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1 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
tte e dettate da chiari ingegni ; analizzare i vantaggi indiscutibili che il progresso ha fatto fare all’umanità ; tutto ci
a ; lunge da noi cosiffatte meschine vanità !.. Noi vogliam solamente che i nostri lettori, e soprattutto la gioventù studi
i nostri lettori, e soprattutto la gioventù studiosa e culta, quella che forma la più eletta parte della cittadinanza di u
bia in questa prefazione, un’idea chiara, netta, precisa, dello scopo che ci trasse a spendere più anni di penoso lavoro in
a quale noi, dopo aver delucidato in questa Prefazione, alcuni punti ( che , per avventura, potevano non esser chiari abb ast
a fisica e materiale del nostro libro) demmo nello Studio Preliminare che segue, una idea generale, una specie d’illustrazi
sulla Mitologia, adoperandoci con accuratezza di studio, onde l’idea che dà vita ai simboli mitologici, risplendesse della
risplendesse della maggior luce possibile all’intelligenza di coloro che , per lo studio delle antichità pagane, si faranno
scrivere un’opera per la gioventù studiosa ; dare ad essa una guida, che con mano ferma e secura, avesse potuto accompagna
e sensibilmente visibile di essa, spiegando ed analizzando le ragioni che ci indussero, dopo lunga riflessione, a preferire
o lunga riflessione, a preferire questa maniera di esporre, piuttosto che un’altra. Fisicamente parlando, la facoltà visiva
il carattere, la bella armonia della disposizione di tutto l’obbietto che si vuol farle studiare e comprendere, sarà in tut
izione di un’opera qualunque, con la nettezza e precisione dell’idea, che è il principio motore di essa. La struttura mater
della natura ; il miracolo della riproduzione per mezzo dell’istinto, che porta incessantemente il maschio verso la femmina
l maschio verso la femmina ; l’insieme perfetto, armonioso, completo, che la natura ha posto nel compimento di tutte le sue
po, il suo essere infine, nell’ordine ammirevole, assoluto, perfetto, che regna nella natura. Da ciò noi vogliamo dedurre c
soluto, perfetto, che regna nella natura. Da ciò noi vogliamo dedurre che un’opera qualunque, sia materiale o spirituale, d
 ; nell’armonia con la quale è tessuta ed esposta ; ordine ed armenia che debbono essenzialmente regnare nel modo più compl
che debbono essenzialmente regnare nel modo più completo, fra l’idea, che è l’anima, l’essenza animatrice di ogni opera del
ssere assolutamente in relazione con quello stesso ammirevole accordo che passa fra la volontà impalpabile, ossia l’anima,
fra il fine ed i mezzi. Seguendo, adunque, questo principio d’ordine che a noi sembra, ed è, essenzialmente necessario nel
una qualunque idea, cominciamo ad esaminare l’opera nostra dal titolo che vi apponemmo. Ristretto analitico del Dizionario
ere una specie di storia dettaglita delle divine ed umane personalità che formavano la Mitologia, ovvero l’idolatra credenz
imenti, dei fatti più importanti, compiutisi in quel periodo di tempo che tutti gli scrittori si accordano col chiamare tem
il nostro Ristretto analitico della Favola da uno Studio Preliminare, che segue questa Introduzione, onde dare in esso (com
ii, cominciando a spiegare la storia della Mitologia da quei vocaboli che ne compongono la nomenclatura, dalla lettera A fi
uardo alle citazioni dei più rinomati scrittori antichi e moderni, di che noi abbiamo arricchita l’opera, non ci resta altr
che noi abbiamo arricchita l’opera, non ci resta altro a dire se non che noi abbiamo personalmente riscontrate quelle cita
giera omissione. Abbiamo sovente riportati interi brani, sia in verso che in prosa, degli autori da noi citati, per mostrar
mpre a raggiungere lo scopo della maggior lucidità, diremo brevemente che fra le molte opere classiche da noi citate, ci si
erto meno sviluppata delle altre, essendo anzi in quasi tutti i canti che compongono l’eterno poema, assai di soventi immag
ti della natura bruta, colla natura umana ; tutte le nefande immagini che lo studio della Mitologia ci rivela innestate nel
avvoltoi nelle parti posteriori ; tutte le turpitudini contro natura, che formavano tanta parte delle credenze dei pagani,
uesta è stata, per non toccar delle altre, la ragione più convincente che in tutto il corso di questa opera, ci ha fatto di
questa opera da tanto numero di epigrafi. In generale tutte le volte che un libro, un’opera, un lavoro qualsiasi, si fa pr
ro qualsiasi, si fa precedere da una epigrafe, altro non si vuol fare che dare in essa un’idea, diremo, preconcetta del lav
desimo, il quale viene, in certo modo, compendiato nelle poche parole che compongono l’epigrafe che vi si appone. Questo è
certo modo, compendiato nelle poche parole che compongono l’epigrafe che vi si appone. Questo è almeno il costume generale
. Questo è almeno il costume generale degli scrittori, tanto an tichi che moderni ; questo, diremo, è quasi il metodo che s
ttori, tanto an tichi che moderni ; questo, diremo, è quasi il metodo che si è già da lungo tempo adottato da tutti gli sci
le, negli archivii e nelle biblioteche. Nel nostro caso, a noi parve, che un numero di epigrafi avrebbe dato un, diremo, ta
to un, diremo, tacito attestato dell’importanza del nostro lavoro ; e che esse sarebbero state altrettante citazioni di ill
o insieme materiale e fisicame nte visibile di esso. Ora non ci resta che a dimostrare l’utilità dell’opera nostra, e il va
che a dimostrare l’utilità dell’opera nostra, e il vantaggio positivo che gli studiosi ne ritrarranno, e questo brevemente
a penuria di opere nel genere della nostra, chè anzi varie sono belle che parlano delle diverse religioni dei popoli dell’a
ligioso dei primitivi popoli della terra. A prima vista parrà, forse, che noi, altro non facemmo se non riportare, restring
altro non facemmo se non riportare, restringendo o ampliando, secondo che ci è sembrato necessario, gli avvenimenti più imp
e profonda di questo lavoro. Certo le allegorie, i fatti, i simboli, che formano il sostrato mitologico, il tutto configur
on potevamo nè inventarne dei nuovi, nè rivestirli di altre immagini, che non fossero quelle trasmesseci dalle cronache mit
llo studioso la conoscenza limpida e sfolgorante degli innumeri fatti che ne componevano la storia, ma un insieme di quello
innumeri fatti che ne componevano la storia, ma un insieme di quello che i più rinomati scrittori, e sopratutto i classici
le loro opere da noi riportati. Sarà quindi innegabile, a noi sembra, che la gioventù studiosa avrà in questo ristretto, no
ani. Infatti un avvenimento qualunque, religioso, storico, o politico che sia, rimarrà tanto più indelebile nella mente, qu
te, anche sotto l’aspetto letterario, quell’opera scientifico-storica che riporti interi brani dell’ Iliade d’ Omero ; dell
ero ; dell’ Eneide di Virgilio ; delle Metamorfosi di Ovidio : quella che riunisce citazioni di Eschilo, di Euripide, di Eg
uripide, di Egino, di Cicerone, di Tacito, ecc. ; quella, finalmente, che riporti frammenti della Divina Commedia di Dante 
della Mitologia viene insegnata dal racconto degli stessi avvenimenti che vi sono narrati ; la scienza si rivela dallo stud
e la letterature vi è esposta per mezzo delle citazioni dei classici che noi abbiamo fedelmente riportate, quantunque volt
n avvenimento, ce ne à porto il destro. Ed ora, conchiudendo, diremo, che parendoci di aver completamente raggiunto la meta
iremo, che parendoci di aver completamente raggiunto la meta luminosa che ci eravamo imposti, noi faremo di pubblica ragion
e i nostri concittadini accettino di buon animo la nostra intenzione, che fu quella di esser loro utili con l’eterno insegn
tologia. Questo vocabolo deriva da due parole greche Mithos e Loghos, che significano, Mithos : miio, enigma, allegoria, si
enso primitivo, vale discorso o ragionamento mitico. Essa altro non è che il complesso delle tra dizioni, degli enigmi, il
la credenza religiosa dei popoli dell’antichità, il culto degli idoli che gli antichi adoravano. Questa e non altra, è l’in
li che gli antichi adoravano. Questa e non altra, è l’interpretazione che tutti gli scrittori danno alla Mitologia, ossia a
igine la parola latina Fabula, ebbe un amplo significato, come quella che dinotava la enunciazione del pensiero col mezzo d
azione del pensiero col mezzo della parola ; un discorso un racconto, che va ripetendosi, che circola, mediante orale tradi
col mezzo della parola ; un discorso un racconto, che va ripetendosi, che circola, mediante orale tradizione, senza riguard
a nella LXV Olimpiade (518 anni avanti Gesù Cristoj. Bockh, asserisce che Pindaro fosse nato nella LXIV Olimpiade (522 anni
Pindaro mori nell’ 80° anno della sua vita, e ammettendo, con Bockh, che fosse nato nel 522 avanti Cristo, la sua morte sa
figurato della loro religione ; forma propria dell’alta antichità, e che parve segnatamente acconcia alla tradizione delle
i. — Gli Elleni abitarono la Grecia, la quale fu la regione d’Europa, che prima accoise i germi dell’orientale civiltà, e i
antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed al tempo : il comm
e minute e materiali della vita, commesse agli schiavi ; l’educazione che riceveva il libero cittadino nello sviluppo armon
stici della civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi per coloro che si faranno a studiare questo popolo nella religio
di aver dato i natali ad Omero, e se volessimo numerare tutte quelle che troviamo mentovate in varii passi di antichi scri
ssi di antichi scrittori, noteremmo ben dieciotto o dieciannove città che si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese d
pretese della più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sospette, che cadono facilmente innanzi ad un serio esame. Tutt
le di ogni deità degli antichi ; anche nelle turpi ed infami lascivie che componevano tutto il culto di Priapo,12 presso i
corge visibile e luminosa la verità di quanto asseriamo, quella cioè, che una religione qualunque ha sempre i suoi Mili, e
, si è servito della simbolica allegoria del roveto ardente, per fare che i figli d’Israello si curvassero ossequiosi e rev
adoperò simboli ed emblemi allegorici, attinti nelle stesse credenze che egli voleva imporre ai popoli, onde farsi credere
nostre parole. Anche a traverso le folte e tristi nebble dell’eresie, che dai più remoti tempi funestarono il mondo cristia
il mondo cristiano, i simboli proprii delle stesse religiose credenze che quelle cercarono di attaccare e di abbattere, era
o secolo dell’ Era Cristiana ci porge, nelle numerose eresie e sette, che ne afflissero il corso, un esempio meno palpabile
nomenclatura, noi potremmo giungere fino alle più recenti eresie, di che fu afflitta la maestà della Chiesa Cattolica, ai
a di per sè, nè abbisogna di frasi suonanti, o di storiche citazioni, che facciano maggiormente limpida la luce che emana d
i, o di storiche citazioni, che facciano maggiormente limpida la luce che emana da esso. Solamente aggiungeremo, a maggior
e emana da esso. Solamente aggiungeremo, a maggior trionfo di verità, che i simboli mitologici hanno sopravvissuto alla qua
ei monumenti, i quali resisterono all’opera devastatrice del tempo, e che altra volta furono destinati al culto delle divin
. Il monte Soracte è oggi la collina di Santo Oreste, e presso l’urna che , si vuole, racchiuda le ossa di Santo Ranieri, so
Santo Ranieri, sorge una statua di Santo Potito, la quale altro non è che un simulacro pagano del dio Marte, con la lieve v
o Marte, con la lieve variante d’aver sostituito un libro, alla spada che brandiva il Dio della Guerra. Anche più presso a
cconti lo si ritrova nelle tradizioni Egiziane. Per gl’indiani quello che si salva nell’ Arca è Satyaxrata — Iao, in Cina,
à cominciamento al suo regno con lo scolamento delle acque diluviane, che avean tocca la cima delle più alte montagne. Se d
maggioranza dei simboli della religione del Cristo, è segno evidente che tutti i culti, tutte le credenze, hanno, siccome
nti e di dottrine, per quanto più enigmatici sono i simboli o i miti, che ne compongono il sostrato. Il paganesimo contava
zioni, emergenti da così alto numero di divinità. Similmente è chiaro che non bisogna cercare, nello studio della Mitologia
, secondo leggi ben diverse da quelle della storia, e sovente avviene che intere epoche più recenti, sono trasferite in sen
stizione pagana tenne alto e riverito il culto dei suoi numi ; rino a che una credenza più mite, una vera religione di pace
E allora, i simboli o miti atroci ed impuri, proprii di una religione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che a
prii di una religione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che al principio della verità, cedettero il posto ai
gnere in culla il neonato fortissimo,26 sparisce e diventa null’altro che un sogno allegorico, ideato dalla fervida immagin
minoso ed immortale, il mito dell’ancella di Dio, sine labe concepta, che sotto l’usbergo della sua celeste purità, schiacc
ratro. Nello studio della Mitologia non bisogna considerare le favole che la compongono, come altrettanti fatti particolari
ti ; ma gioverà nell’insieme osservare il pensiero del simbolo o mito che essa racchiude sotto il velame della enigma e del
n facilità, gioverà attentamente riflettere sui tre punti principali, che formano l’anima del nostro lavoro. Codesta studio
a, porta l’uomo con grande facilità, ad assimilare sè stesso all’ente che adora ; e quanto questo è meno visibile ai suoi s
. Nell’osservazione scientifica dei tempi della favola, noi scorgiamo che assai di sovente la divinità non è rappresentata
atto umile e dimesso, innanzi alla sognata maestà di quell’obbietto, che egli crede divino e soprannaturale, lo riverisce
raunata tutta la sua famiglia, disse : gettate via gli dei stranieri che avete tra voi, e mondatevi e cangiate le vostre v
ono le lodi ; ne fecero infine un culto armonioso, inspirato, poetico che fu quello appunto che diffuse tania freschezze d’
o infine un culto armonioso, inspirato, poetico che fu quello appunto che diffuse tania freschezze d’immagini, in tutte le
intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni della natura, è ciò che si chiama propriamente Arte. Le arti si divisero
del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella che questo favorevoli allo st
loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella che questo favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte
, i quali giovarono immensamente allo sviluppo delle arti tutte, cosa che non avrebbe potuto sussistere se tutta la Grecia
iù marcatamente nel canto XXII della Iliade, allorchè narra l’agguato che Minerva tese ad Eltore. Da queste simili ardite c
delle divinità pagane, le quali non dissimilmente dagli uomini stessi che le avevano ideate, nei sogni sbrigliati d’un’età
ti e sentimenti, affatto simili nel principio e nella forma, a quelli che agitano, quasi mare in tempesta, la vita dell’uom
dell’uomo. Da quanto esponemmo fin quì, emerge chiara la conseguenza che i miti sono la forma più saliente che assume la r
ì, emerge chiara la conseguenza che i miti sono la forma più saliente che assume la religione di un popolo, e per quanto mo
mente compiuta, ottiene il plauso generale ; e questo cresce a misura che la lontananza o la morte dell’eroe di quel fatto,
e di quel fatto, ne ingrandisce il merito primitivo e reale ; ed ecco che l’uomo valorosamente illustre, diventa un dio, ed
scala ascendente di gloriosa rino manza, scaturisce il mito di Ercole che in cullz strangola i draghi, e finisce col famoso
ole, sotto alla quale è nascosta l’idea, non meno terribile, del mito che il Tempo è l’eterno e vorace consumatore di tutte
principio, debbono essenzialmente avere una fine. Osserveremo ancora che siffatte credenze popolari, proprie delle differe
nelle sue opere cosiffatta dottrina. Milton 36 favella di voci arcane che ragionano fra il cielo e la terra. Al Fato ed ai
omini. Nell’ Irlanda, terra eminentemente cattolica, non v’è famiglia che non abbia la sua Bauskie, specie di genio tutelar
Mitologia. La famiglia dei Lusignuno 37 aveva la sua Meleusina, larva che appariva quantunque volte ad alcuno di quell’ ill
erete per sottrarvi al carnefice ! E, continuando, predice a Chambord che si taglierebbe la gola ; a Bailly, a Malherbes, a
hambord che si taglierebbe la gola ; a Bailly, a Malherbes, a Boucher che morirebbero sul patibolo ; e avendogli la Duchess
llora Cazotte, diventando pallidissimo, rispose : L’ultimo condannato che axrà un confessore, sarà il Re di Francia ! I con
non intendiamo di spiegare quì, il perchè ed il come di questi fatti, che sembrano soprannaturali, ma che pure ànno tuttora
il perchè ed il come di questi fatti, che sembrano soprannaturali, ma che pure ànno tuttora la testimonianza d’intere nazio
discutere. E, a questo proposito, ci viene alla mente un altro fatto, che per essere recentissimo ci da maggiore incoraggia
re incoraggiamento a tenerne parola. In un giornale dei Dibattimenti, che vedeva la luce a Berlino nel 1850, dopo aver narr
ibattimenti, che vedeva la luce a Berlino nel 1850, dopo aver narrato che una larva bianca compariva nella casa degli Hohen
larva bianca compariva nella casa degli Hohenzollern, tutte le volte che stava per succedere qualche sventura a taluno dei
o dei componenti di codesta illustre famiglia, assicurava correr voce che , nella notte del 10 aprile 1850, la dama bianca e
10 aprile 1850, la dama bianca era comparsa al castello di Berlino, e che questo era certamente segno di prossima sciagura
he una volta, nella citazione dei fatti, non discutiamo, volendo solo che essi vengano in appoggio di quanto asseriamo, e s
nuando dunque questo studio preliminare sulla Mitologia, aggiungeremo che , presso i pagani, data una volta ad un ente sopra
a Terra ; avrà forme gigantesche, come giganti sono le onde di sabbia che il vento del deserto solleva, e che nulla vale ad
me giganti sono le onde di sabbia che il vento del deserto solleva, e che nulla vale ad arrestare, finchè ampi canali costr
itologici, onde è rivestita, fece di quel canali le braccia di Ercole che soffoca il gigante, distaccandolo da sua madre. L
eligioso del Dio Api,42 venivano rinchiuse le mummie, in talune casse che avevano la figura di un toro ; e questo fatto sem
identi della favola Itiaca, un racconto interamente fantastico, disse che il mondo era sospeso ad una catena d’oro, che Gio
mente fantastico, disse che il mondo era sospeso ad una catena d’oro, che Giove s esso aveva fissato nell’Olimpo. Fino a qu
i ricordati dalla tradizione mitologica, e configurati nei suoi miti, che noi non esponiamo per amore di brevità. Diremo, i
uoi miti, che noi non esponiamo per amore di brevità. Diremo, invece, che tanto nello insieme, quanto partitamente, le simb
ni e dei costumi tradizionali e particolari alle molteplici contrade, che formavano il mondo conosciuto dagli antichi. Da c
’un pianeta, diventa il viaggio d’un eroe ; l’arco baleno altro non è che il ponte aereo sul quale Iride, la divina messagg
imboli della Mitologia, racchiudono il fondamento di tutte le nozioni che ebbero le società primitive. In essi si trovano p
ia. Giovan Battisia Vico 47 l’illustre italiano, ha lasciato scritto che la « Mitologia è la più ricca forma della tradizi
la « Mitologia è la più ricca forma della tradizione dell’umanità, e che essa contiene in due grandi diramazioni gli avven
storia ». Egli è dunque un fatto riconosciuto, constatato, innegabile che i miti religiosi appartengono alle più remote età
le che i miti religiosi appartengono alle più remote età del mondo, e che lo studio della Mitologia, ossia del ragionamento
classificare il numero e la natura dei varî sistemi d’interpetrazione che valgono a render conto delle antiche tradizioni,
adizioni, e dell’oscuro significato dei miti della Favola ; tanto più che lo esame accurato, e lo studio paziente e minuto
eremo, da ultimo, l’attenzione dei lettori a considerare la relazione che passa tra la Forma del simbolo mitologico, ed il
, le figure staccate e visibili, anche nell’immaginazione, le persone che animano i miti dí senso vitale. Imperocchè la per
ro essenza, con tutti i singoli caratteri proprî dell’umanità ; ond’è che essi parlano, operano, sentono e pensano, in modo
itologia l’idea si personifica alternativamente, poscia, per generale che essa sia, si individualizza, unificandosi, e quin
idea, le realtà positive e corporee. È dunque irrecusabilmente chiaro che nel mito il Fondo s’incorpora nella Forma, come l
la realtà del fatto compiuto, qualunque sia la realtà di questo fatto che si presenta alla mente. Un altro particolare car
riflessione. L’allegoria nel fatto esprime una cosa, mentre nell’idea che l’informa ne chiude una dissimile ; il mito per c
orma ne chiude una dissimile ; il mito per contrario, rappresenta ciò che è, e come è : esprime la Forma immedesimata al Fo
nza avvertire codesta distinzione. In una parola, il mito altro non è che un simbolo attuato nell’istesso tempo dal pensier
nte, ponendo termine a questo Studio preliminare, noteremo brevemente che nella Mitologia, ciò che colpisce a prima vista è
esto Studio preliminare, noteremo brevemente che nella Mitologia, ciò che colpisce a prima vista è la forma enigmatica dell
ia, ciò che colpisce a prima vista è la forma enigmatica delle favole che la raccontano, e dei monumenti che la rappresenta
è la forma enigmatica delle favole che la raccontano, e dei monumenti che la rappresentano. Infatti se gli avvenimenti assu
a divinità, ha bisogno di appoggiarsi a prattiche esterne e sensibili che colpiscano i suoi sensi, e sieno ín relazione con
elementi, tanto più facilmente essi li adorarono. E tanto ciò è vero che il culto degli astri, detto con vocabolo proprio
onisio, Dionisio. — Soprannome dato dal Greci a Bacco. per alludere che egli era stato loro padre. ed anche perchè era st
e però dei mitologi sostiene essere la voce Dionisio composta da Dios che vuol dire Giove, Nysso, ío ferisco ; perchè Giove
principio ruvido e grossolano, veniva man mano raffinandosi a misura che l’arte metteva una più armonica relazione fra il
relazione fra il concetto dell’idea simbolica, e l’obbietto materiale che la rappresenta. La giovenca, per esempio, per la
olata dal pastore per la espiazione del gregge ; il cavallo ed il bue che , aggiogati all’aratro, fecondano col lavoro il se
zodiaco ; le cento braccia di Briareo, il gigante centimano51 Cibele, che come dea dell’agricoltura, ha il seno coperto di
a il seno coperto di moltiplici e ricolme mammelle52 ; Giano bifronte che intima la guerra e proclama la pace Giano. — Di
e a riempire una secchia senza fondo,54 e finalmente le Parche fatali che tessono il filo della vita umana. Parche. — Nom
tessono il filo della vita umana. Parche. — Nome delle tre divinità che presiedevano alla vita e alla morte. Erano tre so
quanto più potemmo ristretto e conciso della Mitologia, a noi sembra che l’idea informatrice di tutta la nostra opera, deb
e di tutta la nostra opera, debba mostrarsi lucidamente ai lettori, e che questi non possono avere la più lieve incertezza
alcune scene mitologiche, o da racconti e rappresentazioni di oggetti che non si vedon mai, apprendono e si persuadono che
entazioni di oggetti che non si vedon mai, apprendono e si persuadono che gli dei minacciano, spaventano, castigano. Ora ci
trarone — Nelle Opere Da principio le immagini degli dei non crano che segni simbolici d’una idea o d’una forza invisibi
audiendium. M. T. Cicerone — Oraliones. ….aspettano gli ascoltanti che egli adduca esempii antichi e gravi, ripieni di d
to in ascoltare. M. T. Cicerone — Nelle Orazioni. ….L’uomo è cosa che passa, sopra cosa che passa. Forse raffigurando l
Cicerone — Nelle Orazioni. ….L’uomo è cosa che passa, sopra cosa che passa. Forse raffigurando le generazioni umane in
e à de telles réalités. V. Hugo. — L’homme qui rit — Vol. 1. E così che il tempo passa e lavora, nè si stanca mai, è la s
E così che il tempo passa e lavora, nè si stanca mai, è la sua mano che muta e travolge, che solleva e rovescia, che dist
passa e lavora, nè si stanca mai, è la sua mano che muta e travolge, che solleva e rovescia, che distrugge e rinnova le co
tanca mai, è la sua mano che muta e travolge, che solleva e rovescia, che distrugge e rinnova le cose di questa terra. È il
eorum. Cicer. De natura deorum. Lib. 3° Cap. 24. … .veramente quei che Iddii vengon chiamati altro non dinotano se non e
ante si discorre Per le molte intricate e cieche strade Del labirinto che si dice in Creta Esser costrutto. Virgilio id. T
elletto ha la potenza Di comprendere il tempo, e lo misura Dalle cose che vede allegre e triste, Picciole e grandi. Immense
estinti soli Han quest’occhi veduto, e contemplando L’eternità parea che in me trasfusa Fosse una stilla della sua grandez
poi… … . . Genesi. Cap. VI. Una religione, qualunque essa sia, fa che un popolo sia civile. Introduz. al Giornale — La
ux Misérables. I magi d’Oriente e i sofi della Grecia insegnarono, che Dio favella in lingua di bellezza. L’età ghiaccia
i calcoli, a noi lasci le nostre immagini ; serbi il suo argomentare, che distrugge, a me talenta il palpito che crea. I pe
ni ; serbi il suo argomentare, che distrugge, a me talenta il palpito che crea. I pellegrini intelletti illuminano di un tr
elle sue grotte Apollo, e tu soggiorno Già delle Muse, or non sii lor che tomba ; Pur questi ermi recessi anco penètra Qual
on — Pellegrinaggio di Aroldo — Canto I. Vol. I. … .or non sai tu che per una cattiva usanza quelle cose sogliono esser
e batte la misura. E l’uomo presume mettere il chiodo a questa ruota, che affatica il cielo e la terra ? Ah ! ella è preten
D. Guerrazzi — Beatrice Cenci — cap.° VII. Comechè la terra sappia che il sole tornerà domane a portarie luce e calore,
tornerà domane a portarie luce e calore, pure ella conosce egualmente che i giorni dalla mano del tempo cadono irrevocabili
o abisso della eternità. Molto certamente hanno vissuto insieme prima che l’uomo nascesse, e molto vivranno ancora dopo che
ssuto insieme prima che l’uomo nascesse, e molto vivranno ancora dopo che la nostra razza sarà scomparsa ; passeranno secol
e la nostra razza sarà scomparsa ; passeranno secoli e secoli, avanti che si rompano sfasciati a rovinare in corsa disordin
a vie. Frèdol — Le monde de la mer. Ma le scienze ci fanno sapere che infiniti sono i mondi che popolano lo spazio, che
de la mer. Ma le scienze ci fanno sapere che infiniti sono i mondi che popolano lo spazio, che il nostro globo, sebbene
nze ci fanno sapere che infiniti sono i mondi che popolano lo spazio, che il nostro globo, sebbene considerevole, si agglom
eo e d’Ipernestra. 2. Abadil o Betile. — Così fu denominata la pietra che Rea, moglie di Saturno, dette al marito onde la d
. Secondo il mito gli antichi vollero idealizzare in Saturno il Tempo che divora tutto, anche i suoi figli. 3. Abans. — Nom
mbe nipoti di Abas re degli Argivi. 6. Abarbarea. — Una delle Najadi, che Bucolione, primogenito di Laumedonte sposò, e da
mero — Iliade libro 6° Trad. V. Monti). 7. Abaride. — Era uno scito, che per aver cantato il viaggio d’Apollo, fu nominato
inazione, una freccia sulla quale egli traversava l’aria. Si racconta che avendo fabbricato un flauto per Minerva, con le o
pidi, egli lo rendesse ai Trojani, i quali credettero alle sue parole che confermavano esser quello istrumento disceso dal
trumento disceso dal cielo per opera sua. Si dice esser questo flauto che poi fu celebre sotto il nome di Palladio. Ma ques
u celebre sotto il nome di Palladio. Ma questa è una semplice diceria che non ha nemmeno la forza di una tradizione. Vi son
i, stanca e trafelata dal lungo cammino, bevè avidamente ad una tazza che le fu offerta. Egli derise la Dea, e questa per p
la sua oltracotanza lo cangiò in lucertola. Si crede da molti storici che egli fosse anche conosciuto sotto il nome di Alas
ucertola detta Stellia. Enea ebbe un compagno molto a lui affezionato che chiamavasi anche Abas, come pure vi fu un Centaur
Vi fu anche un altro Abas, da non confondersi col re degli Argivi, e che fu del paro figlio di Linceo e d’Ipernestra, altr
nte la guerra. Abas era finalmente il nome d’uno dei principali greci che furono uccisi nella memorabile notte della presa
e dove Osiride aveva un tempio. 11. Abbondanza. — Divinità allegorica che si rappresenta sotto le forme di una donna giovan
ti fu scacciato dal cielo da Giove. 12. Abdera. — Città della Tracia, che Abdera, sorella di Diomede fece fabbricare. Altri
racia, che Abdera, sorella di Diomede fece fabbricare. Altri vogliono che Ercole edificasse questa città in onore del suo a
no che Ercole edificasse questa città in onore del suo amico Abdereo, che fu miseramente divorato dai cavalli di Diomede. G
a : ma questa cattiva opinione non va punto d’accordo con la passione che gli Abdereniani han sempre dimostrato per la poes
re la loro città a causa d’una quantità prodigiosa di rane e di topi, che si moltiplicarono in modo spaventevole nel loro p
o paese, e si ritirarono nella Mandonia. 13. Abdereo. — Giovane greco che fu divorato dai cavalli di Diomede, che Ercole av
13. Abdereo. — Giovane greco che fu divorato dai cavalli di Diomede, che Ercole aveva affidati alla sua custodia, dopo ave
ne. — Antica divinità dei Galli. È credenza di molti chiari scrittori che sia lo stesso che Apollo o il Sole, che i Cretesi
ità dei Galli. È credenza di molti chiari scrittori che sia lo stesso che Apollo o il Sole, che i Cretesi chiamavano anche
nza di molti chiari scrittori che sia lo stesso che Apollo o il Sole, che i Cretesi chiamavano anche Abelios. 15. Abeone e
e i Cretesi chiamavano anche Abelios. 15. Abeone e Adeone. — Divinità che presiedevano ai viaggi. La prima alla partenza, l
à d’Ira alla quale dette il suo nome. Questa città fu una delle sette che Agamennone promise ad Achille, onde calmarne l’ir
sette che Agamennone promise ad Achille, onde calmarne l’ira funesta che infiniti addusse tutti agit Achei. Sette città.
zia, nelle circostanze della Tracia. Mal si apposero quegli scrittori che confusero questi Sciti con gli Ipomolgami. Questi
tre molti altri aveano ad onore la poligamia. 20. Aborigeni. — Popoli che Saturno condusse dall’ Egitto in Italia, dove ess
ve essi presero stanza. È credenza generalizzata fra molti scrittori, che gli Aborigeni fossero venuti dall’ Arcadia, guida
origeni fossero venuti dall’ Arcadia, guidati da Oenotrus (Onotrio) e che appunto perciò Virgilio li denominasse Oenotrii v
è di una profonda incertezza. Non c’è storico o accreditato scrittore che possa dare sugli Aborigeni delle nette e precise
cise notizie, o fissare a loro riguardo una data qualunque. Tutto ciò che ha riguardo alla vera origine di questi popoli, s
sendo principalmente composta dalle lettere del nome Abraca lo stesso che Abracox o Abraxas che si credeva essere il più an
omposta dalle lettere del nome Abraca lo stesso che Abracox o Abraxas che si credeva essere il più antico degli Dei, veniva
e essa come una divinità. 22. Abracax o Abraxas. — Divinità singolare che alcnni scrittori vogliono sia la Mithia dei Persi
re greco, presa ognuna per la sua cifra, formano in totale il N.° 365 che è quello dei giorni dell’anno. (V. Abracadabra la
(V. Abracadabra la figura dell’art. precedente). 23. Abrezia. — Ninfa che dette il suo nome alla Misia, città in cui Giove
cise e quindi ne lasciò le spoglie palpitanti inciampo al padre ! che la perseguitava, quando ella cieca d’amore, fuggì
Calpè posta in Ispagna sullo stretto di Gibilterra, erano i due monti che formavano le così dette Colonne d’Ercole. Secondo
ventore della lega e del compasso. Dedalo, suo zio, ne fu così geloso che lo precipitò dall’alto di una torre. Minerva però
 Figlio di Teseo e di Fedra. All’assedio di Troja fu uno dei deputati che accompagnarono Diomede onde ridimandare Elena. Du
scirono inutili, Laodice ; figlia di Priamo ebbe da Acamao un figlio, che fu allevato, da Ethra ava paterna di Acamao, la q
otto con Elena. Allorchè i Greci si resero padroni di Troja, Acamao, ( che Virgilio chiama Athamas o Athamao) fu uno di quei
mao, (che Virgilio chiama Athamas o Athamao) fu uno di quei guerrieri che vennero rinchiusi nel famoso Cavallo di legno. Al
errieri che vennero rinchiusi nel famoso Cavallo di legno. Al momento che ardea più accanita la carneficina, questo princip
a De Natura deorum si è stranamente ingannato facendo dire a Cicerone che il quarto sole nacque da un padre chiamato Acanto
erano figli di Alaneone e di Calliope. La loro madre ottenne da Giove che essi appena fanciulli di pochi anni, fossero dive
abbandonò ai Centauri, ed alle belve. Ma il famoso Centauro Chirone ( che fu maestro di Achille) liberò dai mostri questo v
illa. Vi fu anche un’altra Acca Laurentia moglie del pastore Faustolo che allevò Romolo e Remo, al quale per questo motivo
i decretarono gli onori divini. 40. Aceleo. — Uno dei figli di Ercole che dette il suo nome ad una città di Licya. 41. Acer
Licya. 41. Acersecome. — I Greci davano questo soprannome ad Apollo, che i Latini chiamavano con lo stesso significato Irt
e i Latini chiamavano con lo stesso significato Irtonsus, vale a dire che non si sapea tagliare i capelli. In effetti quest
Apollo come dio della medicina. Dalla significazione di questa parola che libera dalle malaitie si dava anche a Teleforo il
e volevano a viva forza portarlo a bordo del vascello di Acete, allor che questi si oppose vivamente, ed obbligò i compagni
de questi versi : Cantami, o diva, del Pelide Achille L’Ira funesta, che infiniti addusse Lutti agli Achei ec. (Omero Il C
ello di Bofalos o Poffalvos, entrambi Ciclopi. Essi erano così arditi che attaccavan briga ed insultavano tutti coloro che
si erano così arditi che attaccavan briga ed insultavano tutti coloro che incontravano per via. Sènnone loro madre, li avvi
a dire l’uomo delle reni nere. Un giorno essi s’abbatterono in Ercole che dormiva all’ombra di un albero, e lo insultarono 
ume. In questa posizione poco comoda essi sclamarono : Ecco Melampigo che noi dovevamo evitare : Ercole ascoltandoli si mis
e li lasciò liberi. 52. Acheo. — Detto per soprannome Calicone greco che si rese famoso per la sua stupidità. Si racconta
one greco che si rese famoso per la sua stupidità. Si racconta di lui che avendo una volta pieno un vaso di fiori per servi
econdo altri del Sole e della Terra. Avendo amato Dejanira, e sapendo che essa doveva sposare un gran conquistatore, combat
a, detto da quel tempo Acheolo. Il vinto allora, per riavere il corno che Ercole gli aveva strappato, gli dette in cambio u
eva strappato, gli dette in cambio uno di quelli della capra Amantea, che aveva nutrito Giove. Altri scrittori dicono gli a
dicono gli avesse dato il corno dell’ Abbondanza. 54. Acheroc. — Nome che Omero dà al pioppo bianco (detto Gattice, vedi Di
a) come consacrato agli Dei infernali, e perchè era generale credenza che quest’albero nascesse sulle rive del flume Achero
cielo. Le sue acque divennero fangose ed amare ed è uno di quei fiumi che le ombre dei morti passavano senza ritorno. Vi so
cherusa. — Caverna sulle rive del Ponte-Eusino. Era generale credenza che essa avesse una sotterranea comunicazione con l’i
unicazione con l’inferno, e gli abitanti delle vicinanze, sostenevano che da quella caverna fosse stato tirato il cane Cerb
iera crudele e diversa, Con tre gole caninamente latra Sopra la gente che quivi è sommersa, Gli occhi ha vermigli, e la bar
il luogo destinato alla sepoltura dei morti di quella città, per modo che bisognava traversare la palude Acherusio per entr
er entrare in Eliopoli. Come gli onori funebri non venivano accordati che a quelli che aveano vissuto onoratamente, non era
Eliopoli. Come gli onori funebri non venivano accordati che a quelli che aveano vissuto onoratamente, non era permesso al
lli che aveano vissuto onoratamente, non era permesso al battelliero, che in lingua Egiziana si chiama Caronte, di ricevere
ome di una penisola presso Eraclea del Ponte : si credeva comunemente che da quel sito fosse passato Ercole per discendere
to fosse passato Ercole per discendere all’inferno. Senofonte riporta che ai suoi tempi si vedevano ancora le vestigie di t
fiume Stige, per renderlo invulnerabile, ed egli infatto lo fu, meno che al tallone sinistro, pel quale la madre sua lo te
. Bambino ancora, Achille fu dato come discepolo al centauro Chirone, che lo nudrì di midolla di leoni, di tigri, e di orsi
di tigri, e di orsi. Sua madre avendo saputo dall’indovino Calcante, che Achille perirebbe sotto Troja, e che senza di lui
o saputo dall’indovino Calcante, che Achille perirebbe sotto Troja, e che senza di lui quella città, non si sarebbe mai pre
, dal procedere del Revillano, si rinchiuse nella sua tenda ; e giurò che non avrebbe più combattuto. ……..Il solo Premio v
e giurò che non avrebbe più combattuto. ……..Il solo Premio vi manca che mi diè l’Atride, E re villano mel ritolse ei posc
el ritolse ei poscia. Torna adunque all’ ingrato, e gli riporta Tutto che dico e a tutti in faccia, ond’anco Negli altri Ac
iusta ira E un avvisato diffidar dell’arti, Di quel franco impudente, che pur tale Non ardirebbe di mirarmi in fronte. (Ome
e Pirro suo figlio gl’immolò Polissena. Si racconta ancora di Achille che Teti sua madre, gli avesse proposto di vivere lun
lla per la gloria, ovvero, morir giovine ricco della fama di prode, e che egli si fosse decisamente attenuto a quest’ultima
Sarà buono osservare a proposito di questo famoso eroe della Grecia, che l’opinione della sua invulnerabilità al tallone,
ua invulnerabilità al tallone, non era accettata ai tempi di Omero, e che la opinione del Poeta sovrano è assolutamente con
raria a questa credenza. Plutarco nella vita di Alessandro, racconta, che essendo stato dimandato a questo re, se avesse vo
Achmenide uno de’ compagni di Ulisse. Egli sfuggì al gigante Polifemo che voleva ucciderlo, e fu salvato da Enea che lo acc
sfuggì al gigante Polifemo che voleva ucciderlo, e fu salvato da Enea che lo accolse sulle sue navi. 65. Achmeno figlio di
hemone 67. Acidaila. — Soprannome dato a Venere per esser quella Dea che cagionava dell’ansie e delle inquietudini. Si pre
li fu dato questo nome da Acisio giovane siculo ucciso da Polifemo, e che Nettuno per compiacere Galatea, che lo aveva amat
vane siculo ucciso da Polifemo, e che Nettuno per compiacere Galatea, che lo aveva amato, cangiò in fiume. 69. Acisio V. Ac
a questo Dio ricchi sacrifizii per essere liberati da quegl’insetti, che col loro moltiplicarsi erano sovente cagione di c
e di un povero pescatore. Egli non viene ricordato nell’antichichità, che per la bellissima descrizione che fa Ovidio della
viene ricordato nell’antichichità, che per la bellissima descrizione che fa Ovidio della sua povertà estrema. Mio nome è
ipio di tutte le cose. I Greci ereditarono dagli Egizii tale opinione che , per questi ultimi, era una conseguenza della fer
e annuali inondazioni del Nilo. Daciò la grande ed antica venerazione che gli Egizii ebbero per l’acqua, e che al dire di S
la grande ed antica venerazione che gli Egizii ebbero per l’acqua, e che al dire di S. Atanagio anch’egli Egiziano, avea s
arne una delle sue principali divinità. Non minore era la venerazione che gli antichi Persiani avevano per l’acqua, i quali
acqua, a cui consacrarono altari e offerirono sacrifizii ; credettero che le acque del mare e dei flumi avessero la virtù d
ia Edipo nell’atto V fa dire ad uno dei suoi personaggi queste parole che traduciamo alla lettera : « Nè io credo già che
onaggi queste parole che traduciamo alla lettera : « Nè io credo già che tutte le acque del Danubio e del Fasi lavar possa
avar possano gli errori della deplorabile casa di Labdaco . Dal culto che generalmente i Pagani ebbero per l’acqua, discese
Pagani ebbero per l’acqua, discesero a venerare i fiumi e le fontane che furono divinizzate. 81. Acqua lustrale. — Davano
Acqua lustrale. — Davano i Pagani codesto nome all’acqua comune dopo che in essa fosse stato spento un tizzone ardente tra
ua lustrale nella quale si lavavano come per purificarsi tutti coloro che entravano per pregare. Nelle case ove era un mort
nome di Figalia. Questo soprannome deriva dalla parola greca αϰσατον che significa vino puro senza alcuna mescolanza. 85.
scolanza. 85. Acratopote. — Soprannome dato a Bacco : dal significato che beve il vino puro e lo resiste. 86. Acrea. — Fu i
rea. — Fu il nome di una delle nutrici di Giunone. La favola racconta che fu figliuola del fiume Asterione e del paese Argo
sterione e del paese Argo. In questa parola è compreso il significato che codesta balia soggiornava sulle rive di quel fium
il soprannome di Acrea a diverse Dee, e più particolarmente a quelle che avevano dei tempî dedicati al loro culto sulle mo
tempî dedicati al loro culto sulle montagne, dalla parola greca αϰρος che significa luogo elevato. 87. Acrephius. — Soprann
ad Apollo. 88. Acrise. — Re d’Argo. Avendo consultato l’oracolo seppe che uno dei suoi nipoti un giorno l’avrebbe ucciso. P
nchiuse in una torre dî bronzo la sua unica figliuola Danae. Ma Giove che n’era innamorato, cangiatosi in pioggia d’oro pen
to, cangiatosi in pioggia d’oro penetrò nella torre. Acrise avvertito che Danae era incinta, la fece legare in una piccola
piacero volendo far prova della sua destrezza nel lanciare il disco, che egli aveva inventato, il disco ricadde sventurata
l disco ricadde sventuratamente sul capo di Acrise con tanta violenza che questi ne morì. 89. Acrisionade. — Soprannome dat
d’una pietra queste parole : Io giuro per Diana di non esser giammai che d’ Acroncio . Cedippe, ai piedi della quale egli
a maritarsi, veniva attaccata da una febbre violenta. Credendo allora che questa fosse una punizione degli Dei ella sposò A
endo un giorno sorpresa Diana in un bagno, la Dea ne fu così irritata che lo cangiò in cervo e lo fece divorare dai suoi ca
a due teste, quattro mani e quattro piedi. Ercole non li potè vincere che adoperando l’astuzia. Vi furono diversi altri col
o. 94. Adad, Adargatide o Atergatide. — Divinità degli Afri, si crede che Adad sia il sole, e Adargatide la terra. 95. Adam
e. È generalizzata credenza degli scrittori più rinomati della favola che sia la stessa Amaltea. Vedi Amaltea. 96. Adarcat
la morte fu col marito deificata. È comune credenza di molti mitologi che ella sia la Dergeto dei Babilonesi e la Venere de
oria fu a lui devoluta. Come essi aveano bevuto in proporzione di ciò che aveano mangiato, vennero a contese fra loro, si d
veano mangiato, vennero a contese fra loro, si dissero delle ingiurie che terminarono con una lotta nella quale Ercole atte
ta prodezza valse ad Ercole il soprannome d’insaziabile di cui sembra che gli eroi favolosi si tenessero altamente onorati.
tempio di lei. Intanto gli abitanti di Argo sdegnati di un abbandono che nulla giustificava, promisero ad alcuni corsari u
forte somma di danaro onde far rapire la statua di Giunone dal tempio che Admeta custodiva, sperando così che i Samii avess
e la statua di Giunone dal tempio che Admeta custodiva, sperando così che i Samii avessero fatto vendetta di Admeta. I cors
riuscirono vani, dappoichè il vascello non potè far cammino. Persuasi che quella fosse una punizione del cielo, discesero n
a Dea, e, offertole un sacrifizio ritornarono a bordo della loro nave che questa volta salpò felicemente. Admeta sul far de
e ritrovò la statua sulia spiaggia del mare. Admeta persuase ai Samii che la Dea per punirli voleva abbandonare il loro pae
uaria, a cui gli abitanti dettero il nome di Tenea, volendo ricordare che essi avean teso intorno al simulacro di Giunone a
a di Tessaglia di cui Phra era la Capitale. Fu uno dei principi greci che si riunirono per dare la caccia al cignale di Cal
rese anche parte alla spedizione degli Argonauti. Fu presso questo re che Apollo fu costretto a custodire gli armenti, quan
o invaghitosi di Alceste figlia di Pelio non potè ottenerla in isposa che a condizione che avrebbe regalato a Pelio un carr
Alceste figlia di Pelio non potè ottenerla in isposa che a condizione che avrebbe regalato a Pelio un carro tirato da un le
ro tirato da un leone e da un cignale. Apollo riconoscente alla bontà che Admeto avea avuto per lui, gl’insegnò il modo di
sotto lo stesso giogo le due belve. Apollo ottenne anche dalle Parche che quando Admeto sarebbe vicino alla sua ultima ora,
i : quando Alceste lo fece generosamente : Admeto ne fu tanto dolente che Proserpina, commossa dalle lagrime di lui, volle
eloso di tal preferenza avventò contro di Adone uno smisurato cignale che lo ridusse in brani. Venere allora lo cangiò in a
orazione avevano principio con tutti i contrassegni del lutto. Coloro che vi prendevano parte portavano il bruno, e venivan
i un fiume presso la città di Biblo nella Fenicia. La favola racconta che Adone lavasse nelle acque di questo fiume le feri
vola racconta che Adone lavasse nelle acque di questo fiume le ferite che lo fecero morire, e siccome quelle onde, in una c
’anno, diventavano rossastre a cagione della sabbia del monte Libano, che il vento vi faceva cadere, fu ritenuto generalmen
monte Libano, che il vento vi faceva cadere, fu ritenuto generalmente che il sangue d’Adone avesse cangiato il colore delle
l sangue d’Adone avesse cangiato il colore delle acque di quel fiume, che poi prese il suo nome. 113. Adoneo. — Era questo
a Bacco ed a Plutone. 114. Adonie. — Feste in onore d’Adone. I giorni che duravano queste cerimonie si passavano nel lutto
no piangevano per delle ore intere. V. Adone. 115. Adorea. — Divinità che si crede essere la stessa che la Vittoria. Si chi
tere. V. Adone. 115. Adorea. — Divinità che si crede essere la stessa che la Vittoria. Si chiamava anche Adorea una festa i
orina o Aporrina o Asporena. — Soprannome dato a Cibele, da un tempio che ella aveva in Asporena, città dell’Asia minore vi
ittà dell’Asia minore vicino Pergamo. Veniva anche detta Montana, ciò che vale lo stesso. 117. Adramech Anamelech. — Idolo
articolare della Sicilia, forse perchè in quell’isola v’era una città che portava lo stesso nome, oggi è la città di Adernò
a — Nome della Dea Nemesi. Essa era figlia di Giove e della fatalità, che altrimenti chiamasi anche essa Nemesi. Secondo Pl
rco era l’unica furia ministra della vendetta degli Dei. Il suo nome, che viene dall’α privativa e da δραω, δαδρασϰω io son
ttevano Adrastea al disopra della Luna. È opinione di molti scrittori che presso i Greci, Adrastea non fosse che un soprann
È opinione di molti scrittori che presso i Greci, Adrastea non fosse che un soprannome di Nemesi. Adrastea era anche il no
bio, suo avo paterno, per sottrarsi alle persecuzioni dell’usurpatore che si era impadronito dei suoi stati. Egli levò cont
si mise egli stesso alla testa di quell’esercito. È questa spedizione che viene ricordata nella storia sotto il nome d’Impr
viene ricordata nella storia sotto il nome d’Impresa dei sette prodi che assediarono Tebe, sotto le cui mura perirorono qu
la prima, alla quale fu dato il nome di Armata degli Epigoni, secondo che narra Pindaro e Euripide. Adrasto era anche il no
arra Pindaro e Euripide. Adrasto era anche il nome di un Re dei Dori, che Telemaco uccise a causa della sua perfidia. Adra
inavvertenza uccise Atiso figlio di Creso, e ne fu tanto addolorato, che sebbene il padre del morto lo avesse perdonato, e
imorso, si trafisse sulla tomba dell’estinto amico. 124. Adreo. — Dio che presiedeva alla maturità delle spiche. 125. Adult
era una delle Arpie figlia di Tauma e di Elettra. 128. Aeree. — Feste che gli agricoltori celebravano in onore di Bacco e d
. Aeta. — Re della Colchide. Egli ebbe una figliuola a nome Calciope, che dette in moglie ad uno straniero per nome Frisso,
o la tradizione mitologica trae argomento ad un responso dell’oracolo che avrebbe detto ad Aeta che uno straniero gli togli
trae argomento ad un responso dell’oracolo che avrebbe detto ad Aeta che uno straniero gli toglierebbe il regno e la vita 
etto ad Aeta che uno straniero gli toglierebbe il regno e la vita ; e che perciò egli avesse adottato il barbaro costume di
to il barbaro costume di far sagrificare agli Dei tutti gli stranieri che approdavano nei suoi stati. 130. Aetherea. V. Ath
— Fu uno dei figliuoli di Eolo : sposò una giovanetta per nome Calice che lo rese padre di Endimione. In Grecia fu venerato
nerato come un eroe. 132. Aetone. — Uno dei quattro cavalli del sole, che al dire di Ovidio, fu principale cagione della ca
elle circostanze un piccolo lago simile ad una cisterna, tutti coloro che venivano a consultare l’oracolo Afaciteo, gittava
ano al fondo, se venivan respinte, ritornavano a galla, oro o argento che fossero. Nelle cronache mitologiche di Zosimo è d
o o argento che fossero. Nelle cronache mitologiche di Zosimo è detto che l’oracolo di Afacita fu consultato dai Palmireni
dai Palmireni quando essi si ribellarono allo imperatore Aureliano e che di tutt’i doni da essi gettati nelle acque, nessu
te. 136. Afanio (V. l’art. precedente). 137. Afareo — Padre di Lynceo che Ovidio chiama Aphareja proles. 138. Afea. — Denom
quali si credeva presiedessero alla partenza dallo steccato di coloro che prendevano parte ai giuochi olimpici. 140. Afeter
n tempio consagrato al loro culto nel recinto da cui partivano coloro che si disputavano il premio della corsa. 141. Afetor
lla corsa. 141. Afetore. — Denominazione data ad Apollo dagli oracoli che egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote che li rip
ta ad Apollo dagli oracoli che egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote che li ripeteva al popolo. 142. Afneo. — Altro sopran
to a Venere onde prender parte a queste feste volendo così dimostrare che la Dea era tenuta generalmente come femmina da co
ricevevano da lei regali degni di essa. 149. Afrodite. — Parola greca che significa schiuma. Con questo nome veniva denotat
guato nel quale cadde Agamede, e da cui non valse a tirarsi, per modo che suo fratello Trofonio non seppe trovare altro sca
e suo fratello Trofonio non seppe trovare altro scampo per se stesso, che quello di tagliare la testa al fratello. Qualche
glio di Plistene, e nipote d’Atreo. Egli fu il capo dell’armata Greca che dopo 10 anni d’assedio espugnò e distrusse Troja.
(Alfieri — Agamennone Tragedia Atto III) …. A voi degg’io Rammentar che dal Greci ebbi il supremo Scettro fino a quel di
egg’io Rammentar che dal Greci ebbi il supremo Scettro fino a quel di che vegga sciolte Dal suol Sigeo le vincitrici navi ?
itornare in patria, allorchè Cassandra, figlia di Priamo gli predisse che egli sarebbe stato assassinato in Argo, ma Agamen
onidi. — Discendenti di Agamennone. 153. Aganice o Aglaonice. — Donna che avendo conosciuta la causa e il tempo degli eccli
ecclissi lunari., ne prese occasione onde farsi credere una maga, ciò che fu alla disgraziata causa d’infinite sciagure. 15
tana Aganippe a loro consacrata. 155. Aganippa. — Figlia di un fiume che scende dal monte Elicona. Ella fu cangiata in fon
e di Aganipidi. 156. Agapenore. — Figlio di Anceo fu uno dei principi che avrebbero voluto sposare Elena. Egli andò per que
sto all’assedio di Troia, e fece forte la flotta greca di 60 vascelli che conduceva con se. Dopo la caduta di Troja, una te
ne. — Re degli Elleni, e padre di Polissene. Egli fu uno dei principi che si recarono allo assedio di Troja. 158. Agastrofo
recarono allo assedio di Troja. 158. Agastrofo. — Nome di un troiano che fu ucciso da Diomede. 159. Agathirno o Agatirno. 
athirno o Agatirno. — Figlio di Eolo : dette il suo nome ad una città che fece fabbricare in Sicilia. 160. Agathirso. — Fig
o. — Figliuolo di Ercole. Fu padre di un popolo sanguinario e crudele che da lui fu detto Agathirsio. 161. Agathodomeni. — 
i. I pagani davano questo nome ai dragoni e agli altri serpenti alati che essi adoravano come divinità. 162. Agathone. — Un
Armenia. Ancor giovanetta sposò certo Echione da cui ebbe un bambino che fu chiamato Penteo. La favola racconta di Agave u
amo. 166. Agdelfo, Agdifio o Agdisto. — Mostro metà uomo e metà donna che la favola fa nascere dal commercio di Giove e del
l terrore degli uomini e degli Dei, i quali lo cangiarono in mandorlo che produceva un bellissimo frutto. La favola raccont
no in mandorlo che produceva un bellissimo frutto. La favola racconta che una figliuola del fiume Sangaro, avendo nascosto
spinto da gelosia, ispirò nell’animo di Ati tale sentimento di furore che da stesso si rese eunuco e lo stesso fece il re d
eunuco e lo stesso fece il re di Pessinunte. Colpito Agdisto dal male che aveva fatto, ottenne da Giove che anche dopo la m
essinunte. Colpito Agdisto dal male che aveva fatto, ottenne da Giove che anche dopo la morte di Ati qualcuna delle sue mem
sue membra non sarebbe andata soggetta alla corruzione. Questa favola che è una delle più stravaganti della mitologia pagan
Pietra di una grandezza straordinaria dalla quale è credenza generale che Deucalione e Pirra prendessero le altre pietre ch
credenza generale che Deucalione e Pirra prendessero le altre pietre che gettarono dietro le loro spalle per ripopolare il
ove innamorato di questa pietra la cangiò in donna e n’ebbe un figlio che fu detto Agdelfo. 170. Agelao. Vedi l’articolo se
. Agelaso Agelasto o Agelao. — Figlio di Damastore : fu uno di coloro che vollero sposare Penelope durante l’assenza di Uli
di una delle Grazie. 184. Aglao. — Nome del più povero degli Arcadi, che Apollo giudicò più felice di Gige perchè viveva c
le era rinchiuso un mostro Diè la cesta a tre vergini in deposto, Ma che non la scoprisser loro impose ……………. Ma ben ch’Ag
e pazzamente gelosa di sua sorella Erse, amata da Mercurio. Un giorno che questo Dio voleva entrare nelle stanze di Erse, A
empi di Seleuco, Defilo, re di Cipro, abolì l’orribile usanza facendo che invece d’una vittima umana fosse sagrificato un b
n compagnia d’un’altra Divinità detta Malachbelo. È generale credenza che sotto il nome del primo si adorasse il sole, e so
ad una fontana celebre per favolose meraviglie. 193. Agonali. — Festa che i Romani celebravano in onore di Giano, agli 11 g
zione. 194. Agoni. — Si designavano con questo soprannome i sacerdoti che colpivano la vittima sulle are della Divinità. 19
vittima sulle are della Divinità. 195. Agoniani. — Con questa parola che deriva dal verbo latino Ago, venivano designate q
che deriva dal verbo latino Ago, venivano designate quelle divinità, che s’invocavano prima d’intraprendere qualche cosa d
o prima d’intraprendere qualche cosa d’importante. 196. Agonio. — Dio che presiedeva alle intraprese. Mercurio era anche ch
197. Agoreo. — Soprannome dato a Giove e Mercurio dai diversi templi che essi avevano sulle pubbliche piazze delle varie c
o sulle pubbliche piazze delle varie città, dalla parola greca αγορα, che significa piazza. Per la stessa ragione Minerva v
sovente denominata Agorea. 198. Agranie Agranie, e Agrionie. — Feste che si celebravano in onore di Bacco. 199. Agrao o Ag
i celebravano in onore di Bacco. 199. Agrao o Agray. — Uno dei Titani che dettero la scalata al cielo. 200. Agraulie. — Dag
d’Ulisse e della maga Circe. Agrio è anche il nome di uno dei Titani che dettero la scalata al cielo e che morì ucciso dal
o è anche il nome di uno dei Titani che dettero la scalata al cielo e che morì ucciso dalle Parche. 207. Agriodo. — Vale a
te designata con questo nome. Vol. I. Vi fu anche un’altra Agriope, che fu moglie di Agenore V. Agenore. 210. Agro. — Fig
era. 214. Agyeo. — Soprannome di Apollo derivante da una parola greca che significa strada, cammino ; perchè le strade eran
ari prodigi. 215. Agytel. — Sacerdoti di Cibele, o piuttosto indovini che dicevano la buona ventura nelle pubbliche strade,
ie d’Anfione, perchè era madre di sei principi, mentre ella non aveva che un solo figlio. Spinta dalla sua cieca passione,
cieca passione, ella uccise una notte il suo proprio figliuolo Itilo, che l’oscurità le impedi di riconoscere, e ch’ella sc
il suo terribile errore, pianse tanto la morte del suo unico figlio, che gli Dei, mossi a compassione della colpevole madr
olirechno. I due conjugi vissero lungamente felici e contenti, fino a che , superbi delle dolcezze della loro unione, ardiro
one. Gli Dei allora irritati mandarono loro uno spirito di discordia, che fu per essi la sorgente d’infinite sventure. 217.
iche, il quale sposò una donna per nome Ifimedia. La favola racconta, che , essendogli sua moglie stata infedele, essa fe’cr
ndogli sua moglie stata infedele, essa fe’credere ad Aloo suo marito, che i due figliuoli ai quali dette la luce e che furo
dere ad Aloo suo marito, che i due figliuoli ai quali dette la luce e che furono chiamati Aloidi dal nome di lui, fossero i
rsona. 219. Aixa, isola del mare Egeo, seminata di roccie scoscese, e che presenta da lunge la figura d’una capra, che i Gr
ta di roccie scoscese, e che presenta da lunge la figura d’una capra, che i Greci chiamavano Aix. Aixa era anche il nome di
cordi circa alla storia ed alla discendenza dei medesimi, ed ai fatti che vengono loro attribuiti. Noi citeremo in questo a
che vengono loro attribuiti. Noi citeremo in questo articolo i fatti che sono menzionati da quelli scrittori che godono pi
mo in questo articolo i fatti che sono menzionati da quelli scrittori che godono più credito. Oileo, re dei Locresi, ebbe u
e dei Locresi, ebbe un figlio a nome Ajace. Fu uno dei principi Greci che combatterono all’assedio di Troja. Egli era di un
errarsi ad una roccia, ove rivolto al cielo imprecava gli Dei dicendo che si sarebbe salvato loro malgrado. L’orribile best
o loro malgrado. L’orribile bestemmia irritò così fortemente Nettuno, che con un colpo di tridente spaccò la roccia, sprofo
amone io sono erede, Da cui fu vinto già Laomedonte : Ei d’Eaco usci, che giudice risiede Nel formidabil regno di Acheronte
le valore, cessarono dal combattere e si scambiarono dei ricchi doni, che per altro furono loro funesti ; poichè il calteo,
oni, che per altro furono loro funesti ; poichè il calteo, o budriere che Ajace donò ad Ettore fu lo stesso col quale quest
rente di delira febbre, Sospinsi, avvolsi. Ei dalla strage alfine Poi che cessò, bovi ed agnelli insieme, Quanti ancor vivi
llotti). Appena tornato in ragione rivolse contro se stesso la spada che gli avea donata Ettore, e si uccise. Il suo sangu
re conosciuto sotto il nome di giacinto. È credenza di molti mitologi che perfi ore, di giacinto bisogna sottintendere il p
l piede della lodoletta in cui si crede scorgere le due lettere A. I. che formano il principio della parola Ajace, e il suo
ale si esprime il dolore nel ricevere una ferita. Questa osservazione che potrebbe forse taluno credere ovvia, è pure neces
ta il corpo umano. E di cader le membra esangui sforza ; E del sangue che in copia ivi si sparse. Un fior purpureo in un mo
foglie in un momento aprio. Formarsi ancor nel bel vermiglio Le note che v’impresse il biondo Dio : E mostrò il novo fior
ma 364, un uomo del popolo a nome Ceditio, andò a rivelare ai Tribuai che , nel traversare di notte la strada nuova, aveva i
uomo, la quale gli aveva imposto di andare ad avvertire i magistrati che i Galli si avvicinavano. Come Ceditio era un uomo
agistrati nel non aver voluto prestar fede alla voce notturna, ordinò che si fosse inalzato un tempio in onore del Dio Ajo
iò si è chiamato Ajo Locutio. Ma dal momento ch’è divenuto celebre, e che gli si è innalzato un altare ed un tempio, egli h
o di tacere, ed è diventato muto ». 224. Alabanda, figlio di Calliroe che fu divinizzato. Il suo culto fu celebre in Alaban
la Caria Ala il cavallo e Banda la vittoria. 225. Alahgaba, lo stesso che Eliogabalo V. Eliogabalo. 226. Alala soprannome d
bilì il culto di questa Dea in una città, ch’egli edifico in Beozia e che da lui prese nome. 230. Alastore uno dei Cavalli
i Neleo, figlio di Nestore ; e quello d’uno dei compagni di Sarpedone che fu ucciso da Ulisse all’assedio di Troja, venivan
i schiaccò sotto una grandine di pietre. 234. Albunea, famosa Sibilla che rendeva i suoi oracoli in una foresta vicina alla
che rendeva i suoi oracoli in una foresta vicina alla città di Tybur, che dal suo nome era anche detta Albunea e che era a
icina alla città di Tybur, che dal suo nome era anche detta Albunea e che era a lei consagrata. Questa Sibilla si chiamava
erita come una Dea. 235. Alburneo. — Dio riverito su di una montagna, che aveva lo stesso nome nella Lucania. 236. Alcatee
risippo suo fratello, egli si rifugiò in Megara, dove uccise un leone che aveva divorato Eurippo, figlio del re di quella c
comunemente il nome di Alcide. Vi fu un altro Alceo figlio di Ercole che fu il primo degli Eraclidi, così chiamati dal nom
icolosamente infermo, sua moglie consultò l’oracolo, il quale rispose che Admeto morrebbe, se altri non si fosse offerto in
i più crudeli rimorsi e perseguitato dalle Furie, a causa del delitto che avea commesso, si rifugiò in Arcadia per sottopor
ua figlia Arfinoe, a cui Alchmeone fece dono di una magnifica collana che Polinice aveva regalata alla morta Erifile per sa
per sapere da lei il luogo ove Anfiaroe erasi celato. Vedendo intanto che le prime espiazioni alle quali egli erasi sottopo
dre di Calliroe, la quale in seguito egli sposò dimenticando i legami che lo stringevano ad Arfinoe, e spingendo l’audacia
one. Allora Calliroe avendo saputo il fatto supplicò Giove, e ottenne che i suoi due figli Acarnasso ed Anfotero, ancora ba
un momento uomini maturi per vendicare la morte del loro padre : ciò che essi fecero uccidendo non solo Temeno e Axione, m
oe, e consacrarono la fatale collana ad Apollo. Properzio dice invece che Arfinoe stessa per vendicare suo marito uccidesse
l’avo Alceo. Minerva era anche soprannominata Alcea dalla parola Alce che significa forza. Vi erano delle divinità alle qua
to ed i figli, ma poi divenne così furiosamente gelosa del suo amante che disperata si precipitò nel mare. 246. Alcinoo. — 
bellezza dei giardini da lui coltivati, o piuttosto per le meraviglie che ne racconta Omero, narrando il naufragio che Ulis
ttosto per le meraviglie che ne racconta Omero, narrando il naufragio che Ulisse fece sulle rive di quell’isola, ove Alcino
ve si contavano le più luride canzoni, di cui la più celebre è quella che Fennio cantò alla presenza di Ulisse, sull’adulte
e. 247. Alcio. — Una delle divinità dei Germani. Si crede comunemente che sotto questo nome fossero venerati Castore e Poll
nette di una rara bellezza furono così dolenti per la morte del padre che si precipitano nel mare, dove vennero cangiate ne
Deucalione. Amò con tanta passione il suo sposo Ceix, re di Traflina, che morì di dolore quand’egli naufragò. È generale op
orì di dolore quand’egli naufragò. È generale opinione fra i Mitologi che ella si precipitasse nel mare disperata della mor
ella si precipitasse nel mare disperata della morte di suo marito, e che gli Dei mossi a compassione cangiarono essa e lo
essa e lo sposo in quell’uccello conosciuto sotto il nome di Alcione, che presso gli antichi era simbolo dell’amor coniugal
rì scrittori dell’antichità fra cui Ovidio riportano il fatto in modo che ha qualche analogia con le tradizioni della favol
ato a Teti fu chiamato anche Alcione. 249. Alcioneo. — Famoso gigante che soccorse gli Dei in una disputa che questi ebbero
. 249. Alcioneo. — Famoso gigante che soccorse gli Dei in una disputa che questi ebbero contro Giove. Minerva lo gettò fuor
i di Nettuno. 251. Alcippe. — Figlia di Marte, fu rapita da Allyrotio che Marte uccise per vendicare l’oltraggio. Per quest
ettrione re di Micene e di Lisidicia. Ella sposò Anfitrione col patto che vendicherebbe la morte di suo fratello, che i Tel
posò Anfitrione col patto che vendicherebbe la morte di suo fratello, che i Telebani avevano ucciso. Mentre che Anfitrione
rebbe la morte di suo fratello, che i Telebani avevano ucciso. Mentre che Anfitrione era al campo, Giove innamorato d’Alcme
sia il parto crudelmente doloroso, e cercò di far morire il fanciullo che dovea nascere, sapendo che Giove avea promesso un
loroso, e cercò di far morire il fanciullo che dovea nascere, sapendo che Giove avea promesso uno splendido destino del neo
re, sapendo che Giove avea promesso uno splendido destino del neonato che sarebbe stato Ercole. Giunone che avea giurato di
o uno splendido destino del neonato che sarebbe stato Ercole. Giunone che avea giurato di perseguitare della sua gelosa ven
sua gelosa vendetta i frutti dell’adultero amore di suo marito, fece che Alcmena incinta di due gemelli, partorisse prima
ece che Alcmena incinta di due gemelli, partorisse prima il fanciullo che fu chiamato Euristeo, e poi l’altro che fu detto
partorisse prima il fanciullo che fu chiamato Euristeo, e poi l’altro che fu detto Ercole, per fare che il primo avesse avu
che fu chiamato Euristeo, e poi l’altro che fu detto Ercole, per fare che il primo avesse avuto predominio ed impero sul se
lcmena dopo la morte di suo marito Anfitrione sposò Radamento. Ed io che avea nel sen si raro pegno. Con immenso dolor pre
entre ampio e ripieno Che Giove era l’autor di tanto seno ……………. Quel che verrà nel tal tempo alla luce Sarà dell’alma Grec
fernali dette anche Eumenidi. 258. Alectore. — Fu uno dei capi Argivi che assediarono Tebe. 259. Ale-Deo. — Dio alato, sopr
cui fu imposto un tal nome. 262. Alemanno eroe degli antichi Germani che essi deificarono ed adorarono. 263. Alemona Dea t
o. — Re d’Arcadia. Si rese celebre pel considerevole numero di templi che fece fabbricare. 266. Aleppo V. Alope. 267. Aleso
leppo V. Alope. 267. Aleso. — Uno dei figliuoli d’Agamennone. Temendo che Egisto e Clitennestra, dopo aver dato morte al pa
n Italia ove fabbricò la città di Falischi. 268. Alessandra la stessa che Cassandra, indovina che fu figlia di Priamo re di
città di Falischi. 268. Alessandra la stessa che Cassandra, indovina che fu figlia di Priamo re di Troia. 269. Alessandro
ia di Priamo re di Troia. 269. Alessandro figlio di Priamo. I pastori che l’allevarono lo chiamarono Paride V. Paride. Vi f
gone detta anche Aleti. 272. Aetryomanzia. — Formola di uno scongiuro che si faceva per mezzo di un gallo. 273. Aletrione. 
ia. — Città nella Celtica edificata da Ercole. 277. Alexiroe. — Ninfa che fu una delle mogli di Priamo. 278. Alfeo. — Famo
na. V. Acetusa. 279. Alfesibea o Arfinoe. — La stessa figlia di Fegeo che sposò Alchmeone ricevendone in dono la fatale col
80. Alfiassa. — Diana viene conosciuta sotto questo nome da un tempio che essa aveva sulle rive del fiume Alfeo. 281. Alfit
rive del fiume Alfeo. 281. Alfitomansia. — Dalla parola greca αγφιτον che significa farina, davasi questo nome ad una divin
— Era una delle cinquanta Nereidi. Il suo nome le viene dall’elemento che essa abitava poichè in greco la parola αλς signif
cerimonie. L’etimologia di questa parola Aliee viene dal greco αλιος che significa sole. 285. Alilat. — Una delle divinità
o. 288. Aliterio. —  V. l’articolo precedente. 289. Alixotoe. — Ninfa che fu madre d’Esaco. Il re Priamo da cui ella ebbe q
0. Allegrezza. — Dal latino hilaritas. Non v’è tradizione particolare che faccia menzione avere i Romani deificata l’allegr
ei figliuoli di Nettuno. La tradizione mitologica ci racconta di lui, che per vendicare suo padre, il quale in una contesa
stato vinto da quella Dea, avesse tagliato tutti gli alberi di ulivo che crescevano nelle circostanze di Atene, onde recar
però sdegnata contro il colpevole gli fece cader dalle mani la scure che lo ferì così sconciamente che Allirozio rimase uc
vole gli fece cader dalle mani la scure che lo ferì così sconciamente che Allirozio rimase ucciso. Le opinioni degli scritt
di Roma. Fu padre della ninfa Lara. 295. Almopo. — Fu uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. 296. Aloe V. Aine. 2
Oto ed Efialto. Aloeo li allevò come suoi proprii figliuoli. Vedendo che ogni mese essi crescevano di nove pollici, e non
ia. 298. Aloidi. — Nome di due fra i più formidabili e famosi giganti che imponendo montagne sopra montagne dettero la scal
di ferro, da cui andò poi Mercurio a liberarlo. Diana allora, vedendo che perfino la forza celeste era impotente contro sì
llegoria della favola mitologica si rinchiude la verità più palpabile che sotto qualunque altro simbolo della favola. Infat
gioniero è tenuto schiavo per tredici mesi, potrebbe non essere altro che un famoso generale, che mosso contro i corsari fo
o per tredici mesi, potrebbe non essere altro che un famoso generale, che mosso contro i corsari fosse stato da essi debell
stato da essi debellato e fatto prigione. Mercurio dio del commercio che libera Marte altro non raffigura che un abile tra
ione. Mercurio dio del commercio che libera Marte altro non raffigura che un abile trafficante, il quale tratta coi vincito
iscia altro non è se non la configurazione allegorica della discordia che armò la mano dei due invincibili e li spinse a di
i due invincibili e li spinse a distruggersi fra loro. Omero racconta che prima che gli Aloidi avessero raggiunto l’età del
ncibili e li spinse a distruggersi fra loro. Omero racconta che prima che gli Aloidi avessero raggiunto l’età della prima g
, Apollo li avesse precipitati all’inferno. Gli Aloidi furono i primi che sul monte Licone sagrificarono alle nove muse e c
301. Alpheja. — Soprannome di Aretusa. V. Alfeo. 302. Alrune. — Nome che i Germani davano ai loro Dei Penati. 303. Altea. 
la dea per vendicarsi di quest’oltraggio gli spinse contro un cignale che devastò le terre di Calidone. Gli altri principi
una giovanetta, involarono ad Atalanta il corpo della belva. Meleageo che amava Atalanta non seppe frenare il suo sdegno, e
a cui le Parche avevano legato i destini di questo principe. A misura che il tizzo bruciava, Meleagro si consumava visibilm
sura che il tizzo bruciava, Meleagro si consumava visibilmente fino a che morì, e Altea si uccise per disperazione. 304. Al
le a dire nutrice. Soprannome dato a Cererc come Dea dell’Agricoltura che fecondando la terra nutrisce gli uomini. 307. Aly
riade. — Fu moglie e sorella di Ossilo. Ateneo, nelle sue opere, dice che essa fu madre di otto figliuole note comunemente
di ninfe Amadriadi. Ognuna di esse però aveva il suo nome particolare che comunemente era quello di un albero. 310. Amadria
di alcuni alberi coi quali esse nascevano e morivano. L’arcano legame che le univa in particolar modo alla quercia fa loro
ei, nè giammai porta O mano o ferro a quelle plante oltraggio. Poscia che l’ora destinata è sorta. In che debbe lor vita ve
rro a quelle plante oltraggio. Poscia che l’ora destinata è sorta. In che debbe lor vita venir meno. L’arbore, ch’era verde
i Queste ninfe testimoniarono sovente la loro riconoscenza a coloro che aveano risparmiato le piante nelle quali esse abi
ano ; come facevano sentire il peso della loro vendetta a que’crudeli che avessero respinte le loro suppliche, e a malgrado
l’albero abitato da un’amadriade. Così, al dire d’Ovidio, l’amadriade che abitava il tronco di un’antica quercia, la quale
della pianta, e seguitò ad abbatteria non curando la vista del sangue che ai primi colpi spruzzò dal tronco della quercia.
ano con la pianta in cui avevano vissuto. 311. Amaltea. — Fu la capra che nutri del suo latte Giove, il quale in segno di r
scenza la trasportò nel cielo, e dette una delle sue corna alle ninfe che avean curata la sue infanzia, con la virtù di pro
rno dell’abbondanza. È opinione generalizzata presso varii scrittori, che Amaltea fosse una giovanetta figlia di Melisso, r
ori, che Amaltea fosse una giovanetta figlia di Melisso, re di Creta, che avesse preso cura di Giove, facendolo nutrire con
13. Amano o Amanio. — Divinità dei Persiani. È credenza generalizzata che fosse il sole. 314. Amaraco. — Fu questo il nome
lmente il re, e la sua famiglia. Avendo un giorno rotto un recipiente che conteneva un profumo preziosissimo, ne fu così ad
ipiente che conteneva un profumo preziosissimo, ne fu così addolorato che ne morì. Ma gli Dei mossi a compassione lo cangia
tino, fu madre di Lavinia. Ella si strangolò per disperazione vedendo che non avea potuto impedire le nozze di sua figlia c
e ad Adone. 321. Amatus. — Fu figlio d’Ercole e fondatore della città che dal suo nome fu detto Amatunta. 322. Amazonto. — 
endevano alla guerra e abitavano senza uomini. Furono dette Amazzoni, che vuol dire senza una mammella, perchè bruciavano a
nel trar d’arco alcun fisico impedimento. Esse non ricevevano uomini che una volta l’anno ; lasciavano morire i loro figli
ed educavano con gran cura le femmine. Uccidevano tutti gli stranieri che approdavano sulle loro sponde, percui canta l’Ari
a riva Tutta letteau le femmine omieide. Di cui l’antigua legge ognua che arriva In perpetuo lien servo o che l’uccide. Ar
ide. Di cui l’antigua legge ognua che arriva In perpetuo lien servo o che l’uccide. Artosto — Orl. Fur. 1..XIX. Finalmen
Orl. Fur. 1..XIX. Finalmente le Amazzoni furono distrutte da Ercole che fece prigioniera la loro regina. Al dire di Cesar
fizio in onore di Cerere. Il popolo seguiva in processione le vittime che si doveano sacrificare, facendo il giro delle bia
icare, facendo il giro delle biade prima della mietitura. I sacerdoti che presiedevano a questi sacrifizi, erano al numero
aveano innalzati dei templi a cui sagrificavano con maggior frequenza che alle are degli altri numi. Dipingevano questa Div
l nutrimento degli Dei, ed è opinione sufficientemente generalizzata, che gommasse da una delle corna della capra Amaltea ;
tea ; mentre dall’altra stillasse il Nettare, ossia la bevanda divina che dava l’immortalità a tutti coloro che ne bevevano
ettare, ossia la bevanda divina che dava l’immortalità a tutti coloro che ne bevevano. Virgilio, nell’Eneide dice che alla
mmortalità a tutti coloro che ne bevevano. Virgilio, nell’Eneide dice che alla fragranza dell’Ambrosia, si riconoscevano le
Virg. — Entide Lib. 1. — trad. di A. Caro. Omero nell’Iliade, ripete che il corpo di Ettore, trascinato da Achille per ben
rea, gli allontanava E il cadavere ungea d’una celeste Rosata essenza che impedia del corpo Strascinato l’offesa. Omero. —
esa. Omero. — Iliade Lib. XXIII. — trad. di V. Monti. Il certo si è che la favola non poteva inventare cosa più divinamen
ce del miele : mangiando del miele si prova la nona parte del piacere che si proverebbe mangiando dell’ambrosia ». Finalmen
re di Bacco. 327. Ambuibio. — Nome dato ad alcune pubbliche preghiere che si facevano in forma di processione, in qualche d
29. Amburbale Vedi Ambarvale. 330. Amente. — La stessa significazione che i Greci davano alla parola Ades, cioè luogo sotte
erra, dove tutte le anime dovevano raccogliersi. Gli Egiziani, popolo che ritiene tuttavia in gran parte la metempsicosi co
te la metempsicosi come un fatto positivo ed indiscutibile, credevano che quella voragine a cui davano il nome di Amente, a
cui davano il nome di Amente, accogliesse tutte le anime dei morti, e che di là dopo qualche tempo andassero ad abitar nuov
della notte e dell’Erebo. Le opinioni degli scrittori così prosatori che poeti, sono su tale proposito altrettanto numeros
Lilio Geraldi parlando dell’Amicizia deificata dai Romani, ci ripete che essi la rappresentavano come una bella e giovane
le seguenti parole : Da lunge e du vicino  — Tutto ciò altro non era che la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non
u vicino  — Tutto ciò altro non era che la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non invecchia mai, che rimane salda, u
a che la raffigurazione del simbolo che l’amicizia non invecchia mai, che rimane salda, uniforme e costante in tutt’i tempi
ante in tutt’i tempi, da vicino e da lontano ; in vita ed in morte, e che tutto si sagrifica a questo santissimo affetto. 3
he un’altra città di questo nome, di cui la tradizione favolosa narra che gli abitanti furono distrutti da una spaventevole
più ricco e famoso tempio di tutto il Peloponneso. Pausania asserisce che Amicleo era anche il nome di un dio particolare d
ia, ove avea tempii ed altari. 336. Amico. — Uno dei compagni di Enea che fu ucciso da Turno re dei Rutoli. …………… Amico, u
trad. di A. Caru. Vi fu un altro conoscinto sotto il nome di Amico, che fu figlio di Nettuno e di Bisinide. Visse vita da
pponesi. 338. Amisodar. — Re della Licia. La tradizione favolosa dice che egli fu marito d’una donna a nome Chimera, la qua
quali erano strettamente uniti con la loro sorella. Da ciò la favola che dà al mostro detto chimera il volto di donna, il
tuno, il quale la liberò dal satiro, ma le fece egli stesso l’insulto che il satiro volea farle. 341. Ammone o Hammon. — È
nsulto che il satiro volea farle. 341. Ammone o Hammon. — È lo stesso che Giove, il quale veniva sotto questo nome particol
ebe, capitale dell’alto Egitto. I cronisti più accreditati raccontano che Bacco, smarrito in un deserto, e vicino a morire
cenza e rendimento di grazie, fece innalzare in quel luogo un tempio, che fu detto Ammone cioè Arenario, per essere colloca
ra di un montone. Ammone fu similmente il nome di un figlio di Cinira che sposò Mirra e ne ebbe un figliuolo per nome Adone
no discordi nella ripetizione di questo fatto. Il solo fra i mitologi che ripete la cosa all’istesso modo è Furnuto. Questa
ia. Cinira addormentato in una sconcia positura, e deriso dalla nuora che egli poi maledice e discaccia dal tetto paterno,
n fatto indiscutibile, in appoggio del quale vengono infiniti esempi, che tutte le religioni hanno simboli ed allegorie pro
lerne al sommo Giove Tasso. Aminto. Secondo Aristofane quell’amore che ebbe principio col caos fu l’amore benefico, e da
one vennero gli uomini e gli animali. Non esisteva alcuna Deità prima che Amore avesse unite fra loro le cose, e non fu che
alcuna Deità prima che Amore avesse unite fra loro le cose, e non fu che da questa comunanza fatta da lui, che furono gene
nite fra loro le cose, e non fu che da questa comunanza fatta da lui, che furono generati i cieli, gli dei immortali e la t
ei Bebrici. Vi fu anche uno dei più famosi centauri compagno di Enea, che ebbe questo nome ; ed un fratello d’Ippolita, reg
ebbe questo nome ; ed un fratello d’Ippolita, regina delle Amazzoni, che fu uccisa da Ercole. 357. Amynta. — Nome di pasto
Amintore. 359. Amyone. — Una delle cinquanta Danaldi, sposò Encelado che ella uccise la prima notte delle nozze, per ubbid
olendo tirare con una freccia su di una biscia, ferì invece un satiro che la violò, malgrado che ella avesse implorato Nett
reccia su di una biscia, ferì invece un satiro che la violò, malgrado che ella avesse implorato Nettuno, il quale qualche t
i Dioscuri i quali venivano anche detti Anaci dalla parola greca Λναξ che significa protettore. 361. Anachiso. — Uno dei qu
Anaclesa. — Era il nome di una pietra sulla quale credevano i Greci, che si fosse riposata Cerere, dopo la lunga corsa ch’
bocca nel porto di Siracusa. 369. Anassagora. — Filosofo della Grecia che negava l’esistenza degli Dei. Luciano, nelle oper
recia che negava l’esistenza degli Dei. Luciano, nelle opere racconta che avendo Giove scagliato il fulmine contro Anassago
per punirlo della sua miscredenza, Pericle lo avesse salvato facendo che la folgore cadesse invece sul tempio di Castore e
acendo che la folgore cadesse invece sul tempio di Castore e Polluce, che fu ridotto in cenere. 370. Anatole. — Nome di una
i di Priamo. 373. Anax. — Figlio del Cielo e della Terra. Il suo nome che significa padrone, signore, veniva, secondo asser
secondo asseriscono Plutarco e Cicerone, ritenuto come sacro per modo che non si dava che ai semidei, agli eroi od ai re in
ono Plutarco e Cicerone, ritenuto come sacro per modo che non si dava che ai semidei, agli eroi od ai re in atto di grande
agli eroi od ai re in atto di grande onoranza. 374. Anaxabia. — Ninfa che disparvé nel tempio di Diana dove si era rifuggit
si alle persecuzioni di Apollo. 375. Anaxandra. — Nome di una eroina, che fu poi adorata in Laconia come una Dea. 376. Anax
ali l’amò passionatamente e non potendo resistere alla cieca passione che essa gli avea ispirato, ardi svelarle l’amor suo,
e tutto il suo corpo si coprì di mortale pallidezza. Di qua la favola che Venere sdegnata della crudeltà di Anaxarete, l’av
ve. 380. Anaxo. — Figlio di Augeo. Alcuni scrittori mitologici dicono che fosse la stessa che fu madre di Alcmena ; ma ques
glio di Augeo. Alcuni scrittori mitologici dicono che fosse la stessa che fu madre di Alcmena ; ma questa è un’assai dubbia
to, dal quale dedurre positivamente tale notizia. 381. Ancarla. — Dea che veniva invocata nell’escursione dei nemicl. 382.
ei nemicl. 382. Ancarlo. — vedi Anchialo. 383. Anceo. — Re d’Arcadia, che fece parte della spedizione degli Argonauti. Un g
se la predizione e per provare col fatto la falsità di quella, ordinò che gli fosse incontanente portata una coppa piena di
va la tazza alle labbra, gli fu annunciato da uno dei suoi ufficiali, che il cignale di Calidone devastava la sua vigna. An
a la tazza e il labbro. 384. Anchialo o Ancario. — I Pagani credevano che così fosse nominato il dio dei Giudei. Vi fu anch
se nominato il dio dei Giudei. Vi fu anche un greco, figlio di Menteo che avea questo nome. 385. Anchisladi. — Furono così
saraco e di una ninfa. Egli fondò Troia, e dai suoi amori con Venere, che si era perdutamente innamorata di lui, ebbe un fi
Venere, che si era perdutamente innamorata di lui, ebbe un figliuolo che fu poi il famoso Enea. Avendo osato vantarsi di t
Egli visse lunghissimi anni, e alla presa di Troia era così vecchio, che non potendo camminare fu da suo figlio Enea porta
Acconciamente ; ch’io robusto e forte Sono a tal peso ; e sia poscia che vuole. …………….. …… e tu con le tue mani Sosterrai,
fatto perfettamente simile a quello di Curzio Romano. Narra Plutarco, che essendosi in Celene, città della Frigia, spalanca
88. Ancile. — Veniva così chiamato un piccolo scudo di forma rotonda, che Numa Pompilio disse esser caduto dal cielo, e dip
e dalla conservazione di esso il destino di Roma. Tito Livio racconta che Numa temendo non venisse involato un oggetto così
o il nome di Salii. Quando si portavano i dodici ancilii in una festa che durava tre giorni al principio del mese di marzo,
i servi e delle serve. Venivano così denominate dalla pardla Anculari che significa servire. Per la stessa ragione si dava
to soprannome veniva adorata Venere marina, di cui la favola racconta che uscì dal mare, nascendo dalla spuma delle onde. A
e uscì dal mare, nascendo dalla spuma delle onde. Andiomena significa che esce dal mare. 392. Andirina. — Soprannome della
 Vedi Andate. 394. Andremone. — Padre di Toaso, fu uno dei capi Greci che assediarono Troia. Vi fu anche un altro Andremone
dei capi Greci che assediarono Troia. Vi fu anche un altro Andremone che fu genero di Oeneo. 395. Androclea. — Una delle f
e fu genero di Oeneo. 395. Androclea. — Una delle figlie di Antipono, che si sagrificarono per la salute di Tebe. L’oracolo
he si sagrificarono per la salute di Tebe. L’oracolo avea sentenziato che la città non sarebbe mai libera dai suoi nemici,
nemici, se non si fosse trovato fra le più illustri famiglie, taluno che avesse voluto immolarsi al bene comune. A tale ri
Antipono si tolsero spontaneamente la vita. 396. Androfona. — Parola che significa omicida. La tradizione favolosa raccont
fona. — Parola che significa omicida. La tradizione favolosa racconta che tal soprannome era dato a Venere per aver fatto m
ando in Atene alla festa delle Panatee, ne riportò tutt’i premii, ciò che gli valse la stima generale e l’amicizia di Palla
erale e l’amicizia di Pallante, fratello del re Egeo. Questi, temendo che Androgeo, forte di tutte le simpatie che si era g
del re Egeo. Questi, temendo che Androgeo, forte di tutte le simpatie che si era guadagnate, non avesse voluto detronizzarl
divorati dal mostro Minotauro. 399. Androgini. — Popoli dell’Africa, che al dire di Plinio erano ermafroditi. Questa crede
e moglie di Ettore, il più famoso eroe Troiano da cui ebbe un figlio che fu detto Astianatte. Dopo la presa di Troia, ella
uolo di Priamo. Ella amò così teneramente il suo primo marito Ettore, che parlava continuamente di lui, e non potendo dimen
ede : V’accorre, in fretta, e subito la scioglie. E poi con l’onestà, che si richiede, Saluta allegro la salvata moglie. (O
ad. di Dell’Anguillara). 402. Androso o Andruso. — Figlio d’Eurimaco che dette il suo nome all’isola d’Andros. Uno dei fig
rato da Minos, il quale negava a lui d’esser figlio di Nettuno, disse che avrebbe accettata qualunque prova fosse piaciuta
gli la verità. Allora Minos gettò nel mare un anello, dicendo a Teseo che se era veramente figlio del mare, non doveva aver
o di precipizii e di foreste. Ne esalava un così pestilenziale vapore che credevasi assai comunemente esser quello uno spir
i piedi inabissandolo coi suoi cavalli. Plinio ed Ovidio, riferiscono che i poeti dell’antichità confondono Anfiareo con Al
Anfiareo con Alcmeone suo figlio. 409. Anfidamo. — Figlio di Busiride che fu ucciso da Ercole. 410. Anfidione. — Figlio di
nfidione il quale fu figlio di Eleno e fondatore del famoso tribunale che dal nome di suo padre fu detto Helenus, i cui dec
un dio. 412. Anfimaco. Fu questo il nome di due famosi capitani Greci che assediarono Troia. 413. Anfimedone. — Figlio di M
ni Greci che assediarono Troia. 413. Anfimedone. — Figlio di Melanto, che fu ucciso da Telemaco. Fu uno di coloro che volev
one. — Figlio di Melanto, che fu ucciso da Telemaco. Fu uno di coloro che volevano sposare Penelope. La favola fa anche men
415. Anfinomea. — Fu madre di Giasone, capo degli Argonauti. Credendo che il figlio fosse morto nella spedizione per la con
lo uccise. …… da tergo Tra le spalle il feri con la pungente Lancia, che fuor gli riusci dal petto. Quell’infelice rimbomb
della sua lira fabbricò le mura di quella città. — La favola racconta che le pietre, sensibili alla dolcissima melodia, si
fratello, si attribuiva dagli antichi l’invenzione della musica. So che Anfione agli nomini salvatici Colla lira insegnò
Anfione era anche il nome d’uno degli Argonauti, ed un re d’Orcomeno, che fu padre di Cloro. 418. Anfioro. — Una delle ninf
o i destini di questo principe Fu durante il periodo di questa guerra che Giove prendendo le sembianze di Anfitrione ingann
che mitologiche, concordano nella gran maggioranza, sulla probabilità che dette vita a questa favola, dal vedere i primi ef
a cui fu d’uopo dare un dio per padre. Seneca nelle sue opere ricorda che Ercole rispose ad un tale che gli addebitava di n
r padre. Seneca nelle sue opere ricorda che Ercole rispose ad un tale che gli addebitava di non essere figlio di Giove, que
mpo gli armenti del re Admeto. Fu del paro sulle rive di questo fiume che egli uccise il satiro Marfiaso e che amò Evadnea,
paro sulle rive di questo fiume che egli uccise il satiro Marfiaso e che amò Evadnea, Licoride e Hacinta la quale egli poi
. 426. Angelio. — Figliuola di Giove e di Giunone. La favola racconta che essendo molto amica di Europa, rebò alla madre Gi
che essendo molto amica di Europa, rebò alla madre Giunone la biacca che ella adoperava dopo il bagno e de fece presente E
e, somigliava a quella dei serpenti. Ovidio dà questo nome ai giganti che vollero detronizzar Giove. 431. Anguitia o Angiti
Angitia. —  V. Anguitia. 433. Anieno. — Dio del fiume Anio. Lo stesso che oggi chiamasi Teverone. 434. Anigero. — Fiume del
i Teverone. 434. Anigero. — Fiume della Tessaglia. La favola racconta che fu nelle sue acque che i centauri, sconfitti da E
o. — Fiume della Tessaglia. La favola racconta che fu nelle sue acque che i centauri, sconfitti da Ercole, andarono a lavar
qualità naturale. 436. Anima. — I Greci chiamavano Psiche la farfalla che è il simbolo dell’anima. Presso quel popolo, la c
niva raffigurato come un fanciullo in atto di tormentare una farfalla che ha nelle mani, esprimendo così il tormento dell’a
37. Animali. — Divinità così chiamate perchè erano le anime di coloro che dopo la morte venivano deificati. Gli antichi li
ette le quali avevano ricevuto da Bacco il dono di cangiare tutto ciò che toccavano una in vino, l’altra in biada e la terz
le costringere le tre figlie di Anio a seguirlo alla guerra, contando che col loro aiuto, l’armata dei Greci non avrebbe ma
nel fiume Numicio ove fu cangiata in ninfa. 441. Anna Perenna. — Dea che presiedeva all’anno e alla quale durante il mese
corde è l’opinione dei mitologi su questa divinità : gli uni vogliono che sia la stessa che la luna ; altri asseriscono ess
dei mitologi su questa divinità : gli uni vogliono che sia la stessa che la luna ; altri asseriscono essere Temi ; altri f
o, la quale viene anche scambiata di sovente con una delle Atlantidi, che nudrirono Giove. La credenza più generalizzata è
delle Atlantidi, che nudrirono Giove. La credenza più generalizzata è che ella fosse una ninfa del fiume Numicio, forse la
ompleta analogia. 443. Annemotisa. — Soprannome di Pallade, significa che calma i venti. 444. Annona. — Dea dell’abbondanza
dell’abbondanza e delle provvigioni da bocca. 445. Anoaretha. — Ninfa che fu una delle mogli di Saturno, che la rese madre
da bocca. 445. Anoaretha. — Ninfa che fu una delle mogli di Saturno, che la rese madre di Ieodo. 446. Anogone. — Figlio di
446. Anogone. — Figlio di Castore e d’Ilaria. 447. Anosia. — Vocabolo che significa senza pietà. Venere veniva cosi denomin
e senza barba, veniva onorato con questo nome. Altri scrittori dicono che questo nome di Assur fosse dato a Giove, da una c
453. Antelio o Anthelio. — Uno degli dei di Atene. Vi erano dei genii che si veneravano sotto la denominazione di Antelii d
ipalmente si addebita la taccia di traditore, designandolo come colui che avesse nascosto nella sua casa Ulisse, guerriero
come colui che avesse nascosto nella sua casa Ulisse, guerriero greco che assediava Troia. Dopo la caduta di questa città,
lla Mauritania, dove massacrava tutt’i viandanti per compiere un voto che avea fatto a Nettuno, di erigergli un tempio di c
lo strangolò. 458. Antero. — Veniva venerato sutto questo nome un dio che si adorava come l’opposto di Cupido. Lo si credev
opposto di Cupido. Lo si credeva figlio di Venere e di Marte. Vedendo che Cupido col passare degli anni non diventava mai a
ventava mai adulto, ne chiese la ragione a Temi, la quale gli rispose che ciò avveniva perchè quegli non aveva un compagno
un compagno di infanzia ; e convinta ella stessa di tale ragione fece che Antero e Cupido vivessero insieme : dopo qualche
meri. Antero deriva da αντ contro e ερως amore. 459. Antevorta. — Dea che presiedeva alla commemorazione delle cose passate
in cui ella aveva un tempio assai celebre. 464. Anthio. — Da Anthius che vuol dire fiorente. Era questo uno dei soprannomi
 — Era questo il nome di un pozzo, presso il quale la favola racconta che Cerere, sotto la figura di una vecchia, si fosse
di Evandro — Egli era nativo di Argo. 468. Antia. — Sorella di Priamo che i Greci fecero prigioniera quando s’impadronirono
9. Anticlea — Figlia di Diocleo e madre di Ulisse. La favola racconta che al momento in cui Laerte stava per impalmaria, Si
in cui Laerte stava per impalmaria, Sisifo figlio di Eolo la violò, e che quindi egli e non Laerte fosse il vero padre di U
l golfo di Corinto celebrata dai poeti per l’abbondanza dell’elleboro che vi cresceva in modo maraviglioso. 471. Anti-Dei. 
che vi cresceva in modo maraviglioso. 471. Anti-Dei. — Genii malefici che ingannavano gli uomini per mezzo delle più seduce
suo dolore Immenso ? Qual compagna nel piangere ? qual figlia Altra, che Antigon’ebbe ? Ella è d’ Edippo Prole. di tu ? ma
tra Antigone figlia di Laomedone. Avendo un giorno detto ad alta voce che essa era assai più bella di Giunone, la dea sdegn
ucciso da Mennone figlio dell’ Aurora. 476. Antinoo. — Uno di coloro che volevano sposare Penelope. Ulisse, marito di ques
noo, giovane di maravigliosa bellezza. L’imperatore lo ebbe così caro che dopo la sua morte lo fece annoverare fra gli dei.
itante della Sabina per nome Antron orace, aveva una vacca bellissima che formava tutta la sua ricchezza. Un indovino predi
ma che formava tutta la sua ricchezza. Un indovino predisse a Corace, che colui il quale avesse sul monte Aventino sagrific
ccordo col pontefice, fecero sapere a Corace, onde trarlo in inganno, che prima di consumare il sacrifizio avesse dovuto la
bbe così tutto l’onore del sacrifizio. 481. Anubi.  — Re degli Egizii che lo adoravano sotto la forma di un cane. Discorde
iù rinomati scrittori mitologici su tale personaggio. Alcuni vogliono che fosse figlio di Osiride ; altri di Mercurio ; alt
no che fosse figlio di Osiride ; altri di Mercurio ; altri finalmente che fosse Mercurio stesso. 482. Anxuro. — Anxuyro e A
nte che fosse Mercurio stesso. 482. Anxuro. — Anxuyro e Axuro, parole che significano senza barba ; qualificazione sotto la
le quali, secondo la tradizione, si movevano e rispondevano a coloro che si recavano a consultarle. 485. Aone. — Figlio di
uno. Essendo stato obbligato di fuggire dalla sua patria, per ragioni che la favola non ripete, egli si stabili su di una m
a favola non ripete, egli si stabili su di una montagna della Beozia, che da lui prese il suo nome. Coll’andare del tempo t
ativa e dal verbo αραω io vedo. Presso i pagani era generale credenza che allorquando gli Dei discendevano sulla terra non
nea, suo figlio, in sembianza di cacciatrice, l’erce non la riconosce che quando essa nel partire gli volge le spalle. ……
ura movea, divina luce E divino spirar d’ambrosia odore ; E la veste, che dianzi era succinta, Con tanta maestà le si diste
he dianzi era succinta, Con tanta maestà le si distese Infino a’ piè, che a l’andar anco, e Dea. Veracemente e Venere mostr
in quella Che si partiva, e me l’avvisa il core Che di battaglia più che mai bramoso Mi ferve in petto si che mani e piedi
isa il core Che di battaglia più che mai bramoso Mi ferve in petto si che mani e piedi Brillar mi sento del disio la pugna
i lettori su quanto dicemmo nello Studio preliminare sulla mitologia, che precede questo risiretto. Il senso rinchiuso nell
ale gli Dei si palesavano talvolta agli uomini, è uno di quei simboli che nello studio preliminare di sopra accennato, noi
o studio preliminare di sopra accennato, noi abbiam detto essere, più che proprii del paganesimo, fusi in esso da simboli e
tre religioni. Infatti, nelle sacre pagine della Bibbia, noi troviamo che quando Iddio si rivela a Mosè gli dice : Tu mi ve
agli Ateniesi, e Xanto, re di quelli, dichiarò a Timete re di Atene, che ad evitare spargimento di sangue voleva avesse ac
ora gli Ateniesi proclamarono re un loro concittadino a nome Melanto, che accettò la sfida del re dei Beozii. Melanto trion
tto l’istituzione delle feste dette Apatuarie dalla parole greca απαη che significa inganno. Il periodo delle feste Apatuar
fizio agli Dei ; nel terzo si classificavano tutte le giovani persone che dalla propria tribù venivano ad Atene per essere
e rispettivo di ognuna di esse, non avesse proclamato con giuramento, che il novello ascritto era suo figlio. Sino al compi
l nome di Apatuarie a queste feste, forse dalla parola greca απατορες che significa senza padre. Senofonte dà un’origine di
. — Soprannome di Giove a lui dato dalla montagna Apefae nella Nemea, che gli era consacrata. 491. Api. V. Apis. 492. Apis.
ndosi impadronito dell’ Egitto, governò quel popolo con tale dolcezza che fu ritenuto come nn Dio. Veniva adorato sotto la
uando i sacerdoti consacrati al culto del dio Api, scoprivano un toro che aveva se non tutti, almeno buon numero dei requis
trito da alcune donne a cui solo era permesso di avvicinare il dio, e che lo accostavano sempre quasi nude e con atti sconc
e ; in una delle quali rimaneva sempre rinchiuso non facendolo uscire che molto di rado, lasciandolo allora per poche ore i
e dignitari del regno, e preceduto da un numeroso coro di fanciulle, che cantavano inni in sua lode. Ma l’occasione in cui
casione in cui si addimostrava più palesemente il culto superstizioso che gli Egizii avevano per il dio Apis, era quando il
perstizioso che gli Egizii avevano per il dio Apis, era quando il bue che lo rappresentava doveva morire, essendo la sua vi
libri sacri dell’antico Egitto. Giunto il fine del periodo degli anni che il bue dovea vivere, i sacerdoti consacrati al su
erdoti consacrati al suo culto in gran pompa e con tutte le cerimonie che la superstizione imponeva, lo guidavano sulle riv
tenevano come segno di favorevole risposta quando il bue mangiava ciò che essi gli presentavano, prima d’interrogare il suo
o, prima d’interrogare il suo oracolo. Nelle opere di Plinio troviamo che il bue Apis, non volle mangiare le offerte del pr
il bue Apis, non volle mangiare le offerte del principe Germanico, e che questi morì pochi giorni dopo. Finalmente coloro
ipe Germanico, e che questi morì pochi giorni dopo. Finalmente coloro che si recavano a consultarlo, avvicinavano le orecch
amente otturate, fino all’uscita del tempio, e quivi nella prima cosa che veniva lor fatta di udire trovavano la risposta d
e rive del fiume Ippocreno, ove pasceva il cavallo Pegaso, o Pegaseo, che gli serviva di montura. Giove avendo fulminato Es
Pegaseo, che gli serviva di montura. Giove avendo fulminato Esculapio che aveva risuscitato Ippolito, Apollo uccise i Ciclo
ato Esculapio che aveva risuscitato Ippolito, Apollo uccise i Ciclopi che avevano fabqricato i fulmini al padre degli Dei,
o di Deucalione si furono ritirate, Apollo uccise il serpente Pitone, che nato dal fango che esse aveano lasciato, devastav
furono ritirate, Apollo uccise il serpente Pitone, che nato dal fango che esse aveano lasciato, devastava le circostanti ca
coli. Il famoso tempio di Delfo, il più ricco e rinomato fra tutti, e che era una delle sette maraviglie del mondo, era con
olivo erano consacrati al Apollo, perchè fra i mortali uomini e donne che ebbero contatto con lui, molti furono cangiati in
oggiorna il freddo inverno, A la materna Delo il biondo Apollo, Allor che festeggiando accolti o misti Infra gii altari i D
lonie. — Feste in onore di Apollo. 497. Apomio. — Soprannome di Giove che gli veniva dal potere a lui attribuito sulle mosc
le acque Appie in Roma. 505. Aquila. — La tradizione mitologica narra che avendo un’aquila portato a Giove l’ambrosia duran
nte e i capelli lunghissimi e bianchi. 507. Arabo. — Figlio di Apollo che alcuni scrittori riguardano come inventore della
ricamato una ricchissima tela. La Dea accettò la disfida, ma vedendo che il lavoro della sua rivale, sarebbe riuscito migl
del suo, sdegnatasi ruppe il telaio. Aracne fu così afflitta di ciò, che per disperazione appiccossi, e Minerva la cangiò
e si vedea lo te Già mezza ragna, trista in su gli stracci Dell’opera che mal per te si fè. Dante. — Purg. C. XII. ……
Feste in onore di Arabo, il quale, secondo Plutarco, fu un eroe greco che dopo la morte venne annoverato fra gli Dei per le
rcade. — Figlio di Giove e di Calisto. Dette il suo nome all’ Arcadia che è la contrada più rinomata di tutta la Grecia per
vi era venerato con culto particolare, perchè generalmente si credeva che egli non abbandonasse mai il recinto di quella ci
la poesia ed alla musica. 516. Arcesilao. — Uno dei capi della Beozia che assediarono Troia. 517. Arcesio. — Figlio di Giov
rcesio. — Figlio di Giove e padre di Laerte. 518. Archegete. — Parola che significa principe. E soprannome dato ad Apollo e
di prezzemolo, mentre essa si recò a mostrare una fontana ai principi che traversavano quella città, per recarsi all’assedi
o di Tebe. Il piccolo Archemore morì della morsicatura di un serpente che trovandolo assopito fra l’erba ne succhiò il sang
e. L’archigallo vestiva come una donna, con una tonaca ed un mantello che gli scendevano sino ai piedi : portava il capo co
dei versi contro il padre della sua amata, così satiricamente mordaci che Licambo si appiccò per disperazione. Qualche temp
azione. Qualche tempo dopo Archiloco fu ucciso. Si credè generalmente che l’oracolo di Delfo avesse altamente biasimati gli
Delfo avesse altamente biasimati gli uccisori del poeta per la stima che tutti facevano del suo genio. Egli nacque nell’is
flauto. 527. Ardea. — Città del Lazio edificata da Danao. Ovidio dice che essa fu consumata dalle flamme e cangiata in quel
fu consumata dalle flamme e cangiata in quell’uccello chiamato Airone che in latino si dice Ardea. 528. Ardenna. — Sopranno
rone che in latino si dice Ardea. 528. Ardenna. — Soprannome di Diana che le veniva da una foresta delle Gallie chiamata an
e le veniva da una foresta delle Gallie chiamata anche oggi Ardenna e che era a lei consacrata. 529. Areo. — I poeti dell’a
go. — Famoso tribunale d’Atene. Questa parola deriva dalla voce Ares, che era un soprannome di Marte, perchè la favola racc
voce Ares, che era un soprannome di Marte, perchè la favola racconta che fu appunto in quel luogo, che Marte essendo stato
ome di Marte, perchè la favola racconta che fu appunto in quel luogo, che Marte essendo stato citato in giudizio innanzi a
o di cui era accusato. Vedi Allirozio. È opinione di alcuni scrittori che la prima sentenza dell’ Areopago, fosse contro Ce
lmente è credenza assai generalizzata fra gli scrittori della favola, che l’ Areopago sorgesse nel posto ove era il campo d
an bevitore di vino. Ateneo, nelle sue cronache mitologiche, rapporta che nella città di Munichia si dava questo nome ad un
città di Munichia si dava questo nome ad un eroe. 532. Areso. — Nome che i Greci davano a Marte perchè in quella lingua si
Proci. 535. Aretusa. — Figlia di Nereo e di Dori e compagna di Diana, che questa Dea cangiò in fontana allorchè Alfeo la pe
è vede Che più lunge il mio piè stampa non forma, Ed io fra la fatica che mi diede Il formar si veloce in terra l’orma ; E
ica che mi diede Il formar si veloce in terra l’orma ; E fra il timor che mi tormenta e fiede, Veggio che in umor freddo si
loce in terra l’orma ; E fra il timor che mi tormenta e fiede, Veggio che in umor freddo si trasforma La carne, il sangue e
arne, il sangue e l’ossa e l’auree chiome, E non mi resta salvo altro che il nome. Come son le mie membra in acqua sparse C
membra in acqua sparse Conosce l’onde amate il caldo Dio ; E la forma che avea quando m’apparse Dell’uom pensa cangiar nel
uillara. Vi fu un’altra Aretusa, fontana posta nell’isola d’Ortigia, che chiudeva il palagio degli antichi re di Siracusa.
, che chiudeva il palagio degli antichi re di Siracusa. Cicerone dice che se questa fontana non fosse circondata da una tri
lutti del mare. Molti altri scrittori e Plinio fra questi, ritenevano che il fiume Alfeo nell’ Arcadia, seguendo il suo cor
ottomarino venisse a spuntare sulle rive della Sicilia, ed asserivano che tutto ciò che si gettava nell’ Alfeo si ritrovava
isse a spuntare sulle rive della Sicilia, ed asserivano che tutto ciò che si gettava nell’ Alfeo si ritrovava dopo qualche
uille onde della fontana Aretusa. Ad avvalorare questa falsa credenza che Strabono combatte e nega nelle sue opere ; lo ste
Strabono combatte e nega nelle sue opere ; lo stesso Plinio racconta che le acque dell’ Aretusa esalavano un odore di leta
etame nel tempo in cui in Grecia si celebravano i giuochi olimpici, e che ciò avveniva appunto perchè il fiume Alfeo, trave
preparate per la celebrazione di quei giuochi. 536. Areuso. — Parola che significa guerriero. Era il soprannome dato a Gio
ea. 538. Arga. — Vedi Argea. 539. Argantona. — Moglie di un guerriero che fu ucciso all’assedio di Troia. Essa nel ricevere
e di Giunone e sorella di Ebe e di Vulcano. Fu il frutto degli amori che Giove ebbe con la propria moglie Giunone, quando
e ebbe con la propria moglie Giunone, quando per averne gli amplessi, che ella gli negava mossa da gelosia, si trasformò in
mossa da gelosia, si trasformò in cuculo. 541. Argea o Arga. — Ninfa che il sole cangiò in biscia. Era anche così chiamata
amata una delle figliuole di Giove. La tradizione mitologica racconta che il nome di Argea veniva similmente dato ad una fe
delle rive di quel fiume, annegavano in esso tutt’i viaggiatori greci che cadevano in loro mano ; ma che poi Ercole persuad
avano in esso tutt’i viaggiatori greci che cadevano in loro mano ; ma che poi Ercole persuadesse loro di smettere la barbar
e ad un’altra origine la istituzione della festa Argea. Esso racconta che Evandro d’ Arcadia, nemico degli Argiani, in comm
. 542. Argel. — Venivano così detti alcuni luoghi della città di Roma che Numa Pompilio avea consacrati ai Numi. Argei eran
mi. Argei erano del paro dette alcune figure di uomo fatte di giunchi che le Vestali gettavano nel Tevere alla celebrazione
 Figlio di Pelopo. Ve ne fu anche un altro seguace ed amico di Ercole che egli ebbe carissimo. 545. Argesio. — Fu il nome d
per rendergli gli ultimi onori, questo irritò siffattamente Creonte, che , cieco di furore, le uccise tutt’e due. Argia fu
nome. 547. Argianna o Argolica. — Soprannome di Giunone, da un tempio che ella aveva nella città di Argo. 548. Argifonte. —
rannome dato a Mercurio come uccisore di Argo. 549. Argilete. — Allor che Evandro si stabili in Italia, vi fu cortesemente
à fece fare i funerali allo scellerato, e gli fece elevare una tomba, che da lui fu detta Argilete. 550. Arginide. — Il re
imase alla Dea degli amori. 551. Arginno. — Nome di un giovane greco, che si annegò bagnandosi. Narra Properzio che il Re A
— Nome di un giovane greco, che si annegò bagnandosi. Narra Properzio che il Re Agamennone, che lo aveva assai caro, fece f
reco, che si annegò bagnandosi. Narra Properzio che il Re Agamennone, che lo aveva assai caro, fece fabbricare un tempio in
eva cara. Essendo Argira vicino a morire, Seleno ne fu così afflitto, che fu prossimo anch’egli a perdere la vita pel gran
iume ebbero la virtù di dare l’obblio delle passioni d’amore a coloro che vi si bagnavano o che ne bevevano. 554. Argiva. —
i dare l’obblio delle passioni d’amore a coloro che vi si bagnavano o che ne bevevano. 554. Argiva. — Soprannome di Giunone
ano o che ne bevevano. 554. Argiva. — Soprannome di Giunone dal culto che ella aveva nella città di Arga. 555. Argo. — Navi
pi greci, mosse alla conquista del vello d’oro. Si crede generalmente che fosse questo il primo vascello che avesse solcato
vello d’oro. Si crede generalmente che fosse questo il primo vascello che avesse solcato le onde. Questo nome gli viene dal
che avesse solcato le onde. Questo nome gli viene dal suo costruttore che lo inventò e lo costruì con gli alberi della fore
e lo inventò e lo costruì con gli alberi della foresta di Dodona, ciò che gli faceva anche attribuire la favolosa virtù di
anta chiusi dal sonno. Giunone gli aflidò la custodia della ninfa lo, che Giove avea cangiata in giovenca. Ma Mercurio col
rgo fu famoso architetto figlio di Polibio ; generalmente è lo stesso che inventò il naviglio che prese il suo nome. Finalm
figlio di Polibio ; generalmente è lo stesso che inventò il naviglio che prese il suo nome. Finalmente la tradizione mitol
zione mitologica fa menzione di un Argo, figlio di Giove, e di Niobe, che fu re della contrada chiamata col suo nome, ed il
di Niobe, che fu re della contrada chiamata col suo nome, ed il primo che coltivò le terre della Grecia. 556. Argolea. — So
edi Argianna. 558. Argonauti. — Furono così detti quei principi greci che sotto il comando di Giasone andarono alla conquis
Eraclidi discendenti di Ercole. 560. Argoreo. — Dal latino Argoreus, che significa Dio della mercatura, fu dato questo sop
dovea combattere il Minotauro, nel famoso laberinto di quella città, che gli dette un gomitolo di filo per mezzo del quale
nte la sua disgrazia, si fece sacerdotessa di Bacco il quale, secondo che narrano Properzio ed Ovidio, la tolse in moglie e
i spinge E di lume maggior sè stessa informa ; E giunta presso a quel che ’l serpe stringe ; Ogni sua gemma in foco si tras
pessa del regio sangue di Atene. 567. Arieina. — Soprannome di Diana che le veniva dal culto con cui era venerata nelle fo
bele. 569. Arimane. — Dio adorato dai Persiani. Si crede generalmente che come Plutone fosse il dio delle Tenebre. 570. Ari
i Axinomanzia. 571. Ario. — Fu il nome di uno dei più famosi centauri che combatterono i Lapidi. 572. Arione. — Celebre mus
ora Arione d’un salto si gettò in mare e fu salvato da quegli animali che sul loro dorso lo portarono a terra. Arione fu os
n. (Virgilio. — Ecl. V. — r. 56.) Arione fu pure il nome del cavallo che Nettuno fece sorgere dalla terra con un colpo del
omini. 573. Aristene. — Secondo Pausania così eb be nome quel pastore che trovò Esculapio fanciullo allorchè la madre Coron
oni di lui, fu morsicata da un serpente e morì nell’istesso giorno in che dovea diventar moglie d’ Orfeo. Le ninfe allora s
di Aristeo consigliò il fi gliuolo di consultare Proteo da cui seppe che avrebbe dovuto placare l’ombra di Euridice facend
il consiglio di Proteo e dalle viscere delle vittime, narra la favola che uscisse una quantità di Api. Ricorda Virgilio che
me, narra la favola che uscisse una quantità di Api. Ricorda Virgilio che Aristeo dopo la sua morte fu messo nel numero deg
ei soprannomi di Diana. 576. Aristone. — Nome di un citaredo Ateniese che vinse sei volte nei giuochi Pitii secondo, raccon
denominazione i Lacedemoni adoravano Venere in memoria della vittoria che le loro donne avevano riportata sopra i Messeni.
ro donne avevano riportata sopra i Messeni. 579. Armifera Dea. — Cioè che porta le armi. Era così detta Minerva perchè la f
è che porta le armi. Era così detta Minerva perchè la favola racconta che uscisse armata dal cervello di Giove. 580. Armilu
Dei, per la prosperità delle armi Romane. Durante la cerimonia coloro che vi prendevano parte, giravano armati intorno alla
aro. Il simbolo racchiuso sotto l’allegoria mitologica è l’attrazione che questo uccello ha per l’argento. 585. Arno. — Fu
cciso nella città di Naupata, da un nipote di Ercole per nome Ippote, che lo avea creduto una spia dei nemici. Appena morto
lo, il quale facea per tal modo espiare la morte del suo indovino ; e che il flagello non sarebbe cessato se non quando si
n potendo dopo la sua terribile vendetta sopportare l’infame passione che avea ispirato a suo padre, supplicò giorno e nott
ssione che avea ispirato a suo padre, supplicò giorno e notte gli Dei che l’avessero tolta dal mondo, e i numi mossi a comp
limeneo allora non potendo sopravvivere alla perdita della sola donna che avesse amata, si tolse di propria mano la vita. A
chi a viver vita da masnadiere. I cronisti della mitologia raccontano che essa era così veloce al corso che nessuno potè ra
cronisti della mitologia raccontano che essa era così veloce al corso che nessuno potè raggiungerla mai se pure montato su
terrore delle campagne circostanti fu presa ed uccisa. Virgilio canta che Venere presentossi ad Enea suo figlio in sembianz
o come veniva rappresentata la celebre Arpalice inforcando un cavallo che correva più rapido delle onde dell’ Ebro. In mez
Virg. Eneide L. 1 trad. A.. Caro. Finalmente vi fu un’altra Arpalice che mori di dolore nel vedersi disprezzata da Ifielo,
’altra Arpalice che mori di dolore nel vedersi disprezzata da Ifielo, che fu uno degli argonauti da lei passionatamente ama
e vivessero in frotta ce lo asserisce Virgilio ripetendo nell’ Eneide che esse si avventarono sulle navi Troiane e divoraro
’ Alighieri ci ripete una bellissima descrizione delle Arpie, dicendo che esse predissero ai Troiani il triste fato della l
tenuto come figliuolo d’ Osiride e d’ Iside e Dio del silenzio, ond’è che la sua statua viene rappresentata con un dito all
ritrovava sulla soglia di tutt’i tempii pagani, volendo cosi indicare che col silenzio si doveano primamente onorare gli De
sico era l’albero a lui sacro e vi sono non poche statue di Arpocrate che hanno un ramo di persico fra le mani. Plutarco ci
co fra le mani. Plutarco ci dà una logica spiegazione di ciò, dicendo che le foglie del persico hanno la figura d’una lingu
con ciò dimostrare l’allegoria racchiusa sotto il simbolo mitologico che , cioè, deve esservi tra il cuore e la lingua una
ipe. — Fu una delle ninfe seguaci di Diana, di cui la favola racconta che avendo un giorno incontrato in una foresta Imolo
a, questi restasse talmente preso dalla straordinaria bellezza di lei che la inseguì per lungo tempo e non la raggiunse che
ria bellezza di lei che la inseguì per lungo tempo e non la raggiunse che nel tempio stesso di Diana, ov’ella si rifuggì sp
ravvivere a così vergognoso oltraggio e si uccise. La favola racconta che Diana non lasciò impunita la morte della sua bell
che Diana non lasciò impunita la morte della sua bellissima ninfa, e che a vendicarla facesse trasportare in aria da un to
Arsace. — Re dei Parti, Ammiano Marcellino narra, nelle sue cronache, che dopo la sua morte fosse annoverato fra gli astri.
ta assistette alla cerimonia funebre con una gelida indifferenza, del che sdegnata Venere la cangiò in pietra. Arsinoe fu a
ficare quel monumento in pietre di calamita onde le statue d’Arsinoe, che erano in ferro dorato, rimanessero sospese in ari
e erano in ferro dorato, rimanessero sospese in aria. Plinio racconta che lo splendido disegno di Dinocrete, rimase incompi
lendido disegno di Dinocrete, rimase incompiuto per la morte di lui e che solo la facciata del tempio fosse fabbricata con
Arte. — Gli antichi ne avevano fatta una divinità. Ariano ci rapporta che i Gadarii avevano lo stesso culto per le arti e p
. — Una delle più strane tradizioni della mitologia Egiziana racconta che Arteride fosse figlia d’Iside e di Osiride, e che
a Egiziana racconta che Arteride fosse figlia d’Iside e di Osiride, e che il suo concepimento avvenisse in modo affatto par
’istesso momento si erano di già maritati nell’utero materno per modo che Iside nascendo era già gravida d’ Arteride. 598.
dalla quale fu ucciso. 601. Aruspici. — Venivano così chiamati coloro che dall’esame delle viscere delle vittime immolate n
vano l’avvenire. 602. Arvali. — Si dava cotesto nome a quei sacerdoti che facevano i sacrifizi detti Ambarvali. Questi sace
favola lo fa essere figlio del fiume Acheronte, e della notte. Fu lui che dichiarò aver Proserpina mangiato sette acini di
Proserpina mangiato sette acini di una melograna nell’ Inferno ; ciò che fu causa che Proserpina non potette essere restit
angiato sette acini di una melograna nell’ Inferno ; ciò che fu causa che Proserpina non potette essere restituita a sua ma
cercarla nei regni della morte, poichè Giove avea promesso a Cerere, che avrebbe avuto la figlia a condizione di non aver
no. Cerere fu così indegnata contro Ascalafo, per la sua rivelazione, che gli gettò sul volto dell’acqua del fiume Flegeton
l volto dell’acqua del fiume Flegetonte, e lo cangiò in gufo, uccello che poi Minerva prese sotto la sua protezione perchè
ua protezione perchè Ascalafo l’avvertisse col suo grido di tutto ciò che avveniva la notte. Fece del molle labbro un duro
iva la notte. Fece del molle labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel che viva della caccia : Fa che fra gli altri augei ra
le labbro un duro rostro. Curvo, e d’augel che viva della caccia : Fa che fra gli altri augei rassembra mostro La grande, a
ad. Dell’ Anguillara. Vi fu anche un altro Ascalafo, figlio di Marte che fu uno dei più rinomati guerrieri Greci, che asse
scalafo, figlio di Marte che fu uno dei più rinomati guerrieri Greci, che assediarono Troia. 604. Ascalapo. — Uno dei capit
Greci, che assediarono Troia. 604. Ascalapo. — Uno dei capitani Greci che assediarono Troia, nativo d’ Orcomene nella Beozi
eno, ambo di Marte Egregia prole ……. …… Eran di questi Trenta le navi che schierarsi al lido. Omero Iliade — Libro II trad
de. — È questo il nome di un Greco assai versato in medicina. Secondo che riferisce Apuleio nel IV libro dei suoi Fiori, e
scoperta di medicare col vino. Salvator Rosa nelle satire dice : So che Asclepiade con un suo trombone I sordi medicava.
. La Musica sat. 1. 607. Asclepiadi. — Così erano dette alcune feste che in tutta la Grecia venivano celebrate in onore di
ecco gonfiata e unta d’olio. La parola Ascolie deriva dal Greco ασϰος che significa un otro. 611. Ascra. — Città fabbricata
eo al poeta Esiodo, perchè nativo di quella città. La favola racconta che il poeta fosse stato rapito dalle muse mentre cus
armento sul monte Elicona. Si dicevano invasi da furore Ascreo coloro che improvvisavano dei versi. Che da furor Ascreo sp
zza. 614. Asfalione. — Detto anche Asfalio, cioè tutelare, soprannome che veniva dato a Nettuno. 615. Asia. — Ninfa figlia
Priapo, il luogo suo, Se gli asini a te sol son dedicati, Bisogna dir che il mondo d’oggi è tuo. Salvator. Rosa. La musica
che analogia con la voce dell’asino. 618. Asio. — Soprannome di Giove che gli veniva da una città di questo nome nell’isola
nella città di Acaia, egualmente detto Asopo da un figlio di Nettuno che aveva l’istesso nome. 620. Asporina. — V. Adporin
a l’istesso nome. 620. Asporina. — V. Adporina. 621. Assabino. — Nome che gli Etiopi davano e Giove. 622. Assaraco. — Figli
a giovinetta a nome Europa figlia del re di Fenicia. Di qui la favola che Giove trasformato in toro rapisse Europa. 628. As
a cui la favola attribuisce due figliuole a nome Porcinna ed Arcona, che furono tra le nutrici di Giunone. Nelle acque di
0. Asterope. — Una delle Pleiadi. 631. Asteropeo. — Giovane guerriero che essendo venuto in soccorso dei Troiani fu ucciso
fianco allora Trasse Achille la spada, e furibondo Assalse Asteropèo che invan dall’alta Sponda si studia di sferrar d’ Ac
Omero — Iliade Libro XXI, trad. di V.Monti. 632. Astiale. — Troiano che fu ucciso da Neaptolemo. 633. Astianasse. — Ancel
tidamia. — Una delle mogli di Ercole. 636. Astilo. — Uno dei centauri che consigliò ai suoi compagni a non intraprendere la
liuole di Ettore la quale non potendo opporre resistenza al dio Marte che ne era innamorato, fu da lui resa madre di un fig
dio Marte che ne era innamorato, fu da lui resa madre di un figliuolo che sotto il nome di Ialmeno si distinse poi all’asse
spugnò la città di Efina in Elide fu da lui amata e ne ebbe un figlio che fu poi noto sotto il nome Tlepolemo. Finalmente l
il nome Tlepolemo. Finalmente la favola ricorda di un’altra Astioche che fu una delle figliuole di Niobe. V. Niobe. 639. A
Dio dei venti, il quale dopo del padre regnò nelle isole Lipari, nome che egli in memoria del padre cangiò in quello di iso
o il nome proprio della bella figliuola del sacerdote di Apollo Crise che dal padre viene comunemente conosciuta sotto il n
paleo dato ad Apollo. 643. Astirea. — Soprannome di Minerva dal culto che le si rendeva in Astira città della Fenicia. 644.
Greca οτομα bocca Plinio dà questo nome ad alcuni popoli delle Indie che non avevano bocca. La verità di questa credenza è
oli delle Indie che non avevano bocca. La verità di questa credenza è che presso quei popoli era ritenuta come cosa vergogn
quei popoli era ritenuta come cosa vergognosa il mostrare la bocca, e che perciò essi la coprivano accuratamente. 646. Astr
inosa dimora, ed ella andò a collocarsi in quella parte dello Zodiaco che si chiama la costellazione della Vergine. 647. As
i i figli di Astreo e di Eribea. La favola li dipinge come dei Titani che avessero voluto dare la scalata al cielo, ma posc
, e alcuni presero le parti di Giove contro i propri fratelli. Quelli che persisterono nell’empio disegno furono tutti fulm
649. Astreo. — Uno di Titani padre degli Astri e dei venti ; Vedendo che i suoi fratelli avean dichiarato la guerra a Giov
reditati fanno Eolo loro padre e re. 650. Astri. — I Pagani credevano che gli Astri fossero animati ed immortali ; che aves
ri. — I Pagani credevano che gli Astri fossero animati ed immortali ; che avessero influenza benefica o malefica sopra gli
con particolare vocabolo chiamato Sabeismo vedi lo Studio preliminare che precede questo ristretto. 651. Astrabaco. — Eroe
eliminare che precede questo ristretto. 651. Astrabaco. — Eroe Greco, che si rese celebre nel Peloponneso. Dopo la sua mort
trimonio da molti giovani principi, ma suo padre non volle concederla che a colui che avesse vinto il premio della corsa. I
molti giovani principi, ma suo padre non volle concederla che a colui che avesse vinto il premio della corsa. Ippomene ebbe
consiglio della dea di gettare cioè lungo il cammino dei pomi di oro che Atalante si fermò a raccogliere invece di seguita
insieme in un tempio dedicato a Cibele, essi accecati dalla passione che li dominava, dimenticarono il luogo dov’erano e i
o, Melicerte e Learco. 658. Atamaso. — Figlio di Eulo e padre di Elle che egli ebbe da Nefila sua prima moglie. sposò in se
liastri a fuggire dalla casa paterna. 659. Atea o Ata. — Dea malefica che spingeva gli uomini nelle sventure turbando loro
ntate alcune commedie dette perciò Atellane. 661. Atena. — Soprannome che i Greci davano a Minerva. 662. Atenea. — Cecrope
elle lettere e nel mestiere delle armi fu riguardata come la Divinità che presiede alle une e alle altre. Infine essa è la
e alle altre. Infine essa è la Minerva dei Greci. Gli antichi dissero che ella uscisse dal cerebro del padre, imperciocchè
ebro del padre, imperciocchè il suo nome significa saggezza. Fu dessa che dette il nome di Atene alla città che prima si ch
me significa saggezza. Fu dessa che dette il nome di Atene alla città che prima si chiamava Posidonia, che aveva prima rice
he dette il nome di Atene alla città che prima si chiamava Posidonia, che aveva prima ricevuto da Nettuno. La favola raccon
va Posidonia, che aveva prima ricevuto da Nettuno. La favola racconta che a proposito del nome da conservarsi o cangiarsi a
stabilirono un tribunale composto di dodici mortali, il quale decise che la città si sarebbe chiamata secondo il volere di
n albero d’ulivo. Allora il tribunale aggiudicò la vittoria a Minerva che dette il nome di Atene alla capitale Greca. 663.
a testa di donna e il rimanente di pesce. Vossio nelle sue opere dice che la parola Atergate significa senza pesce perchè c
opere dice che la parola Atergate significa senza pesce perchè coloro che l’adoravano dovevano astenersi dal mangiarne. 665
putazione per averlo sorpreso fra le braccia di una giovane rivale, e che dopo di ciò lo avesse ricevuto nel numero dei suo
po di ciò lo avesse ricevuto nel numero dei suoi sacerdoti. Tutto ciò che evvi di vero sotto codesta favola, è forse la bar
che evvi di vero sotto codesta favola, è forse la barbara costumanza che imponeva ai sacerdoti di Cibele lo stesso suppliz
da Tideo, mentre conduceva all’altare Ismene. 670. Atlante. — Gigante che fu figlio di Giove e di Climene. La favola finse
lante. — Gigante che fu figlio di Giove e di Climene. La favola finse che suo padre l’avesse incaricato di reggere il mondo
i in guardia contro un altro figlio di Giove egli ne fu così afflitto che non volle più vedere alcuno. Perseo si condusse d
nia e la Tracia sulla quale Giove era particolarmente adorato, onde è che gli veniva il soprannome di Athuso.. 673. Atreo. 
glio di Pelopo e d’ Ippodamia. Per vendicarsi della vergognosa tresca che Eropa sua moglie aveva con suo fratello Tieste lo
ece mangiare i suoi propri figliuoli. La tradizione favolosa racconta che il sole inorridito dall’orribile scena avesse ret
ocesso dal suo corso quotidiano. È questo uno degli episodi più truci che ci ricordi la storia dei tempi favolosi. 674. Atr
ndenti di Atreo. 675. Atropo. — Una delle Parche. Propriamente quella che tagliava il filo della vita umana. 676. Attea. — 
o le cronache del mitologo Fulgenzio, così si chiamava uno dei cavali che tiravano il carro del sole quando avvenne la cadu
ne la caduta di Fetonte. La parola Atteone viene dal Greco αϰτιν-ινος che significa raggio di sole, risplendente luminosa.
ebre Aristeo. Essendo un giorno alla caccia sorprese Diana e le ninfe che si bagnavano e si mise a spiarle ; di che sdegnat
a sorprese Diana e le ninfe che si bagnavano e si mise a spiarle ; di che sdegnata fortemente la Dea lo cangiò in cervo Ve
Dell’ Anguillara. e lo fece divorare dai propri cani. Euripide narra che Atteone fosse divorato dai cani di Diana per esse
o più esperto di quella Dea nell’arte della caccia. Diodoro asserisce che Atteone fosse considerato come un empio per aver
r dispregiato il culto di Diana fino al segno di mangiare della carne che era preparata per un sacrifizio a quella Dea. Dop
ro riconoscimento. 680. Augia. — Re d’ Elide. Egli stabili con Ercole che gli avrebbe ceduto la decima parte dei suoi besti
avesse aiutato a netture le sue stalle dalla gran quantità di letame che infettava l’aria nel suo regno. Ercole per riusci
i suoi stati a Fileo suo figlio. 681. Augurio. — Specie di sortilegio che si compiva coll’osservazione del volo degli uccel
li uccelli come aurispizio dall’ispezione degl’intestini. I sacerdoti che presedevono a tali cerimonie venivano chiamati au
 — Piccolo paese della Beozia la cui capitale fu Aulisia. Servio dice che era questa una piccola isola con un porto capace
sola con un porto capace di contenere 50 vascelli. Fu in qnesto porto che si riunirono le navi Greche all’epoea della spedi
poea della spedizione di Troia. 683. Aulisea. — Soprannome di Minerva che a lei veniva da una parola Greca che significa fl
Aulisea. — Soprannome di Minerva che a lei veniva da una parola Greca che significa flauto attribuendosi da taluno a quella
figlio chiamato Mennone. La passione di Aurora per lui fu così grande che gli propose di domandarle un pegno della sua tene
no della sua tenerezza e ne ottenne una longevità senza eguale, tanto che Titone giunse ad una estrema vecchiezza e allora
chiezza e allora fu cangiato in cicala. Dopo di lui Aurora amò Cefalo che rapì alla moglie Procride e per farsi amare da lu
o. Ben presto però disgustata di lui lo abbandonò per amore di Orione che alla sua volta fu da lei abbandonato per altri. 6
ona. — Fu figlia di Cadmo e madre di Acteone. 697. Autopsia. — Coloro che erano in una stretta intelligenza con gli Dei, er
ane. 699. Auxo. — Una delle Grazie. Gli Ateniesi non ne riconoscevano che dua sole. Una Auxo, l’altra Egmona. 700. Aventino
Averno. — Palude nella Campania, consacrata a Plutone perchè i miasmi che ne esalavano erano talmente pestilenziali ed infe
hè i miasmi che ne esalavano erano talmente pestilenziali ed infetti, che quel luogo era ritenuto come la bocca dell’infern
, che quel luogo era ritenuto come la bocca dell’inferno. Gli uccelli che passavano a volo sulla voragine, cadevano all’ist
uella, morti d’asfissia. 702. Averunei, Avverunei o Averungani. — Dei che i Romani adoravano particolarmente in tempo di ca
che i Romani adoravano particolarmente in tempo di calamità, credendo che fossero potentissimi ad allontanare una pubblica
o. — Soprannome di Marte. 714. Azoni. — Si chiamavano così quegli Dei che i Pagani credevano comuni a tutti i popoli. B
me principale divinità il sole, così è generale opinione dei mitologi che sotto il nome di Baal si venerasse il sole. Alcun
il sole. Alcuni lo han fatto figlio di Nettuno e della regina Lidia, che regnò nell’ Assiria verso l’anno 2700 dopo la cre
dell’antichità, l’invenzione di schierare le truppe con quell’ordine che oggi si direbbe di attacco. Da ciò forse la voce
e che oggi si direbbe di attacco. Da ciò forse la voce latina bellum, che significa guerra. Abbiamo da Erodoto una descrizi
i. La fornicazione, al dire della Bibbia, era consacrata a Baal-Fegor che è riguardato come il dio Priapo della mitologia G
colare, sulla montagna di Peor. Si crede generalmente dagli scrittori che Baal-Peor fosse il Priapo degli Arabi. 721. Baal-
st’idolo nel deserto, per impedire la fuga agli Ebrei. Da ciò il nome che porta. 723. Baaltide. — Divinità dei Fenicii, ado
a città di Biblo. Era ritenuta come moglie di Saturno da cui non ebbe che delle figliuole È la luna, ossia la Diana dei Gre
ci. 724. Babelle. — È opinione di non pochi scrittori dell’antichità, che la famosa Torre di Babelle o di Babilonia ; (la q
ontro il cielo), abbia dato origine alla favola dei giganti o Titani, che imponendo montagne sopra montagne, avessero tenta
ella Caldea, così chiamata per la sua ampiezza e pel tumulto continuo che l’immenso numero de’ suoi abitanti facevano nelle
si resero gli abitatori di Babilonia, per la loro sfrenata libidine, che arrivò al suo maggior punto di corruttela, sotto
u si rotta, Che libito fè lecito in sua legge, Per torre il biasmo in che era condotta. Ell’è Semiramis, di cui si legge Ch
e grazia alla preghiera di Pallade. 728. Baccanali. — Feste o misteri che si celebravano in onore di Bacco, nei quali si co
e. I Greci chiamavano anche queste cerimonie Dionisiache da Dionisio, che era uno dei soprannomi di Bacco. In Atene la rico
di questi misteri bacchici, era tenuta in così grande considerazione, che si numeravano persino gli anni dai baccanali e da
umi, ed il suo nome andò perduto nella notte dei tempi. Nel principio che in Grecia furono stabiliti i baccanali, vi prende
omeda. 731. Baccheo-Toro o Bagi-Toro. — Così veniva chiamato un toro, che nelle principali città dell’ Egitto, era consacra
orinto, andò a stabilirsi in Sicilia. 733. Bacchiadi. — Denominazione che si dava agli antichi re di Corinto, i quali per l
rittori dell’antichità, sul conto di questo dio, volendosi da diversi che fosse figliuolo di Proserpina. Cicerone conta fin
erpina. Cicerone conta fino a cinque dii di questo nome ; ed è perciò che la grande generalità degli autori non si accorda
ostrarsi a lei in tutto lo splendore della sua gloria immortale ; ciò che ella ottenne da lui, dopo replicate repulse. Ma i
mele, ed ella stessa mori, ravvolta nelle fiamme. Giove allora, prima che Semele fosse del tutto spirata, per salvare la vi
oscia diritta, ove lo tenne fino al termine dei nove mesi. L’infante che nel corpo era imperfetto Dell’infelice donna che
ove mesi. L’infante che nel corpo era imperfetto Dell’infelice donna che s’accese. Che dal seme di Giove avea concetto, De
, Del ventre ch’aprir fece, il padre prese : E se creder vogliam quel che vien detto. Con tanta industria a quel fanciul s’
tri crebbe. Giove da sè spiccolla, e ne die cura Ad Ino, una sua zia, che cura n’ebbe, La qual, sebben di Gluno avea paura.
be, La qual, sebben di Gluno avea paura. Non mancò al nipotin di quel che debbe : Alle ninfe Niselde il diè di notte, Ch’as
di suo marito, ma faceva ricadere le sue terribili vendette sui figli che nascevano da quelle. Quando i giganti dettero la
perchè nei suoi viaggi rivestiva sempre la pelle d’un becco, animale che a lui si sagrificava ; talvolta a cavalcioni d’un
 Metamorfosi Lib. III trad. di dell’ Anguillara. Fra i molti animali che si sacrificavano a Bacco, quelli che più generalm
Anguillara. Fra i molti animali che si sacrificavano a Bacco, quelli che più generalmente venivano immolati nei suoi sacri
rco, perchè distrugge i germogli delle viti ; e la gazza per dinotare che il vino fa parlare indiscretamente. A maggiore de
oi metteremo sotto gli occhi dei nostri lettori un parallelo storico, che , secondo le opinioni di alcuni fra i più rinomati
biblica figura di Mosè, il legislatore d’ Israello. Questo parallelo, che noi, seguendo le opinioni dei suddetti scrittori,
la esistenza non solo dei miti allegorici in tutte le religioni, miti che noi dicemmo propri ed individuali di esse, ma del
ividuali di esse, ma della trasmissione, o direm quasi della eredità, che la fusione delle religioni e credenze primitive,
iuntura di essere salvato dalle acque gli fece dare. Il nome di Misas che vuol dire appunto, salvato dalle onde. Bacco pass
re appunto, salvato dalle onde. Bacco passò il Mar Rosso seguito, più che da un’armala, da un popolo intero di uomini, di d
Nisa. MOSÈ nativo anch’egli d’ Egitto, ebbe similmente due madri, una che lo partori l’altra che lo adottò. Abbandonato nel
egli d’ Egitto, ebbe similmente due madri, una che lo partori l’altra che lo adottò. Abbandonato nelle acque del Nilo, anch
anch’egli il Mar Rosso e l’Arabia, percondurre il popolo degli Ebrei, che lo seguiva, alla Terra Promessa. A Mosè splendono
sulla fronte due raggi di luce e ha fra le mani la verga miracolosa, che opera prodigii soprannaturali. Mosè passò quarant
a Nisa è in qualche modo l’anagramma. 735. Baciso. — Famoso indovino che poi detta il suo nome a tutti coloro che predicev
5. Baciso. — Famoso indovino che poi detta il suo nome a tutti coloro che predicevano l’avvenire. 736. Bagi-Toro. — V. Bacc
no l’avvenire. 736. Bagi-Toro. — V. Baccheo-Toro. 737. Bagoe. — Ninfa che insegnò agli Etrurii l’arte di predire il futuro,
lle saette. È opinione diffusa presso molti scrittori dell’antichità, che Bagoe fosse la stessa che la sibilla Eritrea. 738
fusa presso molti scrittori dell’antichità, che Bagoe fosse la stessa che la sibilla Eritrea. 738. Balana. — Figlia di una
lebri per le loro infami dissolutezze e brutalità. Giovenale racconta che la loro turpe lussuria e gli esecrandi eccessi ai
Cotitto. 740. Ballo. — Nome di uno dei cavalli di Achille. Omero dice che erano immortali e figli di Zeffìro. 741. Bapto. —
araico, detto anche Buroico. Era questo uno dei soprannomi d’ Ercole, che gli veniva da una città d’ Acaia, nota sotto l’is
maniera affatto particolare, con la quale rendeva i responsi. Coloro che venivano a consultare l’oracolo, dopo aver pregat
ttenuto dal getto dei dadi. 743. Barbata. — Soprannome dato a Venere, che , sebbene di rado, veniva rappresentata con la bar
che, sebbene di rado, veniva rappresentata con la barba, per dinotare che le erano attribuiti tanto il sesso maschile quant
silea. — Figliuola di Urano e di Titea e sorella dei Titani. Si crede che sia la stessa che Cibele o Giunone, forse perchè
di Urano e di Titea e sorella dei Titani. Si crede che sia la stessa che Cibele o Giunone, forse perchè Basilea in Greco v
è Basilea in Greco vuol dir regina. La tradizione mitologica racconta che Basilea sposò Iperione, suo fratello, che essa av
dizione mitologica racconta che Basilea sposò Iperione, suo fratello, che essa avea più caro degli altri, e ne ebbe due fig
one. 747. Bassareo. — Soprannome dato a Bacco, dal perchè si pretende che questa parola fosse il grido che si ripeteva nei
dato a Bacco, dal perchè si pretende che questa parola fosse il grido che si ripeteva nei baccanali. Però l’opinione più ac
ipeteva nei baccanali. Però l’opinione più accreditata e più logica è che questo soprannome fosse dato a Bacco perchè signi
rono resi gli onori divini. 751. Batto. — Così avea nome quel pastore che fu testimonio del furto degli armenti che Mercuri
Così avea nome quel pastore che fu testimonio del furto degli armenti che Mercurio rubò ad Apollo. In premio del suo silenz
l tutto, e Mercurio allora lo cangiò in pietra di paragone, la stessa che si adoperava per provare l’oro, e della quale si
si adoperava per provare l’oro, e della quale si credeva generalmente che fossero fatti i simulacri egiziani. Vi fu anche u
e che fossero fatti i simulacri egiziani. Vi fu anche un altro Batto, che la tradizione mitologica ci ricorda come fondator
un dio. 752. Baubo. — Detta anche Becubo. Così avea nome quella donna che ospitò Cerere, quando essa cercava la figlia Pros
tà, dal santo aspetto. Cercò farla restar di sè contenta : E del vin, che nel suo povero tetto Teneva, e d’una rustica pole
tti gli abitanti della contrada in cui dimoravano Bauci e suo marito, che furono i soli che li ospitarono. Per ricompensarl
ella contrada in cui dimoravano Bauci e suo marito, che furono i soli che li ospitarono. Per ricompensarli, Giove ordinò lo
borgata, sommersi con le case dalle acque d’uno spaventevole diluvio, che aveva allagato ogni cosa, meno la piccola panna,
la quale era divenuta un tempio. Giove promise di conceder loro tutto che avessero dimandato ; ed essi altro non chiesero c
nceder loro tutto che avessero dimandato ; ed essi altro non chiesero che di essere i ministri di quel tempio, e di non mor
ri fronde ; E mentre il guarda e la cagion ne chiede, L’arbor vede ei che la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende
vede ei che la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende al fin che n’esce. Più vede che la selva abbonda e cresce. V
onna asconde : E più ch’un mira e attende al fin che n’esce. Più vede che la selva abbonda e cresce. Vuol tosto questa e qu
ce. Vuol tosto questa e quel mover le piante Per far l’offizio altrui che si conviene, E trova, mentre pensa andare avante,
rfosi. — Libro VIII trad. di Dell’Anguillara. 754. Bebrici, — Popoli che sortirono dalla Tracia, per andarsi a stabilire n
i spettatori e poi ne facevano un orrendo massacro. Racconta Strabone che Amico, loro re, fu ucciso da Polluce, al quale in
ica di quei popoli, aveva un tempio ove tutto era tenebre ed acqua, e che conteneva mostruosi animali. I Caldei credevano c
nebre ed acqua, e che conteneva mostruosi animali. I Caldei credevano che Bel, dopo aver formato il cielo e la terra, avess
e ricomposto il caos primitivo dando ordine e metodo all’universo, ma che , vedendo la terra deserta ed inabitata, avesse im
ini e gli animali. Questa tradizione della favola Caldea, altro non è che una sfigurate ripetizione della creazione del mon
itudine dell’idea informatrice, variante solo nei differenti episodii che l’accompagnano. 758. Belatucadua o Belertucadi. —
adorata sotto questo nome, siccome ne fanno fede le varie iscrizioni che sono state dissotterrate nelle circostanze di que
essere pronipote dello stesso Belo. 763. Belifama o Belizama. — Nome che significa regina del cielo e che i Galli davano i
lo. 763. Belifama o Belizama. — Nome che significa regina del cielo e che i Galli davano indistintamente a Giunone, a Miner
mente Pireno. Fu fratello di Bellerofonte. 767. Bellino. — Soprannome che gli antichi Galli dell’Alvernia davano al dio Bel
 — Sorella di Marte e dea della guerra. Al dire di Virgilio, era essa che allestiva il carro e i cavalli di Marte, quando q
questa dea, pungendosi il corpo con le spade, e offerendole il sangue che grondava dalle loro ferite. Il popolo aveva i Bel
contro di lui, montò il cavallo Pegaseo, ed uccise la Chimera, mostro che Lobate gli avea ordinato combattere nell’intenzio
ia, e re degli Assiri. Si rendevano gli onori divini alla sua statua, che venne poi adorata anche dai Caldei sotto il nome
ata anche dai Caldei sotto il nome di Baal. Vi fu anche un altro Belo che fu padre di Danao re d’Egitto. Belo fu similmente
’Egitto. Belo fu similmente il nome di un re di Tiro e della Fenicia, che fu padre di Pigmalione e d’Elissa, soprannominata
più grande divinità dei Bibilonesi, i quali le innalzarono un tempio che fu il più ricco, sontuoso e magnifico di tutti i
ifico di tutti i tempi del Paganesimo. La tradizione favolosa ricorda che la famosa Torre di Babele non avendo potuto servi
famosa Torre di Babele non avendo potuto servire al disegno di coloro che l’intrapresero, fu convertita nel tempio di Belo.
a esente da questi insetti. Non pochi scrittori dell’antichità dicono che una tale denominazione fosse data a questo dio pe
coperta di mosche. 773. Bendide. — Divinità dei Tracii. Era la stessa che la Diana dei Greci e dei Romani. 774. Bendidie. —
vinità particolare a diversi popoli dell’Italia. Si suppone da taluni che fosse qualche eroe dell’antica Roma. 777. Bergios
lche eroe dell’antica Roma. 777. Bergioso. — Uno dei figli di Nettuno che fu ucciso da Ercole. 778. Berecinta o Berecintia.
Nettuno che fu ucciso da Ercole. 778. Berecinta o Berecintia. — Nome che fu dato a Cibele, perchè sopra d’una montagna del
 Nome che fu dato a Cibele, perchè sopra d’una montagna della Frigia, che portava l’istesso nome, aveva un tempio a lei con
Moglie di Tolomeo Evergete, la quale aveva una magnifica capellatura, che ella recise ed offrì agli dei, per la prosperità
o fu profondamente commosso da questa prova di attaccamento, per modo che , qualche giorno dopo, non vedendo nel tempio al p
ecise chiome della consorte, montò in gran furore contro i sacerdoti, che non le avevano più solertemente custodite : ma un
er insinuarsi nelle buone grazie di Tolomeo e di Berenice, sostenendo che i capelli di lei fossero stati trasportati in cie
quel tempo si dette il nome di chioma di Berenice alle sette stelle, che formano la costellazione nota anche oggidì sotto
ità Egiziana, particolarmente venerata in una città dell’alto Egitto, che portava lo stesso nome. 784. Betannoni. — Soprann
lo stesso nome. 784. Betannoni. — Soprannome dei Coribanti, sacerdoti che presero cura dell’infanzia di Giove. 785. Bettill
nzia di Giove. 785. Bettille. — Così venivano nominate alcune pietre, che si credevano animate e dotate della facoltà di da
. Erano rotonde e di media grandezza. In Grecia era generale credenza che la pietra detta Abadir, divorata da Saturno, foss
moso altare di Betel di cui facemmo menzione nello studio preliminare che precede questo ristretto. 786. Beza. — Nella citt
ll’estrema punta della Tebaide, vi era un oracolo di questa divinità, che rispondeva per mezzo di alcuni biglietti suggella
deva per mezzo di alcuni biglietti suggellati. La tradizione racconta che furono spediti all’imperatore Costanzo, alcuni di
tanzo, alcuni di questi biglietti, trovati nel tempio del dio Beza, e che l’imperatore, dopo averne fatto fare un minuto ed
quello del padre suo. Vi fu anche un principe Troiano, così chiamato, che fu ucciso da Agamennone. 788. Bibesia ed Edesia. 
ltra alla gozzoviglia. La loro denominazione deriva dal latino bibere che significa bere, ed edere, mangiare. 789. Bibli. —
suo fratello, nè avendo potuto piegarlo alle sue voglie, pianse tanto che fu cangiata in fontana. V. Cauno. Qual dalla sc
incisa esce la pece. Qual dalla terra gravida il bitume, Qual l’onda che già neve il verno fece, L’Austro col caldo sol fo
nemente quello di Biblia. 791. Bibratte. — Antica città degli Edueni, che oggi di si crede essere la stessa conosciuta sott
sere la stessa conosciuta sotto il nome di Autim. È generale credenza che un tal nome fosse dato a quella città, per essers
a quella città, per essersi ritrovato nel suo ricinto una iscrizione che diceva, Deœ Bibracli, cioè : alla Dea Bibratte. 7
cioè : alla Dea Bibratte. 792. Bicornide, Bicornigero e Bucorno. Cioè che ha due corna : soprannome che si dà a Bacco per l
Bicornide, Bicornigero e Bucorno. Cioè che ha due corna : soprannome che si dà a Bacco per la sua sfrontatezza. La luna ve
l luogo divenuto sacro, veniva recinto di una palizzata, per impedire che vi si caminasse. 796. Bieunio. — Uno dei sacerdot
i si caminasse. 796. Bieunio. — Uno dei sacerdoti Coribanti o Cureti, che presero cura di Giove. Da questo Bieunio si dà ta
alvolta questo soprannome a Giove stesso. 797. Biforme. — Vale a dire che la due forme o nature. Soprannome che veniva dato
so. 797. Biforme. — Vale a dire che la due forme o nature. Soprannome che veniva dato a Bacco, perchè il vino rende gli uom
ia. — Il settimo segno dello Zodiaco, contrassegnato da una bilancia, che la tradizione favolosa dice esser quella di Astre
nciare del secolo di ferro abbandonò la terra. 799. Bimatere. — Ossia che ha due madri : soprannome di Bacco a cui Giove fe
eniva soprannominato Licurgo re della Tracia. Alcuni scrittori dicono che tal nome gli venisse dalla scure di cui egli si s
ttile consacrato a Diana. Agamennone stando alla caccia ne uccise una che apparteneva particolarmente a quella dea, la qual
uccisero una biscia di Diana, e ciò fu causa della disastrosa guerra che essi dovettero sostenere contro i Rutuli. 803. Bi
cui è menzione nell’articolo precedente. Orazio dice essere le stesse che le baccanti. 805. Bistonio. — Diomede, tiranno e
inotato con questo soprannome. 806. Bisultore. — Soprannome di Marte, che significa due volle vendicatore. 807. Bitia. — Tr
. Entrambi si resero celebri per la pietà verso la loro madre e tanto che meritarono dopo la morte gli onori eroici. Erodot
tanto che meritarono dopo la morte gli onori eroici. Erodoto racconta che dovendo la madre loro recarsi al tempio di Giunon
la Dea a voler concedere ai suoi figli tutta quella maggiore felicità che un uomo possa conseguire sulla terra. Terminata l
i Argos, ove accadde l’evento eressero a Bittone e Cleobe due statue, che posero nel tempio di Delfo. 809. Bizeno. — Figlio
gli si rese celebre per la estrema franchezza con la quale diceva ciò che pensava. 810. Boedromie. — Feste che gli Ateniesi
anchezza con la quale diceva ciò che pensava. 810. Boedromie. — Feste che gli Ateniesi celebravano in commemorazione d’una
lo. 812. Bolatheno. — Soprannome dato a Saturno. 813. Bolina. — Ninfa che per sottrarsi alle persecuzioni di Apollo si prec
a salvò e la rese immortale. 814. Bolomancia. — Specie di divinazione che si eseguiva con delle frecce. Ezechiello ne fa me
ne vicina a quella dell’orsa maggiore presso il polo artico. Si crede che sia lo stesso che Icaro. Altri scrittori vogliono
dell’orsa maggiore presso il polo artico. Si crede che sia lo stesso che Icaro. Altri scrittori vogliono che sia Arcaso, c
rtico. Si crede che sia lo stesso che Icaro. Altri scrittori vogliono che sia Arcaso, cangiato in orso e posto fra le coste
ssere figlio di Astrea e di Eribeo. La tradizione mitologica racconta che appena divenuto adulto rapì Oritia, figlia di Ori
ante atterra e strugge ; E vede in Grecia appresso il regio nido Lei, che dal suo furor con molte fugge : La toglie in grem
si procurò a Dardano 12 poledri, i quali correvano con tanta velocità che sorpassavano un campo di spighe senza curvarle, e
rande venerazione le foreste : non v’era tempio di qualche importanza che non avesse un bosco consacrato alla divinità che
i qualche importanza che non avesse un bosco consacrato alla divinità che vi si adorava. Presso i primitivi popoli dell’ant
oltezza delle piante rendeva le tenebre troppo fitte. Eliano racconta che il dio Esculapio avesse severamente proibito che
tte. Eliano racconta che il dio Esculapio avesse severamente proibito che nel bosco sacro, a lui consacrato presso Epidauro
gli uomini, per quanto sia in potere della scienza. Era quindi logico che il dio della medicina proibisse che in un luogo a
della scienza. Era quindi logico che il dio della medicina proibisse che in un luogo a lui consacrato morisse alcuno ; ma
un luogo a lui consacrato morisse alcuno ; ma non è egualmente logico che lo stesso Iddio proibisse per sempre la nascita d
i cacciatori andavano a ricoverarsi senz’aver nulla a tenere dai cani che li perseguistavano, poichè lo stesso Apollo, non
nquillamente l’erbe del bosco. 820. Branchide. — Soprannome di Apollo che a lui veniva da un tempio che egli fece innalzare
820. Branchide. — Soprannome di Apollo che a lui veniva da un tempio che egli fece innalzare in onore di un giovanetto per
io che egli fece innalzare in onore di un giovanetto per nome Branco, che quel nume ebbe estremamente caro durante la vita 
e furono resi gli onori divini. 822. Brauronia. — Soprannome di Diana che le veniva da un tempio ch’ella aveva nella città
e. Gigante, figlio del cielo e della terra ; prese parte nella guerra che i giganti mossero a Giove. La favola dice che ave
rese parte nella guerra che i giganti mossero a Giove. La favola dice che aveva cento braccia e cinquanta teste : da ciò il
rad. di V. Monti. La verità nascota sotto questo simbolo favoloso, è che Briareo era un principe Titano, formidabile guerr
avoloso, è che Briareo era un principe Titano, formidabile guerriero, che comandava un numeroso corpo di truppe. 824. Brimo
ppe. 824. Brimo. — Divinità infernale, comunemente ritenuta la stessa che Ecate. 825. Brise. — Sacerdote di Giove e padre d
co suo. 827. Briseo. — Soprannome di Bacco a lui dato dall’invenzione che gli si attribuisce di schiacciar l’uva per estrar
delle immortali. 830. Britormati. — V. Britomarte. 831. Brizo. — Dea che presiedeva a sogni. 832. Bromio. — Altro sopranno
ro VIII trad. di A. Caro 835. Bronteo. — Dalla parola greca Βριντη, che significa tuono. Veniva dato codesto soprannome a
ni. 836. Broteo. — Figlio di Vulcano e di Minerva. La Favola racconta che , non potendo sopportare gl’insulti e le derisioni
e in lingua Egiziana la parola Bubaste significa Gatto, così fu detto che Diana si fosse cangiata in quell’animale. Nella c
ione la Dea Bubaste ed ogni anno si celebrava in suo onore una festa, che era una delle principali dell’Egitto, e che richi
a in suo onore una festa, che era una delle principali dell’Egitto, e che richiamava un numero immenso di forestieri. 839.
e che richiamava un numero immenso di forestieri. 839. Bubona. — Dea che s’invocava per la conservazione degli armenti. 84
ti. 840. Bucentauro. — Si dava questo nome ad una specie di Centauro, che invece di avere la parte inferiore di cavallo, l’
a Dea alla quale si dava codesto soprannome, poichè alcuni pretendono che fosse Cerere, altri Proserpina, ed altri Cibele.
lla castità coniugale. Lattanzio, nelle sue cronache, racconta invece che la moglie di Fauno, avendo contro l’uso dei tempi
bevuto del vino, fosse dal marito fatta morire a colpi di verga ; ma che poi, rinvenuto da quella specie di ebbrezza di fu
numero di torce. I Cartaginesi avevano anch’essi una loro Buona-Dea, che comunemente si crede essere Giunone. 845. Buonie.
sta ragione veniva sovente confuso con Bacco. In Grecia, sulla strada che da Tebe menava al monte Menalo, vi era un tempio
a. Il poeta per vendicarsi la punse così spietatamente in una satira, che il pittore, deriso da tutti, si appiccò per dispe
a tutti, si appiccò per disperazione. 850. Bupalo. — Celebre scultore che visse all’epoca della sessantesima olimpiade. Egl
e ne fa menzione come d’un artista di merito eminente, e narra di lui che avendo gli abitanti di Scio ordinata una Diana, e
na Diana, egli l’avesse fatta collocare in un luogo elevato, per modo che chi entrava vedeva il volto della Dea tristo e se
dell’Egitto. Aveva per costume d’immolare a Giove tutti gli stranieri che approdavano nei suoi stati. Fu ucciso con suo fig
È generale credenza, avvalorata dall’opinione dei migliori scrittori, che Busiride sia lo stesso che Osiride ; e che il san
rata dall’opinione dei migliori scrittori, che Busiride sia lo stesso che Osiride ; e che il sanguinoso culto con cui quest
ne dei migliori scrittori, che Busiride sia lo stesso che Osiride ; e che il sanguinoso culto con cui quest’ultimo veniva a
ella era stata nutrice, ispirò al rapitore un tale accesso di rabbia, che questi si precipitò in un pozzo. Altri scrittori
i rabbia, che questi si precipitò in un pozzo. Altri scrittori dicono che Buteo sposasse una donna, la quale, per la sua in
, per punirlo, lo uccise a colpi di frecce. 858. Caballina. — Fontana che aveva la sua sorgente ai piedi del monte Elicona.
ai piedi del monte Elicona. Era consacrata alle muse ed era la stessa che quella d’Ippocrene, perchè la parola Caballina si
Caballina si può anche spiegare così : Fontana del cavallo Pegaso , che al dire degli scrittori più rinomati della Favola
ia di Proteo : fu una delle mogli di Vulcano. 862. Cabiri. — Divinità che venivano adorate con un culto tetro e misterioso,
ome : Osiride, Iside, Ascalafi, ecc. Alcuni scrittori non riconoscono che tre Deità : Plutone, Proserpina e Cerere, alle qu
valida e più generalmente ritenuta dagli scrittori dell’antichità è, che significando la parola Cabiri in lingua Fenicia p
orella di Caco. Si pretende ch’ella avesse palesato il furto dei buoi che suo fratello aveva fatto ad Ercole, e che perciò
palesato il furto dei buoi che suo fratello aveva fatto ad Ercole, e che perciò avesse meritato gli onori divini. 868. Cac
ebbe vicino : Onde cessar le sue opere biece Sotto la mazza d’Ercole, che forse Gliene die cento, e non senti le diece. Da
ella peste od altra pubblica calamità. 871. Camdea o Cadmia. — Pietra che veniva fusa col rame rosso, per farne una specie
olo, per interrogarlo sulla sorte dei suoi figli, ne ebbe in risposta che erano loro riserbate le più grandi sventure. Allo
i Dell’Anguillara. 876. Caduceo. — Così veniva chiamata la bacchetta che Apollo fece presente Mercurio quando questi gli e
la sua lira. Un giorno Mercurio trovò sul monte Citerone due serpenti che combattevano fra loro, e gettò fra di essi la sua
r separarli. Le due serpi si attorcigliarono intorno a quella in modo che la parte superiore del loro corpo veniva a formar
lla quale mise due ali in segno di rapidità. 877. Caducifero. — Ossia che porta il Caduceo : soprannome di Mercurio. (vedi
a penisola Italiana, dove essa morì, come pure al porto ed alla città che venne poi costruita in quel luogo, oggi detta Gae
onore di Diana. 885. Calcante. — Famoso indovino, figlio di Testore, che seguì l’armata dei Greci all’assesedio di Troja,
Calcante aizossi, De’veggenti il più saggio, a cui le cose Eran conte che fur, sono e saranno, E per quella che dono era d’
aggio, a cui le cose Eran conte che fur, sono e saranno, E per quella che dono era d’Apollo, Profetica virtù, de’Greci a Tr
….. Omero — Iliade libro I trad. di V. Monti. e predisse in Aulide, che quello sarebbe durato dieci anni ; e che i venti
onti. e predisse in Aulide, che quello sarebbe durato dieci anni ; e che i venti non sarebbero stati favorevoli alle navi
itrasse a Colofone, ove morì di dolore, non avendo potuto predire ciò che Mopso, altro indovino, aveva predetto. Così Calca
, altro indovino, aveva predetto. Così Calcante compì il suo destino, che era quello di morire quando avesse ritrovato un i
onirsi dei tesori di Frisso, lo fece assassinare ; onde ella, temendo che l’istessa sorte fosse toccata ai suoi figli, li f
poscia fuggì con Calciope, da cui ebbe un figliuolo per nome Tessalo, che poi dette il suo nome alla Tessaglia. 893. Calend
il suo nome alla Tessaglia. 893. Calendaria. — Soprannome di Giunone, che le veniva dai giorni delle Calende, a lei consacr
ro. 897. Calidone. — Città e foresta dell’Etiolia. Fu in quest’ultima che Meleagro uccise il famoso cignale, conosciuto sot
l’istesso nome. 898. Calidonio. — Soprannome di Bacco preso dal culto che gli si rendeva nella città di Calidone. È opinion
opinione erronea, quantunque ripetuta da varii scrittori, il credere che sotto la denominazione di Eroe Calidonio volesser
pso per sua moglie Penelope ; e non curando la promessa d’immortalità che la Ninfa gli aveva fatto se avesse voluto continu
o il nome di Boote. V. Boote. 902. Callianasse o Callianira.  — Ninfa che presiedeva alla buona condotta, ed alla decenza d
eguito secondo altri. La più antica e la più generalizzata opinione è che Calligenie fosse uno dei soprannomi di Cerere ste
i quali però le fecero grazia, ordinando da quel tempo con una legge che i maestri degli esercizii dovessero essere nudi,
egli esercizii dovessero essere nudi, come gli atleti, tutte le volte che si fossero celebrati i giuochi olimpici. 908. Cal
i i giuochi olimpici. 908. Callipica. — Uno dei soprannomi di Venere, che le veniva dalla bellezza fisica di una parte del
rot. — Secondo Esiodo, fu figliuola dell’Oceano e moglie di Crisaore, che la rese madre di due mostri, uno dei quali fu Ger
a più bella donna. Questo vocabolo Callistee deriva dal greco Κάλλος, che vuol dire bellezza. 911. Calpe. — Una delle due m
re se avessero potuto tentarne il disseccamento ; e l’oracolo rispose che avrebbero dovuto guardarsi non che dal compiere u
isseccamento ; e l’oracolo rispose che avrebbero dovuto guardarsi non che dal compiere una simile impresa, pur dal pensarla
ricorda come la Dea del canto. 917. Camene. — Soprannome delle Muse, che trae la sua origine dalla parola cano, io canto.
trae la sua origine dalla parola cano, io canto. I pagani ritenevano che le Muse celebrassero col canto le azioni degli De
otto. Si chiamavano con nome collettivo Camilli tutti quel giovanetti che servivano alle cerimonie dei sacrifizii ; come ve
4. Camos. — Secondo il Vossio, il Dio Camos dei Moabiti era lo stesso che il Como dei Romani e dei Greci. Il re Salomone, p
ignato quel luogo degli inferni, ove si credeva fossero puniti coloro che la forza di una passione d’amore, avesse tratti a
ni. È opinione assai generalizzata presso gli scrittori della Favola, che il vero sesso di Campea fosse rimasto un mistero.
mpea fosse rimasto un mistero. Molti la dicono donna ; altri vogliono che fosse un uomo dalle forme gigantesche ; altri fin
vogliono che fosse un uomo dalle forme gigantesche ; altri finalmente che fosse un mostro di natura ermafrodito. 927. Campi
mulo. — Veniva così chiamata una delle Divinità dei Savizii. Si crede che fosse lo stesso che il Dio Marte della Mitologia
chiamata una delle Divinità dei Savizii. Si crede che fosse lo stesso che il Dio Marte della Mitologia Greca e Romana, e ci
u figliuola di Eolo, la quale essendo stata sedotta da un Dio marino, che la Favola non determina se fosse Nettuno o altro,
ino, il quale coi suoi vagiti palesò appena nato, il mistero di colpa che avvolgeva la sua nascita. Il padre di Canacea, fu
pollo. 932. Canate. — Monte della Spagna, ove generalmente si credeva che i genii malefici facessero loro abituale soggiorn
passionatamente sua moglie, e fu così superbo della bellezza di lei, che volle un giorno che ella si facesse veder nuda ad
moglie, e fu così superbo della bellezza di lei, che volle un giorno che ella si facesse veder nuda ad un suo favorito, pe
uo favorito, per nome Gige. La regina fu così profondamente sdegnata, che comandò a Gige di uccidere Candaulo e poi sposò G
alienti della indole di quel quadrupede. Plinio nelle sue opere, dice che i pagani avevano in gran conto la carne dei cani
-Dei. In Egitto i cani furono tenuti in grande considerazione, fino a che il re Cambise, avendo ucciso il bue Api, fu notat
azione, fino a che il re Cambise, avendo ucciso il bue Api, fu notato che fra tutti gli animali che si avvicinarono al cada
ambise, avendo ucciso il bue Api, fu notato che fra tutti gli animali che si avvicinarono al cadavere di quello, solo i can
o dell’ucciso animale. Taluno, tra gli scrittori della Favola, ripete che nel tempio di Esculapio, in Roma, si conservava i
mpio di Esculapio, in Roma, si conservava il simulacro di un cane ; e che i Romani sagrificassero ogni anno uno di questi a
gni anno uno di questi animali, volendo con ciò ricordare la sorpresa che i Galli fecero loro quand o assediarono il Campid
lla sua benevolenza o della sua coliera. E l’istesso autore ci ripete che , sul monte Etna in Sicilia, in un tempio consagra
cano, si crescevano dei cani, ritenuti come sacri, i quali lasciavano che coloro che si avvicinavano al tempio con la dovut
escevano dei cani, ritenuti come sacri, i quali lasciavano che coloro che si avvicinavano al tempio con la dovuta reverenza
ntrassero liberamente ; mentre latravano e talvolta laceravano coloro che non comparivano con la dovuta nettezza. Finalment
Satono, e re d’Italia. Ella fu così afflitta della morte del marito, che si consumò per modo che svanì nell’aria, non lasc
Ella fu così afflitta della morte del marito, che si consumò per modo che svanì nell’aria, non lasciando di sè che la sola
ito, che si consumò per modo che svanì nell’aria, non lasciando di sè che la sola voce. 939. Canicola. — È opinione di vari
i sè che la sola voce. 939. Canicola. — È opinione di varii scrittori che la costellazione detta Canicola altro non fosse s
ri che la costellazione detta Canicola altro non fosse se non il cane che Giove dette ad Europa come custode ; altri voglio
e non il cane che Giove dette ad Europa come custode ; altri vogliono che sia la cagna di Erigone (V. Erigone). I Romani er
Erigone (V. Erigone). I Romani erano così convinti del funesto potere che la Canicola avesse avuto sui destini umani, che l
ti del funesto potere che la Canicola avesse avuto sui destini umani, che le sacrificavano ogni anno un cane rosso, forse p
e sacrificavano ogni anno un cane rosso, forse per la grande affinità che passa tra la vittima offerta e il nome della Divi
i del fuoco, disprezzavano gli Dei di tutte le altre nazioni, dicendo che quelli essendo di oro, di argento to, di ferro, d
essi videro ben presto uscire da quella una grande quantità di acqua, che spense interamente le fiamme. Il Dio Canope dichi
ta sotto il nome di Canope, così detta da Canobo, pilota del vascello che conducea Menelao. Questo principe essendo stato g
41. Canopio Ercole. — Era l’Ercole Egiziano, così detto per un tempio che egli aveva nella Città di Canope, di cui nell’art
o un giorno a caccia fu ucciso inavvertentemente ; il fratello Eleno, che lo aveva assai caro, dette, in memoria dell’uccis
te, furono generati dal caos, volendo spiegare sotto questa allegorìa che questa materia prima era ravviluppata nelle più f
re. 946. Capaneo. — Figlio di Ipponoo e di Astinome. Fu uno di coloro che portarono soccorso a Polinice nel famoso assedio
ove egli comandava gli Argivi. Giove irritato dalle atroci bestemmie che egli scagliava contro il cielo, lo incenerì con u
à ai novelli imperatori ; vi si facevano i voti pubblici ; ed era ivi che i vincitori delle battaglie, a cui il Senato avea
arte di trarre gli augurii e d’indovinare il futuro nei globi di fumo che s’innalzavano dagli altari su cui si facea un sac
severità ucciderne alcuno, essendo radicale credenza di quei popoli, che il Dio Pane si fosse nascoto sotto la figura di u
nascoto sotto la figura di una capra. Erodoto, nelle sue opere, narra che la devozione degli Egiziani per le capre, stendev
giziani per le capre, stendevasi anche ai caprai loro custodi ; tanto che , essendone morto uno, gli abitanti di Mendes dimo
abitanti di Mendes dimostrarono il più vivo dolore. È ancora a notare che nella città di Mendes, le vittime più ordinarie d
le pecore il maggiore rispetto. 951. Capretto. — Era questo l’animale che si sagrificava in generale a tutti gli Dei campes
glio, a lei consacrate. 953. Caprotinee. — Feste in onore di Giunone, che venivano celebrate il 9 di luglio. Le sole donne
o di queste feste, la cui principale cerimonia consisteva nella corsa che esse facevano, percuotendosi con delle bacchette.
se fra i segni dello Zodiaco. È opinione di molti rinomati scrittori, che questo segno di una delle costellazioni della fas
tà nota anche oggidi sotto il nome di Capua. …… Ma un altro Trojano, che aveva nome Capi. il quale poi fondò la città di C
o e soprattutto al cuore. Questa parola Carda deriva dal greco Καρδία che vuol dir cuore. Le storie romane ci ripetono che
iva dal greco Καρδία che vuol dir cuore. Le storie romane ci ripetono che Bruto, dopo aver scacciato Tarquinio il Superbo,
dell’Asia minore, fra la Licia e la Jonia, celebre per le metamorfosi che vi operarono diverse Divinità. Cario, figlio di G
se Divinità. Cario, figlio di Giove, ne fu il fondatore, onde il nome che porta. 960. Cariatide. — Soprannome di Diana, a l
riatide. — Soprannome di Diana, a lei venuto dalla festa detta Caria, che le donne della Laconia celebravano in onore di le
ovra Cariddi, Che si frange con quella in cui s’intoppa, Cosi convien che qui la gente riddi. Dante. — Inf. cant VII. T
d. di A. Maffei. Questi due scogli sono così vicini l’uno a l’altro, che le navi devono vogare direttamente nel mezzo, alt
con questo connubio allegorico, la grazia e la bellezza delle opere, che quel Dio faceva col ferro e col fuoco. 964. Carie
re, che quel Dio faceva col ferro e col fuoco. 964. Carienne. — Feste che si celebravano a Cario, città della Laconia, in o
tide. V. Cariatide. 965. Carille. — Così aveva nome quella giovanetta che si appiccò, non potendo sopravvivere all’oltraggi
lla giovanetta che si appiccò, non potendo sopravvivere all’oltraggio che le fece il re di Delfo, violandola. Gli abitanti
amiglie, divise per dissapori domestici. Ovidio, nei suoi Fasti, dice che veniva dato un gran pranzo, al quale non era amme
ristie. 971. Carmelo. — Divinità della Siria e propria di quei popoli che abitavano nelle circostanze del monte Carmelo. Al
del monte Carmelo. Al dire di Tacito, fu un sacerdote del Dio Carmelo che predisse a Vespasiano la clamide imperiale. 972.
nta. — Conosciuta anche sotto il nome di Nicostrata, celebre indovina che fu madre di Evandro. Ella fu onorata come una Div
enta. 975. Carna. — Figliuola di Ebulo. Fu una delle amanti di Giove, che la rese madre di Britomarte. Carna era anche la D
nti di Giove, che la rese madre di Britomarte. Carna era anche la Dea che presiedeva alle parti vitali del corpo e che s’in
. Carna era anche la Dea che presiedeva alle parti vitali del corpo e che s’invocava principalmente per ottenere la sanità
la Notte. Egli era, al dire di Virgilio, il navicellajo dell’Inferno, che traghettava le ombre dei morti sulle rive del fiu
ava le ombre dei morti sulle rive del fiume Acheronte, per una moneta che esse erano obbligate a dargli al momento di prend
osto nella sua barca. Questa credenza degli antichi spiega il costume che essi avevano di mettere fra i denti di un morto u
ronte, il quale lasciava errare per cento anni le anime di quei morti che non avevano la moneta da pagargli. Caron, dimoni
augel per suo richiamo. Cosi sen vanno su per l’onda bruna, Ed avanti che sien di là discese, Anche di qua nuova schiera s’
nte. — Inf. Cant. III. 981. Caropx. — Soprannome dell’Ercole Beozio, che a lui veniva da un tempio che aveva in Beozia, e
aropx. — Soprannome dell’Ercole Beozio, che a lui veniva da un tempio che aveva in Beozia, e propriamente nel luogo ove si
. — La Favola fa una notevole distinzione a questo proposito, dicendo che Giunone aveva due carri, uno tirato da due cavall
crificavano i propri figliuoli. Giustino rapporta nelle sue cronache, che trovandosi i Cartaginesi decimati da una grande p
l’altro sesso, e spargendo di sangue le are di quel Dio. Diodoro dice che la vittoria che Agatocle riportò sopra i Cartagin
spargendo di sangue le are di quel Dio. Diodoro dice che la vittoria che Agatocle riportò sopra i Cartaginesi, dei quali f
e più nobili famiglie duecento giovanetti destinati al sacrifizio ; e che ve ne furono più di trecento, che si offrirono vo
vanetti destinati al sacrifizio ; e che ve ne furono più di trecento, che si offrirono volontariamente come vittime espiato
si offrirono volontariamente come vittime espiatorie. Si narra ancora che , a soffocare le grida del fanciullo sacrificato,
ra ancora che, a soffocare le grida del fanciullo sacrificato, coloro che servivano al sacrificio, facessero grande strepit
ano al sacrificio, facessero grande strepito di tamburi di flauti ; e che le madri stesse delle vittime, dovessero interven
 V. Camillo. 986. Casio. — Soprannome di Giove ; a lui dato dal culto che gli si rendeva su due montagne di questo nome, un
on volle più tenere la sua parola, e Apollo, per vendicarsi, le giurò che non si sarebbe mai da alcuno prestato fede alle s
annunciatrice D’oracoli fra questi orbi di lumi ? E svelar un destin che non mi lice Dalla patria sviar ? Che irrevocato C
ja, essa toccò come preda di bottino ad Agamennone, al quale predisse che sua moglie Clitennestra lo avrebbe assassinato ;
cisa da Egisto, nel giungere nella Lacedemonia. Ivi Cassandra, allor che il Nume in petto La fea parlar di Troia il di mor
figlia, più bella di Giunone e delle Nereidi. Che non solo osó dir, che in tutto il mondo Di beltà donna a lei non era pa
osó dir, che in tutto il mondo Di beltà donna a lei non era pare, Ma che non era viso più giocondo Fra le ninfe più nobili
sfare le ninfe del suo seguito, mandò sulle terre di Cefeo, un mostro che riempi di spavento e desolazione quelle contrade.
olo per sapere come placare lo sdegno dei numi, e ne ebbe in risposta che il mostro sarebbe sparito, allorchè Andromeda, le
lo scudo con la testa di Medusa, liberò Andromeda, e ottenne da Giove che Cassiope fosse messa fra gli astri. 989. Cassotid
ciute più comunemente con quello di Castalia. 990. Castalia. — Ninfa, che Apollo cangiò in fontana, dando alle sue acque la
o alle sue acque la virtù di ispirare il genio della poesia, a coloro che ne avessero bevuta. Cotesta allegoria favolosa de
. Cotesta allegoria favolosa deriva forse della parola araba Castala, che in quella lingua significa susurro dell’acqua. La
fontana Castalia ad esse consagrata. 992. Castalio. — Re delle terre che circondavano il monte Parnaso. Apollo amò passion
cando la prima di queste parole : figliuoli valorosi di Giove, titolo che essi si meritarono per le loro gloriose azioni ;
gonauti. Al ritorno di quella spedizione, essi inseguirono i Corsari, che recavano considerevoli danni nell’ Arcipelago ; p
ome divinità favorevoli ai nocchieri. La tradizione favolosa racconta che , durante una spaventevole burrasca, furono vedute
te aggirarsi alcune flammelle intorno alla testa dei due Tindaridi, e che un momento dopo l’apparizione di quelle, la tempe
e di quelle, la tempesta cessò del tutto. Da quel momento quei fuochi che sovente si veggono durante le burrasche, furono d
richiamare l’attenzione dei nostri lettori, sulla grande somiglianza che passa tra la pagana credenza dei fuochi di Castor
à a Polluce, questi la divid sse col suo bene amato Castore, per modo che , essendo quest’ultimo sempre sottoposto alla legg
r vendetta d’uno degli oltraggiati sposi. A cagione della immortalità che , come dicemmo, Polluce divise con Castore, i Roma
altro destidero, su cui non montava alcuno ; volendo con ciò spiegare che dei due fratelli uno solo poteva stare nel mondo,
ovimento della costellazione dei gemelli, imperocchè delle due stelle che formano quella costellazione, unasi cela sotto l’
ore e Polluce apparirono varie volte sulla terra ; e in una battaglia che i Crotoniati ebbero contro i Locriani, furono ved
ieri. Pausania però combatte nei suoi scritti quest’opinione, dicendo che le supposte apparizioni erano l’effetto di un tra
uochi olimpici. 995. Catabato o Cataibate. — Soprannome dato a Giove, che gli veniva dai prodigi per mezzo dei quali si cre
to a Giove, che gli veniva dai prodigi per mezzo dei quali si credeva che egli palesasse agli uomini la sua volontà. 996. C
. — Nella città di Opunto, veniva così chiamato il sovrano pontefice, che presiedeva al culto degli dei infernali e terrest
eva al culto degli dei infernali e terrestri. 997. Catadriani. — Nome che si dava in diverse città della Grecia ai sacerdot
Caucaso. — Famosa montagna della Colchide. La cronaca favolosa narra che sopra una delle sue rocce fu incatenato Prometeo,
esso, Arneo, Licida, Medone, Piferone, Eurito, Amico, Folo e Chirone, che fu precettore di Achille. V. Chirone e Centauri.
one e Centauri. 1005. Cauno. — Figlio di Mileto e di Ciane. Accortosi che sua sorella Bibli, ardeva per lui di una flamma i
auto. — Dio della prudenza. 1008. Cavalli di Achille. — Omero ricorda che i cavalli di questo eroe erano figli di Zefiro e
avalli di questo eroe erano figli di Zefiro e dell’ Arpia Podarga ; e che erano immortali. Essi si chiamavano uno Balio e l
l’altro Xanto V. Balio e Xanto. 1009. Cavalli del Sole. — Ovidio dice che il carro del sole era tirato da quattro destrieri
nchi, per nome Eoo, Piroi, Aelone e Flegone. Altri scrittori vogliono che essi avessero nome Eritoo, ovvero il rosso ; Alte
senta il tramonto, quando il sole abbandona la terra, quasi un amante che lasci la sua donna. 1010. Cavalli di Enea. — Al d
mero i cavalli di questo famoso guerriero erano della razza di quelli che Giove stesso regalò a Tros, quando rapì il figliu
alli di Laomedone. — Una muta di questi famosi destrieri fu il premio che il re Laomedone promise ad Ercole per la liberazi
er la liberazione della figliuola Esione. La tradizione favolosa dice che questi cavalli erano così rapidi e leggeri che co
adizione favolosa dice che questi cavalli erano così rapidi e leggeri che correvano sulla superficie delle acque senza affo
vano nome Fobos e Demos ossia il terrore e il timore. Omero però dice che questi erano i nomi dei cocchieri di Marte e non
prestasse maggior credenza. 1015. Cavallo di Troia. — Narra Virgilio, che essendo i Greci stanchi dell’assedio di questa ci
a Virgilio, che essendo i Greci stanchi dell’assedio di questa città, che già durava da dieci anni, docisero finalmente di
isero finalmente di rendersene padroni, per mezzo di uno stratagemma, che molti scrittori attribuiscono ad Uli sse. Seguend
d. di A. Caro. E dentro dalla lor flamma si geme L’aguato del caval che fè la porta Ond’usci de’ Romani il gentil seme.
mani il gentil seme. Dante Inf. C. XXVI. Ciò fatto sparsero la voce che i greci, prima di togliere l’assedio, volevano fa
uesta è la cagione perchè lo fecero fare cosi grande ; e se avvenisse che voi questo cavallo ardeste, o in altro modo guast
decenne assedio della famosa città di Priamo. È opinione di Pausania che questo cavallo altro non fosse che una macchina d
di Priamo. È opinione di Pausania che questo cavallo altro non fosse che una macchina di guerra, specie di ariete, inventa
la grandezza di quello d’una capra. 1020. Cebrione. — Uno dei giganti che mossero guerra agli Dei. Fu ucciso da Venere. Vi
Patroclo l’uccise allo assedio di Troja. 1021. Cecio. — Uno dei venti che spira prima del tempo dell’equinozio. 1022. Cecol
22. Cecolo. — Figlio di Vulcano e di Prenesta. La tradizione racconta che sua madre, essendo seduta dappresso alla fucina d
esso alla fucina di Vulcano, fu colpita da una scintilla di fuoco ; e che dopo nove mesi partorisse un bambino a cui ella p
si trovavano fu all’istante circondato di fiamme. Allora tutti coloro che erano presenti, colpiti di spavento, aderirono al
lpiti di spavento, aderirono alla sua volontà. Altri scrittori dicono che Cecolo, ancora bambino, fu trovato da alcuni past
rovato da alcuni pastori nelle fiamme senza esserne punto offeso, ciò che lo fece ritenere da tutti come figlio di Vulcano.
scrittori è dubbia sulla origine di questo soprannome, volendo alcuni che gli venisse dall’aver fatto delle leggi sull’unio
da cui condusse una colonia nella Grecia ove fondò il regno d’Atene, che dal suo nome fu detta Cecropia. Alcuni la confond
otettrice di Atene, città fondata da Cecrope. 1026. Cecropidi. — Nome che si dava agli Ateniesi : Ovidio chiama particolarm
rò di vendicarsene, e lo lasciò ritornare presso Procride, sua moglie che egli amava passionatamente. Ritornato in patria,
si della fedeltà di sua moglie, le si presentò sotto un travestimento che lo rendeva irriconoscibile ; ed ebbe il dolore di
stimento che lo rendeva irriconoscibile ; ed ebbe il dolore di vedere che essa condiscendeva all’incognito seduttore. Cefal
ella casa del marito, essa lo presentò di un giavellotto e di un cane che Minosse le aveva dato, e amò così teneramente il
i un cane che Minosse le aveva dato, e amò così teneramente il marito che ne divenne furiosamente gelosa. Un giorno ella si
giorno ella si nascose in un cespuglio per spiarlo, e Cefalo credendo che fosse una fiera, la uccise con l’istessa arme ch’
i Lucifero e di Chione. Egli fu così dolente della morte di sua madre che si recò nella città di Claro onde consultare l’or
sua morte ottenne dagli Dei di essere cangiata, con lui, nell’uccello che si chiama Alcione V. Alcione. Altri scrittori dic
nell’uccello che si chiama Alcione V. Alcione. Altri scrittori dicono che Ceix fosse amato da Aurora, e che questa lo avess
V. Alcione. Altri scrittori dicono che Ceix fosse amato da Aurora, e che questa lo avesse sposato. 1035. Celadone. — Uno d
rora, e che questa lo avesse sposato. 1035. Celadone. — Uno di coloro che furono uccisi alle nozze di Perseo con Andromeda.
38. Celeo. — Re di Eleusi il quale accolse assai benignamente Cerere, che per ricompensarlo gl’insegnò l’agricoltura. 1039.
Cartaginesi : aveva nell’ Africa settentrionale un magnifico tempio, che fu poi demolito, da Costantino. Si crede generalm
ico tempio, che fu poi demolito, da Costantino. Si crede generalmente che fosse la stessa che la luna ; altre opinioni vogl
oi demolito, da Costantino. Si crede generalmente che fosse la stessa che la luna ; altre opinioni vogliono che si adorasse
eneralmente che fosse la stessa che la luna ; altre opinioni vogliono che si adorasse sotto quel nome la Dea Venere. 1041.
 — Dama tessala la quale fu cangiata in diamante, per avere sostenuto che Giove era mortale. Al dire di Ovidio, Celma era i
Celma era il nome dell’ajo di Giove, il quale aveva voluto sostenere, che quel Dio anch’esso fosse sottomesso alla morte. P
rene. Essendo stata uccisa involontariamente da Diana con una freccia che questa lanciava ad una fiera, la madre di lei fu
ad una fiera, la madre di lei fu così afflitta e versò tante lagrime, che la Dea mossa a pietà, la cangiò in una fontana ch
rsò tante lagrime, che la Dea mossa a pietà, la cangiò in una fontana che dal suo nome fu detta Pirene. 1045. Cencrea. — V.
sa pel proprio padre. 1047. Ceneriso. — Fiume della Jonia. Si credeva che nelle sue acque fosse stata tuffata dalla nutrice
Perocchè da principio ei fu donzella. …………….. Fu in dubbio allor ciò che di Ceneo avvenne, E quasi ognun di noi giudizio d
ndo andare a caccia. Dante. — Inf. Cant. XII. Quelli fra i Centauri che furono invitati alle nozze di Piritoo e d’Ippodam
ici. 1051. Centimano. — Così viene soprannominato il gigante Briareo, che la favola dipinge con cinquanta braccia e cento m
1052. Ceo. — Così avea nome uno dei Titani, figliuoli della terra, che dettero la scalata alcielo. Ceo era anche il nome
ici di quella montagna, cangiato in uccello. Altri scrittori vogliono che fosse cangiato in quella specie di scarafaggio ch
scrittori vogliono che fosse cangiato in quella specie di scarafaggio che ha le corna. Questa credenza viene dall’ etimolog
e ha le corna. Questa credenza viene dall’ etimologia greca Κεραμπτον che significa con le corna. 1055. Cerasti. — Popoli d
per la loro crudeltà. Venere li cangiò in torisdegnata del sacrifizio che essi le facevano, uccidendo tutti gli stranieri c
ta del sacrifizio che essi le facevano, uccidendo tutti gli stranieri che transitavano il loro paese. 1056. Ceraunio. — Val
transitavano il loro paese. 1056. Ceraunio. — Vale a dire fulminatore che lancia la folgore ; soprannome di Giove. 1057. Ce
da Echidna I pagani credevano ch’egli divorasse le anime dei dannati che tentavano uscire dall’ inferno. Quando Orfeo disc
resistere, e s’adira. E per tre gole abbaia, e cerca scampo. La bava, che gli fa lo sdegno e l’ira, Del suo crudo veneno em
vittime a due grossi alberi di cui aveva ravvicinato le cime per modo che queste, riprendendo il loro posto, per forza natu
Alope la quale Nettuno rese madre, e il padre di lei fu così irritato che la condusse in un bosco insieme al bambino e ve l
’abbandonò per esservi divorata dalle fiere. 1060. Cercopi. — Popoli, che Giove cambiò in scimmie perchè essi si abbandonav
a. — Nome di una delle divinità degli Egiziani : si crede comunemente che fosse la stessa che Cebo. 1062. Cereali. — Feste
le divinità degli Egiziani : si crede comunemente che fosse la stessa che Cebo. 1062. Cereali. — Feste in onore di Cerere.
etusa, le dimandò novelle di sua figlia Proserpina. La ninfa le disse che Plutone l’aveva rapita. Cerere discese immediatam
figlia la quale, per altro, si ricusò a seguirla sulla terra. Vedendo che non poteva persuaderla, Cerere ebbe ricorso a Gio
fo (V. Ascalafo). Giove intanto, commosso dal dolore di Cerere ordinò che Proserpina avesse passato sei mesi dell’anno con
le venivano scrupolosamente offerte, ed erano puniti di morte coloro che per qualunque ragione avessero turbati i solenni
sottoposta al lavoro dell’ agricoltura. È questa la idea più generale che , seguendo la favola, si può dare su questa Dea, p
rse opinioni in proposito di questa famosa Divinità. Ve ne sono molti che la confondono con Cibele ; ossia la Terra, quantu
na grande venerazione. 1065. Cerixo. — Fu uno dei sacerdoti di Cerere che sovraintendeva ai misteri di quella Dea. 1066. C
sciuto come un Dio dopo la morte, e onorato come tale essendosi detto che Venere apparve nel Senato, quando i congiurati pu
sare e ne avesse trasportata l’anima fra gli astri. Racconta Svetonio che durante la celebrazione dei giuochi funebri in on
lio Cesare, fosse apparsa una cometa con la coda, o stella crinita, e che questa apparizione contribuì non poco alla apoteo
e contribuì non poco alla apoteosi di lui, essendosi creduto da tutti che in quell’astro fosse andata a dimorare l’anima de
andata a dimorare l’anima del morto. La tradizione mitologica ripete che in tutto il corso dell’anno che seguì la morte di
orto. La tradizione mitologica ripete che in tutto il corso dell’anno che seguì la morte di Giulio Cesare, il sole comparis
ì la morte di Giulio Cesare, il sole comparisse pallido e sbiadito, e che questo era un segnale dello sdegno di Apollo. 107
llo sdegno di Apollo. 1070. Cesto. — Così veniva chiamata una cintura che Venere portava abitualmente, e nella quale la Fav
intura che Venere portava abitualmente, e nella quale la Favola narra che fossero rinchiuse le grazie, i desiderii e le att
desiderii e le attrattive. Giunone per piacere a Giove, pregò Venere che le prestasse quella cintura. A proposito del famo
dre egli andò a dimorare sulle rive del fiume Tiamio in una contrada, che fu detta Cestrina dal nome di lui. 1072. Ceto. — 
. 1072. Ceto. — Secondo Esiodo così si chiamava la moglie di Forcino, che fu madre di Bellona. 1073. Chaonia. — Contrada de
i suoi abitanti, prima dell’invenzione del pane, e per i suoi colombi che , secondo la tradizione mitologica, predicevano l’
edicevano l’avvenire. 1074. Chariclea e Teagene. — Sono questi i nomi che Eliodoro nelle sue storie dà a due personaggi di
che Eliodoro nelle sue storie dà a due personaggi di sua invenzione, che non vissero mai. Le cronache mitologiche, e le tr
menzione alcuna. 1075. Charise. — V. Caride. 1076. Chelonea. — Ninfa che fu cangiata in testuggine. 1077. Chera. — Vale a
ne. 1078. Cherone. — Figlio di Apollo. Dette il suo nome ad una città che da lui cangiò il suo antico nome di Arnea in quel
atleta del quale i Greci facevano gran conto. 1081. Chimera. — Mostro che aveva la testa di leone, il corpo di capra e la c
mo ebbe Filammone, celebre suonatore di liuto ; dal secondo Autolico, che si rese non meno famoso di suo padre nell’inganna
e nell’ingannare tutti. Chione fu così orgogliosa della sua bellezza, che osò vantarsi d’esser più bella di Diana, del che
della sua bellezza, che osò vantarsi d’esser più bella di Diana, del che sdegnata la Dea, le forò la lingua con una frecci
o, perdutamente innamorata di questa donna bellissima, tutte le volte che si recava da lei si trasformava in cavallo per de
anza di sua moglie Rea ; ed è perciò ch’egli ebbe da Filira un figlio che , secondo la tradizione mitologica, ebbe il corpo
re di Achille. E quel di mezzo ch’al petto si mira È ’l gran Chirone che nudri Achille. Dante — Inferno — Canto XII. Una
to XII. Una ferita ad un piede cagionatagli da una freccia di quelle che Ercole aveva bagnate nel sangue dell’idra di Lern
on lunge un’altra fonte : V’è chi dal nome suo Ciane l’appella, Nïnfa che l’à in custodia a piè del monte, Che preme di Tif
. Essa fu cangiata in roccia per non aver voluto ascoltare un giovane che l’amava passionatamente, e che si uccise in prese
r non aver voluto ascoltare un giovane che l’amava passionatamente, e che si uccise in presenza di lei senza cagionarle la
ntevole rumore fra quelle rocce, spingevano nell’aria certa caligine, che rendeva estremamente pericoloso quel passaggio ;
’allontanarsi da quegli scogli, per effetto della dubbia e fioca luce che ivi regnava, pareva che le rocce si movessero le
scogli, per effetto della dubbia e fioca luce che ivi regnava, pareva che le rocce si movessero le une contro le altre ; co
sero le une contro le altre ; così si credeva generalmente dai pagani che esse fossero movibili e che ingojassero i vascell
; così si credeva generalmente dai pagani che esse fossero movibili e che ingojassero i vascelli al loro passaggio. La trad
gojassero i vascelli al loro passaggio. La tradizione favolosa ripete che gli Argonauti, spaventati da un simile effetto ot
ba la quale giunse felicemente a traversare il terribile stretto ; ma che apparisse dall’altra parte senza coda. Allora gli
e senza coda. Allora gli Argonauti offrirono un sacrifizio a Giunone, che concesse loro un tempo sereno, ed a Nettuno che r
sacrifizio a Giunone, che concesse loro un tempo sereno, ed a Nettuno che rese immobili quelle rocce, e impedì alla nave Ar
ì alla nave Argo ove quelli erano imbarcati di naufragarsi ; per modo che gli Argonauti giunsero felicemente al loro destin
steri di Bacco, questo Dio, per punirlo, lo colpì d’una tale ebbrezza che quasi demente fece violenza a sua figlia. Appena
fu desolata da un’orribile pestilenza. L’oracolo interrogato rispose che il flagello avrebbe fine col sacrifizio dell’ince
spirare il furore. Veniva chiamata la madre degli Dei, non altrimenti che Cibelle con la quale per altro non bisogna punto
Madre degli Dei, Buona Dea ecc : La tradizione favolosa narra di lei che , appena nata venisse esposta in un bosco per esse
nata venisse esposta in un bosco per essere divorata dalle fiere ; ma che queste ne ebbero cura e la nudrirono col loro lat
bbero cura e la nudrirono col loro latte. Si crede assai generalmente che sia la stessa che la terra ; viene raffigurata so
drirono col loro latte. Si crede assai generalmente che sia la stessa che la terra ; viene raffigurata sotto le sembianze d
ncia maniera. 1093. Cibernesie. — Così venivano chiamate alcune feste che Teseo istituì per onorare la memoria del suo pilo
. Cleinnia. — Dea dell’infamia. 1096. Cicladi. — Ninfe del mare Egeo, che furono cangiate in isole, perchè non vollero sacr
ettuno. Oggi sono note sotto l’istesso nome. 1097. Cielopi. — Giganti che fondevano i fulmini a Giove sul monte Etna, ove s
lapio suo figlio, fulminato da Giove, distrusse i ciclopi come coloro che avevan fuso i fulmini. I principali fra i Ciclopi
e a sacco la loro città capitale, chiamata Imarte. La favola racconta che le donne dei Ciconi avessoro ucciso Orfeo, perchè
come il più antico degli Dei. Fu detronizzato da suo figlio Saturno, che regnò in sua vece. 1104. Cigno o Cieno. — Uccello
questi animali. V. Leda. Cigno ebbe anche nome un figliuolo di Marte, che combattè contro Ercole e fu vinto. Marte allora s
ulla tomba dell’amico suo. Egli cantò così soavemente nel suo dolore, che divenuto vecchio, gli Dei mossi a compassione can
olosa, seguitando il suo simbolo anche dopo codesta metamorfosi, dice che egli ricordandosi del fulmine di Giove, che aveva
codesta metamorfosi, dice che egli ricordandosi del fulmine di Giove, che aveva ucciso l’amico suo, non avesse mai spinto i
quale fu da suo padre reso invulnerabile fino dall’infanzia, e tanto che essendosi confederato ai trojani nel famoso assed
ontro Achille rimanendo esente da ogni ferita. Achille allora vedendo che le sue armi erano impotenti contro il suo nemico,
addosso e afferratolo alla gola lo strangolò : ma nel medesimo tempo che l’eroe vincitore si accingeva a spogliare il vint
eno. — Fu una delle Plejadi. 1106. Cilixo. — Uno dei figli di Fenicio che andò a stabilirsi in quella parte dell’ Asia mino
i di Fenicio che andò a stabilirsi in quella parte dell’ Asia minore, che poi dal suo nome fu detta Cilicia. Cilixo fu anch
llene. — Montagna dell’Arcadia. Vogliono alcuni scrittori mitologici, che essa debba il suo nome, ad una figlia di Menofron
nome, ad una figlia di Menofrone, chiamata Cillene : altri pretendono che lo abbia da una principessa di questo nome pronip
rincipessa di questo nome pronipote d’Afanaso re d’Arcadia. Mercurio, che secondo la tradizione favolosa nacque su questa m
ene sovente dedominato Cillenio. 1110. Cilleo. — Soprannome di Apollo che gli veniva dalla città di Cilla, nella Beozia, do
mpio. 1111. Cillo. — Cocchiere di Pelopo, il quale lo ebbe così caro, che dopo la morte di lui, fond ò una città a cui impo
poli dell’Italia, nelle circostanze di Baja. La cronaca favolosa dice che in una delle contrade abitate da questi popoli, s
a delle compagne di Cirene, madre d’Aristeo. 1116. Cimodocea. — Ninfa che predisse ad Enea l’evento della sua flotta. Fu un
infa che predisse ad Enea l’evento della sua flotta. Fu una di coloro che si presentarono a Cibele, quando questa Dea trasf
8. Cimoloe. — Una delle Nereidi. Essa ajutò i Trojani in una burrasca che Giunone aveva sollevata contro di loro. 1119. Cin
ollevata contro di loro. 1119. Cinarada. — Dette anche Cinaredo, nome che si dava al gran sacerdote sagrificatore della Ven
nuove maritate. 1121. Cindiade. — Soprannome di Diana. Narra Polibio, che la statua di Diana Cindiade, se pure posta in luo
Adone. 1126. Cinisca. — Figliuola d’Archisane, la quale fu la prima, che ne’giuochi olimpici avesse ottenuto il premio nel
. Cinocefalo. — Divinità Egiziana. Al dire di Plutarco, era la stessa che Anubi. Vi erano, secondo la mitologia indiana, al
di cane V. Anubi. 1128. Cinofontisa. — Detta anche Cinofontea : nome che si dava ad una festa celebrata ad Argo, durante l
esta celebrata ad Argo, durante la quale venivano uccisi tutti i cani che s’incontravano per la via. 1129. Cinosora. — Ninf
o per la via. 1129. Cinosora. — Ninfa del monte Ida. Fu una di quelle che presero cura dell’infanzia di Giove. Dopo la sua
e un grosso cane bianco sbranò la vittima e fuggì. Didimo non sapendo che pensare dell’accaduto, rimase qualche tempo perpl
ll’accaduto, rimase qualche tempo perplesso, allorchè intese una voce che gl’imponeva d’innalzare un altare nel luogo ove i
e estinta. …. e dal seno il bel trapunto e vago Cinto si sciolse, in che raccolte e chiuse Erano tutte le lusinghe. V’era
ionato. Un giorno per inavvertenza lo ucoise, e ne fu così addolorato che volle darsi la morte, ma Apollo mosso a pietà lo
re, dall’isola di Cipro, a lei consagrata. 1138. Circe. — Famosa maga che alcuni mitologi dicono figlia del Giorno e della
e nell’isola di Ea, o, secondo altri in un promontorio della Campania che poi dal suo nome fu detto Circeo, e dov’essa cang
ò Scilla in mostro marino, avendole un giovane greco per nome Glauco, che essa amava, preferita quella ninfa. Circe accolse
o nella sua patria. ………. la Deessa udiro Dai ben torti capei, Circe, che dentro Canterellava con leggiadra voce, Ed un amp
sa divenne madre di Aristea. Vi fu un’altra Cirene ninfa della Tracia che fu dal Dio Marte resa madre del famoso Diomede. 1
de vicino alla quale esisteva una caverna da cui soffiavano dei venti che ispiravano una specie di divino furore, e facevan
tre danzava nei misteri di Bacco, innanzi al simulacro di questo Dio, che lo cangiò in ellera. 1146. Cissotonie. — Feste gr
148. Citera. — Isola del mediterraneo. La tradizione mitologica narra che fu in quest’isola che Venere nascesse dalla spuma
el mediterraneo. La tradizione mitologica narra che fu in quest’isola che Venere nascesse dalla spuma del mare gli abitanti
del citato scrittore, la virtù di guarire dalle malattie, gl’infermi che vi si bagnavano. 1151. Citereo-Eroe. — Così veniv
aprile perchè era consacrato a Venere. 1152. Citeriadi. — Soprannome che talvolta si dava alle Muse tenute anch’esse in co
to in conto di saggio e prudente uomo. La cronaca mitologica racconta che essendo Giunone, altamente irritata contro di Gio
osì veniva denominato Giove perchè aveva un tempio sopra una montagna che portava l’istesso nome. 1156. Citora. — Città e m
dato alla capitale dei Dolioni, la quale fu detta Cizzica o Cisia, e che poi divenne una delle più fiorenti città della Gr
lle più fiorenti città della Grecia. 1159. Cladea. — Fiume dell’Elide che veniva adorato dai greci come una divinità. 1160.
ivinità. 1160. Cladeo. — Uno degli eroi della Grecia. Pausania ripete che dopo la sua morte gli furono tributati gli onori
rte gli furono tributati gli onori eroici. 1161. Cladeuterie. — Feste che si celebravano all’epoche del taglio delle vigne.
e, così veniva denominata Iride. 1163. Clario. — Soprannome di Apollo che gli veniva dalla città di Claro o Claros, dove eg
stale, la quale accusata di libertinaggio fu salvata dalla dea Vesta, che operò un miracolo per provare la virtù di lei. La
n miracolo per provare la virtù di lei. La tradizione favolosa narra, che Claudia, per mezzo della sua cintura, avesse tira
rive del Tevere, e dove il vascello si era così fortemente incastrato che non riusci a più centinaja di uomini di rimuoverl
riusci a più centinaja di uomini di rimuoverlo. 1166. Clausio. — Dio che veniva invocato nella chiusura delle porte. Deriv
iudere. 1167. Clava. — Questa specie di arma terribile, è l’attributo che concordemente gli scrittori dell’antichità danno
sue imprese, si servì sempre della clava. La cronaca mitologica dice che fosse dapprima appartenuta a Mercurio, il quale l
apprima appartenuta a Mercurio, il quale l’avesse poi data ad Ercole, che la depose in un dato luogo, ove la clava avendo p
signata con l’epiteto di Epidauriana, perchè fu appunto nell’Epidauro che Teseo la rapì a Perifete, dopo averlo ucciso. È q
est’ultimo si dava l’epiteto di porta-chiavi, come custode del tempio che si apriva in tempo di guerra e si chiudeva in tem
 Detta anche Cledonismo, era una famosa magia ; specie di divinazione che si tirava da certe parole, che dette in alcuni da
a famosa magia ; specie di divinazione che si tirava da certe parole, che dette in alcuni dati rincontri, erano ritenute co
o, re di Troja, e di Ecuba. 1174. Cleodora. — Così avea nome la ninfa che fu madre di Parnaso. 1175. Cleodossa. — Una delle
ole di Niobe. 1176. Cleomede. — Famoso atleta. Egli era così robusto, che sdegnato di non aver conseguito il premio nella l
ritrovato. L’oracolo consultato su questo strano avvenimento, rispose che Cleomede era scomparso perchè l’ultimo dei semi-d
1178. Cleopatra. — Una delle Danaidi. Vi fu anche un’altra Cleopatra, che fu figlia di Borea e moglie di Fineo. 1179. Clero
pretendeva conoscere la sorte per mezzo dei dadi. 1180. Cleta. — Nome che i Lacedemoni davano ad una delle tre grazie. 1181
ni davano ad una delle tre grazie. 1181. Clidomanzia. — Indovinamento che si facea per mezzo di alcune chiavi. 1182. Climen
V. Arpalice. 1185. Clio. — Una delle nove muse, e propriamente quella che presiedeva alla storia. I poeti la rappresentano
di regicidio, il suo trono ed il suo talamo. … Ahi ! lassa ! ohimè ! che bramo ? Elettra, Piangi l’error di traviata madre
enere i favori di Leupotea. Clizia concepi una così violenta gelosia, che in un accesso di disperazione volle lasciarsi mor
me di Eliotropo. La cronaca mitologica ricorda due altre Clizie : una che fu moglie di Tantalo, l’altra di Amintore. 1192.
1192. Cloacina. — Dea delle cloache. La tradizione favolosa racconta che Tito Tazio avendo per caso trovata una statua in
io, Cloacina era anche un soprannome di Venere, a cagione d’un tempio che ella aveva presso Roma, in un luogo paludoso. Sec
in un luogo paludoso. Secondo il suddetto scrittore, fu in quel luogo che i Sabini e i Romani s’unirono in un sol popolo, d
eniva a lei sacrificato un capro. Questa parola deriva dal greco Κλδα che significa erba verde, e conviene perciò a Cerere,
perciò a Cerere, come dea dell’agricoltura. 1197. Clone. — Soprannome che gli Egiziani davano ad Ercole. 1198. Clonio. — Un
i Egiziani davano ad Ercole. 1198. Clonio. — Uno dei capitani Beozii, che si recarono all’assedio di Troia. 1199. Cloreo. —
d’esser più bella della seconda. Clori fu anche il nome di una ninfa che sposò Zeffiro, il quale le dette per dote l’imper
che sposò Zeffiro, il quale le dette per dote l’impero sui fiori, ciò che la fece adorare sotto il nome di Flora, come una
credevano ch’egli avesse esistito prima della creazione del mondo, e che dalla sua bocca fosse uscito il primo uovo, che d
reazione del mondo, e che dalla sua bocca fosse uscito il primo uovo, che dette poi vita a tutti gli esseri mortali. Plutar
vo, che dette poi vita a tutti gli esseri mortali. Plutarco riferisce che gli Egiziani della Tebaide, per un lungo elasso d
on questa sola divinità immortale, e non riconobbero alcuna divinità, che fosse sottomessa alla legge inevitabile della mor
tà dell’essere supremo. 1205. Cnufi. — V. Cnef. 1206. Coalemo. — Nome che si dava alla divinità della imprudenza. 1207. Cob
divinità della imprudenza. 1207. Cobali. — Dalla parola greca Κσβαλὅς che significa ingannatori ; venivano così indicati al
significa ingannatori ; venivano così indicati alcuni genii malefici, che facevano parte del seguito di Bacco. 1208. Cocalo
. 1208. Cocalo. — Re della Sicilia. La tradizione mitologica racconta che fu presso di lui che si ricoverò Dedalo, allorchè
della Sicilia. La tradizione mitologica racconta che fu presso di lui che si ricoverò Dedalo, allorchè Minos lo perseguitav
inos lo perseguitava. Cocalo soddisfatto d’aver presso di sè un uomo, che come Dedalo si era reso celebre pel suo ingegno,
edalo si era reso celebre pel suo ingegno, lo difese contro di Minos, che veniva a dimandarglielo a mano armata e fece peri
. Vi sono per altro alcuni scrittori dell’antichità, i quali ripetano che se pure Cocalo avesse sottratto Dedalo alle perse
e di Coccodrillopoli, ossia città dei Coccodrilli. Presso gli Ombiti, che era il popolo più superstizioso dell’Egitto, era
cielo, quando un coccodrillo avesse divorato uno de’loro bambini, del che essi si tenevano felicissimi. Però non era codest
ivano uccisi e riguardati con orrore, dappoichè era diffusa credenza, che Tifone, il quale nella tradizione mitologica egiz
lingua era ritenuto come il simbolo della divinità. Presso gli Egizii che adoravano il coccodrillo, si credeva fermamente c
Presso gli Egizii che adoravano il coccodrillo, si credeva fermamente che i vecchi coccodrilli avessero la virtù d’indovina
esagio, se avessero ricusato di cibarsi. Tazio, nelle sue opere, dice che gli Egiziani ponevano l’immagine del sole nella b
opere, dice che gli Egiziani ponevano l’immagine del sole nella barca che dovea trasportare un coccodrillo, perchè il numer
nno. Gli Egizii, adoratori de’coccodrilli, ritenevano come cosa certa che durante i primi sette giorni della nascita del bu
ttili deponessero affatto la loro innata ferocia, per non riprenderla che all’ottavo giorno. E finalmente la loro superstiz
credenza riguardo a questi animali, guingeva fino al punto da credere che essi avevano un grande rispetto per la dea Iside,
to da credere che essi avevano un grande rispetto per la dea Iside, e che non facessero alcun male a coloro che navigavano
de rispetto per la dea Iside, e che non facessero alcun male a coloro che navigavano il Nilo in una barca fatta dello stess
o in una barca fatta dello stesso legno di cui era fabbrita quella di che si serviva la dea Iside ne’suoi viaggi. 1210. Coe
i viaggi. 1210. Coeinomanzia o Coseinomanzia. — Specie di divinazione che si faceva per mezzo d’un crivello o staccio. 1211
una delle tre furie. V. Alectone. 1212. Cocito. — Fiume dell’inferno che circonda il Tartaro e arricchisce le sue tristi a
Cellina. — Secondo l’opinione di S. Agostino aveva questo nome la dea che presiedeva alle montagne e alle valli. 1218. Coll
— Detto uccello di Citerea, per essere sacro a Venere. Apulejo ripete che questa dea facea tirare il suo carro da due colom
rispetto le colombe e non osavano cibarsi della loro carne, ritenendo che sarebbe stato lo stesso che cibarsi delle loro di
avano cibarsi della loro carne, ritenendo che sarebbe stato lo stesso che cibarsi delle loro divinità. Anche presso gli Ass
razione per le colombe ; ed era generale credenza presso quei popoli, che l’anima della loro famosa regina Semiramide, foss
e sembianze di una colomba. Silvio Italico, rapporta nelle sue opere, che due colombe si fossero fermate sulla città di Teb
sue opere, che due colombe si fossero fermate sulla città di Tebe : e che dopo qualche istante una prendesse il volo verso
era di oro, riposava su di una quercia circondata da numeroso popolo, che vi si recava parte per offrirle dei sacrifizii, p
a sua vita. 1221.Colonne d’Ercole. — La tradizione mitologica ricorda che Ercole, seguendo le sue imprese, si fosse interna
imprese, si fosse internato fino alla città di Gadira, oggi Cadice, e che quivi, credendo d’esser giunto all’estremità dell
. Il più famoso è quello conosciuto sotto il nome di colosso di Rodi, che era una delle sette maraviglie del mondo, e che r
e di colosso di Rodi, che era una delle sette maraviglie del mondo, e che rappresentava Apollo, solo dio dei Rodiani. La pi
rappresentava Apollo, solo dio dei Rodiani. La più comune opinione è che codesta statua fosse alta settanta cubiti. Solo F
à, e posava i piedi su due basi quad rate di così sterminata altezza, che un vascello, a vele gonfie, passava tra le gambe
nitisi dell’isola di Rodi, venderono la statua colossale ad un ebreo, che la fece in pezzi e, pel solo trasporto della gran
l Ponto Eusino, v’era un altro colosso dell’altezza di trenta cubiti, che similmente rappresentava Apollo, e che Lucullo fe
dell’altezza di trenta cubiti, che similmente rappresentava Apollo, e che Lucullo fece trasportare a Roma. Finalmente i cro
rticolo precedente. 1224.Comani. — Ministri subalterni dei sacrificii che si facevano alla dea Bellona, nella città di Coma
i quella dea aveva un tempio famoso. 1225.Comeo. — Dalla parola coma, che significa capigliatura ; veniva dato codesto sopr
lebrava in Grecia una festa ad Apollo Comeo, nella quale tutti coloro che vi prendevano parte vestivano una tunica bianca.
 Figlia di Peterela, re dei Teleboeni : la tradizione racconta di lei che per un trasporto amoroso tradi il proprio padre,
e di una sacerdotessa di Diana. 1228.Como — Dalla parola greca Κὠμος, che significa lusso, libertinaggio ; si dava codesto
di rose, secondo si costumava nei banchetti. 1229.Compitalie. — Feste che si celebravano nelle crocivie, in onore degli dei
no nelle crocivie, in onore degli dei Penati. 1230.Comuso. — Divinità che presiedeva alle gioje notturne ed allo abbigliame
ua morte, gli tributarono gli onori divini. 1234.Consedio. — Divinità che presso i Romani presiedeva al concepimento degli
Giano, chiamandolo Giano Conservio. 1235.Consenti. — Nome collettivo che si dava agli dei ed alle dee di prim’ordine, cono
onservatrice. — Soprannomedi Giunone. La tradizione favolosa racconta che un giorno essendo Diana a caccia nella pianura de
le corna d’oro. Diana si dette a inseguirle, ma non potè impadronirsi che di quattro soltanto, essendo stata la quinta pres
tro soltanto, essendo stata la quinta preservata da morte da Giunone, che la volle salvare : da ciò il titolo di Conservatr
to la stessa denominazione. 1239.Conso. — Dio dei consigli : si crede che sia lo stesso che Nettuno Ippio. 1240.Consuali. —
inazione. 1239.Conso. — Dio dei consigli : si crede che sia lo stesso che Nettuno Ippio. 1240.Consuali. — Feste che si cele
si crede che sia lo stesso che Nettuno Ippio. 1240.Consuali. — Feste che si celebravano particolarmente con gli spettacoli
t’ultimo egualmente ucciso. 1243.Coppa. — Narra la cronaca mitologica che Demofonte, re d’Atene, accolse amorevolmente Ores
questi lasciò Argo, dopo l’uccisione di Egisto e di Clitennestra ; ma che avendo poi saputo essere Oreste reo di parricidio
particolarmente in una coppa di forma e di materia diversa da quelle che comunemente si costumavano in quei tempi. In memo
llo. — Secondo la tradizione favolosa questa pianta nacque dal sangue che grondò dalla testa di Medusa, allorchè Perseo nas
a quel contatto divennero pietrose e sanguigne. 1246.Corcira. — Isola che deve il suo nome ad una ninfa che fu una delle mo
e sanguigne. 1246.Corcira. — Isola che deve il suo nome ad una ninfa che fu una delle mogli di Nettuno. Quest’isola è cele
dal quale i Coribanti han preso il loro nome. 1256. Coricia. — Ninfa che fu una delle mogli di Apollo : dimorava abitualme
Corifea. — Secondo il parere di Eschilo, così avea nome quella furia che da parte delle sue compagne espose l’accusa terri
perderla di vista. Ma Paride, divenuto geloso del proprio figliuolo, che era di non comune belleza, un giorno trovatolo se
un accesso di gelosia, lo uccise. Si ricorda anche di un altro Corito che fu re dell’Etruria e padre di Dardano e di Tasio.
lo delle immagini di Cerere, di Bacco e degli altri semi-dei ed eroi, che procurarono agli uomini l’abbondanza dei beni dei
sul braccio, perchè Acheolo gliene fece un dono per riavere il corno che Ercole gli aveva tagliato. 1267. Coroneo. — Fu fi
roneo. — Fu figlio di Foroneo e re dei Lapidi. Fu uno degli Argonauti che presero parte alla spedizione del vello d’oro. 12
i meravigliosa bellezza. Il nume fu talmente irritato dell’abbandono, che uccise Coronide ed il suo novello amante ; ma non
si penti ben presto della crudele sua vendetta, e per punire il corvo che gli aveva denunziato l’infedeltà di Coronide, lo
o l’infedeltà di Coronide, lo cangiò di bianco in nero. Tempo fu già che amava una fanciulla Febo in Tessaglia, nata Laris
a nulla Di qual si voglia in ciel superba dea. La vede il corvo un di che si trastulla Con altro amante, e che ad Apollo è
erba dea. La vede il corvo un di che si trastulla Con altro amante, e che ad Apollo è rea ; E va per accusar l’ingrata e fe
. Vi fu anche un’altra Coronide, figlia di Coroneo, re della Focide, che Minerva cangiò in cornacchia, per sottrarla alle
1269. Cortina. — Generalmente si è creduto dai cronisti della favola che sotto il nome di Cortina si volesse dai pagani in
eva i suoi oracoli. Taluno fra gli scrittori dell’antichità, pretende che il nome di Cortina, fosse adoperato per indicare
indicare il tripode stesso. L’opinione più fondata però sembra quella che attribuisce il nome di Cortina ad una specie di p
piccolo bacino, ordinariamente d’oro o di argento, così poco concavo, che somigliava ad una piccola tavola, la quale veniva
ponsi. 1270. Corvo. — Uccello consacrato ad Apollo, perchè si credeva che avesse un istinto naturale di predir l’avvenire.
onsiderati come i più infami. Al dire di Giovenale, le turpi libidini che si commettevano dai sacerdoti della dea, giunsero
o dai sacerdoti della dea, giunsero a tal segno di bestiale oscenità, che richiamarono su di essi il furore della dea stess
rono dalla Tracia il culto di questa turpe divinità. La cronaca narra che Alcibiade si fosse fatto iniziare nei misteri di
narra che Alcibiade si fosse fatto iniziare nei misteri di Cotitto, e che avendo il poeta Eupoli, scritta una commedia ove
abuso. — Uno degli dei della mitologia egiziana. 1276. Crane. — Ninfa che fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente
Crane. — Ninfa che fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente che sia la stessa che Carnea. 1277. Cranto. — Uno deg
e fu una delle mogli di Giano. Si crede comunemente che sia la stessa che Carnea. 1277. Cranto. — Uno degli eroi a cui dopo
della famosa Scilla. Omero e altri scrittori dell’antichità, vogliono che sia la stessa che Ecate. 1279. Crateo o Creteo. —
a. Omero e altri scrittori dell’antichità, vogliono che sia la stessa che Ecate. 1279. Crateo o Creteo. — Figlio di Minosse
l’oracolo per conoscere i destini della sua vita, ne ebbe in risposta che sarebbe stato ucciso da suo figlio Altmeno. Quest
uo figlio Altmeno. Questo giovane principe, spaventato dalla sventura che minacciava suo padre, prima di esiliarsi volontar
iarsi volontariamente dalla sua patria, uccise una delle sue sorelle, che Mercurio avea deflorata, e dopo aver maritate le
ll’isola di Rodi, ove stava Altmeno. Gli abitanti di quella, credendo che Crateo fosse un nemico che venisse a sorprenderli
Altmeno. Gli abitanti di quella, credendo che Crateo fosse un nemico che venisse a sorprenderli, presero le armi e ne segu
spogliarlo delle armi, essi si riconobbero. Altmeno ottenne dagli dei che la terra gli si fosse spalancata sotto i piedi e
se allo istante inghiottito. 1280. Crau. — La favola mitologica narra che combattendo Ercole contro il gigante Gerione, gli
ndo Ercole contro il gigante Gerione, gli fossero mancate le frecce e che egli avesse implorato l’ajuto di Giove, il quale
e particolarmente in Egitto. 1282. Crenee. — Dalla parola greca Κυγυγ che significa fontana : veniva dato questo sopranome
atore della crudele inimicizia dei due fratelli Eteocle e Polinice, e che li avesse spinti ad uccidersi scambievolmente. Vi
ad uccidersi scambievolmente. Vi fu un altro Creonte, re di Corinto, che Medea fece miseramente perire.  — V. Medea. 1285.
carsi mandò in dono a Creusa una piccola scatola da cui uscì un fuoco che s’appiccò alla reggia e fece morire la sventurata
ece morire la sventurata principessa e il padre di lei. Euripide dice che il dono inviato da Medea, consisteva in ornamenti
ono non appena Creusa se ne fu adornata, producendo lo stesso effetto che il fuoco nella scattola. È opinione di molti preg
che il fuoco nella scattola. È opinione di molti pregiati scrittor i che la figlia di Creonte si chiamasse Glauca e non Cr
o Lic’sca. A lei presenta Questo mio dono, e nella mente imprimi Ciò che dirle dovrai…….. ……………….. …… poscia a’suoi piedi
Le due precedenti citazioni varranno a comprovare ai nostri lettori che dagli scrittori si dà vicendevolmente alla figlia
i Creusa. La tradizione mitologica ricorda anche di una altra Creusa, che fu figlia di Priamo e moglie di Enea. Ella dispar
m’ammutii. Prese ella a dirmi. E consolarmi : O mio dolce consorte. A che si folle affanno ? A gli dei piace Che cosi segua
riedificare le mura di Troja ; ma poi negò ai due numi la ricompensa che avea loro promessa. Nettuno per vendicarsi mandò
e ogni giorno bisognava dare una giovanetta per pasto. Tutte le volte che il mostro compariva, le giovanette del cantone ti
, e approdò in Sicilia ; ma non avendo potuto ritrovarla pianse tanto che i numi mossi a compassione, lo cangiarono in flum
rprendere molte ninfe, e combattè contro Acheolo per la ninfa Egesta, che poi sposò e da cui ebbe un figlio per nome Aceste
Apollo stesso uccise a colpi di frecce quegli animali divoratori, il che valse a quel Dio il soprannome di Sminitheus, che
mali divoratori, il che valse a quel Dio il soprannome di Sminitheus, che vuol dire distruttori di sorci. 1300. Criobole. —
uol dire distruttori di sorci. 1300. Criobole. — Specie di sacrifizio che si offeriva alla madre degli dei : la vittima abi
nità alla quale si dava questo nome pel gran numero di quegli animali che venivano sagrificati su’suoi altari. 1302. Criofo
03. Crisaore. — Secondo l’opinione di Esiodo, fu cosi chiamato l’uomo che nacque dal sangue della testa recisa di Medusa :
mennone ricusato alle preghiere del vecchio, questi ottenne da Apollo che una terribile pestilenza avesse decimato l’eserci
ostretto a cederla, ritolse ad Achille una schiava per nome Briseide, che era a lui spettata in sorte nella divisione di un
rdotessa di Giunone in Argo. Addormentatasi ai piedi dell’ara, lasciò che il fuoco si appiccasse ai sacri ornamenti, e quin
ri bruciata ella stessa. 1307. Crisippo. — Figlio naturale di Pelopo, che lo amò teneramente. Ippodamia, moglie di Pelopo e
eramente. Ippodamia, moglie di Pelopo e matrigna di Crisippo, temendo che un giorno questo fanciullo non regnasse in pregiu
ito visse ancora tanto tempo da poter palesare la verità, ed impedire che la sua morte fosse imputata ai due suoi fratelli.
mennone e di Clitennestra. 1311. Critomanzia. — Specie di divinazione che si faceva dall’osservazione della pasta delle foc
ivinazione che si faceva dall’osservazione della pasta delle focacce, che venivano offerte nei sagrifizii, e della farina c
ta delle focacce, che venivano offerte nei sagrifizii, e della farina che si spargeva sulle vittime per trarne i presagi. L
me per trarne i presagi. La parola Critomanzia viene dal greco Κριδη, che significa orzo. 1312. Crocale. — Ninfa che fu rig
zia viene dal greco Κριδη, che significa orzo. 1312. Crocale. — Ninfa che fu riglia del fiume Ifmeno. 1313. Croco. — Più co
o di Smilaxa. Essi si amavano cosi teneramente e con tanta innocenza, che gli dei li cangiarono in arboscelli. 1314. Crodo.
— Divinità degli antichi Sassoni : si crede in generale dai cronisti, che fosse la stessa che Saturno. 1315. Cromio. — Figl
ichi Sassoni : si crede in generale dai cronisti, che fosse la stessa che Saturno. 1315. Cromio. — Figliuolo di Priamo : fu
e. — Contrada posta nelle circostanze di Corinto, celebre per i danni che ebbe a soffrire da un mostro che poi dette la vit
anze di Corinto, celebre per i danni che ebbe a soffrire da un mostro che poi dette la vita, secondo la tradizione favolosa
quel mostro e l’uccise. 1317. Cromisio. — Figlio di Neleo di Cloride, che fu ucciso da Ercole. 1318. Cromise. — Figliuolo d
attribuisce l’istesso nome. 1319. Cronie. — Feste in onore di Saturno che i greci veneravano anche come il Tempo. 1320. Cro
. Cronio. — Fu il nome di uno dei centauri. 1321. Crono. — Soprannome che veniva dato a Saturno, ritenuto come dio del temp
re di Famateo. 1324. Cteato. — Padre d’Anfimaco : fu uno dei capitani che assediarono Troja. 1325. Ctonlo. — Uno dei sopran
uccello era particolarmente consacrato a Giove ; e la favola racconta che la metamorfosi di quel dio in cuculo avvenisse ne
race, chiamato da allora in poi monte Cuculo dalla parola greca Χδων, che significa terra e dall’altra Χδονως che è per ter
culo dalla parola greca Χδων, che significa terra e dall’altra Χδονως che è per terra. 1328. Cuma. — Città d’Italia ove av
e Apatuarie. L’etimologia della parola Cureoti viene dal greco Κονρος che vuol dire uomo giovane, perchè appunto in quel gi
ς che vuol dire uomo giovane, perchè appunto in quel giorno i giovani che erano giunti alla pubertà, prima di preder parte
a. D 1337. Dadea. — V. Dadesia. 1338. Dadesia o Dadea. — Festa che si celebrava in Atene in onore della nascita di a
i torcie. 1339. Daducheo. — Detto anche Dauduque : era questo il nome che gli Ateniesi davano al gran sacerdote di Ercole.
o al gran sacerdote di Ercole. Si chiamavano anche Daduci i sacerdote che nella festa Dadesia, portavano le torcie accese.
ungi d’aver perduto. Apollo sdegnato, fece dalla Pitonessa rispondere che non sarebbe trascorso molto tempo ed avrebbe ritr
to animale : infatti poco dipoi Attalo fece morire Dafida in un luogo che si chiamava comunemente il Cavallo. 1341. Dafne. 
ava comunemente il Cavallo. 1341. Dafne. — Figliuola del fiume Peneo, che fu passionatamente amata da Apollo. Un giorno men
rboscello a Dafne ed egli stesso si fece di quelle foglie una corona, che poi porto sempre. Vi fu anche un’altra Dafne, più
à di Delfo rendeva gli oracoli in versi, cosi armoniosamente poetici, che si credeva averne Omero stesso inseriti buon nume
e di Pausania, fu scelta dalla dea Tello per presiedere agli oracoli, che la medesima dea rendea in quel luogo assai prima
sponsi, mangiavano delle foglie di lauro, volendo far credere con cio che essi fossero ispirati da Apollo, a cui quell’arbo
lo ; nel secondo la luna ; e negli altri le stelle ; mentre le corone che circondavano questi globi, contrasegnavano i gior
esse. 1344. Dafneo. — Soprannome di Apollo, a lui date per l’affetto che portò a Dafne. 1345. Dafni. — Giovane pastore del
curio. Egli amò con passione una ninfa ed ottenne dagli dei la grazia che di essi due, quello che primo violerebbe la fede
ione una ninfa ed ottenne dagli dei la grazia che di essi due, quello che primo violerebbe la fede coniugale, sarebbe diven
rimanente dei suoi giorni. 1346. Dafnomanzia. — Specie di divinazione che si traeva dall’esame dell’alloro, consacrato ad A
a Gaza. 1348. Damasictone. — Così si chiamava uno dei figli di Niobe, che fu ucciso da Apollo. 1349. Damoso. — Uno dei sopr
oso gigante celebre per la sua crudeltà. Egli deve il suo soprannome, che significa estendere per forza, perchè si narra ch
il suo soprannome, che significa estendere per forza, perchè si narra che facesse tirare per le gambe e per il collo, tutti
li dava ospitalità, onde raggiungessero la misura di un suo letto ; e che faceva mozzare le gambe, a quelli che oltrepassav
o la misura di un suo letto ; e che faceva mozzare le gambe, a quelli che oltrepassavano la misura. La cronaca mitologica r
a quelli che oltrepassavano la misura. La cronaca mitologica ricorda che Teseo lo fece morire, infliggendogli lo stesso su
corrisponde al nostro mese di luglio. 1352. Damia. — Da un sacrifizio che il popolo faceva a Cibele, nel giorno detto damio
o. ». 1353. Danaca. — Nome particolare alla moneta di piccolo valore, che Caronte, il navicellajo dell’inferno, esigeva dal
togliere Danae alla conoscenza degli uomini, e sottrarsi così al fato che lo minacciava, Acrisio fece rinchiudere sua figli
ra dea Sembrava al viso, a’modi, e alla favella. Il padre per lo ben, che le volea. Saper cercò il destin della sua stella 
a Ipernestra salvò il suo, per nome Linceo, mentre le sorelle di lei, che seguirono il crudele volere del padre, furono con
a Banaidi, di cui nell’articolo precedente. Dal nome di lui, i Greci, che prima si chiamavano Pelasgi, furono detti Danai o
Danubio. — Il più gran fiume d’Europa. La cronaca mitologica ricorda che i Geti e i Traci lo venerarono particolarmente co
ricovero in Asia, ove costrui una città detta dal suo nome Dardania, che fu più tardi la famosa Troja. 1360. Dardani o Dar
ove nelle loro mani appena venuto alla luce ; ed essi, tutte le volte che l’infante divino piangeva, danzando e gridando in
nfante divino piangeva, danzando e gridando intorno a lui, impedivano che i suoi gridi fossero intesi da Saturno, che lo av
intorno a lui, impedivano che i suoi gridi fossero intesi da Saturno, che lo avrebbe divorato come gli altri suoi figli. 13
come gli altri suoi figli. 1364. Dattlomancia. — Specie d’incantesimo che si faceva per mezzo di alcuni anelli disegnati su
ura di talune particolari costellazioni. La cronaca favolosa racconta che Gige, uno dei Titani, col solo passarsi uno di qu
e di Danae. Egli ebbe un figlio al quale impose il suo stesso nome, e che poi sposò Venilia da cui ebbe Turno. 1370. Daunio
e padre di Chione. Egli fu così addolorato della morte di sua figlia, che si precipitò dal monte Parnaso. Apollo, mosso a p
ed architetto. Al dire d’Aristotille, Dedalo fabbricava degli automi che camminavano ed avevano ogui altro movimento, loro
nferno — Canto XII. Per maggiore intelligenza riportiamo il commento che il Costa ed il Bianchi hanno dato a questo passo
iò l’Alighieri dice falsa vacca ». Minosse ritenendo, come forse era, che la vacca di legno nella quale si fece rinserrare
pensarono al modo di sottrarsi con la fuga all’orribile e lenta morte che loro sovrastava, e giovandosi delle sotrigliezze
giovandosi delle sotrigliezze dell’arte loro, fabbricarono delle ali che Dedalo attaccò con grossi pezzi di cera alle spal
e nè troppo basso, nè troppo alto, temendo, con giusto discernimento, che nel primo caso i miasmi della terra, e nel second
o dimenticò la paterna lezione e si avvicinò troppo al sole, per modo che i raggi liquefecero la cera e lcaro precipitò da
Mitologia. La tradizione mitologica fa sovente menzione di varie dee che si sono accoppiate ai mortali, come per esempio V
varie dee che si sono accoppiate ai mortali, come per esempio Venere, che sposò Anchise, Teti, che sposò Peleo, ecc. Presso
oppiate ai mortali, come per esempio Venere, che sposò Anchise, Teti, che sposò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale op
se, Teti, che sposò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale opinione che quei mortali che avevano contatto con le dee non
sò Peleo, ecc. Presso i pagani era generale opinione che quei mortali che avevano contatto con le dee non vivessero a lungo
. 1375. Dee Madri — Con questo nome venivano dinotate quelle divinità che presiedevano alla campagna ed ai prodotti della t
e e Semele, a cui venne affidata l’educazione di Bacco. Il certo si è che il culto delle Dee Madri, rimonta ai primissimi t
ffrir loro sagrifizî ed onori solenni ; e dove era generale credenza, che esse apparissero di tratto in tratto. Al dire di
di quello, un’assai larga estensione di paese e oltre a 3000 buoi, il che , per quei tempi, era un’assai cospicua ricchezza.
ì naturale agli uomini, è così profondamente impressa nel loro cuore, che se pure disconoscenti del vero Dio, gli sostituir
i alla specie umana, tali quali essi se li formarono, o alterando ciò che loro era rimasto di vero ; o secondo l’impulso de
uali essi non esitarono a crearsi altrettante divinità. Egli è perciò che il numero di queste era prodigioso presso i pagan
Momo, ecc. Altri finalmente detti Semi Dei, erano propriamente quelli che avevano per padre un dio e per madre una donna mo
enivano anche annoverati, dopo la morte, quegli uomini e quelle donne che per le loro eroiche azioni avessero meritato di e
le, Teseo, Minosse e molti altri. A maggior chiarimento noteremo qui, che , sebbene presso gli scrittori dell’antichità, si
in generale, pure la parola dii, nel suo senso proprio, non conviene che agli dei di prim’ordine, agli dei grandi più indi
secondari, detti dii minorum gentium, e più particolarmente a quelli che non erano riconosciuti dei che per l’apoteosi. Fr
entium, e più particolarmente a quelli che non erano riconosciuti dei che per l’apoteosi. Fra i più antichi obbietti del cu
acqua, elementi tutti personificati dall’idea religiosa degli uomini, che vissero nei remoti tempi dell’antichità. Ben pres
umani poteri e una grande influenza sui destini degli uomini. Ed ora, che seguendo il carattere particolare della nostra op
e le differenti e numerose denominazioni, particolarità ed attributi, che essi avevano nel culto degli idolatri. Dei natu
animati. Più comunemente detti Semi Dei : vale a dire quei mortali che per una qualche eroica azione durante la vita, ve
ogia greca e romana non riconosceva sotto questa denominazione se non che dodici numi, i cui nomi proprî, sono, secondo l’o
ti era estesissimo e, al dire di Tito Livio, non v’era angolo di Roma che non fosse pieno di dei. Il numero di essi crebbe
i dei. Il numero di essi crebbe a dismisura dal superstizioso costume che i Romani avevano di abbracciare il culto religios
i Romani avevano di abbracciare il culto religioso di quelle nazioni che essi rendevano soggette colla forza delle armi.
non si offerivano sacrifizii, nè si ergevano altari. È però a notare che molti fra gli scrittori dell’antichità, fanno men
rte ; Nettuno e Anfitrite ; Eolo, dio dei venti ; Nerea e le Nereidi, che erano 50 ; le Driadi, i Tritoni, le Napee e le Si
Canto XXVI. 1378. Deifleazione. — Così si chiamava il culto divino che veniva reso pubblicamente a quegli uomini che ave
hiamava il culto divino che veniva reso pubblicamente a quegli uomini che avevano compiuta una qualche gloriosa e memoranda
esta una delle principali sorgenti dell’idolatria dei pagani, e tanto che vi sono non pochi scrittori i quali asseriscono c
i pagani, e tanto che vi sono non pochi scrittori i quali asseriscono che i primi abitatori della Grecia, quelli la cui ori
i origine si perde nella notte dei tempi, non avessero altre divinità che uomini deificati. Diodoro Siculo afferma che gli
avessero altre divinità che uomini deificati. Diodoro Siculo afferma che gli dei principali della mitologia greca e romana
a greca e romana come Giove, Saturno, Apollo, Bacco ecc : non fossero che degli uomini celebri. In Omero e in Esiodo, poeti
c : non fossero che degli uomini celebri. In Omero e in Esiodo, poeti che entrambi han fatto la genealogia del maggior nume
aggior numero degli dei pagani, si trova ripetuta la stessa credenza, che cioè i numi altro non fossero che degli uomini. L
trova ripetuta la stessa credenza, che cioè i numi altro non fossero che degli uomini. La Deificazione non era propria esc
idolatra dei Greci e dei Romani ; ma la tradizione favolosa ci ripete che gli Egizii ed i Fenici, che sono i popoli riconos
ani ; ma la tradizione favolosa ci ripete che gli Egizii ed i Fenici, che sono i popoli riconosciuti come i più antichi del
sero dato il primo esempio. È opinione di varii accreditati scrittori che la origine primitiva della idolatria fosse stato
nella intera città, quindi in tutta la contrada, ed è in questo modo che di una divinità particolare ad una famiglia, si v
ti hanno avuto origine e principio quasi tutte le innumerevoli deità, che formarono per tanti anni il sostrato animatore de
i il sostrato animatore del culto pagano ; poichè non bisogna credere che il popolo creasse da sè solo per mezzo della Deif
rze fisiche e morali, all’apoteosi di quegli illustri o cari defunti, che poi furono venerati come altrettanti esseri sopra
ci permette di avere una cognizione solida e certa sopra altri uomini che avessero esercitato una certa sovranità sui loro
mezzo dell’apoteosi, il modo di eternare la memoria di quegli uomini che , o per l’invenzione di qualche arte necessaria al
a riconoscenza. Poi furono deificati i fondatori delle città ; quelli che avevano scoperto qualche terra ignorata ; coloro
e città ; quelli che avevano scoperto qualche terra ignorata ; coloro che avevan stabilite delle colonie in lontane e remot
elle colonie in lontane e remote contrade ; e finalmente tutti quelli che l’adulazione o il plagio dei cortigiani avessero
enato comandava si rendessero dopo la morte gli onori divini. Secondo che narra Erodiano nelle cronache, la cerimonia della
ore, era sempre preceduta da un decreto del senato, il quale imponeva che dopo la cerimonia gli venissero innalzati dei tem
di dolore e di allegrezza, e veniva celebrata da tutta la città. Dopo che il corpo era stato sepolto con gran pompa, si met
corpo era stato sepolto con gran pompa, si metteva una figura di cera che ne somigliasse il volto su di un letto d’avorio n
volando in mezzo alle flamme ed al fumo s’innalzava nell’aria, quasi che l’anima del morto volasse nel cielo fra gl’immort
orto volasse nel cielo fra gl’immortali suoi pari a ricevere il culto che da quel momento le era dovuto. 1379. Delfila. — F
sue buone grazie. Deifobo. di Priamo il gran figlio, Vide ancor qui, che crudelmente anciso. In disonesta e miserabil guis
altre opinioni, figlio d’Ippotoone. Cerere l’amò con passione, tanto che per renderlo immortale, e per purificarlo da ogni
ù bella e più leggiadra È Dejopea — Costei vogl’io, per merto Di ciò, che sia tua sposa ; e che tu, seco Di nodo indossolub
a È Dejopea — Costei vogl’io, per merto Di ciò, che sia tua sposa ; e che tu, seco Di nodo indossolubile congiunto. Viva li
prannaturale, ritornò d’onde era partito. La sera istessa, l’alloggio che gli era stato preparato sulla strada che doveva p
La sera istessa, l’alloggio che gli era stato preparato sulla strada che doveva percorrere, crollò dalle fondamenta, ed eg
sto schiacciato dalle pietre. 1389. Deipiro. — Uno dei capitani greci che assediarono Troja. 1390. Deisa. — Vale a dire fig
cole senza sospettare di nulla, a cettò l’offerta gentile, ma vedendo che il centauro erasi dato a precipitosa fuga, per ra
dato a precipitosa fuga, per rapirgli la sposa, gli tiro una freccia che lo ferì mortalmente. Nesso, sentendosi vicino a m
orato di altre donne. Morto Nesso, la credula Dejanira venne a sapere che Ercole era preso d’amore per la bella Jole, e pen
orza : E con vermigli fior tale il lin rese, Ch’ogni occhio a creder, che vi guarda, sforza Che i vaghi e sparsi fior ch’or
a Che i vaghi e sparsi fior ch’ornan il panno, Non denno altrove star che dove stanno. Ovidio — Metamorfosi — Libro IX. tr
rio, si gettò sui carboni accesi d’un sacrifizio, malgrado gli sforzi che Lica e Filotette, suoi amici, fecero per arrestar
zi che Lica e Filotette, suoi amici, fecero per arrestarlo. Dejanira, che amava passionatamente il marito, si uccise per di
uccise per disperazione. 1392. Delfa. — Detta anche Delfisa : sibilla che era nel tempo stesso sacerdotessa del tempio di D
iazione del nome di Delfino a questa costellazione. Taluni pretendono che fosse così detta dal delfino di Arione ; — V. Ari
osse così detta dal delfino di Arione ; — V. Arione — altri da quello che trattò il matrimonio di Nettuno con Anfitrite ; a
il matrimonio di Nettuno con Anfitrite ; altri da uno di quei marinai che Bacco cangiò in delfini ; ed altri finalmente dal
marinai che Bacco cangiò in delfini ; ed altri finalmente dal delfino che Apollo dette per condottiero ad una colonia di Cr
l delfino che Apollo dette per condottiero ad una colonia di Cretesi, che andarono a stabilirsi nella Focide. Sotto questa
legoria della favola, altro non si deve scorgere senonchè un vascello che aveva sulla poppa scolpita la figura di un delfin
, come il punto medio della superficie terrestre. La favola racconta, che Giove Altotonante, volendo che il punto medio del
erficie terrestre. La favola racconta, che Giove Altotonante, volendo che il punto medio della terra rimanesse contrasegnat
. La tradizione favolosa, a proposito dell’oracolo di Delfo, racconta che un pastore, per nome Coreta, stando un giorno a g
uardia del suo gregge, nelle circonstanza del monte Parnaso, s’avvide che le sue capre, avvicinandosi ad una caverna, gitta
ratto dalla curiosità, si avvicinò egli stesso, e colpitto dai vapori che esalvano da quell’antro, si dette a predir l’avve
uel tempo si dette opera a fabbricare la città ed il tempio si Delfo, che sorgevano appunto in quell’istesso luogo. La Terr
simi e maravigliosi suoni, s’impadroni del santuario, uccise il drago che la Terra avea posto a custodia di quello, e si re
sto a custodia di quello, e si rese solo padrone del celebre oracolo, che da quel tempo fu detto l’oracolo d’Apollo. Sotto
si deve oggi scorgere senonchè una delle tante astuzie dei sacerdoti, che facevano allora come han fatto in ogni età, oscen
privati interessi. Delfo era anche il nome di uno dei figli di Apollo che edificò quella città. 1398. Delia. — Soprannome d
Apollo che edificò quella città. 1398. Delia. — Soprannome di Diana, che le veniva dall’isola di Delo, ove essa, secondo l
asti e Delo. 1400. Deliasti. — Nome collettivo dei deputati Ateniesi, che si recavano ogni anno a Delo. 1401. Delicoone. — 
nore di Apollo da Tesco, quand’egli ricondusse da Creta i giovanetti, che dovevano essere divorati dal Minotauro. — V. Mino
 Piccoli stagni o paludi presso le quali la tradizione favolosa narra che Taìia avesse dato alla luce i fratelli Palici. — 
— V. Palici e Talia. 1404. Delo. — Isola del mare Egeo, una di quelle che componevano il gruppo delle Cicladi. La cronaca m
che componevano il gruppo delle Cicladi. La cronaca mitologica narra, che quando Latona vi partori Apollo e Diana, quell’is
ola galleggiava sulle onde. ….. e si chiamò poi Delo Tuo nome allor, che in le Latona sorse A partorir li due occhi del ci
no a Delo. trad. di Dionici Stroc III. I suoi abitatori pretendevano che Apollo, dopo aver passato sei mesi dell’anno sul
mmolata a Giove, fu cangiato in lupo. La tradizione mitologica ripete che dopo dieci anni, egli riacquistasse la sua primit
dopo dieci anni, egli riacquistasse la sua primitiva forma di uomo, e che fosse vincitore ai giuochi olimpici. 1406. Demete
limpici. 1406. Demetera. — Detta più comunemente Demetra : soprannome che i Greci davano a Cerere. 1407. Democoonte. — Uno
o a Cerere. 1407. Democoonte. — Uno dei figli di Priamo, re di Troja, che fu ucciso da Ulisse. ….. e feri Democoonte Priam
a, che fu ucciso da Ulisse. ….. e feri Democoonte Priamide bastardo, che d’Abido Con veloci puledre era venuto. A costui f
lancia, e trapassolle La ferrea punta. Tenebrarsi i lumi Al trafitto che cadde fragoroso, E cupo gli tuonar l’armi sul pet
la corte di Alcinoo. Demodoco, io te sopra ogni vivente Sollevo, te, che la canora figlia Del sommo Giove, e Apollo stesso
da lei vennero i libri sibillini. Racconta la tradizione mitologica, che essa portasse un giorno a Tarquinio il vecchio, n
ei volumi alle fiamme, pretendendo lo stesso prezzo per gli altri sei che rimanevano. Il reperò la respinse di nuovo, ed al
eranza della sibilla, fece interrogare gli Auspici, i quali risposero che bisognava pagarle il prezzo che essa pretendeva p
rogare gli Auspici, i quali risposero che bisognava pagarle il prezzo che essa pretendeva per gli ultimi tre volumi, essend
Tracia, ove fu accolto benignamente dà Licurgo, redi quella contrada, che gli fece sposare sua figlia Fillide. — V. Fillide
nte. 1413. Demogorgone. — Dalle parole greche Δάιμῶν, genio e εώργων, che presiede alla terra : si dava codesto nome alla d
o la tradizione favolosa, era un lurido vecchio, pallido e sfigurato, che insieme alla Eternità ed al Caos, dimorava nelle
aos, dimorava nelle viscere della terra. L’allegoria mitologica narra che egli si fosse innalzato nell’aria su di una palla
logica narra che egli si fosse innalzato nell’aria su di una palla, e che facendo su quella il giro della terra avesse crea
spazii dell’aria, e formò così il sole onde illuminare il creato ; e che poscia, avendo uniti in matrimonio il Sole e la T
di Platone si dava questo nome, ad una categoria di esseri fantastici che popolavano l’immenso vuoto che esiste fra Dio e g
ad una categoria di esseri fantastici che popolavano l’immenso vuoto che esiste fra Dio e gli uomini. I demonii erano divi
do la loro potenza. Al dire di Menandro i pagani credevano fermamente che ogni uomo, nascendo, aveva a guida un demonio o g
e che ogni uomo, nascendo, aveva a guida un demonio o genio tutelare, che gli serviva per tutta la vita. È questa una crede
ede, all’angelo custode della religione cristiana. Plutarco asserisce che i demonii prendevano amicizia cogli uomini ; li g
vano punto alla parola demonio la sinistra e malvagia interpretazione che oggi vi è collegata. 1415. Demonio di Socrate. — 
rate. — È oggidì cosa cognita a tutti gli studiosi. La forma credenza che il sommo filosofo aveva nella esistenza di un suo
ue azioni. 1416. Dendroforia. — Si dava codesto nome ad una cerimonia che si eseguiva nelle feste di Cibele e di Bacco e ch
e ad una cerimonia che si eseguiva nelle feste di Cibele e di Bacco e che consisteva nel portare in giro per la città un gr
o e che consisteva nel portare in giro per la città un grosso albero, che poi veniva piantato di contro al tempio di quelle
lo e propriamente un ramo di cipresso. La parola Dendroforo significa che porta un albero (V. l’articolo precedente). 1418.
uno stagno, ove, non essendosi più ritrovato il suo corpo, fu creduto che fosse stata cangiata in pesce. Gli Assiri a dorav
sce. Gli Assiri a doravano una divinità sotto la figura di una donna, che dalla cintura in giù aveva il corpo di pesce. Ess
specie di mostri una grande venerazione. La cronaca favolosa ripete, che il frutto degli amori della disgraziata Derceto,
e il frutto degli amori della disgraziata Derceto, fosse una bambina, che fu poi la famosa Semiramide, regina di Babilonia,
nella tradizione mitologica, per aver derubati ad Ercole, gli armenti che questi avea tolti al gigante Gerione. 1421. Despe
o dei soprannomi di Proserpina. 1422. Destino. — Divinità allegorica, che si credeva nata dal Caos. Viene rappresentata ave
e al dire di Esiodo, la Notte era la madre di questo spaventoso dio, che essa aveva generato sola. 1423. Deucalione. — Re
oro colpe. Deucalione e Pirra, sua moglie, furono i soli esseri umani che per la loro virtù sopravvissero alla generale dis
tare un certo numero di pietre dietro le loro spalle, e attendere ciò che ne sarebbe avvenuto. Essi si sottomisero strettam
n la fronte, Indi ciascun di lor scinto e disciolto, Gli stessi sassi che produce il monte, Gitta alla parte ove non guarda
rrena Cangiossi in carne, in sangue, in barbe e ’n chiome : E quella, che ne’ sassi è detta vena. Tenne in quest’altra form
o esteriore e l’intelletto. E come dagli dei lor fu concesso, I sassi che dall’uom furo gittati Tutti sortir faccia virile
nomato fu un figliuolo di Minosse, re di Creta. 1424. Deverona. — Dea che presiedeva alla raccolta dei frutti : molti scrit
che presiedeva alla raccolta dei frutti : molti scrittori pretendono che sia la stessa che Deverra. 1425. Deverra. — Dalla
la raccolta dei frutti : molti scrittori pretendono che sia la stessa che Deverra. 1425. Deverra. — Dalla parola latina dev
rola latina deverrere, scopare, veniva così chiamata quella divinità, che presso il culto pagano dei romani, presiedeva all
renderla favorevole al neonato. 1426. Dediana. — Soprannome di Diana che le veniva dal senso compreso in questo vocabolo,
imposte ai sacerdoti di Giove cerimonie molteplici ancora nei libri, che sono stati composti pei pubblici sacerdoti. Leggi
o scritto del libri di Fabio Pittore, nel quale spesso vi sono queste che ci ricordiamo : È religione del sacerdoti di Giov
queste che ci ricordiamo : È religione del sacerdoti di Giove, badare che la pronta cavalleria vada a cavallo, fuori il pom
urare al Sacerdote di Giove ; ne è lecito servirsi dell’anello se non che aperto e vuoto. Non è permesso portar via dalla c
della dea, ove venivano battuti con le verghe in così aspra maniera, che il maggior numero vi lasciavano la vita. 1431. Di
 Inno a Diana Trad. di D. Strocchi, Moltiplici sono le denominazioni che gli scrittori della Favola danno a Diana, secondo
nerata come dea della castità ; e questa virtù era in lei così tenace che cangiò Atteone in cervo per averla sorpresa colle
ito di Diana si componeva di un numeroso corteo di ninfe e pretendeva che tutte serbassero la stessa sua castità. Dammi, p
. Dammi, padre, dicea, ch’io serbi eterne Vergini brame, e tai nomi, che orgoglio Apollo sovra me non deggia averne. La gr
aro cittadine mura. Abitatrice di contrada alpina M’inurberò ne l’ora che dogliose Le genitrici chiameran Lucina. Il carco
chiameran Lucina. Il carco fianco ad allegiar di spose Io nacqui, poi che senza duol la madre Di me gravossi e senza duol m
e. Callimaco — Inno a Diana Trad. di D. Strocchi. La ninfa Calisto, che apparteneva al seguito di Diana fu scacciata igno
alle lascive brame di Giove. La tradizione mitologica narra peraltro che Diana amasse perdutamente il pastore Endimione, b
amasse perdutamente il pastore Endimione, bellissimo della persona, e che la notte lasciasse sovente la sua dimora celeste
a lei consagrato. Il famoso tempio di Efeso tutto sfolgorante d’oro e che era ritenuto come una delle sette meraviglie del
eraviglie del mondo, e come il più superbo monumento di simil genere, che fosse conosciuto in quei tempi, era destinato esc
o designati i cani addestrati alla caccia : ritenendosi pubblicamente che fossero sotto la particolar protezione di Diana c
i ed offerte agli dei, e più ancora per la delicatezza delle cortesie che essi scambiavano fra loro in questa occasione. 14
di Giove e di Temi. Essa presiedeva alla giustizia, dalla parola Διϰς che significa appunto giustizia punitrice. 1436. Dict
tea-corona. — Cosi gli antichi chiamavano la costellazione di Arianna che Teseo avea seco condotta dalla isola di Creta, ov
no l’invenzione delle reti per uccellare. Taluni scrittori pretendono che sia la stessa che Britomarte ; è questa per altro
lle reti per uccellare. Taluni scrittori pretendono che sia la stessa che Britomarte ; è questa per altro un’opinione assai
ed un tempio famoso. 1443. Didimo. — Soprannome particolare di Apollo che secondo alcuni scrittori veniva a lui dato dall’i
Elisa e conosciuta con l’appellazione di Dido : fu moglie di Sicheo, che ella amò teneramente. Pigmalione, fratello di Did
Tiro… . » G. da Pisa — I fatti d’Eneo. Avendo fatto sparger la voce che Sicheo fosse stato ucciso dai ladroni, restò per
uoi tesori, le consigliò di fuggire e sparì. Didone calmato il do’ore che le avea posto nell’al’animo la tremenda rivelazio
ente ai preparativi della fuga, ed un giorno impadronitasi delle navi che stavano nel porto, e accompagnata da gran numero
ana, governata da Iarba, re dei Getuli. Dapprincipio egli si oppose a che Didone coi suoi seguaci si stabilissero sulle ter
ma essa respinse l’offerta in memoria dell’ucciso consorte, e vedendo che Iarba, offeso dalla inattesa ripulsa, marciava co
tro la nascente Cartagine per distruggerla, amò meglio darsi la morte che violare il suo giuramento di fedeltá. Ella si ucs
ltá. Ella si ucsise con un pugnale, e ciò le valse il nome di Didone, che vuol dire donna risoluta. Il Metastasio per l’eff
l’effetto scenico del suo celebre melodramma, Didone abbandonata, fa che ella morisse precipitandosi nelle fiamme che arde
, Didone abbandonata, fa che ella morisse precipitandosi nelle fiamme che ardevano la sua reggia, disperata di vedersi abba
riconosciuta come la fondatrice dello impero cartaginese. L’episodio che racconta Virgilio nell’Eneide, è una mera invenzi
ssione di Didone per l’eroe trojano, per innestarvi le famose ragioni che persì lungo tempo fecero ardere la face della dis
e, per amore di Enea, mancato di fede alla ombra di Sicheo. …… colei che s’ancise amorosa. E ruppe fede al conet di Sicheo
alle voci latine dies piter. 1446. Difie. — Era questo il soprannome. che comunemente i pagani davano a Cecrope, forse per
pagani davano a Cecrope, forse per alludere alla tradizione favolosa che lo faceva metà uomo e metà serpente. La parola Di
te Dipolie. Si dava codesto nome ad una specie di cerimonia religiosa che gli Ateniesi celebravano in onore di Giove Polien
i zoppi e di ciechi. Parlano degli amori di Anubi con la Luna ; fanno che Diana venisse sferzata ; che a Giunone fossero, a
degli amori di Anubi con la Luna ; fanno che Diana venisse sferzata ; che a Giunone fossero, appesi ai piedi due incudi d’o
ata ; che a Giunone fossero, appesi ai piedi due incudi d’oro ; fanno che gli uomini bastonassero e ferissero gli dei, e ch
cudi d’oro ; fanno che gli uomini bastonassero e ferissero gli dei, e che questi dovesseso fuggire ora in questa ora in que
one ed immagini così basse ed abbiette e spesso così turpi ed infami, che può ben dirsi tutto l’olimpo pagano altro non ess
nfami, che può ben dirsi tutto l’olimpo pagano altro non essere stato che una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più, al c
sere stato che una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più, al certo, che non fosse l’idea informatrice di un culto, rivela
ocleide. — Più comunemonte Dioclie. Si dava codesto nome ad una festa che si celebrava nell’ Attica, in onore di Dioclie, u
giuochi detti Dioclesi. 1457. Diomeda. — Così si chiamava la schiava che prese presso ad Achille il posto di Briseide — V.
ia, ebbe tanto orrore degli eccessi lussuriosi di sua moglie Egialea, che abbandonò il governo dell’Etiolia, e venne a stab
donò il governo dell’Etiolia, e venne a stabilirsi in Italia. Si dice che egli vi fosse ucciso da Enea e che i suoi seguaci
ne a stabilirsi in Italia. Si dice che egli vi fosse ucciso da Enea e che i suoi seguaci ne furono così addolorati, che gli
fosse ucciso da Enea e che i suoi seguaci ne furono così addolorati, che gli dei compassionevoli li cangiarono in uccelli.
e gli dei compassionevoli li cangiarono in uccelli. Diomede fu quello che rapì dall’isola di Lenno le frecce di Ercole ; e
quello che rapì dall’isola di Lenno le frecce di Ercole ; e fu colui che insieme ad Ulisse penetrò nella città di Troja, e
nsieme ad Ulisse penetrò nella città di Troja, e ne tolse il Palladio che era la più grande sicurezza dei Trojani, uccidend
do ei trascorre Il campo tutto : simile alla fiera Di tumido torrente che cresciuto Dalle pioggie di Giove, ed improvvisa P
a questa guisa Sgominava il Tidide e dissipava Le caterve de’Teucri, che sostenerne Non potean, benchè molti, la ruina. O
ossedeva dei cavalli furiosi, i quali mandavano flamme dalle nari ; e che egli nutriva di carne umana. Ercole per comando d
endente di Venere, veniva detto Dioneo. 1460. Dionea. — La dea Venere che fu moglie di Vulcano è quella a cui si da propria
propriamente questo soprannome. Essa fu perduttamente amata da Marte, che le rese madre di una figlia, di cui nell’articolo
iuoli di Giove. La tradizione mitologica ricorda di un altro Dioniso, che fu tiranno di Siracusa, il quale si rese celebre
quale si rese celebre per le sue crudeltà, e per la nessuna reverenza che egli ebbe verso gli dei. Egli demoli il tempio di
erpina a Locri ; tolse nel tempio di Giove Olimpio un mantello d’oro, che copriva una statua di questo dio, e nel tempi di
sculapio, in Epidauro, tolse ad un simulacro di questo la barba d’oro che aveva ; e si rese padrone di tutti gli arredi sac
’oro che aveva ; e si rese padrone di tutti gli arredi sacri, dicendo che volea profittare della bontà degli dei ; e fece v
i ; e fece vendere su i pubblici mercati a suo profitto le spoglie di che si rendeva padrone con sacrilega violenza. Ciò no
strumenti musicali di Giove, di Diana, di Apollo, e di altre divinità che si credeva abitassero sovente sopra la terra. 146
antichi veneravano diverse altre divinità a cui davano questo nome, e che si credeva proteggessero in modo particolare i na
ione dell’anno, si celebrava dagli abitanti una festa ìn onore di lui che durava dodici giorni, e nella quale portavano in
itto su quella il destino degli uomini. 1468. Diradiato. — Soprannome che si dava in Argo ad Apollo, a causa di un tempio c
ato. — Soprannome che si dava in Argo ad Apollo, a causa di un tempio che egli avea sopra altissimi dirupi. La cronaca mito
la trattò con assai aspra maniera per lungo tempo Anflone ed Antiope, che poi fu madre di Zeto ; ma poi caduta in loro pote
vendicò la morte di lei, facendo perdere il senno ad Anfione, dopo di che cangio Dirce in fontana. 1470. Dircea. — Cosi ave
ngio Dirce in fontana. 1470. Dircea. — Cosi avea nome una giovanetta, che Minerva cangiò in pesce, avendo osato vantarsi d’
a Beozia, conosciuto sotto il nome di fontana Dircea quella stessa in che Bacce transformerà Dirce. V. Dirce. 1472. Dirceto
— libro VII trad. di A. Caro 1474. Dirfia. — Soprannome di Giunone, che le veniva dal culto a lei reso sul monte Dirfio,
1475. Disarea o Disari. — Divinità degli Arabi. Si crede comunemente che fosse la stessa che Bacco o il Sole. 1476. Disari
ari. — Divinità degli Arabi. Si crede comunemente che fosse la stessa che Bacco o il Sole. 1476. Disari. — V. Disareo. 1477
rico del giudizio, pose termine alla querela in favore di Venere, ciò che fu causa d’infinite sventure. La Discordia si dip
ra una torcia accesa, e nella sinistra un pugnale. L’empia discordia che di serpi ha ’l crine, E di sangue mai sempre il v
ù particolarmente codesta denominazione ad una specie di inno osceno, che si cantava nei misteri di quel dio. Presso i mode
Creta, vi era un antro chiamato Dite, ove la tradizione favolosa dice che Rea avesse partorito Giove : da ciò si dava il so
itteo al padre degli dei. 1481. Dittina. — Ninfa dell’isola di Creta, che assai di sovente viene confusa con Diana. La trad
te viene confusa con Diana. La tradizione mitologica racconta di lei, che la sua non comune bellezza avesse ispirata a Mino
e ispirata a Minosse, re dell’isola, una violenta passione ; per mode che , avendo un giorno sorpresa la ninfa, volle farle
are, ove cadde in una rete. La parola Dittina viene dal greco Δἱϰνυνγ che significa rete. Da ciò forse i pagani attribuivan
dei Sabini, il culto della quale passò a Roma poco tempo dopo la pace che seguì il famoso ratto delle Sabine. Questo nume e
e. Questo nume era ritenuto come il dio della buona fede, ed è perciò che presso gli antichi era così frequente l’uso di pr
o di prestar giuramento per questa divinità. Taluni scrittori dissero che Fidio fosse uno dei figli di Giove : altri lo han
nome. Esse furono stabilite in occasione di una pericolosa squinanzia che attaccò gli uomini e gli animali, e dalla quale s
nanzia che attaccò gli uomini e gli animali, e dalla quale si credeva che la dea Angeronia avesse liberato i Greci. 1484. D
esercitava dagli astrologhi, dagli auguri, e da tutte quelle persone che venivano designate sotto i nomi d’indovini o di m
e che venivano designate sotto i nomi d’indovini o di maghi. Le donne che esercitavano la divinazione, venivano chiamate pi
; quella in cui si adoperava il fuoco si chiamava Piromanzia ; quella che si faceva con la terra chiamavasi Geromanzia ; e
 ; quella che si faceva con la terra chiamavasi Geromanzia ; e quella che si faceva per mezzo dell’aria, Aeromanzia. Oltre
a ec. 1485. Divinità. — V. Deificazione e dei. 1486. Divipoti. — Dei che i Samotraci chiamavano Theedinates, vale a dire d
l Corpo. Gran numero trà i mitologi e cronisti della favola, vogliono che i Divipoti altro non fossero che gli dei Cabiri,
gi e cronisti della favola, vogliono che i Divipoti altro non fossero che gli dei Cabiri, V. Cabiri. 1487. Dodona. — Città
in Epiro, nella selva di Dodona, ove disse agli abitatori del paese, che era volontà di Giove, che in quel luogo sorgesse
Dodona, ove disse agli abitatori del paese, che era volontà di Giove, che in quel luogo sorgesse un oracolo. Erodoto nelle
se un oracolo. Erodoto nelle sue opere spiega codesta favola, dicendo che alcuni mercanti Fenici avessero rapito due sacerd
canti Fenici avessero rapito due sacerdotesse della città di Tebe ; e che avendo venduta una di esse nella Grecia questa av
stata in Tebe sacerdotessa ; da ciò ebbe origine l’oracolo di Dodona, che poi fu famoso per tutta la Grecia. Quanto ella fa
to ella favola delle colombe, essa avviene dalla parola Greca Πελεια, che significa colomba. 1488. Dodonee. — V. Dodonidi.
drici di Bacco ; quasi tutti gli scrittori si accordano nell’opinione che fossero le stesse che le Atlantidi. 1490. Doliche
tutti gli scrittori si accordano nell’opinione che fossero le stesse che le Atlantidi. 1490. Dolichenio. — V. Dolicheo. 14
. Dolicheo o Dolichenio. — Sopranome di Giove, a lui venuto dal culto che gli si rendeva nella città di Dolichene. 1492. Do
. Dolope. — Popolo della Tessaglia. All’assedio di Troja tutti coloro che appartenevano a questo popolo erano comandati da
e dell’Aria. 1495. Domicio. — V. Domizio. 1496. Domiduca. — Divinità che s’invocava al momento di condurre la novella spos
Giunone, come protettrice delle spose. 1497. Domizio o Domicie. — Dio che i pagani invocavano nella celebrazione degli spon
di Teti. Essa sposò suo fratello Nereo, da cui ebbe cinquanta figlie, che dal nome del padre furono dette le cinquan-Nereid
aghi. — Questi animali erano consacrati a Minerva, forse per dinotare che la vera saggezza non si addormenta mai. Anche a B
addormenta mai. Anche a Bacco erano consacrati i draghi, per dinotare che uno degli attributi dell’ubbriachezza è il furore
dell’ubbriachezza è il furore. La parola drago viene dal greco Δρἁϰου che significa perspicace, vigilante. Quei famosi drag
lle Esperidi, il vello d’oro, l’antro di Delfo, ecc. altro non furono che quei grossi e fedeli cani, ovvero degli uomini po
rivilegiate. Drago di Anchise. Narra la tradizione mitologica, che mentre Enea rendeva i funebri onori al corpo del
un enorme drago, il cui dorso era coperto di squame gialle e verdi, e che dopo aver fatto il giro degli altari, assaggiò di
ientrò nel fondo del sepolcro senza far male ad alcuno. Virgilio dice che Enea credè che quel drago altro non fosse che il
o del sepolcro senza far male ad alcuno. Virgilio dice che Enea credè che quel drago altro non fosse che il genio tutelare
d alcuno. Virgilio dice che Enea credè che quel drago altro non fosse che il genio tutelare dell’anima del defunto. Dra
rieri offrivano un sacrifizio agli dei, all’ombra di un gran platano, che sorgeva a qualche distanza dalla riva, uscì di so
, uscì di sotto l’altare preparato pel sacrifizio, un orribile drago, che strisciando sull’albero divoro otto passere che c
o, un orribile drago, che strisciando sull’albero divoro otto passere che con la loro madre vi annidavano ; e dopo d’averle
azione, ma questi, traendo dall’accaduto un favorevole augurio, disse che le otto passere e la loro madre divorate dal drag
ssere e la loro madre divorate dal drago, altro non indicavano se non che il numero degli anni che i greci avrebbero impieg
orate dal drago, altro non indicavano se non che il numero degli anni che i greci avrebbero impiegato per abbattere la pote
i che i greci avrebbero impiegato per abbattere la potenza troiana, e che nel decimo anno le armi greche avrebbero avuto il
admo. Drago di Delfo. Secondo narra la favola l’istesso drago che custodiva l’antro in cui Temi prediceva il futuro
ago che custodiva l’antro in cui Temi prediceva il futuro, era quello che pronunziava gli oracoli, Apollo lo uccise a colpi
a da Plutone. Draghi di Medea. La cronaca mitologica racconta che Medea, furibonda per l’abbandono di Giasone, foss
ce, montata su di un carro tirato da due di questi mostruosi animali, che vomitavano flamme. 1506. Dranceo. — Uno dei grand
. 1507. Dria. — Fu figlio di Fauno. La Tradizione mitologica racconta che essa era di una così severa castità, che fuggiva
adizione mitologica racconta che essa era di una così severa castità, che fuggiva perfino la vista degli uomini. Anche nell
ressamente proibito agli uomini d’intervenirvi. 1508. Driadi. — Ninfe che presiedevano ai boschi ed alle foreste, nelle qua
e, nelle quali dimoravano notte e giorno. Presso i pagani si credeva, che non si potesse entrare in un hosco o in una selva
rgo. di cui qui sopra. V. Driantiade, così avea nome uno dei principi che vennero in soccorso di Eteocle contro Polinice :
Eteocle contro Polinice : Diana lo uccise. 1511. Drimaco. — Brigante che alla testa di un numeroso drappello di schiavi fu
cio. Gli abitanti misero a prezzo la sua testa, e la cronaca racconta che egli stesso, stanco della sua vita di delitto, pe
giustizia, onde ottenere la somma promessa. Alcuni mitologi vogliono che gli abitanti di Scio, dopo la morte di Drimaco, l
za nelle cose del loro culto. Esse comandavano e regolavano tutto ciò che riguardava i sacrifizii e gli affari della religi
tre le Druidesse, la religione Celtica aveva delle altre sacerdotesse che vivevano nel celibato, ed erano le Vestali del cu
erano le Vestali del culto. E v’erano finalmente altre sacerdotesse, che se pure maritate, vivevano nel tempio a cui erano
che se pure maritate, vivevano nel tempio a cui erano addette, senza che fosse loro permesso d’avere contatto coi loro spo
, senza che fosse loro permesso d’avere contatto coi loro sposi, meno che una sola volta l’anno, in un dato giorno. in cui
ra presso i Galli Celtici. Questo nome veniva loro dalla parola Deru, che in lingua celtica vuol dire quercia, che in greco
niva loro dalla parola Deru, che in lingua celtica vuol dire quercia, che in greco si dice Δρὑς perchè essi dimoravano nell
i generali ed i re, quando non osservavano le leggi del paese, senza che il popolo avesse menomamente mormorato, tanto era
menomamente mormorato, tanto era grande il rispetto e la venerazione che si aveva per essi. Essi davano le loro lezioni se
memoria ai loro discepoli, un prodigioso numero di oscurissimi versi, che racchiudevano i principii fondamentali della loro
più cupe foreste, all’ombra di quercie secolari ; e ricevevano coloro che li andavano a consultare, con le cerimonie più so
rce la stessa denominazione. La favola racconta di un’altra Ea, ninfa che avendo implorato il soccorso degli dei, onde sott
del fiume Paflo, fu cangiata in isola. 1520. Eaci. — Solenni giuochi che si celebravano in onore di Eaco. 1521. Eaco. — Fi
1. Eaco. — Figlio di Giove e di Egina, egli era re dell’isola Enopia, che egli chiamò Egina, dal nome di sua madre. Essendo
i stati, da una terribile pestilenza, egli ottenne da suo padre Giove che tutte le formiche si fossero cangiate in uomini,
vo popolo impose il nome di Mirmidoni. Eaco regnò con tanta giustizia che alla sua morte Plutone lo associò a Minosse ed a
ei morti. 1522. Eagro. — Così avea nome il marito della musa Polinia, che lo rese padre di Orfeo. Eano. — Al dire di Macro
te il nome di Iano a questa divinità, ritenuta come simbolo del mondo che gira sempre. Secondo il citato autore, i Fenici r
i Fenici raffigurano Eano, ossia il mondo sotto la forma di un drago che si morde la coda, volendo indicare che il mondo g
ndo sotto la forma di un drago che si morde la coda, volendo indicare che il mondo gira sopra sè stesso. A Roma vi erano de
pra sè stesso. A Roma vi erano dei sacerdoti ministri di Eano o Iano, che venivan detti Eani. 1524. Ebalo. — Marito di Gorg
ivan detti Eani. 1524. Ebalo. — Marito di Gorgofona, figlia di Perso, che lo rese padre di Tindaro. Ebalo fu uno dei miglio
e di Giunone e dea della giovanezza. La tradizione favolosa racconta che Giunone, invidiosa del supremo potere di Giove, c
favolosa racconta che Giunone, invidiosa del supremo potere di Giove, che avea da sè solo procreato Minerva, dea della sagg
i dell’antichità raccontano la medesima favola in altro modo. È detto che avendo Apollo invitato Giunone ad un festino, nel
do Apollo invitato Giunone ad un festino, nel palagio di Giove, essa, che fino a quel tempo era rimasta sterile, mangiò dei
tolse ii suo incarico e fece Ganimede il coppiere degli dei. La dea che la più bella età governa. Nel nappo trasparente a
che la più bella età governa. Nel nappo trasparente adamantino Al re che la città regge superna, Solea il dolce portar cel
dolce portar celeste vino. Or mentre in un convito ella e pincerna E che porta il licor santo e divino. Le viene a sdrucci
alzata e vinta Mostrò le sue vergogne a tutto il cielo ; E dell’alme che stan nel santo regno, Mosse i giovani a riso, i v
o gran numero di templi, fra cui il più famoso era quello di Corinto, che avea il privilegio d’asilo. 1526. Ebone. — Dalla
che avea il privilegio d’asilo. 1526. Ebone. — Dalla parola greca Ἔβη che vuol dire gioventù, si dava questo soprannome a B
he vuol dire gioventù, si dava questo soprannome a Bacco per indicare che la giovanezza era inseparabile da quel dio. La tr
za era inseparabile da quel dio. La tradizione dell’antichità afferma che i popoli di Napoli adoravano un tempo Bacco sotto
Ebota. — Al dire di Pausania, cosi avea nome il primo degli Acheeni, che fu vincitore ai giuochi olimpici. Narra la cronac
degli Acheeni, che fu vincitore ai giuochi olimpici. Narra la cronaca che Ebota, fortemente sdegnato contro i suoi concitta
sua vittoria con un monumento, imprecò contro di essi una maledizione che fu esaudita dai celesti. Gli Acheeni vedendo coll
fu esaudita dai celesti. Gli Acheeni vedendo coll’andare degli anni, che alcuno di essi non riusciva vincitore ai guochi o
a consultare l’oracolo, per saperne la ragione : e l’oracolo rispose che pesava su di essi la maledizione di Ebota. Allora
izii olimpici, andavano a visitare il sepolcro di Ebota, e poi coloro che riuscivano vincitori, incoronavano la sua statua
rlanda di flori. 1528. Ecaerga. — Così avea nome una ninfa dei boschi che fu celebre cacciatrice, ed estremamente esperta n
tà favorevole ai cacciatori. È opinione di varii accreditati mitologi che Ecaerga fosse uno dei soprannome di Diana. 1529.
