aquila nel tempo
che
il giovinetto era a caccia sul monte Ida nell’Asi
e. Taluni invece lo fanno precedere ad Ebe in quest’ufficio, e dicono
che
avendolo male adempito, Giove glielo tolse, e col
d’indole altera, diffidente, gelosa e fastidiosissima a Giove, tanto
che
una volta, volendo egli punirla de’suoi intermina
n una nube, e la trasformò in vacca. Giunone insospettita, come colei
che
sapeva di meritare ogni gastigo, finse miglior co
ito con tante carezze ch’ei gliel concesse. Allora Giunone, per paura
che
Io non le fosse ritolta, la diede in custodia ad
il quale aveva cent’occhi e soleva tenerne aperti cinquanta nel tempo
che
gli altri eran chiusi dal sonno. Ma la Dea non ot
n la voluttà della musica e con l’ajuto di Morfeo Dio del sonno (241)
che
a tale effetto gli diede un mazzo de’suoi papaver
zo de’suoi papaveri, e poi d’ucciderlo. E questa fia lezione a coloro
che
si lasciano troppo sedurre dai piaceri. Allora Gi
o Io la consegnò alle Furie (232), e la fece tormentare da un assillo
che
di continuo la pungeva ; sicchè la sventurata pri
la pungeva ; sicchè la sventurata principessa n’ebbe tanto travaglio
che
fuggendo passò il mare a nuoto ;25 e dopo aver pe
a gelosia, all’orgoglio. È noto come Troja pagasse cara la preferenza
che
il pastore Paride (597) concesse a Venere (170) n
i. 92. Giunone devastò l’isola d’Egina con una spaventosa pestilenza
che
fece perire tutti gli abitanti, per vendicarsi de
mana. Da ciò possiamo vedere come fino dai primi tempi fosse opinione
che
la fatica e l’industria valgano più di tutto a ri
olare i paesi devastati. I nuovi abitanti d’Egina chiamati Mirmidoni,
che
in greco significa formiche, accompagnarono Achil
avesse offeso la vanità di Giunone ! Piga, piccola regina dei Pigmei
che
ardì paragonarsele nella bellezza, fu cangiata in
ate belle quanto Giunone, furono assalite da tale impeto di frenesia,
che
andavano errando furiose in mezzo alle compagne d
se, con una parte degli stati di Preto. 93. Iride figlia di Taumante,
che
di là cangia sovente contrade, dice Dante nel Pur
saggia e docile giovinetta, dalla quale riceveva sempre buone nuove,
che
per ricompensa le regalò una splendida veste di t
onte dotato della prerogativa di far tornare la giovinezza. Credevano
che
la Dea una volta l’anno vi si bagnasse. Le feste,
ezza. Credevano che la Dea una volta l’anno vi si bagnasse. Le feste,
che
a lei come Lucina o Illitia (protettrice dei part
ianza di quelle del dio Pane (294). Lucina è la figura di una matrona
che
ha nella destra una tazza e una lancia nella sini
a sulla fronte una corona di dittamo, perchè la superstizione credeva
che
questa pianta procurasse alle donne un parto pron
nne un parto pronto e felice. Secondo alcuni poeti Lucina è la stessa
che
Diana o la Luna (137). Anche il papavero e la mel
na (97) figlia del titano Ceo, n’ebbe Apollo e Diana (137). 97. Prima
che
Apollo e Diana nascessero, la gelosa moglie di Gi
dal luogo della sua nascita. Certo non si scotea si forte Delo Pria
che
Latona in lei facesse ’l nido ; A partorir li due
sava la Licia, e certi contadini, non istruiti dall’esempio di quelli
che
offeser Cerere (55), ebbero la crudeltà di negarl
ed essa li puni col solito gastigo di convertirli in rane. 99. Appena
che
Apollo fu in età da far uso delle sue forze, cons
a prima prova di valore alla madre per vendicarla del serpente Pitone
che
l’aveva tormentata si crudelmente, e che devastav
ndicarla del serpente Pitone che l’aveva tormentata si crudelmente, e
che
devastava i campi della Tessaglia. Lo assalì, lo
nfatti aveva fin reso la vita ad Ippolito (432) figlio di Teseo (402)
che
era morto per cagione dei mostri marini ; ma Giov
one quale oltraggio alla divina potenza, e istigato da Plutone (213),
che
malvolentieri vedeva ritorsi da Esculapio i suoi
vedeva ritorsi da Esculapio i suoi morti, fulminò il medico temerario
che
troppo si vantava delle sue prodigiose guarigioni
vendetta sullo stesso Giove, uccise a colpi di strali i Ciclopi (272)
che
avevano fabbricato la folgore ; laonde Giove, per
Nume, timida e pudibonda si pose a fuggirlo con tanta precipitazione,
che
suo padre, per meglio nasconderla, sulle proprie
sta avventura, staccò un ramo dall’albero, se ne formò una ghirlanda (
che
Dante chiama la fronda Peneia), e volle che il la
e ne formò una ghirlanda (che Dante chiama la fronda Peneia), e volle
che
il lauro in memoria di un amor puro ed ardente gl
are dalla folgore ; l’altra di far vedere la verità in sogno a coloro
che
ne mettevano alcune foglie sotto le orecchie. 104
losia d’amicizia, fece stornare la palla ribattuta da Apollo, in modo
che
Giacinto ne restò colpito ed ucciso. Lo Dio, sven
ato anche nell’amicizia, trasformò l’estinto giovinetto in quel fiore
che
ne porta il nome. Forse per questo i giacinti ado
se. 107. Laomedonte cercò rimedio a tanti mali, e consultò l’oracolo,
che
gli rispose di dover placare Apollo e Nettuno, es
iberatore della sua figlia certi destrieri invincibili e tanto snelli
che
correvan sull’acqua ; ma dopo la vittoria negò ad
tante volte spergiuro, ne fece prigioniero il figliuolo Priamo (587),
che
poi fu riscattato dai Troiani, e maritò Esione a
10. Finalmente il lungo esilio e le sventure d’Apollo placaron Giove,
che
gli rese la divinità con tutti i suoi privilegj,
le eterne lacrime dell’afflitta madre son quelle, secondo la favola,
che
producono la rugiada mattutina. 114. Dal rogo di
giziani alzarono a Memnone una statua nella città di Tebe ; e credesi
che
quando questa statua era investita dai primi ragg
ïente (Dante, Purg. c. ix.), mandasse fuori alcuni suoni armoniosi, e
che
all’incontro facesse udire un lugubre gemito quan
ito quando il sole andava ad illuminare l’altro emisfero. Così pareva
che
si rallegrasse del ritorno dell’Aurora, e s’addol
enza. 116. Il secondo marito dell’Aurora fu Cefalo re di Tessaglia
che
prima era stato sposo di Procri figlia d’Eretteo
, Zeffiro, spira ! La moglie, non bene intesa l’invocazione, e non so
che
sospettando, per volersi maggiormente accostare s
con la medesima arme, e fu cangiato con Procri nella stella mattutina
che
precede l’Aurora. 117. Gli antichi rappresentava
. Omero la descrive con un gran velo dato alle spalle per significare
che
l’oscurità si dissipa innanzi a lei, mentre con l
ggiadria l’Aurora. « Facciasi dunque una fanciulla di quella bellezza
che
i poeti s’ingegnano di esprimer con parole, compo
ri e alla carnagione. Quanto all’abito, componendone pur di molti uno
che
paia più appropriato, s’ha da considerare che ell
endone pur di molti uno che paia più appropriato, s’ha da considerare
che
ella, come ha tre stati e tre colori distinti, co
lle ginocchia, una sopravvesta di scarlatto con certi trinci e groppi
che
imitassero quei suoi riverberi nelle nugole, quan
una lampada o una facella accesa, ovvero le si mandi avanti un Amore
che
porti una face, e un altro dopo, che con un’altra
vero le si mandi avanti un Amore che porti una face, e un altro dopo,
che
con un’altra svegli Titone. Sia posta a sedere in
bianco, dell’altro splendente in rosso, per denotarli secondo il nome
che
Omero dà loro di Lampo e di Fetonte. Facciasi sor
oro di Lampo e di Fetonte. Facciasi sorgere da una marina tranquilla,
che
mostri d’esser crespa, luminosa e brillante. » (V
econdo il solito, l’alta sua origine, gli fu contradetta da tutti. Di
che
andato a lagnarsi col padre, gli chiese in grazia
e d’Italia, immaginarono una caduta del sole, il quale ad essi pareya
che
tramontasse in Italia posta all’occidente di Grec
tramontasse in Italia posta all’occidente di Grecia. Crederono forse
che
l’astro del giorno prima di giungere al prefisso
giungere al prefisso termine del suo corso fosse caduto in quel suolo
che
era ingombrato di fiamme. Ma comecchè materiali e
llo ; un Dio non erra. S’avvisarono adunque con quella rozza acutezza
che
è propria dei barbari e dei fanciulli che Febo n’
e con quella rozza acutezza che è propria dei barbari e dei fanciulli
che
Febo n’avesse ceduto il reggimento al suo figliuo
di Climene e sorelle di Fetonte, si afflissero tanto della sua morte,
che
per quattro mesi lo piansero sulle sponde dell’Er
mbra. Cigno poi …. dell’amor di Fetonte acceso, Come si dice, mentre
che
piangendo Stava la morte sua, mentre ch’all’ombra
e che piangendo Stava la morte sua, mentre ch’all’ombra Delle Pioppe,
che
pria gli eran sorelle, Sfogava colla musa il suo
ielo alzossi. Eneide, lib. X, trad. del Caro. Gli antichi credevano
che
il cigno, per Io più taciturno, all’avvicinarsi d
Ugo Foscolo nel carme le Grazie dedica a questo simbolo della beltà,
che
veleggia con pure ali di neve, i seguenti bei ver
rsicore, (275) ha fama di avere inventato i versi lirici, e fu quegli
che
insegnò a sonare la lira ad Orfeo (469) e ad Erco
iante una sacerdotessa chiamata Pitia o Pitonessa (V. Sibille, § 665)
che
incoronata di lauro riferiva i responsi della del
d infatti Biante era proprio un’arca di scienze e di virtù. Nel tempo
che
i nemici pigliavano d’assalto Priene sua patria,
orse questa risposta poteva esser tacciata di presunzione ; ma vero è
che
Biante ebbe la modestia d’inviare il treppiede a
vero è che Biante ebbe la modestia d’inviare il treppiede a Pittaco,
che
lo spedì a Cleobulo, e questi a Periandro, tutti
erire. Laonde anche Solone ricusò il ricco dono, inviandolo a Chilone
che
faceva consistere tutta la filosofia nel contenta
ia nel contentarsi del necessario, dicendo : bando al superfluo. Dopo
che
il tripode fu passato così dalle mani dei sette s
il tripode fu passato così dalle mani dei sette savi, tornò a Talete,
che
lo depositò nel tempio d’Apollo consacrandolo al
cra è pur detta la valle sottoposta. In essa scorre il fiume Permesso
che
nasce sul monte Elicona dalle acque della ninfa C
da Apollo, e da quelle dell’Ippocrene (hippos, cavallo, kréne, fonte)
che
scende dall’Elicona, e che il cavallo Pegaseo (12
’Ippocrene (hippos, cavallo, kréne, fonte) che scende dall’Elicona, e
che
il cavallo Pegaseo (124) fece con un calcio scatu
7), allorchè Perseo (353) recise il capo a questa Gorgone. Suol dirsi
che
Apollo e le Muse consentono a’veri poeti menare a
Pegaseo, simbolo del genio. 125. Un satiro di Frigia chiamato Marsia,
che
reputasi inventore del flauto, ebbe la temerità d
la temerità di sfidare Apollo nella eccellenza della musica, a patto
che
il vinto restasse a discrezione del vincitore ; e
126. Anche Pane (294) aveva osato sfidare Apollo, e andava spacciando
che
i suoni del suo flauto superavano la lira ed il c
ità facendogli spuntare le orecchie d’asino, destinate a quei pedanti
che
presumono poter giudicare delle cose che non cono
no, destinate a quei pedanti che presumono poter giudicare delle cose
che
non conoscono, ragionare di affetti che non sento
no poter giudicare delle cose che non conoscono, ragionare di affetti
che
non sentono. 127. Mida si studiava di nascondere
luogo remoto, fa un buco in terra, e sdraiatosi sopra, dice sottovoce
che
il suo padrone ha le orecchie d’asino ; indi rico
barbiere : Mida ha le orecchie d’asino ; e così ammaestravano ognuno
che
l’ignoranza pur troppo si fa palese, comunque ess
i ricchi arredi. 128. Quando Bacco (146) andò in Frigia, Sileno (150)
che
lo accompagnava si fermò a una fonte ove Mida ave
rono Sileno ubriaco, e dopo averlo inghirlandato lo condussero a Mida
che
lo accolse con magnificenza regale. Bacco volendo
l primo desiderio ch’ei gli avesse manifestato. Il re di Frigia quasi
che
volesse far conoscere come bene gli si addicevano
lo, e ne fu presso a morir di fame. Ecco l’immagine dei sordidí avari
che
si lasciano mancar di tutto per accumular ricchez
Mida, Che segui alla sua dimanda ingorda, Per la qual sempre convien
che
si rida, Dante, Purg., c. XX. lo consigliò a tu
ida, Dante, Purg., c. XX. lo consigliò a tuffarsi nel fiume Pattolo
che
irriga la Lidia. Mida obbedì, e perdette la singo
rdette la singolare prerogativa, comunicandola alle acque del Pattolo
che
fin da quel tempo recarono sabbia d’oro. Potremmo
uel tempo recarono sabbia d’oro. Potremmo riflettere su tal proposito
che
le ricchezze adoperate in utili imprese, come nel
igno impoveriscono lo stesso possessore. Molte son poi le metamorfosi
che
la favola attribuisce ad Apollo. 130. Clizia, ni
u sacerdotessa di Apollo ; ma vedendosi preferita Leucotoe (la stessa
che
Ino) (449), ne concepì tanta gelosia da lasciarsi
ora in girasole od elitropio, il qual fiore, per dimostrare l’affetto
che
Clizia avea per Apollo, dicesi vòlto sempre al di
otterraneo la figliuola. Allora Apollo irrigando col néttare la terra
che
la copriva, ne fece spuntar subito l’albero dell’
ico d’Apollo, s’allevava con grande affetto un bel cervo ; quand’ecco
che
inavvertentemente lo uccide, e ne rimane sì addol
far pagare al corvo il fio della delazione, gli ridusse nere le penne
che
prima eran bianche. 134. Solevano sacrificare sug
perchè l’olivo, fedele al Dio del giorno, alligna bene in quei luoghi
che
sono ravvivati dalla sua presenza. Gl’inni più ce
uei luoghi che sono ravvivati dalla sua presenza. Gl’inni più celebri
che
erano cantati in onor suo furon detti Peani o Pea
o (120) furon sacri ad Apollo, denotando colla differenza del colore,
che
a questo Nume era noto tutto ciò che soglion prod
ndo colla differenza del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò
che
soglion produrre sì i giorni che le notti. Quindi
che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion produrre sì i giorni
che
le notti. Quindi il cigno si riferiva anche alla
cigno si riferiva anche alla tenera armonia con la quale supponevasi
che
questo volatile cantasse la vicina sua morte, qua
l futuro, ed il suo crocidare serviva spesso di prognostico. L’aquila
che
fissa nel sole l’audace suo sguardo, il gallo che
ognostico. L’aquila che fissa nel sole l’audace suo sguardo, il gallo
che
ne celebra col canto mattutino il ritorno, e la c
, il gallo che ne celebra col canto mattutino il ritorno, e la cicala
che
festeggia infaticabilmente i bei giorni del suo i
te a consultare il suo oracolo, recando magnifici donativi. I Rodiani
che
ambivano di esser chiamati figli del Sole, gli av
lie del mondo. Era questa una statua di bronzo alta settanta braccia,
che
posando i piedi sopra due rôcche distanti oltre v
a destra mano un bacino, nel quale di notte tenevasi accesa la fiamma
che
serviva di fanale ai marinari. L’interno del colo
le. Un terremoto lo fece cadere non molto tempo dopo la sua erezione,
che
ebbe luogo 700 anni av. G. C., e rimase in terra
i e le mura di Babilonia costruiti da Semiramide ; il palazzo di Ciro
che
dicono avesse le pietre cementate con l’oro ; le
avesse le pietre cementate con l’oro ; le famose Piramidi di Egitto,
che
si crederono destinate per tomba ai Re di quel fe
stinate per tomba ai Re di quel fertile paese ; e finalmente la tomba
che
Artemisia alzò al re Mausolo suo sposo. Questo mo
la celeste armonia ; quella stessa lira onde traeva i dotti concenti
che
facevano stupire uomini e Dei. Talora av[ILLISIBL
ettore degli uomini, ed era in atto di far donativi alle Grazie (175)
che
animano il genio e le belle arti. Roma possiede l
orella d’Apollo (96). Forse questo suo nome principale deriva da dios
che
in greco vuol dire Giove. 138. In cielo fu chiam
ce inseguire dai suoi cani il cacciatore Atteone (aktè, sponda, gr.),
che
ebbe la temeraria curiosità di guardarla mentr’el
mmagine della genitrice Natura. 139. Tuttavia alcuni mitologi narrano
che
Diana, considerata qual divinità celeste, ossia l
store Endimione e n’avesse cinquanta figliuoli ; ma dicono altrimenti
che
Giove, trovato questo pastore nelle stanze di Giu
ozze di Diana e d’Endimione. Sarebbe fac spiegar tutto ciò supponendo
che
Endimione fosse un abi astronomo che passava la s
fac spiegar tutto ciò supponendo che Endimione fosse un abi astronomo
che
passava la sue notti sulla cima delle mo[ILLISIBL
stri. No[ILLISIBLE] invecchiava, perchè l’ingegno fa immortali coloro
che
[ILLISIBLE] adoperano in cose lodate. 140. È nota
che [ILLISIBLE] adoperano in cose lodate. 140. È notabile la severità
che
Diana usava con le sue seguaci. Calisto era la ni
di vivere continuamente nubile con lei ; ma ad insinuazione di Giove,
che
le apparve sotto le effigie della stessa Diana, s
141. Diana poi fu molto più crudele contro la sventurata Niobe (629)
che
in onta a lei s’era vantata della sua bella e num
cchito dei tesori di tutta l’Asia, con pitture, statue e bassorilievi
che
erano capolavori dei più celebri maestri. Le port
Diana fu gettata in oro. Erostrato diede fuoco a questo tempio nel dì
che
nacque Alessandro il grande, e mentre Diana, come
me credevano, assisteva in parto Olimpia madre di quel principe. Pare
che
Erostrato commettesse questo misfatto per fare im
mmortale con l’infamia il suo nome. Gli Efesj decretarono, ma invano,
che
il nome di questo folle non fosse mai pronunziato
n sacrifizio di cento bovi, chiamato Ecatombe, parola greca composta,
che
significa appunto cento buoi. Con l’aiuto di Ifig
lunghe, folte e crespe alquanto, o con uno di quei cappelli in capo,
che
si dicono acidari, largo di sotto, ed acuto e tor
e torto in cima, come il corno del Doge, con due ali verso la fronte,
che
pendano e cuoprano le orecchie, e fuori della tes
ciato, liscio, e risplendente a guisa di specchio in mezzo la fronte,
che
di qua e di là abbia alcuni serpenti, e sopra cer
ondo Marziano, o di elicrisio secondo alcuni altri. La veste chi vuol
che
sia lunga fino ai piedi, chi corta fino Ile ginoc
hi. Pigliate un di questi abiti qual meglio vi torna. Le braccia fate
che
siano ignude, con le loro maniche larghe ; con la
di veleno, e col piede ornato di foglie di palma. Ma con questo credo
che
voglia significare pur Iside ; però mi risolvo ch
a con questo credo che voglia significare pur Iside ; però mi risolvo
che
le facciate l’arco come di sopra. Cavalchi un car
ilezione di Giove per Semele, causa di tanti guai a’ Tebar Nel tempo
che
Giunone era cruccciata Per Semelè contra ’l sangu
vittima della sua ambizione, perì nell’incendio, come sovente àccade
che
il fasto e la splendida protezione dei grandi sie
ovra ogni dir gradita. Pindaro, Trad. del Borghi. 149. Dicono i più
che
Bacco fu allevato in vicinanza della città di Nis
co) dove Mercurio lo recò in fasce alle figliuole d’Allante (359) ; e
che
dopo cresciuto, per gratitudine a Coloro che avev
uole d’Allante (359) ; e che dopo cresciuto, per gratitudine a Coloro
che
avevano avuto cura della sua infanzia, le cangiò
ggersi, ora camminando barcollon barcolloni con l’ aiuto d’ un tirso,
che
è un bastone coronalo di pampani o d’ellera. 151.
ta la terra e conquistò le Indie con un esercito d’ uomini e di donne
che
per armi avevano tirsi e tamburi ; indi si trasfe
lle Indie (722) e d’ Osiride (696, 697) egiziano ; laonde è probabile
che
sia sempre il medesimo Dio, variato nome. Altri v
medesimo Dio, variato nome. Altri vi riconoscono l’immagine del sole
che
si alza dalla parte dell’ Oriente dove è posta l’
no delle Indie sposò Arianna, figliuola di Minosse (228) re di Creta,
che
era stata abbandonata da Teseo (402), c le regalò
; e poi in Italia ; ma il senato romano, vedendo la sfrenata licenza
che
le accompagnava, le proscrisse per sempre l’anno
ed ivi le facevano i soliti sacrifizj : ………. le folli Menadi, allor
che
lorde Di mosto il viso balzan per li colli. G.P
re le feste di Bacco ; ma il culto per questo nume era così radicato,
che
le Baccanti furibonde aggredirono il principe e l
io ; chè anzi ricusarono d’assistere alle feste di Bacco, e nel tempo
che
erano celebrate vollero per disprezzo continuare
ggiare d’ urla tremende, e la vendetta del Nume colpir le sacrileghe,
che
furono tutte trasformate in pipistrelli. Le vergi
dalle fischiate degli spettatori ; ma era dato un premio al ballerino
che
avesse saputo serbar l’equilibrio meglio degli al
da Centauri (430). 158. Era immolata a Bacco la gazza, per avvertire
che
il vino ci rende indiscretamente loquaci ; ed il
quale Ismeno già vide ed Asopo Lungo di sè di notte furia e calca Pur
che
i Teban di Bacco avesser uopo…. Dante, Purg., c
Dante, Purg., c. XVIII. 159. Molti scrittori d’antiquaria suppongono
che
Bacco sia la stessa cosa che Noè, il quale piantò
Molti scrittori d’antiquaria suppongono che Bacco sia la stessa cosa
che
Noè, il quale piantò la vite, e insegnò agli uomi
si rassomigliano ; ma tra Bacco e Mosè passa analogia tanto maggiore
che
renderebbe la loro identità più verosimile. Egli
e renderebbe la loro identità più verosimile. Egli è dunque probabile
che
quanto la favola attribuisce a Bacco altro non si
nque probabile che quanto la favola attribuisce a Bacco altro non sia
che
imitazione della storia di Mosè : Bacco e Mosè fu
l secondo fece altrettanto sul Mar Rosso. I quali paralleli attestano
che
se Mosè e Bacco non sono lo stesso uomo, furono a
l messaggero e l’interprete di Giove e degli altri Dei tanto in cielo
che
in terra, sì nel mare che nell’inferno ; dirigeva
e di Giove e degli altri Dei tanto in cielo che in terra, sì nel mare
che
nell’inferno ; dirigeva egli stesso le loro impre
a una verga alata in cima e con due serpi avvoltele intorno. Si narra
che
un giorno avendo incontrato quei due animali che
le intorno. Si narra che un giorno avendo incontrato quei due animali
che
si battevano, li separò con la verga, ed essi vi
tempo stesso il caduceo aveva la proprietà di ricongiungere tutto ciò
che
la collera aveva separato, nuovo simbolo dell’ el
, nuovo simbolo dell’ eloquenza. La credenza in cui erano gli antichi
che
Mercurio dopo un certo numero di secoli riconduce
po morto in un corpo vivo. Cosi gli antichi credettero universalmente
che
le nostre anime, dopo aver lasciata la morta spog
lasciata la morta spoglia, trasmigrassero nel corpo di quegli esseri,
che
per le loro inclinazioni s’accostano più alla nos
hanno ammessa la metempsicosi senza limiti, acconsentendo di credere
che
la loro anima passi dal corpo di un uomo in quell
animale, e da questo in un albero o in una pianta, perchè essi dicono
che
tutto ciò che vegeta vive, e tutto ciò che vive d
questo in un albero o in una pianta, perchè essi dicono che tutto ciò
che
vegeta vive, e tutto ciò che vive deve avere un’
pianta, perchè essi dicono che tutto ciò che vegeta vive, e tutto ciò
che
vive deve avere un’ anima. Il filosofo Pitagora p
ali mantengono spedali per tutti gli animali malati, essendo persuasi
che
, soccorrendoli, porgono alcun sollievo forse ai l
co di condurre all’inferno le anime degli estinti. 165. Ma pretendono
che
Mercurio fosse anche il Nume dei ladri, forse per
i a starne guardinghi, non già per proteggere quel malvagi, tanto più
che
vigilava anche la sicurezza delle strade pubblich
più che vigilava anche la sicurezza delle strade pubbliche. Fatto sta
che
a lui stesso attribuiscono molta abilità nel furt
o gli offerse un bove e una vacca per farsi dire dove fosse il gregge
che
era stato portato via ; e Batto palesò subito il
a fare esperienza della purezza dell’oro ; quasi volessero insegnarci
che
nello stesso modo che l’oro corrompe la fede e l’
a purezza dell’oro ; quasi volessero insegnarci che nello stesso modo
che
l’oro corrompe la fede e l’onestà dei mortali, co
Dante nel c. XIV del Purg. a proposito dell’invidia : Io sono Aglauro
che
divenni sasso. Fu costei figliuola d’Eretteo re d
Aglauro che divenni sasso. Fu costei figliuola d’Eretteo re d’ Atene,
che
invidiosa perchè la sua sorella Erse fosse protet
e in pietra. 168. Mercurio fu chiamato Cillenio da un monte d’Arcadia
che
secondo alcuni fu luogo della sua nascita ; ebbe
tus ; finalmente lo dissero Triceps (triplice o trino) per gli uffiej
che
esercitava nel cielo, sulla terra e nell’ inferno
sercitava nel cielo, sulla terra e nell’ inferno. 169. Secondo quello
che
dice Cicerone, vi sono stati cinque Mercurj, uno
altro era medico, il terzo esperto mercatante, ec. ; ed è verosimile
che
coll’andar del tempo queste diverse qualità sieno
; e con più nomi ed are Le dan rito i mortali, e più le giova L’inno
che
bella Citerea la invoca. Tito Lucrezio Caro nel
del Carrer : Madre d’ Enea, desio d’ uomini e Numi, Alma Venere, tu,
che
sotto a’ segni Roteanti del cielo il mar fecondi
primavera, e il genïale Alito di Faonio era diffuso, L’aerio volator
che
in cor ti sente, Te, o Diva, tosto e il tuo venir
de’ volanti, e nelle verdi Campagne universal spirando amore, Fai si
che
d’una in altra si propaghi Stirpe la vita con acc
; e figurarono parimente nati da lei il Riso, gli Scherzie i Piaceri,
che
appariscono quali genii o fanciulli alati. 173. C
pingono ancora con un dito alla bocca ; indizio di quella discretezza
che
è tanto necessaria per ben governare le passioni
ella discretezza che è tanto necessaria per ben governare le passioni
che
accende. Uomini e Dei solea vincer per forza Amo
rizione più ampia e feconda di nuove idee : Quattro destrier via più
che
neve bianchi : Sopr’ un carro di fuoco un garzon
lia, e parte uccisi, Parte feriti di pungenti strali…. Questi è colui
che
il mondo chiama Amore…. E siccome può esservi l’
i che il mondo chiama Amore…. E siccome può esservi l’amore virtuoso
che
gli antichi chiamavano Eros 34 e quello opposto d
o dell’ abbondanza unitosi in matrimonio con Penia Dea della povertà,
che
nello stesso giorno nel quale celebravano in ciel
iman privo di tutto, e tapino e mendico diventa ; o piuttosto pensava
che
l’amor puro e vero non guarda a ricchezza nè a po
nascere dal Cielo e dalla Terra per significare i sentimenti sublimi
che
debbono nobilitarlo, e senza dei quali i material
lla Bellezza ; Alceo della Discordia e dell’Aria, volendo significare
che
senza pace si risolve in nulla ; e Alemeone di Ze
i risolve in nulla ; e Alemeone di Zeffiro e di Flora, perchè nulla è
che
sia più gentile e innocente dei fiori e dell’aura
è che sia più gentile e innocente dei fiori e dell’aura di primavera
che
gli accarezza. Il nostro altissimo poeta Dante Al
li accarezza. Il nostro altissimo poeta Dante Alighieri, non contento
che
l’amor suo fosse santo ed unico in terra, lo pose
unico in terra, lo pose nel cielo, ed inspirato da esso a quel canto
che
dovea rendere ma ravigliata e riverente l’ Italia
e dovea rendere ma ravigliata e riverente l’ Italia, surse tant’alto,
che
altri nol raggiunse giammai nè prima nè dopo. « Q
e costante in sè stesso ; regola immortale data ai mortali dal Cielo,
che
è indipendente da ogni umano volere, che la natur
e data ai mortali dal Cielo, che è indipendente da ogni umano volere,
che
la natura insegna, che la religione perfeziona, c
ielo, che è indipendente da ogni umano volere, che la natura insegna,
che
la religione perfeziona, che la civiltà interpret
gni umano volere, che la natura insegna, che la religione perfeziona,
che
la civiltà interpreta, applica, sanziona. » (Vena
erpreta, applica, sanziona. » (Venanzio.) 174. Alcuni mitologi dicono
che
Imene, o Imeneo, che presiedeva agli sponsali, fo
ziona. » (Venanzio.) 174. Alcuni mitologi dicono che Imene, o Imeneo,
che
presiedeva agli sponsali, fosse figlio di Venere
ea della bellezza riceve da loro la leggiadria e tutti i divini pregi
che
la fanno meravigliosa. Nate il di che a’ mortali
giadria e tutti i divini pregi che la fanno meravigliosa. Nate il di
che
a’ mortali Beltà, ingegno, virtù concesse Giove :
e per lo più nude e sempre vagamente insieme abbracciate per indicare
che
fanno gradito e bello il vincolo dell’ umano cons
ndicare che fanno gradito e bello il vincolo dell’ umano consorzio, e
che
la semplice beltà della natura vince gli studiati
cono anche ricoperte di leggero velo, forse per la sentenza d’ alcuni
che
dicono non esservi grazia senza decenza, nè decen
itologia, e vederle sempre adorne di quella stessa immortale bellezza
che
spira dalle opere del genio greco, legga quel car
608) fu detto figliuolo di Venere e d’Anchise (608) principe troiano,
che
la Dea della bellezza protesse e ricolmò di favor
oiano, che la Dea della bellezza protesse e ricolmò di favori. Dicono
che
questo principe, osando una volta vantarsi di tan
ito di questa sua indiscretezza da Giove (63) con un colpo di fulmine
che
gli sfiorò la pelle. 177. Adone, figlio di Mirra
traordinaria bellezza, ed appassionatissimo per la caccia. Non faceva
che
abbandonarsi a questo esercizio, benchè Venere lo
nte Libano ; ma la belva furiosa lo inseguì e lo fece in pezzi, prima
che
Venere fosse in tempo a soccorrerlo ; talchè non
ezzi, prima che Venere fosse in tempo a soccorrerlo ; talchè non potè
che
ricoprirlo di néttare e di lacrime, e cangiarlo i
; ma, secondo alcuni, d’indole tanto altera, volubile ed incostante,
che
non stava mai ferma in un proposito ; e non valev
i è rappresentata con ali di farfalla, o con uno di questi animaletti
che
le svolazza intorno. Un Nume potente, amabile e g
corrisposto. Dopo avere studiato lungo tempo la sua indole si accorse
che
la passione più dominante di Psiche era la curios
n mezzo a boschetti e giardini, ornandolo dentro e fuori di tutto ciò
che
può far deliziosa la vita ; e quindi la tenera vo
ettuosamente, e le chiedeva la promessa di non iscegliere altro sposo
che
lui. Prima del far del giorno spariva, e abbandon
curiosità non sodisfatta. « Chi sei tu dunque, esclamava : chi sei tu
che
dici di amarmi e di vivere per me ? Tu vuoi ch’ i
i dispiacermi ? Ah ! tu non sarai forse il più bello degli uomini ; e
che
importa ? tu sei il più sensibile e il più genero
ù generoso. Ebbene ! scopriti ! Ch’ io ti veda ; ch’ io conosca colui
che
debbo amare ! » Ma il Nume s’ostinava a rimanere
ada, le dicevano, bada di non esser vittima della tua fiducia. Chi sa
che
questo amante, che ha paura della luce del giorno
ada di non esser vittima della tua fiducia. Chi sa che questo amante,
che
ha paura della luce del giorno, non sia un mostro
esto amante, che ha paura della luce del giorno, non sia un mostro, e
che
dopo aver acquistata la tua affezione osi tradirt
de sopra un tappeto sparso di rose, finge di addormentarsi, e aspetta
che
il caso guidi a lui la donzella. Psiche vi giunge
sa !…. » E si chinava su lui avidamente per contemplarlo, non badando
che
i suoi moti facessero pendere la lucerna ; sicchè
re la lucerna ; sicchè una goccia ardente cadde sul seno del giovine,
che
svegliato dal dolore si alza precipitoso, e spari
d’un’alta montagna, e tagliare un vello di lana dorata di sui montoni
che
vi pascolavano. Per ultima prova Venere le disse
re la sua curiosità ; e volle vedere come fosse fatta quella bellezza
che
si spediva a scatole. Apre, e ne scaturisce un fu
bellezza che si spediva a scatole. Apre, e ne scaturisce un fumo nero
che
le si ferma sul volto : si specchia, e scorge la
rassicura, e le porge la mano. La commozione di Psiche è tanto grande
che
non ha forza di parlare ; si prostra a’ piedi del
ù felice unione di quella. Facile è discoprire gl’insegnamenti morali
che
in questa favola sono ingegnosamente riposti. Alt
risce essere adombrata nella mitologica Psiche l’anima immortale ; il
che
può rilevarsi anche dalla etimologia del suo nome
a ; E per te in mezzo il sacro vel s’adorni Della imago di Psiche, or
che
perfetta Ha la sua tela, e ti sorride in volto. M
furti suoi chiudesse ; E si gli additi in aurea nube il sogno Roseo,
che
sulla fresca alba di maggio Sovra dormente giovin
mente giovinetta aleggia, E le ripete susurrando i primi Detti d’amor
che
da un garzone udia. 179. Venere ebbe maggior cu
e l’Egeo sospira e piagne, Un’isoletta delicata e molle Più ch’altra,
che
’l sol scalde, o che ’l mar bagne. Nel mezzo è un
agne, Un’isoletta delicata e molle Più ch’altra, che ’l sol scalde, o
che
’l mar bagne. Nel mezzo è un ombroso e verde coll
olci acque, Ch’ogni maschio pensier dell’alma tolle. Quest’è la terra
che
cotanto piacque A Venere ; e ’n quel tempo a lei
ere sopra una capra, con una testuggine sotto il piede, a significare
che
l’amore della sola materiale bellezza ci fa diven
era bella, velata poi era divina, perchè univa la modestia alla beltà
che
senza essa non è pregevole. Fu anche figurata col
gine ad occhi bassi e coi piedi sopra un guscio di testuggine, indica
che
la gioventù virtuosa deve sempre tener custodita
ributi presiedeva a quell’amore casto e puro, a quella fiamma celeste
che
dà vita all’universo, e che solleva le anime ai p
ore casto e puro, a quella fiamma celeste che dà vita all’universo, e
che
solleva le anime ai pensieri della divinità. Le s
e della donna virtuosa, della eletta fra le creature, di quell’essere
che
, quando si mostra nella sua possibile perfezione,
umana lode, ogni maraviglia della natura. La sua statua più celebre,
che
ci sia pervenuta dall’antichità, è la Venere dei
dei più belli ornamenti della galleria pubblica di Firenze. Ognun sa
che
uno dei capi d’opera della moderna scultura che l
di Firenze. Ognun sa che uno dei capi d’opera della moderna scultura
che
l’italiano Canova seppe far risorgere con tanta l
o ha fatto una vaghissima descrizione del cinto misterioso di Venere,
che
è l’emblema della modestia, della grazia e della
i fiori, dove volendo far prova dell’ agilità delle sue ali, si vantò
che
in pochi minuti avrebbe colto più fiori di sua ma
tre vergini ed altre donne si appressavano all’ ara di Venere nuziale
che
teneva nell’una mano il globo del mondo da essa r
a ; ma la notte seguente scomparve ; e un astronomo, Conone, annunziò
che
Venere l’aveva posta nel cielo e cangiata in stel
ontro Giove, n’ ebbe per castigo l’esilio dal cielo nello stesso modo
che
Apollo (96) ; e per vivere, si trovò come lui rid
ja. È stata già narrata la mala fede di Laomedonte re di Troja (106),
che
negò a Nettuno la pattuita mercede, e la vendetta
he negò a Nettuno la pattuita mercede, e la vendetta dello Dio marino
che
inondò il pæse e fece emergere dalle acque un mos
di ed alle mani. Quale orrido simbolo dei vizj, infettavano ogni cosa
che
toccavano, ed erano cagione di carestia e d’infin
a quell’altre Rapaci e lorde sue compagne Arpie Fin d’allora abitate,
che
per tema Lasciàr le prime mense, e di Finéo (362)
rinzata e magra. (Eneide, lib. III, traduz. del Caro.) Alcuni dicono
che
la favola delle Arpie fu originata da un gran nuv
avola delle Arpie fu originata da un gran nuvolo di enormi cavallette
che
, dopo aver devastato parte dell’Asia Minore, si g
l’aria coi loro cadaveri. — V’ è chi non riconosce nelle Arpie altro
che
gli uccelli del lago Stinfale. E finalmente altri
ie altro che gli uccelli del lago Stinfale. E finalmente altri dicono
che
fossero Corsari frequentemente scesi negli stati
higlia di straordinaria bellezza e più candida dell’avorio ; e pareva
che
questo carro volasse radendo la superficie delle
Teli, moglie d’ Oceano, non deve esser confusa con l’altra Teli (320)
che
fu madre d’ Achille (536). 193. Oceano e Teti gen
a di giunchi. Si appoggiano sopra un’ urna di dove scaturisce l’acqua
che
è la sorgente del fiume al quale presiedono. 195.
i pericoli di manifestarlo. Secondo alcuni Proteo fu un abile oratore
che
sapendo con arte adoperare tutte le figure della
to doversi riconoscere in lui un comico perfetto, un abile pantomima,
che
seppe imitare con la voce e co’gesti ogni specie
) e della musa Calliope (274), abitavano per entro gli scoscesi massi
che
sono tra l’isola di Capri e le coste d’Italia, od
Sicilia. Le principali sono queste tre : Leucosia, Lisia e Partenope
che
diede il nome alla città dove morì ; ma Falari, c
Lisia e Partenope che diede il nome alla città dove morì ; ma Falari,
che
rifabbricò Partenope, la chiamo Napoli, Neopoli,
tà del loro corpo, erano immagine di quelle seducenti delizie terrene
che
rapiscono l’uomo, lo distraggono dai suoi doveri,
vi degl’ incauti nocchieri. 197. L’oracolo aveva predetto alle Sirene
che
sarebbero perite, appena che un uomo avesse saput
97. L’oracolo aveva predetto alle Sirene che sarebbero perite, appena
che
un uomo avesse saputo resistere alle attrattive d
resistere alle attrattive della loro voce e delle loro parole, quasi
che
volesse indicare la maravigliosa potenza del buon
Argonauti ; ma Orfeo prese la lira, e incantò loro stesse a tal punto
che
divennero mute e gettarono i proprj istrumenti ne
che divennero mute e gettarono i proprj istrumenti nelle acque. Segno
che
il verò merito ha attrattive infinitamente maggio
ele ; essendochè Ulisse restò così preso dalle lusinghe delle Sirene,
che
fe’cenno a’compagni di voler essere sciolto ; ma
gni di voler essere sciolto ; ma essi non infransero il severo ordine
che
avevano avuto di non obbedire a quel cenno ; e le
Naiade, fu celebre pescatore d’Antedonte in Beozia ; il quale, posati
che
ebbe un dì alcuni pesci sopra certa erba, si acco
uale, posati che ebbe un dì alcuni pesci sopra certa erba, si accorse
che
ripigliavano il vigor della vita, e con maravigli
a una bella ninfa figlia di Forco ed’Ecale, amata da Glauco (201), ma
che
non gli voleva corrispondere ; sicchè egli andò a
ge con quella in cui s’intoppa…. (Dante, Inf. c. VII.) Omero suppone
che
inghiotta le onde tre volte il giorno e tre volte
sinistro É l’ingorda Cariddi : una vorago D’un gran baratro è questa,
che
tre volte I vasti flutti rigirando assorbe, E tre
ie caverne Stassene insidïando, e colle bocche De’suoi mostri voraci,
che
distese Tien mai sempre ed aperte, i naviganti E
l petto Ha di donna e di vergine : il restante D’una pistrice immane,
che
simili A’delfini ha le code, ai lupi il ventre.40
(273) e quella Scilla della quale abbiamo già parlato (202). Credono
che
da Forco fosse nato ancora il serpente che stava
già parlato (202). Credono che da Forco fosse nato ancora il serpente
che
stava a custodia degli aurei pomi delle Esperidi
nde anche in mezzo ai rigori dell’inverno. E in questo tempo, secondo
che
dice la tradizione, il mare si mette in calma, e
tenera prole ; ma questa calma dura solamente per quattordici giorni,
che
dai marinari sono chiamati dies alcyonei (giorni
ata così : Alcione, affettuosa moglie di Ceice re di Trachinia, sognò
che
il marito naufragava ritornando da Delfo, sicchè
e spesso procede mæstosamente in un carro condotto da cavalli marini
che
hanno la parte posteriore del corpo fatta a guisa
veva la forma d’una larga conchiglia ; le ruote erano d’oro, e pareva
che
volassero a fior d’acqua. I Tritoni (190), le Ner
Saturno (27) e di Cibele (40). Assistè il fratello Giove nella guerra
che
ebbe a sostenere contro Saturno (31), e dopo la v
do il fiume o la palude Stige (221), posta nell’Arcadia. Ma fingevano
che
anche in Italia e segnatamente nella Campania pre
sotterraneo limitare, ove Dante trovò scritte quelle tremende parole
che
tutti sanno : « Per me si va nella città dolente
e le biformi Due Scille ; Briareo di cento doppj ; La Chimera di tre,
che
con tre bocche Il fuoco avventa ; il gran serpe d
la terra sconsolata, fra ardenti fornaci, popolate di orribili mostri
che
rabbiosamente tormentavano le ombre dei malvagi :
r per tempesta, Se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal
che
mai non resta, Mena gli spirti nella sua rapina,
a, di là, di giù, di su li mena : Nulla speranza li conforta mai, Non
che
di posa, ma di minor pena. L’altra regione, cui
ti, Tragge del muto legno umani accenti…. ………………… E questi eran color
che
combattendo Non fur di sangue alla lor patria ava
olor che combattendo Non fur di sangue alla lor patria avari ; E quei
che
sacerdoti erano in vita Castamente vissuti ; e qu
; e gl’inventori Dell’Arti, ond’è gentile il mondo e bello ; E quei,
che
ben oprando han tra’mortali Fatto di fama e di me
aturno vi regna con la moglie Rea, e vi rende perpetua l’età dell’oro
che
fu tanto breve sopra la terra. Alcuni credevano i
da capo a piedi di varie materie gradatamente inferiori, come quella
che
nelle Scritture Sacre dicesi veduta da Nabuccodon
e dal corrompimento delle materie stesse componenti la detta statua,
che
è quanto a dire dai vizj di tutti i tempi, deriva
sso : In mezzo ’l mar siede un paese guasto,44 Diss’ egli45 allora,
che
s’appella Creta, Sotto ’l cui rege fu già ’l mond
Creta, Sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.46 Una montagna v’è,
che
già fu lieta D’acque e di fronde, che si chiamò I
ndo casto.46 Una montagna v’è, che già fu lieta D’acque e di fronde,
che
si chiamò Ida : Ora è diserta come cosa vieta.47
me infino alla forcata ; Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Salvo
che
il destro piede é terra cotta, E sta in su quel,
letto, Salvo che il destro piede é terra cotta, E sta in su quel, più
che
in su l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor che l’
E sta in su quel, più che in su l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor
che
l’oro, è rotta D’una fessura che lagrime goccia,
l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta D’una fessura
che
lagrime goccia, Le quali accolte foran quella gro
iango, gr.) circondava il Tartaro (216) ; le sue onde altro non erano
che
le lacrime dell’eterno pianto dei malvagi, come s
bolo ; ed il loro mormorio ne imitava i gemiti. Credevano gli antichi
che
le anime degl’ insepolti andassero errando per ce
le sepoltura alle spoglie mortali. Sulle sue sponde coronate di tassi
che
mandavano ombra mesta e tenebrosa, era una porta
ombra mesta e tenebrosa, era una porta eretta su cardini di bronzo, e
che
dava accesso al Tartaro (216). 220. Il Flegetonte
o ruscello con acqua buia » dalla quale esalavano mortiferi vapori, e
che
per nove volte girava intorno all’Inferno. I poet
onde il padre dei Numi, grato a tanto zelo, la ricolmò di doni. Volle
che
lo Stige diventasse il vincolo sacro delle promes
cro delle promesse degli Dei, e decretò gravissime pene contro coloro
che
avessero violato i giuramenti fatti nel suo nome.
oso Sarpedonte, e Venere guarì le ferite del suo figlio Enea. Si dice
che
l’ambrosia scaturisse la prima volta da uno dei c
Loc. cit.) Ogni ombra dovea pagargli il passo con una moneta ; per lo
che
i Greci e i Romani ponevano un obolo nella bocca
a crudele e diversa,52 Con tre gole caninamente latra Sovra la gente
che
quivi é sommersa. Gli occhi ha vermigli, e la bar
squatra. (Dante, Inf. c. VI.) Accoglieva talora con carezze le ombre
che
entravano, e minacciava abbaiando con le sue tre
entravano, e minacciava abbaiando con le sue tre bramose gole quelle
che
accennavano di volerne uscire. Raccontano che Erc
tre bramose gole quelle che accennavano di volerne uscire. Raccontano
che
Ercole (364) lo incatenò e se lo tirò dietro fino
la terra, allorchè liberò dall’inferno Alceste sposa d’Admeto (102) ;
che
Orfeo (469) lo addormentò col suono della sua lir
lira, quando scese per richiedere a Plutone (213) la sua Euridice ; e
che
la Sibilla che condusse Enea (608) all’inferno,
ese per richiedere a Plutone (213) la sua Euridice ; e che la Sibilla
che
condusse Enea (608) all’inferno, Tratta di mêle
i tre giudici dell’ Inferno, ed esaminavano le anime di mano in mano
che
Mercurio (160) le conduceva al loro tribunale. Ea
i Cretesi, ogni nove anni si ritirava in una caverna, dando a credere
che
ivi Giove (63) gliele dettasse. Come presidente d
e, e ringhia : Esamina le colpe nell’entrata, Giudica e manda secondo
che
avvinghia. Dico, che quando l’anima malnata Gli v
a le colpe nell’entrata, Giudica e manda secondo che avvinghia. Dico,
che
quando l’anima malnata Gli vien dinanzi, tutta si
erno è da essa : Cignesi colla coda tante volte Quantunque gradi vuol
che
giù sia messa. Sempre dinanzi a lui ne stanno mol
Siccome la peste aveva spopolato i suoi stati, così ottenne dal padre
che
le formiche diventassero uomini, e dette ai suoi
nome di Mirmidoni (92). Vi governò poi con tanta sapienza e giustizia
che
ebbe l’onore di tener nell’Inferno la bilancia co
del suo coraggio gli fece sposare la figliuola di Laomedonte, Esione,
che
fu la sua terza moglie e madre di Teucro. — Peleo
o. — Peleo sposò Teti (320) e fu padre d’Achille (536). Le sue nozze,
che
la Discordia turbò col pomo fatale, furono la pri
propri sudditi, e gli antichi avevan tale opinione della sua equità,
che
se volevano attestare la giustizia di una sentenz
damanto. Anch’ egli ……..ode, esamina, condanna, E discopre i peccati
che
di sopra Son dalle genti o vanamente ascosi In vi
udici ignoranti o corrotti principalmente deriva il disordine sociale
che
spinge alle colpe ; e quindi i legislatori e i gi
rebbero aver preso l’idea di questi giudici dell’ inferno dal costume
che
avevano gli Egiziani di giudicare pubblicamente l
eraste avean per crine, Onde le fiere tempie erano avvinte. E quei,54
che
ben conobbe le meschine Della regina dell’ eterno
i disse, le feroci Erine. Questa è Megera dal sinistro canto : Quella
che
piange dal destro è Aletto : Tesifone è nel mezzo
ISIBLE] Negli attoniti petti ; Per voi, turba feroce, Spesso a color,
che
morte Sull’ orlo spinge di nascoso abisso (Crude
elide Acque versate : Ecco le Eumenidi ; Empi trematel 233. Gli Dei,
che
le avevano preposte a tormentare le anime dei per
onni, li perseguitavano con dilanianti rimorsi e con visioni paurose,
che
li riducevano in tetra disperazione, incominciand
offerti singolari omaggi ; e tanto era il pauroso rispetto per esse,
che
quasi non s’arrischiavano a nominarle o ad alzare
empli, i quali servivano d’inviolabile asilo ai colpevoli, supponendo
che
già il rimorso facesse ivi patir loro la meritata
rificò due tortorelle, e fece una libazione d’acqua di fonte con vasi
che
avevano i manichi fasciati di lana d’agnello. I m
te per regolare il corso della luna, Diana (138) nei boschi. Era fama
che
Ecate profondesse ricchezze a’ suoi adoratori, gl
i trivj dove sorgeva la sua statua, le imbandivano ogni mese una cena
che
era poi goduta dai poveri in onor suo. Talvolta l
i. A Roma le venivan sacrificati di notte i cani, dei quali credevano
che
i lamentevoli latrati allontanassero gli spiriti
di queste gli antichi avevano immaginato altre tre divinità infernali
che
presiedevano alla vita e alla morte, ossia le Par
d’una lampada, vestile di ampia e candida cappa filavano quello stame
che
è simbolo ingegnoso del corso della vita. Il suo
vedeva apparire qualche filo di seta o d’oro, simbolo della felicità
che
pochi mortali sanno procacciarsi. 236. Cloto t
no procacciarsi. 236. Cloto teneva in mano la conocchia, Lachesi «
che
il crin si vela di dorata benda » filava, e Atrop
nno o del giorno. Vespro o Espero, fratello o figlio d’Atlante (382),
che
fu trasformato in astro (la stella della sera) e
rebo insieme con le tre Parche (235), le veniva sacrificato il gallo,
che
nelle tenebre canta il ritorno della luce ; e com
; quella esca di un mar tranquillo e nitido, questa s’immerga in uno
che
sia nubiloso e fosco. I cavalli di quella vengano
rte come se volasse. Tenga le mani alte, e dall’una un bambino bianco
che
dorma per significare il sonno, dall’ altra un al
bianco che dorma per significare il sonno, dall’ altra un altro nero
che
paia dormire, e significhi la morte, perchè d’amb
sue quattro vigilie. » « Per significar questo (il Crepuscolo), trovo
che
si fa un giovinetto tutto ignudo, talvolta con l’
ali, talvolta senza, con due facelle accese, l’una delle quali faremo
che
s’accenda a quella dell’Aurora ; e l’altra che si
una delle quali faremo che s’accenda a quella dell’Aurora ; e l’altra
che
si stenda verso la Notte. Alcuni fanno che questo
la dell’Aurora ; e l’altra che si stenda verso la Notte. Alcuni fanno
che
questo giovinetto con le due faci medesime cavalc
ella di Venere, per chè Venere e Fosforo, ed Espero e Crepuscolo, par
che
si tenga per una cosà medesima. » (Vasari, vita d
zio presso agli Etiopi, l’Ariosto nell’Arabia. Dovunque si sia, basta
che
si finga un monte, quale se ne può immaginare uno
concavità profonda, per dove passi un’ acqua come morta, per mostrare
che
non mormori, e sia di color fosco, perciocchè la
anca di sopra, l’altra nera di sotto. Tenga sotto il braccio un corno
che
mostri riversar sopra ’l letto un liquor liquido,
suo letto si vegga Morfeo, Icelo e Fantaso, e gran quantità di sogni,
che
tutti questi sono suoi figliuoli. I sogni siano c
certe figurette, altre di bello aspetto, altre di brutto, come quelli
che
parte dilettano e parte spaventano. Abbiano l’ali
Abbiano l’ali ancor essi e i piedi storti, come instabili ed incerti
che
sono. Volino, e si girino, intorno a lui, facendo
di variati mostacci, ponendone alcune di esse ai piedi. Icelo dicono
che
si trasforma esso stesso in più forme ; e questo
si trasforma esso stesso in più forme ; e questo figurerei per modo,
che
nel tutto paresse uomo, ed avesse parte di fiera,
ello, di serpente, come Ovidio medesimo lo descrive. Fantaso vogliono
che
si trasmuti in diverse cose insensate ; e questo
ole di Ovidio, parte di sasso, parte d’acqua, parte di legno. Fingasi
che
in questo luogo siano due porte ; una d’avorio, d
za ; ma andava sempre a turbare i sonni degl’intemperanti o di coloro
che
avevano da rimproverarsi qualche malvagia azione.
l’io non so se mai Al tempo de’ giganti fosse a Flegra…. Io son colei
che
si importuna e fera Chiamata son da voi, e sorda,
, quand’ il viver più diletta, Drizzo ’l mio corso…. Ivi55 eran quei,
che
fur detti felici ; Pontefici, regnanti e ’mperato
rova Alla fine ingannato, è ben ragione. O ciechi, il tanto affaticar
che
giova ? Tutti tornate alla gran madre antica ; E
ome vostro appena si ritrova…. (Petrarca, Trionfo della Morte) Colei
che
così ragiona si vede sulle sculture antiche armat
e il livido carcame. Talvolta ha in mano un corno, forse per indicare
che
nemmeno l’abbondanza di tutte le cose ci salva da
se ci salva da lei, e le svolazza intorno una farfalla per rammentare
che
, se il corpo muore, l’anima non perisce, e che L
arfalla per rammentare che, se il corpo muore, l’anima non perisce, e
che
La morte è fin d’una prigione oscura Agli animi
to nel fango ogni lor cura. Quindi i buoni non debbon temerla, …pur
che
l’alma in Dio si riconforte, E ’l cor che ’n sè m
i non debbon temerla, …pur che l’alma in Dio si riconforte, E ’l cor
che
’n sè medesmo forse è lasso ; Che altro che un so
o si riconforte, E ’l cor che ’n sè medesmo forse è lasso ; Che altro
che
un sospir breve è la morte ? Ma ben si può dire
crato alla morte il tasso, il cipresso ed il gallo, essendochè sembri
che
il suo canto debba turbare il silenzio delle tomb
no un resto di questa antica superstizione) ; finalmente gli Dei-Mani
che
stanno a custodia delle tombe. Per questo nei vec
le tombe. Per questo nei vecchi sepolcri troyiamo le due iniziali D M
che
significano, Diis Manibus, come per raccomandare
ano offerir latte, miele, vino e profumi. 244. Fra i grandi colpevoli
che
furono precipitati nel Tartaro (216) convien cita
suo cratere ignivomo era preso per una sbocco infernale. Ovidio dice
che
quando il gigante Tifone (69) si smuove, cagiona
che quando il gigante Tifone (69) si smuove, cagiona i terremuoti, e
che
le eruzioni del vulcano altro non sono che disper
e, cagiona i terremuoti, e che le eruzioni del vulcano altro non sono
che
disperati sospiri dei Giganti, « quando l’ira d’E
a desolato l’Attica devastando ogni cosa e assassinando i passeggieri
che
s’imbattevano in lui ; sicchè Giove (63) lo punì
andolo a spingere fin sulla cima d’ un’ alta montagna un masso enorme
che
sempre rotolava giù pel proprio peso, e non gli c
e stesso il nome e degli Dei S’attribuiva i sacrosanti onori. Folle !
che
con le fiaccole e co’ bronzi, E con lo scalpitar
io di Marte (255) e di Crisa, ebbe una figlia chiamata Coronide (133)
che
fu amata da Apollo (96). e divenne madre d’Escula
a vivere nel perpetuo timore di restare schiacciato sotto uno scoglio
che
gli pende in bilico sulla testa : …….E Flegia in
elicissimo Va tra l’ombre gridando ad alta voce : Imparate da me, voi
che
mirate La pena mia : non violate il giusto, River
ò universale orrore ; ed Issione fu assalito da così cocenti rimorsi,
che
non solo quella degli altri ma la vista di sè med
; ed Issione si diportò tanto male da cortigiano col padre dei Numi,
che
questi lo fulminò nel Tartaro (216), dove Mercuri
160) ebbe ordine di legarlo a una ruota fasciata di velenose serpi, e
che
girando continuamente Io tormentava. 249. Tizio,
63) e re di Lidia, era sordidamente avaro, nè riconosceva altra deità
che
il denaro. Un giorno i Numi andarono ad alloggiar
a ; ed egli ebbe tanto a male di dover fare le spese a quegli ospiti,
che
dando lor da mangiare se ne doleva come se si tra
non accettarono un dono fatto per forza, ad eccezione di Cerere (51)
che
era fuor di sè pel dolore della rapita figliuola.
Tantalo ; e Nettuno, preso da compassione pel suo figlioletto Pelope
che
menava con lui vita stentata, lo condusse in ciel
entata, lo condusse in cielo per ministrare il néttare agli Dei prima
che
vi andasse Ganimede. 251. Omero nell’Odissea (li
l veglio le bramose labbra, Tante l’onda fuggia dal fondo assorta, Si
che
appariagli al pié solo una bruna Da un Genio avve
(Trad. del Pindemonte.) Come poteva esser meglio dipinta l’avarizia
che
rende povero l’uomo in mezzo alle sue ricchezze ?
furono celebrati nello stesso giorno ; ma Danao, saputo dall’oracolo
che
uno dei suoi generi Io avrebbe detronizzato, ordi
ordine paterno, e la fatale urna delle Danaidi avvertono chiaramente
che
le scelleratezze le meglio ordite non rimangono m
e che le scelleratezze le meglio ordite non rimangono mai nascoste, e
che
un padre che ordina delitti non va obbedito. Gli
leratezze le meglio ordite non rimangono mai nascoste, e che un padre
che
ordina delitti non va obbedito. Gli Argivi istitu
A giogo de’ tiranni, chi per prezzo Fece leggi e disfece……… ……… Quei
che
frode Hanno ordito ai clienti ; i ricchi avari, E
; i ricchi avari, E scarsi a’ suoi, di cui la turba è grande…. Tutti,
che
brutte ed empie scelleranze Hanno osato o commess
a rappresentato con differenti attributi, secondo il genio dei popoli
che
l’adoravano. Spesso è dipinto nell’atto di rapire
pra un trono di bronzo, sui gradini del quale stanno tutti i flagelli
che
affliggono l’umanità. Ha in capo una corona d’eba
i cipresso. La destra è armata di lunga forca, e l’altra ha la chiave
che
tien chiusa la porta dell’eternità. Gli seggono i
ombe ; le quali cerimonie erano celebrate nel secondo mese dell’anno,
che
serba sempre il nome di Febbraio, e lo chiamarono
Deità infernali, perchè le ricchezze si ricavan dal seno della terra
che
è il loro soggiorno. Anche dai genitori che gli v
avan dal seno della terra che è il loro soggiorno. Anche dai genitori
che
gli vengono attribuiti si può inferire come speci
tesori a caso, tanto ai buoni quanto ai cattivi. Ma vuolsi avvertire
che
a questi comunica insieme coi ricchi doni anche l
che a questi comunica insieme coi ricchi doni anche la propria cecità
che
gl’induce ad usarne male ; laddove le ricchezze a
onesta e con ingegno probo durano e fruttano il bene. Ma non si creda
che
le ricchezze consistano solamente nel denaro simb
ricchi non vediamo sguazzare nell’oro, ed esser privi di quelle cose
che
fanno piacevole, desiderata, utile a sè od agli a
coll’aumentare dei lor tesori : Ché tutto l’oro ch’é sotto la luna O
che
già fu, di quest’anime stanche, Non poterebbe far
rra, era figlio di Giove (63) e di Giunone (85) ; ma taluni scrissero
che
Giunone lo generò da sè sola battendo con un pied
chiamato Ascalafo rimase estinto nell’assedio di Troia. 257. Si narra
che
Marte avendo preso a combattere pe’ Troiani nella
a lancia di Diomede (377) invisibilmente guidata da Minerva (262) ; e
che
nel ritrarsela dalla piaga …… mugolò il ferito N
quali (mescolato tra gli altri, perchè niuno lo involasse) credevano
che
fosse caduto dal cielo ; e la superstizione roman
l Palladio i Troiani, la salvezza della patria. 261. È cosa probabile
che
il nome di Marte sia stato dato alla maggior part
di Marte sia stato dato alla maggior parte dei principi bellicosi, e
che
ogni paese abbia voluto fregiarsi così d’un Marte
presiedeva alla guerra, alle scienze ed alle arti.58 La favola narra
che
Giove, tormentato da un gran dolore di testa, chi
tradizioni degli antichissimi tempi, non è meno bella e grande l’idea
che
fa nascere dal cervello del padre dei Numi la Dea
ente. Fino dalla sua nascita ella si dedicò all’invenzione delle arti
che
allora mancavano ; ed a lei fu attribuita la scop
nza, e la città fondata da Cecrope fu detta Atene in onor di Minerva,
che
un tempo i Greci chiamavano Atena o Atenea. Lumin
chiamavano Atena o Atenea. Luminoso esempio si è questo dell’onore in
che
furono e debbono esser tenute sempre le arti dell
orgogliosi ci viene offerta da Aracne abile tessitrice e ricamatrice,
che
si vantava di superar Minerva in quest’arte. La D
la temerità di sfidarla ; ma tanto la punse vergogna di restar vinta,
che
, per disperazione, stracciato il lavoro, s’impicc
, si vedea io te Già mezza aragna, trista in sugli stracci Dell’opera
che
mal per te si fe ! Da taluni questo fatto è narr
ioco signore ; quasichè niuno s’avesse ad invogliar mai della guerra
che
seco tragge tanti danni. 268. L’ulivo, immagine d
a figliuolo di Giove (63) e di Giunone (85) ; ma nacque così deforme,
che
il padre vergognandosene lo afferrò per un piede,
di coì cader del sole, Dalli Sinzj raccolto a me pietosi. Gran mercè
che
della smisurata caduta non riportò alla fine che
pietosi. Gran mercè che della smisurata caduta non riportò alla fine
che
una gamba rotta ! Gli abitanti di Lenno59 lo racc
46) tornò in cielo, e Giove cominciò a volergli bene ; anzi gli parve
che
fosse proprio arrivato in buon punto per farlo ma
0). Così al Nume più deforme toccò la più bella tra le Dee ; e chi sa
che
Giove non lo facesse per ammonirla a non invanirs
ircolo, ops, occhio, gr.) creduti figli di Nettuno, mostruosi giganti
che
avevano un solo occhio in mezzo alla fronte ; ma
a fronte ; ma non pertanto seppero fabbricare a Plutone (213) un elmo
che
lo fece diventare invincibile, a Nettuno (185) il
n elmo che lo fece diventare invincibile, a Nettuno (185) il tridente
che
suscita e seda le procelle, a Giove la folgore ch
(185) il tridente che suscita e seda le procelle, a Giove la folgore
che
fa tremare uomini e Dei : Sospira e suda all’ope
opi furono probabilmente i primi abitatori della Sicilia, e dall’usar
che
facevano in guerra, per difesa del volto, di un p
sarebbe un alto monte, A cui la gregge sua pascesse intorno ; Se non
che
si movea con essa insieme, E torreggiando inverso
o alleggeriva il duolo in parte. Egli prese ad amare la bella, e più
che
giglio nivea Galatea, figliuola di Nereo e di Dor
enso dolore, cangiò il sangue del suo diletto in un fiume di Sicilia,
che
porta quel nome, e rese così eterna l’esecrazione
a prepotenza. Chi non riconoscerebbe in Polifemo un tiranno violento,
che
a guisa dei signorotti del Medio-Evo, dal suo mon
della Memoria. Apollo, a cui piacque vivere insieme con loro, statuì
che
la concordia fosse fondamento del bel collegio, e
uì che la concordia fosse fondamento del bel collegio, e perciò volle
che
si chiamassero Muse, per indicare la loro eguagli
. Infatti Cassiodoro fa derivare il vocabolo Muse da una parola greca
che
significa eguali, simili. 275. Esse presiedono t
il vero emergono sono molti, e le differenti loro bellezze son quelle
che
costituiscono la perfezione di ciascuna arte, cos
e poesie liriche ed amorose (erotiche) ; Melpomene (melpoméne, colei
che
canta, gr.) alla tragedia ; Talia (thalia, giorn
giorno di festa, gr.) alla commedia ; Tersicore (da terpo, e choros,
che
si diletta di danze, gr.) al ballo ; Euterpe (ch
a terpo, e choros, che si diletta di danze, gr.) al ballo ; Euterpe (
che
vale « molto gioconda » gr.) alla musica ed agli
za ; Urania (ouranós, cielo, gr.) all’astronomia. 276. Così vediamo
che
Clio serbando la memoria dei tempi scorsi narra c
quale non è vera dolcezza sopra la terra. Ma Polinnia …..alata Dea
che
molte Lire a un tempo percote, e più dell’altre M
ie cose accendano l’animo de’ forti, e il loro grido sia « come vento
che
le più alte cime più percuote, » come folgore che
do sia « come vento che le più alte cime più percuote, » come folgore
che
atterra gl’idoli della cieca superstizione, o del
’ogni sapere, scuopre le leggi dei corpi celesti, e addita alla terra
che
la vera perfezione sta nell’ordine del creato. La
anche alle matematiche ; perciò il Monti nella Mascheroniana : Colei
che
gl’intelletti apre e sublima, E col valor di fint
alor di finte cifre il vero Valor de’ corpi immaginati estima ; Colei
che
li misura, e del primiero Compasso armò di Dio la
si fanno ministri di malcostume, e cagionano gravi danni alla società
che
si lascia adescare dalle false bellezze. Quindi l
lascia adescare dalle false bellezze. Quindi lo stesso poeta vorrebbe
che
fossero indicati i vizi opposti a tali arti, affi
sarà in atto di fuggire schermendosi con una mano dai raggi d’Apollo
che
la persi cuolono. » E la Scurrilità è un satiro c
ai raggi d’Apollo che la persi cuolono. » E la Scurrilità è un satiro
che
fuggendo fa un movimento osceno, e colla bocca fa
l medesimo tempio ; nè celebravasi onesto e gradevole banchetto senza
che
vi fossero invocate per tutelare la decenza peric
tutelare la decenza pericolante tra la gioia dei biechieri. Ma coloro
che
più di tutti le venerarono furono i poeti, i qual
mio canto con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal
che
disperâr perdono. Bellissima poi è l’invocazione
ro Lo colpo tal che disperâr perdono. Bellissima poi è l’invocazione
che
egli fa ad Apollo nel del Paradiso, dove comincia
poeti dell’antico e del moderno Parnaso ; e solo gioverà riflettere,
che
anche i grandi ingegni della Cristianità hanno ad
e. Divinità della seconda classe. 281. Credevano gl’idolatri
che
molte divinità subalterne, benchè spesso dipenden
riche, le quali, come la Verità, l’Invidia, il Furore, altro non sono
che
virtù o vizj che gli antichi mossi da rispetto o
come la Verità, l’Invidia, il Furore, altro non sono che virtù o vizj
che
gli antichi mossi da rispetto o da paura, solevan
troppo lungo sarebbe il parlar di tutte, accenneremo soltanto quelle
che
paiono più opportune all’interpretazione dei clas
o artifizio degl’intelletti oscuri e degli animi ipocriti o invidiosi
che
voglion denigrare l’altrui riputazione. Costui er
ettuno. da Vulcano e da Minerva per giudicare le loro opere, non fece
che
stoltamente beffarli. 283. Biasimò Nettuno (185),
e cozzar più dritto ; criticò l’uomo composto da Vulcano, pretendendo
che
avesse dovuto fargli un finestrino in direzione d
e la casa di Minerva gli parve architettata senza criterio, e voleva
che
fosse ambulante per trasportarla altrove caso mai
altrove caso mai l’abitatore incappasse in un cattivo vicino. Pareva
che
la perfetta bellezza di Venere non potesse cadere
n una mano ed una marionetta nell’altra, indizio della follia, arredi
che
furono poi assegnati ai buffoni di corte. Non sia
cole, cinta di fiori la testa, e accompagnati da fanciulli e donzelle
che
cantavano e ballavano al suono di varii istrument
o ; e dà bene a conoscere quanto sia misera e breve la vita di coloro
che
si abbandonano soverchiamente ai piaceri. Bel
arecchiava alle pugne. La dipingono armata della face della Discordia
che
spinge i popoli alle stragi ; ha i capelli sciolt
amati Bellonarj, ne celebravano le feste con tanta ebrezza di furore,
che
si facevano da sè stessi tali ferite da versarne
ale. Apollo ne fu sconsolato oltremodo, e implorò dal padre degli Dei
che
Esculapio fosse accolto nel cielo, dove egli lo t
ncipalmente in Epidauro nella figura di un serpente, perchè stimavano
che
si manifestasse agli uomini sotto quelle spoglie.
e specie di rettili, o dalla lunga vitalità di questi animali, per lo
che
i ciarlatani hanno usato fino ai nostri tempi di
ta intorno al collo o nelle mani od in seno una grossa biscia. È noto
che
il serpente fu adorato anche dagli Ebrei nel dese
a. È noto che il serpente fu adorato anche dagli Ebrei nel deserto, e
che
è uno dei simboli dell’immortalità. Esculapio ebb
erano soliti di andare a scrivere sulle mura di quel tempio i rimedi
che
gli avevano liberati dalle loro infermità. Pare c
l tempio i rimedi che gli avevano liberati dalle loro infermità. Pare
che
nei primi tempi fosse questa la sola scuola prati
ricati sul fianco destro. — Che le tue fauci non patiscano arsione, e
che
il palato non sia amaro. — La temperanza ti liber
o. — La temperanza ti libererà dalla sete e dalle cattive digestioni,
che
son causa di quasi tulle le malattie ec. Pane
causa di quasi tulle le malattie ec. Pane 294. Alcuni dissero
che
Pane fu figliuol di Giove (63) e della Ninfa Cali
praccigli, col naso schiacciato e bernoccoluto e con la bocca ridente
che
arriva fino agli orecchi. I suoi capelli sono arr
i e Silvano (302) prcposto alla tutela delle selve. 296. Pane era più
che
altro onorato in Arcadia. I Romani ogni anno di F
grotta presso alla quale era stato costruito il suo tempio. Credevasi
che
fosse la stessa grotta ove Romolo e Remo furono a
rimitiva natura, ed alla qualità degli alimenti pastorali ed agresti,
che
soli possono bastare ai bisogni dell’uomo. 298. N
possono bastare ai bisogni dell’uomo. 298. Narra Pausania lo storico
che
allorquando i Galli invasero la Grecia sotto Bren
are il tempio di Delfo ; ma Pane li colpì di così improvviso terrore,
che
si volsero tosto alla fuga benchè inseguiti non f
fuggirlo, e il fiume Ladone suo padre la trasformò in canna ; ed ecco
che
il verde cespuglio, mosso dai sospiri dolorosi de
i stesso introdusse in Italia il culto degli Dei della Grecia. Dicono
che
fiorisse verso il 1300 av. l’èra cristiana. Sposò
contemporanei il futuro. Quindi il suo nome fu dato a tutte le donne
che
pretendevano d’imitarla, e furon dette Fatue o Fa
si riferiva all’agricoltura, distinguendosi dai Satiri e dai Silvani,
che
soprintendevano alla pastorizia ed ai boschi. Ven
rano divinità agresti discendenti da Bacco (146) e dalla naiade Nicea
che
fu da esso inebriata col trasformare in vino l’ac
le loro faccende, ed avevano forse un ritegno al mal fare. Ma convien
che
sia molto rozzo quel popolo il quale ha bisogno d
ornai, Con la gran falce e con l’altre arme orrende Spaventa i ladri
che
notturni vanno Predando ingiusti le fatiche altru
credesi ne fosse istituito il culto da Numa a fine di porre un freno,
che
fosse anche più efficace delle leggi, alla cupidi
quadrata o un piuolo, indi uno stipite piramidale con sopra una testa
che
aveva l’effigie d’idolo agreste ; ma non gli dett
braccia nè piedi, affinchè non potesse mai mutar posto. Altri narrano
che
quando Tarquinio il vecchio ordinò la costruzione
rovarono la statua di questo Dio. Consultati gli auguri intorno a ciò
che
dovessero farne, ordinarono che fosse lasciata al
. Consultati gli auguri intorno a ciò che dovessero farne, ordinarono
che
fosse lasciata al suo posto nel Campidoglio. Ed i
lio. Ed i Romani pigliando quest’avventura per buono augurio, dissero
che
il dio Termine collocato nel Campidoglio doveva e
pi, ove il suo simulacro veniva sempre coperto di fiori. Il temerario
che
con mano sacrilega gli avesse fatto mutar posto v
imologie ne fanno derivare il nome dal vocabolo palea, paglia. Vero è
che
nel mese di maggio, o, secondo altri, d’aprile ce
pastorizia. La scongiurava a difendere i greggi dai lupi, a impedire
che
le pecore si smarrissero, a mantenere la fedeltà
van la chioma ; ed aveva in mano un covone di paglia, per significare
che
di essa deve esser formato il letto al bestiame.
e tutta dedita a queste faccende rifiutava ogni offerta di matrimonio
che
le venisse fatta dai Numi campestri. Ma Vertunno
sotto le sembianze di vecchia ; e tanta eloquenza usò nel colloquio,
che
datosele poi a conoscere, Pomona acconsentì alle
gli orti cura e di chi agli orti attende. Fa dunque, Clori (553), tu,
che
mai non manchi Al mio verde terren copia di fiori
he mai non manchi Al mio verde terren copia di fiori : Tu fa, Pomona,
che
de’frutti loro Non sian degli arbor mai vedovi i
ona, che de’frutti loro Non sian degli arbor mai vedovi i rami : E tu
che
tante e si diverse forme Prendi, Vertunno, il cul
zzosissima Dea dei fiori e della Primavera, fu sposa di Zeffiro (104)
che
n’ebbe in dote l’impero sulla vaga e infinita fam
pur tacque, O men cruda comparve ; e il sa d’Egitto La Donna augusta,
che
il mortifer angue Porse fra i fiori avvolto al se
templi, nè vollero accordar loro la immortalità, supponendo nondimeno
che
avessero lunghissima vita. Alcuni autori indicano
grotta consacrata alle ninfe, cavata d’un gran masso di pietra viva,
che
di fuora era tonda, e dentro concava. Stavano int
asso. Usciva dall’un canto del sasso medesimo una gran polla d’acqua,
che
per certe rotture cadendo, e mormorando, rendeva
rotture cadendo, e mormorando, rendeva suono, al cui numero sembrava
che
battendo si accomodasse l’attitudine di ciascuna
ciascuna ninfa ; e giunta a terra si riducea in un corrente ruscello,
che
passando per mezzo di un pratello amenissimo, pos
no custode, e Toe vermiglia Di zoofiti amante e di coralli ; Galatea
che
nel sen della conchiglia La prima perla invenne,
una ghirlanda di canne incorona la sciolta chioma. Il popolo credeva
che
fosse lor cura l’innaffiare i fiorellini dei prat
i dei prati e dei boschi ; e niuno osava intorbidare le fonti sapendo
che
eran date in custodia ad enti così leggiadri. Ven
cilmente le foreste, poichè non poteva esser tagliato un albero prima
che
i sacerdoti lo dichiarassero abbandonato dalle ni
nella cavità di un albero un favo, lo fece assaggiare alle compagne,
che
tutte liete di questa scoperta, dettero alle api
lo di mèli, onde abbiam fatto miele. Tacea splendido il mar, poi
che
sostenne Sulla conchiglia assise, e vezzeggiate D
e, gr.) avevano in, particolar custodia le foreste, e la favola narra
che
morivano e nascevano con le querci ; quindi ebber
lane. 320. La più celebre fra le Nereidi fu Teti, ed era tanto bella
che
Giove (63), Nettuno (185) ed Apollo (96) se ne di
fu da lei condannata a ripeter sempre le ultime sillabe dei discorsi
che
udiva. Le intravvenne poi d’innamorarsi di Narcis
e dei discorsi che udiva. Le intravvenne poi d’innamorarsi di Narciso
che
« Biondo era e bello e di gentile aspetto, » figl
consunse, come sol vapore » (Dante, Parad., c. xii), non rimase altro
che
la voce, perchè fu trasformata in durissimo scogl
a specchiarsi nelle onde, lo accese di sì folle amore di sè medesimo,
che
diventò passione sfrenata, e gli logorò la vita a
i ; ma gli Dei ebbero pietà di Narciso, e lo cangiarono in quel fiore
che
porta il suo nome. 323. Aretusa, ninfa e seguace
quelle dell’amara Teti. (Pindemonte, I Sepolcri.) 324. Correva fama
che
la ninfa Egeria giovasse Numa Pompilio de’suoi co
orava le sue leggi con l’autorità della religione. La favola aggiunge
che
Egeria rimase tanto afflitta della morte di Numa,
favola aggiunge che Egeria rimase tanto afflitta della morte di Numa,
che
andò a rifugiarsi ed a piangere continuamente nel
ate in onore di questi idoli erano dette compitali dal latino compita
che
suona crocicchio o trivio. I divoti appendevano p
sdegno su quei fantocci, ed a loro facessero sopportare tutte le pene
che
potevano essere meritate dagli uomini. Quindi le
ia, … Oh fuggi, Enea, fuggi,… disse : Togliti a queste fiamme ; ecco
che
dentro Sono i nostri nemici ; ecco già ch’ Ilio A
e e uscito allora da tanta uccisione, non era permesso toccarli prima
che
si fosse lavato alla pura onda di un fiume. G
ogni luogo, avevano il loro genio tutelare. 330. Era dunque naturale
che
anche ogni uomo avesse il suo Genio, la ispirazio
atrice delle sue azioni ; e di più riconoscevano tutti un genio buono
che
gl’ induceva al bene, ed uno genio cattivo che li
o tutti un genio buono che gl’ induceva al bene, ed uno genio cattivo
che
li tentava a commettere il male. Quindi ognuno ne
ascono indi le arti ; cosicchè gl’inventori delle cose altro non sono
che
i fortunati osservatori di alcuni fenomeni della
e a dire quando nacque la necessità di lavorare ; ed è la stessa cosa
che
Pandora (72), ed anche la Natura medesima, vale a
ro appena tocca la superficie di una sfera, od il cerchio d’una ruota
che
gira, ed è simbolo dell’incostanza. Qualche monum
no nello stesso tempo il fuoco e l’acqua, emblema del bene e del male
che
spande sopra la terra. Talora ha nella destra un
ercio e delle arti ; e con la sinistra conduce per mano l’ Occasione,
che
ha la testa calva e un sottil ciuffo di capelli s
una mano ha un rasoio e nell’altra un velo ; i quali emblemi indicano
che
una volta perduta l’occasione, è impossibile ritr
una stata) ; ma diventarono presto rarissime. Parrebbe cosa singolare
che
il Dio delle ricchezze, Pluto (254), che è cieco,
ime. Parrebbe cosa singolare che il Dio delle ricchezze, Pluto (254),
che
è cieco, fosse guidato dalla Fortuna egualmente c
erimenti della natura, una felicità premio della virtù e del lavoro ;
che
se si possono erroneamente chiamar fortuna le ina
icchezze, lo dicano quei tanti ai quali sono state causa di rovina, o
che
per ottenerle hanno perduto la tranquillità della
medesimi, ed altri beni veri e senza paragone più pregevoli di quelli
che
sogliono essere chiesti alla cieca Dea. Ma più no
da consegue.72 Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce Pur da color
che
le dovrian dar lode, Dandole biasmo a torto e mal
una (332). Nelle mani di bronzo aveva lunghe ritorte e piombo strutto
che
uniscono e legano indissolubilmente tutti gli ogg
a quale sovrana dei mortali non volle sottoporre il suo cuore, se non
che
al supremo dei Numi che la fece madre dell’ infle
ali non volle sottoporre il suo cuore, se non che al supremo dei Numi
che
la fece madre dell’ inflessibile Nemesi (333), De
ano in gastigare col sentimento della propria perfidia quei colpevoli
che
sfuggivano alla giustizia umana, gl’ipocriti, gl’
ll’ insolenza e dall’orgoglio ; quindi era il terrore di tutti coloro
che
abusavano dei favori della fortuna e del potere.
adombra le severe bellezze, ed ha un manto bianco dato alle spalle, e
che
scende fino a terra con larghe pieghe. Nelle mani
dei tiranni. Le sue ali « Infaticabilmente agili e preste, » denotano
che
spesso la pena segue tosto il delitto. Gli Atenie
, figlia di Giove (63), era una Dea malefica, di null’altro sollecita
che
di far del male agli uomini. Giunone per consigli
errò Atéa pei capelli, e la fece precipitare sopra la terra, giurando
che
non sarebbe mai più tornata nel cielo. Fin da que
. La sua statua era collocata sul limitare dei templi, o per indicare
che
gli Dei vogliono essere adorati in silenzio, o pe
re che gli Dei vogliono essere adorati in silenzio, o per significare
che
gli uomini, conoscendoli imperfettamente, ne debb
pesco, perchè le foglie di quest’ albero hanno la forma della lingua
che
deve tacere i segreti, ed il frutto ha quella del
la lingua che deve tacere i segreti, ed il frutto ha quella del cuore
che
li tiene celati ; ed è parimente ingegnoso emblem
che li tiene celati ; ed è parimente ingegnoso emblema dell’ accordo
che
deve passare tra il cuore e la lingua degli uomin
), aveva regno in Tessaglia, e governava i popoli con tanta saviezza,
che
fu quindi onorata quale Dea della Giustizia. La f
, che fu quindi onorata quale Dea della Giustizia. La favola aggiunge
che
Giove (63) ebbe da lei, ed era ben naturale, ques
. Gli artisti diedero a Temi sguardo franco e severo, ed immaginarono
che
avesse in una mano le bilance, simbolo dell’equit
menti è priva di mani, volendo forse far riflettere quanto sia meglio
che
la saviezza delle leggi prevenga le liti o i deli
o che la saviezza delle leggi prevenga le liti o i delitti, di quello
che
ridurre la Giustizia a dover porre in bilancia le
ili. Spesso anche si vede appoggiata ad un leone, simbolo della forza
che
deve sostenere i suoi giusti decreti. Prima del d
a fu bandita anche dai luoghi più alpestri, non le rimase altro asilo
che
il cielo dove regnano eterne le leggi dell’ eguag
entier con ella, Cotal venia ; ed or di quali scole Verrà il maestro,
che
descriva appieno Quel, ch’ i’ vo’ dir in semplici
anza ; e sopra terra Se ’n va movendo, e sormontando all’ aura, Tanto
che
’l capo infra le nubi asconde. Dicon, che già la
ormontando all’ aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde. Dicon,
che
già la nostra madre antica Per la ruina de’ Gigan
sorella ; Mostro orribile e grande, e d’ali presta, E veloce de’piè,
che
quante ha piume, Tanti ha sott’occhi vigilanti, e
tetti, e per le torri Sen va delle città spiando tutto Che si vede, e
che
s’ode ; e seminando Non men che ’l bene e ’l vero
le città spiando tutto Che si vede, e che s’ode ; e seminando Non men
che
’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor e
re con maggiore sontuosità, collocandovi la prima biblioteca pubblica
che
i Romani abbiano avuto. La Libertà, che si vede r
la prima biblioteca pubblica che i Romani abbiano avuto. La Libertà,
che
si vede rappresentata ne’quadri e sulle pareti, è
secolo passato. Son parole della Giustizia all’ Eterno : Libertà
che
alle belle alme s’apprende, Le spedisti dal ciel,
i dal ciel, di tua divina Luce adornata e di virginee bende ; Vaga si
che
nè greca nè latina Riva mai vista non l’avea giam
la celeste fiamma73 Che la diva recato avea sul Tebro, Canta la Fama
che
le Grazie un giorno Vider l’Onore andar fuggiasco
L’invidia. 342. Tanta è la prepotenza di questa funesta passione
che
gli antichi la immaginarono di origine sovrumana,
idra nell’altra od una torcia accesa, e sul seno un rettile mostruoso
che
la divora continuamente e le infonde il suo velen
alla quale venivano attribuite le cause di guerra e le irate fazioni
che
dividono le famiglie ed i cittadini. Abitò un tem
ò nel mezzo alle Dee un pomo fatale, per cui nacque la famosa disputa
che
fu giudicata da Paride (598), e cagionò poi infin
ori della vittoria. (Tito Livio, lib. II.) Ha costei la testa leonina
che
al minimo strepito si rizza ; la sua veste, di co
capelli rabbuffatti e stravolto il sembiante, si trascina il Pallore
che
ne divide il culto e gli altari. Indi la segue la
enzogna con occhi loschi e perfido sorriso, traendo per mano la Frode
che
viene con passi obliqui, ed alza la femminea test
imiglianti a quelle di Mida, in atto di porgere la mano alla Calunnia
che
di lontano s’inviava verso di lui. Stavangli atto
ospezione. Dall’ altra parte venia la Calunnia tutta adorna e liscia,
che
nel fiero aspetto e nel portamento della persona,
un tisico marcio ; e facilmente ravvisavasi per l’ Invidia. Poco meno
che
al pari della Calunnia eranvi alcune femmine, qua
e e metter su la signora, acconciarla, abbellirla ; e si interpretava
che
fossero la Doppiezza e le Insidie. Dopo a tutti v
dietro volgendosi, scorgea venir da lungi la Verità, non meno allegra
che
modesta, nè meno modesta che bella. Con questa ta
nir da lungi la Verità, non meno allegra che modesta, nè meno modesta
che
bella. Con questa tavola scherzò Apelle sopra le
el Pentimento, è un giovine pallido e magro, coperto di lungo velo, e
che
sta mestamente appoggiato ad un’ urna funebre. Or
elo, ora gli affissa sopra la terra, quasichè all’uno richieda il ben
che
gli ha tolto, e implori dall’altra il tesoro che
’uno richieda il ben che gli ha tolto, e implori dall’altra il tesoro
che
gli tien chiuso nelle sue viscere. La melanco
è distratta, pensierosa, e non guarda nè la terra nè il cielo ; e par
che
ricerchi nel proprio cuore soltanto le sue consol
e par che ricerchi nel proprio cuore soltanto le sue consolazioni, e
che
deliziosamente s’inebrii di tacita e soave mestiz
pegnersi, ed inclinanti ad una cara e mesta conformità. Lo sventurato
che
fugge la Follia e respinge il Piacere seco lei si
La rappresentavano sotto l’emblema di una donna armata all’amazzone,
che
abbraccia con la destra una colonna, e impugna co
ed era la Dea tutelare del secol d’ oro, e l’ origine della felicità
che
in esso fu dato di godere ai mortali. La Pace ebb
suo tempio posto nella Via Sacra era il più grande ed il più sontuoso
che
fosse nella città ; fu cominciato da Agrippina e
cominciato da Agrippina e finito da Vespasiano, e accolse le spoglie
che
questo imperatore ed il suo figliuolo recarono da
essarj a diverse arti. Talvolta egli ha per emblema un giovine assiso
che
scrive al lume di una lucerna con un gallo accant
ol dire saper godere, perchè l’ozio è un tormento. L’anima è un fuoco
che
ha bisogno d’esser nutrito, e se non viene alimen
La vigilanza. 347, 3°. « La Vigilanza vuol esser così fatta,
che
paia illuminata dietro alle spalle dal sol che na
vuol esser così fatta, che paia illuminata dietro alle spalle dal sol
che
nasce, e che ella per prevenirlo si cacci dentro
sì fatta, che paia illuminata dietro alle spalle dal sol che nasce, e
che
ella per prevenirlo si cacci dentro nella camera
he ella per prevenirlo si cacci dentro nella camera per lo finestrone
che
si è detto. La sua forma sia di una donna alta, s
o più fossero appresso al lume di essa Aurora, per significare l’ore
che
vengono innanti al Sole ed a lei. » (Vasari, Vita
deo Zucchero.) La quiete. 347, 4°. « Questa Quiete trovo bene
che
era adorata, e che l’era dedicato il tempio, ma n
La quiete. 347, 4°. « Questa Quiete trovo bene che era adorata, e
che
l’era dedicato il tempio, ma non trovo già come f
se figurata, se già la sua figura non fosse quella della Securità. Il
che
non credo, perchè la Securità è dell’anima, e la
que la Quiete da noi in questo modo. Una giovane d’aspetto piacevole,
che
come stanca non giaccia, ma segga e dorma, con la
rma, con la testa appoggiata sopra il braccio sinistro. Abbia un’asta
che
le si posi disopra nella spalla e da piè punti in
na corona di papaveri ed uno scettro appartato da un canto, ma non sì
che
non possa prontamente ripigliarlo. E, dove la Vig
ssa prontamente ripigliarlo. E, dove la Vigilanza ha in capo un gallo
che
canta, a questa si può fare ai piedi una gallina
in capo un gallo che canta, a questa si può fare ai piedi una gallina
che
covi, per mostrare che ancora posando fa la sua a
nta, a questa si può fare ai piedi una gallina che covi, per mostrare
che
ancora posando fa la sua azione. » (Vasari, Vita
tto di trionfale maestà una palma intrecciata all’ ulivo per denotare
che
la vera gloria è non tanto frutto della Pace quan
i nomi dei suoi adoratori. Quando il fulmine ruppe le ali alla statua
che
le era stata eretta in Roma, Pompeo, per conforta
tua che le era stata eretta in Roma, Pompeo, per confortare il popolo
che
pigliava quel fatto per tristo augurio, esclamò :
» La speranza. 349. Gli antichi immaginarono ingegnosamente
che
la Speranza fosse sorella del Sonno (240) che per
ginarono ingegnosamente che la Speranza fosse sorella del Sonno (240)
che
per breve tempo sospende i nostri affanni, e dell
0) che per breve tempo sospende i nostri affanni, e della Morte (242)
che
vi pone un termine. I Romani l’ebbero in molta ve
mpli. Ila l’aspetto di giovane ninfa, inghirlandata di fiori nascenti
che
promettono il frutto : ella predilige il color ve
l par degli astri. Regge con la sinistra un libro aperto e una palma,
che
spesso è quella del martirio ; ed ha nella destra
o l’andar grave ; » Ma cade il manto, e appar sotto di quello La man
che
stringe e cela il reo coltello. La virtù.
0) ? Ella è una donzella « Pudica in faccia e nell’andare onesta, » e
che
al solo mirarla sveglia amore e rispetto. Le sue
eglia amore e rispetto. Le sue grandi ali sono spiegate a significare
che
sotto di esse possono ricovrarsi gli uomini ; e c
tone del comando, e porge la corona d’alloro, indizio delle battaglie
che
le conviene sostenere contro i vizi, della possan
lle battaglie che le conviene sostenere contro i vizi, della possanza
che
acquista nelle continue lotte e nella vittoria, e
he acquista nelle continue lotte e nella vittoria, e della ricompènsa
che
le è dovuta. Il suo trono è un cubo di marmo per
suo culto ? Bene si addicono alla severa e modesta Dea le note parole
che
Dante mette in bocca di Virgilio : Vien dietro a
o : Vien dietro a me, e lascia dir le genti ; Sta, come torre, fermo
che
non crolla Giammai la cima per soffiar de’venti.
zia. 351, 2°. I Greci onoravano di culto divino anche l’Amicizia,
che
davvero lo meritava, e la chiamavano la Divinità
quale era scritto : La morte e la vita. Il primo sentimento virtuoso
che
ne accende deve seguirci fino alla tomba, perchè
rtuoso che ne accende deve seguirci fino alla tomba, perchè una volta
che
abbiam cominciato ad amare, il non amar più è lo
una volta che abbiam cominciato ad amare, il non amar più è lo stesso
che
non vivere. Sulla fronte della Dea si leggeva que
i leggeva quest’altra iscrizione : l’estate e l’inverno, per indicare
che
l’amicizia vera è costante sì nella buona che nel
l’inverno, per indicare che l’amicizia vera è costante sì nella buona
che
nella rea fortuna : ovvero che questo soave senti
micizia vera è costante sì nella buona che nella rea fortuna : ovvero
che
questo soave sentimento non appartiene alla giove
e sentimento non appartiene alla gioventù, ma è frutto della ragione,
che
si matura nel corso della nostra estate, e del qu
nostra estate, e del quale godiamo nel nostro inverno. Felici coloro
che
lo posseggono anche prematuro ! La statua dell’Am
deltà incanutita. Per lo più le giace a’piedi un cane bianco, simbolo
che
le è comune con l’Amicizia ; ed infatti il cane u
ti della Fedeltà erano al par di lei coperti da lungo e candido manto
che
ravvolgeva la loro testa e le loro mani ; e le fa
altro gentile emblema della Fedeltà, il quale consiste in due vergini
che
pigliandosi per la mano si promettono fedele amic
classe. 352. Le divinità della terza classe comprendevano gli Dei
che
ebbero per genitori un ente celeste ed una creatu
o per genitori un ente celeste ed una creatura mortale, e quelli Eroi
che
furono prediletti a qualche Nume, o che per sovru
eatura mortale, e quelli Eroi che furono prediletti a qualche Nume, o
che
per sovrumano valore e per ingegno straordinario
se la figlia in una torre di metallo, perchè l’oracolo aveva predetto
che
un dì il suo nipote gli avrebbe tolto corona e vi
i avrebbe tolto corona e vita. Ma Giove trasformato in pioggia d’oro,
che
è quanto dire dopo aver corrotto con denaro le gu
pio di Minerva. 355. Perseo nel crescere dell’età mostrò tanto valore
che
il popolo prese ad amarlo singolarmente ; ma Poli
ifficile. Si trattava di andare a combattere le Gorgoni (357), mostri
che
desolavano il paese prossimo al giardino delle Es
io. 356. Il giovinetto eroe accettò impavido la proposta ; ma gli Dei
che
lo proteggevano vollero aiutarlo. Minerva gli pre
pecchio, Mercurio le sue ali e la spada adamantina, e Plutone un elmo
che
lo faceva divenire invisibile. 357. Le Gorgoni er
che lo faceva divenire invisibile. 357. Le Gorgoni erano tre sorelle
che
regnavano insieme sulle isole Gorgadi, e avevan n
una chioma di maravigliosa bellezza ; ma ne andava tanto orgogliosa,
che
Minerva cambiò i suoi capelli in serpenti, e insi
e Minerva cambiò i suoi capelli in serpenti, e insieme con le sorelle
che
partecipavano dello stesso difetto, la fece diven
mente deforme. In tutte e tre avevano un solo occhio ed un solo dente
che
adoperavano a vicenda ; ma questo dente era più l
o, e tutte tre le sorelle avevano orrenda chioma di serpi. E opinione
che
questi mostri nefandi significhino le abiette e s
flagelli delle signorie straniere, le audacie dei facinorosi, i vizi
che
sogliono spingere i giovani a immatura morte od a
sogliono spingere i giovani a immatura morte od all’infamia. Perseo,
che
ebbe vanto d’amoroso figliuolo, di giovine di cos
che ebbe vanto d’amoroso figliuolo, di giovine di costumi illibati, e
che
fu prediletto ai Numi perchè ambiva la vera glori
mici. Parte del sangue versato da Medusa produsse il mostro Crisaorso
che
sposò Calliroe figlia dell’Oceano, e n’ebbe tre f
tavia celarsi ogni dove a spiare il tempo di nuocere. Perciò conviene
che
la virtù non si riposi giammai, e sfugga il peric
tre Perseo recava quella testa a Polidetto, tutte le gocce del sangue
che
ne uscivano senza che egli se ne accorgesse, dive
la testa a Polidetto, tutte le gocce del sangue che ne uscivano senza
che
egli se ne accorgesse, diventarono serpi infeste
gli la testa di Medusa. Così il gigante fu trasformato nella montagna
che
porta il suo nome, e Perseo potè impossessarsi de
regiati frutti del giardino delle Esperidi. 360. Alcuni poeti dicono
che
Atlante regge il cielo sulle spalle, forse perchè
erseo dall’alto del suo aereo viaggio scòrse la giovinetta, il mostro
che
era per divorarla, e udì i pianti dei desolati ge
con altre prove di valore, e combattere contro Fineo suo pretendente,
che
alla testa di molti armati accorse a rapirgliela.
orioso di tutti i nemici, consacrò a Minerva (262) la testa di Medusa
che
indi fu scolpita sulla formidabile egida della De
(462) suo fratello ; ed uccise l’usurpatore. Ma poco dopo gli accadde
che
volendo far mostra di destrezza nel giuoco del di
erato l’oracolo. Fu tanto il dolore cagionatogli da questa disgrazia,
che
abbandonò il soggiorno d’Argo, e andò a fondare u
e, ove poi fu ucciso con frode da Megapento figliuolo di Preto (462),
che
volle vendicare la morte del padre. I popoli di M
al mondo gemelli mentre questo principe era alla guerra. Giove (63),
che
amava Alcmena, volle pigliarsi special cura d’Erc
parecchiò a perseguitare Ercole, forzando Giove a giurar per lo Stige
che
il primo nato de’due fanciulli dovrebbe avere imp
non fu la medesima tavola, simigliantissima era ella almeno a quella
che
ci descrive il giovane Filostrato nelle Immagini.
strato nelle Immagini. Scherzava nella culla il bambino Ercole, quasi
che
si burlasse del gran cimento ; e avendo preso con
e per l’oro, nè più lucenti nel moto, ma scolorite e livide. Sembrava
che
Alcmena del primo terrore si riavesse, ma che non
rite e livide. Sembrava che Alcmena del primo terrore si riavesse, ma
che
non si fidasse ancora degli occhi proprj. Imperci
oprj. Imperciocchè non avendo riguardo di esser partoriente, appariva
che
per la paura, gettatasi attraverso una veste, si
dando a mani alzate. Le cameriere, stordite mirandosi, diceano non so
che
l’una all’altra. I Tebani con armi alla mano eran
a vendetta la mano ; raffrenavalo il non vedere di chi vendicarsi, e
che
nello stato presente piuttosto abbisognava di chi
sognava di chi spiegasse l’oracolo. Scorgevasi appunto Tiresia (660),
che
vaticinando presagiva il fato del grau fanciullo
ro testimoni alla battaglia di quel bambino. » 366. Si trova scritto
che
ad intercessione di Pallade (263), Giunone si pla
col proprio seno il famoso pargolo per farlo diventare immortale ; e
che
allora Ercole, versandone alcune gocce, originass
. Ercole ebbe gran numero di discendenti chiamati Eraclidi ; e dicesi
che
coll’andar del tempo andarono ad assalire Eurisle
i ; e dicesi che coll’andar del tempo andarono ad assalire Eurisleo e
che
lo uccisero per vendicare le persecuzioni soffert
dai discendenti d’Atreo e di Tieste nipoti di Pelope (514 369. Vero è
che
Euristeo, per suggerimento di Giunone (85), aveva
dinato ad Ercole di affrontare i pericoli più imminenti, confidandosi
che
alla fine vi sarebbe perito. Questo severo comand
per lusinghiere delizie, ma inetta e vile ; o quella ripida ed aspra
che
par faticosa a salire, ma ehe infine a forza di s
o uom più va su, e men fa male. Però quand’ella ti parrà soave Tanto,
che
’l su andar ti sia leggero, Come a seconda in giu
nerva, meritò (d’esser fatto immortale. Alcuni poi sono di sentimento
che
le fatiche d’Ercole sieno un’allegoria di quelle
no di sentimento che le fatiche d’Ercole sieno un’allegoria di quelle
che
l’agricoltore deve sopportare nei dodiei mesi del
quelle che l’agricoltore deve sopportare nei dodiei mesi dell’anno, e
che
si vedono significate nei segni dello zodiaco (67
lzi poi Al seggio degli eroi ? Altri le altere cune Lascia, o garzon,
che
pregi : Le superbe fortune Del vile anco son freg
ingendolo nelle nerborute sue braccia, e gli tolse di dosso la pelle,
che
fu quindi la sua corazza e la sua veste. 371. Nel
e, e troncatagliene una, altre due ne spuntavano più tremende, a meno
che
non si mettesse il fuoco sulla piaga ; ma Ercole
iugamento di qualche pestifera palude. Oppure è da credere con alcuni
che
questa Idra significasse una moltitudine di serpe
uni che questa Idra significasse una moltitudine di serpenti velenosi
che
desolavano quei luoghi, e parevano indestruttibil
avvenimento abbellito dalle sue finzioni. 372. Uno spietato cinghiale
che
s’intanava nel monte Erimanto, devastava tutta la
agna circonvicina : Ercole lo agguantò vivo, e lo trasse ad Euristeo,
che
al primo vederselo in faccia fu per morirne dalla
ta, co’piedi di metallo e con le corna d’oro, e tanto agile al corso,
che
niuno aveva mai potuto raggiungerla. Ercole, scan
sue frecce perchè era consacrata a Diana (137), non la potè prendere
che
dopo un intero anno di caccia, e l’ebbe in suo po
. Ercole gli esterminò con le sue frecce ; ed erano tanti e sì grossi
che
alzati a volo gli facevano ombra con le ali. Altr
e combattè, le vinse e ne fece prigioniera la regina. Si legge ancora
che
vedendo di non poter bastare egli solo a tanta im
(255) e della ninfa Cirene (474), aveva certi destrieri ardentissimi
che
vomitavano fuoco dalla bocca ; e correva voce ch’
I poeti l’hanno descritto gigante con tre teste, tre corpi e sei ali,
che
faceva custodire i suoi greggi da un cane con due
a un cane con due teste, e da un drago con sette. Dicono anche di lui
che
facesse nutrire i suoi bovi con la carne umana ;
la coda aguzza, Che passa i monti, e rompe muri ed armi ; Ecco colei
che
tutto ’l mondo appuzza : Si cominciò lo mio duca7
l mondo appuzza : Si cominciò lo mio duca75 a parlarmi, Ed accennolle
che
venisse a proda,76 Vicino al fin de’passeggiati
setta a far sua guerra ;83 Cosi la fiera pessima si stava Sull’orlo,
che
, di pietra, il sabbion serra. Nel vano tutta sua
380. Augia, re dell’Elide e figlio del Sole (110), aveva certe stalle
che
contenevano tremila bovi, e fino da trenta anni n
ecia, aveva mandato negli stati di Minosse (228) un furiosissimo toro
che
gettava fiamme dalle narici ; ma Ercole fece una
chiamate Esperidi figliuole di Atlante (30) re in Affrica. Gli alberi
che
portavano questi preziosi frutti erano dati in cu
frutti erano dati in custodia a un orribile drago con cento teste, e
che
nel tempo stesso mandava cento diversi sibili. Er
. 385. Caco, figliuolo di Vulcano (270), era uno sfrontato masnadiero
che
s’appiattava in un antro del monte Aventino, uno
fabbricata Roma. Ebbe costui tanta audacia da rubare alcuni dei bovi
che
Ercole avea tolti a Gerione e condotti in Italia
uolo d’Alcmena strettolo fra le robuste sue braccia lo soffocò. Dante
che
lo trova all’inferno tra’Centauri nel cerchio dei
vicino ; Onde cessâr le sue opere biece 84 Sotto la mazza d’Ercole,
che
forse Gliene diè cento, e non senti le diece. 38
io di Nettuno (185) e della Terra (25), molestava tutti i viaggiatori
che
attraversavano le sabbie della Libia. Ercole, off
re i nemici. Un dì riuniti in gran numero s’argomentarono niente meno
che
d’assalire Ercole che s’era addormentato sulla sp
niti in gran numero s’argomentarono niente meno che d’assalire Ercole
che
s’era addormentato sulla spiaggia dopo la sua lun
; e suo padre, per liberarsi dall’importunità di tante dimande, giurò
che
l’avrebbe concessa solamente a colui che avesse s
nità di tante dimande, giurò che l’avrebbe concessa solamente a colui
che
avesse saputo aggiogare ad un carro due fiere di
ere di diversa specie. Admeto re di Tessaglia si raccomandò ad Apollo
che
era suo Dio tutelare, e questi gli procacciò un l
oco tempo dope Admeto si ammalò, ed era in pericolo di morire, se non
che
un oracolo annunziò ch’ei ne sarebbe scampato se
piace riferir qui le parole d’Alceste a Fereo vecchio padre d’Admeto,
che
vorrebbe impedire il sacrifizio della generosa do
e Invincibil ragione. Odimi : Il sangue Tutto di Admeto, a me non men
che
caro, Sacro è pur anco : il genitor, la madre, E
r potea da morte ? Il figlio forse ? Ei due lustri non compie : ancor
che
in esso L’ardir non manchi, l’eta sua capace Non
, a darsi Vittima a Stige del suo figlio in vece : Ma tu poi, di’, tu
che
sol vivi in essa, Dimmi, in un col suo vivere non
vivere non fòra Tronco all’istante il tuo ? Dunque in te solo, Ecco,
che
a forza ricadea l’orrendo Scambio, se primo eri a
Nume La terribil risposta. Onde mia cura Fu di carpirla io prima ; io
che
straniera In questa reggia venni, e a me pur larg
e straniera In questa reggia venni, e a me pur largo Concede il Fato,
che
salvarne io possa Tutti ad un tempo i preziosi ge
o (70) andò a lui debitore della libertà, poichè gli spezzò le catene
che
lo tenevano avvinto sul monte Caucaso. 390. Essen
e il Mediterraneo in comunicazione coll’Oceano, e separò due montagne
che
si toccavano, l’una detta Calpe in Europa, l’altr
losia, Giunone (85) lo dette in preda a un furor cieco e sì tremendo,
che
l’infelice eroe, senza saperlo, uccise Megara sua
lora in Ercole una passione così sfrenata per Onfale regina di Lidia,
che
il vincitore di tanti mostri non arrossì di vesti
uomo con testa e corna di bove. Ercole gli staccò uno di questi corni
che
fu raccolto dalle ninfe, empito di fiori e di fru
ri e di frutti, e divenne anch’esso il Corno dell’abbondanza. 85 Dopo
che
Ercole ebbe sposato Dejanira volle condurla con,
janira volle condurla con, sè, quand’eccolo rattenuto dal fiume Eveno
che
aveva straordinariamente gonfie le acque. 394. Al
primo a traversare il fiume ; ma giunto sull’ altra sponda s’ accorse
che
il Centauro aveva la cattiva intenzione di rapirg
donò a Dejanira una tonaca bagnata col suo sangue, facendole credere
che
se Ercole volesse mai indossarla, non avrebbe più
e se Ercole volesse mai indossarla, non avrebbe più amato altra donna
che
lei. 396. La donna troppo credula accettò il dono
spettò l’ occasion di valersene. Infatti, venuta un tempo in sospetto
che
il marito le preferisse Jole, figlia d’ Euriteo r
con giubbilo il dono : ma non sì tosto ebbe indossato la fatai veste,
che
il violento fuoco del veleno gli serpeggiò per tu
erpeggiò per tutte le membra, e lo dette in preda a sì acerbi dolori,
che
divenutone furioso, afferrò Lica e lo scaraventò
ieri e i tiranni. Dejanira fu tanto addolorata della morte d’ Ercole,
che
si privò della vita. 399. Ercole fu annoverato fr
. 400. Questo Eroe spesso è chiamato Alcide, ossia figlio d’ Alceo,
che
era suo avo materno. Ebbe il nome d’ Ercole dopo
nto la gloria di Giunone, perchè le persecuzioni della Dea non fecero
che
illustrare maggiormente il nome di questo fanciul
itosa calma sulla sua clava. Talvolta ha una corona di pioppo bianco,
che
era l’ albero a lui sacro per essersi cinta la te
o re d’ Atene, e per madre Etra, figlia di Pitteo re del Peloponneso,
che
lo educò nel borgo di Trezene nell’ Argolide. Fu
o, poi si tuffò nelle onde, e ne lo ritrasse unitamente ad una corona
che
Anfitrite (188) gli aveva posto sul capo. Tuttavi
o fosse tanto robusto da sollevare la pietra, e prendere quella spada
che
doveva servire a farlo riconoscere. Appena giunto
le gesta, e percorse l’ Attica purgandola dai masnadieri e dai mostri
che
infestavano le campagne e le facevano pericolose
tavano le campagne e le facevano pericolose ai viandanti. 406. Giunto
che
fu ad Atene, Teseo trovò la città in preda alla c
ò la città in preda alla confusione. Vi si era rifugiata Medea (454),
che
pe’ suoi delitti aveva dovuto fuggir da Corinto,
a nome d’ Egeo preso da folle passione per la rea maga. Ella temendo
che
la presenza di uno straniero, celebre per le sue
do Teseo era per ingoiare il veleno, il padre lo riconobbe alla spada
che
cingeva al fianco ; e scoperti i perfidi disegni
giori prove del suo coraggio, trucidando un gran numero di scellerati
che
pei loro delitti meritavano solenne gastigo : son
ondannati alla morte, e pareva godesse dei lamenti delle sue vittime,
che
si assomigliavano ai muggiti di un bove. 409. Si
e vittime, che si assomigliavano ai muggiti di un bove. 409. Si narra
che
Perillo, inventore dell’ orribile supplizio, foss
ell’ orrendo supplizio del toro di bronzo. Severa lezione ai malvagi,
che
con le loro iniquità si preparano da sè stessi il
eo, nel recarsi da Trezene a Corinto, lo uccise, e ne prese la clava,
che
d’ allora in poi recò seco in memoria del fatto.
Attica. Dotato di grandissima forza, sfidava tutti alla lotta, ancora
che
non volessero combattere, e vincendoli gli uccide
vincendoli gli uccideva ; ma Teseo superò lui, e lo punì dell’ abuso
che
faceva della sua forza. 414. Teseo, vinti questi
tosto la gloria di liberar la terra da un toro di smisurata grandezza
che
devastava le campagne di Maratona. Raggiunse ed u
r esser pasto del Minotauro. 416. Forse questo tributo non era altro
che
di denaro ; ma gli Ateniesi, per far comparire pi
uasichè si trattasse di mandargli la loro prole. Indi la storia narra
che
fu loro imposto da Minosse per vendicare la morte
na nella sua impresa senza l’ ajuto d’ Arianna, figliuola di Minosse,
che
s’ era impietosita all’ aspetto di quelle vittime
di Minosse, che s’ era impietosita all’ aspetto di quelle vittime, e
che
dette all’ eroe un gomitolo di filo, mercè del qu
a via, ed uscire dal Laberinto dopo aver ucciso la belva. 418. Teseo,
che
aveva condotto seco la sua liberatrice fuggendo d
a, le donò una bella corona d’ oro, capo d’ opera di Vulcano (270), e
che
fu poi collocata fra gli astri. 419. Il Laberinto
el mondo. Conteneva tremila stanze in dodici grandi palazzi. Si crede
che
i sotterranei che li ponevano in comunicazione tr
a tremila stanze in dodici grandi palazzi. Si crede che i sotterranei
che
li ponevano in comunicazione tra loro servissero
21. Dedalo, uno de’ più abili artefici della Grecia eroica, fu quello
che
immaginò e costrusse il laberinto dell’ isola di
Dedalo scese in Sicilia, e secondo alcuni in Egitto ; ma il re Cocalo
che
sulle prime gli dette asilo, indotto poi dalle mi
uite molte invenzioni, e specialmente quella delle vele. Credesi anzi
che
le sue ali sieno un’ allegoria per indicare le ve
care le vele di una nave, quantunque non manchi fondamento a supporre
che
l’ ingegno umano anche in quei tempi avesse fatto
a lima e del compasso. Per queste scoperte ottenne tanta riputazione,
che
lo zio, divenutone geloso, lo precipitò dalla som
a Dedalo l’ odiosità di quest’ azione indegnissima, possiamo supporre
che
anche Acalo, volendo emulare lo zio in qualche ar
Teseo mosse a combattere il Minotauro, viaggiava sulla medesima nave
che
soleva condurre le sette vittime chieste in espia
in mare. Gli Ateniesi dettero il suo nome a quel mare (il mare Egeo)
che
oggi è detto Arcipelago. 427. Teseo compì il vot
ri coronati con fronde d’ olivo, e adoperavano a ciò la medesima nave
che
fu condotta da Teseo, e che tenevano custodita co
ivo, e adoperavano a ciò la medesima nave che fu condotta da Teseo, e
che
tenevano custodita con gran cura, perchè fosse se
le vele a’ venti ; quindi i poeti l’ hanno detta immortale. 428. Dopo
che
Teseo ebbe dato savie leggi agli Ateniesi, abband
ri d’ equitazione, e sapevano tanto bene l’ arte d’ andare a cavallo,
che
uomo e bestia parevan tutt’ uno. Perciò i poeti l
avallo. Il più celebre di tutti è Chirone, dotto non meno in medicina
che
in astronomia, e precettore d’ Achille (536) e d’
uro ingegnoso Rendea feroce e sano Il suo alunno famoso ; Ma, non men
che
alla salma, Porgea vigore all’ alma. (parini. L’
ma. (parini. L’ Educazione.) Il suo nome, derivante dal greco chéir,
che
vuol dir mano, dà evidentemente a conoscere esser
37), la cui bellezza fu poi causa di rovina alla città di Troja. Dopo
che
ebbero compito questo ratto, pattuirono che la so
alla città di Troja. Dopo che ebbero compito questo ratto, pattuirono
che
la sorte decidesse fra loro chi dovesse essere il
fra loro chi dovesse essere il possessore della rapita, a condizione
che
il preferito procacciasse un’ altra moglie al com
iritoo all’ inferno per involar Proserpina moglie di Plutone. Peccato
che
questi eroi, dopo esser giunti all’ apice della g
loro vita con azioni vituperose, e talora con quelle stesse violenze
che
avevan punite negli altri ! Ma vedremo come le pe
Pasifae (415) e di Minosse (228) e sorella d’ Arianna (417), intanto
che
faceva educare a Trezene il figliuolo avuto dalla
la nuova sposa, e non sì tosto Fedra ebbe visto il giovine Ippolito,
che
si sentì pungere da acuto rammarico per non aver
liuolo ornato di tanti pregi. 436. Ippolito, di null’ altro premuroso
che
dello studio della sapienza e delle ingenue ricre
na, bandì il figliuolo, e lo abbandonò alla vendetta di Nettuno (185)
che
gli aveva promesso d’ esaudire tre dei suoi voti.
va mestamenteTrezene, quand’ ecco apparir sulla riva un mostro marino
che
lanciava fiamme dall’ orrenda gola, e ruggiva com
, e il giovine sventurato cadendo è fatto in brani. 438. Ovidio narra
che
Esculapio (289) rese la vita ad Ippolito, e che D
ni. 438. Ovidio narra che Esculapio (289) rese la vita ad Ippolito, e
che
Diana (137) lo coperse d’ una nube per farlo evad
, molti secoli dopo, resero grandi onori alle ceneri di Teseo. È fama
che
questo eroe apparisse in armi alla battaglia di M
con gran premura le spoglie, e nel luogo dove la tradizione indicava
che
fossero state riposte, rinvennero gigantesche oss
na dell’ Etolia, chiamata Leda (74), la quale ebbe due mariti : Giove
che
fu padre di Polluce e d’ Elena (433), e Tindaro r
43. Ebbero poi a comune la gloria di liberar l’ Arcipelago dai pirati
che
lo infestavano ; e per questo beneficio meritaron
allora in poi fu dato il nome di Castore e Polluce a quelle fiammelle
che
appariscono sulla cima delle antenne quando il ma
esta. Tornati in patria, i Dioscuri liberarono la sorella Elena (433)
che
era stata rapita da Teseo (405), e condussero sch
i un ostinato combattimento, nel quale Castore restò ucciso da Linceo
che
pur cadde sotto i colpi di Polluce, nel tempo che
tò ucciso da Linceo che pur cadde sotto i colpi di Polluce, nel tempo
che
Ida restò fulminato da Giove (63). 446. Polluc
store a parte della propria immortalità : e così questi due fratelli,
che
furono sempre uniti da tenerissimo affetto, vivev
ei Gemini o Gemelli ; e siccome crederono gli antichi, ma falsamente,
che
una delle due stelle di questa costellazione tram
si leva sull’ orizzonte, così la favola era un’ allegoria della legge
che
secondo essi governava i moti di quei corpi celes
ma quando Giasone ebbe vent’ anni, chiese il retaggio paterno. Pelia
che
non deponeva di buon grado il potere, gli propose
i questo maraviglioso ariete, e potè con esso attraversare lo stretto
che
separa l’ Europa dall’ Asia. Ma Elle, impaurita d
ipinge Dante quest’ orribile caso, nel XXX dell’ Inferno : Nel tempo
che
Giunone era crucciata Per Semelè contra ’ l sangu
oncini al varco : E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l’ un
che
avea nome Learco ; E rotollo, e percosselo ad un
si addormentò. Già gli abitanti erano per ucciderlo, quando l’ ariete
che
aveva il dono della parola, lo svegliò, e gli fec
ta per tutta Grecia, gli procacciò per seguaci i più scelti guerrieri
che
ambivano divider con lui l’ onore di tanta impres
eso sul monte Pelio e nella foresta di Dodona (82), e perciò fu detto
che
quella nave dava i responsi dell’ oracolo ; ed eb
è Argo (89) ne fu l’ architetto ; quindi Argonauti furon detti coloro
che
vi salirono sopra. Giasone fu eletto capitano, e
apitano, e lo accompagnarono Admeto, Teseo, Castore e Polluce, Ercole
che
non potè continuare il viaggio perchè il suo peso
della navigazione con gli accordi della sua lira e col canto. Si dice
che
gli Argonauti recassero sulle loro spalle la nave
nauti recassero sulle loro spalle la nave dal Danubio fino al mare, e
che
fosse il primo vascello comparso sulle onde. Gias
iunsero in Tessaglia viaggiando in mezzo a molti rischi. I più dicono
che
questa spedizione ebbe luogo 60 anni prima della
o. Da quei denti sarebber nati tanti guerrieri armati di tutto punto,
che
bisognava esterminare fino all’ ultimo : e finalm
ì tratta ad amarlo. Ei le corrispose, e promisele di sposarla. Medea,
che
era esperta nella magia, addormentò co’ suoi inca
uggì da Colco insieme con Medea, alla quale non rimaneva altro scampo
che
la fuga per sottrarsi allo sdegno del padre ; ma
, e Medea già usa alle colpe si prese l’ incarico di punirlo. Costei,
che
si vantava d’ aver trovato con le sue arti il seg
opra un carro tratto da due draghi alati, e disparve. 459. Aggiungono
che
Medea tentasse dipoi d’ involgere nelle sue frodi
e unitasi a un re oscuro, n’ ebbe un figliuolo chiamato Mida, o Medo,
che
passa pel primo re dei Medi. Alcuni autori non di
e ramingo e turbato dai rimorsi della sua imprudente condotta. Medea,
che
era dotata della cognizion del futuro, gli aveva
la fine il re lo mise all’ impegno di combattere la Chimera, sperando
che
in tale impresa sarebbe certamente perito. 466. Q
zo donna e mezzo serpente. 90 467. L’ eroe protetto da Minerva (262)
che
gl’ inviò il Pegaseo, salì sull’ invitto destrier
Pegaseo ; ma Giove fece pungere da un insetto il piede del destriero,
che
lo precipitò sulla terra, e così l’ eroe fu punit
’ avventura ha fatto passare in proverbio le Lettere di Bellerofonte,
che
sono quelle contenenti sensi contrarj all’espetta
e tanta era la dolcezza dell’armonia della sua lira e della sua voce,
che
a sentirlo suonare o cantare, le belve più indomi
fiumi arrestavano il corso, e gli alberi e i massi si movevano quasi
che
avessero sensi di vita. Solita allegoria per indi
e (285) : Conversa in astro quella cetra elice Si dolci suoni ancor,
che
la dannata Gente gli udendo si faria felice. (Mo
o ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia,
che
il bel core occupi Sol di tua doglia, e d’ammansa
era figlio d’Apollo (96) e della ninfa Cirene. Fu educato dalle Ninfe
che
gl’insegnarono la coltivazion dell’ulivo e l’arte
ori da quelle vittime una moltitudine d’api, anche maggiore di quelle
che
aveva perdute. Quindi sposò Autonoe figlia di Cad
ghirlanda in capo e con la lira in mano. 480. Quand’ecco un delfino,
che
insieme con altri, tratto dal dolce suono teneva
al capo Tenaro in Laconia, di dove Arione passò a Corinto anche prima
che
vi giungessero i suoi nocchieri. Periandro, saput
a loro perfidia, se li fa tradurre davanti, e chiede notizie d’Arione
che
era già nascosto nel suo palazzo. Essi sfrontatam
ellazione vicina a quella del Capricorno (676). È già comune opinione
che
il delfino sia amico dell’uomo, e sensibile alle
e dolcezze dell’armonia. Gli antichi lo avevano in tanta venerazione,
che
, se per avventura ne incappava taluno nelle loro
ni nelle tempeste e riconducevano a riva i cadaveri. Si narra infatti
che
recarono sulla spiaggia il corpo d’ Esiodo ucciso
naufragio Falanto generale spartano, e Telemaco figlio d’Ulisse (568)
che
da giovinetto cadde nelle onde baloccandosi sulla
ò Niobe (629). Egli fu tanto abile nella musica, da far dire ai poeti
che
le mura di Tebe furono alzate mediante i suoni de
fa Melia, ed ebbe per sorella Europa, fanciulla di così rara bellezza
che
fu protetta singolarmente da Giove (63). 483. Il
montarvi sopra. Allora Giove scappò verso il mare con tanta velocità,
che
la giovinetta non potè fare altro che alzare inut
rso il mare con tanta velocità, che la giovinetta non potè fare altro
che
alzare inutili grida. Il Nume la condusse in Cret
ura di questa città col suono della sua lira. 486. La favola aggiunge
che
i suoi compagni nell’andare a prendere l’acqua da
87. Quella sementa di nuovo genere fruttò subito tanti uomini armati,
che
prima assalirono Cadmo e poi si combatterono furi
ssi lo aiutarono nella costruzione della città. 488. Troviamo scritto
che
Cadmo introdusse nella Grecia il culto delle divi
introdusse nella Grecia il culto delle divinità egiziane e fenicie, e
che
insegnò ai Greci l’uso dei caratteri alfabetici,
avere insegnato ai Greci. 490. Siccome un oracolo aveva detto a Cadmo
che
la sua posterità era minacciata da grandi sventur
ente. Edipo. 491. Laio re di Tebe, dando ascolto a un oracolo
che
gli prediceva dover esser colpevole di un gran de
n delitto il figliuolo di cui era incinta Giocasta sua moglie, ordinò
che
il pargoletto appena nato fosse condotto in un bo
e ad offendere il padre senza conoscerlo. 496. Entrò in Tebe, e trovò
che
la Sfinge desolava quella città, e seppe come fos
uella città, e seppe come fosse stato promesso un gran premio a colui
che
avesse liberato dal mostro il paese. 497. La Sfin
re. Questo flagello era stato mandato a’danni de’ Tebani dallo sdegno
che
Giunone (85) aveva concepito contr’essi. Alcuni s
aveva concepito contr’essi. Alcuni spiegano questa favola supponendo
che
la Sfinge fosse una fanciulla presuntuosa, figliu
indovinare dalla Sfinge ai Tebani era questo : « Quale sia l’animale
che
la mattina cammina con quattro piedi, con due a m
are il senso degli ambigui detti. Rispose quell’animale esser l’uomo,
che
nell’infanzia va carponi ; nell’età matura cammin
onviene ; e declinando la vita, regge la sua vecchiaia con un bastone
che
gli fa da terzo piede. La Sfinge, vinta da questa
fu desolato da crudelissima peste. Consultarono l’oracolo, e seppero
che
le sventure dei Tebani non sarebbero finite se no
to con orrore da tutti, e cieco, non ebbe altro sostegno, altra guida
che
la giovinetta Antigone sua figliuola. Con la memo
sotto il qual nome venivano onorate le Furie, degne ospiti di un uomo
che
era crudelmente perseguita to dal destino. Qui po
ni, e crediamo di far cosa grata a’giovinetti riportandone quei versi
che
dimostrano la tenerezza d’Antigone per suo padre.
esiglio I lieti giorni dell’età fiorita, Padre crudel, condanni ! — E
che
fa teco Questo squallido manto ? Imene appresta E
liete vesti, ed ara, e pompe, e trono. Antigone. Vince gli oltraggi,
che
sostenne Edippo, Questa infame pietà…. Si vil mi
e affanni Dimenticai per un amplesso. 504. Tratto poi da quel bosco,
che
era interdetto ai profani, edipo fu condotto ad
e 1’ambizione di regno. Laonde le città greche, testimoni dei delitti
che
nelle famiglie dei loro principi erano continuame
ei loro principi erano continuamente commessi, delle guerre intestine
che
spesso ne derivavano e dei vizj che vi regnavano,
commessi, delle guerre intestine che spesso ne derivavano e dei vizj
che
vi regnavano, cominciarono ad agognare la libertà
tani furono Adrasto, Polinice e Tideo, il presuntuoso Capaneo, « quel
che
cadde giù de’ muri » dice Dante, perchè mentre in
fulmine sulle mura di Tebe,92 Ippomedonte, l’indovino Anfiarao (662)
che
fu inghiottito dalla terra, il suo figlio Alcmeon
do l’indovino Tiresia (660) presagì la salvezza ai Tebani, ma a patto
che
Meneceo figliuolo di Creonte, ultimo rampollo del
ere furtivamente gli ultimi onori al fratello ; ma scoperta nell’atto
che
ne raccoglieva le ossa, fu condannata a perir cru
iglia di quel re. 512. Ma siccome un oracolo aveva predetto ad Enomao
che
il suo genero gli avrebbe tolto il regno, così eg
tuo celibato ; e, per sempre più allontanarne i pretendenti, dichiarò
che
non avrebbe accordato la mano d’Ippodamia se non
evano perire di sua mano. L’amante poteva correre il primo, ma il re,
che
lo inseguiva con una lunghissima lancia ; era tra
o Mirtillo, figliuolo di Mercurio (160) e cocchiere d’Enomao, fece sì
che
il carro del principe si rovesciasse ; ed Enomao
ati della moglie, e diede loro il suo nome, chiamandoli Pelopponneso,
che
è la moderna Morea. 514. Questo principe ebbe mol
ebbe molti figli, tra i quali i più noti furono Atreo e Tieste, nomi
che
rammentano atroci fatti, e discendenza che al par
urono Atreo e Tieste, nomi che rammentano atroci fatti, e discendenza
che
al pari di quella di edipo sembrò destinata a f
udelmente il fio dell’offesa. 516. Tieste ebbe a figliuolo un Egisto,
che
si rese più empio del padre suo per vendicarlo. A
e conoscerà meglio questi fatti nelle istorie, ed anco nelle tragedie
che
il sommo Alfieri ne compose. Qui sono ricordati s
inore, fondata parecchi secoli avanti l’era volgare, sotto i suoi re,
che
furono Dardano, il fondatore, Erittonio, Troo, Il
no scandalo così grande : Nettuno (185), Apollo (96) ed Ercole (364),
che
volevano vendicarsi delle antiche offese, stetter
rito, se Giunone (85) non avesse mandato a soccorrerlo Vulcano (270),
che
armato di fiamme arse i due fiumi, e prosciugò il
me arse i due fiumi, e prosciugò il loro letto. 521. Vogliono i poeti
che
la presa di Troja non potesse aver luogo senza ce
di Troja non potesse aver luogo senza certi avvenimenti predestinati
che
dovevano compiersi nel tempo dell’assedio. Questi
avvenimenti furono detti fatalità o fati, ed erano sei : 1° Bisognava
che
intervenisse all’assedio un discendente d’ Eaco ;
que del Xanto (520) ; 5° Che Troilo figlio di Priamo (587) morisse, e
che
la tomba di Laomedonle rimanesse distrutta ; 6° F
la tomba di Laomedonle rimanesse distrutta ; 6° Finalmente bisognava
che
i Greci avessero nella loro armata Telefo figlio
ingendo di partire, si ritirarono in agguato dietro l’isola di Tenedo
che
sorge rimpetto a Troja. 523. I Trojani, credendos
alla porta del tempio di Minerva (262). Ma la notte seguente, mentre
che
tutti erano in preda all’ebrezza od al sonno, i s
ipali eroi dalla parte dei Greci furono Agamennone (527), re d’ Argo,
che
aveva il supremo comando di tutte le milizie grec
omando dell’esercito fu affidato ad Agamennone (527). 529. La flotta,
che
doveva portare sì numeroso esercito per la spediz
ttenuta dai venti contrarj. L’indovino Calcante (664) dichiarò allora
che
Diana sdegnata contro Agamennone, perchè ei le av
(597) di terminare la contesa fra di loro con un duello, a condizione
che
Elena restasse in premio al vincitore. Il duello
peggio, e fu debitore della salvezza alla protezione di Venere (170)
che
, per sottrarlo ai colpi del vincitore, lo ravvols
ottrarlo ai colpi del vincitore, lo ravvolse in una nube (cioè a dire
che
il codardo rapitore d’Elena prese la fuga). Torna
stra, si fece partigiani in Argo, e tese tante insidie ad Agamennone,
che
al suo ritorno fu tradito dalla moglie, ed ucciso
Oreste (527), figlio d’Agamennone, era un grande ostacolo per Egisto,
che
non avrebbe risparmiati nuovi delitti per amor de
miati nuovi delitti per amor del trono ; ma la sorella Elettra (527),
che
vegliava sul fanciullino, trovò modo di salvarlo
a fu tanto il cieco impeto del giovine ardimentoso in quell’incontro,
che
, non vedendo Clitennestra accorsa in difesa del t
, ebbe la sventura di ferire a morte anche lei. 534. Fino dal momento
che
Oreste ebbe commesso, benchè involontario, l’atro
i tormenti delle Furie ; e quel supplizio durò tanto e fu sì crudele,
che
le furie d’ Oreste (232) sono passate in proverbi
nei posteri. Consultato l’oracolo d’ Apollo (96), n’ebbe in risposta
che
avrebbe trovato un qualche lenimento alla sua dis
ilade suo costante amico nella sventura. Ma Oreste fu arrestato prima
che
potesse compire il ratto del simulacro ; e il cos
se compire il ratto del simulacro ; e il costume di quel paese voleva
che
fossero immolati alla Dea tutti gli stranieri che
i quel paese voleva che fossero immolati alla Dea tutti gli stranieri
che
vi approdavano. Allora fu vista una generosissima
Eaco re dell’isola d’ Egina e giudice dell’inferno (229). Sua madre,
che
teneramente lo amava, andò ad immergerlo nelle ac
l dir della favola, lo alimentò con cervello di leone e di tigre, dal
che
provennero in lui quell’ardito coraggio e quella
che provennero in lui quell’ardito coraggio e quella prodigiosa forza
che
mostrò nelle pugne. 537. L’oracolo aveva predetto
rodigiosa forza che mostrò nelle pugne. 537. L’oracolo aveva predetto
che
per la presa di Troja era necessario Achille, ma
come dalla faccia Mi fuggi il sonno, e diventai smorto Come fa l’uom
che
spaventato agghiaccia. 538. Ma Ulisse (568) potè
mischiato ad arte una spada, un elmo ed altre armi. Achille, secondo
che
Ulisse aveva previsto, avidamente vagheggiò e pre
fu tosto riconosciuto : ………Invano Si preme un violento Genio natio,
che
diventò costume. Fra le sicure piume Salvo appena
Salvo appena dal mar giura il nocchiero Di mai più non partir ; sente
che
l’onde Già di nuovo son chiare, Abbandona le pium
sta restituzione ; ma per rendere il contraccambio ad Achille fece sì
che
anch’ egli dovè liberare la giovine Briseide, pri
oler più combattere. Questa sua ostinazione fu favorevole ai Trojani,
che
in quel tempo riportarono molte vittorie ; ed Ett
Patroclo (592) sviscerato amico d’Achille. 540. Non ci voleva altro
che
la morte di Patroclo per far ripigliare le armi a
che la morte di Patroclo per far ripigliare le armi ad Achille, dopo
che
era stato più di un anno senza combattere. Spinto
Patroclo (593), finchè lo rese alle lacrime dello sventurato Priamo,
che
da sè stesso andò a’ piedi d’Achille per implorar
te d’Achille. Così volevano i fati ; nè valsero i consigli di Chirone
che
lo aveva ammonito di non lasciarsi vincere da mol
no d’Achille una freccia avvelenata, e l’uccise. Passò per tradizione
che
quella freccia fosse stata diretta dallo stesso A
gli resero onori divini. Polissena divenne poi schiava di Pirro (543)
che
la menò sopra la sua flotta, e la immolò ai mani
l Macedone andò a visitarne la tomba, la onorò d’ una corona, e disse
che
invidiava ad Achille d’aver avuto in vita un amic
alla famosa tomba Del fero Achille, sospirando disse : Oh fortunato,
che
si chiara tromba Trovasti, e chi di te si alto sc
erno ; e dopo la morte d’Achille, rammentandosi i Greci dell’ oracolo
che
aveva dichiarato non potere essere debellata Troj
nti non vi fosse un postero d’Eaco, mandarono a Sciro a pigliar Pirro
che
aveva allora diciotto anni. 544. La smania di ven
ccò Andromaca vedova d’Ettore, e l’amò tanto da preferirla ad Ermione
che
doveva essere sua sposa. Questo amore gli riesci
del figliuolo d’AIcmena (364). Tuttavia essendo volere del fato (521)
che
Troja non potesse cadere senza l’uso di queste fr
ecce, i Greci spedirono ambasciatori a Filottete per sapere da lui in
che
luogo fossero riposte ; e Filottete, non volendo
e vi produsse una piaga da cui esalava un fetore così insopportabile,
che
gli ambasciatori furono costretti a lasciarlo sol
a singolare battaglia, e restò ucciso con una delle frecce d’Ercole,
che
ferivano sempre mortalmente per essere state intr
oi della Grecia. All’ assedio di Troja si segnalò per tante prodezze,
che
passò pel più valoroso dell’ esercito dopo Achill
. 551. Omero fa di quest’eroe il prediletto di Pallade (263), e narra
che
con l’ aiuto di questa Dea potè ghermire i cavall
punirlo di tanta audacia, mise tale scompiglio nella casa di Diomede,
che
al suo ritorno non potendo più vivere in pace con
auno re d’Illiria, dove co’ suoi compagni fu cangiato in airone. Pare
che
questa finzione sia immaginata per esprimere la v
re re di Pilo era uno dei dodici figli di Nereo e di Cloride, il solo
che
sfuggisse ai colpi d’Ercole (364) quand’ egli pun
i Greci per la saviezza dei suoi consigli, da far dire ad Agamennone,
che
se avesse avuto nell’esercito dieci Nestori, Troi
esto. Era ancora molto eloquente, sicchè Omero lo dice : Facondo si,
che
di sua bocca usciéno Più che miel dolci d’eloquen
nte, sicchè Omero lo dice : Facondo si, che di sua bocca usciéno Più
che
miel dolci d’eloquenza i rivi. 555. Apollo (96)
longevità di Nestore son passate in proverbio. Nè è qui da tacere ciò
che
narrano Omero e Pindaro del figliuolo di Nestore,
rimo a scendere sul lido troiano fu questo Protesilao, e ben meritava
che
Omero eternasse il suo nome, perchè l’ oracolo av
l suo nome, perchè l’ oracolo aveva predetto una morte certa al primo
che
ponesse piede sulla spiaggia nemica. Quindi nessu
ttore (591). 557. E tanto più era da valutare quest’azione, in quanto
che
Protesilao aveva sposato la sua diletta Laodamia
estremi. Allora, per sottrarsi al pericolo, fece voto a Nettuno (185
che
se gli concedeva il ritorno nei suoi stati, gli a
deva il ritorno nei suoi stati, gli avrebbe immolato il primo vivente
che
gli fosse venuto incontro sulla spiaggia di Creta
la tempesta, e il re approdò felicemente nel porto, ove il figliuolo,
che
lo aspettava, fu il primo a comparirgli davanti…
tta la spada, e trarsi l’elmo, E fulminare immobile col guardo Ettore
che
perplesso ivi si tenne. (Foscolo, Le Grazie.) 56
Le Grazie.) 562. Ercole (364). essendo andato a far visita a Telamone
che
si lagnava di non aver prole, supplicò Giove (63)
ettone il luogo dove questa pelle era stata sbranata dalla ferita con
che
Ercole aveva ucciso la belva. 563. Ajace mostrò d
posarono le armi, e si scambiarono donativi, tra’quali era la cintura
che
servì poi a legare il cadavere d’Ettore al carro
pitani dell’esercito greco ne furono eletti giudici, ed Ajace propose
che
le armi fossero lanciate in mezzo ai nemici e con
ncesse a chi dei due fosse andato il primo a riscattarle ; ma Ulisse,
che
in cuore non si reputava da tanto, fece rigettare
l’ ardita proposta, e con la sua eloquenza sedusse i giudici a segno
che
proferiron sentenza a favor suo. 565. Ajace fu ta
ntenza a favor suo. 565. Ajace fu tanto sdegnato di questa parzialità
che
perdette l’uso della ragione, e divenne così matt
randosi di sfogare la sua ira contro Agamennone (527) e Menelao (528)
che
avevano proferito un ingiusto decreto ; ma tornan
stesso, e vedendosi ormai meritevole delle beffe di tutto l’esercito
che
era stato testimone di quella pugna bestiale, non
e A J. Anche Giacinto fu trasformato nello stesso fiore, e suol dirsi
che
le due lettere esprimano il suo ultimo sospiro. I
delle membra, e in un incredibile dispregio dei Numi. Narrano i poeti
che
Minerva (262), per punirlo della sua tracotanza,
però a dispetto degli Dei. Ma non prima ebbe proferito queste parole,
che
Nettuno (185) sdegnato, franse lo scoglio col suo
. La sua moglie Penelope fu chiara non tanto per virtù e per prudenza
che
per bellezza, e fu sì grande l’amore ch’ei le por
gia del mare, ed a seminarvi sale invece di grano. Ma Palamede (583),
che
già sospettava della finzione, collocò a giacere
’ assedio di Troja. 2° Con l’aiuto di Diomede (550) rapì il Palladio,
che
era la statua di Pallade, ossia di Minerva (263),
63), religiosamente custodita dai Trojani nel tempio di questa Dea, e
che
vantavano scesa dal cielo, e collocatasi da sè st
provviso, uccisero Reso nel sonno, ed involarono i suoi cavalli prima
che
potessero abbeverarsi alle acque del Xanto, fiume
Greci, ed egli stesso era stato ferito gravemente da Achille. Ulisse,
che
seppe dall’oracolo non potersi guarire quella fer
seppe dall’oracolo non potersi guarire quella ferita se non dal ferro
che
l’aveva fatta, prese un po’ di ruggine della lanc
lla lancia d’Achille, ne compose un medicamento, e lo mandò a Telefo,
che
essendone guarito, si pose per gratitudine nella
seguirlo all’assedio di Troja con le frecce d’Ercole (364). 571. Dopo
che
Ulisse ebbe sostenuto le fatiche d’un assedio che
le (364). 571. Dopo che Ulisse ebbe sostenuto le fatiche d’un assedio
che
durò dieci anni, prima di poter ritornare nei suo
uoi stati dovè ancora lottare per altrettanto tempo contro la fortuna
che
in pena delle sue frodi non finì mai d’essergli a
i far ubriacare Polifemo, e poi con un palo gli accecò il solo occhio
che
aveva in mezzo alla fronte ; indi comandò ai suoi
otri, e tosto si scatenarono i venti sollevando una furiosa tempesta
che
li respinse nuovamente in Sicilia sopra le coste
in maiali ; ma Ulisse potè serbare la forma umana in virtù d’un’erba
che
gli era stata data da Giove. Con l’aiuto del mede
moso indovino Tiresia (660), dal quale, nell’udire le nuove disgrazie
che
lo minacciavano, seppe ancora il miserando fine c
e nuove disgrazie che lo minacciavano, seppe ancora il miserando fine
che
avrebbe fatto. E di nuovo si pose in viaggio per
aggio per la sospirata isola d’Itaca, e fu gran ventura se tanto egli
che
i suoi compagni poterono resistere, come già narr
iddi, ebbe a patire un’ altra tempesta suscitatagli contro da Nettuno
che
volle punirlo per aver tolto la vista al figliuol
. Il palazzo di questo re era sontuoso, ed in mezzo ad ameni giardini
che
in tutte le stagioni producevano vaghi fiori e be
v’andò con le compagne per lavare le vesti de’ suoi fratelli. Intanto
che
il sole le asciugava, Nausica, aspettando il decl
onto delle sue avventure, e svegliò tenerezza e stima in tutti quelli
che
lo ascoltarono. La nave era pronta, ed ei v’asces
n’ assenza di venti anni. 579. Siccome parecchi principi suoi vicini,
che
lo credevano morto, erano andati a farla da padro
580. Penelope stessa, pigliandolo per un amico d’Ulisse, gli narrò in
che
modo avesse fino allora potuto deludere le preten
er l’eroe Laerte,103 A ciò le fila inutil io non perda. Prima fornir
che
l’inclemente parca Di lunghi sonni apportatrice i
ortatrice il colga. Non vo’che alcuna delle Achee mi morda, Se ad uom
che
tanti avea d’arredi vivo Fallisse un drappo in cu
chei…. (Omero, Odissea Lib. II, traduz. del Pindemonte.) Ed aggiunse
che
non potendo ormai opporsi più alla loro insistenz
tenza, per consiglio di Minerva (262) aveva promesso di sposare colui
che
fosse stato capace di tendere l’arco d’Ulisse, e
o dal figliuolo restò ucciso da una sua freccia avvelenata. Ma Dante,
che
lo trova all’Inferno nella bolgia dei frodolenti,
esito dei medesimi : (Canto XXVI). …………Quando Mi diparti’ da Circe,
che
sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta, Pri
ti’ da Circe, che sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta, Prima
che
si Enea la nominasse ;104 Nè dolcezza di figlio,
vidi infin la Spagna. Fin nel Marocco, e l’isola de’ Sardi, E l’altre
che
quel mare intorno bagna. lo e i compagni eravam v
i Sibilia,107 Da l’altra già m’avea lasciata Setta. O frati, dissi,
che
per cento milia108 Perigli siete giunti all’occi
ar la poppa in suso, E la prora ire in giù, com’altrui piacque, Infin
che
’l mar fu sopra noi richiuso. Palamede.
finte, e fu posta nella sua tenda una somma di denaro per far credere
che
gli fosse stata data da Priamo (587) ; tantochè i
iosa tempesta, egli fece subito accendere molti fuochi tra gli scogli
che
circondavano l’isola, argomentandosi di tirarvi i
darono in pezzi, ed i vincitori dei Trojani perirono nelle onde, meno
che
pochi, tra i quali era Ulisse, causa principale d
Ulisse, causa principale di tanto danno. 586. La tradizione rammenta
che
Palamede insegnò a’Greci a formare ed a schierare
’invenzione della parola di ricognizione per le sentinelle ; non meno
che
quella di varj giuochi, come i dadi e gli scacchi
va l’altar di Giove. Un bel quadro di Pietro Benvenuti, e l’incisione
che
ne fece Morghen rappresentano questo fatto assai
immensi tesori, ed ella trovò sulla spiaggia il corpo del giovinetto
che
Polinestore aveva fatto uccidere per impadronirsi
e entrò furibonda nel palazzo dell’assassino, con altre donne trojane
che
la seguivano in schiavitù, ed avventate segli add
ell’Inferno : E quando la fortuna volse in basso L’altezza de’Trojan
che
tutto ardiva, Si che ’nsieme col regno il re fu c
do la fortuna volse in basso L’altezza de’Trojan che tutto ardiva, Si
che
’nsieme col regno il re fu casso ;115 Ecuba tris
egno il re fu casso ;115 Ecuba trista, misera e cattiva, 116 Poscia
che
vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la
vate glorïose spoglie, Stimolò col flagello a tutto corso I corridori
che
volàr bramosi. Lo strascinato cadavere un nembo S
sue cime arsa cadesse. Rattenevano a stento i cittadini Il re canuto,
che
di duol scoppiando Dalle dardanie porte a tutto c
’cadere Supplichevole ai piè di quell’iniquo Violento uccisor. Chi sa
che
il crudo Il mio crin bianco non rispetti, e senta
ta Pietà di mia vecchiezza ? Ei pure ha un padre D’anni carco, Peleo,
che
generollo E de’ Teucri nudrillo alla ruina, Sopra
sta alquanto il nappo, e il labbro bagna, Non il palato. Ed altro tal
che
lieto Va di padre e di madre, alteramente Dalla m
e al desco. Torna allor lagrimando Astïanatte Alla vedova madre, egli
che
dianzi D’eletti cibi si nutria, scherzando Sul pa
E il vecchio padre, non potendo finalmente più sopportare il pensiero
che
il corpo del valoroso Ettore dovesse rimanere ins
hevoli preci a’piedi dello stesso Achille per riscattarlo. Omero dice
che
Mercurio, in sembianze mortali, lo accompagnò, l’
to davanti al campo de’Greci, e fecelo entrare nella tenda del Pelide
che
era tuttavia a mensa : …….. Il venerando veglio
riveder tornato Da Troja il figlio suo diletto. Ed io, Miserrimo ! io
che
a tanti e valorosi Figli fui padre, ahi ! più nol
mi Già di tutti esser privo… …………Mi restava Ettorre, L’unico Ettorre,
che
de’suoi fratelli E di Troja e di tutti era il sos
me : ricorda il padre tuo : deh ! pensa Ch’io mi sono più misero, io
che
soffro Disventura che mai altro mortale Non soff
tuo : deh ! pensa Ch’io mi sono più misero, io che soffro Disventura
che
mai altro mortale Non soffri, supplicante alla mi
altro mortale Non soffri, supplicante alla mia bocca La man premendo
che
i miei figli uccise. A queste voci intenerito Ach
nza nuovo pianto ambedue si congedarono pietosamente. I Trojani, dopo
che
ebbero rifabbricata la città, resero ad Ettore on
iamato Astianatte ; e siccome l’indovino Calcante (529) avea predetto
che
, sopravvivendo, sarebbe stato più valoroso del pa
i, lo aveva nascosto nella tomba del marito. Ma la tenerezza materna,
che
le facea volger sempre gli sguardi su quella tomb
a, ad essere schiava del figliuolo dell’uccisore di suo marito (545),
che
la condusse in Epiro, e l’obbligò contro sua vogl
(589), la quale essendo incinta di lui sognò d’aver nel seno una face
che
un giorno avrebbe incenerito l’impero trojano. Gl
face che un giorno avrebbe incenerito l’impero trojano. Gl’indovini,
che
furono interrogati, risposero dover la regina par
redizione non si avverasse, appena nato il bambino, ordinò a un servo
che
lo facesse perire ; ma colui, mosso dalle preghie
ezza nei giuochi pastorali. 598. Accadde poi alle nozze di Teti (304)
che
la Discordia, volendosi vendicare di non esservi
Venere il possedimento della più bella donna del mondo. 600. Paride,
che
tanto era bello quanto vano, sedotto dalle carezz
he tanto era bello quanto vano, sedotto dalle carezze di Venere e più
che
altro dalla promessa, giudicò doversi dare a lei
sul monte Ida alla ninfa Enone da lui conosciuta quand’era pastore, e
che
aveva ricevuto in dono da Apollo una profonda cog
la freccia era avvelenata ; e Paride spirò nelle braccia della ninfa
che
ne morì di dolore. 604. Cassandra, sorella di Par
creduta mai » cantava le sventure della sua patria. Agamennone (527),
che
la possedè schiava dopo la presa di Troja, conosc
zza, la condusse in Grecia ; ed ella gli annunziò la trista ventura a
che
il fato lo riserbava (531) ; ma secondo il solito
a dissuadere i Trojani dall’introdurre nelle mura il cavallo di legno
che
i Greci avevano finto d’abbandonare sul lido a gu
sul lido a guisa di voto offerto a Minerva (522). Laocoonte asseriva
che
quella macchina era un artifizio del nemico per e
inchiusi. 606. Ma i Trojani, tratti in inganno dal fraudolento Sinone
che
i Greci avevano lasciato a bella posta sul lido p
posta sul lido per tentare i nemici, e ciecamente ostinati a credere
che
l’immenso cavallo fosse dedicato a Minerva (262),
(262), tennero per sacrilega l’azione di Laocoonte ; e ne furono più
che
mai persuasi, allorchè ……. due serpenti immani V
rand’archi Traean divincolando ; e con le code L’acque sferzando si,
che
lungo tratto Si facean suono e spuma e nebbia int
era con l’arme Giunto in ajuto, s’avventaro, e stretto L’avvinser si
che
le scagliose terga Con due spire nel petto, e due
arno, E d’orribili strida il ciel feriva, Qual mugghia il toro, allor
che
dagli altari Sorge ferito, se del maglio appieno
grupparo. (Virgilio, Eneide. Lib. II. Traduz. del Caro.) Altri narra
che
il misero padre avesse nel tempo stesso perduta l
qual raro monumento dell’eccellenza delle arti antiche in quella Roma
che
ne meritò il retaggio. Questo capo lavoro del Lao
ello di Polidoro, d’Atenodoro e d’Agesandro, celebri artefici di Rodi
che
lo scolpirono tutto d’un pezzo.118 Nella galleria
vedendo Enea le funeste conseguenze di quest’iniqua azione, consigliò
che
fosse resa colei che doveva cagionare la perdita
te conseguenze di quest’iniqua azione, consigliò che fosse resa colei
che
doveva cagionare la perdita della patria ; ma fu
erdè la diletta moglie Creusa, la quale indi gli apparve, e gli disse
che
Cibele (40) l’aveva seco rapita per consacrarla a
’ira di Giunone (85), incorse, per causa sua, in una furiosa tempesta
che
lo gettò sulle coste dell’Affrica, dove fu accolt
o scopo e il travaglio dei viaggi dei Trojani : Una parte d’Europa é
che
da’Greci. Si disse Esperia, antica, bellicosa, E
se, e mar si fero, Venti sì pertinaci, e nembi e turbi Cosi rabbiosi,
che
sommersi in parte, E dispersi n’ha tutti……….. (V
ggì dalla patria per involarsi alle crudeltà del fratello Pigmalione,
che
aveva assassinato Sicheo suo marito per possedern
tagliata a strisce ; e su questo spazio fondò la città di Cartagine,
che
per tal cagione fu chiamata anche Birsa, cioè a d
affetti ; ma il nunzio di Giove (160) scese a ritrarlo dalle insidie
che
l’odio di Giunone tendeva sempre alla sua gloria,
sopra un rogo fatto alzare a bella posta, e si trafisse con la spada
che
aveva donato all’eroe. 613. Spinto nella Sicilia
udì i suoi futuri destini e quelli della sua posterità. 614. Tornato
che
fu dall’inferno andò ad accamparsi sulle sponde d
ove Cibele (40) trasformò in ninfe le sue navi, e quivi avendo saputo
che
gli Dei avevano finalmente posto un termine alle
e, e gli promise in moglie Lavinia sua figlia. Ma Turno re dei Rutuli
che
pretendeva la mano della fanciulla, lo aggredì pe
taglia, essendo stato rapito in cielo da Venere (170), secondo quello
che
racconta la favola. 616. Succedette ad Enea il su
he racconta la favola. 616. Succedette ad Enea il suo figlio Ascanio,
che
fabbricò la città d’Alba-lunga ; e quindi i poste
ordici regnarono sul paese latino, fino a Numitore zio di quel Romolo
che
fondò Roma. 617. Virgilio Marone, poeta latino ch
zio di quel Romolo che fondò Roma. 617. Virgilio Marone, poeta latino
che
fioriva sotto Augusto un mezzo secolo prima di G.
re la passione di Didone per Enea, a fine di toccare dei grandi fatti
che
avvennero tra Roma e la bellicosa colonia dei Fen
ollecitudine, e per imbandir loro men parca mensa uccise il solo bove
che
possedeva. Giove, desiderando ricompensarlo, prom
pigliar moglie. Furono esauditi i suoi voti ; e dalla pelle del bove
che
aveva ucciso nacque Orione, celebre pel suo grand
eva ucciso nacque Orione, celebre pel suo grande amore all’astronomia
che
gli fu insegnata da Atlante (359), e per la sua p
gli fu insegnata da Atlante (359), e per la sua passione della caccia
che
, al dire dei poeti, ei serbò ancora poichè fu sce
più belli uomini del suo tempo, ed aveva la statura sì appariscente,
che
ne hanno fatto un gigante capace di uscir fuori d
esta senza saperne altro, ebbe voglia di far conoscere ad Apollo (96)
che
ne la istigava, la sua bravura nel tirare a segno
ne la istigava, la sua bravura nel tirare a segno, e mirò tanto bene,
che
Orione rimase mortalmente ferito da una sua frecc
itologi suppongono di Orione un fine diverso da questo, poichè dicono
che
avesse, non si sa come, offeso Diana, e che quest
da questo, poichè dicono che avesse, non si sa come, offeso Diana, e
che
questa Dea per punirlo facesse sbucare dalla terr
che questa Dea per punirlo facesse sbucare dalla terra uno scorpione
che
lo ferì a morte colla sua puntura. Fatto sta che
terra uno scorpione che lo ferì a morte colla sua puntura. Fatto sta
che
Diana si pentì molto d’aver tolto di vita quel be
iana si pentì molto d’aver tolto di vita quel bell’uomo d’Orione ; ma
che
valeva il pentimento ? il male era fatto, e senza
e facendogli gli onori del funerale, vale a dire, impetrando da Giove
che
fosse posto nel cielo, ove forma la costellazione
oppia di vecchiarelli con tutto amore gli accolse. 622. Sicché Giove,
che
ne li volle ricompensare, ordinò loro di seguirlo
l borgo ed i contorni tutti inondati dall’acqua, meno la loro capanna
che
era trasformata in un tempio. 623. Indi promise l
ezza ; ed un giorno, mentre restava attonito Filemone dal veder Bauci
che
diventava un tiglio, la vecchia faceva le maravig
o celebri per la loro commovente pietà filiale verso la madre Cidippe
che
era sacerdotessa di Giunone (85), 625. Questa sac
o per fare i soliti sacrifizi ; ma Cleobi e Bitone erano tanto poveri
che
non avevan cavalli…. Ebbene ! attaccarono al carr
ione, la madre implorò dalla Dea pe’suoi figliuoli il bene più grande
che
ai mortali possa essere accordato dal Cielo. Il g
vostri nomi saranno eternamente cari a’buoni figliuoli ; e l’esempio
che
donaste sarà prediletto argomento a chi brama sig
a tenerezza del filiale affetto. Ed oh ! come l’ingegno dell’artista,
che
sortì cuore pari al vostro, s’infiammerà nell’imm
e ingenue sembianze e gli atti pietosi. Singolare poi è la differenza
che
passa tra le buone azioni di questi personaggi d’
inato a vivere tanto tempo quanto avrebbe durato ad ardere un tizzone
che
le Parche avevan messo nel fuoco mentre sua madre
onò la morte di Meleagro. 627. Questa Dea, incollerita contro Oeneo,
che
s’era scordato di lei nel sacrificare a’Numi per
ale Meleagro, ferì a morte gli zii. 628. Altea, non dando più ascolto
che
al suo furore, si dimenticò d’esser madre, e lanc
esser madre, e lanciò tra le fiamme il tizzo fatale. Allora Meleagro,
che
aveva già sposato Atalanta, cominciò a sentirsi d
o. 630. Niobe, inorgoglita della sua fecondità, spregiava Latona (96)
che
aveva avuto due figliuoli soltanto, Apollo (96) e
soltanto, Apollo (96) e Diana (137) ; ed osò anche impedire il culto
che
le rendevano, argomentandosi di meritar tempio ed
isero a colpi di frecce tutta la prole di Niobe. Scellerate divinità,
che
punivano nei figliuoli innocenti le colpe dei gen
cotanta strage, piena d’affanno e di disperazione non potè fare altro
che
sciogliersi in lacrime sopra i cadaveri de’ suoi
ra i cadaveri de’ suoi cari figliuoli ; e tanta era la sua immobilità
che
pareva non desse più segno di vita ; infatti era
e più segno di vita ; infatti era cangiata in scoglio : O Niobe, con
che
occhi dolenti Vedeva io te, segnata in sulla stra
rupe marmorea. — Nella galleria pubblica di Firenze vedonsi le statue
che
rappresentano la Niobe ed i suoi figliuoli, opere
o intero in mezzo ai tormenti prima di poter far sapere alla sorella,
che
la credeva già morta, il deplorabile avvenimento
con un ago in sulla tela tutta la storia. 637. Progne, non pensando
che
alla vendetta, in occasione delle feste di Bacco,
Tereo infuriato chiese le armi ; ma le donne fuggirono sopra una nave
che
le aspettava, e si ricovrarono in Atene. 638. Ovi
a nave che le aspettava, e si ricovrarono in Atene. 638. Ovidio narra
che
Filomela « mutò forma. Nell’uccel che a cantar pi
ono in Atene. 638. Ovidio narra che Filomela « mutò forma. Nell’uccel
che
a cantar più si diletta » (l’usignuolo), e che Pr
mutò forma. Nell’uccel che a cantar più si diletta » (l’usignuolo), e
che
Progne diventò rondinella ; Tereo che le inseguiv
ù si diletta » (l’usignuolo), e che Progne diventò rondinella ; Tereo
che
le inseguiva fu trasformato in upupa ; ed Iti suo
ne, celebre scultore dell’isola di Cipro, fece una statua tanto bella
che
ne divenne innamorato perdutamente, e scongiurò i
nte, e scongiurò il cielo a darle vita. « O Dei, esclamava, se è vero
che
la vostra possanza non abbia limiti, fate che una
i, esclamava, se è vero che la vostra possanza non abbia limiti, fate
che
una figura adorabile come questa diventi mia spos
tata di straordinaria bellezza ; ma non è da confondersi con l’ altra
che
fu sposa di Meleagro (627). Siccome l’oracolo le
a che fu sposa di Meleagro (627). Siccome l’oracolo le aveva predetto
che
dopo aver preso marito avrebbe perduto la forma u
eloci, dichiarò, per liberarsi da una folla importuna di pretendenti,
che
non voleva dar la sua mano se non a chi l’avesse
avesse vinta nel corso ; quindi minacciava di far perire tutti coloro
che
fossero rimasti vinti da lei. 641. Già molti avev
bere, quando si offerse alla prova Ippomene protetto da Venere (170),
che
gli aveva regalato tre pomi d’oro colti da Ercole
644. Piramo giovine assiro è divenuto celebre pel suo amore per Tisbe
che
era la più bella tra le giovanette di Babilonia.
isbe arrivò la prima sotto quel gelso, ma fu sorpresa da una leonessa
che
aveva le fauci lorde di sangue ; e spinta da terr
de di sangue ; e spinta da terrore si dette a fuga tanto precipitosa,
che
perdette il suo velo. La belva si scagliò su di e
i esso, lo sbranò, e lo intrise di sangue. Giuntovi poco dopo Piramo,
che
aveva già visto sulla sabbia le orme dell’animale
dopo Piramo, che aveva già visto sulla sabbia le orme dell’animale, e
che
tremava per Tisbe, scoperse il velo, lo riconobbe
, e che tremava per Tisbe, scoperse il velo, lo riconobbe, e persuaso
che
l’infelice fosse stata divorata, si lasciò cadere
o già spirante, e darsi la morte con la medesima spada ! 646. Narrano
che
il gelso restasse tinto dal sangue dei due amanti
646. Narrano che il gelso restasse tinto dal sangue dei due amanti, e
che
i suoi frutti cominciassero allora a nascere verm
ell’Asia, era fidanzato alla bella Ero giovane sacerdotessa di Venere
che
abitava a Sesto sulla opposta spiaggia d’Europa.1
ro ogni sera attraversava a nuoto lo stretto per abboccarsi con colei
che
ormai gli era stata destinata per moglie ; ed Ero
lla torre dove abitava. Nell’ autunno il mare divenne così tempestoso
che
l’esporvisi a nuoto sarebbe stato lo stesso che a
venne così tempestoso che l’esporvisi a nuoto sarebbe stato lo stesso
che
andare incontro alla morte. Leandro per sette gio
esso che andare incontro alla morte. Leandro per sette giorni aspettò
che
le onde si calmassero, ma l’ottavo non potè resis
tavo non potè resistere al desiderio di rivedere la fidanzata. Partì,
che
il vento imperversava, ed il cielo era oscuro. Lo
nava sulla Tessaglia vicino al Parnaso, quando sopravvenne il diluvio
che
porta il suo nome. 648. Giove (63), sdegnato dell
genere umano, ed ecco inondarsi tutta la superficie della terra, meno
che
una montagna della Beozia chiamata Parnaso (123).
tagna della Beozia chiamata Parnaso (123). 649. Solamente Deucalione,
che
era il piu giusto fra gli uomini, e Pirra sua mog
Deucalione, che era il piu giusto fra gli uomini, e Pirra sua moglie,
che
era la donna più virtuosa, andarono illesi dall’e
a donna più virtuosa, andarono illesi dall’esterminio, e la navicella
che
li recava approdò sul Parnaso. 650. Appena furon
ena furono ritirate le acque, andarono a consultare la dea Temi (336)
che
pronunziava oracoli alle falde del Parnaso, e che
e la dea Temi (336) che pronunziava oracoli alle falde del Parnaso, e
che
ordinò loro di velarsi il capo e di andar gettand
opo aver lungamente pensato all’ arcano senso di quest’ oracolo, capì
che
la loro madre comune era la Terra e le sue ossa l
raccattando pietre, e gettandole dietro le spalle ; ed allora accadde
che
quelle di Deucalione si cangiavano in uomini e qu
te uomini la rozzezza di quei nuovi popoli incolti, la vita laboriosa
che
doveron condurre per sussistere, e quella età di
i. 651. I Venti erano Dei figli del Cielo (25) e della Terra (25),
che
secondo gli antichi dimoravano nelle isole Eolie
i dimoravano nelle isole Eolie (Lipari), ed avevano per re Eolo (199)
che
li teneva incatenati in vaste caverne. 652. I qu
lleva le tempeste e ricopre la terra di geli e di brine ; dicevan poi
che
volando pel cielo era tutto circondato di fitte n
an poi che volando pel cielo era tutto circondato di fitte nebbie ; e
che
stava in mezzo a’turbini polverosi quando percorr
il viaggio della Colchide con gli Argonauti (452), ed avevano le ali
che
crebbero loro con i capelli. Ercole (364) gli ucc
loro con i capelli. Ercole (364) gli uccise perchè non avevano voluto
che
la nave degli Argonauti andasse a ripigliarlo dop
ipigliarlo dopo ch’ei n’era sbarcato per rintracciare il giovine Ila,
che
era stato rapito dalle ninfe nel recarsi a far pr
la nave. 655. Euro suol essere dipinto in sembianze di giovine alato
che
va spargendo fiori con ambo le mani dovunque pass
dell’ Etiopìa abitata dai Negri. 656. Austro ha figura d’uomo alato,
che
cammina sopra le nuvole ; e soffia a piene gote p
a dei primi raggi della primavera. Tutto sollecito dei fragili tesori
che
abbelliscono il seno di Cibele (la Terra), col su
tentò a ritrovare la casa paterna, e nessuno seppe riconoscerlo, meno
che
il suo fratello minore che era già vecchio, ed al
aterna, e nessuno seppe riconoscerlo, meno che il suo fratello minore
che
era già vecchio, ed al quale narrò i casi suoi. D
ava l’esser suo da uno di quei guerrieri nati dai denti del serpente,
che
Cadmo seminò nella terra a tempo della fondazione
fa menzione anche Dante nel XX dell’Inferno, e tocca varie altre cose
che
fanno al nostro proposito ; ma convien prima avve
altre cose che fanno al nostro proposito ; ma convien prima avvertire
che
a coloro i quali ebbero la presunzione di vaticin
e che a coloro i quali ebbero la presunzione di vaticinare il futuro,
che
è quanto dire, furono sfrontati impostori, l’Alig
roppo davante, Dirietro guarda, e fa ritroso calle.123 Vedi Tiresia,
che
mutò sembiante Quando di maschio femmina divenne,
tre gli s’atterga,125 Che nei monti di Luni, dove ronca Lo Carrarese
che
di sotto alberga, Ebbe tra bianchi marmi la spelo
e a guardar le stelle E il mar non gli era la veduta tronca. E quella
che
ricopre le mammelle,126 Che tu non vedi, con le
di, con le trecce sciolte, E ha di là ogni pilosa pelle, Manto127 fu,
che
cercò per terre molte ; Poscia si pose là dove na
molte ; Poscia si pose là dove nacqu’ io ;128 Onde un poco mi piace
che
mi ascolte. Poscia che ’l padre suo di vita uscio
là dove nacqu’ io ;128 Onde un poco mi piace che mi ascolte. Poscia
che
’l padre suo di vita uscio. E venne serva la citt
er lo mondo gio. Suso in Italia bella giace un laco Appiè dell’ alpe,
che
serra Lamagna Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco.13
e più si bagna, Tra Garda, e Val Camonica, e Pennino131 Dell’ acqua
che
nel detto lago stagna. Luogo é nel mezzo là dove
Bresciani e Bergamaschi, Ove la riva intorno più discese. Ivi convien
che
tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco st
la riva intorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò
che
in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume g
mbo a Benaco star non può, E fassi fiume giù pei verdi paschi. Tosto
che
l’acqua a correr mette co,134 Non più Benaco, ma
io si chiama Fino a Governo, dove cade in Po.135 Non molto ha corso,
che
trova una lama Nella qual si distende, e la ’mpal
a far sue arti, E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi,
che
’ntorno erano sparti, S’accolsero a quel luogo, c
no erano sparti, S’accolsero a quel luogo, ch’era forte Per lo pantan
che
avea da tutte parti. Fèr la città sovra quell’oss
ea da tutte parti. Fèr la città sovra quell’ossa morte ; E per colei,
che
’l luogo prima elesse, Mantova l’ appellâr senz’
di prima classe ! Tiresia giudicò a favore delle donne ; ma Giunone,
che
era di contrario parere, se l’ebbe a male, e lo a
e i capri e i cervi, Che non più il dardo suo dritto fischiava ; Però
che
la divina ira di Palla Al cacciator col cenno onn
ne grande insegnamento chi audacemente presume investigare gli arcani
che
l’ uomo non potrà mai discuoprire. 662. Anfiarao
dovino al tempo della guerra di Tebe. Sapendo per sua propria scienza
che
in quella guerra avrebbe dovuto perire, si nascos
buivano la cognizione del futuro e il dono di predirlo. Questa parola
che
significa inspirato fu prima attribuita alla prof
buita alla profetessa di Delfo, e poi diventò comune a tutte le donne
che
pronunziavano oracoli. Chi annovera tre, chi quat
la Libica figlia di Giove (63) e di Lamia, e quella di Cuma, Deifobe,
che
risiedeva in una città di quel nome in Italia, e
be, che risiedeva in una città di quel nome in Italia, e fu la stessa
che
andò a presentare a Tarquinio il superbo i libri
cendo : « Principe, io voglio 300 monete d’oro per questi manoscritti
che
contengono i destini di Roma. » Tarquinio sorride
illa, e vi furono sostituiti altri libri composti dei versi sibillini
che
poterono essere raccolti in Italia, in Grecia ed
a autorità dei primi. 667. La più celebre tra le Sibille fu la Cumana
che
dicevano inspirata da Apollo (96), e rispondeva d
profetessa. Questi responsi erano anco vergati sopra leggiere foglie
che
il vento portava per aria e confondeva insieme. I
i Delfo presso i Greci. Eleno dice ad Enea : Giunto in Italia, allor
che
nella spiaggia Sarai di Cuma, il sacro Averno lag
, e ’n sulle foglie Ripone i fati : in su le foglie, dico, Scrive ciò
che
prevede, e nella grotta Distese ed ordinate ove s
, ed era figliuola di Glauco (201) e sacerdotessa d’ Apollo. Si narra
che
questo Dio, rapito dalla sua bellezza, le offeris
dalla vecchiezza doveva struggersi a poco a poco, e di lei non restar
che
la voce, alla quale il destino aveva attribuito d
morire in quell’età avanzata ; ma non pensò al suo luogotenente Galba
che
aveva settantatrè anni, e che gli tolse lo scettr
ma non pensò al suo luogotenente Galba che aveva settantatrè anni, e
che
gli tolse lo scettro e la vita. Alessandro prima
ci, cerimonie religiose ec. 669. I Giuochi pubblici tanto in Roma
che
in Grecia erano spettacoli consacrati dalla relig
gli Erculei o gli Iolai ec. Questi giuochi furono adottati dai Romani
che
ne istituirono parecchi altri, cioè, quelli di Ce
rri, il salto, il disco, la lotta ed il cesto. Una corona d’oleastro,
che
pe’ gloriosi valeva più d’un regno, era il premio
cosa dai re stessi e decretato così a loro, come all’ultimo cittadino
che
l’avesse saputo meritare. La famiglia, la patria
utta la Grecia ; ed egli, fregiato di una nobiltà meno vana di quella
che
vien dai natali, aveva monumenti ed immagini ; e
dei certami propriamente detti d’ Olimpia, legga la bella descrizione
che
ne vien fatta da Barthelemy, nel viaggio d’Anacar
e notati alcuni de’ più celebri tra gli olimpici eroi. Noi non faremo
che
citarne pochi esempi. E convien prima avvertire c
i. Noi non faremo che citarne pochi esempi. E convien prima avvertire
che
sul principio fu rigorosamente vietato di pigliar
trare in lizza e meritarono il premio. Allora andò in disuso la legge
che
ne le escludeva ; e troviamo che nella 25ª Olimpi
emio. Allora andò in disuso la legge che ne le escludeva ; e troviamo
che
nella 25ª Olimpiade, Licisia figlia d’Archidamant
crate d’Agrigento, avendo riportato il pitio trionfo col carro, volle
che
fosse pubblicato vincitore suo padre. Pindaro cel
con una bella ode139 questo tratto d’ amor filiale. — Diagora di Rodi
che
si era fatto illustre con una vittoria riportata
palle lo condussero in trionfo in mezzo agli innumerabili spettatori,
che
empivano l’aere d’applausi e gettavano fiori a pi
di patria era sprone al valore, spregiando i doni del tiranno, gridò
che
egli era di Mileto, e fece scolpire sotto la sua
ngiarlo tutto in un giorno. Sia o no esagerata, questa prova dimostra
che
l’uso della forza era diventato ormai spettacolo
’uso della forza era diventato ormai spettacolo brutale e mestiero, e
che
quei giuochi avevano cominciato ad allontanarsi d
tto la ruina. Questi giuochi dettero origine anche al seguente fatto,
che
può dare un cenno dei costumi e dell’indole dei G
dei Greci di quel tempo. « Un vecchio avvolontato di vedere i giuochi
che
si celebravano in Olimpia, non avea ove sedere, e
eveva molte ingiurie ed oltraggi, e niuno lo volea ricevere. Arrivato
che
fu al luogo ove sedevano gli Spartani, tutti i gi
oscono il bene, e solo vi si appigliano i Lacedemoni. » Dicesi ancora
che
ciò avvenne in Atene nella festività solenne che
oni. » Dicesi ancora che ciò avvenne in Atene nella festività solenne
che
essi appellavano Panatenea. « Sbeffavano gli Atti
un vecchio, e come se lo volesser ricevere, lo chiamavano, e venuto
che
era lo scacciavano. Passato ch’e’ fu dinanzi a tu
er tutto per il ben della patria ; ed esser veramente magnanimo colui
che
sa vincere le umane debolezze. Quindi crediamo op
, le quali sentenze saranno intanto come una conclusione della morale
che
si può ricavare dai già dichiarati avvenimenti mi
ati avvenimenti mitologici : Folle chi spera d’adoprar celato Al Dio
che
veglia intorno. Il tempo a tutto è padre ; Ma ric
i faticosa prova Lice gl’imbelli ravvisar dai prodi. Talor, ben prima
che
l’età sia stanca, Sulla fronte del prode il crine
iarti ai Numi. Nell’ Ocean, nel suolo, Frutto d’onor non coglie Virtù
che
rischio teme. Ah ! che di folle errore Anche il s
ean, nel suolo, Frutto d’onor non coglie Virtù che rischio teme. Ah !
che
di folle errore Anche il saggio talor giuoco dive
colui, Che ignora il calle, e vuol mostrarlo altrui. Sol quella lode
che
spontanea muove Quando l’avel ne prema, Sol quell
a, e ne disperde il nome. Nati, cader bisogna : Che siam noi dunque o
che
non siam ? Leggiero Veder d’ombra che sogna ; Ma
bisogna : Che siam noi dunque o che non siam ? Leggiero Veder d’ombra
che
sogna ; Ma se mai sovruman raggio n’è dato Dal fu
hi nell’arche tacite Tesor raduna occulti, e altrui dileggia, Non sa,
che
d’onor povero Coll’avaro Pluton l’alma patteggia.
li crede istituiti da cinque fratelli chiamati Dattili, parola greca
che
significa dito, e indica il loro numero e la loro
la loro riunione ; ovvero da Pelope figlio di Tantalo ; e v’è memoria
che
anche Atreo gli istituisse verso l’anno 1250 avan
ogni 50 mesi cominciando il 22 giugno o nel plenilunio d’ecatombeone,
che
risponde quasi al nostro luglio, e duravano cinqu
e più celebre sistema cronologico del quale si sieno valsi i Greci, e
che
fu adottato da molti scrittori latini per andar d
principio del quinto secolo dell’èra cristiana. 672. I Giuochi Pitii
che
celebravansi ogni quattro anni nella città di Pit
i ch’era di mezzo crebbe il suo corso, ed avanzò alquanto. Gli altri,
che
erano a lato di lui, sforzaronsi parimenti di rag
erano a lato di lui, sforzaronsi parimenti di raggiungerlo, per modo
che
formossi la loro schiera simile a quella delle gr
lo, per modo che formossi la loro schiera simile a quella delle grui,
che
volano altissime ne’ tempi invernali, messaggiere
olato. Rimasero per breve spazio in quella disposizione, quando colui
che
correva al destro lato di quello che tutti supera
uella disposizione, quando colui che correva al destro lato di quello
che
tutti superava nel mezzo, fatto repentino impeto,
lui. Risonò l’aria di lietissimi applausi ; dai quali punto, non meno
che
da desiderio della corona, colui che il primo ess
ausi ; dai quali punto, non meno che da desiderio della corona, colui
che
il primo essendo, era stato allora superato, radu
, era stato allora superato, radunando tutte le forze, si spinse, non
che
a corsa, a salti maravigliosi, e riapparve ben pr
ere di nuovo innanzi di quello, si slanciava anelando vicino in modo,
che
l’altro sentiva l’affannoso di lui respiro, onde,
ri ; ciascuno dei quali aveva al timone, di fronte, quattro corsieri,
che
, anelando dalle allargate nari, scotevano la polv
rcuotere, col viso rivolto al trombettiere, stanno i giovani, ansiosi
che
il magistrato dia il segno. Tiene imboccata la tr
o per essere più facilmente intese le minacce, o per naturale ansietà
che
induce a quell’atto involontariamente i condottie
tante orme, la in prima serena aria offuscò tal nembo di arida polve,
che
, come la luna, tra le nubi, ora appare ed ora s’a
ccioso da’ poeti, come quello ch’è autore delle subitanee procelle, e
che
converte la ingannevole calma in repentini perico
ielo, collo scoppiare in larghi giri lo stridente flagello. Ecco però
che
, a turbare così liete lusinghe, si appressa un al
li di Pluto rapitore di Proserpina. A somiglianza di quelli, sembrava
che
loro uscissero le faville insieme coll’alito dall
l mare. Già la testa loro pareggia il centro delle rote di quel carro
che
precede ; il condottiero del quale, volgendosi al
do stendevano il corso : ed i seguaci non meno gareggiando, quel poco
che
rimanea d’intervallo trascorrendo come flutto spi
giunsero a lato di quelli. Per qualche tratto di stadio corsero così,
che
le otto teste delle due quadrighe sembrava che fo
i stadio corsero così, che le otto teste delle due quadrighe sembrava
che
fossero una schiera sola, appartenente ad un sol
re. Posciachè, avendo alla fine i foschi destrieri trascorso a segno,
che
la rota del cocchio loro corrispondeva ai cavalli
la rota del cocchio loro corrispondeva ai cavalli dell’altro, avvenne
che
in quell’atto, infranto dal veloce impeto il rite
da una parte, trascinando nella polvère l’asse privo di rota, mentre
che
il giovane giaceva supino, rimasto indietro nello
premio, benchè il vòto carro giugnesse alla meta. Gli altri quattro,
che
ad eguali distanze seguivansi, deviando l’inciamp
i furono soccorsi da’ più prossimi spettatori. La lotta. Ecco
che
immantinenti, in altra parte non molto distante d
tori apparvero, armati di cesti ; e molti vennero lieti e baldanzosi,
che
partirono sostenuti dalle braccia dei pietosi ami
nose per virile robustezza, mostravano i turgidi muscoli in quel modo
che
gli scultori sogliono rappresentare Ercole. Faone
il colore di tutta la persona non potrebbe in altro modo esprimersi,
che
mescolando i gigli alle rose. Erano sospesi gli a
a propensione, perchè vinti dalla bellezza divina del giovine atleta,
che
desideravano ottenesse la corona, o almeno che us
na del giovine atleta, che desideravano ottenesse la corona, o almeno
che
uscisse illeso dal pericoloso cimento. Ed invero,
no reciprocamente. Veniva il Cretese colle braccia aperte in atto non
che
di stringere ma d’ingojare il garzone ; il quale,
nto, quasi sul punto di essere superato, parendogli piuttosto audacia
che
valore la competenza di così delicato garzone. Ch
ra, abbassato il capo, si abbandonò contro di quello, siccome un toro
che
assalta il bifolco. Fu veramente maravigliosa l’a
de boccone, ed impresse nell’arena la propria immagine. Aspettò Faone
che
risurgesse l’avversario, secondo la giustizia del
condo la giustizia delle leggi atletiche ; ed intanto gli spettatori,
che
taciti avevano trattenute le grida nel rimirare q
oria, vieppiù abbellendo le sembianze co’ raggi dell’interno giubbilo
che
vi trasparivano. Intanto l’umiliato Cretese si so
derisioni. Il vincitore, accompagnato dagli applausi delle fanciulle,
che
versavano su di lui copiosamente i fiori estivi,
ggiando in attitudine trionfale all’alto seggio del giudice atletico,
che
pose la corona su le tempie di lui, ed aggiunse i
giri trascorsi, ecco la guida Inavvedutamente rilasciando Al corridor
che
per voltar piegava, Forte diè nella meta ; entro
ibilmente Per terra strascinato, or alto or basso Rotante i piè ; fin
che
gli aurighi a stento Le furenti puledre rattenut
Le furenti puledre rattenute, Nel ritrassero pesto, insanguinato, Tal
che
nessun più degli amici suoi Ravvisar lo potea. To
intura o fascia, la quale fu chiamata zodiaco dalla voce greca zodion
che
significa piccolo animale : essendochè tra i nomi
pione, il Sagittario, il Capricorno, l’ Aquario, i Pesci. L’uno vuole
che
questi nomi abbiano relazione alle faccende dell’
are dall’istoria ; chi dalla mitologia ; e chi, all’incontro, sostien
che
la favola non sia altro che un’allegoria perpetua
mitologia ; e chi, all’incontro, sostien che la favola non sia altro
che
un’allegoria perpetua delle leggi astronomiche. N
logiche, diremo : 677. L’ Ariete è quel caprone del Vello d’oro (419)
che
fu immolato a Giove (63) e messo nel numero degli
mmolato a Giove (63) e messo nel numero degli astri, ossivvero quello
che
indicò una sorgente a Bacco (146) allorchè questo
le costellazioni fossero rimaste in perfetta corrispondenza coi segni
che
le rappresentano. 678. Vien dopo il Toro a signif
678. Vien dopo il Toro a significare non meno il vigore degli armenti
che
quello della vegetazione delle piante, ed è l’ani
hi dice piuttosto essere la ninfa Io condotta in cielo da Giove, dopo
che
l’ebbe cangiata in giovenca (89). 679. I Gemelli,
da Giove, dopo che l’ebbe cangiata in giovenca (89). 679. I Gemelli,
che
ebbero un tempo figura di capretti, rappresentano
) ed Ercole (364). 680. Il Cancro, ossia gambero, esprime il ritrarsi
che
fa il sole dopo esser giunto alla maggiore altezz
dopo esser giunto alla maggiore altezza estiva. Ma la mitologia dice
che
fu quel gambero mandato da Giunone (85) contro Er
maggiori, cioè tra le mèssi e le vendemmie : ed è quell’ Astrea (339)
che
fugata dalla terra pei delitti degli uomini, se n
, si vogliono denotare le malattie dell’ Autunno ; ed è quello stesso
che
fu mandato da Diana (137) a pungere il calcagno d
tto la figura di Centauro (430) in atto di scagliare una freccia ; lo
che
potrebbe anche denotare la violenza del freddo e
la violenza del freddo e la rapidità dei venti in quel tempo. Credesi
che
il Sagittario sia il Centauro Chirone (430) collo
Chirone (430) collocato fra gli astri. 686. Nel Capricorno s’intende
che
il sole, arrivato alla minore altezza vernale, co
la capra Amaltea (29) nutrice del padre degli Dei. 687. Chi non dirà
che
l’ Aquario sia il simbolo delle pioggie ? e secon
o la favola è Ganimede (87) rapito in cielo da Giove. Ci rammenteremo
che
questo giovine mesceva il nettare a’ Numi. 688. F
li agricoli nella stagion fredda, e secondo i Mitologi sono i Delfini
che
condussero Anfitrite (188) a Nettuno (185). L
ciullo coronato di fiori ed appoggiato ad un arboscello con le foglie
che
principiano a verdeggiare. Ha seco un agnello od
dorata arbore amica Le ceneri di molli ombre consoli. ……………….. Dal di
che
nozze e tribunali ed are Diero all’umane belve es
i, toglieano i vivi All’etere maligno ed alle fere I miserandi avanzi
che
natura Con veci eterne a sensi alti destina. Test
tici lari, e fu temuto Sulla polve degli avi il giuramento : Religion
che
con diversi riti Le virtù patrie e la pietà congi
parte al bisogno degli artisti e degli studiosi ; ed è così divulgato
che
ci parrebbe inutile compendiarlo ; quindi ci limi
o ; quindi ci limiteremo a indicare quei passi di Omero e di Virgilio
che
più d’ogni altra descrizione son per noi opportun
r noi opportuni. 691. Tanta era la venerazione pei morti appo i Greci
che
in un duello anche i più acerbi nemici ponevano p
ra gettò quattro corsieri D’alta cervice e due smembrati cani Di nove
che
del sir nudria la mensa. ………………… ……. Destò del fu
a. ………………… ……. Destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor,
che
il tutto Divorasse, e chiamò con dolorosi Gridi l
libando, Di venirne li prega, e intorno al morto Sì le fiamme animar,
che
in un momento Lo si struggano tutto, esso e la pi
tinto amico. Come un padre talor piange bruciando L’ossa di un figlio
che
morì già sposo, E morendo lasciò gli sventurati S
il croceo velo, Mori la vampa sul consunto rogo, E per lo tracio mar,
che
rabbuffato Muggia, tornaro alle lor case i venti.