Perseo e da questo connubio nacque Ecate. Teocrito lo Scoliaste, dice che Giove ebbe dai suoi amori con Cerere una figliuol
coliaste, dice che Giove ebbe dai suoi amori con Cerere una figliuola che fu detta Ecate, la quale fu celebre per la sua gr
a Ecate, la quale fu celebre per la sua grande statura. È detto anche che Cerere, quando Plutone rapì sua figlia Proserpina
a. L’opinione però più generalizzata fra gli scrittori della favola è che Ecate fosse uno dei nomi di Proserpina stessa : e
della favola è che Ecate fosse uno dei nomi di Proserpina stessa : e che questa venisse detta la triplice Ecate e che foss
di Proserpina stessa : e che questa venisse detta la triplice Ecate e che fosse la Luna nel cielo, Diana quando abitava la
me proteggitrice della nascita dei bambini ; si dicea Diana, come dea che presiedeva alla buona salute ; e finalmente era d
siedeva alla buona salute ; e finalmente era detta Ecate, come la dea che presiedeva alla morte. Esiodo, nelle sue cronache
sue cronache dell’antichità, ci presenta Ecate come una dea terribile che ba nelle sue mani il destino degli uomini e degli
il destino degli uomini e degli dei ; quello della terra e del mare ; che distribuisce onori e ricchezze ; che presiede all
quello della terra e del mare ; che distribuisce onori e ricchezze ; che presiede alle battaglie ai consigli dei re, ai pa
ore, Ecate veniva riguardata come madre di Medea e di Circe, come dea che presiedeva alle magiche operazioni e agli incante
magiche operazioni e agli incantesimi. I pagani credevano fermamente che Ecate fosse la dea dei sogni, e che ella ispirass
mi. I pagani credevano fermamente che Ecate fosse la dea dei sogni, e che ella ispirasse quel vago terrore delle tenebre ch
a dea dei sogni, e che ella ispirasse quel vago terrore delle tenebre che degenera in ismanie, e produce uno spevento invin
ie, e produce uno spevento invincibile. La tradizione favolosa ripete che Ulisse, onde liberarsi dai tetri sogni che lo con
tradizione favolosa ripete che Ulisse, onde liberarsi dai tetri sogni che lo conturbavano, facesse in Sicilia innalzare un
le visioni notturne. 1532. Ecatesie. — Così avevano nome alcune feste che si celebravavo in Atene, in onore di Ecate, la qu
demente venerata in quella città. Durante il periodo di queste feste, che si celebravano in ogni novilunio, i cittadini più
de della città, un pubblico banchetto, al quale si credeva fermamente che Ecate assistesse invisibilmente. 1533. Ecatombe. 
o nel quale si svenavano cento buoi. Coll’andare del tempo fu trovato che cotesto sacrifizio era di così forte spesa, che f
del tempo fu trovato che cotesto sacrifizio era di così forte spesa, che furono sostituiti ai buoi altri animali di minor
ma si seguitò a chiamare col nome di Ecatombe qualunque sacrifizio in che si uccidevano cento animali della medesima specie
cento animali della medesima specie. Lo scrittore Capitolino ricorda che quando una Ecatombe veniva offerta da un imperato
oti sacrificatori. Abitualmente non si offeriva un’ Ecatombe agli dei che in casi straordinarii ; sia per sollennizzare un
’una publica calamità. Diogene Laerzio, riferisce nelle sue cronache, che Pitagora ovesse offerto agli dei un’ Ecatombe in
li scrittori dell’antichità, di cui per contrario moltissimi ripetono che quel filosofo inculcava ai suoi discepoli di non
ttanti agnelli per farne delle Ecatombi. E l’istesso autore ci ripete che l’indovino Calcante avesse consigliato ai Greci d
placarne lo sdegno. 1534. Ecatombee. — Così avevano nome alcune feste che si offerivano in Atene durante il primo mese Atti
e nelle quali si offeriva una Ecatombe. 1535. Ecatombe. — Dal costume che i pagani avevano di offerire a Giove e ad Apollo,
dava cotesto nome collettivo ai tre giganti Cotide, Gige, e Briareo, che la tradizione favolosa ci presenta come centimani
nta come centimani. 1537. Ecatonfonie. — Presso i Messeni era costume che coloro i quali in guerra avessero ucciso cento ne
li si faceva l’ Ecatombe per la suddetta ragione. Riferisce Pausania, che certo Aristomene di Corinto, avendo ucciso in gue
tonfonie. 1538. Ecatompedone. — Questo vocabolo deriva dal greco Πούς che significa piede e si chiamava così un tempio che
eriva dal greco Πούς che significa piede e si chiamava così un tempio che Minerva aveva in Atene, la cui lunghezza era appu
i. 1539. Ecdusie. — Venivano così denominate alcune feste e cerimonie che si celebravano in Fefte, città dell’isola di Cret
, la Chimera, il Leone Nemeo, e l’Idra di Lerna. Echidna è una parola che deriva dal vocabolo greco Εϰιδρα, che significa v
di Lerna. Echidna è una parola che deriva dal vocabolo greco Εϰιδρα, che significa vipera. 1541. Echidnea. — Regina degli
pera. 1541. Echidnea. — Regina degli Sciti. La cronaca favolosa narra che Ercole la tolse in moglie e ne ebbe diversi figli
e e ne ebbe diversi figliuoli. 1542. Echinadi. — Nome di alcune ninfe che furono cangiate in isole, perchè dimenticarono di
tici. 1543.Echione. — Re di Tebe. La tradizione favolosa narra di lui che essendo sopravvenuta nei suoi stati una grande si
iati, dalle ceneri uscirono due biondi giovanetti, coronati di flori, che celebrarono col canto la morte di quelle eroiche
fanciulle. Vi fu un altro Echione, padre di Penteo. Fu uno di coloro che la favola dice nati dai denti del drago di Cadmo 
o che la favola dice nati dai denti del drago di Cadmo — V. Cadmo — e che aiutarono quest’ultimo nell’edificazione di Tebe.
Tebani furono detti Echionidi. La favola ricorda di un altro Echione, che fu uno degli araldi degli Argonauti. 1544. Echion
o, liberò la madre ed il figlio. 1547. Ecelissi. — I pagani credevano che la causa dell’ecclissi lunare fossero le visite c
pagani credevano che la causa dell’ecclissi lunare fossero le visite che Diana, ossia la luna, faceva al suo amante Endimi
ravigliosa degli ecclissi, e la più generalizzata fu questa. Si disse che le streghe e tutti coloro che esercitavano la mag
a più generalizzata fu questa. Si disse che le streghe e tutti coloro che esercitavano la magìa, e particolarmente le indov
oi loro incantesimi il potere di far discendere dal cielo la luna ; e che bisognava fare un assordante rumore di calderoni,
dante rumore di calderoni, martelli ed altri strumenti, onde impedire che la luna sentisse le grida richiamatrici delle str
bbiamo dei luoghi, come nel regno di Tunchino e nella Persia, secondo che riferisce il Taverniere, nelle sue relazioni di v
il Taverniere, nelle sue relazioni di viaggi e scoperte, ove si crede che durante il tempo dell’ecclissi la luna combatta c
e che durante il tempo dell’ecclissi la luna combatta contro un drago che vorrebbe impadronirsene, e che allora gl’indigeni
lissi la luna combatta contro un drago che vorrebbe impadronirsene, e che allora gl’indigeni fanno uno strepito spaventevol
a sua relazione di viaggio nell’Indie orientali. Il certo per altro è che qualunque fosse la ragione alla quale i pagani at
i pagani attribuivano così fallacemente gli ecclissi, essi ritenevano che questi fenomeni della natura fossero del più fune
in un sol cocchio. A questi S’avventò Diomede ; e col furore Di lion che una mandra al bosco assalta E di giovenca o bue f
d. di V. Monti. 1549. Eco. — Ninfa, figlia dell’ Aria e della Terra, che abitava le rive del fiume Cefiso. La tradizione d
le rive del fiume Cefiso. La tradizione della favola racconta di lei che avendo un giorno di comune accordo con Giove, int
voli discorsi, onde questa non avesse disturbato un colloquio amoroso che Giove aveva con una ninfa del seguito di sua mogl
, saputo l’inganno, condannò Eco a ripetere l’ultima parola di coloro che la interrogavano. Eco amò con passione Narciso, m
oreste, e nelle grotte, e finalmente morì di dolore. La favola ripete che dopo la morte fu cangiata in roccia. Ecuba. — Fi
 Figlia di Cisseide, re della Tracia e moglie di Priamo, re di Troja, che la rese madre di molti figli, fra cui i più famos
uerra ; ma essa non potè vincere il profondo sentimento di avversione che le ispirava il guerriero greco, che essa aveva ve
profondo sentimento di avversione che le ispirava il guerriero greco, che essa aveva veduto, quando era regina, implorare a
oi piedi la sua protezione, ond’essere salvato dai guerrieri Trojani, che lo avevano sorpreso travestito nel loro campo, on
, era una trafittura mortale il vedersi schiava di quell’istesso uomo che essa aveva protetto nei suoi giorni felici. Dopo
efunto re Priamo aveva affidato suo figlio Polidoro. Ma avendo saputo che Polinnestore aveva fatto morire l’amato figliuolo
l re Polinnestore ; ed avendolo condotto in mezzo alle donne Trojane, che l’avevano seguita, queste si avventarono sul trad
ronache dell’antichità concordano nella gran maggioranza nel ripetere che , ai tempi di Strabone, si vedeva ancora nella Tra
dell’antica regina di Troja. Ecuba, trista misera e cattiva, Poscia che vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la
ente torta. Dante — Infermo — Canto XXX. Qualche autore ha ripetuto che Ulisse forse stato l’autore della morte di Ecuba,
cate e lo dedicò ad Ecuba ; credendo così liberarsi dai sogni funesti che lo tormentavano. 1551. Edipo. — Re di Tebe, figli
i Tebe, figlio di Lajo e di Giocasta. L’oracolo aveva predetto a Lajo che morrebbe ucciso da suo figlio, il quale dopo aver
re. Appena nato Edipo, il padre, onde scongiurare i terribili destini che si legavano alla vita del fanciullo, lo consegnò
rese cura come di un suo proprio figliuolo, e lo chiamò Edipo, parola che significa dal piede gonfiato, e lo fece educare.
orte, e avendogli l’oracolo predette le stesse spaventevoli sciagure, che aveva già annunziate al suo vero padre, Edipo si
verse contrade, giunse a Tebe, ove entrò dopo aver decifrato l’enigma che la Sfinge proponeva ai viandanti, e come Giocasta
ome Giocasta, la vedova regina di Tebe, era il premio serbato a colui che avesse risposto alla Sfinge, egli la sposò divide
to connubio nacquero i due fratelli Eteocle e Polinice, ed una figlia che ebbe nome Antigone. Gli dei, irritati dall’orribi
glia che ebbe nome Antigone. Gli dei, irritati dall’orribile incesto, che sebbene compiuto ad insaputa di Edipo, era pur se
rono la città di Tebe con una orribile pestilenza, la quale non cessò che quando il pastore che aveva portato il fanciullo
con una orribile pestilenza, la quale non cessò che quando il pastore che aveva portato il fanciullo a Polibio, venne a Teb
di Zetto, il quale fu fratello d’Anfione. Da questa unione non nacque che un solo figliuolo chiamato Itilo. La tradizione f
che un solo figliuolo chiamato Itilo. La tradizione favolosa racconta che essendo Edo gelosa di vedere che Niobe, sua cogna
ilo. La tradizione favolosa racconta che essendo Edo gelosa di vedere che Niobe, sua cognata, aveva una numerosa famiglia,
iobe, sua cognata, aveva una numerosa famiglia, mentre essa non aveva che un solo figlio, risolvette di uccidere il primo g
solo figlio, risolvette di uccidere il primo genito dei suoi nipoti, che dormiva nel medesimo tetto di Itilo. Onde mandare
figliuolo di cangiare di posto la notte seguente e mettersi nel luogo che occupava in letto il figliuolo di Niobe. Itilo, c
o. Questi due sposi si amavano così teneramente ed erano così felici, che , resi orgogliosi dalla loro stessa felicità, osar
felici, che, resi orgogliosi dalla loro stessa felicità, osarono dire che si amavano più perfettamente di Giove e di Giunon
famiglia in uccelli. Da ciò la favola, ripetuta anche dal Boccaccio, che Edone fosse cangiato in un cardellino, uccello ch
che dal Boccaccio, che Edone fosse cangiato in un cardellino, uccello che canta con un tuono triste e malinconico. 1554. Ed
rannomi di Bacco. Vedi l’articolo precedente. 1556. Educa. — Divinità che presso i pagani, presiedeva alla nutrizione dei b
città dell’ Asia minore, nella Jonia La tradizione mitologica ripete che il nome di questa città derivasse da una donna ch
Caistro, nelle circostanze del mare Egeo. Rinomati autori pretendono che la esistenza di questa città, fosse di molti anni
lti anni anteriore allo stabilimento dei Greci nell’ Asia minore ; ma che allora altro non fosse se non una piccola borgata
di Diana, la quale fin da quel tempo era venerata in quei luoghi ; e che poscia una colonia greca avesse costruita la citt
 ; e che poscia una colonia greca avesse costruita la città di Efeso, che si rese poi tanto celebre. Il famoso tempio di Di
à di Efeso, che si rese poi tanto celebre. Il famoso tempio di Diana, che fu una delle sette meraviglie del mondo, fu fatto
to tempio costò molti milioni e più di duecento anni di lavoro, tanto che il celebre architetto Taesifonte, che ne fece il
duecento anni di lavoro, tanto che il celebre architetto Taesifonte, che ne fece il disegno e diresse per lungo tempo i la
mpo i lavori d’impianto, non potè vedere, come molti altri architetti che gli successero, neanche la metà di tutta la costr
mura, si contavano 227 colonne, innalzatevi da altrettanti sovrani, e che erano tutte dei marmi più rari e preziosi : le su
statue e quadri di un valore favoloso. E pure questa opera colossale, che riuniva tante meraviglie d’arte, e tanto lusso di
inuarono, mediante enormi sagrifizii, la costruzione del loro tempio, che essi menarono nuovamente a termine dopo lunghissi
ne dopo lunghissimi anni, con più magnificenza e ricchezza. Ma sembra che il destino si opponesse nei suoi voleri a che il
e ricchezza. Ma sembra che il destino si opponesse nei suoi voleri a che il tempio di Efeso rimanesse perenne monumento de
esta dei suoi eserciti, e per ricompensare il popolo della confidenza che poneva in lui, vi ristabilì il governo democratic
no al 1206, epoca in cui passò nuovamente sotto il dominio dei Greci, che ne restarono signori fino al 1283. Da quest’epoca
festie. 1564. Efestie o Efestee. — Era questo il nome di alcune feste che si celebravano in onore di Vulcano. La cerimonia
di Vulcano. La cerimonia più saliente di esse consisteva nella corsa che tre giovanetti facevano, ciascuno con una torcia
cevano, ciascuno con una torcia accesa nella destra. Quello fra i tre che giungeva alla meta con la torcia accesa, gualagna
no. 1565. Efestione. — Amico e confidente di Alessandro, il Macedone, che lo ebbe estremamente caro, e tanto che dopo la mo
te di Alessandro, il Macedone, che lo ebbe estremamente caro, e tanto che dopo la morte di quello, avvenuta nella città di
, e dedicato per fino un oracolo. Luciano, nelle sue opere, asserisce che lo stesso Alessandro fu uno dei seguaci più caldi
a novella divinità. 1566. Efestrie. — Venivano così chiamate le feste che si celebravano in onore dell’indovino Tiresia, il
uali i Tebani facevano girare per la loro città la statua di Tiresia, che all’andare era vestito da uomo ed al ritorno da d
all’andare era vestito da uomo ed al ritorno da donna. Vedi Tiresia che mutò sembiante. Quando di maschio femmina divenue
iù cubiti ciascun anno, e d’ingrossarsi in proporzione. Non contavano che quindici anni allorquando gli altri giganti tenta
peria se la leggiadra Madrigna Ecribea nol rivelava Al buon Mercurio, che di la furtivo Lo sottrasse, già tutto per la lung
dissidio fra loro, essi morirono entrambi, in seguito alle ferite con che si erano reciprocamente offesi. 1568. Efialti. — 
rano reciprocamente offesi. 1568. Efialti. — Specie di sogni malefici che i latini chiamavano Incubi ; nome che poi è rimas
lti. — Specie di sogni malefici che i latini chiamavano Incubi ; nome che poi è rimasto anche presso di noi a quella specie
è rimasto anche presso di noi a quella specie di dolorosa impressione che talvolta si risente nel sonno, accompagnato da sp
l sonno, accompagnato da spaventose visioni. 1569. Efidriadi. — Ninfe che presiedevano alle acque e che più comunemente ven
ntose visioni. 1569. Efidriadi. — Ninfe che presiedevano alle acque e che più comunemente venivano dette Idriadi, dalla par
che più comunemente venivano dette Idriadi, dalla parola greca Υδρδς, che significa acqua. 1570. Efira. — Figliuola dell’ O
’ Oceano e di Teti, la quale dette il suo nome alla città di Corinto, che dal principio chiamavasi Efira. Al dire di Virgil
n’isola, vicina a quella di Melus, conosciuta sotto il nome di Efira, che fu patria di Sisifo. Efira, una città, natia con
che fu patria di Sisifo. Efira, una città, natia contrada Di Sisifo, che ognun vincea nel senno. Omero — Iliade — Libro V
gidì col nome di capra. Del vello di Ega, Giove rivestì il suo scudo, che perciò fu detto Egida. Questo scudo fu dato poi a
1573. Egemone. — Che significa conduttrice. Era questo il soprannome che Cromio dette a Diana, quando le fabbricò in Tegea
ale gli abitanti dell’isola Camarin, adoravano Apollo, ossia il sole, che rinasce ogni giorno. 1575. Egeo. — Figlio di Pand
i Mezioniti eransi resi padroni. Egeo fu il solo fra i suoi fratelli che non potette aver prole ; onde consultato l’oracol
u anche visitata dal dio Nettuno. Poco tempo dopo, Egeo seppe da Etra che ella era incinta, e non dubitando che il nascitur
tempo dopo, Egeo seppe da Etra che ella era incinta, e non dubitando che il nascituro fosse suo figlio, consegno ad Etra u
rosieguo Egeo sposò la famosa Medea, abbandonata da Giasone, ma quasi che le maledizioni del cielo seguissero le orme di qu
o, ed avendoli vinti, impose loro un sanguinoso tributo ;quello cioè, che ogni anno gli Ateniesi avessero dovuto mandare in
tempo la sorte cadde sopra Teseo, designandolo come una delle vittime che ogni anno, per patto della sconfitta, dovevano es
con le più calde preghiere di far cangiare le nere vele del vascello, che faceva il terribile viaggio, con altrettante di c
ndo ucciso il Minotauro, fece ritorno in patria sull’istesso vascello che lo avea ricondotto in Creta ; ma egli e i suoi co
il quale, dalla riva vedendo il fatale colore, si precipitò nel mare, che da quel tempo prese il nome di Egeo. Gli Ateniesi
neide — Libro X. Trad. di A. Caro. La tradizione mitologica racconta che Giunone, Minerva e Nettuno, vollero nella guerra
Minerva e Nettuno, vollero nella guerra degli dei, incatenar Giove e che sarebbero forse riuscili nel loro intento, se Tet
questo servigio, gli rese la sua amicizia, dimenticando la parte più che attiva che Egeone o Briareo aveva avuto nella sca
vigio, gli rese la sua amicizia, dimenticando la parte più che attiva che Egeone o Briareo aveva avuto nella scalata che i
a parte più che attiva che Egeone o Briareo aveva avuto nella scalata che i Titani tentarono dare al cielo. 1577. Eger. — N
con lei dei segreti colloquii, affine di dare più autorità alle leggi che impose ai Romani. La tradizone mitologica attribu
ria anche il nome di Camena, cioè cantatrice e profetessa, e racconta che avesse presso forma umana, ed avesse sposato il r
ale fu allora nominata Locus Camanarum e ch’è propriamente quel luogo che è detto oggi Caffarelli. Alla morte di Numa Pompi
Caffarelli. Alla morte di Numa Pompilio, Egeria fu talmente afflitta, che pianse giorno e notte, riempiendo l’aria nei suoi
e pianse giorno e notte, riempiendo l’aria nei suoi lamenti, per modo che Diana, sturbata nei suoi sagrifizi, la cangliò in
do che Diana, sturbata nei suoi sagrifizi, la cangliò in una fontana, che dal suo nome fu detta Egeria. Tra i moderni scrit
Idromanzia, personificando in essa l’idea informata della solitudine, che profonde i tesori del raccoglimento altesmoforo e
ed al saggio, amico dello studio lungo e meditativo. Numa non è altro che la personificazione della legge fatta uomo ; è lo
delle primitive mitologie. I Romani adorarono ancora un’altra Egeria, che presiedeva allo sgravo, ed alla quale le donne in
sta denominazione i Greci indicavano quelle donne e quelle fanciulle, che nelle funebri cerimonie portavano l’acqua lustral
o e di Melisse, e diede il suo nome alla contrada di cui poi fu re, e che da lui fu detta Egialea. Questa contrada è propri
e che da lui fu detta Egialea. Questa contrada è propriamente quella che i moderni geografi chiamano Morea. 1581. Egibolo
amano Morea. 1581. Egibolo o Egobolo. — Dalla parola Greca άηξ άηγδς, che significa capra ; i pagani indicavano con questo
imonie di questi sagrifizii i sacerdoti, consacrati al culto del nume che si adorava, scavavano una fossa in mezzo ad un ca
gettava su di essa il sangue fumante delle vittime sgozzate, per modo che il sommo sacerdote riceveva tutto su di sè il san
tichità danno questo nome allo scudo di tutti gli dei ; ed Omero dice che l’ Egida d’ Apollo era di oro, ma che questo nome
i tutti gli dei ; ed Omero dice che l’ Egida d’ Apollo era di oro, ma che questo nome fu proprio dello scudo di Minerva, do
ttoria da lei riportata sui mostro Egide — V. Egide ; e Virgilio dice che Minerva combatteva coprendosi tutta la persona co
ida, o scudo di Giove, era ricoperta della pelle della capra Amaltea, che avea col suo latte nutrito il re dei numi e che e
della capra Amaltea, che avea col suo latte nutrito il re dei numi e che egli aveva chiamata col nome particolare di Egida
chiamata col nome particolare di Egida, dalla parola greca άηξ άηγδς che significa Capra. 1583. Egide. — Mostro spaventevo
ta lo uccise. La Terra, sdegnata per questa morte, partorì i Giganti, che poi mossero guerra agli dei. 1584. Egilia. — Sore
ngiata in pioppo. La tradizione mitologica ricorda di un’altra Egilia che fu figlia di Adrasto, re di Argo, e moglie di Dio
o, e moglie di Diomede. Venere, sdegnata contro Diomede per la ferita che quest’ultimo le fece all’assedio di Troja, onde v
pirò ad Egilia, l’infame desiderio di prostituirsi a tutti gli uomini che incontrava. Quando Diomede ritornò in patria, Egi
a. — Figlia del flume Asopo, la quale fu con passione amata da Giove, che sotto la forma di un’aquila la rese madre di Eaco
una isola del Golfo Saronico, detta Enone o Enopia. Fu in quest’isola che Egina dette alla luce Eaco, il quale poi chiamò c
ri amori, ed Egina fu tolta in moglie da Attore, figlio di Mirmidone, che la rese madre di Menezio. 1586. Egineti. — Con qu
. Durante il periodo delle guerre persiane, gli Egineti furono quelli che più si distinsero per aver fornito maggior numero
da questo tentato colpo di mano ebbe principio l’odio inestinguibile che divise poi sempre, con mortale inimicizia gli Ate
ntichi ne fossero i ruderi. Strabone ed Eforo dicono nelle loro opere che gli Egineti fossero i primi fra i Greci a coniar
opere che gli Egineti fossero i primi fra i Greci a coniar moneta, e che fu uno di essi, per nome Fidone, che consiglio i
i fra i Greci a coniar moneta, e che fu uno di essi, per nome Fidone, che consiglio i suoi concittadini, onde facilitare il
onda sterilità della loro isola. 1587. Egioco. — Soprannome di Giove, che a lui veniva, secondo la tradizione favolosa, dal
i. — Così venivano col nome collettivo denotate tutte quelle divinità che nel culto religioso dei pagani si credeva abitass
dei pagani si credeva abitassero le montagne, i boschi e le selve ; e che venivano rappresentate coi piedi di capra, colle
mostri della Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agipani e che al dire del citato scrittore, erano perfettamente
al dire del citato scrittore, erano perfettamente simili alla figura che presso di noi rappresenta la costellazione dello
non riuscì a spegnere colla sazietà del possesso, l’ardente desiderio che questa donna bellissima gli aveva acceso nel sang
li aveva acceso nel sangue. Neofronte intanto, per vendicare l’offesa che gli aveva fatta l’amico, fece in maniera che tirò
, per vendicare l’offesa che gli aveva fatta l’amico, fece in maniera che tirò alle sue voglie Bulis, madre di Egipio ; nè
tal modo non sospettando di nulla ebbe commercio colla propria madre, che , immersa nelle tenebre, ad arte procurate da Neof
osco, fu allattato da una capra, e poi raccolto da alcuni pastori. A che m’insegui, o sanguinosa. irata Dell’inulto mio pa
nza saperne l’origine, e gli affido l’incarico di assassinare Tieste, che allora egli riteneva prigione. Tieste riconobbe l
conobbe la propria spada, e avendo interrogato Egisto, questi rispose che gliela aveva data la madre. Tieste alle parole de
ore del figlio il quale, indegnato contro Atreo per l’infame incarico che gli aveva affidato lo raggiunse a Micene e lo ucc
i di Egisto il fratello Oreste, allora fanciullo ancor di due lustri, che alla sua volta, ritornato adulto in Micene, uccis
cui la tradizione mitologica attribuisce cotesto nome. Il falso velo che ricopre gran parte, anzi quasi tutta l’epoca dei
rte, anzi quasi tutta l’epoca dei tempi favolosi, non consente oggi a che noi battessimo nelle ricerche, una via libera e s
lle ricerche, una via libera e spianata : noi altro non possiam fare, che attenerci alle opinioni degli autori più accredit
ventù studiosa, la differenza e bene spesso la contradizione completa che esiste fra quei pareri a noi tramandati da numero
uni fu figlio di Belo e d’una figlia del fiume Nelo. Altri pretendono che fosse figliuolo di Nettuno e di Libia e fratello
acconsenti alle nozze, ma impose alle figliuole l’infame comandamento che fu causa della morte dei quarantanove figliuolo d
. Danaidi. È opinione generalizzata presso i cronisti più accreditati che Egitto regnasse trecento e sei anni prima della g
i suoi scherzi i pastori e perfino gli dei campestri. La favola narra che avendo un giorno rinvenuto il vecchio Sileno che,
tri. La favola narra che avendo un giorno rinvenuto il vecchio Sileno che , preso dal vino, dormiva profondamente, essa chia
come una dea nella Puglia in cui gli abitanti credevano generalmente che il fuoco si appiccasse da sè stesso alle legna su
o si appiccasse da sè stesso alle legna su cui si ponevano le vittime che le venivano immolate. 1597. Egobolo V. Egibolo. 1
. 1597. Egobolo V. Egibolo. 1598. Egocero. — Soprannome del dio Pane, che a lui veniva da una parola Greca che significa ca
cero. — Soprannome del dio Pane, che a lui veniva da una parola Greca che significa capro, perchè egli essendo stato posto
gura di un Capro. 1599. Egofaga. — Detta anche Caprivoca, vale a dire che divora le capre. Con questo soprannome i Lacedemo
volosa ci ricorda in proposito di Questo soprannome della Dea Giunone che Ercole, dopo assersi vendicato dei suoi nemici, a
; e le avesse sacrificato una Capra ; da cio il soprannome di Egofaro che significa porta capra. 1601 Egollo. — Giovanetto
gnia di altri suoi campagni entro in una caverna consacrata a Giove, ( che secondo la tradizione era nato in quella) onde de
(che secondo la tradizione era nato in quella) onde derubare il mele che una immensa quantità di Ape vi lavoravano. Egolio
tava già per fulminarli, allorchè Teni Leparche, gli fecero osservare che non era conveniente farli morire in un luogo sacr
fin sulla vetta di un’altissima montagna, onde farne dono alla donna che amava. La cronaca tradizionale ripete che la forz
onde farne dono alla donna che amava. La cronaca tradizionale ripete che la forza di Egone non fosse minore del suo appeti
uno dei re degli Argiri, i quali quando mori l’ultimo degli Erachidi, che reggeva il loro governo, consultarono l’oracolo o
sapere chi avessero dovuto in nalzare al potere. L’oracolo rispose : che un’aquila avrebbe palesato la volontà dei numi, e
nume marino a cui i Pagani davano il nome di Proteo. Narra la cronaca che Menelao, ritornando dall’assedio di Troja fosse d
retto a ricoverarsi in un’isola deserta nelle vicinanze dell’Egitto e che egli fosse costretto a far colà una lunga dimora
lao e Proteo. 1604. Eirena. — Detta anche semplicemente Irena : nome che i dei davano alla Pace. 1605. Elseterie. — In Ate
Ateniesi in onore di Diana : venivano cosi dette da una parola greca che significa Cervo, perchè in queste ceremonie si of
ervo, perchè in queste ceremonie si offerivano alla Dea delle focacce che avevano la forma di quegli animali. Da questo cos
a dagli abitanti una deità a cui essi davano il nome dil Elagabalo, e che comunemente si ritiene essere stata il Sole ; e c
dil Elagabalo, e che comunemente si ritiene essere stata il Sole ; e che veniva rappresentata sotto la figura di un gran c
. Eleeno. — Soprannome di Giove a lui venuto da un ricchissimo tempio che aveva in una città del Peloponnese chiamata Elts.
Bacco erano sovente adoperati degli Elefanti per ricordare il viaggio che quel Dio faceva nell’Indie. Presso gl’Indiani, e
stirpe di Marte. Al dire di Omero egli comandava gli Abanti di Eubea che aveva condotto all’assedio di Troja sopra quarant
di V. Monti. 1617. Eleidi. — Soprannome delle sacerdotesse di Bacco, che venivano così dette dal rumore che facevano nelle
nnome delle sacerdotesse di Bacco, che venivano così dette dal rumore che facevano nelle orgie dei baccanali. V. Eleleeno.
cevano nelle orgie dei baccanali. V. Eleleeno. 1618. Eleleeno. — Cioè che fa molto strepito : si dava cotesto soprannome a
pito : si dava cotesto soprannome a Bacco per alludere al gran rumore che si faceva nella celebrazione dei suoi misteri. 16
imenti. Noi però ci atterremo alla stretta esposizione di quei fatti, che per essere più generalmente ripetuti dagli scritt
Polluce e di Clitennestra, sebbene la tradizione della favola ripeta che tutti questi figli, ed Elena stessa, fossero nati
eta che tutti questi figli, ed Elena stessa, fossero nati dagli amori che Giove ebbe con Leda — V. Castore e Polluce. Tind
tempi. La bellezza di lei levò tanto grido, fino da’ suoi primi anni, che Teseo, affascinato alla vista di una così incante
cinato alla vista di una così incantevole creatura, la rapì un giorno che essa insieme, ad altre fanciulle della sua età, e
ero invece la già famosa rinomanza della sua divina bellezza, e tanto che ben quaranta fra i più rinomati principi della Gr
turata, ma ben presto il destino cangiò in amara angoscia la gioia di che sembrava aver da principio sparsa la loro esisten
Menelao, la vera cagione della sanguinosa guerra tra Greci e Troiani, che finì con la totale distruzione della città di Tro
roiani, che finì con la totale distruzione della città di Troia, dopo che i Greci l’ebbero assediata pel non breve spazio d
 — Inferno — Canto V Elena dico. origine e cagione Di tanti mali, e che fu d’Ilio e d’Argo Furia comune. Virgilio — Enei
da Deifobo, altro figlio di Priamo, col quale alcuni scrittori dicono che fin dal tempo in cui Paride vivea, avesse ella av
cittadella, dopo aver fatto avvisare i capitani dell’esercito greco, che a quel convenuto segnale avrebbero trovati i Troi
stumi era stata cagione. Elena si chiamò pure una giovanetta Spartana che , secondo la tradizione, fu dalla sorte destinata
u dalla sorte destinata ad esser vittima espiatoria in un sagrifizio, che i Lacedemoni aveano avuto imposto dall’oracolo, o
di Priamo. Amò una giovanetta per nome Cassandra e la favola racconta che dormendo un giorno con lei nel vestibolo interno
e — libro III. trad. di A. Caro Eleno fu tra i suoi fratelli quello che più sì distinse all’ assedio di Troja. Comandava
di V. Monti E feri Achille in un braccio in virtù dell’arco di oro che Apollo gli aveva regalato, senza di che sarebbe s
cio in virtù dell’arco di oro che Apollo gli aveva regalato, senza di che sarebbe stato impossibile ferire Achille che era
aveva regalato, senza di che sarebbe stato impossibile ferire Achille che era invulnerabile — V. Achille — quando Elena, ve
ise, e poi dimorò sul monte Ida ; ma siccome stava nel fato di Troja, che la città non poteva esser presa senza la presenza
di Eleno con l’astuzia. Giunto al campo nemico egli predisse ai Greci che non avrebbero mai distrutta Troja, se non avesser
uoni consigli di lui, gli dette in moglie Andromaca vedova di Ettore, che a lui era toccata in sorte come preda del bottino
lio Di Priamo, re nostro, era a quel regno Di greche terre assunto, e che di Pirro E del suo scettro e del suo letto erede
ide — Libro III. Trad. di A. Caro. E gli dono gran parte dell’Epiro, che egli in memoria di un suo fratello per nome Caone
un re di Meonia, e di una schiava per nome Licinnia. Fu uno di coloro che dopo l’assedio di Troja, seguirono le sorti di En
zza maggiore della loro città, un tempio a lei dedicato. Tutti coloro che , o per sventure, o per delitti, si rifugiavano ne
Agamennone e di Clitennestra e sorella di Oreste. … Elettra io son, che al sen ti stringo Fra le mie braccia…… …… Pilade,
i — Oreste — Tragedia Atto II Scena I. Serbandolo così alla vendetta che quegli compì sette anni dopo, epoca in cui ritorn
idario. Alfieri — Oreste — Tragedia Atto II Scena II. Euripide dice che l’iniqua madre di Eletira per accontentare il des
ti del matrimonio la servì come uno schiavo fedele, fino al giorno in che Oreste la dette in moglie a Pilade. L’Eumenidi pe
. Egli corse pericolo della vita per compiere questa impresa, e tanto che la notizia della sua morte si sparse rapidamente
de. Elettra allora si recò ella stessa nella Tauride, ove le fu detto che la sacerdotessa Ifigenia aveva ella stessa vibrat
r nome Iasio. Giove, invaghitosi di Elettra la rese madre di Dardano, che fu poi il fondatore di Troia. Vi fu finalmente un
a. Vi fu finalmente un’ altra Elettra, figlia di Edipo ; ed un’ altra che fu figlia dell’ Oceano e di Teti. 1624. Elettridi
un così forte odore di zolfo, e tramandarono dei miasmi così ardenti, che gli uccelli cadevano morti se volando radevano tr
Le arene di quelle rive erano piene di una gran quantità di elettro, che è una specie di metallo, la quinta parte del qual
io è grande la disparità dei cronisti della favola. Alcuni pretendono che fosse figlio di Perseo e di Andromeda : altri che
. Alcuni pretendono che fosse figlio di Perseo e di Andromeda : altri che fosse figlio di Alceo e fratello di Anfitrione. I
primo, seguendo il quale Elettrione tolse in moglie sua nipote Anaxo, che lo rese padre di Alcmena, Anfimaco ed altri — V.
ire l’ animale, percosse Elettrione così violentemente in una tempia, che gli produsse una morte istantanea. Elettrione era
morte istantanea. Elettrione era similmente il nome di una giovanetta che secondo la tradizione favolosa era figlia del Sol
città di Eleusi nell’Attica. In alcuni scrittori si trova l’opinione che la città ricevesse il nome di Eleusi, parola che
si trova l’opinione che la città ricevesse il nome di Eleusi, parola che in greco significa arrivo, dall’epoca in cui Cere
, di cui nell’articolo precedente, ove i suoi misteri venivano meglio che altrove celebrati. 1628. Eleusine. — Dette anche
olpevoli di qualunque reato. Ai misteri Eleusini non venivano ammessi che i nativi dell’Attica ; pure si legge, in vari aut
ano ammessi che i nativi dell’Attica ; pure si legge, in vari autori, che Anacarsi lo Scita, e Ippocrate, non che Ercole, C
ure si legge, in vari autori, che Anacarsi lo Scita, e Ippocrate, non che Ercole, Castore, Polluce, Esculapio, ed altri, fo
libertà. 1632. Eleuterie. — Così venivan dette alcune sacre cerimonie che i greci celebravano in onore di Giove-Eleuterio,
iove-Eleuterio, vale a dire liberatore. 1633. Eleuterio. — Soprannome che i greci davano particolarmente a Bacco. Essi anne
te a Bacco. Essi annettevano a questa parola la stessa significazione che i Latini al loro liber pater. 1634. Eleuto. — Dal
occorrere le partorienti. 1635. Eliache. — Cosi avevano nome le feste che si celebravano in onore del Sole. 1636. Eliadì. —
La tradizione ripete a traverso il velo di una bellissima allegoria, che anche dopo la loro metamorfosi, quelle pietose co
osi, quelle pietose continuarono a piangere la morte del loro caro, e che le gocce di ambra che il tronco dei pioppi trasud
ntinuarono a piangere la morte del loro caro, e che le gocce di ambra che il tronco dei pioppi trasuda continuamente, altro
ambra che il tronco dei pioppi trasuda continuamente, altro non sono che le lagrime che, nel loro dolore, versano ancora q
ronco dei pioppi trasuda continuamente, altro non sono che le lagrime che , nel loro dolore, versano ancora quelle affettuos
i Elio. Quando gli Eliadi giunsero all’età virile, seppero da Apollo, che Minerva, dea della saggezza, aveva risoluto di fi
lla saggezza, aveva risoluto di fissare la sua dimora fra quel popolo che prima di ogni altro le avesse offerto un sacrifiz
niesi, profittando di ciò, sacrificò per il primo a Minerva e ottenne che la dea dimorasse in Atene. Da ciò la tanta saggez
dettero un grande impulso all’arte della navigazione. Fra gli Eliadi, che erano sette fratelli di cui al dire di Diodoro ec
di suo padre Elio, dette il nome di Eliopoli. La tradizione aggiunge che Atti fosse il primo ad insegnare agli Egizii il c
ed è propriamente quella conosciuta sotto il nome di Orsa maggiore, e che , secondo la tradizione, fu la guida costante di t
1638. Elielo. — I Romani con questo nome adoravano Giove e credevano che pronunziando alcune date parole, fra le quali ven
39. Eliconia. — Detta più comunemente Elicona : montagna della Beozia che sorgeva tra il monte Parnaso e il monte Citerone.
e. Questa montagna era consacrata alle muse e ad Apollo, e si credeva che esse vi abitassero quasi sempre, prendendo cura d
cura della fontana di Ippocrene e della tomba di Orfeo. O musa, tu, che di caduchi allori Non circondi la fronte in Elico
ità per gli spettacoli conosciuti sotto il nome di giuochi olimpici e che si celebravano in onore di Giove Olimpico. 1642.
stanca del faticoso cammino s’addormentò e vide in sogno il figliuolo che la confortò a non affliggersi della sua morte, gi
dell’Egitto è celebre pel culto del Sole. Alcuni scrittori pretendono che sia la stessa che Tebe. Era antico costume dei Fe
bre pel culto del Sole. Alcuni scrittori pretendono che sia la stessa che Tebe. Era antico costume dei Fenici il portare og
all’oracolo, posava una grande lamina inargentata, specie di specchio che rifletteva i raggi del sole, e collocata in modo
ecie di specchio che rifletteva i raggi del sole, e collocata in modo che tutto il tempio ne era illuminato di una luce viv
pio ne era illuminato di una luce vivissima. Si narra nelle cronache, che allorquando l’imperatore Trajano mosse per la spe
per la spedizione contro i Parti, vi fu taluno fra i suoi confidenti, che gli consigliò di consultare l’oracolo di Eliopoli
oli, onde sapere quale sarebbe stata la sorte delle sue armi. Trajano che non divideva la superstiziosa credenza dei suoi c
on divideva la superstiziosa credenza dei suoi contemporanei, rispose che non voleva fare il viaggio fino ad Eliopoli, tant
i, rispose che non voleva fare il viaggio fino ad Eliopoli, tanto più che qualunque sarebbe stata la risposta dell’oracolo,
la risposta dell’oracolo, egli avrebbe sempre compiuta la spedizione, che da lungo tempo meditava. Però avendo il confident
a. Però avendo il confidente risposto all’obbiezione del suo signore, che non occorreva recarsi di persona onde consultare
e, che non occorreva recarsi di persona onde consultare l’oracolo, ma che era sufficiente scrivere la dimanda su di un pezz
sua miscredenza, egli non scrisse nessuna domanda ; ma non andò guari che fosse rimorso, fosse, com’è più probabile, imperi
dall’oracolo una vite fatta in pezzi. Macrobio, nelle sue opere, dice che l’evento si avverò in tutta la sua terribile veri
poichè Trajano fu ucciso in guerra, ed in Roma altro non ritornarono che le sue ossa, le quali secondo il suddetto scritto
re, erano state figurate nella vite fatta in pezzi. Oltre ai responsi che l’oraco lo di Eliopoli dava per iscritto, comunic
into si chiamava anch’essa Eliopoli, prima di chiamarsi Corinto, nome che le fu dato a causa del calore del clima e dell’ar
 — Cosi venivano denominati i Cartaginesi da Elisa, poi detta Didone, che fu la fondatrice dell’impero di Cartagine. 1646.
mpi. — Parte degl’inferni in cui i poeti dell’antichità, immaginarono che regnasse una eterna primavera, e dove le ombre de
el definire la posizione topografica dei campi Elisi. Taluni vogliono che stessero presso l’Egitto : altri poco lungi da Le
a dai più rinomati cronisti della favola. Pindaro ed Esiodo ripetono, che Saturno era il sovrano dei campi Elisi ; ove egli
lisi ; ove egli regnava con sua moglie Rea. Omero e Virglio scrissero che gli eroi, abitatori di quel celeste soggiorno, tr
si col suono della lira, l’eroiche gesta dei semidei. È però a notare che i poeti osceni, di cui non è certo penuria fra gl
di cui non è certo penuria fra gli scrittori dell’antichità, ripetono che gli abitatori degli Elisi, avessero in premio del
premio della loro virtù sulla terra, tutte le più raffinate lascivie che il genio della voluttà potesse mai immaginare. 16
ia di Nefelea e di Atamante, re di Tebe. La cronaca mitologica narra, che stanca delle crudeli persecuzioni che la matrigna
e. La cronaca mitologica narra, che stanca delle crudeli persecuzioni che la matrigna le faceva patire, ebbe il coraggio di
a cavallo del famoso ariete dal vello d’oro, e traversare lo stretto che divideva la Troade dalla Tracia e fuggire in Colc
ggire in Colco. Allorchè ella si vide in mezzo alle onde, il coraggio che fino allora l’aveva accompagnata, l’abbandonò per
l coraggio che fino allora l’aveva accompagnata, l’abbandonò per modo che affogò miseramente, rendendo, con la sua morte, c
miseramente, rendendo, con la sua morte, celebre quel tratto di mare, che da lei fu detto Ellesponto. 1648. Ellera. — Quest
mare, che da lei fu detto Ellesponto. 1648. Ellera. — Questa pianta, che più comunemente si chiama edera, era consacrata a
di Elettra e di Tamante. 1650. Ellotia. — Detta anche Ellozia : festa che si celebrava in Grecia in onore di Europa Ellote,
te, e durante la quale si portava in giro una enorme corona di mirto, che , secondo la tradizione, si chiamava Ellotide, ed
mpio di Minerva, fra le cui fiamme morì arsa la sacerdotessa Ellotide che lo aveva in custodia. Qualche tempo dopo una terr
olo onde sapere il modo di far cessare il flagello. L’oracolo rispose che bisognava rifabbricare il tempio di Minerva, e pl
l’articolo precedente. V. Ellotia. 1652. Elmo di Plutone. — I Ciclopi che , secondo la favola, fabbricavano i fulmini a Giov
vano i fulmini a Giove ebbero da Plutone l’incarico di fargli un elmo che aveva la singolare proprietà di rendere invisibil
i rendere invisibile chi lo portava. La tradizione mitologica ripete, che quando Perseo ando a combattere la Gorgone Medusa
l padre. V. Polifemo. 1655. Elpenore. — Fu uno dei compagni di Ulisse che , insieme agli altri seguaci di lui, fu dalla maga
onde raggiungere i suoi compagni, la cui nave già stava per far vela, che precipitò da una rupe assai alta e si uccise. Un
sue cronache, e con lui varii altri scrittori dell’antichità, narrano che essendo Elpide approdato in Africa, s’imbattesse
rano che essendo Elpide approdato in Africa, s’imbattesse in un leone che restò fermo innanzi a lui, con la bocca spalancat
la bocca, piuttosto in atto di domandare sollievo ad una sofferenza, che in attitudine minacciosa Elpide allora, sorpreso
dio, discese dall’albero, si accostò all’animale, e si accorse allora che i lamenti di quello venivano dallo avere un osso
i lamenti di quello venivano dallo avere un osso a traverso la gola, che gli cagionava una dolorosa ferita. Elpide non esi
renza. In memoria di questo fatto, ed in rendimento di grazie al nume che Elpide aveva invocato nel suo pericolo, egli, rit
glio di Titone. Feroce e sanguinario egli trucidava tutti i viandanti che cadevano nelle sue mani. Ercole lo uccise e le co
Le veniva attribuito un potere estesissimo, e si credeva generalmente che tutt’i malati che dormissero una notte nel recint
to un potere estesissimo, e si credeva generalmente che tutt’i malati che dormissero una notte nel recinto del tempio a lei
l tutto. Era inoltre Emitea ritenuta come protettrice dei parti ond’è che le donne incinta ne invocavano la protezione con
e di questa divinità era estesa e divulgata per tutta l’Asia per modo che il suo tempio nella città di Castabea era carico
e non circondato di mura, fu sempre rispettato, e per sino i Persiani che spogliarono tutt’i templi della Grecia, lasciaron
ità parlano di questa divinità, il cui nome primitivo era Malpadia, e che poi fu detta Emitea, dalla parola Greca Ἐμιδεα Se
e che poi fu detta Emitea, dalla parola Greca Ἐμιδεα Semidea, secondo che suona il vocabolo stesso di Emitea. 1663. Emo. — 
Di notte entrai, per ischernir tua legge. Di velenoso sdegno, è ver, che avea Gonfio Antigone il cor ; disegni mille Volge
del supplizio, e quivi vedendo la sua amata Antigone sospesa al nodo che essa stessa aveva formato del suo velo, l’abbracc
morte, e le tradite Nozze, e l’opre del padre. Il padre a lui, Tosto che il vede, alto sclamando accorre, E con rotti sing
alto sclamando accorre, E con rotti singulti : Oh sciagurato ! « Oh ! che mai festi ? e che pensier fu il tuo ? In qual gui
orre, E con rotti singulti : Oh sciagurato ! « Oh ! che mai festi ? e che pensier fu il tuo ? In qual guisa ti perdi ? Esci
ava cotesto nome a quella divinità sotto la cui protezione si credeva che stessero i villaggi. 1666. Emploei. — Pubblici gi
ecciati di nastri e di fiori. 1667. Empoleo. — Soprannome di Mercurio che veniva con esso riverito come protettore dei merc
rito come protettore dei mercanti. 1668. Empusa. — Fantasma femminino che secondo la cronaca favolosa aveva un sol piede, e
esto fantasma ai colpevoli onde tormentarli. Forse Empusa altro non è che la personificazione del rimorso. 1669. Encaddiri.
rticolari divinità. 1670. Encelado. — Il più formidabile fra i Titani che vollero dare la scalata al cielo. Era figlio del
areri a noi trasmessi dagli scrittori dell’antichità. Vogliono alcuni che Giove rovesciasse su di Encelado, il monte Etna e
l monte Etna e lo seppellisse sotto di questo. I poeti da ciò finsero che le eruzioni di questo vulcano, le quali scossero
nelle visceri profonde, l’intera isola di Sicilia, altro non fossero che gli inutili conati e gli sforzi impotenti che di
ilia, altro non fossero che gli inutili conati e gli sforzi impotenti che di tratto in tratto il fulminato gigante ritenta
in tratto il fulminato gigante ritenta onde volgersi su i fianchi, e che al suo più piccolo movimento l’Etna vomiti dal su
e e la Trinacria tutta. V. Monti — La Musogonia — Canto. Altri narra che Encelado fosse schiacciato sotto il carro di Mine
Encelado fosse schiacciato sotto il carro di Minerva. Altri pretende che egli fosse già in fuga e che Minerva lo arrestass
otto il carro di Minerva. Altri pretende che egli fosse già in fuga e che Minerva lo arrestasse gettando l’isola di Sicilia
ontatto eguale e costante nella generalità dei cronisti ; eguaglianza che emerge dalla etimotogia stessa dei nomi. In fatti
lica in sè stessa l’idea del fumo ; immagini e configurazioni queste, che si addicono entrambi con assai convenienza ad un
za ad un vulcano. La cronaca fa anche menzione di un altro Encelado, che fu uno dei cinquanta figli di Egitto che sposò un
nzione di un altro Encelado, che fu uno dei cinquanta figli di Egitto che sposò una delle cinquanta Danaidi la quale, a som
che Endia o Endeja. Fu figlia del centauro Chirone, e moglie di Eaco, che la rese madre di Telamone e di Teleo. 1673. Endim
ommercio nacquero diversi figli. 1674. Endoco. — Discepolo di Dedalo, che si rese celebre quasi quanto il suo maestro. In u
nelle circostanze di Atene, si ammirava una statua di Minerva seduta, che era opera di lui, e che veniva altamente pregiata
ne, si ammirava una statua di Minerva seduta, che era opera di lui, e che veniva altamente pregiata. Egli aveva pel suo mae
semi-celestiale sua origine ; e lo addestrò in tutti quegli esercizii che allora formavano l’educazione di un eroe ; compiu
di Menelao, alla corte di Priamo, Enea previde le fatali conseguenze che un tanto oltraggio avrebbe trascinato seco, e fec
glio d’Anchise, il bellicoso Diomede si spinge, nè l’arresta Il saper che la man d’Apollo il copre. Desioso di porre Enea s
clo, l’amico più caro di Achille, fu ucciso da Ettore, Enea fu quello che riaccese nell’animo dei già fuggenti trojani, il
estrieri di Achille, ma non riuscì mai nel suo intento. La protezione che Nettuno aveva accordata ad Enea onde accondiscend
rose sue gesta senza aver mai nulla a soffrire, poichè tutte le volte che Enea correva in uno scentro con l’inimico, un pos
la eroicamente difesa, ne uscì la notte stessa con tutti quei Trojani che vollero seguire le sue sorti, fuggendo per una po
le da quella notte non potette più averne notizia. Le cronache stesse che riportano il fatto doloroso, non tengono più paro
tti i suoi seguaci, potè dopo qualche tempo, imbarcarsi su d’una nave che la favola dice costrutta da Mercurio, e che i poe
imbarcarsi su d’una nave che la favola dice costrutta da Mercurio, e che i poeti e i mitologi fanno diventare un’intera fl
se, dopo una fortunosa traversata, nella Tracia ove edificò una città che fu detta Eno, forse dal nome di lui. Recatosi qui
oggiorna il freddo inverno. A la materna Delo il biondo Apollo, Allor che festeggiando accolti e misti Infra gli altari i D
elebre Sibilla Cumana, s’ebbe la rivelazione delle differenti vicende che ancora doveva affrontare. La tradizione favolosa
ti vicende che ancora doveva affrontare. La tradizione favolosa narra che essendogli guida la stessa Sibilla, Enea discende
Or se del vero Punto è ’l mio cor presago, egli è quel desso Cred’io che ’l Fato accenna, e ’l credo e ’l bramo. Virgilio
ncitore Ed lo son vinto. E già gli Ausoni tutti Mi ti veggiono a piè, che supplicando Mercè ti chieggio. E già Lavinia è tu
iono a piè, che supplicando Mercè ti chieggio. E già Lavinia è tua. A che più contro un morto odio e tenzone ? Enea ferocem
e spoglie d’un mio tanto amico Adorno, oggi di man presumi uscirmi Si che non muoia ? Muori… ………….. E, ciò dicendo, il pett
ò pacificamente per lo spazio di quattro anni, durante i quali sembrò che il destino volesse finalmente accordargli giorni
ad Enea, quando egli sparì ad un tratto, e l’opinione degli storici è che egli si annegasse nelle acque del fiume. La favol
ci è che egli si annegasse nelle acque del fiume. La favola però dice che Venere, vedendolo coperto di ferite lo avesse tra
ligiosi e pii sentimenti. e cantai di quel giusto Figliuol d’Anchise che venne da Troja, Poi che il superbo Ilion fu combu
. e cantai di quel giusto Figliuol d’Anchise che venne da Troja, Poi che il superbo Ilion fu combusto. Dante — Inferno — 
tradizione mitologica ricorda di un’altro Enea, figliuolo di Cefalo, che succedette nel governo della Focide a Dejoneo, su
e di Eolidi. Eneo sposò in prime nozze una giovanetta per nome Altea, che morì assai presto dopo averlo reso padre di Melea
padre di Meleagro e di Dejanira. Unito a Peribea ebbe da questa Tideo che fu poi padre del famoso Diomede. Eneo in età assa
ll’avo paterno, gli onori funebri con gran pompa e solennità, e volle che il luogo ove egli morì fosse dal suo nome detto E
gli morì fosse dal suo nome detto Eneo. È opinione di varii scrittori che durante la vita di Eneo, avesse avuto luogo la fa
abbia nozione nella geografia del mondo antico. Leggesi nella Genesi, che fu fabbricata da Caino, il quale la chiamò così d
p. IV. trad. di G. Diodati. 1681. Enloca. — Dalla parola greca Ηυιολ che significa redini, si dava cotesto soprannome a Gi
gli Pelio e Neleo. 1684. Enisterie. — Ossia feste del vino. Cerimonie che venivano celebrate in Atene dai giovanetti avanti
avano a bere ai circostanti. La parola Enisteria viene dal greco οωος che significa vino. 1685. Ennea. — Cerere veniva così
omi del Dio Nettuno. 1687. Ennomo. — Così aveva nome uno degli Auguri che era ritenuto come uno dei più sapienti dell’Asia.
ra ritenuto come uno dei più sapienti dell’Asia. La tradizione ripete che egli comandasse i Miseni ausiliarii dei Trojani n
e loro campagne, a cagione delle fosse fatte dalla corrente, per modo che le loro terre divennero affatto inatte alla colti
La tradizione mitologica ricorda di un’altra Enoe, regina dei Pigmei che fu cangiata in grue. 1691. Enomao. — Re della cit
nome Ippodamia. Secondo le cronache, Enomao, spaventato da un oracolo che gli aveva predetto ch’egli sarebbe ucciso da suo
ucciso da suo genero, essendo del continuo assediato dalle richieste che gli si facevano della mano della figlia, impose a
ano della mano della figlia, impose a questo matrimonio la condizione che lo sposo d’Ippodamia dovesse vincerlo nella corsa
e che lo sposo d’Ippodamia dovesse vincerlo nella corsa ; aggiungendo che coloro i quali volevano accettare questa condizio
ontentandosi di farli seppellire in un luogo eminente. È detto ancora che il principe Pelope il quale fu il quattordicesimo
È detto ancora che il principe Pelope il quale fu il quattordicesimo che accettò la sfida di Enomao, fosse riuscito vincit
ente, ed essa lungi dal resistergli, si abbandonò alle voglie di lui, che per mostrar le la sua gratitudine le concesse una
enire, e delle diverse virtù medicinali delle piante. Avvenne intanto che Paride, al tempo in cui era ridotto alla condizio
l monte Ida seppe farsi amare da Enone, e la rese madre di un bambino che fu chiamato Coritto. Quando Enone intese che Pari
rese madre di un bambino che fu chiamato Coritto. Quando Enone intese che Paride voleva lasciarla per ritornare in patria,
gni sforzo per impedirgli il viaggio, predicendogli tutte le sventure che erano per accadergli, ma Paride la scacciò da sè
orata, lo segui da lungi, col fermo divisamento di guarirlo, ma prima che avesse potuto raggiungerlo, Paride morì, ed essa
clamato re. Tolta in moglie la ninfa Elise, ebbe da questa una figlia che chiamò Merope. Questa giovanetta di soli tre lust
ma non bastandogli l’animo di provocare il gigante, colse il momento che quegli, preso dal vino, dormiva e gli fece cavare
i fece cavare gli occhi. 1694. Enoptromanzia. — Specie di divinazione che si faceva per mezzo di uno specchio ; ed era così
zzo di uno specchio ; ed era così detta dalla parola greca ευοπιρου ; che significa appunto specchio. 1695. Enorigeo. — Sop
οπιρου ; che significa appunto specchio. 1695. Enorigeo. — Soprannome che si dava a Nettuno come personificazione del mare
esso gli antichi ad Enorigeo si contraponeva Asfalione ; cioe Nettuno che sofferma la terra. Nei poeti dell’antichità si tr
esso significato. 1696. Enotoceti. — Nelle opere di Strabone si trova che questo era il nome di alcuni popoli selvaggi, orr
Secondo Virgilio egli dette anche il suo nome a tutta questa contrada che da principio fu detta Esperia, poscia da questo E
hiamata Enotria, e finalmente Italia da Italo. Una parte d’Europa è, che da Greci Si disse Esperia, antica, bellicosa. E f
Entheatus, vale a dire : pieno di divinità, ispirato , ogni persona che predicesse l’avvenire, ed il luogo dove si davano
alla tradizione mitologica creduta dagli abitanti dell’isola di Rodi, che cioè, Elena dopo la sua morte fosse stata sospesa
adorarono come una divinità, alla quale dettero il nome di Entitride, che significa appunto sospeso ad un albero. 1701. Eol
o, e dava utili consigli ai navigatori. Da ciò la tradizione favolosa che lo fa dio delle tempeste, e padre di dodici figli
delle tempeste, e padre di dodici figliuoli sei maschi e sei femmine, che si maritano fra di loro e che altro non sono che
ici figliuoli sei maschi e sei femmine, che si maritano fra di loro e che altro non sono che i dodici venti principali che
aschi e sei femmine, che si maritano fra di loro e che altro non sono che i dodici venti principali che nei giorni delle bu
ritano fra di loro e che altro non sono che i dodici venti principali che nei giorni delle burrasche sconvolgono l’aria, la
l’articolo precedente. Al dire di Omero, una sola fra le isole Eolie, che è quella di cui egli fa menzione, era galleggiant
tello di Alcmena, e cugino di Ercole. Narra la tradizione mitologica, che Ercole, ancora giovanetto, andando a diporto per
o per le vie di Sparta, passò dinanzi la casa d’Ipocoonte, ed il cane che la custodiva gli si avventò addosso. Eono veggend
dre ed i figli, onde vendicare la morte di Eono. Fu dopo questo fatto che Ercole innalzò un tempio a Giunone sotto il nome
V. Egofora. Ed un altro a Minerva sotto la denominazione di αξιοποωη che significa vendicatrice. Dopo la morte Eono fu inn
o. — Così si chiamava uno dei cavalli del sole, e propriamente quello che dinota l’oriente. In alcuni poeti dell’antichità
ifero. 1706. Eorie. — Feste in onore di Erigone. Si crede comunemente che sieno le stesse dette Aletidi. 1707. Eoso. — Giga
comunemente che sieno le stesse dette Aletidi. 1707. Eoso. — Gigante che fu figlio di Tifone. 1708. Epafo. — Figlio di Gio
del Nilo, dopo di aver ricuperato le sembianze umane. Onde si tiene che a Giove nascesse, Epafo, un bel figliuol che usci
ze umane. Onde si tiene che a Giove nascesse, Epafo, un bel figliuol che usci di lei, Ovidio — Metamorfosi — Lib. I. trad
la celebre città di Menfi. 1709. Epatoscopia. — Specie di divinazione che gli Aruspici facevano coll’osservazione del fegat
fegato delle vittime. Questa parola deriva da due vocaboli greci Ηπρα che significa fegato σϰοπἑω che suona io considero. 1
parola deriva da due vocaboli greci Ηπρα che significa fegato σϰοπἑω che suona io considero. 1710. Epaulie. — Cerimonie ch
fica fegato σϰοπἑω che suona io considero. 1710. Epaulie. — Cerimonie che i greci celebravano il secondo giorno delle nozze
reci celebravano il secondo giorno delle nozze per consacrare la casa che lo sposo aveva scelto per domicilio. Lo stesso no
aveva scelto per domicilio. Lo stesso nome di Epaulie davansi ai doni che i convitati facevano agli sposi, e particolarment
ose in Olimpia un premio alla corsa a tre suoi figliuoli, proclamando che il vincitore gli sarebbe succeduto al trono. I fr
sfida, e quest’ultimo riuscito vincitore fu proclamato re degli Elei, che da lui presero la denominazione di Epei. Etolo, i
’invenzione di diverse macchine da guerra. Vari scrittori asseriscono che egli avesse fabbricato il famoso cavallo di Troja
rezene, in ringraziamento a quel dio di averlo salvato dal naufragio, che fece perire gran numero dei suoi compagni nel rit
quale assisteva il Gerofante all’altare. 1718. Epicasta. — La stessa che Giocasta, madre di Edipo, la quale, al dire di Om
sto da lei commesso. V. Edipo. La favola ricorda di un’altra Epicasta che fu figliuola di Egeo, ed una delle mogli di Ercol
Epicaste. — Figlia di Calidone e di Eolia. Ella sposò il re Agenore, che la rese madre di Demonice e di Partaone. 1720. Ep
che la rese madre di Demonice e di Partaone. 1720. Epiclidie. — Feste che gli abitanti dell’Attica celebravano con gran pom
e. — Ossia feste delle fontane. Così avea nome una pubblica cerimonia che i Lacedemoni celebravano in una data epoca dell’a
o lo stesso nome. La cronaca mitologica ricorda di un’altro Epidauro, che fu figlio di Argo e di Evadne, il quale dette il
uro. 1725. Epidelio. — Uno dei soprannomi di Apollo. Narra la cronaca che quando Menofane comandava la flotta di Mitridate,
cui davano la stessa denominazione. Gli antichi credevano fermamente che quelle divinità assistessero invisibilmente alla
nità assistessero invisibilmente alla cerimonia. 1727. Epidoti. — Dei che avevano un tempio in Epidauro, e che erano ritenu
cerimonia. 1727. Epidoti. — Dei che avevano un tempio in Epidauro, e che erano ritenuti come protettori della crescenza de
stessa appellazione al sonno, ed in generale a tutti i genii benefici che s’invocavano onde placare le anime dei trapassati
le anime dei trapassati. 1728. Epifane. — Soprannome dato a Giove, e che aveva presso i greci lo stesso significato della
colla quale i romani indicavano Giove stesso. Tanto la parola Epifane che Elicius racchiude il senso della presenza del pad
Epigone. — Presso i pagani si chiamava la guerra degli Epigoni quella che fecero i discendenti di coloro che erano morti al
ava la guerra degli Epigoni quella che fecero i discendenti di coloro che erano morti alla prima guerra di Tebe, combattuta
questa, a cui fu dato il nome degli Epigoni. 1732. Epimelidi. — Ninfe che presiedevano alle mandre. Mercurio, per la stessa
uale visse ai tempi di Solone. La cronaca mitologica racconta di lui, che nella sua gioventù avendolo suo padre posto a cus
a gregge, egli assiso in una caverna fu sorpreso da un profondo sonno che durò per lo spazio di cinquantasette anni. Destat
ena picchiò all’uscio, da persone a lui sconosciute, gli fu domandato che cosa volesse e chi fosse. Finalmente fu riconosci
chi fosse. Finalmente fu riconosciuto dall’ultimo dei suoi fratelli, che egli avea lasciato bambino di pochi anni, e che r
mo dei suoi fratelli, che egli avea lasciato bambino di pochi anni, e che ritrovava vecchio, ed al quale Epimenide raccontò
e pestilenza in Atene, gli abitanti fecero venire Epimenide, persuasi che offerendo ai numi nn sacrificio espiatorio per le
lero ricompensare Epimenide, offerendogli un’ingente somma di danaro, che egli ricusò, accettando solo un ramoscello di all
, accettando solo un ramoscello di alloro. 1736. Epimeteo. — Vocabolo che nel linguaggio antico significa che non riflette
lloro. 1736. Epimeteo. — Vocabolo che nel linguaggio antico significa che non riflette se non dopo il fallo. Era questo il
consigliato Epimeteo a non accettar mai un presente da Giove, temendo che questi sdegnato contro Prometeo per aver questi f
Prometeo per aver questi fatta con la creta una figura umana e detto che era anch’egli un creatore, non avesse voluto vend
gli per altro trascurò l’avviso del fratello ed accolse il falal dono che Giove gli fece inviandogli per mezzo di Mercurio
che Giove gli fece inviandogli per mezzo di Mercurio la bella Pandora che egli sposò e che lo rese padre di Pirra. Vedendo
e inviandogli per mezzo di Mercurio la bella Pandora che egli sposò e che lo rese padre di Pirra. Vedendo però Giove che ad
ndora che egli sposò e che lo rese padre di Pirra. Vedendo però Giove che ad altro non era riuscito che a far felice Epimet
rese padre di Pirra. Vedendo però Giove che ad altro non era riuscito che a far felice Epimeteo lo mutò in una scimmia. 173
mutò in una scimmia. 1737. Epinicie. — Davasi questo nome alle feste che gli antichi celebravano per solennizzare una vitt
izzare una vittoria. 1738. Epinicio. — Si dava questo nome ad un inno che gli antichi costumavano di cantare per celebrare
emici. Coll’andare del tempo si cantò l’Epinicio per acclamare coloro che riuscivano vincitori ai pubblici giuochi. Non bis
dia canzone funebre, alla quale davasi comunemente il nome di Nenia e che si cantava ai funerali. 1739. Epione. — Moglie di
, Igiea, Egla e Giaso. 1740. Epipirgide. — Dalla parola greca Ηπηρλορ che significa torre gli Ateniesi avevan dato questo n
a formata, di tre corpi in uno, ch’essi avevano consacrato ad Ecate e che rassomigliava molto ad una torre. 1741. Epipola.
a giovanetta, figlia di un greco chiamato Trachione. Narra la cronaca che Epipola fortemente sdegnata dell’oltraggio che Pa
ione. Narra la cronaca che Epipola fortemente sdegnata dell’oltraggio che Paride aveva fatto a tutti i greci, col rapimento
la una spia. 1742. Epiponsia. — Soprannome data a Venere per indicare che essa era nata dalla spuma del mare. 1743. Episcaf
nata dalla spuma del mare. 1743. Episcafie. — Dalla parola greca σϰηη che significa barca, si dava codesto nome ad una fest
che significa barca, si dava codesto nome ad una festa delle barche, che si celebrava con grande apparato nell’isola di Ro
veva nella piccola città di Sciro. È opinione di pregevoli scrittori, che questa solennità venisse detta Episcira in commem
esta solennità venisse detta Episcira in commemorazione dell’ombrella che il sacerdote sacrificatore portava in tale congiu
giunta al nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo della statua che questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicar
o della statua che questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicare che essa che come dea degli amori presiedeva ai nasci
tatua che questa dea aveva nel tempio di Delfo, per indicare che essa che come dea degli amori presiedeva ai nascimento, pr
nto, presiedeva in pari tempo alla morte, dovendo aver fine tutto ciò che ha principio. 1747. Epitragie. — Altro soprannome
o Teseo a cavallo ad un capro, e lo chiamarono col nome di Epitragie, che significa popolare. 1748. Epizelo. — Era questo i
una ferita. Erodoto racconta di lui, sotto il manto della tradizione, che mentre si aggirava pel campo, gli comparve un uom
gli comparve un uomo di una grande statura, e con lunga barba nera, e che avendolo ucciso rimase all’istante cieco per tutt
ll’istante cieco per tutta la vita. 1749. Epona. — Era questo il nome che i romani del paganesimo, davano alla divinità pro
e divinità. 1750. Epopeo. — Dalla ninfa Canace ebbe Nettuno un figlio che chiamò con questo nome. Divenuto adulto, Epopeo,
uivi, profittando con grande avvedutezza e coraggio, delle inimicizie che le crudeltà di Corace avevano accese nei suoi sud
ta la sua vita una particolare divozione. La tradizione favolosa dice che la dea, in attestato dell’affetto con che ebbe ca
La tradizione favolosa dice che la dea, in attestato dell’affetto con che ebbe caro Epopeo, fece quand’egli morì, scaturire
con che ebbe caro Epopeo, fece quand’egli morì, scaturire dal tempio che egli stesso le aveva innalzata una fontana di oli
a innalzata una fontana di olio. 1751. Epopte. — Era questo il titolo che si dava all’ultimo iniziato ai misteri di Eleusi,
quale solo era permesso di assistere alle più segrete cerimonie, cosa che non ottenevasi se non dopo un lungo noviziato di
vevano l’incarico speciale di preparare il banchetto a cui si credeva che gli dei prendessero parte, e che perciò veniva ap
parare il banchetto a cui si credeva che gli dei prendessero parte, e che perciò veniva apparecchiato solo per essi. I sace
sta guerra ebbe Quinto Fulvio il comando delle cavalleria, e per fare che la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi
er fare che la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi soldati che al momento di caricare avessero tolte le briglie
fu eseguito alla lettera, e l’urto della cavalleria fu così impetuoso che bastò una sola carica per decidere della vittoria
bastò una sola carica per decidere della vittoria. Sebbene più assai che alla protezione della dea, dovesse Quinto la ripo
dire, ed alla bravura dei soldati, pure egli tenne il voto e per fare che il tempio della Fortuna fosse quant altri mai, ma
altri mai, magnifico e splendido, fece togliere le grondaje di marmo che ricoprivano il tempio di Giunone Lucinia, negli A
oprivano il tempio di Giunone Lucinia, negli Abbruzzi, e dette ordine che fossero trasportate in Roma. Pero il popolo si op
he fossero trasportate in Roma. Pero il popolo si oppose a quest’atto che riteneva come un sacrilegio e Quinto fu obbligato
onore di Marte, dio della guerra. Nel giorno 26 del mese di Febbrajo, che ricadeva nel periodo di questa solennità, si face
dea con Astrea. Al dire di Pindaro l’Equità fu madre di tre figliuole che furono Eunomia. Dice e la Pace. 1756. Era. — Disc
mitologi su questo soprannome di Giunone, imperocchè alcuni vogliono che venisse detta Era, per significare Sovrana essend
are Sovrana essendo ella moglie del re dei numi ; ed altri pretendono che Era significhi aria, e che benissimo poteva venir
glie del re dei numi ; ed altri pretendono che Era significhi aria, e che benissimo poteva venir dato a Giunone un tal sopr
, venendo ella stessa riguardata come l’aria deificata. Il certo si è che in Grecia il tempio di Giunone chiamavasi Ereone,
ia si dava cotesta denominazione ad Ercole, forse per voler ricordare che le fatiche che Giunone fece intraprendere a quest
sta denominazione ad Ercole, forse per voler ricordare che le fatiche che Giunone fece intraprendere a questo eroe, furono
omanza e di gloria. La parola Eracle deriva da due vocaboli greci Ηρα che significa Giunone e ϰλιος gloria. 1758. Eraclea. 
ϰλιος gloria. 1758. Eraclea. — Sul monte Oeta dove la cronaca ripete che sorgesse il sepolcro di Ercole, si celebravano al
olcro di Ercole, si celebravano alcune feste in onore di quell’eroe e che in memoria di lui furono istituite dal re di Tebe
di una città della Friotide, nella quale la tradizione favolosa narra che Ercole si abbruciò. 1759. Eraclidi. — Nome collet
lettivo dei discendenti di Ercole. Narrano gli scrittori della favola che Euristeo, re d’Argo, non soddisfatto di veder mor
si presero le difese degli Eraclidi e uccisero Euristeo al momento in che si accingeva a cogliere il frutto sanguinoso dell
o, ma poco tempo dopo la peste decimò siffattamente il loro esercito, che essi spaventati ricorsero all’oracolo di Delfo, o
acolo rispose ch’es si avevano invaso troppo presto il Peloponneso, e che perciò la peste non sarebbe cessata se non quando
non quando essi avessero prontamente eseguita la loro ritirata, cosa che fecero immediatamente. Trascorsi tre anni essi, i
nterpetrando la primitiva risposta dell’oracolo (il quale aveva detto che per occupare il Peloponneso, gli Eraclidi avesser
ne furono novellamente scacciati da Atreo, ed allora essi compresero che per impadronirsi del Peloponneso, dovevano attend
ndo questa la vera spiega della risposta dell’oracolo. Infatti non fu che un secolo dopo la morte di Euristeo, che gli Erac
dell’oracolo. Infatti non fu che un secolo dopo la morte di Euristeo, che gli Eraclidi poterono finalmente occupare quelle
le cronache mitologiche ricordano di uno strano avvenimento. È detto che gli Eraclidi prima d’intraprendere la loro spediz
d’intraprendere la loro spedizione, avessero consultato l’oracolo, e che questo imponesse loro di prendere per capo un uom
o l’oracolo, e che questo imponesse loro di prendere per capo un uomo che avesse tre occhi. Nel cammino essi incontrarono u
orinto, d’Argo e di Micene ponendo così le basi a quel ristabilimento che forma una dell’epoche principali della storia gre
i della storia greca. 1760. Eratelea. — Cosi aveva nome il sagrifizio che si faceva a Giunone nella celebrazione di un matr
la vittima sgozzata si gettava ai piedi dell’altare, volendo dinotare che gli sposi dovessero vivere sempre in pace tra lor
donna perfetta e si dava a Giunone in tali occasione, per significare che le fanciulle vanno a marito quando sono completam
completamente donne. Questo vocabolo viene da due parole greche : Ηρα che significa donna, e ϰλιος perfetta. 1761. Erato. —
ano particolarmente nel mese di aprile, consacrato all’amore. Erato, che d’amor dolce sospira Monti — La Musogonia — Cant
Al dire di Pausania, essa aveva nella città di Lebadia, molte statue che la rappresentavano con un’oca in mano. 1764. Erco
ero, l’Iliade e l’Odissea, sono essenzialmente greche, non altrimenti che il nome stesso di Ercole. Infatti, se coteste tra
damento, il nome dell’eroe potrebbe facilmente derivare da due parole che in lingua greca significano gloria e soccorso. Se
rtale onde Ercole si rese famoso, compiendo le straordinarie fatiche, che il geloso odio della dea gli avea imposto fin dal
uno fra i dodici dei maggiori dell’antico Egitto, e non à nulla in sè che riveli l’eroica grandezza ; e finalmente il mito
vo al famoso figliuolo di Alcmena, à una tinta particolarmente greca, che armonizza con grande concordia tanto coll’assieme
la conoscenza dei diversi scrittori dell’antichità, basterà ricordare che gli egiziani potevano avere una ampia conoscenza,
o rispetto per l’Ercole greco, per mezzo dei popoli di questa nazione che emigrarono in Egitto. Quanto a Melkarth, divinità
azione che emigrarono in Egitto. Quanto a Melkarth, divinità Fenicia, che assai di sovente viene identificata con l’eroe gr
legare, come Som, nel numero di quelle locali e particolari divinità, che un cieco spirito di sistema à potuto, per una str
zione, paragonare a creazioni completamente differenti. La etimologia che fa derivare Eraclide dalla parola racal, che sign
ifferenti. La etimologia che fa derivare Eraclide dalla parola racal, che significa errante, colono, merciajuolo, è senza d
ndamento. L’Ercole greco non à nulla in se stesso, e nelle sue opere, che lo riveli di una indole di colono ; e nè si pales
i soldati e di marinai, muove al famoso assedio. In ciò non v’è nulla che possa a ver riguardo alla formazione di una colon
sserzioni non potrebbero avere altro intendimento, quando noi vediamo che tutti si accordano nel ripetere che originariamen
intendimento, quando noi vediamo che tutti si accordano nel ripetere che originariamente Ercole si chiamava Alcide (nome e
riginariamente Ercole si chiamava Alcide (nome eminentemente greco) ; che egli ricevette poi a causa delle persecuzioni di
volontà di difendere la nazionalità, l’originalità di una creazione, che è quanto lo spirito inventivo dell’antica Grecia
ori, e compie le imprese più ardue. Egli purga la patria dai flagelli che la infestano, combatte i mostri, protegge i debol
erà dunque meravigliare delle coincidenze, assai spesso sorprendenti, che presentano i diversi tipi dell’Ercole favoloso in
gli dei ed eroi greci a quelli delle altre nazioni. Allora sembrando che l’enorme fardello delle tradizioni mistiche, accu
quali si dette, per la stessa ragione, lo stesso nome. La confusione che naturalmente dovea portar seco codesta ampia sudd
ndo e poetico. Prima di passare alla esposizione dei differenti fatti che la tradizione della favola ci ripete sull’Ercole
emerge nitida e sfolgorante l’opinione di Plutarco, il quale ricorda che tanto Omero, quando Esiodo, Archilogo, Pindaro, P
sandro e molti altri scrittori, non ànno mai conosciuto altro Ercole, che quello dell’antica Grecia. Vero è che nelle opere
no mai conosciuto altro Ercole, che quello dell’antica Grecia. Vero è che nelle opere di Esiodo si trova qualche traccia de
ne conta sette, e Varone non meno di quarantatrè. È chiaro per altro che un tale sistema storico tradizionale, non tendeva
altro che un tale sistema storico tradizionale, non tendeva ad altro che ad individualizzare le azioni dell’eroe, e conseg
ittà di Tebe in Beozia, Ercole è il tipo perfetto di un eroe benefico che consacra la sua vita al bene dell’umanità ; e in
non si cura più dell’eroe, il quale lasciando la sua spoglia mortale, che va ad abitare i regni di Plutone, s’innalza nell’
re al già fatto, si contentò di stabilire fin dall’infanzia di Ercole che questi sarebbe annoverato fra gli immortali dopo
altro completamente assurda e contraria al buon senso, tutte le volte che non si voglia vedere in essa il simbolo mitologic
mortali e belve, Compiute ch’egli avrà, dodici imprese, E suo destin, che alberghi in casa a Giove, E la Trachinia pira avr
Pagnini. Ercole fu allevato nella città di Tebe, e Diodoro racconta, che Alcmena sua madre, spaventata dalgeloso furore di
Pagnini. Lo Scita Eurito fu suo maestro nel tirar d’arco ; Eurito, che da i padri ampie campagne Redato avea, l’instruss
onseguenza di questa legge, egli fu assoluto ; ma Anfitrione, temendo che l’indole irrascibile di lui, non lo avesse condot
miche — Ode IV trad. di G. Borchi. A dieciotto anni, uccise un leone che , uscendo dal monte Citerone, decimava gli armenti
a Ercole. Del resto la tradizione del leone del monte Citerone, non è che una copia di quella del leone Nemeo, la cui pelle
lora gli apparvero due donne di grande statura di cui una bellissima, che era la Virtù, aveva il volto maestoso e pieno di
suoi movimenti ed era rivestita di una tunica bianchissima ; l’altra, che era la Voluttà, di forme provocanti e marcate e v
 ». Un giorno tornando dalla caccia Ercole si incontrò con gli araldi che Ergino inviava a Tebe onde ricevere il tributo im
ie, li rimandò imponendo dicessero al loro re esser quello il tributo che i Tebani intendevano pagare. Ergino allora alla t
gnifica armatura. Anfitrione stesso fu ucciso in questo combattimento che valse ad Ercole, in premio del suo valore, la man
e, la mano di Megara figlia di Creonte. Diodoro dice nelle sue opere, che Ercole riuscisse vincitore in questa battaglia pe
cavalleria nemica di agire, mediante gran numero di rocce e di scogli che egli, con la sua forza soprannaturale, aveva fatt
colpito di furore, e in un accesso di delirio gettò nel fuoco i figli che aveva avuto da Megara e due bambini figliuoli di
, egli si recò a Delfo onde consultare l’oracolo, per sapere il luogo che dovesse abitare, e fu, secondo il parere di Apoll
vesse abitare, e fu, secondo il parere di Apollodoro, in questa città che egli ricevette per la prima volta dalla Pitonessa
ire Euristeo durante lo spazio di dodici anni, di compiere i travagli che gli verrebbero imposti, e che dopo averli compiut
di dodici anni, di compiere i travagli che gli verrebbero imposti, e che dopo averli compiuti, avrebbe ottenuto l’immortal
sono, nella grande maggioranza, discordi sulle opinioni tradizionali che riguardano il periodo della esistenza di Ercole c
ioni tradizionali che riguardano il periodo della esistenza di Ercole che precede il tempo che egli passò presso Euristeo.
riguardano il periodo della esistenza di Ercole che precede il tempo che egli passò presso Euristeo. Essi sono soprattutto
usa della follia di Ercole. Secondo Euripide, il delirio non lo colpì che al suo ritorno dai regni infernali. Fu allora che
elirio non lo colpì che al suo ritorno dai regni infernali. Fu allora che egli uccise Megara e i suoi figli, ma cadde egli
i suoi figli, ma cadde egli stesso sotto il peso di un’enorme pietra che Minerva gli lanciò, onde raffrenare il suo terrib
e del figlio di Alemena, dopo la riposta dell’oracolo. Altri pretende che avendo Ercole domandato all’oracolo di Apollo il
vesse involato il sacro Tripode, e non lo avesse rimesso al suo posto che dietro un assoluto comando di Giove, per la qual
seguenza sottomesso ad Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice che Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice ch
za tradizione dice che Euristeo. Finalmente una terza tradizione dice che Euristeo, mosso da un sentimento di gelosia, per
e dice che Euristeo, mosso da un sentimento di gelosia, per la gloria che Ercole si acquistava, lo avesse richiamato presso
loria che Ercole si acquistava, lo avesse richiamato presso di sè ; e che Giove avesse imposto ad Ercole di ubbidire, prome
La più generale e la più ricevuta delle tradizioni antiche, è quella che egli eseguisse le sue celebri dodici fatiche, e c
antiche, è quella che egli eseguisse le sue celebri dodici fatiche, e che in premio di esse, avesse ottenuta la immortalità
guendo la opinione più generalizzata dei mitologi, avvertiremo ancora che l’ordine delle dodici fatiche non è lo stesso pre
dodici fatiche non è lo stesso presso tutti i cronisti della favola, che il tempo del servaggio di Ercole, à secondo alcun
aldo avea Di frondoso olcastro, con sua scorza. Di non vulgar misura, che alle falde Del sacrato Elicona intero svelsi Con
Teocrito — Idillio — XXV. trad. di G. M. Pagnini. Gioverà qui notare che la maggioranza delle tradizioni favolose, ci pres
destrezza e persino uno dei suoi cavalli si chiama Airone, nome greco che Esiodo ed Omero ci ripetono nelle loro opere, ess
ondo altri scrittori era un ramo d’olivo selvaggio. Pausania aggiunge che essendosi un giorno l’eroe appoggiato contro una
uso sotto il simbolo della sua forza soprannaturale. Il primo comando che Euristeo dette ad Ercole, fu quello dì combattere
isteo dette ad Ercole, fu quello dì combattere il leone Nemeo, mostro che desolava le campagne. Ercole lo combattè e l’ucci
o la terribile idra di Lerna, le cui sette teste rinascevano a misura che egli le avea troncate. Ciò non pertanto l’eroe tr
uesto terribile nemico e giunse ad ucciderlo. Euristeo però non volle che l’uccisione dell’idra, fosse annoverata fra le do
ra, fosse annoverata fra le dodici fatiche imposte ad Ercole, dicendo che per uccidere l’idra egli aveva dovuto avere il so
terza fatica Ercole pervenne ad impadronirsi della cerva. Cerinitide, che egli raggiunse al corso, e che portò viva nella c
impadronirsi della cerva. Cerinitide, che egli raggiunse al corso, e che portò viva nella città di Micene. Dopo di questo,
h mani Oh mani ! oh dorso ! oh petto ! oh braccia mie ! Foste pur voi che di Nemea l’orrendo Leon, feroce inaccessibil belv
— Le Trachinie — Tragedia. trad. di F. Bellotti. Le stalle di Augia, che Ercole dovette nettare in un sol giorno, segnano
l re Augia, il quale ricusò di dargli il premio promesso, e allora fu che Ercole, resosi nella città di Oleno, ebbe a comba
nella città di Oleno, ebbe a combattere contro il Centauro Euritione che voleva a viva forza sposare la figlia del re di q
to i colpi di Ercole, il quale tolse in moglie la giovane Mnesimachea che più tardi aiutò Ercole a vendicarsi di Augia. Il
so a Nettuno di sacrificargli qualunque cosa fosse uscita dal mare, e che il dio delle acque, per provare la fedeltà di Min
toro, lo portò ad Euristeo e poscia gli rese la libertà. Diodoro dice che Ercole se ne servisse come cavalcatura e che mont
la libertà. Diodoro dice che Ercole se ne servisse come cavalcatura e che montato su di esso traversò a nuoto il mare del P
oli selvaggi e finalmente giunse nella Libia. Fu in questa traversata che egli uccise il famoso ladro Caco il quale aveva d
rna del masnadiere, e lo strangolò fra le sue braccia V. Caco. …… Ei che nè fuga Aveva nè schermo al suo periglio altronde
Vapori e nubi a vomitar si diede Di fumo, di caligine e di vampa, Tal che miste le tenebre col foco Togliean la vista a gli
fece un nodo De le sue braccia, e si la gola e’l fianco Gli strinse, che scoppiar gli fece il petto, E schizzar gli occhi,
zò due colonne in memoria del suo viaggio, sulle due opposte montagne che terminano l’Europa e l’Africa. In questa spedizio
In questa spedizione essendo vivamente incomodato dai raggi infocati che il sole saettava su di lui, egli tese l’arco cont
ricondusse la maggior parte verso l’ Ellesponio. Un’altra delle fati che di Ercole fu la distruzione degli uccelli del lag
iardino dell’ Esperidi, i quali erano custoditi da un terribile drago che vomitava fiamme dalla bocca. Ercole combattè il m
e, sollevandolo dalla terra, e togliendogli così lo strano privilegio che a lui accordava la Terra, sua madre, cioè, di rad
dava la Terra, sua madre, cioè, di raddoppiargli le forze, ogni volta che egli toccava il suolo. V. Anteo. Finalmente dopo
nose fatiche, egli giunse a guidare quasi tutto l’armento ad Euristeo che lo sacrificò a Giunone. Tale è almeno il racconto
nto ad Euristeo che lo sacrificò a Giunone. Tale è almeno il racconto che ce ne fa Apollodoro. Un altro dei caratteri parti
particolari dell’ Ercole greco, è di essere un gran bevitore, per il che lo si vede uscir vincitore dalla lotta contro Lep
quando si rapporta alla ruvida asprezza della vita eroica, per l’uso che essi aveano di vuotare completamente la coppa, ne
uso che essi aveano di vuotare completamente la coppa, nei sacrifizii che si offerivano ad Ercole. Finalmente egli discese
tessa di Ercole. Poco tempo dopo il suo ritorno a Tebe, avendo saputo che il re Euriteo aveva levato un bando, col quale pr
to un bando, col quale prometteva la mano di sua figlia Iole, a colui che lo avesse vinto, insieme ai suoi figli, nell’eser
in traccia di avesse voluto purificarlo da quella uccisione, e non fu che dopo lunghe ricerche, che incontrò finalmente Dei
o purificarlo da quella uccisione, e non fu che dopo lunghe ricerche, che incontrò finalmente Deifobo, figlio d’Ippolito, i
con un colpo di fulmine. L’oracolo novellamente interrogato, rispose che Ercole guarirebbe dalla sua malattia, allorchè sa
al servigio di lui durante tre anni. Ercole si sottomise e allora fu che Mercurio lo vendette per tre talenti ad Onfale, r
lo vendette per tre talenti ad Onfale, regina di Lidia. Sofocle dice che l’eroe fu venduto per comando dell’oracolo di Gio
focle dice che l’eroe fu venduto per comando dell’oracolo di Giove, e che la sua schiavitù non durò più di un anno. Comunqu
il periodo passato da Ercole fra le mollezze dell’amore, altro non è che la confusione surta fra le opinioni di molti scri
di Onfale a nome Cleoasia, e da Onfale stessa, ebbe Ercole un figlio che fu detto secondo taluni Lamio, e secondo altri Ti
Lamio, e secondo altri Tirrenio o Agelao. Gioverà per altro ricordare che tuttociò riposa su tradizioni non molto antiche r
obbligava i passanti a lavorare la terra. Altri scrittori pretendono che Sileo dimorasse sul monte Pelia in Tessaglia, e c
ittori pretendono che Sileo dimorasse sul monte Pelia in Tessaglia, e che il fratello di lui, Diceo, avesse fatto sposare s
poco tempo dopo le nozze, ed Ercole fu colpito da tale disperazione, che volle gittarsi nelle fiamme del rogo di lei, ma g
la quale Ercole tirò una pietra credendo, mentre vi passava a fianco, che fosse un corpo animato. Avendo in seguito ucciso
e fosse un corpo animato. Avendo in seguito ucciso un enorme serpente che desolava le rive del fiume Sangaride, fu da Giove
gura anche fra gli Argonauti, sebbene è opinione dello stesso autore, che Ercole rimanesse affatto estraneo alla famosa spe
sta del Vello d’oro. Secondo questo scrittore, Ercole costrui la nave che servi a quella spedizione, dandole il nome di Arg
ole il nome di Argo in onore di un suo diletto amico così chiamato, e che la tradizione ci presenta come figlio di Giasone.
gli Argonauti a combattere le Amazzoni. Qualche altro autore pretende che gli Argonauti avessero abbandonato su di un’isola
rcole, perchè l’enorme peso del suo corpo faceva affondare la nave, e che abbandonato dai suoi compagni egli fosse giunto i
altri, con sole sei navi, ed accompagnato da un drappello di valorosi che volontariamente il seguirono. Appena preso terra,
ia nelle fortificazioni e si slanciò il primo sulle mura nemiche, ciò che gli valse, forse per gelosia, l’inimicizia di Erc
he gli valse, forse per gelosia, l’inimicizia di Ercole. Diodoro dice che insieme ad Ificlo, fossero stati inviati come par
ice che insieme ad Ificlo, fossero stati inviati come parlamentarî, e che gettati in una prigione, essi si fossero aperta u
i quali tutti caddero sotto i suoi colpi. Fu in questo combattimento che Ercole ferì Pluto ne, che era venuto in soccorso
to i suoi colpi. Fu in questo combattimento che Ercole ferì Pluto ne, che era venuto in soccorso degli abitanti di Pilo. Da
Ippocoone, e in ciò si ebbe a compagno Cefeo ed i venti figli di lui, che tutti morirono in questa spedizione. Avendo uccis
i rese a Calidone per dimandare la mano di Dejanira, figlia di Oeneo, che Acheolo gli disputò invano. Inseguito i Calidones
questo principe a nome Antigone, e secondo altri Astiochea, un figlio che chiamò Tlepolemo. Poco tempo dopo resosi colpevol
nella città di Trachina presso Ceixo. Fu nell’andare in questa città, che Dejanira ebbe a sopportare l’oltraggio del centau
si impadroni delle città dei Driopi, protesse Eginio contro i Lapidi, che lo aveano detronizzato, e avendo resa a questo pr
quale seguendo l’opinione di Stesicore, uccideva tutti i viaggiatori, che transitavano per quella città, onde innalzare coi
suo padre. Ercole andò in seguito ad Ormenio, di cui era re Amintore che egualmente Ercole uccise perchè si era opposto al
pposto al suo passaggio per i suoi stati, quantunque Diodoro rapporto che Amintore fosse ucciso da Ercole per avergli negat
icarsi di Euriteo, levò un’armata, marciò contro la città di Oecalia, che alcuni scrittori pongono nella Eubea, ed altri in
sta : Ercole da quindici mesi è lontano dalla città di Trachina senza che Dejanira conosca il luogo del suo soggiorno. L’er
Trachina, onde avere un’abito da festa. Dejanira saputo dall’araldo, che Ercole avea con sè la giovanetta Iole, e temendo
uto dall’araldo, che Ercole avea con sè la giovanetta Iole, e temendo che innamoratosi di questa, non l’avesse completament
esse completamente dimenticata, asperse del filtro di Nesso la tunica che mandò al marito, ed attese l’esito dell’incantesi
er nome Lica e lo lanciò dall’alto di una roccia nel mare. …… poscia che il tosco Senti della fatal veste di Nesso, Svelse
di A.Maffei. ….. Già preparando ei stava Un lauto sacrificio, allor che giunse Lica l’araldo, e quel tuo don gli porge. F
oglia, e un rio nell’ossa Gli penetro pruriginoso ardore. Ond’ei, poi che dell’idra il fatal tosco Le sue carni pascea. lo
ando. Domandò per qual fraude a lui recata Avea tal veste. Il misero, che nulla Sapea, rispose che tuo dono ell’era, E tu s
aude a lui recata Avea tal veste. Il misero, che nulla Sapea, rispose che tuo dono ell’era, E tu sel che la mandi. A questi
e. Il misero, che nulla Sapea, rispose che tuo dono ell’era, E tu sel che la mandi. A questi accenti, Ei che da fiero spasm
ose che tuo dono ell’era, E tu sel che la mandi. A questi accenti, Ei che da fiero spasmo straziarsi Le viscere sentia, d’u
ale tessuto, il quale si era come incollato sulle sue carni, per modo che ad ogni sforzo che Ercole faceva per strapparselo
le si era come incollato sulle sue carni, per modo che ad ogni sforzo che Ercole faceva per strapparselo di dosso, la carne
i moribondo, si fece portare a Trachina, ove Dejanira vedendo il male che aveva fatto, si uccise per disperazione. La lumin
avendovi fatto innalzare un rogo, egli dopo esservisi coricato ordinò che vi venisse appiccato il fuoco, obbedendo per tal
egli s’era rivolto nelle sue più crudeli sofferenze. Non vi fu alcuno che avesse voluto mettere il fuoco alle legna per mol
a le famose frecce dell’eroe. Non piccolo numero di autori pretendono che colui che compì codesta triste funzione fosse sta
e frecce dell’eroe. Non piccolo numero di autori pretendono che colui che compì codesta triste funzione fosse stato un grec
la sua invitta e nobite alma Scarca sarà dal suo mortal tormento, Vo che venga alla patria eterna ed alma, E credo che ogn
suo mortal tormento, Vo che venga alla patria eterna ed alma, E credo che ogni Dio ne sia contento ; Che s’ei portò laggiú
noi la palma Di mille imprese carche di spavento, Giusta cosa mi par che ’l suo gran lume, Nel ciel risplenda e sia celest
ia, farebbe credere ad uno scambio erroneo e vizioso con quell’Ercole che Cicerone sa esser siglio di Giove e di Asteria. P
er siglio di Giove e di Asteria. Prodigioso è il numero dei figliuoli che i cronisti della mitologia attribuiscono ad Ercol
à, alla sua nascita quasi divina, o a qualcheduna delle singole città che con un culto particolare, venerava codesto simbol
î ed altari in tutte le parti di Italia. Da ciò non bisognerà dedurre che il culto dell’eroe fosse, presso i popoli Italici
ll’eroe fosse, presso i popoli Italici, interamente conforme al culto che a lui tributavano i popoli della Grecia. Questo c
usione necessariamente avvenuta fra le leggende Fenicie ed Asiatiche, che sopraccaricarono inevitabilmente della loro impro
consacrargil la decima parte dei beni della propria famiglia, secondo che fecero Silla, Crasso e Lucullo. Questa consuetudi
o, al quale si offeriva una decima. È anche nella sola città di Roma, che Ercole viene adorato sotto il soprannome di Musag
a cui denominazione non si sa con esattezza d’onde derivi. Il certo è che Marcio Filippo, ai tempi di Augusto, innalzò ad E
, e finalmente custodito dal Pretore stesso della città. I giuramenti che si facevano sull’ Ara Maxima erano riguardati com
dato fine a questo tipo di creazioni ideali, e oltrepassando i limiti che la tradizione gli aveva assegnato, ha lasciato al
a assegnato, ha lasciato alla posterità più monumenti di questo eroe, che di alcun altro personaggio dell’antichità. Il car
io d’Alemena, e nello sviluppo della sua maschile maturità. Le statue che si trovano nelle Gallerie di Firenze, nel Museo d
e, nel Museo di Napoli ed a Roma, ce lo rappresentano appena poppante che strangola i draghi mandati dalla gelosia di Giuno
nato a sostener con onore la lotta terribile ed accanita con tuttociò che si riveste di un apparato fisicamente brutale. A
atasi dall’infanzia nella pubertà, non è in minor relazione di quella che già sorprende ed atterrisce quasi nel simbolico n
ncibile, soprannaturale e fanno quasi balenare l’idea della vittoria, che coronò tutte le fatiche di questo dio. La statua
un Ercole in riposo, ma qui le forme non rivelano quella prostrazione che segue dal compimento di penosi e lunghi lavori, m
dodici fatiche di Ercole. 1765. Ere. — V. Es. 1766. Eresidi. — Ninfe che prendevano cura del bagno di Giunone. Nella città
one. Nella città di Argo veniva dato lo stesso nome alle sacerdotesse che presiedevano al culto di quella dea. Esse godevan
o al culto di quella dea. Esse godevano di tanta pubblica venerazione che gli anni del loro sacerdozio servivano di data ne
ittà dell’isola di Lesbo, ebbe questo nome da un figliuolo di Macario che così si chiamava. 1768.Eretrio. — Uno dei figli d
Atene. Divenuto adulto, fu re di quella città, e narrano le cronache, che essendo in guerra contro gli Eleusini, seppe dall
onache, che essendo in guerra contro gli Eleusini, seppe dall’oracolo che per riuscire vittorioso, avrebbe dovuto sagrifica
avrebbe dovuto sagrificare a Proserpina, una delle quattro figliuole che egli aveva carissime. Però le quattro giovanette
erò le quattro giovanette si amavano fra di loro con tanta tenerezza, che si erano scambievolmente giurato, che ove una di
ra di loro con tanta tenerezza, che si erano scambievolmente giurato, che ove una di esse, fosse venuta a morire, le altre
i Ateniesi in commemorazione della loro gratitudine a questo loro re, che per il bene comune non aveva esitato un momento a
te Ergastine quelle giovanette le quali tessevano il peplo della dea, che si portava processionalmente anche nella celebraz
di altre feste dette Panatenee. 1773. Ergazie. — Nome di alcune feste che si calebravano a Sparta in onore di Ercole. 1774.
vano a Sparta in onore di Ercole. 1774. Ergino. — Fu uno dei marinai, che in qualità di pilota, succedette a Tifi nel gover
Avendo un giorno sfidato alla lotta Ercole, questi accettò col patto che premio della pugna fossero, per parte del princip
Venere a lei venuto dall’avere un tempio fabbricato sul monte Erice, che essendo stato abbattuto fu poi rifabbricato da Cl
e essendo stato abbattuto fu poi rifabbricato da Claudio Imperadore e che si rese celebre nei fasti dell’antichità religios
numerosi miracoli avvenuti nel tempio maggiore di Ericina. Egli narra che le vittime andavano senza esser guidate ad offrir
date ad offrire il loro collo al coltello del Flamine sagrificatore ; che l’urna dei sacrificii si trovava sull’altare senz
agrificatore ; che l’urna dei sacrificii si trovava sull’altare senza che alcino ve l’avesse deposta ; e che finalmente il
ficii si trovava sull’altare senza che alcino ve l’avesse deposta ; e che finalmente il fuoco del Sacrifizio si trovava acc
cacciatore chiamato Menalca. Ella non potendo sopportare la freddezza che il suo prediletto le addimostrava, morì consunta
, furono rappresentate le avventure di Erifane, e lo sventurato amore che l’aveva uccisa, sul fiore degli anni. 1779. Erifi
invece di andare all’assedio di Tebe, ove egli sarebbe morto, secondo che gli aveva rivelato l’arte della negromanzia, in c
arao decise di partire per la guerra, non ostante l’inevitabile morte che lo aspettava, ma prima di allontanarsi, impose ad
acrò al servigio di Diana. La cronaca ricorda di un un’altra Erigone, che fu figliuola di Icaria. Seconda la tradizione, es
ronia e re di Preneste. La tradizione ripete di lui uno strano fatto, che egli cioè avesse ricevuta da sua madre tre anime
cioè avesse ricevuta da sua madre tre anime e tre armature, per modo che per ucciderlo bisognava trucidarlo tre volte. Eva
. 1782. Erimanto. — Figliuolo di Apollo. Egli avendo sorpreso Venere che usciva dal bagno dalle braccia di Adone fu per vo
era anche il nome di una montagna nell’Arcadia, famosa per il cignale che è conosciuto nella tradizione favolosa sotto lo s
V. Ercole. 1783. Erinnie. — Venivano così in Grecia chiamate le Furie che sotto questa denominazione avevano un tempio in A
ntichità si trova di sovente data questa denominazione a quelle donne che furono cagione di grave danno al proprio paese. L
Italia ; e Virgilio dice lo stesso ad Elena. Erinni era anche il nome che in Sicilia si dava a Cerere, a cui la tradizione
cui la tradizione favolosa lo attribuiva dal fatto seguente. È detto che allorquando Cerere andava in cerca, nelle campagn
i, la sedusse. Cerere su talmente afflitta di quanto le era avvenuto, che andò a nascondersi in una caverna. Inlanto colla
d avvisarne Giove, il quale mandò subito a cercarla dalle tre Parche, che a forza di preghiere la persuasero ad uscire dal
e ceraste avean per crine. Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei che ben conobhe le meschine Della regina dell’eterno
rno — Canto IX. 1785. Erinno. — Così avea nome una poetessa di Lesbo che le cronache del tempo fanno contemporanea di Saff
o. 1786. Erisittone. — Così avea nome uno degli avi materni di Utisse che ebbe fama di audacissimo ed empio disprezzatore d
ed empio disprezzatore degli dei. La cronaca mitologica narra di lui che un giorno ebbe la temerità di fare oltraggio a Ce
bastone alcune piante in un bosco consacrato a quella dea. Le Driadi che secondo la favola, abitavano quelle piante, ricor
dosi a divorare dalla fame cominciò dal mangiare avidamente tutto ciò che gli cadeva alle mani e finì col lacerarsi coi pro
la futura grandezza di Roma. 1789. Eritolde. — Fu una delle Esperidi che fu cangiata in olmo. V. Esperidi. 1790. Eritro. —
di che fu cangiata in olmo. V. Esperidi. 1790. Eritro. — Da un tempio che Ercole aveva nella città di Eritre, in Acaja, si
sopra una specie di Zattera, ed una tradizione degli Eritrei ripeteva che fosse giunta nella loro città da Tiro per mare, e
ritrei ripeteva che fosse giunta nella loro città da Tiro per mare, e che entrata nel mare Jonio, si fosse fermata nelle vi
io di Giunone, fra Chio ed Eritre. Narra Pausania nelle sue cronache, che quando i due popoli delle suddette città scopriro
on riuscirono a poteria rimuovere ; allorchè un pescatore di Eritrea, che era cieco, disse di essere stato avvertito in sog
di Eritrea, che era cieco, disse di essere stato avvertito in sogno, che se le donne di Eritrea avessero voluto tutte tagl
consentire a sacrificare la loro capigliatura. Allora le donne Tracie che servivano in Eritrea, spontaneamente accondiscese
lcuno. Gli Eritrei per ricompensare lo zelo delle Tracie, stabilirono che in avvenire nel tempio di Ercole, avessero access
esso solamente le donne. In quanto al pescatore, la tradizione ripete che da quel momento egli ricuperò la vista, della qua
idio di tutta la sua famiglia. 1792. Erittonio. — Quarto re di Atene, che la tradizione mitologica fa figliuolo di Vulcano
a fa figliuolo di Vulcano e di Minerva. La dea sua madre accorgendosi che Erittonio aveva la parte inferiore come quella di
ia. — Una delle Esperidi. 1794. Eritreo. — Dalla parola Greca Ἐρυδρδς che significa rosso, si dava questo nome ad uno dei c
atolo strettamente, supplicò gli dei perchè le concedessero la grazia che i loro corpi ne formassero uno solo. Da ciò la tr
he i loro corpi ne formassero uno solo. Da ciò la tradizione favolosa che dà ad Ermafrodito il soprannome di Antrogino, che
tradizione favolosa che dà ad Ermafrodito il soprannome di Antrogino, che significa maschio e femmina. 1796. Ermanubi. — Gl
testa di Arpocrate, si dava cotesto nome forse per voler significare che talvolta il silenzio, raffigurato da Arpocrate — 
to da Arpocrate — V. Arpocrate — è eloquente quanto la parola facile, che era una delle qualità del dio Mercurio. 1799. Erm
ità del dio Mercurio. 1799. Ermatene. — Così si chiamava il simulacro che rappresentava le due figure di Minerva, il cui no
rva ; e dall’altra il cimiero colle ali, un seno di uomo, ed un gallo che erano gli attributi di Mercurio. 1800. Ermete. —
ore. 1801. Ermenitra. — Si dava cotesta denominazione ad un simulacro che aveva il corpo del dio Mercurio e la testa di Nit
li nelle accademie e nei luoghi di esercizii, quasi a volere indicare che Mercurio ed Ercole ossia la destrezza e la forza,
ticolare denominazione di Eros, e da ciò dissero Ermero quelle statue che avevano una testa di Cupido. 1804. Ermete. — I Gr
te origine a questa strana configurazione. Il citato scrittore narra, che alcuni pastori avendo trovato su di una montagna
nte una tempesta. Un’antica tradizione, non molto divulgata, racconta che il delfino, sebbene Ermia fosse morto, lo riporta
che il delfino, sebbene Ermia fosse morto, lo riportasse alla riva, e che quivi morisse esso stesso, quasi conoscendosi col
stremo lembo della penisola Argolide. Una vecchia tradizione racconta che in questa città eravi una strada per la quale si
aziata famiglia ne è venuta la seguente tradizione favolosa. Fu detto che Vulcano per vendicarsi della infedeltà di Venere,
presente quest’ultima di una clamide intrisa di tutt’i delitti, cosa che fece che tutt’i figliuoli della sventurata furono
quest’ultima di una clamide intrisa di tutt’i delitti, cosa che fece che tutt’i figliuoli della sventurata furono scellera
ndo la tradizione Mitologica dall’avere ella dimorato sul monte Ermo, che sorgeva tra Tiro e Sidone, allorchè Cadmo la tols
cronache dell’antichità fanno similmente menzione di un’altra Ermione che fu figlia della famosa Elena e di Menelao. Fino d
promessa in moglie ad Oreste, figlio di Agamennone, dall’avo Pindaro che nell’assenza di Menelao teneva le redini del gove
to della parola di Menelao e senza por mente alle lagrime di Ermione, che era perdutamente innammorata di Oreste, la condus
osa di Pirro, ripianse sempre il perduto amante e non ebbe pel marito che odio e disprezzo. Mentre Euripide dal canto suo c
uendo la opinione di Euripide, non potendo Ermione vincere la gelosia che le ispirava la vedova del famoso Trojano, stabilì
sotto il nome di Hermopolis parva e l’ultima detta Hermopolis magna, che sorgeva a poca distanza dal Nilo. 1808. Ermosirid
n conto di un possente mago. I suoi concittadini credevano fermamente che l’anima di lui si separasse dal corpo, andasse in
ito alle donne di entrare. 1810. Ero o Eros. — Sacerdotessa di Venere che visse molti anni della sua vita a Sesto, città de
di lei, poneva ogni notte sull’alto di una torre una fiaccola accesa che serviva di faro al giovine nuotatore. Sesto è ci
abili Leggiadre stelle d’ambo le cittadi, L’uno all’altro simili O tu che passi Buon peregrin su la deserta spiaggia, Vedi
amante Ero appendea ; Mira lo stretto de l’antica Abido Ondisonante, che l’amor, la morte Di Leandro infelice anco deplora
recarsi all’amoroso ritrovo, ma finalmente non più reggendo all’ansia che lo divorava, nella settima notte egli si lanciò n
e disperata si precipitò nel mare volendo morire della morte istessa, che per amore di lei aveva incontrata quegli ch’ella
o. 1811. Eroe. — Cotesto appellativo davano i greci a quegli uomini che si erano resi celebri con una serie di azioni glo
e concorda in generale col dare l’appellazione di eroe a quel mortale che aveva per madre una dea e per padre un uomo, o vi
anza di questi scrittori trae il nome di eroe dalla parola greca Ἐρως che significa amore. Le anime degli eroi si alzavano
con ciò diventavano degne degli onori divini, e di quella adorazione che il culto superstizioso del pagane imo tributava a
butava alle proprie divinità. Seguendo l’opinione di Lucano, il culto che si prestava agli eroi consisteva in una specie di
la medesima opinione, allorchè dice nelle sue cronache dell’antichità che all’ Ercole greco figlio di Alcmena, si fanno piu
all’ Ercole greco figlio di Alcmena, si fanno piuttosto dei funerali che dei sacrifizi. In quanto ai monumenti eroici di c
a greca e romana, essi altro non erano, se non i sepolcri degli eroi, che ordinariamente erano circondati da un bosco sacro
logia greca e romana, nelle quali si trova assai di sovente ricordato che gli onori eroici furono spesso rese anche alle do
acrato al Tempo. 1813. Eromanzia. — Nome di una specie di divinazione che i Persiani praticavano per mezzo dell’aria. In gr
Ἀηρ significa avia. 1814. Erope. — Così avea nome la moglie di Atreo, che à poi acquistata tanta lagrimevole rinomanza, nel
rope era figlia di Euristeo, re di Argo, e la cronaca racconta di lei che , prima di cedere all’infame voglie del cognato, m
innamorata di lui, lo avesse aiutato a derubare ad Atreo un montone, che aveva il vello d’oro, e che questo fosse il primo
e aiutato a derubare ad Atreo un montone, che aveva il vello d’oro, e che questo fosse il primo motivo che valse ad accende
montone, che aveva il vello d’oro, e che questo fosse il primo motivo che valse ad accendere la fiamma di quell’odio terrib
 . V. Ero. 1816. Erostrato. — Così avea nome quell’abitante di Efeso, che per rendersi celebre concepì l’infame e pazzo pen
ersi celebre concepì l’infame e pazzo pensiero d’incendiare il tempio che Diana aveva in quella città, e che era una delle
zo pensiero d’incendiare il tempio che Diana aveva in quella città, e che era una delle sette meraviglie del mondo. Vi sono
sette meraviglie del mondo. Vi sono alcuni autori i quali pretendono che il suo vero nome fosse Erotostrato. Erostrato era
Erotidi. — Dette più comunemente Erotidie ; feste in onore di Cupido che i Tespi celebravano con grande solennità e ricche
cangiò in una statua di pietra di colore nerastro, forse per indicare che la bianchezza di quella era stata oscurata dal ve
tribulati gli onori divini, e da lei furono dette Erseforie, le feste che in suo onore si celebravano dai Greci nel mese di
nel mese di scroforione (Giugno). 1819. Erseo. — Soprannome di Giove che a lui veniva dall’essere i suoi altari in luogo s
di Achille uccise Priamo re di Troja presso un’altare di Giove Erseo, che sorgeva nella reggia trojana. 1820.Ersilia. — Fu
dalla bellezza di lei, la prescelse come sua sposa e n’ebbe un figlio che poi fu chiamato Aollio, ed una figlia per nome Pr
a per nome Prima. La morte di Romolo penetrò Ersilia di tanto dolore, che Giunone mossa a pietà, la fece condurre da Iride
i a seguire il sentiero della virtù. 1821. Erta. — Era questo il nome che gli antichi popoli della Germania davano alla mad
me che gli antichi popoli della Germania davano alla madre degli dei, che essi adoravano in un’isola dello Oceano la quale,
isce Tacito, era quella di Rugen nel mar Baltico. Narrano le cronache che in quell’isola vi era una selva conosciuta sotto
solo, a piedi, e con atti di grande venerazione. Il periodo di tempo che durava questa cerimonia era ritenuto come festivo
guerra veniva sospesa ; le armi venivano nascoste, e non si respirava che la pace ed il riposo. Ciò finchè il sacerdote non
n guidava novellamente il carro coperto nel tempio, quasi ad indicare che la dea fosse stanca della conversazione degli uom
1822. Es, Esculano o Ere. — Erano queste le differenti denominazioni che i pagani davano alla divinità che presiedeva alla
queste le differenti denominazioni che i pagani davano alla divinità che presiedeva alla fabbricazione della moneta di ram
e di Arisba, prima moglie di quel re. La tradizione mitologica narra che Merope, avola materna di Esaco, gl’insegnò l’arte
e, avola materna di Esaco, gl’insegnò l’arte di predir l’avvenire ; e che egli ancor giovanissimo, predisse a Priamo (quand
o, predisse a Priamo (quando questi ripudiò Arisba per sposare Ecuba) che il secondo siglio che avrebbe da questa seconda m
quando questi ripudiò Arisba per sposare Ecuba) che il secondo siglio che avrebbe da questa seconda moglie, sarebbe stato c
ene, la quale morì poco dopo le nozze. Egli ne fu talmente addolorato che si gettò dall’allo di uno scoglio nel mare, ma Te
dall’allo di uno scoglio nel mare, ma Teti lo cangiò in uccello prima che fosse caduto nelle onde. 1824. Esaforo. — Specie
daveri dei ricchi. 1825. Eschinadi. — Così si chiamavano quelle isole che il fiume Acheolo formava all’imboccatura del mare
el mare Jonio. La tradizione mitologica raccontata da Ovidio, ripete, che alcune ninfe Najadi, avendo fatto un sacrifizio d
lia dei Lapidi. Le tradizioni più accreditate però raccontano, invece che Apollo avendo saputo per mezzo di un corvo che la
erò raccontano, invece che Apollo avendo saputo per mezzo di un corvo che la sua amante aveva una tresca con Ischiso figlio
cor vivo fanciullo, e ’n braccio il tolse. E quindi il trasportò, poi che partissi. A te, saggio Chiron, perché ’l nutrissi
o — Metamorfosi — Libro II. trad. di Dell’Anguillara. Altri racconta che Coronide, accompagnando suo padre Flegia nel Pelo
Coll’andare del tempo in tutte le circostanti campagne, corse la voce che un fanciullo miracoloso era nato, il quale guariv
lapio avesse acquistato tanto meraviglioso potere : Apollonio riporta che Minerva gli avesse dato il sangue della Gorgone,
ui somma virtute Di te gloria sarà, d’altrui salute. Alma gentil, più che mai fosse in terra Accetta, salutifera e gradita 
o — Metamorfosi — Libro II. trad. di Dell’Anguillara. Igino pretende che trovandosi Esculapio in casa di Glauco, il quale
casa di Glauco, il quale era gravemente infermo, vedesse un serpente che essendoglisi avvicinato, si avvolse intorno al su
compagno e lo richiamò alla vita stropicciandogli sulla testa l’erba che aveva fra i denti. Da ciò, secondo Igino, Esculap
iamava in vita i cadaveri. Esculapio ebbe una moglie per nome Epione ( che significa calmante). Fra i suoi molti figli i più
mati alla vita Ippolito e Glauco, fu egli stesso ucciso dalla folgore che Giove gli lanciò temendo che il progresso della s
uco, fu egli stesso ucciso dalla folgore che Giove gli lanciò temendo che il progresso della sua arte non giungesse a sottr
rarre tutti gli uomini alla morte. …….. e l’iuventore Di cotal arte, che d’Apollo nacque, Fulminando mandò nè regni hui.
Virgilio — Eneide — Libro VII. trad. di A. Caro. Però Giove stesso che lo aveva ucciso, sia per propria amicirazione, si
, mise Esculapio nel numero degli astri. Un’altra tradizione racconta che Apollo sdegnato contro i Ciclopi, che avevano fab
i. Un’altra tradizione racconta che Apollo sdegnato contro i Ciclopi, che avevano fabbricata la folgore colla quale fu ucci
i Admeto come semplice pastore. Ovidio nelle sue metamorfosi racconta che Esculapio avesse sposato Lampezia figlia del Sole
un Dio, e non fu città, horgo o villaggio di questa popolosa contrada che non avesse un tempio a lui sacro. Così il tempio
bolo della saggezza erano a lui consacrati, e soprattutto il serpente che era intimamente legato ai misteri del culto di qu
divinità adorate come dei della medicina. Da ciò si potrebbe arguire che tutte codeste numerose e diverse divinità avesser
ste numerose e diverse divinità avessero avuto una comune origine ; e che il cuito del serpente come emblema di sanità è un
i mercatanti indigeni. Nella storia degli Israeliti troviamo ripetuto che persino Mosè avesse esposto alla vista del suo po
della guarigione. Esistono molte statue e busti in marmo ed in bronzo che rappresentano il dio della medicina, e si sono tr
idauro di cui fa menzione Valerio Massimo, nella sua storia romana, e che fu portato in Roma nell’anno 462 della sua fondaz
romana, e che fu portato in Roma nell’anno 462 della sua fondazione e che era adorato sotto la figura di un serpente, statu
a fondazione e che era adorato sotto la figura di un serpente, statua che gli fu, secondo la tradizione, eretta da Dionigi
tiranno. Di un altro Esculapio fa anche parola la cronaca favolosa, e che , secondo Cicerone, nel suo libro IV De natura deo
cere l’avvenire, percuotendoli uno contro l’altro. La tradizione dice che per mezzo di un simile incantesimo egli avesse sa
un simile incantesimo egli avesse saputa l’epoca della sua morte, ciò che per altro non gl’impedì di morire ucciso a tradim
à di Clazomene si dava questa denominazione, dalla parola greca Ἠονπα che significa silenzio, alle sacerdotesse della dea P
oro culto, nel più profondo silenzio. 1830. Esimnete. — Da una statua che Vulcano fece del dio Bacco, e che secondo la trad
io. 1830. Esimnete. — Da una statua che Vulcano fece del dio Bacco, e che secondo la tradizione fu da Giove medesimo donata
onte, re di Troja e sorella di Priamo. La tradizione mitologica narra che fra Nettuno e Laomedonte fosse stabilito un patto
n patto, ma non fa menzione della ragione di questo ; e solo aggiunge che avendo Laomedonte mancato alla sua parola, Nettun
do Laomedonte mancato alla sua parola, Nettuno mandò un mostro marino che divorava tutti gli abitanti delle spiagge vicine,
vicine, ed era seguito nel suo pasaggio da una terribile pestilenza, che non solo uccideva gli uomini e gli animali, ma fa
consultarlo sul modo di far cessare tanto flagello. L’oracolo rispose che la cagione di tanto lutto, era la collera di Nett
a di Nettuno, il quale non si sarebbe placato se non quando i troiani che avevano dei figli non avessero esposto alla vorac
vessero esposto alla voracità del mostro, quello tra i loro figliuoli che la sorte designerebbe. E la sorte volle che dall’
ello tra i loro figliuoli che la sorte designerebbe. E la sorte volle che dall’urna fatale si estraesse il nome di Esione f
fu incatenata alla spiaggia ad attendervi l’orribile morte. Ma Ercole che si trovava allora nelle circostanze di Troja, ins
propria famiglia. La giovanetta preferi di seguire Ercole, ma questi, che dovea muovere in Colchide, alla conquista del Vel
Colchide, alla conquista del Vello d’oro, lasciò Esione ed i cavalli che il re gli aveva donato, a Laomedonte stesso, a pa
cavalli che il re gli aveva donato, a Laomedonte stesso, a patto però che gli avrebbe restituito il tutto al suo ritorno da
ole di Danao, la quale, amata da Giove, lo rese padre di un fanciullo che fu chiamato Orcomeno. Divenuto adulto egli fondò
. Monti. 1832. Eso. — Con questo nome i Galli adoravano una divinità che si suppone fosse il loro dio della guerra. Quei p
attaglia, ma persino tutt’i prigionieri. Al dire di Luciano nelle sue che dell’antichità, i Galli spingevano la loro barbar
ittà come un semplice particolare. Esone fu padre del famoso Giasone, che egli sottrasse con ogni amorevole cura, alla crud
temeva in lui un vendicatore dei dritti paterni. La tradizione narra che Giasone, divenuto adulto al suo ritorno dalla con
n opera alcuno dei suoi possenti segreti onde Esone ringiovanisse ; e che in fatti Medea, cedendo alle preghiere del suo am
di lui il sangue agghiacciato daila vecchiezza, vi filtrò il liquore che aveva preparato. La cronaca favolosa aggiunge che
i filtrò il liquore che aveva preparato. La cronaca favolosa aggiunge che l’incantesimo riuscì pienamente e che Esone riacq
o. La cronaca favolosa aggiunge che l’incantesimo riuscì pienamente e che Esone riacquistò da quel giorno forza e salute. F
à, qualunque manto di allegoria favolosa, altro non ci ricorda se non che Esone, essendo stato obbligato da Pelia suo frate
tello, a bere del sangue di toro, fosse morto in seguito di ciò prima che suo figlio Giasone fosse ritornato dalla Colchide
o di ciò prima che suo figlio Giasone fosse ritornato dalla Colchide, che sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e
dalla Colchide, che sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e che Giasone al suo ritorno avesse per onorare la memo
erò una opinione poco generalizzata. Narrano le cronache mitologiche, che quando Giove sposò Giunone, questa regalasse al m
ndo Giove sposò Giunone, questa regalasse al marito un albero di pomi che faceva le frutta di oro. Giove allora in segno di
r l’albero nell’orto delle Esperidi, e vi pose a guardiano un dragone che aveva cento teste e altrettante voci. Ercole ucci
ettivo. Al dire del citato scrittore, esse erano d’una tale bellezza, che la sola rinomanza di questa, spiese Busiride, re
non si seppe più novella di lui. Da ciò ha vita il simbolo mitologico che ha fatto dare il nome di Espero ad uno dei più br
uomini. 1838. Espiazione. — Specie di solennità o cerimonia religiosa che gli antichi istituirono per purificare le persone
monia religiosa che gli antichi istituirono per purificare le persone che aveano commesso un qualche misfatto ed i luoghi o
stato consumato. Lo studio dei tempi dell’antichità rivela per altro che presso i romani ed i greci si faceva uso di tal c
all esito di una guerra, al compimento di un qualche fatto importante che interessasse radicalmente tutta una città, furono
ntichi di lustrare, expiare, februare, altro non vogliono significare che il compimento di alcuni atti ritenuti proprî a ca
na colpa, o a scongiurare il cattivo influsso di una qualche sventura che minacciasse la patria. Presso i pagani le princip
per Giasone e Medea. Allorquando il reo si presentava innanzi a colui che poteva espiarlo doveva, senza profferir parola, c
spiarlo doveva, senza profferir parola, conficcare nel terreno l’arme che era stata strumento del suo delitto. Se l’espiato
stata strumento del suo delitto. Se l’espiatore accettava l’incarico che tacitamente gli dava il reo, col suindicato indiz
con acqua e mele tre volte alcuni rami di olivo in simbolo della pace che l’omicida cercava di riacquistare. Finalmente si
icida cercava di riacquistare. Finalmente si copriva l’ara di focacce che il reo inginocchiato offeriva alle sdegnate divin
di perdonare al suo misfatto. Si trova anche ripetuto in vari autori che molti rei d’omicidio si erano assoggettati a succ
tesso modo, e la tradizione ricorda più di un nome illustre e famoso, che avesse espiato una qualche uccisione in modo ben
ua corrente. Così fece Enea, il quale non ardì toccare gli dei Penati che volea portar seco prima di essersi tuffato nella
si lordo e si recente uscito Da tanta uccisïon, toccar non lece Pria che di vivo fiume onda mi lave. Virgilio — Eneide — 
ultrici. Questa espiazione praticò Fedra, invasa dal colpevole amore che Venere le aveva inspirato pel figliastro Ippolito
epoca del famoso duello dei tre Orazii contro i tre Curiazii. « Dopo che Orazio fu assoluto dal delitto di parricidio, il
io fu assoluto dal delitto di parricidio, il re il quale non credette che in una città in cui professavasi di temere gli de
astasse per assolvere un delinquente, fece venire i pontefici e volle che placassero gli dei e che il reo subisse tutte le
delinquente, fece venire i pontefici e volle che placassero gli dei e che il reo subisse tutte le pruove che erano in uso p
i e volle che placassero gli dei e che il reo subisse tutte le pruove che erano in uso per espiare quei delitti, in cui non
paese ; offrirono su questo altare molti sacrifizî espiatori, dopo di che fecero passare il reo sotto il giogo (specie di f
le popolazioni al cessare di una pubblica calamità. Però è da notarsi che nella cerimonia della lustrazione, l’esercito da
Non si deve però confondere questa lustrazione espiatoria, con quella che facevasi ogni cinque anni dal popolo, dopo il cen
dai delitti della militaire licenza. Una delle più solenni espiazioni che troviamo ripetuta in tutti i cronisti della favol
ripetuta in tutti i cronisti della favola, era presso i romani quella che veniva solennizzata alla visibile manifestazione
trare, nel significato di espiare, avuto riguardo al periodo di tempo che trascorreva tra una di queste pubbliche cerimonie
i, ossia di un lustro, come gli antichi chiamavano un elasso di tempo che comprendesse cinque anni. I pagani ritenevano pro
edenze, assolutamente necessaria. Per citare uno dei tanti esempi, di che fà menzione la tradizione favolosa, ricorderemo i
ia l’onda sacra di perenne fonte Con pure mani attingi. Edipo E poi che attinta L’avrò ? Coro Crateri troverai, lavoro
onde o lana ? Coro Del recente pelo L’una tenera agnella. Edipo E che far poscia ? Coro Far libagioni all’oriente in
i cosi. Edipo Ciò udir vogl’io ; chè udirlo Rileva assai Coro Poi che il benigno nome D’Eumenidi lor diam, benignamente
ste avevano gli antichi molte altri cerimonie espiatorie, come quelle che si facevano in occasione di viaggi, di nozze e di
si facevano in occasione di viaggi, di nozze e di funerali. Tutto ciò che si credeva di cattivo augurio, come l’incontro di
atorie. Finalmente i pagani celebravano le espiazioni, tutte le volte che qualcuno veniva iniziato ai grandi o piccoli mist
ssiterio. — Dalla voce latina Exitus si dava questo nome alle feste che si celebravano in onore degli dei, prima della pa
loro dei donativi per averli propizî. 1841. Esta. — Nome particolare che si dava alle viscere delle vittime, che gli Arusp
841. Esta. — Nome particolare che si dava alle viscere delle vittime, che gli Aruspici esaminavano per prodire l’avvenire.
aminavano per prodire l’avvenire. Questa voce deriva dal latino Exta, che significa viscere. 1842. Estiel. — Dette anche Es
stiel. — Dette anche Estie : religiose cerimonie e sacrifizî solenni, che si celebravano quasi in tutte le città della Grec
rimonie, era espressamente proibito il trasporto di qualunque oggetto che non fosse una delle vittime da immolarsi. Da ciò,
delle vittime da immolarsi. Da ciò, forse, derivò l’antico proverbio che i pagani applicavano agli avari : sacrificare ad
i applicavano agli avari : sacrificare ad Estia, vol endo significare che gli avari non concedono ad altri la meno ma parte
eno ma parte di quanto posseggono. 1843. Estipiel. — Nome particolare che si dava agli Aruspici quando esaminavano le visce
eva nella Tessaglia tra il monte Parnaso e il Pindo. La cronaca narra che fu sul monte Eta che Ercole fece in nalzare il ro
ra il monte Parnaso e il Pindo. La cronaca narra che fu sul monte Eta che Ercole fece in nalzare il rogo sul quale abbruciò
in nalzare il rogo sul quale abbruciò. Finsero i poeti dell’antichità che il sole, le stelle e la luna si levassero dal mon
ichità che il sole, le stelle e la luna si levassero dal monte Eta, e che da esso nascesse il giorno e la notte. La storia
a, i frutti ed i fiori, ed era irrigata da fiumi di latte e di miele, che scorrevano soavissimamente, fra sponde eternament
azioni tradizionali, imperocchè noi vediamo dalle cronache del tempo, che sotto il regno di Saturno, vale a dire quando cor
ente della stirpe reale degli Eolidi. La tradizione favolosa racconta che Etalide avesse domandato a suo padre due grazie ;
oscenza anche dopo la morte, di quanto avveniva nel mondo ; e l’altra che egli passerebbe metà dell’anno tra i vivi e l’alt
o Etalide araldo degli Argonauti ; e sugli obblighi della sua carica, che a lui imponevano di essere talora presente, e tal
nitore ebbe abdicato il trono di Tebe, Eteocle convenne col fratello, che avrebbero regnato a vicende un anno per ciascuno.
le guerra di Tebe, la quale ebbe termine col duello dei due fratelli, che restarono entrambi vittime della loro inimicizia.
ivo di Eteocle. 1840. Eteoclo. — Uno del sette capi dell’armata Greca che mosse alla famosa guerra di Tebe, fu fratello di
0. Etelina. — I Greci davano questo nome ad una specie d’inno lugubre che si cantava nelle cerimonie dei funerali. Era chia
eva denotare, per mezzo di simboli allegorici, i caratteri principali che il simbolo della favola attribuiva all’eternità.
bolo della favola attribuiva all’eternità. Infatti la Fenice (uccello che si rinnova sempre, rinascente dalle sue ceneri) e
ga vita ; e finalmente aveva il globo nella destra, perchè è un corpo che non ha confini. 1853. Eteta. — Giovanetta di Laod
etta di Laodicea, città della Siria. Amò così perdutamente suo marito che , secondo riferisce la cronaca, domandò ed ottenne
delle molte figliuole del re Priamo. Caduta in potere di Protesilao, che la fece prigioniera all’assedio di Troja, ella pr
fece prigioniera all’assedio di Troja, ella profittò di una tempesta, che costrinse la nave dove si trovava, ad approdare f
i pagani ai cavalli. 1856. Etna — La tradizione della favola racconta che la fucina del dio Vulcano, e quella dei ciclopi c
a favola racconta che la fucina del dio Vulcano, e quella dei ciclopi che fabbricavano i fulmini a Giove, stessero nelle vi
e malaugurata e funesta. 1857. Etolo — Così ebbe nome il terzo figlio che Endimione ebbe dalla ninfa Naide. Divenuto adulto
gezza. Etra fu segretamente, dallo stesso suo padre, maritata ad Egeo che la rese madre di Teseo. Piteo per alcune particol
ante il tempo della gravidanza di Etra, non volendo palesare l’unione che le aveva fatto contrarre, sparse voce che Nettuno
n volendo palesare l’unione che le aveva fatto contrarre, sparse voce che Nettuno, nume particolarmente adorato in Trezene,
orato in Trezene, innammoratosi della figlia, l’avesse resa madre ; e che per conseguenza Teseo era figlio di Nettuno. Allo
mpio a lui consacrato sul monte Etna. 1861. Etrurj — Nome particolare che si dava a coloro, che senza essere sacerdoti eran
sul monte Etna. 1861. Etrurj — Nome particolare che si dava a coloro, che senza essere sacerdoti erano periti nell’arte deg
a i figliuoli di Priamo, re di Troja, e il più valoroso dei guerrieri che spesero la propria vita in difesa della sventurat
a in difesa della sventurata città. …… e questi Furiando parea Marte che crolla La grand’asta in battaglia, o di vorace Fu
rte che crolla La grand’asta in battaglia, o di vorace Fuoco la vampa che ruggendo involve Una folta foresta alla montagna.
o sotto il nome di Astianatte. V. Astianatte. L’oracolo avea predetto che finchè Ettore avrebbe vissuto, il regno di Priamo
suto, il regno di Priamo resisterebbe agli attacchi dei greci, onde è che questi fecero del terribile avversario il bersagl
o anno del famoso assedio, allorchè Ettore, inorgoglito dalla fortuna che arrideva propizia alle armi trojane, e profittand
un istante, vacillare il proprio coraggio, e quella intrepida energia che non lo aveva mai abbandonato un solo istante per
vate glorïose spoglie. Stimolò col flagello a tutto corso I corridori che volar bramosi. Omero — Iliade — Libro XXII trad.
osi. Omero — Iliade — Libro XXII trad. di V. Monti. Omero ci ripete che Apollo, tocco di compassione allo spettacolo mise
ione e coprì il corpo dell’eroe con la sua egida di oro, per impedire che Achille, col trascinarlo tante volte, così veloce
di V. Monti. Finalmente gli dei, mossi a compassione per un valoroso che li aveva sempre onorati, inspirarono al vecchio r
con pompa solenne posto sul rogo, nelle mura stesse di quella città, che egli aveva difesa a costo della sua vita, fu abbr
de — Libro XXIV trad. di. V. Monti. 1863. Eubagl. — Nome particolare che si dava ad alcuni filosofi galli, la cui occupazi
naturali. 1864. Eubea. — Così ebbe nome una delle amanti di Mercurio, che ebbe da lei un figliuolo chiamato Polibio. La fav
mpiuti, con molto decoro della repubblica, alcune importanti missioni che aveva ricevuto dai sacerdoti di Bacco e di Escula
Delfo, per consultare la Pitia, s’innammorò così perdutamente di lei, che la rapì e la condusse nella sua patria. Ad ovviar
amente di lei, che la rapì e la condusse nella sua patria. Ad ovviare che simili sconci si fossero ripetuti nell’avvenire,
licità. In greco la parola Ευγαῳουια deriva da due vocaboli Ευ, ημερα che significano giorni felici. 1871. Eudora. — Una de
ell’Oceano. 1872. Eufemo. — Uno degli Argonauti e propriamente quello che alla morte del pilota Tifi ebbe l’incarico di tim
lpi di frecce. V. Niobe. 1874. Eufrade. — Così aveva nome la divinità che presiedeva ai conviti. In segno di allegria si me
sovente sulla tavola stessa. La parola Eufrade deriva dal greco Εορων che significa allegro. 1875. Eufrobio. — Fu uno dei p
ja per mano di Menelao. 1876. Eufrona. — Dalle due parole greche φρης che significano consiglio si dette il nome di Eufrona
igli. 1877. Eufrosina. — Nome particolare di quella fra le tre grazie che presiedeva all’allegria. 1878. Eugenia. — Si dava
ivinità. Veniva raffigurata sotto le sembianze di una donna in piedi, che ha nella mano sinistra una picca e nella destra u
79, Eumelo. — Figliuolo di Alceste e di Admeto. Fu uno dei capi greci che assediarono Troja. Omero ce lo addita come posses
lo addita come possessore delle due più belle cavalle dell’esercito, che secondo la tradizione favolosa, erano state nutri
delle Eumenidi. 1882. Eumenidi. — Ossia benefattrici nome particolare che i greci davano alle furie. Questo vocabolo deriva
che Ευλεης benefattore e μενος animo. Racconta la tradizione favolosa che Apollo, per liberare Oreste dalle furie che lo to
ta la tradizione favolosa che Apollo, per liberare Oreste dalle furie che lo tormentavano dopo l’uccisione di sua madre Cli
r tutto ; Ma tu prosegui il tuo cammino. e stanco Non t’arrestar, fin che venuto sei Alla città di Pallade. Là siedi. Abbra
nalzato loro un tempio in prossimità dell’Areopago. Minerva  — Pol che tal beneficio a questa terra Per lor s’appresta,
er lor s’appresta, lo ne vo lieta ; e grata Sono alla dea Persuasion, che il labbro Inspirommi e la lingua a piegar queste
o. — Così avea nome il figliuolo del re di Scio, isola del mare Egeo, che fu il più fedele seguace d’Ulisse. Narra la tradi
mare Egeo, che fu il più fedele seguace d’Ulisse. Narra la tradizione che Eumeo, nella sua infanzia, fu rubato da alcuni Pi
ssea — Libro XIV Trad. di I. Pindemonte. Fu in casa di questo Eumeo, che si ricoverò Ulisse, dopo venti anni di lontananza
tananza dalla sua patria ; e fu con l’ajuto di questo fedel servitore che egli potè sterminare tutti gli amanti di Penelope
o altri di Orfeo. La tradizione più accreditata però, racconta di lui che , avendo contrastato il possesso della città di At
i Atene ad Eretteo, questi gli mosse guerra. Nella battaglia decisiva che fu da ambe le parti combattuta con accanito furor
di sommo sacerdote o Jerofante dei misteri Eleusini. Eumolpo fu colui che insegnò ad Ercole la musica. V. Ercole. 1887. Eun
aggio all’isola di Lemnos, s’innamorò d’Isifile e n’ebbe un figliuolo che fu questo Euneo. Secondo la tradizione egli diven
nomia. — Fu figlia dell’Oceano e secondo la favola madre delle Grazie che furono il frutto dei suoi amori con Giove. 1890.
famoso musico della città di Locri. La cronaca favolosa narra di lui che recandosi nella città di Delfo, insieme ad un alt
tano onde sostenere una sfida nella loro arte, avvenne strada facendo che una corda del liuto di Eunomo si fosse spezzata ;
supplì col suo canto con tanta aggiustatezza al difetto della corda, che Eunomo fu il vincitore nell’artistica disfida. In
liuto sul quale era posata una cicala. I Locresi ritenevano per fermo che le cicale cantavano solamente sulle rive del fium
che le cicale cantavano solamente sulle rive del fiume Alex o Alice, ( che divideva le due città di Locri e di Reggio), dall
e vietato alle donne di entrare in quel tempio, era generale credenza che tutte le volte che una pubblica calamità affligge
e di entrare in quel tempio, era generale credenza che tutte le volte che una pubblica calamità affliggeva la città di Tana
ontro di un eunuco nell’uscire di casa. Quando la combinazione faceva che s’imbattessero in uno di essi, ritornavano in cas
asa e non uscivano per tutto quel giorno. 1893. Euploca. — Soprannome che si dava a Venere prima d’intraprendere un viaggio
de ottenere, una felice navigazione. La geografia antica ci ammaestra che nelle circostanze della città di Napoli, vi era u
ra i guerrieri trojani e celebre nella tradizione per il grande amore che lo legava a Niso, altro giovane guerriero, e che
per il grande amore che lo legava a Niso, altro giovane guerriero, e che fu causa della morte di entrambi. Eurïalo era se
nome un figliolo di Mecisteo, nipote del re Talao. Omero dice di lui che insieme a Diomede e Stenelo comandava gli argivi
— Libro II trad. di. V. Monti. 1897. Euribate. — Uno degli Argonauti che si rese celebre per la sua agilità negli esercizi
se celebre per la sua agilità negli esercizii del corpo, e per l’arte che aveva di risanare le ferite. Oileo gravemente pia
o egli ritorno un giorno ferito dalla caccia al cignale. Omero ripete che Laerte, padre di Ulisse, avea comperata Euridea a
. Euridice. — Moglie di Orfeo. La tradizione favolosa racconta di lei che , qualche giorno dopo il suo matrimonio, essendo i
sulle sponde di un fiume, e morì in seguito di quella ferita. Orfeo, che amava teneramente quella sua dilettissima, si rit
e giorno, al suono dolcissimo della sua lira, la perdita irreparabile che aveva fatta, ma non potendo più a lungo sopportar
serpina e Plutone stesso, inteneriti dalle divine armonie, ordinarono che la morta Euridice fosse ritornata sulla terra, su
ritornata sulla terra, sui passi dello sposo fedele ; con patto però che Orfeo non si rivolgesse a riguardarla, se non qua
sorte e dispietata, Orfeo. Me misera ad un tempo, e te perdeo ? Ecco che nuovamente i crudi fati Già mi chiamano addietro 
nella città di Aorno, ove, secondo la tradizione, esisteva un oracolo che faceva rivedere le anime dei morti, richiamandole
ime dei morti, richiamandole per poco al contatto degli uomini. Fu là che Orfeo rivide la diletta Euridice, e lusingandosi
li uomini. Fu là che Orfeo rivide la diletta Euridice, e lusingandosi che ella l’avrebbe questa volta seguito per non abban
più mai, si rivolse a guardarla, ma Euridice era scomparsa. Allora fu che Orfeo, ripieno l’animo di un disperato dolore, si
olore, si fece ad interrogare nuovamente l’oracolo, ma questo rispose che Euridice era morta per sempre, e ch’egli non l’av
riveduta più. In seguito di questa risposta, perduta l’unica speranza che lo teneva in vita, Orfeo si uccise di propria man
e oggetto dell’ amor suo. Euridice fu anche il nome di una figliuola, che Endimione ebbe dalla ninfa Asterodia. 1901. Eurim
a Asterodia. 1901. Eurimedonte. — La favola dà questo nome äl gigante che fu padre di Prometeo. Giunone prima di diventar m
moglie di Giove lo aveva amato, e questa fu la vera ragione dell’odio che Giove ebbe poi tanto con Eurimedonte quanto col f
zie. Eurinome veniva rappresentata sotto le sembianze di uua giovane, che dalla cintura in giù aveva il corpo di pesce. Ebb
statua era legata con delle catene d’oro. Il suo tempio non si apriva che una sola volta l’anno e in un giorno determinato
bava della carne dei morti. Nel tempio di Delo vi era una sua statua, che la rappresentava seduta su di una pelle d’avvolto
amato. 1904. Euripile. — Figlio di Evemone. Fu uno dei capitani greci che assediarono Troja. I lor prodi mandar sotto il c
gnato Omero — Iliade — Libro II trad. di V. Monti. Narra la cronaca che quando Troja cadde in potere dei greci, ad Euripi
sa nella quale era rinchiusa una statua di Bacco, fatta da Vulcano, e che Giove stesso aveva donato a Dardano. Euripile imp
iove stesso aveva donato a Dardano. Euripile impaziente di vedere ciò che contenesse la cassa, la ruppe, ma non appena ebbe
el luogo ove avesse visto gli apparecchi di un sacrifizio cruento ; e che in quel luogo egli avesse dovuto deporre la cassa
zio cruento ; e che in quel luogo egli avesse dovuto deporre la cassa che gli era stata tanto fatale. Ubbidiente alla voce
enaica. Le cronache delle antichità dicono, a proposito di questo re, che essendo stati gli Argonauti spinti da una tempest
rta, e avesse loro additato il modo di schivare gli scanni di sabbia, che s’incontrano nelle circostanze delle isole Sirti.
licissimo, argomento ad un altro dei suoi innumerevoli miti, racconta che essendo stata la nave degli Argonauti spinta da u
e spiagge della Libia, apparve loro un tritone in forma umana e disse che mediante una ricompensa, avrebbe mostrato loro un
a al tritone un tripode di rame ; e in conseguenza di ciò il tritone, che non era altro che Euripile, staccò dal carro di N
ipode di rame ; e in conseguenza di ciò il tritone, che non era altro che Euripile, staccò dal carro di Nettuno uno degli a
innanzi agli Argonauti, ordinando loro di seguire esattamente la via che avrebbe percorsa il divino corridore. Finalmente
ivino corridore. Finalmente Euripile si chiamava un nipote di Ercole, che fu uno dei più valorosi alleati dei trojani. La t
he fu uno dei più valorosi alleati dei trojani. La tradizione ripete, che Euripile non giungesse a Troja che verso la fine
dei trojani. La tradizione ripete, che Euripile non giungesse a Troja che verso la fine dello assedio e che in un aspro com
che Euripile non giungesse a Troja che verso la fine dello assedio e che in un aspro combattimento uccidesse di propria ma
cippe figliuola di Pelope e re di Micene. La cronaca mitologica narra che avendo Giove giurato che dei due bambini Euristeo
e re di Micene. La cronaca mitologica narra che avendo Giove giurato che dei due bambini Euristeo ed Ercole, quegli figlio
isteo ed Ercole, quegli figlio di Micippe, e questi di Alemena quello che nascerebbe primo, avrebbe ottenuto un gran predom
inio sull’ altro, Giunone irritata contro Alemena, si vendicò facendo che Micippe partorisse di sette mesi Euristeo, procur
Ciò non ostante Euristeo ebbe sempre gran timore di Ercole, e tanto, che non gli permetteva di entrare in città, e facevag
ò per fino i suoi discendenti. — V. Eraclidi. — La tradizione ripete, che durante la vita di Ercole, Euristeo ebbe tanta pa
pete, che durante la vita di Ercole, Euristeo ebbe tanta paura di lui che non osava presentarsi mai alla sua presenza, e ch
tanta paura di lui che non osava presentarsi mai alla sua presenza, e che sì era fatto fabbricare una botte di bronzo per n
, e σερυου petto. Nella città di Ege in Acaja, essa aveva un tempio, che era il più antico della Grecia, e nel quale era a
la Grecia, e nel quale era adorata sotto questo nome. La sacerdotessa che veniva eletta al servigio di questo tempio, dovev
doveva esser stata maritata una sola volta nella vita, e dal momento che veniva insignita del suo sacro carattere, doveva
r tutto il rimanente dei suoi giorni. 1907. Eurito. — Uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. Ercole lo uccise con
Eurito aveva anche nome quello Scita, re di Oecalia, nella Tessaglia, che fu maestro di Ercole nel tirar d’arco. V. Ercole.
aveva una figlia per nome Jole, di cui aveva promesso la mano a colui che lo avesse vinto nell’esercizio della freccia. Ino
me al suo spietato signore. Eurizione si chiamava anche quel centauro che fu cagione della celebre contesa fra i Lapidi ed
iritoo, il vino alterò siffattamente le facoltà mentali di Eurizione, che insultò villanamente alcuni Lacedemoni che assist
oltà mentali di Eurizione, che insultò villanamente alcuni Lacedemoni che assistevano a quel banchetto. Questi sdegnati lo
mensi, Compreso di furor, mali commise. Molto ne dolse a quegli eroi, che incontro Se gli avventaro, e del vestibol fuori T
a. Essa era di una bellezza incantevole, e avea la pelle così bianca, che si disse aver rubato il belletto a Venere. Giove
via dell’isola di Creta, ove giunse per l’imboccatura del fiume Lete, che passava a Goritna. Giove sotto il bugiardo e nov
 — Libro II Trad. di Dell’ Anguillara. La tradizione favolosa ripete che avendo i greci osservato che sulle sponde di ques
guillara. La tradizione favolosa ripete che avendo i greci osservato che sulle sponde di questo fiume, gli alberi erano se
e di questo fiume, gli alberi erano sempre verdeggianti, pubblicarono che fu sotto uno di questi, che si compirono i primi
i erano sempre verdeggianti, pubblicarono che fu sotto uno di questi, che si compirono i primi amori di Giove con Europa. G
una festa in suo onore. È opinione di varì scrittori dell’ antichità, che il nome di Europa fosse dato a questa principessa
uropa fosse dato a questa principessa, perchè significa bianchezza, e che da ciò si chiamasse Europa quella parte del globo
di Egialeo e re di Sicione. Al dire di Apollodoro fu questo principe, che chiamò Europa una delle cinque parti del mondo. Q
con gli Ateniesi, aspettavano per fissare il giorno della battaglia, che fosse compiuto il plenilunio. Però il generale de
a credenza dei suoi soldati e poco curante dei fulmini e dei lampi di che era il cielo corrusco, schierò i suoi guerrieri i
oni, il cui comandante si precipitò per disperazione nel fiume Imero, che da quel tempo fu, per questa ragione, chiamato Eu
ragione, chiamato Eurota. 1911. Eusebia — Dalla parola greca ευοεβεια che significa pietà, si dava dagli antichi questo nom
ntichi questo nome alla Pietà deificata. 1912. Eutenia — Nome proprio che i greci davano alla Abbondanza, che avevano perso
ata. 1912. Eutenia — Nome proprio che i greci davano alla Abbondanza, che avevano personificata e deificata, senza però inn
inventrice. La parola Euterpe deriva dai due vocaboli greci Ευ, τερπω che significano rallegro. Euterpe amante delle doppi
pive. V. Monti — La Musogonia. 1914. Eutico. — Narrano le cronache, che quando Augusto mosse da Roma, per la spedizione c
rano le cronache, che quando Augusto mosse da Roma, per la spedizione che poi finì con la battaglia di Azio, avesse incontr
un asinello, pungendolo con un bastone. Quell’uomo avea nome Eutico, che in greco vuol dire ben formato ; e l’asino si chi
o, che in greco vuol dire ben formato ; e l’asino si chiamava Nicone, che vuol dire vinvitore, da ciò prese Augusto lieto p
re, da ciò prese Augusto lieto presagio per la vittoria, ed è scritto che riportata che l’ebbe, fece fabbricare nel luogo s
se Augusto lieto presagio per la vittoria, ed è scritto che riportata che l’ebbe, fece fabbricare nel luogo stesso ove acca
amme ardevano l’amato cadavere, ella si precipitò fra quelle, volendo che le proprie fossero unite per sempre alle ceneri d
volendo che le proprie fossero unite per sempre alle ceneri dell’uomo che essa aveva amato più della vita. 1916. Evagora — 
eidi. 1917. Evan. — Soprannome di Bacco a lui dato dalla parola Evan, che le Baccanti ripetevano nella celebrazione delle s
irono sempre ritenendolo come un uomo caro agli dei. Narra la cronaca che Evandro, accolse nella sua casa Ercole, senza sap
a la cronaca che Evandro, accolse nella sua casa Ercole, senza sapere che era figlio di Giove : ma appena venne in conoscen
o. Presso gli scrittori dell’antichità, è quasi generale l’opinione, che Evandro avesse portato in Italia il culto delle d
che Evandro avesse portato in Italia il culto delle divinità greche ; che avesse istituito i sacerdoti Sali, ed i Lupercali
tà greche ; che avesse istituito i sacerdoti Sali, ed i Lupercali ; e che avesse edificato, sul monte Palatino, un tempio a
come dea dell’agricoltura. Virgilio, nella sua Eneide, ha immaginato che Evandro vivesse ancora ai tempi di Enea, che foss
ua Eneide, ha immaginato che Evandro vivesse ancora ai tempi di Enea, che fosse a lui legato coi vincoli della parentela, e
tempi di Enea, che fosse a lui legato coi vincoli della parentela, e che lo aiutasse colle sue soldatesche. E non fia il
gli avea beneficati. Vi sono anzi alcuni scrittori i quali pretendono che Evandro, fosse la stessa divinità adorata in Ital
ro, fosse la stessa divinità adorata in Italia col nome di Saturno, e che sotto il regno di lui fiorisse quel periodo di te
, i quali lo invocavano ogni giorno all’ora del tramonto. Il suo nome che significa che vive felicemente deriva da due paro
nvocavano ogni giorno all’ora del tramonto. Il suo nome che significa che vive felicemente deriva da due parole greche Ev e
parole greche Ev e ημερα giorni felici. 1921. Evio — Narra la cronaca che allorquando Bacco combattè nella guerra dei gigan
lla guerra dei giganti a fianco di suo padre Giove, questi nel vedere che il figliuolo aveva ucciso un gigante, avesse grid
impresse tutte dello stesso carattere. La prima Evocazione era quella che si praticava per chiamare gli dei, quando si cred
oclo ed a Orfeo stesso. In essi si conteneva una specie di preghiera, che avea potere di far discendere gli dei, nel luogo
la Roma antica, evocò anch’egli di sovente il fulmine e Tullo Ostilio che succedette a Numa nel governo, volle fare anche e
e, incenerito egli stesso. La seconda specie di Evocazione era quella che i pagani praticavano per evocare gli dei tutelari
che i pagani praticavano per evocare gli dei tutelari. Dice Macrobio, che quando i romani cingevano d’assedio una città, av
are l’evocazione degli dei tutelari, cantando alcune strofe, senza di che credevano impossibile impadronirsi della città ne
credevano impossibile impadronirsi della città nemica ; e ritenevano che quand’anche avessero potuto rendersi padroni dell
llora il Dittatore uscito fuori, avendo preso gli augurü, e comandato che i soldati pigliassero le armi, disse : O Apollo P
one regina, la quale al presente abiti questa città, prego parimente, che tu seguiti noi vincitori nella nostra, e tosto tu
Lib. V. trad. di F. Nardi. Finalmente la terza Evocazione era quella che si faceva per evocare le anime dei morti, ed era
autori profani ritengono Orfeo come l’inventore di questa cerimonia, che aveva un ordinamento lugubre e solenne. Ai tempi
nuta come colpevole ed odiosa e vi era non piccolo numero di persone, che facevano pubblica professione di evocare i defunt
’evocazione ; Poi degli estinti le debili teste Pregai, promisi lor, che nel mio tetto, Entrato con la nave in porto appen
dell’armento fiore, Lor sacrificherei, di dono il rogo Riempiendo ; e che al sol Tiresia, e a parte. Immolerei nerissimo ar
le ombre dagli eroi e dagli dei stessi del paganesimo, altro non sono che altrettante cerimonie in cui si praticava cotesta
cui si praticava cotesta evocazione dei defunti. 1923. Evoè. — Grido che ripetevano le baccanti nelle feste del loro dio.
tte Fabariae, le calende di giugno. 1925. Fabiani. — Nome particolare che si dava dai Romani, ai sacerdoti del dio Pane, de
i, e l’altro dei Fabiani. 1926. Fabio. — Uno dei figliuoli di Ercole, che egli ebbe da una figlia del re Evandro, per nome
Al dire di Festo, egli chiamavasi da principio Fovio dal latino Fovea che significa fossa, perchè, secondo la tradizione, g
cole e di Vinduna, avvennero in una fossa. Altri scrittori pretendono che questo primitivo nome di Fovio, gli venisse per e
numerose e ghiotte vivande. La parola Fagesie deriva dal greco φαγειυ che significa mangiare. 1929. Faggio. — Albero consac
ie. 1930. Fagutale. — Soprannome di Giove Dodoneo dalla parola fagus, che significa, colui che abita nel faggio. I responsi
 Soprannome di Giove Dodoneo dalla parola fagus, che significa, colui che abita nel faggio. I responsi dell’oracolo che Gio
s, che significa, colui che abita nel faggio. I responsi dell’oracolo che Giove aveva in Dodona, uscivano dalla cavità di u
a dà questo nome alla cignala madre del famoso cignale di Calidone, e che desolò per più tempo le circostanze del borgo di
e l’uccise. Secondo riferisce Plutarco, Faja fu il nome di una donna, che vivea di prostituzione, di assassinio e di furto.
i costumi. 1932. Falce. — Questo strumento era l’attributo principale che i pagani davano a Saturno ossia il tempo ; volend
avano a Saturno ossia il tempo ; volendo così caratterizzare il tempo che tronca e miete ogni cosa. 1933. Fallsio. — Così a
cide. La tradizione mitologica narra di lui uno strano fatto, dicendo che egli aveva male gli occhi in così triste modo, ch
ano fatto, dicendo che egli aveva male gli occhi in così triste modo, che era quasi interamente cieco. Un giorno il dio di
ggellata, con ordine di aprirla e leggerla. Falisio credette da prima che la donna volesse prendersi giuoco di lui, insulta
si giuoco di lui, insultando, per basso animo, alla dolorosa sventura che lo avea colpito ; ma sentendo poscia da Anite, ch
dolorosa sventura che lo avea colpito ; ma sentendo poscia da Anite, che ella non faceva se non se ubbidire al comandament
e gettandovi sopra gli sguardi si trovò così miracolosamente guarito che potè leggere da capo a fondo il contenuto di quel
culapio, e rimandò Anite con un dono di duemila monete d’oro, secondo che era scritto nella lettera di cui ella era stata p
ce. 1934. Falliche. — Venivano così nominate alcune feste e cerimonie che si celebravano nella città di Atene, in onore di
ere indicato il mezzo onde far cessare il flagello. L’oracolo rispose che quella era conseguenza dello sdegno di Bacco, irr
acolo sul modo di placare l’oltraggiata divinità, si ebbe in risposta che dovevano ricevere Bacco nella loro città con sole
sperse membra di Osiride e le rinchiuse in un’ urna : ma accorgendosi che non aveva potuto trovare tutte le membra, fece da
i artefici, copiare in cera e in altre materie quelle parti del corpo che mancavano allo amato cadavere. Qualche cosa di si
ste dette Falliche — V. Falliche. 1936. Fallolori. — Nome collettivo, che si dava ai ministri delle orgie di Bacco per dino
collettivo, che si dava ai ministri delle orgie di Bacco per dinotare che essi portavano il fatto nella processione che si
e di Bacco per dinotare che essi portavano il fatto nella processione che si faceva durante le cerimonie falliche. I Fallol
figlia della terra, e sorella dei giganti Encelado e Ceo, e ci ripete che la terra, irritata contro gli dei che nella guerr
nti Encelado e Ceo, e ci ripete che la terra, irritata contro gli dei che nella guerra coi giganti, avevano distrutti tutti
s’avanza ; e sopra terra Sen va movendo e sormontando a l’aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde, Dicon che già la n
sormontando a l’aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde, Dicon che già la nostra madre antica, Per la ruina de’ giga
sorella : Mostro orribile e grande, e d’ali presta E veloce de’ piè : che quante ha piume, Tanti ha sott’occhi vigitanti, e
tetti, e per le torri Sen va de le città, spïando tutto Che si vede e che s’ode : e seminando, Non men che ’l bene e ’l ver
e città, spïando tutto Che si vede e che s’ode : e seminando, Non men che ’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor e
lle malattie, ai travagli, alla povertà, e a tutti i mali della vita, che similmente essi personificavano ed adoravano, sup
esta particolare denominazione gli antichi chiamavano quelle persone, che dimoravano nei templi, e durante la preghiera cad
pide, d’Iside e in quasi tutti i tempi delle altre divinità. Del pari che presso di noi, presso gli antichi, il nome di fan
nte superstiziosa e cattiva. 1940. Faneo. — Dalla parola greca φανειν che significa illuminare, si dava questo nome ad Apol
ca illuminare, si dava questo nome ad Apollo nel significato di colui che dà la luce. Vi era anche un promontorio nell’isol
ale si dava lo stesso nome, e di dove narra la tradizione mitologica, che Latona avesse visto l’isola di Delo. 1941. Fano. 
tona avesse visto l’isola di Delo. 1941. Fano. — Dio dei viaggiatori, che presiedeva anche all’anno. Riferisce Macrobio nel
anche all’anno. Riferisce Macrobio nelle sue cronache dell’antichità, che i Fenici rappresentavano il dio Fano, sotto la fi
 Assai di sovente si trova ripetuto nei fasti della mitologia pagana, che gli dei formavano spesso dei fantasmi per salvare
er ingannare gli uomini. Così Giunone per salvare Turno re dei Rutoli che si esponeva con troppo audace coraggio nella batt
i dette a precipitosa fuga, e Turno lo inseguì fino su di un vascello che si trovava nel porto. Allora per volere della dea
di simili fantastiche apparizioni. 1943. Fantaso. — Uno dei tre sogni che la tradizione mitologica fa figliuoli del Sonno.
a figliuoli del Sonno. Il suo nome gli veniva dai differenti fantasmi che forma l’immaginazione durante il sonno. Al dire d
lebre per la sua straordinaria bellezza. I poeti della favola finsero che Venere lo avesse fatto così sorprendentemente bel
fatto così sorprendentemente belio, per ricompensarlo di un servigio che egli le aveva reso nel tempo che era padrone di u
io, per ricompensarlo di un servigio che egli le aveva reso nel tempo che era padrone di una nave. Narra la tradizione, che
veva reso nel tempo che era padrone di una nave. Narra la tradizione, che Venere, un giorno, trasformata in vecchia, fosse
il corpo, diventò di una bellezza simile a quello di un dio, per modo che tutte le donne di Mitilene furono pazze di lui.
……… Eccolo : ei sembra Il forte, il bello, la natura e l’arte : Par che sien fusi in quelle svelte membra Adone e Marte.
dutamente innammoratasene, non potè piegarlo alle sue voglie, permodo che , disperata si precipitò nel mare dall’altezza del
o fu con la disgraziata poetessa ; imperocchè la tradizione ci ripete che , colto in adulterio, morì ucciso dall’oltraggiato
era una città conosciuta sotto questo nome, e celebre per un oracolo che la dea Vesta e Mercurio, avevano nella piazza mag
uolo al quale dette il nome di Faside. La cronaca mitologica racconta che divenuto adulto, avendo sorpresa la madre in adul
’onore paterno. Le Furie impossessatesi di lui lo straziarono in modo che si precipitò nel fiume Arturo, il quale da quel g
e particolare davano gli antichi a quella necessità di un avvenimento che nulla poteva impedire e che veniva attribuito al
ichi a quella necessità di un avvenimento che nulla poteva impedire e che veniva attribuito al destino. I pagani accagionav
giche, nonchè gli scrittori più accreditati concordano sulla opinione che fra i greci si ritenesse come certa ed immutabile
one che fra i greci si ritenesse come certa ed immutabile la credenza che la caduta di Troja, andava collegata al compiment
à Priamea. La prima di codeste fatalità, era quella la quale imponeva che i greci non si sarebbero mai impossati di Troja,
le altre, nasceva da una antica tradizione secondo la quale era detto che Apollo e Nettuno, occupati a fabbricare le mura d
Pirro, sebbene ancora fanciullo. In secondo luogo, la fatalità voleva che per la caduta di Troja fossero adoperate le frecc
e le frecce di Ercole, le quali erano rimaste in potere di Filottete, che era stato dai greci abbandonato nell’isola di Lem
. La terza fatalità, e la più grave ed importante di tutte era quella che voleva si togliesse ai Trojani il Palladio, che e
e di tutte era quella che voleva si togliesse ai Trojani il Palladio, che essi custodivano accuratamente nel tempio di Pall
odivano accuratamente nel tempio di Pallade Minerva. Narra la cronaca che Ulisse e Diomede avessero trovato il mezzo d’intr
lle pericoli fossero riusciuti ad involare questo pegno di sicurezza, che i trojani custo livano con ogni solerzia. Bisogna
solerzia. Bisognava inoltre al compimento dell’estremo fato di Troja, che i cavalli di Reso re di Tracia, non avessero bevu
famosi destieri li condussero seco loro. In quinto luogo era mestieri che Troilo, figlio di Priamo fosse morto in combattim
di Priamo fosse morto in combattimento, e il sepolcro di Laomedonte, che sorgeva vicino alla porta Scea, fosse stato abbat
i Laomedonte, allorchè fecero nelle mura della loro città una breccia che dette passaggio al famoso cavallo di legno. Final
passaggio al famoso cavallo di legno. Finalmente il destino imponeva che Troja non poteva essere presa senza che nelle fil
inalmente il destino imponeva che Troja non poteva essere presa senza che nelle file dell’esercito greco avesse combattuto
, figliuola del re Priamo. Eppure il destino inevitabile fece in modo che Teleso ferito in un combattimento abbandonò il ca
ile dei greci. In cotal guisa ebbero compimento tutte quelle fatalità che il destino imponeva alla finale caduta della citt
è stata quella fra tutte le altre del mondo conosciuto dagli antichi, che è cosiata più sangue. 1950. Fatidica — Ossia indo
più sangue. 1950. Fatidica — Ossia indovina dalla parola latina fatum che significa destino, si dava questo nome particolar
va questo nome particolare ad una indovina chiamata Fauna come quella che annunziava i decreti del destino, e prediceva l’a
sservando il volo degli uccelli. 1951. Fatua — Soprannome particolare che i pagani davano alle mogli degli dei campestri in
ea. V. Buone Dea. 1952. Fatuel — Al dire di Servio era questo il nome che si dava ad un Fauno, Il quale più sovente dei suo
enire, e dava persino degli oracoli. 1953. Faviani — Nome particolare che i romani davano a taluni giovani, i quali nei sac
one è attribuita a Romolo e Remo. 1954. Favola — È questo il vocabolo che si dà generalmente ad una narrazione, ed in parti
gli antichi poi si dava il nome di favola, a tutti quei singoli fatti che avevano relazione con la religione pagana, coi su
di esso. Lo studio dell’antichità pagana è tutto composto di favole, che rinchiudono l’idea del simbolo mitologico e che s
o composto di favole, che rinchiudono l’idea del simbolo mitologico e che sono suddivise, secondo la gran maggioranza degli
di molte finzioni. Queste favole sono in gran maggioranza come quelle che hanno per sobbietto principale gli dei maggiori,
nzione è tutta dovuta all’immaginazione dei poeti ; ed altro non sono che una specie di parabole, sotto al cui velo traspar
e i costumi. Favole allegoriche si chiamava quella specie di parabole che nascondeva sotto ad un precetto un senso mistico
nso mistico e configurato. Favole miste finalmente si dicevano quelle che non avendo in se stesse alcun che di storico, fac
miste finalmente si dicevano quelle che non avendo in se stesse alcun che di storico, facevano ciò non ostante diretta e li
ne alla fisica ed alla morale. 1955. Favore — Dalla voce latina Favor che in quella lingua è di genere mascolino, come nell
uesto, uno dei loro dei. Secondo Lilio Giraldi, ch’è uno dei cronisti che si è addentrato nei più remoti recessi dell’antic
ei delitti. Veniva raffigurato cieco e con le ali, forse per dinotare che non riconosce i suoi amici quando s’innalza. 1956
a quale, secondo la tradizione, era di una tale scrupolosa pudicizia, che non guardò in viso altro uomo che suo marito. Era
a di una tale scrupolosa pudicizia, che non guardò in viso altro uomo che suo marito. Era la stessa che sotto il nome di Bu
izia, che non guardò in viso altro uomo che suo marito. Era la stessa che sotto il nome di Buona Dea prediceva l’avvenire a
eva neanche alle donne, quando talune di esse la interrogava per cosa che riguardasse un uomo. 1958. Faunali — Presso i pag
i svenava una pecora. 1959. Fauni — Dei campestri, figliuoli di Fauno che ebbe per padre Pico. Ovidio li chiama Fauni bicor
i viene confuso con Saturno, forse perchè in alcuni cronisti si trova che Fauno a somiglianza di Saturno avesse introdotto
acoli in un vasto bosco prossimo alla fontana Albunea. Dice Virgilio, che l’oracolo di Fauno richiamava moltissima gente no
tta l’Italia. Al dire del citato scrittore, allorquando il sacerdote, che custodiva quell’oracolo, aveva sacrificato le vit
per terra e vi si coricava sopra durante la notte. Per tutto il tempo che durava il suo sonno si credeva fermamente che egl
tte. Per tutto il tempo che durava il suo sonno si credeva fermamente che egli s’intrattenesse cogli dei. …… È questa selv
l’Inferi Virgilio — Eneide — Libro VII. Trad. di A. Caro. Tutto ciò che egli diceva al suo svegliarsi era ritenuto dai pa
dio Fauno. Presso i romani questo dio aveva un culto simile a quello che i greci avevano per il dio Pane. 1961. Faustolo —
o Pane. 1961. Faustolo — Ci ammaestra la tradizione storico-favolosa, che così aveva nome il capo dei pastori di Numitore,
dei pastori di Numitore, re della città di Alba. Narrano le cronache, che avendo un giorno osservato un uccello che col cib
Alba. Narrano le cronache, che avendo un giorno osservato un uccello che col cibo nel becco volava sempre presso una data
due bambini allattati da una lupa. Sorpreso da tale fatto, e convinto che era quella una rivelazione divina, portò con se i
e infanti erano Romolo e Remo, i celeberrimi fondatori di Roma, ond’è che Faustolo, ebbe dopo la morte, una statua nel temp
1962. Feacidi — Al dire di Omero così aveva nome il popolo primitivo che abitò l’isola di Corcira, ora Corfù. Secondo il c
ittore, esso viveva nel lusso e nella mollezza, non di altro occupato che di feste, conviti e banchetti. Ulisse onde metter
d’Itaca, e narra la tradizione, alla quale si rapporta Omero stesso, che Ulisse fosse trasportato sul vascello durante il
stesso, che Ulisse fosse trasportato sul vascello durante il sonno, e che così addormentato avesse fatto il tragitto senza
Omero — Odissea — Libro XIII. trad. di I. Pindemonte. Però Nettuno, che odiava Ulisse, sdegnato contro i Feacidi, per ave
dei quali suo padre gli aveva fatto rivelazione, ed in cui era detto che Nettuno odiava i Feacidi per essere questi dei ce
che Nettuno odiava i Feacidi per essere questi dei celebri piloti, e che perciò mostravano di poco curarsi di lui, come di
fatto perire fra le acque, uno dei loro migliori vascelli, nel giorno che avrebbe fatto ritorno nel porto, dopo aver lascia
no nel porto, dopo aver lasciato un mortale nella sua patria. Se non che Alcinoo a ragionar tra loro Prese in tal foggia :
colto io mi veggo. Qual dubbio v’ha ? Dai vaticinj antichi Del padre, che dicca, come sdegnato Nettun fosse con noi, perchè
sse con noi, perchè securo Riconduciam su l’acque ogni mortale. Dicea che insigne de’ Feaci nave, Dagli altrui nel redire a
colo, dopo le esortazioni di Alcinoo, i Feacidi ne ebbero in risposta che per placare lo sdegno di Nettuno, bisognava offri
a offrirgli un sacrifizio di dodici tori, e promettere con giuramento che non avrebbero più nell’avvenire ricondotto alcun
mento che non avrebbero più nell’avvenire ricondotto alcun forestiere che fosse approdato nella loro isola. E così fu fatto
osse approdato nella loro isola. E così fu fatto. 1963. Febade — Nome che si dava in generale a tutti i sacerdoti del tempi
ti del tempio di Apollo in Delfo, ed in particolare alla sacerdotessa che presiedeva a quello. 1964. Feba ed Ilaria — Così
inazione, sia come sorella di Apollo o Febo ; sia per voler intendere che la Luna riceve la luce dal Sole. La sorella di ’S
che la Luna riceve la luce dal Sole. La sorella di ’Saturno e di Rea che fu madre di Latona, chiamavasi anche Febe. 1966.
ne ad Apollo come dio della Luce e forse per alludere anche al calore che emana dal Sole e che dà la vita a tutte le cose.
della Luce e forse per alludere anche al calore che emana dal Sole e che dà la vita a tutte le cose. In greco le parole φω
τδ βιου significano : lume della vita. L’opinione più generale però è che Apollo si chiamasse Febo da Febea o Febe sua avol
ingevano sotto la figura dì una donna vestita di una tunica succinta, che lasciava scoperto sino al ginocchio ; avendo nell
ese di febbraio delle espiazioni chiamate Febbrua dalla parola latina che significa purificazione. 1968. Februa o Februata 
orata in Roma, sotto questa denominazione. Altri scrittori pretendono che la dea fosse così soprannominata, perchè sollevav
nnominata, perchè sollevava le partorienti. Altri finalmente vogliono che Giunone venisse così detta dal mese di febbraio,
imonie Februali, avevano la durata di dodici giorni ; elasso di tempo che si occupava ordinariamente per tutte le specie di
cupava ordinariamente per tutte le specie di espiazioni, sia private, che pubbliche. 1970. Februo — Discorde è l’opinione d
rittori della favola, su questa divinità ; imperocchè, Macrobio, dice che era un dio particolare, che presiedeva alle purif
sta divinità ; imperocchè, Macrobio, dice che era un dio particolare, che presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende
io particolare, che presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende che fosse lo stesso che Plutone, al quale venivano an
presiedeva alle purificazioni ; e Servio pretende che fosse lo stesso che Plutone, al quale venivano anche offerti dei sacr
a opinione è avvalorata dalle cronache di Cedreno, il quale ci ripete che la parola Februus, in lingua etrusca significa ch
il quale ci ripete che la parola Februus, in lingua etrusca significa che sta nell’inferno, la qual cosa, come si vede, si
ri della religione pagana, i quali erano una specie di araldi d’arme, che intimavano la guerra, e dichiaravano la pace, è d
, dichiarava apertamente la guerra. 1973. Fecondità — Divinità romana che viene sovente confusa con la dea Tellure, che non
ndità — Divinità romana che viene sovente confusa con la dea Tellure, che non è altro se non la Terra. Le donne romane invo
anto oscena altrettanto ridicola. Narrano le cronache dell’antichità, che quando le donne si recavano nel tempio della dea,
mbe. 1974. Fede — Vedi Fedelta’. 1975. Fedeltà — In latino fides, dea che presiedeva al giuramento delle promesse ed alla i
l’altra, essendo questo uccello il simbolo della fedeltà, per la fede che porta alla sua compagna. 1976. Fedra — Così aveva
anna e di Deucalione, e moglie di Teseo re di Atene. Narra la cronaca che Teseo aveva avuto da una prima moglie un figliuol
così fattamente la fiamma colpevole nel seno della disgraziata donna, che temendo di dover ritornare in Atene, e di restar
, fece Fedra ogni sforzo per vincere da principio la funesta passione che le si era accesa nel sangue, ma non riuscì che a
io la funesta passione che le si era accesa nel sangue, ma non riuscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggen
cesa nel sangue, ma non riuscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggendo al fuoco che la divorava, decise di
uscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggendo al fuoco che la divorava, decise di darsi la morte. ……… Poi c
reggendo al fuoco che la divorava, decise di darsi la morte. ……… Poi che ferita M’ebbe amor, divisai com’io potessi Soffri
ndo confidato alla sua nutrice Oenone, il suo colpevole amore, questa che amava ciecamente la sua padrona prese impegno con
le effetto, palesò con accorte e seducenti parole ad Ippolito l’amore che bruciava il sangue della matrigna per lui. Ma ave
in faccia al mondo ed al marito, la sua riputazione. Narra la cronaca che ella, disperata si appiccasse, dopo aver scritta
e, dopo aver scritta una lettera a Teseo, nella quale gli manifestava che tentata nell’onore dal figliastro Ippolito, ella
lle più antiche tradizioni della favola, aggiunge a questo proposito, che vicino alla sepoltura di Fedra in Trezene, sorgev
ne, sorgeva un albero di mitro, le cui foglie erano tutte bucate ; ma che quell’ albero non fosse così di sua natura, e che
o tutte bucate ; ma che quell’ albero non fosse così di sua natura, e che Fedra nel tempo in cui la sua funesta passione la
bero, bucandone le foglie con uno spillo, assorta nell’unico pensiero che le travagliava la mente. 1977. Fegoneo. — Soprann
a mente. 1977. Fegoneo. — Soprannome particolare del Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza che avevano i pagani
nome particolare del Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza che avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del
Giove di Dodona, che a lui veniva dalla credenza che avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del faggio che rendeva g
credenza che avevano i pagani che egli abitasse nel tronco del faggio che rendeva gli oracoli di Dodona. La parola Fegoneo
ndeva gli oracoli di Dodona. La parola Fegoneo deriva dal greco φηγος che significa fuggio. 1978. Felicità. — I greci e i r
ta, la quale fu la prima Pitia, o sacerdotessa dell’oracolo di Delfo, che rispose alle interrogazioni in versi esametri. 19
esametri. 1980. Feniee. — Uccello favoloso del colore della porpora, che gli antichi credevano unico della sua specie, e d
i occhi scintillanti come due stelle. Gli Egizi ritenevano per fermo, che quando l’uccello Fenice si sentiva prossimo a mor
orire, formava da se stesso un nido di legna aromatiche e di gomma, e che coricatosi in quello, si consumava ai raggi del s
consumava ai raggi del sole. Dalle midolle, ritenevano gli egiziani, che nascesse un verme da cui poi formavasi un’altra F
poi formavasi un’altra Fenice. L’opinione generale dei naturalisti è che l’uccello Fenice nasce nei deserti dell’Arabia ed
resso gli scrittori dell’antichità, è concorde ed unanime l’opinione, che fa contare a quattro sole le apparizioni di quest
a introduzione di questa nostra opera, gioverà grandemente far notare che molti padri della chiesa cristiana, come S. Tertu
oggio a quanto noi esponemmo nello studio preliminare sulla mitologia che precede questa nostra opera. L’opinione dell’esis
gata alla morte. Fenice fu anche il nome di un flume nella Tessaglia, che univa le sue acque a quelle del fiume Asopo. Feni
o un figliuolo di Amintore, re dei Dolopi, in Epiro. Narra la cronaca che Fenice per soddisfare il giusto risentimento di s
usse nella città di Ftia, della quale era re Peleo, padre di Achille, che lo accolse con ogni cortese amorevolezza e lo fec
— Iliade — Libro IX trad. di V. Monti. Da quel tempo un’amicizia più che fraterna, legò il riconoscente animo di Fenice, a
si ; Son io divino Achille, io mi son quegli Che ti crebbe qual sei, che caramente T’amai ; …… Omero — Iliade — Libro IX
e T’amai ; …… Omero — Iliade — Libro IX trad. di V. Monti. e tanto che lo accompagnò perfino all’assedio di Troja e fu u
accompagnò perfino all’assedio di Troja e fu uno degli ambasciatori, che , al dire di Omero, il quale chiama Fenice l’amico
i V. Monti. Agamennone inviò ad Achille onde placarne l’ira funesta, che infiniti addusse lutti agli Achei. Allorquando Ac
e per lui lo stesso paterno amore, e la stessa inalterabile amicizia, che aveva avuta per Achille. Finalmente, caduta Troia
gli dei della sua nazione. Alcune cronache dell’antichità, pretendono che questo Fenice fosse l’inventore delle lettere e d
e questo Fenice fosse l’inventore delle lettere e della scrittura ; e che avesse trovato il mezzo di servirsi di un piccolo
isce Pausania, i Lacedemoni riconoscevano due sole Grazie, fra le dee che essi adoravano, una chiamata Fenna, dalla parola
dee che essi adoravano, una chiamata Fenna, dalla parola greca δαωεω che significa, risplendente ; e l’altra Clita, dal vo
ω che significa, risplendente ; e l’altra Clita, dal vocabolo ϰλειτες che significa tenebre. 1982. Fennide. — Così avea nom
edire l’avvenire e dopo la sua morte, riferisce il cennato scrittore, che fu fatta una raccolta di tutte le predizioni di l
3. Ferali. — Presso i romani, così avevano nome alcune feste funebri, che essi celebravano una volta l’anno, e propriamente
te la notte si intesero delle grida per la strade di Roma, e fu detto che le anime dei morti si agirassero per le vie della
bri. Secondo alcuni scrittori la parola Ferali deriva dal latino Fero che significa portare, perchè durante la cerimonia si
onia si portava un desinare sulle sepolture. Altri pretendono invece, che quel vocabolo venga da Fera ossia Crudele, essend
ga da Fera ossia Crudele, essendo questo il soprannome qualificativo, che gli antichi romani davano alla morte. 1984. Feref
chi romani davano alla morte. 1984. Ferefatta. — Soprannome primitivo che si dava a Proserpina, sotto il quale si celebrava
polo. Gli abitanti di Smirne innalzarono alla dea fortuna una statua, che aveva il polo sulla testa e un cornucopia fra le
l dire di Pindaro, fu dato questo nome alla dea fortuna, per dinotare che ella governa e sostiene il mondo. 1986. Feretrio.
so i romani un tal soprannome a Giove, come vincitore dei loro nemici che aveva abbattuti col terrore. Altri scrittori pret
o nemici che aveva abbattuti col terrore. Altri scrittori pretendono, che si desse questo epiteto al padre degli dei, perch
omani chiamavano con questo nome alcuni particolari giorni dell’anno, che erano consacrati agli dei ; e durante i quali si
articolo seguente menzione delle così dette Ferie latine, come quelle che hanno un carattere particolare nelle credenze rel
alla quale prese il suo nome particolare. Credevano i pagani, secondo che riferisce Strabone, che coloro i quali erano poss
nome particolare. Credevano i pagani, secondo che riferisce Strabone, che coloro i quali erano posseduti dallo spirito di q
sta dea camminavano sui carboni accesi senza soffrire. Orazio ripete, che aveva prestato omaggio e devozione alla dea Feron
one alla dea Feronia, lavandosi il volto e le mani nella fonte sacra, che scorreva presso il tempio di lei. Una cronaca all
so il tempio di lei. Una cronaca alla quale si rapporta Ovidio, narra che avendo una volta il fuoco consumato un bosco sacr
abitanti vollero trasportare in altro luogo la statua della dea ; ma che al momento in cui si accingevano al trasporto, fu
to il simulacro di lei dove si trovava. Finalmante Virgilio riferisce che la dea Feronia si deliziava di vivere nei boschi.
eliziava di vivere nei boschi. Molti scrittori dell’antichità credono che Feronia sia la stessa che Giunome vergine. 1900.
chi. Molti scrittori dell’antichità credono che Feronia sia la stessa che Giunome vergine. 1900. Ferro. — Fu l’ultima delle
insegnò agli uomini a conservare il fuoco nel gambo di questa pianta, che per naturale conformazione, puo, ritenerlo acceso
esserne divorata. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache della favola, che Bacco, che fu uno dei più famosi legislatori dell
orata. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache della favola, che Bacco, che fu uno dei più famosi legislatori dell’ antichità
ori dell’ antichità avesse proibito ai primitivi abitanti della terra che servirono del vino come bevanda, di far uso di al
endersi scambievolmente coi bastoni di cui erano armati ; e allora fu che il dio legislatore, impose loro di servirsi sola
toria — Dea del riposo : veniva particolarmente onorata dai guerrieri che la invocavano dopo le fatiche del campo. 1994. Fe
ed innumerevoli erano le feste, i giuochi pubblici, le cerimonie ecc. che erano in vigore presso i popoli della antichità f
i. Questi ultimi particolarmente avevano tante e si moltiplici feste, che non v’era quasi giorno dell’anno, in cui non ne r
titamente delle principali feste e cerimonie del paganesimo, a misura che l’ordine alfabetico che noi seguitiamo nella espo
li feste e cerimonie del paganesimo, a misura che l’ordine alfabetico che noi seguitiamo nella esposizione di questa nostra
mene. Le cronache della favola ne fanno tutte menzione, come di colui che si rese celebre per la sua famosa caduta, la cui
nte avendo avuto una contesa con Epafo, questi lo insultò, dicendogli che egli non era, come se ne dava vanto, figliuolo de
to gli era avvenuto, e lo supplicò a non negargli una grazia speciale che avrebbegli domandata. Il Sole, trasportato d’affe
Il Sole, trasportato d’affetto pel figliuolo suo, giuro per lo Stige, che non gli avrebbe nulla negato, e allora l’audace g
egar giammai. Fetonte. Ch’un ramo tu non Sia dell’arbor mio. Per quel che mostran l’animo e la fronte. Che ti scopron figli
ed ho pronte Le voglie ad empir meglio il tuo desio : Chiedi pur quel che più t’aggrada e giova. Che di questo vedrai più c
cchè i cavalli riconoscendo di non essere governati dalla solita mano che li guidava, si sviarono dal loro ordinario cammin
arsa fino nelle viscere profonde, e sentendo insopportabile il dolore che le dilaniava i fianchi fecondi, portò a Giove i s
aniava i fianchi fecondi, portò a Giove i suoi lamenti, supplicandolo che la liberasse da tanta rovina ; L’alma gran Terra
l’arsa fronte, e mentre Vuol dir, trema e si move, e gir si lassa Più che star non solea, terrena e bassa. Ovidio — Metamo
emente col nome di Fetontee e di Eliadi, erano le sorelle di Fetonte, che furono cangiate in pioppi per aver pianto troppo
tte le circonda. E toglie a loro il volto e le parole : Il pianto no, che più che main’abbonda L’arbor ch’or sol col lagrim
irconda. E toglie a loro il volto e le parole : Il pianto no, che più che main’abbonda L’arbor ch’or sol col lagrimar si do
e del Sole, e della ninfa Neerea. Esse erano le custodi delle mandre, che il loro immortale genitore possedeva in Sicilia —
ome di queste due immortali ha qualche cosa del linguaggio simbolico, che rivestiva generalmente il nome stesso delle diffe
stesso delle differenti deità della favola : infatti Fetusa, secondo che riferiscono le cronache mitologiche alludeva allo
, della quale le cronache mitologiche raccontano un curioso accidente che ci rivela, a somiglianza di molti altri, la fecon
ci rivela, a somiglianza di molti altri, la fecondità d’immaginativa che avevano i pagani per tutto ciò che si collegava a
altri, la fecondità d’immaginativa che avevano i pagani per tutto ciò che si collegava alle loro religiose credenze. È scri
er tutto ciò che si collegava alle loro religiose credenze. È scritto che i parieggiani del tiranno Pisistrato, volendo che
credenze. È scritto che i parieggiani del tiranno Pisistrato, volendo che gli ateniesi lo avessero riconosciuto come loro r
iuto come loro re, avessero rivestito la bella Fia degli stessi abiti che aveva Minerva nel maggior tempio di quella città 
stessi abiti che aveva Minerva nel maggior tempio di quella città ; e che facendola salire su di un carro, riuscirono a far
facendola salire su di un carro, riuscirono a far credere al popolo, che la stessa dea conduceva Pisistrato al governo di
uceva Pisistrato al governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare che si dava al dio della fedeltà, per il quale si pre
il giuramento dicendo : Me Dius Fidius. Pretendono alcuni scrittori, che il dio Fidio altro non fosse Giove, considerato c
e, considerato come vendicatore dei falsi giuramenti : altri vogliono che sia Ercole figliuolo di Giove. Come che sia il di
i giuramenti : altri vogliono che sia Ercole figliuolo di Giove. Come che sia il dio Fidio aveva molti templi in Roma ed er
tc. Furono in secondo luogo ritenuti come figliuoli degli dei, coloro che si illustrarono nelle arti stesse, esercitate da
te da qualche nume come Orfeo, Lino ed altri moltissimi. Tutti coloro che si distinsero per gloriose azioni, o fatti memora
piuti sul mare, furono rig uardati come figliuoli di Nettuno ; quelli che si illustrarono in guerra per invitto coraggio, e
ti coloro la cui origine era sconosciuta, così per esempio, i giganti che dettero la scalata al cielo, i mostri etc. Sarà f
stri etc. Sarà facile intendere come il tenebroso potere sacerdotale, che in tutte le epoche, ha sempre cercato di tener sc
denze, facendo passare come figliuoli degli dei, tutti quei fanciulli che la sfrenata libidine sacerdotale, aveva dalle don
uei fanciulli che la sfrenata libidine sacerdotale, aveva dalle donne che i ministri della divinità subornavano nei templi
a, all’empio e tenebroso potere dei ministri della divinità, per modo che la tradizione mitologica, ci ammaestra del vero a
e la tradizione mitologica, ci ammaestra del vero allorquando ci dice che tutte le volte che un principe aveva ragione di n
ologica, ci ammaestra del vero allorquando ci dice che tutte le volte che un principe aveva ragione di nascondere un qualch
ne di nascondere un qualche scandaloso commercio, faceva sparger voce che un dio era il padre di quel frutto della colpa :
c. ecc. Così il maggior numero dei sovrani, degli eroi, dei principi, che sono stati deificati per mezzo dell’apoteosi, dop
dina, Deverra, Rumia ed altre. 2003. Fila. — Dalla parola greca φιλεω che significa amare, si dava dai pagani codesta denom
oli della ninfa Acadallide e di Apollo. La tradizione mitologica dice che essi furono allattati da una capra, la quale esse
ica tradizione alla quale si rapportano le cronache di Pausania, dice che questo era il nome d’un cittadino di Delfo, il qu
posto sul trono del padre suo, perchè volle opporsi alla ingiustizia che Augia voleva usare ad Ercole, con negargli la ric
rico mitologiche, narrano di questi due fratelli un’eroica avventura, che ad essi costò la vita, ma valse a dimostrare l’im
ura, che ad essi costò la vita, ma valse a dimostrare l’immenso amore che essi portavano a Cartagine loro patria. Fra gli a
ni ; e onde non sparger sangue, fu dopo lunghe discussioni, stabilito che si sarebbero scelte due persone di ciascuna città
ovuto partire contemporaneamente, facendo il giro per opposta via ; e che quel punto ov’esse si sarebbero incontrate, avreb
to il limite dei rispettivi confini. Accettatasi la proposta, avvenne che i fratelli Fileni che rappresentavano gli interes
ttivi confini. Accettatasi la proposta, avvenne che i fratelli Fileni che rappresentavano gli interessi dei Cartaginesi, s’
ui loro passi. Ma gli eroici fratelli, ricusarono recisamente, per lo che furono dai Cirenesi che erano più forti, uccisi d
oici fratelli, ricusarono recisamente, per lo che furono dai Cirenesi che erano più forti, uccisi dell’orribile morte. I Ca
. Filira. — Figlia dell’Oceano. La tradizione mitologica narra di lei che Saturno l’amò passionatamente ; e che per sottrar
dizione mitologica narra di lei che Saturno l’amò passionatamente ; e che per sottrarsi alle gelose investigazioni di sua m
i di sua moglie Rea, prendeva la figura di un cavallo, tutte le volte che si recava presso la bella Filira. Ciò per altro n
e la gelosia di Rea, la quale un giorno sorprese i due amanti, per il che Saturno si dette a fuggire rapidadamente, facendo
ne dei Pelagi, ove, dopo qualche tempo, dette alla luce un figliuolo, che poi fu il famoso Chirone, Centauro. Il dolore per
l mondo un mostro, metà uomo e metà cavallo, la ferì così crudelmente che supplicò notte e giorno gli dei, di toglierle la
icò notte e giorno gli dei, di toglierle la sua umana natura ; per lo che mossi a compassione i numi, la cangiarono in un a
. Ma la maggioranza delle opinioni, la ripete figlia di Sitone e dice che ella non aveva l’età di venti anni, quando per la
o per la morte del padre fu fatta regina. Un’antica tradizione, narra che Demofoonte, re d’Atene, gettato da una tempesta s
suo regno ; e onde calmare il dolore disperato di Fillide, le promise che dopo un mese sarebbe a lei ritornato. Ma trascors
o, una lettera piena di rimproveri, nella quale gli diceva terminando che si sarebbe di sua mano uccisa nel modo più crudel
a regina mori, fu chiamato, le nove strade, in ricordanza della corsa che la povera Fillide aveva fatto per nove volte ; e
el sepolcro di Fillide. La tradizione allegoria della favola aggiunge che gli dei mossi a compassione del triste fato di Fi
ro di mandorlo, perchè in greco la parola ιλλα significa mandorlo ; e che Demofoonte approdando qualche tempo dopo su quell
tempo dopo su quella spiaggia, vide improvvisamente florire l’albero, che cresceva sulla quella riva fatale ; quasi che la
mente florire l’albero, che cresceva sulla quella riva fatale ; quasi che la povera Fillide fosse anche dopo la morte sensi
vera Fillide fosse anche dopo la morte sensibile alla prova d’affetto che le dava il suo amante. Igino nelle sue cronache d
e antichità, non tiene parola di tale metamorfosi, ma riferisce solo, che alcuni alberi di mandorlo, che crescevano sul sep
i tale metamorfosi, ma riferisce solo, che alcuni alberi di mandorlo, che crescevano sul sepolcro dell’innammorata regina,
one dell’anno, avevano le foglie inumidite, come se fossero bagnate e che quell’umore altro non era se non le lagrime della
ta, la quale fu da Ercole resa madre di un bambino. Narra la cronaca, che Alcimedonte, severo custode dell’onore della fami
montagna detta Ostracina, nelle circostanze della città di Figalia, e che quivi una gazza sentendo continuamente gridare il
esse imparato a contraffarne la voce con tale incredibile perfezione, che un giorno passando Ercole per di là, sentendo la
le dette il nome di Fare. 2015. Filodoce. — Così aveva nome una ninfa che apparteneva al seguito di Cirene, madre di Ariste
i Tracia, sposato Progne, la più giovanetta delle due sorelle, questa che amava teneramente Filomena, non potendo vivere lo
mente Filomena, non potendo vivere lontana da lei, ottenne dal marito che egli stesso sarebbe andato in Atene, onde avere d
gli stesso sarebbe andato in Atene, onde avere da Pandione, la grazia che Filomena sarebbe andata a vivere in Tracia, press
asi il suo animo paterno fosse stato presago dell’amarissima sventura che minacciava la cara giovanetta. Pure, amorosissimo
are i sanguinosi rimproveri di lei, e le contumelie e gli oltraggi di che l’eroica giovanetta lo ricolmava, le fece tagliar
fettuosa anima di Progne, fu colpita dal più profondo dolore, e tanto che passò lunghi giorni a piangere, rinchiusa nelle s
rani di Tereo, i quali la custodivano con vigilante solerzia, e tanto che passò un anno intero, senza che ella avesse potut
ivano con vigilante solerzia, e tanto che passò un anno intero, senza che ella avesse potuto informare l’amorosa sorella, d
attentato di Tereo, e la triste sua situazione, e si adoperò in modo che quella tela, capitò nelle mani di Progne ; la qua
vendetta. Infatti, giovandosi della ricorrenza di una festa a Bacco, che si celebrava nella Tracia, con grande solennità,
re le membra, le quali la sera ella stessa fece ser vire al banchetto che il marito dava in occasione della festa di Bacco.
rono alla volta di Atene, su di un vascello all’uopo preparato, prima che Tereo avesse potuto raggiungerle. Al dire di Paus
ssimi ricordi ; e ciò diede motivo alla cronaca favolosa di ripetere, che Filomena fosse stata cangiata in usignuolo e Prog
di questo avvenimento una delle sue più belle Metamorfosi. E mentre che per l’aria anch’ei s’affretta. E si sostien per n
icato, e l’ira. Nel più propinquo bosco entra, e s’asconde, La Greca, che restò senza favella : La lingua oggi ha sputata,
to ancor vergogua e cura E non osa albergar dentro alle mura. Progne, che diede alla vendetta effetto, E fu d’ogni altro er
gica fa menzione di una figlia di Craugaso così chiamata, aggiungendo che ella fosse stata colpita dalla stessa sventura ch
amata, aggiungendo che ella fosse stata colpita dalla stessa sventura che colpì nel fiore degli anni la disgraziata Fedra.
ura che colpì nel fiore degli anni la disgraziata Fedra. V. Fedra ; e che pazzamente innammorata di un suo figliastro per n
ola di Nittimo e della ninfa Arcadia. Narra la tradizione mitologica, che Filonome, accompagnando un giorno Diana alla cacc
a veduta dal dio Marte, il quale s’invaghi così violentemente di lei, che sotto le spoglie di un pastore la piegò alle sue
ono le sue famose frecce, facendogli prima promettere con giuramento, che non avrebbe mai palesato ad anima viva il luogo o
mpo dalla morte di Ercole, i greci i quali avean saputo dall’oracolo, che nel destino di Troja era scritto, che essi non si
uali avean saputo dall’oracolo, che nel destino di Troja era scritto, che essi non si sarebbero impadroniti della città, se
n una orribile piaga da cui esalava un insopportabile puzzo, per modo che i greci temendo che egli non, fosse stata causa d
da cui esalava un insopportabile puzzo, per modo che i greci temendo che egli non, fosse stata causa d’infettazione, lo ab
uonavano vuote ed inutili. Una caverna gli servì di rifugio ; l’acqua che scaturiva dal fondo di essa, valse a dissetarlo,
scaturiva dal fondo di essa, valse a dissetarlo, e le frecce istesse che aveano richiamato sul suo capo l’ira degli dei, s
re di Filottete, i destini della città non potevano compirsi ; ond’ è che Ulisse, sebbene si sapesse mortalmente odiato da
. ………Ivi Esculapio Risanator della ferita in breve Ti manderò. Fato é che Troja in somma Ricada ancor per l’armi mie. Sofo
, s’imbarcò alla volta della Calabria in compagnia di alcuni Tessali, che lo avevano seguito da Troja, e aiutato da questi,
questi, fondò in quella contrada la città di Petilia. Fu in Calabria che egli combattè il celebre duello col re Adrasto di
es douleurs : Fénélon — Télémaque — Livre XV. Omero dice finalmente che Filottete fosse stato uno degli Argonauti ; e a p
to uno degli Argonauti ; e a proposito della sua famosa ferita ripete che questa non fu cagionata dalla freccia, ma sibbene
a di Borea e di Oritia, chiamata Cleobola, e secondo altri Cleopatra, che lo rese padre di due figliuoli Pandione e Plesipp
in odio i suoi figliastri e per liberarsene li accusò a Fineo dicendo che essi avevano attentato al pudore di lei. Fineo pe
il quale fu sottoposto da Borea suo avo all’istesso crudele supplizio che egli aveva fatto subire ai suoi innocenti figliuo
i aveva fatto subire ai suoi innocenti figliuoli. La cronaca aggiunge che gli dei non soddisfatti del supplizio che avevano
liuoli. La cronaca aggiunge che gli dei non soddisfatti del supplizio che avevano imposto a Fineo, lo dettero in preda alle
Fineo, lo dettero in preda alle arpie, le quali infettavano tutto ciò che si apprestava sulla mensa di Fineo facendogli per
a. Diodoro nelle cronache dell’ antichità aggiunge a questo proposito che Ercole il quale, come vedemmo, faceva parte della
Fineo la grazia di porre in libertà i suoi sventurati figliuoli ; ma che quegli avesse recisamente negato di condiscendere
recisamente negato di condiscendere alla preghiera dell’eroe, per il che sdegnato Ercole liberò a viva forza Pandione e Pl
ore della contrada d’Elide visse una giovanetta chiamata in tal modo, che fu amata da Bacco e resa da lui madre di un figli
dei solenni sacrifizi a Bacco suo padre, nei quali si cantava un coro che fu per lungo tempo chiamato il coro di Fiscoa, pe
, divinizzato dopo la morte. La tradizione ce lo presenta come quello che accolse in sua casa Cerere, allorquando questa de
pianta, il cui prezioso frutto non era servito, prima di quella epoca che al banchetto degl’immortali. 2024. Flumi — Quasi
o fiumi ; e specialmente in Grecia ed in tutto l’ Italia non vi erano che ben pochi templi, nei quali oltre al simulacro de
e ed esteso in tutte le città e le borgate dell’Egitto, il fiume Nilo che era uno dei più venerati numi della loro religion
ù venerati numi della loro religione ; a motivo degl’immensi vantaggi che essi ricevevano dalle acque di quel fiume. Gli Sc
l fiume Peneo ; i Lacedemoni adoravano l’Eurota in virtù di una legge che imponeva siffatto culto ; e finalmente gli Atenie
capelli lunghi e generalmente incollati alle tempie, quasi a dinotare che fossero bagnati e appoggiati ad un’ urna da cui s
he fossero bagnati e appoggiati ad un’ urna da cui scaturisce l’acqua che forma il flume. Da ultimo aggiungeremo che nelle
da cui scaturisce l’acqua che forma il flume. Da ultimo aggiungeremo che nelle cronache dell’antichità, ve n’è qualcuna se
le cronache dell’antichità, ve n’è qualcuna secondo la quale parrebbe che i pagani avessero fatta una distinzione nella con
configurazione generale dei fiumi ; e avessero rappresentato i fiumi che sboccano immediatamente nel mare, sotto la figura
diatamente nel mare, sotto la figura di altrettanti vecchi ; e quelli che metton foce in altri fiumi, li avessero rappresen
isti più accreditati. 2025. Fiumi dello inferno. — I pagani credevano che cinque fiumi scorressero nell’inferno, ai quali t
lo Stige, Noi ricidemmo il cerchio all’altra riva Sovra una fonte, che bolle, e riversa Per un fossato che da lei diriva
o all’altra riva Sovra una fonte, che bolle, e riversa Per un fossato che da lei diriva. L’acqua era buia molto più che per
riversa Per un fossato che da lei diriva. L’acqua era buia molto più che persa : E noi in compagnia dell’ onde bige. Entra
stro, ove si trova Flegetonte e Letè, chè dell’ un taci, E l’altro di che si fa d’esta piova ? In tutte tue question certo
iaci, Rispose ; ma ’l bollor dell’ acqua rossa Dovea ben solver l’una che tu faci. Letè vedrai, ma fuor di questa fossa. Là
zione dal popolo. La dignità di Flamine era a perpetuità, vale a dire che essa durava quanto la vita dell’ individuo ; però
ssi poteva essere rimosso dal suo grado per alcune date ragioni ; ciò che si diceva, con frase speciale : Flaminio abire, c
della divinità a cui erano consacrati. anche quello dello imperatore che li avevano istituiti. Così la storia romana ci ri
i un Flamine, istituito dall’ imperatore Commodo, in oncre di Ercole, che fu detto Flamen Herculaneus Comodianus. Però ques
nus. Però questo sacerdote fu abolito dopo la morte dell’ imperatore, che lo aveva creato e ciò a testimonianza dell’ odio
che lo aveva creato e ciò a testimonianza dell’ odio e del disprezzo che i romani ebbero per lui. Similmente troviamo la i
petto universale. Egli andava sottomesso ad alcune leggi particolari, che lo distinguevano dagli altri sacerdoti. 2028. Fla
a Siringa. V . Siringa. 2030. Flegetonte. — Dalla parola greca φλεγω che significa ardere, si dava questo nome ad un fiume
ω che significa ardere, si dava questo nome ad un fiume dell’ inferno che secondo la tradizione, circondava d’un triplo cer
di Fiumi Dell’Inferno. ….. e sotto un’ alta rupe Vide un’ampia città che tre gironi Avea di mura, ed un di fiume intorno :
o. 2031. Flegia. — Re della Beozia e propriamente di quella contrada che dal suo nome fu detta Flegiade. La tradizione mit
e di una giovanetta per nome Crisa figliuola di Almo. Flegia non ebbe che una sola figlia chiamata Coronide la quale fu sed
e che una sola figlia chiamata Coronide la quale fu sedotta da Apollo che la rese madre di Esculapio. V . Coronide. La cro
la rese madre di Esculapio. V . Coronide. La cronaca favolosa ripete che Flegia per vendicare l’ingiuria fattagli da Apoll
ro, dove Flegia è condannato a rimanere eternamente sotto ad una rupe che minaccia di cadergli da un momento all’altro sul
questa volta : Più non ci avrai, se non passando tl loto. Quale colui che grande inganno ascolta Che gli sia fatto, e poi s
felicissimo Va tra l’ombre gridando ad alta voce : Imparate da me voi che mirate La pena mia. Non violate il giusto. Riveri
to : il nome di un popolo composto tutto di uomini arditi e valorosi, che Flegia aveva riuniti da tutte le parti della Grec
ti della Grecia e condotti seco ad abitare quella parte della Beozia, che dal nome di lui fu detta Flegia — vedi l’articolo
e. — Al dire di Pausania furono questi popoli e non il loro re Flegia che incendiarono e saccheggiarono il tempio di Apollo
da continui terremoti, dalla peste, e finalmente dal fuoco del cielo che piovve sopra di loro. Un moderno scrittore è di a
del cielo che piovve sopra di loro. Un moderno scrittore è di avviso che a questi popoli Flegiani, e con loro a tutti gli
he a questi popoli Flegiani, e con loro a tutti gli empi e sacrileghi che le cronache dell’ antichità, ci presentano come d
i presentano come dannati nel Tartaro, siano rivolte le famose parole che Flegia, ripete fra i tormenti, allora che dice, s
no rivolte le famose parole che Flegia, ripete fra i tormenti, allora che dice, secondo Virgilio  :Imparale dal mio esempio
arale dal mio esempio a non disprezzare gli dei. È per altro a notare che questo passo del classico scrittore, si trova con
a questo il nome di una dei cavalli del Sole e propriamente di quello che presiedeva all’ ora del mezzogiorno. 2034. Flora.
all’ ora del mezzogiorno. 2034. Flora. — Ninfa delle isole Fortunate che i greci chiamarono Clori ed i latini Flora. L’all
. L’allegoria mitologica rivestita del suo poetico ammanto, ci rivela che Zeffiro attratto dalla risplendente bellezza di F
igore presso i Sabini, molti anni prima della fondazione di Roma ; lo che ci dimostra che la dea Flora è una più antiche di
abini, molti anni prima della fondazione di Roma ; lo che ci dimostra che la dea Flora è una più antiche divinità del pagan
sta dea una leggiera confusione, la quale emerge unicamente dal fatto che riporteremo qui appresso. Una cortigiana il cui p
emo qui appresso. Una cortigiana il cui primitivo nome era Larenzia e che poi si fece chiamare Flora, aveva guadagnato un’
ricompensa la mise fra le sue numerose divinità. Fu questa la ragione che fece confonderla spesso coll’antica dea Flora, in
la Flora, e dei quali si prevaleva annulmente la spesa dalle sostanze che la cortegiana aveva lasciato a Roma. Poi coll’and
paro i giuochi istituiti in onore della dea Flora. Varrone asserisce che sotto il regno di Romolo furono istituiti questi
elle sibille ne riordinarono la celebrazione. Le cronache c’insegnano che non fu se non all’ anno 580 di Roma che fu fissat
ione. Le cronache c’insegnano che non fu se non all’ anno 580 di Roma che fu fissato annualmente la celebrazione di queste
nte la celebrazione di queste cerimonie in occasione di una sterilità che durò lungo tempo e produsse gravissimi danni. Il
durò lungo tempo e produsse gravissimi danni. Il Senato ordinò allora che si celebrassero ogni anno i giuochi Florali alla
facevano durante la notte a lume delle torcie in un vastissimo circo che stava sulla strada patrizia. Al dire di Giovenale
tà ed infami dissolutezze, riunendosi al suono di una tromba le pubbl che cortegiane e le meretrici più abbiette, le quali
de davano al popolo il più abbominevole spettacolo. Narra la cronaca, che essendo una volta intervenuto ai giuochi Florali,
enissimo spettacolo. Favonio amico di Catone, lo avverti del riguardo che avevano per lui i suoi concittadini, ond’egli per
, si ritrasse sollecitamente. 2036. Fluonia. — Soprannome di Giunone, che veniva a lei dato dalle buone cure che si credeva
onia. — Soprannome di Giunone, che veniva a lei dato dalle buone cure che si credeva fermamente prestasse alle partorite. 2
prestasse alle partorite. 2037. Fobetore. — Dalla parola greca φοβεω che significa atterrisco, si dava questo nome ad uno
εω che significa atterrisco, si dava questo nome ad uno dei tre Sogni che la favola fa figliuoli del Sonno. I pagani credev
i che la favola fa figliuoli del Sonno. I pagani credevano fermamente che Fobetore fosse quello, che atterriva e spaventava
i del Sonno. I pagani credevano fermamente che Fobetore fosse quello, che atterriva e spaventava, presentandosi nei sogni s
terriva e spaventava, presentandosi nei sogni sotto tutti gli aspetti che ispirano il terrore. 2038. Fobo. — Dea della paur
9. Foco. — Figlio di Eaco e della Nereide Pfammate. Narra la cronaca, che Eaco aveva avuto da una sua prima moglie due altr
a matrigna erano in continua dissenzione fra loro. Avvenne un giorno, che Foco giuocando con Telamone e Peleo al giuoco del
one nel lanciare la sua, ferì così gravemente al capo il piccolo Foco che l’uccise sul colpo. Eaco, loro genitore, informat
i dei suoi figliuoli, vide nell’ accaduto, più un perfido assassinio, che una dolorosa combinazione, mandò in perpetuo band
infa Melia e del dio Sileno. Le cronache della favola narrano di lui, che allorquando Ercole dette la caccia al famoso cing
cena. Durante il banchetto, avendo voluto Ercole assaggiare del vino che era di proprietà di altri centauri, questi si opp
ni e di pietre ; ma l’eroe ne uccise molti a colpi di clava, per modo che gli altri intimoriti si dettero alla fuga. Folo f
lienza, onorò Folo di splendidi funerali e lo seppelli sulla montagna che da lui prese il nome di Foloe. 2041. Fontinali. —
celebravano nel mese di ottobre alcune feste così chiamate, dall’ uso che essi avevano di gettare in quel giorno nelle pubb
fontane delle ghirlande di fiori, di cui poi coronavano i fanciulli, che prendevano parte alla festa. 2042. Forbante. — Uo
di un forte stuolo dei suoi seguaci, costringeva tutti i passaggieri che transitavano per la via principale, che conduceva
stringeva tutti i passaggieri che transitavano per la via principale, che conduceva a Delfo, a battersi con lui al pugillat
vinti li faceva morire fra i tormenti. La tradizione mitologica dice, che Apollo sdegnato contro questo masnadiere, assunse
la parte mitologico-favolosa. La parte storica di questa allegoria, è che Forco era un re della Corsica, il quale sconfitto
il quale sconfitto in un combattimento navale da Atlante, morì senza che si potesse trovare il suo cadavere. Da ciò i paga
che si potesse trovare il suo cadavere. Da ciò i pagani immaginarono che fosse stato cangiato in dio marino. 2044. Forculo
ono che fosse stato cangiato in dio marino. 2044. Forculo. — Divinità che presiedeva alla custodia delle porte e propriamen
la gancio in latino sì dice fores. 2045. Fordicali. — Pubbliche feste che si celebravano in Roma il 15 aprile di ogni anno,
ilio. 2046. Formiche. — Gli antichi popoli della Tessaglia, credevano che essi avessero tratta la la loro origine da quest’
uale per una malattia d’occhi perdette la vista. La tradizione ripete che egli dovette la sua guarigione ad Ercole Eritreo.
a una divinità ed avevano in suo onore consacrata una pubblica festa, che si celebrava annualmente dodici giorni prima dell
storica ce lo presenta come figlio d’ Inaco, re di Argo, e come colui che avesse insegnato agli abitanti del suo paese, a v
olci, laddove prima traevano vita di selvaggi. Egli edificò una città che dal suo nome fu detta Foronica. Fin qui la storia
2051. Fortuna. — Tra le divinità del paganesimo, la Fortuna fu quella che si ebbe il culto più esteso e generalizzato, e il
individuali e particolari su questa dea. In fatti, Pausania asserisce che nella città di Egina, vi era una statua della For
vicino un Cupido alato, per significare, secondo il citato scrittore, che in amore val più la fortuna che l’ aspetto. Pinda
ificare, secondo il citato scrittore, che in amore val più la fortuna che l’ aspetto. Pindaro invece, fa della Fortuna, una
sulla testa. Nella città di Tebe si venerava una statua della Fortuna che la rappresentava conducente per mano Plutone fanc
la rappresentava conducente per mano Plutone fanciullo, per dinotare che la fortuna è arbitra del dio delle ricchezze. Vi
on un sole sulla testa e tal’ altra con una mezza luna, per esprimere che essa al paro di questi due pianeti, regola e pres
che essa al paro di questi due pianeti, regola e presiede a tutto ciò che accade sulla terra. Col suo braccio sinistro cing
suo braccio sinistro cinge due corni dell’abbondanza, per dimostrare che essa è la dispensatrice dei beni del mondo, e app
mondo, e appoggia la mano destra sul timone di una nave, per spiegare che essa governa tutto l’ universo e che impera egual
timone di una nave, per spiegare che essa governa tutto l’ universo e che impera egualmente, con assoluto e dispotico poter
piede al tuo soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia di Giove, e che germana al Falo Sovra il trono immortale A lui mi
esso i romani, era stato trasmesso dai greci ; e il primo dei sovrani che adoro questa dea, fu Servio Tullio, che le fece i
reci ; e il primo dei sovrani che adoro questa dea, fu Servio Tullio, che le fece inalzare un magnifico tempio nel mercato
io nel mercato di Roma ; e la tradizione aggiunge a questo proposito, che la colossale statua in legno che Servio Tullio av
dizione aggiunge a questo proposito, che la colossale statua in legno che Servio Tullio aveva fatto porre nel tempio, fosse
o aveva fatto porre nel tempio, fosse rimasta intatta da un incendio, che distrusse quel monumento pochi anni dopo la sua c
questa dea, erano del pari infiniti e svariati i nomi ed i soprannomi che i pagani le davano. Così tutte le tradizioni dell
gani accompagnavano la veneratissima dea, quaute volte si rifletterà, che essi la consideravano come le dispensatrice supre
tto nomi differenti e moltiplici, secondo i diversi bisogni di coloro che la invocavano. Il più famoso tempio della Fortuna
loro che la invocavano. Il più famoso tempio della Fortuna, fu quello che le venne fabbricato nella città di Preneste, il q
o che le venne fabbricato nella città di Preneste, il quale aveva più che di tempio, la forma e la configurazione di un vas
n onore di questa dea un tempio fabbricato tutto di una certa pietra, che aveva la durezza e la bianchezza del marmo, e fin
une, chiamato propriamente il tempio delle sorelle Anziatine. O dea, che in Anzio a te diletta hai sede, Pronta a inalzare
generalizzata fra i più rinomati scrittori e mitologi dell’antichità, che le freccie di Apollo altro non erano se non i rag
aggi del sole ; cosicchè quando la tradizione della favola ci ricorda che i figliuoli di Niobe fossero uccisi da Diana e da
anta parte del campo greco, al tempo dello assedio di Troja, si disse che Apollo sdegnato contro i greci che non volevano l
o dello assedio di Troja, si disse che Apollo sdegnato contro i greci che non volevano lasciar libera la figlia di Crise, s
. Monti. È nota similmente la tradizione mitologica, la quale ripete che dalle acque del diluvio di Deucalione e propriame
el diluvio di Deucalione e propriamente dalla fermentazione del fango che quelle lasciarono sulla terra, fosse nato il Pito
lle lasciarono sulla terra, fosse nato il Pitone, mostruoso serpente, che Apollo uccise a colpi di freccia. L’ arco, che s
, mostruoso serpente, che Apollo uccise a colpi di freccia. L’ arco, che solo in cervi, in capri e in dame Dal biondo dio
tro crudel tutto era armato : E cosi Febo quella ingorda fame Spense, che il mondo avria tutto ingoiato ; Ed ucciso che l’
la ingorda fame Spense, che il mondo avria tutto ingoiato ; Ed ucciso che l’ ebbe, si disperse. E come prima in terra si co
erna, bagnò le sue freccie nel sangue avvelenato del mostro, per modo che le ferite fatte con quelle armi, erano incurabili
ccise il Centauro Nesso, e furono similmente queste le famose freccie che Ercole legò a Filottete. V. Fatalita’ di Troja e
isso, senonchè la loro madre Calciope li sottrasse alla funesta sorte che li attendeva e li fece passare in Grecia. V. Élle
2057. Fruttessea. — Più comunemente Fruttifera e Fruttifea, divinità che presiedeva alle frutta e che i pagani invocavano
nemente Fruttifera e Fruttifea, divinità che presiedeva alle frutta e che i pagani invocavano per ottenere un largo raccolt
per ottenere un largo raccolto. 2058. Fulgora. — Nome della divinità che presiedeva ai lampi ed ai luoni ; e che non deve
ulgora. — Nome della divinità che presiedeva ai lampi ed ai luoni ; e che non deve confondersi con l’ appellativo di Fulgur
adrone dei fulmini. Fra gli scrittori dell’antichità, Seneca è quello che fa menzione della dea Fulgora, dicendo che essa e
antichità, Seneca è quello che fa menzione della dea Fulgora, dicendo che essa era una dea vedova. A ciò solo si limitano l
el citato scrittore. 2059. Fulmine. — La tradizione favolosa racconta che essendo stato Cielo, padre di Saturno, liberato d
tano i Ciclopi come i fabbricanti dei fulmini ; e Virgilio ci ripete, che ogni fulmine conteneva tre raggi di grandine, tre
ombo e i lampi terribili, coi quali si rivelava la collera di Giove e che produceva un invincibile terrore nel petto dei mo
lmine, era il contrassegno della suprema autorità ed è appunto perciò che nel tempio di Diana in Efeso, Alessandro, il conq
l celebre Apelle con un fulmine nella destra, volendo così dimostrare che al suo potere nulla resisteva. Il fulmine di Giov
usania, la principale divinità dell’ antica Seleucia, era il fulmine, che veniva onorato con un culto particolare. Al dire
fulmini ; e solo Stazio, fra gli scrittori dell’ antichità, asserisce che la Giunone di Argo aveva lo stesso potere. Presso
edicato generalmente a Giove. Plinio nella sua storia naturale, dice, che era per fino proibito di abbruciare il cadavere d
proibito di abbruciare il cadavere di un uomo colpito dal fulmine, ma che bisognava seppellirlo tal quale esso lo aveva las
gnava seppellirlo tal quale esso lo aveva lasciato. Faremo qui notare che questa antica tradizione religiosa, riferita da P
nio, non avesse dovuto restare in vigore ai tempi di Euripide, da poi che quest’ ultimo scrittore ne istruisce, come essend
della terra. Essendo il fuoco il più nobile degli elementi, e quello che racchiude in se l’ immagine più fedele del Sole,
el Sole, così tutte le nazioni si accordarono nel venerarlo. I Caldei che sono i più antichi fra i primitivi popoli della t
cune ore del giorno, a fare le sue preghiere innanzi ad un gran fuoco che ardeva continuamente. I patrizi e per sino le dam
novello signore. Comune ed estesissima era la credenza dei persiani, che il fuoco fosse stato portato dal cielo e posto su
co fosse stato portato dal cielo e posto suil’altare nel primo tempio che Zoroastro innalzò nella città di Xis nella Media 
innalzò nella città di Xis nella Media ; ed era tanta la venerazione che quei popoli avevano per il fuoco, che non osavano
a ; ed era tanta la venerazione che quei popoli avevano per il fuoco, che non osavano neppure di guardarlo fissamente, e ri
e non osavano neppure di guardarlo fissamente, e ritenevano per fermo che la sacra fiamma ardesse di per sè e senza aliment
impostura dei loro sacerdoti, era comune alla Grecia, ove si credeva che nel tempio, che Minerva aveva nella città di Aten
oro sacerdoti, era comune alla Grecia, ove si credeva che nel tempio, che Minerva aveva nella città di Atene, ardesse conti
n parte, venendo per fino onorato con ogni specie di riguardo, quello che si preparava per consumare le vittime. La tradizi
he si preparava per consumare le vittime. La tradizione favolosa dice che Prometeo fosse quello che rubò il fuoco sacro dal
are le vittime. La tradizione favolosa dice che Prometeo fosse quello che rubò il fuoco sacro dal cielo, e lo dette in dono
in dono agli uomini. Diodoro, nelle sue cronache dell’antich tà, dice che fu un re d’Egitto, per nome Vulcano, quello che i
dell’antich tà, dice che fu un re d’Egitto, per nome Vulcano, quello che insegnò agli uomini il modo di servirsi del fuoco
l modo di servirsi del fuoco. Da ciò l’ allegoria del mito simbolico, che fa Vulcano dio del fuoco. 2062. Fuochi di Castore
fone, Megèra ed Aletto. Questa è Megera dal sinistro canto : Quella, che piange dal destro, è Aletto : Tesifone è nel mezz
o : Tesifone è nel mezzo : Dante — Inferno — Canto IX. Appellazioni che rispon lono nel nostro idioma alle parole Rabbia,
idioma alle parole Rabbia, Strage ed Invidia ; qualificazioni tutte, che si addicono perfettamente a queste terribili divi
e ministre dell’ ira dei numi, ciascuno assegnando loro quei genitori che parve meglio convenissero al loro carattere ed al
Saturno ; sebbene in altre opere del citato scrittore egli asserisca che esse erano figliuo’e della Discordia e nate nel q
lotti. Apollodoro asserisce esser nate le furie nel mare, dal sangue che grondò dalla ferita che Saturno fece a Cielo, suo
isce esser nate le furie nel mare, dal sangue che grondò dalla ferita che Saturno fece a Cielo, suo padre. Al dire di Sofoc
te di riposo, perseguitandoli continuamente con spaventevoli visioni, che facevano di sovente perdere il senno a quegli sci
tres LXVII a Émilie : sur la Mythologie. Moltiplici sono gli esempi, che gli scrittori dell’ antichità ci riportano delle
pi, che gli scrittori dell’ antichità ci riportano delle persecuzioni che le Furie facevano subire ai colpevoli ; così Staz
dalle Furie mandate da Giunone per vendicare Atamante ; nonchè quello che ebbe a soffrire Ifide per la Furia suscitatale co
mille modi dalle Furie vendicatrici del suo matricidio. Non è strano che divinità cotanto terribili venissero dalla pagana
di cui erano armate. In fatti secondo asserisce Euripide, il rispetto che i pagani avevano per le Furie, era cosi grande ch
ipide, il rispetto che i pagani avevano per le Furie, era cosi grande che non osavano nemmeno di nominarle nè di alzar gli
zar gli occhi sui templi ov’esse venivano venerate. Sofocle asserisce che il ricoverarsi in un bosco consacrato alle Furie,
o templi ed altari consacrati alle Furie, e presso i Sicioni, secondo che riferisce Pausania, si faceva ogni anno la loro f
te corone e ghirlande di fiori, e specialmente di narcisi, credendosi che questo fosse il fiore più ad esse gradito. Nella
conservavano, con grande venerazione, delle piccole statue di legno, che le rappresentavano. La tradizione mitologica ripe
ue di legno, che le rappresentavano. La tradizione mitologica ripete, che questo tempio delle Furie in Corina, era così fat
he questo tempio delle Furie in Corina, era così fatale ai colpevoli, che appena essi entravano in quel temuto recinto, ven
no in quel temuto recinto, venivano assaliti da una specie di furore, che faceva loro perdere la ragione. Un altro non men
re da Oreste, quando le Furie cessarono di tormentarlo ; e fu in esso che il celebre oratore Demostene, fu per un dato spaz
di tempo ministro e sacerdote di queste implacabili divinità, secondo che egli stesso asserisce. Tutti coloro che si presen
implacabili divinità, secondo che egli stesso asserisce. Tutti coloro che si presentavano al tribunale dell’ Areopago, dove
ovevano prima di entrare in quello, giurare sull’ altare delle Furie, che erano pronti a rivelare il vero sul fatto, pel qu
hiamati in giudizio. Le tradizioni dell’antichità, ci rivelano ancora che Oreste, avesse innalzato alle Furie altri due tem
e l’ altro là dove gli si erano mostrate meno avverse. Nei sacrifizi che si facevano alle Furie veniva loro offerto il nar
tore e delle pecore. Eschilo fu il primo, fra i poeti dell’antichità, che fece comparire sul teatro, nella sua tragedia int
parato, e fu tale l’ impressione di orrore prodotto negli spettatori, che la tradizione ripete che molte donne si sconciaro
essione di orrore prodotto negli spettatori, che la tradizione ripete che molte donne si sconciarono, e molti fanciulli mor
rtali Le cuse entrando. Una simil genia Non vidi io mai : terra non è che possa Di nudrir cotal razza impunemente Senza dol
inni — Eumenidi — Nemesi ecc. ecc. 2064. Furina. — Divinità dei ladri che presso i romani veniva onorata con una pubblica f
resso i romani veniva onorata con una pubblica festa detta Furinalia, che si celebrava il sesto giorno precedente alle cale
torica, fu ucciso Cajo Gracco. La parola furina deriva dal latino Fur che significa ladro. Si trova talvolta negli scrittor
e fremente in tutto il corpo per tremito rabbioso. I pagani credevano che in tempo di guerra il Furore spezzasse le sue cat
ta circondata di raggi. È opinione di molti scrittori dell’antichità, che questa divinità sia la stessa che quella conosciu
di molti scrittori dell’antichità, che questa divinità sia la stessa che quella conosciuta sotto la denominazione di Elaga
(oggi Cadice) si dava questo soprannome ad Ercole perchè si riteneva che fosse in quel punto ch’ egli avesse innalzate le
tide. — Schiava di Alcmena. La tradizione ricorda a proposito di lei, che essendo la sua padrona tormentata dai dolori del
alantide fosse uscita per breve tempo dal palazzo della sua signora e che nel rientrare premurosamente in quello, avesse os
vecchia donna immobile in un atteggiamento assai strano. Sospettando che quella vecchia fosse la stessa Giunone, che per g
assai strano. Sospettando che quella vecchia fosse la stessa Giunone, che per gelosia contro Alcmena le ritardasse il parto
cino alla vecchia, dicendole, con i controsegni della più viva gioia, che la sua padrona si era sgravata. All’ annunzio ina
a gola. Al dire di Eliano, i Tebani adoravano quell’animale, credendo che avesse sollevata Alcmena dagli atroci dolori del
delle dee, allude ad un errore reso popolare dall’ ignoranza, da poi che la Donnola porta quasi sempre in bocca i suoi pic
elle numerosissime ninfe Oceanidi. 2073. Galassia. — Nome particolare che i greci davano a quella lunga zona, bianchiccia e
colare che i greci davano a quella lunga zona, bianchiccia e luminosa che i moderni astronomi han chiamata Via lattea. Dice
luminosa che i moderni astronomi han chiamata Via lattea. Dice Ovidio che per questa via si andava al palazzo di Giove ; ed
r questa via si andava al palazzo di Giove ; ed era anche per questa, che gli eroi avevano accesso in cielo. Al dire del ci
gli dei più potenti. Una splendida via nel ciel riluce : Candida si, che del latte s’ appella : La nobiltà del ciel vi si
— Lib. I. trad. di Dell’ Anguillara. La tradizione mitologica, dice, che la via lattea fosse stata formata dalle goccie di
donato in un campo. Il pargolo atleta succhiò con tanta forza il seno che gli veniva offerto, che il latte cadde da quella
argolo atleta succhiò con tanta forza il seno che gli veniva offerto, che il latte cadde da quella in gran copia, macchiand
egrinaggio di S. Jacopo nella città di Galizia : da ciò la confusione che abitualmente si fa, fra i due nomi di Galassia e
 — Feste consacrate ad Apollo. Alcuni cronisti della favola vogliono, che le feste Galassie prendessero la loro denominazio
che le feste Galassie prendessero la loro denominazione, dal costume che avevano i pagani, di cibarsi nei giorni delle Gal
liscia di conchiglia Da’ flutti travagliata senza posa : Gradita più che nell’ inverno il sole. E più che l’ ombra nella s
travagliata senza posa : Gradita più che nell’ inverno il sole. E più che l’ ombra nella sferza estiva. Più gentil d’ ogni
biata con tutta l’ ardenza di una vera passione. Ma la sciagura volle che Polifemo, un orrido e spaventevole Ciclope, avend
e di stragi, seguì come un fanciullo le traccie della bella creatura, che lo innamorava, ricercando continuamente di lei. E
lo innamorava, ricercando continuamente di lei. E avvenne un giorno, che assiso su d’ una rupe sotto alla quale erano asco
ori e l’ erba : Ben la sua voce allor cruda ed altera Passò, per quel che udii, la nona sfera. Ovidio — Metamorf : Libro X
i ; i quali si traducevano in una così aspra e rimbombante dissonanza che Aci e Galatea spaventati vollero darsi a fuggire.
che Aci e Galatea spaventati vollero darsi a fuggire. Posato il pin, che suol guidar l’ armento, Ch’ arbor farebbe ad ogni
ta trave : La fistula dà fuor l’ usato accento, Più tosto strepitoso, che soave ; E da lo stral d’ Amor piagato e punto, Co
ereidi sue sorelle. Lo persegue il Ciclope, ed abbrancata Una roccia che parte era del monte, La scagliava divelta, e benc
. del Cav. Ermolao Federico La parola Galatea deriva dal greco γαλα che significa di latte, e si dava a questa Nereide a
i quali pretendevano di scendere dallo stesso figliuolo di Apollo, di che nell’articolo precedente. Al dire di Cicerone, la
ndovini Galeoti per sapere la sorte del figlio ; ed essi le risposero che il fanciullo sarebbe stato l’uomo più felice di t
— Una delle eroine della Grecia, in cui veniva onorata con una festa, che dal nome di lei fu detta Galintiade. Fu figliuola
iuola di Proeto. 2080. Galli — Riferiscono le cronache dell’antichità che cotesti sacerdoti di Cibele, traevano la loro den
contrada, sonando una specie di crotalo, e raccogliendo le elemosine che essi chiedevano in nome della loro dea, e distrib
e più abbietta della plebe, e siccome rispondevano alle varie dimande che loro venivano fatte, servendosi di una specie di
una specie di ritmo cadenzato e monotono, così si diceva comunemente che i sacerdoti galli rendevano i loro oracoli in ver
generalmente, era tenuta la poesia degli oracoli. Cicerone aggiunge, che i sacerdoti galli conducevano seco loro delle vec
, codeste incantatrici vendevano al popolo dei filtri e delle medele, che avevano il potere di turbare la pace delle famigl
e. Il cronista Luciano, riferisce nelle suo cronache sull’ antichità, che allorquando uno dei sacerdoti galli moriva, i suo
tenendo come un sacrilegio il metter piedi in un sacro ricinto, prima che questo periodo di tempo fosse passato. Oltre a ci
corpo morto. I loro sacrifizii non potevano essere d’ altre vittime, che di capre, di pecore, di vacche e di tori. Era lor
nimali. Essi ritenevano come sacri i colombi ; e credevano fermamente che essi non potevano toccare nemmeno uno di questi v
ili, riguardando come impuro e maledetto quello, fra i loro compagni, che ne avesse toccato uno, anche inavvertentemente. I
higallo. Galli si chiamavano similmente alcuni popoli dell’antichità, che Giulio Cesare ci dipinge, nei commentari, come un
dipinge, nei commentari, come un popolo eminentemente superstizioso, che avesse dato origine e fondamento alla religione d
sto volatile a Minerva, come simbolo della vigilanza e per dimostrare che la vera saggezza non si lascia mai sorprendere da
o Marte, il quale lo poneva a guardia della sua tenda, tutte le volte che la dea Venere, perdutamente innammorata di lui, a
er inebbriarsi d’ amore nelle sue braccia. Narra la cronaca favolosa, che un giorno Gallo si addormentò alla porta della te
e della poca solerzia del suo confidente, lo cangiò in quello animale che porta anche oggi lo stesso nome, condannandolo a
rta anche oggi lo stesso nome, condannandolo a cantare tutte le volte che spunta il Sole. Il annonce aux amants le lecer d
Émilie sur la Mythologie 2082. Gamella. — Dalla parola greca γαμος che significa nozze, i greci davano questo nome a Giu
Nuziale dette Gamelie, durante le quali venivano fatti più matrimoni che in tutto il rimanente dell’ anno, ritenendosi com
V. l’ art. precedente. 2084. Gamelio. — Uno dei soprannomi di Giove, che gli veniva dall’essere ritenuto come protettore d
enuto da quegli abitanti come una delle loro più possenti divinità, e che essi adoravano con un culto particolare. Le acque
sconosciuta virtù. 2086. Ganimede. — Figliuolo di Tros, re di Troja, che si rese celebre per la sua incomparabile e femmin
a sua incomparabile e femminea bellezza. Narra la cronaca mitologica, che Giove perdutamente preso dalla bellezza di questo
ire come coppiere al banchetto degli dei, e assegnandogli le funzioni che prima di lui aveva Ebe, dea della giovinezza. V.
rmolao Federico Codesta allegoria favolosa ha un fondamento storico che noi riporteremo per maggiore delucidazione. Tros
di recarsi in Lidia, onde offrire dei sacrifizi a Giove in un tempio, che quel dio aveva in quella contrada. Ganimede obbed
dell’ antichità, i quali asseriscono come vero un tal fatto, dicendo che Tanalo usasse come un diritto di rappresaglia ver
ndo che Tanalo usasse come un diritto di rappresaglia verso i Trojani che accompagna ano il principe giovanetto e verso Gan
onsacrati. Al dire di Omero, fu sulla più alta estremità del Gargaro, che Giove andò a posarsi onde essere testimonio di un
te dagl’indovini, i quali rispondevano alle differenti interrogazioni che venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per
rrogazioni che venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per modo che sembrava che una voce aerea avesse risposto alle
e venivano loro fatte, senza muovere le labbra, per modo che sembrava che una voce aerea avesse risposto alle dimande. 2090
avesse risposto alle dimande. 2090. Gatti. — Gli egiziani ritenevano che allorquando i Titani dettero la scalata al cielo,
re degli assalitori.V. giganti. Da ciò ne venne la grande venerazione che quei popoli tributarono a quest’animale, del qual
veniva severamente punito e sottoposto ai più crudeli supplizi, colui che anche inavvedutamente avesse cagionato la morte d
ei più antichi cronisti della favola per nome Sanconiatone, riferisce che Ge fu figlia d’Ipisto, e moglie del proprio frate
risce che Ge fu figlia d’Ipisto, e moglie del proprio fratello Urano, che la rese madre di molti figliuoli, di cui più rino
ica denominazione delle tre Grazie ; pure è quasi generale l’opinione che queste tre dee giovanette si chiamassero Gelasia
stabili nella Scizia Europea, e fu lo stipite della nazione Scitica, che dal suo nome prese quella di Gelone, popoli che s
ella nazione Scitica, che dal suo nome prese quella di Gelone, popoli che si resero celebri per la loro forza e pel loro co
, popoli che si resero celebri per la loro forza e pel loro coraggio, che li fece generalmente ritenere come discendenti da
no a questo segno zodiacale diversa interpretazione. Taluno asserisce che i Gemini siano i due figliuoli di Borea Leto e An
Gemini siano i due figliuoli di Borea Leto e Anfione. Igino pretende che siano Giasione e Trittolemo, favoriti della dea C
i, quella più generalmente seguita da tutti i poeti dell’antichità, è che sotto il segno dei gemini siamo raffigurati i due
ro V. trad.Giambattista Bianchi. 2097. Gemino. — Uno dei soprannomi che si dava al dio Giano, a causa delle due facce che
 Uno dei soprannomi che si dava al dio Giano, a causa delle due facce che gli venivano attribuite. 2098. Genetillidi. — Il
e gli venivano attribuite. 2098. Genetillidi. — Il solo autore antico che parli di questa divinità è il cronista Pausania,
e parli di questa divinità è il cronista Pausania, il quale riferisce che nel tempio di Venere Colliade, vi era un certo nu
che nel tempio di Venere Colliade, vi era un certo numero di statue, che ne riproduceva l’immagine. Però lo stesso citato
parere degli scrittori, i quali però tutti si accordano nel convenire che geniali era il nome collettivo degli dei che pres
accordano nel convenire che geniali era il nome collettivo degli dei che presiedevano alla generazione. Al dire di Festo,
elementi cioè il Fuoco, l’Aria, la Terra e l’Acqua. Altri pretendono che sotto la de nominazione di numi Geniali s’intende
ici segni dello zodiaco. 2100. Genio. — I pagani ritenevano per fermo che ogni uomo nascendo avesse avuto il suo genio tute
gni uomo nascendo avesse avuto il suo genio tutelare ; nè più nè meno che i cristiani, i quali ritengono per positiva e rea
a nei tempi della religione pagàna, emerge giustissima l’osservazione che Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichit
azione che Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichità ; cioè, che al tempo del paganesimo, dovevano esistere più nu
ioè, che al tempo del paganesimo, dovevano esistere più numi e genii, che non uomini mortali ; quante volte si volesse rite
mi e genii, che non uomini mortali ; quante volte si volesse ritenere che ogni uomo nascendo avesse due Genii, il buono ed
nella mano. Al dire del cronista Apulejo, i pagani ritenevano ancora che le anime dei defunti apparissero loro soventi vol
i volte sotto la figura di altrettante Geni, prendendo cura di quelli che rimanevano della loro famiglia ed erano pacifici
in quella parte come condannati all’esilio. Questi Geni erano quelli che cagionavano il terrore panico, e spaventavano i c
erenti voci. 2101. Genisse. — Era questa la denominazione collettiva, che si dava a tutte le vittime sacrificate in onore d
— Secondo asseriscono Plinio e Plutarco, si chiamava così quella dea, che presiedeva al parto. Era una specie di configuraz
ecie di configurazione della Giunone Lucina. Il sacrifizio più comune che i romani offerivano a questa divinità, era un can
mani offerivano a questa divinità, era un cane : a somiglianza di ciò che praticavano i greci in onore di Ecale, e gli Argi
ani consacrato al Dio Giano, perchè a somiglianza di questa divinità, che aveva due facce, una per l’avvenire l’altra pel p
ντεια divinazione, si dava questo nome ad una specie d’indovinamento, che si faceva in generale presso i pagani in diverse
ticavano la Geomanzia osservando attentamente i crepacci e le fessure che si trovano naturalmente’ sulla superficie della t
i trovano naturalmente’ sulla superficie della terra. Essi ritenevano che da quelle fenditure uscissero come dall’antro di
caso sulla terra o sulla carta una gran quantità di punti. Le figure che la combinazione dei diversi punti producevano, ve
diversi punti producevano, venivano attentamente studiate ritenendosi che da quelle differenti combinazioni si potesse pred
sse predire l’avvenire. 2105. Gerania. — A proposito di questa città, che secondo la geografia antica, sorgeva sul monte Em
sorgeva sul monte Emo, nella Tracia, narra la tradizione mitologica, che gli abitanti non avevano più di un cubo di altezz
mitologica, che gli abitanti non avevano più di un cubo di altezza e che fossero discacciati dalla loro patria da una imme
 — Si chiamavano così nella città di Atene, quelle quattordici donne, che servivano la regina dei sacrifizi, in occasione d
acea guardia insieme ad un cane a due teste e ad un mostruoso dragone che , vomitava flamme dalle sue sette bocche. Ercole l
per la spedizione nell’Illiria. Da ciò il cronista Cluverio, conclude che dovea esservi anche un tempio di Gerione, perchè
lo senza tempio. 2108. Geris o Geride. — Nome di una divinità pagana, che al dire di qualche autore, era la stessa che Cere
di una divinità pagana, che al dire di qualche autore, era la stessa che Cerere o la Terra. E questa per altro un’opinione
dire di Giulio Cesare nei suoi commentari, non avevano altre divinità che il Sole, la Luna ed il fuoco ossia Apollo, Diana
a sorgeva un promontorio, detto di Geroeste, ove in onore di Nettuno, che vi aveva un tempio famoso, venivano annualmente c
e, a cui si dava il nome di Geroestie. 2111. Gerontree. — A Gerontre, che era una delle isole Sporadi, si celebravano dai g
e. 2112. Ghianda. — Abbiamo dalle più antiche tradizioni della favola che i capi delle prime colonie Egizie e Fenicie che a
adizioni della favola che i capi delle prime colonie Egizie e Fenicie che andarono a stabilirsi in Grecia, insegnarono agli
ora quasi selvaggio non aveva punto idea. Noi faremo notare per altro che non essendo la ghianda atta a nudrir l’uomo, qui
oi vengono nudriti i majali. 2113. Giacco. — Dalla parola greca ιαγωυ che significa gridatore, i greci davano questo sopran
i davano questo soprannome a Bacco, per alludere alle alte grida, con che le baccanti celebravano le orgie di quel dio. Que
Giacco e fanno quest’ultimo figliuolo della dea Cerere ; aggiungendo che sua madre lo avesse preso in sua compagnia, allor
er poco la madre sua e le dette a bere certo liquore chiamato Cyceon, che valse a farle per brev’ora dimenticare la sua ang
Giacintie. — Feste celebrate in onore di Apollo nella Lacedemonia, e che avevano la durata di tre giorni. Vicino al sepolc
er quanto poetico. Giacinto era così passionatamente amato da Apollo, che questi abbandonò sovente la sua celeste dimora pe
a lanciare il suo disco, lo spinse così forte e con tanta destrezza, che quasi si nascose fra le nubi. Nel momento che con
e con tanta destrezza, che quasi si nascose fra le nubi. Nel momento che con tutta la forza di gravità ricadeva sulla terr
iovanetto, volle eternare la memoria di lui e lo cangiò in quel fiore che porta anche oggli lo stesso nome. Infatti dal san
r della porpora, sulle cui foglie era impresso un doppio Ahi ! Voce che anche oggidì esprime il dolore. non è più sangue
hi ! Voce che anche oggidì esprime il dolore. non è più sangue Quel che sparso pur ora, avea dipinto Il suolo erboso. Spu
Quel che sparso pur ora, avea dipinto Il suolo erboso. Spunta un flor che vince Di splendore la porpora di Tiro. Che tien d
dore la porpora di Tiro. Che tien de’gigli non diversa forma : Se non che questi argenteo hanno colore. Purpureo l’altro. N
è la sola, imperocchè alcune altre cronache dell’antichità ripetono, che Giacinto fosse in pari tempo amato da Apollo e da
tono, che Giacinto fosse in pari tempo amato da Apollo e da Borea ; e che quest’ultimo vedendo di mal’occhio la preferenza
o e da Borea ; e che quest’ultimo vedendo di mal’occhio la preferenza che il giovane accordava a Febo, avesse per vendicars
te ninfe Nereidi. 2117. Gialemo. — I greci davano codesto nome al dio che presiedeva tutte le cerimonie funebri in generale
Coll’andare del tempo si dette l’istesso nome di Gialemo alle canzoni che si cantavano ai funerali. V. Nenie. 2118. Gialme
eno. — Figlio della bella Astioche e del dio Marte. Fu uno degli eroi che più si distinse all’assedio di Troja, ove insieme
rebo, o secondo altre opinioni, di Atene. Un’antica tradizione narra, che Creusa, figlia di Eretteo re di Atene, avesse inn
da bellezza il dio Apollo, il quale la sorprese, e ne ebbe un figlio, che fece nudrire ed educare in Delfo — Eretteo intant
’oracolo, onde essere indicato il mezzo di averne. L’oracolo rispose, che avrebbe dovuto adottare il primo fanciullo, nel q
siffatto responso, s’imbattè per via in un fanciullo chiamato Giano, che era appunto il figliuolo che Creuse aveva avuto d
per via in un fanciullo chiamato Giano, che era appunto il figliuolo che Creuse aveva avuto dai suoi amori con Apollo, e l
ola, e la cacciata di Saturno dal cielo per opera di Giove ; e ripete che Giano accogliesse amorevolmente Saturno, e lo ass
quali si è fin dai più remoti tempi rappresentato Giano, per dinotare che la potenza reale era divisa fra questi due princi
er dinotare che la potenza reale era divisa fra questi due principi e che essi tenevano a vicenda le redini del loro govern
e essi tenevano a vicenda le redini del loro governo. È detto ancora, che Saturno, per mostrarsi riconoscente della reale o
dare il passato, e di saper l’avvenire. Questa è un’altra congiuntura che dà interpretazione alle due simboliche facce di G
ra che dà interpretazione alle due simboliche facce di Giano, dicendo che con una di esse guardava il passato, e con l’altr
ardava il passato, e con l’altra leggeva nell’avvenire. Numa Pompilio che fu il secondo e il più saggio dei re di Roma, fec
fece innalzare un tempio a Saturno come dio della Pace, considerando che il regno di questo dio non era stato turbato da a
Giano era ritenuto anche dagli antichi come il Caos. La prisca età ( che cosa antica io sono) Diemmi il nome di Caos : oss
hi. Gli venivano del paro attribuite due facce, alludendo al potere che egli aveva sul cielo e sulla terra ; ritenendosi
udendo al potere che egli aveva sul cielo e sulla terra ; ritenendosi che egli avesse in custodia la vasta estenzione dell’
an melato Posto sull’ara il sacerdote onora : Rideresti a’miei nomi : che or mi è dato. Quel di Clusio da lui che il sacrif
ora : Rideresti a’miei nomi : che or mi è dato. Quel di Clusio da lui che il sacrifizio Compie, e talor Patulcio io son chi
nvocavano il dio Giano in tutti i loro sacrifizi, ritenendo per fermo che egli fosse stato il primo ad istituire i sacri ri
ni per le quali Giano veniva raffigurato con due facce. Una ritenendo che Giano avesse insegnato agl’italiani l’agricoltura
uali indicavano le quattro stagioni dell’anno, mentre le tre finestre che si aprivano sopra ognuno dei quattro lati, indica
nsieme i dodici mesi dell’anno. Varrone riferisce a questo proposito, che in Roma vi erano dodici altari consacrati a Giano
Teleste e rinomata per la sua bellezza. Un’antica tradizione ripele, che ella fu tolta in moglie da un giovane per nome If
ipele, che ella fu tolta in moglie da un giovane per nome Ifi o Ifide che si cangiò in uomo lo stesso giorno delle nozze. —
i una delle ninfe Nereidi. 2127. Gianuale. — Festa in onore di Giano, che i romani celebravano il primo dell’anno, con tutt
. Narra la cronaca alla quale si attengono Macrobio ed Ovidio stesso, che allorquando i Sabini cinsero d’assedio le mura di
ini cinsero d’assedio le mura di Roma, avevano già attaccata la porta che è sotto al monte Viminale, la quale i romani avev
ti però la porta si apri ad un tratto per tre volte di seguito, senza che i ripetuti sforzi fatti dai romani per rinchiuder
aveva tolto i ganci e abbattuti i chiavistelli, e infrante le toppe, che assicuravano quella poria. Colpiti i sabini da si
fatto scaturiré dal suo tempio, una larga sorgente di acqua bollente, che travolse nei suoi gorghi gl’irrompenti nemici e g
Fasti — Libro I. trad. di G. B. Bianchi. Da ciò il senato decretava che le portedel tempio di Giano fossero aperte in tem
a, di venire novellamenle in soccorso della sua città, tutte le volte che ne avesse avuto bisogno. 2128. Giapeto. — Gigante
— Gigante figliuolo di Urano e fratello di Saturno. Fu uno dei Titani che mossero guerra a Giove, e dettero la scalata al c
iti. È opinione forse non infondata ai vari scrittori dell’antichità, che il Giapeto della mitologia pagana sia lo stesso c
i dell’antichità, che il Giapeto della mitologia pagana sia lo stesso che lafet, figliuolo di Noè. 2129. Giapi. — Figlio di
ir l’avvenire. Ma Giapi ricusò tutti gli altri splendidi donativi, di che l’amore di un dio lo faceva signore, e pregò solo
e qual de l’arti sue Più gli aggradasse, a sua scella gli offerse. Ei che del vecchio infermo e già caduco Suo padre la sal
e, e senza lingua E senza lode e del futuro ignaro Mostrarsi in pria, che non ritorre a morte Chi gli diè vita. Virgilio —
2130. Giara. — Una delle isole Cicladi. Narra un’antica tradizione che l’isola di Delo fosse stata lungo tempo fluttuant
amantide una delle ninfe Napee, fu re di Getulja. La tradizione narra che egli avesse fatto nei suoi stati innalzare in ono
to nella tradizione mitologica, come padre di quella giovanetta Jole, che fu così appassionatamente amata da Ercole — V.jol
133. Glardini. — Presso i pagani quattro erano le principali divinità che presiedevano alla cultura dei Giardini, cioè Pria
a figliuolo di Giove e di Elettra, una delle ninfe Atlantidi. È detto che Giasione sposasse Cibele, da cui ebbe un figliuol
coltura, di cui Cerere era la dea, così la tradizione favolosa, narra che egli fosse divenuto amante di Cerere e che avendo
tradizione favolosa, narra che egli fosse divenuto amante di Cerere e che avendola voluta tentare nel pudore fosse stato co
osse stato colpito da un fulmine. Il cronista Igino asserisce invece, che Giasione sposò legittimamente Cerere, da cui ebbe
e, che Giasione sposò legittimamente Cerere, da cui ebbe un figliuolo che fu Plutone dio delle ricchezze ; volendo con ciò
lutone dio delle ricchezze ; volendo con ciò alludere all’agricoltura che è fonte di ricchezza per quelli che lavorano la t
con ciò alludere all’agricoltura che è fonte di ricchezza per quelli che lavorano la terra. Dopo la morte, Giasione fu pos
— Fu figlio di Alcimeda e di Esone, re di Jolco. Narra la tradizione, che avendo l’oracolo predetto a Pelia, zio di Giasone
o l’oracolo predetto a Pelia, zio di Giasone ed usurpatore del trono, che sarebbe stato alla sua volta spogliato, da un pri
ato alla sua volta spogliato, da un principe degli Eolidi, del potere che aveva usurpato, Pelia perseguitò il piccolo Giaso
trarre il figlio alle persecuzioni dell’usurpatore, fece sparger voce che il bambino fosse morto, pochi mesi dopo la sua na
divenuto adulto gl’insegnò le scienze, e sopratutto la medicina, ciò che al dire di vari scrittori, valse algiovanetto pri
lgiovanetto principe il nome di Giasone, invece di quello di Diomede, che dapprima gli era stato imposto. Giunto Giasone al
ignorato ritiro ; mosse a consultare l’oracolo, onde sapere i destini che lo attendevano. La fatidica voce rispose che egli
o, onde sapere i destini che lo attendevano. La fatidica voce rispose che egli avesse dovuto rivestirsi, come il suo maestr
nde pretendere dall’usurprtore Pelia, la restituzione di quel diadema che era paterno ed esclusivo retaggio del giovanetto.
unse all’altra sponda, non avendo a lamentare altro accidente, se non che la perdita di una scarpa, caduta nel fiume mentr’
nei destini futuri dell’eroe giovanetto ; imperocchè l’oracolo stesso che aveva predetto a Pelia, che un principe discenden
giovanetto ; imperocchè l’oracolo stesso che aveva predetto a Pelia, che un principe discendente della stirpe degli Eolidi
giorno spogliato della mal conquistata corona, aveva anche soggiunto che egli avesse dovuto guardarsi da un uomo che gli s
na, aveva anche soggiunto che egli avesse dovuto guardarsi da un uomo che gli sarebbe venuto incontro con un piede ignudo e
a sua strana vestitura ; e la sua nobile e bella persona, la fierezza che traspariva nei suoi atti, la disinvolta eleganza
a. Ma Pelia, astuto per quanto perverso, avendo osservato l’interesse che il popolo prendeva a favore del giovanetto, e sap
o e giovanile, condiscese facilmente alla volontà di Pelia, tanto più che questi gli promise formalmente che al suo ritorno
e alla volontà di Pelia, tanto più che questi gli promise formalmente che al suo ritorno dalla gloriosa spedizione della Co
ipitosi palpiti un cuore, appena quadrilustro ; e quindi non è strano che fece, con ogni sollecitudine, spargere per tutta
ia la nuova della prossima sua spedizione, ed ebbe la gioia di vedere che il fiore della nobiltà e della cittadinanza greca
o, onde accompagnare l’eroe giovanetto attraverso il glorioso cammino che si riprometteva di percorrere. Giasone, compiuti
rere. Giasone, compiuti i preparativi del viaggio, riunì tutti coloro che erano accorsi per dividere con lui gloria e perig
de rapire ad Aete, re di quella contrada, il montone dal Vello d’oro, che Frisso vi aveva lasciato, — V. frisso — e che ven
ontone dal Vello d’oro, che Frisso vi aveva lasciato, — V. frisso — e che veniva custodito da un enorme ed orrendo drago, e
veniva custodito da un enorme ed orrendo drago, e da due tori furiosi che vomitavano flamme e fumo dalla bocca. Le tradizio
alla bocca. Le tradizioni mitologiche aggiungono, a questo proposito, che perfino gli dei avessero preso interesse alla per
ssero preso interesse alla perigliora intrapresa di Giasone ; e tanto che giunse felicemente al Porto Pegaso, da cui fece p
a egli in seguito l’abbandonò, lasciandola incinta. Quelli è Jason, che per cuore e per seuno Li Colchi del monton privat
Colchi del monton privati fene Egli passò per l’isola di Lenno. Poi che le ardite femmine spietate Tutti li maschi loro a
iunone stessa, sempre per proteggerlo, convennero fra di loro di fare che Medea, figlia di Aete, si fosse innamorata di Gia
e che Medea, figlia di Aete, si fosse innamorata di Giasone, ond’ella che era già, sebbene giovanetta, una famosa maga, ave
esse potuto sottrarre coi suoi incantesimi Giasone, ai molti pericoli che lo circondavano. Alcune altre cronache aggiungono
pericoli che lo circondavano. Alcune altre cronache aggiungono ancora che Medea, essendosi incontrata con Giasone presso il
proda all’aspra mia contrada Giovin cercante sotto stranio cielo Quel che cercau gli eroi, gloria e periglio. Chiede del pa
vedute del suo amante. Aete aveva imposto a Giasone alcune condizioni che egli riteneva insormontabili ; e quasi a farsi gi
quasi a farsi giuoco dell’audacia del giovane eroe, aveva prescritto che per avere il possesso del vello d’oro, avesse dov
aggiogare i due tori, i quali avevano i piedi e le corna di bronzo, e che erano un dono del dio Vulcano : quindi attaccarli
ugeri di terreno di un campo consacrato a Marte, e non mai lavorato ; che quindi avesse dovuto in quei solchi seminare i de
i denti di un drago, dai quali sarebbero nati altrettanti guerrieri, che bisognava uccider tutti l’unn dopo l’altro, senza
anti guerrieri, che bisognava uccider tutti l’unn dopo l’altro, senza che ne fosse rimasto uno solo ; e che finalmente, a c
der tutti l’unn dopo l’altro, senza che ne fosse rimasto uno solo ; e che finalmente, a coronare la difficile e pericolosis
issima impresa, bisognava combattere ed uccidere il dragone mostruoso che vegliava del continuo alla difesa del prezioso de
uori le porte di Colco, onde assistere alle differenti ed ardue prove che il giovanetto eroe si accingeva ad affrontare. In
ili tori, la cui sola vista fece fremere di orrore gli spettatori, ma che non valse ad intimorire l’eroico coraggio di Gias
drago, e poscia lanciò nel mezzo di un numeroso stuolo di guerrieri, che come per incanto sursero da quelli, una grossa pi
tò a Pelia, onde pretendere da lui la restituzione del trono paterno, che ora gli era doppiamente dovuto, sia per essere su
ente dovuto, sia per essere suo retaggio, sia per gli enormi pericoli che aveva dovuto affrontare onde riconquistarlo. Ma P
e le proprie figliuole del re, ad uccidere il genitore, persuadendole che lo avreb bero visto rinascere giovane e rigoglios
asciò sulla via la spoglia ancor palpitante, onde arrestare il padre, che accortosi della fuga di lei, la inseguiva. Sopra
hondo Aeta Ci apparisce alle spalle ; e si c’insegne. E si c’incalza, che parea perduta Ogni speme per noi — Furente allora
la rivale Creusa, il resuo padre, e per fino i due figliuoli di Medea che ella uccise di propria mano, furono le ostie crue
, visse vita errante e vagabonda. Al dire di Euripide, una predizione che Medea stessa gli aveva fatta, che, cioè egli sare
Al dire di Euripide, una predizione che Medea stessa gli aveva fatta, che , cioè egli sarebbe morto sotto gli avanzi della n
e dell’antichità mitologica, emerge il simbolo allegorico di Saturno, che divora i propri figliuoli. Notino i nostri lettor
di questo Gehud favoloso ; e la bibblica figura del patriarca Abramo che al cenno di Jehova si accinge ad offrire in oloca
ome di Lipari, aveva codesto nome presso i pagani, i quali ritenevano che in questa isola, Vulcano avesse una delle sue fuc
ome di una delle Nereidi. 2140. Gierace. — Così aveva nome un giovane che , secondo narra la tradizione, Mercurio cangiò in
, secondo narra la tradizione, Mercurio cangiò in sparviere, sdegnato che egli avesse col suono del suo flauto rotto il son
e col suono del suo flauto rotto il sonno di Argo, al momento istesso che Mercurio si accingeva a rapirgli la ninfa Io, che
al momento istesso che Mercurio si accingeva a rapirgli la ninfa Io, che Argo aveva in custodia. Non potendo a causa della
cangiò Gierace in sparviero. La parola Gierace viene dal greco ιεραξ che vuol dire sparviere. 2141. Gieracuboschi. — Nome
dal greco ιεραξ che vuol dire sparviere. 2141. Gieracuboschi. — Nome che si dava in Egitto a quei sacerdoti, i quali aveva
del dio Mitrà, perchè essi avevano il costume di rivestirsi con abiti che figuravano quegli animali, di cui portavano il no
eri. La parola Gieroglifici deriva da due vocaboli greci ιερος, γλυφω che suonano scolpisco, perchè gli Egiziani quando com
a moltiplicità di esse. Il senso configurato, e l’allegoria simbolica che forma il sostrato principale della mitologia paga
cui gli antichi egiziani volevano far servire i diversi Gieroglifici, che adoperavano per rendere un’idea ; così per esempi
varii Gieroglifici i quali formavano insieme la figura di un vecchio che aveva un dito alla bocca e gli occhi bassi, come
venivano disegnati vari occhi e varie orecchie umane, per dimostrare che nulla sfugge agli dei e che essi veggono e senton
hi e varie orecchie umane, per dimostrare che nulla sfugge agli dei e che essi veggono e sentono ogni cosa. Nè solamente a
cui Gieroglifici formavano un’intera frase, dice il citato scrittore che da una parte si vedeva effigiato un bambino, simb
della morte ; un pesce, simbolo dell’odio ; e finalmente un avvoltojo che raffigurava l’idea della divinità. Dall’altra par
mbolo dell’impudicizia e della temerità. Tutte queste figure, secondo che riferisce il suddetto cronista, significavano un’
dotta nel nostro idioma comprenderebbe in sè la seguente idea : O voi che nascete e morite, riflettete che la divinità odia
rebbe in sè la seguente idea : O voi che nascete e morite, riflettete che la divinità odia coloro che sono impuri, sfacciat
 : O voi che nascete e morite, riflettete che la divinità odia coloro che sono impuri, sfacciati e temerarii. 2145. Gierofa
o destinati particolarmente all’insegnamento dei novizi per tutto ciò che riguardava i misteri della loro dea. Essi erano t
 Dette anche Gerofantrie, erano queste presso i greci le appellazioni che si davano alle donne dei sacerdoti Gierofanti. Pe
i accreditati, imperocchè è scritto in varie cronache dell’antichità, che i Gierofanti avevano fra i loro obblighi quello d
quello di vivere nel celibato. Altri scrittori pretendono similmente che ai sacerdoti Gierofanti era inibito solamente il
lamente il passare a seconde nozze ; e finalmente altri autori dicono che il nome di Gierofanzie si dava ad alcune sacerdot
ll’applicazione di questo nome presso gli egiziani. Taluni pretendono che fossero dei sacerdoti, i quali presiedevano alla
misteri religiosi, ed alle cerimonie del culto. Altri vogliono invece che quest’appellazione si dava a quei sacerdoti che s
Altri vogliono invece che quest’appellazione si dava a quei sacerdoti che scrivevano i geroglifici sacri, e ne davano la sp
Finalmente altri, ed il cronista Suida fra questi ultimi, asseriscono che il nome di Gierogrammatei si dava agli indovini,
imi, asseriscono che il nome di Gierogrammatei si dava agli indovini, che si servivano delle cognizioni astronomiche per sp
servivano delle cognizioni astronomiche per spiegare i gieroglitici e che erano tenuti in somma considerazione. 2148. Giero
ti in somma considerazione. 2148. Gieroscopia. — Sorta di divinazione che si faceva dal riflettere e ricordare tutto quanto
avi. La parola Gieromanzia deriva da due vocaboli greci ἱερος, σϰοπεα che significano considero. 2149. Giganti. — Era quest
cano considero. 2149. Giganti. — Era questa la denominazione generale che si dava a quegli esseri favolosi che mossero guer
questa la denominazione generale che si dava a quegli esseri favolosi che mossero guerra a Giove. Per quanto moltiplice e s
ori in generale, sulla nascita dei giganti, e sulle differenti azioni che ne resero famosa la vita. Esiodo li fa nascere da
azioni che ne resero famosa la vita. Esiodo li fa nascere dal sangue che grondò dalla ferita di Urano ; mentre Apollodoro,
dalla ferita di Urano ; mentre Apollodoro, Ovidio ed altri ; ripetono che i Giganti fossero figli della Terra, la quale per
atta fosse tiepida la Terra, È fama, e desse vita al caldo sangue : E che quello mutasse in corpi umani, Onde ogni resto de
AO FEDERICO. E qui cade in acconcio di far notare ai nostri lettori, che sehhene vi siano molti autori i quali, nelle loro
i occuperemo particolarmente, parlandone allorchè l’ordine alfabetico che noi seguiamo in questa nostra opera, ci porgerà p
torvi Stender le braccia a noi, le teste al cielo. Concilio orrendo ; che ristretti insieme Erano qual di querce annose a G
. Caro. L’allegoria favolosa e le tradizioni dell’antichità ripetono che ognuno di essi, aveva cento mani e spesso dei ser
ette Ossa ed Olimpo Ma coraggio no perde la terrestre Stirpe, nè par che troppo le ne caglia. Di divelte montagne arman le
massi di pietre, dei quali, secondo la tradizione mitologica, quelli che ricadevano nel mare diventavano isole ; e quelli
tologica, quelli che ricadevano nel mare diventavano isole ; e quelli che piombavano sulla terra formavano altrettante mont
avano sulla terra formavano altrettante montagne. E fu tale la scossa che questi spaventosi figli della Terra dettero a tut
sa che questi spaventosi figli della Terra dettero a tutto il creato, che Giove stesso altamente atterrito dagli sforzi sov
ll’altra parte del globo, sotto la figura di animali diversi. …….. e che sotto mentite Forme si nascondessero gli Dei. E n
si. …….. e che sotto mentite Forme si nascondessero gli Dei. E narrò che in marito della greggia Giove si trasformasse, on
v. Ermolao Federico. Un’antica tradizione narra, a questo proposito, che una predizione dell’oracolo aveva profetizzato, c
questo proposito, che una predizione dell’oracolo aveva profetizzato, che i Giganti sarebbero stati invincibili, e che ness
colo aveva profetizzato, che i Giganti sarebbero stati invincibili, e che nessuno degli dei, compreso lo stesso Giove, avre
i, se un mortale non fosse venuto in ajuto del sommo Gione. Allora fu che Pallade Minerva, vedendo lo scompiglio ed il terr
e. Allora fu che Pallade Minerva, vedendo lo scompiglio ed il terrore che aveva invaso tutti gli animi, e ricordando la min
de avesse combattuto al suo fianco. Giove seguì il salutare consiglio che le veniva dalla dea della saggezza, ed in fatti,
elado — Anteo, Noi procedemmo più avanti allotta E venimmo ad Anteo, che ben cinq’alle. Senza la testa, uscia fuor della g
ello smisurato Briareo Esperienza avesser gli occhi miel. ………….. Quel che tu vuol veder, più là è molto. Ed è legato e fatt
tu vuol veder, più là è molto. Ed è legato e fatto come questo, Salvo che più feroce par nel volto. Dante — Inferno — Cant
nte, Agrio, Polibote, Tizio, Graziano ed altri, ed il terribile Tifeo che valse egli solo, al dire di Omero a portar più te
lo, al dire di Omero a portar più terrore fra gl’immortali, di quello che non facessero tutti i suoi formidabili compagni r
facessero tutti i suoi formidabili compagni riuniti insieme. E narra che Tifeo dal più profondo Della terra sorgendo, alto
terrore A’celesti portasse, onde rivolti Tutti fossero in fuga, infin che asilo Stanchi trovaro nell’Egizio suolo, E presso
av. Ermolao Federico E qui, a proposito di questa favolosa scalata, che i figli della Terra, nella loro cieca superbia, t
a nostra, richiameremo l’attenzione dei lettori sulla grande analogia che passa fra la sognata impresa dei Giganti, che vol
i sulla grande analogia che passa fra la sognata impresa dei Giganti, che vollero detronizzare il Giove pagano, e penetrare
ri ed i poeti più rinomati di essa, fanno continua menzione di uomini che si resero celebri per la loro gigantesca figura.
io — Eneide — Lib. VII trad. di A. Caro. Omero favellando degli eroi che assediavano Troja, dice ve n’erano alcuni, le cui
inaria struttura. Al dire di Pausania, Filostrato il giovane ripeteva che Ajace aveva undici cubiti di altezza ; e che il g
rato il giovane ripeteva che Ajace aveva undici cubiti di altezza ; e che il gigante Ariade, il cui cadavere fu trovato sul
u trovato sulle sponde del fiume Oronte, ne aveva cinquantacinque ; e che finalmente fu rinvenuto un cadavere nell’isola di
un cadavere nell’isola di Lemnos, la cui testa era di tale grandezza che per riempirla di acqua bisognò vuotarvi due inter
he per riempirla di acqua bisognò vuotarvi due intere zucche, secondo che gli antichi chiamavano questa misura di liquido,
ucche, secondo che gli antichi chiamavano questa misura di liquido, e che era la più grande da essi adoperata. Al dire del
costole di cui avevano non meno di ventotto braccia di lunghezza ; e che presso ad Atene fu rinvenuto un sepolcro, lungo c
era stato deposto il corpo del gigante Macrofiride. Plinio asserisce, che essendo nell’isola di Creta crollata una montagna
ino, fu mostrato al proconsole romano Metello, un gigantesco cadavere che aveva trentasei cubiti di altezza. Narra Plutarco
tesco cadavere che aveva trentasei cubiti di altezza. Narra Plutarco, che essendosi Sertorio, Generale romano, impadronito
sessanta cubiti. Il Boccaccio nella sua Genealogia degli dei, scrive che in una caverna del monte Erice, in Sicilia, fu ri
o il corpo di un gigante seduto, il quale si appoggiava ad un bastone che era un albero di nave ; e che appena toccato si r
o, il quale si appoggiava ad un bastone che era un albero di nave ; e che appena toccato si ridusse in polvere, meno tre de
to si ridusse in polvere, meno tre denti, ed una porzione del cranio, che furono portati nella città di Erice, per ordiname
rono portati nella città di Erice, per ordinamento dei magistrati ; e che in quella porzione di cranio si contenevano varie
cui parla il Boccaccio, era quello di un gigante ucciso da Ercole, e che si chiamava appunto Erice ; il cui corpo, che ave
nte ucciso da Ercole, e che si chiamava appunto Erice ; il cui corpo, che aveva venti cubiti di lunghezza, si ridusse in po
un parallelo storico — mitologico, sarà facile dedurne la conseguenza che altra volta la terra sia stata in realtà abitata
ni di gigantesca struttura. Noi però senza internarci in ragionamenti che ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta,
ionamenti che ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta, diremo che tutto ciò che si racconta in generale, di questi
ci allontanerebbero di troppo dalla nostra meta, diremo che tutto ciò che si racconta in generale, di questi avanzi mostruo
di smisurata grandezza, potrebbe benissimo non aver il suo fondamento che su relazioni di artefici e di operai ; ovvero su
astiche e favolose. 2150. Gigantofontide. — Dalla parola greca φωντος che significa che uccide ; e dall’altra latina Gigas.
lose. 2150. Gigantofontide. — Dalla parola greca φωντος che significa che uccide ; e dall’altra latina Gigas. Si dava quest
ina Gigas. Si dava questo soprannome a Pallade Minerva, per ricordare che essa aveva aiutato Giove suo padre nella guerra c
— V. l’articolo precedente. 2151. Gige. — Uno dei formidabili Giganti che insieme a Briareo ed a Cotto suoi fratelli, dette
te opinione, circa questi tre formidabili fratelli giganti. Egli dice che essi altro non erano che tre impetuosi venti, e d
tre formidabili fratelli giganti. Egli dice che essi altro non erano che tre impetuosi venti, e dà il nome di Gige al magg
i venti, e dà il nome di Gige al maggiore, dalla parola greca γογαιος che significa oscuro ; perchè, secondo il citato scri
A Gige prese vaghezza di penetrare in una di quelle cupe voragini, di che era solcata la terra, e posto ad esecuzione il su
visceri della terra, ove trovò il simulacro di un cavallo di bronzo, che aveva ai fianchi due aperture a guisa di porte. A
nvenne chiuso nel corpo del cavallo lo smisurato cadavere di un uomo, che aveva al dito un anello d’oro, che Gige passò imm
lo smisurato cadavere di un uomo, che aveva al dito un anello d’oro, che Gige passò immediatamente alla propria mano, dopo
nello d’oro, che Gige passò immediatamente alla propria mano, dopo di che fece ritorno presso i compagni. Appena ritornato
i compagni. Appena ritornato alla sua abituale dimora, egli s’accorse che quante volte la pietra preziosa, che ornava il ce
abituale dimora, egli s’accorse che quante volte la pietra preziosa, che ornava il centro dell’anello, si volgeva verso l’
egina, colla quale concertatosi si liberò poco a poco di tutti coloro che potevano fare ostacolo ai suoi ambiziosi disegni 
e a rendersi padrone del regno. Le cronache dell’antichità aggiungono che l’uccisione di Candaule fu causa d’una sommossa n
e risposto l’oracolo di Delfo ; il quale fu favorevole a Gige, per il che egli restò pacifico possessore del trono. Qualche
colo, onde chiedergli se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo rispose che un certo Aglao era assai pi
se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo rispose che un certo Aglao era assai più fortunato. Plinio, n
glao era assai più fortunato. Plinio, nella sua storia Naturale, dice che questo Aglao era un modesto pastore, che viveva l
la sua storia Naturale, dice che questo Aglao era un modesto pastore, che viveva lavorando il suo campicello, dal quale rit
llo, dal quale ritraeva tutto quanto abbisognava alla sua famiglia, e che , libero da ogni altra cura, viveva tranquillo e f
ttore, questi popoli furono sconfitti dalle Amazzoni in una battaglia che combatterono contro di esse sulla riva del Termod
zoni imposero ai vinti guerrieri di avere commercio con esse, a patto che i figliuoli che sarebbero nati da questo connubio
vinti guerrieri di avere commercio con esse, a patto che i figliuoli che sarebbero nati da questo connubio, sarebbero stat
erdoti se fossero uomini. 2153. Ginniel. — Dal vocabolo greco γνμνοε, che significa ignudo, furono così detti alcuni giuoch
, furono così detti alcuni giuochi e combattimenti, in cui gli atleti che vi prendevano parte, erano nudi, per essere più l
ude ; ma semplicemente vestite di leggiere e corte tuniche ; e non fu che alla 32’ Olimpiade, che un greco per nome Orcippo
estite di leggiere e corte tuniche ; e non fu che alla 32’ Olimpiade, che un greco per nome Orcippo, introdusse l’uso di an
sopratutto se fatta a cavallo o sulle bighe, specie di piccoli carri che si guidavano in piedi. Per contrario il pugillato
eno stimato. Questi differenti esercizi costituivano l’insieme di ciò che noi chiameremmo Ginnastica. E a notare che presso
tituivano l’insieme di ciò che noi chiameremmo Ginnastica. E a notare che presso i pagani non si celebrava nessuna gran fes
γυμνος ignudo, i Lacedemoni davano questo nome ad una specie di ballo che alcuni giovanetti interamente nudi, ballavano dur
o dei piaceri del senso. Nelle antiche tradizioni indiane, è scritto, che i Ginnosofisti giunti all’età della vecchiezza, s
bbruciavano da sè stessi onde non lasciarsi opprimere da quei malori, che sono generalmente inevitabili compagni dell’età c
o, re di Tebe. Per volere inevitabile del destino fu moglie di Edipo, che era nell’istesso tempo suo figlio D’Edippo io mo
Edipo. Da questo incesto nacquero quattro figli, Eteocle e Polinice, che si distrussero a vicenda spinti dal cicco furore
carli ; vedendoli cadere sotto i propri occhi, coperti di quel sangue che essi a vicenda facevano grondare dai loro corpi ;
i ; ella, quasi pazza di dolore, svelse dal corpo di Eteocle la spada che il fratello vi aveva confitta, e si uccise di pro
a vari antori antichi, fra cui Pausania ed Omero, i quali asseriscono che l’incesto di Giocasta, per essere stato incontane
dea Lætizia e la Ilarità. — V. Ilarità. 2159. Giorno. — Il paganesimo che raffigurava sotto differenti e sensibili sembianz
e senza relazione coll’anno, col mese e con la settimana. Nè si creda che quanto noi ci facciamo ad asserire sia una nostra
vendo una magnifica pompa, fatta in Grecia ad Antioco Epifane, ripete che si vedevano nel corteo un gran numero di statue,
che si vedevano nel corteo un gran numero di statue, e fra queste una che rappresentava la Notte, un’altra il Giorno e un’a
l’Aurora. Per maggiore chiarezza noi faremo notare ai nostri lettori, che essendo in lingua greca la parola Giorno γμερο di
otto le sembianze d’una donna ; mentre il Crepuscolo, in greco ορδρος che è di genere maschile, veniva rappresentato come u
hile, veniva rappresentato come un giovanetto, coperto d’un gran velo che dal capo gli scendeva fino ai piedi, e avente una
una torcia nella mano, volendo con siffatta configurazione esprimero che il Crepuscolo è come il punto intermedio fra il G
ato sotto le sembianze d’una donna, essendo la parola greca μιοημβρια che significa mezzodi di geuere femminile. Per la ste
ticamente al crepuscolo dell’aurora, ma senza la torcia, per alludere che quell’ora della sera va a precipitarsi nella Nott
di uno dei cavalli del carro di Diana, ossia la Luna, per significare che all’ora del Crepuscolo serale, suole abitualmente
primi a fare codesta distinzione ; ed i romani ed i greci non fecero che seguire le orme di quelli, attenendosi ad una con
. Virgilio nelle sue Georgiche, si attiene alle istesse idee, dicendo che nel quinto giorno del mese erano nate le Furie e
cendo che nel quinto giorno del mese erano nate le Furie e l’Orco ; e che la terra avesse partorito Giapeto, Tifeo e gli al
terra avesse partorito Giapeto, Tifeo e gli altri mostruosi giganti, che dettero la scalata al cielo. Non uno ordi la Lun
giorno del mese, erano ritenuti come fortunati. Tito Livio riferisce che presso i romani tutti i giorni che seguivano le N
me fortunati. Tito Livio riferisce che presso i romani tutti i giorni che seguivano le None, gl’Idi e le Calende d’ogui mes
to seguente. Nell’anno di Roma 363, i tribuni militari, avendo notato che la repubblica aveva di sovente a soffrire qualche
ato, affinchè ne venisse indagata la ragione. Il senato allora decise che fosse chiamato l’indovino Lucio Aquinio, onde ris
ovino Lucio Aquinio, onde rispondere alle domande. L’indovino rispose che tale era la volontà degli dei, i quali erano sdeg
fiume Allia, fatto un sacrifizio nel giorno dopo gl’Idi di luglio ; e che per la stessa ragione i Fabii furono tutti uccisi
lgò una legge di comune accordo col collegio dei Pontefici, ordinando che in avvenire non si fosse nè intrapresa cosa alcun
avano alle ombre de’ morti ; le Ferie Latine, le Saturnali, il giorno che seguiva le Volcanali, il quarto prima delle None
fondamento universale della religione dei pagani, pure vi erano molti che disprezzavano coteste ridicole credenze, riguardo
la storia ci ammaestra della bella risposta data da Lucullo a coloro che volevano dissuaderlo dal combattere contro Tigran
elle None di ottobre, facendogli osservare, con superstizioso timore, che qualche anno prima in quegli stessi giorni, i Cim
i Cepione : io, rispose Lucullo, attaccherò l’ inimico e farò in modo che le None di ottobre diventino fauste alla potenza
la potenza di Roma. E Giulio Cesare stesso non tralasciò di comandare che le milizie romane passassero in Africa, sebbene i
ero in Africa, sebbene il movimento doveva eseguirsi in alcuni giorni che gli Auguri avevano additati siccome infausti. E f
radizione mitologica lo fa figliuolo di Rea e di Saturno, aggiungendo che questi lo avrebbe divorato, a somiglianza di tutt
arito, invece del pargoletto Giove, una pietra ravvolta nelle fascie, che Suturno ingoiò, credendo così di distruggere il p
, non appena dati alla luce, pensò di sottrarre alla morte il bambino che aveva in seno, e sentendo prossimo il tempo di da
ompagnò con Meti, ossia la Prudenza, e la cronaca mitologica aggiunge che egli avesse dato a suo padre Saturno una bevanda,
colosa di fargli recere dapprima la pietra, e poi i diversi figliuoli che avea divorati. Ciò fatto, sentendosi Giove forte
padronirsi del regno dell’ universo ; ed avendogli la Terra predetto, che egli non avrebbe raggiunto il suo scopo, se non q
o dell’ universo. Te le animose man, non l’orba sorte Forza e virtù, che sempre è tua vicina, Han fatto re della superna c
dell’ inferno. Sterminato è il numero delle mogli e delle concubine, che resero Giove padre di un eguale sterminato numero
ebbe Vulcano, Marte ed altri figliuoli, e da Mnemosina nove figliuole che furono poi le nove Muse. Tre volte e sei l’onnip
DESTINO. Il culto di Giove e i misteri, le cerimonie ed i sacrifizii che lo accompagnavano, erano sparsi universalmente co
iù famosi furono quello di Trofonio, di Dodona e di Lidia. Le vittime che ordinariamente si sacrificavano a Giove, erano la
incenso più prezioso. Al dire di Pausania, il solo Licaone, fu quello che una volta sacrificò a Giove un fanciullo, ma l’es
, sino alla caduta del paganesimo, monde di umano sangue. Ovidio dice che Licaone svenasse su di un altare di Giove, un pri
prigioniero di guerra, in ringraziamento dell’ottenuta vittoria ; ma che questo sacrifizio, cruento di umano sangue, gli v
ini, e ai piedi un’aquila con le ali spiegate. La tradizione aggiunge che al muovere del suo capo divino, tremasse il mondo
gorica, rinchiusa in tutti i simboli della mitologia pagana, ripetono che Giove veniva generalmente raffigurato nella sudde
questo basso mondo : il fulmine, ricordava il suo invincibile potere, che dalle sfere supreme si estendeva agli dei ed agli
supreme si estendeva agli dei ed agli uomini : e finalmente l’aquila, che con le ali spiegate riposa a’ suoi piedi, era l’e
rivo affatto di orecchie, volendo con simile configurazione ricordare che la suprema divinità non doveva ascoltare alcuno i
ivavano dai luoghi, nei quali veniva adorato ; molti altri dai popoli che ne introdussero in altre contrade il culto ; e fi
doneo, Capitolino, Trofonio, Fulminante, Espiatore e moltissimi altri che sebbene non molto ripetuti dalla grande generalit
lato, nelle loro opere, del Giove pagano assai diversamente di quello che han fatto i poeti. Infatti secondo le opinioni pi
pagano, sotto l’ aspetto puramente storico e filosofico, asseriscono che vi fossero stati più di un Giove. Secondo l’ opin
adre di Bacco e di Proserpina. Lo stesso autore asserisce similmente, che nell’isola di Creta si vedeva il sepolcro di un G
, appoggiando l’opinione del classico scrittore sopra cennato, ripete che dei due Giovi d’ Arcadia, uno era antico quanto i
Arcadia, uno era antico quanto il mondo, e nato da ignoti genitori, e che si fosse fatto poi conoscere dagli Arcadi, ed ave
’uomo al quale essi andavano debitore di un tanto bene ; ed allora fu che per nascondere la origine di lui, lo dissero figl
oro divinità. Le cronache dei tempi favolosi ci ammaestrano peraltro, che non fu il Giove dell’Arcadia quello che primo por
losi ci ammaestrano peraltro, che non fu il Giove dell’Arcadia quello che primo portò un simile nome. Infatti presso i cron
ome. Infatti presso i cronisti più accreditati, è generale l’opinione che il primo di tutti fosse il Giove Ammone della Lib
a, la cui origine rimonta ai tempi primitivi della creazione, e tanto che molti lo hanno confuso con Cam, figliuolo di Noè.