Ma modesta. Potrete ampia e sublime Voi poscia alzarla, o duci achei,
che
vivi Dopo me rimarrete a questa riva. Del Pelide
) 693. Nè meno solenni erano gli anniversarj, come rilevasi da quello
che
il pio Enea istituì per Anchise : Generosi e mag
e sontuosa mole, E l’armi e ’l remo e la sonora tuba Al monte appese,
che
d’Aerio il nome Fino allor ebbe, ed or da lui nom
side, divinità egiziana, celebre quanto il fratello. 697. Questo Dio,
che
prima era re d’Argo, avendo lasciato i suoi stati
e per ministro Argo (89) suo fratello, il quale per sapere tutto ciò
che
accadeva, distribuì nelle principali città cento
nazioni, ma piuttosto con la dolcezza e con la persuasione, di quello
che
con le armi. 698. Nella sua assenza Tifone suo fr
adre, benchè dovesse poi soccombere per la prepotenza dei Titani (30)
che
lo sconfissero e l’uccisero ; ma Iside lo richiam
gnò la medicina e l’arte di predire il futuro. V’è ragione di credere
che
l’ Oro degli Egiziani e l’Apollo (96) dei Greci f
per simboli di queste divinità il bue e la vacca. Quindi fu divulgato
che
le anime d’ Osiride e d’Iside erano andate ad abi
ime d’ Osiride e d’Iside erano andate ad abitare il Sole e la Luna, e
che
s’erano immedesimate con quei benefici astri, dim
3. Il bue, simulacro vivente d’ Osiride perchè gli Egiziani credevano
che
la sua anima fosse andata in quell’animale (Metem
destra un altro segno bianco a guisa di mezza-luna. Il volgo credeva
che
questi segni fossero naturali, ma i sacerdoti gl’
iva nutrito per quaranta giorni a Nilopoli, e lo custodivano le donne
che
sole avevano il diritto di vederlo ; indi era con
nell’altra era buono o cattivo augurio per l’Egitto. Non usciva di lì
che
per pigliare aria sopra un prato, o per girar la
a città in certe occasioni ; ed allora procedeva in mezzo ad ufiziali
che
allontanavano la moltitudine, ed era preceduto da
ziali che allontanavano la moltitudine, ed era preceduto da fanciulli
che
celebravano le sue lodi. — Secondo i libri sacri
ni ; quand’erano fuori del santuario le riaprivano, e la prima parola
che
udivano, era presa per la risposta del Nume. 704.
del Nilo cominciavano a crescere ; e gli Egiziani dicevano per figura
che
l’inondazione di quel fiume fosse cagionata dalle
o a Memfi, uno ad Alessandria ed un terzo a Canopo ; ma i più credono
che
sia la stessa cosa che Osiride. Erodoto non ne pa
andria ed un terzo a Canopo ; ma i più credono che sia la stessa cosa
che
Osiride. Erodoto non ne parla, e Apollodoro dà qu
ha i leoni a’piedi. Alcuni di questi attributi fanno supporte infatti
che
gli antichi la confondessero con Cerere (51) o co
avano attorno a chiedere l’elemosina, e non tornavano al tempio altro
che
la sera per ivi adorare in piedi la statua d’Isid
so nome. A Roma le feste d’Iside erano accompagnate da tali disordini
che
furono vietate 60 anni avanti l’èra volgare. Ma d
importi aver cura dell’illibatezza dei costumi. Alcuni dotti credono
che
da Iside venisse il nome alla città di Parigi (Pa
credono che da Iside venisse il nome alla città di Parigi (Parisiis)
che
supponesi fabbricata vicino ad un tempio d’Iside
nesi fabbricata vicino ad un tempio d’Iside : para Isidos. Vero è poi
che
questa divinità era considerata qual protettrice
arii animali (67). Così gli Egiziani credevano di onorare le divinità
che
s’erano celate sotto quelle spoglie. Divinità
ole o come la natura fecondata da questo astro benefico ; e il tempio
che
eragli stato eretto in Babilonia vinceva ogni mag
i stato eretto in Babilonia vinceva ogni magnificenza. Taluni credono
che
fosse la famosa torre di Babele. 712. I Caldei er
ogia giudiciaria. 713. I Persiani conoscevano l’unità di Dio. Il Sole
che
veniva da loro adorato sotto il nome di Mitra, e
il fuoco sacro del quale tenevano religiosa custodia, non erano altro
che
simboli della divina potenza. Non ebbero nè templ
e teste, chiamate Trimurti. Brama. 717. Gl’Indiani suppongono
che
il moto delle acque producesse un uovo d’oro, spl
la terra. Brama governò l’India con molta sapienza, e vi dettò leggi
che
sono sempre in vigore. 719. Una di queste leggi
lativo. Siva. 721. Questo Dio è tenuto per la stessa divinità
che
distrugge o muta le forme. È dipinto con tre occh
lle quali è piena d’assurdità e di stravaganze. Gl’Indiani sostengono
che
sotto il velame di questi racconti stieno riposti
he sotto il velame di questi racconti stieno riposti profondi misteri
che
essi non vogliono svelare ai profani. Ecco due di
di questo Dio son dello stesso tenore. 725. Gl’Indiani credono di più
che
Visnù debba subire una decima trasformazione, nel
serpe con cinque teste. Divinità galliche. 726. Tra gli Dei,
che
i Galli onoravano di parzial culto, i più celebri
a gerarchia delle loro divinità ; ma gl’immolavano vittime egualmente
che
agli altri. 733. I Galli adoravano anche un gran
n’altissima querce. Fu pur sacro per essi il vischio, pianta parasita
che
rampica sulla querce, ed ogni anno i loro Druidi
sacro, ed era profanazione il lavorarne la terra. Quindi per impedire
che
anche a’tempi lontani quei campi servissero a qua
rli di pietre enormi. Tale dicono esser l’origine dei monti di pietre
che
ancora sussistono in certi luoghi della Francia,
più antico Nume della Scandinavia, ossia di quella porzione d’Europa
che
comprende la Danimarca, la Svezia e la Norvegia.
adre delle battaglie, perchè adottava per suoi figliuoli tutti coloro
che
rimanevano uccisi combattendo ; e così fu preso a
mminile, prima è Gna messaggera di Freya, figlia di Odino o la Terra,
che
la spedisce nei mondi per eseguir commissioni, co
ra, che la spedisce nei mondi per eseguir commissioni, con un cavallo
che
corre per l’aria attraverso al fuoco. Vengono pos
che corre per l’aria attraverso al fuoco. Vengono poscia le Walchirie
che
nel Valhalla (paradiso delle divinità scandinave)
le divinità scandinave) versano da bere birra e idromele agli eroi, e
che
da Odino son mandate nelle battaglie per fissar q
li eroi, e che da Odino son mandate nelle battaglie per fissar quelli
che
vi debbon perire. Segue Yduna custode dei pomi ma
dine suo venne dal settentrione un uomo straordinario chiamato Scioun
che
avea corpo senz’ossa e senza muscoli : al suo pas
a via per luoghi inaccessibili. Da lui furon creati i primi abitanti,
che
qual Dio lo adorarono fino alla venuta di Pasciac
i abitanti, che qual Dio lo adorarono fino alla venuta di Pasciacamac
che
più potente mutò in belve gli uomini da Scioun cr
e svegliato da quest’essere malvagio. Conoscevano anche i buoni Genii
che
chiamavan Huecas, e come tali tenevano la Luna, l
cono essi pure dei cattivi Genii cui consacrano le ossa degli animali
che
hanno mangiato. Il loro principal sacrifizio cons
imonia viene accompagnata da danze. 7. Avvertiremo ora per sempre
che
i nemi di parentela fra gli enti mitologici non s
sempre che i nemi di parentela fra gli enti mitologici non sono altro
che
un parlar figurato, e indicano relazieni d’idee s
rrendo. Chi volesse porre un ordine nella genealogia, tanto degli Dei
che
dei Semidei e delle divinità allegoricho, teotere
dee e di relazioni, dedetto dalle opero degli antichi e dai monumenti
che
ci rimangono. 8. Latium, a latendo, dice Ovidio
i rimangono. 8. Latium, a latendo, dice Ovidio. 9. Appare evidente
che
questa poetica invenzione delle quattro elà del m
onte Ida in Frigia (forse dell’ Ida in Creta dove egualmente si crede
che
si stabilissero). Incivilirono la Frigia, e v’ in
lle aegrete cerimonie e nella acienza arcana del paganesimo. Quindi è
che
vanno talora confusi coi Coribanti, coi Galli e c
ina, Plutone (213) e Mercurio (160), formano i così detti Dei Cabiri,
che
presiedevano ai morti ; ma altri sotto questo nom
di Vulcano (272) ; ed il loro tempio fu tenuto in tanìa venerazione,
che
ai soli sommi sacerdoti era concesso l’entrarvi.
piene di senun. Fu capo di un’illustre famiglia detta degli Eumolpidi
che
ebbe la gloria di tenere il sommo-sacerdozio d’El
00 anui. — In sul finire della vita Eumolpo si riceociliò con Tegirio
che
, non avendo prole, lo fece crede del regno di Tra
illuminava la statua di Cerere doviziosamente arredata ; ma nel tempo
che
la folla guardava meravigliando, ecco apparir nuo
e tenebre, e poi nelle ampie volte del tempio un lampeggiare continuo
che
svelava qua e là spaventevoli spettri e mostruose
l vero oggetto di quelle cerimonie ; ma tutti gli autori cengetturano
che
mirassero ad inseguare agli uomini la sana morale
li uomini la sana morale, a distruggere tutti i vergognosi pregindizj
che
avvilisceno la moltitudine, e ad istruirli intern
istruirli interno alla natura del Creatore. Ma ci addolora il pensare
che
per giungere a queste fine avessere bisogno di ta
ngere a queste fine avessere bisogno di tanto artifizioso apparato, e
che
la sapienza dovesse rimaner privilegio di pochi.
misteri, ed esser deve patrimonio della moltitudine. — Lo spettacole
che
precedeva gli ammaestramenti fa vedere che gli an
ltitudine. — Lo spettacole che precedeva gli ammaestramenti fa vedere
che
gli antichi non ignoravano i fenomeni dell’electt
nella favola dei Titani o dei Giganti la tradiziono della catastrofe
che
produsso quel tremendo insbissamento. Altri ropnt
a catastrofe che produsso quel tremendo insbissamento. Altri ropntano
che
il continente atlantico degli antichi fosse una p
verse possono aver rapporto nl medesimo fallo ? Siccoma l’impressione
che
il fenomeno stesso fece sullo fantasie dei popoli
e in lutte le sue teste insieme ardeva la fiamma. E indica il rnmoro
che
faceva paragonandolo al mnggito di un toro, all’u
ni. Chi non ravvisa in lai detti un vulcano allora sorto dalla terra,
che
per più bocche lanciava fiammo, e muggiva come ta
isica la spiegazion morale di questa favola, immaginano alcuni autori
che
i Giganti fossero robusti e feroci capi di famigl
astrofe vulcauica, i capi religiosi dci popoli inciviliti divulgarono
che
Giove aveva fulminato i Giganti, scpolti poi dall
dall’immaginazione del volgo sotto i medesimi monti cruttanti fianima
che
parevano cadute dal cielo. 20. Alcuni più profon
stigatori dell’antichità riconoscono due Promelei : il primo è quello
che
formò l’uomo col loto, ed in esso viene simbolegg
i tal racconto i giovamenti derivati dalle arti a petto delle fatiche
che
ai devono per necessità dnrare nell’esercizio di
arti. Sotto l’invenzione del fuoco vengono designate le arti scoperle
che
produssero i travagli e le conteae. » (Mario Paga
n toro, e ciascuno ne portava seco un pezzo, qual simbolo dell’unione
che
doveva regnare tra i popoli del Lazio. 24. V’è c
cbi attribnisce quest’oracolo ad Apollo e non a Giove. Dieono adnnque
che
Trofonio fu celebre arcbitetto nella Beozia, e co
ta l’opera ne chiesero la mercede, o la Pitia (99 e 122) rispose loro
che
bisognava aspettare otto giorni, e che intanto si
Pitia (99 e 122) rispose loro che bisognava aspettare otto giorni, e
che
intanto si ricreassero e imbandissero lauta mensa
ve fossero aeppelliti ; quindi la Beozia fn desolata da tanta siccità
che
il popolo implorò l’oracolo di Delfo (122). Apoll
rvigio rèsogli da Trofonio nell’erigergli il tempio, rispose a coloro
che
lo conaultavano, che implorassero l’aiuto del lor
fonio nell’erigergli il tempio, rispose a coloro che lo conaultavano,
che
implorassero l’aiuto del loro compatriotta Trofon
di legali con funi, ed erau coslrelli a scrivere sopra un quadro quel
che
avevan visto ed udito. Sui loro scrilti i aacerdo
scrilti i aacerdoti componevano le risposte. 25. Taluni supponevano
che
avesse passato lo strelto che unisce il mar Nero
no le risposte. 25. Taluni supponevano che avesse passato lo strelto
che
unisce il mar Nero alla Propontide o mar di Marma
lo strelto che unisce il mar Nero alla Propontide o mar di Marmara, e
che
perciò quello stretto fosso chiamato Bosforo ossi
osforo ossia passo del bue. 26. Credettero crroneamente gli antichi
che
i rettili e gl’insetti fossero genersti immediate
outano i poeti, essere stata di continuo fluttuante null’acqua, prima
che
Latona vi partorisse Apollo e Diana, l’uno credut
o mai col sangue delle vittime. Quest’isola era io tanta venerazione,
che
non vi ai potevano sotterrare cadaveri. I Persiau
venerazione, che non vi ai potevano sotterrare cadaveri. I Persiaui,
che
avevano ssccheggiato le altre isole della Grccia,
o. 28. « Il Cigno, dice Buffon, regna sulle acque con tutti i titoli
che
sono base di pacifico impero, la grandezza, la ma
le descrive i pesci tranquillamente nuotanti attorno ad un cigno ; il
che
indica come presso gli antichi prevalesse l’opini
n cigno ; il che indica come presso gli antichi prevalesse l’opinione
che
questo volatile non suolesse cibarsene. La maggio
i Germania, confermô la sentenza degli antichi colle sue Osservazioni
che
, tradotte dal ledesco, furono stampate nel Giorna
0. Città della Focide. Ecco l’origine di quest’oracolo : Alcune capre
che
pascolavano sul monte Parnaso giunsero in un luog
n un luogo ov’era una profonda caverna ; e respirando il vapore (gas)
che
ne esalava si posero a sallaro ed a belare straor
a grotta fu preso da vertigini, e si pose a fare atravaganti discorsi
che
furono stimati profezie. Sparsane la nolizia, ogn
e la nolizia, ognuno volle provarc la medesima ispirazione ; fu dello
che
quel luogo era sacro ; vi fu alzato un lempio ; e
acro ; vi fu alzato un lempio ; e l’affluenza dei divoti crebbe tanto
che
ne nacque una città. L’oracolo sulle prime rispon
ulle prime rispondeva in versi ; ma poichè a laluni parve cosa strana
che
il Dio della poesia li facesse pessimi e senza mi
i il nome di erotiche alle poesie amorose, e di Erato (274) alla Musa
che
cauta d’ Amore. 35. Altri, oarrano che Venere si
e, e di Erato (274) alla Musa che cauta d’ Amore. 35. Altri, oarrano
che
Venere si raccomandò anche ad Apollo perchè le in
con l’aiute d’Apollo, e di ricuperare la calma e la felicite. Si dice
che
Deucalione ne facesse la prova dopo Venere, ma no
nè altre denne poterono mai aopravvivere alla terribile prova, se non
che
alconi nomini, tra i queli il poeta Nicostrato. I
ini, tra i queli il poeta Nicostrato. I sacerdoti dell’ isola vedendo
che
questo rimedie, a dir vero troppo efficace, veoiv
efficace, veoiva ad essere abbandonato, si studiarono di fare in modo
che
il salto fosse meno pericoloso, tendendo ingegnos
meno pericoloso, tendendo ingegnosamente sotto lo scoglio alcune reti
che
rettenevano la caduta a fior d’acqua, ed alcune b
ni anche la voglia di fare il salto boncho meno pericoloso ; e coloro
che
senza acomodarsi desideravano di mettere a prova
la Siria, lasciò Berenice, sua sposa recente, tanto sollecita di lui,
che
ella votò la sus chioma, se il marito tornasse vi
sici suppongono, e ne traggono anche conferma dalle parole di Plinio,
che
gli avvallamenti o i sollevamenti di suolo pei qu
al mare, all’imboccalura dello stretto di Messina. Gli enormi scogli,
che
sporgono aulle acque, fanno pericoloso l’angusto
a onde esalava un vapor nero, felido e malsano. Credevano gli anlichi
che
da quesla solterranea volla si giungesse alla dim
i Ercole trasse il Cerbero per condurlo ad Euristeo. 43. È probabile
che
l’origine di questa favola dei Campi Elisi sia eg
te per oracoli di giustizia. Forse l’accusa contro Marto altro non fu
che
un simbolo della imparzialità dell’Areopago, dava
bo Meneo, ora Moneo. 59. In quest’isola del mar Egeo era un vulcano
che
vomilava fiamme ; edi suoi abilanli furono abilis
d altri melalli. 60. Di Chirone. 61. La poesia nordica 62. Narrasi
che
Cleopatra ai facesse recare in un canestro di fio
er non cader nelle mani d’Augusto. 63. Dicesi di Cristoforo Colombo,
che
nella sua maraviglioss navigazione ai lidi del Nu
ti sulla sua nave dai veuticelli. 64. Dalla parola penus o penetrale
che
significa l’interno d’una magione. 65. Julo 66.
79. Fino alle ascelle. 80. Per nodi, intendi le fallaci parole con
che
i frodolenti ingannano altrui ; e per rotelle o s
questa favola potrebbe essero spiegata cosr : L’Acheloo era un finme
che
straripando apeaso inondava e desolava Io campagn
87. Questa favola, come quella di Fetonte, rimane a lezion di coloro
che
spregiano i consigli paterni, o che invaniti di s
etonte, rimane a lezion di coloro che spregiano i consigli paterni, o
che
invaniti di sè agognano sollevarsi tropp’ alto, a
ianza del fatto rimane smentita dalle nuove teorie fisiche, in quanto
che
non è più a credersi che nelle alte regioni dell’
entita dalle nuove teorie fisiche, in quanto che non è più a credersi
che
nelle alte regioni dell’ aria il sole abbia maggi
redersi che nelle alte regioni dell’ aria il sole abbia maggior forza
che
verso terra. Forse il congegno delle ali di Dedal
gegno delle ali di Dedalo non era collegato dalla cera ; forse non fu
che
un primo tentativo d’ acreonantica. Abbiamo già d
orse non fu che un primo tentativo d’ acreonantica. Abbiamo già detto
che
le gesta di questi croi, per quanto inverosimili,
aimi fatti, svisati poi dalla tradizione e dalla poetica fantasia ; e
che
Ercole, Teseo, Dedalo ec., doverono essere beneme
benemeriti del primo incivilimento di quei popoli, sì nella politica
che
nell’ industria ; mentre i tiranni ed i mostri da
battuti e vinti rappresentavano il dispotismo, il vizio, l’ ignoranza
che
nocevano al genere umano, e impedivano l’ avanzam
la civiltà e delle arti. 88. Il qual vello altro non era in sostanza
che
un ricco tesoro portato da Frisso sopra una nave,
era in sostanza che un ricco tesoro portato da Frisso sopra una nave,
che
fu l’ ariete meraviglioso. 89. Alcuni interpreti
cuni interpreti della Mitologia non vedono altro in questa spedizione
che
ono dei primi viaggi mercantili per l’ acquisto d
li Argonauti l’ introduzione in Europa dell’ uccello fagiano ; c pare
che
lo trovassero sulle sponde del Faso, di dove, dop
ella lor patria. 90. Potrebbe esser verosimile l’ opinione di coloro
che
credono la Chimera essere stata una montagna vulc
di greggi di capre a mezzo, e con paludi piene di serpi alla base, e
che
Bellerofonte fosse il primo a renderla abitabile
stata patria d’uomini distinti. Oltre ad Arione, vi nacque Terpandro,
che
oggiunse alcune corde alla lira, e co’suoi melodi
ella poetessa Saffo. 92. Era d’Argo, e fidava tanto nella sua forza
che
andava dicendo di voler prendere Tebe anche a dis
: Io brucerò Tebe. 93. Questi fu un giovine prode, amabile e bello,
che
seppe cattivarsi il cuore di tutti per la sua sav
nella pianura del Mendere, fra l’ Ida e il mare. 96. La descrizione
che
Omero fa dei baasirilievi dello scudo d’ Achille
e. …………………. Vi senlse posela un morbido maggese Spazioso, ubertoso, e
che
tra volla Del vomero la piaga avea sentito. Molti
lla Stimolaado I giovenehl. E coma al capo Ginngean dei solco, no nom
che
giva ia volla, Lor ponea nelle man spomanla un na
n gli occhi umidi di pianto. Acasto suo suocero prese questo ritratto
che
era la caosa di tanla afflizione, e lo feco arder
una certa molla nascosta per farla muovere come una marionetta, cosa
che
ispirava molta venerazione nelle pinzochere troja
venerazione nelle pinzochere trojane. 101. Alcuni sono di sentimento
che
questi antropofagi abitassero la Campania ; ma è
ti antropofagi abitassero la Campania ; ma è piu probabile il credere
che
fossero popoli rozzi dell’uno o dell’altro paese,
osi dei compagni d’ Ulisse in maiali è forse un avvertimento a coloro
che
vivono dimentichi dell’essere proprio, come si ri
mentichi dell’essere proprio, come si rileva da uno squarcio di Dante
che
riporteremo nel seguito degli avvenimenti d’ Ulis
adre d’ Ulisse. 104. Enea pose il nome a Gaeta dalla propria nulrice
che
ivi lasciò sepolta. 105. Per compagnia. 106. I
agnia. 106. I suoi segni. Intende delle cosi delle colonne d’Ercole,
che
sono il monte Abila in Affrica e il monte Calpe i
ale a questa piceola vigilia de’vostri sensi (alla vostra corta vita)
che
è del rimanente (che vi rimane) negar l’ esperien
vigilia de’vostri sensi (alla vostra corta vita) che è del rimanente (
che
vi rimane) negar l’ esperienza del mondo senza ge
enza del mondo senza gente (negare di conoscere l’emisferio terrestre
che
è privo d’abitatori) dietro al sol (camminando se
111. Dirigendoci sempre da manca. 112. Spento. Erano già cinque mesi
che
ec. 113. Quel nostro rallegrarsi. 114. A second
chi istanti furon visti giacere l’un sull’ altro, e spirare nel tempo
che
si studiavano di soccorrarsi scambievolmenta. Int
tesso male, e quasi nel medesimo tempo, languivano intorno ella madre
che
non sapeva come salverle, e che le vide morire in
tempo, languivano intorno ella madre che non sapeva come salverle, e
che
le vide morire in poche ore. Quando poi le recaro
estinta sua prole. L’eccesso del dolore la rese muta e impassibile sì
che
poteva essere paragonata ad uno scoglio flagellat
. Chiamavansi Esperidi perchè posti verso quella parte dove credevano
che
il sole si coricasse al giungere della sera. Da q
ia (mantis, indovino, gr.). 128. Come ognun sa, è Virgilio mantovano
che
parla a Dante, e gli dimostra gli spiriti inferna
tutte le risposte (o responsi) fatte agli uomini dagli Dei, non meno
che
i luoghi dove andavano a chiedere queste risposte
che i luoghi dove andavano a chiedere queste risposte, e le divinità
che
vi erano consultate. Gli antichi ricorrevano agli
cingersi alle grandi imprese, e nei più piccoli affari domestici, aia
che
si trattasse di dichiarar guerra, concluder pace,
li ; ma sempre fondate sul doppio senso o sull’ ambiguità di sentenze
che
potevano essere interpretate in più modi ; insomm
l Disco era una piastra di ferro, di rame o di sasso, e vinceva colui
che
stando ritto in equilibrio con un piede aulla pun
uochi. 142. Circolo immaginato a contrassegnare nel cielo il viaggio
che
fa la terra girando intorno al sole nel periodo d
pre più raffinate comparveto e degne d’ammirazione ; non v’ ha dubbio
che
a’ giorni nostri, piucchè in altro tempo mai, cos
la venustà, l’eleganza, e’l buon gusto così oramai se ne accrebbero,
che
nuove del tutto potrebbono giudicarle l’Età trasc
esse fosse da risguardarsi come a tale grado di perfezione ridotta ;
che
più non abbisognasse di lavoro alcuno. Tale per c
non venne fin’ora osservata dalla maggior parte di quegli Scrittori,
che
nella nostra Italiana favella ci trasmisero la se
lla ci trasmisero la serie de’ vetusti Favolosi avvenimenti. E’ vero,
che
questi, qualora sieno alfabeticamente esposti, po
i occhi di chi or l’uno or l’altro vuole separatemente conoscere ; ma
che
altro riesce poi la lettura de’ medesimi, se non
, e nojosa a chiunque imprenda a coltivarla secondo quella relazione,
che
gli stessi Fatti hanno tra loro ? Era dunque nece
lazione, che gli stessi Fatti hanno tra loro ? Era dunque necessario,
che
le Favole eziandio a tale sistema si riducessero,
a tale sistema si riducessero, per cui cosi concatenate risultassero,
che
potessero acquistarsi il nome di Mitologica Istor
lcuni già si fece ; ma l’opra loro non è poi così abbastanza compita,
che
non ci lasci privi di molte e molte interessanti
nti cognizioni. Al difetto loro pertanto tentai di supplirvi io : non
che
abbracciando siffatto argomento in tutta la sua e
ordine, non omettessi nel tempo stesso di soddisfare anche a quelli,
che
bramosi di leggere o questa solamente o quella, n
on cui si onoravano que’ pretesi Numi ; gli Oracoli e le Divinazioni,
che
si riconobbero dalle Pagane Genti ; I Sacerdoti,
altre filologiche nozioni verranno quà e là indicate, in guisa però,
che
non resti mai violata quell’unità di disegno, a c
hiesa per intendore quanto eglino piangevano sull’esecrande laidezze,
che
i Poeti andavano narrando de’ loro Numi, e ch’egl
essi non potevano non avere altamente in orrore. Era d’uopo pertanto,
che
con inflessibile severità distinguendosi l’utile
se ne risvegliava la piacevole ricordanza di quello. Questo è ciò, di
che
c’instruiva anche M. Rollin, quando trattava dell
ppunto lo scopo spezialissimo, a cui tende quest Opera. Vedrà ognuno,
che
quanta dili genza quì si coltiva, onde non omette
ute, quando il descriverle altro effetto non avesse avuto a produrre,
che
la funesta depravazione dello spirito. Nè fia che
e avuto a produrre, che la funesta depravazione dello spirito. Nè fia
che
la taccia d’imperfezione sia per derivare alla pr
indifferentemente a tutti, e dove tutti credettero di scuoprirvi ciò
che
le loro idee, o i loro particolari sistemi li con
crizioni ? La Pagana Teologia non è agli occhi delle persone sensate,
che
un tessuto di stravaganti idee, e un cumulo (come
cumulo (come dice il saggio Fontenalle) di menzogne non meno strane,
che
manifeste. Il volerne rintracciare la spiegazione
manifeste. Il volerne rintracciare la spiegazione sarebbe lo steaso,
che
voler costituirsi interprete de’ sogni di chi del
te de’ sogni di chi delira. La migliore spiegazione (soggiunge Heyne)
che
far si possa delle Favole, è quella di presentarl
i nella presente Opera incerte interpretazioni, migliore impresa fia,
che
si coltivi (per quanto però è possibile) la sempl
r quanto però è possibile) la semplice concatenazione delle materie ;
che
alla castigatezza del linguaggio si attenda nell’
ie ; che alla castigatezza del linguaggio si attenda nell’esporle ; e
che
inviolabilmente si osservino le leggi e i riguard
nte si osservino le leggi e i riguardi dell’onestà rapporto a quelle,
che
si oppongono alla purezza de’ costumi. Tutto ciò
za de’ costumi. Tutto ciò premesso, non mi resta a desiderare, se non
che
questo mio, qualunque siasi lavoro, a cui lio da
e siasi lavoro, a cui lio da varj anni consecrato i ritagli di tempo,
che
le altre occupazioni della vita mi lasciavano, po
i tutte le cose. Quindi in tale esecrando eccesso di follia ei cadde,
che
non isdegnò di ammettere con apertissima contradd
ne, nè ebbe in orrore di tributare alle più vili creature quel culto,
che
soltanto dovea al Creatore. Pare, che gli Astri s
e più vili creature quel culto, che soltanto dovea al Creatore. Pare,
che
gli Astri sieno stati il primiero oggetto dell’ I
i, tutto in somma si tenne per Dio, tranne il vero Dio. Varrone dice,
che
il numero de’ falsi Numi ascendeva a trenta mila
l numero de’ falsi Numi ascendeva a trenta mila ; e Plinio soggiunge,
che
più Dei si adoravano da’ Gentili, di quel che uom
a ; e Plinio soggiunge, che più Dei si adoravano da’ Gentili, di quel
che
uomini v’avesseto sulla terra. Le tante e sì dive
con sicurezza chi di sì enormi delirj ne sia stato l’autore. Certo è,
che
l’Idolatria è quasi così antica, come lo è il mon
i fuori di ogni dubbio, ch’essa con tale e sì ampio corso si diffuse,
che
quelle sognate Deità ben presto si acquistarono q
arono quasi da per tutto immensa turba di adoratori. Queglino stessi,
che
saggi Filosofi erano creduti, mentre internamente
della Grecia e del Lazio. Gli Ateniesi aveano loro alzato un altare,
che
appellavano l’altare de’ dodici(d). In onore degl
uoghi più spezialmente si onoravano. Gli altri poi non erano venerati
che
presso alcuni popoli, e quindi si denominarono Ep
di loro gli Dei Novensili, e questi al dire di Varrone erano quelli,
che
da’ Sabini si trasferirono in Roma, e a’ quali il
). Servio poi per Dei Novensili intende gli Eroi e gli altri mortali,
che
per le loro esimie gesta meritarono di essere ann
ere annoverati tra gli Dei(d). Più verisimile però sembra ad Arnobio,
che
i Romani, siccome dopochè aveano conquistato un p
la sua Teogonia, ossia Canto intorno alla generazione degli Dei, dice
che
dal Caos(1) uscitono l’Erebo(2) e la Notte, da’ q
scitono l’Erebo(2) e la Notte, da’ quali si produssero Urano e Titea,
che
i Latini chiamarono Cielo e Terra, e i quali gene
Mnemosine, Giapeto(4), Febe, Teti, e Saturno(b). Comunemente dicesi,
che
dal nome della loro madre i maschi vennero chiama
la diede a Saturno, ond’ egli insieme co’ Ciclopi(5), suoi fratelli,
che
da Urano erano stati rinchiusi nel Tattaro(6), ne
di Titano, e di Giapeto ; ma poi lo ritenne il solo Saturno a patto,
che
non lasciasse vivere alcun figliuolo maschio, aff
a, perchè da Urano e da Titea riguardo al suo Destino(8) aveva udito,
che
uno de’ proprj figli lo avrebbe scacciato dal reg
ato bambino, e secondo il solito la divorò(a) (9). Una certa bevanda,
che
poi Meti, figlia dell’ Oceano e di Teti, gli somm
, fece sì, ch’ egli restituisse di nuovo alla luce tutti i figliuoli,
che
avea divorati(b). Titano ne venne in cognizione,
1), re degli Aborigini(12), i quali abitavano quella parte d’ Italià,
che
poi si denominò Lazio dal verbo Latino latere, na
Giano in ricambio lo associò al suo regno : e per indicare ciò, volle
che
in una parte delle monete fosse impressa la sua i
se impressa la sua immagine a due faccie(13), e nell’ altra una nave,
che
ricordasse quella, su cui Saturno avea approdato
rj figili(d). Eravi un’ Ara antichissima, a Saturno eretta nella via,
che
conduceva al Campidoglio. Al dire di Festo correv
lla via, che conduceva al Campidoglio. Al dire di Festo correva fama,
che
la medesima fosse stata innalzata dagli Epei, com
l fine, al quale ogni cosa si riduce dal medesimo(b). Plutarco vuole,
che
dalla falce si ricordi, che gli uomini appresero
i riduce dal medesimo(b). Plutarco vuole, che dalla falce si ricordi,
che
gli uomini appresero da Saturno a coltivare la te
Numa Pompilio fu il primo ad alzarle in Roma un tempio(g), e comandò
che
in quello dovesse sempre ardervi il fuoco, perchè
comandò che in quello dovesse sempre ardervi il fuoco, perchè credeva
che
dalla perpetuità del medesimo avesse a dipendere
i smorzava, se ne traeva infausto presagio, nè si poteva riaccenderlo
che
con ispecchi opposti al Sole(i). Esso però si rin
rte del medesimo, ove si custodiva il Palladio(b) (5). Ne’ sacrifizj,
che
si facevano alla Dea Vesta in Roma, conveniva usa
e, fu appellata Ope, perchè quelle si hanno dalla terra(n). Il primo,
che
nel Campidoglio le fabbricasse un tempio, fu Tazi
timo degli Dei, cui adorò l’ Egitto(11). Iside aveva certi Sacerdoti,
che
si diceano Isiaci, i quali menavano una vita assa
tra’ loro Numi(e). Nel Campidoglio v’ avea un tempio, sacro sì a Lei,
che
a Serapide(12). Sotto il Consolato di Pisone e di
re Comodo di nuovo venne introdotto(f). E’ celebre il grande affetto,
che
Iside dimostrò ad Ifide. In Festo, Città dell’ Is
rreprensibile. Egli, vedendo gravida Taletusa, sua moglie, le ordinò,
che
se partoriva una femmina, la uccidesse, poichè mo
se partoriva una femmina, la uccidesse, poichè mon avrebbe avuto con
che
sostenerla. Nacque una bellissima bambina ; ma Te
s’ avvide ch’ era divenuta uomo. Fece subiro costei ritorno all’ ara,
che
poc’ anzi avea lasciatas v’ offrì un sacrifizio,
rifizio, e’l dì sequente prese Giante in isposa(a) (13). Tra i molti,
che
si consecrarono al sacerdozio di Cibele, sono pur
oro Dea beveano al fiume Gallo. Divenivano allora furibondì per modo,
che
perfino si facevano eunuchi. Quindi appresso i Gr
o Coribanti, ossia agitati da sacro furore (b). Strabone(c) poi vuole
che
sieno stati così detti dall’ agitare che facevano
e (b). Strabone(c) poi vuole che sieno stati così detti dall’ agitare
che
facevano il capo, mentre ballavano, e in mezzo il
uono di timpani e altri musicali stromenti orribilmente urlavano : lo
che
avveniva al tempo delle loro Feste. Eglino vestiv
ano alla foggia delle donne, e andavano quà e là mendicando, fingendo
che
Cibele si cibasse di ciò che veniva loro offerto
e andavano quà e là mendicando, fingendo che Cibele si cibasse di ciò
che
veniva loro offerto : dal che acquistarono anche
, fingendo che Cibele si cibasse di ciò che veniva loro offerto : dal
che
acquistarono anche il nome di Matragirti, ossia r
higallo. Questi cingeva in capo una mitra, al collo una gran collana,
che
gli discendeva sino al petto, e da cui pendevano
Cibele lo avea poi stabilito preside a’ suoi sacrifizj, a patto però
che
avesse doveto sempre viversene casto. Egli non is
angaro, e però detta Sagaritide, o Sangaride ; dalla quale ebbe Lido,
che
diede il nome alla Lidia, e Tirreno, che lo diede
ide ; dalla quale ebbe Lido, che diede il nome alla Lidia, e Tirreno,
che
lo diede a’ Tirreni(b) (15). La Dea ne prese vend
isperazione darsi la morte, ma Cibele lo convertì in Pino(16), albero
che
fu poscia a lei consecrato(c) (17). Quindi una de
o che fu poscia a lei consecrato(c) (17). Quindi una delle ceremonie,
che
si praticavano nelle Feste di Cibele era il porta
ta ceremonia si appellava Dendroforia ; e Dendroforo dicevasi quegli,
che
portava l’albero(d). Gli anzidetti Sacerdoti oltr
Isola di Creta, ove poscia si trasferirono(e). Altri poi pretendono,
che
sieno stati detti Cureti dal nome Greco curà, ron
o ministero, dieci per esercitarlo, e dioci per addestrarvi le altre,
che
vi si sostituivano. Il loro principale dovere era
iuto il predetto corso dei trenta anni, potevano maritarsi(a). Colei,
che
frattanto cadeva in malattia si affidava dal Somm
macine di corone(d). I Libri Sibillini(21) aveano predetto a’ Romani,
che
il loro Imperio sarebbesi conservato, e sempre pi
tà, e la ottennero ; ma riposta la stessa sopra un naviglio, avvenne,
che
il medesimo d’improvviso si arrestò alle foci del
riprese tosto il cammino(a). Gli Oracoli avevano altresì dichiarato,
che
Cibele fosse ricevuta in Roma dal più onesto citt
onsisteva nel lavare il simulacro di Cibele nel piccolo fiume Almone,
che
trovavasi suori della Porta Capena(d). Le Feste I
funebre. Ciascuno innanzi al simulacro di Cibele faceva pompa di ciò
che
aveva di più prezioso. Tutti vestivano a loro cap
desime. Quel re dell’ oracolo di Fauno, di cuì parleremo altrove, udi
che
per far cessare quelle desolazione conveniva plac
si diede anche le scettro in mano. Le torri sul di lei capo indicano,
che
Cibe le fu la prima, che insegnò a fortificare le
in mano. Le torri sul di lei capo indicano, che Cibe le fu la prima,
che
insegnò a fortificare le città co mezzo di quelle
e) (22). Lo scettro finalmente nella dillei mano allude alla potenza,
che
sogliono conferire le ricchezza e gli altri prodo
i la venerarono come la Dea tutelare de’ campi(1), perchè fu la prima
che
insegnasse la maniera di seminare le biade per so
assai penoso. Giunta ad Eleusi, si sentì talmente stanca e assetata,
che
si appressò ad una capanna per ricercarvi dell’ac
igia. Se ne offese la Dea, e lo cangiò in lucertola(f). Altri dicono,
che
Metanira abbia accolto Cerere in casa sua, e che
la(f). Altri dicono, che Metanira abbia accolto Cerere in casa sua, e
che
la Dea abbia nell’indicato modo castigato Abante,
icoli racconti(a). La Dea per ricompensare quel re dell’ accoglienza,
che
le avea fatto, prese ad allevare il di lui figliu
sino a quel tempo ignota a tutti gli uomini(f). La Dea inoltre volle,
che
i di lui discendenti, chiamati Fitalidi, presiede
ui figliuoli, appena nati, morivano, si offerse di allevargli quello,
che
in que’giorni era comparso alla luce. Visse il fa
o ad unirsi in matrimonio con Crisorte. Plemneo, venuto in cognizione
che
Cerere era una Dea, le eresse un tempio(b). Si ab
il quale, trasformatosi in cavallo, la rendette madre di una figlia,
che
fu nominata Era(c). Altri dicono che Cerere in qu
la rendette madre di una figlia, che fu nominata Era(c). Altri dicono
che
Cerere in quella circostanza abbia partorito un c
stanza abbia partorito un cavallo, di cui poscia così se ne vergognò,
che
copertasi di nera veste, e fuggendo l’aspetto deg
iove de Pane, il quale aveala trovata nell’ Arcadia, spedì le Parche,
che
colle preghiere la placarono(d). Troppo lungo sar
a Proserpina in quelle acque. La riconobbe la Dea, nè pose in dubbio
che
la figlia sua fosse stara rapita. Alzò frattanto
i figliuola sedere in trono sposa di Plutone (a). Pausania soggiunge,
che
fu la Ninfa Crisantide quella che indicò il ratto
di Plutone (a). Pausania soggiunge, che fu la Ninfa Crisantide quella
che
indicò il ratto di Proserpina a Cerere, quando qu
a cangiato in Gufo, uccello annunziatore di funesti eventi. Sembrava,
che
per Cerere dovesse essere perduta ogni speranza d
sere perduta ogni speranza di ricuperare la figlia ; ma Giove fece sì
che
per sei mesi dell’ anno la avesse appresso di se
veva un augustissimo tempio e una statua, con tale artifizio formata,
che
chi la mirava, o credeva di vedere Cerere stessa,
o (a). Fu denominata Empanda, perchè somministrava del pane a coloro,
che
si rifugiavano nel di lei asilo (b) (11). Si diss
ro matrone (e). Il nome di Raria le derivò dal campo Rario in Eleusi,
che
fu il primo ad essere seminato da Trittolemo (f).
nome di Misterj, perchè in esse tutto era mistico. Dicesi da alcuni,
che
sieno state istituite dalla stessa Cerere ; altri
vicino al pozzo, detto Callicoro, ossia bella danza, da’ balli sacri,
che
vi facevano le donne in onore di questa Dea. Non
appellavano Misti, ed Efori ; ovvero Epopti, ossia ispettori, quelli,
che
lo erano alle maggiori (b). I primi stavano solam
V’ erano ammesse anche le donne sotto il nome di Melisse. Credevasi,
che
l’essere fatto partecipe di questi Misterj produc
do era divenuta lacera, nè si poteva più usare (e). Altri poi dicono,
che
la stessa veste dopo l’ iniziazione si consecrava
iazione si consecrava a Cerere e a Proserpina (f). Vuolsi finalmente,
che
le predette Feste minori sieno state introdotte i
le maggiori (g). Le Misie furono così dette da un certo Misio Argivo,
che
dedicò a Cerere un tempio in un luogo alquanto di
ito ad esse eravi anche un Sacerdote, detto Stefanoforo dalla corona,
che
portava in capo. Al tempo di tali Feste le predet
evano allora preci a Cerere, a Proserpina, a Plutone, e a Calligenia,
che
secondo alcuni fu nutrice, e secondo altri sacerd
ueste, vestite a bianco, portavano delle torcia accese, nè mangiavano
che
la sera, perchè così avea fatto Cerere, quando ri
uirono per comando di un certo vate, chiamato Autia, il quale asserì,
che
quello era il solo mezzo di placare la Dea, che a
tia, il quale asserì, che quello era il solo mezzo di placare la Dea,
che
affliggeva tutta la Grecia colla fame. Cerere put
iva qualche tempo dopo la semina (b). Dionisio d’Alicarnasso pretendo
che
sia stata introdotta dal re fullio (c). Le Ambarv
s, molestia, celebravasi appresso gli Ateniesi in memoria del dolore,
che
Cerere ebbe a soffrire per la perdita di sua figl
imo spezialmente quello d’Eleusi. Il medesimo si riputava così sadro,
che
con pelli d’animali se ne cuopriva il pavimento,
e cuopriva il pavimento, affinchè nol profanassero i piedi di coloro,
che
aveano commesso qualche delitto. Tre erano i prin
e si chiamò Cerice, ossia Banditore, perchè egli intimava a’ profani,
che
si allontanassero dal tempio (c). E’ celebre il c
iarl col mezzo della Fame. Non conveniva però, nè permetteva il Fato,
che
la Fame si unisse con Cerere ; quindi costei per
do alcuno l’interno suo martirio. Di tutti i suoi beninon gli restava
che
una figliuola, di nome Metra, e questa pure egli
si. Ella però, de mal comportava di vivere in servitù, pregò Nettuno,
che
ne la liberasse. La compiacque il Nume ; e cambia
a primiera forma di donna ; ed Erisittone, avvedutosi del privilegio,
che
godeva la figlia, di tramutarsi, di nuovo la vend
corno dell’abbondanza. Questo fu così denominato, perchè si credeva,
che
ne uscisse tutto ciò, che poteasi desiderare (c)
esto fu così denominato, perchè si credeva, che ne uscisse tutto ciò,
che
poteasi desiderare (c) : ed esso quindi simbolegg
e poteasi desiderare (c) : ed esso quindi simboleggiava l’abbondanza,
che
questa Dea recava alla terra. Cerere finalmente c
a perdita di Proserpina, nè potendo addormentarsi, usò di quel fiore,
che
ha l’ittività di conciliare il sonno (d). Giov
l figliuolo di Saturno e di Cibele. Costei, per sottrarlo alla morte,
che
Saturno, come abbiamo esposto, gli avrebbe dato,
ndo di sacrificare, e strepitando con cembali e timpani, facevano sì,
che
Saturno non potesse udire i vagiti del Nume bambi
riferirci da chi Giove sia stato nutrito e allevato. Lattanzio dice,
che
ne furono incaricate Melissa e Amaltea, figlie di
e di latte di capri (c). Apollodoro, Grammatico Ateniese, soggiunge,
che
altre due figliuole di Melisseo, le quali furono
esero a pascerlo col latte della capra Amaltea (d). In Igino leggesi,
che
la nutrice di Giove fu Adamantea ; che questa sos
Amaltea (d). In Igino leggesi, che la nutrice di Giove fu Adamantea ;
che
questa sospendeva la culla del bambino a’ rami di
lla del bambino a’ rami di un albero, onde poter affermare a Saturno,
che
il di lui figliuolo non trovavasi nè in cielo, nè
i figliuolo non trovavasi nè in cielo, nè sulla terra, nè in mare ; e
che
finalmente ella, acciocchè non si udissero le di
omina tra quelle una Ninfa del monte Ida in Creta, chiamata Cinosura,
che
fu da Giove convertita in una stella dello stesso
Giove convertita in una stella dello stesso nome (c). Altri vogliono,
che
lo abbia nut ito un’ aquila col nettare (d) (2).
he lo abbia nut ito un’ aquila col nettare (d) (2). Altri pretendono,
che
il Nume abbia ricevuto il suo primo alimento da c
il suo primo alimento da certe Colombe (e) : altri dalle Api (f) ; e
che
Giove abbia per questo cangiato il loro colore, i
prima era di ferro, in quello d’oro (g) (3). V’è finalmente chi dice,
che
Giove sia stato allevato da Celmo, uno degl’ Idei
ce, che Giove sia stato allevato da Celmo, uno degl’ Idei Dattili ; e
che
questi, per aver detto che il Nume era mortale, n
evato da Celmo, uno degl’ Idei Dattili ; e che questi, per aver detto
che
il Nume era mortale, ne fu cangiato in diamante (
rra (i). Ma la grandezza e la tranquillità degl’Imperj non si ottiene
che
cou molti stenti e somme inquietudini (l). Anche
tto la figura di varie piante e animali (b) (5). Correva fama allora,
che
niuno degli Dei avrebbe potuto vincere que’ nemic
ndi seppellì tutti gli uomini in un abisso d’acque, nè lasciò in vita
che
Deucalione, figlio di Prometeo (e) (7) e re della
. Deucalione, allora offrì solenni sacrifizj in un magnifico terupio,
che
eresse a Giove(8). Pirra poi ebbe da Deucalione d
figliuoli, Anfittione (b) ed Elleno(c), e una figlia, Protogenia (d),
che
fu da Giove renduta madre di Etlio, padre di Endi
(f). Niente si sa di certo intorno all’origine di essi. V’è chi dice
che
uno de’Dattili, di nome Ercole, trasferitosi con
tuzione a Giove stesso, dopochè egli disfece i Titani ; e soggiuagono
che
Apollo rimase allora vincitore di Mercurio nella
r autore Pelopida ; e dicono, ch’egli li celebrò per onorare Nettuno,
che
gli avea fatto conseguire in moglie Ippodamia, fi
amia, figlia di Enomao, come più diffusamente vedremo. Altri vogliono
che
sieno stati instituiti da Ercole, figlio di Alcme
in onore di Pelope, da cui egli traeva origine per parte di madre, e
che
i medesimi, essendo stati per qualche tempo sospe
poi rinovati da Ifito o Ificlo, figlio di Ercole (a). Altri narrano,
che
Ercole li introdusse per onorare non Pelope, ma G
a tal legge una donna d’Elea, chiamata Callipatera. Costei, sapendo,
che
le donne venivano precipitate da una rupe, qualor
vennero rinovati da Ifito, fu pure l’Epoca degli Ellanodici, ministri
che
presiedevano agli stessi spettacoli. Eglino erano
i agli Atleti prima di ammetterli a que’ Giuochi, e il farli giurare,
che
avrebbono osservate le leggi prescritte. Gli Ella
Senato d’Olimpia, giudice supremo de’ Giuochi (a). Notiamo per ultimo
che
i Giuochi Olimpici furono di nuovo int rrotti a’
Giuochi Olimpici furono di nuovo int rrotti a’ tempi di Corebo(b), e
che
si ristabilirono da Climeno, figlio di Arcade, un
l’altare del Nume orzo mescolato con frumento. Tostochè uno de’ buoi,
che
dovei servire di vittima, mangiava di quel grano,
ote con una scure feriva quell’animale, e davasi alla fuga. Queglino,
che
vi assistevano, chiamavano in giudizio la scure,
n giudizio la scure, la condannavano ad essere spezzata, e giudicando
che
il bue non avesse più a sopravvivere, di comune c
sopravvivere, di comune consenso lo sacrificavano (f). Altri dicono,
che
il predotto grano si riponeva sopra un trepiede,
). Altri dicono, che il predotto grano si riponeva sopra un trepiede,
che
intorno ad esso si facevano girare dei buoi, e ch
sopra un trepiede, che intorno ad esso si facevano girare dei buoi, e
che
il primo di questi, il quale toccava quel cibo, v
onduceva i buoi, l’altro li feriva, e il terzo li sacrificava. Vuolsi
che
l’origine di tal ceremonia sia stata questa : un
varono, ov’ era in ispezial modo venerato ; altri da’ diversi popoli,
che
ciò facevano ; ed altri dalle beneficenze, ch’ eg
ei, e di tutti gli uomini (b). Gli si diede il nome di Statore, ossia
che
ferma, perchè Romolo, combattendo co’ Sabini, ed
r rimanerne vinto, invocò Giove, acciocchè fermasse i di lui soldati,
che
cominciavano a darsi alla fuga. Si credette, che
se i di lui soldati, che cominciavano a darsi alla fuga. Si credette,
che
fosse stata esaudita la preghiera ; e Romolo alle
na picca nella destra, e un fulmine nella sinistra. Narrasi innoltre,
che
il Console Flaminio, marciando contro Annibale, c
mpio nel Campidoglio, in memoria di essere stato salvato dal fulmine,
che
colpì la di lui lettica, e uccise chi la dirigeva
dirigeva, mentre egli di notte viaggiava verso la Spagna (d). Vuolsi,
che
Giove siasi così denominato anche perchè dava, tu
calesie (f). Filocoro, Istorico Greco, citato da Plutarco, soggiunge,
che
Teseo le istituì in memoria di Ecale, donna vecch
se degli uomini. V’avea in Argo presso il tempio di Cerere un bronzo,
che
sosteneva le statue di Giove, di Diana, e di Mine
atue di Giove, di Diana, e di Minerva (h). Appresso Pausania leggesi,
che
quel bronzo rappresentava Giove Mecaneo, e che gl
esso Pausania leggesi, che quel bronzo rappresentava Giove Mecaneo, e
che
gli Argivi dinanzi a quel simulacro, prima d’anda
arono a Giove Olimpicò nella Città d’Olimpia il più magnifico tempio,
che
fu chiamato il Trono di Giove. Il Dio era ivi ass
Il Dio era ivi assiso sopra un trono, cinto la fronte di una corona,
che
imitava la foglia di ulivo. La stessa statua era
o, Città della Frigia, si aperse una vasta e profonda voragine. Mida,
che
allora ivi regnava, avvertito dall’oracolo, che q
fonda voragine. Mida, che allora ivi regnava, avvertito dall’oracolo,
che
quella si sarebbe chiusa, qualora vi si fossero g
dell’Epiro (a), eravi una foresta piena di quercie, da dove credevasi
che
il Nume desse i suoi Oracoli. Questi e per la lor
e pel modo, con cui si rendevano, erano assai famosi. Strabone dice,
che
questo Oracolo fu instituito da’ Pelasgi, popoli
, che questo Oracolo fu instituito da’ Pelasgi, popoli i più antichi,
che
abitarono la Grecia (b). Altri soggiungono, che u
popoli i più antichi, che abitarono la Grecia (b). Altri soggiungono,
che
una nera colomba volò da Tebe in Dodona. Quivi so
rami delle predette quercie si posò, e con voce umana fece intendere,
che
Giove era per istabilire ivi un Oracolo (c) (12).
ntana, parimenti sacra a Giove. Essa si denominava Anapavomeno, ossia
che
cessa, perchè sul mezzodì si diminuiva, e a mezza
si diminuiva, e a mezza notte cresceva. La stessa innoltre cra tale,
che
all’accostarsi delle fiaccole alle sue acque, le
iaccendeva estinte (d). La Sacerdotessa di quel luogo faceva credere,
che
il mormorio della medesima fonte fosse profetico,
ceva credere, che il mormorio della medesima fonte fosse profetico, e
che
Giove ne avesse a lei conferito l’intelligenza (e
giore riputazione all’anzidetto Oracolo. Si formò una statua di rame,
che
rappresentava Giove armato di una sferza dello st
eva colla sferza que’ vasi, disposti in sì piccola distanza tra loro,
che
bastava agitarne uno per dar moto a tutti, e prod
o Oracolo finalmente si consultava colle Sorti(14). Vuolsi da alcuni,
che
Giove sia stato denominato Ammone da un certo pas
ve sia stato denominato Ammone da un certo pastore dello stesso nome,
che
fu il primo ad alzargli un tempio (b). Appresso d
elle di ariete gli cuopriva la testa, e scendevagli pel dorso. Dicesi
che
avesse anche corna e testa dello stesso animale.
d’accordo riguardo alla ragione di tale particolarità. Dicono alcuni,
che
Giove non volendo mostrarsi ad Ercole, suo figlio
pelle di quello, e in tal guisa gli comparve (d). Altri soggiungono,
che
Bacco ne’ deserti dell’Arabia, trovandosi languen
e così gli additò una sorgente d’acqua(a). Comuncue ciò sia, certo è,
che
non v’ebbe Oracolo, cui si facesse rispondere con
vendo il capo, accennava dove voleva andarsene ; e faceva altri moti,
che
interpretati da di lui Ministri, servivano di ris
n sogno, e lo consigliò a desisterne. Così avvenne ; e ciò fu motivo,
che
il Nume vieppiù fosse onorato (d). Dal verbo lati
ino (a). Al soprannome di Elicio corrisponde quello di Epifane, ossia
che
apparisce, in quanto che Giove si manifestava all
Elicio corrisponde quello di Epifane, ossia che apparisce, in quanto
che
Giove si manifestava alla terra co’ tuoni, e con
a motivo della fame, Giove comparve a questi in sogno, e loro disse,
che
di tutto il frumento, il quale aveano, formassero
e soliti occhi ne aveva un terzo nel mezzo della fronte, per indic re
che
Giove vedeva tutto ciò, che avveniva in Cielo, in
erzo nel mezzo della fronte, per indic re che Giove vedeva tutto ciò,
che
avveniva in Cielo, in terra, e nell’Inferno (f) ;
tto ciò, che avveniva in Cielo, in terra, e nell’Inferno (f) ; ovvero
che
conosceva il presente, il passato, e il futuro (g
ssato, e il futuro (g) Ebbe il nome d’Itomete, perchè si pretendeva,
che
le Ninfe, Itome e Neda, lo avessero nascosto nell
dette Itomee, nelle quali i Musici tra loro gareggiavano (b). Dicesi
che
Aristomene, cittadino di Messene, abbia sacrifica
a perpetuità, propose di alzare a Giove sul predetto monte un tempio,
che
dovesse essere ad essi comune, e dove tutti gli a
o titolo aveva in Roma un altare nel tempio del Campidoglio, Narrasi,
che
l’armata di Trajano, vedendosi agli estremi della
trovavasi fuori della Porta Capena presso un tempio di Marre. Diceasi
che
subito dopo questa ceremonia se guiva la pioggia
ini e a’ vicini popoli alcune delle loro donne per popolare la città,
che
avea fabbricato ? nè avento potuto ottenernele, s
il nome di Feretrio, dal verbo latino fero, porre. Da ciò ne avvenne,
che
anche i di lui posteri colà vi recavano le spogli
). Domiziano impose a Giove il nome di Conservatore, perchè credette,
che
lo avesse salvato nella sedizione dell’Imperatore
vasto portico. Quivi eravi riposta un’ Oca d’argento, per ricordare,
che
le Oche aveano salvato col grido e col dibattimen
rificato, davano un lauto banchetio al Senato. Alcuni poi pretendono,
che
lo dessero nello stesso tempio di Giove (b). In q
ri di grande importanza (c). Di questo tempio finalmente si racconta,
che
Tarquinio Prisco, prima di fondarlo, ordinò, che
almente si racconta, che Tarquinio Prisco, prima di fondarlo, ordinò,
che
si rimovessero da quel luogo le statue degli altr
uel luogo le statue degli altri Nunti, e se ne attetrassero i tempj ;
che
tutti quegli Dei cedettero senza difficoltà il lo
e tutti quegli Dei cedettero senza difficoltà il loro luogo a Giove ;
che
solamente il Dio Termine(22), e la Dea Ebe, ricon
a, ossia Dea della Gioventù (23), non vollero cangiare situazione ; e
che
quindi furono lasciati entro il recinto del nuovo
e Vespasiano, l’ultima da Domiziano(a). In onore di Giove Capitolino,
che
avea salvato il Campidoglio dalle armi de’ Galli,
llevato dalle Ninfe, Tisoa, Neda, e Agno (d). Eravi colà una fontana,
che
avea il nome della terza di queste Ninfe. In temp
n un piccolo ramo di quercia. Da di là si alzava tosto una nuvoletta,
che
andava condensandosi, e finalmente si scioglieva
cciatori, colà si ritirava, essa era in sicuro. Finalmente credevasi,
che
nè gli alberi, nè gli animali, benchè fossero opp
, producessero ivi alcuna ombra di se medesimi (f). Altri poi dicono,
che
Giove fu detto Liceo, perchè gli Arcadi, mentre p
e abbiamo raccontato, presentò a Saturno in vece di Giove una pietra,
che
fu da quello divorata (c). Si chiamò Asbameo dal
allorchè se ne allontanavano. Esse riuscivano altresi dolci a quelli,
che
osservavano la fedeltà de’ gniramenti, e velenose
(25). Que’ di Megara eressero un tempio senza tetto a questo Dio : lo
che
diede motivo di chiamarlo Conio, ossia Polveroso
a quello di essere immuni da’ pericoli e disastri (e). Esichio vuole,
che
le Diasie si celebrassero con somma tristezza. Il
elle scellerate azioni, Agrippa, genero d’Augusto, innalzò un tempio,
che
fu denominato Panteon, ossia dedicato a tutti gli
l’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sì sacro,
che
l’uccisione d’un ospite era il più orrendo misfat
ase erano aperte a tutti, sicchè tutti potevano servirsi di ogni cosa
che
vi trovavano, senza però portarne via alcuna. I L
letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero della mensa,
che
veniva loro imbandita. Alle Dee però in vece di l
ella corse appresso i piedi delle sresse Divinità, le quali chiesero,
che
fosse lasciata in vita. Alzatisi di mensa i due p
anzi cangiata in magnifico tempio. Giove accordò ai duo vacchierelli,
che
ne divenissero i sacerdoti, e die dopo lungo trat
ro alla tomba. Erano giunti all’estremo della vecchiaja, e allora fu,
che
dinanzi alla porta del predetto tempio Baucide ri
un altro tentativo. Gli presentò sullamensa le membra di un giovane,
che
i Molossi aveano spedito agli Arcadi in ostaggio.
, e presentò amendue le pelli al Nume, affinchè si scegliesse quella,
che
più gli piaceva. Scelse Giove la pelle piena dell
elle piena delle ossa ; e scopertone l’inganno, talmente se ne adirò,
che
tolse agli uomini il fuoco (c). Prometeo allora c
ne portò un’ altra volta il fuoco sulla terra (d) (31). Altri dicono,
che
ne lo abbia preso per animare gli uomini, che ave
(d) (31). Altri dicono, che ne lo abbia preso per animare gli uomini,
che
aveva formati (e). Giove, offeso di questo nuovo
eteo, affinchè gli offrisse un vaso, il quale conteneva tutti i mali,
che
potevano affliggere l’uomo, e renderlo infelice.
ro sulla terra i rinchiusivi mali, nè altro restè nel fondo di quello
che
la speranza, unico conforto de’ miseri mortali (a
ve frattanto comandò a Mercurio, o come vuole Eschilo (b), a Vulcano,
che
legasse Prometeo sul monte Caucaso ad una colonna
e viscere : e affinchè fosse eterna la sua pena, Giove volle altresì,
che
quelle si riproducessero, onde il rapace uccello
che quelle si riproducessero, onde il rapace uccello avesse sempro di
che
cibarsi. In quesco sì do loroso stato Prometeo se
una delle Ore, da cui con pari tenerezza n’era corrisposto. Avvenne,
che
Carpo cadde nel prodetto fiume, e vi perdette la
hì di Leda, figlia di Testio, e moglia di Tindaro, re di Sparta (a) ;
che
cangiatosi in Cigno, finse d’essore inseguito da
che tra’ piedi Ganimede (e), per alludere alla Favola, la quale dire,
che
Giove si trasformò in Aquila per rapire Ganimede,
lla bocca (g) (38). Giove finalmente fu rappresentato come fanciullo,
che
avea appresso di se la Capra Amaltes, e le Ninfe
Titani, onde rimettere Saturno in libertà, ebbe a vedere un’ Aquila,
che
gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fe
e a vedere un’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo
che
fece sì che l’effigie di un’ Aquila per volere de
n’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fece sì
che
l’effigie di un’ Aquila per volere dello stesso N
tto la figura di tal volatile rapì Ganimede. Evvi finalmente chi dice
che
Perifa, uno de’ primi re dell’ Attica, divenuto t
, divenuto tale per l’esimia sua equità, non fece uso del suo potere,
che
per rendete felici i suoi sudditi, e per eccitarl
empj e altari. Così operando, talmente si rendette egli caro a’ suoi,
che
ancor vivente ne riscuoteva gli onori divini, ed
Giove Conservatore. Ciò talmente promosse lo sdegno del Sommo Giove,
che
questi voleva con un fulmine precipitarlo nel Tar
i voleva con un fulmine precipitarlo nel Tartaro ; ma Apollo ottenne,
che
lo stesso Nume lo cangiasse invece in Aquila, gli
glia, circondata da triplice muro. Un antico Oracolo avea dichiarato,
che
colui, il quale avesse potuto abbruciarne le inte
il figlio di Giove e di Semele (a) (1). Giunone, gelosa dell’affetto,
che
Giove dimostrava per Semele, prese le sembianze d
acque all’incauta Semele il maligno suggerimento, e lo eseguì. Giove,
che
prevedeva quanto era per riuscirle fatale l’inchi
del suo fulmine, e fece ritorno a Semele. Non appena costei lo vide,
che
ne rimase incenerita(2). Era allora gravida di Ba
te a perfezionarsi in una delle sue oscie (b) (3). Da ciò ne avvenne,
che
Bacco acquistò il soprannome di Pirisporo, ossia
cennato, in una coscia, e ne fece le veci di madre(a). Alcuni dicono,
che
Bacco sia nato in Tebe(b) ; ma la maggior patte s
oi il nome di Dionisio, per alludere nello stesso tempo al padre suo,
che
nel Greco Idioma si chiama Dios (c). Neppure si v
Ovidio dice, ch’ egli fu prima allevato da Ino, sorella di Semele, e
che
da quella venne poi affidato alle Ninse di Nisa,
omina come di lui nutrici, Ino, Autonoe, e Agave(f). Demarco scrisse,
che
Bacco fu educato dalle Ore (g). Luciano soggiunge
marco scrisse, che Bacco fu educato dalle Ore (g). Luciano soggiunge,
che
Mercurio lo pottò alle Ninfe di Nisa(h). Altri so
e, che Mercurio lo pottò alle Ninfe di Nisa(h). Altri sono di parere,
che
lo abbiano allevato sette figlie di Atlante, re d
Coronide, Plesaure, Pito, e Tiche o Tite(i) (4). V’ è chi asserisce,
che
nell’ Isola di Nasso ebbero cura della di lui inf
ia le Ninfe, Filia, Coronide, e Clida(l). Orfeo non nomina come tale,
che
Ippa(m). Finalmente Apollonio di Rodi vuole, che
on nomina come tale, che Ippa(m). Finalmente Apollonio di Rodi vuole,
che
Bacco siasi portato nell’ Isola d’Eubea appresso
Brisa, promontorio dell’ Isola di Lesbo ; o perchè egli fu il primo,
che
insegnò agli uomini a spremere l’ uva per fare il
rimo, che insegnò agli uomini a spremere l’ uva per fare il vino : lo
che
significa il verbo brisare (b). Erafiote, dalle d
j(e) ; o perchè il vino scioglie l’ animo da’ pensieri molesti, o fa,
che
si parli liberamente(f). Sotto questa denominazio
ngiava in pubblico, e ciascuno aveva la libertà di dire tutto quello,
che
voleva. Innoltre alcune vecchie, coronate d’ elle
del Nume(g). Eleleo (a) o Iacco(b) (5) o Bromio (c), dallo strepito,
che
si faceva al tempo delle di lui solennità, ovvero
ito, che si faceva al tempo delle di lui solennità, ovvero da quello,
che
sogliono fare i bevitori. Altri dicono, che sia s
ennità, ovvero da quello, che sogliono fare i bevitori. Altri dicono,
che
sia stato denominato Bromio dalla Ninfa, Brome o
dicono, che sia stato denominato Bromio dalla Ninfa, Brome o Bromie,
che
lo educò(d). Dal predetto nome di Eleleo anche le
perchè il vino produce effetti contrarj gli uni agli altri in coloro,
che
soverchiamente ne usano(f). Milichio, dalla voce
iesi, mentre celebravano le Feste di Bacco, talmente si ubbriacarono,
che
ne uccisero il Sacrificatore. Il Nume tosto li af
e alle di lui Sacerdotesse derivò il nome di Evanti(a). Altri dicono,
che
la voce Evio significa coraggio, o figlio, e che
ti(a). Altri dicono, che la voce Evio significa coraggio, o figlio, e
che
così Giove lo chiamò, quan de lo eccitava a soste
sì Giove lo chiamò, quan de lo eccitava a sostenere il combattimento,
che
da’ Giganti si faceva all’ Olimpo(b). Narrasi, ch
il combattimento, che da’ Giganti si faceva all’ Olimpo(b). Narrasi,
che
Bacco in quella circostanza siasi trasformato in
articolar modo onorato (f). Sabazj si appellarorono pure i sacrifizj,
che
gli si offerivano, e i di lui misterj(g) (6). Le
o (h). Le stesse da quelli si chiamarono anche Orgie(i). Erano Feste,
che
dall’ Egitto avea portato un certo Melampo(l) ; o
Gli uomini e le donne si coronavano allora d’ ellera. Non si udivano
che
voci clamorose, e forte strepito di timpani e tam
d’intorno sotto le sembianne di Satiri e di Fauni(8) (i). Un vecchio,
che
rappresentava uno de’ Sileni(9), assiso sopra un
L’uso delle Ceste mistiche(10) in queste Feste era solenne assai più
che
in quelle di qualunque altro Nume(a). Le predette
(c). In Roma poi così crebbe in tali Feste il disordine e la licenza,
che
il Senato le proibì sotto gravissime pene (d). Le
a sotto un’ ombrella(e). Le Brumali furono così dette dal nome Brumo,
che
secondo il Cantelio(f) era lo stesso che Bromio,
o così dette dal nome Brumo, che secondo il Cantelio(f) era lo stesso
che
Bromio, e con cui gli antichi Romani soleano chia
te per ciasoun anno(i), e continuavano un mese(l). V’ è chi pretende,
che
fosseso le medesime che le Liberali ; eche le une
e continuavano un mese(l). V’ è chi pretende, che fosseso le medesime
che
le Liberali ; eche le une e le altre si chiamasse
al contrasto con un particolare com-battimento. Timete, re d’ Atene,
che
lo risiutò, fu deposto, e venne eletto Melanto Me
o, e venne eletto Melanto Messenio, siglio di Neleo e di Periclimene,
che
lo accettò. Essendo sul punto di venire alle mani
ti senza padri ; e però si dicevano apatori : dalla qual voce vuolsi,
che
le anzidette Feste sieno state chiamate Apaturie(
urie(b). I Protentiesi celebravano le medesime per cinque giorni, nel
che
furono poi imitati dagli Ateniesi(c). Le Lampteri
te. Ciascuno de’ predetti giorni desumeva poi il nome relativo a ciò,
che
vi si faceva. Il primo chiamavasi pitegia, ossia
nità di Bacco. Pendione lo invitò a banchettare seco lui ; ma temendo
che
gli altri convitati ricusassero di bere con Orest
emendo che gli altri convitati ricusassero di bere con Oreste, ordinò
che
a ciascuno di quelli fosse dato un bicchiere : e
ciascuno di quelli fosse dato un bicchiere : e così tolse l’ingiuria,
che
avrebbesi potuto recare a quell’ ospite. In quest
elebravano di noste, correndo con torcla accese per Atene(b). Coloro,
che
v’intervenivano, tenevano una tazza in mano, e fa
ampie libazioni. Tali Feste si celebravano anche sul Citerone, monte,
che
trovavasi nella Beozia. Per la stessa ragione anc
). Tra gli Orcomenj di Beozia v’ avea di particolate in queste Feste,
che
le donne n’erano escluse. Quindi un sacerdote di
nuda spada le inseguiva, ed eragli permesso di uccidere tutte quelle,
che
poteva raggiungere. Così fece Zoilo, Sacerdote Ch
aggiungere. Così fece Zoilo, Sacerdote Cheronese. Le figlie di Minia,
che
uecisero Ippaso, figlio di Leucippe, e lo recaron
ano dagli Eleesi, popoli del Pelopouneso, durante le quali credevasi,
che
Bacco onorasse della sua presenza il luogo, ove q
bo, ascoliazin, saltar con un solo piede sopra l’otre. V’è chi crede,
che
coloro, i quali celebravano questa Festa, accompa
o si abbandonavano nel tempo delle Feste di Bacco(d). Pausania vuole,
che
sieno state dette Tiadi da una certa Tia, che fui
cco(d). Pausania vuole, che sieno state dette Tiadi da una certa Tia,
che
fuila prima Sacerdotessa di Bacco(e). Le sole Tia
lle ceremonie, solite a praticarsi nell’ Eroide, una delle tre Feste,
che
ogni arino si celebravano in Delfo(13). Tali Sace
rtigliata di frondi di vite o d’ellera(14). Edonidi poi erano quelle,
che
celebravano i misterj di Bacco sul monte Edone, a
i di una lunga veste, detta da’ Traci bassaride ; o dal loro gridare,
che
in greco esprimevasi anche col verbo bazin ; o pe
ti di Bacco il più famoso fu Coreso. Questi divenne tale per l’amore,
che
nutriva per Calliroe, Principessa di Calidone, da
per Calliroe, Principessa di Calidone, da cui però altro non otteneva
che
indifferenza e disprezzo. Ei se ne querelò con Ba
divenire un deserto, consultò l’Oracolo di Dodona ; e questo rispose,
che
si doveva placare lo sdegno di Bacco col sacrific
acrificargli per mano di Coreso la giovine Calliroe, o qualche altro,
che
avesse voluto sostituirono in vece di lei. Niuno
la Principessa all’altare ; ma Coreso, accesosi allora più d’affetto
che
di vendetta, rivolse contro di se medesimo il fer
ppure ella sopravvivere a lui, si privò di vita appresso una fontana,
che
prese poi il di lei nome(b). Fu pure a Bacco molt
o ne fece bere ad alcuni pastori dell’ Attica in sì copiosa quantità,
che
si ubbriacarono. Egliso stimarono di essore stati
no a terra i tirsi, e Bacco stesso si ritirò in Nasso(b). Il castigo,
che
n’ebbe Licurgo, fu, che Giove alle preghiere di B
cco stesso si ritirò in Nasso(b). Il castigo, che n’ebbe Licurgo, fu,
che
Giove alle preghiere di Bacco lo rendette cieco,
co lo rendette cieco, e lo fece morire di tristezza(c). V’è chi dice,
che
Licurgo avea comandato, che si tagliassero ne’ su
ece morire di tristezza(c). V’è chi dice, che Licurgo avea comandato,
che
si tagliassero ne’ suoi Stati tutte le viti ; ch’
; ch’egli stesso volle darne eccitamento a’ Sudditi col suo esempio ;
che
con un colpo d’accetta si tagliò le gambe ; e che
i col suo esempio ; che con un colpo d’accetta si tagliò le gambe ; e
che
gli Edonj, avendo inteso dall’ Oracolo, che sareb
ta si tagliò le gambe ; e che gli Edonj, avendo inteso dall’ Oracolo,
che
sarebbono stati privati del vino, Anchè fosse rim
la di lui città. L’Oracolo, consultato sopra tale disastro, rispose,
che
Bacco non si sarebbe placato, qualora non si foss
e, Orfe e Lico, sempre glielo impedivano. Se ne adirò talmente Bacco,
che
le trasportò sul monte Taiete, e le cangiò in rup
acco, che le trasportò sul monte Taiete, e le cangiò in rupi. Dicesi,
che
v’abbia trasferito anche Caria, e che l’abbia tra
e, e le cangiò in rupi. Dicesi, che v’abbia trasferito anche Caria, e
che
l’abbia trasformata in albero, che ritenne il di
v’abbia trasferito anche Caria, e che l’abbia trasformata in albero,
che
ritenne il di lei nome(d) (17). Certi nocchieri d
ea ivi trasportato. Dittide ne interruppe le preghiere. Acete voleva,
che
il giovinetto fosse posto in libertà ; ma vi si o
d’ellera, e loro impedirono l’avanzarsi nel cammino(b). Demarato dice
che
l’albero, i remi, e l’antena si cangiarono in ser
ve Bacco avea ricercato, e l’onorò co’sacrifizj(d). Sparsasi la voce,
che
Bacco s’avvicinava alle mura di Tebe, il popolo c
nteo, mal sofferendo siffatte acclamazioni, ordinò ad alcuni de’suoi,
che
gli conducessero dinanzi il Nume strettamente leg
ia, e la ragione, per cui egli onorava Bacco. Lo stranìero soggiunse,
che
Acete era il suo nome, la Meonia il paese, la con
Meonia il paese, la condizione plebea. Indi gli narrò le maraviglie,
che
Bacco avea operato nella di lui nave. Penteo, sci
di lui nave. Penteo, sciolto il freno ad un subitaneo furore, comandò
che
si traesse Acete nelle carceri, e fosse fatto cru
te morire. Stavasi per trucidarlo, quando da se si aprirono le porte,
che
lo racchiudevano, e si sciolsero le catene, che l
si aprirono le porte, che lo racchiudevano, e si sciolsero le catene,
che
lo tenevano avvinto(a). Euripide vuole, che anche
e si sciolsero le catene, che lo tenevano avvinto(a). Euripide vuole,
che
anche Bacco sia andato soggetto allo stesso maltr
so a Penteo, e lo fecero a brani(c). Avea intimato il sacro Ministro,
che
le padrone e le serve di Tebe ; abbandonato ogni
dintorui grandissimo strepito, e quelle femmine viddero con istupore,
che
le loro tele divenivano verdi, e fronzute a foggi
e, che le loro tele divenivano verdi, e fronzute a foggia d’ellera, e
che
parte di esse si convertiva in viti, parte in tra
uggirono a nascondersi ; ma in vano tentarono di sottrarsi alla pena,
che
sovrastava al loro delitto, poichè in un istante
un istante si videro cangiate in Nottole(a) (20). Pausania riferisce,
che
queste figlie di Minia divennero allora sì acciec
riferisce, che queste figlie di Minia divennero allora sì acciecate,
che
estrassero a sorte quale di esso tre avrebbe dato
prj figliuoli a mangiarsi dalle altre. La sorte cadde sopra Leucippe,
che
sacrificò Ippaso, suo figlio(b). Tra’ figliuoli d
Dio, il di cui sacrificatore prediceva l’avvenire. Pausania aggiunge,
che
coloro, i quali invocavano colà il Nume, venivano
quali invocavano colà il Nume, venivano in sogno avvertito de’rimedj,
che
doveano usare per guarire le loro malattie. Era p
ri(f), o da pantere, e talvolta da leoni o da linci(g). Virgilio dice
che
le redini del predetto carro crano formate di pam
nella loro Isola, lungo le rive del fiume Imbraso (b). Altri dicono,
che
sia comparsa alla luce in Argo, dove fu in modo p
rione, dette Eubea, Prosinna, e Acrea (f). Pausania finalmente narra,
che
la Dea fu allevata in Sinfalo, città d’ Arcadia,
nata in pena delle sue derisioni ad un perpetuo silenzio (c). Dicesi,
che
la maggior parte di quelli, che assistettero alle
ad un perpetuo silenzio (c). Dicesi, che la maggior parte di quelli,
che
assistettero alle anzidette nozze, fecero a Giuno
che assistettero alle anzidette nozze, fecero a Giunone dei doni ; e
che
l’ Esperidi(1) le presentarono dei pomi d’oro, ra
oro giardino. La bellezza di quelle frutta talmente piacque alla Dea,
che
mandò un dragone(2) a custodire l’albero, che ave
mente piacque alla Dea, che mandò un dragone(2) a custodire l’albero,
che
aveale prodotte (d). Ferecide, citato dallo Scoli
le prodotte (d). Ferecide, citato dallo Scoliaste d’ Apollonio, dice,
che
Giunone diede que’pomi a Giove per dote. Giunone
legare le mani con catena d’oro, la sospese in aria con due ancudini,
che
le pendevano a piedi (a). Gli altri Numi tentaron
i, ma non potetono mai riuscirvi (b). Ricorsero finalmente a Vulcano,
che
li avea fabbricati, o ne vennero soddisfatti, per
inità (g). Lamia per la sua sorprendente bellezza era amata da Giove,
che
la rendette madre della Sibilla Erofile. Giunone
ette madre della Sibilla Erofile. Giunone tale dispiacere no sentiva,
che
nun lasciavale partorire se non bambini morti. La
lasciavale partorire se non bambini morti. Lamia così se ne afflisse
che
perdette al fine la sua primiera avvenenza, e tan
perdette al fine la sua primiera avvenenza, e tanto divenne furiosa,
che
divorava tutti i fantiulli, che le si presentavan
a avvenenza, e tanto divenne furiosa, che divorava tutti i fantiulli,
che
le si presentavano (h). Giove, divenuto amante d’
a caligine, fatta porgere all’ improvviso, donde niuno si accorgesse,
che
un Nume stava conversando con una mortale(3). Giu
ervatovi quel bosco d’ Acaja oscurato da insolita : nebbia, sospettò,
che
colà sone istesse celato il suo marito non senza
imale, e chiese, di qual armento e pastoro egli fosse. Giove rispose,
che
lo avea partorito la terra. Finse, la Dea di cred
avea partorito la terra. Finse, la Dea di crederlo, e pregò il marito
che
a lei donasse quella giovenca sì bella. A siffatt
inchiuso. Venne finalmente il tempo, in cui Giove commise a Mercurio,
che
cogliesse la predetta giovenca all’ importuno cus
oi il freno all’ ira e alla vendetta, sì furibonda dette la gioventa,
che
questa prese a correre in più parti della terra,
re in più parti della terra, finchè si precipitò alla fine nel cuare,
che
dal nome di lei fu detto Jonio (a). I Poeti Greci
re, che dal nome di lei fu detto Jonio (a). I Poeti Greci pretendono,
che
Giunone abbia mandato a molestare Io un insetto,
estremamente traraglia i greggi (b). Tutti convengono nell’ asserire,
che
Giove placò Giunone, restituì ad Io la priniera f
ezza a quella ella stessa Dea. Giunone talmente agitò il loro pirito,
che
tutte due credettero di essere divenute iovenche,
a. Ebbe in isposa Ifianassa (a) (10) ma di ciò non contento, fece sì,
che
Preto cedesse un’altra partè del suo Regno, e Lis
lei in bellezza (c). Aedone e Politecno erano due sposi felici, ma da
che
si vantarono di amarsi piucchò Giove e Giunone, q
oglie la tessitura d’una tela. Proposero di gareggiaro, e stabilirono
che
chi di loro fosse per compire più presto la sua o
ndò a ricercare a Pandareo l’altra una figliuola, Chelidone, fingendo
che
la di lei sorella desiderasse di vederla. La otte
plorare il tristo suo destino, tali e sì pressanti ri cerche le fece,
che
venne in cognizione di tutte ciò, ch’erale accadu
à del marito, e si fece ad allontanare le mosche e gli altri insetti,
che
lo divoravano. Un’azione sì lodevole fu risguarda
avventure della famiglia di Pandareo, cangiò in uccelli tutti quelli,
che
la componevano (a) (12). Ferecide, citato da Apol
che la componevano (a) (12). Ferecide, citato da Apollodoro (b), dice
che
Giunone fece perire Sida, perchè anche questa era
nsia, di Giuga, e di Cinsia. Come Iterduca (d) o Domiduca, avea cura,
che
le spose si dovessero condurre alla casa de’loro
oro miriti (e). Come Pronuba, la invocarono gli sposi nel sacrifizio,
che
facevano prima di unirsi in matrimonio. Tale sacr
, o a piedi dell’altare, per avvertire gli sposi della dolce armonia,
che
sempro dovea esservi tra loro (a). Questo medesim
e proprio della Dea, di cui quanto prima parleremo, e da telos, voce,
che
anticamente usavasi in vece di gamos, nozze : ond
Gladiatore, la quale appellavasi curite o quirite (f). Macrobio vuole
che
il predetto nome le sia derivato dall’asta, cui s
sorgente naturale de la popolazione (a). Marziano Capella soggiunge,
che
fu così detta, perchè era spezialmente invocata d
j il mese di Febbrajo (d). Fu chiamata Opigena a cagione dell’ ajuto,
che
prestava alle partorienti (e). Alcuni dicono, che
agione dell’ ajuto, che prestava alle partorienti (e). Alcuni dicono,
che
fu così detta, perchè nacque da Ope (f). Le deriv
e di Lucezia, perchè si credeva, ch’ella conferisse la luce a quelli,
che
nascevano ; ovvero perchè avea il suo tempio in u
quelli, che nascevano ; ovvero perchè avea il suo tempio in un bosco,
che
da’ Latini chiamavasi lucus (g). A questa Dea ric
donne, ed esse al decimo mese ebbero un pronto e felice parto. Dicesi
che
da ciò ne sia derivato, che le donne, le quali de
e ebbero un pronto e felice parto. Dicesi che da ciò ne sia derivato,
che
le donne, le quali desideravano di aver prole, si
ali desideravano di aver prole, si sottomettessero a’colpi di sferza,
che
i Sacerdoti del Dio Pane(15) al tempo de’ Luperca
ti del Dio Pane(15) al tempo de’ Lupercali(16) davano a tutti coloro,
che
incontravano per istrada (h) (17). Sotto il nome
per istrada (h) (17). Sotto il nome di Unsia presiedeva all’ unzione,
che
faceva la sposa al pilastro della porta dello spo
consegni molti onori. Come Regina ebbe sul monte Aventino un tempio,
che
le fu cretto da Camillo (e). Ivi la statua della
in un luogo, di cui n’era difficile l’ingresso, e staccava uno scudo,
che
colà era confiscato. Un’ altra Festa di questo no
este, co’ capelli sparsi e colle tonache sino alle ginocchia. Quella,
che
vinceva, ridevea una corona d’ulivo, e porzione d
e di Platea nella Beozia, e il più astuto di que’ tempi, lo consigliò
che
formasse una statua di legno, che la vestisse pom
astuto di que’ tempi, lo consigliò che formasse una statua di legno,
che
la vestisse pomposamente, e che la facesse condur
liò che formasse una statua di legno, che la vestisse pomposamente, e
che
la facesse condurre sopra un carro per la città,
che la facesse condurre sopra un carro per la città, spargendo voce,
che
quella era Platea, figlia del re Asopo, cui Giove
a stracciare le vesti della supposta novella sposa. S’avvide allora,
che
quella era una statua, e riconomendo l’azione, co
cenere (f). Fu detta Prodromia, perchè ella pure era una delle Deità,
che
si veneravano prima d’ intraprendere alcuna fabbr
si nutrivano varj animali, parimenti sacri alla Dea. Plinio aggionge,
che
sull’ingresso di quel tempio si trovava un’ara al
due altri in Roma, uno de’ quali si fabbricò da C. Cornelio. Dicono,
che
i Consoli, prima di assumere la loro carica, v’ a
o non si potè mai allontanare da Samo. Persuasi finalmente i Tirreni,
che
fosse quello, un castigo della Dea, ne deposero a
Deità, cui essa rappresentava. Sul far del giorno Admete s’ accorse,
che
mancava nel tempio la statua. Subito ne diede avv
Samo. Costoco, avendola trovata sulla spiaggia del mare, credettero,
che
volesse fuggirsene ; e per timore che lo facesse,
spiaggia del mare, credettero, che volesse fuggirsene ; e per timore
che
lo facesse, la legarono con rami d’albero, finchè
a verle offerto certe focacce, la riportavano a suo luogo (a). Vuolsi
che
sia stata detta Feronia dalla città di questo nom
ella aveva un tempio (b) (22). Non si va d’accordo riguardo al culto
che
le si rendeva Orazio dice, ch’ el la venerò press
ò presso Terracina, lavandosi il volto e le mani nella fontana sacra,
che
scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio
sacra, che scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio racconta,
che
rimasto coneunto dal fuoco un bosco sacro a quest
co sacro a questa Dea, se ne volle trasportare altrove la statua ; ma
che
essendosi lo stesso bosco all’ improvviso coperto
o di foglie, la statua fu fasciata, dov’ era (a). Strabone soggiugne,
che
in quel bosco i Sacerdoci della Dea ogni anno vi
ci i Romani furono minacciati di grande terremoto Giunone li avvertì,
che
per allontanarlo conveniva fare un sacrifizio all
presso il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì al nome,
che
al tempio di Moneta. I, Romani, dio’ egli, maurav
io di Moneta. I, Romani, dio’ egli, mauravano d’argento nella guerra,
che
sostenevano contro Pirro e i Tarrentini. Ricorser
rentini. Ricorsero supplichevoli a Giunone, colla quale rispose loro,
che
se avessero combattusto con coraggio, neppure l’
celebraro tra loro una festa, e talmente ubbriacarono quelle truppe,
che
le medesime caddero tutte in profondo sonno. Le d
lle Matrone Romane (b). Ebbe il nome di Lanuvia per cansa del tempio
che
aveva in Lanuvio, città del Lazio. Numerose genti
Consolato, doveano recarsi a venerare Giunone Lanuvia. Cicerone dice,
che
ivi la Dea era vestita di una pelle di capra, arm
stata finalmente appellata Argolica (f) o Argiva dal culto speziale,
che
le si rendeva in Argo. Quivi aveva un tempio(24),
culto speziale, che le si rendeva in Argo. Quivi aveva un tempio(24),
che
poi nestò connimato dalle fiamme(25). Era pur cel
agli assistenti. Se guiva un corpo di giovani Argivi, coperti d’armi,
che
deponevano prima d’avvicinarsi all’altare. Finalm
scrive : alcuni prodigi comparvero in Italia. I Pontefici ordinarono,
che
ventisette giovani, divise in tre achiere, andass
A questo avvenimento si consultarono gl’Indovini, i quali risposero,
che
le Dame Romane doveano placare la sorella di Gìov
. Giunone fu altresì onorata in Olimpia e in Cartagine. Si pretendeva
che
la Dea avesse presieduto alla costruzione di ques
deva che la Dea avesse presieduto alla costruzione di questa città, e
che
la proteggesse al pari dell’Isola di Samo. Avea i
proteggesse al pari dell’Isola di Samo. Avea ivi un tempio magnifico,
che
Didone aveva ornato di pitture, le quali rapprese
etto, regna nell’ Inferno(a) (1), di cui è bellissima la descrizione,
che
ce ne dà Virgilio(b). Due porte, dic’ egli, ha l’
, denominata Campo delle lagrime ; e quivi giacciono quegl’ infelici,
che
morirono consunti dall’ amore. S’incontrano posci
’ amore. S’incontrano poscia i condannati a ingiusta morte, e quelli,
che
, stanchi delle miserie di quaggiù, spontaneamente
ti dagli Eroi. Quì la strada apresi in due : alla destra v’ è quella,
che
conduce alla Reggia di Plutone, e a’ Campi Elisj,
e riserbati alle sole anime virtuose(18) ; alla sinistra avvi quella,
che
mette all’ orrida carcere, detta il Tartaro(19),
il quale per unirsi a colei erasi convertito in fiamma(a). I Giganti,
che
Giove aveva dopo la sua vittoria seppellito sotto
ito sotto il monte Etna, facevano ogni sforzo per liberarsi dal peso,
che
li opprimeva ; e le scosse, che nel muoversi dava
o ogni sforzo per liberarsi dal peso, che li opprimeva ; e le scosse,
che
nel muoversi davano alla terra, la facevano sino
spavento perfino nel suo tenebroso regno Plutone. Temette questo Dio,
che
, aprendosi la terre in voragini, penetrasse qualc
condusse nell’ Inferno. Dopochè ella ivi se ne stette tutto il tempo,
che
sarebbe vissuta sulla terra, Plutone, per conserv
lutone Summano si attribuiscono i fulmini notturni(f). Pausania dice,
che
que’ d’Elide aveano inalzato un tempio a Summano,
ausania dice, che que’ d’Elide aveano inalzato un tempio a Summano, e
che
non ne aprivano le porte, se non una volta l’anno
no le porte, se non una volta l’anno, volendo così dare ad intendere,
che
una sola volta si discende all’ Inferno(g). Gli s
o da Tarquinio il Superbo, e così si denominarono, perchè si credette
che
la pestilenza, insorta nelle donne gravide, fosse
celebravano fuori di Roma nel Circo Flaminio, onde gli Dei Infernali,
che
s’invocavano, non entrassero in città(e). I Teren
l termine d’ ogni secolo si solennizzavano(h). Altri poi soggiungono,
che
siccome tali Giuochi si celebravano di raro, così
ccome tali Giuochi si celebravano di raro, così volgarmente si disse,
che
succedevano dopo ogni cento anni(i). Ne fu autore
opo ogni cento anni(i). Ne fu autore il Console P. Valerio Poplicola,
che
gl’ instituì per la salvezza e conservazione del
r tre giorni si celebravano con ogni genere e di giuochi sì nel Circo
che
nel teatro, e di sacrifizj, fatti in tutti i temp
etto da Menta, giovine amata da Plutone, e da lui convertita in erba,
che
conservò il di lei nome(d). Ovidio vuole, che sia
lui convertita in erba, che conservò il di lei nome(d). Ovidio vuole,
che
sia stata Proserpina quella, che per gelosia tras
rvò il di lei nome(d). Ovidio vuole, che sia stata Proserpina quella,
che
per gelosia trasformò Menta nella predetta erba(e
a(e). Lo stesso afferma anche Strabone(f). A Plutone non s’immolavano
che
vittime nere, delle quali si spargeva il sangue n
inaria, dice Diodoro Siculo(h), era il toro. Questo Autore soggiugne,
che
i Siracusani gliene offerivano di neri tutti gli
li serve di scettro, ed ha nell’ altra varie chiavi. Queste indicano,
che
le porte del di lui Regno sono talmente custodite
este indicano, che le porte del di lui Regno sono talmente custodite,
che
chi v’ entra, non può più uscirne(b). Egli finalm
fa menzione di quattro Apolli (a). Comunemente però non si riconobbe
che
quello, il quale nacque da Giove e da Latona (b),
adre di questo Nume, lo scacciò dal Cielo, e fece giurare alla Terra,
che
non sarebbe per accogliere Latona in alcun luogo,
se per divorarla. Nettuno però trasse fuori dal mare l’isola Asteria,
che
fu chiamata Delo(2), acciocchè divenisse sicuro a
nell’uso dell’arco, e contro il mostro anzidetto scoccò tanti strali,
che
lo uccise, per vendicare la madre, che n’era stat
anzidetto scoccò tanti strali, che lo uccise, per vendicare la madre,
che
n’era stata sì fieramente perseguitata (f). Cotal
i nove anni, e poi ognicinque giusta il numero delle Ninfe Parnassie,
che
si congratularono con Apollo vincitore, e gli off
Vi s’introdussero poi anche gli esercizj ginnici (f) ; e i vincitori,
che
pure si appellarono Pitonici, vennero poi anche r
re nell’isola di Delo, ma fu poscia trasferito in Cielo. Avvenne poi,
che
Giove fulminò Esculapio, figlio d’Apollo, conte p
iffusamente vedremo altrove ; e Apollo per vendetta uccise i Ciclopi,
che
avevano fabbricato i fulmini a Giove. Questi pert
condo altri buoi (b), e secondo Callimaco (c) cavalle. Ferecide dice,
che
Apollo se ne stette nella corte di quel re un sol
tò molti vantaggi ad Admeto. Rendette le di lui giovenche sì feconde,
che
partorivano due vitelli alla volta (f) ; e si con
si constituì il Dio tutelare della di lui casa. Ottenne dalle Parche,
che
Admeto, già vieino a morire, ancor vivesse, purch
meto per favore di Apollo avea conseguito in matrimonio(6), si trovò,
che
per prolungare al marito la vita, sacrificasse ge
lungare al marito la vita, sacrificasse genetosamente la sua (g) : lo
che
le meritò da Omero il soprannome di Divina (h) (7
o questo ricaduto con impeto sul capo di Giacinto, talmente lo colpì,
che
lo mise a morte. Apollo ne pianse l’amara perdita
mise a morte. Apollo ne pianse l’amara perdita, e lo cangiò in fiore,
che
porta espresse le due lettere A. I., le quali ind
ll’Olimpo, e fu venerato come una Divinità (e). Il tempio più famoso,
che
gli si fabbricò, fu quello di Delfo (f), per cui
il Nume conseguì anche il nome di Delfico (g). Dicevano gli Antichi,
che
questo tempio era stato prima costruiro con rami
tato prima costruiro con rami d’alloro, tolti dalla valle di Tempe, e
che
avea la forma di capanna. Soggiungevano, che le A
dalla valle di Tempe, e che avea la forma di capanna. Soggiungevano,
che
le Api, distrutto il primo, ne alzarono un altro
era, e di penne d’uccelli. S’inventò poi un terzo tempio, e si disse,
che
quello era opera di Vulcano, e ch’era di bronzo,
ntespizio, le quali davano grato suono. Tutti questi tempj non furono
che
immaginarj. Uno realmente n’esistette, e fu quell
allo stesso Apollo la cosa migliore per l’uomo. N’ebbero in risposta,
che
la attendessero dopo tre giorni. Passati questi,
o stesso tempio voleva dare i suoi Oracoli. Diodoro di Sicilia narra,
che
sul monte Parnasso v’avea un antro, e che in ques
. Diodoro di Sicilia narra, che sul monte Parnasso v’avea un antro, e
che
in questo stava aperta una voragine, ove alcuno c
cuno capro avvicinatesi furono assalite da moti convulsivi. Aggiunge,
che
gli abitanti de’luoghi vicini, accorsi al prodigi
o lo stesso effetto, ch’eglino cominciarono a parlare confusamente, e
che
le loro sconnesse parole divennero predizioni. Co
e loro sconnesse parole divennero predizioni. Conchiude col riferire,
che
, essendo pericolosa l’apertura di quella fossa, v
tessa. Dovea essera vergine, e di oscuri natali(f). La prima femmina,
che
nell’anzidetto tempio enunciò gli Oracoli di Apol
e fece parlare il Nume iu verso eroico(a). Molte furono le Pitonesse,
che
ne vennero appresso. Elleno da principio si scegl
lleno da principio si sceglievano tra il fiore della gioventù ; ma da
che
Echecrate, giovino Tessalo, rapì la Pitonessa di
, corone, e statue d’oro e d’argento di varia grandezza(14). Narrasi,
che
Apollo per mezzo della Pitonessa ricercò agli abi
agli abitanti di Sifno, isola del mare Egeo, la decima parte di ciò,
che
ritraevano dalle loro ricchissime miniere d’oro e
costruirono il medesimo tempio con molto più di magnificenza, di quel
che
era stato proposto dal nobile architetto Spintaro
al nobile architetto Spintaro Corintio (c). E’ pur celebre l’Oracolo,
che
dava Apollo sul Promontorio d’Epiro, detto Ninfeo
io d’Epiro, detto Ninfeo, perchè era conse, crato alle Ninfe. Quegli,
che
lo consultava, prendeva dell’incenso, e dopo d’av
re, gettava lo stesso incenso sul fuoco. Se era si per ottenere quel,
che
si ricercava, l’incenso restava subito abbruciato
rice di tutto il loro paese. Consultarono gl’Indovini, e ne intesero,
che
per farla cessare era d’uopo spedire sette fanciu
giorno del primo mese di primavera, perchè que’di Delfo pretendevano,
che
in quel giorno fosse nato Apollo : e quindi il Nu
gue volavano via, nè più vi ritornavano(a). Augusto dopo la vittoria,
che
riportò sopra Marc’Antonio e Cleopatra, e di cui
anza di questi fu poi introdotto il costume d’immolargli de’buoi : lo
che
da prima riputavasi nefando delitto(a). Le Galasi
siderare que’versi, come oracoli. E perchè negli stessi era indicato,
che
se i Romani volevano allontanare da se il nemico,
Apollo, e a Latona una giovenca colle corna dorate(a). Macrobio dice,
che
quando si celebrarono per la prima volta tali Giu
arono per la prima volta tali Giuochi, il Popolo Romano fu avvertito,
che
alcuni nemici della Repubblica si avvicinavano al
che alcuni nemici della Repubblica si avvicinavano alla loro città ;
che
il medesimo andò loro incontro, e li mise in fuga
desimo andò loro incontro, e li mise in fuga coll’ajuto di Apollo ; e
che
questi vibrò contro di loro moltissime frecce. Da
omio, ossia Pastore, per aver avuto cura delle greggi di Admeto : dal
che
ne derivò altresì, ch’egli fosse risguardato come
erciò detto Agieo, ossia preside alle strade (d). Pausania poi narra,
che
un certo Iperboreo, di nome Agieo, trasferitosi n
gaso gittò i primi fondamenti del tempio di Delfo, sacro ad Apollo, e
che
perciò il Nume fu detto Agieo, o Iperboreo(e). De
ata qualche vittoria(g). Anche il nome di Alessicaco significa quello
che
guarisce ; e come tale veneravasi Apollo spezialm
Ateniesi, perchè li avea liberati dalla peste nel tempo della guerra,
che
sostenevano con alcuni popoli del Peloponneso a’g
eta, per cercare altrove il loro stabilimento, udirono dall’ Oracolo,
che
doveano fermarsi, ove i naturali abitanti del pae
tti coloro a passare una notte lungo le rive dell’Ellesponto, avvenne
che
un gran numero di topi divorò i loro scudi. Il dì
a verificazione dell’Oracolo, e in quel luogo fabbricarono una città,
che
denominarono Smintia, dalla voce greca sminthos,
que’dintorni(d). Polemone poi, citato dallo stesso Clemente(e), dice
che
i Frigj alzarono anch’essi ad Apollo Sminteo un t
igj alzarono anch’essi ad Apollo Sminteo un tempio, per ringraziarlo,
che
i topi aveano divorate le corde degli archi de’lo
sacerdote d’Apollo, e uno de’di lui figliuoli(c) (22). Macrobio dice,
che
la voce didimo significa doppio, e che fu attribu
liuoli(c) (22). Macrobio dice, che la voce didimo significa doppio, e
che
fu attribuita al Nume, considerato come il Sole,
o, disputando la corona d’Argo a Gelanore, osservò un lupo e un toro,
che
contrastavano tra loro. Avendone il lupo riportat
one il lupo riportata la vittoria, Danao fece riflettere agli Argivi,
che
Apollo in quella guisa avea voluto dichiarare, ch
ttere agli Argivi, che Apollo in quella guisa avea voluto dichiarare,
che
uno straniero sarebbe per prevalere ad un cittadi
esia, e grande Indovina, come lo era il di lei padre(a) (23). Dicesi,
che
quella fonte siasi formata delle lagrime, che spa
padre(a) (23). Dicesi, che quella fonte siasi formata delle lagrime,
che
sparse la predetta Manto, quando ebbe ad osservar
rvare la sua rovina, e quella della sua patria(b). Strabone aggrunge,
che
chi bevea di quelle acque, contraeva la virtù di
di predire le cose future(c). E’ stato denominato Ismenio dal tempio,
che
avea lungo le rive del fiume Ismeno nella Beozia(
elfo vedeasi un simulacro di lupo in bronzo. V’ è però chi soggiunge,
che
per altro motivo gli si diede questo nome. Alcuni
al luogo, ove stava riposto il furto ; e collo zampe smosse la terra,
che
lo tenea coperto(f). Il nome di Spondio, che deri
o zampe smosse la terra, che lo tenea coperto(f). Il nome di Spondio,
che
deriva da spondì, trattato, diedesi ad Apollo, pe
Europa, cui il Nume teneramente amava ; altri da Carno d’ Acarnania,
che
Apollo erudì nell’ arte dell’ indovinare, e la di
endicata dallo stesso Nume con orribile pestilenza. Vuolsi da alcuni,
che
que’ popoli per liberarsi da tale castigo abbiano
a tale castigo abbiano instituite le Feste Carnie. V’ è chi pretende,
che
le abbiano introdotte i Greci, perchè aveano prov
l cavallo Trojano, di cui parleremo. Altri finalmente sono di parere,
che
sieno state così denominate dall’ essere stato es
tre differenti Tribù, se ne stavano notte e giorno. Esichio aggiunge,
che
si eleggevano altri cinqué cittadini, presi da tu
emio fu Terpandro(a). Apollo si chiamò Timbreo dal cul o particolare,
che
gli si rendeva in Timbra, città della Troade, ove
avea una fontana, a lui sacra, in cui vedeasi indicato tutto quello,
che
si desiderava di sapere(h). Saccheggiatasi l’Isol
a di sapere(h). Saccheggiatasi l’Isola di Delo, e il tempio d’Apollo,
che
vi si trovava, la statua di questo Dio per dispre
. Certi popoli, detti Iperborei, veneravano Apollo, perchè credevano,
che
nella loro Isola fosse nata la di lui madre, Lato
a consecrata ad Apollo, e abbondava di musici e suonatori. Credevano,
che
ogni diciannove anni il Dio discendesse tra loto,
ecero poi passare i donativi di mano in mano per mezzo di que’popoli,
che
si trovavano sulla strada dal loro paese sino a D
le ; finalmente secondo alcuni non mangiava mai, ed era stato quegli,
che
con uno degli ossi di Pelope avea formato il Pall
ebo, per alludere alla luce, the sparge per tutto il mondo, in quanto
che
egli è lo stesso che il Sole(b). Sotto questo asp
a luce, the sparge per tutto il mondo, in quanto che egli è lo stesso
che
il Sole(b). Sotto questo aspetto ebbe per padre I
appresentava il Sole. Sotto di quello se ne collocava un altro minore
che
indicava la Luna. Intorno di essi due ponevasi un
capo una corona d’ oro. Venivano poscia due cori, l’ uno di giovani,
che
stringevano in mano una bacchetta inghirlandata d
in mano una bacchetta inghirlandata di fiori, e l’ altro di donzelle,
che
portavano rami d’ ulivo, e cantavano un inno, det
ollo Ismenio o Galasio. L’origine di tale Festa è questa : gli Eolj ;
che
abitavano in Arne e ne’ luoghi circonvicini, per
sta d’ Apollo. Si fece pertanto una sospensione d’ armi, e sì gli uni
che
gli altri tagliarono degli allori, per portarli p
i onorare il Nume. Polemata, capo de’Beozj, vide in sogno un giovane,
che
lo regalava d’una intera armata, e comandavagli d
scia Arge o Argea, perchè essa, correndo dietro ad un cervo, protestò
che
lo avrebbe raggiunto, quand’ anche il corso di lu
lucido Dio, prese le sembbianze di Eurinome, si appressò a Leucotoe ;
che
con alquante serve stava torcendo lo stame. Fece,
sò a Leucotoe ; che con alquante serve stava torcendo lo stame. Fece,
che
quelle si allontanassero, si manifestò per quello
in matrimonio. V’ acconsentì la giovine. Clizia, una delle Oceanidi,
che
amava assaissimo il Sole, penetrò il fatto ; e sp
ndizione tutto quel tempo, alfine si trovò trasformata in quel fiore,
che
da’ Greci chiamasi Eliotropio, e dagl’ Italiani G
ti da Ovidio Piroente, Eoo, Etone, e Flegone(a). Omero non ne accenna
che
due, Lampo cioè, e Faetonte(b). Altri a’ questi a
o di Gordio, e re della Frigia ; e certi Argivi. Marsia(41) presumeva
che
niuno potesse uguagliarlo nell’ arte di suonare l
ro flauto(42). Osò di provocare Apollo a confronto, colla condizione,
che
il vincitore potesse trattare a piacere il vinto.
lo o di Diana, Niobe andava sgridando quelle donne riguardo al culto,
che
rendevano a Latona ; e tentava di persuaderle, ch
riguardo al culto, che rendevano a Latona ; e tentava di persuaderle,
che
una madre di due soli figliuoli, qual’ era stata
le, eccettuata Clori, la quale fu lasciata in vita(h). V’ è chi dice,
che
traquelle sieno sopravvìssute Melibea e Amicla, p
ea e Amicla, perchè elleno ne implorarono la protezione di Latona ; e
che
le medesime inalzarono a Latona stessa per gratit
a stessa per gratitudine una statua in Argo(a). Apollodoro soggiunge,
che
fu risparmiata la morte anche ad uno di que’ masc
, nominato Anfione(b) (44). Niobe poi, non potendo reggere al dolore,
che
sofferiva per la perdita de’ figli, fu dagli Dei
de’ figli, fu dagli Dei convertita in sasso(c). Scrisse Ferecide(d),
che
Elara, come si trovò gravida di Tizio, Giove la n
a di nutrirlo ; e quindi fu creduto di lei figliuolo(e). Igino narra,
che
Giunone, gelosa dell’amore, che Giove avea per La
uto di lei figliuolo(e). Igino narra, che Giunone, gelosa dell’amore,
che
Giove avea per Latona, comandò a Tizio, che le co
unone, gelosa dell’amore, che Giove avea per Latona, comandò a Tizio,
che
le conducesse dinanzi la medesima ; e che Giove i
er Latona, comandò a Tizio, che le conducesse dinanzi la medesima ; e
che
Giove irritato da tale violenza, colpì il Gigante
lo precipitò nel Tartaro(f). Comunemente però con Apollodoro si dice,
che
Tizio, avendo incontrato Latona, prese ad insulta
ro si dice, che Tizio, avendo incontrato Latona, prese ad insultarla,
che
colei implorò il soccorso d’ Apollo, e che questi
tona, prese ad insultarla, che colei implorò il soccorso d’ Apollo, e
che
questi lo uecise(g). Tizio nell’ Inferno è tormen
se(g). Tizio nell’ Inferno è tormentato secondo Igino da un serpente,
che
di continuo gli rode il fegato e il cuore. Virgil
te, che di continuo gli rode il fegato e il cuore. Virgilio poi dice,
che
un avoltojo(h), ovvero due, corne altri pretendon
ero(45). Egli, come seppe, ch’ella trovavasi appresso questo Nume, nè
che
il medesimo gliela avrebbe restituita, incendiò i
consecrato. Apollo per tal delitto scoccò contro di lui una freccia,
che
gli diede la morte(b). Pane in presenza di certe
di purpurea tiara. Con tutto ciò se ne accorse quello de’suoi servi,
che
gli accorciava ì capelli, quando erano lunghi : e
accorciava ì capelli, quando erano lunghi : e smanioso di pubblicare,
che
il suo Re aveva le orecchie asinine, ma non osand
duto(a). Certi Argivi avevano lasciato divorare da’cani un figliuolo,
che
Apollo aveva avuto da Psamate, figlia di Crotopo.
a in risposta gli vietò di più ritornarsone tra’ suoi. Gli soggiunse,
che
prendesse dal tempio un tripode, e che nel luogo,
sone tra’ suoi. Gli soggiunse, che prendesse dal tempio un tripode, e
che
nel luogo, ove quello fosse per cadergli di mano,
nella Megaride, il tripode gli cadde in terra. Là esoguì l’Eroe ciò,
che
l’Oracolo aveagli indicato ; e il vicino villaggi
itto coraggio, la rapì, se la trasportò in quella parte dell’ Africa,
che
poscia fu detta Cirenaica, e la rendette madre di
i nomina Aristeo(a). Ciparisso avea preso ad amare un cervò. Avvenne,
che
il giovine, avendo per giuoco scoccato uno strale
al fine della sua vita ne dimostrò estremo dolore, e chiese agli Dei,
che
gli concedessero di piangere sempre. Infruttuosa
imase la di luì preghiera, e in tal dilovio di lagrime egli proruppe,
che
divenne verde cipresso. Afflitto Apollo per quest
venne verde cipresso. Afflitto Apollo per questa metamorfosi, ordinò,
che
il cipresso fosse in avvenire simbolo di lutto, c
simbolo di lutto, ch’esso servisse d’ornamento nelle pompe funebri, e
che
si dovesse piantare il medesimo appresso i sepolc
te di somma riputazione, ed esimio suonatore di cetra. Virgilio dice,
che
Apollo gl’inseghò l’arte degli augurj, e il modo
’arte degli augurj, e il modo di conoscere l’attività delle piante, e
che
lo regalò di celeri frecce, e di un’armoniosissim
di Creta, spedirono al tempio d’Apollo in Delfo una capra di bronzo,
che
allattava due bambini(b). Apollo, per ottenere co
Apollo, per ottenere corrispondenza da Isse, si cangiò in un Pastore,
che
colei teneramente amava(c). Bolina, originaria d’
. Il Nume, ammirandone la virtù, le conferì l’immortalità(d). Dicesi,
che
Apollo, come Dio della Musica, abbia avuti molti
rsecuzioni di Giunone, sì perchè Apollo, come Dio de’Pastori, voleva,
che
gli fosse sacrificato il lupo, nemico delle gregg
evano dal volo e dal canto di quell’uccello(c) (55). Ovidio racconta,
che
Apollo, volendo celebrare una festa in onore di G
n Corvo di recargli pel sacrifizio dell’acqua, tratta da una fontana,
che
gl’indicò. L’uccello spiegò a tale oggetto il vol
ssersene saziato, prese un serpente, se ne ritornò ad Apollo, e finse
che
quello gli fosse stato d’ostacolo per avvicinarsi
ne implorò altresì l’assistenza de’Numi. Quel, ch’ella bramava, era,
che
o la terra la nascondesse nelle sue viscere, ovve
ellavasi, come abbiamo osservato, Ecatombe. Questa Dea era la stessa,
che
la Luna, Diana, e Proserpina : vale a dire ella c
erra ; e Persefone, ossia Proserpina, nell’ Inferno (a). Esiodo dice,
che
la Luna era figlia di uno de’ Titani, cioè d’ Ipe
l momento alla stessa fonte Atteone. Appena se ne accorsero le Ninfe,
che
, formata alla meglio una corona a Diana, procurar
rò ne’ suoi cani. Fuggì impaurito, ma finalmente raggiunto da quelli,
che
non potevano ravvisarlo pel loro padrone, ne venn
ali celebravano le Orgie di Bacco (b). Diodoro di Sicilia però vuole,
che
Atteone abbia incontrato tale castigo, perchè man
ivande, ch’erano state offeme alla Dea. Euripide finalmente pretende,
che
colui ne sia stato così punito, perchè ebbe la va
di Diana nell’arte della caccia (c) (2). Nè sarebbe da maravigliarsi,
che
ciò avesse potuto essere la causa del di lui cast
avesse potuto essere la causa del di lui castigo. Sappiamo da Omero,
che
questa Dea come intese, che anche Orione, figlio
sa del di lui castigo. Sappiamo da Omero, che questa Dea come intese,
che
anche Orione, figlio di Nettuno e di Brille(3), o
privò lui pure di vita(5). Ella poi se ne pentì, e ottenne da Giove,
che
colui fosse trasferito in Cielo, dove forma una C
r giungere a possederla. Per riuscirvi ricorse all’artifizio. Sapeva,
che
quando facevasi qualche promessa nel tempio di Di
del giuramento. Lasciò poscia cadere il pomo a’ piedi della giovine,
che
lo raccolse, lesse i versi, e senz’avvedersene s’
raccolse, lesse i versi, e senz’avvedersene s’impegnò nella promessa,
che
desideravasi da Aconzio. Non molto dopo Cidippe f
opo Cidippe fu dal padre destinata ad altre nozze ; ma tutte le volte
che
voleasi celebrarle, una violente febbre, che sorp
ozze ; ma tutte le volte che voleasi celebrarle, una violente febbre,
che
sorprendeva la giovine, ne le impediva. Avvertì f
rchè costei era inclinatissima alla corsa e alla caccia (f). Avvenne,
che
la medesima s’imbarazzò nelle reti, e vedendosi i
ssere divorata da qualche bestia selvaggia, implorò l’ajuto di Diana,
che
ne la liberò. Britomarti, grata a tanta beneficen
a beneficenza, fabbricò un tempio alla Dea sotto il nome di Dittinna,
che
significa la Dea delle reti (10). Altri dicono, c
nome di Dittinna, che significa la Dea delle reti (10). Altri dicono,
che
Britomarti per sottrarsi alle persecuzioni di Min
ottrarsi alle persecuzioni di Minos, re di Creta, si gettò in mare, e
che
dopo morte fu da Diana ammessa tralle Divinità (a
opo morte fu da Diana ammessa tralle Divinità (a). Avvertasi altresì,
che
il nome di Britomarti fu dato alla stessa Diana (
non amava di essere riconosciuta per tale, anzi arrossiva delle lodi,
che
per questa ragione le si davano. Stanca un giorno
arsi in un limpido fiume, e tosto intorno a lei si destò un mormorio,
che
la impaurì. Si ritirò alla riva dell’ Erimanto, e
esta Dea la involse in una nuvola, e la adombrò di sì folta caligine,
che
per quanto Alfeo la cercasse, non mai poteva ritr
osfora o Lucifera o Coritallia, Brimo, e Levana. Le giovani d’ Atene,
che
non volevano imitarne la verginità, solevano port
o quasi tutti i popoli della Grecia (a). Lo Scoliaste di Stazio dice,
che
alcune giovani della Laconia, danzando nel tempio
danzando nel tempio di Diana, chiamata perciò Cariatide, s’accorsero,
che
quel tempio minacciava rovina. Si rifugiarono sop
al tempo della raccolta delle noci onoravano Diana con balli e canti,
che
si chiamarono le Feste Carie (c). Si chiamò Agrot
o capre. Intorno all’ instituzione di tale sacrifizio Senofonte dice,
che
fattasi nell’ Attica un’ irruzione da Dario, re d
tante capre, quanti Persiani avesse ucciso. Coloro poi furono tanti,
che
non potendosi avere in quel momento un numero cor
nto ciascun anno (e). La statua di Diana Cindiade avea il privilegio,
che
nè pioggia, nè neve le cadeva sopra, benchè fosse
eo (a). Questi le eresse un tempio, e v’introdusse il culto medesimo,
che
le si rendeva nella Chersoneso Taurica. La Dea su
rendeva nella Chersoneso Taurica. La Dea sulla sinistra della strada,
che
conduceva ad Aricia, ebbe altresì un bosco. Un se
hia dal re Munico, figlio di Pentacleo ; o da quella parte del Pireo,
che
si chiamava Munichia, dove gli Ateniesi le aveano
si fecero in Atene delle Feste, dette pure Brauronie. Suida racconta,
che
in un borgo dell’ Attica un orso, addimesticato e
mare Diana, le si sacrificarono molte fanciulle, e si fece una legge,
che
nessuna donzella del. Borgo si potesse maritare,
rza dell’ Inferno (b) ; ovvero a motivo de’ trivj, ossia delle strade
che
si dividevano in tre, sulle quali si riponeva il
te, dette Egemonie (f). E’ stata denominata Triclaria, perchè i Joni,
che
abitavano le tre città, Aroe, Antea, e Mesati, po
el di lei tempio da Cometo e Melanippo (g). Si disse Nottiluca, ossia
che
risplende di notte. Ebbe un tempio sul monte Pala
esfora, o Fosfòra (a), o Lucifera (b), ed anche Coritallia, in quanto
che
era invocata anch’ella pe’ parti. Sotto l’ultimo
emette (d). Altri derivano questa denominazione da’ notturni terrori,
che
soleva destare questa Dea (e). Il Vossio pretende
turni terrori, che soleva destare questa Dea (e). Il Vossio pretende,
che
il nome di Levana derivi dall’altro Ebraico Levan
sio pretende, che il nome di Levana derivi dall’altro Ebraico Levanà,
che
nel nostro Idioma significa Luna. Tostochè un bam
e lo alzava e abbracciava. Era sì necessario eseguire tale ceremonia,
che
il fanciullo altrimenti riputavasi illegittimo. A
di bronzo, e circondato da un bosco sacro. Ivi comperavasi tutto ciò,
che
doveva servire a’ funerali. Per costume intredott
mbandivano conviti, e i poveri correvano a divorarli, e poi dicevano,
che
lo avea fatto Libitina (b). Anche i Stratonicesi
in molti luoghi della Grecia, e principalmente in Delfo. La vittima,
che
vi s’immolava, era il pesce triglia. Credevasi, c
elfo. La vittima, che vi s’immolava, era il pesce triglia. Credevasi,
che
questo desse la caccia all’altro, chiamato lepre
alle quali eravi la statua di Diana, chiamata da’ Calidonj Lafria, da
che
credettero che si fosse calmata la sua collera co
i la statua di Diana, chiamata da’ Calidonj Lafria, da che credettero
che
si fosse calmata la sua collera contro Eneo, di c
no furono imitati anche da’Romani (b). Le Caneforie non crano in uso,
che
in Atene. Durante le medesime tutte le giovani no
tia, sì aspramente fla’ gellavano con verghe i più nobili giovinetti,
che
questi sempre si ritraevano di là aspersi di sang
non ispargevano mai una lagrima, nè mettevano alcun lamento. Quelli,
che
morivano sotto le battiture, si coronavano a guis
gellazione non vibravano con forza i loro colpi, diveniva sì pesante,
che
la predetta Sacerdotessa, non potendo sostenerlo,
nte, che la predetta Sacerdotessa, non potendo sostenerlo, comandava,
che
più fortemente si flagellasse. Tanta barbarie fin
ualche stilla di sangue (a). A proposito poi di Diana Ortia notiamo,
che
Anfiteno o Anfisteno, il di lui padre, Anficle, I
lle porte del primo si appendevano delle corna di bue. Plutarco dice,
che
ciò forse si facesse per conservare la memoria d’
e Coracio, Sabino, possedeva una bellissima giovenca. Gli fu predetto
che
chi la avesse sacrificata a Diana sul monte Avent
festò al Pontefice. Questi, per deludere il Sabino, gli fece credere,
che
prima del sacrifizio conveniva, ch’egli andasse a
o Alessandro propose a que’ d’ Efeso di somministrare loro tutto ciò,
che
poteva rendere magnifico il nuovo tempio, che sta
istrare loro tutto ciò, che poteva rendere magnifico il nuovo tempio,
che
stavano innalzando alla Dea, purchè nell’ Iscrizi
te(16), re di quel paese, il quale sacrificava alla Dea i forestieri,
che
giungevano appresso di lui. Quìndi Diana per iron
l nome di Dejonea(b). I Poeti però Greci e Latini non fanno menzione,
che
di quella, la quale sortì dalla schiuma del mare,
ticolarmente venerata in Amatunte, città nell’Isola di Cipro. Dicesi,
che
gli abitanti di quella città, chiamati Cerasti, p
soprannominarono Ospitale, essendochè gli sacrificavano i forestieri,
che
giungevano appresso di loro. Venere, sdegnata per
sacrifizj(a). La Dea medesima fu anche molto onorata sul monte Idalo,
che
trovasi nella predetta Isola, donde ella ebbe il
i egli stesso volle costituirsene il sacerdote(f). Ne avvenne quindi,
che
i sacerdoti di Pafo erano sempre scelti dalla fam
scelti dalla famiglia reale, e dicevansi Ciniradi. Virgilio racconta,
che
nel predetto tempio eranvi cento altari, sopra i
nto altari, sopra i quali fumava un perpetuo incenso. La venerazione,
che
si avea per lo stesso tempio, estendevasi anche a
sso tempio, estendevasi anche a’sacerdoti del medesimo. Quindi si sa,
che
Catone offerì al Re Tolommeo la gran Sacerdotessa
e cedere Cipro a’Romani. Sonovi poi alcuni Scrìttori, i quali dicono,
che
la città e il tempio di Pafo, dedicato a Venere,
, furono fabbricati da Pafo, figlio del mentovato Pigmalione. Coloro,
che
così pretendono, natrano, che Pigmalione concepì
iglio del mentovato Pigmalione. Coloro, che così pretendono, natrano,
che
Pigmalione concepì un disprezzo e un odio grandis
zione. Formò egli d’avorio una giovine di tale bellezza e leggiadria,
che
ne restò pazzamente innamorato. Giunto il dì fest
uell’ Isola, si appressò Pigmalione all’altare della Dea, e la pregò,
che
gli concedesse una moglie, che fosse somiglievole
ione all’altare della Dea, e la pregò, che gli concedesse una moglie,
che
fosse somiglievole alla sua statua. Sperando, che
cedesse una moglie, che fosse somiglievole alla sua statua. Sperando,
che
la Dea volesse consolarlo, ritorno, ove giaceva l
rlo, ritorno, ove giaceva la statua, e la trovò animata. Ciò fece sì,
che
mentr’egli per lo innanzi erasi dichlarato odiato
ione(a). Ritornando poi al predetto tempio di Venere in Cipro, dicesi
che
in esso col progresso del tempo la Dea abbia avut
con Galba del suo innalzamento all’ Impero(b). Si racconta innoltre,
che
nello stesso tempio siasi fatto venire Tamira di
veniva mai bagnato dalla pioggia(c), nè sopra di quello si offerivano
che
incenso e fiori(a). Finalmente Venere era venetat
ui era nata(i). E’stata denominata Genetillide(l), perchè si credeva,
che
ella avesse avuto parte nella creazione del mondo
va, che ella avesse avuto parte nella creazione del mondo(m). Cesare,
che
pretendeva di descendere da questa Dea per mezzo
d’Enea, le fece ergere un tempio sotto l’anzidetto nome. Plinio dice,
che
quel Dittatore spedì al medesimo tempio quantità
finivano con una lunga coda(b). Si appellò Pandemia, perchè è la Dea,
che
piace alla maggior parte degli uomini(c). Un giov
ossia Dea de’pigri, perchè tali rende i suoi adoratori. Altridicono,
che
Venere da prima si diceva Mirzia dal mirto, ch’er
o, che Venere da prima si diceva Mirzia dal mirto, ch’erale sacro ; e
che
tal nome fu poi corrotto nell’anzidetto di Murcia
e Tessale, ch’erano divenute gelose della di lei bellezza(d). Dicesi,
che
per la medesima ragione siasi dato a Venere anche
no i divertimenti della loro infanzia(f). Si chiamò Anrdiomena, ossia
che
sortisce dalle onde (g). Così la dipinse Apelle ;
ttura conservavasi in Cos nel tempio d’Esculapio. Strabone riferisce,
che
i Romani, per averla appresso di loro, offerirono
irono a quelle genti di renderli esenti di cento talenti sul tributo,
che
pagavano alla loro Repubblica. Plinio aggiunge ch
lenti sul tributo, che pagavano alla loro Repubblica. Plinio aggiunge
che
la stessa pittura per ordine d’Augusto fu riposta
ione ebbe due tempj in Roma. Il primo le fu consecrato per ricordare,
che
le Matrone Romane, durante l’assedio del Campidog
i reciprocamente promesso con giuramento di sposarsi, quando accadde,
che
i genitori della giovine la costrinsero ad altre
rada. Non si fece alcun male ; e presa la fuga, montò in un naviglio,
che
da se si mise in viaggio. I venti la portarono al
u detta Mecanitide, ossia macchinatrice, per allusione agli artifizj,
che
soglionsi usare per procurarsi i piaceri dell’amo
lpita dal folmine. Si consultarono i Libri Sibillìni, e se ne intese,
che
le giovani Romane erano minacciate di castigo, pe
rchè avevano abbandonata la virtù. A tale risposta il Senato ordinò ;
che
fosse eretta una statua a Venere Verticordia, oss
te presso Napoli. In esso eravi la statua la più bella di questa Dea,
che
si fosse fatta da Prassitele, e di cui un ragguar
l’antichità. Dionisio d’ Alicarnasso(b), e Pomponio Mela(c) vogliono,
che
questo tempio sia stato eretto da Enea Trojano. D
tempio sia stato eretto da Enea Trojano. Diodoro di Sicilia poi dice,
che
il medesimo sussisteva prima della discesa d’ Ene
, che il medesimo sussisteva prima della discesa d’ Enea in Italia, e
che
quell’ Eroe non fece che arricchirlo de suoi doni
eva prima della discesa d’ Enea in Italia, e che quell’ Eroe non fece
che
arricchirlo de suoi doni(d). Si trovavano nel med
nde venerazione ; e ne’ primi tempi si aveva tanto rispetto per esso,
che
niuno osava di porre mano ne’tesori, che vi si cu
eva tanto rispetto per esso, che niuno osava di porre mano ne’tesori,
che
vi si custodivano. Amilcare Cartaginese finalment
po stesso, in cui il suo collega, Otacilio Crasso, consecrava quello,
che
Otacilio pretore avea eretto al Buon-Senso dopo l
alleggiavano, ancorchè fossero d’oro e d’argento(c). Zozimo racconta,
che
questo Oracolo fu consultato da’ Palmireni, allor
Palmireni, allorchè si rivoltarono contro l’ Imperatore Aureliano ; e
che
nell’anno, che precedette la loro rovina, i doni
rchè si rivoltarono contro l’ Imperatore Aureliano ; e che nell’anno,
che
precedette la loro rovina, i doni andarono a fond
pariva velata, con catene a’piedi, impostele da Tindaro, per indicare
che
la fedeltà delle donne verso i loro mariti dev’es
re inviolabile(e). La denominarono Ponzia, perchè presiedeva al mare,
che
da’ Greci e Latini dicesi Ponto. Sotto questo nom
itarsi, andavano ad offerire sacrifizj(a). Fu detta Ambologera, ossia
che
allontana la vecchiaja, in quanto che ella fa rin
(a). Fu detta Ambologera, ossia che allontana la vecchiaja, in quanto
che
ella fa ringiovinire in certa guisa quelli, che a
vecchiaja, in quanto che ella fa ringiovinire in certa guisa quelli,
che
anche vecchi divengono amanti(b). Si chiamò Argin
e anche vecchi divengono amanti(b). Si chiamò Arginnide da un tempio,
che
Agamennone le consecrò nella Beozia dopo la morte
gli anni l’Anagogia, ossia la Festa della partenza, quando vedevano,
che
sulle loro rive più non comparivano le colombe. P
evano, che sulle loro rive più non comparivano le colombe. Pensavano,
che
Venere allora abbandonasse Erice per andarsene ne
a. Costei dopo averlo partorito fu dagli Dei trasformata nell’albero,
che
ritenne il di lei nome(b). Altri dicono, ch’ella
ntò d’aver i capelli più belli della steasa Dea(c). Altri soggiungono
che
a Mirra toccò sì trista avventura, perchè Cencrid
iuola più avvenente della stessa Venere(d). Altri finalmente narrano,
che
Mirra fu convertita nell’anzidetto albero, primac
; ch’essendo venuto il tempo di darlo alla luce, l’albero s’aprì ; e
che
ne comparve un fanciullo, il quale venne raccolto
cura di lui, lo nascosero sotto l’erba, e lo bagnarono delle lagrime,
che
sua madre andava spargendo. Il bambino crebbe sì
lagrime, che sua madre andava spargendo. Il bambino crebbe sì bello,
che
Venere sommamente prese ad amarlo. E siccome eras
e, detto da alcuni rosa (a), e da altri anemone (b). Bione poi vuole,
che
la rosa sia nata dal sangue d’Adone, e l’anemone
, che la rosa sia nata dal sangue d’Adone, e l’anemone dalle lagrime,
che
sparse allora Venere (c). V’è finalmente chi dice
dalle lagrime, che sparse allora Venere (c). V’è finalmente chi dice,
che
la Dea siasi rivolta a Giove per riaverlo in vita
nte chi dice, che la Dea siasi rivolta a Giove per riaverlo in vita ;
che
Proserpina non voleva acconsentirvi, perchè ella
irvi, perchè ella pure avea tosto concepito della tenerezza per lui ;
che
Giove per non dispiacere alle due Dee, le rimise
spiacere alle due Dee, le rimise al giudizio della Ninfa Calliope ; e
che
questa decise, che lo avessero a possedere ciasch
ee, le rimise al giudizio della Ninfa Calliope ; e che questa decise,
che
lo avessero a possedere ciascheduna per la metà d
. Tanta premura però non ebbe a durare lungo tempo. Parve alla Ninfa,
che
Selinno scemasse in bellezza, nè più il guardò. C
emasse in bellezza, nè più il guardò. Così se ne afflisse il Pastore,
che
morì di tristezza. Venere lo cangiò in fiume ; ma
bbliare del tutto la memoria di quella Ninfa. Per questo si credette,
che
le acque del predetto fiume avessero la virtù di
; ma Venere la cangiò in sasso (a). Questa Favola è simile a quella,
che
racconta l’Ab. Rubbi, e che dice non esservi nel
sso (a). Questa Favola è simile a quella, che racconta l’Ab. Rubbi, e
che
dice non esservi nel Dizionario Mitologico. Arsin
da Venere in pietra, perchè fu spettatrice de’funerali di Arceofonte,
che
morì per non poterla sposare (b). Le donne di Len
a quale, com’era proprio di lei, le rese, tutte d’un odore sì fetido,
che
se ne dovettero allontanare i loro mariti (14). E
ea talmente reso famoso in Lenno e in tutta la Grecia il di lei nome,
che
senza il suo consiglio o comando niente si faceva
za il suo consiglio o comando niente si faceva : Poliso loro suggerì,
che
durante il sonno trucidassero tutti i loro padri,
passare secretamente nell’isola di Chio appresso il fratello Enopio,
che
là vi regnava (15). Questa pietà si voleva punita
mea (c). Tra gli ustelli il più caro a Venere fu la colomba. Dicesi,
che
la Dea anche si trasformasse in questo uccello. I
infa Peristera soccorse Venere. Cupido n’ebbe dispiacere a tal segno,
che
vedendosi vinto, cangìò la Ninfa in colomba (a).
Le perle altresì erano particolare ornamento di Venere, come quella,
che
si voleva nata nel mare in una conchiglia piena d
higlia piena di margarite (d). Plinio (e), e Macrobio (a) ci narrano,
che
la bellissima perla, simile a quella, che avea di
e Macrobio (a) ci narrano, che la bellissima perla, simile a quella,
che
avea disfatto Cleopatra nell’aceto, fu divisa in
arne gli orocchini ad una statua di Venere. Lampridio lasciò scritto,
che
l’Imperatore Alessandro Severo fece porre ad una
lo restituì poi, come abbiamo detto, alla luce, mediante una bevanda,
che
gli fu data da Meti. Secondo un’altra tradizione
rtorl, lo nascose tra’pastori dell’Arcadia, e fece credere a Saturno,
che
le fosse nato un pulodro, il quale da lui venne t
lui, ma finalmente ne venne relegato sulla terra(d). Altri vogliono,
che
abbia incontrato tale castigo, perchè erasi unito
nito a Giunone per mettere in ceppi Giove(e). Incontratosi in Apollo,
che
pur era stato esiliato dal Cielo, nè sapendo come
stava fabbricando le mura dì quella città. Egli, attesa la promessa,
che
gli fece quel re, di grossa somma di danaro, s’ac
lo. Non tollerò Nettuno l’oltraggio, e fece sortire da’lidi le acque,
che
portarono estrema rovina alla nascente città. Nè
ente città. Nè pago di tale vendetta, intimò per mezzo ed’un oracolo,
che
la figlia di quello stesso re servisse di pasto a
egli avea il potere di rendore tale la terra(b). Strabone racconta ;
che
il mare da quattro giorni videsi coperto di fiamm
ne racconta ; che il mare da quattro giorni videsi coperto di fiamme,
che
estremamente lo agitavano, quando finalmente dal
forma d’Isola. I Rodiani, accellenti navigatori, accorsero al rumore,
che
andava facendo quell’Isola nello stabilirsi, ed e
la Laconia, sull’ingresso della grotta, per cui i Greci pretendevano,
che
si discendesse nell’Inferno(e). Nettuno non solam
non solamente fu detto Ippio, ossia Equestre, dalla corsa de’cavalli,
che
si faceva al tempo de’Giuochi Circensi, ma anche
un altro. Niuno poteva entrare nell’antico ; ed Epito, re d’Arcadia,
che
volle violare questa legge, divenne cieco(c). Si
carsi d’Inaco e degli iltritra gli Argivi, i quali avevano giudicato,
che
il paese d’Argo appartenesse a Giunone, mentre lo
eto, ed Eolo(12), Nitteo(13), e Tritone(14). Que’di Corinto dicevano,
che
Nettuno e il Sole pretendevano d’avere il dominio
del loro paese. Briareo, uno de’Ciclopi, scelto per giudice, decise,
che
il Promontorio di Corinto dovesse appartenere al
tali Giuochi si celebravano(15). I medesimi erano riputati sì sacri,
che
non si tralasciò di celebrarli neppure dopochè la
i Sicionj a continuarli(a). Il concorso a tali Giuochi era sì grande,
che
i soli principali personaggi delle Greche città p
Eleesi non vi si trovavano presenti, perchè temevano le imprecazioni,
che
Molione, moglie d’Attore, aveva pronunziato contr
bblica piazza. Fu loro aggiunta finalmente anche una somma di danaro,
che
da Solone si fissò a cento dramme. I Romani v’ass
ubblico certame ; e la terza in patria da’suoi concittadini. L’onore,
che
si riportava a motivo di questo Inno, era maggior
po, in cui si solennizzavano, dicevansi Panionio. Se muggiva il toro,
che
in queste Feste si sacrificava, ciò si aveva per
este si sacrificava, ciò si aveva per buon augurio, perchè credevasi,
che
quella voce piacesse al Nume, soprannominato Elic
ivano, e n’erano esclusi i servi, i quali si dicevano monofagi, ossia
che
mangiavano soli. Si chiudeva la solennità con un
. Si chiudeva la solennità con un sacrifizio a Venere(d). La vittima.
che
soleasi immolare a Nettuno, era il toro(e). Gli A
crifizj si chiamavano Tinnei(b). Platone nel suo Crizia ci riferisce,
che
Nettuno aveva nell’Isola Atlantica un magnifico t
’Isola, continua lo stesso Scrittore, fu popolata da dieci figliuoli,
che
partorì a Nettuno una figlia di Clitone e di Leuc
ale al dire di Tito Livio grondava di sudore. E’pur famoso il tempio,
che
aveva in Tenaro, Promontorio della Laconia, e ch’
ragli stato eretto da Tenaro, fratello di Geresto, e figlio di Giove,
che
diede il suo nome al predetto Promontorio(c). A N
in venerazione il tempio, là dedicato a quel Dio ; e tanto lo restò,
che
da Strabone e Pausania si sa aver servito d’asilo
ne, di cui vi si mostrava il sepolcro. Era altresì celebre il tempio,
che
Nettuno aveva in Geresto, città dell’Eubea, donde
li derivò il soprannome di Gerestio ; e Gerestie si diceano le Feste,
che
in suo onore vi si celebravano(a). A Nettuno era
cavallo e mezzo pesci, chiamati anche Ippocampi, vale a dire cavalli,
che
aveano due piedi soli, e la coda di pesce(d). Com
atto di sedere sopra un mare tranquillo con due pesci, detti Delfini,
che
nuotano sulla superfizie delle acque(e). E’pure c
nte ci danno a divedere questo Nume tirato dal cavallo Arione. Dicesi
che
questo animale insieme con Era sia nato da Corere
i che questo animale insieme con Era sia nato da Corere e da Nettuno,
che
si trasformò in cavallo, perchè anche la Dea eras
perchè anche la Dea erasi cangiata in giumenta(f). V’è chi soggiunge,
che
Nettuno con un colpo di tridente abbia prodotto A
La maggior parte de’ Mitologi dicono, ch’ella fu concepita da Meti ;
che
questa, tostochè ne comparve gravida, fu da Giove
ti ; che questa, tostochè ne comparve gravida, fu da Giove ingojata ;
che
lo stesso Nume, poco tempo dopo sorpreso da gagli
ricorse a Vulcano, il quale con un colpo d’accetta glielo spaccò ; e
che
ne uscì Minerva tutta armata(c). Per questo la me
pelle si fece uno scudo, detto egide. Evvi finalmente chi asserisce,
che
sia stata appellata Pallade, da che uccise Pallan
e. Evvi finalmente chi asserisce, che sia stata appellata Pallade, da
che
uccise Pallante, uno de’ Giganti, i quali aveano
tanti ne avea di lunghezza(c). Custodi dello esso erano de’serpenti,
che
ogni primo dì del mese ricevevano dagli Agremoni
della Lidia, così eccellentemente riusciva ne’ lavori di tapezzerie,
che
moltissimi stranieri si recavano da lontani paesi
cavano da lontani paesi ad ammirare la bellezza di quelli. Gli elogi,
che
Aracne ne riceveva, le inspirarono tale presunzio
. Gli elogi, che Aracne ne riceveva, le inspirarono tale presunzione,
che
osò di preferirsi in quell’arte alla stessa Miner
one, che osò di preferirsi in quell’arte alla stessa Minerva. La Dea,
che
sulle prime la bramava corretta e non punita, a l
icura di conseguirlo. Aracne trattò da insensata la donna, e protestò
che
non sarebbe mai per mutarsi di parere. Minerva al
ontro Aracne, e la percosse colla spola nel capo. Non meno la rabbia,
che
il rossore ridussero la infelico a disperato part
o partito di sospendersi con un laccio, e morire. Minerva però volle,
che
colei per suo castigo vivesse sempre così cospesa
l suo antico esercizio,(a) (4). Fu denominata Scirade o da un tempio,
che
le era stato eretto in Sciro, borgo tra Atene ed
ue ruote, e tirati da quattro cavalli(a) ; ovvero perchè fu la prima,
che
insegnò ad attaccare i cavalli al carro(b). Fu ap
a Nettuno e Minerva riguardo al Territorio di Trezene, Giove propose,
che
tutte le due Divinità vi fossero onorate, Minerva
ttuno, e sull’altra la testa di Minerva col motto Poliade. Il tempio,
che
Minerva Poliade aveva in Trezene, era della più r
i quali Minerva aveva donato a Cefeo, figlio d’Aleo, per assicurarlo,
che
Tegea non sarebbe mai stata presa da nemiche armi
la di lei statua era di straordinaria grandezza. La Minerva Poliade,
che
si venerava nel Partenon d’Acropoli in Atene, ave
ue giovani vi rimasero incenerite. Insorse ben presto una pestilenza,
che
desolava Corinto ; nè essa secondo la dichiarazio
a Grecia. Gli Dei, scelti per giudici di tale questione, stabilirono,
che
quella delle due anzidette Deità, la quale avesse
ece pullulare un germoglio d’ulivo, simbolo di pace. I Numi decisero,
che
questa fosse migliore della guerra ; e però la De
la Dea diede alla città il suo nome, appellandola Atene, voce greca,
che
significa Minerva(b). Per la stessa ragione venne
alcòs, rame, perchè di tal metallo era formata la statua e il tempio,
che
questa Dea avea in Isparta. I giovani di questa c
r sacrificare a Minerva(c). E’stata detta Madre o Matrona dal tempio,
che
le cressero le conne d’Istide, perchè furono esau
ola notte madri di varj figli per accrescere il poco numero d’uomini,
che
si trovavano appresso di loro(d). Si chiamò Pilet
iamata Steniade, ossia robusta, per indicare l’aria forte e maschile,
che
le si attribuiva(f). Le altre Feste, instituite i
rj combattimenti di Gladiatori(b). Sonovi alcuni, i quali riferiscono
che
le Matrone allora si mandavano reciprocamente dei
ome facevano gli uomini al tempo delle Saturnali(c). Narrasi inoltre,
che
gli Scolari durante la celebrazione di tali Feste
i poi ogni cinque anni. Da principio erano semplicissime, nè duravano
che
un giorno. In seguito vi s’introdussero tanti giu
che un giorno. In seguito vi s’introdussero tanti giuochi e ceremonie
che
convenne impiegarvi maggior tempo. Nelle minori s
leno portavano delle urne piene d’acqua per rinfrescare gli Ateniesi,
che
celebravano queste Feste. Erano esse seguite da s
esime fu Erittonio, generato senza materna fecondità da Vulcano(8), e
che
fu quarto re d’Atene(a). Egli, tostochè nacque, f
, ma l’altra sorella nol fece. Ciò accese talmente Minerva di sdegno,
che
per punire Aglauro della sua disobbedienza, la re
endette sì furibonda, ch’ella si precipitò nel mare(b). Altri dicono,
che
Minerva le inspirò gelosia di Erse, la quale però
e veniva impedita di vedere Mercurio, da cui era sommamente amata ; e
che
il Nume quindi cangiò Aglauro in pietra(c) (10).
quindi cangiò Aglauro in pietra(c) (10). Altri finalmente pretendono,
che
Pandroso sola abbia osservato il comando di non a
androso sola abbia osservato il comando di non aprire il cestello ; e
che
perciò gli Ateniesi le abbiano eretto un tempio p
flitti poscia dalla carestia, consultarono l’Oracolo. Questo rispose,
che
le loro terre rimarrebbono sempre sterili, qnando
sto in Epidauro maficava ; e però fu necessario ricercarlo da Atene ;
che
ne abbondava. Gli Ateniesi aderirono all’inchiest
ne ; che ne abbondava. Gli Ateniesi aderirono all’inchiesta, a patto,
che
la città d’Epidauro ogni anno in segno d’omaggio
certe offerte a Minerva Gli Epidaurj accettarono la condizione, e da
che
eseguirono gli ordini dell’Oracolo, viddero ripro
Nè solamente era venerata Minerva in Atene ; la moltitudine de’tempj
che
le si eressere in varie altre parti della torra,
Minerva poi la allontanò dal suo lato, perchè ella corse a riferisle,
che
Aglauro avea aperto il cestello ; e in vece di le
, re di Lesbo(d). Questo uccello ordinatiamente si confonde col Gufo,
che
pure è sacro a Minerva, perchè esso, veggendo tra
a manifestò il motivo della sua discesa sulla terra. Flora le indicò,
che
ne’ campi d’Olena, città dell’ Acaja, eravi un fi
, eravi un fiore, toccando il quale, ella avrebbe tosto ottenuto ciò,
che
bramava. Giunone ne fece l’esperienza, e diede al
sperienza, e diede alla luce Marte (b). Questi fu allevato da Priapo,
che
lo addestrò nella danza e in altri esercizj del c
ri esercizj del corpo, per cui divenne siffatamente atto alla guerra,
che
ne fu poscia tenuto come la principale Divinità.
. Per questo in Bitinia si offeriva a Priapo la decima delle spoglie,
che
si consecravano a Marte (c). Questo Nume ebbe anc
io (a). Si denominò Turio dal greco verbo theo, essere in furore : lo
che
esprime l’impetuosità di lui ne’ combattimenti(b)
ombattimenti(b). E’ stato chiamato Salisubsolo a cagione delle danze,
che
facevano i di lui Sacerdoti, detti Salj, de’ qual
vuol dire danno, e fu attribuito a questo Nume per alludere a’ mali,
che
porta seco la guerra (d). Si disse Gradivo dal ve
e donne di quella città gli offerirono un sacrifizio, cui non vollero
che
assistesse alcun uomo (g). Le Feste, sacre a que
rame. Numa Pompilio, il quale allora vi regnava, venne in cognizione,
che
l’impero del mondo era destinato a quella città,
o simili a quello, affinchè la difficoltà di riconoscerlo facesse sì,
che
non venisse rubato. Mamurio Veturio, eccellente a
città, e battevano nello stesso tempo sullo scudo con una nuda spada,
che
tenevano nella sinistra. Cantavano anche certi In
li avea ricercato in premio del suo lavoro (c). Altri sono di parere,
che
gli anzidetti Sacerdoti sieno stati detti Salj da
La seconda, affinchè Marte procurasse a’ Romani la felicità medesima,
che
aveano goduto Remo e Romolo, suoi figliuoli. La t
duto Remo e Romolo, suoi figliuoli. La terza, acciocchè la fecondità,
che
ha la terra nel mese di Marzo, si concedesse anch
). Marte andò soggetto a varie vicende. Ei volle opporsi agli Aloidi,
che
tentavano di rapire le Dee, Giunone e Diana. Colo
Diomede, figlio di Tideo, avea preso a proteggere i Trojani. Minerva,
che
odiava Venere, eccitò Diomede a combattere contro
Questo Dio, appenachè lo vide, tentò di ferirlo ; ma Minerva fece sì,
che
Diomede invece ferì lui. Peone, il Medico degli D
querelò appresso l’Areopago(6) ; ma il Nume seppe sì bene difendersi
che
ne partì assolto (c) (7). Pare che il culto di Ma
a il Nume seppe sì bene difendersi che ne partì assolto (c) (7). Pare
che
il culto di Marte non siasi molto esteso tra’ Gre
disputava la testa (b). Marte ebbe per compagno Eremartea, Divinità,
che
gli Antichi onoravano con certi rendimenti di gra
e, perchè esso è di natura molto coraggioso, ed ha il becco sì forte,
che
con esso giunge a forare il tronco degli alberi s
sì nella destra il fulmine. Sta vicino a lui il gallo, per ricordare,
che
questo Nume cangiò nella figura di tale uccello i
alli, Demo e Fobo, ossia le Spavento e il Timore (a). Plutarco vuole,
che
Fobo fosse figlio di questo Dio, e che a lui pure
il Timore (a). Plutarco vuole, che Fobo fosse figlio di questo Dio, e
che
a lui pure si sacrificasse per tenerlo lontano da
Giove e di Giunone(b). La maggior parte però de’ Teogonisti vogliono,
che
Vulcano sia nato dalla sola Giunone(c) ; e però g
ossia senza padre (d). Comparve sino dal suo nascere deforme. Per lo
che
Giunone secondo Omero, vergognatasi d’averlo dato
precipitò nel mare (e). Lo stesso Poeta poi in altro luogo soggiunge,
che
fa Giove quegli, il quale lo precipitò dal Cielo
o(f). Per quella cadura gli si ruppe una coscia, e divenne zoppo : lo
che
gli acquistò il nome di Tardipede, ossia tardo di
de (g). Ne presero cura di lui bambino que’ di Lenno(h). Omero vuole,
che
lo abbia educato Teti(a). Altri soggiungono, che
nno(h). Omero vuole, che lo abbia educato Teti(a). Altri soggiungono,
che
lo abbiano fatto le scimie(b). Inoltre fu detto I
he lo abbiano fatto le scimie(b). Inoltre fu detto Ignipotente, ossia
che
ba il fuoco in suo petere (c) ; Mulcibero dal lat
h’ella gli aveva dimostrato per causa della di lui bruttezza. La Dea,
che
non diffidava del figlio, allettata dalla bellezz
sedervisi, e sì fortemente ne rimase stretta da certi occulti legami,
che
diede motivo agli Dei di grande riso(g). Bacco fi
Aglaia ; comunemente però credesi, ch’egli non abbia avuto in moglie,
che
Venere(a). Il Nume fu avvertito dal Sole, che col
abbia avuto in moglie, che Venere(a). Il Nume fu avvertito dal Sole,
che
colei soleva starsene in affettuosi trattenimenti
stisi l’uno e l’altro colà a sedere, Vulcano tirò sì a tempo la rete,
che
ambedue vi rimasero inviluppati. Egli poscia invi
si solennizzavano spezialmente dagli artefici di rame, per ricordare
che
nella loro città si trovò l’arte di portre in ope
ella città, come lo erano que’ di Marte. Gli Auguri aveano giudicato,
che
il Dio del fuoco e quello della guerra non dovess
’ordinario erano i custodi de’ tempj di Vulcano(b). Eliano riferisce,
che
intorno al tempio, eretto a Vulcano sul monte Etn
intorno al tempio, eretto a Vulcano sul monte Etna, v’erano dei cani,
che
accarezzavano chi rispettosamente v’entrava, e di
no rappresentasi con barba e capigliatura negletta, coperto di veste,
che
appena gli giunge alle ginocchia, con beretta rot
istra(c). Albrico lo dipinse coll’aspetto di fabbro, deforme e zoppo,
che
con una mano alza in aria un maltello, e coll’alt
tanaglie per lavorate un fulmine. Al lato poi di lui evvi un’aquila,
che
attende il predetto fulmine per portarlo a Giove(
ano, ed ha appresso di se un mostro marino. (4). Comunemente dicesi,
che
Giapeto abbia sposasito Asia, figlia di Oceano e
Espero, Atlante, Menezio, Prometeo, ed Epimeteo(a). Esiodo però vuole
che
la madre di questi sia stata Climene, figlia d’Oc
viveano senza leggi e senza religione ; si cibavano solamente di ciò,
che
la terra da se produceva ; e divoravano gli stran
te di ciò, che la terra da se produceva ; e divoravano gli stranieri,
che
cadevano nelle loro mani(d). Furono anche creduti
anche creduti figliuoli di Nettuno e d’Anfitrite(e). Eurìpide vuole,
che
il loro padre sia stato Polifemo(f). Questi al di
simi tormenti, ove vengono rinchiusi gli scellerati(a). (7). Fingesi
che
, mentre regnava Saturno, abbia fiorito, la bella
a Notte(c), e la quale regolava con sì sovrana potenza tutte le cose,
che
alle sue disposizioni non solo gli uomini, ma tut
il Destino, credevasi esservi descritto l’avvenire ; come pensavasi,
che
l’urna, la quale trovasi talvolta tralle di lui m
o tempio, sacro alla Necessità, e il di cui ingresso non permettevasi
che
a’ ministri del medesimo(e) (d). Hesiod. Theog
Apollo Delfinio(g). (b). Apollod. l. 1. c. 4. (10). V’è chi dice,
che
Saturno non potè mai uscire da quel luogo(h). Luc
e Saturno non potè mai uscire da quel luogo(h). Luciano poi pretende,
che
Saturno a motivo della sua impotente età abbia sp
o dopo morte fu annoverato tra gli Dei Scelti, ossia tra quegli otto,
che
alle dodici Divinità maggiori si aggiunsero in Ro
tre solennità, sacre ad Agonio, Dio, il quale presiedeva alle azioni,
che
si doveano fare. A Giano oltre i mentovati nomi s
e. Dicono, ch’ Ercole le abbia introdotte, quando alle vittime umane,
che
s’immolavano a Saturno e a Plutone, vi sostituì d
tra gli antichi Servi, e quelli d’oggidì. I nostri sono gente libera,
che
spontaneamente prestano servigio, e al quale poss
sto erano sottoposti al dominio del loro padrone quasi non altrimenti
che
gli animali. Quindi potevano essere venduti, nien
itriclino, il quale si stabiliva dal padrone di casa, e avea la cura,
che
fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva al c
dal padrone di casa, e avea la cura, che fosse ben disposto tutto ciò
che
apparteneva al convito. Le tazze, in cui beveano,
nticamente i prigionieri di guerra s’immolavano alle ombre di coloro,
che
gloriosamente erano morti sul campo. Parve barbar
morti sul campo. Parve barbaro siffatto costume, e si stabilì quinci,
che
coloro dovessero in vece combattero gli uni contr
orte. Tali combattimenti si chiamarono Giuochi funebri. Queglino poi,
che
li sostenevano, si dissero Gladiatori da gladium,
. Quando l’offeso alzava il dito e abbassava l’arma, ciò era indizio,
che
davasi per vinto. La vita però di lui dipendeva d
uando colui erasi nella zuffa diportato con grande valore. Il premio,
che
riportavano i Gladiatori, da prima consisteva in
ga di legno, detta da’ Latini rudis (b), e dalla quale al Gladiatore,
che
la conseguiva, derivava il nome di Rudiario(c).
ero da’ Greci, e dagl’ Italiani Occasione. Questa però non presiedeva
che
al tempo il più conveniente a fare qualche cosa.
le consecrarono un tempio(e). Finalmente parlando del Tempo, nociamo,
che
il Gentilesimo riconosceva pure la Dea Eternità(a
he in atto di portare sopra un globo l’uccello, detto Fenice. Fingesi
che
questo animale sia unico della sua spezie, che do
detto Fenice. Fingesi che questo animale sia unico della sua spezie,
che
dopo essere vissuto cinquecento anni, formisi un
po essere vissuto cinquecento anni, formisi un nido di odorose legna,
che
sopra di queste da se si abbruci, e che rinasca p
isi un nido di odorose legna, che sopra di queste da se si abbruci, e
che
rinasca poi dalle stesse sue ceneri(c). (21). I
Col progresso del tempo vi si sostituirono gli animali. Eusebio vuole
che
Cecrope, primo re d’Atene, sia stato il primo a f
imo re d’Atene, sia stato il primo a farlo(f) ; ma Pausania asserisce
che
quegli non sacrificò mai alcun animale(g). S’intr
sservava parimenti, se quella lasciavasi placidamente sacrificare (lo
che
conoscevasi, traendo un coltello dalla di lei fro
alle fiamme, tale sacrifizio si appellava Olocausto. Le legna stesse,
che
si accendevano sull’altare, dovevano essere sacre
’incenso, e dal fumo di quello si presagiva parimenti l’avvenire : Io
che
dicovasi Capnomanzia. Terminavano le sacre funzio
e della vittima, e tali carni si denominavano Idolotiti(c). Avvertasi
che
niuno poteva assistete al Sacrifizio, se prima no
esso del tempio in un vaso, chiamato Acquiminario. Notisi per ultimo,
che
non si faceva quasi mai alcun sacrifizio senza li
are tal ceremonia, poichè non era permesso di prenderne da una vigna,
che
non ancora fosse stata tagliata. Era parimenti vi
uo sulle are di Minerva, e Delfo su quello di Apollo : e sì in Delfo,
che
in Atene si custodiva il medesimo da vedove avanz
requenza consultati sopra gli affari pubblici e privati. L’utile poi,
che
gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano
e poi, che gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano, fece sì
che
sempre di nuovi da per tutto se ne stabilissero(e
sì che sempre di nuovi da per tutto se ne stabilissero(e). I Ministri
che
li scrivevano e interpretavano, si dicevano Profe
e di molti altri ancora parleremo altrove. Quì soltanto aggiungiamo,
che
non è da confondersi l’Oracolo colla Teomanzia.Qu
n è da confondersi l’Oracolo colla Teomanzia.Questa era un vaticinio,
che
i Numi davano per mezzo di certi uomini, detti pe
i aver veduto o udito. Ciò era conforme alla falsa e stolta opinione,
che
le anime umane spesso abbandonassero i loro corpi
ta opinione, che le anime umane spesso abbandonassero i loro corpi, e
che
ora quà e là andassero vagando nelle regioni cele
ni celesti, ora si recassero al soggiorno de’ morti per osservare ciò
che
ivi si faceva, ed ora passassero a conversare cog
di Teomanti si può aggiungervi quella de’ Moribondi, ossia di quelli,
che
vicini a morte credevano di conoscere l’avvenire(
a dalle altre Genti senza il loro consiglio e approvazione(a). E’fama
che
ad erudirli in quell’arte il primo sia stato Tage
enio, e nipote di Giove. Altri dicono ch’egli era di oscuri natali, e
che
divenne illustre, tostochè professò l’arte d’indo
ato prodigio, tutta si raccolse intorno a lui la Toscana gente. Tage,
che
sotto le sembianze di fanciullo riuniva in se la
imo, nativo di Clazomene, città della Ionia nell’ Asia Minore. Dicesi
che
la di lui anima soleva separarsi dal corpo, e che
Asia Minore. Dicesi che la di lui anima soleva separarsi dal corpo, e
che
vi rientrava dopo di essersi trasferita in differ
i trasferita in differenti luoghi a predirvi l’avvenire. Si aggiunge,
che
la di lui moglie in una di tali circostanze ne fe
una di tali circostanze ne fece seppellire o abbruciare il corpo : lo
che
impedì allo spirito di Ermotimo di rimettersi nel
ibito alle donne il mettervio piede(e). Finalmente è famoso il fatto,
che
intorno all’ Indovino Accio Navio raccontasi da T
gli ricercò, se potevasi eseguire ciò ch’egli pensava. Accio rispose
che
si poteva farlo. Tarquinio stava allora ravvolgen
con cui questi prendevano il cibo ; laddove gli Auguri erano quelli,
che
dal garrire degli uccelli predicevano l’avvenire(
nti altresì avevano un’apposita spiegazione. La classe degl’Indovini,
che
si applicavano all’osservazione de’fulmini, si di
iamat Aruspicina o Estipicio, versava nell’osservare, se gli animali,
che
si doveano sacrificare, si lasciavano pacificamen
l’ Indovini notè passare sino a noi. V’ha anche oggidì qualche furbo,
che
professa la Chiromanzia, ossia la stolta scienza,
evatezze della parte interna delle mani e dita, ma i solchi eziandio,
che
le medesime eminenze lasciano tra loro. Si fa gra
ia col fuso(c), e nella destra un’ asta e uno scudo(d). Altri dicono,
che
questo simulacro siasi formato delle ossa di Pelo
o siasi formato delle ossa di Pelope(e). Comunemente però pretendesi,
che
Ilo, quarto re di Troja nell’ Asia Minore, abbia
uale gli fosse stato di buon augurio per la durata della città d’Ilo,
che
stava formando ; e che ad assicurarnalo sia cadut
buon augurio per la durata della città d’Ilo, che stava formando ; e
che
ad assicurarnalo sia caduta dal Cielo quella stat
olta a’ Trojani dai due Greci, Ulisse e Diomede(b). V’è chi pretende,
che
i predetti Greci non abbiano rapito che una copia
Diomede(b). V’è chi pretende, che i predetti Greci non abbiano rapito
che
una copia simile all’ originale ; che il vero Pal
edetti Greci non abbiano rapito che una copia simile all’ originale ;
che
il vero Palladio sia rimasto appresso i Trojani ;
’ originale ; che il vero Palladio sia rimasto appresso i Trojani ; e
che
Enea, essendose ne impossessato, lo abbia seco lu
ssato, lo abbia seco lui trasferito in Italia(c). Altri poi vogliono,
che
Diomede dopo la distruzione di Troja, trasportato
d uno de’ di lui amici, chiamato Naute(d). Comunque ciò sia, certo è,
che
il Palladio anche da’ Romani si tenne in somma ve
e lo vide avvicinarsele, si gettò nel Tebro. Il Nume voleva impedire,
che
coleiosi nascondesse in quelle acque. Lara, o’ La
Romani conseguì da Giove l’immortalità, e venne cangiata in fontana,
che
ritenne il di lei nome, e la quale dalle donne sp
Lucres. l. 2. (7). I monti erano rìputati sacri, perchè credevasi,
che
v’avessero il loro soggiorno i Numi(c). (h). Ma
iconosceva anche una Divinità misteriosa, il di cui nome non era noto
che
alle donne. Plutarco la confonde con Flora, detta
er la licenza e dissolutezza, con cui si celebravano(d). Varrone dice
che
Buona-Dea fu chiamata la moglie di Fauno, re d’It
hiamata la moglie di Fauno, re d’Italia, perchè ella visse sì pudica,
che
non guardò m i in volto verun altro uomo, che il
è ella visse sì pudica, che non guardò m i in volto verun altro uomo,
che
il suo marito(e). Per questo le sole donne Romane
mio, cioè pubblico : e Damia parimenti fu detta sì la sacrificatrice,
che
quella, a cui si sacrificava. Nè solamente nel lu
si alcun uomo, ma perfino vi si cuoprivano con velo anche le pitture,
che
rappresentavano qualsivoglia figura maschile. All
è prediceva l’avvenire dal volo degli uccelli(h). Finalmente notiamo,
che
appresso i Romani conseguì gli onori Divini ande
erchè insegnò a nettare dal lettame la terra(a). Macrobio però vuole,
che
per l’addotta ragione così siasi denominato Satur
de’ particolari(c). Cesare nel tempio di Ope depositò il suo tesoro,
che
fu poi dissipato da Antonio. (b). Apulej. Metam
li uccelli, era inevitabilmente condannato alla morte, non altrimenti
che
se avesse fatto perire l’Ibi, uccello, a cui pure
cui pure gli Egiziani rendevano gli onori Divini. Dicesi finalmente,
che
una certa Pamila di Tebe in Egitto, ritornando da
ove, ov’ erasi recata per attignere dell’acqua, aveva udito una voce,
che
le comandava di pubblicare la nascita di Osiride
a nascita di Osiride ; ch’ ella n’era stata scelta a di lui balia ; e
che
gli Egiziani, avendo voluto ch’ella pure partecip
e, dette dal nome di lei Pamilie(a). (11). Oro fece guerra a Tifone,
che
aveva fatto morire Osiride, e dopo di averlo vint
padre, ma poi dovette soccombere sotto la forza de’ Principi Titani,
che
lo misero a morte. Iside, avendo trovato il corpo
ricolmò l’Egitto di benefizj, e ne divenne un Nume(b). Matrobio dice,
che
gli Egiziani sotto il nome di Oro adoravano il So
d). Essendo poscia apparso agli Egiziani un bue, si credette da loro,
che
Osiride si fosse trasformato in quell’ animale, e
i Oceano e di Teti. Elleno si distinguevano in varie classi : quelle,
che
si trovavano negli stagni, si dicevano Limniadi(c
a o un piccolo Delfino(n). Najadi poi furono denominate quelle Ninfe,
che
presiedevano a’ fonti e a’ fiumi(o), da’ quali pr
de di fiori, e se ne coronavano anche i pozzi(d). Scaligero poi dice,
che
così in ispeziale modo si onorava la fonte, la qu
Il nome poi di Ninfe per catacresi si diede anche a quelle Divinità,
che
presiedevano ad alcune parti della terra. Quindi
ro le chiama Orestiadi, e le fa figliuole di Giove(g). Strabone dice,
che
nacquero da Foroneo e da Ecate ; e vuole che foss
Giove(g). Strabone dice, che nacquero da Foroneo e da Ecate ; e vuole
che
fossero cinque(h). Virgilio soggiunge ch’erano mo
i esistere, quando quelle pure mancavano(f). Notiamo in ultimo luogo,
che
sebbene non avessero le Ninfe alcun tempio, nulla
offrivano, e si sacrifica vano anche delle capro. Alcuni credettero,
che
grata altresì riuscisse ad esse l’obblazione del
ano amantissimo(g). (b). Nat. Com. Myth. l. 9. (15). Pausania dice
che
Sagaritide o Sangaride non fu amante, ma madre di
elva, e sotto il nome di Ati crebbe egli di sì rara bellezza fornito,
che
Agdesti medesimo se ne invaghì. Giunto quegli all
ola. Agdesti vi sopravvenne, e tal furore inspirò nell’ animo di Ati,
che
questi si fece eunuco(h). Notisi altresì, che sec
irò nell’ animo di Ati, che questi si fece eunuco(h). Notisi altresì,
che
secondo alcuni Scrittori Lido e Tirreno non nacqu
. (16). Ati dopo morte ricevette gli onori Divini(b). Pausania dice,
che
gli fu eretto un tempio in Dime, ultima città del
efice P. Licinio condanuò ad essere battuta colla sferza una Vestale,
che
avea lasciato spegnersi il sacro fuoco in tempo d
ocò la sua Dea, e gettato il proprio velo sulla fredda cenere, dicesi
che
all’improvviso comparvero di nuovo le fiamme(h).
). (19). Numa Pompilio condannava ad essere lapidate quelle Vestali,
che
non serbavansi vergini. Festo accenna una legge,
ntrodusse poi anche il costume di seppellirle vive in un sotterraneo,
che
si trovava nel Campo Scelerato presso la Porta Co
la Vestale rimase giustificata(a). Dionisio però d’Alicarnasso vuole,
che
colei non abbia potuto evitare la pena di essere
le, che colei non abbia potuto evitare la pena di essere flagellata e
che
sia stata poscia sepolta viva(b). (a). Canvel.
d’Argivi, formate di giunchi, e dette esse pure Argee. Plutarco dice,
che
i primi abitatori di que’ dintorni soleano gettar
tti i Greci ; ch’Ercole li persuase a cangiare sì barbaro costume ; e
che
per espiare il loro delitto li indusse a fare dei
ppati nelle contraddizioni dell’Istoria e nelle tenebre della Favola,
che
appena si rende probabile di poter asserirne la v
bile di poter asserirne la verità. Platone, il primo fra gli Antichi,
che
ne parlasse, non fa menzione che di una sola Sibi
. Platone, il primo fra gli Antichi, che ne parlasse, non fa menzione
che
di una sola Sibilla(e). Parecchi ne’ secoli poste
la sola Erofila, nata in Eritrea, città dell’Asia Minore(f). Dissero
che
questa viaggiò moltissimo, e fu però con varj nom
sto ultimo le nominò la Delfica, l’Eritrea, e la Cumana. Eliane disse
che
furono quattro, l’Eritrea, la Samia, la Sardica,
come adaltri piace chiamarla, era di nome Sambete(f). Pausania narra
che
gli Ebrei, i quali abitavano al di sopra della Pa
figlia di Beroso. Ella, continua lo stesso Storico, e quella stessa,
che
da alcuni si appella la Sibilla di Babilonia, e d
era Elissa. Dicono die vivesse prima dell’ ottantesima Olimpiade : lo
che
si accorda coll’ Epoca di Euripide(h). La Delfica
la volta all’anno, pure si raccolse gran quantità di versi ; e dicesi
che
anche Omero n’ abbi sparso nel suo Poema(i). Tibu
esametri predicesse l’avvenire. Celio Rodigir o finalmente asserisce
che
questa Sibilla era figlia di Dardano e di Neso, n
elebre in Cuma, città d’Italia(b). Secondo Diodoro Siculo è la stessa
che
la Delfica(c). Alcuni poi la denominano Femonoe(d
ama Deifobe, figlia di un certo Glauco(e). Narrasi di questa Sibilla,
che
Apollo non solamente le concesse di cohoscere l’a
cohoscere l’avvenire, ma le offerse eziandio qualsivoglia altra cosa,
che
bramar potesse. Ella chiese di vivere tanti anni,
uindi tutti sopra di lei si accumularono i danni del tempo ; e dicesi
che
avesse 700. anni, quando la interrogò Enea intorn
fondo di un antro, uscendo da cento parti del medesimo orribili voci,
che
rendevano attonito chiunque la consultava(g). In
oglie, da lei disposte nell’ingresso dell’antro. Spesso poi accadeva,
che
il vento all’aprirsi della porta le dispergesse ;
rgesse ; nè più ella le rimetteva nell’ ordine primiero donde nasceva
che
i consultanti di frequente delut se ne partissero
ea, come abbiamo detto, si diede il nome di Erofila. Lattanzio vuole,
che
sia stata con no me proprio chiamata Eritrea, e c
Lattanzio vuole, che sia stata con no me proprio chiamata Eritrea, e
che
abbia avuti i suo natali in Babilonia(b). Pausani
, e che abbia avuti i suo natali in Babilonia(b). Pausania riferisce,
che
no bosco sacro del tempio di Apollo Sminteo sussi
ancora a’ suoi giorni il sepolcro di questa femmin(c). E quì si noti,
che
i boschi furono i primi luoghi, destinati al cult
primi luoghi, destinati al culto delle Divinità(d), perchè credevasi,
che
il silenzio e l’oscurità di que’ recinti fossero
tempj ; ma quelli si piantavano sempre intorno a questi, e sì gli uni
che
gli altri erano del pari rispettati. Tagliare alc
e era lecito il levare da di là se non gli alberi, i quali si credeva
che
attraessero il fulmine. In tali boschi finalmente
amia avea il nome di Fitò(f). Eusebio pei la denomina Erofile, e dice
che
vivesse a’ tempi di Numa Pompilio(g). Da Isidoro
itj la consideravano bro concittadina. Resasi rinomatissima, è certo,
che
se ne scolpiva l’effigie nelle moneto con una Sfi
proponeva certi enigmi, ricevuti dalle Muse, e uccideva tutti coloro
che
non ne davano la giusta spiegazione(c), però la d
la giusta spiegazione(c), però la di lei figura si usò per indicare,
che
la sopraddetta Sibilla patimenti rispondeva oscur
patimenti rispondeva oscuramente a chi la interrogava. Eraclide vuole
che
costei enunziasse i suoi vaticinj a’ tempi di Sol
o innoltre un bosco e una fonte, sacri alla stessa Sibilla(a). Dicesi
che
la di lei statut con un libro in mano siasi trova
i lei statut con un libro in mano siasi trovata nel predetto fiume, e
che
il Senato Romano con solenne pompa l’abbia trasfe
ece la medesima ricerca per i tre ultimi. La fermezza di lei fece sì,
che
Tarquinio consultasse gli Auguri, per consiglio d
i Roma spesso consultava(a). Era stabilita la pena di morte a quello,
che
avesse lasciato leggere que’ libri senza decreto
tre da varj altri luoghi, ove le Sibille aveano vaticinato(c). Dicesi
che
nel favoloso impasto, il quale portava il nome di
. Volea rimanersene vergine nelle foreste, nè altro piacere coltivava
che
quello della caccia sulle più alte montagne dell’
Arcadia. Giunsero colà i due Centauri, Ileo, e Reco o Reto. Atalanta,
che
abborriva perfino la società degli uomini, tese l
degli uomini, tese l’arco, e li mise a morte(e). Virgilio però vuole,
che
sieno stati uccisi da Bacco(f) ; e Ovidio pretend
o però vuole, che sieno stati uccisi da Bacco(f) ; e Ovidio pretende,
che
li abbia fatti perire Driante al tempo delle nozz
ti, affinchè siscegliesse uno di loro in isposo, dichiarò finalmente,
che
tale le sarebbe divenuto quello, il quale avesse
uale avesse potuto vincerla nella corsa, soggiungendo al tempo stesso
che
la morte sarebbe stata il castigo del vinto. Benc
colti in Tamaseno, campo dell’ Isola di Cipro, e lo instruì dell’ uso
che
far ne doveva. L’uno e l’altra si staccarono dall
ovo, ma poi tornò a distrarsi dal trasporto di fare suo l’altro pomo,
che
le si presentò dinanzi agli occhi. Ippomene rigua
della meta. Atalanta perdette tempo nel pigliare anche quello : ond’è
che
rimase alle spalle d’Ippomene, nè più gli contras
evuto da Venere. La Dea, volendo prenderne vendetta, inspirò sì a lui
che
ad Atalanta l’empio progetto di profanare un empi
fecero ; e Cibele sdegnatà li cangiò in leoni(a). Notiamo per ultimo,
che
non è da confondersi questa Atalanta coll’altra d
(q) ; Robigo, o Rubigo ne allontanava la ruggine (r). Varrone vuole,
che
fosse un Nume chi ciò faceva, e che a di lui onor
va la ruggine (r). Varrone vuole, che fosse un Nume chi ciò faceva, e
che
a di lui onore si celebrassero le Feste Robigali
di lui onore si celebrassero le Feste Robigali (s), Plinio riferisce,
che
le medesime vennero instituite da Numa Pompilio (
a Nettuno il figlio Cercione, di cui parleremo (b). V’è chi credette,
che
Trittolemo ed Eubuleo fossero figliuoli di Disaul
stati quelli ; i quali avvertirono Cerere del ratto di sua figlia, e
che
la Dea per gratitudine abbia loro insegnato a col
e (a). Così poi crebbe la superstiziosa venerazione verso i medesimi,
che
ad essi si assegnarono perfino Sacerdoti e Minist
n. in Cerer. (d). Ovid. Metam. l. 5. (8). Appresso Igino leggesi,
che
nella Costellazione dell’ Emisfero Boreale, detta
rittolemo (e). Rapporto poi alla predetta Costellazione altri dicono,
che
Ercole, avendo liberato le rive del fiume Sangari
le, avendo liberato le rive del fiume Sangario da un grosso serpente,
che
ne divorava gli abitanti, fu da Giove con quel se
iove con quel serpente collocato tragli Astri (f). Altri soggiungono,
che
Triopa, re di Tessaglia, per aver saccheggiato un
io di Cerere, fu primieramente punito con una tormentosissima fame, e
che
poi fu messo a morte dal morso di un serpente, e
erpente, e con questo trasferito in Cielo. Da Igino però soggiungesi,
che
il predetto Triopa colà salì, perchè liberò l’iso
redetto Triopa colà salì, perchè liberò l’isola di Rodi da’ serpenti,
che
la infestavano (g). Eratostene finalmente è di pa
serpenti, che la infestavano (g). Eratostene finalmente è di parere,
che
sotto il nome di Serpentario debbasi riconoscere
offerte alla fontana, in cui era stata convertita Ciane. Pretendesi,
che
Ercole sia stato il primo a porgervi sactifizio,
lpidi, ebbero eglino soli pel corso di moltissimi anni il privilegio,
che
uno di loro fosse sempre il Gerofante del tempio
tinguevano in ginnici e scenici. Questi ultimi da principio non erano
che
Inni e Canti in onore degli Dei. Vi s’introdusser
parimenti a cavallo, chiamata da’ Greci Ippodromia (e), sì onorevole,
che
intraprendevasi anche dalle persone di alto grado
stessi, i quali non meno ambivano la gloria di riportarvi il premio,
che
quella di trionfare de’ loro nemici (g). Il Salto
ttarla o più alto, o più lungi di una determinata meta (b). Queglino,
che
vi si esercitavano, erano chiamati Discoboli (c).
te atterrarsi. Chi più vi resisteva, n’era premiato (e). Sì la Lotta,
che
il Pugilato al dire di alcuni (f) venivano indica
i con esso si abbracciavano tutti cinque i predetti esercizj (g) : to
che
appresso i Greci esprimevasi anche dalla voce Pen
lo, e appresso i Romani dall’ altra Quinquerzio (h). Quindi queglino,
che
vi si esercitavano, chiamavansi Paneraziasti (i),
usavano un certo abito di lungo pelo, detto Endromide (o). Il premio,
che
da principio riportavano a tali Giuochi, era una
a). La loro celebrità altresì otteneva loro talvolta il premio, senza
che
si attendesse l’esito della tenzone. Così mentre
o del Disco, Achille lo diede subito ad Agamennone (b). Queglino poi,
che
presiedevano a’ ubblici Giuochi, e ne distribuiva
gonoteti (d). Suida distingue gli Agonoteti dagli Atloteti in questo,
che
i primi presiedevano agli esercizj scenici, e i s
to venticinque passi (b), ove si faceva la corsa, e dal quale coloro,
che
vi si esercitavano, si dicevano Stadiodromi (c).
ltro luogo, detto Efebeo o Efebio dagli Efebi, ossia da que’ giovani,
che
arrivati alla pubertà, cominciavano ad addestrasi
circondato di gradini e sedili, i quali andavano alzandosi in guisa,
che
gli spettatori da ogni lato potevano vedere. Nell
. Graec. l. 2. (g). Nat. Com. Mythol. l. 5. (15). Erodoto vuole,
che
le figliuole di Danao abbiano potiato dall’ Egitt
Tesmoforie, e ne abbiano erudito le donne Pelasge (b). Altri dicono,
che
tali Feste s’instituirono da Orfeo (c). (a). Po
tà portavano una corona di spighe, legata con bianco nastro. Credesi,
che
questa sia stata la prima sorte di corone, la qua
uale siasi usata appresso i Romani (f). Tale sacerdozio non terminava
che
colla vita (g). Eccone l’origine : Acca Laurenzia
lui luogo (h). E quì parlando della predetta donna, si noti altresì,
che
la stessa instituì il Popolo Romano erede delle m
a stessa instituì il Popolo Romano erede delle molte sue ricchezze, e
che
pefò ne fu annoverata tra le Divinità (i), ed ebb
o Laurentinali, o Larentinali, o Accali (a). Scaligero poi pretende,
che
le anzidette Feste fossero state introdotte per o
l. 5. (a). De Theolog. Gentil. l. I. (1). IN memoria della cura,
che
presero di Giove i Coribanti, in Cnosso, città di
ttare è la bevanda degli Dei, come l’ambrosia n’è il cibo. Credevasi,
che
questa, come suona la sua crimologia, rendesse im
e di costoro varie sono le opinioni degli Antichi. Alcuni pretendono,
che
sieno nati non dalla sola Terra, ma da questa e d
(g). Omero li fa figliuoli di Nettuno e d’Ifimedea (h). Altri dicono,
che
sieno stati prodotti dal sangue de’Titani, uccisi
cui la loro madre erasi unita in matrimonio(f). Di Polibote leggesi,
che
mentr’egli toccava co’piedi il più profondo del m
to appena gli arrivava alla eintura(g). Omeco riguardo a Tifone dice,
che
Giunone sdegnata, perchè Giove, come vedremo, ave
i gli altri Dei di permettere, ch’ella pure da se sola partorisse ; e
che
battendo poscia con una mano la terra, ne usciros
i quali formarono Tifone(h). Il corpo di costui era di tale altezza,
che
arrivava alle stelle : con una mano toocava l’Ori
sterminati(l). Vuolsi altresì da Filostrato, cu’ egli fosse lo stesso
che
Encelado(a). Intorno a Briareo Omero soggimge, ch
li fosse lo stesso che Encelado(a). Intorno a Briareo Omero soggimge,
che
questo Gigante con tal nome era chiamato dagli De
Metam. l. 5. (5). Di là ripetesi l’origine dello stranissimo culto,
che
gli Egiziani solevano rendere alle piante e alle
evano rendere alle piante e alle bestie(h). Diodoro di Sicilia narra,
che
que’ popoli ridotti dalla carestia a mangiare car
giare carne umana, non mai però toccarono alcuno de’ loro animali ; e
che
anche allora quando si dosiderò da Tolommeo, re d
o messi a morte dalle frecce di Apollo e di Diana(c) Omero però dice,
che
li privò di vita il solo Apollo(d)Polibote, inseg
po, e formò l’altra Isola, detta Nisiro(e)Apollonio di Rodi racconta,
che
Tifone, fulminato da Giove sul monte Caucaso, and
so, andò a seppellisri nella palude Sterbonide(f) Plutarco soggiunge,
che
gli Egiziani solevano dire, che i vapori di quell
ude Sterbonide(f) Plutarco soggiunge, che gli Egiziani solevano dire,
che
i vapori di quella palude erano effetto del respi
vano dire, che i vapori di quella palude erano effetto del respirare,
che
vi faceva lo stesso Gigante : e quindi l’anzidett
palude da loro chiamavasi lo spiraglio di Tifone(g). Virgilio vuole,
che
costui sia stato sepolto sotto l’Isola Inarime(h)
costui sia stato sepolto sotto l’Isola Inarime(h). Altri pretendono,
che
colpito dal fulmine nella Sicilia(i), sia rimasto
(l). (d). Id. Ibid. l. 2. (e). Apollon. l. 3. (7). Omero dice,
che
il padre di Deucalione si chiamava Minos(m). (f)
m. Mytol. l. 8. (a). Ovid. Met. l. 1. (8). In memoria di coloro,
che
per causa di quel Diluvio perirono, si celebraron
fece pure fronte a tutti i suoi Avversarj, nè gli restava a vincerne
che
uno, per riportare il premio. Questi gli si avven
icne tuttavia, vicino a spirare, gli morse sì violentemente un piede,
che
colui cadde in, terra morto. Per questo Arrichion
nzo da Ariobarzane, re di Persia, mangiò da se solo tutte le vivande,
che
doveano servire per nove convitati(e). Più volte
iagora, e fratello di Damagete, discendenti da que’ di Rodi. Narrasi,
che
la prima volta che Acusilao fu coronato ne’ medes
di Damagete, discendenti da que’ di Rodi. Narrasi, che la prima volta
che
Acusilao fu coronato ne’ medesimi Giuochi, egli p
palle, e lo portò per le vie d’Olimpia in mezzo alla folla de’ Greci,
che
spargevano fiori per dove passava. Diagora, Damag
condannato a perdere il premio. Cleomede ne concepì tale dispiacere,
che
divenne pazzo. Ritornando quindi alla sua patria,
a, e scosse sì fortemente la colonna, la quale ne sosteneva il tetto,
che
questo cadde, e mise a morte sessanta fanciulli.
osa era avvenuto di lui ; e si udì ch’egli era l’ultimo degli Eroi, e
che
conveniva onorarlo co’sacrifizj(c). Dicono, che M
’ultimo degli Eroi, e che conveniva onorarlo co’sacrifizj(c). Dicono,
che
Milone di Crotona siasi posto sulle spalle un tor
Milone di Crotona siasi posto sulle spalle un toro di quattro anni, e
che
correndo ; lo abbia portato sino all’estremità de
bbia portato sino all’estremità della carriera, senza mai respirare ;
che
poi lo abbia ucciso con un pugno, e solo nello st
a Giovo(e). Egli innoltre teneva nella mano sì chiuso un Melogranato,
che
niuno glielo poteva estrarre da quella. Saltava a
ti sopra un disco, asperso d’oglio, ed ivi sene stava talmente fermo,
che
altri, prendendo la corsa, e impetuosamente urtan
o con tutta la forza le labbra, così si gonfiava i muscoli del corpo,
che
si spezzava la fune(a). Finalmente questo Atleta,
leta, confidando nella propria robustezza, volle fendere una quercia,
che
già cominciava ad aprisi ; e il suo braccio vi re
di Creta, fu premiato nella Corsa. Questo godeva sì alta riputazione,
che
gli Efesini gli offrirono una somma d’argento, on
eti(e). Teagene, della città di Taso, fu quello tra tutti gli Atleti,
che
abbia riportato più corone a’ Giuochi pubblici. E
le da uno de’ di lui nemici veniva frequentemente insultata. Avvenne,
che
quella cadde finalmente sopra colui, e lo schiacc
lo schiacciò. I Tasj per eccitamento de’di lui figliuoli decretarono,
che
quella fosse gettata in mare. Dovettero però racc
l’Oracolo avea dichiarato, non avrebbono potuto liberarsi dalla fame,
che
poco dopo era insorta ad affliggerli(a). Teopompo
riprenderlo, nè si trovò più capace. Ne concepì tale rincrescimento,
che
essendogli divenuta grave la vita, accese il rogo
(11). Il nome di Parentali davasi anche alle Feste, ossia a’conviti,
che
da’ Romani ogni anno s’imbandivano per onorare i
i anno s’imbandivano per onorare i loro parenti morti. Ausonio vuole,
che
sieno state instituite da Numa Pompilio ; e Ovidi
). Geogr. l. 7. (c). Herodot. Histor. l. 2. (12). Servio vuole,
che
quella colomba avesse le penne di colore d’oro.
rire a caso un libro di qualche Poeta, e coll’interpretarvi il verso,
che
primo si offtiva agli occhi : ma questa ultima ma
i segni, di cui se ne consultava la spiegazione in alcune Tavole : lo
che
si chiamava Oleromanzia. In alcuni tempj ciascuno
remonie. Le Sorti si gettavano sulle sacre mense degli Altari. Dicesi
che
tali maniere d’indovinare sieno state inventate,
tal. (f). Pitisc. (g). Varro de L. L. l. 5. (15). Esiodo dice
che
il Giuramento nacque dalla Dea Eride, ossia Disco
mutuo consenso. Vi si chiamavano poscia gli Dei in testimonio di ciò,
che
si stabiliva ; e si pronunziavano altresì orribil
pergiurato. Costui era considerato il più grande empio ; e si credeva
che
venisse sorpreso e agitato dalle Furie(e). Qualch
altempo di tali Giuochi. Oltre siffatta corsa eravi quel la d’uomini,
che
correvano a piedi. Davasi anchè lo spettacolo del
spettacolo del Pugilato, della Lotta, e della Naumachia (e). Quegli,
che
n’era il vincitore, veniva condotto con molta pom
a condotto con molta pompa al tempio, e coronavasi di mirto. Narrasi,
che
un certo Ratumeno Romano, correndo in questi Giuo
erto Ratumeno Romano, correndo in questi Giuochi, cadde dal carro ; e
che
i di lui cavalli, avendo continuato il loro corso
ate nel fuoco (a). Allora tutti potevano avvicinarsi alla stessa : lo
che
non era permesso il restante dell’anno (b). Prete
essa : lo che non era permesso il restante dell’anno (b). Pretendesi,
che
quell’ara indicasse, che i consigli devono essere
messo il restante dell’anno (b). Pretendesi, che quell’ara indicasse,
che
i consigli devono essere secreti (c). Col progres
ensi, perchè si celebravano nel Circo Massimo (e). I Greci credevano,
che
fossero stati così denominati da Circe, figlia de
così denominati da Circe, figlia del Sole, perchè questa fu la prima,
che
l’introdusse (f). (a). Varro de L. L. l. 5. (
de L. L. l. 5. (18). Spoglie opime appresso i Romani erano quelle,
che
un Generale toglieva a quello dell’armata nemica,
(c). Fest. de Verb. signif. (d). Pitise. (19). Arnobio dice,
che
il Giove Conservatore era Esculapio, del quale pa
menta di Giove Capitolino si trovò la testa di un certo Tolo (i) : la
che
servì a’Romani d’augurio, che la loro città sareb
rovò la testa di un certo Tolo (i) : la che servì a’Romani d’augurio,
che
la loro città sarebbe divenuta la dominatrice di
bbe divenuta la dominatrice di tutto il mondo (l). Quindi quel monte,
che
prima si chiamava Saturnio, perchè v’avea dimorat
, Vergine Vestale, fu in fine detto Campidoglio (a). Scaligero vuole,
che
sia stato così detto, perchè sovrastava a tutta l
, come dicevasi, non potesse cangiare situazione (f). Lattanzio dice,
che
il Dio Termine era quella stessa pietra, che Satu
one (f). Lattanzio dice, che il Dio Termine era quella stessa pietra,
che
Saturno avea divorato in luogo di Giove (a). Dion
avea divorato in luogo di Giove (a). Dionisio d’Alicarnasso pretende,
che
il Dio Termine e Giove fossero la medesima Divini
e Giove fossero la medesima Divinità (b). Comunque ciò sia, certo è,
che
Giove pure era soprannominato da’Romani Terminale
invitata ad un convito da Apollo, mangiò certe erbe, per cui avvenne,
che
mentr’ella per lo innanzi era stata sempre steril
empi di Servio Tullio era venerata nel Campidoglio. Leggesi innoltre,
che
M. Livio, essendo Console, fece voto di fabbricar
di fabbricarle un tempio nel giorno, in cui avesse vinto Asdrubale, e
che
n’eseguì la promessa, mentr’era Censore (a). Dopo
tempo sovrastava una nuova guerra con Antioco (b). Notisi per ultimo
che
siccome Ebe era la Dea della Gioventù, così Senvi
zzone fiammeggiante in ambe l’estremità, il quale talora non mostrava
che
una sola fiamma ; ovvero come una macchina acuta
due parti, e armata di due frecce. Sotto questa seconda forma sembra,
che
abbia voluto darcelo a divedere anche Luciano, il
il fulmine di Giove lungo dieci piedi (e). Virgilio finalmente vuole,
che
i fulmini di Giove sieno molti, e che ognuno di e
(e). Virgilio finalmente vuole, che i fulmini di Giove sieno molti, e
che
ognuno di essi contenga tre raggi di grandine, tr
e di pioggia, tre di fuoco, e tre di vento. Lostesso Poeta soggiunge,
che
ne’medesimi sonovi mescolati i lampi terribili, l
a, e onoravasi con inni e altre particolari ceremonie. V’è chi pensa,
che
fosse così onorato Giove stesso sotto il simbolo
superiori e inferiori denti (c). Sotto il predetto altare sì i Greci
che
i Romani ponevano un’urna coperta, che racchiudev
il predetto altare sì i Greci che i Romani ponevano un’urna coperta,
che
racchiudeva le reliquie delle cose abbruciate o a
ulmine, chiamavasi Bidentale. Bidentali si dicevano pure i Sacerdoti,
che
espiavano i predetti luoghi (e). Plinio dice, che
o pure i Sacerdoti, che espiavano i predetti luoghi (e). Plinio dice,
che
non era permesso d’abbruciare il corpo di coloro
’abbruciare il corpo di coloro ch’erano stati colpiti dal fulmine, ma
che
conveniva seppellirlo (f). Ciò però non era in us
ò però non era in uso appresso i Greci, giacchè da Euripide sappiamo,
che
Capaneo, dopo essere rimasto fulminato, ricevette
mperare il cattivo odore. A tale oggetto si aspergeva anche il corpo,
che
doveasi dare alle fiamme, di varj fragranti liquo
parenti altresì v’abbruciavano porzione de’loro capelli. Si pregava,
che
il vento prestamente consumasse il tutto. Frattan
evano le ceneri e le ossa del morto, non consumate dal fuoco (c) : lo
che
si diceva Ossilegio. Le bagnavano con latte e vin
petrare tranquillo riposo allo stesso defunto(a). Notiamo per ultimo,
che
Jouvency indica la vera differenza, che v’è tra R
funto(a). Notiamo per ultimo, che Jouvency indica la vera differenza,
che
v’è tra Rogo, Pira, e Busto (b). Egli la prese da
st. Antiq. Rom. l. 1. (26). Panteon era anche il nome delle Statue,
che
riunivano in se gli attributi di molti Numi (d).
(g) o Semipadre (h). Egli ebbe in Roma sul monte Quirinale un tempio,
che
fu fabbricato da’Sabini (i). Dionisio d’Alicarnas
o, che fu fabbricato da’Sabini (i). Dionisio d’Alicarnasso poi vuole,
che
il medesimo sia stato eretto da Tarquinio il Supe
oi vuole, che il medesimo sia stato eretto da Tarquinio il Superbo, e
che
quaranta anni dopo la di lui morte Spurio Postumi
l’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sì sacro,
che
l’uccisione d’un ospite era il più orrendo misfat
ase erano aperte a tutti, sicchè tutti potevano servirsi di ogni cosa
che
vi trovavano, senza però portarne via alcuna. I L
letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero della mensa,
che
veniva loro imbandita. Alle Dee però in vece di l
. (a). Ovid. Metam. l. 1. (b). Id. Ibid. (29). Alcuni dicono,
che
Licaone venne mutato in Lupo, perchè sacrificò un
sacrificò un fanciullo, e col di lui sangue ne bagnò l’ara di Giove,
che
trovavasi sul monte Liceo (c). Altri soggiungono,
l’ara di Giove, che trovavasi sul monte Liceo (c). Altri soggiungono,
che
il predetto Re era religioso e caro al suo popolo
d’Arcadia la città di Licosura, la più antica di tutta la Grecia ; e
che
v’inalzò un altare a Giove Liceo, al quale egli i
endo ridurre i suoi Sudditi all’osservanza delle sue leggi, pubblicò,
che
Giove si recava spesso a visitarlo sotto la figur
arono tralle carni delle vittime anche quelle d’un giovine, persuasi,
che
Giove soltanto se ne avrebbe potuto accorgere. Co
una grande tempesta, insorta con gagliardissimo vento, e il fulmine,
che
incenerì tutti gli autori di quel delitto. (30).
a avvertiti di schivare dall’incontrarsi in Melampigo, ossia in colui
che
al di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abb
al di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abbatterono in Ercole,
che
dormiva sotto un albero, e tentarono di assalirlo
r la strada colla testa rivolta all’ingiù. Coloro osservarono allora,
che
il dorso d’Ercole era nero ; e ricordandosi dell’
cederla al secondo : e questi per la stessa ragione al teizo. Quegli,
che
giungeva al termine del corso, senzachè di si fos
a di serpente, e la rendette madre di Zagreo (e). Nonno Dionisio dice
che
Giove trasportò il predetto bambino nell’Olimpo,
Dionisio dice che Giove trasportò il predetto bambino nell’Olimpo, e
che
i Titani per eccitamento di Giunone lo fecero in
i fu anche detta Boote (b). (34). Giove ebbe le Ore da Temi. Sembra,
che
Pausania non ne abbia riconosciuto che due, le qu
e ebbe le Ore da Temi. Sembra, che Pausania non ne abbia riconosciuto
che
due, le quali denominò Tallote e Carpo. La prima
a dal verbo latino hortor, esortare, perchè era vanerata come la Dea,
che
eccitava la gioventù alla virtù e a gloriose impr
lcuni la chiamarono Stimola. Partecipava anch’ella agli onori divini,
che
si rendevano a Romolo in un tempio erettogli sott
i, detti anche Palisci, e i quali si chiamavano Ate e Cario, narrasi,
che
la loro madre, Talia, o Etna, prima di partorirli
o Etna, prima di partorirli, appresso il fiume Simeto pregò la Terra,
che
la ingojasse per celarla a Giunone, di cui ne tem
si aprì, e queglino comparvero sopra di essa (d). Alcuni pretendono,
che
nel luogo, donde i due fratelli sortirono, si sie
erità de’giuramenti. L’esperimento si faceva in questo modo : quello,
che
giurava, scriveva il suo giuramento sopra certe t
orpreso dalla morte, e sommerso nelle stesse acque (b). V’è chi dice,
che
l’anzidetta maniera di comprovare la verità di ci
V’è chi dice, che l’anzidetta maniera di comprovare la verità di ciò
che
si affermava, si faceva nella fontana, detta Acad
alici si venerarono come Dei della Sicilia. Narra Diodoro di Sicilia,
che
il tempio di queste Divinità era tenuto in grandi
inoltre un Oracolo, a cui i Siciliani spesso ricorrevano. Pet ciò poi
che
spetta singolarmente ad Ate, costei non pensava c
vano. Pet ciò poi che spetta singolarmente ad Ate, costei non pensava
che
a far male, e a turbare l’animo degli uomini. Div
terra, Giove la prese pe’capelli, la precipitò dall’Olimpo, e giurò,
che
non vi sarebbe più rientrata. Ella ha alcune sore
e, le quali cercano sempre d’andarle d’appresso per impedire il male,
che
staper apportare ; ma essendo elleno zoppe, ne ve
zoppe, ne vengono sempre sorpassate (f). Di Cario finalmente narrasi,
che
passeggiando egli lungo le rive del fiume Torrebi
a una montagna, detta dal nome di lui Cario (a). (36). I tre Cabiri,
che
si denominavano Tricopatreo, Eubuleo, e Dionisio,
adre al dire dello stesso Cicerone fu Proserpina (d). Ferecide vuole,
che
sia stata Cabera, nata da Proteo. Lo stesso Scrit
un quarto, di nome Casmilo, ossia Mercurio. Finalmente Atenione dice,
che
da Giove e da Elettra nacquero Giasione e Dardano
mpio di questi Numi in Egitto, nel quale non era permesso l’entrarvi,
che
a’loro Sacerdoti. Un altro era stato eretto a’med
sere dagli Dei disesi in mare e in guerra, e di poter conseguire ciò,
che
onestamente si desiderava (c). Alcuni credettero,
conseguire ciò, che onestamente si desiderava (c). Alcuni credettero,
che
i Cabiri non fossero Dei, ma ministri degli Dei (
). Strabone li la Sacerdoti di Cibele, e secondo lui erano gli stessi
che
i Coribanti (d). (c). Albric. (d). Demosth.
(d). Demosth. Orat. in Arissogit. (e). Albric. (37). Omero dice
che
Ganimede fu rapito dagli Dei per costituirlo copp
i occhi e tante bocche, quante sono le di lei piume. Egli v’aggiunge,
che
non minore n’è il numero delle lingue, le quali n
il numero delle lingue, le quali non tacciono mai, e delle orecchie,
che
stanno sempre attente ad ascoltare. Dice finalmen
le orecchie, che stanno sempre attente ad ascoltare. Dice finalmente,
che
la Fama vola sempre di notte, e che digiorno sied
te ad ascoltare. Dice finalmente, che la Fama vola sempre di notte, e
che
digiorno siede sulle più alte torri, spaventando
triste novelle, e facendosi appresso di esse annunziatrice sà de’veri
che
de’falsi avvenimenti (e). (a). Fast. l. 3. (b
Pambasilea, ossia regina di tutto il monde (c) ; tuttavia non si sa,
che
le sia stato eretto alcun tempio. Pausania solame
sia stato eretto alcun tempio. Pausania solamente ricorda una statua,
che
le venne innalzata da’Tebani nel tempio di Cerere
i Cerere Tesmofora(d). (b). Ovid. Metam. l. 3. (3). Euripide dice,
che
fu Dirce, una delle Ninfe del fiume Acheloo, quel
ripide dice, che fu Dirce, una delle Ninfe del fiume Acheloo, quella,
che
trasse Bacco dal seno di Semele per ordine di Gio
il quale poi se lo ripose in una coscia(e). Appollonio di Rodi vuole,
che
Merourio abbia raccolto Bacco dalle materne cener
rio abbia raccolto Bacco dalle materne ceneri(f). Meleagro soggiunge,
che
lo fecero certe Ninfa(g). Finalmente Apollodoro d
soggiunge, che lo fecero certe Ninfa(g). Finalmente Apollodoro dice,
che
Giova, volendo Semele occultare a Giunone li nasc
il numero, e il nome speziale e generale delle Iadi. Vi sono alcuni,
che
le fanno nascere da Eretteo, altri da Cadmo(a), e
rone, Eudosa, Pasitoe, Plesauri, Pito, e Tiche(d). Alcuni pretendoro,
che
sieno state dette Jadi da Jante, loro fratello, i
leonessa, fu da loro pianto sino a morire di dolore(e). Altri dicono,
che
fu loro dato il predetto nome dal Greco verbo, yi
ndo nascono o tramontano, producono la pioggia(f). Altri soggiungono,
che
le Jadi erano Ninfe di Dodona, città dell’ Epiro,
elle altre per rossore di essersi unita in matrimonio con un mortale,
che
fu Sisifo, re de’Corintj(h), mentre le altre sue
. 4. (b). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Alcuni pretendono,
che
Jacco fosse il nome di un figlio di Cerere ; ch’e
iglio di Cerere ; ch’egli accompagnasse la Dea ne’ suoi viaggi(i) ; e
che
le facesse obbliare il dolore, che le apportava i
asse la Dea ne’ suoi viaggi(i) ; e che le facesse obbliare il dolore,
che
le apportava il ratto di Proserpina, dandole a be
n Dionys. (g). Diod. Sicul. l. 4. (6). Diodoro Siculo riferisce,
che
sotto il nome di Sabazio si riconosceva un figlio
si riconosceva un figlio di Giove e di Proserpina, assai più antico,
che
il Bacco, nato da Semele(a). Altri attribuiscono
o stesso nome non a Bacco, ma ad un suo figlio(b). Cicerone pretende,
che
il Bacco, per cui s’instituirono le Feste Sabazie
avesse regnato in Asia(c). Clemente poi(d), e Arnobio(e) pretendono,
che
le Feste Sabazie fossero solennità notturne, con
(h). Potter. Archaeol. Graec. l. 2. (8). I Fauni erano Semidei(g),
che
da’ Greci si appellavano Satiri(h). Questi nella
soprannominati Capripedi(i). Gli Aniquarj però chiamano Fauni quelli,
che
aveano l’ntera figura umana, fuorchè nelle orecch
a, fuorchè nelle orecchio appunite, e nella coda ; Satiri poi quelli,
che
oltracciò vevano le corna e i piedi, e tutta la m
non vi si vedeva alcuno. Si credette, soggiunse lo stesso Scrittore,
che
tali Isole fossero abitate da’ Satiri(b). Sotto i
ria, e si lasciavano andare eziando da per tutto i buoi(i). Credeasi,
che
Fauno in una foresta presso la fontana Albunea de
lui, e lo fece perire. Gli Dei cangiarono il Pastore stesso in fiume,
che
ritenne il di lui nome(b). Ritornando a Fauno, no
in fiume, che ritenne il di lui nome(b). Ritornando a Fauno, notiamo,
che
Servio lo confonde con Silvano(c). Anche questi d
Silvano(c). Anche questi da’ Romani fu venerato qual Nume campestre,
che
presiedeva alle selve, a’pastori, e a’limiti dell
ide, pastore d’Italia, e di una capra : ed è per questo, dicono essi,
che
Silvano comparve alla luce mezzo uomo emezzo capr
solevano entrare di notte nelle case, si posavan sul corpo di quelli
che
dormivano, e col loro peso fortemente li opprimev
gni, non vi si avvicinasse(e). E quì di passaggio possiamo ricordare,
che
ogni parte della porta avea i suoi Numi particola
porta avea i suoi Numi particolari. Il Dio Forculo presiedeva a ciò,
che
chiude l’apertura del muro, per cui si entra ed e
Celio, ove le si offrivano certi sacrifizj, detti Fabarj dalle fave,
che
vi s’impiegavano(c). (i). Job. Jacob. Hofman. L
o da Pane, e da una Ninfa(f). Nonno lo fa figlio della Terra. Dicesi,
che
sia nato in Malsa, Capitale dell’Isola di Lesbo(g
ettante notti. Poscia si trasferì nella Lidia, e lo rendette a Bacco,
che
in ricompensa permise a quel re di chiedergli ciò
dette a Bacco, che in ricompensa permise a quel re di chiedergli ciò,
che
più gli fosse piaciuto. Mida ricercò, che si cang
quel re di chiedergli ciò, che più gli fosse piaciuto. Mida ricercò,
che
si cangiasse in oro tutto quel, che avrebbe tocca
gli fosse piaciuto. Mida ricercò, che si cangiasse in oro tutto quel,
che
avrebbe toccato. Così avvenne ; ma quando lo stol
h’erasiridotto in vece all’estremo della miseria. Pregò quindi Bacco,
che
ne lo liberasse. Il Nume lo mandò a lavarsi nelle
rasse. Il Nume lo mandò a lavarsi nelle acque del fiume Pattolo : dal
che
ne nacque, che le vicine campagne ebbero poi le z
lo mandò a lavarsi nelle acque del fiume Pattolo : dal che ne nacque,
che
le vicine campagne ebbero poi le zolle lucide per
o(a) ; e per tal fatto il predetto fiume si denominò Crisorroa, ossia
che
porta seco l’ere (b). (10). Le Ceste mistiche er
ormati di vimini o di scorze d’alberi, pieghevoli, e simili a quelle,
che
volgarmente chiamiamo ceste. Le medesime poi si d
sioni, ed erano sempre chiuse, onde il popolo non potesse vedere ciò,
che
racchiudevano. Chi rivelava a’non iniziati i mist
profanazione. Solamente nelle Orgie comparivano così aperte per metà,
che
si poteva vedervi un serpente vivo. Eravi colà qu
ano co’manichi, onde fossero più portatili. Donato ci lasciò scritto,
che
tali Ceste erano talvolta coperte di pelle. Oppia
adorna di corone. Alcune finalmente erano dorate al di fuori. Coloro,
che
le portavano, si chiamavano Licnofori, o Cistofor
niesi, s’impiegavano in tale ministerio(a). Si può per altro credere,
che
un tale uffizio, comechè sacro, non fosse riputat
, rinfacciandogli, ch’egli avea fatto il Licnoforo. Notiamo innoltre,
che
le mistiche Ceste si usavano anche nella celebraz
gli stessi misterj e ceremonie erano loro communi. Dicesi finalmente,
che
le mistiche Ceste erano sacre anche a Proserpina
olte d’oro, d’argento, e d’avorio, e tirati o da animali o da uomini,
che
rappresentavano gli animali, sacri alle Deità, ch
imali o da uomini, che rappresentavano gli animali, sacri alle Deità,
che
si onoravano. A questi carri davasi il nome di Te
le. Queste seconde erano consecrate ad una fanciulla, di nome Carila,
che
si appiccò per aver ricevuto un insulto dal re di
ibull. l. 4. ad Messal. (15). Erigone, appiccandosi, pregò gli Dei,
che
se gli Ateniesi non vendicassero la morte d’ Icar
o. Per rimediare a tal disordine, si udì da Apollo essere necessario,
che
si placasse l’ombra d’ Erigone con feste e sacrif
ano in aria sopra corde appiccate agli alberi (a). Il Bocaccio crede,
che
l’ Icario, padre di Erigone, fosse diverso dall’a
o, ch’era figlio di Ebalo, e padre di Penelope (b). Altri pretendono,
che
l’anzidetta Festa, Eora, si fosse instituita in o
h. in Parall. (16). Una Ninfa, chiamata Lotide, fuggendo da Priapo,
che
la inseguiva, si trovò trasformata in quella pian
o da Priapo, che la inseguiva, si trovò trasformata in quella pianta,
che
dal nome di lei si disse Loto (d). Narrasi che la
mata in quella pianta, che dal nome di lei si disse Loto (d). Narrasi
che
la medesima riuscisse sì dolce, che gli stranieri
di lei si disse Loto (d). Narrasi che la medesima riuscisse sì dolce,
che
gli stranieri, mangiandone, si dimenticavano tota
. (a). Ovid. Metam. l. 3. (b). In Bacch. (18). Pausania dice,
che
dell’albero, su cui Penteo ascese per osservare l
ciulle mai vantasse l’ Oriente. L’essere vicini d’abitazione fece sì,
che
si accendessero di reciproco amore. Le brame di t
n onesto imeneo ; ma un forte ostacolo ad eseguirlo era l’inimicizia,
che
passava fra’loro genitori. Scoperta nella parete,
a l’inimicizia, che passava fra’loro genitori. Scoperta nella parete,
che
separava l’una dall’altra casa, certa assai tenue
e della Luna vide usciro dalla foresta una leonessa, lorda di sangue,
che
a quella volta s’avviava o per lavarsi, o per ber
uirsi alla tana inciampò in quello, e Io fece in mille pezzi. Piramo,
che
più tardi era partito da casa, all’appressarsi co
triso di sangue. Lo riconobbe, e credette divorata dalla fiera colei,
che
lo portava. Disperato risolse d’uccidersi, e ferm
di Arianna. Altri lo fanno figlio di Sileno o di Sileto. Fu il primo,
che
insegnò a mescolare l’àcqua col vino (d). (22).
sacrifizj a Bacco, e compose in onore di sua madre un Coro di Musici,
che
fu per lungo tempo denominato il Coro di Fiscoa (
a di Bacco, sul di cui tirso eravi un’aquila (f). Il Meursio osserva,
che
tale uccello soleva darsi anche agli Eroi, quale
o perchè erano coperte di purpurea lana (e). Comunemente però dicesi,
che
l’Esperidi aveano degli orti, i quali producevano
Pomi d’oro, o pel loro colore, o pel loro squisitisimo gusto. Vuolsi,
che
i predetti orti si trovassero nell’estrema parte
l’estrema parte dell’Etiopia verso l’Occidente (f). (2). Il Dragone,
che
dalla Dea fu mandato a custodire le predette frut
di Forci (l) ; e Pisandro, citato dallo Scoliaste d’Apollonio, dice,
che
lo produsse la Terra. (d). Paus. in Corinth.
osò di ritornarsene al suo paese, e si ritirò appresso il re Ebialo,
che
gli diede in moglie Ilebia, sua figlia, con una p
(a). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Antonino Liberale dice,
che
tra’ Greci v’avea un’altra tradizione, secondo la
rviero da Nettuno, perchè avea somministrato del formento a’ Trojani,
che
il predetto Nume voleva affliggere colla fame (c)
città, cui diede il nome di sua moglie. Ebbe una figlia, detta Libia,
che
Nettuno rendette madre d’Egitto e di Danao (d).
barbaro costume era adottato da tutti i Greci, eccettochè da’ Tebani,
che
lo risguardavano come un delitto capitale (b). (
nne d’Argo, le quali erano divenute per causa di quella sì furibonde,
che
non potendo starsene nelle loro case, correvano q
Pilo. Ma il di lei padre non voleva darla in isposa, se non a colui,
che
gli avesse condotto dalla città di Filaca i buoi
detta giovine in matrimonio (a). Ne nacquero Arejo, Talao, e Laodoco,
che
si trovarono tragli Argonauti (b). (c). Ovid. M
di Pandione, e gli espose il motivo di sua venuta. Il re non v’aderì
che
con somma ripugnanza d’animo, come se avesse pres
era per accadere alla sua figliuola. Nè s’ingannò : il perfido Tereo,
che
di Filomela erasi oltremodo invaghito, giunto all
’esserne con pari affetto corrisposto. Non potè mai riuscirvi : ond’è
che
il barbaro dopo avere legato le mani a colei, sgu
tugurio, e se ne ritornò alla moglie scolorito e piangente, fingendo
che
Filomela fosse morta. Pianse Progne amaramente la
co’ sacrifizj la funebre ceremonia. Era trascorso un anno intero, da
che
Filomela gemeva rinchiusa e custodita da certe gu
delle sciagure di Filomela ; e altamente sdegnatasi, non pensò tosto
che
alla vendetta. Correvano i giorni, ne’ quali le M
ue carni in quelle del figlio. Non avea per anco finito di cibarsene,
che
ricercò del suo Iti per divertirsi seco lui. Comp
e un’altra Divinità, cui si offerivano sacrifizj per allontanare ciò,
che
poteva recare guasto alle campagne. Per la stessa
15). Pane era il Dio spezialmente de’ pastori e cacciatori, e quegli,
che
presiedeva a tutte le azioni della vita campestre
da Ibri (f) ; il Poeta Acheo da Urano, e da Titea (g). Altri vogliono
che
abbia avuto origine da Demogorgone (h) ; altri da
; altri da Etere, ossia da una Nereide (i). V’è finalmente chi dice,
che
Giove lo ebbe dalla Ninfa Eneide (l). Pausania po
ce, che Giove lo ebbe dalla Ninfa Eneide (l). Pausania poi riferisce,
che
molte Ninfe : d’Arcadia, e spezialmente Sinoe, pr
rcadia, e spezialmente Sinoe, presero cura della di lui infanzia : lo
che
gli acquistò il nome di Sinoide. Sotto questo tit
oli, città d’Arcadia, nel tempio di Giove Liceo (m). Omero soggiunge,
che
la di lui nutrice, al vederlo, rimase talmente sp
iunge, che la di lui nutrice, al vederlo, rimase talmente spaventata,
che
prese la fuga ; e che Mercurio dopo d’averlo ravv
utrice, al vederlo, rimase talmente spaventata, che prese la fuga ; e
che
Mercurio dopo d’averlo ravvolto in pelli d’animal
Ladone. Era colei di avvenenza e leggiadria singolare. Ella non amava
che
gl’innocenti trastulli di Diana, e imitavala nell
, sue sorelle, e a Ladone, suo padre. Non compì Siringa la preghiera,
che
trasformata videsi in canna palustre, la quale, a
le, agitata poi dal vento, rendeva un certo siollo cauto, quasi d’uno
che
si lagnava. Pane, rimasto così deluso, ruppe con
ro, quando Borea, di lui rivale, fu trasportato da sì grande gelosia,
che
la precipitò dalla sommità di una rupe. Quindi si
osia, che la precipitò dalla sommità di una rupe. Quindi si credette,
che
il liquore, il quale esce dal Pino, agitato dal v
Ninfa (a). Pane soleva empiere gli agricoltori di sì grande spavento,
che
molti di quelli morivano. Per tal motivo tutto ci
nde spavento, che molti di quelli morivano. Per tal motivo tutto ciò,
che
ad un tratto atterrisce, senzachè se ne conosca l
Pausania ne riconosce per institutore Licaone, re d’Arcadia ; e vuole
che
fossero sacre a Giove Liceo (h). Altri pretendono
adia ; e vuole che fossero sacre a Giove Liceo (h). Altri pretendono,
che
sieno state instituite da Romolo e da Remo, per a
are la città di Roma sul monte Palatino V’è finalmente chi asserisce,
che
le medesime si celebrarono da’ Romani per ricorda
benefizio. prestato ad essi dalla lupa coll’educare Romolo e Remo ; e
che
per tal motivo si fabbricò appresso il borgo Rumi
che per tal motivo si fabbricò appresso il borgo Ruminale un tempio,
che
fu denominato Lupercale. Questo però secondo Serv
rodusse poi anche il costume di spogliarsi delle vesti per ricordare,
che
Remo e Romolo, mentre celebravano anch’eglino que
mentre celebravano anch’eglino queste stesse Feste, furono avvertiti,
che
alcuni ladri aveano condotto via i loro armenti ;
no avvertiti, che alcuni ladri aveano condotto via i loro armenti ; e
che
i due fratelli con tutta l’altra gioventù, gettat
lla corsa, li inseguirono, e ricuperarono il loro gregge (c). Vuolsi,
che
Romolo offerisse al tempo di tali Solennità anche
e i greggi da’ lupi. Riguardo poi al sacrifizio della capra, narrasi,
che
a questa col progresso del tempo siasi sostituito
progresso del tempo siasi sostituito un irco (d). Dicesi finalmente,
che
in luogo de’ pastori, i quali celebravano le Lupe
percali, Romolo abbia instituito alcuni Sacerdoti, chiamati Luperci ;
che
questi sieno stati divisi in due Collegi, detti i
ni e i Fabiani, in memoria d’un certo Quintilio, e di un cetto Fabio,
che
n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare, a
erto Quintilio, e di un cetto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e
che
Giulio Cesare, al di cui tempo le anzidette Feste
in uso, avendole rinovate, v’abbia anche aggiunto un terzo Collegio,
che
dal nome di lui fu appellato Giuliano (a). (h).
o Diana (b). I Greci poi chiamavano Eleutò (c), ovvero Ilitia quella,
che
presiedeva a’ parti, ed a cui le donne vicine a p
, qualora avessero potuto felicemente riuscirvi (d). Altri pretendono
che
Ilitia fosse Diana (e) ; altri Giunone medesima (
tal pegno vieppiù i loro cuori si unissero insieme (i). Plinio dice,
che
al suo tempo tale anello era di ferro, e senza ge
e, o il marito non terminasse di abbruciarla in qualche sepolcro : lo
che
si risguardava come un presagio della vicina mort
nticinque animali, i quali solamente si sacrificavano. Altri vollero,
che
il nome di Ecatombe abbia tratta la sua origine d
di Ecatombe abbia tratta la sua origine dal numero sì delle vittime,
che
di quelli, i quali intervenivano al sacrifizio (a
ronidi, perchè abitavano un antro in cima del monte Citerone, è fama,
che
ispirassero gli abitanti di que’ dintorni (b), i
lla luce (b) ; Postvorta (c), o Postverta (d), e Antevorta avea cura,
che
quello uscisse dal seno della madre nella maniera
no per accadere (g). Le Dee Carmenti predicevano il destino di ognuno
che
nasceva (h). Vagitano, o Vaticano presiedeva a’ v
a’ vagiti del bambino (i) ; Rumilia (l), o Rumia, o Rumina al latte,
che
loro si somministrava (m) ; Cunina alle culle (n)
nutrici per conciliare loro il sonno (s) ; Nondina alle lustrazioni,
che
si faceveno il nono giorno dopo la loro nascita,
ustre Diction. Mythol. (f). Id. Ibid. (24). Parlando del tempio,
che
Giunone aveva in Argo, ci si risveglia alla memor
predetto tempio, di cui n’era la sacerdotessa. Non avendo essa buoi,
che
tirassero il suo carro, i due figliuoli lo strasc
rono sino al tempio per quaranta cinque stadj. La madre pregò la Dea,
che
concedesse loro il miglior bene. Queglino, dopo d
poichè Giunone avea loro mandata la morte, come la maggior felicità,
che
potesse loro accadere. Que’ d’Argo alzarono delle
sero un’altra sacerdotessa, ed ebbero tutto il rispetto verso quelle,
che
esercitavano tale sacerdozio (h). (a). Job. Jac
quello, elleno tosto cessavano di esistere (c) Valerio Flacco poi fa,
che
Itide fosse ambasciatrice anche di Giove (d). (c
ondo i Poeti è il luogo destinato al soggiorno di tutte le anime. Dal
che
s’inferisce, che l’uomo anche tra le più dense te
luogo destinato al soggiorno di tutte le anime. Dal che s’inferisce,
che
l’uomo anche tra le più dense tenebro del Paganes
el suo cuore il sentimento della propria immortalità, e fu persuaso ;
che
la sua anima neppure allora cessa di esistere ; q
in una spelonca dinanzi all’ Inferno, e ne custodiva le porte. Dioesi
che
accarezzasse coloro che vi discendevano, e che do
all’ Inferno, e ne custodiva le porte. Dioesi che accarezzasse coloro
che
vi discendevano, e che don altissimi e molto orre
odiva le porte. Dioesi che accarezzasse coloro che vi discendevano, e
che
don altissimi e molto orrendi latrati spaventasse
vano, e che don altissimi e molto orrendi latrati spaventasse qualli,
che
cantavano di uscirne(g) : Esiodo anzi dioe, che l
i spaventasse qualli, che cantavano di uscirne(g) : Esiodo anzi dioe,
che
li divorava(h). (3). Gli Antichi riconobbero la
eterno, di cui quello de’viventi n’ è l’immagine ; però soggiungesi,
che
la Morte è sorella del Sonno(b). Quindi gli Spart
falce, un ragno, e quantità di ricchezze. Le due faccie significano,
che
la Morte riesce dolce e soave a chi ben visse, sp
perchè d’ordinario esercita il suo dominio assai più sopra i vecchi,
che
sopra i giovani. Sca sdrajata in atto di dormire,
dormire, per indicare ch’ ella ci reca eterno dopo le tante fatiche,
che
ci opprimono sulla terra. La falce tronca indisti
altrimenti si fa dalla Morte. Il ragno, ch’ è animale debolissimo, e
che
tesse fragilissima tela, esprime la debolezza e f
iuolo dell’ Erebo e della Notte(a). Gli danno la figura di fanciullo,
che
coricato sea dormendo in profonda grotta, posta n
ro colloca il soggiorno del Sonno nell’ Isola di Lenno ; e soggiunge,
che
il Sonno si trasformò nell’ uccello, detto Cimind
lorchè alle preghiere di Giunone egli addormentò sul monte Ida Giove,
che
stava tralle braccia della stessa Dea(c). Tibullo
: altri veri, i quali cioè annunziavano cose reali ; ed altri falsi,
che
non erano se non false illusioni. I primi, dice O
nferno, ch’è di corno, e i secondi da quella d’avorio(f). Sì gli uni,
che
gli altri, soggiunge Ovidio, sogliono vestirsi di
, ma per ministro del Sonno(g). Fantaso, così detto dallo sconcertare
che
faceva le fantasie(f), cangiavasi in fiume, in bo
ite cose, prive di senso(g). Fobecore fu così denominato dal terrore,
che
destava, facendosi ora fiera, ora volatile, ed or
di quella del Sonno(a). Nè quì è fuor di proposito il notare altresì,
che
gli abitanti di Delo, e altri popoli della Grecia
nsiderate come ministre della vendetta degli Dei. Si credette quindi,
che
la loro occupazione consistesse nel punire i deli
chè gli comparvero coperte di bianche vesti(d). Alcuni però vogliono,
che
sieno state dette Eumenidi per antifrasi, o per i
no, che sieno state dette Eumenidi per antifrasi, o per ironia(e) ; e
che
abbiano avuto tal nome molto tempo prima dell’ av
nome molto tempo prima dell’ avvenimento d’ Oreste. Credevasi altresì
che
l’Eumenidi fossero le medesime che le Nemese, Dee
mento d’ Oreste. Credevasi altresì che l’Eumenidi fossero le medesime
che
le Nemese, Dee vendicatrici de’ delitti, le quali
Elleno finalmente si chiamarono le Dee rispettabili(b). Il rispetto,
che
si aveva per loro, era sì grande, che quasi non o
e rispettabili(b). Il rispetto, che si aveva per loro, era sì grande,
che
quasi non osavasi di proferirne neppure il nome.
pregne, e offerivano corone di Narcisso(e). Era pur celebre il culto,
che
loro rendevasi nell’ Arcadia. In tempo di notte,
silenzio nel tempo di que’ sacrifizj, a quali non potevano assistere
che
i Sacerdoti. Il fuoco, che vi s’impiegava, doveva
sacrifizj, a quali non potevano assistere che i Sacerdoti. Il fuoco,
che
vi s’impiegava, doveva essere fatto con legne di
s’impiegava, doveva essere fatto con legne di cedro. Non era permesso
che
il canto melanconico, detto l’Inno delle Furie, n
(c). Omero dà a Celeno il nome di Podarge(d). Esiodo non fa menzione,
che
delle due prime, e dice che nacquero da Taumante
me di Podarge(d). Esiodo non fa menzione, che delle due prime, e dice
che
nacquero da Taumante e da Elettra, figlia d’Ocean
armate di artigli(h). Divoravano tutte le vivande, e infettavano ciò,
che
non potevano rapiro(i). (7). La Chimera nacque d
resso lo stesso Preto da Stenobea, o Antea,(d), di lui moglie. Preto,
che
non voleva imbrattarsi le mani nel sangue dell’ o
i commise di guerreggiare contro i Solimi con poco presidio, sperando
che
facilmente sarebbe rimasto ucciso da quella feroc
(f) o Achemenia, in matrimonio, e una parte del suo regno(g). Dicesi,
che
l’anzidetta moglie di Preto, udite tutte queste c
e tentativo, mandò un insetto a molestare siffattamente quel cavallo,
che
questo rovesciò Bellerofonte in Aleia, pianura de
loco, e una figlia, detta Laodamia. Isandro morì in un combattimento,
che
i Licj sostenevano contro i Solimi. Ippoloco salì
ne, re di Licia(b). Essa amava la caccia, e ne divenne sì orgogliosa,
che
Diana la privò di vita(c). (8). Ne’ dintorni del
in un solo colpo. Il veleno finalmente di quest’ Idra era sì fatale,
che
una freccia, tinta dello stesso, recava inevitabi
no a cruciare anch’ esse gli scellerati(c). Ebbero altre due sorelle,
che
parimenti erano mostri alati, e si chiamavano Pef
te, perchè nacquero co’ capelli di tal fatta. In tutte due non aveano
che
un occhio e un dente, de’ quali vicendevolmente s
dente, de’ quali vicendevolmente si servivano(f). Alcuni hanno detto,
che
queste erano le stesse Gorgoni(g). (10). Le Parc
a figlie della Notte(h), e ora di Giove e di Temi(i). Igino soggiunse
che
trassero origine dalla Notte e dall’ Erebo(l). Al
uso, ed Atropo colla forbice taglia il filo(n). L’opinione co nune è,
che
dipendessero da’ voleri del Destino(a). Esiodo ce
no anche le ombre de’ morti(e). E quì si osservi col dotto Varburton,
che
i Pagani distinguevano tre parti nell’ uomo : 1.
e, vale a dire un corpo sottile, di cui n’era rivestito lo spirito, e
che
avea la figura del corpo umano. Quest’ ultima par
la figura del corpo umano. Quest’ ultima parte dell’ uomo era quella,
che
chiamavasi ombra. Le ombre si distinguevano in qu
pena de’ loro delitti andavano errando sulla terra, e dallo spavento,
che
col loro orribile aspetto cagionavano, si dicevan
inacciava la totale distruzione. Quegli talmente ne rimase atterrito,
che
abbandonò l’impresa. I Romani allora alzarono pre
na un tempio a Redicolo, ossia al Dio deb Ritorno, perchè credettero,
che
questo Nume là avesse obbligato il loro nemico a
erarono talvolta sotto la figura di serpenti. Silio Italico racconta,
che
essendo uscito un serpente dal sepolcro di Murro,
ente dal sepolcro di Murro, e andato al mare, i Saguntini credettero,
che
i Mani fuggissero. A’ Mani fu consecrato un bosco
i giorni, nel qual tempo nè si solennizzavano gli sponsali per timore
che
rinscissero sciagurati, nè si aprivano che i temp
no gli sponsali per timore che rinscissero sciagurati, nè si aprivano
che
i tempj di Plutone e degli altri Numi Infernali(d
te si occupavano a scacciare i Lemuri dalle loro case, e ad impedire,
che
v’entrassero. Eccone le ceremonie : per tre notti
endo nove volte certe parole senza mai volgersi in dietro. Credevasi,
che
l’ombra, la quale lo seguiva, raccogliesse le fav
Inferno, dov’ egli divenne un fiume amarissimo(b). Altri pretendono,
che
il medesimo sia figliuolo di Titano e della Terra
pretendono, che il medesimo sia figliuolo di Titano e della Terra, e
che
da Giove, perchè dissetò i Titani nel momento, in
e Acherusia(d). Altri sono d’opinione ch’escano da quella(e). Dicesi,
che
sia questo il primo fiume, a cui concorrano tutte
se prima non si aveano ricevoti gli onori della sepoltura. Credevasi,
che
coloro, i quali ne rimanevano privi, andassero er
neta, detta da’ Greci Danace, e da’ Latini Naulo(d). Aristofane dice,
che
se ne ponevano due(e). Caronte neppure poteva amm
Caronte neppure poteva ammettere nella sua barca alcuno de’ viventi,
che
non gli avesse mostrato il Ramo d’oro da offerirs
anno fu punito colla carcere, perchè trasportò nell’ Inferno Ercole,
che
senza quel Ramo v’andò a rapire l’anima d’Alceste
a nascere da Acheronte e dalla Terra(d). Apollodoro Grammatico vuole,
che
abbia tratto origine da una certa pietta, la qual
una certa pietta, la quale trovavasi nell’ Inferno(e). Il giuramento,
che
si faceva pel fiume Stige, era inviolabilmente os
; altri per cento ; e Servio soggiunge per nove mille(f). Pretendesi,
che
siasi conferito tale privilegio allo Stige, perch
ne aggiunge una quarta, ch’egli denomina Emulazione(h). Altri dicono,
che
il fiume Stige conseguì il predetto onore, perchè
e Stige conseguì il predetto onore, perchè svelò a Giove la congiura,
che
aveano tramata gli altri Dei per metterlo in cepp
di Liriope, bella Ninfa della Beozia. Era stato predetto da Tiresia,
che
colui sarebbe vissuto, finchè non avesse rimirato
ì, e non essendone corrisposta, talmente per l’affizione si consunse,
che
rimase convertita in sasso, nè lasciò di se che l
ffizione si consunse, che rimase convertita in sasso, nè lasciò di se
che
la voce, di cui pure non potè mai usarne per parl
vi si accostò per dissetarsi. Vide, bevendo, l’immagine di se stesso,
che
lo innamorò ; e figurandosela un corpo reale, non
sso, che lo innamorò ; e figurandosela un corpo reale, non s’accorse,
che
vaneggiava in un’ombra. A tal segno crebbe il del
se, che vaneggiava in un’ombra. A tal segno crebbe il delirio di lui,
che
finalmente sul fiore più fresco degli anni suoi m
resco degli anni suoi morì d’acerbo dolore : Fu cangiato in un fiore,
che
porta il suo nome(b), e il quale poscia venne con
, e il quale poscia venne consecrato all’ Eumenidi(c). Plutarco dice,
che
un’avventura simile a quella di Narcisso accadde
cisso accadde anche ad un certo Eutelida. Questi pure la prima volta,
che
si mirò in una fontana, talmente restò invaghito
che si mirò in una fontana, talmente restò invaghito di se medesimo,
che
morì di dolore(d). Finalmente colle due anzidette
retendeva di conficcare chiodi con una spugna, e soleva ricusare ciò,
che
grandemente bramava(a). (14). Il Cocito era un f
uesto nome di Cocito significa gemito, pianto ; e però fu immaginato,
che
questo fiume non fosse, che le lagrime de’condann
ca gemito, pianto ; e però fu immaginato, che questo fiume non fosse,
che
le lagrime de’condannati nel Tartaro(c). Da quest
l Tartaro(c). Da questo fiume trassero il loro nome le Feste Cocizie,
che
si celebravano in onore di Proserpina(d). (15).
lie. Così fu denominato uno de’ fiumi dell’ Inferno, perchè si fiuse,
che
le acque dello stesso avessero la virtù di toglie
i alcuni Filosofi, detto la Metempsicosi, secondo il quale credevasi,
che
le anime, dopo aver dimorato un certo periodo d’a
etempsicosi colla Palingenesia, ossia rigenerazione. La prima suppone
che
il passaggio delle anime da uno in un altro corpo
fodelo(b) dall’ erba di questo nome, ch’esso produce. Dicono i Poeti,
che
il medesimo trovasi ne’ campi Elisj, e che di que
o produce. Dicono i Poeti, che il medesimo trovasi ne’ campi Elisj, e
che
di quell’ erba sogliono ciharsene i Mani(c). (16
deriva dal verbo greco-poetico, phlegetho, abbruciare, e supponevasi,
che
le rapide acque dello stesso fossero fiamme, le q
opra a volo senza cadervi morti a cagione delle pestifere esalazioni,
che
ne uscivano(e). Questo Lago prendesi frequenti vo
tutto l’ Inferno(f). (18). Per entrare ne’ Campi Elisj non bastava,
che
le anime fossero vissute bene. Conveniva che foss
Campi Elisj non bastava, che le anime fossero vissute bene. Conveniva
che
fossero state anche purificate ; altrimenti veniv
el Caos e della Caligine, e padre della Notte(h). Cicerone però dice,
che
questa era di lui moglie(a). Virgilio parla dell’
), ed ora come un fiume dell’ Inferno(c). (19). Tra gli scellerati,
che
si trovano nel Tartaro, i più famosi sono Sisifo,
ggiungono, perchè era solito a cruciare con varj tormenti gli ospiti,
che
si recavano appresso di lui(g). Ferecide vuole, c
menti gli ospiti, che si recavano appresso di lui(g). Ferecide vuole,
che
abbia ritenuto incatenata nel suo palagio sì lung
he abbia ritenuto incatenata nel suo palagio sì lungo tempo la Morte,
che
Marte alle preghiere di Plutone fu obbligato a li
iberarnela, perchè niuno più discendeva nell’ Inferno. Pausania dice,
che
Sisifo indicò ad Asopo il rapimento d’ Egina, sua
ttosi da Giove, trasformato in fiamma di fuoco(h). Altri riferiscono,
che
Sisifo, essendo per motire, comandò a sua moglie
eseguito il comando datole solamente per far prova del di lei amore ;
che
avendo ottenuto il permesso di venire per pochi g
ochi giorni in questo mondo, non voleva più ritornarsene nell’altro ;
che
Mercurio dovette ricondurvelo colla forza a Pluto
l’altro ; che Mercurio dovette ricondurvelo colla forza a Plutone ; e
che
questi lo condannò al meritato castigo(a). Questo
ia di farsi credere un Nume. A tale oggetto formò un ponte di bronzo,
che
attraversava gran parte della sua città ; vi feco
a gran parte della sua città ; vi feco correre sullo stesso un carro,
che
produceva uno strepito simile a quello del tuono
ol vero fulmine, e lo precipitò nel Tartaro(c). E quì notisi altresì,
che
non fu Salmoneo solo quegli, che cadde in sì foll
el Tartaro(c). E quì notisi altresì, che non fu Salmoneo solo quegli,
che
cadde in sì folle orgoglio. Leggesi di un certo A
he cadde in sì folle orgoglio. Leggesi di un certo Annon Cartaginese,
che
coltivando anch’egli lo stesso pensiero, raccolse
raccolse in un luogo oscuro molti uccelli, e loro insegnò a cantare,
che
Annon ere un Nume. Come quelli seppero far sentir
anto(d). Tentò la medesima cosa Psafone, e sìo felicemente vi riuscì,
che
gli uccelli, avvezzati da lui a dire che Psafone
e sìo felicemente vi riuscì, che gli uccelli, avvezzati da lui a dire
che
Psafone era un gran Dio, andarono ripetendo ne’ b
o, andarono ripetendo ne’ boschi tali parole, e fecero in tale guisa,
che
i popoli rendessero a Psafone gli onori divini(a)
e lo condanno nel Tartaro ad essere continuamente agitato dal timore,
che
precipiti sopra di se un gran sasso, il quale sov
h’egli pure abbia scoperto i misterj degli Dei(e). Pindaro soggiunge,
che
Tantalo rubò dalla mensa degli Dei il nettare e l
per farne dono agli uomini(f). Lo Scoliaste del predetto Poeta vuole,
che
Tantalo siasi appropriato un cane, affidatogli da
il di lui tempio nell’ Isola di Creta(g). La maggior parte poi dice,
che
Tantalo, avendo accolte in casa sua alcuni Dei, e
erano tali, offerì loro in cibo le carni del suo figliuolo, Pelope ;
che
Cerere, niente accorgendosene, fu la prima e la s
ccorgendosene, fu la prima e la sola a mangiarne la spalla destra ; e
che
gli altri Numi, conosciuta l’empietà di Tantalo,
ovare fame e sete rabbiosissima a vista di un albero pieno di frutta,
che
gli pendeva sul capo, e di una sorgente d’acqua,
pieno di frutta, che gli pendeva sul capo, e di una sorgente d’acqua,
che
gli toccava le labbra(a). Cicerone vuole, che sov
i una sorgente d’acqua, che gli toccava le labbra(a). Cicerone vuole,
che
sovrastasse una gran pietra al di lui capo, e che
a). Cicerone vuole, che sovrastasse una gran pietra al di lui capo, e
che
questo ne venisse percosso, ogni qual volta che e
tra al di lui capo, e che questo ne venisse percosso, ogni qual volta
che
egli tentava di assaggiare quelle acque(b). Rigua
tentava di assaggiare quelle acque(b). Riguardo poi a Pelope dicesi,
che
gli Dei ne riunirono le membra ; che gl’inspiraro
). Riguardo poi a Pelope dicesi, che gli Dei ne riunirono le membra ;
che
gl’inspirarono nuova vita ; e che in luogo della
he gli Dei ne riunirono le membra ; che gl’inspirarono nuova vita ; e
che
in luogo della spalla, mangiata da Cerere, gliene
tituirono un’altra di candidissimo avorio(c). Pindaro però non vuole,
che
Pelope sia stato messo a morte dal padre, ma che
daro però non vuole, che Pelope sia stato messo a morte dal padre, ma
che
nej dì del predetto convito Nettuno lo abbia rapi
no, e le diedero in balia all’ Eumenidi(e). Strabone lasciò scritto ;
che
Issione era non figlio, ma fratello di Flegia(a)
Issione era non figlio, ma fratello di Flegia(a) ; Eschilo soggiunge,
che
quegli ebbe per padre Antione ; Ferecide lo fa na
cavalli. Se ne sdegnò Issione, e servitosi dell’ inganno, non attese,
che
a prenderne vendetta. Scavò una fossa, ed empiuta
igliuoli di suo fratello, Egitto. Come poi Danao intese dall’ Oracolo
che
uno de’suoi generi gli avrebbe tolto e trono e vi
ri gli avrebbe tolto e trono e vita, foce giurare alle sue figliuole,
che
la prima notte ognuna di esse avrebbe ucciso il s
uo marito. Tutte eseguirono l’empia promessa, eccettuata Ipermnestra,
che
risparmiò la vita al suo consorte Linceo, e fece
sì, ch’egli potè ritirarsi in Lircea, città vici, na ad Argo. Dicesi,
che
mentre Linceo fuggì nella predetta città, la di l
predetta città, la di lui moglie si ritirò in Larissa, dove sì l’uno
che
l’altra accesaro una fiaccola sulla sommità d’una
na fiaccola sulla sommità d’una torre, per reciprocamente avvertirsi,
che
v’erano arrivati sani e salvi. Della qual cosa pe
uscito, fabbricò un tempio a Suada, ossia alla Dea della Pessuasione,
che
i Greci denominano Pito (c). Tutte le altre di le
nel Tartaro dell’acqua con urne traforate (d). Conviene però credere,
che
le Danaidi non tutte abbiano incontrato tale pena
i quelle, sposata ad Encelado, si sa, ch’essa, tormentata da’rimorsi,
che
le destava il commesso misfatto, si ritirò ne’bos
a’rimorsi, che le destava il commesso misfatto, si ritirò ne’boschi :
che
volendo vibrare una freccia contro una cerva, fer
olendo vibrare una freccia contro una cerva, ferì in veco un Satiro ;
che
questi la inseguì ; e che Nettuno la trasformò in
contro una cerva, ferì in veco un Satiro ; che questi la inseguì ; e
che
Nettuno la trasformò in quel momento in fontana (
nos si aggiunge, ch’egli attese a dirozzare i suoi sudditi con leggi,
che
poscia servirono di nonna a tutti i Legislatori d
ritiravasi di quando in quando in un antro della sua Isola, e fingeva
che
Giove vi discendesse a dettargliele (a). È perchè
à n’estrae senza figuardo nè ad età nè a condizione i nomi di coloro,
che
il Destino ordina, che muojano (c). Radamanto poi
do nè ad età nè a condizione i nomi di coloro, che il Destino ordina,
che
muojano (c). Radamanto poi giudica le anime, che
e il Destino ordina, che muojano (c). Radamanto poi giudica le anime,
che
vengono dall’Asia, ed Eaco quelle, che partono da
adamanto poi giudica le anime, che vengono dall’Asia, ed Eaco quelle,
che
partono dall’Europa (d). (a). Nat. Com. Mythol.
dal capo del moribondo un capello, detto perciò fatale. Ne’sacrifizj,
che
le si offerivano, le s’immolavano sempre delle gi
tasi di abbandonarli, spiega le ali, e rapidamente fugge da loro : lo
che
significa, che le ricchezze d’ordinario a grande
narli, spiega le ali, e rapidamente fugge da loro : lo che significa,
che
le ricchezze d’ordinario a grande stento si racco
i spesse volte un breve tempo svaniscono (g). Platone lasciò scritto,
che
Pluto non era cieco, ma aveva anzi una vista acut
a prima invocavasi per aver danari (l) : benchè Giovenale ci attesta,
che
questa Dea non ebbe nè culto, nè altari (a). Si r
ni si riconosceva il Dio Arcolo (c). (26). Racconta Valerio Massimo,
che
due figliuoli e una figlia d’un certo Valesio ven
ennero attaccati da gravissima malattia. Il loro padre pregò gli Dei,
che
traessero sopra di lui la morte minaccinta a que’
opra di lui la morte minaccinta a que’fanciulli. Venne in cognizione,
che
queglino avrebbono riacquistata la salute, qualor
essa li guarì. Coloro dissero allora di aver veduto in sogno un Nume,
che
aveva loro ordinato di celebrare de’Giuochi nottu
). L’Isola di Delo, per esservi nato Apollo, divenne sì rispettabile,
che
nè catti vi si alimentavano, nè alcuno vi si sepp
lcuno vi si seppelliva, nè le donne vi partorivano(b). Si sa inoltre,
che
i Persiani, ì quali avevano devastato tutte le Is
(e). Nat. Com. Mythol. l. 4. (3). Furonvi alcuni, i quali dissero,
che
Latona era balia, e non madre di Apollo e di Dian
ch’erano accorsi ad intorbidare quelle acque. Latona chiese agli Dei,
che
coloro non uscissero mai più da quella palude. No
tempio in Argo e in Delo, vicino a quello d’Apollo(a). Erodoto dice,
che
uno ne avea pure in Bute, e un Oracolo antichissi
po, Ossa, e Pelio(c). (a). Ovid. Metam. l. I. (5). Pausania dice,
che
Diomede, ritomando da Troja, ed essendosi salvato
gli ricercavano Alceste in matrimonio, avea giurato di darla a colui,
che
avesse condotto in giro la sua figliuola sopra un
dmeto ebbe da Apollo i due animali, e con questi avendo eseguito ciò,
che
Pelia avea proposto, ottenne la giovine in isposa
he Pelia avea proposto, ottenne la giovine in isposa. Dicesi inoltre,
che
, fatto Pelia morire, come più diffusamente vedrem
, versate dal grande amore per Alceste, talmente intenerì Proserpina,
che
questa gli ridonò in vita la generosa consorte(b)
tion. Mythol. (b). Cic. Tuscul. Quest. l. I. (8). Pausania dice,
che
Agamede fu ucciso dallo stesso suo fratello, Trof
torre per custodirvi i di lui tesori. Queglino la formarono in guisa,
che
potevano introdurvisi secretamente, ogni qual vol
ono in guisa, che potevano introdurvisi secretamente, ogni qual volta
che
volevano. Il Principe finalmente osservando, che
nte, ogni qual volta che volevano. Il Principe finalmente osservando,
che
le sue ricchezze di giorno in giorno grandemente
tendo conoscere, come ciò avvenisse, tese un agguato appresso i vasi,
che
contenevano l’oro. Vi fu preso Agamede. Trofonio,
lui fosse scoperto. Altri finalmente riguardo ad Agamede soggiungono,
che
la terra si aprì sotto i di lui piedì, ed egli vi
, e a portare seco delle focacce per gettarle a’Lemuri, e a’serpenti,
che
gli si facevano incontro. Dicesi inoltre, che chi
a’Lemuri, e a’serpenti, che gli si facevano incontro. Dicesi inoltre,
che
chiunque discendeva nello stesso antro, non mai p
à consecrata a quel Nume, ne riportò tanta fama colle sue predizioni,
che
non solo l’Asia, ma tutta la Grecia Europea atton
pero(a). (11). Numa, per conciliare maggiore venerazione alle leggi,
che
stava formando, pubblicò che la Ninfa Egeria di n
ciliare maggiore venerazione alle leggi, che stava formando, pubblicò
che
la Ninfa Egeria di notte gliele dettava nel bosco
i andarono a cercare quella Ninfa nel predetto luogo, nè vi trovarono
che
una fontana, in cui immaginarono, che colei fosse
predetto luogo, nè vi trovarono che una fontana, in cui immaginarono,
che
colei fosse stata convertita da Diana(b). Le donn
geria riconobbero Giunone Lucina(d). (c). Id. Ibid. (12). Dicesi,
che
Gige, gonfio di se stesso, perthè era potentissim
’Oracolo di Delfo per sapere, se v’era alcuno più felice di lui. Udì,
che
Aglao di Psofide, città d’Arcadia, lo superava. C
Aglao di Psofide, città d’Arcadia, lo superava. Costui non possedeva
che
poche campagne ; ma si contentava di ciò, che col
a. Costui non possedeva che poche campagne ; ma si contentava di ciò,
che
colla propria industria ne ritraeva(e). (13). Tr
tero ad alcuni astanti la prima raccolta, ch’erano per fare. Avvenne,
che
insieme co’pesci raccolsero anche un tripode d’or
ri, per terminare la quale si ricorse alla Pitonessa. Questa rispose,
che
il tripode mentovato si desse al più sapiente. Fu
gli aveva dato la vita. Il giovine frattanto si acquistò tale stima,
che
finalmente divenne il depositario delle richezze
nne il depositario delle richezze di quel tempio. Apollo poi bramava,
che
Jone fosse creduto figlio di Zuto, re d’Atene, il
re ilsuo Oracolo per sapere, se egli avrebbe alcun figliuolo. Intese,
che
sarebbe suo figlio quello, il quale egli incontre
bbe, uscendo dal tempio. Zuto v’incontrò Jone, e lo tenne per quello,
che
gli era stato indicato. Creusa pensò, che tal cos
one, e lo tenne per quello, che gli era stato indicato. Creusa pensò,
che
tal cosa altro non fosse che un artifizio per col
he gli era stato indicato. Creusa pensò, che tal cosa altro non fosse
che
un artifizio per collocare sul trono il figlio di
asciò tosto il suo asilo, corse ad abbracciare Jone, e gli manifestò,
che
Apollo era il di lui genitore. Vi sopraggiunse Mi
era il di lui genitore. Vi sopraggiunse Minerva, e comandò a Creusa,
che
non palesasse a Zuto, ch’ella era madre di Jone.
d’Atene(a). (16). Gli Anfizioni erano i Deputati delle Greche città,
che
rappresentavano la nazione con piena facoltà di p
resero il nome da Anfizione, figlio di Deucalione, terzo re d’ Atene,
che
al dire di Pausania li instituì(b). Strabone però
’ Atene, che al dire di Pausania li instituì(b). Strabone però volle,
che
tale Deputazione abbia tratto la sua origine dal
no un sacrifizio solenne a Cerere, come Dea tutelare del luogo. Que’,
che
presiedevano a tale sacrifizio, si dicevano Gerom
ni di fresco latte, e nell’offerire vino e focacce di miglio. Dopo di
che
si ascendevano certi mucchi di paglia, sopra i qu
a). Queste Feste al dire di Suetonio si facevano anche per ricordare,
che
in que’giorni Romolo aveva gettato le prime fonda
o le prime fondamenta della sua città(b). E quì di passaggio notiamo,
che
siccome le pecore erano sotto la protezione delle
rano sotto la protezione delle due predette Divinità, così credevasi,
che
Bubona avesse la cura de’ buoi(c), Epona quella d
Peone i Poeti ricono scevano un celebre Medico degli Dei(f). Dicesi,
che
questi abbia risanato Plutone, gravemente ferito
perchè credevasi, ch’egli stesso avesse indicato agl’infelici amanti,
che
per guarire dalla loro passione era necessario ba
1). Molti altri Numi s’invocavano da’ Gentili per allontanare i mali,
che
loro sovrastavano. Eglino si chiamavano Apotropei
). Id. Ibid. (22). La madre di Branco, vicina a partorirlo, sognò,
che
il Sole entrava per la sua bocca, e usciva per le
r la sua bocca, e usciva per le sue viscere. Gl’ Indovini asserirono,
che
ciò era di buon augurio. Di fatti colei diede all
iadon, e fu annoverato tra gli Dei(e). Diede anch’egli degli Oracoli,
che
furono i più celebri dopo quelli di Delfo. A nobi
ianore, soprannominato Ocno. Questi fabbricò nell’ Etrurià una città,
che
chiamò Mantova dal nome di sua madre(a). (b). J
bolliva al levar del Sole, e faceva morire sull’istante gli uccelli,
che
ne beveano(b). (e). In Achaic. (f). Olymp. O
. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (a). Ovid. Metam. l. 4. (26). Dicesi,
che
Apollo, quando nacque Rodia, abbia fatto discende
due cavalli di color bianco o rosso(l). Licofrone poi lasciò scritto,
che
veniva portata dal cavallo Pegaso(m). Ella amò mo
remo altrove (a). Nacque pure da loro il Dio Fosforo, ossia Lucifero,
che
parimenti annunzia alla terra l’arrivo di sua mad
tempo anche il privilegio, ch’egli non mai invecchiasse, ne avvenne,
che
a lui, aggravato dagli anni e dalle infermità, co
a. L’Aurora finalmente lo cangiò in cicala(b). (28). Orfeo pretende,
che
Circe sia nata da Asterope e da Iperione(c). Ella
de’ Latini, detto poscia dal nome di lei Circeo(d). Erodiano scrisse,
che
fu dal Sole trasferita nel suo carro nell’ Esperi
uccello, chiamato parimenti Bico. Canente così allora se ne afflisse,
che
anch’ella morì di dolore(a). Circe poi non ostant
nell’ Isola di Eca(b). Dicesi ch’ella sia stata anche detta Marica, e
che
sotto tal nome la venerassero gli abitanti di Min
l nome la venerassero gli abitanti di Minturno(c). Altri soggiungono,
che
così denominavasi Venero(d). (29). Faetonte mill
ginata da un Nunre. Epafo, figliuolo di Giove e della Ninfa Io, negò,
che
colui fosse figliuolo del Sole. Faetonte se ne qu
Faetonte se ne querelò appresso Climene, sua madre. Ella lo accertò,
che
Febo era il di lui padre, ed esortollo a récarsi
diffondevasi la luce sulla terra. A tale inchiesta stupì il genitore,
che
ben conosceva il periglio, a cui esponevasi l’inc
ò il carro. Faetonte però non giunse a conoscere abbastanza la strada
che
dovea tenere, nè ebbe forza sufficiente a reggere
ebbe forza sufficiente a reggere i cavalli di suo padre. Ne avvenne,
che
quelli ben presto traviarono dal consueto cammino
ora troppo abbassandosi, inaridivano i fiumi, e riducevano poco meno
che
in cenere tutta la terra. Giove, onde riparare a
l tristo fine. Il pianto loro fu sì dirotto, e sì veemente il dolore,
che
rimasero cangiate in pioppi, e le loro lagrime in
te. Anch’egli n’ebbe tal’eccessivo dolore per la sciagura del nipote,
che
, abbandonate le cure dello Stato, solitario e pia
è sfogare la sua doglia, poichè venne convertito in Cigno(c). Notisi,
che
secondo Esiodo(d), e secondo Pausania(e) Faetonte
ne e da Aurora. Finalmente riguardo alle sorelle di Faetonte notiamo,
che
Igino(b) ne riconobbe sette, Merope, Elia, Egle,
bbe sette, Merope, Elia, Egle, Lampezia, Fela, Eteria, e Diosippe ; e
che
Germanico(c) ce Ie denominò Merope, Elia, Egle, E
Faetonte, sposò Merope, re dell’ Isola di Cos, il quale si pretende,
che
poscia sia stato cangiato in aquila, e collo cato
ui crebbero a tal numero, e Diodoro ce ne dà un’altra. Il primo dice,
che
la città di Sicione commise a tre celebri Scultor
l primo dice, che la città di Sicione commise a tre celebri Scultori,
che
ciascuno di loro formasse tre statue, le quali ra
ormasse tre statue, le quali rappresentassero le tre accennate Muse ;
che
queglino così a meraviglia eseguirono il loro lav
nate Muse ; che queglino così a meraviglia eseguirono il loro lavoro,
che
la medesuna città fece acquisto di tutte le nove
voro, che la medesuna città fece acquisto di tutte le nove Statue ; e
che
fin d’allora le Muse si computarono nove. Diodoro
e che fin d’allora le Muse si computarono nove. Diodoro poi pretende,
che
Osiride avesse sempre appresso di se nove fanciul
o, Polinnia, Urania, e Calliope(c). La prima presiedeva all’ Istoria,
che
contiene l’elogio degli Eroi. Rappresentasi coron
tre più famosi Poemi Epici, l’Iliade, l’Odissea, e l’Eneide. Vuolsi,
che
da Calliope sia nato Jalemo, inventore del canto
moravano(a), e de’quali quanto prima parleremo. Alcuni poi pretendono
che
sieno state denominate Pieridi dalle nove figlie
Piero, ricchissimo Macedone(b). Quelle giovani ardirono di assorire,
che
avrebbono superato nel canto le Muse. Queste acce
torni furono stabilite arbitre della gara. Fu proposta la condizione,
che
le Muse, perdendo, dovessero cedere alle figlie d
e Camene a cagione della dolcezza del loro canto(h). Varrone pretende
che
anticamente in vece di Camene si dicessero Carmen
figlio di Vulcano, molto le onorava(g) ; Pegasidi dal cavallo Pegaso,
che
soleva quà ç là trasportarle(h). Questo cavallo n
rasportarle(h). Questo cavallo nacque colle ali ; e vuolsi da alcuni,
che
sia stato prodotto dal sangue di Medusa, sgorgato
recise il capo, come più diffusamente vedremo(i). Esiodo poi pretende
che
lo stesso cavallo siasi detto Pegaso, perchè comp
parve alla luce presso le sorgenti dell’ Oceano(l). Ovidio soggiunge,
che
Nettuno, invaghitosi dell’anzidetta Medusa, e spe
erva, e la rendette madre del medesimo cavallo(a). Notiamo per ultimo
che
alle Muse si offerirono sacrifizj in varj luoghi
’ Atene aveano un altare, sul quale pure spésso loro si sacrificava ;
che
i Tespj ogni anno celebravano sul monte Elicona a
nno celebravano sul monte Elicona a loro onore una festa musicale ; e
che
Roma avea eretto ad esse tre tempj(b). (e). Or
e delle Muse, si celebravano da’ Greci Ie Nefalie, feste o sacrifizj,
che
si facevano senza vino. Non vi s’impiegava che l’
ie, feste o sacrifizj, che si facevano senza vino. Non vi s’impiegava
che
l’idromeli, ossia certa acqua mellata, che avea i
a vino. Non vi s’impiegava che l’idromeli, ossia certa acqua mellata,
che
avea il sapore del vino(c). (34). Il Parnasso è
tti i montì della Focide(d). Da prima chiamavasi Larnasso da Larnace,
che
fu l’arca di Deucalione, la quale era stata ivi t
uccelli, e inoltre fabbricò una città ch’ebbe pure il di lui nome, e
che
poi rimase sommersa nel tempo dell’anzidetto Dilu
te, l’una delle quali chiamavasi Titoreo, e l’altra Jampeo(a). Dicesi
che
Pireneo, re della Focide, incontratosi colle Muse
. Ma staccatosi dalla cima d’un’ alta torre, così precipitò al basso,
che
finì ben tosto di vivere(b). Il Parnasso divenne
rra, quando le acque inondarono tutta la terra(c). Notiamo finalmente
che
nel monte Parnasso v’avea un antro, detto Coricio
. Dal predetto luogo si denominarono Coricidi, o Coricie cette Ninfe,
che
ivi soggiornavano(e), e le Muse pure, alle quali
Il Pierio era monte della Tessaglia(a). (37). Il Pindo era un monte,
che
trovavasi tralla Macedonia e l’Etolia, e che sepa
. Il Pindo era un monte, che trovavasi tralla Macedonia e l’Etolia, e
che
sepanava l’ Epiro dalla Tessaglia(b). (38). Il P
iro dalla Tessaglia(b). (38). Il Permesso era un fiume della Beozia,
che
aveva la sua sorgente nel monte Elicona, e si sca
licona, e si scaricava nel lago. Copaide appresso Aliarto(c). Dicesi,
che
le acque dello stesso inspirassero il genio della
(d). (39). Il Castalio scorre alle falde del Parnasso. Pretendevano,
che
non solo le acque, ma perfino lo stesso strepito
to fatidico(e). Questo fiume fu così denominato dalla Ninfa Castalia,
che
fuggendo da Apollo, rimase convertita in questo f
a in questo fiume(f). (40). L’Aganippo usciva dall’ Elicona. Vuolsi,
che
questo fiume sia improvvisamente scaturito dal pr
e, quando il cavallo Pegaso con un piede ne percosse un sasso : ond’è
che
l’ Aganippe prese appresso i Greci il nome d’ Ipp
on vanno d’accordo i Mitologi riguardo il padre di Marsia. Igino dice
che
fu Eagro(a) ; Plutarco Jagnide(b) ; Apollodoro Ol
nide(b) ; Apollodoro Olimpo(c). (42). La tibia da principio non avea
che
tre o quattro buchi. Ateneo(d), e Pausania(e) vog
non avea che tre o quattro buchi. Ateneo(d), e Pausania(e) vogliono,
che
sia stata inventata dallo stesso Marsia. Apollodo
b). Diod. Sicul. l. 3. (c). Ovid. Metam. l. 6. (43). Akri dicono,
che
Marsia, come si vidde viuto, disperato si precipi
della Frigia, a cui diede il proprio nome(g). Comunque sia, certo è,
che
si verificò la protesta, la quale unita al giuram
flauto alla presenza degli Dei, fu da Giunone e da Venere avvertita,
che
il suono di quello strumento gonfiava in modo ass
ad una fonte del monte Ida, e non appena v’ osservò la sua deformità,
che
, gettato via il flauto, giurò, che un deplorabile
ppena v’ osservò la sua deformità, che, gettato via il flauto, giurò,
che
un deplorabile fine avrebbe incontrato colui, che
a il flauto, giurò, che un deplorabile fine avrebbe incontrato colui,
che
lo avesse raccolto : lo che accadde a Marsia(h).
eplorabile fine avrebbe incontrato colui, che lo avesse raccolto : lo
che
accadde a Marsia(h). Questi dopo morte fu pianto
ore di que’ dintorni. Da tali lagrime si formò un fiume limpidissimo,
che
si chiamò Marsia(i). (d). Nat. Com. Mythol. l.
Mythol. l. 6. (a). Paus. in Attic. (b). l. 3. (44). Omero dice,
che
niuno de’ figliuoli di Niobe potè sottrarsi alla
dice, che niuno de’ figliuoli di Niobe potè sottrarsi alla vendetta,
che
presero di lore Apollo e Diana(a). Niobe poi tal
a(a). Niobe poi tal dolore concepì per la perdita de’ suoi figliuoli,
che
Giove per pietà la convertì sul monte Sipilo in s
e Sipilo in sasso, il quale versava continuo pianto. Narrasi inoltre,
che
i di lei figliuoli rimaseto insepolti per nove gi
ove giotni, perchè i Tebani erano stati da Giove cangiati in sassi, e
che
gli Dei stessi nel decimo giorno rendettero a que
imo giorno rendettero a quelli i funebri onori(b). Dicesi per ultimo,
che
Anfione, addolorato per aver perduto sì miseramen
Apollo conferì a Tenero il privilegio di predire il futuro ; e volle,
che
il fiume Ladone prendesse il nome d’Ismenio, o Is
d). (b). Paus. l. 9. (46). Gordio, padre di Mida, stupì al vedere,
che
un’ Aquila se ne stette sul giogo della di lui ca
o grandi dissensioni tra’ Frigj ; e dall’ Oracolo : si predisse loro,
che
le medesime non avrebbono cessato, se non per mez
ro, che le medesime non avrebbono cessato, se non per mezzo di colui,
che
avessero veduto andarsene sopra un carro al tempi
fanciullezza, quando molte formiche empirono di grano la bocca a lui,
che
dormiva(a). Mida dedicò a Giove il carro di suo p
n nodo d’ammirabile sottigliezza, ed era il legame talmente aggirato,
che
non si poteva conoscerne nè il principio, nè il f
r isciorlo, perchè un’ antica tradizione di quel paese avea indicato,
che
chi avesse potuto ciò fare, avrebbe conseguito l’
, avrebbe conseguito l’Imperio dell’ Asia. Non vi riuscì ; e temendo,
che
i suoi soldati ne ttaessero cattivo presagio, lo
l materno tentativo, poichè Eolo udì i vagiti del bambino, e comandò,
che
quello fosse tosto esposto a’ cani. Spedì egli ne
e andò a fabbricare una città nella Caria. Bibli allora pianse tanto,
che
divenne una fonte(a). (a). Job. Jacob. Hofman.
comunemente dicesi nato da Apollo e da Terpsicore, vuolsi da alcuni,
che
abbia tratto i natali da Mercurio e da Urania(b).
i Psamate, figlia di Crotopo,-re d’Argo. Colei non appena lo partorì,
che
temendo l’ira del padre, lo nascose tra certi vir
cerarono(d). Non sono da confondersi i due anzidetti Lini con quello,
che
nacque da Urania e da Anfiarao. Anch’ egli fu ecc
compianto perfino dalle nazioni più barbare. Omero finalmente disse,
che
Vulcano sullo scudo d’ Achille tra i molti altri
al figlio, Tamiride. Questi divenne così peritissimo in tale scienza,
che
a motivo della medesima fu dagli Sciti creato lor
a. Filamone disperato pel doloré si gettò in un fiume. Platone finse,
che
l’anima di Tamiride fosse passata nel corpo di un
une sopra le altre con ammirabile proporzione(b). Anfione fu il primo
che
innalzò un altare a Mercurio nella Grecia per ave
cia per avet da lui ricevuto il predotto strumento. Alcuni pretendono
che
ne sia stato regalato da Apollo(c). Ebbe un frate
fratello, di nome Zeto. Eglino, per vendicare i barbari trattamenti,
che
Dirce, moglie di Lico, re di Tebe, avea usato all
er la di lei singolare bellezza la guarì e sposò(b). Apollonio vuole,
che
Antiope fosse figlia d’Asopo(c) ; e Zetze dice, c
Apollonio vuole, che Antiope fosse figlia d’Asopo(c) ; e Zetze dice,
che
Anfione e Zeto ebbero Teoboonte per padre(d). Alt
, che Anfione e Zeto ebbero Teoboonte per padre(d). Altri pretendono,
che
Giove per unirsi ad Antiope siasi trasformato in
vessero fatto morire. Ricusarono coloro d’ aderirvi, perchè temevano,
che
Arione, arrivato a Corinto, li accusasse. Il suon
Arione, arrivato a Corinto, li accusasse. Il suonatore chiese allora,
che
prima di morite almano gli fosse permesso di tocc
. Egli accoppiava con tanta dolcezza la sua voce al suono della lira,
che
sospendeva il corso de’ rapidissimi fiumi, rendev
traeva dietro a udirlo gli uccelli, le selve, e i monti. Fu il primo,
che
introdusse nella Grecia le solennità di Bacco(e).
poso. La sola Euridice, figlia di Nereo o di Dori, egualmente saggia,
che
bella, potè averlo in marito. Avvenne poi, ch’ell
piede, e sul più verde degli anni suoi la fece morire. Altri dicono,
che
fu punta da quell’ animale, mentre fuggiva dal pa
pastore Aristeo, figlio d’Apollo e della Ninfa Cirene(g). Soggiungono
che
le Ninfe, per vendicare la morte d’Euridice, ucci
er vendicare la morte d’Euridice, uccisero tutte le Api di Aristeo, e
che
questi assai più ne ottenne, dopochè per consigli
le sue corde il cane Cerbero, e vi fece risuonare sì flebili accenti,
che
intenerite le ombre de’ trapassati non poterono n
nte perduta. Era ormai per rivedere la luce del Sole, quando temendo,
che
la moglie nol seguisse, per accertarsene voltò in
perchè rivelò a gente profana i più secreti Misterj. Dicesi eziandio,
che
il capo e la lira di lui, gettati nell’ Ebro, fur
ttati nell’ Ebro, furono dalla forza del fiume trasportati in Lesbo ;
che
poi la stessa lira venne collocata tra gli Astri,
ornata dalle Muse di nove insigni stelle(a). V’ è altresì chi narra,
che
Orfeo dopo la morte di Euridice non siasi più uni
orte di Euridice non siasi più unito in matrimonio con altre donne, e
che
da’ alcune di queste al tempo delle Orgie sia sta
empo delle Orgie sia stato lacerato(a). Alcuni finalmente pretendono,
che
Orfeo siasi abbandonato a sì eccessiva tristezza,
nte pretendono, che Orfeo siasi abbandonato a sì eccessiva tristezza,
che
finalmente si diede la morte da se medesimo(b). L
iope(c). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (53). Strabone dice,
che
le Famiglie Irpie camminavano sul fuoco non in on
o Monumento nel. Tomo III dell’ Accademia di Cortona. Altri vogliono,
che
Clatra sia Iside, altri un segno Panteo(f). (c).
ucippo, figlio d’Enomao, re di Pisa. Questi, conoscendo l’avversione,
che
quella Ninfa aveva al matrimonio, se le avvicinò
lo, geloso di vedere Leucippo corrisposto da Dafne, inspirò sì a lei,
che
alle compagne di essa il desiderio di bagnarsi ne
all’assedio di Troja. Polimela sposò poi Echecleo, figlio di Attore,
che
per averla in moglie dovette offerire al di lei p
nò dalla società, e andò a vivere ne boschi, ove fu accolta da Diana,
che
la ammis’ nel numero delle sue compagne. Venere,
a ammis’ nel numero delle sue compagne. Venere, offesa dee disprezzo,
che
Polifonte faceva di lei, volle vendi. l carsene,
fiere a divorare la misera giovine. Costei però fu sì agile di piedi,
che
si salvò colla fuga, e ritornò alla paterna casa.
tempo dopo i due gemelli, Orcio e Agrio. Costoro crebbero sì feroci,
che
divoravano tutti quelli, che incontravano. Mercur
cio e Agrio. Costoro crebbero sì feroci, che divoravano tutti quelli,
che
incontravano. Mercurio per ordine di Giove era pe
brani, quando Marte, perchè eglino erano discendenti da lui, ottenne,
che
fossero cangiati colla madre in uccelli. Polifont
ossero cangiati colla madre in uccelli. Polifonte divenne un uccello,
che
canta solamente la notte, che non può nè bere, nè
uccelli. Polifonte divenne un uccello, che canta solamente la notte,
che
non può nè bere, nè maugiare, e la di cui appariz
lantidi. Questi, comechè fosse un povero agricoltore (Igino (e) vuole
che
fosse un Principe della Beozia) tuttavia fece lor
glienza. Gli anzidetti Numi, grati a tanta cortesia, gli accordarono,
che
chiedesse tutto quel, che voleva. Colui ricercò d
i, grati a tanta cortesia, gli accordarono, che chiedesse tutto quel,
che
voleva. Colui ricercò di avere un figliuolo senza
pelle d’un bue, ch’egli avea loro sacrificato (f). Ferecide poi dice,
che
Orione era figlio di Nettuno e di Euriale, e che
. Ferecide poi dice, che Orione era figlio di Nettuno e di Euriale, e
che
il padre suo gli avea conferito il privilegio di
utti nel mare (g). Altri poi dicono ch’era di sì eccedente grandezza,
che
non eravi mare sì profondo, sopra la di cui super
resso il Sole, da cui gli fu restituita la primiera vista. Fu allora,
che
Orione prese le armi contro Enopione, ma non potè
one prese le armi contro Enopione, ma non potè fargli pagare il’ fio,
che
bramava, perchè quello venne da’ suoi cittadini n
uoi cittadini nascosto sotterra (c). (4). Alcuni lasciarono scritto,
che
Diana fece perire Orione, perchè questi aveala pr
aveala provocata a giuocare secolui al disco (d). Altri soggiunsero,
che
la stessa Dea lo uccise co’ dardi, perchè volle f
, ovvero a lei stessa, come dice Nicandro (f). (5). Ovidio racconta,
che
Orione perì d’un morso di scorpione, che la Terra
(f). (5). Ovidio racconta, che Orione perì d’un morso di scorpione,
che
la Terra produsse per punirlo d’essersi vantato,
so di scorpione, che la Terra produsse per punirlo d’essersi vantato,
che
non eravi bestia, cui egli non fosse capace di fa
stia, cui egli non fosse capace di fare resistenza (g). Lucano vuole,
che
il predetto scorpione siasi suscitato contro Orio
e Venere e Minerva arricchirono de’ loro più preziosi doni. Avvenne,
che
la Beozia si trovò afflitta da pestilenza. L’Orac
si trovò afflitta da pestilenza. L’Oracolo fece intendere a’ Tebani,
che
non se ne libererebbono se non col sacrifizio di
ero i corpi. Dalla terra, bagnata da quel sangue, sorsero due stelle,
che
in forma di corona s’innalzarono al Cielo (b). Ov
, che in forma di corona s’innalzarono al Cielo (b). Ovidio pretende,
che
il corpo delle due anzidette giovani siasi abbruc
e il corpo delle due anzidette giovani siasi abbruciato da’ Tebani, e
che
da quelle ceneri si sieno prodotti due giovani co
nione degli Antichi ciascurio per lo più si occupa in quegliesercizj,
che
amava sulla terra (d). (b). Ovid. Metam. l. 11.
Costui, entrato in un antro per riposarsi, prese sonno, nè si svegliò
che
dopo settanta cinque(b), o, come altri dicono, ci
, ed egli molto giovò ad essi co’consigli e colle predizioni. Dicesi,
che
sia morto in età di dugento ottanta nove anni, e
dizioni. Dicesi, che sia morto in età di dugento ottanta nove anni, e
che
dopo morte sia stato onorato come un Nume(c). (d
e(c). (d). Nat. Com. Mythol. l. 4. (e). In Eliac. (9). Vuolsi,
che
Endimione abbia avuto in moglie Asterodia, o Crom
he Endimione abbia avuto in moglie Asterodia, o Cromia, o Iperippe, e
che
questa gli abbia partorito i tre figliuoli, Peone
ella parte, la quale poscia venne chiamata Peonia. Notisi per ultimo,
che
secondo l’opinione di alcuni vi furono due Endimi
la Caria(e). (f). Declaustre Diction. Mythol. (10). Altri dicono,
che
il nome di Dittinna fu dato alla stessa Britomart
. (f). Declaustre Diction. Mythol. (12). E’opinione di Plutarco,
che
sotto il nome di Libitina si riconoscesse Venere
gli uomini della fragilità della loro natura, e per far comprendere,
che
il fine de’loro giorni non era lontano dal princi
incipio degli stessi, poichè questa Deità, la quale presiedeva a ciò,
che
dava la vita, presiedeva poi anche a ciò, che acc
quale presiedeva a ciò, che dava la vita, presiedeva poi anche a ciò,
che
accompagna la motte ; ovvero perchè in Dello v’av
e splendida veste, e sì ornava di fiorite corone e di verdi tami : Io
che
si faceva da certi Ministri, chiamati Pollintori(
porta del defonto un vaso d’acqua, affinchè si purificassero coloro,
che
doveano toccare il cadavere. Alle porte si append
verghe. Oltre i fasci vi si portavano anche le Insegne de’Magistrati,
che
quegli avea ottenuti(b). Se era guerriero, andava
no le Nenie, ch’erano lamentevoli versi di lode al defonto(a). Dicono
che
alla ceremonia di queste donne presiedesse la Dea
te a farsi dal morto(c) ; innoltre i Liberti Orcini, ossia que’servi,
che
per testamento del defonto aveano conseguita la l
are o soppellire. Se si abbruciava, ciò si faceva nel campo di Marte,
che
trovavasi fuori della città. Le ceremonie, solite
i in quell’occasione, furono già da noi altrove esposte. Quì notiamo,
che
non si usò mai di abbruciare i fanciulli, i quali
mpi posteriori lo facevano fuori della città, nè in quelle tumulavano
che
i porsonaggi illustri(c). I volgari sepulcri dell
i celetta avea la sua porta. Furonvi anche aggiunte colonne e statue,
che
ornavano i sepolcri, e alludevano alle imprese de
a insalubre l’aria della città, Augusto donô quel recinto a Mecenate,
che
lo convertì in ameni orti(f). Ed è probabile, che
recinto a Mecenate, che lo convertì in ameni orti(f). Ed è probabile,
che
altri siti suburbani si sieno allora destinati al
ni, riposte sul sepolcro(b), e chiamate anche cibi ferali. Credevasi,
che
le anime in quel tempo fossero immuni dalle pene,
i. Credevasi, che le anime in quel tempo fossero immuni dalle pene, e
che
potessero venire sulla terra a godere di que’cibi
giorni di tale ceremonia si dicevano Denicali(a). Notiamo per ultimo,
che
se alcuno moriva lontano, se ne faceva l’immagine
iv. lib. 23. (a). Declaustre Diction. Mythol. (14). Altri dicono
che
Diana fu detta Lafria, da Lafrio, figlio di Delfo
. Altri dicono che Diana fu detta Lafria, da Lafrio, figlio di Delfo,
che
le eresse il predetto tempio(c). (b). Isidor. l
lol. c. 14. (c). Nat. Com. Mythol. l. 3. (15). V’è chi pretende,
che
le Caneforie si facessero in onore di Minerva o d
scisse felice il matrimonio, ch’erano per incontrare. Notisi altresì,
che
la Caneforia non era una festa, ma una ceremonia
(d). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (16). Antonino Liberale vuole
che
Toante, re della Tauride, fosse figlio di Boriste
essaglia offeriva ogni anno dei sacrifizj (a). (2). Apollodoro dice,
che
Cinira nacque da Tanace, e da Sandoco, figlio di
lei era estremamente amata. Egli non poteva trattenerri cella stessa,
che
passando di notte lo Stretto a nuoto. Erone tenev
a si trovava. Dopo molti viaggi felici il mare divenne sì procelloso,
che
per sette giorni Leandro non potè tragittarlo. L’
impazienza d’andarsene all’amata giovine non gli permise d’aspettare,
che
il mare si fosse del tutto abbonacciato, nè avend
bbe, e disperata si precipitò anch’ella nel mare (c). Ovidio suppone,
che
Leandro, non avendo potuto per alquanti giorni pa
mare, spedì ad Erone un foglio per toglierla da ogni inquietudine ; e
che
la giovine gli significò la sua impaziente brama
i orti. In questi i Romani ne collocavano la statua, perchè credevano
che
il Nume li custodisse, e rendesse fruttiferi. Pri
ali Atene venerava il sozzo Dio, Conisalo : anzi è opinione di molti,
che
l’uno e l’altro fossero la stessa Deità. Priapo f
e Feste, denominate Ornee, in onore di Priapo (c). Notisi per ultimo,
che
quale era Priapo appresso i Greci, sale da’Romani
re, a’quali anche l’oggetto da lui amato doveva intervenire. Avvenne,
che
certi Pelasgi rapirono parte di quelle femmine, e
emota riva. Là si abbandonarono coloro alla gioja, e sì tripudiarono,
che
finalmente caddero in profondo sonno. Imene, assi
quella, cui amava. Così si fece ; e tale matrimonio riuscì sì felice,
che
in tutti gli altri, poscia celebrati, si ricordò
figliuolo di Bacco e di Venere, come abbiarno detto ; altri vollero,
che
fosse nato da Calliope e da Apollo ; ed altri fin
la più bella di quelle a Talassio, giovine adorno non meno di valore,
che
di altre virtù. Anche quel matrimonio riuscì feli
gono chiamate Lecori, Gelasia, e Comasia ; ma queste forse non furono
che
tre giovinette, le quali per la vivacità del loro
uole nato da Venere e da Marte ; Esiodo dal Caos(b). Aristofane dice,
che
la Notte produsse un uovo, il quale ella avea con
ito dal vento Zefiro, e da cui nacque poi Cupido(c). Offeo soggiunge,
che
Cupido trasse sua origine da Saturno ; e Saffo pr
ffo pretende dal Cielo e dalla Terra(d). Finalmente Platone racconta,
che
, solennizzando gli Dei la nascita di Venere, Poro
poscia fu stabilito al servigio di Venere(e). Questa Dea, osservando,
che
Cupido non cresceva mai, ne ricercò a Temi la rag
do, che Cupido non cresceva mai, ne ricercò a Temi la ragione. Intese
che
ciò avveniva, perchè egli non avea alcun fratello
onsultarono Apollo intorno i di lei sponsali, e n’ebbero in risposta,
che
dovessero esporla sopra un’alta montagna ; e che
’ebbero in risposta, che dovessero esporla sopra un’alta montagna ; e
che
Psiche non si sperasse d’avere in isposo un morta
ome nasceva il dì, ei la lasciava per non esserne conosciuto. Psiche,
che
aveva sempre presente alla memoria la risposta de
aveva sempre presente alla memoria la risposta dell’Oracolo, temeva,
che
colui fosse un mostro, e voleva togliersi dal con
di Proserpina, nel ritornarsene da di là, aprì per curiosità il vaso,
che
dovea tenere sempre chiuso, e n’esalò un vapore s
vaso, che dovea tenere sempre chiuso, e n’esalò un vapore sì pessimo,
che
la immerse in profondo sonno. Non si sarebbe più
gliata. Lo stesso Nume volò subito dopo al Cielo, e ottenne da Giove,
che
Venere non si opponesse alle di lui nozze con Psi
ricercata la sacerdotessa in matrimonio, la ottenne. Venere sdegnata,
che
le si fosse allontanata dal suo servigio una Sace
e). Hom. Iliad. l. 1. (a). Nat. Com. Mythol. l. 2. (2). Si crede,
che
il mentovato mostro marino fosse una balena. La m
atello, Podarce. Ercole non acconsentì all’inchiesta, se non a patto,
che
Podarce avesse continuato a servire in qualità di
che Podarce avesse continuato a servire in qualità di schiavo, ovvero
che
Esione lo avesse riscattato con qualche dono. Col
un pennacchio libero, e ricevette da quel momento il nome di Priamo,
che
conservò poi per tutto il tempo della sua vita(b)
esì a questo luogo il fatto d’Egesta. Ippote, nobile Trojano, temendo
che
la predetta giovine, sua figliuola, venisse espos
, i quali due nomi esprimevano il flusso e riflusso del mare. Vuolsi,
che
sia stata chiamata pure Salacia dalla salsezza de
eo rimase ucciso da Diana. Pirene per tale fatto versò tante lagrime,
che
fu convertita in fontana. Anche questa divenne sa
re le cose futute. Orazio disse ch’egli annunziò a Paride tutto quel,
che
di tristo era per accadere alla sua patria a moti
nell’arte d’indovinare per mezzo dell’acqua(a). Apollodoro racconta,
che
Nereo insegnò ad Ercole, dov’erano i pomi d’oro,
e quali lo divertivano col canto e colle danze(c). Notisi per ultimo,
che
Nereo secondo altri Poeti era un Nume del mare an
gli alfine ripigliava il suo primiero aspetto, e rispondeva a ciò, di
che
veniva interrogato, come vedremo altrove. Dicesi
ò, di che veniva interrogato, come vedremo altrove. Dicesi per ultimo
che
Proteo pascesse sott’acqua le Foche, ossia i Vite
con Vertunno in matrimonio. Neppure sotto quell’aspetto conseguì ciò
che
bramava ; ma finalmente l’ottenne, quando prese l
la Beozia. Egli se ne stava lungo tempo sott’acqua, e dava a credere,
che
avesse secreti colloquj cogli Dei del mare. Final
ove stava asciugando le reti, o numetando i raccolti pesci. Avvenne,
che
non appena furono quelli stesi sull’erba, che rit
accolti pesci. Avvenne, che non appena furono quelli stesi sull’erba,
che
ritornarono nel mare. Il pescatore non sapeva dec
di qualche Deità, o dalla efficacia di quel terreno. Credette alfine,
che
nell’erbe del medesimo potesse esservi qualche vi
ò nelle onde. Lo accolsero gli Dei marini, e pregarono Oceano e Teti,
che
lo spogliassero di tutto ciò, ch’era mortale. Il
(a). A Glauco si attribuiva la cognizione dell’avvenire ; e dicevasi
che
Nereo, di cui abbiamo favellato, lo avesse costit
sua incantatrice arte gliene ottenesse pari corrispondenza. La Maga,
che
per indole era sempre trasportata ad amare, si ac
ccese ben presto d’amore per lui, e lo eccirò ad amare piuttosto lei,
che
, come Dea e figlia del Sole, più meritamente pote
i lui tenerezza. Non ascoltò Glauco siffatte insinuazioni, e protestò
che
non avrebbe mai cangiato amore, finchè Scilla fos
que, nelle quali colei soleva lavarsi. La giovine appena vi si tuffò,
che
prese una forma mostruosa. Ella acquistò sei test
giunse, ch’ella avesse occhi di fuoco, e ogni collo di talelunghezza,
che
poteva trarre a se perfino le navi più lontane (b
poteva trarre a se perfino le navi più lontane (b). Notisi eziandio,
che
le acque, nelle quali erasi immersa Scilla, secon
n da Circe, ma da Anfitrite, perchè questa s’adirò nel vedere Scilla,
che
stava trattenendosi con Nettuno (c). Dicesi, che
ò nel vedere Scilla, che stava trattenendosi con Nettuno (c). Dicesi,
che
dirimpetto a Scilla vi fosse un altro orrido most
ere tale in pena d’aver rubato ad Ercole alcuni buoi. Altri vogliono,
che
Cariddi sia stata uccisa dallo stesso Ercole, e c
. Altri vogliono, che Cariddi sia stata uccisa dallo stesso Ercole, e
che
Giove poscia la abbia convertita in mostro. Evvi
rvi, stanco d’affaticare in una vigna, da lui piantata, gli predisse,
che
già non ne godrebbe alcun fiutto. Se ne rise Ance
lto da quella vigna. Nel momento stesso accorse un certo a riferirgl,
che
un grandissimo cinghiale guastava tutta la di lui
ti. Qualche tempo dopo colei divenne madre di due figli, e osservando
che
Metaponte amava con della preferenza i due primi,
li. I loro colpi andarono falliti, ed essi in vece perirono. Nettuno,
che
in quella circostanza avea soccorso i suoi figliu
ebe appresso Lico, suo fratello, e a lui lisciò il regno, pregandolo,
che
volesse vendicare la sua morte col combattere più
er madre Celene. I Poeti ci descrivono Tritone, come un Dio possente,
che
regna negli abissi del mare, e il di cui uffizio
e al pesce con lunga coda(i). (d). Paus. l. 2. (15). Altri dicono,
che
Melicerta, figlio del Tebano Atamante, e d’Ino, f
me di lui in Palemone, e quello d’Ino in Leucotea. V’è chi soggiunge,
che
il corpo di Melicerta, essendo rimasto insepolto
fflitri da grave pestilenza. Si consultò l’Oracolo, e questi rispose,
che
non cesserebbe quel mare, se prima non si fossero
e solamente per qualche tempo, e quindi la peste continuò. Allora fu,
che
nuovamente per consiglio dell’Oracolo si stabilì
ilì di ripigliare per sempre gli anzidetti Giuochi. Altri pretendono,
che
questi sieno stati instituiti in onore prima di N
rco poi tutto all’opposto la discorre(b). Finalmente Museo riferisce,
che
su quell’Istmo si facevano due sorta di Giuochi,
Melicerta(c). Riguardo a questo, e a Melicerta è inoltre da sapersi,
che
ambedue si tennero come Divinità marine ; che a M
a è inoltre da sapersi, che ambedue si tennero come Divinità marine ;
che
a Melicerta si diede anche il nome di Portuno ; e
tuno ; e ch’egli si dipinse con una chiave in mano, perchè si credeva
che
difendosse i porti da’ nemici(d). Il medesimo fu
otterranea, nella quale pure gli si sacrificava. Qualunque spergiuro,
che
avesse osato di mettervi piede, ne restava tosto
tta cello stesso Poeta nacquero dagli stessi Dei(d). Igino poi vuole,
che
i Venti impetuosi sieno nati da Aurora e dal Tita
to(f). Zefiro amò la Ninfa, detta da’Greci Clori, e Flora da’ Latini,
che
divenne poi la Dea de’fiori(g), e della quale abb
lato. Servio lo fa sposare una delle Stagioni, e ne fa nascere Carpo,
che
da Giove veniva ogni anno trasformata in bellissi
gni anno trasformata in bellissimo fiore(h). Esiodo finalmente vuole,
che
Zefiro fosse figlio d’Astreo e d’Aurora(a). Euro
poi da’ Latini si appellò anche Vulturno(b). Altri però soggiungono,
che
questo è diverso da quello, e ch’esso fu anche de
ra tra l’Euro e’l Noto(c). I Fenicj al dire d’Eusebio furono i primi,
che
offerissero sacrifizj a’ Venti. Gli Ateniesì pure
iglia d’Attore Caristio(l). Primachè Eolo comandasse a’ Venti, dicesi
che
questi tra loro così abbiano contrastato, che ne
ndasse a’ Venti, dicesi che questi tra loro così abbiano contrastato,
che
ne rimasero devastati moltissimi paesi(m). Eolo p
onsultato l’Oracolo d’Apollo in Claro, naufragò nel mare Egeo. Ceice,
che
viveva all’oscuro dell’accaduto, ne sospirava il
accaduto, ne sospirava il ritorno, e chiedeva spezialmente a Giunone,
che
potesse rivederlo sano e salvo. La Dea, cui non p
Giunone, che potesse rivederlo sano e salvo. La Dea, cui non piaceva,
che
Alcione porgesse indarno voti ed offerte, ordinò
iaceva, che Alcione porgesse indarno voti ed offerte, ordinò ad Iride
che
commettesse al Sonno di far sapere ad Alcione per
rondante d’acqua ; e presentandosi col pianto sugli occhi ad Alcione,
che
dolcemente dormiva, le partecipò il suo rio desti
lla ne vide il corpo sulle rive del mare. Allora tal dolore la prese,
che
corse a precipitarsi anch’ella nel mare ; ma i Nu
orse a precipitarsi anch’ella nel mare ; ma i Numi cangiarono sì lei,
che
il marito suo in volatili(b). Non è da confonders
Il di lei marito usò dell’arco e delle saette per riaverla da Apollo,
che
gliela aveva rapita ; ma ne rimase deluso, poichè
a quale sposò Pemandro, figlio di Cheresilao, e visse sì lungo tempo,
che
acquistò il soprannome di Grea, ossia Vecchia (a)
quistò il soprannome di Grea, ossia Vecchia (a). Notiamo per ultimo ;
che
varie altre Divinità furono venerate da’ viaggiat
Varrone(f), crede, ch’ella fosse Cerero stessa, così dotta dal pane,
che
somministrava. Varrone poi distingue l’una dall’a
in onore di tutti gli Dei per ringraziarli dell’abbondante raccolta,
che
gli avevano concesso. Offerì egli pure le primizi
a ne andava la giovine del colpo felice, non meno ne gioiva Meleagro,
che
ardentemente la amava. Arrossirono gli altri, ed
o si presentarono agli occhi suoi i cadaveri di Plesippo e di Tosseo,
che
si portavano a seppellire in città. Cangiò ella s
o in pianto la gioja, e appena udì il nome dell’autore dello scempio,
che
al cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendet
al cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendetta. Ella si ricordò,
che
nell’istante di partorire Meleagro, le Parche le
sarebbesi acquistato gran nome col suo coraggio ; Lachesi soggiunse,
che
sarebbe stato dotato di straordinaria fortezza ;
fortezza ; e Atropo, gettato ad ardere un tronco nel fuoco, dichiarò
che
Meleagro avrebbe cessato di vivere, qualora quel
studiava di superare col coraggio lo spasimo. Finalmente al languire
che
faceva a poco a poco la fiamma stessa, andarono p
Ercole. Morta Altea, Eneo prese in moglie Peribea, figlia d’Ipponoo,
che
divenne madre di Tideo, padre di Diomede. Eneo po
licrate, di cui si parlò, fosse quel medesimo, il quale fece un carro
che
si poteva nascondere sotto l’ala d’una mosca ; sc
cavano alle Insegne militari (c). (5). Sciro perì nel combattimento,
che
que’ d’ Eleusi sostennero contro Eretteo, re d’ A
Peplo. Esso d’ordinario davasi alle Grazie (e). Un antico Poeta dice,
che
Cupido rubò il Peplo alle Grazie, mentre si lavav
erere, vestita dello stesso ornamento(g). Questo medesimo Poeta vuole
che
il Peplo fosse anche proprio degli Dei. (a). Po
pubblica(h). (b). Id. Ibid. (c). Id. Ibid. (8). V’ è chi dice,
che
Erittonio nacque da Vulcano e da Minerva(i). (a)
a(i). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (9). I Poeti aggiungono
che
Erittonio, avendo osservato ch’egli aveva i piedi
ltra cagione attribuiscono la morte di Aglauro o Agraulo. Pretendesi,
che
sotto il regno di Cecrope una crudele malattia de
e una crudele malattia desolasse Atene. L’Oracolo consultato rispose,
che
la calamità cesserebbe, se alcuno avesse voluto i
, essendo per guerreggiare contro gli Eleusini, intese dall’ Oracolo,
che
ne avrebbe trionfato, qualora avesse sacrificato
tonea, Creusa, Oritia, e Procride. Elleno sì strettamente si amavano,
che
aveano giurato di non sopravvivere le une alle al
li eressero un tempio nella Cittadella d’ Atene (a). Omero soggiunge,
che
gli stessi popoli ogni anno gli sacrificavano tor
isce lo Scoliaste di Apollonio, ebbe anche un figlio, di nome Falero,
che
fu uno degli Argonauti. Questi, al dire di Pausan
nauti. Questi, al dire di Pausania, fu autore di quel porto in Atene,
che
fu poi detto Falereo (c). (d). Phurn. de Nat. D
anche Romolo, di lui figliuolo, si chiamò Quirino. Altri soggiungono,
che
un certo Giulio Proculo, uomo di singolare probit
d’ una maestà divina, e in atto d’ ascendere al Cielo ; v’ aggiunse,
che
lo stesso Romolo gli predisse la futura grandezza
ezza della sua città, e promise d’ esserne il protettore ; conchiuse,
che
Romolo medesimo ricercava di venire adorato da’ s
Finalmente Quirinali si appellarono pur anche le Feste e i sacrifizj,
che
ogni anno si celebravano in onore di Romolo (b).
(b). Al tempo di quelle Feste supplivano alla loro mancanza queglino,
che
non aveano solennizzate le altre, chiamate Fornac
era un atto di Religione, stabilito per purificare i rei e tutto ciò,
che
riputavasi immondo. Essa poi venne usata anche in
col solfo, co’ profumi, o talora coll’ agitare l’aria intorno a ciò,
che
era da purificare. Quando poi si faceva questa sa
dal verbo latino luere ; espiare (b). Quindi si legge in Tito Livio,
che
l’armata Romana dopo la sconfitta, data a’ Volsci
e con tale offerta ne fosse espiato l’esercito vittorioso pel sangue,
che
aveva sparso(c). (c). Varr. de L. L. l. 5., Tit
eco presso il Circo. Si trovava questo fuori della città, per timore,
che
Bellona seminasse discordie tra’ cittadini. Dinan
ell’ accennato tempio radunavasi il Senato per dare udienza a coloro,
che
non voleva ammettere in città(e). Anche Bellona a
altra(b). Bellona era annoverata tra gli Dei Comuni, tra quelli cioè
che
favorivano indifferentemente tutti i partiti, ed
id. (6). L’Areopago era un tribunale d’Atene ; così detto da Marte,
che
i Greci chiamano Ares, e dalla voce pagos, altezz
è quel tribunale era situato sopra una collina, sacra a Marte (f), da
che
questo Nume ivi trattò la sua causa, quando fu ac
unale v’ erano due colonne, sopra le quali stavano scolpite le leggi,
che
dirigevano i giudici nel pronunziare le loro sent
ad essi, dovea prima sacrificare e giurare sull’ altare delle Furie,
che
avrebbe asserito la verità(c). Discussa la causa,
a quella Dea. Ma la scure cadde di mano ad Allirrozio, e sì lo ferì,
che
perdette la vita(a). (d). l. 1. & 8. (a).
e perchè un uccello di questa spezie portò un giorno nel suo becco di
che
mangiare a Remo e a Romolo (b) (e). Declaustre
città di Roma un tempio per voto, fatto da T. Ostilio, quando osservò
che
le sue truppe prendevano la fuga in un combattime
reduto figlio di Vulcano, perchè fu concepito in forza d’una favilla,
che
volò nel seno di sua madre, mentre questa stava a
izionarii delle favole eruditamente compilati per servire ai giovani,
che
si applicano alla intelligenza della Mitologia, d
bri classici e massime i poeti, ma oltrechè non ve ne ha quasi alcuno
che
convenga alla gioventù, un altro inconveniente pu
a alla gioventù, un altro inconveniente pure in essi si ritrova, ed è
che
obbligato lo studente a leggere queste favole per
e si distoglie dallo studio incominciato, o non si forma nella mente,
che
un confuso e mutilato ammasso di mitologiche idee
quanto la Mitologia il comporta, un metodo isterico; siccome quello,
che
collegando le idee di luogo, di tempo, e di sogge
ello, che collegando le idee di luogo, di tempo, e di soggetti, oltre
che
riesce alla mobile fantasia loro più facile a rit
o più facile a ritenersi, ne eccita e sostiene la curiosità per modo,
che
vi si applicano più seriamente. Ora questo è quel
che vi si applicano più seriamente. Ora questo è quel metodo appunto,
che
adottò il eh. Professore Francesco Soave, fatto,
stra studiosa gioventù rendendo qui noto un libro ad essa sì utile, e
che
riunisce tanti pregi, che invano si cercherebbero
dendo qui noto un libro ad essa sì utile, e che riunisce tanti pregi,
che
invano si cercherebbero negli altri trattati di M
ia. Introduzione. La Mitologia è l’ esposizione delle favole,
che
intorno a’ loro Dii ed Eroi hanno gli antichi imm
necessaria per bene intendere gli scrittori, e singolarmente i poeti,
che
ad esse alludono sì di frequente. Nè men necessar
morfosi o trasformazioni di Ovidio, in cui quelle favole riporteremo,
che
nelle dette due parti non avran potuto acconciame
Molti furono gli Dei presso i Greci, ma assai più presso i Romani,
che
oltre ad avere adottali tutti gli Dei della Greci
Neptunus, Vulcanus, Apollo. Il loro numero fu indi portato a venti,
che
detti vennero Dii selecti o scelti, ed erano Gian
Diana, Minerva, Venere e Vesta. Altri in appresso ne vennero aggiunti
che
detti furono Dii minorum gentium, e Semones, quas
, e Semones, quasi Semihomines, ed erano gli Dei campestri, e quelli,
che
presedevano alle varie vicende dell’ umani vita,
dell’ umani vita, al nascere, alle nozze, ai parti, ec. Molti uomini,
che
per illustri azioni si erano resi celebri, furon
ia, la Frode, il Furore, ed altri siffatti. La più generale divisione
che
facevasi degl’ Iddii era in celesti, terrestri, m
esta divisione noi verremo qui accennando le principali particolarità
che
ad essi riguardano, incominciando dalla loro stes
rì i Ciclopi, Sterope, ed Arge, così detti dal solo occhio circolare,
che
avevano in mezzo alla fronte, poi Coito, Gige, e
no delle Esperidi, la mostruosa Echidna mezzo donna e mezzo serpente,
che
unita al procelloso Tifone partorì Orto cane di G
ei fonti e de’ fiumi tra le quali Stige decimo ramo del fiume Oceano,
che
scorre giù nell’ Inferno, mentre l’ Oceano cogli
urora. Creo con Euribia fu padre di Pallante di Terse, e di Astreo,
che
un ito all’ Aurora generò i Venti e le Stelle. C
Cielo, giusta il medesimo Esiodo, nascondeva sotterra tutti i figli,
che
Gea o la Terra gli partoriva, e loro non permette
recise le parti virili, e dietro se le gittò. Dalle goccie di sangue,
che
indi caddero sulla terra, nacquero le Erinni o Fu
nacquero le Erinni o Furie, i Giganti, e le ninfe Melie; dalla spuma
che
formossi attorno alle parti recise cadute in mare
suoi figli, perchè affrettati si erano ad opra iniqua di cui predisse
che
portata avrebbero la pena. Nè questa lardò lungam
ardò lungamente. Perciocchè avendo Saturno inteso da Urano, e da Gea,
che
doveva esser soggiogato da uno de’ proprii figli,
adre, prese il partito d’ inghiottire di mano in mano tutti i maschi,
che
gli nascevan da Rea. Questa di ciò oltremodo dol
ano e di Gea, suo padre Saturno, e lo costrinse a rivomitare i figli,
che
aveva inghiottito, e quei sasso medesimo, che si
e a rivomitare i figli, che aveva inghiottito, e quei sasso medesimo,
che
si è dello poc’ anzi, cui Giove per eterna memori
del monte Parnasso. Fin qui Esiodo. Altri Mitologi han detto in vece,
che
ì figli di Urano eran Titano e Saturno; che il pr
tologi han detto in vece, che ì figli di Urano eran Titano e Saturno;
che
il primo a richiesta della madre cedette il regno
a madre cedette il regno del cielo al secondo, colla condizione però,
che
non allevasse niun figlio maschio; che quindi Sat
econdo, colla condizione però, che non allevasse niun figlio maschio;
che
quindi Saturno li divorava; ma che avendo Bea dat
non allevasse niun figlio maschio; che quindi Saturno li divorava; ma
che
avendo Bea dato alla luce in un sol parto Giove e
Giove e Giunone, mostro a Saturno Giunone soltanto, ed occultò Giove;
che
Titano, ciò risaputo, mosse guerra a Saturno, e a
iò risaputo, mosse guerra a Saturno, e avendolo vinto, l’ imprigionò;
che
questi fu poi liberato, e rimesso nel regno da Gi
rato, e rimesso nel regno da Giove, il quale vinse Titano coi fi gli;
che
avendo però Saturno compreso dover un giorno esse
del regno, armossi contro di lui, ma vinto fu discacciato dai cielo;
che
allora ei venne a nascondersi in quella parte d’
i cielo; che allora ei venne a nascondersi in quella parte d’ Italia,
che
era abitata dagli Aborigeni, e che poscia fu dett
ondersi in quella parte d’ Italia, che era abitata dagli Aborigeni, e
che
poscia fu detta Lazio da latere, perch’ ei vi ste
e che poscia fu detta Lazio da latere, perch’ ei vi stette nascosto;
che
cortesemente vi fu accolto da Giano, che ivi regn
erch’ ei vi stette nascosto; che cortesemente vi fu accolto da Giano,
che
ivi regnava, e messo a parte del governo; che Sat
vi fu accolto da Giano, che ivi regnava, e messo a parte del governo;
che
Saturno in ricompensa a lui diede il poter vedere
passato e il futuro, onde suole effigiarsi con due facce: finalmente
che
sotto Saturno fiorì l’ età dell’ oro, nella quale
o Saturno fiorì l’ età dell’ oro, nella quale, favoleggiarono i poeti
che
la terra tutto produsse abbondantemente senza ess
che la terra tutto produsse abbondantemente senza essere coltivatale
che
i popoli vivessero in una perfetta innocenza, e t
da loro medesimi. Essendo nella greca lingua Saturno chiamato Cronos,
che
significa Tempo era perciò riguardato come il Dio
eduto l’ inventore, e perchè egli apriva l’ anno nel mese di Gennaio,
che
da lui tratto aveva il suo nome. Gli si ponevano
dedicato, e in esso i Cittadini mandavansi scambievolmente dei doni,
che
erano chiamati strene. Il tempio di Giano in Roma
mo fu il più rinomato, così a lui solo venne attribuito anche quello,
che
non gli apparteneva. Nato egli dunque in Creta da
he quello, che non gli apparteneva. Nato egli dunque in Creta da Rea,
che
altri hanno chiamato Opi o Cibele, fu ivi nascost
el monte Argeo o Ditte dalle Ninfe, e dai Cureti sacerdoti di Cibele,
che
collo strepito de’ loro cembali ne occultavano a
cembali ne occultavano a Saturno i Vagiti; e vi fu nutrito col mele,
che
le api corsero a formarvi, e col latte della capr
egli della pelle di lei si valse per coprirsene il petto, e lo scudo,
che
quindi da aix aigos (capra) fu detto egida, e sta
e lo scudo, che quindi da aix aigos (capra) fu detto egida, e stabili
che
di tutto abbondasse chi di lei avesse le corna, d
aveva avvolti. I Titani vennero soggiogati e profondati nel Tartaro,
che
tanto, dic’ egli, s’ innabissa di sotto alla terr
Etna, da cui tuttavia vomita il fuoco. La terza fu contro i Giganti,
che
comunemente confondonsi co’ Titani, ma che Esiodo
terza fu contro i Giganti, che comunemente confondonsi co’ Titani, ma
che
Esiodo da essi distingue, dichiarandoli prodotti
campi di Flegra l’ un al l’ altro i monti Olimpo, Pelio, ed Ossa (il
che
però dice Omero essersi fallo invece da Oto ed Ef
ce da Oto ed Efialte, figli di Nettuno e d’ Ifimedia moglie di Aloco,
che
anch’ essi vollero far guerra a Giove). A tal vis
co, che anch’ essi vollero far guerra a Giove). A tal vista, per quel
che
accennano alcuni Mitologi, armaronsi non solament
logi, armaronsi non solamente gli Dei, ma ancora le Dee, e per quello
che
dicono altri, tutti gl’ Iddii fuggirono spaventat
, e da Ovidio si dice in cambio avvenuta nella guerra contro Tifeo, e
che
Giove siasi allora cangiato in ariete, onde vengo
e sta ebbe conceputa Minerva, Giove avendo inteso da Urano, e da Gea,
che
nascere da lei doveva un figlio, il quale sarebbe
o l’ ascose, ed egli stesso la diede poscia alla luce. Altri dissero,
che
Giove concepì da se stesso Minerva nel proprio ca
figlie della Notte. La terza moglie fu Eurinome figlia dell’ Oceano,
che
partorì le tre Grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia.
artorì le tre Grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia. La quarta fu Cerere,
che
divenne madre di Proserpina. La quinta Mnernosine
la Dea della memoria, da cui nacquero le nove Muse. La sesta Latona,
che
partorì Apollo e Diana. L’ ultima moglie di Giove
, e ne ebbe Perseo; cangiato in cigno sedusse Leda moglie di Tindaro,
che
partorì due uova, dall’ uno de’ quali nacque Poll
roia, e portatolo in cielo il fè suo coppiere in luogo di Ebe. Quelli
che
sotto il velo delle favole cercano i nascosti sem
elo delle favole cercano i nascosti semi delle antiche storie, dicono
che
Saturno fu re di Creta, che come egli spogliato a
ascosti semi delle antiche storie, dicono che Saturno fu re di Creta,
che
come egli spogliato aveva del regno suo padre, co
iato aveva del regno suo padre, cosi ne fu privato da’ propini figli;
che
nella divisione essendo toccata a Giove la parte
o fu detto re del cielo, il secondo dell’ inferno, il terzo del mare;
che
avendo molti avuto il nome di Giove, e avendo ess
con varii stratagemmi, e ornati colie favole delle trasformazioni, ma
che
realmente per la pioggia d’ oro intendersi deve l
ero, tremar l’ Olimpo), coi fulmini in mano, e coll’ aquila a’ piedi,
che
i fulmini gli ministrava, è che quindi chiamavasi
ini in mano, e coll’ aquila a’ piedi, che i fulmini gli ministrava, è
che
quindi chiamavasi l’ augel ministro del fulmine,
. Fra le piante a lui dedicate era il faggio e la quercia, e dicevasi
che
in Epiro nel bosco di Dodona a lui sacro, le quer
dona a lui sacro, le querce stesse rendesser gli oracoli. La vittima,
che
a Giove offerivasi nei sacrificii, era un bianco
eva già eretto sul Palatino a Giove Statore per aver da esso ottenuto
che
arrestasse la fuga, in cui i Romani posti erano d
ne, e per nasconderla la cangiò in vacca. Sospettando Giunone di quel
che
era, la chiese in dono, e la mise sotto alla guar
era, la chiese in dono, e la mise sotto alla guardia del pastore Argo
che
aveva cento occhi. Questi per ordine di Giove fu
u dagli Egizi adorata sotto il nome di Iside, e partorì Epafo od Api,
che
da’ medesimi veneravasi sotto la forma di bue. In
a le calende di ogni mese, e sacro particolarmente il mese di Giugno,
che
preso ne aveva il nome, sebbene opinino alcuni ch
il mese di Giugno, che preso ne aveva il nome, sebbene opinino alcuni
che
Romolo questo nome traesse da giuniori, come quel
rcali, in cui de’ giovani detti Luperci, coperti soltanto alle parti,
che
il pudore nasconde, e nudi nel resto, correvano l
vano la città percotendo con flagelli di pelle di capra tutti quelli,
che
incontravano, a titolo di purgarli o espiarli, nè
i o espiarli, nè le giovini donne queste percosse fuggivano, persuase
che
utili fossero al concepimento, ed al parto. In ta
uale immolavasi un cane; negli altri sacrificii l’ ordinaria vittima,
che
a Giunone offerivasi, era un’ agnella, Capo V.
llade o Minerva. Cinque Minerve da Cicerone si accennano: la prima
che
fu detta moglie di vulcano; e madre del più antic
ia; e detta inventrice delle quadrighe; la quinta figlia di Pallante,
che
dicesi aver ucciso il padre, perchè tentato avea
ne, Minerva e Nettuno contesero chi avesse a darle il nome. Fu deciso
che
dato l’ avrebbe chi avesse fatto uscir di terra l
questo giudicato più utile, Minerva diede alla città il proprio nome,
che
in greco appunto Atene. Aracne figlia d’ Idmone
Erigane, Saturno in cavallo per Fillira: e il tutto con tal maestria,
che
Minerva rimase vinta. Indispettita però di questo
cano chiesta Minerva in isposa, venne da lei rifiutato. Ma nell’ atto
che
pur tentò, sebbene inutilmente, di fare a lei vio
e, Pandroso., Erse ed Aglauro tratta dalla curiosità volle vedere ciò
che
conteneva, e Minerva avvisatane dalla cornacchia
curici. Erittonio frattanto malgrado la sua deformità crebbe a segno,
che
diventò Re di Atene, e non potento caminar colle
a segno, che diventò Re di Atene, e non potento caminar colle gambe,
che
non aveva, perchè dal mezio giù era serpente, inv
te e l’ usbergo di pelle, di capra e lo scudo coperto di simil pelle,
che
prima era proprio di Giove solo, ond’ egli da Gre
nte era dedicato l’ ulivo, tra gli animali la civetta; a proposito di
che
narra Ovidio nelle Metamorfosi, che in tutela di
nimali la civetta; a proposito di che narra Ovidio nelle Metamorfosi,
che
in tutela di Minerva era pria la cornacchia, in c
Coronide figlia di Coroneo per sottrarla alla violenza di Nettuno; ma
che
avendo Minerva congegnata a Pandroso, Erse, ed Ag
ino Erittonio mezz’ uomo e mezzo serpente, nato da Vulcano nell’ atto
che
a lei tentando far forza ne venne respinto, e ave
o loro ordinato severamente di non aprirla, la cornacchia le riportò,
che
Aglauro l’ aveva aperta e temendo Minerva da ques
inerva in Roma eran le feste Quinquatrie, in cui vacavan le scuole, e
che
vennero così dette, perchè duravano cinque giorni
ona, onde fu pur da’ Greci chiamato talio. Finalmente altri pretesero
che
fosse Figlio sol di Giunone, dicendo che questa i
. Finalmente altri pretesero che fosse Figlio sol di Giunone, dicendo
che
questa indispettita perchè Giove da se solo prodo
iove da se solo prodotto avesse Minerva, cercò di fare altrettanto, e
che
mentre andava per consultarne l’ Oceano, fermatas
l’ odore di cui da se sola concepì Marte. Sposò egli Nerio o Nerione,
che
nel sabino linguaggio significa forza; e da quest
le colse i due amanti, e gli espose alla derisione di tutti i Dei: di
che
Marte adirato cangiò Alettrione in gallo, che or
ione di tutti i Dei: di che Marte adirato cangiò Alettrione in gallo,
che
or sempre col canto previene il nascer del Sole.
e a Tereo a mangiare le carni. Sulla fine del convito chiedendo Tereo
che
il figlio Iti gli fosse condotto, uscì Filomela i
madre di Romolo e Remo era figlia di Numitore già re di Alba. Amulio,
che
privato l’ avea del Regno, fè esporre appena nati
che Cigno, il quale fu poi ucciso da Ercole nella Focide in occasione
che
nel bosco Pagaseo volle insolentemente attraversa
lo. Sacre a Marte erano in Roma le feste Equirie istituite da Romolo,
che
celebravansi a’ 27 di Febbraio colle corse de’ Ca
le feste Scaliari istituite da Numa Pompilio successore di Romolo, e
che
celebravansi alle calende di Marzo. L’ occasione
ansi alle calende di Marzo. L’ occasione di questa istituzione si fu,
che
avendo Numa per consiglio della ninfa Egeria chie
rpetuità dell’ impero romano, egli mandò dal cielo uno scudo rotondo,
che
fu detto ancile. Numa il diede in custodia a’ sac
ancor la Vittoria, cui Ercole disse figlia di Pallante e di Stige, e
che
rappresentavasi alata, e con una corona di alloro
; il terzo figlio di Giove e di Giunone, il quarto figlio di Menalio,
che
tenne le Isole dette Vulcanie, ora di Lipari. Al
volle figlio, come altri dissero di Marte. Nasque egli così deforme,
che
da’ medesimi genitori venne precipitato dal cielo
rimase perpetuamente. Fu ivi nutrito da Eurinome figlia dell’ Oceano,
che
ne prese compassione, e cresciuto si diede unitam
ato Dio del fuoco, e dei fabbri. Celebri presso Omero sono i tripodi;
che
camminavano per se stessi, le donne d’ oro che ai
Omero sono i tripodi; che camminavano per se stessi, le donne d’ oro
che
aiutavanlo ne’ suoi lavori, i cani d’ argento e d
ne d’ oro che aiutavanlo ne’ suoi lavori, i cani d’ argento e d’ oro,
che
stavan a guardia della reggia d’ Alcinoo, le arme
adre, singolarmente allor quando fornigli i fulmini contro i Giganti,
che
osò domandargli Minerva in isposa, e da lei rifiu
cerone: la prima figlia del Cielo, e della Giornata o Dea del giorno,
che
ebbe un tempio in Elide; la seconda nata dalla sp
o, che ebbe un tempio in Elide; la seconda nata dalla spuma del mare,
che
unita a Mercurio partorì Cupidine, la terza figli
ita a Mercurio partorì Cupidine, la terza figlia di Giove e di Dione,
che
fu moglie di Vulcano, e da Marte ebbe Antero; la
Vulcano, e da Marte ebbe Antero; la quarta figlia di Siro e di Siria,
che
fu venerata da’ Fenici sotto il nome di Astarte.
e e tre riportate al giudizio di Paride figlio di Priamo re di Troia,
che
era allora pastore sul monte Ida, questi diè il p
a, che era allora pastore sul monte Ida, questi diè il pomo a Venere,
che
fu quindi tenuta come Dea della bellezza. Ma come
di Cinira re di Cipro. Intorno all’ origine di Adone racconta Ovidio,
che
Mirra figlia di Cinira e di Cencreide innamoratas
isfare a questo amore incestuoso, erasi determinata ad appiccarsi; ma
che
la nutrice nè la distolse, e scelleratamente le b
’ amor suo; perciocchè egli appassionatissimo della caccia, un giorno
che
malgrado le contrarie preghiere di lei volle anda
i fu ucciso da un cignale, sotto alle sembianze di cui dissero alcuni
che
fosse ascoso lo stesso Marte; e Venere dopo averl
quentemente accompagnata dalle tre grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia,
che
Esiodo disse figlie di Giove, e di Eurinome e che
Eufrosine, e Talia, che Esiodo disse figlie di Giove, e di Eurinome e
che
alcuni vollero figlie di Bacco e di Venere stessa
none. Fra le piante a lei dedicato era il mirto, tra i fiori la rosa,
che
di bianca, qual era prima, si disse cangiata in r
in Cipro, e di Alcidalia dal fonte Alcidalio in Beozia, ove dicevasi
che
colle grazie ella usasse frequentemente lavarsi.
e grandissima si suppone la sua possanza su gl’ immortali egualmente
che
sopra i mortali. Apuleio descrive a lungo la favo
o descrive a lungo la favola di Amore e Psiche, il cui ristretto si è
che
essendo Psiche bellissima, Venere di lei gelosa s
enza lasciarsi veder giammai. Bramando Psiche di rivedere due sorelle
che
avea Amore permise che fosser anch’ esse da Zefir
ammai. Bramando Psiche di rivedere due sorelle che avea Amore permise
che
fosser anch’ esse da Zefiro colà portate, e quest
Zefiro colà portate, e queste udendo la felicità ch’ ella godeva, ma
che
non vedea giammai lo sposo, punte da invidia le f
Caduta al fine, e rimasta sola per disperazione gettossi in un fiume,
che
però salva la portò in riva. Pane l’ esortò a gir
rtò in riva. Pane l’ esortò a gire in traccia di Amore, promettendole
che
lo avrebbe placato; e nei lunghi viaggi che a tal
a di Amore, promettendole che lo avrebbe placato; e nei lunghi viaggi
che
a tal fine intraprese, avvenutasi nelle sorelle r
, avvenutasi nelle sorelle raccontò loro la sua sciagura, ed aggiunse
che
per maggiore vendetta Amore le avea dichiarato ch
agura, ed aggiunse che per maggiore vendetta Amore le avea dichiarato
che
una di loro volea prendersi in isposa. Avide di q
lio, di semi di papavero, di ceci, e di lenti tutti questi grani, nel
che
fu aiutata dalle formiche; poi di recarle un fioc
e formiche; poi di recarle un fiocco di lana d’ oro di certi montoni,
che
pasceano di là di un fiume in luoghi inaccessibil
endere all’ Inferno, e recarle un vasetto pieno di grazie e di vezzi,
che
dato sarebbele da Proserpina; e scesa per la via
Bacco e di Venere, da altri figlio di Apolline, e di una delle muse,
che
alcuni vogliono esser Urania, altri Calliope, ed
donte re di Troia, in matrimonio a lui si strinse, e n’ ebbe Mennone,
che
poi venuto in soccorso di Troia, fu ucciso da Ach
suo, perchè costante verso di Procri, ad essa lo rimandò, dicendogli
che
se ne sarebbe pentito. Cefalo a tai parole entrat
, da cui ricevette in dono un cane di mirabile velocità, ed un dardo,
che
sempre sicuramente colpiva. Richiamala in fine da
amala in fine da Cefalo, a lui donò quel cane, e quel dardo. Ma un dì
che
stanco dalla caccia sopra alla riva di un fonte e
a sopra alla riva di un fonte egli chiamava l’ aura a ristorarlo, uno
che
da lungi l’ udì, credette ch’ egli chiamasse una
, e agitandosi per dolore e per ira fece tale strepito fra le fronde,
che
Cefalo credendo nascosta ivi una fiera lanciò il
ciò il dardo, da cui la misera Procri rimase estinta. Si disse poscia
che
accusato innanzi all’ Areopago di Atene di questa
atto di versar la rugiada, e quali di sparger gigli e rose. Il Sole,
che
molti poeti confusero con Apollo, ma che Omero ed
arger gigli e rose. Il Sole, che molti poeti confusero con Apollo, ma
che
Omero ed Esiodo sempre da lui distinsero, ebbe da
prova di essergli figlio richiese di poter reggerne il carro. Questi
che
già gli aveva promesso con giuramento qualunque c
glielo. Ma non sapendo Factente guidarlo, tanto alla terra sì accostò
che
ne arse essa, ed il mare. Alle preghiere della te
amutato in cigno. Eeta fu re di Coleo e possessore del vello, d’ oro,
che
poi conquistato fu da Giasone per opera di Medea,
pe detto Tauro’ partorì il Minotauro mostro mezz’ uomo, e mezzo toro,
che
poi fu ucciso da Teseo nel labirinto di Creta. Ci
e col tocco della Sua verga mutò ella in porci i compagni di Ulisse,
che
poscia per le preghiere di lui restituì alla pris
ole figuravasi sopra; di un carro luminosissimo circondato dalle Ore,
che
le dauzavano intorno, e tirato da quattro focosi
rientali. In Roma ne’ sacrifici a lui immolavasi il cavallo. La Luna,
che
comunemente confondesi con Diana, fu anch’ essa d
a dai più antichi poeti interamente da lei distinta. Dicon le favole,
che
innamorata di Endimione pastor di Caria, scendea
la notte dal cielo a star seco sul monte Latino; ed aggiungono pure,
che
fu da Pane Dio de’ pastori allettata con un prese
il serpente Pitone. Ma Nettuno l’ accolse nell’ Isola Ortigia o Delo,
che
era allora natante, e ch’ egli poi rese ferma; e
di questa uccisione si fece Apollo a dileggiare il fanciullo Cupido,
che
osasse di trattar l’ arco e gli strali. Questi ir
Zefiro per rivalità portò il disco di Apollo alla testa di Giacinto;
che
ne morì, e fu da Apollo cambiato nel fiore dello
stesso nome. Ovidio racconta il fatto alquanto diversamente, dicendo
che
il disco battendo sopra di un sasso ribalzò in fa
er disavventura ucciso con un colpo di saetta un cervo addimesticato,
che
gli era carissimo, volle ei medesimo per dolore a
gli era carissimo, volle ei medesimo per dolore ammazzarsi; ma Apollo
che
lo amava prevenne il colpo cangiandolo in cipress
ia scoperse il fatto ad Orcamo, il quale fece seppellir viva Leucotoe
che
poi da Apolline fu trasformala nell’ albero, da c
d esso antepose il giovine Ischi. Di ciò Apollo, avvertito dal corvo,
che
poi di bianco fu tramutato in nero, uccise Ischi,
hiamare da morte a vita Ippolito tiglio di Teseo. Sdegnato però Giove
che
tanto potere ei si arrogasse, lo fulminò e Apollo
ato però Giove che tanto potere ei si arrogasse, lo fulminò e Apollo,
che
prese a farne vendetta col saettare i Ciclopi, ch
fulminò e Apollo, che prese a farne vendetta col saettare i Ciclopi,
che
fabbricati avevano i fulmini a Giove., venne esig
to dal cielo. Ebbe Esculapio da Epione due figli Macaone e Podalirio,
che
aneli essi divennero medici rinomatissimi, e’ qua
ndarono in Delfo a consultare l’ oracolo di Apollo, il quale rispose,
che
conveniva condurre Esculapio da Epidauro in Roma.
mi passarono quindi in Epidauro per trasportare la statua. Ma intanto
che
su di ciò consultavasi fra i cittadini, un serpen
aver liberata la città dalla pestilenza, scomparve. Fu quindi creduto
che
Esculapio medesimo assunto avesse quelle, sembian
ollo sbandito dal cielo ricoverassi presso di Admeto re di Tessaglia,
che
amorevolmente i’ accolse, e lo propose alla guard
Laomedonte per ordine dell’ oracolo dovette esporre la figlia Esione,
che
fu poi liberata da Ercole. In Frigia fu Apollo da
e dalle lagrime di Ini mescolate col sangue formossi il fiume Marsia,
che
sbocca nel fiume Meandro. Pari disfida ebbe ivi d
pollo con Forba, il quale impossessatosi del cammino di Delfo vietava
che
alcuno vi andasse; ma trasformatosi in atleta Apo
io, Giuro, Timbra, Pataro, Cirra, e Delfo, ove era il famoso oracolo,
che
rendevasi dalla sacerdotessa Pitia posta sul trip
mentre fuggiva da Apollo, e il fonte Aganippe, Ippocrene o Cavallino,
che
si disse fatto sgorgar di terra da un calcio del
nella Macedonia diceansi pure sovente da esse abitati. Narra Ovidio,
che
le nove figlie di Pierio edi Evippe avendo sfidat
e a giudizio delle Ninfe vennero cangiate in piche. Narra similmente,
che
avendo Pireneo invitato le Muse sopraggiunte dall
Calista figlia di Licaone, la quale erasi lasciata sedurre da Giove,
che
per ingannarla avea assunte le sembianze di Diana
do, ottenne, secondo Ovidio, dall’ Oceano e da Teti di non permettere
che
mai si bagnino in mare. Diana stessa era creduta
e di Autone osato di mirarla nuda nel bagno, fu da essa coll’ acqua,
che
gli gettò contro cangiato in cervo, e divorato po
scorpione fatto ivi sorgere dalla terra Omero però fa dire a Calipso
che
l’ uccidesse per dispetto veggendolo rapito dall’
dispetto veggendolo rapito dall’ Aurora. Chione figlia di Dedalione,
che
per aver da Mercurio generato Autolico, da Apolli
ine Filammone, osò a lei preferirsi, fu essa pure da lei trafitta, di
che
il padre addolorato gettossi in mare, ma fu da Ap
bile fece ella contro di Niobe figlia di Tantalo, e moglie di Anfione
che
per esser madre di quattordici figli, osò insulta
Apollo, uccise a colpi di frecce tutti i figli e le figlie di Niobe,
che
a sì orrendo spettacolo in marmorea statua fu tra
tramutata. Nè impunito lasciò Eneo re di Calidone e marito di Altea,
che
offerendo le primizie a Cerere, a Bacco, ed a Min
di Eneo, ma con fatai danno di lui medesimo. Imperocchè nella caccia,
che
a quello diedesi, e alla quale concorsero i princ
ono avuto da Meleagro vennero uccisi. Allora Altea madre di Meleagro,
che
al nascer di lui ritratto avea dal fuoco, e occul
lui ritratto avea dal fuoco, e occultalo in luogo segreto il tizzone,
che
le Parche vi avean posto, dicendo che tanto sareb
lo in luogo segreto il tizzone, che le Parche vi avean posto, dicendo
che
tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il ti
l’ isola e dal monte ove era nata. Famoso era il suo tempio in Efeso,
che
poi fu incendiato da Erostrato, preso dalla mania
; il secondo figlio di Valente e di Foronida, ed è quello, dice egli,
che
abita sotto terra, ed è chiamato Trifonio; il ter
il quarto figlio di Nilo; il quinto dagli Egizi chiamati Teut o Tot,
che
dicesi aver loro insegnalo le lettere, e date le
orsa nelle mani. Dio dell’ eloquenza fu egli pur nominato, e si finse
che
dalla sua bocca uscissero catene d’ oro, che dolc
pur nominato, e si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’ oro,
che
dolcemente legavano gli ascoltanti. Per ultimo a
. Per ultimo a lui venne attribuita eziandio l’ invenzion della lira,
che
si disse da lui formata la prima volta coi tesi n
rmata la prima volta coi tesi nervi di una morta testudine. Le statue
che
si ponevano sulle vie a guisa di termini erano de
guisa di termini erano dette Mercurii dai Romani, ed Ermi dai Greci,
che
tale è il nome di Mercurio in quella lingua. C
il primo figlio di Giove e di Proserpina; il secondo figlio del Nilo,
che
si disse aver ucciso Nisa; il terzo figlio di Cap
o del Nilo, che si disse aver ucciso Nisa; il terzo figlio di Caprio,
che
fu detto re dell’ Asia in onore di cui furono ist
la sua sposa trasportò iu cielo la corona di lei nella costellazione,
che
ha questo nome. Preso da’ corsari di Tiro, che so
i nella costellazione, che ha questo nome. Preso da’ corsari di Tiro,
che
sopra una spiaggia il trovarono addormentato in s
dò di essere condotto a Nasso, e allorchè fu ad essa vicino, veggendo
che
i corsari volevano proceder oltre, rendette immot
oltre, rendette immota la nave, e lor cangiò in delfini, salvo Acete,
che
a quelli si era opposto. Alcitoe, Leuconoe e le s
sì strano ispirò Bacco ad Agave madre di lui, ed una delle Baccanti,
che
unita alle compagne lo fece a brani. Licurgo re d
ccanti, che unita alle compagne lo fece a brani. Licurgo re di Tracia
che
opporsi volle alla propagazion delle viti, fu anc
e. All’ incontro avendo Micia re di Frigia a Bacco restituito Sileno,
che
era stato preso dai contadini, Bacco in ricambio
sse. Ma avendo l’ avarizia sospinto Mida a chiedere sconsigliatamente
che
in orò si convertisse tutto quello, che da lui fo
a chiedere sconsigliatamente che in orò si convertisse tutto quello,
che
da lui fosse tocco, mutandosegli in oro anche il
il suo dono, e questi allor gl’ impose di lavarsi nel fiume Pattolo,
che
quindi acquistò la virtù di volgere arene d’ oro.
an da Bacco ottenuto di cangiare in frumento o vino od olio tutto ciò
che
toccassero; il che sapendo Agamennone re di Argo
o di cangiare in frumento o vino od olio tutto ciò che toccassero; il
che
sapendo Agamennone re di Argo venne per prenderle
di Argo venne per prenderle, onde alimentare l’ armata nella guerra,
che
preparava contro di Troia, ma esse fuggirono in A
arava contro di Troia, ma esse fuggirono in Andoo presso il fratello,
che
aveva a quell’ isola dato il nome, ed avendole Ag
ri col capo inghirlandato di edera e di pampini, e col tirso in mano,
che
era una lancia ornata anch’ essa di pampini. Suoi
una lancia ornata anch’ essa di pampini. Suoi seguaci erano i Satiri,
che
figuravansi colle orecchie, le corne e le gambe d
lle orecchie, le corne e le gambe di capro, ed il vecchio aio di lui,
che
dietro vernagli seduto sopra di un asino. A Bacco
venne attribuita l’ invenzione dell’ agricoltura, per cui gli uomini,
che
si pascevan prima di ghiande, incominciaron a pas
riceverla colle fiaccole accese alle fiamme del monte Etna. Aretusa,
che
era prima una ninfa dell’ Elide, e che inseguita
iamme del monte Etna. Aretusa, che era prima una ninfa dell’ Elide, e
che
inseguita dal fiume Alfeo si seppellì sotterra ca
ra di Diana, e venne a sgorgare in Sicilia (ove però dicon le favole,
che
fu tuttavia per le sotterranee strade dal fiume A
e strade dal fiume Alfeo raggiunta), diè finalmente a Cerere contezza
che
Proserpina da Plutone, era stata rapita. Essa all
a. Essa allora sir volse a Giove per riaverla ed ebbe dà lui promessa
che
le sarebbe restituita, qualor non avesse giù nell
bo. Ma avendo Ascalato figlio di Acheronte e della Nolte manifestato,
che
nei giardini di Plutone avea Proserpina colto una
o in barbagianni. Ovidio aggiugne però aver ella ottenuto in seguito,
che
Proserpina pei sei mesi dell’ anno con lei si ste
si in Eleusi vi fu accolta dal re Celeo cortesemente in ricompensa di
che
prese ella ad educarne il picciol figlio Trittole
nce. Avverso a Cerere ed a Trittolemo fu pur in Tessaglia Erisittone,
che
giunse infino a tagliare arditamente e profanare
le assalì Erisittone per modo, e così insaziabile divoratore lo rese,
che
consunte tutte le sue sostanze, vendette schiava
sostanze, vendette schiava perfino la figlia Metra per comperarsi di
che
mangiare. Ma questa mal sofferendo la schiavitù r
a lui nuovamente, e pur nuovamente si trasformò, usando della facoltà
che
Nettuno le avea concesso. Così seguitò ella più v
o, ora in bue, ora in augello, or in cervo. Ma non essendo il prezzo,
che
il padre ne ritraeva dal venderla, sufficiente a
presentavasi Cerere coronata di spiche e di papaveri perchè dicevasi,
che
nell’ afflizione per la perdita della figlia non
i Cerere. Capo XV. Di Vesta. Due Veste si distinguevano, l’ una
che
si tenea per madre di Saturno, e confondeasi con
enea per madre di Saturno, e confondeasi con Gea o la Terra, l’ altra
che
si dicea figlia di lui, e adoravasi come la Dea d
ali, e in Italia vuolsi portato da Enea; sebben’ pretendesi da alcuni
che
fosse già in uso presso i Tirreni. La custodia de
sacro, era affidata in Roma ad un collegio di vergini dette Vestali,
che
nel tempio di Vesta fabbricato secondo alcuni da
e e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Nell’ atto
che
prese erano dal Pontefice massimo, e condotte nel
izie. Ma se per negligenza di alcuna il fuoco sacro si estingueva, il
che
aveasi per funestissimo augurio, ell’ era dal Pon
massimo severamente punita. Nè il fuoco per altro modo si raccendeva,
che
per mezzo de’ raggi solari raccolti con una speci
, e sepolta viva in una stanza sotterranea a ciò costrutta nel campo,
che
dicevasi scelletaralo. Capo XVI. Della Terra,
lie di Fauno. Rappresentavasi coronata di torri per indicar le città,
che
sono sparse sopra la terra, con una veste dipinta
ele da quelli si celebravano. Eran essi eunuchi ad imitazione di Ali,
che
tal si rese allor quando mirò trafitta da Cibele
farlo suo sacerdote. Ati fu poi da essa cangiato in pino. La vittima
che
a Cibele sacrificavasi era una troia. In Roma all
Frigia portavasi con pompa da’ Sacerdoti a lavarsi nel fiume Almone,
che
poco lungi dalla città entra nel Tevere. Le feste
asa del Pontefice massimo con gran mistero, e dalle sole donne, senza
che
alcun uomo potesse intervenirvi. Nelle viscere de
la terra fu posta da Pronabide la sede di Demogorgone, Dio terribile,
che
noti era permesso di nominare, e che si dice padr
e di Demogorgone, Dio terribile, che noti era permesso di nominare, e
che
si dice padre della discordia di Pane, delle tre
restri prima a dover nominarsi è Pale Dea delle gregge e dei pastori,
che
alcuni han pur confuso con Vesta o Cibele. Le Fes
; sebbene alcuni per esso abbiano inteso più generalmente il Dio Pan,
che
significa tutto, e riguardandolo sotto di questo
se trasse ne’ boschi di Arcadia la Luna. Dalla ninfa Eco ebbe Iringe,
che
fornì i farmachi incantatori a Medea. Vinse la ri
riva al fiume paterno fa cangiata, in un cespo di canne; e dal suono
che
queste, fecero tra lor percosse ci prese poscia l
a l’ idea di formar la zampogna onde fu l’ inventore. Narra Pausania,
che
quando i Galli sotto la condotta di Brenno scorre
mprovviso terrore, per cui tutti diedero alla fuga, ond’ è poi venuto
che
il terrore per ignota o non fondata caglone chiam
terror panico. A Pane sacrificavasi una capra; e le feste lupercali,
che
in Roma celebravansi a’ 15 di Febbraio, che si di
ra; e le feste lupercali, che in Roma celebravansi a’ 15 di Febbraio,
che
si dissero altrove dedicate a Giunone Februale, d
one Februale, da molti si vollero dedicate a Pane, di cui si pretende
che
i Luperci fossero sacerdoti. Silvano era il Dio d
esentavasi con un cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso,
che
da lui non da Apollo vogliono molti essere stato
padre dei Fauni, cui ebbe dalla moglie Fauna, o Fauta. Cogliono pure
che
dalla ninfa Simetide ei generasse Aci, che fu poi
na, o Fauta. Cogliono pure che dalla ninfa Simetide ei generasse Aci,
che
fu poi amato da Cutatea, e ucciso da Polifemo; e
a de’ boschi veneravasi principalmente nell’ agro Pontino, ovediceasi
che
alcuni Lacedemoni fuggiti da Sparta, perchè mal s
à approdando le consacrassero un bosco ed un tempio. Si aggiunse poi,
che
essendosi il bosco fortuitamente incendiato, e vo
le piante. Aveva però un tempio a piè del monte Soratte, ove dicevasi
che
gli uomini dello spirito di lei invasi camminasse
i giuochi Florali, istituiti dalla meretrice Acca Tarunzia o Tarruzia
che
a quest’ effetto avea delle sue ricche sostanze l
io, essendo egli ricorso alla madre Cirene, questa il guidò a Proteo,
che
gli scoperse la cagione della morte delle api; ed
, cui era grave delitto il violare. La sua figura a principio non era
che
una pietra, da quale segnava il confine tra un ca
o a questa pietra si sovrappose una testa umana. Fu detto da’ Romani,
che
quando trattossi di fabbricare il Tempio di Giove
il Dio Termine stette fermo. A lui dedicate erano le feste terminali,
che
celebravansi ai 23 di Febbrajo. Anticamente al Di
so i Romani la loro particolare Divinità; e Ippona essi dicean la Dea
che
possiede a’ cavalli; Bubona quella, che a’ buoi;
; e Ippona essi dicean la Dea che possiede a’ cavalli; Bubona quella,
che
a’ buoi; Seia o Segezia la Dea delle sementi; Mat
e; Mellona quella del mele; Sterculio o Stercuzio il Dio dei concime,
che
diceasi figlio di Fauno, ed avere il primo introd
iscuamente gli uni pergli altri. Intorno ai Lari è stato favoleggiato
che
fosser figli di Mercurio accoppiatosi a Lara ninf
ser figli di Mercurio accoppiatosi a Lara ninfa del Tevere nell’ atto
che
la conduceva all’ inferno per ordine di Giove, il
ste Compilali a lor dedicate si celebravano ai 2 di Maggio. I Lemuri,
che
erano riputati infestare le case colle larve nott
cavansi a’ 9 di Maggio. Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare
che
chiamavasi Genio, e che Io accompagnava in tutta
Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare che chiamavasi Genio, e
che
Io accompagnava in tutta la vita. Molti pure ad o
e della città di Curi, adorato da’ Sabini, e poscia ancor dai Romani,
che
spesso invocando nelle asserzioni e ne’ giurament
reni e agl’ inguini Venere, alla destra mano la Fede, alle ginocchia,
che
abbraciavansi da’ supplichevoli, la Misericordia,
scone o Nazione diceasi la Dea del, nascere; Vagitauo o Vaticano quel
che
apre la bocca a’ vagiti, Levana quella che sollev
; Vagitauo o Vaticano quel che apre la bocca a’ vagiti, Levana quella
che
solleva da terra i bambini, Cunina quella che pre
’ vagiti, Levana quella che solleva da terra i bambini, Cunina quella
che
presiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bamb
bi non rimanessero de’ genitori. Nelle nozze Jugatino dicevasi quello
che
univa i coniugi; Domiduco quello che guidava la s
e nozze Jugatino dicevasi quello che univa i coniugi; Domiduco quello
che
guidava la sposa alla casa del marito; Domizio e
inzia per cui il cinto verginale a lei scioglievasi; Viriplaca quella
che
i mariti placava nelle contese e negli sdegni. Ol
te Silvano, perchè le puerpere non molestasse. Strenua dicessi la Dea
che
rende gli nomini valorosi; Agenoria e Stimula que
cessi la Dea che rende gli nomini valorosi; Agenoria e Stimula quella
che
gli spinge ad agire; Agonio quel che presiede all
orosi; Agenoria e Stimula quella che gli spinge ad agire; Agonio quel
che
presiede alle azioni; Orla quella che esortagli a
li spinge ad agire; Agonio quel che presiede alle azioni; Orla quella
che
esortagli ad opere virtuose; Volunno e Volunna qu
; Orla quella che esortagli ad opere virtuose; Volunno e Volunna que’
che
lor danno il buon volere; Cazio quello che cauti
se; Volunno e Volunna que’ che lor danno il buon volere; Cazio quello
che
cauti li rende; Angerona quella che libera dalle
anno il buon volere; Cazio quello che cauti li rende; Angerona quella
che
libera dalle angosci e, e fa che tacciano i lamen
che cauti li rende; Angerona quella che libera dalle angosci e, e fa
che
tacciano i lamenti, onde fu detta pur Dea del sil
nzio, e dipingevasi colla bocca fasciata e sigillata; Fellonia quella
che
Scaccia i nemici; Fessonia quella che alleggia gl
ta e sigillata; Fellonia quella che Scaccia i nemici; Fessonia quella
che
alleggia gli stanchi; Vigilia quella che accompag
ia i nemici; Fessonia quella che alleggia gli stanchi; Vigilia quella
che
accompagna i viaggiatori perchè non errino; Averr
quella che accompagna i viaggiatori perchè non errino; Averrunco quel
che
allontana i mali e i pericoli; come era ài Dio de
errestri aggiunger si possono ancor gl’ Indigeti, cioè, quegli uomini
che
per le loro azioni meritaron gli onori divini. Tr
icordarsi Carmento madre di Evandro, detta anche Nicostrata e Temide,
che
ebbe il dono de’ vaticini, a cui dedicate erano i
dono de’ vaticini, a cui dedicate erano in Roma le ferie Carmentali,
che
si celebravano in Gennaio; Evandro stesso figlio
io; Evandro stesso figlio di Mercurio e di Carmenta nativo di Arcadia
che
avendo per disgraziato caso ucciso il padre, rico
ino fondò una piccola città chiamata da lui Pallanteo; Acca Laurenzia
che
fu nutrice di Romolo e di Remo, e in onor di cui
i cui voglionsi istituite da Romolo le feste Laurentine o Laureatali,
che
celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna, che av
urentine o Laureatali, che celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna,
che
avendo recato de’ pani al Popolo Romano, allorchè
iodo e da Omero non è riguardato come Dio nel mare, ma come un fiume,
che
unito a Teli figlia della Terra divenne padre di
esti sposò Anfitrite figlia dell’ Oceano, cui fè rapir da un Delfino,
che
in ricompensa fu poi trasportato fra de costellaz
pensa fu poi trasportato fra de costellazioni; e da essa ebbe Tritone
che
rappresentasi mezz’ uomo e mezzo pesce, e suol pr
za di trentasei cubiti, e alla grossezza di nove, incatenarono Marte,
che
fu liberato poi da Mercurio, e soviapposero all’
i fulminati furono poi sepolti nel Tartaro. Aggiugne lo stesso Omero,
che
Nettuno da Tiro figlia di Salmoneo e moglie di Cr
eo, la quale ingannò assumendo la forma del fiume Enipeo, ebbe Pelia,
che
spedì Giasone alla conquista del vello d’ oro, e
padre di Nestore; da Toosa figlia di Forco ebbe il Ciclope Polifemo,
che
acciecato fu poi da Ulisse, a cui divorato aveva
a figlia di Eurimedonte ebbe Nausitoo re de’ Feaci, padre di Alcinoo,
che
liberamente accolse Ulisse nel suo naufragio vici
icco di doni lo fece da’ suoi trasportare in Itaca. Ovidio aggiugne;
che
per Canace figlia di Eolo ei trasformossi in un g
in ariete, per Cerere e Medusa in cavallo, per Melanto in delfino; e
che
Cene figlia di Elato tessalo, dopo essersi a lui
giata in maschio sotto il nome di Ceneo, e di essere invulnerabile, e
che
poi combattendo Ceneo a favor de’ Lapiti contro i
modo ottenne Peleo di averla in moglie, e da essi poi nacque Achille,
che
Proteo avea innanzi predetto a Tetide che sarebbe
da essi poi nacque Achille, che Proteo avea innanzi predetto a Tetide
che
sarebbe stato più forte del padre. Avendo Peleo i
goni ec. Da Omero egli e detto re dello steril mare e padre di Toosa,
che
partorì Polifemo, e a lui sacro, secondo il medes
uni dicono figlio di Polibio, altri di Foiba, ed altri di Nettuno, ma
che
di professione tutti dicono pescatore, veggendo,
i di Nettuno, ma che di professione tutti dicono pescatore, veggendo,
che
i pesci da lui presi gettati sul lido al tocco di
unone di lei nemica mandò Tisifone ad ispirar tal furore ad Atamante,
che
credendo in Ino vedere una lionessa, e nei due fi
battè crudelmente sul suolo, indi si fece a inseguir Ino e Melicerta,
che
gettandosi in mare furono ad istanza di Venere ca
ne rapita, e bramando di andarne in traccia per acqua e per aria, non
che
per terra, si vider le braccia cangiate in ali e
’ Isola di Capri rimpetto a Napoli, o in alcune isolette colà vicine,
che
ancor si chiamano l’ isole delle Sirene. Quivi co
cata dall’ onde, ove fu poi fabbricata la città di Napoli, fu cagione
che
a questa il nome di Partenope fosse dato. Scilla
te, ove Scilla lavavasi, e con ciò fu questa convertita in un mostro,
che
Omero dipinge con dodici piedi, sei lunghi colli,
n cui divorava i passaggieri. Cariddi fu prima una donna voracissima,
che
avendo rubato ad Ercole certi buoi, secondo alcun
condo altri fulminata da Giove; e cangiata in una voragine vorticosa,
che
inghiottiva le navi e i naviganti, che sovra essa
ata in una voragine vorticosa, che inghiottiva le navi e i naviganti,
che
sovra essa passavano. Questi due ultimi mostri er
nascere da Astreo e dall’ Aurora, I principali tra questi erano quei
che
spiravano da’ quattro punti cardinali del cielo,
rapì Orizia figlia di Eretteo re eli Atene, e n’ ebbe. Calai e Zete,
che
liberaron Fineo re di Tracia dalle Arpie, come di
utone, e degl’ altri Dei dell’ inferito, e de’ principali condannati,
che
ivi erano. Plutone fratello di Giove e di Nett
e punitore degli spergiuri. Rapì egli Proserpina figlia di Cerere, il
che
da Ovidio vien raccontato in questo modo. Allorch
I, sotto a’ monti della Sicilia Tifeo, si agitò questi sì fattamente,
che
Plutone temè che non si aprisse la terra; e uscì
della Sicilia Tifeo, si agitò questi sì fattamente, che Plutone temè
che
non si aprisse la terra; e uscì dall’ Inferno per
one temè che non si aprisse la terra; e uscì dall’ Inferno per vedere
che
fosse. Stava ne’ campi dell’ Enna Proserpina figl
cui la fece regina, e dielle titolo di Giunone infernale. Le ricerche
che
ne fece Cerere, e che ne fecero le Sirene veggans
dielle titolo di Giunone infernale. Le ricerche che ne fece Cerere, e
che
ne fecero le Sirene veggansi ai Capi XIV e XVII.
ime si offerivano io numero dispari. Dea dell’ Inferno era pur Ecate,
che
alcuni confondono con Diana, altri colla stessa P
e, che alcuni confondono con Diana, altri colla stessa Proserpina, ma
che
Esiodo distingue da amendue, dicendola figlia di
te secondo Esiodo, e secondo altri figlia di Giove e della Necessità,
che
essendo particolarmente venerata in Ramno borgo d
i era Orco Dio del giuramento. Gli Dei Mani erano una specie di geni,
che
presedevano a’ morti. Da alcuni furon confusi co’
co’ Sogni suoi figli. Morfeo figlio e ministro del Sonno era quello,
che
gli nomini addormentava, spruzzando gli occhi lor
Vittoria, Vigore e Forza, cui presentò a Giove, e ne ebbe in compensò
che
il giuramento per le acque di Stige fosse inviola
e della Notte, vecchio ma di robusta e verde vecchiezza, era quegli,
che
traghettava su nera barca le anime di là dal fium
buoni godean vita beata, e prendevano diletto di quelle occupazioni,
che
più aveano amate qui in terra. Il luogo della pen
a esso ucciso, e condannato a starsi perpetuamente sotto di un sasso,
che
sempre minacciava di rovinargli addosso a schiacc
furie legare giù nell’ Inferno ad una ruota circondata da serpenti e
che
sempre gira. Tantalo figlio di Giove e della ninf
rno tormento della fame, e della sete, ponendolo in mezzo alle acque,
che
gli giungono fino al mento, ma che gli fuggon eli
te, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giungono fino al mento, ma
che
gli fuggon eli sotto quand’ ei si abbassa per bev
sa per beverne, e collocandogli vicino un albero carico di frutta, ma
che
s’ innalzano allorchè stende la mano per cogliern
i, e schiacciava, secondo Lattanzio, col peso di enorme sasso quelli,
che
gli cadeano tra le mani. Fu ucciso da Teseo, e co
dannato nell’ Inferno a spinger sull’ erta di un monte un gran sasso,
che
quando è vicino a toccare la cima, al basso nuova
cino a toccare la cima, al basso nuovamente ricade. Pausania pretende
che
di tal pena ei sia stato punito da Giove pei’ ave
o il luogo, in cui egli teneva Egina nascosta. Ferecide disse invece,
che
Sisifo a dispetto di Plutone tenne per lungo temp
da Marte. Demetrio intorno ad esso spacciò un’ altra favola dicendo,
che
vicino a morte egli ordinò alla moglie di non sep
cendo, che vicino a morte egli ordinò alla moglie di non seppellirlo;
che
giunto all’ Inferno domandò a Plutone di poter pe
one di poter per brevi momenti tornare in vita, onde punire la moglie
che
lo lasciasse insepolto; e che uscito dall’ Infern
tornare in vita, onde punire la moglie che lo lasciasse insepolto; e
che
uscito dall’ Inferno con questo pretesto non voll
railo a forza. Le Danaidi erano cinquanta figlie di Danao re di Argo,
che
tutte in un giorno le maritò a cinquanta figli di
le maritò a cinquanta figli di Egitto suo fratello; ma avendo inteso
che
dai generi doveva esser privato del regno, ordinò
ro mariti. Eseguiron esse l’ iniquo comandamento, eccetto Ipermestra,
che
salvò il marito Linceo, e perciò furon condannate
nte dagli Egizi., Tra questi erano Orride Dio principale degli Egizi,
che
a lui debitori credevansi dell’ agricoltura e del
è fuggendo l’ ire di Giunone si ricoverò in Egitto; Api figlio di Io,
che
rappresentavasi in forma’ di bue; Anubi, che figu
gitto; Api figlio di Io, che rappresentavasi in forma’ di bue; Anubi,
che
figuravasi colla testa di cane; Serapide, che dai
n forma’ di bue; Anubi, che figuravasi colla testa di cane; Serapide,
che
dai più si confonde con Osiri stesso e con Api; e
i confonde con Osiri stesso e con Api; ed Arpocrate Dio del silenzio,
che
dipingevasi col dito indice alla bocca in atto ap
De’ Semidei e degli Eroi. Semidei chiamavansi propriamente quelli
che
avean per padre un Dio, o una Dea per madre, ed E
uelli che avean per padre un Dio, o una Dea per madre, ed Eroi quelli
che
distinti si erano con qualche grande azione. Degl
. Accolse Epimeteo lietamente Pandora contro il consiglio di Prometeo
che
detto aveagli di rigettare qualunque presente gli
da Giove; ed avendo Pandora aperto il vaso: ne uscirono tutti i mali,
che
sulla, terra si sparsero, incontanente, restando
i sparsero, incontanente, restando la sola speranza al fondo del vaso
che
Pandora avvedutamente richiuse. Nè di ciò pur con
con assenso di Giove medesimo, non ne fu liberato. Altri voglion però
che
la cagione della spedizione di Pandora e della pu
della spedizione di Pandora e della punizione di Prometeo sia stata,
che
avendo questi formata una statua di argilla, salì
oracolo di Temi sul modo di ripopolare il mondo, n’ ebbe in risposta,
che
si gettasse dietro le spalle le ossa della gran M
er questa intender la Terra, e per quelle i sassi; e quindi le pietre
che
dietro gettossi Deucalione si convertirono in uom
re che dietro gettossi Deucalione si convertirono in uomini, e quelle
che
Pirra in donne. Gli altri animali, secondo Ovidio
uero per se stessi dall’ umida terra, e fra questi il serpente Pitone
che
poi fu ucciso da Apollo. Cerambo, secondo il mede
dopo sopravvenne lo stesso Anfitrione, da cui Alcmena concepì Ificlo,
che
nacque gemello con Ercole. Era nel medesimo tempo
e di Micene incinta di Euristeo. Giunone carpi da Giove il giuramento
che
chi nascerebbe il primo avesse impero sopra dell’
o sopra dell’ altro, indi corse ad accelerare la nascita di Euristeo,
che
venne alla luce di sette mesi, e ritardò quella d
diosamente si mise a gridare: Alcmena pur finalmente ha partorito; il
che
udendo Lucina per atto di sorpresa allargò le man
nte di veder Ercole estinto, il fè assalire in culla da due serpenti,
che
però l’ intrepido fanciullo strangolò amendue col
rzione di questo sparso pel Cielo, formò la Via Lattea, e dalle gocce
che
ne caddero in terra spuntarono i gigli. Ma allorc
i dovette combattere il terribil Leone figlio di Tifone e di Echidna,
che
infestava i contorni di Nemea o Cleone; ed avendo
Pugnò nel paese di Argo coll’ Idra Lernea nata parimente da Echidna,
che
era un serpente di sette teste, a cui se una ne v
erocissimo. 4. Inseguì per un anno intero sul monte Menalo una cerva,
che
aveva i piedi di bronzo e le corna d’ oro, e ragg
in fuga sul lago Stinfalo in Arcadia gli sparvieri educati da Marte,
che
aveano il becco e gli ai tigli di ferro, e pascea
6. Sconfisse in riva al Termodonte fiume della Cappadocia le Amazoni,
che
la signoreggiavano sole, esclusi gli uomini, ed e
ll’ arco; e fatta prigioniera Ippolita loro regina, la diede a Teseo,
che
gli era stato compagno in quell’ impresa. 7. Purg
ll’ introdurvi il fiume Alfeo. 8. Condusse legato ad Euristeo un Toro
che
orribil guasto facea nell’ isola di Creta. 9. Vin
bil guasto facea nell’ isola di Creta. 9. Vinse Diomede re di Tracia,
che
pasceva i suoi cavalli colle carni degli ospiti,
l fè divorare. 10. Abbattè Gerione figlio di Crisaorre e di Calliroe,
che
avea tre corpi, e gli tolse le vacche custodite d
ato il, cane Cerbero nato parimente da Echidna; e dalla velenosa bava
che
questi lasciò sulla terra, nacque l’ aconito. Olt
iù altre imprese di Ercole si raccontano; ma egli è comari sentimento
che
molti Ercoli vivuti sieno in diversi tempi, sicch
in diversi tempi, sicchè Varrone ne numera fino a quarantaquattro, e
che
le loro azioni, per renderle più prodigiose, oltr
iterraneo, separando i due monti Abila e Calpe, e formando lo stretto
che
or chiamasi di Gibilterra, ove Ercole per monumen
critto: Non più oltre. Lottò con Anteo figlio della Terra, e veggendo
che
atterrato ei sorgeva sempre più vigoroso, levollo
ollo in aria, e il petto gli strinse colle sue braccia sì fattamente,
che
il soffocò. Mentre andava a Pito, ossia Delfo con
te volle nel bosco Pagaseo a lui opporsi, ei l’ uccise, e ferì Marte,
che
sopra il suo cocchio dovette fuggirsene. I gigant
Aventino scoperse la grotta; indi gettatosi tra il fumo e le fiamme,
che
vomitava Caco dalla bocca, io soffocò, e le sue v
itava Caco dalla bocca, io soffocò, e le sue vacche ritolse. Evandro,
che
allor regnava sul Palatino, per gratitudine di av
titudine di aver purgalo il paese da quel ladrone gli eresse un’ ara,
che
in grande onore fu poi ancora presso i Romani col
recatosi il prese e l’ immolò sul medesimo altare. Uccise l’ aquila,
che
rodeva le viscere a Prometeo legato sul monte Cau
dele Laomedoate negato poscia i cavalli della razza di quei del Sole,
che
in ricompensa gli avea promessi, Ercole espugnò T
i saetta in un’ ala, e quagli cadendo fece col peso del proprio corpo
che
la saetta gli penetrasse nel fianco e l’ uccidess
a saetta gli penetrasse nel fianco e l’ uccidesse. Altri voglion però
che
sia stato Periclimeno per la sua insolenza ucciso
corno, fu alla fine costretto a cedere. Quel corno poi, dice Ovidio,
che
il corno divenne dell’ abbondanza; sebbene altri
ndosi di portarla in groppa di là dal fiume, tentò di rapirla, se non
che
quegli avvedutosi a tempo il colpì con un dardo t
ste intrisa del suo sangue e del veleno dell’ Idra, dandole a credere
che
con quella avrebbe richiamato Ercole all’ amor su
ta Deianira, innamorossi di Iole figlia di Eurilo re dell’ Ecalia, di
che
Deianira fatta gelosa gli mandò per mezzo del gio
ole l’ ebbe indossata, si senti preso da un interno ardor si cocente,
che
furioso errando pel monte Eta, incontralo Licia,
i, ed a niuno manifestare ove fosse sepolto. Le favole aggiunsero poi
che
fu egli da Giove portato in cielo e posto nel num
che fu egli da Giove portato in cielo e posto nel numero degli Dei, e
che
ottenne quivi in isposa Ebe figlia di Giove e di
ia di Giove e di Giunone Dea della Gioventù, dalla quale pur conseguì
che
Gioluo figlia d’ Ificlo e suo compagno in molte i
in Atene presso di Teseo, Euristeo serbando verso del figlio l’ odio
che
nutrito avea contro del padre, andò ad assalirlo;
ndo Acrisio inteso dall’ oracolo di aver ad essere ucciso dal figlio,
che
nato fosse da Danae, la fece chiudere in una torr
ri e recata al re Pilunno, il quale sposata Danae, da cui ebbe Dauno (
che
trasferitosi nel paese de’ Rutoli e fabbricata Ar
ano una spada adamantina, da Plutone l’ elmo, e da Pallade uno scudo,
che
risplendea a guisa di specchio. Giunto ov’ era Me
cudo di Pallade, colla spada di Vulcano troncolle il capo. Dal sangue
che
ne sgorgò nacque Crisaorre, che fu poi padre di G
Vulcano troncolle il capo. Dal sangue che ne sgorgò nacque Crisaorre,
che
fu poi padre di Gerione, e il cavallo Pegaso, che
ò nacque Crisaorre, che fu poi padre di Gerione, e il cavallo Pegaso,
che
in Elicona aprì con un calcio il fonte Ippocrene;
cona aprì con un calcio il fonte Ippocrene; e dalle gocce sanguinose,
che
caddero ne’ deserti di Libia; allorchè Perseo ven
ezza si disse poi sostenere il cielo: sebbene altri sieno di opinione
che
Atlante siasi detto portare il cielo, perchè era
i loro anteporsi in bellezza. Perseo, ottenuta promessa da’ Genitori,
che
Andromeda sarebbe stata sua sposa, uccise il most
osato il teschio di Medusa coperto di un velo sopra le piante marine,
che
ivi erano, e che furon convertite in coralli, dis
di Medusa coperto di un velo sopra le piante marine, che ivi erano, e
che
furon convertite in coralli, disciolse Andromeda,
con Andromeda in Grecia, col medesimo teschio tramutò in sasso Preto;
che
avea cacciato Acrisio dal regno di Argol, indi Po
Preto; che avea cacciato Acrisio dal regno di Argol, indi Polidette,
che
invidioso della gloria di lui, cercava per ogni m
cercava per ogni maniera di diffamarlo, e per ultimo Acrisio stesso,
che
imprudentemente nel capo di Medusa si affissò. Fu
hè abilissimo domator di cavalli, e poscia coll’ uccisore di Bellero,
che
pretendea farsi tiranno di Corinto, acquistò il n
to, acquistò il nome di Bellerofonte. Trovandosi alla corte di Preto,
che
scacciato Acrisio, erasi fattore degli Argivi, la
scito sempre vittorioso, lo spedì per ultimo a combattere la Chimera,
che
infestava il monte della Licia del medesimo nome.
l capo e il petto di leone, il ventre di capra, e la coda di drago, e
che
fuoco vomitava dalla bocca. Bellerofonte, ottenut
a figlia dalla quale Bellerofonte ebbe Issandro, Ippoloco e Leodamia,
che
amata da Giove fu madre poi di Sarpendone, e Sten
re in cielo, Giove mandò l’ assillo a tormentare il cavallo per modo,
che
si scosse Bellerofonte di dosso, e precipitollo n
modo, che si scosse Bellerofonte di dosso, e precipitollo nel campo,
che
fu detto Aleio, ed ei solo volò su in cielo, ove
costellazioni. Delle figlie di Preto, e di Stenobea disser le favole,
che
avendo osato di paragonarsi a Giunone furon punit
Testio. Al suo nascere le Parche misero un tizzone sul fuoco, dicendo
che
tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il ti
icendo che tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il tizzone, il
che
udendo la madre ritrasse il tizzone dal fuoco, e
re ritrasse il tizzone dal fuoco, e gelosamente il nascose. Cresciuto
che
fu Meleagro, avvenne, che Oeneo offrendo per l’ o
fuoco, e gelosamente il nascose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne,
che
Oeneo offrendo per l’ ottenuta fecondità delle ca
solenni sacrificj a tutti gli Dei, dimenticò di offerirne a Diana, di
che
essa sdegnata spedì a disertar le campagne di Cal
rocchè Altea di ciò irritata, rimise il tizzone sul fuoco, e a misura
che
questo andò consumandosi, egli pur divorato da in
elle di Meleagro la morte di lui piangendo furon cangiate in uccelli,
che
il nome ebbero di Meleagridi. Atalanta ricercata
il nome ebbero di Meleagridi. Atalanta ricercata da molti alle nozze
che
abborriva, promise alla fine che data avrebbe la
alanta ricercata da molti alle nozze che abborriva, promise alla fine
che
data avrebbe la mano a chi lei avanzasse nel cors
avrebbe la mano a chi lei avanzasse nel corso, con questa legge però,
che
raggiugnendoli fosse in poter suo l’ ucciderli. I
coglierli, giunse ad avanzarla. Il premio della vittoria fu Atalanta,
che
Ippomene sposò; ma scordatosi egli, di renderne g
e amanti a profanare il tempio di Giove, o, secondo molti, di Cibele,
che
per vendicarsene li mutò in lioni, e gli attaccò
dar Minerva a combattere il drago, e seminare i denti colla promessa
che
nati di là sarebbono altrettanti uomini. Sursero
ue soli: i quali però bastaron ad aiutarlo nella edificazion di Tebe,
che
fu poi capitale della Beozia, così detta in memor
monia figlia di Marie e di Venere quattro figlie, vale a dire Semele,
che
fu poi madre di Bacco, ma incenerita dal fulmine
di Bacco, ma incenerita dal fulmine di Giove; Ino madre di Melicerta,
che
fuggendo le furie di Atamante, dovette gettarsi i
urie di Atamante, dovette gettarsi in mare; Autonoe madre di Atteone,
che
fu da Diana cangiato in cervo: ed Agave madre di
Questi vedendola incinta la ripudiò, e prese Dirce, la quale temendo
che
Antiopi tornar potesse in grazia del marito, otte
r Lieo, s’ impadroniron di Tebe, e legarono Dirce ad un furioso toro,
che
trascinandola la fece a brani, finchè dagli Dei p
brani, finchè dagli Dei per compassione fu can giata nel fiume Dirce,
che
non lungi da Tebe entra nel fiume Ismeno. Capo
etta da Omero, figliuola di Creonte. Avendo Laio udito dall’ oracolo,
che
doveva essere ucciso dal figlio, di cui Giocasta
essa il barbaro comandamento, diè il figlio nelle mani di un soldato,
che
recatolo in un bosco e foratigli i piedi, attrave
tria, perchè vi avrebbe ucciso il padre, e sposata la madre. Credendo
che
l’ oracolo parlasse di Corinto se ne esigliò volo
prender le parti di questi, uccise senza conoscerlo il proprio padre,
che
a favore di quelli si era intromesso. Altri dicon
proprio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Altri dicono
che
l’ uccidesse, mentre in un angusto sentiero del m
di paese infestato dalla Sfinge, mostro nato da Tifone e da Echidna,
che
avea la testa, e il petto di donna, il corpo di c
sciogliesse l’ enimma, e perir facesse la Sfinge, poichè era destino,
che
questa dovesse morire sì tosto, che l’ enimma da
se la Sfinge, poichè era destino, che questa dovesse morire sì tosto,
che
l’ enimma da alcuno fosse disciolto. Presentossi
to. Presentossi Edipo, e la Sfinge gli domandò qual fosse l’ animale,
che
avea quattro piedi al mattino, due al mezzogiorno
tino, due al mezzogiorno, e tre la sera. Edipo rispose esser l’ uomo,
che
in fanciullezza si strascinasti quattro piedi, in
le pestilenza, la quale, disse l’ oracolo di Delfo su ciò consultato,
che
non sarebbe cessata, finche non fosse de Tebe esi
occupa premurosamente a farne ricerca, venne a scovrire non solamente
che
l’ uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma d
solamente che l’ uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di più
che
Laio era suo padre, e Giocasta sua madre. Preso d
Argivi. Avea Adrasto due figlie Argia e Deifile; e parevagli in sogno
che
la prima ad un leone si maritasse, e la seconda a
coperto di una pelle di cignale, Tideo figlio di Eneo re di Calidone,
che
ucciso sgraziatamente il fratello Menalippo, di l
sgraziatamente il fratello Menalippo, di là fuggiva. Parve ad Adrasto
che
questi fossero il leone e il cignale indicati dal
lavasi; ed ei costretto ad andarvi, lasciò ordine al figlio Alcmeone,
che
quando udisse la morte di lui, uccidesse l’ infed
i e gran parte delle sue genti dovette tornarse scornato in Argo. Più
che
a tutt’ altri però fattale fu quella guerra a’ du
lla mischia con tale accanimento, pugnaron essi l’ un contro l’ altro
che
amendue scambievolmente, si uccisero; ed essendo
essendo i loro corpi stati posti sopra, il medesimo rogo, le fiamme,
che
circondavano l’ uno e l’ altro si separarono, com
arono, come se nemmeno in morte, soffrissero distar congiunta quelli,
che
in vita stati erano così divisi. Nè le triste con
Perciocchè avendo Creonte, il quale prese il governo di Tebe, vietato
che
gli Argivi si seppellissero, fu ucciso da Teseo;
roe figlia di Acheloo, andando per togliere a quella il fatai monile,
che
areale recato per presente di nozze dai fratelli
ne e Anfotero figli di Alcmeone, e di Calliroe, i quali essa ottenne,
che
ancor fanciulli giugnessero immantinente all’ età
quale veniva riputato come sicuro pegno della prosperità dello stato
che
il possedesse. Era questo la pelle del montone, s
secuzioni della madrigna Ino, si argomentarono di passare lo stretto,
che
or chiamasi dei Dardanelli. Ma spaventati dai flu
lo trasportò in cielo nel segno dell’ ariete), e ne sospese la pelle,
che
avea la lana d’ oro, in un bosco consegrato a Mar
dalle nari. Per questa spedizione Giasone invitò gli Eroi più famosi,
che
allor vivessero. Argo figlio di Alettore co’ legn
onte Pelio, e con una quercia tolta alla selva Dodenea formò la nave,
che
da’ Poeti fu celebrata come la prima nave, che fo
Dodenea formò la nave, che da’ Poeti fu celebrata come la prima nave,
che
fosse costruita, e le diede il suo nome; Tifi ne
o dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegati,
che
urtandosi fra di loro impedivano l’ uscita dal Bo
andosi fra di loro impedivano l’ uscita dal Bosforo: in ricompensa di
che
Giasone ordinò agli alati figli di Borea di scacc
i che Giasone ordinò agli alati figli di Borea di scacciare le Arpie,
che
lordavano le mense di Fineo, e questi le inseguir
ano le mense di Fineo, e questi le inseguirono fino alle isole Piote,
che
poi furono dette Strofadi ora Strivali. Era Fineo
e, e figlio di Fenice e di Cassiopea. Sposò in prime nozze Cleopatra,
che
altri chiamarono Stenobra o Stenoboe, da cui ebbe
alice figlia di Borea e di Orizia ad istanza; di cui acciecò i figli,
che
dalla prima avea avuti. In pena di ciò gli Dei ac
di Taumante e di Elettra. Erano queste mezze donne, e mezzo uccelli,
che
divorando e lordandogli tutti i cibi, ridotto avr
ssi Giasone al re Eta chiedendo il vello d’ oro, ma questi risposegli
che
per averlo convenivagli prima domar due tori spir
e sottoporli al giogo poi seminare i denti del drago ucciso da Cadmo,
che
ad Eeta erano stati mandati da Pallade e Marte, e
ad Eeta erano stati mandati da Pallade e Marte, e vincere gli uomini
che
ne sarebbero nati; per ultimo uccidere il drago c
e incantate, onde domare i tori e addormentare il drago, e l’ avvertì
che
lanciando un sasso contro degli uomini armati sor
llo d’ oro, se ne parrì coi compagni è con Medea, la quale prevedendo
che
dal padre sarebbe stata inseguita, prese il barba
o, per esso e pel mare Ionio se ne tornarono a Ioleo. Fu chi aggiunse
che
prima di arrivarvi essi vennero dalla tempesta sb
nero dalla tempesta sbattuti ai lidi dell’ Africa; Omero accennò pure
che
superarono essi ih passaggio alle pietre erranti
no essi ih passaggio alle pietre erranti vicino a Scilla e Cariddi, e
che
in questo pericoloso passaggio aiutali furono da
a come non sì saprebbe determinare ove fosse un tal passaggio, sembra
che
l’ immaginazione di Omero abbia voluto qui traspo
gue creargli co’ suoi sughi incantati, e bramando le figlie di Pelia,
che
altrettanto facesse al padre loro prescrisse a qu
se a queste di ucciderlo, e farlo bollire in una caldaia, promettendo
che
con sue erbe l’ avrebbe fatto rinascere giovane;
avasi. Giasone erasi quivi acceso di Glauce figlia del re Creonte, di
che
Medea irritata finse per più sicura vendetta di e
e scannò atrocemente sotto agli occhi di Giasone medesima i due figli
che
da esso avea avuti, indi salita sul carro tirato
gì in Atene, ove divenuta moglie di Egeo padre di Tesèo partorì Medo,
che
poi diede il nome alla Media. Chirone nacque da F
arco e nel sonar la lira, nelle quali arti istruì Giasone ed Achille,
che
l’ uno da Alcimede, come abbiam detto, l’ altro d
ella quale ammaestrò Esculapio affidatogli da Apollo; e la cognizione
che
egli avea delle stelle fu di grandissimo giovamen
stava esaminando le saette di Ercole tinte dal sangue dell’ Idra, una
che
a caso il ferì gli creò tal dolore, che desiderò
te dal sangue dell’ Idra, una che a caso il ferì gli creò tal dolore,
che
desiderò di morire e fu trasportato in cielo nell
la fecondazione da Tindaro re dell’ Ebalia, marito di Leda. Quindi è
che
Polluce era immortale, e mortale era Castore. Pol
lluce però, onde aver col fratello una sorte comune, ottenne da Giove
che
a vicenda l’ uno morisse, e risorgesse l’ altro.
allor selvaggi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole,
che
al suono della sua lira traeva le piante e le fie
endo questa, caduta estinta per morsicatura di un serpente nell’ atto
che
fuggiva da Aristeo, egli scese all’ inferno per r
tarla. Seppe infatti col suo canto cosi intenerire gli Dei Infernali,
che
gli permisero di ricondurla, a patto però di non
tinuamente la sua perdita, nè amore, di donna più il potè muovere; di
che
indispettite le madri de’ Ciconi lo fecero a bran
me Ebro. Questo, secondo Ovidio, fu portato a Lesbo, dove un serpente
che
avvenissi per morderlo venne da Apollo cangiato i
rmossi egli contro di loro, e giunto prima a Sitone ottenne coll’ oro
che
la città gli fosse venduta da Arne figlia del re,
tenne coll’ oro che la città gli fosse venduta da Arne figlia del re,
che
fu quindi caugiata in mulacchia; indi posto l’ as
per la qual cosa ella fu poi tramutata in lodola, e Niso in avvoltoio
che
ognor l’ insegue. Vinti alla fine gli Ateniesi, M
inti alla fine gli Ateniesi, Minosse impose loro la cruda condizione,
che
ogni sette anni spedir gli dovessero tratti a sor
i istrumenti.), mosso da invidia precipitollo dalla rocca di Minerva,
che
poi lo cangiò in pernice. Rifugiatosi perciò Deda
Dedalo col figlio Icaro nel labirinto, e custodirne in modo le porte,
che
non potesse fuggirne. Dedalo allora procacciatesi
, ed ei privo di quelle precipitò vicino all’ Isola di Samo nel mare,
che
da lui prese il nome d’ Icario. Dedalo invece sem
lì in presenza di Etra sotto ad un gran sasso una spada, ordinandole,
che
, se nascesse da lei un maschio allorchè fosse in
i uomini malvagi. Trasse a morte vicino a Maratona il terribile toro,
che
Ercole avea condotto da Creta ad Euristeo, e che
a il terribile toro, che Ercole avea condotto da Creta ad Euristeo, e
che
questi avea mandato a devastazione dell’ Attica,
uesti avea mandato a devastazione dell’ Attica, e a Grondone il porco
che
disertava le campagne di Corinto. Uccise in Epida
, detto pur Cornista dalla clava ond’ era armato; in Eleusi Cercione,
che
sfidava i passaggieri alla lotta, e vinti o ricus
ti di combattere li uccideva; nell’ istmo di Corinto il gigante Sine,
che
piegando due pini a terra ed attaccandovi gli uom
rilasciare i piai faceva gli uomini in quarti; presso Megara Scirone,
che
appostato sopra uno scoglio gettava in mare i via
Scirone, che appostato sopra uno scoglio gettava in mare i viandanti
che
si avvenivano su quella strada; presso ad Ermonia
u quella strada; presso ad Ermonia il gigante Damaste detto Procuste,
che
faceva stendere gli ospiti sul proprio letto, e t
iravali a forza, se non arrivavano alla misura del letto. Vuolsi pure
che
in Tebe egli abbia ucciso Creonte, il quale vieta
rgli una tazza avvelenata. Ma nel presentarla riconobbe Egeo la spada
che
sepolta avea sotto del sasso, e gettata la tazza
stati da lui sottomessi, come abbiam detto, alla barbara condizione,
che
ogni anno mandar gli dovessero tratti a sorte set
o mandar gli dovessero tratti a sorte sette giovani e sette donzelle,
che
davansi in pasto al Minotauro. Uno de’ sette giov
di Minosse, ebbe da lei per consiglio di Dedalo un gomitolo di filo,
che
attaccato per un capo all’ ingresso del labirinto
Ma arrivato all’ isola di Nasso, ivi ingratamente abbandonò Arianna,
che
fu poi trovata e sposata da Bacco e tornossene in
cco e tornossene in Atene, con Fedra soltanto, cui fece sua moglie, e
che
fu poi ad esso cagione di estremo dolore. Omero d
glie, e che fu poi ad esso cagione di estremo dolore. Omero dice però
che
Arianna fu trattenuta in Dia o Nasso espressament
fu in prima fatale ad Egeo. Perciocchè avevagli questo raccomandato,
che
qualora salvo tornasse, per dargliene indizio, ca
ere vele, e credendo il figlio estinto, per duolo affogossi nel mare,
che
da lui prese il nome di Mar Egeo, ora Arcipelago.