di Noè. Da questa prima configurazione del Giove pagano, ne venne poi che ogni popolo dell’ antichità, ebbe il suo Giove pa
estava la sbrigliata superstizione dei pagani, imperocchè noi vediamo che nella città di Argo, si venerava il Giove Api, ri
i, ritenuto nipote d’ Inaco ; nell’ isola di Creta, il Giove Asterio, che rapisce Europa ed è padre di Minosse e di Radaman
i dei cronisti e degli scrittori. Infatti molti fra questi pretendono che una tal divisione, fosse quella che stabilirono f
fatti molti fra questi pretendono che una tal divisione, fosse quella che stabilirono fra di loro i figliuoli di Noè. Altri
quella che stabilirono fra di loro i figliuoli di Noè. Altri vogliono che essendosi i Titani dispersi per tutta la terra, a
ta l’Asia Minore, ma si estendeva persino sulle coste dell’ Africa, e che Giove avesse diviso coi suoi fratelli l’ immenso
ed a Nettuno la supremazia su tutti i mari. È questa forse la ragione che fece ritenere questi tre fratelli come altrettant
sull’inferno. E lo stesso autore, a proposito d’una statua di Giove, che si adorava nella città di Argo, in un tempio cons
ava nella città di Argo, in un tempio consacrato a Minerva, riferisce che quel simulacro aveva tre occhi, uno in mezzo alla
li altri due al medesimo posto ove gli ànno le teste degli uomini ; e che ciò dinotava il trino potere di Giove sul cielo,
2162. Gioventù — Presso i pagani della Grecia, due erano le divinità che presiedevano alla giovanezza, cioè : Ebe ed Orta.
dava il nome di Pretesta. La dea Giuventa veniva onorata in un tempio che sorgeva nel Campidoglio. Al dire di Tacito, l’alt
scrittore dell’antichità. 2163. Giovio — Uno dei soprannomi di Ercole che a lui veniva per esser figlio di Giove. 2164. Gir
seguati alcuni caratteri cabalistici, lettere ed altre figure. Coloro che eseguivano questa divinazione giravano con tanta
ivinazione giravano con tanta celerità, intorno al cerchio tracciato, che finivano per cadere per terra, e dall’unione dell
va il presagio del futuro. La parola Giromanzia deriva dal greco ύρος che significa rotondo. 2165. Giuba — Re di Mauritania
più rinomati cronisti e storici dell’ antichità, fra i quali Platone, che esisteva un’antichissima legge, la quale imponeva
quali Platone, che esisteva un’antichissima legge, la quale imponeva che le anime dei morti, dovessero essere giudicate al
lle buone o delle cattive azioni. Però la tradizione favolosa ripete, che questo giudizio sommario venendo pronunziato al m
tristo regno, Là dov’egli ode, esamina, condanna E discopre i peccati che di sopra Son da le genti o vanamente ascosi In vi
, e ringhia : Esamina le colpe nell’entrata, Giudica e manda, secondo che avvinghia. Dico, che quando l’anima mal nata Li v
le colpe nell’entrata, Giudica e manda, secondo che avvinghia. Dico, che quando l’anima mal nata Li vien dinanzi, tutta si
rno è da essa : Cignesi colla coda tante volte, Quantunque gradi vuol che giù sia messa. DANTE — Inferno — Canto V. Questo
i campi Elisi, in un luogo chiamato campo della Verità, per alludere che non vi poteva mai penetrare nè la menzogna uè la
dizio di Paride — V. PARIDE. 2168. Giuga — Dalla parola latina jugum, che significa giogo, i greci davano codesto nome a Gi
che significa giogo, i greci davano codesto nome a Giunone, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giog
one, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giogo, che durante la cerimonia nuziale, si metteva per poco
a in mezzo alla quale sorgeva un altare consacrato a Giunone Giuga, e che per questa ragione si chiamava Vicus Iugatinus. 2
iamava Vicus Iugatinus. 2169. Giugantino — I pagani non riconoscevano che due soli numi così chiamati, uno che presiedeva,
ino — I pagani non riconoscevano che due soli numi così chiamati, uno che presiedeva, come la Giunone Giuga, alle cerimonie
ramente nudo, e con una torcia accesa nella mano destra, per dinotare che portava i bollori della stagione. 2171. Giuliani 
endere la fuga, Venere, madre d’Enea, li spinse a questa risoluzione, che fu poi cagione della loro salvezza, per mezzo di
elle prime Vestali, la quale si rese celebre per la sua grande virtù, che le valse, dopo la morte, gli onori divini. Il cen
valse, dopo la morte, gli onori divini. Il cennato scrittore racconta che il fratello di lei, Cajo Silvano, proconsole in A
è si disputavano l’onore della nascita di Giunone, ognuno pretendendo che la dea fosse nata nella rispettiva patria. Al di
estremi a visitar men vado L’antica Teti e l’Oceàn de’numi Generator, che présami da Rea, Quando sotto la terra e le profon
 — Iliade — Libro XIV. trad. di V. MONTI. Altri scrittori pretendono che la cura della sua educazione venisse affidata all
zione venisse affidata alle Ore ; e finalmente altri sono di opinione che Giunone fosse stata allevata dalle tre figliuole
l nome di Porsinna, Eubea ed Acrea. La tradizione mitologica racconta che Giove, innamoratosi di sua sorella Giunone, l’ave
annata trasformandosi in quell’uccello chiamato Cuculo V. CUCULO —  e che dopo qualche tempo, l’avesse sposata con tutta la
. Le cronache mitologiche aggiungono, a proposito delle famose nozze, che Giove avesse ordinato a Mercurio d’invitare alle
ondeggiavi,…. OMERO — Iliade — Libro XV. trad. di V. MONTI. Vulcano, che tentò liberarla, fu da Giove precipitato dall’Oli
iberarla, fu da Giove precipitato dall’Olimpo con un calcio, per modo che percosse violentemente sulla terra e ne restò zop
e ne restò zoppo per tutta la vita. Per altro i mitologi asseriscono che Giunone, sebbene divorata dalla gelosia, avesse p
unone perseguitò senza tregua non solo le amanti di Giove, ma i figli che egli ebbe, tanto da altre dee, quanto da donne mo
rcole, Europa, Jo, Semele ecc. Presso i pagani era generale credenza, che Giunone odiasse tutte le donne di facili costumi,
 — V. Canatosa, la quale era consacrata a Giunone, perchè si riteneva che la dea andasse a bagnarvisi una volta l’anno. Si
va che la dea andasse a bagnarvisi una volta l’anno. Si credeva anche che le acque di quella fonte avessero la strana prero
avessero la strana prerogativa, di ritoruare la verginità alle donne che l’avevano perduta. Ma se in molti punti opinioni
quattro figli, cioè : Vulcano, Ebe, Venere e Lucina ; altri vogliono che a questi si aggiungessero altri due, cioè : Marte
ltri due, cioè : Marte, Dio della guerra, e Tifone. Fra gli scrittori che aggiungono questi ultimi due, ai figli di Giunone
one la nascita di questi figliuoli. Infatti, troviamo nelle cronache, che Giunone divenne madre di Tifone, facendo uscire d
enne madre di Tifone, facendo uscire dalla terra una specie di miasmo che ella ricevette nel seno ; che dette la luce a Mar
uscire dalla terra una specie di miasmo che ella ricevette nel seno ; che dette la luce a Marte, ponendosi in grembo un fio
un qualche speciale incarico ; così le cronache mitologiche, ripetono che Giunone sopraintendeva agli imperi e alle ricchez
tendeva agli imperi e alle ricchezze della terra. Da ciò si asserisce che ella offerisse a Paride, gran parte dei beni dell
di Giunone ; ma essa nel culto pagano era ritenuta ancora come la dea che presiedeva ai matrimonii, alle nozze, ai parti — 
ri, e di tutti gli ornamenti, e presiedeva anche alla moneta per modo che veniva sovente chiamata col soprannome di Juno Mo
odigi da essa operati, e delle terribili vendette compiute, su coloro che aveano osato sprezzarla, o solamente paragonarsi
solamente paragonarsi a lei ; aveva inspirata tanta rispettosa paura, che i pagani non trascuravano nulla onde placare il t
ile sdegno di lei, quante volte aveano la sventura di aver fatto cosa che menomamente offendesse la sua maestà. Essa non ve
i Cartagine. Ci cade in acconcio di far qui notare ai nostri lettori, che presso i pagani tutte le primitive statue delle d
e differenti divinità altro non erano se non delle pietre informi ; e che da principio anche la statua della Giunone d’Argo
e la statua della Giunone d’Argo, era una semplice colonna ; e non fu che allorquando l’incivilimento dette all’arte greca
’arte greca e latina un così splendido sviluppo, come avvenne di poi, che le differenti statue delle deità pagane, raggiuns
enti statue delle deità pagane, raggiunsero quel grado di perfezione, che anche oggidì si ammira, come una prova stupenda d
. Ai suoi piedi riposava comunemente un pavone, suo uccello favorito, che non si dà come attributo a nessun’altra divinità.
almente a Giunoue il papavero, il dittamo ed il granato ; e l’animale che le si sacrificava era l’agnella ; mentre il primo
altari di lei, una vacca ; perchè la tradizione mitologica ripeteva, che durante la guerra dei giganti contro Ciove, Giuno
rola latina juvare, a simiglianza della etimologia del nome di Giove, che deriva da juvans pater. V. Giove. Finalmente per
ori dell’antichità ci hanno trasmesso sulla dea Giunone, aggiungeremo che i pagani le davano una gran quantità di appellati
i nomi vedi gli articoli particolari. 2173. Giunoni — Nome collettivo che i pagani davano ai genii particolari delle donne.
rticolari delle donne. Era credenza generalizzata presso gli antichi, che tutte le donne avessero una loro Giunone particol
a verità di quanto asseriamo, fanno fede le molte iscrizioni antiche, che ci sono state tramandate sia dai ruderi dei monum
ti dal tempo, sia nei papiri. Infatti su di una pietra d’un monumento che si vuole sia quello della vestale Giunia Torquata
parlammo all’articolo particolare, si leggono in greco queste parole che noi traduciamo alla lettera : Alla Giunone di Gi
Roma in onore della dea Giunone. 2175. Giunonio — I pagani credevano che il dio Giano Bifronte avesse introdotto in Italia
sieme. Vi sono anzi varì cronisti dell’antichità, i quali asseriscono che in Roma il senato avesse promulgata una legge, la
che in Roma il senato avesse promulgata una legge, la quale ordinava che tutti i pubblici giuochi fossero solennizzati con
iuochi fossero solennizzati con gran pompa in onore di qualche nume ; che non si poteva dar principio a questa pubblica sol
re religiose cerimonie. Da ciò emerge chiara e nitida la conseguenza, che la istituzione dei giuochi pubblici, presso i pag
ligione ; ma lo studio dell’antichità ci prova abbastanza chiaramente che la politica aveva, nella celebrazione di questi p
svelti, e robusti, essendo continuamente occupati in questi esercizi, che sviluppano così potentemente le forze del corpo,
e proprio giuochi equestri o curuli, consistevano in alcuni esertcizì che si eseguivano nel circo dedicato a Nettuno, e sec
stevano nella rappresentazione di alcune satire, commedie e tragedie, che si ese guivano nel teatro pubblico, in onore di A
Grecia, erano i giuochi detti Olimpici, i Nemei, gl’Istmi ed i Pilj, che erano tenuti in grande considerazione, sopratutto
i, la cui celebrazione si faceva con minor pompa dei sopracennati, ma che ciò non pertanto avevano presso gli antichi una t
. Così Virgilio ci ripete la descrizione dei solenni giuochi funebri, che Enea celebra sul sepolcro di suo padre Anchise. S
i dava Ed al perdente una leggiadra uncella Quattro tauri estimata, e che di molti Bei lavori donneschi era perita. Rizzoss
stringendosi a vicenda Colle man forti s’afferrar, siccome Due travi che valente architettore Congegna insieme a sostener
gli sferra. Al ginocchio di retro ove si piega. Tale un sùbito colpo, che le forze Scioglie ad Aiace, e resupino il gitta C
un groppo, Densi globi di polvere levando. Avanzù gli altri Clitoneo, che , giunto Della carriera al fin, lasciolli indietro
e, giunto Della carriera al fin, lasciolli indietro Quell’intervallo, che i gagliardi muli I tardi lascian compulenti buoi,
acro. Giove presiedeva ai giuramenti, e i pagani ritenevano per fermo che il violatore d’un giuramento veniva colpito dal f
radizione mitologica racconta a proposito dell’inviolabile giuramento che gli dei stessi facevano per le acque stigie, che
violabile giuramento che gli dei stessi facevano per le acque stigie, che avendo la Vitto ria figlia del fiume Stigie, socc
ro i giganti, il padre dei numi in riconoscenza verso di lei, comandò che tutti gli dei avessero giurato per le acque stigi
i, comandò che tutti gli dei avessero giurato per le acque stigie ; e che quello che avesse violato codesto giuramento, dov
che tutti gli dei avessero giurato per le acque stigie ; e che quello che avesse violato codesto giuramento, dovesse aggira
anni. Lo storico Serbio, rende ragione di simile tradizione col dire che gli dei essendo beati ed immortali giuravano per
dire che gli dei essendo beati ed immortali giuravano per lo stigie, che è un fiume di mestizie e di dolore, come per una
ie e di dolore, come per una cosa completamente ad essi contraria ; e che quindi questo era ritenuto come un giuramento di
Sicilia, andavano uel tempio degli dei Palici a fare i giuramenti ; e che gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e
amenti ; e che gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e tanto che al dire del cennato scrittore, vi sono state dell
uardo quest’ultima formola di giuramento, lo storico Aulo Gellio dire che questa fu introdotta presso i romani anche nei mi
nio, l’efferata mattezza dell’imperatore Caligola, giunse a tal punto che impose si giurasse pel cavallo bucefalo, facendo
vi sono varii scrittori e cronisti dell’antichità i quali asseriscono che in Roma la dea chiamata Temi era diversa dalla gi
la dea chiamata Temi era diversa dalla giustizia. Scrive Anlo Gellio che la giustizia veniva comunemente raffigurata sotto
eci la raffiguravano con una bilancia ed una spada nuda, per dinotare che la giustizia premia e castiga, dopo aver pesato l
mia e castiga, dopo aver pesato le azioni degli uomini. Esiodo ripete che la giustizia figlinola di Giove stava nel cielo s
re suo, al quale dimandava vendetta contro gli uomini, tutte le volte che questi offendevano le sue leggi. Al dire di Arato
o loro le sue leggi. Durante l’età d’argento, ella non si fece vedere che in tempo di notte ; e finalmente venuto il terrib
la di Turno, re dei Rutuli e figlia di Dauno. La tradizione ci ripete che Giove, innamoratosi di lei, la richiese dei suoi
presidenza sugli stagni e sui piccoli fiumi. Le cronache raccontano, che Giuturna, informata da Giunone che Turno ed Enea
oli fiumi. Le cronache raccontano, che Giuturna, informata da Giunone che Turno ed Enea avrebbero posto fine a la guerra ch
formata da Giunone che Turno ed Enea avrebbero posto fine a la guerra che sostenevano l’uno contro l’altro, con un particol
o fratello e mischiatasi ai soldati di lui, si adoperò a fare in modo che questi avessero rotto il trattato. Ma non essendo
rotto il trattato. Ma non essendo riuscita nel suo intento, e vedendo che Enea incalzava da vicino Turno, montò sul carro d
I. trad. di A. Caro. Infatti le cronache dell’antichità, ci rivelano che nel Lazio, vi era una fontana chiamata Giuturna,
ità, ci rivelano che nel Lazio, vi era una fontana chiamata Giuturna, che metteva foce nel fiume Numico, alle cui acque i p
Al dire di Varrone, Giuturna era anche il nome di un’altra divinità, che i romani invocava no particolarmente quando intra
Scagliandoli, destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor, che il tutto Divorasse………… Omero — Itiade — Libro XX
uso, fu seguitato ; e ai funerali dei ricchi s’immolavano gli schiavi che loro avevano appartenuto. Però a misura che la ci
s’immolavano gli schiavi che loro avevano appartenuto. Però a misura che la civiltà spandeva la sua luce rigeneratrice pre
chi, codesta barbara usanza cadde poco a poco in disuso ; e allora fu che alle pompe dei funerali solenni, fu introdotto il
che alle pompe dei funerali solenni, fu introdotto il costume di far che gli schiavi combattessero fra di loro, piuttosto
l costume di far che gli schiavi combattessero fra di loro, piuttosto che ucciderli come bestie. Da ciò ne venne che la pro
ero fra di loro, piuttosto che ucciderli come bestie. Da ciò ne venne che la professione di gladiatore, fu poi un’arte pubb
dovè distruggere il tempio della Misericordia, non essendo possibile che si fosse adorata questa mite e soave divinità da
sibile che si fosse adorata questa mite e soave divinità da un popolo che assisteva con tanta passione ad un si disumano sp
nosciuta nella tradizione storico mitologica sotto il nome di Creusa, che fu figlia di Creonte, re di Corinto. ….Unica fig
nome uno dei figliuoli d’Ippolito, del quale la tradizione racconta, che essendo caduto in una botte di miele, vi restò so
conta, che essendo caduto in una botte di miele, vi restò soffocato e che il dio Esculapio, l’avesse ritornato alla vita, f
nelle sue cronache sull’antichità, codesta tradizione favolosa, dice che Glauco, avendo fatto troppo e frequente uso di mi
to troppo e frequente uso di miele, era presso a morte per anemia ; e che un famoso medico per nome Dracone, lo avesse rito
izioni della favola, danno lo stesso nome di Glauco, fu un dio marino che alcuni mitologici presentano come figlio di Nettu
e mitologica narra di questo Glauco, uno strano avvenimento ; dicendo che egli che era un famoso pescatore della città di A
ica narra di questo Glauco, uno strano avvenimento ; dicendo che egli che era un famoso pescatore della città di Antedone i
ia, avesse preso un giorno gran quantità di pesci con le sue reti ; e che avendoli posti sull’erba della spiaggia, vide sal
Colpito da quel fatto per sè stesso semplicissimo, Glauco non dubitò che l’erba che nasceva su quelle spiagge, avesse una
quel fatto per sè stesso semplicissimo, Glauco non dubitò che l’erba che nasceva su quelle spiagge, avesse una qualche seg
to da un ardente ed indomabile desiderio di cangiar natura ; per modo che si precipitò in mare ; ove al della tradizione, l
presi Sovresso l’erba ; cosi que’che colti Fur nelle reti, come quei che troppo Creduli s’impigliar nell’amo adunco. Sembr
eni. Il cronista Ateneo ampliando codesta strana tradizione, aggiunge che Glauco s’innammorò di Arianne, quando Bacco l’abb
ne, quando Bacco l’abbandonò ; e si dette ad amarla con passione ; ma che Bacco per castigarlo lo avesse fatto legare ad un
o conosciuto, al dire di Pausania, sotto il nome di Salto di Glauco ; che sorgeva nel luogo ove egli si precipitò in mare,
. Secondo le opinioni di Diodoro, questo Glauco dio-marino, fu quello che servi di scorta agli argonauti, quando mossero al
di Glauco. Secondo il cennato poeta, Glauco non volle accondiscendere che le sue cavalle fossero fecondate dagli stalloni a
, sdegnata contro di Glauco, rese le cavalle di lui furiose al punto, che fecero in pezzi il loro padrone. Ma non cadde si
ofonte, e figliuolo d’Ippoloco ; e come uno dei comandanti dei Licii, che sotto gli ordini del famoso Sarpedone, soccorsero
essi si accingevano al combattimento, allorchè Diomede avendo saputo che Glauco era nipote di Bellorofonte, la cui famigli
a sacra all’eroe greco per dritto d’ospitalità, depose a terra l’asta che avea brandita ; abbracciò Glauco con effusione d’
he avea brandita ; abbracciò Glauco con effusione d’affetto ; e giurò che non avrebbe più combattuto contro di lui. Però no
ei trojani, essi scambiarono le loro armi, volendo con ciò dimostrare che se pure nemici per ragioni di patria, essi erano
se pure nemici per ragioni di patria, essi erano amici per l’affetto che li legrava insieme. Glauco ricordandosi le ingiun
generosità ogni altro guerriero, dette in cambio delle armi di bronze che Diomede gli avea dato, un’intera armatura d’oro,
ento buoi. Questo fatto dette, presso i troiani, vita ad un proverbio che diceva : Questo è il baratto di Glauco e Diomede.
fasti del paganesimo, per la sua destrezza e per la sua forza ; cosa che gli valse più volte gli onori del premio nei giuo
ù volte gli onori del premio nei giuochi Ginnici. Narra la tradizione che un giorno, mentr’egli era ancora giovanissimo, su
ora giovanissimo, suo padre lo vide accomodare con un pugno l’aratro, che si cra torto, mentre coltivava la terra. Sorpreso
ava l’universo. Sulle antiche medaglie portanti l’effigie del sovrano che le avea coniate, si vedeva spesso un globo nella
e simbolo della sua potenza. 2187. Goezia — Dalla parola greca οντεια che significa incantesimo. I pagani davano questo nom
fica incantesimo. I pagani davano questo nome ad una specie di magia, che si faceva per compiere i maleficii. I genii malef
ii. I genii malefici erano i soli evocati durante questo incantesimo, che si faceva di notte, presso i sepolcri, con gemiti
Gordiano — La tradizione mitologica spiega nel seguente modo il fatto che si rapporta a questo nodo così chiamato. Il padre
l timone per mezzo di un nodo di così intrigato e difficile magistero che non era possibile, non solo di scioglierlo, ma di
comprendere come fosse fatto. Ora un’antica tradizione Frigia diceva, che l’oracolo avea predetto che colui che avesse sapu
. Ora un’antica tradizione Frigia diceva, che l’oracolo avea predetto che colui che avesse saputo sciogliere quel nodo, avr
ntica tradizione Frigia diceva, che l’oracolo avea predetto che colui che avesse saputo sciogliere quel nodo, avrebbe avuto
o per la Frigia, ebbe vaghezza di vedere il nodo Gordiano, e persuaso che la predizione dell’oracolo lo riguardasse persona
i tentativi per scioglierlo ; ma non essendone venuto a capo, temendo che i suoi soldati non avessero da ciò tratto cattivi
ione dell’oracolo. Il cronista Arriano aggiunge, a questo proposito, che appena Alessandro ebbe tagliato il nodo ; si ritr
l suo seguito, come se avesse del tutto compiuta la predizione ; cosa che fu confermata nell’opinione generale, dalla tempe
ione ; cosa che fu confermata nell’opinione generale, dalla tempesta, che segui nella notte di quel giorno, durante la qual
ente molti sacrifizii agli dei, in ringraziamento dei segni di favore che gli avevano dato. 2189. Gordio — Padre di Mida V.
ano avvenimento. Durante la sua gioventù, egli era stato niente altro che un povero lavoratore, ricco solo d’un pajo di buo
isce il cronista Arriano, l’arte della divinazione era così naturale, che perfino le loro donne e i loro fanciulli eseguiva
dei villaggi ove dimoravano i Telmissi, s’incontrò in una giovanetta che andava ad attinger acqua ad una prossima fonte ;
ttinger acqua ad una prossima fonte ; e attratto da quella confidenza che ispira sempre un volto sereno e giovanile, Gordio
nile, Gordio le palesò il motivo del suo viaggio, e quella fanciulla, che era della schiatta degli indovini, gli rispose ch
quella fanciulla, che era della schiatta degli indovini, gli rispose che doveva sagrificare a Giove sotto l’appellazione d
ellazione di Giove re o di sovrano. Gordio pregò allora la giovanetta che volesse accompagnarsi con lui, onde insegnargli l
desiderio, e dopo qualche tempo Gordio la sposò, e ne ebbe un figlio che fu chiamato Mida. Intanto con l’andare degli anni
gravi dissensioni ; essi fecero ricorso all’oracolo, il quale rispose che la pace sarebbe ritornata nel loro paese, per mez
pose che la pace sarebbe ritornata nel loro paese, per mezzo di un re che fosse venuto ad essi su di un carro. Mentre gli a
morì all’assedio di Troja, ucciso per mano di Teucro con una freccia che avea mancato Ettore. Al colpo tutta Ei l’anima d
Forco, dio marino, e di una donna per nome Ceto, formavano la triade che insieme alle Arpie, ai Ceutauri e agli altri most
i attiene il citato scrittore, le Gorgoni non avevano fra tutte e tre che un occhio solo, ed nu sol dente, di cui si serviv
 ; ed un solo loro sguardo valeva ad uccidere un uomo. Pindaro ripete che bastava che le Gorgoni avessero fissato un uomo,
o loro sguardo valeva ad uccidere un uomo. Pindaro ripete che bastava che le Gorgoni avessero fissato un uomo, perchè quest
, perchè questo restasse all’istante pietrificato. Virgilio asserisce che Medusa era la loro regina e che quando questa fu
ante pietrificato. Virgilio asserisce che Medusa era la loro regina e che quando questa fu disfatta V. Medusa le tre sorell
Virgilio — Encide — Lib. VI. trad. di A. Caro. Il cronista Diodoro, che è uno dei più accreditati scrittori dell’antichit
odoro, che è uno dei più accreditati scrittori dell’antichità, ripete che le gorgoni abitavano la Lidia, vicino al lago Tri
ripete che le gorgoni abitavano la Lidia, vicino al lago Tritonide, e che altro non erano se non donne guerriere governate
non erano se non donne guerriere governate da Medusa, loro regina, e che fossero poi completamente distrutte da Ercole. Pe
tuta dal cronista Ateneo, secondo il quale le gorgoni non erano altro che dei terribili e mostruosi animali che uccidevano
uale le gorgoni non erano altro che dei terribili e mostruosi animali che uccidevano con lo sguardo. Il citato autore ripet
truosi animali che uccidevano con lo sguardo. Il citato autore ripete che nella Lidia, i popoli conosciuti col nome di Noma
i popoli conosciuti col nome di Nomadi, chiamavano gorgone un animale che so migliava ad una pecora ; il cui alito era così
imale che so migliava ad una pecora ; il cui alito era così velenoso, che uccideva all’istante tutti coloro che gli si avvi
il cui alito era così velenoso, che uccideva all’istante tutti coloro che gli si avvicinavano. Aveva sulla testa una massa
cronaca storico-favolosa, a cui s’attiene lo stesso Ateneo, asserisce che alcuni soldati dell’esercito di Mario, nel tempo
teneo, asserisce che alcuni soldati dell’esercito di Mario, nel tempo che le legioni romane combattevano nella guerra contr
evenne e con uno sguardo le rese tutti cadaveri. Finalmente è scritto che alcuni cavalieri Nomadi, essendosi un giorno imba
giorno imbattuti con una delle gorgoni, la uccisero da lontano senza che essa avesse potuto vederli, a colpi di freccia. N
ttori sono i pareri di molti altri autori. Infatti alcuni pretendono, che le gorgoni, lungi dall’essere degli animali mostr
, largamente fornite di tutti i doni e le prerogative della bellezza, che vale ad ammaliare con uno sguardo. L’impressione
della bellezza, che vale ad ammaliare con uno sguardo. L’impressione che produceva la loro bellezza era così istantanea, c
do. L’impressione che produceva la loro bellezza era così istantanea, che fu detto caugiassero in pietre gli uomini. Plinio
ici delle Gorgati, da cui venne loro il Lome di gorgoni ; ed aggiunge che il solo Annone, generale dei cartaginesi, fosse p
padronirsi di alcuna di esse, ma dopo molta fatica non potè prenderne che due sole, il cui corpo era tutto coperto di folti
utto coperto di foltissimi e lunghi crini. Il citato scrittore ripete che Annone per conservare memoria dello strano avveni
a distruzione di Cartagine. Il cronista Palesato, a sua volta, ripete che le Gorgoni regnarono su tre isole dell’Oceano, e
ua volta, ripete che le Gorgoni regnarono su tre isole dell’Oceano, e che alla sopraintendenza degli affari del loro govern
e che alla sopraintendenza degli affari del loro governo, non avevano che un solo ministro, di cui si servivano a vicenda.
eduta una statua di Minerva, di oro massiccio, alta quattro cubiti, e che le Gorgoni custodivano nel loro tesoro. La cronac
e Gorgoni custodivano nel loro tesoro. La cronaca mitologica aggiunge che , non avendo Medusa voluto accondiscendere alla vo
re nel nome delle tre Gorgoni, quello di altrettante navi mercantili, che facevano il traffico sulle coste dell’Africa, ove
inse all’atra foce La Gorgone feroce. Poi tornando all’orrido Teschio che avea pendenti, Di chioma invece, squallidi Vilupp
de X. trad. G. Borgin. Secondo altre moderne credenze vi sono autori che pretendono essere le Gorgoni una razza di cavalle
ro III trad. di D. Strocchi. 2194. Gorgonia o Gorgofora — Soprannome che si dava a Pallade Minerva, perchè essa portava, u
he Cortina, città dell’isola di Creta ; famosa per gli ottimi pascoli che vi si trovavano. Riferisce Omero che ivi pascevan
 ; famosa per gli ottimi pascoli che vi si trovavano. Riferisce Omero che ivi pascevano i cavalli del carro del Sole. 2196.
itologica narra a proposito di lui un bizzarro avvenimento. È scritto che un giorno ci trovasse due serpenti nella sua casa
to. È scritto che un giorno ci trovasse due serpenti nella sua casa e che sorpreso d’avere gl’inaspettati ospiti nei suoi d
gli Aruspici, onde saper il modo di regolarsi. Gli Aruspici risposero che s’egli avesse lasciato audare il maschio dei due
due serpenti, ben presto Cornelia moglie di Tiberio sarebbe morta ; e che per contrario cesserebbe egli stesso di vivere, s
eneramente la moglie sua, ed essendo già iu età molto avanzata, pensò che era meglio sacrificare la propria vita a quella d
ntitolata De Devinatione. 2197. Gradivo — Dalla parola latina gradior che significa cammino. I pagani davano questo soprann
a Marte Gradivo. V. Quirino. 2198. Grajè — Dalla parola greca γραιαι che vuol dire vecchie. Gli antichi davano questo nome
Pefredo. La tradizione mitologica, a cui si attiene Esiodo, riferisce che i capelli della Graje incanutirono nel punto stes
acquero. Il citato scrittore spiegando codesta favola allegorica dice che le Graje essendo figliuole di Glauco dio marino a
e che le Graje essendo figliuole di Glauco dio marino altro non crano che la personificazione mitologica delle onde del mar
e della ninfa Amadriade, la quale ebbe da lui sette altre figliuole, che insieme a questa Granea furono dal nome, della lo
200. Gran madre — Con l’appellazione di Magna mater indicavano Cibele che come dea dell’agricoltura, che feconda la terra,
zione di Magna mater indicavano Cibele che come dea dell’agricoltura, che feconda la terra, è madre comune di tutti gli uom
— Fra l’estesissimo numero delle divinità pagane, non ve n’era alcuna che come queste tre sorelle riunite insieme, avessero
e e di Giove e di Giunone ; ma l’opinione più generalmente adottata è che le tre Grazie fossero figliuole di Bacco e di Ven
erano per altro alcuni, come i Lacedemoni, i quali non riconoscevano che due sole Grazie chiamate Faenne e Clito ; e gli s
elle Grazie, la dea della Persuasione, volendo per tal modo indicarci che il mezzo più efficace a persuadere è quello di pi
o scrittore ; quantunque altri cronisti suoi contemporanei, attestano che le Grazie venivano dipinte interamente nude ; e q
di bassorilievi dell’antichità, nei quali, se pure ve ne ha qualcuno che ci presenta le Grazie secondo la descrizione fatt
scrizione fattaci da Paufania, pure è estesissimo il numero di quelli che ce le mostrano interamente nude. I pagani ritenev
e ed i simulacri di questi ultimi, eran vuoti nello interno, per modo che aprendosi vi si trovavano quasi sempre delle stat
ichi ammaestrarci del come non si debba prestar fede alle apparenze ; che i difetti della persona possono mitigarsi con le
i difetti della persona possono mitigarsi con le grazie dell’anima, e che un fisico ributtante allo sguardo, può nascondere
e in loro onore un tempio, e a stabilire un culto particolare, per il che fu detto ch’egli fosse loro padre. Secondo riferi
sse, re di Creta, per offerire un sacrifizio alle Grazie, nel momento che s’accingeva a dar principio alla sacra cerimonia,
suo amatissimo figliuolo. Alla dolorosa notizia il re gettò la corona che , secondo l’uso di tali cerimonie, gli ornava la f
di tali cerimonie, gli ornava la fronte e ordinò tacessero i suoni di che era costume accompagnare le offerte alla divinità
eniva pure di quelli dedicati a Mercurio, volendo con ciò significare che lo stesso dio dell’eloquenza, avea bisogno dell’a
quali dovevano avere stretta correlazione con le Grazie, come quelle che presiedevano alle arti che ingentiliscono lo spir
ta correlazione con le Grazie, come quelle che presiedevano alle arti che ingentiliscono lo spirito. A cui d’arcanto la ma
lla delle Grazie amiche Dive senza il cui nume opra e favella Nulla è che piaccia, e nulla cosa è bella. Monti — La Musogo
e tre Grazie. Nè a ciò solo si limitava la superstiziosa venerazione, che i pagani avevano per queste tre divinità ; impero
r tributo d’omaggi e di generale considerazione, credevano fermamente che le tre Grazie fossero le dispensatrici dell’alleg
uenza e perfino della gratitudine e della riconoscenza. Gli Ateniesi, che erano il popolo più incivilito di tutta la Grecia
atto, innalzarono un altare consacrandolo a quella fra le tre Grazie, che presiedeva alla riconoscenza. Finalmente, secondo
un piccolo gruppo rappresentante le tre Grazie, e ciò per significare che se con la sinistra feriva, con la destra arrecava
zie si ritenevano le dispensatrici. 2202. Grazione. — Uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. 2203. Grifone. — Uno
calata al cielo. 2203. Grifone. — Uno dei tanti mostruosi animali, di che la mitologia fa del continuo menzione. Secondo la
ittori dell’antichità, fra cui Eliano, Solino ed Erodoto, han creduto che simili mostri esistessero davvero nel regno anima
han creduto che simili mostri esistessero davvero nel regno animale e che nel paese degli Arimaspi vi era una miniera di or
erni, non facendo alcuno di essi menzione di questi favolosi animali, che non hanno avuto vita che nell’immaginazione dei p
di essi menzione di questi favolosi animali, che non hanno avuto vita che nell’immaginazione dei poeti. Il Grifone mitologi
se con le quali si distinguevano i Grifoni, alludevano all’attenzione che si deve avere ai propri doveri. La forma di leone
dell’esistenza dei Grifoni nelle credenze pagane ; imperocchè vediamo che il Grifone si trova come uno degli attributi di A
zavano intorno all’altare di Apollo, nel giorno delle Delie. Si vuole che gl’intricati giri che le danzatrici eseguivano gu
are di Apollo, nel giorno delle Delie. Si vuole che gl’intricati giri che le danzatrici eseguivano guivano ballando, figura
ccise il mostro. 2207. Guadaletta. — Così avea nome un piccolo fiume, che metteva foce nel golfo di Cadice e del quale i pa
— V. Fiumi dell’Inferno. 2208. Gufo. — Uccello dei cattivi presagi, e che , come simbolo della vigilanza, era consacrato a M
lio — Eneide — Libro IV trad. di A. Caro. 2209. Grundili. — Divinità che i romani ponevano nel numero dei loro Penati. Si
— Divinità che i romani ponevano nel numero dei loro Penati. Si vuole che Romolo li avesse istituiti in occasione del parto
che Romolo li avesse istituiti in occasione del parto di una scrofa, che dette alla luce trenta porcellini. H 2210.
ilonesi davano questa appellazione alla loro più alta dea : la stessa che i greci chiamano Giunone. 2211. Hafedà. — I popol
ndatori della loro religione. Un’antica tradizione del paese, diceva, che il profeta Ud avesse fatto abbandonare, coll’anda
e, coll’andare degli anni, il culto di questo dio dagli stessi popoli che l’avevano collocato nel numero delle loro divinit
dio incarnato. Hakem era presso quei popoli l’identica idea di quello che è il Gesù Cristo dei cristiani : vale a dire la p
sù Cristo dei cristiani : vale a dire la più alta intelligenza umana, che si offre ostia espiatrice, per la redenzione univ
pio non solo divise, ma nemiche fra loro ; e non si riunirono insieme che per combattere Brahma. Gl’indiani rappresentavano
ra presso i Parsi uno dei loro cinque dei Gahi, e propriamente quello che presiedeva alla prima parte del giorno, vale a di
um. 2217. Heja. — Presso i Samojedi si dava questo nome alla divinità che rappresentava il dio supremo : era lo stesso che
o nome alla divinità che rappresentava il dio supremo : era lo stesso che il Giove dei greci e dei romani. 2218. Hell. — Id
ve del flume Fromo, nella contea di Dorset. Sono ben pochi gli autori che ne han fatta menzione. 2219. Heriafadur. — Fu da
l tempo, e probabilmente dopo la morte di lui, il nome di Heriafadur, che significa padre della guerra, fu una delle più ce
uale nelle credenze religiose di quei popoli, rappresentava lo stesso che il dio Marte presso i greci. 2220. Higolajo. — De
i gl’isolani dell’arcipelago. Un’antica tradizione locale assicurava, che gli dei stessi servivano dopo la morte gli uomini
rava, che gli dei stessi servivano dopo la morte gli uomini virtuosi, che Higolajo ammetteva nel soggiorno dei beati. 2221.
ne, figlia di Odur e di Freja, dea dell’Amore. La tradizione aggiunge che Hnossa fosse più bella della stessa madre, e che
tradizione aggiunge che Hnossa fosse più bella della stessa madre, e che aveva in sè tanto splendore e tanta bellezza, che
lla stessa madre, e che aveva in sè tanto splendore e tanta bellezza, che dal nome di lei furono detti Hossir o Hnosser i g
hiama Baal, e da ciò gli arabi danno il nome di Hobal, ad un loro dio che raffigurava il Sole. Il simulacro di Hobal era un
io venerando, dalla lunga barba d’argento. Le cronache arabe ripetono che essendosi una volta infranta la mano destra di qu
metallo, ed a cui dettero il nome di frecce della sorte. È probabile che queste sette frecce raffigurassero simbolicamente
con un culto particolare, forse in ringraziamento dei molti vantaggi che quest’animale recava loro. Infatti nel tempo dell
i di cavallette e di bruchi, nonchè un gran numero di serpenti alati, che gli ibi distruggevano interamente. I naturalisti
ti, che gli ibi distruggevano interamente. I naturalisti asseriscono, che quando un ibi viene trasportato in altro paese, s
da una inguaribile nostalgia. Il cronista Eliano a sua volta ripete, che quest’animale, quando mette la testa sotto le ali
si trova ripetuta una singolare credenza su questo volatile. Si vuole che l’ibi avesse per il primo fatto nascere l’idea di
virsi dei cristieri come rimedio medicinale ; imperocchè fu osservato che da sè stesso si appresta un tal rimedio, a cui si
imonie ibristiche, furono istituite in onore di quelle valorose donne che , senza aiuto degli uomini, presero le armi e resp
rno della luna, alcune feste così chiamate, perchè si credeva appunto che in un novilunio fosse nato Epicuro. Nella celebra
e aveva già avuto numerose richieste, ond’egli per evitare le contese che sarebbero certamente surte fra i molti pretendent
olti pretendenti, bandì in Sparta solenni e pubblici giuochi, dicendo che il vincitore avrebbe riportato in premio la mano
remio ed ebbe infatti in moglie la bellissima giovanetta. Icario pero che amava teneramente la figlia sua, fece di tutto pe
a col marito salì sul carro, Icario segui correndo i veloci corsieri, che gli rapivano il suo tesoro, per modo che Ulisse,
correndo i veloci corsieri, che gli rapivano il suo tesoro, per modo che Ulisse, stanco della tenace importunità del vecch
tenace importunità del vecchio, arrestò i cavalli e disse alla moglie che non reggendogli più oltre il core di vedere così
andar col marito ; e in memoria di questo fatto, e del casto rossore che avea veduto sul volto della figlia adorata, dedic
uto sul volto della figlia adorata, dedicò alla pudicizia una statua, che poi fece mettere nello stesso luogo, ove Penelope
me al padre suo, colla fuga dalle persecuzioni di Minos, re di Creta, che li teneva rinchiusi nella sua isola. Riferisce Di
ella sua isola. Riferisce Diodoro, nelle sue cronache sull’antichità, che i due fuggitivi, giunti ad una remota spiaggia lo
ma dall’isola inospitale, prendessero terra con tanta precipitazione, che Icaro ricadde nell’acqua e si annegò ; e che da q
on tanta precipitazione, che Icaro ricadde nell’acqua e si annegò ; e che da quell’epoca, tanto quel tratto di mare, quanto
ro. Diversa, per altro, sebbene informata su questa base, è la favola che i poeti e i cronisti della mitologia, foggiarono
ta da Diodoro. Infatti, presso tutti i poeti dell’antichità, si vuole che Dedalo, famoso operajo fabbricasse per sè e pel f
delle ali, le cui penne erano unite fra loro per mezzo della cera, e che con queste ali intraprendesse la fuga dall’isola
nè basso, ma a spingere il suo volo nè troppo vivino al sole, temendo che gl’infocati raggi di quello non avessero liquefat
rano assicurate le ali ; ovvero nè troppo accosto alla terra, temendo che la esalazione dei miasmi non avesse prodotto l’is
che la esalazione dei miasmi non avesse prodotto l’istesso effetto ; che nella sua posizione sarebbe tornato funesto allo
inesperta, Icaro spinse l’audace suo volo troppo oltre le nubi, così che i raggi del sole, saettando caldi ed infuocati le
ati le spalle del temerario giovanetto, liquefecero la cera per modo, che mancato ad un tratto l’appoggio che lo manteneva
to, liquefecero la cera per modo, che mancato ad un tratto l’appoggio che lo manteneva in equilibrio nel vuoto, egli precip
uali appena ebbero fatto il vino ne bevettero in così larga quantità, che esaltati dai fumi dell’ubbriachezza, credendosi a
ne se non quando furono morti un dopo l’altro, gli uccisori d’Icaro ; che fu dopo la morte posto nella cosiellazione di Boo
erisce Ovidio, ch’egli aveva il potere di cangiarsi in tutte le forme che voleva assume re alle quali somigliava con una pe
come uomo V. Fobetore, Morfeo. 2231. Icnea. — Con questo soprannome, che deriva dalla parola greca ιϰνοω che significa ves
. Icnea. — Con questo soprannome, che deriva dalla parola greca ιϰνοω che significa vestiglo, i pagani indicavano talvolta
La parola Icnea nella lingua degli antichi racchiudeva il significato che cammina sulle vestigia altrui ; e si dava dai pag
i ; e si dava dai pagani a queste due divinità ritenendosi fermamente che esse seguitassero le tracce dei rei senza mai abb
di grosso sorcio, il quale ha l’istinto di distruggere i coccodrilli che infesterebbero le rive del Nilo senza di lui. Scr
nfesterebbero le rive del Nilo senza di lui. Scrive il citato autore, che l’Icneumone, dopo essersi avvoltolato nel fango p
o a Lucina ed a Latona. 2233. Icziomanzia. — Dalla parola greca ιχὀνς che significa pesce. Veniva così denominata una speci
che significa pesce. Veniva così denominata una specie di divinazione che si faceva consultando le viscere dei pesci. Si vu
divinazione che si faceva consultando le viscere dei pesci. Si vuole che Polidamante e Tiresia si servissero di questo inc
to incantesimo nei loro indovinamenti. 2234. Ida. — Celebre montagna che sorgeva nel mezzo dell’isola di Creta, e che veni
Ida. — Celebre montagna che sorgeva nel mezzo dell’isola di Creta, e che veniva chiamata anche monte Giove perchè la tradi
iva chiamata anche monte Giove perchè la tradizione mitologica ripete che Giove vi nascesse e vi fosse allevato. Anche Enea
di V. Monti. Un’antica cronaca dice anche a proposito del monte Ida, che essendo una volta caduto del fuoco dal cielo, poc
o di Deucalione, i Dattili, abitatori di quella montagna, osservarono che il ferro essendosi fuso pel calore del fuoco, sco
peraltro oppugnata da Diodoro, il quale asserisce nelle sue cronache, che fu la madre degli dei, quella che insegnò agli uo
quale asserisce nelle sue cronache, che fu la madre degli dei, quella che insegnò agli uomini un così utile ritrovato. Ida
ità, nel mezzo di questa montagna era scavato un antro ove, si vuole, che Paride avesse pronunciato il suo famoso giudizio.
e anche parte alla caccia del cinghiale di Calidone. Riferisce Omero, che Ida aveva tanto coraggio che avendogli Apollo der
cinghiale di Calidone. Riferisce Omero, che Ida aveva tanto coraggio che avendogli Apollo derubata la moglie, che fu la be
che Ida aveva tanto coraggio che avendogli Apollo derubata la moglie, che fu la bellissima Marpesa, figlia di Venere, Ida o
o Che tra’guerrieri de’ suoi tempi il grido Di fortissimo avea, tanto che contra Lo stesso Apollo per la tolta ninfa Ardi l
consacrata a Venere. La tradizione a cui si attiene Virgilio, ripete che vicino alla città di Idalia, sorgeva un bosco sac
sorgeva un bosco sacro visitato assai di sovente da Venere stessa ; e che anzi fu colà che ella trasportò durante il sonno
sacro visitato assai di sovente da Venere stessa ; e che anzi fu colà che ella trasportò durante il sonno il giovanetto Asc
mbra il pose Virgilio — Eneide — Libro I. trad. di A. Caro : mentre che Cupido, sotto le sembianze di Ascanio stesso, era
sovente, chiamandola Jdea Magna Maler. Dionigi di Alicarnasso ripete che ogni anno, si celebrava una festa in onore della
Palatina. È opinione assai ripetuta fra gli scrittori dell’antichità, che il nome d’Idea si dava più particolarmente ad una
ità protettrice e madre delle arti. 2237. Idei. — Riferisce Strabone, che si dava il soprannome di Dattili Idei, ai primi a
re al giorno 13 e 15 d’ogni mese. Nelle loro credenze essi ritenevano che il dio Mercurio fosse nato negli Idi di maggio, e
o dedicati a Diana e quei giorni venivano ritenuti come festivi tanto che gli schiavi non lavoravano. Per contrario gli idi
della città di Argo, il quale, secondo la tradizione, avea preveduto che , seguendo Giasone nella famosa spedizione degli A
2. Idomeneo. — Figlio di Deucalione e nipote di Minosse secondo. Egli che era re di Creta condusse all’assedio di Troja un’
inente, Idomeneo fe voto a Nettuno, di sacrificargli la prima persona che gli si presenterebbe allo sguardo, nel metter pie
pentirsi atrocemente del voto disumano ; imperocchè la prima persona che gli si parò innanzi fu il proprio figliuolo, l’un
io del mare. Fra gli autori antichi ve ne ha molti i quali pretendono che il sacrificio fosse consumato ; e questa opinione
ure di Telemaco. Vi sono per altro alcuni autori, i quali asseriscono che il popolo di Creta impedisse con la forza delle a
asseriscono che il popolo di Creta impedisse con la forza delle armi che il padre dispietato compisse il suo voto, e lo sc
verarsi sulle spiagge della grande Esperia, ove la tradizione ripete, che il profugo re avesse fondata la città di Salento,
’opinione del cronista Diodoro, il quale asserisce nelle sue cronache che Idomeneo, caduta Troja, ritornò felicemente nei s
La tradizione mitologica, a cui s’attiene il cennato scrittore, dice che l’Idra avea sette teste le quali avevano la spave
il fuoco sulla ferita. Il veleno di questo mostro era così terribile, che una sola goccia di esso, applicato su di una part
e del corpo, cagionava istantaneamente la morte. Le cronache ripetono che l’Idra fece, per più tempo orrende stragi di uomi
ele amico Iolao, il quale gli servi da cocchiere. La favola aggiunge, che quando l’eroe greco attaccò l’Idra, un enorme can
colpo di clava, e uccise l’Idra. La generalità degli autori ripete, che Ercole bagnasse le sue famose frecce, nel sangue
endere inguaribili le ferite di esse, mediante il terribile veleno di che erano asperse. V. Filottete. 2245. Idria. — Gli e
esto nome ad una specie di grande anfora, forata da tutte le parti, e che presso di loro raffigurava il dio dell’acqua. Al
ale cerimonia il culto egiziano rendeva grazia agli dei, pei vantaggi che l’acqua reca agli uomini e l’adoravano come il pr
a reca agli uomini e l’adoravano come il principio di tutte le cose e che dà vita e movimento a tutto ciò che respira. 2246
e il principio di tutte le cose e che dà vita e movimento a tutto ciò che respira. 2246. Idroforie. — Funebri cerimonie cel
imonie celebrate dagli egineti e dagli ateniesi, in memoria di quelli che erano morti nel diluvio di Deucalione. 2247. Idro
elle quattro specie generali d’incantesimi, in uso presso i pa gani e che si faceva con l’acqua. L’idromanzia veniva comune
ia veniva comunemente praticata in due modi : o invocando gli spiriti che si supponeva si vedessero in fondo alla conca all
e nel mezzo di essa un filo, a cui era attaccato un anello, e facendo che questo anello battesse, oscillando, nelle pareti
areti della conca. La prima maniera fu quella, secondo la tradizione, che adopero sempre Numa Pompilio. La seconda era in g
io. La seconda era in grande estimazione presso i greci, ed è scritto che Pitagora stesso, se ne servì per tutta la vita. 2
la vita. 2248. Idullo. — Così si chiamava la vittima del sacrificio, che si offeriva a Giove negli idi d’ogni mese. 2249.
ove negli idi d’ogni mese. 2249. Ifi. — Padre di Eteoclo e di Evadne, che fu moglie del famoso Capaneo. Allorquando Evadne
uando Evadne fuggì segretamente onde andare a morire sul rogo stesso, che dovea divorare il corpo del suo diletto consorte,
della diletta figliuola. V. Evadne. Ifi ebbe pure nome una giovanetta che fu amato da Anassarete. Ifi finalmente era il nom
di una schiava giovanetta rinomata per l’eleganza delle sue forme, e che divise una notte il letto di Patroclo, quando que
ola di Gefte. Ciò, secondo riferisce Fozio, ha potuto lasciar credere che i greci dal sagrifizio della figlia di Iefte, di
ofocle, fu una delle quattro figliuole di Agamennone ; e Omero ripete che Ifianassa, avesse nome quella principessa, che Ag
nnone ; e Omero ripete che Ifianassa, avesse nome quella principessa, che Agamennone mandò ad offerire in isposa ad Achille
chiamato Melampo, per questo singolare avvenimento. Narra la cronaca, che Ifianassa in compagnia delle sue sorelle, Ifinoe
e, ove ben lontane dal rimanere con quel devoto e castigato contegno, che imponeva la divina maestà del luogo ; avessero mo
ta contro le incaute giovanette, turbò loro siffattamente la ragione, che credendosi cangiate in vacche, si dettero a corre
in tutti i suoi stati ; promettendo la mano di una di esse, all’uomo che le avesse guarite. Un famoso medico per nome Mela
uarite. Un famoso medico per nome Melampo, a cui la tradizione ripete che Apollo istesso avea conceduto il dono di predir l
; onde sapere da lui il mezzo di aver prole. Melampo gli disse allora che avesse conficcato un largo coltello in un albero
in un albero consacrato a Giove e ve lo avesse lasciato irruginire, e che dopo qualche tempo avesse stemperato quella ruggi
e di varii figliuoli, fra cui il più celebre fu il famoso Protesilao, che fu il primo dei greci guerrieri, caduto combatten
rgonauti, e come vincitore al premio della corsa nei giuochi funebri, che Giasone fece celebrare in onore di Pelia. Ificlo
celebrare in onore di Pelia. Ificlo ebbe anche nome uno dei guerrieri che presero parte alla prima spedizione di Ercole, co
erali ritenendolo come un eroe. Le cronache dell’antichità aggiungono che questo Ificlo ebbe un figliuolo per nome Iolao ch
tichità aggiungono che questo Ificlo ebbe un figliuolo per nome Iolao che fu uno dei più fedeli amici di Ercole. V. Idra di
Idra di Lerna. Ificlo similmente avea nome un altro fra gli Argonauti che fu figlio di Testio, e fratello di Altea. Ificlo
ica alla quale si attiene Apollodoro, nelle sue cronache pagane, dice che questi due fanciulli nacquero di 10 mesi e fosser
ca alla quale si attiene Ovidio stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete che ella era nata femmina e che al momento di contrar
dio stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete che ella era nata femmina e che al momento di contrar matrimonio cangiasse di ses
onio cangiasse di sesso divenendo uomo. Il citato scrittore riferisce che nella città di Festo viveva un uomo poverissimo p
poterla allevare. Sgomentata la povera madre pregò caldamente gli dei che le avessero mandato un figliuolo maschio ; ma il
uggerì a Feletusa una pietosa astuzia, ed ella fece credere al marito che si fosse sgravata d’un maschio. La cosa rimase pe
La cosa rimase per lungo tempo nascosta, perchè forse per un miracolo che gli dei vollero operare in favore di Feletusa, la
pregato, nel far ritorno presso il marito, la buona madre si accorse che Ifide camminava più spedito ; che il colorito del
l marito, la buona madre si accorse che Ifide camminava più spedito ; che il colorito del suo volto, lasciando quella tinta
a propria della donna, acquistava un tono più bruno e maschile ; vide che le si accorciarono i capelli ; e finalmente si co
le ; vide che le si accorciarono i capelli ; e finalmente si convinse che Ifide aveva completamente acquistata la natura ma
cquistata la natura maschile. Dalle guance fugge La candidezza, e un che più forte appare : E il volto istesso più severo
più severo è fatto ; E la chioma più ruvida e più breve. Più di vigor che a femmina s’addica In te si manifesta, e giovanet
r che a femmina s’addica In te si manifesta, e giovanetto Già sel tu, che pur ora eri donzella. Ovidio — Metamorf. — Libro
una pietra la seguente iscrizione : Ifide giovanetto scioglie i voti che avea fatto fanciulla. Nel giorno seguente furono
nia. — Moltiplici e diverse sono le opinioni, i pareri, e le credenze che gli autori così antichi come moderni ci hanno tra
Plutarco, Pausania e molti altri scrittori dell’antichità, pretendono che Ifigenia fu figlia di Elena e di Teseo, e che qua
l’antichità, pretendono che Ifigenia fu figlia di Elena e di Teseo, e che quando la madre di lei fu tolta al suo primo rapi
o rapitore, avesse nella città di Argo, dato i natali ed una bambina, che fu appunto questa Ifigenia ; e che Clitennestra s
rgo, dato i natali ed una bambina, che fu appunto questa Ifigenia ; e che Clitennestra sorella di Elena, onde salvare l’ono
cosa non vide mai di buon occhio la principessa Ifigenia, e si vuole che cogliesse con piacere l’occasione di liberarsene,
ua figlia. In varie cronache dell’antichità si trova perfino ripetuto che il famoso oracolo di Aulide, che richiedeva il cr
’antichità si trova perfino ripetuto che il famoso oracolo di Aulide, che richiedeva il cruento sacrificio, fosse dato di c
. É questa almeno l’opinione seguita dal Racine, nella sua Iphigénie, che è una delle più belle tragedie del teatro tragico
interminabile bonaccia, i capitani greci, e segnatamente Agamennone, che aveva il comando supremo pensarono di ricorrere a
piutesi dall’ indovino Calcante le solite cerimonie e gl’incantesimi, che si credevano indispensabili a conoscere la volont
evano indispensabili a conoscere la volontà dei celesti, egli rispose che le navi greche avrebbero novellamente avuto favor
indovino, i greci si sarebbero un giorno impadroniti di quella città, che già tanto sangue costava alla Grecia. Ifigenia,…
ottrarre Ifigenia, all’ affettuosa vigilanza materna di Clitennestra, che seco in Argo la teneva carissima. Per raggiungere
e la presenta da principio atterrita alla vista del terribile destino che le era preparato ; implorar grazia dal padre, e p
o tempo, e convinta in certo modo dalle ragioni di patria e di gloria che Agamennone le pose sott’occhio finì ella stessa p
eroicamente il sacrifizio della propria figlia ; respinse il soccorso che Achille era pronto a portarle ; preparò ella stes
, svenata e palpitante, una cerva bianchissima, di una rara bellezza, che Diana stessa ha sostituito alla giovane principes
ne persuade alla regina e a tutti i testimoni del fatto maraviglioso, che Ifigenia fosse stata trasportata nel cielo, e pos
e tutto il campo acclama, Riguardando il divino inopinato Spettacolo, che fede anco veduto Non otteneva. Palpitante al suol
ferentemente dalla tradizione mitologica seguita dal tragico greco, e che noi abbiamo di sopra esposta, è opinione di altri
e di altri non meno accreditati scrittori e cronisti dell’ antichità, che Ifigenia fosse cangiata in una giovenca ; secondo
lmente secondo altri in un’orsa. Il cronista Lucrezio pretende invece che Ifigenia fosse stata realmente svenata, e che l’i
ucrezio pretende invece che Ifigenia fosse stata realmente svenata, e che l’innocente sangue di lei avesse bagnato le are d
religiosa dei soldati. L’opinione però più generalmente adottata si è che minacciato Agamennone dello sdegno celeste avesse
te avesse risoluto di sacrificare la figlia onde placare gli dei ; ma che i soldati greci si fossero opposti vivamente al d
e i soldati greci si fossero opposti vivamente al disumano disegno, e che allora l’indovino Calcante temendo una sollevazio
lcante temendo una sollevazione nel campo greco, avesse fatto credere che Diana, placata dalla sommessione del padre e dell
ssa. Il cronista Candiotto, combatte quest’ultima opinione, asserendo che Agamennone non volle accondiscere a questo sugger
amennone non volle accondiscere a questo suggerimento di Calcante ; e che allora Ulisse fosse segretamente partito dal camp
, atterrito da alcuni presagi, e spaventato dalle minacce di Achille, che aveva scoperto il raggiro, non avesse rimandata I
perto il raggiro, non avesse rimandata Ifigenia in Tauride, ordinando che in sua vece si fosse sacrificato, sull’altare del
fra i tragici greci. Il soggetto di quest’altra tragedia altro non è che la continuazione ed il compimento dell’idea infor
er doveri della sua carica l’era imposto d’iniziare le vittime umane, che doveano sacrificarsi alla divinità del luogo, e d
a Apollo di recarsi in Tauride, levare dal tempio la statua di Diana, che si credeva discesa dal cielo, e trasportarla in A
cielo, e trasportarla in Attica. Una barbara usanza voleva, intanto, che si svenassero sull’ara della dea Diana tutti i fo
ntanto, che si svenassero sull’ara della dea Diana tutti i forestieri che approdavano in Tauride ; per modo che Oreste e Pi
la dea Diana tutti i forestieri che approdavano in Tauride ; per modo che Oreste e Pilade furono entrambi presi e trascinat
el tempio, per esservi sacrificati ; allorchè Ifigenia, avendo inteso che quegli stranieri erano di Argo, propose loro di s
Toante, re della Tauride, e col pretesto di una cerimonia espiatoria, che dovea farsi sulle rive del mare, s’imbarca, con O
tuno s’innammorò perdutamente di lei, e la rese madre di due giganti, che dal nome del loro supposto padre, furono detti Al
Traci ed Ifimedia da uno dei favoriti. 2255. Ifito. — Re dell’Elide, che si rese celebre nei fasti del paganesimo, per ave
in vigore la celebrazione dei giuochi Olimpici. La tradizione ripete che ai tempi d’Ifito, la Grecia, lacerata da intestin
r cessare tante sciagure. La Pitia sacerdotessa dell’oracolo, rispose che , ripristinamento dei giuochi Olimpici avrebbe fat
mpo in mezzo ordinò un sacrifizio ad Ercole, onde placare questo dio, che i suoi popoli credevano loro nemico, e appena tor
tro nella destra e avendo attoreigliato al braccio un grosso serpente che ripiegandosele sul seno sporge la testa per bere
chi pagani, di dedicare alla dea Igiea una sua statua, tutte le volte che risanavano da una malattia. Si trova in varie cro
e le volte che risanavano da una malattia. Si trova in varie cronache che il nome di Igiea si dava sovente a Minevra, la qu
zione. Anche i romani adoravano Igiea come dea della salute, credendo che da essa dipendesse la salute dell’impero. 2258. I
8. Ila. — Figlio di Tiodamante, re della Misia, e compagno di Ercole, che seguì in Colchide. La tradizione narra, a proposi
oposito di questo giovane principe un luttuoso avvenimento, ripetendo che giunti gli Argonauti sulle spiagge della Troade m
ato divorato da qualche belva. La cronaca della favola ripete invece, che le ninfe del luogo, innamorate della stupenda bel
stupenda bellezza del giovine Ila lo avessero rapito. Ercole intanto che lo aveva carissimo, discese sulla spiaggia per ri
utori moderni italiani e stranieri, fra cui il Clerc sono di opinione che la parola Hila significhi legno, e che Ercole dis
cui il Clerc sono di opinione che la parola Hila significhi legno, e che Ercole discendesse dalla nave insieme a Telamone,
monte Ida, onde fabbricare un vascello per la spedizione di Troja ; e che il rumore prodotto dai rami tagliati, ripetuto ce
giovanette si son rese celebri nei fasti del paganesimo per il ratto che Castore e Polluce fecero di esse, nel momento ist
er il ratto che Castore e Polluce fecero di esse, nel momento istesso che stavano per dare la loro fede di spose, a Linceo
eo ed Ida, cugini germani dei due divini gemelli. Narra la tradizione che Linceo ed Ida ricorsero alle armi, per vendicare
va il nome di Ilarie, forse alludendo alle molte allegrezze di coloro che vi prendevano parte. Ognuno recava con sè quanto
à. — V. Allegrezza. 2263. Iliade. — Il nome di questo classico poema, che è la più stupenda creazione epica della immortale
a più stupenda creazione epica della immortale intelligenza di Omero, che l’Alighieri stesso chiamò il poeta sovrano, viene
l’Odissea, sono la fonte da cui scaturisco tutti i simboli allegorici che formano il sostrato e la vita dell’antica mitolog
inestore volendo far morire il figliuolo di suo suocero, dette ordine che si uccidesse il fanciullo, e senza aver coscienza
un vendicatore. 2266. Ilissidi. — Dette anche Ilissiadi : soprannome che i pagani davano alle muse e che loro veniva dal f
 — Dette anche Ilissiadi : soprannome che i pagani davano alle muse e che loro veniva dal flume Ilisso nell’Attica, le cui
izia. — Sorella di Ebe e figlia della dea Giunone. I pagani credevano che Ilizia, a somiglianza di sua madre, presiedesse a
sì di liberarsi più presto. Le cronache dell’antichità ci ammaestrano che il re Servio Tullio, avesse stabilito in Roma che
hità ci ammaestrano che il re Servio Tullio, avesse stabilito in Roma che si dovesse portare nel tempio consacrato alla dea
a, una moneta, alla nascita ed alla morte di ogni persona, e ripetono che il saggio re avesse promulgata codesta legge, per
dei cittadini romani. 2268. Ilo. — I cronisti della mitologia dicono, che Ascanio figliuolo di Enea, si chiamasse con quest
i Enea, si chiamasse con questo primitivo nome durante tutto il tempo che la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e che n
urante tutto il tempo che la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e che non fu che dopo la caduta di questa che egli si c
o il tempo che la cittadella d’Ilione, stette in piedi ; e che non fu che dopo la caduta di questa che egli si chiamasse Iu
d’Ilione, stette in piedi ; e che non fu che dopo la caduta di questa che egli si chiamasse Iulio e secondo altri Ascanio.
mente un figliuolo di Ercole e della bella Dejanira. Durante il tempo che Ercole trascorse a compiere le sue 12 famose impr
i figliuolo alla custodia di Ceice, re di Trachina. Narra la cronaca che trascorso più d’un anno senza che Ercole avesse f
e, re di Trachina. Narra la cronaca che trascorso più d’un anno senza che Ercole avesse fatto ritorno, Dejanira, inquieta s
mpio a Giove ; ma sventuratamente giunse presso di lui nel momento in che il fatale dono della camicia di Nesso. V. Dejanir
o. V. Dejanira, Ercole, Nesso — aveva sconvolta la ragione dell’eroe, che riconoscendo il figliuolo lo incaricò di portare
ole, accolse benignamente il figlio di lui, riconoscente al beneficio che avea ricevuto dal morto eroe. Ma l’irreconciliabi
personalmente contro chiunque si fosse presentato, a condizione però che s’egli restava vincitore, Atreo, re dei Pelopidi,
era vinto, gli Eraclidi non avrebbero potuto entrare nel Peloponneso che dopo un periodo di cento anni. Nel combattimento
fu ucciso e gli Eraclidi perciò non poterono entrare nel Peloponneso che dopo il tempo stabilito. 2269. Imbrasia. — Sopran
che dopo il tempo stabilito. 2269. Imbrasia. — Soprannome di Giunone, che a lei veniva da un flume chiamato Imbraso, che sc
Soprannome di Giunone, che a lei veniva da un flume chiamato Imbraso, che scorreva nell’isola di Samo. I sacerdoti della de
ell’anno andavano a lavare la statua di lei nelle acque di quel flume che perciò erano ritenute come sacre. 2270. Imene. — 
ntire qualche volta il suono della sua voce adorata. Avvenne intanto, che nella città di Atene si cominciavano a fare i pre
di Atene si cominciavano a fare i preparativi per le feste di Cerere, che con gran pompa si celebravano una volta l’anno su
a quelle feste intervenivano tutte le dame ateniesi, così Imene seppe che anche la diletta del suo cuore si sarebbe recata
postosi alla testa delle più coraggiose fra le rapite, uccise quelli che dormivano e si dette con le sue poche seguaci a c
vincitore e in premio dell’eroico coraggio sposò la nobile giovanetta che formava tutto il suo amore. Gli ateniesi in comme
chiamate Imenee. Da ciò emerge il simbolo di Imeneo dio delle nozze, che alcuni autori fanno figliuolo di Bacco e di Vener
’antichità ci han trasmesso un doloroso ricordo. Ripete la tradizione che essendosi Imero tirato addosso l’ira di Venere, l
o tirato addosso l’ira di Venere, la dea per vendicarsi fece in modo, che una sera egli senza conoscere la propria sorella
eguente venuto a conoscenza dell’incesto commesso n’ebbe tanto dolore che disperato si gittò nel fiume Maratona ove si anne
gò ; e da quel giorno il fiume fu detto Imero. Plutarco il geografo, che riferisce lo stesso fatto, aggiunge che appena Im
Imero. Plutarco il geografo, che riferisce lo stesso fatto, aggiunge che appena Imero si fu anneganelle acque del fiume ch
so fatto, aggiunge che appena Imero si fu anneganelle acque del fiume che poi prese il suo nome, uscisse dalle onde una pie
ue del fiume che poi prese il suo nome, uscisse dalle onde una pietra che aveva la forma di un elmo che gli antichi chiamar
suo nome, uscisse dalle onde una pietra che aveva la forma di un elmo che gli antichi chiamarono Trafitide ; e che questa p
he aveva la forma di un elmo che gli antichi chiamarono Trafitide ; e che questa pietra aveva la strana facoltà di saltare
la strana facoltà di saltare da sè sola, sulla sponda tutte le volte che gli echi circostanti ripetevano lo squillo di una
tanti ripetevano lo squillo di una tromba. Altre opinioni asseriscono che il fiume Imero cangiasse nuovamente il suo nome i
ngiuntura V. Eurota. Imero era anche il nome di un dio dei desiderii, che i pagani ponevano insieme ad Ero e a Poto, numi c
io dei desiderii, che i pagani ponevano insieme ad Ero e a Poto, numi che raffiguravano i desiderii dell’amore, e che tutti
eme ad Ero e a Poto, numi che raffiguravano i desiderii dell’amore, e che tutti e tre venivano simboleggiati sotto la figur
Giove aveva un tempio a lui consacrato, perchè la tradizione asseriva che le api di quella montagna avevan cibato Giove bam
api di quella montagna avevan cibato Giove bambino del loro miele ; e che in ricompensa di ciò, il padre degli dei avea con
l quale aveva nel Campidoglio una statua chiamata Jupiter-imperator e che secondo la cronaca, Tito Quinzio Flamminio portò
ni. — In latino dirœ. Era questa la denominazione di alcune divinità, che presso i pagani eran ritenute come le vendicatric
menidi nell’inferno. La credenza religiosa dei romani non riconosceva che due sole Dirœ ; mentre i greci ne ammettevano tre
, stassi il regicida occulto, Io sovra me, sovra me stesso invoco Ciò che agli altri imprecal. Sofocle — Edipo Re — Traged
e aveano consacrato un altare ed un uccello, propriamente la pernice, che nòn sappiamo per quale ragione era ritenuto press
di : fu figliuolo dell’Oceano. Pausania riferisce a proposito di lui, che avendo fatto scavare un nuovo letto al fiume Anfi
del mar Tirreno conosciuta oggi sotto il nome d’Ischia. Virgilio dice che sotto le rupi di quell’isola giace fulminato da G
fulminato da Giove il gigante Tifeo. 2278. Incubi. — Specie di Genii che i pagani classificavano fra i loro dei rustici. I
chiamavano Ifialti ; e i latini Incubi da incubare, perchè ritenevano che questi genii dividessero la notte il letto delle
idessero la notte il letto delle donne. 2279. Indicanie. — Soprannome che si dava ad Ercole, secondo Cicerone, dal fatto se
pesantissima di grande valore, la quale un bel giorno fu rubata serza che si potesse scoprire l’autore del furto. Narra la
ta serza che si potesse scoprire l’autore del furto. Narra la cronaca che il poeta Sofocle, ebbe in sogno una visione nella
visione nella quale gli apparve Ercole stesso e gli mostrò la persona che avea consumato il furto. Il poeta tacque per allo
ibunale dell’Areopago, e svelò il sogno ; e avendo i giudici ordinato che il reo fosse posto alla tortura, questi confessò
e posto alla tortura, questi confessò il delitto e restituì la tazza, che fu rimessa al suo posto. Da questo fatto Ercole e
digeto, i romani indicavano Enea, perchè un’antica tradizione diceva, che avendo questo principe perduta la vita in una bat
i davano la denominazione collettiva di dei indigeti a tutti gli eroi che essi avevano divinizzato, per mezzo dell’apoteosi
ssi ci hanno trasmesso sulle costumanze dei popoli antichi, si rileva che la Indovinazione altro non fu da principio se non
corsi : e ciò dovea tanto più facilmente accadere presso quei popoli, che professavano un culto di religione pieno a ribocc
pre di penetrare negli arcani di quello e di squarciare il fitto velo che lo nasconde ai suoi occhi mortali. I primi popoli
e il fitto velo che lo nasconde ai suoi occhi mortali. I primi popoli che formarono della indovinazione, una scienza arcana
su precetti più o meno strani, e di legarla alla religione, onde fare che , venendo essa accettata dagli uomini in generale,
abolo Teurgia, di quanto concerne la divinazione naturale, diremo qui che quattro erano, presso i pagani, le specie di divi
arghissimo numero, i cui vocaboli abbiamo noi già menzionati, secondo che l’ordine alfabetico da noi seguito nel corso di q
ce e malinconico ; e seduta tra un toro ed un bue, forse per indicare che l’indulgenza ammanzisce gli animi più brutali. 22
e in generale, il luogo dove andavano tutte le anime, dopo la morte e che nella loro credenza religiosa come prendeva i cam
e ciò, secondo l’opinione di Cicerone, veniva asserito per esprimere che dev’essere agli uomini indifferente il morire, pi
dev’essere agli uomini indifferente il morire, piuttosto in un luogo, che in altro ; e che qualunque sia l’angolo della ter
omini indifferente il morire, piuttosto in un luogo, che in altro ; e che qualunque sia l’angolo della terra, ove si muoia,
passo, detto Bocca di Plutone, nella Laodicea ecc. Senofonte, scrive che Ercole penetrò nello Inferno dalla parte della pe
enisola Achenesiade, vicina ad Eraclea del Ponto. Virgilio asserisce, che Enea discese nei regni della morte, traversando i
ei regni della morte, traversando il lago d’Averno ; ed Omero ripete, che Ulisse per scendere all’Inferno, traversò l’ocean
no, traversò l’oceano dal paese dei Cimmeri. Il cronista Apulejo, fa, che Psiche per discendere all’Inferno e presentarsi a
la caverna di Tenaro in fondo alia quale ritrovò il fiume Acheronte, che traversò sulla barca di Caronte, la quale la lasc
pete la cronaca, a cui si attiene Strabone nelle sue opere, la strada che conduceva all’Inferno, era brevissima, ond’è che
sue opere, la strada che conduceva all’Inferno, era brevissima, ond’è che i concittadini del celebre scrittore, non avevano
lla cioè, di mettere nelle labbra dei loro morti, una piccola moneta, che serviva a pagare a Caronte navicellajo dell’Infer
digenza, la Morte, la Chimera, le Gorgoni e tutti infine i mostri, di che l’immaginazione dei poeti dell’antichità, e le su
da, e de le Furie I ferrati covili, il Furor folle, L’empia Discordia che di serpi lui ’l crine, E di sangue mai sempre il
e le biformi Due Scille : Brïareo di cento doppi : La Chimera di tre, che con tre hocche Il foco avventa : il gran Serpe di
2285. Iniziali. — Detti anche Initali, dal vocabolo latino initiare, che significa consacrare, introdurre. Si dava codesto
gna, Elle e Frisso, figliuoli del primo letto di suo marito ; e tanto che , sapendo che, per diritto di primogenitura, sareb
risso, figliuoli del primo letto di suo marito ; e tanto che, sapendo che , per diritto di primogenitura, sarebbe a questi s
esolata da una terribile carestia, (della quale molti autori ripetono che Ino stessa fosse stata cagione, avendo, secondo a
i dall’oro della regina, e venduti alle infami mire di lei, risposero che a far cessare il flagello, bisognava immolare sul
sso. Questi però si sottrassero, con una precipitosa fuga, al destino che era loro riserbato ; ma, Elle morì nel traversare
tti percosso nello intelletto dalle terribili dee vendicatrici, credè che il suo palagio fosse trasformato in un bosco ; la
na belva, Corre sull’orme della sposa, insano ; E Learco il figliuol, che stendea lieti Le pargolette braccia, della madre
o ; e Carmenta, invasa dello spirito divino d’Apollo, rispose ad Ino, che ben presto ella in premio delle sofferte persecuz
fferte persecuzioni sarebbe stata cangiata in una divinità marittima, che i romani avrebbero adorata sotto il nome proprio
tino intercidere, i romani davano questa denominazione, alla divinità che presiedeva a tutti i lavori che si facevano con l
o questa denominazione, alla divinità che presiedeva a tutti i lavori che si facevano con la scure. Alcuni autori ripetono,
tutti i lavori che si facevano con la scure. Alcuni autori ripetono, che la dea Intercidona era onorata anche come la prot
tercidona era onorata anche come la protettrice delle donne gravide e che la invocavano insieme a Deverra e Piluno, per ess
Non si saprebbe in verità dare una spiegazione esatta, dell’analogia che vedevano gli antichi, fra il nome d’Intercidona e
a che vedevano gli antichi, fra il nome d’Intercidona e la protezione che credevano accordasse alle donne incinte. 2288. In
te nei sacrificii, era esclusivamente devoluto ai sacerdoti Aruspici, che soli leggevano in quelle, i presagi dell’avvenire
in quelle, i presagi dell’avvenire. Cicerone ripete, nelle sue opere, che era questa una delle più forti mattezze, che la s
ripete, nelle sue opere, che era questa una delle più forti mattezze, che la superstizione facea commettere ai pagani ; i q
perstizione facea commettere ai pagani ; i quali credevano fermamente che gli dei cangiassero le viscere delle vittime, nel
che gli dei cangiassero le viscere delle vittime, nel momento stesso che esse venivano esaminate, onde significare per mez
, la loro volontà. Però presso gli antichi stessi, vi erano ben molti che non prestavano fede a codesti superstiziosi raggi
roviamo infatti registrata nelle cronache dell’antichità, la risposta che il guerriero Annibale, dette al re Prusia, il qua
ale, dette al re Prusia, il quale si ricusava a combattere, asserendo che le visceri degli animali svenati nel sagrificio d
 Come, rispose Annibale, presterete più fede agli intestini d’un bue, che all’ esperienza e al parere d’un vecchio generale
Io. — Figlia del fiume Inaco. La cronaca mitologica racconta di lei, che essendosene Giove perdutamente invaghito, la sorp
sotto la novella sembianza tutto l’incanto delle sue forme, per modo che Giunone stesso non potè fare a meno di ammirarla,
lla giovenca e a qual mandra appartenesse ; e avendole Giove risposte che l’avea prodotta la terra, Giunone chiese al marit
ado condiscese alla inchiesta e Giunone la dette in custodia ad Argo, che secondo la favola avea cent’occhi. V. Argo. Avut
 : Nè fiduciava in Giove, e nel pensiero Fitto le stava un furto : si che quella Commise in guardia all’Aristorid’Argo. Ov
morf — Libro I. Fav. X. trad. del Cav. Ermolao Federico. Ora avvenne che mentre Io, sotto la custodia instancabile di Argo
ia col piede il suo nome. Giove intanto addolorato suile persecuzioni che la gelosa Giunone, faceva soffrire alla sventurat
atica e dalla stanchezza, si lasciò cadere sulla sabbia e pregò Giove che le concedesse il riposo. Giunone allora commossa
va sua forma umana. Dopo qualche tempo lo dette alla luce un bambino, che fu chiamato Epafo, ed ella stessa fu adorata sott
ngiunture. Infatti, presso quasi tutti gliantichi scrittori, è detto che Giunone, per vendicare sull’odiata giovanetta la
sa mosca, la quale pungendola senza posa, la mise in furore, per modo che agitata in strana guisa, e quasi demente si preci
o che agitata in strana guisa, e quasi demente si precipitò nel mare, che dal suo nome fu detto mare Ionio, …….. e tutto p
fu detto mare Ionio, …….. e tutto poi Quel gran tratto di mar, sappi che sempre Sarà Ionio nomato, appo i mortali Del tuo
no, donde traversando il monte Emo calò nella Tracia. Giunta al golfo che porta lo stesso nome, lo passò come il mare e da
. Bellotti. Ma non si arrestò quivi, perchè spinta sempre dal furore che le sconvolgeva la mente andò nella Scizia, in Eur
del Nilo. Eschilo, nella sua tragedia intitolata Prometeo legato, fa che lo giunga nella Scizia sulla rupe, ove egli era i
che lo giunga nella Scizia sulla rupe, ove egli era incatenato, e fa che Prometeo disveli ad Io la durata delle sue pene e
disveli ad Io la durata delle sue pene e le mostri gli altri travagli che la gelosa Giunone le riserbava, e le dice finalme
tri travagli che la gelosa Giunone le riserbava, e le dice finalmente che avrebbe fissato la sua dimora in Egitto, ove avre
mo attenendoci alle opinioni dei più chiari scrittori dell’antichità, che Io, sacerdotessa di Giunone, fu amata da un re di
da un re di Argo, per nome Api, il quale era soprannominato Giove ; e che ingelosita la regina avesse fatto rapire Io, affi
a vendetta della regina, s’imbarcò per lontani viaggi su di una nave, che avea nella prora la figura di una vacca, e questo
otivo alla favolosa metamorfosi di Io in giovenca. Pausania riferisce che lo non fosse figliuola del fiume Inaco, come vuol
pante, detto anche Triopa, settimo re di Argo. Erodoto ripete invece, che la principessa Io, fosse stata da alcuni mercadan
presenza degli dei ; poichè la opinione generale presso i pagani, era che gli dei si rivelassero agl’uomini, o per mezzo de
so, era talmente persuaso della manifestazione degli dei agli uomini, che riguardava come atei tutti coloro che la negavano
stazione degli dei agli uomini, che riguardava come atei tutti coloro che la negavano. Cicerone stesso, al quale fra tutti
on si può dar certo nome di credulo, ripete sovente, nelle sue opere, che le frequenti apparizioni degli dei, provavano la
i dava, secondo riferisce Diodoro, il nome d’Iperborei, a quei popoli che abitavano le parti settentrionali del mondo conos
omunemente ritenuta come il luogo ove nacque Latona, madre d’Apollo e che perciò quegl’ isolani venerassero con un culto pa
le più ricche offerte. Finalmente gl’ Iperborei ritenevano per fermo che Apollo discendesse nella loro isola, ogni diciann
rmo che Apollo discendesse nella loro isola, ogni diciannove anni ; e che egli stesso nella notte anniversaria della sua na
ta, ballasse, al suono della sua lira, come a rallegrarsi degli onori che gli si rendevano. Ricchissime e continue erano le
si rendevano. Ricchissime e continue erano le offerte e i sacrifizii, che quei popoli facevano ad Apollo ; e spingevano la
o tre vergini accompagnate da cento giovani di sperimentato coraggio, che portavano le offerte ; ma poi essendo state una v
erciò gli accordi nenessarii con gli abitanti delle differenti città, che si trovavano sulla via, che dal paese degl’ Iperb
con gli abitanti delle differenti città, che si trovavano sulla via, che dal paese degl’ Iperborei, conduceva all’ isola d
eva all’ isola di Delo, ove Apollo a causa di questa grande devozione che aveano per lui quegl’isolani, veniva generalmente
ndo una spiegazione più logica a codesta allegoria della favola, dice che Iperione era un principe Titano, il quale erasi d
l quale erasi dato, con grande amore, allo studio dell’astronomia ; e che avendo conosciuto con l’assiduità delle sue osser
oni, il corso del sole, e il movimento di rotazione degli altri corpi che occupano lo spazio ; marcò distintamente il perio
spazio ; marcò distintamente il periodo ed il ritorno delle stagioni, che sono la conseguenza diretta del movimento dei cor
to come padre del sole e della luna. Nè a ciò si arrestano le notizie che gli autori dell’ antichità, ci hanno tramandate s
andate su questo celebre uomo, inperocchè lo stesso Diodoro aggiunge, che Iperione avesse tolta in moglie la stessa sua sor
erione avesse tolta in moglie la stessa sua sorella chiamata Basilea, che lo rese padre di due figliuoli, un maschio ed una
lo rese padre di due figliuoli, un maschio ed una femmina ; il primo che fu chiamato Elio, e la seconda Selene ; vocaboli
mmina ; il primo che fu chiamato Elio, e la seconda Selene ; vocaboli che in lingua greca significano il sole e la luna. In
nificano il sole e la luna. Ingelositi intanto gl’altri re dal vedere che Iperione avesse prole di così stupenda e maravigl
stra. — Una delle cinquanta figliuole di Danao, e propriamente quella che si ricusò di uccidere il suo sposo nella prima no
per nome Linceo, gli porse il mezzo di sottrarsi alla grave sciagura che lo minacciava. Danao intanto, sdegnato contro Ipe
 — Presso i pagani s’indicavano con tale denominazione alcuni templi, che aveano all’intorno nella parte esterna due ordini
sacro a Giunone costruito in siffatta guisa, senza tetto nè porte, e che sorgeva nella strada che da Falera conduceva ad A
o in siffatta guisa, senza tetto nè porte, e che sorgeva nella strada che da Falera conduceva ad Atene ; ed il secondo rico
e una delle nutrici di Bacco. 2301. Ippia. — Dalla parola greca ιππος che significa cavallo, si dava codesto soprannome a q
me a quella Minerva ritenuta comunemente come figliuola di Nettuno, e che veniva raffigurata a cavallo : da ciò il sopranno
i Ippia cioè, la cavaliera. 2302. Ippio. — Ossia Equestre. Soprannome che si dava assai generalmente a Nettuno, perchè, sec
i attribuiva a quel dio, l’arte di domare i cavalli. Scrive Pausania, che il più antico tempio di Nettuno Ippio sorgeva di
he il più antico tempio di Nettuno Ippio sorgeva di là da Mantinea, e che non era permesso ad alcuno di entrare in quel tem
so ad alcuno di entrare in quel tempio. La cronaca tradizionale, dice che traverso la porta maggiore di quel tempio era sta
a, dalla parte interna, una fascia tessuta in lana di color rosso ; e che questo fragilissimo riparo bastava a non fare ent
acqua marina, la quale percosse Epito così violentemente negli occhi, che lo sciagurato fu cieco per tutta la vita. Ippio e
esignate dagli antichi col nome di Equestri, perchè erano i soli numi che il paganesino raffigurava montati a cavallo. 2303
Oceanidi. 2304. Ippocampi — Nome particolare dei cavalli di Nettuno e che erano anche assegnati alle altre divinità del mar
pure alcuni naturalisti dell’antichità, e Plinio, fra questi, dicono che si dà il nome di cavallo marino o Ippocampo ad un
e di cavallo marino o Ippocampo ad un insetto lungo circa sei once, e che non ha alcuna somiglianza con la figura che i poe
o lungo circa sei once, e che non ha alcuna somiglianza con la figura che i poeti antichi davano agl’Ippocampi di Nettuno.
ntauri, perchè essendo stati i primi a montare i cavalli, si credette che essi fossero dei mostri, metà cavalli e metà uomi
sero dei mostri, metà cavalli e metà uomini. La tradizione mitologica che dette principio a codesta credenza, raccontava ch
dizione mitologica che dette principio a codesta credenza, raccontava che essendosi quei popoli mischiati in carnale commer
on le cavalle, nacquero da questo mostruoso connubio gl’Ippocentauri, che avevano nel tempo stesso della natura umana e di
esso della natura umana e di quella del cavallo. È a notare per altro che non sono pochi gli autori dell’antichità, i quali
tempi dell’ Imperator Claudio, un Ippocentauro portato dall’Egitto e che era stato imbalsamato col miele, secondo l’uso di
uei tempi. Anche fra i padri della chiesa cattolica gioverà ricordare che ve ne è taluno, che riferisce come positiva l’esi
i padri della chiesa cattolica gioverà ricordare che ve ne è taluno, che riferisce come positiva l’esistenza di simili mos
nza di simili mostri ; e S. Girolamo, dottore di santa chiesa, ripete che portandosi S. Antonio nel deserto della Tebaide a
de a visitare S. Paolo eremita, incontrò un Ippocentauro, ed aggiunge che l’ Africa produceva sovente di tali mostri. 2306.
parole greche ιππος ποσειδῶυ si chiamavano così alcune feste solenni che si celebravano nell’Arcadia in onore di Nettuno c
ti e coperti di ghirlande di fiori. 2307. Ippocrene. — Famosa fontana che scaturiva nella Beozia sul monte Elicona. La trad
riva nella Beozia sul monte Elicona. La tradizione mitologica ripete, che il cavallo Pegaseo battendo con l’unghia sonora s
a sonora su di una pietra, ne avesse fatto scaturire questa sorgente, che poi da lui prese il nome di fonte del cavallo, da
lla cui sommità scaturiva quella fontana. La tradizione storica narra che Cadmo il quale introdusse in Grecia le scienze fe
a le scienze fenicie, fosse stato il primo a scoprire quella fontana, che fu per questa ragione chiamata fonte delle muse —
. Deidamia. Ippodamia chiamavasi anche la figlia del sacerdote Brise, che fu causa primiera della inesorata ira di Achille 
sa, nell’Elide, a proposito del quale la tradizione mitologica narra, che giunta la figlia in età da marito, era di una cos
ta la figlia in età da marito, era di una così sorprendente bellezza, che colpì vivamente l’istesso suo padre, il quale non
quale non volendo concederla in moglie ad alcuno dei molti principi, che gliene avevano fatto formale richiesta, e carezza
oci cavalli della sua contrada, promulgò un bando nel quale esponeva, che la mano d’Ippodamia sarebbe conceduta a quel prin
e esponeva, che la mano d’Ippodamia sarebbe conceduta a quel principe che lo avesse vinto nella corsa del carro ; sottopone
to sanguinoso, appena scesi dal carro furono posti a morte : per modo che Enomao si credeva già unico possessore della fata
ale concessero, per la disfida, quattro immortali destrieri, e fecero che egli si presentasse quattordicesimo concorrente.
remio della corsa, e sposò la bella Ippodamia. Vi sono vari scrittori che raccontano l’istesso fatto con qualche leggiera v
annome era dato ad Ercole, per essergli attribuito il singolare fatto che riportiamo qui appresso. Essendosi l’armata degli
o e fece legare le code dei loro cavalli, le une alle altre, per modo che , al momento della battaglia la cavalleria nemica
2311. Ippolito. — Dal nome della madre così fu chiamato il figliuolo che Teseo ebbe dalla famosa regina delle Amazzoni. V.
ebbe dalla famosa regina delle Amazzoni. V. l’articolo precedente, e che fu allevato da Piteo suo avolo, nella città di Tr
icarsi ispirò a Fedra, madrigna di lui una violenta passione d’amore, che crebbe al punto che la misera regina ebbra d’amor
a, madrigna di lui una violenta passione d’amore, che crebbe al punto che la misera regina ebbra d’amore, fece dalla sua nu
di vedersi siffattamente di sprezzata, giurò di vendicarsi, e temendo che Ippolito non l’avesse accusata al proprio consort
e lo incolpò, scrivendo a Teseo una lettera, nella quale gli diceva, che il figliastro avea voluto attentare all’ onore di
dette di propria mano la morte. Teseo intanto, ingannato dall’ accusa che Fedra avea lanciata contro d’Ippolito, maledisse
ioso, i cui terribili muggiti, spaventarono siffattamente i destrieri che indocili alle redini, nè più riconoscendo la voce
roprio padrone, lo trascinarono nella loro corsa precipitosa per modo che , dopo poco, altro non rimase del bellissimo giova
a per modo che, dopo poco, altro non rimase del bellissimo giovanetto che , un ammasso informe lacero e sanguinoso. È questo
a Ippolito. …. Al di là del confin nostro V’ è una spiaggia deserta, che fa lido M Saronico mar : quivi un rimbombo, Come
o sguardo al mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto al ciel s’alzava, che la vista Delle Scironie rupi ne impedia. E ascond
ripiena spaventosamente Rimugghiò la contrada : orrendo mostro : Tal che ogni sguardo si smarri. S’apprende Un subito ai c
i Verso le rupi rivolgean la corsa, Cheto appresso ei correva : infin che urtando. Rudemente la rota ad un macigno. N’andò
agedia. Trad. di F. Bellotti. Diodoro poi narra, nelle sue cronache, che dubitando Teseo della verità dell’ accusa terribi
ungerlo nella città, ove egli si trovava, e giustificarsi del delitto che gli veniva apposto. Ippolito intraprese il viaggi
, intese al suo passaggio vociferare ripetute volte l’infame calunnia che lo colpiva, onde turbato profondamente nell’animo
va, onde turbato profondamente nell’animo innalzò un grido disperato, che ripercosso dall’eco, spaventò siffattamente i cav
disperato, che ripercosso dall’eco, spaventò siffattamente i cavalli che guadagnarono la mano, e trascinarono il misero gi
tuoso Ippolito. Coll’ andare del tempo, i sacerdoti sparsero la voce, che Ippolito fosse stato preservato dalla morte per v
di Boote, ossia condultore del carro. Un’antica tradizione racconta, che ai tempi di Numa Pompilio, comparve in Italia un
ente risuscitato da Esculapio. 2312. Ippolizione. — Fu questo il nome che Fedra impose ad un tempio, che ella avea fatto fa
2312. Ippolizione. — Fu questo il nome che Fedra impose ad un tempio, che ella avea fatto fabbricare su di una montagna vic
ad adorare la dea Fedra, si recava quasi ogni giorno in quel tempio, che per la sua elevata posizione, dominava la pianura
un culto particolare, volendo con ciò gli Egizii scongiurare il male che egli avrebbe potuto fare agli altri animali, che
scongiurare il male che egli avrebbe potuto fare agli altri animali, che essi avevano deificato. 2316. Ippotette. — Così a
indovino Arno, da lui creduto spia dei Pelopidi. Narra la tradizione, che Apollo, per vendicare la morte di uno dei suoi sa
nterrogarono l’oracolo onde far cessare il fiagello, e quello rispose che bisognava esiliare l’ uccisore di Arno, e placare
li, e giuochi funebri, celebrati in suo onore. Ippotette allora prima che si fosse agito contro di lui, cedette a suo figli
gito contro di lui, cedette a suo figlio Alete il comando dell’armata che avea sotto i suoi ordini, e si esiliò dalla città
isole Eschinadi. Dopo qualche tempo ella dette alla luce un figliuolo che fu poi chiamato Tasio. 2319. Ippotoo. — Figliuolo
olo di Alope e di Nettuno. È opinione fra varii accreditati scrittori che il suo nome che ha qualche somiglianza etimologic
i Nettuno. È opinione fra varii accreditati scrittori che il suo nome che ha qualche somiglianza etimologica con la parola
a cavallo abbia dato vita alla tradizione favolosa, la quale racconta che Ippotoo, fosse, appena nato, esposto in un bosco
ppena nato, esposto in un bosco per ordine di Cercione, suo avolo ; e che quivi egli fosse stato nudrito da due cavalle V.
egnò nella contrada di Eleusi, della quale fu assunto al governo dopo che Teseo ebbe ucciso Cercione. 2320. Ippotono. — Dal
dell’antichità ci ricordano un singolare avvenimento. Dice la favola che avendo le donne di Lenno trascurati gli altari di
Venere, la dea per punirle, le rese di un tale insopportabile odore, che esse furono tutte abbandonate dai loro mariti. Ir
re Toante nell’isola di Chio. Intanto compiutasi la strage, Ipsipile ( che alcuni scrittori chiamano semplicemente Isifile,
ieri fra questi, V. Giasone) fu assunta regina al governo dell’isola, che tenne per qualche tempo pacificamente. Allorquand
rii figliuoli, non avendo potuto frenare l’impetuosa passione d’amore che il bellissimo eroe le aveva acceso nel core. Così
cuotendosi dall’ ebbrezza in cui giacevasi ricordò dell’alta missione che avea giurato di compiere, e volle ad ogni costo p
e per calmare la disgraziata giovanetta le giurò, come ella chiedeva, che al ritorno della gloriosa spedizione sarebbe, pri
e profonda ferita nell’enima. Le donne di Lenno scoprirono finalmente che Toante padre della loro regina, lunge dall’esser
e regnava in Chio ; furono così fattamente sdegnate contro d’Ipsipile che la costrinsero ad abbandonare il trono, e andare
l bambino addormentato, onde mostrare ad alcuni forestieri il cammino che essi aveano smarrito, al suo ritorno trovò il bam
i un figlio chiamato Urano, e di una figliuola detta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e che al dire del
igliuola detta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e che al dire del citato scrittore, i greci dettero all
ci ritenevano il dio Ipsisto come il padre degli dei ; nè più nè meno che i romani ed i greci ritenevano il loro Giove. 232
invenzione di alcuni giuochi, e l’uso dei papiri. Aggiunge la cronaca che dopo la sua morte, i suoi figliuoli dedicarono al
ore. 2324. Iria. — Così avea nome la madre di Cigno. Narra la cronaca che ella amasse così teneramente il figliuolo, che al
igno. Narra la cronaca che ella amasse così teneramente il figliuolo, che all’ annunzio della morte di lui, si precipitò in
no e ne divenne la divinità tutelare. 2325. Iride. — È questo il nome che Esiodo nelle sue cronache dell’antichità, dà ad u
ta ed Ello. Iride era similmente chiamata quella divinità dei pagani, che essi ritenevano come la messaggera degli dei, e s
o. …… De l’affannosa morte Fatta Giuno pietosa, Iri dal cielo Mandò, che ’l groppo disciogliesse tosto, Che la tenea, malg
ne, quella di abbigliarla e di purificarla coi profumi tutte le volte che la dea ritornava dall’ inferno nell’ Olimpo. La I
i nell’ arco baleno, i cui differenti colori sono ricordati da quelli che Iride aveva nelle ali. La dicevano figliuola di T
a di Taomante, il cui nome significa in greco ammirare per dimostrare che non c’ è cosa più mirabile dell’arcobaleno, forma
annunzia le mutazioni dell’ atmosfera, così il simbolo mitologico fa che Giunone, dea dell’aria, abbia Iride come messagge
ione. Narra la cronaca mitologica a cui si attiene il cronista Igino, che al tempo in cui Nettuno, Giove e Mercurio viaggia
rieo allora anelando da lungo tempo a diventar padre, chiese agli dei che gli avessero conceduto un figliuolo, ed infatti d
o, ed infatti dopo poco tempo, sua moglie dette alla luce un bambino, che fu poi il famoso Orione. Irieo è anche il nome di
igioso dei popoli sassoni. È opinione di varii accredita ti scrittori che quei popoli l’ avessero in conto del loro Marte ;
l’ avessero in conto del loro Marte ; ma vi sono anche altro opinioni che dicono Irminsul essere lo stesso che il Mercurio
ma vi sono anche altro opinioni che dicono Irminsul essere lo stesso che il Mercurio Ermete dei greci. I sacerdoti e le sa
tesso che il Mercurio Ermete dei greci. I sacerdoti e le sacerdotesse che si consacravano al culto religioso d’ Irminsul, v
ù illustri e considerate famiglie della nazione. Il più famoso tempio che le cronache ci additano come eretto in onore d’Ir
to atterrare da Carlo Magno. 2329. Iro. — Nativo dell’ isola d’Itaca, che si rese celebre per le sue mariolerie, per essere
va incaricato, così fu detto Iro dai due vocaboli greci ιρῆν per ῆρην che significano portar la parola. Egli avea nome Arn
cano portar la parola. Egli avea nome Arneo : cosi chiamollo, Nel di che nacque, la diletta madre : Ma dai giovani tutti i
, la diletta madre : Ma dai giovani tutti iro nomato Era, come colui, che le imbasciate Portar solea, qual gliene desse il
mero — Odissea — Libro XVIII trad. di I. Pindemonte Riferisce Omero che nell’isola d’Itaca viveva alla porta di un palazz
a di un palazzo un mendico, il quale era reso famoso per la sua fame, che non era mai satolla. Egli era di una grande statu
e di forza. Aggiunge la cronaca a cui si attiene il citato scrittore, che Arneo detto Iro, avesse provocato ad un singolare
o Iro, avesse provocato ad un singolare combattimento Ulisse medesimo che pure stette qualche tempo sotto le spoglie di men
co sembrasse all’ aspetto di tarda età, assestò un tale colpo ad Iro, che gli fracassò una mascella, e lo stese al suolo co
e su di un rogo acceso senza bruciarsi, durante il sacrifizio annuale che si faceva in onore d’ Apollo sul monte Soracte. A
e si faceva in onore d’ Apollo sul monte Soracte. Aggiunge la cronaca che in considerazione, di questa maraviglia, il senat
della religione degli Egizii e i misteri d’ Iside. Codesto monumento, che secondo riferiscono le cronache, avea cinque pied
la sua naturale grandezza. È opinione di molti accreditati scrittori, che il monumento originale fosse andato nuovemente sm
rrito nel 1730 ; cosicchè della famosa favola Isiaca, non restano ora che delle copie. Dallo studio per altro delle figure
non restano ora che delle copie. Dallo studio per altro delle figure che ci sono restate della favola Isiaca, non si può c
ro spiegazioni, le loro congetture, i loro ragionamenti, non riescono che ad avviluppare di più dense tenebre il già impene
cui si servivano nelle loro cerimonie ; e non rientravano nel tempio che la sera, ove restavano qualche tempo in piedi ado
o abitualmente i piedi coperti di una scorza d’albero finissima, cosa che ha fatto dire che esse andavano a piedi nudi. Dai
iedi coperti di una scorza d’albero finissima, cosa che ha fatto dire che esse andavano a piedi nudi. Dai precetti del loro
nendosi il citato scrittore ad una strana tradizione egizia, aggiunge che Iside ed Oriside concepiti gemelli, si erano cong
unti coi legami maritali nell’ alvo stesso della madre loro, per modo che Iside nell’ istesso momento in che nacque, era gi
stesso della madre loro, per modo che Iside nell’ istesso momento in che nacque, era già gravida di un figlio. Iside ed Os
vilizzare i loro sudditi, a cui insegnarono l’ agricoltura e le arti, che ingentiliscono la vita. Coll’andare del tempo, es
ndare del tempo, essendo Osiride morto in seguito delle persecuzioni, che ebbe a soffrire da suo fratello Tifone, Iside ne
la cui salutare conoscenza andavan loro debitori. In seguito si disse che Osiride, ed Iside erano andati a dimorare nel sol
iziana, prendendo argomento dallo straripamento delle acque del Nilo, che avveniva in una data epoca dell’anno, diceva che
elle acque del Nilo, che avveniva in una data epoca dell’anno, diceva che il Nilo, ingrossato dalle lagrime che Iside versò
na data epoca dell’anno, diceva che il Nilo, ingrossato dalle lagrime che Iside versò alla morte del benamato consorte, str
ppoggia su di un’ antica iscrizione, trovata da tempo immemorabile, e che diceva « dea Iside che è una e tutte le cose ».
a iscrizione, trovata da tempo immemorabile, e che diceva « dea Iside che è una e tutte le cose ». Io sono la sola Divinit
va « dea Iside che è una e tutte le cose ». Io sono la sola Divinità che sia nell’uníverso ; che tutta la terra onora sott
e tutte le cose ». Io sono la sola Divinità che sia nell’uníverso ; che tutta la terra onora sotto diverse forme, con nom
diverse forme, con nomi e cerimonie diverse. ………………. I popoli Etiopi che il sole illumina dei primi suoi raggi, e gli Egiz
oli Etiopi che il sole illumina dei primi suoi raggi, e gli Egiziani, che sono i primi sapienti del mondo, mi chiamano col
o, nella città di Alessandria, a Copto ed a Bubaste. Pausania ripete, che la dea Iside era invisibile agli uomini e che l’a
baste. Pausania ripete, che la dea Iside era invisibile agli uomini e che l’assistere solo ai misteri di lei recava la mort
i e che l’assistere solo ai misteri di lei recava la morte ; e ripete che essendo un uomo nella città di Copto, entrato nel
l’ andare degl’ anni finì con l’essere riconosciuto da tutti, e tanto che molti luoghi pubblici furono perfino controsegnat
urono perfino controsegnati col nome di Iside. L’attributo più usuale che veniva assegnato ad Iside, era il sistro, strumen
Iside, era il sistro, strumento vuoto nel mezzo con un lungo manico, che ha la parte superiore più larga dell’ inferiore,
lungo manico, che ha la parte superiore più larga dell’ inferiore, e che finisce in forma di mezzo cerchio, dal cui vuoto
volta quattro bacchette di ferro a guisa di corde. Plutarco asserisce che assai comunemente sulla parte superiore del sistr
; e altra volta un globo, o un flore di loto. Aggiungeremo finalmente che il culto d’ Iside passò dall’ Egitto nelle Gallie
’ Egitto nelle Gallie ; e vi sono varii scrittori, i quali pretendono che la stessa città di Parigi, avesse preso il suo no
dal luogo, ove fu fabbricata. Da ciò le due parole greche παρα λοιδος che significano : vivino al tempio d’ Iside. 2336. Is
lebrazione delle quali, si esigeva il più stretto silenzio da coloro, che prendevano parte ai misteri di quelle cerimonie.
delle cerimonie Isie, pure le tradizioni dell’antichità, ci ripetono che durante il periodo delle feste Isie, che era di n
dell’antichità, ci ripetono che durante il periodo delle feste Isie, che era di nove giorni, i sacerdoti, le Isiache, e tu
’ iniziati, commettevano le più orrende e turpi dissolutezze, e tanto che il senato romano verso l’anno di Roma 696, proibì
ì rigorosamente la celebrazione delle feste Isie, le quali non furono che 200 anni dopo rimesse in pieno vigore dall’ Imper
o che 200 anni dopo rimesse in pieno vigore dall’ Imperatore Commodo, che non ebbe ritegno di mischiarsi personalmente agl’
del fiume Ismeno. V. Ismeno. 2339. Ismenia. — Soprannome di Minerva, che a lei veniva dall’avere un tempio sulla sponda de
el fiume. V. l’ articolo seguente. 2341. Ismeno. — Fiume della Beozia che scorreva nelle circostanze di Tebe. Da principio
piede di Cadmo, a cagione di un’ antica tradizione, la quale racconta che avendo Cadmo ucciso a colpi di freccia, il dragon
a colpi di freccia, il dragone custode di quella fonte, e sospettando che quelle acque fossero avvelenate, fece il giro di
il suo piede destro, e vide scaturire una sorgente di acqua limpida, che formo poi quel fiume chiamato, da questo fatto, i
figliuolo della sventurata Niobe, per liberarsi dagli atroci dolori, che gli cagionavano le ferite fattegli da Apollo con
ite fattegli da Apollo con le sue frecce, si precipitò in quel fiume, che dopo questo luttuoso avvenimento cangiò il suo no
demonî e da genî, e consacrate agli eroi. Il citato autore racconta, che essendo stato il viaggiatore Demetrio, incaricato
re di riconoscere quelle isole, egli fosse approdato alla prima isola che incontrò nel suo cammino, ove poco dopo si scaten
rioso uragano, accompagnato da fulmini di così spaventevole rimbombo, che tutti ritennero come cosa certa, che uno dei prin
i di così spaventevole rimbombo, che tutti ritennero come cosa certa, che uno dei principali demonî abitatori di quell’isol
stesso Demetrio nelle sue cronache di relazione del viaggio, aggiunge che una di quelle isole era la prigione di Saturno, i
aveano nome taluni popoli vicini degli Iperborei, i quali non aveano che un occhio solo. Il citato scrittore aggiunge, che
i quali non aveano che un occhio solo. Il citato scrittore aggiunge, che allorquando alcuno degli Issedoni perdeva il prop
dono gran numero di animali come pecore, buoi, agnelli e volatili, e che in questa occasione essi compivano una barbara e
ano dell’orribile vivanda riserbando solo intatta la testa del morto, che poi legata in oro formava un idolo, a cui venivan
Igino asserisce esser egli figliuolo di Leonzio ; e Diodoro pretende che suo padre si chiamasse Anzione. Checchè ne sia, l
hi aveva vigore di legge una tradizionale costumanza, la quale voleva che allorquando si toglieva in moglie una donzella, l
esser preso in trastullo, fece un giorno rapire i giumenti di Issione che pascevano nelle campagne della Tessaglia. Issione
o cadde in quella e vi perdè miseramente la vita. Immenso fu l’orrore che l’atroce misfatto, che tutti addebitavano con cer
perdè miseramente la vita. Immenso fu l’orrore che l’atroce misfatto, che tutti addebitavano con certa ragione ad Issione,
bitavano con certa ragione ad Issione, suscitò contro di lui, e tanto che invano egli sollecitò tutti i principi della Grec
o alcuno. Finalmente fu ricevuto nella propria dimora da un principe, che aveva il soprannome di Giove, il quale meno susce
gica prendendo argomento dal soprannome del principe, racconta invece che il padre degli dei, mosso a pietà d’Issione, abba
Issione, il quale disfogò sulla supposta dea l’ardenza della passione che lo inebbriava ; e poscia non ebbe ritegno di vant
sïon le luci volse Di nuovo la Regina degli Dei : Che si ricorda quel che far le volse, Nel tempo che credendo abbracciar l
la Regina degli Dei : Che si ricorda quel che far le volse, Nel tempo che credendo abbracciar lei, Una nube in suo cambio i
sciagurato millantatore ad una ruota circondata d’innumeri serpenti e che doveva girare eternamente ; al dire di Ovidio una
2347. Isterie. — Feste in onore di Venere : il sacrifizio più usuale che si faceva alla dea nella celebrazione di quelle f
i in onoranza presso i greci. Le cronache dell’antichità, asseriscono che il nome di questi giuochi prese occasione dall’is
ccasione dall’istmo di Corinto, dove furono istituiti ; ed aggiungono che i giuochi istmici ebbero la loro istituzione da S
sulle spiagge dell’ istmo. Plutarco invece asserisce nelle sue opere, che i giuochi istmici fossero istituiti da Teseo, in
olare protezione l’istmo di Corinto. Aggiunge il prelodato scrittore, che Teseo volle in ciò seguire l’esempio di Ercole, c
lodato scrittore, che Teseo volle in ciò seguire l’esempio di Ercole, che alla sua volta era stato istitutore dei giuochi O
nza ogni tre anni, e questa usanza era per i Corinti così importante, che anche allorquando la loro città fu distrutta da M
re la celebrazione di quei giuochi. Immenso era il concorso di popolo che affluiva in Corinto, da tutte le altre città dell
e ai giuochi istmici e solo gli Eleati erano fra tutti i greci quelli che si astenevano dal recarsi in Corinto, in quella o
città, asseriva a questo proposito. Gli Eleati ritenevano per fermo, che avrebbero evitate gravi sventure col non recarsi
, imperocchè si sarebbero sottratti alle imprecazioni ed agli anatemi che Moliona, moglie di Attore, aveva lanciati contro
liona, moglie di Attore, aveva lanciati contro qualunque degli Eleati che avesse assistito a quei giuochi. I giuochi istmic
iuochi istmici marcavano per i greci una data epoca ; nè più, nè meno che la celebrazione annuale dei giuochi olimpici, con
lle bighe e a piedi, il pugillato ecc. erano gli abituali esperimenti che si eseguivano nei giuochi istmici, coll’ andare d
— Odi Ismiche — Ode III. trad. di G. Borghi. con la differenza, però che i vincitori dei giuochi Nemei erano inghirlandati
Poi fu decretata una somma di danaro da Solone fissata a cento dramme che doveva unirsi alla ghirlanda ; e finalmente i rom
citori, fino a fer loro dei preziosissimi donativi. Il poeta Pindaro, che è uno dei più leggiadri scrittori dell’antica let
nia ; i corinti avevano un’ antica loro tradizione, la quale ripeteva che Nettuno ed il Sole avevano avuto fra loro una con
ce della querela Briareo, questi per conciliare le differenze, decise che il paese intero avrebbe la protezione di Nettuno,
he il paese intero avrebbe la protezione di Nettuno, e il promontorio che sovrasta a quelio avrebbe riconosciuta la suprema
Oggi la patria del famoso inventore del cavallo troiano, altro non è che un piccolo scoglio, perduto nelle onde, e abitato
i amuleto in forma di cuore, a cui attribuivano molta segreta virtu e che generalmente si appendeva al collo dei fanciulli
o in grande venerazione. Itifallo era anche il soprannome particolare che gli egiziani e dopo di essi i greci, dettero a Pr
tezze. 2353. Itifallori. — Nome particolare dei ministri delle orgie, che si celebravano in onore di Priapo e di Bacco. Osc
e veniva particolarmente adorato in Messenia, per un magnifico tempio che egli aveva sul monte Itome vicino a quella città.
o a quella città. Un’antica tradizione non molto generalizzata, vuole che si sacrificassero a Giove Itomato, vittime umane 
zzata, vuole che si sacrificassero a Giove Itomato, vittime umane ; e che certo Aristomene, nativo di quella città avesse f
mata Itomea nella quale si compiva una strana cerimonia. Tutti coloro che vi prendevano parte passavano l’intera giornata p
oio espressamente scavato in una parte del tempio, tutta quell’ acqua che poi serviva ad uso dei sacerdoti. 2356. Itonia. —
divinità, i pagani volevano alludere alla prudenza ed alla industria, che è la fonte della ricchezza. 2357. Iuga. — Uno dei
egli morì sbranato da una leonessa. — V. Jadi. — Vi sono varii autori che lo chiamano anche Jade. 2359. Jacco. — Uno dei so
oronide, Eudora, Fileto, Prodica, Polifo e Tiona. Racconta la cronaca che allorquando il loro fratello Ja, morì sbranato da
onessa, esse piansero così disperatamente la morte di quel loro caro, che gli dei mossi a compassione, le cangiarono in ste
a queste stelle il nome complessivo di Jadi, dalla parola greca ιαδος che significa pioggia. Altri scrittori dicono, che le
lla parola greca ιαδος che significa pioggia. Altri scrittori dicono, che le Jadi fossero sette nudrici di Bacco, e che Gio
Altri scrittori dicono, che le Jadi fossero sette nudrici di Bacco, e che Giove, onde sottrarle all’odio persecutore della
triarca Noè ; ma non pochi fra i più accreditati mitologi, pretendono che il gigante Japeto, conosciuto più comunemente sot
a. 2363. Jale. — Così avea nome una delle ninfe del seguito di Diana, che si trovava in compagnia della dea allorquando Att
per la sua bellezza, quando si maritò con Ifide, sebbene non contasse che 13 anni. Giungea fra tanto il tredicesim’anno Al
non contasse che 13 anni. Giungea fra tanto il tredicesim’anno Allor che il genitor la bionda Jante A te, Ifi, in isposa d
o. 2365. Japeto. — Plù comunemente detto Giapeto. Fu uno dei giganti che Giove fulminò per aver dato coi suoi compagni la
a al cielo. V. Giapeto. Ivi Giapeto si rivolve e Ceo E l’altra turba che i celesti assalse. Monti La Musogonia — Canto.
esso al quale si dà, da quasi tutti gli scrittori, il nome di Giarba, che fu uno degli amanti della regina Didone. — V. Gia
ro III trad. di A.Caro. 2368. Jodama. — Madre del famoso Deucalione, che ebbe dai suoi amori con Giove. 2369. Jola. — Dett
mpagnò, secondo era suo costume. Dopo qualche tempo, convinto l’ eroe che quella unione gli sarebbe tornata funesta, fece s
unesta, fece sposare Megara a Jolao, il quale per la grande affezione che aveva per lo zio, accondiscese anche in ciò a far
testa degli Eraclidi e mosse con essi alla volta di Atene, onde fare che Teseo, re di quella contrada, avesse preso i disc
ritornarono il vigore giovanile alle membra dell’ invitto guerriero, che nella pugna si coprì di valore, e uccise di sua m
piaggla dell’arcipelago, ai piedi del monte Pelio. Fu in questa città che Giasone, dopo il suo ritorno dalla famosa conquis
nquista del vello d’oro, celebrò i giuochi funebri in onore di Pelia, che poi ebbero tanta rinomanza in tutta la Grecia. 23
ità, sulla paternità di questa giovanetta : infatti alcuni pretendono che ella fosse figlia di un re della Lidia, per nome
a Lidia, per nome Giardano ; ed altri, segnatamente Ovidio e Sofocle, che ella fosse figliuola di Eurito, re di Ecalia. D’
rcole, perdutamente invaghito di lei, a causa della stupenda bellezza che la rese famosa, volle ottenerla in isposa ; ma av
agedia. trad. di F. Bellotti. 2372. Jolee. — Feste in onore di Jolao che gli ateniesi celebravano con gran pompa nella lor
ta Jon. Creusa, sedotta da Apollo, dette alla luce un fanciullo senza che il padre di lei si fosse accorto di nulla ; ma qu
, ove lo aveva partorito ; ma per quel santo istinto della maternità, che parla potentemente al cuore più indurito, rinchiu
chiuse il neonato in un paniere avvolgendolo in alcuni finissimi lini che ella aveva. Apollo intanto, mosso a compassione s
suoi genitori, i quali restarono similmente ignoti alla sacerdotessa che lo aveva allevato. Fatto adulto, Jone si acquistò
quistò l’affetto degli abitanti di Delfo e la loro fiducia ; per modo che , ad onta della sua età giovanissima, lo fecero de
fetto pel figliuolo, si adoperò, con solerte cura, onde fare in modo, che Jone passasse un giorno come figlio di Xuto, onde
alche tempo di matrimonio, portossi a Delfo, onde saper dall’ oracolo che cosa avesse dovuto fare per averne ; e l’oracolo
oracolo che cosa avesse dovuto fare per averne ; e l’oracolo rispose che la prima persona che avrebbe incontrato all’ usci
sse dovuto fare per averne ; e l’oracolo rispose che la prima persona che avrebbe incontrato all’ uscire dal tempio, sarebb
di quello, e lo chiamò col dolcissimo nome di figlio. Riflettendo poi che l’età del giovanetto era in esatta corrispondenza
igliuolo, e gl’ impose il nome di Jone, dalla parola greca εξιοντιμες che racchiude in sè il significato d’essersi quel gio
re Jone col veleno. Quando fu portata la tazza avvelenata nel convito che Jone avea fatto imbandire, per sollennizzare il s
suolo. Il tentato delitto sarebbe così rimasto nelle tenebre, se non che un colombo che era entrato nella tenda, ove Jone
ato delitto sarebbe così rimasto nelle tenebre, se non che un colombo che era entrato nella tenda, ove Jone banchettava, av
estarono immediatamente il coppiere, il quale, non esitò a confessare che la regina in persona, gli avea dato l’incarico mi
ta da Apollo, comparve nel tempio, con un piccolo paniere nelle mani, che era quello stesso, in cui l’avea riposto la madre
rì di baci e di carezze, chiamandolo suo figlio. Ma la suprema gioia, che Jone sentiva nell’ aver ritrovata la madre sua fu
itrovata la madre sua fu presto intorbidata dall’aver ella confessato che Jone era figlio di Apollo e non già di Xuto. Non
figlio di Apollo e non già di Xuto. Non è a dire l’alta costernazione che una simile notizia sparse negli astanti, i quali
ali rimasero indecisi e perplessi su quanto sarebbe succeduto, se non che Minerva, apparendo d’improvviso, consigliò Creusa
, se non che Minerva, apparendo d’improvviso, consigliò Creusa a fare che Jone fosse erede del trono degli Erettidi, non pa
rici greci riconosce Jone come figlio di Xuto e di Creusa, e aggiunge che la posterità di lui, fu così numerosa, che coll’
to e di Creusa, e aggiunge che la posterità di lui, fu così numerosa, che coll’ andare degl’ anni, divenuta la contrada del
ttolemo e moglie di Eleusio. Ella prese parte ai famosi onori funebri che i greci resero al figliuolo suo. V. Trittolemo. 2
ui poi discesero gli Jossidi. A proposito di questi, scrive Pausania, che per una superstiz iosa credenza, piuttosto di fam
Pausania, che per una superstiz iosa credenza, piuttosto di famiglia, che di religione, essi conservavano, di padre in figl
me di Iove ossia Giove. I celti chiamavano questo dio col nome di Jov che nella loro lingua vuol dire giovane, per dinotare
zione del dio del bene, ritenuto come principio assoluto di tutto ciò che è buono. Presso quei popoli, Kacimana regolava le
leda. — Nella mitologia slava veniva così chiamato il dio della pace, che ha molta rassomiglianza col dio Giano, venerato d
ta Rati. Gli si era consacrato l’ albero chiamato in botanica Tulasi, che è una delle numerose varietà del gran fico delle
Tulasi, che è una delle numerose varietà del gran fico delle Indie, e che è notevole per la sua ricca e splendida floritura
almente parlando, chiamano col nome collettivo di Kamis quegli uomini che , divinizzati dopo la morte, hanno meritata l’ imm
te, hanno meritata l’ immortalità eroica. Si vede la grande relazione che passa fra i Kamis del Giappone e gli Eroi o Semid
gli Eroi o Semidei della mitologia greca e romana. È ancora a notare che i dogmi della religione giappone e ammettono un e
Nia, sono quasi sempre privi di ornamenti e di statue. Il solo arredo che vi si osserva è uno specchio assai grande, che, c
statue. Il solo arredo che vi si osserva è uno specchio assai grande, che , come emblema di purezza, sta in quei templi, qua
ome emblema di purezza, sta in quei templi, quasi a voler significare che all’ occhio della divinità sono palesi tutte le m
ssoluto di vita e di morte su tutta la specie umana. Credono i cinesi che altri tre dei subalterni, chiamati Tei-Kuan, Zui-
utti i fenomeni metereologici. 2384. Kano o Kanon. — È questo il nome che nel culto mitologico del Giappone, detto con voca
e maraviglioso e fantastico, ritenuto come il principe delle scimmie, che morì annegato in un pozzo. 2386. Kaor-Buk. — Gli
regno di Asem dànno questo nome al dio dei quattro venti. I sacerdoti che in Africa esercitano tutti la medicina, mandano a
, mandano alla capanna, chiamata il tempio di Kaor-Bus, quegl’infermi che essi non han potuto guarire, e questi debbono off
debbono offrire al dio quattro uccelli, prima di esporre la malattia che li affligge. 2387. Kapa, Laighne e Luassat. — Nel
lla mitologia irlandese, così vengono chiamati tre vigorosi pescatori che , provenienti dalla Spagna, si resero celebri nell
i immortali della divinità. La tradizione mitologica irlandese narra, che il diluvio sorprese Kapa e i suoi due compagni in
orprese Kapa e i suoi due compagni in un luogo chiamato Tuat-Imbir, e che da quel giorno essi divennero i tre più grandi e
condo come suo marito, ed il terzo come suo fratello. Però è a notare che , il più delle volte, questi tre grandi numi tenut
tre madri occidentali, dirozzatrici e incivilitrici dell’Irlanda ; e che queste tre dee vengono considerate come tre idee
leste feminile rappresentata da Keasaire, dea suprema. Da ciò risulta che il sesso feminile domina nella storia mitica dell
e cronache mitologiche irlandesi, le quali parlano tutte di tre donne che prendono possesso di quella contrada, dànno il lo
ioè libro dei fiori eccellenti, è una specie di catechismo religioso, che poi divenne la bibbia dei Buddisti. 2389. Kekki. 
la. 2390. Ker. — E opinione di varî scrittori dell’ antichità pagane, che i Kers fossero degl’enti immaginarî e fantastici,
ue opere, qualifica Ker come un dio, figlio della Notte ; ed aggiunge che abitualmente veniva raffigurato con gli occhi spa
nze. 2391. Keraone. — Presso gli spartani era questo il nome del dio, che presiedeva particolarmente ai banchetti e segnata
one del vino. 2392. Kuan-in. — Nella Cina è questo il nome della dea, che si crede guarisca le donne dalla sterilità. Viene
cia. 2393. Kurù. — Nel culto religioso degl’ indiani, è questa la dea che presiede al giorno in cui succede il novilunio. K
della loro religione, offrire ogni giorno un sacrifizio sul focolare che stà in tutte le case, e sul quale si debbono alle
are che stà in tutte le case, e sul quale si debbono allestire i cibi che essi offrono agli dei. 2394. Kolna. — Nella mitol
scandinava, Kolna è un genio scacciato da Odino dal regno d’Asgart, e che sopraintende alle nozze dei fiori. Nelle tradizio
considerate come una delle maraviglie del mondo. La tradizione vuole, che nella costruzione delle piramidi, fossero adopera
no di 360 mila operai, i quali lavorassero 23 anni. Plinio asserisce, che una somma non minore di 1800 talenti, fosse spesa
a costruzione della sola piramide grande del centro ; mentre si vuole che le altre due più piccole laterali siano state cos
oi genitori discendevano dalla stirpe degl’ Indù. Narrano le cronache che Kansa fratello della regina Devakì, nemico del di
mico del dio Visnù, anelava di far propria la corona di Vassudeva ; e che quest’ambizioso disegno era in lui fomentato da u
ni Muni ispirati, specie d’indovini, i quali gli avevano profetizzato che un giorno, egli avrebbe jerduta la corona e la vi
sa allorquando sua sorella fu sposata da Vassudeva, giurò a sè stesso che nessun figlio maschio della giovine regina avrebb
a uccidere di sua mano i proprii figliuoli. Finalmente l’ottava volta che ella partorì un maschio, resa accorta dalle dolor
dalle dolorose prove del passato, fece allontanare il piccolo Krisna, che fu il suo ottavo maschio, onde sottrarlo allo spi
mbino. Kansa allora comandò una strage generale di tutti i fanciulli, che non avessero oltrepassato l’età di un anno, spera
ssente siccome un vero dio, uccide i Daitri scherani del perfido zio, che movevano contro di lui per compiere il sanguinoso
undagroma, si presentarono loro alcune donne dalle forme gigantesche, che erano segrete mandatarie di Kansa, e domandano a
bambino ch’egli porta seco. Krisna allora, sapendo per volere divino che il seno che gli si porge è avvelenato, taglia coi
egli porta seco. Krisna allora, sapendo per volere divino che il seno che gli si porge è avvelenato, taglia coi denti già p
gli si porge è avvelenato, taglia coi denti già possenti, la mammella che si offre alle sue labbra e fa che il veleno che q
coi denti già possenti, la mammella che si offre alle sue labbra e fa che il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene
possenti, la mammella che si offre alle sue labbra e fa che il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene della gigantes
che il veleno che quella rinchiude filtri nelle vene della gigantessa che spira ai suoi piedi. Kansa allora ; non punto sco
L 2397. Labda. — Una delle figliuole di Anfione. Narra la cronaca che essendo nata zoppa, non trovò alcuno della stirpe
a che essendo nata zoppa, non trovò alcuno della stirpe dei Bacchidi, che avesse voluto torla in moglie. Labda allora ricor
torla in moglie. Labda allora ricorse all’oracolo, e questo rispose, che ella sarebbe divenuta madre di un figliuolo che p
lo, e questo rispose, che ella sarebbe divenuta madre di un figliuolo che poi avrebbe usurpata la suprema autorità in Corin
ttadino di Corinto per nome Echecrate, ed ebbe da quello un figliuolo che fu chiamato Cipfelo, perchè secondo la tradizione
econdo la tradizione, essendo stati i Corinti istrutti della risposta che l’oracolo avea data a Labda, vollero uccidere il
iullo, onde sua madre per salvarlo, lo nascose in una misura di biada che i greci chiamavano Cipfelo. Da ciò il nome del ba
Creta ; sebbene quest’ultimo, al dire di Plinio lo storico, non fosse che la centesima parte di quello d’Egitto. Al dire di
dire di Erodoto, il laberinto di Egitto fu edificato per i dodici re, che secondo la tradizione storica, regnarono insieme
di esse. Le camere sotterranee contenevano i sepolcri dei dodici re, che avevano intrapresa, continuata e finita la costru
vi si conservavano anche i cadaveri imbalsamati di que i coccodrilli, che il culto religioso degl’egiziani riteneva come sa
i, dei passaggi, dei corridoi e delle uscite praticate in queste sale che mettevano le une nelle altre, e tutte erano ricop
pietra bianca. Cosi Erodoto. Però il cronista Pomponio Mela, aggiunge che il famoso laberinto del lago Meride era opera del
oso laberinto del lago Meride era opera dell’architetto Psanmetico, e che con teneva tremila appartamenti, e dodici palagi,
o, e trovandosi sempre nel medesimo punto donde si era partiti, senza che si giungesse mai a ritrovare la via della uscita.
giungesse mai a ritrovare la via della uscita. Il laberinto di Grecia che sorgeva nell’isola di Creta, fu costruito da Deda
ome di Minotauro. È questo il laberinto di cui fà menzione Virgilio e che sorgeva vicino alla città di Gnosso. …… in quant
ante si discorre Per le molte intricate e cieche strade Del Laberinto che si dice in Creta Esser costrutto ; …….. Virgilio
dell’Etruria, nell’intenzione di farne il proprio sepolcro, e l’altro che sorgeva nell’isola di Lenno. 2400. Labradeo. — Al
lse le sue bellissime armi, fra cui una scure di maraviglioso lavoro, che l’eroe, donò ad Onfale sua ; amante. Questa princ
à della Grecia. Questo Lacedemone fu, secondo la tradizione, il primo che avesse dedicato un tempio alle Muse. Dopo la sua
Sparta. 2403. Lachesi. — Una delle tre Parche, e propriamente quella che torceva il filo della vita. V. Parche. 2404. Laci
io, un tempio consacrato alla dea Giunone, sotto questo soprannome, e che era famoso per i ricchi donativi che lo adornavan
none, sotto questo soprannome, e che era famoso per i ricchi donativi che lo adornavano. Questo tempio, dedicato a Giunone
he lo adornavano. Questo tempio, dedicato a Giunone Lacinia, è quello che il censore Quinto Fulvio Flacco, spogliò delle ma
ensore Quinto Fulvio Flacco, spogliò delle magnifiche tegole di marmo che ne formavano il tetto, onde servirsene per la edi
etto, onde servirsene per la edificazione di un tempio della Fortuna, che egli faceva fabbricare in Roma. Però essendo mort
rto improvvisamente il censore Flacco, i suoi contemporanei ritennero che quella morte fosse avvenuta per vendetta di Giuno
di Giunone Lacinia, la quale avesse per tal modo punito il tracotante che si facea reo di quel sacrilegio. Questa popolare
reo di quel sacrilegio. Questa popolare credenza prese tanto vigore, che il senato emanò un editto, col quale comandava ch
rese tanto vigore, che il senato emanò un editto, col quale comandava che le tegole di marmo fossero rimesse al loro posto.
esto avvenimento, per sè stesso semplicissimo ; imperocchè si credeva che se taluno avesse inciso il proprio nome su quelle
su quelle tegole di marmo, la incisione svaniva nell’ istesso momento che l’individuo veniva a morire. Cicerone attribuisce
sce, nelle sue opere, un altro prodigio a Giunone Lacinia, e racconta che Annibale, volendo impadronirsi d’ una colonna d’o
, e racconta che Annibale, volendo impadronirsi d’ una colonna d’oro, che sorgeva in quel tempio, e non sapendo se fosse d’
mente di foglie d’ oro, la fece puntare con taluni istrumenti e trovò che era d’ oro massiccio, onde comandò che venisse tr
con taluni istrumenti e trovò che era d’ oro massiccio, onde comandò che venisse trasportata altrove. Ma nella notte segue
e dall’ opera incominciata, minacciandolo di privarlo del solo occhio che avea (avendo Annibale perduto un occhio in una ba
suo comando. Annibale allora, prestand o piena fede al sogno, ordinò che dell’ oro che si era cavato dalla colonna nel pun
Annibale allora, prestand o piena fede al sogno, ordinò che dell’ oro che si era cavato dalla colonna nel puntarla, venisse
cavato dalla colonna nel puntarla, venisse fusa una piccola giovenca, che poi fu posta sul capitello della colonna istessa.
olonna istessa. 2405. Lacinio. — Cosi avea nome un famoso masnadiere, che per lung o tempo, desolò il paese di Crotone. Erc
, fu consacrato, in memoria delle sue gesta un bosco in una contrada, che , dal suo nome, fu detta borgata dei Lacidi ; e ch
o in una contrada, che, dal suo nome, fu detta borgata dei Lacidi ; e che poi divenne famosa nei fasti del paganesimo per a
ganesimo per aver dato i natali a Milziade ed a Cimone figlio di lui, che entrambi andarono annoverati fra i più grandi e v
la Grecia. 2407. Lacturno. — Detto anche semplicemente Latturno : dio che presso i romani, presiedeva alla conservazione de
biade, prima della mietitura. Vi sono alcuni scrittori dell’antichità che chiamano questo nume Lacteus Deus, ed altri ancor
dell’antichità che chiamano questo nume Lacteus Deus, ed altri ancora che ne fanno una dea chiamata Lacturcia. 2408. Ladone
anno una dea chiamata Lacturcia. 2408. Ladone. — Fiume dell’ Arcadia, che secondo la tradizione favolosa, fu padre delle du
volosa, fu padre delle due celebri ninfe Dafne e Siringa. Delle canne che crescevano sulle rive del fiume Ladone, si servì
o di Arcesio e marito di una figliuola di Autolico, chiamata Anticha, che poi lo rese padre del famoso Ulisse. Al dire dell
, e fu uno degli Argonauti. 2410. Lafira. — Dalla parola greca λαϕυσα che significa bollino, si dava questo soprannome a Mi
e delle spoglie e del bottino. 2411. Lafistio. — Soprannome di Giove, che a lui fu dato dagli Orcomeni, dopo che Frisso gli
fistio. — Soprannome di Giove, che a lui fu dato dagli Orcomeni, dopo che Frisso gli ebbe sacrificato il montone di Colco.
annome di Diana a lei dato dai Calidonii, allorquando essi credettero che l’ira che la dea avea fatta ricadere su di Oeneo,
Diana a lei dato dai Calidonii, allorquando essi credettero che l’ira che la dea avea fatta ricadere su di Oeneo, e suoi di
. Le cronache dell’antichità aggiungono in proposito di Diana Lafria, che allorquando l’imperatore Augusto saccheggiò la ci
anti di Patra nell’ Acaja, e segnatamente una statua di Diana Lafria, che essi custodirono gelosamente nella loro cittadell
i Tolomei, nella città di Alessandria. Erano così dette perchè coloro che prendevano parte al banchetto della cena, erano a
Laghi. — I Galli celtici avevano una grande venerazione per i laghi, che essi consideravano come altrettante divinità ; ri
i laghi, che essi consideravano come altrettante divinità ; ritenendo che in essi avessero stanza i numi. Presso quei popol
anti delle circostanze, onde gettare in quelle acque tutte le offerte che si facevano alla luna. Strabone, nelle sue opere
igeni raccontavano le più strane cose. Il cennato scrittore aggiunge, che allorquando fra gli abitanti delle Gallie sorgeva
niera con la quale si risolveva la questione, nel caso non difficile, che i corvi avessero mangiate tutte e due le focacce.
te e due le focacce. 2415. Laide. — La stessa famosa cortigiana greca che molti scrittori chiamano Taide, e l’ Alighieri, n
per una notte di piacere, onde provocò la famosa risposta del saggio, che le disse : Non compro un pentimento a così caro
oi avi. ….. In questa terra Laio, o Signor tenea di re possanza Pria che tu l’assumessi. Sofocle — Edipo Re — Tragedia tr
 — Edipo Re — Tragedia trad. di F. Bellotti. È questo il famoso Lajo che morì ucciso per mano del proprio figliuolo Edipo.
, conosciuta nei fasti della cronaca pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu rapita da Castore al momento che dovea sposare
pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu rapita da Castore al momento che dovea sposare Linceo. V. Castore e Polluce. 2418.
Nettuno. Giove l’amò con passione e Giunone ne concepì tanta gelosia, che allorquando Lamia fu prossima a partorire, la fec
ini morti. La povera giovanetta fu così addolorata di questa sventura che in pochi giorni perdette affatto la sua stupenda
affatto la sua stupenda bellezza, e cadde in tale eccesso di furore, che divorava tutti i bambini che le cadevano fra le m
ezza, e cadde in tale eccesso di furore, che divorava tutti i bambini che le cadevano fra le mani. Questa tradizione della
simbolica esistenza delle Lamie, specie di mostri dal volto di donna, che attirano i passeggieri e poi li divorano. Lamia a
aveva anche nome una famosa cortigiana d’ Atene, figlia di Cleonora e che si rese celebre per la perizia con la quale suona
lungo tempo pazzamente innamorato. All’ epoca della battaglia navale che Demetrio Poliocerte vinse contro Tolomeo, Lamia c
i a Demetrio, seppe coi suoi irresistibili vezzi innamorarlo in modo, che ben presto egli la proferì a tutte le sue amanti,
ene ed in Epidauro. La cronaca a cui si attiene Pausania stesso, dice che Lamia ed Aussesia erano due giovanette cretesi, l
he Lamia ed Aussesia erano due giovanette cretesi, le quali nel tempo che Trezene era tumultuosa per dissidii politici e di
l’interna agitazione. Però appena ebbero varcate le porte di Trezene, che il popolo in piena sommossa le uccise a colpi di
tuirono in onore delle sventurate giovanette, una pubblica solennità, che poi fu celebrata ogni anno, sotto il nome di fest
ano, secondo l’attestazione di molti chiari scrittori dell’antichità, che quelle lampadi ardessero per lungo tratto di anni
crata da Callimaco, innanzi ad una statua di Diana in Atene, e ripete che quella lampada veniva riempiuta d’olio una sola v
va riempiuta d’olio una sola volta l’anno, e ardeva poi sempre, senza che vi fosse stato bisogno di più ritoccarla. Il cron
tri meltissimi, degni anch’essi di fede e di considerazione tanto più che quanto asseriscono Pausania e Solino non ha altra
tanto più che quanto asseriscono Pausania e Solino non ha altra base che l’attestazione dei sacerdoti pagani, i quali alim
lle lampadi, onde mantener vive le superstiziose credenze del popolo, che giovavano altamente ai tenebrosi maneggi di quegl
ai tenebrosi maneggi di quegli impostori. Plutarco istesso racconta, che un abitante della Lacedemonia, per nome Cleombrot
ombroto, avesse vista una lampada perpetua ardere in un tempio, senza che i sacerdoti avessero mai preso cura d’alimentarla
i avessero mai preso cura d’alimentarla d’olio. Ma Plutarco medesimo, che riferisce questo fatto come un prodigio, non fa c
lutarco medesimo, che riferisce questo fatto come un prodigio, non fa che ripetere quanto veniva attestato da quegli istess
me dio del fuoco e inventore delle lampadi ; ed in quelle di Prometeo che , secondo la favola avea rapito il fuoco sacro nel
elle lampadi. 2421. Lampadoforo. — Nome particolare di quel sacerdote che portava le lampadi nei sacrifizii ; talvolta inve
Sole avea affidato a queste sue dilettissime la custodia delle mandre che possedeva in Sicilia. Narra la tradizione, alla q
Sicilia. Narra la tradizione, alla quale si attiene il citato poeta, che avendo una tempesta gettato Ulisse e i suoi compa
e di quell’isola, i seguaci del guerriero greco uccisero alcuni buoi, che facean parte della mandra affidata dal Sole alla
onò la Sicilia, la sua nave fu assalita da una così furiosa tempesta, che a stento riuscì egli solo a salvarsi, mentre tutt
questo il nome di uno dei cavalli del sole, e propriamente di quello che presiedeva al mezzogiorno, ora in cui il Sole rif
lli bianchi del carro solare aveano nome Atteone, Filogeo, ed Eriloo, che altri scrittori chiamano anche Eritreo. V. Cavall
narra di lui un lagrimevole fatto. Allorquando i trojani consentirono che il famoso cavallo di legno fosse introdotto nella
ando un’insidia, cercò di persuadere i suoi concittadini ad opporsi a che il cavallo fosse introdotto al di là delle mura,
avallo fosse introdotto al di là delle mura, e fu in questa occasione che egli pronunziò il famoso motto, che Virgilio pone
le mura, e fu in questa occasione che egli pronunziò il famoso motto, che Virgilio pone sulle labbra di lui : timeo Danaos
isciare sulla superficie delle acque due orribili ed enormi serpenti, che slanciandosi sulla riva, sibilando orribilmente s
ttere i terribili nemici : l’arco non era ancora teso nelle sue mani, che i mostri si slanciarono su di lui, e lo strinsero
tta la testa e della parte superiore del corpo, lo strinsero per modo che quasi lo soffocarono. Finalmente coperto di bava
Laocoonte a sorte eletto Sacerdote a Nettuno ……. …………… Poscia a lui, che a’fanciulli era coll’arme Giunto in aiuto, s’avve
era coll’arme Giunto in aiuto, s’avventaro, e stretto L’avvinser sì, che le scagliose terga Con due spire nel petto, e due
lorofonte. Giove l’amò con passione e la rese madre di quel Sarpedone che fu poi re di Licia. Omero riferisce che Diana sde
rese madre di quel Sarpedone che fu poi re di Licia. Omero riferisce che Diana sdegnata del superbo orgoglio di Laodamia,
a era similmente il nome di una giovanetta moglie di quel Protesilao, che morì ucciso all’assedio di Troja. Quando la dolor
edio di Troja. Quando la dolorosa novella fu portata a Laodamia, essa che amava teneramente il marito, fece fare una statua
Laodamia, essa che amava teneramente il marito, fece fare una statua che riproduceva fedelmente la cara immagine del suo s
tempo dopo uno schiavo andò a riferire ad Acasto, padre di Laodamia, che la figliuola s’era lasciata sorprendere in turpi
ecò immantinenti nella camera della figlia, onde punire la sciagurata che insozzava di tanta macchia il decoro della famigl
ia e la fece mascondere, onde Laodamia non vedesse più quell’oggetto, che manteneva sempre vivo il dolore nell’anima sua. M
ma sua. Ma Laodamia, maggiormente afflitta, chiese in grazia agli dei che le avessero conceduto per sole tre ore di poter f
ato ; e pianse tanto amaramente nel chiadere al cielo codesta grazia, che gli dei impietositi gliela concessero. Mercurio i
ordine di Giove discese all’inferno e ne trasse l’anima di Protesilao che presentò alla fedele Laodamia. Ma questa, trascor
si contentò piuttosto di andar con lui nel regno dei morti, di quello che rimanere sulla terra divisa dal suo diletto. Laod
suo diletto. Laodamia finalmente avea nome una principessa di Epiro, che insieme a sua sorella Nereide, riuseì per poco te
iedi d’una statua della dea, fu uccisa spietatamente da certo Milone, che cieco d’ira contro la disgraziata giovanetta. le
il sangue innocente di lei ricadde goccia a goccia sull’iniqua terra che lo aveva versato, e la guerra, la pestilenza, la
nistri dell’ira degli dei si scatenarono sull’Epiro con tale rapidità che ben presto quella grande contrada fu quasi desert
esto quella grande contrada fu quasi deserta. E quell’istesso Milone, che avea dato alla misera Laodamia il colpo mortale,
Secondo alcuni scrittori, così avea nome la madre della famosa Niobe, che altri autori tanto antichi che moderni chiamano d
avea nome la madre della famosa Niobe, che altri autori tanto antichi che moderni chiamano differentemente. V. Niobe. Laodi
. V. Niobe. Laodice è un nome assai generalizzato presso i pagani ; e che sovente si trova ripetuto nei fasti eroici e favo
carattere della nostra opera, parleremo partitamente di quelle donne che così ebbero nome e che sono ricordate dagl’autori
opera, parleremo partitamente di quelle donne che così ebbero nome e che sono ricordate dagl’autori come le più famose. La
come la più avvenute delle reali fanciulle trojane. L’inclita madre che a trovar sen gia Laodice, la più delle sue figlie
di Ercole per nome Telefo, Laodice fu ben presto abbandonata da lui, che dapprima combatteva nelle fila dei trojani, e che
abbandonata da lui, che dapprima combatteva nelle fila dei trojani, e che poi passò in quelle dei greci. Priamo onde consol
igliuoli maschi e imponendole di tenere le redini del governo, fino a che il primo dei suoi figliuoli avesse raggiunta l’et
mente dalla reggia. Laodice, da ultimo, fu una figliuola di Agapenore che seguì il padre suo all’assedio di Troja, ov’egli
rquando Paride e Menelao offrirono di combattere il singolare duello, che dovea por fine alla lunga guerra di Troia. Laodoc
llo, che dovea por fine alla lunga guerra di Troia. Laodoco fu quello che esortò i troiani a rompere il trattato. Omero agg
fu quello che esortò i troiani a rompere il trattato. Omero aggiunge, che Giove avesse ordinato a Minerva di prendera le se
a le sembianze di Laodoco, e di andare in cerca di Pandaro, onde fare che i troiani avessero violato i patti. La Dea misch
ndare di fortissime e salde mura, la capitale del suo regno ; e tanto che quest’opera fu dai pagani attribuita allo stesso
buita allo stesso Apollo, dio delle arti. Come pure i possenti argini che egli fece costruire, onde proteggere la cittadell
l tempo le onde fatto rovinare uno degli argini, fu ritenuto da tutti che Nettuno sdegnato contro Laomedonte, per non averg
era vendicato della mala fede del re, distruggendo uno di quei ripari che erano opera sua. Questa è almeno se non la sola,
sua. Questa è almeno se non la sola, la più generalizzata tradizione che i cronisti dell’antichità ci abbiano trasmessa su
scrittori, egualmente degni di fede, e ricchi di rinomanza, ripotono che Laomedonte, onde abbellire e fortificare la capit
, Laomedonte non restituì le ricchezze di cui s’era servito, per modo che Apollo afflisse il popolo troiano con una terribi
tilenza, e Nettuno mandò dal fondo del mare un’orrendo mostro marino, che divorava tutti coloro che passavano sulla spiaggi
al fondo del mare un’orrendo mostro marino, che divorava tutti coloro che passavano sulla spiaggia. Desolati i troiani, ric
piaggia. Desolati i troiani, ricorsero all’oracolo, e questo rispose, che Nettuno non placherebbe la sua terribile ira, se
rifizio ; ma nell’istesso tempo emanò un editto col quale proclamava, che chiunque avesse combattuto il mostro e salvata la
lvata la figlia, l’avrebbe avuto in legittima sposa. A questo appello che richiedeva un eroico coraggio, Ercole si offerse
la contrada, e uccise lo stesso Laomedonte, a cui Priamo, suo figlio che gli successe sul trono di Troia fece innalzare un
ece innalzare un magnifico sepolcro. Questo monumento è quello stesso che fu abbattuto dai Troiani medesimi per dar passagg
idazione. — Con questo nome veniva dagli Egineti denominata una festa che essi celebravano in memoria di due giovanette cre
apidate. V. Lamia ed Aussesia. 2436. Lapis. — In memoria della pietra che Saturno aveva divorata, invece del proprio figliu
mento fatto sotto questa misteriosa parola. Cicerone stesso asserisce che un giuramento fatto con questa formola : Jovem l
rare, era ritenuto come infrangibile. 2437. Lapiti. — Da un figliuolo che Apollo ebbe dai suoi amori con una giovanetta chi
dai suoi amori con una giovanetta chiamata Stobia, figlia di Pineo, e che fu detto Lapito, presero la loro denominazione qu
tto Lapito, presero la loro denominazione quei popoli della Tessaglia che si resero celebri nei fasti dell’antichità per la
e si resero celebri nei fasti dell’antichità per la sanguinosa guerra che sostennero contro i Centauri, e che ebbe principi
ntichità per la sanguinosa guerra che sostennero contro i Centauri, e che ebbe principio per una dissensione surta fra di l
. 2438. Lara. — Figlia del fiume Almone. Narra la cronaca mitologica che essa palesò a Giunone la tresca amorosa che egli
rra la cronaca mitologica che essa palesò a Giunone la tresca amorosa che egli aveva con la ninfa Giuturna ; per il che sde
unone la tresca amorosa che egli aveva con la ninfa Giuturna ; per il che sdegnato Giove le fece tagliare la lingua e coman
il che sdegnato Giove le fece tagliare la lingua e comandò a Mercurio che l’avesse condotta all’inferno. Mossa a pietà del
I Fasti — Libro II. trad. di Giambattista Bianchi. Narra la cronaca, che la sua disgrazia non aveva punto alterata la sorp
zia non aveva punto alterata la sorprendente bellezza di Lara ; tanto che Mercurio stesso, durante il tragitto invaghitosen
il tragitto invaghitosene perdutamente, la rese madre di due gemelli che poi furono detti, dal nome della madre Lari, ed a
sti — Libro II. trad. Giambattista Bianchi. 2439. Larentali. — Feste che i Romani celebravano in onore di Acca Laurenzia,
 — Altamente seria era, nel culto religioso dei pagani, la importanza che essi davano agli dei Lari, detti anche Penati ; e
, la importanza che essi davano agli dei Lari, detti anche Penati ; e che essi ritenevano come gli dei domestici, i genii t
culto pagano degli dei Lari, trasse la primitiva sua origine dall’uso che avevano gli antichi di sotterrare cioè i loro mor
avevano gli antichi di sotterrare cioè i loro morti nelle case ; cosa che dette motivo a quelle menti ottenebrate dalla sup
a quelle menti ottenebrate dalla superstizione di ritenere per fermo che le anime dei trapassati soggiornassero nelle stes
giornassero nelle stesse case, ove avean dimorato durante la vita ; e che prendessero la casa e la famiglia sotto la loro p
i anni i morti vennero sepolti lungo le strade maestre ; ed allora fu che i Lari o Penati furono considerati come dei prote
. Secondo riferisce il cronista Apuleio, gli dei Lari altro non erano che le anime di coloro che avevano onestamente vissut
cronista Apuleio, gli dei Lari altro non erano che le anime di coloro che avevano onestamente vissuto e che perciò dimorava
ro non erano che le anime di coloro che avevano onestamente vissuto e che perciò dimoravano anche dopo la morte nel seno de
da principio rappresentati sotto la figura di un cane onde ricordare che essi erano i custodi della casa, e che vigilavano
gura di un cane onde ricordare che essi erano i custodi della casa, e che vigilavano continuamente onde allontanare tutto c
della casa, e che vigilavano continuamente onde allontanare tutto ciò che potesse esser nocivo. Ordinariamente i pagani met
altari un maiale ; mentre quando si facevano loro offerte private, il che avveniva quotidianamente, si offriva loro del vin
el vino, dell’incenso, dei fiori e perfino una porzione delle vivande che erano imbandite sulla mensa. Giornalmente poi le
larmente al servizio degli dei Penati. Grandissima era la venerazione che i pagani avevano per queste loro divinità tutelar
ronache dell’antichità ci rapportano più d’un esempio, in cui si vede che particolarmente in occasione della morte di un qu
sia genî malefici. A questo proposito narra un’antica cronaca romana, che l’imperatore Caligola ; scontento dei proprî Lari
sa, i pagani ne distinguevano diversi altri. V’erano i Lari pubblici, che avevano la speciale presidenza dei lavori della c
, come strade, monumenti, sepolcri, ecc. V’erano i Lari detti Urbani, che avevano in custodia la città ; Compitales, quelli
i detti Urbani, che avevano in custodia la città ; Compitales, quelli che presiedevano alle crociere delle vie ; Viales, qu
Rurales, quelli della campagna ; e finalmente i Lari Hostiles, quelli che avevano la cura speciale di allontanare i nemici.
i nemici. Fra le maggiori divinità del paganesimo, ve n’erano alcune che facevano parte degli dei Lari, come Apollo, Mercu
Macrobio, era compreso fra gli dei Lari dei romani, perchè si credeva che avesse le strade sotto la sua speciale protezione
trade sotto la sua speciale protezione. Infine, tutti quelle divinità che i pagani sceglievano come protettrici sia d’una c
es, alludendo al grugnito proprio dei maiali, in memoria della scrofa che avea partoriti trenta porcelli in una volta. V. G
ce Macrobio, celebritas sigillariorum, ossia festa delle statuette, e che si solennizzava negl’undici giorni prima delle ca
nsacrato. 2443. Laristo. — Fiume del Peloponneso. Riferisce Pausania, che sulle sponde di quello, sorgeva un tempio dedicat
me collettivo, i pagani indicavano le anime dei perversi, e credevano che ritornassero sulla terra per tormentare i vivi. L
chiamavano lateres, una specie di cammino fabbricato in pietre cotte, che ricopriva il focolare di ogni casa. Da ciò, secon
del Lazio. Kra Signore, Quando ciò fu, di Lazio il Be Latino, Un re, che veglio, e placido gran tempo Avea ’l suo regno am
 Eneide — Libro VII. trad. di A. Caro : Narra la cronaca mitologica, che Latino avesse avuto dalla regina Amata, un figliu
mitologica, che Latino avesse avuto dalla regina Amata, un figliuolo che gli fu rapito da alcuni delfini ; per modo che no
na Amata, un figliuolo che gli fu rapito da alcuni delfini ; per modo che non gli restò altra prole, che una leggiadra giov
fu rapito da alcuni delfini ; per modo che non gli restò altra prole, che una leggiadra giovanetta per nome Lavinia, la qua
co oracolo, il quale gli aveva imposto di non maritare la figlia sua, che con un principe straniero, egli fece alleanza con
l loro Esculapio, ossia del dio della sanità. Vogliono alcuni autori, che Latobio propriamente fosse il nome di un famoso m
i autori, che Latobio propriamente fosse il nome di un famoso medico, che i norici divinizzarono dopo la morte. 2450. Laton
e, a causa della sua stupenda bellezza e la rese madre di due gemelli che furono Apollo e Diana. Narra la tradizione, che G
madre di due gemelli che furono Apollo e Diana. Narra la tradizione, che Giunone mossa da geloso furore, perseguitò instan
lla terra, spaventò siffattamente Latona, inseguendola continuamente, che essa, prossima a partorire, non trovò un angolo d
none spinta sempre dalla sua gelosia, istrutta dell’inatteso ricovero che la sua rivale avea avuto da Nettuno, la obbligò a
a’, di gemella prole Sgravossi, della suocera a dispetto. Fama è però che per fuggir lo sdegno Di Giuno, la puerpera da Del
a bellissima amante di Giove giunse nella Licia, ove la cronaca narra che oppressa un giorno, dagli ardori del sole e dalla
eli in rane. Erodoto però asserisce, nei suoi scritti sull’antichità, che Latona altro non fu se non la nutrice di Apollo,
ull’antichità, che Latona altro non fu se non la nutrice di Apollo, e che Iside, la dea suprema, fosse la vera madre di lui
le crudeli persecuzioni di Tifone, lo nascose nell’isola di Chemnide, che sorgeva in mezzo ad un lago, chiamato Bute. Da qu
chiamato Bute. Da questa ultima opinione del classico autore, sembra che i greci, altro non abbian fatto se non che masche
el classico autore, sembra che i greci, altro non abbian fatto se non che mascherare con la larva simbolica dell’allegoria
esti ultimi popoli, Apollo, ossia il sole ha per madre Latona (parola che significa nel linguaggio egiziano, nascosto), vol
he significa nel linguaggio egiziano, nascosto), volendo significare, che prima della nascita del sole, tutte le cose creat
ole, tutte le cose create erano nascoste nell’oscurità delle tenebre, che ravvolgevano nella notte del caos primitivo la cr
bbe ben presto altari e templi, e tra questi, il più famoso fu quello che sorgeva nell’isola di Delo, vicino a quello del f
dell’immortale scalpello di Prassitele. Fra i popoli dell’antichità, che onoravano Latona di un culto particolare, è mesti
mente nominare gli Egiziani, i quali delle sei grandi e solenni feste che celebravano nel corso dell’anno, avevano istituit
el corso dell’anno, avevano istituita la quinta in onore di Latona, e che veniva solenuizzata nella città di Butite con gra
onne adoravano Latona come protettrice delle partorienti e si credeva che presiedesse anche al parto degli animali. A compl
che presiedesse anche al parto degli animali. A completare le notizie che le cronache dell’antichità ci hanno trasmesse su
e lo scrittore Ateneo, nelle sue cronache. Narra il citato scrittore, che un greco per nome Parmenisco Netapontino, il qual
bbe la temerità di volere a forza penetrare nell’antro di Trofonio, e che in pena della sua azione sagrilega, fosse condann
dovuto fare per essere liberato da tale castigo ; e l’oracolo rispose che sua madre gli avrebbe restituita nella propria ca
uita nella propria casa la facoltà di ridere. Par menisco si convinse che la madre a cui accennava l’oracolo era la patria 
si convinse che la madre a cui accennava l’oracolo era la patria ; e che appena sarebbe rientrato nella sua dimora, avrebb
lusa, poichè appena rientrato nelle sue domestiche pareti, si accorse che il ridere gli era sempre inibito da una forza sup
entrò nel tempio di Latona col proposto di vedere la magnifica statua che Prassitele avea scolpito di quella dea ; ma invec
statua che Prassitele avea scolpito di quella dea ; ma invece di ciò che si aspettava di vedere, altro non scorse che un i
a dea ; ma invece di ciò che si aspettava di vedere, altro non scorse che un informe simulacro di legno, con una faccia cos
nforme simulacro di legno, con una faccia così contrafatta e sconcia, che appena i suoi occhi l’ebbero fissata, egli ruppe
’ebbero fissata, egli ruppe in un violento scoppio di riso. Fu allora che comprese il senso della risposta dell’oracolo, e
nel tempio istesso di Licurgo. 2452. Lavazione. — Era questo il nome che i romani davano ed una festa, che essi celebravan
52. Lavazione. — Era questo il nome che i romani davano ed una festa, che essi celebravano annualmente in onore della madre
ione, avvalorata dalla testimonianza cronologica delle date, aggiunge che la festa della lavazione si celebrava il 25 marzo
dei. S. Agostino, nelle sue opere, sferza inesorabilmente le oscenità che i pagani di Roma commettevano in questa occasione
regina Amata. Fu erede del trono paterno. V. Latino. Narra la cronaca che essa già innanzi con gl’anni si vide scopo alle r
ne a cangiare l’ordine delle cose ; imperocchè, la tradizione ripete, che offerendo Lavinia un giorno un sacrifizio, insiem
l’altare, si appiccò alla sua folta e magnifica capellatura, per modo che la ricca acconciatura di perle, di cui ella aveva
vesti di lei, la ravvolse come in una nube di pallida luce e di fumo, che ben presto riempì tutta la reggia. Codesto avveni
si la principessa incolume, come per miracolo, gl’indovini predissero che ella avrebbe uno splendidissimo destino, il quale
issimo destino, il quale pero sarebbe riuscito funesto al suo popolo, che per cagione di lei avrebbe avuto a sostenere una
edizioni, mosse a consultare l’oracolo di Fauna e questo gli rispose, che non avrebbe dovuto concedere la mano di Lavinia,
sto gli rispose, che non avrebbe dovuto concedere la mano di Lavinia, che ad un principe straniero. Poco tempo dopo infatti
stenere, contro Turno re dei Rutuli, una lunga guerra, perchè questo, che era nipote della regina, contrastò ad Enea colle
ato da Ascanio, figlio d’Enea, e di Creusa, prima moglie di lui, temè che il giovanetto principe non avesse attentato ai su
Lazio cominciarono a mormorare della lontananza di Lavinia, per modo che Ascanio fu costretto a ricercare della matrigna e
ere ad essa ed al figliuolo Silvio il governo della città di Lavinio, che essa tenne fino alla morte di Ascanio, epoca in c
orte di Ascanio, epoca in cui risalì sull’antico trono degl’avi suoi, che poi ella trasmise ai suoi successori, non lascian
trasmise ai suoi successori, non lasciando ai discendenti di Ascanio, che la dignità ereditaria di sommo sacerdote. 2455. L
a di sommo sacerdote. 2455. Lavinio. — Fu questo il nome di una città che Enea edificò, secondo il dettato dell’oracolo, in
ale primiti vamente venivano additati alcuni antichi popoli italiani, che taluni scrittori vogliono che fossero gli stessi
dditati alcuni antichi popoli italiani, che taluni scrittori vogliono che fossero gli stessi abitatori del Lazio, sudditi d
. Un’ antica tradizione alla quale si attiene Virgilio stesso, ripete che nel palazzo del re sorgeva un albero d’ alloro, i
ale, per essere secolare, era tenuto con certo religioso rispetto ; e che avendolo il re trovato colà dove avea deciso di f
e la sua reggia, lo avesse consacrato ad Apollo Febo. Da ciò si vuole che i Laurentini avessero presa la loro denominazione
an tempo consecrato e colto Con molta riverenza era serbato. Si dicea che Latino esso re stesso Nel desiguare i suoi primi
— Eneide — Libro VII trad. di A. Caro. 2458. Laziale. — Dal costume che avevano alcune città del Lazio di sagrificare a G
me di Laziale ad una statua fatta scolpire da Tarquinio il superbo, e che sorgeva sopra un’alta montagna, nelle circostanze
latine. Da quanto riferiscono le cronache dell’ antichità, si rileva che i romani sacrificavano a Giove Laziale annualment
ualmente una vittima umana ; sebbene avessero preteso dai cartaginesi che non avessero più sacrificato i propri figliuoli a
ebbe principio dal fatto seguente. La cronaca tradizionale asserisce, che avendo il re Tarquinio conchiuso un trattato di a
ato di alleanza coi latini, volle, per eternare la memoria del fatto, che si fosse fabbricato uno splendido tempio comune,
i latini. La tradizione ripete, a proposito del nome di questo paese, che deriva dalla parola latina latere, nascondersi, e
itò tutti i discendenti di Cadmo. Leargo fu ucciso dal proprio padre, che Giunone aveva a tale scopo colpito di un accesso
ndo altri autori, di Sparta. La tradizione mitologica racconta di lei che Giove l’amò perdutamente a causa della sua stupen
che Giove l’amò perdutamente a causa della sua stupenda bellezza ; e che avendola un giorno veduta mentre si bagnava nelle
va sovente combattuta da altri chiarissimi autori, i quali pretendono che le uova partorite da Leda fossero due, e che da u
tori, i quali pretendono che le uova partorite da Leda fossero due, e che da uno uscissero Castore e Polluce, e dall’altro
Nemesi, Leda in atto di condurre Elena a quella dea. Pausania pretese che Leda altro non fosse se non la nutrice di Elena.
on fosse se non la nutrice di Elena. Altri autori finalmente vogliono che Nemesi stessa, avesse partorito un uovo, il quale
l nome di Leona. Fu una famosa cortigiana d’ Atene, la quale al tempo che la sua patria gemeva sotto il ferreo giogo d’ Ipp
giana Leona, facendola rappresentare sotto la figura di una Leonessa, che avea tronca la lingua. 2467. Lelapo. — Al dire d’
io e di molti altri scrittori dell’ antichità, così avea nome il cane che Procri regalò a Cefalo, quando questi mosse alla
galò a Cefalo, quando questi mosse alla caccia della mostruosa volpe, che , secondo la cronaca, desolava le campagne di Tebe
he, secondo la cronaca, desolava le campagne di Tebe. Il mio Lelapo ( che del cane a me donato Tal era il nome) ad una voce
o Federico. Ripete la tradizione a cui si attiene il citato poeta, che offesa Temi per la morte della sfinge, e per vede
lle campagne di Tebe un’ enorme volpe, la quale produsse tante morti, che tutta la nobiltà tebana e delle circonvicine citt
cane di Cefalo chiamato Lelapo, il quale aveva un così rapido corso, che appena fu sguinzagliato contro la volpe che la se
eva un così rapido corso, che appena fu sguinzagliato contro la volpe che la seguitò così da vicino, che sembrava ad ora ad
ppena fu sguinzagliato contro la volpe che la seguitò così da vicino, che sembrava ad ora ad ora avesse potuto addentarla,
a ad ora ad ora avesse potuto addentarla, ma non riusciva a stringere che l’ aria. Finalmente dopo una lunghissima corsa, i
endo. Questo prodigio fu detto avvenisse per volontà di qualche nume, che non avea voluto permettere che uno dei due maravi
avvenisse per volontà di qualche nume, che non avea voluto permettere che uno dei due maravigliosi animali rimanesse vinto.
sembra. Così pìacque ad un nume (se del fatto Qualche nume ebbe cura) che le belve Restassero ambedue nel corso invitte. O
ad. del Cav. Ermolao Federico. Nei fasti della mitologia è ripetuto che il cane Lelapo era stato formato da Vulcano, che
mitologia è ripetuto che il cane Lelapo era stato formato da Vulcano, che ne fece un dono a Giove, il quale al tempo dei su
padre lo precipitò dal cielo con un calcio. La cronaca favolosa narra che i Lemni lo avessero ritenuto in aria, impedendogl
ro ritenuto in aria, impedendogli così di fracassarsi nella caduta, e che Vulcano, in ricompensa di tale servigio, avesse p
anche con un’appellazione complessiva larve, specie di genî malefici, che i pagani adoravano, credendo che fossero le anime
siva larve, specie di genî malefici, che i pagani adoravano, credendo che fossero le anime dei cattivi che tornassero a tor
ci, che i pagani adoravano, credendo che fossero le anime dei cattivi che tornassero a tormentare i viventi. In Roma si cel
lo di placare codeste anime irrequiete. I romani credevano fermamente che il mezzo più efficace per allontanare i lemuri fo
allontanare i lemuri fosse quello di abbruciare delle fave, ritenendo che l’ acre odore di quegli arsi legumi, riuscisse lo
iuscisse loro insopportabile. Durante il periodo delle feste Lemurie, che ricadevano nel mese di maggio, e si celebravano d
tutti i templi rimanevano chiusi. La istituzione delle feste Lemurie, che Ovi dio chiama feste notturne o degli spettri, vi
li spettri, viene dalle cronache dell’ antichità attribuita a Romolo, che volle con quelle cerimonie, placare l’ ombra di R
lui ucciso. È questa la ragione per la quale molti autori han creduto che la parola Lemuri derivasse da Remures, ossia fest
ossia feste in onore di Remo. 2470. Leneo. — Dalla parola greca ληὑς che significa torchio, si dava questo soprannome a Ba
fine dell’ autunno, e propriamente all’ epoca della vendemmia, ond’ è che il mese consacrato a questa operazione agricola,
pote di Nettuno e figlio di Glaucone e di Astidamia. Narra la cronaca che Lepreo d’accordo col re Augia, avesse stabilito d
bevuto più vino. Ercole vinse sempre in tutti gli esercizii, per modo che Lepreo, ebbro di collera e di vino, sfidò Ercole
il cui circuito al dire di Pausania era di un terzo di stadio, misura che corrisponde alla ventiquattresima parte di un leg
fasti della mitologia, il lago di Lerna è celebre per la famosa Idra che fu uccisa da Ercole e che formò una delle dodici
lago di Lerna è celebre per la famosa Idra che fu uccisa da Ercole e che formò una delle dodici fatiche dell’ eroe, sebben
e formò una delle dodici fatiche dell’ eroe, sebbene la cronaca dice, che avendo Iolao accompagnato Ercole nel combattiment
e, anche l’ uccisione della terribile Idra. V. Ercole. Euripide dice, che l’arme della quale Ercole si servì per uccidere i
una falce d’oro. Al dire di Platone ; l’Idra di Lerna altro non era, che la simbolica configurazione d’un sofista nemico d
e d’un sofista nemico di Ercole, il quale si scatenò contro l’eroe, e che le sette teste rinascenti a misura che venivan re
le si scatenò contro l’eroe, e che le sette teste rinascenti a misura che venivan recise, altro non fossero che i cattivi r
sette teste rinascenti a misura che venivan recise, altro non fossero che i cattivi ragionamenti e i falsi raziocinii di cu
serviva il detrattore dell’ eroe. Fra gli autori antichi però, quello che ci ha trasmesse più dettagliate notizie sul lago
dettagliate notizie sul lago di Lerna, è Pausania, il quale asserisce che gli argivi pretendevano che fu da questo lago che
di Lerna, è Pausania, il quale asserisce che gli argivi pretendevano che fu da questo lago che Bacco discendesse all’infer
il quale asserisce che gli argivi pretendevano che fu da questo lago che Bacco discendesse all’inferno, onde ricondurre su
l’inferno, onde ricondurre sulla terra la madre Semele. Il certo si è che ai tempi in cui scriveva il cennato storico, non
la profondità di quelle acque. Finalmente lo stesso Pausania aggiunge che le onde del lago di Lerna, che giacevano sempre,
Finalmente lo stesso Pausania aggiunge che le onde del lago di Lerna, che giacevano sempre, all’apparenze, in una immobilit
misteri dette Lernee, nei quali si compivano tali mostruose oscenità, che lo stesso storico Pausania dice, non poterle divu
elle vittime umane. 2478. Lestrigoni. — Antichi popoli della Sicilia, che le cronache ci presentano come antropofagi. Narra
ia, che le cronache ci presentano come antropofagi. Narra la cronaca, che allorquando Ulisse giunse sulle spiagge della Les
ono la moglie del re, la cui speventevole vista gli inorridì per modo che essi vollero ritornare sui loro passi, essendo el
otte Antifate chiamava Dalla pubblica piazza, il rinomato Marito suo, che disegnò lor tosto Morte barbara e orrenda. Uno af
L’immane voce del mostruoso signore rimbombò per tutta l’ isola, sì che i Lestrigoni dall’alto delle rupi schiacciarono a
lle rupi schiacciarono a colpi di sassi i seguaci d’ Ulisse, e quelli che non morirono sotto le pietre furono infilzati com
lzati come pesci e imbanditi ad un orrendo banchetto. Il solo Ulisse, che non era ancora sbarcato, potè allontanarsi precip
di I. Pindemonte. 2479. Letea. — Moglie di Oleno. Narra la cronaca, che essa insuperbita della propria bellezza, osò vant
gnati la condannarono ad esser trasformata in sasso. Oleno suo marito che amava passionatamente Letea volle addossarsi la c
amava passionatamente Letea volle addossarsi la colpa, ma non riuscì che a dividere il castigo di lei, imperocchè fu anch’
di lei, imperocchè fu anch’egli cangiato in rupe. O ad Oléno simil, che a sè medesmo Affibbiò l’altrui colpa, e che fu va
rupe. O ad Oléno simil, che a sè medesmo Affibbiò l’altrui colpa, e che fu vago Di reo mostrarsi : o a te, Letéa, simile,
umerabili……. Virgilio — Eneide — Libro VI trad. di A. Caro. Coloro che ammettevano la metempsicosi, credevano che le ani
trad. di A. Caro. Coloro che ammettevano la metempsicosi, credevano che le anime che avessero bevuto l’acqua di Lete, era
aro. Coloro che ammettevano la metempsicosi, credevano che le anime che avessero bevuto l’acqua di Lete, erano destinate
e, erano destinate a ritornar sulla terra ad animare altri corpi ; ma che doveano aggirarsi per lo spazio di mille anni nel
che in Africa v’era un fiume conosciuto sotto l’appellazione di Lete, che metteva foce nel Mediterraneo, vicino al capo del
ino al capo delle sirti, e del quale la tradizione mitologica ripete, che dopo aver corso per una sufficiente lunghezza, sc
anti acque, vicino alla città di Bereniee. Fu questa forse la ragione che fece ritenere dalla superstione pagana, che il fi
u questa forse la ragione che fece ritenere dalla superstione pagana, che il fiume Lete sca turiva dall’inferno. Da ultimo
sca turiva dall’inferno. Da ultimo la tradizione mitologica aggiunge, che nell’isola di Creta, correva un fiume a cui fu da
isola di Creta, correva un fiume a cui fu dato (il nome di Lete, dopo che Ermione, avendo bevuto di quell’acqua, dimenticò
admo. 2481. Lettisternio. — Solenne ed imponente cerimonia religiosa, che i romani compivano, con grandissimo rispetto, in
dei. Consisteva il Lettisternio in un sontuoso e splendido banchetto, che per più giorni, in nome ed a spesa della repubbbl
dava alle principali divinità, ed in uno dei loro templi, credendosi che gli dei, a cui veniva offerto il banchetto vi ave
rose ; sovra ognuno di quei letti veniva posta la statua di quel nume che prendeva parie al convito, mentre il posto delle
e il flagello prendeva ogni giorno più consistenza, il senato decretò che si fossero interrogati i libri sibillini. Infatti
fossero interrogati i libri sibillini. Infatti i sacerdoti risposero, che per far cessare il castigo, bisognava celebraré u
alità veniva esercitata riguardo ad ogni classe di persone tanto note che sconosciute ; e tale sentimento di ospitalità ven
italità veniva spinto tant’ oltre, durante il tempo del Lettisternio, che ogni antico rancore spariva e si videro uomini fr
to autore, questa cerimonia riusci completamente inefficace, per modo che si dovè ricorrere ad altra divozione per raggiung
sta fu la istituzione dei giuochi scenici, V. Giuochi, nella speranza che non essendosi fino allora veduti in Roma tali rap
inità, cioè, Giove, Giunone e Mercurio ; aggiungendo la particolarità che , intorno al banchetto del convito, era posto un s
dualmente romana ; ma vi è stato pure fra gli scrittori tanto antichi che moderni, e fra questi il critico Casauvono, che h
rittori tanto antichi che moderni, e fra questi il critico Casauvono, che han dimostrato essere il Lettisternio in uso anch
e, in varii brani delle sue opere, di alcuni cuscini detti Pulvinaria che nei conviti eran posti sotto le statue degli dei
degli dei e degli eroi. Lo Spon, nel suo viaggio della Grecia, scrive che nella città di Atene si vedeva ancora il Lettiste
na aveva partorito, posavano sulla nuda terra il neonato, e bisognava che il padre, o in sua assenza taluno che lo rapprese
a terra il neonato, e bisognava che il padre, o in sua assenza taluno che lo rappresentasse, lo avesse immediatamente preso
ediatamente preso fra le sue braccia, levandolo dalla terra, senza di che il bambino passava per illegittimo. Al dire del c
illegittimo. Al dire del cronista Vossio, la dea Levana era la stessa che Ilizia o Lucina. 2483. Leucadio — Da un tempio ch
vana era la stessa che Ilizia o Lucina. 2483. Leucadio — Da un tempio che Apollo aveva sulla spiaggia di Epiro, nell’isola
Azio, ove Apollo veniva particolarmente adorato. La tradizione ripete che fu a Leucade che Enea fece celebrare i famosi giu
veniva particolarmente adorato. La tradizione ripete che fu a Leucade che Enea fece celebrare i famosi giuochi funebri, in
 Isola del Ponto Eusino, della quale la tradizione mitologica ripete, che gli antichi avevano formata una specie di Campi E
gli antichi avevano formata una specie di Campi Elisi, ove ritenevano che dimorassero le anime degli eroi. Al dire di Pausa
, il primo a penetrare fu certo Leonimo di Crotona. Narra la cronaca, che quando ardeva la guerra fra i Locresi ed i Croton
sportare a Delfo, onde consultare quell’oracolo. La Pitia gli rispose che avrebbe dovuto recarsi nell’isola di Leuce, ove A
isanò interamente. Da quell’ epoca si sparse fra i Crotoniati la voce che Leonimo aveva detto d’aver visto coi proprii occh
ssa, la quale sposata ad Achille, aveva parlato a Leonimo, dicendogli che appena giunto ad Imera avesse avvertito il poeta
ndogli che appena giunto ad Imera avesse avvertito il poeta Stesicoro che egli aveva perduta la vista per effetto della col
ome collettivo deile due figliuole di Leucippo, dette Febea ed Ilaria che furono rapite da Castore e da Polluce. V. Ilaria
furono rapite da Castore e da Polluce. V. Ilaria e Febea. È a notare che varii autori dell’ antichità, chiamano la prima d
mò perdutamente la giovanetta Dafne ; ma sapendo la grande avversione che essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pe
e avversione che essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pensò che piuttosio che richiederne inutilmente la mano, ch
he essa nudriva per tutti gli uomini in generale, pensò che piuttosio che richiederne inutilmente la mano, che ella certo g
in generale, pensò che piuttosio che richiederne inutilmente la mano, che ella certo gli avrebbe negata, valeva meglio rico
entatosi a lei come figlia di Oenomao, le chiese di volerle concedere che l’accompagnasse alla caccia. Dafne delusa dalle a
e non trascurava nulla per tornar bene accetto a Dafne, così avvenne che ben presto si acquistò tutta la grazia di lei. Ap
nne che ben presto si acquistò tutta la grazia di lei. Apollo intanto che anch’egli avea concepito un ardente desiderio d’a
i delle sue vesti e discendere nel fiume ; ma appalesatosi il mistero che egli ascondeva, fu ucciso a colpi di puguale e di
ondeva, fu ucciso a colpi di puguale e di frecce. V’ à qualche autore che da questa tradizione toglie solamente l’intervent
ripetono le cronache. 2488. Leucofrina. — Uno dei soprannomi di Diana che a lei veniva da un luogo, sulle rive del fiume Me
a Magnesia, ov’essa aveva un tempio, in cui si adorava una sua statua che la rappresentava col seno coperto di più mammelle
due vittorie. 2489. Leucosia. — Una delle Sirene. Riferisce Strabone, che quando essa e le sue compagne si precipitarono in
quando essa e le sue compagne si precipitarono in mare, fu da questa che l’isola del mar Tirreno, sulla spiaggia occidenta
stirpe di Belo. Leucotea si rese famosa per la sua stupenda bellezza, che vinceva d’assai quella della madre di lei, ritenu
v. III. trad. del Cav. Ermolao Federico Narra la cronaca mitologica che Apollo innamorato della straordinaria bellezza di
ata giovinetta. Orcamo intanto, avvisato da certa Clizia del tranello che per amore gli faceva Apollo, cieco di furore, e c
faceva Apollo, cieco di furore, e cedendo alle perfide insinuazioni, che per gelosia del divino amante, l’abbandonata Cliz
gelosia del divino amante, l’abbandonata Clizia gli suggeriva, ordinò che Leucotea fosse sotterrata viva, e fosse gettato s
e, asperse di nettare il bellissimo corpo della sua amata, e la terra che lo ricopriva ; dalla quale surse come per incanto
che lo ricopriva ; dalla quale surse come per incanto, quell’ albero che produce l’incenso. Il mito allegorico che racchiu
per incanto, quell’ albero che produce l’incenso. Il mito allegorico che racchiude in sè codesta favola fisica, viene così
isica, viene così spiegato dalla generalità dei naturalisti. L’albero che produce l’incenso si chiama egli stesso Leucotea.
L’albero che produce l’incenso si chiama egli stesso Leucotea. Orcamo che fu padre di questa giovanetta, fu il primo che fe
tesso Leucotea. Orcamo che fu padre di questa giovanetta, fu il primo che fece piantare alcuni alberi d’incenso nel suo reg
otea perchè l’incenso si produce solo in gran copia da quelle piante, che ricevono largamente i raggi del Sole. E finalment
evono largamente i raggi del Sole. E finalmente la gelosia di Clizia, che fu cangiata in girasole, viene raffigurata dalla
Clizia, che fu cangiata in girasole, viene raffigurata dalla qualità che i naturalisti assegnano al girasole, di far cioè,
che i naturalisti assegnano al girasole, di far cioè, morire l’albero che produce l’incenso. 2491. Leucotoe. — La stessa ba
e col nome di Matuta V. Matuta. 2492. Lia. — Appellazione particolare che gli abitanti della Sicilia davano alla Luna, cred
particolare che gli abitanti della Sicilia davano alla Luna, credendo che essa li avesse liberati da una epidemia. 2493. Li
agni uno splendido banchetto, ove Liba si inebbriò per siffatto modo, che nel tripudio osò violentare una giovanetta nativa
abitanti di Temessa, fra cui portò la desolazione e sovente la morte, che il popolo in rivolta decise di abbandonare la pro
mento, fu stabilito d’interrogare l’oracolo di Apollo, e la pitonessa che comunicava i responsi, ordinò agli abitanti di re
ombra di Liba lasciò in pace i suoi uccisori. Aggiunge la tradizione che trovandosi in Temessa un atleta per nome Eutimo,
della vergine, egli entrò nel tempio e vide una bellissima giovanetta che inginocchiata sull’ ara aspettava rassegnata la m
avendolo vinto, liberò la città di Temessa dalle persecuzioni di lui, che disperato d’esser stato vinto, si precipitò nel m
sser stato vinto, si precipitò nel mare ed Eutimo sposò la giovanetta che avea così miracolosam ente salvata. 2495. Libazio
i. — Cerimonie proprie di tutti i sacrifizii dei pagani. Il sacerdote che presiedeva alla cerimonia, spargeva del vino, del
altro liquore in onore di quel nume a cui si sacrificava. È a notare che presso gli antichi assai di sovente tutto il sacr
vede dalla Bibbia e dagli altri libri sacri della religione ebraica, che il dio di Mosè aveva comandate le Libazioni al po
Sacra Bibbia — L’Esodo Cap. XXV. Note alla Bibbia — Le libagioni, che erano quasi appen dici e condimenti del sacrifizi
ri due vocaboli libido e libidinosus. È opinione di alcuni scrittori, che la dea Libentina, detta anche Libertina, altro no
rittori, che la dea Libentina, detta anche Libertina, altro non fosse che una configurazione della dea di Venere, a cui le
i giuochi della infanzia. Plauto chiama dea Lubentina quella divinità che permetteva di fare tutto ciò che piaceva. 2497. L
chiama dea Lubentina quella divinità che permetteva di fare tutto ciò che piaceva. 2497. Libera. — Dea che assai di sovente
ità che permetteva di fare tutto ciò che piaceva. 2497. Libera. — Dea che assai di sovente viene confusa con Proserpina. Ci
na. Cicerone la fa figliuola di Cerere e di Giove, mentre Ovidio dice che la dea Libera altro non era che Arianna deificata
Cerere e di Giove, mentre Ovidio dice che la dea Libera altro non era che Arianna deificata dopo la morte, con tal nome, da
la morte, con tal nome, dal dio Bacco. Tu a me consorte, non vogl’io che priva Di nome sii compagno al mio : ti appella Li
per le campagne un Fallo in trionfo sopra d’un carro ; mentre coloro che accompagnavano e seguivano la sconcia processione
della città, una matrona incoronava innanzi a tutti il turpe emblema, che si portava in trionfo. Si credeva così di rendere
are, secondo le tradizioni, la quantità di grano, di danaro e di vino che l’imperatore regnante aveva donato ai suoi popoli
ente Liber pater, perchè come dio del vino, era ritenuto come quello, che faceva parlare liberamente — V. Liberali. Anche g
erò, presso i quali il culto di questa divinità era molto più celebre che in Grecia, ritenevano che la dea Libertà fosse fi
to di questa divinità era molto più celebre che in Grecia, ritenevano che la dea Libertà fosse figlia di Giove e di Giunone
dea Libertà fosse figlia di Giove e di Giunone. Nel magnifico tempio che ella aveva in Roma, e che primieramente fu innalz
di Giove e di Giunone. Nel magnifico tempio che ella aveva in Roma, e che primieramente fu innalzato dal padre dei Gracchi,
e dee, dette Adeona e Abeona, cioè l’Andare e il Venire, per alludere che essa poteva andare ove più le piaceva. Il berrett
ei romani di mettere, cioè un berretto sulla testa di quegli schiavi, che volevano emancipare ; e finalmente il gatto era i
ea della Libertà, perchè fra gli animali domestici, il gatto è quello che non soffre alcuna violenza, ed ha un istinto d’in
’indipendenza dichiaratissimo. 2504. Libetra. — Su quest’antica città che una volta sorgeva sul monte Olimpo, e vicino alla
e mitologica ci ha tramandato uno strano ricordo. Narrano le cronache che avendo gli abitanti di Libetra, spedito una deput
ere quale sarebbe il destino della loro città, la risposta del dio fu che quella sarebbe stata distrutta non appena il Sole
distrutta non appena il Sole avesse visto le ossa di Orfeo Libetra, e che il distruttore si chiamerebbe Sus. Ora è a notare
rfeo Libetra, e che il distruttore si chiamerebbe Sus. Ora è a notare che in greco la parola óõó significa cignale ; mentre
ati da questa oscura ambiguità dell’ oracolo, gli abitanti credettero che il dio avesse voluto parlare di una belva, e pers
credettero che il dio avesse voluto parlare di una belva, e persuasi che non vi fosse al mondo un animale che avesse avuto
parlare di una belva, e persuasi che non vi fosse al mondo un animale che avesse avuto la forza di rovesciare una città, no
presagio. Ma qualche tempo dopo, secondo riferisce Pausania, avvenne che un pastore coricatosi verso l’ora del pomeriggio
itanti della città ; e fecero tale ressa onde accostarsi al dormente, che la colonna che sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si r
ttà ; e fecero tale ressa onde accostarsi al dormente, che la colonna che sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si rovesciò e s’inf
che sorgeva sul sepolcro d’Orfeo, si rovesciò e s’infranse, per modo che il Sole vide le ossa di Orfeo. Nella notte che se
e s’infranse, per modo che il Sole vide le ossa di Orfeo. Nella notte che seguì codesto avvenimento, una pioggia dirotta in
una pioggia dirotta ingrossò siffattamente le acque del torrente Sus, che rotto gl’ argini, straripò con tanta violenza, ch
del torrente Sus, che rotto gl’ argini, straripò con tanta violenza, che allagando la città di Libetra, ne atterrò le mura
ponti, le case, i monumenti, e si spinse con tale precipitoso impeto che la città fu interamente distrutta, e gli abitanti
na scaturiva la fonte chiamata Libetride, la quale usciva da un sasso che imitava così perfettamente il seno di una donna c
sciva da un sasso che imitava così perfettamente il seno di una donna che pareva l’acqua scaturisse da due mammelle, nè più
a donna che pareva l’acqua scaturisse da due mammelle, nè più nè meno che il latte. Sul monte Libe trio, le Muse e le ninfe
06. Libia. — Figliuola di Epafo e di Cassiopea : fu amata da Nettuno, che la rese madre di Belo e di Agenore. Da lei prese
ntrada conosciuta sotto l’appellazione di Libia. Vi sono varii autori che dicono Libia fosse figliuola di Pamfiloga e dell’
ri avevano diverse denominazioni. Erano detti Libri Sibillini, quelli che contenevano le predizioni delle Sibille, la custo
ll’avvenire dallo strisciare della folgore. È scritto nelle cronache, che nell’Etruria la ninfa Bigoide avesse scritto un l
cronache, che nell’Etruria la ninfa Bigoide avesse scritto un libro, che trattava del tuono, dei lampi e della interpretaz
o un libro, che trattava del tuono, dei lampi e della interpretazione che dovea darsi a codeste meteore. Libri aruspicini,
darsi a codeste meteore. Libri aruspicini, venivano chiamati quelli, che racchiudevano i misteri e la scienza di conoscere
same delle visceri delle vittime. Libri fatali, si chiamavano quelli che , secondo la credenza superstiziosa dei pagani, co
la collera dei celesti. Libri rituali, finalmente eran detti quelli che contenevano la maniera, ovvero il rito che si dov
nalmente eran detti quelli che contenevano la maniera, ovvero il rito che si doveva compiere per consacrare le città, i tem
e porte principali, le are e tutti i monumenti. 2508. Libitina. — Dea che presiedeva ai fu nerali. Secondo varii scrittori,
Proserpina, come regina del regno dei morti ; ma Plutarco asserisce, che questo soprannome era imposto a Venere, la quale
poi col nome proprio di Libitinarii, i sacerdoti o ministri pubblici, che regolavano e sopraintendevauo alla cerimonia dei
tare nel tempio di Libitina una data somma di danaro per ogni persona che moriva. I ministri del tempio, che erano incarica
a somma di danaro per ogni persona che moriva. I ministri del tempio, che erano incaricati a riscuotere quella specie di tr
io di Libitina. 2509. Lica. — Giovanetto compagno ed amico di Ercole, che lo ebbe carissimo, e che non ostante lo fece mori
a. — Giovanetto compagno ed amico di Ercole, che lo ebbe carissimo, e che non ostante lo fece morire, infrangendone il corp
nica intrisa del sangue del centauro Nesso, inviatagli da Deianira, e che rese l’eroe furibondo. Ovidio, dice che Ercole do
so, inviatagli da Deianira, e che rese l’eroe furibondo. Ovidio, dice che Ercole dopo averlo raggirato varie volte nel vuot
e un sasso. La tradizione a cui si attiene il cennato poeta, aggiunge che il corpo di Lica s’indurì per l’aria, ed egli fu
orpo di Lica s’indurì per l’aria, ed egli fu cangiato in uno scoglio, che si vedeva nel mare Eubeo, e al quale i marinari n
marinari non osavano accostarsi, credendo, nella loro superstizione, che lo sfortunato Lica avesse conservato, anche dopo
e poichè il volse Tre volte e quattro intorno, con più forte Impulso che di macchina guerriera, Al flutto Euboico lo arran
iona Che ploggia a freddo soffio si rassodi, E in neve si converta, e che la neve Coll’ aggirarsi, in massa si costringa, F
inga, Finchè in ispessa grandine s’aggruppa ; Cosi l’antica età narra che spinto Colui nell’ aere dalla man robusta, Già pe
nti figliuoli del re Priamo, e propriamente quello di cui Omero dice, che prestò al fratello Paride, la propria corazza per
prestò al fratello Paride, la propria corazza per il singolare duello che quegli combattè contro Menelao, …… Quindi una lo
ombattè contro Menelao, …… Quindi una lorica Del suo germano Licaon, che fatta I suo sesto parea, si pose al petto : Omer
itologica, a cui si attiene Omero stesso, racconta di questo Licaone, che caduto in potere di Achille, fu da questo venduto
di Lenno ; poscia fu riscattato con molti e preziosi doni da Eezione, che lo mandò nella città di Arisbo. A Licaone riuscì,
er la morte del suo amico Patreclo, Perchè si piangi ? Mori Patròclo che miglior ben era, E me bello qual vedi e valoroso
di V. Monti. Licaone fu similmente il nome di un figlio di Pelasgo, che fu il primo re dell’ Arcadia. Narra la tradizione
sgo, che fu il primo re dell’ Arcadia. Narra la tradizione mitologica che Licaone sì rese celebre per la efferata sua barba
sua barbarie, la quale lo spinse a far trucidare tutti gli stranieri che transitavano pei suoi stati. Si vuole che Giove s
ucidare tutti gli stranieri che transitavano pei suoi stati. Si vuole che Giove stesso, viaggiando, fosse andato a chiedere
viaggiando, fosse andato a chiedere ospitalità nella reggia di lui, e che Licaone si fosse apprestato a levargli la vita, d
ante il sonno, come faceva con gli altri. Però, avendo avuto sospetto che quello straniero fosse un dio, fece sgozzare un s
che quello straniero fosse un dio, fece sgozzare un soldato Molosso, che riteneva in ostaggio, presso di sè, ed approntò l
sè, ed approntò le membra di lui, onde servirle la sera al banchetto che dava al suo ospite. Ma ben presto, per comando di
del citato scrittore, gli abitanti dell’Arcadia ritenevano per fermo che oltre a questo Licaone, loro re, cangiato in lupo
ficando a Giove Liceo, fosse similmente cangiato in quell’ animale, e che ogni dieci anni ripigliava per poco la forma uman
osse astenuto, in quel periodo di tempo, dal nudrirsi di carne umana, che se ciò fosse avvenuto, rimaneva sempre lupo. La g
za degli scrittori greci, creduli quanto Pausania stesso, ci ripetono che Licaone, primo re d’ Arcadia, regnò nell’ istesso
ripetono che Licaone, primo re d’ Arcadia, regnò nell’ istesso tempo che Cecrope regnava in Atene ; e che sul principio de
’ Arcadia, regnò nell’ istesso tempo che Cecrope regnava in Atene ; e che sul principio del suo regno fu caro ai suoi popol
in Atene ; e che sul principio del suo regno fu caro ai suoi popoli, che egli cercò d’incivilire. La città di Licosura, la
col tempo colpevole Licaone, e dalla stessa etimologia del suo nome, che in greco significa Lupo, han dato fondamento alla
atti Suida, uno dei cronisti più accreditati del paganesimo, racconta che Licaone per indurre i suoi sudditi all’ osservanz
oi sudditi all’ osservanza delle sue leggi, avesse fatto sparger voce che Giove andava sovente a visitarlo nella sua reggia
larono le carni di questo, alle vivande del reale banchetto, persuasi che solamente Giove avrebbe potuto accorgersi del lor
, incenerì gli autori di quell’ opera nefanda. Fu in questa occasione che generalmente fu ritenuto aver Licaone istituiti i
11. Licasto. — Fratello di Parrasio. La cronaca mitologica riferisce, che furono, a somiglianza di Romolo e Remo, nutriti d
oprannome di Liceo. V. Liceo. 2513. Licee. — Dalla parola greca ëõ?ïò che significa lupo, si dava questo nome ad alcune fes
ome ad alcune feste celebrate in Argo, in onore d’Apollo, ritenendosi che quel dio dava la caccia ai lupi che infestavano l
o, in onore d’Apollo, ritenendosi che quel dio dava la caccia ai lupi che infestavano le campagne di quel territorio. Licee
delle quali si voleva fosse stato istitutore quello stesso re Licaone che fu poi cangiato in lupo. Durante la celebrazione
veva in premio un’ armatura di rame. Vi è anche qualche autore antico che ripete, che nelle feste Licee si sacrificavano so
io un’ armatura di rame. Vi è anche qualche autore antico che ripete, che nelle feste Licee si sacrificavano sovente vittim
e. 2514. Liceo. — Soprannome dato a Giove dal monte Liceo in Arcadia, che da principio era conosciuto col nome di monte sac
li abitanti d’ Arcadia, chiamavano sacro quel monte, perchè credevano che in un dato luogo, chiamato Creteo, fosse stato al
lle tre ninfe dette Agno, Tifoa e Neda. Il citato scrittore aggiunge, che sul monte Liceo ci era un altare consacrato a Gio
i giuochi e le feste in onore del dio Pane. 2515. Licio. — Soprannome che Danao dette ad Apollo, e che le cronache dell’ an
del dio Pane. 2515. Licio. — Soprannome che Danao dette ad Apollo, e che le cronache dell’ antichità attribuiscono al fatt
e Gelanore, gli accadde un giorno d’incontrarsi in un toro ed un lupo che combattevano insieme, e dopo poco vide cadere il
rstizione di un popolo rozzo, qual’era l’argivo, Danao sparse la voce che Apollo, avea voluto far comprendere, con la vitto
ce che Apollo, avea voluto far comprendere, con la vittoria del lupo, che uno straniero doveva avere la supremazia sopra un
Apollo Liceo, ovvero Lupo. 2516. Licnomanzia. — Specie di divinazione che si eseguiva colla fiamma di una lucerna. 2517. Li
urpatore del trono di Tebe spettante per diritto a Lajo. Questo Lico, che taluni autori chiamano anche Sico, perseguitò acc
te la misera Antiope. Lico era anche il nome di un compagno di Ercole che lo seguì quando l’eroe combattè contro le Amazzon
mine guerriere, donò a Lico, in premio della sua fedeltà una contrada che quegli chiamò Eraclea, in memoria dell’amico bene
proposito narra uno strano avvenimento. Riferisce il citato scrittore che essendo Latona, sul punto di partorire, si fosse
onista e da molti altri autori attribuita al seguente fatto. Si vuole che avendo alcuni ladri spogliato di tutte le ricchez
irare la veste e rivolgendosi, scorse con estrema maraviglia, un lupo che accennava quasi a voler esser segnito. Infatti il
l’ antichità ricordano di lui un tratto di fredda perfidia. È scritto che allorquando Teseo abbandonò Atene, avesse chiesto
re, e un giorno Licomede condusse Teseo sul più alto di una montagna, che sovrastava alla sua isola, e col pretesto di farg
la sua isola, e col pretesto di fargli ammirare il magnifico panorama che si stendeva ai suoi piedi, precipitò con un urto
esso in casa del quale Teti mandò il figliuolo Achille, onde impedire che si fosse recato all’ assedio di Troia. Fu durante
pedire che si fosse recato all’ assedio di Troia. Fu durante il tempo che l’ eroe giovanetto dimorò presso Licomede che amò
ia. Fu durante il tempo che l’ eroe giovanetto dimorò presso Licomede che amò Deidamia, figlia di lui, e la rese madre di P
e significa Città dei Lupi. Al dire dello storico Diodoro gli egizii, che erano un popolo eminentemente superstizioso, avev
izioso, avevano in quella città tanta venerazione per quegli animali, che non solo non li uccidevano, ma non li perseguitav
l’ edificatore della città di Licoria sul monte Parnaso, aggiungendo, che dopo il diluvio di Deucalione, i pochi uomini sca
itò sul monte Nisseio le ninfe nutrici di Bacco, percotendole in modo che quelle si dettero a precipitosa fuga, e Bacco ste
rilego, lo colpì di cecità, e dopo qualche tempo lo fece morire. ……. che lunghi giorni Nè pur non visse di Driante il fort
che lunghi giorni Nè pur non visse di Driante il forte Figlio Licurgo che agli dei fè guerra. Su pel sacro Nisselo egli di
Omero — Iliade — Libro VI trad. di V. Monti. Il senso configurato che si racchiude sotto codesto mito simbolico della f
icurgo fatto sbarbicare tutte le viti dalla sua patria ; da ciò Bacco che si precipita in mare, insieme alle sue nutrici ;
ome si rileva dalla citazione posta di sopra, altri autori aggiungono che Licurgo stesso, volendo eccitare gli operai a seg
ca fa menzione per aver egli ricorso all’ oracolo di Delfo, onde fare che una certa tinta di religioso rispetto, tenesse a
enesse a freno i popoli, e facesse loro osservare ciecamente le leggi che egli aveva dettate. I cronisti più accreditati de
li aveva dettate. I cronisti più accreditati del paganesimo, ripetono che , allorquando Licurgo si presentò alla Pitia, che
paganesimo, ripetono che, allorquando Licurgo si presentò alla Pitia, che dava i responsi, questa lo chiamasse il diletto d
nfatti gli spartani accettarono, con reverente riconoscenza, le leggi che da allora in poi dovevano reggere il loro paese ;
sottomisero a quelle, imperocchè un altro oracolo avea loro promesso che Sparta sarebbe il più florido stato del mondo con
aggiunto per tal modo, lo scopo desiderato, Licurgo fece sparger voce che , fra poco, si sarebbe di nuovo recato in Delfo, o
codice. Prima però di partire, fece giurare dal Senato e dal popolo, che le sue leggi sarebbero mantenute in pieno vigore,
ui. È opinione di vari accreditati cronisti e storici del paganesimo, che dopo qualche tempo Licurgo si ritraesse segretame
si ritraesse segretamente nell’ isola di Creta, ove morì ; ordinando che il suo corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri di
o corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri disperse al vento ; temendo che se queste venissero trasportate nella Lacedemonia
uramento, e avessero ricusata nell’ avvenire quella docile obbedienza che fino a quel giorno, avean tributata alle ottime l
leggi da lui imposte. Gli spartani, riconoscenti ai grandi benefizii che avea lor fatto l’immortale legislatore, gl’innalz
venne adorato siccome un dio. 2525. Lieo. — Dalla parola greca λυειν che significa dissipare, si dava codesto soprannome a
codesto soprannome a Diana Ortia, perchè un’antica tradizione ripetea che la statua di quella dea fosse venuta dalla Taurid
iana avevano due magnifici templi. 2530. Limace. — Dalla parola lyma, che significa purificazione, si dava questo nome ad u
ia, nelle acque del quale, secondo la tradizione mitologica, le ninfe che assistettero Rea, moglie di Saturno, quand’ ella
ssero fatto a quella dea le abluzioni. 2531. Limenetide. — Soprannome che si dava a Diana, quando veniva riguardata come pr
dava la denominazione anche femminile di Limentina a quella divinità che presiedeva alla custodia delle porte. 2533. Limir
dava la strana prerogativa di rendere gli oracoli per mezzo dei pesci che vivevano nelle sue acque. Al dire di Plinio, colo
zzo dei pesci che vivevano nelle sue acque. Al dire di Plinio, coloro che volevano interrogare l’ oracolo davano da mangiar
acolo davano da mangiare ai pesci, e se quegli animali mangiavano ciò che veniva loro gettato, si riteneva come propizio au
usto e di cattivo successo. 2534. Limnadi. — Dalla parola greca λημνʹ che significa stagno o palude, si dava codesto nome a
ome protettore dei laghi. Per altro è questa una tradizione favolosa, che non ha molto logico fondamento, imperocchè non si
2539. Limnoniadi. — Dette anche Linoniadi. Dalla parola greca λειμον che significa prato, venivano così chiamate le ninfe,
Argonauti. Secondo il poeta Pindaro, egli aveva una vista così acuta, che ad una grandissima distanza, scoprì Castore nel t
e — Ode X. trad. di G. Borghi. Secondo l’ opinione di altri autori, che vinse di gran lunga quella di Pindaro, Linceo ved
diversamente dalle sue quarantanove sorelle, lo salvò dalla uccisione che Danao avea ordinato alle sue figliuole. V. Danao,
di cui la tradizione ricorda un odioso fatto. Geloso della preferenza che la dea Cerere avea data a Trittolemo, Linco ebbe
volle ; e lui col ferro Assalì, mentre grave era dal sonno. Ma colui che vibrar tentava il ferro Fu da Cerere in lince tra
ollo, sdegnato, lo tolse di vita. Le tradizioni mitologiche ripetono, che perfino le nazioni più barbare avessero deplorato
perfino le nazioni più barbare avessero deplorato la morte di Lino, e che gli abitanti di Elicona celebravano ogni anno il
similmente ebbe nome quel figliuolo di Apollo e della musa Tersicore, che la tradizione ci mostra come maestro di Orfeo e p
scientifiche, egli insegnò uno strumento musicale, specie di violino che si suonava coll’arco. Narra la cronaca, che quest
sicale, specie di violino che si suonava coll’arco. Narra la cronaca, che questo fu causa della morte di Lino, imperocchè a
i sdegnato lo percosse così violentemente coll’arco dello istrumento, che gli produsse una ferita sulla fronte, della quale
ale era consacrato al Sole, perchè egli è solo fra tutti i quadrupedi che vede appenanato, e perchè, secondo la credenza pa
te dimora, e alla sua indole di fuoco. La tradizione mitologica dice, che il carro di Cibele era tirato da due lioni ; e vi
irato da due lioni ; e vi sono infatti ancora molte medaglie antiche, che rappresentano la dea sopra un carro tirato da due
44. Lira. — L’invenzione di questo antichissimo istrumento di musica, che era uno degli attributi del dio Apollo, viene da
tori antichi attribuita ad Anfione, mentre altre opinioni pre tendono che l’inventore ne fosse Orfeo ; ed altre finalmente
uonava con le dita. Da principio i pagani non si servivano della lira che per cantare le lodi degli dei ; poi fu adoperata
uale, secondo la favola, la rese madre di Narciso. La tradizione dice che Liriade dette il suo nome a quella fonte, ove il
i Euripide, così avea nome una delle tre Furie, e propriamente quella che ispirava il furore. Fu a questa Furia che Giunone
urie, e propriamente quella che ispirava il furore. Fu a questa Furia che Giunone ordinò di farsi accompagnare da Iride pre
arsi accompagnare da Iride presso Ercole, onde ispirargli quel furore che poi cagionò la morte dell’eroe. 2547. Liti. — Dal
poi cagionò la morte dell’eroe. 2547. Liti. — Dalla parola greca λιτη che significa supplica, preghiera, i poeti dell’antic
ta della lapidazione. V. Lapidazione. 2549. Litomanzia. — Divinazione che si faceva per mezzo di molti anelli di metallo, i
li dei. Il vocabolo Litomanzia prende origine dalla parola greca λιτο che significa : cosa che rende suono. 2550. Littorale
itomanzia prende origine dalla parola greca λιτο che significa : cosa che rende suono. 2550. Littorale. — Qualificazione da
va quella specie di bastone augurale, ricurvo ad una delle estremità, che i sacerdoti Auguri portavano quando si facevano a
e somiglianza coi moderni corni da caccia. 2552. Locuzio. — Lo stesso che Ceditio, conosciuto comunemente in Roma sotto il
via Nuova. V. Ajo Locutio. 2553. Loimio. — Dalla parola greca λοιμος che significa peste, gli abitanti della Lidia davano
nti della Lidia davano questo soprannome ad Apollo, perchè si credeva che egli allontanasse la peste e le altre epidemie.
o, gli egiziani dipingevano allegoricamente, da questo fiore, il sole che nasce. In tutti i misteri della religione egizian
, si trovava sempre il fiore di Loto, a motivo della grande relazione che gli egizii credevano avesse quel fiore coll’astro
a del tramonto. Questo fenomeno naturalissimo in tutte quelle piante, che nella scienza botanica sono classificate nella es
quel fiore nelle mani. Un altro fiore di Loto, e propriamente quello che i botanici chiamano Persea, era consacrato ad Isi
a consacrato ad Iside anche in Egitto ; e forse la grande somiglianza che il nocciuolo di quella pianta ha con la forma del
oto è sempremai introdotto. Il succo del fior di Loto, è quel liquore che parve talmente squisito ai compagni di Ulisse, ch
to, è quel liquore che parve talmente squisito ai compagni di Ulisse, che non vollero più, secondo riferisce la cronaca fav
tatori della costa di Barbaria, nel gran golfo di Sirte. Narra Omero, che Ulisse gettato da una furiosa tempesta sulla spia
fagi, mandò dopo dieci giorni di burrasca ad investigare il luogo ; e che quegli abitanti lunge dal far male ai suoi messag
dissea — Libro IX. trad. di I. Pindemonte Aggiunge il citato poeta, che i due compagni di Ulisse, e l’araldo che egli ave
Aggiunge il citato poeta, che i due compagni di Ulisse, e l’araldo che egli aveva mandati a terra, e tutti gli altri suo
raldo che egli aveva mandati a terra, e tutti gli altri suoi seguaci, che poi gustarono di quel frutto, non vollero più rit
re nella propria patria, nè dar notizia di sè ; altro non desiderando che di vivere di Loto, in un completo oblìo di tutto.
otta. — I pagani onoravano Mercurio come dio di questo combattimento, che veniva eseguito generalmente in tutte le feste e
nato un largo premio al vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità, che , al dire di Tito Livio, i romani invocavano in te
vio, i romani invocavano in tempo di guerra. Il cennato autore scrive che il console Plauzio, comandante supremo delle legi
ata generalmente come la dea della espiazione, e sopratutto di quelle che un esercito vittorioso celebrava dopo la battagli
per espiare il sangue versato. Il nome di Lua viene dal latino luere che significa espiare. Trovossi gran copia di armi,
si tra i corpi morti, si ancora in campo, le quali il console disse, che le dava e consacrava alla dea Lua. Tito Livio — 
mana — Libro VIII. 2559. Lucarie — Dette anche Lucerie, feste romane che prendevano la loro denominazione da un bosco sacr
un bosco sacro chiamato Lucus, nel quale si celebravano le Lucarie, e che stava fra la via detta Salaria e il Tevere. Un’an
tava fra la via detta Salaria e il Tevere. Un’antica tradizione dice, che le Lucarie furono istituite in commemorazione del
e dice, che le Lucarie furono istituite in commemorazione della rotta che le armi romane ebbero dai Galli e nella quale i f
iamati ad accrescere il brio di quelle feste, erano pagati col danaro che si ricavava dalla vendita del legname, tagliato i
traggono l’origine delle feste Lucarie, da alcuni donativi di moneta che si facevano ai boschi sacri, e che si chiamavano
arie, da alcuni donativi di moneta che si facevano ai boschi sacri, e che si chiamavano Luci. Le Lucarie venivano celebrate
erisce Cicerone, come protettrice del parto, a somiglianza dei romani che invocavano Giunone Lucina. Diana, sotto l’appella
iglio dell’Aurora, e custode e conduttore degli astri. È detto ancora che Lucifero avesse cura del carro del Sole, e che in
astri. È detto ancora che Lucifero avesse cura del carro del Sole, e che insieme alle ninfe Ore, ne attaccasse e staccasse
sacerdotessa presso gli Eliani. 2564. Luciniana. — Questo soprannome che sembra essere lo stesso che Lucina, veniva similm
ani. 2564. Luciniana. — Questo soprannome che sembra essere lo stesso che Lucina, veniva similmente dato dai pagani a Giuno
va similmente dato dai pagani a Giunone. Un’antica tradizione ripete, che le ceneri delle vittime bruciate sugli altari di
na, restavano immobili per qualunque si fosse l’impetuosità del vento che avesse sconvolto l’atmosfera. 2565. Luglio. — I p
cchè oltre ai giuochi Apollinari, ai Minervali, e a quelli del Circo, che si celebravano in Luglio, ai cinque di questo mes
splendori della creazione, e riconoscenti agli effetti ed ai vantaggi che essi ne ritraevano, si persuasero di leggieri che
etti ed ai vantaggi che essi ne ritraevano, si persuasero di leggieri che quegli astri doppiamente visibili tanto alla loro
, quanto alla loro mente, fossero le principali e supreme divinità, e che avessero diritio al rispetto ed alla religiosa ve
spoglie d’incivilimento, così i primi adoratori della Luna, ritenendo che quell’astro colle proprie influenze, e perfino co
a pallida luce, fosse talvolta cagione di gravi mali, così credettero che fosse animata ; e vedendo le fasi sempre eguali,
ostantemente lo stesso nell’ampia volta del firmamento, si convinsero che la luna fosse immortale, e allora genufiessi inna
rifizii, onde rendersela benignamente propizia. Il cronista Macrobio, che è uno dei più accreditati autori del paganesimo ;
che è uno dei più accreditati autori del paganesimo ; asserisce anzi che tutte le divinità degli antichi venissero in cert
ntichi venissero in certo modo compendiate e quasi raccolte nel culto che i primitivi popoli della terra, tributarono al So
inili dalla Luna. Gli Egiziani sotto la denominazione d’Iside, parola che significa vecchia, antica, adorarono la Luna con
stimonianze irrecusabili di chiari e profondi scrittori, così antichi che moderni, c’insegnano che i fenici, adorarono la L
di chiari e profondi scrittori, così antichi che moderni, c’insegnano che i fenici, adorarono la Luna sotto il nome di dea
ossia il Sole. Esiodo, nelle sue opere sull’antichità pagana, ripete che Fea, la divinità suprema, fu madre della Luna e d
ità suprema, fu madre della Luna e di tutti gli altri minori pianeti, che si aggirarono a popolare il regno dello spazio in
cue famiglie dei Druidi. Innumerevoli sono poi le tradizioni favolose che la superstizione pagana innestava al culto religi
oni favolose che la superstizione pagana innestava al culto religioso che si tributava alla Luna. Da ciò è che si dette vit
ana innestava al culto religioso che si tributava alla Luna. Da ciò è che si dette vita agli amori che la Luna, ossia Diana
oso che si tributava alla Luna. Da ciò è che si dette vita agli amori che la Luna, ossia Diana, ebbe col bellissimo Endimio
ndere dal cielo ; e lo stesso storico Luciano ripete nelle sue opere, che un uomo faceva a suo talento discender la Luna so
nto discender la Luna sopra la terra ; e Petronio medesimo asserisce, che le donne di Crotona attiravano la Luna coi loro s
dal suo nome medesimo, consacrato a Diana Luna, ed è forse per questo che sui ruderi dei monumenti antichi si trova personi
nte come uomo, e sovente come donna. Da ciò il dio Luno altro non era che la Luna medesima, alla quale, secondo riferisce i
uno splendido tempio, dedicato al dio Luno. Il citato cronista dice, che gli abitanti di Carres avevano personificato masc
cato maschilmente la Luna, chiamandola il dio Luno, perchè ritenevano che coloro che adoravano la dea Luna, andavano facilm
lmente la Luna, chiamandola il dio Luno, perchè ritenevano che coloro che adoravano la dea Luna, andavano facilmente sogget
essere ingannati da esse. Da ciò nasce, sempre al dire di Sparziano, che gli egizi ed i greci, se pure comunemente avesser
Strabone, l’appellativo di dio Luno deriva dal vocabolo greco σεληνη che in quella lingua rinchiude in sè stesso il signif
re lingue orientali è esclusivamente o maschile o feminile ; quindi è che molti popoli dell’antichità, han fatto di quell’a
militari, con una picca nella destra e con ai piedi un gallo, animale che col suo canto avvisa il ritorno della luce. Final
una strana e ridicola congiuntura ; quella cioè, durante i sacrifizi che si facevano al dio Luno, gli uomini vestivano da
n (stupende cose !) Fresca del parto orribil lupa venne. Chi crederia che a lor nuocer non ose ? Poco è non nuocer lora cur
e a lor nuocer non ose ? Poco è non nuocer lora cura ne tenne : Quei, che mossa a pietà lupa nodrisce, Di far perir d’un zi
ove furono nutriti dalla lupa Romolo e Remo. Lo storico Servio dice, che il nome di Lupercale le veniva per essere quella
a a Pane, antichissimo dio dell’Arcadia. Il cennato storico aggiunge, che essendo venuto in Italia Evandro Arcade, dedicò a
n dato luogo, a cui impose similmente il nome di Lupercale, ritenendo che la protezione di quel dio, avesse salvato il suo
bestiame da’lupi. 2571. Lupercali. — Così venivano chiamate le feste, che si celebravano, con grande solennità in Roma, in
i celebravano, con grande solennità in Roma, in onore del dio Pane, e che , secondo asserisce Ovidio, cominciavano nel terzo
poeta, è combattuta dal cronista Valerio Massimo, il quale asserisce che le feste Lupercali furono istituite dal pastore F
pio del regno di Romolo. In memoria di quella festa e dopo il convito che si dava in tale occasione, tutti i giovani che vi
esta e dopo il convito che si dava in tale occasione, tutti i giovani che vi prendevano parte, correvano del tutto ignudi,
ndavano anche armati di uno staffile col quale battevano tutti quelli che incontravano e segnatamente le donne, che per alt
uale battevano tutti quelli che incontravano e segnatamente le donne, che per altro ricevevano quei colpi assai volentieri,
assai volentieri, ed andavano incontro a quei giovani nella credenza che quelle staffilate le avessero rese feconde, e ave
loro procurato un felice e sollecito parto. Altri autori asseriscono che la ragione per la quale i giovani correvano nudi
le i giovani correvano nudi nelle Lupercali era la seguente. Si vuole che un giorno Romolo e Remo, celebrando codesta festa
congiuntura per fare il colpo. Però i due fratelli, e tutti i giovani che erano con essi, accortisi del fatto, si spogliaro
a per quanto riguarda la parte storico-mitologica della nostra opera, che sul principio del regno di Augusto le Lupercali c
el regno di Augusto le Lupercali cominciavano a cadere in disuso ; ma che qualche tempo dopo furono restituite al loro prim
comparso. 2572. Luperci. — Nome collettivo dei sacerdoti del dio Pane che celebravano le Lupercali. V. l’articolo precedent
celebravano le Lupercali. V. l’articolo precedente. Questi sacerdoti che erano i più antichi del culto religioso dei roman
are in quell’ordino sacerdotale, fu una delle tante ragioni dell’odio che il popolo ebbe ben presto contro quell’imperatore
a nella LXV Olimpiade (518 anni avanti Gesù Cristoj. Bockh, asserisce che Pindaro fosse nato nella LXIV Olimpiade (522 anni
Pindaro mori nell’ 80° anno della sua vita, e ammettendo, con Bockh, che fosse nato nel 522 avanti Cristo, la sua morte sa
i. — Gli Elleni abitarono la Grecia, la quale fu la regione d’Europa, che prima accoise i germi dell’orientale civiltà, e i
antichi reggimenti politici : la comunanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed al tempo : il comm
e minute e materiali della vita, commesse agli schiavi ; l’educazione che riceveva il libero cittadino nello sviluppo armon
stici della civiltà ellenica, saranno maggiormente limpidi per coloro che si faranno a studiare questo popolo nella religio
di aver dato i natali ad Omero, e se volessimo numerare tutte quelle che troviamo mentovate in varii passi di antichi scri
ssi di antichi scrittori, noteremmo ben dieciotto o dieciannove città che si attribuiscono cotesta gloria ; ma le pretese d
pretese della più parte, sono così poco avvalorate, e tanto sospette, che cadono facilmente innanzi ad un serio esame. Tutt
a di una donna con le corna di vacca. 11. .Brahma. — Voce sanscrita, che è il nome dell’ente supremo del sistema religioso
i greci non fanno cenno di codesto nume, e solamente Strabone afferma che negli ultimi tempi del paganesimo soltanto fu ven
na falce. 13. Gnostici, professanti lo Gnosticismo. — Questa parola che significa scienza, cognizione, deriva dal greco e
quali pretesero accomodare i dogmi cristiani, al sistema di filosofia che prima seguivano. Furono dunque eretici del primo
colari, cosi ne venne la fondazione di altrettante scuole differenti, che portarono il nome dei loro singoli capi. In gener
e Gnostiche, quantunque è opinione di chiari e accreditati scrittori, che i germi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molt
e Gnostiche, quantunque è opinione di chiari e accreditati scrittori, che i germi dello Gnosticismo, rimontino a tempi molt
a riguardo di Menandro e di Dositeo. 18. Nicolaiti. — Altri eretici che professavano le più oscene dottrine, vivendo in c
de, l’amore contro natura. 19. Ebioniti. — Cosi chiamati da Ebione, che fu il fondatore di una delle tante scuole o diram
che di Carpocrate, il quate fondò, nell’isola di Cefalonia, una setta che uni il culto di Gesù Cristo, a quello dei persona
lo dei personaggi più famosi del Politeismo. 21. Cainiti. — Eretici che professavano le più stravaganti dottrine, fra cui
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
le donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi misteri della loro
ro setta. 25. La processione dell’ Assunzione, e propriamente quella che si esegue nella città di Messina, ha luogo il 15
utore narra : « Scorgevasi appunto Tiresia (insigne indovino di Tebe) che vaticinando presagiva il fato del gran fanciullo,
raunata tutta la sua famiglia, disse : gettate via gli dei stranieri che avete tra voi, e mondatevi e cangiate le vostre v
bia, secondo la volgata 28. Dio Termine. Deus Terminus — Divinità che presiedeva ai confini dei campi, e vendicava le u
hi numi del paganesimo romano. 29. Caaba detta anche Caabah. — Nome che viene particolarmente dato dai maomettani ai temp
ttivi da più musulmani, i quali lo tengono in cosi grande venerazione che considerano il dare una sola occhiata alle sue sa
intelletto sulle moltiplici e svariate produzioni della natura, è ciò che si chiama propriamente Arte. Le arti si divisero
del mondo antico, dalla loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella che questo favorevoli allo st
loro relazione, e dall’ordinamento politico, che furono tanto quella che questo favorevoli allo strenuo sviluppo dell’arte
, i quali giovarono immensamente allo sviluppo delle arti tutte, cosa che non avrebbe potuto sussistere se tutta la Grecia
o consiste in un enorme masso di rocce di 400 a 470 metri di altezza, che presenta una fronte dirupata e quasi perpendicola
tori sacri, onde riportare citazioni dirette, tratte tanto da quella. che da questi ; ma non consentendoci lo spazio una lu
lla storia della scienza come autore del primo trattato di astronomia che l’Europa abbia posseduto, indipendentemente dagli
er nato in questa città della Marca d’Ancona nell’ anno 1237. Narrasi che essendosi dato dalla prima gioventù. con eguale s
egate nel cimitero di San Giles. 37. Lusignano. — Famiglia francese che regnò a Gerusaleme ed a Cipro e si rese celebre n
Meleusigne, anagramma di Leusignem, (Lusiguam), e raccontarono ancora che to spettro di Meleusina apparisse solo al castell
o di Voltaire col quale é conosciuto in tutta l’ Europa, da una terra che faceva parte della fortuna di sua madre. 40. PO
to dato numero di anni, spirato il qual termine, i sacerdoti dicevano che si precipitava in un pozzo a tutti ignoto, ed all
fae. — Fu moglie di Minosse, re di Creta : di lei la Favola racconta, che per soddisfare alla sua bestiale libbline, fosse
ercarono di liberarla : essi furono costretti di ricorrere a Vulcano. che non si decise a farlo se non quando gli ebbero pr
hissimo conto. — Mori il 21 gennaio 1744. 48. Sabeismo. — Idolatria che consisteva nel culto degli astri. e fu una delle
l’anno 513 avanti Cristo in età di 76 anni. Egli fu una delle vittime che caddero nella generale uccisione degli adoratori
p. 50. Dionisio. — Soprannome dato dal Greci a Bacco. per alludere che egli era stato loro padre. ed anche perchè era st
e però dei mitologi sostiene essere la voce Dionisio composta da Dios che vuol dire Giove, Nysso, ío ferisco ; perchè Giove
to. lettera D. articolo 924. 55. Parche. — Nome delle tre divinità che presiedevano alla vita e alla morte. Erano tre so
2 (1880) Lezioni di mitologia
e siete maestro, giustamente commendato in Europa. Non isgradite ora, che io, a testimonianza di grato animo e di affetto,
n isgradite ora, che io, a testimonianza di grato animo e di affetto, che non iscema per lontananza nè per tempo, v’intitol
che non iscema per lontananza nè per tempo, v’intitoli, fra le Opere che tutte riunisco e do alla luce del sommo Toscano d
ostro Poeta nell’anno 1807-8 per gli Artisti queste Lezioni, di guisa che non possiam ricercarvi quel più peregrino sapere,
m ricercarvi quel più peregrino sapere, quella più squisita dottrina, che in tali studj addimandasi dalla matura Filologia,
peva, e lo scrisse a chiare note da sè medesimo. Tuttavia le versioni che qua e là vi ponea dagli antichi Poeti, rendono ta
ni che qua e là vi ponea dagli antichi Poeti, rendono tale il Volume, che , eziandio senza il gran nome dell’Autore, potrebb
late da’ vostri affettuosi ricordi, quello di un ammiratore ed amico, che bramò anche in questa raccolta apparecchiare, per
ichiedeva di stampare il suo Corso; « Son grato alla cortese opinione che il Prof. Valeri ha delle mie Lezioni di Mitolo
simo agli Editori Fiorentini: « Ben volentieri permetto loro, secondo che desiderano, di stampare le Lezioni da me recita
nel primo anno del mio Corso. Li prego nulladimeno di fare avvertire che sono scritte coll’ unico scopo di porre nei giova
ia Storica 3 immediatamente dopo la Teologica: e aggiungiam solo qui, che stampate tutte le Lezioni dell’Autore, si acquist
odo4 e de’ suoi fini, e apparirà splendidamente la singolare armonia, che in tant’ Uomo avverossi fra il letterato, il poet
a. Poiché gli uomini da Dio ribellatisi ne meritarono la vendetta, che sulla terra gli sparse atterriti e maravigliati,
aravigliati, il loro culto rivolsero alla Natura; e quindi l’universo che annunziar dovea la maestà del suo Autore, tempio
ella origine loro. E consegnato infatti agli annali di tutte le genti che agli astri, e specialmente al sole ed alla luna,
so ride e si rinnova, il vincitor delle tenebre, la vera sede di Dio, che , al dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. M
man genere, dai vizj e dalle sciagure avvilito, così il mondo divise, che ogni bisogno ebbe un dio, e fu facile allora agli
ebbe un dio, e fu facile allora agli istitutori dei popoli idolatri, che utili cose vollero persuadere al volgo, il finger
ono alle divinità l’origine delle nazioni per essi ordinate. Quindi è che l’istoria di tutte le genti (se quella dei Giudei
che l’istoria di tutte le genti (se quella dei Giudei se ne eccettua, che Iddio scelse pel sacro deposito del suo culto) co
ostro compatimento, ho quasi dimenticato la difficoltà dell’impresa a che accinto mi sono. Non fu mai maggiore l’opportunit
o Alighieri; « Che chi pensasse al poderoso tema, E all’omero mortai che se ne carca, Noi biasmerebbe se sott’esso trema. 
e ne carca, Noi biasmerebbe se sott’esso trema. » Ma per dimostrarvi che arduo è l’assunto, ed accrescere ad un tempo in v
ere ad un tempo in voi il desiderio di impadronirvi di quelle notizie che sono l’oggetto delle mie fatiche, ho deliberato d
delle mie fatiche, ho deliberato di darvi il prospetto delle Lezioni che formeranno il Corso della Mitologia nel presente
che formeranno il Corso della Mitologia nel presente anno. La strada che dobbiamo percorrere ò difficile ad un tempo stess
io lo concede, porrò ogni mia cura per allontanare tutti gli ostacoli che s’incontrano in così lungo cammino. Essendomi pre
d’Istoria, mi è necessario dì par lare in primo luogo delle opinioni che sulla formazione degli Dei e del mondo avevano le
tta la Mitologia, e in molti vetusti monumenti, non conoscendo quello che immaginarono gli antichi su questo particolare, n
particolare, nulla i simboli direbbero agli occhi ineruditi. Percorsa che avremo l’istoria di questi vaneggiamenti coi qual
anterà le lodi e le gesta dei numi, io leggerò la migliore traduzione che siavi; e quando questa manchi, sia tale che vivam
rò la migliore traduzione che siavi; e quando questa manchi, sia tale che vivamente e con dignità non rappresenti l’origina
imendo nelle tele e nei marmi, accrescerà quella nobile e antica gara che regna fra la Pittura e la Poesia. L’amenità di qu
maggiore quando esaurita la teologica Mitologia, giungeremo ai tempi che chiamò favolosi Varrone, nei quali si contengono
ai tempi che chiamò favolosi Varrone, nei quali si contengono imprese che argomento furono dei più celebrati antichi poemi.
gli Argonauti di cui fu prezzo il vello d’oro conquistato da Giasone, che , soccorso da Giunone, dal coraggio e più dall’amo
di Valerio Flacco, nelle di cui carte vivono ancora « Quei gloriosi che passaro a Coleo: » vi sembrerà di errare sulle s
dalle glebe incantate nascere fatali guerrieri; spirar fiamma i tori che tardano a riconoscere lo stesso tiranno di Coleo,
profani di due fratelli destinati alla colpa ed all’odio vicendevole, che nè la pietosa sorella, nè la madre veneranda per
la maestà dei mali, nè la morte stessa può estinguere, poiché la pira che il consuma, si divide, o sembra far guerra. Stazi
violato ospizio di Menelao; eccoci all’istoria d’Ilio sciagure d’Ilio che fama divennero di Omero, « Di quel signor dell’a
tanto poeta, del « Primo pittor delle memorie antiche. » di quello che colla divina Iliade dettò i più sublimi concetti
i quelli ho pugnarono e cadiloro sotto le mura, opera degli Dei! Dopo che Omero ci avrà descritto l’ira di Achille, la disc
lle, la discordia degli Dei, il tenero addio di Andromaca ad lettore, che rimprovera a Paride lo sciagiure della patria e l
Paride lo sciagiure della patria e la sua viltà, e fìnalmente Priamo che bacia le mani lorde del sangue del suo figlio per
per riaverne il cadavere. Quinto Calabro ci dirà gli altri infortunj che successero fino a quel giorno fatale in cui i Gre
’errore di Ulisse, mentre i Proci insidiavano la fedeltà di Penelope, che aspettandolo, canuta divenne. Sofocle ed Euripid
ua luce l’universo, nell’Odissea ancora imita l’astro medesimo allora che tramontando, sembra coi suoi raggi mandare l’ulti
he, tralasciassi di parlarvi delle divinità adorate da quelle nazioni che barbare furono dai Greci e dai Romani chiamate: o
non posso, quanto bisogna, raccomandarvi l’importanza. Basterà dirvi che il celebre Winkelman, tanto benemerito delle arti
nemerito delle arti belle, ha scritto su questo soggetto un’operetta, che per l’utilità quasi gareggia colla famosa istoria
gure allegoriche, delle quali negli scritti degli antichi si parla, e che tuttora si vedono nei loro monumenti. Difficile è
Difficile è l’arte di esprimere le idee col mezzo delle immagini, in che consiste l’allegoria, la quale vedrete che, per e
l mezzo delle immagini, in che consiste l’allegoria, la quale vedrete che , per esser vera, dee contenere con chiarezza le q
enere con chiarezza le qualità distinte della cosa indicata. Imparata che avrete dagli antichi la difficil pittura del pens
Virtù, la Costanza, la Ragione, e mille altre divinità della Morale, che nel segreto del loro cuore più che i falsi numi a
mille altre divinità della Morale, che nel segreto del loro cuore più che i falsi numi adorate furono dai filosofi dell’ant
uore più che i falsi numi adorate furono dai filosofi dell’antichità, che meno di noi le nominavano, ma più n’erano fedeli
rei nel prospetto di queste Lezioni aver potuto imitare l’architetto, che colla facciata dell’edifizio ne raccomanda i più
segreti divisamenti, e costringe a percorrerlo l’attonito pellegrino che di esso ha piena la vista. Ma se la conoscenza de
la conoscenza delle mie forze mi vieta così care speranze, io confido che , me dimenticando, rivolgerete la mente alla digni
rsi vostre; giacché i concetti della mente dirigono la mano di coloro che nati sono alla gloria dell’arte. Michelangelo, le
elangelo, leggendo gli alti versi di quel magnanimo suo concittadino, che sdegnando trattare argomento mortale, dagli abiss
rete in voi stessi, udendo i versi immortali di quei sommi intelletti che trionfano di tanti secoli, e dei quali la fama du
l’invidia e l’ammirazione, per cui disperino di emularci, conoscendo che il genio non può mai coll’armi acquistarsi. Ma ch
ularci, conoscendo che il genio non può mai coll’armi acquistarsi. Ma che :… Non sono io in questo recinto che è consacrato
può mai coll’armi acquistarsi. Ma che:… Non sono io in questo recinto che è consacrato a presentare alla pubblica ammirazio
Lezione seconda. Sulle diverse Cosmogonie. Non vi ha monumento che attesti l’imbecillità dell’umana mente alle propr
popolo antichissimo, ove nacque l’autore di quell’insensato progetto, che Iddio arrestò e punì colla diversità delle lingue
i mostri simili a lui. Questi chiamato Cannes, ov vero Oen, insegnava che già tutte le cose erano possedute dall’acque, dal
va che già tutte le cose erano possedute dall’acque, dalle tenebre, e che in queste erano chiusi uomini ed animali mostruos
e in queste erano chiusi uomini ed animali mostruosi, simili a quelli che erano ritratti nel tempio di Belo da Erodoto desc
i che erano ritratti nel tempio di Belo da Erodoto descritto. Omorca, che signoreggiava l’universo, narra lo stesso, fu da
ise tutti i mostri ed ordinò l’universo. Avendo distrutti gli animali che non tolleravano la luce, s’accorse essere il mond
mondo deserto, impose a un nume di troncargli la testa, e col sangue che dalla^ piaga scorreva formarne gli animali e l’uo
se questa serie di assurdità sia un’alterazione della Genesi di Mosè; che io non sono nè curioso nè ardito per investigarlo
non sono nè curioso nè ardito per investigarlo. Aggiungerò solamente che questo Belo ordinatore della materie non é probab
olamente che questo Belo ordinatore della materie non é probabilmente che il sole, poiché in un monumento riportato dal Beg
meno assurde erano le opinioni dei Fenicj, come si rileva da Eusebio, che ci ha conservato un frammento di Sanconiatone, ch
rileva da Eusebio, che ci ha conservato un frammento di Sanconiatone, che forse egli trasse da Filone, traduttore delle ope
be da verun altro la sua produzione. Si unì finalmente col mot, o mud che è lo stesso del fango, e secondo altri una corruz
i di seotimento, dai quali furono prodotti altri dotati d’intelletto, che detti furono contemplatori dei cieli Zophasemen.
diedero al folgore, il di cui tuono riscosse gli animali ragionevoli, che cominciarono allora a moversi sopra la terra. Ecc
a a tanto sospetto soggiacque, perchè fu derivata da quella di Thoth, che fu pure agli Egiziani comune, dei quali Diodoro S
uori tutte le famiglie degli animali onde è popolata la terra. Quelle che avevano ricevuto maggior grado di calore divenner
e avevano ricevuto maggior grado di calore divennero volatili; quelle che in loro avevano più terra, furono rettili ed anim
ui generazione preponderò l’acqua, balzarono come pesci nell’elemento che loro conveniva. Col progresso del tempo la terra,
inaridita dal sole e dai venti, perde il potere di produrre animali, che quindi moltiplicarono col mezzo della generazione
l’eccitatore dell’universo. Parve altrimenti al dottissimo Cudworth, che mostrò le contradizioni di Eusebio di Cesarea. No
del nostro istituto il comporre sì ardua lite: riporteremo solamente che dagli Egiziani era adorata fra l’altre una certa
l’altre una certa divinità detta Neph, da cui era opinione di alcuno che fosse formata la macchina del mondo. Questa era s
. Questa era simboleggiata nel sembiante di un uomo di color celeste, che avea nelle mani una cintura ed uno scettro, sulla
ui si schiudeva un altro iddio detto Phta, il quale forse è lo stesso che il Vulcano dei Greci. Il senso degli espressi sim
to la forma di serpente col capo di sparviere, è sentimento di alcuni che fosse da loro Iddio ancora adorato. Se questo apr
iudeva. Percorsa la teogonia e dei Fenicj e degli Egizj, ragion vuole che quella dei Greci si discorra, che da ambedue ques
Fenicj e degli Egizj, ragion vuole che quella dei Greci si discorra, che da ambedue queste nazioni riceverono parte della
ioni riceverono parte della loro religione e dei loro costumi. Orfeo, che molte cerimonie relio’iose istituì colla divinità
gia. Altri, al contrario, lo difendono da tanto rimprovero, asserendo che di Dìo ebbe idee più giuste di ogni altro pagano.
itore dei guasti costumi dei mortali; e se fede si dasse al compendio che Timoteo fece della cosmogonia orfica, egli potreb
alunnie dei suoi avversarj. In tanta discordia di opinioni, non posso che riportare le parole del mentovato scrittore. « N
abitavano gli Dei, e da ogni parte di questo erano il Caos e la Notte che sta sotto l’Etere, volendo con ciò significare ch
il Caos e la Notte che sta sotto l’Etere, volendo con ciò significare che la Notte era prima della creazione, e che la Terr
volendo con ciò significare che la Notte era prima della creazione, e che la Terra, attesa l’oscurità, era invisibile, ma c
ella creazione, e che la Terra, attesa l’oscurità, era invisibile, ma che la Luce penetrando l’Etere, aveva il mondo intier
tutto il sistema mitologico comprende Dopo questo, diminuirò la noia che forse avrà ca gionata l’istoria di tanti delirj,
leggendovi la descri zione della battaglia dei Giganti contro gli Dei che è nel poema del mentovato scrittore. Ho cer cato,
figli, onde la Terra era afflitta. Nel suo dolore fabbricò una falce, che diede a Saturno; ed egli, insidiando il padre men
mentre inviavasi al letto materno, gli fé’ colla falce quell’ingiuria che in lui fu ripetuta da Giove suo figlio. Dal sangu
quell’ingiuria che in lui fu ripetuta da Giove suo figlio. Dal sangue che piovea dalla ferita nacquero i Giganti, le Furie,
pomi d’oro, le Parche, cioè Cleto, Lachesi ed Atropo, dee terribili, che filano la vita dei mortali e vendicano i delitti.
dei mortali e vendicano i delitti. Nacquero dalla Notte ancora Nemesi che premia le virtù, e i vizj punisce, la Frode, l’Am
Affanni, delle Guerre, delle Stragie delle Sconfitte, e di tutto ciò che i mortali tormenta, come le querele, le dissensio
Iride e l’Arpie Aello e Ocipete. Forci da Ceto ebbe Pefredo ed Enio, che ambedue furono subito chiamate gree dalla parola
nio, che ambedue furono subito chiamate gree dalla parola greca γραυσ che significa vecchia, perchè nascendo erano già canu
a Calliroe die la vita ad un altro mostro detto Echidna, cioè vipera, che nella metà era simile ad una bellissima ninfa, e
Siria, pure da Tifone ebbe Orco, Cerbero, l’Idra Lernea, la Chimera, che fu uccisa da Bellerofonte, e la Sfinge onde tanto
erofonte, e la Sfinge onde tanto in Tebe si pianse, e il Leone Nemeo, che da Ercole fu ucciso. Ceto generò pure da Forci il
orabil vendetta. Stige giunse la prima sull’Olimpo coi suoi figli; lo che tanto piacque a Giove che doni ed onori le rese i
nse la prima sull’Olimpo coi suoi figli; lo che tanto piacque a Giove che doni ed onori le rese in gui derdone; ritenne i f
doni ed onori le rese in gui derdone; ritenne i figli di lei, e volle che nel di lei nome temessero di spergiurare gli Dei.
i spergiurare gli Dei. Febea ebbe da Geo l’amabile Latona ed Asteria, che poi maritata a Perseo, divenne madre dì Ecate, di
a tutte, cui Giove die l’arbitrio del cielo e della terra e del mare, che sempre era fra gli antichi principio di sacrifizj
tone, Nettuno e Giove. Avea l’accorto vecchio consultati gli oracoli, che predetto gli avevano che uno dei suoi figli gli a
ea l’accorto vecchio consultati gli oracoli, che predetto gli avevano che uno dei suoi figli gli avrebbe tolto l’impero del
pero del cielo, onde questo padre snaturato tutti gli divorava subito che Rea gli dava alla luce. Ma nulla basta contro il
ori presentò a Saturno una pietra coperta di fasce, invece del figlio che occultò in Creta; onde questa isola va superba pe
ortali. Erasi intanto Giapeto congiunto a Climene figlia dell’Oceano, che diede alla Terra Atlante magnanimo, il perfido Me
tante, e die loro per custodi Cotto, Gige e Briareo, onde erra Banier che sembra creder questi confinati in pena, giacché c
ientissima; e questa era per dare alla luce Minerva. Sapendo il padre che il figlio, il quale da lei fosse nato, dominerebb
ominerebbe l’universo, divorò la madre e la prole. Sposò quindi Temi, che generò le Stagioni, Eunomia, Dice, Irene; e le tr
i, che generò le Stagioni, Eunomia, Dice, Irene; e le tre Parche, nel che sembra Esiodo contradirsi, poiché innanzi le fa f
figlie della Notte. Natale Conti concilia questa difficoltà dicendo, che quando le Parche rendevano ragione, figlie chiama
caso guidava le forbici fatali erano figlie della Notte. A me sembra che questa coatradizione, e mille altre, abbiano orig
ano le tre Grazie: Talia, Eufrosine ed Aglaia; da Cerere, Proserpina, che fu da Plutone rapita, da Mnemosine le Nove Muse,
ed Armonia la bella. Maia figlia di Atlante partorì Mercurio a Giove, che ebbe pure da Semele Bacco, ed Ercole da Alcmena.
parlò: Uditemi, del cielo e della terra Illustri figli, onde io quel che comanda Il core a me nell’animoso petto Dica: Gra
rli, e della mente Gli accorgimenti e i providi consigli Del tuo cor, che scacciò dagl’ immortali L’ immenso danno, sappiam
urno. È mercè tua se qui siamo Alla notte involati e alle catene: Noi che maggior della paura il danno Soffrimmo, or con pr
lava, e lodar gli accorti detti I benefici numi, e guerra il core Più che innanzi chiedeva, e guerra a gara Moveano tutti,
ara Moveano tutti, uomi e donne, i figli Di Saturno, i Titani, e quei che Giove Dell’Erebo all’orror tolse tremendi, Che d’
ll’eterno braccio Terribil gloria. Già risuona acceso Il fertil suolo che gli stride intorno : D’ inestins^uibil fuoco arde
terra: arriva Già la fiamma al divino eter: la luce Del fulmin sacro, che tonando scende, Dei possenti gli eterni occhi con
lioso ardor l’Èrebo investe, Ode, e vede la pugna, e con la terra Par che di nuovo si confonda il cielo, E il caos antico l
ttoria incerta: Ma fra le prime schiere ivano Gige E Cotto e Briareo, che avean di guerra Insaziabil sete, e dalle forti Ma
iverso. Perciò i Persiani vietarono i simulacri, e deridevano i Greci che sembravano volere nei templi circoscrivere Iddio.
i che sembravano volere nei templi circoscrivere Iddio. Banier reputa che il tabernacolo di Mosè costruito nel deserto foss
il primo: ma questa opinione dà troppo tardo principio all’idolatria, che grandeggiava innanzi lui nell’Egitto. Vi è anzi r
he grandeggiava innanzi lui nell’Egitto. Vi è anzi ragione di credere che da questo paese piuttosto derivasse il costume di
ose, la Grecia ne fa autore Deucalione, e l’Italia Fauno o Giano. Che che ne sia, è certo che i luoghi sacri agli Dei, che
autore Deucalione, e l’Italia Fauno o Giano. Che che ne sia, è certo che i luoghi sacri agli Dei, che in prima erano rozze
a Fauno o Giano. Che che ne sia, è certo che i luoghi sacri agli Dei, che in prima erano rozze fabbriche, divennero col tem
ome da Erodoto si rileva. È da notarsi, specialmente per gli artisti, che gli antichi nel genere ancora degli edifìzj signi
erano causa i moltiplici attributi del nume, o la pluralità degli Dei che nel tempio erano adorati. E con ogni altra iorma
i altra iorma della fabbrica alludevano alle qualità degli frnmortali che credevano abitarvi, poiché lunghi e scoperti eran
cco, e riquadrato era quello di Giano. Nè ciò bastava: conveniva pure che il luogo ancora additasse la natura e 1’ ufficio
ime. Lunga opra sarebbe l’annoverare quante pitture, quanti simulacri che fama sono ancora degli artefici antichi, ornasser
zioni non hanno tregua. Difendeva la presenza degli Dei ancora l’oro, che non avea violata l’ingenua semplicità dei loro te
e ne diedero i primi l’esempio i Galli guidati dal sacrilego Brenno, che derubarono il tempio di Delfo, e deridendo la rel
no con memoranda avidità l’oro fra le ceneri degli estinti, mostrando che dalla barbarie dei vincitori nemmeno il sonno del
il sonno della morte è sicuro. Converrà adesso parlare dei sacrifizj, che divideremo, secondo il genere dei numi ai quali e
dal paterno furore. Ma gli Dei aveano già dato l’esempio della colpa: che r ara di Diana era stata tinta in Aulide col sang
Lezione, questi sacrifizj, eterna vergogna degli uomini e degli Dei, che furono « Famoso pianto della scena Argiva. » Fa
« Famoso pianto della scena Argiva. » Favelleremo intanto di quelli che si offrivano ai celesti. — Erano soliti celebrars
cavasi, coronavano le vittime, gli altari, i sacerdoti, i vasi stessi che accogliere dovevano il sangue delle vittime. Con
el gregge. Puro esserne doveva il colore, perfette le membra, nè bove che mostrasse dall’ ingrato aratro consumato il collo
fiumi purgar doveva le mani asperse di stragi recenti ancora a coloro che escivano dalle battaglie. Tanto credevasi piacere
adopravasi nell’isceglier legittimi legni, cioè ordinati dalle leggi, che prescrivevano il modo di sacrificare. Doveva arde
ure dagli astanti, giacché Virgilio ne rappresenta Didone bellissima, che tenendo dalla destra la patera, diffonde il liquo
la, coi peli strappati alla fronte dell’ animale consacrato, nel foco che sopra l’ara splendeva, il che diceasi primo libam
onte dell’ animale consacrato, nel foco che sopra l’ara splendeva, il che diceasi primo libamento; quello per cui propiziav
o riceveva l’oceano paventato; e Virgilio ne rappresenta il suo eroe, che ornato le chiome di ulivo, getta dalla prora nei
l’onde fa libazioni il condottiero degli Argonauti, perchè reputavasi che dei numeri impari si compiacesser gii Dei: opinio
ai celesti, scannavansi da sacerdoti in veste nera gli atri animali, che mansuefar doveano l’eterna mestizia e del re di S
o il tiepido sangue, e l’olio invece del vino versavasi sulle viscere che fumavano all’imperatore dell’ombre. Di tutte le p
iazioni agii Dei infernali madre era la paura, e perciò il sacrifizio che loro facevasi da quei che scampati erano al furor
madre era la paura, e perciò il sacrifizio che loro facevasi da quei che scampati erano al furore di una malattia chiamava
. Una nera pecora gravida sgozzavano a Brimo, dea severa e terribile, che nel più profondo della notte, quando « Del sonno
iore al giuramento, vi dirà Omero, tradotto dall’ immortai Cesarotti, che osserva la derivazione di questo rito dall’Egitto
tutti io giuro Che ‘l pudor di Briseide e la beltade Mi furon sacri, che l’amore e i dritti D’Achille rispettai, che intat
a beltade Mi furon sacri, che l’amore e i dritti D’Achille rispettai, che intatta e pura Io gliela rendo (ella al Signore u
ti danni. Aggiungerò a questi bei versi alcune notizie sui sacrifìzj che ai morti si facevano, come mi sono prefisso nella
terra avanzo è della morte? » Nulla di più santo presso gli antichi che le tombe: onde Tibullo, ne’ di cui versi odi anco
la corone bagnate dalle mie lacrime: sederò supplichevole sulla terra che la ricoprirà, e col cenere muto mi lamenterò dell
ano gli estinti, costruivasi loro insigne pira, e vi ardevano le cose che nella vita loro erano state le più care, le armi,
le più care, le armi, i destrieri e (oh barbarie:) gli uomini stessi, che fatti schiavi avevano le vicende instabili della
o ed il corpo, erano le reliquie e le ossa cercate fra le faville; il che appare chiaramente in Virgilio nel funerale di Mi
ente in Virgilio nel funerale di Miseno, quantunque Teofrasto ne dica che una pietra circolare chiudeva la salma destinata
salvo E vincitor di Troia alle sue braccia Ritornato m’avessi. Invan, che a tanto Non giunge il tuo poter; vuol altro il Fa
o e cibo. Disse, ha d’uopo la turba; alle sue navi Tu la rinvia; quei che del rogo han cura Restin qui meco e i primi duci,
Godi del dono mio; s’Ettor vi manca Non ti lagnar; peggio è per lui, che a pasto Del foco no, ma de’ miei cani il serbo. —
Ettorea salma Venere e Febo: ella il bel corpo inonda D’ambrosio odor che delle fere edaci Gl’ impeti affrena, e inviolato
rugghianti Scuotono a gara; ecco inalzarsi a un tratto Vampa vorace, che s’apprende e sparge Per l’ammontata arida selva,
li, si ragionò ancora de’ sacrifizj, argomento vasto ed importante, e che per esser esaurito quanto è permesso dal metodo p
esso dal metodo prefissoci nei nostri studj, addimanda nuove notizie, che farò succedere a quelle che intorno agli altari h
ei nostri studj, addimanda nuove notizie, che farò succedere a quelle che intorno agli altari ho raccolte. Lasceremo ai gra
ista veramente la differenza notata fra l’are e gli altari da Servio, che afferma questi ultimi solamente proprj delle divi
fferma questi ultimi solamente proprj delle divinità celesti. Certo è che ai numi infernali sacrifìcavasi nelle fosse, e ne
ìcavasi nelle fosse, e ne fa fede fra molti Ovidio, descrivendo Medea che d’Ecate implora il soccorso. Ed è fuori d’ogni du
vendo Medea che d’Ecate implora il soccorso. Ed è fuori d’ogni dubbio che sopra il suolo si offrivano le vittime agli Dei d
ra. Tutto additava fra i primi uomini la semplicità dei loro costumi, che più ancora si manifestava nel modo d’o norare gl’
più ancora si manifestava nel modo d’o norare gl’immortali: quindi è che nel principio gli altari non furono che ammassi d
norare gl’immortali: quindi è che nel principio gli altari non furono che ammassi di erbe, pietre informi, mucchi di terra,
va. La cenere stessa fa destinata a questo uso, ed è celebre l’altare che a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in facci
colo del mondo era l’ara formata di corna inalzata ad Apollo in Delo, che niun glutine, verun legame congiungeva; onde Call
sopra le montagne, forse perchè l’immaginazione dei mortali reputava che così avvicinandosi al cielo, giungessero più rapi
riplici qualche volta erano gli altari, e tribomi dicevansi, e sembra che si praticassero nel culto di divinità, di ufficj
raccomanda, altre l’ornamento, gli Dei, i genj, i sonatori di flauto che vi sono scolpiti; la maggior parte di esse ha neg
no gli altari, e Virgilio ci mostra larba, il barbaro rivale di Enea, che cento, così traduce Annibal Caro, « N’avea sacra
estre, nei circhi, negli stadj, si vedevano pure nei teatri. Il primo che ivi sorgeva dalla parte destra sacro era al dio c
teatri. Il primo che ivi sorgeva dalla parte destra sacro era al dio che si onorava cogli spettacoli; l’altro, alla sinist
a sinistra collocato, consacravasi ad Apollo, ovvero a Bacco, secondo che una commedia una tragedia veniva rappresentata. Q
dei celesti, ma perchè gli schiavi temerono mai sempre più i tiranni che la divinità. Esiste ancora in Narbona l’ara dedic
volte laco. Onde cessar le sue opere bieco Sotto la mazza di Ercole, che forse Gliene die cento, e non sentì le diece. »
oma nel Foro Boario presso la porta Carmentale.   Solenne il rispetto che gli antichi avevano per gli altari, onde nè lume
Ovidio quel raro e memore amico, a cui scriveva nell’esigilo lettere che dettava il dolore; ed Enea, lagnandosi della rott
uando alle promesse si aggiungeva il giuramento; onde Giovenale disse che gli empj venditori di spergiuri, che intrepidamen
giuramento; onde Giovenale disse che gli empj venditori di spergiuri, che intrepidamente vi si accostavano, ponevano la man
rminato. Assai degli altari. Intorno ai sacrifìzj eccovi quel di pili che importa sapere; poiché, se tener conto si dovesse
ta sapere; poiché, se tener conto si dovesse delle numerose divisioni che ne facevano gli antichi, mancherebbe a così lunga
efìcj, o per chieder l’adempimento dei loro voti, parlerò delle ostie che allora si offrivano, poiché ogni genere di sacrif
ri i pellegrini; ad Ercole Invitto le salve legioni; a Nettuno coloro che all’alto mare aperto fidati, avea fragil legno di
Sacrificavano a Giunone una giovenca colle corna dorate quei felici, che credevano aver sortito dal cielo una moglie pudic
ianco toro, una corona, opime spoglie offrivano a Giove quei Consoli, che sul Campidoglio venivano dall’aratro ai trionfi.
e le forze del mio ingegno il permettevano, vi racconterà il secondo, che fu di doppio dolore cagione ad Ecuba, al pari d’I
Quindi seguivano vaghi fanciulli e giovinette gloria del loro sesso, che ministravano al sacrificio. Il ministro detto pre
eva; e se dalla scure atterrata, al ministro detto popa consegnavanla che succinto e mezzo nudo la percoteva. Gli ufficj di
confusi. Fra i Gentili erano preceduti i sacrifizj dalle lustrazioni, che facevansi con un ramo di ulivo, o con istrumento
le medaglie argentee di Giulio Cesare e di Antonino Pio.   Presentata che si era l’ostia, il vittimario portava la teca, ch
Pio.   Presentata che si era l’ostia, il vittimario portava la teca, che conteneva i ferri; il sacerdote sceglieva o il ma
la pelle: le parti di esse ponevano in vasi detti in genere anclabri, che ciholi si chiamavano allorché la forma n’era roto
ssette ove l’incenso era riposto; nei canestri portavansi le primizie che si offrivano agli eterni. Accrescerei il catalogo
avellare di quei sacrifìzj, i quali vorrei per onore del genere umano che non fossero mai stati in uso, come un letterato f
stati in uso, come un letterato francese pretende. A questa opinione, che onora il core e non la mente di chi la produsse,
sse, si oppone in primo luogo l’autorità di Erodoto, il quale afferma che i popoli della Tauride immolavano ad una Venirine
i popoli della Tauride immolavano ad una Venirine tutti gli stranieri che il nau fragìo gettava nella loro terra. Umani sac
e, volendo dimostrare la poca fede dei loro giuramenti: « Cosa volete che vi sia di santo e di religioso per coloro i quali
se prima violata non l’hanno con qualche delitto. Chi fra voi ignora che così barbara e mostruosa usanza si mantiene press
i mantiene presso loro ancora ai dì nostri? Laonde quale reputate voi che esser possa la fede di chi i numi crede doversi p
o del principe degli Oratori, l’accennato parere non può considerarsi che come un sogno, e non è senno nè lode combatter co
rei colla vostra indulgenza se non rimediassi colla brevità alla noia che in voi deve produrre l’aridità di queste ricerche
ni ramo dell’ombroso bosco Per la sospesa plebe, e son coperte D’Ilio che fuma le ruine altere; E v’ha chi stassi spettator
pettator feroce Sopra l’ettorea tomba, e calca l’ossa Di quel famoso, che l’achive squadre Sol della vista sgomentò. Ma giu
venia tranquillo in volto Il fanciul generoso all’aspra torre. Allor che stette sulla cima, il volgo, I capitani, Ulisse s
ll’ettoreo figlio L’innocente alterezza. In core acheo Breve è pietà: che già ripete Ulisse Le preci di Calcante, e al crud
anco Lambe il flutto reteo. L’avversa parte Chiusa è da colle facile, che sorge A guisa di teatro. Era ogni lido Ingombro,
r facea più bella, Come più dolce del morente sole E il raggio, allor che la vicina notte Fa guerra al dubbio giorno, e il
Beltade, e chi di gioventude il fiore, Tutti fortuna; e il fermo cor che morte Incontrar sembra, e desta in cor di tutti M
divinità, erbe ed incensi, quindi animali, arrivarono a tanta insania che con umane vittime contaminarono le loro mani e i
contaminarono le loro mani e i templi degli Dei. È opinione di alcuni che questa orribile costumanza avesse principio coli’
zione; e se ciò sussiste, antica è la colpa. In Igino ancora si legge che Callistene alla salute della patria immolò la fig
ra si legge che Callistene alla salute della patria immolò la figlia; che i Tiri sacrificarono i figli di Sisifo, persuasi
tesso dio ordinò di uccidere Antiope sua moglie e figliuola di Marte, che Adrasto ed Ipponoo suoi figli seguirono gettandos
cadaveri offertogli dai Cananei e da altri popoli nemici d’Isdraele, che prevaricando, macchiò anch’egli le mani già pure,
erasti; ninna divinità si compiacque maggiormente di questi sacrifìzj che Diana, e lo mostreremo quando della di lei statua
ezione opportunità di parlare. Causa di tanta empietà era la credenza che questa abominazione allontanasse l’ira divina, me
i di Tieste, e maggiore compassione desterà nei vostri cori di quella che sentiste udendo del sacrificio di Astianatte e di
sta orribile espiazione: ferivano i Sardi il tremulo collo dei vecchi che avevano oltrepassati i settant’anni; da alcuni gl
i maestro ai Romani, eluse con accorta ripulsa la dimanda di quel dio che parlar facevano i sacerdoti crudeli. A Saturno i
artaginesi i propri figli offerivano, il fiore della gioventù; e quel che é più terribile, doveano assistere al sacrifizio
e, detta del ruggito, dove s’immolavano i bambini dai padri, persuasi che questo sacrifizio avrebbe gli altri figli scampat
la morte, e resi loro per tutta la vita felici. Degni di lode i Siri, che tutti i sacrifizj cruenti vietarono, conoscendo c
i di lode i Siri, che tutti i sacrifizj cruenti vietarono, conoscendo che coli’ uccisione degli animali si avvezzava alla c
lla crudeltà ed al sangue il core dei mortali ! Ma quali erano i riti che per celebrare queste empietà si osservavano ve lo
e d’Ifigenia. Ambedue queste descrizioni sono meno adorne d’immagini che quella di Seneca: ma pure di molta compassione pe
Udite la morte della prima, narrata ad Ecuba dal nunzio: Perchè vuoi che il dolor rinnovi, o donna, Narrando il fato di tu
essa grida: Achivi, onde io più non ho patria, alcuno Non sia tra voi che d’appressarsi ardisca: Vittima volontaria offro i
li ultimi detti Del dardanio valor memoria eterna: II collo e’l petto che ferir bramasti. Eccoti, Pirro: ove tu vuoi ferisc
morte d’Ifigenia è prezzo dell’opera il far precedere alcune notizie che riguardano questo sacrifizio. Vi sarà in primo lu
notizie che riguardano questo sacrifizio. Vi sarà in primo luogo noto che Timante nella pittura che lo rappresentava avendo
sto sacrifizio. Vi sarà in primo luogo noto che Timante nella pittura che lo rappresentava avendo tutte le immagini di mest
o Euripide, coperse di un velo, quasi disperasse dell’arte, Pausania, che dovrebbe essere nelle mani di tutti gli artisti,
, Pausania, che dovrebbe essere nelle mani di tutti gli artisti, dice che presso gli Egineti vi era un’antica statua credut
cordia di pareri regna sull’esito di questo sacrifizio. Alcuni dicono che Ifigenia fosse immolata, come Eschilo nell’Agamen
ofocle nell’Elettra, Lucrezio ed Orazio. Altri, come Euripide, dicono che Diana, compassionando la giovine principessa, l’a
’ha posta nel numero delle sue Metamorfosi. Antonino Liberale riporta che fu cangiata in una specie di Genio immortale, e c
Liberale riporta che fu cangiata in una specie di Genio immortale, e che nell’isola di Leuce si congiunse ad Achille. Evvi
a da molti famosi lirici, e specialmente da Stesicoro, la quale narra che una donzella di questo nome fu in Aulide sagrific
le narra che una donzella di questo nome fu in Aulide sagrificata, ma che di Teseo, e non di Agamennone era figlia, e che E
ulide sagrificata, ma che di Teseo, e non di Agamennone era figlia, e che Elena a lui l’aveva generata quando al rapimento
na a lui l’aveva generata quando al rapimento fe’ succedere V imeneo, che essa non ardì a Menelao manifestare. Racine, prim
aducendo la parlata di Clitennestra, e la descrizione del sacrifizio, che di bellezze classiche ridonda. Udite, innanzi, i
da. Udite, innanzi, i divini versi di Lucrezio sull’istesso soggetto, che ho desunti dal volgarizzamento del Marchetti. A q
ara a macchiar della gran dea triforme Co ’l sangue d’Ifigenia, allor che cinta Di sacra fascia il bel virgineo crine Vid’e
o Stillar per gli occhi in larga vena il pianto Sol per pietà di lei, che muta e mesta Teneva a terra le ginocchia inchine.
a dolente tua consorte. Oh mia Madre, son queste le sperate nozze? Ma che ? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi
rate nozze? Ma che? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi, che sicura al ferro Offro il collo animoso. — In ques
ose. Achille lo prende, intorno all’ara Corse, e quindi esclamò: Dea, che godi Col certo strale saettar le belve, E col tuo
cun non vide. Un grido alzava il sacerdote; e tutto L’esercito gridò, che inopinato Era il portento, sì che visto ancora Fe
acerdote; e tutto L’esercito gridò, che inopinato Era il portento, sì che visto ancora Fede non ottenea. Giaceva al suolo P
e, e tutta avea Sparso del sangue suo Tara del nume. Con quella gioia che pensar ti puoi Allor Calcante esclama: dell’ Ache
e esclama: dell’ Acheo Campo duci supremi, or la montana Cerva mirate che la dea si pose Qual vittima dinanzi, e se ne appa
ati navigli e membra infrante Ira miglior degli accusati venti. sole, che nell’esecrata terra D’Atreo ravvisi il vero erede
li apprestaf Il genitore. E già Calcante Oh crudi: Fermate; il sangue che già scorre, è sangue Di chi il fulmine vibra; il
s’accinge. Ma la vergine esclama: arresta, il sangue Di quel possente che nel sen mi scorre. Verserò senza della man profan
pio, e non giunsero a quell’alto grado di bellezza e di perfezione in che collocate sono, se non arricchite dall’ eredità d
ricchite dall’ eredità del sapere. Così le statue non furono dapprima che rozze ed informi pietre, destinate a rappresentar
motivo per concedere precedenza ad un paese anziché ad un altro. Dopo che Iddio fu dimenticato dai potenti felici, il bisog
ne, nobilitando così la nostra natura, e diminuendo i’ immenso spazio che l’uomo dalla divinità divide. Qual terra adunque
a adunque esser vi può dove non sia nato quest’ uso, e chi non scorge che l’origine di esso nelle tenebre della più remota
le tenebre della più remota antichità sta nascosa? Osserva Winkelman, che coloro i quali trattano del nascer di un’arte, so
altre è maestra. Per evitare questo errore sarò contento di osservare che nelle più antiche statue egizie non erano separat
in Arcadia foggiati erano Nettuno e Giove: tale era la Venere Urania che Pausania vide in Atene. Erme (come noto è a tutti
i, con profondo scherzo, paragona Giovenale gl’inetti nobili di Roma, che si appoggiavano sulla fama degli avi. A questi ab
n si dava solamente alle statue di Mercurio, ma a tutte quelle ancora che ne imitavano la figura. Onde diceasi Ermatene, Er
ulacri erano sparsi, ed Alcibiade fé’ troncare il capo a tutti quelli che erano in Atene, a riserva di quello che stava ava
oncare il capo a tutti quelli che erano in Atene, a riserva di quello che stava avanti la porta di Andocide, che per questo
in Atene, a riserva di quello che stava avanti la porta di Andocide, che per questo motivo la prigionia sofferse. Nè fuggì
to. Ma di tutte le teste rimaste fu modello il volto di Alcibiade; al che allude l’eleofante Ariste lieto in una sua letter
to in una sua lettera, dove una donna di sue bellezze gloriosa scrive che norma il sembiante di lei, e non quello di Alcibi
il cipresso erano materia all’effigie degli Dei. Nel Giove Olimpico, che veruno emulò, e neir Esculapio di Epidauro, l’avo
no emulò, e neir Esculapio di Epidauro, l’avorio erano con artificio, che vincea la preziosa materia, distribuiti. Anticame
eria, distribuiti. Anticamente la creta serviva alle statue degli Dei che furono detti Fictilia, dall’arte di gettarle, e P
i Dei che furono detti Fictilia, dall’arte di gettarle, e Plinio dice che la semplicità dei primi Romani escludeva l’oro an
so gli Egiziani ne erano alcuni colossali, altri piccolissimi, e tali che comandavano riso ed affronti, e gli ebbero da Cam
tali che comandavano riso ed affronti, e gli ebbero da Cambise allora che a Memfi vide il tempio di Vulcano. Però quando l’
Tolomei, imitarono i greci costumi nel rappresentare la divinità; il che fu loro di doppio vantaggio cagione, giacché del
del vincitore evitarono gli scherni, ed ai Greci vani fecero credere che la loro mitologia veniva interamente dall’ Egitto
piccole, come quelle de’ Lari e degli dei Pataici d’ origine fenicia, che sulla prora dei vascelli si collocavano. Numerose
ttore, ne farà memoria, sarà mia cura riferirne la descrizione allora che tesserò l’istoria degli Dei. Costumavasi offrir l
e preci nei pubblici infortunj, e così piene della deità reputavansi, che Dei erano dette. Nel giorno festivo dei numi, ai
re. Esposte intorno alle statue le notizie piii importanti, conviene, che de’ boschi sacri ancora favelli; l’uso dei quali
onviene, che de’ boschi sacri ancora favelli; l’uso dei quali è certo che ha preceduto quello dei templi, come vi ho dimost
lle selve, spaventò dai più remoti tempi l’ignavo timore dei mortali, che vi adoravano lo stesso silenzio, e l’ombre di div
era vietato ai profani; quindi vi si fabbricarono ed altari e templi, che n’accrebbero la religione. E quando questi ultimi
ale li traea il loro genio e delle altre genti l’esempio, non permise che l’altare di Dio fosse circondato da alberi a fogg
ato da alberi a foggia di selva. Pure, tanto l’inclinazione prevalse, che Gerusalemme stessa vide un bosco fra le sue mura.