di un sasso, finchè ne venne liberato da Ercole. Vuolsi però da molti
che
questa Proserpina fosse moglie di Edoneo re dell’
nato in Atene si diede Teseo ad unire in una sola città i vari casali
che
formavano la popolazione ateniese, ed istituì in
o di averle voluto fai forza. Teseo irritalo, e memore della promessa
che
fatta gli avea Nettuno di appagarlo in qualunque
vendette. Nettuno spedì perciò un mostro marino, dal quale i cavalli
che
traevano il cocchio d’ Ippolito lungo la spiaggia
evano il cocchio d’ Ippolito lungo la spiaggia, furono sì spaventati,
che
datisi a fuga precipitosa, scosser dal cocchio Ip
à, e da essi risuscitato ebbe una spalla di avorio in luogo di quella
che
Cerere aveva mangiato. Cresciuto in età, abbandon
el corso de’ cocchi, nel quale egli era abilissimo, colla condizione,
che
se taluno fosse rimasto vincitore avrebbe avuto i
fragil asse, il quale essendosi spezzato nel corso precipitò E nomao
che
ne morì; ed egli cosi ottenne Ippodamia ed il reg
egli cosi ottenne Ippodamia ed il regno, cui poscia ingrandì per modo
che
tutta la penisola da lui trasse il nome di Pelopo
i lui glieli diede a mangiare in una abbominevole cena, da cui dicesi
che
il Sole torse per orrore la faccia. Figli di Atre
sacerdote Calcante consu Itato l’ oracolo di Delfo portò in risposta
che
per aver propizi i venti conveniva sacrificare If
la guerra di Troia, di cui appresso diremo, Egisto figlio di Tieste,
che
per vendicare la morte de’ fratelli già aveva ucc
a Elettra in isposa; e premendogli di aver Ermione figlia di Menelao,
che
prima a lui promessa, era stata poi data a Pirro,
a lui promessa, era stata poi data a Pirro, andato a Delfo, ove sapea
che
Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi v
o, andato a Delfo, ove sapea che Pirro allora trovavasi, sparse voce,
che
questi venuto fosse per dispogliare il tempio, e
pio, e il fe dal popolo ammutinato assassinare. Virgilio dice invece,
che
l’ uccise di propria mano innanzi al patrio altar
la guerra di Troia, e de principali Greci, Troiani, e loro ausiliari,
che
vi ebbero parte. Cagione della guerra troiana
ra incinta, parvele in sogno di aver in seno una fiaccola ardente, il
che
essendo stato interpretato che cagionare ei doves
aver in seno una fiaccola ardente, il che essendo stato interpretato
che
cagionare ei dovesse l’ incendio della Città e de
co dopo lo spedì Priamo in Grecia con venti navi per ripetere Esione,
che
liberata dal mostro marino era stata via condotta
riputata la più bella donna di quell’ età, colse Paride l’ occasione
che
Menelao ebbe a partire per Creta, abusando dell’
se ad entrar nella lega cogli altri. In vendetta di ciò fu poi detto,
che
Ulisse nel campo di Troia nascose dell’ oro sotto
tradimento, il fè lapidare da Greci. Tetide madre di Achille, sapendo
che
sotto Troia sarebbe questi perito, l’ occultò sot
ato compagno di Ercole, e testimonio della morte di lui. Ercole volle
che
le sue frecce tinte del sangue dell’ Idra fossero
i queste sol piede, incominciò egli a mandar tal fatore dalla ferita,
che
i Greci, i quali seco preso l’ aveano, perchè egl
ille navi stavano a Giove sacrificando per implorare propizi i venti,
che
poi non ottennero se non col sacrificio d’ Ifigen
poscia anche la madre; dalla qual cosa il sacerdote Calcante presagì,
che
la guerra troiana durerebbe nove anni, e Troia sa
e Troia sarebbe presa nel decimo, siccome avvenne: e Ovidio aggiugne,
che
il serpente a perpetua memoria dagli Dei fu cangi
ria dagli Dei fu cangiato in sasso. Era stato predetto dall’ oracolo,
che
il primo, il quale fosse sceso sul lido di Troia,
dal voler più prender parte a quella guerra. Cagion della lite si fu,
che
essendo Venuto Crise sacerdote di Apollo per risc
Calcante diceva essere di mestieri, Agamennone alteratamente dispose,
che
l’ avrebbe restituita, ma che in compenso voleva
ieri, Agamennone alteratamente dispose, che l’ avrebbe restituita, ma
che
in compenso voleva Briseide toccata ad Achille. S
uerra con un duello alla presenza dei due eserciti; ma Venere temendo
che
Paride soccombesse, indusse il troiano Pandaro a
r disturbare il duello, e trasportò Paride in Troia. Nelle battaglie,
che
appresso vennero, i Troiani comandati da Ettore m
ppresso vennero, i Troiani comandati da Ettore malgrado la resistenza
che
i Greci, e soprattutto Aiace figlio di Telamone,
di Telamone, vi opponevano, ebbero de’ grandi vantaggi, e poco mancò,
che
da quelli incendiate pur fosser le navi, che trat
vantaggi, e poco mancò, che da quelli incendiate pur fosser le navi,
che
tratte in secca servivano al campo de’ Greci di t
io, tre volte lo trascinò d’ intorno alle mura di Troia, nè si arrese
che
a gran fatica a restituirlo al misero padre, che
Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre,
che
venne in persona a domandarlo. L’ ira di Achille,
re, che venne in persona a domandarlo. L’ ira di Achille, e i mali di
che
fu cagione a’ Greci in prima, indi a’ Troiani, fo
in prima, indi a’ Troiani, formano l’ argomento del primo poema epico
che
sia apparso, vale a dire dell’ Iliade di Omero. R
con Priamo chiese in isposa la figlia di lui Polissena; ma nell’ atto
che
celebravasi lo sposalizio nel tempio dì Apollo, P
e, e con ciò reso invulnerabile in tutte le altre parti. Dice Ovidio,
che
la freccia di Paride fu là diretta da Apollo mede
, difeso dallo scudo di Aiace, riuscì a portarlo nel campo de’ Greci,
che
fattigli i funerali solenni, gli alzarono un gran
Tetide aveva posto in mezzo, perchè fossero date al più degno; su di
che
non sapendo i Greci decidere, chiesero a’ Troiani
le armi a lui furon date. Ma di ciò Aiace adirato ne venne sì furioso
che
ne perde la ragione, e lanciatosi in una mandra d
; e finalmente colla spada si trapassò da se stesso. Ovidio aggiugne,
che
dal suo sangue sorsero de’ giacinti. Non però a t
sangue sorsero de’ giacinti. Non però a torto deciso aveano i Troiani
che
Ulisse alla loro patria avesse recato i danni mag
e, ne rapì il Palladio o simulacro di Palla le, sapendo esser destino
che
Troia non fosse presa finchè il Palladio conserva
bbligò a svelare i futuri eventi di Troia. E poichè era pure destino,
che
Troia fosse invincibile, se i cavalli di Reso ven
o l’ isola di Tenedo si nascosero. Invano Cassandra figlia di Priamo,
che
era per destino verace sempre e non creduta mai,
di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai, gridò
che
quel cavallo era un’ insidia e che doveva distrug
ce sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’ insidia e
che
doveva distruggersi. Invano pure Laocoonte Sacerd
erriti da tal portento, fu innanzi a Priamo condotto il greco Sinone,
che
istrutto da Ulisse, appostatamete erasi ascoso ne
tamete erasi ascoso nelle paludi, fingendo di esser fuggito da’ Greci
che
voleano sacrificarlo. Costui seppe persuadere a T
a’ Greci che voleano sacrificarlo. Costui seppe persuadere a Troiani,
che
il cavallo era stato fabbricato da’ Greci, onde p
placar lo sdegno di Pallade irritata per la violazion del Palladio, e
che
Troia sarebbe stata eternamente sicura, se quel c
buia diede dall’ alto della rocca con una fiaccola il segno a quelli
che
dietro Tenedo eran nascosti, e aperse l’ uscita a
o a quelli che dietro Tenedo eran nascosti, e aperse l’ uscita a que’
che
stavano dentro il cavallo, i quali assalendo i Tr
la città. Ulisse e Meneleo uccisero Deifobo, e via condussero Elena,
che
dopo la morte di Paride, il quale era educato per
na di Troia. Superbi i Greci della loro vittoria più non pensarono
che
a ridursi alle case loro; ma pochi vi giunsero se
nch’ egli dalla tempesta, fe voto a Nettuno di sacrificargli il primo
che
sopra il lido incontrasse. Questi fu il proprio f
il proprio figlio; ed avendolo immolato, sopravvenne tal pestilenza,
che
discacciato dal regno ei dovette rifuggiarsi in C
Calabria nel paese de’ Salentini. Diodoro di Sicilia però asserisce,
che
egli morì tranquillamente in Creta, e che anche a
di Sicilia però asserisce, che egli morì tranquillamente in Creta, e
che
anche a suo tempo mostravasi nella città di Gnoss
scacciato da Telamone, e ricoveratosi in Cipro vi fondò poi la città,
che
dal nome della patria intitolò pur Salamina. Diom
ndi Venere accorse in aiuto del figlio Enea. Or Venere in vendetta fè
che
Egialea moglie di Diomede si desse in preda a Cil
moglie di Diomede si desse in preda a Cillabaro figlio di Stenelo, il
che
Diomede sapendo in luogo di fermarsi nella patria
e Ovidio dice essere questo tramutamento avvenuto a’ compagni di lui,
che
sprezzarono l’ ire di Venere. Nestore fu il solo,
ompagni di lui, che sprezzarono l’ ire di Venere. Nestore fu il solo,
che
dopo avere sotto alle mura di Troia perduto il fi
ondo i poeti giunse felicemente al termine di tre età. Quegli invece,
che
più avversità ebbe a soffrir nel ritorno, fu Ulis
aese, i Lotofagi dieder loro ad assaggiare il loro frutto dolcissimo,
che
fece ad essi dimenticare il ritorno, sicchè a for
uesti gliene divorò sei con animo di divorar gli altri ancora, se non
che
Ulisse, prima ubbriacatolo con vi no generoso, gl
poscia, mentre dormiva, con un palo infocato il sol occhio circolare,
che
aveva in mezzo alla fronte, indi legati i compagn
mezzo alla fronte, indi legati i compagni sotto il ventre de’ montoni
che
ivi erano ed egli aggrappatosi sotto al più grand
d egli aggrappatosi sotto al più grande, ne uscirono tutti nell’ atto
che
Polifemo, tolto lo smisurato macigno, che serviva
e uscirono tutti nell’ atto che Polifemo, tolto lo smisurato macigno,
che
serviva di uscio alla grotta, ne mandò fuori la g
questo acciecamento però Ulisse concitò contro se l’ odio di Nettuno,
che
mai non cessò di perseguitarlo, finchè in Itaca n
eglia stato sorpreso dal sonno, i compagni sciolsero l’ otre credendo
che
gran tesoro vi si contenesse, e i venti di là sco
ciato. Errando pel mare verso ponente giunse al paese de’ Lestrigoni,
che
da Cicerone supponsi ove fu poscia la città di Fo
grandine di sassi undici navi e appena egli colla sua e coi compagni
che
in essa erano potè camparne. Con questa approdò a
econdò altri Telegono, per ordine di lei medesima n’ andò a’ Cimmeri,
che
da Plinio pongonsi presso a Cuma ed allago di Ave
a Proserpina ed a Plutone, vide prima l’ anima del compagno Elpenore,
che
caduto dal letto nell’ Isola Eea, mentre gli altr
o a Circe, e data sepoltura ad Elpenore, avvertito da lei del viaggio
che
aveva a tenere, e dei pericoli che doveva evitare
nore, avvertito da lei del viaggio che aveva a tenere, e dei pericoli
che
doveva evitare, navigando verso levante e mezzogi
la nave li fè andar tutti sommersi. Ulisse rimase solo nella carena,
che
dal vento fu portalo sopra Cariddi, ove la carena
i però aggrappatosi colle mani ad un fico selvatico stette aspettando
che
la carena riuscisse, e gettatosi nuovamente sovr’
oo e Nausinoo. Pallade protettrice di Ulisse ottenne allora da Giove,
che
per mezzo di Mercurio spedisse ordine a Calipso d
Quivi presentatosi nudo a Nausicaa figlia del re Alcinoo e di Arete,
che
colle ancelle era andata a lavare le vesti alfium
tto da Pallade, sterminò tutti i Proci ch’ erano cento otto, non meno
che
i loro aderenti, salvando il solo cantore Femio,
i loro aderenti, salvando il solo cantore Femio, e l’ araldo Medonte,
che
ai Proci servivano a forza. Fattosi quindi con si
ndi Ulisse andar con un remo sopra la spalla fin dove gli fosse detto
che
quello era un ventilabro, e fatto quivi un sacrif
vere consunto mollemente dalla vecchiezza, ma altri invece han detto,
che
egli fu ucciso dal figlio Telegono avuto da Circe
, che egli fu ucciso dal figlio Telegono avuto da Circe, in occasione
che
questi sbattuto dalla tempesta in Itaca vi fe qua
re, e Enea, in Italia. Dei capi de’ Troiani e loro alleati i soli,
che
avanzarono da quella guerra, e che dopo la presa
de’ Troiani e loro alleati i soli, che avanzarono da quella guerra, e
che
dopo la presa e l’ incendio della città salvi e l
lo, Cigno, Mennone e Pentesilea furono uccisi da Achille si disse poi
che
Cigno fu da Nettuno cangiato in Cigno, e Mennone
Pirro, Sarpedone da Patroclo; Reso da Ulisse e da Diomede. Antenore,
che
fu creduto favorevole al partito dei Greci, perch
dopo l’ incendio di Troia partì cogli Eneti popoli della Paflagonia,
che
sotto Troia perduto aveano il re loro Filemone e
ordine di Venere si prese sulle spalle il vecchio suo padre Anchise,
che
portava gli Dei Penati, e guidando a mano il figl
l figlio Ascanio, parti seguito dalla moglie Creusa figlia di Priamo,
che
poi si smarrì, e andò a riamarsi ad Andandro citt
, vide da essi gocciolar sangue, e udì una voce la quale gli annunziò
che
ivi sepolto era Polidoro figlio di Priamo, ucciso
rne i tesori, con cui Priamo l’ aveva a lui spedito. Aggiunge Ovidio,
che
la morte di Polidoro era stata poi vendicata da E
o la presa di Troia approdati in Tracia, ove sacrificarono Polissena (
che
però altri dicono sacrificata da Pirro sopra la t
en venne a Delo, ove consultato l’ oracolo dì Apollo, questo rispose,
che
i Troiani cercar dovessero albergo là onde traeva
che i Troiani cercar dovessero albergo là onde traevan l’ origine; il
che
essendo interpetrato da Anchise per l’ isola di C
ra pestilenza, apparvero di notte ad Enea gli Dei Penati, avvisandolo
che
la terra indicata da Apollo era l’ Italia, da cui
Dardano nativo di Conto ora Cortona, fondatore della città Dardania,
che
ingrandita da Troe fu poscia chiamata Troia. Rime
li, ove inquietato fu dalle Arpie, o Celeno una di queste predissegli
che
non avrebbe avuto seggio in Italia, finchè non fo
o, ove regnava Eleno figlio di Priamo con Andromaca vedova di Ettore,
che
egli aveva sposata dopo la morte di Pirro. Accolt
po la morte di Pirro. Accolto quivi con gran tripudio, ebbe da Eleno,
che
era pur vate, l’ avviso di non approdare a’ vicin
cui Virgilio fìnge dimenticalo da Ulisse nella grotta di Polifemo, e
che
pregò di essere da lui raccolto. Al tempo medesim
gò di essere da lui raccolto. Al tempo medesimo sopravvenne Polifemo,
che
udendo il trambusto de’ remi inseguì a piedi le n
trambusto de’ remi inseguì a piedi le navi per lungo tratto di mare,
che
non gli oltrepassava il ginocchio. Approdò finalm
ando fu dalla tempesta gettalo ai lidi della Libia, ove dice Virgilio
che
Didone vedova di Sicheo fuggendo dal fratello Pig
e, e tagliato questo in sottilissime liste, tanto spazio ne circondò,
che
potè fabbricarvi la città di Cartagine. Accolse e
r lui si accese. Ma Jarba, figlio di Giove e della Ninfa Garamantide,
che
era stato prima da lei rifiutato, ricorse al padr
nna, sforzossi di trattenerlo, finchè vedendolo già partito, sul rogo
che
avea fatto disporre col pretesto di un magico sac
to di un magico sacrificio per richiamarlo, ivi si uccise colla spada
che
Enea avea lasciato. Tutto questo però non è che u
si uccise colla spada che Enea avea lasciato. Tutto questo però non è
che
un’ invenzione di Virgilio, poichè Didone secondo
di Acesta. Partito alla volta d’ Italia perdette il piloto Palinuro,
che
fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vici
e fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vicino al promontorio,
che
dal suo nome fu detto poi Palinuro. Giunto a Cuma
Tritone gettato in mare; Enea datagli sepoltura sotto al promontorio,
che
dal nome di lui appellò Miseno, scese colla Sibil
dannati a ingiusta morte, i suicidi, gli amanti, fra quali era Didone
che
fuggì da lui dispettosa, e i guerrieri fra’ quali
’ campi Elisi, ove additate gli furono, da Anchise le anime di quelli
che
dovevano da lui discendere fino a Marcello nipote
’ inferno, e rimbarcatosi perde la sua nutrice Caieta presso il luogo
che
poi da essa n’ ebbe il nome; indi giunto alle foc
erba stese larghe focacce in luogo di mense, poichè Ascanio avvertì,
che
mangiato il restante, le mense ancora si divorava
di Fauno suo padre di dover dare la figlia Lavinia ad uno straniero,
che
di lontano paese sarebbe là giunto, ad Enea spont
utoli, al quale Lavinia era stata innanzi promessa; e finalmente fece
che
Ascanio coll’ uccisione di un cervo allevato da T
partito quanti potè de’ principi dell’ Italia, fra i quali Mezenzio,
che
per le sue crudeltà era stato cacciato dal regno
ettavano secondo l’ oracolo un duce straniero per opporsi agli sforzi
che
esso faceva per rientrare nel regno, Turno fratta
ccola città, dove Enea aveva lasciato le sue genti, incendiò le navi,
che
per esser costruite con legni d’ Ida vennero da C
re imprese de’ Latini e de’ Romani, e segnatamente di Augusto. Giunto
che
fu cogli Arcadi e co’ Tirreni, seguì grande batta
tanza di Giunone fu disturbato dalla ninfa Giuturna sorella di Turno,
che
mosse Tolunnio a scagliarsi contro a’ Troiani, on
accorre, ed è ucciso da Enea. Fin qui Virgilio. Altri aggiunsero poi,
che
Enea fatta la pace coi Latini sposò Lavinia, che
ltri aggiunsero poi, che Enea fatta la pace coi Latini sposò Lavinia,
che
fabbricò una città, cui dal nome di essa chiamò L
vinia, che fabbricò una città, cui dal nome di essa chiamò Lavinia, e
che
Venere dopo tre anni a lui ottenne da Giove, che
sa chiamò Lavinia, e che Venere dopo tre anni a lui ottenne da Giove,
che
lavandosi nel fiume Numico spogliasse la natura m
annoverato. Lasciò nel Lazio suo successore il figlio Giulio Ascanio,
che
edificò Alba, e vi trasportò la sua sede. Dopo un
n un lupo. Dal diluvio campano sul monte Parnasso Deucalione e Pirra,
che
ripopolano il mondo gettandosi le pietre dietro l
ue sessi provi piacer maggiore, la decide contro il parer di Giunone,
che
sia maggiore quello della femmina. Giunone di ciò
er bere, veduta in esso la propria immagine, si pazzo amore ne prese,
che
ne morì, e fu cangiato nel fiore narciso. La ninf
ve nelle sue tresche amorose ne aveva avuto per pena di non poter più
che
ripetere le ultime parole altrui. Essendosi posci
endosi da lui fuggita, ne morì di rammarico, e fu convertita in rupe,
che
ancor ritiene la proprietà di replicare le ultime
a in rupe, che ancor ritiene la proprietà di replicare le ultime voci
che
la percuotono. 1 corsari di Tiro sono da Bacco mu
nendosi i parenti alle nozze da lor bramate, per una fessura del muro
che
divideva le case loro, concertano di trovarsi la
di Nino. Tisbe è la prima a recarvisi; ma spaventata da una lionessa,
che
fatta strage di buoi veniva a bere al vicin fonte
o Piramo, uccide anche essa colla medesima spada, e il loro sangue fa
che
i fruiti del gelso, dapprima bianchi, diventin ne
o. Parte I. Capo X. A Pelope risuscitato è fatta di avorio la spalla,
che
Cerere avea mangiata. Parte II. Capo X. Tereo è m
o, e Tioneo in cacciatore. Mera è trasformata in cagna. Questa dìcesi
che
poi divenisse la cagna d’ Icario figlio di Ebalo,
Questa dìcesi che poi divenisse la cagna d’ Icario figlio di Ebalo, e
che
avendo certi pastori dell’ Attica ucciso Icario e
a ucciso Icario e gettatolo in un pozzo, perchè ubbriacatosi col vino
che
ei loro avea dato, credettersi avvelenati. Mera i
glia di lui il luogo ov’ era sepolto; e questa per dolore si appiccò,
che
sopravvenuta la peste in Atene, l’ oracolo disse
lore si appiccò, che sopravvenuta la peste in Atene, l’ oracolo disse
che
Bacco vendica con essa la morte d’ icario, a cui
a la morte d’ icario, a cui egli avea insegnato a coltivare la vigna;
che
gli uccisori furono quindi cercati e messi a mort
are la vigna; che gli uccisori furono quindi cercati e messi a morte;
che
una festa in seguito s’ istituì ad onore d’ Icari
to s’ istituì ad onore d’ Icario e di Erigone, e si disse finalmente,
che
Icario era stato portato in cielo nel segno di Bo
che. Parte II. Capo II. I Telchini abitatori di Laliso città di Rodi,
che
affascinavano altrui co’ loro occhi, sono da Giov
, dopo aver mille cose da lui ottenuto, pretende pure di aver un toro
che
Fillio gli ricusa; per dispetto si getta da una r
avere altrettanti uomini, Giove gli cangia quelle formiche in uomini,
che
per ciò vengon da Eaco nominati Mirmidoni da myrm
fonte. Litto in Festo di Creta esige promessa da Teletusa sua moglie,
che
se partorisce una figlia, l’ uccida. Ella partori
a. Ella partorisce la figlia Ifi, cui alleva, facendo credere a Litto
che
sia un maschio. La cosa stava per iscoprirsi all’
Litto che sia un maschio. La cosa stava per iscoprirsi all’ occasione
che
Ifi sposar doveva Jante figlia di Teleste; ma Tel
sposar doveva Jante figlia di Teleste; ma Teletusa ottiene da Iside,
che
sia realmente cangiata in maschio. Orfeo scende a
eltà alle Dee, è cangiata in pietra nel monte Ida insieme col marito,
che
a parte vuol essere della pena. Il giovane Cisso
tidi sono da Venere cangiale in sasso. Parte I. Capo VIII. I Cerasti,
che
a Venere sagrificano gli ospiti, sono da lei conv
I. Pigmalione scultore s’ innamora di una sua statua, chiede a Venere
che
sia animata, e l’ ottiene; da essa nasce Pafo, ch
a, chiede a Venere che sia animata, e l’ ottiene; da essa nasce Pafo,
che
dà il nome alla città di Pafo. Mirra figlia di Ci
padre; è trasformata nell’ albero della mirra; da questo nasce Adone,
che
poi è amato da Venere, ucciso da un cignale, e ca
e I Capo VIII. Atalanta figlia di Scheneo ricusa di unirsi ad alcuno,
che
lei non vinca nel corso, ponendo per patto la mor
cuno, che lei non vinca nel corso, ponendo per patto la morte a colui
che
resta vinto. Ippomene riceve da Venere tre pomi d
oni assassine di Orfeo sono da Bacco mutate in piante, e un serpente,
che
si avventa per morderne il capo, è da Apolline mu
da Tetide è convertito in mergo. Presagio avuto da’ Greci in Aulide,
che
Troia sarebbe stata presa nel decimo anno. Parte
apo XII. Le figlie di Anio ottengon da Bacco di cangiare tutto quello
che
toccano in frumento, olio, e vino. Fuggendo Agame
po XI. Mentre Tebe è afflitta dalla pestilenzia., l’ oracolo dichiara
che
non cesserà, se non, sacrificano due vergini. Met
i offrono volontarie al sacrificio. Dal loro rogo escono due giovani,
che
son nominati Coroni. I figli del re Molosso fugge
di arena, gli chiede di poter vivere tanti anni, quante sono le arene
che
tiene in mano, ma si dimentica di chieder pure di
di Apollo ottiene bensì la longevità, ma arriva a tale decrepitezza,
che
consunto tutto il corpo, non ne riman che la voce
arriva a tale decrepitezza, che consunto tutto il corpo, non ne riman
che
la voce. I compagni di Ulisse vengon da Circe can
ea, e n’ escono gli uccelli chiamati a idea. Venere impetra da Giove,
che
Enea lavandosi nel fiume Numico spogli la natura
i Roma, Terpea apre al Sabini, una porta; Venere ottiene dalle Ninfe,
che
le vicine acque diventino bollenti, e i Sabini ne
Ercole in sogno è avvisatoci abbandonare la patria, malgrado la legge
che
ciò vietava, e andare a stabilirsi al fiume Esare
e in Calabria. È preso dagli Argivi e tratto in giudizio ma Ercole fa
che
nell’ urna dei giudici i calcoli diventino tutti
ei Fiumi, della Terra e de’ Monti, e finalmente a quello degli Uomini
che
per qualche straordinaria azione si erano resi il
Olimpio in Atene, e in Roma quello di Giove Capitolino, ed il Panteon
che
tuttavia sussiste. Ne’ sacrifici oltre a frutti d
ende, le, si indoravan le corna, le si poneva sul capo la mola salsa,
che
era una stiacciata di farro con sale, il Sacerdot
scannarla; l’ Aruspice esaminava quindi le interiora se eran sane, il
che
era di buon augurio, e se eran guaste o infette,
se eran sane, il che era di buon augurio, e se eran guaste o infette,
che
era di augurio sinistro; per ultimo una porzione
si abbruciava. I sacrifici eran sempre accompagnati dalle libazioni,
che
consistevano nel versare del vino (o in mancanza
ncora rex: sacrorum, come regina sacrorum diceasi la moglie di lui, e
che
secondo Macrobio sacrificava principalmente a Giu
icava principalmente a Giunone nella curia detta Calabria. A’ conviti
che
celebravansi dopo i sacrifici presedevano gli Epu
A’ conviti che celebravansi dopo i sacrifici presedevano gli Epuloni,
che
prima furon tre soli, poi cinque, sette, e infine
soli, poi cinque, sette, e infine a dieci. Gli Aruspici erari quelli
che
osservavano le interiora della vittima; e gli Aru
fondando l’ aratro più; del consueto. I sacerdoti Arvali erari quelli
che
sacrificavano per la fertilità de’ campi, i Fecia
quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi, i Feciali quelli
che
si spedivano per dichiarare la guerra, o trattare
degli Auguri, nè cosa alcuna di gran momento s’ intraprendeva, prima
che
questi non avessero deciso se l’ augurio era faus
sto. Gli auguri poi si prendevano altri dall’ osservazione del cielo,
che
propriamente dicevansi auguri, altri dal canto e
priamente dicevansi auguri, altri dal canto e dal volo degli uccelli,
che
più propriamente si chiamavano auspici, altri dal
o presagio, perchè riguardavansi come avvisi spediti dagli Dei di ciò
che
aveva a succedere. Il desiderio di saper l’ avven
iò che aveva a succedere. Il desiderio di saper l’ avvenire fu quello
che
diede origine alla astrologia e alla divinazione
come se queste cose avessero sopra le umane vicende quell’ influenza
che
mai non ebbero, nè potevano avere. Lo stesso desi
è potevano avere. Lo stesso desiderio pur diede origine agli oracoli,
che
sparsi erano in mille luoghi, e che avidamente si
o pur diede origine agli oracoli, che sparsi erano in mille luoghi, e
che
avidamente si consultavano in tutti gli affari im
nelle querce del bosco a Giove consecrato per cui le favole dissero,
che
le querce parlavano. 2. L’ oracolo di Giove Amino
ve la statua di lui solennemente portavasi da’ Sacerdoti, e da’ segni
che
ella dava co’ vari suoi movimenti, i Sacerdoti in
era inebriata, pronunziava delle parole per lo più oscure o confuse,
che
raccoglievansi da’ Sacerdoti a ciò destinati, e d
tempio di Delfo, ne chiese ad A polline la ricompensa. Questi promise
che
data l’ avrebbe dopo otto giorni, al fine dei qua
i quali i due fratelli furono trovati morti. Pausania dice in cambio,
che
Trofonio fu inghiottito vivo dalla terra apertasi
che Trofonio fu inghiottito vivo dalla terra apertasi sotto di lui, e
che
in quella stessa caverna il suo oracolo fu indi s
a quale uscendo riferiva quanto vi aveva udito e veduto a’ Sacerdoti,
che
a loro modo l’ interpetravano. L’ oracolo del bue
pi in Egitto traevasi dall’ accertar ch’ ei faceva o rifiutare quello
che
gli si dava a mangiare. L’ oracolo di Venere in A
o di Venere in Africa tra Eliopoli e Biblo era favorevole, se le cose
che
gettavansi nel vicin lago andavano al fondo, cont
vasi nelle tavole a ciò fatte espressamente. Per cento altre maniere,
che
troppo lungo sarebbe l’ annoverare gli oracoli si
l’ annoverare gli oracoli si rendevano in altri luoghi. Fra le donne
che
professarono di conoscere, e di predire il futuro
, nata fra i Cimmerî d’ Italia secondo Nevio e Pisone; 5. L’ Eritrea,
che
secondo Varrone e Apollodoro vivea al tempo della
lcuni Amaltea, e secondo altri Demofila o Erofile; 8. l’ Ellespontina
che
Eraclite Pontico dice vivuta al tempo di Ciro; 9.
tina che Eraclite Pontico dice vivuta al tempo di Ciro; 9. La Frigia,
che
soggiornava ad Ancira; 10. La Tiburtina chiamata
resso i Romani la più famosa era la Sibilla Cumana, la quale si disse
che
offerse al re Tarquinio superbo una raccolta di v
di versi sibillini in nove libri, chiedendone trecento monete d’ oro,
che
avendole questi ricusato pagarle., ella gettò tre
ettò tre libri sul fuoco, domanda lo stesso prezzo per gli altri sei;
che
al secondo rifiuto ne gittò sul fuoco tre altri,
uoco tre altri, insistendo a volere il medesimo prezzo pei tre ultimi
che
rimanevano, e che poi da Tarquinio furono compera
sistendo a volere il medesimo prezzo pei tre ultimi che rimanevano, e
che
poi da Tarquinio furono comperati. Questi furono
li Dei, o all’ apparir di prodigi straordinari per allontanare i mali
che
si temevano, o all’ avvenirsi in alcuna cosa di m
ci, come presso i Romani. Intorno alle prime può consultarsi Meurzio,
che
ne ha trattato espressamente, per le seconde Ovid
. Fra questi i più famosi giuochi nella Grecia erano 1. gli Olimpici,
che
celebravansi in Olimpia città dell’ Elide, ogni q
anni, e da cui prese origine il computo delle Olimpiadi: 2. i Pitici,
che
celebravansi a Delfo, 3. i Nemei, che si celebrav
o delle Olimpiadi: 2. i Pitici, che celebravansi a Delfo, 3. i Nemei,
che
si celebravano a Nemea, 4. gl’ Istimici, che si t
nsi a Delfo, 3. i Nemei, che si celebravano a Nemea, 4. gl’ Istimici,
che
si tenean nell’ istmo di Corinto. A questi giuoch
i; I primi consistevano incanti, e suoni, e nelle tragedie e commedie
che
recitavansi ne’ teatri. I secondi tenevansi negli
o, ch’ era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro assai pesante,
che
i giocatori sforzavansi di gettare, quanto potess
orzavansi di gettare, quanto potessero più lontano; 3. il giavellotto
che
lanciavasi colla mano o la saetta, che si scaglia
più lontano; 3. il giavellotto che lanciavasi colla mano o la saetta,
che
si scagliava coll’ arco al segno prefisso; 4. La
ugilato, nel quale combattevasi ora co’ pugni soltanto, or co’ cesti,
che
erano guanti di duro cuojo guerniti spesso di fer
piombo. Questi giuochi più tardi introdotti furono ancor da’ Romani,
che
teatri, e anfiteatri, e circhi magnifici innalzar
e i più atroci e crudeli spettacoli de’ combattimenti de’ gladiatori
che
spesso costretti erano a pugnare fino alla morte.
otto il velo della favola scopriremo alcuni principii, alcune verità,
che
ci addimostrano ora il mondo fisico, ora il mondo
ar precedere una lunga prefazione a queste brevi pagine, diciamo solo
che
potranno tornar utili al leggitore, traendone qua
i e Latini in crearsi i loro Dii, ed escogitarne poscia una Teogonia,
che
commisero alla casta ieratica, la quale con le as
on il terrore inspirava il sentimento religioso negli animi di coloro
che
può dirsi perdusi al bene dell’ intelletto, scamb
astico, precedendo di non poco i secoli della istoria, non presentano
che
un tipo misto di vero e di falso — di vero, allud
aendo origine da immagini tutte fantastiche, ci dipinge forse meglio,
che
il vero istesso i trasporti delle nazioni e del t
mpii ed altari. E veramente l’Achille dell’ Iliade ci presenta meglio
che
Alessandro il genio eroico de’ Greci Elleni ; com
de’ Greci Elleni ; come del pari una biografia di Numa o di Pitagora,
che
molto hanno di favoloso, ci dipinge il genio pela
temperati a un tempo di un mistico contemplativo, più eloquentemente
che
non ha saputo fare ogni altro legilatore o filoso
ogni altro legilatore o filosofo de’tempi posteriori. E non adempiamo
che
in parte alle nostre promesse, non dandoue che un
riori. E non adempiamo che in parte alle nostre promesse, non dandoue
che
un saggio, lasciando a gli altri ciò che non abbi
nostre promesse, non dandoue che un saggio, lasciando a gli altri ciò
che
non abbiamo saputo, o non abbiamo voluto far noi.
ia, e quanto in essa è di più interessante, non essendo il rimanente,
che
o vera istoria, o puerili fantasie. E promettiamo
o il rimanente, che o vera istoria, o puerili fantasie. E promettiamo
che
a ciascuna parola, che ci ha porto la interpetraz
era istoria, o puerili fantasie. E promettiamo che a ciascuna parola,
che
ci ha porto la interpetrazione di un mito, abbiam
petrazione del mito istesso, e per nulla tralasciare intentato di ciò
che
possa promettere la utilità di queste pagine. Abb
one, e per più copiosamente interpetrarlo. Perciò non ci cade dubbio,
che
i saggi institutori delle scuole letterarie volen
d’immagina, e di altre cose non dissimili. A costoro noi rispondiamo,
che
oltre di esserei fatti, per quanto ci sappiamo, p
, siffatte immagini ; ed aggiungiamo, per toglierci da tali censure :
che
le umane, virtù di rado sorgono senza innestarsi
I. della origine del politeismo e de’ miti eterodossi, e cagioni
che
li propagarono. Sommario — 1. Donde trasse la i
, la iniziativa dalla dispersione del genere umano, e cagioni fisiche
che
disciolsero l’uomo dal culto e dagli ordini civil
i ed esempii — 8. Delle varie specie di mito. 9. Di alcune induzioni,
che
hanno attenenza a questo ragionamento — Si dimost
favola secondo il diverso obbietto cui ha le sue mire. Tempo già fu,
che
dilettando i prischi Dell’ Apollineo culto archim
eria e la terrestre Vno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea,
che
l’alma era del mondo. V. Monti, i romantici. 1.
Solo la voce di alcuni filosofi, e di tutto il popolo eletto ancora,
che
in mezzo a tante insanie che coprivano la terra,
ofi, e di tutto il popolo eletto ancora, che in mezzo a tante insanie
che
coprivano la terra, conservavano non oscurato que
coprivano la terra, conservavano non oscurato quel raggio di sapienza
che
irradiò fin dall’ Eden beato nella mente de’nostr
versi al volgo, o ancora per la clava per la onnipotenza degl’imperi,
che
facevano fermo piedestallo a questa larva di reli
i quella, ancora tai filosofi si tacquero, ribadendo i bei sentimenti
che
spuntavano loro nel cuore, per non pagarla con gl
ia ricoperta quando erano in onore gl’ Iddii, e non poche altre cose,
che
hanno attenenza con queste ricerche filologiche.
r meglio dire, dalla semplice apprensione dell’ Ente, non può nascere
che
dal vero perfetto e non mai dall’errore. Religion
circuizioni dell’errore, non dipartendosi da un’ontologismo perfetto,
che
mena alla primitiva nozione dell’Ente, ancora que
lla va sventuratamente disviandosi nell’uomo, e per uno psicologismo,
che
ha per prime nozioni intuitive le creature, non c
che ha per prime nozioni intuitive le creature, non ci può presentare
che
gli esistenti come prima genesi religiosa. Corre
la filosofia di tutti i tempi fino a quando non andò per le cagioni,
che
ora esporremo, obbliato il primo bibblico. « Dio
ando a’ nostri padri era il concetto intuitivo e perfetto dell’ Ente,
che
può concepirsi con la formola ideale — l’Ente cre
epirsi con la formola ideale — l’Ente crea l’esistente — non si aveva
che
la vera religione primitiva pura e divina, quale
o concetto dalla immaginazione, e non presentandosi alla escogitativa
che
la nozione dell’esistente, ora come fantasma che
si alla escogitativa che la nozione dell’esistente, ora come fantasma
che
procede per via di emanazione, e non potevasi ave
che procede per via di emanazione, e non potevasi avere per religione
che
un’emanatismo ; ora come un moltiplice con una di
ra come un moltiplice con una divisione sostanziale, e non ne sorgeva
che
un politeismo, ossia la pluralità degli Dei ; ora
presentandosi come una identità sostanziale, non si pone dagl’incauti
che
un teocosmo, un panteismo, cui togliendosi via og
i dice(1), da primi tempi fino a noi ha percorso due strade distinte,
che
si possono seguire con gli occhi nella vasta este
la vasta estensione de’paesi e dei secoli. La prima di queste strade,
che
può paragonarsi ad una linea retta luminosa conti
sa dall’autorità e dalla tradizione : questo è il pensiero ortodosso,
che
si fonda sul mistero assioma rivelato e razionale
le della creazione e lo conserva in tutta la sua purezza. La seconda,
che
può rappresentarsi come una linea tortuosa avvilu
tuosa avviluppata dalle tenebre piena d’interruzione, non cominciando
che
dopo la caduta, è tracciata dalla ragione umana,
non cominciando che dopo la caduta, è tracciata dalla ragione umana,
che
manca di autorità tradizionale, e che non ha che
tracciata dalla ragione umana, che manca di autorità tradizionale, e
che
non ha che alcuni avanzi alterati della rivelazio
dalla ragione umana, che manca di autorità tradizionale, e che non ha
che
alcuni avanzi alterati della rivelazione primitiv
rivelazione primitiva, o rinnovata : questo è il pensiero eterodosso,
che
ignora e nega la creazione, e per la mancanza di
ofie, l’eresie cristiane, il nominalismo del medio evo e la filosofia
che
predomina in Europa da Cartesio fino a noi ». 3.
e barbaro ; perciocchè lo incivilimento ha bisogno di alcuni elementi
che
lo producono. E dall’altra parte quando l’uomo fo
gregazione sociale ebbe i suoi Iddii peculiari, pochi eletti infuori,
che
scrbando il concetto rivelato e tradizionale serb
e la scultura e la poesia sono fonte ubertosa di idolatria. I poeti,
che
adornavano la natura con le loro brillanti illusi
Quella limpida fonte uscia dall’urna D’ un amorosa Nalade…. Il canto,
che
alla queta ombra del bosco Ti vien si dolce nella
e esser gelosa ; Quel lauro onor de’ forti e de’ poeti ; Quella canna
che
fischia e quella scorza, Che ne’boschi Sabei lagr
elle Dee attribuirne qualche parte alla Dea Cloacina(2), o a Volupia,
che
dalla voluttà si ebbe questo nome ; o alla Dea Li
olupia, che dalla voluttà si ebbe questo nome ; o alla Dea Libentina,
che
fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano,
Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano,
che
presiede a’vagiti degl’infanti ; o alla dea Cunin
dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti ; o alla dea Cunina,
che
tutela le cune di loro…… Nè stimarono commettere
to argomento. Invero la voce mito tutta greca μιθος altro non importa
che
un parlar vero, ma fatto per via d’immagini di es
miglior parte divini. Così eo’miti di Giove, di Cibele e di Nettuno,
che
furono poscia creduti come tre divinità, altro no
o, che furono poscia creduti come tre divinità, altro non intendevasi
che
il cielo, la terra ed il mare. Era questo il parl
ere nè alzare, nè muovere il capo, irradiando a loro spalle una luce,
che
solo per loro splende a riflesso, e passando ombr
, e passando ombre d’avanti a loro. Con l’antro egl’intende il globo,
che
noi abbitiamo — con le catene le nostre passioni
el mondo. E va tuttavolta in uso ancor tra noi, come fanno i pittori,
che
volendo dar forma a gl’intelligibili, quali sono
ligibili delle cose, ebbero naturale di fingersi i caratteri poetici,
che
sono generi od universali fantastici da ridurvi c
me gli Egizii tutti i loro ritrovati utili necessari al genere umano,
che
sono particolari effetti di sapienza civile, ridu
ncora con miti descrivevansi gli avvenimenti degli uomini. Così Pane,
che
era ancora egli un simbolo della natura umana e s
stanze, contendono di venire a connubio con Penelope : non era questo
che
un mito, cui intendevasi l’appropriato dominio de
l’appropriato dominio de’campi, e le pretenzioni delle nozze solenni,
che
celebrate solo da’ nobili, non si permettevano al
ani era vieto a’plebei impalmare le donne patrizie, e non l’ottennero
che
dopo lunga lotta tra i nobili ed il volgo. E Pasi
n Creta con una nave detta Toro. Da’ questi e da innumeri altri miti,
che
potremmo portare in mezzo, non v’ha chi non compr
fanciulli della umana famiglia, davano il nome di Dio a tutto quello,
che
rifuggiva alla loro intellettiva. Se ne può trarr
i in istato ancora di selvaggi tengono come Iddii tutti gli obbietti,
che
sembrano loro inintelligibili ; e da Tacito(1), c
tti gli obbietti, che sembrano loro inintelligibili ; e da Tacito(1),
che
facendo parola degli antichi Germani abitatori de
l cielo come un’immenso corpo animato, cui donarono il nome di Giove,
che
con lo vibrar de’fulmini, e con il tuono volesse
i grandi e lunghissime braccia l’immense forze, un essere gigantesco,
che
per tale possanza dissero Messimo, di cui credeva
aminandosi la vera filosofia in non pochi luoghi di Europa : un Giove
che
dicevano essere più alto della cima de’monti, ond
ssere più alto della cima de’monti, onde Platone disse esser l’etere,
che
si diffonde dappertutto. E questo modo di concepi
e narrazioni de’miti. Volendo gli uomini con gli esempii degl’ Iddii,
che
si creavano nella loro mente, trascorrere, senza
proprii trasporti, per trascorrere senza rimorso alcuno. È per questo
che
al concetto dell’ Ente sottentò quello degli esis
i il traffico, quando l’ebbero disgombrati dalla orridezza di natura,
che
li circondava, e tutelati da mostri, che vi aveva
i dalla orridezza di natura, che li circondava, e tutelati da mostri,
che
vi avevano disteso antico impero. E questi esseri
rse alla purezza de’costumi ; l’altro come un comento de’ filosofi, e
che
poco fassi incontro a gl’interessi sociali, che a
mento de’ filosofi, e che poco fassi incontro a gl’interessi sociali,
che
anzi torna di nocumento a’ popoli ; l’altro da’pr
ve, Bacco ; un’altro dalle gocciole del sangue, Pegaso cavallo alato,
che
si voleva nato dal sangue di Medusa ; e volando p
el cielo fosse collocato tra le costella zioni ; e molti altri Iddii,
che
si vollero adulteri, presedere al furto, servire
o furono sempiterni ; se procreati dal fuoco, come credeva Eraclito,
che
tutto voleva far nascere da questo elemento, e tu
ivisibili. Mitografia civile — ed in questa riponeva tutti gl’ Iddii,
che
furono immaginafi da’principi e da Sacerdoti, e c
tutti gl’ Iddii, che furono immaginafi da’principi e da Sacerdoti, e
che
meritano il culto degli uomini. Da tali mitografi
escate nella belletta de’sensi. E qui le parole del signor Bianchini,
che
mirabilmente descrive questo smodare delle genti.
i più deboli, rimanevano ad oppugnare ancora le sorti, cioè di coloro
che
dati alla contemplazione del vero, potevano, come
gannevoli ed empii, ed introdussero nel mondo una divinità corporale,
che
tutto lo informasse, quale anima grande un corpo
o di cacciarlo per cedere il luogo ad un popolo di chimere o di numi,
che
situarono quale nel Sole o negli astri, quale ne’
o numi, quanto l’ammirazione sopra il rimunente del volgo. La morale,
che
di qui trassero accomodata alle passioni de’lette
one. Finalmente si ritrovò un terzo genere di nomini, chiamato civile
che
si prevalse degli errori e delle passioni sì del
e e conviti, in somma con la imitazione de’vizi de’loro maggiori, più
che
le anime degli antenati, poste tra i numi, o tra
e degli antenati, poste tra i numi, o tra i genii, quelle de’viventi,
che
ereditavano le loro inclinazioni e le colpe ». 9.
della parola Mito or ci sorge vaghezza di venire ad alcune induzioni,
che
hanno molta attenenza con questo argomento. Alla
ome una messe, cui può mettersi impunemente la falce, e scoprirvi ciò
che
meglio torna a sue propensioni, o va a seconda de
enici, gli Egizii ; e Sanconiatone credeva, esser le favole non altro
che
allegorie cosmico-fisiche. E Giamblico portando i
o portando in mezzo le autorità dei più saggi sacerdoti Egizii, vuole
che
la religione e le favole di loro si raggirassero
corpi celesti, ed un’anima sparsa dappertutto e motrice della natura,
che
da Pitagorici era detta anima del mondo, che con
e motrice della natura, che da Pitagorici era detta anima del mondo,
che
con un’antico emanatismo volevano uscita dal seno
, anima variante di forme allo infinito, secondo i diversi effetti di
che
volevano esser ella produttrice, e secondo gli es
oeti. E Macrobio in fine distinguendo i gradi dell’Essere supremo(3),
che
dice essere e Dio, e la mente da lui nata, e l’an
dice essere e Dio, e la mente da lui nata, e l’anima del mondo, vuole
che
su di quest’anima, sorgente di tutte le altre ani
le altre anime, e su l’eterne potenze vanno fondate tutte le favole,
che
hanno per obbietto il mondo visibile e le forze m
favole, che hanno per obbietto il mondo visibile e le forze motrici,
che
lo governano. Da queste nozioni di Macrobio può d
oni di Macrobio può dirsi dunque altro non essere i miti e le favole,
che
un velo ingegnoso gettato da prudente mano su tut
e giro di queste nostre escogitazioni, dando a un tempo ad intendere,
che
il culto renduto a quest’anima dell’universo una
avole di tutti i popoli eterodossi. 10. La favola è un intelligibile,
che
non va soggetto a forma e ad immagini esteriori.
ormare i costumi, e tali sono gli apologhi — Allegoriche, vale a dire
che
portano seco un senso mistico — Miste, cioè alleg
izia mutata in elitropio. Mista del pari è la favola del pomo di oro,
che
la Discordia fece cadere in mezzo al convito degl
vesse dare, se a Giunone, a Minerva od a Venere, ei donollo a Venere,
che
gli prometteva la più bella donna del mondo : fav
ito e la mente degli Dei — con il pomo di oro il mondo, il quale come
che
è un’aggregato di contrarii concorrenti in uno, c
cordia — e di morale, chè per Paride qui s’intende l’animo dell’ uomo
che
vive solo secondo il senso, il quale nulla curand
mito da un simulacro di Giove, ricordato da Pausania, a tre occhi, e
che
voleva intendere lo scultore in così immaginarlo
ia della parola Saturno — varie attribuzioni di lui tratte da un inno
che
si vuole di Orfeo — Interpetrazione di alcuni mit
lice interpetrazione del mito di questo Dio, onde si trova non essere
che
o le ricchezze della terra, od il sole o l’aria.
maniere, cui lo rappresentavano gli Egizii, onde si scopre non essere
che
il sole, ragioni — etimologia della parola Apollo
etimologia di questa parola — dall’allegoria de’suoi miti si scuopre,
che
con questo nume indicavasi l’apparente corso del
sole ed i suoi fenomeni, pruove. 26. S. Agostino v’intende non altro
che
la parola. 27. Nomi di Mercurio tutti allusivi al
iori, li dividevano in triplice ordine, celesti, mondani e di coloro,
che
procreano la mente e gli animi — Celesti, quegl’
ed unità, come Apollo, Mercurio, entrambi l’armonia, Venere il bello,
che
sorge dall’unità e dall’ordine ; altri lo conserv
rdine ; altri lo conservano, lo tutelano, come Marte, Pallade, Vesta,
che
si rappresentano armati, simbolica di fortezza e
ni, detto Giove, come vuole Tullio(1), a iuvando, ossia da’beneficii,
che
credevasi versare a larga mano per lo universo, v
ato da tutta l’antichità in atto di fulminare, e credevasi a un tempo
che
lo slancio da’ baleni, ed il fragore de’tuoni non
n tempo che lo slancio da’ baleni, ed il fragore de’tuoni non fossero
che
i cenni e lo stesso favellar di Giove. In questo
cenni e lo stesso favellar di Giove. In questo noi troviamo un mito,
che
non ha difficile interpetrazione, e ci viene port
« Vedi, diceva Ennio in un verso riportato da Tullio(2), tutto questo
che
cade giù dall’alto e che tutti chiamano Giove ».
n verso riportato da Tullio(2), tutto questo che cade giù dall’alto e
che
tutti chiamano Giove ». Ed Euripide dallo stesse
ve ». Ed Euripide dallo stesse luogo di Tullio(3) « vedi, diceva, ciò
che
su in alto si eleva mobile e sparso da ogni lato,
di, diceva, ciò che su in alto si eleva mobile e sparso da ogni lato,
che
con tenero amplesso circonda la terra : questo ri
o(4), è posto dov’è aere, dov’è terra, dov’è mare : è Giove tutto ciò
che
vedi, tutte quello per cui ti muovi. E non è l’ae
uovi. E non è l’aere uno degli immensi ricettacoli dell’elettricismo,
che
lanciandosi di regione in regione per le vie dell
terra e dell’ inferno, e se ne può trarre argomento da un simulacro,
che
, come dice Pausania, vedevasi in Argo con due occ
dice Pausania, vedevasi in Argo con due occhi non dissimili a quelli,
che
la natura ha dato a gli uomini ; e con un terzo i
tra nello imo degli abissi. 14. Altri credendo essere Giove non altro
che
l’anima del mondo, come mirabilmente fu esposto d
i, i bestiami, gli uccelli, e tutta la famiglia de’pesci(2), volevano
che
tutta la turba innumera degl’ Iddii non fosse che
’pesci(2), volevano che tutta la turba innumera degl’ Iddii non fosse
che
il solo Giove. Mirabile per questo argomento è un
ne — Or si crede, ei dice(1), esser Giove l’anima del mondo corporeo,
che
riempie e muove tutta questa mole, che voglion co
ve l’anima del mondo corporeo, che riempie e muove tutta questa mole,
che
voglion composta di quattro, o di quanti elementi
è l’aere sparso di sotto ; or ana all’aere è creduto essere il cielo,
che
con le feconde piogge e co’semi feconda la terra
Dea Cunina tutelando le cune. Non è altro egli stesso in quelle Dive,
che
predicono i destini a’nascenti, o porta il nome d
terrore onde son presi gl’infanti è detto Paventina ; dalla speranza,
che
a noi viene, Venilia ; dal piacere Volupia ; dagl
a istessa(2). 16. A Giove si dava per figlio il dio Bacco. Fu creduto
che
Giove lo rinchiudesse in una delle sue cosce, tra
desse in una delle sue cosce, traendolo dal seno di sua madre Semele,
che
restò morta in veder Giove in tutto lo splendore
imi, e ne appalesa gli occulti sentimenti. Altri non pertanto dicono,
che
Bacco fu rinchiuso nella coscia di Giove, onde pa
rfetto venisse a maturità ed a perfezione, interpetrando questo mito,
che
il vino, ossia le uve calcate co’piedi, che vengo
nterpetrando questo mito, che il vino, ossia le uve calcate co’piedi,
che
vengono significati per la coscia, viene a concuo
ne a concuocersi, a perfezionarsi. Diodoro Sicolo al contrario vuole,
che
Bacco vedendo andare a male il suo esercito nelle
rdi e pardi lo seguivano, per dimostrare non esservi uomini sì fieri,
che
non si rendono miti con l’uso moderato del vino.
del loro incivilimento dal disboscarsi la gran selva della terra, ciò
che
volevano avvenuto a tempi di Saturno, onde pe’lat
hè saturatur annis. L’Agostino prende Saturno per la terra, e pe’semi
che
si mandano alla terra — Lo chiamavano Saturno, ei
nostra lingua i suoi concetti, chè era solito divorare tutte le cose
che
nascessero da lui ; perciocchè i semi ritornano n
iocchè i semi ritornano nel luogo da cui son nati ; e quando si disse
che
a lui fu presentata una zolla, una pietra in vece
sentata una zolla, una pietra in vece di Giove, si volle significare,
che
con le mani degli uomini furono ricoperte le biad
ovè dirsi Saturno ; perciocchè la terra in certo modo divora le cose,
che
ha generato, nascendo da essa i semi, ed in essa
cendo da essa i semi, ed in essa ritornando. Se nella favola si dice,
che
Saturno avesse castrato il Cielo suo padre, con q
, che Saturno avesse castrato il Cielo suo padre, con questo s’intese
che
presso Saturno, non presso il cielo, è un seme di
no, non presso il cielo, è un seme divino. Queste e molte altre cose,
che
si dicono di Saturno, tutte si rifescono ai semi
se, che si dicono di Saturno, tutte si rifescono ai semi — Ei non era
che
il simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e
no, tutte si rifescono ai semi — Ei non era che il simbolo del tempo,
che
tutto genera, strugge e riproduce. In un’inno che
simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e riproduce. In un’inno
che
si vuole di Orfeo, tra le attribuzioni gli si dà
Dei beati e degli uomini, di vario ne’suoi consigli, di distruttore e
che
ingenera tutte le cose, di raffrenatore con vinco
terra e del cielo stellato. Ancor di lui si raccontarono alcuni miti,
che
furono esposti da Tullio, i concetti di cui noi q
o di Orfeo « Tutta la Grecia, ei dice(1), portava un’antica credenza,
che
Vrano fosse stato mutilato da suo figlio Saturno,
nde generare per le vie ordinarie. Per Saturno poi si è inteso colui,
che
presiede al tempo, e ne regola il corso, ingiunge
mpo, e ne regola il corso, ingiungendoglisi questo nome dal divorare,
che
fa degli anni, quod saturatur annis. Si è finto n
roprii figli ; poichè il tempo insaziabile di anni consuma tutti quei
che
corrono. Si dice essere stato da Giove avvinto in
o rapidamente, o per meglio dire, assoggettollo al corso degli astri,
che
sono per lui come tanti lacci. 18. Nettvno — Cred
, dal nuotare ; ma ei va tanto poco soddisfatto di questa etimologia,
che
egli stesso poscia la rigetta. Varrone(3) vuole e
ò dirsi di maritarsi con la terra istessa. Da greci Nettuno ποσειδων,
che
esprime quel potere, che ha l’amore di generare l
la terra istessa. Da greci Nettuno ποσειδων, che esprime quel potere,
che
ha l’amore di generare le cose su la terra e nel
le cose su la terra e nel seno della terra. Gli si danno altri nomi,
che
esprimono movimento, quasi che egli sia un’altra
della terra. Gli si danno altri nomi, che esprimono movimento, quasi
che
egli sia un’altra cagione del moto della terra, u
ella terra, urtandola con le acque del mare. È detto ancora μιακητας,
che
significa muggire, voce propria dei bovi, alluden
che significa muggire, voce propria dei bovi, alludendosi al fremito
che
dà il mare in procella. Perciò a lui si sacrifica
sacrificavano tori neri sì a cagione del colore delle acque del mare,
che
sembran nere quando sono agitate, sì a cagione de
on sguardi torvi da toro, quasi il corso di loro esprimesse un non so
che
di violento, e desse fuori un muggito. A Nettuno
o degli eroi con le piraterie di Minosse, e con la spedizione navale,
che
fece Giasone nel Ponto per la conquista del vello
uesto mito, spigolando nel gran campo delle opinioni degli scrittori,
che
parlarono di questa divinità, può darsi una dupli
parlarono di questa divinità, può darsi una duplice interpetrazione,
che
in tutto non rifugge dallo spirito degli antichi,
nterpetrazione, che in tutto non rifugge dallo spirito degli antichi,
che
erano usi a rappresentar le cose sotto traslati a
sede nel fondo delle miniere, e nel seno della terra, hanno creduto,
che
gli antichi non intendessero con questo nume, che
rra, hanno creduto, che gli antichi non intendessero con questo nume,
che
le ricchezze istesse. Tutta la forza della terra,
ritornano. Il padre delle ricchezze, dice l’ Agostino(3), non è altro
che
la parte inferiore della terra. Voglion Plutone,
terra ; poichè la parola Plutone importa il significato di ricchezze,
che
solo a noi vengono dalla terra, e. gli si assegna
la rende per antifrasi quasi gioconda e soave. Ed è chiamato Plutone,
che
oltre il significato detto di sopra, tutte le cos
o tra tutti i romani, lo immenso Varrone, intende per Plutone l’aria,
che
sovrasta alla terra, ove tutte le cose vengono ge
e vengono generate. Altri ancora(2), facendosi più innanzi, dimostra,
che
presso gli Egizii Plutone era lo emblema del Sole
frammento riportato da Eusebio(3), in cui dice esser Plutone il Sole,
che
nel Solstizio d’inverno passa sotto la terra, e p
a terra, e percorre le sconosciuto e nascoto emisfero ; e di Macrobio
che
vuole essere Iao, cioè lo spirito delle sfere, il
e essere Iao, cioè lo spirito delle sfere, il più antico tra gli Dei,
che
porta il nome di Plutone nello inverno, e di Giov
edicina e dell’armonia. Quando si disse ne’miti di questo nume non è,
che
un traslato allegorico, cui si vuole intendere il
i gli effetti di sua dimostrazione. Perciò da’ Greci fu detto Ecateo,
che
può derivarsi dall’avverbio εκαθεν di lontano, ci
dettato daremo alcune nozioni, da cui scorgerassi, non essere Apollo
che
il pianeta del Sole. Si credeva esser figlio di G
a di questa parola del verbo latere nascondere, si volle significare,
che
prima di uscire lo imperio divino creatore della
a faccia degli abissi. Si diceva essernato nell’isola di Delo, parola
che
importa manifestare ; perciochè, creata e radiand
come vuole Platone nel Cratilo, riportato da Macrobio(1), dal vibrare
che
fa il sole de’suoi raggi ; o come crede Speusippo
n intemperie di calore, onde può derivarsi ancora dal greco απολλυμι,
che
risponde a perdere o distruggere degli italiani.
orgerassi, come questo nume in nulla si distingue dal Sole. Oltre ciò
che
si è detto dianzi, può derivarsi la parola Apollo
tica ben si addice al Sole ; se pure non si voglia far derivare da a,
che
come scorgesi da Screvelio esprime unità, e da πε
imersi il calore vitale del Sole. Si diceva Pizio da πυθιος serpente,
che
si credeva di avere strozzato, onde, come dice Ov
o tre figure muliebri circondate da un serpente, tra le quali quella,
che
sorgeva in mezzo, era un simbolo della terra. 21.
r di Apollo alcuni giuochi detti Pizii, onde perpetuare una vittoria,
che
si voleva riportata da questo nume in uccidere il
originata dal calore operante su lo umore mercè di una effervescenza,
che
ricoprendo il sole istesso con un folto addensar
ucciso da Apollo. 23. Raccontasi del pari di Apollo un’altra favola —
che
scacciato da Giove dal cielo andasse a pasturare
hiamarsi pastore. Altri intendono con questo un’Apollo re di Arcadia,
che
imperando con rigore fu gettato dal trono. 24. Il
e, ossia per la nobiltà degli eroi. Fra la gran farragine delle cose,
che
egli accumula intorno a questo articolo, noi qui
torno a questo nume. « Si fantasticò, ei dice(1), la quarta divinità,
che
fu Apollo, appreso per Dio della luce civile, ond
a loro chioma : e forse quindi dissero la Gallia chiomata, da nobili,
che
fondarono tale nazione, come certamente appo tutt
etimelogia, si vuole così denominato a mercium cura, cioè dalla cura
che
si credeva degli obbietti posti in commercio ; e
e l’Agostino dalla parola medicurrus, mediuscurrens, ossia come colui
che
corre fra due, o nel mezzo, cioè che Mercurio sta
mediuscurrens, ossia come colui che corre fra due, o nel mezzo, cioè
che
Mercurio sta sempre in aria tra il cielo, la terr
rra e dalla terra al cielo. I miti raccontati di questo nume non sono
che
una perfetta allegoria, con cui si vuole indicare
del Sole, ed i suoi fenomeni. Ei si dipingeva con un caduceo in mano,
che
il poeta della lliade chiama verga dorata, cui an
issa, rappacificandoli col tocco della sua verga. Questo mito non era
che
un’allegoria, cui con il caduceo intendevasi il r
che un’allegoria, cui con il caduceo intendevasi il radiar del Sole,
che
dileguale addensate tenebre della notte ; e con i
simbolo della vita, associati al radiar del Sole si voleva esprimere,
che
il Sole istesso fecondando la terra con il suo ca
nerando la vegetazione, anima e dà vita a tutta la natura. Si credeva
che
Mercurio scendesse nello inferno per ricondurre l
n questo indicavasi l’apparente discesa del Sole sotto l’orizzonte, e
che
al suo apparire nel nostro emisfero ne venissero
una tale attribuzione. 26. L’Agostino intende per Mercurio non altro
che
la parola. « È detto Mercurio, così egli(1), volt
Si volle presedere alle merci ; perciocchè tra i compratori, e coloro
che
vendono v’ha di mezzo il discorso. Gli posero le
a mente » — E per questo egli era detto Cillenio, parola tutta greca,
che
può derivarsi da κυλλω, che risponde all’italiano
i era detto Cillenio, parola tutta greca, che può derivarsi da κυλλω,
che
risponde all’italiano rendere zoppicante, volendo
arte le mani, chiamandosi κυλλοι, cioè zoppi, ossia monchi tutti quei
che
mancano delle mani. 27. Co’miti dunque di Mercuri
elle mani. 27. Co’miti dunque di Mercurio gli antichi non intendevano
che
il mirabile magistero della parola. Nelle classic
i suoi nomi tutti allusivi alla parola. E su le prime è detto Hermes,
che
potrebbe derivare da ερειν parlare, o come altri
o alle statue di lui si accumulavano molte pietre ; perciocchè ognuno
che
vi passava dappresso vi gettava una pietra, e que
tava una pietra, e questo per utilità comune, chè torna utile a tutti
che
altri tolga le strade dagl’ingombri, ed affinchè
asticarono, ei dice(1), i poeti croici la undecima divinità maggiore,
che
fu Mercurio, il quale porta ai fomoli ammutinati
dall’Orco, come narra Virgilio, richiama a vita socievole i clienti,
che
usciti dalla protezione degli eroi, erano ritorna
uomini… Tale verga ci viene descritta con uno o due serpi avvoltivi,
che
dovettero essere spoglie di serpi, significanti i
dovettero essere spoglie di serpi, significanti il dominio bonitario,
che
si rilasciava loro dagli eroi, e il dominio quiri
onitario, che si rilasciava loro dagli eroi, e il dominio quiritario,
che
questi si serbarono ; con due ali in capo alla ve
minente degli ordini… Oltre di ciò con ali a talloni per significare,
che
il dominio dei fondi era de’senati regnanti... Si
sone delle corde o forze de’padri, onde si compose la forza pubblica,
che
si dice imperio civile, che fece cessar finalment
padri, onde si compose la forza pubblica, che si dice imperio civile,
che
fece cessar finalmente tutte le forze o violenze
n mente de’poeti greci come un carattere eroico, per indicare coloro,
che
con le armi avevano fatto prodigii di valore. Per
de’pretesi loro influssi, personificando per una divinità il pianeta
che
chiamasi Marte, trassero dalle proprietà di quest
aneta che chiamasi Marte, trassero dalle proprietà di questo pianeta,
che
va sempre torbido e rossastro, caratteristiche pe
a, che va sempre torbido e rossastro, caratteristiche per la divinità
che
ne immaginarono, onde lo dissero Dio della guerra
esagirla col canto di loro. 30. Vvlcano — Dio del fuoco e delle arti,
che
si esercitano ammollendo, piegando e dando al fer
gi. — Il fuoco, dice Diodoro Sicolo, è detto Vulcano per metafora, e
che
deve adorarsi come un gran Nume, perciocchè di mo
cremento di ogni cosa. Col nome dunque di Vulcano non s’intende altro
che
il fuoco elementare. Invero il fuoco, che commist
Vulcano non s’intende altro che il fuoco elementare. Invero il fuoco,
che
commisto all’aere, ossia si alimenta con l’aere,
to all’aere, ossia si alimenta con l’aere, da’ Greci si dice Ηφαιστος
che
s’interpetra Vulcano, e perciò questo Dio si vuol
si vuole nato da Giove e da Giunone, intendendosi con l’uno non altro
che
l’etere, con altra l’aria ; o dalla sola Giunone,
dietro a questo sentimento della scuola stoica potrà dirsi non meno,
che
gli antichi si avessero creata questa divinità, o
inità, onde prestare un culto a questa loro anima del mondo. Il mito,
che
raccontasi di Vulcano, di essere stato precipitat
uto su la terra andasse zoppicante per tutta la sua vita, non è altro
che
una personificazione del fuoco, che acceso la pri
er tutta la sua vita, non è altro che una personificazione del fuoco,
che
acceso la prima volta da’raggi del Sole, o raccol
e bellezza mercè l’opera degli artefici. Il poeta dell’Iliade narra,
che
Vulcano trovando Marte giacer con Venere, li abbi
ventura queste cose avverse si contemperano fra loro, sorge un non so
che
di nobile e di bello, a cagione di un mutuo fervo
ò avere l’altro mito — aver fenduto con una scure il capo di Giove, e
che
ne sia uscita fuori Minerva, Dea della sapienza e
ia uscita fuori Minerva, Dea della sapienza e delle belle arti — cioè
che
il fuoco, di cui si servono le arti, sia stato un
Quanto di loro si disse dal poeta dell’Iliade e della Vlissea, non è
che
una perfetta allegoria, personificandosi con ques
ri, stimandoli figli di Nettuno e di Anfitrite, non altro indicavano,
che
tai monti sbuffanti fuoco dalle loro cime sorgono
ioni vulcaniche ; se pure non si voleva alludere a’terribili effetti,
che
sentivano coloro, che erano colpiti da tali fulmi
ure non si voleva alludere a’terribili effetti, che sentivano coloro,
che
erano colpiti da tali fulmini, e lanciati dalla d
i Orfeo traluce un’allegoria, onde si scopre essere Giunone non altro
che
l’aria, ragioni. 34. Etimologia della parola Giun
mologia della parola Diana. 45. Atteone e suo mito. 46. Attribuzioni,
che
si davano a questa Dea — si rappresentava sotto l
oro Sicolo. 51. Nome delle Muse e loro ufficio. 52. Le Muse non erano
che
personificazioni allegoriche, cui intendevasi la
Dei e degli uomini, di consorte di Giove, ed è lodata dalle qualità,
che
porta non dissimili all’aria, dal generare e nudr
ili all’aria, dal generare e nudrire i venti e le pioggie, dal potere
che
ha su di entrambi, dal somministrare di lievi e g
imentatrici della vita de’mortali, di generatrice di tutte le cose, e
che
senza di lei nulla avrebbe vita, ed in fine dallo
cose, e che senza di lei nulla avrebbe vita, ed in fine dallo impero,
che
ha su tutto lo universo. Volendo porre mente a qu
e si intese dagli antichi l’aria portando seco tutte le attribuzioni,
che
convengono a questo elemento. L’aria, dice Tullio
ri ha con l’etere molta simiglianza e stretta unione per la vicinanza
che
è tra Giove l’etere, e Giunone l’aria. Platone po
uova, lasciando al leggitore di appigliarsi a quelle interpetrazioni,
che
gli sembreranno non disviate dalla ragione, e rig
che gli sembreranno non disviate dalla ragione, e riggettare quelle,
che
gli parranno del tutto immaginarie ». I poeti teo
e sorella e moglie, perchè i primi matrimonii giusli, ovvero solenni,
che
dalla solennità degli auspicii di Giove furono de
etto coniugium, e coniuges il marito e la moglie. Detta anche Lucina,
che
porta i parti alla luce non già naturale, la qual
nni, delle quali era nume Giunone, e perciò generati con amor nobile,
che
tanto ερος significa, che fu lo stesso che Imeneo
Giunone, e perciò generati con amor nobile, che tanto ερος significa,
che
fu lo stesso che Imeneo : e gli eroi si dovettero
generati con amor nobile, che tanto ερος significa, che fu lo stesso
che
Imeneo : e gli eroi si dovettero dire in sentimen
i pur con una fune legate, e con due pesanti sassi attaccati a’piedi,
che
significavano tutta la santità del matrimonio ; i
ificavano tutta la santità del matrimonio ; in aria per gli auspicii,
che
abbisognavano alle nozze solenni. onde a Giunone
nni. onde a Giunone fu data ministra l’Iride, ed asseguato il pavone,
che
con la coda l’Iride rassomiglia ; conla fune al c
so per crudele castigo di Giove adultero, con si fatti sensi indegni,
che
le diedero i tempi appresso de’corrotti costumi,
si voleva indicar lo aratro, cui coltivasi la terra — con Trittolemo,
che
guida il carro, l’aratore — co’serpenti alati i s
ittolemo, che guida il carro, l’aratore — co’serpenti alati i solchi,
che
lascia dietro l’aratro, i quali sovente vanno ser
er la terra istessa, ne tragge la etimologia dall’antico verbo cereo,
che
significa creare, per dinotare essere la terra ge
cosa. Questa Diva non poteva essere immaginata nella mente de’poeti,
che
dalla riconoscenza, volendo tributare onori divin
oeti, che dalla riconoscenza, volendo tributare onori divini a colei,
che
insegnando all’uomo irsuto e ancor disperso nella
li uomini. Da ciò fu creduta madre di Giove ; perciocchè tutto quello
che
porge la terra viene da Giove, ossia dall’aria. P
viene da Giove, ossia dall’aria. Per questo ancora si disse da’greci,
che
ella donò alla luce Κορον, la saturità, chè la te
i dava per figlia Proserpina. È questo un nome tutto greco περσεφονη,
che
Screvelio nel suo lessico deriva da περθιν devast
dubbio dalla interpetrazione del seguente mito — Fu creduto da’Greci,
che
Plutone come Dio dello inferno rigettato dal conn
coltivata ; perciocchè Proserpina, come dice Tullio, non significava
che
il seme delle biade(2). Proserpina si volle figli
Cerere, cioè del cielo e dell’agricoltura, come può scorgersi da ciò
che
abbiamo detto di Giove e di Cerere istessa. È rap
ver regno Plutone, per farlo germogliare ; se pur non si voglia dire,
che
Cerere inventrice del frumento, disseminandolo in
cerca la sua Proserpina per tutta la terra — con questo esprimevasi,
che
Cerere, ossia l’agricoltura in tutte le parti del
rno e per altrettanti con Cerere su la terra — con questo indicavasi,
che
il frumento mandato alla terra vi resta seppellit
seppellito per qualche tempo, e non si vede useir fuori e pullulare,
che
nella stagione di primavera. E perciò celebravans
rpina per la stessa fecondità de’semi mandati alla terra. E narra(1),
che
mancando un tempo questa fecondità, andando la te
roserpina, ei dice(2), è la virtù istessa de’semi, e Plutone il sole,
che
in tempo d’inverno percorre le parti più remote d
r Proserpina, ei dice(3), gli antichi intesero quello spirito etereo,
che
si racchiude sotto terra, rappresentato da Pluton
a Diva nacque in mente de’Greci per rappresentarsi un tipo di coloro,
che
radunando gli uomini in uno, prima dispersi nella
città e borgate, e fecero nascere lo incivilimento ove prima non’era
che
fierezza ed un vivere da selvaggio. Quanto si dis
chiavi in mano, per indicare con quelle le aggregazioni degli uomini,
che
sursero in città fortificate e poste sotto la pro
icate e poste sotto la protezione de’fondatori, con queste le dovizie
che
la terra racchiude nel suo seno nello inverno e f
uoversi con un moto circolare — co’leoni, non esservi belva sì fiera,
che
non venga ammansita dalla tenerezza materna, oppu
terna, oppure non esservi angolo di terra sì remoto e sì infruttuoso,
che
non possa mettersi a coltura. Le si metteva dappr
olta, e perciò si pinge assisa sopra un leone, ch’è la terra selvosa,
che
ridussero a coltura gli eroi…. detta gran madre d
i eroi…. detta gran madre degli Dei, e madre detta ancora de’giganti,
che
propriamente così furono detti nel senso di figli
di figliuoli della terra : talchè è madre degli Dei, cioè de’giganti,
che
nel tempo delle prime città si arrogarono il neme
na. Taluni si finsero in tal modo questa prima intelligenza per dire,
che
Dio per verbum avesse creato il mondo. I pitagori
ngoli. Così Plutaron(1). Altri la derivano da una parola celtica men,
che
in italiano risponde a giudizio, e da errua, che
parola celtica men, che in italiano risponde a giudizio, e da errua,
che
interpetrano forza e giudizio, onde Men-errua imp
dizio, onde Men-errua importa forza, giudizio, e ben risponde al tipo
che
se ne fecero gli antichi, onde personificare la s
rsonificare la sapienza e la forza. Da ciò l’Alighieri(2), « L’acqua
che
io prendo giammai non si corse, Minerva spira e c
imologia dal verbo moneo, cioè ammonire (4), ossia da’saggi consigli,
che
credevasi di porgere a gli uomini. Portava ancora
a gli uomini. Portava ancora il nome di Pallade, parola tutta greca,
che
deriva dal radicale « παλλειν vibrare, saettare,
nerva, e la finsero nascere con la fantasia fiera egualmente e goffa,
che
Vulcano con una scure fendette il capo di Giove,
re fendette il capo di Giove, onde nacque Minerva, volendo essi dire,
che
la moltitudine de’famoli, che esercitavano arti s
onde nacque Minerva, volendo essi dire, che la moltitudine de’famoli,
che
esercitavano arti servili, che venivano sotto il
si dire, che la moltitudine de’famoli, che esercitavano arti servili,
che
venivano sotto il genere poetico di Vulcano : Ple
filosofi ficcarono la più sublime delle loro meditazioni metafisiche,
che
la Idea eterna in Dio è generata da esso Dio, ove
ordine civile come restò per eccellenza a’latini ordo per senato ; lo
che
forse diede motivo a’filosofi di crederla idea et
lo che forse diede motivo a’filosofi di crederla idea eterna di Dio,
che
altro non è che ordine eterno ». 42. Ma di questa
ede motivo a’filosofi di crederla idea eterna di Dio, che altro non è
che
ordine eterno ». 42. Ma di questa Diva non poche
rsonificandosi ella per la sapienza, può considerarsi come una virtù,
che
tutto raccoglie in uno per saper contemperare la
per saper contemperare la vita. Le si dava il nome di Pallade παλλας
che
oltre altri significati, come presso i lessiograf
gli occhi dei quali tinti di color glauco sono si vivamente lucenti,
che
altri non può guardarli che di trasverso. 43. Ven
i color glauco sono si vivamente lucenti, che altri non può guardarli
che
di trasverso. 43. Venere — Fu immaginata questa D
agli antichi greci onde personificare i sensi di piacere, di voluttà,
che
sopraggiungono a ciascun vivente quando le membra
ella era tipo, per aver luogo ha bisogno di umore e di movimento, ciò
che
trovasi appieno nelle onde del mare. Ella fu dett
e la femmina. Ed Euripide ne tragge etimologia ; poichè tutti coloro,
che
sono presi da Venere, addiventano, come ei dice,
stono le Muse, e suoi compagni sono Suadela e Mercurio, poichè coloro
che
si amano restan presi dalla grazia e dalla parola
ione dal greco, quale fu prodotto in un’alra nostra opera(2), « A me
che
un dì rediva dal Peireo, Egra la mente dal pensie
Cupido si finge fanciullo ; poichè vanno privi di sana mente coloro
che
son preda di insani amori. Si crede alato, chè am
gli strali, nell’altra una face, perciocchè l’amore è come un dardo,
che
dagli occhi scende al cuore, e vi apre profonda f
chi scende al cuore, e vi apre profonda ferita — è come una fiaccola,
che
infiamma ed accende, ingenerisce e strugge. I gre
e ; poichè l’amore ha sempre trasporto alla fruizione di quelle cose,
che
sono di forma avvenente e graziosa ; o per una ce
o di forma avvenente e graziosa ; o per una certa follia, un delirio,
che
nasce dall’oltremisura dell’amore, in modo che i
ta follia, un delirio, che nasce dall’oltremisura dell’amore, in modo
che
i perduti amanti può dirsi andar privi del bene d
, così egli, erano adorati relativamente alle vere o false influenze,
che
una lunga osservazione ad essi attribuiva. Venere
uiva. Venere anticamente chiamata Calisto, ossia la più bella, Venere
che
con tanta pompa esce dal grembo delle acque, pass
vuto da quelle il suo nascere. Fra i piccoli pianeti è dessa la sola,
che
porge dell’ombra ; erale attribuito un moderato c
e il privilegio di umettare l’atmosfera : da ciò vennero gl’influssi,
che
le furono attribuiti, e gli emblemi sotto i quali
iti, e gli emblemi sotto i quali erano indicati, e gl’inni religiosi,
che
vennero a lei rivolti. Sposa del Dio del fuoco, d
nfernale e portava il nome di Ecate e Proserpina, o per altra cagione
che
poco dopo esporremo, e da questo triplice aspetto
etta ancora Epipirgidia e Trivia. Diana è parola tutta greca Διανοια,
che
importa agitazione della mente, pensiero. I latin
e, pensiero. I latini ne traggono la etimologia da Dea iens, cioè Dea
che
trovasi in continuo movimento, per alludere al tr
ioè Dea che trovasi in continuo movimento, per alludere al trasporto,
che
credevasi di avere per la caccia, se pur non si v
ccia, se pur non si voglia derivare da dies giorno, che’è una stella,
che
precede la comparsa del Sole su l’orizzonte, ond’
con cento vittime, o perchè desse in una erranza di cento anni coloro
che
dopo morte andavano insepolti. Era detta Trivia o
ndavano insepolti. Era detta Trivia o dalla triplice sua apparenza, o
che
presedeva come Giove e Febo, come Ovidio disse, a
a allo Zodiaco, ora si unisce a gli altri segni celesti. 46. Si vuole
che
Diana veduta nuda da Atteone celebre cacciatore,
ninfe, l’abbia cambiato in cervo, lasciandolo sbranare da’suoi cani,
che
lo seguivano. È questa una narrazione tutta istor
facce si voleva dare un simbolo delle apparizioni della Luna istessa,
che
presenta nelle sue fasi nell’alto de’cieli, prima
er dimostrare tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco,
che
dicevano Vesta. Ella, dice Ovidio(1), non è altro
ava quel fuoco, che dicevano Vesta. Ella, dice Ovidio(1), non è altro
che
la viva fiamma, e la stiman vergine, dice Lattanz
a(2). 49. A Vesta si consacrava un fuoco perenne, e ciò per dinotare,
che
ella stessa era questo fuoco, o che ella ne fosse
uoco perenne, e ciò per dinotare, che ella stessa era questo fuoco, o
che
ella ne fosse la cagione, e che quasi sia nato pe
, che ella stessa era questo fuoco, o che ella ne fosse la cagione, e
che
quasi sia nato per suo potere. E non di rado fu p
dovuti, e di averne turbato il riposo : non è questa, dice Plutarco,
che
un’accusa tutta allegorica, con cui voleva intend
tro, a Vesta fu dato il nome di εστια da εστενια, stare, per indicare
che
quasi su di un fondamento si poggia e sta l’unive
nto si poggia e sta l’univermondo. Vesta, dice Ovidio(3), non è altro
che
la terra ; e poichè questa si sostiene col suo pr
mezzo gli omeri, per esprimersi la forma quasi rotonda della terra, e
che
questa in tal modo conglobata vien posta. Si cred
davan fine. 50. Le Mvse — Elleno erano così dette dal greco μουσειν,
che
risponde all’italiano spiegare i misteri, o da απ
si voleva di aver ricercato e insegnato a gli uomini cose sublimi, e
che
non sono alla intelligenza di tutti ; e con altro
e che non sono alla intelligenza di tutti ; e con altro nome Camene,
che
può interpetrarsi canto ameno, dalla dolcezza del
lcezza del loro canto : Altri derivano il nome Musa dall’ebreo Musor,
che
significa disciplina, erudizione. A questo a noi
o Musor, che significa disciplina, erudizione. A questo a noi sembra,
che
abbia inteso l’Alighieri in quei suoi versi(1),
e Muse mi dimostran l’Orse » Tante volte col loro nome non s’intende
che
la stessa poesia, come Alighieri per Musa intese
te figlie di Giove, e di Mnemosine, ossia della memoria, per indicare
che
le discipline necessarie all’uomo, ritrovate la p
trovate la prima volta da Giove non si possono acquistare dagli altri
che
con assidua meditazione e diligente memoria. Esio
idua meditazione e diligente memoria. Esiodo nella sua Teogonia vuole
che
a loro nulla andava ignoto, nè il presente nè il
vuole che a loro nulla andava ignoto, nè il presente nè il passato, e
che
nulla allegrava di tanto lo augusto congresso deg
nni e celebrando il culto degl’Iddii : con questo volevasi intendere,
che
le virtù personificate nelle Muse non vanno mai d
le virtù personificate nelle Muse non vanno mai disgiunte fra loro, e
che
le discipline e le arti traggono la loro iniziati
sempre la solitudine della mente e del cuore. Pausania non riconosce
che
solo tre Muse, Melete, Mneme e Aede, tre nomi, de
greco, rispondono a tre altre italiane, memoria, meditazione e canto,
che
altro non sono che una vera personificazione di t
tre altre italiane, memoria, meditazione e canto, che altro non sono
che
una vera personificazione di tre obbietti, che se
to, che altro non sono che una vera personificazione di tre obbietti,
che
servono a dar principio, sviluppo e compimento ad
dal marmo tre simulacri per collocarne solo tre nel tempio di Apollo,
che
per superiore bellezza meritassero l’approvazione
e belle arti ciascuna di esse voleva farsi presedere, chè non faremmo
che
ripetere indarno tutto quello, che ne hanno detto
a farsi presedere, chè non faremmo che ripetere indarno tutto quello,
che
ne hanno detto i mitologi, qui trascriviamo solo
vergini leggiadre Del canto amiche e delle belle imprese : Melpomene,
che
grave il cor conquide ; E Talia che l’error flage
delle belle imprese : Melpomene, che grave il cor conquide ; E Talia
che
l’error flagella e ride ; Calliope che sol co’for
rave il cor conquide ; E Talia che l’error flagella e ride ; Calliope
che
sol co’forti vive Ed or ne canta la pietade, or l
ante delle doppie pive, E Polinnia del gesto e della lira ; Tersicore
che
salta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dol
pive, E Polinnia del gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio
che
scrive ; Erato, che di amor dolce sospira ; Ed Vr
gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio che scrive ; Erato,
che
di amor dolce sospira ; Ed Vrania, che gode le ca
ta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dolce sospira ; Ed Vrania,
che
gode le carole Temprar negli astri ed abitar nel
Muse ; ma co’loro nomi dagli antichi sapienti altro non intendevasi,
che
personificazioni allegoriche delle belle arti, de
a, da κλειειν, cantar le geste, onde volevasi personificare la gloria
che
va immortale per coloro, che meritano le laudi de
e, onde volevasi personificare la gloria che va immortale per coloro,
che
meritano le laudi della poesia. Per Euterpe ευτερ
ερπη dilettazione, rappresentavasi quella soave, quell’arcana voluttà
che
sentesi in cuore di coloro, che odono la melode d
si quella soave, quell’arcana voluttà che sentesi in cuore di coloro,
che
odono la melode de’versi. Per Talia da θαλεια imm
ersicore dal verbo τερπω e χορος dilettare, significavasi il diletto,
che
si tragge da coloro, che hanno apparato le belle
e χορος dilettare, significavasi il diletto, che si tragge da coloro,
che
hanno apparato le belle arti. Per Erato da ερατος
e hanno apparato le belle arti. Per Erato da ερατος amabile, la stima
che
il tempe e la fama acquista a’saggi cultori delle
r Polinnia πολυμνος celebre, di molta fama, il piceol numero de’vati,
che
mandarono a’posteri il loro nome per gl’inni cant
ione de’cieli, l’astronomia. Per Calliope comparativo di καλος bello,
che
può interpetrarsi dolcezza, di voce, il diletto d
ioventù, cui dipingevansi, la verginità, le sembianze, il portamento,
che
loro si dava, il carattere, il nome istesso cui e
ava, il carattere, il nome istesso cui eran chiamate, altro non erano
che
una simbolica ed una allegoria, con cui si voleva
ui si voleva esprimere i più preziosi beni, tutti i più puri piaceri,
che
l’uomo deve promettersi ne’suoi giorni, la buona
e eguale, la innocenza della vita, il candore de’costumi, e tutto ciò
che
a noi sparge di dolcezza la vita, non meno che la
e’costumi, e tutto ciò che a noi sparge di dolcezza la vita, non meno
che
la sennatezza, la prudenza, la gratitudine, la mu
, la munificenza, le fraterne corrispondenze amorose, ed ogni legame,
che
rannoda l’uomo all’uomo e ne rende un tipo di gra
grandezza sociale. E veramente elleno erano dette Carite, voce greca
che
significa gioia, e con questo nome volevasi espri
voce greca che significa gioia, e con questo nome volevasi esprimere,
che
l’uomo deve con piacere mostrare la sua riconosce
Si rappresentavano nella età più fresca di giovinezza, per indicarsi,
che
la ricordanza di un beneficio deve sempre star vi
r mire pure e sante, senza le quali tutto va perduto e contaminato, e
che
la munificenza non deve andar disgiunta dall’acco
non deve farsi aspettare, onde era ai Greci — non esser grazia quella
che
viene lentamente, e deve tosto obbligare chi ne v
strette le palme le une alle altre, e con questo volevasi esprimere,
che
le amabili qualità sono i nodi più dolci della fa
mabili qualità sono i nodi più dolci della famiglia umana, od ancora,
che
l’uomo deve stringersi all’uomo con alterno scamb
ninfe percuotono la terra con alternative piede — nude per indicarsi
che
nulla torna più gradevole della semplice natura —
più gradevole della semplice natura — moventisi a danza, per dinotare
che
mutua deve essere la munificenza tra gli uomini ;
è la gratitudine il beneficio debbe ritornare donde è partito, oppure
che
elleno amiche della gioia innocua non sanno piega
mito dallo scrittore della Scienza Nuova. 59. Ercole uccide Acheloo,
che
cangiossi prima in serpe. poscia in toro, quando
— Concetti di un inno di Orfeo, cui scorgesi essere Ercole non altro
che
il Sole. 61. Pruove tratte dalla istoria, onde di
dmea, giano, pane. 55. Ercole — Egli è così detto dal greco Ερακλεης,
che
deriva da ερα Giunone, ossia l’aria, e κλεος glor
gio sublime celeste, o quasi superiore alla condizione umana, un eroe
che
poco curando le cose della terra si innalza dalla
tabile, invitta, sempre generante, anzi la potenza istessa di natura,
che
porge a tutti virtù e robustezza ; e non surse ne
porge a tutti virtù e robustezza ; e non surse nella mente de’poeti,
che
come un carattere eroico, cui furono altribuite i
arattere eroico, cui furono altribuite innumere e strepitose fatiche,
che
nè la vita di un uomo sarebbe bastata a farle, nè
servene stato più di uno ; se pur con più ragione non si voglia dire,
che
a questo parto della immaginazione si attribuiron
tri, onde la gran selva della terra irta e dumosa, disgombri i mostri
che
la infestavano, fu posta a cultura, e porta la in
ilimento tra gli uomini. Sotto l’altro aspetto poi non sfugge a colui
che
vi pone mente di confonderlo col sole, rispondend
r un traslato allegorico le dodici fatiche a lui attribuite al passar
che
fa questo pianeta maggiore in ciascun segno dello
o. Così considerato si disse di lui di aver morto un terribile Leone,
che
shuffando fiamme dalla bocca desse lo incendio al
sse lo incendio alla selva Nemea. Era questo un mito, cui s’intendeva
che
Ercole, carattere eroico disgombrando la terra da
Ercole, carattere eroico disgombrando la terra dagl’innumeri mostri,
che
la circondavano, e disboscandola dagl’irti bronch
mito si disse di Ercole di aver ucciso col ferro e col fuoco un’idra,
che
sempre ripullulando nelle molte sue teste, quando
di oro per significare le biade mature dal color dell’oro, tre colori
che
vanno impressi dalla natura nella spoglia della i
dalla natura nella spoglia della idra. E per questo ancora narrossi,
che
Ercole ancor bambolo strozzasse due colubri, per
dal capo di leone sbuffante fiamme. E come in fine narrossi di Cadmo,
che
, spenta la gran serpe, ne mandasse alla terra i d
lta la terra, onde chiamarla a coltura. Raccontossi ancora di Ercole,
che
uccidesse un dragone ricoperto di squame e spine,
hiante alla custodia de’pomi di oro negli orti Esperidi. Non è questo
che
un gruppo di metafore, additandosi con le squame
a prima di andar coltivata ; e co’pomi di oro le spighe del frumento,
che
furono considerate come oro dalla grande utilità
he del frumento, che furono considerate come oro dalla grande utilità
che
portarono alle umane aggregazioni. Oro le prime s
gregazioni. Oro le prime spighe di frumento, e tutto fu detto oro ciò
che
seco portasse molto utile all’uomo. Trascorrendo
traslato, da questi pomi di oro fece quel memorabile ramo di oro, di
che
Enea scendendo nello inferno per riveder l’ombra
ui per farne dono ad Euristeo. In questo mito si nasconde una verità,
che
non può andare discorde dalla istoria vera. I tre
istoria vera. I tre corpi dati dalla favola a Gerione forse non erano
che
tre corpi di armati, che per tutelare il suo terr
dati dalla favola a Gerione forse non erano che tre corpi di armati,
che
per tutelare il suo territorio oppose ad Ercole ;
armati, che per tutelare il suo territorio oppose ad Ercole ; oppure,
che
egli avesse tre fratelli, cui vivesse in tanta st
vesse tre fratelli, cui vivesse in tanta strettezza di amor fraterno,
che
potevasi dire, di loro di essere informati di un’
ntendersi il fulmine, cui fu dato tal nome per indicarsi lo strepito,
che
seco porta il fulmine istesso — col triplicato co
angere, prostrare, incenerire — co’bovi toltigli esprimersi il rombo,
che
siegue dopo lo slancio del fulmine squarciando i
egue dopo lo slancio del fulmine squarciando i campi dell’aere, rombo
che
giunge all’orecchio quasi non dissimile al muggit
chio quasi non dissimile al muggito de’bovi. 58. Ercole uccide Anteo,
che
la favola vuole figlio della terra, con sollevarl
istessa porte nuove forze. Taluni interpetrando questo mito vogliono,
che
Anteo fosse un mercante stabilito nella Libia tan
o, che Anteo fosse un mercante stabilito nella Libia tanto dovizioso,
che
a nessuno veniva il destro di indebolirlo, onde l
utinati, ed innalzandolo in cielo.… il vince e lo annoda a terra ; di
che
restò un giuoco ai greci detto del nodo : ch’è il
he, e per lo quale da’plebei si pagava agli eroi la decima di Ercole,
che
dovette essere il censo, pianta delle repubbliche
o censo di Servio Tullio furono nexi dei nobili ; e per lo giuramento
che
narra Tacito, darsi da’ Germani antichi a’loro pr
ola racconta ancora un combattimento di Ercole contro Acheloo. Qnesti
che
si credeva figlio dell’Oceano e di Teti, combatte
di forze contra il suo rivale, trasformossi in su le prime in serpe,
che
terribilmente sibilando si sforzava cacciare il t
l terrore nel cuor di Ercole e prostrarlo. Ercole lo strinse di tanto
che
stava per soffocarlo, quando cangiossi in toro, m
o di fiori e frutti, fu detto il corno dell’abbondanza — non è questo
che
un fatto istorico personificato per mezzo di un’a
onificato per mezzo di un’allegoria. Acheloo era un fi ume di Grecia,
che
scorrendo tra la Etolia ed Acarnania con le sue f
corno strappato il corno dell’abbondanza, significarsi la fertilità,
che
poscia nacque ne’campi dalle irrigazioni delle ac
sforziamo di voltare nella nostra lingua alcuni concetti di un’inno,
che
si vuole di Orfeo, da’quali dimostreremo che Erco
uni concetti di un’inno, che si vuole di Orfeo, da’quali dimostreremo
che
Ercole in nulla va distinto dal Sole — Ercole, co
pari di scoprire in questi concetti del poeta non poche espressioni,
che
tutte convengono al sole. A lui s’innalzarono e t
sole. A lui s’innalzarono e tempii ed are, e con l’Ercole allegorico,
che
vi si adorava altro non intendevano che andar dev
e, e con l’Ercole allegorico, che vi si adorava altro non intendevano
che
andar devoti del padre de’secoli, dell’anima visi
tore de’mostri della terra, e finalmente di quel nume sempre giovane,
che
assiso nel Sole, come su di una irradiante quadri
uello del sole ; ed Alessandro il grande quando rivide il suo Nearco,
che
credeva estinto una alla sua flotta, volle render
se, onde fu detto Musagete. Ovidio non meno espone nei suoi Fastì (1)
che
i romani in ciascuno anno celebravano le sue fest
sto aggiungiamo la opinione di non volgari scrittori. Porfirio vuole,
che
al Sole fu dato il nome di Ercole, descrivendosi
averso de’dodici segni dello Zodiaco per mezzo di altrettante fatiche
che
la favole vuole eseguite da Ercole. Nè Ercole, di
nio dalla potenza del Sole, il quale trasfonde negli uomini la forza,
che
li raggiunge a gli Dei, ed egli improntava questo
a clava, e del pari si immaginava andar vestito della pelle di Leone,
che
tante volte si dipingeva tempestata di stelle, on
ngeva tempestata di stelle, onde Ercole fu detto ancora Astrochitone,
che
porta il significato di adorno di stelle, cui alt
porta il significato di adorno di stelle, cui altro non intendevasi,
che
il tempo, quando il Sole nel Solstizio estivo ent
una ad una le XII. fatiche di Ercole, per compararle con il cammino,
che
il Sole fa di mese fu mese pe’dodici segni dello
e nel segno dello Zodiaco il Leone. II. Ercole uccide la Idra Lernea,
che
si voleva di sette teste, sempre ripullulanti qua
ntauri altercantisi per una botte di vino — uccide un feroce cignale,
che
infestava le foreste di Erimanto — Risponde al pa
e di Erimanto — Risponde al passar del Sole nel segno della Bilancia,
che
avviene sul principio di Autunno, fissato dal lev
o scorpione, fissato dal tramonto della costellazione detta Calliope,
che
vien dispinta come una cerva. V. Ercole disperde
de’tre uccelli della via Lattea, lo Avoltoio, il Cigno, e l’ Aquila,
che
si dissero esser trafitti dalle frecce di Ercole.
onde del fiume Alfeo, e seco porta il toro di Creta, amato da Pasife,
che
devastava le pianure di Maratona. Combatte inoltr
Maratona. Combatte inoltre contro questo toro, ed uccide lo avoltoio,
che
divorava il fegato a Prometeo — risponde al passa
l Cielo a fianco della costellazione detta Prometeo, nel tempo stesso
che
il toro celeste, nominato toro di Pasife e di Mar
VII. Punisce Busiride e Diomede delle loro crudeltà, uccidendo l’uno
che
soleva sacrificare tutti gli estranei, che giunge
crudeltà, uccidendo l’uno che soleva sacrificare tutti gli estranei,
che
giungevano nei suoi stati, e lasciando divorar l’
estranei, che giungevano nei suoi stati, e lasciando divorar l’altro,
che
era figlio di Marte e di Cirene, dai cavalli di l
rar l’altro, che era figlio di Marte e di Cirene, dai cavalli di lui,
che
alimentava di carne umana — r sponde al passar de
ole nel segno dei Pesci, ed è fissato dalla levata Eliaca del Pegiso,
che
avanza il capo su l’Aquario, ovvero Euristeo figl
da tre corpi, e ne conquista i suoi buoi, uccide un principe crudele,
che
perseguitava le Atlantidi — risponde al passar de
erseguitava le Atlantidi — risponde al passar del sole sotto il Toro,
che
va segnato dal tramonto di Orione, che andò amant
passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal tramonto di Orione,
che
andò amante delle Atlantidi, ossia delle Pleiadi,
, per fare un sacrificio, una tonica sparsa di sangue di un Cintauro,
che
fu morto da lui stesso al guado di un fiume, e qu
l Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro,
che
sacrifica su di un’altare al levarsi del Pastore
lla sua gregge, e quando Ercole declina verso le regioni occidentali,
che
van denominate Esperia, seguito dal Dragone del p
ragone del polo, custode dell’ Esperidi. 64. Cadmo — Narra la favola,
che
Cadmo nel fabbricare la città di Tebe, mandando i
la fonte di Dirce, per cavarne acqna, li vide divorati da un Dragone,
che
egli uccise, e seminandone i denti, ne nacquero u
e, che egli uccise, e seminandone i denti, ne nacquero uomini armati,
che
poscia si uccisero fra loro, pochi in fuori, che
quero uomini armati, che poscia si uccisero fra loro, pochi in fuori,
che
ebbero parte a fabbricar la città. Non difficile
ne di questo mito ; posciachè Cadmo uccise un principe di nome Draco,
che
si voleva figlio di Marte, intendendosi dall’altr
terra, ne semina i denti, con la bella metafora con curvi legni duri
che
innanzi di trovarsi l’uso del ferro dovettero ser
rovarsi l’uso del ferro dovettero servire per denti dei primi aratri,
che
denti ne restarono detti, egli ara i primi campi
i primi campi del mondo : gitta una gran pietra, ch’è la terra dura,
che
volevano per sè arare i clienti, ovvero famoli :
a eroica della prima agraria gli Eroi escono dai loro fondi, per dire
che
essi sono signori de’fondi, e si uniscono armati
lla coltura dei campi, onde fu iniziato il loro incivilimento. Ma noi
che
in queste pagine abbiamo preso di mira la favola
netario, onde questo Nume sconosciuto dai Greci, il più antico Genio,
che
si a stato consacrato da’ Romani, come loro prima
me un principe del Lazio, ma esser considerato come un segno celeste,
che
rifulge tra gli astri, preceduti da lui nel loro
i di additargli la cagione, perchè egli solo tra celesti sia un Nume,
che
vede di avanti e di dietro ; e fingendo di compar
ro ; e fingendo di comparirgli Giano innanzi tra un torrente di luce,
che
irradiò tutta la casa, e lo riempì di terrore, co
e operoso, il timore ; odi le mie voci, ed apprendi da me stesso ciò,
che
desideri sapere. Caosse era il mio nome da gli an
a il mio nome da gli antichi. Questo lucido aere, e questi tre corpi,
che
rimangono, il fuoco, l’acqua, e la terra, non era
ti tre corpi, che rimangono, il fuoco, l’acqua, e la terra, non erano
che
un solo ammasso ; e quando la discordanza degli e
n erano che un solo ammasso ; e quando la discordanza degli elementi,
che
lo componevano, ebbe fine, disciolte le parti di
più vicino a questa l’aere, in mezzo la terra ed il mare. Io allora,
che
era stato un globo, ed un’informe mole, presi asp
ì grande la nota della mia confusa figura, in me sembra lo stesso ciò
che
è d’avanti e ciò ch’è di dietro. Ecco la cagione
che è d’avanti e ciò ch’è di dietro. Ecco la cagione della mia forma,
che
tu desideri sapere ; e, conoscendo questa, non ig
endo questa, non ignori del pari quale sia il mio ufficio. Tutto ciò,
che
vedi da ogni lato, il Cielo, il mare, le nubi, la
al sole, allora ricambierai il mio nome : poichè sul labbro di colui,
che
sacrifica ora per me risuona il nome di Petulcio,
te. — Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui,
che
sì perduto d’intelletto non vede di esser tutta u
non vede essere egli non un principe del Lazio, ma un segno celeste,
che
deve trovarsi alla testa, e nello istante, che il
, ma un segno celeste, che deve trovarsi alla testa, e nello istante,
che
il sole incomincia l’apparente giro dei cieli, qu
ia l’apparente giro dei cieli, quando egli apre il cammino del tempo,
che
circola nello Zodiaco ? 68. Ma per venir meglio a
a nostra favella, le parole di Macrobio — Sonovi, ei dice(1), taluni,
che
vogliono esser Giano lo stesso che il sole e Dian
obio — Sonovi, ei dice(1), taluni, che vogliono esser Giano lo stesso
che
il sole e Diana, e che rappresentasi bifronte com
1), taluni, che vogliono esser Giano lo stesso che il sole e Diana, e
che
rappresentasi bifronte come padrone dell’una e de
e indizio del potere del sole — Altri vogliono essere Giano non altro
che
il mondo, ossia il Cielo, e di essere così denomi
nsibile di Giano, lo rappresentavano sotto le fattezze di un dragone,
che
spiegandosi in cerchio morde la sua istessa coda,
iegandosi in cerchio morde la sua istessa coda, onde far comprendere,
che
il mondo e si sostiene da sè stesso, ed in sè ste
i re mesi di ogni stagione. E Varrone come rapporta Macrobio(3) vuole
che
a lui si erano innalzati dodici altari, per dare
9. La Sfinge — Qui giova dir poche parole intorno alla Sfinge Cadmea,
che
fu dipinta da’poeti avere il corpo di cane, il ca
e’poeti, vivendo tra monti proponeva alcuni enigmi, uccidendo coloro,
che
non sapevanli interpetrare, fino a quando indovin
a guerra il suo consorte, tendendo di giorno in giorno molte insidie,
che
con altro nome dicono enigmi, opprimendo non poch
le, e distrutte riprodurle — co’frutti, la varietà de’frutti istessi,
che
nascondonsi nel seno della terra, e di tempo in t
nde sorge il regno vegetabile ed animale, e tante esalazioni ed umori
che
vengono dalla terra e dalle acque per ravvivare l
la natura istessa. Si disse di produrre terrori panici, ossia terrori
che
sembra di nascere senza cagione, che vengono o da
re terrori panici, ossia terrori che sembra di nascere senza cagione,
che
vengono o dallo stormire delle frondi degli alber
e le greggi, per indicare non pochi commovimenti e fremiti di natura,
che
sembrano inaspettati ed improvvisi, perchè non se
e, come l’anima del mondo, per indicare il mirabile potere di natura,
che
subordinata alla Causa Prima, al Sommo Creatore d
sublime ed il bello dell’universo. 71. Son queste le poche nozioni,
che
ho saputo dare intorno alla simbolica, ed ai miti
to dare intorno alla simbolica, ed ai miti etorodossi, e non ho fatto
che
aprire le prime tracce a questo studio filologico
tellettiva e di miglior fortuna di incitamento, onde far tutto quello
che
i miei studii e la mia fortuna non mi han permess
ni de Civitate Dei lib. IIII cap. VIII. (2). Cloacina — Tito Tazio,
che
regnò una a Romolo, ritrovando un simulacro di un
quasi pugnatrice, derivandone la etimologia dall’antico verbo cluere,
che
significa pugnare, e le alzarono un simulacro ove
ome dalla tutela delle cose, cui si facevano presedere. Varrone dice,
che
questi Dii s’invocavano nei pericolosi e subiti a
imologia dal verbo patet. (6). Ostilina — E così detta da hostire,
che
importa eguagliare, ond’è nato hostis nemico. Sig
ostimensum datum est opera pro pecunia. (1). Flora — Alcuni eredono
che
sia Acca Larenzia donna di partito, la quale aven
tta Elori. (2). Matvta — Taluni vogliono esser questa dea la stessa
che
l’Aurora, onde traggono l’origine del tempo mattu
mattutino. (3). Roncina — Varrone deriva questa parola da runcare,
che
importa svellere, onde nacque averruncare, che ri
sta parola da runcare, che importa svellere, onde nacque averruncare,
che
risponde a togliere, demolire. (4). Pavsaniae l
rmine vera Dei. In Roma era una porta detta Carmentale dal suo nome,
che
poi fu nominata scelerata, e vicino a questa un’a
stanza. (4). Rvmina — È così detta da una parola antiquata rumen,
che
significa mamma, onde nacque ficus ruminalis, sot
mamma, onde nacque ficus ruminalis, sotto la quale pianta fu creduto
che
una lupa desse le mamme a Romolo e Remo. (1). S
me Fauna, e la vogliono così detta a fando, chè credevasi, sua mercè,
che
parlassero i fanciulli, se pur non fu nominata, S
ulli, se pur non fu nominata, Sentia, chè ella pronunziasse tutto ciò
che
altri sentisse. (2). Cur annum tovi, menses Iun
Ovidii Fasterum lib. I ver. 88 e seg. (1). Giano è detto Patulcio,
che
può derivare da patet, aprire, e Clusio, da Claud
ergevano una colonna, i Romav’ inalzavano delle statue(a). Il culto,
che
prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa fun
acque da Telafassa(a) (1), e da Aganore, ro de’ Fenicj. Altri dicono,
che
la madre di Cadmo fu la Ninfa Melia(b) ; ed altri
o, che la madre di Cadmo fu la Ninfa Melia(b) ; ed altri soggiungono,
che
fu Argiope, nata dal fiume Nilo(c). Non sempre Ca
elfo, per sapere come avrebbe potuto trovarla, ovvero per conoscere a
che
in quella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi.
uella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi. La risposta del Nume fu,
che
il trovare Europa non era impresa da uomo, e che
isposta del Nume fu, che il trovare Europa non era impresa da uomo, e
che
Cadmo in vece tenesse dietro alla prima giovenca,
resa da uomo, e che Cadmo in vece tenesse dietro alla prima giovenca,
che
avrebbe incontrato, ed ivi fabbricasse una città,
Entro nel bosco, li trovò tutti distesi sul suolo, e vide il mostro,
che
ne lambiva le fresche ferite. S’accese l’ Eroe di
ndo di Pallade ne seminò i denti(a). Ne nacquero molti uomini armati,
che
gli Ateniesi chiamarono Sparti, ossia Seminati (b
ono Sparti, ossia Seminati (b). L’anzidetta Dea avvertì allora Cadmo,
che
con una pietra nascostamente colpisse uno di colo
scostamente colpisse uno di coloro. Quegli, cui essa arrivò, credendo
che
fosse stata scagliata contro di lui da uno de’suo
sta insorsero tutti gli altri ; e sì feroce zuffa tra loro si accese,
che
vicendevolmente si diedero la morte, e a soli cin
Cadmo fabbricò la città, indicatagli dall’Oracolo, e dalla giovenca,
che
avealo ivi condotto, la denominò Beozia.(e). Egli
.(e). Egli volle fare altresì il propostosi sacrifizio ; ma temendo ;
che
l’acqua della mentovata fontana fosse infettata d
orcireo, mise il piede nel fango ; ed estraendolo, ne sortì un fiume,
che
fu chiamato Piede di Cadmo (a). Cadmo prese in mo
matrimonio nacquero un maschio, di nome Polidoro, e quattro femmine,
che
si denominarono Agave, Autonoe, Semele, e Ino, de
do, si trasferì colla moglie nell’ Illiria. Là gli venne in pensiero,
che
il Dragone, da lui ucciso, fosse vissuto sotto la
one, da lui ucciso, fosse vissuto sotto la tutela di qualche Deità, e
che
per tale motivo gli forsero sopraggiunte cotante
otivo gli forsero sopraggiunte cotante aciagure. Pregò quindi i Numi,
che
, se così fosse, convertissero lui pure in serpent
i i Numi, che, se così fosse, convertissero lui pure in serpente : Io
che
avvenne(a). V’è chi dice, che Cadmo, dope d’aver
convertissero lui pure in serpente : Io che avvenne(a). V’è chi dice,
che
Cadmo, dope d’aver goduto per molti anni il regno
osi a interrogare l’Oracolo, se ora per aver alcun figliuolo, intese,
che
non ne avrebbe alcuno, e che in vece un di lui ni
se ora per aver alcun figliuolo, intese, che non ne avrebbe alcuno, e
che
in vece un di lui nipote lo ucciderebbe. Per impe
in pioggia d’oro ; penetrò, ove la giovine si custodiva ; e fece sì,
che
divenisse madre di Perseo(2). Acrisio, come ne ve
. Un pescatore, dinome Ditti, li raccolse, e li presentò a Polidette,
che
ivi regnava(4). Questi s’invaghì di Danae, e aven
er le ali a’ piedi, e l’arma, datagli da Mercurio(5), e per lo scudo,
che
Pallade aveagli somministrato, e che riflettendo
da Mercurio(5), e per lo scudo, che Pallade aveagli somministrato, e
che
riflettendo gli oggetti, li faceva senza rischio
ia, quella deforme testa versò delle gocce di sangue su quelle arene,
che
fecondate produssero gran copia di serpenti, i qu
di Giove. Memore Atlante d’aver inteso da un antico Oracolo di Temi,
che
un figlio di Giove gli avrebbe tolti i tesori de’
ti. Que’ popoli ricorsero supplichevoli a Giove, il quale disse loro,
che
Nettuno si sarebbe placato, qualora Cefeo avesse
zidetta bestia. Ei piombò su quel mostro, e sì lo trafisse coll’asta,
che
gli tolse intieramente la vita. Risuonarono allor
un vitello. Si unì poscia in matrimonio con Andromeda : e fu allora,
che
Fineo, fratello di Cefeo, intollerante di vedere
parte di coloro ne uccise, parte ne cangiò in sassi(a). Ovidio dice,
che
in quella zuffa si trovarono anche i due celebri
o il mentovato trionfo passò nella Grecia ; e eangiò in pietra Preto,
che
avea scacciato Acrisio dal regno d’Argo(c). Ricor
tentava di nuocere alla di lui gloriosa riputazione(e). Altri dicono,
che
Polidette soggiacque a tal fine in pena d’aver us
rpe violenza(f). Perseo si trasferì nel Peloponneso ; e avendo udito,
che
in Larissa, città de’ Pelasgi, si celebravano dei
seo nel Peloponneso avea abbandonata la città d’Argo per evitare ciò,
che
l’Oracolo aveagli predetto. Avvenne, che il Disco
ittà d’Argo per evitare ciò, che l’Oracolo aveagli predetto. Avvenne,
che
il Disco, gettato di tutta forza da Perseo, lo co
lo colpì nel capo, e lo uccise. Perseo ne concepì tal’estremo dolore,
che
rinunziò il trono d’Argo a Megapente, figlio di P
i figliuoli, e una figlia, detta Gorgofone(13). Il fine di Perseo fu,
che
Megapente, figlio di Preto, per vendicare la mort
ella città di Chemmis, vicino a quella di Tebe(b), Dicesi per ultimo,
che
Perseo, Andromeda, Cefeo, e Cassiope vennero coll
uto grande, s’impadronì, dopo la morte di Creteo, del regno di Iolco,
che
apparteneva ad Esone. Temendo, che la sua usurpaz
rte di Creteo, del regno di Iolco, che apparteneva ad Esone. Temendo,
che
la sua usurpazione fosse per produrgli tristi con
lio dell’Oracolo prese a guardarsì da quello tra’discendenti d’ Eolo,
che
gli si sarebbe presentato con un piede calzato e
presentato con un piede calzato e l’altro ignudo (b). Fu per questo,
che
Esone, avendo avuto da Alcimede, figlia di Filaco
vendo avuto da Alcimede, figlia di Filaco(1), un figlio, sparse voce,
che
quello appena nato mori ; e lo fece secretamente
educazione, gl’insegnò molte scienze, e spezialmente la medicina : lo
che
gli acquistò il nome di Giasone(c). Alcuni la dis
iasone al fratello Pelia, e a questo pure rinunziò il regno, a patto,
che
dovesse restituirlo a Giasone, qualora questi fos
impresa quanto gloriosa, altrettanto pericolosissima, promettendogli,
che
qualora fosse ritornato da quella, lo avrebbe col
he qualora fosse ritornato da quella, lo avrebbe collocato sul trono,
che
gli appatteneva. L’impresa consisteva nel trasfer
rsi in Coleo a vendicare Frisso, figlio di Atamante, e nipote d’Eolo,
che
ivi era stato massacrato (b), e nel canquistare i
stato massacrato (b), e nel canquistare il Tosone, o Vello d’oro(4),
che
Frisso stesso avea colà portato, e di cui Eeta, f
seguirlo. Si dovevano primieramente rendere mansueti due feroci toti,
che
avevano i piedi di bronzo ; e mandavano fuoco dal
denti dello stesso drago ne, e finalmente vincere gli uomini armati,
che
da quel seme etano per mascere (d) (7). Giasone a
n olio e mele, e poscia immolò due tori a Nettuno e alle altre Deità,
che
potevano favorire alla di lui navigazione(a). Non
gonauti, perchè montarono una nave, detta Argo(8) dal nome di quello,
che
avoala fabbricata(c) (9). I più famosi tra quelli
regnava, e la rendette madre di due figliuoli. Egli le avea giurato,
che
dopo la conquista del Vello d’oro sarebbesi resti
; ma l’essersi poscia invaghito di Medea come testè diremo, fece sì,
che
obbliò il dato giuramento (d). Da Lenno si trasfe
accolse gli Argonauti gentilmente, e li ricolmò di doni Nella notte,
che
seguì il giorno della lofo partenza, un vento con
itone lo ripose in un tempio, a lui consecrato, e predisse a Giasone,
che
quando alcuno de’ di lui discendenti lo avrebbe t
all’aratro, e andò con essi seminando i denti del mentovato Dragone,
che
già poc’ anzi avea ucciso. Ne sorsero tanti corpi
agone, che già poc’ anzi avea ucciso. Ne sorsero tanti corpi animati,
che
con lunghe ed acute aste si avventarono contro Gi
nel mezzo loro una grossa pietra, per cui di tale furore si accesero,
che
, abbandonato l’assako contro di lui, si azzuffaro
sempre più rendere glorioso il nome di Giasone, dice, ch’eglipure, da
che
cominiciarono gli anzidetti uomini a vicendevolme
era per passare, affinchè la cura di raccogliere quelle, e ’l dolore,
che
a vista del funesto spettacolo lo avrebbono sorpr
servando il genitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea,
che
ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d) (2
ò Medea, che ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d) (23) : lo
che
avvenne. Pelia, quantunque avesse eseguito Giason
eno la accolsero cortesamente, e Medea raccontò loro tutti i servigi,
che
avea prestato a Giasone, e ne esagerò l’ingratitu
padre. Medea promise di compiacerle, e per meglio accertarnele, fece
che
in tutte le mandre si cercasse uno de’ più attemp
icerca. Passati tre giorni, Medea conciliò a Pelia un sonno poco meno
che
di morte. Appressatesi le giovani, che la Maga vo
liò a Pelia un sonno poco meno che di morte. Appressatesi le giovani,
che
la Maga voleva spettatrici dell’ orrendo fatto, e
opo aver cercati inutilmente varj asili, ritirossi in, Corinto. Pare,
che
Giasone finalmenre dovesse conseguire lo scettro,
Corinto. Pare, che Giasone finalmenre dovesse conseguire lo scettro,
che
gli apparteneva ; ma vi si oppose allora Acasto,
lauce (a), o Creusa, figlia a dell’ anzidetto re(b). Medea non poteva
che
di mal animo sofferire il nuovo imeneo ; pure nas
una, e cinse dell’ altra la fronte, videsi tutta circondata di fuoco,
che
la incenerì(25). V’ accorse Creonte, ed egli pure
con cui avea fatto il famoso viaggio, spirò sotto il peso di quella,
che
avea precipitato sopra di lui, come / Medea aveag
to sopra di lui, come / Medea aveagli predetto (g). Altri pretendono,
che
siasi trasferito in Asia, dove, essendosi riconci
Poichè il numero delle impres’, attribuite ad Ercole, è sì grande,
che
non sembra possibile avec potuto un uomo solo esa
uomo solo esaguirle tutte, è quindi opinione di tutti gli Scrittori,
che
parecchi siena stati gli Eroi di questo nome. Egl
chè fosse triplicata la notte, in cui dovea nascere questo Eroe : dal
che
ne avvenne, ch’egli fu soprannominato Trivespero(
ne avvenne, ch’egli fu soprannominato Trivespero(2). Altri vogliono,
che
sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è
e sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è poi chi pretende,
che
il nome di Trivespero siasi attribuito ad Ercole,
, perchè stette rinchiuso tre notti nel ventre d’un pesce ; e vuolsi,
che
l’Eroe dopo d’aver fatto in pezzi le interiora de
interiora dello stesso pesce, ne sia uscito senz’ aver perduto altro
che
i capelli (f). Giove, ovvero, come altri dicono,
i capelli (f). Giove, ovvero, come altri dicono, Temi avea decretato,
che
dei due fanciulli, i quali doveano nascere, l’uno
icippe, figlia di Pelope, e moglie di Stenelo, re di Micene ; quegli,
che
fosse comparso il primo alla luce, avesse ad eser
esse ad esercitare sull’ altro assoluto dominio (a). Giunone fece sì,
che
la moglie di Stenelo innanzi tempo partorisse Eur
a sedere appresso ad Alcmena ; impedì ch’ ella partorisse il bambino,
che
portava nel seno : Galantide finalmente, una dell
: Galantide finalmente, una delle serve d’ Alcmena, s’avvide di ciò,
che
la Dea andava operando ; e per farnela desistere,
a Dea andava operando ; e per farnela desistere, le diede a credere ;
che
Alcmena avesse già partorito. Giunone, confusa e
e dopo d’averla caricata di percosse, la cangiò in Donnola, animale ;
che
per questo motivo fu poscia venerato da’ Tebani(b
bambino, e cercò di metterlo a morte mediante il morso di due serpi,
che
introdusse nella di lui culla ; ma Ercole con int
ella di lui culla ; ma Ercole con intrepide mani talmente li strinse,
che
li uccise(a) (3). V’ è chi dice, che siccorne Alc
repide mani talmente li strinse, che li uccise(a) (3). V’ è chi dice,
che
siccorne Alcmena partorì nello stesso tempe due f
puto per opera di Giove, gettò le due predette serpi nel mezzo loro ;
che
a vista di quelle Ificlo, preso dallo spavento, s
se, anzi le mise, come abbiamo detto, a morte (b).Alcuni pretendono ;
che
Giunone ad istanza di Minerva abbia alquanto cess
te, di cuì il bambino avendone lasciato cadere alcune gocce, avvenne,
che
le medesime si cangiarono in un ammasso di stelle
o nel Cielo una zona, chiamata Via lattea (c) (4). Altri soggiungono,
che
l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che mo
4). Altri soggiungono, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu
che
momentaneo ; e che, come quegli giunse all’adoles
no, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che momentaneo ; e
che
, come quegli giunse all’adolescenza, ella risvegl
ile guasto nel paese, situato tra Micene e Nemea (a). Altri vogliono,
che
Giunone per far perire Ercole abbia impegnato Eca
far perire Ercole abbia impegnato Ecate a far comparire quel leone, e
che
Iride lo abbia portato sul monte Ofelta, dove il
rlo, perchè la pelle n’era impenetrabile. Lo incalzò quindi in guisa,
che
lo ridusse entro la sua caverna, la quale aveva d
al suo ritorno, e gli promise d’offerirlo egli a Giove Salvatore : lo
che
eseguì. Sonovi alcuni, i quali pretendono, che Er
a Giove Salvatore : lo che eseguì. Sonovi alcuni, i quali pretendono,
che
Ercole abbia ricevuto la clava da questo Molorco
l’Idra. Egli poscia avvelenò nel sangue di quella le sue frecce : dal
che
ne avveniva, che le ferite, recate da quelle, riu
ia avvelenò nel sangue di quella le sue frecce : dal che ne avveniva,
che
le ferite, recate da quelle, riusciavano incurabi
recate da quelle, riusciavano incurabili. Euristeo però, come seppe,
che
Ercole avea avuto in sua compagnia Jolao, non vol
abilito d’assoggettarlo (c). Ercole inoltre dovette vincere la Cerva,
che
trovavasi nelle foreste del monte Menalo nell’ Ar
se i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era sì veloce al corso,
che
niuno mai era capace di raggiungerla. Ercole bram
era sacra a Diana. Impiegò un anno nell’inseguirla con tale costanza,
che
la stancò, se la fece sua, e la portò sulle spall
a portò sulle spalle a Micene(d). Euristeo impose altresì ad Ercole,
che
gli recasse il Cinghiale della selva d’Erimanto,
ava tutti que’ dintorni. L’Eroe lo inseguì, e sì stancò anche quello,
che
gli riuscì di legarlo, e di portarlo vivo in Mice
di Sileno e della Ninfa Melia, il quale gli diede a bere certo vino,
che
apparteneva a tutti i Centauri. Se ne sdegnarono
te ne trucidò, parte ne mise in fuga. Folo stesso morì di una ferita,
che
gli aprì in una mano una freccia, la quale egli t
compagni. Ercole lo onorò con magnifici funerali sopra una montagna,
che
poscia si chiamò Foloc(b). Era parimenti dovere d
chi li assaliva. Erano poi in sì grande numero, e di tale grandezza,
che
quando volavano, impedivano che i raggi del Sole
ì grande numero, e di tale grandezza, che quando volavano, impedivano
che
i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plin
divano che i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plinio vuole,
che
i medesimi non esistessero se non nella mente de’
sero se non nella mente de’ Poeti (c). Pausania all’opposto pretende,
che
se ne trovassero ne’ deserti dell’ Arabia (d). Er
narici, e desolava i dintorni di Maratona. Euristeo intimò ad Ercole,
che
lo uccidesse. L’Eroe nol fece, perchè anche quell
favorito, e disfece la maggier parte di coloro. Al suo ritorno trovò,
che
i cavalli aveano divorato Abdero. N’ebbe gran dol
ba al predetto giovine, e appresso della medesima fabbricò una città,
che
dal nome di lui appellò Abdera(a) (8). V’è chi pr
a città, che dal nome di lui appellò Abdera(a) (8). V’è chi pretende,
che
gli anzidetti cavalli sieno stati condotti da Erc
che gli anzidetti cavalli sieno stati condotti da Ercole in Micene, e
che
poi Euristeo li abbia abbandonati sul monte Olimp
d Antiope, la condusse via prigioniera, e la diede in moglie a Teseo,
che
lo aveva accompagnato in quella spedizione(d) (9)
che lo aveva accompagnato in quella spedizione(d) (9). Plutarco dice,
che
quella Regina fu uccisa da Ercole(e). Augia, re d
eduto figliuolo del Sole(g), possedeva un numero sì grande d’animali,
che
non aveva ovili sufficienti a contenerveli. Fu co
e di Tiro, e re di Pilo, scacciò Ercole da’suoi Stati ; e come seppe,
che
l’ Eroe accingavasi ad attaccarlo, affidò il coma
l di lui padre nel non mantenere la parola data ad Ercole(d). Dicesi,
che
in quella guerra sia anche morto un certo Calcodo
erra sia anche morto un certo Calcodone, ch’erasi unito con Ercole, e
che
da questo sia stato onorevolmente sepolto(e) (12)
heggiò a Neleo la sua città, e mise a morte lui, e tutti i figli(13),
che
avea avuto da Clori, figlia d’ Anfione, eccettuat
viarono a Nereo, da cui ne venne istruito. L’ Eroe uccise il Dragone,
che
vegliava sempre per custodire que’pomi, e felicem
que’pomi, e felicemente riuscì nella divisata impresa. Altri dicono,
che
Ercole spedì Atlante alla conquista di quelle fru
’ Inferno ad Euristeo il Cane Cerbero. Così egli fece(16) ; e vuolsi,
che
dopo d’aver eseguito ciò che doveva, lo abbia anc
Cerbero. Così egli fece(16) ; e vuolsi, che dopo d’aver eseguito ciò
che
doveva, lo abbia anche ricondotto nell’ Inferno(b
(b). Molte altre sono le gloriose gesta d’ Ercole. Egli uccise Sauro,
che
infestava i dintorni del monte Erimanto nell’ Eli
detto, erasi annegato nel fiume Ascanio. Sul quale proposito dicesi,
che
avendo l’ Eroe ricercato qualche cibo a Teodament
aria, e sì lo tenne, finchè lo strangolò(b) (20). Alcuni aggiungono,
che
Ercole sposò poscia Tinga, moglie d’ Anteo ; che
. Alcuni aggiungono, che Ercole sposò poscia Tinga, moglie d’ Anteo ;
che
n’ebbe un figlio, di nome Siface, il quale divenn
e un figlio, di nome Siface, il quale divenne re della Mauritania ; e
che
fabbricò una città, che chiamò Tingi dal nome di
ace, il quale divenne re della Mauritania ; e che fabbricò una città,
che
chiamò Tingi dal nome di sua moglie(c). Stanco po
quali spesso li rapivano(d). Antonino Liberale(e) e Ovidio(f) dicono,
che
coloro erano governati da una donna, la quale, pe
enne da Cipro l’ Indovino Trasea, o Trasio, e questi accertò Busiride
che
per avere di nuovo la fertilità nelle di lui camp
la porta d’ Ippocoonte, figlio di Ebalo e della Najade Batea, avvenne
che
un cane, custode di quella casa, gli si avvento c
zio a Giunone. Tale ceremonia si perpetuò appresso gli Spartani : dal
che
la predetta Dea si denominò Egofage, ossia manzia
icolo, quando Giove fece cadere dal Cielo immensa quantità di pietre,
che
li oppresse : e però quel luogo si denominò Campo
si, giunse in Celene, ove la trovò. Litierse era un Principe barbaro,
che
obbligava i passeggieri a mietere o a misurare le
ne’di lui Stati co’ buoi di Gerione. Le condizioni della gara furono,
che
se restava superato Ercole, questi doveva cedere
li stessi erano stati trasferiti. Egli spezzò subito l’immensa rocca,
che
chiudeva l’ingresso dell’antro, s’avventò contro
s’avventò contro Caco, e colla clava lo uccise(b). Altri pretendono,
che
sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella
tri pretendono, che sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella
che
scoperse ad Ercole il furto, fattogli da suo frat
endo la guerra a’Beozj, comandati da Ercole, fu vinto da questo Eroe,
che
lo fece squarciare da due cavalli. Ercole pure no
lo fece squarciare da due cavalli. Ercole pure non ville permettere,
che
gli si rendessero gli onori delsepoltura (b). Erc
iglio di Foroneo e loro re, e li obbligò a ritasciare a’Dorj i paesi,
che
aveano promesso (c). Ritornando sene da Trachina,
mine nel mezzo loro (d) Ercole domò Lacinio, formidabile malandrino,
che
soggiornava in Crotone : e in memoria di tal fatt
pel di lui valore. Ercole per ultimo con una freccia offese Plutone,
che
fu costretto di salire al Cielo, per farsi guarir
ciò il corpo, e ne portò le ceneri a Licinnio, onde soddisfare meglio
che
potè al prestato giuramento (b). Ercole è stato d
dell’ Isola di Cea, e famoso Sofista, pubblicò un libro, in cui fanse
che
ad Ercole sieno apparsi la virtù e il Piacere, e
ro, in cui fanse che ad Ercole sieno apparsi la virtù e il Piacere, e
che
mentre l’una e l’altro volevano trarlo a se, egli
ltro volevano trarlo a se, egli scelse di seguire piuttosto la Virtù,
che
il Piacere (d). Ercole si appello Musagete, ossia
ano persuasi, ch’egli avesse sottomessi i popoli più coll’ eloquenza,
che
colle armi : e come tale lo onoravano sotto il no
piedi (a). Presso i Romani M. Fulvio Nobiliore, Console, fu il primo,
che
gli dedicò un tempio nel Circo Flaminio, ov’ eran
statua era posta sopra una zattera, perchè gli Eritrei pretendevano,
che
quella fosse così arrivata da Tiro appresso di lo
ano, che quella fosse così arrivata da Tiro appresso di loro. Dicesi,
che
la stezze zattera, entrata nel mare Ianio, siasi
zattera, entrata nel mare Ianio, siasi fermata tra Eritrea e Chio, e
che
amendue que’ popoli abbiano usato di tutte le lor
to mai riuscirvi. Un pescatore cieco d’Eritrea fu avvertito in sogno,
che
se le donne si fossero tagliati i capelli, e ne a
i. Così que’ d’Eritrea conseguirono la statua d’Ercole, nè permisero,
che
alle donne Tracie l’ingresso del di lui tempio (d
à, la quale col mezzo de’ sogni manifestava i futuri eventi a coloro,
che
, coricati solle pelli delle scannate vittime, la
ossia Cane bianco (b). Il nome Eracle è composto di due voci Greche,
che
significano Giunone e gloria. Ercole fu così appe
significano Giunone e gloria. Ercole fu così appellato, per indicare,
che
i travagli, da lui intrapresi per causa di Giunon
er richiamarlo alla primiera serenità di mente ; ma Ercole, pensando,
che
quegli fosse Euristeo, coll’ arco lo inseguì. Fu
rco lo inseguì. Fu rinchiuso in una stanza, ed ei ne spezzò le porte,
che
diceva essere quelle di Micene. Uccise i figli, c
spezzò le porte, che diceva essere quelle di Micene. Uccise i figli,
che
aveva avuto da Megara, credendoli figli del prede
tempo si destò, guarito della sua frenesia. Conobbe allora la strage,
che
avea fatto de’ suoi, se ne afflisse estremamente,
i in serpente. L’Eroe lo afferrò pel collo, sì fortemente lo strinse,
che
gia era per soffocarlo. Acheloo, vestite allora l
ull’ opposta spiaggia, udì e conobbe la voce lamentevole di Dejanira,
che
dimandava soccorso contro di Nesso, che tentava d
voce lamentevole di Dejanira, che dimandava soccorso contro di Nesso,
che
tentava di rapirla. L’Eroe tese tosto l’arco, sca
este, intrisa del proprio sangue, ne fece dono a Dejanira, dicendole,
che
quella avea la virtù di ravvivare le fiamme d’amo
to, chegli aveva ucciso i figli, avuti da Megara, sua prima moglie, e
che
temeva che fosse per trattare nella stessa guisa
aveva ucciso i figli, avuti da Megara, sua prima moglie, e che temeva
che
fosse per trattare nella stessa guisa anche quals
a che fosse per trattare nella stessa guisa anche qualsivoglia altro,
che
fosse per nascergli in avvenire. Ercole rapì la g
e mura il di lei fratello, Ifito, spedito dal padre a trovare i buoi,
che
gli erano stati rubati da Autolico. Ercole dopo d
lo sottomise alle ceremonie dell’espiazione. Gli Dei però, giudicando
che
Ercole non fosse stato abbastanza punito, lo affl
l tripode. Apollo vi si oppose, combatterono tra loro ; nè si sa crò,
che
sarebbe avvenuto, se Giove non li avesse separati
, qualora non avesse filato béne, o avesse rottoil fuso (a). Narrasi,
che
Ercole, viaggiando con Onfale, si ritirò in una g
essi amendue dal sonno, si coricarono sopra due letti separati. Pane,
che
li avea veduti entrare nella grotta, preso dalla
ta. Onfale pel sussuro si svegliò anch’ella ; e acceso il lume, Pane,
che
si lagnava del dolore, cui soffriva, divenne sogg
fale poi regalò Ercole di molti doni, perchè egli uccise un serpente,
che
faceva grande strage appressò il fiume Sagari (c)
trage appressò il fiume Sagari (c). Altri dicono, ch’egli la sposò, e
che
n’ebbe un figlio, il quale da Diodoro Siciliano s
ui schiavitù appresso Onfale Ercole aveva distrutti molti malandrini,
che
infestavano la Lidia. Marciò pure contro i Cercop
atatasi per ogni parte ridusse, in cenere le membra e le ossa di lui,
che
intrepido già la disprezzava (b) (31). Dicesi, ch
e le ossa di lui, che intrepido già la disprezzava (b) (31). Dicesi,
che
la famosa Colomba d’oro, la quale conferiva agli
trovavano (d). L’Eroe aveva amato altresì Pirene, figlia di Bebrice,
che
regnava ne’ monti Pirenei. Ercole, preso dal vino
e Aniceto (c). In terra poi futono pressochè innumerabili gli onori,
che
questo Eroe ricevette. I Greci lo venerarono come
, ch’ Ercole stesso si aveva eretta la predetta Ara ; Virgilio vuole,
che
gliela abbia inalzata Potizio ; e Dionisio preten
gilio vuole, che gliela abbia inalzata Potizio ; e Dionisio pretende,
che
sia stata consecrata da Evandro (a). Filottete po
li si vedevano espresse le mentovate Fatiche d’Ercole. Alcuni dicono,
che
quelle colonne vennero ivi alzate per alludere al
Ionia, e giunse a’ lidi dell’ Esaro. Non lungi di là trovo la tomba,
che
racchiadeva le ceneri di un certo Crotone, uomo s
o poi della sera si fece da Potizio solo, perchè Pinario non v’arrivò
che
tardi. Ercole, irritato di tale negligenza, coman
non v’arrivò che tardi. Ercole, irritato di tale negligenza, comandò
che
Potizio e i di lui discendenti presiedessero a’ s
omandò che Potizio e i di lui discendenti presiedessero a’ sacrifizj,
che
annualmente gli si facevano in Italia sul monte A
fizj, che annualmente gli si facevano in Italia sul monte Aventino, e
che
Pinario e la stirpe di lui non v’assistessero, ch
monte Aventino, e che Pinario e la stirpe di lui non v’assistessero,
che
per servire in essi a’ Sacrificatori. Non sempre
divenne cieco. Si giudicò, ch’Ercole avesse così punito il disprezzo,
che
aveasi fatto de’ suoi sacrifizj (a). Ercole esorc
inato Cigno. Fillio prese ad amarlo, e si studiò di piacergli. Cigno,
che
cercava di liberarsene, dopo d’ averlo impegnato
i prendere vivo, e di condurre all’ altare di Giove un toro indomito,
che
faceva un orribile guasto in una vicina foresta.
ole restò liberato dalla fiamma d’amore, di cui ardeva per Cigno : lo
che
talmente avvilì l’oggetto da prima cotanto amato,
per Cigno : lo che talmente avvilì l’oggetto da prima cotanto amato,
che
si gettò nel lagò di Canopo, e venne convertito i
le frondi del medesimo erasi inghirlandato la fronte. Dicesi inoltre,
che
quando questo Eroe discese nell’ Inferno, la part
quando questo Eroe discese nell’ Inferno, la parte di quelle foglie,
che
toccava la di lui testa, si conservò candida, lad
eo, allorchè fosse divenuto capace di smuovete quel sasso. Converiva,
che
Egeo tenesse secreto il suo matrimonio a motivo d
idi, i quali aspiravano alla corona d’ Ateno. Pitteo quindi pubblicò,
che
il padre di Teseo era Nettuno(a). Crebbe il fanci
; ma tutti al vedere quella pelle si spaventarono, eccettuato Teseo,
che
strappò dalle mani di uno schiavo un’ascia, e cre
iò l’anzidetto sasso, e raccolse ciò, ch’eravi sottoposto. Fu allora,
che
la virtù e la gloria di Ercole lo animarono piucc
’ammirazione, ch’eccitavano in lui le gesta di quell’ Eroe, produceva
che
le imprese dello stesso gli si offerissero di not
spettava ch’ella si fosse colà ritirata, la chiamò a se, protestando,
che
non le avrebbe recato alcun male. La giovine si r
, figlio d’Eurito, re d’Ecalia(b). Teseo poscia fece strage del Toro,
che
, portato da Ercole ad Euristeo, da questo era sta
sopra un letto : se erano più lunghi di quello, ne tagliava la parte
che
sopravanzava ; se più corti, ve li riduceva alla
, erasi ritirata appresso Egeo, ed era divenuta di lui moglie. Colei,
che
aveva avuto qualche notizia di Teseo, tentò di fa
lo, ch’ella avea partorito in quella Reggia. Persuase quindi ad Egeo,
che
Teseo era uno straniero, venuto ad usurpargli il
uto ad usurpargli il dominio ; e composta una venefica bevanda, volle
che
il Re stesso ne porgesse il nappo al proprio figl
fico(a). Teseo, ritornato in Atene, la sottrasse al barbaro non meno,
che
ignominioso tributo, cui essa per la terza volta
, figlio di questo Monarca, per aver riportato il premio ne’ Giuochi,
che
andavano uniti alle Feste Panatence, talmente si
ce, talmente si tirò addosso l’invidia degli Ateniesi e de’ Megaresi,
che
coloro gli tesero insidie, e lo privarono di vita
rrestri e marittime, mosse guerra ad Egeo, e a Niso, di lui fratello,
che
regnava in Megara (10)(10). Gli Ateniesi, oppress
to da Dedalo (11) S’accorse appena l’ afflitto Dedalo di tale caduta,
che
, calato dall’ alto, cercò inconsolabile il caro f
resso di se l’ industre artefice, ma poi, temendo il furore di Minos,
che
glielo aveva ricercato, lo soffocò in un bagno(b)
Minos, che glielo aveva ricercato, lo soffocò in un bagno(b). Dicono,
che
le figlie di Cocalo diedero la stessa morte a Min
imanente del corpo rassomigliava alla figura d’uomo(13), nè si cibava
che
di carne umana(d). All’avvicinarsi il tempo del t
llevarsi. Teseo ganerosamente s’offerì d’essere anch’egli tra coloro,
che
la sorte destinava alla funesta spedizione. Prima
lla funesta spedizione. Prima di partire consultò l’Oracolo di Delfo,
che
gli commise di prendersi Venere per guida, e di s
i acquistò il nome di Epitragia(a). Non appena Teseo giunse in Creta,
che
se ne invaghì Arianna, figlia di quel re. Ella gl
ise il Minotauro(b). Plutarco(c), Pausania(d), e Callimaco(e) dicono,
che
Venere assistette Teseo, onde trionfasse dell’anz
sse dell’anzidetto mostro. Pausania poi soggiunge aver altri preteso,
che
lo abbia ajutato Diana, cui perciò Teseo eresse u
Trozene(f). L’Eroe condusse seco fuori del Labirinto anche gli altri,
che
erano stati spediti ad incontrare lo stesso funes
. Allora si portava anche d’intorno un ramo d’ulivo, coperto di lana,
che
si attaccava poi da un fanciullo sulle porte per
partivano, denominavasi Deliade o Teoride(17), ed era quello stesso,
che
avea trasportato in Creta Teseo e i di lui compag
ste non era permesso il punire reo alcuno (b). La Grue era una danza,
che
ogni anno facevasi dalle giovani Ateniesi nel tem
sie furono Feste, instituite da Teseo in onore di Nausiteo e Feacide,
che
eransi seco lui uniti in qualità di piloti nella
prima v’arrivava, si riputava il vincitore, aveva in premio un vaso,
che
conteneva vino, mele, formaggio, farina, e poco o
o, farina, e poco olio, ed offeriva il sacrifizio(g). Plutarco vuole,
che
queste Feste si celebressero in onore di Bacco e
ertato contrassegno. Vide la nave senza di quello ; nè più dubitando,
che
il figlio fosse già perito, disperato si precipit
se già perito, disperato si precipitò nel mare. Fu estremo il dolore,
che
ebbe a sentire, quando intese, ch’era morto il pa
lore, che ebbe a sentire, quando intese, ch’era morto il padre suo, e
che
egli n’era stato la cagione. Gli Ateniesi per con
eò un Consiglio, in cui trasmise tutta la sua autorità, nè si riserbò
che
il comando delle armi. Per tutte queste diverse i
e secondo alcuni fu uno degli Argonauti(b). Apollonio però soggiunge,
che
l’Eroe non poteva trovarsi a quella spedizione, p
ora era ritenuto nell’Inferno, come fra poco diremo. Vuolsi eziandio,
che
sia stato invitato da Ercole a combattere seco lu
che sia stato invitato da Ercole a combattere seco lui le Amazoni, e
che
dopo la sconfitta di quelle abbia introdotte le F
a del Cinghiale di Calidone(d). La fama delle di lui imprese fece sì,
che
egli venisse provocato a singolare tenzone da Pir
ono a faccia a faccia, l’uno restò siffattamente sorpreso dell’altro,
che
invece d’azzuffarsi si abbracciarono, strinsero f
ell’Inferno. Questo Eroe avea sposato Ippodamia, figlia di Atrace(f),
che
Omero chiama Laodamia(g), e Plutarco Deidamia(h).
fecero anche gli altri Centauri la stessa violenza alle altre donne,
che
loro venivano alle mani, o più piacevano. Vi rima
venivano alle mani, o più piacevano. Vi rimasero morti molti Lapiti,
che
si erano opposti all’attentato di coloro. Tra que
ù folta la turba de’ Centauri, ne uccise molti, e ricuperò Ippodamia,
che
per quel motivo acquistò anche il nome d’ Iscomac
adde tutto asperso di sangue, ed esalò lo spirito(23). Alcuni dicono,
che
i Lapiti gli tagliarono il naso, e le orecchie. A
agliarono il naso, e le orecchie. A vendicarlo si fece innanzi Farco,
che
, scavato da una rupe un macigno, tentò di scarica
to, esperto nel trattare l’ arco, ad Ippaso, di lunga barba, a Rifeo,
che
oltrepassava i più alti alberi, e a Tereo, assuef
to a predare orsi nelle tane della Tessaglia. Non sofferì Demoleonte,
che
Teseo progredisse più oltre negli avvenimenti fel
un annoso pino ; ma non potendo sveller. Io, lo scosse di tal fatta ;
che
cadde alla fine, dove il Centauro desiderava. Tes
anni assisteva ad una festa nel tempio di Diana Orzia(b). Fu allora,
che
l’ Eroe presso Ermione, città dell’ Istmo del Pel
ceneri di Teseo(b). Conone nel mezzo della città gli alzò un tempio,
che
divenne asilo a’ servi, e a tutti coloro, che da’
ttà gli alzò un tempio, che divenne asilo a’ servi, e a tutti coloro,
che
da’ più potenti venivano perseguitati : e ciò in
nacque Esaco(c) (2). Lo stesso re poi sposò Ecuba, figlia di Dimante,
che
regnava in un cantone della Frigia(d), o di Cisse
re di Salamina. Arrivato prima il giovane Trojano a Sparta, Menelao,
che
ivi regnava, lo accolse con dimostrazioni di sing
o ebbe a trasferirsi in Creta, e tanto seppe piacere a quella Regina,
che
la medesima, abbandonato il marito suo, fuggì sec
è fu combattuto dalle armi Greche, venne da molti difeso, Tra quelli,
che
accorsero ad ajutarlo, i più famosi sono Mennone,
le vista non potè frenare lo sdegno, rimproverò il Greco, come colui,
che
spietato avea fatto perire un figlio sugli occhi
uardato come il sostegno de’ Trojani ; e gli Oracoli aveano predetto,
che
l’ Imperio del di lui padre non si sarebbe potuto
). Questo Eroe trovò alla porta del Greco campo una pietra sì grande,
che
due de’ più robusti uomini avrebbono durato fatic
egli solo con tutta facilità lo fece, e la gettò contro quella porta,
che
ne rimase fracassata(c). Filostrato dice, che Ett
tò contro quella porta, che ne rimase fracassata(c). Filostrato dice,
che
Ettore, per rendersi robusto, erasi per lungo tem
strascinò col volto nella polvere intorno le mura di Troja, e comandò
che
fosse esposto ad essere cibo de’cani e degli avol
li avoltoi (b). Priamo allora, gettatosi a’ piedi di lui, lo supplicò
che
volesse rendergli il morto figlio ; e Achille, to
la avea condotta Neottolemo, figlio di Achille (e) (8) Pausania dice,
che
i Tebani di Beozia si vantavano d’aver trasportat
Ettore, perchè così avea prescritto ad essi un Oracolo, se volevano,
che
perpetuamente fosse felice il loro Imperio(a).
e di Ecuba. Questi anche prima di nascere fu conosciuto come quello,
che
doveva essere la rovina della sua pattia. Ecuba,
sere la rovina della sua pattia. Ecuba, rimasta di lui incinta, sognò
che
aveva partorito una faccola, la quale poi arse tu
dovini, consultati sopra tale sogno, ne presagirono tutti i disastri,
che
dovea cagionare il bambino, cui Ella era per dare
età, e invece lo fece allevare secretamente nella Frigia da’ Pastori,
che
abitavano sul monte Ida(b) (1). Paride, cresciuto
In differenti occasioni diede prove di giustizia ed equità sì grande,
che
i vicini Pastori a lui ricorrevano per decidere l
mi ; e Venere s’impegnò di renderlo possessore della più bella donna,
che
vi fosse stata al mondo. Paride diede il pomo a V
ore(d)), mal comportando di essere rimasto superato in quelli da lui,
che
non ancor erasi riconosciuto, voleva ucciderlo ;
ne, figlia del fiume Cebreno, e pastorella di straordinaria bellezza,
che
per dono di Apollo prediceva l’avvenire, e conosc
e cosè al marito, ch’erano per accadergli : tralle altre gli presagì,
che
se avesse combattuto contro i Greci, vi sarebbe r
combattuto contro i Greci, vi sarebbe rimasto mortalmente ferito ; e
che
allora sarebbe ritornato a lei per esserne risana
erito ; e che allora sarebbe ritornato a lei per esserne risanato, ma
che
sarebbe già riuscito vano il di lui ricorso(b). P
de andargli incontro lo stesso Menelao, fu sorpreso da tale spavento,
che
ben tosto si ritirò tra’ suoi. Rianimato da’ rimp
i(e) ; e Menestio, figlio di Areitoo e di Filomedusa(f). Dicest pure,
che
abbia dato la morte ad Achille per tradimento, co
studio per guarirlo ; ma ogni rimedio fu inutile, perchè la freccia,
che
lò colpì, era una di quelle ch’erano state avvele
. Dopo tali ed altre eroiche imprese fu in sogno avvertito da Ettore,
che
si salvasse colla fuga. Tuttavia la notte, in cui
uscì di città(5). Le fiamme lo rispettarono, e per non nuocere a lui,
che
aveva dimostrato tanta tenerezza pel genitore’e’
imostrato tanta tenerezza pel genitore’e’ l figlio, così si divisero,
che
gli lasciarono libero il passaggio(6). Ritiratosi
a. Volendo prima offerire sulla spiaggia agli Dei un sacrifizio, vide
che
gli arboscelli, i quali andava svellendo per orna
ngue. Udì inoltre un grido lamentevole di Polidoro, figlio di Priamo,
che
lo dissuadeva di trattenersi in quelle terre. Pol
va di trattenersi in quelle terre. Polidoro stesso gli narrò altresì,
che
Polinnestore avealo fatto secretamente morire. En
Nume Enea ricercò quale strada dovea intraprendere. Gli fu risposto,
che
si riducesse alle terre, popolate un tempo da’ su
gò quindi le vele alla volta di Creta, poichè Anchise allora ricordò,
che
Teucro, figlio del Cretese Scamandro, aveva dato
Poco dopo sopraggiunse la peste, e gli Dei Penati gli manifestarono,
che
il luogo della sua antica origine era l’Italia. A
il luogo della sua antica origine era l’Italia. Anchise si rammentò,
che
lo stesso eragli stato predetto anche da Cassandr
; e allora Celeno, la maggiore di quelli, chiaramente predisse loro,
che
non avrebbono potuto stabilirsi in Italia, se pri
gnava in quel tempo Eleno, figlio di Priamo. Questi dichiarò ad Enea,
che
sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso
di Priamo. Questi dichiarò ad Enea, che sarebbe arrivato in Sicilia ;
che
sarebbe disceso nell’Inferno ; e che dove avrebbe
he sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso nell’Inferno ; e
che
dove avrebbe trovato una scrofa con trenta figliu
dire ; ch’eglino giugnessero in Italia. Per riuscirvi chiese ad Eolo,
che
suscitasse una tempesta. Così fu ; e le navi di E
e le navi di Enea vennero spinte verso Cartagine, dov’egli fu motivo,
che
Didone, regina di quella città(11) si desse la mo
Il Trojano però si mantenne sempre costante nell’ubbidire al Destino
che
lo chiamava in Italia. Allora la Regina si abband
ra la Regina si abbandonò alla disperazione, pregò gli Dei Infernali,
che
Cartagine vendicasse un giorno siffatto oltraggio
o padre(15). In quel momento uscì dal sepolcuo d’Anchise un serpente,
che
girò interno alla stessa tomba, gustò di tutte le
di dissendere nell’Inferno par rivedere l’ombra d’Anchise(b). Sapeva
che
a’ viventi non era permesso il penetrarvi. Quindi
itandogli il ramo d’oro, di cui altrove abbiamo parlato, gli comandò,
che
lo svellesse dal tronco(17), giacchè con esso all
ezzo al cortile della Reggia di Latino, diede occasione di presagire,
che
in quella Reggià era per giungervi moltitudine di
ungervi moltitudine di forestieri. Da un altare uscì pure una fiamma,
che
cinse il capo di Lavinia, e poi si sparse per tut
il capo di Lavinia, e poi si sparse per tutto il di lei palagio : dal
che
si congetturò, che somma gloria, accompagnata per
e poi si sparse per tutto il di lei palagio : dal che si congetturò,
che
somma gloria, accompagnata però da guerre, era pe
lle sacrificate vittime, udì in sogno una voce, la quale lo avveriva,
che
sarebbe arrivato appresso di lui uno straniero, i
in tutto il mondo. Enea non molto dopo spedì a quel re ambasciatori,
che
ne ottenessero di essere accolti nelle di lui ter
, era lo straniero illustre, a lui predetto dagli Oracoli. Fu allora,
che
Giunone ricorse alla Furia Aletto, affinchè quest
Genio del Tevere non ostante comparve in sogno ad Enea, e lo accertò
che
quello era il paese, nel quale i Numi gli prepara
motivo delle di lui crudeltà(19). Enea con tali soccorsi e con armi,
che
Venere aveagli fatto lavorare da Vulcano, si avan
ennero subito da Giove cangiate in Ninfe marine ad istanza di Cibele,
che
ne avea la cura, perchè erano state formate sul m
mpagno, ch’ebbe Enea, si chiamava Acate(e). Enea in un combattimento,
che
incontrò poscia cogli Etrusci, vi perdette la vit
incontrò poscia cogli Etrusci, vi perdette la vita(25). Altri dicono,
che
, essendo caduto nel fiume Numicio, il di lui corp
l fiume Numicio, il di lui corpo non fu trovato ; e però si credette,
che
Venere lo avesse trasferito in Cielo. Sulla riva
gli si rendettero gli onori divini(f). Altri finalmente soggiungono,
che
Enea fu trovato nell’annidetto fiume ; e che come
finalmente soggiungono, che Enea fu trovato nell’annidetto fiume ; e
che
come ne fu estratto il corpo, quelle acque così s
e che come ne fu estratto il corpo, quelle acque così si diminuirono,
che
divennero una fontana(g). Agamenonne. Agam
’Atreo. Agamenonne con tali soccorsi perseguitò Tieste sì fortemente,
che
colui fu costretto a ritirarsi appresso l’altare
a ad Agapenore, figlio d’Anceo e re d’Arcadia (a) (2). Tra gli altri,
che
lo seguirono, i più rinomati sono Schedio, Ialmen
te, figlio di Testore, e però soprannominato Testoride(16), dichiarò,
che
ciò avveniva, perchè Diana era sdegnata con Agame
a ucciso una cerva, a lei consecrata. Proseguì Calcante a protestare,
che
conveniva placare l’anzidetta Dea coì sangue d’If
sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse appresso la moglie,
che
voleva sposare la figlia ad Achille. Giunta che f
e appresso la moglie, che voleva sposare la figlia ad Achille. Giunta
che
fu la giovine, col pianto comune venne accompagna
(e) ; Iperenore (f) ; Pisandro e Ippoloco, nati da Antimaco. Dicesi,
che
questi due a vista di Agamenonne tremarono di spa
Dicesi, che questi due a vista di Agamenonne tremarono di spavento, e
che
colle preghiere, colle lagrime, e colle offerte t
nel decimo anno rimase vittorioso anche de’Trojani(21). Nel riparto,
che
si fece tra’Greci Capitani, delle Donne Trojane,
sposa di Corebo(22), toccò ad Agamenonne. Costei gli aveva predetto,
che
non ritornasse al patrio suolo, perchè vi sarebbe
ccetta lo uccise. Altri dicono, ch’ella lo fece perire nel banchetto,
che
gl’imbandì, tostochè egli si rimise in patria (a)
e dalla sua presenza. Crise chiese ad Apollo vendetta di un affronto,
che
in lui ricadeva. L’armata de’Greci fu presa immed
nte da fiera pestilenza. Se ne interrogò Calcante ; e questi rispose,
che
quello era un castigo di Apollo, e che il Nume no
ò Calcante ; e questi rispose, che quello era un castigo di Apollo, e
che
il Nume nol avrebbe sospeso, qualora non si fosse
ante castigo (b). Agamenonne ebbe da Clitennestra un unico figliuolo,
che
si chiamava Oreste, e tre figlie, Ifigenia, Elett
, lo Scoliaste d’Omero (b) e lo Scoliaste d’Euripide (c) soggiungono,
che
essi erano realmente nati da Plistene, ma che, es
ripide (c) soggiungono, che essi erano realmente nati da Plistene, ma
che
, essendo quegli morto giovine, furono allevati da
i lo tennero come una Divinità, gli offerirono sacrifizj, e preteseto
che
il medesimo operasse dei prodigi. Crearono un Sac
reteseto che il medesimo operasse dei prodigi. Crearono un Sacerdote,
che
ne presiedesse al culto, e lo tenesse in propria
monie si trasferiva ad altro sacro Ministro (d). Omero poi soggiunge,
che
il mentovato scettro era stato lavoro di Vulcano
poi soggiunge, che il mentovato scettro era stato lavoro di Vulcano ;
che
questo Nume lo avea regalato a Giove, che Giove n
a stato lavoro di Vulcano ; che questo Nume lo avea regalato a Giove,
che
Giove ne fece un dono a Mercurio ; da cui passò a
lo fece secretamente trasferire per sottratlo al furore di sua madre,
che
altrimenti lo avrebbe ucciso, come ne avea fatto
appresso Clitennestra, la uccise con Egisto (b). Euripide poi vuole,
che
Oreste abbra privato di vita Egisto nel tempio d’
o d’ Apollo, mentr’egli stava esaminando le interiora d’una giovenca,
che
avea sacrificato. Lo stesso Poeta soggiunge, che
iora d’una giovenca, che avea sacrificato. Lo stesso Poeta soggiunge,
che
Oreste andò poscia in traccia di Clitennestra, e
de stento avea ottenuto di poter togliersi da se la vita ; ma Apollo,
che
gli aveva comandata l’uccisione della di lui madr
llo, che gli aveva comandata l’uccisione della di lui madre, fece sì,
che
i di lui, concittadini si contentassero solamente
tò al giudizio dell’ Areopago. I voti di quello erano divis. Minerva,
che
aveva pure il diritto di darvi il suo, si dichiar
onorò Minerva Area coll’innalzarle sulla collina di Marte il tempio,
che
abbiamo indicato(3). Nè contento di essere stato
gli tutti i giorni veniva purificato, e poi si sotterrava tutto quel,
che
avea servito a di lui uso. Altri Scrittori pei vo
to quel, che avea servito a di lui uso. Altri Scrittori pei vogliono,
che
non ostante l’anzidetto giudizio dell’ Areopago l
reste ricorse di nuovo all’ Oracolo di Delfo ; e il Nume gli promise,
che
ne rimarrebbe liberato, qualora avesse trasportat
se all’impresa. Questa era assai pericolosa, perciocchè i forestieri,
che
arrivavano colà, si devono sacrificare, come si è
nti la sua situazione. Propose quindi di salvare uno di loro a patto,
che
promettesse con giuramento di recare una lettera
promettesse con giuramento di recare una lettera in Argo. Allora fu,
che
nacque generosa gara tra gli amici per determinar
ia finalmente, pregata da Oreste, diede il foglio a Pilade. E temendo
che
quello potesse andare smarrito, gliene manifestò
do di rapire il simulacro della Dea, e di fuggirsene. Ifigenia finse,
che
i due stranieri, carichi di delitti, avessero col
loro presenza contaminato il tempio e il simulacro della Dea ; disse,
che
prima di sacrificarli conveniva purificare sì que
ea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva purificare sì quelli,
che
il simulacro nel mare ; e che a questa ceremonia
ficarli conveniva purificare sì quelli, che il simulacro nel mare ; e
che
a questa ceremonia non doveva assistere alcuno. C
i Menelao unì il regno di Spasta a quello d’Argo e di Micene. Dicesi,
che
sia morto d’una puntura di serpente, mentre viagg
ggiava per l’ Arcadia. Lasciò successore al trono il figlio Tisameno,
che
avea avuto da Ermione. (a). Pausania soggiunge, c
figlio Tisameno, che avea avuto da Ermione. (a). Pausania soggiunge,
che
gli Spartani, avendo ricevuto ordine dall’ Oracol
rta. Paride, come si è raccontato, gliela rapì. Menelao nella guerra,
che
per tale ragione si suscitò tra’Greci e i Trojani
la Greca Nazione ; ma poi al solo vedere Menelao talmente si atterì ;
che
si ritirò appresso i suoi. Ritornato al campo, sa
o finalmente amendue a singolare tenzone. Erasi proposto da Antenoré,
che
Elena e le ricchezze di lei fossero del vincitore
Questi voleva immolarla al suo risentimento, e alle ombre di coloro,
che
per causa di quella guerra erano periti ; ma cole
guerra erano periti ; ma colei seppe così bene perorare a sua difesa,
che
placò il marito, e ne fu rìcondotta a Sparta(f) (
e ne fu rìcondotta a Sparta(f) (1) (2). Quivi però non giunse Menelao
che
dopo otto anni, attesochè, partendo da Troja, ave
lei padre la maniera di restituirsi alla sua patria. Ella lo avvertì,
che
per farlo parlare, conveniva sorprenderlo addorme
arlo parlare, conveniva sorprenderlo addormentato, e legarlo in guisa,
che
non potesse fuggire. Menelao prese seco tre de’pi
elao quelle notizie, delle quali era ricercato(a). Erodoto riferisce,
che
Menelao appresso gli Egiziani si dimostrò molto b
nza. Sì orrida barbarie talmente lo rendetre odioso a tutto l’Egitto,
che
fu costretto a ritirarsi nella Libia(b). Menelao
muovere guerra a’Trojani, Tetide, la quale avea inteso da un Oracolo,
che
Achille sarebbe perito, se fosse intervenuto a qu
le aspetto e la bellezza del giovine talmente favorirono la finzione,
che
niuno seppe ravvisarlo. Dìmorando in quell’Isola,
celato agli occhi altrui. Tralle Fatalità di Troja, ossia tralle cose
che
doveano succedere, primachè quella città potesse
chè quella città potesse essere presa dalle armi nemiche, eravi pure,
che
i Greci non ne avrebbono mai trionfato, qualora t
le armi di ogni sorta. Tutte le giovani si scelsero le galanti merci,
che
più loro piacevano. Il solo Achille, sdegnando pe
lata Tetide nel vederlo a partire, gli procurò da Vulcano delle armi,
che
noa potevano essere abbattute da forza emana(b).
io di Ercole, e d’Auge, e re de’Misj ; perchè egli tentava d’impedire
che
i Greci passassero per le sue terre(6). Non trova
ire che i Greci passassero per le sue terre(6). Non trovavasi rimedio
che
guarisse quella ferita, quando Telefo venne final
uella ferita, quando Telefo venne finalmente instruito dall’ Oracolo,
che
lo avrebbe potuto risanare soltanto quell’arma st
’ Oracolo, che lo avrebbe potuto risanare soltanto quell’arma stessa,
che
lo avea colpito. Il re pertanto si riconciliò con
za co’ Greci, e seco loro marciò contro i Trojani(a). Claudiano dice,
che
Achille lo guari con un’erba, detta poi dal nome
Privò di vita Demuco, figlio di Filetore(b) ; Ennomo, celebre augure,
che
comandava i Misj(c) ; Laogono e Dardano, figliuol
n Pentesilea, regina delle Amazoni, la quale era di valore sì grande,
che
uguagliava i più celebri combattenti ; e che alla
era di valore sì grande, che uguagliava i più celebri combattenti ; e
che
alla testa di numerosa gente erasi portata in soc
(8), e nello spogliarla della sua armatura la osservò talmente bella,
che
ebbe dispiacere d’averla uccisa(e). Secondo un’an
ecolei, e ne avea avuto un figlio, di nome Caistro. Tersite, veggendo
che
Achille spandeva lagrime sol corpo di quell’Eroin
sol corpo di quell’Eroina, sgridò la di lui debolezza sì aspramente,
che
Achille con un pugno lo uccise(9). Achille mise p
tuno. Il corpo di colui era invulnerabile ; però Achille, osservando,
che
ogni suo colpo riusciva vano contro di quello, sc
o contro di quello, scese dal carro, e colla spada investì il nemico,
che
con intrepida fronte gli stava dinanzi. Il ferro
ora col manico della spada ammaccò la faccia e le tempie del nemico,
che
già cedeva e vacillava. Il vederlo avvilito e dep
liarlo delle armi, quando Nettuno trasformò Cicno in bianco volatile,
che
ritenne il suo primiero nome(b). Dopo questa memo
ca(a). Il non trovarsi più Achille a guerreggiare tra’suoi faceva sì,
che
gli affari loro andavano di male in peggio, talme
ro andavano di male in peggio, talmentechè Agamennone era d’opinione,
che
si spiegassero le vele a’venti, e si prendesse la
ace, Ulisse, e Fenice, figlio d’Amintore, re de’Dolopi, nell’Epiro, e
che
dopo Chirone era stato di lui precettore(10). Que
orioso. La morte finalmente di Patroclo soffocò in Achille lo sdegno,
che
nutriva contro Agamennone ; si riconciliò con lui
Greco nel voler impossessarsi di quella giovine ; ma gli Dei fecero,
che
la terra si aprisse, e la ingojasse(d). Achille s
campo un pomo. Eranvi scritti due versi, co’quali ella lo avvertiva,
che
ancor per poco avesse sofferenza, giacchè Ia di l
mancanza d’acqua. L’Eroe approfittò dell’avviso ; e quegli abitanti,
che
morivano di sete, non molto dopo gli aprirono lo
ma poi lungi dal mantenerla, ebbe tale orrore del tradimento di lei,
che
dopo d’aver conquistato Metimne, comandò a’suoi s
di lei, che dopo d’aver conquistato Metimne, comandò a’suoi soldati,
che
lapidassero la giovine in pena del suo delitto(b)
crittori sul fine d’Achille. La maggior parte però di loro asserisce,
che
Paride lo privò di vita. Allorchè Priamo andò a r
attato il tempio, eretto ad Apollo in Timbra. Non appena v’entrarono,
che
Paride, il quale erasi nascosto dietro la statua
iede, la quale non era stata bagnata dallo Stige(a). Ovidio poi dice,
che
Nettuno, sdegnato per la morte del suo figliuolo,
del suo figliuolo, Cicno, concepì implacabile odio contro Achille, e
che
pregò Apollo a prenderne vendetta. Il Nume, velat
e di lui Achillea (c), mentre prima si chiamava Lence(a). Plinio dice
che
colà non videsi mai volare alcun uccello(b). Essa
inse Ulisse, e a lui quindi fu la giovine accordata(d). Altri dicono,
che
la conseguì mediante il maneggio di Tindaro(4), i
quella guerra. Tralle varie stravaganze, le quali fece allora, dicesi
che
abbia preso a lavorare l’arena del mare con aratr
arena del mare con aratro, tirato da due animali di diversa spezie, e
che
in vece di grano sia andato seminandovi del sale.
alamede però, figlio di Nauplio, re dell’Isola d’Eubea(5) sospettando
che
non fosse vera la di lui pazzia, tolse dalle mani
ui, concepì fin da quel momento il pensiero di farlo perire. Avvenne,
che
Ulisse fu inviato da’ suoi nella Tracia per ripor
era di Priamo, in cui quel re ringraziava Palamede de’segreti avvisi,
che
aveagli dati, e gl’indicava la grossa somma di da
enza di tutto il Greco esereito venne lapidato(b) (6). Pausania dice,
che
Ulisse e Diomede annegarono Palamede, il quale st
tissimo a’ Greci nel tempo della guerra Trojana sì co’ suoi consigli,
che
col suo valore. Egli insieme con Diomede tolse a’
il quale erasi recato da Abido a difendere Troja(d). Sapeva altresì,
che
non poteasi vincere la città nemica, quando non s
e non poteasi vincere la città nemica, quando non si avesse impedito,
che
Reso, re di Tracia, si fosse unito a’ Trojani, e
avesse impedito, che Reso, re di Tracia, si fosse unito a’ Trojani, e
che
i di lui cavalli, di valore inestimabile, avesser
crarono, e parte ne misero in fuga. Privarono di vita lo stesso Reso,
che
dormiva, e ne condussero via i cavalli(a) (7). Ul
, e Molione, Principe Trojano, e cocchiero di Timbreo, altro Trojano,
che
perì sotto Diomede, figlio di Tideo(c). Privò pur
Noemone, e Pritani(e). Gli Auguri inoltre aveano dichiarato a’ Greci,
che
non mai avrebbono abbattuto la Trojana potenza, q
ll’Isola di Lenno, e da di là ricondusse al Greco campo Filottete(8),
che
adirato contro i Greci, perchè ivi lo aveano abba
asca, per cui videsi trasportato a quella parte della costa d’Africa,
che
abitavano i Lotofagi, così detti dal frutto, Loto
accolto da quelle genti molto cortesemente ; ma i compagni di lui, da
che
si cibarono dell’anzidetto frutto, perdettero del
o del tutto il desiderio di rivedere la loro citta ; e però fu d’uopo
che
Ulisse usasse molta forza per farli ritornare all
i carri, tirati da robusti buoi. Il Ciclope allo splendore del fuoco,
che
v’accese, s’avvide di que’forestieri, e due subit
si chiamava Niuno. E Niuno, soggiunse Polifemo, sarà dunque l’ultimo
che
mangierò. Il sagace Ulisse allora gli porse un ot
nno s’impadronì del Ciclope, il Greco Eroe piantò l’anzidetta stanga,
che
avea nascosto sotterra, nel di lui occhio. Polife
ui caverna, ansiosi di sapere, perchè così si dolesse. Colui rispose,
che
Niuno era la cagione de’ suoi mali. A tale rispos
isposta i di lui compagni lo eccitarono a pregare Nettuno, suo padre,
che
lo soccorresse. Non molto dopo il Ciclope, altame
animali, vennero fuori dell’antro, e ritornarono agli altri compagni,
che
li attendevano nelle navi. Il Ciclope allora all’
i, che li attendevano nelle navi. Il Ciclope allora all’udire Ulisse,
che
da lungi lo beffeggiava, svelse una cima di monte
, lasciò a’ suoi compagni il governo del naviglio. Queglino, credendo
che
nell’anzidetto otre vi si trovasse dell’oro, lo a
aprirono. Ne uscirono tosto con furore e veemenza sì grande i venti,
che
i Greci ne vennero spinti un’altra volta all’Isol
Eroe dopo sette giorni alla spiaggia de’ Lestrigoni, popoli selvaggi,
che
Omero denomina antropofagi, cioè mangiatori d’uom
la città di coloro si abbatterono i compagni d’Ulisse in una giovine,
che
andava ad attignere acqua alla fontana d’Artacia.
resso la Regina. Al vederlasi raccapricciarono, poichè era sì grande,
che
rassomigliava ad alta montagna. Colei chiamò il m
ì grande, che rassomigliava ad alta montagna. Colei chiamò il marito,
che
divorò subito uno di que’ Greci. I sudditi d’Anti
ose al saluto de’Greci, ma nello stesso tempo porse loro una bevanda,
che
li cangiò in porci. Uno solo di loro, chiamato Eu
gli diede un antidoto contro gl’incanti di Circe. Esso fu una pianta,
che
aveva nera la radice, e bianchi i fiori. Gli Dei
ntrò Ulisse con quella, e senza timore bevette alla tazza avvelenata,
che
Circe aveagli tosto offerto. Colei altresì stava
e le delizie, ma poi risolse d’abbandonare quel soggiorno. Prima però
che
partisse, Circe, come abbiamo detto anche altrove
o alla patria, e quanto dovea temere per causa dell’odio implacabile,
che
Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male,
dio implacabile, che Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male,
che
avea fatto a Polifemo, suo figlio(b). Ritomato Ul
di quelle. Egli stesso si fece legare all’albero della nave, eordinò
che
niun riguardo si avesse a lui, quando avesse rice
e, eordinò che niun riguardo si avesse a lui, quando avesse ricercato
che
lo sciogliessero. In tal modo evitò anche quel pe
ollera : le pelli di quegli animali si misero a camminare ; le carni,
che
si arrostivano, cominciarono a muggire ; e quelle
re ; le carni, che si arrostivano, cominciarono a muggire ; e quelle,
che
ancor erano crude, risposero a que’muggiti. I Gre
a, ma egli non mai v’acconsentì. Minerva finalmente ottenne da Giove,
che
Mercurio dichiarasse a Calipso essere volere degl
li due giorni e due notti ; e poscia Minerva mandò un vento propizio,
che
lo trasportò al paese de’Feaci, i quali abitavano
, i quali abitavano l’Isola di Corcira(a). Quì signoreggiava Alcinoo,
che
soleva ricolmare di favori qualsivoglia straniero
a di Alcinoo, si portò ivi a lavare alcuni panni. Il Greco al rumore,
che
colei colle sue serve faceva, si destò, e present
ma, le espose la trista sua sventura. Ella lo consolò, e assicurollo,
che
niente gli sarebbe mancato nel luogo, in cui si t
rovarsi in diversi giuochi. Laodamante, figlio del predetto re, volle
che
vi fosse ammesso anche Ulisse, e questi vi rimase
dagli stessi Feaci fu trasferito in Itaca(c) (17). Neppure uno vi fu,
che
lo riconoscesse, poichè Minerva, i aveva cangiato
improvviso cangiamento, non osava di mirarlo in volto, perchè credeva
che
fosse un Nume. Disingannato finalmente, narrò al
obili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise al figlio,
che
solo ritornasse alla Reggia, e che a niuno manife
ua casa. Ulisse commise al figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e
che
a niuno manifestasse il di lui arrivo(19). Egli p
Giunto al suo palagio, venne tosto riconosciuto da uno de’suoi cani,
che
portava il nome di Argo. Là i Nobili erano allora
ma si chiamava Iro, perchè era eccellente nel portare le ambasciate,
che
gli si commettevano. Costui insultò ad Ulisse, e
scia parlò a lungo con Ulisse senza mai conoscerlo(20). Ella comandò,
che
gli si lavassero i piedi, come soleasi praticare
niero. La vecchia Euriclea, nutrice d’ Ulisse, lo fece ; e fu allora,
che
lo riconobbe da certa cicatrice, rimastagli da un
enti ricerche de’suoi amanti, propose loro un giuoco, in cui promise,
che
chi vi sarebbe rimasto vincitore, avrebbe avuto i
, lo tese, e vinse nel giuoco(a). Allora si spogliò l’ Eroe de’cenci,
che
lo cuoprivano, armò la destra d’arco e di faretra
aretra, e contro gli amanti di sua moglie tali scoccò e tante frecce,
che
li fece tutti perire(21), nè altri lasciò in vita
tante frecce, che li fece tutti perire(21), nè altri lasciò in vita,
che
il cantore Femio, e Medone. Neppure la risparmiò
senza conoscerlo lo trafisse con una lancia(e). Ditti Cretese disse,
che
ciò avvenne alla porta del palagio d’Ulisse, le d
ato l’ingresso a Telegono(a). Ulisse si ricordò allora di un Oracolo,
che
lo aveva avvertito di guardarsi da un suo figliuo
ardarsi da un suo figliuolo. Ei tuttavia volle sapere chi era quello,
che
lo aveva ferito, e morì tralle di lui braccia. Te
a per ordine di Minerva sposò Penelope, e la rendette madre d’ Italo,
che
diede il suo nome all’Italia(b). Ulisse poi dopo
Italia(b). Ulisse poi dopo morte fu amoverato tra’Semidei(c). Dicesi,
che
desse Oracoli agli Euritani, popoli dell’Eolia(d)
asse meglio di lui l’asta(a) ; e con tanta destrezza muoveva le mani,
che
d cevasi averne tre(b). Era altresì agilissimo al
ro di lui lo sdegno degli uomini, e perfino degli Dei. Ulisse voleva,
che
fosse lapi dato ; e Ajace avrebbe per certo soggi
certi scogli, ma avendo poi osato d’ivi insultare agli Dei, dicendo,
che
loro malgrado avea schivato il periglio, l’anzide
n mare, seco vi trasse anche lui, e lo fece perire(a). Virgilio dice,
che
Minerva lo colpì con un fulmine, e che fattolo ra
fece perire(a). Virgilio dice, che Minerva lo colpì con un fulmine, e
che
fattolo rapire da un turbine in aria, lo attaccò
taccò ad uno scoglio(b). Nè contenta di tale vendetta, fece altre sì,
che
poco tempo dopo la peste desolasse il di lui regn
oja(c). Que’ di Locri ebbero sì alta stima del valore d’ Ajace Oileo,
che
nel combattimento, il quale ebbero dopo la di lui
feriro nel petto dall’ombra dello stesso Ajace, nè potè sisanarsene,
che
dopo aver placato quell’ Eroe, come aveagli detto
endo afflitto Telamone, perchè non avea alcun figliuolo, pregò Giove,
che
gliene cedesse uno. Il Nume comparve sotto la fig
cedesse uno. Il Nume comparve sotto la figura aquila, e gli annunziò,
che
Telamone avrebbe il bramato figlio. Così avvenne
bumbino, Ercole lo fasciò eolla pelle dell’ucciso I eone di Nemea lo
che
rendette il fanciullo invulnerabile in tutto il c
lla volta di Troja, e si qualificò per uno de’più valorosi guerri ri,
che
vi fossero nella Greca armata. Uccise Anfio, figl
di battersi con Ettore ma il conflitto restò interrotato dalla notte,
che
sopravvenne. L’uno e l’altro allora così si ammir
la notte, che sopravvenne. L’uno e l’altro allora così si ammirarono,
che
reciprocamente si fecero dei regali. Ajace riceve
e cadere vittima delle proprie mani. Egli, morto Achille, pretendeva,
che
sue fossero le armi di lui. Ulisse gliele contras
o, e le ottenne a confronto di lui. Ajace si accese di tanta collera,
che
divenne furioso. Si avventò contro una greggia di
itornato poi in se, e confuso sì pel furore, a cui erasi abbandonato,
che
per la vendetta fallita e derisa, tanto se ne cru
bbandonato, che per la vendetta fallita e derisa, tanto se ne cruciò,
che
preso nuovamente da brutale ferocia, imbrandì la
e cruciò, che preso nuovamente da brutale ferocia, imbrandì la spada,
che
aveva avuto da Ettore, e ritiratosi in solitario
in solitario luogo, si diede con essa la morte(a). Altri pretendono,
che
Ajace volendo per se il Palladio, tolto a’ Trojan
io, tolto a’ Trojani, minacciò d’uccidere que’ Capitani dell’ armata,
che
lo avevano in vece dato ad Ulisse ; ma Ajace il d
e il dì seguente si trovò morto nella sua tenda(b) (4). Altri dicono,
che
Ajace, combattendo contro Paride, ne riportò una
ostrarono tanto solleciti di tramandare a posteri la memoria d’Ajace,
che
ad una delle loro Tribù imposero il nome di Ajant
i, cangiato in cigno. Così avvenne ; e Giove si ritirò appresso Leda,
che
dopo tal fatro partorì un uovo, e da esso nacquer
o, e da esso nacquero Castore, Polluce, ed Elena. Alcuni soggiongono,
che
colei diede alla luce non uno, ma due uova, dall’
e, e dall’altro Elena, e Clitennenestra. Altri finalmente pretendono,
che
Leda abbia concepito per opera di Giove un solo u
a di Giove un solo uovo, da cui trassero origine Polluce ed Elena ; e
che
Tindaro poi abbia fitto divenire Leda madre di Ca
orella, Elena, ch’era stata rapita da Teseo ; e venuti in cognizione,
che
colei trovavasi in Afidna(2), assaltarono quella
fece morire Castore, e Polluce privò di vita Ida(a). Apollodoro dice,
che
Castore e Polluce si erano unin con Ida e con Lin
Polluce si erano unin con Ida e con Linceo per rubare certi greggi ;
che
questi, eseguito il furto, ricusarono di farne pa
e questi, eseguito il furto, ricusarono di farne parue con quelli ; e
che
perciò nacque l’anzidetto vicen devole omicidio(b
e perciò nacque l’anzidetto vicen devole omicidio(b). Alcuni dissero,
che
Polluce virimase ucciso ; ma comunemente si rifer
i dissero, che Polluce virimase ucciso ; ma comunemente si riferisce,
che
Polluce, il quale per essere figliuolo di Giove e
are tale privilegio anche all’estinto fratello ; ch’egli ottenne ciò,
che
ricercò ; e che quando uno di loro moriva, l’altr
gio anche all’estinto fratello ; ch’egli ottenne ciò, che ricercò ; e
che
quando uno di loro moriva, l’altro rinasceva(c).
nefici, conservatori, perchè quando presero Afidna, non vollero però,
che
quella città avesse a sofferire alcun danno dalle
, e sempre battute da’ flutti del mare, si conservavano immobili : lo
che
risguardavasi come un perpetuo prodigio(b). Agli
ità(c) (6). Si tennero in grande venerazione anche appresso i Romani,
che
li riconobbero come loro Divinità tutelari, e fab
ia chiamavasi il tempio di Castore. Aulo Postumo Dittatore fece voto,
che
se avesse potuto trionfare de’ Latini, i quali si
ci Polideuce(b). Castore e Polluce si rappresentano come due giovani,
che
d’ordinario starmo a cavallo, con berretta in tes
o, uniti fra loro co’ vincoli della più stretta amicizia, meritarono,
che
Castore e Polluce cagionassero la rovina de’ loro
o tali sembianze comparvero all’ improvviso nel campo degli Spartani,
che
celebravano la Festa de’ Dioscori. Quelle genti c
tani, che celebravano la Festa de’ Dioscori. Quelle genti credettero,
che
fossero i Discori stessi, discesi a godere delle
ero, che fossero i Discori stessi, discesi a godere delle allegrezze,
che
si facevapo a loro onore. Panormo e Gonippo lasci
legrezze, che si facevapo a loro onore. Panormo e Gonippo lasciarono,
che
gli Spartani si accostassero ad essi, e ne uccise
e uccisero un gran numero. Per causa di sì reo tradimento ne avvenne,
che
Castore e Polluce fecero poi e sperimentare a tut
lto sotte le rovine della sua stanza. All’ opposto un certo Simonide,
che
aveva formato l’elogio delle stesse Divinità, ne
insidie di un suo genero. A fine dunque di liberarsi da tutti quelli,
che
gliela ricercavano in moglie, propose di darla a
carro, tirato da velocissimi cavalli ; e nello stesso tempo dichiarò,
che
la morte sarebbe la pena del vinto(2). Lo spazio
to. Chi aspirava al possesso d’Ippodamia, doveva precederne il padre,
che
lo inseguiva con un’asta alla mano(d) (3). Pelope
ati(b). Mirtilo, corrotto dalle generose promesse di Pelope, fece sì,
che
Enomao precipitò dal carro, e ne rimase ferito a
di morire espresse varie imprecazioni contro Mirtilo, e tralle altre,
che
restasse ucciso da Pelope. Avvenne, che essendo I
ntro Mirtilo, e tralle altre, che restasse ucciso da Pelope. Avvenne,
che
essendo Ippodamia molestata dalla sete, Pelope si
quale mare prese pol il nome di Mirtoo(d) (6). Istro lasciò scritto,
che
Mirtilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli
Mirtoo(d) (6). Istro lasciò scritto, che Mirtilo era uomo bellicoso ;
che
pretendeva egli Ippodamia in moglie ; e che perci
tilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli Ippodamia in moglie ; e
che
perciò essendo venuto alle mani con Pelope, ne re
lle mani con Pelope, ne restò vinto(e). Altri finalmente soggiungono,
che
Pelope gettò in mare Mirtilo, perchè questi con g
premio dell’operato tradimento(f). Pelope così ampliò il suo dominio,
che
tutto il paese, il quale era al di là dell’Istmo,
inano Atreo, Tieste(7), Alcatoo(8), e Crisippo. Il fine di Pelope fu,
che
il padae suo, come già abbiamo detto, lo fece in
spazio di terreno vicino al tempio di Giove in Olimpia. Si aggiunge,
che
quell’ Eroe gli sacrificò un montone nero sopra u
nge, che quell’ Eroe gli sacrificò un montone nero sopra una fossa, e
che
i Magistrati si recavano nel medesimo luogo a far
a)nominata Epicastà. L’Oracolo d’Apollo Delfico avea predetto a Lajo,
che
il figliuolo, il qualegli nascerebbe, lo avrebbe
di sospenderlo in vece ad un albero sul monte Citeroné. Sorte volle,
che
aliro pastore, di nome Forba, per là passando, od
fattole dagli Dei, gli si affezionò ; lo fece allevare non altrimenti
che
se fosse stato suo figliuolo, e gl’impose il nome
libo. Consultò l’Oracolo per sapere, qual’era il suo padre, e ne udì,
che
lo avrebbe trovato nella Focide. Intraprese quind
in cui era insorta tra quegli abitanti forte sedizione, uccise Lajo,
che
procurava di sedarne il tumulto(a) (1). Creonte,
be la propria corona, e darebbe eziandio in moglie Giocasta a quello,
che
avesse liberato la di lui città dalla Sange. Ques
. Tra i varj enimmi si fa menzione di questo : qual’ è quell’animale,
che
la mattina ha quattro piedi, due sul mezzodì, e t
ebano suolo desolatrice peste. Se ne consultò l’Oracolo, e se ne udì,
che
il crudele flagello non sarebbe cessato ; finchè
ne fece subito le più diligenti perquisizioni, e dal Pastore stesso,
che
lo avea salvato sul monte Citerone, seppe ch’egli
uccisore. Inorridì, il re a tale racconto, e molto più quando intese,
che
Giocasta era sua madre(c). E perchè costei pel do
Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e sì arrogante,
che
si credeva piucchè uomo(a). Egli voleva scalare l
ebe. Gli abitanti di quella città gli scagliarono contro tanti sasti,
che
rimase sepolto sottò di quelli. Immaginarono quin
tà, quand’anche Giove, e qualsisia altro Nume gli si fosse opposto, e
che
in pena di tanto ardire Giove lo avesse colpito c
i fulmini(b). Fu quindi considerato anche dagli uomini come un empio,
che
avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo
osato Evadne, figlia d’Ifide. Colei fece conoscere l’eccessivo amore,
che
nutriva per lui, e diede di se medesima un grande
arao Anfiatao fu figliuolo d’Ecleo e d’Ipermnestra(f). Altri dicono,
che
il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Mela
i dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Melampo, e
che
per altro sia stato creduto figlio d’Apollo, perc
de’ sogni, come altri riferiscono. La sua scienza gli fece prevedere
che
sarebbe operito nella guerra Tebana. Per sottarse
, di uccidere Deifile, tostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi,
che
il primo giorno, in cui Anfiarao erasi portato al
s’avvide d’un sottoposto precipizio, e vi perì(c). Altri pretendono,
che
mentre con tutta fortezza combatteva, la terra si
hiere(d). Egli dopo morte fu ascritto tra’ Semidei(e). Pausania dice,
che
fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ A
ritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e
che
gli Oropj nell’ Attica gli eressero un magnifico
timazione, ed era annoverato tra’ principali della Grecia(g). Coloro,
che
lo consultavano, doveano prima digiunare per lo s
dormivano poi sulle pelli delle vittime ancor fomanti, e attendevano,
che
il Nume dicifrasse loro in sogno gli eventi dell’
sogno non presentava facilmente la spiegazione a’ ministri, si faceva
che
quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
o eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi,
che
fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitt
ume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia,
che
si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, ch
e sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana,
che
Erifile aveva ricevuto da Adrasto in dono. Non po
in dono. Non potendo poi trovare appresso Fegeo l’opportuno rimedio,
che
lo liberasse dal furore, ond’era oppresso, per co
ava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove,
che
i di lei piccoli figliuoli, avuti da Alcmeone, di
figliuoli, avuti da Alcmeone, divenissero in un istante così grandi,
che
avessero potuto effettuare ciò, ch’ella bramava.
tura, uccisero il serpente, salvarono, Ipsipile dalle mani di Licurgo
che
voleva farla morire, abbruciarono il cospo di que
,(8). Tideo per ordine di Adrasto si portò ad Eteocle, e ne esigette,
che
cedesse la corona al suo fratello, Polinice. Eteo
strada, per cui quegli dovea ritornarsene in Argo, cinquanta armati,
che
lo privassero di vita. Capi di coloro furono Meon
Autofono. Tideo, assistito da Pallade, se ne difese con tanto valore,
che
non lasciò vivi di coloro, se non Meone, affinchè
e. Eccocle del pari distribuì i suoi più valorosi guerrieri in guisa,
che
da ogni parte potesse difendersi nello stesso tem
fine la mentovata guerra. Dieci anni dopo i figliuoli di quegli Eroi,
che
in quella erano periti, presero nuovamente Ie arm
rao, cinsero Tebe d’assedio. Eglino furono detti Epigoni, voce Greca,
che
significa nati dopo (e). Tra loro molto si distin
neo(a). I Tebani finalmente restarono vittoriosi mercè il sacrifizio,
che
fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predet
e fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predetto a quelle genti,
che
felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici,
scì colla spada alla mano, e se la immerse nel seno a vistandi tutti,
che
ammirarono la generosità di lui, il quale preseri
rcole, guerreggiavano contro gli Orcomenj. L’Oracolo avea annunziato,
che
la vittoria sarebbe stata pe’ Tebani, se il citta
opo la morte di Eteocle sul di lui trono, proibì sotto pena di morte,
che
fossero sepolti gli Argivi, rimasti morti in quel
sti morti in quella guerra, e perfino lo stesso Polinice, come quello
che
n’era stato il promotote(10). Argia, vedova di Po
morire Argia, e condannò. Antigona ad essere sepolta viva. Fu allora,
che
Ismene, sua sorella, corse ad incontrare lo stess
però non soggiacque alla bramata pena, perchè Antigona accertò il re,
che
la sua sorella non avea avuto secolei parte alcun
l bene. I Greci diedero alla Virtù il nome di Arete. I Poeti finsero,
che
fosse figliuola di Prassidice, altra Dea, che mos
Arete. I Poeti finsero, che fosse figliuola di Prassidice, altra Dea,
che
mostrava agli uomini i giusti limiti, entro a’qua
vo tempio, il quale era sì unito con un altro, fabbricato all’ Onore,
che
non si poteva penetrare in questo, se non si pass
non si poteva penetrare in questo, se non si passava per quello : con
che
voleasi esprimere, che la vera ed unica via di pr
in questo, se non si passava per quello : con che voleasi esprimere,
che
la vera ed unica via di procacciarsi onore è la v
a medesima veniva figurata in quello qual regina, di pallido aspetto,
che
teneva le virtù sotto i suoi piedi(a). La Virtù
e una corona d’alloro, o una palma, perchè l’uno e l’altra, in quanto
che
sempre verdeggiano, danno a divedere, che non alt
l’uno e l’altra, in quanto che sempre verdeggiano, danno a divedere,
che
non altrimenti la Virtù è in ogni tempo la medesi
i da veruna avversità abbattuta. Prudenza. La Prudenza è virtù,
che
fa conoscere od operare ciò, che conviene. Le sag
Prudenza. La Prudenza è virtù, che fa conoscere od operare ciò,
che
conviene. Le saggie direzioni e misure, che prend
conoscere od operare ciò, che conviene. Le saggie direzioni e misure,
che
prende il Prudente per guardarsi da quel, che pot
gie direzioni e misure, che prende il Prudente per guardarsi da quel,
che
potrebbe nuocerlo, e per seguire quel, che può gi
nte per guardarsi da quel, che potrebbe nuocerlo, e per seguire quel,
che
può giovargli, vengono espresse dal Compasso e da
he può giovargli, vengono espresse dal Compasso e dall’ Archipenzolo,
che
questa Virtù tiene nella, destra. E’pur necessari
ace. Davansi a questa Dea anche due faccie, colle quali dimostravasi,
che
le azioni di lei sono dirette dalla considerazion
ne del passato, e dalla previsione del futuro. I serpenti finalmente,
che
talvolta le stano d’appresso, co’loro, varj cangi
che talvolta le stano d’appresso, co’loro, varj cangiamenti indicano,
che
il Prudente s’adatta alle varie circostanze, in c
gione ; per cui nelle difficili emergenze si prende piuttosto questa,
che
quella deliberazione. L’aspetto del Consiglio è s
le, perchè la veochiaja, ammaestrata dall’esperienza, conosce meglio,
che
qualsivoglia altra età, quali azioni si deono ope
o per sostenere maggiormente la loro gravità. Si voleva far intendere
che
l’utile consiglio nasce non solo dall’esperienza,
o essere sacro a Minerva, Dea della sapienza. Si potrebbe anche dire,
che
siccome questo uccello, girando quà e là di notte
riuscire uomo di sani consigli, conviene ch’egli mediti di notte ciò,
che
dee risolvere il giorno, giacchè nel silenzio del
rapidissimo. Sono pertanto da questa Divinità calcati, per avvertire,
che
ne’consigli si deve deporre lo sdegno, perchè que
, con cui non solo si prevede ; si discerne, e si schiva il pericolo,
che
può soprastare, ma si sa inoltre distinguere e im
sua natura dorme pochissimo, ed è di sorprendente ingegno : qualità,
che
si devono trovare nell’uomo accorto, affinchè niu
ne appresso di se. La cura de’beni proprj o degli altrui non s’impara
che
coll’esperienza, e questa non s’acquista che col
egli altrui non s’impara che coll’esperienza, e questa non s’acquista
che
col progresso degli anni. Il compasso dimostra, c
ta non s’acquista che col progresso degli anni. Il compasso dimostra,
che
ciascuno dee misurare le proprie facoltà, e secon
prendere le spese. Il timone risveglia l’idea della saggia direzione,
che
deo coltivare l’Economo per promuovere la felicit
. Questo suole raspare, finchè tra gl’inutili grani ha scelto quelli,
che
gli servono di cibo. Il Diligente del pari va esa
bo. Il Diligente del pari va esaminando le cose, finchè trova quelle,
che
gli ridondano a maggiore utilità. Parsimonia.
are ragionevolmente, e superave con animo costante quelle difficoltà,
che
sogliono accompagnare le utili, grandi, ed oneste
raccio uno scudo, di cui essendo proprio il rintuzzare l’arma nemica,
che
vorrebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’
ebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’animo invitto del forte,
che
respinge i danni, i quali potrebbono essergli rec
i potrebbono essergli recati. Nel mezzo di quello scudo v’è un leone,
che
si azzuffa con un cinghiale. Di questi du animali
velocità, con cui l’ Emulo cerca di pareggiare e oltrepassare coloro,
che
operano il bene. L’ Emulazione punge altresì in c
resì in certa guisa chi la coltiva, e lo incita a procurarsi il bene,
che
negli altri ravvisa : del che n’è viva espression
tiva, e lo incita a procurarsi il bene, che negli altri ravvisa : del
che
n’è viva espressione sì lo sprone, che il fascett
che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione sì lo sprone,
che
il fascetto di spine, di cui n’è ella adorna.
onte cinta d’alloro, perchè di questo anticamente si ornavano quelli,
che
pe toro meriti erano degni di gloria e onore. Que
spighe, e de’papaveri(b). Magnanimità. La Magnanimità è virtù,
che
modera gli affetti dell’animo, che sostione con i
nimità. La Magnanimità è virtù, che modera gli affetti dell’animo,
che
sostione con indifferenza i prosperi e i tristi e
’animo, che sostione con indifferenza i prosperi e i tristi eventi, e
che
intraprende altre ardue e straordinarie virtù. Qu
un leone. Siccome il primo di tali animali non si duole delle saette,
che
contro di lui si avventano ; così il Magnanimo no
che contro di lui si avventano ; così il Magnanimo non cura i disagi
che
gli sovrastano, nè si turba al momento di dover s
qualsivoglia malagevole impresa ; e il Magnanimo del pari opera ciò,
che
agli altri non sembra possibile a farsi. Vitto
sembra possibile a farsi. Vittoria. La Vittoria è il vantaggio,
che
si riporta nella guerra, o ne’particolari combatt
b). I Romani pure eressero alla Vittoria un tempio durante la guerra,
che
avevano co’Sanniti sotto il Consolato di L. Postu
es] [page 302 et 303 manquantes] Vittoria. La Vittoria è virtù,
che
ci fa rendere a Dio, a noi medesimi, e agli altri
la fece ritorno al Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco,
che
si chiama la Vergine(a). Augusto le fabbricò un t
mi veramente regnò nella Tessaglia, e fu di tanta saviezza ed equità,
che
si disse essare nata dal Cielo e dalla Terra(c).
racolo, ch’ella aveva sui monte Parnasso insieme colla Dea Tellure, e
che
poi cedette ad Apollo. Temi aveva altresì un altr
e, nel di cui ingresso si vedeva la tomba d’Ippolito(d). Esiodo dice,
che
Temi è la madre non solo delle Ore, ma anche dell
o dell’Oceano e della Notte. Essa fu anche detta Adrastia da Adrasto,
che
fu il primo a dedicarle un tempio. Gli Egiziani d
lebrarono pure le Nemesee, ch’erano feste lugubri, perchè si credeva,
che
questa Dea proteggesse i morti, e vendicasse le i
e con una spada nella sinistra : simboli, co’ quali si fa intendere,
che
questa Deità pesa in certa guisa le azioni, e com
le statue di questa Dea senza testa, volendo in tal modo significare,
che
il giudice dee spogliarsi de’ proprj sentimenti p
che il giudice dee spogliarsi de’ proprj sentimenti per eseguire ciò,
che
dalle leggi venne stabilito. Pietà. La Piet
ione. Là per mezzo d’una tavola si ricordava la bella azione di pietà
che
operò una figlia verso sua madre. Valerio Massimo
itale delitto, era stata condannata dal Pretore a morte. Il Triumviro
che
doveva eseguirne la sentenza, preso da compassion
tupì il Triumviro ; e rintracciandone la cagione, finalmente scuoprì,
che
la figlia alimentava del proprio latte la madre.
raccontò il fatto al Pretore, e l’ero ca azione della figlia ni ritò,
che
fosse ridonata la libertà alla madre. Si volle in
a ni ritò, che fosse ridonata la libertà alla madre. Si volle inotre,
che
la carcerel, ov’era stata rinchiusa, fosse conver
’era stata rinchiusa, fosse convertisa in tempio, sacro alla Pietà, e
che
le due femmine venissero alimentate dal pubblico
che le due femmine venissero alimentate dal pubblico erario. Notisi,
che
Fesso in vece di una madre nomina un padre(a). Ta
dre nomina un padre(a). Tale Tradizione fu seguita anche da’ pittori,
che
rappresentanono il predetto fatto. Difatti la ste
ente appresso questa Dea la Cicogna, perchè i Romani aveano opinione,
che
questo uccello nutrisse il padre e la madre, qual
ti vecchi(d). Pudicizia. La Pudicizia è un delicato sentimento,
che
ci fa evitare tutto ciò, che può offendere l’ones
La Pudicizia è un delicato sentimento, che ci fa evitare tutto ciò,
che
può offendere l’onestà. Questa Dea ebbe due tempj
rcole, era sacro alla Pudicizia Patrizia, ossia delle Dame ; l’altro,
che
fu eretto da Virginia, figlia di Aulo, era dedica
usarono di tutti i mezzi per farnela uscire. Virginia poi giudicava,
che
non meritasse alcuna taccia l’essersi ella sposat
ere distinte da esse per causa della loro nobiltà(a). Festo pretende,
che
il tempio della Pudicizia Patrizia sia stato alza
della Pudicizia Patrizia sia stato alzato da’ discendenti d’Ercole, e
che
non fosse permesso alle donne, le quali aveano av
quella Dea(b). Ciò s’accorda con Valerio Massimo, il quale riferisce,
che
gli Antichi risguardavano come donne pudiche quel
e riferisce, che gli Antichi risguardavano come donne pudiche quelle,
che
non passavano a seconde nozze, e consideravano la
prontezza nell’eseguire i voleri degli altri. Ha in mano un filatojo,
che
si aggira da tutte le parti. Ciò dimostra, che no
a in mano un filatojo, che si aggira da tutte le parti. Ciò dimostra,
che
non è diverso l’animo dell’uomo obbediente a’ cen
a. Sta a canto di lei un cane, perchè questo è animale sì ubbidiente,
che
famelico perfino si astiene dal cibo, qualora gli
lo comandi il suo padrone. Beneficenza. La Beneficenza è virtù,
che
promuove il bene altrui senza oggetto di ricompen
isa di chi danza. Esse esprimono le tre sorta di benefattori : quelli
che
beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli
esprimono le tre sorta di benefattori : quelli che beneficano, quelli
che
contraccambiano, e quelli che fanno l’una e l’alt
fattori : quelli che beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli
che
fanno l’una e l’altra cosa. Le introcciate mani p
a e l’altra cosa. Le introcciate mani poi delle medesime significano,
che
i benefizj sogliono passare dall’uno nell’altro,
ece. La Beneficenza comparisce anche colle ali, le quali ammaestrano,
che
chi vuole esercitare questa virtù, dee farlo con
avendo fatto preda d’una Lepre, la tine sotto gli artigli, e lascia,
che
se ne pascano verj altri uccelli di rapina. Li
i a proporzione delle proprie forze si somministra agli altri ciò, di
che
abbisognano. La veste di questa Dea è bianco, per
endo considerato tra tutti il più semplice, è opportuno ad insegnare,
che
questa Virtù dey’essere pura, nè mai diretta dal
ale. Concordia. La Concordia è l’unione della volontà di molti,
che
vivono insieme. I Greci la denominano Omonia, ovv
o delle quali era di ristabilire l’unione tralle famiglie. Al pranzo,
che
al momento di quelle si faceva, non ammettevasi a
e di grano adornano la mano di questa Dea, per indicare l’abbondanza,
che
dalla Concordia suole derivare. Talora stringe un
entasi anche per mezzo di due mani, congiunte insieme. E quì si noti,
che
ogni parte del corpo umano, separatamente presa,
numenti, la maggior parte de’ quali altro non ci esibisce agli occhi,
che
teste e mani. Queste mani, oltrechè esprimevano a
Plutarco. I Romani poi le eressero il più grande è magnifico tempio,
che
vi fosse tra loro. Questo fu cominciato dall’Impe
alemme(a). Questo era pure il tempio, in cui si raccoglievano coloro,
che
professavano le Belle Arti, affinchè la presenza
a Concordia(d). La Pace è coronata di spighe, simbolo dell’abondanza,
che
si produce e si mantiene per mezzo di essa. I Gre
ianca per dimostrare la loro interna allegrezza. E perchè niente v’è,
che
più rallegri, quanto la pubblica pace, la quale p
ceo. La dolcezza del frutto di quell’albero caratterizza la dolcezza,
che
nasce dalla pace : e una corona, o un ramo d’uliv
rona, o un ramo d’ulivo faceva riconoscere a’ Greci gli ambasciatori,
che
recavansi a chiedere o ad apportare la pace. Il c
ntavano in atto di tenere tralle braccia Pluto bambino, per indicare,
che
le ricchezze nascono dalla pace(a). Verità.
le ricchezze nascono dalla pace(a). Verità. La Verità è virtù,
che
afferma il vero, e nega il falso. Ella dicevasi d
in atto d’addittare il Sole, e dì mirarsi ella stessa in quello : con
che
voleasi indicare, che la verità è amica della luc
Sole, e dì mirarsi ella stessa in quello : con che voleasi indicare,
che
la verità è amica della luce chiarissima, la qual
sità. Ella tiene nella destra un oriuolo, con cui si dà ad intendere,
che
la verità col decorso del tempo si manifesta. Dem
, che la verità col decorso del tempo si manifesta. Democrito diceva,
che
questa Virtù giace d’ordinario nel fondo d’un poz
porgere graziosamente un cuore dinota l’integrità dell’uomo sincero,
che
manifesta a tutti il suo animo. Riprensione.
ingua, nella ; di oui cima v’ è un occhio. Quella e questo avvertono,
che
quegli, il quale riprende, dev’ essere circospett
spetto ne’suoi detti. Amicizia. L’Amicizia è amore vicendevole,
che
nasce tra due o più persone in conseguenza delle
cendevole, che nasce tra due o più persone in conseguenza delle virtù
che
in esse si ritrovano. I Greci la chiamavano Filia
cchia mai, ed è sempre la medesima ; a capo scoperto, per dimostrare,
che
l’amico niente occulta all’ altro amico ; in cand
suoi sentimenti. Sulla fronte porta scritto l’estate e l’inverna : la
che
significa, che l’amicizia si mantiene eguale e ne
. Sulla fronte porta scritto l’estate e l’inverna : la che significa,
che
l’amicizia si mantiene eguale e nelle prospere e
i lei veste leggonsi queste parole : la morte e la vita : ciò indica,
che
l’amicizia serbasi la stessa anche dopo morte, co
o sottintese. Soleasi chiamare tale Divinità in testimonio de’ patti,
che
si stabilivano. Il giuramento, che per Lei si fac
Divinità in testimonio de’ patti, che si stabilivano. Il giuramento,
che
per Lei si faceva, era uno de’ più inviolabili. N
Egli fu il primo ad ergerle un tempio, e a stabilirle dei sacrifizj,
che
doveano essere fatti a spese del pubblico, e senz
a virtù. Qualche volta viene rappresentata per mezzo di due figurine,
che
si danno la mano l’una coll’ altra, per indicare
i danno la mano l’una coll’ altra, per indicare l’unione delle genti,
che
reciprocamente si serbano fedeli. Talora ha in ma
ente tale. Dimostrasi questa Divinità cogli occhi fissi in terra : lo
che
indica l’interna cognizione, che si forma l’umile
nità cogli occhi fissi in terra : lo che indica l’interna cognizione,
che
si forma l’umile, della bassezza de’ proprj merit
ezze, alle quali potrebbe aspirare. Empietà. L’Empietà è vizio,
che
inveisce contro le cose più sacre, quali sono la
ce, e la rivoglie ad abbruciare un Pellicano co’ suoi figliuoli : con
che
vuolsi indicare, che le azioni dell’ empio tendon
abbruciare un Pellicano co’ suoi figliuoli : con che vuolsi indicare,
che
le azioni dell’ empio tendono sempre alla distruz
Vizio ha uno specchio, in cui si contempla : il quale atto vuol dire,
che
il Superbo si rappresenta bello e buono a se mede
enta bello e buono a se medesimo ; e vagheggiando soltanto quel bene,
che
crede esservi in se stesso, non riflette poi mai
li altri vizj. Lusso. Il Lusso è un raffinamento in tutto quel,
che
concerne i comodi e piaceri di questa vita. Esso
, dagli amatori di queste ne ritraggono poi doviziose ricompense : lo
che
esprimesi dal cornucopio, versato sopra i poveri
nucopio, versato sopra i poveri tetti. E’ finalmente il Lusso quello,
che
in ispeziale guisa produce il dissipamento delle
voglia azione. Questo Vizio dipingesi giovane, perchè è questa l’età,
che
più d’ogni altra lo coltiva. Tiene nella destra u
ene nella destra una maschera, perchè l’Affettato s’allontana da ciò,
che
gli è naturale, per cercare in un’aria, presa ad
di rendersi ridicolo. La stessa cosa viene dimostrata dalla Scimmsa,
che
sta a’ piedi dell’ Affettazione. Vendetta.
ui. Si morde un dito della mano : il qual atto suole essere il segno,
che
danno coloro, i quali prendono la risoluzione di
nquietudine, nata dal timore di perdere qualche bene, o dal sospetto,
che
altri ne partecipino. Riguardo a questo Vizio è f
l solito, lo rapì, e fece ogni sforzo per induslo ad amarla. Ma egli,
che
sempre aveva Procride sulla boccà e nel cuore, no
ta minaccia destò nell’ animo di Cefalo forte turbamento. Ei temette,
che
la di lui lontananza avesse prodotto qualche cang
senza essero conosciuto da alcuno, nella sua casa, trovò la consorte,
che
piangeva, e doleasi di vedersi da lui divisa. A t
easi di vedersi da lui divisa. A tale vista talmente egli s’intenerì,
che
detestando il suo malnato capriccio, si mosse per
stando il suo malnato capriccio, si mosse per abbracciarla. Procride,
che
non ancor lo avea riconosciuto, lo rigettò con ir
e saputo resistene all’incanto delle offerte e de’ vezzi. Procride, o
che
la appagasse la sincerità de’ di lui sentimenti,
i. Procride, o che la appagasse la sincerità de’ di lui sentimenti, o
che
la scuotesse il rammarico di vederlo in angustie,
sentimenti, o che la scuotesse il rammarico di vederlo in angustie, o
che
finalmente la confessione della di lui debolezza
la confessione della di lui debolezza raddoleisse il rincreseimento,
che
le cagiona, va la rimembranza della sua, lo strin
dolce concordia. Ma Procride anch’ ella poi fu presa da tale gelosia,
che
la ridusse a morte. Ella, come abbiamo raccontato
o la rimandasse, nella mano stessa, da cui era stata vibrata. Cefalo,
che
amava anch’egli moltissimo la caccia, si portò un
tò un giorno sul nascere del Sole nella foresta coll’ asta solamente,
che
avea ricovoto in dono dalla sposa. Non vibrava co
e, che avea ricovoto in dono dalla sposa. Non vibrava colpo con essa,
che
andasse a vuoto : cosicchè sazio della strage di
va riposo all’ ombra degli alberi, e ricreavasi al fresco dell’ aura,
che
usciva dalle gelide valli. Se talora quella non s
o nome di aura un non so chi sfaccendato e maligno ; e immaginandosi,
che
quest’ aura fosse una Ninfa, corse ad avvisarne P
seguente ripigliò Cefalo il consueto esercizio, niente accorgendosi,
che
da lungi lo seguiva la sposa. Grondante alfine di
rire il nome d’aura udì, o parvegli d’udire una voce come di persona,
che
piangeva ; ma non ne fece caso, e continuò a chia
alcune frondi, cadute dà un albero con istrepito, gli fecero credere,
che
fosse qualche fora. Scoccò lo strale verso il luo
a frasca avea fatto rumore. Un lagrimevole gemito gli fece intendere,
che
bersaglio del colpo era stata la sua Procride Pre
le di lui braccia, e non molto dopo esalò lo spirito(a). V è chi dice
che
Procride erasi ritirata non ne’ boschi ; ma in Cr
ella foresta, mentre i cani di Cìanippo inseguivano un cervo. Quelli,
che
avevano perduto la traccia della fieta, incontrar
spine. Il predetto colore della veste rassomiglia a quello del mare,
che
non è mai tranquillo. Tal’è il carattere del Gelò
e le orecchie, sparsi sulla medesima veste, indicano l’assidua cura,
che
ha il Geloso, d’osservare ogni atto, anche il più
gelosissimo. Le spine finalmente manifestano i fastidj e le angustie,
che
di continuo pungono in certa guisa l’animo geloso
esta pianta va sempre ascendendo, e rompe bene spesso le mura stesse,
che
la sostengono. Non altrimenti l’Ambizioso non la
’Ambizioso non la perdona a chicchessia, purchè possa consoguire quel
che
’desidera. L’Ambizione ha le ali al dorso, e i pi
ia eccellenza, affine d’essere più degli altri onorato. Le due corna,
che
la Vanagloria ha in testa, indicano, d’ essa suol
e bestialità. Sopra le medèsime corna evvi il fieno : e ciò dimostra,
che
come quello ne’prati quasi baldanzosamentè verdeg
la sinistra un filo, con cui è legata una Vespa. Questa è un insetto,
che
manda un suono molto rimbombante, e si rassomigli
nè sa formarsi gli utili favi. Esso quindi qualifica il Vanaglorioso,
che
colle sue parole di vanto fa molto strepito, ma d
isobbedienza trae d’ordinario la sua origine. V'è in terra un Aspide,
che
con un orecchio preme il terreno, e chiude l’altt
n orecchio preme il terreno, e chiude l’altto colla coda. Il surarsi,
che
fa l’animale in tale guisa le orecchie per non ud
esto Vizio sta inoltre colla mano alta, mostrando il dito indice : lo
che
dichiara la tenacità, con cui l’Arrogante coltiva
sappaovate. Indocilità. L’Indocilità è resistenza nel fare quel
che
si dovrebbe. Sta sul di lei capo un velo nero, p
perchè ques colore, come non è suscettibile d’alcun altro, dimostra,
che
l’Indocile pure non è capace di sottome tersi a v
ù beve ; non altrimenti l’Avarizia cresce in chi la coltiva, a misura
che
si moltiplica in mano di lui le ricchezze. Questo
di densa notte, ed ha nella destra un’arma. E’giovine, per indicare,
che
l’imprudenza e temerità, solite a trovarsi ne’gio
ri. E’ pallido, perchè vive in continuo timore d’essere scoperto : lo
che
esprimesi anche dalle orechie di Lepre ; animale
e fanno i ladri. Le braccia e i piedi ignudi dimostrano la destrezza,
che
sogliono avere i ladri. Sta in mezzo a buja notte
tà tiene una Coturnice in mano. Quell’animale è di sì pessima natura,
che
dopo aver esso bevuto, intorbida il restante dell
uto, intorbida il restante dell’ acqua, onde altri non ne bevano : lo
che
suole operare anche il Maligno. Crudeltà La
; ed ha poi il sinistro braccio esteso colla mano aperta. Ciò indica,
che
questo vizio toglie ad uno per dare all’altro, qu
bbe essere eguale con tutti. Ella guarda verso la parte sinistra : lo
che
significa, che il Parziale non ha l’animo retto,
le con tutti. Ella guarda verso la parte sinistra : lo che significa,
che
il Parziale non ha l’animo retto, nè rivoglie la
assione. La Parzialità finalmente conculca due bilance, per mostrare,
che
non cura la giustizia Bugia La Bugia è asse
stita dimostra, ch’Ella colla sua arte s’industria di persuadere ciò,
che
non è, o di dissuadere ciò, ch’è. Il colore cangi
ngiante, le maschere, e le lingue Indicano l’incostanza del Bugiardo,
che
nel suo favellare dà diverso aspetto alle cose on
suoi discorsi scuopra se stesso La Bugia è zoppa, per alludere a ciò,
che
volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe co
stesso La Bugia è zoppa, per alludere a ciò, che volgarmente si dice,
che
cioè essa ha le gambe corte : vale a dire che in
he volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe corte : vale a dire
che
in breve viene riconosciuta per quella ch’è. Il f
riconosciuta per quella ch’è. Il fascetto di paglia accesa significa,
che
come quel fuoco presto s’accende, e presto anche
o altresì svanisce. Gola. La Gola è smoderato desiderio di ciò,
che
spetta al gusto. Si figura col collo lungo, e con
ghezza del collo allude a Filostene Ercinio. Costui era tanto goloso,
che
desiderava d’avere il collo di gru, per godere pi
re questo gli discendeva nel ventre. Il colore poi di ruggine indica,
che
coloro, i quali si lasciano dominare da questo vi
er cui l’ uomo, riputandosí meno di quello ch’è, non intraprende ciò,
che
potrebbe o dovrebbe operare. E’ malamente vestita
da essa, ama la vita sorrida. Ha in mano l’Upupa, urcello vilissimo,
che
si nutre de’più vili cibi, per non sofferico la d
simo, che si nutre de’più vili cibi, per non sofferico la difficeltà,
che
incontterebbe nel procurarsene di migliori. Le st
Adulazione. L’Adulazione è profusioné dì false o esaggerate lodi,
che
il proprio interesse inspira a chi le proferisce.
a nell’ anzidetta manicra per indicare le belle e artifiziose parole,
che
soglionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale,
fiziose parole, che soglionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale,
che
allettaro dal suono del flauto, facilmente si las
attissimo ad accendere col vento il fuoco, e ad ammorzare i lumi : lo
che
si conforma coll’ adulatore, il quale o accende n
uoco delle passioni, o ammorza il lume della verità. La corda indica,
che
gli Adulatori traggono, ovunque vogliono, coloro,
a corda indica, che gli Adulatori traggono, ovunque vogliono, coloro,
che
volentieri li ascoltano. Il Camaleonte è animale,
gliono, coloro, che volentieri li ascoltano. Il Camaleonte è animale,
che
si cambia secondo le variazioni de’ tempi ; ed è
condo le variazioni de’ tempi ; ed è quindi simbolo dell’ Adulazione,
che
adopera tutto lo studio nel cangiarsi secondo il
lle parole adulatrici, la quale piate ; e la brutta indica i difetti,
che
dagli Adulatori vengono dissimulati. Il Cane acca
zione di meriti : anzi talvolta morde chi nol merita, e quello stesso
che
lo cibava, se avviene, ch’egli tralascii di farlo
inciano a farsi sentire, non cessano più dal loro tediosissimo canto,
che
risveglia l’idea della noja, cui reca l’uomo loqu
vidia è interna agitazione, cagionata dalla considerazione d’un bene,
che
si desidera, e dì cui ne godono invece gli altri.
di veleno e dì schiuma. Esso non mai ride se non del male, nè piange
che
del bene altrui. L’Invidia è di faccia pallida, p
rui. L’Invidia è di faccia pallida, perchè Ella, ossservando il bene,
che
non ha, se ne rattrista e affligge. Con ambe le m
e ne rattrista e affligge. Con ambe le mani si squarcia il petto : lo
che
esprime il sommo dolore, indivisibile compagno di
lfine lo consuma. L’Invidia ha dall’ altra parte il Pavone, in quanto
che
è nemico de’proprj parti, per timore, che essi, c
parte il Pavone, in quanto che è nemico de’proprj parti, per timore,
che
essi, crescendo, lo uguaglino in bellezza. Det
sa di lingue simili a quelle del serpente. Quella veste fa intendere,
che
questo Vizio suole trovarsi principalmente nelle
questo rode il cibo altrui, così il Detrattore cerca di togliere quel
che
di buono v’è negli altri. Accidia. L’Accidi
nno nero, perchè la mento dell’ Accidioso è occupata da tale torpore,
che
lo rende insensato. Il pesce poi testè nominato è
che lo rende insensato. Il pesce poi testè nominato è di natura tale,
che
toccato diviene stupido ; e tal’ è l’indole dell’
Ozio è inazione in chi dovrebbe operare. Giace in oscura caverna : lo
che
dà ad intendere che l’Ozioso conduce vita abbiett
hi dovrebbe operare. Giace in oscura caverna : lo che dà ad intendere
che
l’Ozioso conduce vita abbietta. E’ vestito d’una
chi la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere,
che
al Pigro ogni cosa riesce difficile. Ingratitu
della superbia, donde nasce l’Ingratitudine ; perchè l’Ingrato crede,
che
i favori fattigli sieno a lui dovuti. Ha in mano
l’edera, ed è circondata di nube. Quella innaridisce l’albero stesso,
che
le fu di sostegno per innalzarsi ; questa, che vi
disce l’albero stesso, che le fu di sostegno per innalzarsi ; questa,
che
viene prodotta da’ vapori, tratti dal Sole, si op
he dello Sconoscente : egli non rade volte danneggia queglino stessi,
che
lo hanno beneficato. diffidenza. La diffide
i temere. Ciò indica il profondo pensiero, in cui s’immergono coloro,
che
sono sopraffatti da questo Vizio. Ha appresso di
no sopraffatti da questo Vizio. Ha appresso di se una Volpe, animale,
che
qualorà gira per qualche paludoso luogo, in tempo
che paludoso luogo, in tempo principalmente di gelo, non si fida mai,
che
il terreno sia sodo e consistente. Incostanza.
Questo Vizio si rappresenta con un piede sopra un Granchio, animale,
che
va ora innanzi, ed ora indietro. La veste, con cu
etro. La veste, con cui cuopresi l’ Incostanza, è di colore turchino,
che
rassomiglia alle onde del mare, le quali pure tal
Quella risveglia l’incostanza del Giuoco ; questo indica il mal uso,
che
si fa da’ Giuocatori, del tempo. Il Giuoco è di f
questo Vizio. Porta con se varie reti, le quali indicano le insidie,
che
da molti Giuocatori si tramano alle sostanze altr
e gli occhi. E’ tenuto sospeso pe’ capelli dalla Fortuna, per notare,
che
il Giuoco è per lo più fondato sulla sorte. Viene
tiva il giuoco. Felicità. La Felicità è godimento di que’ beni,
che
onestamente allettano lo spirito. Questa Divinità
ito. Questa Divinità fu da’ Greci denominata Eudemonia. Plinio narra,
che
Lucullo, ritornato dalla guerra contro Mitridate,
e commise il lavoro ad Archesilao ; ma soggiunge lo stesso Scrittore,
che
ambedue moritono, primachè quella fosse terminata
ò di lui fu verificato da Lepido il Triumviro. Raccontasi finalmente,
che
sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio della
ente, che sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio della Felicità,
che
rimase abbruciato(a). La Felicità tiene il Cornuc
pio nella sinistra, e il caduceo nella destra ; oppuré due Cornucopj,
che
s’incrociano, e una spiga dritta nel mezzo di que
ottola. Appresso di se ha una colonna. Il comico Aristofane vorrebbe,
che
la Ricchezza fosse dipinta cogli occhi chiusi. Dà
i gli altri beni della terra, sta la vegliante Nottola, per indicare,
che
i beni, affinchè non vengano rapiti, devono esser
gni tempo. La colonna, indizio di forza e di grandezza, fa conoscere,
che
il ricco può essere potente, e acquistarsi gloria
nte, e acquistarsi gloria di grande. Vorrebbe poi l’ accennato Poeta,
che
la Ricchezza si figurasse cieca, perchè non sempr
geva in abito nero, colore usato per indicare la gravità de’ costumi,
che
nel Nobile si ricercano. Tiene un’asta nella dest
simulacro di Minerva nella sinistra. Quella e questo fanno intendere,
che
la Nobilta s’acquista principalmente colle armi o
olle scienze. Libertà. La Libertà è il poter operare tutto ciò,
che
non è in opposizione alle leggi. I Greci la denom
a Regifugio, o le Fugali. Una delle ceremonie, praticate in essa, era
che
dopo il sacrifizio, offerto alla Libertà, il Re d
bronzo, e in cui v’aveano varie bellissime statue. Clodio volle pure,
che
un tempio fosse inalzato a questa Divinità nel lu
ervitù, quella Nazione rappresentò in monete e con statue la Libertà,
che
credetto rinascere appresso di se. Questa Deità t
o di tristezza : sicchè quelle saette di diversa materia significano,
che
le allegrezze di quaggiù non sono mai sì compite,
ia significano, che le allegrezze di quaggiù non sono mai sì compite,
che
non vengano turbate da qualche amarezza. Altri la
quella città la Dea la più onorata, giacchè essa sola ebbe più tempj,
che
tutte le altre Divinità unite insieme (b). Tra qu
io alla Fortuna per onorare Veturia, la quale colle sue lagrime fece,
che
il di lei figlio, Coriolano, desistesse dall’asse
a Fortuna d’occultare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal
che
ne avvenne, che la Fortuna venne chiamata Viripla
ltare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal che ne avvenne,
che
la Fortuna venne chiamata Viriplaca, ossia pacifi
ntava la Buona Fortuna, e l’altra il Buon-Evento. Era questo un Nume,
che
avea avuto i suoi primi altari ne’ campi, ove gli
abbricò un tempio sulla sponda del Tevere fuori di Roma. Que’ Romani,
che
non esercitavano alcuna professione, onoravano la
affligge i mortali. Sul sinistro braccio porta un doppio Cornucopio,
che
la qualifica come la sovrana dispensatrice di tut
e l’ Universo. Talvolta tiene un piede sulla prora d’un naviglio : lo
che
dà a conoscere, che questa Dea esercita il suo do
lta tiene un piede sulla prora d’un naviglio : lo che dà a conoscere,
che
questa Dea esercita il suo dominio tanto sulla te
conoscere, che questa Dea esercita il suo dominio tanto sulla terra,
che
sul mare. Altri la dipingono ora sopra volubile r
stravasi anche in atto di portare Pluto fanciullo, per far intendere,
che
da essa dipende il possesso d’ogni ricchezza.
di Venere. Altri dissero, ch’ egli nacque dalla Morte. Per ottenere,
che
Egli non nuocesse, gli si sacrificavano il cane e
etto un tempio appresso il tribunale degli Efori, perchè giudicavano,
che
niente vi fosse di più necessario in un Governo,
o lo inspirare a’ cattivi il timore del castigo. In un combattimento,
che
sosteneva Tullo Ostilio, gli Albani, i quali prim
, osservò tra l’armenmento d’ Agenore, suo padre, un toro bellissimo,
che
là pascolava. Giove aveva preso le sembianze di q
toro corse tosto al mare(e), la trasportò in quella porte del mondo,
che
dal nome di loi fu chiamata Europa(f), e quì la r
quì la rendette madre di Minos, e di Radamanto(g). Altri pretendono,
che
l’anzidetta parte del mondo siasi così denominata
ropa ; figlio di Egialo, secondo re di Sicione(h). Alcuni aggiungono,
che
Giove nascose Europa in Teumessa, o Teumosa, vill
zia, situato a’ piedi d’un monte dello stesso nome(a). Euripide dice,
che
quel Nome, spogliatosi della figura di Toro, real
forma uno de’dodici Segni del Zodiaco(b). L’opinione poi di altri è,
che
tale Costellazione sia la giovenca, di cui lo ne
ve volle celasla alla gelosia di sua moglie, Giunone(c). Si credette,
che
Europa fosse stata trasferira tragli Dei ; i Feni
peati, di nuovo li percosse, e ripigliò la figura virile Avvenne poi,
che
tra Giove e Ginnone insorse giocoso contrasto, se
sorse giocoso contrasto, se amore si facesse più sentire dalla donna,
che
dall’uomo. Tiresia, perchè era stato dell’uno e d
i occhic per quesso egli si vede appoggiato agli omeri di un giovine,
che
gli serve di guida. Non potè Ciove per legge di F
i presagire il futuro, e gli concesse una vita sette volte più lunga,
che
quella degli altri uomini. Altri dicono, che Tire
a sette volte più lunga, che quella degli altri uomini. Altri dicono,
che
Tiresia rimase accrecato dagli Dei, perchà egli c
crecato dagli Dei, perchà egli communicava agli uomini le cognizidni,
che
doveano essore loro ignote(a). Ferecide vuole, ch
ini le cognizidni, che doveano essore loro ignote(a). Ferecide vuole,
che
Tiresia ; soggiacesse all’anzidetta pena, perchè
ione fu di pochi prima di lui, e poi di moltissimi : anzi corre fama,
che
un certo Democrito avesse notato perfino il nome
un serpente ; e questo, mangiato, infondeva la virtù d’intendere ciò,
che
gli uccelli bisbigliavano fra loro(a). Ritornando
gli uccelli bisbigliavano fra loro(a). Ritornando a Tiresia, dicesi,
che
vi fosse in Arcadia una fontana, detta Telfussa,
a fontana, detta Telfussa, o Tilfossa, la di cui acqua era sì fredda,
che
Tiresia per averne bevuto mori(b). Egli anche dop
con abito virile. Si voleva con ciò indicare il cangiamemo di sesso,
che
la favola attribuiva a quell’Indovino(e). (d).
tà della Licia, eresse ad esse un antichissimo tempio, ove credevasi,
che
fossero apparse, e dove tutti i popoli concorreva
cervo, e divorato da’ cani, come pure abbiamo raccontato. Sappiarro,
che
Semele, per aver voluto vedere Giove in tutta la
achos, dolore, perchè venivano celebrate in memoria delle disgrazie,
che
avea sofferto(b). Il re Sisifo pure le instituì l
agli annui sacrifizj. Il medesimo nome si diede agli annui sacrifizj,
che
le si facevano in Megara(c). Altre Feste finalmen
tto il nome di Matuta. Servio Tullo fu il primo ad ergerle un tempio,
che
Camillo rifabbricò dopo d’avervinti i Vejenti(e).
ne rinchiusa Danae, fu distrutta da Perila o Perilao, tiranno d’Argo,
che
regnò molti secoli dopo Perseo(a). (2). Secondo
da Apollodoro(b), non Giove, ma Preto, fratello d’Acrisio, fu quegli,
che
s’introdusse nella torre, e rendette Danae madre
Perseo. Da ciò ebbe origine, dice il sopraccitato Scrittore, l’odio,
che
l’uno contro l’altro nutrivano i due fratelli. Al
ccupò Acrisio(c). Preto si ritirò nella Licia appresso il re Giobate,
che
gli diede in moglie Stenobea, sua figliuola(d), d
i nacque Megapente, il quale regnò in Tirinto(e). (3). V’è chi dice,
che
le onde portarono da prima Danae e il figlio di l
onde portarono da prima Danae e il figlio di lei al lido di Daunia ;
che
ivi furono raccolti da un pescatore, e portati al
; che ivi furono raccolti da un pescatore, e portati al re, Pilunno ;
che
questi sposò Danae, e spedì Perseo appresso Polid
seo appresso Polidette, affinchè lo educasse(f). (4). Alcuni dicono,
che
Ditti era fratello dello stesso re, Polidette(g).
stesso re, Polidette(g). (5). Eratostene(a), ed Igino (b)pretendono,
che
Perseo abbia ricevuto la mentovata arma da Vulcan
crediamo ad Erodoto(f), e ad Apollodoro (g). Quinto Curzio poi dice,
che
i Persiani furono così detti da Perseo(h). (9).
. (10). Mestore ebbe in moglie una figlia di Pelope, detta Lisidice,
che
partorì Ippotoe, la quale rapita da Nettuno, e co
dalle altre, testè mentovate, gittò dietro a quella un grosso legno,
che
percosse in vece Elettrione, e lo distese a terra
Gorgofone fu la prima moglie di Periere, ela prima di tutte le donne,
che
sia passata alle seconde nozze, mentre le femmine
. fab. 157.,Apollon. l. 2. Argon., Diod. Sic. l. 4. (3). Igino dice,
che
il fiume mentevato era il fiume Eveno(f). Valerio
he il fiume mentevato era il fiume Eveno(f). Valerio Flacco pretende,
che
fosse l’Enipeo(g). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex
quando davasegni dì pazzia ; e prese in moglie Ino, figlia di Cadmo,
che
gli partorì Melicerta e Learco. Questi fu slancia
i fu slanciato contro un muro, e fatto morire dallo stesso suo padre,
che
, essendo rimasto invasato dalle Furie, lo credett
nne non molto dope afflitta dalla fame ; e Apollo consultato rispose,
che
per far cessare quel male conveniva sacrificare i
omo, ora la fa bianca, ce ora porporina. Medesimamente sulla facoltà,
che
avesse il detto montone, di parlate, non tutti lo
crede un’ invenzione posteriore all’ altra della pelle d’oro. Vuolsi,
che
lo stesso animale abbia servito a Frisso e ad Ell
to a Frisso e ad Elle per cercare un asilo presso Eeta, loro parente,
che
regnava in Colco(b). Altri dicono, che mentre Ino
ilo presso Eeta, loro parente, che regnava in Colco(b). Altri dicono,
che
mentre Ino meditava di dare la morte a que’ doe g
; ma Elle, quando si vide andar volando opra il vasto tratio di mare,
che
divide l’Europa dall’ Asia, presa dallo spavento,
tone a Marte(b), o come vuole Apollonio di Rodi, a Giove Fixio, ossia
che
favorisce a chi fugge ; e vi sposò Calciope, figl
ve ne aggiunse un quinto, chiamato Presbone. Finalmente Tzetze vuole
che
queglino fossero sei, Argo, Mella, Cati, Fronti,
nella Beozia(h). Ritornando al montone, sacrificato da Frisso, dicesi
che
la pelle di quello si chiamò Tosone, o Vello d’or
sso, dicesi che la pelle di quello si chiamò Tosone, o Vello d’oro, e
che
venne appesa ad una pianta nel bosco, sacro a Mar
e morire per impadronirsi de’ di lui tesori(b). Erafostene soggiunge,
che
gli Dei lo collocarono tragli Astri(c). Notisi pe
iunge, che gli Dei lo collocarono tragli Astri(c). Notisi per ultimo,
che
il sacrifizie di Frisso e di Elle secondo altri S
re la vita a Learco e a Melicerta, nati da Ino, perchè colei sperava,
che
il regno in tal guisa sarebbe rimasto a’ suoi fig
edetti figli d’Ino, ed aveva commesso alla loro non conosciuta madre,
che
licuopris se di nere vesti per distinguerli da’ p
ntiope. (c). Apollod. l. I., Hyg. fab. 12. (6). Apollonio(a) dice,
che
que’ tori erano stati formati ad Eeta da Vulcano,
eso gli Dei(b). (d). Nat. Com. Mythol. l. 6. (7). Apollonio narra,
che
il Dragone, custòde del Vello d’oro, era stato ge
Igino lo dice semplicemente nato da Tifone. Valerio Flacco soggiunge,
che
lo stesso Dragone si alimentava con sacrifizj(c).
che lo stesso Dragone si alimentava con sacrifizj(c). Altri dissero,
che
Pallade regalò ad Eeta i mentovati denti, affinch
ction. Mytbol. (b). Nat. Com. Mythol. l. 6. (8). Altri scrissero,
che
la nave, su cui montò Giasone, lu detta Argo, per
ero, che la nave, su cui montò Giasone, lu detta Argo, perchè coloro,
che
secolui si unirono in quella spedizione, erano Ar
unirono in quella spedizione, erano Argivi(e). V’ è pur chi pretende,
che
la stessa nave siasi così appellata dalla voce gr
, arsenale o porto della Magnesia(a). Lo Scoliaste d’ Apollonie dice,
che
Pelia avea ordinato ad Argo di adoperare nella co
o tagliati sul monte Pelio(g). Vuolsi da Eratostene(h) e da Igino(i),
che
il naviglio, di cui parliamo, sia stato il primo,
e da Igino(i), che il naviglio, di cui parliamo, sia stato il primo,
che
solcasse il mare. Questo però resta smentito nell
apparecchio e di mole di quante eransi fino allora vedute(a).Difatti
che
la Nave, Argo, dovessessere grande oltre al solit
e, Argo, dovessessere grande oltre al solito ; da ciò pure si desume,
che
, essendo vietato in quel tempo che nessuna nate c
al solito ; da ciò pure si desume, che, essendo vietato in quel tempo
che
nessuna nate contenesse più di cinque uominì(b),
di cinque uominì(b), fu al solo Giasone permesso di navigare con una,
che
ne conteneva cinquanta, detta perciò anche Pentec
ificata da Teocrito per capace di trenta banchi. Nè è quì da tacersi,
che
la stessa nave venne finalmente consecrata a Pall
ata tra gli Astri(c). (10). Tifi era figlio d’Agnio(d). Igino vuole,
che
sia nato da Forbante e da Imane(e). Egli concorse
’ Mariandinj nella Propontide, ivi sia morto di malattia(f). Si dice,
che
in mogo di lui siasi sostituito Ergino(g). Altri
ce, che in mogo di lui siasi sostituito Ergino(g). Altri soggiungono,
che
vi sottentrò Anceo, figlio di Nettuno, il quale,
figlia del fiume Meandro(h). (11). Linceo aveva una vista sì acuta,
che
vedeva nel fondo del mare, e perfino nell’ Infern
a(a). (12). Lo Scoliaste d’Apollonio dice sull’ autorità di Eroloro,
che
Chirone, indovino com’era, consigliò, agli Argona
di Eroloro, che Chirone, indovino com’era, consigliò, agli Argonauti,
che
ammettessero tra loro Orfeo, perchè sonza di lui
ssare le Sirene, delle quali parleremo altrove. Fu da alcuni creduto,
che
l’Orfeo Argonauta fosse lo stesso che l’Autore de
altrove. Fu da alcuni creduto, che l’Orfeo Argonauta fosse lo stesso
che
l’Autore del Poema sull’ Argonautica, che correso
o Argonauta fosse lo stesso che l’Autore del Poema sull’ Argonautica,
che
corresotto il nome di Orfeo, perchè infatti quell
enta se stesso ; ma non è questo ormai più il giudizio degli Eruditi,
che
lo riferiscono ad un Autore posteriore, come può
ienza nel ricavare gli augurj dal fuoco. Quantunque avesse preveduto,
che
vi sarebbe perito, tuttavia volle intervenire anc
nell’ Asia Minore, Idmone perì pel morso d’un cinghiale. Flacco dice,
che
morì di semplice malattia. Giasone per molti gior
peso del corpo lo trasse nel fiume, dove si annegò. Fingono i Poeti,
che
sia stato rapito dalle Ninfe di quel fiume. Ercol
fu figlio d’Idmone e di Laotoe(b). Ebbe un figlio, chiamato Calcante,
che
divenne famoso indovino, e di cui ne parleremo al
venduta ad Icaro, re della Caria, nell’ Asia Minore. Il di lei padre,
che
teneramente la amava, ne inseguì tosto i rapitori
e notizia del padre e della sorella, consultò l’Oracolo, e ne intese,
che
, per appagare i suoi desiderj, conveniva, ch’ ell
i desiderj, conveniva, ch’ ella si vestisse da sacerdote d’ Apollo, e
che
sotto quelle divise si facesse a viaggiare. Così
e straniero, ne divenne amante, e non vedendosene corrisposta, ordinò
che
quello fosse fatto morire in una carcere. Testore
ne, ove stava rinchiuso il supposto giovine, gli manifestò il comando
che
avea avoto, ma nello stesso tempo protestò che pi
i manifestò il comando che avea avoto, ma nello stesso tempo protestò
che
piuttosto avrebbe tolto la vita a se medesimo che
esso tempo protestò che piuttosto avrebbe tolto la vita a se medesimo
che
commettere sì crudele azione. Ciò detto, trasse f
rasse fuori della veste il pugnale per trafiggersi il seno. Leucippe,
che
lo riconobbe, gli strappò dalle mani il ferale st
Climene e da Filaco, come dice il Burmanno. Valerio Flacco poi vuole,
che
Ificlo vi sia intervenuto solo per dare consigli
to solo per dare consigli (b).Ificlo ebbe un figlio, di nome Podarce,
che
da Omero dicesi essere stato uno degli Eroi alla
na (e). Clite poi, morto Cizico, cessò pure di vivere. Apollonio dice
che
s’impiccò (f).Deiloco, citato dallo Scoliaste d’
a figlia di Piasio, e Tracia di patria, varia anche da esso nel dire,
che
nulla sofferì dopo la morte del marito, ma che se
nche da esso nel dire, che nulla sofferì dopo la morte del marito, ma
che
se n’ è anzi ritornata a casa. (a). Apollon. l.
chiantò i macigni, e svese dalla terra le più robuste guercie ; fece,
che
crollassero i monti, che si squarciasse il suolo,
e dalla terra le più robuste guercie ; fece, che crollassero i monti,
che
si squarciasse il suolo, e che dalle tombe sorges
ercie ; fece, che crollassero i monti, che si squarciasse il suolo, e
che
dalle tombe sorgessero le ombre de’ morti (a). (
lon. l. 3. Argon., Eurip. in Med., Paus. l. 2. (21). Fuvi chi disse,
che
Eeta, comportando di mal’ animo la gloriosa impre
nsieme cogli altri di lui compagni, e di abbruciarne la loronave ; ma
che
queglino, essendone stati avvertiti da Medea, con
avvertiti da Medea, con essa lei se ne fuggirono. Altri soggiungono,
che
gli Argonauti, conquistato il Vello d’oro, venner
da’ Colchi a’ Greci per ridomandare Medea, nulla dice delle querele,
che
avrebbono anche dovuto fare, se fosse stata vera
vuto fare, se fosse stata vera l’uccisione di Absirto. Di quelli poi,
che
tengono per vera l’uccisione medesima, altri la v
o in nave per la mano istessa di Medea ; e lo stesso Poeta soggiunge,
che
ne furono poscia sparse le membra verso la città,
sbranamento di membra (b).Etimologia però negata dagli stessi Tomesj,
che
la ripetono in vece dall’ Eroe Tomo. Strabone dic
tessi Tomesj, che la ripetono in vece dall’ Eroe Tomo. Strabone dice,
che
la predetta strage avvenne in una delle Isole del
Absirtidi (c). Lo Scoliaste d’Apollonio (d) ed Igino (e) pretendono,
che
Absirto sia stato ucciso da Giasone.Finalmente fu
Absirto sia stato ucciso da Giasone.Finalmente fuvi chi ebbe a dire,
che
Medea privò di vita il fratello, perchè questi av
Valerio Flacco(h) però, Diodoro Siculo (i), e Apollodoro (l) dicono,
che
Esone si privò di vita col bere il sangue di un t
da quella Maga ; tale vergogna concepirono e orrore del loro delitto,
che
si ritirarono nell’ Arcadia, ove tra le lagrime e
hol. (b). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (25). Vuolsi da alcuni,
che
Medea abbia spedito a Creusa solamente una corona
fronte, ne seguì tosto l’orribile avvenimento (b). Altri raccontano,
che
Medea mindò il suo figliuolo, Fere, con certi don
con certi doni avvelenati, affinchè egli li presentasse a Creusa ; e
che
per questa ragione que’ di Corinto lo lapidarono
L. 1. &.2. (b). L. 4. (c). De Nat. Deor. l. 3. (1). Dicesi
che
Alcmena sia stata sposata ad Anfitrione, figlio d
icesi che Alcmena sia stata sposata ad Anfitrione, figlio di Alceo, e
che
Giove per renderla madre d’Ercole le sia apparso
suo marito (a). (d). Joh. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (2). Vuolsi,
che
Alcmena fosse solita a portare in testa a guisa d
on impeto lo rigettasse, e se ne spargesse quindi pel Cielo il latte,
che
diede il nome alla Via lattea (f). Altri vogliono
ielo il latte, che diede il nome alla Via lattea (f). Altri vogliono,
che
tale bambino fosse Mercurio. Altri pretendono, ch
). Altri vogliono, che tale bambino fosse Mercurio. Altri pretendono,
che
la Via lattea siasi formata dal latte, che sparse
ercurio. Altri pretendono, che la Via lattea siasi formata dal latte,
che
sparse Rea sulla pietra, ch’ella presentò a Satur
Rea sulla pietra, ch’ella presentò a Saturno in luogo del fanciullo,
che
avea partorito (g). (d). Joh. Jacoh. Hofman. Le
simo Toro per uno dei due piedi di cietro ; e non ostante gli sforzi,
che
quello faceva per iscappargli di mano, lo tenne s
ò quella porzione di piede, per cui lo aveva afferrato. Dicesi anche,
che
questo Atleta con una sola mano arrestò in un mom
, che questo Atleta con una sola mano arrestò in un momento un carro,
che
, tirato da robustissimi cavalli, rapidamente corr
g. (b). Apollod. l. 2., Paus. l. 2. (6). Diodoro di Sicilia dice,
che
Ercole, facendo il giro della Sicilia, dedicò un
che Ercole, facendo il giro della Sicilia, dedicò un bosco a Iolao, e
che
ivi pure a di lui onore instituì feste e sacrifiz
re instituì feste e sacrifizj. Lo stesso Scrittore soggiugne altresì,
che
gli abitanti della città d’Agira coltivavano con
con somma accuratezza la loro capigliatura, finchè riusciva sì bella,
che
avessero potuto offerirla a Iolio nel suo tempio
potuto offerirla a Iolio nel suo tempio (a) Plutarco finalmente dice,
che
nella Beozia o nella Focide si obbligavano gli am
Apollod. l. 2. ; Philostr. l. 2., Ovid. in Ibio. (8). Altri dicono,
che
la città di Abdera fu fabbricata da una sorella d
cono, che la città di Abdera fu fabbricata da una sorella di Diomede,
che
le impose il proprio nome(d). (b). Declaustre D
d). Nat. Com. Mythol. l. 2. (e). Paus. l. 9. (12). Plutarco dice,
che
Calcodone ebbe una Cappella nella città d’Atene(h
ene(h). Non si sa, se egli parli del predetto Cal odone, o di quello,
che
fu padre di Elefenore, e restò ucciso da Anfitrio
alunque figura : ciò per altro nol potè salvare dalla clava d’Ercolé,
che
lo uccise, mentr’erasi trasformato in mosca(a).
mo grado l’eloquenza(b). Ditti Cretese(c) e Apollodoro(d) pretendono,
che
Nestore abbia sposato Anasibia, figlia d’ Atreo.
di Atene, fu negata in isposa a Borea, re Trace, a motivo dell’odio,
che
la famiglia di Pandione aveva contro di Tereo, e
a. Ella gli partorì due figlie, cioè Cleopatra, detta anche Stenobea,
che
sposò Fineo, re di Bitinia ; e Chione, che Nettun
tra, detta anche Stenobea, che sposò Fineo, re di Bitinia ; e Chione,
che
Nettuno rendette madre di Eumolpo. Da quel matrim
Oriti a sola l’oggetto degli amori di Borea. Il Poeta Cleante narra,
che
questo Vento amò anche una figlia d’Arcturo, di n
a. Gli Dei, per ponirlo di sì ingiusta barbarie, non solamente fecero
che
le Arpie lo molestassero, come abbiamo esposto, m
osto, ma inoltre privarono lui pure della vista(b). V’è chi pretende,
che
Fineo sia rimasto cieco, perchè abusò dell’arte d
sto cieco, perchè abusò dell’arte d’indovinare(c). Altri soggiungono,
che
gli Argonauti trovarono il modo di restituirgli l
n. Mythol. (b). Schol. Apollon. l. 1. Argon. (22). Convien dire,
che
l’ingordigia dagli Antichi fosse tenuta in pregio
Apollod. l. 2. (c). Nat. Com. Mythol. l. 7. (23). Alcuni dicono,
che
anche Megara cadde vittima del furore di Ercole(d
cole la ripudiò, credendo di averla sposata sotto cattivi auspizj ; e
che
la cedette in moglie a Iolao(e). (a). Declaustr
si in quel momento sotto la rupe, la accolse tralle braccia, e impedì
che
perisse. Nettuno alle preghiere di Acheloo, la ca
fece madre, come abbiamo, detto anche altrove, della bella Cleopatra,
che
poi divenne sposa di Meleagro. Eveno inseguì Ida
erla, nè avendolo potuto raggiungere, si precipitò nel fiume Licorma,
che
poi acquistò da lui il nome di Eveno(a). Dicesi,
l fiume Licorma, che poi acquistò da lui il nome di Eveno(a). Dicesi,
che
Apollo avesse rapita ad Ila l’anzidetta giovine n
llo avesse rapita ad Ila l’anzidetta giovine nel tempo di una festa ;
che
Ida, armato d’arco, avesse inseguito il Nume per
co, avesse inseguito il Nume per vendicarsi dell’insulto ricevuto ; e
che
Giove avesse allora deciso, che Marpesa sarebbe s
vendicarsi dell’insulto ricevuto ; e che Giove avesse allora deciso,
che
Marpesa sarebbe stata di quello, ch’ella si sareb
fosse divenuta vecchia, si riunì a suo marito(b). Notiamo per ultimo,
che
Plutarco chiama Sterope la madre di Eveno, Ulcipp
). De Incredul. c. 45. (a). Nat. Com. Mythol. l. 7. (29). I Re,
che
succedettero ad Onfale, portarono quell’arina nel
e di scettro o di fulmine posero tralle di lui mani quell’ascia : dal
che
il Nume fu detto Labradeo, voce che appresso que’
lle di lui mani quell’ascia : dal che il Nume fu detto Labradeo, voce
che
appresso que’popoli dicesi significare ascia (b).
ove ebbe pure questo nome per allusione all’abbondanza delle pioggie,
che
vuolsi da lui derivare(c). (b). Apollod. l. 2.,
. 2., Diod. Sic. l. 4., Apollod. l. 3. (30). In Apollodoro leggesi,
che
fu il pastore Peante quegli, ch appiccò il fuoco
piccò il fuoco al rogo, destinato ad abbruciare il corpo di Ercole, e
che
l’Eroe perciò lo regalò del suo arco e delle sue
opo di averla insultata, ne strappò anche gli occhi(c). Altri dicono,
che
Euristeo fu ucciso da Iolao, amico di Ercole(d).
si faceva condurre e sostenera da uno schiavo. Tlepolemo, osservando
che
quello schiavo non eseguiva bene il suo uffizio,
uello schiavo non eseguiva bene il suo uffizio, gli gettò un bastone,
che
colpì ed uccise Licinnio. Per causa di questo omi
La Dea Ebe ad istanza d’Ercole, divenuto in Cielo suo sposo, fece sì,
che
Iolao, vecchio qual’era, comparisse quasi fanciul
Liv. l. 28. (a). Ovid. Metam. l. 15. (37). In Strabone leggesi,
che
gli Achei, avendo ricevuto ordine dall’Oracolo di
impegnò Fillio a combattere senza il soccorso di alcun’arma un leone,
che
devastava le vicine compagne. Il giovine, che con
di alcun’arma un leone, che devastava le vicine compagne. Il giovine,
che
conosceva il pericolo della proposta impresa, usò
ò dinanzi ad esso tutto il cibo. Finchè il leone divorava quel pasto,
che
lo andava ubbriacando, Fillio gl’introdusse nella
nzidetta. Essa consisteva nel prendere vivo uno de’mostruosi avoltoi,
che
devastavano quella contrada, e aveano messo a mor
apeva come riuscirvi, ma avendo trovati alcuni rimasugli d’una lepre,
che
poco tempo innanzi era stata divorata da uno di q
avoltoi, se ne cuoprì il corpo, e si coricò sul terreno. Gli avoltoi,
che
lo credettero morto, calarono sopra di lui ; ed e
a una rupe, e delle lagrime, ch’ella avea versato, si formò un fiume,
che
acquistò il di lei nome(b). (b). Declanstre Dic
(a). Declaustre. Diction. Mythol. (1). Connida per l’ educazione,
che
diede a Teseo, meritò, che gli Ateniesi lo risgua
Mythol. (1). Connida per l’ educazione, che diede a Teseo, meritò,
che
gli Ateniesi lo risguardassero come uno de’ Semid
ro come uno de’ Semidei. Gli sacrificavano ogni anno un capro nel dì,
che
precedeva la Festa di Teseo. Quel giorno riputava
. & 4. (a). Declaustre Diction. Mithol. (2). Igino è il solo,
che
dia a Perifete per padre Nettuno (b). (3). La cl
e secondo Pausania (c) ed Omero era di ferro (d). Eustazio poi vuole,
che
fosse di legno, ed armata di ferro nell’ estremit
Id. Ibid. (c). Id. Ibid. (d). Id. Ibid. (4). Ovidio pretende,
che
nè la terra, nè il mare abbia voluto ricevere nel
aste sospese in aria, sieno state petrificate, e cangiate in iscogli,
che
dallo stesso Poeta vengono detti Scogli Scironidi
no venne allattato da un giumento, smarrito dalla mandra. Il pastore,
che
cercava quell’ animale, si abbattè nel fanciullo,
e lo portò a Cercione. Questi riconobbe l’ abito di Alope, e ordinò,
che
a colei fosse tolta la vita, e che il di lei figl
nobbe l’ abito di Alope, e ordinò, che a colei fosse tolta la vita, e
che
il di lei figlio fosse di nuovo esposto. Nettuno
uno cangiò quella misera madre in fontana, e mandò un altro giumento,
che
continuò ad allattarne il figlio, finchè altri pa
oonte (a). (g). Declaustre Diction. Mythol. (7). Apollodoro dice,
che
Scini, di cui abbiamo parlato, era figlio del men
sul trono, e diede a’ suoi sudditi il nome di Medi (c). Altri dicono,
che
Medea ebbe il predetto figlio dal re Egeo (d). La
d). La stessa Maga passò altresì appresso i Marsi e i Marrubj popoli,
che
abitavano appresso il Lago Fucino in Italia. Da q
occhi aporti, a disgiungerne, e a distaccarne le mani dal corpò : lo
che
fece dire, che le statue di lui erato animate(c).
a disgiungerne, e a distaccarne le mani dal corpò : lo che fece dire,
che
le statue di lui erato animate(c). Lo stesso arte
). Lo stesso artefice, trovandosi appresso Minos, formò un serraglio,
che
fu detto Labirinto, di cui per le molte replicate
ova nella natura. Si fece ad unìre penne con pene con tale simmetria,
che
le più corte e più piccole alle più grandi e più
o il lavoro, si adattò le due ali alle spalle, e si librò nell’ aria,
che
perfettamente lo sostenne. Altrettanto fece al fi
. Si avvicinò al Sole, e i raggi di quello tosto liquefecero la cera,
che
univa le di lui penne, cosicchè Icaro, sfornito d
cadde precipitoso in quel tratto di mare, ch’ è tra Micone e Giaro, e
che
da lui prese il nome d’ Icario(a). (b). Diod. S
v. (12). Filocoro, Istorico Ateniese, citato da Plutarco (d), dice,
che
tutta la gioventù, spedita in Creta, veniva da Mi
non data al Minotauro, ma distribuita in qualità di schiavi a quelli,
che
più si erano distinti ne’ Giuochi funebri, ch’ eg
ò, nè vide più Teseo. Corse quà e là in traccia di lui nè v’ incontrò
che
orride solitudini. Giunse finalmente a scoprire d
La regalò inoltre di una corona d’ oro, adorna di sette stelle(c), e
che
dopo la morte di lei fu collocata in cielo(d). Al
po la morte di lei fu collocata in cielo(d). Altri poisono di parere,
che
Bacco abbia ricevuto quella corona da Psalacanta,
rsi con Arianna, sua rivale, fu dal predetto Nume cangiata in pianta,
che
acquistò il di lei nome, e fu da lui stesso ripos
a sulla mentovata corona(a). Igino poi (b) e Pausania (c) pretendono,
che
Teseo abbia ricevato quella corona da Anfitrite,
la corona da Anfitrite, ed ecco come : tralle sette giovani Ateniesi,
che
con Teseo si erano trasferite in Creta, ve n’ era
e divenne amante, e usò ogni sforzo per aver corrispondenza da colei,
che
ricusava di farlo. Teseo vi si oppose anch’egli,
dal dito un anello d’oro, lo gettò nel’ mare, e soggiunse all’ Eroe,
che
se voleva essere creduto tale, quale si asseriva,
ui l’ anello, e fece dono della corona ad Arianna. Notisi per ultimo,
che
Arianna secondo l’ opinione di Plutarco non fu ab
In Nasso si celebrò una Festa, detta Ariannea, la quale non inspirava
che
tristezza e lutto, perchè essa ricordava Arianna,
rianna, abbandonata in quell’ Isola da Teseo (a). (16). La gioventù,
che
Teseo aveva liberato da quel Labirinto, eseguì l’
formare un circolo, mescolato d’ uomini e donne. Eustazio però vuole,
che
gli uni danzassero separatamente dalle altre(b).
eliade si chiamava da prima. Salaminia, perchè il mentovato Nausiteo,
che
ne fu il primo piloto, era nativo di Salamina(c).
Thes. (i). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (18). Altri vogliono,
che
le Oscoforie si dicessero da principio l’ Oscilla
gliono, che le Oscoforie si dicessero da principio l’ Oscillazione, e
che
questa Festa si celebrasse dagli Ateniesi per esp
es. (b). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (19). V’ è chi pretende,
che
quel mare siasi denominato Egeo da Egea, regina d
vi naufragò, mentre se ne ritornava in Africa, carica delle spoglie,
che
aveva ripotate dall’ Asia, allorchè seguita da un
, Id. Achil. l. 1. (c). Plut. in Vit. Thes. (20). Pensano alcuni,
che
le Feste Boedromie sieno state introdotte dagli A
omie sieno state introdotte dagli Ateniesi per ricordare il soccorso,
che
loro prestò Ione, figlio di Suto, allorchè Eumolp
Costei tralle vergini Tessale era sì celebre e singolare in bellezza,
che
invogliò parecchi personaggi delle sue nozze. Cen
iritoo i Centauri lo affogarono vivo sotto il peso de’ grandi alberi,
che
gettarono sopra di lui. Nettuno si ricordò d’ ave
, e lo trasformò in uccello. Così Ovidio(b) ; Virgilio poi soggiunge,
che
non in votatile, ma di nuovo in donna venne conve
vo in donna venne convertito(c). Ceneo ebbe un figlio di nome Corone,
che
da Apollonio viene ascritto tra gli Argonauti(d).
, uno de’ Lapiti. Il maschino cadde, e morì sì deformato e malconcio,
che
più non si riconobbe. Belate di Pella, rotto un p
lla, rotto un piede di tavola, lo scaricò sulla testa dell’ uccisore,
che
sputò sangue e i denti ; e fracassato poi da nuov
i denti ; e fracassato poi da nuovi colpi, passò nell’ Erebo. Grineo,
che
stava vicino al truciduto compagno, schiantò una
figli di Miçala, di cui abbiamo parlato. Non seppe Esadio sofferire,
che
colui restasse impunito ; e quindi pigliate le co
, con esse gli cavò gli occhi. Frattanto Reto, abbrancato il tizzone,
che
per rito ardeva sull’ ara, lo tirò nelle tempia a
Fuggivano per ultimo Folo, Melaneo, Abante, e quell’ Astilo indovino,
che
inutilmente aveva esortato i compagni a non intra
sa, e teneva egli in mano una tazza di vino. Lo vide appena Forbante,
che
, vibratogli un dardo nel collo, le mandò a tracca
lo stesso Piritoo rimasero Lico, Cromide, Dittide, ed Elope. Il pino,
che
Demo leonte voleva far cadere sopra Teseo, precip
sopra Teseo, precipitò in vece addosso a Crantore, sculiere di Pelso,
che
lo aveva ricevuto in ostaggio dal debellato Amint
antore, sepolto sotto quel tronco, scoccò contro Demoleonte un’ asta,
che
lo fece perire. Lo stesso Peleo stese sul suolo F
esso Peleo stese sul suolo Flegronte, Ilene, Clari, Ifinoo, e Dorila,
che
avea le tempia fesciate di pelle di lupo, e che i
ri, Ifinoo, e Dorila, che avea le tempia fesciate di pelle di lupo, e
che
in vece di armi adoperava corna di bue, lorde di
so chie, privò, allora di vita anche il bellissimo Centauro Cillaro,
che
aveva in moglie Ilonome, la più vezzosa delle fem
o Cillaro, che aveva in moglie Ilonome, la più vezzosa delle femmine,
che
abitavano nelle foreste. Colei, come vide morto i
n un tronco sterminato alla mano vecise quel Fonolenide sì nerboruto,
che
appena lo avrebbono mosso due paja di buoi. Volèv
vendicare i compagni s’avventò contro di Ceneo il formidabile Latreo,
che
faceva pomposa mostra dello scudo, della spada, e
lui. Nella morte del compagno accorsero a truppa i rabbiosi Centauri,
che
, con orribile tuono di voce empiendo l’aria di gr
Piritoo ebbe da Ippodamia molti figliuoli, e tra gli altri Polipete,
che
molto si distinse all’assedio di Troja(b). (25).
ene e di Pausania erano persuasi, ch’ Elena fosse figlia di Nemesi, e
che
Leda fosse la di lei balia(c). Sonovi quindi degl
esi, e che Leda fosse la di lei balia(c). Sonovi quindi degli Autori,
che
per conciliate queste due opinioni, dissero, che
quindi degli Autori, che per conciliate queste due opinioni, dissero,
che
Nemesi e Leda erano la stessa persona, riconosciu
. (d). Diod. Sic. l. 4., Hyg. fab. 79. (26). In Plutarco leggiamo,
che
Teseo affido la giovine Leda al suo amico, Afidno
esso Fillide, figlia di Crustumena e di Licurgo, re di Tracia. Colei,
che
aveva ereditato dal padre il regno, accolse Demof
nè lo avesse a rivedere, nè avesse alcuna notizia di lui. Ovidio fa,
che
colei gli scriva una lettera, in cui lo rimprover
riaccenderne l’affettó, dipingendogli al vivo il suò. Ma Demofoonte,
che
attendeva ad assicurarsi il trono d’Atene, da cui
fosse stata ancor sensibile al ritorno del suo amanre. Tzetze vuole,
che
il fatto testè descritto sia avvenuto non a Demof
feritosi in Italia, fondò la città di Padova ((a)). Vuolsi da alcuni,
che
egli pure sia stato uno di quelli, i quali tradir
ì della Ninfa Sterope, ma ella sempre lo fuggiva. Avvenne finalmente,
che
la giovine, correndo, calcò con un piede un serpe
orrendo, calcò con un piede un serpente, nascosto sotto un cespuglio,
che
la morse ed uccise. Esaco, irritato contro quell’
Ninfa Esperia, figlia del fiume Cebreno, per cui anche il Poeta dice,
che
Esaco morì(b). (d). Serv. in Virg. Arueid. l.5.
cisi da Agamennone(e). (5). Eleno fu il solo de’figliuoli di Priamo,
che
sopravvisse alla, rovina della sua patria. Profes
Troja per mezzo della Litomanzia, ossia coll’ajuto d’una certa gemma,
che
di notte si lavava alla luce d’una candela in acq
a, che di notte si lavava alla luce d’una candela in acqua fontana, e
che
dopo d’essersi fatte varie preci, e dopo esservis
are alla patria, e predisse il naufragio di tutti quegli altri Greci,
che
avrebbono voluto intraprendere simile viaggio(c).
di nome Cestrino(d). (6). Priamo, per sottrarre Polidoro a’pericoli,
che
minacciava la guerra, lo avea spedito appresso Po
doro, dic’egli, dal padre nella Tracia a sua sorella, Ilione, costei,
che
temeva della crudeltà di Polinnestore, suo marito
di Priamo. Qualche tempo dopo Polidoro intese dall’Oracolo d’Apollo,
che
il padre suo era morto, che la madre sua viveva i
po Polidoro intese dall’Oracolo d’Apollo, che il padre suo era morto,
che
la madre sua viveva in ischiavitù, e ch’era stata
to, e Polidoro strappò gli occhi a Polinestore(b). Notisi per ultimo,
che
Omero fa nascere Polidoro non da Ecuba, ma da Lao
(c), e lo fa cadere morto per mano d’Achille(d). (7). Virgilio dice,
che
Troilo, trasportato dalla giovanile audacïa, ardi
fatica alcuna rimase ucciso(a). Licofrone poi e Teocrito soggiungono,
che
Troilo, non avendo voluto corrispondere ad Achill
nel tempio d’Apollo (b). Tzetze finalmente ciò nega, perchè pretende,
che
Troilo non fosse giovine sì bello, che potesse de
nte ciò nega, perchè pretende, che Troilo non fosse giovine sì bello,
che
potesse destare nel predetto Greco sentimenti d’a
o felicemente restituirsi alle loro città(e). Ditti Cretese pretende,
che
ciò siasi fatto per consiglio d’Ulisse(f). Filost
che ciò siasi fatto per consiglio d’Ulisse(f). Filostrato poi vuole,
che
Polissena, disperata per la morte d’Achille, cui
ò in Troja a cercarla ; ma l’ombra di colei gli apparve, e gli disse,
che
Cibele la aveva trasferita nella Frigia, ed aveal
e affidata la custodia d’uno de’suoi temoj(a). Altri poi soggiungono,
che
Enea colle sue mani la uccise, avendo così patteg
rito non fu uccisa, ma abbandonata, onde non fosse di ostacolo a lui,
che
andava cercando nuove sedi o alleanze in lontani
Acamante fu maritata con Elicaone, figlio d’Antenore, e re de’Traci,
che
morì poco dopo d’averla sposata. Finalmente diven
. Cassandra era la più avvenente tralle figlie di Priamo ; ed è fama,
che
fosse di singolare costumatezza. Sì belle doti le
Ei se ne sdegnò ; nè potendo spogliarla del dono concessole, fece sì
che
niuno prestasse fede alle di lei predizioni, e ch
di lei predizioni, e ch’ella perfino si rendesse odiosa co’vaticinj,
che
pur doveano fruttarle ossequio e venerazione(a).
rono portati qualche tempo dopo la loro nascita nel tempio d’Apollo ;
che
ivi furono lasciati per un’interanotte ; e che il
nel tempio d’Apollo ; che ivi furono lasciati per un’interanotte ; e
che
il di seguente si trovarono attortigliati a’loro
igliati a’loro corpi de’serpenti, che’loro lambivano le orecchie : lo
che
conferi a tutti due il dono di presagire il futur
futuro(b). Cassandra vaticinò a Paride e a Priamo le funeste vicende,
che
il tempo verifico. Fu altora derisa da prima, e p
onobbero per una Divinita, e le cressero un tempio(d). Plutarco dice,
che
Cassandra dopo morte fu anche chiamata Pasifae, p
i Molo, Principe Cretese, e cessò di vivere (f) (14). Erodoto dioe,
che
Paride venne nella Grecia, essendone Menelao lont
to dioe, che Paride venne nella Grecia, essendone Menelao lontano ; e
che
il Trojano, invaghitosi di Elena, espugnò Sparta,
’è un’altra Tradizione, riferita dallo stesso Erodoto, la quale dice,
che
Elena, essendosi imbarcata con Paride per trasfer
tata sulla costa d’Egitto, all’imboccatura del Nilo, detta Canopo ; e
che
il Governatore di quel luogo, avendo inteso ciò c
detta Canopo ; e che il Governatore di quel luogo, avendo inteso ciò
che
le era avvenuto, la fece condurre col giovane Tro
ire la moglie di chi lo avea enorato della sua ospitalità. Soggiumse,
che
nol faceva morire, come pur avrebbe meritato il s
di se Elena per restituirla al marito. Appena giunse Paride in Troja,
che
pur v’arrivò la Greca armata per ridomandare la s
ta da Polidampa, moglie di Tone Egiziano, d’un erba, detta nepenthes,
che
, mescolata nel vino, avea la virtù di far dimenti
rla in isposa. Tindaro, suo padre, per consiglio d’Ulisse avea fatto,
che
tutti gli amanti di sua figlia giurassero d’appro
itano Trojano, corrotto dall’oro e da altri doni di Paride, non volle
che
colei fosse restituita ; e persuadette anzi a’suo
de, non volle che colei fosse restituita ; e persuadette anzi a’suoi,
che
trucidassero tutti quegli ambasciatori. Tra i med
ominato Munito. Questo fanciullo fu allevato da Etra, madre di Teseo,
che
Paride avea condotto da Sparta con Elena. Come fu
d Acamante il di lui figlio, ed egli salvò la vita a quello ed a lei,
che
gliedo avea fatto conoscere(c). Notisi per ultimo
ello ed a lei, che gliedo avea fatto conoscere(c). Notisi per ultimo,
che
tra gli ambasciatori anzidetti alcuni in vece di
nche Antiloco, figlio di Nestore e di Euridice(a). Ovidio però vuole,
che
quegli sia staso ucciso da Ettore(b). Nestore, ve
Ettore(b). Nestore, veduto morto, il suo figliuolo, suplicò Achille,
che
ne preniesse vendetta. Questi uscì tosto in campo
gere il perduto figluiolo, formando colle sue lagrime quella rugiada,
che
sul crepuscolo mattutino per ogni dove cade dal C
he sul crepuscolo mattutino per ogni dove cade dal Cielo. Aggiungesi,
che
l’Aurora, non potendo sofferire che il corpo di M
dove cade dal Cielo. Aggiungesi, che l’Aurora, non potendo sofferire
che
il corpo di Mennone si consumasse dalle fiamme su
lare quore. Condiscese il Nume all’inchiesta, e al cadere della pira,
che
consumava il cadavere, neri globi di fumo oscurar
chiarore della luce. Videsi poscia volare in aria una fosca favilla,
che
si unì e si addensò con altre di somigliante natu
grandissima Statua in Tebe di Egitto nel tempio di Serapide. Dicono,
che
quando il Sole nascente la toccava co’ suoi raggi
i sua madre, e rallegrandosi del suo ritorno(a). Cambise, sospettando
che
fosse opera di magia, fece rompere quella Statua
go tempo dopo, e sempre rendette lo stesso suono. Credesi finalmente,
che
Mennone rendesse dalla stessa Statua un Oracolo o
la predetta città (d). (20). Protoo armò quaranta vascelli di gente,
che
abitava sulle rive del Peneo, e sul monte Pelio(e
ò un figlio, di nome Arpalione, ch’egli avea seco condotto a Troja, e
che
fu messo a morte da Merione(e). Si collegarono pu
lla città di Percote nella Troade. Il loro padre tentò di dissuaderli
che
si portassero a quella guerra ; ma eglino nol asc
ina. Ecuba a vista del morto figlio, si risovvenne del funesto sogno,
che
avea avuto la notte precedente ; nè dubitò, che P
ne del funesto sogno, che avea avuto la notte precedente ; nè dubitò,
che
Polinnestore ne fosse stato il barbaro uccisore.
i un tesoro, da se nascosto, e riserbato al figliuolo. L’avaro Trace,
che
niente d’inganno sospertava, seguito da’ soli suo
ba in duogo appartato, e la solleci ò a palesargli l’arcano, giurando
che
tutto l’oro e l’argento sarebbe stato di Polidoro
igli. I Traci, veggendo sì maltrattato il loro re, inseguirono Ecuba,
che
fuggiva, e con immensa quantita di sassi la fecer
a, e con immensa quantita di sassi la fecero perire(a). Altri dicono,
che
Ulisse, costretto a ritornarsene in Itaca, lasciò
itornarsene in Itaca, lasciò Ecuba nel Greco campo. L’infelice donna,
che
preferiva la morte ad una vengognosa schiavitù, a
reci d’ingiurie e maledizioni per incontrare il fine de’ suoi giorni,
che
tante sospirava. Ella vi riuscì, poichè i Greci l
uscì, poichè i Greci la lapidarono(b). Più comunemente però si crede,
che
Ulisse stesso sia stasto l’autore della di lei mo
che Ulisse stesso sia stasto l’autore della di lei morte ; e vuolsi,
che
lo stesso Eroe, arrivato in Sicilia, sia rimasto
Eroe, arrivato in Sicilia, sia rimasto così agitato da funesti sogni,
che
per liberarsene abbia inalzato un piccolo tempio
si denominò Cinossemate, ossia sepolcro della cagna, perchè si finse,
che
Ecuba sia stata convertita in quell’ animale, e p
a convertita in quell’ animale, e poi sepolta(a). Notisi ultimamente,
che
Agamennone ale preghière di Ecuba, è in riflesso
hio, celebre Artista, e nativo d’Ile, città della Beozia. Omero dice,
che
quello scudo era copetto di sette pelli di tori(a
Filottete, di Podarce, e di Protesilao(b). Questo ultimo poco prima,
che
cominciasse la guerra di Troja, avea sposato Laod
e partire per l’assedio di Troja, perche dal di lei padre avea udito,
che
Protesilao sarebbe perito in quella guerra. Un al
o sarebbe perito in quella guerra. Un altro Oracolo pure fece sapere,
che
avrebbe perduto la vita quello de’ Greci, il qual
). Laodamia poi, intesa la morte di Protesilao, fece fare una statua,
che
lo rassomigliava, e sempre la tenne appresso di s
sohiavo, avendola veduta sul di loi letto, andò a riferire ad Acasto,
che
la di lui figliuola conversava con un uemo. Corse
sava con un uemo. Corse il ro alla di lei stanza, nè avendovi trovato
che
la mentovasa statua ; la fece abbruciare per togl
la fece abbruciare per togliere agli ecchi di bua figlia un oggetto,
che
altro non faceva se non pastere la di loi affizio
i dal marito, e lo segial nel Regno di Plutone(b). Altri soggiungono,
che
Laodamia, mentre stava abbracciando l’ombra di Pr
cciando l’ombra di Protesilao, spirò di dolore(c). Notisi per ultimo,
che
a Protesilao si dà soventi volte il soprannome di
15. (3). Cebrione rimase ucciso da Patroclo con un colpo di pieltra,
che
gli spaccò la testa(e). (4). Eniopeo fu messo a
utti. Enea ne trovò il corpo, e lo sappellì in un monte dell’ Italia,
che
acquistò il di lui nome(a). (g). Declaustre Dic
umanità a Menelao, e il Poeta Lescheo a Pirro(c). Dionisio poi narra,
che
Astimatte, e gli altri figliuoli di Ettore furono
i figliuoli di Ettore furono condotti schiavi da Pirro nella Grecia ;
che
poscia ne furono lasciati in libertà ; e ch’eglin
i partorì tre figliuoli, Molosso, Piclo, e Pergamo(f). Pausania dite,
che
essendo Molosso divenuto erede del tegno d’Epiro,
pist. Heroid. 16. (b). Nat. Com. Mythol. l. 6. (1). Dicono alcuni,
che
Paride stette esposto percinque giorni, e che in
6. (1). Dicono alcuni, che Paride stette esposto percinque giorni, e
che
in tutto quel tempo venne allattato da un’orse. A
he in tutto quel tempo venne allattato da un’orse. Altri soggiungono,
che
fu allevato dal predetto Archelao, come suo propr
ad Acasto, re di lolco, il quale parimenti ne lo purificò. Fu allora,
che
Astidamia, moglie di quel Sovrano, detta anche As
e gli trovò la nascosta arma, e lo liberò dal pericolo. Altri dicono,
che
Acasto, dopo d’averlo spogliato dello armi, lo ab
esposto sull’anzidetto monte, affinchè fosse divorato dalle fiere ; e
che
gli Dei per in zzo di Mercurio gli abbiano spedit
i anni dopo l’eccidio di Troja, e molto si addolorò, allorchè intese,
che
in quella guerra era perito Pirro, nato dal di lu
di Nereo per esservi onorato come uno de’ Semidei. Notisi per ultimo,
che
gli abitanti di Pella nella Macedonia offerivano
ogni anno una vittima umana(c). (3). Tetide era una Ninfa sì bella,
che
Giove stesso voleva prenderla in moglie. Nol fece
la in moglie. Nol fece poi, perchè Proteo (o Prometeo(d)) lo avvertì,
che
chiunque fosse nato da colei, sarebbe divenuto ma
il suo ordinario soggiorno era in una grotta lungo le rive del mate,
che
bagna la Tessaglia. Là Peleo andava a trovarla ;
o agli Dei per esserne assistito. Gli apparve Proteo, e gli manifestò
che
i di lui voti sarebbono soddisfatti, qualora aves
Iliad. l. 7. (e). Declaustre Diction. Mythol. (5). V’è chi dice,
che
il messaggiero, il quale riferì ad Enone, che Par
l. (5). V’è chi dice, che il messaggiero, il quale riferì ad Enone,
che
Paride si faceva portare appresso di lei, affinch
della ricevuta ferita, fu da lei rimandato indietro col commettergli,
che
suggerisse da parte sua a Paride di farsi piuttos
to risanare da Elena. Un sentimento poi di tenerezza fece ben presto,
che
Enone si pentisse di quanto aveva proferito ; ed
ò tardi, poichè la risposta, data al messo, afflisse Paride in guisa,
che
in quello stesso instante egli spirò. Enone allor
’ella pure morì, e fu sepolta con Paride. Finalmente vuolsi da altri,
che
Enone abbia trattato Paride con eccesso d’inumani
ono della sua infedeltà, e implorava la di lei assistenza. Aggiungesi
che
colei n’ebbe poscia sì grande rincrescimento, che
istenza. Aggiungesi che colei n’ebbe poscia sì grande rincrescimento,
che
da se si gettò sul rogo, e si abbruciò col corpo
ad. l. 2. (1). Secondo alcuni la madre di Enea fu una donna Trojana,
che
portava il nome di Venere(a). (b). Virg. Aneid.
gine i Penati, detti anche Lari, non erano se non le anime de’ morti,
che
i Gentili si facevano un dovere d’onorare come De
entili si facevano un dovere d’onorare come Dei domestici(c). Sembra,
che
il loro culto sia derivato dall’antico costume di
nimale(a), il quale simboleggiava la vigilanza, con cui si supponeva,
che
quelle Deità guardassero la casa(b). Attendevasi
trade concorrono, e dove quelle stesse Feste si celebravano. Credesi,
che
siento state introdotte da Servio Tullo, sesto re
o re de’Romani. Queste Feste si facevano singolarmente dagli schiavi,
che
in quel tempo godevano la libertà. Ciò però fu ca
li schiavi, che in quel tempo godevano la libertà. Ciò però fu causà,
che
le medesime venissero in seguito proihite per tim
due volte nell’anno, l’estate, e la Minavera (b). Notisi per ultimo,
che
gli Dei Penati, i quali Enea sottrasse all’incend
Sicihani, Anfinomo e Anapio. Il fuoco dell’Etna così erasi dilatato,
che
andava riducendo in cenere la loso città, detta C
i, e per sottrarli alla morte non temettero di passare tralle fiamme,
che
li ambe le parti consumavano ogni cosa. Gli Dei a
sumavano ogni cosa. Gli Dei a vista di sì straordinaria pietà fecero,
che
il fuoco li rispettasse, cosicchè eglino non ne s
(7). Lesche, poeta Greco, il quale compose una piccola Iliade, dice,
che
Enea rimase prigioniero de’Greci, e che fu dato c
ose una piccola Iliade, dice, che Enea rimase prigioniero de’Greci, e
che
fu dato con Andromaca a Pirro, figlio di Achille
dato con Andromaca a Pirro, figlio di Achille (c). Altri soggiungono,
che
i Greci lo lasciarono uscire liberamente da Troja
tenore, avea consegnata nelle loro mani quella città (d). Tra coloro,
che
in quella circostanza tradirono la patria, Darete
ero poi (b) e Virgilio (c) ce lo descrivono come un vecchio Capitano,
che
, per l’età divenuto impotente a prendere le armi
lto però le giovò colla saggiezza de’suoi consigli. (8). Tra coloro,
che
seguirono Enea, si nomina Latago, che restò uccis
uoi consigli. (8). Tra coloro, che seguirono Enea, si nomina Latago,
che
restò ucciso da Mezenzio (d) ; Darete (e) ; Oront
omina Latago, che restò ucciso da Mezenzio (d) ; Darete (e) ; Oronte,
che
perì per naufragio sulla costa d’Africa (f) ; Lad
) ; Oronte, che perì per naufragio sulla costa d’Africa (f) ; Ladone,
che
fu ucciso da Aleso (g) ; Eumede, figlio di Dolone
li àfflissero con fiera pestilenza. I Velini, avvertiti dall’Oracolo,
che
quella non sarebbe cossata, se non avessero placa
rio di Palinuro (a). (a). Virg. Acneid. l. 3. (10). Dicono alcuni,
che
Anchise finì di vivere sul monte Ida (b). Pausani
cuni, che Anchise finì di vivere sul monte Ida (b). Pausania pretende
che
sia morto nell’Arcadia appiè d’un monte, che posc
a (b). Pausania pretende che sia morto nell’Arcadia appiè d’un monte,
che
poscia si denominò Anchiso (c). Eustato soggiunge
iè d’un monte, che poscia si denominò Anchiso (c). Eustato soggiunge,
che
morì di ottant’anni (d). Igino (e) e Virgilio nar
soggiunge, che morì di ottant’anni (d). Igino (e) e Virgilio narrano,
che
restò colpito dal fulmine, perchè si vantò d’aver
che tempo stette nascosto a Didone ; ma finalmente l’ombra di Sicheo,
che
fino allora era rimasto privo degli onori della s
e a trasportare seco i tesori, i quali erano nascosti in certo luogo,
che
le manifestò. Didone così fece, e si trasferì nel
Ninfa Garamantide. Ella gli offerì porzione de’suoi tesori, a patto,
che
volesse cederle tanto spazio di terreno, quanto e
ta la pelle in istrettissime striscie, occupò con quella tanta terra,
che
fu bastevole a fabbricarvi una ben vasta città. L
adella, a cui dalla pelle del bue diede il nome di Birsa, voce Greca,
che
significa pelle (a). (12). Varrone, citato da Se
che significa pelle (a). (12). Varrone, citato da Servio (b), dice,
che
non Didone, ma la di lei sorella, Anna, concepì i
4. (13). Altri raccontano in altro modo la morte di Didone. Dicono,
che
quando colei stabilì in Africa il suo regno, Iarb
sarla ; ma l’amore, ch’ella conservava pel morto suo marito, fece sì,
che
non mai volle acconsentirvi. E perchè temeva d’es
Antichi si risguardava come il Dio della Natura. Il Censorino vuole,
che
esso sia stato detto Genio dalla cura, che prende
atura. Il Censorino vuole, che esso sia stato detto Genio dalla cura,
che
prende nella generazione degli uomini, o perchè s
n loro (d). Due sorta di Genj furono da altri riconosciuti : gli uni,
che
eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al b
no da altri riconosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni,
che
eccitavano al bene ; gli altri che spingevano al
che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri
che
spingevano al male (e). Questi ultimi vennero da’
ssia malefici, tra’quali si fa menzione di un certo Atteo. Credevasi,
che
i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta
e i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta al fiume Stige, e
che
con essa vi facessero insorgere la peste, la guer
cui abbiamo parlato anche altrove, si tenne parimenti come un Genio,
che
presiedeva alla terra. Si rappresentava sotto l’a
terra. Si rappresentava sotto l’aspetto di pallido e smunto vecchio,
che
soggiornava nelle viscene della terra. Era credut
li Dei, e gli dà per compagni l’Eternità e il Caos. Paussania scrive,
che
vicino al confine delle stadio di Olimpia eravi u
ssavano all’anzidetto altare, così restavano sorpresi dallo spavento,
che
più non ubbidivano nè alla voce, nè alla mano di
nze di serpente (d). (b). Virg. Acneid. l. 5. (17). Virgilio dice,
che
due colombe additarono ad Enea l’albero, a cui er
e appresso di se Ercole ; e corse seppe, ch’era figliuolo di Giove, e
che
le di lui grandi azioni corrispondevano all’alto
i drizzò un altare, e gli sacrificò un giovine toro (i). Servio dice,
che
tale sacrifizio si rinovava in Roma ogni anno sul
novava in Roma ogni anno suli monte Aventino (l). Virgilio poi narra,
che
Evandro ebbe a combattere con Erilo, re di Prenes
he Evandro ebbe a combattere con Erilo, re di Preneste, in Italia ; e
che
tre volte dovette dargli la morte, attesochè colu
Nettuno, ed eccellente nell’arte di maneggiare i cavalli (d) ; Mago,
che
restò ucciso da Enea (e) ; il famoso augure, Tolu
nea (e) ; il famoso augure, Tolumnio (f) ; Ufente, Principe d’Italia,
che
fu messo a morte dal Trojano Gia (g) ; Aventino,
incipe d’Italia, che fu messo a morte dal Trojano Gia (g) ; Aventino,
che
nacque ad Ercole dalla Sacerdotessa Rea, e che po
no Gia (g) ; Aventino, che nacque ad Ercole dalla Sacerdotessa Rea, e
che
portava scoloita sullo scudo l’Idra di Lerna, per
d). Id. Ibid. (21). Niso ed Eurialo furono due compagni sì fedeli,
che
l’uno non abbandonò mai l’altro in qualsivoglia p
tre eccellente nel tirare d’arco. Finalmente era sì agile alla corsa,
che
avrebbe potuto correre sopra un campo, coperto di
ordì contro di lei varie insidie. Anna, avvertita in sogno da Didone,
che
abbandonasse quel soggiorno, fuggì per una finest
. Altri poi sotto tal nome riconobbero una certa vecchia di campagna,
che
somministrò viveri al Popolo Romano, allorchè que
a ritirarsi sul monte Aventino. Furonvi pure aleuni, i quali dissero,
che
Anna Perenna altro non era che la Luna, o Temi, o
Furonvi pure aleuni, i quali dissero, che Anna Perenna altro non era
che
la Luna, o Temi, o Io, o una delle Atlantidi, la
, la quale fu nutrice di Giove. Comunque ciò sia, notiamo per ultimo,
che
Anna Perenna fu venerata come una Dea, e che a di
sia, notiamo per ultimo, che Anna Perenna fu venerata come una Dea, e
che
a di lei onore si celebrava lungo le rive del Tev
(a). (e). Virg. Acneid. l. 1. (25). Lavinia, morto Enea, temette,
che
Ascanio la facesse perire. Si ritirò quindi nelle
sorella di Priamo. Omero ne parla, come del miglior tiratore d’arco,
che
vi fosse nella Greca armata (c). Teucro uccise Cl
fu accolto dal padre. Si ritirò quindi in Cipro, ove fondò una città,
che
denominò pure Salamina. Dopo la morte di Telamone
ì la dimora (a). Una tradizione, riferita da Pausania (b), soggiunge,
che
Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu
b), soggiunge, che Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu,
che
vi eresse al dire di Lattanzio un tempio a Giove,
pione (f). Nella divisione delle Trojane spoglie gli toccò una cassa,
che
racchiudedeva una statua di Bacce, formata da Vul
bondo. Questa malattia gli continuò per lungo tempo, nè gli lasciava,
che
brevi intervali di retto sentimento. Euripilo col
darsene a consultare l’Oracolo di Apollo Delfico. N’ebbe in risposta,
che
dovesse proseguire il suo viaggio, e fermarsi sol
tosi in balia de’venti, fu portato alla costa di Patrasso. V’osservò,
che
allora si stava sacrificando un giovanetto, e una
ja ; e colla prudenza e sagacità de’consigli riuscì sì utile a’Greci,
che
Agamennone protestava, ch’egli in breve tempo avr
e(e). Ritornando dall’assedio di Troja fu colto da sì fiera burrasca,
che
stette per naufragare. Fece allora voto a Nettuno
iera burrasca, che stette per naufragare. Fece allora voto a Nettuno,
che
se lo avesse salvato dall’imuninense pericolo, gl
Dio delmare, immerse il ferro nel seno di quello. Altri asseriscono,
che
nol fece, perchè il popolo ne lo impedì. Comunque
, che nol fece, perchè il popolo ne lo impedì. Comunque sia, certo è,
che
tutti i di lui sudditi gli si sollevarono, lo sca
tane l’asta, la quale per l’immenso suo peso non si poteva maneggiare
che
dal solo Achille. Così armato, alla testa de’Mirm
tollo del sangue nemico, insistette nel combattimento. Apollo allora,
che
proteggeva i Trojani, gli comandò di non inferoci
eguale valore. Finalmente la vittoria si dichiarò in favore de’Greci,
che
trassero il corpo di Cebrione alle loro rive. Pat
e in fuga, e trasportò il corpo dell’estinto ne’suoi navigli. Dicesi,
che
i cavalli di Achille abbiano pianto la morte di P
Dicesi, che i cavalli di Achille abbiano pianto la morte di Patioclo,
che
sieno rimasti immobili colla testa pendente verso
ioclo, che sieno rimasti immobili colla testa pendente verso terra, e
che
non abbiano voluto più marciare ad onta degli sfo
non abbiano voluto più marciare ad onta degli sforzi di Automedonte,
che
li guidava(b). Achille, intesa la morte dell’amit
esa la morte dell’amito, diede segni di eccessivo dolore, e protestò,
che
non ne avrebbe celebrato i funerali, se prima non
di quello quattro de’suoi più belli cavalli, e due de’migliori cani,
che
teneva per guardia ; v’aggiunse, com’erasi propos
Piro, capo de’Traci, spirò per mano di lui(l). Toante era sì stimato,
che
Nettuno prese le di lui sembianze per animare i G
to dalla collera, ferì col dardo la Dea in una coscia, ed eseguì ciò,
che
avea stabilito. Arrivato a casa, gli parve di ved
iò, che avea stabilito. Arrivato a casa, gli parve di vedere Minerva,
che
gli mostrava la sua ferita. Dopo questa visione c
frutto. Gli abitanti della medesima consultarono l’Oracolo di Dodona,
che
li consigliò di placare la predetta Divinità. Egl
igliò di placare la predetta Divinità. Eglino le eressero una statua,
che
la rappresentava con una ferita in una coscia(a).
e servisse di divertimento. Colui sempre ciarlava, e diceva tutto ciò
che
gli veniva in bocca. Era inoltre guercio, zoppo d
bocca. Era inoltre guercio, zoppo da un piede, e colle spalle curve,
che
gli si rovesciavano sul petto. Era appuntito nel
uto da Bacco la virtù di cangiare in vino, grano, ed olio tutro quel,
che
toccavano. Usò Agamennone della forza e delle arm
per timore consegnò ad Agamennone le giovani. Esse a vista de’ceppi,
che
loro si preparavano, ricorsero supplici a Bacco,
’anzidetta città, voleva sapere, come gli sarebbe riuscita la guerra,
che
stava per intraprendere. Calcante predisse, che l
e riuscita la guerra, che stava per intraprendere. Calcante predisse,
che
l’esito ne sarebbe stato felice. Mopso all’oppost
e, che l’esito ne sarebbe stato felice. Mopso all’opposto non presagì
che
sciagure. Il Monarca s’accinse all’impresa e l’av
comprovò il vaticinio di Mopso. Ciò talmente avvilì il di lui rivale,
che
questi morì di dolore(a). Altri poi dicono, che,
ilì il di lui rivale, che questi morì di dolore(a). Altri poi dicono,
che
, essendosi ricercato a que’due Indovini, quante f
o a que’due Indovini, quante frutta avesse una certa ficaja, si trovò
che
il numero n’era tale, quale Mopso avea asserito.
per timore d’ingannarsi non proferi parola ; laddove Mopso soggiunse,
che
quella era gravida di sei figli, tra’quali ve ne
rche bianche. Tutto ciò esattamente viddesi verificato ; e fu allora,
che
Calcante morì di tristezza(b). Questi dopo motte
a quella Dea(e). Sonovi degli antichi Scrittori, i quali asseriscono,
che
Ifigenia al momento, che dovea essere sacrificata
egli antichi Scrittori, i quali asseriscono, che Ifigenia al momento,
che
dovea essere sacrificata, venne convertita in gio
dicono in orsa, ed altri in vecchia donna(f). Virgilio ci fa credere,
che
realmente siasi sparso il di lei sangue sull’ara(
ente siasi sparso il di lei sangue sull’ara(a). Stesicore finalmente,
che
fu uno de’più antichi e celebri Poeti Lirici, rac
inalmente, che fu uno de’più antichi e celebri Poeti Lirici, racconta
che
l’Ifigenia, sacrificata in quell’occasione, era u
lia, la quale Elena, sorella di Clitennestra, avea avuto da Tesseo, e
che
da lei non era stata mai dichiarata per sua figli
colla loro madre. Nella sorpresa universale Calcante predisse allora,
che
la conquista di Troja avrebbe costato a’Greci tan
anni di stenti e sudori, quanti erano stati gli uccelli divorati : lo
che
, conte vedemmo, si verificò. Terminato ch’ebbe Ca
ezialmente all’ingegnosa accortezza di Ulisse. Questi suggerì a’suoi,
che
fingessero di ritirarsi dall’assedio, e di far ri
ssero di ritirarsi dall’assedio, e di far ritorno alle loro città, ma
che
prima lasciassero costruito dinanzi a Troja un ca
te, Menelao, Stenelo, Pirro, e Macaone. I Greci poscia sparsero voce,
che
aveano consecrato quel cavallo a Pallade, ond’ell
o consecrato quel cavallo a Pallade, ond’ella fosse propizia ad cesi,
che
citornavano alle loro città ; e intanto si occult
edonte secondo Ditti Cretese(c), comechè conoscesse il Greco inganno,
che
il quello celavasi tuttavia egli il primo propose
tuttavia egli il primo propose a’suoi d’introdurlo in città. Dicesi,
che
ciò abbia fatto per vendicarsi con Priamo, che av
urlo in città. Dicesi, che ciò abbia fatto per vendicarsi con Priamo,
che
avea fatto morire il di lui figliuolo(d). Capi al
ltri miglior consiglio, paventando le Greche insidia, erano d’avviso,
che
il sospetto dono o fosse gittato in mare, o venis
o da moltitudine di popolo, e pieno d’estro fatidico, si fece a dire,
che
non conveniva fidarsi del mentito cavallo ; che s
dico, si fece a dire, che non conveniva fidarsi del mentito cavallo ;
che
si dovea temere de’ Greci ; e che non senza ingan
eniva fidarsi del mentito cavallo ; che si dovea temere de’ Greci ; e
che
non senza inganno erano certamente i doni loro. C
spiaggia a Nettuno, si staccarono dall’ Isola di Tenedo due serpenti,
che
, strisciando prima con fischi orribili sulla supe
o orrendo scempio. In vano usò il padre de’suoi dardi a loro difesa :
che
anzi gli stessi serpenti si avventarono pure cont
ltro, si lasciò ad arte prendere da’ Trojani, e diede loro a credere,
che
i Greci, stanchi di sì lungo assedio, e risoluti
soluti di abbandonarlo, aveano ricevuto ordine dall’ Oracolo di Febo,
che
prima sacrificassero uno di loro, affinchè potess
mettersi di nuovo con favorevo le vento alle patrie terre. Soggiunse,
che
Ulisse, da cui egli era fieramente perseguitato,
gno i Greci avessero formata l’immensa mole di quel Cavallo. Rispose,
che
i suoi, dopochè rapirono il Palladio, non godette
il Palladio, non godettero più favorevole sorte nelle loro imprese ;
che
per consiglio di Calcante conobbero, ch’era neces
’offesa Dea, e poi ripigliare l’assedio di Troja. Conchiuse col dire,
che
intanto per espiare la fatale colpa aveano eretto
ale colpa aveano eretto in vece del rapito simulacro quel Cavallo ; e
che
sì grande lo aveano formato, acciocchè i Trojani
bo, chiamato da Omero Ortrione, era figlio di Migdone. Egli, veggendo
che
i Greci conducevano via, come schiava, Cassandra,
’un bambino. Per celare poi l’obbrobriosa nascita di quello, comandò,
che
lo stesso fosse esposto nelle selve. Un certo pas
prudente, la quale seppe occultare agli occhi di sua madre il dolore,
che
sentiva per la morte di suo padre. N’ era quindi
. Mythol. (a). Iliad. l. 2. (a). Paus. l. 1. (1). Altri dicono,
che
Oreste fu spedito appresso Strofio dalla sua nutr
(b), e Gelissa da Eschilo (c). Un Greco Autore antichissimo pretende,
che
quando Egisto e Clitennestra assassinarono Agamen
st. (a). Declaustre Diction. Mythol. (3). Dionisiocle riferisce,
che
Oreste fu accusato dinanzi all’ Areopago da Tinda
l’ Areopago da Tindaro, padre di Clitennestra (e). V’è chi soggiunge,
che
lo abbia fatto Erigona, figlia d’Egisto e di Clit
ge, che lo abbia fatto Erigona, figlia d’Egisto e di Clitennestra ; e
che
colei talmente si rattristò al vederlo assolto, c
Clitennestra ; e che colei talmente si rattristò al vederlo assolto,
che
disperata si diede la morte (f). Igino poi contin
olto, che disperata si diede la morte (f). Igino poi continua a dire,
che
volendo Oreste ucciderla, Diana la sottrasse al d
sa nell’ Attica (g). (b). Id. Ibid. (4). Pausania lasciò scritto,
che
nell’ Arcadia v’avea un tempio, dedicato a certe
certe Dee, chiamate da quegli abitanti Manie. Lo stesso Storico crede
che
fossero la stessa cosa che le Furie ; e racconta,
li abitanti Manie. Lo stesso Storico crede che fossero la stessa cosa
che
le Furie ; e racconta, che fu quello il luogo, ov
o Storico crede che fossero la stessa cosa che le Furie ; e racconta,
che
fu quello il luogo, ove Oreste, dopo d’aver uccis
erchè sopra di essa stava scolpita la figura d’un dito ; e si diceva,
che
Oreste, divenuto furioso, si avesse troncato colà
fu rapita, venne nascosta tra un fascio di legna (c). Pausania dice,
che
in Brauron, Borgo dell’ Attica, eravi un’antica s
a, eravi un’antica statua di Diana, la quale credevasi essere quella,
che
fu rapita da Oreste. In quel tempio si celebrava
nuda spada sulla testa d’una vittima umana, e alcune gocce di sangue,
che
da quella si facevano uscire, erano in luogo di s
opo morte viricevette onori divini. (d). Lo stesso Storico soggiunge,
che
gli Spartani pretendevano di possedere essi la pr
Statua (e). Strabone finalmente (f), Dione (g), e Tzetze (h) dicono,
che
gli abitanti di Comana, città della Cappadocia, e
ada, si vantavano di tenere il medesimo simulacro. Strabone aggiunge,
che
le Sacerdotesse di Diana, onorata in Castabalo so
Id. Iliad. l. 5. (f). Declaustre Diction. Mythol. (1). Il piloto,
che
condusse il vascello di Menelao dall’assedio di T
ra. Il re di Sparta, per onorarne la memoria, fabbricò ivi una città,
che
denominò Canobo, e nella quale al momento della s
e della guerra, in cui era morto il suo marito, ordinò a certe donne,
che
si fingessero furibonde, che la strangolassero, e
rto il suo marito, ordinò a certe donne, che si fingessero furibonde,
che
la strangolassero, e che la sospendessero ad una
a certe donne, che si fingessero furibonde, che la strangolassero, e
che
la sospendessero ad una quercia(b). Que’di Rodi f
ssero ad una quercia(b). Que’di Rodi fabbricarono ad Elena un tempio,
che
denominarono il tempio di Elena Dendrite, ossia a
sso nel predetto tempio di Elena ; e la bambina divenne sì avvenente,
che
Aristone, re di Sparta, la sposò(a). Dicesi final
vvenente, che Aristone, re di Sparta, la sposò(a). Dicesi finalmente,
che
il Lirico Poeta, Stesicore, essendo stato privato
a di aver dovuto sposare un mortale. Furonvi alcuni, i quali dissero,
che
Tetide soleva gettare in acqua bollente i proprj
questo, come lo viddero morto, rimasero presi da sì veemente dolore,
che
tutti si lasciarono uccidere intorno al corpo di
co. Questa sì valorosa giovine, afflitta per la perdita di suo padre,
che
qualche tempo dopo era perito in una sedizione, s
hi, ove visse di rapine. Ella correva con somma rapidità, nè fu presa
che
colle reti(a). Ritornando a Neottolemo, dicesi, c
dità, nè fu presa che colle reti(a). Ritornando a Neottolemo, dicesi,
che
Menelao avesse, promesso Ermione, sua figlia, ad
icesi, che Menelao avesse, promesso Ermione, sua figlia, ad Oreste, e
che
poi la abbia data in moglie a Neottolemo. Non ave
i sposò Tolommeo Evergere, re d’Egitto, e tale amore sentiva per lui,
che
veggendolo marciare alla testa de’ suoi eserciti
ed ebbe un tempio, in cui i vincitori deponevano le corone di fiori,
che
aveano riportaro ne’Giuochi, celebrati in di lui
isia in Asia, il quale la adotto per sua figliuola(d). Pausania dice,
che
Auge, rinchiusa col figlio, Telefo, in una cesta,
sa col figlio, Telefo, in una cesta, fu gettata da Nauplio in mare, e
che
venne raccolta, e sposata da Teutrante(e). Anche
he venne raccolta, e sposata da Teutrante(e). Anche Igino riferisce ;
che
Teutrante la adottò per sua figliuola ; ma soggiu
o per sapere, quali fossero i di lui genitori. L’Oracolo gli comandò,
che
passasse in Asia presso il re Teutrante. Questo P
nte. La giovine spaventata implorò il soccorso d’Ercole, e ne intese,
che
Telefo era di lei figliuolo. Telefo allora prese
n moglie Laodice, figlia di Priamo. In forza di queste nozze avvenne,
che
Telefo si attaccò al partito de’ Trojani contro i
tri alla fuga. Era per trionfare totalmente de’ nemici, quando Bacco,
che
proteggeva i Greci, fece sortire dalla terra un c
Achille subito si avventò contro di lui, e sì lo ferì colla lan cia,
che
lo obbligò a ritirarsi colle sue truppe(b). (f).
io(d), era figlia di Marte e di Ottera. (8). Darete di Frigia vuole,
che
Pentesilea sia stata uccisa da Neottolemo, figlio
’Achille(a). Lo Scoliaste d’Omero(b) e Tolommeo. Efestione(c)narrano,
che
l’anzidetta donna vinse ed uccise Achille ; ma ch
estione(c)narrano, che l’anzidetta donna vinse ed uccise Achille ; ma
che
questo Eroe per le preghiere di Tetide, sua madre
Tetide, sua madre, cisuscitò un momento per troncare la vita a colei,
che
gli avea tolto la sua. (e). Quint. Calab. l. 1.
1. (f). In Virg. Aeneid. l. 1. & 11. (9). Licofrone pretende,
che
Achille abbia privato di vita Tersite, perchè cos
aricò di maledizioni. Fenice si ritirò nella Ftiotide appresso Peleo,
che
lo ricolraò di ricchezze, gli affidò l’educazione
rtò all’assedio di Troja(g). Apollodoro poi(h) e Licofrone(i) dicono,
che
Amintore strappò gli occhi a Fenice, e che questi
(h) e Licofrone(i) dicono, che Amintore strappò gli occhi a Fenice, e
che
questi, ritirandosi appresso Peleo, venne dal med
si appresso Peleo, venne dal medesimo indrizzato al Contauro Chirone,
che
gli restituì la vista. (b). Hom. Iliad. l. 9. &
ricevuto da Nettuno, suo avo, il dono dell’immortalità a condizione,
che
avesse avuto cura d’un capello d’oro, il quale tr
fitrione, poichè questi, com’ebbe in sua mano la di lei città, ordinò
che
colei fosse fatta morire(b). (c). Ovid. 8. Epis
. l. 1. (a). Hard. Stor. Poct. (b). Metam. l. 12. (13). Dicesi,
che
i Greci, per farsi restituire da’ Trojani il corp
ojani il corpo d’Achille, abbiano dovuto sborsare il riscatto stesso,
che
quelli aveano contribuito per riavere il corpo d’
e(d). Igino racconta, ch’egli appena nato fu esposto sul monte Ida, e
che
venne allattato da una cagna(e). Il medesimo molt
rezza e agilità d’Antiloco uguagliava il suo coraggio ; e sì nell’una
che
nell’altra molto si distinse ne’ Giuochi funebri,
lo fa cadere per mano di Ettore, figlio di Priamo(b). Senofonte dice,
che
Antiloco fu soprannominato Filopatore, ossia amat
o padre, perchè egli sacrificò la propria vita per riparare il colpo,
che
Mennone avea vibrato contro Nestore(c). (c). De
. 9. (b). Hard. Stor. Poct. (1). Furonvi alcuni, i quali dissero,
che
Sisifo, figliuolo di Eolo, pochi giorni prima che
i, i quali dissero, che Sisifo, figliuolo di Eolo, pochi giorni prima
che
Anticlea si maritasse con Laerte, la lasciò incin
consisteva in un cambio reciproco di cose necessarie alla vita, e ciò
che
si comprava, veniva pagato con animali, o con isc
o argento informe. (c). Hom. Odyss. l. 1. (3). Alcuni pretendono,
che
Penelope, ancor bambina, sia stata esposta ; e ch
Alcuni pretendono, che Penelope, ancor bambina, sia stata esposta ; e
che
essendo stata allevata da certi uccelli, detti Pe
do maritare la mentovata sua figlia, la propose, come premio a colui,
che
avesse sorpassato gli altri nella corsa ; ed Ulis
rannome di Belide, perchè confonde Nauplio, di lui padre, con quello,
che
nacque da Aminome, una delle Danaidi, le quali, p
9. (b). Joh. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (6). Filostrato riferisce,
che
Ajace ed Achille ebbero cura di seppellire Palame
ace ed Achille ebbero cura di seppellire Palamede appresso il mare, e
che
qualche tempo dopo gli alzarono una Capella ; dov
cendole urtare in varj scogli, le fece naufragare. Avendo poi inteso,
che
Ulisse e Diomede si erano salvati, preso dal dolo
lvati, preso dal dolore, si precipitò nel mare’(b). Eustato aggiunge,
che
Nauplio fece credere ad Anticlea, madre d’Ulisse,
stato aggiunge, che Nauplio fece credere ad Anticlea, madre d’Ulisse,
che
il suo figliuolo era morto ; e che colei disperat
edere ad Anticlea, madre d’Ulisse, che il suo figliuolo era morto ; e
che
colei disperata si diede la morte(c). Omero per a
colei disperata si diede la morte(c). Omero per altro dice solamente,
che
l’anzidetta donna morì di dolore per la lunga ass
lla Bitinia, amava estremamente la solitudine, nè d’altro dilettavasi
che
della caccia. Reso, essendo passato per que’dinto
, con cui avea percosso la terra, e gli aprì una piaga sì puzzolente,
che
i Greci lo abbandonarono, come dicemmo, nell’Isol
lo abbandonarono, come dicemmo, nell’Isola di Lenno(b). Altri dicono,
che
la predetta piaga fu un effetto del morso di un s
o cura degli ultimi momenti della di lui vita(c). Teocrito soggiunge,
che
Filottete rimase in quel modo danneggiato da un s
fece orribile strage de’Trojani. Dopo la presa di Troja avendo udito,
che
i suoi gli si erano ribellati, si trasferì in Ita
Petilia(b). (h). Declaustre Diction. Mythol. (9). Pausania vuole,
che
Diomede solo sia stato incaricato di andarsene a
or. Poet. (a). Hom. Odyss. l. 9. (10). Uno de’compagni di Ulisse,
che
si chiamava Achemonide, figlio di Adamasto d’Itac
co lo trasferì in Italia(d). (11). Fileta appresso Partenio(e) dice,
che
Polimela, figlia d’ Eolo, cui Ulisse aveva preso
e aveva preso ad amare, fu sì sensibile alla partenza del suo amante,
che
non cessava dal bagnare di calde lagrime i doni,
del suo amante, che non cessava dal bagnare di calde lagrime i doni,
che
ne avea ricevuto. Eolo a vista di quelli riconobb
quelli riconobbe la causa del di lei dolore, e talmente se ne sdegnò,
che
la avrebbe uccisi, se non ne fosse stato trattenu
fosse stato trattenuto da Diore, di lei fratello. (12). Tra’ Greci,
che
da Circe furono converti in porci, si nomina un c
e Sirene erano Ninfe marine, figlie del fiume Acheloo, e di una Musa,
che
alcuni dicono essere stata Melpomene(b), altri Ca
te in mostri, poichè comparvero mezzo uccelli, e mezzo donne. Dicesi,
che
ciò sia avvenuto, perchè essendosi trovate presen
lare, finchè avessero potuto trovarla(i). Igino all’opposto racconta,
che
Cerere le cangiò in que’mostri, perchè non difese
l. 1. (d). Id. Odyss. l. 5. (e). l. 4. Pons. (15). Esiodo dice,
che
Ulisse ebbe da Calipso due figli, Nausitoo, e Nau
(b). Id. Odyss. l. 6. (16). Ditti Cretese(d) e Aristoto(e) narrano,
che
Nausicaa si maritò con Telemaco, figlio d’ Ulisse
e) narrano, che Nausicaa si maritò con Telemaco, figlio d’ Ulisse ; e
che
n’ebbe un figlio, detto Ptoliporto, o Perseptoli.
ava vicino all’ Isola di Corcira. L Oracolo avea predetto ad Alcinoo,
che
così era per accadere. Quel re poi, per placare N
osamente deludeva le forti e continue sollecitazioni di tutti coloro,
che
aspiravano alle di lei nozze. Prese ella a tesser
di manifestare la sua risoluzione, quando avesse compito quel lavoro,
che
destivana per ravvolgervi il corpo di Laerte, suo
). (d). Id. Odyss. l. 19. (a). Hom. Odyss. l. 21. (21). Il fine,
che
que’ Nobili incontrarono, era stato loro predetto
taca, l’ Indovino vide volare alla diritta di Telemaco uno sparviero,
che
teneva tragli artigli una colomba, la bezzicava,
do vide coloro, i quali, sedendo a mensa, ridevano sì eccessivamente,
che
perfino versavano dagli occhi copiose lagrime(c).
perfino versavano dagli occhi copiose lagrime(c). Tra i varj Nobili,
che
in quell’occasione caddero morti, si nominano Ant
endicare la morte di suo figlio, si fece alla testa d’alcuni d’Itaca,
che
avea sollevato contro Ulisse ; ma restò ucciso da
ma nè seppe prevedere la venuta di Ulisse, nè il colpo di quell’arma,
che
gli recise la testa(b). (b). Id. Odyss. l. 2.
. 3. (d). Hom. Odyss. l. 10. (22). Circe ebbe da Ulisse due figli,
che
si denominarono Agrio e Latino(c). (e). Hard. I
uovamente gl’intimò di non più comparirgli dinanzi ; e gli soggiunse,
che
se voleva fare le sue difese, le esponesse, stand
iò il favore del re Cicreo, figlio di Nettuno e della Ninfa Salamide,
che
gli diede in moglie una delle sue figliuole, la q
perchè col mezzo di lui eransi liberate quelle terre da un serpente,
che
andava facendone orribile guasto(a). Telamone int
di penetrare il primo in quella città. Ercole, non potendo sofferire,
che
un altro fosse stimato più valoroso di lui, volev
valoroso di lui, voleva sacrificarlo alla propria gelosia. Telamone,
che
se ne avvide, prese a formare un monte di pietre,
e, che se ne avvide, prese a formare un monte di pietre, protestando,
che
voleva alzare un altare ad Ercole Callinico, cioè
ricompensare il di lui valore gli diede Esione, figlia di Laomedonte,
che
divenne la di lui seconda moglie(b). Telamone n’e
divenne la di lui seconda moglie(b). Telamone n’ebbe anche una terza,
che
Sofocle(c), Pindaro(d), Diodoro Siciliano(e), ed
a figlia d’Alcatoo, nato da Pelope, e re di Megara. E’ questa quella,
che
diede alla luce il predetto Ajace(h). (a). Phil
Dict. Cret. l. 5., Cedren. in Annal. (4). Quelli, i quali dicono,
che
Ajace sia stato trovato morto nella sua tenda, so
cono, che Ajace sia stato trovato morto nella sua tenda, soggiungono,
che
Ulisse, essendo stato preso in sospetto di tale o
rasca vennero portate sulla tomba d’Ajace(a). Tolomeo Efestione dice,
che
le onde non ne portarono colà se non lò scudo. La
ne portarono colà se non lò scudo. La tomba d’Ajace fu una di quelle,
che
Alessandro il Grande volle vedere e onorare nella
). Nat. Com. Mythol. l. 8. (b). Apollon. Argon. l. 1. (2). Colui,
che
manifestò a Castore e a Polluce, dov’ Elena trova
Academo, rispettarono quel luogo nel tempo delle frequenti invasioni,
che
facevano nell’ Attica. Le ombrose selve, che ivi
lle frequenti invasioni, che facevano nell’ Attica. Le ombrose selve,
che
ivi si trovavano, e le quali erano opportune agli
e ivi si trovavano, e le quali erano opportune agli studj, fecero sì,
che
nel medesimo Inogo si riducesse gran moltitudine
o sì, che nel medesimo Inogo si riducesse gran moltitudine di quelli,
che
si applicavano alla Filosofia, e che bramavano di
esse gran moltitudine di quelli, che si applicavano alla Filosofia, e
che
bramavano di udire Platone : lo che a’ di lui dis
si applicavano alla Filosofia, e che bramavano di udire Platone : lo
che
a’ di lui discepoli acquistò il nome di Academici
re Diction. Mythol. (e). Nat. Com. Mythol. l. 8. (3). Igino dice,
che
Febe era sacerdotessa di Minerva, e Ilaira dì Dia
ra sacerdotessa di Minerva, e Ilaira dì Diana(c). Pausania soggiuage,
che
Sparta eresse alle medesime un tempio, al quale e
li Argonauti, mentre erano minacciati da orrida procella nel viaggio,
che
facevano per la Colchide. La burrasca però all’ap
eumd : Sebol. lot. cit. (c). Fab. 9. 82. 83. (1). Pausania crede,
che
il vero padre di Enomao fosse Alsione(a). (2). U
si di Pallene, figlia di Sitone, re della Tracia. Era colei sì bella,
che
molti Principi recavansi da lontani paesi a ricer
i da lontani paesi a ricercarla in matrimonio. Il padre suo dichiarò,
che
la avrebbe data a quello, che avesse voluto gareg
a in matrimonio. Il padre suo dichiarò, che la avrebbe data a quello,
che
avesse voluto gareggiare secolui nel condurre in
celare al medesimo il suo timore. Quegli, per consolarla, le promise,
che
avrebbe così disposte le cose, che Clito avrebbe
uegli, per consolarla, le promise, che avrebbe così disposte le cose,
che
Clito avrebbe certamente superato il suo rivale.
siderabile somma di danaro corruppe il cocchiere di Driante per modo,
che
questi adattò le ruote del carro del suo padrone
modo, che questi adattò le ruote del carro del suo padrone in guisa,
che
avessero a cadere facilmente in terra. Così avven
. l. 7. (3). Epimenide numera tredici Principi del vicinato di Pisa,
che
, superati da Enomao, ne rimasero anche uccisi. Ca
rto Cranone, a di cui onore i Tessali de nominarono Cranone la città,
che
prima si appellava Efira. Quì pure notiamo, che E
ono Cranone la città, che prima si appellava Efira. Quì pure notiamo,
che
Enomao avea stabilito di alzare al Dio Marte un t
to(b). (b). Id. Ibid. (c). Nat. Com. Mythol. l. 7. (5). Leggesi
che
il corpo di Mirtilo fu spinto da’flutti sulle riv
gli fecero annui sacrifizj(c). Igino poi(d) e Servio(e) soggiungono,
che
Mirtillo fu collocato tra gli Astri in consideraz
di Mercurio, suo padre. (d). Eurip. in Orest. (6). V’è chi dice,
che
il mentovato mare fu detto Mirtoo non da Mirtilo,
one, la quale restò in quelle acque sommersa(f). Plinio poi pretende,
che
quel mare abbia presa l’anzidetta denominazione d
l quale, venuto a morte, lasciò ad Atreo la corona(b). Altri narrano,
che
Ippodamia stessa commise il predetto misfatto ; e
Altri narrano, che Ippodamia stessa commise il predetto misfatto ; e
che
colei, come vide scoperto il suo delitto, si died
sapesse di quali cibi erasi sino allora pasciuto(d). Dicono i Poeti,
che
il Sole in quel momento si nascose per non illumi
ato di vita(f). Non è da confondersi la predetta Arpalice coll’altra,
che
, disprezzata da Ifielo, uno degli Argonauti, cui
alla morte di quella giovine(a). (8). Alcatoo fu preso in sospetto,
che
avesse avato parte nell’omicidio di suo fratello,
Alcatoe(c). (9). Dopo la morte di Pelope gl’ Indovini dichiararono,
che
Troja non si poteva prendere da’ Greci, qualora e
per ricercare allo stesso Nume il modo di far cessare la pestilenza,
che
desolava il loro paese. L’Oracolo rispose loro, c
re la pestilenza, che desolava il loro paese. L’Oracolo rispose loro,
che
procurasse ro di ricuperare l’osso di Pelope, che
acolo rispose loro, che procurasse ro di ricuperare l’osso di Pelope,
che
Filottete avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse,
osso di Pelope, che Filottete avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse,
che
desse a que d’Elea ciò, che aveva trovato. Il pas
e avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse, che desse a que d’Elea ciò,
che
aveva trovato. Il pascatore ubbidì, e ne ottenne
, che aveva trovato. Il pascatore ubbidì, e ne ottenne in ricompensa,
che
egli e i suoi discendenti avessero il privilegio
. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (1). Un fatto alquanto simile a quello,
che
avvenne ad Edipo, successe anche a Crateo, nato d
anti lo giudicarono un nemico, corsero tutti alle armi per impedirgli
che
entrasse nelle loro terre. V’accorse tra quella m
a per morire ; e preso allora da estremo cordoglio, supplicò gli Dei,
che
nol lasciassero più a lungo tra’ viventi. La terr
ge, soggiacque non molto dopo alla persecuzione d’una Volpe sì feroce
che
ne fece orribile guasto. Temi, adirata per la mor
ò anch’egli alla caccia col cane Lelapo, detto da Apollo loro(a) Fae,
che
Procride, figlia di Eretteo, o d’Ificlo, re d’Ate
coh. Hofman. Lex. Univ. (b). In Phoeniss. (3). Pausania accorda,
che
Edipo sposò sua madre, ma nega, che quegli ne abb
hoeniss. (3). Pausania accorda, che Edipo sposò sua madre, ma nega,
che
quegli ne abbia avuto alcun figliuolo, perchè Gio
lla tosto si uccise(d). V’è chi, seguendo questa opinione, soggiunge,
che
i pred tti figli nacquero ad Edipo da Euriganea,
riganea, figlia di Perifa, sposata da lui dopo la morte di Giocasta ;
che
Edipo regnò secolei in Tebe ; e che ivi finì i su
a lui dopo la morte di Giocasta ; che Edipo regnò secolei in Tebe ; e
che
ivi finì i suoi giorni(e). (c). Declaustre Dict
in mezzo di quelli(f). (d). Hyg. fah. 66. 67 (5). Apollodoro dice,
che
Edipo fu scacciato di Tebe dagli stessi suoi figl
si sposerebbe con un cinghiale, e l’altra con un leone. Altri dicono,
che
parve a lui in sogno di averle maritate cogli anz
ì Tideo, vestito di una pelle di cinghiale, con cui voleva ricordare,
che
Meleagro, suo fratello, avea ucciso il famoso Cin
ea ucciso il famoso Cinghiale di Calidone. Adrasto non dubitò allora,
che
Polinice e Tideo fossero i due sposi, indicati da
o appresso Adrasto. Gli Antichi non vanno d’accordo riguardo a colui,
che
Tideo privò di vita. Gli uni, dice Apollodoro(c),
ui, che Tideo privò di vita. Gli uni, dice Apollodoro(c), pretendono,
che
sia stato Alcatoo, suo zio ; gli altri, soggiunge
ia stato Alcatoo, suo zio ; gli altri, soggiunge Ferecide(d), dicono,
che
sia stato Olenio, suo fratello. Comunque ciò sia,
lui dal Tebano Menalippo. Egli prima di morite pregò alcuni de’ suoi,
che
gli recassero la testa del predetto Menalippo, la
inario di Licìa, e figlio di’ Elcaone, vibiò un dardo contro Diomede,
che
lo ferì iu una spalla. Il figlìo di Tideo, furibo
sul carro di Enea, suo amico, e volò contro Diomede. Scoccò un dardo,
che
nol ferì. Diomede anch’egli ne vibrò un altro, co
a del buon ritoruo, perchò questo Dio lo avea salvato dalla burrasca,
che
fece perire moltissimi altri Greci(b). Egli poi,
nello stesso tempo presero a volare intorno il loro vascello. Dicesi,
che
questi uccelli, memori della loro origine, accare
memori della loro origine, accarezzavano i Greci, e fuggivano coloro,
che
non erano tali(d). Notisi per ultimo, che Diomede
Greci, e fuggivano coloro, che non erano tali(d). Notisi per ultimo,
che
Diomede ebbe un tempio appresso il fiume Timavo(e
Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e sì arrogante,
che
si credeva piucchè uomo(a). Egli voleva scalare l
ebe. Gli abitanti di quella città gli scagliarono contro tanti sasti,
che
rimase sepolto sottò di quelli. Immaginarono quin
tà, quand’anche Giove, e qualsisia altro Nume gli si fosse opposto, e
che
in pena di tanto ardire Giove lo avesse colpito c
i fulmini(b). Fu quindi considerato anche dagli uomini come un empio,
che
avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo
osato Evadne, figlia d’Ifide. Colei fece conoscere l’eccessivo amore,
che
nutriva per lui, e diede di se medesima un grande
(4). Anfiatao fu figliuolo d’Ecleo e d’Ipermnestra(f). Altri dicono,
che
il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Mela
i dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Melampo, e
che
per altro sia stato creduto figlio d’Apollo, perc
de’ sogni, come altri riferiscono. La sua scienza gli fece prevedere
che
sarebbe operito nella guerra Tebana. Per sottarse
, di uccidere Deifile, tostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi,
che
il primo giorno, in cui Anfiarao erasi portato al
s’avvide d’un sottoposto precipizio, e vi perì(c). Altri pretendono,
che
mentre con tutta fortezza combatteva, la terra si
hiere(d). Egli dopo morte fu ascritto tra’ Semidei(e). Pausania dice,
che
fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ A
ritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e
che
gli Oropj nell’ Attica gli eressero un magnifico
timazione, ed era annoverato tra’ principali della Grecia(g). Coloro,
che
lo consultavano, doveano prima digiunare per lo s
dormivano poi sulle pelli delle vittime ancor fomanti, e attendevano,
che
il Nume dicifrasse loro in sogno gli eventi dell’
sogno non presentava facilmente la spiegazione a’ ministri, si faceva
che
quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
o eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi,
che
fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitt
ume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia,
che
si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, ch
e sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana,
che
Erifile aveva ricevuto da Adrasto in dono. Non po
in dono. Non potendo poi trovare appresso Fegeo l’opportuno rimedio,
che
lo liberasse dal furore, ond’era oppresso, per co
ava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove,
che
i di lei piccoli figliuoli, avuti da Alcmeone, di
figliuoli, avuti da Alcmeone, divenissero in un istante così grandi,
che
avessero potuto effettuare ciò, ch’ella bramava.
oventù erasi applicato a’ Iavori campestri. La dura e laboriosa vita,
che
menò, lo ridusse molto atto alla caccia, e al man
ridusse molto atto alla caccia, e al maneggio delle armi ; nè attese
che
a sostenere i travagli della guerra, ed a servire
o, e dimostravasi costantissimo amatore della virtù(f). Eschilo dice,
che
restò ucciso da Aufidico(g). (a). Aeschyl. sept
iss. , Senec. in Thebaid. (7). Le donne dì Lenno, come scuoprirono,
che
Ipsipile avea solvato la vita al re Toante ; mo p
. Univ. (b). Potter. Archatol. Graec. l. 2 (8). V’è chi pretende,
che
i Giuochi Nemei sieno stati introdotti in onore d
vestiti di nero, per ricordare la morte d’Ofelte. Non vi si ammetteva
che
gente guerriera, perchè tali n’erano gl’ institut
fine la mentovata guerra. Dieci anni dopo i figliuoli di quegli Eroi,
che
in quella erano periti, presero nuovamente Ie arm
rao, cinsero Tebe d’assedio. Eglino furono detti Epigoni, voce Greca,
che
significa nati dopo (e). Tra loro molto si distin
neo(a). I Tebani finalmente restarono vittoriosi mercè il sacrifizio,
che
fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predet
e fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predetto a quelle genti,
che
felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici,
scì colla spada alla mano, e se la immerse nel seno a vistandi tutti,
che
ammirarono la generosità di lui, il quale preseri
rcole, guerreggiavano contro gli Orcomenj. L’Oracolo avea annunziato,
che
la vittoria sarebbe stata pe’ Tebani, se il citta
implorò il soccorso di Teseo, re d'Atene, il quale obbligò i Techani,
che
permettessero i funerali degli Argivi, loro nemic
. Ibid. (c). Declaustre Diction. Mythol. (11). Apollodoro vuole,
che
Antigona abbia incotrato trato la morte, già coma
ncotrato trato la morte, già comandata da Creonte(a). Dicesi inoltre,
che
Emone, figlio di Creonte, il quale aspirava alle
onti, quanto gli antichi Greci; la cui feconda immaginativa faceva sì
che
essi non concepissero i fenomeni naturali se non
ssi. Mito significa propriamente « parola, discorso », e designa quel
che
si dice o si narra intorno a un soggetto qualsias
e; ma è invalso l’ uso di chiamare preferibilmente miti le narrazioni
che
riguardano gli Dei, e leggende quelle che concern
bilmente miti le narrazioni che riguardano gli Dei, e leggende quelle
che
concernono gli Eroi. La Mitologia dei Greci e dei
n essa intimi rapporti; giacchè in sostanza la Mitologia, nella parte
che
riguarda gli Dei, rappresenta le credenze e la fe
iose, così dalle cerimonie del culto o pubblico o privato. Ben è vero
che
, se gli ordini sacerdotali addetti al culto delle
fantasia del popolo, accoglieva da ogni parte mutazioni od aggiunte,
che
alteravano più o meno i primitivi lineamenti. Ma
, che alteravano più o meno i primitivi lineamenti. Ma non è men vero
che
gli Dei della mitologia e le principali leggende
a statua celebre d’ una divinità fornì di quella un’ immagine si viva
che
divenne tradizionale e come inseparabile dai racc
rrazioni. E quanto alle opere statuarie di soggetto mitologico, chi è
che
, ricordando il celebre Giove di Fidia, immagine i
condiscendenza alle preghiere de’ mortali, non si persuada facilmente
che
la rappresentazione artistica doveva rimaner viva
è seguita da un breve cenno illustrato delle principali opere d’ arte
che
da essi trassero l’ ispirazione e vi rappresentan
ro attribuite sovente azioni disonorevoli e delittuose. È un problema
che
già gli antichi filosofi avevano tentato di risol
ero del IV sec. av. C., si avvisò di spiegare la mitologia sostenendo
che
i miti relativi agli Dei altro non erano che stor
la mitologia sostenendo che i miti relativi agli Dei altro non erano
che
storia umana avvolta nel meraviglioso, ossia che
Dei altro non erano che storia umana avvolta nel meraviglioso, ossia
che
gli Dei tradizionali erano antichissimi uomini, r
er altre vie cercarono un a soluzione soddisfacente. Alcuni pensarono
che
la mitologia e religione pagana sia una deformazi
a e svolta dai Filologi olandesi del XVII secolo, i quali giudicarono
che
nei miti classici ancor si ritrovino le traccie d
adstone ai nostri giorni è di questa opinione, l’unica, secondo lui,
che
getti piena luce su quelle parti che rimangono ma
opinione, l’unica, secondo lui, che getti piena luce su quelle parti
che
rimangono mal cementate e incongrue nella ben con
lla degli allegoristi o dei simbolisti, i quali si son dati a credere
che
i racconti fantastici inventati dagli Elleni o tr
i studi e i notevoli risultati a cui giunse nel nostro secolo, quella
che
chiamasi Mitologia comparata; la quale, confronta
opoli di stirpe aria e risalendo al l’ origine loro comune, si avvide
che
buona parte dei racconti mitologici non sono altr
une, si avvide che buona parte dei racconti mitologici non sono altro
che
una deformazione di frasi immaginose, usate da pr
a esprimere i grandiosi fenomeni della natura secondo l’ impressione
che
essi facevano nell’ infanzia dell’ umanità. Il so
’ impressione che essi facevano nell’ infanzia dell’ umanità. Il sole
che
sorge, ad es., e discaccia le uggiose tenebre, ve
sorge, ad es., e discaccia le uggiose tenebre, veniva detto il Titano
che
strozza i serpenti della notte prima di trarre il
lla notte prima di trarre il suo carro su pel cielo; e si diceva pure
che
nello spuntar dall’ Oriente, egli abbandona la be
e, strumento detto pramantha in indiano, diventa il benefico Prometeo
che
fura il fuoco al cielo per donarlo ai mortali. Ec
del divino, ossia l’ idea della somma intelligenza e del sommo bene,
che
è innata nell’ uomo. 3º La varietà dei luoghi e d
occasionarono diversa forma e sviluppo di leggende; essendo naturale
che
gli abitanti dei luoghi alpestri, per lo più cacc
zione e al commercio. E deità originariamente locali avvenne talvolta
che
assorgessero a dignità di dei nazionali. Così Era
e stirpi doriche nel Peloponneso, l’ urto di popoli e gli spostamenti
che
ne provennero, come non dar luogo a un incrocio a
vasi di un figlio nato dalla Notte o dalle Tenebre, ora di un gigante
che
strozza i serpenti delle tenebre, ora di un altro
gigante che strozza i serpenti delle tenebre, ora di un altro gigante
che
intraprende la sua corsa faticosa, ora di un guer
ro gigante che intraprende la sua corsa faticosa, ora di un guerriero
che
si appresta alla sua lotta colle nuvole e colla t
ria; anche diligentissimi studi non riuscirono a diffonder piena luce
che
su pochi fra i principali miti dell’ antichità cl
intorno alla spiegazione del problema mitologico, e nella esposizione
che
segue ci atterremo senz’ altro alla forma tradizi
a letteratura, adottarono anch’ essi le credenze, le opinioni, i miti
che
vedevano universalmente divulgati tra i Greci, e
i Greci, e cercarono di adattar tutto questo al concetto tradizionale
che
essi avevano delle varie divinità secondo le ragi
e essi avevano delle varie divinità secondo le ragioni di somiglianza
che
pareva loro di scorgere. Così si fece come una fu
come li pensavano e se li figuravano gli antichi, massime dopo Omero
che
assai contribuì ad assegnare alle varie Divinità
ribuì ad assegnare alle varie Divinità quelle immagini e attribuzioni
che
divennero tradizionali. Eran dunque gli Dei in ge
’ aspetto esteriore, sia per le qualità intellettuali o morali. È ciò
che
suol designarsi col vocabolo antropomorfismo. Ma
ignarsi col vocabolo antropomorfismo. Ma l’ idea del divino importava
che
le qualità umane fossero per loro innalzate al pi
Più robuste ed agili eran le membra divine; la forza di Zeus era tale
che
col solo muover delle sopracciglia faceva tremar
ostele, torna nella sua culla. La principal prerogativa è poi questa,
che
, una volta raggiunto il pieno sviluppo delle loro
i, non invecchiano, ma rimangono sempre giovani e sono immortali. Non
che
siano scevri d’ ogni dolore; anzi, come il loro c
pene di varia natura; ma ciò non guasta la loro felicità e non toglie
che
essi possano sempre soddisfare i loro desideri. —
nte. Riguardo alla moralità attribuita agli Dei, qui si manifesta più
che
mai il concetto antropomorfico; giacchè sebbene f
sordini ond’ è afflitta l’ umanità. Nel complesso adunque si può dire
che
gli antichi non seppero foggiare gli Dei se non a
cotal grado di superiorità da giustificare la venerazione e il culto
che
erano un portato della naturale religiosità. 2. O
una rudis indigestaque moles, cioè una confusa miscela di tutte cose,
che
è un concetto posteriore, ma nel senso etimologic
ale subito si staccò il Tartaro o Inferno; poi comparì Eros, l’ amore
che
unisce, ossia il principio della forza attrattiva
Eros, l’ amore che unisce, ossia il principio della forza attrattiva
che
spinge gli elementi a combinarsi. Di poi mentre i
le montagne, e il Ponto o mare. Qui cominciano i connubi; si raccontò
che
Gea si fosse unita prima con Urano e poi con Pont
iati a due a due. Le coppie più notevoli erano: Oceano, il gran fiume
che
circonda la terra ed è padre degli altri fiumi, e
nda la terra ed è padre degli altri fiumi, e Teti (Tethys) l’ umidità
che
tutto pervade e nutre; Iperione, l’ errante dio d
e, Selene la luna, Eos l’ Aurora; infine Crono (Kronos) e Rea (Rhea),
che
sarebbero un ringiovanimento dalla coppia Urano-G
ardi interpretati come il tempo (Kronos confuso con Chronos) e quella
che
scorre, personificazione del movimento degli esse
ati tra i Titani Giapeto (Iapetos), padre di Prometeo, e due divinità
che
personificavano concetti morali, Temi (Themis), l
osune), la memoria. — I Cicloni, così detti dall’ unico occhio tondo,
che
si diceva avessero in mezzo alla fronte, erano tr
ne produsse le terribili Gorgoni e le Graie; infine Euribia (Eurybia)
che
andò sposa a Creo (Kreios), uno dei Titani. 3. Fi
complicano e agli Dei pur mo’ nati si attribuiscono gesta e rapporti
che
non hanno più evidente connessione co significato
iù evidente connessione co significato primitivo. Raccontavasi dunque
che
, temendo Urano di perdere la signoria dell’ unive
ngo e felice. Il padre nel momento della sconfitta gli aveva predetto
che
avrebbe subito la stessa sua sorte; e così avvenn
se, e invece di esso porse al padre, involta nelle fasce, una pietra,
che
Crono, ingannato, ingoiò. Così Zeus fu salvo; e a
ntro Crono, e dopo averlo obbligato a rigettar fuori i figli ingoiati
che
per la divinità loro erano immortali, incominciò
nità loro erano immortali, incominciò contro di lui la tremenda lotta
che
doveva por fine alla sua signoria. 4. Questa lott
ro Zeus per rovesciarlo dal trono. Di qui una nuova, terribile lotta,
che
fe’ tremare cielo e terra; novella immagine di sc
e vulcaniche. I fulmini incessanti di Zeus domarono alfine il mostro,
che
fu gettato nel Tartaro anch’ esso; o, come poster
al cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. Alla grande battaglia
che
seguì presero parte tutti gli Dei, aiutati anche
a col Saturnali. Identificato quindi Saturno con Crono, si favoleggiò
che
questi, detronizzato da Giove, si fosse rifugiato
oniam latuisset tutus in oris ( Virg., Eneide, 8,324). Si aggiungeva
che
sotto il regno di Saturno, gli uomini avevan godu
tà. — Quanto alle lotte dei Titani e dei Giganti, i Romani non fecero
che
ripetere le cose imparate dai Greci, anzi la Giga
lo, e con una piccola falce in mano. Un busto ben conservato è quello
che
conservasi nel Museo Vaticano di Roma qui riprodo
riprodotto (fig. 1). Nel Museo Capitolino conservasi un bassorilievo
che
trovavasi su un lato d’ un altare in marmo di Gio
nno seduto, a cui una donna in piedi, la moglie Rea, porge un involto
che
il tiranno sta per accogliere nella destra mano.
a. Fra le descrizioni poetiche di queste lotte chi non ricorda quella
che
si legge nella Teogonia di Esiodo, (v. 629 e seg.
osì mirabile per grandiosità e forza? E per tacere di tante allusioni
che
trovansi in molti autori e greci e latini, dove g
arte, si potrebbero citare molte pitture vascolari e rilievi marmorei
che
ancora conservansi e rappresentano questa o quell
si e rappresentano questa o quella scena della Gigantomachia. Si noti
che
mentre nei lavori più antichi, i Giganti non hann
Magno vennero raffigurati come aventi in luogo di gambe due serpenti
che
terminano dalla parte della testa. Un celebre cam
o Gigante simile giace a terra morto. Splendida è la rappresentazione
che
si scorge in un bassorilievo di un sarcofago nel
a esser incoronata da una Niche; in fondo si scorge la figura di Rea
che
invoca pietà per i suoi figliuoli. Già si è
ra di Rea che invoca pietà per i suoi figliuoli. Già si è detto
che
vinti i Titani, e ottenuta la signoria dell’ univ
mare e dell’ interno. Questo assetto diventò definitivo, e rimase fin
che
fu vivo il Paganesimo. Tutte le Divinità greche e
la Zeus, ossia Djeus (genitivo Diós) si connette colla indiana Djaus,
che
vuol dire: cielo, giorno; e dalla stessa radice d
a colla potente destra il fulmine distruggitore; d’ altro lato egli è
che
manda la pioggia benefica a fecondar la terra e m
e maturarne i frutti. Insomma, per dirla con un’ espressione popolare
che
designa appunto un alto grado di potenza, egli è
essione popolare che designa appunto un alto grado di potenza, egli è
che
« fa la pioggia e, il bel tempo ». A queste attri
ibuzioni si connette l’ Egida o scudo di Zeus; in origine null’ altro
che
un manto di nembi, scuotendo il quale n’ uscivano
i Dei, libero nel suo agire, non avendo altro limite alla volontà sua
che
il potere inesorabil del fato (la Moira). Ha il s
governo del mondo, ed è egli il custode dell’ ordine e dell’ armonia
che
regna nelle cose. Degli uomini è padre come degli
Insomma Zeus era il Dio Sovrano, il Dio per eccellenza; e il concetto
che
se n’ aveva non differiva gran fatto dall’ idea d
l concetto che se n’ aveva non differiva gran fatto dall’ idea di Dio
che
si ha anche ora presso i volghi cristiani. Un alt
enire per mezzo del suo prediletto figlio Apollo. 3. L’ alto concetto
che
della suprema loro divinità avevano gli antichi,
cetto che della suprema loro divinità avevano gli antichi, non impedi
che
si diffondessero e moltiplicassero intorno a Zeus
is (l’ assennatezza), ma ben presto temendo nascesse da lei un figlio
che
gli togliesse la signoria dell’ universo, l’ ingo
d Artemide. Era, la sorella e moglie legittima di Zeus, non gli diede
che
due figliuoli, Ares (Marte) ed Efesto (Hephaistos
re Tebano, come madre del dio Dioniso (Dionysus, Bacco), poi Alcmena
che
die’ alla luce Eracle (Herakles, Ercole); delle a
amori attribuiti dalla leggenda a Zeus, son da notare due cose: prima
che
spesso il linguaggio mitico presenta in forma di
lle biade, rappresenta l’ unione primaverile del cielo e della terra,
che
dà origine alla vegetazione. In secondo luogo cia
al vento, esprimevano col loro fremito misterioso gli oracoli divini,
che
dai sacerdoti venivano interpretati. Anche sulla
es era un’ attribuzione di lui. Con lui si confondeva il dio Terminus
che
custodiva i limiti delle proprietà prediali. Il c
anus, ossia il dio di Eliopoli in Egitto, raffigurato come un giovane
che
tiene una mano sul timone del carro solare, ed ha
mo e rappresentazioni più o meno compiute della sua figura è naturale
che
ricorrano assai di frequente nelle opere letterar
istiche. È celebre la pittura Omerica (Il. 1,528) del figlio di Crono
che
china i neri sopraccigli; onde sull’ immortal cap
iome divine, e il grande Olimpo ne trema. Più materiale è l’ immagine
che
ci dà lo stesso poeta della forza di Zeus mettend
agli altri Dei quando proibisce loro di prender parte alla battaglia
che
si combatteva presso Troia ( Il. 8, 18 e seg. ),
e col mare, e legar indi la corda alla più alta rupe dell’ Olimpo, sì
che
tutto l’ universo rimarrebbe penzoloni; tanto io
ilio movens 2 (Od. 3,1,7) è un pallido riflesso del Zeus omerico; ma
che
bene ha saputo esprimere il governo del mondo in
45 sg.)3. Venendo alle rappresentazioni figurate di Zeus, è naturale
che
di esse e specialmente di statue se ne trovasse i
perita in un incendio. Per farsene un’ idea ora, oltre la descrizione
che
ne ha lasciata scritta Pausania, valgono le ripro
Pio Clementino, detto « Giove di Otricoli » (fig. 5). La ricca chioma
che
si drizza sopra la fronte e scende egualmente ai
della celeste coppia; Era veniva dipinta come gelosa e maligna e tale
che
non esitava a perseguitare accanitamente le donne
amente le donne amate da Zeus e la loro discendenza; do ve ricordiamo
che
il primitivo significato dei miti, spesso abbasta
ei miti, spesso abbastanza trasparente, toglie a questi racconti quel
che
di strano e d’ immorale che a prima vista present
rasparente, toglie a questi racconti quel che di strano e d’ immorale
che
a prima vista presentano. Così Io, amata da Zeus
Era in vacca e data a custodire ad Argo dai cent’ occhi, non è altro
che
la luna errante nelle regioni celesti (la vacca c
ttere morale di Era ricevette nelle leggende greche maggiore sviluppo
che
il suo carattere fisico. Essa era specialmente ce
a come rappresentante del vincolo coniugale, e la nobiltà della donna
che
serba costante fede al marito trovava in lei la s
dia, e a questo creduta pari per bellezza. 4. Giunone è la dea romana
che
s’ identifica con Era (Iuno = Iovino, nome femmin
lla casa dello sposo, ecc. Questo di speciale ebbe la romana Giunone,
che
divenne anche protettrice dell’ intero stato, col
di Giove. La festa principale della Dea era quella detta Matronalia,
che
si celebrava il primo di Marzo. Quel di tutte le
ta, così invocata in ringrazi amento d’ un avviso (monere — avvisare)
che
si credeva aver ricevuto da lei in occasione d’ u
matronale. Prima va ricordata una testa del Museo di Napoli (fig. 6)
che
probabilmente venne modellata sul capolavoro sopr
sua prima sposa Metis. Gli è il cielo temporalesco, gravido di nubi,
che
in mezzo a procelle e lampi partorisce la dea del
le e lampi partorisce la dea del cielo luminoso, dell’ etra raggiante
che
si manifesta nel bagliore improvviso del lampo. D
manifesta nel bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava
che
al momento del nascere di Atena tutta la natura s
che l’ egida col Gorgoneo. È l’ egida stessa appartenente a Giove, ma
che
viene poi assegnata costantemente ad Atena; si di
Gorgone Medusa. Era costei, secondo la leggenda, una giovine mortale
che
avendo osato paragonarsi in bellezza ad Atena, eb
de’ nemici suoi. In fondo tutto ciò rappresenta la nube temporalesca
che
nasconde la luce del giorno e atterrisce gli uomi
ono connessi col fisici; ella rappresenta la luce dell’ intelligenza,
che
guida gli uomini sia in guerra sia in pace, ed è
tettrice anche di singoli guerrieri, Ulisse, Achille, Diomede. Fu lei
che
insegnò ad aggiogare i cavalli, e a usar i cocchi
unse il massimo sviluppo, la vera patria di Pallade Atena fu la città
che
ebbe nome da lei, anzi l’ intiera regione Attica.
pianta d’ olivo donata dalla Dea e vi si conservava una statua di lei
che
si diceva caduta dal cielo. Rifatto nell’ età di
tribù attiche, e riusciva una solenne testimonianza della gratitudine
che
si professava verso Atena datrice d’ ogni ricchez
ueste erano le grandi Panatenee; v’ erano anche le piccole Panatenee,
che
si celebravano ogni anno, ma senza processione. 4
Atena; quindi venne ben presto con essa identificata; con questo però
che
in Minerva prevaleva il concetto di una dea pacif
ure di tutti i lavori femminili. Una Minerva guerriera non fu pensata
che
tardi, per analogia d’ Atena; ad essa ad es. Pomp
giorni, ed eran dette Quinquatrus perchè cominciavano il 19 del mese,
che
era il 5º giorno dagli Idi. La più solenne era la
più solenne era la festa del Marzo a cui prendevan parte tutti quelli
che
esercitavano professioni liberali, oratori, artis
suoi miti troviamo nella letteratura greca e latina. Bella la pittura
che
nella settima Olimpica ci fa Pindaro della Dea ch
. Bella la pittura che nella settima Olimpica ci fa Pindaro della Dea
che
« fuor d’ un salto balza armata dal cervello di G
l’ usata vivacità e freschezza di colori narra l’ avventura di Aracne
che
avendo voluto competere colla Dea nell’ arte del
ve a Minerva nei monumenti figurati. Fin dai tempi più antichi, prima
che
si usassero statue di bronzo o marmo, gli artisti
ici esterni, e li chiamavano Palladii, favoleggiando anche per lo più
che
fossero venuti giù dal cielo. È noto che i Troian
voleggiando anche per lo più che fossero venuti giù dal cielo. È noto
che
i Troiani cominciarono a disperare della loro sal
Atena e le cerimonie del culto di lei, ma compose l’ ammirata statua
che
custodivasi nella cella, detta appunto Atena Part
vanzava di alcun poco il piede destro; la copriva un semplice chiton,
che
a larghe pieghe scendeva ai piedi; nuda le bracci
ggermente sull’ orlo superiore dello scudo, e insieme reggeva l’ asta
che
come abbandonata le si reclinava alla spalla; di
itiche. Nello scudo Fidia aveva effigiato anche la propria figura; il
che
considerato come atto di empietà fu poi cagione d
ropugnatrice, statua colossale, posta sulla spianata dell’ Acropoli e
che
sopravanzava col cimiero e colla punta dell’ asta
amo delle sicure imitazioni, ad es., quella riprodotta nella fig. 10,
che
è una statuetta alta un metro, trovata nel 1880 a
influenza dell’ opera fidiana, ad es. la così detta Minerve au colier
che
è nel Museo del Louvre. Noi riproduciamo nella fi
che è nel Museo del Louvre. Noi riproduciamo nella fig. 11 una statua
che
è nel Museo nazionale di Napoli; figura Atena col
ual convenivasi alla casta e vergine Dea, e ad un tempo da tutto quel
che
indica ferma volontà e forza. Delle bestie che so
un tempo da tutto quel che indica ferma volontà e forza. Delle bestie
che
son messe in rapporto con lei, van ricordati spec
ra detto, come Artemide, figlio di Zeus e di Leto o Latona. Narravasi
che
perseguitata dalla gelosia di Era, la povera Leto
e Cinto partorì Apollo (detto perciò Delio, Cinzio) ed Artemide. Delo
che
prima era un’ isola non fissa, divenne d’ allora
. Febo Apollo è il Dio raggiante, il dio della benefica luce, il sole
che
vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nas
che vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nascosta), e Delo,
che
vuol dire « quella che mostra » è il luogo adatto
mbo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire « quella
che
mostra » è il luogo adatto per questa epifania de
luce. E come la luce combattè e disperde le tenebre, così è naturale
che
Apollo pugnasse contro i tenebrosi nemici; la leg
ovinetto in lotta contro il gigante Tizio (Tityos), nato dalla terra,
che
avendo osato offendere Leto fu da Apollo ucciso;
ontro il serpente Pitone (Python), mostro parimente nato dalla terra,
che
infestava la pianura di Crisa nelle vicinanze di
ne, Apollo era venerato come Targelio (Thargelios), il calore fecondo
che
matura i frutti della terra (di qui il nome del m
i Sminteo (Smintheus, da sminthos, topo), perchè distruttore dei topi
che
rodono le biade; da altri Parnopio (Parnopios da
alletta) perchè difesa contro le cavallette. Nota leggenda era quella
che
faceva Apollo servo pastore di Admeto re della Te
dio trionfante è detto vincitore del lupo, animale dei paesi freddi e
che
domina d’ inverno; onde il soprannome di Apollo L
; dal sangue dell’ ucciso, Apollo avrebbe fatto nascere il noto fiore
che
ne porta il nome (il disco del sole dissecca all’
are per eccellenza, protettore e degli armenti e degli uomini, quegli
che
allontana i mali, il medico; onde la leggenda lo
degli Dei. E non solo dei corpi, ma è egli anche medico dell’ anime,
che
ei guarisce dal male morale colle pratiche della
no i perseguitati dalle Furie solio da lui compassionati e difesi; di
che
la leggenda di Oreste offre un bellissimo esempio
leggenda di Oreste offre un bellissimo esempio. E poichè tra le cose
che
più calmano lo spirito e gli infondono una tranqu
ito e gli infondono una tranquilla pace è la musica, niuna meraviglia
che
Apollo sia stato anche pensato come inventore del
il luogo principale di questo culto. Ivi sorgeva uno splendido tempio
che
rifatto al tempo dei Pisistratidi in seguito ad u
ncendio, vide accumularsi, per donativi dei fedeli, ingenti ricchezze
che
si calcolavano a 10000 talenti, ossia quasi 60 mi
ivi si celebravano ogni quattro anni feste solenni con varii giochi,
che
dicevansi istituiti già da Teseo. 4. L’ Apollo de
medico e musico. Da lui si credettero ispirati gli oracoli Sibillini
che
cominciarono a diffondersi ed essere oggetto di c
; e del resto si diffuse presto la fama anche dell’ oracolo di Delfo,
che
in solenni occasioni si mandava a consultare. Ad
ù tardi un vero slancio ebbe il culto Apollineo per opera di Augusto,
che
attribuiva la vittoria d’ Azio principalmente all
gitore del coro delle Muse. Antichissimo è l’ inno omerico ad Apollo,
che
contiene molti e interessanti particolari tolti d
gli Dei sentono molcersi il cuore. Dei poeti latini ricordisi Orazio,
che
nel Carme Secolare inneggia appunto a Febo e alla
ia, e a tutta Roma eterna pace e grandezza e gloria. Ricordisi Ovidio
che
nel primo delle Metamorfosi, racconta con soavi v
atino, onde ebbe anche il nome di Apollo Actius o Palatinus. Si crede
che
di esso fosse una riproduzione la statua di Apoll
crede che di esso fosse una riproduzione la statua di Apollo Musagete
che
conservasi in Vaticano (fig. 14); « il nume in lu
o bella è una statua del Museo Capitolino, rappresentante Apollo nudo
che
riposa dal suono della cetra (fig. 15). Prassitel
una lucertola e compose la statua detta Apollo Sauroctonos (fig. 16),
che
è in Vaticano. « Un adolescente di bellissime for
ad un tronco; la mano destra armata d’ una punta, mira una lucertola
che
striscia sul tronco; lo sguardo accompagna la dir
a più celebre d’ Apollo è il così detto Apollo di Belvedere (fig. 17)
che
pure è in Vaticano. Fu trovata in principio del X
irabile la bellezza della figura in quella disdegnosa coscienza di sè
che
mostra avere il Dio vittorioso8. I si
Apollo sono per lo più l’ arco e le saette, riferentisi al dio solare
che
ferisce col dardo de’ suoi raggi (cfr. l’ espress
ccie infallibili. Si vendica anche fieramente dei rinomati cacciatori
che
con lei vogliono gareggiare; e ne provo, fra gli
lei vogliono gareggiare; e ne provo, fra gli altri, lo sdegno Orione
che
ucciso dalle sue freccie fu trasformato nella cos
bagno fu trasformato in cervo e fatto sbranare dà suoi proprii cani,
che
la dea aveva contro lui aizzati. 2. Dal lato mora
caro ad Artemide per la sua castità, dà una chiara idea del concetto
che
di questa divinità s’ eran formati i Greci. Era p
Greci. Era poi anche messa in rapporto con Apollo e le Muse, e detto
che
si compiacesse dei canti e degli inni. Infine ave
uinaria si connette la leggenda di Ifigenia, la figlia di Agamennone,
che
doveva essere sacrificata in Aulide prima della p
ani, fu con questa confusa l’ Artemide Ortia, e ne nacque la leggenda
che
la Dea avesse ella stessa salvato Ifigenia nel mo
a leggenda che la Dea avesse ella stessa salvato Ifigenia nel momento
che
doveva essere sacrificata, sostituendole una cerv
bre di tutti fu il tempio eretto da Servio Tullio sul Monte Aventino,
che
era tempio comune della lega de’ Latini; dove agl
molte opere della greca letteratura ricordano Artemide e le leggende
che
vi si riferiscono. Ma le lodi più belle, più sent
nui della terra, ricchezza degli agricoltori; le si rivolge preghiera
che
conservi la sua tutela alla stirpe di Romolo. Anc
ngiunta con Apollo e anche con Latona, come nella 21a ode del I libro
che
comincia: Dianam tenerae dicite virgines Intonsu
eo Nazionale di Napoli, rivestita d’ una ricca tunica, a molte pieghe
che
scende sino ai piedi; e nella fig. 19 la celebre
a cacciatrice; infine nella fig. 20 un’ altra statua pure del Louvre,
che
figura la bella Dea, in atto di affibbiarsi il pa
ano ad Artemide areo, freccie e lancia, anche la fiaccola, come a Dea
che
porta luce e vita. Le eran sacre tra le bestie il
s e di Era, il primo è Ares, dio della guerra. A differenza di Atena,
che
rappresenta la prudenza e l’ avvedutezza nei rapp
econdo il suo significato naturale, Ares era probabilmente l’ uragano
che
si scatena con furioso irresistibile impeto; difa
si scatena con furioso irresistibile impeto; difatti era detto di lui
che
sua patria e suo soggiorno prediletto fosse la Tr
eva in odio. Egli, secondo canta Omero, non d’ altro più compiacevasi
che
del selvaggio grido di guerra; armato dalla testa
ro vinto in guerra da Atena; espressione simbolica del maggior valore
che
ha in battaglia il prudente coraggio in confronto
n connessione con questo carattere selvaggio di Ares, son le leggende
che
lo fan padre del brigante Cicno (Kyknos) il quale
ndanti, finchè fu ucciso da Eracle; e del selvaggio re tracio Diomede
che
pasceva i suoi cavalli con carne umana, finchè fu
in pasto a’ suoi cavalli istessi; e del re Tessalo Flegias (Phlegyas)
che
volendo incendiare il tempio di Apollo cadde sott
ollo cadde sotto le freccie di questo Dio (personificazione del lampo
che
nasce dalla nube tonante). Anche le guerriere Ama
to convegno nella casa di Efesto, questi, avvertito da Elios, il sole
che
tutto vede, comparve improvvisamente e con una re
o spettacolo. Secondo altri, Afrodite era la moglie legittima di Ares
che
per lei genero Armonia, la progenitrice della sti
dolo il fondatore dell’ Areopago (areios pagos), il celebre tribunale
che
giudicava dei delitti di sangue. Culto speciale a
Dei. 3. Il Dio italico identificato con Ares è Marte. Ma è da notarsi
che
in origine Marte non era già dio della guerra, ma
rte non era già dio della guerra, ma piuttosto il dio della primavera
che
vittoriosamente lotta contro il tristo inverno. A
iove. Numa istituì in onor di lui il sacerdozio dei Sal ii. Narravasi
che
un di mentre Numa pregava per la salvezza dello s
l cielo uno scudo di bronzo (ancile), e intanto avesse avvertito Numa
che
quanto si fosse conservato quello scudo, tanto av
ere. I dodici ancilia così ottenuti furono affidati appunto ai Salii,
che
erano dodici di numero, persone appartenenti alle
cito prima di intraprendere qualsiasi spedizione militare; si credeva
che
invisibilmente accompagnasse anche gli eserciti n
corrispondente alla greca Enio; Metus e Pallor, la paura e il pallore
che
ricordano le deità greche Dimo e Fobo; Honos e Vi
i dedicati a Marte, merita special menzione il tempio di Marte Ultore
che
Augusto fece edificare nel suo foro, a ricordare
es. V’ è ben tra gli omerici un inno dove Ares è invocato come un dio
che
pugna per cause della più alta importanza, è chia
i fa parola ben di frequente negli scrittori latini, ma non si tratta
che
di rapidi cenni. Lo mette in scena Claudio Claudi
o mette in scena Claudio Claudiano nel carme contro Rufino, dove dice
che
, invocato da Stilicone perchè venga a difendere i
aterano in Roma, la cui mano sinistra probabilmente teneva una lancia
che
ora è perduta. È della scuola di Policleto. Invec
la di Lisippo (356-323 av. C.), apparteneva la celebre statua di Ares
che
è nella villa Ludovisi, pure a Roma (fig. 22). Il
el fuoco. Si pensi quanta importanza ha nella natura questo elemento,
che
non solo apparisce nel cielo come raggiante e ris
abile per lo sviluppo dell’ arte e della civiltà. Non farà meraviglia
che
fin dai più antichi tempi questo elemento fosse d
zoppo; immagine dei movimenti vacillanti della fiamma. Narravasi poi
che
Era, vergognandosi della bruttezza di lui, lo ave
i della bruttezza di lui, lo aveva gettato dal cielo giù nel mare; ma
che
le Oceanidi Eurinome (Eurynome) e Tetide (Thetis)
e oggetti d’ arte. Secondo un’ altra leggenda, era stato Giove stesso
che
adirato contro Efesto per aver voluto dar aiuto a
esso in relazione con Efesto; là, nell’ interno dei vulcani si diceva
che
egli avesse le sue grandi officine per lavorare i
in Sicilia erano le sedi principali di Efesto. Ed essendosi osservato
che
nelle vicinanze dei vulcani il vino si fa miglior
ere di questo divino artefice. Oltre allo splendido palazzo di bronzo
che
egli aveva fabbricato per sè sull’ Olimpo, aveva
atine gli uomini; lo si faceva patrono di tutti gli artisti ed operai
che
per l’ opera loro hanno bisogno del fuoco. Per qu
Omero ed Esiodo, gli facevan compagna una delle Grazie, a significare
che
dall’ arte non può disgiungersi il sorriso della
o quegli la cui fiaccola era ancor viva nel giungere alla meta; gioco
che
doveva ricordare la gioia provata dai primi uomin
grafia più antica, Volcanus, o anche Mulcibero (Mulciber), come colui
che
presiede alla fusione dei metalli (mulcere, rende
protezione, e insieme sotto la protezione della Stata Mater, la madre
che
arresta il fuoco, a cui fu eretta una statua nel
o si figurava in berretta e abito da operaio (exomis, sorta di tunica
che
lasciava nuda la spalla destra), e con gli arnesi
pochi monumenti antichi di Efesto. La fig. 23 è ricavata da un busto
che
conservasi in Vaticano. VIII. Ermes-Mercuri
e leggende relative a questo Dio, raccolte nell’ inno a lui dedicato,
che
va tra gli Omerici. Poco dopo la nascita, egli av
nascita, egli avrebbe dato prove manifeste della destrezza ed abilità
che
costituivano il fondo della sua indole. Giacchè,
ruba cinquanta giovenche, e via le conduce e le nasconde con tal arte
che
non se ne può scoprir traccia; poi torna zitto zi
n fatto. Apollo poi udito Ermes sonar la lira, tanto se ne compiacque
che
, pur di averla, gli lasciò le cinquanta giovenche
significato naturale di questo mito. Secondo alcuni Ermes non è altro
che
il crepuscolo. Le giovenche di Apollo da lui ruba
uscolo. Le giovenche di Apollo da lui rubate sarebbero i raggi solari
che
il crepuscolo della sera par nasconda in qualche
a della musica dei venti; le vacche d’ Apollo son le acque del cielo,
che
il vento fura nascondendole nella nuvola; ma Zeus
mattino uccide. Secondo gli altri, Argo è il sole stesso onniveggente
che
guida al pascolo le vacche celesti ossia le nuvol
di pioggia. Il vento tempestoso uccide Argo, cioè oscura il sole e fa
che
la nuvola scorra qua e là per le regioni del ciel
i loro ordini. Veloce più del vento, co’ suoi alati calzari narravasi
che
percorresse e terre e mari, ad annunziare alle ge
le pietre quadrate, sormontate da una testa o anche da due addossate,
che
si collocavano nei crocicchi e nelle vie principa
vano ornarsi di imagini sue. Infine, come facondo oratore, era il dio
che
dava facilita d’ eloquio a chi l’ invocava nel mo
madre Maia. Più tardi Mercurio si identificò con Ermes, ma si avverta
che
il bastone da araldo, il caduceo, non fu mai adot
di Ermes e si raccontano le leggende a lui relative; un inno di Alceo
che
ne cantava la nascita a Cillene s’ è disgraziatam
salvo pochi frammenti. Bella è l’ ode decima del libro 1o d’ Orazio,
che
ben riassume gli attributi di Mercurio, chiamando
Ermes ha preso diverse forme secondo il concetto mitologico-simbolico
che
l’ artista intendeva seguire. Ora apparisce come
apparisce come pastore e porta un montone (Ermes crioforo), immagine
che
nei tempi cristiani servi di modello a figurare i
a col gomito ad un tronco; nella mano destra tiene un grappolo d’ uva
che
la vedere al fanciullo, verso cui si volge con do
ra splendida statua di Ermes è quella in bronzo, trovata in Ercolano,
che
ora trovasi nel Museo Nazionale di Napoli, e rapp
Nazionale di Napoli, e rappresenta (fig. 26) il messaggiero degli Dei
che
per breve riposo s’ è messo a sedere su una rupe.
e-Venere. 1. In Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione, quella
che
a Dodona era venerata come la sposa di Zeus. Ma q
piegava il cinto della sua bellezza, ogni cosa piegavasi all’ incanto
che
emanava dal suo corpo. S’ indovina il significato
na il significato primitivo di questa dea della bellezza; non è altro
che
l’ aurora, figlia del cielo, la quale sorride dal
ò ben presto in Grecia un altro concetto, quello della forza d’ amore
che
penetra tutto l’ universo e lo feconda. In Orient
messa in rapporto con Dioniso e con Ermes. Spesso poi di essa si dice
che
esercito la sua forza sul mortali. Aiutò Paride a
contro fieramente punì perchè erano restii all’ amore, come Ippolito
che
rese infelice facendo che la matrigna Fedra innam
rchè erano restii all’ amore, come Ippolito che rese infelice facendo
che
la matrigna Fedra innamorasse di lui, e il bel Na
e il bel Narciso il quale sdegnava l’ amore della ninfa Eco, facendo
che
si invaghisse perdutamente di sè stesso. Merita u
trasparire il suo senso primitivo naturalistico. Raccontavasi dunque
che
il bel giovane, onde Afrodite era innamorata, mor
a Persefone dea dei morti e nol voleva rendere. Alfine Zeus sentenziò
che
per una parte dell’ anno rimanesse Adone nel regn
esto dell’ anno tornasse tra i vivi. Evidentemente la bestia setolosa
che
uccide Adone non è altro che un simbolo dell’ inv
i vivi. Evidentemente la bestia setolosa che uccide Adone non è altro
che
un simbolo dell’ inverno, il cui freddo soffio fa
do soffio fa spegnere la vita della natura e Adone è la natura stessa
che
ripiglia vigore al ritorno periodico della primav
ese possesso primamente delle grandi isole dell’ Egeo, e più di Cipro
che
si diceva la culla della Dea, e in Cipro specialm
lla della Dea, e in Cipro specialmente delle città di Pafo e Amatunte
che
erano più in rapporto col Fenici. Da Cipro questo
fra i cittadini e sulla socievolezza tra gli uomini. Dall’ importanza
che
il culto di una tal dea aveva presso i Latini, pr
mportanza che il culto di una tal dea aveva presso i Latini, provenne
che
quando Venere si fuse con Afrodite, e le leggende
della dea Murcia, della Cloacina e della Libitina. Murcia vale colei
che
ammolce, quindi la dea che accarezza l’ uomo e ne
oacina e della Libitina. Murcia vale colei che ammolce, quindi la dea
che
accarezza l’ uomo e ne seconda le voglie; più tar
onor di costei sorgeva a piè dell’ Aventino presso il Circo Massimo,
che
si voleva fabbricato dai Latini ivi stanziati per
si gli arredi necessari per i trasporti funebri. Nè faccia meraviglia
che
la dea del piacere (libet) di venisse dea dei mor
gliosa è messa in qualche rapporto colla morte, e anche qui può dirsi
che
gli estremi si toccano. — A queste forme più anti
doglio, e della Venus Genetrix, venerata soprattutto da Giulio Cesare
che
faceva discendere da lei per via di Enea la sua f
esare che faceva discendere da lei per via di Enea la sua famiglia, e
che
a lei votò un tempio dopo la vittoria di Farsalo;
opere. Oltre l’ inno omerico ad Afrodite, son da ricordare gli autori
che
celebrarono specialmente l’ Afrodite Urania, la r
ciò il suo poema della natura; nè meno degno d’ ammirazione l’ elogio
che
di Venere scrisse Ovidio nel quarto dei Fasti (v.
mitando in parte Lucrezio. Del resto non v’ è pittura della primavera
che
non contenga le lodi di Venere; ricordiamone una
oleva rappresentare vestita e anche velata; tale era ad es. la statua
che
trovavasi nell’ Acropoli di Atene, opera dello sc
enere in tutta la bellezza delle nude forme, immaginandola nell’ atto
che
essa doveva uscire dalle onde alla vita. Celebre
vole alla navigazione), della quale i Cnidii andavano così orgogliosi
che
ne riportarono l’ immagine anche sulle loro monet
no l’ immagine anche sulle loro monete. La fig. 27 presenta una testa
che
è una riproduzione di quella di Prassitele e trov
seguito parecchi altri statuari; tra gli altri l’ autore della statua
che
è detta Venere di Milo, perchè fu trovata nel 182
tta Venere di Milo, perchè fu trovata nel 1820 nell’ isola di Milo, e
che
trovasi ora nella Galleria del Louvre a Parigi (f
pelle tra gli altri si segnalò per la pittura della Venere Anadiomene
che
prima si trovava nel tempio di Esculapio a Coo, m
re di Crono e Rea, quindi sorella di Zeus e di Era; è da notarsi pero
che
nei poemi omerici non è mai menzionata questa div
iva ai bisogni della vita materiale, ma anche ai sacrifizi religiosi,
che
il capofamiglia offeriva agli Dei nelle preghiere
miglia, ivi, per dir così, il tempio della religione domestica. Estia
che
rappresentava tutto ciò, era quindi la divinità p
mportantissima in tutti i sacrifizi e in tutte le cerimonie religiose
che
in casa si effettuavano. Nè solo era Estia la pro
nuamente il fuoco. Da questo prendevano con sè un po’ di fuoco quelli
che
andavano a colonizzare altre terre, per mostrare
di fuoco quelli che andavano a colonizzare altre terre, per mostrare
che
essi mantenevano sempre un cotal legame colla mad
illibata; difatti si diceva ch’ ella aveva voluto rimaner vergine, e
che
anche sollecitata di nozze da Posidone ed Apollo,
a Posidone ed Apollo, aveva opposto un deciso rifiuto. Anche le donne
che
attendevano al culto di lei dovevano esser vergin
che nei templi degli altri Dei, e nessun sacrificio aveva luogo senza
che
cominciasse e finisse con una libazione ad Estia;
ta la prima, onde il proverbio « cominciare da Estia », e la leggenda
che
Estia nella divisione del mondo, dopo la vittoria
azione come dea protettrice dello Stato. Il più antico tempio di lei,
che
si credeva fondato da Numa Pompilio, sorgeva alle
no vicino al Foro. Era un tempietto rotondo, propriamente null’ altro
che
un focolare col suo tetto; ivi ardeva continuamen
i da macina inghirlandati e con pani appesi all’ intorno, per indicar
che
la Dea manteneva alla famiglia il giornaliero nut
Effigiem nullam Vesta nec ignis habet 14 . Le poche volte
che
si scolpi l’ immagine di Vesta, si soleva raffigu
dir vero, non è ben certo se rappresenti Vesta, mancando gli oggetti
che
solevano caratterizzarla, la tazza del sacrifizio
con lungo manico usata nei sacrifizi), lo scettro. È anche da notare
che
l’ indice della mano sinistra è un ristauro moder
tà del cielo dobbiamo anche annoverare due Dei esclusivamente romani,
che
non hanno il loro corrispondente nella mitologia
spondente nella mitologia greca, e sono Giano e Quirino. Ianus non è
che
la forma maschile di Diana, la luna, quindi era i
us divenne semplicemente il Dio del principio e dell’ origine, il Dio
che
apre e chiude, che presiede a ogni entrare e a og
mente il Dio del principio e dell’ origine, il Dio che apre e chiude,
che
presiede a ogni entrare e a ogni uscire. Tutto qu
e e chiude, che presiede a ogni entrare e a ogni uscire. Tutto quello
che
esiste, in cielo, nel mare, sulla terra, tutto si
a si tenevano aperte le porte di un certo tempio di lui, per indicare
che
il Dio era uscito coll’ esercito e lo accompagnav
lui; e dei pari nella vita privata ogni atto si iniziava pregando lui
che
come Ianus Agonius presiedeva a tutti i lavori de
dre di Fontus, venerato sui Gianicolo, e del dio Tiberino. Si credeva
che
egli avesse la potenza di far scaturire d’ improv
a di far scaturire d’ improvviso sorgenti dalla terra; e raccontavasi
che
quando i Sabini, dopo il ratto delle lor donne, f
llo d’ un tratto, per opera di Giano, una sorgente d’ acqua solforosa
che
impedi il loro avanzarsi e li obbligò alla ritira
i della città. Segnatamente si avevano per sacri a Giano quegli archi
che
erano nelle vie o nei crocicchi più frequentati e
l più importante era quelle situato su quella frequentatissima strada
che
dal vecchio foro conduceva al foro di Cesare. Lo
lmente antico e ragguardevolo trovavasi sul Gianicolo, dove si diceva
che
Giano avesse avuto sua sede prima che fosse Roma.
i sul Gianicolo, dove si diceva che Giano avesse avuto sua sede prima
che
fosse Roma. 3. Chi voglia leggere artisticamente
volendo figurar Giano, costantemente s’ attenne altipo bifronte. Non
che
questa sia stata un’ invenzione degli artisti rom
per es., nelle doppie erme e nella figura di Argo; e una doppia erma
che
si credeva opera di Scopa o di Prassitele, portò
dall’ Egitto, per servire come immagine di Giano. È dunque probabile
che
gli artisti romani abbiano tolto il modello dalle
ione dei Sabini stanziati sul Quirinale col Latini del Palatino, fece
che
si adottasse questo Dio nel culto comune insieme
Dio nel culto comune insieme con Iupiter e Mars, formando una triade
che
si riteneva protettrice dello stato di Roma. Numa
us Quirinus, considerato come eroe della stirpe comune a quella guisa
che
la formola Populus Romanus Quirites o Quiritium,
elesti divinizzati a) Elio-Sole. 1. Tra i primi corpi celesti
che
l’ immaginazione popolare doveva annoverare fra g
e in moglie Perse o Perseis, colla quale generò Eeta (Aeetes), quello
che
è noto nella favola degli Argonauti, come re dell
poi le sue sorgenti; finalmente Giove fulminò il malcapitato Fetonte,
che
inflammato precipito nell’ Eridano, dove le ninfe
emporali. 2. Il dio Elio aveva anche il suo lato morale; egli è colui
che
tutto vede e ascolta; colla sua luce penetra nei
ascolta; colla sua luce penetra nei più segreti luoghi, discopre quel
che
è nascosto e castiga anche i colpevoli. Perciò er
con gran pompa un’ annua festa con giochi ginnastici e musici, festa
che
per Rodi aveva la stessa importanza delle Panaten
ostrutto il primo orologio a sole. Si credeva in Roma come in Grecia,
che
il Sole rivelasse i segreti, quindi era sopranoma
ipide ad es., nel Ione dipinse mirabilmente il sorgente astro di Elio
che
indora le cime delle montagne, mentre le stelle r
e se ne fuggono per rifugiarsi nel grembo della sacra notte; immagine
che
si trova anche in pitture vascolari dell’ età di
ntato il sole sul suo carro e le stelle in figura di giovanetti aerei
che
fuggono. Ne meno belle le descrizioni del tramont
aerei che fuggono. Ne meno belle le descrizioni del tramonto; si dice
che
il sol cadente stende la nera notte come un oscur
cadente stende la nera notte come un oscuro manto sulla terra, ovvero
che
al voltarsi del cielo precipita la notte dall’ oc
ti dalle onde, come nell’ estremità opposta erano i cavalli di Selene
che
all’ apparire del raggio diurno si tuffano nel ma
ungo abito proprio del cocchiere, e la testa coronata di raggi. — Più
che
mai a Rodi si vedevano statue del Sole. Celebre è
peregrinazione pel cielo, colle sue diverse fasi, colla pallida luce
che
dà un aspetto così fimtastico alle cose, doveva c
un diadema di raggi; la chiamavano l’ occhio della notte, e dicevano
che
la sera sorgeva dai flutti dell’ oceano per perco
Tra le altre è celebre la leggenda di Endimione (Endymion), leggenda
che
viveva segnatamente nella Caria e in Elide. Era E
ene fu identificata con Artemide, con Ecate e Persefone. — Non sembra
che
Selene sia mai stata oggetto di culto speciale. 2
i si loda la candida luce. Un frammento di Saffo ci parla degli astri
che
intorno alla bella Selene, quando ella nella sua
da Orazio, ove paragona lo splendore della famiglia Giulia alla luna
che
brilla in cielo inter minores ignes (Carm. 1, 1
ità bella e benefica. Le braccia aveva rosee; rosee le dita; dicevasi
che
lieta e robusta si levasse ogni mattina dal suo l
o. Il linguaggio mitico è qui trasparente, non essendo altro in fondo
che
una poetica pittura del sorger dell’ aurora. Si a
oto (i venti di nord, ovest, est e sud), espressione mitica del fatto
che
al primo apparir dell’ aurora suol sorgere il ven
ombattuto contro Giove, fu relegato cogli altri nel Tartaro, dicevasi
che
Eos avesse scelto a sposo il bel cacciatore Orion
one. Per lui chiese e ottenne in dono da Giove l’ immortalità; se non
che
, essendosi scordata di chiedere anche una perpetu
. Figlio di Titone e di Eos fu Mennone, principe degli Etiopi, quello
che
essendo venuto in soccorso dei Troiani fu ucciso
iada. Il mito di Titone, vecchio tutto rughe, non più capace d’ altro
che
di far sentir la sua voce, come una cicala, era u
far sentir la sua voce, come una cicala, era un’ allegoria del giorno
che
è bello e fresco la mattina, poi dai dardi cocent
e). Servio Tullio ne eresse anche uno in Roma nel Foro Boario, tempio
che
Camillo ricostrui dopo la distruzione di Veio. 3.
d’ oro, è descritta spesso dai poeti, ma più come fenomeno nattirale
che
come dea. Tale ad es. il virgiliano: aethere ab
bardare i cavalli del sole, o fornita d’ ali vola per l’ aria intanto
che
da un vaso versa sulla terra la rugiada. Nel gran
eo di Berlino, rappresentante la Gigantomachia, si vede Eos a cavallo
che
precorre e preannunzia il giovane Elio. d) Gli
i della mitologia. Tali anzitutto le stelle del mattino e della sera,
che
da principio erano credute stelle diverse, denomi
i Cefalo, dicevasi avesse gareggiato di bellezza con Afrodite, oppure
che
Afrodite l’ avesse rapito giovane e fattolo guard
diceva fosse stato trasformato nella costellazione di Orione, quella
che
appare sul nostro orizzonte dal solstizio d’ esta
e notturno, emulo d’ Artemide. Lo si figurava come un enorme gigante,
che
a volte cammina nel mezzo del mare, e pur leva la
tte figlie di Atlante. La più vecchia e la più bella era Maia, quella
che
a Zeus diede un figlio in Erme. Dai Latini eran d
quali tanto piangevano per la morte di un loro fratello Iade (Hyas),
che
gli Dei per compassione le mutarono in stelle. Il
e mutarono in stelle. Il loro nome derivano gli uni da un verbo greco
che
vuol dire « piovere »; altri ricordando che dai L
gli uni da un verbo greco che vuol dire « piovere »; altri ricordando
che
dai Latini eran dette Suculae, porcellini, lo con
e dai Latini eran dette Suculae, porcellini, lo connettevano col nome
che
significa « porco »; e pensavano che la celeste c
ellini, lo connettevano col nome che significa « porco »; e pensavano
che
la celeste costellazione fosse stata immaginata c
e costellazione fosse stata immaginata come una mandra di porcellini,
che
sarebbe simbolo di fecondità. 5. Infine è da nota
no questo gruppo septemtriones, i sette buoi aratori, perchè il girar
che
fan queste stelle intorno al centro polare aveva
te stelle intorno al centro polare aveva destato l’ immagine dei buoi
che
arino un campo girando a tondo. 6. Sull’ altare d
tifizio a cui si ricorse per riempire in qualche modo il largo spazio
che
veniva a rimaner vuoto dalla parte del cielo.
di mare, soleva propiziarseli con preghiere e sacrifizi. Già si disse
che
i quattro venti principali erano detti figli di E
uto il vento del sud, Noto o Austro, apportatore di piogge e tempeste
che
rendevano il mare innavigabile e tutto involgevan
Maior, tollere seu ponere vult freta 20, e la viva pittura
che
ne fe’ Ovidio nel primo delle Metamorfosi (v. 264
evutone l’ ordine da qualche Dio, apriva loro un passaggio e lasciava
che
si scatenassero sulla terra. 2. Importanti per la
ro venti secondari sono i rilievi di quell’ antico monumento ateniese
che
ancor si conserva, ed è conosciuto sotto il titol
cima del capitello, al centro del tetto, era anche un tritone mobile
che
girando secondo il vento ne indicava la direzione
o verso le terre orientali dell’ Ellade). II. Divinità secondarie
che
formavano il corteo degli Dei del cielo, o compag
glia. Amanti del canto e sempre liete, erano esse divinità benefiche,
che
facevan cessare ogni angustia e dimenticar ogni m
evan cessare ogni angustia e dimenticar ogni male. Pindaro raccontava
che
dopo la vittoria sul Titani, i Celesti pregarono
lesti pregarono il padre Giove affinchè pensasse a crear tali esseri,
che
fossero in grado di eternare coll’ arte del canto
rado di eternare coll’ arte del canto le grandiose gesta degli Dei; e
che
allora Zeus genero con Mnemosine le nove Muse, le
cantare il presente, il passato e l’ avvenire e col loro dolci canti,
che
Apollo suole accompagnare con la cetra, rallegran
molti ruscelletti scorrevano giù con dolce mormorio, e può ben essere
che
l’ impressione di questa musica della natura, abb
canto e del divinare. Celebre tra esse la ninfa Egeria per i rapporti
che
ebbe col re Numa. Pare fossero tutt’ uno colle ni
ti che ebbe col re Numa. Pare fossero tutt’ uno colle ninfe Carmentes
che
formavano il corteo di Carmenta, la madre di Evan
le Muse nelle opere poetiche dell’ antichità non occorre dire; noto è
che
i poeti epici solevano cominciare i loro poemi da
ci solevano cominciare i loro poemi dall’ invocazione delle Muse, uso
che
è stato accolto anche dai moderni; e negli epitet
o. — Tra i monumenti ancora superstiti meritano il primo posto quelli
che
si trovano in Vaticano; ad essi si riferiscono le
Polinnia del Museo di Berlino (fig. 37), statua d’ insigne bellezza,
che
la raffigura in atto di pensar nuovi inni.