Corone, ghirlande, doni vi appendeva la superstizione, prodiga tanto, che appena, al dire di Stazio, luogo restava ai rami.
dei quali la descrizione presso gli antichi si legge. Famosa è quella che Lucano ne ha data del bosco di Marsiglia, che i s
legge. Famosa è quella che Lucano ne ha data del bosco di Marsiglia, che i soldati romani atterrarono, non liberati coll’e
garizzato quella parte del Tieste di Seneca, ove si descrive il bosco che era presso alla reggia degli empj fratelli. Confi
rive il bosco che era presso alla reggia degli empj fratelli. Confido che vi riempirà di maraviglia e di terrore non meno i
e le sono mille travi aurate Ornamento e sostegno. Appo le note Pompe che adora, e per cui serve il volgo. Sembra la reggia
tan tutte altere L’avite colpe, gran base di regno. Nasce fra l’ombre che ogni augello teme Un rivo, e pigro qual palude st
catene, ulular l’ombre. Ombre di sangue. Qui, con gli occhi vedi Ciò che udire è terror; splende la selva Come da fiamme a
buio d’ inferno. Han certa Pur qui risposta i dubitati voti, E allor che il nume i fati apre, lo speco Mugge. Traendo del
nocenti mani Al tergo avvince: i giovinetti al cielo Levan la fronte, che purpurea benda Mestamente circonda: incensi, il s
esta reggia Sembra, ondeggiando, dubitar. Si cangia In sangue il vino che libò l’ iniquo Re, cui cadon le bende. 1 rei mini
ampia ferita Gli fa nel petto Atreo: si cela il ferro Tutto nel seno, che alla man si giunge. Lo tragge, e sopra i pie mal
e l’ampia fame Sol depone e non l’ ira, e il ruggito Dei fieri denti che minaccian stanchi I timidi torelli: ahi: tale Atr
ell’ingegno mio lo concedeva, di rendere vostre tutte quelle notìzie, che preceder deggiono lo studio delle favole e la sto
, che preceder deggiono lo studio delle favole e la storia degli Dei, che colla scorta de’ Classici e dei monumenti mi acci
e difficile, come Pausania l’attesta, sarebbe il numerare le nazioni che si gloriarono di aver data a Giove l’educaziono o
cuna, o perchè i re tutti ebbero presso gli antichi questo nome, sia che la patria dei sommi fu sempre di dubbi e di contr
etesi mendaci, i quali additano pure il sepolcro di Giove, i Messenj, che ?ul giogo d’Itome mostrano un fonte, dove le ninfe
dia è illustre ancora pel fiume Lusio, il quale per Cortina scorre, e che , secondo Pausania, servì allo stesso uso del font
fine alle morti dalla peste e dalla fame cagionate, fu loro risposto che cesserebbero quando l’ossa di Ettore fossero da O
quando l’ossa di Ettore fossero da Obrino trasportate in quella città che non avesse militato all’eccidio di Troia, e che f
rtate in quella città che non avesse militato all’eccidio di Troia, e che fosse ad un tempo patria di Giove; ed ambedue que
alità si trovarono riunite in Tebe, città della nominata regione. Che che ne sia, l’istoria dei natali di Giove, del parto
to, si trova espressa in un’ara grande, scolpita nelle quattro faccio che fu trovata in Albano, e che il celebre Gori fece
ara grande, scolpita nelle quattro faccio che fu trovata in Albano, e che il celebre Gori fece incidere, e pubblicò nella C
i di tanto fanciullo, poiché Luciano e Arato, con molti altri, dicono che alimento gli fosse il latte della Capra di nome A
ove b'ambino portato da questo animale. Virgilio nelle Georgiche dice che dalle Api fu pasciuto di miele nell’antro Ditteo
iche dice che dalle Api fu pasciuto di miele nell’antro Ditteo Giove, che in mercede loro quindi concesse maraviglioso inte
tre del folgore gli assegnasse in educatrici. Lasciò scritto Cicerone che in un tempio veneratissìmo vedevasi la statua del
mma veduta dal Bandini. Protessero l’educazione del nume i Coribanti, che furono detti Cureti ancora, e Dattili Idei, che c
del nume i Coribanti, che furono detti Cureti ancora, e Dattili Idei, che con celere ed armonica danza movendosi, picchiava
d onorare due imperatori romani, Caracalla e Decio. Titano si accorse che Giove e i fratelli di lui erano contro il giurame
i di lui erano contro il giuramento educati; onde di tale sdegno arse che Saturno e Rea circondò di catene. Udì Giove adult
e gli apparve un’aquila, augurio della vittoria futura; perciò volle che sacra gli fosse, e quando, al dir di Orazio, l’es
Nel Museo Gherardesca, vedrete Giove assiso sopra ornatissimo trovo, che il destro piede fa posar sull’aquila, quasi base
riunì il primiero esercito, e cercò di aggiungere i Cecropi fallaci, che ricevuti gli stipendj, derisero la fede del giura
deve il suo nascere la madre degli amori. Favoleggiarono gli antichi che Apollo coronato di lauro e vestito di porpora can
stà de’ suoi versi ci dipinge l’aquila, assisa sullo scettro del dio, che l’ale e gli occhi dechina per la dolcezza del suo
ghe chiome: sii tale come quando cantasti lodi a Giove vincitore dopo che fu posto in fuga Saturno. » Ma col regno di Giove
la terra non era domata dall’aratro; i limiti non dividevano i campi, che volontarj producevano tutti i frutti. Veleno non
con altri giganti congiurati tentò rapirgli l’occupato trono; Egeone, che contro il fulmine del Saturnio picchiar faceva ce
uesta vittoria Giove soggiogò le nazioni dell’Oriente, instituì i re, che secondo Omero, sono la prima cura di lui. Domò al
a prima cura di lui. Domò altri giganti dei quali era capitano Tifone che si accamparono nei campi Pallenj in Macedonia e n
i accamparono nei campi Pallenj in Macedonia e nei Flegrei in Italia, che poscia furono chiamati Cumani. Istituì leggi, vie
l’uso delle carni umane, mostrando ai mortali le ghiande della querce che perciò gli fu sacra, e divise l’universo trionfat
la sorte. Peride Callireuco non ammette questa credenza, considerando che solo le cose eguali si lasciano, e fra gli eguali
ria sua casa. Lattanzio spiega questa favola istoricamente, asserendo che l’oriente fu di Giove, l’occidente di Plutone, e
regioni marittime di Nettuno. Non ostante, fu opinione degli antichi che il potere di Giove non solamente al cielo si limi
ntichi che il potere di Giove non solamente al cielo si limitasse, ma che sul mare e sulla terra ancora fosse esteso. E que
ania nel tempio di Minerva in Corinto. Era fama presso quei cittadini che davanti a quella statua Priamo, nell’eccidio di T
ell’eccidio di Troia, tentasse fuggire l’imminente fortuna, ignorando che fra le cure dei vincitori non fu mai la riverenza
tranquillo. Ozio beato regnò nell’Olimpo, e coll’ozio vennero i vizj, che mai sempre furono la ricreazione dei potenti sicu
ne dei potenti sicuri. L’amore divenne gran parte della vita di Giove che vestì mille sembianze per deludere il geloso inge
ociando in tal maniera col cielo la terra. Il celebre ratto di Europa che die nome ad una parte del mondo, è fra le segnala
o dà descritto in un Idilio, con tanta grazia e semplicità così bella che vince ogni dire. Uditene la traduzioue che ho ten
ia e semplicità così bella che vince ogni dire. Uditene la traduzioue che ho tentata, e che sarà copia infelice di così leg
sì bella che vince ogni dire. Uditene la traduzioue che ho tentata, e che sarà copia infelice di così leggiadro originale.
leggiadro originale. Già Venere ad Europa un caro sogno Mise allora che l’ombra ultima cade Alla sorgente aurora, e dolce
aureo canestro Opra del dio Vulcano: in dono il diede A Libia allora che fu sposa al nume Scotitor della terra: ella alla
ui preme unica notte I cento lumi; dal recente sangue L’augel nascea, che delle occhiute piume Colla pompa emular sembra le
, che delle occhiute piume Colla pompa emular sembra le vele Di nave, che pel mare aperto vola. Le labbra estreme dell’aura
Ognuna D’appressarsi s’invoglia, e il mansueto Amabil toro carezzar, che vince Coll’alito divino ancor dei prati La fragra
sì dicea ridendo, E sopra il toro ascese. Appena il caro Peso sentia, che salta in piedi, e vola Al mare. Europa alle dilet
ra Del bianco seno, ed ai liberi crini L’error felice accresce. Allor che lunge Dalla terra già sua non vide Europa Più lid
li illustri, Scettrati regi all’universo intero. — Disse, e fu fatto, che di Giove i detti Son fato. Apparve Creta, e spogl
spogliò Giove La mentita sembianza, e sciolse il cinto Alla donzella, che divenne donna E chiara madre alla sperata prole.
i e i terapli di Giove. A diverse sembianze favoleggiarono i poeti che sottoponesse la sua divinità il padre degli uomin
re dei suoi amori contento. Dopo le nozze di Meti figlia dell’Oceano, che a mostruoso fato soggiacque, e quella pure di Tem
ngiò in cuculo, e volò nei campi corintj sul colle già detto Tronace, che Coccige quindi, con greco vocabolo, fu per tal mo
eco vocabolo, fu per tal motivo chiamato. Tempesta, comandata dal dio che a sua voglia il cielo oscura e rasserena, coperse
cuculo, e con ali umide e tremanti si pose sulle ginocchia della dea, che impietosita lo celò nella sua veste. Depose allor
o innamorato chi resiste? Dal primo furto di Giove nacquero le Preci, che , al dir d’ Omero, seguono con tardo piede l’ingiu
trasformato volò presso lei, fìngendo evitare l’artiglio di un’aquila che sopra gli pendeva. Elena e Polluce nacquero dal p
o vi ha narrato nella passata Lezione il ratto di Europa. x\ggiungerò che Giove ehbe da lei Minosse e Radamanto. Fra le ama
ore della colpa, repudiò la consorte, e le successe nel talamo Dirce, che alle tenebre di una prigione condannò la rivale.
e condannò la rivale. Sua propizia fortuna, o di Giove il volere, fé’ che vicina a partorire fuggisse nel Citerone, ove die
partorire fuggisse nel Citerone, ove diede alla luce Anfione e Zeto, che adulti, divennero vendicatori dell’ingiuria mater
trigna. Nò di minore compassione percuotono il cuore le vicende d’Io, che Ovidio, volgarizzato dall’ Anguillara, vi narrerà
sanza dell’oro:) deve a Giove l’esser madre di Perseo, di quel famoso che liberò Andromeda bella, benché bruna pel colore d
da bella, benché bruna pel colore della sua patria. Argo e Sarpedone ( che tanta lode ottenne pugnando sotto le mura d’Ilio)
di Deidamia, da Giove delusa. Che dirò d’Ercole, prima lode di Giove, che in tante imprese vincitore stancò la fama, ma non
vincitore stancò la fama, ma non l’ire della matrigna? E noto a tutti che tanto figlio ebbe Giove da Alcmena, che ingannò c
ella matrigna? E noto a tutti che tanto figlio ebbe Giove da Alcmena, che ingannò colle sembianze d’Anfitrione marito. Nè m
unita della dimanda superba, poiché celebre al pari d’Ercole è Bacco, che empì l’ Oriente e 1’ Occidente di sua fama, e fu
ndro. A questi s’aggiunga Piritoo, tìglio della consorte d’Issione, e che l’ardire e l’amicizia rendono illustre. Eccovi il
bionda Cerere generò da lui Proserpina, per cui tanto pianse ed errò, che col primo sorriso mansuefece la severa mestizia d
i, oblio sicuro delle mortali sciagure. E Giove non fu meno ambizioso che lascivo, poiché, come. Lattanzio riferisce, sul m
tanzio riferisce, sul monte Olimpo abitando, proponeva premj a coloro che d’utili ritrovati arricchissero l’uman genere, e
enere, e quindi s’arrogava la gloria dell’invenzione. Ma tutto quello che d’isterico hanno preteso di ritrovare gli antichi
e qualora vi sia qualche parte di vero, é colla favola tanto confuso che é impresa ardita ed inutile lo sceverarlo, abband
licenza di congetture difficili ed infelici. Beve render cauti coloro che di mendace fama in traccia non vanno, il vaneggia
i mendace fama in traccia non vanno, il vaneggiare di molti illustri, che tanto differiscono nei resultati delle loro ricer
ebre di una religione così diversa per origine, indole, tempo ed uso, che tanto deve alle costumanze, ai bisogni, alle sper
pinioni, vi parlerò dei templi più famosi di Giove e dei nomi diversi che l’evento, i luoghi e le persone gli diedero, i qu
anti di entrarvi (così favella il mentovato scrittore) conviene dirvi che Adriano imperatore dei Romani l’ha consacrato, po
imperatore dei Romani l’ha consacrato, ponendovi quella bella statua che converte gli occhi di tutto il mondo, non per la
per la sua ricchezza perchè è d’avorio e d’oro, e per la proporzione che vi re gna, in che si dimostra dell’artefice l’ecc
zza perchè è d’avorio e d’oro, e per la proporzione che vi re gna, in che si dimostra dell’artefice l’eccellenza. Voi vedet
Sulle colonne del tempio sono rappresentate in bronzo tutte le città che gli Ateniesi chiamano colonie di Adriano. Il reci
to passi geometrici), ed in così lungo circuito voi non trovate luogo che non sia pieno di statue, perchè ciascuna città ha
a gli Ateniesi si sono particolarmente distinti col magnifìco colosso che hanno eretto ad Adriano, che è situato dietro il
olarmente distinti col magnifìco colosso che hanno eretto ad Adriano, che è situato dietro il tempio. Contiene tanto spazio
ra una colonna, su cui è la statua di Socrate, uomo degno di memoria, che alla posterità lasciò tre grandi esempj: il primo
to d’insegnare e di avere discepoli; il secondo di una modestia rara, che dagli affari pubblici e dalle cure del governo lo
l governo lontano lo tenne; il terzo di amore supremo per la libertà, che attestò essergli più cara della vita, perchè udit
di mestieri porre nella stessa classe quei Persiani di marmo frigio, che sostengono un treppiede di bronzo, e che sono cap
ei Persiani di marmo frigio, che sostengono un treppiede di bronzo, e che sono capilavori tanto essi che il treppiede. Del
e sostengono un treppiede di bronzo, e che sono capilavori tanto essi che il treppiede. Del resto, il tempio di Giove Olimp
eppiede. Del resto, il tempio di Giove Olimpico è antico: si pretende che da Deucalione fosse edificato; ed in prova, la to
icolarità rileva nelle Illustrazioni dei marmi Arimdelliani Prideaux, che osserva come questo tempio era grande quanto quel
era grande quanto quello di Salomone, e minore al solo tempio di Belo che in Babilonia sorgeva. Pisistrato gli die principi
tto sopra, ad Adriano. La costruzione e gli ornamenti costarono somme che sembrerebbero incredibili, se s’ignorasse che set
namenti costarono somme che sembrerebbero incredibili, se s’ignorasse che settecento anni scorsero dalla fondazione al comp
to anni scorsero dalla fondazione al compimento. É vanto per l’Italia che Copuzio Romano fosse l’architetto della navata. N
o fosse l’architetto della navata. Nè minor pompa spiegava il tempio, che costruito in Elide a Giove, detto pure Olimpico,
intorno al tempio un cordone, e vi erano affissi ventuno scudi aurei, che da Mummie vincitore furono consacrati al dio. Con
colonne si arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, che niuno, al dir di Quintiliano, potè emulare; in cu
tè emulare; in cui l’oro e l’avorio erano distribuiti con tal lavoro, che la preziosa materia era vinta. Una corona che imi
ribuiti con tal lavoro, che la preziosa materia era vinta. Una corona che imitava le foglie di ulivo cingeva la fronte del
Una corona che imitava le foglie di ulivo cingeva la fronte del nume, che nella destra tenea una Vittoria, pure di avorio e
alle figure di animali diversi: agli angoli vi erano quattro Vittorie che pareano darsi la mano per danzare; altre due stav
rano figurati sette vincitori dei giuochi olimpici, nell’altra Ercole che coll’Amazzoni a combattere si prepara. Oltre i gr
re si prepara. Oltre i gradini del trono, vi erano ancora due colonne che gli erano di sostegno. Finalmente una gran balaus
opera racchiudeva. Paneno fratello di Fidia vi avea ritratto Atlante che sosteneva il cielo, ed Alcide pronto ad ofi’rire
scolpito da una parte Giunone, Giove e le Grazie; dall’altra il Sole che guidava l’eterno suo carro. Vi si ammirava Venere
’altra il Sole che guidava l’eterno suo carro. Vi si ammirava Venere, che appena nata dal mare era accolta dall’Amore, e la
sto bassorilievo dimenticati erano Ercole e Minerva, Apollo e Diana,, che con Anfitrite e Nettuno era scolpita pure nel l’e
al suolo. Sarebbe lungo annoverare gli splendidi doni di ogni nazione che accresceano la maestà di questo tempio misurato d
esto tempio misurato dalla statua e dal trono di Giove. Basterà dirne che dagli antichi, nel loro entusiasmo, questo edifiz
Giove, e disse ver lei con caldo affetto: O ben degna di me, chi fìa, che teco Vorrai bear nel tuo felice letto? Deh: vieni
ombre meco Che fian oggi per noi dolce ricetto. Mentre alto è il Sol, che ‘1 suo torrido raggio Non fesse a tal beltà noia
beltà noia ed oltrasrofio. E se qualche animai nocivo e strano Temi, che non t’offenda o ti spaventa. Non temer, che quel
mai nocivo e strano Temi, che non t’offenda o ti spaventa. Non temer, che quel dio vero e soprano, Ch’ha lo scettro del cie
ro e soprano, Ch’ha lo scettro del ciel, mai gliel consenta Quel dio, che con la sua sicura mano Il tremendo dal ciel folgo
a mano Il tremendo dal ciel folgore avventa. Non fuggir, ninfa, a me, che son quell’io Del ciel signore, e folgorante dio.
nore, e folgorante dio. Fugge la bella ninfa, e non ascolta; Ma Giove che d’averla era disposto, Fé’ nascer una nebbia oscu
to Giunon chinando a terra, Vide la spessa nebbia in quel contorno, E che poco terren ricopre e serra, E ch’in ogni parlar
rren ricopre e serra, E ch’in ogni parlar è chiaro il giorno. Vedendo che nè i fiumi nò la terra L’han generata, riguardand
nò la terra L’han generata, riguardando intorno. Del marito ha timor, che in ciel non vede, E conosce i suoi furti e la sua
E conosce i suoi furti e la sua fede. Noi ritrovando in cielo, è più che certa, Che sian contro di sé fraudi ed offese: Di
d offese: Discende in terra, e quella nube aperta, Non se le fé’ quel che credea palese. Giove, che tal venuta avea scopert
a, e quella nube aperta, Non se le fé’ quel che credea palese. Giove, che tal venuta avea scoperta, Fé’ che la donna un’alt
fé’ quel che credea palese. Giove, che tal venuta avea scoperta, Fé’ che la donna un’altra forma prese, E fé’ la violata n
oderà così leggiadra fera! Cerca saper qual sia, donde e di cui, E di che armento, e chi l’ha data a lui. Per troncar Giove
rra, Che la gelosa già nel suo cor sente. Perchè non ne cerchi altro, che la terra L’ha da sé partorita, afferma e mente. E
, afferma e mente. Ella, ch’aver non vuol quel dubbio in terra, Cerca che voglia a lei farne un presente. Che farai, Giove?
terra, Cerca che voglia a lei farne un presente. Che farai, Giove? a che risolvi il core? Quinci il dover ti sprona, e qui
so il suo maggior diletto. Così la dea ben curiosa ottiene Quel don, che tanto travagliata l’ave: Nè però tolto quel timor
l cor ritiene. Che nuovi inganni e nuovi furti pavé; Onde die il don, che sì l’accora e infesta. In guardia ad un ch’avea c
lui si parte o riede, Dinanzi agii occhi suoi sempre la vede. Lascia che pasca il dì l’erbose sponde, Che sparte son nel s
da se lo scaccia. Nò man può ritrovar onde l’annode. Pregar il vuol che d’ascoltar gli piaccia, Ma come il suo muggire or
ra e mugge, E mille volte vi si specchia, e fugge. Le Najadi non san che la vitella, Che vuol giocar con loro, e le scompi
ro, e le scompiglia. Sia la perduta lor cara sorella; Ed Inaco non sa che sia la figlia: Tutto quel ch’esse fan vuol fare a
e direbbe anche forte, Se potesse parlar, l’empia sua sorte. Pur fa che il padre (tanto e tanto accenna) Seguendo lei nel
scende, Dove l’unghia sua fessa usa per penna Per far noto quel mal, che sì l’offende; Rompe col piede al lito la cotenna
nna Per dritto, per traverso, e in giro il fende; E tanto e tanto fa, che mostra scritto Il suo caso infelice al padre affl
ro padre in terra legge Che la fìo’lia da lui cercata tanto E quella, che credeva esser nel gregge Nascosta sotto a quel ho
a abbraccia, Baciando spesso la cangiata faccia. O dolce figlia mia, che in ogni parte, Da dove nasce il Sol fin all’occas
nfondi, E col muggito il mio pianto accompagni? Tu sai dal mio parlar che duol m’abbondi; Ved’io dal tuo muggir come tu pia
m’abbondi; Ved’io dal tuo muggir come tu piagni. Io parlo, e fo quel che si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel che f
. Io parlo, e fo quel che si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel che far puoi. Ohimè: che le tue nozze io preparava F
che si dee fra noi, Ma tu sol muggi, e fai quel che far puoi. Ohimè: che le tue nozze io preparava Far con pompa, con gaud
re dio: Poich’ai morir mi son chiuse le porte. Che posso altro per te che dolerm’io? E mentre rotan le celesti tempre, Il t
or si duole, E tutte le sue pene in un raccoglie. Lo stellato pastor, che la rivuole. Presente il padre la rilega e toglie,
’amata sua s’invecchi; Onde al suo figlio e nipote d’Atlante Commette che contr’Argo ir s’apparecchi: E perchè non sia più
erbe il suo gregge ristora: E con le canne sue sì dolce canto Rende, che n’addolcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto past
canto Rende, che n’addolcisce il cielo e l’ora. Or l’occhiuto pastor, che l’ode intanto, Di sì soavi accenti s’innamora, E
vrem grata erba ed ombra il gregge e noi. Il cauto Dio fa tutto quel che vuole L’avveduto custode e circospetto, E col suo
e l’intelletto. D’Argo molti occhi han già perduto il sole, E forza è che stian chiusi a lor dispetto: Ma molti ei ne tien
rso il sognare, Col pensier desto di sapere agogna, E il pastor prega che voglia contare Come fu ritrovata la sampogna, Che
cchia del suo sangue i fiori e l’erba. Argo, tu giaci, e 1 gran lume che avevi In tanti lumi un sol colpo ti fura; Tanti o
vegghiar sempre solevi Perpetuo sonno or t’addormenta e tura; E ‘1 dì che più d’ognun chiaro vedevi. Una infelice e tetra n
scorno T’ha tolto i lumi, la vigilia e ‘1 giorno. Ma la gelosa dea, che gli occhi a terra Chinava spesso al suo fido past
iù belle. Empie di gioie la superba coda Del suo pavone, e gli occhi che distacca Dal capo tronco, ivi gl’imprimé e inchio
ciel s’eresse, E con un sospirar, con un muggito, Che veramente parca che piangesse. Parca che con Giunone e col marito De’
un sospirar, con un muggito, Che veramente parca che piangesse. Parca che con Giunone e col marito De’ suoi strani accident
che con Giunone e col marito De’ suoi strani accidenti si dolesse, E che chiedesse il fin, come innocente, Del suo doppio
olesse, E che chiedesse il fin, come innocente, Del suo doppio martir che prova e sente. Giove con grato modo e caldo affe
avrà di lei sospetto, E tenga il giuramento Stigio in pegno: E prega che placar ornai si voglia, E torle quella rabbia e q
glie commiato: L’occhio suo come pria picciol ritorna, Il volto è più che mai giocondo e grato E tornata che fu l’umana fac
ia picciol ritorna, Il volto è più che mai giocondo e grato E tornata che fu l’umana faccia, I pie dinanzi suoi si fer due
due braccia. L’unghia sua fessa di nuovo si fende D’altri tre fessi, che fan cinque dita; La man già si disnoda e già s’ar
e fan cinque dita; La man già si disnoda e già s’arrende, E torna più che mai sciolta e spedita. Tosto si leva e in alto si
non muggire: Apre la bocca al dir, poi la suggella Per non udir quel che fuggia d’^udire. S’ arrischia alfin, ma con rotta
Metamorfosi, lib. I. Lezione nona. Dei cognomi di Giove. I nomi che diedero a Giove le nazioni, presso le quali fu ad
ali fu rappresentato; in che’ gran parte ebbero ancora i varii poteri che gli erano attribuiti. Generalmente il simulacro d
ò del celebrato Giove Capitolino, cui doni mandava il mondo soggetto, che fu venerato in molte greche città, e specialmente
e greche città, e specialmente in Corinto col nome di Corifeo? E noto che non solo il tetto, ma le pareti erano dorate nel
che non solo il tetto, ma le pareti erano dorate nel magnifico tempio che sorgeva sul monte, cui die nome ancora Tarpea, de
a Tarpea, della quale vi narrerà la morte Properzio, ingegno sovrano, che col volo della fantasia, col fuoco delle immagini
o dato a Giove: io, non invidiando queste dispute ai grammatici, dirò che vi consacrarono opime spoglie Romolo, Cornelio Co
go stesso io ti prometto sotto il nome di Giove Statore un monumento, che ai posteri attesti che col tuo presente soccorso
o sotto il nome di Giove Statore un monumento, che ai posteri attesti che col tuo presente soccorso hai Roma salvata. — In
ruvio nel terzo libro, degli edifizi peritteri ragionando, ne avverte che di tal genere era il tempio di Giove Statore nel
rato era presso i Romani Giove Lapideo. Così chiamavasi per la pietra che adoperavano nel giuramento, di cui ci ha conserva
proprj templi, nei proprj sepolcri, e vada in pezzi come questo sasso che cade dalla mia mano. » — Queste cose il Megalopol
dalla mia mano. » — Queste cose il Megalopolitano. E Livio asserisce che così giuravano i Cartaginesi, e ci mostra Annibal
ivio asserisce che così giuravano i Cartaginesi, e ci mostra Annibale che nella sinistra afferrando un agnello, nella destr
l’ara nel Campidoglio, perche ai Romani assediati dai Galli fama era che avesse consigliato di gettare del pane negli acca
ere i Romani col mezzo della fame. È opinione di alcuni, ma ridicola, che la statua detta Marforio sia il simulacro di Giov
d il commentatore di Pindaro: i Pagani gli attribuirono quel miracolo che fece il Redentore per le preghiere di una legione
nne dell’elettricismo. Nè deve passarsi sotto silenzio Giove Vimineo, che diede, o più probabilmente ebbe nome da un colle
icità altari gli eresse. Sacra era la vendetta per gli uomini innanzi che l’Evangelo insegnasse la sublime scienza del perd
Giove occhi vendicatori. » Eccovi quasi esausta la serie dei cognomi che il padre degli uomini e degli Dei ebbe presso i L
e degli Dei ebbe presso i Latini ed i Romani. Ora mi rivolgo a quelli che presso i Greci e presso i barbari ottenne. Sarò b
, secondo alcuni, si disse dai turbini, ma più comunemente dall’egida che Omero descrive, e che sortì questo nome dalla pel
isse dai turbini, ma più comunemente dall’egida che Omero descrive, e che sortì questo nome dalla pelle della capra Amaltea
a colla quale fìguravasi, vi fece in un’altra Lezione saggi Pausania, che lasciò scritto che Priamo davanti a questo simula
avasi, vi fece in un’altra Lezione saggi Pausania, che lasciò scritto che Priamo davanti a questo simulacro fu ucciso da Pi
acchiato del sangue degli amici e dei parenti ne abbracciava l’altare che in Olimpia, al dir di Pausania, sorgeva. Con somm
ione Giove ospitale, o Xenio, riguardavasi, e Virgilio cantò: « Giove che sacri diritti agli ospiti concedi. » Nè può omett
che sacri diritti agli ospiti concedi. » Nè può omettersi il cognome che gli dava Dodona, celebre selva, ove le Caonie col
Un equivoco della lingua fenicia, nella quale colomba suona lo stesso che sacerdotessa., ha la favola originata. E dove las
erdotessa., ha la favola originata. E dove lascio l’antro di Trofonio che diede a Giove l’oracolo e il nome? Frequente menz
rarono i Fenici i. Ammone fu detto nell’Affrica dall’arena, ed è noto che avea le corna d’ariete, e Lucano ci ha conservato
d’ariete, e Lucano ci ha conservato le alte parole e degne d’un nume che rispose a Labieno Catone, quando fu pregato di in
i Ermonto. Con Belo fu confuso dagli Assiri, benché sia più probabile che sotto questo nome anticamente adorassero il Sole.
il Sole. Pongo fine e questo lungo catalogo leggendovi la descrizione che del Giove del Museo Pio dementino, detto forse da
o, cioè propizio, ha data il padre del famoso Ennio Quirino Visconti, che secondo il parere di molti si giovò totalmente de
lumi del figlio. A questa succederà la promessa Elegia di Properzio, che ho tradotta, quantunque disperi che le straordina
la promessa Elegia di Properzio, che ho tradotta, quantunque disperi che le straordinarie bellezze di cui ridonda possano
ossano in altra lingua trasportarsi. « Il più bel simulacro di Giove che ne abbia, come si esprime Visconti, lasciata l’ar
l Museo Pio dementino, dove questa divinità è siffattamente effigiata che sembra accostarsi all’idea che n’ebbero le nazion
sta divinità è siffattamente effigiata che sembra accostarsi all’idea che n’ebbero le nazioni pagane. Siede egli qual si co
quell’aria, « …qua coslum tempestatesque serenat, » può farci credere che invece del fulmine reggesse, come divinità propiz
come il Vin citore in quelle di Domiziano, e come ancor le tre Grazie che adornavano il trono del Giove di Fidia in Olimpia
rrata una copia in piccolo, presso Corinto, da un viaggiatore inglese che la reputò un Nettuno Ismico. » Tarpea. Dirò la se
con la fida terra Fece al campo corona. Altera Roma, Che fosti allor che la guerriera tromba Crollava i sassi del tuo Giov
tupida. mira L’armi diverse e la regal sembianza Tarpea. — Già l’urna che appressava al fonte Dall’immemore man le cade: il
Ah non offenda mai l’asta romana Al mio Tazio il bel volto; — e allor che il primo Fumo scorgea sulla città levarsi, Salia
re insegni: O belle agli occhi miei tende sabine: Ahi, voglia il ciel che nuova preda ai vostri Penati io venga, e del mio
o sia Prigioniera felice: Addio romani Monti, addio Roma, addio Vesta che infama La mia vergogna. Ah quel destrier. Sabini,
a mia vergogna. Ah quel destrier. Sabini, Datemi quel destrier stesso che porge Volontaria la bocca al fren beato: Del sign
erna chioma, Onde latra il bel corpo, e l’onda freme, E te fanciulla, che il fraterno mostro Un dì tradisti col seguace fil
nzelle io sarò colpa Empia ministra del virgineo foco, E di quell’ara che il mio pianto irriga. Diman si pugna, ed è pubbli
iso Petto sen balza l’amazzonia schiera Sul Termodonte. Il giorno era che a Pale L’ebra turba consacra inni e conviti, E so
i quali era rappresentata a tenore dei nomi e degli attributi diversi che l’antica credulità le concesse Nacque ad un parto
chè questi avea patteggiato coi Titani solamente la morte dei maschi: che nulla da femmine imbelli potevan temere quegli an
ei maschi: che nulla da femmine imbelli potevan temere quegli animosi che appena il fulmine vinse, e che vinti minacciavano
imbelli potevan temere quegli animosi che appena il fulmine vinse, e che vinti minacciavano dalle ruine. La cura di educar
e Asterione, come lasciò scritto nel suo Viaggio corintiaco Pausania, che nell arcadico sembra contradirsi, dicendo che da
io corintiaco Pausania, che nell arcadico sembra contradirsi, dicendo che da Temeno fu educata. Ole antichissimo poeta, att
a quella di Omero, ove Giunone andando a visitare Teti, l’Oceano dice che nelle loro case già fu da essi beatamente nutrita
Giunone il divenir moglie del proprio fratello: aggiungerò solamente che vi alludevano gli Argivi, onorando un simulacro d
re dell’immortalità all’inimicizia famosa. Favoleggiarono gli antichi che lo sdegno di Giunone andasse tant’ oltre che fugg
voleggiarono gli antichi che lo sdegno di Giunone andasse tant’ oltre che fuggitasi nella Eubea, non poteva dal suo ritiro
, Pallade, o Giove secondo altri, le accostò al petto Alcide bambino, che succhiò il primo alimento dalla sua nemica, che s
petto Alcide bambino, che succhiò il primo alimento dalla sua nemica, che svegliata scosse l’odiato fanciullo; onde fìnsero
ca, che svegliata scosse l’odiato fanciullo; onde fìnsero gli antichi che il latte parte scorrendo pel cielo ne colorisse q
avano, a tenore di una legge di Numa, le donne famose per impudicizia che avessero osato di profanare il tempio colla loro
Devote pure le erano le oche ed il pavone; le prime perchè dell’aria ( che reputavasi dagli antichi lo stesso che Giunone) s
ne; le prime perchè dell’aria (che reputavasi dagli antichi lo stesso che Giunone) sentono il più piccolo cangiamento: il s
le il crine, fatale indugio alla morte cercata. Eccovi esposto quello che intorno a Giunone immaginato fa dai poeti e dai t
tutto il merito. E certamente una delle più perfette statue vestite, che ci rimanga dell’antichità, e la conservazione e l
la conservazione e l’integrità ne aumentano il pregio, non mancandovi che le sole braccia ch’erano già riportate in antico.
Le medaglie e gli altri monumenti antichi c’insegnano facilmente ciò che dovea sostenere; la patera, cioè, e lo scettro, s
e l’identità, si potrebbe dire cbe fosse quella stessa di Prassitele, che si ammirava nel tempio di Platea in piedi appunto
sione la maniera di quel gran maestro, delle cui opere non conosciamo che alcune copie per plausibile congettura, nè sappia
iamo la provenienza della statua da tempi remoti. Ci é soltanto noto, che fu nel passato secolo, cioè nel 600, disotterrata
onardo Agostini antiquario. Dalla similitudine del diadema con quello che si osserva in alcune medaglie sulla testa della G
ol nome di questa prima Augusta, fu contradistinta, non riflettendosi che la bellezza sublime dei lineamenti del volto lung
l’indicarci qualche ritratto, ci mostra una fisonomia affatto ideale, che non combina coli’ immagini più sicure di quell’Au
ideale, che non combina coli’ immagini più sicure di quell’Augusta, e che lo stile stesso della scultura reclama un secolo
amente se si considera lo stile della testa, ci ravviseremo un non so che di quel quadrato, secondo la frase di Varrone, ra
uniformi, solita osservarsi nei monumenti di quello stile più antico che noi chia miamo etrusco. Questi caratteri ci danno
erfezione, conservava ancora qualche traccia della maniera più antica che l’avea preceduta, come appunto nelle pitture di R
lle maniere usate nelle scuole dei più abili quattrocentisti. Nè meno che per la scultura è osservabile questo marmo nobili
no che per la scultura è osservabile questo marmo nobilissimo per ciò che può avere relazione alle antiche costumanze. Nota
e coronœ dai Latini. Il nome però più particolare di queste si fatte, che sorgono verso il mezzo e vanno decrescendo nei la
ti, ci è stato conservato da Polluce, e più precisamente da Eustazio, che così lo descrive. — Dicono gli antichi che la sfe
precisamente da Eustazio, che così lo descrive. — Dicono gli antichi che la sfendone è un ornamento femminile, così detto
fionda da lanciare, perchè anch’esso è largo nel mezzo, o nella parte che resta sopra la fronte, più stretto e sottile vers
e quali si lega dietro la testa. — La esatta descrizione di un ornato che si vede sul capo di tante statue e busti muliebri
una di queste così pieghettate fa menzione Senofonte. Osserva Polluce che solevano esser di lino, e che col tenerle piegate
fa menzione Senofonte. Osserva Polluce che solevano esser di lino, e che col tenerle piegate si obbligavano a prendere sim
ntivo delle gentildonne e delle matrone, onde ben conviensi a una dea che era chiamata dai Gentili Magni Matrona Tonantis. 
onantis. » Omero, tradotto dal celebre Cesarotti, vi mostrerà la dea che col cinto di Venere accresce la sua eterna bellez
togliere col piacere Giove dalle cure, onde ritardava il fato d’Ilio, che maggiore rinacque dalle rovine, «………………………………………
il tenero Sorriso, E’I Desio tutto foco, e la Repulsa, Dolce ritrosa che negando invita, E ‘1 Silenzio che chiede, e ‘1 be
o foco, e la Repulsa, Dolce ritrosa che negando invita, E ‘1 Silenzio che chiede, e ‘1 bel Mistero Col dito in su le labbra
o spirto, e al core Scende e l’allaccia in dolce nodo e saldo L’amor, che l’altro portentoso arnese Di Ciprigna diffonde. U
altro portentoso arnese Di Ciprigna diffonde. Un vago è questo Monil, che tolte dall’Eoe conchiglie Formar candide bacche,
ascoste traspaiono a vicenda Celesti forme: tenera Amistade, Che più che in sé vive in altrui; l’ignudo Non fucato Candor;
ive in altrui; l’ignudo Non fucato Candor; di sé sicura Nobil Fiducia che alla fede invita; E l’ingenuo Pudore, amabil velo
za accorta Che i tempi esplora, e di contrasti ignara Condiscendenza, che alle proprie voglie Cede così che delle altrui s’
di contrasti ignara Condiscendenza, che alle proprie voglie Cede così che delle altrui s’indonna. Grazie decenti. Atti gent
altrui s’indonna. Grazie decenti. Atti gentili, e quelle Arti celesti che dal bello han nome E son alma del bel, gli acconc
l Piacer la Ragione, e d’alma e spirto Mesce i diletti a quell’ardor, che senza Leggiadra ésca vital langue e si spegne. Co
vital langue e si spegne. Con tai due nuove e di diversa tempra Arti, che all’uopo adattamente appresta, Tutto vince la dea
perdono. Con questo a Giuno ella ritorna; e, prendi, Disse, ecco ciò che più t’è d’uopo: il collo Tu ne circonda, e checch
ecché brami o tenti Certa sii d’ottener. De’ tuoi trionfi Godo al par che de’ miei; nè del mio zelo Chieggo mercé: solo Giu
r sorpreso Di lei, di se: Tu qui dal ciel? domanda, Compagna amata, e che ti guida? — sposo, (Tinta le guance d’un rossor g
il giuro Pel capo tuo, per quell’augusto letto Conscio della mia fé, che mai non seppi Nè profanar nè spergiurar: prescriv
asce. Per man la prende, e: Sì, dice, vincesti, Tuo ritorno, son tuo: che ignota forza Esce da te, dai detti tuoi: qual nov
e tutto M’empie lo spirto e ‘1 cor: No dea, no donna Non fu giammai, che con sì cara e degna Seduzion mi risvegliasse in p
, riprese Sospirosetta con sogghigno accorto, Scherzi o t’infinofi: e che ? t’uscir di mente La candida Latona, e Cerer bion
emole, Alcmena, e Leda, e Danae, e…? — Taci, L’interruppe commosso, a che richiami Obliate memorie? oh fossi ognora Stata q
osso, a che richiami Obliate memorie? oh fossi ognora Stata qual sei, che dal tuo sen divelto Altro mai non m’avria. Non ri
terra a questi Deve Alcide, e Polluce, e Perseo, e Bacco, Veraci eroi che di tiranni e mostri Purgar cittadi e disertar for
mia compagna e sposa Volle il destin: sopra ogni dea t’esalta Il nodo che ne stringe, esempio augusto Dei solenni Imenei, f
io augusto Dei solenni Imenei, figura e pegno Di quel nesso vivifico, che cielo Con terra innesta, e l’universo attempra. N
ipiglia il re del cielo): occhio profano Di nume, o di mortai non fìa che turbi Le nostre gioie: inaccessibil velo Anche al
di purpurei solchi Cela i riti d’amor. Sentì la terra La sacra fiamma che ‘1 Tonante accende, E dall’intime viscere dischiu
e teneri giacinti, E di candidi gigli, e d’aureo croco Messe odorosa, che a’ due sposi appresta Profumato d’ambrosia amico
ne. Moltiplici, quasi al pari di quelli di Giove, furono i cognomi che la verità degli ufficii, la fantasia dei poeti, l
lie di Faustina è effigiata nelle sem. bianze di una matrona stolata, che ha nella destra la patera e l’asta nella sinistra
Juga dicevasi, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che davanti al suo altare si univano con un laccio in
iale, cognominata era, perchè nelle nozze onoravasi, e fra i precetti che il sommo filosofante di Cheronea diede ai maritat
into beato. Regina appellavanla i Latini, e celebre era il suo tempio che Camillo, unica lode della patria cadente, traspor
rasportò da Yeio sull’Aventino. Altro pure ne sorgeva sul Campidoglio che C. Flaminio nella sua guerra contro i Liguri avea
lla consorte del Tonante. Insigne nella storia delle arti è il tempio che a Giunone, sotto lo stesso nome, sorgeva in Ardea
o se onore di tempio avesse sul Campidoglio, o sull’Aventino. Certo è che ivi si conservano i libri, nei quali era opinione
così l’asta significavano i Sabini, Roma la invocò, e di qui vogliono che derivasse il costume di dividere coU’asta le chio
Lacinia, e santo a tutti i popoli era il suo tempio: e Fulvio Censore che lo scemò di marmi per ornar il tempio della Fortu
ornar il tempio della Fortuna Equestre, volle l’antica superstizione che colla morte de’ suoi figli fosse della sacrilega
punito. Giunone Caprivora fu adorata dai Lacedemoni, e Pausania vuole che l’uso di sacrificarle quell’animale fosse stabili
po aver pugnato con Ippocoonte ed i suoi figli, volle onorare la dea, che favorevole gli era stata. Samia ed Argiva fu dett
evole gli era stata. Samia ed Argiva fu detta dalle due greche città, che vi accennai disputarsi la gloria di esser patria.
vi accennai disputarsi la gloria di esser patria. La statua della dea che in Argo amruiravasi, era opera di Policleto, comp
utarco nella vita di Aristide. Di Telchinia, così detta dai Telchini, che primi fecero le statue dei numi, favella Diodoro.
ionar degli altri sarebbe inutile e noioso. Aggiungerò la descrizione che Visconti nel Museo Pio Clementino dà di due statu
iunone velata, e di Giunone lattante. Udirete, ch’egli porta opinione che il fanciullo, il quale è nelle braccia della se c
ardini. Molte immagini, onde può far tesoro il pittore, mi è sembrato che adornino questo mitologico racconto, che per vost
ro il pittore, mi è sembrato che adornino questo mitologico racconto, che per vostra utilità, seguendo il mio costume, ho a
è considerabile per la sua integrità, essendosi conservata la destra che sostiene la patera. Questo simbolo, il velo e il
mbolo, il velo e il diadema la caratterizzano abbastanza per Giunone, che velata appunto s’incontra e colla patera nelle an
che velata appunto s’incontra e colla patera nelle antiche medaglie, che portano l’epigrafe di Giunone regina. E velata er
che portano l’epigrafe di Giunone regina. E velata era la sua statua che sul Campidoglio si venerava, come dai medaglioni
no le tre divinità capitoline. Era così proprio il velo dì questa dea che Albrico e Fulgenzio, vissuti in un tempo nel qual
danno dell’industri spiegazioni. « Il primo intende pel velo le nubi che ofi’uscano Taria, di cui questo nume è il simbolo
ia, di cui questo nume è il simbolo; l’altro crede additarsi col velo che le ricchezze, delle quali Giunone è arbitra, si t
aglie; ed oltre il velo aveva ancora sul capo una specie di modio: lo che più volentieri osservo, perchè nel nostro simulac
ticamente questo attributo, rimanendovi ora sul capo un piano rotondo che lo reggeva, oltre un foro quadrangolare in cui s’
drangolare in cui s’innestava. questo fosse un vestigio delle colonne che negli antichissimi tempi si venerano per statue,
per statue, o un vero moggio, segno della gratitudine degli adoratori che dichiaravano così tenere dai numi le loro dovizie
chiaravano così tenere dai numi le loro dovizie: nella nostra statua, che non è certamente di uno stile così antico, può di
pel soggetto questa statua di Giunone lattante. Ma quanto siamo certi che la dea sia appunto la sposa e la germana di Giove
Giove, e per l’ornamento del capo, e per una certa nobile fiso nomia che è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambi
le fiso nomia che è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambino che tiene al petto. Winkelmann, che il primo ha pubbl
altrettanto siamo dubbii sai bambino che tiene al petto. Winkelmann, che il primo ha pubblicato questo curioso simulacro,
crede Pausania, o persuasa da Pallade, al dir di Tzetze. Si aggiunge che il robusto infante la morse, onde essendosi spars
effigie di Giunone in simile atto, non avendo il bambino nessun segno che lo distingua pel figlio di Giove e di Alcmena, no
Giove e di Alcmena, non siamo sicuri di questo soggetto. Sembra anzi che Albrico abbia supposto che in simili immagini il
amo sicuri di questo soggetto. Sembra anzi che Albrico abbia supposto che in simili immagini il bambino sia Mercurio, anch’
o marmo; non solo perchè dovea esserle il più diletto, siccome quello che , secondo la Mitologia meno antica, riconosceva la
nella sinistra. L’epigrafe intorno, Julia Augusta, mostra chiaramente che vuole alludersi all’imperatrice. Quest’allusione
nte che vuole alludersi all’imperatrice. Quest’allusione non permette che il bambino possa interpretarsi per altro che per
t’allusione non permette che il bambino possa interpretarsi per altro che per Marte. Il fiore che è nella destra della dea
che il bambino possa interpretarsi per altro che per Marte. Il fiore che è nella destra della dea n’è un’altra prova. Sapp
e che è nella destra della dea n’è un’altra prova. Sappiamo da Ovidio che offesa Giunone per non aver avuta parte nel natal
r avuta parte nel natale di Pallade, voleva anch’essa avere una prole che fosse sua unicamente, doride o Flora fu quella ch
sa avere una prole che fosse sua unicamente, doride o Flora fu quella che trovò il mezzo di appagarla presentandole un fior
o di appagarla presentandole un fiore nato ne’ campi olenii di Acaia, che col solo contatto la rese feconda. La prole fu Ma
della dea confermano questo pensiero. Può dirsi una Giunone Marziale, che ad altro per avventura non si riferisce questo su
er avventura non si riferisce questo suo epiteto, e l’erba o il fiore che ha nella destra nelle monete di Gallo e di Volusi
vigliosa generazione del dio della guerra. Mi resta solo ad osservare che Giunone ebbe ancora il titolo di Natalis, ed allo
e che Giunone ebbe ancora il titolo di Natalis, ed allora è lo stesso che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal p
ncora il titolo di Natalis, ed allora è lo stesso che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal putta che stringe al
è lo stesso che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal putta che stringe al seno. « Ma questa statua, la cui testa
o il resto delle membra e del panneggiamento d’uno stile così diverso che non può attribuirsi ad un solo maestro, benché il
zi della gente prima. Come fui bella io noi dirò: lo vieta Il rossore che grazie accrebbe al volto, Onde a mia madre fu gen
enero un dio. Primavera fìoria: nei verdi prati Errar mi vede Zeffiro che chiama L’erbe novelle: io fuggo, e già mi segue,
forte; Che dato avea della rapina il dritto Al lascivo fratel Borea, che ardio Nei talami Erettei la cara preda Portar, st
rbe il suolo. Nella terra dotai possiedo un orto. Che educa l’aura, e che coli’ acqua irriga Limpido rivo; dei gentili fior
contar volli, Ne lo potei. La copia era maggiore Del numero. Ed allor che col primiero. Raggio alle foglie la rugiada il so
ancor sei lode, Perchè simile a te non fer gli Dei Altro fanciullo. A che di Croco io parlo E d’Ati e del fìgiiuol di Mirra
iuol di Mirra infame. Famoso pianto della Cipria dea, E d’altri mille che non han qui nome, Che dall’altrui dolor cresce il
balzò dalla divina testa Palla nelle paterne armi sonante. All’Ocean che tutto il mondo abbraccia Iva Giunone, e del marit
nè compensa i danni E la vergogna prole unica e mia. Oserò tutto, pur che resti il letto Inviolato: non avrà la terra Alla
ubbio. Lo mirò la diva, E disse: ninfa, in prò mio tu potresti Non so che … Per tre volte io le volea Darle promessa di socc
ente Lezione argomento. A Saturno lo partorì Rea: ma il patto crudele che fermato il genitore avea coi Titani comandò all’a
di lui; la quale, alcuni opponendosi all’accennata opinione, vogliono che alla ninfa Apno fosse commessa, altri a Giunone.
vogliono che alla ninfa Apno fosse commessa, altri a Giunone. Sapendo che l’ infanzia dei potenti fu sempre miracolosa, son
e e non di comporre questa lite; e seguendo l’ istoria del nume, dirò che adulto fu alleato a Giove nelle guerre, le quali
, dirò che adulto fu alleato a Giove nelle guerre, le quali ebbe dopo che Saturno fu balzato dal trono. Il felice evento di
llo dio. L’impegno di conciliarla alle sue voglie commise al delfino, che fortunato nell’impresa n’ ebbe in premio (come la
risplendere nel cielo non lungi dal Capricorno. E opinione di alcuni che Venilia, e non Anfitrite, fosse moglie di Nettuno
eo ancora, secondo la Mitologia, era suo figlio, quantunque Plutarco, che nella vita di lui ha soggiogate le favole col ver
o, che nella vita di lui ha soggiogate le favole col vero, ne avverta che questa fama fu sparsa accortamente da Piteo, avol
avolo materno dell’eroe, per conciliargli la reverenza dei Trezenii, che sommamente onorano l’imperatore dell’onde, offere
ali colle finzioni fu violata l’antica semplicità mitologica, finsero che Nettuno, come padre di Teseo, mandasse quella foc
a, o mostro marino, onde il misero Ippolito fu trascinato dai cavalli che avea colle proprie mani nutriti. Devono pure agli
sente dall’ambizione, giacché congiurò con gli altri per legar Giove, che fatto accorto da Teti, fu contento di punire la r
tuita mercede; onde Nettuno sdegnato mise orribile ed immensa balena, che tutta la regione inondò coll’acque dalla vasta bo
ostro vendicatore. Erodoto spiega l’origine di questa favola dicendo, che Laomedonte si servi per edificare i muri iliaci d
on Minerva e Vulcano per la preferenza dell’arte; e commemorò Luciano che Nettuno formò un toro. Minerva inventò il modo di
ipo Colonco. Il commentatore di Apollonio gli contrasta questo vanto, che attribuisce a quel Sesonoschi, detto altrimenti S
vanto, che attribuisce a quel Sesonoschi, detto altrimenti Sesostri, che regnò nell’Egitto dopo Oro, che d’Iside e Osiride
esonoschi, detto altrimenti Sesostri, che regnò nell’Egitto dopo Oro, che d’Iside e Osiride fu figlio. Eccovi esposto quell
itto dopo Oro, che d’Iside e Osiride fu figlio. Eccovi esposto quello che intorno alle gesta di Nettuno favoleggiarono i po
quali è rappresentato dai poeti e dai monumenti, ed i diversi cognomi che attribuiti gli furono dagli antichi. Luciano nei
ii, e Cicerone nel suo libro Intorno alla natura degli Dei, avvertono che effìgiavasi con neri capelli ed occhi cerulei. I
doce e Talia. E quando Giunone ai fati d’Enea oppose l’ira dei venti, che prima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìns
enti, che prima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìnse il poeta che Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori
eta che Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori del mare, e che ai suoi detti i rivali fratelli le contrastate ac
le tre navi indietro Ritirar dallo scoglio in cui percossero: Le tre che nell’arena eran sepolte, Egli stesso, le vaste si
to nelle Immagini unisce i cavalli e le balene al cocchio di Nettuno, che fa ridere il seno del tranquillo Oceano. Platone,
di Adriano, intitolate a Nettuno Reduce, si scorge l’immagine di lui, che colla sinistra vibra triplice scutica, e colla de
dai barbari Spartani furono trucidati gì’ Iloti. Dal celebre edifizio che sacro gli era in Tenedo, Tenedio fu detto. Elitio
enedio fu detto. Elitio lo chiamarono in Lesbo ed in Eubea. Nè tacerò che Conso appellarono i Romani Nettuno, e che Consual
esbo ed in Eubea. Nè tacerò che Conso appellarono i Romani Nettuno, e che Consuali si dissero i giuochi che successivamente
nso appellarono i Romani Nettuno, e che Consuali si dissero i giuochi che successivamente denominati furono Circensi. Un’ a
, e si onorava col corso dei cavalli. Ippico lo chiamò la Grecia, sia che maestro lo reputassero di frenare i destrieri, o
un’isola del mare Carpazio; Egeo da Egide isola dell’Eubea. Si legge che Portunno ancoralo cognominassero i Latini, quantu
Da Ennosigeo, cioè scotitore della terra, è volgare la denominazione che deriva dalle idee tenute dagli antichi sulla ca-’
a ca-’ gione del terremoto, secondo essi prodotto dalle acque; onde è che in figura di toro vengono rap. presentati nelle a
cco quasi compita la serie dei cognomi dal Paganesimo dati a Nettuno, che ninno atteggiò con maestà degna di un dio quanto
lebre Monti. « Nè invan si stava alla vedetta intanto Il re Nettuuo, che su l’alte assiso Selvose cime della tracia Samo,
stinguiamo l’immagine del dio del mare non solo dall’ idea del volto, che ha qualche tratto della fìsonomia di Giove senza
però averne l’aspetto egualmente maestoso e sereno, nè dalla nudità, che ben conviene al nume dell’acque senza però essern
il nome tridente deriva, sieno moderne, la forma dell’ asta medesima, che non é rotonda ma quadrangolare, e che perciò non
, la forma dell’ asta medesima, che non é rotonda ma quadrangolare, e che perciò non dovea essere uno scettro, non lascia d
del volto e la nudità della persona escludono Plutone, resta evidente che il nume rappresentato è un Nettuno, che affatto n
udono Plutone, resta evidente che il nume rappresentato è un Nettuno, che affatto nudo é rappresentato in una statuetta di
erne. Ora, per vieppiù distinguerlo, gli è stato aggiunto il delfino, che nei marmi e nelle medaglie suole accompagnarlo. O
Lezione decimaterza. Mercurio. La favola non essendo in parte che una serie di racconti alterati dalla maraviglia,
ensatori della fama, sono spesse volte attribuite le azioni di molti, che ebbero la sventura di un nome comune. Infatti, al
elo e dal Giorno, il secondo di Valente e di Foronide, ed è lo stesso che Trofonio: il terzo dal Nilo; del quarto s’ignoran
gli antichi della patria del nume. Omero ed Or feo lasciarono scritto che nacque in Cillene monte dell’Arcadia; Pausania af
illene monte dell’Arcadia; Pausania afferma nel suo Viaggio in Beozia che non lungi da Tanagro, in un monte chiamato Corici
ivino fanciullo, allora nato, lavarono il tenero corpo. Alcuni dicono che Mercurio, e non Ercole, da Giunone ingannata sugg
o che Mercurio, e non Ercole, da Giunone ingannata suggesse il latte, che a parte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’a
arte del cielo die nome. Omero, o chi sia l’autore degli Inni, narra che appena dalla ricciuta Maia fu partorito, abbandon
re del fulmine. Escito, incontrò presso la casa una lènta testuggine, che pasceva la florida erba, e guardandola rise, e di
corde, e tentandole ad una ad una col plettro ne risvegliò l’armonia, che colla propria voce accompagnò cantando gl’immorta
mmità dell’odorifero albergo, alto inganno agitando nella mente, vide che il cocchio ed i cavalli il Sole nell’Oceano nasco
Onchesto un vecchio, cui lo dio comandò il silenzio dicendo: vecchio, che scavi le piante coi curvi omeri certamente molto
cavi le piante coi curvi omeri certamente molto ti affaticherai prima che ti rendano il frutto sperato; ma ora fai vista di
di cui favellammo, volò al selvoso monte Cillenio; il giocondo odore che diffondeasi accusò la casa del nume fanciullo, cu
enebre della morte. L’infanzia fu la scusa e la risposta di Mercurio, che dopo molte frodi e parole andò col Saettante sull
frodi e parole andò col Saettante sull’Olimpo al tribunale di Giove, che rise vedendo l’accorto fanciulletto, che colla fa
limpo al tribunale di Giove, che rise vedendo l’accorto fanciulletto, che colla fascia nella destra negava accortamente l’i
ercurio di mostrare dove avesse nascoso i rapiti giovenchi ad Apollo, che rimase maravigliato del sottile inganno, e più de
se maravigliato del sottile inganno, e più dell’accennato istrumento, che celermente percosso dal figlio di Maia suonò inco
, che celermente percosso dal figlio di Maia suonò incognita armonia, che l’amabil voce seguiva. A quel concento gli Dei im
cipii dell’infanzia del nipote di Atlante narrati per Omero. Luciano, che sovranamente era fornito del talento di spargere
spargere il ridicolo su tutto, amplificò il racconto di Omero dicendo che , mentre Vulcano educavalo, gli rapì l’incudine e
entre Vulcano educavalo, gli rapì l’incudine e il martello; a Venere, che l’abbracciava, involò il cinto; lo scettro a Giov
se non avesse temuto la fiamma. Poco altro la favola aggiunge. Dicesi che a Batto, in pena della perfidia, cangiò in pietra
o i pastori, perchè primo diede 1’ esempio della rapina: tanto è vero che tutti gli incliti ladri sono santificati dalla fo
Visconti nel Museo Pio Clementino. Da Omero è narrata la pietosa cura che il nume si prese di Priamo, che verso la tenda di
o. Da Omero è narrata la pietosa cura che il nume si prese di Priamo, che verso la tenda di Achille avviavasi per chiedere
enti rappresentavasi: un gallo presso gii ponevano. Nella via Lechea, che conduceva a Corinto, fu effigiato in bronzo, con
due serpi, simbolo dalla sicurezza della concordia, e favoleggiarono che alla verga, donatagli da Apollo gli aggiungesse i
questa statuetta di grandezza naturale, di Mercurio fanciullo. L’ali che ha sulla testa assai bizzarramente frammischiate
ono legate al capo con un semplice nastro, come appunto nel bel marmo che ora spieghiamo. La fìsonomia fina e vivace, rilev
ia come Omero l’appella, παιδα πολυτροπον` nè lascia il miuimo dubbio che questo marmo ci offra il pesante Morfeo, dio del
l’ali sulla fronte nei marmi antichi, quantunque l’atto del silenzio, che esprime appressando l’ indice della destra alle l
elmann. Conviene infatti il segreto al messaggero dei numi, ma dubito che il nostro marmo alluda a qualche fatto più conven
atto più conveniente all’età in cui si esprime Mercurio. Omero, altri che sia l’autore dell’antichissimo inno in sua lode,
ero, altri che sia l’autore dell’antichissimo inno in sua lode, narra che avendo egli involato lo stesso giorno che nacque
imo inno in sua lode, narra che avendo egli involato lo stesso giorno che nacque i buoi di Apolline, per quanto colla sua a
voratore dei campi di Onchesto, al quale raccomandò con tutta energia che tacesse: « Veggendo come non veggente sii, E s
per inculcare il silenzio a chi l’avea osservato. Questo riso appunto che brilla insidiosamente sulle sue labbra, e l’aria
toso suo stile il carattere di Mercurio infante, similissimo a quello che ha segnato l’antico scultore nei tratti di questa
colpo d’occhio conoscere. L’abito è una specie di camicia o suhucida, che si osserva qualche volta nei putti antichi. Fu di
ilio Varo. Gli eruditi spositori delle antichità Tiburtine convengono che in questo sito fose precisamente il predio di Cin
verga della felicità e della ricchezza dall’autore dell’inno omerico, che ne descrive i pregi e le virtù, eh’ erano d’ este
stensione mirabile, e solo non giungevano alla divinazione. Da’ serpi che sogliono intrecciarvisi vuol denotarsi, secondo P
concordia dei feroci, o si allude ad una favola rammentata da Igino, che ha lo stesso significato. « Benché il simulacro n
ultura ha però una certa nobila semplicità nella composizione, pregio che raccomanda quasi sempre le opere degli antichi. A
gli schiavi intrapresi nell’orto dei Padri Dottrinarii di Palestrina, che resta immediatamente sotto le sustruzioni arcuate
di Palestrina, che resta immediatamente sotto le sustruzioni arcuate che servono ora di muro alla città. Questo è il piano
è il piano sottoposto al monte ed al tempio della Fortuna Primigenia, che ne abbelliva le falde fino ad una certa altezza,
ia, che ne abbelliva le falde fino ad una certa altezza, e di maniera che se ne godeva nel Foro il maestoso prospetto, comp
ersi ordini, di sustruzioni, portici ed edifizii, nella guisa appunto che si godeva dal Foro Romano l’ imminente Campidogli
abbriche e coi suoi templi. In questo piano adunque, oltre le colonne che adornavano la piazza pubblica e le statue, fra le
uppo d’Esculapio e d’Igia, questa di Mercurio Agoreo, e diverse altre che si riporteranno a suo luogo, si sono scoperte due
gran mole con singolari iscrizioni, le quali dimostrano evidentemente che spettavano questi avanzi al Foro Prenestino, che
strano evidentemente che spettavano questi avanzi al Foro Prenestino, che in una di esse vien menzionato: e non altrove app
Prenestino, che in una di esse vien menzionato: e non altrove appunto che nei Fori solevano inalzarsi le statue dei benemer
cimaquarta. Dei simboli e degli uffìcj di Mercurio. Fra i cosinomi che l’antichità diede all’astuto figlìo di Maia, non
iede all’astuto figlìo di Maia, non ve n’ha forse alcuno più ripetuto che quello di Cillenio, il quale da Cillene, monte di
do la più comune opinione deriva. L’alato Cillenio lo chiamò Virgilio che apportatore lo fa dei cenni di Giove ad Enea imme
de, e lungi al lito Di Libia se n’andò l’aure secando In quella guisa che marino augello D’un’ altra ripa, a nuova pesca in
urio pure fu detto, e per tanto ufficio attribuito gli fu il caduceo, che come segno di pace scolpito si mira nelle antiche
de della prima semplicità della favola, nell’Inno attribuitogli narra che gli fu data l’aurea verga in cambio della lira da
i narra che gli fu data l’aurea verga in cambio della lira da Apollo, che la cura gli affidò degli armenti. I mitologi più
e la cura gli affidò degli armenti. I mitologi più recenti aggiungono che col potere di questo l’ire separò nell’Arcadia di
niti per significare la concordia degli animi più efferati. Jamblico, che col velo dell’allegoria adonestar volle di soverc
ole per opporle con insana fiducia alla luce dell’Evangelo, asserisce che i serpenti simboleggiavano la dialettica arte ins
. Vergadoro fu il nipote d’Atlante pure cognominato per questo segno, che era con molto artifizio composto; perchè aureo fu
artifizio composto; perchè aureo fu detto ancora dagli antichi quello che era bello, come da Esichio e da Ateneo si rileva.
Alessandrini, Taaut da’ Fenicii, Tentate dai Cartaginesi e dai Galli, che con umano sangue lo placavano onorandolo sopra og
oviamo fatta memoria spesse volte nei Classici; e Pausania ci avverte che neir Attica specialmente onoravasi, ed in Tebe gl
neir Attica specialmente onoravasi, ed in Tebe gli sorgeva un tempio che Pindaro, illustre per versi e per la pietà, gli a
imulacro del dio scolpito da Calami antichissimo artefice, in memoria che il nume avea liberato quei popoli dalla peste, po
ali, condottiero. Secondo alcuni l’Anubi de2:li Eo’iziani è lo stesso che Mercurio. Esaminerò la verità di questa asserzion
dai Pagani distinto Mercurio, a cui come suo ministro favoleggiarono che Giove affidasse pure la cura di Bacco fanciullo,
rpetre. Mercurio detto l’Antinoo di Belvedere. « Ecco la prima volta che questa insigne statua comparisce al pubblico senz
ta insigne statua comparisce al pubblico senza la falsa denominazione che per ben due secoli ebbe dal volgo degli eruditi e
più esperti uomini d’ ambedue le accennate classi s’erano giù avvisti che le immagini sicure di quel famoso Bitino non avva
oiché lo sogliamo sedente vedere colla benda, nè finalmente i capelli che crespi in nessuna immagine di Teseo s’incontrano.
di Teseo s’incontrano. Se d’Ercole ha una certa robusta muscolatura, che anco traspare sotto la rotondità delle forme giov
ente la fisonomia, ch’è nel nostro marmo assai più divina. L’opinione che lo crede un Meleagro, benché la più seguita, è la
seguita, è la meno probabile delle tre: non ha forse altro fondamento che una leggera somiglianza di attitudine conia celeb
leggera somiglianza di attitudine conia celebre statua di quell’eroe, che si con serva in questo stesso Museo, Disconvengon
ne delle membra molto più robusta e per così dire atletica, di quella che si osserva nei Meleagri; disconviene la graziosa
leagri; disconviene la graziosa pendenza del capo, propria di un nume che s’ inchina ad ascoltar le preghiere dei mortali;
l’assenza totale dei distintivi del vincitor della belva di Calidone, che non solamente nella nostra statua posson mancare,
on mancare, ma nelle tante copie antiche e ripetizioni della medesima che sussistono in Roma e fuori, non appariscono affat
rdo dolcemente penetrante; a lui la vigorosa complession delle membra che palesa l’inventore o il padre della palestra, al
il caduceo, la borsa. Non sono però questi simboli tanto suoi proprii che senza uno o più di questi non s’incontrino immagi
statua, non essedovene alcuno caretteristico del Mercurio Eisagonìo, che presiede alla palestra e agli atleti, che n’era f
ico del Mercurio Eisagonìo, che presiede alla palestra e agli atleti, che n’era forse il soggetto. « Alcuno di questi simbo
imboli è indubitatamente antica, e il ristauratore non ha fatto altro che terminarli. « Ecco dunque schiarito e ridotto a c
avesse il nostro Mercurio tratta la comune denominazione, potrei dire che l’avvenenza del volto e l’increspatura dei capell
increspatura dei capelli suscitarono l’idea di questa rassomiglianza, che non ha poi retto alla diligente osservazione dei
di avere un altro fondamento per tale opinione nel nome di Adrianello che davasi, ai tempi del Nardini, al sito dell’Esquil
fizio ch’ebbe per fondatore Adriano, non potesse appartenere ad altri che al suo favorito. « Paolo III la reputò degna di f
testa non cede nella bellezza del disegno e dell’esecuzione ad alcuna che sia mai stata scolpita, ed ha un’aria così tranqu
na che sia mai stata scolpita, ed ha un’aria così tranquilla e divina che incanta gli spettatori. Nessuna statua ha accoppi
elle gambe, e sin l’espressione delle articolazioni dei piedi. È vero che nelle gambe trovano alcuni conoscitori qualche di
armoniosa relazion delle parti è tanto sorprendente in questa statua, che l’intelligente Pussino non ha prese sopra altro m
e più belle proporzioni della figura. E il numero delle copie antiche che ci rimangono ne dà una maggiore idea del merito d
che ci rimangono ne dà una maggiore idea del merito dell’ originale, che tale è senza quistione il marmo Vaticano, come ne
o, come ne fa fede la nobil franchezza dell’ esecuzione. Tra le molte che n’esistono, due ne furono dissotterrate per la Vi
ò si asserisca. È questo uno dei piccoli nei di quelr opera classica, che non ne oscurano il merito singolarissimo. La figu
se, riportata in Grutero, ne dimostra la totale diversità. È ben vero che si dice rappresentare r immagine di Antinoo come
l’asserzione di questa pretesa rassomiglianza ha sedotto Winkelmann, che sicuramente non avea veduto l’originale. « Mi res
che sicuramente non avea veduto l’originale. « Mi resta da osservare che il contorno del basamento antico nel quale è inca
o il piantato della statua, è tutto segnato di colpi di scalpello; lo che indica essere stato rivestito di più preziosa mat
liso la tua verga conduce I Giusti sciolti dal corporeo manto, E quei che spargon per la nova luce Provido pianto. Tu vinc
Al figlio di Saturno lo partorì Latona con la sorella, emula illustre che seco divide l’impero del cielo, e va superba dell
li umani mali esperimento. Illustre fra gl’infortunii di lui è quello che gli procurò l’amore paterno. Aveva Esculapio, per
te vendicata. Sdegnato il padre degli uomini rilegò dal cielo Apollo, che esule famoso errò per la terra lungo tempo, e fin
tragedia di Euripide il nume col suo pietoso ministero aiuta Ercole, che libera dalla morte l’unica Alceste.     Nè la se
resse l’arco di Paride contro Achille, di lui solamente minore. Egli, che al dire di Orazio, del mentito destriero col timi
o bruttò nella polvere troiana. Così ritardò i fatti troiani il nume, che in altre opere servili domò la divina alterezza p
ercò Apollo l’oblivione di tante cure, ed inventò la musica; scoperta che da altre divinità gli venne contrastata. Infatti
li venne contrastata. Infatti nella passata Lezione vi feci osservare che questo ritrovato fu pure a Mercurio attribuito: c
ellissimo e ricco di tanti doni. Superbo pel vinto Pitone, vide Amore che torceva l’arco, e rampognò il potente fanciullo p
ore, mutandole forma: in fronde i crini, in rami crebbero le braccia, che il dio intorno al collo sperava. Trionfò Apollo d
i danni, facendo a sé sacro l’ albero in cui si cangiò l’amata ninfa, che quindi divenne « Onor d’imperadori e di poeti. »
enne « Onor d’imperadori e di poeti. » Misere pure furono le amanti che a Febo non furono crudeli. Clizia, volgendogli la
famò la colpa di lei, onde il padre spietato sotterrò viva la misera, che invano al consapevol nume tendeva le braccia. Ten
uo dolore, convertì la giovinetta in una verga dell’ incenso odorato, che sale alle sedi degli immortali. Ma Clizia, quantu
rno a questa divinità insegnate vi saranno da Callimaco nel suo Inno, che in parte ho tradotto. Apollo detto il Saurottono
urono eternati dall’ammirazione degli antichi, non solo colla memoria che ce ne hanno lasciata nei loro scritti, ma più col
o le copie. Ci ha lasciato Marziale un epigramma sovra il Saurottono, che si ammirava in Roma a’ suoi giorni, e così si esp
morire per le tue mani. — Poco più c’insegna questo epigramma di ciò che il nome stesso della statua ci apprenderebbe, gia
a statua ci apprenderebbe, giacché altro non vale in greco saurottono che uccisore della lucertola. Nò il soggetto rapprese
rtefice di sì bell’opera, sono menzionati nel distico. La descrizione che ce ne dà Plinio è più accurata, e servì per far r
rammentata per ambedue. Anzi, quando questo scrittore non ci dicesse che il garzoncello rappresentato è Apollo stesso, eff
to è Apollo stesso, effigiato dallo scultore fra giovane e fanciullo, che fa prova contro una lucertola puerilmente di quel
prova contro una lucertola puerilmente di quelli strali inevitabili, che dovevano un giorno trafiggere il Pitone, lo potre
o conoscere per un nume. L’azione di saettare non può essere equivoca che fra Apollo e. Cupido, ma la mancanza delle ali es
della Villa Al bani è in bronzo, ma non posso crederla quella stessa che ha- fuso Prassitele, anzi una copia alquanto mino
modi alterni Deh v’accingete, o giovinette. Apollo A tutti non appar, che cari solo Gli sono i buoni, e chi noi vede è vile
rime sospende, e più non apre La mesta bocca in miserabil atto Niobe, che in Frigia sorge umida pietra, E ognora attesta co
invidia ai gigantei trionfi? Nè un giorno solo regnerà nel canto Febo che d’inni è colmo: il dir sue lodi E lieve. Apollo a
la chioma. Olj odorati Stilla, e la stessa panacea. Beata È la città che tal rugiada asperge. Salvo sia tutto: in varie ar
cure, e di morte All’invitta ragione oppor dimora. E pastor lo dirò, che il vide assiso Pascer cavalli, e nel temuto incon
llo Insegnò l’arte dei curati strali. Scendevi in Pito, o nume, allor che l’atro Serpe incontrasti, che terror novello Era
strali. Scendevi in Pito, o nume, allor che l’atro Serpe incontrasti, che terror novello Era ai mortali: tu consumi il peso
soccorso. A te il livore sussurrò di furto: Io non ammiro quel cantor che lascia Di narrar quanto il vasto mare abbraccia;
ba di sozzura. All’alta Cerere, madre delle bionde spighe. La Melissa che è a lei sacra, non reca Da tutti i fonti l’acque,
a, non reca Da tutti i fonti l’acque, e rivo sceglie Limpido e sacro, che soave stilla, Dell’onde onor fra gli educati fior
Non posso dar principio migliore alla seconda Lezione sopra Apollo che con Delfo, nobilitato dalle imprese, dal tempio e
di Delfo, e più ve n’ha ancora sull’oracolo di Apollo, perchè dicesi che anticamente Delfo era il luogo ove la Terra rende
nticamente Delfo era il luogo ove la Terra rendeva le sue risposte, e che Dafne, una delle ninfe della montagna fu scelta d
sedesse. I Greci hanno antiche poesie intitolate Consigli di Eumolpó, che attribuiscono a Museo figlio di Antifemo. È fama
igli di Eumolpó, che attribuiscono a Museo figlio di Antifemo. È fama che la Terra pronunziasse ella stessa i suoi oracoli
to luogo, e pure i suoi Nettuno col ministero di Pircone. Si pretende che snccessivamente la dea dasse la sua porzione a Te
i pretende che snccessivamente la dea dasse la sua porzione a Temi, e che Temi ne facesse dono ad Apollo, e che quest’ultim
dasse la sua porzione a Temi, e che Temi ne facesse dono ad Apollo, e che quest’ultimo, per aver la parte di Nettuno, gli c
che quest’ultimo, per aver la parte di Nettuno, gli cedesse Calaurea che è dirimpetto a Trezene. Ho sentito dire a degli a
se Calaurea che è dirimpetto a Trezene. Ho sentito dire a degli altri che dei pastori avendo condotto per caso i loro armen
ti verso questo luogo, si trovarono ad un tratto agitati da un vapore che gli occupò, e che inspirati da Apollo cominciaron
ogo, si trovarono ad un tratto agitati da un vapore che gli occupò, e che inspirati da Apollo cominciarono a predire il fut
si esametri. Non ostante Boeo nativa del luogo, e conosciuta per Inni che fece per gli abitanti di Delfo, attribuisce a str
truzione del tempio ove Apollo dava i suoi oracoli: asserisce inoltre che molti fra loro profetizzarono, e che Oleno, fra g
suoi oracoli: asserisce inoltre che molti fra loro profetizzarono, e che Oleno, fra gli altri, inventò il verso esametro p
r quest’ uso. Non ostante, l’opinione più probabile e più seguitata è che Apollo ha sempre avuto delle donne per interpreti
e avuto delle donne per interpreti delle sue risposte. « Si pretende che la prima cappella del dio fosse composta dai remi
pella del dio fosse composta dai remi di un lauro di Tempo, e non era che una semplice capanna. È grido che successivamente
emi di un lauro di Tempo, e non era che una semplice capanna. È grido che successivamente dell’api ne fabbricarono un’altra
l’api ne fabbricarono un’altra colla cera e colle loro proprie ali, e che la prima fu agli Iperborei mandata da Apollo. Ma
questa seconda cappella fu edificata da uno di Delfo chiamato Ptera, che coll’equivoco del suo nome, che in greco signific
icata da uno di Delfo chiamato Ptera, che coll’equivoco del suo nome, che in greco significa ala, diede luogo alla favola m
fica ala, diede luogo alla favola mentovata. Credono, in terzo luogo, che il tempio di Apollo fosse composto di rame; il ch
o, in terzo luogo, che il tempio di Apollo fosse composto di rame; il che non deve sembrare incredibile, poiché Acrisie ave
e si amministra la giustizia, sorprende per la sua gran dezza: ma ciò che più vi si ammira è un pavimento di rame che per t
la sua gran dezza: ma ciò che più vi si ammira è un pavimento di rame che per tutto si stende. « Così non è incredibile che
n pavimento di rame che per tutto si stende. « Così non è incredibile che il tempio di Apollo in Delfo fosse di rame, ma ch
non è incredibile che il tempio di Apollo in Delfo fosse di rame, ma che Vulcano lo fabbricasse; il che non credo, come re
o di Apollo in Delfo fosse di rame, ma che Vulcano lo fabbricasse; il che non credo, come repugna che vi fossero delle verg
i rame, ma che Vulcano lo fabbricasse; il che non credo, come repugna che vi fossero delle vergini d’oro, che voce armonios
e; il che non credo, come repugna che vi fossero delle vergini d’oro, che voce armoniosa risuonavano, nella maniera che Pin
ro delle vergini d’oro, che voce armoniosa risuonavano, nella maniera che Pindaro ha immaginato, giovandosi, a quel ch’io p
era che Pindaro ha immaginato, giovandosi, a quel ch’io penso, di ciò che Omero disse sulle Sirene. « Vi è discordia sulla
sulla maniera, nella quale questo tempio fu distrutto. Alcuni dicono che dall’ aperta terra fu inghiottito; altri che si f
distrutto. Alcuni dicono che dall’ aperta terra fu inghiottito; altri che si fuse il rame onde era composto. Che che ne sia
erra fu inghiottito; altri che si fuse il rame onde era composto. Che che ne sia, il tempio di Apollo fu rifatto di pietra
n Atene, il primo anno della Lvm Olimpiade, illustrato dalla vittoria che Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici.
he Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici. Quanto al tempio, che oggi sussiste, furono gli Antizioni che ne ordina
i olimpici. Quanto al tempio, che oggi sussiste, furono gli Antizioni che ne ordinarono la costruzione col danaro dal popol
uno. Il monte Parnaso, e la selva, da lui ebbero, il nome. Aggiungono che trovasse l’arte di conoscere l’avvenire col volo
che trovasse l’arte di conoscere l’avvenire col volo degli uccelli, e che la città di cui è fondatore fosse sommersa nel di
fondatore fosse sommersa nel diluvio di Deucalione. « I pochi uomini che avanzarono all’acque avendo guadagnata la sommità
guadagnata la sommità del Parnaso coi lupi e le altre hestie feroci, che con gli urli servivano loro di scorta, vi edifica
Licorea per questo motivo. Con tutto ciò, un’ altra tradizione porta che Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro, che diede
n’ altra tradizione porta che Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro, che diede il suo nome al detto luogo, e quello di sua
diede il suo nome al detto luogo, e quello di sua madre ad un altro, che Coricio ai tempi nostri ancora vien chiamato. « E
o, che Coricio ai tempi nostri ancora vien chiamato. « E fama inoltre che lamo nato da Licore ehhe per figlia Celeno, che p
ato. « E fama inoltre che lamo nato da Licore ehhe per figlia Celeno, che partorì ad Apollo un figlio chiamato Delfo, da cu
to Delfo, da cui la città ha tolto la sua denominazione. Altri dicono che Castalio, figlio della Terra, ehhe una fanciulla
no che Castalio, figlio della Terra, ehhe una fanciulla chiamata Tia, che fu la prima insignita del sacerdozio di Bacco, e
gnita del sacerdozio di Bacco, e celebrò Torgie in onore del dio; dal che , dicono, è nato che tutte le donne prese d’ una s
di Bacco, e celebrò Torgie in onore del dio; dal che, dicono, è nato che tutte le donne prese d’ una santa ebbrezza hanno
o la gente del paese chiamò la città non solamente Delfo, ma Pito: di che Omero fa testimonianza nella enumerazione dei Foc
: di che Omero fa testimonianza nella enumerazione dei Focesi. Coloro che si piccano di sapere le genealogie, pretendono ch
dei Focesi. Coloro che si piccano di sapere le genealogie, pretendono che Delfo avesse un figlio chiamato Piti, che regnand
e le genealogie, pretendono che Delfo avesse un figlio chiamato Piti, che regnando diede il suo cognome alla terra. « Ma l’
egnando diede il suo cognome alla terra. « Ma l’opinione più comune è che Apollo vi.uccidesse un uomo colle freccio. il di
lla città il nome di Pito, cioè cattivo odore. Infatti Omero ha detto che l’isola delle Sirene era piena d’ossa; perchè col
ero ha detto che l’isola delle Sirene era piena d’ossa; perchè coloro che prestavano orecchie a queste incantatrici morivan
rpi, privi di tomba, avvelenavano l’aria dell’isola. « I poeti dicono che fu da Apollo ucciso un drago, cui la sicurezza de
icurezza dei suoi oracoli aveva la Terra affidata. Si racconta ancora che Crio potente nelTisola Eubea, aveva un figlio sce
ta ancora che Crio potente nelTisola Eubea, aveva un figlio scelerato che ardì saccheggiare a mano armata il tempio di Apol
Egli portò via cinquecento statue di bronzo, tanto d’uomini illustri che dei numi. « Passiamo adesso all’istituzione de’ g
ei numi. « Passiamo adesso all’istituzione de’ giuochi Pitici. Dicesi che questi giuochi consistevano anticamente in una ga
ara di musica e di poesia, nella quale il premio concedevasi a colui, che avesse cantato i) più bell’inno in onor del nume.
ne Crisotemi di Creta fu vincitore: egli era figlio di quel Carmanore che aveva purificato Apollo. « Dopo lui Filamrnone fi
Crisotemi, ed in seguito Tamiri figlio di Filammone, poiché si vuole che nò Orfeo, il quale rispettabile rendeva un’alta s
va un’alta saviezza con una perfetta cognizione dei misteri, nè Museo che si era propoposto d’imitare Orfeo, vollero avvili
ollero avvilirsi a disputare la palma dei giuochi Pitici. Si racconta che Eleutero fu dichiarato vincitore per la sua bella
bella e sonora voce, quantunque cantasse un inno non suo. « Vogliono che Esiodo non fosse ammesso alla gara perchè non sap
sapea colla lira accompagnare il canto. Quanto ad Omero, si pretende che venisse a Delfo per consultare l’oracolo: ma che
d Omero, si pretende che venisse a Delfo per consultare l’oracolo: ma che essendo divenuto cieco, facesse poco uso del tale
della musica e della poesia, ne aggiunsero due altri; uno per quelli che accompagnavano col flauto, l’altro per quelli che
tri; uno per quelli che accompagnavano col flauto, l’altro per quelli che lo sonavano. Allora s’istituì a Delfo gli stessi
Allora s’istituì a Delfo gli stessi giuochi, li stessi combattimenti che in Olimpia: la quadriga fu solamente eccettuata.
etuto; ma nella Pitiade successiva si abolì il premio, e fu stabilito che non vi sarebbero che delle corone pei vincitori.
de successiva si abolì il premio, e fu stabilito che non vi sarebbero che delle corone pei vincitori. Si tolse l’accompagna
ncitori. Si tolse l’accompagnatura dei flauti, perchè aveva un non so che di tristo, e non poteva convenire che alle lament
flauti, perchè aveva un non so che di tristo, e non poteva convenire che alle lamentazioni ed all’elegie, ed infatti quest
nire che alle lamentazioni ed all’elegie, ed infatti questo era l’uso che se ne faceva. « Nel seguito ai giuochi Pitici si
mprese la corsa degli uomini armati. » Fin qui Pausania. Daremo quel che avanza del suo racconto nella se^’uente Lezione.
e^’uente Lezione. Udite intanto da Orazio nuove lodi del nume. Nume, che ultor della fastosa lingua Sentì la prole Niobea,
el nume. Nume, che ultor della fastosa lingua Sentì la prole Niobea, che l’ arco Certo sul rapitor Tizio volgesti, E contr
nel materno seno Con le fiamme rapite al frigio rogo Arsi, se Giove, che dei numi è padre. Non donava ad Enea patria migli
alla voce tua, padre del canto. Eterna gloria della lira argiva. Febo che lavi nel tuo Xanto i crini, L’onor difendi della
spirti Mi desti, e la divina arte dei versi Ed il nome di vate. voi, che siete Fra le vergini prime, e voi di chiara Stirp
Lesbio metro l’armonìa serbate. Ed i numeri miei. Dite Latona, E lei che adorna del fraterno lume La notte, e sola soffre
o lume La notte, e sola soffre occhio mortale. Alla messe propizia, e che degli anni Mostra la fuga col crescente raggio. Q
numenti del tempio di Delfo. Pausania, nell’enumerazione dei doni che ornavano il tempio di Delfo, tesse la storia dell
on conviene allo scopo delle mie Lezioni, lasciando sussistere quello che riguarda la mitologia e l’arte. « Delfo è situat
nti consacrati al dio. Lasciando le statue dei musici e degli atleti, che hanno nell’arte loro riportata la palma, Faille d
enta quindi a vostri occhi il dono dei Te^eati in memoria del trionfo che riportarono su gli Spartani. Consiste in un Apoll
egli eroi originarii di Tegea; come Callisto figlia di Licaone Arcade che diede il suo nome a tutta la contrada, il figlio
a tutta la contrada, il figlio di lui Elato, Afida e Azano, Trifilo, che ebbe per madre non Erato, ma Laodamia, figlia di
no altri nuovi dei Lacedemoni in rendimento di grazie per la vittoria che riportarono sopra gli Ateniesi. j) Dietro queste
secondo posto, si scorgono quelle di quegli animosi guerrieri greci, che favorivano ad Egospotamo l’impresa di Lisandro. P
di Lisandro. Patrocle e Canaco se ne credono gli autori. Gli Argivi, che in questo combattimento ebbero la presunzione di
« Sul piedistallo del medesimo vi è un’iscrizione la quale riferisce che le statue onde è circondato provengono dalla deci
che le statue onde è circondato provengono dalla decima del bottino, che gli Ateniesi conqaistarono dai Persiani nella bat
Milziade, come generale dell’armata ateniese, in terzo luogo gli eroi che diedero il nome alle varie tribiì ateniesi: Erett
resso del nominato cavallo si mirano pure altre offerte degli Argivi, che consistono nelle immagini dei principali capi che
ferte degli Argivi, che consistono nelle immagini dei principali capi che presero il partito di Polinice, e si unirono con
re vedesi il carro di Anfiarao con Batone suo parente e suo scudiere, che tiene le briglie dei cavalli. L’ultima di queste
rseo d’Ercole ancora più antico. « Succede il presente dei Tarentini, che consiste in cavalli di bronzo e nelle immagini de
a, Apollo e Diana: questi ultimi scoccano le loro frecce sopra Tizio, che sembra averne le membra forate. Gli Ateniesi ed i
alla nominata testa sta un simulacro donato dagli abitanti di Andro, che credesi rappresentare Andreo loro fondatore. Segu
estre di Achille, dei Tessali; un Apollo con una cerva, dei Macedoni, che abitano la città di Dione sotto il monte Pierio.
abitano la città di Dione sotto il monte Pierio. La statua di Ercole, che quindi si scorge, è dono dei Tebani, il Giove in
ne agli Arcadi di Mantinea. Un poco più lontano vi è Apollo ed Ercole che disputano un tripode: ognuno di loro vuole averlo
ento di Dillo e di Amicle scnltori di Corinto. Ve tradizione in Delfo che Ercole figlio di Anfitrione, essendo venuto per c
elfo venuto. Finalmente Alcide avendo reso il tripode, ottenne quello che desiderava, e quindi i poeti hanno presa l’occasi
aveva pugnato con Apollo per un treppiede. « Dopo la famosa vittoria che i Greci riportarono insieme a Platea, la nazione
tea, la nazione intera stimò di suo dovere il fare un dono ad Apollo, che consistè in un tripode d’oro sostenuto da un drag
a: ma il tripode fu rubato dai generali dell’armata focose. « L’ascia che si vede fu offerta da Periclito figlio di Eutimac
a che si vede fu offerta da Periclito figlio di Eutimaco. Ecco quello che intorno ad essa si racconta. Cigno figlio di Nett
Ecco quello che intorno ad essa si racconta. Cigno figlio di Nettuno, che regnò a Colono città della Troade, verso l’isola
a Leucofri, sposò Proclea figlia di Clizio e sorella di quel Caletore che , secondo Omero nell’Iliade, fu ucciso da Aiace, m
la prima moglie, sposò in seconde nozze Filonome figlia di Craugaso, che s’innamorò di Tene figliastro. Non essendo riesci
e li gettò nel mare. Salvati per loro ventura, arrivarono a Leucofri, che dal nome di Tene Tenedo fu detta. Qualche tempo d
onfessar loro la sua imprudenza, e dimandarne perdono. Ma nel momento che tocca la riva, e che attacca il canape del suo na
imprudenza, e dimandarne perdono. Ma nel momento che tocca la riva, e che attacca il canape del suo naviglio a un albero, o
ana, e fugge preda dei venti. L’ascia di Tene ha fondato un proverbio che si applica a quelli che sono inflessibili nel lor
enti. L’ascia di Tene ha fondato un proverbio che si applica a quelli che sono inflessibili nel loro sdegno. « I Greci invi
egno. « I Greci inviarono pure a Delfo un Apollo di bronzo egualmente che che un Giove in Olimpia, dopo le due vittorie mar
. « I Greci inviarono pure a Delfo un Apollo di bronzo egualmente che che un Giove in Olimpia, dopo le due vittorie maritti
arlerò solo del come è concepita la risposta dell’oracolo, per quello che si dice, data ad Omero, la quale si legge nella c
vi sarete entrato, vedrete sopra un muro a man dritta un gran quadro che rappresenta la presa di Troia, e a sinistra i Gre
n gran quadro che rappresenta la presa di Troia, e a sinistra i Greci che s’imbarcano per il ritorno. « Si prepara il vasce
stra i Greci che s’imbarcano per il ritorno. « Si prepara il vascello che deve salire Menelao, equipaggiato da soldati, mar
è in mezzo, con un remo in mano. Sopra lui si vede un certo Ictemene, che porta dei vestiti, ed Echeace che discende da un
opra lui si vede un certo Ictemene, che porta dei vestiti, ed Echeace che discende da un ponte con un’urna di bronzo. Polit
i bronzo. Polite, Strofìo ed Alfio disfanno il padiglione di Menelao, che era un poco lontano dalla nave, ed Anfialo ne ten
di Anfialo v’è un fanciullo di cui s’ignora il nome. Fronti è il solo che abbia la barba, e di cui Polignoto abbia preso il
Omero si serve di altri nomi nell’Iliade, quando ci sappresenta Elena che va colle sue donne verso le mura della città. Sop
ed esternamente afflitto. Non vi è bisogno d’iscrizione per conoscere che è Eleno figliuolo di Priamo. — (È da notarsi ques
amo. — (È da notarsi questo passo di Pausania, perchè ci fa intendere che in questa pittura, ove vi era più di ottanta figu
tanta figure, ogni principale era distinta col nome. Conviene credere che non pregiudicassero alla bellezza dell’opera, gia
 Presso Eleno sta Megete col braccio fasciato nella stessa attitudine che Lesche lo dipinge nel suo poema sul sacco di Troi
e che Lesche lo dipinge nel suo poema sul sacco di Troia, poiché dice che il medesimo fu ferito da Admeto argivo, nel comba
hé dice che il medesimo fu ferito da Admeto argivo, nel combattimento che i Troiani sostennero nella notte stessa che la ci
argivo, nel combattimento che i Troiani sostennero nella notte stessa che la città loro fu presa. Dopo lui é Licomede figli
te queste figure sono al di sopra di Elena situate. » Questa pittura che ci convince quanto la Mitologia scritta influisca
guente Lezione. Udite la sorte di Niobe e dei figli di lei da Ovidio, che in questa parte ho volgarizzato. Vi recherà marav
da Ovidio, che in questa parte ho volgarizzato. Vi recherà maraviglia che ncii sia accinto a questa impresa dopo la celebre
ni costumi agli antichi, nuoce allo scopo dei nostri studii. Quindi è che mi perdonerete se avventurato mi sono a così dise
ebani, Gli uditi numi preferire a quelli Cho sugli occhi vi stanno? a che si adora Sugli altari Latona, e senza incensi E i
sti: ed è sorella Alle Pleiadi la madre, ed avo Atlante, Quel potente che il ciel sostiene e i numi Sull’eguale cervice, ed
o aggiungi un volto Degno di diva, e sette figli, e sette Giovinette, che son di mille amanti E speranza e sospiro. Ancor c
A me Latona Preporre osate, cui l’immensa terra Un asilo negava allor che il seno La colpa le aggravò? la terra, il cielo E
fine Dielle l’errante Delo instabil suolo. Qui fu madre di due figli, che sono Settima parte della nostra prole. Io son fel
i beni del timor. Fingete Che pera alcun dei figli miei: saranno Più che due sempre su: l’allor strappate Al crine, e l’ar
imoso petto. E sì parlava colla doppia prole Sulla vetta di Cinto. Io che son madre Di voi superba, e fra le dee minore Sol
orar, nè fia chi adori Mia dubitata deitade? figli, Soccorretemi voi; che non è questo Sol mio dolore: è ancor vergogna. — 
mava Priva di prole: dell’altero detto In lei cada l’ingiuria, in lei che il fasto Paterno vinse. — Le preghiere univa Lato
nti con dimesse vele Il furor, quando unica nube ingombra Il cielo, e che la nera onda s’avventa: Vana è la fuga: che il se
nube ingombra Il cielo, e che la nera onda s’avventa: Vana è la fuga: che il seguace dardo Lo giunge, e passa la cervice, e
stra, e petto a petto Con stretto nodo opposto era e congiunto, Allor che uniti gli trafìsse il dardo. Gemono insieme; ed a
le una fra queste; cade, E muor baciando la fraterna bocca. All’altra che volea porger conforto Alla madre, troncò morte la
ne di quelle pitture colle quali Polignoto celebrò Delfo, ma pensando che veruna lode per Apollo è più grande che il simula
to celebrò Delfo, ma pensando che veruna lode per Apollo è più grande che il simulacro di lui, detto di Belvedere, non ho v
statua, eterna maraviglia e disperazione dell’arte. « Questa statua, che già da tre secoli si am mira in Vaticano come il
ome il miracolo della scultura non.può essere sì degnamente descritta che si possa figurare alla fantasia con tutti quei pr
e descritta che si possa figurare alla fantasia con tutti quei pregi, che si apprendono dall’ispezione oculare. L’artefice,
tti quei pregi, che si apprendono dall’ispezione oculare. L’artefice, che si era sollevato fino a concepire una bellezza ch
ulare. L’artefice, che si era sollevato fino a concepire una bellezza che con venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tant
n venisse ad un dio, l’ha poi espressa con tanta fé licita nel marmo, che sembra aver realizzato la sua idea con un semplic
ndo è sdegnato e ha ritratto nel suo volto lo sdegno; ma in quel modo che non ne altera la soave bellezza, nè la interna se
in alto colla sinistra, è già scaricato; la destra è un solo istante che ne ha abbandonato la cocca; il moto dell’azione n
ca; il moto dell’azione non è per anco sedato nelle agili sue membra, che ne conservano ancora un certo ondeggiamento, come
ondeggiamento, come quello della superfìcie del mare il momento dopo che è cessato il vento. Guarda egli il colpo delle si
o. Guarda egli il colpo delle sicure saette con una certa compiacenza che mostra la soddisfazione delle divine sue ire; ma
chei per vendicare l’oltraggio del suo sacerdote, vendetta memorabile che è l’occasione dell’ Iliade? Perchè non piuttosto
na offesa non resti inulta? Perchè non contro dell’infedele Coronide, che faceva essere il figlio di Giove geloso di un uom
? Tutti questi soggetti son più nobili e più degni d’esser immaginati che la morte di un rettile, e il suo sguardo sollevat
un rettile, e il suo sguardo sollevato non sembra osservare un mostro che strisci sul suolo. Qualunque però sia stato lo sc
e freccie, l’ azione di aver saettato è tanto evidentemente espressa, che non cade in equivoco. Se questa sola basta ad inc
rio dei numi e de’ re, sono così elegantemente increspati e ravvolti, che danno idea della sorprendente bellezza della chio
, che danno idea della sorprendente bellezza della chioma di Febo più che gli epiteti di χρυσοκομοςe di, ακερσερσεκομης, ch
co’ quali l’hanno espressa i poeti; il solo Callimaco quando ha detto che stillavano la panacea sembra essersi più avvicina
bra essersi più avvicinato alla sublime idea dell’artefice. Lo sdegno che appena s’affaccia nelle narici insensibilmente en
i ravvisa nei suoi sguardi, e la sua faretra appena agli omeri sembra che , secondo la frase d’ Omero, suoni sulle spalle de
orpo, così giudiziosamente misto di agilità, di vigore e di eleganza, che vi si vede il più bello e il più attivo degli Dei
ro, e i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere che i Greci chiamavano sandali, di sottili strisce. I
ante, ma vi è scolpito un serpe, o alludente alla vittoria di Pitone, che allora non potrebbe esser 1’ argomento del simula
izie imperiali chiamate da Filostrato col nome di reggia dei- Cesari, che tale poteano dirsi, attesa la premura che si pres
nome di reggia dei- Cesari, che tale poteano dirsi, attesa la premura che si presero di abbellirle tanti imperalori romani
mpero e seggio ordinario degli Augusti. Non dee far maraviglia dunque che tante insigni sculture lo adornassero, come l’Apo
i. Il marmo è un finissimo greco di somma conservazione, non mancando che la mano sinistra, ed essendo le gambe riunite dei
sinistra, ed essendo le gambe riunite dei loro pezzi antichi. Quello che avanza circa la qualità del marmo, onde è formato
iga a dissentire da un grand’uomo dei nostri tempi (il celebre Mengs) che non contento di aver rapita la meraviglia del sec
mercè l’amicizia di persona distinta per impieghi e per letteratura, che si è compiaciuta fare al pubblico un dono postumo
dono postumo dei suoi scrìtti. Mi conviene, dissi, dissentire in ciò che riguarda il marmo, non solo di questa statua, ma
re in ciò che riguarda il marmo, non solo di questa statua, ma in ciò che ne deduce; cioè che questa, e gli altri capi d’op
da il marmo, non solo di questa statua, ma in ciò che ne deduce; cioè che questa, e gli altri capi d’opera dell’arte antica
cioè che questa, e gli altri capi d’opera dell’arte antica non sieno che copie d’alti perfetti originali, o almeno origina
originali di second’ordine, impareggiabili, se si confrontino con ciò che l’arte rediviva fra le nazioni moderne ha saputo
è nasce da un’idea di perfezione assai superiore alla comune capacità che quel grande uomo si era fissata in mente, e che e
alla comune capacità che quel grande uomo si era fissata in mente, e che era l’archetipo che si sforzava ritrarre nelle su
à che quel grande uomo si era fissata in mente, e che era l’archetipo che si sforzava ritrarre nelle sue pitture, formata s
sforzava ritrarre nelle sue pitture, formata sull’astrazione di ciò, che vi ha di più sorprendente nei pezzi dei più insig
nti argomenti, quando si voglia estendere a tutto indistintamente ciò che ci è pervenuto dalle antiche scuole dell’arte. I
ti difetti osservati nella figura, riconosciuta d’altra parte per ciò che di più bello esista nell’arte. « L’opinione falsa
a parte per ciò che di più bello esista nell’arte. « L’opinione falsa che fosse marmo di Carrara, era la ragion più forte,
tendere i dubbi sopra qualunque altra scultura. « Verificato pertanto che sia marmo delle cave di Grecia e del più bello, c
o di di tutto il discorso. L’essere stato collocato piuttosto ad Anzo che a Roma non è da badarsi da chi ò versato nella st
uranza del pubblico di Roma per le arti del disegno. E poi, una villa che onoravano tanto spesso del loro soggiorno i signo
ciuto, potea ben meritare l’ornamento dei capi d’opera della scultura che si vedeano tal volta ornare come l’Ercole di Miro
e e il Giove di Prassitele, i portici e i giardini privati. I difetti che voglionsi riconoscere nell’Apollo sono la perfett
fficoltà può incontrar più d’una risposta. E per lasciare la generale che nulla vi ha di veramente perfetto, e che perciò s
. E per lasciare la generale che nulla vi ha di veramente perfetto, e che perciò si trovano degli errori nei capi d’opera,
olo dell’arti del disegno, ma delle lettere ancora e delle scienze, e che ciò che distingue l’autore eccellente non è tanto
’arti del disegno, ma delle lettere ancora e delle scienze, e che ciò che distingue l’autore eccellente non è tanto l’assen
a dei difetti, quanto l’esistenza di certe bellezze e di certi pregi, che non possono esser il prodotto che di talenti non
di certe bellezze e di certi pregi, che non possono esser il prodotto che di talenti non comuni: può dirsi ancora che è sta
possono esser il prodotto che di talenti non comuni: può dirsi ancora che è stato consiglio dell’artefice di allentanarsi i
i in ciò dal rigido vero per servire alla destinazione del simulacro, che , veduto nel sito dove dovea collocarsi, avrebbe n
llente non abbiano parlato gli antichi, non mi curerei di rispondere, che poche memorie ci sou restate nelli scritti a noi
ie ci sou restate nelli scritti a noi pervenuti, e soltanto di quelle che o per la situazione in luoghi assai frequentati,
re; non mi curerei, dico, di questa risposta, ma sosterrei piuttosto, che veramente è questo uno dei quattro celebri Apolli
to uno dei quattro celebri Apollini in marmo rammentati da Plinio, ma che non può determinarsi per mancanza di piìi accurat
per mancanza di piìi accurata descrizione, Lasciando da parte quelli che non possono convenire all’azione del nostro, ne r
e questo aggiunge ch’era nudo. Da tal particolarità sembra inferirsi che l’altro fosse vestito. Ma l’essere anche ai tempi
pi di Plinio situati ambedue in luogo pubblico e sacro, mi fa pensare che non fossero poi trasportati ad Anzo dove fu scope
facilmente può credersi questa statua l’Apollo di marmo di Prassitele che Plinio annovera fra le più belle opere di quello
stata trasferita nelle delizie Anziatine, o da Antonio, o da Adriano che frequentavano quel soggiorno. « Questa statua, un
col serpe ai piedi, simbolo dei rimedii e della salute; per mostrare che il morbo eccitato dall’ira del nume cessava poi p
e Averrunco, giacché questa favola fìsica non aveva altro significato che la dissipazione operata dal sole de’ vapori malig
e piena d’estro di questa statua dettata a Winkelmann dall’entusiasmo che concepiva in considerarne cogli occhi e coll’imma
lvedere è il più sublime ideale dell’arte, fra tutte le opere antiche che sino a noi si sono conservate. Direbbesi che l’ a
a tutte le opere antiche che sino a noi si sono conservate. Direbbesi che l’ artista ha qui formata una statua puramente in
una statua puramente intellettuale, prendendo dalla materia quel solo che era necessario per esprimere la sua idea e render
pra l’umana natura, e il suo atteggiamento mostra la grandezza divina che l’investe. « Una primavera eterna, qual regna nei
i un’età perfetta i piacevoli tratti della ridente gioventù, e sembra che una tenera morbidezza scherzi sulla robusta strut
idezza scherzi sulla robusta struttura delle sue membra. — Vola, o tu che ami i monumenti dell’arte, vola col tuo spirito s
ssuno indizio si scorge dell’umana fralezza. Non vi son nervi nè vene che a quel corpo diano delle ineguaglianze e del movi
ne che a quel corpo diano delle ineguaglianze e del movimento: ma par che un soffio celeste, simile a fiume che va placidis
glianze e del movimento: ma par che un soffio celeste, simile a fiume che va placidissimo, tutta abbiane formata la superfì
della sua vittoria. Siede nelle sue labbra il disprezzo, e lo sdegno che in sé racchiude gli dilata alquanto le nari, e fi
embrano inalterabili, e gli occhi suoi sono pieni di quella dolcezza, che mostrar suole allorché lo circondano le muse e lo
Fra tutti i rimastici simulacri del padre degli Dei, nessuno ve n’ha che si avvicini a quella sublimità in cui egli manife
utte rappresentare come in una nuova Pandora le bellezze particolari, che ad ognuna delle altre deità sono proprie. Egli ha
Giove la fronte gravida della dea della Sapienza, e le sovracciglia, che il voler supremo manifestan con i cenni; gli occh
o investiti, e già mi sento trasportato in Delo, e nelle Licie selve, che Apollo onorò di sua presenza. Farmi già che l’imm
elo, e nelle Licie selve, che Apollo onorò di sua presenza. Farmi già che l’immagine, che io men formo, vita acquisti e mot
ie selve, che Apollo onorò di sua presenza. Farmi già che l’immagine, che io men formo, vita acquisti e moto come la bella
io ben dipingerla e descriverla? Io avrei bisogno dell’arte medesima, che guidasse la mia mano anche nei primi e più sensib
ima, che guidasse la mia mano anche nei primi e più sensibili tratti, che n’ho abbozzati. Depongo pertanto a’ piedi di ques
che n’ho abbozzati. Depongo pertanto a’ piedi di questa statua l’idea che ne ho dato, imitando così coloro che posavano a p
a’ piedi di questa statua l’idea che ne ho dato, imitando così coloro che posavano a pie dei simulacri degli Dei le corone
ando così coloro che posavano a pie dei simulacri degli Dei le corone che non giungevano a metter loro sul capo. » Debbo f
e che non giungevano a metter loro sul capo. » Debbo farvi avvertire che il celebre Visconti, poiché fermò sua dimora in P
a magrezza delle scuole più antiche. Quindi non è lontano dal credere che lo scultore dell’Apollo abbia imitata questa stat
o al marmo della statua il Visconti dice sostenersi dai mineralogisti che nelle cave abbandonate di Carrara si trovan vene
te simili a quella dell’Apollo, e vide in Parigi un marmo di Carrara, che si credeva greco. Udite adesso da Ovidio, che, in
gi un marmo di Carrara, che si credeva greco. Udite adesso da Ovidio, che , incoraggito dal voNicccLiNi. Lez. di Mit. ecc. 3
el suo primo amore sventurato. Dafne. Fu Dafne a Febo il primo amor, che diede Non sorte ignara, ma il furor di un nume Iv
mostro. Quando mirò curvar l’arco a Cupido, E disse: Colle forti armi che tenti, Fanciul lascivo? ai nostri omeri solo Ques
mico, Temon le fere l’infallibil dardo Di me, ch’or dianzi sul Piton, che mille Campi ascondea con spazioso giro, Votai del
beltà. — Ma Febo intanto Ama Dafne, la mira, e come amante Spera quel che desia; mentono al nume Pur gli oracoli suoi. Qual
e, e quella bocca. Che non basta il veder: loda le mani E le braccia, che appena il vel nasconde, Quel ch’è celato col desi
la tal fugge colomba: Ma son nemici: io per amor ti seguo; Misero me, che tu non cada, e il pruno Non ti punga il bel pie,
eguo; Misero me, che tu non cada, e il pruno Non ti punga il bel pie, che non è degno Di essere oifeso, che di pianto io si
e il pruno Non ti punga il bel pie, che non è degno Di essere oifeso, che di pianto io sia Cagione: aspra è la via dove ti
rso Nella veste fiammeggia; un’aura lieve Dolcemente solleva il crin, che torna Indietro, e sua beltà la fuga accresce. Nè
campo Siegue una lepre: ella col pie salute Cerca, ei la preda, e par che già l’afferri. E lei spera tener: suona il deluso
e quasi capo Scosse l’onor della frondosa cima, Raro dono al Poeta, e che di Giove E del fulmine suo l’ire prescrive. Ov
ea della giovinezza virile ideale si scorge principalmente in Apollo, che riputavasi il più bello fra i numi. Nelle sue fig
, e nato a grandi imprese. Si vede nella sua figura una sanità vivace che annunzia la forza, simile all’aurora di un bel gi
unzia la forza, simile all’aurora di un bel giorno. Non pretendo però che tanta beltà si trovi in tutte le statue di Apollo
o e tranquillo. Tale statua è altresì rimarchevole per esser la sola, che io sappia, che ha un particolar attributo di Apol
Tale statua è altresì rimarchevole per esser la sola, che io sappia, che ha un particolar attributo di Apollo, cioè il bas
pastore incurvato, appoggiato alla pietra su cui siede la figura: dal che appare che siasi voluto rappresentare Apollo past
urvato, appoggiato alla pietra su cui siede la figura: dal che appare che siasi voluto rappresentare Apollo pastore (νομιος
a. Da questa si può prendere un’idea di quell’acconciatura di capelli che i Greci chiamavano κρωβυλος, e che presso gli scr
a di quell’acconciatura di capelli che i Greci chiamavano κρωβυλος, e che presso gli scrittori non trovasi mai con sufficie
ritta. Questa voce significa nei maschi quella maniera di acconciarsi che nelle fanciulle chiamavasi κορυμβος, cioè i capel
su tutti air intorno del capo, in cima al quale annodavangli in guisa che non dovea vedersi il laccio che li sosteneva. « T
n cima al quale annodavangli in guisa che non dovea vedersi il laccio che li sosteneva. « Tale è la capigliatura di una fig
il nome di Berenice ad un bell’Apollo di bronzo nel Museo di Ercolano che ha i capelli voltati all’insù, e legati in cima a
a, non tradotta, per quel ch’io sappia, ancora nella nostra lingua, e che vi esporrò nel fine del mio Corso mitologico, cos
chezza della carne è troppo duro, e produce un effetto meno piacevole che quello dei capelli biondi; verità di pratica, ric
tà di pratica, riconosciuta da tutti gli artisti. Un passo di Ateneo che contiene due espressioni di Simonide m’impegna a
are questa osservazione. La prima è il tono della voce di una vergine che esce da una bocca di porpora, ed il personaggio m
ogo, perchè la bella natura ci prova al contrario, ed è da presumersi che i Greci avranno fatta la stessa osservazione, per
lo, conformemente a l’epiteto in quistione e ad altri di simil genere che gii hanno dati i poeti, saranno state dipinte con
ura bionda, come noi possiamo giudicare dal piccolo numero di pitture che sono giunte sino a noi, nelle quali questo dio è
i, nelle quali questo dio è rappresentato. Noi troviamo in Plutarco che gli antichi pittori hanno dato dei capelli biondi
tutte le divinità giovanili, neppur Zeffiro eccettuato. Sembra dunque che nel passo di Ateneo , che ho citato, bisogni por
, neppur Zeffiro eccettuato. Sembra dunque che nel passo di Ateneo , che ho citato, bisogni porre un interrogativo dopo la
ome ve n’ha uno dopo la prima, per salvare la manifesta contradizione che ha imbarazzato alcuni autori, e fra gli altri Fr
che ha imbarazzato alcuni autori, e fra gli altri Francesco Giunio , che ha scritto sulla pittura degli antichi. Forse cos
lla pittura degli antichi. Forse così uno s’inganna nella spiegazione che si dà alla maniera, nella quale Anacreonte desi
iegazione che si dà alla maniera, nella quale Anacreonte desiderava che fossero dipinti i capelli del suo favorito: gli v
chioma bionda quando divisa vi si forma delle cavità. Così mi sembra che deva intendersi dei capelli di color blu che Ome
e cavità. Così mi sembra che deva intendersi dei capelli di color blu che Omero dà ad Ettore ed a Bacco: vale a dire dei
che Omero dà ad Ettore ed a Bacco: vale a dire dei capelli biondi, che interiormente, e nei luoghi ove sono ombrati, off
inkelmann, questa digressione di lui medesimo sopra i capelli biondi, che può esservi forse di qualche utilità, e mostrarvi
ome di θαυμαντις13, indovino del dio, vale a dire di Apollo, a quelli che morendo di fame masticavano le foglie di lauro. S
mità del capo, ordinario ornamento alle giovinette, il quale annunzia che non erano maritate. Una statua in Campidoglio e d
no maritate. Una statua in Campidoglio e due altre nella Villa Medici che gli rassomigliano, hanno i capelli annodati nella
stessa maniera. Il pomo posto nella mano di Apollo indicava il premio che si dava nei primi tempi ai giuochi Pitici, il qua
portato da un cigno è un’immagine rara, ma bella e significantissima, che si trova in una medaglia. La medaglie della città
n una medaglia. La medaglie della città di Tessalonica offrono Apollo che si corona da sé stesso di lauro come vincitore ne
re, con altri attributi propri: di Apollo, rappresenta la ninfa Arge, che fu trasformata in questo animale per essersi vant
che fu trasformata in questo animale per essersi vantata, seguendolo, che ella l’avrebbe raggiunto ancora che la velocità d
per essersi vantata, seguendolo, che ella l’avrebbe raggiunto ancora che la velocità di lui fosse rapida quanto quella del
del settimo volume dell’ Antichità Greche di Gronovio, mostra Apollo che tiene il piede sopra un orso: non ho potuto trova
tra Apollo che tiene il piede sopra un orso: non ho potuto trovare da che questo simbolo sia derivato. Un topo accanto alla
sulle medaglie di Tenedo indica il soprannome Smìnteo di questo dio, che nel dialetto cretese significa Topo, perchè Apoll
l flauto, l’altra la siringa, quella del mezzo la lira: si pretendeva che questa statua fosse fino dai tempi di Ercole. Il
ino di cui si fa uso nei tripodi di Apollo, è un ornamento allegorico che significa la metamorfosi di questo dio in pesce:
te nei lati di una tomba di marmo antico trovata in Francia, non sono che maschere che trovansi frequentemente nei monument
i una tomba di marmo antico trovata in Francia, non sono che maschere che trovansi frequentemente nei monumenti di simil ge
enti di simil genere, onde si è ingannato De Boze nella Dissertazione che ha stampata nelle Memorie dell’Accademia delle Is
la statua dell’Apollo Citaredo. « Nell’insigne simulacro di Apollo, che abbiamo descritto (l’Apollo del Belvedere), ci ha
esentato r artefice la possanza e lo sdegno di questo nume: in quello che ora spieghiamo, ravvisiamo solamente il padre del
ato dall’estro, nelle labbra semiaperte al canto, nell’abito teatrale che lo copre sino a’ piedi, nella cetra che tien sosp
al canto, nell’abito teatrale che lo copre sino a’ piedi, nella cetra che tien sospesa dal lato manco, nel moto delle bracc
esa dal lato manco, nel moto delle braccia al suono, apparisce un dio che accompagna sulla cetra celeste le soavi modulazio
osservare questa bella statua attorniata dalle altre nove delle Muse, che fan corona al loro corifeo, ci rammentiamo di que
rca di Cipselo unitamente al coro delle nove dee d’Elicona; e i versi che v’erano sottoposti convengono perfettamente colle
r, figlio a Latona Apollo è questo: e queste son le Muse, Amabil coro che il circonda e segue. « La maraviglia di chi consi
egio in cui si conosce essere stata presso gli antichi dalle medaglie che ci rimangono. È noto, per infamia della storia au
a, il fanatico trasporto di Nerone pel suono della cetra e pel canto, che lo fece discendere sino a comparire su i palchi d
riportarla come di uno dei più gloriosi suoi fasti. Ci narra Svetonio che volle esser venerato qual nuovo Apolline, e come
aglie greche e latine si conservano tuttora con tale impronta, e. ciò che più singolarmente fa al nostro proposito si è che
le impronta, e. ciò che più singolarmente fa al nostro proposito si è che la figura di Nerone Citaredo è tanto simile a que
a figura di Nerone Citaredo è tanto simile a questa statua di Apollo, che ne sembra copiata nel modo e nell’attitudine e si
llo, che ne sembra copiata nel modo e nell’attitudine e sin nel lauro che gli corona le chiome. È credibile che l’adulazion
nell’attitudine e sin nel lauro che gli corona le chiome. È credibile che l’adulazione, in un secolo specialmente pieno di
telligenza nelle belle arti, non abbia scelto fra i simulacri di Febo che il più nobile e il più celebrato, perchè servisse
ervisse di emblema del citaredo imperatore. Possiamo dunque inferirne che questa che abbiamo presente fosse presso gli anti
emblema del citaredo imperatore. Possiamo dunque inferirne che questa che abbiamo presente fosse presso gli antichi la più
sta che abbiamo presente fosse presso gli antichi la più bella figura che offrisse Apollo in abito di Citaredo. E se mi sar
bito di Citaredo. E se mi sarà lacito d’inoltrare le confetture, dirò che è una replica, o una copia fatta da mano maestra,
dell’Apollo sonatore di cetra di Timarchide Ateniese, famosa scultura che accompagnava nei portici di Ottavia le nove Muse
di Ottavia le nove Muse di Filisco. La mae stria del lavoro, non meno che la celebrità del luogo dove erano esposte queste
à del luogo dove erano esposte queste statue alla luce dell’universo, che si affollava nella sua metropoli, può essere stat
rso, che si affollava nella sua metropoli, può essere stato il motivo che indusse gli antichi scultori a copiarla per fare
statua dell’imperatore, come ancora delle diverse repliche delle Muse che ci sono rimaste in attitudini simili forse a quel
ui ci trasporta l’osservazione di così bel simulacro per esaminar ciò che d’istruttivo, circa le antiche costumanze, ci pre
ei vincitori e dei poeti. Era simil corona tanto propria dei citaredi che nel certame delfico dei sonatori di cetra compari
comparivano questi coronati di lauro. Osserva Luciano a tal proposito che i più poveri si contentavano dell’alloro naturala
vano di lauree d’oro, ornate di smeraldi in luogo di bacche. La gemma che distingue la corona del nostro Apolline può rifer
iferirsi a simil costume: questa gemma unica nel centro della corona, che corrisponde alla fronte, soleva adornare le laure
Augusto in età senile in questo nostro Museo. L’abito è quello stesso che i poeti latini attribuiscono a’ citaredi e alle p
palla dei Latini era, secondo Tosservazione di Servio, la stessa cosa che il peplo dei Greci). Questa danno ad Apollo quand
ra dì rara arte, risplendente per la testuggine e l’oro. « Qui sembra che il poeta avesse innanzi agli occhi la nostra stat
voluto significare la ricchezza di questo abito di Apollo colla gemma che lo guarnisce sul petto. La clamide che gli sta so
to abito di Apollo colla gemma che lo guarnisce sul petto. La clamide che gli sta sospesa agli omeri con due borchie è anch
redico, per testimonianza degli antichi scrittori. La fascia, o zona, che gli circonda il petto, é più alta delle cinture o
li omeri del nume per una specie di armacollo. Tali cetre più grandi, che così per comodo si sospendevano, vengono da Esich
miscuamente. La nostra è notabile pel basso rilievo di Marsia appeso, che ne adorna uno dei corni, o braccia, dette dai Gre
anta ragione fosse prescelto questo simulacro a rappresentare Nerone, che mostrava una somma emulazione coi più famosi sona
er motivo di più compiacersi della vittoria. Quel corpo rettangolare, che si distingue verso la estremità inferiore della c
Esichio qual lo veggiamo rappresentato. Serviva per chiudere un vuoto che desse maggior voce allo strumento, le cui corde s
rminavano. Questa concavità distingueva le lire dalle semplici cetre, che non ne erano fornite, secondo l’opinione degli es
Nereo le schiere, E dai lampi dell’armi il mar dipinto Tremava, allor che lasciò Delo Apollo; Delo che sta, vindice il nume
dell’armi il mar dipinto Tremava, allor che lasciò Delo Apollo; Delo che sta, vindice il nume, e un giorno Soffiò Noto din
inanzi al suo furore. Sopra Augusto ristette, e nuova fiamma Apparve, che curvossi in face obbliqna Tre volte. Non avea spa
si sul collo I crini, e della lira il suono inerme; Ma quel sembiante che al maggior Atride Rivolse, onde con mille avidi r
avidi roghi Vuotò le tende Achee, e i giri immensi Sciolse al Pitone, che l’ imbelle Lira Temeva: disse: salvator del mondo
ttorei, Augusto: Vinci sul mare, è tua la terra: e l’arco Milita a te che sull’irate spalle Risuona. Salva la tremante Roma
lla morte il Fato. Ahi: trionfo miglior fora una donna Per quelle vie che incatenato scorse Giugurta. Avresti, o Febo, onor
vigesima. Dei cognomi di Apollo. Questa Lezione, ultima fra quelle che trattano di Apollo, è destinata a tesservi la ser
lia, fu chiamato il nume Libico, perchè colla peste vinse quei popoli che invader volevano le fortunate contrade alle quali
ominazione, ed P^pidelio fu detto il simulacro di lui, il quale, dopo che l’isola predetta fu da un Prefetto di Mitridate s
. Regna discordia sulle cause per le quali Febo si nomina: l’opinione che più al vero si avvicina è quella che derivar fa q
quali Febo si nomina: l’opinione che più al vero si avvicina è quella che derivar fa questo nome dalla luce, prima qualità
a che derivar fa questo nome dalla luce, prima qualità di questo dio, che simboleggia il Sole « Il ministro maggior della
duce da Lieo figliuolo di Pandione, e nel Viaggio a Corinto, dal lupo che sacro era al nume, forse, onde la velocità signif
esenta subito il motivo, avendovi Pausania descritto il famoso tempio che in Delfo ad Apollo sorgeva. Stazio volendo esprim
a morte di Anfìarao, reputò di non poter meglio giungere al suo scopo che dicendo: « Sarai sempre di Febo eterno e nuovo do
ovo dolore^ e lungamente in Delfo sarai pianto. » È celebre il tempio che aveva pure a Triopo città della Caria il dio, ond
la Caria il dio, onde Triopo fu appellato, ed i vincitori nei giuochi che sacri gli erano ne riportavano in premio tripodi
io tripodi di bronzo. Diede al dio il nome d’Ismenio il colle Ismene, che sorgeva della destra porta di Tebe all’ingresso,
una città sola, ma quasi padre di tutte. Rendevano famoso il tempio, che sotto questo titolo aveva in Atene, le opere di E
empio, che sotto questo titolo aveva in Atene, le opere di Eufranore, che primeggia fra gli antichi pittori. Pitio lo disse
li antichi pittori. Pitio lo dissero dalla morte del serpente Pitone, che le membra anelanti abbandonò sul giogo Cirreo, do
divise questo nome colla sorella. Didimeo, perchè credevasi lo stesso che il Sole, il quale con doppio lume fa heto l’unive
heto l’universo, rallegrando ancora le tenebre della notte colla luce che sparge nel volto della Luna. Filesio chiamarono A
che sparge nel volto della Luna. Filesio chiamarono Apollo dal bacio che diede a Branco fanciullo caro al nume, o perchè a
Lungi-saettante, sovente è detto da Omero, perchè equiparato al sole che da lontano i suoi effetti produce. Pagaseo, perch
ella quale ebbe oracoli ed altari fondato da Manto figlia di Tiresia, che qui fuggiva la vendetta degli Epigoni vincitori d
lo dissero, onde il Lirico mentovato cantò: « Delio e Patareo Apollo, che i liberi crini lava colla pura rugiada Castalia,
Patareo Apollo, che i liberi crini lava colla pura rugiada Castalia, che tiene i gioghi e la selva nobile di Licia. » Amic
ano il motivo di questo nome in Carno figliuolo di Giove e di Europa, che fu educato dal nume, altri in diversa favola che
i Giove e di Europa, che fu educato dal nume, altri in diversa favola che per brevità tralascio. Timbreo afferma Strabene c
in diversa favola che per brevità tralascio. Timbreo afferma Strabene che fosse chiamato da Timbra, luogo prossimo a Troia,
e che fosse chiamato da Timbra, luogo prossimo a Troia, dove vogliono che Achille, essendo da Paride ucciso, fosse inventat
iono che Achille, essendo da Paride ucciso, fosse inventata ìa favola che Apollo dirigesse l’arco dell’imbelle figlio di Pr
itani effigiato era Apollo nelle sembianze di un giovine senza barba, che colla destra teneva inalzata la sferza a guisa di
fondea colla sinistra. Dal catalogo di questi cognomi potete ricavare che Apollo presso gli antichi si confondeva col Sole
. Prevalendomi di questa conseguenza, narrerò l’avventura di Fetonte; che ho tradotto dalle Metamorfosi di Ovidio, giacché
o, e dal lavoro La materia era vinta. È da Vulcano Qui sculto il mar, che della terra abbraccia Il globo, e il cielo che so
ano Qui sculto il mar, che della terra abbraccia Il globo, e il cielo che sovrasta al globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi i
che sovrasta al globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi il canoro Triton che suona la ritorta conca, E Proteo dubbio, ed Egeon
l canoro Triton che suona la ritorta conca, E Proteo dubbio, ed Egeon che preme Con le sue braccia alle balene il tergo: Do
altra è peso: Non hanno tutte un sol sembiante, eppure Non è diverso, che cosi conviene A sorelle. La terra uomini porta E
Il pie ritenne Lungi, perchè non soffre occhio mortale Luce di Febo, che sul soglio siede Di smeraldi distinto, ed ha vela
l’abbraccia e dice: Degno tu sei d’essermi figlio, e vera L’origin fu che t’additò la madre; E perchè escluda i dubbi ogni
: il ciel non vuole Ch’io ti sconsigli. Ah tu. Fetonte, ignori Quello che brami: è grande il dono, e vince L’età le forze:
sull’ardente carro Non oserian posarsi, e dell’immenso Olimpo il re, che colla man tremenda Vibra i fulmini suoi, paventa,
ll’avversa parte Io mi sostengo, e per contraria forza L’impeto vinco che comanda al mondo. Fingiti il cocchio fra i rotant
l vicino cancro La diversa minaccia. Èlieve forse Gli animosi frenar, che dalle nari E dalla bocca spiran fiamma? Appena To
o solo Non dimandar, ten prego: è pena il dono, Non gloria. stollo, a che forza mi fai Coi lusinghieri amplessi? avrai, non
a che forza mi fai Coi lusinghieri amplessi? avrai, non temi. Quello che brami: ch’io giurai di Stige L’inviolabil acque:
ucifero aduna, e lascia il cielo Fra gli astri ultimi. Il padre allor che vide Rosseggiare la terra, e i corni estremi Quas
dio seguon l’ancelle, E traggon fuor dalle sublimi stalle I cavalli, che pasce ambrosia, e fuoco Spirano dalle nari, e il
ra, e se il mutabil petto Cede ai consigli miei, lascia l’impresa, Or che a te si concede, e ancor non premi L’asse mal des
roento, Eoo Del Sol destrieri, e percotean coi piedi La sbarra: allor che dell’immenso cielo La libertà Teti concesse, igna
simile a nave Che leggera al furor cede dei flutti, Salta il cocchio che par vuoto: abbandona Il trito spazio: già trema F
Prese il serpente, e tu pigro Boote Col tuo plaustro fuggisti. Allor che vide Giù giù la terra di Olimene il figlio Impall
i nasce, e te condanna, Fasto infelice del paterno sangue. Come legno che Borea ha vinto, e lascia Il pallido nocchiero al
ungo tratto Segnò di luce nel turbato cielo: Così membra cader stella che fende Il liquido seren. Spengi il fumante Volto,
. II. Lezione vigesimaprima. Diana. Secondo Cicerone, nel libro che intorno alla natura degli Dei ha scritto, più fur
re; l’altra figlia di Giove e di Latona; la terza di Upi e di Glauce, che i Greci sovente chiamano col vocabolo paterno. I
chiamano col vocabolo paterno. I vanti di tutte s’arroga la seconda, che è sorella di Apollo e custode delle selve ed onor
lve ed onore degli astri, perchè, come dai poeti appare era lo stesso che la luna, quantunque a quest’ultima l’antichità di
ichità dia per genitore ora Iperione, or Fallante. Fingono i Mitologi che prima del fratello nata, uffìcii di levatrice pre
o le parole di lui. « Primi fra tutti vennero gli Efesii commemorando che , non come è credenza volgare, procreati furono Ap
come è credenza volgare, procreati furono Apollo e Diana in Delo, ma che presso un loro fiume chiamato Cencrio situato in
. » Nè questa differenza deve farci maraviglia, giacché tutto quello che è argomento alla vanità delle nazioni soggiace a
nazioni soggiace a infiniti cangiamenti. Sappiamo infatti da Erodoto che gli Egiziani dicevano generate da Cerere e da Dio
re e da Dionisio queste due divinità, alle quali Latona non era stata che una semplice nutrice. Questa opinione fu seguita
tata che una semplice nutrice. Questa opinione fu seguita da Eschilo, che chiamò Diana figlia di Cerere, la quale, al dire
Diana figlia di Cerere, la quale, al dire di Pausania, era lo stesso che l’Iside degli Egiziani. Checché ne sia, avendo ve
so che l’Iside degli Egiziani. Checché ne sia, avendo veduto i dolori che costava l’esser genitrice, dimandò a Giove padre
ra, tutte fanciulle. Yoglio inoltre venti ninfe Amnisidi per ancelle, che abbiano cura dei miei coturni da caccia, e dell’a
nti: assegnami però qualunque città ti piaccia, poiché sarà cosa rara che io vi scenda. Abiterò sempre nei poggi, e mi mesc
barba del padre (questo atto presso i Greci facevasi dai supplicanti, che abbracciavano ancora le ginocchia), e invano stes
figli, poco curerei Tire di Giunone gelosa. Abbiti, figliuola, quello che dimandi; avrai cose ancora maggiori. Ti do, non c
figliuola, quello che dimandi; avrai cose ancora maggiori. Ti do, non che una torre, trenta cittadi trenta che non sapranno
cose ancora maggiori. Ti do, non che una torre, trenta cittadi trenta che non sapranno esaltare altro dio che te sola, e da
una torre, trenta cittadi trenta che non sapranno esaltare altro dio che te sola, e da te si chiameranno. Disegnerai pure
chiameranno. Disegnerai pure a comune molte ville, tanto mediterranee che isole, e in tutte vi saranno i tuoi altari, i tuo
nte di Creta, crinito di boschi; poscia all’Oceano, e scelse le ninfe che desiderava per seguaci. Gioì Cerato, gioì Teti pe
compagnia di Diana. Circondata da queste andò ai Ciclopi, e gli trovò che nell’isola, Lipari or detta, e già Meliguni, stav
ano intorno ad una massa infocata, la quale preparavano per un lavoro che dovea servire per Nettuno, e consisteva in un vas
incudini sonanti, il vento dei mantici e l’urlo delli stessi Ciclopi, che rimbombava l’Etna, l’isola tutta, l’Italia vicina
va, i cui attributi unì l’ Ariosto nella seguente maravigliosa ottava che fa indirizzare a Diana da Medoro, famoso per la f
à e per gli amori non sperati, frutti della sventura. « O santa Dea, che dagli antichi nostri Debitamente sei detta trifor
ità, tratta dal Museo Clementino del celebre Visconti. Quindi Ovidio, che ho tradotto seguendo il mio costume, vi narrerà i
la quale esprime eccellentemente il movimento della dea e ne’ capelli che leggermente svolazzano, e nell’andamento dei pann
la figlia di Latona. Si vede la dea in atto di estrarre dal turcasso, che tiene appeso agii omeri, una freccia per lanciarl
, così appunto senza maniche come un antico scoliaste ce la descrive, che lasciava il braccio nudo incominciando dagli omer
la descrive, che lasciava il braccio nudo incominciando dagli omeri e che si vedeva in moltissime statue di divinità femmin
; tutto l’abito insomma è tanto semplice quanto a una dea si conviene che è nemica d’amore. Notabile è nella no stra statua
dea si conviene che è nemica d’amore. Notabile è nella no stra statua che non è succinta come le sue immagiai ce l’offrono
ol quale ha creduto il senator Bonarroti di render ragione dell’abito che giunge fino a’ piedi di una sua Diana. La sua azi
ua Diana. La sua azione è quella di saettare, nè dee farci maraviglia che tuttavia non sia stata scolpita succinta, quando
eta della famiglia Ostiglia l’osserviamo in veste talare con un cervo che ha raggiunto, stretto da lei per le corna colla s
ra, e con una lancia da cacciatrice nella sinistra. E poi si può dare che l’espressione del nostro simulacro non sia quella
he l’espressione del nostro simulacro non sia quella della caccia, ma che lanci i suoi dardi o contro il tentatore Orione,
ssima statua mi è sembrata meritare tanta attenzione, quanto la benda che le avvince la fronte. Ha osservato Winkelmann che
ne, quanto la benda che le avvince la fronte. Ha osservato Winkelmann che siffatta benda è propriamente il credemnum de’ Gr
siffatta benda è propriamente il credemnum de’ Greci, ed io rifletto che l’etimologia stessa di quella voce lo insegna. Cr
uella voce lo insegna. Credemnum non è altro, anche secondo Eustazio, che vìncolo o laccio del capo; ottimamente dunque si
l capo; ottimamente dunque si appropria questo nome a siffatte bende, che non solo i capelli, ma il capo stesso e la fronte
engono alla descrizione dell’antico credeimio anche le due estremità, che in alcune immagini si osservano pendenti, poiché
esso Omero con quelle appunto si copre e asconde le gote. Quello però che non sembrami avere il Winkelmann dimostrato, e ch
gote. Quello però che non sembrami avere il Winkelmann dimostrato, e che io credo insussistente, è la sua massima che qual
Winkelmann dimostrato, e che io credo insussistente, è la sua massima che qualunque statua con tal benda si osservi debba a
cotea. Il fondamento di ciò è la favola Omerica, nella quale si narra che questa diva del mare die il suo credemno al naufr
al naufrago Ulisse perchè gii fosse di scampo. Deducesi da tutto ciò che Ino o Leucotea con tal benda soleva effigiarsi: n
effigiarsi: non mi sembra per altro legittima conseguenza l’inferirne che questa sola dea ne avesse il capo adornato. L’isp
ce la mostra assai frequentemente in figure virili, e anche barbate, che sono per altro della compagnia di Bacco, per tace
altro della compagnia di Bacco, per tacere l’immagine di questo nume, che ne hanno cinta la fronte. E dunque piuttosto il c
no cinta la fronte. E dunque piuttosto il credemno un ornato bacchico che si dava a Leucotea come nudrice di Bacco, non cos
drice di Bacco, non così proprio per altro di questa seconda divinità che non possa attribuirsi ad altro soggetto; così ne
a circondata la fronte l’Urania colossale del Palazzo Farnese, e quel che è più osservabile questa nostra Diana, Omero stes
suo poema ne adorna le ninfe dello Scamandro. « Vero è con tutto ciò che forse questa è la sola figura che non sia bacchic
o Scamandro. « Vero è con tutto ciò che forse questa è la sola figura che non sia bacchica, la quale s’incontri con simile
non avendo col jiume tebano alcuna cognita relazione. Potrebbe dirsi che Bacco, come deità della campagna, era ancora una
ia. Spesso in atto di cacciatori veggonsi i Fauni e anche i Centauri, che pur sono suoi seguaci: Narcisso in una pittura de
e cacciatore, è ornato d’una corona bacchica. Anzi osservo in Polluce che un abbigliamento, che da lui ai cacciatori si att
d’una corona bacchica. Anzi osservo in Polluce che un abbigliamento, che da lui ai cacciatori si attribuisce, non si osser
liamento, che da lui ai cacciatori si attribuisce, non si osserva ora che nelle immao’ini di Bacco de’ suoi seguaci. E ques
a che nelle immao’ini di Bacco de’ suoi seguaci. E questo l’ephaptis, che secondo Polluce è un piccol manto col quale si co
secondo Polluce è un piccol manto col quale si coprivan le mani quei che sul teatro rappresentavano i cacciatori. Simili m
ani quei che sul teatro rappresentavano i cacciatori. Simili mantelli che nascondono per lo più una sola mano, si veggono s
Sileno, uno dei quali in bronzo, è presso di me e in altre immagini, che pure a simili soggetti appartengonsi. « Commento
perchè non la veggo peranco dagli eruditi rilevata in que’ monumenti che ce la mostrano. Anzi questa riflessione mi fa sov
isa avvolta nel manto. Non mi sembra d’errare quando lo credo Alcide, che presso ad Onfale o presso a Jole così mollemente
zo di Napoli dalla corona di pampani. « Finalmente se taluno vi fosse che amasse tanto l’opinione di Winkelmann che volesse
nalmente se taluno vi fosse che amasse tanto l’opinione di Winkelmann che volesse assolutamente avere per Leucotea, o per p
elmann stesso denominò Cadmo una simil testa virile, si potrebbe dire che la nostra statua non Diana rappresenti, ma Agave
antiche e più belle statue greche. Diana succinta. « L’abito succinto che appena giunge al ginocchio, la faretra appesa agl
li omeri, l’attitudine del corso espresso in tutte le membra, il cane che Taocompagna, indicano abbastanza la cacciatrice D
quella figura alla presente statua in ogni più minuta particolarità, che non può dubitarsi che non provengano queste diver
esente statua in ogni più minuta particolarità, che non può dubitarsi che non provengano queste diverse immagini da un mede
rii degli antichi, de’ quali doveva esser calzata l’immagine di Diana che le promette in voto il virgiliano Micene in que’
avvinte le gambe. » La tonaca è breve, e così raccolta dalla cintura che le lascia scoperte le gambe, come appunto bramava
e spalle, la faretra le pende dagli omeri. Alcuni eruditi han creduto che il portar alle spalle il turcasso sìa distintivo
non delitto: Ahi qual può nell’error esser delitto: Sorgeva un monte che di varie belve Macchiò la strage: il sole in mezz
chiò la strage: il sole in mezzo al cielo Facea l’ombre minori, allor che chiama L’Ianzio giovinetto i suoi compagni, Che g
ente ai detti La schiera le dilette opre interrompe. S’apre una valle che Gargafia ha nome Cui l’acuto cipresso orrore accr
soleva Terger nell’acque le virginee membra Nella caccia stancate. Or che vi giunse, A ninfa delle certe armi custode Conse
a col collo a tutte Sopravanza Diana:15 avea la faccia Eguale a nube, che pel sole avverso Fiammeggia, o come è dell’Aurora
: e detti aggiunge Che nunzi sono del futuro danno: Or ti lice narrar che senza velo Mi vedesti se il puoi: — nè più minacc
on tutti Rapidi più del vento, Ileo feroce, E Lelape, e Teronte, Agre che trova Orme di belve con sagaci nari, E mille velt
Teronte, Agre che trova Orme di belve con sagaci nari, E mille veltri che è il ridir dimora. La turba, che furor di preda i
elve con sagaci nari, E mille veltri che è il ridir dimora. La turba, che furor di preda infiamma, Fra rupi e tane, fra sco
il capo Al suo nome rivolge: essi querela Fanno ch’ei sia lontano, o che non pasca Gli occhi bramosi nell’offerta preda. E
be, ed è presente: Vedere e non sentir le prove atroci Dei feri cani, che immergean la bocca Nel petto, e in forma di falla
armi), le freccie, la faretra: io sono figlia di Latona come Apollo: che s’io prenderò in caccia qualche serpe solingo, qu
vetta del monte Parrasìo delle cerve saltanti, alta e mirabile cosa, che pasceano sempre sulla riva dell’ Anauro da’ neri
mortali con grave gelo flagella. Qui da un pino tagliasti la fiaccola che accendesti sul Miso Olimpo con quella luce inesti
accola che accendesti sul Miso Olimpo con quella luce inestinguibile, che dai fulmini del tuo padre deriva. Quante volte, d
quarta scoccasti le infallibili saette sopra una città di scelerati, che contro i suoi, contro gli stranieri, molte colpe
figliuoli, muoion le gravide donne, o partoriscono nell’esilio figli che non si reggono sopra i piedi. A quelli che tu pla
oriscono nell’esilio figli che non si reggono sopra i piedi. A quelli che tu placida e dolce-ridente guardi, sono feconde l
rtando lungo spazio d’anni: non divora le loro famiglie la discordia, che scote le case piii ferme; pongono le sedie intorn
di tutte l’imprese tue si favelli, dei cani, degli archi, dei cocchi, che leggermente ti trasportano quando vai verso la se
eve le tue armi. Apollo la tua caccia. Ma non ha più questo premio da che il fiero Alcide è venuto nel cielo. Egli ostinata
cide è venuto nel cielo. Egli ostinatamente sta alla porta aspettando che tu rechi qualche pingue pasto, e ridono senza fin
l soccorso: lascia pascere sui monti le capre selvaggie e le lepri: e che fanno di male? ma i cignali offendono i seminati,
orace, ed ha quel medesimo ventre col quale s’in contro in Teodamante che arava, e fé’ suo pasto un bove. A te, o Diana, le
ve distaccate dal giogo, e recano loro il trifoglio facile a nascere, che mietono dai prati di Giunone, e che pascon i dest
ro il trifoglio facile a nascere, che mietono dai prati di Giunone, e che pascon i destrieri di Giove. Tu vai, diva, intant
a Procri consorte di Cefalo Peionide amato dall’Aurora. Dicono ancora che tu ami al pari delle tue pupille la bella Antidea
ueste già portavano gli agili archi e il turcasso intorno agli omeri, che spogliati dal lato destro mostravano l’ignudo sen
ti accertare il colpo ed inseguir le fiere coi cani. La lodano quelli che furono chiamati per la caccia del cignale di Cali
gnale di Calidone: infatti i segni della vittoria vennero in Arcadia, che possiede ancora i denti della belva. Nè Ileo e lo
eo e lo stolto Reco, benché nemici, possono vituperarla nell’inferno: che non mentirebbero le loro viscere, che sparsero di
ssono vituperarla nell’inferno: che non mentirebbero le loro viscere, che sparsero di sangue la Menalia montagna. « O Diana
ntagna. « O Diana, tu hai molti templi, molte città: tu abiti Mileto, che fondò sotto i tuoi auspici Neleo figliuolo di Cod
troiano. Salve, o venerabile custode dei porti; e niuno ti disprezzi: che ad Eneo, il quale ne spregiava gli altari, toccar
giava gli altari, toccarono in sorte pugne infelici: nè vi sia alcuno che ardisca di contrastarle l’arte di ferir cervi, ch
: nè vi sia alcuno che ardisca di contrastarle l’arte di ferir cervi, che premio doloroso di questo vanto riportò Agamennon
le tue nozze. Non ricusate la solenne danza annuale in onore di lei; che questo rifiuto costò lacrime a Ippona. » Fin qui
sa é dipinto l’orlo della sottoveste. Rossa è la cigna della faretra, che dalla spalla destra viene a passare sulla mammell
ci dei calzari. Stava questa statua in un piccol tempio di una villa, che apparteneva alla sepolta città di Pompeia. « Gene
e apparteneva alla sepolta città di Pompeia. « Generalmente Diana più che ogni altra delle dee maggiori ha la figura e le s
a, sua piacevole occupazione, e quale appunto si conviene ad una dea, che per lo più rappresentasi in atto di correre; cioè
ppresentasi in atto di correre; cioè diretto orizzontalmente in guisa che stendasi sui circostanti oggetti. I suoi capelli
uppo, o nodo, senza diadema, e senza quegli altri attributi, o fregia che le furono dati nei tempi posteriori. La sua figur
i posteriori. La sua figura è più svelta, ed ha membra più pieghevoli che Giunone e Pallade; cosicché Diana mutilata si ric
Omero, fra tutte le sue belle Oreadi distinguevasi: per lo più non ha che una corta veste, la quale non le oltrepassa il gi
inocchio; ma talora è pure effigiata in veste lunga, ed è la sola d^a che in alcune sue figure porti scoperta la destra mam
presentato il sacrifizio di Oreste e di Pilade, si vede Diana Taurica che tiene un ferro nel fodero per indicare i sacrifiz
vi è indicato per una testa di toro scorticato, sospesa ad un albero che ad essa è vicino. « La sola antica testa di Diana
per dare un bacio a Endimione addormentato. Giulio Scaligero pretende che queste ninfe per esser distinte non portino il tu
esser distinte non portino il turcasso sulle spalle, ma al fianco, il che non si saprebbe provare cogli antichi monumenti,
presenta una Driade, di cui la parte inferiore è formata di foglie, e che tiene un’ asce nelle sue mani: la più cognita fra
sciogliere Fazione, ci palesa l’innocenza del suo seguace, ed ordina che nella patria onori gli sieno fatti. Quindi ho cre
escrizione della morte di Ippolito, la quale ho tra ciotta da Racine, che ne accrebbe le bellezze derivate dal nominato tra
o Schiera ch’imita il suo silenzio, e gara Ha di mestizia col signor, che segue Pensoso il calle Miceneo. Le briglie Erran
to, il cielo Inorridisce e si avvelena, il suolo Crolla, e quell’onda che il portò sul lido Verso il mare dà volta impaurit
’eroe frenarli tenta, E per, sanguigna spuma è rosso il morso. Fama è che un nume nel tumulto orrendo Pungea di sproni il p
d’eterno pianto Questa immagin crudele. Io vidi, io vidi Dai destrier che la sua mano nutria Strascinato quel tuo misero fi
, brevi e generali notizie intorno ai templi vi diedi, promisi ancora che dei più famosi derivata avrei dagli scrittori la
lla mia promessa ragionando del famoso tempio sacro a Diana in Efeso, che si annoverava fra le sette meraviglie del mondo.
ando andarono a far guerra a Teseo ed agli Ateniesi. Ma Pausania dice che a questo gran poeta non era nota 1’ antichità di
ei tempio si erano rifugiate. Ci vien riferito da Dionigi il Geografo che ve ne ha uno molto più antico fabbricato dalle me
ene dimostrava la semplicità dei primi templi, giacché non consisteva che in una nicchia scavata in un olmo, in cui apparen
Diana. Quello del quale io parlo era meno antico. Ecco la descrizione che fa Plinio di questa magnifica mole. « Fu fabbric
in un luogo paludoso per assicurarlo dai terremoti e dalle crepature, che alcune volte nella terra si fanno; ed affinchè le
sso autore, 425 piedi di lunghezza e 200 di larghezza: le 127 colonne che sostenevano Tedifizio sono state donate da altret
vorate collo scalpello, e una di mano del celebre Scopa. L’architetto che condusse a fino questa greca mole fu Chersifrone,
fino questa greca mole fu Chersifrone, Ctesifone, ed è cosa mirabile che siansi potuti mettere in opera architravi di sì g
una pietra di maggior mole sopra la porta del tempio. » Crederebbesi che Plinio, mancandone la relazione, avesse immaginat
’architetto, al quale apparve Diana esortandolo a farsi animo: e dice che il seguente mattino vi-, desi la pietra discender
e adattarsi nel luogo in cui si dovea collocare. Si potrà ben credere che il tetto del tempio fosse di tavole di cedro, con
architetti vi travagliarono, e ben 220 anni di tempo ci vollero prima che fosse interamente compita. Dovevano le ricchezze
ificio, non tanto per la divozione, quanto pel gran concorso di gente che portavasi ad Efeso. Quel che racconta San Paolo d
zione, quanto pel gran concorso di gente che portavasi ad Efeso. Quel che racconta San Paolo della sedizione tramata dagli
onta San Paolo della sedizione tramata dagli orefici di questa città, che tiravano il loro sostentamento nel formar piccole
può ben provare la celebrità del culto di quella dea. Sembra peraltro che la descrizione fattane da Plinio riguardi il temp
bra peraltro che la descrizione fattane da Plinio riguardi il tempio, che fu bruciato da Erostrato nella maniera che a tutt
Plinio riguardi il tempio, che fu bruciato da Erostrato nella maniera che a tutti è ben nota: imperocché quello che esistev
da Erostrato nella maniera che a tutti è ben nota: imperocché quello che esisteva a suo tempo era stato fabbricato da Dino
stato fabbricato da Dinocrate, o, secondo Plinio, Dinocare, ristesse che disegnò la città di Alessandria, e che del monte
ndo Plinio, Dinocare, ristesse che disegnò la città di Alessandria, e che del monte Atos voleva fare una statua ad Alessand
he del monte Atos voleva fare una statua ad Alessandro. Quest’ultimo, che fu veduto da Strabene, era altrettanto vago e pie
. Parla Senofonte di una statua d’oro massiccio, della quale Erodoto, che visitato avea questo tempio, non fa parola. Assic
to, che visitato avea questo tempio, non fa parola. Assicura Strabene che gli Efesii aveano ancora collocata per gratitudin
o in onore d’Artemidoro, uno degli artefici del tempio. Dice Yitruvio che questo tempio d’ ordine ionico era dipterico, val
ti circondato da due ordini di colonne in forma di un doppio portico, che aveva 71 pertica di lunghezza, più di 36 di largh
portico, che aveva 71 pertica di lunghezza, più di 36 di larghezza, e che vi si contavano 127 colonne tilte 60 piedi. Era q
Marcantonio raddoppiò questo spazio; ma Tiberio per evitare gli abusi che commettevansi col favore di tali privilegi, abolì
, abolì quest’asilo. Non troviamo in oggi di un così celebre edifizio che alcune ruine, delle quali può vedersi la relazion
to tempio colla figura di Diana: ma il frontespizio, nel breve spazio che ha tal sorta di monumenti, non è adornato che di
pizio, nel breve spazio che ha tal sorta di monumenti, non è adornato che di sole otto colonne, qualche volta di sei, di qu
cia di Meleagro, e le sventure e i delitti onde venne accompagnata, e che ho tradotto da Ovidio. Caccia di Meleagro. Dedal
. Per l’argive città la fama errante Spargea di Teseo il nome, e quei che chiude L’Achea ferace a lui chieser soccorso Nei
cinghiai ministro E vindice. Volò pubblico grido Che Eneo, per l’anno che con larga usura Rese ai cultori gli affidati frut
’umor biondo di olivo, Onde a tutti gli Dei giunse l’onore Ambizioso, che agli agresti numi Nel principio si dee. Solo a Di
di compagni illustri A schiera eletta. Vi è la doppia prole Di Leda, che diverso onor commenda; Giason ch’osava violare i
. Appena L’eroe di Calidon la vide, ed arse, E felice, esclamò, colui che degno Di tue nozze farai: nè più concesse Il loco
il suo periglio. Vi era concava valle, ove discende L’acqua dei rivi che le piogge unisce. Qui violento i suoi nemici inco
nemici incontra Il cinghial, più di folgore veloce, Che vien da nube che squarciata tuona. Cede ogni ramo, l’abbattuta sel
nume Quanto puote acconsente: egli percuote Senza piaghe il cinghiai, che tolto avea Diana il ferro dello strai volante. Cr
e. Cresce la rabbia della belva. È lieve Sembianza all’ira sua folgor che abbatte Ed arde i templi del suo Giove: orrenda L
gli, Non stelle ancora eh’ il nocchiero implora. Su due destrieri più che neve bianchi Ivano, e d’ambo dalla man vibrato Fi
sta dei compagni: e chiede Toccare ognun la vincitrice destra. E lui, che tanto della terra ingombra, Miran stupiti, e l’ac
o, e tinger tutti a gara Il vano ferro nell’irsuto tergo Della belva, che morta ancor spaventa. Ma d’Eneo il figlio coli’ i
il dolore, e muta In amor di vendetta il vano pianto. Eravi un ramo, che le tre sorelle Arbitro della vita avean sul fuoco
ava il furor; lacrime nuove Trova sul ciglio la stupita mano ual nave che rapisce il vento e l’onda Sente il doppio furore,
rli affetti. Or depon l’ira, or la nutrisce: alfine È sorella miglior che madre, e vuole Placare le cognate ombre col sangu
re Aggiungi, crudo, alle fraterne tombe. Ah lo voglio, e noi posso: e che far deggio? Dei fratelli mi stanno innanzi agli o
fu presso gli antichi rappresentata. Luna fu detta, perchè non altro che questo astro reputavasi, come dal consenso risult
eputavasi, come dal consenso risulta di tutti i poeti. E favoleggiano che per Endimione pastore le stelle abbandonasse, col
one pastore le stelle abbandonasse, colla speranza dei furti amorosi, che nei sassi del monte Latmo celar pretese « Ai tan
lenzio sedea tuo fido auriga. » Ecate fu da molti reputata lo stesso che Diana e la Luna. Non è qui luogo di discutere 1’
luogo di discutere 1’ origine di questa opinione. Osserverò solamente che secondo Esiodo, che ha conservata l’antica sempli
’ origine di questa opinione. Osserverò solamente che secondo Esiodo, che ha conservata l’antica semplicità delle favole, q
questo. titolo ebbe un tempio presso gli Argivi. Ortia scrive Esichio che fosse denominata Diana da una regione dell’Arcadi
zione ai luoghi, ove le sorgevano templi, ovvero ai diversi attributi che stimavano spettarle. Quanto al simulacro ed al cu
azione: « Assai ci sorprenderebbe la stravagante immagine della dea, che in questa tavola ci si presenta, quando già da tr
Se dunque non ce ne giunge nuova la rappresentanza, altro non faremo che considerar di passaggio il rapporto de’ moltiplic
de’ moltiplici attributi dei quali è carico, colla divinità medesima, che n’ è il so^ra^etto. A ragione si è lamentato Gron
è il so^ra^etto. A ragione si è lamentato Gronovio degli antiquarii, che invece di spiegare tutti que’ simboli coll’arcana
uarii, che invece di spiegare tutti que’ simboli coll’arcana teologia che questa dea riguardava, abbiano accozzati insieme
l sistema dei Gentili riguardo a questo antichissimo simulacro, cioè, che lo consideravano come un simbolo della natura. Co
na con molte mammelle adoravano quei d’Efeso, non quella cacciatrice, che tiene l’arco ed è succinta, ma quella multimammia
la cacciatrice, che tiene l’arco ed è succinta, ma quella multimammia che i Greci chiamano (grec) affinchè con quella effìg
o quaggiù vediamo. « Su questo principio andremo spiegando tutto quel che ci offre di misterioso questa bizzarra figura. In
Se si vuol riconoscere in questa figura un vestigio dell’arte egizia, che pure ne’ tempi antichissimi potè avere sulle arti
vi lo stile egiziano di rappresentare come fasciate le loro immagini, che potè dalle loro mummie trarre 1’ origine. Questo
to rozzo corpo del simulacro è stato poi di varii emblemi arricchito, che tutti han relazione all’idea che si eran formata
ato poi di varii emblemi arricchito, che tutti han relazione all’idea che si eran formata que’ popoli del significato della
lor divinità. A questa sola spiegazione lian rapporto le varie fasce che la circondano, dove hanno alcuni travedute, o le
iò si veggono nelle medaglie e nelle gemme come rette da due bastoni, che veru si appellavano dall’antichità, per esser sim
cia, e così confacenti a Diana. Un luogo di Minucio Felice l’attesta, che , guasto da’ critici, è stato colla sua vera lezio
a. » Questa descrizione vien confermata da tutte le antiche medaglie, che di simili sostegni fornita ce la presentano. Sicc
munita in eccelsi luoghi sostiene le città, come simbolo della Terra, che riguardata come la madre delle cose quaggiù esist
ntichi essere presa indifferentemente per la stessa natura, tanto più che da lei alcuni filosofi derivavano persino il Sole
he da lei alcuni filosofi derivavano persino il Sole. Quel gran disco che le contorna tutto il capo non è già un velo, come
mbo, solito aggiungersi intorno al volto delle deità. L’orlo rilevato che lo termina, dimostra abbastanza che non è un velo
olto delle deità. L’orlo rilevato che lo termina, dimostra abbastanza che non è un velo; e ne’ monumenti che ci mostran vel
he lo termina, dimostra abbastanza che non è un velo; e ne’ monumenti che ci mostran velata la Diana d’Efeso, questo velo è
sovente nelle antichità dell’ Egitto, e il nome di (grec), o lunette, che avevano presso i Greci simili nimbi, è un’ altra
I leoni si veggono sulle spalle e sulle braccia della dea: ma quello che v’è di più osservabile è il suo petto e la sua co
ità, di due mezze figure femminili nude ed alate. Si scorge benissimo che la forma umana non si estende sino alla metà infe
on sembra sì facile il supplirla colla immaginazione. Io per me credo che le lor gambe dovrebbero essere di volatile in cor
or gambe dovrebbero essere di volatile in corrispondenza delle ali, e che queste altro non siano che le sirene. La lor figu
di volatile in corrispondenza delle ali, e che queste altro non siano che le sirene. La lor figura intera sembra indicata i
no che le sirene. La lor figura intera sembra indicata in alcuni rami che sono nel Tesoro Gronoviano uniti alla dissertazio
Menestrier rappresentanti questa Diana medesima. Ed è molto probabile che siccome in altre si sono espresse le sfingi per d
ella nostra, e in altre ancora, sieno state scolpite le sirene. Certo che chiamarle sfingi, come taluno ha fatto, mi sembra
braccia. Si potrebbero dire le Stìnfalidi, secondo alcuni scrittori, che iianno rappresentato questi uccelli come mostri d
ti son le Stinfalidi diversamente espresse, sarà sempre più credibile che sien sirene. « Enumerati così i varii simboli di
rati così i varii simboli di questa immagine misteriosa, e conosciuto che abbiamo esser tutti emblemi della natura, altro n
iatica religione, conformemente a quelle parole di un certo Demetrio, che leggiamo negli Atti degli Apostoli, che l’Asia no
parole di un certo Demetrio, che leggiamo negli Atti degli Apostoli, che l’Asia non solo, ma tutto l’universo adorava la g
niverso adorava la gran Diana Efesina. Era questo Demetrio un orefice che lavorava in argento dei tempietti della dea con u
sopra di questa la mezza luna, simbolo di Diana, e il suo simulacro, che dovea esservi in antico, ora manca. « Si comprend
imulacro, che dovea esservi in antico, ora manca. « Si comprende però che avea maggior risalto che il rimanente del lavoro,
vi in antico, ora manca. « Si comprende però che avea maggior risalto che il rimanente del lavoro, perchè la gemma è alquan
il rimanente del lavoro, perchè la gemma è alquanto scavata nel sito che gli corrispondeva. Nelle porte laterali si vedono
Apostolici, e perchè è troppo aderente al nostro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto il sa cello della dea che il g
stro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto il sa cello della dea che il gran tempio, perchè diversamente architettato
chè diversamente architettato si osserva questo nelle medaglie. Si sa che le colonne erano scanalate, quasi ad imitazione d
unto le colonne incise in una patera etrusca insieme con due Amazoni, che ora si è smarrita, e che certameute alludeva alla
una patera etrusca insieme con due Amazoni, che ora si è smarrita, e che certameute alludeva alla fondazione di quel gran
sto, ed è prezzo dell’opera riportar le avventure di questa infelice, che Giove sedusse, mentre s’aggirava sulla terra biso
ni dall’ ardimento di Fetonte prodotti. Uditene il racconto da Ovidio che ho tradotto: Cura del nume era l’Arcadia: impera
eloci. È breve ogni favor: Pv^egnava il sole In mezzo al cielo, allor che in denso bosco Cercò le note ombre Calisto, e tol
aggior di Giove, Giudice me. L’ascolta il nume, e ride, E cento baci, che non dà fanciulla, Sopra la bocca alla risposta pr
o fiore. Ben lo vider le ninfe. Avea la luna Nove giri compiti, allor che stanca Per le fraterne fiamme un bosco grato Di f
a maritai colpa di Giove L’alta matrona, e differia la pena, Qual uom che a nuocer luogo e tempo aspetta. Or d’indugio ragi
pietà col suo pregar non mova, E si disserra dalla roca gola La voce che ha terror, minaccie ed ire. Orsa è fatta: ma rest
cora a quella mistura di diverse opinioni or popolari or filosolìche, che formano la religione dei popoli antichi. Erodoto
ione dei popoli antichi. Erodoto, citato da Pausania, lasciò scritto che Minerva dicevasi figlia di Nettuno e della palude
ebrata era in quel loco la nascita della dea. Inventore dell’opinione che vuol Pallade nata dal capo di Giove fu Stesicoro,
e dell’opinione che vuol Pallade nata dal capo di Giove fu Stesicoro, che volle forse con questo racconto, in apparenza rid
orse con questo racconto, in apparenza ridicolo, insegnare ai mortali che la sapienza in Pallade figurata era interamente f
apienza in Pallade figurata era interamente fisrlia di dio. Luciano, che burlando or insegnò, or pervertì, nei dialoghi de
on quella grazia ch’è tutta sua, Giove afflitto dai dolori del parto, che non il soccorso di Lucina implora, ma quello di V
l parto, che non il soccorso di Lucina implora, ma quello di Vulcano, che con acutissima scure fa gli uffizii di levatrice,
erva; e questo luogo per patria del nume vien confermato da Strabone, che riporta che Rodi ancora si arrogava questo vanto.
to luogo per patria del nume vien confermato da Strabone, che riporta che Rodi ancora si arrogava questo vanto. Apollodoro
ue da Pallade Minerva, scrivendo la prima esser madre alla seconda, e che vennero ambedue, come guerriere, in contesa: Pall
: Giove oppose l’egida, onde spaventata fu uccisa dalla madre rivale, che afflitta quindi ne formò l’effìgie, e le pose sul
to quell’arme, cagione di terrore e di morte. Questo simulacro è fama che fosse il celebre Palladio che Troia difendeva. Ta
ore e di morte. Questo simulacro è fama che fosse il celebre Palladio che Troia difendeva. Tale discordia di natali e di ge
l capo di Giove si attribuiscono tutte le glorie dell’altre, e dicono che Teducazione di lei fu subito confidata a Dedale i
Teducazione di lei fu subito confidata a Dedale ingegnosissima donna, che in ogni buona arte ammaestrò la fanciulla. Nella
i, il cocchio e le cavalle macchiò di molto sangue, e vogliono alcuni che in tal circostanza di Pallade sortisse il cognome
della Terra. Nei petti più sicuri poneva terrore lo scudo della dea, che nel fine della presente Lezione vi sarà descritto
e cento intrichi Facean guizzando di Medusa intorno Al fiero teschio, che così com’era Disanimato e tronco, le sue luci Vol
o chi sia l’autore delllnno a Venere, così parla di Minerva, dicendo che ignote le erano le dolcezze dell’amore: « Alla fi
Il nitrir dei cavalli, Il picchiar degli scudi, Delle rote il fragor; che la grand’asta Sull’egida battendo empi di lampi D
gida battendo empi di lampi Di Maratona i campi E le rupi Erettee: tu che d’Atene Vai per la notte oscura Visitando le mura
serpi Sull’usbergo immortal: tu qui presente, Vergine armipotente, o che ti piaccia Poliade chiamarti. Od Equestre Minerva
dea. Mostrò alle fanciulle, secondo l’Inno omerico, tutti gli uffìcii che la solitudine rendono cara delle domestiche paret
estiche pareti. Luciano in un suo dialogo intitolato Hermolimo narra che venuta a contesa con Nettuno, oppose al toro, ovv
per ninno ritrovato acquistò maggior fama e riconoscenza dai mortali che pel dono dell’oliva, il di cui albero, al dire di
liva, il di cui albero, al dire di Erodoto, non trovavasi anticamente che presso gli Ateniesi. La castità di Minerva è post
ra, e così credesi vederla in una medaglia posteriore a Troia. Avanti che le fosse data la civetta, il suo attributo era la
sopra il braccio sinistro per servire di difesa, nella stessa maniera che i Greci portavano i loro scudi all’assedio di Tro
ella parte interiore dello scudo per passarvi il braccio: circostanza che si avrebbe potuto riportare per schiarire un pass
e un passo di Snida. Nel combattimento si voltava lo scudo in maniera che copriva il braccio sinistro, e fuori dell’azione
uesto simbolo indica la sua vittoria sopra Nettuno cagionata dal nome che si trattava di dare ad Atene. Quando ella è col s
d’Igia dea della salute, come vi accennai: cosa talmente conosciuta, che mi sono maravigliato che Gronovio abbia potuto pr
come vi accennai: cosa talmente conosciuta, che mi sono maravigliato che Gronovio abbia potuto prendere simil figura per C
to prendere simil figura per Circe. La testa di toro ornata di bende, che si vede da un lato nelle medaglie ateniesi, signi
esentazioni rare è quella d’una pasta antica del Gabinetto Stosciano, che offre Pallade sonante due flauti, e rappresentata
in questa maniera si chiamava Pallade Musicale, perchè si pretendeva che i serpenti della sua egida si movesseso quando si
esseso quando si suonava il flauto in vicinanza. La Pallade Mecanica, che sopra un basso rilievo presiede alla costruzione
egualmente rara. Si è portati a prender per una trombetta il carcasse che una figura mutilata di una pittura di Ercolano ar
mata di arco e di freccia portata sulla spalla, per farne una Pallade che avea il soprannome di trombetta. La veste di ques
rombetta. La veste di questa dea è rossa, ed il manto, o la drapperia che vi è sopra è ordinariamente gialla nelle antiche
tigli di leone, il viso e il busto di fanciulla: e Pausania c’insegna che gli Ateniesi rappresentavano questo animale sull’
agine del pudor verginale scevra di ogni debolezza di sesso, in guisa che sembra aver domato lo stesso amoreIndi è che gli
lezza di sesso, in guisa che sembra aver domato lo stesso amoreIndi è che gli occhi di Pallade servono ad ispiegare quel no
o amoreIndi è che gli occhi di Pallade servono ad ispiegare quel nome che aveano le pupille sì presso i Greci che presso i
ervono ad ispiegare quel nome che aveano le pupille sì presso i Greci che presso i Romani. Questi chiamavanle pupille, cioè
Romani. Questi chiamavanle pupille, cioè fancilline, e quelli (grec), che suona lo stesso. Ha gli occhi meglio tondeggianti
llade aver lo suole, il capo armato d’elmo. Deggio qui però osservare che questa dea sulle greche monete d’argento della ci
t’epiteto indica una maniera particolare di legare le chiome: maniera che ha pur voluto spiegare il mentovato scrittore. E
a che ha pur voluto spiegare il mentovato scrittore. E anche vesimile che l’aver questa dea i capelli più lunghi dell’altre
a medaglia di Adriano nella biblioteca Vaticana. » Udite adesso quel che Visconti nota sopra una statua della dea. « Ques
insieme e sua difesa, onde trasse i titoli di (grec), e (grec), cìoò che ha bella ed aurea celata. E questa fregiata da du
Gli antichi, accuratissimi osservatori delle proprietà, reflettevano che questo appunto è il colore degli occhi de’ più fe
e’ più feroci e guerrieri animali, e per ciò l’attribuivano a Pallade che uscita dalla testa del padre degli Dei tutta arma
che uscita dalla testa del padre degli Dei tutta armata non respirava che battaglie e stragi. Ha F egida al petto, corazza
terrore, la tenzone e la fuga, simboleggiata nel capo della Gorgone, che vi trionfa nel mezzo. Ecco come ce la descrive Om
i a lacrimosa guerra. Cacciò alle spalle l’egida co’ fiocchi Orrenda, che ‘1 timore da per tutto, E la fuga d’intorno incor
in altri monumenti antichi, i serpi non appariscano. Osserva Fornuto che talvolta si figurava la Gorgone dell’ egida colla
cuni antiquari: tanto si son dilettati di misteriose interpretazioni, che in una simile testa rappresentata in gemma han tr
ntichi per altro supponessero la spoglia istessa del mostro piuttosto che la sua immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo
piuttosto che la sua immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo da ciò che narra Pausania, che nel tempio di Minerva Itonia
immagine sull’egida di Minerva, lo ricavo da ciò che narra Pausania, che nel tempio di Minerva Itonia essendo apparsa la d
In fatti la dea del sapere non poteva stare in compagnia più propria che quella delle Belle Arti, e il parto del cervello
propria che quella delle Belle Arti, e il parto del cervello di Giove che colle figlie di lui e della Memoria. Si vedevano
embi Veste l’usbergo, indi alle spalle adatta L’Egida incorruttibile, che vibra Per cento fiocchi sanguinoso lume: L’Egida
ruppi attorta L’anguivelluta Gorgone tremenda, Portento inenarrabile, che in mezzo Grandeggia, e sporge coU’atroce testa, E
Minerva. Gli attributi delle divinità antiche, le stesse sembianze che gii artefici ed i poeti loro davano sono consegna
cro della dea era con occhi di questo colore figurato. Pensano alcuni che di ciò fosse cagione la libica credenza che ascri
figurato. Pensano alcuni che di ciò fosse cagione la libica credenza che ascrive la nascita di Minerva alla palude Tritoni
dea derivano questo cognome, e Gellio crede con probabilità maggiore che glauchi gli occhi di Pallade si dicessero perchè
, o Guerriera, fu adorata dagli antichi, ed ebbe un’ara nell’Areopago che le consacrò Oreste, assoluto pel di lei voto dell
il cocchio con evento più felice della tibia, giacché favoleggiarono che dopo l’invenzione di questa, avendone tentato il
tentato il suono, si vide nell’acque per l’enfiate gote così deforme che da sé gettò lungi il mal trovato istrumento. Cust
ognominata Calcieca, perchè aveva presso loro un simulacro di bronzo, che Gitiade, pure spartano, aveva composto. E nella n
veva composto. E nella nona regione di Roma antica afferma P. Vittore che fu col titolo di Calcidica venerata: anzi è parer
tore che fu col titolo di Calcidica venerata: anzi è parere di alcuni che consecrato le fosse il tempio ove si adora adesso
fosse il tempio ove si adora adesso, vero nume, la Madre di Cristo, e che conserva nonostante coli’ unito ‘convento il nome
alla dea, perchè gli fu tolto un occhio da Alcandro, giovine feroce, che il popolo consegnò alla vendetta del suo legislat
d’imitare le opere antiche, eressero a Pallade i primi un simulacro, che da loro fu nominato. Rinomato presso i Danni, ant
chi popoli della Puglia, fu il tempio di Pallade Achea, dove fama era che si conservassero tutte l’armi di Diomede, che dal
de Achea, dove fama era che si conservassero tutte l’armi di Diomede, che dall’opportunità del luogo invitato, scese coi su
itolo d’ Igiea, o dea della Salute, ebbe statua nella rocca di Atene, che Pericle le pose facendo credere al volgo sempre s
ne, che Pericle le pose facendo credere al volgo sempre superstizioso che questa divinità gli si era in sogno manifestata p
insegnargli il modo di guarire un artefice insigne, caro alla plebe, che era caduto nell’assistere alla costruzione delle
simulacro di lei era d’avorio e d’oro, ed opera di Fidia, per quello che si credeva. Sul casco della dea l’artefice avea r
euti, Minerva ha una statua ove è rappresentata ferita in una coscia, che dice aver veduta Pausania con una legatura di pur
Spiega lo stesso il motivo di questo modo di rappresentarla, narrando che Teuti, il quale diede al luogo il suo nome, ferì
lade gli mostrava la ricevuta offesa: cadde atterrito in tal languore che ne perì; fu maladetta la terra ove abitava, e con
terilità eterna. Col tempo i popoli consultarono l’oracolo di Dodona, che loro propose di placare coll’accennato simulacro
imulacro Minerva. « L’attitudine di questa figura (così il Visconti) che tien posato lo scudo a terra, gentilmente reggend
somigliante a quello della Minerva Pacifera delle medaglie imperiali che si può sospettare che nella destra piuttosto che
della Minerva Pacifera delle medaglie imperiali che si può sospettare che nella destra piuttosto che l’asta, ristauro moder
e medaglie imperiali che si può sospettare che nella destra piuttosto che l’asta, ristauro moderno, sostenesse il suo olivo
l’insieme, e una buona disposizione di panneggiamento sì nella tonaca che nel manto, ed in oltre ci offre le armi di Pallad
o spesso la chiami (grec) Tryphaliam, nel triplicato cimiero, (grec), che ne adorna la sommità. L’ egida presenta così rile
che ne adorna la sommità. L’ egida presenta così rilevati i serpenti che la guerniscono, cbe ci dà qualche idea come doves
la di cui armatura erano con tanta sottigliezza ed artifizio lavorati che risuonavano al sonar di una cetra. Lo scudo final
a. Che poi tale si fin gesse lo scudo di Pollade apparisce da Plinio, che lo chiama parma al libro xxvi. Gli scudi argolici
kelmann (Monumenti antichi inediti, tomo II); quindi un simile scudo, che cadde dal tempio di Pallade in Argo, nello sposal
li scudi in tempi più vetusti appesi al collo. « La statua di Pallade che presentiamo è interessante pel movimento e per l’
i Pallade che presentiamo è interessante pel movimento e per l’azione che ci esprime al vivo il carattere bellicoso e feroc
aspetto della dea, niuna immagine ci può meglio rappresentare Minerva che impugna l’asta, colla quale rompe l’ intere squad
amertini. La dea ha le sue solite insegne, l’elmo, lo scudo argolieo, che a lei forse si dava perchè le armature fabbricate
io maggiore. Nel centro di questo è figurata, anzi è ripetuta l’egida che ha sul petto. L’egida usata da Giove per scudo sì
ppella di Parigi, rappresentante l’apoteosi di x\ugusto. È da notarsi che rari sono i simulacri degli Dei in un movimento s
le figure di Diana cacciatrice, di Minerva guerreggiante, e di Cupido che scocca il dardo. M’era caduto in pensiero se ques
iuttosto ad attribuire ad Enio dea della guerra, anzi la furia stessa che presiede alla strage: ma l’attributo dell’egida m
tributo dell’egida mi ha fatto abbandonare tal congettura, tanto piiì che l’attitudine minacciosa, all’idea che avevano di
nare tal congettura, tanto piiì che l’attitudine minacciosa, all’idea che avevano di Minerva i Gentili ed ai nomi che le di
dine minacciosa, all’idea che avevano di Minerva i Gentili ed ai nomi che le dierono ben corrisponde. La statua di scalpell
ono ben corrisponde. La statua di scalpello -infelice non ci conserva che il bel movimento dell’originale. MINERVA PACIFERA
ginale. MINERVA PACIFERA. « La clamide affibbiata sull’ omero destro, che distingue al primo sguardo questa maestosa figura
ltri simboli proprii di questa dea del valore e del sapere. Non è già che non apprendiamo dagli antichi scrittori la clamid
la nostra figura. oltre il vedersi più grandiosa e ricca delle altre, che in qualche rara statua femminile si osservano, ed
a statua femminile si osservano, ed esser propriamente di quel genere che paludamento appellavasi ed insigniva i capitani,
queste sulla parte manca del petto alquanto interrotte come in drappo che resti per qualche part^ aderente ad una superfìci
erfìcie aspra sottopostagli, la quale aiteri quella caduta del panno, che sarebbe determinata naturalmente dalla sua gravit
panno, che sarebbe determinata naturalmente dalla sua gravità. Sembra che da tal circostanza, certamente non rappresentata
mmagini della dea di Atene coperta del paludamento della guisa stessa che la nostra è rappresentata: fra l’altre così vesti
a nostra statua una testa antica non armata del suo consueto cimiero, che invece le si è fatto reggere colla destra, come l
e lodi della dea, alle quali dà principio esaltando la cura e l’amore che porta ai cavalli, la sua natia beltà, la nettezza
le in tal giorno anniversario non tocchino l’acqua del fiume Inaco, e che gii uomini non riguardino Pallade nuda, proponend
ivina bellezza, e termina col solito saluto e richiesta. Uscite voi, che nell’Inachio fiume Pallade laverete: e tutte usci
se ai corsier la polve Prima non tolse allo stancato fianco; Nè allor che vinti della terra i figli Tutte l’armi portò lord
e: a Palla cari Non son composti unguenti; e non portate Lo specchio, che alla dea regna nel volto Decoro eterno. E allor c
tate Lo specchio, che alla dea regna nel volto Decoro eterno. E allor che in Ida venne Alla gran lite del pastor troiano, N
è il frutto Del melagrano. Il maschio olio soltanto Però recate, con che s’unge Alcide E Castore; togliete un pettin d’oro
to, onde il crine e le disperse treccie Unisca. Esci, o Minerva, ecco che grata Schiera t’incontra d’Acestorie figlie. Lo s
iomede arreca, Come in Argo è costume antico. Eumede Lo insegnò allor che decretata morte Oli preparava il popolar furore.
balze. Che Pallatìdi han nome. Esci, Minerva Sterminatrice di città, che l’elmo Dorato porti, della bionda testa Ornamento
e voi l’urne recate. Ancelle ad Amimone, a Danao prole, O a Fisadea, che , sparse d’oro e fiori Inaco l’onde sue, verrà dai
d’oro e fiori Inaco l’onde sue, verrà dai colli Lieti per erba, e fia che rechi a Palla Gentil lavacro: ma, Pelasgo, avvert
espia antica O ad Aliarto, o a Coronea volgeva Le frementi cavalle, e che scorrea L’are e la selva del Coralio fìume, E l’o
ma il volto incerto Adombra. Lo condusse al sacro fonte Coi cani sete che ogni dire avanza, E quivi ciò che ad un mortai no
ndusse al sacro fonte Coi cani sete che ogni dire avanza, E quivi ciò che ad un mortai non lice, Misero: ei vide: a lui, be
divina, Ritratta i detti del furor; non feci Io cieco il figlio tuo, che grato a Palla Non è rapir gii occhi ai fanciulli;
regando di veder cieco soltanto Atteon giovinetto, il caro figlio: Ah che a lui non varranno esser nel corso A Diana compag
nel corso A Diana compagno, e dei volanti Dardi l’arte comune, allor che ai bagni Cari a Diana involontario errore Lo cond
, e l’ossa sole Troverà del suo figlio; e tu felice, Diva, sei stata, che dai monti avesti Privo soltanto della vista il fi
a il figlio. Deh non piangere, o cara: il tuo fanciullo Attendon doni che del nostro amore Saranno eterna fede: illustre va
iran del sacro petto L’avverate risposte. E gran sostegno A lui darò, che l’orme e guidi e regga, E spaziosa vita. Ancora a
le paterne armi sonante Dalla testa immortal. Vieni, o Minerva, E voi che Argo, o fanciulle, in cura avete, Acclamate la de
Dei, degli uomini, delle belve, favoleggiarono i più fra gli antichi che nascesse dal sangue della disonesta ferita, colla
obile opera dell’illustre Apelle. Spreme dalle lunghe chiome la spuma che è nei crini. Pallade, avendola veduta, così parlò
parlò con Giunone: E giusto cedere a Venere nella bellezza. — Dicesi che concepita in una conchiglia ripiena di perle, nav
re degli Inni Omerici al contrario narra l’aura rugiadosa di Zeffìro, che dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in
rando la porta sopra molle spuma in mezzo al mare risonante. L’Ore (e che bel quadro sarebbe mai questo:), l’Ore coi capell
to ebbero disposto intorno al corpo di Venere, la condussero dai numi che gareggiavauo per abbracciarla, ed ognuno chiedeva
ole, e dalle nere palpebre. Fin qui Omero: ma Cicerone lasciò scritto che più furono le Veneri adorate dagli antichi, nate
rza, da Giove e da Dionea creata, fu moglie di Vulcano. Platone vuole che vi siano due Veneri, la celeste e la popolare, di
este. Epimenide Cretese, seguendo un parere del tutto op posto, pensa che di Saturno ed Evenirne Venere fosse figlia. L’opi
no ed Evenirne Venere fosse figlia. L’opinione più comune si è quella che alla spuma del mare fecondata dal sangue di Celo
di Afrodite, col quale i Greci chiamavano Venere, non altro significa che spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole che app
re, non altro significa che spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole che appena nata andasse al monte Citerò, da cui di Ci
nelle loro caverne. Arrivata alla capanna dell’eroe Anchise lo vide, che in disparte dagli altri suonava la cetra. La figl
ogni tempo dell’anno vaghe ostie ti saranno immolate: e tu concedimi che fra i Troiani io mi distingua; dammi spaziosa e f
a. Dissimulò Venere la sua divinità dicendo di esser figlia di Otreo, che alla ben munita Frigia comandava, e rapita da Mer
e. Crebbe l’amore nel petto del Troiano non contenuto dalla riverenza che come dea le inspirava, e condusse al talamo coper
pelli d’orse e di leoni di propria mano uccisi la creduta fanciulla, che indietro si volgeva chinando a terra gli occhi ve
ritengo dell’ antica sembianza. — Sollevò la testa Anchise, ma allor che vide le divine forme di Citerea rivolse altrove g
bel volto, e gridò: Tu m’ ingannasti, diva: ma pietà ti prenda di me che poco vivrò ed infermo fra i mortali, perchè quest
’amante. Ma gli fé’ severo comando di tacere la vera madre del figlio che nascerebbe, e d’ imputarlo alla ninfa Calciopida;
adre del figlio che nascerebbe, e d’ imputarlo alla ninfa Calciopida; che se egli avesse manifestata la sua fortuna provato
ti antichi scrittori si rileva. Si trova più raramente come un fiore, che sembra essere il giglio ch’ella amava: ed in sì f
ancia con la punta rivolta verso la terra, probabilmente per indicare che ella move querele, ma tali che esser non devono s
o la terra, probabilmente per indicare che ella move querele, ma tali che esser non devono sansruinose. Una meda2:lia dell’
sopra un carro tirato da dei passeri, immagine di cui l’arte non pare che abbia profittato, poiché ella non si trova sopra
o attributo la distingue da Venere Afrodite. Di simili teste isolate, che sono state scoperte divise dai loro busti, o stat
ma degli occhi proprii di Venere vi fa conoscere questa dea piuttosto che Giunone, della quale gli occhi avevano un’ aria d
Venere Celeste in una bella figura vestita delle pitture di Ercolano, che dalla mano diritta porta un ramo con due pomi, ed
no Venere a cavalcioni sopra un ariete: ma il soprannome di Epitragia che significa lo stesso, sembra appartenere a Venere
partenere a Venere eh’ è assisa sopra ariete marino; rappresentazione che si vede in molti bassi rilievi, e particolarmente
piede sopra una testuggine per indicare (secondo Plutarco) alle donne che il loro dovere era di custodire la casa come ques
bellezza, e perchè (tranne le Grazie, le Stagioni e l’Ore) è la sola che si rappresenti ignuda, e per essere stata più fre
arie età effigiata. La Venere dei Medici a Firenze è simile alla rosa che esce fuor dalla boccia al primo apparir del sole
r dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e par che senta quell’ età in cui le membra prendono una pi
ncia il seno a sollevarsi. Io mi figuro di vedere in lei quella Laide che Apelle iniziava ai misteri di amore, e me la imma
la stessa attitudine una Venere del Museo Capitolino serbatasi meglio che tutte le altre statue dì questa dea, poiché, ecce
che tutte le altre statue dì questa dea, poiché, eccetto qualche dito che le manca, non è punto guasta; tal pure è altra st
ure è altra statua, la quale è copia fatta da Menofanto di una Venere che stava presso Troade, come scorgesi dall’epigrafe.
due statue la rappresentano in un’ età più matura, e più grandi sono che la Venere dei Medici. Le belle forme dell’ adoles
che la Venere dei Medici. Le belle forme dell’ adolescenza femminile che in questa si scorgono, ammiransi pure nella Teti
entata in quell’età in cui sposò Peleo. « Venere Celeste, cioè quella che di Giove e d’Armonia è figlia, distinguesi per un
Giunone. Porta pure questo diadema Venere vittrice, di cui una statua che posa un piede su un elmo fu dissotterrata nel tea
ntica città di Capua, e sta ora in Caserta. Essa è bellissima, se non che le mancano le braccia. In alcuni bassi rilievi ch
bellissima, se non che le mancano le braccia. In alcuni bassi rilievi che rappresentano il rapimento di Proserpina, e singo
di terra cotta esistente nella Biblioteca Vaticana. Sì questa Venere che la prima ha negli occhi dolcemente aperti un lusi
a prima ha negli occhi dolcemente aperti un lusinghiero ed affettuoso che i Greci chiamavano (grec), cioè umidità. Un tal g
ezza. « Quando io dissi poc’ anzi non trovarsi altre dee ignude fuori che Venere, le Grazie e l’Ore, non fu già mio pensier
fuori che Venere, le Grazie e l’Ore, non fu già mio pensiero asserire che Venere si rappresentasse costantemente ignuda. Ve
Venere di Prassitele a Coo, vestita è una bella statua di questa dea, che dianzi vedevasi nel Palazzo Spada in Roma, e fu p
fu poscia trasportata in Inghilterra. Venere al bagno. « Lo scultore che ha voluto (così il Visconti) rappresentare in que
tare in questo marmo la dea della beltà in tutto quel maggior risalto che acquistano nelr uscir dal bagno le sue membra div
to così bene nell’aggruppamento delle membra darci l’idea dell’azione che fa di sorger dal bagno, che resta a prima vista e
nto delle membra darci l’idea dell’azione che fa di sorger dal bagno, che resta a prima vista evidente, benché non siavi ra
stegno dell’ anca sinistra uno di quei vasi d’unguento senza manichi, che alabastri grecamente appellavansi, e che hanno da
si d’unguento senza manichi, che alabastri grecamente appellavansi, e che hanno dato il lor nome alla pietra che n’era comu
tri grecamente appellavansi, e che hanno dato il lor nome alla pietra che n’era comunemente la materia. Oltre l’additarsi v
gli antichi di ungersi, è ancora un utensile tutto proprio di Venere, che amava i preziosi unguenti a segno che il poeta Ag
ensile tutto proprio di Venere, che amava i preziosi unguenti a segno che il poeta Agatia in un epigramma dell’ A ntolos^ia
imulacro, perchè non converrebbe a Diana veduta nel bagno da Atteone, che in qualche antico marmo viene rappresentata nuda,
e neppure il giorno del contrastato giudizio. L’amore degli ornamenti che distingue Criprigna si é voluto indicare dal giud
si é voluto indicare dal giudizioso artefice anche in un braccialetto che adorna alla dea il solo braccio sinistro, e che è
he in un braccialetto che adorna alla dea il solo braccio sinistro, e che è formato a guisa di un piccol serpe che se le si
il solo braccio sinistro, e che è formato a guisa di un piccol serpe che se le sia avvolto. Questo costume di portare simi
al sinistro, non è taciuto dagli antichi; anzi è illustrato da Festo, che lo appella spinther, e lo spiega: genere di bracc
a Festo, che lo appella spinther, e lo spiega: genere di braccialetto che le donne sogliono portare nella sommità del bracc
nostra statua, e la foggia stessa del serpe è rammentata da Polluce, che fra gli ornati muliebri che solean portarsi egual
stessa del serpe è rammentata da Polluce, che fra gli ornati muliebri che solean portarsi egualmente ai polsi che nella par
, che fra gli ornati muliebri che solean portarsi egualmente ai polsi che nella parte superiore del braccio al gomito, nomi
un sito ancor oggi detto Prato bagnato, forse dall’acque e dai bagni che lo rendevano anticamente delizioso. Presso della
sso della medesima fu disotterrata una base antica con lettere greche che significano: Bupalo lo fece. Per quanto però sia
reche che significano: Bupalo lo fece. Per quanto però sia verisimile che questa base appartenesse alla nostra statua, non
mile che questa base appartenesse alla nostra statua, non crederò mai che una scultura così elegante e gentile sia stata la
cultura come quello in cui visse questo rinomato artefice: prima cioè che le Grazie chiamate da Prassitele fossero discese
sero discese ad animare il greco scalpello. Sarà stato dunque un nome che l’avarizia, o l’ignoranza del possessore avrà ant
mai; Di lui morto anco il bacio a Vener piace; Ma Adon non sa chi sia che morto il bacia. Io piango Adone, ecc. Crudel, cru
i sangue andava, E giù dal fianco rosseggiava il petto, E il costato, che dianzi era di neve, Di porpora era fatto al morto
e insieme Il divino suo aspetto; avea Criprigna Bello l’aspetto allor che Adon vivea. Morì sua forma con Adone, ahi ahi! Di
morto il bello Adone. Ahi l’amor di Ciprigna e chi non piagne? Tosto che vide e che conobbe Adone, E scorse in lui la mort
ello Adone. Ahi l’amor di Ciprigna e chi non piagne? Tosto che vide e che conobbe Adone, E scorse in lui la mortai piaga im
e che conobbe Adone, E scorse in lui la mortai piaga impressa, Tosto che vide il porporino sangue Via via spicciar dal mor
e baciami; Sia l’ultimo tuo bacio il mio congedo. Baciami tu, fino a che il bacio vive. Finché dall’alma tua nella mia boc
a son, tutta dolente. Nè di doler mi veggio mai satolla. Piango Adon, che m’è morto, e te pavento. Tu muori, o mio diletto,
l letto tuo, vi giace morto Adone, . Ch’è bello ancorché morto, e par che dorma, Ponlo in morbidi panni, qual solea Teco co
ianchi, e la ferita lava. Un dietro a Adon col ventilar delle ali Par che lui in vita richiamar procacci. Gridando Citerea
non l’ascolta; Ch’ei pur non vuole, e Proserpina il tiene Legato sì, che mai non lo discioglie. Pon fine, o Citerea, al tu
erie dei cognomi più illustri di Venere l’altre maniere di effigiarla che rilevar si possono dai monumenti e dagli scrittor
rrone in Macrobio, non fu molto antico presso i Latini. Vuol Cicerone che l’ etimologia rintracciar se ne debba nel proveni
iglia dal mare in forma di giovinetta, ma pure con sembianze di donna che teneva la stessa conchiglia ornata di rose, e ch’
ata di rose, e ch’era circondata dalle Grazie e dagli Amori. Leggiamo che fosse sopra un carro or tratto dalle colombe or d
o Sicionio fé’ l’immagine di Venere sedente col capo ornato di nimbo, che in una mano aveva un papavero, nell’altra un pomo
in greco si chiama l’accennato animale. Venere Versicordia, lo stesso che (grec) dei Grccì, adoravano i creduli amanti anti
so che (grec) dei Grccì, adoravano i creduli amanti antichi, stimando che in potere di lei fosse il dare, o togliere l’amor
ioè l’astro di Venere, fu adorato dai Bidoni, ed è opinione di alcuni che fosse lo stesso che la dea Siria, quantunque Luci
e, fu adorato dai Bidoni, ed è opinione di alcuni che fosse lo stesso che la dea Siria, quantunque Luciano creda che sotto
alcuni che fosse lo stesso che la dea Siria, quantunque Luciano creda che sotto questa denominazione adorassero la luna. Am
Cipro, ove veneravasi sommamente. Di Citerea è freqirente il cognome, che secondo Pausania deriva da Citerà, isola nell’est
ta ebbe dagli Spartani ad orazione in memoria dell’ amore improvviso, che nacque nel loro core, quando videro le donne svel
vanle credendoli Messenii perchè erano armate. E grazioso l’epigramma che su questo simulacro si legge in Ausonio, che lo t
. E grazioso l’epigramma che su questo simulacro si legge in Ausonio, che lo tradusse dal arreco. Eccone il senso: Pallade
giudice Paride. Venere le rispose: Temeraria, tu disprezzi armata me che quando ti vinsi ero nuda? — Venere fu cognominata
inata fu pure Arginnide da Arginno fanciullo amato dal re Agamennone, che nuotando nel fiume Cefiso vi perì; onde dal re, i
non sono state abbastanza osservate e distinte dagli eruditi. Questa che conosciamo, con sicurezza ci fa strada a ravvisar
ora mi sono avvenuto in un passo degli Argonautici di Apollonio Rodio che dà gran lume a siffatte immagini. Egli, nella des
on maggiore opportunità pel nostro argomento. Inoltre giova osservare che le pieghe regolari ed artefatte della sua tunica,
isce evidentemente da un epigramma di Antipatro nella greca Antologia che la maniera più comune di rappresentare Venere era
eche assai di buon’ora, e almeno fin dai tempi di Polignoto. Per quel che riguarda le Veneri vestite non mi tratterrò a con
ha prevenuto in ciò il celeberrimo signor Heyne: osserverò solamente che una Venere ignuda col cesto cinto sotto le mammel
tuata, reggendo colla manca un panno ornato di frange per asciugarsi, che cade aggruppato sopra di un’urna, rende singolare
essione di Plinio. Avea giudiziosamente riflettuto il cavalier Mengs, che la straordinaria bellezza della testa di questa s
di qualche sorprendente originale. Ma come indovinarne l’autore? Quel che sembrava difficilissimo è reso facile, anzi è pos
o nel rovescio la famosa Venere di Prassitele. Nessuno vorrà dubitare che la Venere de’ medaglioni di Guido, replicata la s
amento del corpo, il panno, l’urna, e fin l’acconciatura dei capelli, che non sono, come la maggior parte delle statue di V
dere così intiera e conservata una immagine di quel nobile simulacro, che i Gnidi per somme immense d’oro non voller cedere
i per somme immense d’oro non voller cedere a Nicomede re di Bitinia, che ecclissava nel suo tempio i capi d’opera di Scopa
’incendio Neroniano. Il fato di quella di marmo non ci è noto. Chi sa che la testa che è in Madrid non ne sia una parte, fo
oniano. Il fato di quella di marmo non ci è noto. Chi sa che la testa che è in Madrid non ne sia una parte, fortunatamente
coli vide ancor la luce questa graziosa figura, così però mal concia, che difficilmente facea congetturare il soggetto. Due
lvolta nelle medaglie imperiali il titolo di Vincitrice. La prima era che la presente statua avea la tunica dal petto con l
frammento di pilastro o di colonnetta, su cui ora tien posato un elmo che suole accompagnare parecchie di siffatte immagini
magini di Venere, e nelle gemme e nelle medaglie non ad altro effetto che a sostenere alcun pezzo d’armatura di quelli che
non ad altro effetto che a sostenere alcun pezzo d’armatura di quelli che Venere ostenta. Fu dunque ristaurata su questa id
dea, e le fu aggiunta la palma allusiva al suo epiteto di Vincitrice, che in più monumenti si scorge. Se la favola di Virgi
umenti si scorge. Se la favola di Virgilio, il quale introduce Venere che reca ad Enea suo figlio l’armi, opera di Vulcano,
ltre del suo poema avesse preesistito all’Eneide, sarebbe da credersi che questa favola si fosse voluta volgere in un compl
ola si fosse voluta volgere in un complimento a Giulio Cesare stesso, che discendente da Venere e vincitore, si paragonasse
ro per credere anteriore tal favola al latino poeta: sembra piuttosto che gloriandosi la famiglia Giulia di quell’origine,
oluto rappresentar Venere come la dea della mollezza, ma in una guisa che convenisse ad una madre di Roma e di Enea. Siccom
la Venere, annoverata fra gli autori del nome Romano. Cesare stesso, che nella pugna Farsalica avea dato Venere per segnal
o Venere per segnale, non doveva in altra maniera farla rappresentare che come una dea vittoriosa. Infatti, Venere armata e
allorché accarezzando Marte sospende il furore della guerra, e fa sì che i feri uffici della milizia pei mari e per le ter
degli Augusti. Quantunque la figura sia composta con certa eleganza, che la dimostra proveniente dal buon secolo dell’arte
lta trascuratezza. La novità dell’ invenzione e del soggetto è quella che le dà qualche pregio, e non la fa disconvenire ad
. Vulcano. Alla moglie succede il poco avventurato marito Vulcano, che , secondo Esiodo, di Giunone e di Giove fu figlio,
e il suo natale alla madre. A questo dio furono dati i vanti d’altri, che ebbero la sventura di aver seco lui il nome comun
nacque, ed Opa fu detto dagli Egiziani; il terzo daMenalio generato, che tenne l’ isole alla Sicilia vicine. Vogliono che
daMenalio generato, che tenne l’ isole alla Sicilia vicine. Vogliono che fosse educato dalle scimmie, e per la sua deformi
on le quali era Giunone legata, come la più litigiosa delle divinità, che mal soffrendo la novità del reirno maritale, turb
maritale, turbava i silenzi della pace celeste. Ed altrove asserisce che dalla madre fu lanciato nel mare, ove l’educò Tet
ne nel secondo libro della Republica e Pausania nelle Attiche narrano che il nume, memore dell’ingiuria, mandò una sedia d’
l’ingiuria, mandò una sedia d’oro a Giunone con alcuni lacci nascosi, che legarono tosto la dea quando fé’ prova del dono d
o Scoliaste di Sofocle, e ch’ebbe con esso ara comune. Ma delle arti che col fuoco si esercitano, per comune consenso auto
do l’Inno Omerico, l’onore con Minerva di avere insegnato agli uomini che abitavano nelle spelonche opere vantaggiose al vi
sedi, ove il nume fabbrica le armi degl’Immortah, e i fulmini stessi che resero Giove vincitore nella guerra dei Giganti.
rra dei Giganti. Chiese Vulcano in mercede per tanto ufficio Minerva, che virilmente la giurata castità difese. Dell’inutil
ntativo fu figlio Erittonio. Il Sole gli svelò l’adulterio di Venere, che ottenne in moglie (quantunque alcuni gli diano Ag
no Aglaia una delle Grazie), e fabbricò una rete con tanto artificio, che la consorte ed il drudo sorprese. Incauto: mostrò
ergogna; favola del Cielo divenne, e non vi fu alcuno deg’ Immortali, che non invidiasse la sorte di Marte. La piromanzia,
dine, le tanaglie e il martello, con l’iscrizione al Re dell’Arte; il che si riporta all’arte monetaria, di cui l’inspezion
vo della Villa Borghesi, si vede lavorar coi suoi compagni i Ciclopi, che qui hanno due occhi. I Fauni dai quali è accompag
no due occhi. I Fauni dai quali è accompagnato sopra un basso rilievo che apparteneva al cardinale Polignac, hanno fatto na
austa Pandora, del cane in bronzo di Procri, e di quel famoso scettro che , fatto per Giove, passò da esso a Mercurio, da Me
i di Pausania la principale divinità dei Cheronei. Fra le tante opere che i poeti gli attribuiscono, ho scelto l’armi d’Ach
nti Ferrate bocche esce ad un tempo un soffio Moltiforme, pieghevole, che a norma Della man che lo regge o pieno, o parco,
e ad un tempo un soffio Moltiforme, pieghevole, che a norma Della man che lo regge o pieno, o parco, Cresce, o s’allenta, e
a manca Salda tenaglia, e colla destra inalza Pesante mole di martel, che cala Con grossi colpi: il docile metallo Cede all
di martel, che cala Con grossi colpi: il docile metallo Cede alla man che lo governa, e ‘1 segna D’orme diverse, e a suo pi
ro sovrapposte falde Ne fanno il corpo; ma ‘1 più nobil fregio È quel che tutto lo figura e veste Di sculti gruppi e svaria
vose, e a’ naviganti amiche Le vaghe Pleadi, ed Orióne armato, L’Orsa che intorno a se lenta s’avvolge E guarda al cacciato
L’Orsa che intorno a se lenta s’avvolge E guarda al cacciator, l’Orsa che sola Sdegna lavarsi d’Oceàn ne’ gorghi. Poi due c
, l’Orsa che sola Sdegna lavarsi d’Oceàn ne’ gorghi. Poi due cittadi, che in sembianze opposte Stavansi a fronte, effigiò:
oso aspetto L’altra cittade. Ella d’assedio è cinta Da squadra ostil, che nel suo cor già certa È di pronta conquista, e so
i e della preda. Ma non per questo l’assediata gente Perdea la speme; che un drappel de’ forti Gli altri lasciando per età
sangue Tinge la veste, e se ne lorda il volto. Vero e vivo spettacolo che immoto Mobil ti sembra, e non pur atti e forme. M
bil ti sembra, e non pur atti e forme. Ma figura i pensieri, e in ciò che appare Quel che dianzi passò rappella e arresta.
non pur atti e forme. Ma figura i pensieri, e in ciò che appare Quel che dianzi passò rappella e arresta. Di rustisch’opre
, ed a prova In bei canestri d’intessuti vinchi Portano il frutto più che mei soave: Mentre in mezzo un garzon lieve toccan
cannoso fiume, Quando dal bosco due leoni ingordi Sbucano, e al toro che alla torma è duce Scagliansi al collo: il misero
aggior lo sporto artefice Un coro figurò vario girevole Simile a quel che l’ingegnoso Dedalo In Creta ordì per Arianna amab
amente in circolo volubile Seguendosi, fuggendosi, qual fervida Ruota che sopra sé corre e s’avvoltola. Ecco poi d’improvvi
fiammante lorica, e i rilucenti Schinieri, e l’elmo e’l gran cimier, che vibra Dorati lampi, e in fulgid’oro ondeggia. »
mezzo d’ un fiore indicatole dalla moglie di Zeftìro vi esposi allora che questa gelosa matrona del Tonante fu l’oggetto de
non nega a Giove la gloria di esser padre del dio della guerra. Tero, che in greco suona lo stesso che la ferocia, gli fu n
esser padre del dio della guerra. Tero, che in greco suona lo stesso che la ferocia, gli fu nutrice, e presso barbare nazi
pii della favolosa infanzia del nume vollero gli antichi significarci che dei meno culti popoli dovrebbe essere propria la
tutte le età ha mostrato quanto all’intentenzione lodevole di coloro, che sotto il velo di strane immaginazioni nascosero p
a certa Neriene, nome oscurissimo nella Mitologia. Molti sono i figli che la colpa gli diede: Enomao, Ascalafo, Testio, Jal
molo e Remo ed altri si gloriarono di dovergli i natali. Favoleggiano che sia tratto in un carro sul quale auriga, siede Be
ro sul quale auriga, siede Bellona con sanguinoso flagello. I cavalli che lo trasportano, prendendo il nome dall’ effetto c
agello. I cavalli che lo trasportano, prendendo il nome dall’ effetto che producono, si chiamano Terrore e Paura. Gli era s
uccello del suo nome, giacché Alettrione in greco significa lo stesso che gallo, e porta ancora la pena della sua negligenz
ato il nome a quel luogo celebre in Atene per la santità dei giudizi, che Areopago si disse. Dicesi che Marte accusato di a
re in Atene per la santità dei giudizi, che Areopago si disse. Dicesi che Marte accusato di avere ucciso Alirrozio figlio d
bbe se di questa disavventura non fosse stato fatto accorto Mercurio, che con le arti usate lo tolse di furto. Ascalafo fig
che con le arti usate lo tolse di furto. Ascalafo figliuolo di Marte, che comandava ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso
a ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso cagionò al nume tanto dolore che senza temere l’ ira di Giove, il quale avea vieta
sta, ed in un tuono pieno di asprezza gli disse: Furioso ed insensato che sei, non conserverai piiì alcuna reverenza pel re
l re degli Dei, e ti sei dimenticato il suo comando? Frena la collera che t’ inspira la morte del figliuolo. Anche dei più
te parole ricondusse Marte. Favoriva Marte i Troiani contro la parola che ne avea data a Minerva stessa, onde la dea suscit
ugnare contro lo stesso dio della guerra. Appena lo ebbe Marte veduto che la lunga asta contro gli diresse, ma la dea ne fé
rarla gettò un grido spaventevole, quale è quello di un’intera armata che segue il nemico. In mezzo ad una nuvola di polver
po, e col core oppresso dal dolore mostrò a Giove il sangue immortale che scorreva dalla ferita, lagnandosi di Diomede e di
ortale che scorreva dalla ferita, lagnandosi di Diomede e di Minerva, che tanto gli aveva fatto osare. Giove guardandolo co
pieni di collera: Incostante e perfido, gli disse, fra tutti gli Dei che abitano 1’ Olimpo tu mi sei il più odioso. Tu non
abitano 1’ Olimpo tu mi sei il più odioso. Tu non provi altro piacere che quello della discordia e delle guerre. — Pure, es
delle guerre. — Pure, essendo suo figlio, ordinò al medico degli Dei che lo sanasse. Peone pose sulla sua ferita un balsam
Dei che lo sanasse. Peone pose sulla sua ferita un balsamo eccellente che lo risanò senza, fatica; che nulla è di mortale i
e sulla sua ferita un balsamo eccellente che lo risanò senza, fatica; che nulla è di mortale in un Dio. Omero nell’Odissea
in Pafo, e Marte nella Tracia. Palefato spiega questa favola dicendo che Sol figliuolo di Vulcano re di Egitto volendo far
omulgata da suo padre contro gli adulteri, ed essendo stato informato che una dama della sua corte avea commercio impudico
a casa, ed avendola sorpresa coll’amante castigolla severamente, cosa che conciliò al principe tutta la benevolenza del pop
ro. Dare un senso istorico alle favole è impresa pericolosa, e dubito che Palefato troppo del suo sistema si compiacesse. V
si motivi di questa appellazione il più probabile è quello di Servio, che lo vuole derivato perchè nelle guerre or l’ una o
ando era tranquillo; il secondo quando nelle armi infuriava. Leggiamo che avesse due templi: il primo nella città col titol
allontanare i nemici. Fu detto Enialio da Enio, la quale è lo stesso che Bellona, ed è del nume sorella, come ad altri pia
ssio e di Bruto la libertà dell’ universo. L’osservazione di Vitruvio che ordinariamente i templi di Marte erano fuori dell
gli soffrire dai figli di Aloeo, o alla maniera dei più antichi Greci che aveano costume di effigiarlo coi piedi incatenati
tani adducevano in ragione di questo uso di figurarlo, il vano timore che gli abbandonasse. Vedesi con un olivo in mano il
crudeltà, e in quella sua massima tirannica accennata da Capitolino, che senza crudeltà non si manteneva l’Impero. Marte c
ta da Capitolino, che senza crudeltà non si manteneva l’Impero. Marte che va presso Rea Silvia, origine favolosa del potere
presentato, dice Winkelmann, come un giovine eroe, e senza harba: del che pur ci fa fede un antico scrittore. Ma un Marte,
, di cui ogni minima fibra esprimesse la forza, il coraggio, il fuoco che a lui conviene, non trovasi certamente fra tutti
d un piccolo Marte su una delle basi dei due bei candelabri di marmo, che erano dianzi nel Palazzo Barberini: ambedue sono
e il conte Rangiaschi nella Dissertazione sul Marte Ciprio ha pensato che dalla barba di Adriano, il quale nell’immagine de
è il chiamato Pirro del Campidoglio. Ma Quirino Visconti ha osservato che non solo le monete greco-italiche, ma alcune d’or
Giove Le minacele e i comandi. A lui diceva Marte il primo: dal ciel che rechi? a questo Cielo, alle nevi mie, certo non v
enni, E Marte non dimora, e volge indietro I volanti destrieri, ancor che fumi Loro il sudor sull’anelante collo. Odia dei
Fra le figlie di Saturno e di Rea bellissima fu Cerere, onde Giove, che coi domestici stupri cercò diminuire le cure del
colpa ne’ grandi è maggiore perchè ne persuade infinite agli schiavi, che fanno lor gloria d’imitar il tiranno ancora negli
dal delitto fraterno, violò anch’egli Cerere, e n’ebbe una figliuola che i Greci stimavano sacrilegio il nominare. Pausani
acrilegio il nominare. Pausania lasciò scritto nel Viaggio in Arcadia che Here chiamavansi essa e la madre. Vi furono alcun
gio in Arcadia che Here chiamavansi essa e la madre. Vi furono alcuni che dall’incesto di Cerere dissero nato un cavallo, o
he dall’incesto di Cerere dissero nato un cavallo, onde favoleggiossi che fra vergogna ed ira divisa nere vesti prendesse,
ll’Arcadia scoperse l’antro custode di tanto pegno, lo indicò a Giove che mandò le Parche a Cerere perchè la giusta sua col
deponesse. Alcuni attribuiscono questo evento al ratto di Proserpina, che infinita tristezza cagionò alla diva. Cerere disc
di Giove, come attesta Omero nel quinto libro dell’ Odissea 17. Terra che tre volte avea sofferto le ferite dell’aratro fu
glio un rivale, col fulmine l’uccise. Lo Scoliaste di Teocrito vuole che da questo amore infelice nascesse Pluto, il dio d
che da questo amore infelice nascesse Pluto, il dio delle ricchezze, che cieco finsero gli antichi, volendo indicare che l
dio delle ricchezze, che cieco finsero gli antichi, volendo indicare che l’oro toglie la luce dell’intelletto a chi lo pos
e, a chi lo cerca. Abitò Cerere in Corcira, o Corfù, la quale innanzi che la figlia di Asopo ivi sepolto le dasse il suo no
no dalla falce di Saturno, come è la più comune opinione, o da quelle che Cerere fé’ fabbricare a Vulcano onde il modo di m
ndole incautamente la figlia, la preferì al Cielo. Il diverso viaggio che fece per ritrovarla così descrisse l’ Ariosto in
arla così descrisse l’ Ariosto in questi versi divini: « Cerere, poi che della madre Idea Lasciata in fretta la solinga va
potere esser mai spenti, E portandosi questi uno per mano Sul carro, che tiravan due serpenti. Cercò le selve, i campi, il
i andamenti della nutrice. Scorse il padre fra le tenebre in agguato, che la donna lo nascondeva fra le fiamme; gridò, e Ce
re le biade. Altri narrano la stessa avventura di Celeo, soggiungendo che fu padre di Trittolemo, e che amendoe furono da C
stessa avventura di Celeo, soggiungendo che fu padre di Trittolemo, e che amendoe furono da Cerere nella mentovata arte dot
re nella mentovata arte dottrinati. Ed ancora altre opinioni vi sono, che saranno da me accennate quando vi leggerò l’Inno
me accennate quando vi leggerò l’Inno su Cerere ad Omero attribuito, che fu scoperto dal Mattei, e dal Runchenio pubblicat
one del basso rilievo di una patera non ancora compreso. Tanto è vero che gli antichi artefici si formavano sui poeti, perc
l’invenzione dell’una necessitò lo stabilimento dell’altra. Quindi è che gli antichi attribuivano la gloria di tutte due a
uindi è che gli antichi attribuivano la gloria di tutte due a Cerere, che i Latini confusero da principio con Rea, la Terra
tti gli animali; finalmente ella ebbe una folla di epiteti consimili, che l’autore degl’Inni, falsamente attribuiti ad Orfe
a mano; altre volte un fanciullo ne offre in un vaso alla dea assisa, che ha un velo sulla testa e tiene un’asta. Ella port
la cornucopia, e dei piatti di frutti. Giove avendo promesso a Cerere che Proserpina sua figlia starebbe seco sei mesi, ric
to, intralciò con le spighe i capelli, e la raccolta fu sì abbondante che i granai non poterono contenerla. E facile d’imma
i e latini. Son troppo conosciuti per fermarvisi, e servirà di notare che l’uso di rappresentare la dea con le spighe di gr
cri presiedeva ai lavori della campagna, sia, come pretende Vitruvio, che i costumi semplici e puri degli abitanti fossero
rere, soprannominata Nutrice, è stata rappresentata con due fanciulli che tengono il corno dell’abbondanza, e ciascuno è po
una delle sue mammelle. Questa attitudine le conveniva, supponendosi che avesse somministrato agli uomini il loro principa
nome di Cerere per significare il pane. Si faceva onore di tutto ciò che si referisce all’agricoltura a questa divinità, e
tà, e ai suoi primi allievi. Così lo staccio non poteva essere a meno che consacrato non le fosse; infatti lo porta sopra m
. Il papavero era un simbolo della fecondità, ed è per questa ragione che sopra alcune medaglie si vede Cerere con delle sp
no, in mezzo delle quali si scorge una testa di papavero. Il serpente che è, per così dire, figlio della terra, doveva esse
per così dire, figlio della terra, doveva esser caro a Cerere, ancora che non si riguardasse con essa sotto relazioni miste
ente eglino hanno l’ali. Apuleio gli riguardò come i servi della dea, che si rappresentava ancora tirata da cavalli, o da b
sul suo carro, teneva da una mano le redini, dall’altra una fiaccola, che in origine non era che un pezzo di pino. N’era ri
a una mano le redini, dall’altra una fiaccola, che in origine non era che un pezzo di pino. N’era rigorosamente prescritto
questo possa aver relazione ad Iside modello di Cerere, io non penso che questa maniera di rappresentare la dea greca sia
tichi Cerere tenente della mano diritta una testa di montone, animale che le sacrificavano. Ma il porco era l’offerta più c
steri Eleusini, i quali, sui teatri stessi rappresentati, non possono che interessare la vostra curiosità. Non perdonando a
taggio, ho tradotto il poemetto di Claudiano sul ratto di Proserpina, che può prestare tante immagini al pittore. Ne distri
volgo dell’immenso Averno, Pei quai si dona alle ricchezze avare Ciò che pere nel mondo, e che circonda Livida Stige, sacr
erno, Pei quai si dona alle ricchezze avare Ciò che pere nel mondo, e che circonda Livida Stige, sacramento ai numi. Tre vo
l’error della delusa madre, Alma inventrice delle bionde spighe, Con che mutossi la Dodonia querce. D’Erebo il re d’ira or
ar, non senza pianto, Con quelle mani per cui trema il mondo E serve; che dei fati il lungo stame Filano e stanno sulle fer
a alterna morte, Per cui s’avviva la materia, ei corpi Vestono l’alme che han principio in Lete, Perchè tenti far forza e l
ciel le strade aperte? Dimanda a Giove una consorte, e Giove Non fia che a te la neghi. — Udì le preci Il re di Dite, e n’
e n’arrossì: l’atroce Indocil’alma illanguidiva, eguale A Borea allor che di pruine armato L’ispido mento e le sonanti penn
ipercosse indietro Le sonore procelle agli antri loro. Quindi comanda che di Maja il figlio Si faccia innanzi, onde gli ard
La potente verga Scotendo, fassi il messaggero alato Innanzi al dio, che sopra il soglio assiso Sta, per atroce maestà, tr
a riva. — O tu d’Atlante Tegeo nipote, deità comune A Dite e al ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo, e che de
mune A Dite e al ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo, e che del doppio mondo Formi il commercio: va, dividi i
go dei Ciclopi i dardi, E col tuono le vane aure deludo? Non ti basta che sola è mia la notte, Ch’ ultimo nella sorte io so
uce il cielo Cinge, e calpesti con altero piede Gli altri sosro’etti, che d’Imene ancora Mi vieti i dritti? E pur nel glauc
ta fronte. Già la matura giovinetta in core Sente la fiamma d’Imeneo, che detta Al tenero pudor timidi voti. Suona la reggi
logi delle nazioni, abbiano degli artefici guidata la mano. L’istinto che ha la formica di riunire il grano l’avrà fatta po
Ecco la ragione per la quale si trova nel rovescio di molte medaglie che hanno una spiga di grano, sulla quale siede uno d
i nel principio dal popolo, ne ha creati grandissimo numero di altri, che ad altra divinità possono riferirsi. Eglino hanno
lobo. Lo scettro ed il fulmine ch’ella tiene, sono segni di possanza, che comuni le sono con altri numi. Similmente la vitt
ono con altri numi. Similmente la vittoria ch’ella ad Enna portava, e che si vede ancora sopra alcuni monumenti non è parti
alcuni monumenti non è particolare attributo di lei; e non può essere che l’offerta di capitani che abbiano creduto doverle
ticolare attributo di lei; e non può essere che l’offerta di capitani che abbiano creduto doverle dell’armi loro la fortuna
a. La palma, la corona di lauro altra origine non hanno; ed il leone, che sulle ginocchia della dea si vede, parmi alludere
a di nero, con un delfino in una mano, con una colomba nell’altra, lo che accennava i mal graditi abbracciamenti di Nettuno
à Cerere non ebbe tutti questi attributi: le statue di lei non furono che informi pietre, legni, come quelle di tutte le di
ria, o Egiziana, perchè poco da Iside differisce, o sia per accennare che deve lo stabilimento della sua religione alle col
formi, di quelle figure mostruose, e di quelli atteggiamenti sforzati che caratterizzano l’antico stile egiziano. Cercarono
a del bello ideale. Ogni accessorio fu bandito, e non fu dato ai numi che il loro simbolo principale. Cangiò il gusto, l’un
i simbolici. Innanzi questa epoca si vede Cerere espressa con un velo che cade sulla parte posteriore della veste di lei: p
, dal quale escono di sopra foglie e spighe. Quella parte di capelli, che non è nascosa, con felice disordine adombra la fr
ttribuisce pure a Cerere una falce, un flagello. Quante cose inutili: che grossolana maniera: era senza dubbio destinata ta
iviene tutto enimma e confusione. Tale è la statua di Cerere con ali, che hanno neir estremità un raggio coi sette pianeti.
un poco meno difficile di penetrare il senso allegorico di un altro, che ofi’re la fisrura di Cerere fra due alberi carich
alberi carichi di frutta. Si vede a destra Giunone dea delle nuvole, che sparge la pioggia sulla terra arata; a sinistra A
sparge la pioggia sulla terra arata; a sinistra Apollo, cioè il Soie, che secca il grano vicino alla mietitura. Importava e
ne? Dei secoli barbari è tutta propria questa maniera. Spanemio crede che la Pace rappresentata sopra le medaglie con spigh
opra le medaglie con spighe nella mano, da Cerere non differisca. Che che ne sia di questa congettura, egli è certo che gra
ere non differisca. Che che ne sia di questa congettura, egli è certo che grande amicizia regnava fra le dee. Perciò Cofìsi
fra le dee. Perciò Cofìsidoro immaginò di fare una statua della Pace, che avesse in seno il giovine Pluto figlio di Cerere.
oria divien sensibile pei racconti di Esiodo e di Omero.- Dicono essi che questo dio delle ricchezze fu il frutto degli amo
e. Gli scrittori seguenti hanno aggiunto a questa favola circostanze, che non la rendono nè più facile, nè più ingegnosa. G
anze, che non la rendono nè più facile, nè più ingegnosa. Gli storici che dell’allegoria scrissero, hanno dato a questo rac
senso il più semplice ed il più vero. Petellide di Cnosso assicurava che Pluto ebbe il fratello Filomelo, che in lite col
. Petellide di Cnosso assicurava che Pluto ebbe il fratello Filomelo, che in lite col maggiore ed al puro necessario ridott
lite col maggiore ed al puro necessario ridotto. comprò con quel poco che gli restava dei bovi, inventò l’aratro, ed ebbe d
sprezzare, se è savio, i doni della Fortuna. Questa dea era lo stesso che Cerere, secondo Dione Crisostomo. Infatti sopra a
el principio della sua tragedia delle Eiimenidi fa comparire la Pitia che parla in questi termini: Offriamo i nostri oma^^s
arla in questi termini: Offriamo i nostri oma^^sri innanzi alla Terra che la prima fra gli Dei qui rese i suoi oracoli; in
a che la prima fra gli Dei qui rese i suoi oracoli; in seguito a Temi che a sua madre nel santuario profetico successe. Per
un dono, e gli diede il cognome di Febo. — Apollo fu dunque il quarto che rispose gli oracoli, i quali erano le sole leggi
erano le sole leggi dei primi greci. In conseguenza non è maraviglia che Cerere sia stata presa per la Terra e per Temi, e
tte e tre dovevano necessariamente avere simboli comuni. E da notarsi che i Greci considerando Cerere come la terra chiamav
del corpo umano, e per la maniera nella quale è decomposto, piuttosto che distrutto dopo la morte. Ciò può aver dato luogo
dopo la morte. Ciò può aver dato luogo alla favola, la quale suppone che Cerere divori la spalla di Pelope, alla quale ne
egoria, la quale indica la consumazione dalla terra del nostro corpo, che conserva più lungamente le ossa dall’avorio signi
imenti della storia di Cerere. Ai primi poeti, e fra gli altri Fante, che viveva innanzi Omero, fu argomento. I pili grandi
icilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo antico si vede Plutone che rapisce Proserpina malgrado le dissuasioni di Min
sopra una colonna la Persuasione; sotto i piedi di lei Venere seduta, che ha sulle ginocchia Paride che l’abbraccia: innanz
ne; sotto i piedi di lei Venere seduta, che ha sulle ginocchia Paride che l’abbraccia: innanzi a questa sta Amore ohe guard
zione i personaggi, ai quali non ha dato nè espressione, nè attributi che possano fargli conoscere. Ritornando al ratto di
so soggetto sotto il quale si vedono i dodici segni dello Zodiaco, lo che si riferisce alle relazioni immaginate più tardi
le membra Avvinte ognor, dall’anelante petto Respira fiamme, e allor che il peso immenso Di scoter tenta dal ribelle collo
a. Or le native Nuvole innalza; in improvisa notte Splendon le fiamme che nel cielo avventa, E con i danni suoi l’incendio
or volo li soggetti campi, E si feconda la solcata terra Per la polve che cade, e delle rote Coprono Torma le sorgenti spig
ro il seno Non aprirà; vedrà fiorire i campi L’ozioso giovenco, e fia che ammiri Il ricco abitator le messi offerte. — Sì p
tirato da due elefanti. In un’ altra si vede presso lei una formica, che trasporta una spiga di grano. Credesi trovare in
figura riportata dallo Spon la Cenere Nutrice; ma vi ha chi pretende che ciò che tiene inviluppato nelle sue vesti sia un
riportata dallo Spon la Cenere Nutrice; ma vi ha chi pretende che ciò che tiene inviluppato nelle sue vesti sia un piccolo
la bella coppa di Farnese, già nel Gabinetto del re di Napoli: quello che è tenuto da questa figura sembra essere una speci
ioè col capo coperto da una parte della sua veste. Osserva Winkelmann che non si vede mai con una chiave sulle spalle, come
trovare nei monumenti delle arti le divinità con tutti gli attributi che loro danno i poeti; e d’altronde Callimaco nel lu
iadema elevato alla marniera di Giunone, coperto in parte dai capelli che ha giudiziosamente sparsi e sciolti sulla fronte,
dai capelli che ha giudiziosamente sparsi e sciolti sulla fronte, il che forse n’ esprime il dolore per la rapita sua figl
brano essersi molto studiate di dare sulle loro monete sì alla madre che alla figlia, delle due testé mentovate dee, la pi
sse Proserpina coronata di frondi lunghe e appuntate, simile a quelle che ornano insieme alle spiche la testa di Cerere: e
nziché di canna palustre, quali furono giudicate da alcuni scrittori, che perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l
in quelle monete l’effigie della ninfa Aretusa. Quali siano le forme che a Cerere convengono, le potete rilevare da Viscon
moderni. Quanto è certo però e riconoscibile da ogni intendente quel che esponiamo sulr artifizio del bellissimo simulacro
lr artifizio del bellissimo simulacro, altrettanto è dubbio tutto ciò che può dirsi del soggetto rappresentato. « Ha ottima
ato. « Ha ottimamente riflettuto il chiarissimo signor Abate Amaduzzi che senza imbarazzarsi del ritratto, che è forse idea
hiarissimo signor Abate Amaduzzi che senza imbarazzarsi del ritratto, che è forse ideale, i papaveri e le spighe che ha nel
imbarazzarsi del ritratto, che è forse ideale, i papaveri e le spighe che ha nella manca sono le qualificazioni di Cerere:
a mano con quanto contiene, di moderno risarcimento, non siamo sicuri che siasi sempre in questo bel marmo ravvisata la dea
visata la dea dell’agricoltura. Stranissima era l’opinione del Venuti che la credeva una Giulia Pia: men strana quella di P
credeva una Giulia Pia: men strana quella di Paolo Alessandro Maffeì, che nel pub])licarla fra le più insigni statue di Rom
tue di Roma, l’appellò Crispina, quantunque non simigli quell’Augusta che neir acconciatura della chioma, ben diversa nelle
di lodare l’avvedimento di chi l’ha fatta ristaurare per Cerere, però che la sopravvesta, o palla, che tutta la circonda e
i l’ha fatta ristaurare per Cerere, però che la sopravvesta, o palla, che tutta la circonda e la copre, può con gran propri
nell’effigiarla cosi ravvolta nel manto, come appunto la musa Tacita che abbiamo esposta. Gli antichi monetarii han forse
ente, dal cortile della Cancelleria. La semplicità del disegno sembra che ne formi il carattere principale. Naturale n’è la
sonomia, poca varietà è nei partiti del panneggiamento, e quella sola che vi regna nasce dalla diversità dei contorni del n
quella sola che vi regna nasce dalla diversità dei contorni del nudo che ne è coperto: hasta però contentare 1’ occhio egu
del nudo che ne è coperto: hasta però contentare 1’ occhio egualmente che la riflessione, la quale non lascia di distinguer
la quale non lascia di distinguervi la scelta e l’ideale. Si può dire che questo marmo sia trattato nella vera maniera in c
sso punto di rozzo, di trascurato: ma essendo quelle linee parallele, che formano le pieghe del panneggiamento, con tale in
del panneggiamento, con tale intelligenza disposte e variate di spazi che al tempo istesso che non cagionano veruna confusi
on tale intelligenza disposte e variate di spazi che al tempo istesso che non cagionano veruna confusione in qualche distan
stretta e alquanto ripresa dalla cintura, nè avente altra sopraveste che un peplo senza maniche che le copre il petto sino
dalla cintura, nè avente altra sopraveste che un peplo senza maniche che le copre il petto sino alla cintura medesima e ch
eplo senza maniche che le copre il petto sino alla cintura medesima e che siegue tutto l’andamento della veste soprapostavi
e soprapostavi; priva ancora nel capo di ogni ornamento straordinario che simbolico potesse essere o caratteristico, sembra
ente risarcirla, nè all’erudito per acconciamente denominarla. Pensai che qualche soccorso potea trarsi dall’abitudine e da
trarsi dall’abitudine e dal carattere della figura medesima, persuaso che gli antichi così conseguenti nelle loro pratiche,
ti nelle loro pratiche, come altre forme davano alle membra di un dio che a quelle d’un eroe e d’un uomo, altre a quelle d’
di un dio che a quelle d’un eroe e d’un uomo, altre a quelle d’Apollo che a quelle di Bacco, o di Mercurio, di Marte, così
rva. Quindi osservando nella figura una certa proporzione meno svelta che in altre figure, una maggior larghezza di spalle,
na maggior larghezza di spalle, maggior rilievo di petto e di fianchi che Tordmario, ho creduto che siasi voluto rappresent
alle, maggior rilievo di petto e di fianchi che Tordmario, ho creduto che siasi voluto rappresentar Cerere, a cui si compet
ì bene espressa da Lucrezio con quei due epiteti di doppia e mammosa, che sembrano aver suggerito al nostro artefice il car
i questa scultura destinata, come suppongo, per effigie di quella dea che fu propriamente cognominata Alma, e riconosciuta
nella destra ostenta le spighe, dono da lei fatto alla nostra specie, che pei suoi insegnamenti mutò la ghianda caonia con
ma dispositrice, finalmente per ogni luogo a cagione dei suoi misteri che sembravano conciUare la filosofia colla religione
he sembravano conciUare la filosofia colla religione, non farà specie che le si ergessero simulacri colossali, e che forse
religione, non farà specie che le si ergessero simulacri colossali, e che forse uno di questi fosse collocato nel teatro di
ora appare Sul balzo d’Oriente, ai prati guida Di Cerere la figlia. E che : staranno Gli ultimi regni senza amore? immune Te
emme inalza: Mentiti flutti il filo asconde, e l’arte Così l’increspa che tu l’alga credi Frangersi negli scogli, e lambir
n gli stagni, onde lor spuma D’oblio sicuro l’assopita lingua. Orfneo che di crudel luce risplende, Eton che indietro la sa
o sicuro l’assopita lingua. Orfneo che di crudel luce risplende, Eton che indietro la saetta lascia, E Nitteo gloria dello
ietro la saetta lascia, E Nitteo gloria dello stigio armento, Alastor che di Dite il fumo segna, Si stanno innanzi alle alt
e dalle torve nari, E nitrito crudel, quasi presaghi Sian della preda che il signore attende. (Fine del primo libro di Cla
o e Plutarco, trasferite dall’Egitto nella Grecia col mezzo di Orfeo, che le cerimonie sacre ad Osiride ed Iside ridusse al
ondo Meursio, si celebravano, è incerto. Da Aristofane sembra dedursi che fossero sei; Esichio vuole che per quattro giorni
incerto. Da Aristofane sembra dedursi che fossero sei; Esichio vuole che per quattro giorni la solennità durasse. Merita n
so. La spesa della festa era, secondo il solito, a carico dei mariti, che , per così dire, vi si obbli gavano nella scritta,
li gavano nella scritta, quando avevano ricevuti in dote tre talenti, che equivalgono a quasi tremila ducati veneti. Avevan
i castità. Per togliere ancora il sospetto dell’impudicizia, le donne che ministravano alle cose sacre erano alimentate a s
avano alle cose sacre erano alimentate a spese pubbliche in un luogo, che perciò Tesmoforio era detto. Era sacrilegio l’usa
teri eleusini. Sono queste due cose diverse, come vedrete, ed è certo che le Tesmoforie furono stabilite per la rimembranza
teri. Per mostrarci in qual conto fossero presso gli antichi, basterà che tutta la Grecia vi concorreva, che i Romani istit
ossero presso gli antichi, basterà che tutta la Grecia vi concorreva, che i Romani istituirono a gara di quelli i celebri g
i secolari, documento dell’ altezza di quel popolo signore del mondo, che fissò i limiti dell’umana natura, il quale solo n
aco, e v’ ha chi a Cerere stessa. Vien riferita ad Eamolpo per altri, che ne prendono motivo dal nome di Eumolpidi, che i s
a ad Eamolpo per altri, che ne prendono motivo dal nome di Eumolpidi, che i sacerdoti dei Misteri avevano in Atene. Mal si
è conviene alla brevità proscrittami il riportare le opinioni diverse che regnano in questo particolare. Tertulliano nel su
liano nel suo Apologetico divide la gloria di questa impresa, dicendo che Orfeo in Pieria, Museo in Atene, Melampo in Argo,
della figlia per tutta la terra, seppe finalmente dagli Erminionensi che Plutone glie l’avea rapita. Irata con gli Dei, la
a riso, presso il pozzo Callicoro. Poscia venuta nella sede di Celeo, che comandava agli Eleusini, rinacque dopo tanto temp
il riso sopra le sue labbra, mercè una vecchia detta Jambe. Quindi è che le donne Eleusine, istituito un coro, cantarono u
do di Euristeo trar Cerbero dall’ Inferno, e non volendovi discendere che iniziato, si diresse per questo oggetto ad Eumolp
iniziato, si diresse per questo oggetto ad Eumolpo. Vietava la legge che fosse ammesso uno straniero: non si ardiva con tu
fficoltà. Piglio adottò Ercole, e così fu iniziato ai misteri minori, che facilmente potevano comunicarsi. I maggiori erano
ponendo le pelli di vittime immolate a Giove sotto i piedi di quelli che avevano dei sacrilegi commessi. D’uopo vi era anc
ra ancora di corone e fiori; ed Idrano, dall’acqua, si chiamava colui che purificava gì’ iniziandi; che prima dovevano, oss
d Idrano, dall’acqua, si chiamava colui che purificava gì’ iniziandi; che prima dovevano, osservando il silenzio, dar prova
o il rito, osservata la castità, si rendevano degni dell’iniziazione, che altrimenti non produceva i vantaggi sperati. L’os
iniziazione, che altrimenti non produceva i vantaggi sperati. L’ostia che doveva immolare chi desiderava iniziarsi, era una
che doveva immolare chi desiderava iniziarsi, era una troia gravida, che prima era lavata in Cantaro uno dei tre porti del
re una ^rendita per l’erario di Atene fissando una mercede per coloro che volevano iniziarzi. Convien però fissare che tutt
o una mercede per coloro che volevano iniziarzi. Convien però fissare che tutte queste cerimonie erano proprie dei misteri
issare che tutte queste cerimonie erano proprie dei misteri minori, e che nei maggiori si comprendevano gli arcani fondamen
i quelli ammessi a’ primi chiamavansi Misti, o contemplanti, e quelli che giungevano ai secondi denominati erano Epopte, ci
nteriore del tempio. Dei veli pendenti assicuravano il segreto di ciò che si faceva nel sacrario. Che più? vi erano arcani,
segreto di ciò che si faceva nel sacrario. Che più? vi erano arcani, che dai Sacerdoti i più intimi erano solo conosciuti,
veniva aspettare cinque anni avanti di essere ammesso all’iniziazione che si celebrava di notte. Il ratto di Proserpina. (
nco la purpurea veste. Lei la Regina del Liceo seguiva, E la potente, che dell’asta all’ombra Sicure fa le Pandionie rocche
erra, e l’altra Terror di belve: è nel cimiero aurato Tifon scolpito, che nell’ima parte Vivendo par che con la morte scher
: è nel cimiero aurato Tifon scolpito, che nell’ima parte Vivendo par che con la morte scherzi: S’inalza al cielo con terri
e trentesimaquinta. Iniziazione nei misteri Eleusini. Nella notte, che fa maggiori le proprie ombre e i fantasmi della s
tempio Eleusino accoglieva nel suo recinto maggior numero di persone che ogni città di Grecia nelle sue feste. Il sacrario
crebbe la maestà del tempio sotto Demetrio Falereo il celebre Filone, che vi aggiunse colonne nella fronte. Questa fabbrica
o, si tergevano le mani coiraccjua sacra avanti di entrar nel tempio, che senza un sacrifizio non s’apriva Mani pure, mente
one. Quindi imponevasi il silenzio più religioso sul rito dei misteri che si leggevano in due libri, custoditi in due pietr
sicuravano al sacerdote il secreto. Gli iniziandi descrivevano i riti che gli erano letti innanzi dal gran sacerdote detto
, e bevvi il ciceone, — ch’era una bevanda composta di molti liquori, che Cerere per le persuasioni di una donna chiamata B
e la danza. Colle due voci (grec), (grec), si acclama agli iniziati, che davano allora luogo agli altri che volevano esser
(grec), si acclama agli iniziati, che davano allora luogo agli altri che volevano essere ammessi ai misteri. GÌ’ iniziati
per l’età venerando, Atene aveva il diritto di dare questi ministri, che dedicandosi ad una perpetua verginità, stimavano
te in questi misteri il daduco, il banditore. Daduco si diceva colui, che teneva la fiaccola, distinto anch’egli dalla cape
edeva poi ai misteri un prefetto col titolo di re, il quale comandava che ogni nemico dalle cerimonie si astenesse, e che d
e, il quale comandava che ogni nemico dalle cerimonie si astenesse, e che dopo la solennità radunava il senato nell’Eleusin
solennità radunava il senato nell’Eleusinio per conoscere quelle cose che si fossero fatte contro il rito. Ad altri quattro
ò lo Scita Anacarsi, reso ancor più famoso dall’ opera di Barthélemy, che combina il gusto e l’erudizione. Le donne che a C
l’ opera di Barthélemy, che combina il gusto e l’erudizione. Le donne che a Cerere in tal maniera si consacravano furono ch
vano furono chiamate Melissee. Uno dei vantaggi di questi misteri era che gl’iniziati obbligati si credevano all’ esercizio
ti si credevano all’ esercizio della virtù più severa. Cicerone dice che non solo erano causa di vivere con allegrezza, ma
re con allegrezza, ma pure di morire con buone speranze. Era opinione che le dee Eleusine, Cerere e Proserpina, fossero lib
pio di Cerere; e ciò fu cagione di guerra fra Filippo e gli Ateniesi, che dell’antica fortuna non conservano che la superbi
ra fra Filippo e gli Ateniesi, che dell’antica fortuna non conservano che la superbia. Due giovani di Acarnia ignari di que
niziati erano dall’opinione puniti ancora dopo la "vita. Era credenza che fossero condannati nelI’Averno a riempire un vaso
fossero condannati nelI’Averno a riempire un vaso forato, come quello che i poeti diedero alle Danaidi ree del sangue dei l
zio, forse il più filosofo dei poeti, dice in una sua Ode: Io vieterò che chi ha divulgato gli arcani Eleusini abiti sotto
gno pel mare. — E a tanto arrivava lo scrupolo del rigoroso silenzio, che cogli Dei stessi credevano delitto violarlo. Comp
ogli Dei stessi credevano delitto violarlo. Compirò le altre notizie, che ho dedotte dal Meursio su questo soggetto, nella
fan densa corona Che danno fama ai tuoi fonti, Crimniso, E a Pantagia che rota i sassi, e a Gela Che dà suo nome alla cìtta
na irresoluta nutre Nello stagno palustre, e il noto fonte D’Aretusa, che con sicuro errore Segue l’ospite Alfeo. Così la s
ella luna, esulta allora Che dalla depredata Orsa ritorna Ippolita, e che trae Tinti in battaglia Gli abitatori delle nevi
a sua cima il sacro volgo Etna mirò madre dei fiori, e dice A Zeffiro che siede in curva valle: Di primavera genitor soave,
rugiada l’anno, Mira le ninfe, e del signor del tuono L’altera prole, che nei nostri campi Degna scherzare; deh ti prego, a
i conceda La gloria dei suoi vinti orti: dispergi Nelle mie vene quel che spira Idaspe, E Panchea nelle selve, e ciò che to
gi Nelle mie vene quel che spira Idaspe, E Panchea nelle selve, e ciò che toglie Da genti ignote la fenice eterna: Così toc
gia, serpe L’edra, e la vite si marita all’olmo. Non lungi è un lago, che i Sicani Pergo Chiamar: lo cinge colle frondi il
dolci studii avviva Citerea colla voce e grida: Adesso Gite, sorelle, che sul biondo suolo L’astro più caro a me sparge dal
ninfe i varii boschi. La rapina così del timo Ibleo Trae l’api allora che le ceree schiere Movono i regi, e che per l’erbe
el timo Ibleo Trae l’api allora che le ceree schiere Movono i regi, e che per l’erbe elette L’esercito gentil da cavo faggi
raco adorna, e va di rose Coronata, e del bel ligustro adorna Il sen, che tanto paragon non teme. Lezione trentesimases
. e mìe ricerche sopra Cerere avranno fine nella presente Lezione, che comprenderà quel che vi resta a sapere intorno ai
opra Cerere avranno fine nella presente Lezione, che comprenderà quel che vi resta a sapere intorno ai misteri Eleusini, gr
i Alessandro si rileva. È incerto per quanto tempo durasse, e Meursio che nell’oscurità dei misteri portò primo ]a luce del
basso rilievo pubblicato recentemente dal celebre Zoega. Dopo questo, che lentamente procedeva, veniano le donne con le ces
ca, e vi eran nascosi serpenti, piramidi, volumi di lane e melagrani, che vietarono a Proserpina di esser restituita a Cere
esto Bacco non era il Tebano figlio di Giove e di Semele, ma un altro che dal re degli Dei e da Cerere, o Proserpina, era n
nto, le danze e il picchiar degli scudi. Sacra la porta, sacra la via che frequentavano gli Eleusini era detta. Nel settimo
i era detta. Nel settimo giorno vi era una specie di caccia, certame, che giovani a piedi e a cavallo facevano coi tori. Un
Una misura di orzo n’era il premio, perchè questo vegetabile era fama che per la prima volta fosse nato in Eleusi. Potete v
va Epidaurio, perchè instituito dagli Ateniesi in onore di Esculapio, che venne da Epidauro dopo i celebrati misteri, per e
dei misteri, empivano due vasi, detti plemochoe, ch’erano testacei, e che aveano un fondo non acuto ma stabile e piano. Uno
Eleusi colle bighe, e gli asini avean l’onore di portare tutto quello che era necessario pei misteri. Questi erano in tanta
io pei misteri. Questi erano in tanta venerazione presso gli antichi, che sacro era per essi il giuramento. Tanto è l’imper
cro era per essi il giuramento. Tanto è l’impero della superstizione, che questi prestigi durarono fino agl’imperatori cris
izione, che questi prestigi durarono fino agl’imperatori cristiani, e che Valentiniano, che proibir gli voleva, fu costrett
prestigi durarono fino agl’imperatori cristiani, e che Valentiniano, che proibir gli voleva, fu costretto di concederne al
con molte altre ridicolezze del Paganesimo ancora i misteri Eleusini, che furono celebrati dagli Ateniesi, non solo, ma dai
osta col tempo in effetto da Adriano. Eccovi date, con quella brevità che si poteva, le notizie più importanti intorno ad u
r di Marte, e la placata cresta Tien Primavera. Coi sagaci cani Colei che scorre del Partenio i boschi Or sprezza i cori, e
città: cagione ascosa Move il dubbio tumulto, e nota è solo A Citerea che spaventata gode. Cerca una strada fra l’opaca ter
e lasciò l’opra L’attonito Vulcan: cade al tremante Ciclope il fulmin che prepara a Giove. L’udì l’abitator dei ghiacci alp
percossa orrenda Loro insegna a soffrire il Sole, e vanno Rapidi più che rovinoso fiume; Vincon del Parto la saetta, i ven
i castità comune Le move, e l’odio al rapitore accende; Ei qual lione che giovenca afferra Decoro dell’armento, e con gli a
stigie ancelle. Torna alla notte tua, lascia il fraterno Retaggio; a che calpesti il nostro mondo, Ospite infame? — E perc
re al Cielo inalza: Ah dai Ciclopi i fabbricati dardi, Oh Padre in me che non torcesti? ali* ombre Mi consegni, o crudel: d
ole di Saturno, e serve A me la mole delle cose: il giorno Non stimar che ti sia rapito: abbiam o Altre stelle, altro sol,
Ed i beati abitatori, e prole, Aurea dimora, e più felice etade. Ciò che i numi mertaro una sol volta Sempre tenghiamo, pi
a sacro, e ricca Sarai tu sempre degli aurati pomi. Poco ti dico: ciò che il Ciel sereno Contiene, quello che produce il su
li aurati pomi. Poco ti dico: ciò che il Ciel sereno Contiene, quello che produce il suolo, Abbraccia il mare, e traggon se
n feroce; i serpi eterni Son miti; accendon con diverso lume La face, che nuzial teda diviene. Lachesi alcun stame non rupp
oti a Cerer date. Lezione trentesimasettima. Vesta. Non rimane che Vesta tra gli Dei maggiori, la quale debba essere
ità delle mie forze e la vastità del subietto. È sentimento di alcuni che due Veste vi siano state: una, madre" di Saturno,
mento di alcuni che due Veste vi siano state: una, madre" di Saturno, che Pale ancora fu detta; e Y altra figlia di lui. La
erano: in queste effigiata vedovasi per attestare, secondo Posidonio, che a lei dovevasi l’arte di fabbricarle. Narra Arist
osidonio, che a lei dovevasi l’arte di fabbricarle. Narra Aristocrito che dopo la vittoria riportata sui Giganti, Giove die
vittoria riportata sui Giganti, Giove diede a Vesta la scelta di ciò che più le piacesse, ed essa, oltre le prime libazion
, ottenne di castità perpetua il dono. Reputavasi il fuoco etereo, di che simbolo è Vesta, perpetuo degli antichi, onde da
vien chiamata. Quindi l’autor dei frammenti attribuiti ad Orfeo disse che la dea abitava nel mezzo dell’eterea regione del
inione segue Ovidio nei Fasti, dicendo: Non intendere per Vesta altro che la viva fiamma, che non vede nascer da questa alc
nei Fasti, dicendo: Non intendere per Vesta altro che la viva fiamma, che non vede nascer da questa alcun corpo. — Infatti,
a statua, e vi si vedeva solamente nel mezzo un altare pei sacrifizii che facevano alla dea, la quale presso i Greci ed i R
la quale presso i Greci ed i Romani non avea anticamente altro segno che il fuoco con solenne religione custodito. Numa Po
e quasi in forma di un globo, non già, dice Plutarco, per significare che questo fosse il globo della Terra, ma per additar
itare con esso tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco che chiamavano di Vesta. Pure lo stesso nei Problemi,
perchè le tavole rotonde degli antichi si chiamassero veste, afi’erma che tal nome loro fosse dato per la somiglianza che a
ssero veste, afi’erma che tal nome loro fosse dato per la somiglianza che avevano colla Terra, reputata lo stesso che Vesta
e dato per la somiglianza che avevano colla Terra, reputata lo stesso che Vesta. Questa differenza rende maggiormente proba
ccennato mantenevano i Romani il fuoco sacro con tanta superstizione, che veniva riguardato come pegno dell’impero del mond
tro di un vaso concavo presentato al Sole. Ciò forse potrebbe provare che fin d’ allora erano gli specchi concavi in uso. P
fin d’ allora erano gli specchi concavi in uso. Pesto però pretende, che questo nuovo fuoco si facesse collo sfregamento d
forandolo. Lo rinnovavano ogni anno nel primo giorno di Marzo ancora che non si estinguesse. Il fuoco sacro di Vesta non c
lamente nei templi, ma ancora alla porta di ogni casa particolare, da che la parola vestibolo è derivata. Il tempio di Vest
, in Argo, in Efeso, in Mileto. Ecateo Milesio nelle Genealogie dice che Vesta si figura in una donna sedente circondata d
onna sedente circondata da delle piante, e da ogni genere di animali, che l’accarezza. È chiaro che confonde Vesta colla Te
delle piante, e da ogni genere di animali, che l’accarezza. È chiaro che confonde Vesta colla Terra. Sopra una lampade di
la Terra. Sopra una lampade di bronzo del Museo Romano si vede la dea che tiene una fiaccola accesa in forma di lancia nell
glio, inciso nei Monumenti inediti di Winkelmann, Vesta è la sola dea che abbia un lungo scettro. L’abito suo è di matrona;
a lampade ha una torcia, il Palladio o una piccola Vittoria. I titoli che ha nelle medaglie e nei monumenti sono di Santa,
i fatti di quel popolo signore dell’universo. Il vostro cuore dimanda che avvenisse di Cerere quando si accorse che le era
so. Il vostro cuore dimanda che avvenisse di Cerere quando si accorse che le era stata rapita la figlia. Soddisfarà a così
lve i rami incolti. Cercò la colpa, e rispondean piangenti Le Driadi, che abbattuto il sacro alloro Avean le Furie con tart
materno affetto Tutto dal core non scacciasti, e sei Cerere santa, e che di tigre ircana Il sen non ti nutrì, da questi la
on delle catene. S’alza sul letto palpitando, e muta Gran tempo, gode che la vista orrenda Sia sogno; eppur del lacrimato a
che la vista orrenda Sia sogno; eppur del lacrimato amplesso Si duole che il piacer fugga col sonno. Balza e grida a Cibele
’Ida appena è scesa, E paventa di tutto, e nulla spera. Sì teme augel che non pennuta prole Commise ad umil orno, allor che
pera. Sì teme augel che non pennuta prole Commise ad umil orno, allor che l’esca Recando, pensa che il diletto nido Scosso
n pennuta prole Commise ad umil orno, allor che l’esca Recando, pensa che il diletto nido Scosso dal vento non sia furto al
Per favellarvi delle altre divinità minori io terrò lo stesso ordine che Esiodo, il quale nella sua Teogonia, se crediamo
va il Tartaro tenebroso. V’era ancora l’Amore bellissimo fra gli Dei, che scioglie le cure, e doma nel cuore degl’immortali
vidio Caos fu detto l’unico aspetto di tutta la natura nell’universo, che consisteva in una rozza ed indigesta mole, in un
iama gran madre degli Dei e consorte del Cielo stellato. Erodoto dice che presso gli Sciti, dai quali era sommamente onorat
Esiodo certamente non le dà per consorte, ma per figlio il Cielo. Che che ne sia, fu annoverata, come Eschilo lasciò scritt
i nomi come lo stesso scrittore nel Prometeo attesta. Pausania narra che diede la prima gli oracoli, e che avendo ceduta l
l Prometeo attesta. Pausania narra che diede la prima gli oracoli, e che avendo ceduta la sede e il privilegio a Temide, q
i Omero. Orazio le assegna altra vittima nel porco, ed Eschilo scrive che usanza era d’offrirle gli stessi sacrifizii che a
co, ed Eschilo scrive che usanza era d’offrirle gli stessi sacrifizii che agli Dei mfernali, chiamati inferie dai Latini. Q
a avea luogo nella composizione di questa tavola come madre di Anteo, che rinnuovava le sue forze ogni volta che toccava la
ta tavola come madre di Anteo, che rinnuovava le sue forze ogni volta che toccava la Terra. Sopra una pasta antica è indica
tica è indicata da uno scoglio sul quale Temide è assisa per indicare che questa dea era figlia della Terra. « Una medaglia
daglia dell’imperator Comodo, dice Addison, offre l’immagine del Sole che comincia il suo corso; il disegno n’è bello, e ra
o felicita Nerone della sua maestria nel guidare il carro, dicendogli che s’egli fosse salito sui fiammanti Coc chi di Febo
attro fanciullini, tutti rivolti verso la Terra; ed il primo di essi, che rappresenta l’Inverno, ha un manto che gli pende
la Terra; ed il primo di essi, che rappresenta l’Inverno, ha un manto che gli pende dagli omeri: gli altri poi sono nudi, e
o nudi, ed in tal guisa appunto sono rappresentati questi pargoletti, che figurano le stagioni, nel Museo Passeri al tomo I
ome annodate pongono in mezzo la Terra: sotto a Marte stassi la Luna, che ha di fronte Giove, ed in mezzo tutto raggiante m
mezzo tutto raggiante mirasi il Sole. L’Olivieri suppone eruditamente che la Terra venga qui accompagnata dai sette pianeti
a Poro, e della Povertà. Darò compimento nella presente Lezione a ciò che riguarda Cerere col leggervi il delitto e la pena
che riguarda Cerere col leggervi il delitto e la pena di Eresittone. che da Ovidio ho tradotto: Eresittone selva a Cerer
. Gli rapisce la scure, e in questi accenti Scelerato prorompe: Ancor che fosse La diva stessa, non che a lei diletta Cotes
uesti accenti Scelerato prorompe: Ancor che fosse La diva stessa, non che a lei diletta Cotesta querce toccherà la terra Co
a testa. — In colpo obliquo, Ciò detto libra la bipenne; trema, E par che pianga di Dodona il legno, E colle frondi impalli
giace il freddo inerte, E col Tremore la digiuna Fame. A lei comanda che nel sen si celi Di quel profano, nè alla copia ce
sopra l’aspro monte Che Caucaso si noma: e qui la Fame Cercata trova, che in sassoso campo Strappa con l’unghie e con i rad
ia, e regna la vorace fame Nelle viscere immense, ond’egli chiede Ciò che rinchiude e mare ed aria e terra, E a mensa piena
l’arco e la face, consueto ornamento, noi sappiamo da un antico poeta che sosteneva nelle mani un delfino e un fiore, per i
ra e sul mare. Tanta audacia attribuirono allo dio sii antichi poeti, che finsero essere stati da lui spogliati tutti i num
Inimicizie, la Contesa. Seguì l’idee degli antichi il Petrarca allora che disse di questo dio: « Ei nacque d’ozio e di las
accortezza ed artifizio poetico gli attributi d’Amore: « Chiunque fu che primo dipinse Amore fanciullo non lo giudichi mar
so artista: « Egli primo conobbe viver gli amanti senza sentimento, e che per lievi cure gran beni periscono: « E non invan
a faretra pende dall’una all’altra spalla. « Infatti ne ferisce prima che ce n’avvediamo, poiché da noi senza paura si mira
l favellare dei monumenti dell’Amore veduti nella Grecia da Pausania, che non può mai esser letto abbastanza dagli artisti,
ia vi era 1’ altare dell’Amore con un’ iscrizione, la quale attestava che Carmo fu il primo Ateniese che consacrò un altare
con un’ iscrizione, la quale attestava che Carmo fu il primo Ateniese che consacrò un altare a questa divinità. A Megara sc
Passione. Fra le pitture di Pausia contemporaneo ed emulo di Apelle, che si ammiravano nel tempio di Esculapio in Epidauro
miravano nel tempio di Esculapio in Epidauro, distinguevasi un Amore, che , gettato l’arco e la freccia, teneva una lira Pre
uno per loro del bel marmo del Monte Pentelico. I Tespiesi narravano che loro fu tolto da Cajo imperatore dei Romani, che
I Tespiesi narravano che loro fu tolto da Cajo imperatore dei Romani, che Claudio lo rimandò, ed ultimamente fu di nuovo ru
to da Nerone e situato in Roma, ove fu consumato dal fuoco. Il Cupido che vedovasi in Tespi ai tempi di Pausania era di Met
che vedovasi in Tespi ai tempi di Pausania era di Metrodoro Ateniese, che aveva imitata la statua di Prassitele, la quale a
aveva imitata la statua di Prassitele, la quale aveva tanta celerità, che si faceva il viaggio di Tespi unicamente per vede
piccola cappella accanto alla Fortuna, probabilmente per significare che in amore la fortuna giova più della bellezza. L’A
o. Una delle sue immagini più dotte è quella del Gabinetto di Stosch, che l’offre tenente un gruppo di chiavi in mano, che
Gabinetto di Stosch, che l’offre tenente un gruppo di chiavi in mano, che egli è il padrone ed il guardiano del talamo di V
lle Grazie e di Venere. Una gemma del Museo Fiorentino ci offre Amore che naviga sopra un’anfora, e questa immagine sembra
o rettile, come il ramarro, credevasi simbolo del predire l’avvenire, che gli antichi e i moderni hanno creduto essere prop
uto essere proprietà del sonno, onde disse Dante « ……………… il sonno, che sovente Anzi che il fatto sia, sa la novella. »
età del sonno, onde disse Dante « ……………… il sonno, che sovente Anzi che il fatto sia, sa la novella. » Questo dio mi ram
tto sia, sa la novella. » Questo dio mi rammenta la Notte sua madre, che nacque dal Caos, e che Esiodo annovera dopo l’Amo
 » Questo dio mi rammenta la Notte sua madre, che nacque dal Caos, e che Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è che io seg
re, che nacque dal Caos, e che Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è che io seguitando il sistema che mi sono prefìsso, di
e Esiodo annovera dopo l’Amore. Quindi è che io seguitando il sistema che mi sono prefìsso, dirovvi ciò che intorno a quest
indi è che io seguitando il sistema che mi sono prefìsso, dirovvi ciò che intorno a questa dea pensavano gli antichi. Regin
torno a questa dea pensavano gli antichi. Regina del Caos era innanzi che Iddio togliesse la lite degli elementi, e leggi p
crivesse alla materia informe. Con ragione quindi l’autore degl’Inni, che vanno sotto il nome di Orfeo, la chiamò madre deg
feo, la chiamò madre degli uomini e degli Dei. Favoleggiarono i poeti che fosse tratta sopra un cocchio, avanti alle rote d
a Miseria, sono sua prole, per tacere di molti altri. Vogliono alcuni che senza marito la generasse, ed altri, coll’Èrebo c
gura dipinta in un antico manoscritto, della quale il drappo è blu, e che tiene una fiaccola rovesciata, con l’iscrizione:
on l’iscrizione: La Notte. Sopra un basso rilievo del Palazzo Albani, che esprime la scoperta dell’ adulterio di Venere con
iene al di sopra di essa un manto volante, per indicare probabilmente che questo delitto fu commesso di notte. Sopra un alt
te che questo delitto fu commesso di notte. Sopra un altro monumento, che rappresentava lo stesso soggetto, ma che non esis
e. Sopra un altro monumento, che rappresentava lo stesso soggetto, ma che non esiste più, la Notte era effigiata nella figu
gio di questa bellissima mezza figura quando colla stessa probabilità che della precedente se ne potesse rintracciar l’auto
« La grazia e la venustà sono le doti principali di questa scultura, che non manca nè di verità, nè di morbidezza. La cele
re pel figlio di Venere compagno delle Grazie, anche senza riflettere che aveva in antico le ali, riportate forse di bronzo
rippina. Quantunque però non esista monumento antico a mia conoscenza che possa illustrare l’origine di questa graziosa fig
amo da Plinio ch’egli scolpì l’Amore a Tespi piccola città di Beozia, che per questo solo era visitata dai forestieri; che
ola città di Beozia, che per questo solo era visitata dai forestieri; che fu tolta ai Tespiesi da Caligola e portata a Roma
gola e portata a Roma, donde Claudio la rimosse per restituirla loro: che Nerone tornò a ritorla e la fece di hel nuovo tra
nche ai suoi giorni ne’ porticati di Ottavia. Asserisce questo autore che Prassitele scolpì un’ altra volta Cupido tutto nu
e fama e avventure pari a quelle del simulacro materno di Guido. Quel che sicuro è, che la moltiplicità delle copie ce lo a
ture pari a quelle del simulacro materno di Guido. Quel che sicuro è, che la moltiplicità delle copie ce lo attesta per una
colpito da Prassitele a Parlo; e quell’altra in età più fanciullesca, che si ammira in Campidoglio, nel Palazzo Laute e alt
più nell’amator celato, Che spoglie anguine ed omicida artiglio, Fin che il terror poteo nel cor turbato Strano eccitar d’
lanciò nel fiume: Cara un tempo ad Amore La rispettaron l’acque. Lei che raminga in traccia Del perduto Signor scorrea la
traccia Del perduto Signor scorrea la terra. Incoraggi soave La Dea, che al crin le bionde spiche allaccia; A lei stendea
uri uffici: Chi l’auree lane, e la difficil’onda: Amor, dov’eri? a te che tutto sai, Come furono ignoti Della tua Psiche i
ervò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali, E innanzi al Re, che i maggior Dii governa, Narrò di Psiche e di se st
ndogli per sorelle ancora le Speranze. Così forse vollero significare che spesso egli offre agli infelici dei sogni, coi qu
inazione, stanca di vere sciagure, cerca un miglior avvenire. Certo è che i sogni sono la compagnia eterna di questa cara d
la compagnia eterna di questa cara divinità, come appare da Tibullo, che dice: — E poi viene il sonno colle ali fulve, e i
e da lui derivò il Casa nella prima terzina di questo famoso Sonetto, che voi udirete volentieri. « Sonno, o de la queta,
i mali Sì gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; Soccorri al core ornai che langue, e posa Non ave; e queste membra stanche e
Sonno, e l’ali Tue brune sopra me distendi e posa. Ov’è il silenzio, che il di fugge e il lume? E i lievi sogni, che con n
e posa. Ov’è il silenzio, che il di fugge e il lume? E i lievi sogni, che con non secure Vestigia di seguirti han per costu
ogni, che con non secure Vestigia di seguirti han per costume? Lasso: che invan te chiamo; e queste oscure E gelid’ ombre i
disprezzare la servitù, il dolore, la miseria, e tutti gli altri mali che sono sulla terra perpetua eredità dell’uomo. Ques
ele esattore, la metà della vita, e fa, come dice il divino Dante: «  che seggendo in piuma In fama non si vien, nè sotto c
a di sé lascia, Qual fumo in aere od in acqua la schiuma. » Quindi è che fratello di Lete lo disse con ragione Orfeo, che
schiuma. » Quindi è che fratello di Lete lo disse con ragione Orfeo, che chiamò pure quiete dell’universo, e re degli uomi
i Dei. In Omero tutti gli Dei cedono al Sonno: solo veglia Giove; con che quel principe dei poeti volle indicarci che color
o: solo veglia Giove; con che quel principe dei poeti volle indicarci che coloro i quali presiedono al destino degli uomini
e degli Dei non lo avesse salvato. Non vi è istoria nè favola veruna che mostri esenti mai sempre i grandi dalle umane deb
una selva di papaveri grossi come alberi, e di mandragore: mille erbe che producono il sonno fioriscono sotto le frondi, fr
rso è cheto, e le sue acque sono simili all’odio. Nasce da due fonti, che sgorgano in sconosciuto loco. Uno di questi si ch
e artifizio mostra espresse, come in basso rilievo, tutte le immagini che cadono nella fantasia di chi dorme. Nell’altra di
a statura e non men leggiadri di volto e di portamento. Vi sono Sogni che alati minacciano, con tremendo aspetto, sciagure,
e alati minacciano, con tremendo aspetto, sciagure, e ve n’ha diversi che promettono felicità vestiti con pompa reale. Se q
me di non poco lume per l’arte vi possono essere le seguenti notizie, che intorno ai modi di figurare il Sonno derivo dagli
e l’una sull’altra. Il Sonno è pur rappresentato con un giovine genio che si appoggia sopra una fiaccola rovesciata, e sì t
e una statua di lui è posta dopo le figlie di Mnemosine dal Visconti, che illustra due altri simulacri dello stesso Nume, c
ine dal Visconti, che illustra due altri simulacri dello stesso Nume, che erano parte di quella preziosa raccolta delle più
soglio, le illustrazioni di tanto antiquario. « Non farà maraviglia che nel Museo Tiburtino di Cassio fosse stata unita l
a quella delle nove Dee a chiunque conosca l’opinione degli antichi, che nessuna deità stimarono tanto amica alle Muse qua
che nessuna deità stimarono tanto amica alle Muse quanto il Sonno, e che eressero in Trezene un’ara comune a questa divini
è tal maniera di pensare deve sembrare affatto strana a chi rifletta, che se nessuna facoltà dello spirito umano debba esse
bba essere cotanto accetta alle Muse quanto la fantasìa, convenìa pur che da loro si onorasse il Sonno, il quale, tenendo l
legati i sensi, lascia libero il nostro sensorio all’ immagi nazione, che è la madre dei sogni. E in sogno in fatti si cred
ii poeti antichi d’essere stati sensibilmente inspirati, come Esiodo, che vide nelle valli d’Ascra le Muse; e come Ennio, c
ati, come Esiodo, che vide nelle valli d’Ascra le Muse; e come Ennio, che si sentì qualche volta eccitato alla poesia dall’
Sonno, noi possiamo considerare in questo bel marmo l’unico simulacro che ce ne resti. (Notate che ancora non si erano scop
derare in questo bel marmo l’unico simulacro che ce ne resti. (Notate che ancora non si erano scoperti gli altri due, di cu
, di cui parla Visconti nel terzo tomo. « Ha già avvertito Winkelmann che quello della Villa Borghesi scolpito in pietra di
ragone, è opera moderna dell’ Algardi, come risulta ancor dalla vita, che ne ha scritta il Bellori, benché pubblicato per a
antico da Montfaucon. Con questo Nume sia effigiato nel bel monumento che ora esponiamo, non accade porlo in dubbio, giacch
mbra, e particolarmente nelle palpebre mollemente chiuse, e nel capo, che pieno di grave sonnolenza pende sull’omero manco.
l’idea di porgli in mano una face rovesciata, simbolo dei seutimenti che per lui si estinguono. L’ara che è ai suoi piedi
e rovesciata, simbolo dei seutimenti che per lui si estinguono. L’ara che è ai suoi piedi é forse quella di Trezene, ch’ebb
r avventura il fatidico alloro, simbolo dell’oracolo e dei vaticinii, che anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo: al
dei vaticinii, che anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo: al che può anche alludere avere unito la statua del Sonn
chio è barbato è scolpito ancora il Sonno negli antichi bassi rilievi che ci offrono Endimione dormiente. Quello del Museo
oltre l’ali alle tempie, ha più agli omeri due altre ali di farfalla che lo adornano ancora nel Museo Matteiano. « Queste
mmagini del Sonno m’inducono ad attribuirne a questo Nume dell’altre, che niuno forse avrebbe pensato che lo rappresentasse
attribuirne a questo Nume dell’altre, che niuno forse avrebbe pensato che lo rappresentassero. «  La prima è la testa barba
a puntuta, capelli acconciati quasi all’uso femminile ed ali al capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Tizia. Chi r
al capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Tizia. Chi riflette che in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso d
te che in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso del Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede orig
nume anch’esso del Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede origine al celebre Ippocrene, e che inoltre
scio di tutte è il Pegaseo, che diede origine al celebre Ippocrene, e che inoltre poeta rinomato fu ai tempi di Augusto uno
sta famiglia, il quale si suppone essere stato il Triumviro Monetale, che fece coniar tali medaglie, troverà tante probabil
oniar tali medaglie, troverà tante probabilità per questa spiegazione che giungeranno a rendergliela verosimile. Crescerann
rendergliela verosimile. Cresceranno le probabilità quando consideri che la testa alata non può essere Perseo, perchè quel
hè quell’eroe imberbe in ogni monumento s’incontra; non Bellerofonte, che avrebbe qualche rapporto col Pegeso, perchè la su
ne veruna, e perchè non gli può competere quell’acconciatura di capo, che pur ci offrono le più sicure immagini dell’Erebo
i dell’Erebo e della Notte. « Un’ altra effìgie del Sonno sarà quella che in varie gemme s’incontra, similissima a quella d
issima a quella delle citate medaglie, eccetto nell’ali delle tempia, che sono di farfalla. È stata dagli antiquari attribu
i farfalla. È stata dagli antiquari attribuita a Platone, non ostante che gli smentissero i ricci della lunga chioma, poco
uel grand’ uomo conservatoci in alcune di quelle medaglie contornate, che cotroni comunemente si appellano, e finalmente il
e finalmente il suo busto col nome greco pubblicato da Fulvio Orsino, che si custodisce a Firenze nella Galleria. « Con più
, e nella nostra statua medesima, e finalmente per le ali di farfalla che adornano gli omeri di quel Nume in vari bassirili
le sovraccennate difficoltà, cade immediatamente, quando si rifletta che una testa simile alle monete della famiglia Tizia
mile alle monete della famiglia Tizia, ha le ali come fatte di piume, che non sostengono simile allusione, e che dall’altra
ha le ali come fatte di piume, che non sostengono simile allusione, e che dall’altra parte non può in verun conto rappresen
o riposo, disteso tutto sul suolo, ed una delle ripiegate sue ali par che gli serva di morbido letto. « I letei papaveri, p
dei sensi, poiché presso gli antichi naturalisti opinione era invalsa che più vegeto e pingue apparisse il gentile animale
ali adornano qualche volta del Sonno istesso le tempie e gli omeri: o che l’accostarsi del Sonno quasi insensibile sia stat
si insensibile sia stato paragonato al leggier volo della farfalla, o che vi sia qual simbolo dell’anima umana, che per vir
gier volo della farfalla, o che vi sia qual simbolo dell’anima umana, che per virtù del Sonno sembrò libera da’ lacci della
tanze spirituali e divine. « Ma qual sarà il significato del ramarro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stes
del ramarro, che vedesi scolpito a’ piedi del putto? Forse lo stesso che quel del ghiro per l’apparente sua sonnolenza dur
per così dire sinonimi, parrebbemi alquanto inelegante. Io congetturo che l’immagine di questo rettile vi sia aggiunta con
indovino Trasibulo non avea altro simbolo della sacra sua professione che l’immagine di un ramarro, che parea strisciargli
tro simbolo della sacra sua professione che l’immagine di un ramarro, che parea strisciargli dall’omero verso l’orecchio. E
nazione. Scolpito in compagnia del Sonno potrà significare i presagi, che gli uomini di ogni secolo e di ogni nazione si so
gli antichi e moderni amori mancano di rado di una qualche avventura, che i sogni degli amanti non abbiano prevenuta; e Apo
nto del futuro sia stato dalle rozze nazioni attribuito al alcune più che ad altre specie di viventi, dovrà attribuirsi a q
ecie di viventi, dovrà attribuirsi a quei cangiamenti dell’atmosfera, che alcuni delicati animali sentono più facilmente de
ni delicati animali sentono più facilmente dell’uomo, e perciò sembra che li presentano. Quindi la virtù profetica fu attri
precedente è l’immagine del Sonno incisa in questo rame, come quello che nel capo reclinato e cascante, nelle gambe incroc
ate, nella face rovesciata, quasi per estinguerla, somiglia le tante, che sogliono a coppia vedersi scolpite attorno ai sep
iti della loro rappresentanza. « Il celebre Lessing è stato di parere che sì fatti genii, giovinetti, o fanciulli quando ve
supponga Omero. Meglio però il chiaro signor Herder è stato d’avviso che quantunque i genii colla face rovesciata veggansi
epolcrali per denotare la Morte, non siano però mai altra cosa se non che genii del Sonno, tratti a quel più tristo signifi
nazione, come se il defunto dormisse, e non fosse altra cosa la morte che un placido sonno. « In argomento già abbastanza e
o già abbastanza esornato mi tratterrò solo a fare alcune riflessioni che possano servire a determinare le nostre idee su q
rminare le nostre idee su questo genere e sui luoghi degli scrittori, che vi han relazione. La prima sarà l’osservare, che
ghi degli scrittori, che vi han relazione. La prima sarà l’osservare, che non ostante la verità della surriferita riflessio
rappresentanti la tragedia di Medea, ed accompagna i doni avvelenati che i fanciulli figli di Giasone recano alla sposa, c
i doni avvelenati che i fanciulli figli di Giasone recano alla sposa, che dee divenir loro madrigna. Qui il significato non
ficato non può essere equivoco: la figura vi sta solo per significare che in quei doni è la morte; e la natura della rappre
l’interpretazione dello stesso Lessing al luogo di Pausania, ove dice che nell’arca di Cipselo la Morte e il Sonno erano du
a Morte e il Sonno erano due fanciulli con le gambe torte. Pretendere che la frase greca possa significare altra cosa, anzi
uarda l’abitudine pingue e complessa d’alcuna delle accennate figure, che a Lessing è sembrata impropria, ed è attribuita d
e figure, che a Lessing è sembrata impropria, ed è attribuita da lui, che non vedeva gli originali, all’ inesattezza dei di
a lui, che non vedeva gli originali, all’ inesattezza dei disegnatori che han ricopiate le cose antiche. Questa corporatura
Questa corporatura più pingue e nutrita non è però tale oltre quelle che porta l’età infantile, in cui le figure si rappre
e si rappresentano; ed in fatti le lor forme son più rotonde a misura che i genii vengono avvicinati all’ infanzia. Del res
sacrata reggia Per la fulgida vesta., Alfine il nume Inalza gli occhi che il sopore aggrava: Cade, ricade, col mento notant
o arco ritorna. Ma fra la plebe dei suoi figli il padre Chiama Morfeo che mente ogni figura, Finge sembianze, portamento e
l Giorno. Ma Cicerone nel libro terzo dà per genitori allo dio quelli che il poeta di Ascra gli assegna per fratelli. Celo
eta di Ascra gli assegna per fratelli. Celo sposò col tempo la Terra, che lo fé’ padre d’insigne moltitudine di figli. Ques
ne, Febe, Teti, Saturno, Brente, Sterope, Arge, Cotto, Briareo e Già, che tutti Esiodo commemora nella sua opera sugli Dei,
ati i fratelli fece al padre con una falce adamantina quell’ingiuria, che in lui fu ripetuta da Giove, e nacquero dal sangu
o un re, il quale essendo reputato un dio per quella vile venerazione che gli uomini ebbero sempre pel potere, fu col tempo
come Omero attesta relativamente a Giunone. Fu credenza degli antichi che avesse il capo di toro, come attesta Euripide nel
e avesse il capo di toro, come attesta Euripide nell’Oreste. Io penso che ciò derivasse dal crederlo autore dei terremoti c
Perseide, Zante, Daira, Leucippe, Melofosi, Ociroe e moltissime altre che , secondo Esiodo, ascendono a tremila. D’Iperione
condo Esiodo, ascendono a tremila. D’Iperione altro non è noto se non che fu padre del Sole, secondo Esiodo, come Tia ne fu
Sole, secondo Esiodo, come Tia ne fu madre, e Giapeto uno dei Titani, che contro Giove prese le armi illustrando l’ardiment
glio. Avanti la guerra dei Giganti ebbe una figlia chiamata Anchiale, che diede il suo nome ad una città della Cilicia. Di
suo nome ad una città della Cilicia. Di Mnemosine non sappiamo se non che fu madre delle Muse ed amica di Giove, che per se
mosine non sappiamo se non che fu madre delle Muse ed amica di Giove, che per sedurla si trasformò in Pastore. L’unico simu
ve, che per sedurla si trasformò in Pastore. L’unico simulacro di lei che ne resti è nel Museo Clementine, e così viene ill
iglia della Terra e del Cielo, madre delle Muse. Il nome greco (grec) che sta scritto in vetusti caratteri sulla sua base,
ri sulla sua base, non solo ci dà il significato di questo simulacro, che sarebbe restato oscurissimo, ma ci è servito per
simo, ma ci è servito per riconoscere con maggior chiarezza di quella che potevamo sperare l’immagine della sua figlia Poli
rsi al pensiero le impressioni degli oggetti provati altre volte, nel che consiste questa facoltà dell’umano intelletto, si
si è voluto simboleggiare nel panneggiamento della nostra Mnemosine, che tutta la racchiude, e le involge persino le mani.
ttili interpretazioni, pure questa maniera di portare la sopravvesta, che costantemente si osserva in quasi tutti i simulac
la Memoria eh’ è Polinnia, e in questo della stessa Mnemosine, sembra che basti a giustificare un simil divisamento. «La de
di questa scultura abbastanza è nota pei carmi non meno degli antichi che dei moderni poeti; anzi l’hanno questi ultimi inv
; anzi l’hanno questi ultimi invocata espressamente nei lor poemi, il che non mi sovviene aver fatto gli antichi. A lei par
ene aver fatto gli antichi. A lei parla Dante allorché dice: «Mente, che scrivesti ciò ch’io vidi ; » lei chiama il Canto
telletto, adombrata in Giove, giacché non consistendo cotesto scienze che in combinazioni d’idee, il lor fondamento e la me
to scienze che in combinazioni d’idee, il lor fondamento e la memoria che quelle conserva, e fornisce così la materia all’i
sce così la materia all’ingegno. «Ma per tornare al nostro marmo dirò che é l’unica statua, e forse, più generalmente parla
erla nel bassorilievo dell’Apoteosi di Omero in quella figura istessa che abbiamo riconosciuto per Calliope. Lo Scott peral
eci le figure femminili ritratte sul Parnaso in quel monumento, credo che la decima alla sinistra di Apollo sia piuttosto l
stremamente questa suo congettura: aggiungo solamente per avvalorarla che non tiene già in mano, come apparisce dalle statu
i profilo per presentarvi sopra le offerte, una cassettina di profumi che i Latini chiamavano acerra. « Se poi si chiedess
dualmente si voglia indicare fra le ministre d’Apollo, io risponderei che la credo Femonoe, prima di quel ministero, ed inv
glia, secondo alcuni, di Febo istesso. « Lodevole è l’interpretazione che fa lo Scott sì della spelonca da lui riconosciuta
ad un tripode, ingegnosamente da lui spiegata per Biante Prieneo: lo che tanto più si rende verisimile quanto è certo dall
he tanto più si rende verisimile quanto è certo dall’annessa epigrafe che il borgo di Priene, patria di questo savio, lo er
era altresì di Apollonio scultore di tal monumento. Osservo soltanto che il soggetto di quel simulacro potrebbe essere il
trebbe essere il Licio Oleno poeta vetustissimo, e profeta di Apollo, che secondo alcuni tenne l’oracolo di Delfo pria dell
Cassio a Tivoli, con questo stesso, di rigettarla. « Debbo avvertire che in questo insigne bassorilievo abbiamo pure un’al
ire che in questo insigne bassorilievo abbiamo pure un’altra immagine che può riferirsi a Mnemosine poiché rappresenta la M
i personaggi, eccetto quello di Omero, son tutti allegorici piuttosto che mitologici e storici. È una dell’ultime figure: e
o dell’immagine: è questa velata e involta nella sopravesta, anzi par che tenga la mano al mento come se volesse richiamare
are. Quantunque queste figure corrispondano assai bene al significato che loro si dà, pure quando non si volesse far violen
se far violenza all’ordine delle leggende, e si persistesse a credere che l’epigrafe superiore debba appartenere alla figur
ondo l’ ordine eh’ è evidente nelle restanti immagini, potrebbe dirsi che la Ricordanza è quella che, alzando la mano, sta
te nelle restanti immagini, potrebbe dirsi che la Ricordanza è quella che , alzando la mano, sta come descrivendo e rammenta
, quanto per rintracciare e scoprire novelle verità. Il velo sul capo che vedremo dato all’ immagine di Aspasia unica nel n
asia unica nel nostro Museo col suo nome greco, non rende improbabile che possa darsi questo abbigliamento a Sofia, come si
come si è dato ad una filosofessa. « Mi resta finalmente ad osservare che in una maniera, per la sua semplicità e nobiltà d
e qualche rammemoranza. E non è già la sola osservazione della natura che ha somministrata al pittore filosofo questa bella
esto luogo menzione di questa eccellente pittura, osservo con piacere che le Muse si veggono in quella distinte a seconda d
le Muse si veggono in quella distinte a seconda dei diversi attributi che siamo andati notando in queste esposizioni, e che
i diversi attributi che siamo andati notando in queste esposizioni, e che egli avea dall’antico dedotti, di cui era oltre m
la sua prudenza ed amore per la giustizia; ed è quella, dice Diodoro, che istituì la divinazione, i sacrifizii, le leggi de
a divinazione, i sacrifizii, le leggi della religione, e tutto quello che serve a mantener l’ordine e la pace fra gli uomin
ia, e si applicò con tanta saviezza a render giustizia ai suoi popoli che fu considerata sempre dopo come la dea della Gius
i aveano degli oracoli. Pausania favella dì un tempio e di un oracolo che avea sul monte Parnaso insieme colla Terra, e ch’
l’ingresso del quale era il sepolcro d’Ippolito. Abbiamo dalla favola che Temi volea custodire la sua verginità, ma Giove l
e la Equità, la Legge e la Pace. Questo è un emblema della Giustizia, che produce le leggi e la pace dando a ciascheduno il
isce Temi madre dell’Ore e delle Parche. Temi, dice Feste, era quella che comandava agli uomini di chiedere agli Dei ciò ch
Feste, era quella che comandava agli uomini di chiedere agli Dei ciò che era giusto e ragionevole: presiedeva ai patti e c
i ciò che era giusto e ragionevole: presiedeva ai patti e convenzioni che si fanno fra gli uomini, e voleva che fossero oss
esiedeva ai patti e convenzioni che si fanno fra gli uomini, e voleva che fossero osservati. Teraistiadi si dicevano le sac
Roma. Differisce pure il modo di rappresentarle: sono tanto distinte che spesse volte è rappresentata giacente sotto il ca
spesse volte è rappresentata giacente sotto il carro di Rea la Terra, che spessissimo nei bassirilievi vien rappresentata c
sentata coricata sul suolo e sopra un toro appoggiata. Non così penso che Rea differisca da Cibele, come afferma il sopra l
, cui veruno negherà la notizia perfetta delle antiche superstizioni, che con la potente arme del ridicolo ha combattute. Q
à. L’ introduzione del culto di Cibele, o Rea, si deve agli Ateniesi, che dopo aver bandito il Gallo (così chiamavansi i sa
e dopo aver bandito il Gallo (così chiamavansi i sacerdoti della dea) che apportò i misteri di lei, furono afflitti dalla f
carono la dea ergendole un tempio detto Metroo cioè della gran madre, che così Cibele era chiamata. Deve Tebe a Pindaro, il
le avendo veduta con Olimpico, sonatore di flauto, la madre degli dei che con fragore e lampi scendeva dal cielo, eresse un
accanto alla sua casa. Nè in altro luogo la onorarono i Tebani, dopo che , colpiti dalla novità, interrogarono l’oracolo di
ni, dopo che, colpiti dalla novità, interrogarono l’oracolo di Delfo, che rispose loro di alzare un tempio alla Dea. Roma n
ese ad Attalo re di Pessinunte nella Galazia il simulacro di Cil)ele, che si credeva caduto dal cielo in terra, il quale no
i Cil)ele, che si credeva caduto dal cielo in terra, il quale non era che una pietra grigia informe di mediocre grandezza.
i tanto dono da immensa folla verso l’imboccatura del Tevere. Narrano che non poteva essere spinta più innanzi, e che Quint
atura del Tevere. Narrano che non poteva essere spinta più innanzi, e che Quinta Claudia donna d’illustre famiglia, ma di c
ostumi. Dopo la preghiera afferrò la fune in mezzo a una moltitudine, che invano si affaticava, e trasse con picciolo sforz
l suo ingresso in Roma per la porta Capena. Avea prescritto l’oracolo che il migliore dei Romani dovesse ricevere la dea. I
to un tempio in forma di Tolo, o cupoletta, e la pietra di Pessinunte che somigliava per la sua scabrosità una testa umana,
sità una testa umana, videsi sopraposta a guisa di volto nella statua che ivi le fu eretta. Altro simulacro, nel modo che l
di volto nella statua che ivi le fu eretta. Altro simulacro, nel modo che l’avea dipinta Nicomaco, seduta sopra un leone, m
poiché nelle medaglie di genere così viene effigiata. ed è verisimile che la statua di tanto scultore servisse di modello a
sso i monarchi dell’Asia. E in Cibele tanto solenne lo stare a sedere che nelle monete, le quali come protettrice di Smirne
evo conservato nella libreria di San Marco in Venezia ci offre Cibele che ha sul capo un modio, in parte coperto dal peplo;
ima col capo velato, la destra alzata verso le due deità, la seconda, che è ancora piu piccola, portando fra le mani uno sc
ni uno schifo. Ma gli attributi piiì costanti di Cibele sono la torre che il capo le fregia, e il timpano che usa tenere ne
costanti di Cibele sono la torre che il capo le fregia, e il timpano che usa tenere nella sinistra ed appoggiarvi sopra il
sinistra ed appoggiarvi sopra il braccio. Suole essere velata in modo che il peplo dall’occipite cadente sulle spalle e sul
no, mentre lo percote colla destra armata di un plettro a più sferze, che invece di nodi hanno di quegli ossi, che tali si
di un plettro a più sferze, che invece di nodi hanno di quegli ossi, che tali si dicono: ora il timpano le rimane appoggia
è ancora qualche monumento dove non altro porta sul braccio sinistro che un cornucopie, il timpano accostato al trono, e d
celebrato Nicomaco la dipinse. Tale è l’unione tra Cibele e il leone, che talvolta la sola figura di questo in medaglie, ed
da quello degli altri Frigii si distingue per quel sottabito angusto, che in un formando tunica e calzari, tutta la persona
lle mani ricopre sino alle noci dei piedi, e sino dentro le scarpe, e che di taglio aperto a riprese, con bottoncini astret
La clamide ora la porta, ora n’è senza. Nel marmo, dice Zoega, sembra che siasi voluto alludere all’ occultazione di Ati, e
e Zoega, sembra che siasi voluto alludere all’ occultazione di Ati, e che Cibele ne vada in cerca risuonar facendo le selve
dersi, nella sinistra tenendo il timpano sollevato quasi per indicare che col tempo farà ritorno alla servitù dell’antica p
giovinetto. La favola di Ati è in diversi modi narrata. Ovidio narra che Ati scelto dalla dea per custode dei suoi santuar
il voto, e perciò da Cibele accesa di furore si privò di quelle parti che mancano ai soprani. I ministri della dea imitavan
ne: In altro luogo Ovidio lo canta converso in pino. Pretendono altri che Cibele innamorata punisse in lui l’infedeltà e no
Cibele innamorata punisse in lui l’infedeltà e non lo spergiuro. Che che ne sia, Ati è celebre nella Mitologia, e noi abbi
ogia, e noi abbiamo un poemetto di Catullo ove descrive il pentimento che successe dopo la dolorosa operazione. Non starò a
re se l’Eunuco di cui parla questo poeta sia per l’appunto il Frigio, che ciò poco importa, ma vi leggerò la traduzione dei
che ciò poco importa, ma vi leggerò la traduzione dei mentovati versi che ha fatta con impareggiabile felicità uno dei più
itene, o Galle Tutte di schiera, Tutte alla nera Alta foresta, Di lei che al Dindimo Monte si venera: Su, greggia tenera, S
te si venera: Su, greggia tenera, Su, di Cibelle Erranti Ancelle: Voi che vaghe di terra straniera. Della patria, com’ esul
che vaghe di terra straniera. Della patria, com’ esuli, usciste; Voi che me duce già della schiera A tal’ opra, a tal vita
che me duce già della schiera A tal’ opra, a tal vita seguiste; Voi, che il rapido ponto, e la fera Rabbia meco del mare s
placido riposo Si dilegua e fugge via La rabbiosa frenesia. Ma tosto che coi chiari occhi raggianti. Il facciaurato sol mi
casi la flebile storia, E veggendo chiaramente Qual’ ei fosse, e fra che gente, Piena il cor di tempesta Alle sponde del m
in quella Loro tana, ohimè, farnetica A entrar m’ abbatterò. Ove, in che parte, Amata patria mia, Crederò che tu sia? Vorr
a A entrar m’ abbatterò. Ove, in che parte, Amata patria mia, Crederò che tu sia? Vorrian pur questi occhi miei Mirar fiso
cerva, Ov’è il torvo cignal boschivagante? Or sì dolore Porto di ciò che fai; Or sì l’errore Poter mutar vorrei. Come la v
e alle rosate labbia D’Ati men venne, e fu dal duol dispersa, Cibele, che l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion, che al c
l duol dispersa, Cibele, che l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion, che al carro avea congiunti, E fa che lor nuovo coman
o, scompagna e scioglie I duo lion, che al carro avea congiunti, E fa che lor nuovo comando e avviso Suoni alle orecchie: e
a le terga percoti, E con sì fatta sferza Per te stesso ti sferza: Fa che dei tuoi ruggiti Suonin le selve e i liti: Del ve
. Feste d’Ati. — Saturno Nella passata Lezione tralasciai di dirvi che Ati. l’amante o il sacerdote di Cibele, era con a
vasi al tempio. Il significato di questa favola fu indagato da quelli che nel decadimento del Paganesimo si armarono di pla
Evangelo. Ati, secondo essi, è il sole: più probabile, ma non certo è che questa invenzione significasse le diverse fasi o
facciata opposta. In questa si vedono effigiati i mentovati animali, che colle bende pei sacrifizj stanno all’ombra di un
alcone, scherzo della madre Idea. I cembali hanno ciò di particolare, che nel centro della concavità apparisce un quasi cam
colare, che nel centro della concavità apparisce un quasi campanello, che l’illustratore dei bassi rilievi di Roma non si r
tà di pertugj a modo di crivello: occultavasi sotto questo la persona che ricever dovea il taurobolo, ornata di ricca veste
montone, delle volte ancora un caprone) ed ivi si scannavano in modo che il lor sangue per quei fori piombasse come pioggi
ttima, ascendeva sul paleo tutto di sangue grondante il tauroboliato, che mediante tal bagno, si credeva purgato d’ogni del
figlio lo fanno gli antichi. L’opinione più comune è quella di Esiodo che ne attribuisce l’origine a Celo ed alla Terra. Gi
Celo ed alla Terra. Giunto questo dio all’adolescenza udì dalla madre che il genitore avea nel Tartaro precipitati i Ciclop
Iperione, Teti, Tebe, Mnemosine, Tia, Dione, Titano e Giapeto. È fama che questi due ultimi dividessero Y impero con Saturn
questi due ultimi dividessero Y impero con Saturno nel priijcipio, e che quindi, essendo ogni re intollerante di compagno,
gno, la madre Vesta, o la Terra, le sorelle Opi e Cerere impetrassero che Saturno solo regnasse a condizione che educasse i
elle Opi e Cerere impetrassero che Saturno solo regnasse a condizione che educasse i tigli maschi che da lui nascessero, on
ro che Saturno solo regnasse a condizione che educasse i tigli maschi che da lui nascessero, onde in uno di esso pervenisse
Saturno scelse allora per moglie Opi, o Rea, sorella; ed avendo udito che un figlio lo avrebbe cacciato dal trono, stabilì
deltà, onde fuggì in Creta per partorire Giove, come vi esposi allora che favellai di questo dio. Si crede per alcuni che s
come vi esposi allora che favellai di questo dio. Si crede per alcuni che sì mostruosa colpa patteggiasse Saturno coi Titan
per alcuni che sì mostruosa colpa patteggiasse Saturno coi Titani, e che la sua pietà facendolo spergiuro, fosse colla mog
no dei potenti, persuase Saturno a tramare insidie al proprio figlio, che accortosene, col soccorso di Prometeo nel Tartaro
fuggitosi dalla sua carcere giunse con una flotta da Giano in Italia, che gli fu ospite cortese. Lo dio in ricompensa gì’ i
e fu tanta la gratitudine del re per questa inestimabile cognizione, che gli cede la metà del suo regno. La grata posterit
parte una nave, e dall’altra un’effigie con due fronti, per denotare che due re, ma un solo consiglio governava quei popol
orato con Rea, e Virgilio fé’ dire ad Evandro. « Saturno il primo fu che in queste parti Venne, dal ciel cacciato, e vi si
parti Venne, dal ciel cacciato, e vi si ascose; E quelle rozze genti, che disperse Eran per questi monti, insieme accolse E
e lor leggi; onde il paese poi Dalle latebre sue Lazio nomossi. Dicon che sotto il suo placido impero Con giustizia, con pa
ro Con giustizia, con pace e con amore Si visse un secol d’oro, infin che poscia L’età degenerando, a poco a poco Si fé’ d’
i. L’assalir gli Ausonii, L’inondaro i Sicanii, onde più volte Questa che pria Saturnia era nomata, Ha con la signoria cang
i uomini e con loro invecchiava. Pensano alcuni, fra i quali Platone, che Saturno non fuggisse, e che legge eterna lo tenes
ava. Pensano alcuni, fra i quali Platone, che Saturno non fuggisse, e che legge eterna lo tenesse con Oiapeto fratello di l
ome piace ad Omero, nel l’Èrebo incatenato. Ma Luciano lasciò scritto che a Saturno non furono posti ceppi, nè tolto il reg
barbaro è stato sempre quello su cui è fondato il maggior rimprovero, che la posterità abbia fatto a questa Nazione. Diodor
posterità abbia fatto a questa Nazione. Diodoro di Sicilia riferisce che essendo i Cartaginesi stati vinti da Agatocle, at
e irritato Saturno col sostituire altri fanciulli invece dei proprii, che doveano essere sacrificati: e per riparare questo
i ofi’rirono volontarii per lo sacrifizio. A questo, scrive Plutarco, che il suono dei flauti e dei timpani faceva un remor
o, che il suono dei flauti e dei timpani faceva un remore così grande che non potevano udirsi le grida del fanciullo sacrif
rificavano pure a Saturno vittime umane. Narra Dionigi di Alicarnasso che Ercole, volendo abolire in Italia l’uso di questi
iera di placare l’ira di Saturno col sostituire, invece degli uomini, che , legati piedi e mani, gettavano nel Tevere, delle
Tevere, delle figure loro rassomiglianti, e con ciò levò lo scrupolo che poteva nascere da questo cangiamento. Roma e molt
ncurvato sotto il peso degli anni, con una falce in mano per indicare che presiede al tempo e all’agricoltura. Sopra una ba
iluppata in un drappo. Si mettevano dei legami alla statua di Saturno che rappresentava il Tempo, e questi consistevano in
che rappresentava il Tempo, e questi consistevano in fascie di lana, che si toglievano il giorno della sua festa. Una stat
uali mi prevarrò nella presente Lezione. Egli riflette in primo luogo che tutti gli autori non annettevano a questo nome Fi
igliuoli del Cielo e della Terra, simili agli altri immortali, se non che eglino non avevano che un occhio tondo e posto in
lla Terra, simili agli altri immortali, se non che eglino non avevano che un occhio tondo e posto in mezzo della fronte. Es
occhio tondo e posto in mezzo della fronte. Esiodo ne distingue tre, che egli nomina Arge, Bronte e Sterope, cioè il lampo
sarie. Polifemo figlio di Nettuno è loro capo, e porta lo stesso nome che uno degli eroi dell’Iliade. Non vi ha alcuna cosa
lo stesso nome che uno degli eroi dell’Iliade. Non vi ha alcuna cosa che meno si rassomigli di queste due sorta di Ciclopi
na terza specie, di cui la memoria si era conservata nell’Argolide, e che avevano tempio e sacrifizii a Corinto. Questi son
ai tempi, di Strabene le reliquie della loro opera, e questi avanzi, che sussistono ancora, danno l’idea dei primi tentati
o immaginato una quarta specie di Ciclopi, dei quali fanno dei fabbri che lavorano nell’Isola di Lipari. Euripide nella sua
igli del Cielo e fratelli di Saturno, ma il poeta tragico dimenticava che eglino erano immortali. Così lo Scoliaste osserva
ico dimenticava che eglino erano immortali. Così lo Scoliaste osserva che secondo Ferecidè, Apollo non uccise i Ciclopi, ma
e ha la sua fucina in cielo: vi lavora solo, servito da statue d’oro, che sono il capolavoro della sua arte. I Ciclopi di C
voro della sua arte. I Ciclopi di Callimaco sono probabilmente quelli che portano il nome di Cabiri su molte medaglie, nell
eti citati in questa isola una fabbrica, quantunque Ellanico pretenda che fabbricate vi fossero le prime armature. Lenno eb
e fabbricate vi fossero le prime armature. Lenno ebbe già un Vulcano, che le fece dare il nome di Etalia, ma di cui non res
oti avevano la reputazione di guarire le morsicature dei serpenti: lo che eglino facevano probabilmente applicandovi l’argi
l’argilla, della quale le proprietà eran conosciute fin d’ allora, e che pure ‘adesso conserva la sua celebrità nel Levant
azioni mi faro lecito di rettificare e di supplire. Non può asserirsi che i Ciclopi d’ Euripide siano figliuoli del Cielo e
elo e della Terra come quelli di Esiopò, giacche egli nella tragedia, che porta il loro titolo, ne fa padre Nettuno. Polife
ne fa padre Nettuno. Polifemo il piu potenti e il piu famoso di essi, che furono cento, nacque, secondo Apollonio, dal nomi
produce spontanea la terra. La vite stessa si arrichisce di grappoli, che Giove accresce colla pioggria. Ignote lor sono le
i. — Natale Conti ha male interpretato questo passo d’ Omero, dicendo che di cose importanti dava sentenza la moglie, il fi
uando l’ordine delle mie Lezioni ne condurra al viaggio rti [jli.sse, che scampo alla crudeltà di [-"olifemo lasciandogli d
eocrito, di cui l’Idillio, detto il CìcIojjC, ho tradotto, ‘;,~;[jero che ofjTiurj di voi ^’onv.-rra con Quiri tiliano che
tradotto, ‘;,~;[jero che ofjTiurj di voi ^’onv.-rra con Quiri tiliano che questo poeta è nel suo genere maraviglioso. Mi pr
è nel suo genere maraviglioso. Mi prevarrò intanto dell’altre notizie che intorno ai Dattili, simiglianti per loro uftlcio
più antica nell’Oriente: come una specie di medici e d’ incantatori, che univano all’ applicazione dei rimedi naturali cer
uiva la virtù di sopire i dolori, e ancora di dissiparli: come quelli che stabilirono nella Grecia il nuovo culto di Giove:
i nutritori di questo dio e Genii addetti al servizio di Rea, qualità che loro si dà, confondendoli coi Cureti e coi Coriba
destino delle nazioni orientali. Ne nacquero rivoluzioni e mutamenti, che mescolarono i popoli fra loro, e contribuirono co
lli nella Frigia, e dalla Frigia passò nella Grecia, perchè i Dattili che la portarono erano Frigi, secondo l’opinione più
la portarono erano Frigi, secondo l’opinione più comune. Egli è vero che alcuni autori li facevano venire da Creta, ma la
ni autori li facevano venire da Creta, ma la maggior parte suppongono che eglino aveano passato dalla Frigia in questa isol
no aveano passato dalla Frigia in questa isola e lo sbaglio di quelli che s’allontanano in questo punto dal sentimento ordi
ino istruirono gli uomini a lavorare questo metallo col fuoco. I nomi che loro dà l’autore della Foronide non sono che epit
etallo col fuoco. I nomi che loro dà l’autore della Foronide non sono che epiteti relativi alle differenti pratiche della l
latea, sul lido Sedea fin dall’aurora: in lui lo strale Della potente che su Cipro impera Fisso si sta: trovò rimedio alfin
eh’ un sonno Dolce mi prende, e con lui fuggi, e fuggi Qual pecorella che canuto lupo Rimiri. Io m’invaghii di te, fanciull
nde uu largo naso. Ma come son, pecore mille io pasco, L’ottimo umore che da lor si munge Mi bevo, e copia di rappreso latt
e sola allevo Undici cavrioli e quattro orsacchi; Or vieni a me, quel che prometto avrai; Lascia che il mare col ceruleo fl
li e quattro orsacchi; Or vieni a me, quel che prometto avrai; Lascia che il mare col ceruleo flutto Flagelli il lido, che
ometto avrai; Lascia che il mare col ceruleo flutto Flagelli il lido, che più lieta notte Avrai nell’antro mio. Lauri vi so
rce, e inestinguibil foco Sotto il cerere mio vive. Io potrei Soffrir che l’alma ancor tu mi bruciassi E l’unico occhio mio
co occhio mio di te men caro. O madre mia, perchè non farmi l’ali Con che guizzano i pesci: allor per l’onde A te verrei, t
nde, come sembra al nominato poeta, dal numero indicato il loro nome, che in greco significa diti. Ferecide gli accresceva
e in polvere, si riparava tutti gli anni nell’equinozio di primavera, che cadeva dell’anno Olimpico nell’ultimo mese. Abbas
i dobbiamo, egli dice, rigettare egualmente le due tradizioni opposte che facevano i Telchini padri o figli dei Dattili Ide
di famiglie, ma semplici epiteti. Dalla più leggera attenzione su ciò che significava la parola di Telchini sarebbero stati
demonio, d’incantatore. I Telchini con tutto ciò avevano partigiani, che consideravano queste imputazioni come conseguenze
ffidata l’educazione di Nettuno, e chiamati furono figli del mare: lo che mostra la loro perizia nella navigazione. Nè mino
le sue miniere, l’arte di lavorare il ferro e il rame dagli abitanti, che seppero i primi mettere in opera questo secondo m
chi confusi. Omero indica con questo nome un popolo presso Calidone, che sono gli Etoli situati all’ oriente del fiume Ach
i quasi convulsivi di tutto il corpo e di tutta la testa. Eccovi quel che importa sapere dei Coribanti. Tutte le altre rice
utte le altre ricerche del signor Fréret si aggirano sulla differenza che passa fra Cibele e Rea, e fra questa ultima e la
o sopra lodato, tralasciando ogni discussione per voi noiosa, vi dirò che i Cabiri erano presso gli antichi considerati com
inità. Come Dei subalterni, Erodoto chiama Cabiri alcuni Dei Egiziani che dicevansi figli di Vulcano, la più antica divinit
i, i Coribanti, i Cabiri, Esiodo pone le Furie primogenite del sangue che esci dalla ferita di Celo. Ma io credo necessario
rnale: onde discendete meco col pensiero nell’Inferno degli Idolatri, che prestò all’ immaginazione di Polignoto una pittur
ente Lezione Pausania vi descriverà questo quadro con tanta esattezza che potreste rifarlo. Plutone, che dio dell’Inferno f
verà questo quadro con tanta esattezza che potreste rifarlo. Plutone, che dio dell’Inferno fu reputato dagli antichi nacque
i questo dio fanciullo con la Pace per nutrice, forse per significare che questa dea regna solo fra i morti. È opinione di
gnificare che questa dea regna solo fra i morti. È opinione di alcuni che la favola dell’Inferno assegnatogli in dominio ri
gine dell’aver egli avuto soggetti al suo impero i paesi occidentali, che sino all’Oceano si estendevano. Altri dicono che
i paesi occidentali, che sino all’Oceano si estendevano. Altri dicono che Plutone fu il primo a far lavorare le miniere d’o
le miniere d’oro e d’argento eh’ erano nella Spagna, e siccome coloro che sono destinati ad un tal lavoro sono costretti a
e bene addentro la terra, e per così dire, fin nell’inferno, fu detto che Plutone abitava nel centro della terra. La corta
o che Plutone abitava nel centro della terra. La corta vita di coloro che si applicano a questo lavoro può avere accreditat
zione. Le geste di questo dio si limitano al suo ratto di Proserpina, che Claudiano da me tradotto vi ha descritto nelle pa
ttro a due denti come ì moderni lo rappresentano, ma con uno scettro, che Pindaro chiama verga, colla quale questo dio asse
e Dite, conosciuto comunemente col nome di Plutone, o Dio Ricco, nome che al latino dite si riferisce. L’ orrenda maestà ne
aspetto lo manifesta pel re dell’ombre, e più lo distingue il Cerbero che gli posa ai piedi, portinaio dell’Orco. Non fo mo
osa ai piedi, portinaio dell’Orco. Non fo motto del biforcuto scettro che ha nella sinistra, essendo questo riportato dal r
ze e d’abbondanza, come a quel nume cui le dovizie diedero il nome, e che l’arbitro ne fu reputato, confuso perciò sovente
, divinità allegorica e immaginata piuttosto dai filosofi e dai poeti che venerata dai popoli. Le miniere dei preziosi meta
e dai poeti che venerata dai popoli. Le miniere dei preziosi metalli che nelle viscere della terra si ascondono, furono mo
osi metalli che nelle viscere della terra si ascondono, furono motivo che se ne ascrivesse la signoria al nume dei regni so
ne ascrivesse la signoria al nume dei regni sotterranei, o infernali, che vale lo stesso. Forse per una simile ragione fu c
e i cadaveri, e così nascondere quelle memorie della nostra caducità, che offendono i sensi e contristano la fantasia. « I
ucità, che offendono i sensi e contristano la fantasia. « Il Cerbero che sta ai piedi del nume è rappresentato in figura d
sotto le quali gli antichi poeti e mitologi sei figurarono. Gli angui che gli avvincono il triplice collo non sono omessi n
cono il triplice collo non sono omessi nelle più eleganti descrizioni che a noi sono pervenute. « Quello che nel nostro sim
ssi nelle più eleganti descrizioni che a noi sono pervenute. « Quello che nel nostro simulacro interessa più di ogni altra
tra cosa lo sguardo del sagace conoscitore, è la perfetta somiglianza che ha con le immagini di Serapide. Sì osservi, fra 1
servi, fra 1’ altre quella riportata dal Fabbretti, e poi dal Cupero, che in tutto confronta colla presente, ed è a basso r
ia rendono conto di tal somiglianza. « Sappiamo dalla teologia pagana che il dio dei morti si chiamava Serapide presse gli
antichissimo, un altro in Racòti, luogo ove fu edificata Alessandria; che incominciò appunto da questa epoca ad essere più
cominciò appunto da questa epoca ad essere più conosciuto Serapide, e che il suo culto divenne più divulgato da che il prim
più conosciuto Serapide, e che il suo culto divenne più divulgato da che il primo dei Tolomei fece, a motivo d’un suo sogn
na. Tali sono la barba, il calato e l’abito affatto greco, cose tutte che non dovevano far dubitare i moderni dell’origine
riconosce pel gran Giove di Sinope ; e nelle monete di questa città, che divenne poi colonia romana, s’incontra frequentem
a, s’incontra frequentemente l’effigie di questo nume. Osserva ancora che il calato, modio, si vede sul capo di quasi tutte
e Dite, Giove Ricco dei Sinopiti: qualunque sia, dico, il significato che voglia darsi a quel modio, sempre dovrà riconosce
c orazioni sian le teste delle figure egiziane, nulla vi si distingue che al modio delle prische divinità asiatiche si asso
mmagine stessa di Plutone da Sinope trasportata in Alessandria. Certo che il vedere sulle monete di tante città greco-asiat
a quale è stata innestata una testa imberbe e non sua fa congetturare che celebre per la devozione dei popoli ne fosse dive
nostro marmo non lascia di esprimere nell’aria del volto quel non so che di torvo e di feroce notato da Winkelmann come ca
tico di Plutone, cui sovente è apposto dai Greci l’epiteto di (grec), che vale odioso. L’amor della vita avea destato quel
odioso. L’amor della vita avea destato quel sentimento di avversione che si ebbe pel dio della morte: quindi come deità no
presso quegli antichi Dualisti.» Tornando al simulacro è da notarsi che le mani sono di moderno ristauro, che la destra d
nando al simulacro è da notarsi che le mani sono di moderno ristauro, che la destra doveva reggere la patera, o stare stesa
cettro, quale suol vedersi in mano di Serapide nei monumenti: scettro che ben conviene a Plutone non solo come a re dell’Èr
a re dell’Èrebo, ma bene anche come a condottiero dei popoli, scettro che vien sovente interpretato dagli antichi pel Nilom
inte sono state omesse dal disegnatore. Quantunque peraltro non sieno che accennate, ci additano alberi glandiferi, la rela
presso il rinomato scultore signor Bartolommeo Cavaceppi, e su quello che adorna il fine del capitolo primo, libro sesto, d
presso gli antichi per arbore tristo e lugubre. Il raro basso rilievo che adorna nel rame il piedistallo del nostro Plutone
statua nella positura, nell’abito e negli attributi, tranne il calato che non ha sul capo, benché sembrasse a Winkelmann, f
le opere delle quali era ripiena, ma egli conosceva più 1’ antiquaria che le arti, e il celebre conte Caylus, disegnatore v
pitture di Polignoto fatta da questo autore. Vi regna una confusione che oscura la distribuzione delle parti pittoriche. I
aylus cercò di rimediarvi; e, pose tanta chiarezza nella descrizione, che il signor Lorrain potè eseguire ad acqua forte il
ei pesci, ma leggerissimi come ombre. Sopra questo fiume vi è Caronte che rema, ed è rappresen tato molto vecchio. Vi sono
hilo co. Cleobea tiene sulle sue ginocchia una cista, eguale a quelle che sono in uso nelle feste di Cerere: ella fu la pri
uale a quelle che sono in uso nelle feste di Cerere: ella fu la prima che trasportò dall’isola di Paro in quella di Taso il
ice il conte di Caylus: bisogna tagliarlo pel terreno, e non mostrare che la riva ove la barca approda. Riguardo all’ombre,
altrettanto partecipar del bianco ch’egli sarà possibile col giorno, che si usa di spargere per illuminare gli oggetti dei
Quanto all’ombre dei pesci, dei quali parla Pausania, Caylus sospetta che questo autore abbia creduto di vedervi un artifiz
tti d’un’utilità mediocre, e generalmente un pesce comune come quelli che qui son descritti, è poco distinto dalla forma, d
ta dai corpi. Sulla ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e che è al di sotto della barca di Caronte; un figlio s
; un figlio snaturato è strozzato da suo padre. Accanto vi è un empio che ha saccheggiati i tempi degli Dei: egli è punito
donna perita nella composizione dei veleni, e so prattutto di quelli che sono stati ritrovati pel supplizio dei mortali. G
on scancellare ridea di giustizia. Egli era impossibile di far capire che queste bevande erano veleni preparati per l’empio
ste bevande erano veleni preparati per l’empio: ora Pausania indovina che lo scritto suppliva all’ espressione della pittur
spirito dell’arte. Al di sopra di questi due gruppi si vede Eurinome, che ha un color nero che al blu si avvicina, ed è ass
di sopra di questi due gruppi si vede Eurinome, che ha un color nero che al blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle d
e al blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle di avoltoio. Quelli che spiegano questa pittura a Delfo dicono che Eurino
pelle di avoltoio. Quelli che spiegano questa pittura a Delfo dicono che Eurinome è una divinità dell’Inferno che mangia l
uesta pittura a Delfo dicono che Eurinome è una divinità dell’Inferno che mangia la carne dei morti, e loro non lascia che
ivinità dell’Inferno che mangia la carne dei morti, e loro non lascia che le ossa. I poeti non parlano di questa Eurinome.