. 1. Figlie di Zeus e di Eurinome, secondo Esiodo, eran le Cariti,
che
rappresentavano tutto quel che v’ ha di bello e d
inome, secondo Esiodo, eran le Cariti, che rappresentavano tutto quel
che
v’ ha di bello e di grazioso sì nella natura sì n
, Eufrosine e Talia. Esse erano venerate come datrici di tutto quello
che
abbellisce e rende gradevole la vita. Senza di es
avano la sapienza, la virtù, l’ amabilità, in genere tutte le qualità
che
rendono l’ uomo simpatico a’ suoi simili. Le Cari
adre dell’ Olimpo ». Ricordiamo anche le Gratiæ decentes di Orazio,
che
in primavera facendo colle ninfe corteo a Venere,
ù atteggiamenti diversi; n’ è esempio, sebbene molto sciupato, quello
che
si conserva in Siena, dal quale Raffaello trasse
personificazione dell’ ordine universale, rappresentante della legge,
che
regola i rapporti fra i varii esseri, epperò conv
n corrispondono speciali deità presso i Romani; si può però ricordare
che
in luogo di Irene, essi veneravano quella che chi
; si può però ricordare che in luogo di Irene, essi veneravano quella
che
chiamavano Pace (Pax). Augusto le dedicò un altar
getali e animali. — Tra le Ore fu poi prediletta dagli scultori Irene
che
come datrice di pace e di ricchezza era anche ogg
i cui credesi un’ imitazione l’ opera da noi riprodotta nella fig. 39
che
è nella Gliptoteca di Monaco. « Raffigura una don
ra ad un alto scettro, e reggente sul braccio sinistro un fanciullino
che
a lei stende la mano con atto di amorosissima gra
pace è apportatrice. d) Niche-La Vittoria. 1. Niche non è
che
la personificazione del potere irresistibile e vi
i Giganti. Essa era pero anche in intima relazione con Pallade Atena,
che
dopo Zeus rappresentava la più alta potenza; infa
to di Niche Aptero (la Vittoria senz’ ali, così immaginata coll’ idea
che
non potesse mai più abbandonare Atene). In genere
tto di ferventissimo culto. Già i Sabini avevano una divinità Vacuna,
che
doveva essere affine alla Vittoria, e un’ altra p
n’ altra pure affine era Vica Pota ( Cic. de Leg. 2, 28 spiega: colei
che
vince e s’ impadronisce) venerata nell’ antica Ro
quale statua diventò rappresentante della dea protettrice del Senato,
che
nella Curia Iulia radunavasi, e durò come tale fi
sostenitori della morente religione contro gli attacchi dei Cristiani
che
la volevano rimuovere. 3. L’ arte greca e romana
atua trovata negli scavi d’ Olimpia nel 1875. È essa una Niche alata,
che
i Messenii e quei di Naupatto, per riportata vitt
Niche proveniente dall’ isola di Samotracia, ora al Museo del Louvre,
che
noi riproduciamo alla fig. 41. Anche essa è tronc
e essa è tronca in qualche parte, ma si può completare colla immagine
che
ne fu riprodotta in monete locali (fig. 42); coll
stato un simbolo dei rapporti fra cielo e terra; quiudi era naturale
che
Iride, la sua mistica rappresentante, fosse conce
i Taumante e dell’ Oceanina Elettra, sorella delle Arpie. È da notare
che
nella mitologia posteriore Iride diventa quasi es
ri Dei. 2. Veloce come il vento e le procelle è detta Iride dai poeti
che
ne descrivon la figura, e ha l’ ali d’ oro, ed è
istingueva. Tra i monumenti superstiti ricorderemo la figura di Iride
che
è nel fregio orientale del Partenone dov’ essa è
Iliade essa figura come la coppiera degli Dei d’ Olimpo, essendo lei
che
durante i loro festivi banchetti versa il nettare
servigi e ricorda le ragazze delle case patriarcali dell’ età eroica,
che
usavano appunto prestare i loro servigi ai membri
orente di giovinezza e di beltà, e rappresentante anche dei godimenti
che
con queste doti si connettono. Nel culto Ebe or è
naturalmente la dea dei giovani e della età giovanile; di qui l’ uso
che
, allorquando i giovani romani assumevano la toga
Juventas, parum comis sine te 24, volendo esprimere l’ intima unione
che
vi dev’ essere tra gioventù e bellezza perchè ne
s) aveva in Olimpo il compito di far da coppiere agli Dei. Omero dice
che
era figlio del re Troiano Tros, e che per la sua
a coppiere agli Dei. Omero dice che era figlio del re Troiano Tros, e
che
per la sua grande bellezza fu da Giove assunto in
a fu da Giove assunto in cielo, reso immortale e adibito all’ ufficio
che
s’ è detto. Più tardi si favoleggiò che Giove ave
ortale e adibito all’ ufficio che s’ è detto. Più tardi si favoleggiò
che
Giove avesse mandato l’ aquila sua perrapire il f
ormoso giovanetto. Altri fecero ancora un passo avanti e raccontarono
che
il sovrano dell’ Olimpo si fosse trasformato in a
attiene Ovidio nel decimo delle Metamorfosi (v. 152-161); il quale fa
che
Giove si trasformi in aquila per rapire l’ amato
si crede un’ imitazione la statua ora conservata nel Museo Vaticano,
che
noi riproduciamo alla fig. 43. L’ aquila colle al
pazio è stata vinta dall’ artista con ingegnosa accortezza, in quanto
che
diè al gruppo per appoggio il tronco d’ un albero
diè al gruppo per appoggio il tronco d’ un albero, lasciando supporre
che
il giovane pastore riposasse a piè del tronco qua
re l’ aquila di Giove. Serva di saggio la statua del Museo di Napoli,
che
noi riproduciamo nella fig. 44. h) Eros,
onico, già da noi ricordato, rappresentante della forza di attrazione
che
spinge le cose ad unirsi; dall’ altra, era figlio
’ amore. Alla forza di Eros, dicevasi, neppur Zeus può sottrarsi; con
che
si veniva a indicar l’ amore come la più forte e
esponto. A Tespia ogni quattr’ anni avevano luogo feste, le Erotidie,
che
erano le più importanti della Beozia, con certami
eciproco. 2. Con Eros sono nominati spesso dagli antichi altri esseri
che
rappresentano pure sentimenti dell’ animo; essi s
onio; infine Antero (Anteros), il ricambio d’ amore. I primi non sono
che
personificazioni allegoriche e non furono oggetto
riche e non furono oggetto di vero culto. Il più notevole è l’ ultimo
che
si diceva figlio di Afrodite come Eros. Raccontav
è l’ ultimo che si diceva figlio di Afrodite come Eros. Raccontavano
che
il piccolo Eros non volendo crescer su bene, sua
Romani il dio d’ Amore chiamavasi Amor o Cupido; ma non era in fondo
che
una ripetizione dell’ Eros greco, nè apparisce ma
n era in fondo che una ripetizione dell’ Eros greco, nè apparisce mai
che
abbia avuto l’ onore di un pubblico culto. 4. La
mana fu predominante la figura di quel volubile e scaltro giovanetto,
che
tiranneggiava Dei ed uomini, e compiacevasi a stu
i esseri in mille guise, come appare specialmente dalle ultime poesie
che
vanno tra quelle di Anacreonte. Fra così ricca le
scrittore del 2º sec. dell’ e.v. Psiche era una bellissima fanciulla,
che
per la sua bellezza destò la gelosia di Venere; q
ellezza destò la gelosia di Venere; questa allora ordinò a suo figlio
che
eccitasse in lei amore per un basso e volgare nom
ha l’ obbligo di non vedere cogli occhi del corpo quel essere divino
che
ogni notte viene a visitarla. Senonchè, aizzata d
che ogni notte viene a visitarla. Senonchè, aizzata dalle sue sorelle
che
le insinuano nell’ animo il veleno della diffiden
i Venere non è ancora ammansito, ella la obbliga ai più duri servigi,
che
la povera Psiche non sarebbe in grado di prestare
ll’ inferno per farsi dare da Persefone certa scatola voluta da colei
che
era la sua signora, e avendola per curiosità aper
la per curiosità aperta, stava per essere soffocata dal vapore Stigio
che
ne emanava, quando accorse Amore in suo aiuto; al
allora le sue sofferenze furon finite, perchè Amore ottenne da Giove
che
Psiche fosse accolta in cielo tra gli immortali,
già si trovano cenni in altri scrittori e opere d’ arte anteriori, e
che
anche dopo continuo, in diverse guise rimaneggiat
e Pothos posto nel tempio di Afrodite in Megara; l’ Eros del secondo
che
era in Tespie di Beozia era considerato come una
esistono ancora, di scalpello antico. Tra le più notevoli è il torso
che
si trova nella Galleria delle Statue in Vaticano
aticano (fig. 45); bellissimo anche l’ Eros in atto di tender l’ arco
che
è nel Museo Capitolino (fig. 46). Vi sono anche p
cchie rappresentazioni di Amore e Psiche; celebre fra tutte il gruppo
che
è in Vaticano, il quale li rappresenta in atto di
alma della vittoria; un’ imitazione probabilmente d’ un altro rilievo
che
, secondo Pausania attesta, trovavasi nel Ginnasio
re una candela nel momento della nascita; e le già nominate Carmentes
che
con scongiuri e formole magiche aiutavano il part
rgere aiuto e una fiaccola nell’ altra mano, come simbolo del nascere
che
è un venire alla luce del mondo. b) Asclepio-E
ile e in mezzo al dolce mormorio delle acque correnti. Narravasi poi,
che
essendo stata Coronide, per colpe sue, condannata
per colpe sue, condannata a morire sotto gli strali di Artemide prima
che
avesse dato alla luce il figlio d’ Apollo, allorq
farlo uscire dal seno della madre; poi lo affidò al centauro Chirone
che
lo allevo sul Pelio e gli insegnò a sanar tutti i
famiglia di Asclepio. Si diceva avesse in moglie Epione, ossia quella
che
lenisce, che mitiga, che risana; e tra i suoi fig
sclepio. Si diceva avesse in moglie Epione, ossia quella che lenisce,
che
mitiga, che risana; e tra i suoi figli, oltre i d
diceva avesse in moglie Epione, ossia quella che lenisce, che mitiga,
che
risana; e tra i suoi figli, oltre i due celebri m
dea dell’ igiene, poi Iaso, Panacea, Egle (Aegle), Acheso, tutti nomi
che
alludono ai medicamenti e all’ arte salutare. 2.
acrifizi farlo addormentare; allora in sogno doveva apparirgli il Dio
che
gli suggeriva il rimedio al suo male. 3. Presso i
o che gli suggeriva il rimedio al suo male. 3. Presso i Romani, prima
che
s’ introducesse la religione di Esculapio, si ven
rna o Cardea, a cui si attribuiva la virtù di cacciar via le streghe,
che
venivan di notte a succhiare il sangue ai bambini
dato una deputazione ad Epidauro per condur seco Esculapio, narravasi
che
il Dio in forma di serpente spontaneamente fosse
ontaneamente fosse venuto dietro ai legati romani e salito sulla nave
che
doveva portario a Roma. Ivi poi sbarcato scelse s
tà. Attributo suo costante una serpe, come simbolo della forza vitale
che
si ringiovanisce; e questa serpe o si rappresenta
tone da lui tenuto. Tale si scorge in una statua del Museo di Napoli,
che
noi riproduciamo alla fig. 48. Altre volte si ved
va anche un celebre Asclepieo, hanno messo in luce parecchi monumenti
che
si riferiscono ad Asclepio e al suo culto. Non
rche. 1. Era una persuasione comune e radicata presso gli antichi,
che
l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al m
cata presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino,
che
al momento della nascita di ognuno già fossero de
a filar lo stame della vita di ognuno, la seconda rappresentante ciò
che
v’ è di casuale in essa vita, la terza significan
glie delle tenebre, erano sorelle delle Erinni, le dee della vendetta
che
perseguitano il colpevole fino alla morte. Come e
rono assegnare le stesse attribuzioni delle greche Moire. Si noti poi
che
dall’ età Augustea invalse l’ uso di usar la voce
anti racconti meravigliosi. 3. Bellissima pittura delle Parche quella
che
si legge nell’ Epitalamio di Peleo e Tetide di Ca
ati custodibant calathisci 28 . L’ arti figurative non cominciarono
che
tardi a rappresentar le Moire; il tipo che divenn
igurative non cominciarono che tardi a rappresentar le Moire; il tipo
che
divenne prevalente fu quello di tre donne che fil
entar le Moire; il tipo che divenne prevalente fu quello di tre donne
che
filano, ovvero di donne che annunziano la ventura
divenne prevalente fu quello di tre donne che filano, ovvero di donne
che
annunziano la ventura e pero tengono in mano un r
emesi; Tiche-Fortuna e Agato-demone,Bonus eventus. 1. Tra le Deità
che
avevano rapporto colle sorti dell’ umana vita, va
ntava una santa indignazione per ogni disordine morale, per ogni cosa
che
turbasse il normale equilibrio della società, per
io, le fu anche eretta una statua in Campidoglio. Gli scrittori greci
che
hanno un’ intonazione morale, spesso fanno cenno
dedicate leggonsi nell’ Antologia. Fra i Latini, va ricordato Catullo
che
in uno de’ suoi poemetti scherzosi, volgendo la p
a rappresentare la prospera sorte essi escogitarono la dea Felicitas,
che
fu pure oggetto di pubblica venerazione. Fondator
culto della Fortuna in Roma si crede sia stato Servio Tullio, quel re
che
era stato egli stesso tanto fortunato; egli edifi
l titolo di Fors Fortuna un tempio, e istituì una solenne festa annua
che
ricorreva il 24 Giugno. Questo culto si estese se
i umili e deprimere i superbi, la dice invocata si dagli agricoltori,
che
dai naviganti, temuta dai popoli come dal re, e c
a. Varii attributi le si assegnavano; il più importante era un timone
che
la contraddistingueva come governatrice delle uma
lla ricchezza, in braccio. La fig. 49 riproduce una statua bellissima
che
è nel Braccio nuovo del Vaticano. La fig. 50 è pu
tua del Vaticano; è copia di un antico lavoro di Eutichide di Sicione
che
trovavasi ad Antiochia; come protettrice di città
a città è così importante ed ha un fondo così oscuro e impenetrabile,
che
gli antichi sentirono il bisogno di affidarlo ad
di affidarlo ad altri esseri ancora, oltre i nominati; e immaginarono
che
ciascun individuo sia assistito, guidato nelle va
le a questi esseri o ricorrendo semplicemente al simbolo del serpente
che
indicava fortuna, o raffigurandoli in forma di gi
lto importante, per la considerazione dei grandi e molteplici effetti
che
le acque producono, feracità di terreni irrigati,
agli antichi attribuito al mare, i terremoti. Quindi niuna meraviglia
che
il regno acqueo abbia dato occasione a immaginare
pia più antica di Titani, come già si disse (pag. 11), e raccontavasi
che
non avendo preso parte alla grande lotta contro l
sua abitazione collocavasi all’ estremo Occidente, là dove si credeva
che
fosse l’ origine delle cose. L’ Oceano era detto
iumi e di tutte le sorgenti della terra; in altri termini, si credeva
che
i fiumi avessero tutti origine dal gran mare da c
dal gran mare da cui gli antichi immaginavano circondata la terra, e
che
scorrendo prima sotterra, a un tratto comparisser
trici dell’ aria, or semplicemente come chiare, fresche e dolci acque
che
dànno allegria ai boschi, ai monti, alle valli. L
ne le popolava di ninfe. Basti ricordare fra esse la sorgente Amaltea
che
die’ il nome al corno dell’ abbondanza, e la sorg
ea che die’ il nome al corno dell’ abbondanza, e la sorgente Aretusa,
che
la favola diceva amata da Alfeo e seguita da lui
popolava di graziose ninfe; celebre fra tutte la ninfa Egeria, quella
che
è ricordata nella tradizione come amante segreta
va cornua cannis 31. A queste stesse immagini s’ ispirò la statuaria
che
soleva rappresentare i fiumi in figura di uomini,
vole corso d’ acqua, e forniti di cornucopie a indicare l’ abbondanza
che
è frutto dell’ irrigazione fluviale. Fra tante an
le. Fra tante antiche statue a noi giunte, citiamo il bellissimo Nilo
che
è nel Braccio Nuovo del Vaticano (fig. 51). Folle
corpo maestoso del Dio sedici genii, rappresentanti le sedici braccia
che
l’ acqua cresce ogni anno al momento della benefi
helangelo. II. Ponto e la sua stirpe. Vedemmo nella Teogonia
che
il Ponto, ossia il mare, era stato in origine pro
il mare, era stato in origine prodotto spontaneo di Gea, la Terra; e
che
di poi unitosi colla stessa Gea, si credeva avess
e lo figuravano come un buon vecchio, pieno di senno e di esperienza,
che
colle sue figliuole abitava nel fondo del mare in
ride si mostrò subito compiacente, vaticinandogli spontaneamente quel
che
doveva avvenire. Le Nereidi, o figlie di Nereo, e
aiutavano nei pericoli. Tra esse meritano essere ricordate Anfitrite,
che
andò sposa a Posidone, e Tetide (Thetis), direttr
e Tetide (Thetis), direttrice del coro delle Nereidi, così avvenente
che
Zeus stesso l’ amava, ma essa preferi darsi in is
i in isposa a Peleo, figlio di Eaco, perche un oracolo aveva predetto
che
il figlio nato da lei sarebbe divenuto più grande
divenuto più grande del padre. Sia ricordata anche la bianca Galatea,
che
divenne amante del Ciclope Polifemo, ed era la pr
diversi, in diversi atteggiamenti. Un marmo, forse il più importante,
che
rappresenta una Nereide su un cavallo marino, tro
a Firenze. b) Taumante. Il secondo figlio del Ponto è Taumante,
che
rappresenta gli aspetti meravigliosi del mare, e
il cibo. In altre leggende appariscono come genii della rapida morte
che
afferra la sua preda coll’ impeto della tempesta.
ura. Forchi (Phorkys) era il signore e capo di tutti i mostri marini,
che
eran detti il suo esercito, e la sua sposa Cheto
e padre di Toosa, la ninfa rappresentante l’ impetuoso flutto marino,
che
per via di Posidone divenne madre dei Ciclope Pol
onia ch’ egli era figlio di Crono e di Rea e però fratello di Zeus, e
che
allorquando dopo il trionfo di Zeus, i Cronidi si
so, toccò a lui il regno del mare. E nel profondo del mare si pensava
che
abitasse in uno splendido palazzo; e di là movess
scorrere sopra i flutti. Irapetuoso è egli e potente come l’ elemento
che
ei governa; allorch’ egli col suo tridente, l’ in
ebbe a sostenere aspro combattimiento, e d’ altri ancora; tutti miti
che
sono un riflesso della natura tempestosa del mare
e mura di Troia, e Laomedonte li frodò della pattuita mercede, fu lui
che
mandò un terribile mostro che distruggeva i racco
li frodò della pattuita mercede, fu lui che mandò un terribile mostro
che
distruggeva i raccolti e uccideva uomini, finchè
per ammansirlo gli si dovette dare in pasto la figlia del re, Esione,
che
fu poi liberata da Eracle. Un fatto analogo si ha
seo; leggenda di cui riparleremo. Invece la natura benefica del mare,
che
insinuandosi dentro terra produce facilita di com
e. Nell’ interno son da ricordare pel culto di Posidone la Tessaglia,
che
a lui attribuiva la sua liberazione dalle inondaz
attribuiva la sua liberazione dalle inondazioni del Peneo, in quanto
che
con un colpo del suo tridente aveva egli aperto l
rinto; in onor di lui appunto vennero ivi istituiti i giochi Istmici,
che
divennero una festa nazionale di tutta la Grecia.
e accavallantisi spumeggianti han fatto pensare a ciò; anzi si diceva
che
Posidone avesse creato lui il cavallo in occasion
esso dell’ Attica (cfr. pag. 43). Nelle leggende di Corinto narravasi
che
Posidone, per mezzo di Medusa, fosse padre del no
importanza. Quando poi si identificò Nettuno con Posidone, la qualità
che
più venne a essere rilevata si fu quella di Dio d
fu quella di Dio dei cavalli e delle corse. E difatti l’ unico tempio
che
in Roma era eretto a Nettuno, trovavasi presso il
inio; mentre nel Circo Massimo veneravasi l’ antico Dio latino Consus
che
si riteneva per un Neptunus equester. Ai tempi di
o del suo regno, sollevò sull’ onde la sua placida testa, e veduto di
che
si trattava, chiamò a sè Euro e Zefiro per rimpro
i trattava, chiamò a sè Euro e Zefiro per rimproverarli della licenza
che
si eran presa e rimandarli alla loro sede; poi
iante a quella del fratello Zeus, barbato il viso, la chioma ricciuta
che
fluisce intorno alla faccia coprendo le orecchie,
a però al volto una espressione più seria, senza quell’ amico sorriso
che
indica la benevolenza. Solitamente poi si raffigu
mostro marino. La più antica statua di Posidone a noi giunta è quella
che
era nel frontone occidentale del Partenone, dov’
disgraziatamente in frantumi. Nella fig. 52 si riproduce il Posidone
che
è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde al tipo
uce il Posidone che è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde al tipo
che
prevalse nei tempi più recenti dell’ arte antica.
e Nereidi, sposa di Posidone; era dunque nel regno dell’ acque quello
che
Era nel regno dei cieli. Narrava la leggenda, che
dell’ acque quello che Era nel regno dei cieli. Narrava la leggenda,
che
Posidone l’ aveva vista a danzar colle sorelle ne
ei romoreggianti flutti marini, ed è dipinta nell’ Odissea come colei
che
spinge le onde contro gli scogli e si compiace ci
rite, come in un celebre gruppo a rilievo della Gliptoteca di Monaco,
che
si crede una riproduzione d’ un originale di Scop
giante. Era detto l’ unico robusto figliuolo di Posidone e Anfitrite,
che
con loro abita nel palazzo d’ oro in fondo al mar
tto e le zampe anteriori di cavallo, creando quei mostri a tre nature
che
furono detti Centauri di mare o Ittiocentauri (ic
e sorgeva la tempesta; altre volte invece dava luogo a un suono dolce
che
quietava il mare agitato. — Cominciando dal quart
credenza in un coro di Tritoni, rappresentanti nel regno marino quel
che
i Satiri o i Centauri nel regno terrestre; classe
quel che i Satiri o i Centauri nel regno terrestre; classe di esseri
che
vive sulle onde, tra i mostri marini e le Nereidi
semif ero sub pectore murmurat unda 37 . Il suono della conchiglia
che
rabbonisce le onde agitate è ben descritto da Ovi
in vasi cesellati, ecc. Un gruppo degno d’ essere ricordato è quello
che
conservasi nel Museo Vaticano, rappresentante un
car riposo sul lido; e sopratutto nell’ ore calde d’ estate narravasi
che
conducesse il suo gregge a meriggiare nell’ isola
nzio. Tra le divinità minori del mare, va annoverato il Dio Glauco
che
propriamente rappresenta il color del mare quando
città della Beozia orientale sull’ Euripo. Quivi era viva la leggenda
che
egli fosse da principio pescatore; e che un giorn
. Quivi era viva la leggenda che egli fosse da principio pescatore; e
che
un giorno, fatta la sua pesca, avendo posto giù i
ndo posto giù i pesci semivivi sull’ erba, vedesse con sua meraviglia
che
al contatto di un certa erba ripigliavan vita e r
egli stesso di quest’ erba e ne senti subito una tale sovreccitazione
che
si gettò in mare, dove benignamente accolto da Oc
g. 53 riproduce un celebre busto trovato a Pozzuoli, ora in Vaticano,
che
s’ è voluto riferire a Glauco; ma la identificazi
ra di allevare il piccolo Dioniso; perciò incorse nello sdegno di Era
che
prese a perseguitar lei e i suoi due figli Learco
una pazzia furiosa ad Atamante, il quale uccise Learco e inseguì Ino
che
tentava salvare l’ altro figlio, finchè tutte due
mare da un alto scoglio, fra Megara e Corinto. Dice Dante: Nel tempo
che
Giunone era crucciata Per Semele contra il san
ni al varco; » E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l’ un
che
avea nome Learco, E rotollo, e percosselo ad u
E quella s’ annegò con l’ altro carco. (Inf. XXX, princ.). Dante fa
che
s’ anneghi; ma la leggenda antica narrava che le
XXX, princ.). Dante fa che s’ anneghi; ma la leggenda antica narrava
che
le deità marine, accolta benevolmente la disperat
te fanciullo, all’ una e all’ altro diedero l’ immortalità, lasciando
che
lei vivesse felice tra le Nereidi, e Melicerte co
el mattino, e Pater Portunus dio dei porti. Allora si creò la storia,
che
la principessa figlia di Cadmo dopo il suo salto
più da Roma. 3. La favola d’ Ino molto piacque ai poeti per la pietà
che
destava il caso della madre sventurata e la felic
ovvero in braccio alla madre in atto di essere presentato a Posidone
che
con paterna benignità l’ accoglie. IX. Le Sire
benignità l’ accoglie. IX. Le Sirene. 1. Son le Muse del mare,
che
col loro dolci canti ammaliano i naviganti, e fac
e e figliuoli li attirano a sè e rovinano; immagine viva dei pericoli
che
spesso si incontrano anche in un mare tranquillo,
ti come in quello degli Argonauti e del ratto di Proserpina. Si disse
che
Demetra appunto aveva dato loro il corpo d’ uccel
n punizione di non aver aiutato la loro compagna di gioco nel momento
che
il re dell’ Inferno stava per rapirla. Anche si f
le le prime sarebbero state vinte. Il luogo ove solitamente si diceva
che
stessero le Sirene, eran le coste occidentali del
. La poesia si compiacque del mito delle Sirene, immagine del fascino
che
l’ arte esercita sull’ animo dell’ uomo; perciò n
el quinto delle Metamorfosi (v. 552 e sgg.) spiega la cosa ricordando
che
dopo il ratto di Proserpina, la ricercarono invan
siderarono potersi librare sull’ ali per ricercarla anche in mare, in
che
: … faciles que Deos habuistis et artus
rò a dar maggior rilievo alla parte femminea non lasciando d’ uccello
che
le ali e le estremità inferiori. È a notare che p
lasciando d’ uccello che le ali e le estremità inferiori. È a notare
che
per esser fatale il canto delle Sirene, divennero
ogni rigoglio di vegetazione, onde l’ annua produzione di que’ frutti
che
allietano l’ umana famiglia e le dànno sostentame
a? E dove, se non nel seno ascoso di lei, si ripongono quelle energie
che
rimangono assopite nella stagione hivernale per r
agione hivernale per riprender vigore in primavera? È dunque naturale
che
, indotti da queste riflessioni, gli antichi abbia
so, di qui il culto e le leste dette orgiastiche (da una parola greca
che
significa sovreccitazione dell’ animo). È poi da
la greca che significa sovreccitazione dell’ animo). È poi da notarsi
che
il concetto di tali divinità, e specialmente dell
to ch’ ebbe nome di misteri, a cui erano ammessi solo gli iniziati, e
che
contribui a mantenere un’ idea più elevata del di
anche d’ altro lato fu pensata Gea come tomba universale delle cose,
che
ogni essere vivo inesorabilmente rievoca a sè e a
terra. Questi concetti essendo comuni con altre divinità, n’ è venuto
che
spesso Gea venne identificata con altri, ad es. c
La statuaria antica rappresentava Gea come una mezza figura di donna
che
sorge dal suolo; tale si vede in un rilievo che è
mezza figura di donna che sorge dal suolo; tale si vede in un rilievo
che
è nel Museo Chiaramonti in Vaticano raffigurante
sa oggetto di culto segnatamente nell’ isola di Creta, dove si diceva
che
ella avesse fatto allevare il figlio Zeus in una
a detta la madre Idea o montana, e rappresentava la natura montagnosa
che
ne’ suoi cupi recessi alberga e feconda tanta par
nte Dindimo, onde essa era detta Dindimene, e il villaggio Berecinto,
che
le die l’ epiteto di Berecinzia (Berecyntia). Qui
che le die l’ epiteto di Berecinzia (Berecyntia). Qui favoleggiavasi
che
la Dea amasse andare attorno su un carro tirato d
auti, si abbandonavano ad una musica strepitosa ed orgiastica. I miti
che
si riferiscono a questa Dea portano pure un carat
nte di lei. Era costui un giovane Frigio di così eccezionale bellezza
che
la Gran Madre lo volle per isposo. Dapprincipio e
nazione. Atti fuggi sul monti e in un eccesso di furore si uccise. Di
che
afllittala Dea, ordinò in onor di lui una cerimon
ercare Atti; finalmente si fingeva trovarlo o si trovava un’ immagine
che
lo rappresentava, e allora i Coribanti si abbando
ta e danzavano e coll’ armi si ferivano a sangue. Questo giovane Atti
che
muore e rinasce, come l’ Adone del culto di Afrod
e rinasce, come l’ Adone del culto di Afrodite, simboleggia la natura
che
sorge a vita florida e rigogliosa e poi tosto app
sto culto trovava un terreno favorevole nelle vicinanze del monte Ida
che
ricordava l’ Ida cretese. Ivi in luogo dei Coriba
ei libri sibillini fu mandata un’ ambascieria ad Attalo re di Pergamo
che
allora dominava pure nella Frigia; Attalo cousegn
inava pure nella Frigia; Attalo cousegnò di buon grado la nera pietra
che
era considerata come l’ idolo di Cibele, e che fo
n grado la nera pietra che era considerata come l’ idolo di Cibele, e
che
forse era una pietra meteoritica da secoli conser
no 550/204 e venne accolta in mezzo a solenne processione dai Romani,
che
d’ allora in poi la tenuero in grande venerazione
cordare il giorno d’ arrivo della Dea; le fu subito votato un tempio,
che
fu dedicato nel 563/191 poco lungi da quello di A
dedicato nel 563/191 poco lungi da quello di Apollo Palatino, tempio
che
più volte fu distrutto e ricostruito, tra gli alt
ndatrice e conservatrice delle città, e al suo corteggio di Coribanti
che
Tympana tenta tonant palmis et cymbala circum Co
. Le rappresentazioni figurate sono rare; tra le più. note è quella
che
si riferisce all’ introduzione del culto in Roma
introduzione del culto in Roma (fig. 54). In Vaticano v’ è una statua
che
rappresenta Cibele in trono, e un’ altra è nella
involta dalle flamme di Zeus, ed ivi morì. Zeus però salvò il figlio
che
non era ancor nato, e perchè non aveva raggiunto
uci in una coscia, e lo diede poi a luce a suo tempo; di qui dicevasi
che
Dioniso avesse avuto un doppio nascimento. Zeus p
oi consegnò il neonato ad Ermes perchè lo portasse alle ninfe di Nisa
che
s’ incaricavano di allevarlo; secondo altra legge
eo quello cui Dioniso vien affidato dopo il bruciamento di Semele, il
che
fa palese il significato naturale del mito; Semel
il che fa palese il significato naturale del mito; Semele è la terra
che
vien bruciata dai raggi estivi del sole, ma il fr
per cura di Sileno, Dioniso pianta la vite, e s’ innebria dell’ umor
che
da essa cola e allora compiacesi di girare di luo
asione d’ un viaggio dall’ isola di Icaria a quella di Nasso, Dioniso
che
aveva assunto la forma d’ un bel ragazzo col cape
ricciuti e il mantello di porpora, fu preso da alcuni pirati Tirreni
che
ideavano portario con sè e andarlo a vendere in I
lia. Ma, oh portento! a un cenno del divino fanciullo, cadono i ceppi
che
l’ avvincono, tralci di vite e rami d’ edera s’ a
no in mare, e in quell’ istante son trasformati in delfini, salvo uno
che
, indovinando un essere divino nel fanciullo, s’ e
vinando un essere divino nel fanciullo, s’ era opposto al mal governo
che
di lui avevan preso a fare i compagni. — E così a
iso diè a vedere quanto fosse terribile la sua vendetta contro quelli
che
non lo riconoscevano e tentavano impedire le sue
a, dov’ egli era stato allevato, onde il Dio stesso non potè salvarsi
che
saltando in mare dove lo accolse Tetide; ma Licur
i aizzatigli contro da Dioniso. Licurgo è il lungo inverno di Tracia,
che
si oppone alla propagazione della vite, ma alfine
e e di indole selvaggia. Costui volle opporsi alle feste Dionisiache,
che
il coro delle Baccanti stava celebrando sul monte
coro delle Baccanti stava celebrando sul monte Citerone. Ma sua madre
che
trovavasi tra le Baccanti, invasata da sacro furo
opranomava Semele sua madre l’ umida, alludendosi all’ umor terrestre
che
fecondato dal calore fa crescere piante e frutti,
i l’ arte del divinare. Onde ci fu persino qualcuno, nei tardi tempi,
che
considerava Apollo e Dioniso come identici. Un Di
indirizzo presero le leggende relative a Dioniso in mano agli Orfici,
che
mescolando tradizioni asiatiche e greche, cercava
a il primo Dio; era detto figlio di Zeus e di Persefona; e si narrava
che
essendo egli destinato al dominio supremo del mon
male nell’ animo umano, provenendo il bene dall’ elemento dionisiaco
che
è in noi, e il male dal titanico. Queste e altret
carne sanguinosa. Era tutto ciò un ricordo e un simbolo dello scempio
che
l’ inverno fa di tutti i prodotti onde la terra s
Giova ricordare le feste Dionisiache, ossia feste in onor di Dioniso
che
si celebravano in Atene. Erano le seguenti: 1º Le
rni; nel primo festeggiavasi la svinatura o lo spillare il nuovo vino
che
allora aveva finito di fermentare; nel secondo gi
to festa della pentola, perchè si esponevano pentole con legumi cotti
che
dovevano servire come offerta alle anime dei defu
legumi cotti che dovevano servire come offerta alle anime dei defunti
che
secondo la credenza comune quel giorno venivano s
e della vendemmia per lesteggiare il raccolto fatto. È però da notare
che
le feste italiche non avevano quel carattere romo
e le feste italiche non avevano quel carattere romoroso ed orgiastico
che
il culto di Dioniso ebbe in Grecia. Solo più tard
cantato qua e là le lodi di questo Dio straordinario. Ricordiamo solo
che
Eschilo compose una trilogia intorno al mito di L
riche. Tra le cose latine, leggasi la 19a ode del 2o libro di Orazio,
che
in versi caldi e appassionati riassume le princip
baraque horribili stridebat tibia cantu. 43 Infine ricordisi Ovidio
che
nel terzo delle Metamorfosi e in principio del qu
lla figura di Dioniso un aspetto giovanile, quasi femmineo; è il tipo
che
prevalse dal tempo di Prassitele in poi. A questo
al tempo di Prassitele in poi. A questo appartiene il celebre Dioniso
che
conservasi nel Museo del Louvre a Parigi; e anche
essa categoria. La fig. 57 riproduce la testa di un Dioniso giovanile
che
è nel Museo Capitolino; un viso pieno d’ espressi
te, oltre la vite e l’ edera, anche l’ alloro. Tra le figure
che
appaiono nelle leggende bacchiche, la più frequen
tisti era Arianna. Celebre l’ Arianna addormentata del Museo Vaticano
che
noi riproduciamo colla fig. 58; essa è di rara be
appresentazione della Menade o Baccante. Scopa n’ aveva fatto un tipo
che
divenne celebre: la sua figura era in atto di ebb
. 1. Tra le divinità minori della Terra vanno annoverate le Ninfe,
che
noi vedemmo far parte del corteo di Bacco, ed anc
trice e di Afrodite. Erano immaginate come belle e graziose donzelle,
che
si dicevano abitare nè più ameni boschetti, alle
endeva solo le Ninfe d’ acqua dolce, e si chiamavan Naiadi. Eran loro
che
nutrivan le piante e quindi anche le bestie e l’
ei; ond’ essa, consumata dal dolore, si ridusse a non esser più altro
che
voce. Ma Narciso fu punito da Afrodite, perchè ac
le piante). Queste si credeva non fossero già immortali, ma si diceva
che
col morir d’ ogni pianta avesse termine anche la
ialmente là dove una natura rigogliosa e tranquilla suggeriva l’ idea
che
ivi fosse un soggiorno prediletto alle Ninfe; di
a bucolica aveva frequenti occasioni di descrivere scene della natura
che
sempre s’ avvivavano colla presenza delle ninfe.
go. La favola di Narciso trovò un narratore pieno di grazia in Ovidio
che
l’ espose nel terzo delle Metamorfosi. La statuar
nforme a questa bestiale natura, attribuiva anche alla loro figura un
che
di bestiale, naso rincagnato, capelli arruffati,
nnide. Verso gli uomini, il popolo riteneva i Satiri piuttosto ostili
che
amici; si dice va assalissero d’ improvviso gli a
e Dionisio ha dato occasione alla creazione di quel genere drammatico
che
fu denominato « Il dramma dei Satiri » (satyricum
la Tragedia, rilevando i fati più comici delle loro leggende o quelli
che
più facilmente si potevano volgere a riso. Il Cic
riso. Il Ciclope d’ Euripide è un bel saggio di queste composizioni,
che
il popolino in Grecia preferiva alla serietà dell
più in verità per rappresentarli ma semplicemente per lettura. Oltre
che
in questi speciali componimenti, anche altrove so
no per lo più coll’ epiteto « capripedi » alludendo ai piedi di capra
che
la immaginazione popolare attribuiva loro. Alle a
i musicali; tale ad esempio, il Satiro del Museo Capitolino (fig. 61)
che
è appoggiato ad un tronco e tiene nella mano dest
appoggiato ad un tronco e tiene nella mano destra un flauto; si crede
che
sia copia di un capolavoro di Prassitele. Altre v
vita, ecc. La fig. 62 riproduce un’ altra statua del Museo Capitolino
che
è in rosso antico. Anche le pitture murali di Pom
leni. 1. Era Sileno, secondo la comune leggenda, un vecchio Satiro
che
ebbe in cura Dioniso bambino e lo allevò e divenn
l petto e le membra, grasso e tondo come un otre di vino; e si diceva
che
incapace di reggersi in piedi, seguisse Dioniso a
arono un altro concetto di Sileno, pensandolo come un saggio vecchio,
che
sdegna i beni terrestri e non trova soddisfazione
saggio vecchio, che sdegna i beni terrestri e non trova soddisfazione
che
nella propria saggezza; uomo dotato anche della v
cui parlano per lo più le leggende asiatiche, erano genii dell’ acqua
che
corre e irriga e feconda; difatti si pensavano co
suo alunno, era detto inventore del suon dei flauti, genere di musica
che
la religione di Cibele mise in onore. In Attica n
musica che la religione di Cibele mise in onore. In Attica narravasi
che
egli avesse soltanto trovato in terra e fatto suo
avasi che egli avesse soltanto trovato in terra e fatto suo il flauto
che
Atena, la vera inventrice, aveva gettato via perc
entrice, aveva gettato via perchè le sformava il viso. Si narrava poi
che
Marsia avendo osato venire a gara con Apollo il c
rsia avendo osato venire a gara con Apollo il citarista, a condizione
che
il vincitore potesse fare dell’ altro tutto quel
ta, a condizione che il vincitore potesse fare dell’ altro tutto quel
che
gli talentasse, fu vinto; e allora Apollo lo legò
bele, la quale avevalo immensamente arricchito. Ma avvenne a lui quel
che
suoi avvenire tra gli uomini; quanto più era ricc
giorno il vecchio Sileno, ebbro e stordito, erasi sviato dal cammino
che
il corteo di Bacco percorreva in Frigia ed era ca
o accompagnò nei campi di Lidia e lo restituì al giovinetto Bacco. Di
che
lieto il Dio, volle compensar Mida promettendo di
re. Mida, spinto dalla sua avarizia, chiese si convertisse in oro ciò
che
egli toccasse col suo corpo. Fu soddisfatto; ma i
to un intollerabile tormento; giacchè in oro mutavasi perfino il pane
che
ei vole va mangiare e l’ acqua che voleva bere. P
hè in oro mutavasi perfino il pane che ei vole va mangiare e l’ acqua
che
voleva bere. Pregò Dioniso gli ritogliesse il tri
i divennero aurifere. — Un’ altra leggenda relativa a Mida era quella
che
lo faceva arbitro in una contesa musicale tra Pan
aceva arbitro in una contesa musicale tra Pane ed Apollo; si narra va
che
avendo egli sentenziato in favor di Pane, Apollo
e avendo egli sentenziato in favor di Pane, Apollo si vendicò facendo
che
le orecchie di lui divenissero asinine. Pieno di
enza e indovino, è il tema della sesta ecloga di Virgilio. La pittura
che
il poeta fa di lui ebbro e immerso nel sonno, è v
ano a udirlo e danzano intorno ritmicamente; e riferisce il suo canto
che
ha ad argomento l’ origine delle cose e degli ani
gione dell’ Arcadia e da altre popolazioni dedite alla pastorizia, ma
che
più tardi fu riconosciuto da tutta la nazione ell
figlio di Ermes e della ninfa Penelope, figlia di Driope; narra vasi
che
è fosse nato co’ piedi di capra, con due corna su
e pascolo, pascolare. Allevato e cresciuto in Arcadia, tra que’ monti
che
alzano al cielo la loro cima coperta di neve, tra
monti al modo di Artemide. Un di ch’ ella era per essere presa da lui
che
rincorrevala, pregò Gea l’ aiutasse; questa la mu
in luogo della ninfa strinse canne palustri; ma il lamento armonioso
che
usciva da esse suggeri al Dio l’ idea di unire pi
iù canne digradanti e formarne così uno strumeuto musicale, strumento
che
dal nome dell’ amata chiamò siringa (voce greca c
sicale, strumento che dal nome dell’ amata chiamò siringa (voce greca
che
val « zampogna »). Ma se la silvestre natura risu
essa, ha anche i suoi solenni silenzi e nella vasta solitudine avvien
che
produca un vago sentimento di paura. Di qui altre
go sentimento di paura. Di qui altre favole relative a Pane. Dicevasi
che
a mezzo il giorno, quando il sole dardeggia, e tu
, di cui il motivo s’ ignorasse, chiamavasi timor panico, raccontando
che
Pane si divertiva a spaventare i viaggiatori con
i strane e rumori inaspettati. Di qui si formò più tardi la leggenda,
che
Pane avesse molto aiutato Zeus nella lotta contro
astico, la tendenza al chiasso e a una selvaggia eccitazione d’ animo
che
è inerente alla natura di questo Dio, offrì occas
on Bacco e fatto partecipare alle peregrinazioni bacchiche; si diceva
che
nella spedizione contro gli Indiani molto aveva g
lle idee filosofiche; giacchè indotti dal significato della voce Pan,
che
val « tutto », gli Orfici ne fecero un Dio tutto,
era venerato specialmente dai pastori, dai cacciatori, dai pescatori
che
lo avevano per loro protettore. Le cime delle mon
s’ introdusse questo culto poco dopo la guerra persiana. Raccontavasi
che
quando l’ oste nemico avvicinavasi, gli ambasciat
egli onorato con annui sacrifizi e una corsa di fiaccole. Gli animali
che
solitamente si offrivano a Pane erano vacche, cap
si porgevano anche offerte di miele, latte e mosto. 3. Un antico inno
che
è tra gli Omerici, il 19o, è un bel monumento in
nfrequente la menzione di Pane tra i poeti latini. A tacere d’ Ovidio
che
la bella leggenda della ninfa Siringa racconta ne
e sgg.), nessuno può dimenticare la vivissima pittura di Pane sonante
che
leggesi nel quarto libro del poema di Lucrezio, o
nante che leggesi nel quarto libro del poema di Lucrezio, ov’ è detto
che
egli: Pinea semiferi capitis velamina quassans U
o le chiome e le tempia di una corona di pino, con le due corna rosse
che
scappan fuori della fronte, le orecchie dritte, i
pida e impraticabile, dice, dov’ ei, librando il corpo e simile a uno
che
voli, non ponga il suo piè caprino. Talvolta pieg
l’ arte greca Pane era rappresentato in figura puramente umana, salvo
che
s’ aggiungevano le corna nascenti ai due lati del
iluppate, lunga barba e piedi caprini. Esempio ce n’ offre la fig. 65
che
è tolta da una pittura murale trovata ad Ercolano
er le Ninfe. Anch’ egli si divertiva a spaventar la gente, e dicevasi
che
di notte penetrasse nelle case e tormentasse gli
, salvochè si rilevò meglio il loro carattere divinatorio; e ne venne
che
fossero chiamati anche versi faunii o saturnii qu
ero chiamati anche versi faunii o saturnii quelli nei quali si diceva
che
essi significassero le loro predizioni. Al maschi
na, detta anche Fatua come divinatrice e Maia o Bona Dea, cioè la dea
che
accresce, che aumenta i prodotti della terra e la
e Fatua come divinatrice e Maia o Bona Dea, cioè la dea che accresce,
che
aumenta i prodotti della terra e la ricchezza deg
sacrificava un capro e si facevano offerte di latte e vino. La festa
che
aveva luogo in campagna dava occasione a lieta al
che libertà. Un’ altra festa importante e antica, erano i Lupercalia,
che
celebravansi il 15 Febbraio a Roma. Il santuario
era in una grotta del Palatino detta appunto Lupercal, quella stessa
che
l’ arcade Evandro venuto nel Lazio e benignamente
esto santuario si cominciava la festa sacrificando dei capri; dopo di
che
i sacerdoti di Fauno, i Luperci, cingendosi il nu
città palatina e il Foro, e percotevano con quelle striscie la gente
che
si faceva loro incontro. Era questa una cerimonia
e che si faceva loro incontro. Era questa una cerimonia d’ espiazione
che
si credeva douasse prosperità e fortuna; e tra l’
il suo santuario e il suo culto. È da ricordare specialmente la festa
che
in onor di lei le donne celebravano nella notte d
tutto lo Stato, e i maschi ne erano severamente esclusi. 3. Il poeta
che
alla figura di Fauno ha saputo dar miglior risalt
avvicinarsi de’ lupi, i contadini premono in liete danze quella terra
che
gli altri giorni scavano con tanta fatica. I Faun
istra, a significare la sua regal signoria sulla terra e sugli esseri
che
vi abitano. VIII. Priapo. Era il Dio della
era riguardato come protettore dei giardini e delle vigne. La bestia
che
si sacrificava a Priapo era un asino, e curiose s
con una roncola in mano contro i ladri e un fascio di canne in testa
che
stormissero al vento, spavento agli uccelli. Rigu
icordare alcune divinità minori dell’ agricoltura e della pastorizia,
che
erano osclusivamente proprie dei Romani; e prima
mente proprie dei Romani; e prima ricordiamo la coppia Saturno e Opi,
che
è tra le più antiche e popolari in Italia. Saturn
Roma, Saturno venne identificato con Crono e allora sorse la leggenda
che
privato del trono da Giove, dopo lungo peregrinar
inare fosse venuto in Italia ed ivi si fosse nascosto in quella terra
che
da questo fatto avrebbe avuto il nome di Lazio (a
esto fatto avrebbe avuto il nome di Lazio (a latendo). Si aggiungeva,
che
accolto benignamente da Giano, avrebbe posto sua
oduttrice di ogni umana agiatezza (opes). E per l’ intima connessione
che
si poneva tra i prodotti della terra e la prosper
idoglio al Foro. Fu cominciato da Tarquinio Superbo, ma non terminato
che
nei primi anni della repubblica. Sotto il tempio
o figura più come il padre di Giove da lui cacciato dal trono celeste
che
non come Dio della seminagione e dell’ agricoltur
a terra. Vertumnus o Vertumnus da vertere (annus vertens, la stagione
che
cambia), era il Dio dei mutamenti di stagione, e
dei mutamenti di stagione, e specialmente dell’ autunno e dei frutti
che
in autunno maturano. Gli si attribuiva il dono di
er innestare; non altro brama, non d’ altro vive. La leggenda narrava
che
l’ agreste ninfa da molti era stata ricercata d’
era stata ricercata d’ amore, ma tutti aveva da sè respinto. Vertunno
che
n’ era innamorato piu degli altri, le comparve in
inio di Flora. Infine come Flora mater era invocata anche dalle donne
che
speravano diventar madri. — Due templi erano a Ro
Fasti ove spiega e descrive le teste del 21 Aprile. L’ arte non si sa
che
abbia mai preso a rappresentar questa Dea. e)
l patrono della proprietà privata, ed a lui sacre erano quelle pietre
che
segnavano i confini tra i varii poderi e si dicev
nza dei Romani era così vivo il rispetto della proprietà individuale,
che
vollero consecrati a un Dio i confini che la segn
ella proprietà individuale, che vollero consecrati a un Dio i confini
che
la segnavano. Si faceva una festa annua, il 23 Fe
uche nel tempio di Giove era una statua di Termine; giacchè narravasi
che
allorquando si volle edificare il gran tempio di
o le feste in di lui onore, e ripetendo in forma poetica la preghiera
che
gli si innalzava, viene così a rilevare assai ben
così a rilevare assai bene il concetto di questo Dio; ma non sappiamo
che
lo si immaginasse in una particolar figura, nè ch
o; ma non sappiamo che lo si immaginasse in una particolar figura, nè
che
l’ arte l’ abbia rappresentata. X. Demetra-Ce
divinità greco-italiche riferentisi alla terra produttrice. Demetra,
che
vuol dire la madre terra, era figlia di Crono e d
de, ma in genere le si attribuiva una sovranità assoluta su tutto ciò
che
concerne l’ agricoltura, che essa stessa aveva in
uiva una sovranità assoluta su tutto ciò che concerne l’ agricoltura,
che
essa stessa aveva insegnato agli uomini. E poichè
oniso, la cui missione civilizzatrice già è stata da noi rilevata; il
che
ha portò occasione a mettere in rapporto le due d
ento è la famiglia, così Demetra veniva anche considerata come la Dea
che
dà stabilità ai matrimonii; e per altro rispetto
e patrona e direttrice delle popolari adunanze. Tra le sacre leggende
che
si connettono col nome di questa Dea, nessuna è p
nessuna è più conosciuta e più importante per capire il culto di lei,
che
il ratto di Persefone (Proserpina) o Cora sua fig
. Demetra aveva udito a distanza le grida della figlia, ma non sapeva
che
cosa fosse accaduto. Poichè vide ch’ ella non ris
e crescente ansia le traccie della smarrita figliuola. Alla fine Elio
che
tutto vede e tutto sente, le rivelò la verità, nè
ine Elio che tutto vede e tutto sente, le rivelò la verità, nè tacque
che
Ade aveva rapito Persefone col consenso di Zeus.
poteva più tornare definitivamente alla madre. Finalmente si convenne
che
per due terzi dell’ anno Persefone tornasse sopra
o dell’ anno vivesse in inferno col suo sposo e signore. Così avviene
che
ogni anno all’ apparir della primavera Persefone
n Persefone la personificazione della vegetazione, figlia della terra
che
comparisce in primavera ad allegrare gli uomini e
inverno sparisce? Si confronti il mito di Adone amato da Venere, mito
che
ha lo stesso significato. Un’ altra leggenda çonn
nte. Così Demetra entrò nella reggia di Celeo. Il suo aspetto era più
che
di donna, e la regina stessa sentivasi inclinata
lo toglie dal fuoco, ma con dolci rimproveri lascia capire alla madre
che
quel fuoco doveva purificare il fanciullo da ogni
efone; il momento più splendido della festa era la grande processione
che
aveva luogo il quinto giorno, e movendo da Atene
a di mister o, cioè di culto segreto, a cui non potevan premier parte
che
gli iniziati. Si esigevano certe condizioni di mo
divenne come il centro dei paganesimo ellenico, e tale rimase fino a
che
, alla fine del quarto secolo dell e. v., Teodosio
arto secolo dell e. v., Teodosio il grande lo fe’ chiudere. 3. Quello
che
era Demetra per i Greci, era Cerere pei Romani, c
icinanze del Circo e ne fu affidata la sorveglianza agli edili plebei
che
pure avevano la cura dell’ annona. Le feste di Ce
ivano in bianche vesti portando in dono primizie di frutta. La bestia
che
solitamente si sacrificava a Cerere era il porco,
Demetra e Rea erano insieme confuse in un’ unica divinità (v. il coro
che
comincia al v. 1301). Ci rimangono pur frammenti
i si trova cenno di questi miti; ricordiamo solo la vivace narrazione
che
è nel quarto dei Fasti Ovidiani (v. 417-618) ove
e e di mite dolcezza. È facilmente riconoscibile dal fascio di spighe
che
ha in mano e dalla corona di spighe che generalme
oscibile dal fascio di spighe che ha in mano e dalla corona di spighe
che
generalmente porta in testa; anche ha una fiaccol
una scatola chiusa, la così detta cista mistica. La più antica statua
che
ancor oggi si possiede, è quella che trovavasi su
ta mistica. La più antica statua che ancor oggi si possiede, è quella
che
trovavasi sul frontone orientale del Partenone, o
nebroso re dell’ Inferno, anch’ essa era una potenza tenebrosa, colei
che
ogni essere vivo trae con sè nell’ oscuro grembo
one con Ade formava il riscontro di Era e di Zeus. Tale è il concetto
che
unicamente è accennato nelle opere Omeriche, dove
no, Persefone aveva un doppio aspetto, quello d’ una gentil fanciulla
che
risorge ogni anno a nuova vita e quello della ten
fone divenisse simbolo dell’ imrnortalità dell’ anima. Giacchè sembra
che
gli iniziati ai misteri Eleusini, scostandosi dal
essero più sane dottrine intorno alla vita d’ oltre tomba, ammettendo
che
il morire non sia altro che un rinascere dell’ an
orno alla vita d’ oltre tomba, ammettendo che il morire non sia altro
che
un rinascere dell’ anima a più lieta esistenza, s
o che un rinascere dell’ anima a più lieta esistenza, supposto sempre
che
l’ uomo si renda degno di questa vita felice con
serpina come moglie di Plutone e regina dell’ inferno. Già s’ è detto
che
nel culto di Cerere con lei si identificò la dea
Demetra, ma molto più nelle pitture vascolari e nelle scene a rilievo
che
non in statue isolate. Come regina dell’ Erebo vi
è riferita la leggenda del rapimento di Persefone, ma è da avvertire
che
essa si è formata relativamente tardi, perchè anc
antichi qualcosa di sinistro e di misterioso; egli è un re occulto e
che
occultamente opera, anzi un elmo lo rende invisib
(donde il suo nome); ma tanto più è terribile la sua potenza. Ognuno
che
entra nel regno di lui ogni speranza lasci; le po
sione degli Dei, rivedere la luce della vita. lu origine era lui pure
che
con inflessibile rigore si impadroniva dell’ anim
o stesso Dio sotterraneo il signore di tutte quelle ricchezze e colui
che
ne fa dono ai mortali? Ecco altri aspetti che ren
uelle ricchezze e colui che ne fa dono ai mortali? Ecco altri aspetti
che
rendevan venerando questo iddio, che perciò chiam
o ai mortali? Ecco altri aspetti che rendevan venerando questo iddio,
che
perciò chiamavasi Plutone o Pluteus, colui che fa
enerando questo iddio, che perciò chiamavasi Plutone o Pluteus, colui
che
fa ricchi. 2. Appena si può dire che il misterios
amavasi Plutone o Pluteus, colui che fa ricchi. 2. Appena si può dire
che
il misterioso Dio dell’ ombre avesse un pubblico
ò si batteva colle mani in terra. In sacrifizio non gli si offerivano
che
bestie nere e si torceva lo sguardo dalla vittima
. Delle piante erangli sacri il cipresso e il narciso. 3. Già dicemmo
che
rispetto all’ oltretomba i Romani adottarono in g
le idee greche. Questo è vero anche rispetto al re dell’ altro mondo
che
essi chiamarono Plutone o Dis Pater (ossia dives
ruffata la chioma. Tale il Plutone sedente con il Can Cerbero a lato,
che
trovasi nella Villa Borghese a Roma. Gli si ponev
. Gli si poneva in mano anche lo scettro e una cornucopia. Il bidente
che
si vede in alcune statue non è che un’ aggiunta d
ettro e una cornucopia. Il bidente che si vede in alcune statue non è
che
un’ aggiunta degli artisti moderni latta per anal
di Posidone. XIII. L’ Inferno. 1. Giova qui ricordare rimmagine
che
gli autichi si eran formata del mondo infernale.
gli autichi si eran formata del mondo infernale. Ma prima s’ avverta
che
tale immagine non è sempre stata la stessa. Nell’
ndo Posidone dato col tridente una tremenda scossa alla terra, dicesi
che
Ade saltasse giù spaventato dal suo trono per ter
terra, dicesi che Ade saltasse giù spaventato dal suo trono per terna
che
si squarciasse la terra e comparisse agli occhi d
one tra i buoni e i cattivi, e l’ Eliso, dove venivano mandati quelli
che
eran cari a Zeus per vivervi beati senza alcun af
e a tanta distanza quanta è quella del cielo al di sopra; e si diceva
che
un’ incudine di bronzo come avrebbe impiegato nov
arono, e a poco a poco venne formandosi quell’ immagine dell’ Inferno
che
è più comunemente nota. Era uno spazio largo e te
rature, giacchè dapertutto dove si trovava una caverna, una lenditura
che
paresse internarsi nelle viscere della terra, ivi
ra, ivi si supponeva un accesso all’ inferno. Nel quale poi si diceva
che
scorressero e s’ incrociassero parecchi fiumi, il
dell’ Inferno, sta custode il terribile cane Cerbero, con tre teste,
che
non impedisce ad alcuno l’ entrata, ma respinge a
e da altri infernali mostri erano in diverse guise tormentati. Quelli
che
erano giudicati nè buoni nè cattivi, erano obblig
eso a forza in terra, e due avoltoi gli rodono di continuo il fegato,
che
di continuo rinasce. Tantalo, il re asiatico, ant
nasprita dal fatto di esser immerso fino al mento in un lago d’ acqua
che
però s’ abbassa quand’ egli fa l’ atto di bere, e
rano appena egli stende le mani per coglierli. Sisifo, re di Corinto,
che
colla sua astuta malvagità più volte ha destato l
feso Zeus, ha avuto la pena di essere legato mani e piedi a una ruota
che
sempre gira. Infine le Danaidi, ossia le cinquant
turi. Qui però non si parla di una discesa all’ inferno; son l’ ombre
che
evocate dal sacrifizio fatto da Ulisse gli passan
più tardi; lasciando i minori, noi ricorderemo solo la bella pittura
che
fece Virgilio nel sesto dell’ Eneide narrando la
ando la discesa di Enea all’ Averno, e la non meno vivace descrizione
che
leggesi nel quarto delle Metamorfosi di Ovidio, a
elebre artista dell’ età di Pericle) nella lesche o sala di convegno,
che
quei di Gnido avevano eretto a Delfo. Riproduceva
questo stesso tema; generalmente, rappresentandosi il mito di Ercole
che
rapisce Cerbero o di Orfeo che va a riprendere la
te, rappresentandosi il mito di Ercole che rapisce Cerbero o di Orfeo
che
va a riprendere la sua Euridice, si aveva occasio
ruppi di esseri infernali. XIV. Le Erinni-Furie. 1. Tra gli Dei
che
han sede in inferno, son da annoverare le terribi
erchio dei rapporti di famiglia. Secondo Esiodo erano nate dal sangue
che
cadde sulla terra dalle ferite di Urano allorquan
tta e della punizione. Altri assegnò loro altra origine; come Eschilo
che
le disse figlie della notte, e Sofocle che le fe’
ltra origine; come Eschilo che le disse figlie della notte, e Sofocle
che
le fe’ figliuole delle tenebre. Da principio non
Erinni; solo nell’ età Alessandrina se ne seppero anche dire i nomi,
che
erano Aletto (la inquieta), Tisifone (la punitric
ità a tutta la terra; ma alfin luron placate da Atena, colla promessa
che
sopra il colle dell’ Areopago sorgerebbe un tempi
bosco sacro a una dea Furina; ma se questa dea Furina avesse nulla a
che
fare colle Erinni greche, ignoriamo, sebbene gli
e chi ’l giusto varca, Suoi congiunti ponendo a iniqua morte, Noi fin
che
all’ Orco ei scenda Perseguitiam, nè gir laggiù p
figlia del titano Perseo e di Asteria. In origine non designava altro
che
un aspetto della luna, e ditatti anche Artemide e
detto hecatos. Forse rappresentava la luna invisibile, la luna nuova,
che
appunto perchè non compariva in cielo, si poteva
e appunto perchè non compariva in cielo, si poteva facilmente credere
che
rimanesse sotterra; di qui la collocazione di Eca
sotterra; di qui la collocazione di Ecate fra gli Dei infernali. Quel
che
di arcano è proprio della nuova luna si rispecchi
nsiem coll’ anime dei trapassati su pei trivii e intorno ai sepolcri;
che
al suo avvicinarsi i cani ululavano e guaivano; c
i ululavano e guaivano; ch’ essa proteggeva e ammaestrava le maliarde
che
nella notte andavan vagando per cercare, al lume
collocavano certi pilastri con l’ immagine di lei, colla persuasione
che
ciù tenesse lontana dalle case e dalle città ogni
, la statuetta di lei alla porta di casa, e ponendovi presso de’ cibi
che
poi i poveri consumavano; eran le così dette cene
nata cogli epiteti trivia triforme, tricipite, conforme all’ immagine
che
gli antichi se ne formavano, con tre teste o un c
nesorabili via traevano morti e feriti. Vi erano poi anche altre Cere
che
non in battaglia, ma in altre occasioni, per via
ne. Infine un Dio speciale della morte fu ideato in Tanato (Thanatos)
che
era detto fratello gemello del Sonno (Hypnos); se
Insiem colla Morte e il Sonno erano venerati i parenti loro, i Sogni
che
abitavano, secondo Omero , di là dall’ Oceano, n
, essendo l’ avorio un corpo opaco, uscivano i sogni falsi ed ambigui
che
portan con sè fantasmi fallaci e vani; dall’ altr
di facile spiegazione. Tra gli Dei de’ sogni s’ annoveravano Morfeo,
che
dicevasi apparire semplicemente in forma di qualc
evasi apparire semplicemente in forma di qualche persona nota, Ichelo
che
assumeva qualsiasi forma anche di bestia, ed era
a, ed era detto anche Fobetore (apportator di paura), infine Fantaso,
che
appariva in forma di cose animate. 2. I Romani ad
o le stesse idee circa il Sonno, la Morte e i Sogni. Però è da notare
che
ab antico avevano essi il loro Dio della morte ne
così detto Orcus, l’ accoglitore (cfr. arca, arcanus). S’ immaginava
che
l’ Orco avesse il suo ripostiglio, dove riponeva
etuto nel granaio; e ora parlavasi di lui come di uno armato di falce
che
al tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i
i chi tenta sfuggirgli; ora si pensava come una figura dall’ ali nere
che
intorno vola a sorprendere e trascinar via; sempr
episodio del decimoquarto dell’ Iliade, ove Era prega il Sonno, quel
che
tutti doma, uomini e Dei, a infondere profondo so
compagni al Sonno i Sogni, suoi figli e ministri, ed è Morfeo quegli
che
obbedendo all’ ordine avuto prende le forme di Ce
dramma satirico di Eschilo, ove si sceneggiava la leggenda di Sisifo
che
vince in astuzia la Morte e l’ incatena; e nell’
li Dei infernali; in principio della tragedia essa discorre con Febo,
che
invano tenta distoglierla dal suo proposito di po
ta in Olimpia dai Cipselidi tiranni di Corinto) era impressa la Notte
che
portava in braccio da una parte un fanciullo nero
mire e colla face spenta o ancor accesa ma rovesciata. Tale la figura
che
si scorge spesso sul monumenti sepolcrali dell’ e
zione e l’ illustrazione degli Dei antichi di Grecia e di Roma rimane
che
si parli di alcune Divinità minori, venerate dai
’ Olimpo. I. I Penati. 1. La voce Penates si connette con penus,
che
è la raccolta di quelle provvigioni annue le qual
Dei Penati era il focolare domestico, come punto centrale della casa,
che
non solo serviva alla preparazione dei cibi quoti
focolare si conservavano in nicchie apposite le statuette dei Penati,
che
si mettevano anche a tavola apponendo loro avanti
tempio di Vesta come al focolare sacro di tutta Roma; or s’ oggiunga
che
nel punto più riposto del tempio si conservavano
nto più riposto del tempio si conservavano le immagini di que’ Penati
che
la tradizione diceva portati da Enea in Italia. I
ia. In onor di essi il Pontefice Massimo offriva gli stessi sacrifizi
che
nelle singole case si facevano dal capofamiglia,
nati avevano a cuore il nutrimento, i mezzi di vita. È a notarsi però
che
tale distinzione, forse sentita nelle origini, si
i indaga l’ origine del culto de’ Lari, facilmente si può riscontrare
che
i Lari in fondo non erano altro che le anime dei
ri, facilmente si può riscontrare che i Lari in fondo non erano altro
che
le anime dei defunti, propriamente le anime virtu
erano altro che le anime dei defunti, propriamente le anime virtuose
che
divenivan genii tutelari delle case dove avevan v
i per la casa tacendo schioccar le dita e mettendo in bocca fave nere
che
poi gettava dietro sè ripetendo una certa formola
ettava dietro sè ripetendo una certa formola di scongiuro. Si credeva
che
le ombre si fermassero a raccogliere quelle fave.
si cercava scongiurare il danno. Anche in altre occasioni si credeva
che
le ombre s’ aggirassero tra gli uomini, come ad e
lo non erano state osservate tutte le prescrizioni di rito, credevasi
che
l’ ombra di quella persona vagasse intorno al cad
i sacri riti. 3. Tornando ai Lari, è da ricordare la rappresentazione
che
del Lar familiaris si trova nell’ Aulularia di Pl
certo tesoro nascosto in casa e a lui affidato dall’ avo di Euclione,
che
è il padrone attuale della casa; di questo tesoro
ritrovare ad Euclione stesso, perchè potesse dotare la sua figliuola
che
ogni giorno onorava lui, Lare, di qualche offerta
altra cosa e anche di ghirlande l’ adornava. È un prologo bellissimo,
che
montre fa capire l’ argomento della Commedia dà u
fa capire l’ argomento della Commedia dà una chiara idea dei rapporti
che
si supponevano tra il Lare domestico e gli abitat
Marzio in seguito a una vittoria navale (a. 575 di R., 179 av. C.) e
che
erano onorati di special festa il 22 decembre. Co
esta il 22 decembre. Così si moltiplicarono in vario modo questi Lari
che
potevan dirsi pubblici per contrapposto ai Lari p
an dirsi pubblici per contrapposto ai Lari privati. Anche è da notare
che
si accentuò sempre più la tendenza a identificare
te leggende intorno alle forze della natura divinizzate, era naturale
che
raccontasse anche in maniera fantasiosa la sua pr
e magnificasse i progenitori della sua stirpe considerandoli come più
che
uomini. Se si rifletta che non solo si sentiva il
i della sua stirpe considerandoli come più che uomini. Se si rifletta
che
non solo si sentiva il bisogno di spiegare le ori
sogno di spiegare le origini dell’ umanità intiera colmando la lacuna
che
vi era tra i tempi storicamente noti e i misterio
vesse formar nella Grecia, relativamente a quegli esseri privilegiati
che
erano immaginati come qualcosa di mezzo tra gli D
zo tra gli Dei Olimpici e gli uomini mortali. Niuna meraviglia dunque
che
la Mitologia Eroica sia ancora più ricca della te
upposti più forti, più abili, più coraggiosi e resistenti ai pericoli
che
non sogliono essere gli uomini. E non già che si
resistenti ai pericoli che non sogliono essere gli uomini. E non già
che
si annoverassero tra gli Eroi tutti i primi uomin
ti i primi uomini, ma solo i più forti delle età preistoriche, quelli
che
si rendevano benemeriti per qualche beneficio fat
olosa, dissodando terreni incolti, prosciugando paludi, ovvero quelli
che
si segnalavano per fatti di arme straordinarii, t
ti di arme straordinarii, tali da attestare doti fisiche e morali più
che
umane. Costoro erano creduti e detti figli degli
della fantasia; altri infine, il maggior numero, non erano in origine
che
personificazioni di fenomeni naturali e come tali
oi. Dei quali ultimi, Divinità fatte eroi, avvenne poi anche talvolta
che
se ne facesse di nuovo l’ apoteosi; tale fu il ca
e culto? In Omero non si fa alcuna menzione di ciò. Esiodo è il primo
che
usa la parola Semidei, e accenna alla sorte serba
una religione dei morti; pero non mai più di tanto, salvo per quelli
che
per essere stati divinizzati, erano divenuti vero
colori diversamente secondo i luoghi; nei luoghi montagnosi si diceva
che
gli uomini fossero nati dagli alberi e dalle rocc
prischi uomini formati da qualche divinità colla terra, alla maniera
che
un artefice plasma delle figure d’ argilla. Dappr
’ ogni male; a cominciare dal 5º secolo av. C. si diffuse la leggenda
che
spiegava così la formazione della umana stirpe; p
nioni intorno alla condizione dei primi uomini, riferendosi dagli uni
che
fossero vissuti in istato di piena felicità e in
ntimità di conversare e di mensa cogli Dei, gli altri narrando invece
che
si trovano da principio rozzi e senza agi della v
eo (il previdente o prudente) ed Epimeteo (chi pensa dopo, chi non ha
che
il senno di poi). Ora Prometeo rubò dal cielo il
e facendolo incatenare su una rupe nei monti della Scizia e ordinando
che
ogni giorno un’ aquila gli rodesse il fegato (sed
giorno un’ aquila gli rodesse il fegato (sede d’ ogni mala cupidigia)
che
di notte sempre rinasceva. Alla fine Eracle lo li
e il Titano. Qui Prometeo è la personificazione dell’ ingegno umano,
che
troppo fiducioso in sè stesso si ribella agli Dei
che troppo fiducioso in sè stesso si ribella agli Dei e usurpa quello
che
a loro spetterebbe, pur beneficando con ciò la so
sua audacia deve pagare il fio, soffrendo inenarrabili dolori, fino a
che
non viene a liberarlo Eracle, l’ uomo che con lot
inenarrabili dolori, fino a che non viene a liberarlo Eracle, l’ uomo
che
con lotte e fatiche d’ ogni maniera ha vinto la v
restre e s’ è fatto scala all’ Olimpo. E un altro riflesso dell’ idea
che
col progredire della cultura tra gli uomini sorse
n lo volle riprendere e privarne gli uomini, ma fè loro un altro dono
che
doveva essere sorgente d’ innumerevoli guai. Ordi
scatola appena s’ accorse dell’ errore commesso, ma non rimase dentro
che
la fallace speranza. Così nelle leggende greche n
e dentro che la fallace speranza. Così nelle leggende greche non meno
che
nella tradizione mosaica la prima donna fu cagion
he nella tradizione mosaica la prima donna fu cagione di tutti i mali
che
afflissero l’ umanità, e primo di tutti della mor
rsamente nella leggenda delle varie età e generazioni umane. Dicevasi
che
in origine vi fosse stata un’ età d’ oro, in cui
oro, in cui gli uomini vivevano in piena felicità, godendo dei frutti
che
la terra spontaneamente produceva; tutti i beni s
neamente produceva; tutti i beni senza miscela di mali; non si sapeva
che
fosse vecchiezza; dopo lunghi anni gli uomini rim
e è l’ altra leggenda del diluvio di Deucalione; giacchè si affermava
che
il diluvio era stato mandato da Zeus appunto per
, nata da Epimeteo e Pandora. Avvertito da suo padre dell’ intenzione
che
Zeus aveva di sterminare con una generale inondaz
dre. Il figlio di Prometeo acutamente interpreto l’ oracolo nel senso
che
le ossa della terra fossero le pietre; gettaron d
letterarie sia figurate. Prometeo plasmatore non ricorre, a dir vero,
che
in opere relativamente tarde come nei poeti e mit
o su una rupe, con davanti a sè una figura fatta di terra, nell’ atto
che
questa viene animata da Atena; il che è rappresen
gura fatta di terra, nell’ atto che questa viene animata da Atena; il
che
è rappresentato col simbolo di una farfalla posta
e dei Giorni, diè ad Eschilo argomento di comporre la famosa trilogia
che
rappresentava i tre momenti del mito, il rapiment
izione di Prometeo, e la sua liberazione. Sebbene noi più non abbiamo
che
la seconda tragedia, il Prometeo incatenato, pure
Prometeo incatenato, pure è sufficiente a mostrarci l’ alto concetto
che
Eschilo si formò di Prometeo come di un Titano be
ilo si formò di Prometeo come di un Titano benefattore dell’ umanità,
che
ne è punito da Zeus, e pur tra i tormenti tiene a
a Roma è rappresentata in rilievo l’ officina di Efesto cogli operai
che
battono sull’ incudine, di dietro un riparo scorg
e Opere e dei Giorni (v. 109 e seg.), e la bella notissima narrazione
che
è nel primo delle Metamorfosi Ovidiane. Anche del
e i Centauri. Già ne parla Omero, il quale fa dire al vecchio Nestore
che
nella sua prima giovinezza aveva preso parte alla
no, fè atto di rapire con violenza la sposa; ciò dà luogo a una zuffa
che
diventa a mano a mano più fiera, infin che i Cent
; ciò dà luogo a una zuffa che diventa a mano a mano più fiera, infin
che
i Centauri completamente sconfitti dovettero fugg
a poi mutato da Posidone in un uomo, e fatto invulnerabile; per colpi
che
ricevesse dai Centauri, sempre rimaneva illeso e
o delle Metamorfosi Ovidiane. Il racconto è messo in bocca a Nestore,
che
premesso il fatto di Ceneo convertito in maschio
se sono le rappresentazioni figurate di questo mito. E qui si avverta
che
mentre l’ arte più antica rappresentava i Centaur
lo, si cominciò ai tempi di Fidia a immaginare quella forma più bella
che
poi venne universalmente adottata, la quale al co
e nel Museo Britannico di Londra; sono varie scene, ora è un centauro
che
porta via una donna da lui rapita tenendola stret
pra i cadaveri dei nemici uccisi; ora son scene di lotta, come quella
che
è rappresentata nella fig. 72. Nel loro complesso
Nè vanno taciute le non meno belle rappresentazioni di Centauromachia
che
erano nel fregio del tempio di Apollo Epicurio a
eto e Alcestide. 1. Una bella leggenda di origine tessala è quella
che
riguarda Admeto e Alcestide. Admeto era figlio di
pollo dando a bere del dolce vino alle Moire, le indusse a promettere
che
giunta l’ ultima ora di Admeto, esse lo avrebbero
rtuna di lui e l’ atto eroico di Alcestide, è la tragedia di Euripide
che
da Alcestide appunto s’ intitola. Ivi dopo un fie
appunto s’ intitola. Ivi dopo un fiero dibattito tra Febo e la Morte
che
è venuta per rapir sua preda, si assiste agli ult
ge Eracle, chè tal leggenda seguì Euripide, il qual Eracle sentito di
che
si trattava recasi alla tomba della defunta, e do
a, ma seguisse una vacca con macchie sul fianchi a forma di mezzaluna
che
egli avrebbe incontrato, e dov’ essa si fosse pos
i, e seguitala, ove si fermò, ivi fondò la città detta da lui Cadmea,
che
più tardi fu Tebe. Ma una pericolosa avventura iv
ta leggenda sono certamente antichi, ad es. l’ uccisione del dragone,
che
vuol dire l’ eliminazione di impedimenti naturali
cia di Cadmo di cui ancora Omero non sa nulla. Piuttosto è da credere
che
Cadmo fosse una specie di Ermes tebano, venerato
n atto di scagliare una pietra sul drago, mentre dietro lui sta Atena
che
dirige i suoi colpi, e davanti una figura seduta
ro lui sta Atena che dirige i suoi colpi, e davanti una figura seduta
che
personifica la nuova città che dev’ essere fondat
uoi colpi, e davanti una figura seduta che personifica la nuova città
che
dev’ essere fondata. b) Atteone. 1. Già s’
r essor venuto a gara con lei di abilità cacciatrice. Qui s’ aggiunga
che
il padre di Atteone era stato Aristeo figlio di A
ggiunga che il padre di Atteone era stato Aristeo figlio di Apollo, e
che
egli era stato affidato per l’ educazione a Chiro
si del sole canicolare. Forse Atteone sbranato dai cani non era altro
che
un’ immagine della natura vegetativa che soffre e
anato dai cani non era altro che un’ immagine della natura vegetativa
che
soffre e avvizzisce ai raggi cocenti della canico
sce ai raggi cocenti della canicola. 2. Al vivo e commovente racconto
che
di questo episodio fa Ovidio nel terzo della Meta
ella Metamorfosi fanno riscontro le molte opere di pittura e scoltura
che
ancor oggi rappresentano Atteone in lotta coi can
lotta coi cani. Riproduciamo nella fig. 75 un piccolo gruppo in marmo
che
conservasi nel Museo Britannico. Ivi Atteone non
Ivi Atteone non ancora trasformato in cervo, ma già fornito di corna
che
prenunziano la metamorfosi, si difende da due de’
corna che prenunziano la metamorfosi, si difende da due de’ suoi cani
che
lo hanno assalito. c) Antiope e i suoi figl
ica, ivi trovò la schiava fuggitale; subitamente ordinò a due pastori
che
erano per caso presenti, ed erano Anfione e Zeto,
ll’ impresa, quando fatti certi dell’ essere loro dal vecchio pastore
che
li aveva allevati e riconosciuta la madre, subita
annata Antiope; ne gettarono poi il cadavere in una fonte presso Tebe
che
da lei fu denominata Dircea. Coll’ uccisione di L
ovale; ma Anfione al suono dolcissimo della lira moveva le pietre, si
che
da sè si ponevano una sopra l’ altra dove occorre
e perciò fu mutato in sasso. Aedona ebbe da Zeto un unico figliuolo,
che
presso Omero ha nome Itilo, presso i tragici Iti
o Omero ha nome Itilo, presso i tragici Iti (Itys). Gelosa di Antiope
che
n’ aveva tanti più, concepì il malvagio disegno d
o il figlio maggiore di Antiope; ma in iscambio uccise il proprio. Di
che
rimase afflitta tanto che la sua vita seguente fu
tiope; ma in iscambio uccise il proprio. Di che rimase afflitta tanto
che
la sua vita seguente fu tutta un piangere e lamen
coltura è degnissimo di menzione il celebre grandioso gruppo in marmo
che
si conserva nel Museo Nazionale di Napoli, detto
disegno la fig. 76. All’ infuori di poche parti ristorate, si ritiene
che
sia lavoro originale dei fratelli Apollonio e Tau
nte in Rodi, al tempo d’ Augusto venne in possesso di Asinio Pollione
che
lo portò a Roma. Trovato nel 1547 nelle terme di
. I due fratelli stan domando il toro; Anfione si riconosce alla lira
che
è scolpita vicino a lui; l’ altro è Zeto; la donn
der pietà, è Dirce, mentre Antiope raggiante di gioia per la vendetta
che
si compie è posta più dietro. Sul davanti un picc
tanino contempla la scena con espressione di dolore. La cesta mistica
che
è ai piedi di Dirce, la pelle di cavriuolo ond’ e
irce, la pelle di cavriuolo ond’ essa è vestita e altre cose indicano
che
il fatto avviene in occasione di una festa bacchi
contraddistingue Zeto cacciatore, la lira Anfione; i due fratelli par
che
disputino tra loro vantando senza scomporsi l’ ar
cader trafitta; onde affranta dal dolore impietrò. Ora Niobe appunto
che
sta coprendo la sua figlia e supplicando per lei,
sposte separatamente fra gli intercolunnii di un portico, è questione
che
si è molto agitata tra gli archeologi e gli erudi
Quando Zeus rapì da Fliunte Egina la figlia del fiume Asopo, si dice
che
egli abbia scoperto il segreto e rivelatolo al pa
gli abbia scoperto il segreto e rivelatolo al padre; cio a condizione
che
Asopo facesse scaturire una fonte nella cittadell
colla sua malizia riuscì a legare la morte stessa con si stretti nodi
che
nessuno più moriva, onde dovette ricorrere Ares p
lagnandosi della trascuratezza della moglie e tanto seppe fare e dire
che
gli fu consentito di tornare in vita per castigar
in inferno la nota pena di trascinare su per un monte un gran masso,
che
dalla cima poi riprecipitava a valle. Si è molto
ll’ origine del mito di Sisifo. La situazione di Corinto fra due mari
che
senza posa ondeggiando ne sferzano gli scogli e i
scogli e i monti dall’ una e dall’ altra parte, renderebbe probabile
che
le leggende relative all’ eroe cittadino fossero
leggende non si scorge punto questo significato. Piuttosto il Sisifo
che
rotola un masso su pel monte e lo vede dalla cima
l monte e lo vede dalla cima precipitare in fondo, fa pensare al sole
che
dopo aver raggiunto al solstizio d’ estate il pun
sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ estate il punto più alto
che
esso può toccare del cielo, si volge e riprende a
figlio di Sisifo e padre di Bellerolonte. Propriamente Glauco non era
che
un epiteto del mare, e in fatto lo troviamo in re
roviamo in relazione con Posidone Ippio. È ricordato per la disgrazia
che
gli toccò nei giochi funebri che ebbero luogo a I
Ippio. È ricordato per la disgrazia che gli toccò nei giochi funebri
che
ebbero luogo a Iolco in onor di Pelia, o, come al
altri narra, in altri giochi di Potnia presso Tebe; e la disgrazia fu
che
i cavalli suoi infuriati gli guadagnaron la mano
olo forse delle onde infuriate del mare nella stagione delle tempeste
che
al loro stesso signore fan violenza. Dopo d’ allo
l causa (giacchè l’ uccisione attribuitagli di un cotal Bellero non è
che
una leggenda assai tarda originata dalla etimolog
si in Tirinto, ove ebbe benigna accoglienza dal re Preto. Ivi avvenne
che
la moglie di Preto, chiamata Antea da Omero, Sten
oletta suggellata, entrovi dei segni segreti per avvertire lo suocero
che
dovesse dar morte al latore. Bellerofonte mosse v
se verso la Licia in compagnia del cavallo alato Pegaso; quel cavallo
che
era figlio di Posidone e di Medusa, sorto dal tro
, sorto dal tronco di lei quando Perseo le aveva tagliato la testa; e
che
poi posatosi sulla rocca di Corinto fu da Bellero
bate fu di combattere la Chimera, mostro nato da Tifone e da Echidna,
che
davanti era leone, a mezzo capra selvatica, dietr
o come Esiodo dice, aveva tre teste, di leone, di capra e di drago, e
che
possedendo grande velocità e forza e spirando fuo
te. Allora fu mandato contro le terribili Amazoni, le donne guerriere
che
formavano Stato da sè, senza uomini, dedite ad es
nel paese degli Sciti sulle rive delle palute Meotide; di là era voce
che
avessero fatto già di molte scorrerie nei paesi p
già di molte scorrerie nei paesi posti sulle rive dell’ Egeo; vedremo
che
si favoleggiava persino di una venuta delle Amazo
erofonte la felicità guadagnata con tanta fatica; giacchè narra Omero
che
venuto in odio agli Dei, prese a errar solitario,
i Dei, prese a errar solitario, evitando il contatto degli uomini fin
che
miseramente perì. Secondo Pindaro, si sarebbe att
Pegaso salire al cielo; e Zeus l’ avrebbe punito mandando un assilio
che
morse e fe’ infuriare il cavallo, il quale buttò
ro del tuono. — Ancora è da ricordare la fine di Stenebea. Raccontasi
che
fatto re di parte della Licia, Bellerofonte tornò
ual sia l’ origine del mito di Bellerofonte, indubbiamente si troverà
che
esso è una delle tante personificazioni del sole.
racconto si legge già nel sesto dell’ Iliade (v. 150-211). Poi si sa
che
Sofocle compose una tragedia intitolata Jobate, e
lla favola. È celebre la Chimera di Arezzo, pregiato lavoro in bronzo
che
ora conservasi nel Museo Etrusco di Firenze. La f
rmate quasi sempre di bipenne e di scudo a mezzaluna. Plinio racconta
che
una volta Fidia, Policleto, Fradmone e Cresila, p
lpisse la più bella Amazone. Vinse Policleto con una statua di bronzo
che
fu conservata parecchio tempo nel tempio di Artem
ssono distinguere tre tipi: 1º la Amazone ferita, come quella celebre
che
è nella raccolta Capitolina (fig. 79); si crede u
si crede una copia derivata dall’ originale del sunnominato Cresila,
che
appunto nella gara efesia aveva effigiato un’ Ama
unto nella gara efesia aveva effigiato un’ Amazone ferita. Si avverta
che
il braccio destro è restauro moderno. 2º L’ Amazo
e il braccio destro è restauro moderno. 2º L’ Amazone armata di asta,
che
è il modo come avevala effigiata Fidia. Una bella
attei ove prima trovavas; un’ altra è quella riprodotta alla fig. 80,
che
è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo,
ta alla fig. 80, che è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo,
che
si crede risalga al tipo di Policleto; bellissimo
i volera discendesse da Inaco, propriamente il Dio del fiume omonimo,
che
era il corso d’ acqua più importante della region
ra, attrasse a sè, per la sua singolare bellezza, gli sguardi di Zeus
che
se ne innamorò. Di che accortasi la gelosa Era, m
la sua singolare bellezza, gli sguardi di Zeus che se ne innamorò. Di
che
accortasi la gelosa Era, mutò la sua sacerdotessa
Argo dai cent’ occhi. Chi puè dire il dolore e della povera fanciulla
che
senza aver perso la coscienza di sè si vedeva mut
e invano accostavasi al padre per implorar pietà, e del padre stesso
che
accortosi a certi segni della cosa s’ avvinghiava
ter fare per lei? Alfine Zeus, mosso a compassione di Io, mandò Ermes
che
la liberasse dal vigile e oculato custode. Ermes
a prisca forma, ed ella die’ poi alla luce un figlio, chiamato Epafo,
che
divenne re d’ Egitto e fondò Menfi, mentr’ essa v
i Ermes, del significato naturalistico di questo mito. Io non è altro
che
la luna affidata alla custodia del cielo stellato
ome ad altri è sembrato, essa è la bianca nuvola, gravida di pioggia,
che
, ucciso il suo custode ossia il sole, scorre pel
a liberazione d’ Io, figurata questa però come l’ avvenente fanciulla
che
era da principio; ed è tolta da una pittura mural
ente fanciulla che era da principio; ed è tolta da una pittura murale
che
fu trovata nella casa di Livia sul Palatino, fors
i introdotto il culto di Apollo e di Demetra. In seguito favoleggiasi
che
i cinquanta figli di Egitto o Egiziadi vennero an
ia in un oscuro carcere; ma poi le perdonò e si riconciliò con Linceo
che
divenne il suo successore, celebre come fondatore
aso senza fondo. Anche nel mito di Danao e delle Danaidi è da credere
che
gli elementi più antichi fossero d’ origine argiv
è da credere che gli elementi più antichi fossero d’ origine argiva e
che
solo più tardi si sieno escogitate quelle parti d
va e che solo più tardi si sieno escogitate quelle parti della favola
che
connettevano il mito Argivo con le cose d’ Egitto
enti ma facilmente disseccabili; Danao rappresenta l’ industria umana
che
cerco con l’ arte di rimediare alla naturale defi
ico composero tragedie col titolo « le Danaidi » e Teodette un’ altra
che
si intitolava da Linceo. In pitture vascolari e m
crisio e Preto. Questi erano, secondo la favola, così nemici fra loro
che
già litigavano quando erano ancora nel seno mater
ebbe tre figliuole, dette perciò Pretidi, delle quali favoleggiavasi,
che
insuperbitesi per la loro bellezza e per la poten
la potenza del padre osarono manear di rispetto agli Dei, in pena di
che
furono colte da schifosa malattia che le rese dem
i rispetto agli Dei, in pena di che furono colte da schifosa malattia
che
le rese dementi sicchè presero a scorazzar mezzo
cui dormendo alcune serpi avevano leccate le orecchie, in seguito di
che
egli aveva imparato a intendere il linguaggio deg
nae. Di costei prese vaghezza Zeus; ma Acrisio ammonito dall’ oracolo
che
egli avrebbe avuto morte per opera d’ un suo nipo
formò in pioggia d’ oro, e così fè sua Danae e con lei genero Perseo,
che
Omero dice il più ragguardevole fra tutti gli uom
tare in mare, persuaso di sottrarsi così al destino vaticinatogli. Ma
che
cosa può l’ umana astuzia contro gli eterni decre
a per compir l’ impresa affidatagli, non ben conscio delle difficolta
che
avrebbe dovuto superare. Ma vennero in suo soccor
a uopo si procurasse per tentar l’ avventura pericolosa, cioè un elmo
che
rendeva invisibile, una magica sacca di viaggio e
vrebbe trovati presso certe Ninfe abitanti in un cotal segreto luogo,
che
gli sarebbe stato rivelato dalle Graie, le tre so
rgoni, Enio, Pefredo e Dino, le quali dalla nascita non avevano avuto
che
un occhio e un dente in comune, di cui si dovevan
eguimento e alla vendetta delle sorelle si sottrasse mediante l’ elmo
che
rendevalo invisibile. Dal tronco dell’ uccisa Med
Ditti. Poi se ne tornò ad Argo, consegnato il capo di Medusa ad Atena
che
lo pose sull’ egida sua per servirsene a terrore
viaggio in ignote regioni e la virtù straordinaria del capo di Medusa
che
ei portava seco al ritorno, dierono occasione a m
na grande innondazione, poi mandò un enorme e terribile mostro marino
che
uccideva uomini e bestie. Gli Etiopi ricorsero al
padocia: in Egitto pure Erodoto trovà discendenti di Perseo, tantopiù
che
per via di Danao e Linceo egli stesso era d’ orig
tesso era d’ origine egiziana; infine anche nel Lazio si favoleggiava
che
la cassetta contenente Danae e Perseo fosse giunt
etta contenente Danae e Perseo fosse giunta a quelle rive, e dicevasi
che
Pilumno avesse sposato Danae e fondato la città d
e colle potenze delle tenebre o colle nuvole tempestose, quella lotta
che
presso le genti ariane ha dato luogo a così ricca
avole. Anche nei particolari si vede: le nozze di Zeus-oro e di Danae
che
altro sono se non la unione fecondatrice del ciel
e fecondatrice del cielo e della terra argiva, e la prigione di Danae
che
altro è se non la nebbiosa caligine della stagion
o colle Gorgoni cioè colle grigiastre nubi, quelle con un sol occhio
che
è il lampo, queste dallo sguardo terribile che im
elle con un sol occhio che è il lampo, queste dallo sguardo terribile
che
impietra, immagine del tuono reboante e spaventos
le che impietra, immagine del tuono reboante e spaventoso. E i mostri
che
nascono dal tronco di Medusa, Crisaore e Pegaso,
2 si riproduce un rilievo marmoreo proveniente dalla villa Panfili, e
che
ora trovasi nel Museo Capitolino. Rappresenta la
attato in parecchie pitture pompeiane, e in un altro rilievo marmoreo
che
è nel Museo di Napoli. Solitamente Perseo vien
i alati, colla falce di cui si servi per uccidere Medusa e coll’ elmo
che
lo rendeva invisibile. Il suo aspetto in genere r
Un bell’ esempio l’ abbiamo nella Medusa della Gliptoteca di Monaco,
che
si riproduce nella fig. 83, proveniento dal palaz
di parentela tra questi eroi. L’ idea prevalente venne a esser questa
che
Tindareo, Afareo, Leucippo, Icario fossero fratel
ome i fondatori del più antico stato in Laconia; e poi favoleggiavasi
che
cacciati dal loro fratellastro Ippocoonte, trovar
lia. Costui diede loro in moglie le sue figliuole, a Icario Policaste
che
ebbe per figlia Penelope la futura sposa di Uliss
uccise Ippocoonte e i di lui bellicosi figliuoli. Ora è da ricordare
che
un’ antichissima leggenda raccontava di Leda come
che un’ antichissima leggenda raccontava di Leda come amata da Zeus,
che
le s’ era accostato in forma d’ un cigno. Ma poi
anche cavalcatore. Essi fecero una spedizione di guerra contro Teseo
che
aveva rapito la loro sorella Elena ancor bambina
gini. La cagione di questa contesa è diversamente narrata; or si dice
che
nacque per aver essi, i Dioscuri, rapite le figli
tenne di passare un’ esistenza non separata dal fratello a condizione
che
un giorno fossero entrambi nel mondo dei morti, u
e in Italia. Si consideravano come divinità protettrici, e si credeva
che
comparissero nei gravi frangenti, in battaglia ad
naturalistico di questo mito. Essi erano fenomeni di luce ma di luce
che
lotta contro dei nemici, probabilmente i due crep
dei nemici, probabilmente i due crepuscoli della mattina e della sera
che
anche in altre mitologie fecero pensare a due gem
ne a leggende analoghe. 2. Esseri così utili agli uomini era naturale
che
venissero divinizzati e si erigessero loro anche
arecchi lirici, tra cui Saffo, lo spartano Alcmane, autore di un inno
che
era molto cantato a Sparta, sopra tutti Simonide
lodato bensì il ricco uomo, ma molto anche i Dioscuri protettori; di
che
indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario c
ri protettori; di che indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario
che
a mezzo, dicendo che l’ altra metà se la facesse
indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario che a mezzo, dicendo
che
l’ altra metà se la facesse dare dai tanto lodati
ato anche il poeta, ecco giungono al palazzo due giovani di forme più
che
umane, sparsi di polvere e grondanti di sudore; i
profonda il pavimento di questa, traendo a morte Scopa e tutti quelli
che
con lui si trovavano. E siccome que’ giovani non
E siccome que’ giovani non furon più visti alla porta, tutti capirono
che
eran essi i Dioscuri, comparsi solo per salvar la
Castore e Polluce si ritrovano spesso anche negli scrittori latini; a
che
contribuiva il fatto di essere i Dioscuri identif
ecrope; più tardi pero anche di Cecrope, come di Cadmo, si favoleggiò
che
fosse venuto dall’ Egitto e precisamente da Sais
esa di Posidone e di Atena pel possesso dell’ Attica, e soggiungevasi
che
egli avesse contribuito a far decidere la contesa
a far decidere la contesa in senso favorevole all’ ultima; vuol dire
che
nell’ alternarsi delle due stagioni umida e asciu
l significato naturalistico del mito di Cecrope si riferisce il fatto
che
gli attribuivano tre figliuole, Erse, Aglauros e
li attribuivano tre figliuole, Erse, Aglauros e Pandrosos, tutti nomi
che
significano rugiada; alla quale nella stagione as
ma posteriore al diluvio. Una leggenda a lui particolare era questa,
che
dopo la sua nascita Gea l’ affidò alla dea Pallad
e, entrambe celebri per la loro sorte avventurosa, Orizia (Oreithyia)
che
fu rapita da Borea e fatta madre dei gemelli Cala
i Tragici, venne al regno Ione il capostipite della stirpe ionica; il
che
significa il termine del periodo pelasgico e il c
gno; Pandione avrebbe avuto dalla ninfa Zeusippe due gemelli, Eretteo
che
chiameremo II e Bute, e le celebri figliuole Prog
due insieme furenti di odio e di vendetta, sgozzarono il piccolo Iti
che
Progne aveva avuto da Teseo, e tagliatene le memb
to da Teseo, e tagliatene le membra le apprestarono in cibo al re; di
che
accortosi egli, voleva far scempio delle ree femm
riva begli argomenti alla poesia e all’ arte; quindi niuna meraviglia
che
parecchie opere s’ aggirino intorno ad essi. Il r
di sentimento, Ovidio nel sesto e nel settimo delle sue Metamorfosi;
che
sono tra gli episodi più belli di tutta l’ opera.
condo Pandione, fatto padre di Egeo, Pallante, Niso e Lico. Si diceva
che
questo Pandione scacciato dal trono dai figli di
zionidi, avrebbero fra loro diviso la sovranità dell’ Attica in guisa
che
ad Egeo toccò Atene e le terre vicine, Pallante e
nore, Niso vide la sua città assediata da Minosse cretese ed è allora
che
la figlia di lui, Scilla, innamoratasi del forest
e consiglio; ivi conobbe la figlia di lui Etra e n’ ebbe un figliuolo
che
fu Teseo; ma siccome Etra era amata da Posidone,
a Posidone, Teseo era detto anche figlio di Posidone. Se si considera
che
Egeo e Posidone s’ identificano, si capirà facilm
i considera che Egeo e Posidone s’ identificano, si capirà facilmente
che
Teseo figlio del mare e di Etra, ossia l’ aria se
di Etra, ossia l’ aria serena, è ancora una personificazione del sole
che
sorge dal mar d’ Oriente traverso il puro aere, c
lle città greche. — Teseo ebbe a maestro il virtuoso e saggio Pitteo,
che
lo istruì nell’ arti musiche e ginnastiche; e si
sandali sotto un masso sul monti tra Trezene e Ermione, coll’ ordine
che
quando Teseo fosse in grado di sollevare quel mas
d Epidauro uccise Perifete, un figlio di Efesto, rozzo come il padre,
che
aggrediva i viandanti e li uccideva con una mazza
eri a due pini piegati a forza, e abbandonando poi a sè i pini faceva
che
le persone venissero squartate. 3º Uccise una sel
sone venissero squartate. 3º Uccise una selvaggia e pericolosa scrofa
che
infestava il bosco di Crominione. 4º Liberò lo st
Scironico ai confini della Megaride da un terzo malfattore, Schirone,
che
obbligava i viandanti a lavargli i piedi, e mentr
usi, non lungi dai confini della Megaride, vinse il gigante Cercione,
che
obbligava i passanti a lottare corpo a corpo con
dopo uscito da Eleusi, ebbe a combattere contro il terribile Damaste
che
poneva la gente a forza su un letto, e se questo
geo suo padre irretito nei lacci della pericolosa incantatrice Medea,
che
da Corinto s’ era rifuggita ad Atene. E già Medea
va contro lui da parte dei Pallantidi, i cinquanta figli di Pallante,
che
appunto volevano entrare in possesso dell’ eredit
ne. Qui è da collocare la spedizione più pericolosa e più importante,
che
è quella contro il Minotauro a Creta. Il re crete
indiretta cagion di morte ad Egeo suo padre; erano rimasti d’ intesa
che
in caso di felice ritorno avrebbe egli spiegato v
ricordate le seguenti: 1º ei domò il toro di Maratona, quello stesso
che
Eracle aveva portato con sè da Creta, e lo sacrif
e mandò le Erinni a incatenarlo e farlo sedere a forza sopra un sasso
che
aveva la virtù di ritenere come incollati quelli
a sopra un sasso che aveva la virtù di ritenere come incollati quelli
che
si posavan su. Teseo fu più tardi liberato per op
ad Atene e divenne sua moglie e madre di quell’ ippolito (Hippolytos)
che
fini poi così tragicamente, perchè accusato al pa
cavalli scarrozzavasi lungo la via del mare, mando un toro selvaggio
che
spaventò e infuriò i cavalli, onde Ippolito fu tr
dubbia. Inoltre fu istituita una festa speciale, denominata le Tesee,
che
celebravasi l’ 8 del mese Pianepsione. 3. Tante v
le cantore di Arianna nell’ Epitalamio di Peleo e di Tetide, e Ovidio
che
nell’ ottavo delle Metamorfosi narrò da par suo l
me un Eracle, ma più svelto di corpo e più vivace d’ aspetto, le note
che
contraddistinguono appunto la stirpe ionica in co
ti contro i Centauri; lo aveva pure la grande composizione del fregio
che
ornava la colla del tempio d’ Apollo in Figalia,
n bel rilievo della villa Albani in Roma, figurante Teseo nel momento
che
trae fuori ili sotto il masso la spada e i sandal
i agli elementi ellenici si mescolarono elementi fenici e frigii, si,
che
si complicarono e divennero oscure e intricate. L
celle di Tiro sulla riva del mare. Vide, in mezzo all’ armento regale
che
là pascolava, un bel toro bianco come la neve, co
piccole e ben tornite corna, con aspetto placido e mansueto. Era Zeus
che
aveva preso quell’ aspetto per accostarsi a lei.
on astri celesti divinizzati è ben probabile. Europa è una dea lunare
che
è inseguita dal Dio del cielo in forma d’ un bian
nti del sole; Asterio poi a cui i figli di Europa sono affidati non è
che
un’ altra forma di Zeus, e di fatti si parla anch
o colloquio, die’ savie leggi ai Cretesi e fondò una potente signoria
che
si estese a molte isole dell’ Egeo e fin anco in
osse pregò Posidone gli inviasse dai profondi abissi del mare un toro
che
egli avrebbe poi a lui sacrificato. Posidone esau
spirò alla moglie di Minosse Pasifae un pazzo amore per quel toro, si
che
cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fi
quel toro, si che cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fin
che
ridusselo al suo desiderio. Ne nacque il Minotaur
Minotauro, mostro composto di corpo umano con collo e testa di toro,
che
Minosse fece rinchiudere nel labirinto costruttog
osse, tra altri edifici, il labirinto con tanti andirivieni di strade
che
niuno entratovi era in grado di uscirne. A pascer
o il Minotauro, s’ è narrato nel precedente capitolo. Qui s’ aggiunga
che
Dedalo, per punizione d’ aver aiutato Teseo, fu r
lto, liquefattasi la cera e staccatesi l’ aie, precipitò in quel mare
che
da lui ebbe il nome di Icario. Dedalo più prudent
tro di lui, e richiese a Cocalo la restituzione del fuggitivo; ma non
che
ottenerla, fu egli stesso ucciso per istigazione
osa a Nauplio partorì Oiace e Palamede; ebbe poi un figlio, Altemene,
che
andò a stabilirsi a Rodi fondandovi il culto di Z
disposizione dell’ oracolo. Altri figli di Minosse furono Deucalione
che
prese parte alla caccia del cinghiale Calidonio e
Calidonio e fu padre di Idomeneo uno degli eroi Greci a Troia; Glauco
che
trovò fanciullo la sua morte in un vaso di miele
, il quale fu ucciso dagli Ateniesi e così die’ occasione alla guerra
che
Minosse mosse loro. 3. La leggenda del rapimento
cor da menzionare lo strano mito di Talo, l’ uomo di bronzo, leggenda
che
pare accenni ad origine fenicia e all’ uso dei sa
a anch’ egli il suo lato debole e ne fu vittima. Aveva una vena unica
che
dalla, testa scendeva sino ai talloni, dov’ era c
dendo questo, rimaneva presto dissanguato. E questo accaddegli allora
che
egli tento di impedire agli Argonauti reduci dall
ra cui ricordiamo una bellissima su un vaso apulo rappresentante Talo
che
in seguito agli incantesimi di Medea muore nelle
de se ne aggiunsero e intrecciarono tante altre e greche e orientali,
che
n’ è venuta una complicazione grandissima. Noi do
ole secondo i momenti principali della vita dell’ eroe, ed avvertendo
che
molte son di origine relativamente recente, inven
fratelli di Alcmena. Gli è appunto durante l’ assenza di Anfitrione,
che
Zeus preso d’ amore per Alcmena la fè madre di Er
in cui Alcmena doveva dare alla luce i due gemelli, detto ira gli Dei
che
sarebbe nato allora allora il più forte dei Persi
ietro nell’ arti musiche; anzi accoppò colla lira il suo maestro Lino
che
gli aveva inflitto un castigo. In punizione, Anfi
anno d’ età. Compi allora il suo primo atto eroico uccidendo un leone
che
infestava quel monte. Se da questo avesse ricavat
ornando a Tebe, incontrò i messi di Ergino, re dei Minii in Orcomeno,
che
si recavano a Tebe per ritirare l’ annuo tributo
olo di Delfo, e n’ ebbe in risposta si rassegnasse al suo destino. Di
che
egli montato in furore, così la leggenda, uccise
amo qui le dodici fatiche secondo la leggenda più comune, avvertendo,
che
alle fatiche prescritte da Euristeo s’ intreccian
fatiche prescritte da Euristeo s’ intrecciano altre gesta accessorie,
che
si dissero, con greca voce, parerga. a) La lotta
la sua tana, e ivi lo soffocò tra le braccia. Poi gli tolse la pelle,
che
gli servi di vestimento, come la testa gli serviv
questi affrontò l’ idra e bruciò mano mano tutte le teste; su quella
che
era immortale gittò un masso enorme. Nella bile v
e velenosa sparsa dall’ idra morente tinse i suoi dardi, e ne ottenne
che
le ferite da quelli prodotte divenissero insanabi
enne che le ferite da quelli prodotte divenissero insanabili. Si noti
che
Euristeo non volle, secondo alcuni, menar buona q
i campi di Psofi. Eracle lo inseguì e spinse sino alla cima del monte
che
era coperta di neve, e di là lo afferrò e s’ avvi
ando Eracle comparve a Micene davanti a lui, n’ ebbe egli tanta paura
che
corse a nascondersi in una botte. Con quest’ avve
ri. Giacchè strada tacendo essendosi fermato presso il centauro Folo,
che
gli diè a mangiare carni arrostite, ed avendo per
mangiare carni arrostite, ed avendo per bere aperto il vaso del vino
che
era comune a tutti i Centauri, questi gli si avve
rano muniti di artigli, ali e becco di bronzo, e penne pure di bronzo
che
essi lanciavano come freccie. Eracle ne uccise al
alcuni, altri spaventò con un sonaglio di bronzo datogli da Atena, si
che
non comparirono più. Secondo la leggenda degli Ar
disposta a dare il cinto, ma Era in figura di Amazone diffuse la voce
che
si voleva rapire la regina; allora le Amazoni pre
andarsene col desiderato cinto. A questa fatica si connettono altre,
che
son fra i parerga. Tra queste è da ricordare l’ a
Esione, figlia del re troiano Laomedonte, esposta a un mostro marino,
che
era stato mandato da Posidone per punire quel re
ia. Eracle ucciso il mostro, liberò la infelice fanciulla. Laomedonte
che
gli aveva promesso, se ciò facesse, i cavalli avu
a in un giorno nettare dall’ accumulato letame quelle stalle; impresa
che
veramente pareva impossibile. Augia stesso, senti
e; impresa che veramente pareva impossibile. Augia stesso, sentito di
che
si trattava, non dubitò promettere il decimo de’
facilmente trascinò via il letame. Augia ne fu lieto, ma quando seppe
che
la fatica era imposta da Euristeo, non voleva più
poi devastò il paese d’ Augia, e uccise lui stesso col figli. Dopo di
che
istituì i giochi Olimpici. h) Il toro di Creta er
cui Diomede, re dei Bistoni in Tracia, gettava in pasto gli stranieri
che
capitavano nelle sue rive. Eracle vinse Diomede e
issimo armento. Di questo doveva impadronirsi Eracle. Questa im presa
che
portava l’ eroe in lontane regioni, offriva spazi
le colonne da lui denominate sullo stretto di Gibilterra; si racconta
che
, offeso dai raggi cocenti del sole tramontante, p
d Eritea. Quivi, ucciso il gigante Eurizione e il cane bicipite Ortro
che
erano a custodia del gregge di Gerione, se ne imp
beria, la Gallia e l’ Italia e portò il gregge di Gerione ad Euristeo
che
lo sacrifîcò ad Era Argiva. — Tra i parerga conne
leremo. m) I pomi aurei delle Esperidi. Erano questi un dono di nozze
che
Era aveva ricevuto da Gea in occasione del suo ma
sorprese nel sonno e lo tenue stretto fintantochè n’ ebbe la notizia,
che
la via gli sarebbe stata rivelata da Prometeo inc
tica precedente. Poi si reco in Egitto ove era un re crudele Busiride
che
afferrava i forestieri e li sacrificava a Zeus. A
ia, e giunse così al Caucaso dove libero Prometeo uccidendo 1’ aquila
che
gli rodeva il fegato. Descrittagli da Prometeo la
li la volta del cielo. E qui un’ avventura comica. Atlante, una volta
che
si senti libero dal peso del mondo, non voleva pi
enti libero dal peso del mondo, non voleva più sottostarvi, e dicendo
che
avrebbe portato egli stesso i pomi ad Euristeo, t
questi, più scaltro di lui, lo pregò riassumesse il peso tanto almeno
che
egli si fosse fatto un cercine per non sentir tro
Esperidi e avrebbe presso i pomi uccidendo il drago dalle cento teste
che
li custodiva. n) La cattura di Cerbero fu l’ ulti
ecipitò giù dalle mura di Tirinto e uccise. Più tardi si favoleggiava
che
Ifito fosse amico di Eracle e questi lo avesse uc
lmine separò i combattenti. A espiare questi misfatti, la Pizia disse
che
Eracle doveva vivere per tre anni in condizione d
i; giacchè anche i Lidi avevano un loro eroe, solare, di nome Sandone
che
veneravano come capo di loro stirpe; e il caratte
irpe; e il carattere lidio della leggenda si manifesta in quel non so
che
di effeminato e di sensuale che in essa si osserv
leggenda si manifesta in quel non so che di effeminato e di sensuale
che
in essa si osserva. Dicevasi dunque che Eracle er
e di effeminato e di sensuale che in essa si osserva. Dicevasi dunque
che
Eracle era vissuto per quei tre anni tra le donne
ndo lana come loro, anzi vestito da donna anch’ egli, avendo lasciato
che
Onfale indossasse la sua pelle leonina e portasse
so prese e incatenò i Cercopi, specie di folletti scaltri e maliziosi
che
solevano fare ai passanti burle poco piacevoli. P
o fare ai passanti burle poco piacevoli. Poi uccise il malvagio Sillo
che
obbligava i viandanti a lavorare nella sua vigna.
eccezione di uno, Podarce. Eracle diede Esione in premio a Telamone,
che
la rese madre di Teucro; e poichè Esione ebbe da
salvare col suo velo uno dei prigionieri, salvò suo fratello Podarce,
che
d’ allora in poi si chiamò Priamo, ossia il risca
care la spedizione contro Augia e l’ istituzione dei giuochi Olimpici
che
noi abbiamo già ricordato avanti. — Segue la sped
ricordato avanti. — Segue la spedizione contro Pilo, mossa dal fatto
che
Neleo re di Pilo aveva dato aiuto ai Molionidi, o
i Neleo fu naturalmente distrutta; compreso il terribile Periclimeno,
che
da Posidone aveva avuto il dono di assumere tutte
da Posidone aveva avuto il dono di assumere tutte le forme d’ animali
che
voleva. Non rimase che il figlio minore, Nestore,
il dono di assumere tutte le forme d’ animali che voleva. Non rimase
che
il figlio minore, Nestore, il quale poi fu il con
in questa città, generò con la bella Auge, figlia del re, quel Telefo
che
per diversi casi diventò re della Misia e combatt
rette soffocanti dell’ eroe; infine come toro perdette uno dei corni,
che
riempito da una ninfa di flori e frutti diventò i
non solo uccise il suo avversario, ma ferì anche il Dio della guerra
che
era accorso in aiuto del figliuolo. D) Ultime vic
apparsi la veste di dosso; invano, s’ era così appiccicata alla carne
che
levarla non si poteva più. Nella rabbia del dolor
arla non si poteva più. Nella rabbia del dolore afferrò il messo Lico
che
gli aveva portata la veste e lo scaraventò nel ma
ar fuoco al rogo; infine Peante padre di Filottete o Filottete stesso
che
passava di là, gli rese questo servizio, in compe
te stesso che passava di là, gli rese questo servizio, in compenso di
che
egli a lui donò il suo areo e le sue freccie. Men
chiaro nell’ origine di questo intreccio di racconti, pur si capisce
che
qui si trovan mescolati a miti naturali degli ele
orica e riferiti dalla leggenda all’ eroe della stirpe. Invece Eracle
che
compie le dodici fatiche che altro può essere se
da all’ eroe della stirpe. Invece Eracle che compie le dodici fatiche
che
altro può essere se non una forza benefica la qua
ntenuto morale, Eracle divenne simbolo della più sublime forza morale
che
lotta contro le difficoltà della vita e colla for
ene, a Sicione, a Tebe, a Lindo, a Coo, ecc. A Maratona dove dicevasi
che
si fosse principiato a venerare Eracle come Dio,
t’ eroe si diffusero facilmente anche tra le stirpi italiche, massime
che
i molti viaggi attribuiti a lui offrivano l’ occa
cole per l’ Italia era ampliata in tal senso. Si favoleggiava adunque
che
, venuto a Roma, Ercole aveva trovato ivi stanziat
tta, affine lo vinse ed uccise. Poi per gratitudine a suo padre Giove
che
gli aveva fatto scoprir il furto, eresse nel luog
icò uno dei buoi ricuperati. Evandro ed i suoi fecero festa ad Ercole
che
aveva liberato quei luoghi da un così terribile n
o a pie’ dell’ Aventino vicino alla porta Trigemina. E invalse l’ uso
che
ogni anno in determinato giorno il pretore offris
si di disgrazia. 4. Eracle nella letteratura classica ha tanta parte,
che
sarebbe assai lungo l’ enumerare le opere o i luo
tanta parte, che sarebbe assai lungo l’ enumerare le opere o i luoghi
che
trattano alcuna delle leggende Eraclee. Già nell’
pelle onde si vestiva e la clava. Segue in ordine di tempo Stesicoro
che
tratto di avventure isolate, come la lotta con Ce
col quale si può dire i racconti eraclei abbiano preso quell’ assetto
che
divenne tradizionale. Anche i poeti lirici inseri
re cenni e ricordi dell’ eroismo di Eracle; bastimi ricordar Pindaro,
che
nella prima Nemea a lodare un valoroso, vincitore
men belle intorno ad Eracle; basti ricordare le Trachinie di Sofocle
che
s’ aggirano intorno alla presa di Ecalia e alle u
ual via della vita deva scegliere e percorrere, se quella del piacere
che
da una donna apparsagli, tutta vezzi e lusinghe,
he, gli vien descritta piena di gioie e di riso, o quella della virtù
che
da altra donna, più severa nell’ aspetto, gli vie
da Mosco, le cui poesie di ispirazione eraclea vanno tra le migliori,
che
vanti la letteratura mitologica. — Anche nella le
i Ercole sono spesso ricordati e celebrati. Già tra le prime commedie
che
la plebe romana vide rappresentare e gustò, v’ è
volissime. Fra i poeti moralisti, Ercole divenne l’ ideale dell’ eroe
che
superando innumerevoli difficoltà, e combattendo
sfibrano (Od. 3, 3, 10); e lo ricorda pure come esempio dell’ invidia
che
perseguita gli uomini generosi mentre che son viv
come esempio dell’ invidia che perseguita gli uomini generosi mentre
che
son vivi, e non li lascia in pace se non quando s
dine biografico, non rara era in antico la rappresentazione di Ercole
che
strozza in culla i serpenti. Già il pittore Zeusi
dipinto questa scena aggiungendo le figure di Alcmena e di Anfitrione
che
riguardano spaventati. Nel Museo di Napoli si amm
tta col toro cretese. Fra le imprese accessorie dette Parerga, quella
che
s’ incontra più di frequente è la lotta col centa
. L’ incontro col centauro Nesso riscontrasi in una pittura pompeiana
che
è nel Museo di Napoli; l’ eroe porta in collo il
li vanno a gara per ferirla. Fra tanti dardi caduti a vuoto, il primo
che
ferì la bestia fu quello della bella Atalanta. La
li, tutto preso dalla bellezza di Atalanta, lo cedette a lei, dicendo
che
spettava a chi primo aveva ferito il cinghiale. C
eagro. Costoro, tese insidie ad Atalanta, le tolsero vilmente il dono
che
aveva avuto da Meleagro. Il quale indignato di qu
ese le armi e postosi alla testa de’ suoi, diè tale assalto ai nemici
che
questi rimasero pienamente sconfitti; senonchè l’
tolo non doveva tornar più dal campo di battaglia; la crudele erinni,
che
aveva udito la maledizione della madre, ne fe’ su
nvento un’ altra storiella per spiegare la fine dell’ eroe. Si diceva
che
poco dopo la sua nascita, le Moire erano apparse
ascita, le Moire erano apparse alla madre Altea e l’ avevano avvisata
che
il figlio suo sarebbe vissuto sol tanto quanto st
o suo sarebbe vissuto sol tanto quanto stava per durare certo tizzone
che
in quel momento era sul fuoco. Appena scomparse l
questo genere, conservata nel Museo Vaticano. Si avverta quel non so
che
di malinconico che è nel viso di questo bel giova
servata nel Museo Vaticano. Si avverta quel non so che di malinconico
che
è nel viso di questo bel giovane. II. La sp
he qui siamo in presenza d’ una favola relativa a non fatto regionale
che
a poco a poco ha preso l’ importanza d’ un’ impre
nuvola) e da essa aveva avuto due figli, Frisso (Phrixos, la pioggia
che
scroscia) ed Elie (Helle, la viva luce). Ma poi l
rte, come già si disse parlando di Ino Leucotea (vedi pagina 206). Di
che
offesa Nefele abbandonò la terra, e per castigo i
onto Eusino o Mar Nero. Cammin facendo, cadde Elle in mare, quel mare
che
da lei ricevette il nome di Ellesponto; Frisso in
to principale. Atamante stesso s’ accord tanto dei mali del suo paese
che
ne impazzi, e nella pazzia perseguitando Ino e i
o Melicerte saltando in mare e affidandosi alle deità marine. Dopo di
che
, essendo Atamante fuggito in Epiro, la signoria d
te al padre nel regno, ma ne fu discacciato da un fratellastro Pelia,
che
era detto figlio di Tiro e di Posidone. A stento
anto gli avrebbe ceduto volentieri la signoria di Iolco, a condizione
che
egli si recasse a prendere in Colchide e portasse
. Giasone fe’ costruire nel portò di Iolco una nave a cinquanta remi,
che
dal nome del suo costruttore chiamò Argo, e chiam
lpò alla volta del Ponto Eusino. Circa il numero e il nome degli eroi
che
presero parte alla spedizione, molta varietà di t
mo però, per non assegnargli una parte troppo secondaria, s’ immaginò
che
si ritirasse presto dall’ impresa, lasciando nell
nella Misia i commilitoni per inseguire il suo prediletto Ila (Hylas)
che
le ninfe fontane avevano rapito. In tutto gli Arg
acevano salire a cinquanta, cioè tanti quanti erano i remi della nave
che
li trasportava. Secondo la leggenda più comune, g
ra prima all’ isola di Lenno, ove stettero alcun tempo colle Lenniesi
che
avevano tutte ucciso i loro infedeli mariti; di l
n indovino cieco, Fineo; questi a patto di esser liberato delle Arpie
che
infestavan quelle terre, ciò che fu fatto dai Bor
patto di esser liberato delle Arpie che infestavan quelle terre, ciò
che
fu fatto dai Boreadi, consentì a istruire gli Arg
uali alternatamente si aprivano e si chiudevano, e con tanta velocità
che
ben difficilmente una nave poteva passarvi di mez
i, poi all’ isola Aretias o di Marte dove erano gli uccelli Stinfalii
che
Eracle aveva fatto fuggire dall’ Arcadia. Cacciat
re dall’ Arcadia. Cacciatili anche di là, insieme col figli di Frisso
che
nel ritorno dalla Colchide avevano naufragato a q
e custodito da un drago. Qui entra in scena Medea, la figlia di Eeta,
che
ha tanta parte in questa leggenda. Innamoratasi d
o Eeta di cedere il vello d’ oro a Giasone purchè aggiogasse due tori
che
sbuffavan fuoco dalle narici e avevan l’ unghie d
nando nei solchi denti di drago e combattesse tutti gli uomini armati
che
ne sarebbero nati, Medea che era maga e sacerdote
go e combattesse tutti gli uomini armati che ne sarebbero nati, Medea
che
era maga e sacerdotessa di Ecate, die’ a Giasone
maco magico atto a difenderlo contro il fuoco dei tori e a dargli più
che
umana forza. Così Giasone superò tutti gli ostaco
rano in questo modo adempiute le volontà del re; ma Eeta col pretesto
che
Giasone aveva ricevuto aiuto da Medea, non voleva
a trovò modo di trattenerli uccidendo e facendo a brani un fratellino
che
aveva portato con sè, Absirto, e gettando i pezzi
allora Medea pensò lei a torlo di mezzo; persuase le figlie di Pelia
che
tagliando a pezzi il padre e facendoli cuocere in
nero senza volerlo parricide. Rimase al regno Acasto figlio di Pelia,
che
si proponeva anche di vendicare il padre; onde Gi
Medea per vendicarsi mande in dono alla sposa una veste e un diadema,
che
essendo avvelenati la fecero d’ un subito morire,
vette lasciare anche Atene. Giasone trovò la morte sotto la nave Argo
che
gli si sfracellò addosso. 2. La leggenda degli Ar
si sfracellò addosso. 2. La leggenda degli Argonauti è una di quelle
che
offrirono più copiosi materiali alla letteratura
isto. Nè si ommetta la prima metà del settimo libre delle Metamorfosi
che
narra poeticamente tutta la leggenda di Medea. No
famiglia dei Labdacidi in Tebe era così ricca di caratteri e di fatti
che
costituì per tempo come un ciclo di leggende, il
sendo senza figli adottò il bambino abbandonato, dandogli nome Edipo,
che
vuol dire « dai piedi gonfi », perchè presentava
olarità di avere enfiati i piedi. Così crebbe Edipo nella persuasione
che
Polibo e la di lui moglie Merope (o Peribea) foss
ecavasi a Delfo per interrogare l’ oracolo sulla Sfinge. Il cocchiere
che
era con Laio ordina al giovane Edipo di dar luogo
ocasta a chi avesse sciolto l’ enigma. Edipo avendo saputo rispondere
che
l’ uomo era quell’ animale che nella prima infanz
enigma. Edipo avendo saputo rispondere che l’ uomo era quell’ animale
che
nella prima infanzia s’ aiuta mani e piedi per ca
così inconsciamente sposo di sua madre avverando il terribile oracolo
che
pesava su di lui. Ma nè egli nè lei non ne sapeva
e; ma qual è la sua sorpresa quando, specialmente per mezzo del servo
che
l’ aveva esposto bambino e che era scampato alla
ando, specialmente per mezzo del servo che l’ aveva esposto bambino e
che
era scampato alla strage di Laio, viene a sapere
sposto bambino e che era scampato alla strage di Laio, viene a sapere
che
è egli stesso l’ uccisore di Laio, sicchè egli er
o d’ asilo della terra Attica. Tale la fine di Edipo secondo Sofocle;
che
gli epici antichi in altro modo narravano la mort
one di Beozia in un santuario di Demeter. Morto Edipo, la maledizione
che
pesava su di lui, secondo il concetto degli antic
venuti di regnare in Tebe alternatamente un anno ciascuno. Ma Eteocle
che
era più vecchio, (alcuni fan più vecchio Polinice
asto della stirpe di Amitaone, re di Argo; proprio nello stesso tempo
che
vi cercava rifugio anche Tideo figlio di Eneo fug
della stirpe di Melampo cognato di Adrasto stesso. Veramente Anfiarao
che
per la sua virtù di antivedere le cose sapeva che
Veramente Anfiarao che per la sua virtù di antivedere le cose sapeva
che
la spedizione sarebbe riuscita a male, non voleva
n voleva prendervi parte e aveva tentato sfuggire ai messi di Adrasto
che
ne lo sollecitavano; ma Polinice avendo subornato
al drago di Ares; allora tutto a rovescio per gli assalitori; Capaneo
che
vantava nel suo orgoglio di resistere anche al fu
tto dalla Demetra Erinni. Di Adrasto fuggente favoleggiossi in Attica
che
si fosse riparato a Colono e avesse poi ottenuto
nzi con buoni auspici, ebbero fortuna. Laodamante, figlio di Eteocle,
che
ora governava in Tebe spiegò tutta la sua energia
leggende; Eschilo col « Sette contro Tebe » sceneggiò la prima guerra
che
si chiudeva col disgraziato duello tra i due frat
al cui odio si contrappose l’ indole affettuosa e gentile di Antigone
che
al fine della tragedia dichiarava energicamente d
incipale dei dramma; e di Edipo sceneggiò la sventura in due tragedie
che
son due capilavori, l’ « Edipo re » e l’ « Edipo
se o di poca importanza. Abbastanza frequenti le statue della Sfinge,
che
a differenza della Sfinge egiziana, tronco di leo
infine esponendo i casi varii del ritorno. 1. I principali eroi greci
che
presero parte alla guerra di Troia, furono Agamen
cipitato poi nel fondo d’ ogni male, e punito in inferno in quel modo
che
già si espose parlando del regno dei morti. Figli
di Zeus, possessore di estesissimi fondi, era così bene viso agli Dei
che
questi non sdegnavano invitarlo spesso alla loro
li Dei che questi non sdegnavano invitarlo spesso alla loro mensa. Di
che
insuperbito non seppe astenersi da atti temerari
elope richiamato in vita da Ermes, sostituitagli in avorio una spalla
che
Demetra già aveva consumata, peregrino pel mondo
re Enomao prometteva la sua bella figlia Ippodamia in isposa a colui
che
sapesse vincerlo alla corsa dei cocchi; con quest
a a colui che sapesse vincerlo alla corsa dei cocchi; con questo però
che
chi si lasciava vincere doveva pagar il fio della
la signoria dell’ Elide; mal ripagò poi Mirtilo del servizio resogli,
che
in luogo di dargli metà del regno come aveva prom
ono Atreo e Tieste (Thyestes), altre vittime della maledizione divina
che
pesava su questa famiglia, almeno secondo le legg
uccidendo per istigazione di Ippodamia il loro consanguineo Crisippo
che
Pelope aveva avuto da altra moglie. Obbligati a f
el padre. Il sole stesso inorridito di tanta crudeltà, favoleggiavasi
che
volto il cocchio fosse tornato ad oriente. Tieste
lata da una peste la sua isola e spoglia d’ abitanti, ottenne da Zeus
che
uno sciame di formiche fossero trasformate in uom
nne da Zeus che uno sciame di formiche fossero trasformate in uomini,
che
furono detti perciò Mirmidoni (myrmex voce greca,
mate in uomini, che furono detti perciò Mirmidoni (myrmex voce greca,
che
val formica). Dopo morte, Eaco venne per la sua g
ria. Peleo si recò a Ftia in Tessaglia, dove lo accolse il re Euritio
che
gli diè in moglie la sua figliuola Antigone e lo
tato sul monte Pelio, e toltegli le armi lo lasciò ivi solo, persuaso
che
i Centauri avrebbero fatto scempio di lui. Ma gli
egli potè respingere trionfalmente gli assalti dei Centauri. Dopo di
che
tornato a Iolco, e presa la città coll’ aiuto dei
hille, abbia abbandonato lo sposo perchè egli la disturbò nel momento
che
nel fuoco voleva rendere immortale il figlio, cos
era avvenuto con Demetra e il figlio di Celeo, è questa una leggenda
che
Omero ancora non conosceva. Achille ebbe a educat
a pienezza delle forze, prese parte alla guerra di Troia, pur sapendo
che
sarebbe stata per lui fatale; ed è anch’ essa leg
i, morta la prima moglie, sposò Peribea, figlia di Alcatoo di Megara,
che
lo fe’ padre di Aiace. Amico di Eracle, Telamone
ione figlia del re Laomedonte, e da lei ebbe un altro figlio, Teucro,
che
divenne celebre arciero. Prese ancor parte col fr
Aiace Telamonio era l’ altro Aiace, locrese, figlio di quell’ Oileo,
che
pure aveva preso parte alla spedizione degli Argo
unzii, armati alla leggera. Diomede era figlio di quel Tideo di Eneo,
che
, fuggito da Calidone e accolto da Adrasto re d’ A
la morte. Diomede stesso prese parte alla seconda guerra tebana, con
che
ottenne la signoria di Argo, sotto il supremo dom
e risiedente in Micene. Ristabilì sul trono etolico il suo nonno Eneo
che
era stato cacciato dai figliuoli di un suo fratel
liuolo, Erittonio, il più ricco degli uomini; e da costui nacque Troo
che
diè il nome ai Troi o Troiani, suoi discendenti.
mpione dei Troiani, come Achille era dei Greci; secondo figlio Paride
che
fu cagion della guerra; seguivano Creusa che dive
i; secondo figlio Paride che fu cagion della guerra; seguivano Creusa
che
divenne moglie di Enea, Polissena che fu poi sacr
della guerra; seguivano Creusa che divenne moglie di Enea, Polissena
che
fu poi sacrificata sulla tomba di Achille, Cassan
sa di sventura, Eleno, augure e vate; ultimo, il più giovane, Troilo,
che
morì per man d’ Achille. 2. Ma ormai è tempo che
più giovane, Troilo, che morì per man d’ Achille. 2. Ma ormai è tempo
che
narriamo per sommi capi le vicende della guerra.
frodite naturalmente pretendevano aver diritto alla mela. Zeus ordinò
che
le tre Dee fossero da Ermes condotte sul Gargaro,
la donna del mondo. Egli assegnò il pomo ad Afrodite; di qui ne venne
che
Era ed Atena furono sempre acerbe nemiche di Troi
acerbe nemiche di Troia, e Afrodite amica. Poco dopo, avendo Paride,
che
era bellissimo ed aitante della persona, vinto tu
e di Menelao. Afrodite instillo in lei un ardente amore per l’ ospite
che
alla bellezza delle forme aggiungeva lo splendore
esione dei più ragguardevoli principi greci, perchè Tindareo ai tanti
che
avevano chiesto la mano della bella Elena aveva f
riente. A capo di tutta quest’ armata fu scelto Agamennone re d’ Argo
che
da solo aveva allestito più di cento navi. Senonc
a cerva sacra ad Artemide, questa lo puni mandando una calma di vento
che
impediva di salpare. L’ indovino Calcante interro
nto che impediva di salpare. L’ indovino Calcante interrogato rispose
che
ad ammansire la dea dovesse Agamennone sacrificar
pare e approdò a Tenedo, sulle coste troiane. Strada facendo, accadde
che
Filottete figlio di Peante, tessalo, il quale pos
o sull’ isola Crise venne. morsicato da un serpe in un piede; dopo di
che
molestando i compagni col suoi lamenti e col feto
a di Lenno. Più tardi lo si dovrà andar a riprendere perchè era detto
che
senza le frecce d’ Eracle Troia non sarebbe cadut
s’ opposero i Troiani guidati da Ettore ed Enea; bensì il primo greco
che
saltò a riva, Protesilao (=il primo che salta), c
ed Enea; bensì il primo greco che saltò a riva, Protesilao (=il primo
che
salta), cadde vittima del suo coraggio. Anche Cic
Anche Cicno (Cycnos) il re di Colone nella Troade figlio di Posidone,
che
più validamente si oppose a’ Greci e uccise infat
o di intelligenze con Priamo e di tradimento; tutti maneggi di Ulisse
che
volle vendicarsi di lui perchè, quando Ulisse in
rezzo di riscatto, n’ ebbe dura ripulsa e derisione da Agamennone; di
che
il Dio Apollo infesto il campo Acheo di grave pes
rmentare gli Achei; e Zeus, pregato da Tetide la madre di Achille, fè
che
la vittoria fosse dalla loro parte. Dopo parecchi
lasciò indurre dalle preghiere del suo amico Patroclo a permettergli
che
indossasse le sue armi e alla testa dei Mirmidoni
i. Pianse Eos la morte di suo figlio, e continua a piangerla, giacchè
che
cos’ altro sono le goccie della mattutina rugiada
iciasette giorni e diciasette notti con canti e nenie così commoventi
che
Dei ed uomini non potevano trattenere le lagrime.
vi aspirava con ragionevole presunzione, ma vi aspirava anche Ulisse
che
al valore guerresco univa altri pregi di abilità
per consiglio di Atena decise la controversia in favore di Ulisse; di
che
tanto s’ accorò Aiace che impazzi e dopo aver com
ise la controversia in favore di Ulisse; di che tanto s’ accorò Aiace
che
impazzi e dopo aver commesso violente stranezze s
cio; ed egli era eroe da ciò. Egli dall’ indovino troiano Eleno seppe
che
non si poteva prender Troia senza le freccie d’ E
leno seppe che non si poteva prender Troia senza le freccie d’ Eracle
che
erano in possesso di Filottete rimasto a Lenno. U
struire da Epeo il famoso cavallo di legno, e disporre quell’ agguato
che
doveva aver per effetto la caduta di Troia. Trent
ano con curiosità quella meraviglia del cavallo di legno, non sapendo
che
cosa fosse. E qui raccontasi che un tal Sinone, l
ia del cavallo di legno, non sapendo che cosa fosse. E qui raccontasi
che
un tal Sinone, lasciatosi prendere dai Troiani, l
un tal Sinone, lasciatosi prendere dai Troiani, li ingannò inventando
che
era sfuggito alla persecuzione di Ulisse il quale
ssero verso la città. Intanto uscirono dal cavallo i trenta guerrieri
che
v’ erano nascosti e apersero una porta della citt
ri che v’ erano nascosti e apersero una porta della città; così prima
che
i Troiani avessero potuto dar l’ allarme, l’ eser
resistenza cercavano opporre i Troiani superstiti. Il vecchio Priamo,
che
aveva cercato protezione presso l’ ara di Zeus co
esso l’ ara di Zeus con Ecuba e le figlie, venne ucciso da Neottolemo
che
aveva già pure ucciso Polite di lui figlio; gli a
e i bambini caddero in ischiavitù, salvo Astianatte figlio di Ettore
che
fu buttato giù dalle mura. Colei che era causa di
alvo Astianatte figlio di Ettore che fu buttato giù dalle mura. Colei
che
era causa di tutti questi guai, Elena, fu trovata
i guai, Elena, fu trovata in casa di Deifobo, altro figlio di Priamo,
che
dopo la morte di Paride avevala sposata. Menelao
e. Dopo un viaggio non infelice, scampato anzi a una furiosa tempesta
che
lo colse sulle coste dell’ Eubea, nella sua reggi
a sua reggia di Micene trovò la morte a tradimento per mano di Egisto
che
durante l’ assenza di lui aveva goduti i favori d
una volta predetta a’ suoi la caduta di Troia, non era stata accolta
che
con dileggi e derisione. La morte di Agamennone n
bitante nella Focide. Ivi crebbe insieme con Pilade figlio di Strofio
che
era quasi coetaneo, e a poco a poco si contrasse
tra loro una stretta amicizia, la quale si mantenne poi così costante
che
divenne proverbiale. Giunto a età matura, Oreste
cciso; e accompagnato da Pilade se ne venne a Micene, sette anni dopo
che
n’ era uscito, e uccise non solo Egisto, ma anche
nte, stava per essere sacrificato, quando la sacerdotessa di Artemide
che
era Ifigenia sorella di Oreste, lo riconobbe, ed
allora in poi come Eumenidi. Più lieta fu la sorte toccata a Menelao
che
se ne tornava con Elena e i tesori del bottino di
ato nel tempio di Atena e di qui avendo strappato per forza Cassandra
che
s’ era avvinghiata alla statua della Dea, questa
a d’ Eubea. A stento egli potè salvare la vita su un nudo scoglio. Di
che
lieto, nella sua temeraria presunzione, non dubit
oglio. Di che lieto, nella sua temeraria presunzione, non dubitò dire
che
si sarebbe salvato anche a dispetto degli Dei; al
mede, dopo la presa di Troia, tornò felicemente ad Argo; ma ivi trovò
che
la moglie non gli era stata fedele, e allora se n
ttè, vinse e restituì all’ avo la signoria dell’ Etolia. Si noti però
che
alcuni fanno quest’ impresa di Diomede anteriore
impresa di Diomede anteriore alla guerra di Troia. Appresso narrasi,
che
Diomede colto in mare da una tempesta fosse sbalz
ustarono anch’ essi del loto, e n’ ebbero impressione così piacevole,
che
non volevano più tornare in patria. Ulisse dovett
ano i Ciclopi un popolo di giganti in un’ isola del mare occidentale,
che
abitavano sparsi su per monti curando le loro gro
cato nell’ isola con dodici compagni capito nella caverna di Polifemo
che
era figlio di Posidone. Ivi passò un ben brutto m
ropofagi. Costoro abitavano una terra dove le notti erano così chiare
che
chi potesse far a meno del sonno, avrebbe potuto
s e sorella di Eeta. Costei soleva trasformare in bestie i forestieri
che
capitavano nell’ isola. Ulisse avendo mandato met
li vide tornare perchè erano stati mutati in porci; il solo Euriloco,
che
non aveva bevuto la magica bevanda, sfuggi a ques
allora mosse da solo, e, aiutato da Ermes il quale diedegli un’ erba
che
lo proteggeva da ogni magia, indusse Circe a rida
bolo dell’ inferno, interrogare l’ anima di Tiresia e saper da lui in
che
modo potesse riuscire a toccar la patria terra. g
a e molte altre di eroi ed e roi ne, fra cui anche sua madre Anticlea
che
gli dà desiderate notizie del padre Laerte, della
co appresso toccò l’ isola delle Sirene, le ingannevoli Muse del mare
che
allettando con dolce canto i naviganti li invitav
l terribile vortice di Cariddi, avvicinatisi troppo all’ altro mostro
che
con sei lunghi colli e bocche abitava nella sua t
assa la nave e la sprofonda nelle onde; annegarono tutti salvo Ulisse
che
afferrata una trave galleggiò sbattuto dall’ onde
eva lasciato la patria per recarsi a Troia; e dormiva in quel momento
che
i Feaci lo sbarcarono e deposero con tutti i suoi
taca s’ era trovata in grandi afflizioni. Perduta ornai ogni speranza
che
Ulisse tornasse, il padre Laerte viveva immerso n
te viveva immerso nella tristezza; Penelope era perseguitata da molti
che
aspiravano alla sua mano, i quali intanto venivan
be decisa di passare a nuove nozze dopo terminato il lenzuolo funebre
che
stava tessendo per il vecchio suocero, disfaceva
do fu sveglio, gli comparve Pallade Atena, la quale lo avvisò di quel
che
era avvenuto nella sua reggia e lo condusse all’
i contro i Proci. Si avvicinava la festa d’ Apollo; Penelope annunziò
che
quel giorno avrebbe fatto la sua scelta; sarebbe
, egli fece gli ultimi sforzi per bravamente difenderla, ma poi visto
che
era tutto perduto si ritirò co’ suoi sul vicino m
nelle isole Strofadi ove gli toccò l’ avventura delle fameliche Arpie
che
gli insozzarono la mensa. Poco appresso venne a B
ppresso venne a Butroto in Epiro, dove ritrovò Eleno figlio di Priamo
che
portato da Troia con Neottolemo, alla morte di qu
fondatrice di Cartagine. Costei, invaghitasi di Enea, avrebbe voluto
che
si fermasse con lei e divenisse suo sposo, ma un
oichè anche Latino morì, gli successe nel governo e fondò nuova città
che
dal nome di sua moglie chiamò Lavinio. Quattro an
Le favole del ciclo troiano ebbero così larga diffusione fra i Greci
che
divennero come il pascolo intellettuale delle lor
Eschilo, Sofocle, Euripide a queste leggende riferentisi; basti dire
che
tutti i momenti di questa istoria furono sceneggi
istrale descrizione della caduta di Troia, la più viva e la più bella
che
a noi sia giunta dall’ antichità. S’ aggiungano g
ntichità. S’ aggiungano gli ultimi libri delle Metamorfosi d’ Ovidio,
che
cantano lo stesso tema; s’ aggiunga l’ Achilleide
eti lirici, Orazio, Tibullo e Properzio; infine si dee tener presente
che
tutti i poeti tragici latini, da Livio Andronico
e troiane della vita intellettuale degli antichi; e non fa meraviglia
che
ancora il medio evo abbia conservate, trasformand
gelo Montorsoli; ma par certo non sia riuscito bene questo ristauro e
che
questo braccio dovesse essere più piegato verso l
entili, è quasi levato su di terra dalle violente strette del rettile
che
lo comprime al destro fianco del padre, gli attor
ntre l’ altro serpente gli arronciglia il braccio destro, ma non così
che
al giovine non sembri ancor possibile di sfuggire
vigorose e tenaci, invano colla sinistra comprime il collo del serpe
che
gli si avventa con rabbioso morso al fianco; sott
pire. E di quel dolore è tanto più viva l’ impressione quanto si vede
che
il corpo che ne soffre è aitante, valido, eppur s
el dolore è tanto più viva l’ impressione quanto si vede che il corpo
che
ne soffre è aitante, valido, eppur senza difesa.
. A questa fine analisi dei Gentile si può aggiungere l’ osservazione
che
la testa di Laocoonte così volta al cielo in atto
i Laocoonte così volta al cielo in atto di dolorosa rassegnazione, sì
che
par voglia chiedere agli Dei perchè una sorte si
In terzo luogo menzioniamo l’ ammirato gruppo denominato « Pasquino »
che
trovasi a Roma su un crocicchio di strade all’ an
i strade all’ angolo del palazzo Braschi, rappresentante un guerriero
che
sostiene il corpo morto di un altro guerriero. Ne
na è nella loggia dei Lanzi a Firenze (fig. 89). Si pensa o a Menelao
che
sostiene Patroclo, o ad Aiace che salva dal furor
nze (fig. 89). Si pensa o a Menelao che sostiene Patroclo, o ad Aiace
che
salva dal furor nemico il cadavere di Achille. In
e membra abbandonate ed inerti fa un efficace contrasto col guerriero
che
lo sostiene il quale è nel pieno vigore delle sue
ovisi di Roma rappresentante una giovine donna colla chioma tagliata,
che
fa gentile accoglienza a un giovine minore di lei
atura; per lo più si crede si tratti di Elettra ed Oreste nel momento
che
si rivedono nella casa paterna contaminata dall’
ggende Tessale e Argive è insigne Melampo, figlio di quell’ Amitaone,
che
venuto dalla Tessaglia in Messenia ivi propago la
itaonidi. A questa appartennero Adrasto, Anfiarao, Alcmeone, Anfiloco
che
ebbero tante parte nelle vicende di Tebe e nelle
degli Epigoni; ed’ altri minori, come Polifide, Teoclimeno suo figlio
che
andò in Itaca con Telemaco e Poliido che acquistò
ifide, Teoclimeno suo figlio che andò in Itaca con Telemaco e Poliido
che
acquistò fama in Corinto. — Ogni ciclo di leggend
tà si diceva avesse perso la vista, secondo alcuni per opera d’ Atena
che
era stata vista nel bagno da lui, secondo altri p
ico, pose sua residenza nelle regioni dell’ Olimpo. Cantava così bene
che
le pi ante e le pietre muovevano a udirlo e le fi
ssere stata morsicata da un serpe, egli la pianse in dolcissimi canti
che
commuovevano fin le pietre. Pensò di scendere all
e il petto di bronzo del re dell’ ombra si commosse. Gli fu concesso
che
Euridice seguisse un’ altra volta Orfeo nel regno
uisse un’ altra volta Orfeo nel regno della vita, a questa condizione
che
durante il tragitto egli non si volgesse indietro
durante il tragitto egli non si volgesse indietro a guardar la sposa,
che
se avesse fatto ciò, essa gli sarebbe stata ineso
ava de’ suoi canti le regioni dell’ Elicona. Forse costui non è altro
che
la personificazione mitica di antico canto popola
a con querule note il perire della natura nella stagione invernale, e
che
chiamavasi appunto lino. Di Lino si cantava speci
in di lui onore. — Tamiri (Thamyris) fu il primo dei cantori antichi
che
allietava dell’ arte sua le corti de’ principi e
oesie di lui, canti religiosi e lustrali, inni, vaticini. Ma i lavori
che
nell’ età storica correvano col suo nome eran nat
tinata a profetar l’ avvenire ma non esser creduta mai, è personaggio
che
ricorre spesso nei drammi che trattano di Troia c
ma non esser creduta mai, è personaggio che ricorre spesso nei drammi
che
trattano di Troia caduta e delle vicende dolorose
poeti dell’ età mitica; qui ricordiamo solo un bel rilievo in marino
che
si conserva in Napoli, di cui diamo il disegno al
nta la seconda irreparabile separazione di Orfeo ed Euridice. Questa,
che
è la figura di mezzo, posa leggermente la mano su
è la figura di mezzo, posa leggermente la mano sulla spalla d’ Orfeo
che
la guarda con triste dolcezza. La terza figura è
a d’ Orfeo che la guarda con triste dolcezza. La terza figura è Ermes
che
deve compiere il suo dovere di separare i due ama
che deve compiere il suo dovere di separare i due amanti, ma si vede
che
lo fa a malincuore. Altri bassirilievi presentano
a a malincuore. Altri bassirilievi presentano un motivo analogo; pare
che
rappresentazioni simili si usassero spesso a orna
i Dei danno incremento; giacchè gli Dei hanno in odio quelle violenza
che
rende l’ uomo capace di qualunque delitto. » 2.
e delitto. » 2. « Giove illustre pel trionfo sui Giganti, quel Giove
che
con un cenno delle sue ciglia fa muover tutto l’
o delle sue ciglia fa muover tutto l’ universo. » 3. « Giove è colui
che
l’ inerte terra governa e il mare dominato dai ve
su Patara (città della Licia). Giove m’ è padre; per me è palese quel
che
sarà, e quel che è stato e quel che è al presente
della Licia). Giove m’ è padre; per me è palese quel che sarà, e quel
che
è stato e quel che è al presente; per me si dispo
m’ è padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel
che
è al presente; per me si disposa la poesia al suo
» 12. « In questa statua in piedi e vestita, leggermente trasparisce
che
la figura, è zoppa non brutta però. » 13. « mess
ate ». 14. V. 255 e segg . « Per lungo tempo credetti io stoltamente
che
vi fossero statue di Vesta, ma poi appresi che so
redetti io stoltamente che vi fossero statue di Vesta, ma poi appresi
che
sotto la curva cupola non vi son punto statue. Un
cettiva di essere effigiata come non è neanche il fuoco. » 15. Quei
che
tiene un bastone colla destra e una chiave colla
di sud, più ch’ ogni altro arbitro e sovrano del mare Adriatico, sia
che
voglia sollevarne a tempesta l’ onde, sia che vog
del mare Adriatico, sia che voglia sollevarne a tempesta l’ onde, sia
che
voglia rabbonacciarle ». 21. Cfr. pag. 90. 22.
stillante rugiada pel cielo e tinta ili mille diversi colori dal sole
che
le sta di faccia. » 23. « Iride l’ ambasciatrice
24. « La Gioventù, poco aggraziata senza di te. » 25. « Tu o llizia,
che
benigna schiudi alla luce i parti maturi, difendi
he benigna schiudi alla luce i parti maturi, difendi tu le madri, sia
che
a te piaccia esser chiamata Lucina, ovvero la Dea
onde in su gli aridi Labruzzi rimaneano i morseggiati Lanosi biocchi
che
sporgean poc’ anzi Dal tenue filo, avanti a’ pied
e e smorte, Per lunga fame attenuate e asciutte, Orribili a veder più
che
la morte. L’ alaccie grandi avean, deformi e brut
ncurve e torte; Grande e fetido il ventre, e lunga coda Come di serpe
che
s’ aggira e snoda. 35. V. 142: « … in men che
a coda Come di serpe che s’ aggira e snoda. 35. V. 142: « … in men
che
non si dice, placa il mar grosso e pone in fuga l
uo cocchio veloce. » 37. Eneide, X, 209 sgg.: « l’ immane Tritone,
che
introna i mari soffiando nella cerula conchiglia,
38. V. 335 e sgg.: « …Ei dà di piglio alla cava attorcigliata tromba
che
dall’ ultima spira va crescendo in larghezza. Que
n appena in mezzo al mare è stata ripiena d’ aria, fa risonare i lidi
che
giacciono sotto 1’ uno e l’ altro sole. Anche all
ritirata, fu udita dalle onde tutte della terra e del mare; e l’ onde
che
udirono tutte si compressero. Si ritirano i fiumi
i pieni fiumi; scopresi la terra; e ricompariscono i luoghi man mano
che
decrescon 1’ onde. » 39. Epig.100: « i lusingh
dell’ onde. » 40. « Cantone il grammatico, sirena latina, l’ unico
che
sa leggere ed educare i poeti. » 41. « … aveste
ita sfugge alla crudel Proserpina. » 46. Carm. I. 16, 13: « Dicesi
che
Prometeo fosse costretto ad aggiungere al limo, c
16, 13: « Dicesi che Prometeo fosse costretto ad aggiungere al limo,
che
era la materia principale, particelle di sostanze
la materia principale, particelle di sostanze prese da ogni parte, e
che
al nostro petto apponesse la violenza di furioso
nesse la violenza di furioso leone. » 47. Georg. III, 266: … Più
che
ogni altro in ver delle cavalle Passa i segni il
aduz. Sapio, Palermo 75). 48. « I caso di Fetonte abbruciato è tale
che
spaventa chi concepisce troppo avide speranze, e
pisce troppo avide speranze, e un grave esempio porge 1’ alato Pegaso
che
sdegnò reggere il peso dei terreno cavaliere Bell
a la faccia, Si strinse tra le braccia Perseo, e dicea: Figliuolo, Oh
che
duolo che è il mio! E tu così ne l’ infantile obl
a, Si strinse tra le braccia Perseo, e dicea: Figliuolo, Oh che duolo
che
è il mio! E tu così ne l’ infantile oblio Dormi e
ento! No, dormi, o bambinello; e dorma il mare. Donna l’ angoscia mia
che
non ha pare. Zeus Padre, e tu deh muta il tuo tal
dizione disagiata e pericolosa. 51. « Un Ercole piccolo a vedersi ma
che
fa una grande impressione. » 52. Così intitolata
pito disegno di menar a fine quel compendio di Mitologia iconologica,
che
un dì nel vostro seno da antecessore sedendo a vo
ore sedendo a vostre premurose inchieste impreso avea ad effettuire :
che
anzi succrescendo sempre più alle nuove occupazio
fin per pochi giorni, quasi insensibilmente, a me stesso quel tempo,
che
necessario si fosse a compiere, se non con mio on
almen con compiacenza vostra l’incominciato lavoro. Eccolo pertanto,
che
tratto appena dall’ancor sudante mia penna, ed il
refisso suo centro, lasciasi affettuosamente cadere. Io mi avventuro,
che
voi nel distender graziosi la mano ad accoglierlo
erete esattamente descritto. Voleste in fine un trattato più pratico,
che
teoretico di poesia toscana, che vi servisse di m
ste in fine un trattato più pratico, che teoretico di poesia toscana,
che
vi servisse di manuale a si bella facoltà senza t
estenzione corrisponde appuntino alle mire, protesto di non aver più
che
bramare, perche soddisfatto appieno de’voti. Vive
intero Darvi parti maggior con voi m’impegno. Sarà mia gloria il dir,
che
questa terra Benigna accolse il primo sudor mio,
questa terra Benigna accolse il primo sudor mio, Ad onta del destin,
che
mi fa guerra. Riceva ognun ciò, che donar poss’io
mo sudor mio, Ad onta del destin, che mi fa guerra. Riceva ognun ciò,
che
donar poss’io, Che certo io sono, e il creder mio
sentimento dell’immortal’Oratore Romano ogni avviamento di discorso,
che
sù di qualche materia s’imprende, Cic. de Of. Lib
mposta dalle greche voci Mythos fabula, e logos discorso altro non è,
che
la esposizione di quelle favolose idee, delle qua
i lungi assai dal vero vivevano infelicemente ingannati, non ostante,
che
tali massime in buona parte conosciute pur si fos
ia la saggezza si esalta(1). Or quantunque a prima fronte rassembri,
che
la scienza di quanto può mai presentar la Mitolog
re anche le false idee, degna perciò d’essere a ragion negletta, anzi
che
studiata ; pur tutta volta una tal dispregevole c
a tal dispregevole conclusione di leggieri non si efformerà da colui,
che
di questa scienza esaminerà più posatamente i van
cessarii lumi per sviluppare quelle tante cifre, e misteriose figure,
che
in mille quadri, e tappeti trovansi alla divina f
dee de’più riscaldati Poeti ? Questi, ed altri mille sono i vantaggi,
che
risultano a noi dalle mitologiche cognizioni. E s
enze frutti di poco conto ? Acquisti da disprezzarsi ?(1) Le favole,
che
per tanti secoli sedotta tennero la infelice Gent
Dio in tal profonda oscura notte d’illusioni, ed inganni ne caddero,
che
della lor nobile origine, e beato fine confuse de
trodottosi ancora quanto mai dilettar potesse i sensi, tosto avvenne,
che
ogni sanguinoso si foggiò il suo Marte, ogni ladr
a oscurata cogniziono del vero Dio, sembra, Læt. Lib. 2 de fals. Rel.
che
abbia riconosciuto i suoi natali nell’Egitto, e n
he abbia riconosciuto i suoi natali nell’Egitto, e nella Fenicia(3) e
che
propriamente sia nato nella famiglia di Rel. Cham
orte di follia, mille altri più stolti, ed insensati Dei inventarono,
che
quivi cogli altri rinchiusero ; e così dilatando
e abbracciava gli Iddii superiori detti Maiorum Gentium, come quelli,
che
erano adorati da tutte le nazioni della terra, e
none, Cerere, Vesta, Minerva, Venere, e Diana.(1) Gli altri otto poi,
che
luogo non avevano a tal consiglio, chiamavansi or
mi non da tutti si conviene. La II classe racchiudeva tutti que’ Dei,
che
splendevano di minor gloria, e venivano considera
come il Dio Pan, Pale, ecc. La III classe abbracciava tutti que’Dei,
che
riconoscevano la loro origine da qualche donna mo
. apud Aug. Nel numero di questi erano ancora annoverati quegli Eroi,
che
a riguardo de’ loro meriti erano stati innalzati
rano annoverate tutte le divinizzate virtù, Cic. lib. 2 de Nat. Deor.
che
formate avevano i grandi Eroi, come la Prudenza e
chè il nostro scopo, come nella prefazione sta espresso, altro non è,
che
parlar soltanto degli Dei di I classe degni più d
classe degni più degli altri inferiori di maggior considerazione, non
che
delle astratte divinità, dalle quali oltre le ist
amente del Regno, con inudita crudeltà divorava tutti i maschi figli,
che
gli partoriva Opi sua moglie, come divorato avreb
e’passati crudeli tratti di Saturno suo padre, nonche della congiura,
che
contro di se novellamente machinava, con arte aff
e La prima dunque di queste battaglie fù al riferir di Esiodo quella,
che
ei sostenne contro i Titani, i quali in forte leg
o a combatterlo per vendicar quei dritti di preferenza, e di dominio,
che
ad essi erano stati usurpati (stante che il regno
di preferenza, e di dominio, che ad essi erano stati usurpati (stante
che
il regno di Titano ceduto a Saturno à figli di co
quindi collo stesso coraggio a pugnare col resto degli altri giganti,
che
si affaticavano a soprapporre monti a monti con f
ne metamorfisi però perche menano a corrompere la fantasia piuttosto,
che
ad illustrare l’ intelletto in necessarie cose, p
i, ove venne egli con special culto adorato, o da qualche sua azione,
che
fra le altre più singolarmente brillava. Io però
, e da Babilonosi chiamato venne Belo, col nome appunto di quel Belo,
che
, come dissimo, il primo fù ad introdurre l’idolat
o da Sabini, e finalmente Quirinus, , , , , , , Optimus. Nomi,
che
spesso leggonsi nei Poeti, e negli Storici(1). S
ti erano il faggio, e la quercia, e tanto era il rispetto per questi,
che
si giunse pure a credere aver essi la facoltà di
lasciar unicamente al lettore la libertà di seguire quelle opinioni,
che
maggiormente gli aggradono. Cap. II. Nettun
Sonetto I n mezzo all’onde gode il vasto Regno Il Dio Nettuno,
che
dà legge al mare, Porta il tridente per mostrar l
lle Ninfe dette Driadi, Amadriadi, Naiadi, Oreadi, e Nereidi, secondo
che
presedevano a boschi, prati, fonti, monti, e mare
ocenti piaceri di questo matrimonio, come neppure di due altre mogli,
che
successivamente si prese dette Venelia, e Salacia
esclusivo. Gli Dei chiamati a dirimere tal controversia decretarono,
che
quella parte, che per propria virtù prodotto aves
i chiamati a dirimere tal controversia decretarono, che quella parte,
che
per propria virtù prodotto avesse la cosa più van
Olivo. Tai produzioni discusse dagli Dei vuotanti fù per essi deciso,
che
Nettuno ceder dovea in tal causa a Minerva, qual
, nella parte inferiore simili a pesci, scorrendo con tanta velocità,
che
pareva volare sulla superficie delle onde, come l
accompagnato da tutte le divinità marine, e preceduto da Tritoni,(1)
che
animavano le loro trombe con eco sonoro delle con
ome cel descrive Stazio… Triplici telo iubet ire iugales, ne avvenne,
che
egli fù creduto ancora il Dio governatore de’ nav
ati, ed oscuri nel mese di Agosto, come si pretende, ed altre quelle,
che
facevansi in onor di Nettuno con sacrificii di to
dare all’uom spavento, e lutto. A far säette crudelmente istrutto Par
che
dal suo destin fù dichiarato ; Giove per esso vie
Mirabili veramente furono le avventure di questo Dio, mentre pare,
che
le stesse disgrazie, alle quali fù soggetto fin d
to, e deforme comparve fin dal primo punto alla vita. Quindi avvenne,
che
tanta bruttezza tollerar non potendo di buon geni
lopi(1) uscir fece dalla sua Caverna pezzi di opera si ragguardevoli,
che
riscossero del pari la maraviglia degli Dei, e de
lle, lo scudo di Ettore, le armi di Enea, e mille altri capi d’opera,
che
per soddisfare a diverse richieste ei si compiacq
. Ingrato però dimostrar non si volle il buon Nume verso quel padre,
che
un dì troppo barbaro dimostrato si era con lui ;
nelle sue antiche battaglie coi giganti ? Non furono i suoi fulmini,
che
atterrarono quei mostri infelloniti ? Che meravig
che atterrarono quei mostri infelloniti ? Che meraviglia fia dunque,
che
tanta grazia perciò presso di quello acquistossi,
lia fia dunque, che tanta grazia perciò presso di quello acquistossi,
che
niente sgomentato di sua natìa bruttezza ardi dom
atìa bruttezza ardi domandargli la saggia Minerva per sposa ? Vero è,
che
vane riuscirono le sue pretenzioni ; non però ciò
vvenne per parte di Giove renitente, ma per cagion della pretesa Dea,
che
gelosa della sua amata castità sdegnosetta rifiut
, fra mitologisti non si acconviene, ad eccezione del solo Erittonio,
che
comunemente gli viene attribuito. Del resto la fa
Del resto la favola hà sempre riguardati per suoi figli tutti coloro,
che
celebri si resero nell’artc di lavorare ferri, ra
al suo invidiabile impiego. Suoi nomi. Questo Dio oltre il suo nome,
che
abbastanza il distingueva, stant ecchè al dir di
martello alla dritta sua mano, colla tenaglia nella sinistra, e quel,
che
è più bello, svisato, e storpio ad ampi i suoi fi
visato, e storpio ad ampi i suoi fianchi, sicche ben disse chi disse,
che
la sua figura derogava non poco alla sua maestà.
edificare al parer degl’ auguri fuori le mura, convenevole sembrando,
che
in mezzo all’abitato star non dovesse il tempio d
o star non dovesse il tempio dedicato al gran Dio del fuoco. L’altro,
che
credesi edificato da Tazio, stava dentro i recint
onsiderabili però furono le cosi dette Lampadophores per le fiaccole,
che
si portavano da campioni accorsi a celebrar tali
he si portavano da campioni accorsi a celebrar tali feste, con legge,
che
colui, cui correndo smorzavasi la fiaccola, dritt
endo smorzavasi la fiaccola, dritto più non avea alla corsa, e colui,
che
ceduto aveva altrui nel corso, in segno della per
suo piacere l’effetto. Diede quindi a suo tempo alla luce un bambino,
che
sebbene d’un origine si gentile fosse parto ; pur
gine si gentile fosse parto ; pur tanto terribile, e fiero addivenne,
che
il solo suo nome riempiva di spavento ogni cuore,
tenuto. Sua contesa con Nettuno. Celebre fù la quistione, e la lite,
che
ebbe questo Dio col suo zio Nettuno. Egli per vin
se Marte le sue ragioni, cosi attempatamente giustificò la sua causa,
che
per giudizio della più sana parte di quei giudici
giudici ne venne onorevolmente assoluto. Da un tal successo ne venne,
che
quel luogo d’indi in poi fù chiamato la collina d
le nozze, e perciò nessun’altra si elesse per sposa, fuorchè Nerione,
che
nel Sabino linguaggio significa forza, benchè per
ali presedeva riconosciuto fù questo Nume. Ei chiamavasi Mavors nome,
che
secondo Varrone indica magnificenza d’imprese, qu
ta : Ab hastae vibratione. Nominavasi finalmente Quirinus da quiris,
che
significa lancia, per cui i Romani si dissero Qui
gallo qual simbolo di vigilanza al suo fianco, preceduto dalla fama,
che
con spaventevole mormorìo ne annnnziava da per tu
, feste in suo onore, e culto ; benchè forse non minore era il culto,
che
da’ Romani a lui si prestava, si per amore del lo
to, che da’ Romani a lui si prestava, si per amore del lor fondatore,
che
per timore delle loro battaglie. In suo onore inv
ificii a questò Nume, non altra vittima svenar si dovea in suo onore,
che
sol quella, di cui prendevasi piacere ; quindi il
indi il toro, il verre, l’ariete, il cavallo quelli appunto si erano,
che
da religiosa destra si apprestavano a suoi altari
sero stati a Marte graditi, può congetturarsi dalla generale ragione,
che
assegna Latt. lib. I de Fals. Rel. Cioè, che ad o
dalla generale ragione, che assegna Latt. lib. I de Fals. Rel. Cioè,
che
ad ogni Dio per quanto era possibile deputavasi u
e appunto si era, potendosi applicare a tal proposito quella ragione,
che
porta Ovidio nell’ enarrar la causa, per cui il s
e, furbo, e astuto Col caduceo in man, col piè veloce, Che vola allor
che
passa, e resta muto Qualunque nel parlar abbia pì
lante consociata con Giove, si grazioso comparve nelle sue sembianze,
che
Giunone tuttochè dignitosa rapita dalla sua rara
se ad abbracciarlo, e si degnò di somministrargli il suo latte(1) dal
che
forse ne avvenne, che egli intempestivamente acqu
si degnò di somministrargli il suo latte(1) dal che forse ne avvenne,
che
egli intempestivamente acquistò tal’ ammirabil vi
mpestivamente acquistò tal’ ammirabil vigorìa di spirito, e di corpo,
che
di poche ore appena nato d’una morta testuggine t
e mani un caduceo ornato da due attorcigliati serpenti, per dinotare,
che
siccome al tocco di sua verga i due colubri duell
orre in nuovi corpi, giusta la dottrina della Metempsicosi, le anime,
che
compiute avevano negl’Elisii campi il prefisso lo
rodi è nominato Dio de’ ladri : perchè abile a conciliare si gli Dei,
che
gl’ uomini fra loro, ambasciator di pace s’appell
oi figli. Quali siano stati i figli di questo Dio, con parsimonia par
che
ne scrisse la Mitologica penna. Tolto Ermafrodite
parsimonia par che ne scrisse la Mitologica penna. Tolto Ermafrodite,
che
ebbe da Venere, come dimostrano le stesse parole
ità non si scorge. Poco verisimile per altro sembra, come questo Dio,
che
per ragione delle sue occupazioni sempre aggirava
sioni più belle, non abbia ancor commesse le sue galanterie. Sia però
che
le stesse facende col sottrargli il tempo, avesse
avessero del pari distolti da queste cose i suoi pensieri, oppur sia,
che
come invaghito de’ furti di robe, brigato non sia
si de’ furti di onore, io non oso, ne posso di esso affirmare quello,
che
la favola istessa di lui non disse. Suo culto. R
ta l’antico costume de’ Megaresi. Famiglia inoltre in Roma non v’era,
che
privatamente ancor non l’onorasse, mentre avendo
venture assai spesso inseguire i più rinomati Eroi, e miriam sovente,
che
chi per qualche dono di natura infra gli altri si
imilmente si rivolse contro Niobe, regina di Tebe, moglie di Anfione,
che
superba per la numerosa sua prole sprezzato aveva
e sprezzato aveva di lui la madre Latona fino a frastornare le feste,
che
facevansi in suo onore, ammazzandole a colpi di f
Peneo, la quale burlandosi de’suoi amori fin a tal segno lo spregiò,
che
benchè da lui dopo lungo cammino presso la sponta
ormata in alloro da suo padre istesso da lei chiamato in soccorso,(1)
che
vittima addivenire degli ardenti suoi amori. Le s
a Bolina, mentre questa amò più tosto abbandonarsi nel seno del mare,
che
nelle braccia lasciarsi dell a passione di lui, c
el seno del mare, che nelle braccia lasciarsi dell a passione di lui,
che
in sembianza di tenero amante l’era apparso. Leuc
seppellire la figlia Leucotoe, restando perciò si addolorato Apollo,
che
non potendo salvarle la vita, la cambiò in segno
intanto questa sposa trasse al suo fianco sì Climene figlia di Teti,
che
Coronide figlia di Flegia, da cui ebbe in figlio
he Coronide figlia di Flegia, da cui ebbe in figlio quell’ Esculapio,
che
istruito nell’ arte medica da Chirone sì valente
istruito nell’ arte medica da Chirone sì valente in quella addivenne,
che
valse a richiamar alla vita Ippolito figliuol di
premure della gran dea Diana. Sue dissavventure. Un tal figlio però,
che
riuscir dovea pel padre un bel motivo d’allegrezz
ndo pei furti dell’ astuto Mercurio locò la sua opera (non altrimenti
che
fece Nettuno) a Laomedonte Re di Troja per la gra
r vendicarsi costui dell’ ingiuria ricevuta da Epafo figlio di Giove,
che
detto gli aveva di non esser egli figlio di Apoll
genitore a tal dimanda, ed imprese a distorglierlo con quelle parole,
che
gli mette in bocca Ovidio Magna petis Phoeton, e
io ai giusti motivi chiese l’adempimento del giuramento già fatto. Ma
che
All’ accorgersi i cavalli della inesperta mano in
uesti ben presto con fulmine rovesciò nell’ Eridano l’audace Fetonte,
che
morendo lasciò al padre in sua vece una novella e
strieri con bionda capellatura fluttuante sul capo con atteggiamento,
che
annunzia la sua grandezza divina, con pace inalte
i costumi, e si nobilita l’ umanità ? Da tanti buoni effetti adunque,
che
la gentilità delirante credeva ricevere dalle man
Sonetto G iunto a Giove germana eletta figlia D’opi funesta,
che
pur regna in Cielo, Che per l’ aria talor da noi
ta non fosse stata il bersaglio dello stesso vertiginoso suo genio. E
che
altro invero bramar più poteva per esser felice ?
degno Io, Europa, Danee, Semele, Latona, Alcmene, ed altre molte Dee,
che
ella afflisse non poco, sol perchè amate con tene
on s’ arrossiva di commettere atti di umiliazione i più denigranti. E
che
in vero non fece per vendicarsi degli oltraggi, c
più denigranti. E che in vero non fece per vendicarsi degli oltraggi,
che
ella credeva d’ aver ricevuti da Trojani si per l
fanni avesse con furia diventi annegata nelle onde la nazione odiata,
che
nell’ Italia portavasi con intenzione di fissar q
scere agli Dei, ed agl’uomini quanto efficace il suo potere si fosse,
che
dubitata non avea di gareggiar collo stesso suo m
corsero a prestarle soccorso ; vano però fu il lor potere. Colui sol,
che
n’ era stato il molto industrioso Fabro esserne p
lora ben servendosi della occasione non pria stese le mani all’ opra,
che
la povera madre non gli avesse promessa, non osta
quali in gran vigore era il suo culto. Fù chiamata Cingola dal cinto,
che
solito era portarsi dalle spose nell’andare a pre
motivo ancora dicevasi Iuga, cioè Dea de’matrimonii. Dalla cura poi,
che
aveva dei bambini, che uscivano alla luce fù chia
Iuga, cioè Dea de’matrimonii. Dalla cura poi, che aveva dei bambini,
che
uscivano alla luce fù chiamata Lucina, e per la s
Calende però d’ ogni mese furono sempre in suo onore, non altrimenti
che
fù il mese di giugno, che dal suo nome credevasi
furono sempre in suo onore, non altrimenti che fù il mese di giugno,
che
dal suo nome credevasi così chiamato, come ancora
tugurio, ogni soggiorno. Sono i cultor del suo favor gl’ eredi, Ed o
che
cade il sole, o fà ritorno Regna ne campi, e all’
ue mitia terris, Prima dedit leges. Cereris sunt omnia munus. E par,
che
il nome stesso dice a tal proposito Cicerone chia
t, et altrix. Sue disgrazie. Fù questa Dea fregiata di tanta beltà,
che
gli Dei stessi restarono sorpresi dalle sue fatte
icilia dal suo zio Plutone sordo divenuto alle doglianze delle Ninfe,
che
l’affiancavano, non che della stessa Minerva, che
ne sordo divenuto alle doglianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non
che
della stessa Minerva, che dicesi presente a tal f
lianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non che della stessa Minerva,
che
dicesi presente a tal fatto, diè motivo alla sven
bis , e la fortuna incontro di ritrovar sul lago di Siracusa il velo,
che
negl’amari contrasti scappato era dalle chiome de
rano consiglio degli Dei mosso più da motivi di affetto per la madre,
che
di giustizia per la figlia non avesse deciso, che
fetto per la madre, che di giustizia per la figlia non avesse deciso,
che
sei mesi passasse Proserpina con Cerere sua madre
arla. Vittima delle sue vendette divenne invero il fanciullo Stellio,
che
per essersi scioccamente burlato di essa, che sta
o il fanciullo Stellio, che per essersi scioccamente burlato di essa,
che
stanca dal cammino, ed oppressa dalla sete con av
iante in un bosco a lei sacro fù punito con fame di sì strana natura,
che
ad onta di qualunque quantità di cibi non poteva
di qualunque quantità di cibi non poteva mai saziarsi, e non ostante
che
Metra sua figlia, divenuta un proteo, con mille t
gi, e di sua diffusiva bontà, corteggiata da uno stuolo di contadini,
che
festosi per le abbondanti messe a lei intorno rag
efficie della Dea simboleggiante molto al naturale i tanti beneficii,
che
prestava essa a mortali, chiaro si scorge, perchè
n veder le sue poppe soltanto gravose di latte in simbolo della cura,
che
essa ha de’ mortali può tai titoli sfacciatamente
ggi(1). Di questa festa da durare nove giorni tanta era la celebrità,
che
neppur gl’iniziati ad essa potevano da presso vag
ioè contemplatori ; soggetti però a si sacro, ed inviolabil silenzio,
che
dalla società era ben tosto bandito chiunque osav
Cap. IX. Vesta Sonetto a rime tronche. C on fiamma viva,
che
le splende al piè, Col volte pien di rigida virtù
iè, Col volte pien di rigida virtù, Divinità spreg evole non è ; Anzi
che
i n lei non può cercarsi più. Di fiori ha un sert
non è ; Anzi che i n lei non può cercarsi più. Di fiori ha un serto,
che
il gran Giove diè Ad ella quando assisesi lassù ;
più barbari fù sempre tenuta in gran conto la verginità, come quella,
che
oltremodo nobilita la condizione dell’ umana natu
ne dell’ umana natura ; in qual alta riputazione poi convien credere,
che
tenuta fosse la Dea stessa di quella ? Descrivase
in da’ primi albori tale affetto, e gelosia pel suo vergineo candore,
che
quando Giove rapito indi a poco dal suo grazioso
rame ; e quindi fatta paga de’ suoi voti, da tal entusiasmo fù presa,
che
dagl’ esterni segni di sua allegrezza facil era i
diffuse le scintille dell’innocente suo fuoco nel petto de’ mortali,
che
sentendone questi le dolci, ma possenti spinte, n
ver di essa nel cuore tai sensi di amore, di venerazione, e di culto,
che
per empio, e scellerato era tenuto chiunque ricus
i fiamme della cara sua Troja, tra gl’altri suoi più cari dei penati,
che
seco divotamente si trasse, volle, che questa Dea
ltri suoi più cari dei penati, che seco divotamente si trasse, volle,
che
questa Dea in particolar maniera l’accompagnatric
r maniera l’accompagnatrice fedele fosse de’ suoi incerti viaggi, non
che
il fabro avventuroso delle sue novelle fortune. A
roso delle sue novelle fortune. A fronte intanto di questa gran cura,
che
per tal Deità nudrivano religiosamente i Gentili,
er tal Deità nudrivano religiosamente i Gentili, qual maraviglia fia,
che
non solo intieri, e distinti tempii, ma altari an
upore se ne’ suoi tempii tanto era la compostezza de’ suoi adoratori,
che
anzicche essere animati sembravano insensibili st
Sacri recinti con immota pupilla pregiavansi di vagheggiar la fiamma,
che
bruciava in suo onore ? Qual po rtento in sentirl
suo onore ? Qual po rtento in sentirla invocata non con altri titoli,
che
con venerandi nomi di santa, di casta, e d’illiba
nte acceso il fuoco, e generoso privandosi dell’antica reggia, volle,
che
di essa un atrio si formasse da servire di soggio
ltanto al vivo espressa formava il suo tipo ; mentre le statue tutte,
che
dicevansi esser di Vesta non rappresentavano la n
dispensabil dovere i Gentili di onorar la nuova Vesta, non altrimenti
che
onoravasi l’antica, si diedero ad effigiarne in q
endo nella sinistra, detto il corno dell’abbondanza, con viva fiamma,
che
onorava i suoi piedi ; benchè in alcuni suoi ritr
hi fù Minerva. Giove credendo troppo ciecamente ai vaticinii d’Urano,
che
Meti sua moglie data avrebbe alla luce con un fan
riserbava l’impero del mondo, una bambina di tanta ; e tale sapienza,
che
avanti a se comparir dovea meglio assai d’un pare
non vide altro mezzo più espediente per ovviare il futuro suo scorno,
che
con incredibile voracità dibranare la stessa sua
allora con suo stupore uscire una bambina ben grande, e tutt’armata,
che
intorno a se addolorato per la terribile percossa
la vita di costui sta scritto, fù del suo onore si fortemente gelosa,
che
senza pietà con castighi sopraffece chiunqne non
erso di essa nell’atto di tuffarsi nelle fresche acque di Elicona ? E
che
altro significar volle quel cangiar in serpenti i
ionato Nettuno senza rispettare il sacro suo tempio ardi violarla ? E
che
altro fù il fulminar dall’alto ed infilzare a sco
nto, in cui pingevasi questa Dea ha più il terribile delle battaglie,
che
la piacevolezza delle muse. Mirasi al fianco d’un
a lancia ad una mano, con uno scudo sull’altro braccio, e coll’Egida,
che
coprivale il petto, qual forte corazza, ove dipin
sta di Medusa coverta di serpenti per capelli, giusta la descrizione,
che
ne forma Virgilio. Ægida, quae horriferam turbat
na collo. Suo culto Roma per onorar questa Dea di Sapienza, non men
che
di castità volle, che ne ciuque giorni ad essa sa
Roma per onorar questa Dea di Sapienza, non men che di castità volle,
che
ne ciuque giorni ad essa sacri detti perciò feste
gliasse ad ella. Febo, e Marte provar fatal quadrella Sol per costei,
che
dominò ogni core, Nemica di modestia, e di pudore
nti la loro stessa condizione, io non posso, ne debbo svelare quello,
che
nel seno dell’obblio merita essere ragionevolment
i intorno alle recile parti di Urano cadute nel mare ; non altrimenti
che
dal sangue dello stesso caduto a terra nacquero,
di nascita si mostruosa, e si vile, di tanta beltà comparve fregiata,
che
qual perla in guscio rinchiusa fù da Zefiri spint
olontà di Giunone, non altro nume fù astretta ad impalmar per marito,
che
il deforme storpiato Vulcano, pel quale sebbene d
con manto di porpora di diamanti trapunto, ed affibiato da uu cinto,
che
in se racchiudeva ogni grazia, seduta sù d’un car
be, mostrando un volto da piacevolezza infiorato, con mille bellezze,
che
le scherzano sul petto, col piacere, e colla Volu
e bellezze, che le scherzano sul petto, col piacere, e colla Voluttà,
che
se le agiran d’intorno fiancheggiata dai due Cupi
Voluttà, che se le agiran d’intorno fiancheggiata dai due Cupidi, non
che
dalle tre grazie, e finalmente seguita dal suo be
, perchè in Ida appunto nascose ella il giovanetto Ascanio, nell’atto
che
Cupido sotto le sembianze di quello ingegnavasi i
nome di Apaturia, ossia ingannatrice, e qual cosa invero più inganna,
che
l’amore, quale lusingando i sensi nel cuor trasme
oi strali ? fù detta finalmente Melene, cioè tenebrosa, e chi non sa,
che
le opre del sozzo amore amano la secretezza, e la
e impure fiamme da cuori ; però altra vittima offrir non le si dovea,
che
la sola colomba da essa teneramente amata,(1) e t
a,(1) e tanto si credeva affrontata se si fosse altrimenti praticato,
che
cangiò una volta in tori alcuni popoli di Cipro,
menti praticato, che cangiò una volta in tori alcuni popoli di Cipro,
che
ardirono sacrificare umane vittime in suo onore.
uo culto, o ad edificazione di sue statue convertivano quell’argento,
che
colla perdita del proprio onore venivano vergogno
ergognosamente a ritrarre ; anzi sacre a questa Dea dicevansi quelle,
che
a turpe meretricio erano totalmente rivolte, come
quelle, che a turpe meretricio erano totalmente rivolte, come quelle,
che
più da vicino ne sapeveno imitare le operazioni,
onvertitur usum (1). Cap. XIV. Diana Sonetto L a Dea,
che
cacciatrice, e Vergin casta Venne chiamata, e ins
cciatrice, e Vergin casta Venne chiamata, e insiem Diana detta, Allor
che
notte al viator sovrasta Luna nomata è in ciel be
fetta. Negli abissi tien reggia orrenda, e vasta, Proserpina si dice,
che
vendetta Soltanto agogua Enea deposta l’asta Il r
caccia col seguito di ben sessanta Ninfe figliuole dello Oceano, non
che
di venti altre verginelle, che la cura avevano de
anta Ninfe figliuole dello Oceano, non che di venti altre verginelle,
che
la cura avevano del suo campestre equipaggio ; qu
l suo candore obbligò alla più stretta, e perfetta Verginità in modo,
che
accortasi un di della debolezza di Calisto figlia
sol fuggiva le conversazioni degl’uomini, ma quelle occasioni ancora,
che
in qualunque maniera potevano svegliarle nel seno
seno l’abborrito piacere del senso. Sue vendette. Da ciò ne avvenne,
che
implacabile mostravasi contro chiunque sembravale
vertivasi alla caccia data libertà a suoi occhi di mirare questa Dea,
che
insieme colle sue Ninfe si tuffava nelle acque, v
Opi sua Ninfa ne è un luminoso attestato. Non men però del suo onore,
che
di sua purezza fù molto gelosa Diana. E che altro
n men però del suo onore, che di sua purezza fù molto gelosa Diana. E
che
altro infatti significar essa volle quando spedi
le a desertare le Campagne del re di Calidone Eneo ? Il poco rispetto
che
ebbe questi per essa nell’escluderla dalle offert
ia di Dedalione Chione senza farle più articolar parola ? La temerità
che
ebbe di attaccar con disprezzo la sua beltà fù la
re de’riposi, ne avvi pianta in selva, erba in prato, fiera in bosco,
che
non ne senta il valore. Per questi, ed altri innu
tto. Suo ritratto. La effigie di questa Dea ha più del boschereccio,
che
del Divino. Pingesi ordinariamente assisa sopra u
e quindi Colonia degli Ateniesi, e de’Ionii si nobilitò a tale segno,
che
fra le Città della Ionia, dopo Mileto, fu la più
mortal previene, Sordo agl’affanni altrui, sordo alle pene, E tutto,
che
egli vuol tutto, è preciso. Libro eterno sostien
o sostien con mano ardita, In cui scritto a carattere Divino Sta quel
che
fia di qualsivoglia vita. Alcun non giunge al fat
nque cagione, dissero i gentili il destino. Da questo pensarono essi,
che
pendeva ogni cosa, e che nessun mezzo vi era per
entili il destino. Da questo pensarono essi, che pendeva ogni cosa, e
che
nessun mezzo vi era per eluderne la forza. Quindi
ogni cosa, e che nessun mezzo vi era per eluderne la forza. Quindi è,
che
domandato un dì Talete qual cosa fosse la più ins
i Dei : onde in più luoghi i poeti ci descrivono le loro querele, non
che
i lamenti dello stesso Giove, così in Lucano : M
Giove, così in Lucano : Me quoque fata regunt. Da ciò intanto si fù,
che
disperando i. gentili di commuovere la inflessibi
inioni. A mio credere più plausibile sembra il parere di chi afferma,
che
la prosperità dell’empio, e la infelicità del giu
venti, di leggieri s’indussero a credere tal’inevitabile fato. E par,
che
il ritratto istesso, che ne fecero più da vicino
ssero a credere tal’inevitabile fato. E par, che il ritratto istesso,
che
ne fecero più da vicino ci scnopra il loro ideato
tto istesso, che ne fecero più da vicino ci scnopra il loro ideato. E
che
altro vollero essi intendere col pingerlo tutto t
perchè non era mai da piegarsi a qualunque siasi prece, e sospiro ? E
che
altro pretesero col pingerlo bendato, se non che
prece, e sospiro ? E che altro pretesero col pingerlo bendato, se non
che
la sola nccessità aveva nel suo governo per guida
ato, se non che la sola nccessità aveva nel suo governo per guida ? E
che
altro dargli nelle mani quel libro, ove scritte e
i nelle mani quel libro, ove scritte erano le sorti di ognuno, se non
che
ad onta di qualunque circostanza il tutto avvenir
a il tutto avvenir dovea, come appunto stava quivi descritto ? Vero è
che
i Dei avevano la facoltà di leggere in quel libro
i squarci si spiegano non pel fato detto il destino, ma per la forza,
che
in se serba la natura di produrre questo, e quell
l di Virg. Æneid. 4. Nam quia nec fato, merita nec morte peribat, non
che
quel di Cicerone in 1. Phil. Multa autem impender
tirpe altera, Fabro d’ogn’avvenir, d’ogn’possanza : Il Nume è questo,
che
ogni Nume avvanza, Da cui vien la genia, che in C
anza : Il Nume è questo, che ogni Nume avvanza, Da cui vien la genia,
che
in Ciel impera. La sua possanza un dì troppo seve
la genia, che in Ciel impera. La sua possanza un dì troppo severa Par
che
a figli togliesse ogni speranza, Ebbe primo nel c
di Titea, si indocile si dimostrò nei consigli, sì fiero nei tratti,
che
non sol si fè usurpatore del Regno dovuto a Titan
armata sorprese lo stesso suo padre, e devirollo. Quello stesso però,
che
fece egli a suo padre fatto gli venne da uno de’
, gli incivilizzò in modo i sudditi, gli benedisse in guisa la terra,
che
fra quelli ammirossi una inalterabile pace, e nel
ebant (1) Suo ritratto. La sua immagine però ha più dell’orribile,
che
del di lettevole. Rappresentasi egli qual grinzo
corso sempre uniforme, e costante. Singolari furono si nelle offerte,
che
nel modo di ofrire i sacrificii istituiti in onor
rchè si deliziava non poco del sangue umano, perciò non altra vittima
che
umana gli si doveva sacrificare sugli altari, ove
ri Dei del tutto sua propria(1). Sue feste. Celebri furono le feste,
che
dal suo nome vennero dette Saturnali istituite o
pace, e della guerra, Che sa riunir in lui speranza, e tema. Egli fa
che
il mortal vacilla, e trema Quando le porte del fu
furor disserra, E quando il sacro olivo innalza, e afferra. Ê cagion,
che
il mortal di più non gema. Accoppia in lui due be
razione e sviluppo Chi fù Giano. Se è vero, come pur troppo lo è,
che
le opere di beneficenza, e di pietà assomigliano
trono renderonsi tributaria la benevolenza di quel Nume a tal segno,
che
in grazia di costui non sol vide egli nel suo reg
ese. Stabilita così la sua fortuna l’incomparabile Giano ben sapendo,
che
la vera gloria, e la perenne felicità per dono de
ottime qualità ammirando i sudditi spettatori per un Nume più tosto,
che
per loro Re lo canonizzarono benchè ancor vivo.
ivo. Suo ritratto. Molto indicativo delle sue qualità è il ritratto,
che
la Gentilità ne costrusse. Rappresentavasi egli a
e del futuro, di cui in grazia del detto Nume andava egli fregiato ;
che
se talvolta con quattro facce raffigurato si mira
gurato si mira, presa è l’allegoria dalle quattro stagioni dell’anno,
che
sotto la sua protezione scorrere comunemente si c
pace, ed aperto soltanto nelle circostanze di guerre ; onde avvenne,
che
in lode di qualche vincitore Romano soleasi dire
Gl’uomini, e i Numi a rea battaglia sfida Flagello del mortal fin da
che
nasce. Cieco chi il siegue a precipizio guida, Eg
cipizio guida, Egli è tormento all’uom fin dalle fasce : Folle colui,
che
a un Nume tal si fida. Dichiarazione e svilup
Dichiarazione e sviluppo. Fra i tanti moltiplici diversi Dei,
che
finse la delirante Gentilità Nume non avvi al mon
o scppe il cielo, ove inoltrando appena la incontrastabile sua forza,
che
già mosse a tumultuosa discordia tutti ad un trat
rilegato in terra un tal seducente Nume a fargli mietere quelle pene,
che
seminato aveva nel Cielo, non avrebbero al certo
a chi mai spiegar potrà le tante sue causate ruine ? Virtù non vi fù,
che
dal impetuoso suo soffio non fosse restata abbatt
al impetuoso suo soffio non fosse restata abbattuta ; mente non evvi,
che
da vezzosi suoi diletti non fosse rimasta infatua
vezzosi suoi diletti non fosse rimasta infatuata ; cuore non mirossi,
che
da dolci suoi strali non fosse stato corrotto. Co
ietro al suo carro portò superbo incatenato ogni cuore. Quindi si fù,
che
in ogni tempo non mentitrice la fama assordò la t
n tal figlio appena nato. A questa quindi attribuir si deve la colpa,
che
per sottrarre al giusto sdegno del regnator dell’
ue carezze gli daranno la morte, e tutto odio alfin trovera quel Dio,
che
amore con delce voce egli appella. Cap. XVII.
sè stesso a soffrir non è bastante. Si cruccia, si addolora, e avvien
che
morda I labbri spesso nel dolor caduto, E co’ mug
Chi fù Plutone. Riconobbe Plutone da Saturno, e da Opi non altrimenti
che
Giove, e Nettuno suoi germani fratelli gli alti g
el suo ammirabil potere su i morti Dea in sorte incontrar non poteva,
che
accettato l’avesse in marito. La sua deformità, l
penurie quivi galleggianti erano i giusti motivi dei villani rifiuti,
che
di tratto in tratto dalle pretese Dee riceveva, e
erpina con infame ratto attirata non avesse al suo seno, io mi credo,
che
scompagnato, e solo rimasto sarehbe perpetuamente
l’orrore ? Orrore formavano i tre giudici Minosse, Eaco, e Radamante,
che
là nel campo della verità fra il tartaro, e gl’El
evano le tre furie Tisifone, Megera, ed Aletto dette Erinni da Greci,
che
aggirandosi intorno al trono del lor Sovrano scar
a delle prescritte sentenze. Orrore presentavano i miseri condannati,
che
in diversi, ma severi modi dilacerati, e trafitti
o antiche reità, ripetendo con singhiozzi ne’ loro tormenti le parole
che
li mette in bocca Virgil. Eneid. 6. Diseite iusti
mnere Divos. Orrore facevano le tre parche Cloto, Lachesi, ed Atropo,
che
tutto di aggirandosi intorno al ministero del tre
Orrore finalmente recava quel cerbero custode del tartareo ingresso,
che
impugnando le tre terribili sue teste armate di a
nell’altra le terribili chiave, dette le chiavi della morte in scgno,
che
nessun del suo regno disserrar mai più poteva que
ic labor est. Virg. Æneid. 6. Suoi sacrificii. Il timore più tosto,
che
l’affetto sembra aver spinti i mortali a far sacr
oglie coronato Senza provar dolor scherza sovente Con due gran tigri,
che
gli sono allato. Conforto dell’afflitto, ed impot
la gelosia sia il fomento d’ogni fallo, chiaro può scorgersi da quel,
che
avvenne a Semele disgraziata madre di questo Dio.