Teutra, e fra tutte le donne ch’ebbero commercio con Ercole fu quella che partorì un figlio il più somigliante al padre. If
no dei montoni neri pel sacrifizio. Da presso si vede un uomo seduto, che fa una corda col giunco: è Ocno, come lo mostra l
iunco: è Ocno, come lo mostra l’iscrizione; vicino ad esso è un’asina che mangia la corda. Ocno era un uomo faticante. ma l
è rappresentato nei tormenti, ma col corpo arido dai patimenti; non è che un’ombra appena visibile. Quindi è Arianna seduta
ra uno scoglio, e guarda la sorella di lei Fedra sospesa ad una corda che tiene con due mani. Questa disposizione presenta
spettacoli dispiacenti, ed a rammentarli allo spirito con delle cose che equivalgono. Un tal compenso, dice Caylus, mi sor
. Accanto a Tia si vede Procri figlia di Eretteo, e dopo essa Glimene che le volge le spalle. L’istoria rende ragione di qu
un piano più da lungi si vede Megara tebana. Ercole privato dei figli che da essa aveva avuti, la repudiò come una sposa di
Salmoneo seduta sopra una pietra, ed accanto a lei Erifìle in piedi, che fa passar la sua mano al di sotto della sua tunic
polla qualità ed il numero dei circostanti: egli presenta un oggetto che colpisce in se stesso: le posizioni delle fìgure
iglie di Pandaro sparge una varietà grata. L’ attitudine di Antiloco, che posa il piede sopra una pietra, si riscontra sove
dato a questo principe questo bastone di comando, perchè lo scettro, che ne era il segno naturale, qui perdeva il suo uso:
nobiltà, egli ha un anello in uno dei diti della mano sinistra. lasco che gli è accanto, e che dalla sua barba sembra più a
nello in uno dei diti della mano sinistra. lasco che gli è accanto, e che dalla sua barba sembra più avanzato, tira questo
to di Foco: quest’ultimo, figlio di Aiace, passò in Egina in un paese che si chiamò dopo la Focide: essendosene impadronito
opo la Focide: essendosene impadronito legò forte amicizia con lasco, che fra gli altri regali gli diede un anello. Foco es
so dell’anello di Foco per provare l’ antichità degli anelli. Si vede che dai tempi più remoti le pietre erano incise, o po
cio: gli alberi accanto ai quali siede, sembrano pioppi neri e salci, che secondo Omero, sono a Proserpina consacrati. Egli
Promedonte è appoggiato dall’altra parte dell’albero. Alcuni credono che sia un personaggio inventato da Polignoto: altri
i credono che sia un personaggio inventato da Polignoto: altri dicono che era un Greco amante della musica e sopra tutto de
n Greco amante della musica e sopra tutto dei canti di Orfeo. Schedio che comandava i Focei all’assedio di Troia ha una cor
gli occhi fìssi sopra Orfeo. Tamiri è seduto accanto a Pelia: si vede che è divenuto cieco: la sua aria è melanconica ed ab
ri nel l’istoria e nella religione, avevano nell’antichità un effetto che più non sussiste. Al di sopra di Tamiri è Marsia
ed accanto a lui Olimpo, rappresentato nelle sembianze di un giovine che impara a suonare la tibia. Se voi rivolgete gli o
lo stesso piano di Atteone, di Aiace di Salamina, Palamede e Tersite, che giuocano agli scacchi inventati dal primo. Aiace
ntati dal primo. Aiace figlio di Oileo guarda il loro giuoco. Si vede che ha naufragato dalla spuma che lo copre: Polignoto
di Oileo guarda il loro giuoco. Si vede che ha naufragato dalla spuma che lo copre: Polignoto ha qui riuniti tutti i nemici
qui riuniti tutti i nemici di Ulisse. Pausania avrebbe dovuto notare che l’artista aveva avuto cura di allontanare il re d
o cura di allontanare il re d’ Itaca da questo gruppo. L’osservazione che fa sulla schiuma, della quale Aiace è coperto, ca
genio dell’arte deve allontanare il pittore: ma conviene rammentarsi che gli antichi reputavano questo genere di morte la
pressioni mediocri: questa stessa considerazione giustifica Virgilio, che fa gemere Enea all’aspetto di una violenta tempes
al di sopra d’ Aiace figlio di Oileo si vede Meleagro figlio di Eneo, che guarda questo eroe. Fra questi personaggi Palamed
neo, che guarda questo eroe. Fra questi personaggi Palamede è il solo che non abbia barba. In basso della tavola, dopo Tami
lui è Memnone seduto sopra una pietra. Accanto a Memnone è Sarpedone, che appoggia la testa sulle mani. Memnone tiene una d
mano Memnonidi. Accanto a lui si vede uno schiavo etiope per indicare che era re di quella nazione. Sopra Sarpedone e Memno
tesilea ad avvicinarsegli. Questa lo guarda, ma dal suo volto si vede che lo disprezza: è ritratta nelle sembianze di una g
o si vede che lo disprezza: è ritratta nelle sembianze di una giovine che tiene un arco scitico, e che ha le spalle coperte
ritratta nelle sembianze di una giovine che tiene un arco scitico, e che ha le spalle coperte da una pelle di leopardo. Pi
palle coperte da una pelle di leopardo. Più in alto vi sono due donne che portano dell’acqua in idrie rotte, onde questa si
crizione in particolare, ma una sola comune ad ambedue, la quale nota che queste donne sono fra le non iniziate. Più alto s
Pero figlia di Neleo. Una pelle d’ orso serve di tappeto a Callisto, che ha i piedi sulle ginocchia di Nomia. Gli Arcadi d
Callisto, che ha i piedi sulle ginocchia di Nomia. Gli Arcadi dicono che Nomia era una ninfa del loro paese, ed i poeti c’
dicono che Nomia era una ninfa del loro paese, ed i poeti c’insegnano che le ninfe vivono per molto tempo, ma non sono immo
maggior parte non sono stati trattati. Dopo Callisto e l’altre donne che la circondano si vede una balza dirupata. Sisifo
vecchia tiene un’idria fracassata, e versa nel doglio il poco d’acqua che può contenere. Io congetturo, aggiunge Pausania,
il poco d’acqua che può contenere. Io congetturo, aggiunge Pausania, che questo gruppo rappresenti quelli che disprezzano
o congetturo, aggiunge Pausania, che questo gruppo rappresenti quelli che disprezzano i imsteri di Cerere, perchè gli antic
alo in mezzo ai tormenti descritti da Omero. Di più vi ha uno scoglio che minaccia schiacciarlo, e lo tiene in continuo spa
lo tiene in continuo spavento. Omero non dà altri tormenti a Tantalo che una sete ardente, e una fame che lo divora. Ma Pa
mero non dà altri tormenti a Tantalo che una sete ardente, e una fame che lo divora. Ma Pausania osserva che Polignoto ha s
o che una sete ardente, e una fame che lo divora. Ma Pausania osserva che Polignoto ha seguito il racconto di Archiloco, ch
a Pausania osserva che Polignoto ha seguito il racconto di Archiloco, che ha parlato di questo scoglio. Tale è la descrizio
di Archiloco, che ha parlato di questo scoglio. Tale è la descrizione che dà Pausania di uno dei più celebri dipinti, stupo
etttura, onde possiate arricchire il vostro intelletto di cognizioni, che possono guidarvi nei vostri studii. L’avventura d
izioni, che possono guidarvi nei vostri studii. L’avventura di Orfeo, che coli’ armonia del suo canto potè riavere dall’Inf
che coli’ armonia del suo canto potè riavere dall’Inferno la moglie, che da subitanea follia occupato perde, violando la l
na, è con tanta maestà di stile descritta nella Georgica di Virgilio, che io ho tentata la traduzione di quei versi, benché
e di quei versi, benché persuaso dell’impossibilità di esprimere, non che di pareggiare la bellezza di quei versi immortali
etosir non sanno. Mossi dal canto, simulacri lievi Ed ombre vane fuor che nell’aspetto, Lascian d’abisso le profonde sedi,
tana pioggia Nell’inverno gli caccia. Uomini e donne E magnanimi Eroi che morte spense. Pargoletti, fanciulle ai cari sposi
gre l’inamabil stagno, E Stige sparsa nove volte intorno Gli frena. E che ? stupir le case istesse E i regni della morte, e
non più tua, le palme: — Vacillante sì disse, e sparve, eguale A fumo che si mesca in aure lievi, E lui fra l’ombre brancol
o che si mesca in aure lievi, E lui fra l’ombre brancolante invano, E che molto volea dir, più non vide. E gli vietava trag
o i numi e l’Ombre? Ella già fredda sulla stigia barca Naviga. È fama che per sette mesi Dello Strimon nella deserta riva P
ficilmente rintracciare queste notizie nei libri comuni di Mitologia, che spesse volte ingannano più di quello che illumini
i libri comuni di Mitologia, che spesse volte ingannano più di quello che illuminino gli artisti, onde vi esorto a sentire
a chioma calante giù sopra la fronte, al contrario di quella di Giove che si solleva: ma non è in ciò d’accordo con gli ant
che si solleva: ma non è in ciò d’accordo con gli antichi monumenti, che il vero Plutone rappresentano, del quale la chiom
mprare il silenzio delle leggi e non quello dei rimorsi. Gli antichi, che erigevano in divinità le fantasie della mente ed
la mente ed i sentimenti del core, fecero dei rimorsi altrettante dee che i Latini dissero Furie, ed i Greci Erinni per lo
eci Erinni per lo stesso motivo, giacché loro si attribuiva il furore che agitava gli scellerati. Eumenidi furono chiamate
a, e de le Furie I ferrati covili: il Furor folle. L’empia Discordia, che di serpi ha il crine E di sangue mai sempre il vo
ppresentante Oreste in Delfo, sono fornite di grandi ali alle spalle, che gli Etruschi, e senza dubbio ancora i primi Greci
dubbio ancora i primi Greci, dar loro usavano in luogo delle alette, che nell’opere del solito stile sovente portano alle
o stile sovente portano alle tempie. Altre sono senz’ali, contro quel che più comunemente veder fanno le opere etrusche nel
l medesimo fa guerra, come riflette Zoega, la presente scultura, cioè che quel cinto incrociato sul petto, ovvio nelle figu
di legami destinati a reggere l’abito succinto a foggia di grembiule, che generalmente vestono le figure che tal cintura ha
to succinto a foggia di grembiule, che generalmente vestono le figure che tal cintura hanno, usata ancora dalle figure egiz
ancora dalle figure egizie di solo grembiule vestite. Gli stivaletti che in questo basso rilievo portavano tutte e cinque
no i rei, quantunque sembrerebbero come fatti piuttosto ad ingombrare che a facilitar la corsa: e se non fosse che ancora i
atti piuttosto ad ingombrare che a facilitar la corsa: e se non fosse che ancora in qualche greco monumento si veggono con
iche. Succinte sono le Furie avendo intorno i fianchi un largo cinto, che in alcune è fregiato di perle. Una di essa tiene
quale è perduta la testa: un’altra porta una torcia ardente, e sembra che le tre restanti, che molto hanno sofferto dal tem
sta: un’altra porta una torcia ardente, e sembra che le tre restanti, che molto hanno sofferto dal tempo, parimente di torc
oderna. Nel basso rilievo le Furie sono cinque, ed il nu mero di tre, che vien loro assegnato, non altro denota che plurali
nque, ed il nu mero di tre, che vien loro assegnato, non altro denota che pluralità, onde sul più antico teatro greco compa
ende e venerande, Tisifone, Aletto e divina Megera, notturne, arcane, che abitate nell’antro ombroso, all’onde sacre del ne
fiume Stige, sempre ministre della giustizia e del retto. — Quindi è che essendo considerate come vendicatrici dei delitti
ono grandemente temute dalle Nazioni. Il terrore andava tanto innanzi che non osavano proferirne il nome. Quindi Elettra di
rirne il nome. Quindi Elettra dice nell’Oreste di Euripide: Le Furie, che io non ardisco nominare, spaventano il mio fratel
bosco, e solenne meraviglia prese quei popoli, come Sofocle attesta, che egli si fosse rifugiato in un luogo che eglino ap
popoli, come Sofocle attesta, che egli si fosse rifugiato in un luogo che eglino appena osavano guardare, e non senza terro
che eglino appena osavano guardare, e non senza terrore. Ed era fama che se alcuno macchiato di delitto fosse entrato nel
era fama che se alcuno macchiato di delitto fosse entrato nel tempio, che Oreste loro avea consacrato in Corina villaggio d
stante da furori e paure agitato. Gli antichi di nere vesti credevano che fossero ammantate, poiché gli uomini hanno dato s
li l’intervenirvi. Esichidi, dalla quiete, si chiamavano i sacerdoti, che si astenevano dal libare a queste Dee il vino. In
azione piegare a terra con ambe le mani nove rami di ulivo. Le corone che si ponevano quelli che si sacrificavano alle Furi
con ambe le mani nove rami di ulivo. Le corone che si ponevano quelli che si sacrificavano alle Furie erano di narciso e di
gione ridicola relativamente al primo fiore. Questi autori pretendono che la derivazione di questo nome provenga da (grec)
leno ispirano terrore ai rei. Relativamente alle Furie dice Pausania, che andando da Megalopoli in Messenia non si è fatto
nia, che andando da Megalopoli in Messenia non si è fatto sette stadi che si trova a sinistra della via maestra un tempio d
i che si trova a sinistra della via maestra un tempio dedicato a Dee, che le genti di quel luogo chiamano Manie, e tutto il
ano Manie, e tutto il cantone d’ intorno ne porta il nome. Qui dicono che Oreste, avendo ucciso sua madre, divenne furioso.
di un dito. Eglino chiamano questo luogo sepoltura del dito, e dicono che Oreste, divenuto furioso, ivi tadìò coi denti uno
ori, ed eglino vi hanno edificato un tempio all’ Eumenidi. Raccontano che alla prima apparizione di queste Dee, quando elle
e, quando elleno levaron di cervello Oreste, egli le vide tutte nere, che alla seconda apparizione, dopo che egli si fu tag
o Oreste, egli le vide tutte nere, che alla seconda apparizione, dopo che egli si fu tagliato il dito, le vide tutte bianch
iato il dito, le vide tutte bianche, ed allora ricuperò la ragione, e che perciò onde placarle, egli onorò le prime, come s
e placarle, egli onorò le prime, come si usa coll’ombre de’ morti, ma che sacrificò alle seconde. Ed ancora ai tempi di Pau
e ceraste avean per crine, Onde le fiere tempie eran avvinte. E quei, che ben conobbe le meschine Della regina dell’eterno
i disse, le feroci Erine. Questa è Megera dal sinistro canto: Quella, che piange dal destro, è Aletto: Tesifone è nel mezzo
o, canto IX, v. 37 e segg. Le Parche furono tre sorelle così concordi che mai fra loro vi fu lite. Esiodo lasciò scritto ne
rdi che mai fra loro vi fu lite. Esiodo lasciò scritto nella Teogonia che Giove e Temide n’erano i genitori. Non ostante in
Altri ascrivono la loro origine alla necessità, o all’informe materia che generò Pane con gli altri Dei. Licofrone finalmen
chesi e Cleto. Questa divisione loro dà il tempo, secondo Aristotile, che si divide in passato, presente, avvenire. Atropo,
ndo Aristotile, che si divide in passato, presente, avvenire. Atropo, che vuol dire immutabile, riguarda il passato; Laches
nire. Atropo, che vuol dire immutabile, riguarda il passato; Lachesi, che significa sorte, riguarda l’avvenire; Cloto che v
il passato; Lachesi, che significa sorte, riguarda l’avvenire; Cloto che vien da (grec), filare, pensa al presente. Quindi
vere le Parche sotto la dettatura di Plutone. L’opinione più comune è che il Fato, il quale comandava a Giove, ed agli altr
e sirene. Ivi, die’ egli, Lachesi canta le cose passate, Cleto quelle che avvengono alla giornata, ed Atropo quelle che avv
e passate, Cleto quelle che avvengono alla giornata, ed Atropo quelle che avverranno un giorno, Pausania ci ragiona di alc
elle che avverranno un giorno, Pausania ci ragiona di alcuni templi, che avevano nella Grecia: i Lacedemoni ne avevano ere
dove onoravano le Parche collo stesso culto delle Furie, vale a dire che loro sacrificavano pecore nere. Nella città di Ol
e fratelli nati al delitto. Ma generalmente però, osserva Winkelmann, che le Parche, le quali da Catullo vengonci descritte
este si figura. Fra la gente tormentata nell’Inferno sono le Danaidi, che con eterna fatica versano nel Tartaro l’acqua in
mente r istoria. Queste erano cinquanta figliuole di Danao re d’Argo, che negava di sposarle ad altrettanti figli di Egitto
nti figli di Egitto suo fratello, perchè l’oracolo gli aveva predetto che un suo genero lo avrebbe ucciso. Costretto dalla
n vino artefatto assopiti. Tutte eseguirono il comando paterno, fuori che Ipermestra, la quale salvò Linceo suo sposo. Udir
tro padre iniquo. Ove il socero nostro, e nostro zio, Non men nel cor che nella fronte allegro, Per man ne prese, e ne baci
ronte allegro, Per man ne prese, e ne baciò le guance, Non sapend’ ei che noi sue nuore acerbe Avessi m sotto a nostre gonn
r nel doloroso albergo I mal felici e mal graditi sposi Ebri dal vin, che mal bevuto a mensa Miseri aveano, e dall’ignaro v
all’ignaro vulgo Compressi intorno, e di novelli fiori Cinti i capei, che preziosi unguenti Facevan molli, e di letizia pie
e udir le voci afflitte, Ed i gemiti tristi, e i tristi omei Di quei, che fuor de’ gl’impiagati petti Versavan l’alme, e l’
tremar più puossi, E tu senza sospetto ebro dormivi, Perchè quel vin che tu bevuto avevi Era liquor d’addormentar altrui.
oce Dissi queste parole: Ahi trista amante, Ahi dolente Ipermestra, a che ti spinge L’empio tuo padre? a che ti sforza il c
amante, Ahi dolente Ipermestra, a che ti spinge L’empio tuo padre? a che ti sforza il crudo Precetto e fero? ahimè: debb’
i, e segui L’animose tue suore audaci e forti, Ch’ornai creder si può che d’esse ognuna Abbia già tolto al suo cugin la vit
manti? Ma presuppongo, e lo confermo vero. Che fosser degni di morir: che abbiamo Misere noi commesso? or per qual colpa. P
er qual cagion non mi lice esser pia? Che deggio io far del ferro? in che conviensì Coll’arme una donzella? io piiì conform
, ed egli Non potendo soffrir la vita in uno. Si lamentava e si dolea che poco Sangue s’era versato: ond’ei mi prese Per le
to, Eaco. Proserpina, Caronte, Minosse, Eaco, Radamanto, sono nomi che rammentano a chiunqne l’Inferno degli antichi. Di
adattate all’opportunità del presente argomento. Non tutti opinarono che Proserpina fosse figliuola di Cerere, e quelli ch
on tutti opinarono che Proserpina fosse figliuola di Cerere, e quelli che con Ecate la confusero le diedero la stessa madre
sero le diedero la stessa madre, cioè la Notte. Con tutto ciò Esiodo, che non violò l’antica semplicità delle Favole, le dà
Favole, le dà Cerere per genitrice, contro l’opinione di Apollodoro, che figliuola la dice di Stige e di Giove. È inutile
È inutile il ridirvi come fu rapita in Sicilia; solamente aggiungerò che di questa credenza erano tanto persuasi gli abita
di questa credenza erano tanto persuasi gli abitanti di quell’Isola, che usavano di giurar sempre per |Proserpina. Ora can
feconde vittime immolavano a questa dea gli antichi, e Virgilio narra che Enea le sacrificò una sterile giovenca. Ma passan
sando a cognizioni per voi più importanti, vi ripeterò con Winkelmann che le città della Magna Grecia e della Sicilia sembr
mbrano essersi molto studiate di dare sulle loro monete, sia a Cerere che a Proserpina, la più sublime bellezza: e difficil
esse Proserpina coronata di frondi lunghe e appuntate simili a quelle che ornano insieme alle spighe la testa di Cerere, e
nziché di canna palustre, quali furono giudicate da alcuni scrittori, che perciò si avvisarono di vedere in quelle monete l
cilia e dell’Asia Minore. In un basso rilievo antico si vede Plutone, che rapisce Proserpina non ostante le ragioni della s
di Cerere voler consolare la figlia. Questa composizione allegorica, che potrete riscontrar nel primo tomo dell’Antichità
portare simil giudizio sulla rappresentazione dello stesso soggetto, che si trova pure nel primo tomo dell’opera mentovata
ondo del basso rilievo sono espressi i dodici segni dello Zodiaco, lo che fa allusione alle relazioni, immaginate più tardi
ntemente dal celebre Zoega, è accanto a Plutone effigiata una figura, che colla destra raccoglie il peplo, e che la sinistr
Plutone effigiata una figura, che colla destra raccoglie il peplo, e che la sinistra forse appoggiava ad un’asce insieme c
va ad un’asce insieme colla mano perita. Il prelodato scrittore pensa che sia Proserpinà senza la quale non si vede Plutone
alcun monumento rappresentato, e dà peso alla sua congettura un certo che di mesto e di riserbato che si vede nella figura
o, e dà peso alla sua congettura un certo che di mesto e di riserbato che si vede nella figura di lei, come se ancora si ri
bo e della Notte, secondo Esiodo, il quale nella sua Teogonia afferma che da questi due nacquero la maggior parte dei mostr
o e verde è sempre.» Eneide, lib. IV, v. 441 e segg. Annibal Caro, che così tradusse Virgilio, ebbe per certo in mente q
osì tradusse Virgilio, ebbe per certo in mente questi versi di Dante, che così introduce Caronte nel suo Inferno: « Ed ecc
enarvi all’altra riva, Nelle tenebre eterne, in caldo e in gelo: E tu che se’ costì, anima viva, Partiti da cotesti che son
n caldo e in gelo: E tu che se’ costì, anima viva, Partiti da cotesti che son morti. Ma poi ch’ei vide ch’io non mi partiva
porti Verrai a piaggia, non qui: per passare, Più lieve legno convien che ti porti. E il Duca a lui: Caron, non ti crucciar
a a lui: Caron, non ti crucciare; Vuoisi cosi colà, dove si puote Ciò che si vuole, e più non dimandare. Quinci fur quete l
anime ch’eran lasse e nude, Cangiar colore e dibatterò i denti. Ratto che inteser le parole crude. Bestemmiavano Iddio e i
insieme. Forte piangendo, alla riva malvagia, Ch’attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimenio, con occhi di bragia.
rudele; e davanti a lui, come dice un antico poeta, tanto era Achille che Tersite. E con ragione ai Numi infernali questa i
atore dei morti. Questo prezzo fu accresciuto fino a tre dai potenti^ che si sono sempre voluti distinguere dal povero anco
a, figliuola, secondo alcuni, di Fenice, secondo altri, di Agenore^ e che dal furto di Giove partorì pure Sarpedonte e Rada
no paterno. Egli volendo loro persuadere la sua origine divina, disse che avrebbe a Nettuno sacrificato un toro qualora un
ero, fra gli altri, nell’Odissea, lo vuole discepolo di Giove, e dice che in quest’isola regnò per nove anni, quantunque Eu
altri scrittori molto da lui dissentano su questo particolare. E fama che fosse tanto potente per mare da imporre tributo a
non contando Androgeo) Glauco, Deucalione, Fedra ed Arianna. Vogliono che inseguendo Dedalo autore del laberinto venisse in
inseguendo Dedalo autore del laberinto venisse in Sicilia da Cocalo, che gli fu ospite liberale. Ma le di lui figlie ingan
uccisero gettando all’improvviso acqua bollente nel bagno. Ma quello che è fuori di dubbio si è che per la fama della sua
ovviso acqua bollente nel bagno. Ma quello che è fuori di dubbio si è che per la fama della sua giustizia meritò di esser c
mare, e fu cangiata dagli Dei in allodola, e suo padre in isparviere, che piombò subito sopra la figlia per lacerarla. Colo
n isparviere, che piombò subito sopra la figlia per lacerarla. Coloro che vogliono spiegar coli’ istoria la favola, dicono
acerarla. Coloro che vogliono spiegar coli’ istoria la favola, dicono che nel purpureo capello di Niso sono significate le
dente della Corte infernale, e a lui spettava di giudicare delle cose che erano dubbie. Omero ce lo presenta con uno scett
re, dalle quali si trattan le cause alla sua presenza. Virgilio dice che agita l’urna fatale, nella quale stanno chiuse le
to regno, Là dove egli ode, esamina, condanna, E discuopre i peccati, che di sopra Son dalle genti o vanamente ascosi In vi
ia però ci fa molto dubitare della giustizia di Radamanto, narrandoci che fuggì da Creta per aver ucciso il fratello, e rif
. Ella diede il suo nome a un’Isola dove, suo figlio regnando, accade che dalla peste consunti perirono tutti gli abitanti.
iove dalle preghiere del suo figlio convertì in uomini delle formiche che erravano in una querce vuota ed antica. Questi nu
esti nuovi mortali furono chiamati Mirmidoni, e ninno di voi ignorerà che di essi fu condottiero Achille, che ad Eaco fu ni
irmidoni, e ninno di voi ignorerà che di essi fu condottiero Achille, che ad Eaco fu nipote. Egli ebbe tre figli da due don
da Endaide figlia di Chirone. Del resto Eaco fu in tanta riputazione, che essendo tutta la Grecia travagliata dalla siccità
utta la Grecia travagliata dalla siccità, l’oracolo di Delfo rispose, che se volevano placare Giove si servissero di Eaco p
lla barca di Caronte questo fiume torbo e fangoso, pieno di voragini, che bolle e si frange, e che col suo nero loto si per
to fiume torbo e fangoso, pieno di voragini, che bolle e si frange, e che col suo nero loto si perde in Cocito. Alcuni fann
Alcuni fanno figliuolo questo fiume di Titano e della Terra, e dicono che discese fino nell’Inferno per sottrarsi al furore
nell’Inferno per sottrarsi al furore dei fratelli. Favoleggiano altri che fu da Giove precipitato nell’Inferno, perchè le s
nferno, e fiume ne divenne. L’Acheronte era un fiume della Tesprozia, che avea le sue sorgenti dalle paludi di Acherusa, e
ciò unito alla sua lunga dimora sotto la terra servì per far credere che fosse un fiume infernale, nè poco vi contribuì lo
re che fosse un fiume infernale, nè poco vi contribuì lo stesso nome, che significa soffocazione, urlamento. È parere d’alt
stesso nome, che significa soffocazione, urlamento. È parere d’altri che abbia dato origine alla favola, Acherusa, lago de
presso Menfi, circondato da campagne ripiene di tombe. E il giudizio che si esercitava in questo luogo sui morti può avere
. Stige nell’inferno dei Pagani si offre dopo Acheronte. Esiodo vuole che questa fiumana sia nata dall’Oceano: altri figlia
na sia nata dall’Oceano: altri figlia la dicono della Terra. Vogliono che si sposasse a Fallante, a cui generò l’Idra: ebbe
cui generò l’Idra: ebbe da Acheronte la Vittoria, la Forza, lo Zelo, che militarono con Giove contro i Titani, onde egli i
militarono con Giove contro i Titani, onde egli in premio le concesse che il giuramento pel nume e l’acque di lei sarebbe s
di lei sarebbe stato formidabile e tremendo agli stessi numi. Quelli che fra loro nel di lei nome spergiuravano erano per
del Cielo portava ai numi mentitori un vaso pieno dell’acqua stigia, che sospendeva per nove anni la loro divinità. Gli De
’acqua stigia, che sospendeva per nove anni la loro divinità. Gli Dei che giuravano per Stige dovevano tenere una mano sull
mare. E dubbio dove fosse il fiume divenuto favoloso. Opinano alcuni che fosse nel seno di Baia vicino al lago Averno, e c
o. Opinano alcuni che fosse nel seno di Baia vicino al lago Averno, e che i Sacerdoti avari avvalorassero quest’opinione, p
beato; secondo altri è un fonie dell’Arcadia vicino al monte Cilleno, che cadendo da una rupe altissima dopo poco cammino f
etallo. L’unghie sole del cavallo resistevano alla sua forza. Credono che Alessandro fosse con quest’acqua avvelenato. Ques
uò senza dubbio aver dato causa alle menzogne dei poeti; come all’uso che ne facevano per provar la reità, o l’innocenza de
r la reità, o l’innocenza degli accusati, ascriver conviene tutto ciò che fu immaginato intorno al giuramento degl’Immortal
palude Acherusia, ma non mescola con esso le sue onde. Favoleggiarono che Plutone ruppe la fedeltà giurata a Proserpina con
giurata a Proserpina con una figlia di questo fiume, chiamata Minta, che fu dalla regina dell’ombre convertita in un’ erba
tita in un’ erba cui diede il nome. Omero lasciò scrìtto nell’Odissea che questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheron
ll’Odissea che questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheronte, e che non è che un rivo di Stige. Il nome di esso deriv
che questo fiume si perde con Flegetonte nell’Acheronte, e che non è che un rivo di Stige. Il nome di esso deriva dalle qu
empiono le sue rive 1’ ombre dei malvagi. Di Flegetonte sappiamo solo che vi sgorgavano torrenti di fiamme, e che gli erano
. Di Flegetonte sappiamo solo che vi sgorgavano torrenti di fiamme, e che gli erano corona le carceri dei condannati da Rad
corona le carceri dei condannati da Radamanto. Dirò adesso di Nemesi, che vendicava gli oppressi in vita, dai superbi. Così
ta, motrice della vita, dea dagli occhi neri, figlia della Giustizia, che i lievi fremiti dei mortali contieni con freno di
ce della vita. Veneriamo Nemesi dea immortale, verace, e la Giustizia che presso le siede, la Giustizia che stende le sue a
a immortale, verace, e la Giustizia che presso le siede, la Giustizia che stende le sue ali immense, che la superbia dei mo
izia che presso le siede, la Giustizia che stende le sue ali immense, che la superbia dei mortali toglie da Nemesi e dal Ta
da Nemesi e dal Tartaro. — Da questi versi non dissentono gli artisti che Nemesi hanno rappresentata. Infatti questa dea de
resentata con una ruota ai suoi piedi, e tenente un freno nella mano, che da Buonarroti e da Winkelmann è stato preso per u
un ramo nella mano dritta: colla sinistra ella solleva la sua veste, che ella tiene un poco allontanata dal suo seno. Ques
gato dal gomito sino alla prima falange dei diti, significa la misura che i Greci chiamavano (grec), simbolo di una retribu
olo di una retribuzione giusta ed equa di tutte le azioni. Lo sguardo che ella volge nel suo seno per la parte del suo vest
gione dissente, come udirete, Visconti. La figura di una donna alata, che in un quadro dell’ Ercolano sembra consolare Aria
re Arianna da Teseo abbandonata, mostrandole col braccio teso la nave che si allontana, e che non è stata determinata nella
abbandonata, mostrandole col braccio teso la nave che si allontana, e che non è stata determinata nella spiegazione di quel
cima della testa. L’allegoria degli Etiopi rappresentati sulla coppa che teneva nella mano la Nemesi di Fidia, della quale
lla sua facoltà, e si dimentica delle taccie di frivolo, immaginario, che sogliono darsi da’ belli spiriti a questo genere
questo genere di letteratura. « La bella statuetta della dea Nemesi, che presentiamo in questo rame, ha certamente i surri
, specialmente di Smirne, ove erano venerate due Nemesi in un tempio, che gareggiava in magnificenza ed in ricchezza coli’
li’ Efesino. « Queste immagini ne’medaglioni così ben si distinguono, che vi si ravvisano tutti quei simboli che gli antich
lioni così ben si distinguono, che vi si ravvisano tutti quei simboli che gli antichi attribuiscono a questa nemica dei sup
a della divina indignazione, e della giustizia distributiva dei Numi, che perseguitava i delinquenti sin anche nella quiete
ezza del cubito, è il simbolo più costante, onde argomentò Spanhemio, che a questo gesto si riferisse ciò che dissero gli a
stante, onde argomentò Spanhemio, che a questo gesto si riferisse ciò che dissero gli antichi del cubito di Nemesi, dalla m
chi del cubito di Nemesi, dalla maggior parte spiegato per una verga, che il simulacro della dea stringesse in mano. Il dub
e dai bassi rilievi. Quest’attitudine caratteristica è quella appunto che nella statua osserviamo, la quale combina coir in
bina coir indubitate figure di Nemesi, e fra le altre colle più certe che sono in un medaglione del re di Francia, ove si r
iera ad ofi’rire allo sguardo l’intera misura del cubito. Sembra però che il braccio delle Nemesi di Smirnee restasse afi’a
iamo. « Gran cose hanno detto i filologi su questo sollevar del manto che fa Nemesi, tutte ingegnose, ma che non hanno nell
ologi su questo sollevar del manto che fa Nemesi, tutte ingegnose, ma che non hanno nell’antica tradizione verun appoggio.
verun appoggio. « Se ardissi avanzar su di ciò la mia opinione direi che invano si cerca il mistero in un ripiego dello sc
ne direi che invano si cerca il mistero in un ripiego dello scultore, che non contento di questo braccio isolato delle Neme
rzata, ha pensato ingegnosamente di dare al braccio stesso un’ azione che lo fissasse nella positura caratteristica, nel te
zione che lo fissasse nella positura caratteristica, nel tempo stesso che lo facesse apparir verisimile. Più naturale azion
sa del braccio non poteva pensarsi della presente, nella quale sembra che la dea si racconci il peplo sul petto. « Quindi,
peplo sul petto. « Quindi, appena ideata, ebbe una folla d’imitatori, che la replicarono in varii generi di lavoro, ed in v
mano un ramo di frassino, simbolo di cui danno esempio i monumenti, e che ci accennano gli scrittori. Un’altra simile fu pa
fu parimente trovata nello scavo medesimo, dai tempo men rispettata, che combinava nell’attitudine essenziale d’un braccio
rispettata, che combinava nell’attitudine essenziale d’un braccio, ma che parimente era mancante dell’altro. A quest’altro
on ci si rende molto sensibile, attesa la conservazione di quel gesto che esprime il cubito e la misura. Questo è l’indubit
me il cubito e la misura. Questo è l’indubitato distintivo di Nemesi, che ce la fa riconoscere in questo unico simulacro ce
dagli autori, dalle medaglie, dalla combinazione di tutti i monumenti che ci rimangono. Più non chiederebbesi ad una tal qu
borgo dell’Attica, simulacro per la divozione e per l’arte memorando, che da Varrone venia preposto a quanto sino da’ suoi
alita dal più bello della natura umana all’ideale della divina, tempi che aveva già preceduti il secol d’oro dell’arte. Ago
Fidia n’era stato l’artefice, e tanta eccellenza rilucea nel lavoro, che spesso gli scrittori l’anno attribuito al maestro
o ebbe egli la disgrazia comune ad altri discepoli d’uomini insigni, che se qualche opera grande producono, l’invidia non
niese a Maratona, venne quel marmo in mano dello scultore Agoracrito, che lo prescelse ad efiSgiare una Venere, soggetto ch
ultore Agoracrito, che lo prescelse ad efiSgiare una Venere, soggetto che volea rappresentare in concorrenza di Alcamene su
il nome della dea del piacere in quello della dea dell’ indegnazione, che sperava ultrice dei suoi torti, e tale infatti la
lla religione. Ebbeperò il simulacro di Nemesi Ramnusia simboli tali, che poco felicemente alla dea si appropriavano, e che
nusia simboli tali, che poco felicemente alla dea si appropriavano, e che a Pausania stesso, non informato della precedente
degli antichi scrittori ci pone ora in istato di rischiarare i dubbi, che non seppero dileguare in Pausania i più colti Att
ià degradata la Grecia! « Il simulacro avea in mano un ramo di pomi,, che alludeva alla vittoria d’Ida, e che poi fu confus
ro avea in mano un ramo di pomi,, che alludeva alla vittoria d’Ida, e che poi fu confuso col frassino di Nemesi. Dall’altra
tiopi. Qui è la maggior esitanza di Pausania: ma non è questa ampolla che una fiala di preziosi unguenti tutta propria di V
balsami, e dei più ambiti dall’antico lusso muliebre. La corona d’oro che cingeva il capo della dea si conveniva pure a Ven
orona d’oro che cingeva il capo della dea si conveniva pure a Venere, che presso i poeti è talora denominata (grec), dalla
Le vittorie incise sono quelle riportate sulle dee rivali, e i cervi che le framezzano indicano abbastanza che non sono le
ate sulle dee rivali, e i cervi che le framezzano indicano abbastanza che non sono le vittorie dei forti. » Questa illustr
imo amico, l’ Abate Zannoni, in un bella dissertazione su questa dea, che non ha veduto ancora la pubblica luce. Egli osser
on ha veduto ancora la pubblica luce. Egli osserva fra le altre cose, che la fiala non è un vaso per unguenti, come pretend
he la fiala non è un vaso per unguenti, come pretende il Visconti, ma che gli antichi se ne servivano per bere e per giuram
no per bere e per giuramenti. Ma io non voglio con altre riflessioni, che la bontà dell’amico mi ha suggerite, stancar la v
mi ha suggerite, stancar la vostra attenzione, onde udite da Ovidio, che ho tradotto, come Dedalo, il più antico degli Art
o figlio a Minosse, di cui vi favellai nella passata Lezione. Dedal, che Creta odiava, e il lungo esiglio. Tocca la carità
ungo esiglio. Tocca la carità del suol natio. Il mar si oppone. Ancor che il suolo 1’ onda Sia chiuso, ei disse, aperto è i
olle cresca; in questa guisa Sorge zampogna con dispari canne. Quelle che in mezzo sono aggiunge all’ime Con cera e lino, e
ratta con ridente volto I suoi perigli, ignaro, ed or le piume Serra, che mosse son dall’aura errante Ed ammollisce la doci
l pianto la mutata guancia; Sulla bocca del suo figlio trattiene Baci che non ripeterà: s’inalza Sulle penne, e precede il
ii l’aere aduna Perchè gli manca il remeggiar dell’ale. Già la bocca, che grida il patrio nome, Occupa l’acqua che da lui s
giar dell’ale. Già la bocca, che grida il patrio nome, Occupa l’acqua che da lui si chiama. Ma il padre, ahi non più padre
sei; Icaro, in quale Terra ti cercherò? — Sempre diceva Icaro, allor che rimirò nell’onde Le penne, e maledì l’arti novell
chiama dell’Oceano, e questa origine vien pure da Pausania attestata, che 1’ annovera fra l’altre ninfe oceanine, compagne
adino o straniero. Prova infatti l’Istoria e l’esperienza dei secoli, che i primi re furono tutti soldati. Euripide fu tant
dati. Euripide fu tanto invaso dal potere della fortuna, da affermare che non Giove, ma essa tutte le cose mortali governav
. Ed altro antico scrittore disse a ragione, non esser la nostra vita che un continuo scherzo della fortuna, una perpetua v
olto ella possa negli avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più che al coraggio ed al sapere, a lei debbano i potenti
lei debbano i potenti l’esito felice delle loro imprese. Dante stimò che il potere di quest’ Essere morale combinarsi pote
o cui saver tutto trascende. Fece li cieli, e die lor chi conduce. Sì che ogni parte ad ogni parte splende, Distribuendo ug
enda consegue. Questa è colei, ch’è tanto posta in croce Pur da color che le dovrian dar lode, Dandole biasmo a torto e mal
II, v. 73 e segg. Ma passando a ricerche relative alla Mitologia dirò che Omero non parla della Fortuna, non perchè, com’è
nominato (grec), o Fortuna, sarà stato come si crede di quegli altri che ci restano, a lui falsamente attribuito. La Fortu
gione. Dione così spiega i simboli della Fortuna: Il timone significa che governa la vita degli uomini, e il corno d’Amalte
a, ed a proposito delle Nemesi con essa identificata, scrive Pausania che nè quella di Raamunte, nè altra, che antica fosse
sa identificata, scrive Pausania che nè quella di Raamunte, nè altra, che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservat
a che nè quella di Raamunte, nè altra, che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservato che la Nemesi, che noi nelle
nte, nè altra, che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservato che la Nemesi, che noi nelle medaglie vediamo senz’al
che antica fosse, ne aveva; ma che poi aveva osservato che la Nemesi, che noi nelle medaglie vediamo senz’ali, le aveva: pe
ali di Cupido. Ma forse sarà stata un’invenzione degli artefici, dopo che il padre di Bupalo aggiunse il primo le ali a Cup
adre di Bupalo aggiunse il primo le ali a Cupido e alla Vittoria: nel che fu seguito dal figliuolo, che facendo la statua d
mo le ali a Cupido e alla Vittoria: nel che fu seguito dal figliuolo, che facendo la statua della Fortuna agli Smirnei le m
na Nemesi pur coir ali si vede in una iscrizione appresso il Grutero, che venne presa da alcuni per l’Aurora. Nessuna cosa
, il ramo di ulivo; bisogna più lodarne la buona intenzione ed i voti che concepiva per l’impero che il buon gusto. Per esc
più lodarne la buona intenzione ed i voti che concepiva per l’impero che il buon gusto. Per escludere ogni sospetto di gen
tà, gli fece sacrifizii. Da questo fatto di Costantino forse ne venne che molti imperatori cristiani in avvenire credendo l
segni, per levarle ogni superstizione, e distinguerla dalla Vittoria, che i Gentili in Roma e con tanta cura conservavano n
ta cura conservavano nel Senato, avendola, dopo la morte di Costanzo, che l’avea fatta levare, rimessa, e ritenendola ancor
i vede dalla relazione di Simmaco, e da Sant’Ambrogio, e da Prudenzio che ne scrissero contro. La Fortuna felice in una med
e nell’altra il corno dell’abbondanza. Il timone indica le ricchezze che dà il commercio marittimo. E noto che gli antichi
. Il timone indica le ricchezze che dà il commercio marittimo. E noto che gli antichi staccavano il timone dai loro navigli
così viene illustrata da Visconti: « l simulacro inciso nella tavola che osserviamo ottiene dall’integrità quella consider
la tavola che osserviamo ottiene dall’integrità quella considerazione che non può meritare per l’arte. Comunissimo sono l’i
i padri della Mitologia su tal proposito ad idee più giuste di quelle che si ebbero nell’età susseguenti, come altra Fortun
bbero nell’età susseguenti, come altra Fortuna non avessero ravvisata che la volontà e il decreto di Giove. Io però sospett
sero ravvisata che la volontà e il decreto di Giove. Io però sospetto che si voglia con tal divisamento far onore a quei du
oglia con tal divisamento far onore a quei due Poeti di una filosofia che non hanno mai immaginata. Esiodo dà alle Parche t
n hanno mai immaginata. Esiodo dà alle Parche tutti quegli ufnzii, di che i posteriori mitologi hanno investita la Fortuna.
volontà di Giove non é molto consentaneo all’ esattezza delle nozioni che in questo particolare se gli vuole ascrivere. Sem
nozioni che in questo particolare se gli vuole ascrivere. Sembra anzi che il suo fato abbia molta relazione a quella necess
o, e con cui si lusingavano di spiegare l’origine del male: necessità che i Poeti dell’età posteriori non han saputo disgiu
ruota, altro suo distintivo, conosciuto come i precedenti, ci ricorda che Le sue permutazion non hanno tregue. « Il cornuco
, ci ricorda che Le sue permutazion non hanno tregue. « Il cornucopio che ha nella manca ci dà l’idea dell’abbondanza, che
gue. « Il cornucopio che ha nella manca ci dà l’idea dell’abbondanza, che scende ad un suo volere a beare le nazioni, le ci
di un altro simbolo adornò Bupalo questo suo simulacro, e fu il polo che le pose sul capo. « Alcuni si contentano d’ inten
o d’ intendere per questa voce il Cielo senza curarsi di sapere sotto che forma, e in qual guisa posava sul capo della Fort
o, o calato, fregio consueto di molte antiche divinità. « A me sembra che la parola (grec) mal si tragga ad un simile signi
non di qualche cosa di concavo, quindi fu tratta a denotare il cielo, che solido e concavo si figuravano gli antichi, il cr
o di conca. Come dunque si vuol questa volta appropriare ad un corpo, che piuttosto somiglia un cono troncato, o cilindro?
fesina, quello di Serapide, quello della Diana Pergea, e tante altre, che simili al modio della Fortuna torreggiano sulla t
nare dal senso più naturale e più certo di quel vocabolo, quando vedo che i monumenti non mei contrastano. Intendo per polo
a quasi ad un berretto frigio. Ecco adunque quella specie di callotta che copriva la testa della Fortuua Smirnea, forse per
di averlo deposto: — espressioni, le quali non ci offrono altrimenti che un’ immagine assai fredda e indeterminata, non de
non manca alla nostra statua, ma è però di una figura molto comune, e che somiglia quasi alle torri dalle quali si vede cor
lle torri dalle quali si vede coronata la Fortuna in più monumenti, e che gli ottenero forse da Pindaro il magnifico titolo
Generalmente la Vittoria è rappresentata coll’ali; ma Pausania scrive che gli Ateniesi effigiare la fecero senza esse, acci
per l’ordinario, sotto la figura di una donna seduta, mezza vestita, che tiene il caduceo nella destra. In una pittura di
medaglia dell’imperatore Filippo. Indica una Vittoria certa immagine, che ci rammenta l’idea di quel quadro, col quale si r
na prendeva delle città colle reti. Una vittoria splendida e gloriosa che sia stata celebrata, o che meriti d’esserlo, semb
le reti. Una vittoria splendida e gloriosa che sia stata celebrata, o che meriti d’esserlo, sembra essere stata indicata co
eriti d’esserlo, sembra essere stata indicata con una Vittoria alata, che fa libazione ad una Musa: vale a dire, che con un
ta con una Vittoria alata, che fa libazione ad una Musa: vale a dire, che con un vaso ella versa acqua o vino in una coppa,
a: vale a dire, che con un vaso ella versa acqua o vino in una coppa, che la Musa, caratterizzata colla lira, sostiene. Que
ene. Questa immagine è stata rappresentata sopra alcune opere antiche che si vedono nella Villa Albani, e Winkelmann ha dat
ce e tutelare per undici secoli dell’Impero romano, fu quella altresì che riscosse più lungo culto fra le deità del Paganes
deità del Paganesimo, non essendo cessati i suoi pubblici sacrifìzii che verso la fine del quarto secolo con tanta resiste
dal bisogno e dall’ ava rizia, perchè, perduti i simboli distintivi, che la dea suole avere nelle mani e sugli omeri, sien
romano, ad abolire ogni monumento di questa idolatria. « Fra i pochi che ne restano in marmo, se piccolo per mole, assai s
oll’appoggiare il piede su di un rostro di nave, ad esempio di quella che si vede nelle medaglie. Non perciò è priva del su
r terra e per mare, o forse ancora il trofeo non indica uno di quelli che si ergevano sul campo di battaglia, ma uno di que
hi, i palagi si decoravano. E tanto proprio della Vittoria il trofeo, che un greco autore non l’ha altrimenti definita che
Vittoria il trofeo, che un greco autore non l’ha altrimenti definita che per l’ottenimento del trofeo medesimo (grec), la
fuga e disarmato i nemici. A questa espressione di sicurezza parebbe che possa alludere la situazione del braccio sinistro
ovata posteriormente e in questa parte più intera, non ci apprendesse che la sua vera attitudine era di coprirsi il capo, q
’antro di Mitra, per denotare vittime de’ trionfi. La corona moderna, che ha nella destra, è imitata dai vetusti esemplari.
ia Aziaca non offre la storia altro combattimento navale nei tempi in che fiorirono le arti in Roma. Pur nelle monete di Ve
Vespasiano e di Tito, si vede la Vittoria col rostro di nave. Chi sa che non fosse una semplice imitazione di quelle tante
hi sa che non fosse una semplice imitazione di quelle tante immagini, che nell’auge dell’impero d’Augusto avranno rappresen
dro Guidi sulla Fortuna ridonda di bellissime immagini, onde io credo che vi sarà utile udirla. « Una donna superba al par
eo piede al tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di Giove: e che germana al Fato, Sovra il trono immortale A lui m
rribili, inquiete, Avvezze in cielo a colorir comete. Questa è la man che fabbricò sul Gange I regni a gl’Indi, e su l’Oron
i piedi Tutta la terra doma, Del vinto mondo fei gran dono a Roma. So che ne’ tuoi pensieri Altre figlie di Giove Ragionano
a lui temuto? Son forse l’opre de’ mìei sdegni ignote? Nè ancor sì sa che l’Oriente corsi Co’ piedi irati, e a le provincie
an donne in fronte, E le commisi a le stagion funeste: Ben mi sovvien che il temerario Serse Cercò de l’Asia con la destra
on cui fui sopra al cavalier tradito Sul menfitico lito: Nò la crudel che il duro Cato uccise. Nè il ferro che de’ Cesari l
Sul menfitico lito: Nò la crudel che il duro Cato uccise. Nè il ferro che de’ Cesari le membra Cominciò a violar per man di
non fosti de le gran venture: Avrai de Tira mìa piccioli segni: Farò che il suono altero De’ tuoi fervidi carmi Lento e ro
ò che il suono altero De’ tuoi fervidi carmi Lento e roco rimbombo, E che l’umil siringhe Or sembrino uguagliare anco le tr
no e i primi degli Dei. Ma l’opinione meno inveterata e più seguita è che fossero figlie di Mnemosine e di Giove. Dagli ant
contrasto a diversi scrittori; ma ogni querela ha sopito il Visconti, che combinando la tradizione degli scrittori coi monu
mezzi sicuri di rappresentarle distintamente. Io non posso prevalermi che delle sue stesse parole, e seguire l’ordine ch’eg
do per la prima la statua di Clio. « La distinguo per tale dal volume che ha in seno, quasi svolgendolo e recitandolo, come
e si leggono inoltre i nomi e i dipartimenti di ciascuna Musa. Vero è che il volume è ancora in mano di Calliope musa dell’
Calliope musa dell’Epopea nelle stesse pitture: ma questa uniformità che darebbe delFimbarazzo negli intonachi Ercolanensi
e incerate, ove collo stilo scrivevano gli antichi. « E troppo chiaro che convengono assai bene queste ultime a chi scrive
gono assai bene queste ultime a chi scrive dei versi come Calliope, e che ha spesso d’uopo di cancellare o di riformare dov
o sarebbe assai improprio darli per simbolo di Clio musa deiristoria, che siccome rammenta i secoli addietro in prosa, da u
iiì franchezza, e dall’altra suol tanto diffondersi nei suoi scritti, che male a proposito cercherebbe di registrarli nei p
rima delle nostre statue ci presentassero le Muse, e nel quale meglio che in qualunque altro se ne scorgono i differenti at
se ne scorgono i differenti attributi, dà il volume a una sola Musa, che perciò deve interpretarsi per quella dell’Istoria
gnar francamente l’Istoria a Clio, ed in ciò, oltre le lodate pitture che danno a Clio la Storia, mi è d’ autorità il citat
leio, e la testimonianza finalmente del dotto scoliaste di Apollonio, che dice la storia invenzione di Clio. Una prova dell
ll’impiego di questa Musa è il suo nome medesimo. Diodoro e Plutarco, che le attribuiscono gli elogi e la poesia eroica, lo
le attribuiscono gli elogi e la poesia eroica, lo derivano da (grec) che dicon significare gloria e’ lode. Non vi ha dubbi
vano da (grec) che dicon significare gloria e’ lode. Non vi ha dubbio che non trovisi la parola (grec) in questo senso, e c
Non vi ha dubbio che non trovisi la parola (grec) in questo senso, e che convenga pure all’Istoria che rammenta i fasti de
isi la parola (grec) in questo senso, e che convenga pure all’Istoria che rammenta i fasti dei tempi passati, ed è la depos
randi azioni. Ma il senso più antico e più genuino di questa voce, in che è con preferenza adoprata da Omero, è quello di e
e è con preferenza adoprata da Omero, è quello di esprimere piuttosto che gloria, fama soltanto e rinoìnanza. A meraviglia
ocche di Parnaso, dell’Elicona, e ci fa sovvenire il nome delle Ninfe che dà Virgilio alle Muse. Il suo vestire consiste in
toncini, chiamata dagli antichi tunica axillaris, e in una sopraveste che le si avvolge intorno dal mezzo in giù. Meritano
si avvolge intorno dal mezzo in giù. Meritano osservazione le scarpe che sono fatte a sandali, come quelle della maggior p
e della maggior parte delle statue mitologiche, ma sembrano di cuoio, che coprono il piede nè mostrano allacciatura. Simili
rte avessero le Muse negli spettacoli. « Non mi trattengo sull’alloro che le circonda i capelli, e perchè tutti sanno come
ensì, ma probabilmente di una Musa, non è la propria di questa statua che ne fu trovata mancante. Merita osservazione il vo
esta statua che ne fu trovata mancante. Merita osservazione il volume che ha in seno. Quello che vi rimane di antico è bast
rovata mancante. Merita osservazione il volume che ha in seno. Quello che vi rimane di antico è bastante a dimostrare non e
, dacché la reser nota le conquiste di Alessandro, prima specialmente che la gelosia di Tolomeo Fi ladelfo negandole l’estr
queste statue delle Muse fossero copie di quelle celebri di Filisco, che abbellivano i portici di Ottavia, questo volume p
È questo un Termine, o erma, mancante di capo, coir iscrizione latina che significa: A Giunone Istoria, Telefo e Prisco ded
se ne incontra qualche rara immagine, come presso il Winkelmann. Ciò che è veramente singolare è il vedere la musa della S
mann. Ciò che è veramente singolare è il vedere la musa della Storia, che non è altro che il Genio o la Divinità tutelare d
veramente singolare è il vedere la musa della Storia, che non è altro che il Genio o la Divinità tutelare di essa, onorata
to nome. — Telefo e Prisco eran forse due sofisti amici dell’Istoria, che eressero questo monumento a Clio, musa del genere
Clio, musa del genere lor prediletto. « Mi resta finalmente a notare che la Musa Clio, nel celebre monumento dell’Apoteosi
nda figura nel piano superiore del basso rilievo, distinta dal volume che ha nella mano, e che si vede in piedi presso Call
superiore del basso rilievo, distinta dal volume che ha nella mano, e che si vede in piedi presso Calliope che ha i pugilla
dal volume che ha nella mano, e che si vede in piedi presso Calliope che ha i pugillari. La Storia nel piano più basso in
di sacrificare ha un simile distintivo. Dissento in ciò dallo Schott, che dà questo nome alla Musa colla lira del piano di
di mezzo. Così nel sarcofago del Campidoglio sarà Clio la prima Musa che ha il volume, piuttosto che la settima che ha la
o del Campidoglio sarà Clio la prima Musa che ha il volume, piuttosto che la settima che ha la cetra. Così parimente tra qu
io sarà Clio la prima Musa che ha il volume, piuttosto che la settima che ha la cetra. Così parimente tra quelle della Yill
erisimilmente Clio la musa col volume scolpita in una delle fiancate, che quella della cetra che è la prima sulla facciata.
usa col volume scolpita in una delle fiancate, che quella della cetra che è la prima sulla facciata. Stimo a proposito di r
acciata. Stimo a proposito di rammentare questi monumenti delle Muse, che sono i più cogniti, perchè ne restino sempre più
econda opinione, giacché di rado le Ninfe in altra guisa s’incontrano che seminude. Le mani sono antiche: la destra appoggi
a alla rupe non ha sostenuto mai verun simbolo; non così la sinistra, che per altro non poteva altra cosa reggere per la su
, che per altro non poteva altra cosa reggere per la sua disposizione che una bacchetta o una tibia. La prima l’avrebbe dim
chetta o una tibia. La prima l’avrebbe dimostrata Urania, la seconda, che vi è stata supplita, la distingue per Euterpe, Mu
, la seconda, che vi è stata supplita, la distingue per Euterpe, Musa che ha specialmente sortito il suono dei flauti. « Di
fisiche. Non però a caso se l’è dato piuttosto l’attributo di Euterpe che quelle di Urania, perchè nell’abito di questa Mus
cipale distintivo di Urania, a cui corrisponde il radio, o bacchetta, che suole avere in mano per additare i segni. La Musa
ili ornamenti più sono proprii di una musa teatrale qual’era Euterpe, che della severa Urania, tutta fissa nelle osservazio
severa Urania, tutta fissa nelle osservazioni astronomiche. Infatti, che il suono dei flauti fosse inseparabile dagli spet
prova l’iscrizione delle Commedie di Terenzio in molti antichi testi che hanno: — rappresentate colle tibie destre e sinis
presentate colle tibie destre e sinistre, pari o impari. — « Quindi è che nel sarcofago Capitolino Euterpe coi flauti è rap
le a quello delle muse teatrali della Tragedia e della Lira. Il genio che ebber gli antichi per simili istrumenti si compre
gli antichi per simili istrumenti si comprende dall’ uso tanto esteso che ne fiicevano, adoperandolo, oltre il teatro, nell
statue Tiburtine mancava Euterpe: vi è perciò sostituita la presente, che si è ammirata lungo tempo per le scale del Palazz
azzo Lancillotti a Coronari insieme con un’altra perfettamente simile che vi è rimasta. Queste repliche servono sempre più
rimasta. Queste repliche servono sempre più ad avvalorare il sospetto che fosser copie d’insigni originali, e forse delle l
orse delle lodate Muse di Filisco; al qual proposito giova riflettere che nello stesso palazzo si conserva una Polinnia del
una Polinnia del tutto simile alla nostra, mancante però del capo, e che nell’altro palazzo a Velletri era la statua di Ur
el capo, e che nell’altro palazzo a Velletri era la statua di Urania, che ora compisce il numero delle nostre Muse: onde pu
ra compisce il numero delle nostre Muse: onde può nascere il sospetto che siano state le Muse trovate insieme, e che fosser
de può nascere il sospetto che siano state le Muse trovate insieme, e che fossero anticamente tutta una collezione. « Mi re
he fossero anticamente tutta una collezione. « Mi resta a soggiungere che nel basso rilievo dell’Apoteosi d’ Omero, Euterpe
e che nel basso rilievo dell’Apoteosi d’ Omero, Euterpe è quella Musa che regge colla destra due flauti, presi dal Kirkero
periore. Il Cupero e lo Schott la ravvisano per tale: quello soltanto che rilevo dall’ osservazione del marmo si è che la c
er tale: quello soltanto che rilevo dall’ osservazione del marmo si è che la cetra posata in terra resta presso di questa M
a danzante. In ciò questo greco monumento differisce da^-li scrittori che ci rimangono. Nel sarcofago della Villa Mattei, E
perciò alla sagace Talia, inventrice di quel ramo dell’arte scenica, che se non è il più utile, è di sicuro il più general
rmini la stessa Musa: Io dei comici numeri maestra Son la Musa Talia, che dalle scene Festive il vizio uman scherzando pung
a, è adattato al suo doppio uffìzio, sì ai piaceri e ai divertimenti, che sono i fiori di cui si sparge il disastroso senti
tessi attributi la caratterizzano nelle pitture di Erodano ugualmente che nel lodato bassorilievo Capitolino, dove anzi è a
l lodato bassorilievo Capitolino, dove anzi è abbigliata di un manto, che dall’omero sinistro le scende sotto al destro, ne
che dall’omero sinistro le scende sotto al destro, nella stessa guisa che in quelle antiche pitture. I calzari che ha ai pi
l destro, nella stessa guisa che in quelle antiche pitture. I calzari che ha ai piedi in quel monumento son ben diversi dai
era, e Talia non può essere se non la terza musa del piano superiore, che ha la cetra nella sinistra, e sta colla destra in
tire e recitare. Questo gesto simile a molti delle fi<?ure comiche che sono nelle miniature del Terenzio Vaticano, allud
i, i quali avevano presso i Greci lo stesso nome colla nostra Musa, e che perciò dovevano esserle sacri. Fi vestita di una
sino a mezzo braccio strette con borchie, fra le quali le due prime, che restano su gli omeri, sono più grandi. Ha una sop
i sandali ai piedi, e il timpano moderno nella sinistra, istrumento, che allude, come l’edera, all’origine Bacchica degli
li teatra li. È stato supplito sull’indizio di un vestigio circolare, che altro non poteva indicare che un timpano appunto,
sull’indizio di un vestigio circolare, che altro non poteva indicare che un timpano appunto, un troco, o altro simile stru
umento rotondo.» Voi dimandate spesso dei soggetti, e le descrizioni che per vostro vantaggio traduco dai poeti non sono s
Mitologia Bacchica, una delle Immagini di Filostrato. Queste non sono che descrizioni di quadri antichi, ma fatte con quell
sono che descrizioni di quadri antichi, ma fatte con quell’ eleganza che è tutta propria di questo scrittore. Ve ne sia d’
sia d’esempio la seguente, ove è descritta Tebe assediata, e Meneceo che per la patria offre la vita. — Questa è Tebe, per
ueste Anfìarao si avvicina con meste sembianze prevedendo la sciagura che gli sovrasta. Gli altri duci temono anch’essi, ed
ri duci temono anch’essi, ed inalzano le loro mani al cielo: non vi è che il solo Capaneo che misuri con occhi arditi le mu
essi, ed inalzano le loro mani al cielo: non vi è che il solo Capaneo che misuri con occhi arditi le mura, delle quali si r
cile di scalarle. Pure non 1’ hanno offeso ancora coi sassi i Tebani, che paventano di dare principio alla battaglia. E qui
eggono le teste, o i petti o gli elmi, e dopo questi niente si scorge che la punte dell’aste. Ma tutto questo è prospettiva
spettiva: perchè bisogna ingannar gli occhi per certi serpeggiamenti, che s’allontanano e vanno quanto la vista. Inoltre Te
non è priva di predizioni, perchè Tiresia, il profeta, dà un oracolo, che riguarda Meneceo figlio di Creonte. Tebe, egli di
pel suo generoso coraggio. Volgete adesso il vostro occhio su quello che dipende dall’artista: egli non ha dipinto un giov
so, capace della palestra come sono quei brunastri di pelle olivastra che Platone loda tanto. E l’ha munito di stomaco e di
egli già si è trafìtto nel petto: riceviamo nel nostro vaso il sangue che esce dalla piaga, poiché scorre in abbondanza. E
dei bei corpi ove stanno, e con dispiacere gli abbandonano. Il sangue che scorre a poco a poco fa sì che ei traballi, e con
dispiacere gli abbandonano. Il sangue che scorre a poco a poco fa sì che ei traballi, e con un’occhiata dolce e graziosa,
oco a poco fa sì che ei traballi, e con un’occhiata dolce e graziosa, che sembra chiamare il sonno, egli saluta ed abbracci
iosa, che sembra chiamare il sonno, egli saluta ed abbraccia la morte che viene ad impadronirsene. — Lezione cinquantes
mo sguardo la musa della Tragedia. La maschera tragica, anzi erculea, che ha nella destr-a la bellézza del volto nobilmente
te presiede. « Infatti nulla di piìi proprio per denotare la Tragedia che la maschera di Ercole, la cui clava suole esser i
iù comune nella maggior parte dei monumenti. Qui però è da osservarsi che la capigliera di queste maschere detta dai Greci
Greci ò’/xo;, dai Latini Superficies, è coperta della pelle di leone, che secondo Polluce formava una parte del l’apparato
che secondo Polluce formava una parte del l’apparato tragico. Sembra che ì simboli di questo eroe siano stati prescelti pe
no la sua tristezza, affetto seguace della compassione e del terrore, che sono i due poli dell’arte tragica, onde Ausonio r
oni più nobili dello spirito umano, e i rustici furono i primi attori che le recitarono, tinto il volto di mosto. Il suo no
le recitarono, tinto il volto di mosto. Il suo nome stesso Tragedia, che vale canto del capro, mostra che simili divertime
mosto. Il suo nome stesso Tragedia, che vale canto del capro, mostra che simili divertimenti non erano che una sequela del
a, che vale canto del capro, mostra che simili divertimenti non erano che una sequela del sacrificio, che facevasi al nume
tra che simili divertimenti non erano che una sequela del sacrificio, che facevasi al nume inventore del vino, di questo qu
a usata dagli antichi artefici nelle immagini degli eroi. Agli esempi che adduce può aggiungersi la bella statua Capitolina
i. Agli esempi che adduce può aggiungersi la bella statua Capitolina, che non dovrebbe perciò riguardarsi come quella di un
agedia ad Euterpe, a Melpomene il barbito. L’etimologia del suo nome, che vai Cantante, è stato forse il principio d’ascriv
rta, e di piiì il sirma teatrale bizzarramente aggruppato. Il pugnale che ha nella manca, benché moderno, non è posto a cap
preso metodo di distinguere nei celebri monumenti ciascuna Musa, dirò che nell’Apoteosi di Omero Melpomene è la figura muli
a Giove a cui rivolge il volto: la contrassegna il coturno altissimo che porta al piede, come ò chiaro nel marmo, e il vel
urno altissimo che porta al piede, come ò chiaro nel marmo, e il velo che le copre la testa come nella stessa scultura: è r
oter giungere alla vera idea dell’artefice, a cui non poteva condurre che la diligente osservazione del marmo originale. « 
ne del sarcofago Capitolino: ha la maschera tragica alzata dal volto, che le serve come di cuffia ed ornamento del capo, ed
uffia ed ornamento del capo, ed altissimi coturni alle piante. Quello che più fa al nostro proposito è che appoggia il pied
ltissimi coturni alle piante. Quello che più fa al nostro proposito è che appoggia il piede sovra un sasso nella stessa gui
ia il piede sovra un sasso nella stessa guisa della nostra statua, lo che sempre più ci assicura che r artefice non ha usat
nella stessa guisa della nostra statua, lo che sempre più ci assicura che r artefice non ha usata di questa situazione senz
olle e amorosa. « Quale dunque delle due Muse liriche sarà la nostra, che sedendo come le altre sulla rupe del Parnaso, ves
a mezze maniche, coronata di alloro, calzata di quel genere di scarpe che abbiamo ravvisate per le antiche alute, col plett
ere di scarpe che abbiamo ravvisate per le antiche alute, col plettro che ha nella destra, va destando i concenti dell’armo
e per la somiglianza appunto di questo musicale istrumento con quello che ha la Tersicore dei begli intonachi Ercolanensi,
Tersicore la Lira. « A dir vero si vede in questa Lira la testuggine che ne forma il corpo, secondo l’ invenzione di Mercu
amente nell’Inno Omerico; e due corna di capra ne formano le braccia, che perciò si trovano spesso appellate corna della ce
la Lira di Tersicore nell’accennate pitture. « Il nome di Tersicore, che vale dilettante della danza, non sembra avere un
embra avere un immediato rapporto alla lirica, quando non si rifletta che le canzoni liriche furono primitivamente composte
rno all’altare. Sì stretta connessione degl’inni e delle danze sacre, che poi si accompagnavano indispensabilmente colla li
cui si avevano anticamente gli originali di queste figure delle Muse, che eran forse, come abbiamo più volte notato, quelle
ei portici di Ottavia. Questa statua era mancante del capo: ma quello che l’è stato supplito è antico, ed abbastanza conven
core nel singolare bassorilievo dell’Apoteosi di Omero, ed è la prima che siede sul secondo piano col plettro nella destra
ora la nostra Musa dal dotto espositore dei bassi rilievi Capitolini, che si è contentato di seguire l’epigramma di Callima
ervato come il più lontano dalle comuni opinioni. Noi però dalla Lira che sta sonando la nomineremo Tersicore, avendo già r
delle pitture di Ercolano. « Così nel sarcofago Matteiano, Tersicore che è la prima della facciata, è parimente descritta
ze, ecco gli ufficii di Erato secondo la maggior parte degli antichi, che dall’amore ne derivarono l’amabile denominazione.
avesti il caro nome. « Le pitture di Ercolano hanno Erato la saltria, che regola cioè l’arte della danza e del suono, come
ella pittura di Ercolano nella situazione, nel movimento, nell’abito, che sta suonando la cetra per dar il tempo di qualche
ezze maniche, fermata con piccole borchie sul braccio, e con un manto che le scende dagli omeri vezzosamente negletto. « Se
esti studii d’ Erato bastano a spiegar la maggior parte dei monumenti che ce la rappresentano, come r insigne bassorilievo
à degli antichi appellata Tersicore; altre sei hanno i loro attributi che le distinguono abbastanza; Clio ha il Yolume per
lle quali sarà Erato, l’altra Polinnia. Recheremo appresso le ragioni che abbiamo per credere quest’ultima la Musa ravvolta
ravvolta nel manto e appoggiata al sasso, onde Erato non potrà esser che la terza figura, che posando la sinistra su di un
appoggiata al sasso, onde Erato non potrà esser che la terza figura, che posando la sinistra su di una base, sta pensieros
a ed ha il capo coperto di una specie di velo stretto a guisa di rete che (grec) dai Greci appellavasi. Nel rame che la rap
lo stretto a guisa di rete che (grec) dai Greci appellavasi. Nel rame che la rappresenta è stato trascurato questo abbiglia
enta Safi’o nelle monete di Lesbo. Infatti, non sotto altre sembianze che sotto quelle di Erato dovea rappresentarsi la dec
e canzoni.» Udite da Filostrato di altre due pitture la descrizione, che ho tradotta, mosso dal gradimento che aveste per
tre due pitture la descrizione, che ho tradotta, mosso dal gradimento che aveste per questo animato scrittore nella passata
uesto animato scrittore nella passata Lezione. Anfiarao. — Le bighe ( che ancora le quadrighe non solevano guidare gli eroi
li eroi, eccettuato Ettore audacissimo fra loro) trasportano Anfìarao che ritorna da Tebe, nel qual tempo si dice che la te
oro) trasportano Anfìarao che ritorna da Tebe, nel qual tempo si dice che la terra per lui sprofondasse, onde nell’Attica r
a risposta sapiente fra gente illustre per sapienza. Fra questi sette che a Polinice Tebano tentavano di restituire V imper
linice Tebano tentavano di restituire V impero, nessuno ritornò fuori che Adrasto ed Anfìarao; gli altri ha la città di Cad
tà di Cadmo: perirono per l’aste, pei sassi e per le scuri. Ma è fama che Capaneo fosse ferito dal fulmine, avendo il primo
no ad esso bagnati di sudore-, si è sparsa intorno una lieve polvere, che gli mostra meno belli, ma più veri. Anfìarao, arm
a veste, ivi la porta dei sogni, poiché di sonno hanno bisogno quelli che interrogano l’oracolo, e lo stesso sonno è dipint
o la notte e il giorno. Tiene ancora un corno nelle mani, come quello che è solito di condurci i sogni per la vera porta. —
in là per la stanza del convito, il sangue mescolato col vino, questi che spirano sulla mensa, questo nappo rovesciato dal
he spirano sulla mensa, questo nappo rovesciato dal calcio di un uomo che gli palpita accanto, questa fanciulla profetessa
gli palpita accanto, questa fanciulla profetessa vestita colla stola, che riguarda la scure che cadrà sopra lei, tutto ciò
uesta fanciulla profetessa vestita colla stola, che riguarda la scure che cadrà sopra lei, tutto ciò rappresenta il modo, n
tornando da Troia, fu ricevuto da Clitennestra Agamennone, cosi ebro, che lo stesso Egisto non ha temuto di osare tanto del
hè ciò successe di notte: i nappi ove il vino spumava risplendono più che il fuoco, essendo d’oro: le tavole erano tutte co
nutrivano i principi eroi. Ma tutto è scompigliato, poiché da quelli che banchettando spirano, parte è rovesciato dai calc
questo ha la testa recisa di sotto le spalle nella stessa attitudine che si abbassava sul nappo, quello ha tagliato il pug
a, un altro si rovescia prono sulla testa e sulle spalle. Vi é alcuno che cerca di evitare la morte, un altro vorrebbe fugg
a glielo impedisce come se avesse ai piedi catene. E fra tutti questi che sono per terra non ve n’è uno che sia pallido, po
ai piedi catene. E fra tutti questi che sono per terra non ve n’è uno che sia pallido, poiché, spirando fra il vino, il col
o, ma tra fanciulli e donnicciole come un bove nel presepio. Ecco ciò che gli è accaduto dopo tanta gloria e tante fatiche
che nel mezzo dell’infausta cena! Ma pietà maggiore ancora merita ciò che accade a Cassandra, poiché Clitennestra si affret
ure è alzata: ella vi rivolge gli occhi paurosi, ed esclama un non so che di compassionevole, affinchè Agamennone, udendola
so che di compassionevole, affinchè Agamennone, udendola in quel poco che gli rimane di vita, ne sia commosso: egli raccont
ntesimaterza. Polinnia, Urania. Polinnia. « Non vi ha dubbio che questa statua, una delle più eleganti e conservat
uesta statua, una delle più eleganti e conservate della collezione, e che non ha nelle mani simbolo alcuno che la distingua
e conservate della collezione, e che non ha nelle mani simbolo alcuno che la distingua, non appartenga alla Musa Polinnia.
o attributo, e la sola situazione, o piuttosto il solo gesto è quello che la determina. Non sembrerà strana questa maniera
colarmente appropriato alla nostra Musa, come ne fan fede gli antichi che l’hanno espressamente chiamata la Musa della Memo
ua della Memoria del nostro Museo, indubitata per la greca iscrizione che ha nella base (grec), Rimembranza, la quale statu
nza, la quale statua non esprime in altra guisa la qualità della dea, che rappresentandocela tutta involta nel manto, e per
ndocela tutta involta nel manto, e persino le mani, come il simulacro che stiamo esponendo. Questo raccoglimento necessario
della favola, come ne fa fede l’Epigrafe della Polinnia Ercolanense, che ha Polinnia le favole, così la sua taciturnità e
e della favola fecero presiedere questa Musa all’ arte dei Pantomimi, che a forza di gesti sapevano rendere facondo il loro
ttori. « Ma, per tornare alla considerazione del nostro marmo, chi sa che quel manto in cui la veggiamo involta non voglia
oscurate queste remote avventure? Inoltre, anche secondo quel sistema che vuol le Muse non altro che i Genii delle sfere pl
nture? Inoltre, anche secondo quel sistema che vuol le Muse non altro che i Genii delle sfere planetarie, che tessono intor
istema che vuol le Muse non altro che i Genii delle sfere planetarie, che tessono intorno al sole danza armoniosa e perpetu
fera del tardo Saturno. La nostra Polinnia è coronata di rose, corona che attribuiscono alle Muse i greci poeti, e fra gli
simile alla bella statua detta la Flora Capitolina. Siccome i simboli che la distinguono per Flora sono aggiunti modernamen
nnia Ercolanense. « Del rimanente, per non dubitare della reputazione che godeva questa figura presso gli antichi, basta ri
tazione che godeva questa figura presso gli antichi, basta riflettere che una similissima, ma senza capo, è in Roma nel Pal
he una similissima, ma senza capo, è in Roma nel Palazzo Lancellotti, che un’altra è nel giardino Quirinale, e che nel nost
oma nel Palazzo Lancellotti, che un’altra è nel giardino Quirinale, e che nel nostro Museo è una statua, la cui testa è il
al quale anch’ essa alla Polinnia, sì nella composizione della figura che nel panneggiamento. Questo panneggiamento appunto
neggiamento appunto è nella nostra statua con tal’ eleganza trattato, che può servire di esemplare, vedendosi trasparire al
onsideriamo ora la nostra Musa ne’ restanti monumenti più accreditati che ci offrono queste Dee dell’Arti; nel sarcofago Ca
sarcofago Capitolino ninna più convenientemente potrà dirsi Polinnia che la quinta, la quale sta appoggiata col gomito ad
iata col gomito ad una rupe, e così colla destra si sostiene il mento che non le sarebbe possibile di favellare. Simile sit
, giacché non seguiremo in ciò l’erudito espositore di quel monumento che la chiama Erato, e dà il nome di Polinnia alla Mu
abbiamo altrove accennato, e confermeremo in appresso. « È da notarsi che la stessa Musa, nella situazione medesima, ‘ s’ i
i di Omero, ed è la terza del secondo piano presso Apollo. Lo Schott, che 1’ ha creduta Calliope, non avea bene considerata
ndo, come abbiamo detto, Calliope assai riconoscibile dalle tavolette che ha nella mano in quello del Campidoglio. La parti
indicano la sua perizia nella musica e nel suono di varii istrumenti, che possedeva egli in un grado così elevato, eh’ era
pidoglio, benché nell’esposizione venga determinata per Erato. Ma ciò che comprova mirabilmente la nostra opinione d’interp
le figure, sono i suoi distintivi, tanto conosciuti e tanto costanti, che il dipintore delle Muse Ercolanensi, che avea agg
conosciuti e tanto costanti, che il dipintore delle Muse Ercolanensi, che avea aggiunto a ciascheduna il nome e 1’ ufficio,
una a questa Musa come abbastanza palese dai suoi attributi. « E vero che nella nostra statua cotesti simboli sono di moder
potevano essere quando fosse stata pur questa la figura di Urania: e che la statua a questa Musa si appartenesse, resta ev
è tutto d’ un pezzo col simulacro, inciso a caratteri antichi Urania, che ne determinano il soggetto, e colla certezza mede
tra, eh’ è precisamente un duplicato dell’altra in tutte quelle parli che nella Capitolina son genuine e non riportate. « È
monumenti equivocata, non così è accaduto della sua statua colossale, che si vede nel portico del Palazzo Farnese verso str
a Musa dell’Astronomia, e perchè sul globo sono tracciati dei circoli che rappresentano quelli che gli astronomi hanno segn
perchè sul globo sono tracciati dei circoli che rappresentano quelli che gli astronomi hanno segnati in cielo, quali appun
nostra Polinnia, ed è vestita di un abito teatrale a lunghe maniche, che abbiamo osservato esser la palla citaredica l’ort
lla Villa Panfili, e nella Melpomene del sarcofago Capitolino, e quel che è più decisivo, nella Musa colossale eh’ era già
tue colossali neir abito e nella mole mi sembra facile a congetturare che sieno due delle nove Muse che adornavano forse l’
la mole mi sembra facile a congetturare che sieno due delle nove Muse che adornavano forse l’antico teatro di Pompeo, nelle
anche Urania di un abbigliamento teatrale.» Eccovi altre descrizioni che traggo da Filostrato. Antigone. — Gli Ateniesi a
igone. — Gli Ateniesi avendo intrapresa la guerra pei corpi di quelli che caddero davanti Tebe, daranno qui sepoltura a Tid
notte fuori del recinto delle mura, contro l’editto fatto da Creonte, che nessuno osasse di seppellirlo nella terra che egl
ditto fatto da Creonte, che nessuno osasse di seppellirlo nella terra che egli avea tentato di render serva. Ecco ciò eh’ è
giacciono distesi i corpi dei capitani, grandi invero e membruti più che il comune degli uomini: ma Capaneo è pari a un gi
ba di Eteocle, cercando con questo di riconciliare i due fratelli. Ma che diremo noi dell’artifizio di questa pittura? Poic
ccia. Ella rattiene non ostante le sue lacrime avendo paura di quelli che sono in sentinella. E quantunque ella desideri di
, ma le allontana l’una dall’altra, attestando la guerra e la querela che dura ancora in questa tomba. — Andromeda. — Que
ma gli Etiopi, e un Greco nell’Etiopia, e il combattimento di questo che di buona voglia ha intrapreso per amore. Io penso
mento di questo che di buona voglia ha intrapreso per amore. Io penso che avrete udito parlare di Perseo, che dicesi avere
ha intrapreso per amore. Io penso che avrete udito parlare di Perseo, che dicesi avere ucciso nell’Etiopia un gran mostro d
e dicesi avere ucciso nell’Etiopia un gran mostro del mare Atlantico, che si gettava sulla terra per divorare gli uomini e
di coraggio tutte le Spar tane. È dipinta in un gesto conforme a ciò che succede, perchè ella sembra essere in dubbio, e g
rte la sua spaventevole Gorgone onde non converta in pietre il popolo che viene a visitarlo: ecco già dei pastori che gli p
verta in pietre il popolo che viene a visitarlo: ecco già dei pastori che gli presentano latte e vino eh’ egli riceve, e di
al vento la sua clamide di porpora tutta sparsa di stille di sangue, che la bestia nel combattimento ha spruzzato contro l
queste altre due statue Yoi avrete avuto da Visconti tutte le notizie che sono necessarie a sapersi intorno alle muse; e fr
ato il potervi trattenere sull’imprese onde l’ isterica è composta, e che formano la parte più amena e più interessante dei
usa, comecché mancante delle braccia e del capo, pure non giudicherei che fosse stata destinata colle altre alla medesima c
amovibili, di lavoro più elegante e gentile, come apparisce dalle tre che si sono conservate: nel resto l’artifizio, quantu
ggiamento, perfetta in ogni più piccola e men significante sua parte, che non possiamo far a meno di crederla un elegante o
a cetra, o i pugillari, il volume, e perchè finalmente non avea segno che per Musa la caratterizzasse, determinandola al te
lle muse di Pindo lo star seduta come le altre sovra un sasso. Quello che è singolare in questa eccellente scoltura è il pa
ra nobile e leggiadra in cui è trattato, sì per la qualità dell’abito che si è voluto rappresentare. È questa una tunica pi
mo altrove notato: ma ciò eh’ è veramente unico nel nostro marmo si è che circa la metà della vita varia il panno di essa,
a il panno di essa, vedendovisi diligentemente segnata la cucitura, e che il drappo della metà inferiore è notabilmente più
ezzo del vestimento, ma non ci mostrano cosa dobbiamo pensare di quel che abbiamo sott’ occhi. Io vado pensando che siccome
sa dobbiamo pensare di quel che abbiamo sott’ occhi. Io vado pensando che siccome la tonaca dal mezzo in su è trasparente,
sia fatta dal mezzo in giù di più grosso drappo non per altra ragione che per quella della decenza, osservata sempre dagli
ee d’Elicona, come altrove abbiamo avvertito, onde sfuggire le taccio che incontravano presso i moralisti di quei tempi sim
contravano presso i moralisti di quei tempi simili abiti trasparenti, che Coe, vesti di vetro, o lucide dai Latini eran det
el genere dei sandali, essendo stretti dai lacci sopra il nudo piede, che tengon ferma al di sotto la suola, la quale é di
i da Polluce quali li veggiamo scolpiti. Aggiunge il mentovato autore che di questi era calzata la Pallade di Fidia, onde n
dia, onde non debbonsi avere per abbigliamento improprio di una Musa, che ol’ tre r essere come tale amica di Pallade, lo è
i questi motivi, si escluderà sempre quello arrecato dall’Aldovrandi, che crede le penne poste sul capo delle Muse perchè f
arsi alla buona critica del secol nostro. Calliope. « La Musa che in aspetto serio è immersa in profonda meditazion
’ Latini pugillares e pinacides dai Greci, e sta colla destra alzata, che reggeva anticamente lo stilo, non so se disposta
ne appunto Laide incontrò nei giardini di Corinto il tenero Euripide, che stava componendo dei versi: e così forse il più p
e canta egli stesso, sulle rive del paterno Mela scriveva quei carmi, che dovevano esser l’incanto di tutte le generazioni
oeti han costumato di registrare i loro versi su di simili tavolette, che , colla facilità che offrivano di cancellare lo sc
i registrare i loro versi su di simili tavolette, che, colla facilità che offrivano di cancellare lo scritto, animavan l’au
glioramenti e a quelle mutazioni, senza le quali non avvien quasi mai che possa scriversi cosa la qual meriti di esser lett
letta, nessun simbolo più adattato di questo potrà darsi a Calliope, che è la musa propriamente della Poesia, e particolar
itti sulle tavolette, e perchè la lirica e la drammatica, come quelle che debbono cantarli o rappresentarli, possono distin
bbono cantarli o rappresentarli, possono distinguersi con altri segni che più decisamente le determinino, come la lira, la
lla poesia Epica cui convien solo l’esser recitata, non poteano darsi che i pugillari sui quali si compone, o il volume su
bisogno dell’epigrafe: Calliope, il poema, per distinguerla da Clio, che ha pure in quelli intonachi lo stesso attributo.
buto. Più avvedutamente r artefice delle nostre Muse, o secondo l’uso che osserviamo più comune nei monumenti, per non conf
quanto più di riflessione e di ponderazione richiegga lo scrivere ciò che in versi si vuole esporre che ciò che in prosa. «
ponderazione richiegga lo scrivere ciò che in versi si vuole esporre che ciò che in prosa. « Nè solo ha espresso ciò nel d
zione richiegga lo scrivere ciò che in versi si vuole esporre che ciò che in prosa. « Nè solo ha espresso ciò nel dare alla
ugillari e lo stilo, ma l’ ha indicato nell’aria attenta e pensierosa che ha saputo dare a questa figura, per la quale meri
llustrati: li ha nel superbo bassorilievo Capitolino la settima Musa, che per Polinnia è stata descritta senza considerargl
a, che per Polinnia è stata descritta senza considerargli i pugillari che ha nella manca: in una pittura di Ercolano è ques
uello della Calliope ch’era nella Collezione della regina Cristina, e che non è già perita come sopra abbiamo avanzato, ma
o, ma sì conserva tuttora nella deliziosa Villa d’Aranjuez. I simboli che sono in quelle sono moderni, e perciò diversi dai
ello spiegar queste statue abbiamo fatto talvolta menzione delle Muse che veggonsi nelle medaglie della famiglia Pomponia,
verse Muse. « Il Begero lo ha tentato, ma non ha seguito altra scorta che quell’epigramma dell’ Antologia, riportato da noi
rta che quell’epigramma dell’ Antologia, riportato da noi nella Clio, che abbiamo già notato aver confusi gli antiquarii, e
noi nella Clio, che abbiamo già notato aver confusi gli antiquarii, e che dissente dalle più ricevute opinioni. « Per farmi
o la testa di una musa coronata, come tutte le seguenti, di alloro, e che ha nell’area un volume coi suoi lacci svolazzanti
ta il plettro, come ha osservato l’Havercampo, e al rovescio una Musa che suona la cetra retta da una colonna, ed è prohabi
itto, e nel rovescio accenna col radio i circoli segnati su del globo che vien sostentato da una specie di tripode. La quin
l’Agricoltura a cui presiede, dagli eruditi non osservato, egualmente che la maschera comica che ella sostiene. La clava e
siede, dagli eruditi non osservato, egualmente che la maschera comica che ella sostiene. La clava e la maschera tragica fan
Begero, la quale ha lo scettro dietro la testa nell’area del dritto, che troppo ben si compete alla musa della Tragedia, e
rea del dritto, che troppo ben si compete alla musa della Tragedia, e che si dà agli attori tragici dallo stesso Polluce. L
quali si ammirano fra le tante erudite reliquie dell’antica Ercolano, che il Vesuvio sotto le sue eruzioni ha conservate pe
o e inaspettato. » Ed ora udite altre descrizioni di antiche pitture che io traggo da Filostrato. Arianna. — Che Teseo in
non per ingratitudine di lui, ma per volontà di Bacco pensino alcuni che sia avvenuto, avrai forse udito ancora dalla nutr
quando vogliono, ancora col pianto. Non avrò dunque bisogno di dirti che Teseo è quello che è nella nave, Bacco quello eh’
ncora col pianto. Non avrò dunque bisogno di dirti che Teseo è quello che è nella nave, Bacco quello eh’ è in terra, nè a t
n è difficile a veruno: di Bacco ancora vi sono innumerabili forme in che può esser ritratto, delle quali se alcuno arriva
dio, poiché i corimbi tessuti in serto sono indizio di Bacco, ancora che l’opera sia inetta, e il corno nato nelle tempie
nifesto segno dello dio. Ma qui Bacco non è dipinto con altro simbolo che con quello dell’Amore. Poiché la florida veste, i
le Baccanti si servono di cimbali, nè i Satiri di tibie presentemente che lo stesso Pane frena il suo saltare perchè non tu
si accosta ad Arianna, ebro di Amore, come dice Anacreonte di quelli che amano smisuratamente. Teseo poi ama, ma il fumo d
amano smisuratamente. Teseo poi ama, ma il fumo di Atene, e può dirsi che Arianna non abbia conosciuta, nè innanzi, nè dopo
e può dirsi che Arianna non abbia conosciuta, nè innanzi, nè dopo, e che si sia dimenticato del Laberinto e del motivo per
e del motivo per cui navigò in Creta: tanto egli riguarda quelle cose che sono innanzi la prora. Rimira anche Arianna, o pi
Queste sono le pitture di Omero, ma il soggetto di questa è Mennone, che venuto di Etiopia uccide Antiloco che difendeva N
l soggetto di questa è Mennone, che venuto di Etiopia uccide Antiloco che difendeva Nestore suo padre, ed il terrore che sp
tiopia uccide Antiloco che difendeva Nestore suo padre, ed il terrore che spaventa i Greci, perchè avanti all’arrivo di Men
il fierezza, e quello di Locri alla sua agile velocità. I soldati poi che gli sono tutti intorno piangono il giovinetto app
mi e la testa di Mennone, ed egual vendetta finalmente alla memoranda che fece sull’uccisore di Patroclo. Mennone è non ost
o giovinetto niente tristo e somigliante a un morto: al contrario par che sorrida e porta nella sua faccia impresso il cont
Le Grazie. Quali dee hanno maggior diritto di succedere alle Muse che le Grazie, ch’ebbero fra gli antichi comune il te
che le Grazie, ch’ebbero fra gli antichi comune il tempio con loro, e che dispensatrici sono anch’esse di tanti doni agli u
doni agli uomini, ed alle quali ninno è in obbligo di sacrificare più che l’artista? Disputata è pure l’origine di queste a
l nate da Eurinome figlia dell’Oceano e da Giove. L’ autore degl’Inni che si attribuiscono ad Orfeo non Eurinome, ma Eunomi
a terza un ramo di mirto. Bupalo pure le fé’ vestite a Smirne, e quel che è più, furono nell’Odea così dipinte dal primo pi
Pitagora in Pergamo, e Socrate figliuolo di Sofronisco, nelle statue che fece in Atene, praticarono la stessa maniera. Noi
la stessa maniera. Noi vedremo fra poco come si trovano nei monumenti che ne sono rimasti. Giova intanto di sapere che sino
si trovano nei monumenti che ne sono rimasti. Giova intanto di sapere che sino dai tempi di Pausania vi era 1’ uso di dipin
gli ultimi tempi piegata la favola all’allegorie volevano significare che queste amabili divinità non abbisognano di alcuno
re che queste amabili divinità non abbisognano di alcuno ornamento, e che a coloro ai quali elleno sono state liberali dei
tate liberali dei loro doni basta la sola natura per piacere. Certo è che gli antichi moralizzavano su queste divinità, com
il mezzo di giovare, e la scienza allontana dal suo santuario coloro che potrebbero innamorarsi del vero. A così care dee
igerne ed istituire loro un culto particolare: e la fama grata sparse che fosse suo padre. Elide, Delfo, Perga, Perinto, Bi
no, secondo Pausania, templi alle Grazie consacrati. Narra Apollodoro che Minosse sacrificando alle Grazie nell’ultimo dei
li pure di Mercurio, erano ancora alle Grazie dedicati, per indicarci che da esse deve essere accompagnato 1’ amore, la bel
o un altare, nel quale era scritto: Consacrato a quella fra le Grazie che presiede alla riconoscenza. E certamente per niun
ributo meritarono dagli antichi maggior venerazione. Osserva Macrobio che le statue di Apollo portano nella destra le Grazi
tra le Grazie, nella sinistra l’arco e le freccie, perchè la sinistra che fa il male è più lenta, e la benefattrice che dà
cie, perchè la sinistra che fa il male è più lenta, e la benefattrice che dà la sanità è più pronta dell’altra. Crisippo co
i, giovani, vergini, con veste sciolta e trasparente. Vogliono alcuni che una dia il benefìzio, l’altra lo riceva, la terza
dia il benefìzio, l’altra lo riceva, la terza lo renda. Pensano altri che vi siano tre generi di benefizi: di quelli che gl
o renda. Pensano altri che vi siano tre generi di benefizi: di quelli che gli meritano, di quelli che gli rendono, di quell
i siano tre generi di benefizi: di quelli che gli meritano, di quelli che gli rendono, di quelli che gli ricevono e gli ren
izi: di quelli che gli meritano, di quelli che gli rendono, di quelli che gli ricevono e gli rendono. Ma in qualunque manie
no e gli rendono. Ma in qualunque maniera si giudichi di queste cose, che n’ importa di questa scienza? Perchè quelle mani
nterrotto. Sono ridenti i volti delle Grazie, perchè così sono quelli che fanno il bene e quelli che lo ricevono. Giovani,
olti delle Grazie, perchè così sono quelli che fanno il bene e quelli che lo ricevono. Giovani, perchè non deve invecchiare
è il bene perde il merito quando uno vi è costretto, e perchè bisogna che il benefizio si vegga.» Ma lasciando questo vasto
benefizio si vegga.» Ma lasciando questo vasto campo delle illusioni, che può trarre la morale da queste dee, ragionerò di
llusioni, che può trarre la morale da queste dee, ragionerò di quello che più v’ interessa, cioè degli antichi monumenti ne
no rappresentate. Le Grazie compagne di Venere non si trovano vestite che sull’ altare etrusco così spesso citato, che è ne
e non si trovano vestite che sull’ altare etrusco così spesso citato, che è nella Villa Borghese. Sono effigiate di tutto r
entata da Winkelmann nei suoi Monumenti inediti, si vedono due Grazie che a Venere accomodano la chioma. Può essere illustr
ioma. Può essere illustrata da questa delicata immagine di Claudiano, che ho espressa in questi versi: Cosi d’intorno a Ve
no di sostegno due vasi collocati alle due estremità, simili a quelli che sogliono accompagnare le statue di Venere. A ciò
ervato dal prelodato Visconti, 1’ autore dell’epigramma sulle Grazie, che leggesi nell’Antologia, quando finse che Amore ru
dell’epigramma sulle Grazie, che leggesi nell’Antologia, quando finse che Amore rubasse loro le vesti mentre che si lavavan
i nell’Antologia, quando finse che Amore rubasse loro le vesti mentre che si lavavano. Tre donzelle nude che adornano il pi
Amore rubasse loro le vesti mentre che si lavavano. Tre donzelle nude che adornano il piede di un vaso nella Villa Borghese
esentare le Grazie nude non vi ebbe sovente fra esse e le tre Parche ( che come le tre Grazie si tengono per le mani su qual
e Grazie si tengono per le mani su qualche medaglia) altra differenza che il vestito di queste ultime. In un vetro riportat
Grazie, tre donzelle coi loro nomi scritti, e pensano gli antiquari: che le teste pure delle tre Grazie del Palazzo Ruspol
i capelli. Non è nuovo il rappresentare i mortali negli Dei, e sapete che il più scellerato fra gì’ imperatori romani fu ri
o. Questa è probabilmente Aglaia o Egle, la più giovine delle Grazie, che , come vi ho accennato, i mitologi fanno moglie di
mitologi fanno moglie di Vulcano. Simil berretto sospetta il Visconti che fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed o
Visconti che fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed osserva che nel caso che fosse un elmo, come appare dal diseg
fosse in una gemma pubblicata dall’Agostini, ed osserva che nel caso che fosse un elmo, come appare dal disegno, non disco
egli dice, scorge mi ad Esculapio un uomo barbato vestito di pallio, che rende grazie al Nume con un ginocchio a terra e l
hiena, e l’altre due di fronte, e tutte nude, in quella guisa appunto che tante statue, bassirilievi, gemme e pitture ce le
buti del ramoscello e delle spiche di grano. Pensa a ragione Visconti che sia una tavola votiva offerta da un convalescente
erta da un convalescente al dio della Medicina, fondato sull’analogia che colla gratitudine hanno le dee. E a questa, soggi
lucidato. Nè altra relazione hanno le tre Grazie posate sulla patera, che ha in mano Gi anone in una medaglia inedita di Fa
ure antiche da Filostrato descritte. Aiace Locrense. — Questi scogli che s’avanzano sopra il mare, che loro intorno spuma,
ritte. Aiace Locrense. — Questi scogli che s’avanzano sopra il mare, che loro intorno spuma, questo guerriero magnanimo ch
ano sopra il mare, che loro intorno spuma, questo guerriero magnanimo che riguarda fieramente e con una certa audacia contr
i coll’intrepido petto. Finalmente avendo guadagnato le Gire, (scogli che s’inalzano sul mare Egeo) vomitava arroganti best
a adesso ch’egli è oltraggiato, impugna il suo tridente, e lo scoglio che Aiace sostiene sarà scosso onde cada col bestemmi
e Aiace sostiene sarà scosso onde cada col bestemmiatore. Ecco quello che vuol dir la pittura. Ma ciò che è evidente si è q
e cada col bestemmiatore. Ecco quello che vuol dir la pittura. Ma ciò che è evidente si è questo mare spumante e le rupi ca
. Ma ciò che è evidente si è questo mare spumante e le rupi cavernose che ne sono bagnate incessantemente. Quindi una larga
uardare nè al legno, nè verso la terra; e meno teme l’animoso Nettuno che viene contro lui, ma persiste sempre nelle ardime
rà immobile contro tutti gli urti dello Dio. — Mennone. — I soldati che voi vedete qui sono di Mennone: ma non hanno armi
armi perchè si propongono di fare l’esequie del più grande fra loro, che ha ricevuto un colpo d’asta nel petto. Vedendo qu
rchè non sarebbero questi gli Etiopi e quella Troia. Certamente colui che si piange è Mennone figlio dell’Aurora, il quale
i minore. Infatti guardate quali immense membra sono stese per terra: che folta chioma nutriva per sacrificarla al Nilo, pe
occhi benché spenti dalla morte I Mirate la lanugine della sua barba che appena gli fa ombra al volto; ben ciò conviene al
a al volto; ben ciò conviene all’età in cui fu ucciso. Voi non direte che Mennone fosse nero perchè questa pura e nativa ne
grato colore. Gli Dei nonostante sono tutti mesti e pensosi; l’Aurora che piange a calde lacrime il suo caro figlio contris
calde lacrime il suo caro figlio contrista il Sole, e prega la Notte che si affretti di venire più presto del solito per a
orpo col consenso di Giove. Ecco lo trasporta già: essendo la premura che si dà espressa nell’estremità del quadro. La sepo
percoterà la bocca, quasi cetra da plettro percossa manderà una voce, che consolerà il giorno coll’artifìcioso linguaggio.
esta l’autore degli Inni ed Omero attribuiti. Lasciò scritto Pausania che Flegia padre della Ninfa, andando nel Peloponneso
nfini di Epidauro partorì Esculapio, il quale fu esposto in un monte, che da questo evento fu chiamato Tittione, quantunque
he da questo evento fu chiamato Tittione, quantunque altri rammentino che ciò nei campi Telpusi avvenisse. Ivi è fama ohe i
e il grido di questo prodigio si sparse per quelle regioni. Si vuole che questo aio di Esculapio fosse un bastardo di Arca
. Si vuole che questo aio di Esculapio fosse un bastardo di Arcade, e che presto pure si diffondesse l’opinione che il nume
se un bastardo di Arcade, e che presto pure si diffondesse l’opinione che il nume di poco nato guariva da ogni malat tia. T
ucò nelle arti mediche, per le quali tanto celebrato divenne. Credesi che il primo a risentire gli effetti della sua scienz
ella sua scienza salutare fosse un certo Asole di Epidauro tiranno, e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome d
e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome di lui al dio, che prima Apio era detto. Io penso che il nome di Esc
se aggiunto il nome di lui al dio, che prima Apio era detto. Io penso che il nome di Esculapio derivi dagli effetti che pro
pio era detto. Io penso che il nome di Esculapio derivi dagli effetti che produceva la medicina semplice degli antichi, cio
a questa parte delle umane cognizioni, divenuta col tempo così vasta, che alla cura delle ferite. Quantunque Esculapio sia
n perciò il primo esercizio ne fu a lui attribuito. Abbiamo osservato che fu istruito, secondo Pindaro, da Chirone l’invent
oglie Epione, e n’ebbe Podalirio rinomato per la medicina, e Macaone, che militò con gli altri Greci a Troia. Igia, dea del
aone, che militò con gli altri Greci a Troia. Igia, dea della Salute, che con lui si trova sempre unita nei monumenti, seco
ssendo ritornato in vita per la perizia di lui, Giove si sdegnò tanto che gli uomini potessero trionfare della morte, che u
Giove si sdegnò tanto che gli uomini potessero trionfare della morte, che uccise Esculapio, da Apollo suo padre vendicato e
i più famosi del nume erano in Pergamo e in Tetrapoli. Narra Strabone che in questa ultima città, situata fra i Carii e gl’
li tavolette, ove erano scritte le malattie e i nomi di quei creduli, che stimavano essere stati coll’aiuto del nume guarit
no, descrive la statua di questo dio velata di un gran panno (di modo che si vedeva solamente la faccia, le mani, i piedi)
n panno (di modo che si vedeva solamente la faccia, le mani, i piedi) che pare però differente dal solito pallio, che si ve
faccia, le mani, i piedi) che pare però differente dal solito pallio, che si vede nel rovescio del medaglione di Vero pubbl
vede nel rovescio del medaglione di Vero pubblicato dal Buonarotti, e che vien descritto da Tertulliano, per ornamento dell
apio. In quanto al bastone col serpente avviticchiato, racconta Igino che Esculapio se ne servisse per ammazzare il serpent
er ammazzare il serpente, e vien così descritto da Apuleio: — Diresti che del dio medico nel bastone, che porta nodoso per
così descritto da Apuleio: — Diresti che del dio medico nel bastone, che porta nodoso per rami mezzo potati, fosse attacca
con lubrico ravvolgimento. — Ciò veniva preso per simbolo degli aiuti che alla natura umana deve dare la medicina, particol
chiato allo scettro, in mano a due statue del bosco di Trofonio, dice che da quello avrebbe qualcheduno congetturato che fo
osco di Trofonio, dice che da quello avrebbe qualcheduno congetturato che fossero di Esculapio e della Salute. Era sovente
, secondo l’opinione dei Fenicii e dei Greci, Esculapio altro non era che l’aria, dalla quale proviene Igia, sia la buona s
ere ai serpenti in varii templi di Esculapio nutriti, ai quali coloro che sacrificavano alla Salute avranno portati i cibi
e secondo Macrobio, riferendosi questi due numi al sole e alla luna, che conferiscono alla salute dei corpi, sono forse i
spresso dagli Egizi col ieroglifico della serpe. Ma in quella maniera che veniva attribuita la Salute per figliuola ad Escu
r essere il cibo del grano più salubre di tutti; e per moglie Epione, che secondo altri gl’insegnò la medicina, per signifi
medicina, per significare i medicamenti lenitivi; sicché dall’autore che va sotto il nome di Orfeo, viene invocato Epiodor
l’autore che va sotto il nome di Orfeo, viene invocato Epiodoro, cioè che dà le cose lenitive: e tra i figliuoli vi furono
Acesio Sanatare, di cui fa menzione Pausania insieme con Evamerione, che significa esser di buona salute e complessione, e
mplessione, e dice essere una medesima cosa con Telesforo e Alexanore che vuol dire Scacciatore dei mali. Plinio annovera
Marino poeta de’ Lupercali dà per figliuola di Esculapio anche Roma, che significa forza, che i Romani chiamarono valetudi
ercali dà per figliuola di Esculapio anche Roma, che significa forza, che i Romani chiamarono valetudine. Era tutta questa
nio si conosce: ma con verun altro non fu fatto così spesso Esculapio che con la Salute, e moltissime volte ancora con quel
con la Salute, e moltissime volte ancora con quel piccolo Telesforo, che Pausania dice esser così chiamato da’ Pergameni,
lare, e così si scorge nel medeglione pubblicato dal Buonarroti. Pare che gli antichi abbiano voluto esprimere in lui un di
sua figlia dea della Salute parlano tanto i mitologi e gli antiquarii che non occorre qui ricopiarli, nè aggiunger nulla su
’antico fòro di Preneste, per esser l’unico in marmo di tutto rilievo che ci offra unite queste divinità assai spesso congi
« Dico l’unico, perchè di quello di Firenze nella Galleria non resta che la statua di Esculapio e una sola mano della Salu
tanto superiore alla mediocre esecuzione del gruppo, nel tempo stesso che lo dimostra una copia, ne persuade sempre più la
o dalla stupenda gemma del Museo Stosch, col nome di Aulo. Non è però che di Esculapii imberbi non facciano menzione gli an
imamente conservato, ed ha la cortina ai piedi, simbolo degli oracoli che solca dare Esculàpio, qual si vede nella bella st
are Esculàpio, qual si vede nella bella statua degli Orti Farnesiani, che si crede la stessa di quella dell’Isola Tiberina,
l’altre volte lodato signor Pacetti, e in altre figure. È da notarsi che la cortina dell’Esculapio Farnesiano è chiamata n
igli davanti, poiché egli non si asterrà da questo infelice fanciullo che resta, mentre i due altri giacciono per terra: eg
Argo, e di uccidere i figli di Euristeo. Voi avete udito in Euripide che affrettava colla sferza i cavalli uniti alla biga
rore regna nel suo volto. Voi avete sovente udito dire nelle tragedie che le Furie sono causa di tutto questo, ma adesso no
o e dove nascesse. Diodoro Siculo riferisce, dagli Egiziani asserirsi che tutto quello che narrasi di Semele e Giove, genit
. Diodoro Siculo riferisce, dagli Egiziani asserirsi che tutto quello che narrasi di Semele e Giove, genitori di lui second
ambizione. Cadmo, ripiglia lo storico, profittando della simiglianza che un fanciullo nato da Semele sua figlia non unita
suo onore dei sacrifizii, insinuando nell’ingannato volgo la credenza che figlio fosse d’Osiride, giacché gran scusa a ques
della colpa. Ma perchè l’umana mente si diletta più del maraviglioso che del vero, la storia cede alla favola abbellita da
Ed il sentimento dei sacerdoti egiziani avvalorato viene da Erodoto, che paragonando le feste di Bacco e di Osiride, sorpr
ancora dal nome di Dionisio, vale a dire dio di Niso. Giova osservare che di Osiride qui era la famosa colonna. Le imprese
se del Nume sono consegnate al poema di Nonno, da cui estrarrò quello che per voi vi ha di più interessante. Non vi è nulla
i vi ha di più interessante. Non vi è nulla di più necessario per voi che il sapere quale idea gli antichi artefici, guidat
ntichi artefici, guidati sempre dagli scrittori, avessero sulle forme che conveniva dare a Bacco. Ed a questa importante ri
e a Bacco. Ed a questa importante ricerca ninno può meglio soddisfare che Visconti nella seguente illustrazione di una dell
e Visconti nella seguente illustrazione di una delle più belle statue che rappresentino il dio del Vino. « La sorprendente
col disegno: le prime non la dipingeran mai così bene alla fantasia, che una giusta immagine se ne faccia: il secondo, per
osità a cui è ridotta la pietra, nè quella delicatezza di lineamenti, che serpeggiando quasi insensibilmente su quel bellis
chioma di Bacco, come cose troppo note e comuni: basta il riflettere che questo forse è il più costante degli attributi ba
teste sicuramente bacchiche, colle chiome nella stessa guisa disposte che quelle che rimanevano attaccate al torso del simu
amente bacchiche, colle chiome nella stessa guisa disposte che quelle che rimanevano attaccate al torso del simulacro, comp
esta, fra le altre, merita esser particolarmente rammentata: è quella che si ammira nella Galleria di Firenze sul corpo di
teneva a quel gruppo, come lo indica il differente lavoro dei capelli che pendono dal capo, e di quelli rimasti congiunti a
ile, gì’ incisi delle treccie, le proporzioni, e quasi le commissure, che pare indubitato esser stata quella, o simile, la
a testa è certamente di Bacco, come la corona di pampini, e la fascia che stringe la fronte, lo provano. Ma un’altra prova
o di Bacco: o provenisse ciò dall’uso e dal capriccio degli scultori, che in tal foggia abbiano voluto rappresentare il dio
re e delle ninfe, o da dogmi di un’antica teologia rediviva nei tempi che precedettero la caduta del culto pagano, o da un
recedettero la caduta del culto pagano, o da un genio di moralizzare, che fosse dai poeti passato agli artefici, giacché tu
li artefici, giacché tutte e tre le opinioni han fondamento sulle gre che e latine autorità: da qualunque principio, ho det
e autorità: da qualunque principio, ho detto, ciò provenisse, certo è che uno dei caratteri di Bacco fu quello di essere ra
tatua, non saprei immaginare un più evidente rapporto. « Vero è però che come differenti qualità diedero i mitologi a Bacc
tore. Da ciò dee ripetersi tanta varietà di rappresentarlo, tanto più che gli statuarii han voluto esprimere in un sol simu
imulacro i suoi diversi attributi, altre volte non ne han considerato che un solo. Non tutti, per « sempio, hanno esagerato
hanno misto o una sveltezza o una robustezza maggiore secondo le idee che aveano in mente, secondo i siti dove i simulacri
noi in altro monumento così bene espresso queir epiteto feminiforme, che lo scrittore della Natura degli Dei credeva esser
uasi all’occhio e alla mano. « Taluno ha creduto rilevarvi il difetto che una coscia sia più sottile dell’altra: se si foss
cro, forse nella situazione ne troveremmo il motivo: giacché sappiamo che le parti del corpo su cui si fa forza e si preme,
del corpo su cui si fa forza e si preme, acquistano in grossezza ciò che perdono in estensione. » Ma prima che v’ inoltri
e, acquistano in grossezza ciò che perdono in estensione. » Ma prima che v’ inoltriate in questo mare di Mitologia adempir
scelta la viva pittura fatta da Valerio Fiacco della strage di Lenno, che vi accennai parlando di Vulcano, a cui la riconos
ano, a cui la riconoscenza rendeva cara quest’isola. Sarà colpa di me che ho tentato tradurre questa parte del poema di lui
ava immenso, E le pene d’Averno: ancor dal Cielo Vulcano egli lanciò, che torre osava 1 certi lacci alla tremante madre. Pr
tà: lo trova Prono sopra uno scoglio; aiuto e pianto Offerse al Nume, che col fianco infermo Tarda l’alterno passo. Alfine
lieti templi Visita il Nume. Di Ciprigna è sempre Freddo l’altare da che i lacci ascosi Svelare al Ciel l’invidiata colpa.
eguale, un pino Sonante vibra con ferale ammanto. Già presso è il dì che , vincitor nell’armi. Disperso i Traci avea di Len
cerca: il Padre onnipotente Nega dell’Eter le tranquille sedi A lei, che degne e turpi cose grida, E sparge le paure, onde
Annunzia a Lenno La novità del vergognoso amore. Ch’arde i mariti, e che nei freddi letti Dolce preda verran le Tracie don
anch’io fra poco Verrò: trarrolle preparate. — Appena Tacque la Dea, che alla cittade in mezzo Vola lieta la Fama. Era di
este Di Neera incontrò la Diva, e disse: Sorella mia, volesse il Ciel che tale A te nuncia non fossi, e in mar sommerso Fos
A te nuncia non fossi, e in mar sommerso Fosse il nostro dolor: Colui che cerchi E coi voti e col pianto, arde l’indegno De
’indegno Dell’amor di una schiava: arde, e ritorna Coll’adultera sua, che al casto letto Già s’avvicina: Non per fama egual
piace Sol per le pinte mani, e l’arso mento. Ma con fato miglior fìa che tu scelga Altri Penati: pei tuoi figli io tremo:
va matrigna, e dentro il nappo Ai fanciulli spumar l’atro veneno. Sai che simili siamo: all’ire aggiungi La ferocia nativa:
finoe e d’Amiton desta nei lari, Risuona tutta la città: raminghe Par che da Lenno debban gire, e sorge Ira, dolore: a gara
tace La notte, e traggon colle schiave spose I nuovi sonni, un non so che di grande Amor c’ispirerà. — Disse, e rivolse Gli
ccesso! Trucida, e strappa dagl’infausti letti La razza femminil quei che gl’immensi Bessi e la Scizia congiurata e l’onde
pile, sostegno? Unica lode Non fia chi te dai versi miei cancelli Fin che ai fasti Latini il tempo serva, E staran d’Ilio i
cco , Argon. lib. II, v. 78. Udite adesso la fine infelice di Penteo, che dal Poema di Nonno ho tradotto. Vide dell’ arbor
uo figlio: ov’è l’irsuto petto, Ove il ruggito? non ravvisi ancora Me che educasti? Ah non mi vedi? i lumi, 11 senno, ahimè
e, addio monti di Tebe, Arbori male ascesi: madre, addio, Cara Agave, che il tuo fanciullo uccidi. Mira le guance di lanugi
ia, ed alza Ver lui le mani nel furor concordi; Ed una i piedi a lui, che nella polve Si rivolge, traeva: altra gli svelle
a Cadmea Soglia fìggete il sanguinoso capo, Dono di mia vittoria. Ahi che tal belva Mai non uccise Ino cognata. Mira, Auton
ul d’Atene Erra il mio Polidoro. Ed io non solo E a chi fugga non so, che Penteo è morto, Polidoro smarrito. A qual m’accol
e del sanguigno capo, E gridando mandò tal voce: Bacco, Bacco crudel, che mai non sazia il sangue Della tua stirpe. A me la
ai non sazia il sangue Della tua stirpe. A me la rabbia antica Rendi: che di furor specie più cruda Ho, la saviezza. Fa che
abbia antica Rendi: che di furor specie più cruda Ho, la saviezza. Fa che un’altra volta Forsennata divenga, e Penteo fiera
mio figlio inalzo il capo, Non quello d’un leone. te felice Autonoe, che Atteon morto piangesti; Ma tu fosti innocente: io
Canto del poema di Nonno; onde da questo io dò principio all’estratto che ho promesso di darvi di questo poema. Ci presenta
e rovine del mondo. La specie umana era in preda alle cure, e il vino che le dissipa non era ancora stato concesso ai morta
no escite tutte le sciagure, e non riconosce la prudenza di Prometeo, che per rimediarvi non ha pensato dì togliere agli De
diarvi non ha pensato dì togliere agli Dei il loro nettare, piuttosto che il fuoco sacro. Giove dopo averlo udito, cerca di
no, e gli rivela il mistero della nascita futura di Bacco suo figlio, che deve portare agli uomini un liquore dolce quanto
ighe i solchi, e presto mio figlio farà scorrere dei ruscelli di vino che spremerà dai frutti dell’autunno. Tutta la terra
Giove al palazzo di Giunone. Non ostante l’Amore, quel nume accorto, che non prende lezioni che da se stesso, e che govern
unone. Non ostante l’Amore, quel nume accorto, che non prende lezioni che da se stesso, e che governa il tempo, dopo avere
’Amore, quel nume accorto, che non prende lezioni che da se stesso, e che governa il tempo, dopo avere scosse le porte tene
vere scosse le porte tenebrose del Caos, si avanzava col suo turcasso che rinchiudeva i dodici dardi di fuoco destinati a t
i diverse. Ogni dardo aveva la sua iscrizione. Egli scelse il quinto, che renderlo doveva amante di Semole: lo allacciò di
edera, lo intinse nel nettare, afiinchè Bacco facesse salire l’umore che ci dona l’autunno. Qui il poeta ci dipinge Semele
’umore che ci dona l’autunno. Qui il poeta ci dipinge Semele giovine, che nel mattino, vigilante al par dell’Aurora, sferza
ra, sferzava i muli attaccati a un carro, in conseguenza di un sogno, che aveva avuto, e del quale il poeta racconta i part
eta racconta i particolari. Vi si distingueva sopra tutto un presagio che annunziava il fulmine da cui sarebbe colpita, e l
presagio che annunziava il fulmine da cui sarebbe colpita, e la cura che prese Giove del suo figlio, che nascose nella sua
ine da cui sarebbe colpita, e la cura che prese Giove del suo figlio, che nascose nella sua coscia, finché avesse condotto
hé avesse condotto al termine un fanciullo armato di corna di toro, e che sembrava essere della natura di questo animale. C
el tempio di Minerva per sacrificare a Giove dio del Fulmine un toro, che rappresenta l’immagine di Bacco, ed un capro nemi
ve scese per bagnarsi. Amore vibrò la sua freccia nel cuore di Giove, che per meglio osservare la sua amante si cangiò in a
maraviglia del re degli Dei nel mirare le grazie della bella Semele, che a Venere paragona. Lo splendore del giorno nuoce
i suoi piaceri. Finalmente giunge la notte: il cielo non è illuminato che dalle stelle. Giove discende sopra Semele, e gli
ele, e gli prodiga i suoi favori, prendendo presso lei tutte le forme che r antichità attribuisce a Bacco. Finalmente si fa
ità attribuisce a Bacco. Finalmente si fa conoscere dalla sua amante. che divien madre in mezzo ai fiori, e tra il fragore
ivien madre in mezzo ai fiori, e tra il fragore dei fulmini del nume, che solo fra gì’ immortali li vibra. Egli la consola,
a figlia di Cadmo incinta nel palazzo di suo padre. Già le sue forme, che diventano rotondeggianti, accusano la sua colpa.
si prepara a danzare, e a imitare i cori delle Baccanti, e il figlio che s’ agita nel suo seno sembra accompagnare la madr
l suo sposo, delle quali il cielo conserva ancora tutta l’istoria, da che egli vi ha trasportate tutte le sue amanti, e i f
istoria, da che egli vi ha trasportate tutte le sue amanti, e i figli che ha avuti da donne mortali. Callisto occupa le vic
tutta la razza dei mortali. Io vado a ritirarmi in Tracia, piuttosto che esser testimonio di questa profanazione del tempi
della balena. — Così parlava l’ Invidia gelosa dei destini di Semele, che la chiamavano al cielo col suo fiolio. Giunone me
rsi di questa nuova amante. Ella s’indirizza alla dea della Furberia, che errava sulle montagne di Creta sua casa: le racco
le racconta i suoi dispiaceri e i suoi timori: ella le dice di temer che Giove non finisca per bandirla dal cielo, e ne fa
finchè ella possa con questo richiamare nell’Olimpo Marte suo figlio, che se n’ è esiliato. La dea della Furberia, ingannat
e è pubblicamente attaccato. La interroga qual è il mortale, o il dio che ha avuto i suoi primi favori. Dopo molte dimando
dio che ha avuto i suoi primi favori. Dopo molte dimando la persuade che , se lo crede Giove, lo inviti a venire da lei in
o amante questo contrassegno distinto della sua tenerezza. Ella vuole che si mostri a lei come a Giunone quando con essa il
acco, incarica Mercurio di togliere il fanciullo ai fuochi. terribili che consumeranno la madre. Fa rivelare all’ amante i
pericoli ai quali si espone: termina finalmente coli’ accordarle ciò che richiede. Semele s’ insuperbisce di questo favor
e ciò che richiede. Semele s’ insuperbisce di questo favor singolare, che la pone infinitamente al di sopra delle sue sorel
co. Il suo figlio per mezzo delle cure di Mercurio fugge all’incendio che consuma sua madre. Giove sensibile all’infelicità
quanto fosse terribile l’ira di Giunone. Il caso di Atamante e d’ Ino che ho tradotto da Ovidio n’ è un esempio ancor più t
crizione del poeta vi espongo la favola brevemente. Irritata Giunone, che dopo la morte di Semele Ino sua sorella si fosse
andò ad Atamante Tisifone, la quale turbògli in tal maniera la mente, che prese il proprio palazzo per un bosco, la moglie
pero, promesse, onde commova Le dive. Appena di parlar Giunone Cessò, che scosse l’arruffata chioma Tisifone, e divise i se
i serpi opposti Dalla pallida fronte. Uopo di detti, Dicea, non avvi, che fatto figura Quello che imponi: l’inamabil regno,
llida fronte. Uopo di detti, Dicea, non avvi, che fatto figura Quello che imponi: l’inamabil regno, O diva, lascia, e torna
tre paventa L’alta prole di Cadmo, in sen le vibra Il composto furor, che le percorre L’intime fibre. Allor, scagliata in a
elva, della moglie insegue L’orme, e rapisce dal materno seno Learco, che ridendo a lui tendeva Le pargolette braccia, e be
ondo, Vicino a Giove nel poter, ti chieggo Alte cose: pietà dei miei, che vedi Neir Ionio per vasta onda sonante Sbalzati.
ome. Adora Leucotoe in Ino, e Palemon nel figlio Travagliato nocchier che il lido afferra. Ovidio , Metamorf., lib. IV,
ne Bacco, finché il parto arrivasse al suo termine, e non ve lo tolse che per darlo alla luce. Nell’istante di questa nuova
cco, cioè di toro e di serpente. Quindi il poeta ci dipinge Mercurio, che lo porta a traverso dell’aria per confidarlo alle
nume bambino dalle mani d’Ino per darlo in deposito a Rea, a Cibele, che ne prende cura. Dalla sua più tenera giovinezza l
eniva forte ogni giorno sotto la tutela di Rea. Nonno dipinge i Pani che danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il
danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il corteggio del dio, che ha le forme di toro. Celebrano queste danze, ripe
e di toro. Celebrano queste danze, ripetendo il nome del dio, intanto che Semole ancora ardente nei cieli s’ insuperbisce d
’ insuperbisce della fortuna del suo figlio, e delle cure particolari che ne prendono Cibele e Giove. Nonostante Giunone ir
he ne prendono Cibele e Giove. Nonostante Giunone irritata contro Ino che aveva osato di nutrire, Bacco si dichiara contro
si dichiara contro essa, e riempie la sua casa di quelle infelicità, che Ovidio vi descrisse in parte nella passata Lezion
. Il poeta ci dipinge questo bel fanciullo, e le sue grazie nascenti, che a Bacco inspirano affetto. Il dio si volge verso
più lusinghiere: lo interroga sulla sua nascita, e finisce per dire, che lo conosce e sa che è figlio del Sole e della Lun
interroga sulla sua nascita, e finisce per dire, che lo conosce e sa che è figlio del Sole e della Luna. Bacco se ne innam
è figlio del Sole e della Luna. Bacco se ne innamora: non è contento che con lui, e si affligge della sua assenza. L’amore
ze. Qui il poeta ci fa la descrizione dei loro giuochi. Si vede Bacco che prende piacere a lasciarsi superare da quello che
ochi. Si vede Bacco che prende piacere a lasciarsi superare da quello che ama. Ampelo è sempre vincitore alla lotta e alla
elo è sempre vincitore alla lotta e alla corsa. È facile di avvedersi che tutto ciò non è che un’ allegoria sull’ amore di
re alla lotta e alla corsa. È facile di avvedersi che tutto ciò non è che un’ allegoria sull’ amore di Bacco per la vigna.
ore di Bacco per la vigna. Diodoro espone ciò semplicemente, narrando che Bacco allevato in Nisa scoperse in mezzo ai giuoc
to in Nisa scoperse in mezzo ai giuochi della fanciullezza la vite, e che imparò a spremerne l’umore. Il Canto seguente con
delle foreste, e si espone a ricevere dei teneri rimproveri da Bacco, che tutti i pericoli gli dimostra: lo avverte sopratu
, come Bellerofonte sul Pegaso, e con altrettanta sicurezza di Europa che non ebbe bisogno di freno per condur quello che l
a sicurezza di Europa che non ebbe bisogno di freno per condur quello che la rapì. Il caso conduce precisamente un toro dis
otto. Que sta dea lo punisce della sua insolenza, mandando un assillo che punge il toro. L’animale furioso rovescia il giov
sillo che punge il toro. L’animale furioso rovescia il giovine Ampelo che muore della caduta. Un Satiro testimonio di quest
a caduta. Un Satiro testimonio di questa sventura l’annunzia a Bacco, che inconsolabile diviene. Egli bagna di lacrime il c
e di rose e di gigli. Versa nelle piaghe l’ambrosia donatagli da Rea, che dopo la metamorfosi di Ampelo in vite, bastò per
olore: minaccia della sua vendetta il toro crudele nello stesso tempo che pasce i suoi occhi nel veder le grazie del suo mi
r le grazie del suo misero amante. Egli accusa l’ Inferno inesorabile che non rende le sue prede. Scongiura Giove di voler
o giovinetto. Gli racconta per questo oggetto una graziosa favoletta, che contiene un’ allegoria fisica sulla spiga e sul g
favoletta, che contiene un’ allegoria fisica sulla spiga e sul gambo che la sostiene, nei nomi di Calamo e Carpo. Ma nulla
escrizione, vanno alla reggia del Sole, e ognuna di loro ha ornamenti che la caratterizzano. Il Canto duodecimo ci rapprese
caratterizzano. Il Canto duodecimo ci rappresenta le Stagioni stesse che arrivano sulle rive dell’Oceano nel pa lazzo del
e della sera, nella quale si distingue la pittura dei quattro cavalli che traggono il carro del Sole, e quella delle dodici
tro cavalli che traggono il carro del Sole, e quella delle dodici Ore che gii danzano intorno formando un coro circolare. Q
he gii danzano intorno formando un coro circolare. Qui è la preghiera che indirizza a Giove una delle Stagioni, quella dell
ghiera che indirizza a Giove una delle Stagioni, quella dell’Autunno, che gli dimanda di non restar sola senza funzioni, e
ola senza funzioni, e di affidarle la cura di maturare i nuovi frutti che produrrà la vigna. Giove le dà lusinghiere speran
dalla mano dell’ indovino Fanes, il primogenito dei mortali: le dice che sulla terza tavola, ove sono scolpite le figure d
Lione e della Vergine ella vi troverà il frutto prodotto dalla vigna; che nella quarta vi distinguerà certo re che presiede
frutto prodotto dalla vigna; che nella quarta vi distinguerà certo re che presiede al nettare delizioso che si spreme dalla
ella quarta vi distinguerà certo re che presiede al nettare delizioso che si spreme dalla vite, e la figura di Ganimede cht
niverso il fato sta scritto. Vi scorge una Tavola antica quanto esso, che conteneva tutto ciò che aveano fatto Ofione e il
tto. Vi scorge una Tavola antica quanto esso, che conteneva tutto ciò che aveano fatto Ofione e il vecchio Saturno. Sulla s
lla seconda Tavola erano gli avvenimenti dell’altra età, e il diluvio che gli compisce. Nella terza l’avventura dTo, d’Argo
ferenti per giungere a quello ove sono scolpiti i caratteri del Lione che segue la Vergine, la quale tiene il frutto dell’A
unno. Finalmente la giovine ninfa cerca cogli occhi la quarta Tavola, che offre l’immagine della coppa di Ganimede dalla qu
mmagine della coppa di Ganimede dalla quale il nettare scorre, e vede che il destino accordava a Bacco la vite, come conces
natura intera sembrava dividere il suo dolore. La Parca gli annunzia che il suo caro Ampelo non è morto del tutto; che non
. La Parca gli annunzia che il suo caro Ampelo non è morto del tutto; che non passerà l’Acheronte, e diverrà per i mortali
heronte, e diverrà per i mortali la sorgente di un liquore delizioso, che sarà la consolazione del genere umano e ritrarrà
ime dei mortali siano asciugate. Appena ebbe terminate queste parole, che un prodigio colpì gli occhi del dio. Il corpo del
o amico si cangia in un istante, s’inalza sotto le forme d’un arbusto che produce l’uva, e forma una vite. Il nuovo albero
spreme fra le sue dita, e ne fa scorrere l’umore in un corno di bove che gli serve di coppa. Lo gusta, e s’applaudisce del
i dice, sarà un rimedio contro tutti i dolori. Ecco r origine poetica che Nonno dà a questo liquore. A questa prima tradizi
uore. A questa prima tradizione ne aggiunge pure un’ altra. Supponete che la vite, pianta selvaggia, crescesse sulle rupi,
specie di strettoio in cui mettere l’ uve. Egli le preme coi Satiri, che ben presto divengono ubriachi per la forza del nu
er la forza del nuovo liquore. Vien descritta la vendemmia e le danze che 1’ accompagnano, e questo episodio termina il duo
Questo fulmine, in apparenza così terribile ed impetuoso, e il baleno che così scintilla alla vista, il fuoco che si sprigi
ile ed impetuoso, e il baleno che così scintilla alla vista, il fuoco che si sprigiona dalla sede degli Dei, tutto ciò si r
mole, la quale è già spirata, e Bacco nasce in mezzo al fuoco, mentre che la madre nelle sembianze di un’ ombra sale nel ci
o. Ma Bacco esce dal seno materno più rilucente di una stella, mentre che la fiamma, separandosi, gli forma una grotta più
Ma Citerone in umane sembianze piangerà ben tosto i lacrimevoli casi che vi avverranno. Ha per ora una corona di edera che
i lacrimevoli casi che vi avverranno. Ha per ora una corona di edera che gli pende con negligenza sulla testa, e sembra pr
overe essere ornato per la nascita di Bacco. Ecco l’arrabbiata Megera che pianta dei salci accanto a lui, e fa sorgere una
a sorgere una fontana d’ acqua viva pel sangue di Atteone e di Penteo che sparger vi si deve. — Penteo. — Qui sono dipint
Penteo che sparger vi si deve. — Penteo. — Qui sono dipinte le cose che avvennero sul Monte Citerone: le danze, i cori de
rupi dalle quali scorre il vino, nettare dei mortali. Vedete l’edera che s’arrampica, i serpenti che strisciano sul monte,
vino, nettare dei mortali. Vedete l’edera che s’arrampica, i serpenti che strisciano sul monte, o annodano i tirsi, gli alb
, i serpenti che strisciano sul monte, o annodano i tirsi, gli alberi che stillano, miele. Ecco là un grosso salcio rovesci
le. Ecco là un grosso salcio rovesciato, forza maravigliosa per donne che non siano invase da Bacco. Le scellerate hanno ge
ra il proprio figlio pe’ capelli. Voi direste di vederle veramente, e che gridino dalla gioia: tanto i loro spiriti dal fur
le donne coi suoi sdegni violenti. Elleno non s’ avveggono di quello che fanno, nè come Penteo loro gridi misericordia: no
i quello che fanno, nè come Penteo loro gridi misericordia: non odono che il ruggito di un leone. Ecco le cose che passano
ridi misericordia: non odono che il ruggito di un leone. Ecco le cose che passano sopra la montagna. Quanto a quello che do
un leone. Ecco le cose che passano sopra la montagna. Quanto a quello che dopo vedete, è Tebe, la reggia di Cadmo, e un gra
la reggia di Cadmo, e un gran pianto nel Fòro. I parenti, gli amici, che riuniscono il corpo onde porlo sulla pira. La tes
corpo onde porlo sulla pira. La testa di Penteo è talmente sfigurata che Bacco stesso n’ha compassione: è nel primo fiore
ad ira. Ah fu ben stoltezza il non avere infuriato con Bacco: Ma ciò che accade alle donne è degno di gran compassione: qu
Bacco: Ma ciò che accade alle donne è degno di gran compassione: quel che non conobbero nel Citerone, qui è loro tutto mani
manifesto. Non solamente il furore le ha stancate, ma ancora la forza che le rese forsennate. Sulla montagna piene di ardor
e. Agave vorrebbe abbracciare il suo figlio, ma non ardisce toccarlo: che ha le mani, il seno, le gote tinte del di lui san
dell’Indie, Giove invia Iride al palazzo di Rea per comandare a Bacco che vada a combattere gl’Indiani, cacci dall’Asia que
Indiani, cacci dall’Asia questi ingiusti, uccida il principe Deriade, che significa Bissa, loro re, che sotto forma di Cera
i ingiusti, uccida il principe Deriade, che significa Bissa, loro re, che sotto forma di Cerasta nata dall’acqua dei fiumi,
nichi quindi a questi popoli le sue orgie e i doni della vite. E noto che i misteri di Bacco e l’invenzione del vino si cel
la da Rea, beve il nuovo liquore, intima a Bacco gli ordini di Giove, che gli comanda di sterminare una nazione che non sa
Bacco gli ordini di Giove, che gli comanda di sterminare una nazione che non sa rispettare gli Dei. Gli annunzia che solo
di sterminare una nazione che non sa rispettare gli Dei. Gli annunzia che solo a questo patto le Ore gli apriranno un giorn
olo a questo patto le Ore gli apriranno un giorno le porte del cielo, che non si acquista senza gloriose fatiche. Lo stesso
quista senza gloriose fatiche. Lo stesso re degli Dei non vi è giunto che dopo aver vinti ed incatenati i Giganti. Adempiut
invia il capo dei suoi cori e delle sue danze per riunire un’armata, che deve esser comandata da Bacco. Si legge il lungo
esser comandata da Bacco. Si legge il lungo cataloga di tutti quelli che si riuniscono sotto gli stendardi del nume. Vi si
o stati cogli Argonauti, nè vi manca l’ordinario corteggio di Cibele, che rassomiglia molto quello dei misteri di Bacco. Vi
e le genti dell’Attica hanno parte in somma nella spedizione del pari che gl’Italiani da Fauno comandati. Emazione conduce
Canto comprende l’enumerazione dei differenti popoli dell’Asia Minore che si riuniscono a Bacco. Nel Canto seguente il poet
si riuniscono a Bacco. Nel Canto seguente il poeta ci dipinge Cibele che arma in favore di Bacco i suoi Genii e i suoi Dei
no, tutta la truppa dei Satiri, i figli delle ladi, le figlie di Lamo che aveano nutrito Bacco. Le ninfe Oreadi, le Baccant
Bacco si move. Il poeta ne descrive la sua armatura, i suoi vestiti, che rappresentavano il cielo e le stelle. Con questo
o. Dipinge quindi il poeta l’insolenza del generale indiano Astraide, che accampa il suo esercito sulle rive dell’Astaco, d
e in vino da Bacco dopo la disfatta di una parte degl’Indiani. Quelli che avanzano, maravigliati della loro perdita, bevono
avanzano, maravigliati della loro perdita, bevono 1’ onda del fiume, che prendono per nettare, e di cui non possono mai sa
a una ninfa detta Nice, Vittoria. Questa era una giovine cacciatrice, che stava sopra una rupe scoscesa avendo ai suoi pied
tava sopra una rupe scoscesa avendo ai suoi piedi un leone terribile, che abbassava davanti a lei la sua terribile criniera
ua terribile criniera. In vicinanza abitava un bifolco chiamato Imno, che si era innamorato della ninfa. E espressa la pass
ella ninfa. E espressa la passione di lui, con l’ostinazione di Nice, che ribelle a’ suoi voti respinge le sue preghiere, e
te d’ Imno non fu impunita. L’ amore scocca una freccia contro Bacco, che scorge la fanciulla in un bagno, e ne diviene ama
va per togliersi la sete, si ubriaca e dorme. L’amore avverte Bacco, che coglie la favorevole occasione per commettere cos
ende le armi di nuovo. Il diciassettesimo Canto ci rappresenta Bacco, che di nuovo marcia contro gl’Indiani, prosegue le su
ue le sue conquiste in Oriente coli’ apparecchio meno di un guerriero che del capo di una festa Bacchica. Arriva sulla terr
del capo di una festa Bacchica. Arriva sulla terra fertile di Alibe, che il tranquillo Eudi bagna colle sue acque. Quivi u
la descrizione della capanna e del convito frugale offerto allo dio, che all’ospite dà in ricompensa a gustare del suo nuo
di già partecipata la furberia impiegata da Bacco contro gl’Indiani, che avea sulle rive dell’Astaco disfatti. Oronte era
vo per domandargli la pace. Il seguente Libro ci rappresenta la Fama, che pubblica in tutta l’Assiria le maravigliose impre
o e Meti sua moglie, ed aveva Pito per capitano. Questi eroi non sono che allegorici: Stafilo significa uva, Botri grappolo
Meti ubriachezza, Pito botte. Il poeta ci rappresenta Stafilo e Botri che sopra un carro vanno davanti a Bacco, e lo invita
el re di Assiria, delle ricchezze delle quali fa pompa, e del convito che prepara. Vi si distingue sopra tutto la principes
convito che prepara. Vi si distingue sopra tutto la principessa Meti, che per la prima volta che beve il liquore che Bacco
si distingue sopra tutto la principessa Meti, che per la prima volta che beve il liquore che Bacco le versa, diviene ebra,
tutto la principessa Meti, che per la prima volta che beve il liquore che Bacco le versa, diviene ebra, come il suo sposo S
ro ebrezza: in seguito vanno a dormire come Bacco. Lo dio ha un sogno che lo sveglia, s’arma, chiama i suoi Satiri: Stafilo
secondo. Il resto di questo Canto contiene la descrizione dei giuochi che fa celebrare Bacco accanto al sepolcro di Stafilo
l’udire da Manilio poeta latino la descrizione di questo avvenimento, che ho tradotta. Il fatto è troppo noto per aver biso
ta. Il fatto è troppo noto per aver bisogno di spiegazione: dirò solo che Andromeda era figliuola di Cefeo re di Etiopia, e
lo che Andromeda era figliuola di Cefeo re di Etiopia, e di Cassiopea che aveva avuto r ardire di credersi più bella di Giu
più bella di Giunone. Nettuno per vendicar la sorella mandò un mostro che desolava il paese, e al quale, onde por fine al p
usa della pena, ha fermo Per la guerra del mar gire alle nozze, Ancor che venga altra Medusa. Affretta L’aereo corso, e i g
alza, e Tonde Fuggono accavallate in lunghe schiere L’urto del mostro che s’ inalza: il mare Scorre e suona nei denti, ed a
irava, e teme Del suo liberator di sé scordata: Sospira, e il cor più che le membra pende: Ruina alfin col lacerato corpo I
prepara gli appartamenti per dormire. Vi è la descrizione di un sogno che ha lo dio, nel quale la Discordia, colle sembianz
move l’esercito. Botri e Pito si uniscono ai Satiri e alle Baccanti, che compongono l’armata di Bacco. Lo dio dirige le su
feroce, del quale il poeta fa un ritratto così terribile, come quello che Y antichità ha fatto di Enomao, col quale Licurgo
allevato. Ornava le porte del suo palazzo colle teste degl’ infelici che aveva uccisi, come Polifemo in Virgilio. Questo p
li inerme. Bacco persuaso arriva senz’ armi al palazzo del re feroce, che sorride con aria sdegnosa del suo corteggio: mina
a Nereo consolato. Licurgo minaccia con un discorso insolente il mare che ha ricevuto Bacco. Il Canto seguente comincia col
Canto seguente comincia col combattimento di Ambrosia contro Licurgo, che la fa prigioniera. La Terra soccorre Ambrosia e l
are, scatena le tempeste, scuote la terra: ma nulla spaventa Licurgo, che sfida le Baccanti e il potere degli Dei che prote
a nulla spaventa Licurgo, che sfida le Baccanti e il potere degli Dei che proteggono il dio del Vino. Comanda che si taghno
accanti e il potere degli Dei che proteggono il dio del Vino. Comanda che si taghno le vigne per tutto, e minaccia Nereo e
un dio: ma Giove, onde togliere questo esempio, acceca il re feroce, che non può riconoscere il suo cammino. Intanto le Ne
suoi parenti, divinità marine, gli sono liberali d’ ogni cura, mentre che i Satiri lo cercano e lo piangono sopra la terra.
a contro il nume le prime minacele, e rimanda il suo araldo. Gli dice che se vuol rivolgere i suoi passi verso la Battriana
tonte. Quanto a lui ricusa i suoi doni e il suo vino, e non vuol bere che le acque dell’Idaspe. L’Acqua e la Terra, queste
divinità. Porta queste risposte a Bacco, dice Deriade, ed annunziagli che io l’aspetto. Intanto la gioia pel ritorno di Bac
la pugna. Ma un Amadriade scopre il loro disegno ai soldati di Bacco, che s’ armano segretamente. Gl’Indiani schierati assa
rmano segretamente. Gl’Indiani schierati assalgono l’armata di Bacco, che fugge con inganno per condurli neUa pianura. Inco
Baco e a Bacco. I miseri si uccidono tra loro, e Bacco non risparmia che il solo Turco, perchè sia testimonio della sua vi
nemica dello dio invita l’Idaspe a dichiarar la guerra al vincitore, che si prepara a traversarlo. Appena si è inoltrato n
citore, che si prepara a traversarlo. Appena si è inoltrato nel fiume che l’Idaspe impegna Eolo a sollevar le sue onde spri
sollevar le sue onde sprigionando i venti. È descritta la confusione che questo avvenimento pone neir esercito di Bacco. L
to avvenimento pone neir esercito di Bacco. Lo dio minaccia il fiume, che diviene più furioso. Bacco gli arde il suo letto.
aria Eaco suo figlio. Intanto Turco annunzia a Deriade la gran strage che Bacco ha fatta degl’ Indiani sulle rive dell’Idas
ha fatta degl’ Indiani sulle rive dell’Idaspe. È descritto il dolore che sparse la nuova nel campo di Deriade, e la gioia
critto il dolore che sparse la nuova nel campo di Deriade, e la gioia che regnava in quello di Bacco. I vincitori, fra i pi
iche Cosmogonìe, la guerra dei Giganti, l’imprigionamento di Saturno, che negli abissi del Tartaro impiega vanamente le arm
rtaro impiega vanamente le armi dell’Inferno per difendersi, e Venere che lavora l’opera di Minerva. Quindi i soldati si ab
lla Musa per invitarla a cantare la guerra delle Indie, e si protesta che , seguendo l’esempio di Omero, non canterà che gli
le Indie, e si protesta che, seguendo l’esempio di Omero, non canterà che gli ultimi anni. Pone Bacco al di sopra di Perseo
ltimi anni. Pone Bacco al di sopra di Perseo, di Ercole, e degli eroi che pugnarono sotto le mura di Troia. Quindi descrive
ne degli abitanti sulle rive del Gange, e la disperazione di Deriade, che avea saputo che le acque dell’Idaspe si erano can
i sulle rive del Gange, e la disperazione di Deriade, che avea saputo che le acque dell’Idaspe si erano cangiate in vino, e
ume vergognandosi del riposo in cui languiva, si duole degli ostacoli che Giunone ai suoi trionfi frappone. Ati l’amante di
eh’ edificarono col suono della lira Tebe dalle sette porte; l’aquila che rapisce Ganimede, e il combattimento di Damasene
e è risuscitato per virtù d’ una certa pianta chiamata fior di Giove, che applicata richiama pure in vita Tilo vittima infe
re in vita Tilo vittima infelice di questo animale. Si vedeva pur Rea che aveva partorito di poco; e Saturno che divora le
sto animale. Si vedeva pur Rea che aveva partorito di poco; e Saturno che divora le pietre che prende pei suoi figli. Tali
a pur Rea che aveva partorito di poco; e Saturno che divora le pietre che prende pei suoi figli. Tali erano a un dipresso i
tti mitologici scolpiti sul magnifico scudo inviato da Rea a Bacco, e che attraeva la vista di tutte le schiere. Giunge la
lo muove a combattere con Bacco. — Tu dormi, Deriade, gli dice. Un re che deve esser vegliante per difendere il suo popolo
nte tuo genero vive ancora, ed egli non è vendicato. Mira questo seno che porta l’orma della larga ferita che vi ha fatto i
non è vendicato. Mira questo seno che porta l’orma della larga ferita che vi ha fatto il tirso del tuo nemico. Perchè Licur
e le antiche sembianze. Deriade unisce incontanente i suoi guerrieri, che chiama da tutte le parti dell’Oriente. Agreo e Fl
ndre di elefanti compaiono. Comanda questo esercito numeroso Deriade, che si gloria di discendere dall’Idaspe e da Astraide
ta degl’Indiani, la loro veste, la loro armatura è descritta del pari che l’armata di Bacco, la quale si distribuisce in qu
nteressarsi per la difesa di Bacco, mostrando loro le diverse ragioni che esigono da esse questo interesse. Gli Dei si divi
: Pallade, Apollo, Vulcano, Minerva secondano i voti di Giove, mentre che Giunone riunisce contro Bacco Marte, l’Idaspe e l
che Giunone riunisce contro Bacco Marte, l’Idaspe e la gelosa Cerere, che devono opporsi alle imprese del dio. Ora udite da
ere, che devono opporsi alle imprese del dio. Ora udite da Flostrato, che traduco, la descrizione di antiche pitture. Pelo
escrizione di antiche pitture. Pelope ed Ippodamia. — La maraviglia, che qui vedete, deriva da Enomao arcade, e di Arcadia
he qui vedete, deriva da Enomao arcade, e di Arcadia sono pure quelli che gridando incontro gli si fanno, perchè la quadrig
bianchi. agili, obbedienti al freno, e nitriscono in modo sì benigno, che la vittoria promette. Considerate Enomao rovescia
mao rovesciato, fiero ed orribile, e simigliante a Diomede di Tracia, che il suo destriero pasceva di sangue. Riconoscerete
suo destriero pasceva di sangue. Riconoscerete alla bellezza Pelope, che giovine ministrava il vino agli Dei sul monte Sip
no agli Dei sul monte Sipilo, onde Nettuno talmente s’ invaghì di lui che gli fé’ dono di questo cocchio, col quale potrebb
e profonde onde presentare una corona di ulivo selvaggio al vincitore che passa lungo le sue rive. Quelli che cercavano le
a di ulivo selvaggio al vincitore che passa lungo le sue rive. Quelli che cercavano le nozze d’Ippodamia sono sepolti nei m
Quelli che cercavano le nozze d’Ippodamia sono sepolti nei monumenti che vedete, e sono nel numero di tredici: la terra ha
la terra ha prodotti dei fiori intorno ai loro sepolcri, onde sembra che si rallegrino della vittoria ottenuta sul loro cr
o morto in mezzo alle fiamme, più grande dell’ordinario, questa donna che si getta disperatamente nel fuoco, tutto ciò è st
i portato cogli altri alla patria, ed ebbe gli stessi onori ed uffici che Tideo, Ippomedonte e gli altri. Di più la sua mog
coli amorini danno fuoco al rogo colle loro fiaccole. Ed è ben giusto che la loro fiamma sia destinata a così nobile uso, p
tinata a così nobile uso, poiché qual vittima più degna di una moglie che s’ immola per amor del marito: — Lezione sess
eta nel Canto xviii ne descrive l’ordinanza dell’esercito, egualmente che il primo assalto. Faleno si misura con Deriade, e
ani viene per rianimare il coraggio e il furore di Deriade loro capo, che unisce le sue truppe, e con nuovo impeto rinnova
co sostiene l’urto dell’esercito, animato dall’esortazione dello dio, che investe con nuovo vigore i nemici. Melaneo, il ne
orso vola Alcone suo fratello. Eurimedonte invoca Vulcano loro padre, che copre Morreo colle sue fiamme. Ma l’I daspe padre
ingue: uccide Flogio, ed insulta alla sua disfatta. Il famoso Tettafo che la sua figlia avea nutrito col proprio latte nell
iglia, numera le altre vittime di Morreo, Alcimachia ed altre Menadi, che hanno i nomi coll’Iadi comune. Giunone sostiene D
e. Giunone sostiene Deriade, e terribile lo rende agli occhi di Bacco che prende la fuga: Minerva lo richiama al combattime
o, fa strage di gran quantità d’Indiani, e ferisce Melanione il nero, che nascoso sopra un albero avea molti uccisi. Ma Giu
La tremenda s’irrita delle fortune di Bacco più della stessa Giunone, che a lei si rivolge con un sorriso disdegnoso e con
spoglia della figura di serpente, e prende quella di gufo, aspettando che Giunone le annunzi il sonno di Giove, secondo gli
d Iride va nell’Olimpo a render conto della sua imbasciata a Giunone, che prepara altri artifizi per sedurre Giove. Va a tr
ione: Giunone le espone i suoi timori sulle conseguenze dell’afi’etto che Giove ha per Semole e per Bacco, al quala dà sede
ve ha per Semole e per Bacco, al quala dà sede nell’Olimpo. Ella teme che non giunga a piantare nell’Olimpo la vigna e sost
sostituisca questo liquore al nettare delizioso. Prevede i disordini, che l’ubriachezza porterà fra gli Dei, e l’esiglio al
dal sonno dell’amore domato. Venere aderisce alle dimando di Giunone, che tosto dirige il suo volo verso l’Olimpo, ove ella
uovi ornamenti aggiunge alla sua bellezza. Quindi s’avvicina a Giove, che dell’antica fiamma i segni risente. Il suo amore
ua sposa, alla quale confessa il suo violento afietto per lei. Mentre che gustano il piacere pei desiderati abbracciamenti,
nte dei loro fonti, e le Amadriadi negli alberi delle foreste. Mentre che Bacco come un toro ferito dall’ assillo si precip
di una menzogna, ed il fan cìullo vola verso la reggia di sua madre, che teneramente lo abbraccia. Gli espone il motivo de
causa dello dio. Gli parla della leggiadra Calcomedia, vergine saggia che presentemente è neir armata delle Baccanti, e lo
e si arma contro l’eroe indiano, scocca contro esso un dardo potente, che lo accende dell’amore il più ardente per la bella
te, che lo accende dell’amore il più ardente per la bella Calcomedia, che finge di amarlo. L’insensato credeva di potere, b
incatenato da Bacco. Il poeta dopo averci descritto i teneri sospiri che Morreo manda dal petto affannoso, ci pone davanti
o manda dal petto affannoso, ci pone davanti agli occhi lo spettacolo che offre il cielo nella notte. Yi si distingue il to
La ninfa terribile lo fugge, e vuole precipitarsi nel mare piuttosto che sposarlo. Ma Teti, sotto l’aspetto di una Baccant
’ ella pure ha custodita la sua verginità contro gli assalti di Giove che l’ha perseguitata: le consiglia d’ingannare il fi
: questo è il solo mezzo di salvare l’armata delle Baccanti. Aggiunge che se l’Indiano volesse costringerla, ella ha in sua
se l’Indiano volesse costringerla, ella ha in sua difesa il serpente che orna l’acconciatura della sua testa. Bacco la por
ratto, ho tradotto in versi la descrizione della morte d’Erigone dopo che le fu noto il destino del padre, che in sogno le
zione della morte d’Erigone dopo che le fu noto il destino del padre, che in sogno le apparve. Credo utile innanzi di espor
stare il nuovo liquore, ed insegnandogli il modo di coltivare la vite che lo produce. Icaro fece parte del segreto e del li
roduce. Icaro fece parte del segreto e del liquore ad altri contadini che divenuti ubriachi uccisero il donatore. L’ombra d
hi uccisero il donatore. L’ombra di lui apparve in sogno alla figlia, che disperata andò in traccia del padre: lo trovò alf
ver custodito il corpo della fanciulla, e mostratolo a dei pellegrini che lo seppeUirono, morì sul sepolcro della padrona.
e sembianze antiche Prese, ed entrava nella nota casa. Avea la veste, che l’ incerta strage Dicea, rossa di sangue, e per l
re Icaro grida: Infelice, ti sveglia, e cerca il padre, Il padre tuo, che nel furor di Bacco I barbari villani han colle sc
o col bifolco a mensa Cura il ritiene del comune armento? Ditelo a me che piango: io soffrir posso Finch’ ei non giunge: se
inità e ad un tempo la Teologica Mitologia. Nel quadro di Filo strato che rappresenta Bacco ed Arianna, questo dio porta un
Bacco ed Arianna, questo dio porta un vestito di porpora, egualmente che in due pitture scoperte ad Ercolano. Un’ iscrizio
tto il nome di Grande. Una singolar foggia di rappresentarlo è quella che si scorge in un piccolo Bacco di bronzo con un Ge
n Genio alato, di cui la testa è adornata del lungo collo di un’ oca, che tenendosi in ginocchio sopra le sue spalle, gli v
ue spalle, gli versa da un vaso il liquore nella bocca. Il Gori pensa che il collo d’oca indichi l’elemento liquido, perchè
liquido, perchè quest’ animale è acquatico; e pretende con Buonarroti che questa figura rappresenti Bacco, quando, temendo
ne unica di Bacco vincitore d’un’Amazone: e Plutarco è il solo autore che n’abbia data la spiegazione, conservandoci la tra
edi di questo animale. Omero dà a Bacco la capellatura di color blu, che ad Ettore pure assegna: Winkelmann intende capell
r blu, che ad Ettore pure assegna: Winkelmann intende capelli biondi, che interiormente e nei luoghi ove sono ombreggiati m
eggiati mostrano una tinta di questo colore. Con tutta la venerazione che aver si debbe al maestro dell’antiquaria, io non
dell’antiquaria, io non sono contento di questa spiegazione, e reputo che Omero abbia dato un colore alle chiome di Bacco s
o abbia dato un colore alle chiome di Bacco simile a quello dell’uva, che sovente è blu. Una statua di Bacco nell’isola di
quella nella quale teneva una fiaccola in mano per far lume a Cerere che cerca Proserpina. Ma lo dio si effigiava con essa
a lo dio si effigiava con essa nella mano, come si rileva da Euripide che dice: Di più lo vedrai sulle delfiche rupi saltan
ulle delfiche rupi saltante con le faci. — E in Atene, secondo quello che racconta Pausania, si vedeva una statua di Jacco,
conta Pausania, si vedeva una statua di Jacco, il quale era lo stesso che Bacco, con la face. E Libanio, descrivendo Alcibi
lcibiade come vestito da Bacco in atto di celebrare gli Orgii, mostra che aveva una face. Si adopravano queste, non tanto p
i adopravano queste, non tanto perchè lo credessero una medesima cosa che il sole, come vi accennai nel principio delle mie
tenebre portano venerazione. In un cammeo riportato dal Buonarroti, e che rappresenta Bacco, il nume porta per bicchiere un
rroti, e che rappresenta Bacco, il nume porta per bicchiere un corno, che finisce in una testa di capro: siccome sono fatti
ndi di marmo tutti rabescati duellerà o di vite nella Villa Borghese, che hanno per fondo un capo di vitella; e nella Pompa
cubiti: e dei Centauri medesimi, dei quali parleremo, scrive Pindaro che si servivano dei corni per bere. Conviene adesso
i servivano dei corni per bere. Conviene adesso favellarvi del tirso, che voi vedete tante volte espresso nei bassirilievi,
ievi, ed è uno degli attributi di Bacco. Io mi prevarrò delle notizie che intorno a quest’oggetto ha raccolte il senator Fi
o Buonarroti, il primo a veder luce nell’antichità figurata. Vogliono che Bacco e i suoi seguaci si servissero delle aste a
tagemma usato cogl’ Indiani, portavano la punta coperta di ellera, al che allude San Giustino dicendo: Come le Baccanti con
i coperte le punte: — i quali luoghi fanno al Buonarroti congetturare che quella pannocchia che si suol vedere in cima all’
i quali luoghi fanno al Buonarroti congetturare che quella pannocchia che si suol vedere in cima all’aste di Bacco rapprese
na, con de nominarne anche il medesimo tirso; sicché il Bochart trova che in Fenicia il tirso significasse il pino. Poteva
. Poteva ancora nella Fenicia aver preso quel nome dalla similitudine che ne rappresentava la cima. È noto per altro che il
ome dalla similitudine che ne rappresentava la cima. È noto per altro che il pino era consacrato anche a Bacco per l’amiciz
posto; ed in un Baccanale osservato dal Buonarroti vi era un Centauro che ne portava un ramo. Poteva inoltre la pina essere
modo, come sarebbe per uno dei segni sacri della cesta mistica, senza che noi siamo costretti a dire che la portassero sui
segni sacri della cesta mistica, senza che noi siamo costretti a dire che la portassero sui tirsi: quando per altro le scag
conveniente ad una pina, e sovente di proporzione maggiore di quelle che sieno le cortecce di fuori di quel frutto, come s
sservare nel bel cammeo riportato dal mentovato Buonarroti. Tanto più che come si cava dall’ osservare alcuni passi d’ auto
tirso, onde sovente con figura lo chiamavano ellera: se noi vogliamo che la sia quella in cima, di rado e forse non mai po
i monumenti i tirsi, non osservandosi in loro l’ellera in altra forma che in questa, eccetto che alcune volte si vede un’as
n osservandosi in loro l’ellera in altra forma che in questa, eccetto che alcune volte si vede un’asta circondata di tralci
cune volte si vede un’asta circondata di tralci e di foglie bensì, ma che sono piuttosto di vite, secondo quello d’ Ovidio:
ucite ad una per una, non attaccate ai rami. Poiché per lo più, senza che vi fosse altro ferro di sotto e dentro, dovevano
e per semplice e sola mostra per non far male: siccome scrive Diodoro che per il medesimo fine Bacco levò alla sua gente l’
so e pannocchia in cima, fossero veramente i tirsi sacri a Bacco, par che si cavi dagli autori botanici, i quali assomiglia
cavi dagli autori botanici, i quali assomigliano ai tirsi molte erbe, che chiamano capitate, fatte nel loro fusto in quella
nella Pompa di Bacco di Tolomeo, da citarsi sovente, vi era la statua che rappresentava la città di Nisa, la quale aveva ne
erro coperto di ellera ebbero origine i tirsi, così è molto probabile che alcune aste col ferro in cima tondo e grosso foss
ne aste col ferro in cima tondo e grosso fossero, per la similitudine che avevano coi tirsi, chiamate aste tirssi; e forse
atane da Visconti. Voi ci troverete rammentati i caratteri distintivi che gli antichi artefici davano alle statue del nume,
e quali vi furono esposti dal medesimo autore nel primo ragionamento che vi tenni su questa divinità. « Un altro caratter
cevano le statue di più pezzi, e comunemente di due, quelle (cred’io) che lungi dal luogo della loro destinazione si lavora
i a loro piacimento con più facilità trasferire. Si crede comunemente che tal costume di lavorare sia stato usato dagli Egi
Museo Capitolino, e d’un Adriano col torace del Palazzo Ruspoli. Quel che si è conservato ci fa desiderare il rimanente: co
— « Lo scultore non gli ha dato quella feminile e molle corporatura, che ha ritratta l’artefice del marmo precedente, ma s
sembra essersi rammentato, senza tradire l’avvenenza del dio Tebano, che questo nume a un tempo voluttuoso e guerriero era
riero era di mezzo alla pace e alla guerra. Vi ammiriamo quella beltà che incantò i Tirreni non disgiunta dalla robustezza
uto alla divinità. Nè del nume bacchico è privo il fonte, come quello che lo dio apparir fece in grazia delle Baccanti. Cos
i, e candidi fiori vi sono sul margine non ancora perfetti, onde pare che siano nati in grazia del giovinetto. Il dipinto s
no nati in grazia del giovinetto. Il dipinto seguendo la natura finge che distilli dai fiori la rugiada: vi sta un’ape che
endo la natura finge che distilli dai fiori la rugiada: vi sta un’ape che potrebbe essere stata ingannata dal pittore. Ma s
re. Ma sia: te, o giovinetto, ninna tela o statua ingannò, ma l’acqua che ti rappresenta; e gli vai incontro come ad un ami
’acqua che ti rappresenta; e gli vai incontro come ad un amico e pare che aspetti qualche cosa da lui. Noi lo descriveremo
ché essendo per natura loro glauchi e feroci sono mitigati dall’amore che vi siede. Egli crede di esser amato, perchè l’omb
di essere stato procreato dalla terra per amore di un bel giovinetto che piange quando è primavera. Ma non vi arrestate a
non vi arrestate a questo prato ove la pianta è nata in quella guisa che il suolo l’ha prodotta. Infatti questa pittura ne
ella guisa che il suolo l’ha prodotta. Infatti questa pittura ne dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia al
dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia al giacinto, e che il sangue ancor pieno dì vita, inondando il terre
e rassomiglianza, poiché comincia a scorrere dalla testa incontanente che il disco vi piombò. Errore ben grave, e da dubita
incontanente che il disco vi piombò. Errore ben grave, e da dubitarsi che da Apollo sia stato commesso. Ma siccome qui venu
eremo un poco il quadro. E prima ci faremo a considerare il poggio su che il disco vien mandato via. Certo, il poggio è pic
sco vien mandato via. Certo, il poggio è piccolo, e da bastare ad uno che sta in piedi. Quest’ altura sostenendo le parti d
ieme saltare e seguire la mano destra. E questa è l’attitudine di uno che sostiene il disco: conviene che abbassando la tes
estra. E questa è l’attitudine di uno che sostiene il disco: conviene che abbassando la testa tanto la pieghi fino alla par
viene che abbassando la testa tanto la pieghi fino alla parte destra, che guardi i suoi fianchi, e che lo lanci come levand
tanto la pieghi fino alla parte destra, che guardi i suoi fianchi, e che lo lanci come levandosi da terra, appoggiato tutt
l nume incontrasi con breve pelle di fiera, o spesso con lunga vesta, che Tibullo e Stazio vogliono gialla, detta Bassaride
zio vogliono gialla, detta Bassaride, o sia dal luogo ov’ era in uso, che Polluce crede la Lidia, Snida la Tracia. Ma le pi
da la Tracia. Ma le più volte è ornato di un panno, o di una nebride, che è quanto dire di una pelle di cerbiatto, in memor
è quanto dire di una pelle di cerbiatto, in memoria della metamorfosi che di lui in questo animale fece Giove per salvarlo,
l’occultarono le Ninfe, dalle quali fu educato, e inol tre la benda, che copre parte del capo, e la mitra che vela tutto.
fu educato, e inol tre la benda, che copre parte del capo, e la mitra che vela tutto. Luciano lo deride, quasi la cuffia f
i la cuffia fosse nel guerreggiare il suo elmo; ma la Grecia credette che questo fosse un rimedio da lui inventato contro l
atore del vino; spesso asta o tirso, qualche volta un ramo di ferula, che come simbolo d’iniziazione ai suoi misteri si dà
a lui, perchè avendo ogli introdotto l’uso del vino, accadeva spesso che i conviti, anche sacri, finissero in percotersi s
me rileva il dottissimo Lanzi, furono più compagni di Bacco in guerra che compagni deirOrgie e dei Baccanali. Tanto dai Gre
ci quanto dai Latini questi si rappresentano simili all’arcadico Pan, che aveva volto e corna caprigne, e dal mezzo in giù
qualche medaglia, facendolo di coscie e gambe e piedi d’uomo, non par che fossero molto seguitati. Rimangono dunque esclusi
i, soggiunge il chiarissimo autore, si mostruose deità, e non restano che i Satiri e i Sileni, e con questa compagnia nell’
Tutta questa famiglia si credette derivata da un antichissimo Sileno, che avendo avuto coda a’ lombi, tutta la sua posterit
r dei vasi è raro vederli moltiplicati; e i più moderni artefici pare che non conoscessero se non il Sileno educatore di Ba
tefici pare che non conoscessero se non il Sileno educatore di Bacco, che ritraggono simo, calvo, basso, panciuto. I Sileni
pelose tuniche con pallio fiorato: in Grecia pure con vesti villose, che nella Pompa di Tolomeo erano rosse o di porpora:
si fa pur menzione di cappello. Si rileva da ciò l’enorme difi’erenza che correva fra i Satiri e i Pani; i quali se dovevan
cosa era il contraffare le loro sottili gambe e i piedi caprigni: il che facevasi con certi trampani detti grallae, dei qu
no Tulliano Cotta ignora cosa sia il Fauno? Ripeterò col Lanzi quello che ha provato Heine. La Mitologia dei Latini è diver
ieno di fantasia per abbellire, pieno di scrittori per conservare ciò che gli antichi aveano creduto e detto. L’ Italia man
inguono i Fauni così dai Satiri come dai Pani. Da tutto ciò ne deriva che i giovani caudati che s’ incontrano nei Baccanali
ai Satiri come dai Pani. Da tutto ciò ne deriva che i giovani caudati che s’ incontrano nei Baccanali, fin qui chiamati Fau
i vasi, non conobbero Fauni, ma Satiri giovani: e perchè gl’Italiani che ne fecero, ne dipinsero, e in barbaro latino in a
e in barbaro latino in alquanti di essi scrissero, furono più antichi che non la favola di questi numi uniti al coro di Bac
isonomia. Quello del Fauno parmi più uniforme: lo distingue un non so che di lieto e di semplice, come nei villanelli un ri
i spighe. Tra i libri degli antiquarii il Lanzi non ha trovato alcuno che il vero ed antico sistema greco rischiari prima d
io credo farvi cosa grata inserendo nel mio discorso la descrizione, che di un Fauno del Museo dementino ha data Visconti.
. Nell’ altre Lezioni unirò tutti i monumenti Bacchici, onde io spero che raddoppierete la vostra attenzione, perchè in tal
zione, perchè in tal guisa la maggior parte dei bassirilievi antichi, che alle solennità dello dio sono relativi, sarà da v
ai poeti, dagli antichi monumenti togliere, come Prometeo, quel fuoco che deve dar vita alle vostre tele, ai vostri marmi.
. « Si è ricevuta comunemente presso gli antiquari: una distinzione, che molto serve a classificare le tanto variate immag
in senile, or in giovenile età, si è dato il nome di Satiro a quelli che nell’aria del volto, nelle corna, nelle anche e g
vano le antiche rappresentanze del dio Pan; il nome di Fauni a quelli che coll’orecchie sole e colla coda e qualche volta c
di corna si veggono, ma le gambe e coscie dei quali sono tutte umane: che se questi, non in giovanile e virile età, ma solo
i le diverse maniere di Fauni, lasciando questa appellazione a quelli che in forma umana han di capra gli orecchi, le corna
le corna, la coda, e chiamando Titiri quelle rare figure di Baccanti che nulla tengono del caprino. — Merita sicuramente q
cché si studiano di far corrispondere a diversi nomi diverse idee; lo che alla chiarezza di queste molto contribuisce. Semb
idee; lo che alla chiarezza di queste molto contribuisce. Sembra però che troppo siansi inoltrati, quando tal divisione, ch
uisce. Sembra però che troppo siansi inoltrati, quando tal divisione, che non può avere altro oggetto fuori del comodo degl
all’ idee degli antichi, e censurano con poca esattezza quei Classici che non l’hanno osservata. Per far cadere affatto sim
no osservata. Per far cadere affatto simile opinione hasta riflettere che si trovano immagini di lavoro greco e di remota a
mota antichità di tutti i divisati generi di Baccanti: eppur sappiamo che i Greci non conobbero giammai i Fauni, ma col nom
e di Sileni chiamarono promiscuamente i seguaci di Bacco. Non è però che talvolta non distinguessero ancora i Greci i cara
ne’ due accennati caratteri, e niuna descrizione è più viva di quella che fa di loro Luciano, additandoceli alla testa dell
Sileno troviamo nelle sue immagini scolpita quella varietà medesima, che scorgiamo negli autori che ne discorrono. E dove
immagini scolpita quella varietà medesima, che scorgiamo negli autori che ne discorrono. E dove alcuni di questi ultimi ce
colo, altri ce lo descrivono per un savio così lontano dall’impostura che si lascia confondere nel volgo dei voluttuosi, ma
dall’impostura che si lascia confondere nel volgo dei voluttuosi, ma che conosce le cagioni ed i fini delle cose, ed ha pi
a costituzione delle membra non si è partito dalla comica descrizione che ne fa Luciano, eccettuate le orecchie, che nel si
o dalla comica descrizione che ne fa Luciano, eccettuate le orecchie, che nel simulacro non sono caprine; e quantunque sia
nel simulacro non sono caprine; e quantunque sia moderno restauro ciò che ha nelle mani, pure non è dubbia l’azione di aver
di aver premuto il grappolo dell’uva nel nappo; in quel nappo istesso che gli si vedeva propinato dall’Ebrietà in un bel gr
naturalezza, la carnosità del torso pingue ed irsuto è tutto quello a che può giungere la scultura. Se ne osservi la fìsono
ale, non solo ne’ tempi antichi fu rilevata da Aristofane maligno, ma che ha indotto i moderni a dar la hella denominazione
ella denominazione di Socrate e d’Alcibiade ad alcuni gruppi lascivi, che rappresentano la licenza de’ Baccanali. Questa st
ta statua di Sileno è assai stimabile, ed è affatto diversa da quelle che si conoscono, come dalla famosa Borghesiana, che
to diversa da quelle che si conoscono, come dalla famosa Borghesiana, che vedesi ripetuta due volte in antico nel Palazzo R
li, ove Sileno vedesi vestito di un abito teatrale lavorato a maglia, che si poneano indosso gli attori per meglio rapprese
ppresentare le membra pingui ed irsute |del nutritore di Bacco, abito che finora è stato cagione di molti equivoci a chi si
obbligo liberare. Trovò Eineo la morte nella casa del perfido genero, che cader lo fece in una fossa di carboni accesi, all
avea fragili tavole sopraposte. L’infelice fu vendicato dai rimorsi, che tanto poterono in Issione che furibondo ne divenn
e. L’infelice fu vendicato dai rimorsi, che tanto poterono in Issione che furibondo ne divenne, e non sapea a quale degli D
llerato; ma il re degli Dei volendo accertarsi della verità di quello che asserito gli veniva, diede ad una nuvola le sembi
hè fossero creduti amici assai del vino come erano tutti gli animali, che gli sono stati dati dalle favole; onde Virgilio s
e Ileo minacciante i Lapiti col gran vaso; — intendendo della guerra che per soverchio vino intrapresero coi Lapiti. Per q
Bacco, delle quali vi ho dato r estratto, gli annovera nell’esercito che radunò al nume la madre degli Dei, e introduce un
ercito che radunò al nume la madre degli Dei, e introduce un Centauro che s’ off’re a portare lo stesso Bacco: E il Centaur
e un Centauro che s’ off’re a portare lo stesso Bacco: E il Centauro, che ha l’ispida ed orrida barba, spontaneamente porge
cavallo nitriva, bramando alzare con le sue spalle Bacco: — quindi è che spesso negli antichi bassirilievi si veggono i Ce
cammeo di cinque strati di diverso colore riportato dal Buonarroti, e che rappresenta la pompa e trionfo del dio del Vino.
a opera sui medaglioni antichi. In questo si rappresenta forse Bacco, che dall’isola di Nasso conduce in cielo Arianna: gui
sia Genio, con una face; ed Amore re<^i:>‘e la veste ad Arianna che , secondo favoleggia Nonno, era con Bacco quando a
ll’ onde del mare vi è la Ninfa, o Genio di quell’isola, con una vela che le svolazza sulla testa per indicare il suo sito
sta per indicare il suo sito sul mare; e sarà forse la Naiade stessa, che il medesimo poeta fìnge applaudisse a queste nozz
mo poeta fìnge applaudisse a queste nozze. Le siede accanto un fiume, che potrebbe essere il Biblino, a cui pare che Zeffìr
Le siede accanto un fiume, che potrebbe essere il Biblino, a cui pare che Zeffìro, portandosi placidamente per aria, gli ve
portandosi placidamente per aria, gli versi nel cornucopie la buccina che si suol dare ai venti, quasi che per festeggiare
gli versi nel cornucopie la buccina che si suol dare ai venti, quasi che per festeggiare ancor egli le nozze di Bacco, le
i nobilissimi vini detti Biblini, pei quali fu celebre quell’isola, e che diedero occasione alla favola che vi fosse un fon
pei quali fu celebre quell’isola, e che diedero occasione alla favola che vi fosse un fonte di vino. Ma per tornare al nost
Centauri con Bacco: poiché paragonando a quegli i cacciatori, scrive che fosse questo dio educato da Chirone: quindi è che
cacciatori, scrive che fosse questo dio educato da Chirone: quindi è che si vedono negli antichi intagli Centauri col bast
i Centauri come un poco tozza la parte della bestia, vorranno credere che siano onocentauri, cioè mezzi uomini e mezzi asin
destra per essere rotto, tiene coll’altra una lampade, o face accesa, che soleva portarsi nelle feste di Bacco, come vi ho
feste di Bacco, come vi ho accennato nella passata Lezione. Il corno che ha nella sinistra 1’ altro Centauro fu costumato
me si può vedere dal medesimo Ateneo, dove parla dell’olmo e del rito che fu ordinato la prima volta da Tolomeo Filadelfo p
meo Filadelfo per adornarne la statua di Arsinoe: onde si può credere che fosse simile a quei due cornucopi che si veggono
di Arsinoe: onde si può credere che fosse simile a quei due cornucopi che si veggono nelle medaglie di quella regina. Le Ce
aglie di quella regina. Le Centauresse si trovano ancora coi cembali, che erano fatti come i nostri d’un cerchio, al quale
ualche volta dei sonagli, come si vede in quello portato dal Bartoli, che ha il fondo dipinto, come si usa ancor oggi, d’un
iccole e sottili lamine di rame infilate eoa un fìl di ferro, di modo che battendo colle mani il cembalo, venivano a risona
a accanto e fra due Fauni, vedesi fra due tirsi questo cembalo stesso che , ripetuto infinite volte, avrete veduto negli int
te volte, avrete veduto negli intonachi Ercolanensi. L’Agostini vuole che gli antichi chiamassero questi strumenti crepitac
umenti crepitacoli, dei quali fa menzione Ateneo; ma sembra piuttosto che fossero detti timpani onde Catullo scrisse: Perco
e l’hanno trovato i Coribanti, — Dal medesimo poeta poco dopo si vede che le tibie, le quali sono sonate dall’ altra Centau
del mentovato cammeo, erano in uso nelle feste di Bacco, come quelle che furono prese da’ Misteri della madre degli Dei. A
rende ragione perchè le tibie fossero ado prate da’ Baccanti, dicendo che in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si ven
cendo che in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si vendemmia; al che allude quel di Euripide: Rallegrarsi colla tibia,
lmente le Centauresse sulle spalle alcune pelli consuete a’ Baccanti, che per lo più erano le nebridi, le quali propriament
e nebridi, le quali propriamente erano quelle prese da cervi giovani, che il primo anno si chiamavano (grec) poi dai Greci.
ano (grec) poi dai Greci. E Lattanzio commentatore di Stazio pretende che si chiamassero pure nebridi le pelli di daino. P
conti. « Che Zeusi sia stato il primo ad immaginar le Centauresse par che Luciano l’ insinui. E da una pittura di lui, cred
nkelmann, imitata una gemma eh’ egli riporta nei Monumenti inediti, e che rappresenta una Centauressa in atto di allattare
banchetto. Preceduto da un Fauno barbato e cinto d’una pelle ai lombi che si fa scorta con face in ambe le mani, s’avanza i
ani, s’avanza il nume oppresso dalla crapula, e vacillante, a cui più che il tirso che gli crolla nella destra, è sostegno
il nume oppresso dalla crapula, e vacillante, a cui più che il tirso che gli crolla nella destra, è sostegno un Fauno fanc
e il tirso che gli crolla nella destra, è sostegno un Fauno fanciullo che l’abbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri
bbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri al piede in una palla, che gli scopre il lato e il braccio destro, ha il cap
composto di due verghette rotonde di metallo da una parte più sottili che dall’altra dove terminano come in un capo di chio
un capo di chiodo mal difende dalla petulanza di un giovin Baccante, che salito in ginocchio sulla sua groppa si adopera c
rli ad essa. Un altro giovin Baccante porta anch’egli accesa la face, che un Fauno barbato e fornito di tirso tenta involar
me con un Faunetto si sforza scotere dal suo dorso il Fauno insolente che vi è salito, chiude il bassorilievo. Centauro. « 
sso al Laterano, ed è una prova novella del merito del suo originale, che è il più giovane dei due famosi Centauri del Muse
giungano queste due copie ad eguagliare la bellezza degli originali, che furono scolpiti da Aristeo e Pappo Afrodisio in u
l soggetto hanno un grandissimo merito di lavoro, e per alcune parti, che si sono in questo mantenute, schiariscono l’azion
piti con maggior morbidezza degli originali medesimi, non riflettendo che il color nero del marmo, in cui han lavorato i du
egnate perchè potessero distinguersi nell’oscurità della pietra. Quel che si è conservato nelle copie è il Cupidino, che è
ità della pietra. Quel che si è conservato nelle copie è il Cupidino, che è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto d
he è tanto sulla groppa del nostro Centauro quanto del Borghesiano, e che manca affatto nei Centauri del Campidoglio, nei q
nei quali non mancava però l’orma del piccolo cavaliere. « L’Amorino, che è sul secondo, è cinto di una fascia per sospende
ghesiano un Centauro adulto di robusta corporatura e di fiera indole, che domato dal nume infante ha perduto la naturai for
braccio come nell’originale, e poiché rimaneva nel torso un attacco, che additava aver sostenuto qualche cosa di massiccio
si è seguito in ciò l’esempio del ristauro Capitolino: ma riflettendo che ha nella sinistra il pedo detto (grec) dalla cacc
di cui dimostra la gioia negli occhi e nel volto: ma intanto l’amore che ha fatto la preda del cacciator feroce, ride del
o del secondo Idilio di Bione, dov’è descritto un giovine cacciatore, che vedendo Cupido per la foresta volea farne sua pre
o per la foresta volea farne sua preda; ma fu avvertito da un vecchio che lasciasse l’inutil caccia, e che anzi a suo tempo
preda; ma fu avvertito da un vecchio che lasciasse l’inutil caccia, e che anzi a suo tempo Amore avrebbe fatto preda di lui
di uomo e cavallo. Sappiamo anche coll’analogia della storia moderna che i primi a cavalcare sembrarono ai rozzi uomini tu
uomini tutto un animale’, essi e il destriero. Comprendiamo da Omero che molto tempo prima che si cavalcasse si usava di a
le’, essi e il destriero. Comprendiamo da Omero che molto tempo prima che si cavalcasse si usava di attaccare i cavalli a’
carri, e altri cavalieri non s’incontrano nell’Iliade e nell’Odissea che combattenti sui cocchi. La favola però di Fedro,
La favola però di Fedro, del cavallo e del cinghiale, ci fa conoscere che l’occasione della caccia fu quella che introdusse
del cinghiale, ci fa conoscere che l’occasione della caccia fu quella che introdusse la prima 1’ uso di sedere sul dorso de
’ uso di sedere sul dorso del destriero. Non furono dunque i Centauri che i primi cacciatori equestri, quantunque l’etimolo
uri che i primi cacciatori equestri, quantunque l’etimologia del nome che sembra indicare feritori di tori abbia fatto inve
e del ristauro del braccio destro: nel sinistro si è copiato il pedo, che si osserva antico nel Capitolino, a norma di cui
e narici quasi mosse al nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo che di cavallino, che si mesce colle sembianze umane,
se al nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo che di cavallino, che si mesce colle sembianze umane, e forma dell’uomo
seguito di Bacco, essendo noto il trasporto di tali mostri pel vino, che servì ad Ercole per cavarli dalle loro tane e dom
i e cam mei accompagnare, o ancor trarre i carri di Bacco. Nel tronco che sostiene il ventre del Centauro simile al Capitol
ine prefissomi mi conduce a favellarvi delle donne compagne di Bacco, che si distinguono tra loro col mezzo delle diverse d
idi, di Naiadi. Il nome di Baccanti deriva dalla greca parola (grec), che significa ululare smodatamente, come quello di Me
ululare smodatamente, come quello di Menadi ha sua origine da (grec) che equivale ad infuriare. Ma il furore non era in es
contro se stesso. Le femmine di Lemno spensero tutto il sesso virile che aveano nella città loro. Questo era l’uffìzio del
ano strepitoso suono dei timpani, dei cimbali, dei flauti, dei corni, che accompagnavano con movimenti della persona violen
ita, o cinti al capo. Questi eccessi però di furore, per cui sappiamo che i serpenti si facean mansuefare, non sono ovvii n
dell’Eneide, e Stazio nel iv della Tebaide: ma le Baccanti non credo che tutte fossero egualmente Tie, tenute solo, se non
, celebravano oscure Orgie, misteri di Bacco nelle cave ciste. Quelli che considerar vogliono le Tiadi come Baccanti ne ded
le Tiadi come Baccanti ne deducono il nome da (grec), infurio: altri che la riguardano come sacerdotesse, prendono l’etimo
logia da (grec), sacrifico, o da Tuia sacerdotessa di Bacco, la prima che istituì le Orgie. Pausania tiene la seconda sente
seconda sentenza, e da Tuia dice derivato quel coro di donne attiche, che insieme con le delfiche donne andavano ogni anno
le Tiadi gridanti Evoe con le sparse chiome. — Non può dunque negarsi che stando all’etimologia e alla storia, questo nome
mologia e alla storia, questo nome non convenga specialmente a quelle che veggiamo nelle pitture dei vasi occupate intorno
pitture dei vasi occupate intorno a ciste da Orgie, e a tanti simboli che in esse si racchiudevano, e che per la più parte
o a ciste da Orgie, e a tanti simboli che in esse si racchiudevano, e che per la più parte sappiamo da Clemente Alessandrin
ule, Tellere, i papaveri, il sale, le melagrane, e se vi è altra cosa che spettasse a quella superstizione. Le Tiadi ritira
ano aver seco un’altra sacerdotessa. Le Mimallonidi, lasciando coloro che derivano il loro nome da Mima città dell’Asia, ha
Asia, hanno il nome da (grec), imito, e sono propriamente le Baccanti che imitavano le prodezze virili guerreggiando, e nei
acco, al cui aiuto, secondo Diodoro, le condusse Minerva. Costoro par che possano riconoscersi al vestito corto che s’incon
ndusse Minerva. Costoro par che possano riconoscersi al vestito corto che s’incontra nei vasi. Lene eran tenute dagli antic
), torcolare, onde pure e Bacco leneo, e le feste lenee. Le ministre, che Strabene chiama così, non erano punto ninfe, ma d
i vedeasi la principessa col suo coro scorrere per la reggia nel modo che Euripide descrive Agave nel Citerone. Non è dunqu
o che Euripide descrive Agave nel Citerone. Non è dunque da dubitarsi che quelle nei vasi dipinti dispensan vino, o siano d
classe o ne imitino il ministero: potrian talora sopporsi fra coloro che mescon liquore ancora le Naiadi, che alcuno ha de
trian talora sopporsi fra coloro che mescon liquore ancora le Naiadi, che alcuno ha detto aver temprato coli’ acqua il vino
ate sempre dai Satiri, quasi non convenisse al lor grado altri amanti che semidei. Cinquanta ne conta Igino, cento Virgilio
ta ne conta Igino, cento Virgilio, e tutte paiono addette a Bacco, da che generalmente trovo in Tibullo: Bacco, ama le Naia
Bacco, ama le Naiadi. — Dopo queste notizie chiamerei Naiadi le ninfe che nei vasi antichi vengono attruppate con Bacco coi
che nei vasi antichi vengono attruppate con Bacco coi Satiri: se non che avendo creduto gli antichi che queste divinità on
ttruppate con Bacco coi Satiri: se non che avendo creduto gli antichi che queste divinità onorassero ancora l’Orgie delle M
i. Insegnarono le prime l’uso del vino ed a cantare gli onori del dio che soccorsero contro Licurgo: quindi possono conside
siderarsi come la norma di tutte l’altre Baccanti. Non è inverisimile che si riscontrino nei vasi al vestito seminato di st
particolar distinzione, giacché Bacco l’onorò molto. Tale è la donna che dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella, che
to. Tale è la donna che dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella, che assisa in un toro, che vuol credersi Bacco con co
dà a bere a Bacco presso Tischbein: e quella, che assisa in un toro, che vuol credersi Bacco con corno potorio in mano, le
ommità. E ornato di cornici e di membri intagliati sì nella superiore che nell’estremità iuferiore, e si regge sospeso su q
riore, e si regge sospeso su quattro piedi cavati dal pezzo medesimo, che han forma di quattro alate chimere. La sua superf
ssere stata quella delle Parche nell’Alti d’Olimpia. « I bassirilievi che adornano le quattro facce del monumento cel fanno
rrestri. A questa sorta di divinità era costume ordinario ergere are, che poco si sollevassero dal suolo, e alle quali perc
ripetuta una composizione così famosa e frequente negli antichi marmi che sicuramente ne rappresenta alcuna delle più ammir
ve, è quello cui servono i Fauni con tanto rispetto. « Fulvio Orsino, che lo chiamò Sileno, non avrebbe potuto addur prova
li cimostran Bacco espresso più volte in una simil figura. Il Bellori che lo chiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di
ellori che lo chiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di osservare che i ministri della mensa eran Fauni. « Posate su d’
o sguardo alla principal figura, cui sembra al gesto della man destra che il giovinetto diriga una dell’acclamazioni solite
perta di vasi destinati alla bevanda. « Cinque figure seguono il Dio, che s’affretta a godere di quel licore di cui ha beat
nato. « Fin qui si estendono le tappezzerie, dette aulei peripetasmi, che separano ed abbelliscono il luogo destinato al co
Fauno, sembra portare un’otre sull’omero manco, una Baccante ubriaca, che sostien lentamente colla sinistra un timpano o ta
o, e vien sorretta da un altro Fauno. La statua di Priapo in profilo, che termina dal mezzo in giù a guisa d’erma, ed è pos
a scena, quale appunto amavasi da quel nume pei suoi diporti non meno che per gli arcani riti. « I bassirilievi laterali pr
campagna. Qua, presso un albero, sorge la statua della Speranza: ella che solo può far durare nell’uomo le anticipate fatic
nzione di Bacco. Sostengo il primo una piccola Menade cinta piuttosto che vestita di nebride, l’altra un fanciullo citaredo
, e rivolgono intanto piangenti la faccia altrove, ci muove a credere che funebre fosse la destinazione e l’oggetto del mon
el monumento abbellito con bacchiche rappresentazioni, o per indicare che il defunto iniziato anch’egli a quei venerati mis
rava distinguersi in grazia di ciò dal volgo dei trapassati, o ancora che pur cotento sull’esempio del dio del Vino di una
a poi alla sorte comune d’ogni vivente, non altrimenti d’un convitato che sì levi pago e satollo da ricca mensa. » Il Visc
esposto nelle passate Lezioni tutte le gesta di Bacco; e sui compagni che gli dava la religione pagana ho cercato di portar
e la luce delle congetture aiutata dai monumenti. Non mi resta adesso che a darvi le altre illustrazioni delle statue più c
ranno agli occhi, ne ravvisiate il soggetto, gli attribuiti e le idee che vi univano gli antichi, e tutte le cose, insomma,
buiti e le idee che vi univano gli antichi, e tutte le cose, insomma, che sono l’anima dei monumenti, e che distinguono l’a
antichi, e tutte le cose, insomma, che sono l’anima dei monumenti, e che distinguono l’artista erudito dal volgo degl’igno
gnoranti. Dopo questa serie di memorie avanzate agli sdeigni di colui che muta i regni, nell’interpetrazione delle quali ci
n nuovo linguaggio mercè le opere dei sommi scrittori dell’antichità, che dettarono agli artefici antichi i più sublimi con
stato considerato dagli eruditi con critica sufficiente. Winkelmann, che lo ha pubblicato il primo, non ha bastantemente,
ui volto maestoso e sereno è decorato da una lunga e coltissima barba che gli cade sul petto, artificiosamente sparsa e dis
iente. Insomma è il ritratto stesso assai ovvio nell’antica scultura, che a Platone dai nostri maggiori solea attribuirsi,
tica scultura, che a Platone dai nostri maggiori solea attribuirsi, e che vedesi ripetuto su di tanti ermi. I capelli più d
rte rimane femìnilmente raccolta sul collo e stretta da un’alta benda che gli circonda la testa. La molezza e la grandiosit
o minutamente: è poi avvolto in un pallio del pari ampio e magnifico, che tutta la figura circonda e copre, lasciando fuori
figura circonda e copre, lasciando fuori soltanto il destro braccio, che , da quel che rimane d’ antico apparisce sollevato
nda e copre, lasciando fuori soltanto il destro braccio, che, da quel che rimane d’ antico apparisce sollevato in alto. Il
trovata nei ruderi d’una Villa Tosculana, era situata in una nicchia che veniva da quattro feminili statue sorretta, le qu
monumento un’assai dispendiosa satira al divino filos’ofo. Winkelmann che non die retta a questo parere, dottissimo com’egl
uenze della comune opinione, e tra le altre rilevò quella della barba che il decantato Sardanapalo solea radersi ogni giorn
ppresentato nutrita con gran cura e disposta. Immaginò per tal motivo che spettasse il simulacro ad un più antico e sobrio
ritratto di Platone, assolutamente diverso da’creduti volgaramente, e che si vede nella Galleria di Firenze. L’opinione poi
ione poi di Winkelmann non è affatto probabile, poiché non verisimile che tanti ritratti e simulacri ci sien pervenuti di u
gran pena ed assai dubbiamente da qualche notizia indiretta. Io penso che prima di dar nome alla statua, secondo l’epigrafe
retta. Io penso che prima di dar nome alla statua, secondo l’epigrafe che porta incisa, dovesse considerarsi se la figura s
ta incisa, dovesse considerarsi se la figura stessa ha caratteri tali che possano determinarla ad un argomento incompatibil
del simulacro è per se notissimo, e può dimostrarsi altro non essere che Bacco vecchio e barbato assai familiare nell’anti
sentarci un Bacco barbato, ma per tale confermanla quelle circostanze che più debbono rilevarsi nel simulacro proposto. La
cione. Il numero di quattro corrisponde alla tradizione dell’anonimo, che assegna quattro donne al Nume tebano. La sola cir
videnza del soggetto? Il Nettuno equestre in Atene avea un’iscrizione che gli dava un altro nome, ma che non trattenne Paus
o equestre in Atene avea un’iscrizione che gli dava un altro nome, ma che non trattenne Pausania dal riconoscerlo per Nettu
delle immagini simili con iscrizioni contradditorie? La stessa testa che nel Campidoglio ha il nome greco di Pindaro, nel
Museo Clementine ha quello di Sofocle. Il bassorilievo di tre figure, che in Villa Pinciana ha i nomi antichi di Anfione, d
, come lo provano tanti simili e non equivoci monumenti, l’iscrizione che lo vuol Sardanapalo, quantunque antica non sarà g
te più dopo i tempi degli Antonini. Quindi la buona critica c’insegna che se non debbono avvicinarci l’epoca di un monument
tica c’insegna che se non debbono avvicinarci l’epoca di un monumento che abbia tutti i segni dell’anteriorità, servono per
rvono però a confermarci neiropinione della posteriorità di un’altro, che già ne somministri non leggieri sospetti. Che se
ra, o l’ignoranza r abbia segnata, non esiterei d’ indovinar i motivi che abbiano indotto in errore gli antichi espositori
rrore gli antichi espositori delle più antiche rappresentanze. Sembra che tal sorta di gente si moltiplicasse verso il temp
orta di gente si moltiplicasse verso il tempo degli Antonini a misura che andavano ad offuscarsi le antiche tradizioni. All
andavano ad offuscarsi le antiche tradizioni. Allora fu probabilmente che i possessori gradirono avere scritti i nomi delle
i possessori gradirono avere scritti i nomi delle statue loro. Colui che die alla nostra il nome di Sardanapalo cadde in u
danapalo cadde in un errore conforme a quello dei moderni antiquarii, che hanno dato ad una figura simile il nome di Trimal
delicatezza di questo soggetto, gli hanno attribuito quelle immagini che rappresentano un uom barbato, immerso nei piaceri
dare all’orecchie faunine e alle code delle figure del suo corteggio, che facilmente l’ avrebbero contrasegnato per Bacco.
riconosciuto in quelle rappresentanze, e quindi nella nostra statua, che alla figura di quei tanti bassirilievi perfettame
atue Bacchiche negli attributi forse non differiva. Può congetturarsi che l’errore avesse un ulterior motivo, del che ci av
feriva. Può congetturarsi che l’errore avesse un ulterior motivo, del che ci avrebbe fatti certi la conservazione del destr
lzava la destra colle dita disposte in guisa da fare uno scoppio, col che s’ indicava ciò che schiarivasi dalla sottoposta
e dita disposte in guisa da fare uno scoppio, col che s’ indicava ciò che schiarivasi dalla sottoposta iscrizione, che tutt
col che s’ indicava ciò che schiarivasi dalla sottoposta iscrizione, che tutto fra gli uomini è vanità fuori dei sensuali
ra gli uomini è vanità fuori dei sensuali piaceri; quasi volesse dire che quel rimanente neppur valea quel nulla che indica
iaceri; quasi volesse dire che quel rimanente neppur valea quel nulla che indicava il gesto. Ora una simile attitudine ed e
o esser tali figure di Bacco: la nostra, per avventura, avea la mano, che certamente era levata in alto, appunto in quel ge
l cosa adunque fu allora il confonderla coir immagine dì Sardanapalo, che per quel gesto era nota, e lo scriverne il nome s
e sull’orlo del pallio allontanandosi dall’usanza ordinaria. Per quel che riguarda l’arte, il nostro Bacco barbato è un pez
a quella stupida contentezza di una persona abbandonata a’ piaceri, e che non sente rimorsi. L’aria del volto è però grandi
andi idee. Può dirsi veramente un dio d’Epicuro inebriato ai piaceri, che però non giungono ad alterarlo, e spogliato di tu
io è antico ed è ben diversa dalle consuete: non saprei assomigliarla che a quella di un Bacco barbato, o di un sacerdote s
bianze del nume dipinto su d’un bellissimo vaso. « Le statue feminili che accompagnavano la figura del nostro nume sono all
no farlo considerare, come uno dei più rari monumenti di simil genere che ne’ Musei si conservino. La nascita di Bacco dall
onservino. La nascita di Bacco dalla coscia di Giove è un avvenimento che abbiamo sovente udito ricordare dai mitologi e da
rappresentato Giove femminilmente acconciato e femminilmente gemente, che partoriva Bacco in mezzo alle dee levatrici. Ma q
iva Bacco in mezzo alle dee levatrici. Ma questa pittura convien dire che fosse una specie di parodia d’ altre composizioni
altre composizioni esprimenti il fatto medesimo con tutta la dignità che esigevano la religione, la vetustà del racconto,
gevano la religione, la vetustà del racconto, e forse il senso arcano che i misteri vi aveano congiunto. « Due monumenti di
a patera del Museo Borgiano in Velletri. ambedue inediti e singolari, che comunichiamo al pubblico per la prima volta. « Co
udato. Si appoggia colla manca allo scettro, colla destra alla rocca, che colle del puerperio quindi fu detta. Egli è certa
alla sua tranquillità. Dinanzi a lui s’ inchina alcun poco Mercurio, che ha fatto seno del gomito, e lo ha coperto di una
scente deità, per riceverlo fra le sue braccia, e condurlo alle Ninfe che l’educheranno. Il pargoletto nume si scioglie dal
e fatta da Mercurio a Leucotea. Nè mancano al nostro bassorilievo ciò che Plinio chiamò Dee levatrici: anche qui tre dee as
e qui tre dee assistono al parto di Giove, alla nascita di quel nume, che fu detto l’allegria de’ mortali. Ha il primo luog
te panneggiamento. « Egualmente graziosa e composta è la seconda dea, che non avendo nessun particolar distintivo, sendo lo
da dea, che non avendo nessun particolar distintivo, sendo lo scettro che regge colla sinistra fregio comune d’ogni deità,
denominar Proserpina o Libera, e ciò sì per le sue relazioni col nume che nasce, sì per l’altre più cognite colle deità seg
col nume che nasce, sì per l’altre più cognite colle deità seguenti, che abbastanza vien contrassegnata per Cerere. Aggiun
ità seguenti, che abbastanza vien contrassegnata per Cerere. Aggiungo che quella specie di rete che le raccoglie le chiome
za vien contrassegnata per Cerere. Aggiungo che quella specie di rete che le raccoglie le chiome è la solita acconciatura d
’unione di Bacco e di Proserpina ha motivi meno evidenti, come quelli che nei Misteri soltanto si rilevavano, ma certo è ch
denti, come quelli che nei Misteri soltanto si rilevavano, ma certo è che il culto di queste tre divinità fu congiunto, sì
getti nei monumenti di antiche arti più sovente s’ incontra di quello che le favole, le feste, i simboli, i riti bacchici n
di simile rappresentazione i luoghi dei pubblici divertimenti; o sia che preside delle vendemmie ed inventore del vino, fo
a vita e della felicità dopo la morte degli estinti iniziati: certo è che la metà presso degli avanzi delle arti vetuste so
e adornava, ci offre Bacco nel mezzo dei suoi seguaci. Le nove figure che io compongono sono distribuite sul campo con buon
egregi maestri Greci: hanno, è vero, il minor pregio nell’esecuzione, che non manca però di quella forza e sicurezza di sti
accio da una Baccante, ch’è forse Mete dea dell’Ubriachezza. Il manto che dalle spalle gli cade sulla destra coscia infino
fronte di una fascia, o credemno, il suo petto di un serto d’ alloro che dal sinistro omero scende a traverso insino al de
nsino al destro fianco. D’ un simil serto è cinto il giovin Baccante, che lo sostiene, e Mete dall’altra parte scuote un ti
l’altra parte scuote un timpano, simbolo di quell’ insana compiacenza che accompagna il delirio dell’ebrietà. « Vicino al g
alla manca dei riguardanti, è scolpito l’educatore di Bacco, Sileno, che rattempra al suono della cetra gli affetti del Nu
nare i profani col suono, e i male augurati oggetti con quella forza, che dava allo strepito dei bronzi l’antica superstizi
, la quale è poi seguita da quella di una Menade, o Baccante furiosa, che può sembrare invasa da quella religiosa mania, da
ono il basso del quadro. Que st’ ultimo gruppo è di minor proporzione che non esige il resto delle figure, ed è piuttosto p
elle figure, ed è piuttosto prova della diligenza e della laboriosità che del gusto dell’artefice, il quale dee aver tratto
del Vino allusivi, saranno argomento della presente Lezione. Confido che le illustrazioni di questi monumenti saranno util
to nume, l’ abito del re di Taprobana. Simile per avventura al pallio che avvolge questa statua, o l’altra conosciuta prima
o Plinio stesso il nome di Palla, nome equivalente a quello di peplo, che grecamente qualunque ampio mantello o coltre era
nte qualunque ampio mantello o coltre era proprio a significare, come che avessero poi strettamente lo stesso nome due dive
glio di Giove: onde ne ha il capo cinto persino in quel bassorilievo, che rappresenta il suo nascimento. « E credibile che
n quel bassorilievo, che rappresenta il suo nascimento. « E credibile che in antico si vedessero nelle mani di questa statu
fiala, insegne proprie del nume, come si osservano in varii monumenti che ci presentano immagini di Bacco barbato. Queste i
ano immagini di Bacco barbato. Queste immagini appunto provano ancora che a Bacco stesso, piuttosto che ai suoi seguaci e m
Queste immagini appunto provano ancora che a Bacco stesso, piuttosto che ai suoi seguaci e ministri, debbono attribuirsi s
seguaci e ministri, debbono attribuirsi statue sì fatte. È però vero che in altri monumenti possono supporsi in tal foggia
no: e immagini di numi agresti e del corteggio Bacchico saran quelle, che a guisa di erme e di termini adornarono gli antic
La scultura di questo marmo è diligente, e tratta da buono esemplare, che vi è stato reso con fedeltà ma con una certa dure
, primizie dei campi e oblazione propria di Bacco, nella sua nebride, che pendente dall’omero e raccolta colla manca fa sen
sacrifizi ebbe origine, ove i movimenti usati nelle sacre cerimonie, che presso i Greci eran la più parte liete e ridenti,
ostra statua è commendabile per la sua integrità, non avendo restauro che nelle braccia, e per la grazia e la vivezza dell’
in altra Collezione non sono egualmente conservati. « La somiglianza che accenno è argomento della provenienza di figure s
figure sì fatte da nobile originale, di cui però nelle scarse notizie che ci sono pervenute non trovo memoria, Ninfa bacc
pente Orgio, rettile venerato in quei famosi misteri della Gentilità, che perciò nell’argento asiatico si avvolge attorno a
ti la testa e il seno. Sopra tutto però conviene il serpe alle Ninfe, che oltr’ essere le amiche e le madri dei Satiri e de
antichi Etnici popolata tutta la terra. Il grato mormorio delle acque che persuade sì dolcemente i sonni, sarà stato forse
acque che persuade sì dolcemente i sonni, sarà stato forse il motivo che avrà indotto gli antichi, intesi ognora a rilevar
chi, intesi ognora a rilevare e condire tutte le piacevoli sensazioni che la natura fornisce a decorar le scaturigini delle
tate cervici. A queste eran talvolta soscritti dei gentili epigrammi, che raccomandavano silenzio e quiete per non destarle
e i Baccanali. Un angue striscia pure sul petto di una piccola ninfa, che dorme appoggiata all’urna, simile in atto alla pr
e in atto alla pretesa Cleopatra di questa Collezione, e di un’ altra che è ancor senz’ urna come la nostra, edita fra le s
nazione, e nello stesso tempo dimostra quanto andassero errati coloro che per nobilitare con qualche celebrata avventura la
"vestite appaiano, pure dalla mancanza dell’urna mi sembra verisimile che il soggetto del nostro marmo sia piuttosto r imma
oso Apidano. « E notabile in molti lavori antichi la maggior modestia che si è usata nel vestiario delle figure, quando sot
utamente eseguita di tutto rilievo; ma tranne le estremità e le parti che risaltano e sono quasi isolate, il resto del corp
ti che risaltano e sono quasi isolate, il resto del corpo è più basso che non sarebbe nel vero, e trattato quasi di mezzo r
di mezzo rilievo. Una tal pratica mai da me non osservata in immagini che non possono credersi appartenenti a sepolcro, mi
mmagini che non possono credersi appartenenti a sepolcro, mi persuade che tal fosse il destino della presente scultura: il
lle Ninfe, avranno anche avuto relazione alla superstiziosa credenza, che molto quei misteri e quelle cerimonie avessero di
o il nutritore di Bacco dalla torma dei Fauni, e le striscie di cuoio che stringe nella manca trattengono alcun poco lo sgu
riscie, colle quali nelle licenze di quei giuochi percuotevano quelli che incontravano, specialmente le donne che speravano
i giuochi percuotevano quelli che incontravano, specialmente le donne che speravano riportarne fecondità. Quindi Silio Ital
i il labaro degl’imperatori cristiani, cioè un drappo quasi quadrato, che pende da ambe le parti di un bastone incrociato n
e da un passo di Plinio rilevarsi come invenzione di Bacco. « Acrato, che vuol dire vin puro, è, come io penso, rappresenta
be le mani corone di fiori secondo il costume de’ banchetti. La donna che presso al cocchio par che lo guardi con af fetto,
secondo il costume de’ banchetti. La donna che presso al cocchio par che lo guardi con af fetto, è forse Nisa, la sua nutr
co altare. Innanzi un Fauno ed una Canefora, cioè una di quelle donne che portavano nei canestri le primizie delle frutta c
asfuse le imprese di Sesostri, o d’ altro antichissimo conquistatore, che l’Oriente fosse la patria di quell’uomo singolare
conquistatore, che l’Oriente fosse la patria di quell’uomo singolare che insegnò ai Greci tante arti ignote, ed introdusse
da quelle contrade come il ritorno trionfale di un capitano sì prode, che non trovò altri emuli delle sue gesta, se non che
capitano sì prode, che non trovò altri emuli delle sue gesta, se non che , molti secoli dopo, Alessandro e Pompeo. « Il sog
tà. L’abito barbarico dei prigionieri, e pili l’elefante, ci additano che l’azione è nell’Indie, famosa conquista di Bacco.
nell’Indie, famosa conquista di Bacco. « Son tre Fauni e due Baccanti che conducon via un elefante, su cui è avvinto un pri
icolarmente degli Orientali, è distinto dalla lunga inanellata chioma che , secondo il costume indico, non dovea mai recider
onosciuto gli antichi naturalisti anche un genere di minori elefanti, che dicevano avvezzi nell’India a trarre l’aratro, e
minori elefanti, che dicevano avvezzi nell’India a trarre l’aratro, e che spurii appellavansi. « Segue una coppia d’altri p
sorilievo è dei men comuni fra i ‘soggetti Bacchici. Non esprime quel che la maggior parte, i tiasi cioè le orgie, i triete
quel che la maggior parte, i tiasi cioè le orgie, i trieterici, feste che si facevano ogni tre anni in onore di Bacco, altr
ltre solennità Dionisiache, ma una delle più famose favole fra quelle che alla storia appartengono di questo nume. ch’egli
sto nume. ch’egli s’invaghisse di Arianna abbandonata già da Teseo, o che a forza e con naval certame gliela togliesse, tut
la figlia di Minosse e di Pasifae. Parecchie sono le antiche sculture che ci presentano il domatore delle Indie nel sorpren
lle Indie nel sorprendere la tradita Cretense, poche però, o nessuna, che ci ofirano, come il presente bassorilievo, la pom
1’ ebro Sileno, i cui cembali caduti al suolo sono il primo oggetto, che nel marmo ci si presenti. Un altro Fauno segue sa
ltro Fauno segue saltando ad onta del non lieve peso del gran cratere che sostiene con ambedue le mani sugli omeri in assai
rato dalle pantere segue la sposa involta da quel gran peplo, o velo, che poi dai Latini si disse flammeo. Un giovinetto Ba
tale. Amore è mezzo seduto sulla groppa d’una delle pantere, e sembra che la governi, « I pettorali, o phalerɶ delle fiere,
giace in seno di una dea seminuda, velata anch’essa come la sposa, e che serve di pronuba a queste nozze. Se costei sia Ve
e greco non disdice la nudità; se finalmente Giunone dea delle Nozze, che ad onta dell’antica gelosia e del primiero odio c
posizione però è la più verisimile, come fondata sulla favola stessa, che fa intervenir Ciprigna a queste nozze, e donò all
a intervenir Ciprigna a queste nozze, e donò alla sposa quella corona che fu poi riposta fra le stelle. Un Fauno veduto qua
ncora osservata la figura del Fauno coli’ otre. L’ artefice per altro che ha eseguito nello stile solito dei sarcofagi sì b
ssorilievo, ha reso alcuni oggetti con sì poca esattezza o correzione che non s’intendono abbastanza. « La positura di Cupi
o correzione che non s’intendono abbastanza. « La positura di Cupido, che parte siede sulla pantera, parte striscia i pie s
dell’artefice. Non è figura, ciò non ostante, in questo bassorilievo, che studiata e corretta non possa divenir degna di qu
diata e corretta non possa divenir degna di qualunque nome più grande che illustrasse a quegli aurei secoli le Belle Arti. 
ona. Altri monumenti bacchici. Questa Lezione é l’ultima di quelle che trattano della teologia mitologica, ed altri monu
mitologica, ed altri monumenti Bacchici vi sono illustrati. La strada che dobbiamo calcare diviene adesso più dilettevole.
più dilettevole. Il primo soggetto della Mitologia storica è Giasone, che col fior della Grecia ardisce violar l’onde non t
. Seguendo il mio costume vi esporrò quelli fra gli antichi monumenti che riguardano questa famosa impresa. Vi prego di acc
o del suo artifizio. E il più evidente monumento della stretta unione che riconosceva la pagana mitologia fra questi due fi
mitologia fra questi due figli di Giove, Ercole e Bacco. L’antichità che gli considerava come Dei soci, o secendo la frase
eroi divinizzati molte maniere di rassembrarsi. Sono accennate presso che tutte in questo greco epigramma: Ambo Tehani, am
e monete romane coli’ epigrafe: Agli Bei Auspici. Le medaglie provano che questa venerazione indivisa ad Ercole e Bacco per
ero romano anche nel regno di Caracalla. « Mi sembra assai verisimile che il nostro bas sorilievo eziandio ne sia un monume
andio ne sia un monumento, e ciò non tanto per la bassezza dell’arte, che si sostenne ancora a quei tempi con qualche decor
uanto perchè vi osservo prodigamente impiegato il lavoro del trapano, che appunto vedesi usato con sì poco risparmio nell’a
emplice, si regge in pie sulla groppa del Centauro a destra. Un Fauno che suona un simile istrumento e una Vittoria che sol
auro a destra. Un Fauno che suona un simile istrumento e una Vittoria che solleva un trofeo scorgono tra le are coronate fr
amente siede sulla spoglia del leone, e alzando colla destra la clava che appoggia all’ omero, abbraccia colla sinistra Bac
ra, gl’intagli del giogo rappresentanti delfìni, mostrano ad evidenza che il cocchio a Bacco appartiene, quantunque ì Centa
di stucco arricchito di greche epigrafi, già Farnesiano, ora Albano, che ha per soggetto l’apoteosi di quest’ultimo. Egli
leone abbracciando una gran tazza da bere in m’ezzo a Satiri e Fauni, che gli recano in grembo, quasi traendola a forza, gi
i cerimonie mostrò, mentre visse, non ordinaria venerazione. Quindi è che si adornin sovente della sua effige le pompe dei
ione ò così felice, la cui espressione sì vera, le cui parti sì belle che può estimarsi uno dei più eccellenti ohe sian mai
bene con quella nobiltà d’idee, eh’ è pur l’anima delle antiche arti, che poco ha in ciò di comparabile, forse nulla di sup
e del suo corpo, dall’abbigliamento rusticano e disordinato, è quello che nel bassorilievo sembra muovere scompostamente, b
i acclamazione e di accompagnare col gesto i clamorosi Evoè. Il tirso che gli dovea servir di sostegno, non è più in suo po
d accresce l’imbarazzo della sua situazione: mentre un altro Faunetto che il segue, veduto di profilo, cerca distrigarlo da
uleata, in cui soltanto ha il destro braccio inserito, ed un palliolo che tien ravvolto al sinistro. « Il tirso, sfuggito d
la piramidal forma del gruppo intero. L’otre già lento e quasi vuoto che scende colla bocca sossopra dall’omero manco del
i quei gran tini appellati dai Romani lacus, e anche labra dai Greci, che servivano alla vendemmia. L’ orlo superiore adorn
rvivano alla vendemmia. L’ orlo superiore adorno di bellissimi ovoli, che sembrano averlo terminato senza coperchio: le due
e e capaci sembrano richiamarlo ad uso campestre e Bacchico piuttosto che al sepolcrale, e caratterizzarlo per monumento de
rlo per monumento del lusso dei predii rustici e delle antiche ville, che contrastavano colle fabbriche più grandiose delle
dieci figure maggiori rappresentano cinque Fauni con cinque Baccanti, che intrecciano insieme quella danza ebra e scomposta
. Sì varie, sì eleganti, sì ben composte sono le figure dei danzatori che possiamo ravvisarvi con sicurezza copie ed imitaz
positura dell’ultimo, verso la destra dei riguardanti, è la medesima che di un’elegantissima statuetta in bronzo dell’Erco
nque coronati la testa di pino, egualmente dalle sue capillate frondi che dalle piccole pine o coni contrassegnato. « Era q
crine di corone d’oro imitanti le foglie di pino. Le spoglie di fiere che hanno intorno alle membra non son già nebridi, ma
nsì sulle punte dei piedi in movimento di danza concitata e violenta, che al gettar la testa indietro in alcuna, in tutte a
in leggiadrissimo atto solleva soltanto le falde di un breve ammanto che le s’inarca dietro le spalle. La tunica spartana
el tutto ignuda nel rimanente; la quarta sembra eseguir quella danza, che diceasi cernophoros sostenendo il vaglio mistico
inistra, dentro il quale apparisce il Fallo velato. « L’ultima fìgura che sembra la corifea del Triaso, è forse Nisa nudric
compariva nella pompa Alessandrina su d’un carro nell’abito medesimo che qui vediamo, e si rizzava in piedi spargendo latt
h’ era nella sua destra e tornava di tempo in tempo a sedersi. Se non che la nostra figura invece del tirso ha una gran fac
gran face nella manca, arnese ugualmente proprio delle feste di Bacco che di quelle di Cerere. « I teschi dei capri scolpit
nel terrazzo alludono ai sacrifizi costumati nelle vendemmie: i Genii che cavalcano le pantere son genii Bacchici, e le due
ran teste di leone ci ricordano i rapporti Dionisiaci di questa fiera che , sacra alla madre degli Dei, passò nelle solennit
ti nella sua tragedia intitolata Le Baccanti la modestia e la decenza che queste seguaci di Bacco sapevano conservare nel f
are alla loro opera un vezzo maggiore, di rappresentare piuttosto ciò che accadeva talvolta ne’ Baccanali contro l’intenzio
accadeva talvolta ne’ Baccanali contro l’intenzione degl’istitutori, che il men licenzioso e più ordinario costume: perchè
Baccante di questo bel bassorilievo è quasi del tutto ignuda, se non che ha rigettato con neghgenza un ammanto sull’omero
timpano inventato dai Corjbanti, ch’ella ha nelle mani, e colla tibia che ispirano i suoi compagni. Un flauto è alla bocca
ca del Fauno abbigliato della spoglia di una pantera, e il Satiretto, che viene appresso, è ancora in atto di dar fiato a u
cora in atto di dar fiato a un’altra tibia. L’altro Satiro fanciullo, che la precede, sembra intento anch’ esso a trar suon
nome di tibia otricularia, cioè tibia coll’otre. « Il suolo sassoso, che serve di terrazzo alla composizione, ci richiama
o di frequentatore di montagne, dato a Bacco dai Poeti per dimostrare che le solennità delle sue rumorose orgie sui monti p
acro costume si celebravano. Fauno Bambino. « Uno dei più bei putti che abbia saputo l’arte ritrarre, è certamente il par
l’arte ritrarre, è certamente il pargoletto Fauno coronato di edera, che seduto a terra con espressione maravigiiosa di av
membra sono rotonde, quanto in soggetto simile debbono esserlo, senza che perciò sien gonfie ed esagerate, le forme tutte s
del putto è tutta pròpria del suo carattere, giacché la piccola coda, che se gli attorce sotto le reni, ce lo indica un Fau
miglianza col nostro putto, ma ne toglie ogni dubbio la coda faunina, che appare senza equivoco nell’originale, quantunque
appare senza equivoco nell’originale, quantunque omessa nelle stampe che ne sono state pubblicate finora. Darò fine all’i
stesso alla Mitologia Teologica con queste tre ottave del Poliziano, che la dolente Arianna e il corteggio del dio del Vin
Arianna Con le sorde acque di Teseo si dole, E dell’aura e del sonno che la inganna. Di paura tremando, come suole Per pic
Di paura tremando, come suole Per piccol ventolin palustre canna. Par che in atto abbia impresso tai parole: Ogni fiera di
e di pampino Coperto Bacco, il qual duo tigri guidano, E con lui par che l’alta rena stampino Satiri e Bacchi, e con voci
i e Bacchi, e con voci alle gridano; Quel si vede ondeggiar, quei par che inciampino, Quel con un cembal bee, quei par che
ondeggiar, quei par che inciampino, Quel con un cembal bee, quei par che ridano, Qual fa d’un corno e qual della man cioto
già pubblicata dal Professore Atto Vannucci. — Dobbiamo esser certi, che ancora degli ultimi avanzamenti negli studj di Mi
ne di Numerio intorno al racconto di Mosè sulla creazione, ove dicesi che lo spirito di Dio era portato sopra l’acque, narr
ne, ove dicesi che lo spirito di Dio era portato sopra l’acque, narra che le divinità egiziane non posavano sopra un fondo
giziane non posavano sopra un fondo stabile, ma bensì sopra una nave; che non solamente il sole, ma eziandio le anime, seco
ell’antichità. Nella Villa Ludovisi vi ha una piccola Iside di marmo, che tiene sopra una nave il pie sinistro; e sopra una
osa i piedi un’ altra figura nella Villa Mattei, dove Winkelman crede che il culto egizio si esercitasse. Quello che più, s
ttei, dove Winkelman crede che il culto egizio si esercitasse. Quello che più, secondo il medesimo, comprova questa idea, s
Callimaco può averne somministrata l’idea. Vedi l’Inno sopra Apollo, che si legge in fine della Lezione Decimaquinta. 14.
er antico un Amorino nel cortile del palazzo del cavalier Alessandri, che mi assicurò reputarlo tale anche il celebre Canov
ali, eran specie di stivaletti propri di chi frequentava la campagna, che difendevano i piedi, e parte della gamba meglio c
tava la campagna, che difendevano i piedi, e parte della gamba meglio che non facessero i calceamenti ordinari.
3 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
olti libri sulla Mitologia, ma pochi se ne trovano, a nostro credere, che convengano ai giovani e la lettura dei quali sia
e profitto. Peccano gli uni di prolissità la quale ad altro non serve che a confondere le loro menti, e nulla posson appren
son apprendere dall’arida nomenclatura di tanti altri ; inconvenienti che ci siamo sforzati d’evitare in questo libro, in c
rzati d’evitare in questo libro, in cui si è procurato di non parlare che di articoli interessanti e creduti indispensabili
e fatta in termini così misurati dal lato della morale e del costume, che questo libro potesse girare tra le mani de’ giovi
si è fatto, in alcune particolarità e col togliere il velo allegorico che copre alcune favole si è avuto in animo di dare u
in questo Compendio sono state aggiunte per corredo a quest’operetta, che speriamo vedere per vari titoli preferita ad altr
itoli preferita ad altre di simil genere. Desideriamo poi soprattutto che questa nostra fatica possa esser di qualche utili
ad essi conoscere le finzioni dei poeti, di scoprir loro le ricchezze che da più di tremila anni asconde questa perenne min
di quegli stessi Dei a noi rappresentati come inferiori agli uomini e che non sono da paragonarsi a quei filosofi che tanti
e inferiori agli uomini e che non sono da paragonarsi a quei filosofi che tanti diritti si sono acquistati alla riconoscenz
versato delle lagrime, potranno ben tosto asciugarle quando sapranno che Saturno non fu mai padre sì snaturato per divorar
e Saturno non fu mai padre sì snaturato per divorare i propri figli ; che Giove non fu un figlio ingrato, nè un Dio mille v
figlio ingrato, nè un Dio mille volte più colpevole degli scellerati che fulminò dall’ Olimpo. Se a caso non s’avvedessero
egli scellerati che fulminò dall’ Olimpo. Se a caso non s’avvedessero che gli autori di queste allegorie hanno avuto in mir
e hanno avuto in mira d’istruire i popoli mentre questi non credevano che di divertirsi ; se giugnessero a credere che ques
tre questi non credevano che di divertirsi ; se giugnessero a credere che questi sono racconti puerili nati nel seno dell’i
oranza e della barbarie, diremo loro : « No non furono barbari quelli che inventarono le favole della Mitologia, ma geni ch
ono barbari quelli che inventarono le favole della Mitologia, ma geni che infiammati da un fuoco divino, riscaldati dalle b
il loro cuore, e lo guidavano alla pratica del bene. » Diremo loro che la poesia sarebbe spoglia de’ suoi ornamenti senz
ondo il precetto oraziano avvicinarsi alla pittura. Il Tasso per dire che Rinaldo aveva un aspetto avvenente e guerriero co
volto, Marte lo stimi ; Amor, se scopre il volto. Che bell’effetto e che forza aggiungono all’ espressione del poeta i due
espressione del poeta i due nomi Marte e Amor ! Diremo loro inoltre che senza la Mitologia a nulla si ridurrebber le bell
rebbe ai capi d’opera di pittura e di scultura ; gli ornamenti stessi che abbelliscono le città ov’essi son nati apparirebb
’essi son nati apparirebber agli occhi loro di niun valore ; e giunti che saranno all’età di poterne conoscere il merito s’
nti che saranno all’età di poterne conoscere il merito s’accorgeranno che la trascuratezza di questo studio ha esposto i pi
ostri tempi scritto in difesa della Mitologia contro una nuova scuola che condanna altamente e dispregia questa maniera di
oi errori(1) : Audace scuola boreal, dannando Tutti a morte gli Dei, che di leggiadre Fantasie già fiorîr le carte argive
nimato nel mondo in acconcio della poetica invenzione. Tempo già fu, che , dilettando, i prischi Dell’apollineo culto archi
eria e la terrestre Uno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo. Tutto avea vita allor, tutt
ltro al Sol converso Una Ninfa, a cui nocque, esser gelosa. Il Canto che alla queta ombra notturna Ti vien sì dolce da que
egnamente offesa. Quel lauro onor de’ forti e de’ poeti, Quella canna che fischia, e quella scorza Che ne’ boschi Sabei lag
a l’odoroso pianto(1). Così chiuse poi il discorso con alcuni versi che si potrebbero dire un Inno di vittoria cantato in
di tue figure implora, Onde mezzo nascosa e mezzo aperta, Come rosa che al raggio mattutino Vereconda si schiude, in più
e le spiche e i fiori e l’erbe E le rugiade e tutte alfin le cose (Da che fur morti i Numi, onde ciascuna Avea nel nostro i
, non più mosse da Dive Intelligenze, ma dannate al freno Della legge che tira al centro i pesi : Potente legge di Sofia, m
Igiea, Ebe, il Destino, ecc. Semidei chiamavansi propriamente quelli che avevano per padre un Dio o una Dea per madre. Sem
er padre un Dio o una Dea per madre. Semidei si dissero pure gli eroi che distinti si erano con qualche grande azione e che
ssero pure gli eroi che distinti si erano con qualche grande azione e che ebbero l’onore degli altari innalzati loro dulla
ano alcuni una classe particolare degli esseri intellettuali e morali che furono divinizzati, come la Fortuna, la Mente, l’
ome la Fortuna, la Mente, l’Onore, ecc. La più generale divisione poi che fucevasi una volta degli Dei era in celesti, terr
e in tre classi di Dei Inferiori, Dei Superiori e Semidei come quello che è il più seguito, scostandoci nulladimeno qualche
ccennata nomenclatura. Abbiamo parlato anche brevemente dei sacrifici che si facevano agli Dei, degli Oracoli, delle Sibill
agli Dei, degli Oracoli, delle Sibille, ecc., onde nulla tralasciare che possa viemeglio facilitare ai giovanetti lo studi
Oceano e Teti di cui furon figli Taumante padre d’Iride e delle Arpie che altri fanno figlie di Nettuno e della Terra ; e f
rra ; e furon pur figli di Urano e della Terra Nereo e Doride o Dori, che generarono le Ninfe, tra le quali fu rinomata Gal
a Saturno dietro le preghiere di sua madre Tellure, a condizione però che il fratello Saturno non alleverebbe figli maschi 
on alleverebbe figli maschi ; e questi divorava i suoi figli a misura che nascevano. Tuttavia Rea o Cibele sua moglie trovò
rato poscia da Giove cresciuto in età. Avvertito Saturno dal Destino che Giove un giorno gli avrebbe tolto l’inspero, tram
la facoltà di conoscere le cose passate e le future, per cui si disse che Giano aveva due facce, una per conoscere il passa
Saturno arrivò in Italia, i costumi di quegli abitanti erano sì puri che quel tempo fu chiamato età dell’oro. Si rappresen
mente e distrugge ogni cosa. Gli siodà anche là figura di un serpento che si morde la coda, simbolo della perpetua rivoluzi
a, simbolo della perpetua rivoluzione dei tempi. L’orologio a polvere che gli si vede a canto indica la rapidità di questa
Dei, Dindimea, Idea e Berecinzia ; appena nata fu esposta alle fiere che n’ebbero cura e la nutrirono. Essa ha gli stessi
ritarsi. Se per negligenza di alcuna il fuoco sacro si estingueva, il che avevasi per funestissimo augurio, ella era dal po
, e sepolta viva in una stanza sotterranca a ciò costrutta nel campo, che dicevasi scellerato. Si crede da alcuni che il fu
ciò costrutta nel campo, che dicevasi scellerato. Si crede da alcuni che il fuoco sacro così detto fosse il lume delle lam
così detto fosse il lume delle lampade accese nel tempio di Vesta, e che se si estinguevano, la Vestale, per la cui incura
ccola in mano e con una patera, per ispargere profumi sul fuoco sacro che si manteneva contínuamente ne’ suoi templi. Il pi
o che si manteneva contínuamente ne’ suoi templi. Il pino è la pianta che le si consacrava. Vesta ha dato il suo nome ad un
ati anche Nettuno e Plutone. Rea consegnò Giove ai Cureti o Coribanti che lo condussero in Creta ove fu allattato dalla cap
tea. Cresciuto in età e venuto in cognizione della sua nascita chiese che Saturno lo riconoscesse erede. Titano ignaro dell
berò suo padre e lo rimise in trono. Ma informato Saturno dal Destino che Giove era nato per dar leggi all’universo, attent
agne da essi ammonticchiate. Dopo questa vittoria Giove più non pensò che agli amori ed ebbe un infinito numero di concubin
hiusa Danae da cui ebbe Perseo ; sotto le forme di cigno sedusse Leda che fu madre di Castore e Polluce, di Elena e Clitenn
e n’ebbe Minosse e Radamanto ; trasformato in Satiro sorprese Antiope che fu madre di Ansione e di Zeto. Prese la figura di
lo creò suo coppiere in vece di Ebe. Giove era la divinità dei pagani che lo riguardavano come il padrone assoluto di ogni
i da esso abitati. Quello di Olimpico era il principale perchè dicesi che facesse dimora colla sua corte sul monte Olimpo i
e. Magnifici templi gli furono elevati per tutto il mondo. La vittima che si offriva a Giove nei sacrifici era un bue biano
o, la folgore nell’altra, l’aquila ai piedi e Ganimede a lato. Quelli che toglier vogliono il velo della favola, dicono che
mede a lato. Quelli che toglier vogliono il velo della favola, dicono che Saturno fu re di Creta ; che fu spogliato del reg
er vogliono il velo della favola, dicono che Saturno fu re di Creta ; che fu spogliato del regno da’ suoi figli com’egli ne
ato del regno da’ suoi figli com’egli ne aveva privato il padre suo ; che nella divisione essendo toccata a Giove la parte
o il primo re del cielo, dell’inferno il secondo, del mare il terzo ; che molti ebbero il nome di Giove, ed avendo abusato
ttribuiti ad un solo, e ornati colle favole delle trasformazioni ; ma che per la pioggia d’oro intender si deve l’oro col q
e l’oro col quale Giove corruppe i custodi di Danae, pel toro la nave che aveva l’insegna del toro colla quale rapì Europa,
essendo stato riconosciuto, ella si decise di ascoltarlo a condizione che la sposasse. Questa Dea superba e vendicativa spo
tta del marito e perseguitò mai sempre le concubine di lui ed i figli che da quelle egli aveva. Contro Io figlio di Inaco r
ta in vacca per nasconderla alla moglie. Insospettita Giunone di quel che era, la chiese in dono, ed ottenutala la mise sot
iese in dono, ed ottenutala la mise sotto la guardia del pastore Argo che aveva cento occhi, ed essendo questi stato ucciso
occhi, ed essendo questi stato ucciso per ordine di Giove da Mercurio che lo avea indormentato prima col suono della zampog
tica forma fu adorata sotto il nome di Iside, e partorì Epafo od Api, che da’ medesimi Egiziani veneravasi sotto la forma d
rsie al figlio di quest’ ultima, Ercole, ed a molti altri. Ma vedendo che Giove non le dava retta, si ritirò in Samo, ove d
quale stava magnificamente addobbata una statua, facendo pubblicare, che quella era Platesa figlia di Asopo ch’ ei voleva
re Enea colle sue navi ; ma Enea fu protetto da Venere. Avendo saputo che Giove senza di lei aveva posto al mondo Pallade,
Sua messaggiera e ministra era Iride figlia di Taumante e di Elettra, che fu cangiata in arco baleno da Giunone per compens
cangiata in arco baleno da Giunone per compensarla delle buone nuove che le arrecava continuamente. In Argo, Samo e Cartag
l pavone ai piedi, o sopra d’un cocchio tirato da’ pavoni. I filosofi che prendono Giove per l’aria più pura o l’etere, rig
ll’agricoltura : e di servirsene. Avendole la ninfa Aretusa palesato che il rapitore di Proserpina era stato Plutone, Cere
di Proserpina era stato Plutone, Cerere ricorse a Giove per ottenere che le fosse restituita, ed ebbe da lui promessa di r
n cibo. Ascalafo figlio di Acheronte e della Notte avendo manifestato che Proserpina avea colto nei giardini di Plutone una
fo in barbagianni. Giove per alleviare il dolore di questa Dea ordinò che Proserpina passasse sei mesi colla ma dre e gli a
a ; i Greci riconoscenti istituirono in onore di questa Dea una festa che si celebrava colla più grande magnificenza in Ele
tenuto a rigoroso segreto, cui era sommo delitto il manifestare. Pare che i Greci abbian tolto questa festa dagli Egizi per
an tolto questa festa dagli Egizi perchè i misteri cleusini non erano che una imitazione di quelli di Iside, la stessa cosa
usini non erano che una imitazione di quelli di Iside, la stessa cosa che Cerere per quanto sembra. Le furono innalzati de’
nemente sotto le forme di una bella donna di statura alta e maestosa, che ha il seno abbondante, un bel colorito, gli occhi
sta coronata di spiche e di papaveri, piante fecondissime, e la veste che le cade fino a’ piedi sparsa di spiche e di papav
chè Giove era riescito a fargliene mangiare per conciliarle il sonno, che l’afflizione pel ratto di Proserpina, le avea fat
ologi ed i poeti però non s’accordano su la storia di questa divinità che confondono con Cibele. Da questa Dea ha preso il
stato annunciato dall’oracolo ch’essa dovea divenir madre d’un figlio che avrebbe l’impero dell’universo, egli inghiottì la
ettuno per dare il nome alla città fabbricata da Cecrope, e fu deciso che chi avesse fatto nascere una cosa più utile di un
nore. Percosso il terreno da Nettuno col tridente ne uscì un cavallo, che dicesi essere il Caval Pegaso ; Minerva percuoten
ra è figlio di Giunone. Questa Dea, come si è già detto, indispettita che Giove avesse fatto da sè solo Pallade o Minerva,
cognizione, le promise di insegnarle il desiderato segreto, col patto che nol palesasse ad alcuno ; le additò poi un fiore
il quale una donna sedendo concepiva immediatamente ; e dicesi di più che al solo toccarlo bastasse ad una donna per diveni
r madre. Giunone fece quanto le aveva Flora insegnato e partorì Marte che chiamò Dio della guerra e che destinò a presieder
e aveva Flora insegnato e partorì Marte che chiamò Dio della guerra e che destinò a presiedere alle battaglie. Marte amò pa
on una falce da Saturno, da Giove e da Dione come opinano molti. Pare che molte Veneri sieno state annoverate nella storia,
o molti. Pare che molte Veneri sieno state annoverate nella storia, e che le dissolutezze di molte donne di questo nome sia
molte donne di questo nome siano state attribuite ad una sola. Dicesi che appena nata le Ore cui incombeva di educarla, la
rla, la portarono in cielo, ove fu trovata sì bella da tutti gli Dei, che tutti vollero sposarla ; ma Giove la diede a Vulc
i fulmini in occasione della guerra coi Giganti. Dicono altri invece che Giove colto dalla bellezza di Venere, ne divenne
invece che Giove colto dalla bellezza di Venere, ne divenne amante e che non avendo potuto essere corrisposto, ne trasse v
r fondarvi un nuovo regno dopo l’eccidio di Troia. Amò il bello Adone che fu ucciso da un cignale. Venere aveva un cinto de
Adone che fu ucciso da un cignale. Venere aveva un cinto detto ceste che inspirava infallibilmente la più viva tenerezza.
prestarglielo ; la Dea di Citera glielo offrì all’istante dicendole, che poteva tutto compromettersi da Giove perchè stava
llezza, le diede il pomo d’oro, contrastatole da Giunone e Pallade, e che la Discordia aveva gettato sulla mensa alle nozze
a tra le Dee. Questa Dea presiedeva ai matrimoni ed a tutti i piaceri che traggon il principio dalla tenerezza. Le sue fest
, in Pafo, in Gnido, in Citera e in Cipro. E più famosi sono i templi che in questi paesi le si innalzarono. L’infinito num
esti paesi le si innalzarono. L’infinito numero di statue e di templi che furono eretti in onore di lei, le fecero dare una
etti in onore di lei, le fecero dare una quantità di soprannomi. Quei che più comunemente le vengon attribuiti sono Citerea
monte Ida in Cipro, Acidalia dal fonte Acidalio in Beozia ove dicesi che colle Grazie usasse di lavarsi soventi. Volle che
n Beozia ove dicesi che colle Grazie usasse di lavarsi soventi. Volle che le si consacrasse la colomba, perchè la ninfa Per
da lei amata fu convertita in colomba da Cupido, poichè in una sfida che questi ebbe con Venere a chi sapeva coglier più f
lberi le era dedicato il mirto. Fra i fiori le si consacrava la rosa, che di bianca qual era prima si disse cambiata in ros
estimonio dei patimenti della madre concepì tant’odio pel matrimonio, che ottenne da Giove per sè e per la sorella sua Mine
Si riconosceva pure per la Dea della castità, ed era tanto vergognosa che converse Atteone in cervo per averla rimirata in
e scacciò per questo Calisto perchè si era lasciata sedurre da Giove, che aveva vestite le sembianze della stessa Diana.  
e sembianze della stessa Diana.   Diana   Pretendesi nondimeno che amasse il pastore Endimione, che scendesse più vo
  Diana   Pretendesi nondimeno che amasse il pastore Endimione, che scendesse più volte di notte dal cielo per venir
one, che scendesse più volte di notte dal cielo per venir a vederlo e che avesse da lui cinquanta figli. Il dio Pane ed Ori
rlo e che avesse da lui cinquanta figli. Il dio Pane ed Orione vuolsi che sieno stati amanti corrisposti di Diana ; e che a
Pane ed Orione vuolsi che sieno stati amanti corrisposti di Diana ; e che anzi ella uccidesse il secondo per gelosia, non p
che anzi ella uccidesse il secondo per gelosia, non potendo soffrire che amasse la bella Aurora. Se non era più saggia del
almeno più riservata. Andava continuamente alla caccia, e non abitava che nelle selve, accompagnata da’ suoi cani. Fu sempr
fa prova. Si uccidevano in onor suo nella Tauride tutti gli stranieri che la tempesta gettava su quelle coste. I Satiri, le
in atto di lanciare un dardo. Porta i coturni alle gambe ed ai piedi che son per altro nudi ; come porta scoperta la parte
’isola e dal monte ov’era nata aveva in Efeso il più magnifico tempio che si fosse mai veduto ed annoverato fra le sette ma
n cui nacque Alessandro il Grande, 366 anni avanti G. C. da Erostrato che non trovò altro mezzo di tramandare il suo nome a
nsegnato a certi pastori d’Arcadia perchè ne avessero cura. Cresciuto che fu in età sposò Anfitrite figlia dell’Oceano e di
andò un delfino il quale fu sì abile nell’eseguire la sua commissione che persuase Anfitrite a sposare Nettuno ; e questi p
io a lui renduto, lo collocò fra gli astri ove forma la costellazione che porta il suo nome. Si pretende che abbia avuto un
i astri ove forma la costellazione che porta il suo nome. Si pretende che abbia avuto un infinito numero di amanti per le q
convenuto premio a Nettuno, esso lo punì mandandogli un mostro marino che devastò tutto il paese. Questa favola trae origin
a tirato da cavalli marini o tritoni con un tridente in mano. Vuolsi che abbia avuto più di cinquanta figli. Figlie di Net
glie di Nettuno e della Terra erano le Arpie, mostri alati e malefici che portavano la carestia in tutti i luoghi per cui p
no, rapivano le vivande su le tavole e spargevano un odore sì fetente che non si poteva avvicinarsi a tutto ciò che non ave
rgevano un odore sì fetente che non si poteva avvicinarsi a tutto ciò che non avean seco portato. Non valeva lo scacciarle,
none le mandò per infettare e rapire le vivande dalla tavola di Fineo che aveva cortesemente accolto Enea. Zete e Calai fig
e Celeno. Alcuni le prendono per un prodigioso numero di cavallette che dopo avere devastato una parte dell’Asia minore,
cacciate dai figli di Borea. Altri riconoscono nelle Arpie dei pirati che facevano delle frequenti discese negli stati di F
pocrene e del Permesso, ove pascolava ordinariamente il Caval Pegaso, che loro serviva di cavalcatura. Riguardo alla sua na
o, che loro serviva di cavalcatura. Riguardo alla sua nascita, dicesi che Latona sua madre, perseguitata dall’implacabile G
nell’isola Ortigia o Delo, allora natante e ch’egli poi rese ferma, e che ivi diede alla luce i due suoi figli.   Apoll
ivi diede alla luce i due suoi figli.   Apollo   Il primo uso che Apollo fece delle sue frecce, nel lanciar le qual
isuscitato Ippolito, Giove lo fulminò, istigato a ciò fare da Plutone che vedeva pel sapere di Esculapio diminuirsi il nume
uirsi il numero de’morti. Furioso per questo Apollo ammazzò i Ciclopi che avevano somministrato i fulmini al padre degli De
Tessaglia, del cui gregge fu fatto custode ; ed è per questa ragione che venne onorato come Dio de’pastori. Mercurio venne
apirgli le gregge, e mentre cercava il suo arco e le frecce, s’avvide che nel momento stesso gli erano state anche quelle i
idonò la divinità ad Apollo e lo richiamò in cielo. Pretendono alcuni che durante il suo soggiorno sulla terra egli inventa
ulla terra egli inventasse la lira, ma credesi con maggior fondamento che gli fosse data da Mercurio in cambio del famoso c
a da Mercurio in cambio del famoso caduceo. Il più rinomato de’templi che gli fossero eretti fu quello di Delfo. Leucotoe,
uocando con Giacinto al disco, lo uccise involontariamente, ed Apollo che amava Giacinto lo cangiò in un fiore che porta il
involontariamente, ed Apollo che amava Giacinto lo cangiò in un fiore che porta il suo nome. Ciparissa avendo con uno stral
avendo con uno strale ucciso per disavventura un cervo addomesticato che gli era carissimo, volle ammazzarsi, ma Apollo ch
ervo addomesticato che gli era carissimo, volle ammazzarsi, ma Apollo che l’amava prevenne il colpo e lo cangiò in cipresso
lpo e lo cangiò in cipresso. Vinse il temerario Marsia, famoso satiro che lo sfidò a chi canterebbe meglio e per punirlo lo
ripetevano le parole del barbiere e si fece in tal modo noto a tutti che Mida aveva le orecchie d’asino. Questo Mida è lo
li furono consagrati perchè in queste cose aveva egli cangiati coloro che da lui furono amati. Il grifone, il cigno, il cor
orvo e la cornacchia erangli parimenti consagrati, perocchè credevasi che questi uccelli avessero un particolare istinto a
enti d’arti a lui vicini e sopra un carro condotto da quattro cavalli che percorrono lo zodiaco. Questo Dio è considerato s
i affidò anche la cura d’illuminare il mondo Il più celebre monumento che ci resta dell’antichità è il famoso Apollo del Be
onumento che ci resta dell’antichità è il famoso Apollo del Belvedere che trovasi nella Galleria del Gran Duca di Toscana a
Gran Duca di Toscana a Firenze. Fra le statue antiche questa è quella che ha meno sofferto dal furore de’ barbari e dalla m
ere cavarnele e non si poteva morire se egli non aveva rotti i legami che univano l’anima al corpo. Ambasciatore e plenipot
mente. Fu molto amato da Venere e da lei ebbe Ermafrodito. Pretendesi che abbia inventata la lira e che la formasse la prim
e e da lei ebbe Ermafrodito. Pretendesi che abbia inventata la lira e che la formasse la prima volta coi tesi nervi di una
e la formasse la prima volta coi tesi nervi di una testudine morta, e che in cambio della lira avesse da Apollo il caduceo.
della lira avesse da Apollo il caduceo. Questo caduceo era una verga, che Mercurio imbattutosi un giorno in due serpenti su
per separarli. I due serpenti s’avviticchiarono ad essa in tal modo, che la parte più alta del corpo loro veniva a formare
li alla testa ed ai piedi. Ora nudo ed ora con un manto su le spalle, che non gli copre se non la metà del corpo. Talvolta
enti Mercurio appare a canto a Venere, ingegnoso emblema per indicare che i piaceri d’Amore non hanno prezzo se non quando
a Pittagora perchè questo filosofo insegnò l’immortalità dell’anima e che questo Dio n’era il condottiero. Col caduceo vuol
a e che questo Dio n’era il condottiero. Col caduceo vuolsi da alcuni che avesse il potere di chiamare o fugare a suo talen
borsa come Dio del commercio ; e come quello dell’eloquenza si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’oro, che dolce
o dell’eloquenza si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’oro, che dolcemente legavano gli ascoltanti ; come tale ch
mente legavano gli ascoltanti ; come tale chiamavasi Ermete. Il gallo che gli si vede alle volte vicino serve a dinotare la
vede alle volte vicino serve a dinotare la vigilanza di lui. L’ariete che or gli si vede a canto, or su le spalle indica ch
a di lui. L’ariete che or gli si vede a canto, or su le spalle indica che egli era il protettore de’ pastori. Il cigno che
su le spalle indica che egli era il protettore de’ pastori. Il cigno che gli sta vicino soventi è il simbolo della dolcezz
redeva ch’ei fosse nato su quel monte. Come Dio dei ladri si racconta che commettesse varie truffe e dei furti. Mentre era
iso in Tessaglia le gregge di Admeto, Mercurio gli rubò alcune vache, che fece camminare all’indietro, onde non se ne scopr
all’indietro, onde non se ne scoprissero le tracce. Il pastore Batto che era stato testimonio del furto avea avuto una bel
l suono della lira si servì di quella di Apollo per addormentare Argo che custodiva Io ed ucciderlo. Liberò Marte dalla pri
rinchiuso da Vulcano e attaccò Prometeo sul monte Caucaso. Le statue che si ponevano su le vie a guisa di termini or con t
on quattro facce erano dette Mercuri da’ Romani, ed Ermeti dai Greci, che tale è il nome di Mercurio in quella lingua. Mer
a favola di questo Dio ; cinque almeno devono essere stati i soggetti che portarono questo nome ; da ciò traggono origine l
ia donna di Epidauro, nutrice di Semele, andò a visitare quest’ultima che sapeva essere incinta e dopo avere mosso dei dubb
animo un’ardente brama di veder Giove in tutta la sua maestà. Semele che non si avvedeva della malignità di questo consigl
edergliela, ed allora ella gli chiese come una prova di amore, quello che dovea esserle cagione di morte. Giove che non pot
una prova di amore, quello che dovea esserle cagione di morte. Giove che non poteva violare il suo giuramento comparì arma
i, e Semele, semplice mortale, restò arsa col suo palazzo. Per timore che Bacco, di cui era incinta Semele, non abbruciasse
el suo nascere fu nascostamente consegnato ad Ino, sorella di Semele, che n’ebbe cura coll’aiuto delle Iadi, delle Ore e de
he n’ebbe cura coll’aiuto delle Iadi, delle Ore e delle Ninfe, fino a che arrivasse all’ età da poter essere istruito dalle
’ età da poter essere istruito dalle Muse e da Sileno, vecchio satiro che fu poi amato molto da Bacco. Cresciuto in età que
Dio andò a conquistare le Indie con un esercito di uomini e di donne, che invece di armi portavano dei tirsi, specie di lan
lato. Il corteggio era preceduto da una banda di Satiri. Lo spavento che inspirava un esercito cotanto singolare e tumultu
vento che inspirava un esercito cotanto singolare e tumultuoso, fe’sì che Bacco non provasse alcuna resistenza per parte de
te de’ popoli ; egli fu ricevuto ovunque come una Divinità, tanto più che non era già suo scopo di imporre tributo ai vinti
are il mele e l’invenzione dell’aratro. Punì severamente tutti quelli che vollero opporsi allo stabilimento del suo culto,
amanti di Giove, ma estendeva puranco la sua vendetta contro i figli che di esse nascevano. Licurgo re di Tracia avendo in
o. Licurgo re di Tracia avendo inseguito Bacco e le sue sacerdotesse, che celebravano le orgie sul monte Nisa, fu accecato
mente da Mida re di Frigia ed avendogli di più Mida restituito Sileno che era stato preso da’ contadini, Bacco in ricambio
ei dimandasse. L’avarizia spinse Mida a dimandargli sconsigliatamente che in oro si convertisse tutto quello che da lui fos
dimandargli sconsigliatamente che in oro si convertisse tutto quello che da lui fosse toccato. Ma ebbe ben tosto a pentirs
il suo dono, e questi allora gl’impose di lavarsi nel fiume Pattolo, che quindi acquistò la virtù di volgere arene d’oro.
Arianna abbandonata dall’ingrato Teseo nell’isola di Dia o di Nasso e che fosse scoperta dai Satiri e dai Fauni immersa in
dai Satiri e dai Fauni immersa in un profondo sonno ; vogliono altri che la rapisse a Teseo medesimo. Il fatto è che la sp
do sonno ; vogliono altri che la rapisse a Teseo medesimo. Il fatto è che la sposò e le fe’ dono d’una corona d’oro lavoro
la sposò e le fe’ dono d’una corona d’oro lavoro egregio di Vulcano, che pose tra gli astri dopo la morte della sua sposa.
coperto sempre della pelle di un capro. Suoi seguaci erano i Satiri, che figuravansi colle orecchie, le corna e le gambe d
cchie, le corna e le gambe di capro, ed il vecchio Sileno aio di lui, che lo seguiva seduto sopra d’un asino. Bacco ebbe mo
ezione de’bevitori. Il senato romano credè utile di proibire le feste che sotto il nome di Baccanali o Orgie si celebravano
ndicavano sotto diversi nomi : le più note sono le Baccanti. Le Ninfe che allevarono questo Dio, le donne che lo accompagna
ù note sono le Baccanti. Le Ninfe che allevarono questo Dio, le donne che lo accompagnarono nella conquista delle Indie, fu
ne che lo accompagnarono nella conquista delle Indie, furono le prime che portarono un tal nome. Vulcano Vulcano dio
del fuoco era figlio di Giove e di Giunone. Nacque egli così deforme, che appena nato, i suoi genitori lo precipitarono dal
a coscia e restò zoppo da ambi i lati perpetuamente. Pretendono altri che fosse precipitato da Giove, per punirlo di aver v
propria madre da lui appesa alla volta dell’Olimpo. Egli è certo però che dopo la caduta stette nove anni in una grotta pro
Anfitrite o di Urano e della Terra detti monocoli perchè non avevano che un occhio in mezzo alla fronte lavoravano continu
tre principali erano Bronte, il quale fabbricava il fulminee, Sterope che lo teneva su l’incudine e Piracmone che lo battev
bbricava il fulminee, Sterope che lo teneva su l’incudine e Piracmone che lo batteva a colpi raddoppiati. Se ne conta però
loro sacrifici. I moderni non videro nella favola dei Ciclopi se non che l’emblema dei vulcani. Si dicevano figli di Urano
fabbri per le cose maravigliose da esso fatte. Celebri sono i tripodi che camminavano da sè stessi, le donne d’oro che aiut
. Celebri sono i tripodi che camminavano da sè stessi, le donne d’oro che aiutavanlo ne’suoi lavori, i cani d’argento e d’o
e donne d’oro che aiutavanlo ne’suoi lavori, i cani d’argento e d’oro che stavano a guardia di Alcinoo, le armi impenetrabi
gamennone e la famosa rete di fili di metallo d’una sì grande finezza che era invisibile, di cui si servì per cogliere Mart
tutte le opere di Vulcano la più maravigliosa fu la statua di Pandera che fu da lui anche animata. Si racconta che gli Dei
iosa fu la statua di Pandera che fu da lui anche animata. Si racconta che gli Dei irritati nel vedere che Giove si arrogass
fu da lui anche animata. Si racconta che gli Dei irritati nel vedere che Giove si arrogasse solo il diritto di creare gli
o a Vulcano di fabbricare una donna cui diedero il nome di Pandora, e che per renderla perfetta ognun di essi le fece un do
Pandora, le regalò un vaso in cui racchiudevansi tutti i mali. Dicesi che Pandora ebbe ordine da Giove di presentarlo a Pro
d avendo egli avuta l’imprudenza di aprirlo, ne uscirono tutti i mali che infestano il mondo, restando solo la speranza inf
po da ambe le parti, con folta barba, coi capelli sparsi, conun abito che gli arriva appena ai ginocchi, appoggiato ad un i
ri suoi fratelli, ebbe in parte l’impero dell’inferno nella divisione che fece con Giove e Nettuno dell’eredità paterna. Es
tuno dell’eredità paterna. Essendo il Dio dell’inferno e non regnando che sui morti, la natura del suo impero inspirava una
orti, la natura del suo impero inspirava una tale avversione a tutti, che non potè ritrovare alcuna donna che volesse sposa
rava una tale avversione a tutti, che non potè ritrovare alcuna donna che volesse sposarlo, e fu per questo che si determin
non potè ritrovare alcuna donna che volesse sposarlo, e fu per questo che si determinò di rapire Proserpina.   Plutone
i monti della Sicilia, Tifeo o Tifone gigante mostruoso, uno di quei che diedero l’assalto al cielo e che toccava le nuvol
ifone gigante mostruoso, uno di quei che diedero l’assalto al cielo e che toccava le nuvole col capo, si agitò di tal manie
e che toccava le nuvole col capo, si agitò di tal maniera la Sicilia, che Plutone temè non si aprisse la terra, e uscì dall
Plutone temè non si aprisse la terra, e uscì dall’inferno per vedere che fosse. Stava ne’ campi dell’Enna Proserpina figli
dispari. Il suo culto era celebre in Grecia ed in Roma. Sono i Romani che l’avevano messo nel numero delle dodici prime div
lorchè sortono dal corpo. Lo ritengono altri come l’emblema del sole, che , nella sua assenza durante l’inverno, piomba la n
ella corona boreale, bella costellazione posta presso il serpentario, che accompagna il sole mentre egli percorre l’inferio
i passati nell’inferno e sei mesi in cielo. Alcuni storici pretendono che prima dell’esistenza di un principe chiamato Plut
pe chiamato Plutone, gli uomini non conoscevano l’uso dei funerali, e che quel nuovo stabilimento lo rendette meritevole de
la corte infernale, e gli altri due giudici, non erano per così dire, che gli assessori di lui. Le due grandi divisioni del
egnava una eterna primavera ; il fiato de’venti non si faceva sentire che per ispandere intorno l’olezizo de’fiori ; un sol
lo aveva diritto di cantarvi i propri piaceri, e non erano interrotti che dalle toccanti voci de’grandi poeti e de’rinomati
mpi Elisi. Li situavono alcuni nella Luna, altri nelle Isole Canarie, che dissero Fortunate, o nell’Islanda la Tile o Tule
della Betica parte della Spagna meridionale. L’idea del Tartano pare che sin stata presa da Tartesso piccola isola che esi
L’idea del Tartano pare che sin stata presa da Tartesso piccola isola che esisteva una volta all’imboccatura del Beti, oggi
ecchio coperto d’un abito umido. Riposa sopra un’urna nera, e le onde che ne escono sono piene di spuma, perchè il loro cor
che ne escono sono piene di spuma, perchè il loro corso era sì rapido che rotolavano degli scogli e niuna cosa poteva tratt
ppresenta sotto la figura di un vecchio la cui urna versa delle acque che dopo aver formato un cerchio perfetto, sfuggono e
niral a quelle dell’Acheronte. Sulle sue sponde si vedevano dei tassi che porgevano un’ombra mesta e tenebrosa, e si vedeva
a proprietà delle quali consisteva nel far obliare il passato. Coloro che amrnettevano la metempsicosi gli attribuivano ano
erchè il suo corso era placido ; sulle sue sponde si vedeva una porta che comunicava col Tartaro. Si raffigura come un vecc
va una porta che comunicava col Tartaro. Si raffigura come un vecchio che da una mano tiene l’urna, dall’altra la tazza del
nta anche coronato di papaveri e di loto. Stige è una celebre fontana che gli Egizi avevano collocata nel regno delle Ombre
i Titani, chiamò in soccorso tutti gl’immortali, lo Stige fu il primo che vi accorse con tutta quella formidable famiglia.
ltremodo contento di tanto ossequio lo colmò di beneficenze e stabili che quando gli Dei avessero giurato per le sue acque,
l’Erebo figlio del Caos e della Notte, padre dell’Etera e del Giorno, che fu cangiato in fiume e precipitato nel Tartaro pe
Nessun mortale vivente poteva entrare nella barca di Caronte, a meno che non avesse seco un ramo d’oro consacrato a Minerv
Enea, allorchè volle entrare nel regno di Plutone. Molto tempo avanti che questo principe vi scendesse il nocchiero inferna
ramo. La favola di Caronte si spiega in vari modi. Credesi da alcuni che Caronte fosse un potente principe che diede leggi
in vari modi. Credesi da alcuni che Caronte fosse un potente principe che diede leggi all’Egitto e che fu il primo ad impor
ni che Caronte fosse un potente principe che diede leggi all’Egitto e che fu il primo ad imporre un diritto su le sepolture
o su le sepolture. Lo vogliono altri un semplice sacerdote di Vulcano che seppe usurpare in Egitto il supremo potere e che,
sacerdote di Vulcano che seppe usurpare in Egitto il supremo potere e che , coi tesori procedenti dal tributo ch’egli impose
tardò guari a porre il vestibulo dell’Inferno. L’opinione comune si è che questo nome in lingua egizia suoni barcaiuolo, e
ione comune si è che questo nome in lingua egizia suoni barcaiuolo, e che con esso si denotasse colui che per ordine del re
in lingua egizia suoni barcaiuolo, e che con esso si denotasse colui che per ordine del re tragittava nella sua barca quel
notasse colui che per ordine del re tragittava nella sua barca quelli che avevano pagato il diritto della sepoltura, e che
lla sua barca quelli che avevano pagato il diritto della sepoltura, e che li conduceva vicino a Menfi nelle amene campagne
cherusa. I sacerdoti egizi rifiutavano il passaggio del lago a quelli che erano morti senza pagare i loro debiti, e i paren
i, e i parenti erano obbligati di tenere presso di sè il corpo fino a che li avessero pagati essi medesimi. La moneta posta
ro pagati essi medesimi. La moneta posta in bocca al defunto indicava che tutti i suoi creditori erano soddisfatti, giacchè
o anni sulle sponde del Cocito le anime degl’insepolti, perchè quelli che si annegavano nel lago Acherusa non ricevevano fu
li se non un secolo dopo e si facevano a spese del pubblico. Dal lago che alcuni chiamano Palude di Acherusa nell’Epiro in
o in Tesprozia sorgeva l’Acheronte, la cui acqua era amara e malsana, che dimorava lungamente nascosta sotto e rra, e scari
, e scaricavasi nel golfo Adriatico. Il Cocito era una palude fangosa che terminava in quella di Acherusa. Di là dell’Ache
ll’Acheronte errava il Can Cerbero cui alcuni danno cinquanta teste e che secondo l’opinione comune non ne aveva che tre. Q
ni danno cinquanta teste e che secondo l’opinione comune non ne aveva che tre. Questo mostro nacque da Echidna metà ninfa e
ed il Leone di Nemea. Cerbero era il custode dell’Inferno ed impediva che vi entrassero i viventi e ne sortissero le ombre.
l suono della sua lira, allorchè andò a cercare Euridice. La Sibilla che conduceva Enea nell’Inferno lo sopì pure con una
cia di mele e di papavero. Molti si son dati a spiegare questa favola che credesi derivata dall’uso degli Egizi di far cust
resso i conquistatori dell’Egitto, gli Arabi. Trovano credenza quelli che sostengono esser questo mostro l’emblema della di
uelli che sostengono esser questo mostro l’emblema della dissoluzione che succede nel sepolcro ; e se Ercole lo vinse dopo
erali. A Roma si adorava anche Libitina come Dea dei funerali, e pare che fosse la stessa Proserpina. Dea dell’Inferno era
pare che fosse la stessa Proserpina. Dea dell’Inferno era pur Ecate che alcuni confondono con Diana, altri cólla stessa P
caratteri a questa Dea e varia all’infinito la sua genealogia ; pare che ogni paese avesse la sua Ecate di cui i mitologi
questo nome una benefica deità, per la quale Giove aveva più riguardi che per qualunque altra divinità, poichè ella ha in m
ai sogni, ai parti, alle conversazioni e al crescimento dei fanciulti che nascono. Ecate figlia del titano Perseo si dipin
titano Perseo si dipinge come brava cacciatrice, dotta avvelenatrice, che fa prova de’ suoi veneficii cogli stranieri, avve
l’incantesimi, era invocata prima di cominciare le magiche operazioni che la costringevano a comparir sulla terra. Sopraint
te e dell’Averno, da altri di Giove e di Temi. Gli antichi credevano che queste divinità presiedessero alla vita ed alla m
siedessero alla vita ed alla morte ed erano riguardate siccome quelle che avevano un potere il più assoluto di tutte le alt
che della sorte degli uomini esse ne regolavano i destini : tutto ciò che avveniva nel mondo era sottoposto al loro impero.
ita di ciascuno era giunta al suo termine. Si voleva con ciò indicare che la prima preparava i destini, la seconda li distr
se questa la ragione per cui fra tutte le divinità furon esse le sole che vissero in un’amicizia ed in un’inalterabile unio
e loro occupazioni cantando le sorti de’ mortali. L’orribile ritratto che ne fanno i poeti giustifica l’avversione che si h
ali. L’orribile ritratto che ne fanno i poeti giustifica l’avversione che si ha sempre avuto per esse. Si rappresentano ner
loro delle alì, i capelli bianchi e si fanno soggiornare nelle valli che circondano il Parnaso. Nella loro deformità avvi
volare sopra i corpi per succhiarne il sangue e disputarsi i cadaveri che respirano ancora, trascinare pei piedi i morti, s
o ancora, trascinare pei piedi i morti, senza risparmiare i guerrieri che dalla morte erano ancor rispettati. Si vedono avv
opporre a tali dolorose pitture lo spettacolo delle Parche intenerite che restituiscono la vita allo sfortunato Pelope. Clo
commuovere. La dolce melodia della lira di Orfeo le intenerì a segno, che , per udirlo, lasciarono in abbandono i loro fusi,
Dei contro i colpevoli ed incaricate della esecuzione delle sentenze che contr’essi emanansi dai giudici dell’Inferno. Si
e con visioni spaventevoli, le quali gettavanli nel più gran delirio, che sovente non cessava che colla loro vita. Gli Dei
li, le quali gettavanli nel più gran delirio, che sovente non cessava che colla loro vita. Gli Dei le impiegarono anche a p
ivinità si guadagnarono particolari omaggi. Era sì grande il rispetto che avevasi per esse che quasi non osavasi nominarle,
no particolari omaggi. Era sì grande il rispetto che avevasi per esse che quasi non osavasi nominarle, nè fissare lo sguard
Grecia e servivano di inviolabile asilo ai delinquenti. Nei sacrifici che loro si offrivano impiegavasi il narciso, lo zaff
o al trono di Plutone, attendono esse i suoi ordini con un’impazienza che mostra tutto il loro furore. Le Furie si chiamaro
io più strepitoso delle loro vendette di quello dell’infelice Oreste, che perseguitarono tanto orribilmente. Nelle Furie ha
orribilmente. Nelle Furie hanno i poeti voluto raffigurare i rimorsi che accompagnano i delitti. I Mani erano una specie d
i rimorsi che accompagnano i delitti. I Mani erano una specie di Geni che presiedevano a morti. Da alcuni furono presi per
i facevano de’ sacrifici per pacificarli ed il cipresso era la pianta che loro si consacrava. La Notte figlia del Cielo e d
onsacrava. La Notte figlia del Cielo e della Terra, Dea delle Tenebre che sposò l’Erebo fiume d’Averno, da cui ebbe molti f
e Tenebre che sposò l’Erebo fiume d’Averno, da cui ebbe molti figli e che rappresentavasi per lo più in veste nera sparsa d
n una falce in mano. Il Sonno figlio dell’Erebo e della Notte, dicono che ebbe il suo palazzo in luogo deserto e sconosciut
ti il sonno. Il fiume dell’oblivione gli scorre intorno e non sentesi che il lento mormorio delle acque di questo fiume. Il
uesto fiume. Il Sonno sta disteso in una sala su di un letto di piume che ha le tende nere. I Sogni gli stanno dintorno sdr
I Sogni gli stanno dintorno sdraiati, e Morfeo suo figlio o ministro, che addormenta tutti quelli che tocca con un gambo di
sdraiati, e Morfeo suo figlio o ministro, che addormenta tutti quelli che tocca con un gambo di papavero e fa sognare, sta
cca con un gambo di papavero e fa sognare, sta vegliando per impedire che non si faccia rumore. Il Sonno possente Dio cui t
la ragione. Quando era giovine dicesi avesse una buonissima vista, ma che avendo dichiarato a Giove ch’ei non volea seguire
liergli il discernimento. Si rappresenta sotto la forma di un vecchio che tiene una borsa in mano. I poeti hanno conservato
iove e della ninfa Plote o Ploto o Pluto figlia di Teoclimene, dicesi che in un convito offerto agli Dei, per far prova del
diè loro a mangiare il propro figlio Pelope tagliato in pezzi. Vuolsi che Cerere più avida degli altri o distratta dall’aff
ezzi. Vuolsi che Cerere più avida degli altri o distratta dall’affano che le cagionava il ratto di sua figlia senza avverde
terno tormento della fame e della sete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giungono fino al mento, ma che gli sfuggon di
ete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giungono fino al mento, ma che gli sfuggon di sotto quando si abbassa per bevern
beverne ; e collocandogli sopra la testa un albero carico di frutta, che s’innalzano ogni volta che stende il braccio per
sopra la testa un albero carico di frutta, che s’innalzano ogni volta che stende il braccio per coglierne. Le Danaidi eran
uanta figli di Egitto suo fratello. Avendo inteso Danao dagl’indovini che dai generi dovea essere privato del regno ordinò
riti. Quarantanove di esse eseguirono il barbaro comando, e non fuvvi che Ipermestra la quale salvò il marito Linceo ; furo
Si è immaginato questo favoloso castigo perchè si pretende da certuni che le Danaidi comunicassero agli Argivi l’invenzione
rtuni che le Danaidi comunicassero agli Argivi l’invenzione dei pozzi che avevano recata dall’Egitto, dove le acque erano r
e avevano recata dall’Egitto, dove le acque erano rare ; altri dicono che palesassero l’invenzione delle trombe ; e siccome
l unezzo di queste trombe pei differenti usi delle Danaidi, così quei che erano impiegati in questo disagioso lavoro, disse
he erano impiegati in questo disagioso lavoro, dissero verisimilmente che queste principesse erano condannate a riempire un
ica co’ suoi latrocinii e schiacciava col peso di enorme sasso quelli che gli cadevano tra le mani. Fu ucciso da Teseo e co
dannato nell’ Inferno a spingere sulla cima d’un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la sommità, ricade nuov
do è vicino a toccare la sommità, ricade nuovamente al basso. La rupe che gli fanno incessantemente muovere, è l’emblema di
i fanno incessantemente muovere, è l’emblema di un ambizioso principe che lunga pezza ravvolse in capo dei grandi disegni s
senza eseguirli. Flegia re de’ Lapiti volendosi vendicare di Apollo che aveva sedotta l’unica sua figlia Coronide incendi
ollo che aveva sedotta l’unica sua figlia Coronide incendiò il tempio che quel Dio aveva in Delfo. Irritato Apollo uccise F
ei nel Tartaro fu condannato a starsi perpetuamente sotto di un sasso che sempre minaccia di rovinargli addosso e schiaccia
Deione o Deioneo. Volendosi vendicare di suo suocero per un’ingiuria che ne aveva ricevuto lo fece morire in modo barbaro.
he ne aveva ricevuto lo fece morire in modo barbaro. Egli fu il primo che si fece reo dell’uccisione di una persona della s
ò orrore ; e siccome era senza esempio, così non trovò persona veruna che volesse espiarlo. Indarno sollecitò tutti i princ
egare dalle Furie nell’ Inferno ad una ruota circondata da serpenti e che gira sempre. I serpenti che circondano la ruota s
rno ad una ruota circondata da serpenti e che gira sempre. I serpenti che circondano la ruota servono ad indicare i rimorsi
eti tra i più celebri condannati del Tartaro anche i Giganti o Titani che mossero guerra a Giove, il più formidabile dei qu
ni che mossero guerra a Giove, il più formidabile dei quali fu Tifone che da sè solo diede a fare agli Dei più assai che tu
le dei quali fu Tifone che da sè solo diede a fare agli Dei più assai che tutti gli altri giganti insieme. Poichè Giove gli
Giove gli ebbe sconfitti precipitolli nel Tartaro ; avvi chi pretende che fossero seppelliti vivi parte sotto l’Etna, parte
iti vivi parte sotto l’Etna, parte in diversi paesi. Vuolsi da alouni che Briareo famoso tra i giganti, che avea cento brac
in diversi paesi. Vuolsi da alouni che Briareo famoso tra i giganti, che avea cento braccia e cento mani e che mandava fia
e Briareo famoso tra i giganti, che avea cento braccia e cento mani e che mandava fiamme da cinquanta bocche e da cinquanta
Dei contro Giove, salisse al cielo e si sedesse al fianco di Giove, e che col suo fiero e terribile contegno spaventasse i
e Cotto, suoi fratelli, per servirgli di guardia. Pretendesi da altri che Briareo avesse parte nella guerra de’Titani contr
tri che Briareo avesse parte nella guerra de’Titani contro gli Dei, e che fosse oppresso sotto il peso del monte Etna e che
i contro gli Dei, e che fosse oppresso sotto il peso del monte Etna e che venisse poscia liberato. Degli dei inferiori
ofumi mescolati di sangue di cavallo, di ceneri di un giovane vitello che facevano bruciare, e di gambi di fave. Purificava
, e di gambi di fave. Purificavano eziandio le stalle e gli ovili non che le mandre col fumo di sabina e di zolfo ; poscia
uol figlio di Giove, chi di Mercurio. Si ritiene però più comunemente che il Pane dei Greci fosse figlio di quest’ultimo Di
i gli abitanti delle campagne. Siccome Pane viene da una parola greca che significa tutto, fu egli perciò riguardato da alc
viene considerato come figlio di Demogorgone, il più antico degli Dei che aveva per compagni il Tempo ed il Caos, la cui se
sta da alcuni nelle viscere della terra. Questi era un Dio terribile, che non era permesso di nominare. Oltre l’esser stato
on era permesso di nominare. Oltre l’esser stato padre di Pane dicesi che fosser pur anche figli suoi le tre Parche, il ser
pente Pitone ed il Cielo stesso e la Terra. Pane ebbe molte concubine che sedusse sotto diverse figure. Ma non potè vincere
gendo in riva al fiume paterno, fu cangiata in un canneto e dal suono che fecero le canne fra lor percosse, prese poscia l’
a piacere di incutere, con subitanee apparizioni, timore agli animali che abitavano il monte Liceo ed il monte Menalo in vi
andava a cantar sulla lira la metamorfosi di Dafne. Narrasi dai Greci che quando i Galli sotto la condotta di Brenno s’acci
a fuggire. Da ciò prese origine di chiamar Terror Panico quel terrore che ci assale improvvisamente senza conoscerne tante
no, una corona rozzamente fatta di foglie e di pine, un abito rustico che gli scende sino alle ginocchia, un cane a lato ed
o dalla sinistra mano un ramo di pino carico di pine, locchè dimostra che il pino era l’albero favorito di questo Dio. Spes
pino ha un ramo di cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso che da lui non da Apollo, come si è già detto, preten
metà uomini e metà capri con le corna in testa, colla sola differenza che i Satiri si rappresentavano col pelo al mento ed
gra. Si consacrava ad essi il pino ed il selvatico ulivo. Si pretende che la voce dei Fauni si facesse sentire nel più folt
si riguardava anche come il Dio dei pensieri e dei cambiamenti. Pare che sotto il nome di Vertunno volessero gli antichi p
a Dea de’ frutti e de’ giardini, molto distinta per la sua bellezza e che avea rifiutato la mano di vari Dei, impiegò tutti
no di vari Dei, impiegò tutti i mezzi per farle superare l’avversione che aveva per le nozae e riescì a piegarla colle pers
à avanzata, ringiovanissi insieme con lei e non violò giammai la fede che le aveva data. Non era il solo Vertunno che avess
non violò giammai la fede che le aveva data. Non era il solo Vertunno che avesse il potere di cambiar di forme, ebbervi Pro
arpanto isola situata tra quelle di Rodi e di Creta. I Greci vogliono che nascesse a Pallene città della Tessaglia. Era cus
ultarlo. Bisognava sorprenderlo però mentre dormiva e legarlo in modo che non potesse fuggire, perchè altrimenti prendeva t
i figli Tmolo e Telegone giganti crudelissimi, e fu tanto lo spavento che incusse loro, per, cui desistettero dalle sceller
spavento che incusse loro, per, cui desistettero dalle scelleraggini che commettevano. Aristeo figlio di Apollo e di Ciren
a e con questo artificio gli riuscì di farlo parlare. Vogliono alcuni che Proteo sia stato re d’Egitto saggio ed avveduto.
sua prudenza gli faceva prevedere tutti i pericoli, e si disse perciò che conoscesse l’avyenire. Era impenetrabile ne’suoi
e forme per ispaventare chi cercava di avvicinarlo. Da altri fu detto che Proteo era un oratore che colle attrattive della
i cercava di avvicinarlo. Da altri fu detto che Proteo era un oratore che colle attrattive della sua eloquenza conduceva a
i chi l’ascoltava. Avvi chi ne fa un commediante, un mimo tanto agile che mostravasi sotto un’infinità di differenti figure
infine nel numero di quegli incantatori di cui abbondava l’Egitto, e che affascinavano, co’ loro prestigi, gli occhi della
offerte, oltre un annuo sacrificio in un giorno determinato. Si vuole che il suo culto sia stato trasportato in Italia dai
di Astrea. Spira questo vento così soavemente ed ha pur tanta virtù, che ravviva tutta la natura. Il suo nome significa in
nta virtù, che ravviva tutta la natura. Il suo nome significa infatti che reca la vita. Si rappresenta sotto la figura di u
lande con vicino di lei molte ceste di fiori. Flora era una delle dee che presiedeva al frumento, ed in certi tempi dell’an
ali, correvano giorno e notte, ballando al suon delle trombe e quelle che vincevano al corso erano coronate di fiori. La Cl
nnegli dato il soprannome di Lampsacio, Lampsaceno o Lampsaco. Dicesi che Venere essendosi innamorata del Dio del vino per
r capriccio, andò ad incontrarlo mentre egli ritornava dalle Indie, e che si fermò in Lampsaco per isgravarsi. Giunone, che
nava dalle Indie, e che si fermò in Lampsaco per isgravarsi. Giunone, che dopo il giudizio di Paride la odiava tanto, le of
frì la sua assistenza nel parto, e ricevette il fanciullo sì deforme, che non osando Venere di riconoscerlo, ordinò fosse e
statua negli orti, nella persuasione ch’egli ne fosse il guardiano e che ne procurasse la fertilità. Questo Dio che presie
li ne fosse il guardiano e che ne procurasse la fertilità. Questo Dio che presiedeva ad ogni sorta di dissolutezze era part
ad ogni sorta di dissolutezze era particolarmente venerato da coloro che mantenevano delle mandre di capre o di pecore o d
eva ai limiti de’ campi, cui era grave delitto il violare. Pretendesi che si debba a Numa l’invenzione di questa divinità c
pra il Campidoglio si dovette trasportare altrove le statue degli Dei che vi si trovavano. Tutti gli Dei cedettero per rive
l dio Termine rimase nel suo posto senza muoversi malgrado gli sforzi che si fecero per levarnelo, ed egli si trovò in tal
in quel luogo. Si fece credere al popolo un tal fatto per persuaderlo che non vi era cosa più sacra dei limiti de’ campi, e
cosa più sacra dei limiti de’ campi, ed era lecito l’uccidere quelli che non li rispettavano. A principio si rappresentava
rappresentava come una pietra quadrata o come un palo fitto in terra che segnava il confine tra un campo e l’altro ; gli s
poscia spargeasi su le brace del vino ed una parte delle provvisioni che avevano portate. Dopo le preghiere ed il sacrific
praticavasi di fregare col sangue della vittima il limite o la pietra che serviva di confine, e in mancanza di sangue ; ung
olio semplice o preparato. Eolo ed altri venti Sí è già detto che Giove si riserbò l’impero dell’aria. Egli poi aff
e dell’Italia ov’egli risiedeva. Era tale il potere di Eolo sui venti che la sola sua volontà li riteneva. Quando i venti g
vinti dalla curiosità, aprirono questi otri, donde fuggirono i venti che furono causa di una sì spaventevole tempesta che
de fuggirono i venti che furono causa di una sì spaventevole tempesta che fece perire tutti i vascelli di Ulisse, il quale
ttribuiscono ad Eolo dodici figli, dei quali sei maschi e sei femmine che si maritarono gli uni colle altre, avendo forse c
se con ciò voluto indicare i dodici venti principali. Levando il velo che copre questa favola pare ad alcuni che Eolo sia s
ti principali. Levando il velo che copre questa favola pare ad alcuni che Eolo sia stato un principe dedito allo studio del
a, qual vento dovea soffiare, e porgeva degli utili consigli a coloro che intraprendevano marittimi viaggi. Si fa padre dei
di dodici giannetti (specie di cavalli spagnuoli) di tanta velocità, che correano sulle spiche senza curvarle e sulla supe
e senza curvarle e sulla superficie del mare senza affondare. Quelli che distinguono Aquilone da Borea rappresentano il pr
re. Quelli che distinguono Aquilone da Borea rappresentano il primo, che dicono vento furioso e freddissimo, con una coda
re bianchi. Euro vento d’oriente vien dipinto come un vento impetuoso che seguita la tempesta da lui suscitata. I moderni l
ta da lui suscitata. I moderni lo rappresentano con un giovine a lato che va con ambe le mani seminando fiori ovunque passa
imi caldi del mezzogiorno. Il suo fiato era alcuna volta sì infuocato che ardeva le città ed i vascelli in mare. Si dipinge
notare la sua violenza, e tiene in mano un innaffiatoio, per indicare che conduce ordinariamente la pioggia. Deificate che
iatoio, per indicare che conduce ordinariamente la pioggia. Deificate che furono dalla superstizione le terribili potenze d
utti lo hanno destinato a presiedere alle nozze. Dicono alcuni autori che Imene era un giovine il quale nel giorno delle su
quale nel giorno delle sue nozze fu schiacciato nella propria casa, e che i Greci per ispiare tale sventura, avevano stabil
mani invocavano Talassio ; questi però, secondo alcuni, non era altro che un grido di gioia ripetuto nei maritaggi. L’Imene
ssione, quindi si contentò di seguirla ovunque ella andava. Un giorno che le signore di Atene dovevano celebrare sulla spia
in Atene, e dichiarò in un’assemblea del popolo il suo essere, e ciò che gli era accaduto, promettendo di far ritornare in
ro nozze sotto il nome d’Imene, e celebrarono delle feste in onor suo che furono chiamate Imenee. Chiamavansi anche Imenei
onor suo che furono chiamate Imenee. Chiamavansi anche Imenei i versi che cantavansi alle nozze. Imene si rappresenta sempr
on una corona di rose e di spini, un giogo ornato di fiori e due faci che hanno una fiamma medesima. Cupido Sono mol
o la Discordia, di Venere e Vulcano, di Venere e Celo. Dicono alcuni che la Notte fece un uomo, lo covò sotto le sue nere
orate, e pigliò il volo a traverso il nascente mondo. Vuolsi da altri che Amore fosse figlio di Giove e di Venere e Cupido
osse figlio di Giove e di Venere e Cupido della Notte e dell’Erebo, e che entrambi facessero parte della corte di Venere Am
e di Venere Ammettevasi una differenza tra Amore e Cupido, e dicevasi che il primo impetuoso e violento invasava gli stolti
oderato ispirava i saggi. Cupido figlio di Marte e di Venere è quello che più comunemente si conosce ; esso presiedeva alla
o, con frecce di cipresso, e fece saggio sopra le bestie delle ferite che si proponeva di portare agli uomini. In appresso
8 anni, colla fisonomia di uno sfaccendato ma maligno, per dimostrare che Amore non ha niente di proprio ; con un arco ed u
ino nell’altra. Ora si vede tra Ercole e Mercurio, simbolo del potere che hanno in amore il valore e l’eloquenza ; ora post
lca leoni e pantere, la cui chioma gli serve di guida, per dimostrare che non c’è creatura tanto selvatica che non sia amma
i serve di guida, per dimostrare che non c’è creatura tanto selvatica che non sia ammansata da Amore. Si fa calvacare alcun
da Amore. Si fa calvacare alcune volte su di un delfino per indicare che il suo potere si estende fino sui mari. Non è cos
e già stringe una freccia. Altre volte egli vuol prendere una paglia, che Venere tiene in equilibrio sopra un dito ; delle
lto verso il cielo. Si vede anche in atto di abbraociare un uccello, che bene spesso è un cigno : esso porta un’anfora ; o
o scudo in braccio, camminando con aria trionfante, quasi dimostrando che Marte disarmato si abbandona all’Amore. Assiso da
lauto di molte canne ; o, all’ombra di una palma, abbraccia un ariete che guarda un altare fiammeggiante. Esiste un quadro
rda un altare fiammeggiante. Esiste un quadro ove sonvi degli Amorini che fanno girare una cote. Un altro Amore che si è pu
dro ove sonvi degli Amorini che fanno girare una cote. Un altro Amore che si è punto un braccio fa spillare il suo sangue s
l suo sangue su questa pietra, e Cupido affila su di essa certi dardi che mandano scintille di fuoco. Cupido fu molto amat
n senso di contrarietà, ma dinota amor reciproco, scambievole. Dicesi che Venere si lagnasse un giorno con Temi, perchè Cup
gnasse un giorno con Temi, perchè Cupido rimaneva sempre fanciullo, e che la Dea consultata rispondesse che il solo mezzo p
Cupido rimaneva sempre fanciullo, e che la Dea consultata rispondesse che il solo mezzo per farlo crescere era di dargli un
diede per fratello un altro Amore il quale fu chiamato Antero. Appena che questo Amore ebbe veduta la luce, suo fratello se
la luce, suo fratello sentì aumentar le sue forze e dilatarsi le ali che ripigliavano il loro antico stato ogni volta che
e e dilatarsi le ali che ripigliavano il loro antico stato ogni volta che Antero era lontano da lui. Non è difficile di sc
gni volta che Antero era lontano da lui. Non è difficile di scorgere che questo secondo Amore è stato immaginato per dinot
di scorgere che questo secondo Amore è stato immaginato per dinotare che la corrispondenza fa crescere l’amorosa passione.
n turcasso, frecce e balteo. Avvi chi per Antero intende una divinità che guarisoe dall’amore. Altri lo fanno nascer dalla
agni l’Ebrezza, il Duolo e la Contesa. Gli danno dei dardi di piombo, che cagionano una passione di breve durata, alla qual
ede presto la sazietà, mentrechè il vero Amore scocca dei dardi d’oro che inspirano una gioia pura ed un’affezione virtuosa
su la perfezione delle loro opere. Momo le criticò tutte e tre. Disse che le corna del toro dovean essere più vicine agli o
lle, onde potesse percuotere con maggior violenza. Avrebbe desiderato che fosse stata fatta all’uomo una finestrella vicino
i ; biasimò infine la casa per esserne difficile il trasporto in caso che si avesse un cattivo vicino. Venere stessa non an
o. Venere stessa non andò salva dalla critica di Momo ; e non sapendo che dire su di lei perchè era troppo perfetta, trovò
 ; e non sapendo che dire su di lei perchè era troppo perfetta, trovò che non era bastantemente ben calzata. Arpocrate e
figlio di Iside e di Osiri era il Dio del silenzio. Vogliono i poeti che sua madre, avendolo perduto mentre era fanciullo,
se in cerca di lui per mare e per terra finchè l’ebbe trovato. Vuolsi che fosse in questa circostanza ch’ella inventò le ve
ticamento impressa su i sigilli una figura di Arpocrate per insegnare che si deve custodire il secreto delle lettere. Si pr
che si deve custodire il secreto delle lettere. Si pretende da alcuni che sua madre lo desse alla luce prima del termine e
etende da alcuni che sua madre lo desse alla luce prima del termine e che nascesse estremamente debole e colle mani sulla b
i Greci per comando del silenzio. Altri lo hanno creduto un filosofo che parlasse poco. Si rappresenta questo Dio come un
gua, e il suo frutto quella del cuore : emblema della perfetta unione che dee esistere tra il cuore e la lingua. Muta o Lar
di Giove e di Giunone secondo l’opinione di molti ; alcuni pretendono che dovesse la vita alla sola Giunone. Giove le aveva
di tutti gli Dei in un modo poco decente, ella n’ebbe tanta vergogna, che non volle più lasciarsi vedere. Giove diede il su
o e n’ebbe un figlio ed una figlia. In questa unione si vuol indicare che la forza va comunemente unita alla gioventù. Ad i
oventù. Ad istanza d’Ercole Ebe ringiovenì lola nipote di suo marito, che si pretende avesse abbruciata la testa dell’idra
e di suo marito, che si pretende avesse abbruciata la testa dell’idra che Ercole aveva tagliata. Questa Dea avea diversi te
a diversi tempii, e tra gli altri uno in Flio, città del Peloponneso, che aveva il privilegio dell’immunità. Si rappresenta
degli Dei, benchè da alcuni sia considerato come alimento ; e bisogna che fosse ben squisita bevanda poichè questa parola è
enti liquori. Quando in Roma facevasi l’apoteosi di qualcuno dioevasi che ei beveva già il nettare nella tazza degli Dei :
dioevasi che ei beveva già il nettare nella tazza degli Dei : coloro che avevano una volta assaggiato il nettare degli Dei
avevano una volta assaggiato il nettare degli Dei non potevano morire che di un colpo di folgore. Tale fu la morte d’Ission
quale lo mise in discordia per farsi amare ; ma non passò molto tempo che Cefalo si rappacificò colla moglie. Avendo egli u
a face in una mano, mentre coll’altra sparge delle rose, per indicare che i fiori i quali abbelliscono la terra, vanno debi
lliscono la terra, vanno debitori della loro freschezza alla rugiada, che come bellissime perle liquide cade dagli occhi de
erle liquide cade dagli occhi dell’Aurora. La Fortuna Divinità che presiedeva a tutti gli avvenimenti e distribuiva
rappresentata con un sole ed una mezza luna su la testa, per indicare che essa presiede come questi due astri, a tutto ciò
ta, per indicare che essa presiede come questi due astri, a tutto ciò che accade sopra la terra. Viene alle volte sostituit
i suoi seguaci, e le cammina sempre dinanzi la Sicurezza per indicare che la Fortuna arriva soventi quando è meno attesa. E
torce, col capo cinto di fiori, accompagnati da garzoni e da donzelle che cantavano e ballavano sonando. Andavano in tal gu
all’ebrezza, coronato il capo di rose, con una face nella mano destra che sta per cadergli, e in atto di appoggiarsi colla
ra un piedestallo ornato di fiori. Il Destino Vuolsi da alcuni che il Destino sia nato dal Caos, da altri si crede f
il Destino sia nato dal Caos, da altri si crede figlio della Notte, e che essa lo generasse senza il concorso di nessuna al
ottomessi al suo impero, e niun potere aveva la forza di cangiare ciò che aveva risolutò, o per meglio dire il Destino era
ni cosa avveniva nel mondo. Giove vorrebbe salvare Ettore, ma bisogna che egli esamini il suo Destino che non gli è noto. L
e vorrebbe salvare Ettore, ma bisogna che egli esamini il suo Destino che non gli è noto. Lo stesso Dio si duole di non pot
a natogli da Laodamia figlia di Bellerofonte, nè salvarlo dalla morte che incontrò all’assedio di Troia per mano di Patrocl
rò all’assedio di Troia per mano di Patroclo. Si fa dir anche a Giove che se potesse cambiare il Destino, Eaco, Radamanto,
uni irrevocabili, e dai quali dipendevano gli stessi Dei : gli altri che potevano essere cangiati o modificati dai voti de
a di stelle ed uno scettro simbolo del sommò suo potere. Per indicare che esso non variava e che era inevitabile, si figurò
tro simbolo del sommò suo potere. Per indicare che esso non variava e che era inevitabile, si figurò dagli antichi con una
ò dagli antichi con una ruota tenuta ferma da una catena. Si pretende che sia miserabile e che ogni uomo abbia il suo. Il D
na ruota tenuta ferma da una catena. Si pretende che sia miserabile e che ogni uomo abbia il suo. Il Destino non aveva stat
grande venerazione. Da Igiea si è formato Igiene parte della medicina che riguarda la conservazione della salute. Si attrib
a questa Dea varie invenzioni, appartenenti alla medicina. Le statue che le furono dedicate si distinguono all’aspetto di
l quale sta avviticchiato un serpente il quale si diseta in una tazza che la Dea ha in una mano. Il serpente è l’emblema d
te e della immortalità, perchè cangiando di pelle tutti gli anni pare che ringiovanisca sempre. Aveva dessa in un tempio di
o Coronide amato il giovane Ischi, Apollo di ciò avvertito dal corvo, che poi di bianco fu tramutato in nero, uccise Coroni
quistò una perfetta cognizione de’semplici sotto la scuola di Chirone che gl’insegnò a comporre de’rimedi ed egli stesso ne
di servigi agli Argonauti. Egli divenne tanto valente nella medicina, che potè ad istanza di Diana richiamare da morte a vi
da morte a vita Ippolito figlio di Teseo. Abbiam già detto in Apollo che Giove sdegnato che tanto potere si arrogasse Escu
polito figlio di Teseo. Abbiam già detto in Apollo che Giove sdegnato che tanto potere si arrogasse Esculapio, lo fulminò,
otere si arrogasse Esculapio, lo fulminò, eccitatovi anche da Plutone che vedeva diminuirsi notabilmente il numero dei mort
ero dei morti. Ebbe Esculapio da Eppione due figli Macaone e Podaliro che anch’essi divennero medici rinomatissimi, e quatt
particolarmente in Epidauro, città del Peloponneso famosa pel tempio che vi fu eretto in onore di Esculapio e pel crudele
he vi fu eretto in onore di Esculapio e pel crudele gigante Perìsete, che divorava gli uomini e sacrificavali, il quale fu
divorava gli uomini e sacrificavali, il quale fu poi ucciso da Teseo che ne disperse le membra. Esculapio si adorava sotto
trovavano sollevati dai loro mali, lasciavano nel tempio qualche cosa che rappresentasse la parte del loro corpo che era st
no nel tempio qualche cosa che rappresentasse la parte del loro corpo che era stata risanata. Si rappresentava generalmente
. Il serpente ed il gallo erano a lui specialmente dedicati. Si vuole che Esculapio sia lo stesso che il Sole considerato s
ano a lui specialmente dedicati. Si vuole che Esculapio sia lo stesso che il Sole considerato sotto i benefici rapporti di
mide figlia del Cielo e della Terra è la dea della giustizia. È dessa che ha istituito le divinazioni, i sacrifici, le legg
ito le divinazioni, i sacrifici, le leggi della religione e tutto ciò che serve a mantenere l’ordine e la pace tra gli altr
n molta saggezza nell’amministrare con tanta giustizia i suoi popoli, che fu sempre dappoi riguardata come Dea della giusti
Dea raccomandava agli uomini, di non chiedere agli Dei se non quello che era giusto e ragionevole. Presiedeva ai trattati
e era giusto e ragionevole. Presiedeva ai trattati e alle convenzioni che hanno luogo fra gli uomini, e teneva mano affinch
mano affinchè tutto fosse esattamente osservato : da alcuni si vuole che versasse pur anche il nettare a Giove quando era
dello zodiaco. Da alcuni si dipinge con una spada in mano. Ogni volta che presso i Romani si voleva arringare il popolo si
, affinchè la vista di quell’immagine lo impegnasse a non espor nulla che alla giustizia ed alla verità non fosse conforme.
le si innalzarono in molti luoghi delle statue e dei tempii : quello che Agrippina cominciò e Vespasiano terminò in Roma,
oma, era il più magnifico tempio di quella grande città. Tutti coloro che le belle arti professavano, s’univano al tempio d
, ogni asprezza fosse dalle loro discussioni bandita ; ingegnosa idea che dovrebbe dovunque trovare la sua applicazione. Gl
e nel tempio di lei una prodigiosa folla di malati, oppure di persone che facevano voti pei loro amici obbligati al letto.
ata Enio da’ Greci, confusa molte volte con Pallade, vuolsi da alcuni che fosse figlia di Forcide o Forco e di Ceto ; chi l
porta Carmentale ove il senato dava udienza agli ambasciatori, prima che entrassero nella città. Si rappresenta armata dal
’altra, in atto di slanciarsi dal suo carro tirato da cavalli focosi, che calpestano tutto quanto rincontrano sul loro camm
tutto quanto rincontrano sul loro cammino. Le sta vicina la Discordia che colle sue faci mette fuoco ai tempii ed ai palazz
co ai tempii ed ai palazzi ; ed in certa distanza si scorge la Carità che fugge con un fanciullo nelle braccia. I suoi sace
ggetti all’autorità di un pontefice il quale non cedeva la precedenza che al solo re ; egli era scelto nella famiglia reale
Fetonte Fetonte era figlio del Sole e di Climene. In una gara che ebbe con Epafo figlio di Giove e di Io, il quale
mentre ancor fanciulli giuocavano insieme, Epafo rinfacciò a Fetonte che non era figlio del Sole come si credeva. Fetonte
no del paterno affetto giurò per lo Stige di accordargli tutto quello che avesse chiesto e l’imprudente figlio richiese di
minacciano il cielo d’inevitabile incendio, mettendo così in pericolo che tutto perisca su la terra di gelo ; or scendendo
i annegò nell’Eridano, fiume oggi denominato Po. Fu tanto il piangere che fecero per la morte di Fetonte le Eliadi sue sore
er la morte di Fetonte le Eliadi sue sorelle e l’amico Cicno o Cigno, che furono esse cambiate in pioppi, in ambra le loro
rpretazioni alla favola di Fetonte. Fra le tante adottate avvi quella che Fetonte fosse un principe il quale si applicò som
mmamente all’astronomia e soprattutto a conoscere il corso del sole ; che morì in freschissima età, e lasciò le sue osserva
carro del Sole sino al termine della sua carriera. Aggiungono alcuni che questo principe fosse re dei Molossi, popolo dell
o alcuni che questo principe fosse re dei Molossi, popolo dell’Epiro, che si annegò nel Po, e che essendosi applicato molto
cipe fosse re dei Molossi, popolo dell’Epiro, che si annegò nel Po, e che essendosi applicato molto all’astronomia, aveva p
si applicato molto all’astronomia, aveva predetto quel calore immenso che ebbe luogo ai suoi tempi e che desolò il suo regn
ia, aveva predetto quel calore immenso che ebbe luogo ai suoi tempi e che desolò il suo regno. Vittoria La Vittoria
il suo regno. Vittoria La Vittoria fu personificata dai Greci che ne fecero anche una divinità. La vogliono alcuni
rdinariamente è abbigliata di lunga veste sulla quale evvi una tunica che le scende sin verso la metà delle coscie e che è
quale evvi una tunica che le scende sin verso la metà delle coscie e che è ritenuta sotto la gola da una cintura. Gli Egi
Gli Egizi la rappresentavano sotto l’emblema di un’aquila, uccello, che nei combattimenti contro gli altri uccelli, è sem
ll’alto dei cieli, assorta in un’arcana eternità, osservava tutto ciò che aveva luogo su la terra, vegliava in questo mondo
. Questa divinità sovrana dei mortali, giudice delle segrete opinioni che li facevano operare, comandava eziandio al cieco
ellezza e per la forza del corpo e per l’ingegno, e coloro finalmente che disobbedivano agli ordini delle persone che aveva
egno, e coloro finalmente che disobbedivano agli ordini delle persone che avevano diritto d’imporli. Volgeva la sua attenzi
otte, le quali da altri sono prese per le Eumenidi. Una era il Pudore che dopo l’età dell’oro ritornò in cielo ; l’altra ri
r eccitare al bene. Si portano esse un dito alla bocca per insegnarne che è d’uopo essere discreti. La maggior parte di cot
non solo i fiumi e le fonti, ma la maggior parte anche delle persone che avevano regnato o abitato sulle coste del mare, c
ome Proteo, Etra, madre d’Atlante, Persa, madre di Circe, ecc. Dicesi che Giove essendo stato strettamente legato dagli alt
riareo gli restituì la libertà ; vale a dire prendendo Teti pel mare, che Giove trovò il mezzo di sottrarsi su questo cleme
che Giove trovò il mezzo di sottrarsi su questo clemento agli agguati che gli avevano tesi i Titani, co quali era in allora
stranieri soccorsi per trar Giove da qualche periglio. Pare nondimeno che Teti altro non fosse che una divinità puramente f
ar Giove da qualche periglio. Pare nondimeno che Teti altro non fosse che una divinità puramente fisica : chiamavasi essa a
una divinità puramente fisica : chiamavasi essa anche col greco nome che significa nutrice, perchè era la Dea dell’umidità
igliosa figura e di una bianchezza dell’avorio più rilucente ; pareva che quel carro volasse sulla superficie delle onde. Q
l carro della Dea, tirato da cavalli marini più della neve bianchi, e che il salso flutto solcando, dietro di sè lasciavano
lla. Aveva essa sereno il sembiante da una dolce maestà accompagnato, che faceva i sediziosi venti e le nere tempeste fuggi
a le Ncreidi. Giove, Nettuno e Apollo volevano sposarla, ma avvertiti che era stabilito dal Destino che il figlio da essa n
Apollo volevano sposarla, ma avvertiti che era stabilito dal Destino che il figlio da essa nato sarebbe più grande e più p
tata invitata, gittò in mezzo del banchetto quel rinomato pomo d’ oro che fu di tanti mali funesta sorgente. Teti ebbe pare
’ oro che fu di tanti mali funesta sorgente. Teti ebbe parecchi figli che morirono in tenera età, meno Achille. Durante la
a notte, li poneva sotto il fuoco affinchè si consumasse tutto quello che avevano di mortale, ma tutti vi soccombevano. Ach
tte invulnerabile, tranne il tallone ch’essa teneva per immergerlo, e che dall’acque del fiume non fu punto bagnato. Dopo l
ì Teti dal seno delle onde per recarsi a consolare Achille, e vedendo che insieme all’ amico aveva egli perdute le sue armi
figlio delle armi divine e dalle proprie sue mani lavorate. Ottenute che le ebbe le portò tosto ad Achille, e lo esortò a
iare al suo risentimento contro di Agamennone, e gl’inspirò un ardire che niun periglio poteva far vacillare. A questa Nin
esta Ninfa si attribuisce di aver salvato Giove nel più gran pericolo che gli sovrastasse nella guerra che gli fecero gli a
salvato Giove nel più gran pericolo che gli sovrastasse nella guerra che gli fecero gli altri Dei, ma questo fatto spetta
e di Trezene nell’Argolide in Morea. Amava con tanto ardore la caccia che un giorno mentre cacciava un cervo lo inseguì sin
inosse. A quanto se n’è già detto aggiungneremo qualche altra notizia che lo risguarda. Egli visse verso l’ anno 1430 prima
edificare molte città. La sua giustizia e l’ amore pe’ suoi sudditi, che lo risguardavano come il favorito degli Dei, gli
maggiore autorità, ogni nove anni, ritiravasi in un antro ove diceva che Giove, suo padre, a lui le dettava, nè mai ritorn
rnava da quello senza portare qualche nuova legge. Avvi chi asserisce che Minosse ricevè le sue leggi da Apollo e che viagg
legge. Avvi chi asserisce che Minosse ricevè le sue leggi da Apollo e che viaggiò a Delfo per apprenderle da quel Dio. Si r
loro vita al più rigoroso esame. Si rimprovera a Minosse una mancanza che fu cagione d’una delle dodici fatiche d’Ercole. A
fatiche d’Ercole. Aveva egli ommesso di sacrificare a Nettuno un toro che gli aveva promesso. Il Dio per punirlo di siffatt
messo. Il Dio per punirlo di siffatto errore, mandò un toro furibondo che lanciava fuoco dalle nari, e che devastava gli st
atto errore, mandò un toro furibondo che lanciava fuoco dalle nari, e che devastava gli stati di Minosse. Minosse fu sposo
so di Itona la quale il rendette padre di un figlio chiamato Licasto, che a lui succedette nel regno, e che fu padre di Min
adre di un figlio chiamato Licasto, che a lui succedette nel regno, e che fu padre di Minosse, secondo di questo nome, che
cedette nel regno, e che fu padre di Minosse, secondo di questo nome, che quasi tutti i mitologi confondono col primo. Min
i fosse acquistato l’odio degli Ateniesi e dei Magariani colla guerra che fece loro per vendicare la morte del proprio figl
osse avendo vinto gli uni e gli altri non accordò loro la pace se non che alla condizione ch’ eglino gli avrebbero ogni set
oglie, il quale distruggeva tutto e si pasceva di carne umana. Vuolsi che Minosse dopo aver devastata l’Attica s’impadronis
Attica s’impadronisse di Megara coll’ aiuto di Scilla, figlia di Niso che ne era il re, la quale troncò al padre il capello
stino e quello pur anche del suo impero. Informato Niso dall’ oracolo che dalla conservazione di quel capello dipendeva la
ficile l’immaginarsi qual cura ne avesse ; e non poteva esser tradito che dalla propria figlia, in cui riponeva tutta la su
iponeva tutta la sua confidenza. Essendosi essa innamorata di Minosse che aveva veduto dall’ alto d’una torre della città,
mpadronito della città, non volle nè anco parlarle ; e narrano alcuni che la facesse gittar in mare, ed altri che scioglies
o parlarle ; e narrano alcuni che la facesse gittar in mare, ed altri che sciogliesse sollecito le vele senza volerla condu
sse con tutta la forza attaccata alla nave di lui ; si vuole da altri che disperata si precipitasse nelle onde. Gli Dei cam
nelle onde. Gli Dei cambiarono Scilla in un pesce, e il padre di lei che si era da sè stesso ucciso per non cadere nelle m
r non cadere nelle mani del vincitore, in una specie d’aquila di mare che non vive che di pesci. I Greci pagarono il barba
nelle mani del vincitore, in una specie d’aquila di mare che non vive che di pesci. I Greci pagarono il barbaro tributo tr
go e sortì felicemente dal labirinto col mezzo di un gomitolo di filo che Arianna figlia di Minosse gli aveva dato. Nel par
va dato. Nel partire da Creta Teseo condusse seco la sua liberatrice, che abbandonò poi nell’isola di Nasso. La favola del
sola di Nasso. La favola del Minotauro si spiega in tal guisa. Dicesi che Pasifae era stata colta da amorosa inclinazione p
Dicesi che Pasifae era stata colta da amorosa inclinazione per Tauro che si vuole uno de’ segretari di Minosse. Dedalo fav
tori nominano Asterio o Asterione, siccome incerto ne era il padre, e che si poteva credere figlio tanto di Tauro quanto di
oteva credere figlio tanto di Tauro quanto di Minosse, secondo alcuni che somigliava all’uno ed all’ altro, così gli venne
nome di Mino-Tauro. Minosse per nascondere agli sguardi di tutti ciò che insieme alla moglie il ricopriva di disonore, fec
ricopriva di disonore, fece rinchiudere nel famoso labirinto Asterio che la favola dipinge come un mostro il quale si nutr
rinto era un ricinto ripieno di boschi e di edifizi disposti in guisa che entrativi una volta più non se ne trovava l’uscit
Meride ; se ne crede il costruttore Petesuco o Titoes, altri vogliono che fosse opera di dodici re. Questo edificio per qua
sa, ma nell’ interno trovavansi infinite strade tortuose. Si pretende che fosse un monumento dedicato al Sole. Altri lo han
ti di cotesto edificio il nome di palazzo di Caronte, e sono persuasi che sia desso l’opera di quel Caronte, il quale, dopo
uel Caronte, il quale, dopo aver guadagnato immense somme col tributo che egli esigeva col tragitto degli estinti, abbia fa
abbia fatto costruire questo edificio per rinchiudervi i suoi tesori che , in forza di potenti talismani, erano garantiti d
ti talismani, erano garantiti da’ ladri. Da ciò deriva il loro timore che i viaggiatori non vengano a rapire que’ tesori, c
viaggiatori non vengano a rapire que’ tesori, come pure la ripugnanza che essi palesano di condurveli. Il Labirinto di Cret
Egitto, espressamente per rinchiudervi il Minotauro, colla differenza che quello era coperto ed oscuro e questo era scopert
che quello era coperto ed oscuro e questo era scoperto. Considerando che il Minotauro stava, per così dire, sepolto nel La
ì dire, sepolto nel Labirinto, i Romani, dice un autore, per indicare che i piani e i divisamenti dei generali dovevano sta
dei generali dovevano star sepolti nel loro cuore, nella stessa guisa che il mostro lo era nel labirinto, portavano talvolt
eo sesto re di Atene, fu l’uomo più ingegnoso de’ suoi tempi e vuolsi che fosse allievo di Mercurio. Egli fu eccellente sop
si rese specialmente famoso per la sua abilità nel fare certe statue che uscendo dalla sua mano croatrice, erano come auto
erte statue che uscendo dalla sua mano croatrice, erano come automati che si credevano animati. Dedalo aveva fra i suoi al
asso, il torno e la ruota del vasellaio. Dedalo ne ebbe tanta gelosia che lo precipitò dall’alto di una torre. Un’ azione t
più abbominevole l’omicidio si processavano perfino le cose inanimate che avevano cagionato la morte di un uomo. Dedalo fu
si rifuggì nell’ isola di Creta, dove fu tanto meglio accolto, quanto che la fama vi avea fatto conoscere i suoi rari talen
o che la fama vi avea fatto conoscere i suoi rari talenti. Minosse II che regnava allora in Creta, approfittò dell’ingegno
igione, da cui altra speranza non poteva animarli di sortirne, se non che di andare a terminar la loro vita coll’ultimo sup
essendo più sostenuto cadde in quella parte del mar Egeo o Arcipelago che portò poi il nome di Icario e precisamente tra l’
icaria e l’Asia Minore. Nelle ali di Dedalo altro non veggono quelli che cercano l’origine della favola che le vele della
di Dedalo altro non veggono quelli che cercano l’origine della favola che le vele della nave sulla quale egli salì per salv
cipe lo accolse amichevolmente e ricusò di restituirlo al re di Creta che andò a chiederglielo, e pretendesi da alcuni che
uirlo al re di Creta che andò a chiederglielo, e pretendesi da alcuni che Minosse trovasse in Sicilia la morte datagli a tr
dizj. Questo tribunale fu istituito circa nove secoli prima di Solone che ne fu il ristauratore ritornandolo al suo antico
escatore della città di Antedone in Beozia. Osservando egli un giorno che i pesci da lui presi e posti su di una certa erba
rirono dei sacrifici. Fuvvi poscia anche un oracolo sotto questo nome che i navigatori solevano consultare. Vuolsi che Cirœ
racolo sotto questo nome che i navigatori solevano consultare. Vuolsi che Cirœ lo amasse, ma ch’egli fosse insensibile al d
tt’acqua, così(per conciliarsi molta estimazione, dava egli a credere che in quel tempo avesse delle conversazioni colle ma
però di tutta la sua abilità un giorno si annegò, ed allora fu detto che gli Dei marini lo avevano del tutto ammesso nella
enza essere interrogata, ed a rispondere in poche parole alle dimande che le venissero fatte, non ripetendo che l’ultime pa
re in poche parole alle dimande che le venissero fatte, non ripetendo che l’ultime parole di quelli che la interrogherebber
e che le venissero fatte, non ripetendo che l’ultime parole di quelli che la interrogherebbero per avere imprudentemente pa
e parlato di quella Dea e tenutala a bada con lunghi discorsi intanto che Giove si tratteneva in intrighi amorosi colle Nin
accortasi di essere dispregiata si ritirò nei boschi e piû non abitò che spelonche e luoghi dirupati ove consumata dal dol
uoghi dirupati ove consumata dal dolore e dall’affanno non le rimaser che le ossa e la voce, e fu cangiata in rupe. Vuolsi
o non le rimaser che le ossa e la voce, e fu cangiata in rupe. Vuolsi che Pane innamorato di lei ne avesse una figlia iamat
ggior parte de’poeti, benchè ne variasse il numero presso gli antichi che ne annoveravano due ed anche quattro. Omero dà il
cate. I Gréci le chiamavano Carite, nome derivato da una parola greca che significa gioia. Esse estendevano il loro potere
ia, l’umore sempre uguale, le facili maniere e tutte le altre qualità che spandono tanta dolcezza nella vita sociale, ma la
o forme umane, vestite di velo, indi ignude. Si voleva così esprimere che non avvi cosa più gradita della semplice natura,
così esprimere che non avvi cosa più gradita della semplice natura, e che se qualche volta essa chiama l’arte in suo soccor
in suo soccorso, non deve quest’ultima far uso di ornamenti stranieri che con moderazione. Si dipingevano giovani, belle e
ono anche le più seducenti. Il loro atteggiamento alla danza indicava che essendo amiche della gioia innocente, non sapevan
namenti ; e nelle opere dello spirito come in tutto il resto un certo che di trascurato è preferibile ad una fredda regolar
e giuravasi per la loro divinità. Pausania ammette una quarta Grazia che è la Persuasione facendo così comprendere che il
mette una quarta Grazia che è la Persuasione facendo così comprendere che il gran secreto di piacere è quello di persuadere
erchè inalterabili sonoducazione. Sono dette Muse da una parola greca che significa spiegare i misteri, perchè hanno insegn
misteri, perchè hanno insegnato agli uomini delle cose importanti, ma che non sono alla portata degl’ignoranti. Gli antichi
sotto il nome di Camene. Le Muse e le Grazie d’ordinario non avevano che un tempio ; e di rado facevansi deliziosi banchet
d’ispirar loro quell’entusiasmo tanto all’arte lor necessario. Clio che prende il suo nome da Kleos, gloria, fama, presie
iuto, presiede alle galanti, appassionate o erotiche poesie, da Eros, che significa amore. Calliope, il cui nome annuncia l
di, dal monte Pierio sul quale credesi essere elleno nate, o da Piero che alcuni danno loro per padre. Facevano per lo più
rchè avendo elle in una sfida di canto vinte le figliuole di Acheloo, che , per consiglio di Giunone, le avevano sfidate, st
sa tutta la natura e presiedeva alle generazioni : non era altra cosa che la brama che ha ogni essere creato di unirsi a ci
atura e presiedeva alle generazioni : non era altra cosa che la brama che ha ogni essere creato di unirsi a ciò che più gli
era altra cosa che la brama che ha ogni essere creato di unirsi a ciò che più gli si addice. Urania non ispirava che dei ca
ere creato di unirsi a ciò che più gli si addice. Urania non ispirava che dei casti amori, e sciolti dai sensi, mentre la V
il quale passa per il più antico ed il più celebre di tutti i tempii che abbia Venere in tutta la Grecia : la statua della
a un piede su di una testuggine per indicare la castità e la modestia che le erano proprie. La testuggine è il simbolo del
erano proprie. La testuggine è il simbolo del ritiro e del silenzio, che a donna maritata contanto si addicono. Urania e B
tutte le statue dell’antichità una delle piû celebri nel suo genere e che dir si può un miracolo dell’arte, il modello dell
ella vera beltà femminile è la Venere detta comunemente Medioea, nome che le venne dalla Villa Medici ove fu in origine tra
iustizia e la Pace. Volendo indicare senza dubbio con questa finzione che il buon uso delle Ore mantiene le Leggi, la Giust
mantiene le Leggi, la Giustizia e la Concordia. Pretendesi da alcuni che non se ne contassero che tre dagli antichi perchè
ustizia e la Concordia. Pretendesi da alcuni che non se ne contassero che tre dagli antichi perchè non eranvi che tre stagi
cuni che non se ne contassero che tre dagli antichi perchè non eranvi che tre stagioni, cioè la primavera, l’estate e l’inv
si crearono due nuove Ore, cui si diede il nome di Carpo e Tallatta, che furono stabilite per vegliare alla custodia dei f
. Era loro cura di allestire il carro ed i cavalli del Sole. Si vuole che presiedessero all’educazione de’ fanciulli e che
i del Sole. Si vuole che presiedessero all’educazione de’ fanciulli e che esse regolassero tutta la vita degli uomini ; mot
soccorso della pioggia, venissero a poco a poco a maturità. Il tempio che avevano in Atene fu edificato in loro onore da An
nte danzando e d’una medesima età ; il loro vestimento non discendeva che fino alle ginocchia, la loro testa era coronata d
e dei giardini delle Esperidi. Le Gorgoni secondo alcuni non avevano che un sol occhio e un sol dente tra tutte e tre e se
erpenti, delle grandi ale e delle ugne di lione ai piedi ed alle mani che erano di bronzo. Erano pei mortali un oggetto di
oro sguardo uccidevano gli uommi o almeno trasformavano in sasso quei che guardavano. Esse davano il guasto alla campagna e
la testa a Medusa, la più eelebre per le sue disavventure, ma la sola che fosse mortale, mentre le sue sorelle non erano so
con tutti gli altri mostri immaginati dai poeti. Asseriscono alcuni che le Gorgoni erano donne guerriere le quali abitava
onne guerriere le quali abitavano la Libia presso il lago Tritonide ; che furono soventi in guerra colle Amazzoni loro vici
itonide ; che furono soventi in guerra colle Amazzoni loro vicine ; e che Ercole finalmente le distrusse insieme alle loro
che Ercole finalmente le distrusse insieme alle loro rivali, persuaso che nel gran progetto da lui concepito di rendersi ut
oncepito di rendersi utile al genere umano, egli non avrebbe eseguito che una sola parte del suo divisamento, allora quando
he una sola parte del suo divisamento, allora quando avesse tollerato che al mondo vi fossero delle nazioni sottoposte al d
ero delle nazioni sottoposte al dominio delle donne. Pretendono altri che le Gorgoni fossero vere bestie feroci le quali co
ificavano gli uomini, e raccontano esservi stato in Africa un animale che i Nomadi chiamano Gorgone, il quale è molto somig
somigliante ad una pecora selvatica, ed il cui alito è tanto velenoso che infetta tutti coloro che gli si avvicinano. Nel
selvatica, ed il cui alito è tanto velenoso che infetta tutti coloro che gli si avvicinano. Nel nome delle tre Gorgoni co
enti animali, degli occhi di iena e delle altre mercanzie. Nel cambio che facevasi di coteste cose in diversi porti della F
lla Grecia, rinchiudesi il mistero del dente, del corno e dell’occhio che le Gorgoni prestavansi vicendevolmente ; quindi l
uali era composta la piccola flotta di questo principe, come si vuole che lo provino i cinque loro nomi fenici. In tutte le
lie. Allorchè Perseo troncò il capo di Medusa, dalle gocce del sangue che caddero da esso si vuole che nascessero tutte le
l capo di Medusa, dalle gocce del sangue che caddero da esso si vuole che nascessero tutte le specie di serpenti che veggon
e caddero da esso si vuole che nascessero tutte le specie di serpenti che veggonsi nell’Africa, come nacque Crisaore ed il
nell’Africa, come nacque Crisaore ed il Pegaso cavallo alato. Appena che quest’ultimo vide la luce volò nel soggiorno degl
percuotendo il piede in terra fece scaturire il fonte Ippocrene, nome che equivale a fontana di cavallo. Questo fonte consa
vallo. Questo fonte consacrato ad Apollo ed alle Muse vogliono alcuni che fosse scoperto da Cadmo che insegnò ai Greci le l
to ad Apollo ed alle Muse vogliono alcuni che fosse scoperto da Cadmo che insegnò ai Greci le lettere dell’alfabeto e le sc
o e le scienze. Minerva domò il caval Pegaso, lo diede a Bellerofonte che servissene per combattere la Chimera. Avendo posc
vallo abitava i monti Parnaso, Elicona, Pierio e Permesso. Pretendesi che assista tuttora col suo dorso e le sue ali i poet
poeti di primo ordine. Avvi chi confonde con Pegaso il cavallo alato che Nettuno percuotendo la terra col suo tridente fec
Nettuno percuotendo la terra col suo tridente fece nascere nella gara che ebbe con Minerva, come si è già riferito all’arti
perando dell’oro dagli Africani aveva preso anche da loro un artefice che sapesse porlo in uso. Il Pegaso era un animale se
a uscito dalla nave fuggì e non fu fermato se non se da Bellerofonte, che lo ferì ei pure e disparve. Le Ninfe, Galatea,
ventura, ma eziandio fino alle semplici pastorelle e a tutte le belle che i poeti fanno entrare nel soggetto de’loro canti.
so aveva le sue Ninfe, nel cuirango convien mettere eziandio le Muse, che sono le Ninfe di Apollo. Le Ninfe sono sempre rap
egolano la sfera del cielo. Poco si dice delle Ninfe infernali se non che tra di esse distinguevasi per bellezza Orfne che
nfe infernali se non che tra di esse distinguevasi per bellezza Orfne che dicesi moglie di Acheronte e madre di Ascalafo cu
delle foreste dette Driadi ed Amadriadi. Le Oreadi, Ninfe de’ monti che si fanno nascere da Foroneo antico re d’Argo ed u
nti che si fanno nascere da Foroneo antico re d’Argo ed uno de’ primi che contribuirono all’incivilimento de’ Greci, e da E
rilievo vedesi Diana discesa dal suo carro per contemplare Endimione, che fa tenere dalle Oreadi i propri cavalli. Sotto il
ro nome nella lingua greca significa luogo coperto d’alberi. Il culto che si rendeva loro era presso a poco eguale di quell
mpagne, ai boschi ed agli alberi. Erano state immaginate per impedire che i popoli distruggessero troppo facilmente le fore
sero troppo facilmente le foreste. Per tagliare una foresta bisognava che i ministri della religione dichiarassero che le N
re una foresta bisognava che i ministri della religione dichiarassero che le Ninfe l’avevano abbandonata. Erravano esse gio
pei boschi e per le foreste, e potevano ballare intorno alle quercie che erano loro consacrate, e sopravvivere alla distru
e erano loro consacrate, e sopravvivere alla distruzione degli alberi che erano da esse protetti. Potevano maritarsi. Eurid
di foglie di quercia, ed avevano in mano una scure, perchè si credeva che queste Ninfe punissero gli oltraggi fatti alla pi
si credeva che queste Ninfe punissero gli oltraggi fatti alla pianta che avevano in custodia. Le Amadriadi ninfe anch’ess
parare ; tali alberi erano per lo più le querce. Pretendesi da alcuni che non ne fossero assolutamente inseparabili perchè
mbinando colla durata degli alberi. Queste Ninfe erano grate a coloro che le salvavano dalla morte, ma punivano severamente
ultare gli alberi da cui esse dipendevano. Narrasi a questo proposito che un certo Parebio stava per abbattere una superba
momenti di tua vita ; all’ombra di queste foglie incontrasti la donna che ti rese il più felice fra i mariti e fra i padri 
 » Non si lasciò neppur terminar il discorso all’afflitta Amadriade, che la quercia venne abbattuta ; ma la Ninfa se ne ve
eme col figlio da inaspettata morte immatura. Un altro storico narra che un certo Reco della città di Gnido, vide un giorn
questo lavoro gh comparve la Ninfa di quell’albero, la quale dissegli che era disposta ad accordargli quanto cra in suo pot
accordargli quanto cra in suo potere, per ricompensarlo del servigio che avevale reso con prolungare la sua esistenza, che
nsarlo del servigio che avevale reso con prolungare la sua esistenza, che da quella quercia dipendeva ; e la Ninfa non manc
promessa. Molti fatti citansi a un dipresso consimili i quali provano che gli antichi erano persuasi che la vita delle Amad
un dipresso consimili i quali provano che gli antichi erano persuasi che la vita delle Amadriadi dipendesse dalle piante c
hi erano persuasi che la vita delle Amadriadi dipendesse dalle piante che le medesime avevano in custodia ; ed era questo u
ide, le Oceanidi o Oceanitidi figlie dell’Oceano e di Teti. Sì le une che le altre erano delle famiglie delle Ninfe marine.
e più. Sarebbe quindi inutile il riportare i nomi dati da que’ poeti che ne contano soltanto da sette a cinquanta. I loro
no Anfitrite e Tetide. Sono chiamate le caste Ninfe dagli occhi neri, che abitano il fondo del mare. Scorrono sollazzandosi
Alle Nereidi offrivasi del latte, dell’olio e del mele ne’ sacrifici che loro facevansi ; talvolta erano ad esse immolate
li marini. Si diede un tempo il nome di Nereidi ad alcune principesse che abitavano delle isole o sopra le coste, oppure ch
alcune principesse che abitavano delle isole o sopra le coste, oppure che si rendettero celebri collo stabilimento del comm
teva in preci ed in sacrifici. Questo culto era fondato sul vantaggio che traevasi dall’Oceano e dal mare e sui pericoli ch
dato sul vantaggio che traevasi dall’Oceano e dal mare e sui pericoli che incontravansi su quell’elemento. Quando il mare e
gli s’immolava un agnello ed un porco, ma il toro era però l’animale che più comunemente a quelle divinità veniva immolato
e se il sacrificio facevasi a bordo di un vascello, allora lasciavasi che il sangue della vittima colasse in mare. Una dell
o e vedendone le acque molto limpide volle bagnarvisi. Il fiume Alfeo che la vide spogliarsi ed entrare nell’ acqua se ne i
e ne fuggì. Il Dio del fiume la inseguì pei campi e pei monti, fino a che la Ninfa non potendo più reggere dalla stanchezza
non potendo più reggere dalla stanchezza implorò il soccorso di Diana che la cangiò in fonte. Alfeo che la riconobbe sotto
stanchezza implorò il soccorso di Diana che la cangiò in fonte. Alfeo che la riconobbe sotto questa trasformazione abbandon
desi ancora. L’Aretusa era realmente una fontana dell’isola d’Ortigia che rinchiudeva il palazzo degli antichi re di Siracu
ichi re di Siracusa. Le Naiadi dette anche Crenee e Pegee erano Ninfe che presiedevano alle fontane, ai fiumi, alle riviere
e, ai fiumi, alle riviere ed ai torrenti. Alcuni distinguono le Ninfe che presiedevano ai fiumi ed alle riviere dalle Naiad
o di tutte le divinità marine ed ai fiumi. Le Limniadi erano le ninfe che presiedevano ai laghi ed agli stagni. Erano onora
città di Colofone nella Ionia, la quale lavorava così bene in ricamo, che traeva in sua casa un’infinità di stranieri per a
nità di stranieri per ammirare la bellezza delle sue opere. Gli elogi che le si tributarono, le inspirò una tale presunzion
re. Gli elogi che le si tributarono, le inspirò una tale presunzione, che osò sfidare Minerva stessa, ripromettendosi di so
ato sulla tela Europa sedotta da Giove trasformato in toro ; Asteria, che si dibatte contro lo stesso Dio cangiato in aquil
gno ne era sì regolare e vedevansi così vivamente espresse le figure, che la Dea non potendo scoprirvi alcun difetto, lacer
a quale erano troppo ben rappresentate le colpe degli Dei. Aggiungesi che la Dea portò il suo risentimento a segno di percu
che la Dea portò il suo risentimento a segno di percuotere Aracne, il che pose in tanta disperazione questa giovine, che an
percuotere Aracne, il che pose in tanta disperazione questa giovine, che andò incontanente ad appiccarsi. Ma Minerva mossa
carsi. Ma Minerva mossa a compassione la sostenne in aria, per timore che essa non riuscisse a strozzarsi, cangiandola in r
orfosi ella ha conservato la passione di filare e di far tele. Dicesi che gli Egizi per rammentare continuamente al popolo
trama della loro stoffa, e davano a quest’immagine il nome di Minerva che nella loro lingua indicava mestiere di tessitore.
esta figura eravi quella di un ragno, da essi chiamato Aracne, parola che significa, fare della tela ; emblemi che trasport
essi chiamato Aracne, parola che significa, fare della tela ; emblemi che trasportati in Grecia hanno dato luogo alle finzi
te e di Cherecrate, o di Forco e di Ceto. La più comune opinione si è che fossero tre : Egle, Aretusa e Iperetusa. Avvi chi
a Vesta. Giunone maritandosi con Giove gli diede delle piante di pomi che fruttavano de’ pomi d’oro. Questi pomi furono pos
e di portarsi a prender que’ pomi. Ercole s’indirizzò ad alcune Ninfe che abitavano presso l’Eridano, onde sapere da loro o
rargli que’ pomi offrendosi a sostenere in sua vece il cielo, intanto che Atlante si recasse alle Esperidi. Le Esperidi o
d’Egitto tratto dalla loro fama ne divenne amante e spedì dei pirati che le rapirono nel loro giardino ; ma furono sorpres
rati che le rapirono nel loro giardino ; ma furono sorpresi da Ercole che li ucelse, e Atlante in prova della sua riconosce
olti hanno intesi gli aranci ed i cedri. Nel drago non hanno scoperto che l’immagine dell’avarizia, la quale si consuma per
he l’immagine dell’avarizia, la quale si consuma per custodire un oro che le diviene inutìle, e che non vuole sia toccato d
a, la quale si consuma per custodire un oro che le diviene inutìle, e che non vuole sia toccato da nessuno. Nella favola de
a toccato da nessuno. Nella favola delle Esperidi non iscorgono altri che un quadro de’ fenomeni celesti. Le Esperidi sono
i gli astri minori. Quest’ultima opinione trova un appoggio in quelli che figurano in Ercole un essere allegorico il quale
no in Ercole un essere allegorico il quale non vuol significare altro che il sole. I giardini delle Esperidi, vuolsi che fo
vuol significare altro che il sole. I giardini delle Esperidi, vuolsi che fossero nelle Isole Esperidi chiamate anche dagli
anti dalla costa d’Africa, di cui gli antichi avevano poche nozioni e che credevano l’estremità del mondo ; oggi si ritiene
remità del mondo ; oggi si ritiene essere le Isole Esperidi le stesse che le Canarie. Altri vogliono che i Giardini delle E
ene essere le Isole Esperidi le stesse che le Canarie. Altri vogliono che i Giardini delle Esperidi fossero in vicinanza de
mavera per esempio è coronata di fiori e appresso lei evvi un arbusto che mette le prime foglie ; tien essa da una mano nu
e, era un Dio marino, la cui figura offriva sino alla schiena un uomo che nuota, ed il resto del corpo mostrava un pesce co
e di pesce ritenendo nel volto e nel busto la forma muliebre ; dicesi che ottenessero di essere in tal guisa trasformate pe
che ottenessero di essere in tal guisa trasformate pel gran desiderio che mostrarono di andare in traccia di Proserpina per
di Proserpina per aria, per terra e per acqua ; si sostiene da altri che Cerere in punizione di non aver soccorso sua figl
l’isola di Capri dirimpetto a Napoli o in alcune isolette colà vicine che ancora si chiamano le isole delle Sirene. L’oraco
olo aveva predetto alle Sirene ch’esse avrebbero vissuto sino a tanto che fossero giunte a trattenere tutti i passaggeri, m
o sino a tanto che fossero giunte a trattenere tutti i passaggeri, ma che dal momento in cui un solo fosse passato, senza f
atrici non tralasciarono di arrestare colla loro armonia tutti coloro che giungevano a quella volta, e che erano tanto impr
tare colla loro armonia tutti coloro che giungevano a quella volta, e che erano tanto imprudenti per fermarsi ad udirne i c
per fermarsi ad udirne i canti. Ne rimanevano essi incantati a tale, che più non pensavano al loro paese, obliavano di pre
no d’inedia. La terra di que’contorni era coperta di ossami di coloro che erano in tal guisa periti. Ulisse dovendo passare
ben chiuse, lungi dal secondare i suoi desiderii, a norma dell’ordine che avevano da lui ricevuto, con nuove corde più fort
ato de’ lusinghieri suoni di quelle Sirene e delle seducenti promesse che gli facevano, di insegnargli mille belle cose, ch
seducenti promesse che gli facevano, di insegnargli mille belle cose, che fè cenno a’ suoi compagni di scioglierlo, loochè
chia oggi Pozzuolo ; la sua tomba fu trovata nell’edificare una città che dal suo nome fu detta Partenope. Questa città fu
donavasi Cuma per ivi andare a stabilirsi ; ma avvertiti dall’oracolo che per liberarsi dai guasti della peste, era lor d’u
n rotolo, come per cantare. Sono tanto discordi le opinioni di coloro che hanno voluto dare un’interpretazione alla favola
re un’interpretazione alla favola delle Sirene, e sì poco verisimili, che si crede opportuno di non riportarne alcuna. È pe
simili, che si crede opportuno di non riportarne alcuna. È però fatto che le Sirene secondo i poeti vollero essere trasform
lla medesima ricorse a Circe, famosa maga, la quale compose un veleno che gettò nella fontana in cui la Ninfa era solita ba
Appena Scilla fu entrata nella fontana, si vide cangiata in un mostro che aveva dodici artigli, sei booche e sei teste ; un
sua figura gittossi in mare, vicino al luogo ove è il famoso stretto che porta il suo nome ; ma vendicossi di Circe, facen
si di Circe, facendo perire i vascelli di Ulisse, suo amante. Si dice che Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue
lli di Ulisse, suo amante. Si dice che Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del l
rribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del lione ; che è un mostro il cui aspetto farebbe fremere anche
lione ; che è un mostro il cui aspetto farebbe fremere anche un Dio ; che ha sei lunghi colli e sei teste enormi, e in cias
ghi colli e sei teste enormi, e in ciascuna testa tre ordini di denti che racchiudono la morte. Allorchè vede passare i vas
anente del corpo, ha una coda di delfino e un ventre di lupo. Credesi che Scilla fosse un naviglio dei Tirreni che devastav
e un ventre di lupo. Credesi che Scilla fosse un naviglio dei Tirreni che devastava le coste della Sicilia e portava su la
a figura di una donna il cui corpo era circondato di cani. Aggiungesi che lo strepito delle onde frangentesi contro le rocc
contro le rocce dello stretto, imitando i latrati dei cani, e l’acqua che si precipita impetuosamente nei vortici, hanno da
hanno dato motivo alla favola. Cariddi nome di una donna voracissima che avendo rubato ad Ercole certi buoi, dicesi da cer
voracissima che avendo rubato ad Ercole certi buoi, dicesi da certuni che fosse da lui uocisa, da certi altri fulminata da
Giove e cangiata in una voragine vorticosa, nello stretto di Sicilia, che inghiottiva le navi ed i naviganti che sovr’essa
osa, nello stretto di Sicilia, che inghiottiva le navi ed i naviganti che sovr’essa passavano. Fra Messina in Sicilia e Reg
ia vi ha un passo molto stretto, ove vi sono grandi e scoscesi scogli che sporgono nel mare dai due lati opposti. È celebre
ati opposti. È celebre nell’antichità questo passaggio per i pericoli che vi correvano i navigatori. Questo passo era chiam
quel passaggio era pericolosissimo, e succedeva pur troppo di soventi che per evitare le terre alla sinistra, si radeva tro
per evitare le terre alla sinistra, si radeva troppo da vicino quelle che si trovano a destra ; d’onde nacque il proverbio 
nde nacque il proverbio : Cadere da Scilla a Cariddi. Non è cosa rara che bene spesso il timore di un male ci conduce in un
ma comunemente prendevansi gli uni per gli altri. Si vuole da alcuni che i Lari fossero figli di Mercurio e di Lara ninfa
cuni che i Lari fossero figli di Mercurio e di Lara ninfa del Tevere, che Mercurio condusse all’inferno per ordine di Giove
no. Li volevano inoltre figli di Giove e di Larunda, forse la stessa che Lara. I Lari o Penati erano piccole statue rappre
a che Lara. I Lari o Penati erano piccole statue rappresentanti Deità che nelle case si onoravano e si custodivano con molt
pubblico si sacrificava loro un gallo ed anche un porco ; le offerte che ad essi si facevano in particolare erano incenso,
, vino, una coperta di lana ed una parte dei cibi giornalieri. Vuolsi che anticamente tutte le anime dei morti fossero cono
le anime dei morti fossero conosciute sotto il nome di Lemuri. Quelli che avevano cura degli abitanti delle case ove eglino
o cura degli abitanti delle case ove eglino stessi avevano dimorato e che erano dolci e pacifici si chiamavano Lari famigli
dolci e pacifici si chiamavano Lari famigliari ; quelli al contrario che in pena della loro cattiva vita non avevano sicur
ro soggiorno erano considerati per Geni malefici, erranti e vagabondi che ritornavano a tormentare i viventi, cagionando pa
ose campestri avevano la loro Divinità particolare. Ippona era la dea che presiedeva ai cavalli, Bubona ai buoi, Seia o Seg
ea della maturità ; Mellona proteggeva le api ed i loro lavori. Colui che rubava del mele o guastava gli alveari del suo vi
tercuzio o Stercuto o Sterculio o Sterquilino era il dio del concime, che dicevasi figlio di Fauno e che aveva per il primo
o Sterquilino era il dio del concime, che dicevasi figlio di Fauno e che aveva per il primo introdotta la concimazione de’
atte. Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare chiamato Genio, e che lo accompagnava per tutta la vita. Secondo alcuni
cio o Natio diceasi la dea del nascere ; Vagitano o Vaticano era quel che presiedeva ai vagiti dei fanciulli ; Levana quell
icano era quel che presiedeva ai vagiti dei fanciulli ; Levana quella che sollevava i bambini. La dea Rumia, Rumilia, Ruma
e, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. Strenua dicevasi la dea che rende gli uomini valorosi, Agenoria o Stimula que
evasi la dea che rende gli uomini valorosi, Agenoria o Stimula quella che gli spingeva ad agire. Gli Agonii erano Dei che s
oria o Stimula quella che gli spingeva ad agire. Gli Agonii erano Dei che si invocavano quando trattavasi d’intraprendere q
mpagnava i viaggiatori perchè non si smarissero ; Avveruno era quello che allontanava i mali ed i pericoli. Nerina era la d
i notturni. Martea veneravasi dagli eredi. Strenia presiedeva ai doni che si facevano il primo giorno dell’anno e che si ch
trenia presiedeva ai doni che si facevano il primo giorno dell’anno e che si chiamavano strenne. Laverna era venerata dai l
Ercole Questo nome è comune a molti celebri Greci nell’antichità, che si recarono ad onore di portar un tal nome, il qu
tal nome, il quale suolevasi dare anche a tutti i negozianti rinomati che andavano a scoprire nuovi paesi e vi conducevano
lei marito mentre questi era alla guerra di Tebe. Giove aveva giurato che dei due bambini i quali doveano nascere da Alcmen
lcmena e secondo alcuni da Alcmena uno e da Stenelo l’altro, il primo che nascesse avrebbe l’impero sopra il secondo ; Giun
d assicurandogli così la superiorità sul suo competitore. Nel giorno che nacque Ercole il tuono si fece sentire in Tebe a
zzò i due serpenti, dando in tal modo a conoscere fin dal suo nascere che era degno figlio di Giove. La maggior parte dei m
degno figlio di Giove. La maggior parte dei mitologi raccontano però che Giunone la quale da’ primi giorni di Ercole diede
la quale da’ primi giorni di Ercole diede strepitose prove dell’odio che gli portava in causa della madre, mandò due orrib
del proprio latte onde renderlo immortale. Una goccia di questo latte che Ercole lasciò cadere, produsse quella striscia bi
te che Ercole lasciò cadere, produsse quella striscia bianca in cielo che ora chiamasi Via Lattea. Narrano alcuni questo fa
te. Giunone vi acconsentì, ma il bambino la mordette con tanta forza, che essa ne provò un violento dolore e lasciò colà il
in astronomia e in medicina. Lino gl’ insegnò a suonare un istrumento che trattavasi con l’archetto, e siccome Ercole stuon
figlio, sorpresi dalla fame ambidue, chiese da mangiare ad un bifolco che stava lavorando coll’ aratro ; e perchè quegli no
gran bevitore, se si deve giudicarlo dalla grandezza della sua tazza, che dicesi fossero necessari due uomini per portarla 
ssero necessari due uomini per portarla : egli però non aveva bisogno che di una mano per valersene quando la vuotava. Dat
ti e le sue fatiche per la sorte della sua nascita. Alcuni pretendono che questo suo procedere non fossé volontario e che d
ta. Alcuni pretendono che questo suo procedere non fossé volontario e che da principio ricusasse di sottomettersi agli ordi
Giunoue per punirlo della sua disubbedienza lo colpì con tale delirio che uccise i propri figli natigli da Megara sua prima
vita quelli di Euristeo. Ritornato in sè stesso ne fu tanto afflitto che rinunciò al commercio degli uomini, indi consultò
rinunciò al commercio degli uomini, indi consultò l’oracolo di Apollo che gli ordinò di sottomettersi, per lo spazio di dod
dini di Euristeo, in conformità dei decreti di Giove ; e gli annunciò che sarebbe posto nel rango degli Dei allorchè avesse
lagevoli dette poi dai mitologi le dodici fatiche di Ercole, persuaso che dovesse perire ; ma Ercole ne sortì con gloria. D
eramente combattere il terribile leone figlio di Tifone e di Echidna, che infestava i contorni di Nemea, celebre città dell
l paese di Argo pugnò coll’ Idra Lernea, nata da Echidna anch’essa, e che era un serpente di sette teste, a cui se una veni
de. 3.° Pugnò e prese vivo sul monte Erimanto un ferocissimo cignale che devastava l’Arcadia. Euristeo vedendo Ercole che
ferocissimo cignale che devastava l’Arcadia. Euristeo vedendo Ercole che portava su le spalle questo cignale vivo, ne fu t
che portava su le spalle questo cignale vivo, ne fu tanto spaventato che corse a nascondersi sotto di un tino di bronzo. 4
di bronzo. 4.° Sul monte Menalo inseguì per un anno intiero una cerva che aveva i piedi di bronzo e le corna d’oro. Siccome
ta a Diana era proibito di ucciderla. Ercole per ubbidire ad Euristeo che la voleva per sè, raggiunta che l’ebbe su le spon
erla. Ercole per ubbidire ad Euristeo che la voleva per sè, raggiunta che l’ebbe su le sponde del Ladone, la prese viva, se
di càrne umana. Ve n’era un gran numero e la loro grossezza era tale che le loro ali impedivano che la luce del sole si sp
n gran numero e la loro grossezza era tale che le loro ali impedivano che la luce del sole si spandesse su la terra. 6.° S
fatta prigioniera la loro regina Ippolita la diede in isposa a Teseo che gli era stato compagno in quell’impresa. Le Amazz
ra stato compagno in quell’impresa. Le Amazzoni erano donne guerriere che abitavano le ripe del Termodonte in Capadocia. No
Capadocia. Non volevano uomini seco loro e non conversavano con essi che una volta ogni anno, e li rimandavano dopo alle l
a volta ogni anno, e li rimandavano dopo alle loro case esigendo però che avessero ucciso prima tre de’ loro nemici : facev
le stalle di Augia re dell’Elide, le quali contenevano tremila buoi e che non erano state pulite da trent’anni, col farvi p
mpenso delle sue fatiche, il quale consisteva nel decimo delle gregge che gli dovea appartenere. Siccome Augia gli rifiutò
Augia gli rifiutò il compenso malgrado il parere di Fileo suo figlio che lo consigliò a mantenere i patti, Ercole offeso d
nominò Fileo erede degli stati di suo padre. 8.° Domò un furioso toro che devastava l’isola di Creta e lo condusse legato a
lli di carne umana facendo loro divorare principalmente gli stranieri che avevano la mala sorte di cadere nelle sue mani. E
ieri che avevano la mala sorte di cadere nelle sue mani. Ercole preso che ebbe Diomede lo fece divorare da quegli stessi ca
valli, i quali condusse poscia ad Euristeo e non li lasciò in libertà che sul monte Olimpo ove furono divorati da animali f
in Eritia isola vicino di Cadice. Questi era un gigante con tre corpi che faceva pascere i suoi buoi con carne umana. Per c
ue spalle il cielo. 12.° Discese all’inferno, incatenò il can Cerbero che ebbe anch’esso Echidna per madre, cavonne Alceste
altre memorabili azioni. Vinse il fiume Acheloo e gli tolse un corno, che fu poi chiamato Cornucopia. Soffocò il gigante An
, Tirreno ed altri. Domò i Centauri, uccise Busiride tiranno d’Egitto che sacrificava a Nettuno suo padre i forastieri. Ucc
o che sacrificava a Nettuno suo padre i forastieri. Uccise l’avoltoio che rodeva il cuore a Prometeo legato al monte Caucas
ale Esione figlia di Laomedonte era esposta ; e per punire Laomedonte che gli negava i promessigli cavalli, rovesciò le mur
e Calpe, unendo in tal guisa il Mediterraneo all’ Oceano, e credendo che quel punto fosse la fine del mondo, vi eresse due
punte e la ferì nel seno, e n’ebbe essa a provare dolori così grandi, che sembrava non dovesser più calmarsi. Ercole ferì a
ta, Partenope, Auge, Astioca, Astidamia, Deianira e la giovinetta Ebe che sposò in cielo. L’amore ch’ebbe per Onfale regina
ò in cielo. L’amore ch’ebbe per Onfale regina di Lidia fu sì ardente, che si vestiva da donna per piacerle e silava con lei
l centauro Nesso si offerse di portarla sul dosso sull’altra ripa, al che Ercole acconsentì ; ma accortosi che Nesso si pre
la sul dosso sull’altra ripa, al che Ercole acconsentì ; ma accortosi che Nesso si preparava a fuggire con Deianira, scocco
che Nesso si preparava a fuggire con Deianira, scoccogli una freocia che lo costrinse a fermarsi. Sentendosi il Centauro v
a Deianira la sua camicia intrisa nel proprio sangue, a ssicurandola che quella vesta aveva tal virtù, che suo marito indo
nel proprio sangue, a ssicurandola che quella vesta aveva tal virtù, che suo marito indossandola non avrebbe potuto lascia
suo marito indossandola non avrebbe potuto lasciarla per un’altra, o che se l’avesse abbandonata avrebb’essa avuto potere
andò a lui la fatal camicia, ed appena se l’ebbe egli posta in dosso, che sentissi subito ardere da un crudel fuoco, ed il
precazioni contro la moglie ; vedendo finalmente seccarsi le membra e che si avvicinava il suo fine, alzò un rogo sul monte
oco e di aver cura delle sue ceneri. Appena fu acceso il rogo, dicesi che cadesse il fulmine dal cielo e riducesse tutto in
cielo e riducesse tutto in cenere in un istante, onde purificare ciò che v’era di mortale in Ercole. Giove lo innalzò al c
rato, perchè se n’era cinto il capo quando discese nell’inferno : ciò che toccavagli il capo conservò il suo bianco colore,
re la parte esterna fu fatta nera dal fumo. La sua clava era d’ulivo, che , secondo alcuni, dopo la sua morte, piantata nell
di Deianira sposò Iolea, ma Euristeo serbando verso del figlio l’odio che nutrito avea contro del padre lo scacciò dal regn
he in cui si raccontano avvenute congetturarono a ragione sì i Romani che i Greci e dietro essi i moderni che più di un Erc
getturarono a ragione sì i Romani che i Greci e dietro essi i moderni che più di un Ercole vi avesse come si è già detto e
o essi i moderni che più di un Ercole vi avesse come si è già detto e che ciascuna nazione vantasse il suo, e che tutte poi
avesse come si è già detto e che ciascuna nazione vantasse il suo, e che tutte poi attribuite fossero le imprese di tanti
te fossero le imprese di tanti Ercoli al figlio di Alcmena e di Giove che si rendette così il più celebre tra i Semidei. In
ette così il più celebre tra i Semidei. Insorse nondimeno un sistema, che prevale fors’anche, il quale riducendo ad un solo
l culto antico cioè della natura, fece di Ercole un essere allegorico che al par di Bacco, di Giove, di Esculapio e di tant
iove, di Esculapio e di tante altre deità, non vuol significare altro che il sole. L’universalità del culto di Ercole, l’an
chità de’ suoi templi di Fenicia, di Egitto, quivi innalzatigli prima che le colonie di que’ due paesi andassero a popolare
popolare la Grecia, i tratti con cui gli antichi hanno dipinto Ercole che tutti convengono al sole formano il principal fon
rmano il principal fondamento di questo sistema. La perfeta analogia che passa tra le dodici fatiche attribuite ad Ercole
che passa tra le dodici fatiche attribuite ad Ercole e i dodici segni che trascorre il sole nello zodiaco è uno de’ più for
il sole. I sostenitori del sistema astronomico di Ercole asseriscono che non solo all’estremità del Mediterraneo, ma a que
colle altre il termine dei viaggi di questo eroe verso occidente ; e che due altari vedevansi nelle Indie in onore del med
ali colonne e tali altari servono a convalidare sempre più il sistema che Ercole non fosse altro che il sole, poichè si ved
ervono a convalidare sempre più il sistema che Ercole non fosse altro che il sole, poichè si vedono espressi chiaramente in
il quale ogni giorno trascorre dall’orto all’occaso. Osservisi ancora che le colonne misteriose innalzate dagli antichi era
no sacre tutte agli astri, prima base della loro religione. Tutto ciò che abbiamo qui brevemente accennato sul sistema astr
iglio di Giapeto uno de’ Titani e di Asia figlia dell’Oceano. Egli fu che formò i primi uomini di terra e di acqua. Minerva
zza dell’opera di Prometeo, gli fece l’offerta di dargli tutto quello che poteva contribuire a perfezionarla. Prometeo le d
utto quello che poteva contribuire a perfezionarla. Prometeo le disse che avrebbe desiderato di scorrere egli medesimo le c
ato di scorrere egli medesimo le celesti regioni per scegliere quello che più gli fosse sembrato conveniente all’uomo che e
per scegliere quello che più gli fosse sembrato conveniente all’uomo che esso aveva formato. Innalzato al cielo da Minerva
sso aveva formato. Innalzato al cielo da Minerva, ed avendo osservato che tutti i corpi celesti erano animati dal fuoco, vi
ni per cui fu detta Pandora e la mandarono a Prometeo con una scatola che conteneva tutti i mali. Prometeo ebbe l’avvedutez
se lietamente il dono e sposò Pandora contro il consiglio di Prometeo che detto gli aveva di rifiutare qualunque presente g
are qualunque presente gli venisse da Giove. L’ira di Giove nel veder che Prometeo era sfuggito a questo agguato non ebbe f
meteo sul monte Caucaso, ove un avoltoio gli rodeva il cuore a misura che gli rinasceva ; e sofferse tale supplizio, sintan
uore a misura che gli rinasceva ; e sofferse tale supplizio, sintanto che andò a liberarlo Ercole. L’uomo formato da Prome
o che andò a liberarlo Ercole. L’uomo formato da Prometeo per quelli che vogliono spiegare questa favola era una statua ch
era una statua ch’ei seppe formare coll’ argilla, e fu desso il primo che insegnò agli uomini la statuaria. Prometeo essend
insegnò loro a condurre una vita umana, e per questo si è forse detto che coll’assistenza di Minerva aveva formato l’uomo.
degli uomini, e Pirra sua sposa la più virtuosa tra le donne, i soli che per essere gente dabbene gli Dei vollero eccettua
nte dabbene gli Dei vollero eccettuare dal generale eccidio. Ritirate che si furono le acque andarono i due coniugi a consu
racolo di Temi sul modo di ripopolare la terra e n’ebbero in risposta che si gettassero dietro le spalle le ossa della madr
ero su le prime il senso dell’oracolo e furono allarmati da un ordine che parve loro crudele. Ma Deucalione dopo avervi rif
che parve loro crudele. Ma Deucalione dopo avervi riflettuto s’avvide che per madre dovevasi intendere la terra, madre comu
la terra, madre comune, le ossa della quale erano le pietre. Riunite che n’ebbero buon numero, quelle gettate da Deucalion
o da sè stessi dall’umida terra, tra quali citasi il serpente Pitone, che fu poi ucciso da Apollo. Anche Cerambo, abitante
a montagna, o secondo altri, trasformato in quella specie di scarabeo che ha le corna. La favola di Deucalione e di Pirra
ltri va a scaricarsi nel mare. In quell’anno stesso cadde tanta acqua che tutta la Tessaglia fu inondata. Deucalione e que’
a che tutta la Tessaglia fu inondata. Deucalione e que’ pochi sudditi che fuggirono si salvarono con lui sul monte Parnaso,
o, e venute meno le acque scesero nella pianura. Le pietre misteriose che ripopolarono il paese furono forse i figli di que
e misteriose che ripopolarono il paese furono forse i figli di quelli che si salvarono dall’inondazione. Deucalione ebbe da
alvarono dall’inondazione. Deucalione ebbe da Pirra due figli. Elleno che alcuni mitologi chiamano figlio di Giove, ed Anfi
i. Elleno che alcuni mitologi chiamano figlio di Giove, ed Anfittione che regnò nell’Attica. Ebbe inoltre una figlia per no
bbe inoltre una figlia per nome Protogenea la quale fu amata da Giove che la rese madre di Etlio. L’epoca del diluvio di De
n figlio chiamato Perseo. Pretendono alcuni, ma son creduti da pochi, che quegli che s’introdusse nella torre fosse Preto e
iamato Perseo. Pretendono alcuni, ma son creduti da pochi, che quegli che s’introdusse nella torre fosse Preto e che da ciò
eduti da pochi, che quegli che s’introdusse nella torre fosse Preto e che da ciò ne naeque l’odio implacabile che regnò tra
sse nella torre fosse Preto e che da ciò ne naeque l’odio implacabile che regnò tra i due fratelli. Conscio che fu Acrisio
iò ne naeque l’odio implacabile che regnò tra i due fratelli. Conscio che fu Acrisio della nascita di Perseo fecelo esporre
eo fecelo esporre colla madre in una sdruscita nave nel mare sperando che i flutti non tardassero ad inghiottirli, ma fu de
l quale condusse la madre ed il figlio a Polidete sovrano dell’isola, che dicesi da alcuni fratello a Ditti. Il re accolse
itati gli facesse dono d’un cavallo ; ed invitò. Perseo perchè sapeva che non ne aveva. Questo giovine ardente di far prova
invece del cavallo la testa di Medusa, una delle tre Gorgoni, la sola che fosse mortale ; cui Pallade per punirla di aver a
suo tempio aveva cangiato i capelli in serpenti, ed aveva prescritto che chiunque la riguardava dovesse rimanere pietrific
no una scimitarra di diamanti fatta a forma di falce ; Plutone l’elmo che rendeva invisibile chi lo portava, e Pallade uno
one l’elmo che rendeva invisibile chi lo portava, e Pallade uno scudo che risplendeva ad uso di specchio. Armato in tal gui
istito da Minerva partì, vinse le Gorgoni e tagliò la testa di Medusa che portò seco. Volando sempre in balía de’ venti, sa
. Volando sempre in balía de’ venti, salito sul caval Pegaso, vedendo che il giorno era vicino a fmire, si fermò in Maurita
scere per figlio di Giove. Atlante rammentandosi di un oracolo antico che gli aveva annunciato di diffidarsi di un figlio d
o antico che gli aveva annunciato di diffidarsi di un figlio di Giove che gli avrebbe un giorno rapiti i più bei frutti del
l’ospitalità e lo scacciò. Perseo non potendosi misurare con Atlante che era un gigante di una enorme altezza, lo punì con
suoi giorni divorata da un mostro marino colà mandato dalle Nereidi, che l’avevano prima legata nuda ad uno scoglio per or
ine di Giunone e per espiare il delitto della propria madre Cassiopea che aveva gareggiato per la bellezza con Giunone e le
e la madre di lei Cassiopea accolsero colla più grande gioia Perseo, che riconobbero pel liberatore della figlia e gliela
romeda Perseo tornò in Grecia. Pietrificò col teschio di Medusa Preto che aveva scacciato Acrisio dal regno di Argo, conver
scacciato Acrisio dal regno di Argo, convertì pure in pietra Polidete che invidioso della gloria di lui cercava ogni mezzo
a di violenze Danae, e per ultimo trasmutò in sasso lo stesso Acrisio che volevagli contrastare il passaggio pe’ suoi stati
i Medusa ch’essa non mise su lo scudo ma su l’egida. Sostengono altri che Perseo trovandosi a Larissa volle far prova della
ar prova della sua destrezza nel lanciare il disco da lui inventato e che ebbe la disgrazia di uccidere innocentemente Acri
e per le sue cognizioni astronomiche ; fu il primo per quanto narrasi che rappresentò la terra sotto la forma sferica per c
rrasi che rappresentò la terra sotto la forma sferica per cui si dice che portava il cielo. Si narra da altri che Giove lo
forma sferica per cui si dice che portava il cielo. Si narra da altri che Giove lo condannò veramente a sostenere colle sue
am già visto, ed essendogli negata l’ospitalità, n’ebbe tanto sdegno, che facendo vedere ad Atlante la testa di Medusa, con
ad Atlante la testa di Medusa, converselo in una così alta montagna, che l’occhio non giugne a scoprirne la sommità. Atlan
a o Endora, Pasitoe, Coronide, Polisso, Fileto e Tienea sorelle di la che venne divorato da un leone. Fu tanto il dolore ch
enea sorelle di la che venne divorato da un leone. Fu tanto il dolore che provarono le figlie di Atlante per la morte del l
su la fronte del toro, ov’esse piangono tuttora. Si racconta da altri che le Iadi erano ninfe trasportate in cielo da Giove
da Giove e convertite in astri, per sottrarle alla collera di Giunone che voleva punirle delle cure da esse avute per educa
lle Iadi. Fanno alcuni queste Ninfe figlie di Cadmo. Altri pretendono che le figlie di Atlante dette Atlantidi non fossero
Altri pretendono che le figlie di Atlante dette Atlantidi non fossero che sette dette dai Greci Iadi, Pleiadi dai Latini. D
ssi dopo Ercole. Fu sempre nemico del vizio. Purgò l’Attica dai ladri che la infestavano. Liberò il suo paese dal vergognos
ladri che la infestavano. Liberò il suo paese dal vergognoso tributo che pagava a Minosse, salvandosi dai pericoli che avr
dal vergognoso tributo che pagava a Minosse, salvandosi dai pericoli che avrebbe corso in tale difficile impresa coll’assi
l’assistenza di Arianna figlia di Minosse innamoratasi di lui. Ucciso che ebbe il Minotauro tornò ad Atene ove riformò le l
andò a liberarlo ; ed era stato sì strettamente legato a quel sasso, che vi lasciò attaccata una parte della pelle. Egli a
figlio al furore di Nettuno, il quale fece sortire dal mare un mostro che spaventò i cavalli di Ippolito mentre questi se n
di Teseo in patria fu prima fatale ad Egeo. Questi gli aveva ordinato che tòrnando salvo in patria, per dargliene indizio,
ere vele, e credendo il figlio estinto, per duolo affogossi nel mare, che da lui prese il nome di mar Egeo ora Arcipelago.
amicizia. Giovò assaissimo a Piritoo l’amicizia di Teseo nella pugna che egli ebbe contro i Centauri. Perciocchè avendo eg
e su di un sasso, finchè ne venne liberato da Ercole. Vuolsi da molti che questa Proserpina fosse moglie di Edomo re dell’E
erato poi da Ercole. Si pone Piritoo nel numero dei famosi scellerati che sono nel Tartaro puniti. I Centauri mezzo uomini
Variano le opinioni su l’origine di questi mostri favolosi. Ecco ciò che narrasi riguardo all’accidente che ha dato l’idea
i questi mostri favolosi. Ecco ciò che narrasi riguardo all’accidente che ha dato l’idea dei Centauri. Una quantità di buoi
astavano le terre vicine del monte Pelia in Tessaglia. Alcuni giovani che avevano pei primi addestrati in que’paesi dei cav
isero un gran numero ed obbligarono gli altri a fuggire. Narrasi pure che i Centauri essendo la maggior parte parenti del r
ti, il giovine principe fece alcune trattative di pace con essi, pace che non durò lunga pezza ; imperciocchè avendoli invi
e essi risolvettero di rapire Ippodamia sposa di lui e le altre donne che assistevano a questa festa. Ercole, Teseo e gli a
e opere di antichi artisti come bassirilievi, sculture, ecc. scorgesi che esistettero pei mitologi anche delle Centauresse.
e di Libia. Europa sua sorella essendo stata rapita da Giove, Agenore che ignorava la qualità del rapitore, ordinò a Cadmo
a cercare acqua in un vicino bosco consacrato a Marte, ma un dragone che aveva in custodia questo luogo li divorò tutti. C
o e lo uccise. Ne seminò indi i denti dai quali nacquero degli uomini che si uccisero immantinenti tra di loro, eccetto cin
la giovenca di cui aveva parlato l’oracolo. Per conciliare la favola che dice che le mura di Tebe furono innalzate dall’ar
nca di cui aveva parlato l’oracolo. Per conciliare la favola che dice che le mura di Tebe furono innalzate dall’armonia del
rono innalzate dall’armonia della lira di Anfione, prentendono alcuni che Cadmo non abbia fondata che una cittadella, la qu
della lira di Anfione, prentendono alcuni che Cadmo non abbia fondata che una cittadella, la quale pigliò da lui il nome di
cipii. Cadmo si vedeva genero di due grandi divinità e amato del pari che rispettato da’suoi sudditi ; egli era padre di un
n potè tollerare a lungo tale felicità. Questa Dea non poteva obliare che Cadmo era fratello di Europa, sua rivale. La prim
, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo al fine al dolore che gli cagionavano tante sciagure avvenute nella sua
nte errato in diversi paesi, giunse in Illiria con Ermione sua sposa, che avevalo sempre accompagnato. Oppressi entrambi da
i da Giove nei Campi Elisi, sopra un carro tirato da serpenti. Vuolsi che Cadmo insegnasse ai Greci l’uso delle lettere o d
di lei marito ; l’altro fecondato da Giove produsse Polluce ed Elena che partecipavano dell’immortalità di colui da cui tr
atelli legatisi colla più stretta amicizia, sì teneramente si amavano che uno non abbandonava mai l’altro. Si accinsero pri
l’altro. Si accinsero prima di tutto a purgar l’Arcipelago dai pirati che lo infestavano, e furono perciò messi tra il nume
h’esso da Ida. Polluce afflitto per la morte del fratello pregò Giove che rendesse questi alla vita e togliesse a lui medes
ui medesimo la sua immortalità. Tutto ciò ch’egli potè ottenere si fu che passerebbe nel regno de’morti tutto il tempo che
potè ottenere si fu che passerebbe nel regno de’morti tutto il tempo che Castore resterebbe sulla terra ; di maniera che v
’morti tutto il tempo che Castore resterebbe sulla terra ; di maniera che vivevano e morivano alternativamente ogni giorno
o loro in sacrificio degli agnelli bianchi. Castore proteggeva quelli che si disputavano il premio nella corsa de’cavalli,
opinione adottata da alcuni poeti è divenuta quasi generale. Narrasi che Apollo, o secondo altri, Mercurio gli fece dono d
rio gli fece dono di una cetra cui egli aggiunse due eorde alle sette che già aveva quell’ istrumento. Era egli tanto eccel
arne melodiosi suoni, e nell’accompagnare con quelli la propria voce, che fin le cose insensibili allettava ; le più feroci
lla fuggiva dal giovine Aristeo figlio di Apollo e della ninfa Cirene che per farle violenza la inseguiva. Orfeo inconsolab
la, prima d’uscire dai limiti del loro impero. Non gli restava a fare che un passo ed avrebbe riveduta la luce colla sua am
ssa gli stende le braccia ; egli tenta di afferrarla ma non abbraccia che un’ombra vana. Orfeo oppresso dal dolore vorrebbe
l’inflessibile Caronte non gli permette di ripassare il fiume. Vuolsi che restasse sette giorni su le rive dell’Acheronte s
a, e gettarono la testa di lui nell’ Ebro ora Maritza fiume di Tracia che nel mar Egeo mette le sue foci. Così la morte di
la vita. Variano i racconti su la morte di Orfeo ; avvi chi pretende che nell’eccesso del suo dolore si uccidesse da sè st
ui trasportata dai flutti, si fermò presso l’isola di Lesbo, e dicesi che dalla sua bocca udivansi uscire tristi e lugubri
, e dicesi che dalla sua bocca udivansi uscire tristi e lugubri suoni che erano dall’eco ripetuti ; e che un serpe voleva m
divansi uscire tristi e lugubri suoni che erano dall’eco ripetuti ; e che un serpe voleva morderla nel momento che apriva l
erano dall’eco ripetuti ; e che un serpe voleva morderla nel momento che apriva la bocca, ma Apollo lo cangiò in rupe e lo
, ma Apollo lo cangiò in rupe e lo lasciò nell’attitudine di un serpe che sta per mordere. Quella testa fu tenuta in grande
ope moglie di Lico re di Tebe fu ripudiata da suo marito per sospetto che fosse invaghita di Epafo o Epopeo re di Sicione.
luce due gemelli Anfione e Zeto, i quali furono allevati dal pastore che aveva dato ospitalità alla loro madre. Le inclina
oltivò la poesia e la musica, facendo tanti progressi in quest’ultima che passò per inventore di tale arte. Alcuni accertan
n quest’ultima che passò per inventore di tale arte. Alcuni accertano che Mercurio gliene insegnò i principii, e gli donò u
ò una lira alla quale Anfione aggiunse tre corde. Vien anche asserito che questo musico innalzò il primo altare del quale s
ltare del quale sia stato onorato Mercurio nella Grecia. Altri dicono che Anfione ricevesse la lira dalle mani delle Muse.
Muse. Divenuti grandi i due fratelli, e istruiti dei mali trattamenti che Dirce aveva fatto subire alla loro madre radunaro
a porsi le une su le altre. Egli vi fe’ sette porte e diverse torri, che situò ad eguali distanze. Vedevansi ancora a Tebe
i Antonini, vicino alla tomba di questo principe, molte pietre rozze, che dioevansi essere un avanzo di quelle ch’egli avev
eva fatte venire al suono della sua lira. Non è difficile l’intendere che i poeti nel dirci che Anfione aveva edificato le
ono della sua lira. Non è difficile l’intendere che i poeti nel dirci che Anfione aveva edificato le mura di Tebe col suono
che Anfione aveva edificato le mura di Tebe col suono della sua lira, che indipendentemente del suo talento nel maneggiare
facevano ogni anno l’anniversario di lui. Questo non è lo stesso Lino che insegnò la musica ad Ercole, il quale in un trasp
la cattiva sua maniera di maneggiare quell’istromento. A questo Lino che era Tebano e secondo alcuni fratello di Orfeo si
zato dal trono dal fratello Pelia ; l’oracolo predisse a quest’ultimo che sarebbe scacciato da un figlio di Es one. Quindi
ne. Quindi appena Giasone vide la luce suo padre fece sparger la voce che il bambino era gravemente ammalato ; e pochi gior
il suo primo nome di Diomede in quello di Giasone. Pretendono alcuni che fosse Pelia medesimo che desse Giasone ad educare
mede in quello di Giasone. Pretendono alcuni che fosse Pelia medesimo che desse Giasone ad educare a Chirone regnando egli
munirsi di due lance e portarsi in tal guisa alla corte di Iolco, lo che egli eseguì. Giunto Giasone in lolco trasse a sè
rono paterno. Pelia odiato dal popolo, avendo notato l’interessamento che il giovine principe a tutti inspirava, non osò op
terribili sogni, fa consultare l’oracolo di Apollo e questi risponde che bisogna placare l’ombra di Frisso discendente da
e trucidato nella Colchide e trasportarlo in Grecia ; di più aggiunge che Frisso costretto d’allontanarsi da Tebe, ha porta
nvitano ; e Pelia giura per Giove dal quale hanno tutti e due origine che al suo ritorno gli darà il possesso del trono che
tutti e due origine che al suo ritorno gli darà il possesso del trono che gli appartiene. Giasone era in quella età in cui
ui si va in traccia della gloria, perciò colse avidamente l’occasione che gli si presentava per acquistarne. Fu annunciata
a due tori vomitanti fiamme e da un orribile drago. Giunone e Minerva che proteggevano Giasone, fecero sì che Medea figlia
orribile drago. Giunone e Minerva che proteggevano Giasone, fecero sì che Medea figlia di Eete re della Colchide, famosa ma
endue recati si erano per implorare il soccorso di quella Diva. Medea che già incominciava ad interessarsi affettuosamente
iprochi giuramenti si separarono, e Medea andò subito a preparare ciò che erale necessario per salvare il suo amante. Le co
e degli uomini armati, ch’egli era tenuto di sterminare tutti ; senza che ve ne rimanesse un solo ; infine gli era imposto
e ne rimanesse un solo ; infine gli era imposto di uccidere il mostro che vegliava incessantemente alla custodia del vello
rammezzo ai combattenti sortiti dalla terra, li pone in tanto furore, che rivoltisi l’un contro l’altro tra di loro si ucci
oro compagni si danno tosto alla fuga e veggendosi inseguiti, narrasi che Medea d’accordo col marito prese il barbaro parti
berare il suo sposo da questo nemico, consigliando le figlie di Pelia che era oltremodo avanzato in età ad uccidere il padr
abbandonare la Tessaglia ed a ritirarsi a Corinto con Medea. Creonte che ne era il re li accolse cordialmente ed accordò l
essa stessa colle proprie mani sotto gli occhi di Giasone i due figli che da lui aveva avuti e predisse al traditore marito
one i due figli che da lui aveva avuti e predisse al traditore marito che dopo aver vissuto molto tempo tormentato dal peso
egli perirebbe colpito dagli avanzi del vascello degli Argonauti, ciò che gli accadde in fatti. Un giorno ch’egli stava rip
iparato dai raggi del sole da quel vascello tirato a terra, una trave che se ne distaccò improvvisamente gli schiacciò la t
se ne distaccò improvvisamente gli schiacciò la testa. Narrano altri che Medea dopo aver uccisi i propri figli se ne fuggì
Chirone nacque dagli amori di Filira figlia dell’Oceano con Saturno che si era trasformato in cavallo per occultarsi a Re
esti eroi la medicina, la chirurgia, la musica, l’astronomia. Fu egli che compose il calendario di cui si servirono gli Arg
l Bacco greco fu per quanto si crede un discepolo favorito di Chirone che gl’insegnò le orgie, i baccanali e tutte le cerim
lto bacchico. Chirone portò a tal segno il suo talento per la musica, che giunse a guarire le malattie coi soli concenti de
ella sua lira ed era tanto valente nella cognizione de’corpi celesti, che giunse a saperne allontanare ed a prevenirne le i
tanare ed a prevenirne le influenze funeste all’umanità. Nella guerra che fece Ercole ai Gentauri, sperando questi di calma
n ginocchio. Ercole disperato corse prontamente ed applicò un rimedio che aveva imparato dal suo antico precettore : ma il
agittario. Argonauti. Nome col quale si distinguono i principi greci che s’imbarcarono con Giasone per andare nella Colchi
monte Pelio e con una quercia tolta alla selva Dodonea formò la nave che da’poeti fu celebrata come la prima nave che foss
va Dodonea formò la nave che da’poeti fu celebrata come la prima nave che fosse costrutta e le diede il suo nome ; Tifi ne
rono al capo di Magnesia in Tessaglia. Approdarono all’isola di Lenno che trovarono abitata da sole donne, le quali per viv
i dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegadi, che urtandosi fra di loro impedivano l’uscita del Bos
in ricompensa ordinò agli alati figli di Borea di scaociare le Arpie, che lordavano le mense di Fineo, e questi le inseguir
vano le mense di Fineo, e questi le inseguirono fino alle isole Plote che furono poi dette Strofadi ora Strivali. Fineo se
ore e figlio di Fenice e di Cassiopea sposò in prime nozze Cleopatra, che altri chiamarono Stenobea o Stenobae, da cui ebbe
palice figlia di Borea e di Orizia, ad istanza di cui accecò i figli, che dalla prima aveva avuti. Borea vendicò l’innocenz
o si sarebbe ridotto a morir di fame senza l’aiuto di Calai e di Zete che vennero a scacciare que’mostri. Gli Argonauti ent
per esso e pel mar Ionio se ne tornarono a Iolco. Asseriscono alcuni che prima d’arrivarvi furono gettati su le coste d’Af
prima d’arrivarvi furono gettati su le coste d’Africa. Vogliono altri che arrivassero nel mare di Sardegna passando il Faro
i che arrivassero nel mare di Sardegna passando il Faro di Messina, e che Teti e le sue Ninfe dirigessero la nave degli Arg
A Drepane o Corcira oggi Corfù incontrarono la flotta della Colchide che gl’inseguiva, ma riuscì loro di evitarne l’incont
la guerra di Troia. Il Vello o Toson d’oro era la spoglia del montone che trasportò Frisso ed Elle nella Colchide, e la di
le opinioni sull’origine di questo misterioso ariete. Dicono gli uni che all’istante in cui stavasi per immolare Frisso ed
ele lo aveva dato ai suoi figli per sottrarli all’orribile sacrificio che la loro matrigna stava per consumare. Nefele fu l
ll’Europa in Asia sopra l’ariete dal vello d’oro Elle cadde nel mare, che per questa ragione fu detto Ellesponto ora strett
crato e lo diede in guardia a un drago il quale divorava tutti quelli che venivano per togliorlo e a due tori spiranti fuoc
za coloro, presso a’quali tal vello sarebbe stato, per tutto il tempo che conservato l’avrebbero, e fu permesso ad ognuno d
messo ad ognuno di provarsi a farne la conquista. Raccontasi da altri che Ino meditava la morte di Frisso e di Elle e che i
. Raccontasi da altri che Ino meditava la morte di Frisso e di Elle e che il primo fu spedito a scegliere la più bella peco
o a Giove. Mentre la stava cercando Giove die’la parola ad un montone che a Frisso tutti i disegni della matrigna discopers
d un albero nel campo di Marte e Mercurio la convertì in oro, di modo che , secondo gli uni il vello d’oro era d’oro dapprin
ro era d’oro dapprincipio, secondo altri, fu cambìato in metallo dopo che l’ariete ne fu spogliato. Vuolsi da alcuni che qu
mbìato in metallo dopo che l’ariete ne fu spogliato. Vuolsi da alcuni che quell’animale fosse coperto d’oro invece di lana
ell’animale fosse coperto d’oro invece di lana fin dal suo nascere, e che era il frutto degli amori di Nettuno trasformato
agnella. Nettuno aveva affidato questo prodigioso montone a Mercurio che ne fe’dono a Nefele. Del resto tutti i mitologi s
fe’dono a Nefele. Del resto tutti i mitologi sono d’accordo nel dire che dopo il sacrificio, l’animale fu trasportato in c
oro e di quanto vi ha rapporto, non varian meno le opinioni di quelli che si sono accinti a spiegarla. Vogliono alcuni che
e opinioni di quelli che si sono accinti a spiegarla. Vogliono alcuni che la favola di questo vello d’oro fosse fondata sul
questo vello d’oro fosse fondata sull’esservi nella Colchide torrenti che volgevano le loro acque sopra una rena d’oro la q
ipieni, possono essere riguardati come tosoni d’oro. Altri pretendono che questa favola tragga origine dalle belle lane di
ono che questa favola tragga origine dalle belle lane di quel paese e che il viaggio fatto da alcuni greci mercatanti per r
se dato argomento a siffatta finzione. Hanno forse più ragione coloro che spiegano la favola del toson d’oro con tutto ciò
ù ragione coloro che spiegano la favola del toson d’oro con tutto ciò che vi ha rapporto coll’astronomia, come fanno di tan
er madre Eurimede. Egli portò prima il nome di Ipponoo, come il primo che insegnò l’arte di condurre un cavallo col soccors
no o Delrade o Bellero (perciocchè gli vengon dati tutti questi nomi) che pretendeva farsi tiranno di Corinto secondo alcun
uni e secondo altri innocentemente a caccia, fu chiamato Bellerofonte che in greco significa uccisore di Bellero. Dopo ques
po questa uccisione si rifuggì volontariamente presso Preto re d’Argo che non debbesi confondere col fratello di Acrisio, d
glie di Preto Antea o Stenobea se ne invaghì fortemente e gli promise che se voleva corrispondere a’suoi desiderii lo avreb
ver voluto sedurla e pretese ch’ei lo facesse morire ; giacchè è noto che niuno è più crudele di una donna il cui risentime
rtatore di una lettera colla quale istruiva il suocero dell’oltraggio che credeva aver ricevuto, pregandolo di vendicarlo c
ono chiamate lettere di Bellerofonte, le lettere sfavorevoli a quelli che le portano. Partì Bellerofonte e giunse felicemen
del felice arrivo del giovine eroe. Nel decimo dì gli chiese i segni che mandavagli il re suo genero : aspettò fino allora
creta curiosità e d’inciviltà. Allorchè Giobate ebbe lette le lettere che gl’inviava Preto, ordinò a Bellerofonte, coll’ide
e gl’inviava Preto, ordinò a Bellerofonte, coll’idea di farlo perire, che andasse a combattere la Chimera, che infestava un
onte, coll’idea di farlo perire, che andasse a combattere la Chimera, che infestava un monte della Licia dello stesso nome.
andò poi a combattere contro i Solimi, popolo della Pisidia, credendo che dovesse sicuramente perire in questa impresa, ma
rofonte da questa terza spedizione, fu assalito da una truppa di Lici che erano stati inboscati da Giobate per assassinarlo
irpe divina, lo ritenne ne’suoi stati, gli partecipò i crudeli ordini che aveva ricevuti, e gli diede in isposa sua figlia
ormarono per lui un immenso dominio, ch’ei riunì alla corona di Licia che aveva creditata dopo la morte di Giobate, il qual
i Giobate, il quale non aveva lasciato figli maschi. Narrasi da altri che Minerva diede il caval Pegaso a questo principe p
ue vittorie, tentò di salire in cielo : allora Giove mandò un assillo che punse il cavallo, e fe’cadere l’eroe, il quale si
ue figli, Isandro morto in un combattimento contro i Solimi, Ippoloco che fu padre di Glauco, ed una figlia per nome Laodam
piegare questa favola, era una montagna dell’Asia minore nella Licia, che al pari dell’Etna e del Vesuvio mandava fiamme, d
no delle paludi infestate da sérpenti. Bellerofonte fu forse il primo che lo rese abitabile, e di qui venne il suo finto co
, e di qui venne il suo finto combattimento con questo mostro. Dicesi che il fuoco di questo vulcano ardeva perfino nell’ac
to vulcano ardeva perfino nell’acqua e non potevasi estinguere se non che colla terra. Meleagro, Atalanta ed Ippomene
due città della Grecia nell’Etolia. Al suo nascere sua madre s’avvide che le Parche misero un tizzone sul fuoco dicendo, ch
sua madre s’avvide che le Parche misero un tizzone sul fuoco dicendo, che tanto sarebbe durata la vita di lui quanto il tiz
cendo, che tanto sarebbe durata la vita di lui quanto il tizzone ; il che udendo la madre, appena le Parche furonsi ritirat
e, ritrasse il tizzone dal fuoco e gelosamento il nasçose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne che Oeneo offrendo per l’ott
l fuoco e gelosamento il nasçose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne che Oeneo offrendo per l’ottenuta fecondità delle cam
solenni sacrifici a tutti gli Dei, dimenticò di offrirne a Diana, di che essa sdegnata spedì a disertare le campagne di Ca
erocchè Altea di ciò irritata rimisi il tizzone nel fuoco, e a misura che questo andò consumandosi, egli pur divorato da in
elle di Meleagro la morte di lui piangendo furon cangiate in uccelli, che il nome ebbero di Meleagridi, che si credeva pass
iangendo furon cangiate in uccelli, che il nome ebbero di Meleagridi, che si credeva passassero tutti gli anni dall’Affrica
nome è celebre nella storia eroica. Appena ch’essa fu nata, suo padre che non voleva aver se non figli maschi, la fece espo
ta dalla fortuna essendo stata allevata per cura di alcuni cacciatori che la rinvennero. Divenuta grande ella abborrì per m
ava altri diletti se non quelli della caccia. Ella era tanto leggiera che nessumo animale potea sfuggirle e tanto bella che
era tanto leggiera che nessumo animale potea sfuggirle e tanto bella che non si poteva vederla senza amarla. Atalanta sogg
i avendola veduta risolvettero di farle violenza. La giovine Atalanta che sospettava la loro intenzione, vedendoli avvicina
a, non ne fu commossa ; ma stende l’arco e ferisce mortalmente quello che si avanza pel primo ; l’altro ebbe tosto la stess
fosse restituita a suo padre ; ma la maggior parte combinano nel dire che dessa si trovò alla famosa caccia del cinghiale d
re che dessa si trovò alla famosa caccia del cinghiale di Calidone, e che Meleagro capo di questa spendizione ne divenne in
ne, e che Meleagro capo di questa spendizione ne divenne innamorato ; che avendo essa ferito per la prima il terribile anim
nnamorato ; che avendo essa ferito per la prima il terribile animale, che Meleagro finì di uccidere, questo giovine princip
e presentò il capo di quel cinghiale, dicendole : « Egli è ben giusto che avendo incominciata la vittoria, voi ne dividiate
a. » Atalanta fu tanto più lusingata da questa distinzione, in quanto che i più illustri principi della Grecia, che interve
esta distinzione, in quanto che i più illustri principi della Grecia, che intervennero a quella caccia, l’avevano ambita. E
rimonio da molti principi ; ma sia ch’ella non amasse gli uomini, sia che fosse informata dall’oracolo che il maritaggio le
a ch’ella non amasse gli uomini, sia che fosse informata dall’oracolo che il maritaggio le sarebbe stato funesto, come asse
entissima nel correre, quindi propose a’suoi amanti di sposare quello che la superasse in questo esercizio, a condizione ch
di sposare quello che la superasse in questo esercizio, a condizione che i concorrenti dovessero essere senz’armi, e che e
ercizio, a condizione che i concorrenti dovessero essere senz’armi, e che essa corresse con un giavellotto, col quale avreb
che essa corresse con un giavellotto, col quale avrebbe uccisi quelli che non l’avessero vinta. Per quanto pericolosa fosse
l sangue di Nettuno e di Merope. Questo giovine principe era sì casto che per non veder femmine ritirossi nei boschi e nell
orno incontrato a caccia Atalanta fu sì colpito dall’avvenenza di lei che rinunciando alla vita selvaggia da lui sin allora
favorito dalla dea Venere, la quale gli fece dono di tre pomi d’oro, che aveva colto nel giardino delle Esperidi al dir di
e madre di un figlio chiamato Partenopeo, il quale fu uno de’capitani che trovaronsi all’assedio di Tebe in Beozia sotto il
no per ciò in lioni, e Cibele li attaccò al suo carro. Vogliono altri che Atalanta ed Ippomene non fossero già trasformati
nell’antro consacrato a Cibele ov’eransi ricorati e ciò fece credere che avessero subito tale metamorfosi. Alcione e Ce
di Luciefero e re di Trachina nella Ftiotide regione della Tessaglia, che era perito in un naufragio mentre andava a Claro
l’oracolo d’Apollo, morì di cordoglio o si gettò nel mare al ricever che fece questa triste nuova mandatagli dalla regina
nsarono la loro fedeltà trasformandoli entrambi in alcioni, e vollero che il mare fosse tranquillo in tutto il tempo che qu
in alcioni, e vollero che il mare fosse tranquillo in tutto il tempo che questi uccelli facevano i loro nidi. Epperò l’alc
no i loro nidi. Epperò l’alcione era consacrato a Teti, perchè dicesi che quest’uccello cova su l’acqua e fra le canne. Gli
questi, a colpi di frecce, atterrò più volte il suo nemico ; ma tosto che Alcione toccava la terra sua madre, prendeva nuov
ette fanciulle, delle quali egli era padre, furono talmente afflitte, che precipitaronsi di disperazione nel mare, ove furo
erazione nel mare, ove furono cangiate in alcioni. Giano Giano che alcuni fanno Scita d’origine, era figlio secondo
r l’Italia, ove approdato, conquistò molto paese e fabbricò una città che dal suo nome fu chiamata Gianicola. Nel tempo del
, ove fu da Giano cortesemente accolto ed associato al proprio regno, che nominò Lazio dalla parola latinalatere, nasconder
ogo derivare l’uso di rappresentare Giano con due facce, per dinotare che la regia potestà era divisa fra questi due princi
r dinotare che la regia potestà era divisa fra questi due principi, e che lo stato veniva dai consigli dell’uno e dell’altr
o veniva dai consigli dell’uno e dell’altro governato. Vogliono altri che le due facce attribuite a Giano indichino la rara
altri che le due facce attribuite a Giano indichino la rara prudenza che ponevagli sempre sott’occhio il passato ed il fut
edesi inventasse le toppe e perchè aprisse l’anno nel mese di gennaio che da lui tratto aveva il suo nome ; ed un bastone p
i lo posero nel numero degli Dei. Il regno di Giano fu tanto pacifico che fu risguardato come il Dio della pace ; sotto il
della pace ; sotto il qual titolo, Numa gli fece edificare un tempio che stava aperto in tempo di guerra e chiudevasi in t
e dedicato, e in esso i cittadini mandavansi scambievolmente dei doni che erano chiamati Strenne. Gordio, descrizione de
di Mida, era figlio di un agricoltore. Altra eredità non aveva fatta che due soli paia di buoi, uno pel suo aratro, l’altr
re, ai quali, secondo si riferisce, questa scienza era tanto naturale che passava fin nelle donne e nei fanciulli. A misura
andava avvicinandosi ad uno de’loro villaggi, incontrò una giovinetta che veniva ad attinger acqua, ed avendole significato
suo viaggio, ella, essendo della schiatta degli indovini, gli rispose che doveva sacrificare a Giove sotto il titolo di re
ssensioni tra i Frigi, per cui ricorsero all’oracolo, il quale disse, che tali divisioni non sarebbero cessate se non per m
ol padre e colla madre sopra di un carro, e allora, più non dubitando che questi fosse colui indicato dall’oracolo, lo eles
ose fine a tutte le loro differenze. Mida, in riconoscenza del favore che Gordio aveva ottenuto da Giove, gli dedicò il car
i scorza di corniolo, fatto con tant’arte e in tal guisa intrecciato, che non si poteva scoprirne le estremità. Secondo l’a
à. Secondo l’antica tradizione del paese, un oracolo aveva dichiarato che colui il quale fosse giunto a scioglierlo, avrebb
famoso carro cui stava attaccato il Nodo Gordiano ed essendo persuaso che la promessa dell’oracolo risguardasse lui solo, f
tentativi per isciornelo : ma non avendo potuto riuscirvi, e temendo che i suoi soldati ne traessero cattivo augurio : Non
agliato colla spada, in tale guisa deluse e compì l’oracolo. Narrasi che Alessandro e tutti coloro che erano presenti si r
uisa deluse e compì l’oracolo. Narrasi che Alessandro e tutti coloro che erano presenti si ritirarono come se l’oracolo fo
e fece nell’indomani dei sacrifici per ringraziare gli Dei del favore che gli avevano accordato e dei contrassegni che glie
ziare gli Dei del favore che gli avevano accordato e dei contrassegni che gliene davano. Edipo, Giocasta, Eteocle e poli
Tebe e di Giocasta figlia di Creonte. L’oracolo aveva predetto a Laio che sarebbe ucciso da suo figlio il quale avrebbe poi
aver contezza de’suoi parenti, e l’oracolo gli predisse le disgrazie che a Laio erano state predette e lo avvisò di non ri
avvisò di non ritornare nella sua patria per evitarle. Credendo Edipo che l’oracolo parlasse di Corinto, se ne esiliò volon
ender le parti di questi, uccise, senza conoscerlo, il proprio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Pretendono
rio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Pretendono altri che l’uccidesse, mentre in un angusto sentiero del mo
paese infestato dalla Sfinge mostro alato nato da Tifone e da Echidna che aveva la testa ed il petto di donna, il corpo di
i sciogliesse l’enimma, e perir facesse la Sfinge, perchè era destino che questa dovesse morire sì tosto che l’enimma da al
esse la Sfinge, perchè era destino che questa dovesse morire sì tosto che l’enimma da alcuno fosse disciolto. Presentossi E
isciolto. Presentossi Edipo e la Sfinge gli propose il fatale enimma, che era : Qual fosse l’animale che in sul mattino ave
a Sfinge gli propose il fatale enimma, che era : Qual fosse l’animale che in sul mattino aveva quattro piedi, diue sul mezz
veva quattro piedi, diue sul mezzogiorno e tre la sera. Edipo conobbe che in questo animale si figurava l’uomo, perchè l’uo
a sua vita, cioè quando è bambino, se ne va carponi, onde si può dire che cammini con quattro gambe ; sul mezzogiorno, cioè
chiezza, è costretto ad aiutarsi col bastone, onde qui pur dir si può che con tre piedi, e non più con due cammini. Così in
li Dei irritati di un tale incesto percossero i Tebani con una peste, che , secondo la risposta dell’oracolo di Delfo su ciò
emurosamente a farne ricerca, venne a scoprire, col mezzo del pastore che lo aveva salvato, non solamente che l’uccisore di
a scoprire, col mezzo del pastore che lo aveva salvato, non solamente che l’uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di
n solamente che l’uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di più che Laio era suo padre e Giocasta sua madre. Preso da
olo d’Apollo, il quale gli predisse ch’egli doveva morire a Colonos e che la sua tomba sarebbe il segnale della vittoria de
ebani viene a supplicare Edipo acciò ritorni in Tebe. Questo principe che sospetta in Creonte la mira di privarlo della pro
, e dopo di essersi purificato, si riveste d’un abito simile a quelli che si davano ai morti, fa chiamare Teseo, al quale r
nel numero de’più famosi condannati del Tartaro. Eteocle e Polinice che eran gemelli o per ordine del padre, come alcuni
ero fra di loro di regnare alternativamente un anno per ciascheduno e che per evitare qualunque contesa, quello che non fos
e un anno per ciascheduno e che per evitare qualunque contesa, quello che non fosse sul trono, si dovesse allontanare da Te
sso maritò la prima a Polinice, a Tideo figlio di Eneo re di Calidone che si era alla corte di Adrasto ritirato per aver di
ni e gran parte delle sue genti dovè tornarsene scornato in Argo. Più che ad altri però fatale fu la guerra a’fratelli nemi
e due armate, con tale accanimento pugnarono essi l’un contro l’altro che amendue scambievolmente si uccisero. Aggiungesi c
un contro l’altro che amendue scambievolmente si uccisero. Aggiungesi che la loro discorde maniera di pensare era stata, du
rante la loro vita, sì grande, e il loro odio tanto irreconciliabile, che durò anche dopo la loro morte ; e credesi d’aver
abile, che durò anche dopo la loro morte ; e credesi d’aver osservato che le fiamme del rogo su cui facevansi bruoiare i lo
me del rogo su cui facevansi bruoiare i loro corpi siensi separate, e che la stessa cosa sia accaduta ne’sacrifici che gli
corpi siensi separate, e che la stessa cosa sia accaduta ne’sacrifici che gli venivano offerti insieme, poichè per quanto c
rendere gli onori del sepolcro alle ceneri d’Eteocle, siccome quello che aveva combattuto contro i nemici della patria, e
me quello che aveva combattuto contro i nemici della patria, e ordinò che quelle di Polinice fossero sparse al vento, per a
opria patria un’armata straniera ; ma Antigone, non potendo tollerare che Polinice suo fratello divenisse preda dei cani e
, segretamente lo seppellì. Creonte, essendone stato istrutto, ordinò che questa amorosa sorella fosse sepolta viva, in pen
alcuna al governo, erasi posta alla testa di una truppa di masnadieri che nei contorni di Tebe mille e mille disordini ivan
sciva loro impossibile di liberarsi per non saperne le diverse uscite che essa perfettamente conosceva. Edipo la forzò fin
ità e da essi risuscitato ebbe una spalla d’avorio in luogo di quella che Cerere aveva mangiato. Dicesi che quella spalla,
spalla d’avorio in luogo di quella che Cerere aveva mangiato. Dicesi che quella spalla, col semplice suo tocco, aveva la v
ntalo erano immediatamente uniti a quelli di Troo re di Troia. Vuolsi che Tantalo essendo stato precipitato nell’inferno, P
el corso de’ cocchi, nel quale egli era abilissimo, colla condizione, che se taluno fosse rimasto vincitore, avrebbe avuto
o Ippodamia, ma i vinti sarebbero puniti di morte. Era difficilissimo che questo principe fosse vinto, in quanto che egli p
morte. Era difficilissimo che questo principe fosse vinto, in quanto che egli possedeva il più leggiero carro e i più rapi
n fragil asse, il quale essendosi spezzato nel corso precipitò Enomao che ne morì, ed egli così ottenne Ippodamia ed il reg
’Apia e di Argolide, ricevette quello di Peloponneso. Questa contrada che fu la culla di tanti grandi uomini ed il teatro d
pe sospettandoli ambedue rei della morte di Crisippo altro suo figlio che aveva avuto da una concubina per nome Astioche, n
vuto da una concubina per nome Astioche, non volle mai più permettere che comparissero alla sua presenza, dimodochè essi sp
a, lo associò al suo governo e morendo gli lasciò la corona. Tieste, che aveva seguito suo fratello Atreo nell’Argolide, s
a riconciliazione ordinò un gran banchetto e avendo trucidato i figli che Tieste aveva avuti dalla regina, ne fece imbandir
verso la fine del pasto le braccia e le teste di questi figli. Dicesi che il sole retrocedette inorridito da sì fiero spett
prima dalla quale ebbe Plistene, Agamennone e Menelao ; dicono alcuni che era Aerope figlia di Euristeo. Altri accertano ch
ao ; dicono alcuni che era Aerope figlia di Euristeo. Altri accertano che Aerope fu moglie di Plistene figlio di Atreo ; ch
o. Altri accertano che Aerope fu moglie di Plistene figlio di Atreo ; che la rese madre di Agamennone e di Menelao, i quali
Atreo ; che la rese madre di Agamennone e di Menelao, i quali dicesi che non siano reputati figli di Atreo, se non perchè
e Menelao. I due giovani principi si ritirarono appo Eneo re d’Etolia che li ricevette amichevolmente e si dichiarò loro pr
ro accordò loro delle truppe colle quali assalirono e vinsero Tieste, che trattarono con umanità contentandosi di esiliarlo
Divenuto Agamennone e per le sue conquiste e per la morte di Tieste, che gli aveva ceduti i suoi diritti, signore di Argo
a spedizione contro i Troiani, per ricuperare Elena moglie di Menelao che era stata rapita da Paride figlio di Priamo re di
l sacerdote Calcante consultato l’oracolo di Delfo portò in risposta, che per avere propizi i venti conveniva sacrificare I
nnone a Diana, irritata perchè questo principe aveva uccisa una cerva che erale consacrata. Il re d’Argo dopo un lungo cont
n lungo contrasto tra la tenerezza paterna e l’ambizione della gloria che doveva fruttargli la spedizione di Troia, acconse
greca ai lidi di Troia. Agamennone lasciò Egisto l’uccisore di Atreo che era suo cugino per vegliare al governo de’ suoi s
ente si oppose alla generosa di lui menzogna, finchè avendo Ifigenia, che era sacerdotessa di Diana, riconosciuto a sicuri
a Elettra in isposa ; e premendogli d’aver Ermione figlia di Menelao, che prima a lui promessa, era stata poi data a Pirro,
lui promessa, era stata poi data a Pirro, andato a Delfo, ove sapeva che Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi v
, andato a Delfo, ove sapeva che Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi venuto fosse per ispogliare il tempio, e i
nare ; questa è almeno l’opinione generale, malgrado dicasi da alcuni che Pirro fosse ucciso da Oreste medesimo innanzi al
Priamo re di Troia e di Ecuba figlia di Dimante re di Frigia. Dicesi che mentre Ecuba era incinta, parvele in sogno di ave
in seno una fiaccola ardente ; consultati gl’indovini le fu risposto che il fanciullo di cui era incinta, sarebbe stato un
petto, le rare sue qualità e certi tratti di spirito e di magnanimità che talvolta gli sfuggivano, fecero sospettare ch’ei
a illustre famiglia. Venne a lui affidata la cura di numerose mandre, che seppe in più occasioni difendere col suo coraggio
strò egli di essere di sì rara prudenza e di sì grande equità dotato, che i vicini pastori lo prendevano come arbitro delle
etta unione, sino all’epoca delle nozze di Teti e di Peleo. L’azione che più d’ogni altro il rendette celebre, si è il suo
Minerva gli offrì la saggezza siccome il maggiore di tutti i beni non che la gloria delle armi. Venere s’impegnò di renderl
onna dell’universo. Giunone si abbigliò poscia nel modo più magnifico che le fu possibile, lo stesso fecero pur anche Miner
ere ; e quest’ultima non dimenticò il suo cinto. Paride dichiarò loro che vedendole coi loro vestimenti le trovava egualmen
loro che vedendole coi loro vestimenti le trovava egualmente belle, e che per giudicare, eragli d’uopo di vederle ignude. L
un semplice mortale ; nè la casta Minerva potè pur essa ricusare. Sia che l’offerta di Venere fosse a Paride più gradita, s
esimo suo fratello Ettore senza conoscerlo ; e siccome non si parlava che di questo pastore Priamo il volle vedere, e dopo
algrado le predizioni degl’indovini, lo ricevette e diedegli il posto che gli conveniva. Poco dopo fu eletto da Priamo per
ridomandare Esione sua avola, condotta via da Telamone fin dal tempo che regnava Laomedonte. Accolto ospitalmente in Ispar
omedonte. Accolto ospitalmente in Isparta da Menelao marito di Elena, che era riputata la più bella donna di quell’età, col
ra riputata la più bella donna di quell’età, colse Paride l’occasione che Menelao ebbe a partire per Creta, e abusando dell
trinse ad entrar nella lega cogli altri. Teti madre d’Achille sapendo che sotto Troia sarebbe questi perito l’occultò sotto
essendo insorta grave rissa tra Agamennone ed Achille per una schiava che il primo al secondo voleva togliere, Achille s’as
i Aiace figlio di Telamone, ebbero dei grandi vantaggi ; e poco mancò che da quelli incendiate non fossero le navi che trat
vantaggi ; e poco mancò che da quelli incendiate non fossero le navi che tratte in secco servivano al campo de’Greci di tr
occhio, tre volte lo strascinò intorno le mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che
Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che venne in persona a chiederglielo. Riconciliatosi
con Priamo chiese in isposa la figlia di lui Polissena, ma nell’atto che celebravasi lo sposalizio nel tempio di Apollo, P
ro l’isola di Tenedo si nascosero. Invano Cassandra figlia di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai,
di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’insidia e che si doveva distr
ace sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’insidia e che si doveva distruggere. Invano pure Laocoonte sace
erriti da tal portento, fu innanzi a Priamo condotto il greco Sinone, che istrutto da Ulisse, appostamente erasi ascoso nel
amente erasi ascoso nelle paludi, fingendo d’essere fuggito da’ Greci che volevano sacrificarlo. Costui seppe persuadere ai
’ Greci che volevano sacrificarlo. Costui seppe persuadere ai Troiani che il cavallo era stato fabbricato da’ Greci onde pl
allade irritata per la violazione del Palladio o simulacro di Pallade che Ulisse con arte introdottosi in Troia aveva prece
dottosi in Troia aveva precedentemente rapito, sapendo essere destino che Troia non fosse presa finchè il Palladio conserva
o che Troia non fosse presa finchè il Palladio conservasse ; aggiunse che Troia sarebbe stata eternamente sicura, se quel c
e buia diede dall’alto della rocca con una fiaccola il segno a quelli che dietro Tenedo erano nascosti e aperse l’uscita a
a quelli che dietro Tenedo erano nascosti e aperse l’uscita a quelli che stavan dentro il cavallo, i quali assalendo i Tro
e Menelao uccisero Deifobo figlio di Priamo, e via condussero Elena, che dopo la morte di Paride a quello era stata data i
mucchio di sassi e di cenere. Dei capi troiani e loro alleati i soli che avanzarono da quella guerra e che dopo la presa e
capi troiani e loro alleati i soli che avanzarono da quella guerra e che dopo la presa e l’incendio della città salvi e li
la città salvi e liberi partirono, furono Antenore ed Enea. Antenore che fu creduto favorevole al partito dei Greci, perch
, dopo l’incendio di Troia partì cogli Eneti popolo della Paflagonia, che sotto Troia perduto avevano il loro re Filemone ;
per ordine di Venere prese sulle spalle il vecchio suo padre Anchise che portava gli Dei Penati, e guidando a mano il figl
l figlio Ascanio, partì seguíto dalla moglie Creusa figlia di Priamo, che poi si smarrì nel viaggio. Enea col padre e col f
messa. Enea lasciò nel Lazio suo successore il figlio Giulio Ascanio, che edificò Alba e vi trasportò la sua sede. Dopo una
eci prima, indi ai Troiani, formano l’argomento del primo poema epico che sia apparso, vale a dire dell’Iliade di Omero. Le
epico che sia apparso, vale a dire dell’Iliade di Omero. Le avversità che Ulisse ebbe a soffrire nel ritorno dopo la guerra
aocoonte ha dato argomento ad uno de’ più bei pezzi di greca scultura che noi possediamo. Questo gruppo è opera di Polidoro
. Esso fu rinvenuto a’ tempi di Giulio II sotto la volta di un salone che sembra aver fatto parte delle terme di Tito. Il L
chi Pubblici, ecc. Chiamavansi dagli antichi Oracoli le risposte che gli Dei davano agli uomini ; e lo stesso nome dav
zione tributata agli Oracoli erasi aumentata per mezzo di ricchi doni che si facevano ai loro templi e specialmente per le
chi doni che si facevano ai loro templi e specialmente per le persone che recavansi a consultarli. I luoghi scelti per cost
dulità del volgo. Nella Beozia sì fertile in Oracoli non iscorgevansi che rupi inaccessibili, circondate da monti, da bosch
to. I sacerdoti di tutti questi tempii non volevano essere consultati che da grandi personaggi o da uomini che fossero a pa
i non volevano essere consultati che da grandi personaggi o da uomini che fossero a parte de’ loro secreti ; e dovevano ess
Effestione. Vespasiano fa allontanare la sua scorta nel presentarsi che fa al tempio di Serapi. Quando un particolare vol
urre a buon fine qualche impresa, tosto recavasi a consultare gli Dei che avevan fama di predire il futuro. Gli Oracoli ren
erano quelli cui presiedeva Apollo, figliuolo di lui, siccome quello che nella cognizione dell’avvenire era il più versato
nelle querce del bosco a Giove consacrato, per cui le favole dissero che le querce parlavano. L’oracolo di Giove Ammone ne
ove la statua di lui solennemente portavasi da sacerdoti, e da’ segni che ella dava coi suoi movimenti, i sacerdoti interpr
rendeva gli oracoli su di un tripode, scranna piccola con tre piedi, che Apollo aveva coperto colla pelle del serpente Pit
e la chiarezza delle sue risposte, in confronto degli altri ; di modo che gli Oracoli del tripode passavano in proverbio pe
sempre favorevole. Questa asserzione è convalidata da infiniti esempi che presenta la storia. Per consultare gli Oracoli er
ultare gli Oracoli era necessario scegliere il tempo in cui credevasi che gli Dei ne pronunciassero ; poichè tutti i giorni
ichè tutti i giorni non erano eguali. Da principio a Delfo, non eravi che un mese dell’anno, in cui la Pizia rispondesse a
non eravi che un mese dell’anno, in cui la Pizia rispondesse a coloro che ivi recavansi a consultare Apollo. Col tratto del
o tutti nella stessa maniera : qui la sacerdotessa rispondeva pel Dio che veniva consultato ; là era l’Oracolo pronunciato
rante il sonno, e quel sonno preparavasi con particolari disposizioni che avevano qualche cosa di misterioso ; talvolta ciò
buivano la cognizione del futuro. Convengono generalmente gli antichi che vi siano state delle Sibille, ma non sono tutti c
annovera dieci, la Persica, la Libica, la Delfica, la Cumea o Cumana, che risiedeva in Cuma città d’Italia, l’Eritrea, la S
le figlia di Tiresia famoso indovino, o di Ercole o di Glauco. Dicesi che Apollo ne divenne amante e che per renderla sensi
ovino, o di Ercole o di Glauco. Dicesi che Apollo ne divenne amante e che per renderla sensibile, le offrì d’accordarle tut
Gli dimandò essa di vivere tanti anni, quanti erano i grani di sabbia che essa teneva in sua mano, poc’anzi raccolti ; locc
di chiedere nel tempo stesso il dono di conservare quella freschezza che tanto rendeala interessante. Apollo istesso le of
interessante. Apollo istesso le offrì quel favore novello, col patto che dovesse ella pure esser con lui condiscendente ;
rna gioventù, quello preferì essa di un’inviolabile castità ; di modo che una trista decrepitezza non tardò a distruggere l
ncavanle ancora tre secoli per compiere il numero dei grani di sabbia che dovevano por fine alla misura degli anni di sua v
rese dal padre tutti i perigli cui sarebbe stato esposto nelle guerre che , per fondare in Italia un nuovo impero, doveva so
er fondare in Italia un nuovo impero, doveva sostenere. Alcuni dicono che fosse la Sibilla Cumana italiana quella che offer
sostenere. Alcuni dicono che fosse la Sibilla Cumana italiana quella che offerse al re Tarquinio i Libri Sibillini. Voglio
quella che offerse al re Tarquinio i Libri Sibillini. Vogliono altri che fosse Demofila o Erofila, la settima delle Sibill
esi diversi. Qualunque sia la procedenza di questi libri è però certo che nulla avvi di più celebre nella Storia romana qua
ttribuiti. alle Sibille la quale conteneva i destini di Roma. Narrasi che una donna si presentò un giorno a Tarquinio Prisc
uali chiese 300 monete d’oro. Il re la scacciò con disprezzo ; per il che essa ne gettò tre nel fuoco in sua presenza e chi
tò tre nel fuoco in sua presenza e chiese lo stesso prezzo per quelli che rimanevano. Essendole negata nuovamente la richie
nsigliarono ch’egli dovesse pagare pei tre rimanenti volumi tutto ciò che si chiedeva. Ricevuta la somma l’incognita avvert
inio di custodire diligentemente questi libri come contenenti oracoli che presagivano i destini di Roma, e poscia dicesi ch
contenenti oracoli che presagivano i destini di Roma, e poscia dicesi che disparve. Sebbene questa storia senta in tutto de
Sebbene questa storia senta in tutto del favoloso, egli è però certo che i Romani possedevano una raccolta di sibillini ve
l Campidoglio. La custodia ne fu primamente commessa a due pontefici, che furono chiamati duumviri. Questo numero fu succes
il nome di quindecimviri. In origine questi sacerdoti non incombevano che alle cure le quali esigeva quel sacro deposito, p
fo dai Greci. Molti altri Libri Sibillini ebbero i Romani ma non avvi che i versi creduti della Sibilla Cumana il segreto d
consumato dalle fiamme, con molta fatica furono conservati quei libri che poscia vennero per certo in qualche altro religio
o per certo in qualche altro religioso luogo collocati ; poichè si sa che Onorio nel 403 li fece consultare nella circostan
tanza della prima invasione d’Alarico re dei Goti in Italia. Il culto che si prestò agli Dei, a’ Semidei e agli uomini che
in Italia. Il culto che si prestò agli Dei, a’ Semidei e agli uomini che per qualche straordinaria azione si erano resi il
limpio in Atene, ed in Roma quello di Giove Capitolino, ed il Panteon che tuttavia sussiste ; ne’ Sacrifici oltre a’frutti
acolo d’Apollo I Sacrifici erano sempre accompagnati da libazioni, che consistevano nel versare del vino, o in mancanza
di grandi prerogative, ed annoverate tra le Sacerdotesse. Ai conviti che celebravansi dopo i sacrifici presiedevano gli Ep
tali banchetti dovevano aver luogo in onore degli Dei. Il loro numero che da principio era solo di tre, venne portato sino
sino a dieci. Solevano i Romani offrine alle divinità i primi frutti che raccoglievano dalla terra in segno di riconoscenz
re siffatte offerte nei templi, fu d’uopo di proporre alcusse persone che avessero cura di conservarle, di distribuirle al
a certe divinità consacrati. Quest’incarico fu affidato agli Epuloni che da alcuni furono chiamati Parassiti. Questo nome
ato agli Epuloni che da alcuni furono chiamati Parassiti. Questo nome che da lungo tempo è divenuto spregevole fu in origin
e molto onorifico. Esso ha avuto la stessa sorte di quello di Sofista che si dava anticamente ai filosofi o retori, e il ca
ofista che si dava anticamente ai filosofi o retori, e il cattivo uso che poscia ne venne fatto, ambidue gli ha egualmente
maltrattarli e talvolta anche pereuoterli. Gli Anuspici erano quelli che esaminavano le interiora degli animali per trarne
a degli animali per trarne i presagi. I sacerdoti Akvali erano quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi ; le fes
erano quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi ; le feste che si celebravano due volte in onore di Cerere per q
la guerra e le tregue. La loro principale cura era quella d’impedire che s’intraprendessero delle guerre ingiuste dalla re
io degli Auguri, nè cosa alcuna di gran momento s’intraprendeva prima che questi non avessero deciso, se l’augurio era faus
dall’osservazione del cielo, altri dal canto e dal volo degli uccelli che si chiamavano auspicii, altri dal mangiare dei po
o presagio, perchè riguardavansi come avvisi spediti dagli Dei di ciò che aveva a succedere. Fra le cerimonie religiose dei
are le Espiazioni colle quali pretendevasi purificare i colpevoli non che i luoghi profanati. Ve n’erano di più specie, e c
ascuna aveva le sue particolari cerimonie. Le principali erano quelle che praticavansi per l’omicida, per i prodigi, per le
enuta in un vaso posto alla porta o al vestibolo dei templi, e quelli che entravano se ne lavavano da sè modesimi o se ne f
preso in qualche altra casa, ove non vi fossero morti ; tutti quelli che recavansi alla casa ove era il morto, nell’uscirn
ed anche a molti insieme dedicato. Eravi un decreto del senato romano che gli ordinava espressamente. Principiavasi sempre
nte motivo la religione, oppure qualche obbligo di pietà. È però vero che nou poca parte vi aveva la politica, mentre gli e
l’altro ; il salto o all’insù ovvero orizzontalmente ; il giavellotto che lanciavasi colla mano, o la saetta, che si scagli
zzontalmente ; il giavellotto che lanciavasi colla mano, o la saetta, che si scagliava coll’arco al segno prefisso ; il dis
o la saetta, che si scagliava coll’arco al segno prefisso ; il disco che era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro a
co che era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro assai pesante, che i giocatori si sforzavano di gettare quanto potes
ugilato nel quale combattevasi ora coi pugni soltanto, ora co’ cesti, che erano guanti di duro cuoio guarniti spesso di fer
Giuochi Scenici, questi si rappresentavano sul teatro, o sulla scena che si prende per l’intero teatro. I giuochi di music
ri. I più famosi giuochi della Grecia erano : I.° I Giuochi Olimpici, che celebravansi in Olimpia città dell’Elide ogni qua
a cui prese origine il computo delle Olimpiadi : 2.° I Pitici o Pizi, che celebravansi a Delfo ; 3.° I Nemei, che si celebr
mpiadi : 2.° I Pitici o Pizi, che celebravansi a Delfo ; 3.° I Nemei, che si celebravano a Nemea ; 4.° Gl’Istmici, che si t
i a Delfo ; 3.° I Nemei, che si celebravano a Nemea ; 4.° Gl’Istmici, che si tenevano nell’istmo di Corinto. In questi giuo
Gl’Istmici, che si tenevano nell’istmo di Corinto. In questi giuochi che facevansi con tanta pompa, ai quali non solo da t
e i più atroci e crudeli spettacoli dei combattimenti de’ gladiatori, che spesso costretti erano a pugnare fino alla morte.
o in onore delle divinità abitatrici del cielo, ma eziandio di quelle che regnavano nell’inferno. Indice A Abila. V.
a quale arse di colpevole amore pel proprio padre. Pretendono certuni che l’ira del Sole fosse il principal movente della c
Sole fosse il principal movente della colpa di lei. Pretendono altri che attribuir se ne debba la causa a Venere sdegnatas
4 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
ad un antico mio obbligo, ch’è quello di far palese nel miglior modo che posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuo
e posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuore. E veramente da che posi il piede in questa città di Napoli, fra le a
lodarmi, i quali, come volle la bontà di Dio, di me presero cura più che paterna. Or fra essi senza fallo l’E. V. R. è de’
eziandio, in ogni mio frangente, tenne tutte le vie per giovarmi. Di che con questa mia dedicatoria intendo renderle cordi
scrittura, ed è appunto la poca cosa ch’essa è, essendo io pur certo che il portarlo in fronte aggiungerà quella vaghezza
to che il portarlo in fronte aggiungerà quella vaghezza ed eccellenza che manca all’umile mio dettato. Ed a ciò pur mi conf
ha compatita qualche altra cosuccia per me data alla stampa, in guisa che potrei dirle come Catullo al suo Cornelio : … na
ue tu solebas Meas esse aliquid putare nugas. Or sebbene io conosca che commetto non leggier fallo, secondo lo stile de’
uirono in guisa l’ammirazione di tutt’i secoli e di tutte le nazioni, che pare spenta ogni speranza di mai più trapassarli.
iù trapassarli. Or se questi sovrani ingegni vivranno perpetui sino a che vi sarà nel mondo qualche grata disciplina, chi o
mani de’ loro allievi i greci ed i latini scrittori, se non vogliono che si spenga del tutto fra noi ogni benigno lume di
tudiosi l’intelligenza de’ Poeti e greci e latini, non son molti anni che diedi alla luce un Corso di Mitologia, il quale h
anche menoma espressione contraria all’ onestà de’ costumi ; essendo che non è mica agevole ritrovare una Mitologia che in
de’ costumi ; essendo che non è mica agevole ritrovare una Mitologia che insozzata non fosse o più o meno delle turpi legg
i. E forse mi fu dato, la Dio mercè, di conseguire l’intento, atteso che quel libro può porsi senza timore alcuno anche ne
o, il quale potesse studiarsi da’ fanciulli nelle scuole, e da quelli che non amano il corredo di molta erudizione. E ques
non amano il corredo di molta erudizione. E questo appunto è quello che ora presento al pubblico fregiato del chiarissimo
pubblico fregiato del chiarissimo Nome di V. E. R. la quale son certo che l’accoglierà con serena fronte qual sincero e pub
i quali follemente credevano, non uno, ma innumerevoli essere i Numi che le create cose signoreggiano. Noi tanta moltitudi
ρονος quasi Χρονος, tempus), cioè tempo, perchè Satùrno era quel nume che in se contiene il corso ed il rivolgimento degli
a comune madre degli uomini ; Rea (Ρεα, Phea) da un verbo greco (ρεω) che significa scorrere, perchè dalla terra scorrono t
lla terra scorrono tutt’i fiumi ; e Vesta (Εστια) da una parola greca che vuol dir fuoco, come appresso diremo. Giano fu de
eundo), perchè era il soprintendente delle vie : ma Ovidio (1) vuole che fu così detto a ianuis, perchè fu il ritrovatore
hè fu il ritrovatore delle porte. Si chiamava pur Caos (Χαος, Chaos), che si credeva il principio di tutte le cose. II.
ensione pel fratello Satùrno, a questo la cedè, ma con espressa legge che nessun suo figlio maschio lasciasse vivere. E per
che nessun suo figlio maschio lasciasse vivere. E però Satùrno tosto che la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il
ò Satùrno tosto che la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il che significa che il tempo tutto consuma e di anni in
o che la moglie partoriva un figliuolo, il divorava. Il che significa che il tempo tutto consuma e di anni insaziabilmente
tume d’immolargli vittime umane. Or di ciò la moglie fu tanto dolente che di due gemelli occultò il maschio ch’era Giove, a
il maschio ch’era Giove, a Satùrno mostrando la sola Giunòne. Dicono che invece di Giove gli presentò una pietra avvolta i
llato i Titàni. Nulladimeno Satùrno, sapendo, esser ne’libri del fato che Giove dovea un dì spogliarlo del regno, gli mosse
no, gli mosse guerra ; ma fu da lui vinto e discacciato dal cielo. Il che vuol significare che il novello corso del tempo d
; ma fu da lui vinto e discacciato dal cielo. Il che vuol significare che il novello corso del tempo discaccia e vince il p
si ricoverò in quella parte d’Italia, ove fu poscia edificata Roma, e che si chiamò Lazio (Latium) dal verbo latère, occult
, come Giove, Nettùno e Plutòne si divisero l’universo. Giano intanto che a que’dì era signore del Lazio, accolse Satùrno c
del suo reame ; percui questi il regalò di una sì segnalata prudenza, che le future cose non meno che le passate conosceva.
i il regalò di una sì segnalata prudenza, che le future cose non meno che le passate conosceva. Satùrno ammaestrò quella ro
e a coltivar la terra, a seminare il grano ed a piantare le viti ; il che simboleggia Noè, il quale uscito dell’arca attese
ra e fu il primo a piantare le viti. Diede buone leggi a que’ popoli, che chiamavansi Aborigeni (1) e ne riformò i sel vati
cielo, o dal cielo discesi coloro di cui ammiriamo le grandi virtù, o che vengono inaspettatamente a recarci qualche gran b
rra diciamo coloro, de’ quali ignoriamo i genitori. Quindi la regione che poscia fu detta Italia, era consacrata a Satùrno
regno di questo nume fu l’età dell’oro. I poeti nel descrivere l’età che trascorsero dalla creazione dell’uomo in poi, die
eziosità facesse rilevare la bontà di ciascun secolo. Ciò voleva dire che il genere umano dal suo primitivo stato di felici
nque Satùrno fu l’aurea età o il secolo d’oro, in cui la terra, senza che coltivata fosse, ogni maniera di frutti produceva
oltivata fosse, ogni maniera di frutti produceva ; nè vi erano limiti che dividessero i campi, non servi, non mio e tuo, ma
a temere di ostile assalto ; nè il suono si udiva di marziali trombe che turbasse i tranquilli sonni e la dolcezza della p
imo mele. IV. Pico e Canènte-Fauno. Degli antichi re Aborigeni che regnarono in Italia avanti alla guerra di Troia,
oro ed il cangiò nell’uccello detto pico (1). I compagni del principe che per la campagna il cercavano, furono dalla Maga a
ender cibo e senza sonno. Finalmente in un luogo alla riva del Tevere che portò poscia il suo nome, finì disciolta in leggi
il suo nome, finì disciolta in leggiera auretta, di se non lasciando che la voce. Fauno si vuole figlio di Pico e quindi n
a sacra selva di Albùna (Albunea), ov’era un fonte lungo il Teverone, che dava larga vena di acque sulfuree ; ma Ovidio (3)
que eran superbi di aver avuto Satùrno per fondatore di lor nazione e che nelle vene de’lor primi e più antichi signori era
ichi signori era un sangue proveniente dal vecchio padre di Giove. Di che i Romani vollero serbare solenne memoria nelle fe
teneasi chiuso ; e se aperto, di guerra. Ovidio (1) rappresenta Giano che nel suo tempio tiene rinchiusa e la pace e la gue
nta Giano che nel suo tempio tiene rinchiusa e la pace e la guerra, e che a suo talento or questa ne fa uscire ed or quella
cento chiavistelli di bronzo stare incatenati e la Guerra e Marte, e che Giano siede sempre alla custodia delle due sue po
ν, Chiron), ch’era mezzo uomo e mezzo cavallo, cioè uno di que’mostri che i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolent
zo cavallo, cioè uno di que’mostri che i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolente la madre che da Giove fu cangiata
ostri che i poeti chiamaron Centauri. Di che fu così dolente la madre che da Giove fu cangiata in tiglio ; percui filira si
punteruolo di ferro (Stylus), la cui testa serviva per cancellare ciò che si era scritto. Chiròne da’poeti fu celebrato per
. Egli abitava un antro del monte Pelio, ove educò i più insigni Eroi che furono a tempo della spedizione degli Argonauti,
a ninfa Cariclo una figlia detta Ociroe (Οκυροη, Ocyroë) o Melanippe, che fu valentissima nella medicina, nell’astronomia e
a scienza di predire il futuro. Avendo un giorno presagito il destino che aspettava il giovinetto Esculapio, e la morte del
, cedè la sua immortalità a Prometeo, cui Giove donata l’avea a patto che un immortale avesse voluto morire per lui. Fu egl
perchè avean allevato Giove nell’isola di Creta. E Virgilio (1) dice che il culto di Cibèle fu portato da Creta nella Troa
no le loro sacre canzoni, e ch’era ricurva ed aveva aggiunto un corno che ne accresceva l’acuto e stridulo suono. Gran part
da stranissimo furore in un bosco consacrato a Cibèle, mentre pareva che volesse far danno alla propria persona, fu per pi
danno alla propria persona, fu per pietà della Dea cangiato in pino, che fu poscia a lei dedicato. I Coribànti ogni anno p
correva per le montagne, e chi percuoteva timpani e cembali, in guisa che il monte Ida era tutto ripieno di tumulto e di fu
sima magnificenza. Da questa città fu portata a Roma la famosa pietra che dicevano essere la Madre Idèa, e che da P. Cornel
portata a Roma la famosa pietra che dicevano essere la Madre Idèa, e che da P. Cornelio Scipione fu collocata nel tempio d
ollocata nel tempio della Vittoria sul Palatino, a’quattro di Aprile, che fu festa grandissima, celebrandosi il lettisterni
i, i quali malamente si confondono co’ giuochi detti grandi o Romani, che celebravansi in onore de’grandi Dei Giove, Giunòn
i o espiarsi col Taurobolio, si faceva scendere in una profonda fossa che coprivasi di un graticcio, sul quale s’immolava u
va l’uomo quasi rinascere a novella vita, e però non poteva ripetersi che dopo venti anni. Terminato il sacrificio, si cons
si, come in sua sede, il fuoco, secondo i Pittagorici. Altri vogliono che quella figura rappresentava la terra che credevan
Pittagorici. Altri vogliono che quella figura rappresentava la terra che credevan gli antichi della forma di una sfera. In
vi era pure il Palladio, famoso pegno del Romano impero ; ed i Penati che da Troia recò Enèa in Italia, erano in quel tempi
a recò Enèa in Italia, erano in quel tempio allogati. Le Sacerdotesse che avean cura di questo fuoco, si chiamavano le Verg
uffizio principale, vegliare alla custodia del sacro fuoco della Dea, che esser dovea continuamente acceso, perchè siccome
a il fuoco di Vesta a tutela della Republica. Era esso fuoco di legna che ardevano su di un focolare ; e se per colpa della
llido e mesto. Spesso ha il capo velato o mezzo coperto, per dinotare che i tempi sono oscuri e coperti di un velo densissi
, Satùrno velato e seduto è in atto di prendere e divorare una pietra che Rea gli presenta avvolta nelle fasce. Quasi sempr
per significare la velocità del tempo, o sotto figura di un serpente che si morde la coda, per mostrare l’eternità ch’è se
l capo coronato di torri e di merli di mura, per significare le città che sono come la corona della terra. Per lo più si ra
sparsa di fiori ; ed alle volte coronavasi di quercia, per ricordare che gli uomini un tempo nudrivansi del frutto di quel
costumi e di attendere all’agricoltura ; o perchè Giano figurava Noè che veduta avea la terra prima e dopo del diluvio. Al
na parte vedeansi le due facce, e dall’altra, una nave, per ricordare che Satùrno su di una nave erasi salvato nell’Italia 
Giano a due facce o a due capi-Janus quadriceps et quadrifrons, Giano che ba quattro capi o facce-Janus claviger, Giano che
quadrifrons, Giano che ba quattro capi o facce-Janus claviger, Giano che porta la chiave, perchè si dipingeva colla chiave
Pater, quasi padre degli Dei-Janus Quirinus, detto da curis o quiris, che in lingua Sabina significa l’asta come se fosse D
donia, provincia della Frigia ; Pessinuntia Dea, da Pessinunte, città che fu così detta da una parola greca (πεσειν) che si
, da Pessinunte, città che fu così detta da una parola greca (πεσειν) che significa cadere, perchè quivi cadde dal cielo un
e di Giano. Satùrno si annoverava piuttosto fra gli Dei infernali che fra i celesti ; la quale credenza nacque dal giud
turnii alcuni versi giambici e satirici, o perchè ritrovati in Italia che dicevasi Saturnia ; o per quella specie di malign
ti in Italia che dicevasi Saturnia ; o per quella specie di malignità che si attribuiva a Satùrno. Sotto la tutela di quest
rincipio di tutt’i sacrificii, perchè come portinaio del cielo faceva che le preghiere avessero libera entrata agli Dei ; o
’ sacrificii. Egli ritrovò pure le corone ed i navigli, e fu il primo che coniasse monete. Era in Roma un vico assai freque
ve stavano in gran numero gli usurai ed i mercadanti, ed un tribunale che condannava i debitori a pagare ; il quale vico ch
io di lui quivi allogato. Esso dividevasi come in tre parti, in guisa che il capo del vico si chiamava Janus summus ; il me
piter significa l’aere disciolto in pioggia. Da’ Greci dicevasi Ζευς, che pur significa l’aria forse da ζαν, vivere, perchè
, Vesta, Cerere, Giunòne, Plutòne, Nettùno e Giove. Veggendo la madre che il marito avea tanti figliuoli divorato, vicino a
erlo alla crudeltà del genitore. I quali aprirono alla figliuola quel che per decreto del Fato avvenir dovea di Satùrno e d
que del fiume Ladone ; ed in fasce avvoltolo, diello alla ninfa Neda, che lo portasse a Creta e quivi il nutricasse di nasc
li a poppare il latte della Capra Amaltèa, con un dolce favo di mele, che tosto fabbricò l’ape Panàcre sul monte Ida. Altri
di mele, che tosto fabbricò l’ape Panàcre sul monte Ida. Altri dicono che Melissèo, re di Creta, ebbe due figliuole, Amaltè
o donò virtù di provvedere abbondevolmente quella ninfa di ogni cosa, che a lei fosse piaciuta. E questo chiamasi Cornucopi
ta a farsi, quando si celebrava il natale di Giove. Virgilio (1) dice che le api, allettate dal suono de’ cembali de’ Curet
iove, dal quale ebbero in premio quell’stinto nel fabbricare il mele, che le rende fra gli animali tanto ammirabili. Così a
ande onore presso gli antichi, e vi era una divinità chiamata Veiovis che vuol dire Giove infante. Ovidio (1) vuole che Vei
vinità chiamata Veiovis che vuol dire Giove infante. Ovidio (1) vuole che Veiovis significhi Giove fanciullo e senza que’ f
III. Potenza e maestà di Giove. Di lui fulmine. Salmonèo. Dopo che ebbe Giove co’ fulmini represso l’empio orgoglio
l.). Al suo lato sedevano, secondo i Poeti, la potenza e la giustizia che governano l’universo ; ed egli ottenne il primato
rso ; ed egli ottenne il primato per ragione del potere e della forza che sedevan sempre con lui nel medesimo cocchio. Ma d
ti gli Dei Pallade o la Sapienza era più d’appresso al trono di Giove che sempre valevasi de’ consigli di lei. Niente di me
remava tutto quanto l’Olimpo. Ma nulla meglio mostrava la sua potenza che il tuono e la folgore, ond’era sempremai armato ;
tuono e la folgore, ond’era sempremai armato ; ed Orazio (2) afferma che il tuonare che fa Giove nel cielo, ci addita ch’e
gore, ond’era sempremai armato ; ed Orazio (2) afferma che il tuonare che fa Giove nel cielo, ci addita ch’egli colassù reg
do imitare il Dio del fulmine, fabbricò un altissimo ponte di bronzo, che passava sopra di Elide ; sul quale passeggiando c
mini di Giove. Il qual folle divisamento questi mal sofferendo, quasi che volesse Salmonèo disputargli la sovranità dell’Ol
ell’inferno. Ma niuno dispregiò con più orgoglio la potenza di Giove, che Capanèo, di Argo, figliuolo d’Ipponoo e di Astino
e, volere impadronirsi della città a dispetto del medesimo Giove ; di che questi adirato tosto il fulminò. Dice Vegezio, ch
edesimo Giove ; di che questi adirato tosto il fulminò. Dice Vegezio, che coloro i quali nell’assedio delle città adoperano
adoperano le scale, sono esposti a frequenti pericoli, come Capanèo, che vuolsi essere stato primo inventore della scalata
a scalata, il quale fu da’Tebani con sì gran mole di pietre oppresso, che si disse morto da un fulmine di Giove. IV. Con
è niun’ aquila è stata mai tocca dal fulmine ; o pel volare altissimo che fa verso le nubi. Orazio (1) crede che Giove died
lmine ; o pel volare altissimo che fa verso le nubi. Orazio (1) crede che Giove diede all’aquila la signoria sopra gli altr
ri uccelli pel fedele servigio prestatogli nel rapir Ganimède. Dicesi che Perifànte, antichissimo re di Atene, governò con
, antichissimo re di Atene, governò con tanta sapienza il suo popolo, che fu adorato qual altro Giove ; il quale di ciò adi
valevasi nell’attraversare gli spazii dell’aria. E la consorte di lui che non volle esser disgiunta dal marito, fu trasform
os. Prometeo ed Epimeteo. Pandora. A principio l’universo non era che un’informe e confusa mole di materia, che gli ant
rincipio l’universo non era che un’informe e confusa mole di materia, che gli antichi dissero caos, cioè confusione univers
e gli antichi dissero caos, cioè confusione universale della materia, che contenea in se misti gli elementi di tutte le cos
ria, che contenea in se misti gli elementi di tutte le cose, in guisa che ove era terra, ivi pure ed aria ed acqua e fuoco
ielo e terra e mare far magnifica mostra di lor bellezza ; e l’ordine che uscì del caos fu sì maraviglioso che il mondo da’
tra di lor bellezza ; e l’ordine che uscì del caos fu sì maraviglioso che il mondo da’ Greci fu chiamato κοσμος, l’ordine p
li Dei, dandogli un sembiante nobile e fatto per mirare il cielo. Nel che traluce la vera origine del primo padre degli uom
cielo. Nel che traluce la vera origine del primo padre degli uomini, che Dio formò del fango della terra e cui diede l’ani
suo soffio divino. Di fatto vedendo Prometeo altro non essere l’uomo che una bella statua di vita priva e di senso, col fa
i uomini donò un tal fuoco, e loro mostrò la maniera di farne uso. Il che mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio che lo l
maniera di farne uso. Il che mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio che lo legasse al monte Caucaso, e che un’aquila, o u
fferendo Giove, comandò a Mercurio che lo legasse al monte Caucaso, e che un’aquila, o un avvoltoio gli divorasse il cuore
monte Caucaso, e che un’aquila, o un avvoltoio gli divorasse il cuore che sempre rinasceva. Ma Ercole colle sue saette ucci
endicare il temerario attentato del fig. di Giapeto, ordinò a Vulcano che di fango eziandio formasse il corpo della donna,
Pandora (Πανδωρα, Pandora), quasi ornata di tutt’i doni. Altri dicono che gli Dei, mal sofferendo che Giove volea per se so
quasi ornata di tutt’i doni. Altri dicono che gli Dei, mal sofferendo che Giove volea per se solo il poter formare degli uo
i, fabbricarono questa donna e tutti l’arricchirono de’ loro doni ; e che Giove, per vendicarsi di ciò, comandò a Mercurio
me tutti gli stotti, conobbe suo danno dopo essergli intervenuto ; da che la proverbiale maniera presso Luciano (μεταβουλευ
aniera presso Luciano (μεταβουλευεσται Επιμηθεως ερηων ου Προμηθεως), che dopo il fatto dir quello che si poteva o dovea fa
υλευεσται Επιμηθεως ερηων ου Προμηθεως), che dopo il fatto dir quello che si poteva o dovea far prima, è imitar Epimeteo, n
rima, è imitar Epimeteo, non l’antivedimento di Prometeo. Si racconta che avendo Epimeteo fatto di creta una figura umana,
tto dal cielo, per indicare la sua origine da Dio. Potrebbe pur dirsi che Prometeo, avendo colla sua sapienza ridotto gli u
; ovvero avendo ritrovato il primo l’arte di fare le statue, si finse che avesse formato l’uomo di creta e lo avesse animat
la ferula o canna d’India. O infine fu Prometeo un uomo di gran senno che collo specchio di metallo primo raccolse i solari
colse i solari raggi, ed insegnò agli uemini di far uso di quel fuoco che parea calato dal cielo. VI. Continuazione. Ast
nta felicità, ed il genere umano mosse a sdeguo sì fattamente gli Dei che tutti lasciarono la terra pe’ delitti degli uomin
rèa però, fig. di Giove e di Temi, e Dea della giustizia, fu l’ultima che lasciò la socièta degli uomini. Ebbe luogo fra i
i si videro sicuri dagl’insulti de’ mortali. Imperocchè è antica fama che i Giganti, uomini o piuttosto mostri di smisurata
fama che i Giganti, uomini o piuttosto mostri di smisurata grandezza, che avean mille braccia e gambe di serpenti, aspirand
Allora Giove con un fulmine abbattè quella superba congerie di monti, che ben tre volte avean tentato d’innalzare que’ bald
e Ossa(2), e ciò forse diede luogo alla favola. La Terra intanto (3), che avea veduto da Giove debellati i Titani ed i Giga
nimali feroci, e vomitando orrende fiamme, dava urli sì spaventevoli, che ne rintronava stranamente e cielo, e terra e mare
sassi contra il cielo, pose a’Numi tutti grandissima paura. E fu tale che fuggendo andarono a nascondersi in Egitto, ove no
rio, d’ibi. Da questa trasformazione ebbe origine il ridicoloso culto che gli Egiziani prestavano a certi animali. Ma final
pesso invano fa tutt’i suoi sforzi per liberarsi da quell’eterno peso che sdegna, gettando fiamme, e scuotendo il suolo del
di Tifeo han dato luogo que’venti procellosi e quelle orribili fiamme che dal seno della terra di tratto in tratto si veggo
nell’Oceano. Forse i primi uomini al vedere l’esplosioni de’ vulcani che sollevano in aria le intere rupi, si formarono l’
rono l’idea di una guerra fra la terra ed il cielo. Virgilio (1) dice che Tifeo fu sepolto sotto l’isola ch’egli chiama Ina
o l’isola ch’egli chiama Inarime, oggidì Ischia, dalla quale vogliono che un tempo fu distaccata Procida per forza di orrib
che un tempo fu distaccata Procida per forza di orribile tremuoto. Il che ha dovuto avere origine da’ versi di Omero (2), n
Il che ha dovuto avere origine da’ versi di Omero (2), ne’ quali dice che Tifeo giace sepolto in Arimis (εν Αριμοις) luoghi
famosi per frequenti tremuoli e per sotterranei fuochi. Alcuni dicono che i Giganti mossero guerra a’ Numi nella Macedonia,
nella Macedonia, scagliando sassi ed alberi accesi contra il cielo, e che gli Dei, chiamato Ercole in aiuto, li debellarono
i, o Laborini, ora Campo Quarto, così detti da un verbo greco (φλεγω) che significa ardere, perchè conservano le tracce di
generale, i Giganti erano uomini di grandissima robustezza e ferocia, che insolentivano contra gli Dei e gli uomini, a’ qua
rre monti a monti. Che altro mai, dice Macrobio (3), furono i giganti che una qualche empia generazione di uomini, i quali
razione di uomini, i quali negando l’esistenza degli Dei, fecero dire che volevano discacciarli dal cielo ? VII. Licaone
tà di perdere il genere umano sì stranamente malvagio. In conferma di che raccontò l’empio fatto di Licaone, fig. di Titano
fig. di Titano e della Terra e re di Arcadia. Il quale, avendo udito che Giove, mosso dall’empietà degli uomini, sotto uma
ve allora trasformò l’empio Re in orribile lupo e fulminò i figliuoli che vollero fare la stessa pruova. La quale favola pu
vollero fare la stessa pruova. La quale favola può spiegarsi dicendo che il nome di Licaòne (da λυκος, lupus) ha dato occa
che il nome di Licaòne (da λυκος, lupus) ha dato occasione di fingere che quel Re, forse crudele ed empio, fu trasformato i
e la malattia, per la quale gli uomini credonsi trasmutati in lupi, e che i Medici chiamano licantropia (λυκανθρωπια). Or l
ne ed i grandi vizii degli uomini avean mossa talmente l’ira di Giove che in quel gran consesso stabilì di perdere gli uomi
io. Era nella Focide un monte insigne pe’ due suoi vertici, e sì alto che trapassava le nubi, chiamato Parnaso. Sulla cima
tto quanto dalle acque, ed essi soli sopravviventi, consultarono Temi che a que’ di dava oracoli a Delfo, o Giove stesso, c
le vesti discinte, si gettarono dietro le spalle le ossa della madre, che interpetrarono essero le pietre, giacchè madre co
lo, menavan la vita in lieta e contenta poverlà ; ma eran sì virtuosi che il nome di Bauci perproverbio denotava una povera
pietosa vecchierella. Or viaggiando Giove per la Frigia con Mercurio che solea portar seco per compagno, da niuno furono a
Mercurio che solea portar seco per compagno, da niuno furono accolti che da que’ vecchi, i quali, ponendo in moto tutta la
rchissima mensa, fecero a quegli ospiti ogni buona accoglienza. Giove che molto gradì que’ sinceri e pietosi ufficii, manif
diluvio divenuto un gran lago, e sola rimaner salva la loro casuccia, che fu mutata in un magnifico tempio. Essi dimandaron
fu mutata in un magnifico tempio. Essi dimandarono a Giove non altro che esser ministri di quel tempio e di morire insieme
a, un giorno, stando presso alla porta del tempio, Filemone si avvide che Bauci si mutava in tiglio, e Bauci, che lo sposo
el tempio, Filemone si avvide che Bauci si mutava in tiglio, e Bauci, che lo sposo diveniva una quercia ; e così si diedero
amente è un monte di Tessaglia vicino all’Ossa ed al Pelio, così alto che dicesi trascendere la region delle nubi ; e però
te del cielo, dov’è la sede di Giove e degli altri Dei. Or ogni volta che Giove risolver dovea qualche gravissimo affare, c
α, orbis lacteus, via lactea), ch’è quel magnifico e sublime sentiero che vedesi in cielo in alcune notti serene, tutto luc
pel mezzo, sul suo cocchio, Giove era solito di passeggiare. E’ fama che Mercurio fu per qualche tempo allattato da Giunòn
re. E’ fama che Mercurio fu per qualche tempo allattato da Giunòne, e che dal poco latte per caso caduto dalla bocca di lui
sostenere sulle spalle il non leggier peso del cielo(2). Si racconta che avvertito dall’oracolo a guardarsi da un figliuol
vvertito dall’oracolo a guardarsi da un figliuolo di Giove, non volea che abitasse in casa sua uomo del mondo. Pel qual rif
po di Medùsa ed il trasformò in monte. L’Atlante è un monte altissimo che nasconde la cima fra le nubi, e da’ vicini si chi
e nubi, e da’ vicini si chiama colonna del cielo ; e da ciò la favola che quel Re sosteneva il cielo colle spalle, essendo
quel Re sosteneva il cielo colle spalle, essendo naturale il supporre che il cielo poggi sulle cime delle alte montagne. Al
rre che il cielo poggi sulle cime delle alte montagne. Altri vogliono che quel Re fosse stato un Astronomo di gran valore,
. Altri vogliono che quel Re fosse stato un Astronomo di gran valore, che andava sulla vetta del monte Atlante a contemplar
, che andava sulla vetta del monte Atlante a contemplare gli astri, e che sostenne la scienza del cielo co’ suoi studii ind
l dire, esser posto nel numero degli Dei(1). Nell’Iliade (2) si legge che teneva gran tavola co’ Numi nell’Etiopia per dodi
iopi vi son chiamati irreprensibili per l’innoncenza de’ costumi ; il che forse ha dato luogo alla favola, perchè la Divini
intorno alla Libia, facendo feste grandissime per dodici giorni ; il che pure ha potuto dar luogo alla favola. L’ambrosia
mortalis), ch’era il cibo degli Dei, significa cibo degl’Immortali, o che dona l’immortalità, e credevasi di una dolcezza n
sia il corpo del figliuolo Sarpedone ucciso da Patroclo. La fragranza che diffondeva, era soavissima e tutta cosa divina ;
cosa divina ; e da essa si riconoscevan le Dee. Virgilio (7) racconta che Venere si manifestò ad Enèa dal divino odore che
irgilio (7) racconta che Venere si manifestò ad Enèa dal divino odore che spiravano le sue chiome tutte sparse di ambrosia.
fra gli Dei. Quanto ha ragione di dolcezza e di amabilità, tutto ciò che ristora e reca giocondità, si qualifica da’ poeti
(3) hanno le mammelle ricolme di nettare, cioè di latte ; e le acque che beveano i primi uomini a mani giunte, erano il lo
i Dei, ed il nettare, la loro bevanda ; sebbene non mancano scrittori che l’una coll’altro confondono. Tre in varii tempi f
che l’una coll’altro confondono. Tre in varii tempi furono i coppieri che mescevano il nettare alla mensa di Giove, Vulcano
ella gioventù e fig. di Giove e di Giunòne ; la qual cosa voleva dire che gli Dei non invecchiano, godendo una perpetua gio
(Iuventas), la quale prendeva sotto il suo patrocinio i giovani dopo che aveano indossata la pretesta. Quando s’imprese a
, il Dio Termine e la Dea Gioventù non vollero cedere il loro posto ; che fu felice presagio della perpetua floridezza e st
sua beltade, Ed abitasse cogli Eterni. Monti. Strabone (1) riferisce che il ratto di Ganimède avvenne in un luogo vicino a
, chiamato Arpagio, o sul promontorio Dardanio ; ma Virgilio (2) dice che fu rapito sul monte Ida, mentre dava opera alla c
no del zodiaco, detto Aquario, di cui le stelle son disposte in guisa che rappresentano un giovinetto. X. Egida-Gorgoni-
enti ricoprivano le spalle nell’andare alla pugna. Virgilio però pare che per egida intenda una corazza, un’armatura da pet
un’armatura da petto, su cui era il capo della Gorgone. Diremo quindi che per egida i poeti intendevano ora lo scudo, ora l
r egida i poeti intendevano ora lo scudo, ora la corazza sì di Giove, che di Pallade e di altri numi. Per dare ad intendere
γις, aegis da αιξ, αιγος, capra) era propriamente una pelle di capra, che ricopriva lo scudo o la corazza di Giove e di Min
azza di Giove e di Minerva ; e questa fu la pelle della capra Amaltea che allattò Giove ; o quella del mostro Egis, ucciso
ες, Gorgones, da γοργος, terror) erano tre, Medusa, Steno ed Euriale, che Esiodo chiama inaccessibili, perchè abitavano in
e eroe Perseo (Περσευς, Perseus). Acrisio cui l’oracolo avea predetto che sarebbe morto da un figliuolo di Danae, e la madr
e pretese la figliuola ed il nipote da Polidètte ; ma questi ottenne che si acchetasse ad una solenne promessa di Persèo,
a questi ottenne che si acchetasse ad una solenne promessa di Persèo, che non avrebbe mai poste le mani addosso all’avo. Es
Acrisio nella corte di Polidètte, venne questi a morte ; ed allora fu che celebrandosi funebri giuochi in di lui onore, Per
brandosi funebri giuochi in di lui onore, Persèo lanciò il suo disco, che il vento portò a percuotere il capo dell’avo ; e
sco, che il vento portò a percuotere il capo dell’avo ; e così, senza che il volesse, come piacque a’ Numi, l’uccise. Altri
ncipessa greca di famosa bellezza ; e per farle più splendide, ordinò che ciascuno degl’invitati facesse qualche pruova di
ordinò che ciascuno degl’invitati facesse qualche pruova di valore, e che Persèo vi recasse il capo della Gorgone. L’eroe a
he Persèo vi recasse il capo della Gorgone. L’eroe accettò l’impresa, che si annoverava fra le impossibili ; ed avuli, da M
d a Mercurio era carissimo ; e postosi l’elmo di Plutòne (Orci galea) che rendeva invisibile chi lo portava, a volo recossi
ina, le recise il capo, e fuggi a volo, portando in mano quel teschio che grondava sangue, qual trofeo di sua vittoria. Dal
uola a quello scoglio per essere divorata da una balena. Altri dicono che le Nereidi pregarono Nettùno, che avesse il regno
ivorata da una balena. Altri dicono che le Nereidi pregarono Nettùno, che avesse il regno di Cefèo ricoperto di acque, e ch
pregarono Nettùno, che avesse il regno di Cefèo ricoperto di acque, e che dall’oracolo di Giove Ammòne avea questo re intes
resa ed uccide la bestia con applauso grande de’ riguardanti. Dopo di che , per lavarsi le mani, nascose fra certe piante ma
po di Medùsa ; le quali tosto si convertirono in pietra, ed il sangue che ne grondava, le tinse di un bel rosso. Questi son
o e Cassiopea intanto il riguardarono come salvatore della figliuola, che il vittorioso Eroe con grandissima festa impalmò
sima festa impalmò nella loro reggia medesima. Da’ quali nacque Perse che diede il nome alla Persia. Cassiopèa pe’ prieghi
tello Ditte ritirata in un luogo sacro. Egli di ciò adirato e vedendo che quegli abitanti avean favorito Polidette contro l
oi sudditi cangiò in sassi. L’isola di Serifo (2) è pietrosa a segno, che ha dovuto dare occasione a’Poeti di fingere la tr
n Grecia qual trofeo da servire di spettacolo a quella gente. Si dice che in Africa vi sia un animale, forse il Catoblepa d
la riva del mare. E come volle la sua ventura, approdò colà una nave, che avea dipìnta l’immagine di un toro ; della quale
se per lo spavento, fu trasportata nell’isola di Creta. Palefato dice che un Signore di Creta, chiamato Tauro, invase colle
e nobili donzelle portò seco prigioniera la figliuola di Agenore ; da che uscì tosto in campo Giove trasformato in toro. Ag
Europa chiamati a se i figliuoli Fenìce, Cilice e Cadmo, loro impose che fossero tosto partiti a ritrovar la sorella ; sen
fricani furon detti Poeni ; e Cilice, in una regione dell’Asia Minore che dal suo nome si chiamò Cilicia. Ma Cadmo, dopo va
fo per consultare l’oracolo della futura sua sorte. Il quale rispose, che fosse andato nella Focide da Pelagòne, fig. di An
fonte, gli furono i compagni morti da un dragone, figliuolo di Marte, che il fonte guardava. Cadmo uccise quel mostro con u
iglio di Minerva ne seminò i denti, da’ quali nacquero uomini armati, che si chiamarono sparti (σπαρτος, satus, a σπειρω, s
, a σπειρω, sero), de’ quali venuti a pugna fra loro rimasero non più che cinque, i quali aiutarono Cadmo nella fabbrica di
uendo le orme, ov’essa fermerà il suo cammino, edificherai una città, che chiamerassi Beozia. Scende l’eroe Fenicio dal Par
fonte nella vicina selva. Quivi era appiattato il mostruoso dragone, che gl’infelici compagni di Cadmo divorò crudelmente.
nte, da’ quali sorge tosto mirabile schiera di armati guerrie ri (1), che fra loro battendosi crudelmente, salvo che cinque
di armati guerrie ri (1), che fra loro battendosi crudelmente, salvo che cinque, tutti si uccisero. E questi cinque aiutar
no Cadmo ad edificare la città di Tebe, o più veramente la cittadella che chiamò Cadmèa (Καδμεια), perchè Tebe fu posterior
e civili fra loro, per le quali perirono non pochi uomini ; e di que’ che nel paese primeggiavano sopravvissero soli cinque
ni ; e di que’ che nel paese primeggiavano sopravvissero soli cinque, che si unirono a Cadmo. Fiorente e lungo fu il regno
ì conte nelle favole vinsero per modo l’animo dell’infelice genitore, che colla moglie uscì di Tebe, e dopo molto errare ap
uron cangiati in serpenti in pena dell’ucciso dragone di Marte. Si sa che Cadmo il primo portò dalla Fenicia in Grecia l’us
mo il primo portò dalla Fenicia in Grecia l’uso delle sedici lettere, che sono bastevoli ad esprimere tutt’i suoni del grec
suoni del greco linguaggio. Plutarco(1) dice, essere antica opinione che Cadmo allogò in primo luogo fra le lettere l’alfa
o. Non vi ha forse nome nella Mitologia più grande del nome di Minos, che regnò nell’isola di Creta o Candia, alla quale de
ll’isola di Creta o Candia, alla quale dettò leggi di tanta sapienza, che credevasi averle date lo stesso Giove, col quale
co e famigliare di Giove (Διος μεγαλον οαριστης). Egli faceva credere che ogni nove anni scendeva in una spelonca profondis
monte Ida per ricevere nuove leggi, la giustizia delle quali fece si che i poeti lo ponessero per giudice dell’inferno. Er
ero per giudice dell’inferno. Era forse un re di moltissima sapienza, che i Cretesi adorarono col nome di Giove, e che in q
di moltissima sapienza, che i Cretesi adorarono col nome di Giove, e che in quell’isola avea anche la sua tomba. Celebre n
quell’isola avea anche la sua tomba. Celebre nelle favole è la guerra che Minos portò agli Ateniesi. Dalla moglie Pasifae,
i lei fu dal mare trasportato presso ad un promontorio dell’Argolide, che fu detto Scilleo (1). Della quale mossi a pietà i
trasformato in una specie di sparviere, ch’è nemico del ciri. Vuolsi che sia opera di Virgilio un bel poemetto intitolato
ale di Niso intende un qualche arcano e segreto consiglio di quel re, che Scilla palesò a Minos, percui gli fu facile impad
no a Creta per essere miseramente divorati dal Minotauro. Si racconta che gli Ateniesi furono oppressi da crudele carestia
estia e pestilenza, dalla quale disse l’oracolo non potersi liberare, che dopo di aver dato a Minos quella terribile soddis
edesi un mostro con corpo di toro, e di uomo insieme. A questo mostro che dimorava nel laberinto di Creta gli Ateniesi mand
ngegnosamente descritto da Ovidio nelle Metamorfosi (1). Plinio vuole che fosse stato costruito ad imitazione di quello sì
fosse stato costruito ad imitazione di quello sì famoso di Egitto, ma che n’era solo la centesima parte, e che avea in se i
i quello sì famoso di Egitto, ma che n’era solo la centesima parte, e che avea in se inestrigabili ravvolgimenti. Altri per
arte, e che avea in se inestrigabili ravvolgimenti. Altri però dicono che il laberinto di Creta fu una spelonca con moltiss
etese laberinto fu autore Dedalo, Ateniese, artefice di alto ingegno, che fece opere ammirabili e statue che parevano aver
teniese, artefice di alto ingegno, che fece opere ammirabili e statue che parevano aver anima e vita, percui i Greci dedalc
dalce chiamavano le macchine, le quali per se stesse si muovono senza che ne apparisca la cagione. Inventò pure non pochi s
per le arti, come la scure, la livella, il succhiello ; e fu il primo che fornì le navi di antenne e di vele. Ma tanta sua
affinchè lo ammaestrasse. Il giovinetto sì bene diede opera alle arti che ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ov
a alle arti che ritrovò l’uso della sega e del compasso. Vuole Ovidio che la spina del dorse di un pesce gli avesse data la
casuale caduta. Minèrva n’ebbe pietà e cangiollo in pernice, uccello che memore della sua caduta pone il nido nelle siepi
i e vola poco alto da terra. Il canto della pernice è simile al suono che fa la sega nel tagliare il legno, e però finsero
simile al suono che fa la sega nel tagliare il legno, e però finsero che l’inventore della sega fosse stato cangiato in pe
gendo, si ricoverò in Creta e chiese la protezione di Minos. E qui fu che per colpa del suo ingegno avendo offeso quel prin
del suo ingegno avendo offeso quel principe, fu da lui nel laberinto che aveva egli stesso mirabilmente costrutto, incarce
so mirabilmente costrutto, incarcerato. Ma quel gran senno, mostrando che a’ mortali niente è disdetto, trovò il modo di us
e. Con mirabile artificio(1), di cera e di piume fece due paia di ali che imitavano quelle degli uccelli, e ponendosele agl
e agli omeri, seguito dal figliuolo Icaro ch’era seco nel laberinto e che pure fornì di ali, si librò nell’aria, e con volo
cera, disciolse le piume accozzate, e l’infelice Icaro cadde nel mare che da ciò ebbe il nome di mare Icario (2). I poeti s
lo ritrovato. Dedalo, secondo Luciano, fu non dispregevole Astronomo, che nella scienza del cielo ammaestrò il figliuolo Ic
rrori, chè veramente questa è gran massima : non investigare le cose che vincono il tuo intendimento . Dedalo intanto, dop
suo viaggio e giunse in Sicilia, ove accolto dal re Cocalo fu cagione che Minos gli movesse guerra. Ma Servio dice che Deda
dal re Cocalo fu cagione che Minos gli movesse guerra. Ma Servio dice che Dedalo andò prima nella Sardegna e poscia nella n
ella Licia ; e ciò per una contesa avuta col fratello Minos. Si vuole che visse l’elà di tre uomini. Per somigliante cagion
per ciò Tindaridi (Tyndaridae), ed Ebalidi (Oebalidae). Dicono alcuni che nacquero da due uova, uno immortale, da cui uscì
l’altro mortale, dal quale nacque Castore e Clitennèstra. Omero dice che Leda ebbe da Tindaro i due gemelli Castore e Poll
attribuito comunemente a Castore, domator de’ cavalli ; ciò viene da che entrambi questi fratelli appellavansi i Castori,
ute ed Erice di segnalata destrezza nel combattimento del cesto, dice che discendevano da Amico e dalla gente de’ Bebrici.
ndevano da Amico e dalla gente de’ Bebrici. Or questo re tutti coloro che per sorte giungevano nel suo regno, obbligava a s
giungevano nel suo regno, obbligava a seco combattere al cesto ; nel che essendo valentissimo, li vinceva e vinti li facev
arono la palma Castore nella corsa, e Polluce, al cesto. Pindaro dice che i Dioscuri, accolti amorevolmente in casa di Panf
chetano, diradansi le nubi e cade il minaccioso furore de’ fiotti. Il che nacque dall’avere quei due fratelli, dopo la sped
dopo la spedizione del vello d’oro liberato l’Arcipelago da’ corsali che l’infestavano ; ed ancora perchè una gran fortuna
corsali che l’infestavano ; ed ancora perchè una gran fortuna di mare che poneva a rischio di rompersi la nave degli Argona
oneva a rischio di rompersi la nave degli Argonauti, acchetossi tosto che si videro due fuochi girare intorno al capo de’ T
videro due fuochi girare intorno al capo de’ Tindaridi. Questi fuochi che spesso apparir si veggono nelle tempeste, si chia
; e son segno di vicina tempesta, se ne apparisce un solo. Ma vediamo che dicono i poeti dell’estremo fato di questi eroi.
ulmine colpì Ida, il quale percosso avea Polluce con un gran sasso sì che n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro, Pol
che n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro, Polluce pregò Giove che lo avesse fatto morire, perchè non volea vivere s
lo avesse fatto morire, perchè non volea vivere senza di Castore ; e che Giove gli lasciò la scelta o di abitar solo nel c
tar solo nel cielo, o di dividere l’immortalità col fratello in guisa che un giorno fossero con Giove sull’Olimpo, ed un al
’Olimpo, ed un altro sulla terra co’ mortali ; sebbene Omero (1) dica che que’ due fratelli un giorno vivano entrambi, ed u
o ricompariscono in cielo. Ma secondo Macrobio (2), Castore e Polluce che rinascono a vicenda, significano il Sole che ora
o (2), Castore e Polluce che rinascono a vicenda, significano il Sole che ora scende, diciam così, sotterra, ed ora sale su
iciam così, sotterra, ed ora sale sull’orizzonte. Nelle medaglie anti che i Dioscuri son rappresentati in forma di due giov
chi dice Anfione fig. di Mercurio, dal quale ebbe quella famosa lira che altri vogliono ricevuta da Apollo, o dalle Muse,
pollo, o dalle Muse, o da Giove stesso, da lui sì dolcemente suonata, che mosse i sassi ad unirsi da se per fabbricare le m
tane, andava vagando pel Citerone, ed imbattutasi nel figliuolo Zeto, che quivi pascolava gli armenti, fu da lui villanamen
agne di Diana primeggiava. Da lei ebbe Giove un fig. chiamato Arcade, che fu nella caccia valentissimo, edificò la città di
ata in orsa, la quale più anni errando pe’ boschi di Arcadia, avvenne che il figliuolo, già di alcuni lustri, era vicino a
rtò in cielo, e ne fece due costellazioni, l’una all’altra vicina. Il che vedendo l’implacabile Giunone, andò tosto da Teti
to da Teti, moglie dell’Oceano e di loro nutrice, dalla quale ottenne che vietato l’avesse di tuffarsi nelle onde. Da ciò è
a quale ottenne che vietato l’avesse di tuffarsi nelle onde. Da ciò è che questa costellazione, aldir de’ poeti, non mai tr
poeti, non mai tramonta. Callisto fu trasformata nella costellazione che dicesi Orsa maggiore, Arto, ed Elice ; ed Arcade,
ad Artofilace fu dato il nome di Boote, o guidatore di buoi, essendo che siegue l’Orsa, come un bifolco il suo carro. Chia
il settentrionale ; e Trioni (1), cioè buoi d’aratro, sono le stelle che formano le due Orse, dette per ciò i gemini Trion
due Orse, dette per ciò i gemini Trioni(2) ; le quali dicono i poeti che non mai tramontano e non cangian sito, perchè il
o, detta per ciò Asopiade da Ovidio. Regnò nell’isola Enopia o Enone, che dal nome della madre chiamò Egina(1), ond’ebbe or
il popolo de’ Mirmidoni, i quali avendo seguito Peleo, fig. di Eaco, che fuggiva dalla patria, si stabilirono nella Tessag
fuggiva dalla patria, si stabilirono nella Tessaglia. Fingono i Poeti che , rimasta Egina spopolata per una pestilenza manda
duto a piè di una quercia grandissimo stuolo di formiche, pregò Giove che gli desse un popolo nel numero uguale a quegli an
, e quelle formiche furon cangiate in uomini. Eran questi i Mirmidoni che seguirono Achille alla guerra di Troia(2). Fu pur
on cui i Numi afflissero l’Attica per punire la perfidia del re Egeo, che avea fatto morire Androgeo. Della qual cosa consu
a fatto morire Androgeo. Della qual cosa consultato l’oracolo rispose che la siccità sarebbe cessata, se il re di Egina ave
significa formica (μυρμηες) ; e ciò ha potuto dar luogo alla favola, che i Mirmidoni eran formiche cangiate in uomini. Può
a, che i Mirmidoni eran formiche cangiate in uomini. Può dirsi ancora che i Mirmidoni, per la piccola loro statura rassomig
(Ιω, Io, gen. Ius), la quale(1) fu fig. d’Inaco, fiume dell’Argolide, che nasce da Artemisio o dal Linceo, monti di Arcadia
d’Io era nello scudo di Turno, il quale discendeva da Inaco(2). Giove che da Io avea avuto un figliuolo, la trasformò in va
o(2). Giove che da Io avea avuto un figliuolo, la trasformò in vacca, che poscia donò a Giunone, la quale, lodandone la bel
ezza, gliel’avea domandata. La pose ella in guardia del pastore Argo, che Eschilo dice d’ignota origine (γηγενες) ; ed altr
chè avea tutto il corpo coperto di occhi. Or Giove comandò a Mercurio che , ucciso Argo, liberasse la giovenca ; il che queg
Giove comandò a Mercurio che, ucciso Argo, liberasse la giovenca ; il che quegli eseguì, col dolcissimo suono del flauto ad
la qual cosa avvedutasi Giunone, quell’odiata vacca rese sì furibonda che andò vagando quasi per tutta la terra, agitata o
o, ch’era l’ombra stessa di Argo ; o da una furia ; o dall’animaletto che appellasi estro (οιστρον, oestrum), specie di mos
punture li mette in grandissimo furore. E la sua smania fu sì strana che precipitossi in quel mare, il quale da lei prese
d’Ionio. Passò quindi nella Scizia per lo stretto di Costantinopoli, che da siffatto avvenimento ebbe il nome di Bosforo.
orì Epafo. Allora Giove restituì ad Io la primiera sua forma, e volle che fosse da que’ popoli adorata qual Dea sotto il no
eci amavano colle proprie favole unire quelle degli Egiziani, avvenne che Io ed Epafo si rassomigliassero ad Iside e ad Api
cerdoti di lei(1) ; forse perchè Iside era stata una regina di Egitto che mostrò a quel popolo l’uso del lino. In quanto ad
Egitto, ove, per ordine di Giove medesimo, edificò una città famosa, che chiamò Menfi dal nome della moglie, da cui ebbe u
’Africa, a questo paese diede il nome di Libia. Questo fu quell’Epafo che cagionò la famosa sventura di Fetonte, come si di
Frigia(2), ove introdusse un segreto e misterioso culto de’ suoi Dei, che si conservò lungo tempo in quelle contrade. Ideo,
iuola, da cui ebbe Erittonio. Quivi edificò una città detta Dardania, che fu pure il nome da lui dato a tutta quella region
ome da lui dato a tutta quella regione. Dopo Dardano regnò Erittonio, che Omero chiama il più dovizioso de’ mortali, e cui
). A lui successe nel regno Troio o Troe (Τρως, Tros), suo figliuolo, che alla città diede il nome di Troia, e che fu padre
(Τρως, Tros), suo figliuolo, che alla città diede il nome di Troia, e che fu padre d’Ilo, di Assaraco e di Ganimede. Da Ilo
Dardano ebbe gli onori onori divini, e fu studiosissimo della magia, che perciò chiamossi arte dardania dagli antichi(1).
ad Eolo, e gli concesse di sedere alla mensa de’ Numi. Plinio(4) dice che fu fig. di Elleno e che ritrovò la ragione de’ven
di sedere alla mensa de’ Numi. Plinio(4) dice che fu fig. di Elleno e che ritrovò la ragione de’venti ; ma da’più si vuole
e padre de’venti si appella (ταμιας ανεμων. Hom.). Virgilio(5) finge che i venti eran rinchiusi in un antro vastissimo, ov
tro vastissimo, ove rumoreggiano a lor talento, e da cui non uscivano che quando Eolo il permetteva. Ve li avea rinchiusi G
he quando Eolo il permetteva. Ve li avea rinchiusi Giove per impedire che ponessero sossopra e cielo e terra col loro mal r
e ponessero sossopra e cielo e terra col loro mal regolato furore. Il che finsero, perchè nelle sotterranee caverne s’ingen
sero, perchè nelle sotterranee caverne s’ingenerano fortissimi venti, che poscia turbano l’aria circonstante. Eolo regnò in
no l’aria circonstante. Eolo regnò in sette isole vicine alla Sicilia che alcuni chiamano Eolie, ed alcuni, Vulcanie, da Vu
(στρογγυλος, rotundus), così detta dalla rotondità della sua forma, e che getta fuoco con grande splendore ; e quivi, dice
nd’otre legato nella sua nave ad una catena di argento, salvo Zeffiro che spirar dovea a prospero fine di sua navigazione.
dovea a prospero fine di sua navigazione. Ma i compagni, per sospetto che nell’otre non vi fossero riposte molte preziose c
e Liparo, ne divenne signore. Egli era uomo giusto e pio ; e vogliono che avesse mostrato a’ marinari l’uso delle vele. E p
. E perchè assai perito era nel pronosticare i venti, finsero i poeti che egli fosse il loro Dio. Alcuni dicono che gli abi
re i venti, finsero i poeti che egli fosse il loro Dio. Alcuni dicono che gli abitatori delle isole Vulcanie, le quali gett
evano quali venti per tre giorni dovessero spirare(2). Da ciò avvenne che avendo Eolo il primo osservato i movimenti e le d
quelle fiamme, e predetto qual vento dovesse spirare, non altrimenti che se loro comandasse, fu stimato Dio de’venti. X
Cirenaica, paese della Libia, e quello di Dodona, nell’Epiro ; tanto che negli antichi tempi niuna cosa rilevante s’impren
suo oracolo giungere a tanta gloria ; la quale poscia svanì in guisa che divenne deserto del tutto ed abbandonato. Ammone
un tal soprannome. Altri il fan derivare da una parola greca (αμμος), che significa sabbia, perchè il tempio di Giove Ammon
ibia ; pe’quali viaggiando e sofferendo grandissima sete, pregò Giove che gli desse un ristoro. Quel nume gli apparve in se
co tempio a Giove sotto il nome di Ammone, o arenario. Altri scrivono che un ariete mostrò un bel fonte a Bacco, il quale p
pe’deserti della Libia guidava l’assetato suo esercito ; in premio di che fu quell’animale posto fra’segni celesti ; e Bacc
segni celesti ; e Bacco in quel luogo edificò un gran tempio, l’unico che gli Dei avessero nella Libia. Il quale sorgeva in
e il sacro recinto intorniato fosse da sempre verdeggiante selva ; il che aveasi qual miracolo del nume. Una fontana ricchi
l che aveasi qual miracolo del nume. Una fontana ricchissima di acque che presso al tempio si divideva in mille rigagnoli,
o antro. Il suo simulacro era un capo bovino innestato a corpo umano, che sotto due gran corna ritorte nascondeva la frente
, che sotto due gran corna ritorte nascondeva la frente. Altri dicono che avea sembianza di ariete. Lucano afferma che il s
la frente. Altri dicono che avea sembianza di ariete. Lucano afferma che il santuario era di semplice struttura, e povero
l tempio di Giove Ammone, rappresentato sotto la figura di un ariete, che i Sacerdoti portavano su di una nave dorata, da’c
e di argento, con il processional seguito di matrone e di verginelle, che cantavano inconditi carmi per rendere propizio il
r rendere propizio il nume. Alessandro ebbe da’ Sacerdoti la risposta che dovea aspettarsi ; essere figliuolo di Giove e me
e maraviglie, perchè Giove, il quale per natura è padre di tutti, ama che gli ottimi sien chiamati suoi figliuoli. Vicino a
ino al tempio di Giove Ammone ritrovasi il così detto sale ammoniaco, che ha preso il nome o dalle arene, cui è frammischia
colo di Giove Dodoneo, il più antico di quanti ne avesse la Grecia, e che per molto tempo era anche il solo(2). Fu fondato
antico popolo della Grecia ; o secondo Erodoto, da una donna Egiziana che ne fu la prima sacerdotessa. Omero chiama Selli o
sacerdotessa. Omero chiama Selli o Elli i Sacerdoti di quest’oracolo, che menavano vita austerissima. Or in quella città er
ce consacrate a Giove, le quali con umana voce rendevano gli oracoli, che i Selli raccoglievano e comunicavano alla credula
raccoglievano e comunicavano alla credula gente(3). Alcuni(4) dicono, che in quella selva dava gli oracoli una colomba dal
a colomba dal ramo di una sacra quercia ; la quale finzione nacque da che nel linguaggio di quel paese sì le colombe, e sì
, e sì le indovine aveano il nome di Peliadi. Altri finalmente dicono che a Dodona davano gli oracoli due colombe, delle qu
oracolo di Giove Dodoneo era tutto circondato di certi vasi di bronzo che si toccavano l’un l’altro, sì che, percossone un
circondato di certi vasi di bronzo che si toccavano l’un l’altro, sì che , percossone un solo, tutti gli altri davano un su
l’altro, sì che, percossone un solo, tutti gli altri davano un suono, che durava per ben lungo tempo. Ulisse andò a Dodona
lungo tempo. Ulisse andò a Dodona per conoscere la volontà di Giove, che dava oracoli dalla sua altissima quercia ; ed Ene
i Olimpici (Ολυμπια μεγαλα) a differenza di altri meno considerevoli, che si celebravano in alcune città della Grecia, come
naica e da più altri paesi. Ed era tanto lo splendore di que’giuochi, che Pindaro(2) ebbe a dire che siccome l’acqua supera
Ed era tanto lo splendore di que’giuochi, che Pindaro(2) ebbe a dire che siccome l’acqua supera tutti gli elementi, e l’or
li edificarono Olimpia e celebrarono la prima Olimpiade. Altri dicono che l’istituì Atreo per onorare i funerali di Pelope,
ma di G. C. erano quasi dimenticati, o almeno assai rari ; ed egli fu che li richiamò a nuova vita più di quattro secoli do
coli dopo la guerra di Troia. Da quest epoca si contano le Olimpiadi, che sono lo spazio di cinque anni, o meglio, di quatt
po nella storia greca si legge qualche cosa di certo, giacchè i fatti che precedono il periodo d’ Ifito o delle olimpiadi,
a statua di Giove Olimpico, di avorio e di oro, capolavoro di Fidia e che Plinio chiama superiore ad ogni imitazione. Era d
e Plinio chiama superiore ad ogni imitazione. Era di tanta grandezza, che parve essersi peccato contro le leggi della propo
lla proporzione, perchè seduto com’era, toccava il tetto del tempio ; che se si fosse dritto levato, l’avrebbe dovuto tutto
atuario quale innanzi avesse avnto nel fare sì nobile statua, rispose che quei versì dell’ Iliade, ne’ quali il poeta descr
ispose che quei versì dell’ Iliade, ne’ quali il poeta descrive Giove che col muovere delle sopraceiglia fa tremare l’olimp
e il dispiacere di vedervi i versi di Corinna preferiti a’suoi. Si sa che Tucidide, fanciullo, vi udì Erodoto recitare la s
Giove Olimpico, nella Grecia, soggiungiamo quello di Giove Capitolino che a Roma n’emulò la magnificenza. Giove Capitolino,
o, e di oro eziandio la barba ; donde la ridevole follia di Caligola, che per imitare Giove portava il fulmine e la barba d
dugento piedi. Vi si saliva dal foro romano per ben cento scaglioni, che ne rendevano più maestoso il prospetto. Le porte
i doni senza numero. Fra le più rare opere di scoltura vi era il cane che lambisce la propria ferita, l’Ercole Capitolino,
il quale fece venir dalla Grecia quelle colonne di pietra pentelica, che tuttavia si ammirano nella chiesa di Aracoeli. Ed
ramo ornato di nastri(2). E giunsero questi giuochi a tanta rinomanza che i Romani, non più per lustri, ma per giuochi Capi
ronarsi solennemente i poeti ed i retori dagli stessi Imperatori ; il che forse ha dato luogo alla coronazione de’poeti lau
dava il fulmine ; e non di rado vedesi in atto di fulminare i giganti che tiene sotto i piedi. Il Giove Pluvio si figurava
no vi è Giove barbato, con corona di quercia ed adagiato sulle nuvole che addensa col suo cenno ; ha vicino l’arco baleno e
; all’ ampiezza della fronte rilevata e quasi gonfia ; ed alla chioma che , come quella del leone, gli scende giù dal capo.
quella del leone, gli scende giù dal capo. Il Winckelmann è di parere che il capo di Giove abbia sempre gli stessi caratter
nn è di parere che il capo di Giove abbia sempre gli stessi caratteri che dagli altri Dei il distinguano, cioè uno sguardo
Dei il distinguano, cioè uno sguardo costantemente sereno, co’capelli che dalla fronte gli si sollevano, e poscia ìn varie
re, col taglio dell’occhio grande, rotondamente ricurvato e men lungo che comunemente esser non suole, per tenerne l’arco p
re figurarsi con quel sembiante tranquillo e con quella fronte serena che addita la serenità del cielo. Si vede pure Giove
nità del cielo. Si vede pure Giove detto Serapide col modio sul capo, che Millin crede essere un avanzo del fusto della col
ola del gabinetto del Re di Francia, l’Olimpo è indicato da un Giove, che siede sul trono colla folgore nella sinistra ed u
scontorcono, e con le loro maestose facce minacciano il supremo Nume, che vibra contro di loro ì fulmini ». In una statua d
nuta in un tempio di Pompei, quel Nume si vede con corona di quercia, che gli circonda le chiome cadenti. Giove Dodoneo ave
o di quercia, albero a lui sacro. Giove Ammone dipingesi colle corna, che forse dinotano la forza de’raggi del sole, i qual
apo coronato di fiori, e con una coppa d’oro in una mano, come quella che versava il nettare agli Dei ; e pasceva di ambros
eus, da Ditte, monte di Creta, ch’ebbe un tal nome dalla ninfa Ditte, che vi si adorava. In un antro di quel monte fu nudri
è a lui si portarano o dedicavano le spoglie opime, cioè quel bottino che il generale di un esercito riportava sul re o cap
lmine gaudens ; εριβρεμετης, magnitonans ; υβρεμετης, altitonans, ec. che tornano ad un medesimo significato. Iupiter Hosp
qual vindice dell’ospitalità quasi da tutt’i popoli, perchè credevasi che i forestieri ed i mendici vengon da Giove(1), e c
perchè credevasi che i forestieri ed i mendici vengon da Giove(1), e che sono da lui particolarmente protetti. Iupiter Id
la culla e la tomba di quel nume. Iupiter Lapis, detto dalla pietra che inghiottì Saturno invece del figliuolo. Presso i
il famoso suo tempio ; o dal monte Olimpo, in Tessaglia ; o dal cielo che diceasi Olimpo. Nei conviti il primo bicchiere si
rare. Nel luogo ove gli Elei tenean senato, era un simulacro di Giove che nelle mani avea i fulmini, pronto a punire gli sp
uvius, Giove datore della pioggia, detto da’ Greci ομβριος ed Υετιος, che avea un altare sul monte Imetto nell’ Attica(1).
1). Iupiter Stator, Giove Statore, così detto, perchè fermò i Romani che fuggivano vergognosamente davanti a’ Sabini, a si
hio (aesculus), piante ghiandifere, e perciò riputate sacre(3). Si sa che Giove richiamò gli antichissimi uomini dal ferino
carne umana a quello più mite delle ghiande, di cui si cibavano prima che s’introducesse l’uso del frumento. La voce iuglan
è quasi Iovis glans, perchè quest’albero dà frutti di miglior sapore che la ghianda. A Giove si sacrificava il giovenco, e
, ed era cattivo augurio sacrificargli un toro ; sebbene altri dicono che se gli poteva sacrificare(4). Tra i pianeti vi è
benigna e prospera al genere umano, a differenza del pianeta di Marte che l’ha terribile e sanguigna(5). Omero(6) fa menzio
iama l’arbitro della guerra fra gli uomini ; e lo Scoliaste riferisce che la terra aggravata dalla soverchia moltitudine de
oltitudine de’malvagi pregò Giove a sollevarla di sì molesto peso ; e che per ciò quel Nume mandò prima la guerra di Tebe,
prima la guerra di Tebe, e poi quella di Troia. Percui le guerre più che i fulmini e le inondazioni, vengono da Giove per
agana Teologia(2) Giove è l’anima del mondo ; e però i poeti dicevano che tutto era pieno di Giove, e che tutto dee cominci
a del mondo ; e però i poeti dicevano che tutto era pieno di Giove, e che tutto dee cominciare da Giove. Omero(3) di passag
iove, e che tutto dee cominciare da Giove. Omero(3) di passaggio dice che le timide colombe recano l’ambrosia a Giove.
unone I. Nomi di questa Dea e lor ragione. Cicerone(4) crede che il nome Iuno venga a iuvando, come quello di Giov
che il nome Iuno venga a iuvando, come quello di Giove ; e riferisce che , secondo gli Stoici, Giunone era l’aere posto in
coll’etere, ch’era Giove. E siccome Giove presso gli antichi non era che il sole(5) : così per Giunone intendevasi la luna
(5) : così per Giunone intendevasi la luna. Dai Greci chiamavasi Ηρα, che Platone nel Cratilo fa derivare dal verbo εραω, a
one ci è amabile, vivendo noi col respirarla. Laonde alcuni affermano che Ηρα sia detta quasi αηρ, per metatesi, o trasposi
turno e di Cibele. Samo era il suo soggiorno gradito, perchè si vuole che quivi abbia avuto il suo natale, vicino al fiume
a ed Ascrea, fig. del fiume Asterione ; o da Temeno, fig. di Pelasgo, che abitava nella città di Stinfalo. Omero(2) però fa
che abitava nella città di Stinfalo. Omero(2) però fa dire a Giunone che quando Saturno fu cacciato da Giove nel tartaro,
Giunone, è alimentata e restaurata dall’acqua. Alcuni però affermano che l’educazione di Giunone fu affidata alle Ore. La
alle Ore. La Dea adunque ebbe in Samo un culto singolare ; e si vuole che il pavone, uccello caro a Giunone, nato a Samo, d
a Giunone, nato a Samo, di là si fosse propagato in altri luoghi ; e che perciò fosse consacrato alla Dea di Samo(3) ; ed
trasformazione di lui in pavone. Mosco, e dopo lui Ovidio, favoleggiò che Giunone, ucciso Argo da Mercurio, ne pose sulla c
Mercurio, ne pose sulla coda del pavone i soli occhi ; ma Nonno dice che quel pastore fu cangiato in pavone(4). Oltre a Sa
avea un gran simulacro ; e niuna cosa era più rispettata nella Grecia che i Sacerdoti di Giunone in Argo. Secondo Virgilio(
epose la superba Cartagine, ov’erano le sue armi ed il cocchio, tanto che meditava farla donna e signora di tutte le altre
nora di tutte le altre città. I Cartaginesi la veneravano con un nome che in greco significava Urania o Celeste. A Samo Giu
cava Urania o Celeste. A Samo Giunone sposò Giove ; e Varrone attesta che vi era un suo antico tempio ed una statua che la
ove ; e Varrone attesta che vi era un suo antico tempio ed una statua che la rappresentava in abito di novella sposa. Quest
fiume, presso al quale abitava, e la trasformò in testuggine, animale che ancora porta la casa sul dosso, ed in pena de’ su
d in pena de’ suoi scherni condannolla ad un perpetuo silenzio. Si sa che chelone (Χελωνη) in greco vuol dire testuggine.
poeti la dipingono oltremodo superba e pertinace nel suo sdegno ; di che nelle favole sono non pochi esempi. L’Emo ed il R
un fratello ed una sorella di tal nome, i quali sì forte si amavano, che , per un tal vezzo di stolta superbia, chiamavansi
none. Per la qual follia questa Dea li cangiò in due monti altissimi, che serbano ancora que’nomi(2). Fu pure bersaglio all
iava Come stormo di augei, forte gridando E schiamazzando, col romor che mena Lo squadron delle grù, quando del verno Fugg
ngori, e guerra e morte Porta al popol Pigmeo. Monti. Gameron crede che Pigmeo (a πυγμη, pugnus), significhi uomo di brac
ede che Pigmeo (a πυγμη, pugnus), significhi uomo di braccio forte, e che poscia male a proposito l’abbiano trasportato a d
biano trasportato a denotare un uomo di bassa statura. Iaquelot vuole che la favola de’Pigmei sia nata dal costume degli Et
glia, o Pigmei, ne’loro campi, per ispaventare le grù ed impedir loro che portassero via il grano seminato. Ma secondo Mad.
do Mad. Dacier, i Pigmei erano popoli di Etiopia di sì bassa statura, che i Greci li chiamarono Pigmei, cioè dell’altezza d
gliarsi a Giunone, la quale trasformò la donzella in cicogna, uccello che col suo canto pare che applaudisca a se stessa e
uale trasformò la donzella in cicogna, uccello che col suo canto pare che applaudisca a se stessa e mostri la sua favolosa
pplaudisca a se stessa e mostri la sua favolosa origine. Altri dicono che Giunone le cangiò i capelli in serpenti, e che pe
origine. Altri dicono che Giunone le cangiò i capelli in serpenti, e che per compassione degli Dei fu trasformata in cicog
liabile nemica e tentò ogni mezzo per vederne l’estrema rovina, tanto che non finì mai di perseguitare il pio Enea, miserab
e fra le due eterne rivali Roma e Cartagine un odio tanto implacabile che la loro ostinata lotta non finì che colla totale
rtagine un odio tanto implacabile che la loro ostinata lotta non finì che colla totale distruzione di quest’ultima. E poich
iade e dell’Eneide ; ci conviene dal principio raccontare l’oltraggio che toccò sì al vivo l’animo altero della Dea, e che
ccontare l’oltraggio che toccò sì al vivo l’animo altero della Dea, e che fu la fatale cagione di tanti famosi avvenimenti.
ento a Nettuno e ad Apollo d’immolar in loro onore tutto il bestiame, che in quell’anno sarebbe nato nel suo regno, se gli
gna di Troia, ed Apollo mandò micidiale pestilenza. Omero(1) racconta che Giove sdegnato con Nettuno ed Apollo che avea seg
estilenza. Omero(1) racconta che Giove sdegnato con Nettuno ed Apollo che avea seguito le parti di Giunone contra di lui, l
vir Laomedonte nel fabbricar le mura di Troia ; e Pindaro(2) aggiunge che sapendo que’ Numi esser nei libri del Fato che Tr
e Pindaro(2) aggiunge che sapendo que’ Numi esser nei libri del Fato che Troia dovea un giorno esser distrutta dalle fiamm
i del Fato che Troia dovea un giorno esser distrutta dalle fiamme ; e che le mura fabbricate da mano divina sarebbero state
a. Ora spaventato Laomedonte, consulta l’oracolo, e gli vien risposto che se volea veder finita la peste, ogni anno dovea e
a la regale donzella fu liberata da Ercole, e Telamone, fig. di Eaco, che ritornavano dalla spedizione contro le Amazzoni.
igliuola, alcuni cavalli ch’eran figli a’ cavalli del Sole, sì veloci che correvano sul mare, e sulle ariste, e che Giove d
cavalli del Sole, sì veloci che correvano sul mare, e sulle ariste, e che Giove donati avea a Laomedonte pel rapito Ganimed
tichi ebbero tanto in orrore siffatta doppia perfidia del re Troiano, che l’imputarono a tutto il suo popolo e da quelle ri
a quelle ripetevano le sciagure de’ Troiani e de’ loro posteri, tanto che Virgilio(1) afferma che lo spergiuro di Laomedont
ciagure de’ Troiani e de’ loro posteri, tanto che Virgilio(1) afferma che lo spergiuro di Laomedonte era la cagione delle c
o assedia Troia, uccide Laomedonte e dà Esione per isposa a Telamone, che primo era entrato nella città. Ad Esione fu data
Or Ecuba, essendo gravida di Paride, sognò di partorire una fiaccola, che tutta quanta incendiava Troia. Siffatto sogno get
rande costernazione ; si corre all’oracolo di Apollo, e vien risposto che sarebbe nato un fanciullo in quel parto, che dove
Apollo, e vien risposto che sarebbe nato un fanciullo in quel parto, che dovea essere un giorno l’infelice cagione della r
felice cagione della rovina di Troia. Priamo pieno di affanno comanda che appena nato il fatale fanciullo fosse fatto morir
llissimo, il diede secretamente ad allevare ad alcuni pastori del Re, che abitavano sul monte Ida. Igino vuole che i minist
re ad alcuni pastori del Re, che abitavano sul monte Ida. Igino vuole che i ministri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l
inistri del Re, mossi a pietà del fanciullo, l’esposero in un bosco e che avendolo ritrovato alcuni pastori, l’educarono co
o per isposa una Dea. Catullo ha scritto su tali nozze un epitalamio, che sarà in onore fino a che i dotti avranno cara la
ullo ha scritto su tali nozze un epitalamio, che sarà in onore fino a che i dotti avranno cara la lingua del Lazio. Peleo a
tà della Tessaglia. Temi intanto, o le Parche avean presagito a Giove che dal matrimonio che fermato avea con Teti, sarebbe
Temi intanto, o le Parche avean presagito a Giove che dal matrimonio che fermato avea con Teti, sarebbe nato un figliuolo
un figliuolo maggiore del padre. Perciò si tenne di sposarla, temendo che un tal figliuolo l’avesse a spogliare del regno,
se a spogliare del regno, com’egli fatto avea a Saturno. Fece adunque che Peleo, suo nipote, sposasse quella Dea ; alle qua
a Dea ; alle quali nozze furon invitati gli Dei e le Dee tutte, salvo che la Discordia o Eride, Dea che non istava mica ben
invitati gli Dei e le Dee tutte, salvo che la Discordia o Eride, Dea che non istava mica bene a sì lieto banchetto. Di che
cordia o Eride, Dea che non istava mica bene a sì lieto banchetto. Di che oltre modo sdegnata gettò sulla tavola un bel pom
aria bellezza. Or Menelao andò per suoi affari a Creta ; ed allora fu che Paride, mancando alle sante leggi dell’ospitalità
ra donna non già, ma un essere immaginario inventato per significare, che la bellezza appresso è cagione d’innumerevoli mal
vinto dal desiderio di rivedere Ulisse, si rivolge sdegnoso ad Elena che a tutta la Grecia fu sì funesta e per la quale si
Ovidio(2) Penelope lagnandosi della lunga assenza di Ulisse, desidera che dalle insane onde del mare fosse stata coperta qu
sidera che dalle insane onde del mare fosse stata coperta quella nave che portò a Sparta il fatale figliuolo di Priamo, cag
n lor cuore di non ritornare, se non se distrutta Troia(3). Allora fu che Nereo, vedendo la nave del perfido Pastore Ideo,
! gli disse, con infausto augurio una tal donna tu meni a casa, donna che tutta in armi ripeterà la Grecia congiurata a dis
ida, il cocchio e gli sdegni guerrieri(1). Ed il vaticinio fu vero sì che l’ostinata vendetta di Giunone rimase pienamente
n cenere la sacra città di Troia, tomba fatale di Asia e di Europa, e che distrusse il fior degli Eroi e tanta virtù guerri
Romolo, nel celestial consiglio, in grazia di Marte, Giunone consentì che questo suo nipote fosse annoverato fra gli Dei, c
se annoverato fra gli Dei, contenta di aver veduta Troia distrutta, e che Roma distendesse il suo impero per tutta la terra
e di Paride insultassero gli armenti. Virgilio(4) al contrario finge che Giunone, sapendo essere ne’ fatali libri fermato
contrario finge che Giunone, sapendo essere ne’ fatali libri fermato che il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede al
il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede al destino e consente che i Troiani sieno potenti in Italia e che Roma sia
i, cede al destino e consente che i Troiani sieno potenti in Italia e che Roma sia grande, purchè neppure il nome abbia ad
po ne fremean di rabbia i Numi, Ma sciorti non potean. Monti. Dicono che Vulcano, volendosi vendicar di Giunone, le regalò
appresentava Vulcano in atto di sciogliere Giunone. Il ch. Heyne dice che per Giunone s’intende l’atmosfera, o sia l’aere i
’intende l’atmosfera, o sia l’aere inferiore, come per Giove, l’etere che all’aria soprasta. Or per significare che la terr
re, come per Giove, l’etere che all’aria soprasta. Or per significare che la terra ed il mare, i quali occupano un luogo in
ungere ad atti di sommissione poco degni della sua grandezza, di modo che il titolo di regina del cielo, ed il trono di oro
ndezza, di modo che il titolo di regina del cielo, ed il trono di oro che le dà Callimaco, lo scettro ed il diadema non bas
nuamente agitato. Nel primo dell’Eneide(1) la povera Dea considera sì che biondeggiano le biade nel suolo, ove un dì era Tr
novella e più potente ; prevede la grandezza della posterità di lui, che un dì signoreggiar dovea tutt’i popoli e distrugg
ene tanto a lui superiore, non isdegna in atto supplichevole pregarlo che scatenasse i venti per disperdere la nemica flott
dere da una fredda nube il trionfo di Enea, e permettere suo malgrado che fosse posto nel numero degli Dei e che i suoi pos
nea, e permettere suo malgrado che fosse posto nel numero degli Dei e che i suoi posteri regnassero su tutta la terra. V
tessa si vanta della nobiltà divina de’ suoi natali ; e ben conveniva che Giove avesse una consorte degna della sua grandez
lla Repubblica erano in grandissima venerazione. E ben Giove predisse che , mutato consiglio, Giunone dovea un dì prender Ro
, mutato consiglio, Giunone dovea un dì prender Roma a proteggere ; e che quivi a lei più che ad ogni altro nume si sarebbe
Giunone dovea un dì prender Roma a proteggere ; e che quivi a lei più che ad ogni altro nume si sarebbero resi grandissimi
re di Giove, se ha l’impero de’ venti e siede alla mensa de’ Numi. Il che può spiegarsi dicendo che per beneficio di Giunon
o de’ venti e siede alla mensa de’ Numi. Il che può spiegarsi dicendo che per beneficio di Giunone, cioè dell’aria, Eolo si
dell’aria, Eolo signoreggiava i venti, perchè l’aria agitata è quella che li produce. Di quest’Eolo fu fig. Etlio, il quale
Inferno. Abbiamo pure un argomento della grandezza di Giunone in quel che dicono i poeti d’Iride. È vero che in Omero(4) Eb
della grandezza di Giunone in quel che dicono i poeti d’Iride. È vero che in Omero(4) Ebe pone le ruote al cocchio di Giuno
piede di rose segnava velocemente quel sentiere arcuato di più colori che in tempo di pioggia si vede nell’aria di riucontr
er reciderle il crine fatale e così accelerarle la morte(4). Vogliono che Iride fosse fig. del Ponto e della Terra, perchè
no colle sue estremità o corna attigne le acque dal mare. Esiodo dice che nacque da Taumante, che in greco significa ammira
corna attigne le acque dal mare. Esiodo dice che nacque da Taumante, che in greco significa ammirabile, perchè non vi è co
gocce di acqua di una nube posta di rincontro al sole ; e da Elettra, che significa splendore del sole. Come Giunone è la D
le dispensava a’ mortali le ricchezze ed ogni altro bene temporale, e che dal Guidi chiamasi superba al par di Giuno. Era e
pecialmente le ricchezze. Virgilio(5) la chiama onnipotente, aggiunto che dà pure a Giunone. Da’ Latini dicevasi Fors, e τυ
hè da Giove è mandato ad arricchire alcuni, pe’ quali giunge sì tardi che spesso li trova invecchiati ; alato al contrario
ortuna, negli scavi di Pompei si è ritrovata una statuetta di argento che rappresenta la Fortuna vestita di tunica talare,
rmezza di lei, o per esprimere la forza e la potenza della necessità, che spesso accompagna la Fortuna. A Roma la Fortuna a
di Cesare era : Virtute duce, comite Fortuna  ; ed i Romani dicevano che la Fortuna avea stabilita l’eterna sua dimora in
cia Alessandro il grande ed i suoi successori. Giova infine avvertire che il Fato dicevasi in riguardo agli Dei ; la Fortun
riguardo agli Dei ; la Fortuna, per riguardo degli uomini. Tutto ciò che accade, dicevano gli antichi, è da’ Numi con immu
li Dei ed ignoranti del futuro, nel vedere la serie degli avvenimenti che accadono contra ogni aspettativa, hanno inventata
Fortuna. Giunone presedeva pure a’ matrimonii ed a tutte le cerimonie che li riguardavano ; ed anticamente i mariti chiamav
ungeva la porta della casa di suo marito prima di entrarvi, in segno che dovea recarvi l’abbondanza. Avea particolar cura
IX. Iconologia di Giunone. Da Pindaro(1) si chiama Giunone la Dea che siede sull’aureo trono. Il pavone è sì proprio di
one la Dea che siede sull’aureo trono. Il pavone è sì proprio di lei, che nel cerchio marmoreo de’ dodici Dei co’ segni zod
o un ornamento del capo a guisa di corona, detto volgarmente diadema, che usavasi dalle donne greche ; il quale come le fio
unone del Museo Pio-Clementino, una delle più perfette statue vestite che l’antichità ci abbia dato, in cui si ammira la gr
lcune Vittorie di oro ch’erano nel tempio di Giunone a Malta. Si noti che lo sfendone non era di metallo, ma tessuto o lavo
imperiosa, i cui tratti sono sì particolarmente proprii a questa Dea, che ad un semplice profilo rimasto di una testa mulie
si può sicuramente esser quella una Giunone. » Massimo Tirio(1) dice che Policleto fece in Argo una statua di Giunone, col
ne Samia in piedi col velo e col modio. Velata era pure la sua statua che nel Campidoglio si venerava, come da’ medaglioni
ine. Giunone Lucina in un’antica moneta dipingesi in forma di matrona che sta ritta in piedi, avendo una tazza nella destra
era di Policleto. Iuno aspera, atrox, iniqua, saeva, torva ; epiteti che spesso si danno a Giunone, specialmente nell’Enei
oso e vendicativo, e quindi crudele ed ingiusto. Βοωπις, occhigrande, che ha gli occhi di bue. Appresso i Greci gli occhi g
Iuno praeses nuptiarum (a τελος, matrimonium) ; Domiduca, come quella che accompagnava la novella sposa alla casa del marit
, antic. Lacinium, detto da Lacinio, masnadiere ivi ucciso da Ercole, che poscia vi fabbricò un superbissimo tempio a Giuno
cina vi è non poca confusione negli antichi scrittori. Solo può dirsi che le donne greche nel parto invocavano Diana Ilitia
vocavano Diana Ilitia ; e le romane, Giunone Lucina. Cicerone(6) dice che come appresso i Greci nel parto s’invocava Diana
Ilitia, e la chiama figliuola della potente Giunone ; ed Esiodo dice che questa Dea partorì Ebe, Marte ed Ilitia o Lucina.
loro tenuto in somma venerazione. E per uso di esso dipinse un’Elena, che rappresentar dovea il più perfetto tipo della bel
più perfetto tipo della bellezza ; percui copiò da più sembianti quel che ciascuno avea di più leggiadro e perfetto. Termin
perfetto. Terminata l’opera, e conoscendone l’eccellenza, non aspettò che gli uomini ne giudicassero, ma tosto vi appose qu
ei occhi : pigliali e parratti una Dea (2). Malamente Plinio(3) dice che ciò avvenne a Girgenti. Giunone avea al suo serv
Giunone avea al suo servigio quattordici bellissime Ninfe(1) ; ma più che di ogni altra, ella servivasi dell’opera d’Iride,
to difatti è l’aquila della notte, e il re di quella tribù di uccelli che temono la luce del giorno e volano soltanto quand
ie si chiamavano alcune feste Romane in onore di questa Dea. Si vuole che Giano avesse introdotto in Italia il culto di lei
i lei le tessevano delle corone, e coprivano i suoi altari di un’erba che nasceva nel fiume Asterione, sulle cui rive era i
orona di ulivo. Quelle donne ricamavano un velo o stoffa detta peplo, che consacravano a Giunone. Nel tempio della Dea ad O
descritto il fatto de’ due fratelli Cleobi e Bitone, i quali, vedendo che la madre Cidippe andava al tempio su di un carro
madre a casa nella stessa guisa dopo il sacrificio, ella pregò la Dea che in premio di ciò concedesse a’ figliuoli il maggi
ò la Dea che in premio di ciò concedesse a’ figliuoli il maggior bene che può toccare all’uomo. Si addormentarono essi plac
ssi placidamente di un sonno, da cui mai più non si svegliarono ; con che significò la Dea, niuna cosa esser maggior bene a
no ; con che significò la Dea, niuna cosa esser maggior bene all’uomo che il morire(1). Minerva o Pallade I. Diver
principali, Minerva, e Pallade. Il primo davasi propriamente alla Dea che presiede alle scienze, detta da’ Greci Αθηνα, sul
e sembra di minacciare (quia minatur. Cic.). Cornificio pure afferma che dicesi Minerva, perchè dipingesi minaccevole nell
la memoria derivano il nome di Minerva, quasi Meminerva ; ed ognun sa che gli antichi aveano Minerva per la memoria, o per
esta Dea poi chiamavasi Pallade (Pallas), da un verbo greco (παλλειν) che significa vibrare l’asta, perchè quantunque Miner
o Eusebio si dice figliuola di Giove e di Temi. Stesicoro fu il primo che finse, Minerva esser nata dal cervello di Giove ;
di Giove ; e Luciano in un suo dialogo lepidamente introduce Vulcano che con una scure ben affilata sta innanzi a Giove e
una scure ben affilata sta innanzi a Giove e da lui riceve il comando che con quella gli aprisse il capo ; e che Vulcano, d
ove e da lui riceve il comando che con quella gli aprisse il capo ; e che Vulcano, dopo lungo ricusare, s’induce finalmente
po, pel quale dal divin capo uscì una Vergine armata da capo a piedi, che scuoteva lo scudo ed agitava l’asta ; di età matu
à matura e bellissima, benchè di occhi azzurri. Anche Esiodo racconta che Giove, quando niun’altra cosa avea prodotto, part
o, partorì dal suo cervello Minerva, uguale al padre sì nella potenza che nel consiglio, ed indomabile signora degli eserci
ella potenza che nel consiglio, ed indomabile signora degli eserciti, che chiamavasi Tritone o Tritogenia. Quindi negl’inni
o(2) volendo lodare l’isola di Rodi, cara a Minerva per le belle arti che vi fiorivano e per la doviziosa felicità di cui g
fiorivano e per la doviziosa felicità di cui godeva, finge nobilmente che quando dal cervello di Giove, per un colpo di man
scoltura, vedendosi nelle loro strade statue di uomini e di animali, che sembravano aver moto e vita. Pallade(1) uscita ap
allade(1) uscita appena del cervello di Giove, si mostrò nella Libia, che credevasi la più antica terra del mondo e più vic
donzelle il celebravano con diverse specie di giuochi. Ma Omero dice che in Alalcomenio, città di Beozia, nacque Minerva ;
Ma Omero dice che in Alalcomenio, città di Beozia, nacque Minerva ; e che un Beozio chiamato Alalcomeno allevò quella Dea e
a statua di avorio, la quale fu da Silla recata a Roma. Eusebio vuole che vi era una donzella nelle vicinanze del lago Trit
finse ch’ella era nata dal cervello di Giove. L’opinione più comune è che Minerva sia stata fig. di Cecrope, primo re di At
comune è che Minerva sia stata fig. di Cecrope, primo re di Atene, e che si crede il Giove degli Ateniesi ; e perchè ella
forse ancor nelle armi, dopo la sua morte fu tenuta come una Divinità che alle belle lettere ed alle armi soprantende, e ch
scita del capo di suo padre. Ma più veramente volevano dirci i poeti, che le scienze e le arti, alle quali Minerva presiede
remai si avvaleva. Quindi nel tempio di Giove Olimpico era una statua che lo rappresentava sopra il suo trono con Minerva a
nerva(3) adoravasi a Roma nel tempio Capitolino alla destra di Giove, che avea Giunone alla sua sinistra. Essa, dice il cit
era l’intelletto stesso e la provvidenza di Giove(5) ; ed Esiodo dice che quella Dea ha una potenza ed una intelligenza sim
ntelligenza simile a quella del Padre de’ Numi(6). Quindi si disse(7) che Minerva era la forza stessa di Giove ; che tutto
umi(6). Quindi si disse(7) che Minerva era la forza stessa di Giove ; che tutto era comune a lei con quel Nume di modo che
za stessa di Giove ; che tutto era comune a lei con quel Nume di modo che quanto essa disponeva, tutto era dal suo cenno di
erò Omero ne’ suoi poemi rappresenta Achille, Ulisse e tutti gli eroi che per valore e per senno sopra gli altri si alzaron
fortuna, fedelissima scorta. E con ciò i poeti volevano significarci che la divina sapienza i grandi nomini, ne’ fortunosi
ella sua potenza davasi a Minerva anche il fulmine, ma di minor forza che quello di Giove ; e però quando volle vendicarsi
dopo molti pericoli si salvò sullo scoglio Cafarea, ove avendo detto che anche a dispetto de’ Numi ne sarebbe uscito liber
lio di Aiace. Altro argomento della potenza di questa Dea è il sapere che quando Prometeo di fango formò il corpo dell’uomo
se, nelle quali più chiaro si scorge vigore d’intelletto ed un non so che di divino, eran soliti gli antichi di attribuirle
e di divino, eran soliti gli antichi di attribuirle a Minerva. E pare che per ciò abbian detto i poeti che non debbasi impr
chi di attribuirle a Minerva. E pare che per ciò abbian detto i poeti che non debbasi imprendere opera alcuna se non siamo
o. IV. Minerva, Dea delle scienze e delle arti. Atene. Essendo che Minerva nacque dal cervello di Giove ; e l’ingegn
cienze e nelle arti, risiede nel capo ; avvedutamente dissero i poeti che Minerva era la Dea delle scienze e delle arti ; c
e dissero i poeti che Minerva era la Dea delle scienze e delle arti ; che a lei si doveano le utili scoperte ; e che le let
lle scienze e delle arti ; che a lei si doveano le utili scoperte ; e che le lettere ed i letterati erano sotto la guardia
letterati erano sotto la guardia e tutela di lei. Da ciò pure avvenne che questa Dea fu qual signora e protettrice venerata
Ateniesi. Celebre ne’ poeti è la gara fra Nettuno e Minerva pel nome che dar si dovea alla novella città di Atene, percui
le piacque averla nella sua special tutela. Varrone(1) però racconta che , regnando Cecrope, nacque da se un ulivo nella ci
ed Apollo rispose, l’ulivo significare Minerva, e l’acqua, Nettuno ; che quegli Dei contendevano a chi dovesse dare il nom
; che quegli Dei contendevano a chi dovesse dare il nome alla città e che spettava al popolo il giudicare qual de’ due Numi
Nettuno adirato coprì di acqua il paese dell’Attica. Virgilio dice(1) che nella contesa fra Minerva e Nettuno, questi con u
striero. Plinio dice : In Atene dura ancora un ulivo, il quale vuolsi che sia quello che fu fatto nascere da Minerva, quand
dice : In Atene dura ancora un ulivo, il quale vuolsi che sia quello che fu fatto nascere da Minerva, quando ella venne a
l’agricoltura. Da ciò venne grande ribellamento di quel popolo fiero, che Cecrope s’ingegnò di acchetare col trarre dalla s
ama delle sue opere maravigliose andava sì grande per quelle contrade che spesso le ninfe del Tmolo, e quelle dell’aureo Pa
maletto tesse una tela finissima di sì bello e maraviglioso artifizio che ha dato occasione a’poeti di foggiare quell’Aracn
o che ha dato occasione a’poeti di foggiare quell’Aracne industriosa, che da Minerva fu trasformata in ragno e che pur non
re quell’Aracne industriosa, che da Minerva fu trasformata in ragno e che pur non lascia di esercitare l’arte sua predilett
uale per caso avea commesso quel fallo, per mitigarne il dolore, fece che il figliuolo, privo degli occhi del corpo, fosse
a di sette o di otto secoli ; e al dir d’Omero(2) gli fu pur concesso che nell’inferno egli solo avesse senno ed accorgimen
r concesso che nell’inferno egli solo avesse senno ed accorgimento, e che tutti gli altri vagassero a modo di ombre. Alla D
della nostra Dea, troncò il capo della foro sorella Medusa. Allora fu che Minerva, dice il Poeta, ai labbri recossi La dol
col canto Delle Gorgoni audaci il tristo pianto. Igino però racconta che Minerva la prima fece il flauto di un osso di cer
quale andata a specchiarsi in una limpida fontana del monte Ida, vide che non era senza ragione derisa ; percui sdegnosa ge
ettò via il flauto, e pregò male a chiunque osato avesse suonarlo. Il che avendo fatto il satiro Marsia, nella gara con Apo
alute. Minerva presedeva alle opere fabbrili. Argo, la prima nave che portò Giasone alla conquista del vello d’oro, fu
rezione della Dea della sapienza ; perchè la divina sapienza è quella che le umane menti dirige nelle memorande ed utili sc
ella spedizione degli Argonauti vi erano già navi al mondo, sapendosi che molte colonie del continente eran passate ad abit
te colonie del continente eran passate ad abitare rimote isole(1) ; e che Minos II, re di Creta, che visse 120 anni prima d
ran passate ad abitare rimote isole(1) ; e che Minos II, re di Creta, che visse 120 anni prima degli Argonauti, con una flo
corsari, e s’impadronì delle Cicladi. Ciò non ostante i poeti dicono che la prima nave che solcato avesse il mare, fu la n
dronì delle Cicladi. Ciò non ostante i poeti dicono che la prima nave che solcato avesse il mare, fu la nave Argo, chiamata
one, al ritorno della sua spedizione, consacrò questa nave a Minerva, che la collocò fra le stelle. Il cavallo che riuscì s
sacrò questa nave a Minerva, che la collocò fra le stelle. Il cavallo che riuscì sì fatale a Troia, fu eziandio per opera e
ni a partire questo dono consacrano. Ma lo Scoliaste di Omero afferma che il cavallo Troiano fu un trovato di Ulisse, il qu
e in ogni sua azione era dalla Prudenza, cioè da Minerva, diretto ; e che però ebbe dal poeta l’epiteto di sterminatore di
he però ebbe dal poeta l’epiteto di sterminatore di città. Si osservi che un artefice, il quale lavora di legno, da Esiodo
lli offerivano le primizie de’ loro studii ad una immagine di Minerva che ponevano ne’ ginnasii. Anche la medicina era sott
lzare in Atene una statua a Minerva Salutare. L’arte della guerra più che ogni altra apparteneva a questa Dea. Esiodo fa us
ce della loro città di accordo con Nettuno. VII. Minerva la stessa che l’Iside degli Egiziani. Areopago di Atene. Il
ce nel suo libro su i Misteri del Paganesimo, si studia di dimostrare che i Greci foggiarono la loro Minerva sul tipo dell’
l tipo dell’Iside di Egitto. Di fatto Platone ed Erodoto(1) affermano che Minerva era l’Iside venerata a Sais, città di Egi
ui venne l’agricoltura. A Sais Iside era rappresentata come una donna che ordisce ; e Diodoro afferma ch’ella proteggeva le
onna che ordisce ; e Diodoro afferma ch’ella proteggeva le arti ; nel che si vede Minerva, inventrice e protettrice di esse
sse. In Ermopoli Iside si credeva la prima delle Muse, e Platone dice che i più antichi canti si attribuivano a quella Dea 
e dice che i più antichi canti si attribuivano a quella Dea ; e si sa che il sistro era sua invenzione. Così Minerva invent
e. Così Minerva inventò il flauto ; e Pindaro chiama la Musica l’arte che inventò Pallade. E Plinio a Minerva attribuisce l
ad Iside, e nelle sue feste si portava una nave ; ed i Greci dissero che Minerva avea insegnata la maniera di costruire le
ire le navi. Minerva presedeva alla guerra ; ed Iside eziandio, tanto che lo scarafaggio che nella scrittura geroglifica si
a presedeva alla guerra ; ed Iside eziandio, tanto che lo scarafaggio che nella scrittura geroglifica significa un soldato,
ui luogo di favellare della incorruttibile severità di quel tribunale che presso gli antichi ebbe tanta rinomanza di saviez
saviezza e di giustizia. Socrate(2) affermava di non conoscere uomini che giudicassero con maggior costanza, onestà e giust
cere uomini che giudicassero con maggior costanza, onestà e giustizia che gli Areopagiti. Quindi un giudice severo e grave
ua madre, fu dalle infernali furie assalito. Per liberarsi da’ mostri che notte e giorno il tormentavano, va al tempio di A
ulivo. Prostrato all’altare di lei, la prega a liberarlo dalle Furie, che ad onta delle espiazioni, non avean lasciato di t
un formale giudizio, assicura l’animo dell’infelice Principe dicendo che per suo riguardo istituito avrebbe un tribunale p
ttonio. L’asta, lo scudo e l’elmo erano tanto proprii di Pallade, che per questi soli, nel tempio di Giunone in Elea, i
divinità. Ma oltre a ciò portava il peplo, ch’era una veste donnesca che mettevasi sopra tutte le altre ed era aperta solo
croceo peplo (κροκόπεπλος). Questa veste era in gran pregio in guisa che quando una donna a qualche Dea far voleva un’offe
a un’offerta, niuna cosa più accetta e pregevole credeva poterle dare che un bel peplo. Callimaco(2) descrive Pallade e la
ortavasi per le strade al tempio della Dea una nave fornita di remi e che per vela avea un peplo. Se questo fosse una veste
ti(2). Queste feste Panatenee erano presso gli Ateniesi quelle stesse che da’ Romani appellavansi Quinquatria. Le maggiori
el teatro fanciulli e fanciulle intrecciavano la danza detta pirrica, che facevasi colle armi addosso e colla spada. Alcuni
rrica, che facevasi colle armi addosso e colla spada. Alcuni vogliono che le Panatenee furono ristabilite da Teseo per riun
e feste o giuochi annuali istituiti da Domiziano in onore di Minerva, che si celebravano sul monte Albano, e ne’quali gareg
i ed oratori. IX. Iconologia di Minerva. Massimo Tirio(3) dice che Fidia rappresentò Minerva in nulla inferiore a qu
cui Minerva dicesi inventrice. Pausania parla di una statua della Dea che avea un gallo sul cimiero ; ed il Montfaucon, di
monumento riferito da Gorleo vedesi la Dea vincitrice di un gigante, che ha steso a terra colla sua asta ; per cui cantò D
ta di scudo e di lancia, mentre esce del capo di Giove. Alcuni dicono che quando uscì dal cervello del Nume, avea l’elmo, l
volte era come le pelli di cui van coperti alcuni pastori, veggendosi che Pallade ne ha coperto non solo il petto, ma la sc
na ancora ; ed alle volte, a guisa di mantello. Dice il Winckelmann «  che quasi tutte le figure di Minerva hanno la chioma
iena o pettinata solamente o in ricci lunghi inanellati, in modo però che questa chioma si spande e si slarga verso il fine
λεγμενη(3). Polluce spiega questo termine colla parola αναπεπλεγμενη, che vuol dire che ha i capelli messi in trecce e lega
lluce spiega questo termine colla parola αναπεπλεγμενη, che vuol dire che ha i capelli messi in trecce e legati. » In un an
na tibia in ciascuna mano. Sopra una medaglia di Atene vedesi Minerva che disputa con Nettuno sul nome da darsi alla città 
ile e formidabile, perchè Dea della guerra. Il ch. Visconti(5) dice «  che gli antichi, accuratissimi osservatori delle prop
gli antichi, accuratissimi osservatori delle proprietà, riflettevano che questo appunto, cioè il colore glauco, è il color
de’ più feroci e guerrieri animali, e perciò l’attribuivano a Pallade che uscita della testa del padre degli Dei tutta arma
he uscita della testa del padre degli Dei tutta armata, non respirava che battaglie e stragi ». In un niccolo antico pubbl
cato da Pietro Vivenzio, vedesi Pallade colla Vittoria in una mano, e che con un piede posa su di un globo, per indicare ch
ria in una mano, e che con un piede posa su di un globo, per indicare che la sapienza regola il mondo. Gli Ateniesi venerav
veneravano Minerva sotto il nome di Pallade vincitrice. Alcuni dicono che Minerva portava la spada ; ma comunemente le si a
ervello di Giove. Armipotente ed Armisona, armipotens ; gr. δαιφρων, che significa sapiente e bellicosa. Da Ovidio appella
e bellicosa. Da Ovidio appellasi Diva bellatrix ; e Pausania racconta che Oreste, essendo stato assoluto nell’Areopago del
pita, perchè nata dal capo di Giove ; o da captus, voce degli Auguri, che significava, il suo tempio essere stato disegnato
l bianco ed il verde azzurro. Ma come nell’Iliade γλαυκιοων significa che guarda bieco, o con volto minaccioso e terribile 
bieco, o con volto minaccioso e terribile ; così pare più verisimile che Minerva Glaucopide voglia dire Minerva che guarda
; così pare più verisimile che Minerva Glaucopide voglia dire Minerva che guarda bieco, che fa il viso delle armi, come dic
risimile che Minerva Glaucopide voglia dire Minerva che guarda bieco, che fa il viso delle armi, come dicono gl’Italiani. C
one della Libia. Innupta ; epiteto di Minerva adoperato da Virgilio, che vuol dire vergine. Itonia, Ιτωνια, soprannome di
va da Catullo(3), perchè nacque di padre senza madre. Ma altri dicono che patrimus significa un giovinetto che, dopo la mor
dre senza madre. Ma altri dicono che patrimus significa un giovinetto che , dopo la morte della madre, ha il padre ancora vi
netto che, dopo la morte della madre, ha il padre ancora vivente ; il che non conviene alla nostra Dea. E però si vuol legg
e non conviene alla nostra Dea. E però si vuol leggere Patrona Virgo, che sta bene a Minerva, ch’è protettrice de’ poeti e
poeti e della poesia. Ed alcuni critici, contra lo Spondano, vogliono che la Dea invocata nel primo verso dell’Iliade sia M
d arti, così pure alla poesia presedeva. Anche Dante cantò ; L’acqua che io prendo, giammai non si scorse : Minerva spira,
perchè apparve la prima volta presso la palude Tritonia ; o da τριτω, che appo i Cretesi significava capo, perchè nacque da
tenione poi è l’erba detta camamilla, o secondo altri, la parietaria, che Minerva additò in sogno a Pericle per guarire un
prudenza e della vigilanza. Anche il gallo era sacro alla nostra Dea, che nelle monete di molti antichi popoli si vede effi
. In quanto poi alla civetta, è noto il proverbio « noctuas Athenas » che vuol dire portar cosa in luogo, ove se ne ha dovi
namento alla sua accademia. Vi è chi crede ch’essa sia la stessa cosa che il Dio Termine, confondendo gli Ermi ed i Termini
che il Dio Termine, confondendo gli Ermi ed i Termini. Altri credono che un’Ermatena sia un pilastro, o colonna su di cui
ta una testa o un busto di Minerva senza braccia. Fulvio Orsini pensò che un’Ermatena fosse una Minerva armata di cimiero,
quale se va scompagnata la sapienza cui presiede Minerva, essa non è che un vano strepito di parole(1). Il Palladio era un
un piccolo scudo simile agli ancili de’ Romani. Del quale raccontano che caduto dal cielo, mentre Ilo fabbricava la fortez
prodigiosa statua, perchè la città sarebbe stata inespugnabile sino a che ve l’avessero custodita. Il Palladio secondo altr
la Frigia, coll’asta nella destra, e nella sinistra, la conocchia ; e che recata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò
ata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò l’oracolo, da cui seppe che la città sarebbe stata in piedi sino a che avesse
tò l’oracolo, da cui seppe che la città sarebbe stata in piedi sino a che avesse conservato quel fatale deposito. Altri rac
i sino a che avesse conservato quel fatale deposito. Altri raccontano che una figliuola di Pallante, avendo sposato Dardano
Romani vantavano il lor Palladio, fatale pegno dell’impero ; dicevano che i Greci aveano rapito un falso Palladio ; e che E
ell’impero ; dicevano che i Greci aveano rapito un falso Palladio ; e che Enea avendo seco portato il vero in Italia, essi
tempio di Vesta, affidandone la custodia alle Vestali. E si racconta che a tempo dell’assedio di Troia, sapendo i Greci ch
ali. E si racconta che a tempo dell’assedio di Troia, sapendo i Greci che il Palladio rendeva quella città inespugnabile, U
vasi la fatale effigie ; ed uccisi i custodi, col favore di Antenore, che avea per moglie una sacerdotessa di Pallade, con
pegno spogliata fu Troia facile preda del nemico. Silio Italico dice che il vero Palladio fu da Diomede restituito ad Enea
Nomi diversi dati a questo Nume e lor ragione. Il Banier dimostra che presso gli antichi Apollo era tutt’altro che il S
. Il Banier dimostra che presso gli antichi Apollo era tutt’altro che il Sole ; ma noi per brevità seguiremo Cicerone,
ro che il Sole ; ma noi per brevità seguiremo Cicerone, il quale dice che i Greci credevano, Apollo essere lo stesso Sole(1
in un solo articolo. La voce Apollo (Απολλων) viene da un verbo greco che significa perdere (απολλυμι), e par che voglia di
λλων) viene da un verbo greco che significa perdere (απολλυμι), e par che voglia dire apportator di rovina, perchè il soper
uomini frequenti morbi. Così nell’Iliade Apollo irato con Agamennone che avea oltraggiato Crise, suo sacerdote, col tirare
eco esercito le sue micidiali saette, vi suscita grave pestilenza. Il che Omero prese dagli Egiziani che dal sole credeano
aette, vi suscita grave pestilenza. Il che Omero prese dagli Egiziani che dal sole credeano nascere le pestifere infezioni
scere le pestifere infezioni ne’popoli. Chiamavasi pur Febo (Φοιβος), che vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità che a
si pur Febo (Φοιβος), che vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità che al sole assai bene convengono. Questo nume in cie
fa le sue passeggiate per le soprane regioni del cielo, Porfirio dice che un medesimo Dio era il Sole in cielo, il padre Li
un parto con Diana nell’isola di Delo. Della quale raccontano i Poeti che Giove trasformò Asteria, fig. di Titano, in quagl
a, fig. di Titano, in quaglia, per essere stato da lei dispregiato, e che avendola gettata in mare, ne fosse nata un’isola,
a abbondava, ed era una delle Cicladi, nell’ Egeo. Era mobile a segno che ad un leggier soffio di vento vedeasi galleggiare
he ad un leggier soffio di vento vedeasi galleggiare sulle acque ; il che finsero per essere quell’isola scossa da frequent
ona ch’era fig. di Polo e di Tebe, essendo gravida di Apollo, avvenne che Pitone, serpente nato dalla putredine della terra
ne della terra dopo il diluvio di Deucalione, sapendo da’fatali libri che un figliuolo di Latona dovea ucciderlo, si diede
cabilmente, e non le lasciava luogo a partorire. Callimaco(2) afferma che quella bestia con nove giri circondava il Parnaso
quella bestia con nove giri circondava il Parnaso ; e Stazio(3) dice che uccisa occupava lo spazio di ben cento iugeri. Es
uogo ; e nelle medaglie veggonsi tripodi attortigliati di un serpente che credeasi animale dotato della virtù d’indovinare.
e far fronte apertamente a Giunone, e però menolla nell’isola Ortigia che ricoprì di acque ; il che la salvò dal dente di q
Giunone, e però menolla nell’isola Ortigia che ricoprì di acque ; il che la salvò dal dente di quel mostro. La favola di q
il Sole, uccise, o sia dissipò e distrusse colla forza de’suoi raggi, che son le saette di Apollo. Or Nettuno fece uscir fu
e di Apollo. Or Nettuno fece uscir fuori delle acque l’isola Ortigia, che chiamossi Delo (da δηλος, manifestus), come la pi
sul Parnaso uccise il Pitone, ne gittò le ossa sul tripode o cortina che pose nel suo tempio, ed in memoria di ciò istituì
pio, ed in memoria di ciò istituì solenni giuochi funebri detti Pizii che celebravansi ogni quattro anni, non lungi dalla c
ungi dalla città di Crissa, detta Pito, e poscia Delfo. Omero(1) dice che Apollo non fu dalla madre allattato, ma che Temi
scia Delfo. Omero(1) dice che Apollo non fu dalla madre allattato, ma che Temi gli diede a bere il nettare degli Dei. Belli
Bellissime cose ci dicono i poeti della eterna giovinezza di Apollo, che dipingevano co’ più dolci colori della bellezza,
zza di Apollo, che dipingevano co’ più dolci colori della bellezza, e che non mai per volger di anni scadeva. Quindi leggia
rissimo e con biondi e ben lunghi capelli il rappresentavano, di modo che , scriveva Tibullo(2). Febo e Bacco avean soli ete
etto quelle chiare acque intorbidarono. Sdegnata Latona pregò gli Dei che trasformassero que’ villani in ranocchie, come av
anto, per disfogare il suo mal talento contro Latona, comandò a Tizio che facesse le sue vendette. Era questi un enorme gig
chetare il dolore del figliuolo, disse non trovare spediente migliore che andar dal padre a chiarirsi del vero ; e Fetonte
discostandosene, faceva morir di freddo gli uomini e gli animali. Il che vedendo Giove, percosse di un fulmine l’audace gi
imali. Il che vedendo Giove, percosse di un fulmine l’audace giovane, che precipitò nel Po, ovvero Eridano, come quel fuoco
e, che precipitò nel Po, ovvero Eridano, come quel fuoco scintillante che a ciel sereno vedesi di notte trascorrere per l’a
di Fetonte, alla riva dell’Eridano lo piangevano continuamente, tanto che furono convertite in alni o sia ontani, o in piop
in pioppi ; dalla corteccia de’ quali alberi grondano delle gocciole che paion lagrime, e che addensate danno l’elettro o
rteccia de’ quali alberi grondano delle gocciole che paion lagrime, e che addensate danno l’elettro o sia l’ambra. Fu piant
nelo, re de’Liguri, il quale pel dolore fu cangiato in cigno, uccello che per la dolcezza del canto e perchè credevasi dar
dar qualche presagio del futuro, fu consacrato ad Apollo(1). Da ciò è che i poeti si chiamano cigni, e che finsero questo u
fu consacrato ad Apollo(1). Da ciò è che i poeti si chiamano cigni, e che finsero questo uccello cantar dolcemente, quando
ente l’ Ariosto : Terrà costui con più felice scettro La bella Terra che siede sul fiume, Dove chiamò con lagrimoso plettr
. I poeti poi con questa favola ci avvertono a non cercar quelle cose che son sopra le nostre forze, ed a lasciarci reggere
d a lasciarci reggere da’ consigli degli uomini sapienti. Ovidio dice che Febo si sdegnò sì fortemente pel lagrimevole caso
dice che Febo si sdegnò sì fortemente pel lagrimevole caso di Fetonte che volea lasciar la cura del suo cocchio. Ma le magg
Coronide fu Esculapio nella medicina ammaestrato da Chirone in guisa che fu posto nel numero degli Dei. Del quale i due fi
a, veduta in Epidauro la statua di Esculapio con barba d’oro, comandò che gli fosse tolta, dicendo essere sconvenevole che
barba d’oro, comandò che gli fosse tolta, dicendo essere sconvenevole che il figliuolo avesse barba, quando il padre Apollo
meto, re di Fere, in Tessaglia, lungo il fiume Anfriso(2). Omero dice che Apollo pascolò le giumente di Fere, agguagliate i
vogliono ch’eran mandre di tori(3). Admeto fu uno del principi greci che convennero alla celebre caccia del cinghiale Cale
sposare Alceste, fig. di Perilao, e consentendolo questi a condizione che gli donasse un cocchio tirato da un leone e da un
il modo di aggiogare sì feroci animali. Gli ottenne pure dalle Parche che giunto all’ora estrema, potesse evitarla, se trov
avesse voluto morire. Infermatosi a morte Admeto, Alceste l’amò tanto che per lui si offrì generosamente a perder la vita.
el Re, volea rendergli Alceste ; ma non consentendolo Plutone, Ercole che albergava allora in casa di Admeto, pugnò colla m
Questa pianta fu a lui dedicata, e di essa s’inghirlandava ogni cosa che gli apparteneva, il tripode, i tempii, i poeti, i
n mano un ramoscello di esso. Gl’indovini ne mangiavano le frondi(3), che credevano comunicare un presentimento del futuro.
che credevano comunicare un presentimento del futuro. Esiodo(4) dice che le Muse nel farlo poeta gli diedero come per isce
e dal suo sangue fece nascere un fiore del colore dell’ostro di Tiro, che chiamasi giacinto, nelle cui frondi, in memoria d
a di tanto dolore volle scritte le greche lettere αι, αι, ahi ! ahi ! che sono la naturale espressione del pianto. Amico an
parisso, senza avvedersene, il ferì con un dardo ; e ne fu sì dolente che pregò i Numi di poterlo piangere sempre. Allora A
igne poeta, con tal magistero toccava la lira e sì dolcemente cantava che non solo gli uomini di fiera indole, ma le tigri
do un giorno i villani insulti del giovane Aristeo, un velenoso serpe che stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’u
serpe che stava nascosto fra l’erbe, le ferì il piede e l’uccise. Di che fu sì grave il dolore di Orfeo che ne piangeva se
e, le ferì il piede e l’uccise. Di che fu sì grave il dolore di Orfeo che ne piangeva senza speranza di conforto, e l’estin
pianto le rupi del monte Rodope. E tanta fidanza ebbe nella sua lira, che discese all’inferno per la profonda caverna del T
r la profonda caverna del Tenaro. Quivi sì dolcemente suonò, pregando che gli fosse restituita Euridice, che mosse a pietà
uivi sì dolcemente suonò, pregando che gli fosse restituita Euridice, che mosse a pietà gl’infernali ministri e fece alle o
ministri e fece alle ombre dimenticare le proprie pene ; ed allora fu che le Eumenidi stupirono di quell’insolito canto, il
ione. Proserpina stessa al Tracio cantore donò la sposa, ma con patto che non si voltasse a guardarla prima di uscire del d
one ha potuto avere origine dalla sacra istoria della moglie di Loth, che fu trasformata in una statua di sale. Or l’infeli
o delle ombre. Allora squallido, per sette giorni(1), senz’altro cibo che il suo dolore, pianse con mesto canto la perduta
usignuolo piange, soavemente cantando, i rapiti figliuolini. Si vuole che nell’inferno celebrò tutt’i numi, salvo che Bacco
iti figliuolini. Si vuole che nell’inferno celebrò tutt’i numi, salvo che Bacco, il quale per ciò spinse contro di lui le B
ti indussero gli uomini selvaggi ad unirsi in società. Orazio(2) dice che Orfeo dirozzò le selvatiche genti co’dolci modi d
a le tigri ed i feroci leoni. Pausania poi racconta, esser tradizione che Orfeo, morta Euridice, andò ad Aorno, luogo nell’
moso per l’esercizio della negromanzia, in cui erano antri tenebrosi, che parevan la via dell’inferno, ed ove si evocavano
a di sette corde rappresentava l’armonia de’pianeti. Dicevano i Tracî che gli usignuoli i quali nidificavano presso la tomb
uali nidificavano presso la tomba di lui, facevano un canto più soave che altreve. Aristeo che fu cagione della morte di Eu
sso la tomba di lui, facevano un canto più soave che altreve. Aristeo che fu cagione della morte di Euridice, nacque da Apo
e e l’olio, il primo ne insegnò l’uso al genere umano. Plinio(1) dice che Aristeo ritrovò pure il fattoio. È fama(2) che un
umano. Plinio(1) dice che Aristeo ritrovò pure il fattoio. È fama(2) che un dì, morte di morbo e di fame le industriose pe
o, ed ove la reggia era della madre Cirene. Quivi lagrimando la prega che il modo gli additasse di riprodurre le sue api. L
nove giorni, vide con grata maraviglia volare infinito numero di api che ronzando aggrupparonsi a’ rami degli alberi, pend
li alberi, pendendo a guisa di grossi grappoli di uva. Plinio(3) dice che quando le pecehie son tutte perdute, si rifanno,
o, ad Ercole ed a Tamira, poeta insigne di Tracia e cantore sì nobile che osò gareggiare nel canto colle Muse, le quali, vi
to, veniva al paragone col medesimo Apollo(2). Imolo, re della Lidia, che n’era l’arbitro, giudieò a favore di questo Nume.
ollo in pena gli fece crescere due lunghissime orecchie di asino ; il che volendo egli celare, portava una tiara o mitra al
canne mosse dal vento ripetevano : Mida ha le orecchie di asino . Il che fece a tutti aperto il difetto del re. Ciò signif
i asino . Il che fece a tutti aperto il difetto del re. Ciò significa che non è agevol cosa occultare i difetti de’ princip
osa occultare i difetti de’ principi, attesa la naturale inclinazione che hanno gli uomini a manifestarli. Anche Marsia osò
oso satiro della Frigia, fig. d’Iagne, celebre musico. I poeti dicono che Marsia, avendo trovata la cornamusa, strumento da
strumento da fiato inventato da Minerva, la suonò sì maestrevolmente che ne venne in gran superbia ed ardì provocare al ca
I Satiri e le Ninfe piansero con tante lagrime l’acerbo fato di lui, che di quelle si fece un fiume, detto Marsia, ch’è ne
in quel luogo e di quelle cannucce fece la prima volta i pifferi ; di che fu tanto superbo che parlò in modo da paragonarsi
elle cannucce fece la prima volta i pifferi ; di che fu tanto superbo che parlò in modo da paragonarsi ad un Nume. E come i
e della lira, ed il gastigo del Satiro. Senofonte dice chiaramente(2) che Marsia fu un filosofo che ritrovò il flauto e dis
o del Satiro. Senofonte dice chiaramente(2) che Marsia fu un filosofo che ritrovò il flauto e disputò con Apollo di cose fi
ette figliuoli, ed altrettante figliuole di grandissima bellezza ; di che venne in molta superbia. La fatidica Manto, fig.
a Dea, oltre sette figliuoli ed altrettante figliuole di una bellezza che non avea pari sotto le stelle ; che a Latona la t
ettante figliuole di una bellezza che non avea pari sotto le stelle ; che a Latona la terra avea negato un luogo a partorir
ità a segno di sconfortare i Tebani dal culto de’ Numi. Timagora dice che i Tebani a tradimento uccisero i figliuoli di Anf
ll’alterigia e dell’irreligioso animo della Regina. Eustazio racconta che morirono in una pestilenza ; il che i poeti disse
o della Regina. Eustazio racconta che morirono in una pestilenza ; il che i poeti dissero effetto delle saette di Apollo. E
ffetto delle saette di Apollo. E l’empia Regina n’ebbe sì gran dolore che restò immobile qual sasso e serbò eterno silenzio
che restò immobile qual sasso e serbò eterno silenzio. Palefato vuole che sia nata la favola dall’aver Niobe posta una sua
pietra sul sepolcro de’ suoi figliuoli. Finalmente Pausania racconta che fu egli di persona sulla vetta del Sipilo per ved
li di persona sulla vetta del Sipilo per vedervi la favolosa Niobe, e che quivi vide una rupe, la quale di lontano avea sem
i pastore, colle saette uccise tutti que’ topi ; e comandò al pastore che dicesse a Crine, avergli Apollo di persona sgombe
gli Apollo di persona sgomberato i campi di que’ nocevoli animali, il che udendo Crine, fece un tempio in onor dt Apollo, p
virtù di presagire il futuro ; ma poscia, di lei mal contento, volle che non le si prestasse mai fede, comechè dicesse sem
uta città ; ma non si volle dar fede a’ suoi presagi(1). Sposò Corebo che perì nell’ultima notte di Troia ; e questa incend
questa incendiata, toccò in sorte ad Agamennone, cui più volte disse che guardato si fosse dalle insidie della moglie Clit
Apollo. E primieramente egli era il Dio de’ carmi e della poesia, non che della musica e di tutte le belle arti. I poeti er
elle. Qual signore del canto, andava superbo di una bella lira di oro che avea ricevuta da Mercurio ; ed era il duce e quas
e di Moneta, ch’era la Mnemosine de’ Greci ; o di Giove e di Minerva che secondo alcuni era la Memoria. Fedro(2) dice, le
inerva che secondo alcuni era la Memoria. Fedro(2) dice, le nove Muse che sono il coro delle arti, esser nate da Giove e da
coro delle arti, esser nate da Giove e dalla veneranda Mnemosine. Il che finsero i poeti, per avere Giove il primo ritrova
Urania. Alcuni(1) fan derivare la parola Musa da un verbo greco (μαω) che significa ricercare, investigare, essendo l’inves
ene (Camoenae), quasi canienae a canendo dal canto ; ma Varrone vuole che prima chiama vansi Casmenae, poscia Carmenae, e f
ollo e della ninfa Chione, uno de’ più antichi Musici(1), ed il primo che istituì i cori di donzelle, fu amico dei versi e
a Focide, e quivi tirannicamente regnava. Vide egli un giorno le Muse che andavano sul Parnaso, colte da improvvisa tempest
i andarono esse, ma come furono entrate, conobbero le coperte insidie che loro tramava quel tristo ; per cui, prese le ali,
o ; per cui, prese le ali, fuggirono velocissime per l’aria ; ed egli che salito su di un’alta torre del suo palagio, volea
la tranquillità di quel paese con continue guerre, si disse da’ Poeti che tramò insidie alle Muse, le quali per ciò si dipi
ra delle Pieridi colle Muse. Alcuni per un luogo di Strabone avvisano che la regione detta Pieria ed il monte apparteneva u
mio canto con quel suono, Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disperar perdono. Alcuni vogliono che Piero ebbe
he misere sentiro Lo colpo tal che disperar perdono. Alcuni vogliono che Piero ebbe nove figliuolo, alle quali diede il no
o(1) osarono sfidare al canto le Muse ; ma furon vinte da quelle Dee, che strapparon loro le piume e e ne ornarono il capo.
uazione. Aganippe. Ippocrene. Pegaso. Parnaso. Persio(2) per dire che non era poeta, afferma di non aver bagnato le lab
le labbra nel fonte del cavallo. Era questo il bel fonte d’Ippocrene, che alcuni mal confondono coll’ Aganippe, che forse e
o il bel fonte d’Ippocrene, che alcuni mal confondono coll’ Aganippe, che forse ebbe il nome da Aganippe, fig. del fiume Te
e ebbe il nome da Aganippe, fig. del fiume Termesso, essendo naturale che una fontana si chiami figliuola di un fiume. L’Ar
tana si chiami figliuola di un fiume. L’Ariosto, parlando delle donne che acquistaron fama nel poetare, disse : Poichè mol
ηνη, fons), o fonte del cavallo, ebbe origine dal Pegaso. Esiodo dice che fu esso così detto da πηγη, fonte, sorgente, per
Igino il crede nato da Nettuno e da Medusa ; ma comunemente si vuole che quando Perseo recise il capo di Medusa, dal sangu
mente si vuole che quando Perseo recise il capo di Medusa, dal sangue che gocciolonne sul suolo, nacque un destriero fornit
occiolonne sul suolo, nacque un destriero fornito di ali velocissime, che fu appunto il Pegaso, il quale un giorno sull’Eli
delle lettere. Il Pegaso alato, secondo Fulgenzio, significa la fama che diffondesi velocissima. Ma il monte delle Muse er
altro vasto e bellissimo, sì leggiadramente descritto da Pausania, e che gli abitatori del Parnasso aveano in grandissima
del Parnasso, ove stavasi rìntanato, avea tutti morti i suoi compagni che a quel fonte erano andati ad attignere dell’acqua
to Dirceo. Secondo alcuni fu chiamato Castalio o dalla ninfa Castalia che Apollo trasformò in fontana, o da Castalio, re de
o da Castalio, re dei dintorni del Parnasso. Dirce era fonte e fiume che bagnava Tebe, e da cui Pindaro, il più sublime al
esentato in un bel gruppo del palazzo Farnese, detto il toro Farnese, che ritrovasi nel R. Museo Borbonico di Napoli. Alcun
arnese, che ritrovasi nel R. Museo Borbonico di Napoli. Alcuni dicono che Anfione e Zeto furon fig. di Giove e di Antiope ;
. Alcuni dicono che Anfione e Zeto furon fig. di Giove e di Antiope ; che per comando di Apollo circondaron di mura la citt
e ; che per comando di Apollo circondaron di mura la città di Tebe, e che discacciato dal trono Laio, fig. di Labdaco, quiv
i Labdaco, quivi essi regnarono. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava sì dolcemente, che al suon di quelle cord
rono. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava sì dolcemente, che al suon di quelle corde i sassi, movendosi da se,
a se, andarono in bell’ ordine ad unirsi per costruir quelle mura. Il che vuol dire, che Anfione colla dolcezza del suono e
in bell’ ordine ad unirsi per costruir quelle mura. Il che vuol dire, che Anfione colla dolcezza del suono e del canto pers
tà de’ loro versi(1). Orazio è qual’ape industriosa del monte Matino, che negli ombrosi boschetti di Tivolì, dal timo fabbr
endone a pien dicer gli onori Bisogna non la mia, ma quella cetra Cou che tu dopo i gigantei furori Rendesti grazie al regn
, al loro canto divino rallegravasi tutto l’Olimpo(5). Le Clerc crede che la favola delle Muse ebbe origine da una qualche
egolar concerto musicale, simile forse a Jubal della Sacra Scrittura, che fu, per così dire, il primo maestro di cappella,
si stende sino alle Termopili, e dal suo bel mezzo si spicca un ramo che forma il Parnaso, e colla sua estremità l’Elicona
nippe, ec. a’ quali beono i poeti maggiori, tutto al contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicello che scorre dall’Eli
maggiori, tutto al contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicello che scorre dall’Elicona. Poeta Ascreo chiamossi Esiod
lle Muse, da esso dette Libetridi presso Virgilio(2). Alcuni vogliono che sia un autro a piè del monte Libetro, così detto
e sia un autro a piè del monte Libetro, così detto dal poeta Libetro, che il primo insegnò la musica. Pimpla, monte in Mace
primo insegnò la musica. Pimpla, monte in Macedonia, forse lo stesso che il Pierio, ne’ confini della Tessaglia, vicino al
ini della Tessaglia, vicino all’Olimpo, con un fonte sacro alle Muse, che avea il medesimo nome. Perciò Pimpleide in Orazio
Bellorofonte, mentre bevea al fonte di Pirene. Anzi Stazio(3) afferma che questa fontana eziandio scaturì per un colpo che
zi Stazio(3) afferma che questa fontana eziandio scaturì per un colpo che col suo piè diede il Pegaso ad un sasso. Vicino a
Apollo, e le sue acque davano pure la virtù di poetare. Notisi infine che in generale gli antri e gli ameni recessi si cred
inspirazione della poesia, per cui alle Muse eran dedicati, non meno che i boschi ; e che le Muse consacravano i Poeti, de
la poesia, per cui alle Muse eran dedicati, non meno che i boschi ; e che le Muse consacravano i Poeti, detti sì spesso lor
si dipingono belle e vestite con molta semplicità e modestia, di modo che possonsi riconoscere pel solo carattere di un dec
rini e nella villa Albani. Anzi spesso le Muse e le Grazie non aveano che un sol tempio, per indicare che uno de’ principal
spesso le Muse e le Grazie non aveano che un sol tempio, per indicare che uno de’ principali fini della poesia è dilettare.
della poesia è dilettare. Clio, così detta da un verbo greco (κλειω) che significa celebrare, presedeva alla storia, la qu
Euterpe, (ab ευ, bene, et τερπω, delecto), così chiamata dal diletto che dà la poesia lirica, alla quale ella presiede. Se
ii campestri. Nel bassorilievo dell’apoteosi di Omero, Talia è quella che tiene la lira ed è in atteggiamento di recitare.
della cetra. Si rappresenta in forma di una giovane inghirlandata, e che ha in mano un’arpa, ed alcuni strumenti musicali
hymnus), era la Musa dell’eloquenza ; o la Memoria stessa deificata, che , raccolti i fatti illustri degli Dei e degli Eroi
e medaglie della famiglia Pomponia tocca colla sua bacchetta un globo che poggia su tre piedi, ed ha dietro al suo capo una
Lino. Calliope infine, (a καλος, pulcher, et οψ, οπος, cantus), Musa che presiede all’ eloquenza ed alla poesia epica. Da
ltri vicino a se, cioè l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide. Infine diciamo che , secondo Plutarco(4), l’invenzione degli strument
so gli antichi la musica aveasi in grandissimo pregio. Quindi dissero che Apollo inventò la cetra(5), e ch’ebbe la lira da
ri e suonatori, i vati e gli auguri. Lo Scoliaste di Pindaro afferma che Apollo appreso avea da Pan la scienza dell’avveni
ollo appreso avea da Pan la scienza dell’avvenire ; ma altri vogliono che avesse ricevuto sì maraviglioso dono da Giove con
vogliono che avesse ricevuto sì maraviglioso dono da Giove con patto che non l’avesse mai agli altri Dei comunicato. Apoll
n l’avesse mai agli altri Dei comunicato. Apollo era la medesima cosa che il Sole, detto occhio del mondo, che vede tutte l
ato. Apollo era la medesima cosa che il Sole, detto occhio del mondo, che vede tutte le cose ; e perciò finsero ch’ei era i
la terra, e però la chiamavano l’ombelico di essa(3). Notano i dotti che lo stesso credevano i Giudei, di Gerusalemme, gli
salemme, gli Ateniesi, di Atene, e così di altre città. E si racconta che Giove, volendo sapere qual fosse il mezzo della t
pollo, ricco delle dovizie di tutt’ i popoli e di molti monarchi, non che de’ più pregevoli monumenti delle arti(5). Livio
non che de’ più pregevoli monumenti delle arti(5). Livio racconta(6) che , dovendo i Romani mandare a Delfo un dono promess
elfo un dono promesso con voto da Camillo, e non trovandosi tant’ oro che bastasse ; le donne romane diedero i più cari orn
e rupi, si udiva più grande e quasi moltiplicato il rumoreggiare ; il che rendeva attoniti quei che l’ascoltavano(1). L’ora
e e quasi moltiplicato il rumoreggiare ; il che rendeva attoniti quei che l’ascoltavano(1). L’oracolo era una spelonca prof
onca profondissima con piccola apertura, onde usciva un freddo vento, che alla Pitonessa ispirava un furore divino, pel qua
è compagna de’debiti e delle liti .. Ed appresso i Greci correva voce che Socrate dall’oracolo stesso di Delfo era stato di
ini. Omero(2) riferisce, avere Apollo stesso edificato quel tempio, e che vi diedero opera ancora Agamede e Trofonio, fig.
dimandarono al Nume un guiderdone pari alla fatica, cioè quella cosa che gli fosse sembrata di loro maggior vantaggio. Apo
sa che gli fosse sembrata di loro maggior vantaggio. Apollo significò che di là a tre giorni avrebbero veduto l’effetto del
n ciò Apollo dare ad intendere, niuna cosa essere per l’uomo migliore che la morte(3). Nel tempio di Delfo era il celebre t
3). Nel tempio di Delfo era il celebre tripode o cortina. Servio dice che i tripodi erano mense nel tempio di Apollo Delfic
dava gli oracoli(1), ispirata dal Nume per mezzo di un vento o vapore che usciva da un freddo sotterraneo, quando essa sede
sciva da un freddo sotterraneo, quando essa sedea sul tripode. Dicono che Flegia fig. di Marte e re de’ Lapiti, ’in Tessagl
e il fulminò e cacciollo all’inferno, ove sedendo sotto un gran sasso che minaccia di cadere, è condannato a sempre temerne
cadere, è condannato a sempre temerne la rovina(2). I Greci dicevano che nel tempio di Delfo la radice del rafano era stat
celebri oracoli di Apollo. In Claro, città della Ionia, era un tempio che in magnificenza appena cedeva a quello di Diana i
a Delfo, spesso si prende l’uno per l’altro. Le sue risposte non eran che liete ; e s’eran triste, esso taceva. Da una cave
iste, esso taceva. Da una caverna vicino a quella città uscivan venti che ispiravano un furore divino, pel quale i sacerdot
r combattere il Minotauro, promise con voto ad Apollo Delio di far sì che gli Ateniesi ogni anno facessero un viaggio al su
e si annoverava fra gli uccelli maggiori augurali. Racconta Ovidio(1) che il corvo avea le piume candidissime, e che Apollo
gurali. Racconta Ovidio(1) che il corvo avea le piume candidissime, e che Apollo gliele trasformò in nere per punirlo della
immaturi, dimentico del comando, si adagiò sull’albero per aspettare che venuti fossero a maturità. Ritornò poscia da Febo
ossero a maturità. Ritornò poscia da Febo con un’idra fra gli artigli che avea ghermito, scusandosi quasi quel serpente gli
l Dio degl’indovini, fu condannato a non poter bere in tutto il tempo che il fico ha immaturi i suoi frutti. Apollo pose fr
tazza. Alcuni scrittori sull’autorità di Aristotele(3) hanno asserito che i corvi veramente non beono nel tempo di està ; i
hanno asserito che i corvi veramente non beono nel tempo di està ; il che ha potuto dar luogo alla favola. Gli auguri dicev
di està ; il che ha potuto dar luogo alla favola. Gli auguri dicevano che i corvi veduti a man destra davano fausti augurii
iarao, indovino ed augure insigne, ed uno de’sette a Tebe. Prevedendo che se andato fosse a quella guerra, vi sarebbe morto
sse a quella guerra, vi sarebbe morto, si tenne celato a tutti, salvo che alla moglie Erifile, fig. di Talao e sorella di A
mai il vero. I suoi oracoli eran reputati veraci e fermi ; e si finse che quando nacque Apollo, al parto suo assistesse la
amorfosi(1) Apollo stesso afferma ch’egli avea trovata la medicina, e che conosceva la virtù di ciascun’erba ; nel che glia
a trovata la medicina, e che conosceva la virtù di ciascun’erba ; nel che gliantichi facevan consistere propriamente la med
nzione della medicina oculare. Da non pochi luoghi di Omero si scorge che ad Apollo attribuivan gli antichi le morti repent
delle femmine. Così Ecuba assomiglia il corpo di Ettore ad un fiore, che Apollo uccide co’ dolci suoi raggi : ……..Tu fres
entore dell’arte sagittaria, nella quale era peritissimo ; e si vuole che sia stato detto Peane (παιαν, Paean) dal greco (π
si vuole che sia stato detto Peane (παιαν, Paean) dal greco (παιειν) che significa ferire. I suoi dardi uccisero il mostru
chiamasi Febo tremendo per l’infallibile suo arco ; e dice ancora(2) che il gigante Tizio, avendo usato poco rispetto a La
lo spazio di ben nove iugeri collo smisurato suo corpo. Altri dicono che fu da Giove ucciso di un fulmine. Morto Ettore, l
orire, predetto avea al suo inesorabile vincitore(3). Alcuni vogliono che Paride stesso uccise Achille ; ed altri, che Apol
tore(3). Alcuni vogliono che Paride stesso uccise Achille ; ed altri, che Apollo diresse il suo dardo. Infine è certo che p
e Achille ; ed altri, che Apollo diresse il suo dardo. Infine è certo che principale attributo di Apollo è l’arco ed il tur
certo che principale attributo di Apollo è l’arco ed il turcasso ; da che ebbe i soprannomi di Arciero, di Ecaergo, o che c
o ed il turcasso ; da che ebbe i soprannomi di Arciero, di Ecaergo, o che colpisce da lungi, e più altri ; i quali dinotano
, di Ecaergo, o che colpisce da lungi, e più altri ; i quali dinotano che il sole co’ suoi raggi che sono gli slrali di Apo
e da lungi, e più altri ; i quali dinotano che il sole co’ suoi raggi che sono gli slrali di Apollo, da lontano fa sentire
li slrali di Apollo, da lontano fa sentire la sua influenza. Si vuole che avesse ricevuto da Vulcano e l’arco e le sue frec
protezione di Apollo erano inoltre i fondatori delle città ; e quelli che conducevan le colonie o fondar doveano qualche ci
e a chi meglio si dovesse affidare l’impresa(1). Callimaco(2) afferma che Apollo non solo era maestro di fondare città, ma
imaco(2) afferma che Apollo non solo era maestro di fondare città, ma che n’era pure fondatore egli stesso. Quindi molte ci
elle maraviglie del mondo. Era essa tutta costrutta di corna di capra che Diana ucciso avea sul monte Cinto, le quali erano
attribuiva ad Apollo la costruzione delle mura di Megara ; e si vuole che avesse aiutato Alcatoo, fig. di Pelope e nipote d
ietra, sulla quale il celeste muratore avea appoggiata la sua lira, e che da quell’istante rendeva toccata un suono simile
e ben governare il gregge. Quindi chiamossi Nomio o pastorale fin da che guardò gli armenti di Admeto. Se gl’immolava il l
il Mitra dei Persiani, e l’Apollo de’Greci e de’ Romani. Pare dunque che l’idolatria abbia avuto principio dal culto del s
re dunque che l’idolatria abbia avuto principio dal culto del sole, e che quest’astro fosse stato la divinità di quasi tutt
quale gli Egiziani avean consacrata la città di Eliopoli ; il quarto che in Rodi ebbe per figliuoli Gialiso, Camero e Lind
che in Rodi ebbe per figliuoli Gialiso, Camero e Lindo ; ed il quinto che a Colco procreò Eeta e Circe. Fu chiamato Sole, p
olo risplende nel cielo ; e da’Greci Ηλιος o Ηελιος da una voce greca che significa splendore. Dal Sole e da Perseide, una
il quale da Idìa procreò Medea. Circe poi era una maga assai celebre, che soggiornava nell’isola Eèa in un superbo palagio
a assai celebre, che soggiornava nell’isola Eèa in un superbo palagio che sorgeva in mezzo ad una selva di annose querce. D
Diva terribile, dal crespo erine e dal dolce canto ; ed egli racconta che , approdato Ulisse a quell’isola, ebbe il dolore d
bianco di latte ; Moli i Numi la chiamano : resiste Alla mano mortal che vuol dal suolo Staccarla ; ai Dei che tutto ponno
mano : resiste Alla mano mortal che vuol dal suolo Staccarla ; ai Dei che tutto ponno, cede. Pindem. Colla virtù di quest’
tù di quest’erba sciolse Ulisse l’incanto, ed ottenne da quella ninfa che i compagni ritornassero alla primiera forma umana
e i compagni ritornassero alla primiera forma umana. Eraclito(2) dice che Circe era una donna d’indole malvagia, che co’suo
ma umana. Eraclito(2) dice che Circe era una donna d’indole malvagia, che co’suoi artificii rendeva gli uomini dissennati e
iale la tazza di Circe si adopera da Cicerone(3) per dinotare un uomo che subitaneamente veggasi cambiato in altro. Dicono
n uomo che subitaneamente veggasi cambiato in altro. Dicono dippiù(4) che desiderosa Circe di vendicare alcuni torti ricevu
o scoglio all’estremità dell’Italia meridionale dirimpetto a Cariddi, che nel profondo e vorticoso suo gorgo assorbiva i va
i vascelli con rumoreggiare spaventoso ; da ciò la finzione di Omero, che Scilla, mostro marino, presso alla Sicilia, avea
quella rabbia Scillea di Virgilio(1). Circe ancora(2) avverti Ulisse che si fosse ben guardato dal recar danno agli arment
alla fame, ne uccisero alcuni. La quale cosa dispiacque tanto al Sole che pregò Giove a punir quell’oltraggio ; e ciò fu ca
ra il Sole li distacca dal cocchio, e va con esso a tuffarsi nel mare che colora delle sue vampe. I Greci asserivano di sen
la favola di considerare il Sole come un Nume portato sul cocchio, e che vada a riposare ogni notte nell’Oceano in seno a
chio, e che vada a riposare ogni notte nell’Oceano in seno a Teti ; e che le Ore ligano ogni mattina i quattro cavalli al s
rine Tolto di grembo alla nutrice antica. Ed altrove : Era nell’ora che traea i cavalli Febo del mar con rugiadoso pelo ;
i già il velo. E l’Aurora appunto credevasi la messaggiera del sole, che apriva le porte rosseggianti dell’oriente e le sa
il nostro Torquato : Già l’alba messaggiera erasi desta Ad annunziar che se ne vien l’Aurora. Ella intanto si adorna e l’a
’ aureo trono (χρυσοθρονος). Nell’Odissea(2) si rappresenta nell’atto che sorge dall’oceano su di un cocchio a due cavalli,
ro la dipinge con un gran velo sulla testa rivoltato indietro, e dice che colle sue dita di rose apre le porte dell’oriente
iere della consorte ; la quale non avendo pensato a pregare quel Nume che lo avesse reso libero anche dalla vecchiezza, il
il povero Titono dovea tollerare i disagi di un’ età decrepita senza che potesse morire ; tanto che si dice la vecchiezza
lerare i disagi di un’ età decrepita senza che potesse morire ; tanto che si dice la vecchiezza di Titone per una età molto
avuto dall’ Aurora un figliuolo di grande bellezza, chiamato Mennone, che recò soccorso a Troia ed avea le armi fabbricate
Nestore, ed egli stesso fu ucciso da Achille. Titono ne fu sì dolente che dagli Dei ottenne di esser cangiato in cicala. La
iuolo, ed il piange tuttavia, giacchè le gocciole di matutina rugiada che cadono sull’ erba e sui fiori, sono appunto le la
na rugiada che cadono sull’ erba e sui fiori, sono appunto le lagrime che l’Aurora continuamente sparge pel figliuolo Menno
Delo consacrarono una statua ad Apollo, opera di un loro concittadino che visse a tempo di Dedalo. Il Nume teneva l’arco ne
per gli avvenimenti della guerra, ritornò nel Vaticano. È verisimile che fra le statue della Casa aurea di Nerone tolte al
vi fosse anche questa, la quale è la più sublime fra le opere antiche che sino a noi si son conservate. Pare che l’artista
ù sublime fra le opere antiche che sino a noi si son conservate. Pare che l’artista abbia formata nna statua puramente idea
ra l’umana natura, ed il suo atteggiamento mostra la grandezza divina che lo investe. « Una primavera eterna, qual regnà ne
forme di un’età perfetta i tratti della piacevole gioventù, e sembra che una tenera morbidezza scherzi sull’altera struttu
uttura delle sue membra…… Gli occhi suoi son pieni di quella dolcezza che mostrar suole allorchè le circondano le Muse. La
iceva il ch. Winckelmann. E l’immortale Visconti : « Lo sdegno, dìce, che appena si affaccia nelle narici insensibilmente e
ntesi ravvisa ne’ suoi sguardi, e la faretra appesa agli omeri sembra che , secondo la frase di Omero, suoni sulle spalle de
corpo, così giudiziosamente misto di agilità, di vigore, di eleganza, che vi si vede il più bello, il più attivo degli Dei,
o, ed i piedi sono ornati di bellissimi calzari, forse di quel genere che dai Greci si appellavanosandalia leptoschide, san
o avere scagliato i suoi dardi contro i Greci ; altri, dopo la strage che fece degli orgogliosi giganti, o de’figliuoli di
a presso il Sig. De la Chausse si rappresenta il Sole sul suo cochio, che nella destra tiene un flagello, e colla sinistra
de’ suoi velocissimi cavalli. Ha intorno a se i dodici segni celesti che formano il Zodiaco. E si noti che a Febo solament
intorno a se i dodici segni celesti che formano il Zodiaco. E si noti che a Febo solamente e non ad Apollo si appropriano c
i che a Febo solamente e non ad Apollo si appropriano certi attributi che convengono al Sole, come il cocchio luminoso, il
asta, e nell’altra un flagello per indicare ch’egli agita il cocchio, che corre sì veloce le strade del cielo(1). I due pie
e piedi di questa famosa statua di bronzo poggiavano sopra i due moli che formavano il porto di Rodi ; e le navi a vele gon
di bellezza. Egli va superbo per la bella sua chioma lunghissima(2), che portava tutta profumata di odorosi unguenti e di
bbia di oro ; ed alle volte la veste lunga citaredica, o sia la palla che scendeva sino a’piedi. Gli si attribuiva un color
ua eterna gioventù era più cara per cagione di una fiorente avvenenza che ornava le fresche sue guance, sulle quali non mai
guance, sulle quali non mai spuntò anche picciola lanugine. Or si sa che presso gli orientali il sole per gli uomini, e la
è il sole sorge sempre mai collo stesso splendore. La sua lira infine che avea sette corde, significava i sette pianeti, de
ens Apollo, cioè valente in tirar d’arco. I Greci dicevano τοξοφορος, che porta l’arco ; τοξοτης, arciero ; αργυροτοξος, da
d abbellito da Augusto. Vi si celebravano alcuni giuochi detti Actia, che quell’imperatore trasportò a Roma dopo la vittori
eratore trasportò a Roma dopo la vittoria di Azio. Apollo αλεξικακος, che allontana il male. Essendo che per Apollo e Diana
a vittoria di Azio. Apollo αλεξικακος, che allontana il male. Essendo che per Apollo e Diana intendevasi il sole e la luna,
χρυσοκομης, Apollo dall’aurea chioma, detto così dal fulgore de’raggi che sono l’aurea chioma del sole. Apollo Branchideo
un tempio presso i Milesii, ove prima era l’oracolo de’ Branchidi, e che fu bruciato da Serse. Fu così detto da un giovane
o Apollo e Diana, la quale per ciò fu pur detta Cinzia. Stefano vuole che tutta l’isola di Delo un tempo si chiamava Cinto.
ella Focide, presso alla quale era una caverna, da cui sortivan venti che infondevano un furore divino e facevan dare oraco
oracoli. Apollo Clario, Clarius, da un oracolo e tempio nobilissimo che avea in Claro, città della Ionia, vicino a Colofo
i alloro presso Antiochia. Chiamavasi pure Dafneforo,δαφνηφορος, cioè che porta alloro. Dafneforo pure appellavasi un giova
ria di Azio. Apollo Paean, παιαν, così detto o dal verbo greco παιω, che significa sedare, perchè Apollo seda i morbi e li
esi il Sole, perchè tutto vede. Apollo Patareo, Patareus, pel tempio che avea a Patara, antica città dell’ Asia Minore, ov
Sosiano, Sosianus, cioè Salvatore (a σωζειν, salvare). Altri vogliono che fu così detto, perchè allogavasi nelle botteghe d
erchè allogavasi nelle botteghe de’ librai, fra’ quali dice Orazio(1) che i Sosii erano i principali. XIX. Alcune altre
di Ambracia nell’ Epiro, trasportò a Roma le statue delle nove Muse, che allogò nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice che
tue delle nove Muse, che allogò nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice che Fulvio nella Grecia apprese che anche Ercole era
nel tempio di Ercole. Eumenio(2) dice che Fulvio nella Grecia apprese che anche Ercole era Musagete o guida Muse, come dice
dice il Salvini. Spada Delfica (δελφικον ξιφος) significava una cosa che facilmente può accomodarsi ad usi diversi, perchè
glia altro nume od eroe, quando era imminente la battaglia ; e quelli che la gioventù cantava nelle panatenee, o per celebr
livo, l’alloro erano piante consacrate ad Apollo, come pure il mirto, che come l’alloro credevasi un albero inspiratore, il
i, avendo commesso non so qual fallo contro di Febo, ne fu sì dolente che ricusò di prender cibo, stando sempre cogli occhi
da Febo fu per compassione convertita in eliotropio o girasole, fiore che si volta sensibilmente secondo il corso del sole.