le disgraziata madre di questo Dio. Mal soffrendo l’iraconda Giunone,
che
Giove suo fratello, e marito spesso con questa di
alle materne sventure avrebbe quegli pria chiusi gl’occhi alla morte,
che
aperti li avrebbe alla vita. Scorgendo impertando
turo impietosito aprì una sua coscia, e quivi l’inchiuse fino a tanto
che
giunto non fosse alla perfezione richiesta. Tratt
nde questo Nume diè troppo chiari segni di sua arditezza si in cielo,
che
in terra ; ivi nel combattere coraggioso contro i
stesso in soccorso : benchè per altro si generoso portossi co’vinti,
che
sembrò averli conquistati con animo più tosto di
vinti, che sembrò averli conquistati con animo più tosto di giovarli,
che
di recarli alcun male. Sue vendette. Tali viscer
vendetta. I frutti di sua collera sperimentò e un Penteo Re di Tebe,
che
per aver impedito le sue feste fù dalla Madre ist
r cagion di questo Dio infuriata miseramente trafitto ; e le Meneidi,
che
per aver lavorato nel giorno delle sue feste, ebb
or forma col divenir pipistrelli ; e finalmente un Licurgo di Tracia,
che
per aver voluto distruggere le viti sacre a quest
so, e grappoli di matura uva additando nell’altra. Da ciò ne avvenne,
che
le Baccanti nel sollennizzar le sue feste al par
e sue feste al par del lor Dio si adornavano si della pelle di tigre,
che
del fresco tirso ; onde dalle esterne insegne, e
egge con maniere accorte. Colla materna man sparge ogni bene, Di ciò,
che
vive ella si fà sostegno, E tutti toglie all’aspr
lla l’avventurata madre della maggior parte degli Dei i più gloriosi,
che
abbia veduto l’olimpo, detta perciò Mater Deum :
arii corpi, come non pingere assisa su ben ordinato carro quella Dea,
che
per la terra istessa comunemente fù presa ? Se fe
a, che per la terra istessa comunemente fù presa ? Se ferocia non fù,
che
dalle sue tenerezze non fosse stata’già vinta, co
. Poco convenevoli però erano alla maestà di questa Dea le cerimonie,
che
precedevano, e seguivano i sacrificii della troia
seguivano i sacrificii della troia, del toro, e della capra animali,
che
svenar si doveano nelle Megalesie feste in suo on
me Almone la sua statua detta venne Lavazione. Gli osceni canti però,
che
non saprei dire se per onore, o per profanazione
to aspra Regina, Che la sua possa dispietata impiega Contro l’abisso,
che
discioglie, e lega, E spesso avvolge in più fatal
i fù Proserpina. Nata essa da Giove, e da Cerere altro affetto parve,
che
non nutrisse nel seno, che il solo deliziarsi di
da Giove, e da Cerere altro affetto parve, che non nutrisse nel seno,
che
il solo deliziarsi di fiori, e perciò ben sovente
e spiagge. Vide quivi con suo piacere un drappello di vaghe donzelle,
che
deliziavansi in raccogliere diversi fiori in quel
qualità di sposa sul trono(1). Scorgendo impertanto l’addolorata Dea,
che
tutte le premure dell’afflitta Genitrice altro in
ll’afflitta Genitrice altro in tutto non le avevano potuto impetrare,
che
una dimezzata libertà, come cel descrive Ovid. Et
cendo di tratto in tratto l’a more divenne al fine di esso sì gelosa,
che
ravvisandolo con soverchia parzialità trattar col
utta penetrata da sentimenti di orgoglio, e di fierezza a tale segno,
che
nell’essere agitata dalle sue furie aggiungeva st
iffuso era il culto di questa Dea. Il più speciale è da dirsi quello,
che
ottenne nella Sicilia sotto il titolo di fecondat
sotto il titolo di fecondatrice della terra, e tanto era il rispetto,
che
quel popole nudriva per essa, che il giuramento d
lla terra, e tanto era il rispetto, che quel popole nudriva per essa,
che
il giuramento dato in suo nome non solo era il pi
a il più solenne, ma il più inviolabile ancora, sicche la sola morte,
che
vale a rompere ogni ligame, poteva esimere delle
atamente lo neghi. Le ammirabili sue qualità, ed i prodigiosi effetti
che
sotto le diverse sue specie ne’ mortali mirabilme
nder di leggieri all’alto monte della immortalità, e della gloria. Ma
che
il vizio poi degno sempre di vitupero, e d’infami
il vizio poi degno sempre di vitupero, e d’infamia si per sua natura,
che
per le funeste sue conseguenze fosse stato da que
o le diverse sue forme, io al certo non l’intenderei se non pensassi,
che
non forza di amore, ma il timore forse di essere
ossequio. Capitolo I. Verità Sonetto C hi è mai costei,
che
eterna maraviglia Desta nell’alma, e l’incoraggia
araviglia Desta nell’alma, e l’incoraggia, e guida ? Chi è mai costei
che
ogni periglio sfida, E nel sembiante agli Angioli
glio sfida, E nel sembiante agli Angioli somiglia ? Chi è mai costei,
che
la ragion consiglia, Nuda del tutto, e in pochi c
onsiglia, Nuda del tutto, e in pochi cor s’annida ? Chi è mai costei,
che
ad un cristallo affida Le proprie forme, e al ret
ffida Le proprie forme, e al retto sol s’appiglia ? Chi è mai costei,
che
da ciascuno odiata Se stessa a palesar giammai no
rezzata. Che del par lieta in calma, ed in tempesta Figlia del tempo,
che
l’aspetta, e guata. Sappi mortal, la Veritade è q
ua semplicità, e schiettezza. Porta in mano uno specchio per additar,
che
essa non può esser guardata, che da se stessa sol
ta in mano uno specchio per additar, che essa non può esser guardata,
che
da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, c
ò esser guardata, che da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo,
che
aspetta, perchè al solo tempo si appartiene scovr
olo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale, al par del sole,
che
può essere intercettato, ma non mai suffocato dal
oce a lui presente, Nè pur cangia del volto i bei colori : Dà il pan,
che
mangia in bocca al rio serpente, Quindi scherza c
ceettuati i bambini con poche anime avventurate per la divina grazia,
che
le cinge, e sostiene, un tal candido giglio oggi
o si serba ? Che poi il detto fanciullo si pinge presso orrido Drago,
che
con mano di amore del proprio pane alimenta, ques
di amore del proprio pane alimenta, questo troppo chiaro ci scuopre,
che
la innocenza non sa temere perigli ad onta d’ogni
nza, bisogna pur non perderci di animo nelle comuni sventure, ma far,
che
siccome il disordinato affetto ce la tolse, un be
di essa, ed operi sempre a tenore de’suoi dettati se non vuol trovar
che
temere nel dì de’suoi conti. Prenda dunque in buo
ies propitiationem. Capitolo IV. Pace Sonetto D onna,
che
vince i pregi di Natura, Che porta al crin serto
zze a dismisura, Che fanno della terra ampio ristoro. Nell’altra man,
che
spinge all’uom sicura Porta l’olivo con gentil la
scorno d’ogni sinistro accidente non fa provar disturbo a quel cuore
che
caramente l’alberga. Le ricchezze poi, che versa
ovar disturbo a quel cuore che caramente l’alberga. Le ricchezze poi,
che
versa con una mano, e l’olivo, che porge graziosa
mente l’alberga. Le ricchezze poi, che versa con una mano, e l’olivo,
che
porge graziosa coll’altra sono i simboli di quei
graziosa coll’altra sono i simboli di quei veraci, e permanenti beni,
che
la stessa nel mondo sa mirabilmente produrre. Da
perchè essa è nel mar della vita un’ abil nocchiere. La cicogna poi,
che
fingesi tener stretta a suoi piedi manifesta ben
el naturale gentil suo genio nel carattere appunto di questo uccello,
che
sempre più sollecito vive nell’allevare i suoi fi
e sempre più sollecito vive nell’allevare i suoi figli. Or se è vero,
che
la pietà al dir di Cicerone 2. de orat. Offre seg
can svelto, e giulivo. Tien nell’altra una picca, e l’occhio vivo Par
che
penetri il core, e in quel favella Nella semplici
dolce piacer le sue ritorte. Da leï ogni virtù mortale impara Questa
che
rende appien dolce ogni sorte E fedeltà che al mo
rtù mortale impara Questa che rende appien dolce ogni sorte E fedeltà
che
al mondo d’oggi è rara. Annotazioni. Molto
di ulivo perchè la sola fedeltà vince ogni ostacolo. Lattortora poi,
che
stringe nella mano ed il cane che costane si tien
ince ogni ostacolo. Lattortora poi, che stringe nella mano ed il cane
che
costane si tiene dietro i suoi passi son verament
ata si scorge tutto é per far fronte alla menzogna, ed alla calunnia,
che
la vorrebbero conculcata, e depressa. Ma oh nostr
bella gioia in quanti cuori ricetta ? Io nol sò ; sò però assai bene,
che
Salomone nè Proverbii al 20 quasi sbalordito a ta
a qual Sol dell’ali cinta Fugace, ma la segue il mondo tutto, Sembra,
che
al ben d’ognun si mostri accinta ; Ma non ascolta
vita, primo, ed ultimo conforto degli uomini pingesi qual vaga donna,
che
con una mano spinge ognuno ad ogni benchè ardua i
nge ognuno ad ogni benchè ardua impresa ; perche la sola speranza fa,
che
vadino in nanzi, e proseguano costanti nelle loro
proseguano costanti nelle loro opre i viventi. Quel vaso vuoto però,
che
nell’altra mano ella stringe oh quanto vale a dis
to vale a disingannarci, mentre un tal simbolo troppo chiaro disvela,
che
essa molto promette, e poco, o nulla concede. Se
la, che essa molto promette, e poco, o nulla concede. Se è vero però,
che
solo chi in Dio spera non resta giammai confuso,
speranze negli uomini fallaci, ma sol confidare in quel Dio verace e
che
à suoi confidenti promette con infallibil parola
enti lumi Vittima geme di fatal dolore Presso una rea prigion sembra,
che
muore Ancorchè invoca indarno vomini, e Numi. Ver
ondo i rei costumi. E per mostrar d’amor l’opra più bella Al vecchio,
che
per fame è fatto un gelo In bocca dà la filïal ma
on sì nobil zelo, Mortal la mira, e dì a ciascuno è quella La carità,
che
sol si trova in Cielo. Annotazioni. Le dot
ontristata donzella piangente alle carceri del disgraziato suo Padre,
che
col proprio latte nudrisce per prolungargli la vi
iunque hà letto nelle istorie romane un tal fatto. La esperienza poi,
che
molto chiaro si scuopre qual poco conto oggi si f
è stata la ragione, per cui nella morale del sonetto si è conchiuso,
che
essa nel cielo soltanto riconosce il soggiorno. Q
que ognun nel cuore si necessaria virtù, ricordandosi sempre di quel,
che
scrisse agli Ebrei al 13. l’Apost. S. Paolo : Car
ordin bello Non inganna d’alcun mai la speranza. Providenza è costei,
che
fa sereno L’uom, che con essa ogni travaglio sfid
na d’alcun mai la speranza. Providenza è costei, che fa sereno L’uom,
che
con essa ogni travaglio sfida, Chè il materno suo
versale suo governo ed impero ? Or se tanto seppero ideare i Gentili,
che
poi, dobbiamo noi dire della providenza di quel D
is. 1. Petr. ? Capitolo X. Amicizia Sonetto D onna,
che
abbraccia un sempre verde alloro, Che alla sinist
rte proterva ; Ecco l’emblema di amicizia vera, Che ognun la vanta, e
che
nessun l’osserva. Annotazioni. L’alloro, e
l di Salomone Prov. 20. Virum fidelem quis inveniet ? Se è vero però,
che
Dio non teme chi il prossimo con sincerità non am
si bella virtù tanto da Dio inculcata per essere così amici di colui,
che
disse Ioan. 15 Vos amici mei estis si feceritis,
La misericordia virtù veramente divina pingesi in figura di donna,
che
preme la destra sua mammella in bene degli altri,
. 21. Capitolo XII. Allegrezza Sonetto D onna gentil,
che
immota ognor si stà, Nè per stanchezza mai raffre
ne forma un Rè. Con la man destra un’ ancora poi fà Fissare al suol,
che
mobile non è, Chi questo bel problema scioglierà
che mobile non è, Chi questo bel problema scioglierà Scorgerà quello,
che
non trova in sè. Donzellette, e fanciulli in ogni
pronunzia il sì Tal’emblema palese or io vi fò, Allegrezza è costei,
che
in me finì Amica de’ fanciulli, e a vecchi nò.
se di giungere al desiato lor lido. La migliore, ed unica allegrezza,
che
possa assaggiare un cuore non è, nè può essere qu
llegrezza, che possa assaggiare un cuore non è, nè può essere quella,
che
risulta dal possesso de’ beni mondani, come quell
ssere quella, che risulta dal possesso de’ beni mondani, come quella,
che
sempre è mista col dispiacere, giacchè sta scritt
ore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat ; ma quella sibbene,
che
viene da Dio, onde Isaia al 6. diceva. Gaudens ga
cia amabile, e divina Spirano di contento aure serene. All’altra man,
che
verso terra inchina Hà corno eletto, che ogni ben
aure serene. All’altra man, che verso terra inchina Hà corno eletto,
che
ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso in
so terra inchina Hà corno eletto, che ogni ben contiene, Labro söave,
che
al sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dol
che ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo,
che
cinge al cor dolci catene. Spirano i gesti suoi o
o i gesti suoi ogni dolcezza, La sua voce nel cor piacer rinnova, Tal
che
in lei stà riunita ogni bellezza. Ogni contento l
ni. La felicità mostra per sua insegna il caducco, onde designare,
che
con quello essa raddolcisce, e quasi addormenta o
o ancor fisico. Addita inoltre il corno dell’abbondanza qual simbolo,
che
niente manca a chi è felice. Ma chi mai è felice
felicità ; ma di tutte una sola mi appaga, quello cioè esser felice,
che
a Dio fonte di felicità sol vive, ed in lui centr
to chiede ; Benchè talor confonda il falso, e il vero. Fama è costei,
che
ognun le presta fede, I morti, e i vivi svela al
ro. E chi amica non l’hà spento si vede. Annotazioni. La fama,
che
veloce correndo dall’uno all’altro polo delle alt
nte della verità, e della mensogna, come simboleggiano le due trombe,
che
le adattarono alle mani. Essendo dunque così proc
renda nel mondo glorioso, ed immortale il nostro nome, memori di quel
che
scrisse l’Eccl. al 41 15. Curam habe de bono nomi
alata il piè veloce Rapida muove, si presenta, e fugge, Come Meteora,
che
le selve adugge, Passa come passar suole una voce
ssar suole una voce. Crinita fronte porta, ed è precoce Il suo favor,
che
se al mortal mai sfugge Non più ritorna, e l’uomo
n modo strano. Covre questo del bene ogni sembianza, Ecco l’Occasïon,
che
l’uomo invano Che torni a voti suoi tien più sper
una crinita fronte, e tutta calva da dietro, onde ognuno avvertisse,
che
se ella fugge vano è tentar di afferrarla. Porta
Porta il rasoio, perchè con quello recide ella la speranza di colui,
che
incauto la lasciò scappare. Assai dì più mostra q
colui, che incauto la lasciò scappare. Assai dì più mostra quel velo,
che
innalza, mentre con esso velando gli occhi fa sì,
stra quel velo, che innalza, mentre con esso velando gli occhi fa sì,
che
l’uomo non ri accorga della occasione offertasi,
unque così impari ognuno a non lasciarsi fuggir di mano le occasioni,
che
presentansi atte a promuovere i suoi vantaggi, e
atte a promuovere i suoi vantaggi, e molto più quelli dello spirito,
che
unicamente importano, ricordandosi sempre di quel
dello spirito, che unicamente importano, ricordandosi sempre di quel,
che
scrisse Isaia al Cap. 55. 6. Quaerite Dominum dum
nti. Or la penna, or l’aratro, ed ora a venti Dispiega i lini, e par,
che
il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al
Non tragge mai da suoi sudor contenti. Rapido a questo, e a quel par
che
s’appiglia, Par che di tutto prende ei sol govern
uoi sudor contenti. Rapido a questo, e a quel par che s’appiglia, Par
che
di tutto prende ei sol governo Ratto così che fa
par che s’appiglia, Par che di tutto prende ei sol governo Ratto così
che
fa inarcar le ciglia. Il nemico comune in esso io
glio all’nom compagno eterno. Annotazioni Il descritto atleta,
che
in mezzo a tanti laboriosi, e diversi esercizii i
rso al cor verace inferno. Annotazioni Il carnefice più crudo,
che
dilacera l’uomo veramente è il rimorso. La imagin
l’uomo veramente è il rimorso. La imagine di questo sventurato uomo,
che
stringesi un serpe al seno, e per disperazione vu
al seno, e per disperazione vuol abbeverarsi di quel mortale veleno,
che
serba appunto in un vaso, onde compiere gli angus
sia, e con quanta ragione verace inferno si appella. Se è vero però,
che
il vero rimorso è la funesta ricordanza del male
la propria mano. Mortal rifletti a un sì fatal modello, Se vuoi saper
che
asconde un tale arcano : Collera è questa di cias
uale eccesso è capace questa belva quando è stizzita, e quel pugnale,
che
con forte braccio crudelmente ella vibra non indi
crudelmente ella vibra non indica forse ben chiaro le mortali ferite,
che
apre essa nel cuore ? Se dunque tanti danni cagio
llo di se stesso rammentandosi in qualunque dura circostanza di quel,
che
scrisse Giobbe al 5. Virum stultum interficit ira
ïa cautamente accorta. Alza un’ardente face, e il mondo intero Mentre
che
incende il suo furor conforta : Volubil ruota è a
furor conforta : Volubil ruota è a passi suoi di scorta, Ed un timon,
che
scorre il salso impero. Livida spuma il crudo lab
ola, e s’affretta Di sangue intrisa, e di veleno aspersa Miser colui,
che
nel suo sen ricetta Questa ad opre di sdegno ogno
vendetta. Annotazioni Il flagello di vipere, e la face accesa,
che
nelle sue mani stringe la vendetta ben dimostra i
do suo genio di distruggere quanto mai le si para d’avanti. La ruota,
che
le guida i passi simboleggia la prestezza del vin
del vindicativo nel compire suoi rei disegni, ed il timone dimostra,
che
essa si aggira da per tutto in mare ed in terra p
to mostro da evitarsi basta il solo esempio dell’ Imperatore Augusto,
che
al dir di Svetonio : Nihil obliviscebatur praete
raeter iniurias. Questo fatto varrebbe a confondere ogni vindicativo,
che
per dar la vinta alle sue passioni dietro si butt
tema, il lutto. Cadono a piedi suoi diverse Torme, Ecco la Crudeltà,
che
atterra il tutto ; E fra i spenti da lei tranquil
tà de’suoi colori bisogno non ha di spiegazione. Sol dunque aggiungo,
che
quella succinta, e lacera veste, di cui ella si a
era veste, di cui ella si ammanta simbolo è del bestial suo naturale,
che
laddove essa non può tormentare gli altri contro
vella Ma il suo parlar riduce a orrendo stato. Tarlo è la lingua sua,
che
il tutto rode, Raro la forza sua riman delusa, Cu
che il tutto rode, Raro la forza sua riman delusa, Culunnia è questa,
che
del mal sol gode. Della credenza altrui tiranna a
per tal cagione poi un serpe si mira escirle di bocca. L’uomo ignudo
che
seco trascina è l’emblema dell’infelice calunniat
dell’infelice calunniato. La face cinta di serpi descrive il guasto,
che
nelle famiglie essa induce. Compiangendo si dice,
rive il guasto, che nelle famiglie essa induce. Compiangendo si dice,
che
accusa, perchè è suo proprio vestire col manto de
ari ognuno ad abbominar tal mostro, se vuol essere amico di quel Dio,
che
per Geremia al 7. così si protesta : Advenae, et
ta, Che il suo deforme in ricco ammanto cele, Porta una benda in man,
che
gli occhi vela Ad ognun, cui favella assai melata
re d’ognuno cautamente guata, L’altrui virtù come delitti svela, Par,
che
teme, ed ardisce, suda, e gela Mentre il suo gran
li suoi palesa. Costei, mortale, è d’ogni mal radice, Frode è questa,
che
tien la rete tesa, E chi la scampa si può dir fel
osero i Gentili nell’esprimere la frode mercè la immagine d’un drago,
che
nascosto l’orribil sembiante sotto le dolci divis
di questa più espressiva per indicar la rea qualità de’ fraudolenti,
che
con bel garbo, e dolci lusinghe eseguono i loro i
e dolci lusinghe eseguono i loro infernali disegni ? Se è vero però,
che
le labbra ingannatrici son l’abbominio di Dio Pro
i, Stragge, e rüine annunzia in tutte l’ore. Porta un mantice in man,
che
desta ardore, Ed un flagel per fulminar le genti,
uria peggiore. Corre per tutto, ed infiammar procura Popoli all’armi,
che
crudel li desta, Vaga solo di pianti, e di sventu
corre presta, Tutto rivolge, e a danni ognor s’indura : Trema mortal,
che
la discordia è questa. Annotazioni. Chi no
izzare contro uno l’altro uomo ; vera madre d’iniquità ! Noi adunque,
che
figli siamo di quel Dio, che al dir dell’ Apost.
o ; vera madre d’iniquità ! Noi adunque, che figli siamo di quel Dio,
che
al dir dell’ Apost. 1. Cor. 14. Non est dissentio
ttò mai, ne vide usbergo, Ecco dell’uomo l’avversaria antica Miseria,
che
in abisso hà il proprio albergo. Annotazioni
s’intendano le triste sue conseguenze ; le altre caratteristiche poi,
che
l’accompagnano son la chiara divisa della pigrizi
nell’ Inferno, perchè quivi a poeti piacque collocarla. Vorrei però,
che
l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire
erò, che l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire la povertà,
che
al dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è
riste sue conseguenze sou troppo chiaramente dipinte. Se però è vero,
che
la morte è conseguenza della vita, impari ognuno
di togliergli la vita gliela fa cambiare in migliore secondo quello,
che
stà scritto Sap. 4. Justus si morte pracoccupatus
etti rappresentanti le stagioni dell’anno è lo stesso, a moi credere,
che
far un’ingiuria a leggitori. I diversi effetti, c
o, a moi credere, che far un’ingiuria a leggitori. I diversi effetti,
che
esse partoriscano alla natura son cosi vivamente
etti, che esse partoriscano alla natura son cosi vivamente descritti,
che
bisognerebbe occhio non avere per non ravvisarne
illanti colori. Li riffetta ognuno con avvedutezza, e poi son sicuro,
che
qualora voglia far dritto alla verità ne approver
e insiem serena Fà la gioia de’ cambi, ed è funesta Ove si volge par,
che
il ciel balena Premio, e tormento all’uom l’estad
l’ età star sul confine. Cerca le fiamme, e benche l’ hà vicine, Par,
che
da lor non puote aver contento, Avido un pan divo
fiumi a lui da presso, Sembra coverto il ciel da buio eterno, Ne par,
che
sïa il respirar concesso. Fa il vento delle piant
sci il vil profano canto, Per cui la gloria sua ne resta offesa Essa,
che
nel mortal sempre favella, Che gli solleva, anzi
m’irradia oggi la mente, Per esso io spazio tra le immense sfere Quel
che
fia, quel che fù tutto hò presente. Anzi per esso
la mente, Per esso io spazio tra le immense sfere Quel che fia, quel
che
fù tutto hò presente. Anzi per esso a chiare note
a sua gloria l’antichità di sua cuna. Quel comune progenitore invero,
che
all’ opinar di più scrittori compose ben sei cant
suè, un Davide, un Salomone, un Ezechia, un Tobia, e tanti altri, non
che
fra le donne istesse una Maria, un’ Anna, una Deb
ra le donne istesse una Maria, un’ Anna, una Debora, una Giuditta par
che
altro mezzo non riconobbero, onde svegliare sempr
tà di quest’arte i popoli orientali a tal segno n’esaltarono i pregi,
che
non dubitarono concederle finanche il potere di a
di animare i sassi, commuovere le selve, ammanzire le fiere, e quel,
che
è più abbatter finanche le stesse deità infernali
o per le arti nella umana società si distinsero. Per essa finalmente,
che
suol dare anche corpo all’ombra, vita al nulla al
un cantore in morte. Laonde fuori ragione certamente non è l’encomio,
che
le nazioni tutte con unanime consenso danno alla
a fuoco la fantasia, ed il cuore senza quei dolci, e diversi palpiti,
che
sà svegliare la sua possa. Persuadasi perciò chiu
izia nelle scienze, ed ardisce penetrar nel santuario della dottrina,
che
senza la scorta di arte si nobile, che per lui è
nel santuario della dottrina, che senza la scorta di arte si nobile,
che
per lui è il filo di Arianna nel laberinto dì Cre
l Indo al Moro, dagli abitatori del Gange sino a’ Cretini delle Alpi,
che
non senza ragione si ammira il bel genio di que’p
sità alla gioventù studiosa la poesia, ecco ben espressato il motivo,
che
mi spinse a trattarla, esponendone però non solo
se a trattarla, esponendone però non solo teoricamente i precetti (lo
che
meglio di me da molti maestri in quest’arte si è
però di venire all’ esame degli obbietti proposti ogni ragion vuole,
che
della materia poetica, non che delle sue disposiz
i obbietti proposti ogni ragion vuole, che della materia poetica, non
che
delle sue disposizioni dicasi almen generalmente
erò voglia un poeta cantando ragionare, il suo poema o lungo, o breve
che
sia di queste tre parti Esordio cioè, Narrazione,
ene una ben adatta maniera di proporre l’argomento del poema ; onde è
che
da più scrittori il proemio poetico dicesi con st
e invocarsi da poeti qualche Nume in soccorso ad esempio di Virgilio,
che
nel 1 delle Georg. Si rivolse ad alcune Deità dic
’ Eneide invocò la Musa : Musa mihi causas memora. Badi ognuno però,
che
se il canto è sagro lungi dal profanarlo con siff
duca ad imitar di leggieri il degnissimo per altro Iacopo Sannazzaro,
che
nel poema de partu Virginis, con poca avvedutezza
turale le immagini delle cose, tutto nella narrazione fà di mestieri,
che
si rifonda. Allora, allora sì offrendosi ai sensi
allora sì offrendosi ai sensi, ed all’immaginazione quel linguaggio,
che
lor conviene, rendesi il dire dilettevole, e grat
l linguaggio, che lor conviene, rendesi il dire dilettevole, e grato,
che
della poesia forma il principale obbietto, e lo s
ella poesia forma il principale obbietto, e lo scopo. L’altro pregio,
che
brillante non men, che robusto rende la narrativa
incipale obbietto, e lo scopo. L’altro pregio, che brillante non men,
che
robusto rende la narrativa sono appunto le somigl
uesti aggiungendo all’azion principale quegli avventurati lineamenti,
che
la rendono più lumeggiante, e più viva, presentan
umeggiante, e più viva, presentano co’loro risalti delle belle scene,
che
colpiscono, e commuovono mirabilmente lo spirito.
enti obietti detti episodii, in tal caso quei soli debbonsi eleggere,
che
col primario scopo abbiano una qnasi necessaria r
abbiano una qnasi necessaria relazione ; altrimenti l’ episodio tutto
che
maraviglioso sarà considerato per pregio affettat
come si lusingano alcuni, di poca, e di facil riuscita, come quella,
che
altro scopo non conosce, che restringere in pochi
poca, e di facil riuscita, come quella, che altro scopo non conosce,
che
restringere in pochi detti il maneggiato argoment
tenze più grandiose, i colpi più inaspettati quelli soltanto si sono,
che
valgono ad ottenere sicuramente l’intento. Per ac
sicuramente l’intento. Per acquistare però tutte le suddivisate doti,
che
le ricchezze sono della poetica arte, l’unico mez
utando lo scelto in sua sostanza può abbellire i suoi poemi in guisa,
che
valgono poi con gloria dell’ autore a riscuotere
re dignitomente i comuni suffragii. Diasi ognuno dunque alla lettura,
che
incomparabilmente vale più di quanti precetti pot
non mai questo tradurre a quello. Per tal errore in vero è derivato,
che
innumerabili composizioni ad onta degli sforzi de
rasi, come da lieti le tetre, da teneri le aspre ecc. ; fare in somma
che
la tessitura del verso sia sempre analoga all’ ob
ll’ obbietto, di cui si parla in tutt’ i suoi rapporti ; in modo però
che
oscuro non diventi il poema per la troppo ricerca
fuorchè nella fine del verso, le parole mio tuo ecc : non altrimenti
che
i dittonghi dovunque si trovassero come uomo, pie
ittonghi dovunque si trovassero come uomo, piede ecc : le vocali poi,
che
non lo sono, come mas stoso glorioso ecc : si pos
oso glorioso ecc : si possono prendere per una, o due sillabe secondo
che
lo richiede l’armonia del verso. Facciano inoltre
richiede l’armonia del verso. Facciano inoltre elisione delle vocali,
che
s’incontrano nella fine delle parole antecedenti
vocale incominciano le susseguenti. A quest’ultima legge però vorrei,
che
non aderissero in modo, sicchè per essere esatti
e perchè spiritoso, e vivo suggerendo all’ immaginazione più di quel,
che
esprime fà dolce violenza allo spirito, e risvegl
ino a tal segno odiarono il lungo, ed esoso ragionare degli Asiatici,
che
uno di essi con prontezza preferir volle la morte
alla lettnra di un libro diffuso non senza stupore del Re di Persia,
che
ad una di queste due pene l’aveva condannato. E n
ene l’aveva condannato. E non fu forse risposta del senato di Sparta,
che
del lungo ragionare dei Persiani ambasciatori era
unquemai non s’apprende. Dal verso sì provengono le forme di bendire,
che
allettano, le prette espressioni, che lusingano,
provengono le forme di bendire, che allettano, le prette espressioni,
che
lusingano, le vivaci immagini, che commuovono ; a
allettano, le prette espressioni, che lusingano, le vivaci immagini,
che
commuovono ; anzi tanta è stata la forza della su
gini, che commuovono ; anzi tanta è stata la forza della sua armonia,
che
per esso è stato dato moto, numero, e legge alle
per esso è stato dato moto, numero, e legge alle musicali note(1) non
che
alle regole istesse del ballo. Leggansi nel Ingle
re del verso anche presso le nazioni barbare un tempo, ed incolte. Ma
che
se magnifica pomba ne fa il Sol del melico emisfe
voci ha espresso tanto, ed ha toccato in tal modo il cuor dell’uomo,
che
tutti ne han ammirato, e ne ammireranno il porten
uò farmi impallidir Può esprimersi con maggior vivacità, ed energia,
che
l’uomo dabbene teme della colpa, non già della pe
ed energia, che l’uomo dabbene teme della colpa, non già della pena,
che
non meritò ? Qual più nobil modo di lodare senza
ebbano arrossirne e Tito, e Voi. O nel descrivere un’anima virtuosa,
che
odia la vanità, e misura se stessa, dicendo nello
tessa, dicendo nello stesso luogo citato. Più tenero, più caro Nome,
che
quel di padre Per me non v’è, Ma meritarlo io vog
logar la vita dell’uomo nel Demofoonte. Att. 3. Sc. 2. con quel passo
che
incomincia ; Perchè bramar la vita(1). Inutile sa
un uomo dal nulla innalzato alle piu alti grandezze ? Alete è l’un,
che
da principio indegno Tra le brutture della plebe
torio Alfieri nell’ Antigona giunse inoltre a tal estrema perfezione,
che
in un sol verso di 11. sillabe restrinse un quina
merabili da potersi adddurre bastano a comprovare la preposta verita,
che
dalla sola conoscenza, e pratica del verso deriva
za, e pratica del verso deriva quel sentenzioso, e mellifluo parlare,
che
padroni ci rende del cuor di chi ci ascolta. Il v
ultiamo in fatti gl’istorici monumenti, e quivi senza dubbio vedremo,
che
gli Orientali, e quindi i Druvidi, i Bardi, gli E
e strofe secondo più li riusciva commodo per spiegare quelle immagini
che
il lor genio più, o meno focoso li suggeriva alla
to ritmo degli Ebrei amanti di far pompa più d’immagini, e di figure,
che
di misure, e cadenze. Le raccolte di Celtici carm
intrecci, e ritmi compresi sotto l’ ampio genere di poesia si Lirica,
che
Epica ; restando per altro i lettori nella preven
i Lirica, che Epica ; restando per altro i lettori nella prevenzione,
che
essendo la lirica non mai soggetta a fisse leggi,
a capriccio da non poter perciò esser comprese nel presente trattato,
che
facoltà giammai non può avere di fissare il Prote
ristrettezza rare volte, e con difficoltà può abbracciare un periodo,
che
perciò si guardino i principianti di si grand’ ar
e scoglio, ma si contentino di conoscerlo soltanto per sapere di ciò,
che
la nostra poesia è capace. Eccone l’ esempio :
uò farsi rimare in più modi, ma il più tsitato è il seguente. Egeo,
che
si congeda dal figlio Teseo, che si porta al labe
l più tsitato è il seguente. Egeo, che si congeda dal figlio Teseo,
che
si porta al laberinto di Creta per combattere il
di poetici libri. Ecco intanto l’esempio in questo metro. Lucrezia
che
si uccide. Chiama i congiunti Sol vendetta L
detta La donna offesa, Voglio in tal fato E all’alta impresa Lei,
che
ha peccato Prepara il cor. Cader saprà. Ma vi
rima col quarto e tutti gli altri restano liberi come. Epaminonda,
che
vince la battaglia col dardo al fianco. L’ardi
tiene al fianco, Al fianco lo coglie ; E mostrasi audace Ma par,
che
non sente Per fino che intese Per troppo furor.
fianco lo coglie ; E mostrasi audace Ma par, che non sente Per fino
che
intese Per troppo furor. Dell’armi il destin.
er fino che intese Per troppo furor. Dell’armi il destin. Udito,
che
Tebe Fù questa la morte Per tutto hà trionfato
ragione suol dirsi il più facile, ed il più praticabile come quello,
che
costa di versi, che si contentano di avere anche
il più facile, ed il più praticabile come quello, che costa di versi,
che
si contentano di avere anche alla sola sesta, oss
a obligato il solo secondo col terzo. Eccone l’esempio. Temistocle,
che
prende il veleno. Dalla sua patria ingrata Si
o l’eseguì. Il viver suo finì(1). L’ottonario metro non altrimenti
che
il prossimo antecedente Settenarie è commodissimo
mo antecedente Settenarie è commodissimo alla poesia sì estemporanea,
che
meditata, e perciò mirasi il più usitato. Dicesi
più usitato. Dicesi Ottonario perche abbraccia versi di otto sillabe,
che
richieggono alle settima il loro accento. Ia ques
ll’uom questo tutto può. Batte i fianchi della nave E il nocchiero,
che
condusse Fiero il mar, che in se gorgoglia Più
tte i fianchi della nave E il nocchiero, che condusse Fiero il mar,
che
in se gorgoglia Più tesor da estranee sponde Or
, Getta tutto in seno all’ onde Or la vela in acqua và. Sol per dir
che
si salvò. Cap. VII. Dello sdrucciolo, e d
nque a rima non soggetto, difficile però si è si per lo estemporaneo,
che
per lo scrivere. Dicesi sdrucciolo, perchè le ult
chè le ultime due sillabe colla loro rapidità somigliano ad un corpo,
che
rotola, e cade. Un tal verso entra in tutte le co
maggior pompa, sempre per altro adattabile assai più al boscareccio,
che
al serio. Esso costa di otto sillabe, delle quali
nel duol terribile. Perche son senza Uranio. L’anacreontico metro,
che
dal greco Anacreonte il carattere serba, ed il no
dal greco Anacreonte il carattere serba, ed il nome, è uno di quelli,
che
al dir del Crescimbeni, sono i più spiritosi, e l
o E i suoi compagni providi Verso quel suol s’appressa. Non son più
che
trecento. Minaccia di distruggere, In quel sent
ria Gli altari, i tempii, i Numi. Certo di sna vendetta. Ma tosto
che
avvicinasi Dice a compagni : armatevi Fra suoi
nida Forti, possenti, e fieri. Con braccio alto, e possente Tosto
che
l’ombre scendono Cerca di notte struggere Cheti
hanno scritto, e cantato su questo metro ; ma diasi luogo al vero da
che
il celebre Manzoni scrisse il quinto Maggio in ta
po si è reso di tutta la gioventù studiosa. Ma poichè suol succedere,
che
molti corrono a tale arringo, e pochi giungono ve
e pochi giungono veramente alla metà, perciò prevengo i miei giovani,
che
ad esempio del detto Manzoni la prima loro mira i
oro mira in tal azzardo sia l’eleggere un soggetto grandioso, e degno
che
valga ad ingrandire il verso piuttosto, che esser
ggetto grandioso, e degno che valga ad ingrandire il verso piuttosto,
che
essere ingrandito da quello, mentre in tal caso l
istessa, e non è da menticarsi unicamente dal verso. È vero altresì,
che
non è men degno di lode quel poeta, che su di una
te dal verso. È vero altresì, che non è men degno di lode quel poeta,
che
su di una bagatella forma un vasto canto, e che d
o di lode quel poeta, che su di una bagatella forma un vasto canto, e
che
dal nulla cerca di ritrarre corpi meravigliosi, e
do settenario piano, il terzo sdrucciolo, il quarto similmente piano,
che
rima al secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sest
he rima al secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sesto senario tronco,
che
rima, come già si disse, col tronco della stanza
e stridola, E a chi cercar pietà. Parla a’ Spartan così : Sparta,
che
tenne in Grecia Figli di Lacedemone Sempre l’on
voi uon regge All’imprevisto ardire Vedrà tutta la Grecia San bene
che
puote infemina Una novella legge, L’odio, lo sd
vincere Trïonferan le gonne, Sarà fatal vergogna, Che perdono, o
che
vingono E se andaremo a perdere Nostro il rosso
ia c’insulterà. Cap. IX. Della sestina lirica. Non vorrei,
che
alcuno in vedermi sulle mosse di parlar della Ses
ta perciò il perno, non solamente nel rispettivo lor senso ; ma quel,
che
era il più forte nelle sue individuali parole. D’
l Petrarca, un altro nel Sannazzaro, ed uno a stento nel Frugoni ; ma
che
! Dopo il lungo incredibile travaglio sostenuto d
ni per recarla alla sua perfezione, altra bellezza non hà dimostrata,
che
la sola fatica degli industriosi autori. Quindi s
imostrata, che la sola fatica degli industriosi autori. Quindi si fù,
che
i posteri conoscendone la difficoltà, o per dir m
to, ed ìl quinto col sesto. Eccone a nostro modo l’esempio. Titiro,
che
deplora la sua mandra tradotta via da una furiosa
, ch’io cada a morte Che una rupe in fuor stendea E in quell’acqua,
che
giù piomba Salvo in parte dalla pioggia A cerca
sua armonia, ma a troppo duro cimento espone chi il tratta. Quindi è,
che
appena qualche estemporaneo di gran polzo si prov
ndonsi laboriose. Un tal metro è composto di sei versi ; due senarii,
che
rimane insieme, un quinario piano, poi due altri
narii tronchi similmente rimati tra loro, ed il sesto quinario piano,
che
rima al terzo, questi sono i divisati sei versi,
quinario piano, che rima al terzo, questi sono i divisati sei versi,
che
costituiscono ogni strofa in tal metro. Qui la me
tro. Qui la mente vien sottoposta ad una interminabile legge di rime,
che
si succedono rapidamente le une alle altre ; ma p
gieri maneggiato da ognuno. Eccone impertanto l’esempio. Artemisia,
che
beve le ceneri di Mausolo. Vittima del dolor L
r, Più derelitta. E il duol crescea Spesso i marmi abbracciar Si
che
lo posso ancor Procura, e di sfogar Mi consigli
’amor L’interna doglia, L’opra si fiera, E oppressa dal dolor Sò,
che
strano parrà Par, che a morire amor Ma niun m’i
, L’opra si fiera, E oppressa dal dolor Sò, che strano parrà Par,
che
a morire amor Ma niun m’imiterà Di più l’invogl
Dice : ah Numi perchè Si la primiera sol Donato tal mercè ? Sarò
che
in tanto duol Misera ! oh Dio L’alma è feconda
tar Il mio consorte. Il cener beve. Dunqur quel marmo avrà Poscia
che
il tranguggiò Maggior felicità Così lieta escla
o. Imperochè essendo vero al comune sentimento de’ maestri dell’arte,
che
la condizione del tronco è difficile nelle chiusu
nvien restringere i pensieri, racchiuder le sentenze, e fare in somma
che
la strofa istessa tuttoche mediocre, e forse anco
forse ancor languida, apparisca bella, e degna dei comuni suffragii ;
che
dovrà dirsi della chiusura di questo metro sogget
son due settenarii tronchi rimati insieme. Eccone la norma. Manlio,
che
condanna il figlio a morte Emanato il gran dec
anna il figlio a morte Emanato il gran decreto Dice al figlio : eh
che
facesti Dall’austero conduttiero Non sapevi il
mi perche ? Reo di morte allor sarà E potrai sperar mercè ? Vuol,
che
niun pugnare ardisca Al garzone vincitore Contr
oscana poesia miransi alcuni poco praticati per le grandi difficoltà,
che
presentano ; questo metro all’opposto vien poco m
ltri campi della culta Europa produsse a prima vista frutti si dolci,
che
ogni palato assaggiar ne volle avidamente il sapo
i francesi si familiare la rima, come presso di noi lo è, quel ritmo,
che
in due versi di quattordici sillabe rimate solea
familiare piuttosto sia, e triviale ; pure la forza dell’ingegno, non
che
la effervescenza della fantasia contribuisce non
al verso appongo giusta il consueto la norma per la pratica. Teseo,
che
condanna Ippolito a morte. La vecchia età fu s
ed empio, Dal carro è rovesciato. E contro d’esso inventa Ma mentre
che
soccombe Inopinato scempio. Alla fatal sventura
l secondo è similmente settenario piano, il terzo è anche settenario,
che
rima al primo, il quarto è simile al secondo con
simile al secondo con cui rima, il quinto, ed il sesto sono tronchi,
che
rimano insieme, il settimo, e l’ottavo son piani
nono è piano libero, il decimo è tronco libero ; l’undecimo è piano,
che
rima al nono ; l’ultimo finalmente è tronco, che
l’undecimo è piano, che rima al nono ; l’ultimo finalmente è tronco,
che
col decimo s’accoppia in rima. Questo metro, che
finalmente è tronco, che col decimo s’accoppia in rima. Questo metro,
che
senza dubbio, sembra il laberinto di Creto hà bis
dall’esempio seguente, nel quale per maggior intelligenza di coloro,
che
vorranno, e si fideranno praticarlo v’apponga un’
fideranno praticarlo v’apponga un’intercalare obbligato. Andromaca,
che
piange sul corpo di Astianatte. In cenere comb
ole, tempesta, e serenità, tenebre, e luce ; tal si sono i due metri,
che
in questo Capitolo rinchiusi. Il novenario perchè
ggiato. Ne metto perciò un brevissimo esempio sol per fare conoscere,
che
nella nostra lingua si rattrova un tal metro, non
l la fronte piegherò Devoto al cenno ubbidirò. Il decasillabo poi,
che
è il Sole di questa oscura notte del Novenario, l
l tronco obbligato a rimar col tronco seguente. Nel secondo il primo,
che
è piano rima col terzo della sua stessa natura, n
o, che è piano rima col terzo della sua stessa natura, non altrimenti
che
il secondo, che è tronco rima col quarto. Ma per
ima col terzo della sua stessa natura, non altrimenti che il secondo,
che
è tronco rima col quarto. Ma per non dilungarmi a
mostra il tremendo periglio Come puossi da Greci fuggir. Egli impon,
che
alla tomba d’Achille Polissena svenar si dovrà, C
non cade la regia donzella Da qui alcuno non speri partir ; Ma caduta
che
appena fia quella Tanti affanni potranno finir. M
ferro nel sen le vibrò. Cap. XV. Della terza rima. Il metro,
che
più generale campeggia nella poesia si è appunto
erale campeggia nella poesia si è appunto la terza rima, come quella,
che
indistintamente si mostra adattabile al sagro, al
li il primo rima col terzo, ed il secondo fissa la rima della stanza,
che
siegue, e così in prosieguo ; onde è che un tal m
fissa la rima della stanza, che siegue, e così in prosieguo ; onde è
che
un tal metro dicesi comunemente Catena. Chiunque
colla rima adattata alla stanza seguente Eccone la norma. Zeleuco,
che
salva un occhio al figlio colla perdita del suo.
o il gran decreto Che perda gli occhi, e cada in fier periglio Ognun,
che
trasgredisce il suo divieto ; Ma tosto si pentì d
a propria legge Scoverto reo il suo medesmo figlio. Maledice quel dì,
che
nacque regge Tardi condanna il troppo suo rigore,
egge ; Ma pensando al dover del regnatore, E qual’obbligo tien colui,
che
regna, Che forma il ben d’altrui col suo dolore C
e, e le virtù supreme, Nè esempio a trasgredir da noi fia dato Nè vò,
che
provi tu le pene estreme, Nè vò, che sia la legge
rasgredir da noi fia dato Nè vò, che provi tu le pene estreme, Nè vò,
che
sia la legge trasgredita Tu mancasti, io mancai,
ranneggiato era il suo cuore. Per tal circostanza appunto ne avvenne,
che
un tal metro è stato sempre considerato adattabil
l pensiere sviluppato ne’ tre antecedenti endecasillabi, questo si è,
che
lo rende assai difficile, e presso che impraticab
ti endecasillabi, questo si è, che lo rende assai difficile, e presso
che
impraticabile. Quindi avvenne, che pochi hanno os
lo rende assai difficile, e presso che impraticabile. Quindi avvenne,
che
pochi hanno osato scrivere in tal metro, e nessun
e nessuno l’ ha impiegato finora in vasti argomenti. Non vorrei però,
che
da ciò sgomentati i giovani disperassero la fortu
nseguiranno facilmente lo scopo bramato. Eccomi alla norma. Orazia,
che
piange sulle spoglie del Curiazio ucciso dal frat
fieri Poc’anzi estinto. D’Orazio la sorella afflitta, anziosa Sente,
che
un gel per l’ossa appien le scorre, L’oste per in
L’oste per incontrar tutt’affannosa Afflitta accorre. Vista la veste,
che
il fratel recava Che pel Curiazio un dì trapunto
avella ? Deh ! m’assisti al morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu
che
fai, che non compisci appieno L’opra dettata dal
Deh ! m’assisti al morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu che fai,
che
non compisci appieno L’opra dettata dal tuo folle
e. Ed ella mostra mentre cade a morte. Ardire, e amore. Come la rosa,
che
il fier turbo schianta E perde nel cader beltà, c
e il fier turbo schianta E perde nel cader beltà, colore, Così colei,
che
di pallor s’ammanta Allor sen muore. E in mezzo a
ammanta Allor sen muore. E in mezzo al sangue mentre l’alma spira Fà,
che
l’ultima voce ognuno intende Chiamò Curiazio, int
rovarsi all’Ottava, ed al Sonetto. Eccone intanto il modello Bruto,
che
condanna Tito, e Tiberio suoi figli a morte. Già
tirannìa fuggiva Era il soglio rëale omai caduto Ma il vil Tarquinio,
che
non anco parte Per sedurre i Romani adopra ogn’ar
so, Nè ponno a tanto error trovar la scusa. Bruto esclama : Romani or
che
faremo Qual sarà di costor la giusta sorte ? Roma
fui Cittadino. Cap. XVIII. Dell’ottava Il metro più nobile,
che
vantar possa l’italica poesia, ed il più adatto d
no in questo metro i più perfetti poemi della poetica favella. Vero è
che
tale ritmo sovente si adatta ancora a materie gio
tal caso il poema, tal metro privo allora delle robuste espressioni,
che
ricerca, decade con lagrimevol veduta dal suo nat
endere a questa ardua impresa. Diamone intanto il modello. Attilio,
che
torna a Cartagine.. Vista il saldo roman la patri
mani è vano uu tal dolore Quanto feci per voi ciascun rammenti, E più
che
morte il suo rossor paventi. Cedere i prigionier
er la sua concatenazione, quante maggiori dovrà averne questa, stante
che
le voci sdrucciole non avendo un suono piano rari
piano rarissime volte possono rimare fraloro ? Il Sannazzaro istesso,
che
volle il primo azzardarsi a cantare in tal metro
tutta volta in questo, come nel citato luogo si avertì, è necessario,
che
il pensiere spesse volte serva al verso ; mentre
iere spesse volte serva al verso ; mentre quì il poeta deve dire, ciò
che
può, non gïa ciò, chevuole, e se per accidente s’
e per accidente s’incoutra a terminare il sccondo verso con una rima,
che
non abbia le altre due compagne, trovasi giunto a
i pastorali, e cose boscarecce. Eccone l’esempio. Uranio, e Titiro,
che
si lamentano del pastor Melibeo, perché è un ladr
eo, perché è un ladro. Tit. Vicni, siediti quì mio caro Uranio Ora,
che
il Sole è già vicino a nascere, E senti pur perch
n ladrissimo, Che per batterlo ier mi svolsi il gubito. Tre mesi son,
che
il mio capron bellissimo Fe per que’greppi divora
suo fortissimo Vien Melibeo, e con moïne, e zacchere Tanto gli fece,
che
sel seppe togliere, E sel condusse al suon di piv
par possibile, Fra le sue ruberie pur questa annovero, Che ad ognun,
che
l’udì parve incredibile. Venne a cercare il foco
torale. Questo metro benchè rare volte trattato per le difficoltà,
che
in se racchiude, contiene per altro mille bellezz
mero, ed Esiodo ne’giuochi Olimpici sotto il regno di Agide Spartano,
che
Omero quantunque il cantor di Achille, il paneger
pastorale nel metro suddetto con sommo piacere degli spettatori ; lo
che
poi fù la occasione, per cui Omero, vecchio pitto
, pur nella tessitura cemparve sotto le insegne Virgiliane, piuttosto
che
Esiodiche. Impegno poscia si fù del celebre, ma i
uattro sono eroici alternativamente rimati, due altri sono ottonarii,
che
rimano fra loro, il settimo è quinario, che rima
due altri sono ottonarii, che rimano fra loro, il settimo è quinario,
che
rima all’ottavo, che è eroico. Ecco la solita for
rii, che rimano fra loro, il settimo è quinario, che rima all’ottavo,
che
è eroico. Ecco la solita forma. La primavera.
nuovi diletti. Cap. XXI. Della canzona. Questo componimento,
che
perfettamente somiglia alle ode de’Greci, e de’La
i Endecasillabi, e Settenarii da rimarsi a genio di chi compone, meno
che
nella chiusura, dove la rima o avvince i due ulti
pianto porgerà cotanta vena Onde fugar dal core Il cumulo d’affanni,
che
l’opprime, E in si fatal dolore Chi al seno porge
ò dalla terra in sen di Dio, E come rammentare ogni suo pregio. Egli,
che
travagliò tanto nel mondo Perchè la navicella Non
all’armi, e la baldanza rea Mai non piegò la fronte ; Pari al signor,
che
per l’altrui delitti Sparse di sangue un fonte ;
perdona, E prendi in lor discolpa il sangue mio. Dov’è dunque colui,
che
giunse a tanto ? Così fini la vita ? Dov’è il gra
or si gode in Cielo. Cap. XXII. Del sonetto. Quai naviganti,
che
scorsi mille pericoli in mari ignoti trovano anco
ari ignoti trovano ancora vicino al porto in faccia a nascosti scogli
che
temere ; tal mi son io, che giunto al termine di
cino al porto in faccia a nascosti scogli che temere ; tal mi son io,
che
giunto al termine di questo poetico trattato inco
io, che giunto al termine di questo poetico trattato incontro pur di
che
ancor prudentemente temere, dovendo in quest’ulti
d Ippocrate, e Peone, è divenuta omai la facoltà de’ Giabbattini, non
che
delle stesse più vili feminuccie ; mentre esser r
stesse più vili feminuccie ; mentre esser ragionevole non v’è per vil
che
sia, che non presuma tastare il polzo, e prescriv
ù vili feminuccie ; mentre esser ragionevole non v’è per vil che sia,
che
non presuma tastare il polzo, e prescrivere ricet
ortare i primi onori atti a far scorno alla morte istessa, oggi quasi
che
fosse una canzone de veneti Gondolieri è caduto i
na canzone de veneti Gondolieri è caduto iu potere degl’ingegni i più
che
dozzinali ; ne mente vi è per limitata che sia, c
potere degl’ingegni i più che dozzinali ; ne mente vi è per limitata
che
sia, che non ardisce calzare lo stretto ceturno d
egl’ingegni i più che dozzinali ; ne mente vi è per limitata che sia,
che
non ardisce calzare lo stretto ceturno di Melpome
mene, ed adagiarsi sull’ invariabile letto del famoso Procuste, quasi
che
se non si avesse qualche sonetto di questi tali n
no deve spargere pria non pochi sudori si nella lettura de’ classici,
che
nell’ esercizio de’ diversi ritmi dell’ arte, e p
del carmelitano Teobaldo Ceva, colle note critiche del Muratori, non
che
la dissertazione dello stesso mentre fan chiaro c
empre di riflessione in tutte le composizioni, e molto più in questa,
che
di tutte è la più nobile mi spinge per un momento
enza offenderne l’andamento se è breve. Or per ben riuscirvi bisogna,
che
ogni parte del Sonetto contenghi una proporzionat
tto contenghi una proporzionata dose di materia. Ragion dunque vuole,
che
la prima quartina contenghi l’esordio, la seconda
l’ingegno di chi compona ; mentre il Sonetto, al pari d’un torrente,
che
vicino alla foce porta maggior copia di acque, ne
acque, nell’ avvicinarsi al suo termine deve finire con una sentenza,
che
ferisce il cuore, e cagiona una forte sorpresa. L
a. Leggansi in vero i Sonetti de più celebri compositori, e si vedrà,
che
questa parte appunto hà formato il principale lor
rsi in vero chiusura più bella o di questa del Petrarca. « Poco manco
che
io non restassi in Cielo » « o di questa del Frug
lana, e non rispose » o di mille altri sonetti, e mille altri autori,
che
per brevità io tralascio ? In questi, come in tan
vvisa, l’ Eroico cioè, il Decasillabo, ed il Lirico, mentre le altre,
che
sotto accenneremo, tutte partono da questi modell
i alla pratica, sebbene potrei addurre per norma i più belli Sonetti,
che
sotto un tal triplice divisato aspetto trovansi i
così mi conviene fare ancora in questa specie di componimento, tutto
che
sappia, che i miei Sonetti tanto cedono a quei de
viene fare ancora in questa specie di componimento, tutto che sappia,
che
i miei Sonetti tanto cedono a quei de Classici, q
, quantum lenta solent inter viburna cupressi. Virg. ec. 1. Tullia,
che
passa col carro sul cadavere del Padre. SONETTO
padre fatta già terribil scherno E quant’ella empi a è più, più par,
che
ardisce Tremò a tal’ opra il gran pianeta eterno,
e il Sol, rise l’inferno. La Maschera SONETTO DECASILLABO L’uomo,
che
mascherando ognor si và Mostra, che ragionevole n
hera SONETTO DECASILLABO L’uomo, che mascherando ognor si và Mostra,
che
ragionevole non è, Chi di farsi temer timor non h
se talor mancò di fè Le sembianze d’altrui le sue ne fà Col soccorso,
che
l’arte appien gli diè. La maschera gran cosa esse
a evitare, ed io ben sò, Che non sa mascherarsi la virtù. La Rosa,
che
si lagna d’esser colta mezz’ aperta. SONETTO LIR
Perchè mai destra villana Or mi strappi al gambo mio Qual’ è il mal,
che
t’ hò fatt’ io, Che mi dai pena si strana. Sarei
a del Sonetto a rime obbligate. I. Il Sonetto di risposta altro non è
che
il riscontro dato a qualche proposta ristretta in
to a qualche proposta ristretta in Sonetto. Or qui convien avvertire,
che
variamente formavansi dagli antichi le risposte,
engo un erboso letto Che ameno l’ombra il fa di qualche canna, Vieni,
che
il fido amice non t’inganna Cacio, pomi, castagne
mi piace posar sol nel mio tetto. Se tu la piva dolce suonerai Mentre
che
dolce gusto il sonno mio Io dormo, e godo, e tu i
si bel desio Vieni a veder qual sono, e se verrai Ti saprò dar quel,
che
donar poss’ io. II. Il Sonetto coll’ intercalare
lo stile basso, e pastorale. Eccone l’ esempio. Didone abbandonata,
che
ascende la pira. Hai vinto, hai vinto mia perver
o, e senza corte ; Hai vinto hai vinto mia perversa sorte ; Ma colui,
che
di me volle lo scherno Vedrà che puote il mio cru
vinto mia perversa sorte ; Ma colui, che di me volle lo scherno Vedrà
che
puote il mio crudel furore, Avrà il mio spirto pe
io crudel furore, Avrà il mio spirto per compagno eterno Quel crudel,
che
di me volle lo scherno. Fin che compagno del mio
irto per compagno eterno Quel crudel, che di me volle lo scherno. Fin
che
compagno del mio lungo errore Scenderà meco nell’
o insieme, ed alla rima, lo fissera unicamente a quello, ben sapendo,
che
non può mancargli mai questa pertanto eccone la n
che non può mancargli mai questa pertanto eccone la norma. Ovidio,
che
si licenzia da suoi Chi preveder potea si orribi
nda pena ? Pena Ahi ! Che non reggo a si spietato affanno, Affanno Or
che
crudo voler ponmi in catena. Catena Hai vinto al
rò alla materia qualch’ordine, da cui acquista non poco la chiarezza,
che
de’libri suol essere il primo pregio, e decoro, i
a frutto. Sembrandomi quindi necessaria la sola cognizione di quelli,
che
entrono nella costruzione de’versi più comunement
i, Timidi ec. Qui però pria di passar oltre fa di mestieri avvertire,
che
una sillaba benchè sia breve per sua natura, pur
e in questo esempio : Christus colendus l’us della parola Christus,
che
per la Reg. L. del nuovo Met. è breve, perchè seg
Reg. L. del nuovo Met. è breve, perchè seguita dalla parola colendus,
che
comincia da consonante diventa lunga, e quindi la
voce intera Christus per tal’accidente da Trocheo passa a Spondeo, lo
che
non sarebbe avvenuto se fosse seguita una vocale,
. II. Del verso e delle differenti Quell’aggregato di più piedi,
che
costituisce quell’armoniaca tessitura, che per an
ll’aggregato di più piedi, che costituisce quell’armoniaca tessitura,
che
per antonomasia appellasi Verso siccome in rappor
rio di usare questi, o quelli secondo il genio dell’autore, e secondo
che
la natura della materia richiede ; ma nel quinto
lo Spondeo, nè l’esempio di qualche Spondiaco, o Dattilico Esametro,
che
raro s’incontra, può giammai opporsi a tal norma(
bene un tempo vi dominava con dominio esclusivo ; pur oggi può dirsi,
che
sia il meno che vi regna. Un tal verso dal numero
dominava con dominio esclusivo ; pur oggi può dirsi, che sia il meno
che
vi regna. Un tal verso dal numero de’ piedi prend
e Ter. Articolo III. De’ Lirici. Per evitar la confusione,
che
risulta dal moltiplice stuole de’versi Lirici li
i feriam sidera vertice. Or. lib. 1. Od. 1. III. L’ Innominato primo,
che
è più lungo dell’ Asclepiadeo per quattro sillabe
ultima classe dei versi lirici. A questi parmi essere accaduto, quel,
che
suole avvenire ad un titolato, che combattuto da
uesti parmi essere accaduto, quel, che suole avvenire ad un titolato,
che
combattuto da diversi sinistri accidenti gli rest
di quattro versi di tre specie chiamate Tricolon Tetrastrophon, voci,
che
ho dovuto apporre per non imbrogliare i giovani n
colo I. Delle strofe di due versi di doppia specie. Le strofe,
che
comprendono due versi di differente natura sono d
! Pulvis, vapor, umbra, Quae dum videntur excidunt. II. La seconda,
che
vedesi più campeggiare in Orazio, perche la più b
avorato nelle seconde nozze del nostro augusto sovrano Ferdinando II.
che
Dio sempre feliciti. Sistite, Pierides, longos e
pagato omai il vostro comune desio. Eccovi già nelle mani quel libro,
che
con iterate istanze da voi si pretese. Se nel per
urlarsi degli stessi lor Dei ? Basta per tutti ascoltar le derisioni,
che
degli Egiziani Dei in più luoghi fa Giovenale, e
molti Mitografi inventor d’ogni idolatria, perchè ei si fù il primo,
che
inalzò un tempio in onor del suo padre Belo, cui
il primo, che inalzò un tempio in onor del suo padre Belo, cui volle,
che
si tributassero gli stessi omaggi divini. Tal’opi
gettare la opinione di molti orientali Scrittori, i quali pretendono,
che
la idolatria sia nata nel seno degli stessi Antid
à scritto : Omnis quippe caro corruperat viam suam : Non altrimenti
che
con quel, che accennai, sulla origine della idola
mnis quippe caro corruperat viam suam : Non altrimenti che con quel,
che
accennai, sulla origine della idolatria istessa r
be Deos fecit timor. Sò ben per altro non esservi documento istorico,
che
valga a sostenere con certezza qualunque parere.
nque parere. Luc. dial. de Deor. concil. (1). Gli antichi credevano,
che
questi Dei, presedessero alle cose necessarie del
no, che questi Dei, presedessero alle cose necessarie dell’ uomo, non
che
a’ dodici Mesi dell’ anno, così credevasi il mese
hò creduto pregio dell’opera di tratto in tratto apporre alcune note,
che
servissero, come di lumi a molti luoghi della sac
olli imprese dei Titani, e dei Giganti certo si è esser essa si nota,
che
quell’ Amazone de’ Giudei Giuditta nel dare a Dio
ria contro Oloferne con singolare maniera celebra la divina fortezza,
che
oppresso aveva quel gran duce degl’ Assirii non c
falsi Dei commettere delle brutalità senza lasciare l’essere divino,
che
si fingevano avere, e prendere in sua vece la con
he si fingevano avere, e prendere in sua vece la condizione de’bruti,
che
in essi non riconescevano per natura, fingevano m
al modo le deturpanti loro azioni. Oh quanto chiaro dunque si scorge,
che
chiunque lasciasi predominar dall’appetito sensit
ndo i Mitologi di questo Dio del mare, fan parola ancor delle Sirene,
che
fingonsi gioviali donzelle nella parte superiore,
ento per le dette Sirene intendono alcune donne di depravati costumi,
che
dimorando nelle vicinanze siciliane con mille lus
Nettuno in si premuroso affare meritava al certo qualche ricompensa,
che
perciò Nettuno per non sembrargli ingrato lo tras
quale perchè fù il principal Trombetta di Nettuno suo padre, fece si,
che
tutti quei mostri marini, che sonavano del pari a
rombetta di Nettuno suo padre, fece si, che tutti quei mostri marini,
che
sonavano del pari avanti al cocchio dell’ alto re
es in antro Brontesque, Steropesque, et nudus membra Pyracmom e par,
che
la viva immàgine della lore forza, e destrezza ne
ferrum. Sue nozze (1). Molfo plausibile sembra ad alcuni Mitologi,
che
i primi Greci abbiano riferito a questo immaginar
malleator, et faber, in cuncta opera aeris, et ferri, non altrimenti
che
la sua sorella Noema, cui comunemente si attribui
con Nettuno. (1). Saggia pur troppo, e prudente si era la condotta,
che
tener dovevano i legali, che presso un tal giudic
r troppo, e prudente si era la condotta, che tener dovevano i legali,
che
presso un tal giudicato trattavano le cause de’ l
poppato da Giunone rapiti oltremodo gl’antichi follemente credettero,
che
quella striscia nel cielo, che via lattea da noi
modo gl’antichi follemente credettero, che quella striscia nel cielo,
che
via lattea da noi s’appella, fosse causata dal la
te da provarsi, rilevandosi troppo chiaro dalle stesse sue lettere. E
che
altro è quel, che leggesi al cap. 6 agli Efesini
levandosi troppo chiaro dalle stesse sue lettere. E che altro è quel,
che
leggesi al cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio
al cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio legatione fungi in catena ?
che
altro è quel, che sta scritto nella II. a Corinti
sini : se pro Evangelio legatione fungi in catena ? che altro è quel,
che
sta scritto nella II. a Corinti al 5 : Pro. Chri
ri S. registrate. Suoi nomi. Suoi figli. Suo culto. (1). Gl’ altari,
che
erigevano i Gentili in onor de’ loro Dei, sebbene
rvero cosi splendidi, e vistosi, così ricchi di cifre, ed iscrizioni,
che
hanno attirato il genio, e la penna di non pochi
sato era già il fine, si perche sulla pietra immolar si dovea Cristo,
che
è Pietra, sì finalmente acciò dalla durezza della
Chi fù Apollo. Sue vendette. Sue nozze (1). Da questo fatto avvenne,
che
fin d’allora tale albero fù costantemente tenuto
mpia, e la lira delle verdeggianti foglie di quello, e volle altresì,
che
i suoi virgulti servissero di corona a quanti dis
nuove sventure. Suoi nomi. (1). Non è mio pensiere sviluppare quel,
che
deve sentirsi circa gl’ oracoli. In molti padri d
in molti profani scrittori può originalmente ciò leggersi. Sol dico,
che
approssimandosi la venuta del Verbo in Carne, sic
imandosi la venuta del Verbo in Carne, siccome molte statue non sò in
che
modo dal ciel percosse caddero nel Campidoglio, e
unone. Suc azioni (1). Bella assai al suo costume é la descrizione,
che
nel i. delle sue Eneide fà Virgilio delle affanno
io delle affannose voci di questa Dea recatasi da Eolo per ajuto, non
che
delle consolanti parole, che questi in risposta l
esta Dea recatasi da Eolo per ajuto, non che delle consolanti parole,
che
questi in risposta le diede. Quale descrizione, p
eleusini tutti quelli oscuri sacrificii, e quei clandestini misteri,
che
nelle spelonche, caverne, ed altri luoghi secreti
lle vergini dette Vestali dal nome della Dea, di cui avevano la cura,
che
che altri si dicano, fù istituito, come sopra hò
vergini dette Vestali dal nome della Dea, di cui avevano la cura, che
che
altri si dicano, fù istituito, come sopra hò dett
’insegna Dionigi al 3 de’ suoi lib. Suo ritratto. (1). Il palladio,
che
conservavasi in questo tempio dicesi essere stato
lia, e dopo molte vicende cadde in potere de’ Romani, i quali vollero
che
si conservasse nel gran tempio di Numa con tanta
vollero che si conservasse nel gran tempio di Numa con tanta gelosia,
che
solamente la Sacerdotessa maggiore poteva vaghegg
estali Castighi, e privilegii delle Vestali. (1). Il privilegio poi,
che
fa ravvisar con maggior chiarezza il gran pregio
e fa ravvisar con maggior chiarezza il gran pregio delle Vestali era,
che
incontrandosi colli stessi consoli, questi per ri
torevoli insegne. Chi fù Minerva. (1). Sulle oscure, e confuse idee,
che
avevano i gentili della generazione del Verbo Ete
tendo i profondi arcani dell’ ineffabil mistero si spedirono dicendo,
che
Giove si fece fendere il capo per farlo uscir fuo
Questa Civetta, di cui fù amante Minerva fù la Principessa Nittimene,
che
mal servendosi delle tenebre per ingannare il suo
so commercio fù in pena del suo attentato cambiata in questo animale,
che
fuggendo sempre la luce cerca nascondere fra le t
i Ateniesi per la ricevuta ingiuria di audarne in bando prese a dire,
che
Minerva si compiaceva di tre bestie più villane,
rarre matrimonio con essa, e riceversi a’ titolo di dote gran denaro,
che
quivi trovavasi raccolte : Etenim così nel sacro
del suo attentato per mano degl’ingannatori Sacerdoti di quel tempio,
che
percossolo con pietre lo fecero in pezzi : Cum i
ba in preferenza d’ogni altro animale. Imperochè nella dolce contesa,
che
ebbe questa Dea col Dio Cupido circa la frettolos
uto beneficio tuttocché trasformata teneramente l’amava a tale segno,
che
svenata la voleva religiosamente in suo onore : c
ava a tale segno, che svenata la voleva religiosamente in suo onore :
che
anzi severamente puniva chi fuor dell’uso de suoi
mente puniva chi fuor dell’uso de suoi sacrificii l’avesse ammazzata,
che
perciò Marziale lib. 14. Ne violes teneras prae d
ta si guidiae sit tibi sacra Deae. E per la stessa ragione può dirsi,
che
ella tra fiori si dilettava della rosa, perchè qu
seggianti sue foglie sempre rammentavale il fatto del suo caro Adone,
che
punto in atto di coglierla diè alla naturale sua
lla naturale sua bianchezza col sangue proprio quel porporino colore,
che
essa la Regina de’fieri vistosamente si gode. (1
altre Dee prese occasione S. Girolamo scrivendo a Principia di dire,
che
la Verginità sempre porta seco la spada della pud
que error Deas virgines finxit armatas. Ed in verità se avvi animale,
che
la natura finse casto esso è l’Ape, ma chi ignora
ifesa. Suoi tempii. (1). Per cagione di alcune oblazioni di argento,
che
presentavansi in questo gran tempio in onor di Di
Giovanni Crisostomo stima essere state esse alcune piccole cassette,
che
con proprio vocabolo le chiama Ciborii. Il Lirano
i quel tempio, benchè non manchi chi le vuole tavolette, o simulacri,
che
in atteggiamento di voti sciolti sospendevasi in
ospendevasi in quel tempio seguendo in ciò le tracce del poeta Arato,
che
per mostrar qual in ciò fosse la sua mente disse
nte disse : Argentea vota. Chi fù il Destino. (1). Qui vorrei però
che
a qualche giovane di bizzarro ingegno in pensare
iva, e conseguente non mai van disgiunti da tutte quelle circostanze,
che
dovranno accompagnare un effetto future : quindi
esse. La intenzione era di schernirlo ; perocchè se l’oracolo diceva,
che
quell’uccello era morto egli lo lasciava volare,
nti risponderei anche io a tal giovane, o a chiunque mi interrogasse,
che
ha preveduto Dio di me ? L’eterna salute, o l’int
o di me ? L’eterna salute, o l’interminabil ruina ? Ha preveduto quel
che
ti piace, e quello, che in effetto tu operi, e pe
e, o l’interminabil ruina ? Ha preveduto quel che ti piace, e quello,
che
in effetto tu operi, e perciò la tua sorte è nell
stessi nomi di uomo di braccia, uomo di sangue, uomo di armenti, ec.
che
diedero le genti a Saturno, quegli stessi in dive
Sacra Scrittura. Fingesi Saturno coltivator delle vigne, ed ognun sà,
che
il primo in quest’ arte fù Noè Credesi, che Satur
delle vigne, ed ognun sà, che il primo in quest’ arte fù Noè Credesi,
che
Saturno predisse gran pioggia, ne’ cui vortici an
edetto l’universale inondamento. Mossi da queste, e da altre ragioni,
che
legger si possono nel citato autore, molti recent
Mitologi si sottoscrissero alla sua opinione. Le umane vittime però,
che
a lui si offrivano mel farebbero piuttosto confon
o mel farebbero piuttosto confondere con Moloch Idolo degli Ammoniti,
che
secondo la tradizione degl’ Ebrei pascevasi di si
nione di chi lo vuole figlio di Creusa adottato però dal detto Sifeo,
che
il parer di chi il dice figlio del Cielo, e di Ec
on Saturno gli avvenne ? Sue imprese. Suo ritratto. (1). Qui vorrei,
che
la chiave di Giano detta comunemente chiave di pr
o di sicura guida negli affari. E qual cosa più vantaggiosa all’uomo,
che
la prudenza apportatrice dell’esterna sua felicit
l’esterna sua felicità ? Conobbe tal verità il gran macedone Filippo,
che
in più circostanze dimostrò più gloriarsi della p
della prudenza, di cui servivasi a conciliare gl’ animi vertiginosi,
che
del numero, e valore delle sue forze atte a compr
suo baldanzoso nemico. Sia adunque ad ognuno impresso quel documento,
che
diede un dì Seneca a suoi uditori : habete in an
ombra de’ suoi ritralti. Suo ritratto. (1). Bella è la descrizione,
che
dell’effigie di queste Dio efforma Properzio al t
bit. Chi fù Plutone. Suo ritratto. (1). Tra le più belle pitture,
che
rappresentano Plutone la più luminosa a mio crede
re, che rappresentano Plutone la più luminosa a mio credere è quella,
che
colla divina sua penna delineò nella sua Gerusale
le acque, e chi non sà aver avuto parimenti Mosè due madri, la prima,
che
lo partori, e la seconda che l’adottò, e che sebb
vuto parimenti Mosè due madri, la prima, che lo partori, e la seconda
che
l’adottò, e che sebbene lasciato venne sulle rive
osè due madri, la prima, che lo partori, e la seconda che l’adottò, e
che
sebbene lasciato venne sulle rive del Nilo, pure
onne per andar nella terra promessa ? Bacco prese vendetta di Penteo,
che
ritirato avea i sudditi da suoi sacrifici, e chi
udditi da suoi sacrifici, e chi non conosce aver Mosè punito Faraone,
che
ricusato avea lasciare il popolo per andare a sac
no di foglie, alcune di fiori, altre di oro, ed altre di argento : Di
che
materia poi era la corona di questo Dio legga chi
bele. Suo ritratto. (1). Non ignoro io esservi stato chi ha preteso,
che
questa celebrata Cibele fù figliuola di un antico
i, così in questo similmente delirare. Del resto son ben io persuaso,
che
i Dei de’ Gentili tutti furono puramente uomini i
fia perciò meraviglia se del Dio Baal parlando il profeta Elia sembra
che
ne parli, come d’un vero uomo, qualora rivolto a
egina di Sicilia commesso da Plutone ossia Adioneo re di Epiro stante
che
la madre negata gli aveva tal figlia per sposa ;
ma la stessa armonia la rassomiglianza de’ loro suoni, (1). Sembra,
che
l’ape romana in questo squarcio abbia succhia to
Marino sullo stesso argomento dicendo : Apre l’ uomo infelice allor
che
nasce In questa valle di miserie piena Pria che a
’ uomo infelice allor che nasce In questa valle di miserie piena Pria
che
al sol gli occhi al pianto, e nato appena Va prig
e il pasce Sotto rigida sferza i giorni mena : Indi in età più fosca,
che
serena Tra fortuna, ed amor more, e rinasce. Quan
o antico. Chiude al fin le sue spoglie angusto sasso, Nell’atto a voi
che
sospirando io dico ; Dalla culla alla tomba è un
un breve passo (1). Il Ditirambolo altro non significava un tempo
che
quel confuso, ed inordinato componimento, che can
on significava un tempo che quel confuso, ed inordinato componimento,
che
cantavansi dalle baccanti in onor di Bacco ; oggi
el celebre Francesco Redi intitolato, Bacco in toscano. (1). Vorrei,
che
ognuno distingua bene in questi miei componimenti
o la conclusione colla sua sentenza. (1). Potrà sembrare a qualcuno,
che
io pria di venire agli Endecasillabi rimati dovev
ciolto, detto ancor verso eroico, perché alla rima non soggetto vuol,
che
quell’industria, che in questo manca, tutta si ve
erso eroico, perché alla rima non soggetto vuol, che quell’industria,
che
in questo manca, tutta si versi sul suo artificio
i viola, pro purpureo narcisso. Virg. Ec. 38. Dattilico poi è quello,
che
nel sesto piede mostra un Dattilo in apparenza, p
ecoli sopra la faccia della terra, e contaminarono le menti di popoli
che
pur giunsero ad avere splendida civiltà ; laonde
ur giunsero ad avere splendida civiltà ; laonde non breve fu la lotta
che
la verità del Cristianesimo dovè sostenere contro
e antiche loro credenze. Il Paganesimo s’era infiacchito a tal segno,
che
, cessata la fede ne’falsi Iddii, omai per tutto s
rsi ; Lucillo e Lucrezio si beffarono degli Dei di Roma, e de’ Romani
che
inchinavansi ai vani simulacri immaginati da Numa
uel de’fanciulletti, i quali prendono per uomini vivi tutte le statue
che
lor vien fatto di vedere. Così crollava l’idolatr
; e cadevano in dispregio quelle divinità fantastiche e capricciose,
che
agli occhi del politeista popolavano l’universo c
rso come altrettanti genj del male coi quali tregua non v’era mai ; e
che
senza posa prendevansi giuoco della sorte e della
evansi giuoco della sorte e della vita degli uomini. Nulladimeno pare
che
l’Epicureismo,144 speculazione oziosa della Greci
izio, sulla virtù, sull’anima, sugli Dei ; ma tutto ciò non altro era
che
spiritosa lizza d’ingegno. Ma i patrizj di Roma,
i corruzione, di lusso e di crudeltà. Anche i più insigni personaggi
che
fecero sì splendido il tramonto di Roma repubblic
gione della classe più illuminata e più potente di Roma non era altro
che
un brutale epicureismo. Cicerone nel suo libro Su
l’anime, ed ha signoreggiato la debolezza umana. Noi siamo convinti,
che
avremmo fatto il bene de’nostri concittadini e di
stirpato siffatto errore. Tuttavia (poichè su questo proposito voglio
che
il mio pensiero sia da tutti ben inteso) la cadut
delle cose celesti. Così devesi a un tratto e propagare la religione
che
s’accompagna alla conoscenza della natura, e srad
ra, e sradicare affatto la superstizione. » Le metamorfosi d’Ovidio,
che
sono il monumento più completo a noi rimasto dall
lla mitologia pagana, pajono il trastullo d’una immaginazione poetica
che
ricrea lettori sbadati e non curanti. Tu non vi t
curanti. Tu non vi trovi scintilla di quell’entusiasmo di buona fede
che
presso tutte le società nascenti inspira l’uomo d
olamente il tipo, ma il teatro di tutti i vizj de’suoi Dei ; per modo
che
si può argomentare, che le credenze del politeism
teatro di tutti i vizj de’suoi Dei ; per modo che si può argomentare,
che
le credenze del politeismo più non servissero ad
gomentare, che le credenze del politeismo più non servissero ad altro
che
a lusingare quegl’intelletti che non poteano pers
liteismo più non servissero ad altro che a lusingare quegl’intelletti
che
non poteano persuadere. Cotesto poema dunque è in
orte sul campo di battaglia era un olocausto agli Dei ; nè c’era cosa
che
così profondamente scolpita avesse la religione i
ime, il canto o il volo degli uccelli, tutte quelle minute osservanze
che
la guerra mai sempre teneva in vigore, davano con
prova della superstiziosa credulità del popolo. Il discredito poi in
che
venne il politeismo presso i Romani crebbe a dism
la quale vennero annoverati tra gli Dei anche i più scellerati mostri
che
sedettero sul trono imperiale di Roma. Quindi i R
ti mostri che sedettero sul trono imperiale di Roma. Quindi i Romani,
che
nella severità dell’antica loro disciplina aveano
restringevano il loro culto ad offerir sacrifici all’ombre dei padri
che
riputavano domestiche divinità, dovettero arder i
e sacrileghi e rei di lesa maestà erano giudicati e condannati coloro
che
avessero mancato alla menoma delle cerimonie dell
ndenti all’imperio, e certa qual frenesia scusabile in quella nazione
che
avea tutto conquistato, che a tutto era stata avv
qual frenesia scusabile in quella nazione che avea tutto conquistato,
che
a tutto era stata avvezza, che tutto avea soffert
la nazione che avea tutto conquistato, che a tutto era stata avvezza,
che
tutto avea sofferto, empievano le fantasie di mil
on si offrivano agli Dei vittime umane. La sola Germania, nelle parti
che
ancor resistevano alle armi romane, conservava i
I sacerdoti godevano di grande autorità presso le nazioni germaniche,
che
aveano pure in grande riverenza le profetesso sce
spaventato la fortuna di Roma. Il politeismo era ancora in fiore, più
che
altrove, nella Grecia, qualora se ne giudichi dal
acrati alla religione. Nell’avvilimento della conquista, nell’inerzia
che
la seguiva, il culto degli Dei pareva la più gran
asi ancora pel possesso di un tempio, o d’un terreno consacrato. Pare
che
la Grecia non potesse abbandonare l’idolatria nel
che la Grecia non potesse abbandonare l’idolatria nella stessa guisa
che
non poteva ripudiare le arti. Sparsa dappertutto
e. Tu v’incontravi ad ogni piè sospinto schiere di sacerdoti erranti,
che
si recavano sul dorso un fardello di divinità imp
pure, e passavano per astrologi e giocolieri. Ma il paese, ove pareva
che
la superstizione si rinverdisse con fecondità str
filosofie orientali erano riunite e confuse come gli strati del fango
che
il Nilo straripato ammucchia sulle sue sponde. Ne
oso della conquista romana gl’intelletti non aveano altra occupazione
che
le controversie religiose e filosofiche. Alessand
ne dell’Oriente, più ricca, più popolosa, più feconda di vane dispute
che
non la vera Atene ; ma priva di quella saggezza d
i quella saggezza d’immaginazione e di quel gusto squisito nelle arti
che
formava la gloria di questa, Alessandria era piut
dell’Egitto correva dietro a mille superstizioni assurde o malintese,
che
faceano sorridere di compassione il paganesimo ro
simboli raffigurate le loro divinità : di qui ne venne la tradizione
che
essi adorassero le cipolle ed i gatti, e che s’ar
i ne venne la tradizione che essi adorassero le cipolle ed i gatti, e
che
s’armassero città contro città per vendicare le i
ozio, e nell’immobilità delle loro caste ereditarie. Le comunicazioni
che
aveano avuto da tempo immemorabile coll’Europa, e
ltre parti dell’universo, e se ne narravano le cento maraviglie. Pare
che
la Persia, dai Greci chiamata barbara, avesse avu
dell’Essere eterno rappresentato sotto il simbolo del fuoco. I Magi,
che
ne erano i sacerdoti, all’epoca dell’invasione d’
n numerose sètte ; il loro culto diventò un rito solitario e nascosto
che
si smarrì in vane superstizioni ; e questa religi
oni ; e questa religione così semplice produsse dipoi quell’impostura
che
portava il nome di magia in tutto l’Oriente, e ch
oi quell’impostura che portava il nome di magia in tutto l’Oriente, e
che
si sparse tra i Romani degenerati. L’Armenia e l
a mutar gli altri tutti, mentre egli solo dovea durare immutabile, e
che
, già sparso quasi per l’intero universo, non avea
tre sètte distinte, i Farisei, i Saducei e gli Essenj ; ma nel mentre
che
i Romani vennero a cinger d’assedio Gerusalemme,
lemme, queste sètte si fusero in quella degli Zelanti, cioè di coloro
che
voleano scacciare i Romani o perire sotto le ruin
ruine del tempio. Di qui l’accanimento di quella guerra spaventevole
che
fece terrore ai Romani medesimi, e diè loro per l
una eroica resistenza. L’assedio di Gerusalemme fu più orrendo ancora
che
quello di Cartagine, e così nell’uno come nell’al
n ostante questi mucchi di rovine non soffocarono la novella credenza
che
usciva dalla Giudea ; anzi ella vide in questo es
goravano il vecchio paganesimo per ringiovanirlo ; non facevano altro
che
rimescolare il caos delle opinioni senza rinvenir
o che rimescolare il caos delle opinioni senza rinvenire una credenza
che
potesse rialzare l’intelletto dell’ uomo e affrat
à ; e marciò, per così dire, a grandi giornate su quelle vaste strade
che
la politica romana avea aperto da un capo all’alt
ell’impero pel passaggio delle legioni. Lusingò tutte le inclinazioni
che
l’odio del giogo romano nodriva nel cuore dei pop
ini, ben presto trasse intorno a sè tutti gli schiavi e gli oppressi,
che
è quanto dire l’universo. Nulla di meno quanti os
nza, e troppo erano istupiditi per poter diffidare d’alcuna impostura
che
tuttavia mirasse a tenerli soggetti. Altri s’acco
inò i circhi e i teatri : avea sopravvissuto pur anco all’incredulità
che
fomentava ; era divenuto una specie d’ipocrisia p
mo apparve sulla terra, il genere umano più non vivea, per così dire,
che
pei sensi. Il culto, simbolo vano, non era più da
nte la confinavano tra la plebe, la quale, meno corrotta forse, volea
che
i vizj, a cui rendeva ossequio sotto finti nomi,
va ossequio sotto finti nomi, avessero almanco nei loro emblemi alcun
che
di divino. All’ultimo altra religione non eravi i
mi alcun che di divino. All’ultimo altra religione non eravi in fatto
che
la voluttà ; e le sette più severe nella loro ori
ci osservazioni si può giudicare della buona fede di quegli scrittori
che
hanno sostenuto essersi il Cristianesimo stabilit
le miseria, d’una profonda costernazione ; chè quest’è appunto quello
che
il mondo pagano ravvisò sulle prime nel Cristiane
istianesimo. Ed ecco le passioni irrompono furibonde contro il nemico
che
si presenta a disputar loro l’impero dell’univers
re soggiogate prima di loro, cadono pur essi a piè del Cristianesimo,
che
in premio del pentimento lor promette l’immortali
mperator Severo, essendo perseguitati i Cristiani per lo solo odio in
che
avevano i Gentili il nome cristiano, Tertulliano
sentò ai governatori dell’impero romano una scrittura in loro difesa,
che
intitolò : Apologetico contro cl’ Idolatri. Da es
lò : Apologetico contro cl’ Idolatri. Da essa sono tratti i due brani
che
seguono.) 748. Se non è lecito a voi, o preside
uono.) 748. Se non è lecito a voi, o presidenti dell’impero romano,
che
, quasi nel più alto e cospicuo soglio, anzi quasi
assistete, il considerare alla scoperta e pubblicamente esaminare ciò
che
di chiaro si trovi nella causa de’ Cristiani che
amente esaminare ciò che di chiaro si trovi nella causa de’ Cristiani
che
a condannare quelli v’astringa ; se in questo sol
è accaduto, nelle domestiche sentenze operato per la sola inimicizia
che
avete con questa setta, è stato precluso il senti
si maraviglia, mentre, sapendo d’esser peregrina in terra, non ignora
che
ritrova fra gli estranei facilmente i nemici ; ma
che ritrova fra gli estranei facilmente i nemici ; ma essendole noto
che
la sua stirpe, la fede, la speranza, la grazia e
esser conosciuta, non resti condannata. Che cosa ne anderà alle leggi
che
sono in vigore nel regno, se essa è udita ? Forse
iteranno il sospetto di non retta coscienza, non volendo saper quello
che
, saputo, non potrebbero poi condannare. Laonde vi
Laonde vi opporremo, per prima causa della vostra poca equità, l’odio
che
portate ai Cristiani. Ed in vero una tale sorta d
tiani. Ed in vero una tale sorta di poca equità, dal titolo medesimo,
che
è l’ignoranza, onde sembra che scusata sia, vien
a di poca equità, dal titolo medesimo, che è l’ignoranza, onde sembra
che
scusata sia, vien caricata e convinta ; poichè qu
cata e convinta ; poichè qual cosa è più di lungi dall’equità, quanto
che
gli uomini abbiano in odio ciò che non sanno se i
è più di lungi dall’equità, quanto che gli uomini abbiano in odio ciò
che
non sanno se in fatti merita l’odio loro ? Poichè
ciò che non sanno se in fatti merita l’odio loro ? Poichè dir si può
che
lo merita, quando la cagione di meritarlo è pales
non dall’odiare, ma dal sapere perchè si deve odiare ? Onde, essendo
che
gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che
ere perchè si deve odiare ? Onde, essendo che gli uomini odiano senza
che
ad essi noto sia che cosa sia quella che hanno in
iare ? Onde, essendo che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia
che
cosa sia quella che hanno in odio, non può egli e
che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che cosa sia quella
che
hanno in odio, non può egli essere che essi medes
i noto sia che cosa sia quella che hanno in odio, non può egli essere
che
essi medesimi odiino ciò che non debbono ? Così d
a che hanno in odio, non può egli essere che essi medesimi odiino ciò
che
non debbono ? Così da ogni parte restan convinti,
ebbono ? Così da ogni parte restan convinti, o mentre ignorano quello
che
odiano, o mentre odiano ingiustamente quello che
ntre ignorano quello che odiano, o mentre odiano ingiustamente quello
che
ignorano ; e questo è il testimonio della ignoran
quale, mentre scusa la poca equità, la condanna. Poichè tutti coloro
che
per lo passato odiarono, non sapendo ciò che foss
nna. Poichè tutti coloro che per lo passato odiarono, non sapendo ciò
che
fosse lo scopo dell’odio loro, subito che abbando
o odiarono, non sapendo ciò che fosse lo scopo dell’odio loro, subito
che
abbandonarono l’ignoranza, parimente cessarono d’
are. Di questa sorta di gente si fanno i Cristiani,147 cioè di quelli
che
, deposta l’ignoranza con l’informarsi, incomincia
, deposta l’ignoranza con l’informarsi, incominciano ad odiare quello
che
furono e professare quello che odiarono : e son t
ormarsi, incominciano ad odiare quello che furono e professare quello
che
odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siam
e furono e professare quello che odiarono : e son tanti quanti vedete
che
noi siamo. Vociferano che la città è assediata e
lo che odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siamo. Vociferano
che
la città è assediata e circondata ; e che nei cam
e che noi siamo. Vociferano che la città è assediata e circondata ; e
che
nei campi e nell’isole e ne’ castelli ogni sesso,
. Non vogliono informarsi, perchè sono impegnati a odiare ; però quel
che
non sanno giudicano alla cieca esser tale, che, s
i a odiare ; però quel che non sanno giudicano alla cieca esser tale,
che
, se lo conoscessero, non lo potrebbero non odiare
ser tale, che, se lo conoscessero, non lo potrebbero non odiare, dove
che
, non trovando motivo d’odiare, ottima cosa è cess
tira al suo partito, mentre quanti sono gli scellerati, quanti quelli
che
dal retto sentiero traviano ! E chi lo nega ? Con
che dal retto sentiero traviano ! E chi lo nega ? Contuttociò quello
che
è veramente male, neppure da que’ medesimi che da
a ? Contuttociò quello che è veramente male, neppure da que’ medesimi
che
da esso travolti sono, per cosa buona è difeso. L
ti sono, per cosa buona è difeso. La natura ogni opera biasimevole fa
che
sia accompagnata dal timore e dal rossore di chi
tivi si affaticano di nascondersi, e s’ingegnano di non apparire quel
che
e’sono. Sorpresi, tremano ; accusati, negano ; e
ben disciplinata inclinazione, il destino e le stelle, e non vogliono
che
sia suo quello che riconoscono per male. Ma qual
clinazione, il destino e le stelle, e non vogliono che sia suo quello
che
riconoscono per male. Ma qual somiglianza hanno c
anche alle volte spontaneamente confessa ; condannato, ringrazia. Or
che
sorta di male si dirà mai questo, nel qual non si
si brama, la pena del quale per felicità si considera ? Non puoi dire
che
sia pazzia, perchè sei convinto di non giungere a
l’innocenza loro. Possono rispondere ed altercare, non essendo lecito
che
senza punto esser uditi e difesi siano condannati
la verità, perchè il giudice non sia ingiusto. Solo si attende quello
che
è lo scopo del pubblico odio, cioè la confessione
di sacrilego o di pubblico inimico (acciocchè io parli degli elogi di
che
voi ci favorite), non date sentenza, ma richiedet
oi poi non fate così ; ancorchè bisognerebbe pure chiarirsi di quello
che
falsamente si va di noi vociferando, cioè quanti
9 Qual gloria sarebbe di quel presidente, se potesse venire in chiaro
che
alcuno avesse divorato cento infanti ! Ma certame
o alfine per tanta moltitudine, scrisse a Trajano, allora imperatore,
che
, fuori dell’ostinazione di non voler sacrificare
tare inni a Gesù Cristo, come a Dio, e per confermar il loro istituto
che
proibiva l’omicidio, la fraude, la perfidia e l’a
fraude, la perfidia e l’altre scelleraggini. Rescrisse allora Trajano
che
genti di tal sorta non si dovevano cercare, ma, d
a necessità ! Nega cho si debbano ricercare come innocenti, e comanda
che
si puniscano come rei ! Perdona e incrudelisce !
se fosse lecito a noi ricompensare il male col male ? Ma non fia mai
che
una setta, che ha del divino, con fuoco umano ven
o a noi ricompensare il male col male ? Ma non fia mai che una setta,
che
ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi to
na setta, che ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi torti, e
che
si dolga di soffrire quel male, il quale fa prova
ltre genti qualunque siano, purchè d’un sol luogo e dei suoi confini,
che
le genti d’un mondo intero ? Noi siamo di jeri, e
ual guerra non saremmo idonei e pronti, anche ineguali di numero, noi
che
tanto volentieri ci lasciamo trucidare ? Se non c
li di numero, noi che tanto volentieri ci lasciamo trucidare ? Se non
che
, secondo la dottrina nostra, si stima più lecito
che, secondo la dottrina nostra, si stima più lecito l’essere ucciso
che
l’uccidere. È stato in nostro potere, disarmati e
si avreste cercato a chi comandare. Sarebbero a voi rimasi più nemici
che
cittadini. Di presente avete meno nemici per la m
rli nemici del genere umano. Chi di voi però da quegli occulti nemici
che
devastano per ogni parte la vostra mente e la sal
o, non riflettendo alla ricompensa di tanto ajuto a voi prestato, noi
che
siamo un genere di persone non solo a voi non mol
a voi non molesto, ma necessario, avete voluto stimare nemici, mentre
che
siamo certo nemici non del genere umano, ma bensì
o, ma bensì dell’umano errore…. Ma proseguite pure, buoni presidenti,
che
sarete più accetti appresso il popolo, se a lui s
tra iniquità è la prova della nostra innocenza. Perciò Iddio permette
che
soffriamo queste cose. Non però qualunque vostra
giova, servendo per allettamento ad abbracciare la nostra religione,
che
tanto più germoglia, quanto più da voi si miete,
vano i Cristiani, insegnando con le opere. Quella ostinazione stessa,
che
voi calunniate, n’è la maestra, mentre, e chi mai
stra, mentre, e chi mai, ciò considerando, non è sospinto a ricercare
che
cosa infatti ella intrinsecamente sia ? Ma chi è
into a ricercare che cosa infatti ella intrinsecamente sia ? Ma chi è
che
, dopo averne ricercato, a noi non s’unisca, ed un
Perciocchè dal martirio sono cancellati tutti i delitti. Onde avviene
che
parimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre
rimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre al contrario di quello
che
s’opera dagli uomini, s’opera da Dio ; poichè qua
esso. Talchè è un gran contrassegno della futura dannazione per colui
che
in tal modo pecca, che si venga a relegarlo dalla
contrassegno della futura dannazione per colui che in tal modo pecca,
che
si venga a relegarlo dalla comunione dell’orazion
e se pure abbiamo una sorta di cassetta, non è di disonore il danaro
che
vi si raccoglie, quasi che si compri la religione
a di cassetta, non è di disonore il danaro che vi si raccoglie, quasi
che
si compri la religione ; mentre in un giorno del
e nelle prigioni, solamente per la confessione della divina religione
che
professano. Tutte queste opere, e sopra ogni cosa
gione che professano. Tutte queste opere, e sopra ogni cosa la carità
che
è tra noi, ci rende appresso alcuni degni di bias
telli. Ma quanto più degnamente si chiamano e stimano fratelli coloro
che
hanno conosciuto Dio per unico loro padre, e si s
forse tanto meno siamo reputati legittimi, o perchè non vi è tragedia
che
faccia strepito della nostra fratellanza, o perch
icoltà ad accomunare gli averi, laonde tra noi tutto è indiviso fuori
che
la moglie…. Che maraviglia, se con tanta carità d
’indebitarsi. I computisti soli possono calcolare le spese di coloro,
che
gettano nelle crapule il loro avere nell’occasion
l proprio vocabolo rende buon conto di sè ; perciocchè è detta Agape,
che
appresso i Greci suona quello che suona carità ap
o di sè ; perciocchè è detta Agape, che appresso i Greci suona quello
che
suona carità appresso di noi, talchè sia di qualu
il ventre, ma perchè appresso a Dio è in gran conto la considerazione
che
si ha delle persone bisognose. Laonde, si la caus
el convito è onesta, argomentatene l’ordine rimanente esserne secondo
che
l’obbligo della religione ci prescrive. Non ci ha
dovere nella notte levarsi ad adorare Dio. Discorrono in quella guisa
che
discorre chi sa che il suo Signore l’ascolta ; po
evarsi ad adorare Dio. Discorrono in quella guisa che discorre chi sa
che
il suo Signore l’ascolta ; poichè, data l’acqua a
convito, di dove s’esce di poi, non per andar tra le truppe di coloro
che
fanno alle coltellate, nè tra le schiere di chi v
dere alla cura medesima della modestia e della pudicizia, come quelli
che
nella cena non cibarono solo il corpo di vivande
erela. In danno di chi ci aduniamo mai ? Congregati, siamo gli stessi
che
siamo disuniti, ed in comune siamo gli stessi che
i, siamo gli stessi che siamo disuniti, ed in comune siamo gli stessi
che
soli : nessuno da noi s’offende, nessuno da noi s
ingiurioso noi siamo accusati, cioè come inutili per ogni affare. In
che
modo di questo ci fate rei, che pure con voi vivi
cioè come inutili per ogni affare. In che modo di questo ci fate rei,
che
pure con voi viviamo, che abbiamo il vitto ed il
affare. In che modo di questo ci fate rei, che pure con voi viviamo,
che
abbiamo il vitto ed il vestire stesso e le medesi
tore nostro. Non rigettiamo alcun frutto delle sue opere. Bene è vero
che
siamo temperanti, per non servircene smoderatamen
me. Le arti e le opere nostre accomuniamo al vostro uso. Io non so in
che
maniera vi sembriamo infruttuosi ne’vostri negozj
te ne’giuochi di Bacco, perchè è costume de’combattenti con le fiere,
che
cenano per l’ultima volta. Tuttavia, quando io ce
on compro la corona pel mio capo ; ma, comprando non ostante i fiori,
che
importa a te del come io me ne serva ?155 Sembran
ori più vaghi, mentre son liberi o sciolti, e vaganti per ogni parte,
che
non se sono ristretti in corona : noi godiamo del
rona : noi godiamo delle corone solo colle narici. Il facciano coloro
che
fiutano i fiori per mezzo de’capelli. Non veniamo
o i fiori per mezzo de’capelli. Non veniamo negli spettacoli ; ma ciò
che
in quelle adunanze si vende, se da me sarà bramat
eghe. Non compriamo incensi ; e se l’Arabia si lamenta, sanno i Sabei
che
le loro merci hanno più spaccio presso di noi, e
nte, se la vuole, porga Giove la mano, e prenda la limosina ; essendo
che
frattanto la nostra misericordia più spende per l
ssendo che frattanto la nostra misericordia più spende per le strade,
che
la vostra religione per i templi. Le altre impost
e per la bugia delle vostre professioni, si farà facilmente il conto,
che
la querela che ci fate in ordine ad una sola spez
delle vostre professioni, si farà facilmente il conto, che la querela
che
ci fate in ordine ad una sola spezie di cose, vie
una sola spezie di cose, vien compensata dal comodo degli altri dazj
che
da noi medesimi ricavate con tutta esattezza. Ter
ianesimo non fosse comparso nel mondo. 750. È probabilissima cosa
che
, senza il Cristianesimo, il naufragio della socie
a barbarie, nelle quali si sarebbe trovato sepolto. Non ci volea meno
che
una moltitudine immensa di solitari sparsi nelle
eguimento di un medesimo fine, per conservare almeno quelle scintille
che
riaccesero presso i moderni la face delle scienze
lla conservazione ed al risorgimento del sapere. In qualunque ipotesi
che
immaginare si voglia, si trova sempre che l’Evang
apere. In qualunque ipotesi che immaginare si voglia, si trova sempre
che
l’Evangelio impedì la distruzione della società :
nendo da un lato ch’esso non fosse comparso sulla terra, e dall’altro
che
i Barbari avessero continuato a starsene nelle lo
’suoi costumi, era minacciato de una spaventevole dissoluzione. Forse
che
si sarebbero sollevati gli schiavi ? Ma essi eran
tre, ma s’immiseriva ; e le arti decadevano. La filosofia non serviva
che
a spargere una specie d’empietà, la quale, senza
Campidoglio, e ne calcava con disprezzo le statue ? Tacito pretendeva
che
sussistesse ancora qualche costumatezza nelle pro
ssistesse ancora qualche costumatezza nelle province ; ma è da notare
che
queste province già cominciavano a divenir cristi
e già cominciavano a divenir cristiane ; e noi poniamo invece il caso
che
il Cristianesimo non si fosse mai conosciuto, e c
mo invece il caso che il Cristianesimo non si fosse mai conosciuto, e
che
i Barbari non fossero usciti dai loro deserti. Qu
verosimilmente dilacerato l’imperio, i soldati eran corrotti del pari
che
tutto il resto dei cittadini ; e più in là sarebb
ndati, se i Goti e i Germani non gli avessero arruolati. Tutto quello
che
puossi congetturare si è, che dopo lunghe guerre
on gli avessero arruolati. Tutto quello che puossi congetturare si è,
che
dopo lunghe guerre civili, e dopo un generale som
tichi ammettevano l’infanticidio, e lo scioglimento del nodo nuziale,
che
non è, a dir vero, se non il primo nodo della soc
ccesso delle prime austerità dei Cristiani era necessario : bisognova
che
vi fossero dei martiri della castità, quando vi e
polo corrotto ai vili combattimenti del circo e dell’arena, bisognava
che
la Religione avesse, per così dire, anch’essi i s
parlando, il suo passaggio sopra la terra è il più grande avvenimento
che
avesse mai luogo fra gli uomini, poichè la faccia
Chateaubriand. (Traduz. di L. Toccagni.) 144. Dotlrina filosofica,
che
prendeva il nome da Epicuro, e che professavs mas
gni.) 144. Dotlrina filosofica, che prendeva il nome da Epicuro, e
che
professavs massime assai libere, principalmenle i
, principalmenle in fatto di morale. 145. È opinione di molti dotti,
che
la lingua sanscritta, la quale è tuttora la lingu
idolatri. 148. Ai Cristiani si apponeva da’ Gentili questa calunnia,
che
nelle loro adunanze uccidessero un bambino e sel
lle loro adunanze uccidessero un bambino e sel mangiassero ; calunnia
che
avea origine da una atorta interpretazione del Sa
. 149. Quesl’altra calunnia pur s’apponeva da’ Gentili a’ Cristiani,
che
, in molte loro adnnanze notturne, legassero un ca
olte loro adnnanze notturne, legassero un cane ad ogni candeliere ; e
che
alla fine di esse, questi, adescati dal pane che
ogni candeliere ; e che alla fine di esse, questi, adescati dal pane
che
veniva lor presentalo, rovesciando i candelieri,
l mondo. 151. I Preli o Presbileri, così chiamali da una voce greca,
che
suona vecchio. 152. Numera lulte le occasioni i
este erano le cene di Serapi, dio egizio, nelle quali, pe’gran fuochi
che
si facevano in cucina, slavano vigilanti le guard
el Sole, degli Arcieri e della Medicina Due erano i nomi principali
che
più comunemente si davano a questo Dio, cioè Apol
nquillamente alla opinione di quegli antichi mitologi, i quali dicono
che
Apollo significa unico, e Febo luce e vita 105).
del sole, di essere egli nel nostro sistema planetario il solo astro
che
dà luce e vita ad ogni mortal cosa. Molti altri
to è bene osservare per la precisa intelligenza delle poetiche frasi,
che
Apollo è considerato più generalmente come il ver
Apollo è considerato più generalmente come il vero e proprio nome, e
che
Febo trovasi spesso usato come aggettivo o epitet
o ; e perciò li divido in due gruppi, riunendo tra loro quegli uffici
che
sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Di
° il Dio della Poesia. Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è
che
non l’abbia veduto dipinto da più o men valenti p
ie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninfe piè-veloci,
che
intreccian carole intorno al suo carro ? I pittor
i nomi assegnati dai poeti ai quattro cavalli e il numero delle Ninfe
che
accompagnano il Sole. I cavalli si chiamano con g
Sole. I cavalli si chiamano con greci nomi Eoo, Piroo, Eto e Flegone,
che
significano orientale, focoso, ardente, fiammante
istiche, bene attribuite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi
che
danzano intorno al carro rappresentano le Ore del
antichi Romani v’era inoltre una ragione speciale riferibile all’uso
che
avevano di dividere il giorno vero, ossia il temp
mpio, usa l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare
che
per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai
enti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra
che
il tempo non passi mai : « In quel duro aspettar
olta « Pensa ch’Eto e Piroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta,
che
dar volta « Le par che tardi, oltre l’usato, trop
iroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta, che dar volta « Le par
che
tardi, oltre l’usato, troppo. » (Orl. Fur., xxxi
i, 11.) Troviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo
che
sotto al procelloso « Aquario il Sol corregge ad
prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò
che
il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di
con greco nome Zodiaco, cioè zona di animali, perchè le costellazioni
che
vi si trovano (meno una sola) hanno il nome di di
ei quali sinora ne conosciamo due soli, di Ganimede coppiere di Giove
che
è rappresentato nel segno dell’ aquario, e di Ast
ppresentato nel segno dell’ aquario, e di Astrea dea della giustizia,
che
fu simboleggiata nel segno della Vergine : delle
oni apprenderemo in seguito la ragion mitologica nel trattar dei miti
che
vi hanno relazione. Di Apollo esistono molte stat
i hanno relazione. Di Apollo esistono molte statue ; una delle quali,
che
è una maraviglia dell’ arte greca, ammirasi nella
statua colossale in bronzo rappresentante Apollo, di tali dimensioni
che
i due piedi posavano sulla estremità dei due moli
ricati 900 cammelli. A spiegare il crepuscolo mattutino, ossia l’alba
che
precede il giorno, come dice Dante, inventarono i
l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi
che
tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia
coi crin d’ oro. Dante nota ancora l’ aura annunziatrice degli albori
che
movesi ed olezza tutta impregnata dall’erbe e dai
lemme liberata : « Già l’aura messaggiera erasi desta « Ad annunziar
che
se ne vien l’Aurora. « Ella s’adorna il crine, e
bre quello dell’Aurora di Guido Reni in Roma. Lo stesso Michelangelo,
che
tutto osò e in tutto fu sommo, volle rappresentar
glio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico
che
di lui si racconta è relativo al Sole. Fetonte, i
la Ninfa Climene. Fu egli un giovinetto presuntuoso, il quale credeva
che
gl’illustri natali bastassero a compire le grandi
mpegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo
che
egli era figlio di Apollo col guidar per un giorn
l padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige
che
non glie l’avrebbe negata. Apollo giurò ; ma tost
alli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed imbelle mano
che
li guidava, e non trattenuti dai freni deviarono
rimenti rimediarvi, coi fulmini trafisse Fetonte e sbigottì i cavalli
che
tornarono indietro alle loro stalle. Fetonte fulm
rasportato in balìa dei cavalli del Sole : « Maggior paura non credo
che
fosse, « Quando Fetonte abbandonò li freni, « Per
i popoli, delle favelle e della scienza antica. Finchè il Paganesimo,
che
le spacciò per verità religiose, fu la religione
à religiose, fu la religione degli Stati e dei popoli, è ben naturale
che
fossero da tutti celebrate ; ma pur anco i poeti
spesso con l’arco e con gli strali ; e noi abbiamo veduto nel N° XIII
che
egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei
III che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei Numi paurosi
che
fuggirono e si nascosero, ma costantemente aiutò
aiutò il padre e i fratelli saettando i nemici. Ora devesi aggiungere
che
Giove vedendo la bravura di Apollo, lo incoraggia
gli ripeteva, come dicono i mitologi greci, le greche parole le Pai,
che
significano ferisci o figlio, e da queste parole
dottarono il nome Pean per significare quel nume, ma soltanto l’inno,
che
chiamarono il Peana 118. Un’altra solenne prova d
nfezione dell’aría. È facile lo spiegar questa favola, se riflettiamo
che
il Sole coi suoi raggi chiamati poeticamente dard
’impaludati terreni, venne ad uccidere gli animali mostruosi e nocivi
che
vi erano nati. Anche i paleontologi hanno riconos
tare e descrivere l’ufficio della Pitonessa del Tempio di Delfo. Dopo
che
i mitologi ebbero considerato Apollo come Dio del
ebbero considerato Apollo come Dio del Sole, furono indotti a credere
che
esser dovesse pur anco il Dio della Medicina120),
odotti dei tre regni della Natura. Inoltre gli attribuirono un figlio
che
fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale
e fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale nacque una figlia
che
fu la Dea della Salute. Nella invenzione della di
e tre divinità v’è molta connessione logica di principii scientifici,
che
esamineremo dopo aver parlato del figlio e della
e della nipote di Apollo secondo la Mitologia. Esculapio, lo stesso
che
Asclepio, come lo chiamavano i Greci, era figlio
cui le antiche tradizioni ci abbiano tramandato il nome, aggiungendo
che
nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tan
o che nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tanto prodigiose,
che
guariva tutti i malati e perfino risuscitava i mo
e perfino risuscitava i morti. Ma Plutone re delle regioni infernali
che
vedeva togliersi le sue prede, ossia richiamare i
contentar più pienamente il suo fratello Plutone. Consentì per altro
che
fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, ch
Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio,
che
i popoli molto volentieri adoravano e a cui racco
entato con volto maestoso e in atto di meditare ; lunga avea la barba
che
scendeagli a mezzo il petto ; sulle spalle il pal
ulto di Esculapio fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non
che
da Ovidio, che da quella città fu trasportata sol
io fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio,
che
da quella città fu trasportata solennemente la st
tatua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola Tiberina,
che
allora fu detta di Esculapio, ed ora di San Barto
tempio pagano al culto di quest’apostolo. Idearono ancora i mitologi
che
Esculapio avesse una figlia chiamata Igiea, o Igi
e, difficilissima in pratica pel gran numero di speciali osservazioni
che
richiede per ciascuna persona, ma utilissima semp
que genere d’intemperanza121. Nella invenzione di queste tre Divinità
che
presiedono alla più felice conservazione degli es
ervazione degli esseri umani, troviamo un concetto ed un ragionamento
che
ha la forma di un sillogismo. Apollo rappresenta
o. Apollo rappresenta il principio generale delle forze della natura,
che
sono il primo e più sicuro fondamento della conse
amento della conservazione della salute ; Esculapio la scienza medica
che
fa l’applicazione delle cognizioni teoriche all’a
delle cognizioni teoriche all’arte salutare, ed Igiea la conseguenza
che
ne deriva, che è la più felice e la più durevole
ni teoriche all’arte salutare, ed Igiea la conseguenza che ne deriva,
che
è la più felice e la più durevole conservazione d
ù felice e la più durevole conservazione della salute. E per indicare
che
non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile
ndicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile effetto
che
è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Escula
tenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto
che
Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato
o che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato da Giove : il
che
evidentemente significa, che la suprema legge del
di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa,
che
la suprema legge della natura, quando ha decretat
21.) 107. Dante dopo aver descritto il carro di Beatrice, alferma
che
neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e
eatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e
che
anzi al confronto parrebbe meschino e povero : «
e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : « Non
che
Roma d’un carro così bello « Rallegrasse Africano
ia pover con ello. » (Purg., xxix, 113.) 108. Dal greco nome Eos
che
significa l’Aurora hanno i poeti formato Eoo che
. Dal greco nome Eos che significa l’Aurora hanno i poeti formato Eoo
che
vorrebbe dire orientale, per indicare uno dei cav
» I poeti minori poi non finiscono mai di rammentare le eoe maremme,
che
rimano sempre con le indiche gemme. 109. Merit
sima descrizione della reggia del Sole nel 2° lib. delle Metamorfosi,
che
comincia così : « Regia Solis erat sublimibus al
, ma collo stesso Omero a costruir palagi magnifici senz’ altra spesa
che
di parole e d’opera d’ inchiostro e può meritamen
parole e d’opera d’ inchiostro e può meritamente esclamare di quello
che
egli fa trovare ad Astolfo nel mondo della luna,
aque, Scorpius, Arcitenens, Caper, Amphora, Pisces. » 111. « Sì
che
le bianche e le vermiglie guance « Là dove io er
radiso : « O poca nostra nobiltà di sangue …………. « Ben se’ tu manto
che
tosto raccorce, « Sì che se non s’appon di die in
nobiltà di sangue …………. « Ben se’ tu manto che tosto raccorce, « Sì
che
se non s’appon di die in die, « Lo tempo va d’int
Lo tempo va d’intorno con le force. » E dice questo per significare
che
senza le egregie opere dei discendenti, la nobilt
va in dileguo e cade in dispregio. Quanto poi alla vanitosa illusione
che
le virtù degli avi passino col sangue nei loro di
volte risurge per li rami « L’umana probitate : e questo vuole « Quei
che
la dà perchè da lui si chiami. » 113. Il Po er
’esistenza di questa fu osservata la prima volta confricando l’ambra,
che
attira allora leggiere pagliuzze e piccoli framme
……. sul fiume « Dove chiamò con lacrimoso plettro « Febo il figliuol
che
avea mal retto il lume, « Quando fu pianto il fab
lettro, « E Cigno si vesti di bianche piume. » 115. Dicendo Dante
che
il cielo si cosse, come apparisce ancora, allude
come apparisce ancora, allude a quella estesissima macchia biancastra
che
di notte si scorge nel cielo, e che è detta anche
la estesissima macchia biancastra che di notte si scorge nel cielo, e
che
è detta anche dagli astronomi via lattea, e con g
Galassia. Con tali parole accenna Dante l’opinione di alcuni mitologi
che
quella macchia (che veramente è uno strato di mil
arole accenna Dante l’opinione di alcuni mitologi che quella macchia (
che
veramente è uno strato di milioni e milioni di lo
, candore notabilis ipso. 116. Allude al lamento ed alla preghiera
che
si trova rettoricamente amplificata da Ovidio nel
ib. delle Metamorfosi. 117. È noto a chiunque ha studiato Geografia,
che
Tolomeo ammetteva il movimento del Sole intorno a
etteva il movimento del Sole intorno alla terra, e Copernico dimostrò
che
in natura accade l’opposto. 118. Dante, nel Ca
voce Peana può significare tanto il nome di Apollo, quanto dell’inno
che
cantavasi in onore di lui. 119. « Da tutte p
La famosa Scuola Salernitana, di cui si citano tanti aforismi latini,
che
si odono spesso come proverbii sulle labbra di mo
e igienista Michel Lévy dichiara nella sua grand’ opera dell’ Igiene,
che
questo ed altri assiomi generali « sono la parte
lle più belle regioni della Terra, accettò di regnar nell’ Inferno. E
che
quel soggiorno fosse pur troppo inamabile, come d
me dicono i poeti latini, e tetro, si può dedurre pur anco dal sapere
che
nessuna Dea o Ninfa, per quanto ambiziosa e vana,
; e se egli volle aver moglie gli convenne rapirla, e poi contentarsi
che
ella stesse ogni anno per sei mesi con la madre o
Cap. X, ove si parla di Proserpina). Lo stesso Omero dice chiaramente
che
quelle infernali regioni, oltre ad esser prive de
nfernali non spiegava alcun potere sulle anime dei buoni, nè troviamo
che
andasse mai a visitare i Campi Elisii, o invitass
ampi Elisii, o invitasse alla sua reggia alcuno dei più illustri eroi
che
vi soggiornavano ; e sui malvagi aveva un ufficio
e carceri o delle galere ; nè poteva diminuirne o aggravarne le pene,
che
giudici di diritto e di fatto, da lui indipendent
sero di supplirvi assegnando a Plutone non soltanto la cura di far sì
che
delle anime degli estinti non ritornasse alcuna n
on una mano sostenendosi il mento e coll’altra impugnando lo scettro,
che
era una forca bicorne : in capo avea la corona ;
sua madre. Allora non compariva più come l’avvenente e delicata Ninfa
che
sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna
stre ; ma come una matrona molto seria, in regie vesti, ma tutt’altro
che
lieta del grado di regina : allora confondevasi i
si invece con Diana triforme, o con Persefone (chè questo era il nome
che
davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di
e che davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di più credevasi
che
anch’essa si fosse adattata ai gusti del marito,
i del marito, e li secondasse attirando nei regni infernali più gente
che
potesse ; e perciò si trova chiamata dai poeti la
toriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero
che
aveva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior f
veva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior fedeltà i suoi padroni
che
far non potesse una coorte di Svizzeri. Di Pluto,
utone, conveniva trovare una diversa origine e parentela ; e fu detto
che
era figlio di Cerere dea delle biade e di un ricc
rere dea delle biade e di un ricco agricoltore Giasione, per indicare
che
le vere e più sicure ricchezze derivano dall’agri
le vere e più sicure ricchezze derivano dall’agricoltura. In fatti a
che
servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? A n
atti a che servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? A null’altro
che
a rinnovare la miseria dell’avaro Mida, come dice
Parche, figlie di Giove e di Temi 244, e corrispondevano a quelle Dee
che
i Greci chiamavano le Mire. In origine i Greci co
tarono tre, distinguendole coi nomi di Cloto, Lachesi ed Atropo, nomi
che
furono adottati dai poeti latini per le loro Parc
rono ancora nel frasario poetico degl’Italiani. Asserivano i mitologi
che
le Parche avevano l’ufficio di determinare la sor
degli uomini dal primo istante della nascita a quello della morte ; e
che
ne dessero indizio con un segno sensibile singola
rissimo, ma invisibile ai mortali, cioè per mezzo di un filo di lana,
che
esse incominciavano a filare quando nasceva una p
lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una persona, e
che
recidevano, quando quella persona doveva morire.
ano lo stame vitale di lane di diversi colori : il bianco ed il nero (
che
allora non si sapeva che non fossero colori), ind
ne di diversi colori : il bianco ed il nero (che allora non si sapeva
che
non fossero colori), indicavano la felicità e la
i onori, ecc. E dovendo le Parche far questo lavorìo per ogni persona
che
veniva al mondo, non mancava loro occupazione : q
uere una di esse Parche senza nominarla, usò questa perifrasi : colei
che
di e notte fila, supponendo che tutti i suoi lett
minarla, usò questa perifrasi : colei che di e notte fila, supponendo
che
tutti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia,
a, supponendo che tutti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia, e
che
perciò capissero che egli intendeva di parlare di
ti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia, e che perciò capissero
che
egli intendeva di parlare di Làchesi. Infatti i m
loro nomi ed ufficii nella Divina Commedia, come apparisce dai versi
che
ne cito in nota246. Anche Michelangelo ha rappres
arche in queste loro diverse occupazioni, come si vede nel suo quadro
che
trovasi nella galleria di Palazzo Pitti. Da quant
ti. Da quanto leggesi scritto e narrato intorno alle Parche si deduce
che
esse erano indipendenti da Plutone ; e perciò dov
a Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato
che
del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando
inistre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando
che
esse troncavano lo stame vitale e crescevano il n
ci e i latini, ma anche gl’italiani ci presentano singolari fantasie,
che
è necessario conoscere. Essendo Caronte il barcar
noscere. Essendo Caronte il barcaruolo dell’Inferno, s’intende subito
che
doveva trovarsi molto occupato a traghettar le an
all’ altra riva dello Stige o dell’Acheronte. La favola ci fa sapere
che
egli era figlio dell’ Erebo e della Notte ; che e
a favola ci fa sapere che egli era figlio dell’ Erebo e della Notte ;
che
era vecchio e canuto, ma pur sempre robusto ; orr
sozzo di persona e di vesti, e di modi zotici ed aspri. Aggiunge poi
che
ciascun’anima per essere ricevuta nella barca di
dopo la morte. Passate le anime all’altra riva, trovavano tre giudici
che
decidevano delle sorti di ciascuna di loro nell’a
remo parlar nuovamente e più a lungo nel ragionare dei secoli eroici,
che
sono il medioevo fra la Mitologia e la Storia. Le
rtaro, ma pur anco a spaventare e perseguitare in vita gli scellerati
che
avevano commesso i più gravi e nefandi misfatti.
ie furon dai Greci chiamate Erinni, nome adottato dai poeti latini, e
che
trovasi anche in Dante ; ed erano tre : Megera, T
nitrice delle stragi ed inquieta. Ebbero anche il titolo di Eumenidi,
che
vorrebbe dire benevole o placabili, dopo che scon
e il titolo di Eumenidi, che vorrebbe dire benevole o placabili, dopo
che
scongiurate con sacri riti lasciarono quieto Ores
iurate con sacri riti lasciarono quieto Oreste. Altri mitologi dicono
che
ebbero esse questo nome per antifrasi, cioè per s
r figli i Sogni, di cui si rammentano con nomi speciali soltanto tre,
che
erano i capi di altrettante tribù numerosissime,
ch’egli ebbe nel suo viaggio allegorico. Lo stesso Virgilio ci narra
che
nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui
ò bene l’Alighieri d’impiegare nel suo Inferno. È facile l’indovinare
che
introducendole nell’Inferno dei Cristiani non con
nell’Inferno dei Cristiani non conservasse loro il grado di divinità
che
avevano in quello dei Pagani. Infatti le ridusse
rtesi, « Batte col remo qualunque si adagia. » Ha soltanto di buono
che
non esige più l’obolo per traghettar le anime all
gratuitamente. S’incontra poi « Cerbero fiera crudele e diversa, »
che
conservando la sua forma tricipite, « Con tre go
a forma tricipite, « Con tre gole caninamente latra « Sovra la gente
che
quivi è sommersa. « Gli occhi ha vermigli e la ba
i tre Giudici dell’Inferno pagano, Dante ha impiegato soltanto Minos,
che
era il presidente di quel tribunale ; ma nell’Inf
e ringhia, « Esamina le colpe nell’entrata, « Giudica e manda secondo
che
avvinghia, cioè per mezzo della sua coda, come s
nessun l’avrebbe indovinato ; perciò soggiunge subito dopo : « Dico
che
quando l’anima malnata « Gli vien dinanzi, tutta
è da essa : « Cingesi con la coda tante volte « Quantunque gradi vuol
che
giù sia messa250. » V’è anche « ….. Pluto con l
e giù sia messa250. » V’è anche « ….. Pluto con la voce chioccia,
che
parla un linguaggio che non s’intende : « Pape S
’è anche « ….. Pluto con la voce chioccia, che parla un linguaggio
che
non s’intende : « Pape Satan, pape Satan aleppe.
ove son puniti gli avari e i prodighi ; ma Dante e Virgilio mostrano
che
meritava poco rispetto chiamandolo fiera crudele
ome re dell’Inferno, perchè anche questo dipende dal re dell’Universo
che
in tutte parti impera, secondo le espressioni di
condo le espressioni di Dante stesso ; ma abbiamo già veduto di sopra
che
il poeta si valse di uno dei nomi di Plutone, di
nazioni derivate dall’Inferno dei Pagani ; e principalmente i geologi
che
diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie ch
palmente i geologi che diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie
che
il progresso delle osservazioni scientifiche fece
ce riconoscere differenti, per certi particolari caratteri, da quelle
che
avevan chiamate vulcaniche, e perciò da doversi d
scelsero per esse una denominazione derivata da Plutone Dio infernale
che
aveva maggiore affinità con Vulcano, Dio del fuoc
ther il 5 maggio 1853 ; ed in appresso avendone scoperti tanti altri (
che
sinora sono giunti a più di 130), hanno saccheggi
telescopico. Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi
che
il suo nome fosse dato ad una piccola costellazio
emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole
che
si chiama la mano, volendosi così alludere alla f
di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola
che
Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo
nome di Cerbero a un genere di piante della famiglia delle Apocinee,
che
hanno proprietà velenose ; ed inoltre ad una spec
, e fe’ ristarmi, « Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco « Ove convien
che
di fortezza t’armi. » (Inf., xxxiv, 16.) 243.
t’armi. » (Inf., xxxiv, 16.) 243. Basterà sentire la descrizione
che
l’ Ariosto fa dell’ Orco di Norandino nel Canto x
« Lungo il lito del mar, terribil mostro. — « Dio vi guardi, Signor,
che
’l viso orrendo « Dell’ Orco agli occhi mai vi si
imostro ; « Meglio è per fama aver notizia d’esso, « Che andargli, sì
che
lo veggiate, appresso. « Non gli può comparir qua
occole d’osso. « Verso noi vien, come vi dico, lungo « Il lito, e par
che
un monticel sia mosso. « Mostra le zanne fuor com
sa porta « Che ’l bracco suol, quando entra in sulla traccia. « Tutti
che
lo veggiam, con faccia smorta « In fuga andiamo o
ia. « Poco il veder lui cieco ne conforta, « Quando fiutando sol, par
che
più faccia, « Ch’altri non fa ch’abbia odorato e
ume. « Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più
che
’l Noto. « Di quaranta persone, appena diece « So
o, « Che gli pendea, come a pastor, dal fianco. » E per intender poi
che
questa è una imitazione del gigante Polifemo desc
E prima il fa veder ch’all’antro arrivi, « Che tre dei nostri giovini
che
aveva, « Tutti li mangia, anzi trangugia vivi. «
ea in collo. » 244. La voce Parca deriva dal verbo latino parcere,
che
vuol dire perdonare ; ma siccome le Parche non pe
non perdonavano mai a nessuno, vuolsi intendere (secondo i mitologi),
che
sien così dette per antifrasi ex eo quod non parc
ologi), che sien così dette per antifrasi ex eo quod non parcant : il
che
equivarrebbe a dire che son così chiamate ironica
tte per antifrasi ex eo quod non parcant : il che equivarrebbe a dire
che
son così chiamate ironicamente. — Troveremo un ca
e Furie. 245. Anche i poeti latini trovarono più poetiche le Parche
che
il Fato ; e assegnarono ad esse lo stesso ufficio
lle Parche il presagio dei futuri eventi, si chiaman fatali gli stami
che
esse filano, e si aggiunge che nessun Dio può dis
ri eventi, si chiaman fatali gli stami che esse filano, e si aggiunge
che
nessun Dio può disfarli : « Hunc cecinere diem P
riferibili ai nomi ed agli ufficii delle tre Parche : « Ma po’ colei
che
di e notte fila « Non gli avea tratta ancora la c
taggio ha questa Tolomea « Che spesse volte l’anima ci cade « Innanzi
che
Atropòs mossa le dea. » (Inf., xxx, 124.) Second
le e indegno di cotanto uffizio. — Un commentatore Darwiniano direbbe
che
questo giudice era uno scimmione precocemente per
za spirito di parte, non fossero nè guelfi nè ghibellini. Ma io credo
che
nell’invenzione dantesca sia da ammirarsi princip
a anche il seguente epigramma attribuito al Machiavello : « La notte
che
morì Pier Soderini, « L’alma n’andò dell’Inferno
nome os, oris (labbro o bocca), sta a significare le risposte a voce
che
rendevansi dagli Dei ai mortali per mezzo dei sac
ella parola, qualunque altro modo di manifestazione dei voleri divini
che
non fosse a voce, non potrebbe a rigore chiamarsi
ontà degli Dei. Lo stesso è da dirsi del vocabolo responsi, latinismo
che
è divenuto in italiano il termine solenne e poeti
i Oracoli282). Inoltre la parola Oracolo significa talvolta lo stesso
che
responso, e tal’altra il luogo sacro in cui si re
discorso e monotono il parlar di tutti particolarmente ; ed io credo
che
invece basterà descriverne tre o quattro dei prin
più famosi, e passar leggermente sugli altri con qualche osservazione
che
sia ad essi comune. Fra tutti quanti gli Oracoli,
garchico, dipendendo con assoluta autorità da cinque Sommi Sacerdoti,
che
eran chiamati i cinque Santi. Credevasi che Apoll
a cinque Sommi Sacerdoti, che eran chiamati i cinque Santi. Credevasi
che
Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone che
que Santi. Credevasi che Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone
che
infestava quei luoghi ; e che perciò in origine l
o colà avesse ucciso il serpente Pitone che infestava quei luoghi ; e
che
perciò in origine la città di Delfo fosse detta P
i ai giuochi in onore di esso, di Pizia o Pitonessa alla sacerdotessa
che
invasata dal Nume proferiva mistiche parole, inte
ssibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto
che
ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. Nel
venir le traveggole, ovvero mofetici da mozzare il fiato. Un tripode,
che
alcuni dissero coperto della pelle del serpente P
di quello pendeva un vaso circolare e concavo, una specie di caldaia,
che
i Greci chiamavano lebete e i Latini cortina, den
ol qual significato è passata nella lingua italiana. Il furore divino
che
invasava la Pizia era l’effetto delle esalazioni
vasava la Pizia era l’effetto delle esalazioni naturali o artificiali
che
uscivano dalla voragine ; le mistiche parole che
turali o artificiali che uscivano dalla voragine ; le mistiche parole
che
essa proferiva erano vocaboli sconnessi, detti a
proferiva erano vocaboli sconnessi, detti a caso e senza alcun senso,
che
i sacerdoti cercavano di connettere in frasi ambi
nnettere in frasi ambigue, ossia con doppio senso ; e il sacro orrore
che
investiva i creduli devoti ammessi a queste fanta
, Strabone e Tacito ; e quest’ultimo storico autorevolissimo aggiunge
che
il sacerdote proferiva gli oracoli in versi. (Ann
erpretazione. Quest’Oracolo cominciò ad esser poco frequentato appena
che
acquistò fama quello di Delfo, che era il più cen
ò ad esser poco frequentato appena che acquistò fama quello di Delfo,
che
era il più centrale della Grecia e rendeva respon
iove Ammone nella Libia parlammo a lungo nel N° XI : ora basterà dire
che
in quest’Oracolo i responsi deducevansi dalle oss
parleremo altrove. V’erano per altro anche in Italia alcuni Oracoli,
che
perciò eran detti Italici, come l’antico oracolo
onsistevano nella interpretazione di segni casuali, ed anche di sogni
che
si facessero addormentandosi in quei sacri recint
ui eran solenni mæstri gli Etruschi ; e da essi li appresero i Romani
che
ne facevano un uso frequentissimo negli affari pu
sì civili. » Che fossero un’impostura dei sacerdoti pagani non credo
che
sia d’uopo dimostrarlo ai tempi nostri, tanti sec
n credo che sia d’uopo dimostrarlo ai tempi nostri, tanti secoli dopo
che
furon riconosciuti falsi e bugiardi gli stessi De
i scrittori ecclesiastici si affatichino a citare centinaia di autori
che
avevano scritto contro gli Oracoli, per noi non è
erudizione, tanta ricchezza di testimonianze ; e ci basterà il sapere
che
ne pensassero Demostene, Cicerone e Catone Uticen
elle sue celeberrime Orazioni disse pubblicamente al popolo di Atene,
che
la Pizia filippeggiava, vale a dire che l’Oracolo
licamente al popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale a dire
che
l’Oracolo di Delfo era corrotto dall’oro del re F
festazione della volontà degli Dei287). Catone Uticense ai suoi amici
che
gli suggerivano (quand’egli era in Affrica armato
mato contro Cesare) di consultare l’Oracolo di Giove Ammone, rispose,
che
gli Oracoli erano buoni per le donne, i fanciulli
nza degli Oracoli coll’attribuire alla morte di alcuni Dèmoni o Genii
che
vi presiedevano la cessazione di alcuni oracoli,
i Dèmoni o Genii che vi presiedevano la cessazione di alcuni oracoli,
che
derivò soltanto dal discredito in cui eran caduti
oracoli, che derivò soltanto dal discredito in cui eran caduti ? Egli
che
visse sino all’anno 119 dell’èra cristiana e si m
ni Dèmoni o Genii ; poichè questa asserzione implicava la possibilità
che
morissero tutti gli altri ; e inoltre il creder n
rissero tutti gli altri ; e inoltre il creder negli Dei e il supporre
che
non fossero immortali era una contradizione, la n
la negazione della loro stessa divinità, e perciò del culto religioso
che
ne dipendeva. I primi Cristiani attribuirono gli
istiani attribuirono gli Oracoli all’opera dei Demònii, ed asserivano
che
la potenza di questi era cessata col sorger del C
navano gratuitamente e senza necessità una causa soprannaturale a ciò
che
era l’effetto naturalissimo della impostura dei s
r altro a spiegarsi il fatto storico, pur troppo vero e indubitabile,
che
per tanti secoli gli Oracoli avessero credito e f
i più antichi scrittori. I mitologi dicono (come notammo nel N. XIV)
che
Deucalione e Pirra, dopo l’universale diluvio, co
nei segreti consigli di Stato. Fu poi riconosciuto anche dai filosofi
che
i primi civilizzatori dei popoli si valsero del p
durli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio. Quel
che
di Orfeo dice Orazio nella Poetica è applicabile
etica è applicabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal
che
deducesi che il governo teocratico fu il primo go
cabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi
che
il governo teocratico fu il primo governo regolar
rpretazione : « Fra tutti gli uomini laudati sono laudatissimi quelli
che
sono stati capi e ordinatori delle religioni. » E
e repubbliche, inimici delle virtù, delle lettere e d’ogni altra arte
che
arrechi utilità e onore alla umana generazione, c
co. E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o sì tristo, o sì buono,
che
propostagli la elezione delle due qualità d’uomin
propostagli la elezione delle due qualità d’uomini, non laudi quella
che
è da laudare e biasimi quella che è da biasimare.
qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare e biasimi quella
che
è da biasimare. » (Discorsi, lib. I, cap. 10.) E
oro cerimonie dipendevano da questi. Perchè loro facilmente credevano
che
quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro be
ipendevano da questi. Perchè loro facilmente credevano che quello Dio
che
ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo fut
zione e devoto. » Da tutte le preaccennate autorità e da altre molte
che
si potrebbero citare, e delle quali ciascun che l
rità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun
che
legge queste pagine avrà facilmente præ manibus p
te præ manibus più d’una, si può dedurre con sicurezza di non errare,
che
gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione de
rima con intenzion casta e benigna per uno scopo altamente sociale, e
che
essendo diretti al pubblico bene furono utilissim
er difenderla contro le straniere invasioni. Il responso della Pizia,
che
i Greci si difendessero in mura di legno, suggerì
leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo. Cicerone
che
l’analizza filosoficamete nelle Tusculane, chiama
e nelle Tusculane, chiama il Nosce te precetto di Apollo, ed aggiunge
che
essendo di tal sublimità da parer superiore all’i
o umano, fu perciò attribuito a un Dio290). Finchè dunque i sacerdoti
che
facevan parlare gli Oracoli furon dotti e sapient
uomini increduli ed atti a perturbare ogni ordine buono. » Fu allora
che
venne fuori Demostene a dire pubblicamente che la
ine buono. » Fu allora che venne fuori Demostene a dire pubblicamente
che
la Pizia filippeggiava, e in appresso Cicerone a
ia filippeggiava, e in appresso Cicerone a dimostrare filosoficamente
che
la Divinazione era immaginaria e insussistente, e
la Divinazione era immaginaria e insussistente, e Catone ad asserire
che
gli Oracoli eran buoni soltanto per le donne, i f
morta 292). 281. Ha la stessa etimologia la parola orazione, tanto
che
Cicerone dichiara : « Oracula ex eo ipso appellat
quod inest in his deorum oratio. » In greco avevano due o tre termini
che
non furono adottati nella lingua italiana, e solt
o i pregi per cui distinguevansi diverse città della Grecia, rammenta
che
Delfo era illustre per l’oracolo di Apollo : « L
tate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella
che
si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di mu
oi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo
che
insieme con Bruto erano andati a consultarlo per
pollo il titolo di Dio Clario, per la celebrità dell’oracolo di Claro
che
rendeva i responsi in versi ; e con adulazione co
onsi in versi ; e con adulazione cortigianesca assomiglia il giudizio
che
darebbe de’suoi versi il principe dotto e poeta a
issa legenda Deo. » 287. Riporterò il seguente passo di Cicerone,
che
è decisivo : « Sed jam ad te venio, « Sancte Apo
dosque leones. » (Hor., De art. poet., v. 391.) 289. Narra Erodoto
che
la Pizia terminò il suo responso con queste parol
Narra Erodoto che la Pizia terminò il suo responso con queste parole
che
in greco eran comprese in due versi : Divina Sala
e donne, o Cerere si disperda, oppure si unisca. Molti interpretavano
che
i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Tem
onvinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare
che
Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’av
na sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e
che
perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali
impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere al popolo romano
che
le sue prescrizioni religiose e civili gli erano
ri marini Mitologici e Poetici Distingueremo subito i mostri marini
che
avevano in parte figura umana da quelli che erano
mo subito i mostri marini che avevano in parte figura umana da quelli
che
erano soltanto animali marini di orribili forme.
ente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. Oltre al dire
che
erano bellissime, aggiungevano i mitologi ed i po
tre al dire che erano bellissime, aggiungevano i mitologi ed i poeti,
che
esse cantavano dolcissimamente, e suonavano egual
barbaro diletto di annegarli nel mare o di divorarseli. Ed asserivasi
che
per quanto le prossime coste dell’Italia e della
oro per udirle meglio, e non pensava più alla trista fine inevitabile
che
lo attendeva. Da circa 3000 anni quasi tutti i po
descrizioni e le allusioni se ne formerebbe un volume. Omero inventò
che
Ulisse, volendo udire il canto delle Sirene e sch
ti della Sirena, il poeta ce la rappresenta come l’immagine del vizio
che
alletta « Col venen dolce che piacendo ancide. «
rappresenta come l’immagine del vizio che alletta « Col venen dolce
che
piacendo ancide. « Ma così tosto al mal giunse lo
endo ancide. « Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto
che
subito dopo soggiunge : « Ancor non era sua bocc
hesso me per far colei confusa. » E questa donna santa era la Virtù,
che
stracciando le pompose vesti che cuoprivano quell
E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti
che
cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a
el vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo
che
n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferir
usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di morale
che
immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle ch
lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle
che
gliela commentasse il suo duca, signore e maestro
Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi al logoro
che
gira « Lo rege eterno con le rote magne. » I mit
e ne rammentano tre, cioè Lisia, Leucosia e Partenope ; ed aggiungono
che
la sirena Partenope andò a morire sulla costa del
ndò a morire sulla costa del Tirreno dove fu poi fabbricata una città
che
in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Par
città che in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Partenopea, e
che
in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi an
e che in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi ancora, Napoli,
che
significa città nuova. Scelsero egregiamente gli
giorno delle Sirene un clima incantevole bene adattato agli attributi
che
a queste assegna la favola. Il nome di Sirena è u
di Sirene ai cetacei erbivori, detti comunemente Lamentini (Manatus),
che
formano la transizione fra le balene e le foche,
e, come una gran parte dei pesci227. Da sì lieve causa e somiglianza,
che
doveva sembrare anche più grande alla robusta e s
rigine la favola delle Sirene, abbellita dall’arte dei poeti nel modo
che
abbiam detto. Non si può parlar di Scilla senza c
ei poeti nel modo che abbiam detto. Non si può parlar di Scilla senza
che
ricorra alla mente anche Cariddi, essendo questi
Cariddi, e collocati fronte a fronte geograficamente. La favola dice
che
Scilla era figlia di Forco divinità marina e di E
cilla era figlia di Forco divinità marina e di Ecate dea infernale, e
che
in origine era bellissima, ma poi per gelosia di
enchè creduta figlia di Nettuno e di Gea, ossia della Terra, fu detto
che
si dilettava di assaltare i passeggieri e i navig
di assaltare i passeggieri e i naviganti, e di annegarli nel mare ; e
che
, fulminata da Giove, cadde nello stretto o faro d
di Messina, e vi formò una pericolosa voragine. La geografia ci dice
che
Scilla è una scogliera sulla costa della Calabria
ia ulteriore I228, ove le onde si frangono romoreggiando con un suono
che
sembra un latrato : quindi la favola dei cani all
bra un latrato : quindi la favola dei cani alla cintura di Scilla ; e
che
Cariddi è un vortice poco distante, sulla opposta
Sicilia presso il faro di Messina. L’antico volgo esagerò i pericoli
che
v’ erano a passar lo stretto fra Scilla e Cariddi
impetuosi, o per la imperizia degli antichi navigatori, certo è però
che
nei tempi moderni nessun più ne teme, anzi di per
Cariddi, « Che si frange con quella in cui s’intoppa, « Così convien
che
qui la gente riddi. » (Inf., C. vii, 22.) Passan
iddi. » (Inf., C. vii, 22.) Passando ora a parlare dei mostri marini
che
erano soltanto animali viventi nel mare, e le cui
, e le cui specie son tuttora esistenti, convien notare primieramente
che
gli Antichi davano loro il nome generale di Orche
con tanto maggior sicurezza lavoravano di fantasia. Perciò supposero
che
fossero animali carnivori che divorassero gli uom
avoravano di fantasia. Perciò supposero che fossero animali carnivori
che
divorassero gli uomini e tanto più volentieri le
divorassero gli uomini e tanto più volentieri le donne ; e credettero
che
talvolta uscisser dal mare, e sulle terre vicine
ron descritte le più terribili Orche dagli antichi poeti, quella cioè
che
devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomed
i queste dovremo parlare lungamente a suo tempo. Per altro si capisce
che
quelle così terribili Orche non erano altro che B
Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro
che
Balene. Ma oggidì può chiunque sa leggere sapere
bri di Storia Naturale, o aver sentito raccontare da chi li ha letti,
che
la vera e propria Balena,231 senza pinna dorsale
e sfiatatoi, mentre è il più grosso degli animali viventi, non è vero
che
sia un animale carnivoro, perchè i suoi stromenti
di 2 pollici. Inoltre la Balena con tutta la sua gigantesca statura,
che
quando alza l’enorme sua testa perpendicolarmente
uno scoglio ; e per quanto sia straordinaria e tremenda la sua forza,
che
quando flagella furiosamente le onde colla potent
i del secolo di Augusto232, e neppure lo stesso Plinio il Naturalista
che
morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno de
a il 2° giorno della prima eruzione del Vesuvio. E quantunque i poeti
che
scrissero dopo le prime spedizioni dei Baschi all
tre la descrizione del modo con cui Orlando libera Olimpia dall’ Orca
che
stava per divorarla : « Tosto che l’Orca s’accos
Orlando libera Olimpia dall’ Orca che stava per divorarla : « Tosto
che
l’Orca s’accostò, e scoperse « Nel schifo Orlando
nco ; e l’àncora attaccolle « E nel palato e nella lingua molle. « Sì
che
nè più si puon calar di sopra, « Nè alzar di sott
o oscuro « Di qua e di là con tagli e punte tocca. « Come si può, poi
che
son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difende
ci, ben difender rocca, « Così difender l’Orcá si potea « Dal paladin
che
nella gola avea. « Dal dolor vinta, or sopra il m
o fuor ne viene : « Lascià l’àncora fitta, e in mano prende « La fune
che
dall’àncora depende. « E con quella ne vien notan
retta « Verso lo scoglio, ove fermato il piede, « Tira l’àncora a sè,
che
in bocca stretta « Con le due punte il brutto mos
tro fiede. « L’Orca a seguire il canapo è costretta « Da quella forza
che
ogni forza eccede, « Da quella forza che più in u
costretta « Da quella forza che ogni forza eccede, « Da quella forza
che
più in una scossa « Tira, ch’in dieci un argano f
scossa « Tira, ch’in dieci un argano far possa. « Come toro salvatico
che
al corno « Gittar si senta un improvviso laccio,
asconde « Del chiaro Sol : tanto le fa salire. « Rimbombano al rumor
che
intorno s’ode « Le selve, i monti e le lontane pr
più affaticarsi ; « Che pel travaglio e per l’avuta pena « Prima morì
che
fosse in su l’arena »233. Dopo questa arditissi
arborati e seminativi, un ampio lago ed un mercato di grano con gente
che
compra e vende, e inoltre una chiesa con le campa
ano con gente che compra e vende, e inoltre una chiesa con le campane
che
suonano a festa, un convento di frati cappuccini
e rammenta le balene nel fare una sapiente e filosofica osservazione,
che
cioè la Natura non ha da pentirsi di aver creato
mento della mente, vale a dire l’intelligenza e il raziocinio, l’uomo
che
ne è fornito può non solo difendersi da essi, ma
del peso di più di 100 mila chilogrammi ; e così dimostrar coi fatti
che
non già la forza brutale, ma l’intelligenza, madr
chi ; e chiamansi quelle Mairmaids, e questi Mairmen, parole composte
che
voglion dire fanciulle marine e uomini marini. 2
a una città chiamata Scilla ; ed ora vi è un paese dello stesso nome,
che
gli abitanti pronunziano come se si scrivesse Sci
Balena detta della Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare
che
circonda quell’isola. 232. Orazio faceva tante
isola. 232. Orazio faceva tante maraviglie e mostrava quasi orrore
che
gli uomini avessero osato affidarsi con fragil ba
n fatti di diverso vi è soltanto la fantastica invenzione ariostesca,
che
Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli rius
la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e
che
inoltre gli riuscisse) di entrar nella bocca dell
gli riuscisse) di entrar nella bocca dell’ Orca con tutta la nave, e
che
ficcasse l’ancora « E nel palato e nella lingua
asse l’ancora « E nel palato e nella lingua molle ; » mentre è noto
che
si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina ne
scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo,
che
è grossa circa un pollice, e si fa penetrare nel
a circa un pollice, e si fa penetrare nel sottoposto strato di grasso
che
è alto almeno quindici pollici. In tutto il riman
scrizione par tratta da qualche libro moderno di Storia Naturale, sol
che
all’àncora si sostituisca il rampone al quale è a
l’àncora si sostituisca il rampone al quale è attaccata la lunga fune
che
si tiene fissata alla nave, e se è possibile anch
sata alla nave, e se è possibile anche alla spiaggia. E vero del pari
che
la Balena : « Dal dolor vinta, or sopra il mar s
ir l’arene « Con mille guizzi e mille strane ruote. » E vero altresì
che
dal rampone e dalla fune « ………. scior non se ne
esì che dal rampone e dalla fune « ………. scior non se ne puote ; » e
che
finalmente, esaurite le forze, muore la Balena «
alena « E pel travaglio e per l’avuta pena. » 234. Il raziocinio
che
fa Dante su tal proposito è molto notabile, e mer
a inesauribile per inventar cose strane e fuori dell’ordine naturale,
che
perciò appunto si dicono prodigiose, e più verame
di Ditirambo, e i poeti latini di Bimater, cioè figlio di due madri,
che
meglio direbbesi due volte nato, perchè la così d
mmina, ma un maschio. Convien dunque darne la spiegazione. Raccontano
che
Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva S
dunque darne la spiegazione. Raccontano che Giunone essendosi accorta
che
Giove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di T
endo all’ incompleto sviluppo di esso e rendendolo vitale196. Dopo di
che
lo consegnò alle figlie di Atlante perchè lo alle
re) un vecchio satiro chiamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e
che
ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto pi
vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile
che
istillare il gusto delle belle lettere e delle sc
buso di questo liquore. Anzi per indicare non tanto la forza del vino
che
dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne d
tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza
che
ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla
si aggiungevano sulla fronte di Bacco le corna198 ; e i poeti dicono
che
egli non sempre le portava, il che significa che
cco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il
che
significa che non era sempre ubriaco. Coloro però
8 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa
che
non era sempre ubriaco. Coloro però che vogliono
le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. Coloro però
che
vogliono attribuir dignità o importanza a questo
però che vogliono attribuir dignità o importanza a questo Dio dicono
che
le corna son simbolo della potenza di lui, ossia
otenza di lui, ossia della forza del vino. Il nome stesso di Bacco, o
che
si faccia derivare da un greco vocabolo che signi
l nome stesso di Bacco, o che si faccia derivare da un greco vocabolo
che
significa favellare, ed accenni al vaniloquio del
questo secondo e peggior senso, poichè ne formavano il verbo bacchari
che
significa infuriare, e in più mite accezione abba
egria. In italiano poi dal nome di Bacco è derivata la parola baccano
che
significa rumore strepitoso e selvaggio di gente
a parola baccano che significa rumore strepitoso e selvaggio di gente
che
sembra impazzata. E questo era il rumore che face
oso e selvaggio di gente che sembra impazzata. E questo era il rumore
che
facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le do
ra il rumore che facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le donne
che
furon chiamate Baccanti ; e in tal modo clamoroso
odo clamoroso e impudente celebravansi in Roma le feste di questo Dio
che
furon dette Baccanali, di cui gli eccessi giunser
Baccanali, di cui gli eccessi giunsero anticamente tant’oltre in Roma
che
il Senato dovè proibirle. L’immagine e similitudi
ccanali si è conservata e riprodotta sino a noi nel nostro carnevale,
che
in altri tempi più antichi dicevasi ancora carnas
l Redi ; e tra i Satiri v’era l’aio di Bacco, cioè il vecchio Sileno,
che
dall’essere continuamente ubriaco non reggevasi i
sulla groppa del suo asinello. Ma qui cederò la parola al Poliziano,
che
maravigliosamente in due sole ottave di versi end
pampino « Coperto, Bacco il qual duo tigri guidano ; « E con lui par
che
l’alta rena stampino « Satiri e Bacche ; e con vo
Bacche ; e con voci alte gridano. « Quel si vede ondeggiar ; quei par
che
inciampino ; « Quel con un cembal bee ; quegli al
u allevato. I Latini non adottarono questo nome, ma bensì l’aggettivo
che
ne deriva, e davano l’appellativo di Dionisie 200
deriva, e davano l’appellativo di Dionisie 200) alle feste di Bacco,
che
quando proruppero in eccessi ributtanti, oltre ch
le feste di Bacco, che quando proruppero in eccessi ributtanti, oltre
che
Baccanali furono dette anche Orgie da un greco vo
ti, oltre che Baccanali furono dette anche Orgie da un greco vocabolo
che
significa pur esso furore. Anche in italiano si d
i. I Latini bene spesso davano a Bacco il nome di Libero per indicare
che
il vino ispira libertà, ma però eccessiva, che al
di Libero per indicare che il vino ispira libertà, ma però eccessiva,
che
allora equivale a licenza o impudenza. Gli altri
i. Convien qui rammentare il grido di allegrezza e di evviva a Bacco,
che
ripetevasi frequentemente nelle feste di lui ; ed
tevasi frequentemente nelle feste di lui ; ed era la greca voce Evoe,
che
in latino s’interpreta Euge fili ! e nel nostro v
rrisponde a Bravo figlio ! parole di approvazione e d’incoraggiamento
che
i mitologi suppongono dette da Giove a Bacco suo
azzanti, in atto di far passi concitati o salti, e perciò colle vesti
che
formavano obliquamente molte pieghe ; e in mano i
e alla buona, senza tante sicumere e accordature d’orchestra. Finsero
che
Bacco nei suoi viaggi di proselitismo enologico a
xo Arianna figlia di Minos re di Creta, abbandonata dal perfido Teseo
che
a lei doveva la sua salvezza dal labirinto e dal
era egregia di Vulcano, la quale poi fu cangiata in una costellazione
che
porta ancora il nome di corona di Arianna. Tre fi
, ed ebbero nomi relativi alla vite, all’uva ed al vino, cioè Evante,
che
significa fiorente ; Stafilo, nome derivato da st
oè Evante, che significa fiorente ; Stafilo, nome derivato da staphis
che
era una specie di vite e d’uva anticamente chiama
a specie di vite e d’uva anticamente chiamata stafusaria ; ed Enopio,
che
vuol dire bevitor di vino. Si attribuivano a Bacc
ribuivano a Bacco diversi miracoli. Cangiò in delfini alcuni marinari
che
si opponevano al suo culto. Fece sì che Licurgo,
iò in delfini alcuni marinari che si opponevano al suo culto. Fece sì
che
Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato ch
suo culto. Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato
che
si tagliassero tutte le viti dei suoi Stati, nel
di propria mano si tagliasse da sè stesso le gambe. Penteo re di Tebe
che
voleva abolire il culto di Bacco fu ucciso dalla
voleva abolire il culto di Bacco fu ucciso dalla propria madre Agave,
che
insieme con altre Baccanti venuta in furore lo av
Bacco per attendere alla loro occupazione di tesser le tele, fu detto
che
furono cangiate in vipistrelli 205) e i loro tela
premio dal Nume la facoltà di scegliere un dono di suo piacere. Mida,
che
era avarissimo, chiese di poter trasformare in or
ida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò
che
toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli e
l grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento
che
si cangiavano in solido oro non solo i vasellami
o che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie
che
egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevan
le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande
che
mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fam
Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiume Pattolo ; e i poeti aggiunsero
che
le acque di quel fiume contrassero in parte la pr
giunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la proprietà
che
Mida perdè, trasportando nella loro corrente alcu
ida « Che seguì alla sua dimanda ingorda « Per la qual sempre convien
che
si rida. » Ma non meno risibile divenne Mida, al
gli fece crescere le orecchie d’asino per aver giudicato bestialmente
che
all’armonia dell’apollinea cetra fosse preferibil
co in origine era simbolo soltanto del vino ; ma dopo tutte le favole
che
si raccontarono di lui, e specialmente dopo i fat
lonia ha colmo il sacco « D’ira di Dio, e di vizii empi e rei « Tanto
che
scoppia ; ed ha fatti suoi Dei « Non Giove e Pall
ed amico ; e questi mi sembrano più ingegnosi e più filosofi naturali
che
gli altri. Imperocchè poco vale il piantare e il
pero e sanno, e gli antichi e i moderni, o storicamente o per pratica
che
le uve non maturano nei luoghi freddi ed esposti
. Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol
che
si fa vino, « Misto all’umor che dalla vite cola.
gatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor
che
dalla vite cola. » Lo stesso Galileo 300 anni do
00 anni dopo non aggiunse nulla di più alla formula di Dante col dire
che
il vino è un composto di umore e di luce. Il cele
parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso « Di quel Sol
che
in Ciel vedete, « E rimase avvinto e preso « Di
ialeschi di Lorenzo il Magnifico per le mascherate dette di carattere
che
si facevano in quei tempi. Torna qui in acconcio
facevano in quei tempi. Torna qui in acconcio di rammentare il Canto
che
è intitolato : Trionfo di Bacco e di Arianna, che
rammentare il Canto che è intitolato : Trionfo di Bacco e di Arianna,
che
insieme col Canto dei Cialdonai, dei Romiti, dei
col Canto dei Cialdonai, dei Romiti, dei Sette Pianeti e degli Uomini
che
vanno col viso volto indietro si trova riportato
d., ii, 19.) 202. Il Ditirambo, voce derivata da due parole greche
che
appellano alla doppia nascita di Bacco, oltre ad
composto per lo più di due pezzi concavi di metallo (ferro o bronzo),
che
si suonavano battendoli insieme, come fanno tutto
v’è il famoso Fauno di greca scultura, in atto di suonare il crotalo
che
ha nelle mani. — In Zoologia si dà il nome di cro
pertilio, di cui ci dà l’etimologia Ovidio nelle Metamorfosi, dicendo
che
questi animali notturni : « ……….. tenent a vespe
spere nomen. » 206. È coerente al carattere di Bacco Dio del vino
che
egli disprezzi e biasimi la birra, il sidro e qua
egli disprezzi e biasimi la birra, il sidro e qualunque altra bevanda
che
non si estragga dall’uva. Perciò nel ditirambo de
lega col vino, e ne diminuiscono l’uso e il consumo : « Non fia già
che
il cioccolatte « V’adoprassi, ovvero il tè : « Me
n saran giammai per me : « Beverei prima il veleno, « Che un bicchier
che
fosse pieno « Dell’amaro e reo caffè. » Sempre m
i (come dicono i chimici) con litargirio, con minio o sal di Saturno,
che
sono veri e proprii veleni. 207. Si noti però c
o sal di Saturno, che sono veri e proprii veleni. 207. Si noti però
che
la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i
me dopo la morte, secondo la Mitologia Abbiamo veduto nel N. XXVIII
che
i Campi Elisii erano il soggiorno dei buoni dopo
erano per lo più gli Eroi o Semidei, e non tutti, ma quelli soltanto
che
furono i più grandi benefattori della umanità. A
, per quanto buoni e giusti e pii andavano ai Campi Elisii, soggiorno
che
gli Antichi, con tutta la loro vigorosa fantasia,
terrestri condizioni di questa mortal vita. Lo stesso Omero ci narra
che
Achille, quantunque godesse i primi onori nei Cam
soggiorno, anche pochi anni dopo la sua morte ; e parlando con Ulisse
che
era andato a visitare il regno delle ombre, « No
s., xi, trad., di Pindemonte). Non era dunque uno stato felice quello
che
produceva la noia, e faceva rimpianger la vita mo
enza del passato, e principalmente di quei luoghi e di quelle persone
che
resero loro più cara e gioconda la terrena esiste
ù cara e gioconda la terrena esistenza. Aggiunsero infatti i mitologi
che
tutte quelle anime così dette beate si esercitava
sercitavano nell’altro mondo in quelle stesse arti ovvero occupazioni
che
erano state per loro più gradite in questo252. Pe
sa tomba, gli schiavi, i cavalli, i cani ed anche i materiali oggetti
che
gli furono più cari in vita, non dubitando che pe
he i materiali oggetti che gli furono più cari in vita, non dubitando
che
per tal via andassero a raggiungere l’anima di lu
si, immaginata dal filosofo Pitagora253. Metempsicòsi è parola greca
che
significa trasmigrazione delle anime ; questa dot
ca che significa trasmigrazione delle anime ; questa dottrina suppone
che
le anime degli estinti, dopo essere state un cert
he le anime degli estinti, dopo essere state un certo numero di anni (
che
i più fissano a mille) negli Elsii o nel Tartaro,
’è nascosto, « Quanto appare e quant’è, muove, nudrisce, « E regge un
che
v’è dentro o spirto o mente « O anima che sia del
ove, nudrisce, « E regge un che v’è dentro o spirto o mente « O anima
che
sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e p
cola e s’unisce. « Quinci l’uman legnaggio, i bruti, i pesci, « E ciò
che
vola, e ciò che serpe, han vita, « E dal foco e d
« Quinci l’uman legnaggio, i bruti, i pesci, « E ciò che vola, e ciò
che
serpe, han vita, « E dal foco e dal ciel vigore e
le caduche membra « Le fan terrene e tarde. E quinci ancora « Avvien
che
tema e speme e duolo e gioia « Vivendo le conturb
ra « Avvien che tema e speme e duolo e gioia « Vivendo le conturba, e
che
rinchiuse « Nel tenebroso carcere e nell’ombra «
poche siamo « Cui sì lieto soggiorno si destini. « Qui stiamo in fin
che
’l tempo a ciò prescritto « D’ogni immondizia ne
tempo a ciò prescritto « D’ogni immondizia ne forbisca e terga, « Sì
che
a nitida fiamma, a semplice aura, « A puro eterio
a questa celeberrima esposizione di principii filosofici e religiosi,
che
è la più bella e sublime di quante ce ne son perv
ttrina della Metempsicòsi, e ne deriva necessariamente la conseguenza
che
le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio
le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio non erano eterne, e
che
le anime avevano una perpetua rotazione di passag
sso il principio, o vogliam dir la credenza dell’anima del Mondo 256,
che
fu considerata come la base del Panteismo 257. Ap
i una piccola moneta di tal nome nella bocca degli estinti258. Vero è
che
queste stesse monete si ritrovarono anche dopo 10
o ceneri, e ne furon trovate anche in bocca alle Mummie egiziane : il
che
dimostrò che Caronte non era tanto inesorabile qu
e furon trovate anche in bocca alle Mummie egiziane : il che dimostrò
che
Caronte non era tanto inesorabile quanto gli agen
rrando per 100 anni lungo lo Stige nella penosa incertezza della sede
che
erale destinata. La qual credenza religiosa rese
l Tartaro l’immaginazione degli Antichi era stata un poco più feconda
che
in quella delle beatitudini dell’ Elisio, avendo
, fu punito nel Tartaro coll’esser legato a cerchio sopra a una ruota
che
velocemente e continuamente girando rendevagli et
ondannato nel Tartaro a spinger sulla cima di un monte un gran masso,
che
tosto ricadendo a valle rendeva eterna la sua pen
(Odissea, xi.) Di Tantalo è anche più straordinaria la colpa non meno
che
la pena. Tantalo era figlio di Giove e perciò amm
li Dei inorriditi si astennero dal mangiarne, ad eccezione di Cerere,
che
afflitta per la perdita di Proserpina, non si acc
evole imbandigione, e mangiò una spalla di Pelope. Si aggiunge ancora
che
gli Dei resero la vita al figlio di Tantalo ricòm
spalla mancante. Questo strano racconto era così divulgato e creduto,
che
i Pelopidi, ossia i discendenti di Pelope, portav
). Il padre scellerato ed empio fu condannato nel Tartaro ad una pena
che
tutti i poeti greci e latini rammentano, ma niuno
glio le bramose labbra, « Tante l’onda fuggìa dal fondo assorta, « Sì
che
appariagli ai piè solo una bruna « Da un Genio av
ltro, secondo l’interpretazione dei moderni grecisti, sembra asserire
che
Tantalo soffriva quella pena non già nell’Inferno
Tantalo aggiunge il timore continuo di essere schiacciato da una rupe
che
sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di
una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di sapere
che
egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà
per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e
che
perciò la sua pena durerà eternamente. Orazio ass
bi squisiti, non posson comprar nemmeno i più vili per saziar la fame
che
li tormenta. Dicesi ancora che soffron la pena di
nemmeno i più vili per saziar la fame che li tormenta. Dicesi ancora
che
soffron la pena di Tantalo coloro che non content
che li tormenta. Dicesi ancora che soffron la pena di Tantalo coloro
che
non contenti dell’aurea mediocrità, si macerano d
n contenti dell’aurea mediocrità, si macerano desiderando in vano ciò
che
non possono ottenere. Costoro nell’eccesso oppost
stessi delle loro smodate e irrazionali cupidità. Del gigante Tizio
che
offese Latona, udiremo da Omero qual fosse la pen
. (Odissea, xi.) Flegia, benchè figlio di Marte e padre di Coronide
che
partorì Esculapio, fu empio contro Apollo, e ne i
ito nel Tartaro col perpetuo timore di essere schiacciato da un masso
che
gli pendea sulla testa. Virgilio aggiunge che Fle
schiacciato da un masso che gli pendea sulla testa. Virgilio aggiunge
che
Flegia « Va tra l’ombre gridando ad alta voce :
legia « Va tra l’ombre gridando ad alta voce : « Imparate da me voi
che
mirate « La pena mia : non violate il giusto, « R
uesto il suo Maestro, ed ha fatto di Flegia un nocchiero della palude
che
cinge la città di Dite. Salmoneo, fratello di Si
esso il nome e degli Dei « S’attribuiva i sacrosanti onori. « Folle !
che
con le fiaccole e co’bronzi « E con lo scalpitar
ello non andassero in possesso generi estranei alla famiglia, propose
che
i suoi 50 figli sposassero le 50 figlie di Danao.
ebbe acconsentito, se l’oracolo da lui consultato non avesse risposto
che
egli sarebbe stato ucciso da un genero suo nipote
Danao allora per tentar di assicurarsi la vita macchinò un misfatto,
che
49 delle sue figlie eseguirono, qual fu quello di
iata, o come altri dicono sfondata, con l’ironica e beffarda promessa
che
sarebbe cessata la loro fatica, quando la botte f
pistole ; come pure altri poeti del secolo di Augusto270. È notabile
che
nell’Inferno dei Pagani le pene non hanno una evi
la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria
che
risulta dal commesso delitto, ossia colla violazi
lo stesso metodo a render ragione delle diverse categorie di dannati
che
egli ha posti in tre diversi cerchi, gironi o bol
empo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra
che
usura offende la divina bontade ; e perciò gli us
perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno. Egli finge
che
sia Virgilio che gli dà tale spiegazione da lui r
ri son condannati alle pene dell’Inferno. Egli finge che sia Virgilio
che
gli dà tale spiegazione da lui richiesta : « Fil
a quella, quanto puote, « Segue, come il maestro fa ’l discente, « Sì
che
vostr’arte a Dio quasi è nipote. « Da queste due,
quanto giusto tua virtù comparte ! » ci costringe ancora ad ammirare
che
di tanta sapienza, arte e giustizia la sua mente
celebri dei Pagani introdusse Dante nel suo Inferno, perchè non volle
che
gli mancasse lo spazio per cacciarvi tanti storic
rfino re e imperatori, e papi e cardinali. Di alcuni di quei dannati
che
Dante non rammentò raccolsero i nomi gli Scienzia
. I Chimici da Tantalo denominaron Tantalio un nuovo elemento o corpo
che
partecipa della natura dei metalli per le sue pro
co, ecc. Delle Danaidi fu dato il nome dagli Zoologi a certe farfalle
che
hanno nera la testa e il corpo con alcuni punti b
ere di piante rampanti della famiglia delle rubiacee, con fiori rossi
che
spandono piacevole odore. Anche in Meccanica ha i
nche in Meccanica ha il nome di Danaide una specie di ruota idraulica
che
serve a convertire il movimento rettilineo di una
e si fece così una felice allusione al continuo attinger dell’acqua,
che
era la pena delle Danaidi. 252. « Pars in gr
ei Pitagorici, nella opinione dei quali acquistò egli tanta autorità,
che
tutte le sue asserzioni erano stimate verità indu
ndubitabili. Essi in fatti nelle dispute non adducevano altra ragione
che
l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : i
assò a Metaponto ed ivi morì ; e dopo la morte fu più ancora ammirato
che
in vita, poichè la sua casa fu cangiata in un tem
Nume. 254. Avendo ammesso Pitagora nella dottrina della Metempsicòsi
che
le anime degli uomini, specialmente dei malvagi,
imale, e ridusse i suoi seguaci a cibarsi soltanto di vegetabili ; il
che
diede origine alla denominazione di vitto pitagor
, dice il Pestalozza, non è erronea per sè stessa, ma pel solo motivo
che
in essa l’anima s’immedesima colla divina sostanz
Lari, e fu temuto « Sulla polve degli avi il giuramento : « Religïon
che
con diversi riti « Le virtù patrie e la pietà con
Ovid., Metam., iii.) 263. Non dovrebbe ai moderni recar maraviglia
che
i Pelopidi portassero per decorazione una piccola
alsamentarii, volgarmente detti pizzicagnoli. Sapevalo bene il Giusti
che
nella sua satira sui Brindisi, inveisce contro un
di rimprovero : « Rida in barba a San Marco ed a San Luca, « E gridi
che
il suo santo è san Secondo, « E che il zampon di
an Marco ed a San Luca, « E gridi che il suo santo è san Secondo, « E
che
il zampon di Modena nel mondo « Compensa il Duca.
, 3ª, 77.) 265. Ambrosia in greco significa immortalità, e nettare
che
non uccide. — Questo passo di Pindaro ha dato luo
zio Poichè i mitologi, e specialmente i poeti latini, ci raccontano
che
Saturno esiliato dal Cielo si fermò in Italia all
al Cielo si fermò in Italia alla corte di Giano su quel celebre colle
che
tuttora chiamasi Gianicolo (abitazione di Giano)
si Gianicolo (abitazione di Giano) ; ed essendo questa la prima volta
che
noi troviamo un Dio che abita e conversa familiar
di Giano) ; ed essendo questa la prima volta che noi troviamo un Dio
che
abita e conversa familiarmente con gli uomini, co
re diverse opinioni, tra le quali accenneremo per ora quella soltanto
che
è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle
nneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e
che
prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi
e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire
che
quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo cre
ltre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso
che
dal Caos formò l’universo creasse l’uomo di divin
te all’anima umana, e facendola di origine divina. Anche Orazio disse
che
l’anima era una particella dell’aura divina 27).
Questa per verità apparisce una opinione più filosofica e biblica28)
che
mitologica. Di altre che sono totalmente favolose
sce una opinione più filosofica e biblica28) che mitologica. Di altre
che
sono totalmente favolose e strane avremo occasion
rrando, sotto il regno di Giove, le vicende di Prometeo e di Pandora,
che
cronologicamente vengono dopo il regno di Saturno
mo, secondo i diversi mitologi, convenivano però tutti nell’asserire,
che
quando Saturno fu esiliato dal Cielo era già la s
Cielo era già la specie umana sparsa in diverse regioni del mondo, e
che
nel territorio ove ora è Roma esisteva un regno,
di cui la capitale era sul monte Gianicolo. Raccontano dunque i poeti
che
l’esule Saturno, dopo essere andato errando per l
enne per nave sul Tevere29), e fu accolto ospitalmente dal re Giano ;
che
il territorio di quel regno in memoria di Saturno
di Saturno fu da prima chiamato terra Saturnia, e poi Lazio, termine
che
derivando dal verbo latino latère significa nasco
erchè vi si era nascosto, ossia rifugiato, quel Dio30. I più credono
che
fiorisse l’età dell’oro in quel tempo che Saturno
quel Dio30. I più credono che fiorisse l’età dell’oro in quel tempo
che
Saturno stette nel Lazio31, sebbene altri la rife
e produzioni di ogni ben di Dio sulla terra ; giungono perfino a dire
che
scorrevano rivi di latte e di miele. Ma il nostro
la frugalità e per condimenti la fame e la sete. Aggiungono i Pagani
che
in questo tempo anche gli Dei celesti soggiornava
è bella e sapiente, e consuona con la dottrina della Bibbia, ove dice
che
lo spirito di Dio abbandonò il re Saul disobbedie
il re Saul disobbediente, e subito dopo lo invase lo spirito maligno
che
lo rese alternativamente malinconico e furibondo.
alternativamente malinconico e furibondo. Nel Cristianesimo il tempo
che
Adamo ed Eva passarono nel Paradiso terrestre è c
vera età dell’oro, a cui debbono riferirsi le fantastiche descrizioni
che
ne fanno i poeti pagani. Ed è questa l’opinione n
ezze del Paradiso terrestre, fa dire alla celeste Matelda : « Quelli
che
anticamente poetaro « L’età dell’oro e suo stato
adice ; « Qui primavera sempre ed ogni frutto ; « Nettare è questo di
che
ciascun dice ! » All’età dell’oro successe quell
sse quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano
che
gli uomini peggiorarono. Da queste idee poetiche
gli uomini peggiorarono. Da queste idee poetiche nacque il proverbio
che
il mondo peggiorando invecchia 33). Ma non è dimo
rando invecchia 33). Ma non è dimostrato nè fisicamente nè moralmente
che
il mondo invecchi e vada sempre peggiorando : fis
ntinue modificazioni e trasformazioni ; ma chi può asserire e provare
che
le leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro
sempre perdendo della loro efficacia ? E riguardo al morale, ognun sa
che
vi sono uomini e popoli più o meno malvagi, ma no
ngiata o guasta l’umana natura in generale, poichè non meno la storia
che
la comune esperienza dimostrano che gli uomini e
nerale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano
che
gli uomini e i popoli possono correggersi dei lor
esso fa dire nella Divina Commedia a Marco Lombardo : « Tu dei saper
che
la mala condotta « È la cagion che il mondo ha fa
a Marco Lombardo : « Tu dei saper che la mala condotta « È la cagion
che
il mondo ha fatto reo, « E non natura che in voi
mala condotta « È la cagion che il mondo ha fatto reo, « E non natura
che
in voi sia corrotta. » E in propria persona sogg
…. O Marco mio, bene argomenti. » Qui osserverò una volta per sempre
che
alle erronee o pregiudicate opinioni bisogna semp
contrarie sentenze per rettificarle : diversamente la nuda erudizione
che
non sa far confronti e dedurne logiche conseguenz
zione che non sa far confronti e dedurne logiche conseguenze è peggio
che
inutile per l’umano progresso ; e quel tempo che
conseguenze è peggio che inutile per l’umano progresso ; e quel tempo
che
si perde in vanità e quisquilie letterarie, saria
no « O di mano o d’ingegno, » come suggerisce il Petrarca. Nel tempo
che
Saturno si trattenne nel Lazio insegnò a quei roz
e dall’altra o presso di sè un orologio a polvere, oppure un serpente
che
si morde la coda e forma così un circolo non inte
non interrotto. Con tutti questi diversi emblemi s’intende facilmente
che
sta a simboleggiare il Tempo ; e secondariamente
egli Dei dell’agricoltura, perchè la falce può significare egualmente
che
il tempo atterra ossia distrugge tutte le cose ;
re pur anco la principale operazione della mietitura. Il serpente poi
che
mordendosi la coda forma un circolo, appella solt
oi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo
che
è la continua successione dei momenti35. In Roma
lmente padroni di tutto, perchè la terra spontaneamente produceva più
che
abbastanza per tutti senza spesa o fatica di alcu
i visibili ad occhio nudo37), e inoltre a quel giorno della settimana
che
noi con vocabolo derivato dall’ebraico chiamiamo
Saturno un astro infausto e maligno, deducendolo forse dalla favola,
che
egli divorasse i propri figli. I chimici chiamano
iamo rappresentato come portinaio della celeste reggia, e come il Dio
che
fa girare le sfere e l’asse del mondo38, cioè il
iù e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto,
che
inoltre era considerato e come uomo e come Dio. L
ei Fasti, ed anche Cicerone e Macrobio fanno derivare dal latino anzi
che
dal greco il nome di Giano (quasi Eanus ab eundo,
no una chiave, e nell’altra una verga : la prima significava non solo
che
Giano era il celeste portinaio, ma ancora il cust
a ancora il custode delle case ; e colla verga si voleva far supporre
che
egli indicasse ai viandanti la strada. Celebre er
indicasse ai viandanti la strada. Celebre era in Roma il suo tempio,
che
stava chiuso in tempo di pace ed aperto in tempo
mo dalla storia romana. A Giano facevansi libazioni e preghiere prima
che
gli altri Dei, per ottenere da lui facile accesso
ggie di Mercato e quella celebratissima di Or San Michele in Firenze,
che
servivano anticamente come luoghi di convegno e d
ipalmente Cicerone ed Orazio, fanno più volte parola di questi Giani,
che
corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse
« ….. divinæ particulam aurœ. » (Hor., Od.) 28. Suppongono alcuni
che
, dopo essere stata la Giudea conquistata da Pompe
i scrittori di quell’epoca, si sa per altro di certo anche da Orazio,
che
molti Ebrei (o come li chiamavano allora Giudei,
di Giuda), si erano trasferiti ad abitare e far loro arti in Roma ; e
che
si mantenevano sempre scrupolosi osservatori del
o sempre scrupolosi osservatori del giorno di sabato. È Orazio stesso
che
lo dice nella ix Satira del lib. i : Hodie trices
i Romani gli usi e le pratiche religiose degli Ebrei. Non è noto però
che
ne sapessero o studiassero la lingua ; ma è certo
Non è noto però che ne sapessero o studiassero la lingua ; ma è certo
che
gli Ebrei dimoranti in Roma dovevano necessariame
e mortali soglie, « Ma nel fuggir le caddero le spoglie ; « E si dice
che
sieno « Quelle vesti formali « Che adornano i Leg
» Il seguito però e la conclusione o morale della favola dimostrano
che
l’abito non fa il monaco. 33. « Damnosa quid
rio, di Caligola e di Nerone, gli uomini fossero sempre peggiorati, a
che
sarebbe ora ridotta l’umana specie ? 34. Virg
lio nel ii delle Georgiche dopo avere enumerati i pregi dell’ Italia,
che
dichiara superiori a quelli delle altre regioni d
35. Tra i geroglifici egiziani si vede spesso il circolo, e si crede
che
significhi l’eternità e l’avverbio sempre. 36.
mpre. 36. Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Orazio,
che
comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il po
omne meum est. » 39. Cicerone dice a suo figlio nel De Officiis,
che
certi ottimi negozianti di Borsa eran più bravi d
lla in schola disputatur. » — E Orazio ripete ironicamente la massima
che
s’insegnava nei Giani, ossia nelle Borse d’allora
ella estensione del mare e neppur la parte millesima delle maraviglie
che
esso racchiude nel suo seno. Ma quanto erano scar
zzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi
che
Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il co
apita in estasi l’immaginazione211). Non deve dunque recar maraviglia
che
i Pagani i quali avevan popolato di Dei il Cielo
o nel mare. E quantunque non conoscessero in tutta la loro estensione
che
i principali mari interni di quello che ora chiam
o in tutta la loro estensione che i principali mari interni di quello
che
ora chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea
ra chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea generale dell’Oceano
che
cinge da tutte le parti la Terra, e perciò lo chi
da tutte le parti la Terra, e perciò lo chiamavan circumvagus, ossia
che
gira all’intorno, perchè vedevano da ogni parte d
re autore della Coltivazione, amantissimo della libertà della patria,
che
fu in quel tempo oppressa dai Medici, in un suo s
l tempo oppressa dai Medici, in un suo sonetto prega il padre Oceano,
che
rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, »
il padre Oceano, che rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, »
che
si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men
iol Tirreno, » che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men
che
gli altri mari e fiumi d’Italia dormirono per più
er più di trecento anni !212 Abbiamo detto altra volta (V. il N. XI)
che
agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di af
azione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii
che
arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigli
oni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli,
che
Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 30
cendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. La sua moglie
che
l’arricchì di sì numerosa prole era Teti 213), de
il più antico Dio marino, non ha peraltro l’impero assoluto del mare,
che
toccò in sorte a Nettuno fratello di Giove, dopo
e re del mare deriva, come dice Varrone, da un verbo latino (nubere),
che
significa velare o cuoprire, perchè il mare ricuo
e quarti) della superficie terrestre214). In greco chiamasi Poseidon,
che
direbbesi in italiano Posidone e significa spezza
emblemi o distintivi ; il più caratteristico dei quali è il tridente,
che
consiste in una forca con tre corni o punte ; ed
dei cavalieri col titolo di Nettuno equestre, alludendosi alla favola
che
questo Dio nella gara con Minerva per dare il nom
scrivendo o componendo di suo le solenni frasi rituali. Se non è bene
che
l’uomo sia solo sulla Terra, vale a dire senza av
privato, tanto più conviene a un re, e specialmente a un re assoluto
che
è padrone di tutto217), e a cui non può mancar ma
reo e di Dori, e quindi nipote dell’Oceano e di Teti. Da prima pareva
che
Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma p
fini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione,
che
condussero seco, portandola alternativamente sul
; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci,
che
è uno dei dodici segni del Zodiaco. Da questo mat
dodici segni del Zodiaco. Da questo matrimonio nacque il Dio Tritone
che
fu lo stipite delle diverse famiglie e tribù dei
delle principali divinità marine. Amfitrite è nome di greca origine
che
significa romoreggiante o corrodente all’intorno,
ata questa Dea come un’avvenente giovane con una reticella da capelli
che
le cinge la testa, – probabilmente a significare
fallo Nettuno, « Non da pirati, e non da gente Argolica ; » per dire
che
non fu commesso mai prima d’allora nel mar Medite
carte nautiche ; la qual denominazione mitologica è analoga a quella
che
fece chiamare Atlanti le collezioni delle carte g
carte geografiche. In geologia dicesi Nettunismo il sistema geologico
che
attribuisce la formazione della maggior parte del
ome di Amfitrite a un genere di Annelidi della famiglia dei Tubicoli,
che
abitano in tubi leggieri che questi animali si fa
di Annelidi della famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggieri
che
questi animali si fabbricano da sè stessi e seco
me i Satiri le terrestri Divinità) e di suonar la tromba marina 218),
che
era una conchiglia ritorta simile a quelle dette
era una conchiglia ritorta simile a quelle dette volgarmente nicchie,
che
orridamente suonano i nostri zotici Eumei alle ma
hè hanno dato il nome di Tritone a un genere di molluschi gasteropodi
che
formano conchiglie talvolta grandissime, e che si
molluschi gasteropodi che formano conchiglie talvolta grandissime, e
che
si trovano nella maggior parte dei mari. Convien
rte dei mari. Convien qui rammentare principalmente quella conchiglia
che
i naturalisti dicono Tritone smaltato (Triton var
iglia che i naturalisti dicono Tritone smaltato (Triton variegatus) e
che
volgarmente chiamasi tromba marina o conchiglia d
ra aquatica ; e Tritoniani furon detti da alcuni geologi quei terreni
che
sono stati formati nelle acque marine, o anticame
rie ; tal’altra cavalcano un pesce e fanno una regata di nuovo genere
che
niun mortale vide giammai ; e spesso sono accompa
he niun mortale vide giammai ; e spesso sono accompagnate dai Tritoni
che
fanno lazzi e salti, e suonano la tromba marina p
a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare
che
prese marito e fu madre di qualche altra Divinità
ltra Divinità. Doridi e Nereidi son nomi patronimici di quelle Ninfe
che
eran figlie di Dori e di Nereo. Queste Ninfe, che
ici di quelle Ninfe che eran figlie di Dori e di Nereo. Queste Ninfe,
che
eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro
della famiglia dei nudibranchi ; e danno il nome di Nereidi a quelle
che
volgarmente diconsi Scolopendre di mare. Ai natur
, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova
che
più e diversi di loro lo hanno assegnato (al soli
altre parole basteranno a compir la narrazione del mito. « Nel tempo
che
Giunone era crucciata « Per Semelè contra ’l sang
incarco era l’altro figlio chiamato Melicerta ; e la favola aggiunge
che
invece di annegarsi divennero la Dea Leucotoe e i
negarsi divennero la Dea Leucotoe e il Dio Palemone. Ora è da notarsi
che
gli Antichi fecero presiedere Leucotoe (chiamata
derate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità
che
avevan provato le più terribili procelle di quest
: Glauco era un pescatore della Beozia, il quale un giorno si accorse
che
i pesci da lui pescati e deposti in terra sopra l
ritornavano in mare. Volle provare anch’egli a gustar di quell’erba,
che
subito gli fece lo stesso effetto, e sentendosi s
Dio protettore della navigazione. Gli fu conservato il nome di Glauco
che
significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare
Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore
che
riflettono le onde del mare. Dante volendo raccon
e il colore che riflettono le onde del mare. Dante volendo raccontare
che
egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sent
Teti, ed avea per ufficio di condurre a pascer le mandre di Nettuno,
che
erano composte principalmente di orche, di foche
di prevedere il futuro ; ed inoltre di poter prendere qualunque forma
che
più gli piacesse. Vi aggiunsero ancora una sua st
e forma che più gli piacesse. Vi aggiunsero ancora una sua stranezza,
che
egli cioè non volesse presagire il futuro se non
za, che egli cioè non volesse presagire il futuro se non costretto, e
che
per esimersene si trasformasse in mille guise ; e
e che per esimersene si trasformasse in mille guise ; ed inventarono
che
bisognava legarlo mentre dormiva per costringerlo
prima legato, ed era costretto a rispondere veracemente alle domande
che
gli erano fatte. Questo mito racchiude molte impo
racchiude molte importanti verità e molti utili insegnamenti. Proteo
che
si trasforma in tutti gli esseri, ossia corpi dei
sseri, ossia corpi dei tre regni della Natura, rappresenta la materia
che
prende tutte le forme, la qual materia perciò con
amata proteiforme. Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò
che
fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarl
fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava
che
vi fosse costretto : così la materia contiene in
a materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi
che
regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se no
rasformazioni tardasse a riprender la sua prima figura, così conviene
che
gli studiosi non si stanchino dal proseguir lunga
ique pontus. » (Virg., Æneid., iii., 192.) 210. « Era già l’ora
che
volge il desio « Ai naviganti, e intenerisce il c
la famiglia dei Medici la distruzione delle libertà d’Italia, dicendo
che
essa ordì « Una tela di cabale e d’inganni « Che
4. Altri mitologi fanno derivare il nome di Nettuno dal greco niptein
che
significa lavare. 215. Il volgo bolognese chiama
il Gigante e il volgo fiorentino il Biancone ; e mentre si l’un volgo
che
l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome
nome è usato da Giovenale nella Satira x, v. 182, parlando di Serse,
che
pretese d’incatenare il mare : « Ipsum compedibu
ltrui sventure. Perciò il Tasso fa dire da Erminia al pietoso pastore
che
piangeva al suo pianto : « oh fortunato, « Che u
più vera e naturale spiegazione delle mirabili Metamorfosi di coloro
che
caddero in mare o in un fiume, e sparirono dal mo
di coloro che caddero in mare o in un fiume, e sparirono dal mondo, è
che
vi rimanessero annegati ; e Dante stesso lo ha de
ioso non meno. E questo confronto sempre meglio dichiari qual è l’uso
che
accortamente può farsi della Mitologia in servigi
i, incluso Dante, ne parlano o vi alludono. Cinquanta furono gli Eroi
che
vi presero parte, alcuni dei quali eran prima int
rvenuti alla caccia del cinghiale di Calidonia ; e tra questi Giasone
che
fu il duce e il protagonista degli Argonauti, e a
rima di tutto parlare. Chiamasi il Vello d’oro la pelle di un montone
che
invece di lana era coperta di fili d’oro. S’inten
ontone che invece di lana era coperta di fili d’oro. S’intende subito
che
questo montone è favoloso, e perciò convien cerca
arne l’origine nei precedenti tempi mitologici. Atamante re di Tebe,
che
sposò in seconde nozze Ino divenuta poi la Dea Le
a prima moglie Nèfele un figlio e una figlia di nome Frisso ed Elle ;
che
non contenti della matrigna fuggirono dalla casa
rtar da esso fra le onde sino alla Colchide. Ma nel passar lo stretto
che
ora dicesi dei Dardanelli la giovinetta Elle cadd
mitologico gli Antichi diedero a quello stretto il nome di Ellesponto
che
significa mare di Elle. Al desolato fratello conv
le. Al desolato fratello convenne continuar solo il viaggio marittimo
che
ebbe termine nella Colchide ov’era diretto. Quest
alvamento ove desiderava, offrì loro in sacrifizio quel bravo montone
che
lo aveva sì ben servito, per appenderne come voto
questa perifrasi mitologica ad un tempo ed astronomica : « … Or va,
che
il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto che
omica : « … Or va, che il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto
che
il Montone « Con tutti e quattro i piè copre ed
opinïone « Ti fia chiovata in mezzo della testa « Con maggior chiovi
che
d’altrui sermone. » Il vello d’oro rimasto nell
a come l’esercizio di un diritto imprescrittibile, di riacquistar ciò
che
è suo, essendo che l’aureo montone appartenesse o
di un diritto imprescrittibile, di riacquistar ciò che è suo, essendo
che
l’aureo montone appartenesse originariamente alla
ra. Ma gli Eroi di questa impresa per far lo stesso viaggio marittimo
che
fece Frisso sulla groppa del suo impareggiabile m
mpareggiabile montone, furon costretti a costruire ed armare una nave
che
fu creduta la prima inventata dagli uomini, e cel
ti gli antichi. La nave fu chiamata Argo, e quindi Argonauti gli Eroi
che
navigarono in quella. Se le fosse dato questo nom
ono in quella. Se le fosse dato questo nome da quello dell’architetto
che
la costruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppu
ostruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppure da un greco vocabolo,
che
secondo alcuni etimologisti significa veloce, o d
isti significa veloce, o da altro ortograficamente poco dissimile, ma
che
significa l’opposto, lascerò deciderlo ai solenni
rò deciderlo ai solenni filologi : con tante idee poetiche e storiche
che
desta questa spedizione, non mi sento disposto ad
figli di Borea, Ercole, Orfeo, Linceo, Tifi, Tideo, ecc. È ben facile
che
alla primitiva tradizione, di cui fa cenno anche
acile che alla primitiva tradizione, di cui fa cenno anche Omero, non
che
Esiodo, siano stati aggiunti in appresso nuovi er
pe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale,
che
lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap
e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro
che
ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restit
mise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo
che
sarebbe perito in quella impresa. Fu costruita la
e. Riuniti a Giasone i cinquanta eroi, la nave salpò per la Colchide,
che
allora chiamavasi la terra di Eea, vocabolo d’inc
a e di Bengodi dei nostri novellieri. Gli Argonauti sapevano soltanto
che
quel paese era fra settentrione ed oriente, e in
e col suon della cetra : tutti gli altri Eroi costituivano la ciurma
che
eroicamente remava. Convenne far diverse fermate
in proporzione ; e perciò gli avevan messo il soprannome di Panfago,
che
vuol dir mangia-tutto. La prima fermata fu nell’i
uol dir mangia-tutto. La prima fermata fu nell’isola di Lenno, « Poi
che
le ardite femmine spietate « Tutti li maschi loro
ienno, » come dice Dante ; e vi giunsero appunto dopo l’atroce fatto
che
le donne di quell’isola, malcontente delle leggi
ò la vita a suo padre ; e meritava perciò una miglior sorte di quella
che
si racconta di essa, poichè giunto in quell’isola
la buona fede la lasciò alle persecuzioni delle sue crudeli compagne,
che
scoperta la sua pietà filiale, le tolsero il tron
dopo aver narrato l’inganno di Giasone, non fa come certi lassisti 68
che
scusano facilmente i così detti errori giovanili
e perciò mette Giasone nella prima bolgia dell’Inferno fra i dannati
che
eran puniti « Da quei Dimon cornuti con gran fer
lungo e monotono sarebbe il racconto di tutti e singoli gl’incidenti,
che
per lo più son comuni alla maggior parte dei viag
i, cioè la liberazione del re Fineo dalle Arpie. Le Arpie eran mostri
che
Dante dipinge così : « Ale hanno late e colli e
« Fanno lamenti in sugli alberi strani. » E bisogna aggiungere quel
che
ne dicono i poeti greci e i latini, che cioè ques
» E bisogna aggiungere quel che ne dicono i poeti greci e i latini,
che
cioè questi mostri avevano l’istinto di rapire i
istinto di rapire i cibi dalle mense e di contaminarle con escrementi
che
fieramente ammorbavano. Il loro stesso nome di Ar
no. Il loro stesso nome di Arpie deriva da un greco vocabolo (arpazo)
che
significa rapire 69. Ad essere infestato da tali
e armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea,
che
avevano le ali come il loro padre ; i quali le re
rmentare i dannati per suicidio. Ma poichè l’Ariosto, coll’immaginare
che
il Senàpo imperatore dell’Etiopia avesse ricevuto
smorte, « Per lunga fame attenuate e asciutte, « Orribili a veder più
che
la morte. « L’alacce grandi avean, deformi e brut
ve e torte, « Grande e fetido il ventre, e lunga coda « Come di serpe
che
s’aggira e snoda. « Si sentono venir per l’aria e
i e riversare i vasi ; « E molta feccia il ventre lor dispensa, « Tal
che
gli è forza d’otturare i nasi, « Che non si può p
iâr piatto nè coppa « Che fosse intatta ; nè sgombrâr la sala « Prima
che
le rapine e il fiero pasto « Contaminato il tutto
più maraviglioso di quello dei poeti classici greci e latini. I mezzi
che
egli adopera sono due l’ Ippogrifo, di cui abbiam
sto ; « E questo fu d’orribil suono un corno « Che fa fuggire ognun
che
l’ode intorno. « Dico che ‘l corno è di sì orribi
ibil suono un corno « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno. « Dico
che
‘l corno è di sì orribil suono « Ch’ovunque s’oda
Senàpo dalle Arpie : « Avuto avea quel re ferma speranza « Nel duca,
che
l’ Arpie gli discacciassi ; « Ed or che nulla ov
e ferma speranza « Nel duca, che l’ Arpie gli discacciassi ; « Ed or
che
nulla ove sperar gli avanza, « Sospira e geme e d
anza, « Che suole aitarlo ai perigliosi passi ; « E conchiude tra sè,
che
questa via « Per discacciare i mostri ottima sia.