I cigni poi chiamansi da Callimaco cantori di Febo ; e Plutarco dice che Apollo dilettavasi della musica e della voce de’c
pollo dilettavasi della musica e della voce de’cigni. Platone afferma che l’anima di Orfeo avea scelto di abitare nel corpo
corpo di un cigno. Carme secolare (carmen saeculare) era una poesia che cantavasi ne’giuochi secolari che si celebravan d
e (carmen saeculare) era una poesia che cantavasi ne’giuochi secolari che si celebravan da’ Romani con gran pompa per tre g
la Repubblica. Ignorasi il tempo della loro istituzione, e si sa solo che i libri Sibillini ne prescrivevano il rito. Augus
l’anno della città 737, dovendosi celebrare i giuochi secolari, volle che Orazio componesse il bellissimo Carmen saeculare
o componesse il bellissimo Carmen saeculare pro incolumitate imperii, che sarà in pregio presso i letterati sino a che si g
ro incolumitate imperii, che sarà in pregio presso i letterati sino a che si gusterà al mondo fiore di poesia. In esso si c
nno i poeti posteriori ad Esiodo e ad Omero. Da Virgilio(1) si scorge che la Luna non era diversa da Diana. Niso, egli dice
schi, ch’era proprio di Diana. Onde cantò l’Ariosto(2) : O santa Dea che dagli antichi nostri Debitamente sei detta trifor
mostri Vai cacciatrice seguitando l’orme. Quindi comunemente si dice che una sola è la figliuola di Latona, la quale appel
 ; ovvero perchè di notte sola risplende (sola lucet). Altri vogliono che fu così detta perchè riluce con luce aliena, cioè
cioè presa in prestito dal sole. Dai Greci dicevasi Σεληνη da σελας, che vuol dire splendore. II. Storia favolosa di qu
eci ; ed i Romani, Venere, Giunone e piú spesso Diana. Cesare attesta che le divinità degli antichi Germani non erano altre
Cesare attesta che le divinità degli antichi Germani non erano altre che il Fuoco, il Sole e la Luna. E veramente i primi
volmente s’indussero a credere ch’erano i padroni del mondo e gli Dei che tutte le cose governano. La Luna da Omero ora si
e fig. di Pallante, ed ora d’Iperione, e di Eurifessa. Ma Esiodo dice che da Iperione e da Tea nacque il Sole, la Luna e l’
sue influenze si temeano assai dagli antichi, come quelle di una Dea che si mostra solo di notte. Da ciò gl’incantesimi de
ar calare la Luna dal cielo(1), e dicevano poterla liberare dal drago che volea divorarla ; il che accadeva nell’ecclissi d
lo(1), e dicevano poterla liberare dal drago che volea divorarla ; il che accadeva nell’ecclissi di questo corpo celeste, l
(2). Gli antichi confondevano alle volte la Notte con Diana in quanto che rappresenta la Luna, percui dipingesi l’una e l’a
e però non sarà inopportuno dir qualche cosa della Notte e del Sonno che han tanta attenenza colla Luna. III. Continuaz
l Sonno, detto perciò dai poeti fratello della morte. Esiodo(1) finge che il giorno e la notte con perpetua vicenda entrano
ελαμπεπλος νυξ, Nox nigro-peplo. Eurip.). Tibullo(2) dipinge la Notte che attacca al suo cocchio i destrieri, ed un coro di
la Notte che attacca al suo cocchio i destrieri, ed un coro di stelle che il sieguono ; ella si porta dietro il Sonno dalle
ro attribuivano i poeti una specie di ballo ; anzi Luciano(3) afferma che gli astri diedero la prima idea della danza. Virg
iedero la prima idea della danza. Virgilio(4) ci rappresenta la Notte che precipita dal cielo e colle nere sue ali abbracci
te di breve tempo. E come il sonno è uno de’più maravigliosi fenomeni che nell’uomo si scorgano, così gli antichi ne fecero
ell’uomo si scorgano, così gli antichi ne fecero un Nume potentissimo che sopra gli uomini signoreggia e sopra gli Dei, sec
ia e sopra gli Dei, secondo Omero. Un greco autore dice elegantemente che il Sonno era nè immortale, nè mortale ; che nè fr
autore dice elegantemente che il Sonno era nè immortale, nè mortale ; che nè fra’ celesti viveva, nè sulla terra ; ma che n
mortale, nè mortale ; che nè fra’ celesti viveva, nè sulla terra ; ma che nasceva sempre e sempre spariva ; e ch’era invisi
rsa su gli occhi loro un fluido detto anche υπνος, il quale faceva sì che le palpebre si chiudessero. Quindi presso Omero :
orno secondo Omero era nell’isola di Lenno ; o nel paese de’ Cimmerii che gli antichi credevano sepolto nelle più dense ten
Cimmerii che gli antichi credevano sepolto nelle più dense tenebre, e che lo stesso Omero ripone oltre i confini dell’ Ocea
o Omero ripone oltre i confini dell’ Oceano ; sebbene altri(3) dicano che i Cimmerii erano un antico popolo de’ dintorni de
un antico popolo de’ dintorni della Campania presso Baia e Pozzuoli, che abitava negli antri di quella contrada. In un ant
la Notte dipingesi colle ali di pipistrello. Riferisce Pausania (2), che i Lacedemonii rappresentavan ne’ loro tempii il S
llo alato col papavero ed una lucerna rappresenta il Sonno. Credevasi che colle sue ali ricoprisse quelli che voleva addorm
a rappresenta il Sonno. Credevasi che colle sue ali ricoprisse quelli che voleva addormentare. Il vediamo pure in sembianza
d Igino li faccia fig. dell’ Erebo e della Notte. Gli antichi finsero che i sogni erano o veri o falsi ; che abitavano al v
e della Notte. Gli antichi finsero che i sogni erano o veri o falsi ; che abitavano al vestibolo dell’inferno, onde uscivan
poi era il principal ministro del Sonno e quasi il corifeo de’ sogni, che ad ogni cenno del suo signore imita qualunque sem
gestire stesso degli uomini. Fobetore (a φοβος, timor) poi, lo stesso che Icelo, mandava i sogni paurosi e si cangiava in i
i ; ora con grandi ali ; ora coperta di un largo e nero velo stellato che tiene con una mano, e con una fiaccola nell’altra
velo stellato che tiene con una mano, e con una fiaccola nell’altra, che tiene rovesciata in giù verso la terra per esting
estinguerla. IV. Continuazione – Endimione. Leggesi nel Banier che la prima delle figliuole di Urano, chiamata per e
le figliuole di Urano, chiamata per eccellenza Basilea o la Regina, e che vuolsi la stessa che Rea o Pandora, da Iperione e
, chiamata per eccellenza Basilea o la Regina, e che vuolsi la stessa che Rea o Pandora, da Iperione ebbe un figliuolo chia
due per bellezza e per senno. I Titani, fratelli di Basilea, temendo che l’impero dell’universo potesse venire in mano di
di una aureola di luce e trasformato nella sostanza del Sole. Selene che molto amava il fratello, alla nuova del suo infor
e la Luna, ebbero onori divini. Nel fatto di Elio si ravvisa il Sole che nel suo tramontare si tuffa nell’oceano, perchè l
ontare si tuffa nell’oceano, perchè l’Eridano significa il gran fiume che Omero chiama Oceano. E qui è mestieri parlare di
ortalità, un’eterna giovinezza ed un perpetuo sonno. Altri raccontano che Giove, per la sua giustizia e probità, accolto lo
iove, per la sua giustizia e probità, accolto lo avesse in cielo ; ma che , avendo egli osato di oltraggiare Giunone, ne fos
osservare e descrivere il corso della Luna ; e perciò finsero i poeti che la Luna godeva a rimirarlo dal cielo. E Plutarco
ro i poeti che la Luna godeva a rimirarlo dal cielo. E Plutarco pensa che il conversare di alcuni Dei cogli uomini, come i
, voleva significare in linguaggio poetico quella specie di commercio che la Divinità tiene cogli uomini intesi alla contem
era in alcuni simulacri vedesi con face accesa in ambedue le mani. Il che donotava che Selene o Diana Luna illumina di nott
simulacri vedesi con face accesa in ambedue le mani. Il che donotava che Selene o Diana Luna illumina di notte il mondo, c
giorno. Ed in un bassorilievo(1) si vede la Luna preceduta da Espero che spegne la sua face nelle onde, e seguita da uno d
, e nell’arco di Costantino a Roma vedesi su di un cocchio con Espero che fa le veci di cocchiere. L’immortale Raffaello di
o tirato da due ninfe nell’atto d’indicar loro colla destra la strada che debbono battere nell’ aereo sentiero. In un antic
l capo, ed in mano una face. Nell’articolo di Diana diremo altre cose che riguardano l’iconologia della Luna. VI. Princi
col luminoso corno. Da Orazio chiamasi Noctiluca, e regina siderum, che risplende di notte, e regina degli astri. Da’ Gre
φορος, da’ Greci si chiamava Diana ; epiteti convenienti a Diana Luna che illumina colla sua luce la notte. E credo che si
onvenienti a Diana Luna che illumina colla sua luce la notte. E credo che si chiamò Fascelis non dal fascio di legna, in cu
perpetuo cinguettare, poteva soccorrere al deliquio della Luna senza che si adoperassero bronzi e trombe, come i superstiz
trombe e corni, affinchè la Luna non ascoltasse le voci delle streghe che co’ loro incantesimi tentavano farla calare dal c
’eran colpiti dal fulmine. Sul monte Aventino la Luna aveva un tempio che Rufo pone nel duodecimo rione della città (2). Ta
yne(5) crede assai oscuro il senso di questa favola ; e Krebsio vuole che forse vi fu una Selene che visse fra gli Arcadi e
l senso di questa favola ; e Krebsio vuole che forse vi fu una Selene che visse fra gli Arcadi e che dopo la morte fu posta
e Krebsio vuole che forse vi fu una Selene che visse fra gli Arcadi e che dopo la morte fu posta nel numero delle Dee ; ed
asi Bacchus da’ Latini, e Βακχος da’ Greci ; nome derivato da βακχος, che significa uomo trasportato dal furore e che parla
nome derivato da βακχος, che significa uomo trasportato dal furore e che parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice che vi
asportato dal furore e che parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice che viene da Bacca, ninfa che colla sorella Brome lo
parla vaneggiando ; sebbene Servio(6) dice che viene da Bacca, ninfa che colla sorella Brome lo aveano educato. Dicevasi p
ure Iaccus dal greco ιαχω, gridare, per le grida tumultuose di coloro che sacrificavano a questo nume. Gli si dava pure il
ne di Niso, o dall’isola di Nisa ove fu educato. Macrobio(7) dimostra che Libero, cioè Bacco, era presso gli antichi il Sol
ostra che Libero, cioè Bacco, era presso gli antichi il Sole ; e pare che Virgilio ed Ovidio(1) rafforzino questa opinione.
annovera anche Bacco o Libero. Diodoro conta tre Bacchi ; uno Indiano che fu il primo a piantar le viti ; l’altro, fig. di
ve e di Semele, cui i Greci attribuiscono le vittorie e le invenzioni che de’ primi due si raccontano. Ampelio dice che vi
ittorie e le invenzioni che de’ primi due si raccontano. Ampelio dice che vi sono cinque Liberi ; il primo fig. di Giove e
un antico nome del Nilo(4), e di Flora ; il terzo, di Cabito o Cabiro che regnò nell’Asia ; il quarto, di Saturno e di Seme
Semele ; ed il quinto di Niso e di Esione. Cicerone(5)finalmente dice che abbiamo più Dionisii ; il primo nato di Giove e d
e si facevano i sacrificii Orfici ; ed il quinto, da Niso e da Tione, che istituì le feste Trieteridi. Non veggo però perch
admo e di Ermione o Armonia, era incinta di questo fanciullo. Giunone che la odiava, prese le sembianze di una vecchia appe
. La vecchia adunque, per insidiosa maniera, induce Semele a chiedere che Giove le si mostrasse armato di fulmini e nello s
l’incauta giovane di tanta visione, e sì ardentemente ne prega Giove che sel fa promettere con irrevocabile giuramento ; m
stenne l’infelice quella grandezza e morì o pel timore di una folgore che le scoppiò innanzi, o pel fuoco, onde divampò la
, come pure il monte Mero consacrato a Bacco. E Pomponio Mela(3) dice che , fra le città dell’ India, Nisa era chiarissima e
r nato Bacco, ed in un antro di detto monte essere stato nudrito ; il che diede luogo e materia di favoleggiare a’ greci po
e luogo e materia di favoleggiare a’ greci poeti. Strabone(4) afferma che la città di Nisa era stata edificata da Bacco ; e
ascervi ellera e viti. Quanto poi alle nutrici di Bacco si dee sapere che le stelle le quali sono nella costellazione del t
Ferecide fu il primo a dire ch’esse sono le ninfe nutrici di Baceo, e che chiamavansi pure Dodonidi da Dodona, città dell’E
e che chiamavansi pure Dodonidi da Dodona, città dell’Epiro. Si vuole che Bacco, vedendo che Medea colla virtù de’ suoi inc
ure Dodonidi da Dodona, città dell’Epiro. Si vuole che Bacco, vedendo che Medea colla virtù de’ suoi incantesimi restituito
imiera gioventù, pregò quella famosa maga a far lo stesso colle ninfe che nudrito lo aveano ; e di fatto per di lei opera t
o per di lei opera tornarono a bellissima giovinezza. Ma altri dicono che ciò ottenne da Teti. Vi è pure chi dice che quest
ovinezza. Ma altri dicono che ciò ottenne da Teti. Vi è pure chi dice che queste ninfe dette Dodonidi furon da Giove conver
nta ch’eran fig. di Atlante e di Etra, fig. dell’ Oceano e di Teti, e che molto amavano un lor fratello detto Iante, il qua
delle ninfe sorelle mosso Giove a pietà, queste mutò in sette stelle che pose sul capo del toro. Chiamavansi Ambrosia, Bud
rosia, Budora, Pasitoe, Coronide, Plesauri, Pito e Tiche. Ovidio dice che furon dette Iadi da Iante ; ma prima avea detto d
i Latini, da’ quali le Iadi si nominarono Suculae, porcellette, quasi che υαδες venisse da υες, porci. Ed invero portano se
teo. In molte pietre incise, dice Millin, si rappresenta Mercurio che porta Bacco a Nisa e l’accoglimento fattogli dall
alla ninfa Leucotoe ; ed in un marmo della villa Albani vi è Leucotoe che tiene il fanciulletto Bacco fra le braccia. Della
l timone un tale Acete, nativo della Lidia. Veggendo questi un giorno che un suo compagno trovato avea sul lido un fanciull
ggravato dal vino, vi scorse una bellezza, in cui traluceva un non so che di divino, tanto che se gli raccomandò fortemente
scorse una bellezza, in cui traluceva un non so che di divino, tanto che se gli raccomandò fortemente. Di ciò risero quei
ò risero quei corsari, ed il fanciullo trattarono con modi sì villani che vollero pur legarlo ; ma le catene gli caddero da
italità o perchè era di viti fra le Cicladi feracissima(1). Allora fu che il fanciullo mostrò chi era ; e resa immobile la
sso il nume, suo benefattore. Luciano in uno de’ dialoghi marini dice che Bacco in un combattimento navale vinse i Tirreni
delfini ; percui questi pesci pongono all’uomo grandissimo amore. Di che più esempii riferisce Luciano stesso e Plinio(2),
e Plinio(2), fra’ quali quello di Arione è notissimo. Vuolsi pure(3) che sieno molto amanti della musica ; e però si disse
Vuolsi pure(3) che sieno molto amanti della musica ; e però si disse che col suono di musicali strumenti Bacco fece che i
sica ; e però si disse che col suono di musicali strumenti Bacco fece che i Tirreni corsari si gettassero nel mare e diveni
e si aprirono le porte della carcere, onde uscì libero. Ovidio dice, che Bacco stesso, presa la figura di Acete, fu presen
bbriare ; e spesso ancora di pampini. Vestiva un abito di color d’oro che giungeva sino a’delicati suoi piedi ed era fatto
per cui era fatto più per le danze e per le sollazzevoli occupazioni che per le guerriere imprese(1). Questo carattere di
o Penteo a tal dispregio di Bacco ed a tanto sdegno per le sue feste, che a tutto potere cercò distoglierne i suoi Tebani.
almente di Bacco, ed il dipinge più stranamente furioso, anzi feroce, che non fa Euripide nelle sue Baccanti. Il cieco vate
eva i pronostici, gli avea presagita una morte funesta pel dispregiar che faceva le orgie di Bacco ; ma quegli, schernendo
misteri, a’ fatti aggiungendo l’onta : esser cosa di grande vergogna che uomini avvezzi a non temere i nemici brandi, sien
vinti da insani ululati donneschi e da sozzo gregge di avvinazzati ; che conveniva alla Tebana gioventù impugnar la spada,
, non il tirso ; coprirsi di celata, non di una ghirlanda di ellera ; che pensassero all’onor della patria, e l’imbelle str
dalla Lidia era venuto a Tebe, ed egli stesso presso Euripide(2) dice che prima di ogni altra greca città aveva ripiena Teb
fece grande in que’ luoghi il nome e la gloria di Bacco. È verisimile che Penteo fosse stato un re sapiente, il quale volen
le volendo mettere un modo a’ gravi disordini ed al pericoloso furore che nelle intere città destavano le orgie di Bacco, o
ucciso dalle Baccanti, cioè da persone furiose per immoderato bere il che ha dato luogo alla favola. IV. Continuazione.
ando starsene fra le mura paterne ed attendere a’donneschi lavori più che impazzare colle altre ed aver parte a’disordini d
lor lavoro fu turbato da forte suonar di timpani e di altri strumenti che lor pareva udire. Le misere donzelle per campare
pareva udire. Le misere donzelle per campare dalla vendetta del Nume, che mostrasi presente per l’improvviso apparire di va
mente si veggon mutate in brutte figure di pipistrelli. Alcuni dicono che quelle donzelle prese dal furore di Bacco lacerar
elle prese dal furore di Bacco lacerarono Ippaso, fig. di Leucippe, e che andarono ad unirsi alle Baccanti, dalle quali rig
furon in varii uccelli ed anche in pipistrelli cangiate. Eliano dice che le Mineidi erano trè sorelle di saviezza, e di on
si fra la turba insana delle Baccanti. A terrore delle altre si finse che Bacco le punì severamente con quella trasformazio
he Bacco le punì severamente con quella trasformazione. Conviene dire che i sapienti reggitori de’popoli mal volentieri ved
edevano, il culto di Bacco allignare ne’loro paesi. Omero(1) racconta che Licurgo, fig. di Driante e re di Tracia, armato d
da buoi inseguiva le nutrici di Bacco e ne faceva mal governo, tanto che furon costrette a gittare, fuggendo, i loro tirsi
de’ folle impresa essere il pugnar contro i numi. Igino però racconta che Licurgo, essendo nemico di Bacco e non volendolo
ce tagliare tutte le viti, dicendo essere il vino perniciosa medicina che le umane menti trasforma. Onde reso furioso per o
fig. di Abante e padre di Danae. Egli(1) ebbe di Bacco sì poca stima, che non volle riconoscerlo per figliuolo di Giove ; c
co sì poca stima, che non volle riconoscerlo per figliuolo di Giove ; che anzi, armata mano, gl’impedì ch’entrasse in Argo 
che anzi, armata mano, gl’impedì ch’entrasse in Argo ; nè mai permise che nella sua città prendessero piede le orgie di que
e orgie di quel nume. Parliamo ora d’Icaro e della figliuola Erigone, che non riportarono gran pro dall’amicizia di Bacco,
avendone bevuto fuor di misura, caddero in grave letargo ; e credendo che Icaro avesse lor data qualche avvelenata bevanda,
Icaro fu cangiato nella costellazione detta Boote, e con lui il cane, che si chiama la canicola, la quale, e specialemente
ne il furore, essendo stato detto cane o canicola pei rabbiosi calori che spesso son cagione di pericolose infermità. Or pe
r vendicare la morte di Erigone, Bacco mandò tal morbo agli Ateniesi, che le loro figliuole, cadute in gran furore, si dava
no da loro stesse la morte. Per rimedio di tanto male volle l’oracolo che gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e che
ale volle l’oracolo che gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e che in ciascun anno al padre ed alla figliuola offeri
ospitalità, il regalò della vite e gli additò il modo di coltivarla ; che anzi il vino chiamò οινος dall’ospite ; ma è più
rla ; che anzi il vino chiamò οινος dall’ospite ; ma è più verisimile che la favola sia nata dal nome di Eneo, ovvero Oeneo
più verisimile che la favola sia nata dal nome di Eneo, ovvero Oeneo che in greco significa vino. V. Propagazione del c
le e le cerimonie di una divinità Egiziana, cioè di Osiride, in guisa che il Bacco de’ Greci era l’Osiride degli Egiziani.
na tigre, liberò Giove da’loro assalti, e ne fu tagliato a pezzi ; il che han dovuto i Greci copiare dalla storia della mor
di Osiride ucciso dal gigante Tifone, suo fratello. Orazio(1) afferma che quando i gigan ti vollero scacciare Giove dal suo
Osiride era consacrata l’ellera, come a Bacco ; e Diodoro Sicolo dice che Osiride fu il primo a trovare la vite nel territo
e che Osiride fu il primo a trovare la vite nel territorio di Nisa, e che avendo scoperto il modo di coltivarla, fu il prim
l vino, ed agli altri uomini insegnò la maniera di farlo ; cose tutte che convengono a Bacco. Marziano Capella afferma che
i farlo ; cose tutte che convengono a Bacco. Marziano Capella afferma che gli Egiziani indicavano il sole sotto il nome di
sole sotto il nome di Osiride ; e da Virgilio e da Macrobio sappiamo che Bacco era lo stesso che il sole. Ed il vedere Bac
siride ; e da Virgilio e da Macrobio sappiamo che Bacco era lo stesso che il sole. Ed il vedere Bacco con due corna sul cap
sso che il sole. Ed il vedere Bacco con due corna sul capo ci ricorda che Osiride dagli Egiziani era rappresentato sotto la
appresentato sotto la forma di un toro. Ma niuna cosa meglio dimostra che il Bacco de’ Greci era l’Osiride degli Egiziani,
canto, delle quali era capo Apollo, e da una turba di uomini velluti che chiamavansi Satiri ; la quale spedizione fu un vi
guerriero fatto per ammaestrare que’ popoli. Imperocchè, volendo egli che la sua beneficenza non si restringesse nel solo s
atosi l’uccise con un colpo di sermento. Fu pure per l’odio della Dea che il povero Bacco impazzò stranamente ed errò per l
quale da Orazio(1) chiamasi signore delle Naiadi ; e Tibullo(2) dice che Bacco ama le Naiadi. Oltre le Ninfe, le Ore e Sil
una specie di cembalo, solito a suonarsi ne’ sacrificii di Bacco. Il che finsero per significare che i centauri erano gran
to a suonarsi ne’ sacrificii di Bacco. Il che finsero per significare che i centauri erano grandi bevitori ed inchinati all
ni e di ellera, usato dal nostro nume nelle sue guerre dell’ India, e che i suoi seguaci portavano nelle feste di lui ; e p
soli vasi del Museo Borbon. Ritrovasi piú di quaranta volte. Si vuole che questo tirso si fosse usato per ingannare i rozzi
vuole che questo tirso si fosse usato per ingannare i rozzi Indiani, che non avean cognizione delle armi, giacchè la punta
t’i popoli di quella penisola, da’ quali fu accolto come una divinità che porta seco non il terrore delle armi, ma l’insegn
terra. In questa spedizione egli toccò col tirso l’Oronte e l’Idaspe, che arrestarono il loro corso, dando all’esercito di
lle Baccanti in questa famosa spedizione fu il vecchio Sileno, satiro che Bacco oltremodo amava, come a suo balio e pedagog
ostantemente son munite le altre di lui immagini. Diodoro Sicolo dice che il primo Sileno avea una coda, della quale fu for
e, coronato di edera e con una tazza in mano. Or avvenne un giorno(2) che Sileno addormentatosi non potè seguire l’armata d
o addormentatosi non potè seguire l’armata di Bacco. Ansi si racconta che il re Mida avea fatto un fonte di vino per ubbria
mpadronirsi del buon Sileno ; dal quale apprese assai buone cose ; il che finse per conciliare autorità alle sue leggi ; e
zia chiesto gli avesse ; ed egli domandò di cangiare in oro tutto ciò che toccato avesse. Ma tal dono fu funesto all’avaro
oro anche il cibo e la bevanda. Vedendosi così vicino a morire, pregò che se gli togliesse sì pernicioso privilegio. Bacco
vilegio. Bacco gli comanda di lavarsi nel Pattolo, fiume della Lidia, che da quel tempo ebbe l’arena d’oro ; percui di cosa
esi l’oro di Lidia, o le ricchezze del Pattolo. Il ch. Goguet(3) dice che questo re assai caro vendeva i proventi de’suoi t
3) dice che questo re assai caro vendeva i proventi de’suoi terreni e che accumulò moltissimo oro colla mercatura, la quale
i e che accumulò moltissimo oro colla mercatura, la quale si può dire che tutto converta in oro. Ritrovò pure l’ancora ; e
Mida andavano in proverbio. Egli fu successore di Gordio, suo padre, che fondò il regno di Frigia. Anio(4), vecchio sacerd
o data la virtù di cangiare in frumento, in vino, o in olio tutto ciò che toccato avessero ; percui furon dette Enotrope (a
ercui furon dette Enotrope (ab οινος, vinum, et τροπη, conversio). Di che fatto certo Agamennone, duce de’ Greci contro Tro
sa gl’insegnò la maniera di vincerlo, dandogli un gomitolo di filo(1) che ella teneva per un capo, stando alla porta del la
co tempo dopo il nostro Bacco, il quale, veduta l’abbandonata giovane che disperatamente raccontava alle rupi il ricevuto t
o, Diana stessa trattenne Arianna in quell’isola per volontà di Bacco che intendeva menarla in moglie. Le fece poscia il do
endeva menarla in moglie. Le fece poscia il dono d’una corona di oro, che avea ricevuta da Venere. Era essa lavoro egregio
onzelle con crotali e timpani in mano ; vi comparivano Fauni e Satiri che tenevano vasi e tazze ; i sacerdoti portavano le
el sacrificio ; e finalmente il vecchio Sileno ubbriaco sul suo asino che il conduce a stento. In memoria de’tre anni che i
bbriaco sul suo asino che il conduce a stento. In memoria de’tre anni che il nostro nume impiegò in quella spedizione, isti
stro nume impiegò in quella spedizione, istituì le feste trieteriche, che si celebravano da’ Tebani ogni terzo anno con not
eozia era consacrato a Bacco ed alle Muse, ed era famoso per le orgie che vi si celebravano di notte, tanto che Ovidio(3) i
use, ed era famoso per le orgie che vi si celebravano di notte, tanto che Ovidio(3) il chiama monte fatto per le cose sacre
avansi dalle Baccanti, le qualì si cingevano di serpenti sì la chioma che il resto del corpo(4) ; andavano coronate di eder
di Bacco, nei quali, fra le altre cose misteriose, era una piramide, che alludeva o a’ due aggiunti misteriosi che Orfeo d
steriose, era una piramide, che alludeva o a’ due aggiunti misteriosi che Orfeo dà a Bacco, chiamandolo di tre generazioni
este trieteriche. Questa cesta per lo più si vede mezzo aperta e pare che n’esca un serpente ; ed è tutta coronata di edera
nata di edera. Vi erano pure le Canefore, cioè alcune donzelle nobili che portavano piccoli canestri d’oro colmi di ogni ma
e primizie(2). Alle volte in questi canestri si tenevan de’ serpenti, che facevansi ad un tratto uscir fuora per ispaventar
ir fuora per ispaventare glì spettatori. Vi erano infine i licnofori, che portavano il misterioso vaglio (μυστικον λικνον)(
per le strade, facendo balli e cento altre cose da forsennati, tanto che Orazio(4) grandi cose ci dice della forza delle B
i disordini delle feste baccanali erano sì vituperevoli e pericolosi che l’anno 568 di Roma il Senato fu obbligato a proib
de passarono all’ Etruria e poscia a Roma, se ne faceva sì gran conto che da’ Baccanali o feste Dionisiache si contavano gl
 ; o da una figliuola di Cefisso, fiume della Beozia, chiamata Tiade, che fu la prima iniziata nelle misteriose orgie di Ba
e di Bacco. VIII. Varie incumbenze di Bacco. Bacco fu il primo che insegnò agli uomini l’uso del vino, ed il modo di
vato, quegli abitanti, dice Millin, tributavano i loro omaggi al nume che avea loro viti del nettare involato agli Dei. Olt
ncipio igneo ; per cui Bacco chiamossi Pirigeno, Lamptero ec. epiteti che dinotavano Bacco, ovvero il vino, generato da ign
e, e qua e là per le contrade collocavansi crateri pieni di vino ; il che , al dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sol
i di vino ; il che, al dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sole che in vino cangia il suo raggio giunto al licor che
significava il Sole che in vino cangia il suo raggio giunto al licor che dalla vite cola. Quindi il Redi, parlando del vin
lando del vino, dice : Sì bel sangue è un raggio acceso Di quel Sol che in ciel vedete, E rimase avvinto e preso Di più g
e avvinto e preso Di più grappoli alla rete. Ed in Ovidio(1) abbiamo che Bacco si donò ad Erigone, fig. d’ Icaro, trasform
come la vite in greco chiamasi ampelos, così quel poeta(2) favoleggiò che vi fu un tale Ampelo, fig. di un Satiro e di una
orno cadde da un pergolato, e fu da Bacco convertito in costellazione che dicesi il Vendemmiatore (προτρυγητης). I poeti ac
ra’ Centauri ed i Lapiti si accese la più sanguinosa pugna del mondo, che Ovidio(5) descrive con tutt’i colori della sua vi
o di estrarre e di apparecchiare il mele ; ed in Euripide(1) leggiamo che scorreva latte, vino e mele quel paese, pel quale
quale egli guidava il suo esercito ; forse alludendo alla sparsa voce che la terra promessa, ove Mosè condur dovea gl’ Isra
, avea ruscelli di latte e di mele. Ovidio (2) seriamente ci racconta che viaggiando Bacco vicino al monte Rodope, i suoi s
o al monte Rodope, i suoi seguaci per caso batterono i loro bronzi, e che un novello sciame seguì quel grato suono, percui
ere, e da Strabone(4), il genio di Cerere. E gli Spartani(5) dicevano che avea pur ritrovato la coltura de’ fichi ; e però
a teatrale e della drammatica poesia. Per questa ragione ancora credo che Pausania(6), descrivendo una statua di Bacco fatt
Pausania(6), descrivendo una statua di Bacco fatta da Policleto, dice che i coturni che appartenevano alla tragedia, erano
escrivendo una statua di Bacco fatta da Policleto, dice che i coturni che appartenevano alla tragedia, erano i calzari prop
acendo parte del tiaso, cadde e morì, per cui fu trasformato in edera che chiamasi pure cisso (κισσος). IX. Iconologia d
po ; corona di pampini e di ellera ; bionda e lunga chioma inanellata che gli cade su gli omeri ; vaso di oro per uso di be
ive Bacco nella tragedia delle Baccanti di Euripide(1). Egli non meno che Apollo celebravasi per un’eterna bellezza, e pel
pollo celebravasi per un’eterna bellezza, e pel fiore di una gioventù che non veniva mai meno. Quindi da Orazio(2) fu detto
ti ; ed oltre a ciò i pittori ed i poeti gli danno due picciole corna che potea levarsi a suo talento : il che era simbolo
eti gli danno due picciole corna che potea levarsi a suo talento : il che era simbolo di maestà e di potenza(3)). Tibullo r
o di un simulacro di quel nume (4). Ornato di corona fatta di corimbi che sono i frutti dell’edera, ed armato di tirso il v
si rappresentava stante in piedi ; ed Ateneo(5) riprende gli artisti che lo facevan giacente. Ma Pausania lo descrive con
Siculo. Sidonio Apollinare(6) descrive Bacco con un vaso nella destra che fors’era il cantaro potatorio di Arnobio, ed il t
Bacco tirato o da tigri, o da pantere, o da linci, per indicare forse che la forza del vino doma ed ammansisce ogni più ind
ntera alle spalle ; or sul dosso di Pane, or fra le braccia di Sileno che fu il suo balio ; or sopra un carro circondato di
ma di oro, come cel rappresenta Orazio ; e sovente come un fanciullo che scherza colle ninfe e co’satiri. Uno de’più bei m
o nella città di Rennes. Questo rappresenta nel mezzo Bacco ed Ercole che si fanno versare da bere. Bacco si serve del ryth
acco si serve del rython, ed è osservabile pel tirso e per la pantera che ha a’ piedi. Ercole è assiso sulla spoglia del le
clava, e beve in un cantaro ; intorno ad essi vedonsi Fauni e Satiri che suonano doppii flauti, e siringhe. Presso a Bacco
ed il suo trionfo. La truppa è preceduta da Baccanti d’ambi i sessi, che danzano co’ crotali, co’cembali e co’ timpani ; a
appoli d’uva, mentre i giovani Fauni premono la vendemmia ; un satiro che cozza corno a corno con un caprone ; Sileno coric
e ; Sileno coricato sopra un cammello, e per ultimo un coro di musici che assistono alla festa. Ercole comparisce in tale s
o di musici che assistono alla festa. Ercole comparisce in tale stato che la sua forza vinta si vede dalla ubbriachezza, po
hezza, poichè non solamente è stato obbligato ad abbandonare a’ Fauni che gli sono accanto, la cura di portare l’enorme sua
o suo antagonista ». Nel Museo Borbon. si vede una Baccante infuriata che suona il cembalo. Vi è un Fauno, dal cui omero si
pra un trono di oro borchiato di gemme, e strato di porpora. Il peplo che dagli omeri gli discende sino a’piedi è violaceo
i cembali si veggono da un lato e dall’altro del trono di questo dio che sta dipinto sopra un fondo rosso(2) ». Anche Erod
o che sta dipinto sopra un fondo rosso(2) ». Anche Erodoto(3) afferma che Bacco dipingevasi col tirso nella sinistra, la ta
zza nella destra, ed una pantera a’ piedi, il quale animale significa che il vino doma ogni più feroce natura(4). Nel Museo
chiere facevano uso delle corna de’ buoi per bere. Rodigino riferisce che Bacco, dopo aver ritrovato il vino, bevea in un c
bue. X. Epiteti principali di Bacco. Acratoforo, ακρατοφορος, che porta vin puro ; ed Acratapote, ακρατοποτης, bevi
cco. Bassareo, Bassareus, fu detto Bacco dalla voce Tracia βασσαρος, che significa volpe, perchè le Baccanti dette Bassari
corno. Ebone, nume adorato nella nostra Campania, creduto lo stesso che Bacco, o meglio il sole, che rappresentavasi con
nella nostra Campania, creduto lo stesso che Bacco, o meglio il sole, che rappresentavasi con testa di toro, e faccia di uo
ato. Evante o Evan, cognome di Bacco, dal grido delle Baccanti evan, che corrisponde all’evoè, ed al nostro evviva. Perciò
ed al nostro evviva. Perciò le Baccanti furon dette Evanti. Ευκομος, che ha bella chioma ; αβροκομης, che ha una chioma de
accanti furon dette Evanti. Ευκομος, che ha bella chioma ; αβροκομης, che ha una chioma delicata ; κρυσοκομης, dall’aurea c
tura. Κρισσοκομης, e κισσοστεφανος, coronato di edera. Plinio(1) dice che Bacco fu il primo a porsi in testa una corona, e
. Plinio(1) dice che Bacco fu il primo a porsi in testa una corona, e che questa fu di edera. Leneo, Lenaeus pater, da λυα
Nisa, cit. dell’ Arabia, ove Bacco fu educato. Racemifer, cioè Bacco che ha il capo coronato di grappoli. Semeleius, Seme
sua madre, perchè egli scese all’inferno per trarne la madre Semele, che Giove, ad istanza del figliuolo, allogò fra le im
immortali col nome di Tione. Tirsigero, θυρσοφορος, Thyrsiger, Bacco che porta il tirso. XI. Alcune altre cose di Bacco
ora l’uso de’ serpenti nelle orgie di Bacco. Euripide(1) ci fa sapere che Bacco appena nato portò il capo cinto di una coro
to portò il capo cinto di una corona di serpenti ; e Nonno(2) afferma che Bacco, in segno della sua perpetua gioventù, avea
accanti in alcune ceste portava de’ serpenti, forse di quella specie, che anche mordendo, non nuoce. Altri dicono che non e
, forse di quella specie, che anche mordendo, non nuoce. Altri dicono che non eran mica veri serpenti, ma fatti di oro o di
serpenti, ma fatti di oro o di altro metallo ; ed il Vossio(3) avvisa che le scuriate che quelle strane sacerdotesse teneva
ti di oro o di altro metallo ; ed il Vossio(3) avvisa che le scuriate che quelle strane sacerdotesse tenevano in mano e di
o e di crini a guisa di serpenti. Da Cicerone e da Ovidio(4) sappiamo che i giovanetti Romani nelle feste di Bacco dette Li
i Bacco fu chiamato Ditirambo, per, essere stato allevato in un antro che avea due porte o uscite (διθυρω). Or da questo su
dal vino, dee regnare una licenza ed un’audacia assai grande in guisa che il poeta, servendo al soperchio suo estro, passa
esta Orazio(1) di Pindaro ; ed egli stesso in due odi a Bacco(2) pare che abbia voluto seguire la foggia ditirambica, ma no
li antichi non vi sono restati esempi perfetti di ditirambica poesia, che potessero farci concepire una giusta idea di siff
ento ; ma gl’Italiani vantano il Bacco in Toscana del Redi, ditirambo che può dirsi perfetto ed a cui nè le antiche nè le m
può dirsi perfetto ed a cui nè le antiche nè le moderne nazioni hanno che opporre. Da’ poeti ditirambici nacque il proverbi
ritroviamo essergli state immolate pecore e tori ; ed Erodoto afferma che gli Egiziani gli sacrificavano anche il porco. Se
ola latina venustus, grazioso, avvenente ; ed il composto invenustus, che significa non solo disgrazioso, ma eziandio svent
a dalla schiuma del mare. Didimo(2) la fa derivare da due voci greche che significano un vivere molle e delicato. I Sirii p
almente annoveravano fra le loro divinità tre Dee dette le tre Grazie che finsero compagne di Venere. I Greci le chiamarono
elle grazie. Gli antichi ne distinguevano parecchie. Cicerone(3) dice che una era fig. del Cielo o di Urano, e della Luce o
a Mercurio nacque Cupido secondo ; la terza nata da Giove e da Dione, che sposò Vulcano, e dalla quale nacque Antero ; e la
e nacque Antero ; e la quarta Siria e nata in Tiro, chiamata Astarte, che sposò Adone. Or la ninfa Dione, fig. dell’Oceano
ne, fig. dell’Oceano e di Teti, era la madre di Venere, percui Cesare che si vantava discendere da Venere e da Anchise per
ero. Anzi si venerava pure come dea della marina. Plinio(4) riferisce che Augusto pose nel tempio di Giulio Cesare un quadr
o(4) riferisce che Augusto pose nel tempio di Giulio Cesare un quadro che rappresentava Venere nell’atto di uscire dalle on
e dalle onde del mare, detta perciò Anadiomene. Igino poi(5) racconta che una volta dal cielo cadde nell’ Eufrate un uovo,
poi(5) racconta che una volta dal cielo cadde nell’ Eufrate un uovo, che sulla riva fu covato da alcune colombe e che da e
e nell’ Eufrate un uovo, che sulla riva fu covato da alcune colombe e che da esso nacque Venere, la quale fu poscia chiamat
da esso nacque Venere, la quale fu poscia chiamata Dea Siria. I pesci che portaron quell’uovo alla riva, e le colombe, ad i
le per cosa sacra(6). Macrobio finalmente(7), seguendo il suo sistema che il sole e la luna erano le sole divinità degli an
degli antichi, adorate da diverse nazioni sotto diversi nomi, afferma che Venere era la luna e che perciò chiamavasi noctil
diverse nazioni sotto diversi nomi, afferma che Venere era la luna e che perciò chiamavasi noctiluca. Dalla schiuma del ma
ed era accompagnata da Cupido, suo figliuolo, dal giuoco, e dal riso, che la rendevano la delizia degli uomini e degli Dei.
i pittori e gli scultori, a loro imitazione, ne hanno formato una Dea che in se riunisce quanto vi è di più bello e di più
i più bello e di più amabile. Secondo Lattanzio, Venere non era altro che i poeti ne foggiarono una dea. Ma il Banier ricer
conoscenza della loro religione. Quindi in poetico linguaggio dissero che presso a quell’isola Venere uscita delle onde era
rchè qui vi la prima volta ne aveano inteso parlare. E come i Fenicii che i primi avean recato colà il culto di Venere, era
n recato colà il culto di Venere, eran venuti per mare ; così i Greci che portavan tutto al maraviglioso, finsero ch’era na
onte Idalo, di Cipro(2), fu mortalmente ferito da un grosso cinghiale che vuolsi essere stato mandato da Marte ; sebbene al
hiale che vuolsi essere stato mandato da Marte ; sebbene altri dicano che Apollo, cangiato in cinghiale, avesse ucciso Adon
di Venere, la quale avea privato di vista Erimanto, di lui figliuolo, che l’avea veduta nel bagno. Alle grida dell’infelice
se del nettare sulla ferita e dal sangue di lui fece nascere un fiore che Bione crede essere la rosa, per ciò consacrata a
che Bione crede essere la rosa, per ciò consacrata a quella Dea ; ma che Ovidio dice essere l’anemone, fiore che si apre s
consacrata a quella Dea ; ma che Ovidio dice essere l’anemone, fiore che si apre solo allo spirare del vento (ανεμος, vent
si apre solo allo spirare del vento (ανεμος, ventus). Altri vogliono che l’anemone nacque dalle lagrime di Venere, la qual
la spina di un rosaio le punse il piede, ed una goccia del suo sangue che zampillò dalla ferita, cangiò in rosso il colore
rosso il colore delle rose ch’eran tutte bianche. Adonie erano feste che si celebravano in onore di Adone. In esse tutta l
In esse tutta la città vestivasi a lutto, e non si udivano per tutto che pianti e grida. Le donne correvano per le strade
icare il porco a Venere (Αφροδιτη υν εθυκεν), per significare un uomo che fa cosa ingrata ad alcuno. Bione, poeta buccolico
e. Fu essa figliuola di Scheneo, re di Argo. Un oracolo avea predetto che maritandosi sarebbe stata cangiata in altra forma
lo alla caccia. Ora, per evitare le importune richieste, fece sentire che avrebbe sposato colui che l’avesse superata nel c
vitare le importune richieste, fece sentire che avrebbe sposato colui che l’avesse superata nel corso. Ella ch’era velociss
nere, cui dimenticato avea di rendere le dovute grazie, sdegnata fece che profanassero un tempio di Cibele, la quale di ciò
oltremodo offesa vendicò l’oltraggio, trasformando entrambi in leoni che attaccò al suo cocchio. La corsa di Atalanta e d’
tto di due belle figure del giardino delle Tuilèries. Que’ pomi d’oro che Venere donò ad Ippomene, erano consacrati a quell
a e si custodivano negli ameni orti delle Esperidi. Plinio(1) attesta che i giardini in generale erano sotto la protezione
izione : « Gli Editui di Venere degli orti Sallustiani. » Si racconta che quando Giove sposò Giunone, gli Dei fecero de’ re
e quando Giove sposò Giunone, gli Dei fecero de’ regali alla sposa, e che la Terra donato le avesse de’ pomi d’oro co’ ramo
zza detto Ladone e nato da Tifone e da Echidna, o da Forco e da Ceto, che avea cento teste e non dormiva mai. Fu esso uccis
Ercole, e da Giunone collocato fra gli astri. Altri però favoleggiano che le Esperidi possedevano in Africa non lungi dal m
l fatal pomo della discordia, del giudizio di Paride e della vittoria che riportò la nostra Dea sulle due rivali. Or questa
ostra Dea sulle due rivali. Or questa vittoria non fu la sola cagione che spinse Venere a proteggere l’infelice città di Tr
avanzi di essa. Ella da Anchise, principe Troiano e nipote di Priamo, che alcuni dicono fig. di Assaraco, e ch’era bellissi
dicono fig. di Assaraco, e ch’era bellissimo, avea avuto un figliuolo che fu il celebre Enea. Giunone, pel pomo della Disco
per salvare e l’una e l’altro, se stato fosse possibile, dal turbine che loro soprastava per volere del fato. Nel terzo li
Ettore si dichiara pronto a combattere in duello con Menelao a patto che il vincitore abbiasi Elena e i suoi tesori. Si vi
e, se Venere, sua madre, oprendolo del suo peplo, non avesse impedito che  » ferro Acheo gli passi il petto, e l’anima gl’
nata da Peone. Icore (ικορ), è un bianco umore, o un sangue finissimo che Omero assegna agli Dei, cioè, come spiega Mad. Da
e ne sono feriti. La qual cosa sembrò così ingiuriosa alla divinità, che per questa ragione Platone cacciò Omero dalla sua
e solo scusare, dicendo avere egli seguita l’opinione de’ tempi suoi, che questi Dei inferiori, cioè, avessero i loro corpi
i Dei inferiori, cioè, avessero i loro corpi, sebbene di altra natura che i nostri, e che per ciò potevano molto bene parte
cioè, avessero i loro corpi, sebbene di altra natura che i nostri, e che per ciò potevano molto bene partecipare delle uma
none dovè un giorno la nostra Venere concorrere ad una orrenda strage che i Greci aiutati da Nettuno fecero de’ Troiani. Gi
Giunone scaltramente ottiene il misterioso cinto di Venere, fingendo che volea avvalersene per comporre una difficile lite
e Teti ; ma veramente servì per rendersi benevolo il consorte Giove, che fece addormentare dal Sonno, e così diede agio a
tus), ornamento nel quale erano chiuse e raccolte tutte le lusinghe e che avea la virtù di rendere amabile chi lo portava,
lusinghe e che avea la virtù di rendere amabile chi lo portava, tanto che Luciano dice che Mercurio involò a Venere la sua
ea la virtù di rendere amabile chi lo portava, tanto che Luciano dice che Mercurio involò a Venere la sua cintura per signi
iano dice che Mercurio involò a Venere la sua cintura per significare che questo nume possedeva tutte le grazie del discors
deva tutte le grazie del discorso. Il Tasso ha imitato la descrizione che fa Omero del cinto di Venere, quando descrive la
rzi, benchè potenti, di Marte di Venere, di Apollo e degli altri numi che ne favorivano la causa, non valsero a salvarla da
figura fa Venere nell’ Eneide. Questa Dea predetto avea ad Anchise(1) che l’ Italia sarebbe stata il termine delle sventure
l’ Italia sarebbe stata il termine delle sventure di Enea ; ed è noto che Apollo avea presagita la serie fatale degli avven
degli avvenimenti di quell’eroe, de’ suoi posteri e della nuova città che sorger dovea in Italia(2). Or navigando a piene v
el Lazio, una tempesta ad istanza di Giunone suscitata da Eolo, fa sì che l’eroe troiano sia sbalzato con poche navi alle s
etose rimostranze della Dea Giove sorrise, promettendo alla figliuola che un dì sarebbe risorta una novella Troia e che avr
mettendo alla figliuola che un dì sarebbe risorta una novella Troia e che avrebbe riposto in cielo il magnanimo Enea ; le r
rigine da Giulio o Ascanio, fig. di Enea e nipote di Venere(1), tanto che nello stemma della famiglia Giulia vedeasi segnat
me di Venere. Per ciò Cesare consacrò a questa Dea il mese di Aprile, che Ovidio(2) afferma, essere stato così detto da Afr
ri dicono ab aperiendo, dall’aprire, perchè in quel mese la terra par che si apre e manda fuori i nuovi germogli de’fiori e
aura movea, divina luce, E divino spirar d’ambrosia odore. E la veste che dianzi era succinta, Con tanta maestà le si diste
eracemente, e Venere mostrossi. Caro. Or l’amorosa madre sospettando che tra via il figlluolo Enea ed il compagno Acate di
done sfolgorante di singolare dignità e bellezza. Temendo intanto(2), che in una città consacrata a Giunone, qual’era Carta
za sicura, ritenuto Ascanio ne’sacri boschetti del monte Idalo, fa sì che Cupido, preso il sembiante di lui, ispirasse a Di
e di accordo con Giunone, e per diversi fini le nemiche Dee procurano che Didone ed Enea in marital nodo si stringano ; Giu
buio regno di Plutone, e Venere manda una coppia di amorose colombe, che col fausto lor volo gli mostrano l’albero dell’au
finalmente Enea nel Lazio, e timorosa la madre pel turbine di guerra che addensar si vedeva sul capo del diletto figliuolo
igliuolo, con mille carezze induce Vulcano a fabbricargli un’armatura che il dovea rendere invitto, ed in cui erano bellame
li accagiona i Troiani, e quindi Venere stessa ; percui Giove vedendo che indarno tentava di richiamare quelle Dee alla con
e quell’eroe. Si adopera ogni mezzo per togliere l’acuto strale e far che tosto ritorni alla battaglia ; ma vana riesce ogn
e avventure di Enea sono descritte nell’Eneide di Virgilio, bel poema che pe’ Romani potea dirsi poema nazionale, come era
lia presso il Numicio, fiumicello nella Campagna di Roma ; e si disse che Venere, a malgrado di Giunone, l’avesse portato i
in un inno di Omero, nel seguito di Venere si pone la Gioventù o Ebe, che Igino dice fig. di Giove e di Giunone, che sposò
si pone la Gioventù o Ebe, che Igino dice fig. di Giove e di Giunone, che sposò Ercole in cielo. Apuleio poi afferma (4) ch
iove e di Giunone, che sposò Ercole in cielo. Apuleio poi afferma (4) che Mercurio sempremai assisteva Venere colla sua elo
a in altro luogo (1) con pochi versi soavemente ci rappresenta Venere che , al ritorno della primavera, regola le allegre da
enta Venere che, al ritorno della primavera, regola le allegre danze, che al chiaror della Luna intrecciano le Ninfe e le a
ie. Ed invero da Lucrezio (2) si scorge, essere stata antica credenza che questa Dea principalmente all’apparire della prim
’alato Zeffiro, come da suo foriere. E nell’inno di Apollo dice Omero che le Grazie intrecciano nell’Olimpo lietissime danz
re forza de’ genitori. Da’Greci si appellava Eros (Ερως), come Antero che pur si voleva fig. di Venere e di Marte, era il s
, per cui si chiama il faretrato Arciero. Qualche volta vedesi Venere che tiene alta la faretra piena di strali, e Cupido c
lta vedesi Venere che tiene alta la faretra piena di strali, e Cupido che saltando si sforza di afferrarla. Ne’ vasi di Mil
ndo si sforza di afferrarla. Ne’ vasi di Millin si rappresenta Venere che abbraccia Cupido. Essa che forse era la Venere Ur
. Ne’ vasi di Millin si rappresenta Venere che abbraccia Cupido. Essa che forse era la Venere Urania o celeste, è assisa so
mento. Egli infine era non solo di grande bellezza, ma da Ovidio (1), che ne descrive elegantemente il trionfo, chiamasi au
descrive colle ali e le chiome screziate di gemme, e su di un cocchio che ha le ruote dorate, mentre la madre Venere gli fa
della Beozia, ed era consacrato a Venere, detta perciò Acidalia ; il che forse significava che i beneficii debbono essere
consacrato a Venere, detta perciò Acidalia ; il che forse significava che i beneficii debbono essere puri e senza sordida s
ro regine della ricca Orcomeno. Quivi Eteocle, fig. di Cefisso, fiume che bagna Orcomeno, sacrificò la prima volta in di lo
acco e da Venere. Omero (2), delle tre Grazie nomina la sola Pasitea, che Giunone promette in moglie al dio Sonno ; forse p
, che Giunone promette in moglie al dio Sonno ; forse per significare che il sonno sta in grazia ed è caro a tutti. Ed in a
oè una delle Grazie, per indicare la grazia e la bellezza delle opere che col fuoco faceva quel fabbro divino. Da Esiodo si
di Giove e della bella Eurinome, una delle Oceanine. Pausania afferma che qualche scrittore nel numero delle Grazie poneva
poneva anche Pito, o la Dea della persuasione, forse per significare che il gran segreto del persuadere è il saper piacere
eto del persuadere è il saper piacere. Esse ordinariamente non aveano che un tempio colle Muse ; ed in Delfo le statue dell
carmi, figliuole del più potente de’ numi. Il fin qui detto dimostra che nella poesia debbono essere d’accordo le Grazie c
sia debbono essere d’accordo le Grazie colle Muse. E Plutarco afferma che a Mercurio erano congiunte le Grazie per signific
arco afferma che a Mercurio erano congiunte le Grazie per significare che la piacevolezza, per così dire, dell’eloquenza cu
invocarle e salutarle col bicchiere alla mano. Anzi Pindaro aggiunge che in cielo senza le Grazie non facevasi dagli Dei a
stinate ad essere il decoro e l’ornamento dell’olimpo. Omero (1) dice che le due cameriere di Nausicaa, fig. di Alcinoo, ri
Banier, nel gran numero delle Divinità degli antichi alcuna non vi è che sia vestita di più amabili circostanze che le Gra
li antichi alcuna non vi è che sia vestita di più amabili circostanze che le Grazie, dalle quali tutte le altre prendono in
to hanno di amabile e di vezzoso. Esse erano la sorgente di tutto ciò che vi è di dilettevole e di gaio in natura ; esse da
lunque altra cosa nel genere suo quell’ultimo finimento, diciam così, che fa belle tutte le altre perfezioni e che n’è come
timo finimento, diciam così, che fa belle tutte le altre perfezioni e che n’è come il fiore. Infine da loro solamente potea
ni altro è inutile, cioè, il dono di piacere. Perciò esse avevano più che tutte le altre Dee un gran numero di adoratori :
ro delle Grazie. Quindi la frase « cantare a mal grado delle Grazie » che disse Properzio (1), equivale alle altre « in dis
i Minerva » (Musis iniquis, invita Minerva). E Plutarco (2) riferisce che , essendo il Filosofo Senocrate di volto austero e
Queste Dee per lo più si dipingevano nude e discinte, per significare che l’amicizia esser dee schietta e senza orpello ; e
e, per indicare la concordia degli amici (3). Anacreonte dice di loro che spargon rose a piene mani (ροδα βρυουσι). Il più
presentano quali giovani donne belle e ridenti, vestite più con garbo che con magnificenza, coronate di fiori, con in mano
magnificenza, coronate di fiori, con in mano alcune rose senza spine, che vanno spargendo. Un poeta (4) finalmente invita l
le Grazie a venirne a lui dalla città di Orcomeno, ed in prima Aglaia che si distingue al lieto e decoroso sembiante ; Tali
n prima Aglaia che si distingue al lieto e decoroso sembiante ; Talia che ha il sacro capo cinto di verdeggiante ghirlanda 
chiama Eunomia, Dice ed Irene, e fig. di Giove e di Temi ; ed afferma che le Grazie e Suada ornarono Pandora di aureo monil
 ; ma poscia, avendo diviso il giorno in dodici parti uguali, finsero che le Ore fossero dodici sorelle ministre di Giove e
Ore fossero dodici sorelle ministre di Giove e compagne delle Grazie, che avean cura de’ fanciulli e regolavano tutta la vi
anzatrici, fino alle ginocchia ; la testa coronata di foglie di palma che si raddrizzano. I moderni di ordinario le rappres
i e quadranti. VII. Continuazione. Fra le altre deità gamelie o che presedevano alle nozze, i Greci annoveravano anch
onsacravano a Venere, prima di sposare, i loro fantocci, per indicare che davano un addio a’puerilì trastulli. E figliuolo
liuolo di Venere e di Bacco si vuole Imene o Imeneo, dio delle nozze, che altri dicono fig. di Apollo e di Calliope. Catull
ma, proprio delle novelle spose ; con calzari anche di colore giallo, che portavansi dagli uomini studiosi del vestire eleg
i de’ principali Padri, eran menate loro a casa da certi della plebe, che di ciò avevano avuto commissione. Tra le quali si
lla plebe, che di ciò avevano avuto commissione. Tra le quali si dice che , essendo stata presa una di eccelente bellezza da
te bellezza dalla compagnia di un certo Talassio ; e domandando molti che la rincontravano, a cui ella fosse menata ; color
ata ; coloro i quali la menavano, perchè non le fosse fatta violenza, che di Talassio era e che a Talassio era menata, risp
a menavano, perchè non le fosse fatta violenza, che di Talassio era e che a Talassio era menata, rispondevano ad alta voce 
voce nelle nozze gridata e celebrata. » Varrone al contrario afferma che nel celebrarsi le nozze si ripeteva la parola Tal
llo per usodi filar lana (θαλασιον, lana. Plutarch.). Si noti in fine che imeneo dicevasi pure un inno solito a cantarsi ne
le nozze, quando portavasi a casa del marito la novella sposa (1) ; e che questa voce si adopera spesso a significare le st
a o Ermione, la quale nacque da Marte e da Venere, forse per dinotare che l’armonia e l’ordine spesso deriva dalla guerra e
) ; per cui Eraclito poneva la guerra per principio di tutte le cose, che potrebbe essere l’amicizia e la discordia, cioè l
rono una veste tinta di ogni maniera di vizii e di scelleratezze ; il che fu cagione di tutt’i delitti de’ posteri di Cadmo
si prestava a Venere un culto speciale. Assai esteso era il culto che prestavano a Venere i ciechi gentili, e però non
ghi, ov’essa veniva in particolar modo venerata. E qui è da por mente che il maggior numero delle città, in cui un nume era
nte che il maggior numero delle città, in cui un nume era venerato, e che avea sotto la sua tutela, era per esso argomento
città marittima dell’isola di Cipro, specialmente consacrata a Venere che vi avea un magnifico tempio assai frequentato. Il
tenuto pel più antico di quanti ne avea questa Dea nella Grecia ; il che dimostra che il culto di lei da quella città dovè
iù antico di quanti ne avea questa Dea nella Grecia ; il che dimostra che il culto di lei da quella città dovè passare nell
sa non si spargeva mai sangue e specialmente in Pafo. Tacito racconta che Tito, navigando presso l’isola di Cipro, volle vi
ie, egli dice (2), lo dicono fondato dal re Aeria ; ma altri vogliono che fu dedicato da Cinira, e che la Dea stessa, nata
fondato dal re Aeria ; ma altri vogliono che fu dedicato da Cinira, e che la Dea stessa, nata dal mare, fosse quivi approda
liava ad una piramide. Clemente Alessandrino (3) a proposito riflette che queste figure di Venere e di altri Dei e Dee, che
proposito riflette che queste figure di Venere e di altri Dei e Dee, che non aveano figura umana, erano argomento di assai
ialmente di mirti, rendeva delizioso quel soggiorno e degno della Dea che vi si adorava. Vi andavano a folla per ammirarne
etta bellezza, descritta elegantemente da Luciano. Plinio (4) afferma che quella statua non solo di tutte le altre opere di
tutte le altre opere di quell’insigne statuario era la più bella, ma che in tutto il mondo non se ne vedea la simile, e ch
a la più bella, ma che in tutto il mondo non se ne vedea la simile, e che molti solo per vederla andavano a Gnido. Nicomede
issimo ; ma que’ generosi cittadini non vollero privarsi di un tesoro che avea tanto nobilitato la loro patria. Nell’Antolo
ì a mabile avvenenza in un sasso ? Fu di Prassitele la mano ; e credo che Venere stessa, abbandonato l’olimpo, venuta sia a
l’Erice, monte della Sicilia, fu uno de’ più ricchi tempii di Venere, che vuolsi edificato insieme colla città di tal nome
da Erice, fig. di Venere e di Bute, e re di una parte della Sicilia, che fu ucciso da Ercole ch’ era stato provocato a sin
uando portò in Sicilia i buoi di Gerione. Virgilio, però racconta(2), che avendo Enea fondato in Sicilia la città di Acesta
Diodoro Siculo. IX. Iconologia di Venere. Eratostene riferisce che Canace Sicionio avea fatta di oro e di avorio una
a Venere col pomo e coll’epigrafe « a Venere vincitrice ». L’opinione che Venere sia nata dalla spuma del mare, è consacrat
, fu riposta la principal gloria di quell’insigne pittore. È noto poi che si rappresentava su di una conchiglia, come si ve
higlia, come si vede in molti antichi monumenti(1). La Venere celeste che nacque da Giove e da Armonia, e diversa dall’altr
. di Dione, era caratterizzata da un diadema sul capo simile a quello che porta Giunone. La Venere Vittoriosa (victrix) è a
n simile serto. La più bella statua di questa Dea, ma senza braccia e che pone il sinistro piede sopra di uncasco, è stata
i Capua, ed ora orna il real palazzo di Caserta. Winckelmann pretende che il diadema sia proprio della sola Venere Urania ;
il diadema sia proprio della sola Venere Urania ; ma Lessing sostiene che presso i poeti tutte le Dee hanno il diadema. All
na bella aurora, Heyne con molti versi dell’ Antologia greca dimostra che la Venere de’ Medici ha dovuto essere rappresenta
sere rappresentata come stante in piedi avanti a Paride. Lessing dice che questa Venere non può essere che la Gnidia, vale
piedi avanti a Paride. Lessing dice che questa Venere non può essere che la Gnidia, vale a dire, il capolavoro di Prassite
ere che la Gnidia, vale a dire, il capolavoro di Prassitele in marmo, che fu portata a Gnido ed alla quale fu debitrice que
te o sorgente dal mare ; della quale i poeti dissero sì bei concetti, che in un certo modo superarono Apelle, ma lo resero
l prezioso tesoro di bionda chioma ; e mentre quella spremeano, parea che da nugola d’oro diluviasse pioggia di perle. Sì s
gloria di Apelle. I tarli finalmente affatto la consumarono, parendo che il cielo invidiasse così bella cosa alla terra ;
ella quale fece la testa e la sommità del petto, e non più, e credesi che avrebbe vantaggiato la prima, ma la morte invidio
ndosi quelle mani mancate in mezzo a sì nobil lavoro. Non fu alcuno(1) che si attentasse d’entrare a finir la parte abbozzat
, mentre dipingeva la seconda Venere, la quale rimase imperfetta ; ma che forse non potea meglio perfezionarsi che chiarame
quale rimase imperfetta ; ma che forse non potea meglio perfezionarsi che chiaramente mostrando non potersi passar più oltr
ima, dice lo stesso Dati, un Cupido coronato di rose fatto da Zeusi e che si vedeva in Atene nel tempio di Venere, del qual
dia(3) fece di marmo di Paro una statua di Venere di esimia bellezza, che vedevasi a Roma nel portico di Ottavia ; ed Alcam
lo. Questa Dea(1) il più si dipingeva a guisa di bellissima donzella che sta sulle acque del mare e con una conchiglia in
do, sul quale è dipinta una testa. Cavalcando un cavallo marino, pare che la Dea voli sulle onde, con un velo sul capo, che
avallo marino, pare che la Dea voli sulle onde, con un velo sul capo, che i venti gonfiano leggermente, mentre Cupido le nu
, a spuma, perchè nata dalla schiuma del mare. Ma il P. Arduino vuole che la voce Aphrodite derivi da απο, e ροδιτης, cangi
απο, e ροδιτης, cangiata in απο la tenue π nell’aspirata φ ; di modo che αφροδιτη sia quasi απροδιτη, cioè simile al color
χρυσος, Hesiod. Forse per la bellezza, perchè diceasi aureo tutto ciò che ha ragione di bellezza. Orazio chiamòaurea la med
memorabile tempio di Venere. Filomede, φιλομμειδης Αφροδιτη, Venere che ride dolcemente, o che ama il riso. Genitrice, G
enere. Filomede, φιλομμειδης Αφροδιτη, Venere che ride dolcemente, o che ama il riso. Genitrice, Genitrix. Romolo(1) dedi
genitrix). In mezzo al foro Giulio era il tempio di Venere Genitrice, che quel gran generale, la notte precedente alla batt
Libentina, lat.Libintina, da libet, piacere. Era la dea de’ funerali, che alcuni confondono con Venere ; ed altri dicono es
no le cose necessarie pe’ funerali ; e Libitinariiappellavansi coloro che le custodivano ; per cui Libitina presso Orazio(3
detto Callinico, il quale nel decreto degli Smirnesi avea dichiarato che il tempio di Venere Stratonica godesse del dritto
ortavano del cielo Per l’ampie strade. B. Quaranta. Virgilio(2) dice che Enea riconobbe i materni uccelli, cioè le colombe
a superare la madre ; per cui s’incollerì fuor di misura, quando vide che la ninfa Peristera era venuta ad aintarla, e però
i simulacri di quella dea si coronavano di rose(3). Ovidio(4) afferma che Venere l’avvertì toccandolo leggermente con un ra
rta affinità colle Grazie, compagne di Venere. Gli antichi credevano, che tutte le arti ed i mestieri erano sotto la protez
la sinistra, ed un ramo di ulivo nella destra. Fu poi antica credenza che i Genii fossero i custodi degli uomini, ed i mini
eozia assai conto pe’ suoi vaticinii, consultato dalla madre, rispose che il fanciullo viverebbe sino a che non avesse vedu
ii, consultato dalla madre, rispose che il fanciullo viverebbe sino a che non avesse veduto se stesso. Si risero i più del
no a che non avesse veduto se stesso. Si risero i più del pronostico, che il fatto dimostrò vero ; perocchè nel meglio dell
sua immagine, fu attonito di quella singolare e freschissima bellezza che non indegna pareva dello stesso Apollo. Invaghito
orì, alla riva di quel fonte, di puro disagio ; sebbene alcuni dicono che fosse in quelle acque caduto. Fu poscia per compa
aduto. Fu poscia per compassione delle ninfe cangiato in un bel fiore che tiene il suo nome. In un dipinto di Pompei rappre
In un dipinto di Pompei rappresentasi Narciso in forma di bel garzone che al margine di un fonte si specchia nelle acque, t
iso. Questa favola significa l’amor folle e disordinato di se stesso, che i Greci dissero filauzia (φιλαυτια) il quale l’uo
enendo al dio della guerra il titolo di distruggitore sì degli uomini che delle città. Da questo nome di Marte forse nacque
iamente la virtù bellica, il valore ; perchè la forza ed il coraggio, che forse sono utili all’uomo nello stato naturale, f
’uomo nello stato naturale, furono da lui trasformati in una divinità che presiede all’arte funesta della guerra. Festo poi
ivinità che presiede all’arte funesta della guerra. Festo poi insegna che Mamers nel linguaggio degli Osci significava Mart
Osci, tolta la sillaba me, come dice lo Scaligero, il quale asserisce che le parole Mamers, Mavors e Mars in quel linguaggi
fa derivare la parola Mavors da due voci latine, le quali significano che travolge grandi cose (quia magna verteret, Mavors
grandi cose (quia magna verteret, Mavors) ; e ne adducono per ragione che queste non sono voci latine. Marte infine si chia
fuori di essa, nella via Appia, come nume bellicoso. Vogliono alcuni che la voce Gradivo sia Tracia e che significhi, pres
come nume bellicoso. Vogliono alcuni che la voce Gradivo sia Tracia e che significhi, presso quel popolo guerriero, forte,
, presso quel popolo guerriero, forte, bellicoso. Altri però vogliono che derivi o da κραδευειν, vibrare l’asta ; o da grad
anticamente Duellona, fu così chiamata da bellum, la guerra, e si sa che gli antichi dicevano duellum per bellum. Da’ Grec
no duellum per bellum. Da’ Greci dicevasi Ενυω, Enyo, dal verbo ενυω, che significa uccidere. II. Storia favolosa di Mar
o(4), egli siede sull’alto vertice del monte Emo. E Virgilio(5), dice che il padre Gradivo presiede al paese de’ Geti, anti
quindi nella zona torrida quella eziandio di far morire. Da ciò venne che al dio Marte fu assegnata la guerra e le battagli
de’ quali i Greci fecero un solo. Il primo fu il Belo degli Egiziani che i Greci dissero fig. di Nettuno e di Libia, e che
Belo degli Egiziani che i Greci dissero fig. di Nettuno e di Libia, e che fu padre di Danao e di Egitto ; egli fu il primo
itto ; il terzo fu un re di Tracia, chiamato Odino, assai bellicoso e che fece grandi conquiste, per cui fu da quel popolo
popoli della Bitinia(2) raccontavano per una loro antica tradizione, che Giunone fece educare il figliuolo Marte, fanciull
gliuolo Marte, fanciullo d’indole dura ed oltremodo virile, da Priapo che Luciano crede uno de’ Titani o de’ Dattili Idei e
rile, da Priapo che Luciano crede uno de’ Titani o de’ Dattili Idei e che chiama Dio guerriero. Dal quale apprese prima la
ro. Dal quale apprese prima la danza e gli altri esercizii ginnastici che servir doveano quasi di preludio all’arte della g
udio all’arte della guerra, per cui divenne un insigne capitano, dopo che il suo educatore ne avea fatto un perfetto danzat
zatore. In premio di ciò Giunone diede a Priapo la decima del bottino che avrebbe fatto Marte nelle battaglie ; e nella Bit
l decimo delle spoglie consacrate a Marte. E lo stesso autore osserva che anche a Roma nobilissimi cittadini, quali erano i
e della guerra il soprannome di danzatore. Diodoro Siculo(1) racconta che Marte fu il primo che, fabbricate le armi, poness
annome di danzatore. Diodoro Siculo(1) racconta che Marte fu il primo che , fabbricate le armi, ponesse in campo eserciti pe
armi, ponesse in campo eserciti per combattere i nemici degli Dei ; e che così, avendo introdotta l’arte della guerra, ne f
lia con Ercole ; ma Giove li separò con un fulmine. Altri però dicono che fu Marte ferito e vinto, e che a stento salvossi
parò con un fulmine. Altri però dicono che fu Marte ferito e vinto, e che a stento salvossi coll’aiuto de’suoi veloci destr
ue rivali per volontà di Giunone(4), più risorse la contesa fra’ numi che tenevano pe’ Greci o pe’ Troiani. E Marte fu il p
i. E Marte fu il primo ad assalir Minerva colla lancia, rampognandola che avea concitato ella stessa Diomede a ferirlo. E d
uella Dea, la quale con un macigno colpì nel collo l’impetuoso Iddio, che cadde e steso ingombrò sette iugeri. Venere accor
le sfere, e col padre de’ numi lamentossi della tracotanza di Minerva che stimolato avea il figliuol di Tideo a guerreggiar
evastatrici discordie delle ingiuste guerre. Nel fatto poi di Minerva che vince ed abbatte l’impetuoso Marte, Omero c’inseg
oi di Minerva che vince ed abbatte l’impetuoso Marte, Omero c’insegna che la prudenza ed il senno escono sempremai vittorio
a lo impetuoso furore di Marte(2), allorchè, udito avendo questo nume che Deifobo avea ucciso nella pugna un suo figliuolo
entre egli(1), eccita alla pugna i Troiani, il Terrore e la Fuga, non che la Discordia d’insaziabil furore (αμοτον μεμανια)
mento e siede sul cocchio, allato al quale sta il Terrore e la Paura, che lo Scoliaste di Eschilo chiama ministri o servi d
arte accompagna le Furie, la Discordia e Bellona ; E Marte in mezzo, che nel campo d’oro Di ferro era scolpito, or questi,
io(2) in una comparazione fra il dio della guerra ed il giovane Turno che si spinge alla pugna : Qual è dell’Ebro in su la
mpagna aprendo, Uccidendo, insultando. Caro. Oltre a ciò gli epiteti che a lui si danno da’ poeti, sono i più atti a farce
sferza ne sollecita i veloci destrieri. Orazio(4), parlando di quelli che muoiono in guerra, con bella immagine dice che le
4), parlando di quelli che muoiono in guerra, con bella immagine dice che le Furie con queste vittime infelici del guerrier
origine assai celebre. Ed in vero un popolo di natura sua bellicoso e che al valore guerriero doveva la sua origine e la su
va assai bene sotto la protezione del Dio delle armi. Finsero adunque che Romolo fosse nato da Marte e da Ilia o Rea Silvia
enitore, e perciò chiamò Martius, da Marte, il primo mese dell’ anno, che allora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, an
hiamò Martius, da Marte, il primo mese dell’ anno, che allora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, animale dedicato al d
di Marte, Romolo e Remo ; e Properzio(2), rivolto a Romolo, gli dice che avea col latte succhiato l’indole sua feroce. Or
che perchè l’origine di cotanta città ed il principio di quell’impero che dopo il potere degl’Iddii avea ad esser grandissi
ielo dal padre Marte sullo stesso suo cocchio. E T. Livio(5) racconta che avendo fatto Romolo tante immortali opere, e rass
pito e romore di tuoni, e con sì folta nebbia e caligine lo circondò, che privò i circostanti interamente della vista della
d’Iddio, re e padre della città romana. Ma allora vi furono di quelli che tacitamente seco stessi giudicassero, Romolo esse
rato per le mani de’ senatori nel tempio di Vulcano, donde si credeva che ciascun senatore avesse sotto la toga portata fuo
erata fra’ numi col soprannome di Orta o di Ora (1). Ma non fu Romolo che avesse il primo introdotto il culto di Marte in q
to il culto di Marte in quelle contrade. Gli antichi Latini(2), prima che fosse Roma, più di ogni altro nume il veneravano 
e ciò per l’indole bellicosa di essi popoli. Anche Varrone asserisce che i Romani aveano preso il nome de’ mesi da’ popoli
risce che i Romani aveano preso il nome de’ mesi da’ popoli latini, e che il mese di Marzo fu così chiamato da Marte, non p
iata dal poeta per esprimere più vivamente la sua idea. Livio(4) dice che Numa statuì dodici sacerdoti a Marte Gradivo, chi
e sopra la tunica nel petto un certo pettorale di bronzo ; ed ordinò che portassero quegli scudi che caddero dal cielo, ch
un certo pettorale di bronzo ; ed ordinò che portassero quegli scudi che caddero dal cielo, chiamati Ancili ; ed andassero
iari, ballando e saltando solennemente. Plutarco poi in Numa racconta che nell’ottavo anno del regno di Numa, mentre un’ or
bronzo. Allora Numa, sulla parola di Egeria, fece intendere al popolo che quello scudo era stato mandato dal cielo per salv
e quello scudo era stato mandato dal cielo per salvezza della città e che doveasi gelosamente conservare con altri undici c
zza della città e che doveasi gelosamente conservare con altri undici che avessero la medesima forma del celeste. Così si f
Così si fece e la peste cessò. Allora Numa istituì i Salii, sacerdoti che aver doveano in custodia que’ dodici scudi. Ovidi
e aver doveano in custodia que’ dodici scudi. Ovidio però racconta(1) che Giove con frequenti e spaventosi fulmini pieno av
l’oracolo e coll’intervento di que’ numi ottiene da Giove la promessa che sarebbe cessato il gastigo e che gliene avrebbe d
e’ numi ottiene da Giove la promessa che sarebbe cessato il gastigo e che gliene avrebbe dato un pubblico segno. Ed il dima
cielo uno scudo ch’era il pegno della salvezza di Roma. Per impedire che involato fosse, Numa ne fece formare altri undici
io, artefice assai ingegnoso, il quale dal re altra mercede non volle che quella di porre il suo nome, a perpetua memoria,
gli ancili erano scudi non rotondi, ma così tagliati intorno intorno che non presentano alcun angolo, e per ciò detti anci
. Essi accordavano il loro canto ed il passo al tintinnio degli scudi che percuotevano con una bacchetta o specie di pugnal
ta durava tredici giorni, ed in tutto quel tempo era vietato far cosa che fosse importante, come maritarsi, imprendere un v
anchetti saliari volevan dire banchetti lauti e sontuosi (2). I carmi che questi sacerdoti cantavano e che si attribuivano
chetti lauti e sontuosi (2). I carmi che questi sacerdoti cantavano e che si attribuivano a Numa, eran tanto oscuri e compo
attribuivano a Numa, eran tanto oscuri e composti di voci sì strane, che Quintiliano afferma, appena intendersi dagli stes
alche militare spedizione, entravano, e scuotendo gli ancili e l’asta che il nume teneva in mano, dicevano : « Marte, sii v
» (Mars, vigila). Oltre i Salii, vi era eziandio il Flamine Marziale, che in dignità si avvicinava al Diale, cioè al Flamin
gliuolo, chiamò Marte in giudizio ; ma i migliori cittadini di Atene, che formavano il tribunale destinato a sì famoso giud
dici, ed appartenevano alle prime famiglie di Atene ; e però si disse che Marte fu giudicato da dodici numi, ed assoluto co
dicono di lui figliuola. Era essa una celebre Amazzone, o lor regina, che fabbricò il celebre tempio di Diana in Efeso ; e
ne acquisto ; percui mosse contro di lei e l’uccise. Ma Plutarco dice che Ippolita fu schiava e poi moglie di Teseo, dalla
alorosa Pentesilea fu fig. di Marte e di Otrera(1) ; anzi vogliono(2) che le Amazzoni nacquero da Marte e dalla naiade Armo
dussero anche queste donne bellicose nella guerra di Troia, e finsero che un drappello di esse portò ainto a Priamo. Ed a p
. Ed a proposito di Pentesilea, son bellissimi due luoghi di Virgilio che la descrivono. Mentre Enea(3) in una parete del t
egio d’oro L’adusta mamma, ardente e furiosa Tra mille e mille, ancor che donna e vergine, Di qual sia cavalier non teme in
aro. Le Amazzoni poi, come si finse, eran donne bellicose nell’Asia, che formavano un popolo presso il Caucaso sulle rive
guerriero della Tracia. Esso avea quattro cavalli di natura sì feroce che doveano star legati con catene di ferro, e non ma
feroce che doveano star legati con catene di ferro, e non mangiavano che carne umana, chiamati Podargo, Lampo, Xanto e Din
ti Podargo, Lampo, Xanto e Dino. Diomede faceva uccidere i forestieri che giungevan nel suo regno per alimentare que’ destr
ue’ destrieri ; ma Ercole gli mosse guerra e tolse a lui quei cavalli che poscia donò ad Euristeo. Anche Enomao fu fig. di
rete, fig. di Acrisio, procreò Ippodamia, vergine di esimia bellezza, che a niuno dar volea in matrimonio per aver inteso d
zza, che a niuno dar volea in matrimonio per aver inteso dall’oracolo che un suo genero l’avrebbe ucciso. Ora, essendo la f
e ucciso. Ora, essendo la figliuola pretesa da molti, non volle darla che a colui che lo vincesse nella corsa del carro. Av
a, essendo la figliuola pretesa da molti, non volle darla che a colui che lo vincesse nella corsa del carro. Avea egli cava
costò a quel principe infelice la vita. Pelope allora sposò Ippodamia che portò a casa ; e nel viaggio, non volendo mantene
volendo mantener la parola al perfido Mirtilo, il precipitò nel mare che da lui prese il nome di Mirtoo. Da Ippodamia Pelo
tempio ed a Mirtilo un funebre monumento. Lico infine, fig, di Marte, che regnava in una parte dell’Africa, in onore di suo
te dell’Africa, in onore di suo padre sacrificava tutti gli stranieri che giungevano nel suo paese. A Diomede sarebbe tocca
lla quale erano dipinti più mostri di varie forme ; ed Orazio(1) dice che Marte andava coperto di una corazza di diamante.
narli nelle battaglie. Alle volte vicino a Marte si dipingeva un lupo che portava seco una pecora, perchè il lupo per la su
acrato. Ed a piè delle statue di lui si vede spesso un gallo, uccello che gli era sacro per la sua indole guerresca, e come
mano ; e Marte Gradivo vedevasi dipinto nell’atteggiamento di un uomo che marcia a gran passi. In una parola, gli antichi m
principali di Marte e di Bellona. Αλαλαξιος, soprannome di Marte, che deriva dalla voce αλαλα, la quale era un grido mi
o Enio o Bellona. Arete, da Αρης, virtù, forza, soprannome di Marte, che forse è l’αρετη de’ Greci. Armiger, οπλοφορος ;
a οπλα, arma, e φερω, occido. Da Ovidio(1) si chiama arbiter armorum, che presiede alle armi ; e da Virgilio(2) armipotens,
a Omero si chiama devastatrice di città, πτολιπορθος Ενυω. Bisultor, che si vendica due volte. Fu così detto da Augusto, p
ars communis, Αρης κοινος, significa l’incerto evento della guerra, e che questo nume piega ora all’una, ora all’altra part
così chiamasi Marte da’ greci e da’ latini poeti ; ma alcuni vogliono che Enialio sia diverso da Marte, e propriamente un n
e ; ed Achille eziandio si rassomiglia al prode Enialio, cioè a Marte che crolla il suo elmo. Questa voce poi deriva o dal
, cioè Jovis pater (3). Mars ultor, Marte vendicatore. Pitisco crede che debbonsi riconoscere due tempii, uno di Marte ult
4) ; e l’altro di Marte bisultor, nel Campidoglio. Altri però pensano che uno sia il tempio da Augusto dedicato a Marte Ult
dio della guerra. Quindi Χαλκοχιτων, vestito di bronzo ; Χαλκεωθωρηξ, che ha il petto armato di una corazza di bronzo, sono
nsacrato a Marte, uccello assai in uso negli oracoli. E però si finse che Romolo e Remo non solo da una lupa, ma da un pico
della guerra, presedeva Marte a’ giuochì gladiatorii ed alla caccia, che ne sono un’immagine(5). Quindi i Traci, popolo be
ellicoso e devoto a Marte, aveano nelle selve i loro tempii di Marte, che chiamavasi pure Silvano(6) Ovidio(1) fa menzion
; ed in Livio(2) ritroviamo un tempio di Marte avanti a questa porta, che si vuole ristaurata da Silla. Nel mese di Ottobre
assembrava il Senato per ricevere gli ambasciatori stranieri ed altri che non si volevano ammettere fra le mura. Da questo
to tempio cominciavano il loro ingresso nella città i generali romani che aveano l’onore del trionfo. Una turba di fanatici
o furore di Bellona, spacciavano di predire il futuro. Potrebbe dirsi che questa superstizione sia venuta dalla Cappadocia,
e, ai quali molto si rassomigliavano que’ di Bellona. Tibullo(3) dice che la sacerdotessa di quella Dea, invasata dal suo f
o è l’interpetre ed il messaggiere fra gli uomini e gli Dei ; ma pare che quel verbo piuttosto venga dal nome Ermete. Ne’ l
Ne’ lessicì si fa derivare dal verbo ειρω, annunziare, per l’ufficio che Mercurio avea di messaggiere de’ numi. Meglio è p
de’ numi. Meglio è però attenerci a Diodoro Siculo, il quale afferma che il nome greco di Mercurio è parola egiziana, giac
Hermes presso gli Egizii significava un interpetre o un oratore ; il che conviene assai bene a Mercurio. E poi si vedrà ch
o un oratore ; il che conviene assai bene a Mercurio. E poi si vedrà che l’Ermete de’ Greci ed il Mercurio de’ Latini sono
e doversi trarre co’ più dalle merci (a mercibus), perchè era il nume che presedeva al commercio ed alla mercatura(3). Altr
me che presedeva al commercio ed alla mercatura(3). Altri però dicono che Mercurius sia quasi medius currens o Medicurrius,
o o del Giorno ; il secondo, di Valente e di Coronide, ch’è lo stesso che Trofonio ; il terzo, di Giove terzo e di Maia, da
Maia, dal quale e da Penelope nacque Pan ; il quarto, nato dal Nilo, che gli Egiziani non credevan lecito di nominare ; il
ella città di Feneo, in Arcadia, il quale dicesi avere ucciso Argo, e che perciò fuggì in Egitto, ove dettò leggi ed insegn
lebravano una gran festa in onore di Mercurio(3). Servio(4), pur dice che Mercurio, ucciso Argo, fuggì in Egitto, e che qui
3). Servio(4), pur dice che Mercurio, ucciso Argo, fuggì in Egitto, e che quivi insegnò l’uso delle lettere ed i numeri agl
tò nell’Egitto l’uso delle lettere e de’ numeri. Ma i poeti tutto ciò che narrasi di Mercurio, l’attribuiscono al Mercurio
Delle quali Maia(6) vinceva le altre sorelle in bellezza, ed ella fu che da Giove ebbe il nostro Mercurio, che diede alla
sorelle in bellezza, ed ella fu che da Giove ebbe il nostro Mercurio, che diede alla luce sullo stesso monte Cilleno, sul p
to dagli Arcadi ; ed Evandro, partito dall’Arcadia colla madre, prima che fosse Roma, portò nel Lazio il culto di Mercurio.
io. E questo Evandro era fig. di quel nume e di una ninfa di Arcadia, che i Greci chiamavan Temi, ed i Latini Carmenta, cos
menta, così detta, perchè vaticinava in versi (a carmen)(1). Quindi è che Mercurio chiamavasi facondo ed illustre nipote di
urio chiamavasi facondo ed illustre nipote di Atlante (2). E si vuole che Mercurio avesse dato il nome al quinto mese dell’
bino ed avvolto nelle fasce (εν τοις σπαργανοις), e fa dire ad Apollo che quel buon bambino, ancora in culla, avea rubato i
a Marte, a Venere, il cesto, a lui stesso, l’arco ed il turcasso ; e che a Giove pure avrebbe rubato il fulmine, se non av
anaglie ed altri fabbrili strumenti. Omero nell’inno di Mercurio dice che questo nume nacque la mattina, a mezzodì già suon
oi ad Apollo. Ma dei suoi furti parleremo appresso ; solo quì notiamo che Guinone gli volle dar latte e che da poche goccio
rleremo appresso ; solo quì notiamo che Guinone gli volle dar latte e che da poche gocciole di esso a caso cadute ebbe orig
Autolico. Da Diodoro Siculo e da altri scrittori chiaro si scorge che i Greci, come la maggior parte de’ loro numi, cos
quale fu detto eziandio e Mercurio, e Thoth, e Thoyth e Trismegisto, che vuol dire tre volte grandissimo (a τρεις, tres, e
dell’eloquenza, percui meritò il nome di Ermete, cioè di oratore ; il che ben conviene al Mercurio de’ Greci (1). Ed affinc
l Mercurio de’ Greci (1). Ed affinchè meglio si scorga la somiglianza che fra il greco e l’egiziano Mercurio intercede, ved
osa forte si duole colla madre Maia in un dialogo di Luciano, dicendo che non v’era fra’ celesti aleuno più infelice di lui
iù infelice di lui, (εν ουρανω θεος αθλιωτερος) per le tante faccende che lo rendevano stanco e distratto. Appena svegliato
so, debbo propinare il nettare e preparare l’ambrosia. Ed il peggio è che neppure la notte mi è dato dormire, dovendo di no
vendita le merci, chiamasi officina mercuriale. Alcuni son di parere che i Greci abbiano preso il loro Mercurio da Chanaan
braico significa mercatante, come Mercurio dalle merci ; ed i Fenicii che discendevano da Chanaan, furono i primi ad eserci
Maggio era in Roma solenne festa pe’ mercatanti in onore di Mercurio che si voleva nato in quel giorno ; e gli sacrificava
rcurio, ch’era vicino alla porta Capena (4). Con ragione poi si disse che Mercurio presedeva alla mercatura, perchè in ques
questa professione vi abbisogna molta industria e destrezza d’ingegno che credevano darsi da quel nume. E perciò negli anti
scia in qual guisa, ancora fanciallo, avendo rubato i buoi di Admeto, che Apollo avea in guardia, nell’atto stesso che n’er
rubato i buoi di Admeto, che Apollo avea in guardia, nell’atto stesso che n’era da lui fortemente rampognato, gli rubò il t
sso che n’era da lui fortemente rampognato, gli rubò il turcasso ; di che avvedutosi Apollo, non potè tenersi dal riderne g
landroncello avanti a Giove per la restituzione dei suoi buoi, ed in che modo Mercurio si schermì destramente dall’accusa
uoi, ed in che modo Mercurio si schermì destramente dall’accusa tanto che Giove stesso ne rise, ed Apollo con lui strinse a
paragone, della quale ci serviamo per saggiare l’oro. Ovidio (3) dice che fu trasformato in duro sasso, il quale anche ora
famia della sua origine. In un monte della Messenia vedevasi un sasso che avea sembianza di uomo e nel quale gli antichi di
ed è un vizio di elocuzione consistente in una moltiplicità di parole che non contengono alcun sentimento. Secondo Suida, q
ndo Suida, questo nome deriva da un certo Batto, cattivo poeta greco, che ripeteva sempre le stesse canzoni. Altri però fan
sta risposta (1) la quale ripete due volte la stessa cosa, fa credere che Ovidio avesse seguita siffatta etimologia. Erodot
oduce inosservato nel padiglione del figlinol di Peleo. Così, secondo che dice Orazio (4), il ricco Priamo, colla scorta di
e non molestare il re troiano ; e ciò vuol dire in linguaggio poetico che Mercurio avesse addormentato i custodi. In somma
ddormentato i custodi. In somma a Mercurio si attribuiva tutto ciò in che si ravvisa destrezza e sagacità d’ingegno, e perc
avasi maestro di ogni dolo e frode, cioè di quella scaltra accortezza che impone agli altri ed illude sì nella civile e bel
furtum da’ Latini ; per le quali voci prese in cattivo senso dissero che Mercurio era ladro, e dio de’ ladri. Da Chione, f
Mercurio nacque Autolico (1). La madre di lui fu a tal segno superba che osò vantarsi di essere più bella di Diana ; percu
percui questa dea in una caccia le forò la lingua con una freccia. Di che fu sì dolente il padre Dedalione che si precipitò
rò la lingua con una freccia. Di che fu sì dolente il padre Dedalione che si precipitò dal monte Parnaso ; ma Apollo per co
o ebbe il dono di una singolar destrezza nel rubare, e di cangiar ciò che involava in qualunque forma, in guisa che trasfor
el rubare, e di cangiar ciò che involava in qualunque forma, in guisa che trasformava il bianco in nero ed il nero in bianc
che trasformava il bianco in nero ed il nero in bianco, e cornuto ciò che non evea corna, e ciò che le avea, faceva compari
in nero ed il nero in bianco, e cornuto ciò che non evea corna, e ciò che le avea, faceva comparir senza corna ; anzi esso
atore delle sue pecore. Piacque tanto ad Autolico l’astuzia di Sisifo che volle dargli in moglie la figliuola Anticlia.
atene, e negli antichi monumenti (1) ; qualche volta si vede Mercurio che nella destra tiene il caduceo e colla sinistra ab
ella destra tiene il caduceo e colla sinistra abbraccia Minerva ; con che significavan quell’amichevole accordo ch’esser de
uenza e la filosofia ; le quali se vanno disgiunte, la prima non sarà che un vano strepito di parole. E per ciò pure gli an
a Minerva. Gli scrittori egiziani dedicavano i loro libri a Mercurio che credevano inventore e nume delle scienze e dell’e
tù della parola, ingentilì i selvatici costumi de’ primi uomini (3) ; che inventò la palestra e la lira, e che presedeva a
i costumi de’ primi uomini (3) ; che inventò la palestra e la lira, e che presedeva a quanto hanno di bello le scienze e le
va a quanto hanno di bello le scienze e le arti. Ed Igino (4) afferma che , avendo Mercurio inventato l’uso della parola, di
ntato l’uso della parola, divise il genere umano in varie nazioni ; e che inventô alcune lettere greche dal volo delle gru,
e a Mercurio la lingua ; e se i cittadini di Listri (6), vedendo quel che operava il Signore per mezzo di S. Barnaba e di S
lto e de’ sacrificii agli Dei, come ancora di aver ridotto gli uomini che vivevano a guisa di bestie, alla vita socievole e
o a guisa di bestie, alla vita socievole ed umana, dobbiam ricordarci che , giusta le parole di Cicerone (1), niun’altra for
anche dio della musica e della poesia, ed inventore della lira, tanto che Orazio (2) chiama Fauno custode degli uomini Merc
si del guscio della tartaruga ch’è materia assai sonora. Si vuole (4) che Mercurio, avendo per caso ritrovato il guscio di
l Nilo, ed i soli nervi secchi rimasti, ne avesse avuto un suono ; il che diede la prima idea della lira, che facevasi di t
ti, ne avesse avuto un suono ; il che diede la prima idea della lira, che facevasi di tartaruga. Essa per lo più avea sette
di tartaruga. Essa per lo più avea sette corde ; ed Ovidio (5) finge che Mercurio avesse scelto questo numero per onorare
one, Tebano, da Mercurio apprese a suonar la lira, sì maestrevolmente che si tirava appresso le fiere ed i sassi (6). E dic
E di fatto presso Plauto (1) egli stesso afferma, esser noto a tutti che gli Dei aveano a lui concesso di farla da lor mes
ini suoi. Omero (2) e Virgilio (3) in bella guisa descrivono Mercurio che si accinge ad eseguire gli ordini di Giove. Il qu
e fendea. Pindem. Ad imitazione di Omero, Virgilio descrive Mercurio che si accinge ad eseguire gli ordini di Giove. « Ud
viaggi portava in mano Mercurio questa verga detta caduceo (ραβδος), che Omero ed Orazio chiamano aurea. Essa ha in cima a
cima attaccate due ali, e vi sono attorcigliati due serpenti in guisa che i loro corpi formano due semicerchi, e le teste s
o al di sopra dell’estremità della verga, mentre le code non arrivano che a due terzi della medesima. Il caduceo era simbol
(1) vien salutato arbitro della pace e della guerra. E Servio osserva che Mercurio da’ poeti è quasi sempre adoperato come
con essa i contendenti, o in mezzo a loro frapponendola. Si racconta che quando Apollo pasceva le greggi di Admento, Mercu
prodigiosa, colla quale quel nume guidava al pascolo gli armenti ; e che Mercurio, volendo far pruova della sua virtù, ed
a Ovidio. In un antico candelabro del Museo Borbonico vedesi Mercurio che ha due picciole ali alla testa, nella destra tien
caduceo di antichissima forma, cioè senza serpi. Era antica credenza che niuno potesse morire, se Mercurio non avesse scio
morire, se Mercurio non avesse sciolta dal vincolo del corpo l’anima che ad esso era unita per virtù divina. Da Virgilio (
dosi al costume de’ Romani di aprire sul rogo gli occhi de’ cadaveri, che avean chiusi in casa (1). Non s’intende però, per
rò, perchè lo stesso poeta (2), parlando della morte di Didone, finge che l’infelice Regina non potea morire, perchè « non
converso, Restò senza calore e senza vita. Caro. Macrobio (3) crede che Virgilio abbia ciò ricavato da Euripide, il quale
uripide, il quale nella tragedia l’Alceste introduce l’Orco o Caronte che porta in mano una spada per tagliare la ciocca fa
gliare la ciocca fatale di Alceste. Ma comunque ciò sia, certa cosa è che principale e nobile ufficio di Mercurio era quell
re le anime de’ trapassati o ai beati Elisi, o all’inferno. Pare però che Pindaro a Plutone piuttosto attribuisca siffatto
fatto incarico ; ma la verga di Mercurio, dice Virgilio (4), e quella che ha sua possanza fin nell’inferno, e con essa egli
na divinità infernali ; e da Orazio (5) si chiama grato sì a’ celesti che agl’infernali Iddii. E ne’ dialoghi de’ morti di
so occupato a trattar colle ombre e con Caronte ; ed in essi si lagna che neppure di notte gli era dato di riposare alquant
one, e farla da duce e scorta delle ombre. Omero(1) descrive Mercurio che conduce all’inferno le anime de’ Proci, de’ quali
ella in man verga dell’oro, Onde i mortali dolcemente assouna, Sempre che il vuole e li dissonua ancora. Con questa conduce
relli nottivaghi nel cupo Fondo talor d’una solenne grotta, Se avvien che alcun dal sasso, ove congiunti L’uno appo l’altro
e e i simulacri ignudi. Pindem. Anche Orazio(2) rappresenta Mercurio che conduce le anime de’ giusti al lieto soggiorno de
rio che conduce le anime de’ giusti al lieto soggiorno degli Elisi, e che coll’aurea sua verga, a guisa di pastore, si mena
om.). Quanto finsero i Greci di Mercurio, fu loro insegnato da Orfeo, che l’avea, appreso dagli Egizii. L’Oceano, di cui pa
deggiante loto e di canne. E Mercurio presso gli Egiziani era un uomo che acompagnava il cadavere di Api, re e dio da loro
va ad una persona mascherata da Cerbero. Orazio(1) finalmente afferma che a Mercurio si dee l’invenzione della palestra, lo
o di Ercole, a cui debbesi l’invenzione della palestra. Altri dicono che Corico, re di Arcadia, ebbe due figliuoli, Plesip
figliuoli, Plesippo ed Eneto, ed una figliuola chiamata Palestra ; e che avendo i due primi inventata l’arte della lotta,
e, così spesso questo animale si vede ai suoi piedi. La lucertola poi che se gli vede vicino, forse simboleggia quelle occu
ercurio(1) coll’elmo in testa, vestito di tonaca, e di una clamide, e che porta un ariete sotto il braccio. Ed in una strad
l braccio. Ed in una strada di Corinto vedeasi un Mercurio di bronzo, che seduto avea un artete a lato(2), forse perchè que
i di Pompei si è trovato un idoletto di bronzo graziosamente lavorato che rappresenta Mercurio seduto sopra uno seoglio col
un ariete sta pure in piedi al suo fianco. « Mercurio Crioforo, cioè che porta l’ariete, dice Millin, avea in Lesbo, ov’er
Lesbo, ov’era onorato con quel titolo, una statua, opera di Calamide, che lo rappresentava nell’attodi portare un montone s
sulle spalle, per significare ch’era il dio de’ pastori. Altri dicono che avea liberato i cittadini di Tanagra dalla peste,
Crioforo un bell’intaglio di Dioscoride, ov’è rappresentato Mercurio che porta una testa di montone in un piatto ». In alc
ni antichi monumenti(4) si vede rappresentato Mercurio con una catena che gli esce di bocca e si attacca alle orecchie di c
una catena che gli esce di bocca e si attacca alle orecchie di coloro che volea seco condurre ; bel simbolo della forza che
orecchie di coloro che volea seco condurre ; bel simbolo della forza che ha l’eloquenza sul cuore umano. Qualche volta(1)
era il protettore dei letterati. Nel Museo Borbonico vedesi Mercurio che discorre con Ercole ; ha la clamide, il petaso co
Mercurius ministrator nelle iscrizioni tutti soprannomi di Mercurio, che significano l’ufficio di messaggiere e di ministr
ς, (a κερδος, lucrum, et πορος, transitus), datore di lucri, κερδωος, che presiede at lucro o apportatore di lucro ; πολυτρ
nsigli, ed altri simili. Agonio, Αγωνιος, appresso Pindaro, Mercurio che presiede a’ giuochi. Eustazio vuole che αγωνιοι θ
ς, appresso Pindaro, Mercurio che presiede a’ giuochi. Eustazio vuole che αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi che θεοι
’ giuochi. Eustazio vuole che αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi che θεοι αγοραιοι, Dei che presiedono alle piazze o c
le che αγωνιοι θεοι in Eschilo sono gli stessi che θεοι αγοραιοι, Dei che presiedono alle piazze o che si venerano nelle pi
o sono gli stessi che θεοι αγοραιοι, Dei che presiedono alle piazze o che si venerano nelle piazze. Ales o Alipes Deus chi
rgus, et φοντης pro φονητης, occisor), cioè uccisore del pastore Argo che avea cento occhi, come nell’articolo di Giove si
urio nipote di Atlante, padre di Maia. Caducifero e Caduceatore (2), che porta il caduceo. Da Omero dicesi Χρυσορραπις, ci
uceatore (2), che porta il caduceo. Da Omero dicesi Χρυσορραπις, cioè che porta una verga di oro, e Vergadoro, secondo il S
oro, secondo il Salvini. Gli antichi chiamavano Caduciferi gli araldi che annunziavano la pace, e gli ambasciadori che ne t
no Caduciferi gli araldi che annunziavano la pace, e gli ambasciadori che ne trattavano, perchè portavano il caduceo. I Rom
appunto un ministro. E Camilli dicevansi a Roma que’ nobili fanciulli che assistevano alle cerimonie religiose portando l’a
aries, et φερω, fero) ; soprannome dato a Mercurio per avere impedito che la peste distruggesse Tebe, portando un ariete in
iorum) ed υπνον προστατης (praeses somni), perchè portava’ il caduceo che avea virtù di conciliare il sonno. Χαρμοφρων o Χα
urio. Nella gigantomachia, Mercurio coll’elmo di Plutone sul capo che rendeva invisibile chi lo portava, uccise, pugnan
se, pugnando, il gigante Ippolito ; liberò Giove dal mostruoso Tifone che lenealo avvinto co’ suoi serpentini stragrandi ra
o(3) ; per comando anche di Giove attaccò l’audace Issione alla ruota che lo tormenta nell’inferno(4) ; inchiodò Prometeo c
ferro ad un sasso smisurato del monte Caucaso e gli assegnò l’aquila che dovea divorargli il enore che sempre rinasceva (5
el monte Caucaso e gli assegnò l’aquila che dovea divorargli il enore che sempre rinasceva (5) ; trasportò Castore e Polluc
asportò Castore e Polluce in Pallene ; accompagnò il carro di Plutone che andava a rapire Proserpina ; aiutò Perseo nell’im
fig. di Almone, ebbe Mercurio i Lari (Lares) ch’erano la stessa cosa che i Genii de’ Greci (δαιμονες(1). Così chiamavansi
Greci (δαιμονες(1). Così chiamavansi propriamente gli Dei domestici o che aveano cura della casa, a differenza dei Penati,
nza dei Penati, i quali soprantendevano ad una città o ad un regno, e che a Roma si veneravano sul Campidoglio ; sebbene qu
festa delta Compitalia. Servio li confonde co’ Dei Mani ; e si vuole che il loro nome derivi da Lar o Lars, parola etrusca
ni ; e si vuole che il loro nome derivi da Lar o Lars, parola etrusca che significa principe o signore. Si veneravano su’ f
erba mercuriale, detta mercorella, si vuole così chiamata da Mercurio che la ritrovò ; ed ha virtù sommamente purgativa(2).
e la ritrovò ; ed ha virtù sommamente purgativa(2). Lattanzio(3) dice che Mercurio fu un uomo antichissimo e di gran dottri
che Mercurio fu un uomo antichissimo e di gran dottrina fornito, non che della conoscenza di molte arti e scienze. Perciò
adopera per denotare la Dea, e la parola Terra significava il pianeta che noi abitiamo. Così Peneo era un antico fiume dell
Peneo era un antico fiume della Tessaglia, e nel tempo stesso il nume che presedeva a quel fiume. Nell’articolo di Saturno
ume che presedeva a quel fiume. Nell’articolo di Saturno abbiam detto che la moglie di lui chiamavasi Opi, cioè ricca, fors
di lui chiamavasi Opi, cioè ricca, forse dall’antico ops (unde inops) che significava ricco, perchè la terra sì per le biad
orgente di ogni nostra ricchezza (1) ; o secondo Macrobio(2), da ops, che vuol dire aiuto, perchè coll’aiuto della terra l’
della terra nascono i frutti e le biade. Varrone(1) finalmente vuole che la Terra fu detta Opi, perchè di essa abbiamo bis
beni. II. Storia favolosa della Terra o sia di Opi. Igino dice che la Terra insieme col Cielo e col Mare, nacque dal
scere dopo il Caos, fu la spaziosa Terra, dalla quale nacque il Cielo che dovea tutta circondarla ed essere la sede sicura
elebri e vetusti Dei del gentilesimo. E ciò nacque dal naturale amore che ha l’uomo per la propria conservazione, percui ch
tre Dee de’ Greci, una divinità speciale ; ma era piuttosto tutto ciò che si vuole ; era la Natura o la madre universale de
che si vuole ; era la Natura o la madre universale delle cose, quella che produce tutti gli esseri. E però spesso chiamavas
sì la Terra appellasi madre, perchè nudrisce gli uomini e gli animali che sono i figli suoi. E Plinio(4) dice che per ragio
isce gli uomini e gli animali che sono i figli suoi. E Plinio(4) dice che per ragione de’ grandi meriti della Terra verso d
e finalmente, quando il resto della natura ci abbandona , allora più che mai qual madre affettuosa ci accoglie e ricuopre.
lure genitrice, e madre degli Dei ; ed il più degli antichi credevano che l’uomo fosse fatto di terra ed acqua riscaldata d
. E dagli Etruschi la Dea Tellure con Vesta si annoverava fra gli Dei che presiedono alle nozze (1), perchè riputavasi la m
uasi la nutrice di tutte le cose. È noto finalmente il fatto di Bruto che baciò la Terra come madre comune di tull’i mortal
ruto che baciò la Terra come madre comune di tull’i mortali (2). Pare che gli antichi avessero attributo alta Terra una vir
tributo alta Terra una virtù fatidica. Appresso Cicerone (3) leggiamo che alcuni credevano, la cessazione dell’oracolo di D
cagione del lungo volgere degli anni, mancata era quella virtù divina che quivi aveano le esalazioni della Terra, dalle qua
ravolgere La mente e ad inspirare un furore divino. A ciò si aggiunge che la Terra era la stessa che Temi ; ma Pausania dic
pirare un furore divino. A ciò si aggiunge che la Terra era la stessa che Temi ; ma Pausania dice che ne’ primi tempi a Del
iò si aggiunge che la Terra era la stessa che Temi ; ma Pausania dice che ne’ primi tempi a Delfo dava gli oracoli la Dea T
iunge, quivi essere stato comune oracolo della Terra e di Nettuno ; e che poscia la Terra avesse ceduto il suo oracolo a Te
o. Euripide (4) chiama il tripode di Apollo, tripode di Temi ; e dice che a lei erano suggerite le risposte degli Dei in so
acolo della Dea Tellure vicino ad Olimpia. E qui è mestieri osservare che la più parte degli antichi oracoli erano collocat
caverne, abbondavano più degli altri di oracoli. Tale era la Beozia, che , al dir di Plutarco, ne avea moltissimi. La quale
are negli animi de’creduli gentili un religioso orrore. Così sappiamo che a principio si consultava l’oracolo di Delfo coll
ad un’oscura caverna ch’era nel monte Parnaso, e respirarne il vapore che di essa usciva. Ma non pochi fanatici essendovi c
a di alcuni figliuoli della Terra. Abbiam notato nella prima parte che gli antichi chiamavan figliuoli della Terra color
la prima parte che gli antichi chiamavan figliuoli della Terra coloro che si distinguevano per mostruosa statura e stratord
ndi ogni maniera di giganti si volle procreata dalla Terra, avvisando che ad uomini di strana corporatura ben conveniva una
ratura ben conveniva una madre di smisurata grandezza. Perciò vediamo che oltre i Titani ed i Giganti, da Esiodo anche i Ci
lcuni li dicano fig. di Nettuno e di Anfitrite. Anche Apollodoro dice che la Terra, dopo i Centimani, procreò i Ciclopi, i
procreò i Ciclopi, i quali aveano un sol occhio in mezzo alla fronte, che i Poeti rassomigliar soleano ad un rotondo scudo
te, che i Poeti rassomigliar soleano ad un rotondo scudo od alla luna che risplende in mezzo al cielo (2), sebbene per tamp
ero(2), essi erano mostruosi giganti, sprezzatori de’ Numi e superbi, che in niuna cosa aveano fidanza fuorchè nella forza.
sce un particolar modo di fabbricare, detto ciclopeo (4). Servio dice che chiamasi ciclopea ogni fabbrica vasta e grandiosa
ma irregolare, per cui adoperavano piccole pietre, per empiere i vani che lasciavan tra loro i massi rozzi ed informi. Fu l
li posero a ministri nella fucina di lui. Che i Ciclopi non avessero che un sol occhio in mezzo alla fronte, è la volgare
cchio in mezzo alla fronte, è la volgare opinione ; ma alcuni pensano che la voce Ciclope, cioè dall’occhio rotondo, dinota
Egiziani nelle miniere facevano uso di una lucerna legata alla fronte che li scorgesse in quelle tenebre ; così nacque la f
lla fronte che li scorgesse in quelle tenebre ; così nacque la favola che i Ciclopi fossero giganti forniti di un sol occhi
la Terra e di Nettuno fu Anteo, giganti alto sessanta quattro cubiti, che regnava nella Libia. Il quate, avendo promesso in
are tutto di cranii umani, costringeva a lottar seco tutt’i viandanti che capitavano nel suo regno e coll’enorme suo peso l
a invano, perchè la Terra, sua madre, gli dava nuova forza ogni volta che , cadendo, la toccava. Di che avvedutosi Ercole, s
a madre, gli dava nuova forza ogni volta che, cadendo, la toccava. Di che avvedutosi Ercole, sollevatolo in aria e con amen
ia stringendolo, il soffogò. Nel real Museo Borbonic vedesi un Ercole che , afferrato Anteo, lo stringe con un braccio pe’ f
stennero le parti di Giove, comechè alcuni l’annoverano fra i giganti che congiurarono contro quel nume. Virgilio(2) pone B
riareo cogli altri mostri alla porta del Tartaro ; ed altrove(3) dice che ad Egeone arde il petto, perchè provocò i fulmini
re un passo senza abbattersi in qualche nume. Quindi ban detto alcuni che forse i ciechi pagani furon costretti a ciò finge
i pagani furon costretti a ciò fingere per significare in certa guisa che la Divinità è in tutt’i luoghi. Or noi per ragion
li abitanti della campagna. Quindi lo dipingevano in modo da sembrare che partecipasse di tutto l’universo. Avea le corna p
pra ; sebbene Egipani o Semicapri erano propriamente uomini favolosi, che aveano forma di capra dal mezzo all’ingiù. E da P
gli Dei delle foreste e de’campi ; e per la deformità di essi avvenne che tutt’i mostruosi e segnalali per qualche sconcezz
concezza di corpo si chiamassero Satiri, o Pani, o Egipani. E si noti che timor panico appellasi quella subita costernazion
ani. E si noti che timor panico appellasi quella subita costernazione che non può vincersi per alcun imperio della ragione,
om’è lo spavento mandato, senza sapersene la cagione, negli eserciti, che ne sono scompigliati e posti in fuga. Or questo d
rgone, o di Giove e di Fimbride ; o di Mercurio. Pan suggerì agli Dei che si fossero cangiali in varie forme di animali, al
rchè si rifuggirono in Egitto, per lo spavento del crudele Tifone ; e che in grazia di sì prudente consiglio, fu da essi tr
questa trasformazione degli Dei in bestie nacque il culto vergognoso che gli Egiziani prestavano a certi animali. Apollodo
noso che gli Egiziani prestavano a certi animali. Apollodoro (1) dice che Pan insegnò ad Apollo l’arte d’indovinare ; ma ch
pollodoro (1) dice che Pan insegnò ad Apollo l’arte d’indovinare ; ma che poi vennero a contesa sulla perizia del suono ; e
o tre maniere di quesio strumento, quello ad una canna (μονοκαλαμος), che ritrovò Mercurio ; l’altro di più cannucce formal
io (4), in fistola fu trasformata Siringa, una delle più belle Naiadi che abitavano un monte vicino a Nonaera , città di Ar
icino a Nonaera , città di Arcadia, e figliuola del Ladone, bel fiume che si scarica nell’Alfeo. La quale fuggendo alla vis
infe sorelle, cangiata in palustre canna, di cui Pan formò la fistola che dal nome di quella ninfa fu detta siringa. Lucrez
ola che dal nome di quella ninfa fu detta siringa. Lucrezio (5) vuole che il sibilare che fa naturalmente un leggiero venti
di quella ninfa fu detta siringa. Lucrezio (5) vuole che il sibilare che fa naturalmente un leggiero venticello intromesso
irlandato il capo, come anche facevano i Fauni ; ma il Vossio afferma che a Pan era consacrato l’elce o leccio (ilex). V
de’ rusticani Iddii, volgeremo lo sguardo a’ varii luoghi della Terra che vedransi tutti popolati di numi. E primieramente
di Silvani e di altri siffatti Dei ; anzi ogni albero avea una ninfa che il custodiva ; e son pur troppo conte le Driadi e
i ; ed allora a Fauno davano i piedi di capra. Alcuni vogliono ancora che Silvano fosse lo stesso che Pan ; ma Virgilio (1)
i piedi di capra. Alcuni vogliono ancora che Silvano fosse lo stesso che Pan ; ma Virgilio (1) manifestamente li distingue
I Fauni poi erano Iddii favolosi de’ campi, de’ monti e delle selve, che rappresentavansi a guisa di Satiri. Si considerav
avansi a guisa di Satiri. Si consideravano come semidei, ma credevasi che dopo lunga vita soggiacessero alla morte. Era lor
l’avvenire , dando degli oracoli. Di fatto fatuarii dicevansi quelli, che sembravano ispirati e predicevano il futuro ; ed
auno ; e Lupercali si dicevano alcune feste in onore di quel nume(2), che celebravansi a’15 di Febbraio. Lupercale poi era
l’Arcadia portò in Italia queste feste, e le introdusse in quel luogo che da lupus si disse Lupercal, come il Liceo deriva
omini solamente gli sacrificavano. In un marmo (2) si vede un Silvano che ha in mano il tronco di un picciolo cipresso ; e
un Silvano che ha in mano il tronco di un picciolo cipresso ; e si sa che Virgilio (3) anche lo rappresenta con un giovane
i campestri. Selvani poi o Silvani chiamavansi quegli Dei boscherecci che spesso si confondono coi Fauni e cogli altri numi
ezio (5), il quale, parlando dell’eco, così espone le varie favolette che il volgo spacciava per ispiegare questo e simili
han finto Che Fauni e Ninfe e Satiri e Silvani Ne sieno abitatori, e che la notte Con giochi e scherzi e strepitosi balli
a da dotta man spargano all’aure Dolci querele e armoniosi pianti ; E che il rozzo villan sente da lungi Qualor scotendo de
oschi, Spesso con labbro adunco in varie guise Anima la siringa, e fa che dolce Versin le canne sue musa silvestre. Marchet
poi era di capra. Plinio dice de’ Satiri, essere animali velocissimi che vivono sopra alcune montagne dell’India, i quali
ed a quattro piedi ed alla maniera degli uomini, nè possonsi prendere che quando sono infermi o vecchi. In un ninfeo, luogo
ninfeo, luogo sacro presso la città di Apollonia, fu preso un Satiro che dormiva a terra, di quella sembianza appunto, in
a Silla, innanzi a cui dimandato chi egli fosse, proruppe in una voce che niente avea dell’umano, ma che sembrava partecipa
o chi egli fosse, proruppe in una voce che niente avea dell’umano, ma che sembrava partecipare del nitrito, e del belato de
orma di uomo di picciola statura, col naso adunco, col capo cornuto e che avea di capra l’altra metà del corpo. Ed a tempo
ssandria, ove servì di maraviglioso spettacolo a quel gran popolo ; e che poscia morto si portò ben conservato in Antiochia
in Antiochia, ove l’imperatore stesso volle vederlo. Plinio riferisce che sul monte Atlante di giorno era gran silenzio ; m
inio riferisce che sul monte Atlante di giorno era gran silenzio ; ma che la notte vi si vedeano fuochi accesi ed un danzar
suoni. Forse la specie di scimmia detta orang-outang (simia satyrus) che mollo si avvicina all’uomo, ha dato origine alla
e setolose e piedi come di becco. Erano inchinati ad un ballo comico, che consisteva in certe mosse assai ridevoli, detto c
2) appella i Satiri gioventù fatta per le danze ; e Virgilio (3) dice che Alfesibeo imitava il danzare de’ Satiri. Da quest
(3) dice che Alfesibeo imitava il danzare de’ Satiri. Da questi pure che s’introducevano sulla scena e ch’eran Dei sucidi
imi dopo la tragedia. Satira poi chiamasi eziandio una poesia mordace che si propone di riprendere i vizi degli uomini, com
to in basso stile. Ebbe un tal nome da una scodella (a lance satura), che piena di varii frutti si offeriva a Cerere ; e co
specie di cibi. E Pescennio Festo scrisse le sue storie per saturam, che eran le varie istorie (ποικιλαι ιστοριαι, vel παν
, vel πινακες, i. e. lances vel tabulae) de’ Greci. Ma Scaligero dice che la Satira ebbe nome da’ Satiri, i quali portavan
rtalità, ma solo una vita lunghissima, come a’ Fauni, a’ Satiri ec. e che riputavansi una specie di Genii locali che aveano
a’ Fauni, a’ Satiri ec. e che riputavansi una specie di Genii locali che aveano un culto particolare ed alcune feste lor p
te lor proprie. Eran considerate come gentili e leggiadre giovinette, che tutte vincevano in bellezza. I luoghi lor consacr
degli antri ed amiche delle spelonche. Celebre è l’antro delle ninfe che Omero descrive (1) ; e Virgilio (2) nella spiaggi
nota tempesta presero porto le navi di Enea, alloga un antro ombroso che chiama abitazione delle Ninfe, formato da due sco
dei fiumi ed i prati erbosi. Di fatto vi eran molte specie di Ninfe, che il nome prendevano da’luoghi. Le Oreadi (ab ορος,
da’luoghi. Le Oreadi (ab ορος, mons) eran ninfe abitatrici de’ monti che si voglion compagne di Diana. La Terra, dice Esio
iodo (4), partorì gli alti mouti, grate abitazioni delle divine Ninfe che su di essi dimorano. Le valli aveano le loro Nape
su di essi dimorano. Le valli aveano le loro Napee (a ναπος, vallis) che presiedevano pure alle colline, a’ boschetti, ai
di (a δρυς, arbor) e le Amadriadi eran ninfe abitatrici degli alberi, che vivevano e morivano con queglistessi, sotto la cu
rinchiuse. Il nome di Driadi però si dava a quelle Ninfe boscherecce che , a differenza delle Amadriadi, eran riputate immo
eran soggette alla morte, come le altre deità campestri. Delle Ninfe, che presedevano alle acque, parleremo in altro luogo.
resedeva a’ pensieri degli uomini ed a’ loro cambiamenti, come quegli che poteva cangiar di forma, come Proteo. Era anche i
t. Orazio (3) chiamò nato in disgrazia di Vertunno un uomo volubile e che non è padrone de’ suoi pensieri. Alcuni derivano
uti, e di lui moglie. Ovidio(3) la dice una delle Amadriadi del Lazio che per la sua destrezza nel coltivare i giardini, me
pi di Proca, re de’ Latini ; ed avea un sacerdote (flamen Pomonalis), che offerivale sacrificii per la conservazione de’fru
sacrificii per la conservazione de’frutti. Pomona poi dicesi un libro che parla de’frutti, come Flora, de’ fiori, e Fauna,
io Termine. Flora era la Dea de’ fiori e da’ Greci diceasi Clori, che sposò il vento Zeffiro, detto perciò l’alato cava
ndo un picciol seno verso il braccio sinistro, raccoglie alcuni fiori che la caratterizzano per la Dea della primavera. Si
sacerdote detto Flamine Florale, e giuochi detti anche Florali. Pare che Plutarco confonda la Dea Bona con Flora ; ma il v
rali. Pare che Plutarco confonda la Dea Bona con Flora ; ma il vero è che gli antichi davano quel nome a Vesta, a Rea, ad O
ampi, o antica pietra incontrasse in un trivio coronata di fiori ; il che intendono gl’interpetri dell’erme de’ Termini che
onata di fiori ; il che intendono gl’interpetri dell’erme de’ Termini che spesso si trovavano ne’ campi e per le vie (6). N
o Termine dette Terminalia, pel dì 20 di Febbraio, Livio (7) racconta che volendo Tarquinio Superbo edificare sul Tarpeio u
cazione di esso, ordinò di esaugurare tutt’i tempii di quel luogo, ma che quello del dio Termine non fu ammesso dagli augur
l dio Termine non fu ammesso dagli auguri. Per siffatto augurio parve che non essendo stata mossa la sedia di Termine e il
Alcune altre cose della Terra. Gli antichi auguravano a’ defonti che fosse loro leggiera la terra con quelle conte par
per modo d’imprecazione, la desideravano grave e pesante. La vittima che si sacrificava alla Terra era una troia gravida,
a, come praticavasi nelle rusticane feste dette da’ Romani sementine, che si celebravano dopo la semente, ed in cui si offe
ητηρ, quasi Γημητηρ, o sia terra madre, essendo Cerere la stessa cosa che la Terra. Forse diminutivo di tal nome è l’altro
e nelle acque dei fonti spegnevano la lor sete. Or Cerere fu la prima che col curvo aratro insegnò agli uomini a coltivar l
quel ferino cibo delle ghiande, l’eletto frumento ; e perciò si disse che dettò loro le leggi (3). Di tutt’i luoghi della t
ggi (3). Di tutt’i luoghi della terra niuno fu più grato a questa dea che la Sicilia, la quale era tutta a lei ed a Proserp
pimento della figliuola, disperata a cercarla tutta sola si diede, sì che e la nascente aurora ed il sole vicino a tramonta
ll’Etna per la notte ; ed in tutto quel tempo, non gustò cibo, se non che il papavero, che per la sua virtù sonnifera, vals
tte ; ed in tutto quel tempo, non gustò cibo, se non che il papavero, che per la sua virtù sonnifera, valse ad ammorzar qua
iaccole della nostra Dea cantò leggiadramente l’Ariosto : Cerere poi che dalla madre Idea Tornando in fretta alla solinga
potere esser mai spenti ; E portandosi questi uno per mano Sul carro che tiravan due serpenti, Cercò le selve, i campi, i
Le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, La terra, il mare ; e poi che tutto il mondo Cercò di sopra, andò al tartareo f
ad una rustica casuccia, da cui, picchiando, vide uscire una vecchia che al chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse
a che al chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse certa polenta, che la dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise
dea trangugiò avidamente ; del quale atto rise sì forte un giovinetto che la dea adirata il trasformò in ramarro di vario c
inetto che la dea adirata il trasformò in ramarro di vario colore(1), che fuggì tosto di mano alla dolente vecchia e si asc
amico fonte di Ciane, la quale più lingua non avea da dire alla madre che cosa fosse della figliuola. Ma pur vide su le sue
Ma pur vide su le sue acque galleggiare la cintura di Proserpina ; il che fu argomento di essere stata per que’ luoghi rapi
ina ; il che fu argomento di essere stata per que’ luoghi rapita ; di che pianse, e fu in collera colla Sicilia tutta, quas
ninfa Aretusa, dalle sue chiare acque levando il capo, alla dea disse che Proserpina per forza rapita, già moglie del dio d
spetto ne va al cielo, sopra il suo cocchio, e piangendo dice a Giove che Proserpina era pur sua figliuola, e non convenire
do dice a Giove che Proserpina era pur sua figliuola, e non convenire che se l’abbia in moglie quel villano rapitore con sì
ve onta di Giove stesso e della madre. Giove la racconsola, mostrando che non tornavan certo quelle nozze a sua vergogna ;
nsola, mostrando che non tornavan certo quelle nozze a sua vergogna ; che Plutone era suo germano e che Proserpina signoreg
van certo quelle nozze a sua vergogna ; che Plutone era suo germano e che Proserpina signoreggiava in ampio reame. E poi es
o. Infine Giove, volendo far piacere a Plutone ed a Cerere, sentenziò che Proserpina per sei mesi fosse colla madre in ciel
o stare Proserpina per sei mesi con Plutone, era simbolo de’ sei mesi che la semenza del grano è sotterra in quel tempo che
imbolo de’ sei mesi che la semenza del grano è sotterra in quel tempo che il sole corre per i sei segni australi del zodiac
V. Continuazione – Sirene – Aretusa – Trittolemo. Ovidio racconta che quando Proserpina, essendo nei campi di Enna a co
Leucosia e Ligea ; ed eran figliuole dell’Acheloo, fiume della Grecia che ha la sua origine dal monte Pindo, e di Sterope.
luogo della terra. Or, riuscendo vana ogni lor cura, pregaron gli dei che potessero, fornite di ale, andar sulle acque del
in uccelli con volto di donzella e dolcissima voce umana. Igino dice che furon cangiate in uccelli da Cerere sdegnata con
irene varie cose troviamo presso gli antichi, Omero nell’Odissea dice che le Sirene col dolce lor canto affascinando i vian
nto ed in qual guisa schivò egli un tal periglio. Comunemente si dice che le Sirene dal mezzo in su aveano forma di donzell
i spinsero a rompicollo nel mare. Plinio e forse anche Omero, afferma che il loro soggiorno era il promontorio o capo della
soggiorno era il promontorio o capo della Minerva presso Sorrento ; e che la Sirena Leucasia fu sepolta in un’isoletta o sc
ta o scoglio nel golfo di Pesto, detto oggidì la Licosa. Si vuole poi che Napoli fu detta Partenope dalla Sirena di questo
chi tempi tre principesse, signore delle tre isolette del mar Tirreno che Aristotele chiama delle Sirene. Le quali, intese
oè, divorati dalle Sirene. La favola poi di Alfeo e di Aretusa non ha che fare propriamente con Cerere ; ma Ovidio (1) fing
che fare propriamente con Cerere ; ma Ovidio (1) finge ingegnosamente che la ninfa Aretusa, vedendo sterilite le campagne d
Aretusa, vedendo sterilite le campagne di Sicilia per l’ira di Cerere che volea ad ogni modo trovar la figliuola, aprì a qu
Cerere che volea ad ogni modo trovar la figliuola, aprì a quella Dea che nella sua isola prediletta non già, ma bensì nel
ma bensì nel regno infernale era Proserpina, indegnamente rapita ; e che aveala veduta cogli occhi proprii seder regina, q
e sue acque con quelle dell’Alfeo. Or lieta la dea a tal nuova, volle che Aretusa i tristi suoi casi narrasse e per qual mo
lissima ; ma, ad altri studii intesa, poco o nulla mi caleva di ciò ; che anzi vedendo un giorno non poter io fuggire da Al
eva di ciò ; che anzi vedendo un giorno non poter io fuggire da Alfeo che mi perseguitava, pregai Diana di aiuto, e la buon
frettolosa in Sicilia presso l’isola Ortigia. Ma non potei far tanto che Alfeo, mutato in un fiume non mi seguisse, alle m
ebroso mare della Trinacria giace l’isola Ortigia, ove sgorga l’Alfeo che confonde le sue acque colla fontana Aretusa . Si
l’Alfeo che confonde le sue acque colla fontana Aretusa . Si racconta che una tazza caduta nell’Alfeo presso ad Olimpia, si
l’Alfeo manifestamente mette foce nel mare, e niuna apertura si vede che ne assorbisca le onde ; percui non par possibile
apertura si vede che ne assorbisca le onde ; percui non par possibile che rimangono dolci le acque di un fiume che passa pe
e ; percui non par possibile che rimangono dolci le acque di un fiume che passa pel mare o sotto ad esso. Trittolemo finalm
di una vecchia. Era Celeo padrone di quel podere e marito di Metanira che piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata
rito di Metanira che piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata che fu la dea, donò al fanciullo il vigor della vita 
mo. Entrata che fu la dea, donò al fanciullo il vigor della vita ; di che fu lietissima quella famigliuola. E poscia l’amò
vita ; di che fu lietissima quella famigliuola. E poscia l’amò tanto che volle con latte divino nutricarlo di giorno, ment
no, mentre di notte il passava pel fuoco, per renderlo immortale ; il che dalla madre osservato, fu cagione a lei di spaven
Cerere di disgusto ; percui Trittolemo restò mortale, ma volle la dea che su di un cocchio tirato da dragoni alati, discorr
gelosa crudeltà di Linco, cangiandolo in lince, fiera di vario colore che significa la sua indole astuta ; e volle che Trit
e, fiera di vario colore che significa la sua indole astuta ; e volle che Trittolemo continuasse il suo viaggio. Il bue rip
a gli astri più splendidi. Dal bue venne il nome di Buzige, Ateniese, che fu il primo a porre i buoi all’aratro. VII. Fe
ere socievole e diede loro savie leggi ; la terza, Aloea (αλυα, area) che celebravasi ogni anno nel tempo, in cui trebbiava
era quella de’ misteri Eleusini, appellati i Misteri per eccellenza, che si celebravano in Eleusi, città fra Megara ed Ate
tene, o da Museo, o da Eumolpo o da Orfeo. Avendo Trittolemo ordinato che niuno straniero potesse iniziarsi ne’ grandi mist
straniero potesse iniziarsi ne’ grandi misteri, per ammettersi Ercole che n’avea fatta la dimanda ed a cui niente potea neg
manda ed a cui niente potea negarsi, s’istituirono i piccioli misteri che si celebravano vicino ad Atene con offerire a Gio
dal gran Sacerdote condannati a morte, comechè stato fosse manifesto che quello era fallo di pura ignoranza. Il Gerofante
za. Il Gerofante o sommo sacerdote apriva agl’iniziati alcuni segreti che giuravano di non manifestare ; e chi mancava, rip
e spesso si puniva colla morte. Il nome del Gerofante era sì venerato che non potea profferirsi da’ non iniziati. Era pur d
ziarono a questi misteri, e fra gli altri Cicerone, il quale dice (1) che gli uomini v’imparavano l’arte di ben vivere ed e
vivere ed erano aiutati a menare una vita migliore. Alcuni pretendono che in essi s’insegnavano i principali dommi dell’uni
enevano con tanta cura celati. Ma i Padri della Chiesa ci fanno certi che sotto il venerando nome di misteri nascondevano q
una ramosa quercia, intorno a cui le Driadi facevano i loro balli, e che di una Driade era pure il grato albergo. Cerere,
ntalo e di Taigete. Volendo questi sperimentare la divinità degli Dei che nel loro pellegrinaggio avea in sua casa ricevuti
di corona di foglie fermate con un diadema ; colla doppia fiaccola, e che colla sinistra prende un lembo del manto, nel qua
nto, nel quale Mercurio mette una borsa piena di danaro, per indicare che i due grandi mezzi di ricchezza sono l’agricoltur
a vedesi Cerere coronata di molte spighe ; e Tibullo (1) ci fa sapere che gli antichi ponevano una corona di spighe avanti
ra un trono di oro, coronata di spighe intrecciate fra un velo bianco che le discende su gli omeri. Ha sopra una tunica sen
rubar la farina. Ctonia (Χθων, terra), epiteto della Dea dal tempio che le edificò Ctonia sul monte Prono nel Peloponneso
pecial modo venerata. Flava Ceres dicesi da’ Latini pel biondeggiare che fa la messe matura (1) ; e da Virgilio chiamasi r
.) prima di mietere le biade ; sebbene vittime precidanee eran quelle che s’immolavano la vigilia delle grandi solennità ;
romane vestite di bianco e con fiaccole in mano, in memoria di Cerere che andava in cerca della sua Proserpina ; e si facev
e per l’aria, nascendo dalle nuvole. Non so poi come il Calepino dica che fu detto quasi canus volitans per aerem, perchè l
ca che fu detto quasi canus volitans per aerem, perchè la fiamma pare che vola ed è candida. Qualche erudito crede che veng
m, perchè la fiamma pare che vola ed è candida. Qualche erudito crede che venga da Tubalcain, con cui ha una manifesta somi
etto Opa dagli Egiziani ; il terzo, fig. di Giove terzo e di Giunone, che avea la sua fucina a Lenno ; ed il quarto, fig. d
signore di alcune isole dette Vulcanie. Or Vulcano nacque sì deforme che Giove per dispetto il precipitò dal cielo con un
n lo avessero fra Ie loro braccia raccolto. Nella quale isola si dice che fosse stato nudrito da Eurinome, fig dell’Oceano
soggette a’tremuoti ed abbondano di fuochi sotterranei. Ed il rumore che fa il fuoco nel tentare di uscire di sotterra, si
i primi ad inventare l’arte di lavorare il ferro ; e perciò si finse che avessero aiutato Vulcano nel fabbricare i fulmini
I poeti han foggiato il loro Vulcano su di Tubalcain, fig. di Lamech, che fu artefice di ogni sorta di lavori di rame e di
artefice di ogni sorta di lavori di rame e di ferro(1). Gouguet dice che gli Egizii ebbero a re un Vulcano che ritrovò il
ame e di ferro(1). Gouguet dice che gli Egizii ebbero a re un Vulcano che ritrovò il martello, l’incudine e le tanaglie. Qu
no i Greci il loro Dio del fuoco, ch’era pure il protettore di quelli che lavorano il ferro. Ed era sì perfetto nell’arte s
ore di quelli che lavorano il ferro. Ed era sì perfetto nell’arte sua che tutte le armi degli Dei, ed anche i fulmini di Gi
de ad Ercole la corazza d’oro ; ad Eèta, re di Colco, due grandi tori che aveano piedi di bronzo e gettavan fuoco dalla boc
fuoco dalla bocca ; a Minerva, alcuni crotali o campanelli di bronzo che poscia la Dea donò ad Ercole. Cadmo nel dì delle
ortici della casa di Giove ; il talamo di questo nume, ed uno scettro che Vulcano diede a Giove, Giove a Mercurio, questi a
a Tieste, e questi ad Agamennone. Nè son da tacere il bel trono d’oro che Giunone promise al Sonno in guiderdone ; e la cor
Sonno in guiderdone ; e la corazza di Diomede, e la tazza di argento che Fedimo, re di Sidone, donato avea a Menelao ; ed
; ed i cani d’oro e di argento nella reggia di Alcinoo, re de’ Feaci, che pareau vivi(1). Mirabile opera di Vulcano fu pure
ad istanza di Venere e sì bene da Virgilio(4) descritte. Si vuole(5) che la collana di Armonia fosse stata ad Erifile, mog
Molte altre mirabili opere attribuiva l’antichità a Vulcano in guisa che Omero(7) chiama istruito da Minerva e da Vulcano
in guisa che Omero(7) chiama istruito da Minerva e da Vulcano un uomo che faccia molte e bellissime opere di arte. Ma di tu
lo scudo di Achille descritto con arte maravigliosa da Omero(8) ; il che solo fa vedere che fu stoltezza il credere cieco
e descritto con arte maravigliosa da Omero(8) ; il che solo fa vedere che fu stoltezza il credere cieco il primo pittor del
e dell’amico grandissimo fu il cordoglio e la disperazione dell’eroe, che vuol correre al campo per vendicarla ; ma la madr
cudo, di cui Omero fa una descrizione ch’è il più bel pezzo di poesia che ci abbia conservata la greca favella. Si vuole ch
el pezzo di poesia che ci abbia conservata la greca favella. Si vuole che la descrizione dello scudo di Enea fatta da Virgi
ndo di Giove egli ancora di fango fece la prima donna, detta Pandora, che presentò agli Dei coperta di velo e con aurea cor
dell’arte di lavorare il ferro, il rame, l’oro, l’argento e tutto ciò che abbisogna del fuoco per maneggiarsi, e l’insegnò
abbisogna del fuoco per maneggiarsi, e l’insegnò agli uomini. E quei che professavan quest’arte, offerivano voti e sacrifi
o. Or come la sua deformità non era conveniente ad inspirare la gioia che regnar dee nei banchetti, gli fu sostituita la be
uce sembianza, e grande calamità di chi in que’luoghi capitava(3) ; e che da Virgilio(4) chiamasi mezzo uomo e mezzo bestia
di Vulcano e di Anticlea fu Perifete o Corinete, il quale era gigante che armato di una mazza di ferro, uccideva i viandant
le era gigante che armato di una mazza di ferro, uccideva i viandanti che capitavano ad Epidauro, città del Peloponneso. Te
accava i viandanti a due alberi piegati ed avvicinati nella cima cosi che risalendo in alto li facevano in due parti. Teseo
risalendo in alto li facevano in due parti. Teseo fecegli provare ciò che faceva soffrire agli altri. V.Iconologia di Vu
guisa ; folta barba, capellatura negletta ; mezzo coperto di un abito che gli giunge sopra il ginocchio, cou una berretta r
un martello nella diritta, e le tanaglie nella sinistra. Dice Millin che quantunque tutt’i mitologi affermano che Vulcano
nella sinistra. Dice Millin che quantunque tutt’i mitologi affermano che Vulcano era zoppo, pure in nessuna delle immagini
ologi affermano che Vulcano era zoppo, pure in nessuna delle immagini che abbiamo di questo nume, si rappresenta con siffat
o doma. VII.Alcune altre cose di Vulcano. Luciano racconta(1), che vennero a gara una volta, sull’eccellenza dell’ar
una volta, sull’eccellenza dell’arte, Minerva, Nettuno e Vulcano ; e che Nettuno fece un toro, Minerva una casa, e Vulcano
ad arbitro della contesa, nell’opera di Vulcano notò questo difetto, che non avea fatto una porta al petto dell’uomo, per
cominciava le sue letterarie vigilie net di delle feste Volcanali, e che ciò faceva non per ragion di augurio, ma per atte
ro a Vulcano il leone. Finalmente, dice Apollodoro, Vulcano fu quello che per commessione di Giove, attaccò Prometeo al mon
al monte Caucaso in pena di aver rubato il fuoco dal cielo. Si vuole che per ciò si servì di catene d’oro e di chiodi di d
dati a questa Dea e lor ragione. Nell’articolo di Giano si disse che Diana fu detta quasi Jana, aggiunta la lettera D
D per dolcezza di suono, come afferma Macrobio(1), il quale riferisce che , secondo il sistema degli antichi Fisici, Giano e
sce che, secondo il sistema degli antichi Fisici, Giano era lo stesso che Apollo, o sia il Sole, e Jana, la stessa che Dian
ici, Giano era lo stesso che Apollo, o sia il Sole, e Jana, la stessa che Diana, o sia la Luna. Cicerone però(2) deriva il
(2) deriva il nome Diana da dies, perchè la Luna col suo splendore fa che la notte sia simile al giorno. Altri finalmente v
re fa che la notte sia simile al giorno. Altri finalmente vogliono(3) che fu così detta dal greco διος, Giove, quasi Jovian
la prima, fig. di Giove e di Proserpina ; la seconda, più conosciuta, che nacque da Giove terzo e da Latona ; e la terza, f
adunque di cui si parla comunemente, è la fig. di Giove e di Latona, che nacque gemella con Apollo nell’isola di Delo. Cal
con Apollo nell’isola di Delo. Callimaco nel bell’inno di Diana dice che Giove amò assai questa sua figliuola specialmente
pello di sessanta ninfe Oceanine per suo corteggio, oltre venti altre che le custodivano l’arco, i coturni ed i cani. Le co
a fu fatale a Cencria, fig. della ninfa Pirene, il quale fu dalla Dea che cacciava, per imprudenza ucciso, di che la madre
Pirene, il quale fu dalla Dea che cacciava, per imprudenza ucciso, di che la madre sparse tante lagrime da farne un fonte c
udenza ucciso, di che la madre sparse tante lagrime da farne un fonte che portò poscia il suo nome ed in cui dicesi che fu
grime da farne un fonte che portò poscia il suo nome ed in cui dicesi che fu ella convertita. Nè meno funesto fu il fato di
per la lunga caccia, in un bel giorno di està, si lavava. Or Atteone che là vicino passava coi suoi veltri, seguendo l’orm
seramente lacerato. Apollodoro dice, essere stati cinquanta que’ cani che Diana rese rabbiosi contro l’infelice Atteone.
Da non pochi fatti della storia favolosa di questa Dea si scorge che il suo carattere era quello di una Dea gelosa del
il suo carattere era quello di una Dea gelosa della sua bellezza, non che della sua virtù, e degli omaggi degli uomini, ven
degli uomini, vendicativa, implacabile ed inchinevole a punire coloro che l’oltraggiavano. Ed i sacrificii di vittime umane
e della sua veste corta a foggia di uomo. Di Orione ancora raccontasi che avendo oltraggiata la nostra Dea, fu da essa di p
ier governi e sarte. Ma fra tutte le altre strepitosa fu la vendetta che fece Diana di Eneo, re di Caledone o Calidonia, c
, dalla quale ebbe Meleagro, Deianira e Tideo. Di Meleagro raccontasi che , sette giorni dopo la sua nascita, apparvero ad A
le tre Parche, le quali filavano lo stame fatale di quel fanciullo, e che vaticinando avessero detto : Durerà la vita di q
ticinando avessero detto : Durerà la vita di questo fanciullo fino a che durerà questo fanciullo fino a che durerà questo
la vita di questo fanciullo fino a che durerà questo fanciullo fino a che durerà questo acceso tizzone . Spaventata la madr
fu posteriore alla spedizione del vello d’oro, e quasi tutti gli eroi che presero parte alla prima, non mancarono di cercar
Castore e Polluce, Giasone, Piritoo e l’amico Teseo, di cui dicevasi che non vi era impresa senza Teseo, vi eran Plesippo
vi, compagna di Diana, velocissima nel corso e sì valente cacciatrice che Ovidio la chiama onore de’boschi. Riunito sì nobi
nò il colpo ; nè quello di Castore e Polluce fu più felice. Lo strale che dovea ucciderlo, fu lanciato dalla giovane Atalan
o strale che dovea ucciderlo, fu lanciato dalla giovane Atalanta ; di che ebbero vergogna que’ forti eroi. Meleagro che ave
a giovane Atalanta ; di che ebbero vergogna que’ forti eroi. Meleagro che avea con uno spiedo trapassata la belva da un fia
ad Atalanta diede il teschio e la spoglia dell’ucciso cinghiale, cose che in que’ tempi si desideravano quasi argomenti di
ome le spoglie de’vinti nemici. Ma i fratelli di Altea, mal soffrendo che il premio del valore si fosse dato ad una donzell
onzella, violentemente le tolgono la pelle dell’ucciso cinghiale ; di che sdegnato Meleagro non dubitò di uccidere i fratel
elle di Meleagro furono da Diana cangiate in quella specie di galline che noi chiamiamo di Faraone e che forse è l’uccello
a cangiate in quella specie di galline che noi chiamiamo di Faraone e che forse è l’uccello Africano (Afra avis) di Orazio.
io. Fra gli antichi monumenti ci restano varii bassirilievi e statue che rappresentano Meleagro. Il Museo Pio–Clementino n
ppresentano Meleagro. Il Museo Pio–Clementino ne possedeva una statua che ora trovasi in quello delle Arti a Parigi ed è st
è la testa dell’enorme bestia e due cani ; e vi si veggono due uomini che pensierosi guardano, ove Meleagro fa ad Atalanta
che pensierosi guardano, ove Meleagro fa ad Atalanta il dono fatale, che sono certamente i fratelli di Altea. IV. Conti
tti della terra, buoi, montoni, cervi ec. ed anche vittime umane ; il che dinotava in questa Dea un’indole crudele. Cosi gl
olava ogni anno un uomo. Ma nella Tauride, paese della Scizia, pareva che Diana fosse stata più avida di sangue umano ; e q
dello sparso sangue de’ forestieri rosseggia. Ed Erodoto afferma (2) che i popoli della Tauride ad una vergine immolavano
i della Tauride ad una vergine immolavano qualunque naufrago o Greco, che fosse in quelle inospitali contrade capitato ; e
aufrago o Greco, che fosse in quelle inospitali contrade capitato ; e che quella vergine credeva essere Ifigenia, di cui e
ccidere nella caccia una cerva a lei consacrata e per essersi vantato che Diana stessa non avrebbe tirato un colpo più sicu
in quella guerra intrapresa cosa alcuna da’Greci ; il quale dichiarò che Diana opponevasi al loro tragitto in Asia ; e che
; il quale dichiarò che Diana opponevasi al loro tragitto in Asia ; e che perciò doveasi placare col sacrificio d’Ifigenia,
citò le funzioni di sacerdotessa. Alcuni antichi scrittori (1) dicono che Ifigenia fu veramente sacrificata. Nè dee ciò rec
crificata. Nè dee ciò recar maraviglia, poichè il Pottero(2) dimostra che anche i Greci qualche volta ebbero il barbaro cos
ale destinò Ifigenia a sacrificare sull’altare di Diana gli stranieri che nei confini del suo regno capitavano. Ma uno stra
l’aiuto dello scellerato Egisto uccise il proprio consorte. Allora fu che Elettra, di lui sorella, vedendo il fanciullo Ore
idato, mandollo segretamente nella corte di Strofio, re della Focide, che avea per moglie una sorella di Agamennone. Il qua
o ; per cui fra questi due principi si strinse un’amicizia si grande, che cresciuta coll’età fu una delle più famose amiciz
abbandona Argo e va in Delfo a consultare l’oracolo, dal quale seppe che per liberarsi da quel tormento, recar si dovea ne
ed in tutt’altro, e volendo Toante dar morte ad Oreste, tanto questi, che Pilade affermavano di essere Oreste, perchè l’uno
da sì generosa gara, volle amendue salvi dalla morte. Ovidio(2) dice che Ifigenia, vicina a sacrificare i due stranieri, d
sacrificare i due stranieri, dal linguaggio conobbe ch’eran greci ; e che la sacerdotessa stessa propose che uno di loro fo
nguaggio conobbe ch’eran greci ; e che la sacerdotessa stessa propose che uno di loro fosse immolato e rimandato l’altro li
i loro fosse immolato e rimandato l’altro libero alla sua patria ; il che diede occasione alla gara de’ due amici. Or ella
gara de’ due amici. Or ella dà una lettera diretta al fratello Oreste che credeva in Argo ; e ciò fu cagione di riconoscers
ipide. V. Varie incumbenze di Diana. Abbiam di sopra avvertito che Diana era Dea della caccia. Perciò portava la ves
succinta e quindi fermata con una zona o cintura. Senofonte(1) scrive che la caccia ed i cani da caccia erano stati invenzi
da Orazio vergine custode de’monti e delle foreste ; e Callimaco dice che a questa Dea sono a cuore gli archi, ed il ferir
archi, ed il ferir lepri, e le liete danze su per le montagne ; anzi che a Giove cercò quasi per retaggio tutt’i monti. Om
Giove cercò quasi per retaggio tutt’i monti. Omero(2) descrive Diana che scorre pei monti, e tra questi nomina il Taigete
l’Erimanto, dilettandosi di ferire i cervi ed i cinghiali. E si noti che presso i Greci nella caccia delle lepri, per cias
ancora una danza solita a farsi in onore di questa Dea dalle donzelle che prendevansi tutte in giro per le mani ; la quale
cciatrice ; e presso Euripide nelle Troadi si descrivono le fanciulle che al suono delle tibie danzano tutte unite ed in gi
Guys(1), vedesi tuttora un’esatta immagine de’cori delle Ninfe greche che tenendosi per la mano danzano sul prato o nel bos
enendosi per la mano danzano sul prato o nel bosco nella stessa guisa che dai poeti ci venne rappresentata Diana su’monti d
e a ciò presedeva a’parti, deta perciò da Macrobio (2) duce di coloro che nascono e de’mortali corpi autrice. Da Catullo ch
’ dolori del parto, e forse tre volte (4). Quindi Ovidio (5) per dire che Evippe avea nove figliuoli dice che essa nove vol
e (4). Quindi Ovidio (5) per dire che Evippe avea nove figliuoli dice che essa nove volte avea chiamata Lucina in aiuto. Da
lte avea chiamata Lucina in aiuto. Da un luogo di Orazio(6) si scorge che quantunque presso i Latini Ilitia era la stessa c
azio(6) si scorge che quantunque presso i Latini Ilitia era la stessa che Giunone-Lucina, pure talvolta l’invocavano sotto
stesso fatto colle corna delle capre uccise da Diana sul monte Cinto, che era una delle maraviglie del mondo. Essa fu pure
o, fig. di Teseo, e di Antiope. Nella Grecia non vi era borgo o città che non avesse tempii e simulacri della nostra Dea ;
o città che non avesse tempii e simulacri della nostra Dea ; ma pare che il culto di lei avesse avuto la principale sua se
te Efesie. Ciò si pruova dal fatto di Demetrio(1), capo degli orefici che vivevano del lucro ricavato da certi tempietti di
simulacro di Diana e l’effigie del tempio di Efeso. Il quale, vedendo che S. Paolo allontanava il popolo da quel superstizi
perstizioso culto, suscitò grave tumulto fra quegli artefici, dicendo che per opera di Paolo si perdeva l’onore prestato al
perdeva l’onore prestato al tempio della grande Diana degli Efesii e che cominciava ad obbliarsi la maestà di esso venerat
nque era il tempio di Diana Efesina, il più magnifico ed il più ricco che mai vi fosse stato sulla terra, noverato perciò f
i pene di porre il suo nome nelle pubbliche carte ; ma ciò non impedì che quel nome fosse tramandato alla posterità insieme
nga verginal veste discinta, cavalca una cerva. I poeti tanto al sole che alla luna assegnano il trono di oro ; ma sembra p
apo. Presso Virgilio(2), Didone si rassomiglia leggiadramente a Diana che , lungo la riva dell’ Eurota o sul monte Cinto, da
ne con l’altra l’arco, ed afferra per le corna una cerva. Dice Millin che le due trecce che formano la pettinatura di Diana
rco, ed afferra per le corna una cerva. Dice Millin che le due trecce che formano la pettinatura di Diana e che vengono a c
. Dice Millin che le due trecce che formano la pettinatura di Diana e che vengono a congiungersi ed attaccarsi sulla sommit
Agrotera, gr. αγροτερα, presso Omero, cioè cacciatrice ; αγραυλος, che pernotta nella campagna ; o ουρεια, montana, mont
selva di Aricia, ove avea un culto particolare. Aventina, dal tempio che la nostra Dea aveva sul monte aventino. Cinzia,
a δικτυον, rete), dalle reti da caccia. Efesia, dal magnifico tempio che avea in Efeso. Elafiea, soprannome di Diana, col
feso. Elafiea, soprannome di Diana, col quale era adorata in Elide e che significa cacciatrice di cervi cervus et βολος, i
(a φως, lux, et φερω, fero). Faretrata (1), dalla faretra o turcasso che portava, come Dea cacciatrice. Ilitia, lat. Ilit
fanciulle di Tiro godevano di portare siffatti calzari a mezza gamba che ben convenivano a donzelle cacciatrici. Fra le pi
quindi i primi albori di quel gran popolo come un riflesso di gloria che gli veniva dall’eroismo de’suoi fondatori e de’su
de’suoi fondatori e de’suoi primi sovrani ; e la storia di quel tempo che passò dalla fondazione degli antichi regni della
o che passò dalla fondazione degli antichi regni della Grecia, sino a che l’un dopo l’altro divennero regolate repubbliche,
a, sino a che l’un dopo l’altro divennero regolate repubbliche, non è che un quadro maraviglioso di favole bellamente dipin
reca ; poichè, avendo essi un’origine oscura ed ignobile, come quelli che discendevano da uomini, i quali, a guisa di fiere
guisa di fiere, viveano senza freno di leggi e senza coltura, finsero che i loro maggiori venivano da uomini preclari, dett
ortali, ma dissero ch’eran discesi da qualche nume. A ciò si aggiunge che gli scrittori delle prime loro memorie erano poet
iò si aggiunge che gli scrittori delle prime loro memorie erano poeti che cantavano i grandi avvenimenti della patria, ed i
stranissimi avvenimenti e di favolose tradizioni. Ora è qui da notare che l’epoca degli Eroi della Grecia, ricca di memoran
di Sicione, forse il più antico degli altri tutti. Si osservi in fine che Eroe (Ηρως, Heros) ne’ tempi favolosi dicevasi un
vi in fine che Eroe (Ηρως, Heros) ne’ tempi favolosi dicevasi un uomo che si era reso celebre per prodigiosa forza, o per u
ni. Davasi poi il nome di Semidei (ημιθεοι) agli Dei di second’ordine che traevano la loro origine da’Numi. Da Esiodo(1) si
Numi. Da Esiodo(1) si appellano gli Eroi divina generazione di uomini che diconsi Semidei ; ma Omero dà questo titolo a tut
esto nome l’espressione generale della fortezza. Ragion vuole adunque che di lui si parli in primo luogo. Ercole o Alci
mena. Gli Autori Inglesi della Storia universale ed il Lavaur credono che la maggior parte delle decantate imprese di Ercol
storia di Sansone, seguendo le orme di S. Agostino, il quale sostiene che da Sansone principalmente, per la prodigiosa sua
ar punto atterrito, li uccise. Plinio(1) parla di un Ercole fanciullo che vuolsi opera della mano di Zeusi ; ed in una pitt
mano di Zeusi ; ed in una pittura di Ercolano si vede Ercole bambino che strangola i due serpenti mandati da Giunone. Erco
a statura e di forza stragrande, avvenue, come racconta Senofonte(1), che uscito il giovane eroe nella solitudine a deliber
, consultò l’oracolo, da cui ebbe risposta, essere volontà degl’Iddii che servisse Euristeo per dodici anni. Il quale gl’im
sse Euristeo per dodici anni. Il quale gl’impose dodici ardue imprese che diconsi i dodici travagli o fatiche di Ercole (αθ
leone di enorme grandezza ch’era in una selva d’Acaia detta Nemea, e che si appella il leone Nemeo. Il quale essendo invul
della sua pelle. Furono per ciò istituiti celebri giuochi detti Nemei che si celebravano in quella selva. La seconda fu l’u
o in quella selva. La seconda fu l’uccisione dell’Idra (lat. excetra) che vivea in Lerna, palude dell’Argolide, o dell’Arca
tare gli uomini e gli armenti. Enorme era la grandezza di quel mostro che avea sette teste, ed anche più, secondo alcuni. D
mostro che avea sette teste, ed anche più, secondo alcuni. Dice Igino che il veleno di questo serpente era sì pestifero che
alcuni. Dice Igino che il veleno di questo serpente era sì pestifero che il solo alito uccideva i viandanti. Ercole l’assa
llo con un sol colpo. Del suo velenoso fiele Ercole intinse le saette che facevano ferite immedicabili, del quale morì egli
La terza fatica fu quella di portar viva a Micene la cerva Cerinitide che avea le corna d’oro ed era consacrata a Diana. L’
di Arcadia, sbucando, devastava il paese della Psofide. Alcuni dicono che l’avesse ucciso. La quinta fatica fu quella di ri
e re di Elide, il quale, avendo un bovile ampissimo con tremila buoi che per trenta anni non era stato purgato, promise ad
a decima parte de’suoi armenti, se in un giorno l’avesse nettato ; il che fu dall’eroe eseguito, facendo passare il fiume A
Ercole ucciso. Da ciò il proverbio : nettare la stalla di Augia (3), che vuol dire, fare un’opera d’immensa fatica. La ses
la di purgare il lago Stinfalo, dell’Arcadia, dagli uccelli di rapina che si pascevano di carne umana, i quali furon [dal n
da quella palude col suono di campanelli di bronzo fatti da Vulcano e che aveagli donato Minerva. Questi uccelli, perchè pu
lui Prometeo, avendolo disciolto dal monte Caucaso. Virgilio(1) dice che Ercole uccise quel toro ; ma i più vogliono ch’ei
enea legate con catene di ferro e le alimentava della carne di coloro che passavano per que’ luoghi. Ercole, avendo prima c
inumano tiranno ad essere da quelle lacerato, le condusse ad Euristeo che le consacrò a Giunone. La nona fatica fu quella d
e isole Baleari, o nella Spagna. I tre corpi erano forse tre fratelli che viveano con tanta amorevolezza ed armonia che sem
rano forse tre fratelli che viveano con tanta amorevolezza ed armonia che sembrava che avessero un’anima sola ; o perchè eg
e fratelli che viveano con tanta amorevolezza ed armonia che sembrava che avessero un’anima sola ; o perchè egli regnava su
peridi ch’era vicino al monte Atlante. Un dragone dalle cento teste e che teneva gli occhi sempre aperti, li custodiva. Or
teneva gli occhi sempre aperti, li custodiva. Or racconta Apollodoro che il nostro eroe giunto nel paese dell’Esperidi, pe
eroe giunto nel paese dell’Esperidi, per avviso di Prometeo, fece sì che Atlante fosse andato a cogliere le poma d’oro nel
omeri suoi sosteneva il cielo invece di lui ; sebbene altri affermano che Ercole stesso, ucciso il drago, avesse colti queg
i travagli di Ercole. Un bassorilievo, dice Millin, fa vedere l’eroe che saetta gli uccelli di Stinfalo, che abbatte l’idr
vo, dice Millin, fa vedere l’eroe che saetta gli uccelli di Stinfalo, che abbatte l’idra e che s’impadronisce de’ pomi d’or
edere l’eroe che saetta gli uccelli di Stinfalo, che abbatte l’idra e che s’impadronisce de’ pomi d’oro dell’Esperidi. Un b
erevoli altre imprese di Ercole si raccontano. Egli debellò i giganti che assalirono il cielo ; giacchè essendo ne’libri de
i giganti che assalirono il cielo ; giacchè essendo ne’libri del fato che senza l’ainto di un mortale non potean esser vint
ch’erano i principali fra que’ mostri. Famoso è poi il combattimento che per Deianira, fig. di Eneo, re di Caledonia, ebbe
ti e di fiori, fecero il Cornucopia, o corno dell’abbondanza. Si noti che gli antichi davano a’ fiumi capo e corna di toro 
rva, da quella di Ercole. Uccise Eurizione, Centauro, fig. d’Issione, che pretendeva di sposar la detta Deianira ; e nelle
o stretto di Gibilterra. Quivi giunto il figliuol di Giove e credendo che que’ due monti fossero il termine del mondo, vi f
i di Ercole. Innumerevoli altre imprese si attribuiscono a quest’eroe che troppo lungo sarebbe qui riferirle tutte ; per cu
a moglie Deianira per recarsi a quella città, e giunti al fiume Eveno che allora per molte acque era gonfio, Ercole il pass
a Deianira la sua camicia tinta del proprio sangue, facendole credere che se mai Ercole l’avesse indossata, cresciuto sareb
di cui eran tinte le saette dell’eroe. Or dopo qualche tempo accadde che Deianira per conciliarsi vie più l’amore dello sp
messo nel numero degli Dei ed allogato fra gli astri. Apollodoro dice che una nube lo accolse con un gran tuono e lo portò
rcole era il pioppo, di cui si coronavano i suoi sacerdoti e gli eroi che aveano operato famose imprese. Sopra i monumenti,
o de’suoi re e fig. di Giove. I suoi pascoli erano di tanta rinomanza che si finge, Nettuno avervi pascolato i suoi cavalli
li maschi il fratello Egitto, re dell’Egitto ; e l’oracolo avea detto che uno de’generi di Danao lo avrebbe ucciso ; percui
colle cinquanta figliuole si recò in Argo, dove fece valere il dritto che vi avea, come discendente di Epafo, fig. d’Io, ch
uron condannate nell’inferno a versare dell’acqua in una botte forata che non si riempiva mai ; onde il proverbio « la bott
uona dose di elleboro. Acrisio poi ebbe una figliuola chiamata Danae, che fu madre di Perseo, che uccise Acrisio e fondò Mi
crisio poi ebbe una figliuola chiamata Danae, che fu madre di Perseo, che uccise Acrisio e fondò Micene. Dopo Euristeo salì
e apparecchiò le carni in vivanda al padre ; alla quale vista fingesi che il sole si volse indietro. È noto che gli antichi
adre ; alla quale vista fingesi che il sole si volse indietro. È noto che gli antichi credevano che il sole come godeva deg
ngesi che il sole si volse indietro. È noto che gli antichi credevano che il sole come godeva degli onesti fatti degli nomi
dato agli antichi argomento di molte tragedie ; ed Orazio(1) per dire che la tragedia rigetta un verseggiare dimesso, nomin
stigazione del padre, uccise Atreo, cui successe nel regno Agamennone che fu potente e ricco sopra ogni altro monarca che f
nel regno Agamennone che fu potente e ricco sopra ogni altro monarca che fosse, allora in tutta la Grecia. E però, nella f
Dauno, re di quel tratto della Puglia da esso detto Daunia, da’nemici che forte lo stringevano di assedio, ne ottenne buona
natura, ma per l’industria degli abitanti reudeasi fertile. Si finse che fossero stati prodotti dal terreno, a guisa degl’
finse che fossero stati prodotti dal terreno, a guisa degl’insetti, e che per ciò portavano sul capo una locusta d’oro(1).
meggiava Atene chiamata occhio della Grecia. Fu fabbricata da Cecrope che primo diede divini onori a Giove ; e dopo più alt
gua alla cognata Filomela e postala in segreta prigione in un viaggio che con lei faceva da Atene nella Tracia, l’infelice
, e lo diede al padre in forma di vivanda, acciocchè il mangiasse. Di che avvedutosi Tereo si diede ad inseguirla insieme c
a Properzio Pandionia dall’avo. La quale venendogli negata dal padre, che avea fresco ancora nella memoria l’orrendo fatto
quel barbaro re se la condusse via per forza. Perciò finsero i poeti che Oritia fosse stata rapita dal vento Borea, mentre
Tracia tenevasi per la regione de’venti e specialmente dell’Aquilone che si credeva abitare in un antro del monte Emo. Da
e da Oritia nacquero Zete e Calai, gemelli, poscia uccisi da Ercole, che si fingono alati ne’piedì e nel capo, come gli al
di figli, consultò l’oracolo di Delfo, da cui ebbe sì oscura risposta che , non bastandogli l’ingegno ad intenderla, si recò
non bastandogli l’ingegno ad intenderla, si recò a Trezene da Pitteo, che con fama di gran sapienza reggea quella città. Il
, sordo a’pianti della sconsolata, si accommiatò da lei ingiungendole che se partorisse un maschio, subito che giunto fosse
accommiatò da lei ingiungendole che se partorisse un maschio, subito che giunto fosse in età di poter sollevare quel sasso
lo avesse inviato da lui in Atene. E di fatto Etra partorì un figlio che si chiamò Teseo, il quale fu riconosciuto dal pad
, e bramoso d’imitarlo, uccise Perifete ed il masnadiere Sinnide, non che Scirone, fig. di Eaco, e famoso ladrone dell’Atti
va i viandanti a stendersi sopra un letto di ferro, stirandoli sino a che divenissero della stessa lunghezza, ovvero taglia
o in Atene, sacrificandolo ad Apollo. Dopo ciò giunse Teseo in Atene, che col padre Egeo trovò assai costernata per l’infam
Atene, che col padre Egeo trovò assai costernata per l’infame tributo che doveasi ogni anno pagare al Cretese Minotauro. Il
ro, ed uccisolo, libera gli Ateniesi dal sanguinoso tributo. Si vuole che Arianna, fig. del re, che Teseo avea sposata, dat
i Ateniesi dal sanguinoso tributo. Si vuole che Arianna, fig. del re, che Teseo avea sposata, dato avesse a lui un gomitolo
e nere e credendo il figlio divorato dal Minotauro, gittossi nel mare che da lui prese il nome di mare Egeo. Oltre le mento
Elena a Sparta, trasportandola in Atene. Giove comandò loro in sogno che dimandassero a Plutone Proserpina per moglie a Pi
Ercole, da Plutone ottenne la loro liberazione ; sebbene altri dicono che niuno di loro fosse di là uscito(1). Antico re
la quale faceva ombra a settentrione il monte Elicona, percui le Muse che l’abitavano furon delle Tespiadi ; e la città di
da Cadmo, ove, dopo la morte di Anfione e Zeto, sali sul trono Laio, che sposò Giocasta, fig. di Creonte, dalla quale ebbe
Laio, che sposò Giocasta, fig. di Creonte, dalla quale ebbe un figlio che fu dal padre consegnato ad un pastore, acciocchè,
reggia qual suo figliuolo. Edipo intanto, cresciuto in età, e sapendo che non era figliuolo di Polibo, andò a consultare l’
uolo di Polibo, andò a consultare l’oracolo di Delfo nel tempo stesso che Laio viaggiava per que’luoghi in cerca del figlio
ono nella Focide, ed insorta fra loro una contesa, Edipo ammazzò Laio che non conosceva ; e poscia andô a Tebe, ove per ave
sfinge, ottenne la signoria di quella città. La Sfinge era un mostro che infestava tutto il paese vicino a Tebe, e che nel
La Sfinge era un mostro che infestava tutto il paese vicino a Tebe, e che nel volto e nelle mani rassembrava una donzella,
gone. Esso divorava i viandanti ; e l’oracolo avea risposto a Creonte che sarebbe cessato il flagello, quando si fosse da a
to il flagello, quando si fosse da alcuno spiegato il seguente enigma che la sfinge proponeva ad essi : Quale animale il ma
a due, e la sera, a tre. Edipo spiegò l’enigma dicendo essere l’uomo che nella fanciullezza cammina spesso colle mani e co
i e col bastone. Della quale spiegazione ebbe tanto dolore la Sfinge, che da uno scoglio si precipitò nel mare. Quindi un s
regno a Polinice, il quale in Argo sposò la figliuola del re Adrasto che gli promise di riporlo sul trono. E di fatto prep
uale il celebre indovino Anfiarao prevedendo dover tutti perire salvo che Adrasto, ricusava di prendervi parte e ne dissuad
col mezzo della moglie Erifile l’indusse a seguire la poderosa armata che Adrasto condusse alle sette porte di Tebe ; percu
to condusse alle sette porte di Tebe ; percui sette furono i capitani che l’accompagnarono, Adrasto, di Argo ; Polinice, Te
r tutti e sette questi principi perirono avanti le mura di Tebe salvo che Adrasto, il quale salvossi per la velocità del ca
detto vocale da Properzio(1), perchè prediceva il futuro. Raccontasi che i nemici fratelli, convennero di decidere l’affar
fare, venendo a singolar tenzone, la quale si eseguì con tanto furore che vi perirono entrambi ; e che fu sì irreconciliabi
one, la quale si eseguì con tanto furore che vi perirono entrambi ; e che fu sì irreconciliabile il loro odio che durò anch
che vi perirono entrambi ; e che fu sì irreconciliabile il loro odio che durò anche dopo la morte, essendosi separate le f
ι, post, et γεινομαι, nascor), cioè figliuoli e posteri de’primi eroi che caddero sotto le mura di Tebe. Scelto Alcmeone pe
orno delle Muse, e le sue delizie andarono in proverbio. Si vuole poi che nella Tessaglia nascessero assai erbe velenose ;
cui i Tessali furon famosi pe’ veneficii e per le arti magiche, tanto che un venefico qualunque da Plauto(1) si chiama Tess
orpo la forma di uomo ; e nel resto, quella di cavallo. Dicono alcuni che l’idea de’ Centauri nacque dal vedere la prima vo
ntauri nacque dal vedere la prima volta gli uomini montali a cavallo, che doveano a quelle rozze fantasie sembrare mostri m
vede un centauro ricoperto di una nebride svolazzante e senza barba, che tiene colla sinistra una siringa. Vuolsi che sia
olazzante e senza barba, che tiene colla sinistra una siringa. Vuolsi che sia il celebre Centauro Chirone. Ma nella storia
Pelia, suo fratello uterino, al governo del regno dì Tessaglia fino a che non divenisse maggiore Giasone, suo figliuolo. Pe
are il regno per se, ne consultò l’oracolo, dal quale gli fu risposto che si fosse guardato da colui che portava una sola s
ò l’oracolo, dal quale gli fu risposto che si fosse guardato da colui che portava una sola scarpa. Indi a poco, facendo egl
mentre si affrettava di varcarlo, gli cadde dal piede una scarpa ; il che fece credere a Pelia che di lui dovea guardarsi,
arcarlo, gli cadde dal piede una scarpa ; il che fece credere a Pelia che di lui dovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde
ovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde, avendo domandato al nipote che dovesse mai fare di una persona, da cui esso per
i esso per detto dell’oracolo avesse a temere la morte, tosto rispose che l’avrebbe inviato in Coleo alla conquista del vel
iato in Coleo alla conquista del vello d’oro. Or raccontano le favole che Atamante, fig. di Eolo, e re di Orcomeno, nella B
per quivi porre in salvo la vita ; ma l’infelice Elle cadde nel mare che da lei prese il nome di Ellesponto. Forse quest’a
nome di Ellesponto. Forse quest’ariete era una nave chiamata l’Ariete che in su la prora avea la figura dorata di quest’ani
sacrato a Marte o in un di lui tempio, ov’era custodito da un dragone che sempre vegliava. Eeta poi diede in moglie a Friss
fece da lui, sotto la direzione di Minerva, fabbricare la prima nave che dall’artefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma
re la prima nave che dall’artefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma che questa fu la prima nave che avesse solcato l’infi
tefice si chiamò Argo. Catullo(1) afferma che questa fu la prima nave che avesse solcato l’infido elemento e che fu costrui
ma che questa fu la prima nave che avesse solcato l’infido elemento e che fu costruita di pini tagliati sul monte Pelio. Qu
rasportata in cielo e posta fra le costellazioni, come anche l’ariete che portò Frisso e ch’è il segno di Ariete. Allestita
i principali ; Tifi, a cui Giasone affidò il timone di quella nave e che morì nel viaggio presso i Mariandinii, ed ebbe pe
o ; Ida e Linceo, di Afareo, il quale Linceo aveva una vista sì acuta che vedea sino nelle viscere delle montagne, percui v
amente in guerra, avvenne sì fiera battaglia fra gli uni e gli altri, che Cizico ed un gran numero de’suoi restaron miseram
Poscia fecero vela per la Misia, ove Ercole, avendo con maggior forza che pratica piegato il suo remo, lo ruppe, e mentre c
con maggior forza che pratica piegato il suo remo, lo ruppe, e mentre che andava nel bosco per farsene un altro, Ila, fig.
aro a quell’eroe, fu per la sua bellezza dalle Ninfe rapito nell’atto che bevea ad una fonte. Or mentre si tratteneva Ercol
priva il futuro a’ mortali ; ed era di continuo molestato dalle Arpie che infestavano il paese. Erano queste mostruosi ucce
li. Spargevano esse un odore spiacevolissimo, insozzavano tutt’l cibi che toccavano e rapivano dalle tavole le vivande(1).
vano i cani di Giove e di Giunone, de’ quali servivansi contro quelli che volevan punire ; anzi Servio le pone nel numero d
di Teti. Or giunti gli Argonauti alla corte di Fineo, questi li pregò che lo avessero liberato dalla molestia di que’ mostr
vanti una colomba e non si cimentarono di passare lo stretto fintanto che non la videro salva fuori di esso ; e le Simplega
comandandogli di sottoporre al giogo due grandi, e fierissimi tori e che avesse con essi solcata la terra, seminandovi alc
tò l’arduo cimento, ed istruito da Medea, insigne maga, fig. di Eeta, che da lui si avea fatto promettere con giuramento di
viaggio per la Grecia. Eeta, oltremodo adirato, inseguì Giasone ; di che accortasi Medea fece in pezzi Absirto e qua e là
nfelice giovane ; e da ciò si chiamano lettere di Bellerofonte quelle che sono dannose a chi le porta. Allora lobate mandò
chi le porta. Allora lobate mandò quell’eroe a combattere la Chimera che infestava un monte della Licia. Questo mostro era
ò coraggioso ad assalire l’orribile mostro e l’uccise. Alcuni pensano che la Chimera fosse un monte della Licia che nella c
e l’uccise. Alcuni pensano che la Chimera fosse un monte della Licia che nella cima gettava fuoco, e che nella parte super
la Chimera fosse un monte della Licia che nella cima gettava fuoco, e che nella parte superiore era abitato da leoni, nel m
abitato da leoni, nel mezzo da capre, ed alle falde, da serpenti ; e che avendo Bellerofonte distrutte quelle bestie, aves
bestie, avesse dato origine alla favola della Chimera. Igino racconta che dopo l’impresa della Chimera, l’eroe tentò coll’a
della Chimera, l’eroe tentò coll’alato Pegaso di salire in cielo ; e che avendo Giove mandato un assillo, il cavallo fece
Storia dell’assedio di troia. Ecco, dice Banier, un avvenimento che senza fallo è il più celebre de’ tempi favolosi e
nto che senza fallo è il più celebre de’ tempi favolosi ed eroici ; e che nel tempo stesso può dirsi l’ultimo, perchè da qu
discendenti di Ercole con Euristeo. Ma quale fu mai la fatale cagione che mosse il fiore de’ Greci guerrieri a cingere di s
ere di sì ostinato assedio quell’infelice città, il quale non terminò che colla sua totale distruzione ? Lo sdegno de’ numi
giudizio di Paride ed il rapimento di Elena ; ora rimane a dire quel che tocca più da vicino la greca celebratissima spedi
questa guerra è quella di Omero nella sua Iliade, poema inimitabile, che non debbe essere già riguardato come una mera fin
i quel tempo, la quale era divisa in molti piccioli principati ; dice che Agamennone, re di Micene, di Sicione e di Corinto
icione e di Corinto, era il più potente principe di tutta la Grecia e che fu eletto supremo capitano ; novera partitamente
itano ; novera partitamente i nomi delle varie nazioni e de’ principi che favorivano i Troiani ; e descrive l’arte della gu
ere, e la situazione de’paesi e delle città, con infinite altre cose, che sono pura istoria. Quindi è che il poema di Omero
delle città, con infinite altre cose, che sono pura istoria. Quindi è che il poema di Omero merita di esser tenuto per la p
primi tempi sono sepolti nell’obblio, per non esservi stati scrittori che ne tramandassero a’posteri gli avvenimenti. Secon
1200. In questa guerra erano impegnate tutte le forze de’Greci, salvo che quelle degli Acarnani. Troia sostenne l’assedio d
le non fu in quella guerra intrapresa cosa alcuna da’ Greci, predisse che sarebbero stati ben dieci anni all’assedio di Tro
e che sarebbero stati ben dieci anni all’assedio di Troia, e dichiarò che Diana era quella che opponevasi al tragitto dell’
ben dieci anni all’assedio di Troia, e dichiarò che Diana era quella che opponevasi al tragitto dell’armata nell’Asia co’
opponevasi al tragitto dell’armata nell’Asia co’ contrarii venti ; e che doveasi placare col sacrificio di una vittima, la
e contrastato lo sbarco da’ Troiani. L’oracolo avea predetto a’ Greci che sarebbe stato ucciso chiunque il primo avesse pos
τος, primus, et λαως, populus) per esser morto il primo fra tutti. Il che saputosi dalla moglie Laodamia, fig. di Acasto, o
Acasto, ottenne dagli Dei di poter parlare coll’estinto sposo non più che tre ore. Ma dopo siffatto tempo ricondotto Protes
e acque della palude Stigia, e così egli diventò invulnerabile, salvo che nel calcagno pel quale la madre lo avea tenuto. E
ducare al centauro Chirone, il quale, oltre tutti gli altri esercizii che convengono ad un principe, a lui insegnò la music
re dell’isola di Sciro, ove, sotto nome di Pirra, si trattenne sino a che avendo Calcante predetto che Troia non potea espu
sotto nome di Pirra, si trattenne sino a che avendo Calcante predetto che Troia non potea espugnarsi senza il soccorso di A
rnare alla gara fra quest’eroe ed il supremo duce Agamennone, diciamo che avendo questi restituita al padre la sua schiava
i a farlo uscire di questa specie d’inazione ; allorchè, avendo udito che in una zuffa Patroclo, fig. di Menezio, cui Achil
stesso Ettore, la morte del suo amico, il quale gli era stato sì caro che l’amicizia di Patroclo e di Achille si annovera f
’egli uccise di propria mano sul rogo dell’estinto amico. Ovidio dice che Achille fu ucciso da Paride ; ed Igino aggiunge c
mico. Ovidio dice che Achille fu ucciso da Paride ; ed Igino aggiunge che il dardo ferì il calcagno, ove solamente l’eroe e
ppello di scelti guerrieri, e fingendo esser quello un voto a Minerva che aveano offesa col rapimento del Palladio, fanno m
na breccia nelle mura della città, vi fanno entrare il fatale cavallo che allogano sul Pergamo, ch’era la cittadella di Tro
epolti nel vino e nel sonno, lasciano la città incustodita. Allora fu che i Greci guerrieri rinchiusi nel cavallo ne scendo
ne scendono chetamente, e dato il convenuto seguo alla greca flotta’ che si era nascosta dietro l’isoletta di Tenedo, col
diamo a Virgilio, in una notte sola fu interamente distrutta, di modo che altro non vi restò che il solo nome(1) ; nome che
a notte sola fu interamente distrutta, di modo che altro non vi restò che il solo nome(1) ; nome che ha reso immortali i du
distrutta, di modo che altro non vi restò che il solo nome(1) ; nome che ha reso immortali i due più insigni poeti che abb
il solo nome(1) ; nome che ha reso immortali i due più insigni poeti che abbia mai veduto il mondo, Omero e Virgilio. Term
ccome i Romani non lasciarono di derivare la loro origine da’ Troiani che seguirono Enea. Il solo Livio sembra che sia stat
la loro origine da’ Troiani che seguirono Enea. Il solo Livio sembra che sia stato dubbioso in affermare un tal fatto, e s
ttori il dotto Bocarto(2) ha raccolto validissimi argomenti a provare che la venuta di Enea in Italia sia una mera favola.
Plutone era Nettuno, detto da’ Latini Neptunus. Cicerone(1) pretende che questo nome venga da una parola latina (a nando),
one(1) pretende che questo nome venga da una parola latina (a nando), che significa nuotare, per una semplice mutazione del
o di qualche lettera. Il Vossio però approva l’etimologia di Varrone, che fa nascere questo nome da un’altra parola latina
ascere questo nome da un’altra parola latina (a’nubendo vel a nuptu), che significa coprire, perchè come una nube ricopre i
. Da’Greci chiamasi Posidone (Ποσειδων), o da due voci (ποσιν δουναι) che significano dare a bere, perchè il mare è il rice
e acque ; o da alcune altre parole (σειειν, movere, et πεδον, solum), che voglion dire scuotere il suolo, perchè il mare co
scuote la terra. II. Storia favolosa di Nettuno. Omero(2) dice che Giove e Nettuno erano figliuoli di un medesimo pa
(2) dice che Giove e Nettuno erano figliuoli di un medesimo padre, ma che il primo il vinceva in sapienza, come negli anni.
e l’impero del mare, come nell’articolo di Giove si è detto. Quindi è che spesso appo i poeti Nettuno si adopera per signif
re(1) ; e Virgilio(2) bellamente ci pone avanti gli occhi la signoria che quel nume vanta sul mare, allorchè descrive il mo
anta sul mare, allorchè descrive il modo come egli sdegnato con Eolo, che senza saputa sua suscitato avea, ad istanza di Gi
convolte e riconduce la serenità desiderata. Anche magnifica è l’idea che Omero(3) ci dà della potenza di Nettuno, ch’era d
e degli altri greci capitani. Presso Ovidio(4) Venere dice a Nettuno che la sua potenza è prossima a quella di Giove. Egli
emò non solo la terra, ma lo stesso Plutone nella sua reggia, temendo che a quella scossa non si aprisse la terra e nel tri
si scotitor della terra, egli dimostrava particolarmente col tridente che era una specie di scettro a tre punte, che sempre
rticolarmente col tridente che era una specie di scettro a tre punte, che sempre mai portava in mano e che forse, secondo M
a una specie di scettro a tre punte, che sempre mai portava in mano e che forse, secondo Millin, non era che un istrumento
, che sempre mai portava in mano e che forse, secondo Millin, non era che un istrumento da prendere i pesci, di cui anche a
si adira Il Tridentier dalle cerulee chiome. Apollodoro(1) racconta che i Ciclopi donarono il fulmine a Giove, l’elmo a P
ono il fulmine a Giove, l’elmo a Plutone ed a Nettuno il tridente ; e che coll’aiuto di siffatte armi vinsero i Titani e li
o di siffatte armi vinsero i Titani e li rinchiusero nel Tartaro ; il che fatto si divisero quei tre fratelli l’impero dell
nte Polibote con avergli scagliato contra il promontorio detto Nisiro che avea staccato dall’isola di Coo. III. Continua
attribuiva una grandissima potenza, attesochè maraviglioso è l’impero che anche sulla terra esercita quell’infido elemento,
esercita quell’infido elemento, e tremendi sono gli effetti di esso, che noi tuttodì sperimentiamo. Di fatto al mare, e qu
i a Nettuno, attribuivansi i tremuoti ed altri straordinarii fenomeni che succedono sulla terra, come pure i considerabili
Erodoto(2) riferisce una tradizione de’ Tessali, i quali affermavano che la valle per la quale scorre il fiume Peneo a gui
ta opera di Nettuno ; ed a ragione, egli soggiunge, perchè credendosi che quel nume scuota la terra e che tutte le grandi a
ne, egli soggiunge, perchè credendosi che quel nume scuota la terra e che tutte le grandi aperture fatte in essa sieno oper
ò si scorge la ragione, per cui egli chiamavasi Ennosigeo, cioè colui che fatremare la terra ; e perchè dopo Giove, Nettuno
lui che fatremare la terra ; e perchè dopo Giove, Nettuno era il nume che avea più potere degli altri. Ed una grande idea d
ro ne abbandona le redini ; ch’ei vola sulla superficie delle onde, e che al suo cospetto i fiotti si cal mano e dileguansi
entre cento mostri marini intorno al suo cocchio si raccolgono. Si sa che Omero(1) lo rappresenta nell’atto che sorte dalle
uo cocchio si raccolgono. Si sa che Omero(1) lo rappresenta nell’atto che sorte dalle onde, facendo tremare sotto i suoi pi
presenza di lui. Sotto al suo cocchio si curvano i fiotti, e le ruote che fuggono colla rapidità del lampo, sfiorano appena
r de’cavalli, ed il conservatore delle navi. Anzi Virgilio(2) afferma che la terra percossa dal gran tridente di Nettuno pr
nella prima parte di quest’ operetta abbiam raccontata la famosa gara che fu fra Nettuno e Minerva per la città di Atene, e
città di Atene, e come Nettuno fece uscir della terra un bel cavallo, che qual simbolo di guerra fu nel consiglio degli Dei
esimo ; ed Erodoto asserisce ch’esso era sconosciuto agli Egiziani, e che a’ Greci ne venne la notizia da’ popoli della Lib
i Egiziani, e che a’ Greci ne venne la notizia da’ popoli della Libia che il riguardavano come la più grande loro divinità.
uesta potenza di Nettuno e per una tale idea di ferocia e di crudeltà che gli uomini meritamente attribuiscono al mare, è a
crudeltà che gli uomini meritamente attribuiscono al mare, è avvenuto che i poeti, come chiamano figliuoli di Giove tutti q
è avvenuto che i poeti, come chiamano figliuoli di Giove tutti quelli che per insigne virtù si distinguono, quasi fossero p
li di Nettuno, cioè quasi partecipi della inumanil à del mare, coloro che per immane ferocia o singolare empietà son famosi
upe Etnea. Telemo, fig. di Eurimo, famoso indovino, gli avea predetto che un dì Ulisse gli avrebbe cavato quell’unico suo o
un dì Ulisse gli avrebbe cavato quell’unico suo occhio(4) ; vaticinio che il superbo gigante prese a scherno, ma che dopo f
suo occhio(4) ; vaticinio che il superbo gigante prese a scherno, ma che dopo fungo tempo avverossi pur troppo. Per quell’
a di esser letto da’giovani studiosi. Il Chiabrera, alludendo al vino che per opera di Ulisse imbriacò Polifemo, cantò legg
to fuor di misura l’uccise, lanciando uno scoglio di enorme grandezza che lo schiacciò. Il quale, per opera di Galatea, fu
reidi, sue sorelle. Dopo di Polifemo dirò alcuna cosa de’ Lestrigoni, che Gellio chiama fig. di Nettuno : ed uno Scoliaste
oni. Erano questi una razza di uomini di gigantesca statura e feroci, che cibavansi di carne umana, ed abitavano nella Sici
Il primo diede il nome alla Beozia, ed Eolo, all’Eolia. Pausania dice che Eumolpo fu pure figliuolo del nostro Nettuno e di
acerdoti Ateniesi, tanto celebri nell’antichità ; e fu uno de’quattro che Cerere stabili direttori de’suoi misteri. La fami
. La famiglia degli Eumolpidi diede un ferofante agli Eleusini fino a che fu fra loro il tempio di quella Dea. Molti altri
oro il tempio di quella Dea. Molti altri figli ebbe Nettuno ; Ergino, che fu uno d’egli Argonauti, e che per le sue molte c
lti altri figli ebbe Nettuno ; Ergino, che fu uno d’egli Argonauti, e che per le sue molte conoscenze nautiche ed astronomi
e, successe a Tifi, pilota della nave Argo ; Erice, re della Sicilia. che per avere posto fra i suoi armenti uno de’buoi di
cilia. che per avere posto fra i suoi armenti uno de’buoi di Gerione, che Ercole avea smarrito, fu da questo eroe ucciso in
e stato dato generalmente il nome di figlio di Nettuno a tutti coloro che si distinsero nelle marittime pugne, e per la lor
stata, volle anche egli essere chiamato figliuolo di Nettuno ; titolo che trovasi sulle medaglie di lui. Da Orazio fu detto
Da Orazio fu detto Neptunius dux (1) IV. – Di alcune Deità marine che hanno relazione con Nettuno. Gli antichi, dic
del Cielo e della Terra, e marito di Teti, diversa dalla Nereide Teti che fu madre di Achille. Da Omero e da Virgilio chiam
e origine dall’opinione di alcuni antichi filosofi, i quali credevano che tutte le cose aveano avuto principio da due eleme
erra, o sia da Teti. Nella descrizione dello scudo di Achille si dice che il gran fiume Oceano chiudea l’orlo di esso ; dal
Oceano chiudea l’orlo di esso ; dalle quali parole argomentano alcuni che quel gran poeta dovea conoscere questa verità geo
alcuni che quel gran poeta dovea conoscere questa verità geografica, che il mare circonda la terra. Dicesi ch’esso sia sta
acqua. Si dipinge pure bicornigero. Una delle Oceanidi fu Anfitrite che sposò il nostro Nettuno e che spesso si adopera a
igero. Una delle Oceanidi fu Anfitrite che sposò il nostro Nettuno e che spesso si adopera a dinotare il mare(1). Essa si
andare a diporto su per le onde del mare, accompagnata dalle Nereidi che portano le redini, e da’Tritoni che col suono del
mare, accompagnata dalle Nereidi che portano le redini, e da’Tritoni che col suono delle lor trombe ricurve annunziano l’a
te ; anzi da Ovidio(3) si scorge, essere stata credenza degli antichi che quel trombettiere col suono fragoroso della sua c
ol suono fragoroso della sua conca quasi sgridava le onde commosse, e che queste, come se avessero avuto senso, ubbidivano
ti tutti la stessa figura e le stesse incumbenze ; ed ora son figura, che serve di ornamento all’architettura ed in certi d
rnati a vita per virtù di quell’erba, saltarono di nuovo nel mare. Di che avvedutosi Glauco e fatto accorto di quella occul
ta la famiglia di Cadmo, pose sì strano furore nell’animo di quel re, che pigliando Ino per una leonessa, ed i figliuoli Le
delle Nereidi, ninfe marine. fig. di lui e di Dori. Omero(1) afferma che le Nereidi in un antro ch’era nel fondo del mare,
capo sulle onde del mare e di ammirare stupefatte la prima nave Argo che per loro era una novità mostruosa ; e ad esse att
la seconda sopra un grosso pesce ; e la terza su di un giovane toro, che finisce in delfino. A lutte queste divinità aggiu
i presagire il futuro, ed Orfeo dice ch’egli conosceva si le presenti che le future cose. Egli prendeva molte e stranissime
i tutt’i corpi ; opinione abbracciata da molti antichi filosofi greci che l’attinsero dall’Egitto. Proteo adunque che prend
ti antichi filosofi greci che l’attinsero dall’Egitto. Proteo adunque che prendea tante e sì diverse figure, simboleggiava
rendea tante e sì diverse figure, simboleggiava l’elemento dell’acqua che si trasforma in varii corpi. Ora per ottenere che
elemento dell’acqua che si trasforma in varii corpi. Ora per ottenere che Proteo desse le sue fatidiche risposte, era mesti
estieri sorprenderlo nel suo antro e legarlo, essendo antica credenza che quest’indovini non predicevano il futuro, se non
Sileno e dello stesso Proteo afferma Virgilio(1). Da Omero si scorge che Proteo era il guardiano del gregge di Nettuno, ch
iano del gregge di Nettuno, ch’era composto di foche, animali anfibii che hanno voce simile a quella di un fanciullo, e di
a di un fanciullo, e di altri mostri marini : pereui disse Orazio(2), che a tempo del diluvio di Deucalione, Proteo guidava
itorta e lunga, come gli Dei fluviali, col tridente nella sinistra, e che colla destra calma le onde agitate. Dipingesi pur
sulla terra, scuotendola talvolta col suo tridente. Winckelmann dice che la configurazione di Nettuno è alquanto diversa d
spata, ed essendovi una considerevole differenza nel getto de’capelli che al disopra della sua fronte s’innalzano. Alle vo
. Sulle medaglie della città di Berito nella Fenicia i cavalli marini che portano il suo cocchio, hanno di cavallo tutta la
rini. « Assiso sopra un mare tranquillo, dice Millin, con due delfini che nuotano sulla superficie dell’acqua, e con la pro
porta la folgore, come pure sopra una pietra incisa. Alcuni vogliono che negli antichi monumenti non si vede mai Nettuno c
non se a’ Tritoni e ad altre subalterne marine deità. Si noti infine che le statue antiche del Dio del mare sono rarissime
uesti epiteti si veggono spesso adoperati da Omero. Γαιηοκος, Nettuno che cinge o contiene la terra (a γαια, et εχω, contin
tempio consacrato in Eleusi a Nettuno Padre(1). Neptunus redux, cioè che riconduce a buon porto, ed a cui i marinari offer
uta in Ostia(2). Taenarius, dicesi Nettuno(3), perchè avea un tempio che serviva d’inviolabile asilo, sul Tenaro, promonto
e consacrati il pino e l’appio palustre. A lui s’immolava un toro(5), che Pindaro chiama pigro, con voce greca che alcuni m
A lui s’immolava un toro(5), che Pindaro chiama pigro, con voce greca che alcuni malamente, interpetrano bianco o veloce, s
e greca che alcuni malamente, interpetrano bianco o veloce, sapendosi che a quel nume si sacrificavano tori di color nero(6
no fig. di Forco e di Ecate, o di Tifone e di Echidna. Raccontasi (1) che la maga Circe, ingelosita di Scilla, de’ suoi vel
a nella metà inferiore del corpo cangiata in più rabbiosi cani marini che orribilmente latravano. Alcuni vogliono che per r
più rabbiosi cani marini che orribilmente latravano. Alcuni vogliono che per ragion di Nettuno, la moglie Anfitrite avesse
ce a trasformare Scilla colle sue magiche arti in mostro marino. Pare che Virgilio abbia confuso questa Scilla con l’altra
in corpi di lupi colle code di delfini (2), in una egloga poi afferma che finiva in cani marini (3), come Lucrezio, Ovidio,
e’buoi di Gerione, fu da Giove fulminata e trasformata nella voragine che porta il suo nome e ch’è nello stretto di Messina
i Scilla. Questa voragine detta violenta da Tibullo, e non altrimenti che lo scoglio di Scilla, celebratissima nell’epopea
ssorbisce e tre volte rigetta e spinge sino al cielo le onde (5) ; il che tutto deriva dal noto flusso e riflusso dello str
flusso dello stretto di Messina. Ed i latrati di Scilla non son altro che lo strepito ed il rumoreggiare delle onde che s’i
di Scilla non son altro che lo strepito ed il rumoreggiare delle onde che s’infrangono fra quegli scogli. E come avvicinand
erna di Cariddi, si corre pericolo di naufragare, così, per esprimere che spesso il timore di un male ci conduce in un altr
nerata da’ Romani come il Dio del consiglio, credesi essere lo stesso che Nettuno Equestre, in onore del quale Romolo fece
del quale Romolo fece celebrare quei solenni giuochi detti Consuali, che porsero il destro alla feroce gioventù romana di
o inferno. I. Nomi diversi dell’Inferno. In Igino leggiamo che dalla Caligine nacque il Caos ; da questo, l’Ereb
one a coloro, i cui delitti non erano espiabili. Lo chiamavano Erebo, che Esiodo a ragione dice figliuolo del Caos e fratel
e figliuolo del Caos e fratello della Notte ; sebbene altri affermano che nacque da Demogorgone e dalla Terra ; ed era prop
ος, giuramento, perchè non vi era più santo ed invidiabile giuramento che quando giuravasi per la palude Stigia, o per l’Or
amento che quando giuravasi per la palude Stigia, o per l’Orco, fiume che nasceva da quella palude. Or questi nomi di Aide,
erno, e talvolta si prende per l’inferno stesso ; come Virgilio disse che notte e dì stassi aperta l’atra porta di Dite (1)
ntò : E’l buon maestro disse : omai, figliuolo, Si appressa la città che ha nome Dite. Averno pure da’ poeti dicesi l’inf
scrizione dell’Inferno secondo gli antichi poeti. Erodoto afferma che gli Egiziani i primi han creduta l’immortalità de
e varii corpi di animali, e ciò per lo spazio di ben tremila anni. Da che nacque la loro gran cura d’imbalsamare i cadaveri
cura d’imbalsamare i cadaveri e di fabbricare quelle tombe magnifiche che fecero dire a Diodoro Siculo che gli Egiziani ave
i fabbricare quelle tombe magnifiche che fecero dire a Diodoro Siculo che gli Egiziani aveano più cura de’sepolcri de’morti
Diodoro Siculo che gli Egiziani aveano più cura de’sepolcri de’morti che de’palagi de’vivi. Dall’Egitto Melampo, Orfeo ed
ell’anima, e quella della metempsicosi, e quindi l’idea di due luoghi che accoglier debbono le anime dopo la morte, uno di
poeti li han descritti colla loro vivace fantasia. Omero (1) afferma che Mercurio conduce all’inferno le anime de’morti in
tenebre eterne. Or di quali Cimmerii parla il greco poeta ? Sappiamo che i Cimmerii eran popoli dell’Asia, presso al Bosfo
uoli, perchè Ulisse, secondo quel poeta, vi giunge il medesimo giorno che si accommiata da Circe, il che non avrebbe potuto
el poeta, vi giunge il medesimo giorno che si accommiata da Circe, il che non avrebbe potuto avvenire, se quei Cimmerii fos
ne all’estremità dell’Oceano i Cimmerii dell’Italia. Strabone afferma che i Cimmerii di Omero erano sulle coste d’Italia, e
trabone afferma che i Cimmerii di Omero erano sulle coste d’Italia, e che gli antichi ponevano presso al lago d’Averno la N
non lungi da Pozzuoli, da’Campi Flegrei e dalla palude Acherusia. Il che ebbe origine dall’essere que’luoghi bassi ed oscu
igine dall’essere que’luoghi bassi ed oscuri e circondati da montagne che impedivano di vedere il tramontar del sole. Nell’
rra è un baratro profondissimo, porte di ferro e soglia di bronzo ; e che tanto è di sotto all’Orco, quanto la terra al cie
de’Titani, i quali vinti furon precipitati in quel caliginoso luogo, che tanto è lontano dalla terra, quanto questa dal ci
’incudine di ferro fatta cadere dal cielo non giungerebbe sulla terra che il decimo giorno, come quella che dalla superfici
l cielo non giungerebbe sulla terra che il decimo giorno, come quella che dalla superficie della terra si facesse cadere gi
e la Morte, nè vi giunge mai raggio di sole ; ed un terribile mastino che fa mille moine a chi entra, ma che non lascia usc
di sole ; ed un terribile mastino che fa mille moine a chi entra, ma che non lascia uscirne alcuno, ne guarda l’entrata. V
ro dell’Eneide è un lavoro d’inestimabile pregio su questo proposito, che dovrebbesi riferire per intero, affinchè si conos
i, una strada silenziosa e declive, fiancheggiata mestamente di tassi che danno un’ombra funesta, conduce all’infernale mag
ia palude. Per quella via scendono le ombre di fresco uscite de’corpi che sono stati sepolti. Il Pallore ed il Verno signor
o signoreggiano que’luoghi incolti, pe’quali errano le ombre de’morti che ignorano la strada che mena alla feral reggia di
ghi incolti, pe’quali errano le ombre de’morti che ignorano la strada che mena alla feral reggia di Plutone. La vasta infer
sì quel luogo, Ie anime di ogni paese. Quivi errano le ombre esangui, che son tutte dedite ad occupazioni simili a quelle c
le ombre esangui, che son tutte dedite ad occupazioni simili a quelle che amarono in vita. All’ingresso vi è il Cerbero che
oni simili a quelle che amarono in vita. All’ingresso vi è il Cerbero che da tre gole manda fuori tre orrendi latrati ; e l
orno al quale fiumi di nera acqua risuonano. Quivi l’orrenda Tisifone che invece di crini ha il capo attorto di crudeli ser
de, e latra e veglia in guardia delle ferrate soglie. Quivi d’Issione che osò oltraggiare Giunone, le inique membra si aggi
ingeri è prosteso al suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua che fugge e che quando è già presso al labbro, più av
steso al suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua che fugge e che quando è già presso al labbro, più avviva la rabb
Continuazione. Campi Elisii. Certo è, se crediamo a Macrobio (2), che gli antichi allogarono gli Elisii sopra gli astri
acrobio (2), che gli antichi allogarono gli Elisii sopra gli astri, e che disserole anime giuste essere accolte in quell’ul
ri, e che disserole anime giuste essere accolte in quell’ultima sfera che si chiama Aplanes. Alcuni poeti però pongono que’
ed i Campi Elisii, de’quali è signore Saturno, ove giudica Radamanto, che tutti gli altri poeti pongono nel regno di Pluton
nto, che tutti gli altri poeti pongono nel regno di Plutone. Dice poi che coloro i quali saranno ritrovati mondi da ogni co
e, eterno soggiorno de’giusti. Quivi da ogni parte veggonsi bei fiori che risplendono al pari dell’oro e che o spuntano dal
i da ogni parte veggonsi bei fiori che risplendono al pari dell’oro e che o spuntano dal suolo o pendono dagli alberi che s
no al pari dell’oro e che o spuntano dal suolo o pendono dagli alberi che son nutricati da limpide acque. Di essi que fortu
ine adorno. Il tutto si governa secondo i giusti decreti di Radamanto che sempremai siede allato a Saturno, padre de’numi e
nate, ove regna Saturno. Quivi soggiornano le anime felici degli eroi che godono di una coscienza tranquilla e sicura, a’qu
te l’anno produce saporosi frutti. Molto gaia ancora è la descrizione che degli Elisii leggiamo in Tibullo (1), il quale, c
quale, credendosi vicino a morire, con nuova e ridente immagine finge che Venere stessa l’avrebbe condotto ne’ fortunati El
e con più lodevole filosofia ci pone avanti gli occhi la felice turba che alberga negli Elisii. Quivi, al dir del poeta, no
ici, vivono tranquilla e beata vita, e gli studii loro son pur quelli che amarono in vita. La virtù li guidò quasi per mano
urtandosi cadono nell’Acheronte. Il lago di Averno, per folte tenebre che il circondavano, spaventoso, era una delle porte
di Minos è mestieri passar l’Acheronte, comechè generalmente si dica che le Ombre debban passare il fiume Slige su di una
lla Stigia palude, nè da Caronte sono ammesse nella vecchia sua barca che dopo sì lungo spazio di tempo. Nè quel nocchiero
alcun uomo vivente, il quale non avesse mostrato il fatal ramo di oro che dovea staccare da un albero sacro a Proserpina, c
fatal ramo di oro che dovea staccare da un albero sacro a Proserpina, che trovavasi in una selva all’ingresso dell’Inferno.
de’ bambini morti sul nascere ; nel secondo, eran le ombre di quelli che per falsi delitti apposti, furono ingiustamente c
sti, furono ingiustamente condannati a morte ; nel terzo, eran quelli che un crudele destino avea spinto a darsi colle prop
nto a darsi colle proprie mani la morte ; nel quarto si vedean coloro che morirono per un forsennato amore ; nel quinto, st
alcuni luoghi dell’ Inferno. Primieramente osservino i giovanetti che ad ogni cosa che avea relazione con Plutone e cog
l’ Inferno. Primieramente osservino i giovanetti che ad ogni cosa che avea relazione con Plutone e cogl’infernali luogh
merii eternamente coperti, pose il suo Inferno. E perciò pure finsero che l’Averno era la bocca dell’inferno, o l’inferno s
ioè senza uccelli (ab α priv. et ορνις, avis). Pausania (2) riferisce che nella Tesprozia, antica contrada dell’ Epiro, era
l’ Epiro, era un lago detto Aorno, ove consultavasi un famoso oracolo che si dava coll’evocazione delle ombre de’morti medi
vocazione delle ombre de’morti mediante le arti della negromanzia ; e che quivi Orfeo avesse evocata l’ombra della consorte
el sesto libro dell’Eneide è noto anche a’fanciulli. Strabone(2) dice che l’Averno negli antichissimi tempi era da una selv
andi alberi circondato, percui non vi penetrava mai raggio di sole, e che il volgo credeva, gli uccelli che sopra di esso v
vi penetrava mai raggio di sole, e che il volgo credeva, gli uccelli che sopra di esso volavano, dalle pestifere esalazion
que, come avvenir suole in tanti altri luoghi simili detti Plutonii ; che in quella contrada erano i Cimmerii e le lor grot
ntrada erano i Cimmerii e le lor grotte ; e più altre simili cose. Ma che poi, per ordine dell’imperatore Augusto, avendo A
iare quella selva e costruire intorno al lago degli edificii, si vide che tutto era favola. A questo proposito dice il ch.
to era favola. A questo proposito dice il ch. Malte-Brun : « L’Averno che i Greci chiamarono Aornos, perchè gli uccelli ne
pori pestilenziali, oggidì ve li trae per l’abbondanza del nutrimento che loro offre. In alcuni siti ha 180 piedi di profon
dipingono gli storici ed i poeti dell’antichità. Alle vecchie foreste che ne coprivano le sponde trarupate, son succedute p
coprivano le sponde trarupate, son succedute piccole selve e cespugli che in tutto l’anno conservano la loro verdura ; i pa
che in tutto l’anno conservano la loro verdura ; i pantani insalubri che lo circondano, sono stati cangiati in vigneti. Si
ebre grotta della Sibilla Cumana. Infine non vi è cosa più pittoresca che l’aspetto di questo lago che gli antichi riguarda
ana. Infine non vi è cosa più pittoresca che l’aspetto di questo lago che gli antichi riguardavano come la bocca dell’infer
a Miseno la palude Acherusia formata da un fangoso sporgere in fuori che quivi fa il mare. Aveva pur questo nome una caver
vi fa il mare. Aveva pur questo nome una caverna vicina all’Acheronte che comunicava coll’inferno e per la quale gli abitan
icava coll’inferno e per la quale gli abitanti del paese pretendevano che Ercole avesse tratto fuori dell’inferno il Can Ce
no amare e malsane e dimoravano lungo tempo nascoste sotto terra ; da che nacque la favola di essere quello un fiume infern
re quello un fiume infernale. Dal fatto di Alessandro, re dell’Epiro, che distesamente si racconta da Livio (1), si scorge
, re dell’Epiro, che distesamente si racconta da Livio (1), si scorge che vi erano due Acheronti, uno che avea la sua sorge
e si racconta da Livio (1), si scorge che vi erano due Acheronti, uno che avea la sua sorgente nella Molossia, parte dell’a
rozia, e si gettava nel golfo Tesprozio, oggidì di Butrintò ; l’altro che scorreva presso ad un’altra Pandosia a’ confini,
il Piriflegetonte vicino al lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare che Virgilio dica che l’Acheronte si scarica nel Coci
vicino al lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare che Virgilio dica che l’Acheronte si scarica nel Cocito (2) ; nel che n
are che Virgilio dica che l’Acheronte si scarica nel Cocito (2) ; nel che non si accorda con Omero, il quale afferma che ne
a nel Cocito (2) ; nel che non si accorda con Omero, il quale afferma che nell’Acheronte si getta il Piriflegetonte ed il C
poi il Piriflegetonte si confonde col Flegetonte, fiume dell’inferno che deriva dallo Stige. Esso volgeva torrenti di fiam
parte dell’ Inferno, dice Silio Italico(3), si apre un enorme abisso che termina in fangosa palude ; il terribile Flegeton
lanciando infuocati macigni. Anche il Cocito era fiume dell’Inferno, che i geografi pongono nella Tesprozia, ed altri pres
, per essere assai torbido e limaccioso più ad una palude rassomiglia che ad un fiume. Il Cocito, dice Virgilio (1), fiume
lia che ad un fiume. Il Cocito, dice Virgilio (1), fiume limaccioso e che abbonda di canne, colla tarda sua onda, e lo Stig
e limaccioso e che abbonda di canne, colla tarda sua onda, e lo Stige che con nove giri l’Erebo circonda, impediscono alle
i Elisii. Le acque del qual fiumicello beveansi dalle anime di coloro che passar doveano ad albergare in nuovi corpi, avend
ce il Dizionario Storico-mitologico, le acque di Lete e tutte le cose che di quelle acque venivano asperse, oltre l’oblio,
o da un vecchio gittati i nomi di tutt’i mortali. tranne alcuni pochi che certi benefici cigni a gran fatica pescavano col
morti e dei Mani. Del Cerbero e delle Furie. Credevano i gentili che le anime, deposto questo corpo terrestre, prendev
rpi vani ed ombratili, e da Virgilio, ombre tenui e simulacri. E quel che i Greci chiamarono idolo, da’ Latini appellavasi
l’uomo, il corpo, l’anima e l’ombra o fantasma ; e fu antica credenza che le ombre de’ morti erano placate e pacifiche, qua
loro corpi aveano ricevuto l’onore dei funerali e della sepoltura ; e che le anime degl’insepotti erravano o intorno al pro
ntorno al proprio corpo, o secondo altri, intorno alla palude Stigia, che loro era vietato di varcare, per lo spazio di cen
di varcare, per lo spazio di cento anni (3). Credevano pure i gentili che un certo idolo diverso dall’ombra e dai Mani, per
ni, per qualche tempo vagava intorno al proprio tumolo. E quest’idoli che alle volte dicevansi esser comparsi ai viventi, e
i Lemuri, cui si offrivano cibi e si preparavano mense su i sepoleri, che dicevansi inferiae. E principalmente le anime di
rte del fanciullo Glaucia affermò Stazio (4). Finsero inoltre i poeti che le ombre scendevano all’inferno con quella forma
inoltre i poeti che le ombre scendevano all’inferno con quella forma che aveano nel tempo della lor morte. Così Deifobo mo
iva nell’inferno il suo Orfeo con lenti passi per cagion della ferita che le diè morte (2). E Tibullo (3) dice che intorno
assi per cagion della ferita che le diè morte (2). E Tibullo (3) dice che intorno agli oscuri laghi del Tartaro la turba de
ne e co’ capelli bruciati dalla fiamma del rogo. Oltre a ciò si finse che le ombre de’ morti nell’inferno si radunavano chi
e’ morti, intendendo alcuni per Dei Mani una maniera di Dei Infernali che si placavano con certi sacrificii, sebbene altri
i i sepolcrali monumenti. Secondo altri poi gli Dei Mani erano Genii, che credevano assegnati a ciascun uomo nel suo nascim
andonavano, e questi distrutti, ne abitavano i sepolcri. Da ciò venne che coloro i quali avessero demolito o in altra guisa
ani, secondo una legge delle dodici tavole (4) ; sebbene altri dicano che in detta legge voglionsi intendere le anime dei m
ere le anime dei morti, alle quali erano indirizzate le lettere D. M. che poneansi su’ sepolcri e che gli antichi credevano
quali erano indirizzate le lettere D. M. che poneansi su’ sepolcri e che gli antichi credevano sacre ed inviolabili. Si no
u’ sepolcri e che gli antichi credevano sacre ed inviolabili. Si noti che la voce Manes spesso si adopera a significare l’i
stesse dell’inferno, come nel celebre luogo di Virgilio, ove si dice che ciascuno soffre i suoi Mani(5), cioè i suoi mali,
porta dell’inferno, forse alludendo al costume degli antichi principi che avanti le porte tenevano grossi mastini. Appresso
(4) gli dà pure il collo crinito di serpenti. Alcuni poeti han finto che Cerbero toccato dalla verga di Mercurio restava a
nifera. Orazio (6) finalmente, facendo plauso al canto di Orfeo, dice che alla dolcezza di quello dovette darsi vinto il cr
fiato e tetro veleno esca della trilingue sua bocca ; ma questo poeta che qui dà al Cerbero tre capi, in un altro luogo (7)
ere ed inesorabili, intente solo a punire il delitto sì nell’ inferno che in questa vita, e che ponevano nel cuore degli sc
tente solo a punire il delitto sì nell’ inferno che in questa vita, e che ponevano nel cuore degli scellerati sì terribili
vita, e che ponevano nel cuore degli scellerati sì terribili rimorsi che toglievan loro ogni riposo, e visioni tanto spave
rimorsi che toglievan loro ogni riposo, e visioni tanto spaventevoli che spesso facevan loro perdere il senno. Non vogliat
van loro perdere il senno. Non vogliate credere, diceva Cicerone (1), che , siccome spesso da’ poeti si raeconta, coloro i q
il carnefice ; questi sono degli empii le assidue e domestiche Furie che giorno e notte tormentano i parricidi. E Nerone,
o racconta (2), confessava di non essersi potuto liberare dalle Furie che continuamente colle loro ardenti fiaccole il torm
e – Eaco – Radamanto e Minos. Il nocchiero della palude infernale che tragittava in una barca le anime de’morti, chiama
ortarlo di là della stigia palude (1). E di fatto ricordavasi Caronte che avendo per timore accolto Ercole nella sua barca,
temeva pure ch’ Enca imitato avesse l’audacia di Teseo e di Piritoo, che un dì tentarono di rapire la stessa Proserpina. M
ro o di argento per pagare a Caronte il nolo del loro passaggio. Pare che Virgilio (2) ci descriva il Tartaro come una orre
ani, eseguiva le sentenze de’giudici ed i rei dava in mano a Tisifone che nella tartarea prigione li rinchiudeva e faceva l
udeva e faceva loro pagare il fio delle commesse scelleratezze. Si sa che Radamanto era fig. di Giove e di Europa, come lo
del fiume Asopo, con ugual fama di giustizia regnò in quella contrada che dicevasi Enopia o Enone e che Eaco stesso chiamò.
a di giustizia regnò in quella contrada che dicevasi Enopia o Enone e che Eaco stesso chiamò. Egina dal nome della madre. L
d Ulisse, aver veduto nell’inferno Minos, l’illustre figlio di Giove, che assiso, con aureo scettro in mano, giudicava le a
o tribunale avanti la porta dell’ampia casa di Plutone. È noto infine che questo gran principe di Creta, di cui abbiam parl
o a stare nell’inferno in mezzo ad un lago di fresche e limpide acque che gli giungevano sino alle labbra, senza poterne ma
i pendono sul capo, de’quali non può gustare un solo. Pindaro afferma che Tantalo rubò il nettare e l’ambrosia dalla mensa
sto fatto il poeta attribuisce la cagione della pena datagli da Giove che gli sospese sul capo un sasso, dalla caduta del q
ssa ucciso a colpi di frecce. Era di enorme statura, e da’più si dice che il suo corpo occupava nove iugeri di terra. Lucre
che il suo corpo occupava nove iugeri di terra. Lucrezio (2) afferma che i poeti sotto l’immagine di Tizio ci han voluto r
mente passione. Sisifo poi, discendente di Eolo, regnò a Corinto dopo che Medea se ne allontanò. I poeti lo collocano nell’
potere supremo nella valle sottoposta. Lo Scoliaste di Omero afferma che fu condannato a tal pena per aver rivelato agli u
uzia e pe’suoi ladronecci, poichè, dopo avere spogliato gli stranieri che cadevano nelle sue mani, li faceva morire con un
Tartaro, ove Mercurio lo attaccò ad una ruota circondata di serpenti, che gira velocemente senza fermarsi un istante ; sull
o il loro Inferno ed i Campi Elisii. Diodoro di Sicilia riferisce che i Sacerdoti di Egitto trovavano scritto ne’loro a
riferisce che i Sacerdoti di Egitto trovavano scritto ne’loro annali che Orfeo, Museo, Omero, Pittagora, Platone ed altri
in quell’antichissimo paese a consultare la loro riposta sapienza ; e che quanto poteano vantare i Greci di più ammirabile,
ll’Egitto nella Grecia. E di fatto Ermete chiamavasi in Egitto quegli che accompagnava il cadavere di Api fino ad un certo
a guisa di Cerbero. Da Orfeo l’appresero i Greci ; e però Omero disse che Mercurio o Ermete accompagnava le anime degli ero
me degli eroi, avendo in mano una verga ch’era il caduceo. Disse pure che l’inferno era oltre l’oceano, cioè al Nilo, chè d
i prati eran la sede delle ombre, secondo Omero ; or questi non erano che un luogo presso la palude Acherusia non lungi da
iani erano soliti per quella palude traghettare i cadaveri de’ morti, che sepellivano nelle tombe ch’erano in quel prato. L
’ morti, che sepellivano nelle tombe ch’erano in quel prato. La barca che trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις),
he trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις), ed al barcaiuolo che volgarmente gli Egiziani chiamavano Caronte, dava
e gli Egiziani chiamavano Caronte, davasi un obolo pel trasporto ; da che è nata la favola di Caronte e della sua barca. Le
favola di Caronte e della sua barca. Le varie dimore, dice il Banier, che Virgilio pone nell’inferno e particolarmente quel
to da quelle ch’eran sotterra, al dir di Erodoto. I Coccodrilli sacri che gli Egiziani nudrivano in que’ luoghi sotterranei
vano in que’ luoghi sotterranei, han dovuto dare l’idea di que’mostri che i poeti allogarono nel regno di Plutone e special
enne l’idea de’ giudici dell’Inferno. E di fatto, dice Rollin, è noto che non era permesso in quel paese il lodare indiffer
lico giudizio un tale onore. Si radunavano i giudici di là da un lago che tragittavano in una barca. Appena un uomo era mor
là da un lago che tragittavano in una barca. Appena un uomo era morto che conducevasi al giudizio. Se il pubblico accusator
e privavasi della sepoltura. Il popolo ammirava il potere delle leggi che sino alla morte stendevasi, e ciascuno mosso dall
ono dal seno della terra, ove sono le miniere. E Cicerone (1) afferma che quel nume che dai Greci appellavasi Plutone (Πλου
ella terra, ove sono le miniere. E Cicerone (1) afferma che quel nume che dai Greci appellavasi Plutone (Πλουτων), si chiam
e per esso intende la forza stessa e la natura della terra. Or è noto che dis significava ricco, ed era lo stesso che dives
ra della terra. Or è noto che dis significava ricco, ed era lo stesso che dives. Dicevasi pure Orco (Orcus), e Summano (Sum
ncerta. Ad esso attribuivansi i fulmini notturni, come a Giove quelli che si scagliavano di giorno (2). Presso Plauto (3) s
mavano Aide (Αιδης) da due parole greche (ab α, priv. et ειδω, video) che significano non vedere, perchè era signore di que
ovvero un Dio invisibile. Chiamavasi pure Aidoneo (Αιδωνευς Hesiod.) che significa lo stesso. II. Storia favolosa di Pl
iove e di Nettuno. Egli era il più giovane di loro, e nel modo stesso che i due primi, fu sottratto alla crudele voracità d
visione dell’universo a lui toccò l’inferno. Diodoro di Sicilia vuole che questa favola abbia avuto origine dall’essere sta
dio, tiranno del profondo inferno. Claudiano (5) introduce una Parca, che chiama Plutone sommo arbitro della notte e signor
sto Empirico (1), abborrito dagli stessi immortali. Ed Omero ha detto che Plutone fra tutte le divinità è la più formidabil
utone poi, come degli altri infernali Dei, si è sempre detto da’poeti che hanno un cuore crudele ed inesorabile ; e ci vien
cosa ha potuto avere origine l’elmo di Plutone (Orci galea), armatura che rendeva invisibile colui che la portava. Agamenno
l’elmo di Plutone (Orci galea), armatura che rendeva invisibile colui che la portava. Agamennone presso Omero chiama Pluton
e quindi a’mortali odiosissimo ; e ciò è tanto vero, dice M. Dacier, che a lui solo fra tutti gli Dei in niun luogo gli uo
ed altari o cantato inni in suo onore (3). E la stessa Dacier osserva che gli antichi davano il nome di Giove non solo al s
ma ancora al Dio del mare, come in Eschilo, ed a quello dell’inferno, che da Omero dicesi Giove sotterraneo ed infernale ;
ell’inferno, che da Omero dicesi Giove sotterraneo ed infernale ; con che volevano farci intendere i poeti che una sola è l
e sotterraneo ed infernale ; con che volevano farci intendere i poeti che una sola è la divinità che governa l’universo. Ab
; con che volevano farci intendere i poeti che una sola è la divinità che governa l’universo. Abbiam detto che Plutone avea
poeti che una sola è la divinità che governa l’universo. Abbiam detto che Plutone avea il suo soggiorno e la sua signoria n
che Plutone avea il suo soggiorno e la sua signoria nelle miniere, e che per ciò era tenuto pel Dio delle ricchezze. Quind
Dio delle ricchezze. Quindi piacevolmente Demetrio Falereo (4) diceva che gli abitanti dell’Attica con tanta ostinazione sc
ti dell’Attica con tanta ostinazione scavavano la terra nelle miniere che pareva, volessero trarne lo stesso Plutone. II
enente un’allegoria astronomica. Dicono alcuni, essere certa cosa che gli antichi sacerdoti greci, seguendo le orme di
endo le orme di quelli di Egitto, hanno spesso inventato delle favole che aveano per base i fenomeni celesti. E veramente E
o ; e quando Luciano discorre dell’ Astrologia, fa chiaramente vedere che ne’poemi di Omero e di Esiodo vi ha un’ analogia
grandissima fra l’astronomia e le favole. Ciò posto, è cosa evidente che il Plutone de’ Greci era il Serapide degli Egizia
, come dice Diodoro di Sicilia ; il quale Serapide era la stessa cosa che Osiride, o il Sole, giacchè tutti questi nomi spe
il Sole, cioè il Genio solare, sotto il nome di Osiride, bisogna dire che il Plutone o il Giove infernale de’Greci, o l’Osi
de’Greci, o l’Osiride di Egitto, era il sole d’inverno, cioè il sole che al solstizio d’inverno passa sotto la terra, e lo
embo della terra, avendo essi potuto cadere in questo errore a motivo che gli antichi credevano che i metalli si formano ne
ssi potuto cadere in questo errore a motivo che gli antichi credevano che i metalli si formano nelle viscere della terra pe
sole d’inverno, è molto chiaramente esposta da Macrobio (2) ; e pare che possa confermarsi con ciò che i mitologi dicono d
amente esposta da Macrobio (2) ; e pare che possa confermarsi con ciò che i mitologi dicono del celebre elmo di Plutone. Qu
grandissimo danno, poichè avea la virtù di rendere invisibili coloro che il portavano. Esiodo, nella descrizione dello scu
e il portavano. Esiodo, nella descrizione dello scudo di Ercole, dice che l’elmo di Plutone, di folte tenebre circondato, s
mmaginare quest’elmo di Plutone. Oltre a ciò il Sig. Dupuis fa vedere che Proserpina, moglie del Dio dell’inferno, era l’em
o tipo di Giove terrestre o infernale. Questo au tore dimostra ancora che la corona boreale, la quale accompagna il Sole, m
utunno ed insieme col sole tramonta sulla Sicilia, per un osservatore che si ritrovi in Egitto o nella Fenicia ; dalla qual
gitto o nella Fenicia ; dalla quale cosa presero argomento di fingere che in quell’isola Proserpina sia stata rapita da Plu
feo in un suo inno. IV. Iconologia di Plutone. Alcuni vogliono che negli antichi monumenti ritrovasi Plutone col cap
to straordinario tipo rappresenta i tre figliuoli di Saturno riuniti, che si riconoscono Giove, per l’aquila, Nettuno, pel
di Serapi-Plutone. Spesso i monumenti numismatici ci offrono Plutone che rapisce Proserpina da lui portata su di una quadr
utone di una corona di ebano, altri, di adianto o capelvenere, pianta che nasce nei luoghi umidi, profondi e scogliosi. Egl
carro d’oro di antica forma, tirato da quattro neri e focosi cavalli, che si chiamavano Orfneo, Eton, Nitte ed Alastore. Pl
Alastore. Plutone si rappresentava, dice Albrico Filosofo, in un modo che conveniva al principe delle tenebre. Il suo aspet
perchè dalla terra, dice S. Agostino (1), si nutriscono tutte le cose che sono nate da essa. Februo, lat. Februus, chiamav
ebruo, lat. Februus, chiamavasi Plutone, come Dio delle purificazioni che facevansi per le ombre de’ morti nel mese di Febb
a tellus. VI. Alcune altre cose di Plutone. Omero(2) racconta che Ercole osò ferire di saetta lo stesso Plutone all
da di grandissimo dolore, e ne fu guarito da Peone, medico degli Dei, che avea pur sanata una ferita di Marte fattagli da D
Lo scultore Cefisodoto (3) avea fatta in Atene una statua della Pace, che portava Pluto o Plutone in grembo, per dinotare c
tatua della Pace, che portava Pluto o Plutone in grembo, per dinotare che le ricchezze cui questo Dio presedeva, sono il fr
ezze cui questo Dio presedeva, sono il frutto della pace. Ovidio dice che Plutone portava redini di rugginoso ferro, ch’era
oso ferro, ch’era colore proprio di tutte le infernali cose, in guisa che di color ferrigno dicesi da Claudiano la sopravve
neri i cavalli di questo nume, di cui la cura era affidata ad Aletto, che facevali pascolare sulle rive di Cocito, e li att
ropizii a Giasone gl’infernali Iddii, loro sacrifica tre neri agnelli che son poscia consumati dal fuoco. Anche i tori e le
funebre avanti la porta de’ defonti (6), e ciò per una sua proprietà, che una volta reciso, non rinasce mai più, simbolo de
, che una volta reciso, non rinasce mai più, simbolo della vita umana che quando giunge al suo tramonto, non vi è speranza
della vita umana che quando giunge al suo tramonto, non vi è speranza che mai più risorga. Nella Grecia era generale l’uso
isorga. Nella Grecia era generale l’uso di ornare la porta delle case che rinchiudevano un cadavere, di rami di cipresso, p
e perciò l’uso n’era riserbato a’ soli ricchi. Quindi Orazio afferma che di tutt’i beni nessuno lo seguirà alla tomba, sal
razio afferma che di tutt’i beni nessuno lo seguirà alla tomba, salvo che il ferale cipresso (praeter invisas cupressus. Li
one. Dovendo noi parlare di Proserpina, Dea dell’inferno, diciamo che questo nome deriva da un verbo latino (proserpo),
nferno, diciamo che questo nome deriva da un verbo latino (proserpo), che significa germogliare, perchè per essa le biade g
mogliano ne’campi ; percui questa Dea fu annoverata eziandio fra’numi che presiedono all’agricoltura (1) ; e spesso confond
’agricoltura (1) ; e spesso confondesi con Cerere stessa, e con Iside che presso gli Egiziani dinotava la terra. Dicevasi p
colla morte distrugge (η τω φωνω παντα περθονσα). Finalmente si noti che alle volte Κορη, e doricamente Κωρη, vergine, don
avolosa di Proserpina. Secondo Cicerone (3), Libera era la stessa che Proserpina, ed era sorella di Libero o Bacco ; e
nderseli propizii(1). Tibullo espressamente fa menzione della potestà che avea Proserpina sulla vita umana(2) ; ed aveasi p
ella morte ; per cui non solo si chiamava Giunone Lucina, come quella che presiedeva alla nascita degli uomini, ma ancora G
ancora Giunone infernale, perchè loro toglieva la vita. Da ciò venne che Orazio disse, niuno aver mai potuto evitare la cr
niuno aver mai potuto evitare la crudele Proserpina, per significare che niuno ha mai evitata la morte (nullum saeva caput
. 1, od. 28, v. 19) ; essendo noto, come in altro luogo abbiam detto, che Proserpina strappava pochi capelli dal capo di ch
che Proserpina strappava pochi capelli dal capo di chi dovea morire e che così ne condannava la vita all’orco. Il che ebbe
apo di chi dovea morire e che così ne condannava la vita all’orco. Il che ebbe forse origine dal considerare gli uomini qua
rare gli uomini quali vittime destinate al Dio dell’inferno ; e si sa che costumavano gli antichi di svellere de’peli dalla
stumavano gli antichi di svellere de’peli dalla fronte di una vittima che dovea sacrificarsi agli Dei e gettarli nel fuoco 
he dovea sacrificarsi agli Dei e gettarli nel fuoco ; perciò si finge che Proserpina toglieva una ciocca di capelli agli uo
ella brana Proserpina vuol dir morire. E dallo stesso poeta si rileva che le ombre uscite dell’inferno doveano ritornarvi n
rescritto dall’imperiosa Proserpina. E pure, ad onta di tanta potenza che vantar potea la moglie di Plutone, Piritoo e Tese
rno e rapire sullo stesso suo trono la regina dell’Erebo. È probabile che Ercole ed i due mentovati eroi fossero entrati ne
ll’inferno, se portato non avesse seco un ramoscello con foglie d’oro che offrir doveasi in dono a Proserpina. Claudiano(1)
e offrir doveasi in dono a Proserpina. Claudiano(1) introduce Plutone che , usando ogni maniera di argomenti per mitigare il
lore di Proserpina indegnamente rapita, fra le altre cose le promette che a lei sarebbe consacrato l’albero de’rami d’oro,
cose le promette che a lei sarebbe consacrato l’albero de’rami d’oro, che nella selva infernale bellamente risplendeva. Ma
o de’rami d’oro, che nella selva infernale bellamente risplendeva. Ma che cosa abbiano voluto intendere i poeti con tal fin
le streghe aveano troppo stretto commercio ; ed anche perchè la luna che presiede alla notte e ch’è la stessa cosa che Pro
ed anche perchè la luna che presiede alla notte e ch’è la stessa cosa che Proserpina, è l’arbitra ed il fedel testimone de’
ci), come fa Medea appresso Ovidio(3) ; ed i monti e le rive de’fiumi che alle maghe somministravano in gran copia erbe di
on una giovane Dea, e non trovandone una nell’Olimpo, nè sulla terra, che accettar volesse lo scettro del tenebroso suo reg
edì a lei le Parche. Le loro preghiere calmarono quell’afflitta madre che acconsentì di rivedere la luce e di presentarsi a
sendo questa fatal legge delle Parche(1). Il mentovato Claudiano dice che durante il tempo delle nozze di Plutone, esse ces
nte il tempo delle nozze di Plutone, esse cessarono da’loro lavori, e che furono incaricate di ricondurre Proserpina sulla
sso di ritornare fra le braccia della propria madre. Or queste Parche che si annoverano fra le divinità infernali, perchè p
ispotiche della sorte di tutti, di cui regolavano i destini, in guisa che quanto avviene in questo mondo, tutto è soggetto
n questo mondo, tutto è soggetto al loro impero. Lo Spanheim dimostra che gli antichi davano al Fato anche il nome di Parch
antichi davano al Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferma che al Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidisco
io afferma che al Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono, e che le Parche possono più che tutt’i celesti numi. Es
Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono, e che le Parche possono più che tutt’i celesti numi. Esse erano tre, delle quali
va o tagliava lo stame della vita dell’uomo. Ma Albrico Filosofo dice che la prima detta Cloto (Κλωθω, Clothus) teneva la c
ere di ciascuno il tenore della sua vita, filando quello stame fatale che a nessuno de’ numi è dato di sciogliere. Secondo
gliere. Secondo Igìno, esse erano fig. dell’Erebo e della Notte ; con che forse vollero darci ad intendere l’oscurità impen
ollero darci ad intendere l’oscurità impenetrabile della nostra sorte che , come dice, Orazio(1), la Divinità cuopre di cali
tte. Apollodoro però le dice fig. di Giove e di Temi. Alcuni vogliono che furon dette Parche per antifrasi, essendo che ess
i Temi. Alcuni vogliono che furon dette Parche per antifrasi, essendo che esse sono inesorabili e non perdonano ad alcuno.
buito ad Omero, il soggiorno delle Parche si finge essere nelle valli che circondano il Parnasso ; il che conviene molto be
le Parche si finge essere nelle valli che circondano il Parnasso ; il che conviene molto bene colla bellissima invenzione d
elebre epitalamio sulle nozze di Peleo e di Teti, introduce le Parche che cantano i grandi destini del fatale eroe che da l
eti, introduce le Parche che cantano i grandi destini del fatale eroe che da loro nascer dovea, essendo noto che quelle noz
grandi destini del fatale eroe che da loro nascer dovea, essendo noto che quelle nozze si celebrarono in Tessaglia. In ques
essaglia. In questo luogo con inimitabile eleganza descrive le Parche che , volgendo i loro fusi, cantano gli eterni decreti
, di cui erano ministre(2). Da un verso del lodato poeta(3) si scorge che le Parche erano vestite di un abito ricamato di r
interpetri vogliono, sebbene altri intendano di una corona di quercia che portano sul capo, perchè anche Platone dice ch’es
tate scolpite da Teocosmo sulla testa di un Giove, forse per dinotare che anche questo nume era soggetto al Destino, di cui
colla conocchia, col fuso e colle forbici, di così grande espressione che riempiono di spavento a vederle. Il destino di ci
o, ove gli Dei andavano a consultarlo. Così presso Ovidio(1) si legge che Giove stesso con Venere va a consultarlo per legg
i vi era scritta sul diamante, come quella di Cesare, in quella guisa che presso Claudiano A tropo sul diamante segna le fa
predicano il fato glorioso di Achille ; e spesso prescrivono il tempo che l’uomo dee dimorar sulla terra, come da Ovidio si
di Meleagro. Esse presiedono al ritorno dall’inferno di tutti coloro che , essendovi entrati, a veano da Plutone ottenuto i
i è compiuto il corso. Così elegantemente Virgilio(3) per significare che Aleso dovea morire per mano del figliuolo di Evan
ficare che Aleso dovea morire per mano del figliuolo di Evandro, dice che le Parche gli posero le mani addosso e lo consacr
de’loro fusi dinotava il fatale rivolgimento degli anni e de’ secoli che le Parche con immutabile volontà regolavano(4). P
e un uomo, di cui la vita fosse stata una serie di sventure, dicevasi che in sul suo nascere la Parca gli si era mostrata c
cui servivansi in Grecia per coglier fiori, era simbolo del canestro che teneva Proserpina, allorchè fu rapita da Plutone.
Il rapimento di questa Dea è quasi il solo avvenimento della sua vita che i pittori e gli scultori abbiano rappresentato. P
che i pittori e gli scultori abbiano rappresentato. Plinio(2) scrive che Prassitele fece di bronzo una Proserpina rapita,
rla di un ratto di Proserpina rappresentato in un quadro di Nicomaco, che vedevasi nel Campidoglio in un tempio di Minerva.
o di Minerva. Sopra un vaso della galleria del principe Ponialowscki, che rappresenta l’istituzione de’misteri eleusini, Pr
i medaglioni e le medaglie di Siracusa vedesi la testa di Proserpina che fu presa da alcuni per quella di Aretusa, credend
Aretusa, credendo di raffigurarvi delle foglie di canne, nelle spighe che le servono di corona ; ma la parola Κορας, donzel
nelle spighe che le servono di corona ; ma la parola Κορας, donzella, che trovasi in molte medaglie, prova ch’essa è una Pr
sceglieva, allorchè fu rapita. Core, gr. Κορη, donzella ; soprannome che leggesi nelle medaglie di Sicilia, come abbiam de
bero o Bacco, di cui si voleva sorella. Libitina, lat. Libitina, Dea che presedeva a’ funerali, che aleuni prendono per Ve
eva sorella. Libitina, lat. Libitina, Dea che presedeva a’ funerali, che aleuni prendono per Venere, altri per Proserpina.
i prendono per Venere, altri per Proserpina. Libitinarii erano quelli che presedevano in Roma a’funerali e somministravano
de’Gladiatori uccisi. Sotera o Conservatrice, gr. ςωτειρϰ, lo stesso che sospita, soprannome dato a Proserpina nell’Arcadi
a nell’Arcadia, a Sparta e nella Sicilia, forse alludendo al frumento che conserva l’uomo e lo libera dalla morte. Teogami
e quel filo misterioso, quanto poco dobbiamo appoggiarci ad una vita che si attiene a cosa sì debole. Se esse aveano le al
sa sì debole. Se esse aveano le ali, ciò dinota la velocità del tempo che vola e passa come un sogno. Le corone che portano
inota la velocità del tempo che vola e passa come un sogno. Le corone che portano sul capo, dimostrano l’assoluto potere ch
n sogno. Le corone che portano sul capo, dimostrano l’assoluto potere che le Parche hanno su tutto l’universo ; l’antro ten
to potere che le Parche hanno su tutto l’universo ; l’antro tenebroso che esse abitano, era un simbolo dell’oscurità del no
rdano la loro voce col canto delle Sirene e delle Muse, ciò vuol dire che quelle Dee regolano l’armonia maravigliosa di ess
parere del Regio Revisore Sig. D. Girolamo d’Alessandro ; Si permette che la suddetta opera si stampi ; però non si pubblic
ta opera si stampi ; però non si pubblichi senza un secondo permesso, che non si darà se prima lo stesso Regio Revisore non
5 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
XLVI Giasone e Medea Re della Colchide al tempo che vi giunsero gli Argonauti, cioè 13 secoli avanti
per l’arte magica, e Medea apparteneva al novero « Di quelle triste che lasciaron l’ago, « La spola e ‘l fuso, e fecersi
ti distinguevasi Giasone per avvenenza e per regale aspetto ; e Dante che lo pose nell’ Inferno come ingannatore di femmine
sue egregie doti, facendo dire a Virgilio : « ….. Guarda quel grande che viene « E per dolor non par lagrima spanda : « Qu
rima spanda : « Quanto aspetto reale ancor ritiene ! « Quegli è Iason che per cuore e per senno « Li Colchi del monton pri
minati i denti del serpente ucciso da Cadmo, combattere coi guerrieri che nascevano da quelli ; e finalmente uccidere il dr
rrieri che nascevano da quelli ; e finalmente uccidere il drago alato che vegliava a guardia dell’aureo vello. Medea coll’a
dia dell’aureo vello. Medea coll’arte magica premunì talmente Giasone che vinse ogni prova, e, impadronitosi dell’ambito te
vamente sulla nave Argo ancorata nel fiume Fasi 71. Non vi fu bisogno che alcuno degli altri Argonauti prendesse parte alle
atto mitologico nel Canto ii del Paradiso, dicendo : « Quei glorïosi che passaro a Colco « Non s’ammiraron, come voi faret
 Quando Jason vider fatto bifolco. » Medea per altro avea preveduto che suo padre Eeta li avrebbe fatti inseguire, e perc
que più tristo evento il suo piccolo fratello Absirto ; e quando vide che il padre stesso li inseguiva con un esercito, inv
Con questo orrendo delitto ottenne l’intento, e dimostrò a tutti, non che allo sposo, di qual tempra ella fosse72. Quanto a
, non che allo sposo, di qual tempra ella fosse72. Quanto alla strada che tennero gli Argonauti per ritornare in Grecia, vi
gli Argonauti per ritornare in Grecia, vi sono tre opinioni diverse, che sarebbero poco divertenti a raccontarsi e a udirs
importa il saperlo. Si accordano però i diversi Mitologi ad asserire che volendo gli Argonauti ritornare in Grecia per alt
, chi dice il Mar Rosso, e chi il Mare Adriatico ; e su questa fatica che ora direbbesi erculea (benchè vi mancasse, come s
rebbesi erculea (benchè vi mancasse, come sappiamo, l’aiuto di Ercole che aveva lasciati molto prima i compagni), si estend
con molte amplificazioni i poeti antichi, come faranno i futuri poeti che questo tempo chiameranno antico, narrando il pass
ntica è probabilmente una invenzione poetica per encomiar quegli Eroi che non ebber nulla da fare nella conquista del vello
he frodi. È una invenzione di alcuni poeti, e specialmente di Ovidio, che Medea col sugo di certe erbe trasfuso nelle vene
e del vecchio Esone lo ringiovanisse,73 poichè tutti gli altri dicono che il padre di Giasone fosse stato molto prima uccis
molto prima ucciso da Pelia ; ma però tutti si accordano ad asserire che Medea per punir crudelmente Pelia fe’ credere all
che Medea per punir crudelmente Pelia fe’ credere alle figlie di lui che potrebbero ringiovanire il vecchio padre con cert
i che potrebbero ringiovanire il vecchio padre con certe erbe magiche che ella diè loro ; ed esse troppo credule furono orr
ato lungamente alla corte di Creonte re di Corinto, si sparse la fama che egli avrebbe sposato Glauca figlia del re, e ripu
Medea. Questa appena lo seppe, corse a Corinto coi figli ; e trovando che la fama non era stata bugiarda, finse rassegnazio
osa, e le diede un abito ed anche un cinto spalmati di magici succhi, che divamparono in fiamme nell’appressarsi della spos
ea, ma uccise anche i figli, potendo più in lei l’odio contro Giasone che l’amore di madre ; e poi, benchè chiusa nella reg
se ne andò ad Atene nella corte del vecchio Egeo padre di Teseo. Quel che ivi macchinasse sarà detto nel racconto particola
lore nel suo regno di Tessaglia ; e di lui null’altro più si racconta che la trista fine. Si narra che la nave Argo dopo il
ia ; e di lui null’altro più si racconta che la trista fine. Si narra che la nave Argo dopo il famoso viaggio fu collocata
llocata sulla riva del mare sopra una base come un glorioso trofeo, e che Giasone frequentemente all’ombra di essa arrestav
Giasone frequentemente all’ombra di essa arrestavasi ripensando ai dì che furono, quando egli duce dei più degni Eroi, varc
uesta fine ingloriosa non ebbe egli dopo la morte quegli onori divini che solevano prodigarsi agli altri Eroi. Invece fu on
prodigarsi agli altri Eroi. Invece fu onorata ben più la stessa nave, che i poeti asserirono assunta in cielo e trasformata
eti asserirono assunta in cielo e trasformata in quella costellazione che ne porta tuttora il nome, e nella quale i moderni
7 fulgidissime stelle. Per quanto gli Antichi si affaticassero a dire che Argo fu la prima nave inventata dagli uomini, nes
prima nave inventata dagli uomini, nessuno dei moderni vorrà credere che non ve ne fossero state altre anche avanti. Si pu
che non ve ne fossero state altre anche avanti. Si può bene ammettere che fosse la prima di quella particolare ed egregia c
sse la prima di quella particolare ed egregia costruzione, ma non già che gli Argonauti fossero i primi navigatori. Le isol
isole stesse dell’ Arcipelago greco, per quanto vicine tra loro, non che le più distanti negli altri mari, non avrebbero p
stanti negli altri mari, non avrebbero potuto esser popolate da gente che vi si fosse trasportata a nuoto ; e sappiamo dall
ortata a nuoto ; e sappiamo dalla Storia della scoperta dell’America, che anche i selvaggi di quella parte del mondo adopra
ente col fuoco o con stromenti di pietra. Anzi gli scrittori filosofi che studiano le origini storiche, e fra questi princi
le origini storiche, e fra questi principalmente il Vico, asseriscono che il toro che rapì Europa non fosse altro che una n
toriche, e fra questi principalmente il Vico, asseriscono che il toro che rapì Europa non fosse altro che una nave coll’ins
ente il Vico, asseriscono che il toro che rapì Europa non fosse altro che una nave coll’insegna o col nome di quell’animale
i andarono per ricuperarlo. I poeti per altro prescelgono sempre quel che è più maraviglioso, ancorchè sia men vero, e vi a
tragedia degli Argonauti di Lucio Accio, nella quale il poeta finge, che un pastore che non aveva mai prima veduto una nav
Argonauti di Lucio Accio, nella quale il poeta finge, che un pastore che non aveva mai prima veduto una nave, nello scorge
oi e ode il suon della cetra e i nautici canti, comincia a sospettare che sia quella una nuova invenzione maravigliosa dell
nuova invenzione maravigliosa dell’umano ingegno. E Cicerone afferma che i primi filosofi dovettero imitar questo pastore
ì ben dipinta dall’antico tragico latino, sembra così vera e naturale che apparisce più favoloso il racconto storicamente v
l vocabolo usato dall’Alfieri ; ed anche nel secolo di Augusto sembra che si recitassero frequentemente tragedie sui fatti
agedie sui fatti atroci di Medea, poichè Orazio nella poetica avverte che nelle tragedie di tale argomento non si deve intr
più celebri scrittori latini ne parlano con tante lodi da far credere che fosse un capo lavoro dell’arte tragica76 ; e tant
arte tragica76 ; e tanto più è da lamentare una tal perdita in quanto che nessuna altra tragedia ci resta dell’aureo secolo
la stessa città o dello stesso Stato ; le quali guerre son tutt’altro che civili nel senso morale, essendo invece le più in
mpagnata dalla moralità, non è altro, secondo la frase del Romagnosi, che una barbarie decorata. La civiltà infatti com’ebb
guasi79. Furon pertanto i più grandi benefattori della umanità coloro che primi indussero gli uomini selvaggi ad unirsi in
i semplici Eroi, e, secondo il sistema del Vico, altro non sarebbero che caratteri poetici dei primi civilizzatori dei pop
creduto figlio di Giove e di Antiope (o secondo altri di Mercurio), e che fosse re di Tebe. Di lui si narra un solo fatto m
rio), e che fosse re di Tebe. Di lui si narra un solo fatto mirabile, che val per mille ; e quasi nessun poeta tralascia di
essun poeta tralascia di accennarlo, e tra questi anche Dante. Dicono che Anfione col suon della cetra e col canto facesse
della cetra e col canto facesse scender dal monte Citerone i macigni, che per udirlo si disposero in giro l’uno sopra l’alt
ltro intorno a lui, e formarono le mura di Tebe80. È facile intendere che questa favolosa invenzione significa il potere de
onne aiutino il mio verso, « Che aiutaro Anfione a chiuder Tebe, « Sì che dal fatto il dir non sia diverso. » Se quest’ An
dal fatto il dir non sia diverso. » Se quest’ Anfione era quel desso che fu marito di Niobe, come dice Ovidio81, egli ebbe
rcie egli traevasi dietro ad ascoltarlo anche le tigri e i leoni : il che , secondo Orazio, significava che ei seppe distogl
ltarlo anche le tigri e i leoni : il che, secondo Orazio, significava che ei seppe distogliere gli uomini selvaggi e antrop
. Narrano i poeti, e tra questi più splendidamente di tutti Virgilio, che Orfeo nel giorno stesso destinato alle sue nozze
sso destinato alle sue nozze colla Ninfa Euridice, perdè la sua sposa che morì per essere stata morsa in un piede da una vi
una vipera. La desolazione di Orfeo è indescrivibile : basti il dire che egli osò scendere nelle Infernali regioni per pre
fu tanto potente il suo canto accompagnato dal suono della sua cetra, che lo stesso Can Cerbero ne rimase ammaliato, e le F
Euridice. Vi aggiunsero per altro una condizione (sic erat in fatis), che precedendola nel suo ritorno non si voltasse mai
monte Rodope nella nativa Tracia, e rifiutò qualunque nuovo connubio che gli fosse offerto. Il che fu causa della sua fine
Tracia, e rifiutò qualunque nuovo connubio che gli fosse offerto. Il che fu causa della sua fine funesta, perchè le Tracie
a lira fu presa dalle Muse e cangiata in quella costellazione boreale che ne porta tuttora il nome e vedesi fregiata di 21
ico di Euridice trovasi sempre congiunto nei poeti quello di Aristeo, che fu il primo Apicultore dell’Antichità. Egli era f
uno dei Semidei. Ambiva anch’egli di sposare Euridice, e quando seppe che era stato preferito Orfeo, il giorno stesso fissa
stesso fissato per le nozze si diede furibondo ad inseguire Euridice, che fuggendo per la campagna calpestò una vipera, pel
ome riparare a tal perdita, consigliato dalla Madre ricorse a Proteo, che dopo i soliti sutterfugii di molteplici trasforma
isse di sacrificar quattro giovenche in espiazione della sua colpa, e che lasciandone putrefare le carni, ne sorgerebbero n
carni, ne sorgerebbero nuovi sciami a ripopolare i suoi alveari. Quel che disse il vecchio profeta si avverò. Ed ecco una n
Ed ecco una nuova metamorfosi mitologica non mai osservata in natura, che cioè i vermi della putredine si cangino in api me
Il nome e la forza d’Ercole hanno fama tanto divulgata e generale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il
a d’Ercole hanno fama tanto divulgata e generale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il volgo dice che è un
divulgata e generale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il volgo dice che è un Ercole chiunque sia dotato
ale, che non v’è persona che l’ignori : tant’è vero che il volgo dice che è un Ercole chiunque sia dotato di robustezza e f
hiunque sia dotato di robustezza e forza straordinaria. Ma le imprese che si attribuiscono al greco Eroe son tante, perchè
figlio di Anfitrione re di Tebe e di Alcmena sua moglie ; ma fu detto che era figlio di Giove, per render più credibili, se
ue straordinarie e prodigiose gesta. Le quali generalmente si afferma che fossero 12, conosciute sotto il nome di fatiche d
spontaneamente dovunque trovasse da uccider mostri o tiranni. Ammesso che egli fosse figlio di Giove e di Alcmena v’è da as
Ammesso che egli fosse figlio di Giove e di Alcmena v’è da aspettarsi che Giunone lo perseguiterà. Infatti si racconta che
na v’è da aspettarsi che Giunone lo perseguiterà. Infatti si racconta che questa Dea cominciò a perseguitarlo prima che egl
rà. Infatti si racconta che questa Dea cominciò a perseguitarlo prima che egli nascesse. Era scritto nel libro del Fato che
perseguitarlo prima che egli nascesse. Era scritto nel libro del Fato che regnerebbe in Tebe quello dei due cugini (altri d
o che regnerebbe in Tebe quello dei due cugini (altri dicono gemelli) che prima nascesse nella Corte Tebana. Giunone come D
nascesse nella Corte Tebana. Giunone come Dea dei parti fece in modo che nascesse prima Euristèo, e perciò Ercole fosse a
nascesse prima Euristèo, e perciò Ercole fosse a lui sottoposto. Nato che ei fu ed essendo ancora in culla, Giunone gli man
unone gli mandò due grossi serpenti a strangolarlo ; ma il fanciullo, che , per quanto dicono i poeti, anche in culla era de
egno di Giove, strangolò loro. Questo fatto divenne tanto famigerato, che anche i pittori, e principalmente gli scultori si
ipalmente gli scultori si dilettarono di rappresentare Ercole infante che stringe in ciascuna mano un serpente e sta in att
none contro un bambino parve troppo atroce e crudele a tutti gli Dei, che le ne fecero un rimprovero ; ed essa finse di can
si recare in cielo il piccolo Ercole gli diede del suo proprio latte, che però al pargoletto Eroe non piacque e lo lasciò c
re nella volta celeste, ove scorgesi tuttora una striscia biancastra, che perciò gli antichi chiamarono Via lattea ; la qua
milioni di stelle. Galassia la chiamavano i Greci in lor linguaggio, che significa lo stesso che Via lattea nel nostro ; e
ssia la chiamavano i Greci in lor linguaggio, che significa lo stesso che Via lattea nel nostro ; e col greco nome la ramme
inori e maggi « Lumi biancheggia tra i poli del mondo, « Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi. Ercole può dirsi veramente
e un seggio tra gli Dei nel Cielo. Il suo nome in greco fu Heracles, che in quella lingua significa reso illustre da Era,
a Dea. I Latini con poca differenza di ortografia lo dissero Hercules che noi traduciamo per Ercole. Chiamavasi anche Alcid
forza e per traslato virtù, come affermano gli etimologisti. La forza che Ercole manifestò sin dalla prima infanzia andò se
sua impetuosa ci tramandarono un tristo esempio gli Antichi, il solo che sia a disdoro di quest’eroe, che cioè rimproverat
tristo esempio gli Antichi, il solo che sia a disdoro di quest’eroe, che cioè rimproverato dal suo maestro di musica chiam
riferisce il moralissimo racconto di Ercole al Bivio, in cui si finge che il giovane eroe, invece di sceglier la via della
lier la via della Voluttà, per quanto sembrasse amena e piacevole, ma che induceva all’oblio dei proprii doveri e della fam
ii doveri e della fama, preferì quella ardua e malagevole della Virtù che guida al bene della umanità ed alla gloria. Accen
ordine in cui si trovano rammentate da Ausonio in 12 esametri latini, che riporto in nota86 : il titolo delle medesime ne i
uccise Ercole il Leone della selva Nemea, e gli tolse l’irsuto vello, che portò sempre in dosso per manto e come il suo pri
sca corporatura dell’Eroe fanno riconoscere Ercole nelle molte statue che di lui vedonsi ovunque. L’estinto Leone, non si s
one, non si sa per quali suoi meriti, fu cangiato nella costellazione che ne porta il nome, ed è uno dei 12 segni del Zodia
Fatica : L’Idra di Lerna La parola Idra derivando da un vocabolo che significa acqua è il nome che davano gli Antichi
La parola Idra derivando da un vocabolo che significa acqua è il nome che davano gli Antichi ai serpenti aquatici. I Natura
e molteplici teste dell’Idra favolosa. Agli Antichi non bastò il dire che la loro mitologica Idra fosse insanabilmente vele
loro mitologica Idra fosse insanabilmente velenosa, ma vi aggiunsero che avea sette teste, e (maggior maraviglia), che rec
enosa, ma vi aggiunsero che avea sette teste, e (maggior maraviglia), che recisa una testa ne rinascessero due. Questa Idra
se ne accorse Ercole quando vide raddoppiarsi all’Idra tutte le teste che egli tagliava. Adoprò allora anche il fuoco per r
egli tagliava. Adoprò allora anche il fuoco per ristagnare il sangue che sgorgando dalle ferite produceva quel terribile e
e. Ercole fu costretto a chiamare in aiuto il suo servo o amico Jolao che lo schermisse dalle offese di uno dei due nemici,
tagliar le teste all’Idra, e nel sangue di essa tinse le sue freccie che divennero in appresso tanto famose anche nei poet
inghiale di Calidonia. Ercole da sè solo compiè una più ardua impresa che ucciderlo, perchè lo prese vivo e lo portò ad Eur
a impresa che ucciderlo, perchè lo prese vivo e lo portò ad Euristeo, che soltanto a vederlo ebbe a morir di paura. 4ª F
na gran fatica se Ercole avesse dovuto uccidere un sì timido animale, che abitava sul monte Mènalo in Arcadia ; ma poichè q
ante nel parlare della spedizione degli Argonauti, quando raccontammo che Calai e Zete ne avevano liberato Fineo. Ma sembra
ndo raccontammo che Calai e Zete ne avevano liberato Fineo. Ma sembra che la fatica d’Ercole, riferibile alle Arpie, fosse
in questo fatto le Arpie son chiamate uccelli stinfalidi, dall’abitar che facevano presso il lago Stìnfalo in Arcadia. Erco
zzoni Le Donne antiche eran più fiere delle moderne. Oltre quelle che nell’isola di Lenno « Tutti li maschi loro a mor
d’arco, spinsero le loro spedizioni guerresche nell’Asia Minore, non che nella Grecia sino all’Attica ed alla Beozia. Furo
aventi : io riporterò soltanto la più comune e adottata generalmente, che fa derivare la parola Amazzone da due vocaboli gr
eneralmente, che fa derivare la parola Amazzone da due vocaboli greci che significano senza mammella, ed allude a quel che
a due vocaboli greci che significano senza mammella, ed allude a quel che raccontano di queste guerriere i Mitologi, che ci
ella, ed allude a quel che raccontano di queste guerriere i Mitologi, che cioè per esser più spedite a tirar d’arco, si tag
simo cinto di cui si era invogliata Admeta figlia di Euristeo. Coloro che dissero che Ercole oltre a togliere il cinto ad I
i cui si era invogliata Admeta figlia di Euristeo. Coloro che dissero che Ercole oltre a togliere il cinto ad Ippolita la u
ole oltre a togliere il cinto ad Ippolita la uccidesse, non pensarono che questa stessa Amazzone fu data da Ercole in mogli
, perchè si prestò fede al racconto di Orellana compagno di Pizzarro, che nel 1540, quand’egli primo vi penetrò, avesse tro
ni87. 7ª Fatica : Le Stalle di Augia Augìa era un re d’Elide, che possedendo tremila bovi, (altri dicono trentamila
cono trentamila) non aveva mai fatto in dieci anni nettarne le stalle che eran vicine alla città. Dal puzzo che ne usciva t
n dieci anni nettarne le stalle che eran vicine alla città. Dal puzzo che ne usciva temevasi una infezione, tanto lasciando
mente a questo fatto mitologico dicesi ancora oggidì, come in antico, che par la stalla di Augia qualunque abituro ove sia
ituro ove sia poca nettezza. 8ª Fatica : Il Toro Cretense Dopo che Ercole ebbe ucciso il Leon Nemeo e l’Idra di Lern
se, Mythologi certant, et adhuc sub judice lis est ; e poco c’importa che sia data la sentenza definitiva. 9ª Fatica : I
crudeli sono i tiranni ; ed Ercole da par suo non li risparmia. Seppe che Diomede re dei Bistonii in Tracia pasceva di sang
alia tutte piene « Son di tiranni, ed un Marcel diventa « Ogni villan che parteggiando viene. » Ci vorrebbe sempre un Erco
’ di mano, » come l’antico, a purgarne la Terra. Ercole aveva saputo che nella Spagna esisteva un re di statura gigantesca
corpi, tre teste e sei ale ; e più mostruoso era l’ animo suo crudele che dilettavasi di straziare i popoli, e dar, come Di
n esse i Pirenei e le Alpi per ritornare in Grecia. Di questo viaggio che diede occasione ad altre straordinarie imprese di
non comandate a lui da Euristeo, parleremo fra poco. Qui convien dire che quando egli fu giunto allo stretto, che ora dices
mo fra poco. Qui convien dire che quando egli fu giunto allo stretto, che ora dicesi di Gibilterra e allora di Gades, ivi a
esto stretto due colonne coll’ iscrizione : Non più oltre. Fu creduto che fosse questo un avvertimento, che dava Ercole ai
rizione : Non più oltre. Fu creduto che fosse questo un avvertimento, che dava Ercole ai naviganti, di non avanzarsi nell’O
nete, dette perciò volgarmente colonnati. Non deve credersi per altro che le così dette colonne d’Ercole fossero fatte come
i Da Espero fratello di Atlante deriva il patronimico di Espèridi che perciò significa le figlie di Espero ; le quali e
d Esperetusa 88. Avevano esse nell’Affrica un bel giardino con alberi che producevano pomi di solido oro ; ma perchè questi
a compiersi nell’Inferno ; ed Ercole vi si accinse ben più volentieri che alle altre, perchè trattavasi di liberar l’amico
icie della Terra per farlo vedere ad Euristeo, e poi lo lasciò libero che se ne ritornasse all’Inferno. I poeti aggiungono
lo lasciò libero che se ne ritornasse all’Inferno. I poeti aggiungono che il can Cerbero arrivato all’aria aperta sparse su
ianta erbacea chiamata Acònito, dalle cui foglie estraesi l’aconitìna che spiega una potente azione velenosa sull’economia
a potente azione velenosa sull’economia animale. Dante ci fa supporre che Cerbero trascinato da Ercole tentasse di resister
e di prima a combattere : la madre Terra rendevagli novelle forze. Di che accortosi Ercole, lo sollevò per aria e lo soffoc
 Anteo re di Libia assaltato da Ercole Egizio fu insuperabile, mentre che lo aspettò dentro a’confini del suo regno ; ma co
, perdè lo Stato e la vita. E ne deduce questo politico insegnamento, che quando i regni sono armati, come era armata Roma,
perchè questi corpi possono avere più forze a resistere ad uno impeto che non possono ad assaltare altrui. » Questo Anteo
on possono ad assaltare altrui. » Questo Anteo è uno di quei giganti che Dante dice di aver veduto nell’Inferno, anzi fu q
nti che Dante dice di aver veduto nell’Inferno, anzi fu quello stesso che pregato da Virgilio prese colle sue mani i due po
grande altezza nel profondo dell’Inferno : « Ma lievemente al fondo che divora « Lucifero con Giuda ci posò ; « Nè sì chi
evò. » (Inf., xxxi,v. 142.) Tra i più famosi masnadieri e assassini che Ercole uccise è da rammentarsi principalmente il
ammentarsi principalmente il gigante Caco. È questo un vocabolo greco che significa cattivo o malvagio 91, e perciò fu dato
questo mostro per antonomasia, ad indicare cioè il più gran malvagio che sia mai esistito. I poeti dicono che era figlio d
dicare cioè il più gran malvagio che sia mai esistito. I poeti dicono che era figlio di Vulcano e che abitava in una cavern
agio che sia mai esistito. I poeti dicono che era figlio di Vulcano e che abitava in una caverna del Monte Aventino, che eg
ra figlio di Vulcano e che abitava in una caverna del Monte Aventino, che egli chiudeva con un macigno e con ordigni di fer
, ed ivi le lasciò a pascere per andare a far visita al greco Evandro che abitava sul prossimo colle, che poi fu detto il P
andare a far visita al greco Evandro che abitava sul prossimo colle, che poi fu detto il Palatino. In questo tempo Caco ru
andate. Ercole però se ne accorse dai muggiti delle giovenche rubate che rispondevano a quelli delle loro compagne ; ed ap
compagne ; ed aperta a forza la caverna, a colpi di clava uccise Caco che inutilmente gettava contro di lui fumo e fiamme d
lla bocca e dalle narici. Tutti i vicini ne furono talmente contenti, che eressero ad Ercole un’ara appellata Massima ed iv
avvenimento furono a gara descritte da Virgilio e da Ovidio ; e Dante che vide Caco nell’Inferno lo fa rammentar concisamen
vicino : « Onde cessâr le sue opere biece « Sotto la mazza d’Ercole, che forse « Glie ne diè cento, e non sentì le diece. 
on sentì le diece. » (Inf., xxv, v. 25.) Alcuni Mitologi raccontano che Ercole per far riposare Atlante dalla fatica di s
o colle spalle, si sottopose a quel peso per un giorno ; e suppongono che l’Eroe Tebano fosse già adulto a tempo di Perseo,
cemmo. Non apparisce però da altri fatti o invenzioni della Mitologia che Ercole fosse contemporaneo di Perseo. Non staremo
Ercole fosse contemporaneo di Perseo. Non staremo a narrar la mischia che ebbe Ercole coi Centauri, perchè nulla di straord
sario effetto di tutte le risse e di tutte le guerre. Diremo soltanto che i Centauri erano mezzi cavalli e mezzi uomini ; c
racconto dei re di Troia. Basti qui l’avere accennate queste imprese che in appresso racconteremo più a lungo. È tempo orm
ueste imprese che in appresso racconteremo più a lungo. È tempo ormai che Ercole abbia un poco di riposo dalle sue moltepli
e abbia un poco di riposo dalle sue molteplici e sovrumane fatiche, e che noi assistiamo alle nozze di lui, senza trascurar
lui, senza trascurar però di notare in appresso qualche sua debolezza che in ultimo fu causa della sua morte ; la quale per
gli da lui sposate in Grecia, ed anche una in Italia, e questa dicono che fu la figlia di Evandro. Ebbe perciò molti figli,
e questa dicono che fu la figlia di Evandro. Ebbe perciò molti figli, che nella Mitologia e nella Storia Greca son tutti co
di Eràclidi, patronimico significante figli e discendenti di Eracle, che è il greco nome, come abbiam detto, di Ercole. Ma
rciò da Omero chiamato il re dei fiumi. Questi fu il solo pretendente che non cedesse al nome ed alla fama del valore di Er
te che non cedesse al nome ed alla fama del valore di Ercole, il solo che osò cimentarsi con lui in singolar tenzone, fidan
imentarsi con lui in singolar tenzone, fidandosi forse nel privilegio che avea di trasformarsi in toro e in serpente. Infat
o e in serpente. Infatti combattè anche sotto queste due forme, oltre che in quella di Nume fluviatile ; ma Ercole avvezzo
Nesso sentendosi mortalmente ferito si vendicò col persuader Deianira che quella sua veste insanguinata sarebbe un talisman
mpo ricominciò la sua vita randagia e di avventure, e la Fama divulgò che a menomar la gloria delle sue imprese eroiche, av
a donna fra le ancelle di Onfale regina di Lidia ; e fu detto inoltre che egli voleva sposare la bella e giovane Jole figli
e di strapparsi di dosso quella tunica, ma era sì aderente alla pelle che ne venivano insieme a brani le carni ; e mentre f
arni ; e mentre furibondo cercava una fonte ove gittarsi, veduto Lica che impaurito erasi nascosto dietro una rupe, credè c
o scagliò tre miglia lontano nel mare, ove fu cangiato in uno scoglio che si chiamò e tuttora chiamasi Lica. Ma trovando in
to le freccie tinte nel sangue dell’Idra di Lerna all’amico Filottete che era presente, imponendogli però di sotterrarle e
antichi diedero il nome di Ercole ad una delle costellazioni boreali che è composta di 128 stelle ; e gli Astronomi modern
8 stelle ; e gli Astronomi moderni, incominciando da Herschel, dicono che il nostro Sole con tutto il cortèo dei pianeti è
scana. I poeti cantarono concordemente inni a quest’Eroe94, e dissero che era stato posto in cielo e nel numero degli Dei
o degli Dei « Non già perchè figliuol fosse di Giove, « Ma per mille che ei fece illustri prove95. » XLIX CastoRe e
Leda sua moglie ; mitologicamente son figli di Giove, di cui fu detto che comparve a Leda sotto la forma di Cigno. Inventat
ta questa trasformazione di Giove in cigno, i Mitologi fantasticarono che Leda avesse partorito due uova ; che in uno vi fo
cigno, i Mitologi fantasticarono che Leda avesse partorito due uova ; che in uno vi fossero Polluce ed Elena, e nell’altro
Elena, e nell’altro Castore e Clitennestra. I più antichi affermarono che Polluce ed Elena, nati dallo stesso uovo, eran fi
eran figli di Giove, e perciò Semidei, mentre Castore e Clitennestra, che uscirono dall’altro uovo, eran figli di Tindaro,
ran figli di Tindaro, e perciò semplici mortali. Orazio poi asserisce che Castore e Polluce nacquero dall’ uovo stesso96, s
e che Castore e Polluce nacquero dall’ uovo stesso96, senza escludere che l’un fratello fosse mortale e l’altro immortale.
verità soltanto è una. La storiella dell’uovo divenne tanto popolare che se ne formò il proverbio latino ab ovo per signif
re dalla prima origine, alludendosi all’origine della guerra Troiana, che derivò da un uovo, da quello cioè da cui nacque l
izione degli Argonauti a cui presero parte, come dicemmo, si racconta che mossero guerra agli Ateniesi per ritogliere ad es
ero guerra agli Ateniesi per ritogliere ad essi la loro sorella Elena che era stata rapita da Teseo ; ma avendola trovata n
ero via entrambe senza incontrare verun ostacolo. L’impresa più utile che fecero a vantaggio della umanità fu di purgare il
avigazione ; e perciò Orazio li invoca propizii al suo amico Virgilio che andava per mare nell’Attica. Ebbero poi a sostene
’Attica. Ebbero poi a sostenere un duello coi pretendenti delle spose che avevano scelte. Eran queste due sorelle chiamate
scelte. Eran queste due sorelle chiamate Febèa ed Ilaìra o Talaìra, e che dai parenti erano state promesse a due fratelli L
promesse a due fratelli Linceo ed Ida. L’esito del duello fu questo, che Linceo uccise Castore, e che Polluce, per vendica
eo ed Ida. L’esito del duello fu questo, che Linceo uccise Castore, e che Polluce, per vendicar la morte del fratello, ucci
r l’affetto costante ai loro sposi, e principalmente Ilaira o Talaira che serbò fede sino alla morte all’ombra di Castore.
dagli Dei di star per lui la metà dell’anno nel regno delle Ombre, e che egli a vicenda stesse per sei mesi nel Cielo. Gli
cenda stesse per sei mesi nel Cielo. Gli Astronomi antichi aggiunsero che questi due affettuosissimi fratelli furon cangiat
mi fratelli furon cangiati nella costellazione dei Gemini, o Gemelli, che è quel segno del Zodiaco in cui, secondo l’antico
no col telescopio sino a 85 stelle, ma quasi tutte piccolissime, meno che due di prima grandezza, le quali perciò si scorgo
nte in pittura, con una stella sopra la fronte. Credevano gli Antichi che quando compariva questa costellazione, si rassere
empeste, come dice Orazio nell’Ode 12ª del lib. i 98 ; ma è probabile che confondessero le stelle di Castore e Polluce coll
i Sant’Elmo (come le chiamano i marinari), fenomeno di luce elettrica che sovente si osserva sulle punte delle antenne e de
, « Se non uscisse fuor del cammin vecchio. » La chiama poi il segno che segue il Tauro, quando racconta che questa fu una
ecchio. » La chiama poi il segno che segue il Tauro, quando racconta che questa fu una delle sue stazioni nell’ascendere a
, o lume pregno « Di gran virtù, dal quale io riconosco « Tutto, qual che si sia, il mio ingegno ; « Con voi nasceva, e s’a
co. » (Parad., C. xxii, v. 107…..) Finalmente alludendo alla favola che Castore e Polluce fossero nati da un uovo partori
Leda nella seguente terzina del C. xxvii del Paradiso : « E la virtù che lo sguardo m’indulse, « Del bel nido di Leda mi d
 » L Minosse re e legislatore dei Cretesi Dicemmo nel N° XXX che Minosse era figlio di Giove e di Europa, la quale
re di quel popolo. Nella sua vita pubblica appartiene più alla Storia che alla Mitologia ; ed all’opposto nella vita privat
ed all’opposto nella vita privata, o di famiglia, più alla Mitologia che alla Storia. La Cronologia greca fissa l’epoca de
ichi (tranne qualche autore drammatico ateniese), si accordano a dire che fu giustissimo ; e perciò si credè che dopo la mo
ateniese), si accordano a dire che fu giustissimo ; e perciò si credè che dopo la morte divenisse il primo dei tre giudici
moglie Pasifae, una delle figlie del Sole, dalla quale ebbe un figlio che fu chiamato Androgeo e due figlie di nome Arianna
eo e due figlie di nome Arianna e Fedra. Dipoi i Mitologi aggiunsero, che Pasifae, avendo veduto un bel toro bianco ed esse
uto un bel toro bianco ed essendole molto piaciuto, partorì un mostro che era mezz’uomo e mezzo toro ; il quale fu chiamato
mposta dei nomi di Minosse e di Tauro, ossia toro101. Di più fu detto che questo mostro era carnivoro e pascevasi anche di
llo di Chiusi, attribuito al re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi che ancor ne restano, pare che fosse un ipogeo come l
l re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi che ancor ne restano, pare che fosse un ipogeo come le catacombe dei primi Crist
e anch’egli nell’acqua e rimase annegato in quel tratto del mare Egeo che bagna le isole Sporadi e la prossima costa dell’A
tichi fu perciò chiamato Icario dal nome di questo incauto giovinetto che vi annegò102. I classici antichi encomiano tanto
02. I classici antichi encomiano tanto l’ingegno inventivo di Dedalo, che del suo nome formarono un aggettivo che significa
’ingegno inventivo di Dedalo, che del suo nome formarono un aggettivo che significa mirabilmente ingegnoso 103, e diedero q
ingegnoso 103, e diedero questo epiteto anche ad alcune Divinità, non che alle più straordinarie opere d’arte. Anche l’Ario
chiamò Dedalo Architetto chi costruì il gran palazzo di gemme e d’oro che il Duca Astolfo trovò nel mondo della Luna. Dante
parlando a giuoco : « Io mi saprei levar per l’aere a volo ; « E quei che avea vaghezza e senno poco, « Volle ch’io gli mos
ssi l’arte, e solo « Perch’io nol feci Dedalo, mi fece « Ardere a tal che l’avea per figliuolo. » Dante rammenta anche il
ioè di aver precipitato dalla fortezza di Atene il suo nipote Perdice che dimostrava con nuove invenzioni ingegnosissime di
te storico ; ma entra nel dominio della Mitologia, quando si aggiunge che Minerva protettrice degl’ingegni cangiò quest’ in
ce degl’ingegni cangiò quest’ infelice giovinetto in pernice, animale che vola terra terra, perchè memore, come dice Ovidio
come dice Ovidio, dell’antica caduta105 Di Minosse raccontasi ancora che liberò i mari vicini dai pirati ; ma questa impre
Polluce, come abbiamo già detto. Notabilissima per altro è la guerra che Minosse fece agli Ateniesi non tanto per la causa
tro è la guerra che Minosse fece agli Ateniesi non tanto per la causa che la fece sorgere, quanto e più ancora per gli stra
he la fece sorgere, quanto e più ancora per gli straordinarii effetti che ne derivarono. Androgeo figlio di Minosse ed ere
se ed erede del trono era così valente negli esercizii della palestra che superava tutti i competitori nei pubblici giuochi
, e avendoli vinti impose ad essi un tributo di sangue, esigendo cioè che fossero mandati in Creta 7 giovanetti e 7 giovane
sso nel parlare di quest’Eroe. LI Teseo Gli Ateniesi ambirono che il loro Eroe Teseo a cui tanto è debitrice l’Atti
ori lo resero famoso non meno dell’Eroe Tebano106. Lo stesso Plutarco che è sì credulo e miracolaio ed inserisce nelle sue
arlega alcuna colla probabilità, mi sarà d’uopo avere uditori benigni che accolgano senza rigore ciò che si narra intorno a
, mi sarà d’uopo avere uditori benigni che accolgano senza rigore ciò che si narra intorno a fatti sì antichi. » E di certo
torno a fatti sì antichi. » E di certo neppur la decima parte di quel che egli narra di Teseo è da considerarsi come verità
nacque il proverbio : Non senza Teseo, per alludere a qualche persona che sempre si trova in tutte le comitive, o Comitati,
qualche persona che sempre si trova in tutte le comitive, o Comitati, che prende parte in tutte le imprese o speculazioni.
cita, la vita, la morte e i pretesi miracoli. Non bastò agli Ateniesi che Teseo fosse figlio di un loro re, ma dissero che
bastò agli Ateniesi che Teseo fosse figlio di un loro re, ma dissero che era figlio di Nettuno, e così lo fecero appartene
chè anzi, come vedremo in appresso, gli nocque. Contenti dalla boria che il loro Eroe fosse di origine divina, non vollero
Cecrope, aveva sposato Etra figlia di Pitteo re di Trezene nel tempo che era ospite in casa di lui ; ma dovendo partir per
sa di lui ; ma dovendo partir per la guerra, lasciò ad Etra una spada che essa dovea consegnare al figlio quando fosse adul
i mosse tosto per andarlo a trovare. L’avo e la madre avrebber voluto che egli andasse ad Atene per mare con viaggio più br
di schivare, ma di affrontare i pericoli dei masnadieri e dei mostri che infestavano quelle regioni. E qui incominciano i
uoi fatti eroici ; dei quali accenneremo soltanto i più straordinarii che si distinguono per qualche singolarità da quelli
masnadieri coi quali combattè è da rammentarsi l’assassino Perifete, che era armato di una clava di rame ; Teseo lo uccise
clava la portò sempre come il suo primo trofeo, a imitazione di quel che fece Ercole della pelle del Leon Nemeo. In Eleusi
pelle del Leon Nemeo. In Eleusi vinse ed uccise nella lotta Cercione che era stimato invincibile. Avanzandosi nell’Attica
invincibile. Avanzandosi nell’Attica incontrò il masnadiere Procuste, che costringendo i passeggieri a prendere ospizio in
n un letto, e poi se eran più lunghi di quello tagliava loro le gambe che sopravanzavano, e se eran più corti li faceva giu
i nelle gazzette), ossia senza farsi conoscere, aspettava l’occasione che il re Egeo da sè stesso lo riconoscesse per figli
e raggiri) sull’animo del vecchio re Egeo, gli fe’nascere il sospetto che quello straniero volesse impadronirsi del regno ;
in un pranzo. Teseo fu invitato a corte ; e nel porsi a mensa avvenne che Egeo vide la spada del giovane Eroe, e riconosciu
sse), nel numero dei giovani destinati per cibo al Minotauro. La nave che portava a Creta queste innocenti vittime aveva in
e innocenti vittime aveva in segno di lutto le vele nere. Egeo ordinò che al ritorno, se era reduce il figlio, vi si mettes
nosso capitale dell’isola di Creta il giorno avanti i funebri giuochi che Minosse faceva celebrare in onor del suo estinto
con cui superò i più famosi competitori ; e a tutti dispiacque, e più che agli altri ad Arianna figlia di Minosse, che quel
tutti dispiacque, e più che agli altri ad Arianna figlia di Minosse, che quel giovane Eroe dovesse sì tosto miseramente pe
e per non poter ritrovare l’uscita. Dal primo, era ben sicura Arianna che Teseo avrebbe saputo difendersi ; provvide dunque
birinto coi giovanetti e colle giovanette Ateniesi, e trovata Arianna che l’aspettava, entrò con sì bella e giuliva compagn
na che l’aspettava, entrò con sì bella e giuliva compagnia nella nave che era pronta a far vela, e si diressero tutti insie
rso Atene. L’invenzione del filo di Arianna divenne tanto famigerata, che anche nelle lingue moderne vi si allude metaforic
uro e del filo di Arianna parla anche Dante nell’Inferno, ove afferma che egli trovò il Minotauro a guardia del 7° cerchio
o libero il passo, fa dire da Virgilio : « ……………….. Forse « Tu credi che qui sia ‘l Duca d’Atene, « Che su nel mondo la mo
Fortunatamente per essa giunse il giorno stesso in quell’isola Bacco, che la fece sua sposa, come dicemmo parlando di quest
avanzava per mare senza ricordarsi di cangiar le vele alla nave. Egeo che tutti i giorni andava sopra una altura sporgente
e vi annegò. D’allora in poi dagli Antichi fu detto Mare Egeo quello che ora chiamasi l’Arcipelago. La letizia di Teseo ne
prima dei più celebri fatti felicemente da lui compiuti, rammenteremo che egli prese vivo il cinghiale di Maratona e lo sac
li aveva prima combattuto in compagnia d’Ercole ; e poi, secondo quel che dice Plutarco, « uccise Tèrmero cozzando insieme
Teseo andò gastigando i ribaldi usando contro di loro quella violenza che essi usavano contro degli altri ; onde nel modo s
ravano, fossero giustamente puniti 108. » Alcuni Mitologi asserirono che Teseo uccidesse ancora Falàride tiranno di Agrige
tto, come dice Dante, ossia fu pena ben meritata dall’iniquo artefice che si fece ministro di crudeltà del più efferato tir
a similitudine nel Canto xxvii dell’Inferno : « Come ‘l bue Cicilian che mugghiò prima « Col pianto di colui (e ciò fu dri
a temperato con sua lima, « Mugghiava con la voce dell’afflitto, « Sì che , con tutto ch’e’fosse di rame, « Pure el pareva d
molte volte di questo toro nelle sue opere, e dice fra le altre cose, che essendo conservato in Agrigento come una rarità e
pena i due campioni si furon veduti nacque tra loro una tal simpatia, che , deposte le armi, si abbracciarono e divennero i
i più fidi amici dell’antichità. Senza citare i poeti, dirò soltanto che anche Cicerone rammenta Teseo come esempio di ver
vera amicizia. Quando Piritoo sposò Ippodamia, s’indovina facilmente che Teseo fosse il primo ad essere invitato alla fest
ile assai la sua presenza e l’opera del suo forte braccio per impedir che all’amico fosse tolta la sposa e la vita dai Cent
nchetto di nozze. Storicamente i Centauri eran popoli della Tessaglia che primi impresero a domare i cavalli e sottoporli a
rvigii ; e chi per la prima volta da lontano li vide cavalcare, credè che uomo e cavallo fossero un solo animale mostruoso
i queste due forme o nature111. Mitologicamente poi non solo fu detto che i Centauri erano mezzi uomini e mezzi cavalli, ma
tto che i Centauri erano mezzi uomini e mezzi cavalli, ma si aggiunse che eran nati dalle Nuvole ; e per quanto sia strana
o chi diceva : « Ricordivi, dicea, de’maladetti « Ne’nuvoli formati, che satolli « Teseo combattêr co’doppi petti. » I p
ssendo riscaldati dal vino, manifestarono la loro natura più bestiale che umana, tentando di rapire la sposa ed altre donne
he umana, tentando di rapire la sposa ed altre donne convitate : onde che nacque una tal mischia così terribile e sanguinos
vitate : onde che nacque una tal mischia così terribile e sanguinosa, che quasi tutti i poeti (tra questi anche Dante come
m veduto) o la descrivono o almeno vi alludono112. Se non v’era Teseo che facesse prodigii di valore, la vittoria restava a
o uccisi o feriti113. Non v’era però fra questi il Centauro Chirone, che fu il più umano e il più sapiente e dotto, non so
u il più umano e il più sapiente e dotto, non solo fra i Centauri (il che non sarebbe un gran vanto) ma fra tutti gli antic
nno a mille a mille « Saettando qual’anima si svelle « Del sangue più che sua colpa sortille. » Anche nelle Belle Arti fu
oggie dell’Orgagna in Firenze. Tralasciando di parlare di altri fatti che nulla hanno di straordinario o singolare, la magg
essersi aiutati scambievolmente nelle più strane e perigliose imprese che o all’uno o all’altro venisse in idea di tentare.
nell’isola di Nasso : e qui non si sa intendere come Fedra, dopo quel che era accaduto alla sorella, non sospettasse della
ausa di gravissimo lutto. Essendo già adulto Ippolito, parve da prima che Fedra, deposto il madrignal talento, come direbbe
nile stizza la benevolenza, lo calunniò con tal sopraffina malignità, che Teseo divenne crudele contro il proprio figlio ;
farsene micidiale egli stesso, ottenne da Nettuno (creduto suo padre) che punisse Ippolito. Lo stesso Cicerone riferisce qu
te del figlio, ed avendola impetrata, cadde in gravissimo lutto. » Il che dice il romano oratore per dimostrare che non deb
e in gravissimo lutto. » Il che dice il romano oratore per dimostrare che non debbonsi mantener le promesse quando le cose
e quando le cose dimandate sono dannose a chi le richiede115. Il modo che tenne Nettuno per appagar Teseo si fu di far comp
eseo si fu di far comparire all’improvviso un mostro marino nel tempo che Ippolito in cocchio passava lungo la spiaggia del
amente tra gli scogli ove miseramente perì. Altri Mitologi aggiungono che Ippolito fu risuscitato da Esculapio e trasportat
n splendida pompa e con sacrifizi, come se stato fosse Teseo medesimo che ritornasse. » Ogni anno poi facevangli un grandis
dicemmo della origine mirabilissima di Tebe, di cui altra non havvene che sia più maravigliosa : sappiamo inoltre che da ma
di cui altra non havvene che sia più maravigliosa : sappiamo inoltre che da madre Tebana nacque Bacco ; di sangue Tebano f
e della vita di questo re raccontansi soltanto due fatti : il primo, che egli avendo saputo dall’Oracolo di dover essere u
ta sua moglie, diede ordine di farlo perire appena nato ; il secondo, che non ostante non potè sfuggire il suo destino, e f
Ma invece di una fiera crudele passò prima di là un pietoso pastore, che lo prese e lo portò alla sua capanna e lo tenne c
portò alla sua capanna e lo tenne come suo figlio, chiamandolo Edipo, che significa piede gonfio, perchè aveva enfiato il p
e pel quale fu sospeso all’albero. Cresciuto Edipo si accorse o seppe che il pastor Forba (o secondo altri Polibo) non era
el tempo infestava le vicinanze di Tebe un mostro chiamato la Sfinge, che aveva ucciso molte persone e sbigottito tutti, fu
 ; e se non lo indovinavano li strangolava ; il nome stesso di Sfinge che le fu dato dai Greci significa Strangolatrice. Er
u dato dai Greci significa Strangolatrice. Era però voler del destino che se qualcuno indovinasse il suo enigma, sarebbe to
lo fermò e gli diede a indovinar quest’enigma : Qual è quell’animale che la mattina va con quattro piedi, a mezzogiorno co
la sera con tre ? Edipo rispose : l’uomo ; e ne diede la spiegazione che il nostro poeta Berni ha messa in versi : « …………
ocasta e fu proclamato re di Tebe. Gli nacquero in appresso due figli che furono chiamati Eteocle e Polinice, e due figlie
una fiera pestilenza devastava il regno ; e dall’Oracolo fu risposto che per farla cessare conveniva bandire dallo Stato l
ciso Laio, come pure dai connotati della persona dell’estinto scuoprì che ne era stato egli stesso l’uccisore ; e inoltre r
anzia e confrontando le relazioni del pastor Forba e quelle del servo che aveva esposto nel bosco il regio infante, compres
elle del servo che aveva esposto nel bosco il regio infante, comprese che egli era figlio di Laio e parricida, e che Giocas
il regio infante, comprese che egli era figlio di Laio e parricida, e che Giocasta era sua madre. Allora inorridito di ques
ore li modificò o alterò secondo la sua fantasia e lo scenico effetto che ne sperava : tutti però si accordano nel dire che
lo scenico effetto che ne sperava : tutti però si accordano nel dire che egli morì lungi da Tebe di disagio e di cordoglio
iò a regnare in Tebe, e dimostrò subito indole da despota e non da re che dopo un anno doveva diventar suddito ; quindi inv
e, divenuto suo suocero, ad aiutarlo a ricuperare il regno. La guerra che ne seguì fu detta dei sette Prodi, perchè sette f
lli, ci affretteremo a parlar di questo, tacendo delle inutili stragi che lo precedettero, e riserbandoci in ultimo a dar n
cchio a nessuna transazione o accordo ; e istigato dallo zio Creonte, che sperava di profittare della discordia dei nipoti
per l’ultima volta ; e, raccolte tutte le sue forze, con un pugnale, che portava sempre nascosto fra le vesti, uccise prod
di lui, con questa infernale soddisfazione spirò. I poeti inventarono che posti i corpi di entrambi i fratelli ad ardere ne
nello stesso rogo, le fiamme della pira si divisero, segno sensibile che l’avversione degli animi loro erasi comunicata a
rodigio fa menzione anche Dante là dove parlando della duplice fiamma che ricuopre nell’Inferno le anime di Ulisse e di Dio
che ricuopre nell’Inferno le anime di Ulisse e di Diomede, egli dice che quella fiamma « ……. par surger dalla pira « Ove
e tosto uno dei più esecrati tiranni. E per primo atto inumano proibì che fossero seppellite le ceneri di Polinice, dichiar
n potè co’suoi delitti esser felice com’egli credeva ; poichè avvenne che il figlio di lui Emone essendo invaghito di Antig
Ennemis di Racine ? Troppo lungo sarebbe l’enumerare soltanto i poeti che rammentano queste atrocità Tebane. E basterà cita
i poeti che rammentano queste atrocità Tebane. E basterà citar Dante che molte volte ne parla o vi allude. Oltre l’esempio
hiamare Eteocle e Polinice la doppia tristizia di Giocasta, e narrare che trovansi nel Limbo « Antigone, Deifile ed Argia
eifile ed Argia « Ed Ismene sì trista come fue. » Dei prodi generali che aiutarono Polinice nella guerra di Tebe parleremo
alcun momento nel determinar le catastrofi della real famiglia Tebana che abbiamo già raccontate. LIII I sette Prodi e
città, perchè l’Oracolo gli aveva predetto (o egli l’aveva sognato), che sarebbero state rapite da un leone e da un cinghi
questi sposi la spiegazione della risposta dell’oracolo (o del sogno che fosse), che tanto lo aveva tenuto in sospetto e t
i la spiegazione della risposta dell’oracolo (o del sogno che fosse), che tanto lo aveva tenuto in sospetto e timore per le
come fratello di Meleagro una pelle di cinghiale, Adrasto interpretò che le parole dell’Oracolo si riferissero a questi du
che le parole dell’Oracolo si riferissero a questi due giovani Eroi, che gli avrebbero rapite le figlie sposandole e condu
asciatore plenipotenziario Tideo, l’altro suo genero. Bisogna credere che Adrasto non conoscesse bene l’indole di questo su
andogli una sì delicata missione, poichè questi è quello stesso Tideo che « …………… rose « Le tempie a Menalippo per disdegn
rale avvelenato morì sotto le mura di Tebe. Ebbe da Deifile un figlio che fu il famoso Diomede, il più valoroso, dopo Achil
so Diomede, il più valoroso, dopo Achille, fra tutti i capitani greci che andarono alla guerra di Troia. Di Ippomedonte è d
che andarono alla guerra di Troia. Di Ippomedonte è da dirsi soltanto che egli era nipote di Adrasto e valorosissimo ; ma d
li pure morì alla guerra di Tebe. Capanèo era un Argivo arditissimo, che primo inventò di dar la scalata alle fortezze. Al
gi del Sole sul mezzogiorno. Ma Giove gli fece conoscer la differenza che v’era, fulminandolo mentre egli dava la scalata a
va la scalata alle mura di Tebe, e precipitandolo nell’Inferno. Dante che aborre gli empi senza alcuna religione, e li chia
mpi senza alcuna religione, e li chiama violenti contro Dio, ci narra che egli vide Capaneo nell’Inferno sotto una pioggia
i narra che egli vide Capaneo nell’Inferno sotto una pioggia di fuoco che cadeva dall’alto « ……….. in dilatate falde, « Co
in dilatate falde, « Come di neve in alpe senza vento ; » e aggiunge che anche laggiù quell’anima dannata sfidava il supre
anche laggiù quell’anima dannata sfidava il supremo dei Numi, dicendo che quantunque Giove lo sættasse di tutta sua forza,
« Non ne potrebbe aver vendetta allegra. » A questo punto Dante fa che Virgilio gli rintuzzi severamente la sua impotent
ente la sua impotente stizza con queste parole : « O Capaneo, in ciò che non s’ammorza « La tua superbia, se’ tu più punit
ammorza « La tua superbia, se’ tu più punito : « Nullo martirio, fuor che la tua rabbia, « Sarebbe al tuo furor dolor compi
Quest’uomo bestiale aveva una moglie affettuosissima chiamata Evadne che non volle sopravvivere ad esso, e si gettò nel ro
funebri onori. Dal loro connubio era nato un figlio di nome Stènelo, che fu poi uno dei più valorosi guerrieri all’assedio
atello di Adrasto, ed altri figlio di Atalanta, la famosa cacciatrice che fu la prima a ferire il cinghiale di Calidonia. P
rato di Anfiarao e della sua famiglia. Essendo egli indovino, previde che sarebbe stato tutt’altro che felice l’esito della
famiglia. Essendo egli indovino, previde che sarebbe stato tutt’altro che felice l’esito della spedizione contro Tebe, e pe
istenza e sollecitazione, si nascose. Ma Polinice a cui stava a cuore che non mancasse in quella impresa un così saggio e p
guerra, e sicuro di dovervi perire, lasciò detto al figlio Alcmeone, che appena udita la sua morte lo vendicasse. Perì di
rologi, argomento di predizioni, gli si aperse sotto i piedi la terra che lo inghiottì, e vivo precipitò nel regno delle Om
iottì, e vivo precipitò nel regno delle Ombre117. Gli antichi dissero che non andò al Tartaro ma agli Elisii, e che in Grec
bre117. Gli antichi dissero che non andò al Tartaro ma agli Elisii, e che in Grecia aveva un Oracolo dei più celebrati e re
acolo dei più celebrati e rendeva responsi dei più veridici. Ma Dante che non credeva concessa all’uomo la facoltà d’indovi
he non credeva concessa all’uomo la facoltà d’indovinare il futuro, e che perciò stimava un’impostura l’arte dell’Indovino,
tesi Indovini antichi e moderni. Dice di averlo veduto egli stesso, e che Virgilio glielo indicò dicendo : « Drizza la te
chè lasci la guerra ? « E non restò di ruinare a valle « Fino a Minòs che ciascheduno afferra. « Mira che ha fatto petto de
stò di ruinare a valle « Fino a Minòs che ciascheduno afferra. « Mira che ha fatto petto delle spalle : « Perchè volle vede
etto in una similitudine del Canto iv del Paradiso : « Come Alcmeone che di ciò pregato « Dal padre suo, la propria madre
rte di Anfiarao e di Erifile, riuscì funesto anche al figlio Alcmeone che ne fu l’erede. Ne fece egli un dono alla sua prim
dei figli di Edipo produsse una serie infinita di guai e di sciagure che di conseguenza in conseguenza durarono per molti
avesse perduto ambedue i suoi generi ed una delle sue due figlie, non che il fratello e la sorella, il cognato e il nipote 
, o discendenti ; ed ebbe luogo dieci anni dopo la prima per aspettar che questi rampolli fosser cresciuti ed atti alle bat
notizie : devastazioni e stragi non ne mancarono ; e v’è chi afferma che fu anche saccheggiata la città di Tebe e che Ters
rono ; e v’è chi afferma che fu anche saccheggiata la città di Tebe e che Tersandro figlio di Polinice ne prendesse il gove
che Tersandro figlio di Polinice ne prendesse il governo ; e inoltre che molti Tebani prima del saccheggio preferirono di
litti. Nel parlare dei dannati celebri dell’ Inferno pagano, dicemmo che padre di Pelope fu Tantalo condannato alle pene d
ne le carni per cibo alla mensa dei Numi da lui convitati ; e inoltre che Pelope fu restituito alla sua pristina forma corp
lla sua pristina forma corporea e risuscitato da Giove. Ora è a dirsi che egli sposò Ippodamia figlia di Enomao, re d’ Elid
Enomao, re d’ Elide e Pisa119, ed ebbe molti figliuoli e discendenti che sono in comune appellati col patronimico di Pelop
modo con cui Pelope ottenne la sposa non è senza delitto. Si racconta che Enomao era riluttante dal maritare la sua unica f
itare la sua unica figlia Ippodamia, perchè aveva saputo dall’Oracolo che il genero sarebbe causa della morte del suocero ;
a Mìrtilo cocchiere diEnomao, lo indusse a toglier dall’asse il ferro che riteneva le ruote del cocchio del re ; e così Eno
’ amministrazione del regno fu così fortunato e divenne tanto potente che estese il suo dominio su tutta quella penisola de
tente che estese il suo dominio su tutta quella penisola della Grecia che ora chiamasi Morea, e che dal nome di Pelope fu d
minio su tutta quella penisola della Grecia che ora chiamasi Morea, e che dal nome di Pelope fu detta dagli antichi Pelopon
elope fu detta dagli antichi Peloponneso. Da Ippodamia ebbe sei figli che tutti divennero re, ma i più noti per fama infame
e più orribili dalle amplificazioni degli antichi pœti. Basti il dire che Atreo sospettando che la sua propria moglie fosse
mplificazioni degli antichi pœti. Basti il dire che Atreo sospettando che la sua propria moglie fosse segretamente d’accord
ortare in tavola i teschi delle due misere vittime. I pœti aggiungono che in quel giorno il Sole inorridito ritornò indietr
o le carni umane sul palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il che fa supporre che sì orrendo e ributtante spettacol
sul palco scenico alla presenza del pubblico120 ; il che fa supporre che sì orrendo e ributtante spettacolo fosse dato più
to più volte sui teatri romani ; e Cicerone nel De Officiis riferisce che in una tragedia latina si faceva dire ad Atreo :
e e vietate nozze ; e poichè fu allattato da una capra ebbe quel nome che in greco indica un tale allattamento. Di Atreo na
nei loro domestici casi. Infatti occorre prima di tutto di dover dire che Egisto uccise a tradimento Atreo suo zio, e quind
hè eran già morti e divenuti Dei ed Astri Castore e Polluce. Lasciamo che per pochi anni i due famosi Atridi godano in pace
el riandar la vita e le gesta degli Antenati di Achille, di quell’Erœ che fu invidiato da Alessandro Magno, perchè ebbe per
iglio di Giove e di Egina. Eaco nacque in quell’isola dell’Arcipelago che portò anticamente il nome di sua madre, e che ora
l’isola dell’Arcipelago che portò anticamente il nome di sua madre, e che ora con poca differenza di suono chiamasi Engía o
he predilezione, mandò una sì spaventevole pestilenza in quell’isola, che morirono tutti i sudditi ed anche la regina, e vi
n e compagni Antropologi a far derivare gli uomini dalle bestie senza che alcuno li contraddicesse. E questi guerrieri deri
ti di Achille all’ assedio di Troia. Forse la radicale del loro nome, che in greco significa formica, diede motivo a invent
entar questa favola della loro origine ; la quale però parve sì bella che tutti i pœti l’accettarono, e Dante stesso se ne
a bellissima similitudine nel Canto xxix dell’ Inferno : « Non credo che a veder maggior tristizia « Fosse in Egina il pop
al picciol vermo, « Cascaron tutti ; e poi le genti antiche « Secondo che i pœti hanno per fermo, « Si ristorâr di seme di
ici, un piccolo fratello chiamato Foco. Di Telamone abbiamo già detto che fu uno degli Argonauti ; e di altre sue imprese e
, parleremo più opportunamente in appresso. Ora convien dire di Peleo che fu il padre di Achille. Peleo dopo la morte di E
ragici) potè formare un piccolo regno in quella parte della Tessaglia che era detta Ftiòtide dalla città di Ftia sua capita
e tutti d’accordo convennero di unirla in matrimonio con quel mortale che ne fosse più degno per bontà di animo e per paren
timo principe e nipote di Giove. Furono queste le più splendide nozze che fossero mai celebrate sulla Terra : al banchetto
e scusò prudentemente, e propose di farne giudice un semplice pastore che senza prevenzione alcuna dichiarasse qual Dea gli
rà detto nel parlar dell’origine della guerra di Troia. Ora è a dirsi che dal matrimonio di Peleo con Teti nacque un figlio
. Ora è a dirsi che dal matrimonio di Peleo con Teti nacque un figlio che fu chiamato Achille. La madre, come Dea, sapeva g
u chiamato Achille. La madre, come Dea, sapeva già dal libro del Fato che questo suo figlio sarebbe un fulmine di guerra ;
teneva sospeso per un piede, rimase vulnerabile soltanto il calcagno che non potè esser bagnato da quelle acque infernali.
i re Dalla Grecia convien passare all’Asia Minore, in quella parte che chiamavasi Frigia, presso le coste della Proponti
n si seppe neppur dire con sicurezza di non errare : qui fu ; di modo che taluni dubitaron perfino se la città di Troia fos
va questo dubbio senza risolverlo ; e soltanto si affermò da qualcuno che sopra una parte di quel classico terreno sorge un
priorità di tale scoperta, questa è pel mondo letterario una conferma che sia ora finalmente accertata non solo l’esistenza
ata all’immortalità dai più sublimi pœti, non era il solo nè il primo che essa ebbe ; e si trova anche chiamata Dardania, T
a Virgilio : « Pœta fui e cantai di quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia « Poi che ‘l superbo Ilïòn fu com
cantai di quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia « Poi che ‘l superbo Ilïòn fu combusto. » Ed inoltre ripet
cenere e caverne : « O Ilïòn come te basso e vile « Mostrava il segno che lì si discerne ! » Chiunque sa quanto sia concis
due termini per intendere il preciso concetto espresso da Dante : il che noi faremo ben tosto nel dar la spiegazione degli
izio sicuro sulla genealogia dei re di Troia e sulla verità dei fatti che di loro si raccontano. Dovendosi quindi ricorrere
ia stirpe udire « Al mondo chiara, primamente Giove « Dàrdano generò, che fondamento « Pose qui poscia alle Dardanie mura.
sti versi è considerato Dardano come fondatore e primo re della città che da lui prese il nome di Dardania. Egli era figlio
una delle 7 figlie di Atlante. In tutto ciò concorda anche Virgilio, che spesse volte rammenta Dardano come autore della r
cun fatto notabile ; e molti danno questo nome ad Eretteo re di Atene che fu figlio di Vulcano. Anche Omero, come abbiam ve
il fabbricato della città ed anche il territorio. Questa distinzione che riconoscesi più d’una volta nelle espressioni di
onimo di pulpito. Tra i figli di Trœ o Troo è da notarsi non solo Ilo che fu re di Troia dopo la morte del padre, ma anche
a anche Assàraco e Ganimede. « Assàraco ebbe Capi e Capi Anchise, » che fu genitore di Enea, come fa dire Omero da Enea s
discendenti di Assaraco. Quanto poi a Ganimede dicemmo già nel N° XV che fu rapito dall’aquila di Giove e trasportato in c
anche l’onore di esser posto nella Costellazione detta dell’ Aquario, che è uno dei dodici segni del Zodiaco e rifulge di 1
e il penultimo re di Troia ; e di lui parlano più a lungo i Mitologi che di tutti i suoi predecessori ; ma lo rappresentan
ritto della Divinità e ridotti alla condizione degli uomini. Compiute che furon le mura, il re spergiuro negò la pattuita m
za nella Troade. Così accadde anche allora, come avvien quasi sempre, che son puniti i popoli dei peccati del loro re128. C
ti i popoli dei peccati del loro re128. Consultato l’Oracolo, rispose che i Troiani per liberarsi da questi mali dovevano t
a propria figlia promise un gran premio a chi uccidesse l’orca marina che dovea divorarla. In quell’anno stesso aveva Ercol
itto di Laomedonte, s’impegnò col re di uccidere l’orca, a patto però che gli desse in premio quelle polledre figlie del ve
lavano de’flutti « Senza toccarli. » Laomedonte promise ; ma, uccisa che fu l’orca, non volle mantener la promessa ; ed Er
on volle mantener la promessa ; ed Ercole non stette a pregar gli Dei che punissero il re spergiuro e mancator di parola ;
mone suo amico, e portò seco in ostaggio Podarce principe ereditario, che dopo il suo riscatto fu chiamato Priamo. Questo
rammentati da Omero nei versi sopracitati è notabile soltanto Titone che sposò l’Aurora, come dicemmo. Ora è da aggiungers
oltanto Titone che sposò l’Aurora, come dicemmo. Ora è da aggiungersi che avendo l’Aurora ottenuto per esso dagli Dei l’imm
a perpetua giovinezza del suo sposo ; e perciò Titone invecchiò tanto che venne in uggia a sè stesso, e desiderò di morire.
o egli fosse divenuto querulo nell’estrema sua vecchiezza. Riscattato che fu Priamo e proclamato re di Troia, sposò Ècuba f
estreme sventure della loro patria ; e prima converrà dire di quello che ne fu causa, cioè di Paride. I poeti si fanno dal
Paride. I poeti si fanno dalla lontana, e veramente ab ovo, narrando che Ecuba quand’era incinta di questo figlio sognò di
quand’era incinta di questo figlio sognò di aver partorito una fiamma che incendiava tutta l’Asia. Gl’interpreti dei sogni
mma che incendiava tutta l’Asia. Gl’interpreti dei sogni dichiararono che il figlio nascituro sarebbe stato causa della rov
e divorato da qualche fiera ; ma invece avvenne di lui come di Edipo, che fu trovato vivo da un pastore ed allevato come su
rigine, e fu tra i pastori chiamato Alessandro ; ed egli è quel desso che fu eletto per giudice della bellezza delle tre De
Origine della guerra di Troia e preparativi per la medesima Dopo che Venere ebbe riportato pel giudizio di Paride il p
do trionfo nel vanto della bellezza sopra tutte le Dee, convenne pure che pensasse a mantener la promessafatta al giudice,
i cioè per moglie la più bella donna del mondo. Ma la più bella donna che allor vivesse era la spartana Elena, rapita prima
; e in tale occasione investigando essi l’origine di lui, scuoprirono che egli era il loro fratello esposto da bambino nell
a poichè Menelao non volle morir così presto, e Venere era tutt’altro che una Dea sanguinaria e micidiale, ricorse alle art
portò via tutti i più preziosi tesori della corte spartana. Menelao, che allora era assente, conosciuto questo fatto molto
lto spiacevole, si affrettò a reclamare la moglie e i tesori : a quel che pare, si sarebbe poi contentato anche dei tesori
si sarebbe poi contentato anche dei tesori soltanto, perchè vide bene che la moglie sarebbe stato meglio perderla che riacq
oltanto, perchè vide bene che la moglie sarebbe stato meglio perderla che riacquistarla. Ma i Troiani non vollero rendere n
gli Antichi re dei re, e da Dante lo Gran Duca dei Greci. Fu risoluto che il luogo di convegno per far tutti insieme il pas
giavano a bella posta, e mancavano fra gli altri quei due famosi Eroi che meritarono in appresso, per le loro grandi gesta
e non sapevasi dove fosse, ed Ulisse dicevasi divenuto pazzo « D’uom che sì saggio era stimato prima. » Fortunatamente es
isola di Eubea, egli, ingegnosissimo qual era, sospettò accortamente che Ulisse fingesse di esser pazzo per non andare all
rlo. Ulisse poi si diede ad investigare dove fosse Achille, e il modo che tenne per trovarlo (poichè dubitava che si nascon
dove fosse Achille, e il modo che tenne per trovarlo (poichè dubitava che si nascondesse in abito femminile) fu questo : Si
nneschi portato ancora una finissima armatura da guerrieri, fu questa che fece palese Achille ; il quale dimenticando il su
itardarlo e trattenerlo in Sciro l’affetto di Deidamia figlia del re, che egli aveva segretamente sposata ; e dalla mollezz
li della guerra. Intanto in Aulide si erano raccolti tanti guerrieri, che per quanto fece dire Dante a Virgilio, « ……. Gre
nto fece dire Dante a Virgilio, « ……. Grecia fu di maschi vota « Sì, che appena rimaser per le cune ; » ed eran già da 1
io alla loro partenza. Allora gl’indovini Eurìpilo e Calcante dissero che per ottenere favorevoli i venti conveniva placar
con una vittima umana ; e tanto poteva le superstizione a quei tempi, che lo stesso Agamennone re dei re consentì ad immola
ad immolare la propria figlia Ifigenía, e la immolò difatti, secondo che scrivono i più, e tra questi anche Dante, che ram
immolò difatti, secondo che scrivono i più, e tra questi anche Dante, che rammentando nel Canto v del Paradiso questo barba
Decenne assedio e battaglie intorno alle mura di Troia Nel tempo che i Greci si preparavano per la guerra, i Troiani n
invasione. Nessuno dei Greci osava scendere a terra, perchè credevasi che primo perirebbe chi primo scendesse ; e così avve
del marito e poi morire, fu trovata estinta nel suo letto e fu detto che era morta dopo averlo veduto in sogno, come desid
n sogno, come desiderava. Molti altri perirono in quel primo scontro, che non ebbero ugual fama, e colla loro morte pagaron
eci, tirate a terra le navi, avanzarsi nella Troade. Ora convien dire che ai tempi nostri non si capisce facilmente qual ge
il piano di guerra, perchè non cinsero mai la città di Troia in modo che non potesse ricever di fuori e viveri e truppe au
loro sforzi si diressero contro Troia. Trovarono forse degli ostacoli che non avevano preveduti : la mancanza di provvision
straordinario meritava però miglior sorte, poichè di lui si racconta che fu condannato a morte dai Greci per falso sospett
e questo giudizio fu dichiarato iniquo da Platone stesso nel discorso che ei riferisce come fatto da Socrate ai giudici che
stesso nel discorso che ei riferisce come fatto da Socrate ai giudici che lo condannarono 129. Fu un infame delitto di Ulis
r detestar la guerra, « Ei fu da’Greci indegnamente ucciso : « Com’or che ne son privi, i Greci stessi « Lo piangon tutti.