è, che questa via « Per discacciare i mostri ottima sia. « E prima fa
che
‘l re con suoi baroni « Di calda cera l’orecchio
he ‘l re con suoi baroni « Di calda cera l’orecchio si serra, « Acciò
che
tutti, come il corno suoni, « Non abbiano a fuggi
a s’apparecchia « Con altra mensa altra vivanda nuova. « Ecco l’Arpie
che
fan l’usanza vecchia : « Astolfo il corno subito
l’usanza vecchia : « Astolfo il corno subito ritrova ; « Gli Augelli
che
non han chiusa l’orecchia, « Udito il suon, non p
rno tuttavolta suona ; « Fuggon l’Arpie verso la zona roggia, « Tanto
che
sono all’altissimo monte, « Ove il Nilo ha, se in
n s’oda. » E così l’Ariosto collega l’antico col moderno, e fingendo
che
Astolfo nell’800 dell’èra volgare avesse spinto l
viaggio. Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti
che
le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila
o dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il
che
in prosa significherebbe che era annegato in quel
di avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe
che
era annegato in quella fonte ov’egli andò ad atti
o fermare a far nuove provvisioni da bocca. Tutti gli altri incidenti
che
avvennero avanti che gli Argonauti giungessero ne
provvisioni da bocca. Tutti gli altri incidenti che avvennero avanti
che
gli Argonauti giungessero nella Colchide sono di
sicura qualunque impresa da compiersi colla forza, trovaron per altro
che
questa non bastava a conquistare il Vello d’oro :
al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga
che
lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannatura
rammentata anche da Plinio il naturalista, ed ove Valerio Fiacco dice
che
fu costruita la nave Argo. Quindi anche la nave è
o Issifile, dicendo nel Canto xxii del Purgatorio : « Vedesi quella
che
mostrò Langia, » cioè la fontana detta Langia, a
L’origine di Venere è narrata dagli Antichi in due modi. Omero dice
che
questa Dea è figlia di Giove e di Dione, ninfa de
rpe dei Titani, nata dall’Oceano e da Teti. Esiodo poi lasciò scritto
che
Venere nacque dalla schiuma del mare. Questa più
sta più strana e prodigiosa origine, creduta a preferenza della prima
che
era più semplice e naturale, fece dare a questa D
emplice e naturale, fece dare a questa Dea il greco nome di Afrodite,
che
significa appunto nata dalla schiuma. Alcuni dei
dalla schiuma. Alcuni dei più fantastici mitologi e poeti aggiungono,
che
le acque del mare furono fecondate dal sangue di
del mare furono fecondate dal sangue di Urano mutilato da Saturno ; e
che
da questa fecondazione delle acque marine nacque
iante di celeste bellezza. Con questo strano mito voleva significarsi
che
la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo t
strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e
che
nel globo terraqueo manifestasi più che altrove s
ellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più
che
altrove sul mare. Ma ambedue queste origini così
così diverse son talmente confuse e amalgamate nei poeti posteriori,
che
attribuiscono e l’una e l’altra indifferentemente
e diverse madri. Il solo punto di contatto fra queste due opinioni, e
che
serve di transizione dall’una all’altra è questo,
due opinioni, e che serve di transizione dall’una all’altra è questo,
che
essendo Dione una Dea marina, e Venere sua figlia
nel mondo alla superficie delle onde spumanti, fu detto figuratamente
che
era nata dalle onde del mare per dire che era usc
nti, fu detto figuratamente che era nata dalle onde del mare per dire
che
era uscita da quelle. Quindi alludendo a questa o
a gara dagli zeffiri sulla superficie del mare182. I poeti aggiungono
che
andò a fermarsi in Cipro, ed ivi ebbe il maggior
terèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183. Del nome di Venere
che
le fu dato dai Latini, ed è divenuto tanto comune
per enumerazion delle parti, fa la rassegna delle più grandi bellezzè
che
son da ammirarsi nelle opere della creazione ; ed
a di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. Così venne a significarsi
che
la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettis
he la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettissima parentela, e
che
le Grazie erano il necessario complemento della B
della Bellezza e dell’Amore. Anzi i filosofi più sapienti aggiunsero
che
le Grazie dovevano intervenire in tutte le consue
ed allo stesso Giove furono attribuiti difetti e vizii, a Venere più
che
mai. Cominciarono a dire che questa Dea, per la s
attribuiti difetti e vizii, a Venere più che mai. Cominciarono a dire
che
questa Dea, per la sua singolare e impareggiabil
issimo, e non sta di certo a disdoro di Venere ; ma poi vi aggiunsero
che
per voler di Giove suo padre fu data in moglie al
o che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e
che
per di più era zoppo e tutto affumicato e fuliggi
rò si estesero tanto ad inventare aneddoti scandalosi su questo tema,
che
spesso deturpano le più belle poesie dei classici
Perciò Ugo Foscolo nel suo Carme sui Sepolcri parlando del Petrarca,
che
nelle sue poesie per Madonna Laura aveva sempre a
hi mitologi di più sana mente avean dovuto immaginare un’altra Venere
che
presiedesse all’Amor puro e casto, e la chiamaron
enna Ugo Foscolo. Quando Vulcano sposò Venere le regalò un bel cinto,
che
elegantemente con voce greca e latina chiamasi il
a e latina chiamasi il cèsto. Era desso di tal ricco e mirabil lavoro
che
facea risaltar la bellezza e vi aggiungeva un fás
bile. E le donne antiche e le moderne ne capiron bene il significato,
che
cioè l’arte nell’abbigliamento favorisce la venus
ni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride
che
doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee
n verso e in prosa. Parve strano ai mitologi ed ai poeti meno antichi
che
Cupido si occupasse sempre a saettar colle sue fr
lli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e conclusero
che
dopo mille prove a cui Cupido, nascondendo l’esse
le degli imenei la bella e vivacissima Psiche. Psiche è parola greca
che
in italiano vuol dire anima 187. Cupido che sposa
e. Psiche è parola greca che in italiano vuol dire anima 187. Cupido
che
sposa Psiche significa che l’amore è un sentiment
he in italiano vuol dire anima 187. Cupido che sposa Psiche significa
che
l’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due
l mito. E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto,
che
Cupido si rendeva invisibile a Psiche facendole s
iche facendole soltanto sentire la sua voce, esprime filosoficamente,
che
questa e tutte le altre affezioni dell’anima, o v
i dell’anima, o vogliam dir le passioni di qualunque genere, non sono
che
modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile
enere, non sono che modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile
che
abbiano realmente forme corporee, nella guisa ste
impossibile che abbiano realmente forme corporee, nella guisa stessa
che
non sono esseri di per sè esistenti le febbri, i
e all’immortalità dell’anima, derivandone il concetto dalla crisalide
che
si trasforma in farfalla. Dante afferrò subito qu
esta idea, e la espresse maravigliosamente in quella sublime terzina,
che
tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente : « Non
he tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente : « Non v’accorgete voi,
che
noi siam vermi, « Nati a formar l’angelica farfal
upido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e
che
dia più da pensare, del matrimonio ; con una face
pre. Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone
che
sapesser leggere, che subito un poeta qualunque n
ssato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere,
che
subito un poeta qualunque non componesse un epita
li ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar
che
le grazie debbono esser naturali e spontanee e ch
loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e
che
non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti
uti. Qualche poeta le ricoprì d’un sottilissimo velo, per significare
che
debbono esser temperate e non affettate ; e perci
n candido velo in cui finge istoriato il mito di Psiche, per indicare
che
il candor dell’animo è il solo ornamento delle Gr
mente in scultura, con un delfino ai piedi, come la Venere dei Medici
che
si ammira nella galleria degli Uffizi in Firenze.
colombe, perchè sono affettuosissime e feconde ; e la favola aggiunge
che
erano sacre a questa Dea, perchè fu cangiata in c
amata Peristeria, per un infantile vendetta di Cupido su questa Ninfa
che
aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a ch
ezza e fragranza è la regina dei fiori : il mirto perchè è una pianta
che
meglio vegeta intorno alle acque, dalle quali cre
rmando in questo fiore il giovane Adone da lei favorito e protetto, e
che
fu ucciso nella caccia da un cinghiale. A Venere
nome il più bello e rilucente dei pianeti primarii, « Lo bel pianeta
che
ad amar conforta, » come con perifrasi mitologic
Dante, nel Canto xxvii del Purgatorio, assomiglia la bellezza di Lia (
che
nello stile biblico e religioso significa la vita
iva) a quella di Citerèa, cioè di Venere, considerata come il pianeta
che
ne porta il nome : « Nell’ora, credo, che dell’o
onsiderata come il pianeta che ne porta il nome : « Nell’ora, credo,
che
dell’orïente « Prima raggiò sul monte Citerèa, «
ii italiani fra le accezioni del verbo avvenirsi pongono anche quella
che
significa « venir bene adatto per convenienza di
al greco nome Eros (Amore) è derivato in italiano l’aggettivo erotico
che
significa amoroso o riferibile all’amore. Quindi
on questa greca voce Psiche (anima) è composto il termine psicologia,
che
perciò significa quella parte della filosofia che
termine psicologia, che perciò significa quella parte della filosofia
che
tratta dell’anima e delle sue facoltà. 188. Epi
ima e delle sue facoltà. 188. Epitalamio è parola di greca origine,
che
in quella lingua significa sul talamo, ossia lett
lo nel raccontar la causa di questi difetti della sua forma corporea,
che
certamente debbono apparire strani e irrazionali
ità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. Esiodo ci dice
che
Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa
ologi e dei poeti. Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme,
che
dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dal
Dee marine Teti ed Eurinome. Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso
che
il trattamento brutale di esser precipitato dal C
Dalli Sintii raccolto a me pietosi. » (Iliade, i.) Ma o prima o poi
che
l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcan
l carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge
che
tutti gli Dei possedevan palagi « ……che fabbrica
canismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime,
che
sotto forme di uomini o di animali eseguiscono la
ono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel
che
è più, mirabile anche delle persone che ragionano
degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone
che
ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte
na scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero,
che
Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure «
ta al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Omero narrandoci
che
quelle ancelle di Vulcano, veramente auree (perch
rchè tutte d’oro) erano simili a vive giovinette, viene a significare
che
eran veri e proprii automi. Dei quali i primi ten
cienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo
che
Alberto Magno fece un bellissimo androide che apr
ire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide
che
apriva la porta di casa a chi battesse a quella,
to ! Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi
che
lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano
a e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire
che
anche i girarrosti a macchina son più utili degli
iù utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi
che
non sanno far altro che suonare e giuocare. Parla
animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro
che
suonare e giuocare. Parlando poi della formazione
ica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi
che
parole, perchè non avevano veruna idea del fluido
odi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò
che
ne scriveva il poeta Virgilio, « Che visse a Rom
a il poeta Virgilio, « Che visse a Roma sotto il buono Augusto, » e
che
Dante chiama suo maestro « E quel savio gentil
no Augusto, » e che Dante chiama suo maestro « E quel savio gentil
che
tutto seppe. » Nel libro viii dell’Eneide descri
l’Eneide descrive prima la fucina di Vulcano coi Ciclopi suoi garzoni
che
lo aiutavano a fabbricare i fulmini ; e quindi en
di spavento « Un cotal misto190. » (Traduz. del Caro.) Si vede bene
che
Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici c
ro.) Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici
che
accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spie
eni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in
che
consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Da
io evo poteva saperlo. Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità
che
si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal c
goria contenuta nell’invenzione di questo Dio e de’suoi attributi. Di
che
era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, se
eseguire i lavori di metallurgia. Il nome stesso latino di Vulcanus,
che
secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s
lcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s’intende
che
voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazza
lcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efesto
che
gli davano i Greci non fu adottato dai poeti lati
mbedue queste lingue. Nelle scienze fisiche chiamansi Vulcani i monti
che
gettano fiamme, fumo, lava infocata, ceneri, lapi
materie eruttate. Anche i geologi seguaci della scuola di Hutton194,
che
spiegavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco
rola il fonditore ; ma il vero fonditore è il fuoco, e non l’artefice
che
fa le forme e vi versa il metallo fuso e liquefat
cine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge
che
le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie
ci nel portare l’errore sino alle ultime conseguenze ! Chi si ricorda
che
anche Vesta giovane era considerata come Dea del
giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare
che
due Divinità fossero assegnate dai mitologi a que
sero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti
che
avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come
o presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo
che
ciascuna aveva speciali attributi per distinguers
facean presieder Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere
che
il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natu
der Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere che il fuoco
che
essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da
celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi
che
risulta egualmente da combustione o ignizione di
i moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora,
che
nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte
ano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e
che
le stelle non sono che altrettanti Soli generalme
gior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono
che
altrettanti Soli generalmente molto più grandi de
o, ma composte presso a poco degli stessi elementi. Quanto poi a quel
che
gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vi
l che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa
che
si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con
non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi
che
provengon da questa ? e che noi possiamo riprodur
mosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? e
che
noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fe
ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire
che
tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiu
fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome,
che
è composto di due parole greche ciclos (circolo)
e in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. Aggiungasi
che
erano di gigantesca corporatura e di forze corris
desima. La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi
che
fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di U
nella Sicilia stessa. A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto
che
i Ciclopi eran soliti di portare in guerra una vi
parti d’Italia. 189. Automa è voce composta di due parole greche
che
significano spontaneo movimento, o come direbbesi
idi (simili all’uomo). Dai medici son detti automatici quei movimenti
che
dipendono unicamente dalla organizzazione degli e
1. Fu primo il Gilbert, medico della regina Elisabetta d’Inghilterra,
che
sullo scorcio del secolo xvi richiamò di nuovo l’
ei fisici sulle proprietà dell’ ambra gialla, facendo notare del pari
che
anche altre sostanze potevano acquistare, mediant
alvani, professore di « anatomia a Bologna, l’esperienza fondamentale
che
condusse alla scoperta dell’elettricità dinamica,
ramo della fisica, tanto importante per le innumerevoli applicazioni
che
se ne fecero da un mezzo secolo a questa parte. »
o secolo a questa parte. » — E parlando di quell’apparato detto pila,
che
serve a svolgere l’elettricità dinamica, e che fu
l’apparato detto pila, che serve a svolgere l’elettricità dinamica, e
che
fu inventato da Volta nel 1800, riporta questa no
eoria del contatto, fu condotto ad inventare il maraviglioso apparato
che
rese immortale il suo nome » (la pila di Volta).
me » (la pila di Volta). 193. Perciò Virgilio lo chiama Ignipotens (
che
ha potenza sul fuoco) : « Vulcani domus et Vulca
aturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna
che
terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (v
fitta e l’esilio di questi. Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani
che
tentano colla forza di ricuperare il perduto poss
ostrano tutte le sue poesie e principalmente i Fasti e le Metamorfosi
che
ne son piene, si era accinto a cantar la guerra d
acili poesie, e impedito poi dall’esilio non potè eseguire quel poema
che
aveva ideato. Claudiano, del quale esiste un fram
rimanente di questo suo mitico poema ; ma il titolo soltanto dimostra
che
egli cantò dei Giganti e non dei Titani. Anche Da
ra che egli cantò dei Giganti e non dei Titani. Anche Dante più tosto
che
i Titani rammenta i Giganti che fer paura ai Dei,
non dei Titani. Anche Dante più tosto che i Titani rammenta i Giganti
che
fer paura ai Dei, e ne pone un gran numero nel pr
ar brevemente anche della prima, cioè della Titanomachia. Il diritto,
che
ora chiamerebbesi legittimo, al trono del Cielo a
o apparteneva veramente ai Titani come figli e discendenti di Titano,
che
cedè il regno a Saturno sotto condizione che ques
e discendenti di Titano, che cedè il regno a Saturno sotto condizione
che
questi non allevasse figli maschi ; e non essendo
i usurpatrice ; e Giove in appresso fu soltanto un invasore fortunato
che
fece valere il diritto del più forte (jus datum s
esiliata dal Cielo ed oppressa, tenta di riacquistar colla forza ciò
che
colla forza erale stato tolto70. Ecco la vera cau
itanomachia : e di questa guerra accenneremo soltanto l’esito finale,
che
fu la disfatta dei Titani ; dei quali il molto sa
orribili piaghe mossero a compassione la dea Tellùre, ossia la Terra,
che
irritata contro Giove e gli altri Dei, così spiet
ai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi
che
in quella il miglior diritto fosse degli Dei che
è parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei
che
rimasero vincitori, mentre in questa era più vera
che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani
che
furono vinti. Erano infatti i Titani di origine d
itani che furono vinti. Erano infatti i Titani di origine divina, non
che
di regia stirpe e della linea del primogenito di
omachia. E prima di tutto, com’eran fatti i Giganti ? L’idea generale
che
ciascuno suol farsene si è che fossero uomini di
eran fatti i Giganti ? L’idea generale che ciascuno suol farsene si è
che
fossero uomini di grandezza e di forza straordina
omini di grandezza e di forza straordinaria ; e i mitologi aggiungono
che
molti d’essi erano anche di struttura mostruosa.
he molti d’essi erano anche di struttura mostruosa. Alcuni ci narrano
che
Encelado, o, secondo altri, Gige aveva cento brac
ento braccia, e perciò maneggiava cinquanta scudi e cinquanta lance ;
che
Briarèo scagliava enormi massi e interi scogli a
ose distanze da perdersi di vista dove andassero a colpire o cadere ;
che
Tifèo o Egeòne aveva una lunghissima coda di serp
utto coperto di scaglie come un coccodrillo o un armadillo. Ma Dante,
che
ci assicura di aver trovati parecchi di questi Gi
ligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero
che
per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo
oè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò
che
il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son
ngannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi
che
non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci
io le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire
che
quelli che vide dovevano essere alti in media più
sioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli
che
vide dovevano essere alti in media più di ventici
onati all’altezza come nella specie umana. Alcuni per altro di quelli
che
Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio
eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio
che
si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era
sempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado
che
era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava
per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo
che
toccava il cielo col capo. Gli antichi mitologi a
a, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo,
che
per dar la scalata al cielo posero tre monti uno
ome, poi chiamata Pallène. Il caso più strano di questa guerra si fu
che
tutti gli Dei, non che le Dee, ebbero una gran pa
ne. Il caso più strano di questa guerra si fu che tutti gli Dei, non
che
le Dee, ebbero una gran paura dei Giganti, e la m
to al più con quattro, secondo altri poeti, e tra questi anche Dante,
che
vi aggiunge Marte e Minerva. L’altro figlio Vulca
nascere l’opportunità di parlarne perfino nel Purgatorio, immaginando
che
ivi esistessero dei bassirilievi rappresentanti i
cende. Una delle più impossibili ed incredibili era tanto famigerata,
che
la eternò nei suoi mirabili versi lo stesso Virgi
seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi
che
giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani
riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama
che
dal fulmine percosso « E non estinto sotto a ques
estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E
che
quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve
ti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni. Infatti Virgilio,
che
Dante scelse per suo maestro 78), e. che egli chi
fenomeni. Infatti Virgilio, che Dante scelse per suo maestro 78), e.
che
egli chiama il mar di tutto il senno, dovendo com
te all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville,
che
di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed onde
usa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso,
che
la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossi
li fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando
che
lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi
dei geologi, con tutta la sua nuova teoria dei vulcani. I chimici poi
che
riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo na
solfo, indicata l’elaborazione e la fabbrica naturale di quello zolfo
che
essi, alludendo alla stessa origine, chiamano nat
Esiodo vi è un bell’episodio sulla battaglia dei Titani coi Saturnii,
che
fu tradotto in versi da quel sommo ingegno del Le
omachia, aggiungendo ai suoi lettori questa avvertenza : « Già sapete
che
non è opera speciale, ma un gherone della Teogoni
8. Per questa ragione io cito nel presente libro più esempii di Dante
che
di altri poeti italiani ; e giacchè ho rammentato
dell’ Alfieri per Dante, riporterò qui i primi versi del suo sonetto
che
egli fece a Ravenna nel visitare il sepolero del
o della Fama, la dice sorella dei Giganti Ceo e Encelado, ed aggiunge
che
« Terra parens ira irritata Deorum « Progenuit.
LE]mio autore : « Tu se’ solo colui, da cui io tolsi « Lo bello stile
che
m’ha fatto onore. » (Inf., C. i, 83.) 79. «
d., iii, 561.) 80. Chiunque legge con attenzione e riflette su quel
che
ha letto, quntunque egli sia nuovo alle scienze,
lla ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : Ma dunque se dite
che
v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse esse
qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe
che
vi dovesse essere anche lo zolfo non nativo, ossi
oteiche di provenienza di ambedue i regni organici ; e fra i prodotti
che
son propri degli animali si distinguono, quanto a
a, e vi troverete più maraviglie e metamorfosi, visibili e palpabili,
che
in tutte quante le Mitologie dei poeti e degl’ide
rnali La paròla Inferno, secondo l’etimologia latina, significa ciò
che
resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a
ttivo a cui può sottintendersi il nome di qualunque luogo od oggetto,
che
nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto
Mitologia non è annessa alla parola Inferno la stessa significazione
che
le si dà in italiano nella cristiana religione. I
regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè supponevano
che
nel seno di essa esistessero due inferne regioni
beatitudine per le anime dei buoni235. Siccome gli Antichi credevano
che
alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, O
vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione,
che
percorsero a briglia sciolta, e senza paura di es
ssere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel
che
essi dicevano. E il nostro Dante valendosi della
ietro l’esempio di Virgilio suo maestro ed autore, costruì un Inferno
che
sarà sempre una maraviglia non solo della sua fan
za morale e politica. Il conoscer dunque le regioni infernali secondo
che
le hanno immaginate e descritte gli Antichi, è ne
sici greci e latini, ma altresì gl’italiani, e sopra gli altri Dante,
che
in questo è superiore a tutti gli antichi e ai mo
iuravano gli Dei, e il loro giuramento era inviolabile : onorificenza
che
fu accordata allo Stige perchè la sua figlia Vitt
i Giganti si dichiarò dalla parte di Giove. Era questo il primo fiume
che
trovavasi nello scendere all’Inferno, e tutto lo
rreva un liquido infiammabile (come lo spirito di vino o il petrolio)
che
sempre ardeva, e serviva per tuffarvi i dannati.
o della propria esistenza ; e queste davansi a bevere a quelle anime,
che
, secondo la dottrina della Metempsicosi di cui pa
le avevan soltanto la prescienza del futuro. È celebre la descrizione
che
ne fa Virgilio nel vi libro dell’Eneide, che Anni
È celebre la descrizione che ne fa Virgilio nel vi libro dell’Eneide,
che
Annibal Caro tradusse così : « Ciò fatto, ai luo
ogno di raffrenar coll’impero sovrano le anime dei malvagi, e vegliar
che
i suoi ministri non mancassero al loro dovere di
cenda « Lo sfavillante d’or Sole, non guarda « Quegl’infelici popoli,
che
trista « Circonda ognor pernizïosa notte. » (Tra
» (Trad. di Pindemonte). La più bella fabbrica dell’Inferno è quella
che
Dante ha delineato in modo sì mirabile da superar
lia architetto. La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente
che
molti cultori delle arti belle, e tra questi lo s
nunziare a valersi di alcune delle invenzioni mitologiche dei Pagani,
che
potevan meglio servire alla immaginata allegorìa
e oculare (poichè finge di aver percorso egli stesso quelle regioni),
che
l’Inferno è formato di circoli concentrici come u
, che l’Inferno è formato di circoli concentrici come un anfiteatro ;
che
il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto
mato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio
che
si trova, poche miglia sotto la superficie terres
al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno stesso ;
che
i cerchi son 9 ; ma il 7° è diviso in 3 gironi, l
ssoni di ferro rovente, pieni di dannati. Tutte le opere d’arte (qual
che
si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante)
pieni di dannati. Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro
che
le fece, come dice Dante), furono eseguite second
ettoniche e le proporzioni matematiche in modo così esatto e preciso,
che
i più dotti commentatori della Divina Commedia da
che i più dotti commentatori della Divina Commedia dalle indicazioni
che
ne ha date l’autore hanno potuto determinarne in
ni mitologiche o dantesche delle sotterranee regioni, non può credere
che
quei luoghi stiano precisamente come la Mitologia
asce facilmente (se non è stupido) la ledevole curiosità di conoscere
che
vi sia veramente sotto la superficie del nostro g
o in raziocinio a creare recentemente una nuova scienza, la Geologia,
che
comprende la Geogonia, cioè la storia dell’origin
38. Ben presto vi si aggiunse compagna indivisibile la Paleontologia,
che
consiste nel riconoscere dagli avanzi fossili di
i animali e di vegetabili di specie e varietà molto diverse da quelle
che
esistono ancora oggidì. Tutte le scienze da qualc
esto nuovo edifizio scientifico, e adotta l’ipotesi molto accreditata
che
la Terra e gli altri pianeti fossero in origine s
in forza del movimento di rotazione. Inoltre colle analisi spettrali
che
dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior par
he dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze
che
si conoscono sul nostro globo239, si venne a conf
sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi,
che
cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizi
cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e
che
a poco a poco raffreddandosi avesse formato le ro
tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo. Questo è quel
che
asserisce la scienza moderna a proposito delle re
i dati scientifici su cui si fondano i calcoli di centinaia di secoli
che
passarono dall’una all’altra epoca geologica prim
naia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prima
che
si compiessero le formazioni delle diverse rocce
ero le formazioni delle diverse rocce ; e si riflette filosoficamente
che
infinite specie di animali terrestri, aquatici ed
to più vasto di quello delle invenzioni mitologiche ; e riconosceremo
che
la mente dell’uomo non sa immaginare neppur la mi
ell’uomo non sa immaginare neppur la millesima parte delle maraviglie
che
la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni
ggi della Natura. 235. Alcuni mitologi e poeti antichi hanno detto
che
i Campi Elisii, non erano nel seno della terra, m
mpi Elisii, non erano nel seno della terra, ma nelle Isole Fortunate,
che
ora si chiamano Le Canarie ; ma gli Antichi dovev
a gli Antichi dovevan conoscerle soltanto di nome e non averle vedute
che
da lontano, poichè credevano che vi abitassero le
soltanto di nome e non averle vedute che da lontano, poichè credevano
che
vi abitassero le anime dei Beati. Orazio ne fa po
ente una splendida descrizione nell’ Ode 16ª del lib. v ; e asserisce
che
la terra di quelle isole produceva tutto come nel
una amplificazione del passo di Esiodo nelle Opere : « Eroi felici,
che
disgombro il core « D’affanni, in riva all’Ocean
sa saporite frutta. » Ma anche Plutarco nella Vita di Sertorio dice,
che
« perfino i Barbari stessi tengon ferma credenza
fabbrica da lui architettata, riporterò soltanto quella di Malebolge,
che
è veramente ammirabile per la sua evidenza : « L
o Malebolge, « Tutto di pietra e di color ferrigno, « Come la cerchia
che
d’intorno il volge. « Nel dritto mezzo del campo
largo e profondo, « Di cui suo loco dicerà l’ordigno. « Quel cinghio
che
rimane adunque è tondo « Fra ’l pozzo e ’l piè de
di fuor son ponticelli ; « Così da imo della roccia scogli « Movien,
che
recidean gli argini e i fossi « Infino al pozzo,
scogli « Movien, che recidean gli argini e i fossi « Infino al pozzo,
che
i tronca e raccogli. » (Inf., xviii, 1…) 238.
ipotesi scientifica, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi
che
non vi è nulla che offenda la Religione.
a, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi che non vi è nulla
che
offenda la Religione.
XX Mercurio Chi è
che
non conosca qualcuno dei molti significati di que
materia medica. E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto
che
non abbia veduto e ammirato, in tela, in legno, i
a figlio di Giove e della Ninfa Maia una delle sette figlie d’Atlante
che
furon cangiate nella costellazione delle Pleiadi
o Atlantiade, cioè nipote di Atlante148. Dai Greci era chiamato Erme,
che
significa interprete ; perciò il nome stesso indi
rcio. Da questi due principali nomi Erme e Mercurio e dagli attributi
che
per essi indicavansi, dedussero gli Antichi altri
o. Poichè egli era l’interprete e il messaggiero degli Dei, supposero
che
fosse ancora il Dio dell’eloquenza e della persua
nticamente molte frodi per fare illeciti e subiti guadagni, dedussero
che
egli fosse pure anco il Dio dei ladri. E su quest
queste illazioni inventarono subito una quantità di fatti mitologici,
che
, abbelliti dalla fantasia e dal linguaggio di som
, conviene almeno brevemente accennare. Raccontano dunque i mitologi,
che
nacque Mercurio dotato d’ingegno acutissimo ed ac
ssimo, ma. coll’istinto di valersene per ingannare gli altri. Non già
che
egli, come Dio, avesse bisogno di rubare, ma così
rezza si divertiva a far delle burle agli Dei, involando ad essi quel
che
avevano di più caro e prezioso. E perciò dicono c
ando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. E perciò dicono
che
Mercurio ancor fanciullo rubò le giovenche e gli
certamente un linguaggio allegorico, col quale si voleva significare
che
Mercurio col suo ingegno e la sua accortezza si e
loro ruberie. Tito Livio, nel libro 2° della Storia Romana, racconta
che
il collegio dei mercanti celebrava la festa di Me
la festa di Mercurio il 15 di maggio, e Ovidio aggiunge la preghiera
che
essi recitavano, la quale terminava col chiedere
scere come accogliesse Mercurio dall’alto questa preghiera, soggiunge
che
sorrideva, ricordandosi di avere anch’egli rubate
un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti
che
si battevano, li percosse colla sua verga per sep
segno di pace154. La prima, cioè la verga sola, significava l’ufficio
che
aveva Mercurio di condurre le anime dei morti al
ne delle anime155 ; la seconda, ossia la verga coi serpenti, indicava
che
questo Dio consideravasi allora come ambasciatore
ora come ambasciatore di pace ; e perciò il caducèo era il distintivo
che
i Pagani davano ai loro ambasciatori : ora è dive
avano ai loro ambasciatori : ora è divenuto il simbolo del Commercio,
che
è arte di pace, e prospera utilmente per tutti so
di tutti gli oggetti godevoli, o, come dice l’inglese Hume, è l’olio
che
fa girar facilmente e senza attrito le ruote dell
ina sociale. Talvolta era rappresentato Mercurio con una catena d’oro
che
gli usciva dalla bocca e pendevagli dalle labbra,
ù facilmente dall’orecchio al cuore157, perciò gli Antichi asserirono
che
Mercurio era valentissimo nella musica, ed aveva
omento. Questo chiamavasi in greco chelys e in latino testudo, parole
che
in entrambe le lingue significano primitivamente
mbe le lingue significano primitivamente testuggine, perchè credevasi
che
Mercurio avesse formato questo stromento col gusc
iani. Ad Apollo piacque tanto questo stromento e tanto se ne invogliò
che
Mercurio suo fratello glie ne fece un regalo grad
he i primi incentivi alla vita sociale e all’incivilimento, asserendo
che
egli avesse dirozzati i popoli selvaggi col canto
urio era estesissimo, e Cesare nei suoi Commentarii ci lasciò scritto
che
i Galli adoravano principalmente questo Dio, e lo
i splendidamente dallo stesso Omero : qui basterà parlare di due soli
che
si riferiscono alla vita privata di questo Dio. S
n pietra di paragone e di Aglauro in livido sasso. Raccontano i poeti
che
quando Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontr
scuoprisse ; ma poi per provar la sua fede prese la forma di un altro
che
cercasse il ladro di quell’armento e promise a Ba
ie. Batto si lasciò vincere da insaziabile cupidigia e manifestò quel
che
sapeva e avea promesso di tacere. Allora Mercurio
erò della sua perfidia e lo punì trasformandolo in quella pietra nera
che
dicesi di paragone, perchè serve a far conoscere
162. Il significato di questo mito s’intende facilmente ; indica cioè
che
l’onestà degli uomini si mette alla prova col den
invidia frapponeva ostacoli alla conclusione degli sponsali. Mercurio
che
non aveva tempo da perdere, per levar di mezzo qu
, simbolo del livore, ossia dell’invidia. Dante a cui nulla sfugge, e
che
ovunque stenda la mano o colorisce o scolpisce, n
ivere il cerchio del Purgatorio ove son puniti gl’invidiosi, ci narra
che
ei vide « Il livido color della petraia, » e pi
……ombre con manti Al color della pietra non diversi, » e udì « Voce
che
giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro che d
rsi, » e udì « Voce che giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro
che
divenni sasso ; » e seppe così valersi incompar
e e 15 minuti. I filosofi naturali chiamaron Mercurio il solo metallo
che
sia liquido a temperatura ordinaria, e che si sol
n Mercurio il solo metallo che sia liquido a temperatura ordinaria, e
che
si solidifica soltanto a 40 gradi di gelo. È cono
nere di piante della famiglia delle Euforbiacee, perchè, secondo quel
che
dice Plinio, si credeva dovuta al Dio Mercurio la
credeva dovuta al Dio Mercurio la scoperta delle qualità maravigliose
che
gli Antichi attribuivano a questo genere di piant
questo genere di piante. La più comune dicesi volgarmente Marcorella,
che
è una corruzione del termine mercuriale. Mercuri
quenza164 ; Mercuriali (secondo il Menagio) le adunanze dei letterati
che
si tenevano il mercoledì in casa di qualcuno di l
liano) ; e ciascuna delle altre due in un paio di stivaletti o ghette
che
si chiamano con termine latino talari dal porsi a
0.) Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa
che
Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi pe
e significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi perciò
che
poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati
e vantano dicendo come il Girella del Giusti : « Non resi mai — Quel
che
rubai. » A proposito di questi tali riporta Cice
confine « Prese ed ornò di raggi il biondo crine. « Ali bianche vestì
che
han d’or le cime « Infaticabilmente agili e prest
. » 154. E celebre il Mercurio di Giovan Bologna, statua in bronzo
che
ornava prima una fontana della villa Medici in Ro
una similitudine del Canto ii del Purgatorio. « E come a messaggier
che
porta olivo « Tragge la gente per udir novelle,
le, « E di calcar nessun si mostra schivo. » 157. Dice Quintiliano
che
passa difficilmente al cuore ciò che subito incia
hivo. » 157. Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò
che
subito inciampa nell’orecchio : Nihil potest intr
il pianeta di Mercurio, nomina invece la madre, di lui Maia ; e pare
che
così voglia attribuirsi una maggior licenza poeti
aia ; e pare che così voglia attribuirsi una maggior licenza poetica,
che
non sia in uso comunemente. Per altro questo modo
Per altro questo modo di dire è incluso nelle regole di quel traslato
che
chiamasi metonimia. « L’aspetto del tuo nato, Ip
ia e Dione. » Le stesse osservazioni son da farsi sul nome di Dione,
che
è qui posto a significare il pianeta di Venere, l
a Musica e maestro delle nove Muse Poeta è parola di greca origine
che
significa creatore, e perciò poesia vuol dir crea
ellettuale. Ecco il carattere distintivo della vera poesia e del Nume
che
ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del
che ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del poetico ingegno,
che
non si compra coll’oro, nè si usurpa colle brighe
filosofo, invoca non solo Apollo e le Muse, ma altresì l’alto ingegno
che
lo aiuti122. Abbiamo in proverbio anche in italia
’alto ingegno che lo aiuti122. Abbiamo in proverbio anche in italiano
che
Musica e Poesia nacquer sorelle ; e infatti sin d
lle ; e infatti sin dagli antichissimi tempi, sappiamo dalle istorie,
che
cantavansi gl’inni accompagnandoli col suono degl
ma pur anco nel popolo eletto 123. Non dovrà dunque recar maraviglia
che
per associazione d’ idee Apollo fosse riguardato
anticamente disgiunte, come abbiam detto. Per questa stessa ragione
che
anticamente le poesie erano cantate e accompagnat
e accompagnate dal suono di qualche musicale istrumento, tutti coloro
che
compongono poesie dicono sempre che cantano, anco
musicale istrumento, tutti coloro che compongono poesie dicono sempre
che
cantano, ancorchè scrivano soltanto o belino vers
me il maestro di queste Dee. Esse eran figlie di Giove e di Mnemosine
che
era la Dea della Memoria (come indica il greco vo
la Dea della Memoria (come indica il greco vocabolo), per significare
che
questa facoltà dell’anima, la Memoria, è la madre
ori e le faccia fruttificare. Perciò gli Antichi avevano in proverbio
che
tanto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e D
nto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e Dante aggiunge « ………..
che
non fa scïenza « Senza lo ritenere, avere inteso.
se abitavano ; i quali termini son più usati dai poeti greci e latini
che
dagl’italiani. Per altro Ugo Foscolo ne ha intred
la omonima fonte in Macedonia sui confini della Tessaglia. Egli dice
che
« ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali
atamente per la poesia nel Canto i della Gerusalemme liberata. « Sai
che
là corre il mondo ove più versi « Di sue dolcezze
ce Virgilio nel iii delle Georgiche) corrispondente al latino asilus,
che
in italiano significa assillo o tafano. È dunque
, rinforza in me la voce, « E furor pari a quel furor m’ispira ; « Sì
che
non sien dell’opre indegni i carmi « Ed esprima i
confronto delle Muse. A Dante piacque questo mito, e rammentando quel
che
dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro e
use. A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio,
che
le Muse, per confonder le loro emule presuntuose,
vale stupendamente coll’ invocar per sè da quelle Dee un simil canto,
che
abbatta l’invida rabbia de’ suoi nemici : « Ma q
canto con quel suono, « Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal
che
disperar perdono130. » (Purg., i, 7.) Un’ altra
egare perchè talvolta furon dipinte colle ali. Inventarono i mitologi
che
le Muse fossero inseguite da Pireneo re della Foc
mitologi che le Muse fossero inseguite da Pireneo re della Focide, e
che
per salvarsi dalle violenze di lui, che le aveva
da Pireneo re della Focide, e che per salvarsi dalle violenze di lui,
che
le aveva raggiunte nell’alto di una torre, mettes
ri. In Dante poi era sì grande e sì fervente il culto per queste Dee,
che
per loro, dice egli stesso, soffrì la fame e la s
n mi sprona ch’io mercè ne chiami. » E qual’è la mercede o il premio
che
egli ne chiede ? Forse regie decorazioni o laute
regie decorazioni o laute pensioni ? Null’altro egli desidera, se non
che
le Muse l’aiutino : « Forti cose a pensar, mette
tando separatamente degli Oracoli e degli Augurii. Ora però è a dirsi
che
i poeti hanno attribuito anche a sè stessi in gra
fanno mistero ; son gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel
che
sentono e quel che credono, o vogliono che si cre
gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel che sentono e quel
che
credono, o vogliono che si creda. Ma son pur anco
e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono
che
si creda. Ma son pur anco sdegnosi, e guai a chi
empio delle Muse nella metamorfosi delle Piche, ma altresì di Apollo,
che
in un modo più tremendo (e diremo ancora crudele)
se. A Dante non sfuggì neppur questo mito ; anzi per la stessa ragion
che
lo mosse nella invocazione alle Muse a rammentare
elice. Sappiamo già come perdè il suo figlio Fetonte : dicemmo ancora
che
perì fulminato da Giove l’altro suo figlio Escula
lminato da Giove l’altro suo figlio Esculapio, ad istanza di Plutone,
che
si vedeva rapire i sudditi dell’Inferno per opera
’Inferno per opera di questo medico incomparabile. Aggiunsero i poeti
che
Apollo sdegnato con Giove, e non potendo vendicar
contro di esso, perchè era suo padre e più potente, uccise i Ciclopi
che
fabbricavano i fulmini. Giove lo punì esiliandolo
azione. Il lauro d’allora in poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo,
che
se ne fece una corona di cui portò sempre cinta l
e Apollo per compassione la cangiò in elitropio, fiore di greco nome
che
in italiano dicesi girasole. Invenzione semplicis
! Non la sdegnò il Poliziano, adoratore devoto e felice di tutto ciò
che
fu scritto dalla classica antichità ; e così vi f
al disco (ora direbbesi alle piastrelle), il vento Zeffiro invidioso
che
Apollo col suo ingegno avesse trovato il modo di
o dolentissimo, per sollievo della sua afflizione lo cangiò nel fiore
che
porta lo stesso nome del giovinetto134. Invenzion
sta dello stesso genere delle precedenti. Ma i mitologi vi aggiungono
che
i parenti dell’estinto, dando la colpa della mort
ate. » (Inf., ii, 7.) 123. Anche Dante rammenta il fatto biblico,
che
il re David, oltre a suonare l’arpa e cantare, ba
to vaso (all’Arca) « Trescando alzato l’umile Salmista, « E più e men
che
re era in quel caso. » (Purg., x, 64.) 124.
esti nomi furono riuniti, per comodo di memoria, in un distico latino
che
è il seguente : « Calliope, Polymneia, Erato, Cl
comune di Muse alcuni mitologi lo fanno derivare da un greco vocabolo
che
significa insegnar cose sublimi. Da Musa stimano
esto e Macrobio) a canendo, dal cantare. 128. Si sa dalla geografia
che
il monte Parnaso ha due cime o culmini che poetic
128. Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini
che
poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta aff
culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando
che
nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i
l Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso, vuol significare
che
ha bisogno di tutte le forze della più sublime po
, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato
che
talvolta gli si dà in italiano. « Tempus erit, q
fortior æstro « Facta canam. » (Theb., i, 32.) 130. E da notarsi
che
Dante nel Canto xviii del Paradiso, invocando la
i, perchè il Pegaso fece scaturire con un calcio la fontana Ippocrene
che
fu sacra alle Muse : « O diva Pegasea, che gl’ i
lcio la fontana Ippocrene che fu sacra alle Muse : « O diva Pegasea,
che
gl’ ingegni « Fai glorïosi e rendigli longevi, «
sa in questi versi brevi. » 131. Vaticinari in latino è lo stesso
che
fata canere, frase usata anche da Orazio nell’ Od
osi disposte da imitare le lettere A J ; e i poeti subito inventarono
che
queste rappresentano l’ultima esclamazione di dol
inventarono che queste rappresentano l’ultima esclamazione di dolore
che
proferi Giacinto morente. Alludendo a questa spir
iegazione della classica Mitologia, accennerò brevemente alcune feste
che
celebravansi più specialmente in Roma che altrove
erò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma
che
altrove. Nel mese di Gennaio, il cui nome facevas
el primo giorno la festa di questo Dio, e prima ad esso sacrificavasi
che
agli altri Dei, perchè egli era considerato come
tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto
che
i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti da
o i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. Anzi l’uso
che
vi fu allora di dir l’uno all’altro parole di buo
professione nelle altre ore del giorno. Credevasi di cattivo augurio
che
il primo giorno dell’anno si lasciasse trascorrer
stato. Il dì 11 dello stesso mese celebravansi le Feste Carmentali,
che
si ripetevano il dì 15, e vi si univano anche que
rrima e Posverta. Noi abbiamo già detto nel corso di questa Mitologia
che
la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esu
rso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e
che
esulando insieme col figlio venne nel Lazio e fis
nsieme col figlio venne nel Lazio e fissò la sua dimora su quel monte
che
poi fu detto il Palatino. Quanto poi a Porrima e
atino. Quanto poi a Porrima e Posverta, Ovidio e Macrobio asseriscono
che
esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e ch
crobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e
che
la prima, cioè Porrima, indovinava le cose accadu
vatrice. In origine e grammaticalmente la voce sospita è un aggettivo
che
soleva aggiungersi dai Lanuvini alla Dea Giunone.
na particolare Divinità ; e Cicerone nel lib. i De Nat. Deor. ci dice
che
la rappresentavano con una pelle di capra sulle s
le spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma
che
questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunon
Dea da quelle etadi grosse, come direbbe Dante ; ma Ovidio asserisce
che
i contadini furono molto lieti di questa protettr
contadini furono molto lieti di questa protettrice dei loro forni, e
che
la pregavano devotamente : « Facta Dea est Forna
ut fruges temperet illa suas. » Della Dea Muta non ci danno notizia
che
Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade,
Della Dea Muta non ci danno notizia che Ovidio e Lattanzio ; e dicono
che
era una Naiade, la quale fu privata della favella
e. Le Feste Caristie erano un solenne convito fra i parenti ed affini
che
si riunivano annualmente in questo giorno alla st
re occasione di sopire in mezzo alla comune letizia qualche discordia
che
fosse nata fra taluni di loro nel corso dell’anno
ide co’suoi propri occhi il miracolo, ma udì anche una voce dal Cielo
che
prometteva ai Romani la maggior potenza finchè av
Numa ne fece costruire altri undici, non solo simili, ma tanto uguali
che
neppur l’artefice seppe in appresso distinguere q
ltando secondo il rito. Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar
che
facevano processionalmente ; e l’inno che essi ca
n chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno
che
essi cantavano essendo stato composto ai tempi di
ssi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè
che
quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli u
ome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione
che
egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opr
tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua
che
di esser rammentato nell’inno saliare. Vèiove si
vinetto e senza i fulmini in mano, ma invece accompagnato dalla capra
che
fu la sua nutrice nell’isola di Creta. Aveva un t
nna Perenna era una Dea adorata soltanto dai Romani, perchè credevano
che
fosse quella stessa Anna sorella di Didone, ramme
one è conforme alla ortodossia mitologica, secondo la quale credevasi
che
di questi due Dei gemelli Diana fosse nata un gio
, cioè in onore del Dio Robìgo, facevansi per implorare da questo Dio
che
tenesse lontana la ruggine dalle biade. Robigo in
mpilio l’invenzione di questo Dio. Noi abbiamo notato nel Cap. XXXIII
che
di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal sig
bbiamo rammentato il Dio Robigo. Nel mese di Maggio troviamo indicato
che
il primo giorno di quel mese fu eretta un’ara ai
tesso giorno si celebrava la festa della Dea Bona. Questa è la stessa
che
la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo
tta la Dea Bona perchè era di una così scrupolosa modestia e castità,
che
si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altr
che si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altra faccia di uomo
che
quella di suo marito. Perciò le matrone romane le
omane le prestavano un culto religioso in un tempio chiamato opertum (
che
in latino vuol dir chiuso), perchè a quei riti e
n quel tempio non erano ammessi gli uomini. La Storia Romana ci narra
che
essendovisi introdotto il licenzioso P. Clodio tr
tito da donna, egli fu stimato sacrilego ; e questo scandalo fu causa
che
Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo che sul
uesto scandalo fu causa che Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo
che
sulla moglie di Cesare non dovevan cadere nemmeno
deriva a monendo (dall’avvertire) perchè gli antichi Romani dicevano
che
questa Dea li aveva avvertiti che facessero un sa
perchè gli antichi Romani dicevano che questa Dea li aveva avvertiti
che
facessero un sacrifizio di espiazione immolando u
oma, ove si radunava il Senato per dare udienza a quegli ambasciatori
che
non erano ammessi in città. I sacerdoti di questo
uinto secolo dell’ E. V. asserisce nel suo libro intitolato Satyricon
che
Summanus significa Summus Manium, il primo degli
Plinio nel libro ii, cap. 52 della sua Storia Naturale, dice soltanto
che
a questo Dio si attribuivano i fulmini notturni,
uivano i fulmini notturni, come a Giove i diurni. Ovidio poi confessa
che
non sa qual Dio sia (quisquis is est). Peraltro i
he non sa qual Dio sia (quisquis is est). Peraltro i moderni Filologi
che
rivaleggiano coi Paleontologi a ricostruire con f
di questo vocabolo Summanus, e raccogliendo qualche altra indicazione
che
si trova di questo Dio e in Varrone e in Festo e
i Acta fr. Arval. e nel Glossarium Labronicum, concludono col Preller
che
Summanus è un Dio del cielo notturno, a cui si at
to esser la più vera l’asserzione di Plinio168. 168. Noterò inoltre
che
l’illustre grecista e filologo prof. B. Zandonell
va « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani)
che
fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nel
e riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro
che
le notizie date dal dotto autore tedesco non disc
egli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò
che
è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò
ri di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò
che
è nostro.
diverse forme ; quindi ebbe il titolo di Dea Triforme 135. Tutto ciò
che
si riferisce a Diana in comune col suo fratello A
fratello Apollo, vale a dire i genitori, il luogo di nascita e i nomi
che
da quello le derivarono, l’abbiamo detto nel N° X
tto nel N° XVI. Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo
che
, considerata come la Luna, immaginarono i mitolog
peciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi
che
essa sotto la forma di una avvenente e giovane De
nto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione
che
l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’inc
ca potenza delle streghe sulla Luna e le Stelle136, e Ovidio aggiunge
che
si estendeva anche sul Sole137. Il volgo peraltro
iale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. Sappiamo infatti
che
anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i pop
di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire
che
essa sentisse le magiche parole degli stregoni ;
così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ;
che
un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventat
ercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole
che
avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell
ggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ;
che
anche i selvaggi dell’America nei primi tempi del
ell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero
che
Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si
nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì
che
si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna.
anticamente per maghi o per innamorati della Luna. Anzi di quel primo
che
osservò e descrisse il corso lunare raccontano i
l primo che osservò e descrisse il corso lunare raccontano i mitologi
che
si era invaghita la Luna stessa. Chiamavasi egli
ta la Luna stessa. Chiamavasi egli Endimione, e stava sul monte Latmo
che
è nella Caria ; ed essendosi in una di quelle cav
stampe in cui vedesi Endimione addormentato in una caverna e la Luna
che
sta a guardarlo. I poeti poi quasi tutti, ed anch
asi tutti i popoli idolatri ; e Cesare rammenta nei suoi Commentarii,
che
gli antichi Germani regolavano le loro imprese se
9. In Roma v’era un tempio dedicato a Diana Noctiluca, cioè alla Luna
che
splende di notte, nel qual tempio tenevano accesi
olo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi
che
accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei
re. E perciò si rappresenta come le vergini Tirie140, con veste corta
che
appena le giunge al ginocchio, i coturni sino all
mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con cui trattiene un levriero
che
si volta a guardarla ; e perchè si distingua che
rattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua
che
questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’a
degnosa. Anche Orazio la chiama iracunda Diana ; e si racconta perciò
che
ella era inesorabile e puniva severamente qualunq
iovane Callisto (il cui nome significa bellissima), perchè si accorse
che
amoreggiava con Giove. La qual’orsa fu poi da Gio
sformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire
che
fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, b
che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore,
che
incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sa
acciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo
che
fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dar
ggiore ed anche Elice per distinguerla dall’altra vicinissima ad essa
che
chiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome d
hiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome di una di quelle Ninfe
che
ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per ben
nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e
che
per benemerenza fu trasformata in questo gruppo d
o gruppo di stelle. L’Orsa maggiore fu chiamata anche il Carro, nome
che
si conserva pure oggidì ; e le sette stelle princ
arro, nome che si conserva pure oggidì ; e le sette stelle principali
che
vedonsi in quella ad occhio nudo eran dette i set
dell’Orsa, e antartico, opposto all’Orsa. Alcuni mitologi aggiungono
che
anche Arcade figlio di Callisto fu cangiato in un
; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto
che
egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (seco
fe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo,
che
nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e d
suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. Dissero i mitologi
che
Atteone, perchè apparteneva ad una famiglia odios
uesto racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone,
che
per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso
ancor de’miei can fuggo lo stormo. » È facile peraltro l’intendere
che
qui il Petrarca parla soltanto metaforicamente. L
loro i mitologi ; ed urta il senso comune e il buon gusto il sentire
che
confondessero l’argentea Luna e la svelta saettat
la svelta saettatrice Diana con la mostruosa Ecate. Sapendo soltanto
che
ad Ecate si attribuivano tre teste, una di cavall
le, basta questo perchè tal mostruosa Dea faccia orrore. E gli uffici
che
le si assegnavano eran pur essi fantastici e paur
alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate,
che
lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volen
nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143. Orazio in tre odi
che
han per soggetto le streghe e le stregonerie non
lla Sat. 8 del lib. I dice delle due famose streghe Canidia e Sagana,
che
l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel
, che l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel Carme secolare
che
fu cantato pubblicamente in onore di Apollo e di
uente : « Ma non cinquanta volte fia raccesa « La faccia della Donna
che
qui regge « Che tu saprai quanto quell’arte pesa
he tu saprai quanto quell’arte pesa ; » ove apparisce manifestamente
che
l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomuna
un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo,
che
fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè infame, da
bbene fosse impossibile rifare dello stesso pregio gli oggetti d’arte
che
erano periti nell’incendio. Questo secondo tempio
i Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò
che
non fosse massacrato dagli orefici di quella citt
a, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città,
che
guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento f
Ed ora dove sorgeva quel tempio e la stessa popolosa città di Efeso,
che
a tempo dell’imperator Teodosio II fu sede di due
’imperator Teodosio II fu sede di due Concilii Ecumenici, non trovasi
che
qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianu
. » E l’Ariosto nell’ Orlando Furioso, Canto XVIII : « O santa Dea,
che
dagli antichi nostri « Debitamente sei detta Trif
(Parad., C. xxiii, 25.) 144. Questa opinione divenne tanto comune
che
alcuni eruditi latinisti composero per comodo di
XXXVI Le Ninfe Nel parlar delle Divinità marine notammo
che
v’erano seimila Ninfe Oceanitidi e alcune centina
e centinaia di Nereidi e di Doridi, oltre all’aver detto anche prima,
che
Giunone aveva per suo corteo quattordici Ninfe, D
Diana cinquanta e Cerere e Proserpina non si quante. Parrebbe dunque
che
l’argomento delle Ninfe dovesse essere esaurito.
numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto
che
non sono stati a contar sul globo tutte le fonti,
siedevano almeno altrettante Ninfe. Ninfa è parola di origine greca,
che
fu adottata dai Latini e conservata dagli Italian
primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi
che
le Ninfe non invecchiassero mai. Perciò si trovan
me le pastorelle. Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo,
che
cioè queste Divinità potessero morire ; il che è
ogi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il
che
è una contradizione in termini teologici. Erano m
in termini teologici. Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo,
che
avendo inventato le Fate con potenza soprannatura
ventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano
che
non morissero mai : « Morir non puote alcuna fat
rissero mai : « Morir non puote alcuna fata mai, » disse l’Ariosto,
che
di Fate se ne intendeva. Gli appellativi di Oread
e se ne intendeva. Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi,
che
si diedero alle Ninfe, indicano col loro signific
o estensivamente, alberi. Amadriadi poi è un greco vocabolo composto,
che
significa insiem colla quercia, o come si è detto
li attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene
che
li tengano a memoria anche coloro che non studian
a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro
che
non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano
mentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra
che
non troverebbe luogo più opportuno altrove. Tra l
trove. Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe
che
ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea
icorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e
che
rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitolog
nale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitologi dicono
che
anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con
a capra in quella costellazione25. Della Ninfa Melissa poi raccontano
che
fosse stata la prima a scuoprire il miele in un a
n un alveare dentro un albero incavato o corroso dalla vecchiezza ; e
che
essa poi fosse cangiata in ape. La favola della N
Eco cangiata in voce è raccontata anche in un modo diverso da quello
che
accennammo nel Cap. XXXIV ; ed è collegata colla
l fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza
che
non amava che sè stesso e disprezzava superbament
; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava
che
sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona
La Ninfa Eco se ne afflisse tanto, e si consumò talmente dal dolore,
che
di essa vi rimase la voce sola che ripeteva appen
e si consumò talmente dal dolore, che di essa vi rimase la voce sola
che
ripeteva appena le ultime parole altrui. A questa
come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione
che
quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come d
lioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito
che
egli ne fu punito coll’essersi innamorato della p
a propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e
che
credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che
que di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla
che
ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore
anto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore
che
porta il suo nome. Dante allude più d’una volta a
« Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia, « Tu hai l’arsura e ‘l capo
che
ti duole, « E per leccar lo specchio di Narcisso
e parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate
che
egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sem
diso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice
che
gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque n
eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi
che
esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la s
vola di Narciso : « Perch’io dentro l’error contrario corsi « A quel
che
accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; » cioè tra N
cialmente dai poeti latini, come una delle più belle Ninfe ; e dicono
che
se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Poli
; e dicono che se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Polifemo
che
fu re dei Ciclopi ; ma vedendosi preferito il pas
ra dall’ alto di un monte un macigno. Gli Dei cangiarono Aci in fiume
che
scorre nella Sicilia. I pittori hanno gareggiato
resentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella
che
vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. Le
cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole. Tant’è vero
che
Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che
revole. Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali,
che
sotto forma ed abito femminile accompagnavano Bea
del Purgatorio : « Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria
che
Beatrice discendesse al mondo. « Fummo ordinate a
lei per sue ancelle. » E nel rammentar questo passo il can. Bianchi,
che
fu segretario dell’Accademia della Crusca, così l
usca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale,
che
abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; son
da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra
che
ad un teologo, e al tempo stesso elegante scritto
lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso
che
le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità,
ato nella Mitologia, o in qualche classico, certe Ninfe dell’acqua, o
che
stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi no
’acqua, o che stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi non pare
che
lì per lì lo avessero ben presente) e si affretta
corno della capra, o la capra con un corno, per alludere alla favola,
che
alla capra nutrice di Giove essendosi rotto un co
di Giove essendosi rotto un corno, Giove ne fece un regalo alle Ninfe
che
ebbero cura della sua infanzia, attribuendo al me
di versar dalla sua cavità qualunque oggetto desiderato dalla persona
che
lo possedeva. Questo corno fu detto in latino cor
a latina. — A Giove stesso fu dato dai Greci l’appellativo di Egioco,
che
alcuni interpretano nutrito dalla Capra ; il qual
ficato i quattro elementi del Caos, cominciarono ad inventar divinità
che
presiedessero alle diverse forze e produzioni del
a l’invenzione o la creazione. Cerere figlia di Saturno e di Cibele (
che
è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), er
la creazione. Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso
che
dire del Tempo e della Terra), era considerata co
ire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade
che
in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi da
la terra. Il nome di Cerere, secondo Cicerone, deriva dal verbo creo,
che
anticamente dicevasi cereo, e perciò dal creare,
nome di Tesmòfora, cioè legislatrice, sapientemente considerando quel
che
anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli
he anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli storici filosofi,
che
gli uomini solivaghi e nomadi, pescatori e caccia
otevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e
che
solo allorquando per mezzo dell’agricoltura si fi
o allorquando per mezzo dell’agricoltura si fissarono su quei terreni
che
avevano coltivati, potè cominciare la civil socie
la civil società retta dal Governo e dalle leggi. Inventarono i Greci
che
Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’ag
al Governo e dalle leggi. Inventarono i Greci che Cerere avesse prima
che
agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo f
di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e
che
questi sul carro di Cerere tirato da draghi volan
rte agli altri popoli. Quindi i Misterii Eleusini, cioè i riti arcani
che
si celebravano nelle feste di Cerere in Eleusi. I
o nelle feste di Cerere in Eleusi. I Latini per altro non ammettevano
che
a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo
lia chiamata Proserpina in latino e in italiano, Persephone in greco,
che
rappresenta una splendida parte nelle vicende e n
e nelle vicende e negli attributi di sua madre. Raccontano i mitologi
che
Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla
e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ;
che
mentre essa coglieva fiori alle falde del monte E
io dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ;
che
questo ratto fu eseguito con tal prestezza che ne
e’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza
che
neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e n
le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre
che
fosse avvenuto della perduta Proserpina. Questo m
bellito di straordinarie fantasie da tutti i poeti antichi e moderni,
che
troppo lungo sarebbe il voler tutte riportarle. D
so terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… (
che
si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, «
ua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo
che
perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A
splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi
che
dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla sol
ter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro
che
tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi,
valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi
che
tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo
di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra,
che
le avesse significato di aver veduto Proserpina p
iglia ; ma Plutone non volle renderla. Cerere allora ricorse a Giove,
che
per questo caso strano consultò il libro del Fato
consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile,
che
se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Infe
aver veduto nulla, comparve un impiegato infernale, di nome Ascalafo,
che
asserì di aver veduto Proserpina succhiare alcuni
allora ad una transazione, e fu convenuto per la mediazione di Giove
che
Proserpina restasse 6 mesi dell’anno col marito P
lla madre sulla terra54. Tutta questa immaginosa invenzione significa
che
Proserpina figlia di Cerere simboleggia le biade,
ltra. Quest’ultimo distintivo le fu dato, perchè goffamente credevasi
che
avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri ch
ffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri
che
Giove le somministrò per liberarla dall’insonnio
ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere
che
va in cerca della smarrita Proserpina. La vittim
subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. La vittima
che
sacrificavasi a Cerere era la scrofa, perchè, dic
ti da Cerere, oltre alla trasformazione di Ascalafo in gufo, si narra
che
essa avesse anche trasformato il fanciulletto Ste
nirlo dell’essersi fatto beffa di lei. Forse la somiglianza del nome,
che
in latino è omonimo con quello di questo piccolo
iccolo rettile, diè motivo ad inventare una tal trasformazione. Dante
che
ben volentieri riporta nella Divina Commedia anch
ta una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli
che
per aver beffato il profeta Eliseo della sua calv
lse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui
che
si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia
za a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo
che
così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto se
più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura
che
rappresenta Eresittone come simbolo di un insazia
to un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci
che
la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mang
rno del primo anno di questo secolo. 50. Altri autori latini dicono
che
Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus
questo secolo. 50. Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso
che
Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nell
vece del C. Per questa stessa ragione è asserito dagli eruditi legali
che
il nome del giureconsulto Caio deve pronunziarsi
ve pronunziarsi Gaio. 51. Ripeterò in questo scritto più d’una volta
che
senza la cognizione della Mitologia non si posson
oste dall’ Ariosto a modo di similitudine, come s’intende dall’ottava
che
segue : « Se in poter fosse stato Orlando pare «
« Ma poichè ’l carro e i draghi non avea, « La gìa cercando al meglio
che
potea. » Un’infinità di esempii, simili a quelli
Genii Fu detto nella classazione generale degli Dei (V. il N. III)
che
il Genio era considerato dai Latini come un Dio d
verno si moltiplicano gl’impiegati, comiciarono i mitologi a supporre
che
questo unico Genio sarebbe troppo occupato a prov
da sè solo a tutti gli esseri della creazione ; e perciò immaginarono
che
vi fossero Genii particolari per ciascun popolo,
al modo li moltiplicarono all’infinito. Ma non basta. Dopo aver detto
che
un Genio particolare presiedeva alla vita di cias
’indole diversa degli uomini, o buona o rea, furono indotti a credere
che
esistessero Genii buoni e benefici e Genii malign
re che esistessero Genii buoni e benefici e Genii maligni e malefici,
che
fossero in lotta tra loro per avere il predominio
; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo
che
ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principa
i e ai Romani. I Chinesi vi credono ancora oggidì. Inoltre è notabile
che
questa credenza nei Genii o negli spiriti, come p
spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più
che
altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fo
ngue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e
che
non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goet
orse tuttora negli Spiriti e nel potere degli stregoni e fattucchieri
che
tengono il demonio per loro iddio ? Abbiamo perci
per loro iddio ? Abbiamo perciò davanti a noi un soggetto o argomento
che
è una vera fantasmagoria mondiale dai tempi preis
asta per la spiegazione dei Genii il rammentare soltanto il dualismo,
che
riconosce due principii, o vogliam dire due cause
nemica dell’altra ; e, senza aggiungervi nulla di mio, riporterò quel
che
ne dice un filosofo ortodosso, discepolo e fido s
li gnostici e di altri l’intelligenza e la materia. « Questa dottrina
che
ammette due principii coeterni, del bene e del ma
……………………… « Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia
che
si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Roman
antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani,
che
non ammetta il dualismo del principio benefico e
enefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giustamente
che
con questo sistema si libera l’uomo da ogni respo
alla Mitologia classica per ordine cronologico, noterò prima di tutto
che
i Genii nel linguaggio dei Greci eran detti Dèmon
enii nel linguaggio dei Greci eran detti Dèmoni ; e in Omero troviamo
che
gli stessi Dei davansi tra loro per onorificenza
robabile la interpretazione della parola Dèmone derivandola da daimon
che
significa intelligente 272). Il popolo generalmen
2). Il popolo generalmente considerava questi Dèmoni o Genii come Dei
che
regolassero le vicende della vita degli uomini ;
su questi Dèmoni, o spiriti, o genii. Aristotele, il maestro di color
che
sanno, come lo chiama Dante, divise gli Immortali
i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò
che
viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli
etare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò
che
vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha com
: « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare
che
lo accompagna sino alla fine della sua vita. » C
tribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia
che
Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebrai
ia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse
che
i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè
tirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli
che
Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scrit
vano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto
che
corrispondono ai Genii dei Latini. E queste etimo
ù manifesta ; sapendosi da’suoi stessi discepoli Platone e Senofonte,
che
egli attribuivasi fin dalla prima gioventù un Dèm
si fin dalla prima gioventù un Dèmone il quale suggerivagli tutto ciò
che
doveva fare275). Socrate diceva così per secondar
convincimento era monoteista. Bastino a provarlo le seguenti massime
che
egli insegnava ai suoi discepoli : « Il Dio supre
bro di Teologia cristiana ! Eppure Socrate viveva 4 in 5 secoli prima
che
incominciasse il Cristianesimo ! E perciò nel Pol
ione di quell’unico Dio in cui egli credeva. Abbiamo veduto di sopra,
che
i Genii dei Latini corrispondevano ai Dèmoni dei
face rovesciata o spenta, simbolo di morte. I Pagani credevano ancora
che
esistessero i Genii delle città e dei diversi luo
erò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più
che
persuaso, convinto, che la poesia è più generalme
ervazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto,
che
la poesia è più generalmente gradita che non la f
più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita
che
non la filologia. Il Cecchi, citato dal Vocabolar
Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buono con tali caratteri
che
potrebbero convenire anche ad un Angelo : « Da c
arola Genii a significare scrittori di ingegno straordinario : « Con
che
forza si campa, « In quelle parti là ! « La gran
» (La Terra dei Morti.) 271. Euclide filosofo socratico asserisce
che
ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’un
) 271. Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii
che
spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al m
n queste parole : « Genio, nel senso moderno, è la forza dell’ingegno
che
crea : la forza dell’animo motrice di grandi azio
nel libro i, De Divinatione, nomina anche Antipatro tra gli scrittori
che
avevan riferito molte cose mirabili di Socrate :
vinata sunt. » 276. Si trovano talvolta rammentati i Genii femmine,
che
spingevano al bene o al male le femmine ; ma avev
iva dal greco e significa calunniatore e accusatore, ed era il titolo
che
si dava soltanto al principe delle tenebre, come
to. » (Tib., iv, 5ª.) 279. Chi ha letto i classici latini sa bene
che
son comunissime le frasi : indulgere genio ; defr
ali, come nella seguente ottava del Canto v. « Che abominevol peste,
che
Megera « È venuta a turbar gli umani petti ? « Ch
ccezioni : Iª Per inclinazione d’animo o affetto. IIª Andare a genio,
che
vale piacere, aggradire. IIIª Dar nel genio che v
. IIª Andare a genio, che vale piacere, aggradire. IIIª Dar nel genio
che
vale compiacere. Nel Dizionario del Manuzzi, oltr
ltre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio della lingua, espressione
che
il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del
fani riportando nel suo Dizionario questa stessa espressione dichiara
che
è francese affatto. Perciò soltanto il tribunal d
ni preistoriche della Mitologia, poichè abbiamo già veduto nel N. XI,
che
di Inaco re d’Argo era figlia la Ninfa Io trasfor
orica47. — Ma torniamo alle favole. Acrisio avea saputo dall’Oracolo
che
se nascesse un figlio da Danae ucciderebbe l’avo.
per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. Acrisio credè invece
che
bastasse rinchiuder la sua in una torre di bronzo
ce che bastasse rinchiuder la sua in una torre di bronzo per impedire
che
prendesse marito. Ma fu inutile questa precauzion
trasformatosi in pioggia d’oro discese in quella torre e sposò Danae
che
fu poi madre di Perseo. S’intende facilmente che
torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. S’intende facilmente
che
l’oro col quale furon comprate le guardie da un r
o principe aprì le porte della torre di bronzo, per la stessa ragione
che
fece dire a Filippo padre di Alessandro Magno non
e gettarli nel mare ; ma e figlio e madre illesi, dopo varii pericoli
che
poco importa il descrivere, furon trasportati con
o di Giove per valore e per senno, talchè Polidette cominciò a temere
che
potesse detronizzarlo : quindi per dargli occupaz
lontanarlo dalla sua reggia lo eccitò, coll’allettamento della gloria
che
ne acquisterebbe, ad una impresa stranissima e pe
lle isoleGorgadi, situate nell’Oceano Atlantico presso il promontorio
che
tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembr
il promontorio che tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembra
che
debbano corrispondere alle isole dette ora di Cap
Doveva Perseo tagliare a Medusa la testa cinta di orribili serpenti,
che
facea divenir di pietra chi la guardava. I poeti
, che facea divenir di pietra chi la guardava. I poeti antichi dicono
che
Medusa aveva due sorelle chiamate Stenio ed Euria
chi dicono che Medusa aveva due sorelle chiamate Stenio ed Euriale, e
che
da prima eran tutte bellissime, e poi divennero m
zione della lor vanità, e furon chiamate le Gorgoni dalla voce gorgon
che
era il nome di un orribile mostro affricano. Le c
to di armi divine si accostò non visto a Medusa e le tagliò la testa,
che
dipoi portò sempre seco e se ne servì utilmente p
di sasso chi più gli piacque, come vedremo. Intanto sarà bene notare
che
poeti e artisti antichi e moderni fecero a gara a
descrivere, dipingere e scolpire la testa di Medusa. Dante asserisce
che
a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lun
mpo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta
che
egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù q
a sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo
che
gli antichi rappresentavano la testa di Medusa ne
poi è da rammentarsi la testa di Medusa dipinta da Leonardo da Vinci,
che
si ammira nella Galleria degli Uffizi in Firenze,
i Medusa in mano, opera egregia in bronzo fuso, di Benvenuto Cellini,
che
è posta sotto le loggie dell’ Orgagna in Piazza d
o mostro mitologico nel dare il nome di Meduse a un gruppo di Zoofiti
che
formano la 1ª divisione degli Acalefi. Non v’è pe
nè producono altro maligno effetto, non già a vederli, ma a toccarli,
che
quello stesso dell’ortica, e perciò si chiamano a
racconto mitologico delle gesta di Perseo, è da dirsi prima di tutto
che
dal sangue sgorgato dal teschio di Medusa nacquer
ili serpenti, e dal tronco o busto di essa uscì l’alato caval Pegaso,
che
servì poi sempre di cavalcatura a Perseo. Inoltre
terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fece sgorgare una fonte
che
fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, c
gorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene,
che
vuol dir fonte del cavallo. La produzione dei ser
angue della testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a spiegarsi
che
quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. E
poco questa strana invenzione di Esiodo, non l’adottò, e disse invece
che
il caval Pegaso fu mandato dagli Dei a Perseo men
o sua madre erasi vantata di esser più bella delle Nereidi. Nel tempo
che
l’Orca avanzavasi per ingoiarla, passò per aria P
ù duro d’uno scoglio, lo pietrificò col teschio di Medusa. I genitori
che
eran presenti diedero in premio al liberatore la
meda fu espressa da Benvenuto Cellini nel bassorilievo di bronzo fuso
che
vedesi nella base del Perseo ; ma l’eroe vi è rap
Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande Oceano,
che
ivi si ammira. Le feste per le nozze di Perseo co
truppe del re Fineo, a cui Andromeda era stata promessa in isposa, ma
che
però non si era mosso per liberarla dal mostro ma
nerla. Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo
che
si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno
gata l’ospitalità dal re Atlante ; il quale avea saputo dall’Oracolo,
che
per quanto egli fosse di statura e di forza gigan
ndogli la testa di Medusa lo trasformò in quel monte della Mauritania
che
tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi f
ia che tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi favoleggiavano
che
sostenesse il Cielo, e il cui nome hanno dato i m
iche. Giunse Perseo senz’altri incidenti all’isola di Serifo, e trovò
che
Polidette voleva costringer Danae a sposarlo ; ed
oglier d’impaccio la madre, lo cangiò in una statua. All’avo Acrisio,
che
ancor viveva, perdonò, ed anzi lo rimise nel regn
e doveva avverarsi la predizione dell’Oracolo, inventarono i Mitologi
che
il nipote, per caso, nel fare esercizi guerreschi
i attribuisce a Perseo la fondazione del regno di Micene ; e si narra
che
ivi Perseo fu ucciso a tradimento da Megapente, f
Cefeo di 58 ; Cassiopea di 60, e il Pegaso di 91. Aggiungono inoltre
che
una gran quantità di stelle cadenti, di cui hanno
questo cenno in conferma di quanto osservai nel precedente capitolo,
che
cioè bisogna cercar le origini storiche dei popol
dispensabile ; « E non è impresa da pigliare a gabbo, « Nè da lingua
che
chiami mamma e babbo. » 48. Vedasi la belliss
ª del lib. iii di Orazio ; della quale qui cito soltanto quella parte
che
si riferisce a quanto ho detto di sopra nel testo
omor lor viene. « Disse la donna : o glorïosa Madre, « O re del Ciel,
che
cosa sarà questa ? « E dove era il rumor si trovò
asi talor la terra rade ; « E ne porta con lui tutte le belle « Donne
che
trova per quelle contrade : « Talmente che le mis
lui tutte le belle « Donne che trova per quelle contrade : « Talmente
che
le misere donzelle « Ch’abbino o aver si credano
beltade, « (Come affatto costui tutte le invole), « Non escon fuor sì
che
le veggia il Sole. « Non è finto il destrier, ma
opportuno di presentarne il ritratto. È una eccezione al mio metodo,
che
mi par giustificata dall’ufficio eccezionale e da
trovato prima d’ora, e troveremo anche in appresso, qualche Divinità
che
, a giudicarne dalla forma, si prenderebbe piuttos
dicarne dalla forma, si prenderebbe piuttosto per un mostro di natura
che
per un essere soprannaturale, il Dio Pane richiam
il Dio Pane richiama maggiormente la nostra attenzione per gli uffici
che
gli furono attribuiti, e per quanto ragionan di l
anche gli storici e i filosofi. Il nome di questo Dio in greco è Pan
che
significa tutto ; e gli antichi Mitologi basandos
e dotte e in quelli enciclopedici più moderni9. Bacone da Verulamio,
che
nel suo libro De Sapientia Veterum spiegò anche t
anche troppo minutamente e sottilmente il mito del Dio Pane, dichiara
che
gli Antichi lasciarono in dubbio la generazione d
Antichi lasciarono in dubbio la generazione di questo Dio, osservando
che
non si accordavano i Mitologi ad assegnargli i ge
enelope, ed anche di Urano e di Gea, ossia Tellure. Afferma per altro
che
tutti eran d’accordo (e vi si unisce anch’egli) n
ella etimologia della parola Pan e nel simbolo indicato da questo Dio
che
, cioè, significhi il tutto e rappresenti perciò l
il tutto e rappresenti perciò l’universa natura 10. Ma la spiegazione
che
soglion dare delle diverse parti della figura del
se, potrà sembrare ai dì nostri piuttosto uno sforzo d’immaginazione,
che
una indubitabile interpretazione, poichè dicono s
azione, che una indubitabile interpretazione, poichè dicono sul serio
che
le corna significano i raggi del Sole e la Luna c
simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane,
che
ho delineato in principio, i distintivi che gli s
al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi
che
gli si davano perchè non si confondesse con altre
diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento,
che
in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa,
na fanno i Mitologi una infinità di commenti. Non contenti di eredere
che
le sette canne simboleggino i sette toni della mu
a musica, o, come ora direbbesi, le sette note musicali, immaginarono
che
rappresentassero l’armonia delle sfere, secondo l
om’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee
che
parole, qui è più conciso che altrove, poichè con
issimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso
che
altrove, poichè con una sola similitudine e in so
versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto
che
ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamorfosi, che ci
dentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamorfosi,
che
cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suon
Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor
che
con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormen
esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia
che
l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli
uol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa
che
ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco,
l’Eco. Il matrimonio del Dio Pane con questa Ninfa sembra significare
che
solo ai detti suoi l’Eco rispose. Questo Dio era
dazione di Roma. Evandro aveva fissata la sua residenza su quel monte
che
egli chiamò Palatino dal nome di suo figlio Palla
a, poichè in quel giorno offrì Marc’Antonio il regio diadema a Cesare
che
lo ricusò ; e Cicerone rammenta questo fatto più
onio. Dal nome del Dio Pane è derivata l’espressione di timor pànico,
che
etimologicamenie significa timore ispirato o incu
e ispirato o incusso dal Dio Pane ; e, nella comune accezione, timore
che
assale all’improvviso e non ha fondamento o causa
lle cose ; e per casi nuovi o ignorati o non preveduti avviene spesso
che
si alteri la fantasia, specialmente del volgo, e
enti, cerca di spiegarlo la Mitologia ; la quale, dopo avere asserito
che
il Dio Pane soggiornando nelle solitudini più sel
to, diversi aneddoti riferiti nelle antiche storie, come per esempio,
che
il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona
dippide Ateniese, e gli suggerisse il modo di spaventare i Persiani ;
che
la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee c
ee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i Galli
che
volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ec
volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ecc. È però da notarsi
che
gli aneddoti riferibili alle voci miracolose del
e un si dice, o si crede ; e nella prefazione dichiara esplicitamente
che
egli non intende di confermarli nè di confutarli1
anche presso i Pagani una paura senza fondamento, ciò stesso dimostra
che
si aveva per una ubbìa e non per un miracolo. Anc
ui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo
che
non avesse ancora acquistato la cittadinanza roma
sofica del celebre Bacone da Verulamio sul timor pànico. Egli afferma
che
ai timori veri e necessari per la conservazion de
ensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione,
che
veramente, com’ egli dice, non è altro che un ter
na paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro
che
un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panic
» Modernamente un eruditissimo filologo tedesco (Preller) asserisce
che
considerato il Dio Pane come il Nume dei Pastori,
dei Pastori, l’etimologia di questo nome deriva da pao (io pasco) ; e
che
pan è perciò una contrazione di paon. 11. «
ra jungitur usque minor. » (Tib., iii, 5ª.) 12. Narrando T. Livio
che
l’augure Accio Nevio tagliò col rasoio la pietra,
disse cotem ferunt. « Di Orazio sol contra Toscana tutta » dichiara
che
questo fatto era più famoso che credibile : « Rem
sol contra Toscana tutta » dichiara che questo fatto era più famoso
che
credibile : « Rem ausus plus famae habituram ad p
s famae habituram ad posteros, quam fidei. E nella Prefazione osserva
che
generalmente gli Antichi spacciavano molte favole
Difetti e vizii del Dio Giove Anche sulle labbra degli analfabeti,
che
non sieno privi affatto di qualunque idea di reli
o di qualunque idea di religione, udiamo sovente il comune proverbio,
che
è solo Iddio senza difetti. Ma gli antichi Pagani
no nei loro Dei non solo difetti, ma pur anco azioni talmente nefande
che
sarebbero punibili tra gli uomini nella civil soc
te il titolo di Ottimo. Nel n° XI notammo tutte le eccellenti qualità
che
gli erano attribuite, per le quali veniva ad esse
oria : ma ora incomincia la favola. Prometeo col favore di quegli Dei
che
eran più amanti e protettori dell’ingegno e delle
mò le sue statue, e le fece divenire uomini viventi e parlanti. Giove
che
intendeva riserbato esclusivamente a sè stesso il
, e di più col mandare ogni giorno un avvoltoio a rodergli il fegato,
che
di notte gli rinasceva e cresceva, per render per
lui. Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei,
che
inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Gi
le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora,
che
in greco significa tutto dono, perchè tutti aveva
1). Pandora si affrettò a richiudere il vaso, ma non vi rimase dentro
che
la speranza82). In tutto questo racconto mitico G
). In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio
che
giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, m
De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola
che
le altre trenta da lui prescelte come meritevoli
tevoli delle sue considerazioni. Tutti però, generalmente, convengono
che
Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa
rò, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano
che
inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno
punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate
che
per lo più si ricevono dai grandi inventori invec
vono dai grandi inventori invece del meritato premiò. Aggiungono però
che
la pena di Prometeo non fu perpetua, perchè Ercol
meteo non fu perpetua, perchè Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio
che
gli rodeva il fegato : il che vuol significare ch
Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il
che
vuol significare che la forza d’animo, ossia la c
uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare
che
la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti
che la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti gli ostacoli, e
che
gli utili effetti finali fanno dimenticare le pen
fanno dimenticare le pene sofferte83). Ingegnosissimo è pure il mezzo
che
fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco cel
che fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco celeste, inventando
che
egli accese lassù una verghetta o un fascetto di
ffetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento,
che
confricando tra loro in una selva selvaggia diver
i, produce estesissimi e spaventevoli incendii ; ed anche il fulmine (
che
credevasi venir dal Cielo e dalla mano stessa di
lla mano stessa di Giove) comunica il fuoco alle materie combustibili
che
trovansi sulla Terra. Il fuoco poi, come dice Bac
scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra
che
questo stesso elemento, (e in ultima analisi il S
si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole
che
n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavo
i i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata
che
odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro ch
è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro
che
eruditissime. Di Pandora stessa raccontasi pur an
uditissime. Di Pandora stessa raccontasi pur anco da alcuni mitologi,
che
Giove, nel regalarle il fatal vaso, le avesse ord
’opposto, cioè improvvido o incauto, questi l’aprì. Aggiungono di più
che
egli sposò Pandora, la quale gli portò in dote qu
molto notabile e filosofica l’interpretazione di Bacone da Verulamio
che
Pandora, unita in matrimonio coll’improvvido Epim
onio coll’improvvido Epimeteo, significhi la voluttà e il mal costume
che
spasso derivano dalla raffinatezza delle arti e d
za delle arti e dal lusso nelle anime spensierate ed improvvide : dal
che
nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gl
nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali
che
rovinano gli uomini e gli Stati85). Se Giove in q
omini e gli Stati85). Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo
che
a Pandora e al genere umano, non fa la più bella
a più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi,
che
diremmo domestici, vale a dire di marito e di pad
dire di marito e di padre, è anche più biasimevole. Mille ragioni non
che
una aveva Giunone sua moglie di lamentarsi e stiz
preferisco di narrarne le principali una alla volta, di mano in mano
che
ne verrà l’occasione, secondo l’ordine cronologic
cronologico e gerarchico, nel parlare dei figli di Giove. Peggio poi
che
bestiale non che disumana fu la condotta di quest
rarchico, nel parlare dei figli di Giove. Peggio poi che bestiale non
che
disumana fu la condotta di questo Dio nel precipi
(Hor., Od., i, 3.) 82. Quindi il detto proverbiale : « L’ultima
che
si perde è la speranza. » 83. Su questa favola
83. Su questa favola il poeta Eschilo compose tre celebrate tragedie,
che
facevan seguito l’una all’altra, cioè Prometeo po
bonde sommosse differiscono dalle regolari battaglie. Perciò i Greci,
che
nelle loro celebri guerre contro lo straniero inv
rra, preferivano il culto di Minerva a quello di Marte ; e lasciarono
che
lo adorassero, devotamente i Traci, i quali, come
e e pugne anche i conviti. Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio
che
stessero ad onore di lui, perchè credevano che gl
ontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano
che
gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice,
i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo
che
il fondatore della loro città fosse figlio di Mar
reco nome di questo Dio, derivò e fu composto il termine di Areopago,
che
propriamente ed etimologicamente significa borgo
one il famoso tribunale dell’Areopago, di tanta sapienza e integrità,
che
vi eran portate a decidere le liti anche dagli st
Dei per giudicarlo, e il dibattimento ebbe luogo in un borgo d’Atene
che
d’allora in poi fu chiamato perciò Areopago. Seì
e la parità dei voti fu tenuta per favorevole all’imputato, tanto più
che
per l’assoluzione era dato il voto di Minerva, De
ome latino di Mars (Marte) consideravasi una abbreviazione di Mavors,
che
significa, come dice Cicerone, magna vertens 174,
di Mavors, che significa, come dice Cicerone, magna vertens 174, cioè
che
sconvolge grandi cose ; significato funesto, e pu
della guerra. Chiamavasi ancora Gradivo, titolo derivato da un verbo
che
significa camminare, o avanzarsi a passo misurato
vessero maggior devozione, e poi perchè il truce soggetto pareva loro
che
ripugnasse alla squisitezza della greca eleganza.
i si credevano tanto da lui prediletti e così esclusivamente protetti
che
lo intitolavano Marte Romano. Essendo la guerra i
omane adoravano Marte come loro Dio protettore : e tra queste Firenze
che
non fu già tutta plasmata da « ….quell’ingrato p
igno, » ma vi fu mista ancora « …….la sementa santa « Di quei Roman
che
vi rimaser, quando « Fu fatto il nido di malizia
l nido di malizia tanta. » (Inf., Canto xv.) E inoltre Dante ricorda
che
Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protetto
icorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protettore Marte,
che
cangiò nel Battista, allorchè divenne cristiana,
cristiana, facendo dire (nel Canto xiii dell’Inferno) a quell’anima,
che
fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della
ell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della città
che
nel Batista « Cangiò il primo padrone, ond’ei per
nd’ei per questo « Sempre coll’arte sua la farà trista. » E-aggiunge
che
vi rimaneva ancora a quel tempo sul ponte vecchio
ecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse
che
sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vi
sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vista, « Quei cittadin
che
poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila r
alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener
che
d’Attila rimase178 « Avrebber fatto lavorare ind
anza e del coraggio necessario nelle battaglie. I mitologi aggiungono
che
fu cangiato in gallo da Marte un suo soldato di n
poeti) il gallo canta prima dell’apparir del Sole, per avvertir Marte
che
si guardi dall’essere un’altra volta scoperto. Di
nfatti si raccontano diversi aneddoti poco edificanti ; basti il dire
che
quando accadeva qualche fatto scandaloso, si attr
ta !179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome al mese di marzo
che
era in quel tempo il primo mese dell’anno. A Mart
A Marte e ai marziali esercizi fu consacrato in Roma il campo Marzio,
che
prima era un fondo rustico, ossia un vasto podere
il nome gli astronomi antichi a quel pianeta visibile ad occhio nudo,
che
resta più della Terra lontano dal centro del nost
netario, vale a dire del Sole. Dalla luce rossastra e quasi sanguigna
che
riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che
ra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio
che
si diletta del sangue e delle stragi. I moderni a
i è composto il pianeta, atte a rifletterlo, o ad una densa atmosfera
che
lo circondi. Dante aveva osservato che gli astri
erlo, o ad una densa atmosfera che lo circondi. Dante aveva osservato
che
gli astri riflettono una luce più rossa quando si
fera ; e tanto più questo fenomeno si manifesta nel pianeta di Marte,
che
per natura sua è sempre più rosso di tutti gli al
decisivo. Modernamente per altro nei tribunali collegiali si procura
che
il numero dei giudici sia dispari ; ed in alcune
lo Gall., i, 71.) 176. Chi conosce o studia la lingua latina sa bene
che
i Romani usavano l’aggettivo bellus, a, um nel si
ti ; e quindi formarono il nome bellaria, orum per significare quelli
che
noi diciamo confetti, pasticci, e in generale pia
e, se saranno studiati e meditati come conviensi. Dice il Machiavelli
che
quand’egli si chiudeva nel suo gabinetto per legg
sequio e venerazione di uomini sì grandi e sapienti. 178. « E falso
che
Attila rovinasse Firenze, non avendo mai passato
vendo mai passato l’Appennino ; ma forse Totila re dei Goti fu quegli
che
molto la guastò nelle guerre che ebbe a sostenere
a forse Totila re dei Goti fu quegli che molto la guastò nelle guerre
che
ebbe a sostenere contro i generali di Giustiniano
i generali di Giustiniano. Essendo però comune opinione a quei tempi
che
Attila fosse stato il distruttore di Firenze, a q
el Canto viii del Paradiso : « …….e vien Quirino « Da sì vil padre,
che
si rende a Marte. » 180. Trovasi infatti in Ci
di Fenicia e fratello di Europa. Fu questa una bellissima giovinetta,
che
Giove rapì trasformatosi in un bianchissimo e pla
e n’ebbe due figli Minos e Radamanto 57. Il padre di lei non sapendo
che
ne fosse avvenuto, mandò il figlio Cadmo a cercar
dola in sacrifizio ai Numi per implorarli favorevoli alla nuova città
che
dovea fabbricare. Per gli usi del sacrifizio avea
avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte
che
trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecit
andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte,
che
finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. Allora per
morte dei compagni rischiò la propria vita combattendo con quel drago
che
era sacro a Marte, e con sforzi prodigiosi lo ucc
con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati
che
si misero subito a combattere fra loro, finchè i
e poi Tebe, conservandosi però sempre il nome di Cadmea alla fortezza
che
fu primamente il nucleo della città. Il territori
ave, e inoltre un figlio chiamato Polidoro. Abbiamo già detto altrove
che
Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e che
mo già detto altrove che Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e
che
Semele fu madre di Bacco. Ma per quanto avesse Ca
fu felice, e neppure i suoi discendenti. Di lui ci dicono i Mitologi
che
si ritirò insieme colla moglie in una solitudine,
no i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine, e
che
ivi furono ambedue cangiati in serpenti, e posti
Plutone a guardia degli Elisii. La qual metamorfosi sta a significare
che
egli si ritirò insieme colla moglie dalla vita pu
da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque
che
sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e p
ssivi credevano tanto (o fingevano di credere) in così strana favola,
che
derivavano la loro nobiltà di sangue dall’esser d
colosamente nati ; la quale illustre prosapia era detta degli Sparti,
che
significava seminati, alludendosi appunto alla se
e di Cadmo in serpente era tanto famigerata presso gli antichi Pagani
che
talvolta fu rappresentata perfino sulla scena : i
antichi Pagani che talvolta fu rappresentata perfino sulla scena : il
che
non dovrà recar maraviglia, ripensando che anche
a perfino sulla scena : il che non dovrà recar maraviglia, ripensando
che
anche ai tempi nostri si è veduto rappresentare i
or trasmutato in bestia coram populo. Ma Orazio nella poetica avverte
che
non si debbono dare tali spettacoli, che riescono
Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli,
che
riescono sconvenevoli nel teatro, perchè, sottopo
rmazione di Cadmo in serpente fu narrata così egregiamente da Ovidio,
che
sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante.
sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante. Anzi Dante, convinto
che
tali trasformazioni poeticamente ed ingegnosament
sformazioni ; e fu tanto contento e sicuro egli stesso dell’opra sua,
che
non potè nasconderlo ai suoi lettori, ed asserì d
iana. E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi
che
ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla
il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente
che
noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di
cellenti capitani greci. Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta
che
Cadmo avesse in mira di fare una città simile all
avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e
che
perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducon
esse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo
che
la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto
di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo
che
Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come
l’ origine dell’ Alfabeto in Europa, del quale si attribuisce a Cadmo
che
portasse in Grecia le prime sedici lettere60. Sin
Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ;
che
in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ven
ali confini deve arrestarsi il Mitologo. È però fuori di controversia
che
la civiltà non meno che la popolazione sia venuta
rsi il Mitologo. È però fuori di controversia che la civiltà non meno
che
la popolazione sia venuta dall’Asia in Europa, o
, quindi il Giusti, molto satiricamente, defini la Nobiltà : « Gente
che
incoccia maledettamente « D’esser di carne come t
est’ Eroe Fenicio non solo come guerriero, ma altresì come « il primo
che
introdusse l’alfabeto in Europa, le pratiche reli
se l’alfabeto in Europa, le pratiche religiose e molte di quelle arti
che
procurarono l’universale coltura. » Ma il poema n
i predomina la fiacchezza d’ idee e di stile. Al Bagnoli mancava quel
che
Orazio richiede principalmente in un poeta : « …
rum, des nominis hujus honorem. » (Sat. i, 4ª, v. 39.) 61. È noto
che
la parola alfabeto è composta dal nome delle due
dal nome delle due prime lettere (alfa e beta dell’alfabeto greco ; e
che
in italiano trovasi anche chiamato l’abbiccì dal
to l’abbiccì dal nome delle prime tre lettere del nostro alfabeto. Ma
che
diremo di quegli eruditi che volevano abolir ques
rime tre lettere del nostro alfabeto. Ma che diremo di quegli eruditi
che
volevano abolir questi nomi per sostituirvi quell
sti nomi per sostituirvi quello di grammaticario ? Diremo per lo meno
che
qui è davvero applicabile la massima attribuita d
o Ditirambo intitolato Bacco in Toscana li abbia definiti : « Quella
che
Pan somiglia « Capribarbicornipede famiglia. » M
corteo di Bacco, come dicemmo parlando di questo Dio, ed ivi notammo
che
per frastuono, stravizii ed ogni genere di follie
E a chi si maravigliasse di sì spregevol razza di Dei diremo soltanto
che
avendo i Mitologi ammessi anche gli Dei malefici,
rammentati quasi sempre scherzevolmente dai poeti, e per gli aneddoti
che
se ne raccontano rappresentati come i buffoni e i
ini ; ma però con fattezze più proprie della razza etiopica o malese,
che
della caucasica, e coi lineamenti caratteristici
el suo quadro dei Baccanali ; nella Galleria degli Uffizi il Satirino
che
di nascosto pilucca l’uva a Bacco ebrio, gruppo d
caprino, e gli altri quattro col solo distintivo di due piccole corna
che
spuntano loro sulla fronte di mezzo ai capelli. T
r fido del Guarini, in ciascuna delle quali Favole trovasi un Satiro,
che
sebbene parli elegantissimamente, e spesso anche
tteri diurni ; e i Retori o Letterati chiamano Satira un componimento
che
ha per oggetto la censura più o meno mordace degl
i Satiri quand’eran vecchi ; e il più celebre di questi è quel Sileno
che
fu Aio e compagno di Bacco in tutte le spedizioni
cc. Tale è l’antica statua di Sileno col piccolo Bacco nelle braccia,
che
trovasi nella villa Pinciana, e di cui una copia
i in Firenze ; e come vedesi pure nel quadro dei Baccanali di Rubens,
che
è parimente nella stessa Galleria. Il Dio Momo è
a hanno scritto di lui i Classici latini ; e tra i Greci, dopo Esiodo
che
creò questo bel tipo di maldicente, gli fece le s
ne’suoi dialoghi a schernire gli Dei ; ma gli fa dire tante freddure
che
sono una miseria e uno sfinimento a sentirle. Era
sonagli, un bastone ed una maschera in mano, distintivi significanti
che
egli con sfrenata licenza plebea e con modi da pa
orna di capra16. I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare
che
li considerassero più bestie che uomini, poichè u
r altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie
che
uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo
e collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali
che
vivono in una data regione, nel modo stesso che d
nte tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso
che
dicono la Flora per significare tutti i fiori che
ne, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori
che
si trovano nella regione medesima. Anche i Silvan
invoca Silvano tra le divinità protettrici delle campagne, e accenna
che
per distintivo portava in mano un piccolo cipress
onie sarebbero rimaste ignote o presto obliate, se non fosse avvenuto
che
nel giorno stesso di quella festa avesse Romolo i
tracciando coll’aratro la prima cinta dell’eterna città. Quel giorno
che
fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggi
altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni. Il nome di Vertunno,
che
davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei
hiamavasi Flora ad indicarne col nome stesso l’ufficio. Era la stessa
che
la Dea Clori dei Greci, il qual vocabolo fu trado
i spaventare i ladri e gli uccelli. Ma gli aneddoti sconci ed abietti
che
raccontano di lui servono tutti a ispirar dispreg
abietti che raccontano di lui servono tutti a ispirar dispregio anzi
che
venerazione per esso. Aveva culto pubblico soltan
Lampsaceno e Nume Ellespontiaco ; ed eragli immolato l’asino, vittima
che
si credeva a lui gradita, in soddisfazione di uno
vittima che si credeva a lui gradita, in soddisfazione di uno sfregio
che
egli ricevè dall’asino di Sileno, quantunque la p
Orazio e Marziale, si sbizzarrirono a dileggiar talmente questo Dio,
che
peggio non avrebbero fatto nè detto contro il più
ero e proprio della romana costanza, fu il Dio Termine. Non era altro
che
un masso, o uno stipite di pietra rozzamente squa
campi dei cittadini. Se ne attribuisce l’invenzione a Numa Pompilio,
che
volle così santificare con una idea religiosa il
Ara Coeli. Le Feste Terminali eran celebrate agli ultimi di febbraio,
che
fu per lungo tempo l’estremo mese dell’anno, poic
el Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco
che
egli, secondo che lo descrivono i poeti antichi,
irino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco che egli, secondo
che
lo descrivono i poeti antichi, fece di circa dici
un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista,
che
gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi tém
rissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma
che
egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sar
do. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua,
che
l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a p
iv del Purgatorio nella seguente terzina : « Ei mormorava ; e non so
che
Gentucca « Sentiva io là ov’el sentìa la piaga «
che Gentucca « Sentiva io là ov’el sentìa la piaga « Della giustizia
che
si gli pilucca ; » ed inoltre è un vocabolo semp
ante, ossia celebre per le sue Satire, nel parlar di giudizii diversi
che
ne davano i suoi contemporanei, così dice : « Su
arlare) e si interpretò canere fata ossia presagire : quindi si disse
che
Fauno rendeva gli oracoli, come riferisce anche V
nome di Dea Bona. 16. Una delle più celebri statue di Fauno è quella
che
vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.
i : 1ª XI. kal. majas cioè undici giorni avanti le calende di maggio,
che
significava, secondo l’uso latino di contare i gi
a in tutte le edizioni anche ad usum Delphini. 24. Orazio accenna
che
nelle Feste Terminali sacrificavasi una agnella :
to sulla nascita di Minerva Dea della sapienza. Raccontano i mitologi
che
questa Dea nacque adulta e armata di tutto punto
com’è veramente, la più bella e sapiente allegoria, significando essa
che
la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che u
ia, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e
che
uscì dalla divina mente di lui. In questi limiti
scrittori di prose ; e non è raro il sentir dire o leggere nei libri,
che
un’invenzione o una teoria uscì adulta e armata d
i è necessario almeno accennarne alcune. Aggiungono dunque i mitologi
che
Giove per tre mesi sentì un gran dolor di testa,
di questa Dea. Ebbe dai Greci primamente il nome di Pallade (Pallas)
che
secondo lo Stoll significa fanciulla robusta, per
questo nome sarebbe considerata come della guerra. Altri però dicono
che
deriva dal verbo monere (ammonire) ; e che perciò
guerra. Altri però dicono che deriva dal verbo monere (ammonire) ; e
che
perciò verrebbe invece a significare la Dea del c
nducemi Apollo. » Questa Dea ricevè dai Greci anche il nome di Atena
che
alludeva all’origine ed alla mitologica denominaz
famosa città d’Atene. Narrano di concerto i mitologi ed i poeti greci
che
la loro antica città di Atene, prima di aver rice
ed ampliata da Cecrope ; e quindi Cecropidi gli abitanti. Aggiungono
che
nacque gara fra gli Dei per darle il nome ; e Gio
gli Dei per darle il nome ; e Giove per troncar le questioni decretò
che
avrebbe questo privilegio quel Nume che producess
troncar le questioni decretò che avrebbe questo privilegio quel Nume
che
producesse una cosa più utile al genere umano. Gl
il cavallo e questa l’olivo ; e fu stimato più utile l’uso dell’olio
che
quello del cavallo. Minerva dunque che in greco c
mato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. Minerva dunque
che
in greco chiamasi Atena diede il suo stesso nome
le scienze e le arti, e divennero il popolo più civile165 e ingegnoso
che
sia mai esistito166. L’invenzione è bellissima e
tito166. L’invenzione è bellissima e facile ad intendersi ; significa
che
l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e ch
ndersi ; significa che l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e
che
le opere di esso non si compiono senza il favore
orio) : « Sovra candido vel cinta d’olivo, » e poco, dopo soggiunge
che
era quel velo « Cerchiato della fronde di Minerv
nimale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel
che
accadeva di notte ; e si voleva significare che l
ecava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare
che
l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri r
notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose
che
agli altri restano oscure ed ignote. E Minerva no
ell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua
che
i Romani pretendevano salvata da Enea e trasporta
che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e
che
fosse quella stessa che essi facevano gelosamente
no salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa
che
essi facevano gelosamente custodire nel tempio di
se e di Telemaco. Qui però dobbiamo riportare un racconto mitologico,
che
non si collega con quegli altri importanti e cele
ò e vinse, e punì la presuntuosa Aracne cangiandola in ragno, animale
che
conserva l’abitudine di far tele e ricami. Dante
deva io te, « Già mezza aragna, trista in su gli stracci « Dell’opera
che
mal per te si fe ! » Quindi egli non accetta l’o
! » Quindi egli non accetta l’opinione di qualche strambo mitologo,
che
Minerva fosse vinta, e per dispetto percuotesse A
acne e la trasformasse in ragno. È questa una delle tante metamorfosi
che
furono inventate per la somiglianza del nome. Inf
el nome. Infatti Suida, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario
che
la parola Aracne al femminile significa tela, e a
al femminile significa tela, e al maschile ragno, e Plinio asserisce
che
una donna chiamata Aracne inventò le tele, e Clos
scoperto da Olbers il 28 maggio 1802. 165. « Atene e Lacedemone
che
fenno « Le antiche leggi e furon sì civili. » (P
che leggi e furon sì civili. » (Purg., vi, 139). 166. Tanto è vero
che
qualunque più illustre città moderna non ambisce
nque più illustre città moderna non ambisce un maggior titolo d’onore
che
di esser chiamata l’Atene di quella nazione a cui
partenga. Così fu lieta Firenze di esser detta l’Atene d’Italia, dopo
che
sorsero in essa i più grandi scrittori, che il su
ta l’Atene d’Italia, dopo che sorsero in essa i più grandi scrittori,
che
il suo dialetto meritò di divenire la lingua comu
uo dialetto meritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e
che
al pregio della lingua seppe unire pur anco quell
Tra questi periodici il più accreditato e diffuso è l’Ateneo inglese
che
si pubblica in Londra da molti anni. 168. « Mi
Ovidio nel libro iii dei Fasti annovera le diverse arti e professioni
che
celebravano le feste di Minerva ; ed oltre i coll
salvezza ; e si applica principalmente a quelle politiche istituzioni
che
servono a mantenere la libertà, e che perciò dico
a quelle politiche istituzioni che servono a mantenere la libertà, e
che
perciò diconsi il palladio della libertà. 171.
XIV Il Diluvio di Deucalione Dopo
che
furono sterminati i Giganti dalla faccia della Te
creta e animati da Prometeo col fuoco celeste, e l’altra degli uomini
che
Giove stesso aveva creati. Ma ben presto divenner
umano, volle assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il
che
dimostra che egli non aveva l’onniscienza e l’onn
assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra
che
egli non aveva l’onniscienza e l’onnipresenza, at
ribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose,
che
v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo,
arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti
che
arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso al
sso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. Trovò
che
la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà
io, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti
che
lo avevano preceduto. Fulminò allora la reggia ;
ione è fondata sopra due somiglianze, quella cioè del nome di Licaone
che
deriva dal greco licos che significa lupo, e l’al
miglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos
che
significa lupo, e l’altra degl’istinti feroci di
, e si mostrò risoluto di esterminare tutta quella razza bestiale più
che
umana. Mise in discussione soltanto se per mezzo
perirono, fuorchè un sol uomo ed una sola donna, Deucalione e Pirra,
che
si salvarono in una nave ; la quale dopo aver lun
rnaso. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii,
che
soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal
n poco lungo, com’è realmente l’aspettare ad aver compagni e sudditi,
che
fosser nati e cresciuti i loro figli e discendent
uti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio della dea Temi
che
era sul monte Parnaso, dimandarono all’oracolo di
diremo il perchè) ; quindi Deucalione e Pirra non credendo possibile
che
l’oracolo suggerisse loro (come suonavan le parol
letteralmente), una empietà o violazione dei sepolcri, interpetrarono
che
la gran madre fosse la Terra, madre comune di tut
a nulla nuoceva, vi si provarono ; e poco dopo videro con maraviglia
che
le pietre scagliate dietro di sè da Pirra erano d
o. Questo fatto mitologico, per quanto strano, trovò anche un pittore
che
lo ritraesse e disegnatori e incisori che lo ripo
ano, trovò anche un pittore che lo ritraesse e disegnatori e incisori
che
lo riportassaro nelle stampe o incisioni. Vedonsi
ata in forma umana, o a cui manca soltanto il complemento di un piede
che
vedesi ancora di rozza pietra. La tradizione del
tti, nel trattare della crosta solida del nostro globo e degli strati
che
la compongono, ne distingue i materiali, sotto il
ti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo
che
contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ;
no conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente
che
questi strati doveron formarsi sott’acqua nel mod
almente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso
che
vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi
nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza
che
due secoli indietro non esisteva neppur di nome,
ecoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno
che
potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i
lica e filosofica. Mitologica secondo la favola di Deucalione e Pirra
che
trasformarono le pietre in uomini e donne ; bibli
rasformarono le pietre in uomini e donne ; biblica secondo la Genesi,
che
Adamo fu composto di terra, ed alcuni commentator
recisamente di terra rossa ; filosofica per l’uguaglianza dei diritti
che
deriva dalla comune origine. E particolarmente in
facendo così parlare Omberto Aldobrandeschi dei conti di Santa Fiora,
che
fu ucciso per la sua superbia arrogante : « L’an
ati. » (Ovid., Metam. i, 414.) 88. Roccia nel comune significato
che
questa parola ha in italiano equivale a rupe, bal
elsart. 89. Ho notato più di una volta, e tornerò ancora a notare,
che
i termini mitologici sono adottati in quasi tutte
che i termini mitologici sono adottati in quasi tutte le scienze ; e
che
la cognizione della Mitologia aiuta molto ad inte
i quelle denominazioni scientifiche. Cosi roccie vulcaniche s’intende
che
debbono esser quelle che hanno subito l’azione de
ientifiche. Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle
che
hanno subito l’azione del fuoco o del calore sott
e hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto
che
Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucin
plutoniche derivato dal nome di Plutone dio dell’Inferno sembrerebbe
che
volesse indicare presso a poco le stesse qualità
n tutte di fuoco, perciò i geologi chiamaron plutoniche quelle roccie
che
erano affini in alcuni dei loro caratteri alle vu
imentarie. Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi,
che
significa trasformazione, come abbiamo spiegato a
cum Jove juvat, dicono i mitologi latini). I greci la chiamavano Era,
che
, secondo alcuni grecisti, sarebbe un’abbreviazion
ppresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita
che
diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti no
o di mescer da quella la celeste bevanda. Aggiungono alcuni mitologi,
che
un giorno questa Dea nell’esercizio del suo minis
. Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi al sesto pianeta telescopico
che
fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847. Di Marte
co che fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847. Di Marte e di Vulcano
che
furono Dei superiori si dovrà parlare separatamen
persecuzioni di questa Dea. Favoriva sì e proteggeva essa quei popoli
che
le erano più devoti, come gli Argivi, i Samii, i
iù devoti, come gli Argivi, i Samii, i Cartaginesi ; ma guai a coloro
che
avessero la disgrazia di dispiacerle, specialment
rsecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi,
che
i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono ta
Qui per altro è indispensabile il narrare uno di questi fatti mitici
che
serve a spiegare perchè il pavone fosse sacro all
’Iliade ce ne rende accorti in questi versi : « Acerbissimo Giove, e
che
dicesti ? « Riprese allor la maestosa il guardo «
a e invidiosa com’era, fremeva all’idea di potere essere ripudiata, e
che
un’altra divenisse regina degli Dei. Giove predil
ospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca,
che
Giove non potè negarle per non scuoprirsi. Ottenu
negarle per non scuoprirsi. Ottenutala, la diede in custodia ad Argo
che
aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano semp
dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare,
che
traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da
versò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani
che
adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come un
to, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei
che
ebber paura si trasformarono in bestie. Gli Egizi
oravan gli Dei sotto la figura di quelle bestie nelle quali credevano
che
questi si fossero trasformati. Il nome poi di Arg
d’Argo « Se fosser vivi, sarebber cotali. » Un’altra particolarità
che
si riferisce alla dea Giunone è il mito della sua
ra questa una Ninfa o Dea inferiore, figlia di Taumante ; e credevasi
che
essa per discender sulla terra ad eseguire gli or
a ad eseguire gli ordini di Giunone passasse per quella splendida via
che
è contrassegnata nel cielo dall’arcobaleno. Quind
o, poichè Iride (in greco e in latino Iris), deriva da un greco verbo
che
significa dire o annunziare, e ricorda perciò la
ziare, e ricorda perciò la messaggiera di Giunone ; e Taumante è nome
che
deriva da tauma, che in greco significa prodigio,
iò la messaggiera di Giunone ; e Taumante è nome che deriva da tauma,
che
in greco significa prodigio, e rammenta stupendam
ide, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. xxi, 46) afferma
che
nell’alto di quella montagna non ascendevano gli
rra, nè perciò producevansi le meteore acquee, e neppur l’arcobaleno,
che
si forma nell’aria dopo la pioggia : « Perciò no
entifico. Nei poeti più eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri,
che
è voce più simile al nome greco e latino, e perci
me greco e latino, e perciò preferita nel linguaggio poetico. Basterà
che
io citi Dante che così la chiama in rima e fuor d
e perciò preferita nel linguaggio poetico. Basterà che io citi Dante
che
così la chiama in rima e fuor di rima, come nel s
refrazione dei raggi colorati della luce ; e iridescenza la proprietà
che
hanno alcuni oggetti di rifletter questi raggi co
nte ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma talor
che
di gentile « Amorosa colomba il collo cinge « Mai
lib., xv, 5.) Iride si chiama in Anatomia quella membrana circolare
che
è situata sopra l’umor cristallino dell’occhio, e
ed ha appunto questo nome dalla varietà dei suoi colori, ed è quella
che
determina il colore particolare degli occhi di ci
zare col prisma di cristallo il settemplice raggio del sole e dedurne
che
l’aria ancor umida dopo la pioggia faccia da pris
luce. Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il primo a distinguere
che
la luce solare era composta di un infinito numero
un infinito numero di raggi di differenti gradi di rifrangibilità, e
che
allorquando questa luce è fatta cadere sopra un p
e che allorquando questa luce è fatta cadere sopra un prisma, i raggi
che
la compongono son separati, e presentano per ordi
e per mezzo dello spettroscopio è divenuta così importante ed estesa,
che
può quasi considerarsi come una scienza particola
ente in mano un’Idria, quasi ad indicare l’erronea idea degli Antichi
che
Iride somministrasse l’acqua alle nubi. In Astron
avevano trascurato di rendere onore alla regina degli Dei anche prima
che
ad Iride sua ancella, e furon solleciti di dare i
abbia colto nel segno. Perciò converrà contentarsi di conoscere quel
che
ne accennano i Classici e principalmente Virgilio
no i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel
che
essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e
ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni
che
ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolat
derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra
che
possa bastare. Virgilio che nell’Eneide ha etern
r chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. Virgilio
che
nell’Eneide ha eternato co’suoi impareggiabili ve
uni credenze antiche, fa derivare da Troia gli Dei Penati ; e da quel
che
egli ne scrive s’intende chiaramente che questi e
a gli Dei Penati ; e da quel che egli ne scrive s’intende chiaramente
che
questi erano speciali Dei protettori della città,
protettori della città, poichè fa dire ad Enea dall’ombra di Ettore,
che
Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gl
ttore, che Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gli comanda
che
cerchi loro altre terre, erga altre mura 32. E qu
i compariscono in sogno, li appella Frigii Penati 34. Ecco tre esempi
che
dimostrano il concetto generale di Virgilio, che
34. Ecco tre esempi che dimostrano il concetto generale di Virgilio,
che
cioè i Penati fossero gli Dei protettori di Troia
è i Penati fossero gli Dei protettori di Troia e della Troade. Vero è
che
lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano spe
otettori di Troia e della Troade. Vero è che lo stesso poeta aggiunge
che
i Penati avevano special culto anche nella reggia
i Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio,
che
essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famigl
ei Penati. Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga
che
talvolta in qualche Classico latino si annoverano
superiori o maggiori, come Giove, Marte, Nettuno ecc. Vedemmo altrove
che
lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patr
che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patrono di Firenze,
che
poi i cittadini divenuti cristiani cangiarono nel
tista 36. Infatti, la voce Penati è soltanto un attributo o aggettivo
che
corrisponde, non già per l’etimologia, ma pel sig
ti e celebri. Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei,
che
furon portati in Italia « ……. da quel giusto « F
he furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise
che
venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni
guaggio, come i Romani dai Troiani. E poichè Cicerone, a cui parrebbe
che
questa squisitezza filologica avesse dovuto impor
arrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più
che
a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice s
tare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto
che
la voce Penati deriva da due vocaboli latini usit
due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere
che
questi fossero d’origine troiana, bisognerà per o
e questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel
che
egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l
r ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola
che
l’etimologia di quel termine fosse latina, e allu
37. Sappiamo infatti anche dagli storici essere stata comune opinione
che
quegli stessi idoli degli Dei Penati venuti da Tr
ogo nascosto ai profani insieme col Palladio, sacre reliquie troiane,
che
nessun vide giammai, ma nella cui esistenza tutti
ei più riposti recessi dei luoghi o dei pensieri. In quanto ai Lari,
che
questi fossero Dei familiari o domestici non può
Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari. Sappiamo poi
che
nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era
sso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa
che
alcuni etimologisti notano come composta colla vo
o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca
che
significa capo o principe. Chi non la pretende a
ramente apparisce il differente ufficio dei Penati e dei Lari. Vero è
che
potrebbe citarsi ancora qualche esempio in contra
annovera il culto degli Dei Penati e dei Lari familiari ; e aggiunge
che
nella pratica applicazione questi Dei rappresenta
mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare
che
i primi eran protettori dei diritti del cittadino
omplexa Penates. » (Æneid., ii, 512….) 36. « Io fui della città
che
nel Battista « Cangiò ’l primo padrone ; ond’ ei
ce foculare : « locus ubi focus accenditur. » Questa parola foculare,
che
era ed è barbara in latino, è divenuta la pura e
nità straniere adorate dai Romani si dovessero intendere tutte quelle
che
non furono inventate dai Romani stessi, converreb
e quelle che non furono inventate dai Romani stessi, converrebbe dire
che
le più di esse fossero straniere, fatte poche ecc
, come abbiamo notato nel corso di questa Mitologia. I Romani infatti
che
per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella s
stituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima
che
sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato
dazione, il Politeismo Troiano e Greco. Racconta lo stesso Tito Livio
che
i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai
o Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ;
che
Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne
fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ;
che
Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lun
a Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ;
che
dalla dinastia dei re Albani discesi in linea ret
ue il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal
che
si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazi
e di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si deduce
che
le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territ
oi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni
che
l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmen
nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte
che
dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palat
i suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere
che
egli avesse introdotto il politeismo greco nel lu
ttere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso
che
in appresso fu il centro della nuova città di Rom
e in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero
che
anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle
x della sua Storia e Valerio Massimo in più luoghi, e ci fanno sapere
che
l’ara consacrata ad Ercole in Roma chiamavasi Mas
o sapere che l’ara consacrata ad Ercole in Roma chiamavasi Massima, e
che
suoi sacerdoti erano i Potizii e i Pinarii. Lo st
e suoi sacerdoti erano i Potizii e i Pinarii. Lo stesso Numa Pompilio
che
inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non
e alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere
che
quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ni
ranieri adorati dai Romani non si deve intender delle greche Divinità
che
i Romani conoscevano e adoravano sin dall’origine
one delle quali era ammesso o almeno tollerato il culto in Roma, dopo
che
fu accordata la cittadinanza romana a tutti i pop
lcuni di loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane,
che
sono Osìride, Iside ed Anùbi. Quantunque i Greci
le nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose
che
quel popolo annetteva al suo stravagantissimo cul
stessa sorgente di questo fiume. L’Egizia Dea Iside, poichè credevasi
che
fosse la stessa Ninfa Io trasformata in vacca da
almente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia,
che
passò ancora qualche notte avanti le porte del te
te del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di Tibullo stesso
che
era infermo in Corfù. I sacerdoti Isiaci portavan
ma di donna ; ma gli Egiziani sotto quella di vacca, perchè credevano
che
questa Dea insieme col suo fratello e marito Osir
rdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano
che
era morto o perduto ; di che facevasi un gran lut
lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di
che
facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tut
ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano
che
si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo
ravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia
che
Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello
zia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e
che
questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono
ride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono inoltre
che
Iside insieme con suo figlio Oro uccidesse Tifone
Nel tempio d’Iside e di Seràpide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate
che
era considerato come Dio del silenzio, e perciò r
he segno di stare attenti, come abbiamo in Dante : « Perch’io, acciò
che
‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal
lenzio. Trovasi anche rammentato dagli scrittori latini il Dio Anùbi,
che
gli Egiziani dicevano esser figlio di Osiride, e
o stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare
che
, in generale, i Romani non avessero gran devozion
ane o Minore. Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato
che
presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi de
degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto
che
Vesta minore non prese marito e fu Dea della cast
Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce
che
praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportat
è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e
che
da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa
che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E
che
questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse
e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non
che
da tutti gli altri storici e poeti latini, i qual
ti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano
che
Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata
rici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia,
che
fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo
e di figura circolare o vogliam dire cilindrica, con colonne esterne
che
sostenevano il tetto o la vôlta. Se ne trova tutt
vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello
che
Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta
inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona
che
attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato
principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro,
che
simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua dur
l suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali
che
si erano dedicate al servizio della Dea della cas
o della Dea della castità. Da queste due condizioni credeva il popolo
che
dipendesse la prosperità dello Stato ; e temeva i
; dopo il qual tempo potevano uscir di convento e prender marito : il
che
però di rado accadeva, poichè fu considerata una
ata una determinazione infausta per la Vestale. I voti e gli obblighi
che
riguardavano l’interesse pubblico erano quei due
e pene minacciate ed inflitte per la violazione di quelli. La Vestale
che
avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era batt
ra battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella
che
avesse mancato al voto di castità era seppellita
accordavano alle Vestali molti e singolari privilegi. Tutte le volte
che
uscivano in pubblico erano precedute da sei litto
i : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra,
che
era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo
a tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno,
che
nelle loro mani si depositavano i testamenti e gl
ita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia
che
ben poche vi rinunziassero in più matura età, e c
recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e
che
fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o
ere l’impareggiabil condizione di vita a cui avevano rinununziato. Il
che
non conferiva di certo alla loro felicità, nè a q
penetralibus ignem. » (Virg., Æneid,iii.) 47. Il Palladio Troiano,
che
dicevasi trasportato da Enea in Italia, era affid
sportato da Enea in Italia, era affidato alla custodia delle Vestali,
che
lo tenevano chiuso ed invisibile ad ogni occhio p
lla loro consacrazione, a tutte le Vestali in memoria di quella prima
che
fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdo
però in due modi questo supplizio delle Vestali. Alcuni autori dicono
che
la Vestale colpevole era calata in una stanza sot
destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile
che
qualcuno andasse segretamente a liberarla e la te
ta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono
che
si calava nella solita stanza sotterranea, ma sub
erraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile
che
nel primo caso. Al secondo modo era simile la pen
caso. Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione,
che
davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendol
ferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate
che
confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fit
niaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin,
che
poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte c
« Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi
che
è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, »
rata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea,
che
, sposato il Giorno (sinonimo di luce), produsse U
Giorno (sinonimo di luce), produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto
che
osservando in appresso che nell’aria esiste « Qu
produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso
che
nell’aria esiste « Quell’umido vapor che in acqu
che osservando in appresso che nell’aria esiste « Quell’umido vapor
che
in acqua riede, » ne fecero un Dio sotto il nom
ei Venti, vollero deificare anche questi. Riconobbero però facilmente
che
la maggior parte di questi Dei eran molto turbole
do in mare orribili tempeste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e
che
perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qua
ste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno
che
fossero sottoposti a qualche altra più potente di
a bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente divinità
che
li raffrenasse ; diversamente, come dice Virgilio
i, nel mar Tirreno fra la Sicilia e l’Italia. Il nome stesso di Eolo,
che
deriva da un greco vocabolo significante vario o
ificante vario o mutabile, allude alle successive mutazioni dei venti
che
predominano in quelle isole. Anche Omero, nel lib
dominano in quelle isole. Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice
che
Eolo « …. de’venti dispensier supremo « Fu da Gi
letti « Con le donne pudiche i fidi sposi. » Alcuni Mitologi dissero
che
Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ip
che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ippota troiano ; e
che
i Venti fossero figli di Astreo, uno dei Titani,
ealogie furono accolte dai più. Si eran provati pur anco ad inventare
che
i Venti avessero mosso guerra a Giove ; ma i poet
Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. Di Borea dicono
che
rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Aten
e più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone,
che
questa infelice principessa rimanesse vittima di
di una tempesta o di un uragano. Di Zeffiro abbiamo già detto altrove
che
egli sposò la Dea Flora e le diede potestà sui fi
ora e le diede potestà sui fiori ; e questa favola significa soltanto
che
il tepido vento chiamato Zeffiro o Favonio favori
firo o Favonio favorisce la vegetazione delle piante fanerogame, cioè
che
producono fiori. Poichè tutti i poeti epici han p
eti pagani, e principalmente in Omero e in Virgilio. E siccome i nomi
che
diedero i Greci e i Latini ai Venti sono per lo p
fiche. Corrispondono ai Venti di tramontana, ostro, levante e ponente
che
spirano dai 4 punti cardinali nord, sud, est, ove
; Zeffiro, oscuro.44 In Esiodo si trova rammentato il vento Argeste (
che
vuol dir sereno, e secondo altri grecisti veloce)
poeta non si trova nominato il vento Euro, alcuni Eruditi hanno detto
che
è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista a
nno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista afferma
che
l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei
ntrassegnati nella così detta Rosa dei Venti ; e la ragione è questa,
che
gli Antichi stessi furono incerti nel determinare
ra Zeffiro e Borea, Cirico o Iapige e Cauro o Coro. È da notarsi però
che
talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nomin
i Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti
che
spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro di
Carro tutto sovra’l Coro giace, » accenna con precisione astronomica
che
eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel
due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo
che
aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora
l mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora
che
egli voleva significare appariva la costellazione
ra direbbesi. E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare
che
i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbe
i più opposti e più procellosi. E finalmente terminerò col rammentare
che
Dante non ha dimenticato d’introdurre nella Divin
ommedia anche un cenno della favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò
che
ne scrive il suo maestro Virgilio nei versi da no
ti in principio di questo Numero, poichè invece di dire prosaicamente
che
soffia o spira il vento di Scirocco, orna ed abbe
ventorum pater, volendo colla parola pater significare Deus, secondo
che
abbiamo detto altra volta spiegando il titolo di
leggianti, e precisamente nel N° XVI, a proposito dell’isola di Delo,
che
Pindaro fu il primo a chiamar natante. Ora vediam
isola di Delo, che Pindaro fu il primo a chiamar natante. Ora vediamo
che
anche Omero 4 secoli e mezzo prima di Pindaro ave
Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre Abbiamó detto nel N. V,
che
Vesta Prisca moglie di Urano era considerata come
ie di Urano era considerata come la Dea della Terra : ora aggiungiamo
che
anche due altre Dee, cioè Cibele e Tellùre, aveva
otesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra,
che
cioè essendo essa in principio una massa di mater
atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ;
che
in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poc
, resta altro da aggiungere. Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere
che
Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dic
terà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice
che
Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tant
nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea
che
la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori
la Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ;
che
tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono l
satori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e
che
Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’ora
una città e di un monte omonimo nella Frigia, ove questa Dea fu prima
che
altrove adorata. Alcuni autori la chiamano ancora
amano ancora Cibebe, e fanno derivar questo nome da cubo, ossia dado,
che
è la più salda e stabile figura geometrica, essen
, a cui presiedeva Cibele. Chiamavasi in greco e in latino Rhea (nome
che
fu poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylv
poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylvia), da un greco verbo
che
significa scorrere, perchè dalla Terra scorrono,
i Giove e de’suoi fratelli. Chiamavasi Opi dal nome latino Ops, Opis,
che
significa aiuto, soccorso, perchè la Terra colle
fierendo una pestilenza, le risposte dei libri sibillini prescrissero
che
per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre.
ero che per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre. S’interpetrò
che
si dovesse far venire a Roma la Dea Cibele adorat
cessato. La statua di Cibele venuta dall’Asia era una pietra informe
che
i Frigi credevano caduta miracolosamente dal Ciel
riche, dette ora aereoliti). Racconta Tito Livio (lib. xxix, cap. 14)
che
ad incontrarla accorse la popolazione fino ad Ost
ta di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele,
che
presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabil
a terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava
che
quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortifi
ar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi,
che
era il simbolo dei venti che spirano sopra la Ter
l disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti
che
spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone
an detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44,
che
li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di
con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi. Quindi l’altra favola
che
essi in origine facessero questo strepito per ord
elle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza,
che
essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè
ianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce
che
i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerd
, disapprovandolo45. Il nome di Coribanti deriva da due parole greche
che
significano cozzanti col corno ; il che appella a
i deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il
che
appella ai loro furori per cui sembravano tori in
rno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati
che
tra lor si cozzassero. Cureti significa Cretensi
Dattili, perchè eran dieci come le dita ; dal greco termine dactilos
che
significa dito. A Cibele era sacro il pino, perch
t’albero fu da lei cangiato un suo prediletto sacerdote chiamato Ati,
che
si era per disperazione mutilato e poi precipitat
di far parola nella Mitologia. Ne troveremo in appresso tal quantità
che
la collezione di esse diede origine ad un celebre
uesto vocabolo tellùre è l’ablativo del nome latino tellus, telluris,
che
significa la Terra ; e da quella voce latina son
iù e diverse denominazioni scientifiche, come per sempio il tellurio,
che
è un corpo elementare elettro negativo, scoperto
un corpo elementare elettro negativo, scoperto nel 1772 da Muller, e
che
per molti suoi caratteri imita le sostanze metall
iama Cibele la Madre Idèa, cioè adorata sul monte Ida : « Cerere poi
che
dalla Madre Idèa « Tornando in fretta alla solin
XVI La dea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi
che
i 4 elementi di cui esso era composto si divisero
logi che i 4 elementi di cui esso era composto si divisero ; e divisi
che
furono, il fuoco, come più leggiero degli altri t
ianeti ; e questi pure chiamarono stelle ; e solo quando si accorsero
che
avevano un movimento molto diverso da quello appa
on pianeti, cioè corpi erranti. Le Stelle poi vere e proprie stimaron
che
fossero incastonate e quasi inchiodate nella volt
ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità
che
vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso. Qua
gesse nel loro corso. Quali fossero queste Divinità, e come i pianeti
che
ne prendono il nome fossero situati e girassero,
pianeti che ne prendono il nome fossero situati e girassero, secondo
che
gli Antichi credevano, intorno alla Terra, lo abb
lo abbiamo già detto nel Cap. III. Ora convien parlare delle Divinità
che
dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo,
queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana,
che
poi identificarono col Sole e colla Luna. Prima d
ficarono col Sole e colla Luna. Prima di tutto però rammenteremo quel
che
fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di q
lla Luna. Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove,
che
cioè avanti la nascita di questi due Numi figli d
l Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai
che
era regolato da un Titano di nome Iperione. Il So
mmenta più d’una volta con questo nome. Anzi Dante considerando forse
che
un simil vocabolo trovasi anche in Ebraico in sig
ariopinti splendori da lui veduti nell’Empireo, esclama : « O Elios,
che
sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare
Elios, che sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo
che
la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Dia
sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea
che
lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamava
igeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene,
che
significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e
do ora a parlare dell’origine mitologica di Apollo e di Diana, diremo
che
Latona loro madre era figlia di uno dei Titani ;
, una delle Cicladi nel mare Egeo, isola natante, ossia galleggiante,
che
Nettuno per compassione di Latona rese stabilé. I
u detto la prima volta dal poeta Pindaro, il quale vi aggiunse ancora
che
Nettuno la rese stabile, perchè servisse di ricov
ori e legumi. In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più
che
al presente. Anche in Italia se ne vedono alcune
re)101), ne abbia almeno usato discretamente102), ammettendo soltanto
che
un’isola galleggiante potesse trovarsi anche in m
ne valse stupendamente per una bellissima similitudine nel raccontare
che
egli sentì uno spaventevole terremoto nella monta
terremoto nella montagna del Purgatorio. « Quand’io senti’ come cosa
che
cada « Tremar lo monte : onde mi prese un gielo «
« Tremar lo monte : onde mi prese un gielo « Qual prender suol colui
che
a morte vada. « Certo non si scotea sì forte Delo
l colui che a morte vada. « Certo non si scotea sì forte Delo « Pria
che
Latona in lei facesse il nido « A parturir li due
le e la Luna, i due occhi del Cielo. Altri mitologi invece raccontano
che
l’isola di Delo fu sollevata da Nettuno con un co
mare ; e questo racconto pure si può spiegare con un fatto geologico,
che
cioè per la forza del fuoco centrale del nostro g
trovasi rammentato il Monte nuovo (all’ ovest di Pozzuoli in Italia),
che
si sollevò in uno o due giorni nel 1538, all’alte
ossi per sollevamento nel mare al sud-ovest della Sicilia un’isoletta
che
fu chiamata Ferdinandea, la quale pochi mesi dopo
iam dire i fatti riferibili in comune ad Apollo e a Diana, aggiungerò
che
ambedue furono creduti abilissimi ed infallibili
i) dicendo di aver veduto sculto questo fatto in uno dei bassirilievi
che
rappresentavano esempii di superbia punita : « O
lievi che rappresentavano esempii di superbia punita : « O Niobe con
che
occhi dolenti « Vedeva io te segnata in sulla str
a è detta altrimenti eliografia. 99. Anche dalla greca parola Selene
che
significa Luna son derivati e composti molti term
nitose, ecc., ecc. — Il selenio è un corpo elementare elettronegativo
che
per molti dei suoi caratteri armonizza col solfo,
ce Omero. — Inoltre sappiamo ancora dal seguente epitaffio di Ausonio
che
anticamente esisteva una bellissima statua di Nio
rbo giovare (juvare) : Giove significa dunque etimologicamente il Dio
che
giova agli uomini, il Dio benefico per eccellenza
o per eccellenza57. Questa significazione è tanto chiara ed evidente,
che
un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tut
tanto chiara ed evidente, che un dei nostri poeti ha detto : quel Dio
che
a tutti è Giove, per dire che giova a tutti ; e D
un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tutti è Giove, per dire
che
giova a tutti ; e Dante nel celeberrimo canto VI
isso, « Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove ? » ove è manifesto
che
egli chiama sommo Giove Gesù Cristo nel senso eti
icenza. Da queste idee filosofiche derivò il titolo di Ottimo Massimo
che
davasi a Giove dai romani politeisti ; e Cicerone
no come l’etere o l’aria, ove « ……… si raccoglie « Quell’umido vapor
che
in acqua riede « Tosto che sale dove ’l freddo il
ve « ……… si raccoglie « Quell’umido vapor che in acqua riede « Tosto
che
sale dove ’l freddo il coglie. » Considerato Gi
sommi con espressioni veramente sublimi. Virgilio imitando Omero dice
che
Giove con un cenno faceva tremar tutto l’Olimpo (
neid., ix), e Orazio non lascia da aggiunger nulla di più affermando,
che
facea muover tutto a un balenar di ciglio (Od., i
nella sinistra, e ai piedi l’aquila ministra del fulmine, vale a dire
che
gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. Om
ire che gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. Omero aggiunge
che
ai lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’u
e gl’indicò in un’ oasi vicina una fontana per dissetarsi. Il tempio
che
Bacco per gratitudine gli eresse in quell’oasi fu
acolo di questo tempio parleremo in un capitolo a parte, spiegando in
che
consistessero gli Oracoli dei Pagani. I paleontol
Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso,
che
il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei
ade, lib. viii, trad. del Monti.) Questa invenzione dell’aurea catena
che
lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella
ena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente,
che
non solo fu accolta con plauso dai poeti e dai le
antichi a rendere onore a Giove dando il nome di esso a quel pianeta
che
apparisce ed è maggiore degli altri veri e propri
veri e proprii pianeti, e gli dedicarono quel giorno della settimana
che
tuttora chiamasi Giovedì. Se tutto questo e null’
a il racconto della vita privata di questo Dio, indegna d’un uomo non
che
d’un nume. Prima però di scendere a questa storia
storia aneddotica, parleremo di un fatto o avvenimento straordinario,
che
mise in forse la potenza di Giove e degli altri D
ter significa, secondo Cicerone, juvans pater, il padre, ossia il Dio
che
giova, poichè il nome di padre davasi a tutti gli
nte fra l’ombrose piante fa chiamar padre il vecchio e saggio pastore
che
ella trovò in un casolare in mezzo alle selve. 5
7, v. 24.) Questo titolo è divenuto in oggi tanto comune e familiare,
che
anche i giornalisti più prosaici fanno lusso e sp
dell’espressione mitologica e poetica di Giove Pluvio tutte le volte
che
parlano di pioggie troppo continuate. 61. Veden
alta cima del monte Olimpo spesso cinta di nubi, dicevano gli Antichi
che
ve le stendesse Giove, allorquando vi soggiornava
di testa. » 63. Giove fu detto Olimpico non solo perchè credevasi
che
spesso abitasse sul monte Olimpo, ma ancora perch
reci e significante lo spazio di quattro anni. 64. Dice Ugo Foscolo
che
« Fidia vantavasi di aver dedotto la statua di Gi
nale greco son quelli di n° 528, 529 e 530, nel i libro dell’ Iliade,
che
il Monti tradusse così : « Disse, e il gran figl
» 65. L’oasi in cui fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella
che
ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della G
eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel,
che
resta all’ovest della Grande Oasi, sui confini de
tena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce
che
in essa Dionigi Longino ammirava la maggior subli
ge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono
che
significhi la serie eterna delle cagioni, con la
gioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano
che
essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascina
na con tutta la sua eleganza filosofica di proprietà di umana natura,
che
non può esser tolta all’uomo nemmen da Dio, senza
resa dei tempi eroici in cui si trovino riuniti molti celebri eroi, e
che
serve perciò, in mancanza di altri dati cronologi
rve perciò, in mancanza di altri dati cronologici, a stabilire almeno
che
quegli eroi erano contemporanei. Sebbene i Mitolo
ro di somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa
che
furon contemporanei coloro che vi presero parte.
ronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro
che
vi presero parte. Calidone o Calidonia era la ca
capo il suo figlio Meleagro. Accorsero all’invito i più distinti eroi
che
vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divenn
in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone
che
fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del
ritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi,
che
poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indo
i, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao
che
fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nesto
i alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo
che
fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace
ti fu dessa la prima a ferire, benchè leggermente, il cinghiale, dopo
che
questa fiera aveva già fatto strage di tre o quat
atto strage di tre o quattro cacciatori e di molti cani. I cacciatori
che
vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra ce
cciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità
che
quella acquistata con questa trista fine ; ma, co
ua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende
che
poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la
bbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto
che
egli avea di prender per sè il teschio e la pelle
hiale lo cedè ad Atalanta. Ciò dispiacque ai suoi zii, mal tollerando
che
una donna con tal distintivo di onore potesse van
alente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. Di
che
Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai fatt
hiale. Ma la scena termina con una favola di nuovo genere, invenzione
che
Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. La f
logi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi,
che
quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nell
quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. La madre,
che
non si sa per qual privilegio o grazia speciale p
ia speciale potè vederle e udirle, corse a levar dal fuoco quel tizzo
che
già ardeva dall’ un de’ capi, lo spense e lo chiu
ense e lo chiuse fra le cose più care e più preziose. Ma quando seppe
che
Meleagro aveva ucciso gli zii, all’amor materno c
e avrebbe cercato di porvi rimedio ; chè ella sola il poteva. Quelli
che
gli apprestavano i suoi affettuosi compagni furon
ranto e istupidito e poco sopravvisse ; e le sorelle (tranne Deianira
che
era già moglie di Ercole), furon cangiate in ucce
à moglie di Ercole), furon cangiate in uccelli detti Meleàgridi, nome
che
da alcuni Ornitologi si dà tuttora alle galline a
tuttora alle galline affricane (Numida Meleagris). Ho detto di sopra
che
Danterammenta nella Divina Commedia la trista fin
leagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione. Dopo aver narrato
che
i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame c
tare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime,
che
« Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pall
o « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio
che
con questo esempio pretendeva di spiegare un mist
me al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò
che
par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche
ma col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra
che
Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta
meno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta
che
Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e cal
caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol
che
a noi si sveli. » E così con esempii mitologici,
con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere
che
spesso s’incontrano nelle umane cognizioni mister
ivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte,
che
gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller
è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo
che
egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che
he gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di
che
rimase poi sempre dolente e mesto52. Dicono i Mit
tello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. Dicono i Mitologi
che
egli pure fosse re di Corinto ; ma il suo nome no
ovasi nella greca cronologia di questi re ; e forse perciò aggiungono
che
fu subito dopo detronizzato da Preto e costretto
, lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa,
che
consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che er
on una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli
che
era una commendatizia, mentre invece conteneva la
spite, e impegnò Bellerofonte in imprese pericolosissime, immaginando
che
vi sarebbe perito, se egli era reo, oppure darebb
elebre e memorabile di queste imprese fu quella della Chimera, mostro
che
avea la testa di leone, il corpo di capra e la co
in ammirazione e benevolenza, gli diede in isposa l’altra sua figlia,
che
era sorella di Stenobea. Questa, quando lo seppe,
te e ad uno stato felicissimo, fu men forte a tollerare la prosperità
che
prima l’avversità. Credendo che nulla gli fosse i
u men forte a tollerare la prosperità che prima l’avversità. Credendo
che
nulla gli fosse impossibile, montato sul caval Pe
ibile, montato sul caval Pegaso, lo spinse verso il Cielo, presumendo
che
gli Dei dovessero accoglierlo nel loro consesso e
ella sua folle superbia, mandò un tafano a molestare il caval Pegaso,
che
scosse dalla sua groppa il cavaliere e lo precipi
tinuò il volo sino al Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione
che
porta il suo nome, come dicemmo. La spiegazione p
ne che porta il suo nome, come dicemmo. La spiegazione più plausibile
che
suol darsi della Chimera è questa : che invece di
La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa :
che
invece di essere un mostro fosse un monte ignivom
genere di pesci, notabili per la forma mostruosa della loro testa, e
che
son classati come appartenenti alla famiglia degl
e, inverisimile, impossibile ; e così dicasi dell’aggettivo chimerico
che
ne deriva55. Anzi sulla base o radicale di questa
i trovano registrati nei nostri Vocabolari. Questo stesso significato
che
suol darsi comunemente alla parola chimera dimost
o significato che suol darsi comunemente alla parola chimera dimostra
che
di tutte le cose favolose ond’ è piena la Mitolog
anissimo accozzo animalesco ond’ è composto questo mostro56. Quindi è
che
anco nelle Belle Arti è raro il trovar dipinta o
qual fu immaginata ed eseguita dagli antichi Etruschi. 52. Quindi è
che
i Latini chiamavano con perifrasi mitologica Bell
amavano con perifrasi mitologica Bellorophonteus morbus l’ipocondria,
che
altrimenti direbbesi ægritudo. 53. Troviamo anch
viamo anche nella Bibbia un fatto simile, dove si parla delle lettere
che
il re David consegnò ad Uria marito di Betsabea p
coli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendendosi
che
la Divinità dovesse sempre intervenire a dar la v
tata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso. Il duello
che
usa tuttora è un avanzo dei secoli barbari, e fa
iltà moderna. 55. Anche i poeti latini, quando volevano significare
che
una cosa era impossibile o incredibile, o almeno
vano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno
che
essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prim
bile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prima
che
esista la Chimera. » Cosi, per esempio, Ovidio ne
non solo etimologicamente, ma pur anco per certe speciali condizioni,
che
converrà prima di tutto accennare. Semidei, paro
Achille e di Enea. Indigeti è parola di etimologia tutta latina, sia
che
debbasi interpretare inde geniti, o in diis agent
di Semidei, non v’è compresa per altro come necessaria la condizione
che
uno dei genitori debba essere una Divinità. Quind
più spirabil aere, e diamo uno sguardo fugace alla remota Età eroica,
che
spunta fra le caligini mitologiche e si estende s
il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo),
che
aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritorn
ssima ; e da quei fatti leggendarii s’informarono i poemi romanzeschi
che
ammettono prodigii non meno strani di quelli dell
e ammettono prodigii non meno strani di quelli dell’Odissea. Spiacemi
che
il mio umile assunto e lo scopo principale a cui
ger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari
che
più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter quest
brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici,
che
sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Stor
pi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e
che
perciò hanno la stessa importanza per le origini
hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi
che
il Medio Evo per le origini della moderna civil s
o al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale
che
fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la gu
oseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi,
che
vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca.
almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli
che
presero parte attiva nella guerra di Troia. E a f
elebri imprese a cui intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei,
che
i Mitologi ed i Poeti si son dati cura di ramment
in una son nominati i padri e nell’altra i figli ; e di qualche eroe
che
intervenne a più d’una è detto in quale di esse e
tto in quale di esse egli era più giovane, in quale più vecchio : dal
che
deducesi senza tema di errare l’ordine cronologic
errare l’ordine cronologico di quelle imprese. Inoltre di quegli Eroi
che
non son rammentati o compresi in nessuna di quell
che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e
che
pure compierono memorabili gesta, separatamente n
separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne
che
fossero anche più antichi del tempo in cui avvenn
nciare la narrazione dei tempi eroici. Degli altri dirò a mano a mano
che
toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e
a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli
che
si trovarono insieme in una data spedizione prima
Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa :
che
attribuendosi oltre che una forza straordinaria,
n’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre
che
una forza straordinaria, anche una lunghissima vi
ndo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel
che
dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei
sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci
che
andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di par
o Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia,
che
cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti. « N
la Terra : quindi Eroe, secondo Servio, corrisponderebbe a Indigete,
che
abbiamo detto di sopra significare indes genitus
rivano da Aer, e fanno così corrisponder gli Eroi ai Genii dell’aria,
che
nel Medio Evo furon chiamati spiriti folletti. (A
d esser sinonimi Eroi e Semidei. 46. Vedasi l’epigramma del Giusti,
che
ha per titolo : Il Poeta e gli Eroi da poltrona.
i poeti inventarono le Divinità delle fonti, tanto più è presumibile
che
non avranno mancato d’immaginare gli Dei dei Fium
li presero dalla Geografia, vale a dire adottarono quegli stessi nomi
che
avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. Suppos
stessi nomi che avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. Supposero
che
questi Dei abitassero negli antri donde usciva la
me, la quale chiamavasi poeticamente il capo. Tibullo si maravigliava
che
il Padre Nilo nascondesse il suo capo in ignote t
a ben bene, dopo circa 2000 anni, a levarsi questa curiosità : sembra
che
il Padre Nilo si diverta a far capolino tra i mon
i dà premura di presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « …..
che
già vecchio al volto « Sembrava. Avea di pioppo o
del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi
che
più facilmente vegetano sulle sue rive, o che son
fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o
che
sono particolari alla regione nella quale scorre
sempio, essendosi invaghito della Ninfa Aretusa 29 (cangiata in fonte
che
scorrevà sotto terra nella Sicilia presso Siracus
I fiumi poi della Troade eran piccini, ma furiosi. Omero ci racconta
che
il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro
ti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi
che
Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta
piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille,
che
non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il se
il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille
che
disperatamente si lamentava, e pietosamente si ra
disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei
che
lo salvassero. Nel libro xxi dell’ Iliade (trad.
ssi, « E con fracasso ruotali nel petto « Di questo immane guastator,
che
tenta « Uguagliarsi agli Dei. Ben io t’affermo «
fermo « Che nè bellezza gli varrà nè forza « Nè quel divin suo scudo,
che
di limo « Giacerà ricoperto in qualche gorgo « Vo
Di ghiaia immenso e di pattume intorno « Gli verserò, gli ammasserò,
che
l’ossa « Gli Achei raccorne non potran : cotanta
e l’ossa « Gli Achei raccorne non potran : cotanta « La belletta sarà
che
lo nasconda. « Fia questo il suo sepolcro, onde n
a sventura. « Ma nullo ha colpa de’Celesti meco « Quanto la madre mia
che
di menzogne « Mi lattò, profetando che di Troia «
sti meco « Quanto la madre mia che di menzogne « Mi lattò, profetando
che
di Troia « Sotto le mura perirei trafitto « Dagli
n forte « D’un altro forte almen l’armi e la vita. « Or vuole il Fato
che
sommerso io pera « D’oscura morte, ohimè ! come f
dro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero),
che
non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica p
re Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura,
che
trova qui posto più opportuno, parlandosi delle p
s umbrosa tegebat arundo. » (Æneid., viii, v. 32 …) 29. Virgilio
che
nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e
no sulla superficie di essa. Esempio ne sia nella Spagna la Guadiana,
che
dopo 50 chilometri di corso dalla sua origine spa
del terreno son chiamate gli occhi della Guadiana. 31. E da notarsi
che
in Omero si trovano spesso due nomi dati all’iste
e di Vibio, di Plutarco e di altri ; ma Plinio il naturalista afferma
che
lo Scamandro era un fiume navigabile diverso dal
ro era un fiume navigabile diverso dal Xanto. I moderni Geografi, non
che
i Letterati e gli Archeologi, per quanto abbiano
tò colmato il loro antico alveo dalle piene, o per fenomeni geologici
che
abbiano alterato la superficie e la pendenza del
i o Idolatri. Il titolo poi d’Idolatri (esso pure di greca origine, e
che
significa adoratori delle immagini sculte o dipin
ore alla lingua e alla letteratura italiana. E qui mi piace avvertire
che
lo scopo di questo lavoro sulla Mitologia non è g
egare il significato dei miti e delle idee ed espressioni mitologiche
che
si trovano nei poeti greci, latini ed italiani, e
eci, latini ed italiani, e per conseguenza ancora delle altre nazioni
che
hanno adottato la Mitologia e il linguaggio dei c
e il linguaggio dei classici greci e latini. Gli studii eruditissimi
che
ora si fanno da’ filologi germanici sulle origini
lle origini dei miti, potrà dar vita, col tempo, ad una nuova scienza
che
starà alla Mitologia greca e romana come la Paleo
itologia greca e romana come la Paleontologia alla storia naturale, e
che
perciò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologic
ò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologica. Ma questo non toglierà
che
sia sempre necessaria la cognizione della Mitolog
aria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa
che
la Paleontologia presuppone ed esige la cognizion
ologi. Inoltre la Mitologia greca e romana è necessaria pure a coloro
che
non sanno nè le lingue dotte nè le orientali, se
, quantunque cristiano e cattolico e teologo per eccellenza, è quello
che
nel suo divino linguaggio poetico più sovente si
mitologiche per bene intendere il linguaggio poetico di quei sommi, «
che
non saranno senza fama, « Se l’universo pria non
’universo pria non si dissolve. » La Divina Commedia principalmente,
che
sin dai primi anni della ricuperata indipendenza
parole e tutte le espressioni mitologiche, o allusive alla Mitologia,
che
si trovano nella Divina Commedia. E quando nel da
l’Ariosto, il Tasso, il Monti e il Foscolo. È da osservarsi peraltro
che
nè Dante nè gli altri poeti nostri adottarono i p
ci e dei Latini, e invece hanno preferito e trascelto quelli soltanto
che
racchiudevano le più belle immagini e i più chiar
anto a chi è valente nelle lingue greca e latina. Per tutti gli altri
che
son principianti o. privi affatto della cognizion
ovano i più degl’italiani e quasi tutte le donne italiane, ho creduto
che
un libro facile e popolare di cognizioni mitologi
i italiani, ho aggiunto la spiegazione di tutti i termini scientifici
che
derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà que
e derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà questo libro troverà,
che
quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la
erà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia
che
è la più antica, alla geologia che è la più moder
tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia
che
è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitol
nizione della Mitologia. E poichè oggidì è riconosciuto e voluto, più
che
dai programmi governativi, dalla sana opinione pu
uto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pubblica,
che
non debbano andar disgiunti gli stùdii letterarii
gli stùdii letterarii dagli scientifici, nè questi da quelli, confido
che
il mio tentativo di farne conoscere le molteplici
bba essere stimato affatto privo di pratica utilità. Considerando poi
che
le Arti Belle non hanno mai cessato da tremila an
più poetiche e leggiadre personificazioni delle idee mitologiche ; e
che
di tal genere trovansi antichi e moderni capi d’o
chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico,
che
tanti stranieri richiama dalle più lontane region
Sole, Orco o Plutone, Bacco, la Terra e la Luna 8. Ma convien notare
che
tre di questi nomi, cioè il Sole, la Terra e la L
siglieri di Giove ; poichè è avvenuto in tutte le religioni idolatre,
che
prima si diedero diversi nomi a una stessa divini
e ne fece una sola, amalgamando in essa tutti gli attributi di quelle
che
anticamente erano distinte9. È questa una osserva
e che anticamente erano distinte9. È questa una osservazione generale
che
non convien dimenticare, perchè verrà molte volte
ncipali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo,
che
da quella si deducono spesso i rapporti di causa
altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli
che
furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Dian
Giove. Il Genio (il cui nome derivava dall’antico verbo latino geno,
che
significa generare), era detto il Dio della Natur
e studia con attenzione la Mitologia deve certamente recar maraviglia
che
la Natura non sia considerata tra le divinità di
non sia considerata tra le divinità di prim’ordine. Ed io aggiungerò
che
raramente trovasi rammentata e rappresentata come
coll’ Abbondanza di tutte le cose naturali. Vedremo però in appresso
che
essa Natura fu goffamente e bizzarramente simbole
essa Natura fu goffamente e bizzarramente simboleggiata nel Dio Pan (
che
in greco significa tutto), Dio secondario e campe
e alla seconda o inferior classe degli Dei. Intanto però è da notarsi
che
questo termine di Natura è di un uso estesissimo
’ italiana : in greco dicevasi fisis, onde deriva il vocabolo fisica,
che
perciò è sinonimo di naturale. Quindi scienze fis
distinte parti di studio delle cose naturali10 Ci fa saper Cicerone
che
gli antichi filosofi consideravano la Natura come
o delle genti, e riconosciuta per diritto civile), dicono francamente
che
è contro natura 11. Anche i poeti cristiani quand
l’antico significato filosofico. Così Dante nel descrivere i Giganti,
che
ora fortunatamente più non esistono, dice : « Na
a sua e simili. Di più nella lingua italiana, oltre il verbo naturare
che
è antico, si è formato modernamante il verbo natu
urare che è antico, si è formato modernamante il verbo naturalizzare,
che
è stato introdotto ancora nel linguaggio delle no
diversi usi e significati della parola Natura e suoi derivati, credo
che
sia più utile per la studiosa gioventù, che una e
ra e suoi derivati, credo che sia più utile per la studiosa gioventù,
che
una eruditissima discussione, a guisa de’più tena
o ci ha trasmesso in due versi latini i nomi dei dodici Dei superiori
che
formavano il consiglio di Giove. Li riporto per c
ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti
che
scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e
anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur
che
sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a pr
pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico
che
lo registra premurosamente in tutti i suoi period
atteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici
che
furono sino allora osservati e calcolati. 9. Inf
egli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio (
che
raccolse tutte le diverse e più disparate opinion
tto nel lib. ii dei Principii di scienza nuova : « Quindi tanti Giovi
che
fanno maraviglia a’filologi ; perchè ogni nazione
sica generale e di chimica ; la 2ª cominciando dalla storia naturale,
che
è la descrizione di tutti gli esseri organici ed
ta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima
che
con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo si
fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni
che
talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue mod
lvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente
che
le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e perco
scientifici traggono in oggi le più belle immagini quei pochi eletti
che
hanno intelletto a poetare4. La confusione del Ca
le loro menti circa l’origine del mondo e l’esistenza degli Dei. Dopo
che
Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima
ine del mondo e l’esistenza degli Dei. Dopo che Esiodo aveva asserito
che
il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero
ito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero altri a dire
che
il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli
ei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero
che
egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed un
giunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed una volta
che
lo avevano personificato, dìssero ancora che avev
’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora
che
aveva figli e che la sua moglie era la Notte. Dei
volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e
che
la sua moglie era la Notte. Dei figli parleremo i
gli elementi eran confusi e misti. Infatti dice espressamente Ovidio
che
nel Caos l’aria era priva di luce. Non asserisce
ente Ovidio che nel Caos l’aria era priva di luce. Non asserisce però
che
il Caos stesso fosse l’ordinatore dei propri elem
stato (quisquis fuit ille deorum) ; e nei Fasti fa dire al dio Giano
che
gli antichi lo chiamavano il Caos, e che poi si t
i Fasti fa dire al dio Giano che gli antichi lo chiamavano il Caos, e
che
poi si trasformò in membra e aspetto degni di un
trasformò in membra e aspetto degni di un nume (Fasti, i). Par dunque
che
gli Antichi ammettessero la generazione spontanea
ono la generazione spontanea di certi insetti ed altri animaluzzi ; e
che
i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e
li Antichi, non già per voler tentare di superarle, ma per dichiarare
che
sarebbe opera perduta l’affaticarvisi. La sola sp
rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente,
che
presentavano una più evidente, o almeno probabile
eologia e dalla Mitologia, dalle Storie sacre e dalle profane. Sembra
che
voglia dire a chi ha orecchi da intendere : Vedet
e gli Antichi ci hanno trasmesso come in nube molti di quei principii
che
l’età moderna ci presenta sotto altre forme ! E p
uida ed interpetre dei portati dell’antica sapienza il poeta Virgilio
che
visse « A tempo degli Dei falsi e bugiardi, » e
ntricato labirinto di questa antichissima erudizione ; e così ciascun
che
legge potrà seguirmi senza temer fatica o disagio
di sentir poco l’armonia delle parole e del verso italiano quei poeti
che
invece di caos usano la licenza di scrivere caòss
. le poesie di Giacomo Zanella e di Giovanni Daneo. 5. « Non però
che
altra cosa desse briga, « Che la notturna tenebra
generale delle Divinità del Paganesimo (vedi il N. III) fu accennato
che
gli Dei di 2° ordine eran detti Inferiori o Terre
ata credevano la loro potenza. Abbiamo notato nel principio del N. IV
che
, ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere o
re più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei
che
furon detti e considerati Inferiori. Agli antichi
are le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità
che
non si trovano altrove, perchè le trassero da que
non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2,
che
posteriormente furon perduti o distrutti nelle su
i mi basterà rammentare, a proposito di quanto ho accennato di sopra,
che
il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce che i
o accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce
che
i Pagani erano giunti ad assegnare quattordici Di
tà alla vegetazione del grano. Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio,
che
schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non
di render più fertili i terreni col fimo o concime. Plinio asserisce
che
era questi un re d’Italia deificato per sì utile
e qual fosse l’ufficio di tali Dei. Non dovrà dunque recar maraviglia
che
il dottissimo Varrone, contemporaneo ed amico di
Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N. III ; e deve parer probabile
che
fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui
tri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando
che
questi Dei son cento volte più numerosi di quelli
a i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E
che
altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli u
atre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? » Convinti dunque
che
il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che men
o7 ? » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più
che
meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso
fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso
che
migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vu
gustus, Divus Traianus, ecc.). 5. Senza occuparci della distinzione
che
fanno i canonisti della Simonia a pretio, a preci
a pretio, a precibus, ab obsequio, ci contenteremo della definizione
che
ne dà l’Alighieri pel 1° capo, cioè per la Simoni
a a pretio : « O Simon Mago, o miseri seguaci, « Che le cose di Dio,
che
di bontate « Deono essere spose, e voi rapaci « P
spose, e voi rapaci « Per oro e per argento adulterate, « Or convien
che
per voi suoni la tromba, « Perocchè nella terza b
6. Chi ha letto almeno una volta tutta la Divina Commedia sa bene
che
vi si trovano più e diversi latinismi, o vogliam
l pronome egli invece di eglino per troncamento della sillaba finale,
che
nella metrica latina e greca direbbesi apocope ;
ina e greca direbbesi apocope ; come pure il verbo orate per adorate,
che
è una licenza poetica chiamata aferesi. 8. I pi
per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più,
che
vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » St
« Che mai non empie la bramosa voglia, « E dopo il pasto ha più fame
che
pria. »
i create da Dio, come il sole dal quale riceviamo la benefica luce, e
che
feconda le campagne. Poi deificarono per gratitud
ce, e che feconda le campagne. Poi deificarono per gratitudine coloro
che
li seppero governare, che fecero buone leggi, che
gne. Poi deificarono per gratitudine coloro che li seppero governare,
che
fecero buone leggi, che assicurarono la pace ed a
gratitudine coloro che li seppero governare, che fecero buone leggi,
che
assicurarono la pace ed aumentarono l’incivilimen
i o scellerati ministri delle loro prepotenze e dei loro vizj. È noto
che
Alessandro il grande, non contento dei magnifici
e, non contento dei magnifici funerali pel suo amico Efestione, volle
che
gli fosser fatti onori divini ; laonde gli consac
no starnuto, da uno strepito insolito, da un incendio, da una candela
che
si spengesse senza motivo apparente, da un topo c
o, da una candela che si spengesse senza motivo apparente, da un topo
che
rodesse i mobili, dall’incontro di una serpe, di
esagi dal volere dei principi, dei legislatori o dei faziosi, secondo
che
ad essi premeva che il popolo fosse animato a spe
principi, dei legislatori o dei faziosi, secondo che ad essi premeva
che
il popolo fosse animato a sperare o a disperar d’
rarsi senza ridere l’uno dell’altro. » Ma il volgo ignorante e coloro
che
ci trovavano il proprio conto mantennero per lung
mantennero per lungo tempo siffatte puerili e dannose superstizioni,
che
non sono ancora del tutto distrutte, benchè non s
sono ancora del tutto distrutte, benchè non sussista più la religione
che
le aveva consentite. Tanto è vero che è più facil
è non sussista più la religione che le aveva consentite. Tanto è vero
che
è più facile perpetuare dieci errori o dieci preg
to è vero che è più facile perpetuare dieci errori o dieci pregiudizi
che
stabilire una verità ! V. Feciali, sacerdoti roma
ci pregiudizi che stabilire una verità ! V. Feciali, sacerdoti romani
che
avevano ufficj analoghi a quelli dei nostri arald
ù ragguardevole e di capo luogo del Lazio, sì rispetto alla religione
che
alla politica. Poi furon detti ferie o giorni fer
passava per le strade, un araldo lo precedeva per avvisare gli operai
che
sospendessero i loro lavori. Aveva il diritto di
loro lavori. Aveva il diritto di accordare sicuro asilo ai colpevoli
che
appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli
lo ai colpevoli che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli
che
, andando al supplizio, erano da lui incontrati pe
celebrato l’anno 400 av. l’èra crist. in occasione di una pestilenza
che
devastava Roma e i suoi contorni. Ancorchè la sto
suoi contorni. Ancorchè la storia nol dica, possiamo tener per fermo
che
il rimedio deve essere stato peggiore del male. I
e consisteva nel predire il destino di un uomo dall’esame delle linee
che
s’incontrano sulla palma della mano. Con la Negro
una filza di fichi, e non gli permetteva d’ entrare nei templi se non
che
dopo una eompleta espiazione. XIII. Vittime, osti
io nel quale la vittima veniva interamente consumata dal fuoco, senza
che
ne restasse alcuna parte per il banchetto dei sac
o tre, poi sci, a detla di Cicerone, e gionsero fino a dieci, secondo
che
attesla Valerio Massimo. 2. O indovini, così chi
. Cieco doveva sempre essere il povero popolo. 3. Perciò è probabile
che
il loro nome derivasso da faciendo fœdere. I Feci
vinità più potente di Giove Ammessi più Dei, ne vien di conseguenza
che
nessuno di essi può essere onnipotente, ma ciascu
o. Non deve dunque recar maraviglia, leggendo il titolo soprascritto,
che
vi sia nel Politeismo una divinità più potente di
scritto, che vi sia nel Politeismo una divinità più potente di Giove,
che
pure è conosciuto comunemente come il supremo dei
e delle umane vicende. Non v’è termine nelle lingue moderne europee,
che
più di questo di Fato o Destino sia comune e freq
pregava o adorava, nè perciò ebbe mai tempii ed offerte. Immaginavano
che
i suoi decreti, riferibili a tutte le future vice
nazione derivò in filosofia il Fatalismo, il creder cioè e l’asserire
che
le nostre azioni non sono libere, ossia non dipen
ile e da forza insuperabile del destino, come i fenomeni fisici. Onde
che
con questo sistema (adottato dai Turchi come prin
egare liberamente il suo assenso ; e sotto questo rapporto suol dirsi
che
si può esser liberi anche nella schiavitù. Perciò
ar suo il libero volere in questi splendidi versi : « Lo maggior don
che
Dio per sua larghezza « Fesse creando, e alla sua
o lo stesso argomento aveva detto con non minore eloquenza : « Color
che
ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta i
ta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. « Onde pognam
che
di necessitate « Surga ogni amor che dentro a voi
lasciaro al mondo. « Onde pognam che di necessitate « Surga ogni amor
che
dentro a voi s’accende, « Di ritenerlo è in voi l
gli uomini a fare o soffrire, perciò fu-creduta una Dea avversa anzi
che
propizia agli umani desiderii. Quindi Orazio la c
eva gli stessi attributi della Fortuna dei Latini. E poichè credevasi
che
spesso portasse prosperi eventi, quindi non le ma
i e adoratori, tanto in Grecia quanto in Italia, e in Roma stessa più
che
altrove. Rappresentavasi come una donna stante in
ribilmente frutti e fiori sopra la Terra, per significar le ricchezze
che
dispensava ai mortali16. Dante ha fatto poeticame
pagano, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo
che
del cristianesimo. Ma se non è accettabile il con
imo che del cristianesimo. Ma se non è accettabile il concetto pagano
che
la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente
egli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma
che
« Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio)
sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente
che
con questo linguaggio poetico si vogliono signifi
più misero mortale. 14. La parola Fato deriva dal verbo latino fari
che
significa parlare, pronunziare ; (e la parola ita
unque Fato (in latino fatum, participio del verbo fari) significa ciò
che
fu pronunziato ossia decretato irrevocabilmente ;
, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere
che
guadagnare.
fetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero
che
ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ot
è perfetto, può egli essere un Dio ? Quegli antichi Romani per altro
che
tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù
oni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica,
che
studiarono e imitarono la greca mitologia. Da Tit
e imitarono la greca mitologia. Da Tito Livio e da Cicerone sappiamo
che
esistevano in Roma sino dai primi secoli della Re
ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare
che
quando si stabilì il loro culto pubblico e fintan
nersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia
che
egli per disperato dolore proferì nell’atto di uc
sperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei
che
un nome vano ! » Per lo contrario nei migliori t
contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente
che
fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a
mpero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali,
che
la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni
bandita ogni virtù religiosa e civile. Dicemmo, parlando di Mercurio,
che
i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidi
e. Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel
che
afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a
o e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo. Non è noto però
che
la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma
superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii
che
erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. M
tta, era pubblico il culto ; e fu generale tra i Pagani il sentimento
che
lo ispirava. Nè già si contentavano essi di lasci
d ottenerle e compierle col proprio braccio e co’propri mezzi. Vero è
che
in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale
e co’propri mezzi. Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio
che
erale stato eretto, questa Dea fu adorata come fi
rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe
che
non cadono sotto la sanzione penale delle comuni
osto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra,
che
alle vendette particolari dei privati cittadini.
coli così detti civili, neppure dopo la promulgazione dell’ Evangelio
che
santificò il perdono e l’oblio delle offese. Di t
resentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici
che
ne suggeriscono il significato ed il nome, senza
o vesti o dei loro ornamenti. E se nei pubblici monumenti non vedonsi
che
personificazioni di Virtù e di novelli pregi deri
icati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti,
che
ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (c
o da quelle degl’Imperatori romani. Infatti in Grecia richiedevasi 1°
che
l’eroe da considerarsi come un Dio fosse figlio d
come un Dio fosse figlio di una Divinità o per padre o per madre ; 2°
che
vivendo avesse compiute imprese straordinarie per
rese straordinarie per valore o per ingegno a prò dell’umanità ; e 3°
che
solo dopo la morte, e quando in lui si riconosces
i Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo
che
i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i qual
gretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo
che
ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere
icercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo
che
fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che
per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e
che
bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. Il
n Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. Il popolo
che
credeva Romolo figlio di Marte, credè facilmente
za della prima ; e il Senato fu ben contento di adorar come Dio colui
che
non avea potuto tollerar come re. Così cominciò b
el qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza
che
pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più cele
nza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali
che
a tanta gloria e potenza lo guidarono. Solamente
io, le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici non furono altro
che
solennità comandate dal Principe e servilmente fe
frase nel poema dell’Ariosto adopra Ruggiero, quando per significare
che
avrebbe ucciso il figlio dell’Imperator Costantin
estesamente non solo da Erodiano, ma ancora da Dione Cassio senatore,
che
assistè per dovere d’ufficio a quella dell’Impera
la descrizione di tante stupide superstizioni. Basti dunque il sapere
che
si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma s
di tante stupide superstizioni. Basti dunque il sapere che si fingeva
che
l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato
infermo (vale a dire la statua di lui) e uscivano dicendo ogni giorno
che
l’imperatore andava sempre peggiorando. Intanto s
all’ultimo piano, vedevasi volar via da quello un’aquila, e dicevasi
che
l’augel di Giove portava in Cielo e nel consesso
evano in cenere tutto l’edifizio, e consumavano inutilmente un tesoro
che
avrebbe potuto alleviar le miserie di molte migli
diverse ; in ciascuna delle quali vedesi un’ara ardente ed un’aquila
che
ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola C
uila che ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola Consecratio,
che
era il termine officiale latino significante l’ap
Prisca avi di Giove Dal prospetto genealogico del N° III sappiamo
che
Urano sposò Vesta Prisca, e che loro figli furono
petto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e
che
loro figli furono Titano, Saturno e Cibele. Poich
iglio del Giorno e dell’Aria indica l’opinione degli antichi mitologi
che
il Cielo fosse composto di questi due più leggier
sfere di solido cristallo negli spazii del cielo. Anzi potrebbe dirsi
che
avessero gli Antichi quasi indovinate le moderne
li oggetti e i fenomeni dell’Universo, e primo d’ogni altro il Cielo,
che
perciò fu detto il più antico degli Dei. Personif
no al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il nome di Estia,
che
dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, se
a, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, secondo Ovidio,
che
di sua forza sta, alludendosi in ambedue le lingu
re eternamente ; ma poichè egli aveva più figli, supposero i mitologi
che
gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. Cr
che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. Credendo per altro
che
esistesse anche in Cielo il diritto di primogenit
Titano. Fu nonostante convenuto, ad istanza della madre Vesta Prisca,
che
regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltan
isca, che regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltanto a patto
che
Saturno non allevasse figli maschi, intendendo di
allevasse figli maschi, intendendo di riserbarsi, non meno di diritto
che
di fatto, aperta la strada al trono o per sè o pe
a sfera stellata e di adornarlo di nuove stelle. I moderni astronomi,
che
seguendo il sistema Copernicano abolirono anche l
mi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non
che
il loro movimento intorno al nostro globo, dieder
a scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi,
che
ai pianeti più vicini al centro del loro sistema
lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta
che
è più lontano di Saturno assegnarono il nome del
scoperto da Olbers nel marzo del 1807 : ma poichè il segno simbolico
che
nelle carte uranografiche rappresenta questo pian
ta questo pianeta è un’ara sormontata da viva fiamma, convien dedurne
che
gli astronomi abbiano inteso di rappresentar Vest
omi abbiano inteso di rappresentar Vesta giovane, Dea del fuoco, anzi
che
Vesta Prisca moglie di Urano. 17. « Nectar et
Inaco, oriundo di Fenicia o d’Egitto, conduce una colonia nel paese
che
poi fu detto Argolide. — Molte fondazioni furo
orse a significare la crudeltà di siffatti sacrifizj, i poeti narrano
che
fu trasformato in lupo. — Io, sua figlia, rapi
o. 1764. Diluvio d’Ogige, re dell’Attica e della Beozia. Credesi
che
questo diluvio fosse un’inondazione prodotta dall
ago Copaide. Anche ai tempi di Silla era celebrata in Atene una festa
che
ricordava questo fatto. 1582. Cecrope, d’origi
tteo, successore d’Ogige. Fabbrica una piccola città, detta Cecropia,
che
fu poi l’Acropoli (città alta). Quindi le dodici
ecropia, che fu poi l’Acropoli (città alta). Quindi le dodici borgate
che
Teseo riuni in una sola città, col nome d’Atene.
ove (vedi la favola), conduce una colonia nella Beozia, fonda Cadmea,
che
fu poi la cittadella di Tebe ; introduce in Greci
lione, figlio di Prometeo, re di Tessaglia. Una terribili inondazione
che
devastò le sue terre fu l’origine di questo diluv
dei quattro popoli principali della Grecia, e ne scacciano i Pelasgi
che
riparano nelle isole e nell’Italia. Doro diè orig
in memoria delle savie leggi date ai mortali da Cerere. Altri dicono
che
questa festa fu istituita nell’Attica. — Il vasce
la favola.) — Ercole o Alcide. Le sue dodici fatiche, ec. Credesi
che
la vita di Sansone abbia dato la idea delle prode
uesta epoca, fino da tempi antichissimi, l’Italia è abitata da popoli
che
forse precederono la stessa Grecia nella coltura
re di Corinto sono Efira sorella d’Inaco, Maratone, Corinto, Polibio
che
accolse Edipo bambino, Creonte, appo cui rifugiar
o Sisifo, figlio di Deucalione (altri dice d’Eolo), capo dei Sisifidi
che
tennero lo stato finché non furono cacciati dai P
ne, d’Ornea, di Corinto, ec. condotti da Agamennone, capitano supremo
che
aveva 100 navi ; di Lacedemoni, condotti da Menel
Licii con Sarpedonte e Glauco, i Traci con Piroo ed Acamante. Dicesi
che
questa guerra costasse ai Greci 800,000 uomini ed
llo smalto. 157. Gli storici congetturano, con molto fondamento,
che
questo Menete sia lo stesso che Misraim, figlio d
i congetturano, con molto fondamento, che questo Menete sia lo stesso
che
Misraim, figlio di Cam. Altri pone il suo regno i
assegna il 2180 allo stabilimento dei Pelasgi in Grecia. 160. Sembra
che
il padre delle famiglie, che andarono ad abitare
ento dei Pelasgi in Grecia. 160. Sembra che il padre delle famiglie,
che
andarono ad abitare la Grecia ai tempi della disp
LXVI Osservazioni generali sulle Apoteosi Quei Mitologi
che
presero l’assunto di spiegare i miti della Religi
zioni, si trovaron costretti di aggiungere nelle loro opere una parte
che
trattasse dell’Apoteòsi delle Virtù e dei Vizii.
e trattasse dell’Apoteòsi delle Virtù e dei Vizii. Riconobbero dunque
che
il loro sistema storico non spiegava tutto in Mit
torico non spiegava tutto in Mitologia, e confessarono implicitamente
che
la massima parte delle Divinità del paganesimo er
erano personificazioni degli affetti dell’animo o buoni o rei. Quella
che
per essi è parte suppletoria, per me è stata la p
Vico, il quale nel libro ii dei Principii di Scienza Nuova asserisce
che
i miti son tante Istorie fisiche conservateci dal
l titolo di Panteismo Mitologico, è questo un altro motivo di credere
che
il sistema da me prescelto sia il più opportuno a
pur anco la religione dei Persiani, come sappiamo dallo Zend-Avesta,
che
è il loro libro sacro, attribuito a Zoroastro. An
Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice
che
gli sacrificavano il cavallo per offrire una velo
della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo,
che
per antichità gareggia col Sabeismo, e fu princip
goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro,
che
costò la vita, per ordine di Mosè, a tante miglia
ateria cosmica), se ben presto non fosse invalsa l’idea e la credenza
che
gli astri fossero regolati e diretti nel vero o n
diretti nel vero o nell’apparente lor corso da Esseri soprannaturali
che
vi presiedevano. Così al feticismo, ossia all’ ap
ri soprannaturali rappresentanti le forze o leggi della Natura fisica
che
producono il movimento della materia, e che poi f
leggi della Natura fisica che producono il movimento della materia, e
che
poi furono dette scientificamente di attrazione e
no e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti
che
li imitarono. Ma quando nella pagana religione si
(Il Mementomo.) 167. Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene
che
quel sistema filosofico è fondato sul principio c
Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio
che
l’Ente crea le esistenze. Nel Panteismo mitologic
ivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento
che
tendesse a viziare la moralità delle azioni, senz
la quale non può esistere vera civiltà. Ma quando la romana costanza
che
trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più d
al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo
che
essi potessero accogliere nel loro numero e nel l
nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali
che
quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la co
morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione
che
ottime esser dovessero le massime che essa insegn
guaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime
che
essa insegnava. Perciò Dante fa dire al poeta Sta
n li perseguette, « Senza mio lagrimar non fur lor pianti. « E mentre
che
di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor
usse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti
che
non erano affatto privi del lume della ragione ;
falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi,
che
in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato
borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus
che
significa borgo o villaggio), e perciò il politei
divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato
che
gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169.
lo ai più santi precetti di morale univa la principal massima sociale
che
tutti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e
ed ostinati contadini cominciarono ad apprezzare se non la sublimità,
che
non potevano intendere, almeno l’utilità di quest
lesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli
che
sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in
secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo
che
si può usare indifferentemente per paganesimo ; m
ficati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale,
che
sta ad indicare le persone della stessa famiglia,
siderandoli come componenti una sola famiglia per gl’interessi comuni
che
avevano) quando egli disse all’ Imperatore Albert
logo Abbiamo veduto, parlando sin qui degli Dei Superiori soltanto,
che
la cognizione della Mitologia greca e romana è lo
iose, politiche e scientifiche dei due più celebri popoli dell’Europa
che
fenno le antiche leggi e furon sì civili, e della
strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina
che
s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. »
logiche degli antichi Pagani ; e facendo tesoro delle interpretazioni
che
hanno date alle medesime, non solo i nostri poeti
era eterna, il Caos era un Dio, ed erano Divinità anche gli elementi
che
lo componevano, cioè il Fuoco ossia la Luce, l’Ar
a Luce, era una Dea ; e tutti questi Dei e Dee avevano figli e figlie
che
erano altrettante Divinità ; le quali venivano a
quali venivano a rappresentare i diversi effetti o fenomeni speciali,
che
, secondo le antiche idee (vere o false che fosser
fetti o fenomeni speciali, che, secondo le antiche idee (vere o false
che
fossero), dalla combinazione di quei principali e
mine la causa vera di questo fenomeno ; e così di tante altre. Oggidì
che
hanno sì gran credito gli studii preistorici sugl
arsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali
che
ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e roma
incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti,
che
danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi
ncipiente civiltà e della loro storia nazionale. Passata quest’epoca,
che
è la più poetica e che ha dato origine e materia
la loro storia nazionale. Passata quest’epoca, che è la più poetica e
che
ha dato origine e materia ai più celebri poemi ep
r anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani,
che
fu l’ultimo anelito del Paganesimo. fine della p
o del dicembre 1873 della Nuova Antologia. Anzi fu il Tommaséo stesso
che
mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mi
al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole
che
ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo
oi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia,
che
egli mi suggeriva di adottare il soprascritto tit
tampa di questa Mitologia ad un editore milanese con una sua lettera,
che
egli, abbondando meco di cortesia, mi mandò perch
benevole e squisite espressioni mi scriveva : Vegga se questa lettera
che
io scriverei, possa correre. E la lettera correva
o per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole,
che
sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compi
e Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e
che
da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, propo
signor Barbèra credette utile farsi editore. Ella, signore, proponga
che
condizioni farebbe per il diritto a certo termine
mmasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione. Il
che
ora io vo tentando di fare col presente Manifesto
Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido
che
gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che
nifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti
che
hanno favorevolmente accolti e adottati nelle lor
i ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero
che
possa esser utile non solo agli scolari, ma ancor
li scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo
che
cosi fosse detto nel titolo della medesima. C. P
pietose frodi della sua moglie Cibele. Convien sapere prima di tutto
che
Saturno era considerato come il Dio del Tempo, e
iderato come il Dio del Tempo, e perciò in greco chiamavasi Cronos 21
che
appunto significa tempo. Questa notizia ci sarà u
Questa notizia ci sarà utile per la spiegazione di alcuni strani miti
che
a lui si riferiscono per tale attributo ed uffici
fratello maggiore Titano, di non allevar cioè figli maschi, il primo
che
gli nacque da sua moglie Cibele, lo divorò. Il qu
glie Cibele, lo divorò. Il qual fatto, inteso letteralmente, è peggio
che
bestiale, poichè anche le bestie allevano ed aman
loro prole. Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo
che
produce e distrugge tutte le cose ; e politicamen
mpo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa
che
l’ambizione del regno fa porre in non cale e viol
incoli del sangue22. Cibele dipoi, per salvare gli altri figli maschi
che
nacquero in appresso, li mandò nascostamente nell
di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra
che
gli fece presentare invece di ciascun neonato. Sa
rebbe spiegarsi come un simbolo della forza distruggitrice del tempo,
che
logora, come dice Ovidio, pur anco le dure selci
prodotti della natura (feti) 24), quei mitologi i quali ci raccontano
che
quella pietra divorata da Saturno, e da lui non b
amanta terit. » (Ovid., Epist.) 24. Feto deriva dal latino foetus
che
significa parto, frutto, prodotto. 25. « Mori
la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal,
che
è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblic
e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblico, e
che
riesce molto utile nelle scuole. » Il maggior pre
i altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. Ma supponendo
che
la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente
ito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giuseppe Borghi ec. Così possiam dire
che
il nostro libro comprenda una specie d’Antologia
lettura, eccitando i giovinetti a ricavare utili avvertimenti da ciò
che
per lo più era di solo pascolo alla curiosità gio
ò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità giovanile. È noto
che
molta dell’ antica sapienza civile e politica è r
dattato all’età de’ nostri lettori. Bensì abbiamo avuto cura, per ciò
che
alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune i
ò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni
che
non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza
superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche
che
ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitolog
Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione,
che
abbiamo cercato rendere anche migliore delle altr
le quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice
che
contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori c
one delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure,
che
sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili,
giunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire
che
ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spi
ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani. Ma a volere
che
sia parte proficua della storia dell’umano incivi
olere che sia parte proficua della storia dell’umano incivilimento, e
che
vada immune da qualsivoglia rischio d’ingenerare
d’ingenerare [ILLISIBLE]nelle menti inesperte dei giovani, è mestieri
che
la ce[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeis
teismo sia posta a confronto della Verità Divina del Cristianesimo, e
che
sia fatto conoscere il passaggio dalla civiltà an
— supposizioni degli antiquarj intorno a questo Nume, e diversi nomi
che
egli ebbe, 159. Balder, 743. Batto, trasformato i
358, 465, 466. Chirone, celebre Centauro, 100, 430, 536. Ciane, Ninfa
che
s’oppose al ratto di Proserpina, 53. Cibele. Sua
eria, Italia, 610. Esperidi (le tre sorelle). Ercole uccide il mostro
che
custodiva l’ingresso del loro giardino, 382. Espe
165, 166 ; — trasforma Batto in pietra di paragone, 167 ; — varj nomi
che
egli ebbe, 168 ; — pluralità di Mercuri, 169. Met
va, 269. Pandione, re d’Atene, 634. Pandora. Sua origine, 72 ; — dono
che
le fece Giove, 73 ; — sposa Epimeteo, ivi. Pane,
ta all’assedio di Troja, 570 ; — scampa da Polifemo, 573 ; — tempesta
che
distrugge gran parte della sua flotta, 574 ; — si
Zeto, figlio d’Antiope e di Giove, 74. Zodiaco. Spiegazione dei segni
che
lo compongono, 676 e seg. Zoroastro, legislatore
elle varie religioni1. Per altro si è creduto e si crede generalmente
che
sotto la forma delle più strane invenzioni miraco
i, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro
che
osassero spiegare al popolo la dottrina segreta.
i, va in oggi a poco a poco cedendo il campo allo studio dei problemi
che
sulla Cosmogonia si propongono di risolvere le sc
si alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto,
che
la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esisti
d. “What chain can hold this varying Proteus fast?” Budgell. Psy′
che
[Psyche]. The wife of Cupid. The name is Greek, s
m′a-the, 129, 138. Pseu′do-Musæ′us, Com. § 96; see under Musæus. Psy′
che
, myth of, 152-161; extracts from William Morris’
hers, the story of, analogy of incident, Com. § 94. Tya′nean, 106. Ty′
che
; see Fortuna. Ty′deus, 273, 287; Com. § 148. Tydi
of the deep, 132, 133; Menelaus consults, 299; significance, 344 Psy′
che
. Fair princess loved by Cupid; the emblem of the
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