« Come ognun sa, del traditore Ulisse), « Amaramente il piansi. » Ma che Ulisse avesse ciò fatto per vendicarsi di Palamed
piansi. » Ma che Ulisse avesse ciò fatto per vendicarsi di Palamede, che aveva scoperto la sua simulazione d’insania e cos
strettolo a partir per la guerra, non è facile dimostrarlo, in quanto che Omero non ne parla, e perciò appunto Cicerone non
non ne parla, e perciò appunto Cicerone non lo crede, e stima invece che sia questa una invenzione dei Tragici 130. Se per
i certe fatalità, come le chiamano i Mitologi, cioè decreti del fato, che dovevano avverarsi o compiersi affinchè Troia pot
Eaco ; e questa fatalità si avverò la prima colla venuta di Achille, che era figlio di Peleo e nipote di Eaco, e perciò ch
. 2ª Fatalità. — Dovevano aversi nel campo greco le freccie d’Ercole, che quest’Eroe morendo lasciò a Filottete coll’obblig
nifestarle ad alcuno, come dicemmo. I Greci pregarono tanto Filottete che ei le portò in Aulide ; ma in pena di aver mancat
r mancato alla promessa fatta ad Ercole, nel maneggiar quelle freccie che erano tinte nel sangue dell’Idra di Lerna, glie n
glie ne cadde una in un piede, e gli cagionò una piaga così fetente, che i Greci nell’andare a Troia lo abbandonarono solo
urare dai medici dell’armata Macaone e Podalirio, figli di Esculapio, che lo guarirono. 3ª Fatalità. — Doveva divenire amic
le, le cui ferite erano insanabili. Consultato l’Oracolo, gli rispose che l’asta sola che lo aveva ferito poteva sanarlo. D
e erano insanabili. Consultato l’Oracolo, gli rispose che l’asta sola che lo aveva ferito poteva sanarlo. Dovè dunque, se v
chille nei seguenti versi del Canto xxx dell’Inferno : « Così od’io che soleva la lancia « D’Achille e del suo padre ess
di trista e poi di buona mancia. » 4ª Fatalità. — Bisognava impedire che i cavalli di Reso re di Tracia, bevessero le acqu
cavalli di Reso re di Tracia, bevessero le acque del fiume Xanto ; il che significava di impedire a Reso di recar soccorsi
ma una necessaria precauzione di guerra. Ulisse e Diomede provvidero che si avverasse questa fatalità, uccidendo Reso prim
ede provvidero che si avverasse questa fatalità, uccidendo Reso prima che arrivasse a Troia e portando nelle greche trincie
lli di lui. 5ª Fatalità. — Dovevano i Greci impadronirsi del Palladio che era nel tempio di Pallade dentro alla rocca di Tr
me all’ira ; « E dentro dalla lor fiamma si geme « L’aguato del caval che fe’ la porta « Ond’uscì de’Romani il gentil seme.
roia avvennero intorno alle mura di essa le più memorabili battaglie, che furono narrate maravigliosamente da Omero. L’Ilia
ure a significare una lunga serie di esse. Sebbene il titolo d’Iliade che diede Omero al suo poema, derivando da Ilio, appe
l soggetto : « Cantami, o Diva, del Pelìde Achille « L’ ira funesta che infiniti addusse « Lutti agli Achei, molte anzi t
funeste conseguenze di quella. Il poema comincia dal narrare la causa che produsse l’inimicizia fra Achille ed Agamennone,
ta lettura, intender tutto il poema senza fatica. Supponendo pertanto che quanto prima leggerà questo poema chiunque non l’
non l’abbia ancor letto, accennerò brevissimamente i fatti principali che vi si contengono, per l’obbligo che mi corre di n
revissimamente i fatti principali che vi si contengono, per l’obbligo che mi corre di non lasciar lacune nel mio umile racc
o che mi corre di non lasciar lacune nel mio umile racconto. La causa che inimicò Achille con Agamennone fu una prepotenza
o parlamento, e quindi incoraggiato e rassicurato da Achille dichiarò che bisognava render Criseide al padre con doni ed of
un’altra schiava in compenso, diversamente toglierebbe a forza quella che più gli piacesse a qualunque degli altri capitani
allora una tale altercazione con parole e frasi sì poco parlamentari, che fu per terminare colla uccisione di Agamennone pe
enti esortazioni del vecchio Nestore, e più ancora dalla Dea Minerva, che « Gli venne a tergo e per la bionda chioma « Pre
va Briseide, rispettando in essi il diritto delle genti, e confidando che farebber le sue vendette i nemici. Infatti i Troi
ed in pochi giorni furon date le più straordinarie e famose battaglie che sieno mai state descritte, con vicende così mirab
se battaglie che sieno mai state descritte, con vicende così mirabili che furon copiate o imitate da tutti i poeti epici. S
te poetica : diverrebbero monotone narrandole in prosa, ora tanto più che le armi da fuoco hanno resa inutile la straordina
rmi da fuoco hanno resa inutile la straordinaria forza del braccio, e che il più debole artigliere col suo cannone è più po
hille e di Diomede colle spade e colle lance. Convien qui notare quel che i rètori hanno chiamato la macchina, cioè l’inter
inità nelle contese degli uomini ; e nella guerra troiana le Divinità che vi prendono parte perdono anzichè guadagnare dell
rte perdono anzichè guadagnare della lor dignità. È facile indovinare che Venere favorirà i Troiani in grazia del giudizio
are che Venere favorirà i Troiani in grazia del giudizio di Paride, e che Marte campione di Venere la seconderà in tutto e
e o per gli uni o per gli altri combattenti 132. Il fatto più strano che si possa immaginare si è che Venere e Marte furon
ri combattenti 132. Il fatto più strano che si possa immaginare si è che Venere e Marte furon feriti in battaglia da Diome
eppure non invulnerabili membra, ma quasi sangue, cioè un certo umore che i celesti, per quanto ci assicura Omero, chiamano
on le divine armi di lui per trattenere alquanto l’impeto dei Troiani che stavano per irrompere nelle greche trincee. L’ott
ndo con lui rimase ucciso. Il tristo annunzio colpì talmente Achille, che dopo aver con gemiti e con pianto sfogato il suo
anno rivolse contro Ettore, per vendicar l’amico estinto, tutta l’ira che aveva prima contro Agamennone. Non voleva aspetta
a contro Agamennone. Non voleva aspettare un sol giorno le nuove armi che la madre Teti gli fece far da Vulcano (poichè del
tende lo trascinò altre volte intorno al cadavere di Patroclo, quasi che l’estinto amico dovesse esultar degli strazii del
; quando la sera vede comparire nella sua tenda il vecchio re Priamo, che inginocchiatosi davanti a lui gli bacia piangendo
mo, che inginocchiatosi davanti a lui gli bacia piangendo quella mano che gli uccise il figlio, e lo prega singhiozzando di
i Ettore per dargli sepoltura, offrendo per riscatto ricchissimi doni che seco aveva recati. A questa vista Achille si sent
perto di un ricchissimo manto e gli assegna un drappello di Mirmidoni che lo accompagnino sino a Troia. Colla descrizione d
e finchè il Sole « Risplenderà sulle sciagure umane 133. » Parrebbe che dopo la morte di Ettore, che era il più formidabi
rà sulle sciagure umane 133. » Parrebbe che dopo la morte di Ettore, che era il più formidabil guerriero Troiano, e soprav
disfatta dai Greci in pochi giorni ; ma non fu così. Apparisce invece che per la stanchezza delle precedenti battaglie e pe
he per la stanchezza delle precedenti battaglie e per le gravi ferite che avevano tocche i più dei capitani di ambe le part
pattuirla, una tregua necessaria indispensabile. È da credersi ancora che Achille dopo essersi intenerito per Priamo s’inte
el suo corpo in cui egli era vulnerabile, e tagliatogli quel tendine, che d’allora in poi fu chiamato di Achille, gli cagio
indi una grave contesa per decidere chi dovesse possedere quelle armi che furono opra di Vulcano, impareggiabili per tempra
sse col fascino della sua facondia ; e Aiace ne rimase così indignato che perdè il senno, e divenuto furibondo, mentre erra
elle fatalità di Troia, di cui abbiamo parlato. Ma Ulisse sapeva bene che di Achille esisteva un figlio nato da Deidamia, e
n’usciro i frutti. » I Greci gli posero il soprannome di Neottòlemo, che significa il nuovo venuto alla guerra, il nuovo g
di Ulisse, e solo consentì e si risolse di andar con lui, rassicurato che fu dalle parole del giovinetto Pirro che tanto so
i andar con lui, rassicurato che fu dalle parole del giovinetto Pirro che tanto somigliava il leale e generoso Achille. Giu
e allora mise in opera subito una di quelle freccie saettando Paride, che di quella ferita morì. La qual morte del rapitore
ntalmente, di quei principi e guerrieri, amici ed alleati dei Troiani che recaron loro soccorso personalmente e perderon pe
o ardeva uscirono degli uccelli di una nuova specie non prima veduta, che furon chiamati uccelli Mennònidi ; ma non v’è sta
nomenclatura degli Ornitologi. Si racconta ancora un altro miracolo, che dalla statua di Mènnone, quando era percossa dai
icali come quelli di una cetra : i sacerdoti facevan credere al volgo che lo spirito di Mènnone animando quella statua tram
uoni per salutare il Sole suo avo quando la irradiava ; ed erano essi che penetrando per occulti accessi nella cavità della
on convien passar sotto silenzio la regina delle Amazzoni Pentesilèa, che Virgilio e Ovidio asseriscono essere accorsa in a
ere accorsa in aiuto dei Troiani con una schiera delle sue compagne e che fu uccisa da Achille. Virgilio così la descrive n
d’oro « L’adusta mamma, ardente e furïosa « Tra mille e mille, ancor che donna e vergine, « Di qual sia cavalier, non teme
Troia è non solo di nuovo genere, ma unica nel suo genere. Omero dice che fu uno stratagemma, Virgilio un’insidia e Dante u
ltanto un cenno, perchè sempre suppone noto ai suoi lettori tutto ciò che hanno scritto i classici greci e latini, e princi
ispira loro la Musa, senza curarsi se a chi legge sia noto o no quel che essi dicono, o sono per dire. Omero nel libro vi
l cavallo di legno, lo chiama « ……………. l’edifizio « Del gran cavallo che d’inteste travi « Con Pallade al suo fianco Epeo
en confitti abeti « In sembianza d’un monte edificaro. « Poscia finto che ciò fosse per vóto « Del lor ritorno, di tornar s
iò fosse per vóto « Del lor ritorno, di tornar sembiante « Fecero tal che se ne sparse il grido. « Dentro al suo cieco vent
ll’ebbrezza ed al sonno. E nella notte usciti dal cavallo i guerrieri che vi si erano racchiusi, e tornati indietro da Tene
do chi resisteva e facendo schiavi gl’ inermi, gl’ imbelli e le donne che non furono in tempo a mettersi in salvo altrove.
tragico avvenimento della presa di Troia ; ma gli episodii son tanti che empirebbero un volume, e conviene almeno accennar
greca scultura. Laocoonte sacerdote di Apollo fu uno di quei Troiani che volevano incendiare o in qualunque altro modo dis
modo distruggere il cavallo di legno, e inoltre gli scagliò un dardo che rimase confitto nel fianco e fece risuonare le in
o e fece risuonare le interne cavità. Poco dopo avvenne (vero o falso che sia) che due grossi serpenti si avvinghiarono a l
risuonare le interne cavità. Poco dopo avvenne (vero o falso che sia) che due grossi serpenti si avvinghiarono a lui e a du
ui e a due suoi figli e li strangolarono tutti e tre. Fu detto subito che questo era un castigo di Minerva, perchè Laocoont
i fare i supremi sforzi per liberarsi da quelli spaventevoli serpenti che li cingono con le loro spire. Può vedersene anche
al farne la più eloquente narrazione Virgilio, ne parla anche Dante, che mette Sinone nell’Inferno tra i fraudolenti, e fa
la anche Dante, che mette Sinone nell’Inferno tra i fraudolenti, e fa che un altro dannato altercando con esso gli rimprove
ieti reo, chè tutto il mondo sallo. » Quanto ai principali guerrieri che entrarono nel cavallo sarà bene di conoscerne i n
n ostante non sarà male il sentir come fecero i Troiani, secondo quel che Virgilio fa dire da Enea : « Ruiniamo la porta,
mati. Ella per mezzo « Tratta della città, mentre si scuote, « Mentre che nell’andar cigola e freme, « Sembra che la minacc
à, mentre si scuote, « Mentre che nell’andar cigola e freme, « Sembra che la minacci. » Fu in quel giorno che si avverò l’
l’andar cigola e freme, « Sembra che la minacci. » Fu in quel giorno che si avverò l’ultima fatalità di Troia, che consist
nacci. » Fu in quel giorno che si avverò l’ultima fatalità di Troia, che consisteva, come dicemmo, nell’atterrare il sepol
il cavallo, venne così ad essere atterrato dai Troiani stessi. Ma più che all’insidia del cavallo di legno è probabile che
oiani stessi. Ma più che all’insidia del cavallo di legno è probabile che dovessero i Greci la presa di Troia al tradimento
vessero i Greci la presa di Troia al tradimento. Tal ne corse la fama che fu accolta come nunziatrice del vero anche da cel
ri scrittori, e tra questi dall’Alighieri. Fu detto antichissimamente che Antènore nipote di Priamo ex sorore tradisse i Tr
mamente che Antènore nipote di Priamo ex sorore tradisse i Troiani, e che perciò potè uscire illeso di mezzo alle argive sc
crittori greci per non menomare il merito dei loro Eroi nascosero più che poterono il tradimento, talchè a noi di quel fatt
appena giunge. » Il sospetto di tradimento cresce ancora dal sapersi che Elena dopo la morte di Paride, pur restando nella
i avvenne. Anche di Enea fu detto da qualche scrittore di minor conto che egli fosse stato in qualche modo d’accordo coi Gr
o che egli fosse stato in qualche modo d’accordo coi Greci ; ma oltre che di sì grave accusa non si trova traccia alcuna in
sì altamente encomiato come il pio Enea nel poema epico di Virgilio, che lo stesso Dante ha detto di lui : « Ch’ei fu del
a uno dei più lagrimevoli è quello della morte del vecchio re Priamo, che dopo aver veduti spenti i suoi più prodi e più ca
r mano di Pirro. Nè qui si arrestò la vendetta del giovane guerriero, che impadronitosi di Polissèna, causa innocente della
one all’ombra di lui. Nè meno miseranda è la fine di Ecuba. Fu allora che « Ecuba trista, misera e cattiva, « Poscia che v
e di Ecuba. Fu allora che « Ecuba trista, misera e cattiva, « Poscia che vide Polissena morta « E del suo Polidoro in su l
ane ; « Tanto il dolor le fe’ la mente torta. » Gli Antichi dissero che Ecuba per aver provato tante sciagure, piangendo
rpretò al tempo stesso secondo le più comuni leggi dell’umana natura, che cioè Ecuba, oppressa in sì breve tempo da tanti a
della parola, e negli effetti, da quello delle Sabine), ha dimostrato che non è inutile neppure ai giorni nostri lo studio
lo studio dei Classici e della Mitologia. In quel gruppo vedesi Pirro che si è impadronito di Polissena e la sostiene col b
ta al suo fianco, mentre colla destra alzando la spada minaccia Ecuba che inginocchiata e supplicante tenta invano di tratt
fra i vincitori le prede, nessun’altra maggior premura ebbero i Greci che di ritornare in patria dopo tanti anni, tanti per
non eran soltanto di schiavi e di schiave, ma anche di ricchi tesori che i Greci non avevan dimenticato di rapire dai troi
che i Greci non avevan dimenticato di rapire dai troiani palagi prima che vi giungesser le fiamme. Furon tutti contenti del
vincolo di subordinazione al comandante supremo ; e lo stesso Menelao che sempre era stato così concorde col fratello Agame
ine di Troia insieme con Pirro figlio di Achille e gli altri capitani che non vollero partire con Menelao. Nel tempo che iv
e e gli altri capitani che non vollero partire con Menelao. Nel tempo che ivi si trattenevano per placare con sacrifizii e
Astianatte rimasto solo in quella tomba, e si tratteneva con lui più che poteva per fargli compagnia ed avvertirlo del per
on lui più che poteva per fargli compagnia ed avvertirlo del pericolo che correva, se fosse scoperto. Ma Pirro se ne accors
sottoposta campagna ove morì sul colpo. Un figlio dell’ucciso Ettore che sopravvivesse al padre era sempre un imminente pe
e scultore Lorenzo Bartolini in un gruppo in cui si rappresenta Pirro che tiene sospeso in aria il piccolo Astianatte, ed è
Quando Agamennone credè opportuno di partire, tutti i principi greci che erano rimasti con esso salparono contemporaneamen
sola di Eubea. Ivi viveva ancora Nauplio padre dell’infelice Palamede che fu calunniato da Ulisse ed ucciso ingiustamente d
ato di nuocere in ogni modo alle famiglie ed agli Stati di quei Greci che erano andati alla guerra di Troia. Egli dunque al
alla tempesta, ed invece percuotendovi naufragassero ; ma non vi perì che Aiace figlio di Oileo, e tutti gli altri si salva
tto anche il minore Aiace per distinguerlo dall’altro Aiace Telamonio che si uccise da sè stesso), perì, anzichè per l’insi
idia di Nauplio, per l’ira di Minerva e di Nettuno : Minerva sdegnata che nel tempio di lei avesse egli insultato la profet
o ad onta degli Dei e dello stesso Nettuno. Tutti gli altri guerrieri che partirono dalla Troade o con Menelao o con Agamen
giunsero salvi nella Grecia. E qui finisce il racconto delle vicende che provò l’armata greca nel suo ritorno ; e resta so
ici dei principali guerrieri. E incominciando dal re dei re, troviamo che a lui più funesto che agli altri fu il ritorno in
rrieri. E incominciando dal re dei re, troviamo che a lui più funesto che agli altri fu il ritorno in patria. Nel tempo del
nesto che agli altri fu il ritorno in patria. Nel tempo della sua più che decenne assenza, Egisto suo cugino e figlio di Ti
gamennone e nell’animo di Clitennestra ; ed avendo fatto sparger voce che Agamennone fosse morto, avea persuaso la regina a
eppur egli vi prestò fede ; e quindi non potè schivare la trista fine che lo attendeva nella sua propria reggia. L’iniquo E
ente il debole e corrotto animo di Clitennestra, da renderla convinta che per evitare di essere uccisi entrambi da Agamenno
vitare di essere uccisi entrambi da Agamennone non v’era altro riparo che uccider lui. E il re dei re scampato da mille per
ider lui. E il re dei re scampato da mille pericoli, il giorno stesso che giunse nel suo regno e nella sua reggia, in mezzo
surpatore tiranno. Egisto, il quale molto prima di Machiavelli sapeva che « è necessario all’usurpatore di un trono estirpa
ll’usurpatore di un trono estirpare tutti i « rampolli della famiglia che regnava prima di lui, » avea tese insidie alla vi
lla Fòcide. Questa saggia precauzione di Elettra, congiunta alla voce che in appresso fece spargere della morte del fratell
otè uccidere Egisto, e nel furore della vendetta, incontrata la madre che veniva in soccorso del tiranno, uccise anch’essa
tempo in preda ai rimorsi, sempre accompagnato dal fidissimo Pilade, che più e più volte espose la propria vita per salvar
acrificava all’idolo di Diana vit time umane, scelte tra i forestieri che vi approdavano nel suo Stato. Quei Mitologi i qua
stieri che vi approdavano nel suo Stato. Quei Mitologi i quali dicono che invece di Ifigenia fosse sacrificata una cerva, a
icono che invece di Ifigenia fosse sacrificata una cerva, asseriscono che Diana trasportò Ifigenia a far da ministra in que
he Diana trasportò Ifigenia a far da ministra in questi sacrifizii, e che essa, quando vi giunsero Oreste e Pilade, riconob
maggior parte del Peloponneso. Egli ebbe un figlio chiamato Tisamène, che fu re dopo di lui ; e l’amico Pilade sposando l’e
te tragedie antiche e moderne, e tra le altre a quelle due di Alfieri che hanno per titolo il nome del gran re dei re e que
là tornati a Sparta vissero insieme in pace più anni. Ma Elena, morto che fu Menelao, essendo odiata da tutti come causa de
isastrosa guerra di Troia, fu costretta a fuggire dal regno di Sparta che era il regno dei suoi antenati, e ricoveratasi pr
eno, e diede ad entrambi la libertà ed una parte del regno dell’Epiro che era divenuto suo, non si sa bene se per volontà d
idi o Eàcidi 138, fra i quali il più celebre è quel Pirro re di Epiro che venne in Italia cogli elefanti a combattere contr
Venne invece in Italia nella Puglia, ove sposò la figlia del re Dauno che gli diede per dote una parte del suo regno, ed iv
con lui per distruggere quest’ultimo avanzo di Troia, ricusò dicendo che la guerra con quella nazione era stata dannosa ag
di Creta e nipote di Minosse la fondazione di questa città ; ma Omero che parla più volte con gran lode del valore di Idome
gran lode del valore di Idomeneo, quanto al suo ritorno dice soltanto che « …………. in Creta « Rimenò Idomeneo quanti compag
da vorace. » (Odiss., iii.) È una invenzione dei successivi Mitologi che Idomeneo avesse fatto un voto imprudente come que
che Idomeneo avesse fatto un voto imprudente come quello di Jefte ; e che volendo adempierlo coll’uccidere il figlio che er
me quello di Jefte ; e che volendo adempierlo coll’uccidere il figlio che era stato il primo a venirgli incontro, fu caccia
apitolo separato. LXI I Viaggi di Ulisse « Già tutti i Greci che la nera Parca « Rapiti non avea, ne’loro alberghi
Pindemonte.) E lungi rimase dieci anni dopo la presa di Troia senza che di lui giungesse alla sua famiglia novella alcuna
oia senza che di lui giungesse alla sua famiglia novella alcuna. E sì che vi sarebbe stato bisogno quanto prima della sua p
cciar dalla sua reggia una turba di principi greci delle Isole Ionie, che credendolo estinto pretendevano che Penelope sua
principi greci delle Isole Ionie, che credendolo estinto pretendevano che Penelope sua moglie si risolvesse a sposare uno d
ndenti) di cui tanto a lungo favella Omero nell’Odissea 139, narrando che divoravano le sostanze di Ulisse e passavano il t
promise di far la scelta di uno dei Proci dopo di aver finito un tela che avea incominciata ; ma di giorno la tesseva e di
Quindi passò in proverbio la tela di Penelope a significare un lavoro che non ha mai termine. In tal modo l’accorta ed affe
e e a Sparta da Menelao e da Elena a dimandarne ; ma dopo la tempesta che avea divisa la flotta greca nessuno seppe più nul
flotta greca nessuno seppe più nulla di Ulisse. V’ era però speranza che egli vivesse, perchè nessuno aveva detto o sentit
speranza che egli vivesse, perchè nessuno aveva detto o sentito dire che ei fosse morto. Infatti Omero dice di Ulisse, «
entito dire che ei fosse morto. Infatti Omero dice di Ulisse, « ….. che molto errò, poi ch’ebbe a terra « Gittate d’Ilïon
sacre mura ; « Che città vide molte e delle genti « L’indol conobbe ; che sovr’esso il mare « Molti dentro del cor sofferse
io e per necessità o forza maggiore. Chi sente dir per la prima volta che Ulisse errò per dieci anni, crederà che egli in q
sente dir per la prima volta che Ulisse errò per dieci anni, crederà che egli in quel lungo spazio di tempo fosse stato ch
al di là delle acque del Mediterraneo, qualunque sia il nome speciale che prende dallo stretto di Gibilterra alle foci del
Don nel Mar d’ Azof. Ma non è da farne le maraviglie, quando sappiamo che Ulisse, come gli fa dire anche Dante, stette con
anche Dante, stette con Circe più d’un anno là presso Gaeta « Prima che sì Enea la nominasse ; » e poi fu trattenuto dal
coste marittime dei continenti. Nè osta a tal conclusione il viaggio che fece Ulisse all’Inferno, perchè quello fu opera d
o scongiuro da Negromanti, ossia evocazione delle anime degli estinti che un’impresa propria di Ulisse. Infatti egli stesso
o labbro « Dea veneranda un gonfiator di vele « Vento in poppa mandò, che fedelmente « Ci accompagnava per l’ondosa via : «
oppa mandò, che fedelmente « Ci accompagnava per l’ondosa via : « Tal che oziosi nella ratta nave « Dalla cerulea prua giac
. di Pindemonte.) E questo viaggio fu compiuto in un sol giorno prima che Ulisse abbandonasse l’isola di Circe, mentre a co
dentro i loro veri limiti di tempo e di spazio, determiniamo i luoghi che , secondo Omero, egli toccò, e dove più o meno si
e fra la Sicilia e l’Italia, e inoltre nel territorio dei Lestrìgoni, che non si trova ben determinato dove fosse precisame
, ossia in Sicilia. Partito da quell’isola e perduti tutti i compagni che perirono in una tempesta, arrivò Ulisse nuotando
odigi) « Antiphatem Scyllamque et cum Cyclope Charybdim, » cioè quel che avvenne ad Ulisse nel paese dei Lestrìgoni di cui
Antifate chiamava « Dalla pubblica piazza, il rinomato « Marito suo, che disegnò lor tosto « Morte barbara e orrenda. Uno
Se il fuggir morte premea loro ; e quelli « Di tal modo arrancavano, che i gravi « Massi, che piovean d’alto, il mio navig
emea loro ; e quelli « Di tal modo arrancavano, che i gravi « Massi, che piovean d’alto, il mio naviglio « Lietamente schi
’orribile Cariddi, « Che del mare inghiottia l’onde spumose. « Sempre che rigettavale, siccome « Caldaia in molto rilucente
iardi, « Scilla rapimmi dal naviglio. Io gli occhi « Torsi, e li vidi che levati in alto « Braccia e piedi agitavano, ed Ul
, ed Ulisse « Chiamavan, lassi ! per l’estrema volta. « Qual pescator che su pendente rupe « Tuffa di bue silvestre in mare
scampasse è prezzo dell’opera udirlo raccontare a lui stesso secondo che lo fa parlare Omero : « Io pel naviglio su e giù
giù movea, « Finchè gli sciolse la tempesta i fianchi « Della carena che rimase inerme. « Poi la base dell’albero l’irata
pingean sull’onde. « Zefiro a un tratto rallentò la rabbia : « Se non che sopraggiunse un Austro in fretta, « Che, noiandom
ungi le radici, e tanto « Remoti dalla mano i lunghi, immensi « Rami, che d’ombra ricoprian Cariddi. « Là dunque io m’atten
nave. Al fine « Dopo un lungo desio vennero a galla. « Nella stagion che il giudicante, sciolte « Varie di caldi giovani c
ortava. » (Odiss., xii. Trad. di Pindemonte). Da questa descrizione, che è una delle quattro più maravigliose rammentate d
attro più maravigliose rammentate da Orazio nella Poetica, apparisce, che a tempo di Omero, o non era stata ancora inventat
che a tempo di Omero, o non era stata ancora inventata l’altra favola che Cariddi fosse un mostro marino, come abbiamo acce
ddi fosse un mostro marino, come abbiamo accennato nel Cap. XXVIII, o che egli non l’adottò, e preferì soltanto di abbellir
li Antichi, come ora il Maelstrom sulle coste della Norvegia. Di quel che avvenne ad Ulisse e ai suoi compagni nell’antro d
zio a riportarla qui tutta ; ma se ne trova il compendio in Virgilio, che ne pone il racconto sulle labbra di Achèmene, uno
dei compagni di Ulisse : « ……….. È questo un antro « Opaco, immenso, che macello è sempre « D’umana carne, onde ancor semp
« È di sanie e di sangue. Ed è il Ciclopo « Un mostro spaventoso, un che col capo « Tocca le stelle (o Dio, leva di terra
restrinse. Ed invocati in prima « I santi Numi, divisò le veci « Sì, che parte il tenemmo in terra saldo, « Parte con un g
lui l’ombre de’ nostri. » (Eneid., iii. Traduz. del Caro). Non è già che sien questi soli gli splendidi miracoli della poe
marini (V. il N° XXIII) ho detto ancora delle Sirene, ed ho riferito che lo stesso Dante trovò il modo d’inserire nella Di
rena, alla quale fa dire, tra le altre cose, ch’ell’era quella stessa che attirò Ulisse a passarle vicino per udirla cantar
cantare. Mi affretto dunque a terminar la biografia di Ulisse dicendo che , secondo Omero, Ulisse fu ricondotto dai Feaci ne
tuzie, potè finalmente coll’aiuto del figlio e di alcuni suoi sudditi che gli erano rimasti fedeli, vendicarsi dei Proci uc
141. Non tutti però gli antichi autori si accordano con Omero a dire che Ulisse tornò in Itaca ; anzi alcuni asseriscono c
con Omero a dire che Ulisse tornò in Itaca ; anzi alcuni asseriscono che egli fu ucciso prima di giungervi, ed altri che n
zi alcuni asseriscono che egli fu ucciso prima di giungervi, ed altri che non tornò più in patria e perì insieme co’ suoi c
e co’ suoi compagni in una tempesta. E quest’ultima opinione è quella che segue Dante nella Divina Commedia. Anzi è qui da
o alla stima da aversi dell’indole e delle imprese di Ulisse non meno che di Achille. Omero poeta pagano e cantore di Eroi
n attribuisce alcun demerito agli eccessi della forza e dell’astuzia, che le fanno divenire barbarie e frode. Ma Dante poet
rie e frode. Ma Dante poeta e filosofo cristiano dopo aver dichiarato che « D’ogni malizia ch’odio in Cielo acquista « Ing
spiace a Dio ; » dovè esser perciò assai meno indulgente con Ulisse che con Achille. Infatti gli eccessi di Achille dipen
Infatti gli eccessi di Achille dipendevano dall’impeto degli affetti, che anche nei tribunali umani sono una causa attenuan
egli affetti, che anche nei tribunali umani sono una causa attenuante che induce i giudici a minorare la pena ; ma la malig
no, e fa raccontare a lui stesso la sua fine (molto diversa da quella che narra Omero), affinchè sembri più vera ; ed è que
da quella che narra Omero), affinchè sembri più vera ; ed è questa : che Ulisse volle passar le colonne d’Ercole, ossia lo
per andare in cerca di nuove regioni nell’Oceano atlantico ; e, quel che è più notabile, tenne presso a poco la stessa dir
mai ne avesse vedute, e da quella nuova terra nacque un tal turbine, che fece affondar nel mare la sua nave con esso lui e
sua nave con esso lui e tutti i suoi compagni. Queste particolarità, che son tutte d’invenzione di Dante, dimostrano che e
Queste particolarità, che son tutte d’invenzione di Dante, dimostrano che egli quasi due secoli prima di Colombo e di Paolo
supponeva l’esistenza di nuove terre in mezzo all’Oceano, ma credeva che non fossero abitate, poichè le chiama il mondo se
udiato e imparato a memoria. Io ne riporto soltanto le ultime terzine che contengono la narrazione della fine di Ulisse pos
poppa in suso, « E la prora ire in giù, come altrui piacque, « In fin che ‘l mar fu sopra noi richiuso. » LXII Venuta
re un Eroe secondario, molto inferiore ad Ettore, il solo antagonista che potesse stare a fronte di Achille. Tutta la fama
solo antagonista che potesse stare a fronte di Achille. Tutta la fama che rese uno dei più illustri il nome di Enea e degno
chè venne in Italia e fondò un regno nel Lazio, dal quale derivò Roma che fu poi dominatrice del Mondo. Quindi Virgilio lo
compiuto dove di Enea s’impadronisce lo Storico per narrar di lui ciò che crede conforme alla verità, o almeno alla morale
almeno alla morale certezza. Noi dunque ne diremo principalmente ciò che ne tace T. Livio, e poi accenneremo brevemente qu
ente ciò che ne tace T. Livio, e poi accenneremo brevemente quello in che egli concorda coi Mitologi e coi poeti. Enea ebb
alle e conducendo per mano il figlio Ascanio, mentre la moglie Creusa che li seguiva d’appresso disparve, nè mai si seppe c
la moglie Creusa che li seguiva d’appresso disparve, nè mai si seppe che ne fosse avvenuto : e sebbene Enea si trattenesse
nti mesi sul monte Ida per costruir le navi e per raccoglier compagni che lo seguissero nella sua emigrazione, non potè ave
però fermato a lungo in più luoghi. T. Livio per altro dice soltanto che Enea profugo dalla patria dopo l’eccidio di Troia
onia, poi nella Sicilia e di là nel territorio di Laurento. Tutto ciò che di maraviglioso raccontasi di questo viaggio sino
il taccio ?) « Un sospiroso e lagrimabil suono « Dall’imo poggio odo che grida e dice : « Ah perchè sì mi laceri e mi scem
mpi ? « Perchè di così pio, così spietato « Enea ver me ti mostri ? a che molesti « Un ch’è morto e sepolto ? a che contami
« Enea ver me ti mostri ? a che molesti « Un ch’è morto e sepolto ? a che contamini « Col sangue mio le consanguinee mani ?
ui confitto « M’ha nembo micidiale e ria semenza « Di ferri e d’aste, che dal corpo mio « Umor preso e radici han fatto sel
o divenni, « Di Polidoro udendo. Un de’figliuoli « Era questi del re, che al tracio rege « Fu con molto tesoro occultament
tracio rege « Fu con molto tesoro occultamente « Accomandato, allor che da’Troiani « Incominciossi a diffidar dell’armi,
a diffidar dell’armi, « E temer dell’assedio. Il rio tiranno « Tosto che a Troia la fortuna vide « Volger le spalle, anch’
e, anch’ei si volse, e l’armi « E la sorte seguì dei vincitori ; « Sì che dell’amicizia e dell’ospizio « E dell’umanità rot
fanciul la vita e l’oro. « Ahi dell’oro empia ed esecrabil fame ! « E che per te non osa, e che non tenta « Quest’umana ing
o. « Ahi dell’oro empia ed esecrabil fame ! « E che per te non osa, e che non tenta « Quest’umana ingordigia ?143 Dante h
igio di un solo albero ad un’intera selva infernale, immaginando cioè che in ciascun albero di quella selva fosse chiusa co
o del famoso Pier delle Vigne, Segretario dell’Imperator Federigo II, che essendo calunniato dagl’invidiosi cortigiani e im
ionato si uccise per disdegno144. Ma in qual modo si accorgesse Dante che quella selva era animata, e venisse poi a scuopri
e per farne il confronto colla virgiliana invenzione, e assicu- rarsi che il nostro sommo poeta gareggiando cogli antichi m
vince : « Io sentia d’ogni parte tragger guai, « E non vedea persona che ‘l facesse ; « Perch’io tutto smarrito m’arrestai
e ch’io credesse « Che tante voci uscisser tra que’bronchi « Da gente che per noi si nascondesse. « Però disse ‘l Maestro :
a un gran pruno ; « E ‘l tronco suo gridò : Perchè mi schiante ? « Da che fatto fu poi di sangue bruno, « Ricominciò a grid
ime di serpi. « Come d’un stizzo verde, ch’arso sia « Dall’un de’capi che dall’altro geme, « E cigola per vento che va via 
’arso sia « Dall’un de’capi che dall’altro geme, « E cigola per vento che va via ; « Così di quella scheggia usciva insieme
arole e sangue : ond’io lasciai la cima « Cadere, e stetti come l’uom che teme. » Anche l’Ariosto ha fatto cangiare Astolf
e. Noi descrivemmo questi mostri nei Cap. XLV e XLVIII, ed accennammo che oltre gli antichi poeti ne avevan parlato anche D
hi poeti ne avevan parlato anche Dante e l’Ariosto. Virgilio racconta che i Troiani per non morir di fame furon costretti a
e vivande potevano afferrare, e infettavano le rimanenti ; e aggiunge che Celeno 145, la maggiore di esse, presagì ai Troia
 ; e aggiunge che Celeno 145, la maggiore di esse, presagì ai Troiani che in pena di averle offese soffrirebbero talmente l
La quale strana predizione si avverò poi blandamente, perchè le mense che i Troiani divorarono furono le focacce che serviv
andamente, perchè le mense che i Troiani divorarono furono le focacce che servivan loro di piatto e di tavola quando nelle
finestra 146. » Un ingegnosissimo episodio fu inventato da Virgilio, che cioè Enea sospinto dalla tempesta sulle coste di
avesse trovato in quel territorio, ove ora è Tunisi, la regina Didone che facea fabbricare la città di Cartagine. Secondo i
e viveva tre secoli dopo la guerra di Troia, e perciò era impossibile che avesse conosciuto Enea ; ma per quanto vi sia que
di Belo re di Tiro e Sidone nella Fenicia ; ed ebbe per marito Sichèo che poi fu ucciso da Pigmalione fratello di lei, per
offerta, stimò rafforzato il suo nuovo regno, e lasciò correr la fama che Enea fosse divenuto sposo di lei che prima avea r
o regno, e lasciò correr la fama che Enea fosse divenuto sposo di lei che prima avea rifiutato le nozze con altri principi
ignificare questa città facendo una perifrasi allusiva alla sepoltura che ivi diede Enea alla salma di suo padre ; e così l
e mente « D’aprir l’occulte e le future cose. » La Sibilla Cumana, che era solita dare agli altri le sue risposte per me
amo parlato a lungo nei Cap. XXIX, XXX e XXXI. E qui è bene osservare che di questo viaggio, che nell’Eneide di Virgilio è
Cap. XXIX, XXX e XXXI. E qui è bene osservare che di questo viaggio, che nell’Eneide di Virgilio è un episodio, Dante ha f
secoli sorse Roma, sarà opportuno rammentare alcuni luoghi d’Italia, che , secondo l’antica tradizione, ebbero il nome, che
ni luoghi d’Italia, che, secondo l’antica tradizione, ebbero il nome, che tuttora conservano, da qualcuno dei compagni di E
eso « Vider Miseno indegnamente estinto ; « Miseno, il figlio d’Eolo, che araldo « Era supremo, e col suo fiato solo « Poss
lui « Combattendo, or la tromba ed or la lancia « Adoperava : e poi che ‘l fiero Achille « Ettore ancise, come ardito e f
ltri Enea. » Qui il poeta fa una lunga descrizione dei funebri onori che furon resi a Miseno, e termina dicendo : « Oltre
ntuosa mole, « E l’armi e ‘l remo e la sonora tuba « Al monte appese, che d’Aerio il nome « Fino allor ebbe, ed or da lui n
eriva Virgilio, finchèsarà in onore la lingua latina. Nè può credersi che sia questa una mera invenzione di Virgilio, poich
stesso modo l’aggettivo Caietanus divenne Gaetano. Anche Dante ripete che alla città di Gaeta fu dato questo nome da Enea,
no, facendo dire ad Ulisse : « ……………… Quando « Mi dipartii da Circe, che sottrasse « Me più d’un anno là presso a Gaeta. «
da Circe, che sottrasse « Me più d’un anno là presso a Gaeta. « Prima che sì Enea la nominasse, » volle fare intendere che
so a Gaeta. « Prima che sì Enea la nominasse, » volle fare intendere che Ulisse avea navigato lungo le coste d’Italia prim
fare intendere che Ulisse avea navigato lungo le coste d’Italia prima che vi giungesse Enea, come difatti si deduce dai poe
Tevere, allora chiamato il fiume Àlbula, si avanzò in quella regione che doveva divenir sì celebre nella storia con la cit
vio, concordano coi poeti, e principalmente con Virgilio, ad asserire che Enea strinse alleanza con Latino re di Laurento n
o re di Laurento nel paese dei Latini, e ne sposò la figlia Lavinia ; che sostenne una pericolosissima guerra contro di Tur
secondo alcuni, promesso sposo di Lavinia, e lo vinse ed uccise 152 ; che fondò in onor di sua moglie la città di Lavinio,
d uccise 152 ; che fondò in onor di sua moglie la città di Lavinio, e che in appresso Ascanio figlio suo e di Creusa, fabbr
perchè si stendeva lungo il dorso del colle Albano153 ; e finalmente che Enea morì due anni dopo, e fu adorato come un Ind
sostituirsi alla Mitologia, la sana critica per altro ci fa conoscere che nei primi tre secoli di Roma alla verità istorica
nvien parlare pur anco delle principali superstizioni del Paganesimo, che derivarono dal culto di tali Dei : il che faremo
perstizioni del Paganesimo, che derivarono dal culto di tali Dei : il che faremo nei seguenti capitoli. LXIII Della Di
noscere il futuro, e al tempo stesso una classica illusione a credere che facilmente se ne potesse squarciare il velo. Ma a
ente se ne potesse squarciare il velo. Ma appena vi furono gli stolti che ciò credetter possibile, si trovaron subito gl’im
i stolti che ciò credetter possibile, si trovaron subito gl’impostori che asserirono di possederne il privilegio o il segre
one delle Divinità Superiori ; ora convien parlare della Divinazione, che incominciata nei tempi preistorici fu il perpetuo
nterpretazione della volontà di essi. Quindi è fondata sulla credenza che gli Dei manifestino agli uomini la loro volontà e
po soggiunge : cosa veramente magnifica e salutare, se però esiste, e che avvicina l’umana natura all’essenza divina 154. C
rone argomenta molto a lungo e molto sillogisticamente per dimostrare che la Divinazione non esiste 155 ; ma noi non avremo
imostrazione, dopo quanto abbiam detto parlando degli Oracoli, e dopo che gli Dei del Paganesimo furon riconosciuti falsi e
n Europa. I Greci la chiamarono in loro linguaggio Mantiche, vocabolo che significa furore, esaltazione mentale ; quindi la
inii ed i sogni : l’artificiale tutte le altre specie di divinazione, che si facevano derivare dal canto e dal volo degli u
di origine latina, e Cicerone la fa derivare da superstite, dicendo «  che tutti coloro i quali ogni giorno pregavano gli De
ni giorno pregavano gli Dei e ad essi immolavano vittime per ottenere che i loro figli fossero superstiti (cioè sopravvives
ero ai genitori) furon chiamati superstiziosi 157 ; » ed aggiunge poi che quel vocabolo di superstizione ebbe in appresso u
le stolte e vane pratiche religiose, proprie delle vecchie imbecilli che hanno un irrazionale terror degli Dei. Quindi egr
nale terror degli Dei. Quindi egregiamente Bacone da Verulamio asserì che la superstizione altro non è veramente che un ter
Bacone da Verulamio asserì che la superstizione altro non è veramente che un terror pànico. Cicerone inoltre ci fa sapere
non è veramente che un terror pànico. Cicerone inoltre ci fa sapere che non è stato egli il primo a far questa distinzion
i fa sapere che non è stato egli il primo a far questa distinzione, e che non solo i filosofi, ma anche gli antichi romani
eri per filo e per segno tutte le idee e le pratiche del culto pagano che egli credeva superstiziose, a noi basta il sapere
utte le sue parti, specie e distinzioni, come indicammo di sopra : il che in altri termini equivale a dire che la Divinazio
ni, come indicammo di sopra : il che in altri termini equivale a dire che la Divinazione di qualunque genere o specie era u
one. Ma perchè gli scrupolosi politeisti di quel tempo non credessero che dicendo egli così mirasse ad abbattere la religio
e ad abbattere la religione, oltre all’avere accennata la distinzione che facevano non solo i filosofi ma ancora i più cele
i antichi romani fra religione e superstizione, asserisce formalmente che col toglier la superstizione non si toglie già la
er la superstizione non si toglie già la religione, facendo intendere che invece si purifica e si nobilita eliminandone ciò
cendo intendere che invece si purifica e si nobilita eliminandone ciò che vi sia stato intruso di vano e di irrazionale dal
Trattandosi in questo capitolo di quel genere di divinazione soltanto che credevasi derivare da spirito profetico negl’Indo
e soltanto che credevasi derivare da spirito profetico negl’Indovini, che erano considerati come i profeti dei Pagani, bast
i più celebri dell’Epoca eroica. Tra i quali ha maggior fama Tiresia, che era Tebano e viveva ai tempi della guerra dei set
della guerra dei sette Prodi. Di lui si raccontano più mirabili fatti che di qualunque altro indovino. Basti il rammentare
ù mirabili fatti che di qualunque altro indovino. Basti il rammentare che fu detto e creduto che egli avendo un giorno perc
qualunque altro indovino. Basti il rammentare che fu detto e creduto che egli avendo un giorno percosso colla sua verga du
eduto che egli avendo un giorno percosso colla sua verga due serpenti che si battevano, fu cangiato in femmina, e che sette
la sua verga due serpenti che si battevano, fu cangiato in femmina, e che sette anni dopo ritrovando quegli stessi serpenti
l Canto xx dell’Inferno, ove Virgilio così gli dice : « Vedi Tiresia che mutò sembiante « Quando di maschio femmina divenn
verga, « Che riavesse le maschili penne. » La qual favola significa che egli conosceva più d’ogni altro i pregi e i difet
di ambedue i sessi ; e perciò appunto inventarono i Mitologi antichi, che Tiresia fosse chiamato a decidere una questione i
izione dell’uomo o della donna ; e poichè egli diede ragione a Giove, che cioè fosse più felice la donna, Giunone per dispe
rofetico. Perciò divenne così famoso, e fu creduto infallibile, tanto che niuno osava dubitare della veracità dei suoi pres
uoi presagi. Avendo egli detto nel tempo della guerra dei Sette Prodi che Tebe non sarebbe vinta, se per la patria avesse s
cuni, o trafiggendosi colla propria spada 161. Quando Tiresia presagì che sarebbe saccheggiata la città, molti Tebani esula
andarono a cercar nuove terre ed una nuova patria. Credevasi inoltre che anche dopo la morte egli avesse conservato lo spi
destini. Ebbe Tiresia una figlia chiamata Manto, indovina anche essa, che esercitò, finchè visse, l’arti paterne, e dopo av
ar sue arti, « E visse, e vi lasciò suo corpo vano. « Gli uomini poi che intorno erano sparti « S’accolsero a quel luogo c
erano sparti « S’accolsero a quel luogo ch’era forte « Per lo pantan che avea da tutte parti. « Fer la città sovra quell’o
da tutte parti. « Fer la città sovra quell’ossa morte ; « E per colei che il luogo prima elesse, « Mantova l’appellar senz’
 Mantova l’appellar senz’altra sorte. » Tale è l’origine di Mantova, che Dante fa raccontare a Virgilio stesso, ed assicur
di Mantova, che Dante fa raccontare a Virgilio stesso, ed assicurare che questa è la verità, e che qualunque altra asserzi
raccontare a Virgilio stesso, ed assicurare che questa è la verità, e che qualunque altra asserzione è una menzogna. Meno r
ltra asserzione è una menzogna. Meno rammentato, sì dai poeti antichi che dai moderni, è Trofonio ; ma poichè ne parlano Ci
to, convien darne qualche notizia. Trofonio era un insigne architetto che in Lebadia, nella Beozia, scavò un antro nel qual
a chi andasse a consultarlo ; ed ivi morì di fame. Si aggiunse dipoi che un Genio andò ad abitare e a dar responsi in quel
dipoi che un Genio andò ad abitare e a dar responsi in quella caverna che si continuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma c
in quella caverna che si continuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma che era un luogo così orrido che chiunque vi discende
inuò a chiamare l’antro di Trofonio ; ma che era un luogo così orrido che chiunque vi discendeva diveniva poi tanto serio e
sì orrido che chiunque vi discendeva diveniva poi tanto serio e mesto che non rideva mai più finchè vivesse. Perciò di un u
he non rideva mai più finchè vivesse. Perciò di un uomo malinconico e che sembrasse spaurato dicevasi dai Greci, come in pr
onico e che sembrasse spaurato dicevasi dai Greci, come in proverbio, che era disceso nell’antro di Trofonio. Dell’indovino
nor fama fia laudabile tacerci, e concluder di tutti in generale quel che abbiamo accennato in principio, che cioè l’arte l
ncluder di tutti in generale quel che abbiamo accennato in principio, che cioè l’arte loro era un effetto d’impostura da un
di stupida credulità dall’altro ; e decisiva è la sentenza di Dante, che li condanna tutti quanti, antichi e moderni, all’
la incidentalmente rammentando in una similitudine la Sibilla Cumana, che dava i suoi responsi colle foglie nella sua caver
ibilla. » (Parad., xxxiii, v. 65). Anche gli scrittori ecclesiastici che composero polemiche e sillogizzarono contro le fa
venuta del Messia e su diversi fatti della vita di lui 163. Quindi è che le immagini delle Sibille si trovano anche nelle
eci Sibille, sotto ciascuna delle quali è posta una iscrizione latina che accenna qual fosse la profezia a ciascuna di esse
a a ciascuna di esse attribuita164. Non dovrà dunque recar maraviglia che se ne parli con tanto rispetto dagli storici lati
li con tanto rispetto dagli storici latini e dallo stesso T. Livio, e che si ammetta tra i fatti istorici che Tarquinio Pri
latini e dallo stesso T. Livio, e che si ammetta tra i fatti istorici che Tarquinio Prisco avesse comprato da una donna mis
libri sibillini. I quali poi furon tenuti in sì gran conto daì Romani che ne affidarono la conservazione e la interpretazio
a o di qualche altra pubblica sventura. Non potremo ammetter di certo che le Sibille fossero profetesse ispirate dal Dio di
erto che le Sibille fossero profetesse ispirate dal Dio di Abramo, nè che gli Dei falsi e bugiardi potessero accordar loro
etica. Non si deve dunque cercarne la spiegazione nel soprannaturale, che può essere oggetto di fede nelle idee religiose,
enze umane. Solo potremo rendercene una ragione probabile riflettendo che Sibille chiamavansi le sacerdotesse del culto di
i responsi, poichè avevano imparato anch’esse quel gergo amfibologico che potea significar bianco o nero, retto o curvo a p
degl’interpreti o degl’interessati ad intendere in un modo piuttosto che in un altro. Molti dei loro responsi eran conserv
ati e attribuiti alle Sibille ; e siccome si credè, e forse era vero, che alcune di queste Sacerdotesse preferissero una vi
ini comprati da Tarquinio. Se poi quelle donne girovaghe e misteriose che si spacciavano per Sibille fossero state o no sac
assicurarlo, e si credeva più facilmente l’inesplicabile maraviglioso che il dimostrabile positivo. E poichè era utile ai r
. E poichè era utile ai reggitori degli Stati per facilità di governo che il popolo fosse così credulo ed ignorante, non so
le Sibille rammentate dagli Antichi più pel luogo della loro nascita che pel nome loro o dei loro parenti ; ma dieci solta
no le seguenti : 1ª La Sibilla Persica, di cui fece menzione Nicànore che scrisse le gesta di Alessandro Magno. 2ª La Sibil
ª La Sibilla Dèlfica, di cui parlò il filosofo Crisippo in quel libro che egli compose sulla Divinazione. 4ª La Sibilla Cum
pose sulla Divinazione. 4ª La Sibilla Cumea, ossia di Cuma in Italia, che è rammentata da Nevio, da Pisone e da Virgilio. 5
rammentata da Nevio, da Pisone e da Virgilio. 5ª La Sibilla Eritrèa, che nacque in Babilonia come afferma Apollodoro, asse
a Eritrèa, che nacque in Babilonia come afferma Apollodoro, asserendo che era sua concittadina. 6ª La Sibilla Samia, di cu
concittadina. 6ª La Sibilla Samia, di cui Eratòstene lasciò scritto che ne era stata fatta menzione negli antichi annali
mato anticamente Marpessio. 9ª LaSibilla Frigia, della quale fu detto che vaticinò in Ancira. 10ª La Sibilla Tiburtina, oss
Orazio in una delle sue Odi165. 71. Dicono gli scrittori antichi che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima
crittori antichi che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima che apparteneva al regno della Colchide. Perciò Medea
mihi notum nil, nisi Phasis, erat. » E i Naturalisti confermano quel che dice il fagiano di Marziale ; poichè chiamano Fag
o di Marziale ; poichè chiamano Fagiano del Fasi la specie più comune che si conserva e moltiplica nelle fagianiere. 72.
comune che si conserva e moltiplica nelle fagianiere. 72. Ovidio, che fu relegato nell’antica città di Tomi sul Mar Ner
i sul Mar Nero presso Odessa, ci dice in una elegia (Trist. iii, 9ª), che Medea uccise e fece a pezzi il suo fratello Absir
ea uccise e fece a pezzi il suo fratello Absirto in quella regione, e che la città ivi dipoi fabbricata dai Milesii fu dett
vi dipoi fabbricata dai Milesii fu detta appunto Tomi, greco vocabolo che significa dissezione (e dal quale fu composto pur
eticamente tutto l’atroce delitto di Medea, ed asserito con sicurezza che questo nome di Tomi lo aveva il territorio anche
sicurezza che questo nome di Tomi lo aveva il territorio anche prima che vi fosse fabbricata la città : « Sed vetus huic
« Constat ab Absyrti cœde fuisse loco. » I Geografi moderni credono che l’attuale città di Ovidiopol, fabbricata da Cater
ter, sia sul luogo stesso dell’antica Tomi dove fu relegato Ovidio, e che perciò fosse chiamata Ovidiopol (città d’Ovidio)
chiezza, e viver più a lungo. Disgraziatamente la Storia ci fa sapere che questo barbaro metodo curativo (il quale, general
condannata anche per legge. Non ostante si asserisce da alcuni autori che di tanto in tanto i medici francesi ne abbiano ri
V. il giornale La Nazione del 23 novembre 1872). È da sapersi inoltre che il Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere i
tuzioni Oratorie, nel lodare questa tragedia ne riporta un sol verso, che è tanto citato ed analizzato dai retori e dai log
ingenio suo temperare quam indulgere maluisset. » — E Ovidio stesso, che per lo più rammenta modestamente altre sue Opere,
di quella eroica), parlerò qui brevemente della principal maraviglia che gli Antichi raccontavano di Arione, vissuto sei i
into, colmo di ricchezze acquistate col canto e col suono, i marinari che lo riconducevano a Metimna sua patria nell’isola
sul dorso sino alla costa del Peloponneso. Di questo fatto mitologico che credevasi accaduto in tempi storici parlano anche
evasi accaduto in tempi storici parlano anche Erodoto e Cicerone, non che i poeti : tra i quali Ovidio lo racconta a lungo
asti, e chiude la sua narrazione con le lodi del delfino e col premio che ebbe dagli Dei di esser cangiato nella costellazi
e col premio che ebbe dagli Dei di esser cangiato nella costellazione che porta quel nome : « Dì pia facta vident : astris
le sia celebrato da tutti i più antichi poeti, incominciando da Omero che accenna a cantici e poemi antichissimi in onore d
preziosa (feldspato) ordinariamente di colore verdastro o olivastro, che si scava nelle regioni prossime a quel gran fiume
ava nelle regioni prossime a quel gran fiume. 88. I Mitologi dissero che Espero fu cangiato in quella stella omonima che p
8. I Mitologi dissero che Espero fu cangiato in quella stella omonima che prima comparisce la sera dalla parte di occidente
latino e vespero in italiano. Ma questa stella non è veramente altro che il pianeta di Venere. Infatti, troviamo che anche
lla non è veramente altro che il pianeta di Venere. Infatti, troviamo che anche Cicerone nel lib. ii De Nat. Deor. lasciò s
ntio, « Disse a me : Fatti in qua, si ch’io ti prenda : « Poi fece sì che un fascio era egli ed io. » (Inf., C. xxxi, v. 1
e di Ercole esiste in greco un elegantissimo Idillio del poeta Mosco, che fu tradotto squisitamente da quel sommo ingegno d
. le Metamorfosi di Ovidio,lib. ix, dal principio. 94. Vedasi l’inno che Virgilio nel lib. viii dell’Eneide afferma cantat
cole. 95. Vedasi la canzone di Fulvio Testiintitolata : La virtù più che la nobiltà fa l’uomo ragguardevole. 96. « Castor
precetti sul modo di ordinare e comporre il poema epico non fa altro che portar l’ esempio del modo tenuto da Omero, del q
…..) V’era anche un altro proverbio in latino : ab ovo usque ad mala, che voleva significare dal principio alla fine ; ma q
roverbio alludeva al principio e alla fine dei pranzi antichi romani, che incominciavano coll’ imbandigione delle uova e fi
punta degli altri 12 parafulmini non si vide nulla. Però è da notare che il parafulmine della cupola si eleva molto al di
ore 8 e 45 minuti e finì alle 9 50. La mattina seguente fu osservato che le punte del parafulmine del telegrafo avevano pe
le punte del parafulmine del telegrafo avevano perduto la doratura, e che v’ erano dei segni a zig-zag sulla lamina che com
perduto la doratura, e che v’ erano dei segni a zig-zag sulla lamina che comunica col suolo. I contadini delle vicinanze d
la lamina che comunica col suolo. I contadini delle vicinanze dissero che una mezz’ ora prima che incominciasse la bufera,
ol suolo. I contadini delle vicinanze dissero che una mezz’ ora prima che incominciasse la bufera, i buoi muggivano tanto d
riflesso della luce divina. 101. Alcuni Mitologi inventarono ancora che Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto
ora che Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto al naturale che i tori mugghiavano intorno ad essa credendola viv
v. 233.) La caduta d’Icaro fu dipinta dal Domenichino in un quadretto che vedesi nella Galleria Farnese. 105. Lo stesso
a facilità di verso e di locuzione, accenna, tra le altre somiglianze che diedero motivo alla trasformazione del giovinetto
» 106. A più forte ragione può applicarsi ai fatti mitologici quel che afferma Sallustio dei fatti storici degli Atenies
rse in rovina « Andrà Parnaso senza il tuo Sonetto ? « Lascia a color che a tanto il Ciel destina « L’opra scabrosa ; o per
più l’ingegno affina. » 108. Con queste ultime parole sembrerebbe che Plutarco lodasse e dichiarasse più giusta di tutt
ta di tutte la pena del taglione. Notino peraltro i giovani studiosi, che sebbene anticamente fosse creduta tale, e sia anc
nel lib. xii delle Metamorfosi, e la fa raccontare al vecchio Nestore che vi si era ritrovato presente e vi avea preso part
so parte. 114. Virgilio peraltro asserisce nel lib. vi dell’Eneide che Teseo non fu liberato, e che resterà eternamente
raltro asserisce nel lib. vi dell’Eneide che Teseo non fu liberato, e che resterà eternamente nell’Inferno : « ……. Sedet æ
nde pianse Ifigenia il suo bel volto ; ecc. » 116. Dante ammette che Ippolito fosse costretto a partir d’Atene per le
lib. ii) da quei guerrieri della greca città di Pisa nel Peloponneso, che nel loro ritorno dalla guerra di Troia furono spi
ei tempi eroici. Cade qui in acconcio il riferire com’egli interpretò che i principi e gli eroi antichi erano dati ad educa
Ercole e di Giasone, ed ora diciamo di Achille) al Centauro Chirone, che era, come tutti gli altri Centauri, mezzo uomo e
ti gli altri Centauri, mezzo uomo e mezzo bestia. Ecco la spiegazione che ne dà il Machiavelli : « Dovete dunque sapere co
di quelli principi antichi furono dati a nutrire a Chirone Centauro, che sotto la sua disciplina li custodisse : il che no
re a Chirone Centauro, che sotto la sua disciplina li custodisse : il che non vuol dire altro l’avere per precettore un mez
ire altro l’avere per precettore un mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna ad un principe sapere usare l’una e l’alt
ra non è durabile. » — (Il Principe, cap. xviii.) Bisogna però notare che il Machiavelli parlava del principato assoluto o
otare che il Machiavelli parlava del principato assoluto o dispotico, che in oggi è divenuto un mestiere fallito ; quindi a
al principe costituzionale devesi suggerire il precetto opposto, cioè che tenga intorno a sè per consiglieri meno Centauri
to opposto, cioè che tenga intorno a sè per consiglieri meno Centauri che sia possibile. 123. Chi fosse vago di conoscere
ortata nell’ Atheneum, del 7 novembre 1874, celebre periodico inglese che si pubblica in Londra, ed è diffuso per tutto. 1
m sanguine fudit. » (Virg., Æ-neid. ii, 525-532.) 136. Il Giusti, che bene a ragione ammirava le opere del Bartolini, v
iunto a compieta, « Lorenzo, come mai « Infondi nella creta « La vita che non hai ? » 137. Cicerone nel De Amicitia e
Pirro è chiamato Eacide, alludendosi allo stipite di quella dinastia, che fu Eaco, avo di Achille. 139. La parola Odissea
fu Eaco, avo di Achille. 139. La parola Odissea deriva da Odisseo, che era il greco nome di Ulisse ; e perciò quel poema
nella nostra lingua per lo più si seguono i Latini e non si fa altro che tradurli. Essi conservarono al poema di Omero il
e fanno gl’Italiani. 140. Quest’isola di Ogige dicevasi e credevasi che fosse situata nel mar Tirreno presso le coste del
corrisponda : perciò taluni la credono un’isola favolosa, come la Dea che vi risiedeva. 141. Essendo Ulisse figlio di Laer
divini. 142. Anche nel Canto xxvii del Paradiso conferma l’opinione che Ulisse fosse annegato nell’Oceano Atlantico, e ri
amoso « ….. Quid non mortalia pectora cogis, « Auri sacra fames ? » che Virgilio proferì « Crucciato quasi all’umana nat
quali parole il can. Bianchi fa la seguente annotazione : « È inutile che io osservi che il virgiliano Quid non mortalia pe
can. Bianchi fa la seguente annotazione : « È inutile che io osservi che il virgiliano Quid non mortalia pectora cogis ecc
ha propriamente il senso a cui è tirato qui. » È vero, io soggiungo, che Dante voleva applicare il detto virgiliano ai pro
re il detto virgiliano ai prodighi e non agli avari, e potrebbe darsi che lo avesse interpretato come gli faceva comodo ; m
avesse interpretato come gli faceva comodo ; ma forse è più probabile che nelle copie di Virgilio vedute da Dante fosse scr
irgilio vedute da Dante fosse scritto Cur invece di Quid, come dicesi che si trovi tuttora in qualche antico manoscritto de
qualche antico manoscritto dell’Eneide. 144. Son queste le parole che Dante fa dire a Pier delle Vigne : « L’animo mio
145. I poeti ci hanno conservato il nome anche di due altre Arpie, che eran chiamate Occìpete e Aello. Il numero ternari
Sicheo ed a Creusa. » (Parad. xix, 97.) Rammenta ancora col biasimo che si merita Pigmalione, fratello di lei : « Noi ri
rgat. xx, 103.) 148. Perciò Dante, parlando di Didone, disse di lei che ruppe fede al cener di Sicheo. 149. E celebre i
49. E celebre in Virgilio (Eneide, lib.  iv) l’imprecazione di Didone che sembra un presagio delle guerre Puniche e delle t
presagio delle guerre Puniche e delle tremende battaglie di Annibale che tanta strage fecero dei Romani e misero in forse
a da Napoli. 152. I poeti latini, e principalmente Virgilio, dicono che la regina Amata moglie del re Latino, aveva prome
ata moglie del re Latino, aveva promessa Lavinia in isposa a Turno, e che quando vide la sorte delle armi favorevole ad Ene
 Ancisa t’hai per non perder Lavina ; « Or m’hai perduta ; i’son essa che lutto, « Madre, alla tua pria ch’all’altrui ruina
De Divinat., ii, 72.) 160. Si noti come Dante avendo detto di sopra che Tiresia diventò femmina, usa qui il pronome le, c
mina. Perciò usa il pronome di genere femminile. 161. Alcuni credono che quella celebre statua detta comunemente il Gladia
o che quella celebre statua detta comunemente il Gladiator moribondo ( che vedesi in una delle sale della Galleria Capitolin
itolina in Roma) rappresenti Meneceo. — E questa una di quelle statue che dai primi repubblicani francesi furono portate a
alche cosa di misterioso, poichè, secondo alcuni Etimologisti, vuolsi che sia una parola composta che in lingua greca signi
ichè, secondo alcuni Etimologisti, vuolsi che sia una parola composta che in lingua greca significhi per decreto divino, qu
to riconoscere nelle Sibille una missione divina. 163. In quell’inno che la Chiesa cattolica recita o canta in suffragio d
no che la Chiesa cattolica recita o canta in suffragio dei defunti, e che incomincia colle parole Dies iræ, è rammentata l’
6 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
Prefazione. Molte sono le opere che trattano della Mitologia, e dotte, e voluminose ;
lla Mitologia, e dotte, e voluminose ; ma poche sono le elementari, e che servir possano utilmente alla gioventù d’introduz
te alla gioventù d’introduzione a questo studio non meno interessante che ameno, e necessario sopratutto all’intelligenza d
atutto all’intelligenza de’ Classici antichi, e moderni. Il ristretto che ora vien presentato al Pubblico per uso dei Reali
icavato con sobrietà e giudizio dai migliori mitologi tanto Italiani, che oltramontani, e si è pensato di escluderne non so
tutte le superflue dilucidazioni della favola, e tutte l’espressioni che avessero potuto, benchè in minima guisa, ledere l
ai Napoletani ne’ secoli vetusti, colla spiegazione delle anticaglie, che oggigiorno anche si ammirano nella nostra Città.
icaglie, che oggigiorno anche si ammirano nella nostra Città. Sperasi che questo lavoro sia come altra volta benignamente a
e prima Della Mitologia in generale. La Mitologia1 non è altro che la Storia, e la spiegazione della favola. L’indic
significano discorso sulla favola. La serie numerosa delle avventure, che andando innanzi osserveremo, non sono in sostanza
enture, che andando innanzi osserveremo, non sono in sostanza per noi che semplici favole : noi le consideriamo come piacev
orale. Gli Egiziani, presso de’ quali ebbero la loro origine, i Greci che le accolsero, ed i Romani, che parimente le adott
quali ebbero la loro origine, i Greci che le accolsero, ed i Romani, che parimente le adottarono, riguardavano questi imma
misteriosi da non doversene punto dubitare, e non vedevano nel tutto, che il sistema di religione dagl’Iddj ad essi present
el tutto, che il sistema di religione dagl’Iddj ad essi presentato, e che i Poeti, ed i Savj colle cure più sollecite aveva
dato le più plausibili congetture con fabbricare altresì de’ sistemi, che potessero appagare almeno la fantasia : ma non ma
lle favole l’abbozzo di varj effetti naturali2 : altri hanno creduto, che contenessero precetti di morale ; parecchi si son
uto, che contenessero precetti di morale ; parecchi si sono avvisati, che racchiudessero istoriche verità sfigurate dalla b
arria di una immaginazione amica della menzogna : non esclusi coloro, che hanno ravvisato nella favola diverse figure simbo
a scelta. Vi sono bensì delle favole, il di cui sviluppo è si chiaro, che per negarlo bisognerebbe rinunciare all’istessa e
In quelle solamente non si può perdere di vista l’oggetto misterioso, che l’antichità si ha prefisso, senza determinarci ad
noi accennate, ciò è stato per fare intendere alla gioventù studiosa, che le favole non sono puerili invenzioni a capriccio
? Ecco la risposta. In rapporto alla morale, il frutto non può essere che scarsissimo : ma per l’opposto ci fornirà di gran
vapori, è Giove armato per ispaventare i mortali. Sorge una tempesta, che sgomenta il Nocchiero, è Nettuno sdegnato, che me
i. Sorge una tempesta, che sgomenta il Nocchiero, è Nettuno sdegnato, che mette le onde in sconquasso. L’eco non è più un s
o sdegnato, che mette le onde in sconquasso. L’eco non è più un suono che rimbomba nell’acre, è una Ninfa, che si duole, o
quasso. L’eco non è più un suono che rimbomba nell’acre, è una Ninfa, che si duole, o piange la morte di Narciso. Così il p
tate invenzioni. Omero non è sempre di accordo con Esiodo : e Ovidio, che visse molto dopo, ha sovente opinioni diverse dag
sovente opinioni diverse dagli altri. Questa circostanza ci avverte, che gli antichi scrittori si assumevano il dritto di
tenere un posto nel cielo ad un novello Dio1. Ma fa d’uopo osservare, che la maggior parte di questi Dei sconosciuti nel si
ogia in generale. Noi faremo immediatamente la numerazione degli Dei, che riscuotevano un culto più esteso, e perciò detti
le, e Proserpina 2. Vedremo in seguito le Divinità di secondo ordine, che preseggono ai campi, ai fiori, agli arbori, in gu
ondo ordine, che preseggono ai campi, ai fiori, agli arbori, in guisa che Pane, Pomona, Vertunno, e tanti altri sono allega
ltresì una moltitudine di favole accoppiate alla storia degli Dei, ma che per altro non forma una parte del sistema religio
ente gli Uomini fermi nel principio di un’idea sublime, e consolante, che la Divinità regnasse sovranamente da pertutto, as
egno fra gli Dei, e nel dritto di riscuotere gli omaggi de’ mortali : che anzi a lui non si faceva offerta di veruna sorta,
re sulla sua testa. Si dà ancora il nome di Caos alla mole indigesta, che formavano gli elementi prima che fossero segregat
il nome di Caos alla mole indigesta, che formavano gli elementi prima che fossero segregati. Ecco il sublime tratto di Ovid
’Anguillara, nel quale troviamo descritto cotesto scioglimento. Pria che il Ciel fosse, il mar, la terra, e ’l fuoco : Era
o Fatto intorno alla terra il vario Lido. ……………………………… Quindi nascea, che stando in un composto Confuso il Ciel, e gli elem
o : Contro il secco l’umor, col freddo il caldo. ……………………………… Ma quel che ha cura di tutte le cose, La natura migliore, e ’
squarcio di questo celebre pezzo di Ovidio, per far conoscere l’idea, che avevano gli antichi della Creazione : credevano e
ere l’idea, che avevano gli antichi della Creazione : credevano essi, che la materia fosse eterna, e che l’alta potenza del
ichi della Creazione : credevano essi, che la materia fosse eterna, e che l’alta potenza del Creatore l’avesse posta in mot
io, e presso il suo anzidetto traduttore. Il Cielo. Urano (parola che significa il Cielo) è il più antico degli Dei. Eg
, e sposò sua sorella Gè, o Titèa, eioè la Terra. Ebbero molti figli, che da Titèa furon detti Titani, o figli della Terra.
Briarèo, Gige. La terra altresì concepì dal Tartaro il gigante Tifeo, che molto si distinse nella guerra degli Dei. Urano,
l gigante Tifeo, che molto si distinse nella guerra degli Dei. Urano, che temeva per parte de’ figli, li rinchiuse secondo
egli Dei. Urano, che temeva per parte de’ figli, li rinchiuse secondo che nacquero in un abisso, ove il giorno non penetrav
l’usurpazione il parricidio, mutilò suo padre con una falce di ferro, che sua madre gli avea dato. Dal sangue di Urano, che
una falce di ferro, che sua madre gli avea dato. Dal sangue di Urano, che si sparse sulla terra nacquero i Giganti, e le tr
sparse sulla terra nacquero i Giganti, e le tre Furie : quella parte, che si mischiò colla schiuma del mare produsse Venere
cederlo, e lo ritenne per se. Si venne pertanto ad un aggiustamento, che gli propose Titano, col quale Saturno si obbligav
o a tale trattato, per avergli Urano presagito stando presso a morte, che uno de’ suoi figli lo avrebbe sbalzato dal Trono,
Giove fu esente da tale disgrazia, mercè le cure di Cibele sua madre, che accorgendosi essere incinta, volle questa volta s
rdava la sola prole maschile. Giove divenuto adulto debellò i Titani, che nuovamente avevano dichiarata la guerra a Saturno
r sottrarsi dall’ira di Giove. Fu accolto da Giano, principe Tessalo, che regnava allora nel Lazio. Col consiglio, ed assis
ben vivere sotto il governo delle leggi. Finalmente durante il tempo che Saturno conversò con gli uomini, fu sì grande la
tempo che Saturno conversò con gli uomini, fu sì grande la felicità, che tal’epoca fu chiamato l’età dell’oro. Giano entrò
a fu chiamato l’età dell’oro. Giano entrò a parte della riconoscenza, che questo Nume meritava dagli uomini. Fu ascritto eg
rra era finita : onde in seguito dicevasi di qualche principe Romano, che aveva data la pace all’imperio : Egli ha chiuso
li il dritto sul mese di Gennajo riguardasse l’anno scorso, e quello, che cominciava, sia perchè avesse egli la conoscenza
perchè avesse diviso il suo regno con Saturno, non formando entrambi che un Re solo. Vien figurato talvolta con quattro fa
egarsi. I Greci lo chiamarono Cronos, cioè il tempo, ed era naturale, che i poeti lo facessero nascere dal Cielo, e dalla T
gli scema nè attività, nè le forze. Ha le ali sul dorso per dinotare, che il tempo veloce giunge, ed al momento sen fugge :
mostra il corso sempre eguale, e misurato del tempo, ed il serpente, che si morde la coda formando un cerchio, è simbolo d
e, che si morde la coda formando un cerchio, è simbolo dell’eternità, che non ha cominciamento, nè fine. Le sue vicende, al
o Globo. Fu detta Rèa del Greco Rhèo, fluo per le piogge, ed i fiumi, che scorrono sulla Terra, ed Opi pel soccorso che app
le piogge, ed i fiumi, che scorrono sulla Terra, ed Opi pel soccorso che apprestava agli uomini. Migdonia, Pessinunzia, F
parecchi templi dell’antichità, le statue di Cibele altro non erano, che semplici piramidi, per simboleggiare la fermezza,
e di soccombere, chiamò in suo ajuto tutte le divinità. La Dea Stige, che regnava sopra ai fiumi, le di cui acque circondav
Potere, l’Emulazione, la Forza da lei nati. Per compenso volle Giove, che i giuramenti fatti in nome di Stige neppure i Dei
ge neppure i Dei potessero violare. Il Destino avea altresì predetto, che per ultimar questa guerra ci voleva la destra di
i voleva la destra di un uomo : Giove a tal tempo si servì di Ercole, che diede non equivoci contrassegni del suo valore. C
Dei ebbe parte in questa mischia, e soprattutto si distinse Minerva, che seppellì Encelado sotte l’Etna, i di cui sforzi s
e de’ Poeti, con gittar fiamme, e sassi per liberarsi dal grave peso, che l’opprime. Per mano di Minerva cadde pur il Gigan
e finalmente in questa guerra Briarèo il più terribile tra i Giganti, che aveva cento braccia ; e pareva, che già la guerra
o il più terribile tra i Giganti, che aveva cento braccia ; e pareva, che già la guerra fosse terminata, allorchè uscì in c
icare la morte de’ suoi fratelli. Questo Gigante era si spaventevole, che la sua forza sorpassava il terrore, che ispirava.
Gigante era si spaventevole, che la sua forza sorpassava il terrore, che ispirava. Egli aveva cento teste con serpenti arm
este con serpenti armati di lingue nere, ed avvelenate, vibranti urli che incutevano spavento, sfavillando dagli occhi infu
rovesciò, e restituì la pace all’Olimpo. In seguito di tale vittoria, che sommamente accrebbe la potenza di Giove, volle qu
iù ancora de’ suoi piaceri, ai quali si diede in preda sì fattamente, che la sua maestà fu più degradata di quello, che sar
in preda sì fattamente, che la sua maestà fu più degradata di quello, che sarebbe avvenuto ad un uomo. Noi avremo sovente o
mbianze, sotto le quali si cangiò con avvilire la sua dignità. Omero, che ci ha data fra i poeti un’idea più nobile di Giov
llo il Rispetto, e l’Equità : ed in poter suo sono i beni, ed i mali, che a suo talento distribuisce. Talvolta è rappresent
rappresentato assiso sopra di un carro, e spessissimo sopra l’aquila, che per tale ragione chiamasi comunemente l’Augello d
per tale ragione chiamasi comunemente l’Augello di Giove. L’armatura, che difendeva questo Dio, era l’Egida, vale a dire un
Egida, vale a dire uno scudo formato dalla pelle della Capra Amaltea, che aveva nutrito Giove, e ne armava il braccio sinis
dine fra le costellazioni, e della sua pelle ne compose l’Egida, voce che in Greco indica Capra, che in progresso fu donata
e della sua pelle ne compose l’Egida, voce che in Greco indica Capra, che in progresso fu donata a Minerva, che ci appiccò
voce che in Greco indica Capra, che in progresso fu donata a Minerva, che ci appiccò la testa di Medusa. Vedremo non di rad
nosi deserti della Libia, non trovò acqua per cavarsi la sete. Appena che questo Dio ebbe implorato il soccorso di Giove, s
o Dio ebbe implorato il soccorso di Giove, si vide innanzi un ariete, che battendo la terra col suo piede ne scaturì una so
, e della Terra : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese al Mondo, che questi Dei sì potenti nulla possono al paragone d
te sopra di Io, Europa, Semele, e Latona. Argo fornito di cent’occhi, che aveva in guardia Io cangiata da Giove in vacca, f
ddetto alla coda del suo pavone. Giunone fu detta pronuba, come colei che presedeva alle nozze. Quindi le matrone Romane le
a di Cicerone fu altresì detta Moneta dal Latino monere per una voce, che fu udita nel suo tempio in occasione di un fiero
e affidato il suo segreto a Flora, le fu da questa indicato un fiore, che appena toccato dalla Dea la fece diventar madre d
al di loro cospetto. A tale uffizio fu destinato il gentile Ganimede, che Giove fingendosi un’aquila aveva al padre suo Tro
l padre suo Troe involato. Vulcano nacque sì brutto, e scontraffatto, che avendone Giove rossore lo fece precipitare dal Ci
curò questo maltrattamento di suo padre, ma non perdonò a sua madre, che lo aveva dato alla luce così storpio, e mal fatto
rle ajuto : ma questi non si determinò di farlo, se non a condizione, che gli si darebbe in isposa Venere la più bella fral
terìe di Sicilia accanto la fontana di Enna, incontrossi con Plutone, che lasciato per poco l’Inferno, volle visitar l’Etna
itar l’Etna. Questo Dio concepì per lei un amor violento ; e malgrado che non fosse corrisposto, la rapì, e la fece sedere
cavalli di color nero a dispetto delle lagnanze di Minerva, e Cianea, che fu punita per tal cagione da Plutone, con averla
con averla cangiata in un fonte ne’ contorni di Siracusa. Al momento, che Cerere si accorse della mancanza di sua figlia, l
r tutta la terra con fiaccole accese nell’Etna. Ritrovò ella il velo, che a Proserpina era caduto sul lago di Siracusa nel
rmata dell’accaduto. Per liberare Proserpina, Cerere ricorse a Giove, che per altro esaudì i suoi voti : ma si ci opponeva
altro esaudì i suoi voti : ma si ci opponeva un decreto del Destino, che Proserpina non sarebbe giammai useita dall’Infern
del Destino, che Proserpina non sarebbe giammai useita dall’Inferno, che nel solo caso ch’ella non avesse gustato alcun nu
di poter passare sei mesi con sua madre, ed altrettanti con Plutone, che l’aveva sposata. Calmatasi Cerere si applicò nuov
ipj a Trittolemo figlio di Celèo Re di Eleusi, inculcando al medesimo che ne avesse istituiti altresì gli uomini. In vista
di tal comando scorse Trittolemo l’Asia, e l’Europa. Mancò poco però, che nella Scizia non fosse perito per parte di Linco
a Scizia non fosse perito per parte di Linco geloso della preminenza, che in tal mestiere a Trittolemo aveva Cerere accorda
ssaglia per aver questi tagliata una foresta consagrata a questa Dea, che gli comunicò una fame sì terribile, che lo riduss
esta consagrata a questa Dea, che gli comunicò una fame sì terribile, che lo ridusse a consumare tutt’i suoi averi per sodd
ni. Il principale suo culto consisteva a tenere sempre vivo il fuoco, che ai raggi solari ogni anno si raccendeva nelle cal
o da quattro furiosi cavalli. « Nume del giorno, e della luce sei tu, che regoli il corso de’ giorni, delle stagioni, degli
cere dal limo lasciato dalle acque un orribile serpente detto Pitone, che inseguiva da per ogni dove la sventurata Latona.
tica, e sommamente assetata fermossi presso uno stagno ; i terrazzani che tagliavano giunchi, le proibirono di dissetarsi.
dine fissò quest’isola fralle Cicladi pria errante nel mare : e tosto che fu adulto, ed istruito nell’arte di maneggiar l’a
d istruito nell’arte di maneggiar l’arco, ammazzò il serpente Pitone, che aveva sì crudelmente perseguitato Latona. Questo
sue tempia, e la lira delle foglie di questa pianta, e volle altresì, che la corona di alloro fosse in seguito il premio de
sse sotto l’aspetto di Eurinome sua madre. Clizia figlia dell’Oceano, che inutilmente amava Apollo, scoverto l’inganno, nè
che inutilmente amava Apollo, scoverto l’inganno, nè avvertì Oreamo, che infuriato contro sua figlia la fece sotterrare vi
che infuriato contro sua figlia la fece sotterrare viva ; ma Apollo, che non potè salvarla, la tramutò in una pianta, che
re viva ; ma Apollo, che non potè salvarla, la tramutò in una pianta, che dà l’incenso. Il rimorso di un tal attentato cond
sse a morte Clizia cangiata pur essa in Eliotropio (Girasole), pianta che gira guardando sempre il sole, come volendo rinfa
i la sua poca corrispondenza. Nacque da Apollo, e Coronide Esculapio, che da bambino fu dato ad allevare al Centauro Chiron
lla virtù delle piante Diventò così celebre Esculapio nella medicina, che giunse a risuscitare anche gli estinti, e fra que
lito figlio di Tesèo. Un potere così grande ingelosì lo stesso Giove, che con un fulmine troncò i giorni ad Esculapio, e lo
famoso di questo Dio era in Epidauro, dove i Sacerdoti pretendevano, che loro si manifestasse sovente in forma di serpente
Giove di fronte per vendicarsi, ammazzò a furia di frecce i Ciclopi, che avevano fabbricato il fulmine. Riputando Giove fa
impiego avendo lasciato per i furti di Mercurio, non trovò altra via, che di fare il muratore con offrire unito a Nettuno,
lla fabbrica delle mura di Troja. La mercede fu convenuta : ma questi che non aveva molta dilicatezza, terminato il lavoro,
inato il lavoro, gli mancò di parola. Lo sdegno di Apollo fu cagione, che una pestilenza attaccò gli stati di questo princi
to. In sì fiera traversìa fu consultato l’Oracolo, la cui risposta fu che Laomedonte poteva disarmare la collera degli Dei
ità, assediò Troja, e preso Laomedonte, lo ammazzò. Volle in seguito, che Telamone figliuolo di Eaco Re di Salamina sposass
edeva. Il giovane Fetonte portò le sue doglianze a Climene sua madre, che gl’insinuò di recarsi ad Apollo per assicurarsene
uito. Apollo depose tutt’i suoi raggi luminosi, e giurò per la Stige, che avrebbe acconsentito a tutto ciò che suo figlio g
luminosi, e giurò per la Stige, che avrebbe acconsentito a tutto ciò che suo figlio gli domandasse in contrassegno della p
o il suo carro per le vie del Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo, che si pentì del giuramento, che rivocare non era per
Cielo. Tal dimanda fece tremare Apollo, che si pentì del giuramento, che rivocare non era permesso agli Dei. Cercò dissuad
discono, il mare si abbassa, e la madre Terra spaventata dal pericolo che le sovrasta, indirizza a Giove i suoi prieghi. Il
igli maschi, e sette femmine ardì di aver la preminenza su di Latona, che non ne aveva che due, portando la sua empietà al
tte femmine ardì di aver la preminenza su di Latona, che non ne aveva che due, portando la sua empietà al segno di frastorn
va che due, portando la sua empietà al segno di frastornare le feste, che si celebravano in onore di questa Dea, che per pu
o di frastornare le feste, che si celebravano in onore di questa Dea, che per punirla si rivolse a’ suoi figli. Apollo a co
a si rivolse a’ suoi figli. Apollo a colpi di frecce uccise i maschi, che si esercitavano in un circo : e Diana nella stess
in un circo : e Diana nella stessa guisa tolse la vita alle femmine, che si aggiravano intorno ai roghi de’ loro germani.
suo flauto alla lira del figlio di Latona : gli propose una disfida, che Apollo volentieri accettò. Tmolo Re di Lidia fu s
tta. Per disgrazia era al suo servizio un barbiere d’indole cicalone, che non osando svelare l’arcano fece un buco sotterra
ndo svelare l’arcano fece un buco sotterra, ed ivi depose il segreto, che celar non sapeva. Intorno a questo buco nacque un
celar non sapeva. Intorno a questo buco nacque un canneto, e le canne che tutto il giorno crescevano, palesavano ai viandan
, e le canne che tutto il giorno crescevano, palesavano ai viandanti, che il Re Mida aveva gli orecchi dell’asino. Apollo n
o non fu però così discreto con Marsia satiro, e musico valentissimo, che parimente ebbe il coraggio di sfidare il Dio dell
raggio di sfidare il Dio delle Muse. Accettò Apollo la sfida a patto, che chi restava al di sotto, fosse stato a discrezion
si dilettavano delle cantilene di questo satiro, e lo piansero tanto, che colle di loro lagrime crebbe di molto il volume d
, sorella gemella di Apollo veniva riguardata in tre diversi aspetti, che le davano una triplice situazione ; cioè nel Ciel
quanti momenti prima di Apollo, non sì tosto vide la luce del giorno, che apportò degli ajuti a Latona, e tocca dai dolori,
uce del giorno, che apportò degli ajuti a Latona, e tocca dai dolori, che provava sua madre nel partorire, giurò di serbare
di serbare in perpetuo la sua verginità. Il suo pudore fu si grande, che arrivò a punire severamente Attèone, ch’ebbe la s
ò in cervo. L’infelice Attèone volle darsi alla fuga, ma i suoi cani, che sotto tale aspetto nol riconobbero, l’inseguirono
, l’inseguirono, e lo fecero in brani. Ella castigò altresì le Ninfe, che la seguivano. Callisto figliuola di Licaone fu am
e, che la seguivano. Callisto figliuola di Licaone fu amata da Giove, che per sedurla più facilmemte, prese l’aspetto di Di
venuta in cognizione del tutto, discacciò ignominiosamente Callisto, che dopo qualche tempo diede alla luce Arcade. Furono
iove : Giunone implacabile trasformò in orsa questa Ninfa sventurata, che andò vagando per ben quindici anni sotto tal form
ttato di evitare un parricidio con aver sottratto la madre al figlio, che amendue situò nel cielo tra ’l numero delle coste
i Calidonia, per non essersi questi ricordato di lei in un sacrifizio che offrì a tutti gli Dei, con aver inviato un cignal
rlo. Meleagro figliuodi Enèo finì di ucciderlo, e spinto dal coraggio che aveva mostrato questa giovane principessa, le off
l teschio del cignale. I fratelli di Altea moglie di Enèo credettero, che questa spoglia dovesse essere di loro pertinenza.
o di vincere i suoi nemici : in seguito egli sposò Atalanta. Malgrado che Diana giurasse di esser casta, e sommo fosse il s
nell’inferno, per avere osato di pretendere sopra Giunone. Ma Diana, che sotto il nome di Ecate aveva una grande influenza
mezza luna, le cui estremità sono rivolte verso il Cielo : ornamento, che indica, il suo impiego di condurre il carro della
li animali selvaggi da’ loro covili1. Le Muse. Nove sono le Muse, che sovrastano alle scienze, alle arti, ai talenti. H
ciò vien chiamato Musagete, cioè conduttore delle muse. Clio, parola che significa gloria, era destinata ad eternare col s
a seco il significato di molti Inni, per indicare i diversi soggetti, che canta questa Musa. Ella regola altresì il gesto,
, ed una corona : nell’altra una tromba. Urania non ha altr’oggetto, che il Cielo, ed è perciò la Musa dell’astronomia. La
llezza, e la Regina degli amori, nacque, come si è detto, dal sangue, che versò nel mare Urano, allorchè fu ferito da Satur
ti figli ; fra questi i più rinomati sono Cupido, Priapo, Imeneo, Dio che sovrastava alle nozze. Furono anche suoi figli En
ono anche suoi figli Enea. e le tre Grazie1. La sua bellezza era tale che fu giudicata la più bella fra le Dee, ed a lei in
in concorso di Pallade, e Giunone, fu dato da Paride il pomo di oro, che la Discordia aveva gittato dove si celebrarono le
e un sogno di Platone. Parecchi accreditati scrittori ci assisicurano che a questa Venere virtuosa si erano eretti magnific
olomba. L’ornamento principale di Venere era una zona, o sia cintura, che aveva la proprietà di darle sempre nuove attratti
. Il Riso, il Gioco, il Piacere, il Vezzo vengono espressi egualmente che lui sotto le forme di alati Amoretti. Sul nascere
o le forme di alati Amoretti. Sul nascere di Cupido ognuno prevedeva, che sarebbe il più tristo fra gli Dei. Giove voleva o
nascose ne’ boschi, ove succhiò il latte delle bestie feroci. Appena che Amore arrivò all’età di poter maneggiare l’arco,
rtare in un luogo di delizie, ove la trattenne per molto tempo, senza che costei lo avesse conosciuto. Venere afflitta per
glio fatto suddito di questa giovane, la perseguitò con tanta stizza, che infelicemente alla fine se ne morì. Ma Giove, ch’
agazza ingenua, e colle ali di farfalla. Vulcano. Si è già detto, che Vulcano1 nacque talmente brutto, che Giove con un
la. Vulcano. Si è già detto, che Vulcano1 nacque talmente brutto, che Giove con un calcio lo fece cadere dal Cielo. Il
bracciò una professione dove poteva far mostra de’ suoi rari talenti, che fu appunto quella di fabbro ; e stabilì la sua fu
de’ suoi lavori erano i Ciclopi, specie di giganti figli della Terra, che avevano un occhio solo nella fronte. I più conosc
e. Vulcano fece uscire dalla sua fucina una quantità di capi d’opera, che formavano l’ammirazione degli Dei, e degli uomini
più decente, qual’era quello di porgere il nettare agli Dei. Vero è, che la poca grazia, colla quale esercitava le funzion
ca grazia, colla quale esercitava le funzioni di coppiere, fu cagione che Ebe avesse un tale incarico. Questa giovane, e le
iove dopo la guerra de’ Titani sposò Meti ; ma avendogli detto Urano, che questa donna avrebbe dato alla luce una bambina d
tto Pirrico, annunciandosi con soverchia gentilezza per una Divinità, che durante la sua vita doveva mantenere un portament
della vista. Questa Dea si contrastò il dritto con Nettuno pel nome, che doveva darsi alla nascente città di Atene. I Dei
nome, che doveva darsi alla nascente città di Atene. I Dei decisero, che chi de’ due rendesse un più utile servizio alla n
per l’appunto uno scudo fatto dalla pelle di un mostro chiamato Egi, che Minerva aveva ammazzato nella guerra de’ Giganti.
terribile testa di Medusa con i capelli di serpenti. Vi ha chi dice, che l’Egida era fatta dalla pelle della capra Amaltea
lei donata. Marte Dio della guerra. Piccata Giunone contro Giove, che da se solo aveva fatto nascere Minerva, volle ell
o nascere Minerva, volle ella fare altrettanto, creando un Dio, senza che Giove ci avesse parte1. Forte nel suo proposito s
ove ci avesse parte1. Forte nel suo proposito si consigliò con Flora, che le indicò un fiore, che al solo toccarlo concepì
rte nel suo proposito si consigliò con Flora, che le indicò un fiore, che al solo toccarlo concepì Marte. Questa è l’origin
guerra. Tal favola ci hanno tramandato i poeti latini : ma1 i Greci, che in lingua loro chiamano Marte Ares lo dicono figl
ubò alcune vacche degli armenti del Re Admeto, e da Apollo custodite, che trasportò nei boschi. Un pastore per nome Batto f
dite, che trasportò nei boschi. Un pastore per nome Batto fu il solo, che se ne avvide. Mercurio per timore di essere scove
rio per timore di essere scoverto gli donò la più bella delle vacche, che aveva involate : ma non fidandosi interamente di
sotto un altro aspetto gli offerì una vacca, ed un bue a condizione, che avesse svelato il luogo, ove il furto stava nasco
o, ove il furto stava nascosto. Batto sedotto dal guadagno svelò ciò, che sapeva : allora Mercurio diedesi a conoscere, e l
io diedesi a conoscere, e lo trasformò in pietra di paragone : pietra che ha la virtu di scoprire la natura de’ metalli da
: presedeva ai giuochi, alle adunanze, ascoltava i pubblici indovini, che lo consultavano, e dava ad essi le risposte. Era
i Giove, e di Semele nata da Cadmo2. Ella ad insinuazione di Giunone, che le comparve sotto l’aspetto di Beroe sua nutrice,
rice, chiedette a Giove una grazia, obbligandolo a giurare per Stige, che glie l’accorderebbe : questa fu che Giove venisse
obbligandolo a giurare per Stige, che glie l’accorderebbe : questa fu che Giove venisse a visitarla con tutto l’apparato ce
tutto avvampò, e la stessa Semele fu divorata dalle fiamme. Mercurio, che accompagnava il Sovrano degli Dei, ebbe appena il
Sovrano degli Dei, ebbe appena il tempo di salvare il picciolo Bacco, che stavasi ancora nel seno di sua madre. Ma siccome
asi ancora nel seno di sua madre. Ma siccome non era giunto il tempo, che doveva nascere, Giove aprì una sua coscia, ed ivi
ed ivi racchiuse il bambino. Quando nel trasse, il diede a Mercurio, che lo consegnò a Niso. Questi lo educò nelle caverne
isa nell’Arabia. Le figliuole di Atlante, e ’l vecchio Sileno satiro, che amava molto il vino, ebbero cura della sua infanz
stelle dette Jadi, e facendo presso di se restare il giocoso Sileno, che lo seguiva sopra un asinello, sul cui dorso talvo
quistò le Indie. Tutta la sua armata era composta di uomini, e donne, che portavano un tirso, cioè frecce circondate di pam
he portavano un tirso, cioè frecce circondate di pampini, e di edere, che ne nascondevano la punta. Per tale conquista Bacc
conquista Bacco fu detto il domatore delle Indie, o del Gange, fiume che attraversa questa contrada. Era cosa pericolosiss
rsa questa contrada. Era cosa pericolosissima l’irritare questo Nume, che acremente volle vendicarsi di Penteo, e di Licurg
adre del Re, ed alle sue Menadi, o siano Baccanti un sì fatto furore, che esse lo ammazzarono senza conoscerlo. Licurgo Re
e, che esse lo ammazzarono senza conoscerlo. Licurgo Re della Tracia, che aveva osato di dichiararsi nemico di Bacco, si ru
cco, si ruppe le gambe, mentre s’impegnava di tagliare tutte le vigne che stavano ne’ suoi stati. Vedesi ordinariamente rap
i rinserrarsi nelle loro caverne. La sua corte è composta di Tritoni, che fanno echeggiare l’aere al suono delle conche mar
echeggiare l’aere al suono delle conche marine, e degli Dei del mare, che tutti circondano, e sieguono a nuoto il suo carro
Dei del mare, che tutti circondano, e sieguono a nuoto il suo carro, che galleggiando vola sulle acque. Noi abbiamo già os
porzione il regno degli estinti, e stabili la sua sede nell’inferno, che stava nelle viscere della terra. Si figura assiso
tro a due punte in una mano, e nell’altra delle chiavi, per dinotare, che a chi entrava nel suo regno, non era permesso di
la più ridente ; ed in conseguenza non si sarebbe ritrovata una Dea, che di tutto suo genio si fosse a lui accoppiata.
nse sotterranee voragini, ove risplendeva una luce diversa da quella, che sfavilla sotto le volte de’ Cieli. L’Averno era u
questi mostri fantastici, vedevasi Acheronte fiume grande, e torbido, che deponeva il suo limo nello stagno di Cocito, dopo
avere attraversato l’impero di Plutone. Bisognava tragittarlo. Appena che Mercurio armato della sua verga, aveva condotte l
osta. Questo rigido barcajuolo poteva ricevere quello ombre soltanto, che avevano avuto gli onori della sepoltura1, allonta
li onori della sepoltura1, allontanando a colpi del suo remo le altre che si affollavano per passare. L’orrida sua ciera ba
la riva opposta di Acheronte stava Cerbero, cane di enorme grandezza, che aveva tre teste, e tre gole spaventevoli. Questi
tevano mandare a vuoto : Cocito da sole lagrime formato : Flegetonte, che in vece di acqua correva in fiamme : e ’l fiume L
ine di pene. Da tale separazione di buoni, e di cattivi si argomenta, che tutte le ombre erano giudicate al loro arrivo all
rano condotte innanzi a tre giudici, cioè Minosse, Eaco, e Radamanto, che colà perpetuamente dimoravano, sedendo nel di lor
a quale ffagellavano le ombre a loro consegnate. Varie erano le pene, che si soffrivano nel Tartaro1. Sisifo, che durante l
segnate. Varie erano le pene, che si soffrivano nel Tartaro1. Sisifo, che durante la sua vita aveva colmata di delitti la G
a, d’onde gravitando pel proprio peso ricadeva immantinente. Flegia, che aveva appiccato il fuoco al tempio di Apollo, sta
il fuoco al tempio di Apollo, stava inchiodato a’ piedi di una rupe, che sembrava ad ogn’istante di schiacciarlo colla sua
va ad ogn’istante di schiacciarlo colla sua caduta. Il gigante Tizio, che ardì di attentare all’onore di Latona, sentiva la
tare all’onore di Latona, sentiva lacerarsi i visceri da un avoltojo, che li divorava a misura, che si rinnovavano. Ission
sentiva lacerarsi i visceri da un avoltojo, che li divorava a misura, che si rinnovavano. Issione era attaccato ad una ruo
va a misura, che si rinnovavano. Issione era attaccato ad una ruota, che girava di continuo. Egli aveva osato di aspirare
litto, gli avea consegnata una figura fantastica formata di nuvole, e che s’assomigliava perfettamente alla Dea. Tantalo q
che s’assomigliava perfettamente alla Dea. Tantalo quel Re crudele, che per mettere a prova la divinità degli Dei in una
olo, sente eternamente gli stimoli della fame, e della sete, malgrado che una pianta carica di frutta gli penda sulla testa
fato nell’acqua. Quando vuol dissetarsi, le acque spariscono a misura che vi porta le labbra : se stende la mano per coglie
delitto. Le Danaidi, alle quali era concesso tregua, e riposo allora che avessero riempiuta una botte, che non avea fondo.
ra concesso tregua, e riposo allora che avessero riempiuta una botte, che non avea fondo. La loro istoria esige qualche det
messa, e concepire un orribile disegno. Come l’oracolo avea predetto, che uno de’ figli del suo germano lo avrebbe rovescia
ie un pugnale con ordine di ammazzare i loro sposi nella prima notte, che ad essi si univano. La sola Ipermnestra rifiutò d
a sola Ipermnestra rifiutò di obbedire, salvando il suo sposo Linceo, che amava teneramente ; e questi verificò il presagio
potuto senza dubbio governare l’universo : ma la cecità degli uomini, che non potevano concepire le divinità separate da tu
credette indispensabile l’immaginare delle divinità di second’ordine, che si occupavano dei dettagli, che per necessità dov
nare delle divinità di second’ordine, che si occupavano dei dettagli, che per necessità dovevano sfuggire agli Dei del prim
za furono gli uomini obbligati a creare altrettanti Dei, secondo quel che loro suggeriva la fantasia riscaldata, o a misura
i, secondo quel che loro suggeriva la fantasia riscaldata, o a misura che il bisogno lo richiedeva. Divinità Campestri.
specialmente il Dio de’ pastori. La sua figura non lusinghiera pareva che dovesse spaventare i pastori piuttosto che riscuo
ura non lusinghiera pareva che dovesse spaventare i pastori piuttosto che riscuotere da essi un culto. Vedesi rappresentato
e cosce irsute, ed i piedi di capra. Il flauto composto di più canne, che porta fralle mani, ci fa sovvenire di un avvenime
gli uni, come gli altri colle corna, e piedi di becco, non altrimenti che Fauno, e Pane. Sileno. Sileno figliuolo di u
mava moltissimo, e lo portò seco al conquisto delle Indie. Un giorno, che il buon uomo viaggiava per la Lidia, smontato dal
al suo asinello si fermò presso di un fonte, ed ivi prese sonno. Mida che lo seppe, bramando di averlo per un poco nella Co
e, mentre dormiva, fece empire la fontana di vino in luogo dell’acqua che conteneva. Svegliatosi il piacevole vecchio, e cr
da allora lo fece trasportare alla sua Reggia, e lo trattò così bene, che Sileno ritornato presso di Bacco parlava sempre i
in compenso di tanti favori prestati al suo caro Sileno, disse a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al
ri prestati al suo caro Sileno, disse a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convert
se a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convertito in oro tutto ciò che toccava, c
voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convertito in oro tutto ciò che toccava, credendo questo un bene inestimabile. Ta
er ottenuto un dono dei più funesti. Allorchè volle mangiare, il cibo che accostava alle sue labbra, diventava oro sotto i
addormentato : da lungo tempo Sileno aveva loro promesso alcuni versi che mai non diede, le ninfe lo legarono con alcune gh
loro mani : dimandò loro di esser posto in libertà, e non l’ottenne, che dopo di avere adempiuto alla sua promessa. Sil
alla sua promessa. Silvano. È questi uno degli Dei delle foreste, che talvolta si confonde con Pane, perchè rappresenta
ede una freccia avvelenata di Ercole, provò un dolore tanto sensibile che cercò in grazia agli Dei di poter morire : il suo
ome di Sagittario. Ociroe sua figlia parimente istruita nelle scienze che possedeva suo padre, sapeva altresì presagire il
riacquistarono la loro giovinezza, e non ismentirono quella fedeltà, che a vicenda avevano giurato di mantenere. Era rappr
e di Pomona. Termine. Il Dio Termine, la cui statua non era altro che una pietra, o un tronco di albero, vegliava ai co
i ad uso di fantoccio per ispauracchio : questo basta per dimostrare, che questo Dio non era bello : aveva l’aspetto di un
utto, era pertanto figliuolo di Venere, e fratello di Cupido. Giunone che per effetto di rivalità odiava Venere, mercè i su
è i suoi incantesimi, trovò il mezzo per rendere mostruoso il bambino che questa Dea portava nel seno : fu inoltre così pro
che questa Dea portava nel seno : fu inoltre così proclive al vizio, che se ne formò il Dio del libertinaggio. A lui fu sa
lui fu sagrato l’asino. I fiumi. I Fiumi, o per dir meglio i Genj che preseggono alla sorgente, ed al corso de’ fiumi,
e di Ninfe. I particolari loro nomi derivavano dai diversi attributi, che loro si davano. Chiamavansi Driadi, e Amadriadi q
attributi, che loro si davano. Chiamavansi Driadi, e Amadriadi quelle che presedevano alle foreste : Napèe quelle delle pra
este : Napèe quelle delle praterie, e de’ boschetti : Najadi le ninfe che vegliavano alla sorgente dei fiumi, e delle fonta
vegliavano alla sorgente dei fiumi, e delle fontane : Oreadi le ninfe che guardavano i monti : tutte quelle che avevano l’i
delle fontane : Oreadi le ninfe che guardavano i monti : tutte quelle che avevano l’impero sulle acque del mare, erano dett
enitore. Eco. Eco figlia dell’Aria, e della Terra era una ninfa, che si nascondeva ne’ boschi fralle rupi, e le montag
, e della ninfa Liriope. Era questi insensibile verso tutte le ninfe, che lo amavano. Eco fu egualmente che le altre sfortu
i insensibile verso tutte le ninfe, che lo amavano. Eco fu egualmente che le altre sfortunata : fu tale il suo dolore, che
o. Eco fu egualmente che le altre sfortunata : fu tale il suo dolore, che si ritirò ne’ siti i più solitarj, ed ivi fu cang
iorno mentre si riposava sulla riva di un fonte, vide la sua immagine che traspariva nell’acqua : fu talmente sorpreso dell
che traspariva nell’acqua : fu talmente sorpreso della sua bellezza, che divenne amante di se stesso. Ma inutilmente egli
ttenere l’oggetto de’ suoi desiri : le onde cristalline non offrivano che una lusinghiera immagine. Non volle pertanto abba
ontentò di morire sulla riva di quel fonte ; fu cangiato in un fiore, che conserva anche oggi il suo nome. Divinità del
sia la Terra. Sposò Teti sua germana, dalla quale ebbe Nereo, e Dori che si maritarono insieme. Questi, come si è detto, p
ono le Ninfe, e le Nereidi. Tra il numero di quest’ultime vi ha Teti, che bisogna distinguere da Teti sua madre. Giove la g
adre. Giove la guardava di buon occhio : ma avendo saputo dal Destino che da quella nascerebbe un bambino, che avrebbe un g
o : ma avendo saputo dal Destino che da quella nascerebbe un bambino, che avrebbe un giorno superato la gloria di suo padre
avendo perduto l’intero sciame delle api, recossi a sua madre Cirene, che così gli parlò : Est in Carpathio Neptuni gurgit
e giunse felicemente in Colco, ove sasagrificò a Marte il suo ariete, che dopo fu situato fra i dodici segni del zodiaco. Q
fra i dodici segni del zodiaco. Questa fuga afflisse molto Atamante, che trasportato dalla rabbia volle ammazzare Ino col
zzare Ino col suo figliuolo Melicerta. Ella non potè salvarsi, se non che precipitandosi nel mare col figlio, dove furono a
arini. Ino prese il nome di Leucotoe, e Melicerta quello di Palemone, che i Romani chiamarono Portunno. Glauco. Glauco
e pescatore della Città di Anteona nella Beozia. Un giorno si avvide, che alcuni pesci che aveva nascosti sotto una cert’er
Città di Anteona nella Beozia. Un giorno si avvide, che alcuni pesci che aveva nascosti sotto una cert’erba, ripresero nuo
ipresero nuove forze, e si slanciarono nelle acque. Egli si assicurò, che quest’erba aveva una proprietà particolare : ne m
o poste fra la Sicilia, e l’Italia, e dipendeva dai cenni di Nettuno, che gli ordinava di mettere i venti in libertà, o d’i
iati cogli omeri coverti da scaglie dorate, e co’ piedi alati. Austro che spira dal mezzodì ; Euro che parte dall’Oriente ;
caglie dorate, e co’ piedi alati. Austro che spira dal mezzodì ; Euro che parte dall’Oriente ; e Zefiro che viene dall’Occi
Austro che spira dal mezzodì ; Euro che parte dall’Oriente ; e Zefiro che viene dall’Occidente. Fra’ venti è questi il più
o cangiate in pesci dalla sola cintura in giù. Le Arpie. Malgrado che le Arpie fossero figlie di Nettuno, e della Terra
, ed a’ piedi. Cariddi, e Scilla. Cariddi era una donna crudele, che dava addosso, o assassinava i passeggleri. Fu amm
ale avvelenò la fontana, ove questa ninfa era solita bagnarsi. Appena che Scilla si tuffò in quest’acqua, disparvero all’is
ngozzava i vascelli tutt’intieri, e la sua cintura era armata di cani che abbajavano senza interruzione, e che divoravano c
a sua cintura era armata di cani che abbajavano senza interruzione, e che divoravano chiunque aveva la disgrazia di cadere
di altro golfo a lui opposto giace poco lontano. Come spesso accadeva che i naviganti mentre volevano evitare uno di questi
o di questi scogli incorrevano nell’altro, ebbe origine il proverbio, che incontrava Scilla, chi fuggir voleva Cariddi, all
l’Erebo, e dalla Notte. Abitavano nel Tartaro per dinotare l’oscurità che vela l’avvenire. I loro nomi erano Cloto, Lachesi
La Morte. La Morte figlia della Notte, e germana del Sonno, è la Dea che presiede agli ultimi istanti della nostra vita. E
la Notte, e fratello della Morte, ch’è un sonno perpetuo. La pittura, che fa Ovidio di questo Dio, è sì bella, che ci fa ch
sonno perpetuo. La pittura, che fa Ovidio di questo Dio, è sì bella, che ci fa chiaramente conoscere la natura, e gli effe
ese de Cimmerj1 ove raggio di luce non penetra, ed altro non si sente che il solo mormorio del fiume Lete, che c’invita a d
n penetra, ed altro non si sente che il solo mormorio del fiume Lete, che c’invita a dormire. Innanzi alla sua abitazione s
. Innanzi alla sua abitazione si trovano de’ papaveri, ed altre erbe, che hanno la virtù d’addormentare i mortali. Riposa i
da cortine di color nero. Gli si vede appresso una quantità di sogni, che dormono ammonticchiati l’uno sopra l’altro. Morfe
o. Il suo altare era collocato presso quello delle Muse per dinotare, che gli uomini di lettere hanno bisogno del riposo, e
bre. Manes erano dette dai Latini le ombre degli estinti, o i Genj, che assistevano ai sepolcri. Nemesi. Figliuola de
embianze più dolci : talvolta porta un velo sulla testa per dinotare, che la celeste vendetta è impenetrabile, e colpisce a
celeste vendetta è impenetrabile, e colpisce all’istante i colpevoli, che si credono in sicurezza. Vedesi altresì assisa so
delle abitazioni stavano i Lari per allontanare una qualche disgrazia che avesse potuto entrare. Questi Dei erano piccole s
ella famiglia trapassato. Presso queste immagini stava anche un cane, che egualmente era rispettato. I Genj. Credevano
ne, che egualmente era rispettato. I Genj. Credevano gli antichi, che i Genj fossero destinati alla custodia degli uomi
gli antichi, che i Genj fossero destinati alla custodia degli uomini, che erano assistiti secondo il proprio naturale da du
asone. Vedesi rappresentato qual vecchio zoppo, ma alato per dinotare che le ricchezze con pena si ammassano, e con celerit
dati, dovunque passa questo Dio, spande a capriccio l’oro, l’argento, che cava dal corno dell’abbondanza che porta con se.
ande a capriccio l’oro, l’argento, che cava dal corno dell’abbondanza che porta con se. La Fortuna. La Fortuna è dipint
e gli occhi bendati con un piede in aria, e l’altro su di una ruota, che gira con velocità. Gli antichi credevano ch’ ella
i, indizio della sua incostanza, ed un ciuffo di capelli sulla testa, che fa d’uopo afferrare, perchè non iscappi dalle man
di una pelle di lupo picchiettata d’occhi, e di orecchi per indicare, che bisogna vedere, e sentir molto, e parlar poco. I
ilenzio nel numero degl’Iddii, e lo dipingevano in forma di una donna che chiamarono Muta. Temi. Figliuola del Cielo, e
u creduta da Eusebio quella tale Carmenta donna savissima di Arcadia, che presagiva il futuro. Le matrone Romane le avevano
li. I pagani supponevano in lei una grande penetrazione, per indicare che la giustizia scopre la verità più nascosta. È rap
ssa, e dei grandi. Astrea. Vi ha tra poeti, chi crede Temi la stessa che Astrea, figliuola di Giove, e di Temi. Durante il
oro Astrea conversò cogli uomini : ma stanca, ed annojata dai delitti che si commettevano, involossi dalla terra, e volle r
ozze. Egli per aver salvate alcune donzelle dalle mani de’ corsari, e che restituì ai proprj genitori, era dalle donne invo
Aglaja, Talia, ed Eufrosine. Erano contente delle semplici attrattive che avevano sortite dalla natura. Vengono rappresenta
vevano i Greci, ed i Romani fatta l’apoteosi alle passioni umane, non che alle virtù, ed ai vizj, ai beni, ed ai mali. Non
, non che alle virtù, ed ai vizj, ai beni, ed ai mali. Non altrimenti che a Giove, si erano a questi Dei innalzati templi,
i, ed altari, ed erano rappresentati con que’ caratteri, ed attributi che avvertivano gli uomini di quanto potevano temere,
la spada punisce i malfattori. Il di lei tranquillo aspetto annunzia, che i suoi giudizj sono sceveri di qualunque prevenzi
o fece Lucullo, dopo aver vinto Mitridate, e Tigrane. Crede il Vossio che la Felicità adorata da Greci col nome di Ευδαιμον
che la Felicità adorata da Greci col nome di Ευδαιμονια sia la stessa che Salus la salute pubblica. L’Abbondanza. Vedes
queste due Divinità ciascuna il suo tempio in Roma, ma fatto in modo che non si poteva entrare nel tempio dell’onore senza
allegoria era tanto bella, quanto istruiva, per insegnare agli uomini che bisogna essere virtuoso per poter aver dritto all
erra, spargendo veri, e falsi rumori. » Leggasi la bella descrizione che fa Ovidio del palazzo della Fama. La Concordia
eggi, e la bilancia della Giustizia. La Natura. Era questa la Dea che sovrastava a quanto esiste, e vediamo. Vien ella
do doppio ordine di mammelle per indicare la sua fecondità, e la cura che si prende per la sussistenza di quanto ha creato.
na col corno dell’abbondanza in una mano, e nell’altra una bacchetta, che si stende nell’intero globo. L’Amicizia. Meri
l’està, e l’inverno. Il suo fianco era aperto fino a vedersi il cuore che mostrava col dito, ov’era il detto, da vicino, e
a il detto, da vicino, e da lontano : simboli ingegnosi per mostrare, che l’amicizia è la stessa in ogni tempo, in ogni luo
abile nella felicità, e nelle disgrazie. Il suo cuore aperto indicava che non ha ella segreti per gli oggetti a lei cari.
ra espressa in figura gigantesca, e circondata da tutti gli strumenti che indicavano la sua attività. I suoi genitori erano
sentata presso a poco come la Fortuna con un piede sopra di una ruota che gira rapidamente. La sua testa è calva al di diet
calva al di dietro : nella parte d’avanti presenta soltanto un ciuffo che bisogna afferrare. La sua mano era armata di un r
tra. Smunta, pallida, con ciglio torvo, e viso malinconico. Il veleno che ha nel cuore sbocca dalle labbra. Ella non ride m
suo supplizio è di vedere innalzati i talenti. In somma è un mostro, che da se stesso si macera, e da tutti è detestato.
Vedesi ordinariamente dipinto l’Inverno sotto l’aspetto di un vecchio che si riscalda, o stassene rinchiuso in una grotta.
calda, o stassene rinchiuso in una grotta. Egli è vestito di un abito che tutto lo circonda ; i suoi capelli, e la barba bi
, come si è detto, avevano ascritto nel numero degli Dei tutt’i mali, che circondano l’umano genere. Essi li credevano tant
i avesse sorpresi quando combattevano. Il delirio andò tanto innanzi, che immaginarono un Nume, che non abbiamo l’ardire di
ombattevano. Il delirio andò tanto innanzi, che immaginarono un Nume, che non abbiamo l’ardire di nominare in lingua nostra
detto crepitus ventris 1 La serie di tante stravaganze, nel momento che prova la debolezza dello spirito umano, ci avvert
to che prova la debolezza dello spirito umano, ci avverte del bisogno che abbiamo della mano di Dio in tutti gli eventi del
tore dell’Universo, formarono altrettanti Dei di tutti gli attributi, che al vero Ente supremo si convenivano. Parte t
un miscuglio di fatti veri, e di favole. Storia eroica diremo quella che narra i fatti, e le azioni degli uomini, e de’ gu
quella che narra i fatti, e le azioni degli uomini, e de’ guerrieri, che hanno meritato un tale distintivo. Questa storia
tivo. Questa storia porta l’epoca della nascita del mondo, al momento che Prometeo formò il primo uomo, e l’animò con una p
lla terra cui diede l’anima con una particella di quel fuoco celeste, che dal carro del sole aveva rapita. Ingelosito Giove
fuoco celeste, che dal carro del sole aveva rapita. Ingelosito Giove, che un mortale si fosse usurpato il dritto della crea
to Giove, che un mortale si fosse usurpato il dritto della creazione, che a lui solo si apparteneva, diede l’ordine a Mercu
el monte Caucaso, ove un’ aquila, o un avoltojo gli rodeva il fegato, che la notte si rinnovellava per essere al dì vegnent
e divorato di nuovo. Eterno sarebbe stato il suo supplizio, se Ercole che si trovò di là passando, non lo avesse liberato.
r punire gli uomini delle loro temerarie intraprese ordinò a Vulcano, che avesse formata una statua. Volle altresì che cias
aprese ordinò a Vulcano, che avesse formata una statua. Volle altresì che ciascuno degli Dei le avesse comuuicato qualche p
ni. Volle altresi Giove adempiere la parte sua. Egli le donò un vaso, che doveva presentare a Prometeo, forse allora non an
o Prometeo, volle aprir questo vaso donde scapparon fuori tutt’i mali che inondarono la terra. La sola speranza. restò nel
suoi ospiti, immaginò una prova terribile. Fece scannare un ostaggio, che abitava nella sua reggia, e ne apprestò delle viv
icaone tentò sottrarsi alla vendetta, ed all’istante diventò un lupo, che cerca immacchiarsi nel fondo delle foreste. Ineso
ve giurò la perdita del genere umano ; ma senza far danno alla terra, che voleva popolare di una nuova specie. Ordinò ai ve
alla terra, che voleva popolare di una nuova specie. Ordinò ai venti, che avessero unite insieme le nuvole, d’onde caddero
sero unite insieme le nuvole, d’onde caddero le acque in tanta copia, che tutta ne fu inondata la terra. Deucalione, e P
ue sole persone furono preservate, cioè Deucalione, e Pirra sua sposa che non avevano partecipato dei delitti degli uomini.
cipato dei delitti degli uomini. Questi si salvarono in una barchetta che si fermò nella cima del monte Parnaso, e dopo ave
are la terra. A tale oggetto consultaron Temi, la quale loro rispose, che avessero scavate le ossa della gran madre, e col
ssero gittato dietro i loro passi. Pareva in apparenza questo oracolo che contenesse un sacrilegio, ma riflettendo, che la
pparenza questo oracolo che contenesse un sacrilegio, ma riflettendo, che la gran madre era la terra, e le pietre le di lei
iglio. Dai sassi gittati da Deucalione nacquero gli uomini, e da quei che gittava Pirra ne usciron fuori le donne1. Cecr
ttèo re del paese, e della sua colonia se ne formarono dodici borghi, che diedero principio al Regno di Atene. Al culto deg
llo de’ suoi, e sopra tutto quello di Minerva, e di Giove, e di tanti che aveva dall’Egitto portati. Cadmo. Figliuolo f
Europa rapita da Giove sotto l’aspetto di un toro. Disperato Agenore, che non aveva nouve di sua figlia, impose a Cadmo di
non aveva nouve di sua figlia, impose a Cadmo di andarla cercando sin che la trovasse. Essendo stata vana ogni ricerca, Cad
ana ogni ricerca, Cadmo consultò l’oracolo, dal quale gli fu risposto che avesse fabbricato una città in una contrada della
ad attinger dell’acqua in una fontana consagrata a Marte, un dragone che ivi era in guardia, li divorò tutti. Cadmo non ve
di Minerva seminati i denti del dragone produssero de’ nuovi soldati che si scannarono fra di loro, restandone soli cinque
’ nuovi soldati che si scannarono fra di loro, restandone soli cinque che lo ajutarono alla fabbrica della famosa Tebe. Cad
a di rara bellezza chiamata Danae. Come l’oracolo gli aveva predetto, che da costei nascerebbe un bambino, che avrebbe dato
me l’oracolo gli aveva predetto, che da costei nascerebbe un bambino, che avrebbe dato la morte all’avo, rinchiuse Acrisio
a Giove di penetrare nella torre. Divenne Danae madre di Perseo : del che accortosi Acrisio la fece mettere in una barchett
per azzardo arrivò ad una delle isole Cicladi dove regnava Polidette, che volentieri accolse la madre col bambino, con pren
Medusa, ch’ era una delle tre Gorgoni figliuole di Forco Dio marino, che regnavano nelle isole Gorgonidi. Medusa, Stenio,
Gorgonidi. Medusa, Stenio, ed Euriale chiamavansi queste tre sorelle, che avevano un occhio solo, ed un solo dente, che s’i
nsi queste tre sorelle, che avevano un occhio solo, ed un solo dente, che s’improntavano a vicenda. La loro chioma era comp
he s’improntavano a vicenda. La loro chioma era composta di serpenti, che si rizzavano, e fischiavano di continuo. Taluni p
ti, che si rizzavano, e fischiavano di continuo. Taluni poeti credono che tal sorte infelice avesse avuta solamente Medusa
tal sorte infelice avesse avuta solamente Medusa per odio di Minerva, che in tal guisa la sfigurò perchè amata da Nettuno,
odio di Minerva, che in tal guisa la sfigurò perchè amata da Nettuno, che con poco rispetto di questa Dea attestò la sua pr
gli uomini in pietra. Tal sorte toccò ad Atlante re della Mauritania, che gli aveva negata l’ospitalità. Chi guardava quest
a questa testa era soggetto ad un tale destino, e le stille di sangue che ne grondarono, divennero serpenti. Continuando i
meda1 legata nuda ad uno scoglio per esser preda di un mostro marino, che uccise all’istante, ed in premio sposò questa gio
lidette : indi con sua madre Danae ritornò ad Argo. Ivi ammazzò Preto che aveva cacciato Acrisio dai suoi stati, col quale
rtale colla testa di lione, il corpo di capra, la coda di serpente, e che gittava fiamme dalla gola. L’intrepido figliuolo
il mostro, e ne riportò compiuta vittoria. Conoscendo allora Giobate, che il valore di Bellerofonté era superiore ai perigl
la testa di una armata poderosa assediò Atene, e non si ritirò fino a che non fu segnato un trattato, col quale gli Atenies
igarono di dargli annualmente sette donzelle, ed altrettanti garzoni, che dovevano essere divorati dal Minotauro, mostro me
e di cera, e di penne per se, e per Icaro. Avvertì pertanto il figlio che spiccandosi a volo non si levasse troppo in alto,
o profittando del consiglio del padre temerariamente s’innalzò tanto, che staccatesi le penne per l’ardore del Sole, cadde
Androgèo, Fedra, ed Arianna. Il suo governo fu sì giusto, e regolato, che divenne il modello de’ principi. Per la sua giust
del suo valore. Passando pel territorio di Epidauro, uccise Perifeto che lo aveva sfidato a battersi seco. Di là traversan
rsi seco. Di là traversando l’istmo di Corinto, punì Sinni assassino, che aveva una forza prodigiosa, solito ad attaccare l
ssino, che aveva una forza prodigiosa, solito ad attaccare le vittime che cadevano fra le di lui mani, a due rami di pino c
vittime che cadevano fra le di lui mani, a due rami di pino curvati, che poscia si raddrizzavano collo squarcio de’ loro c
frontiere di Megara precipitò dall’alto di una rupe l’infame Scirrone che spogliava i viandanti, e li faceva rotolare nel m
stendere i forestieri sopra di un letto di ferro, e tagliava le parti che sporgevano in fuori. Coll’istesso supplizio pagò
ve non potendosi vedere ozioso volle combattere col toro di Maratona, che menò vivo in Città per sacrificarlo ad Apollo. Ve
tortuosi di quel luogo. Volle Arianna seguire i passi di quest’Eroe, che amava per il suo valore : ma questi ebbe la crude
ma questi ebbe la crudeltà di abbandonare nell’isola di Nasso colei, che gli aveva salvata la vita. Restò l’infelice Arian
ta. Restò l’infelice Arianna in quell’isola fino all’arrivo di Bacco, che ritornava vincitore dall’Indie ; questo Dio asciu
e sue lagrime, e la sposò. Teseo nel partire, aveva promesso ad Egèo, che se ritornava vittorioso avrebbe fatto inalberare
tto inalberare al suo vascello una bandiera bianca in vece della nera che ivi si trovava. Disgraziatamente tanto egli, che
a in vece della nera che ivi si trovava. Disgraziatamente tanto egli, che il piloto obbliarono questa promessa. Egèo che im
ziatamente tanto egli, che il piloto obbliarono questa promessa. Egèo che impaziente attendeva sulla riva il ritorno del fi
endeva sulla riva il ritorno del figlio, osservando il bruno segnale, che indicava la morte dell’Eroe, per disperazione git
che indicava la morte dell’Eroe, per disperazione gittossi nel mare, che dal suo nome fu chiamato Egèo. Teseo montò sul tr
chiamato Egèo. Teseo montò sul trono di Atene : promulgò delle leggi, che contribuirono moltissimo ad accrescere la potenza
ie. Trovò in fine da pertutto occasioni per accrescere la riputazione che godeva. In compagnia di Ercole fece la guerra all
a Antiopa, dalla quale nacque Ippolito. Fu Teseo uno degli Argonauti, che andarono alla conquista del Vello d’oro. Accompag
ò Fedra figliuola di Minosse, e sorella di Arianna. Ben sapendo egli, che le madrigne guardano di mal occhio i figli del pr
una nera calunnia di Fedra. Volendo Teseo vendicarsene, pregò Nettuno che gli promise di esaudire i suoi voti. Un giorno, m
e, fece venir fuori delle acque un mostro metà uomo, e metà serpente, che gittava fiamme per la bocca. Spaventati i cavalli
pena. Teseo di ritorno alla terra procurò di rientrare ne’ suoi stati che aveva occupati Mnesteo : ma i sudditi malcontenti
stati che aveva occupati Mnesteo : ma i sudditi malcontenti di un re che loro attirava una folla di sventure, non vollero
sse miserabilmente, e dopo la sua morte gli furono renduti gli onori, che vivendo aveva meritati. Castore, e Polluce. R
mbi andarono al conquisto del vello d’oro, e fecero la guerra a Teseo che aveva rapita Elena germana. Essi punirono soltant
a a Teseo che aveva rapita Elena germana. Essi punirono soltanto quei che avevano preso parte al ratto. Tal moderazione lor
eritare la stima e l’ammirazione degli Ateniesi. Mercè la nobile cura che entrambi si presero di purgar l’Arcipelago dai co
obile cura che entrambi si presero di purgar l’Arcipelago dai corsari che lo infestavano, furono riguardati quai Numi da’ m
o, furono riguardati quai Numi da’ marinari. Nel corso della tempesta che assalì gli Argonauti, si viddero de’ fuochi scint
fratelli, e cessò tosto quel fiero temporale. Le fiamme di tal sorta che apparivano nel sorgere, o nel mezzo di qualche te
fratelli nel tempo istesso le figliuole di Leucippe, Febe, e Talaria, che bisognò rapire, perchè promesse a Ida, e Lincèo.
per giustificare, e per sostenere l’oltraggio. Castore uccise Lincèo, che da Ida fu vendicato colla morte del primo. Polluc
i era insoffribile perchè, diviso da Castore. Quindi supplicò Giove o che lo avesse privato della vita, o avesse divisa la
sua immortalità col fratello. Esaudì Giove i suoi voti, e fu deciso, che i due germani passassero sei mesi nell’inferno, e
venuto adulto gli fu proposto dallo zio la conquista del vello d’oro, che il giovane avido di gloria non esitò punto d’intr
gloria non esitò punto d’intraprendere a traverso di tanti pericoli, che ne impedivano il possesso. Bisogna sovvenirsi quì
arrivò in Colco, ove offerì in sacrifizio a Marte quel bello ariete, che fu poi collocato in un campo consagrato a quel Di
ia di un dragone terribile. Fu Marte tanto contento di questa offerta che promise immense ricchezze a chi avrebbe il posses
impresa tutti gli Eroi della Grecia. Il vascello detto Argo fu quello che trasportò questa schiera di Eroi, perciò detti Ar
diceria di tutte le avventnre precedenti al viaggio, e degli ostacoli che sormontarono mercè l’assistenza di Giunone, e di
mo luogo rompere una barriera custodita da due tori (dono di Vulcano) che avevano le corna, e i piedi di bronzo, dalle cui
i di un dragone, da’ quali dovevano venir fuora alcuni uomini armati, che faceva d’uopo sterminare fino a che non ve ne res
venir fuora alcuni uomini armati, che faceva d’uopo sterminare fino a che non ve ne restasse un solo : finalmente uccidere
ino a che non ve ne restasse un solo : finalmente uccidere un mostro, che stava alla guardia di sì prezioso deposito. Il pi
che stava alla guardia di sì prezioso deposito. Il più difficile era che tutto questo doveva effettuarsi nel breve corso d
il giorno prefisso si accinse al cimento il valoroso Giasone. Appena che comparve, i tori diventarono manieri, si sottopos
al giogo, fu lavorata la terra, uscirono dal di lei seno gli armati, che in vista di una pietra ad essi lanciata posti in
una bevanda apprestata da Medèa. S’impadronì Giasone dell’aureo vello che portò sulla nave con istupore de’ suoi compagni,
dell’aureo vello che portò sulla nave con istupore de’ suoi compagni, che si erano scoraggiti all’aspetto di tanti pericoli
ggiti all’aspetto di tanti pericoli. Ciò fatto di concerto con Medèa, che sposò, pensarono di fuggirsene col favore della n
o suo fratello minore lo trucidò, spargendo le membra lungo la strada che doveva battere suo padre, perchè si occupasse il
ta di diamanti. La sventurata figlia di Creonte appena ne fu vestita, che fu consumata da un fuoco sul momento. Non content
mento. Non contenta la maga di tale strepitosa vendetta prese i figli che aveva avuti da Giasone, ed al cospetto del padre
mente ritornò in Tessaglia, dove standosi un giorno sul vascello Argo che stava sulla riva, fu schiacciato dalla caduta di
o Argo che stava sulla riva, fu schiacciato dalla caduta di una trave che si era staccata. Ercole. Nacque quest’Eroe da
i era staccata. Ercole. Nacque quest’Eroe da Alcmena, e da Giove, che la sedusse sotto l’aspetto del suo sposo Anfitrio
ne figliuolo di Alcèo. Come Giove aveva detto nel concilio degli Dei, che il bambino, che doveva nascere, sarebbe divenuto
Alcèo. Come Giove aveva detto nel concilio degli Dei, che il bambino, che doveva nascere, sarebbe divenuto un Eroe, irritat
figliuolo di Giove, avendo preso ambo i serpenti, e stretti talmente, che li schiacciò. Creonte re di Tebe prese cura della
che li schiacciò. Creonte re di Tebe prese cura della sua educazione, che fu qual si conveniva ad un Eroe. Ercole gli mostr
n compenso gli diede in isposa Megaride sua figlia. Questi non furono che piccioli saggi del suo valore, e preludj de’ trav
non furono che piccioli saggi del suo valore, e preludj de’ travagli, che gli aveva riserbati lo sdegno di Giunone, che noi
e preludj de’ travagli, che gli aveva riserbati lo sdegno di Giunone, che noi in un fiato accenneremo. Il primo tratto dell
nneremo. Il primo tratto della sua fortezza fu l’aver ucciso un lione che infestava la selva Nemèa, della cui pelle si vest
a selva Nemèa, della cui pelle si vestì. Il secondo fu contro l’Idra, che desolava le paludi di Lerna presso Argo. Questo m
lava le paludi di Lerna presso Argo. Questo mostro aveva cento colli, che terminavano in altrettante teste spaventevoli rin
he terminavano in altrettante teste spaventevoli rinascendo a misura, che si tagliavano. Ercole le sterminò coll’ajuto di J
desse. Temprò egli in seguito le sue frecce nel sangue di quest’Idra, che conteneva un veleno potentissimo. Per mano di Erc
inarj del Lago Stimfalo in Arcadia. Era tanto numeroso il loro stuclo che oscurava l’aria. Avevano il becco di ferro, e dal
mostri abbattuti, e scacciati dal rumore di alcuni timpani di bronzo, che Minerva gli aveva donati. La quarta spedizione fu
onati. La quarta spedizione fu la presa della cerva del monte MenaIo, che aveva i piedi di bronzo, e le corna di oro, che p
rva del monte MenaIo, che aveva i piedi di bronzo, e le corna di oro, che per un anno intero inseguì. Fu ucciso parimente d
nseguì. Fu ucciso parimente da Ercole il famoso cinghiale di Erimanto che trasportò vivo sulle spalle. Era tanto grande, e
manto che trasportò vivo sulle spalle. Era tanto grande, e terribile, che in vederlo ritornare Euristeo si nascose per la p
a botte di bronzo. Erano tante sporche le stalle di Augìa re di Argo, che l’Eroe per nettarle deviò il corso del fiume Alfe
Argo, che l’Eroe per nettarle deviò il corso del fiume Alfeo. Un toro che gittava fiamme dalle narici desolava l’isola di C
le Amazoni, e diede in isposa a Teseo la loro regina. Uccise Gerione, che aveva tre corpi. Essendosi altresì fatto iniziare
ncatenato lo trascinò sulla terra. Finalmente conquistò i pomi d’oro, che stavano agli orti dell’Esperidi guardati da un dr
omi d’oro, che stavano agli orti dell’Esperidi guardati da un dragone che ammazzò. L’Esperidi erano tre, Egle, Aretusa, ed
e, Egle, Aretusa, ed Esperusa figliuole di Espero germano di Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce al levar
figliuole di Espero germano di Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce al levarsi, ed al tramontare del sole,
ramontare del sole, detta perciò Lucifer, ed Hesperus. Osservammo già che Atlante era stato trasformato in una montagna, ch
us. Osservammo già che Atlante era stato trasformato in una montagna, che sostiene il cielo ; le sue quattordici figlie can
strò quest’Eroe la sua vita con tante altre brillanti azioni. Egli fu che diede la morte a Caco, che abitava in un antro so
con tante altre brillanti azioni. Egli fu che diede la morte a Caco, che abitava in un antro sotto le falde dell’Aventino1
la sua caverna, tirandoli per la coda per non far conoscere la strada che avevano battuta. Ercole li avrebbe affatto perdut
rcole i bovi, ed uccise l’indegno ladrone. Stupenda è la descrizione, che fa Virgilio di questa grotta nel lib. 8. Dell’Ene
eide. Stava nelle arene della Libia un famoso gigante chiamato Antèo, che attaccava i viandanti. Aveva questi promesso a Ne
olte ; ma come figlio della Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre che la toccava ; del che avvedutosi Ercole lo tenne s
della Terra ripigliava nuove forze Antèo sempre che la toccava ; del che avvedutosi Ercole lo tenne sospeso in aria finchè
e sospeso in aria finchè spirò l’ultimo fiato. Una fucinata di uomini che avevano picciolissima statura detti Pigmei per ve
per vendicare la morte di Antèo loro re si affollò intorno di Ercole, che ridendo li pose in fuga. Questo Eroe diseese duc
lia, ed Anassabia. Suo padre per sottrarla dalle premure degli amanti che la circondavano, fece loro sentire che per ottene
rla dalle premure degli amanti che la circondavano, fece loro sentire che per ottenerla in isposa dovevano condurla sopra d
sa, avendo adempito a tale condizione mercè un lione, ed un cinghiale che Apollo gli diede. Ma il Destino geloso della feli
elicità di Admeto era presso a troncare i suoi giorni, quando Alceste che lo amava alla follìa, si offrì di morire per lui.
mava alla follìa, si offrì di morire per lui. Fu questa l’unica fiata che le Parche s’intenerirono : recisero quindi il fil
alla corte di Admeto. Commosso dalla sposizione del fatto non volle, che un’azione sì grande restasse senza compenso. Sces
onda volta maritarsi, e chiese la destra di Jole figliuola di Eurito, che domandò tempo per pensarci, sull’idea che sua fig
i Jole figliuola di Eurito, che domandò tempo per pensarci, sull’idea che sua figlia non potesse essere contenta accoppiata
dea che sua figlia non potesse essere contenta accoppiata ad un uomo, che aveva ammazzato di propria mano i suoi figli. Erc
ad un uomo, che aveva ammazzato di propria mano i suoi figli. Ercole che fra le sue virtù non contava la pazienza, credend
fiuto, crucciato si portò via i cavalli di Eurito : suo figlio Ifito, che volle reclamarli, cadde vittima di Ercole. Il suo
orso avendo costretto Ercole a consultare l’oracolo, gli fu risposto, che l’uccisore avrebbe espiato il suo delitto a solo
risposto, che l’uccisore avrebbe espiato il suo delitto a solo patto che si fosse pubblicamente lasciato vendere. Ercole v
inalmente ritornando nella Grecia sposò Dejanira sorella di Meleagro, che volendo condurre alla patria, pregò Nesso centaur
ava a fare un sagrifizio sul monte Eta. Appena Ercole ne fu rivestito che sentì divorarsi da un fuoco interno, indi preso d
eso da furore precipitò dall’alto della montagna il suo schiavo Lica, che gli aveva recato quel dono così funesto. Finalmen
ando i suoi amici di appiccarvi il fuoco. Il solo Filottete fra tanti che ricusarono, secondò il suo volere. Per compenso n
li non poteva cader Troja. Le fiamme consumarono solamente quel tanto che aveva di mortale ; ma come figlio di Giove dopo m
n aver giurato di non rivelare il luogo della sua tomba ; ma i Greci, che avevano bisogno delle frecce che ivi erano rinchi
luogo della sua tomba ; ma i Greci, che avevano bisogno delle frecce che ivi erano rinchiuse per poter prendere Troja, lo
o ove stavano le ceneri di Ercole : ma gli Dei lo punirono egualmente che se avesse colla viva voce indicato quel sito. App
uel sito. Appena imbarcatosi per recarsi a Troja, gli cadde sul piede che aveva battuta la terra, un dardo avvelenato dal s
la sua ferita divenne insanabile. L’infezione, ed il fetore era tale, che i Greci lo lasciarono nell’isola di Lenno, ove me
ì in fatti di riavere da Plutone la cara sua sposa a condizione però, che non si fosse rivoltato indietro fino a che non fo
a sposa a condizione però, che non si fosse rivoltato indietro fino a che non fosse uscito dall’inferno. Lo smanioso Orfèo
rì per la seconda fiata Euridice. Questa perdita lo afflisse in modo, che giurò di fuggire per sempre la compagnia delle do
delle donne. Le femmine di Tracia furono sì offese da tale disprezzo, che avendolo incontrato mentre celebravano le feste d
ano le feste di Bacco, lo fecero in pezzi, e ne dispersero le membra, che poi le Muse raccolsero, e seppellirono in un luog
ta la morte di Euridice, ne attribuisce la cagione al pastore Aristèo che la inseguiva mentre coglieva de’ fiori, e nella f
Edipo. Lajo re di Tebe aveva sposata Giocasta figliuola di Creonte, che aveva prima di Lajo parimente regnato in Tebe.Gli
prima di Lajo parimente regnato in Tebe.Gli fu predetto dall’oracolo, che il figlio che nascerebbe da questo matrimonio avr
parimente regnato in Tebe.Gli fu predetto dall’oracolo, che il figlio che nascerebbe da questo matrimonio avrebbe a suo tem
l genitore ; quindi sgravatasi la regina, ordinò ad un suo familiare, che avesse esposto il bambino in un deserto. Ma quest
iede. Per tal ragione il faneiullo ebbe il nome di Edipo, voce Greca, che dinotò piè gonfio. Forba guardiano degli armenti
mpassione de’ suoi vagiti lo staccò dall’albero, e lo presentò al re, che lo fece educare con attenzione, adottandolo anche
ttenzione, adottandolo anche per figlio. Edipo divenuto adulto seppe, che Polibo non era il padre suo. Volle a tale oggetto
o. Volle a tale oggetto consultare l’oracolo, da cui gli fu risposto, che giammai non pensasse a far ritorno alla patria, p
o stretto del monte Citerone ebbe la sventura d’incontrarsi con Lajo, che avendogli imposto bruscamente di scostarsi, Edipo
rarsi con Lajo, che avendogli imposto bruscamente di scostarsi, Edipo che nol conosceva, credendosi offeso tirò fuori la su
racolo fu pienamente adempiuto. Questa fu la sorgente delle disgrazie che afflissero Tebe. Un mostro alato chiamato Sfinge
andosi in aguato in un passo del monte Ficèo, assaliva i passaggieri, che uccideva dopo aver proposto ai medesimi degli cni
a dopo aver proposto ai medesimi degli cnigmi indissolubili. Creonte, che dopo la morte di Lajo aveva ripreso le redini del
te di Lajo aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico, che colui che uccidesse la Sfinge, sarebbe divenuto l
aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico, che colui che uccidesse la Sfinge, sarebbe divenuto l’immediato
. La vita del mostro dipendeva dallo scioglimento di uno degli enigmi che proponeva. Edipo intraprendente, ed ardito, malgr
degli enigmi che proponeva. Edipo intraprendente, ed ardito, malgrado che tanti prima di lui fossero periti, ebbe il coragg
ima di lui fossero periti, ebbe il coraggio di presentarsi al mostro, che gli dimandò qual era quell’animale che sul matino
ggio di presentarsi al mostro, che gli dimandò qual era quell’animale che sul matino và brancolando a quattro piedi, sul me
due, e verso la sera con tre piedi. Edipo senza punto esitare rispose che questi era l’uomo, che nell’infanzia si rotola so
n tre piedi. Edipo senza punto esitare rispose che questi era l’uomo, che nell’infanzia si rotola sovente anche colle mani
spaventevole in Tebe ; si ebbe ricorso all’oracolo, e la risposta fu, che il flagello cesserebbe allora quando l’uccisore d
sciuto, e punito. Lo sventurato Edipo convinto del delitto, e vedendo che al parricidio aveva aggiunto l’incesto, andossene
il comando. Sdegnato Polinice ritirossi in Argo, dove regnava Adrasto che gli fece grande accoglienza, e gli diede una sua
renze tra i due fratelli, inviando Tidèo altro suo genero ad Eteocle, che violando il dritto delle genti fece tendere un’im
tè appena salvarsi, e ritornato ad Argo raccontò il fatto ad Adrasto, che si accinse tosto a vendicare i suoi dritti colle
o a corpo. Si azzuffarono dunque entrambi, ed era tale l’accanimento, che l’odio reciproco loro ispirava, che dopo aversi d
rambi, ed era tale l’accanimento, che l’odio reciproco loro ispirava, che dopo aversi dato de’ colpi terribili, restarono n
raviglia, e spavento degli astanti. Nomi de’ principali Guerrieri, che si distinsero nella guerra di Tebe. La guerra di
a è stata il soggetto del canto di molti poeti, come quella di Troja, che diede occasione al poema di Omero. Tra i capi che
me quella di Troja, che diede occasione al poema di Omero. Tra i capi che allora si distinsero, si contano Adrasto, Polinic
ante la morte all’assedio di Tebe. Egli fu padre del celebre Diomede, che si segnalò nella guerra di Troja. Amfiarao famoso
figliuola di Adrasto, fu anche pressato ad armarsi : ma sapendo egli che doveva perire in questa guerra, si ritirò dalla c
to, e si nascose. La sola Erifile sapeva il luogo della sua ritirata, che non tardò a scoprire mercè di una bella collana a
fu obbligato a partire con aver però imposto al suo figlio Alcmeone, che appena intesa la nuova di sua morte, avesse tolta
roe figliuola di Acheloo, chiese di nuovo questa collana ai fratelli, che vendicarono l’affronto fatto alla sorella colla m
atto alla sorella colla morte del perfido Alcmeone. Capanèo è l’Eroe, che forma il soggetto del poema di Stazio intitolato
aggio, ma accompagnato dalla prudenza. Sprezzava il fulmine di Giove, che credeva incapace di offendere. Giove volle punire
bero poca fama, e perirono sotto le mura di Tebe. Adrasto fu il solo, che ritornò alla patria. Del resto questa guerra fu f
itornò alla patria. Del resto questa guerra fu fatale a tutti coloro, che ci avevano preso parte. Fra i personaggi, che si
fatale a tutti coloro, che ci avevano preso parte. Fra i personaggi, che si segnalarono in questa celebre epoca, non possi
epoca, non possiamo dispensarci dal nominare Tiresia famoso indovino, che per sette anni fu donna. Suscitatasi fra Giove, e
none la quistione sugli attributi de’ due sessi, fu chiamato Tiresia, che decise a favor di Giove, e contro di Giunone. Spi
asta salì sul trono di Tebe, e la prima delle sue cure fu di proibire che si desse la sepoltura alle ceneri di Polinice, pe
lo gli ultimi uffizj. Ciò saputosi dal re, condannò Antigone a morte, che di sua mano precedentemente si era uccisa prevede
tà della ragione, si riaccese la guerra di Tebe per opera di Adrasto, che stuzzicava i guerrieri della Grecia a vendicare l
ai tempi eroici, per indagare l’origine della famiglia de’ Pelopidi, che figurò molto in tal’epoca. Tantalo ne fu il capo 
nella Frigia. Non essendo questi stato chiamato da Troe in una festa che si celebrò nella città di Troja, per vendicarsi d
scitanza, rapì al padre il gentile Ganimede. Ecco la prima scintilla, che produsse a suo tempo l’incendio di Troja. Abbench
lope. Con un fulmine Giove incenerì Tantalo : indi ordinò a Mercurio, che lo avesse confinato in un lago dell’inferno, inca
e lo avesse confinato in un lago dell’inferno, incatenandolo in guisa che vedesse bensì l’acqua, ma senza poter giammai dis
devano sul capo. Pelope. Tornò in vita Pelope per opra degli Dei, che in luogo della spalla mangiata da Cerere, gliene
re di Elide. Questo principe aveva una figliuola chiamata Ippodamia, che voleva maritare a condizione, che lo sposo dovess
a una figliuola chiamata Ippodamia, che voleva maritare a condizione, che lo sposo dovesse superare al corso i suoi cavalli
i suoi cavalli, ch’erano velocissimi, perchè figli del vento. Pelope che anelava di ottenerla, se la intese con Mirtilo au
che anelava di ottenerla, se la intese con Mirtilo auriga di Enomao, che gli promise di spezzare l’asse che sosteneva le r
tese con Mirtilo auriga di Enomao, che gli promise di spezzare l’asse che sosteneva le ruote del carro, a patto però, che P
se di spezzare l’asse che sosteneva le ruote del carro, a patto però, che Pelope gli desse per un solo giorno Ippodamia. Ci
etesto di vendicare la morte di Enomao. Pelope s’impadronì del paese, che fu detto in seguito Peloponneso, oggi la Morea.
ggironsi presso Euristeo re di Argo, la cui figlia Erope sposò Atrèo, che divenne re, essendo stato ucciso Euristeo dagli E
re, essendo stato ucciso Euristeo dagli Eraclidi nell’Attica. Tieste che restò in sua corte corruppe il cuore di Erope, e
de a mangiare allo stesso padre, ed alla madre Erope. Dicono i poeti, che in quel giorno il sole si oscurò, per non vedere
per non vedere un sì atroce misfatto. Tieste non aveva a rinfacciarsi che un solo delitto. Avendo una volta incontrata una
sco consagrato a Minerva, la violentò. Questa era Pelopea sua figlia, che da gran tempo aveva perduta. Ella gli strappò la
li strappò la spada, e la conservò. Nacque Egisto da questa violenza, che esposto dalla madre fu allevato da’ pastori. Atrè
allevato da’ pastori. Atrèo, seguita la morte di Erope, sposò Pelopea che non riconosceva per sua nipote, facendo allevare
va vendetta, mandò Agamennone, Menelao, ed Egisto in cerca di Tieste, che lo colsero nel tempio di Delfo. Alla vista di que
ngannò con dargli la morte, e con far salire sul trono d’Argo Tieste, che non vi stette gran tempo. Agamennone, e Menela
dopo la morte del padre, si ritirarono presso Polifide re di Sicione, che gl’inviò ad Eneo re dell’Ecalia. Maritati entramb
a, ed Elena, giurarono la vendetta di Atrèo, e perseguitarono Tieste, che per altro non uccisero. Allora nel tempo stesso A
uccisero. Allora nel tempo stesso Agamennone ascese sul trono d’Argo che trasferì a Micene, e Menelao divenne il successor
Priamo re di Troja recossi alla Grecia per reclamare Esione sua zia, che Telamone altra volta aveva menata via sotto il re
eva menata via sotto il regno di Laomedonte. Il giovane ambasciadore, che spirava galanteria, ebbe l’attività di sedurre El
imede figliuolo di Troe, rapito da Tantalo. Ecco la terribile guerra, che interessò tanto tutta la Grecia contro di Troja.
a contro di Troja. Agamennone fu il generale in capo di quest’armata, che doveva vendicare l’insulto fatto a suo fratello.
di Agamennone, sedusse la di lui sposa, e fece uccidere un rapsodo 1, che il re aveva lasciato presso la regina, per sapere
do 1, che il re aveva lasciato presso la regina, per sapere tutto ciò che si faceva nella sua corte. Giunse tant’oltre la d
eva nella sua corte. Giunse tant’oltre la di lui scandalosa condotta, che fece assassinare Agamennone nel proprio palazzo i
nare Agamennone nel proprio palazzo in una festa, nel giorno medesimo che ritornò dalla guerra. Oreste, e Pilade. Clite
sse celato, ed indi fatto partire per la Focide, ove regnava Strofio, che aveva in moglie la sorella di Agamennone. Colà Or
o di Strofio, ed alla parentela unì puranche la più stretta amicizia, che divenne celebre. Dopo qualche anno volle Oreste v
ano ammazzò la rea coppia. Ciò fatto, Oreste fu assalito dalle Furie, che malgrado tante espiazioni non lo lasciarono giamm
Furie, che malgrado tante espiazioni non lo lasciarono giammai fino a che non liberò sua sorella Ifigenìa, che languiva sot
non lo lasciarono giammai fino a che non liberò sua sorella Ifigenìa, che languiva sotto la tirannia di Toante. Da costci f
entiva una forte inclinazione per Teti figliuola di Nereo, e di Dori, che fa d’uopo distinguere da Teti moglie dell’Oceano.
stinguere da Teti moglie dell’Oceano. Sapendo però per detto di Temi, che il figlio che nascerebbe da Teti avanzerebbe di g
eti moglie dell’Oceano. Sapendo però per detto di Temi, che il figlio che nascerebbe da Teti avanzerebbe di gran lunga la g
a Peleo figliuolo di Eaco re della Ftiotide nella Tessaglia. Achille, che superò la gloria del padre, nacque da questa copp
custodire i suoi armenti sul monte Ida, colà confinato da Ecuba senza che Priamo lo sapesse, giacchè gli era stato predetto
lo sapesse, giacchè gli era stato predetto, mentre Ecuba era incinta, che il bambino che stava per nascere, sarebbe stata l
cchè gli era stato predetto, mentre Ecuba era incinta, che il bambino che stava per nascere, sarebbe stata la causa della r
la causa della ruina della patria : quindi diede ordine ad Archelao, che appena nato lo facesse morire ; ma avendone compa
di riconciliazione non ebbero l’effetto desiderato, opponendo Priamo, che i Greci non avevano data alcuna soddisfazione ai
to. Consultato in tale circostanza Calcante celebre indovino rispose, che la flotta non avrebbe avuto giammai favorevole il
e prima non si fosse placato lo sdegno di Diana contro di Agamennone, che le aveva uccisa una cerva a lei cara : questo del
Agamennone a sacrificare sua figlia Ifigenia alla collera della Dea, che placatasi dell’offerta sostituì in luogo di quell
corso di nove anni varia fu la fortuna delle armi. La presa di Troja, che accadde nel decimo anno della guerra, non dipende
mo luogo doveva trovarsi in quest’armata uno de’ discendenti di Eaco, che aveva in compagnia di Apollo, e di Nettuno fatica
ja. Achille discendeva da questo principe : ma Teti sua madre sapendo che il figlio morirebbe nell’assedio, lo aveva vestit
ria ad una vita così vergognosa. Un altro decreto del fato comandava, che si cercassero le frecce di Filottete lasciategli
dava, che si cercassero le frecce di Filottete lasciategli da Ercole, che i Greci avevano vilmente abbandonato, come si è d
ta Palladium, nella quale consisteva la salvezza della città. Ulisse, che accorreva da per ogni dove, colla sua destrezza s
strezza seppe involarla coll’ajuto bensì di Diomede. Impedì parimente che i cavalli di Reso re della Tracia bevessero nel f
elefo figliuolo di Ercole ferito da Achille con un colpo di lancia, e che si era dichiarato nemico de’ Greci. Come questi n
ito, e di divisione non fosse entrato nell’armata : divisione appunto che forma il soggetto del divino poema del grande Ome
sublime L’opra maggior, la memorabil morte Del Trojano campion, morte che a Troja Fu d’eccidio final terribil pegno, Cantam
enire al campo de’ Greci carico di doni per riscattare la sua figlia, che Agamennone volle onninamente tenere presso di se.
uscitò nell’armata una fiera pestilenza. Consultato Calcante rispose, che il flagello non cesserebbe, finchè non si restitu
ll’esercito. Achille il più risentito giunse a minacciare Agamennone, che vinto dalle premure di tutti, fu costretto a cede
rigioniera, ma per vendicarsi spedì due araldi alla tenda di Achille, che rapirono Briscide schiava del figliuolo di Pelco,
a di Achille, che rapirono Briscide schiava del figliuolo di Pelco, e che amava alla follìa. Montato in furie Achille giurò
i Greci con far vincere i Trojani, perchè ognuno conoscesse il danno che poteva produrre alla Greca armata il riposo di Ac
re così le contese. La dissida fu accettata dal momento a condizione, che il vincitore sarebbe il pacifico possessore di El
alle gambe. Il poeta per palliare questa fuga l’abbellisce con dire, che Venere inviluppò in una nuvola il guerriero da le
Pretesero giustamente i Greci l’adempimento del trattato, ma gli Dei che si erano radunati per decidere sulla sorte di Tro
Dei che si erano radunati per decidere sulla sorte di Troja, vollero che l’assedio si fosse prolungato. Minerva stessa, ch
di Troja, vollero che l’assedio si fosse prolungato. Minerva stessa, che non sapeva perdonarla ai Trojani per il giudizio
i piedi. Egli si rendette formidabile agli Dei medesimi. Ferì Venere, che voleva torgli d’innanzi Enea al punto di essere s
olpo a Marte Dio della guerra. Finalmente Ettore il solo de’ Trojani, che ardì di farglisi innanzi, ritornò in città a cons
matrone Trojane di recarsi al tempio di Pallade, per pregare la Dea, che allontanasse Diomede dalla mischia. Andromaca sua
Diomede dalla mischia. Andromaca sua sposa per sottrarlo al pericolo, che correva, gli presentò il piccolo Astianatte suo f
scompiglio nelle file de’ Greci. Discende Minerva dal Cielo : Apollo, che favoriva i Trojani, s’incontra colla Dea, ed insi
sorte sopra di Ajace figliuolo di Telamone. Corre questi alla pugna, che malgrado terribile, restò dubbia. Spossati i due
rendere gli onori della sepoltura ai cadaveri degli estinti. Gli Dei, che avevano preso grandissimo interesse per questa gu
esse per questa guerra, furono convocati nell’Olimpo, e Giove ordinò, che nessuno avesse sposato partito per l’una, e per l
necessario il suo braccio. Ne fu dato l’incarico ad Ulisse, ed Ajace, che partirono all’istante. Ulisse procurò d’interessa
a Grecia con fargli conoscere quanto potrebbe giovare il suo valore : che la sua collera finalmente doveva aver fine, e gli
guente le due armate si schierarono in ordine di battaglia. Ma Giove, che voleva donare la vittoria ai Trojani, inviò Iride
nda. Così fu fatto, e la presenza di Ettore animò talmente i Trojani, che respinsero i Greci, e li astrinsero a ricovrarsi
zi, come distruggerli. Ella dimandò a Venere una zona, o sia cintura, che aveva la proprietà di aggiungere nuovi vezzi, e m
i vezzi, e maggior pregio alla bellezza, e rendeva amabile quella Dea che la portava. Giove non potè resistere a tale incan
so dal sonno. Dormiva Giove, ma vegliava Nettuno a danno de’ Trojani, che furono posti in fuga, allorchè Giove si svegliò.
vino. Marcia Ettore guidato da Apollo : abbatte le trincee de’ Greci, che per la seconda volta dovettero ritirarsi ai loro
e armi di Achille, e seguito da’ Tessali si gitta in mezzo ai nemici, che credendolo il figlio di Peleo, si danno alla fuga
redendolo il figlio di Peleo, si danno alla fuga. Superbo pel terrore che spargeva, e per la morte data a Sarpedone re dell
progressi. Questo Dio per la terza volta spinse Ettore a combattere, che venuto a battaglia con Patroclo, dopo un’ ostinat
le. Ettore si burlò del presagio, e lo spogliò delle sue armi. Appena che giunse a notizia di Achille la morte di Patroclo,
rte di Patroclo, il suo dolore non ebbe limiti. La sentì sì vivamente che l’avrebbe vendicata all’istante, se avesse avute
promettergli le armi pel dì vegnente. Infatti recossi ella da Vulcano che spese tutta la notte a fabbricarne delle nuove, d
cui armato Achille ricomparve fra i capi dell’Armata, con protestarsi che scordava l’antica sua collera. Agamennone per non
à, mandò alla tenda di Achille la cara Briseide, carica di que’ doni, che gli aveva inutilmente prima offerti. Impaziente A
eri, e insieme si azzuffarono. Era tanto fiera, ed ostinata la pugna, che gli stessi Numi erano ondeggianti per chi si deci
el suo amico, e vi appiccò il fuoco. Indi recise la sua bella chioma, che divenne preda delle fiamme : volle inoltre, che q
la sua bella chioma, che divenne preda delle fiamme : volle inoltre, che quattro de’ suoi più belli cavalli con alcuni can
nove giorni trascinò tre volte il mattino il cadavere del suo nemico, che Apollo covrì col suo scudo per non farlo corrompe
arlo corrompere. Finalmente si contentò di cederlo al vecchio Priamo, che in persona era venuto supplichevole a dimandarlo,
cchio Priamo, che in persona era venuto supplichevole a dimandarlo, e che offrì de’ doni di gran valore rifiutati peraltro
a nell’Odissea la distruzione di quest’ infelice città, e l’artifizio che usarono i Greci per rendersene padroni. Fine d
i Priamo. Quest’Eroe divenne amante di Polissena figliuola di Priamo, che aveva veduta sulle mura di Troja. La chiedette a
esa degli stati di questo re. Priamo accettò l’offerta ; ma nel punto che tali nozze si celebravano, da Paride fu lanciata
nto che tali nozze si celebravano, da Paride fu lanciata una freccia, che Apollo diresse al calcagno di Achille. Era questa
teneva, non fu bagnato da quest’acque salutari. È inutile quì notare, che Omero non abbia fatta menzione di tale favola : i
ato meno grande, se lo avesse dipinto fornito di un tal dono. I poeti che scrissero dopo di Omero, immaginarono questa favo
i fare gli onori della sepoltura, furono obbligati a fare altrettanto che fece Priamo per avere il corpo di Ettore. Pel cor
rastarono le sue armi al cospetto di tutta l’armata : ma questa volle che si dessero ad Ulisse. Ajace ne fu tanto indispett
uesta volle che si dessero ad Ulisse. Ajace ne fu tanto indispettito, che giunse a massacrare una moltitudine di porci, cre
Agamennone con tutt’i Greci. Ritornato in se, n’ebbe tanta vergogna, che si diede da se stesso la morte, ed indi fu cangia
e di Omero ci ha presentate delle sanguinose battaglie, e degli Eroi, che diedero pruove non equivoche del più sublime cora
far morire il migliore dei suoi amici, ed una quantità di guerrieri, che avrebbe potuto soccorrere. Abbiamo per l’opposto
posto veduto gl’Iddj dominati da uno spirito di partito : il ritratto che il poeta ce ne ha lasciato sarebbe pur troppo a g
o orrevole per gli uomini, tralasciando per brevità altre riflessioni che potrebbero farsi. L’ Odissèa, di cui ci accingiam
dere la sua cara Penelope, e’ l giovanetto Telemaco. Minerva intanto, che aveva spiegata per lui la sua protezione, discesa
e probabilmente avrebbe avuto nuove di suo padre. Si avvide Telemaco, che Minerva stessa gli parlava per essersi ritirata l
di un uccello, come altresì perchè si sentì animato da una forza più che naturale. Intima pel dì vegnente un’assemblea gen
a pel dì vegnente un’assemblea generale : si duole aspramente di quei che aspiravano alla mano di sua madre : ordina che si
ole aspramente di quei che aspiravano alla mano di sua madre : ordina che siano cacciati dalla reggia, scongiurando i suoi
ca a Sparta da Menelao. Colà appena arrivato, è chiamato ad una festa che si celebrava per le nozze di una figliuola di que
una festa che si celebrava per le nozze di una figliuola di quel re, che gli disse aver inteso da Proteo Dio marino, che s
figliuola di quel re, che gli disse aver inteso da Proteo Dio marino, che suo Padre Ulisse è trattenuto da una ninfa in un’
rta, e per far passare i leggitori da un luogo all’altro, espone quel che accadeva nel Cielo. Conoscendo Giove, che si acco
uogo all’altro, espone quel che accadeva nel Cielo. Conoscendo Giove, che si accostava il giorno fissato dal Destino, in cu
Nettuno sempre a lui contrario suscita una burrasca cotanto furiosa, che il naviglio di Ulisse ne resta fracassato, ed egl
ell’isola de’ Feaci, dove ritroverà la sua salvezza : gli dà un velo, che lo garantisce da ogui periglio, con ordine di git
ia, e la consiglia a lavare le più belle sue vesti, con dirle di più, che le sue nozze erano vicine a celebrarsi. Appena sv
per giocare alla palla. Desta allora Minerva il figliuolo di Laerte, che prima di farsi innanzi a Nausicae si avvolge in u
ramicelli. Ma asperso ancora di polvere spaventa le giovani donzelle, che fuggono da pertutto. La sola figliuola di Alcinoo
he fuggono da pertutto. La sola figliuola di Alcinoo non si sgomenta, che anzi lo aspetta. Ulisse la prega d’indicargli la
sgomenta, che anzi lo aspetta. Ulisse la prega d’indicargli la strada che conduce alla città, e dargli qualche panno per ve
i profumare. L’eroe essendosi lavato nel fiume, e vestito degli abiti che aveva ricevuto, si presenta alla sua benefattrice
, rifiuto delle onde furiose. Il buon re lo accoglie con quella bontà che forma il carattere di quei temdi remoti. Ulisse i
d’era stato spinto dalla tempesta negli stati di Alcinoo : soggiunge, che un fulmine di Giove avendo sfasciato il suo navig
impegnandolo a divenire suo sposo. Finalmente il destino ha permesso che scappasse da questa terra fatale, e battuto da nu
olta. All’istante si danno le disposizioni per allestire un vascello, che debba condurlo alla patria : un’ecatombe1 si offr
a de’ fatti colà accaduti non potè Ulisse frenare le lagrime. Alcinoo che se ne avvide gliene dimanda la cagione, ed Ulisse
il pericolo : gli abitanti offrirono a suoi compagni il loto2, frutto che aveva la proprietà di far dimenticare la patria a
’isola de’ Ciclopi, fermandosi in una picciola isoletta della Sicilia che stava a fronte del porto. Avendo posto piede a te
e abitava Polifemo figliuolo di Nettuno, gigante di enorme grandezza, che avea un occhio solo nel mezzo della fronte. Quest
ndezza, che avea un occhio solo nel mezzo della fronte. Questo mostro che riconduceva i suoi armenti, accortosi che vi era
della fronte. Questo mostro che riconduceva i suoi armenti, accortosi che vi era gente nella caverna, ne chiuse l’ingresso
si che vi era gente nella caverna, ne chiuse l’ingresso con un sasso, che la forza di venti uomini non avrebbe potuto smuov
inari : e ’l dì vegnente altri due gli servirono di colezione. Ulisse che per tutte le vie trovava mezzi per salvarsi, tenn
bada il Ciclope con i suoi racconti, e lo ubbriacò con vino generoso, che aveva portato, e ch’ ebbe la forza d’immergerlo i
fondo. Profittando allora del momento, Ulisse preso un forte bastone, che aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo,
forte bastone, che aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo, che al sentirsi ferito cominciò ad urlare altamente.
rito, ripigliò Polifemo1 : (aveva Ulisse avuta l’accortezza di dirgli che questo era il suo nome). Credettero i Ciclopi, ch
cortezza di dirgli che questo era il suo nome). Credettero i Ciclopi, che avesse perduta la ragione, e lo lasciarono così.
rotta : anche a questo pensò l’astuto Ulisse. Impose a suoi compagni, che nell’uscire gli armenti, si fossero tenuti fermi
i dal gigante. Nello staccare la pietra si situò Polifemo in maniera, che i montoni potessero ad uno ad uno passare fra le
toni potessero ad uno ad uno passare fra le gambe. Allorchè si avvide che eran fuori Ulisse con i compagni, volle inseguirl
azione di Ulisse, dopo avergli fatto una gentile accoglienza, ordinò, che tutt’i venti si fossero rinchiusi in un otre, con
orreggiare i palagi di quest’isola, quando i socj di Ulisse, credendo che in quell’otre si conservasse qualche sorta di vin
vino prezioso, lo aprirono. All’istante scapparono fuori tutt’i venti che posero in iscompiglio le onde, e suscitarono una
’onde, si diresse alla fin fine verso il paese dei Lestrigoni, popoli che si dilettavano di mangiar la carne umana, ed in f
aver fatto gentile accoglimento agl’inviati, loro offrì una bevanda, che li trasformò al momento in porci. Avvisato l’Eroe
di questo nuovo disastro, strada facendo ricevè da Mercurio un’ erba, che lo garantiva dalle più funeste malìe. Ulisse al c
Ulisse si trovò così contento del trattamento, e dell’amor della Dea, che si trattenne volentieri per un anno nell’isola. D
la, e Cariddi. Circe lo aveva altresì avvertito a non toccare i bovi, che faceva pascere la bella Lampezia in un’isola cons
pelli da per se si stendevano. Un tale prodigio li spaventò in modo, che sen fuggirono alle navi : ma la collera degli Dei
sovrana dell’isola. Questo fu il contenuto della narrativa di Ulisse, che Alcinoo, ed i Feaci ascoltarono con ammirazione.
e, con aggiungere di aver egli in Creta accolto Ulisse in sua casa, e che a momenti avrebbe riveduto. Le dà parimente de’ c
ad altrettante colonne. Questo era il segnale convenuto con Telemaco, che avvicinatosi a lui snuda la sua spada, e piomba s
al sangue di questi perfidi, e da quello dei loro aderenti. I sudditi che attendevano con impazienza il ritorno del re, fan
fanno risuonare la reggia delle loro grida : va l’avviso a Penelope, che Ulisse è in Itaca : egli viene riconosciuto, e co
se è in Itaca : egli viene riconosciuto, e corre da suo padre Laerte, che piangeva la perdita di un figlio, che credeva di
o, e corre da suo padre Laerte, che piangeva la perdita di un figlio, che credeva di non mai più rivedere. Restituito Uliss
come Ulisse, ed all’occasione è coraggioso, quanto Achille. L’oggetto che si ha prefisso Virgilio, è quello di dare una ori
a, e sarebbe sicuramente perita, se Nettuno sorpreso da tanto tumulto che regnava nel suo impero, non fusse uscito dall’umi
a reggia, ordinando ai venti di rientrare nelle proprie caverne. Enea che vedeva appena sette de’ suoi vascelli credendo no
e vedeva appena sette de’ suoi vascelli credendo non senza fondamento che i rimanenti fossero divenuti preda dell’infuriato
se fatte in di lui favore. Questo Dio le rinnova, ed assicura Venere, che il suo figliuolo arriverà felicemente in Italia,
il principe Trojano. Venere intanto discesa dall’Olimpo avvisa Enea, che i suoi vascelli sono salvi, menochè un solo, in u
fedele Acate s’incamina l’Eroe verso Cartagine, e coverto da un velo che lo rende invisibile, si approssima alla bella Did
ella Didone detta anche Elisa1. Dopo un istante vede i suoi compagni, che credeva annegati, avanzarsi, e dimandare l’ospita
, che credeva annegati, avanzarsi, e dimandare l’ospitalità a Didone, che gentilmente li ricevette, e diede gli ordini che
ospitalità a Didone, che gentilmente li ricevette, e diede gli ordini che si andasse in cerca del principe Trojano. Venere
questo Eroe, e sensibile alle di lui disgrazie, gli contesta la gioja che sente pel suo arrivo, dando le disposizioni per u
Principi della Grecia, Enea imprese a dire, di anni dieci di assedio, che li teneva lontani dalla patria, escogitarono uno
i Trojani di essere sicuri corrono a vedere questo smisurato cavallo, che i Greci lasciarono nel sito dove stavano accampat
j sono i sentimenti sopra questa macchina immensa : alcuni pretendono che si butti nel mare : altri che ci si attacchi il f
ta macchina immensa : alcuni pretendono che si butti nel mare : altri che ci si attacchi il fuoco : taluni la vogliono intr
no introdurre nella città. Laocoonte sacerdote di Nettuno è di avviso che si abbatta questo mostruoso cavallo, ed egli stes
quello. Arrestano intanto i Trojani un giovine Greco per nome Sinone, che andava errando. Quest’impostore inganna i Trojani
un falso racconto, dicendo, esser egli l’odio de’ Greci : soggiunge, che il cavallo di legno è un’offerta fatta a Minerva
carla : di più li consiglia ad introdurre questo colosso nella città, che conservando un tal pegno, sarebbe sotto la protez
Trojani, un avvenimento terribile interamente li determinò. Laocoonte che aveva scagliata la sua asta contro del cavallo, s
di fare un sagrifizio a Nettuno, fu assalito da due grossi serpenti, che uscirono dal mare. Questi rettili prodigiosi si a
Ciò credettero i Trojani un segno manifesto della collera degli Dei, che gradivano le offerte de’ Greci. Quindi ognun cred
ati ivi nascosti ; in un istante l’infelice città è piena di soldati, che portano da per tutto il ferro, il fuoco, e la des
tano nel tempo istesso inviluppati fra i Greci, e fra i concittadini, che non li riconoscono. Corre pertanto Enea in soccor
tanto Enea in soccorso di Priamo, assediato nel suo palazzo da Pirro, che ivi l’uccide con quanti a lui si presentano. Non
Creusa, del figlio suo, e di Anchise suo padre. Presi gli Dei Penati, che diede in mano di Anchise, si accolla questo vecch
rla, ma gli apparve l’ombra soltanto della sposa morta nell’incendio, che lo consiglia a fuggire, con predirgli ch’egli and
o dove aveva lasciato Anchise, ed Ascanio suo figlio con tutti quelli che avevano abbracciata la stessa sua sorte, Enea for
sua sorte, Enea forma il progetto di andare in cerca di quella terra che il Destino gli prometteva. Fa costruire all’infre
Avendo Enea dato fine al suo racconto, si ritira negli appartamenti che gli aveva assegnati la regina. Rapita intanto Did
alla virtù di Enea, confessa la sua inclinazione ad Anna sua germana, che la consiglia a farlo suo sposo. Giunone per imped
il corso dei destini a favore di Enea propose a Venere queste nozze, che finse di acconsentirvi. Profittano le due Dive de
i rifugiano in una caverna, con uscirne divenuti già sposi. Ma Giove, che aveva riserbato quest’Eroe a più sublimi imprese,
eva riserbato quest’Eroe a più sublimi imprese, gli spedisce Mercurio che lo persuade ad abbandonare Cartagine. Docile Enea
a a vista delle fuggenti vele : carica l’ingrato Enea di maledizioni, che dopo molti socoli si verificarono fra i Cartagine
innalza un rogo : lo ascende, e si ammazza con quella spada medesima che aveva donata ad Enea, e che colà aveva questi las
e, e si ammazza con quella spada medesima che aveva donata ad Enea, e che colà aveva questi lasciata. Accorre Anna mente co
ti. Nella seguente notte apparve in sogno ad Enea l’ombra di Anchise, che lo consigliò a lasciare in Trapani i vecchi, e le
mi. Gl’insinuò parimente di portarsi a Cuma per consultar la Sibilla, che lo avrebbe condotto all’inferno. Eseguì a puntino
di Anchise. Arrivato a Cuma, recossi all’antro della Sibilla Deifobe, che gli predisse quanto doveva accadergli nell’Italia
i penetrare in una oscura foresta, dove avrebbe ritrovata una pianta, che aveva un ramicello, senza del quale non avrebbe p
ici, e gli addita Anchise sulle rive di Lete le ombre di quelli Eroi, che dovevano un giorno formare la gloria dell’impero
re. Il Re Latino regnava in questa contrada. Una sua figliuola unica, che l’Oracolo destinava in isposa a questo principe s
lamente gentilmente accolse i deputati ; ma loro promise dippiù, cioè che Enea sarebbe divenuto suo genero. Piccata Giunone
rendono parimente lo armi contro Enea, il quale non ha in suo favore, che il solo Evandro, che abitava sul monte Palatino.
armi contro Enea, il quale non ha in suo favore, che il solo Evandro, che abitava sul monte Palatino. Questo principe gli s
mento si azzuffano. Restò Turno perditore, e terminò così una guerra, che mettea sossopra l’Italia intera1. Giunta di va
nteresse immediato colla religione, nè tampoco contengano avvenimenti che possano illustrare la storia de’ tempi eroici, co
sciuti nelle campagne della Frigia, chiedendo ospitalità agli uomini, che dapertutto loro la negarono. Bauci, e Filemone ab
panna coperta di giunchi, dove appena si trovava una tavola di legno, che ne formava tutto l’addobbo. Furono questi intanto
legno, che ne formava tutto l’addobbo. Furono questi intanto i soli, che accolsero il sovrano degli Dei, e Mercurio, con p
rio, con preparar loro una mensa assai frugale, non permettendo Giove che ammazzassero un’ oca, ch’ era tutta la loro ricch
erso, e gli abitatori in preda dell’acqua, all’infuori della capanna, che gli aveva accolti, che fu cangiata in un tempio m
n preda dell’acqua, all’infuori della capanna, che gli aveva accolti, che fu cangiata in un tempio magnifico. Bauci, e File
e Tisbe. Piramo, e Tisbe erano due amanti : ma i rispettivi parenti, che appartenevano a due principali famiglie di Tebe,
Tisbe partì la prima : mentre aspettava la sua cara metà, si avvide, che un lione se le avvicinava : quindi fuggì, ma nell
ione se le avvicinava : quindi fuggì, ma nella fuga le cadde un velo, che preso dal lione, dopo averlo lacerato, lo intrise
gue della sua gola. Sopraggiunto Piramo, vide questo velo, e credendo che Tisbe fosse stata la vittima di qualche belva, co
si diede la morte. Non tardò a colà far ritorno la sfortunata Tisbe, che ritrovò sotto la pianta del moro l’infelice Piram
tunata Tisbe, che ritrovò sotto la pianta del moro l’infelice Piramo, che spirava l’ultimo fiato. Sospettando la vera cagio
sua figura gigantesca, un solo occhio sulla fronte spaventavano anzi che no questa ninfa. Inutilmente si ornava il crine,
si ornava il crine, e si radeva la barba. Galatea era sorda, malgrado che non fosse insensibile. Ella amava Aci figliuolo d
nde : ma Aci ebbe la sventura di essere schiacciato da un gran sasso, che il Ciclope gli scagliò. Inconsolabile la ninfa, p
infa, pregò gli Dei, ed il sangue di Aci diede la nascita ad un fiume che fu chiamato Aci dal nome del pastorello. Driop
frutta a suo figlio. Alcune gocce di sangue caddero da questa pianta che prima era stata donna, ed inseguita da Pane aveva
uno scultore abilissimo. Formò una statua bellissima, e pregò Venere che l’avesse animata. I suoi voti furono esauditi : i
e diventò carne. Pigmalione la sposò, e da questa coppia nacque Pafo, che fabbricò la città di Pafo nell’isola di Cipro.
Era tanta la miseria di un abitante di Festo in Creta chiamato Ligda, che fece sentire a sua moglie Teletusa, allora incint
iamato Ligda, che fece sentire a sua moglie Teletusa, allora incinta, che se desse alla luce una femmina, avrebbe data la m
non potendo resistere a tanta crudeltà, si raccomandò alla Dea Iside, che le ispirò il progetto di allevare la bambina sott
tava in Sesto, ed Ero in Abido sull’opposta riva. Questo non impediva che gli amanti non fossero sovente insieme. Leandro o
nzella di Calidonia non volle giammai corrispondere all’inclinazione, che aveva per lei Coreso sacerdote di Bacco, che vend
ondere all’inclinazione, che aveva per lei Coreso sacerdote di Bacco, che vendicò il suo ministro con far sorgere una malat
furiosi tutti gli abitanti. Fu consultato l’oracolo : la risposta fu, che il malore cesserebbe, quando si fosse sacrificata
dell’amor filiale. Essi trascinarono il carro dov’era la loro madre, che si recava al tempio. Gli Dei per compensarli, ed
pio. Gli Dei per compensarli, ed esaudire nel tempo istesso la madre, che li supplicava a renderli felici, li fecero all’is
andava a consultare l’oracolo di Apollo a Claro. Alcione sua moglie, che teneramente lo amava, stavalo attendendo con impa
dendo il cadavere dello sposo gittato dal mare sulla riva. Al momento che si accostava, si avvide di avere sul dorso le ali
va. Al momento che si accostava, si avvide di avere sul dorso le ali, che la sostenevano all’aria, essendo stata cangiata i
ato in uccello, ed entrambi ebbero il nome di Alcioni. Dicono i poeti che questi uccelli fanno il loro nido nel mare, che s
cioni. Dicono i poeti che questi uccelli fanno il loro nido nel mare, che sta in calma, durante il tempo che lo formano, e
celli fanno il loro nido nel mare, che sta in calma, durante il tempo che lo formano, e ne nascono i figli. L’Aurora. L
iuolo di Laomedonte, volle altresì trasportarlo nel cielo, con dirgli che avesse dimandato quanto sapeva desiderare. Titono
rpetua gioventù unita alla vecchiaja, divenne tanto debole, e scarno, che l’Aurora istessa per compassione lo cangiò in cic
teva stringere in mano sua. Il Nume la esaudì. Divenne tanto vecchia, che appena le restò la voce. Cefalo, e Procri. L’
a fu vano qualunque tentativo : quindi dovette rimandarlo con dirgli, che un giorno si pentirebbe di tanta poca sua sensibi
spettoso. Travestito volle mettere a pruova la fedeltà di sua moglie, che per vergogna sen fuggì fra le selve. Cefalo che n
edeltà di sua moglie, che per vergogna sen fuggì fra le selve. Cefalo che non poteva vivere lontano da Procri, la richiamò
lla diede in dono a suo marito un cane velocissimo, ed un giavellotto che si scagliava a colpo sicuro, e ritornava dopo fra
ia, si avvide di un certo calpestio in un vicino cespuglio : credendo che fosse una qualche bestia feroce, scagliò il suo g
fosse una qualche bestia feroce, scagliò il suo giavellotto. Un grido che si alzò lo fece avvedere dell’errore, avendo ucci
on quel medesimo giavellotto. Giove trasportò nel cielo questi sposi, che cangiò in due stelle. Filomela, e Tereo. Tere
eva Progne lasciata nella casa paterna una sorella per nome Filomela, che amava colla massima tenerezza. Dopo cinque anni d
ia. Continua lo scellerato il suo cammino, e reca a Progne l’annunzio che Filomela più non esiste. Quest’ultima era rinchiu
e api. Sposò Aristeo Autonoe figliuola di Cadmo, fu padre di Atteone, che Diana cangiò in cervo. Dopo la morte di questo su
no, e di Venilia. Fu amato da Circe famosa maga, e figlia del Sole, e che lo vide mentre andava in cerca di erbe, e dalla m
di Roma per ben governare. La morte di Numa le cagionò tanto dolore, che fu cangiata in una fontana. Arione. Arione fu
potendo ottenere tal grazia si lanciò nelle onde, ed uno de’ delfini, che si erano accostati al naviglio per sentir la sua
nire i marinari, e gli Dei assegnarono un posto nel cielo al Delfino, che aveva salvato un musico tanto ben veduto da Apoll
gina di Tebe. Il suono della sua lira, e la sua voce era tanto dolce, che per sentirla gli corsero dietro le pietre, e si s
er sentirla gli corsero dietro le pietre, e si situarono in tal modo, che ne formarono le mura di Tebe. Ciò basti per un co
atura consultare i fonti, gli originali delle favole, e gli scrittori che hanno ampiamente trattato un tale argomento : con
mo studiati di accennarne almeno l’applicazione, l’oggetto, la morale che conteneva. Abbiamo altresi osservato il gran nume
re, laddove per poco si fosse data un’ occhiata alla folla degl’Iddj, che adoravano gli Egizj, i Fenicj, i Caldei, i Persia
i, i Persiani ed altre nazioni. Saremmo in tal caso usciti dal piano, che da principio ci abbiamo proposto : riserbandoci n
dispensarci dall’aggiugnere quì un breve trattato degli Dei indigeni, che ricevevano un culto particolare dai Napoletani. S
a del Greco, e Latino idioma, ed ignorare nel tempo istesso la lingua che parliamo ; così stranissimo sarebbe lo affaticarc
osa folla degl’Iddj della Grecia, e del Lazio, senza conoscere quelli che riscuotevano un culto nel suolo ove siamo nati. G
opera della pittura, e scultura, e della più ricercata architettura, che malgrado il corso di tanti secoli, l’edace tempo
ansi preziosi monumenti, marmi, iscrizioni nell’una e l’altra lingua, che ci mettono al giorno de’ sacri riti, e della vita
ua grandezza, onde fralle Greche città andò superba la nostra Napoli, che favorita dalla natura di un dolce clima, e fertil
: Quam tu Urbem hanc cernis, quae regna futura !   Ci duole soltanto che in mezzo a tante patrie ricchezze non possiamo co
tture stabilire le basi del nostro argomento. Dee credersi certamente che istituiti i nostri padri coi costumi della Grecia
ra ci somministrano bastante materia da parlare delle varie Divinità, che presedevano a tali giuochi, e giornalieri eserciz
e giornalieri esercizj. Oltre a ciò le rispettive reliquie di templi che ancor oggi ammiriamo, fanno fede abbastanza delle
ccrescimento della grandezza Romana più gli altari a Giove innalzati, che la potenza degli Augusti medesimi. Quindi ci è se
la potenza degli Augusti medesimi. Quindi ci è sembrato non inutile, che anzi necessario lavoro il presentare alla Giovent
ma necessità rinnovarne il discorso per l’intelligenza de’ monumenti, che anche a nostri giorni sono esistenti. Senza dipar
uistare la Gioventù le idee necessarie del primo antico culto. Vero è che l’argomento che trattiamo non è nuovo : ma piace
ntù le idee necessarie del primo antico culto. Vero è che l’argomento che trattiamo non è nuovo : ma piace lusingarci che l
ero è che l’argomento che trattiamo non è nuovo : ma piace lusingarci che l’ordine almeno, e ’l vantaggio di veder tutto ad
loro discordi. A tale proposito abbiamo procurato di scegliere quello che pareva più plausibile, avendo dovuto aggirarci tr
e il delirio, e le fantastiche idee di religione de’ nostri maggiori, che ad imitazione degli altri popoli professavano un
un culto tutto loro proprio verso le assurde e false Divinità ; culto che immantinente cessò, allorchè furono a nuova vita
iamo avuto la fortuna di nascere. I. Partenope. Dicemmo già che una delle Sirene chiamata Partenope, che colle al
Partenope. Dicemmo già che una delle Sirene chiamata Partenope, che colle altre abitava nella spiaggia di Sorrento, e
mata Partenope, che colle altre abitava nella spiaggia di Sorrento, e che in vicinanza di Napoli cessò di vivere, diede il
credesi figliuola di Eumelo re di Fera in Tessaglia. Scrivono taluni che questa giovane amantissima della castità ritiross
s blande felix Eumelis adorat.   Dove la voce Eumelis vale lo stesso che Partenope. Noi lasciando da parte le poetiche opi
lo stesso che Partenope. Noi lasciando da parte le poetiche opinioni, che trattandosi dell’origine delle grandi città sogli
so il nome di Napoli, ritenendo per lo più quello di Partenope fino a che Augusto, al dire di Solino, dopo di aver ornato d
e di Solino, dopo di aver ornato di marmi il di lei fabbricato, volle che Napoli, o sia nuova città, e non già Partenope fo
nciso il capo di Partenope ; ed attesta Licofrone antichissimo poeta, che al di lei sepolcro bruciavano saci i Napoletani,
utelari : ed i Napoletani con tanta gelosia ne conservano la memoria, che anche a dì nostri osservasi una grande testa pres
a dì nostri osservasi una grande testa presso la Chiesa di S. Eligio, che credevano essere appunto quella che apparteneva a
ta presso la Chiesa di S. Eligio, che credevano essere appunto quella che apparteneva alla statua colossale di Partenope. I
del padre di Stazio.   II. Il Sebeto. L’antichissimo culto che professavano i primi abitatori di Napoli a questo
le della voce riposo, quiete, adattando questo nome a que’ rigagnoli, che con lentissimo corso scaricavansi al mare, qual è
o Sibboleth, fluentum, cioè piccolo siume. Comunque sia, certa cosa è che fu egli ascritto fralle patrie Divinità. Probabil
P. Maevivs Evtychvs Aedicvlam Restituit Sebetho. Dov’è da notarsi che questo tale Eutico di origine Greca rinnovò l’ant
gloria mal corrispondono al piccolo volume delle sue acque. Malgrado che sia egli decantato in ogni pagina dalla fervida f
i pagina dalla fervida fantasia de’ poeti, la sua picciolezza è tale, che Boccaccio allorchè recossi a Napoli, al momento c
cciolezza è tale, che Boccaccio allorchè recossi a Napoli, al momento che lo vidde, stupefatto esclamò : Minuit praesentia
Eumelo. Se i primi nostri padri adorarono Partenope come colei che diede il nome alla Città, dovettero per conseguen
lto Divino anche al di lei padre Eumelo. Fralle antichissime Fratrie1 che in Napoli esistevano ad imitazione di Atene, trov
ma di quanto da noi si assersce. A questa Fratria crede il Martorelli che fosse stato ascritto Stazio poeta, nostro concitt
artorelli che fosse stato ascritto Stazio poeta, nostro concittadino, che vivea a’ tempi di Domiziano. IV. Eunosto.
vane eroe conosciutissimo per la sua elegante figura, e diverse virtù che lo adornavano, e fra queste in grado eminente que
parlando della Fratia dove adoravasi Eunosto, azzardò una congettura, che in seguito dopo la di lui morte il tempo verificò
, che in seguito dopo la di lui morte il tempo verificò. Credeva egli che una tale Fratria, alla quale non erano ammessi, s
gli che una tale Fratria, alla quale non erano ammessi, se non quelli che conservavano il celibato, avesse dato il nome al
to il nome al quartiere della città, oggi detto borgo dei Vergini, et che ivi appunto avesse la suddetta dovuto esistere. N
nuto ciò a notizia del Governo, furono deputate persone intelligenti, che recatesi sulla faccia del luogo, ritrovarono in f
sulla faccia del luogo, ritrovarono in fatti e marmi, ed iscrizioni, che chiaramente manifestavano colà avere esistito la
se veduto verificata la sua congettura. Vi ha in fine chi ha creduto, che Eunosto fosse stato il Dio che presiedeva ai muli
gettura. Vi ha in fine chi ha creduto, che Eunosto fosse stato il Dio che presiedeva ai mulini ; opinione che ha procurato
o, che Eunosto fosse stato il Dio che presiedeva ai mulini ; opinione che ha procurato di confutare a tutta possa il mentov
Mitologia nell’articolo Apollo, è da notarsi riguardo a questo Nume, che un culto assai esteso riceveva dai Napoletani, co
Nume, che un culto assai esteso riceveva dai Napoletani, come quello che fu il Duce della colonia Eubea venuta a Napoli, g
ratum Soli colunt taurum . Nè è da dispregiarsi l’opinione di taluni, che credono adorato il toro in Napoli, in Pozzuoli, A
a varia figura di questo Nume, secondo lo stesso Macrobio, dee dirsi, che i Napoletani lo veneravano sotto l’aspetto di un
vano sotto l’aspetto di un vecchio, a differenza delle altre nazioni, che lo riconoscevano col volto di un fanciullo, di un
o studio dell’astrologia, come è noto, non dee recar punto maraviglia che avessero professato un culto particolare verso il
hram, Mitra, con vocabolo Persiano indicante il sole medesimo. Se non che il culto che professavano a questo Nume si eserci
con vocabolo Persiano indicante il sole medesimo. Se non che il culto che professavano a questo Nume si esercitava negli an
i, e ne’ sotterranei, per alludere forse alla virtù de’ raggi solari, che vibrati sulla terra hanno l’attività di animare q
ani molte vittime, e specialmente bianchi cavalli. Senefonte attesta, che il gran Ciro giurava per questo Dio, e Lampridio
i Serapide. Il di lui culto era etesissimo nell’Egitto. Crede Varrone che questa voce abbia tratta la sua origine dalla cas
dio dell’astrologia. Di questa scienza erano tatalmente appassionati, che Virgilio istesso ne era istruitissimo, come appar
ga intitolata Pharmaceutria. Non altro significa quell’ignobile otium che la perfetta cognizione del corso e dell’influsso
fondamento il Can. Celano esatto indagatore delle cose patric, crede che il tempio della luna fosse dov’è al presente la C
on pochi antichi monumenti riguardanti questa Deità. Ed è verisimile, che siccome al tempio del sole fu sostituito il nostr
li chiamasi Via Solis, et Lunae : ed assicura il testè lodato Celano, che nella casa d’Ippolita Ruffo fondatrice della Chie
a. Colà tuttavia si ammirano diverse reliquie di fabbriche a mattoni, che ritengono presso di noi il nome di Anticaglie.
Nume a padre Nettuno, e sua madre fu Euriale. Di lui narra la favola, che amato da Diana era già presso a sposarla. Mal sof
mana : onde sfidatala un giorno a tirare una freccia ad un punto nero che nel mare si vedeva (ch’era la testa di Orione), f
Orione dal mare semivivo sul lido, si dolse dell’affronto con Diana, che amaramente piangendo non potè far altro per lui c
fronto con Diana, che amaramente piangendo non potè far altro per lui che trasportarlo nel Cielo, ed ivi situarlo nel Zodia
n Napoli dalla gente di mare, e nel sito da noi enunciato è probabile che stesse il tempio a lui dedicato, perchè vicinissi
a lui dedicato, perchè vicinissimo al mare. Sappiamo per tradizione, che fino a’ tempi da noi non molto remoti avevano per
ngannato dalla storia di un tale Nicola Pesce espertissimo nuotatore, che vivea a tempi del Governo Viceregnale. Costui con
il poverino mentre una volta faceva il solito tragitto, e fu creduto che un qualche grosso cetaceo lo avesse ingojato.
celebrate con grandissima pompa ad imitazione delle feste Eleusinie, che con solenne rito nella Grecia si rinnovavano. Dur
onne di ordine Corintio, come al presente si osservano. Malgrado però che la mentovata testè iscrizione ci manifesti un’epo
el teatro, e specialmente nel circo : ed avendo i Napoletani sì l’uno che l’altro, è da supporsi che adorassero cotali Deit
el circo : ed avendo i Napoletani sì l’uno che l’altro, è da supporsi che adorassero cotali Deità fin da tempi più remoti.
iganti, come nel di loro articolo abbiamo dimostrato, sembra naturale che Napoli antichissima città marittima li avesse per
tutelari riconosciuti. Quindi non senza fondamento crede il Capaccio, che questo tempio fosse stato rifatto e ristorato, vi
tto fra i Penati e gl’Iddj tutelari della Patria. Attesta il Pontano, che ritornato Ercole vittorioso dalla Spagna, ed ucci
rtici, di cui parla Petronio nella cena di Trimalchione. Credesi però che tali luoghi ripetano il loro nascimento dai Fenic
Credesi però che tali luoghi ripetano il loro nascimento dai Fenicj, che loro adattarono una denominazione corrispondente
oro adattarono una denominazione corrispondente all’indole del suolo, che dava fuoco dapertutto, perchè sottoposti immediat
nostri giorni demolita, ha fatto credere a parecchi eruditi antiquarj che fosse stato il tempio a Vesta dedicato. Infatti l
, possono abbastanza persuaderci di una tale verità. Affermano taluni che di forma rotonda era il tempio di Vesta per indic
ire dell’Universo, nel cui centro collocavano il fuoco i Pittagorici, che chiamavano Vesta. Osservavasi questo tempio accan
ntichissima iscrizione ritrovata sul colle di Posilipo verso la parte che guarda Euplea, la Gajola o scuola di Virgilio, ap
la parte che guarda Euplea, la Gajola o scuola di Virgilio, apparisce che a lei erano consegrati templi ed altari. Vesoriu
a erano innalzati de’ tempj alla Fortuna, bisogna tuttavia confessare che nella Campagna Felice esigeva questa Dea un culto
posto eguale a quello dei Demonj, e dei Lari. Cebete Tebano asserisce che il Genio sia un Dio animatore de’ mortali allora
Tebano asserisce che il Genio sia un Dio animatore de’ mortali allora che nascono, consigliandoli a non fidarsi della Fortu
osservatore di tutte le nostre azioni. Servio parla di due Genj : uno che ci esorta a bene operare, l’altro che le prave op
Servio parla di due Genj : uno che ci esorta a bene operare, l’altro che le prave opere ci consiglia. Filone chiama Genj l
le antiche iscrizioni Genio loci, Genio coloniae, Genio theatri etc., che anzi Prudenzio gli dà maggiori facoltà : Quamqua
iscrizioni ritrovate in Pozzuoli, ed in Napolï ci dimostrano il culto che al Genio si professava. Nelle monete di Adriano,
a il corno dell’ za. Celebre fu il Genio di Socrate, ed a questi Genj che noi chiamiamo folletti, e farfarelli attribuire s
razie, oltre quanto si è precedentemente osservato, si può aggiugnere che nelle antiche nostre monete da una parte si legge
di una delle Grazie col motto Χὰριτες, Charites. Di Priapo sappiamo, che nelle feste di Cerere, di cui sopra abbiamo parla
, saltare, come praticavasi nelle feste di Bacco. Probabile è altresì che la vera lezione fosse Jovi Abazio, cioè taciturno
casi di qualche seria disgrazia della Repubblica. Si è già osservato, che gli Eumelidi avevano Eumelo per loro Nume tutelar
un’idea della prima religione de’ nostri padri, e dei tanti monumenti che nelle pubbliche piazze, e nei Regj Musei gelosame
a gioventù medesima potrà ricavarlo dalla lettura di tanti scrittori, che diffusamente hanno trattato un tale argomento.
nze animate o di Dei, o di Eroi spacciavano presso il popolo tuttociò che per tradizione loro era stato tramandato, che abb
esso il popolo tuttociò che per tradizione loro era stato tramandato, che abbellivano poi con i parti della loro fantasia.
orico Egiziano. Da Suida, e dall’anzidetto Porfirio parlasi di Abari, che credono sia vissuto a’ tempi della guerra di Troj
ro, e la Teogonia. Credesi lo stesso autore di amuleti e talismani, e che avesse costruito il famoso Palladio colle ossa di
smani, e che avesse costruito il famoso Palladio colle ossa di Pelope che vendette ai Trojani. 1. Marco Terenzio Varrone r
pure perchè ne ignora il fato prende la bilancia ; e perchè il lato, che decide della morte di quest’eroe, trabocca, è obb
ulmine lo dissero i Greci. Gli Ebrei chiamarono Iddio Jehova con voce che comprendeva tutte le vocali ; e che distintamente
chiamarono Iddio Jehova con voce che comprendeva tutte le vocali ; e che distintamente pronunziavano, affinchè anche il no
prannomi : e se Varrone fa montare sino a trecento il numero di quei, che gli vennero da’ Romani, e dagli altri popoli dell
ero da’ Romani, e dagli altri popoli della sola Italia ; si può dire, che noi abbiamo perduto molto in questa parte. Di ess
etto Capitolium da caput, cioè da una testa di un uomo chiamato Tolo, che si trovò nel cavare le fondamenta. Gli avanzi di
o per voglia di cosi poter tramandare il suo nome alla posterità ; il che gli riuscì, malgrado il decreto fatto dagli Efesj
del mare ; la terza figlia di Giove, e di Dione ; la quarta Astarte, che sposò Dione. Ma i poeti che nulla han curato di e
di Giove, e di Dione ; la quarta Astarte, che sposò Dione. Ma i poeti che nulla han curato di esser conseguenti nelle favol
ia, ed Esichio. Senofonte lasciò scritto ch’ella presedeva alle virtù che formano le delizie del cuore, a differenza dell’a
ormano le delizie del cuore, a differenza dell’altra Venere popolare, che presedeva al piacere dei sensi. 1. Esistono tutt
zoppo, ma senza difformità. 2. Non senza fondamento credono taluni, che Vulcano favoloso sia una copia del famoso Tubalca
in Mensi, in Sicilia, in Roma. È rappresentato barbuto con una roba, che non gli giunge al ginocchio, con berretta in test
le medaglie Romane. 1. Palladium era la famosa statua di questa Dea che conservavasi in Troja, e trasportata da Enea in I
civetta, ed il serpente erano gli animali consacrati a questa Dea. Il che diè luogo a Demostene bandito dagli Ateniesi di d
sta Dea. Il che diè luogo a Demostene bandito dagli Ateniesi di dire, che Minerva si compiaceva di tre villane bestie, del
ondo Omero, e tutt’i poeti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini che si legge questo dispetto
ti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini che si legge questo dispetto di Giunone di voler conc
ondo Omero, e tutt’i poeti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini che si legge questo dispetto
ti Greci figlio di Giove, e di Giunone. Non è che appresso de’ Latini che si legge questo dispetto di Giunone di voler conc
o, Bellicoso ec. Dato gli venne da Augusto il soprannome di Bisultor, che accorda due vittorie, allorchè i Parti gli resero
asso. 2. Questi è quel Mercurio, di cui parla Cicerone de nat. Deor. che trovò le leggi, e le lettere. Gli Egizj lo chiama
a giovine con viso gaio, con capelli biondi e crespi, e con mantello, che attaccato sotto al petto gli cade con grazia sull
to sotto al petto gli cade con grazia sulle spalle. Tal’è il ritratto che ne fa Apuleio, e gli altri autori. Winkelmann ha
gli altri autori. Winkelmann ha osservato dopo Clemente Alessandrino, che gli scultori greci facevano i loro Mercurj rassem
gli scultori greci facevano i loro Mercurj rassembranti Alcibiade, e che gli artisti, che vennero dopo, seguirono il loro
ci facevano i loro Mercurj rassembranti Alcibiade, e che gli artisti, che vennero dopo, seguirono il loro esempio. Bellissi
ro dopo, seguirono il loro esempio. Bellissima è la statua di bronzo, che si conserva nel Real Museo Borbonico, e più espre
che si conserva nel Real Museo Borbonico, e più espressiva di quella che si ammira nelle ville Negroni, e Ludovici in Roma
bolo della stabile sua giovinezza ; o forse ancora, perchè si credeva che l’ellera fosse un antidoto contro l’ubbriachezza.
di là del Nilo i cadaveri in un sito destinato alle sepolture. Colui che aveva un tale incarico chiamavasi Charon, onde i
Lete uno de’ rami del Nilo. L’autore di questa favola forse fu Orfeo, che viaggiò nell’Egitto, e visse prima di Omero. 1.
gono alcune grotte nel promontorio di Tenaro, al presente Capo Maina, che gli antichi supponevano fossero tante bocche dell
no fossero tante bocche dell’Inferno. 1. Afferma un dotto scrittore, che Chirone fu eletto precettore di Achille per dinot
o scrittore, che Chirone fu eletto precettore di Achille per dinotare che gli Eroi debbonsi servire della virtù, ed occorre
sa, come quella di Roma, e di tutte le grandi Città. Credono i poeti, che le Sirene abitassero nella spiaggia di Sorrento,
utore dell’opera intitolata i Fenicj primi abitatori di Napoli, crede che il nome Partenope, come infiniti altri, sia di or
. clima felix. 1. Omero nell’Odis. parla sovente de’ Cimmerj, popoli che abitavano nelle grotte, ed in luoghi oscuri, e te
si nella Campania presso il lago di Averno. 1. Il corno, e l’avorio, che porta in mano questo Nume, ha data occasione a Vi
ume, ha data occasione a Virgilio di dire al sesto Libro dell’Eneide, che i sogni nell’inferno entravano per due porte, una
avorio, come materia meno diafana passavano i falsi sogni. 1. Pare, che i Pagani avessero avuta qualche cognizione della
suo Genio particolare. L’Imperatore Caligola fece morire moltissimi, che non avevano voluto giurare per il suo Genio. 1.
ni la stupenda canzone sulla Fortuna dell’immortale Alessandro Guidi, che comincia Una donna superba al par di Giuno. 1. D
nna superba al par di Giuno. 1. Descrizione pur troppo ruvida. Pare, che le preghiere si dovessero piuttosto rappresentare
Si è detto essere infinito il numero de’ Numi foggiati dagli antichi, che gli ritrovarono sino ne’ cessi. Giovenale parland
i, che gli ritrovarono sino ne’ cessi. Giovenale parlando degli Egizj che adoravane le cipolle, esclama : O sanctas gentes
sta favola ci rappresenta la caduta degli uomini. Pandora è lo stesso che la Natura nello stato dell’innocenza. La temerità
nza del primo uomo. Cicerone nel libro quinto delle Tusculane scrive, che Prometeo era un grande Astronomo ; e per fare le
risto. 1. Andromeda era figlia di Cefèo re di Etiopia, e di Cassiope che si vantava di essere più bella di Giunone. La Dea
per punirla di tale vanità, volle vendicarsene per mezzo di Nettuno, che inviò un mostro marino che desolava le spiagge de
, volle vendicarsene per mezzo di Nettuno, che inviò un mostro marino che desolava le spiagge degli stati di Cefèo. Fu cons
Cefèo. Fu consultato l’Oracolo in tale occasione, la cui risposta fu che non sarebbe cessato il flagello, se la primogenit
in Roma la spelonca di Caco alle falde del Monte Aventino. 1. Sembra che i Greci abbiano foggiata questa favola, per fare
fiamme. Le virtù, ed i buoni andamenti di Loth piacquero tanto a Dio, che fu esente dalla pioggia di fuoco che cadde in Sod
i di Loth piacquero tanto a Dio, che fu esente dalla pioggia di fuoco che cadde in Sodoma. L’aspetto di questa Città pareva
inferno. Il divieto imposto a Loth di non rivoltarsi in dietro fino a che non fosse fuori di pericolo colla moglie, è lo st
a che non fosse fuori di pericolo colla moglie, è lo stesso di quello che diede Plutone ad Orfèo. Gli antichi imitarono anc
erduto, come accadde alla moglie di Loth dal marito posta in salvo, e che poi nuovamente Loth istesso perdette. 1. Rapsod
poi nuovamente Loth istesso perdette. 1. Rapsodi erano detti quei, che cantavano per le piazze gli squarci de’ rinomati
tavano per le piazze gli squarci de’ rinomati poeti. Tali erano quei, che in seguito cantarono i pezzi di Omero. Molti crit
pezzi di Omero. Molti critici, e fra questi il nostro Vico, credono, che il poema di Omero sia composto di tanti piccioli
to di tanti piccioli squarci composti, e messi insieme dai rapsodi, e che Omero non abbia mai esistito. Quale opinione è co
a dell’Autore suddetto. 1. Ecatombe era un sacrifizio di cento bovi, che si faceva agli Dei in qualche grande occasione.
che si faceva agli Dei in qualche grande occasione. 2. Loto, frutto che nasce nell’Africa : credevano gli antichi, che la
ione. 2. Loto, frutto che nasce nell’Africa : credevano gli antichi, che la sua dolcezza facesse dimenticare la patria a c
ce Greca indicante Nessuno. 1. Si è altra volta parlato de’ Cimmerj, che abitavano ne’ sotterranei. Leggasi su quest’artic
a intitolata : I Fenicj primi abitatori di Napoli, il quale sostiene, che quasi tutta la navigazione di Ulisse si aggirò ne
a navigazione di Ulisse si aggirò nel seno di Baja. 1. Sembra strano che Ulisse non sia stato riconosciuto nel proprio pae
on sia stato riconosciuto nel proprio paese, mentre Omero ci assicura che un suo cane per nome Argo diede segni manifesti d
oda. 1. Niente di più favoloso quanto l’incontro di Enea con Didone, che visse 300 anni dopo. Bisogna dire, che Virgilio,
l’incontro di Enea con Didone, che visse 300 anni dopo. Bisogna dire, che Virgilio, tuttochè conscio di questo anacronismo,
uesti due valenti uomini debba darsi il primo luogo. Basta a noi dire che Virgilio sulle orme di Omero ha lavorato il divin
ire che Virgilio sulle orme di Omero ha lavorato il divino suo poema, che malgrado varj difetti, non lascia di essere uno d
malgrado varj difetti, non lascia di essere uno de’ migliori squarci che l’antichità ci ha tramandati : tanta è la delicat
i che l’antichità ci ha tramandati : tanta è la delicatezza del gusto che in esso si ravvisa. Virgilio nacque in un villagg
io presso Mantova : visse gran tempo nella Corte di Augusto, principe che amava a maggior segno i letterati. Fu grande amic
io, Mecenate, Pollione, e di tanti altri insigni personaggi, e poeti, che in quell’età fiorirono. Ritornando da Atene con A
da Atene con Augusto, si ammalò in Brindisi : prima di morire ordinò, che si desse alle fiamme la sua Eneide, che non aveva
isi : prima di morire ordinò, che si desse alle fiamme la sua Eneide, che non aveva ancora limata, ma nol permise Augusto.
uo cadavere fu trasferito a Napoli allora città fioritissima Greca, e che Virgilio amava moltissimo. Quivi aveva dato l’ult
sulla grotta di Coccejo volgarmente detta di Pozzuoli, in una tomba, che ancora oggi si vede. Poco prima di morire compose
e Virgilio nel 7. Dell’Eneide. 1. Fra tanti rispettabili personaggi che in Napoli godevano vivere, sono da contarsi Virgi
issimo Antonio Vetrani. 1. La voce φρατρια, fratria altro non indica che un’ adunanza di cittadini che formavano un corpo,
voce φρατρια, fratria altro non indica che un’ adunanza di cittadini che formavano un corpo, un collegio in ciascheduna re
Queste erano ben molte, ed ognuna aveva il suo nome particolare. Queî che vi erano ascritti detti φρητορες, fretores tratta
trattavano gli affari appartenenti alla Religione, e talvolta quelli che riguardavano la pubblica amministrazione. All’ist
7 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
vinità del Paganesimo, è chiamata Mitologia coi vocaboli greci mythos che significa favola, e logos, trattato o parola o de
racconti relativi ai buoni costumi od alla Morale. Molti asseriscono che le antichissime e fantastiche tradizioni mitologi
allora potrebbero esser dette favole fisiche. Infatti i primi popoli che doverono più spesso essere spettatori delle rivol
seppero nella loro rozzezza attribuire questi sconvolgimenti, se non che allo sdegno di altrettante potenze oceulte o Dei
lgimenti, se non che allo sdegno di altrettante potenze oceulte o Dei che presiedessero ai diversi elementi. Quindi un Nett
 ; un Plutone in sotterraneo regno con la reggia di fuoco e eon fiumi che menavano fiamme. 3. Le favole storiche sono sempl
emplice reminiscenza dei fatti conservata nella memoria degli uomini, che è quanto dire la tradizione delle cose accadute t
radizione delle cose accadute tra i primi popoli. Laonde è verosimile che i falsi Dei o Idoli chiamati Giove, Apollo, Bacco
pessime, e adorati per gratitudine o per paura ; e così possiam dire che il fondamento delle favole ad essi relative sia s
cehè questa specie di favole è per lo più un modo di parlar figurato, che poi negl’idioti divenne religiosa credenza c fond
favole allegoriche sono specie di parabole o paragoni o similitudini, che descrivendo un’ azione o un oggetto, tendono a ch
oquenza e della musica sugli uomini, ed anche l’ effetto maraviglioso che i naturali oggetti e le loro proprietà producevan
di civil convivenza ; e va d’ accordo con la morale antica il credere che le stelle inviate da Giove splendessero sulla ter
ndessero sulla terra quali occhi del cielo per rammentare agli uomini che tutte le loro azioni son note a Dio. 10. Le Furie
son note a Dio. 10. Le Furie scatenate contro Oreste, o l’ Avvoltojo che divorava le viscere di Prometeo, son quadri signi
le viscere di Prometeo, son quadri significanti il rimorso : e Medusa che impietrisce chi la rimira, ci dipinge il danno ca
imira, ci dipinge il danno cagionato dalle passioni sfrenate ; mentre che Narciso invaghito e vittima della propria bellezz
i gli uomini a cavallo, e le arance furono dette aurei pomi. 12. Dopo che gli uomini ebbero perduto la memoria del vero Dio
sti di grande ingegno ed i legislatori dei popoli. Cosicchè Esculapio che fu eccellente nella medicina ebbe vanto d’ essere
di questo universo fu assegnata la propria divinità ; nè vi fu luogo che non fosse sotto la protezione di uno Dio. Sicchè
ntichi Dei Titani, figli di Celo e della Terra, forse non erano altro che le forze naturali e le potenze motrici della terr
ali e le potenze motrici della terra e dei corpi celesti, mentre pare che Giove, Nettuno e Vulcano successi ai Titani rappr
il regno del cielo e della terra. E così le origini di queste favole, che forse furon le prime ad essere inventate, possono
quasi schiacciato dal peso del cielo, a motivo del gran numero di Dei che vi erano stati collocati. 17. Gli Dei eran distin
a, Vertunno, Pale, ec. Potremmo chiamarli piuttosto poetica famiglia, che classe mitologica. 19. Nella terza eran collocati
a, come Ercole, Esculapio, Castore, Polluce, ec., e con essi gli eroi che avevano meritata l’ immortalità, come Achille, Et
e e Vulcano. Il destino. Celo. 21. Il Destino o Fato, secondo che insegna Esiodo, poeta greco e contemporaneo d’Ome
to, secondo che insegna Esiodo, poeta greco e contemporaneo d’Omero e che fiorì 9 o 10 secoli prima di G. C., nacque dal Ca
biò l’aspetto e lo stato di questa materia inerte ; ne trasse l’etere che formò il cielo, dimora degl’immortali, il fuoco e
ondo la favola, potenza ordinatrice. 23. Il Destino poi altro non era che un’ immagine della fatale necessità che tutto gov
Il Destino poi altro non era che un’ immagine della fatale necessità che tutto governa nel mondo ; e gli altri Dei, come a
piombo, e tutta intera una suppellettile da patibolo, per significare che il cattivo destino è per chi lo merita, e che il
tibolo, per significare che il cattivo destino è per chi lo merita, e che il male par necessario solamente perchè l’ uomo d
quanto il Destino. I poeti lo chiamano anche Urano (45), e suppongono che sposasse Titea o la Terra sua sorella, detta anch
lendo sopportare questa ingiustizia, aperse loro le carceri, e lasciò che facessero uso delle proprie forze ; laonde Saturn
mento cagionato sulla superficie della terra dalle riposte sue forze, che parevano essersi ribellate incontro al cielo (14)
rno ; ma ad istanza di Cibele, Titano lo cedè al minore, a condizione che questi non allevasse figliuoli maschi. Saturno os
i. Saturno osservò i patti ; ed essendo in lui personificato il Tempo che distrugge tutto ciò che egli stesso produce, la f
ti ; ed essendo in lui personificato il Tempo che distrugge tutto ciò che egli stesso produce, la favola con bene accomodat
marito, e gli tenne celato Giove, offrendogli in sua vece una pietra che da Saturno fu subito divorata. E ciò fece anche q
anti o Dattili (48) ; e la capra Amaltea (77) gli fu nutrice. Narrasi che le Ninfe e i Coribanti, che furon poi anche sacer
apra Amaltea (77) gli fu nutrice. Narrasi che le Ninfe e i Coribanti, che furon poi anche sacerdoti di Giove, per celar meg
a capo di liberarli ambedue. Il più celebre tra i Titani fu Giapeto, che i Greci tenevano per padre del genere umano ; od
apeto abitava in Tessaglia, vale a dire in uno dei paesi dell’ Europa che furono i primi ad essere abitati e inciviliti : e
e passa qualche relazione fra questo Giapeto dei Greci e quell’ Jafet che la Genesi racconta essere andato a popolare l’ Eu
che la Genesi racconta essere andato a popolare l’ Europa, nel tempo che Sem restò nell’ Asia e Cam passò l’ istmo di Suez
er istabilirsi nell’ Affrica. 31. Poichè Saturno udì dal Destino (21) che Giove gli avrebbe usurpato il regno, appena fu li
o, appena fu libero, gli mosse guerra ; ma Giove lo vinse ; e temendo che il padre usasse un’ altra volta a suo danno della
temendo che il padre usasse un’ altra volta a suo danno della libertà che gli avea procurata, lo discacciò dal Cielo. 32. S
mpero, si rifugiò in quella parte d’ Italia ove poi fu eretta Roma, e che ebbe il nome di Lazio dal latino vocabolo Latere,
talità generosa, lo dotò di così raro intelletto e di tanta prudenza, che non dimenticava mai il passato, e prevedeva il fu
enticava mai il passato, e prevedeva il futuro ; laonde è stato detto che Giano aveva due teste o due volti per conoscere t
etto che Giano aveva due teste o due volti per conoscere tanto l’ uno che l’altro, ed ebbe perciò il soprannome di bifronte
Secondo ch’ era in Cancro o in Capricorno. Età del rame. Dal metallo, che , fuso in varie forme, Rende adorno il Tarpejo e i
rno il Tarpejo e il Vaticano, Sorti la terza età nome conforme A quel che trovò poi l’ ingegno umano, Che nacque all’ uom s
l’ altro, impetuosi o feri In lor discordi, ostinati pareri. All’ uom che già vivea del suo sudore, S’ aggiunse noja, incom
aggio, L’invita seco a cena, e poi l’ uccide. Il cittadin più cortese che saggio Alberga con amor persone infide, Che scann
con amor persone infide, Che scannan poi, per rubarlo nel letto, Lui che con tanto amor diè lor ricetto. S’accendon l’aspr
in con l’angosciosa madre Resta senza governo e senza padre. Astrea11 che con la libra e con la spada Conosce di ciascun l’
la libra e con la spada Conosce di ciascun l’ errore e il merto, Poi che s’ avvide che non v’ era strada Da giunger con la
n la spada Conosce di ciascun l’ errore e il merto, Poi che s’ avvide che non v’ era strada Da giunger con la pena al gran
on rendeva per ogni contrada Il mondo affatto inutile e deserto, Pria che veder che il tutto si consumi Ultima andò fra i p
per ogni contrada Il mondo affatto inutile e deserto, Pria che veder che il tutto si consumi Ultima andò fra i più beati N
erra, e chiuso in tempo di pace. Gli fu consacrato il monte Gianicolo che è uno dei sette colli di Roma ; e le porte delle
altro un uomo con due leste, ossia il ritratto del re Giano. Si crede che fossero di bronzo ; e i Latini solevano offrirle
i bronzo ; e i Latini solevano offrirle in dono per capo d’ anno, dal che forse ebbero parimente origine le strenne. 39. Sa
so degli anni e armato di falce, per indicare ch’ei presiede al tempo che tutto distrugge ed all’ agricoltura che tutto rip
icare ch’ei presiede al tempo che tutto distrugge ed all’ agricoltura che tutto riproduce. È anche alato, e gli sta presso
e alato, e gli sta presso un orologio a polvere, e talora un serpente che si morde la coda od è in atto di divorare un fanc
o, mentre le ali rammentano la velocità con cui passa ; e il serpente che forma un cerchio è l’ emblema dell’ eternità e de
io è l’ emblema dell’ eternità e della prudenza ; mentre il fanciullo che sta per essere divorato allude alla favola dei fi
misurate il tempo largo : Chè piaga antiveduta assai men dole. Forse che ’ndarno mie parole spargo : Ma io v’ annunzio che
sai men dole. Forse che ’ndarno mie parole spargo : Ma io v’ annunzio che voi siete offesi Di un grave e mortifero letargo 
lgete gli occhi, Mentr’ emendar potete il vostro fallo. Non aspettate che la morte scocchi, Come fa la più parte : chè per
a schiera degli sciocchi. Ma vi sono i grandi ingegni, i famosi Eroi che non temono la falce del tempo, sicchè messer Fran
to fine ; laonde lo stesso poeta nel Trionfo della Divinità : Da poi che sotto ’l ciel cosa non vidi Stabile e ferma, tutt
vidi Stabile e ferma, tutto sbigottito Mi volsi e dissi : Guarda ; in che ti fidi ? Risposi : Nel Signor, che mai fallito N
to Mi volsi e dissi : Guarda ; in che ti fidi ? Risposi : Nel Signor, che mai fallito Non ha promessa a chi si fida in lui…
sieduto al cielo ; ed Ops, cioè soccorso, ricchezza, perchè stimavano che procacciasse ai mortali ogni sorta di beni. 42. E
mortali ogni sorta di beni. 42. Ebbe il nome di Rea, dal greco rhéin che vuol dire, scorrere, essendochè la benefica terra
lici e robusti si nutriron di ghiande ; e le torri e le merlate mura, che le ricingon la fronte, additano le città poste so
el proprio peso ; e le vesti di color verde alludono alla vegetazione che ne abbellisce la superficie. Indi le posero ai pi
bbondanza ; talora le si vedevano ai piedi due leoni, per la custodia che Pindaro le attribuisce degli stati e dei regni. B
veneranda Deità di Vesta. Vi s’ appressa e deriva indi una pura Luce che , mista allo splendor del Sole, Tinge gli aerei ca
o splendor del Sole, Tinge gli aerei campi di zaffiro, E i mari allor che ondeggiano al tranquillo Spirto del vento, facili
condotto al supplizio, poteva intercedergli grazia, purchè asserisse che l’incontro era stato casuale ; e nei più serj neg
urono dette Megalesiache, o giuochi megalesii dal greco mégas megále, che vuol dir grande, perchè istituite dai Frigii in o
ndo inni in sua lode e mendicando. Talora avevano seco alcune vecchie che facevano professione d’ impostura con versi di ma
tero per isposare la ninfa Sangaride (sangarius in latino è lo stesso che frigio) ; e la Dea per punirlo della sua ingratit
e ferire quella ninfa, e abbandonò lui in preda a tanta disperazione, che era sul punto di uccidersi ; quand’ella impietosi
) ; ed il suo regno, benchè pieno di dovizie, incuteva tale spavento, che nessuna Dea volle unirsi in matrimonio con lui :
to, che nessuna Dea volle unirsi in matrimonio con lui : tanto è vero che la sola ricchezza non ha alcun pregio. Laonde un
ricchezza non ha alcun pregio. Laonde un giorno adocchiata Proserpina che stava cogliendo fiori con le sue compagne sulla p
nna in Sicilia, rapilla ; nè valse l’ ardita difesa della ninfa Ciane che fu da lui trasformata in fontana. La terra si spa
te ch’ io vi narro, Le afferrò un braccio, e la tirò sul carro. Ella, che tutto avea vòlto il pensiero Alle ghirlande e a’
li ancor selvaggi. Ma Tritlolemo sarebbe stato vittima della gelosia, che tanti favori svegliarono in Linco re della Sicili
i uno dei più famosi della Grecia pei misteri Eleusini e per le feste che ogni quattro anni vi erano celebrate. 55. Nell
enne di voler estinguere la sete ad una fonte ov’ erano certi villani che per malvezzo gliela intorbidarono ; ed essa, quan
zzo gufo notturno. Infatti Non è chi sia nel mondo peggio visto D’un che rapporta ciò che sente e vede…. Senza amor, senza
. Infatti Non è chi sia nel mondo peggio visto D’un che rapporta ciò che sente e vede…. Senza amor, senza legge e senza fe
lafo poi sotto questa forma diventò il favorito di Minerva, indicando che quanto la coperta delazione è vituperevole, altre
entata dalla sete, entrò in casa di una vecchiarella per nome Bècubo, che amorevolmente le offerse da bevere, e le dette da
dir vero ne faceva onore alla vecchia, trangugiandola sì ingordamente che il fanciullo Stelle o Stellio, all’aspetto di tan
to di tanta avidità non potè fare a meno di riderne e di beffarla. Di che offesa la Dea gli scaraventò in faccia il resto d
tà bene ai fanciulli pigliarsi beffe d’alcuno, e in ispecie di coloro che essendo per miseria o per altre necessità travagl
tone la sua figliuola ; ma ogni preghiera fu vana. Corse poi opinione che Giove, impietosito da Cerere, concedesse a Proser
fattori. Niuno degl’iniziati in coteste cerimonie poteva divulgare in che modo fossero eseguite ; sicchè tanto lo svelarne
eva divulgare in che modo fossero eseguite ; sicchè tanto lo svelarne che l’udirne il segreto era sacrilegio. Quindi la por
tri ad Eumolpo.16Gli Ateniesi poi le fanno derivare da Cerere stessa, che sotto spoglie mortali aveva abitato alcun tempo a
re aveva dato tregua all’affanno della madre sventurata. — È opinione che Cerere sia l’Iside (696) degli Egiziani e la Cibe
un padre colpevole sì, ma troppo crudelmente punito ! Nanrano alcuni che Erisittone perisse d’un colpo d’asce datosi da sè
Omero. 64. Giove sposò Giunone (85) sua sorella, ad esempio del padre che aveva sposato Cibele (40), e del nonno Urano (25)
el padre che aveva sposato Cibele (40), e del nonno Urano (25) o Celo che s’era congiunto a Vesta (43). 65. Ma il suo regno
no (25) o Celo che s’era congiunto a Vesta (43). 65. Ma il suo regno, che gli costava un delitto di violenza incontro al pa
enti favolosi erano uomini di statura e di forza tanto straordinaria, che osarono d’assalire il re del cielo. 66. Deliberat
eruzioni vulcaniche di quei tempi, ingrandita dal terrore dei popoli che ne furono spettatori senza saperne spiegare le ca
nimali. Forse di qui, secondo alcuni, ebbero origine gli onori divini che gli Egiziani rendevano ai bruti (704). 68. Bacco
leone, combattè per qualche tempo con intrepidezza, animato da Giove che di continuo gli gridava : Coraggio, figlio mio, c
a così detta pugna di Flegra (valle della Tessaglia) furono Encelado, che lanciava i più grandi massi contro l’Olimpo ; Bri
o Encelado, che lanciava i più grandi massi contro l’Olimpo ; Briareo che aveva cento braccia e cinquanta teste : Vedeva B
Dante, Inf., c. XII. e Tifone o Tifeo, mezz’uomo e mezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo
eo, mezz’uomo e mezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo, al dir d’Omero, più degli altri Giga
ltri Giganti insieme uniti, sgomentava gli Dei ; Fialte poi fu quello che pose il monte Ossa sul Pelio. Giove sotterrò vivi
ado sotto l’Etna. Il fine dei giganti adombra quello degli orgogliosi che presumono sollevarsi contro il cielo. È fama che
lo degli orgogliosi che presumono sollevarsi contro il cielo. È fama che dal fulmine percosso, E non estinto, sotto questa
non estinto, sotto questa mole Giace il corpo d’Encelado superbo ; E che quando per duolo e per lassezza Ei si travolve o
o cagione di continuo martirio allo sventurato. Con tal favola sembra che i poeti volessero indicare la prepotenza dispotic
prepotenza dispotica, la quale si studiava di tenere oppressi coloro che , illuminando le menti della moltitudine, davano o
ppariva ordinata da Giove. Ma lo stesso rigeneratore a veva presagito che alfine la forza della giustizia avrebbe trionfato
imulacro dell’uman pensiero, Stassi Prometeo, e il preme Forza crudel che a’generosi insulta ; Ma il profetato Alcide in c
orati gli altri Dei per la severità di Giove, e ingelositi nel vedere che egli solo si arrogava il diritto di creare gli uo
Dei (pan tutto, dôron dono, gr.). « E i doni degli Dei altro non sono che le arti e le cose tutte giovevoli all’uomo, il tr
compreso il regno della Fortuna (332), ossia l’invenzione delle arti che avvenne nella seconda età del mondo. » (Mario Pag
sposò. Allora fu aperto il vaso fatale, onde scaturirono tutti i mali che poi si sono sparsi sopra la terra ; e la sola Spe
re di Micene nell’Argolide, ebbe favori dalla di lui moglie Alcmena, che fu madre d’Ercole (364). 75. Si cangiò in pioggia
me, memoria, gr.). 76. Perifa (da perì e phaino, io splendo intorno), che era uno dei Lapiti, popoli di Tessaglia famosi pe
oli di Tessaglia famosi per le loro guerre contro i Centauri (430), e che fu re d’Atene prima di Cecrope, per le sue belle
ritato anche in vita onori divini ; ma il re del cielo mal sofferendo che un mortale acconsentisse d’essere adorato in terr
de delle sue folgori. 77. La capra Amaltea (amaltheyo, io nutro, gr.) che aveva allattato Giove, ebbe l’onore d’esser collo
ocata fra le Costellazioni (676) co’suoi dodici capretti ; e le Ninfe che avevano costudito il Nume nell’infanzia, ebbero i
lle atrocità divenne crudele a segno da far morire tutti i forestieri che passavano pe’suoi stati. Giove in sembianza umana
Licaone s’apparecchiò a levargli la vita mentre dormiva ; ma sapendo che gli Dei solevan talora scendere sulla terra, s’ar
deltà e la rapacità dei despoti, e nasce dallo stesso nome di Licaone che in greco significa lupo. 79. Giove ha parecchi n
iluco, gr.) Lo chiamavano inoltre Ottimo Massimo, e Sancus o Sanctus, che secondo alcuni era lo stesso che Pistius, altra s
Ottimo Massimo, e Sancus o Sanctus, che secondo alcuni era lo stesso che Pistius, altra sua denominazione. Lo invocavano c
uale sono simbolo di forza e di coraggio. Ma i più sono di sentimento che questo Giove Ammone altro non sia che il dio Osir
io. Ma i più sono di sentimento che questo Giove Ammone altro non sia che il dio Osiride (696, 697) degli Egiziani. 81. Sic
suo culto fu sempre il più solenne ed il più diffuso tanto in Europa che in Asia. Il suo tempio più celebre fu in Olimpia,
turno aveva insegnato agli uomini a cibarsi di ghiande. Credevano poi che le querci della foresta vicina alla città di Dodo
e (87). 84. Gli autori sono discordi sul numero degli enti mitologici che hanno avuto il nome di Giove ; e Varrone ed Euseb
i Giove ; e Varrone ed Eusebio li fanno ascendere sino a trecento, lo che viene spiegato dall’uso che la maggior parte dei
io li fanno ascendere sino a trecento, lo che viene spiegato dall’uso che la maggior parte dei re avevano di prendere quest
ne, rampognando Giove, la battè incollerita col piede ; Vulcano (270) che Giove precipitò dal cielo sulla terra da quanto e
ere nel bel mezzo della celeste assemblea, ella n’ebbe tanta vergogna che non s’arrischiò più a comparirvi. Allora Giove de
igliuolo di Tros re di Troja, facendolo rapire da un’aquila nel tempo che il giovinetto era a caccia sul monte Ida nell’Asi
e. Taluni invece lo fanno precedere ad Ebe in quest’ufficio, e dicono che avendolo male adempito, Giove glielo tolse, e col
d’indole altera, diffidente, gelosa e fastidiosissima a Giove, tanto che una volta, volendo egli punirla de’suoi intermina
n una nube, e la trasformò in vacca. Giunone insospettita, come colei che sapeva di meritare ogni gastigo, finse miglior co
ito con tante carezze ch’ei gliel concesse. Allora Giunone, per paura che Io non le fosse ritolta, la diede in custodia ad
il quale aveva cent’occhi e soleva tenerne aperti cinquanta nel tempo che gli altri eran chiusi dal sonno. Ma la Dea non ot
n la voluttà della musica e con l’ajuto di Morfeo Dio del sonno (241) che a tale effetto gli diede un mazzo de’suoi papaver
zo de’suoi papaveri, e poi d’ucciderlo. E questa fia lezione a coloro che si lasciano troppo sedurre dai piaceri. Allora Gi
o Io la consegnò alle Furie (232), e la fece tormentare da un assillo che di continuo la pungeva ; sicchè la sventurata pri
la pungeva ; sicchè la sventurata principessa n’ebbe tanto travaglio che fuggendo passò il mare a nuoto ;25 e dopo aver pe
a gelosia, all’orgoglio. È noto come Troja pagasse cara la preferenza che il pastore Paride (597) concesse a Venere (170) n
i. 92. Giunone devastò l’isola d’Egina con una spaventosa pestilenza che fece perire tutti gli abitanti, per vendicarsi de
mana. Da ciò possiamo vedere come fino dai primi tempi fosse opinione che la fatica e l’industria valgano più di tutto a ri
olare i paesi devastati. I nuovi abitanti d’Egina chiamati Mirmidoni, che in greco significa formiche, accompagnarono Achil
avesse offeso la vanità di Giunone ! Piga, piccola regina dei Pigmei che ardì paragonarsele nella bellezza, fu cangiata in
ate belle quanto Giunone, furono assalite da tale impeto di frenesia, che andavano errando furiose in mezzo alle compagne d
se, con una parte degli stati di Preto. 93. Iride figlia di Taumante, che di là cangia sovente contrade, dice Dante nel Pur
saggia e docile giovinetta, dalla quale riceveva sempre buone nuove, che per ricompensa le regalò una splendida veste di t
onte dotato della prerogativa di far tornare la giovinezza. Credevano che la Dea una volta l’anno vi si bagnasse. Le feste,
ezza. Credevano che la Dea una volta l’anno vi si bagnasse. Le feste, che a lei come Lucina o Illitia (protettrice dei part
ianza di quelle del dio Pane (294). Lucina è la figura di una matrona che ha nella destra una tazza e una lancia nella sini
a sulla fronte una corona di dittamo, perchè la superstizione credeva che questa pianta procurasse alle donne un parto pron
nne un parto pronto e felice. Secondo alcuni poeti Lucina è la stessa che Diana o la Luna (137). Anche il papavero e la mel
na (97) figlia del titano Ceo, n’ebbe Apollo e Diana (137). 97. Prima che Apollo e Diana nascessero, la gelosa moglie di Gi
dal luogo della sua nascita. Certo non si scotea si forte Delo Pria che Latona in lei facesse ’l nido ; A partorir li due
sava la Licia, e certi contadini, non istruiti dall’esempio di quelli che offeser Cerere (55), ebbero la crudeltà di negarl
ed essa li puni col solito gastigo di convertirli in rane. 99. Appena che Apollo fu in età da far uso delle sue forze, cons
a prima prova di valore alla madre per vendicarla del serpente Pitone che l’aveva tormentata si crudelmente, e che devastav
ndicarla del serpente Pitone che l’aveva tormentata si crudelmente, e che devastava i campi della Tessaglia. Lo assalì, lo
nfatti aveva fin reso la vita ad Ippolito (432) figlio di Teseo (402) che era morto per cagione dei mostri marini ; ma Giov
one quale oltraggio alla divina potenza, e istigato da Plutone (213), che malvolentieri vedeva ritorsi da Esculapio i suoi
vedeva ritorsi da Esculapio i suoi morti, fulminò il medico temerario che troppo si vantava delle sue prodigiose guarigioni
vendetta sullo stesso Giove, uccise a colpi di strali i Ciclopi (272) che avevano fabbricato la folgore ; laonde Giove, per
Nume, timida e pudibonda si pose a fuggirlo con tanta precipitazione, che suo padre, per meglio nasconderla, sulle proprie
sta avventura, staccò un ramo dall’albero, se ne formò una ghirlanda ( che Dante chiama la fronda Peneia), e volle che il la
e ne formò una ghirlanda (che Dante chiama la fronda Peneia), e volle che il lauro in memoria di un amor puro ed ardente gl
are dalla folgore ; l’altra di far vedere la verità in sogno a coloro che ne mettevano alcune foglie sotto le orecchie. 104
losia d’amicizia, fece stornare la palla ribattuta da Apollo, in modo che Giacinto ne restò colpito ed ucciso. Lo Dio, sven
ato anche nell’amicizia, trasformò l’estinto giovinetto in quel fiore che ne porta il nome. Forse per questo i giacinti ado
se. 107. Laomedonte cercò rimedio a tanti mali, e consultò l’oracolo, che gli rispose di dover placare Apollo e Nettuno, es
iberatore della sua figlia certi destrieri invincibili e tanto snelli che correvan sull’acqua ; ma dopo la vittoria negò ad
tante volte spergiuro, ne fece prigioniero il figliuolo Priamo (587), che poi fu riscattato dai Troiani, e maritò Esione a
10. Finalmente il lungo esilio e le sventure d’Apollo placaron Giove, che gli rese la divinità con tutti i suoi privilegj,
le eterne lacrime dell’afflitta madre son quelle, secondo la favola, che producono la rugiada mattutina. 114. Dal rogo di
giziani alzarono a Memnone una statua nella città di Tebe ; e credesi che quando questa statua era investita dai primi ragg
ïente (Dante, Purg. c. ix.), mandasse fuori alcuni suoni armoniosi, e che all’incontro facesse udire un lugubre gemito quan
ito quando il sole andava ad illuminare l’altro emisfero. Così pareva che si rallegrasse del ritorno dell’Aurora, e s’addol
enza. 116. Il secondo marito dell’Aurora fu Cefalo re di Tessaglia che prima era stato sposo di Procri figlia d’Eretteo
, Zeffiro, spira ! La moglie, non bene intesa l’invocazione, e non so che sospettando, per volersi maggiormente accostare s
con la medesima arme, e fu cangiato con Procri nella stella mattutina che precede l’Aurora. 117. Gli antichi rappresentava
. Omero la descrive con un gran velo dato alle spalle per significare che l’oscurità si dissipa innanzi a lei, mentre con l
ggiadria l’Aurora. « Facciasi dunque una fanciulla di quella bellezza che i poeti s’ingegnano di esprimer con parole, compo
ri e alla carnagione. Quanto all’abito, componendone pur di molti uno che paia più appropriato, s’ha da considerare che ell
endone pur di molti uno che paia più appropriato, s’ha da considerare che ella, come ha tre stati e tre colori distinti, co
lle ginocchia, una sopravvesta di scarlatto con certi trinci e groppi che imitassero quei suoi riverberi nelle nugole, quan
una lampada o una facella accesa, ovvero le si mandi avanti un Amore che porti una face, e un altro dopo, che con un’altra
vero le si mandi avanti un Amore che porti una face, e un altro dopo, che con un’altra svegli Titone. Sia posta a sedere in
bianco, dell’altro splendente in rosso, per denotarli secondo il nome che Omero dà loro di Lampo e di Fetonte. Facciasi sor
oro di Lampo e di Fetonte. Facciasi sorgere da una marina tranquilla, che mostri d’esser crespa, luminosa e brillante. » (V
econdo il solito, l’alta sua origine, gli fu contradetta da tutti. Di che andato a lagnarsi col padre, gli chiese in grazia
e d’Italia, immaginarono una caduta del sole, il quale ad essi pareya che tramontasse in Italia posta all’occidente di Grec
tramontasse in Italia posta all’occidente di Grecia. Crederono forse che l’astro del giorno prima di giungere al prefisso
giungere al prefisso termine del suo corso fosse caduto in quel suolo che era ingombrato di fiamme. Ma comecchè materiali e
llo ; un Dio non erra. S’avvisarono adunque con quella rozza acutezza che è propria dei barbari e dei fanciulli che Febo n’
e con quella rozza acutezza che è propria dei barbari e dei fanciulli che Febo n’avesse ceduto il reggimento al suo figliuo
di Climene e sorelle di Fetonte, si afflissero tanto della sua morte, che per quattro mesi lo piansero sulle sponde dell’Er
mbra. Cigno poi …. dell’amor di Fetonte acceso, Come si dice, mentre che piangendo Stava la morte sua, mentre ch’all’ombra
e che piangendo Stava la morte sua, mentre ch’all’ombra Delle Pioppe, che pria gli eran sorelle, Sfogava colla musa il suo
ielo alzossi. Eneide, lib. X, trad. del Caro. Gli antichi credevano che il cigno, per Io più taciturno, all’avvicinarsi d
Ugo Foscolo nel carme le Grazie dedica a questo simbolo della beltà, che veleggia con pure ali di neve, i seguenti bei ver
rsicore, (275) ha fama di avere inventato i versi lirici, e fu quegli che insegnò a sonare la lira ad Orfeo (469) e ad Erco
iante una sacerdotessa chiamata Pitia o Pitonessa (V. Sibille, § 665) che incoronata di lauro riferiva i responsi della del
d infatti Biante era proprio un’arca di scienze e di virtù. Nel tempo che i nemici pigliavano d’assalto Priene sua patria,
orse questa risposta poteva esser tacciata di presunzione ; ma vero è che Biante ebbe la modestia d’inviare il treppiede a
vero è che Biante ebbe la modestia d’inviare il treppiede a Pittaco, che lo spedì a Cleobulo, e questi a Periandro, tutti
erire. Laonde anche Solone ricusò il ricco dono, inviandolo a Chilone che faceva consistere tutta la filosofia nel contenta
ia nel contentarsi del necessario, dicendo : bando al superfluo. Dopo che il tripode fu passato così dalle mani dei sette s
il tripode fu passato così dalle mani dei sette savi, tornò a Talete, che lo depositò nel tempio d’Apollo consacrandolo al
cra è pur detta la valle sottoposta. In essa scorre il fiume Permesso che nasce sul monte Elicona dalle acque della ninfa C
da Apollo, e da quelle dell’Ippocrene (hippos, cavallo, kréne, fonte) che scende dall’Elicona, e che il cavallo Pegaseo (12
’Ippocrene (hippos, cavallo, kréne, fonte) che scende dall’Elicona, e che il cavallo Pegaseo (124) fece con un calcio scatu
7), allorchè Perseo (353) recise il capo a questa Gorgone. Suol dirsi che Apollo e le Muse consentono a’veri poeti menare a
Pegaseo, simbolo del genio. 125. Un satiro di Frigia chiamato Marsia, che reputasi inventore del flauto, ebbe la temerità d
la temerità di sfidare Apollo nella eccellenza della musica, a patto che il vinto restasse a discrezione del vincitore ; e
126. Anche Pane (294) aveva osato sfidare Apollo, e andava spacciando che i suoni del suo flauto superavano la lira ed il c
ità facendogli spuntare le orecchie d’asino, destinate a quei pedanti che presumono poter giudicare delle cose che non cono
no, destinate a quei pedanti che presumono poter giudicare delle cose che non conoscono, ragionare di affetti che non sento
no poter giudicare delle cose che non conoscono, ragionare di affetti che non sentono. 127. Mida si studiava di nascondere
luogo remoto, fa un buco in terra, e sdraiatosi sopra, dice sottovoce che il suo padrone ha le orecchie d’asino ; indi rico
barbiere : Mida ha le orecchie d’asino ; e così ammaestravano ognuno che l’ignoranza pur troppo si fa palese, comunque ess
i ricchi arredi. 128. Quando Bacco (146) andò in Frigia, Sileno (150) che lo accompagnava si fermò a una fonte ove Mida ave
rono Sileno ubriaco, e dopo averlo inghirlandato lo condussero a Mida che lo accolse con magnificenza regale. Bacco volendo
l primo desiderio ch’ei gli avesse manifestato. Il re di Frigia quasi che volesse far conoscere come bene gli si addicevano
lo, e ne fu presso a morir di fame. Ecco l’immagine dei sordidí avari che si lasciano mancar di tutto per accumular ricchez
Mida, Che segui alla sua dimanda ingorda, Per la qual sempre convien che si rida, Dante, Purg., c. XX. lo consigliò a tu
ida, Dante, Purg., c. XX. lo consigliò a tuffarsi nel fiume Pattolo che irriga la Lidia. Mida obbedì, e perdette la singo
rdette la singolare prerogativa, comunicandola alle acque del Pattolo che fin da quel tempo recarono sabbia d’oro. Potremmo
uel tempo recarono sabbia d’oro. Potremmo riflettere su tal proposito che le ricchezze adoperate in utili imprese, come nel
igno impoveriscono lo stesso possessore. Molte son poi le metamorfosi che la favola attribuisce ad Apollo. 130. Clizia, ni
u sacerdotessa di Apollo ; ma vedendosi preferita Leucotoe (la stessa che Ino) (449), ne concepì tanta gelosia da lasciarsi
ora in girasole od elitropio, il qual fiore, per dimostrare l’affetto che Clizia avea per Apollo, dicesi vòlto sempre al di
otterraneo la figliuola. Allora Apollo irrigando col néttare la terra che la copriva, ne fece spuntar subito l’albero dell’
ico d’Apollo, s’allevava con grande affetto un bel cervo ; quand’ecco che inavvertentemente lo uccide, e ne rimane sì addol
far pagare al corvo il fio della delazione, gli ridusse nere le penne che prima eran bianche. 134. Solevano sacrificare sug
perchè l’olivo, fedele al Dio del giorno, alligna bene in quei luoghi che sono ravvivati dalla sua presenza. Gl’inni più ce
uei luoghi che sono ravvivati dalla sua presenza. Gl’inni più celebri che erano cantati in onor suo furon detti Peani o Pea
o (120) furon sacri ad Apollo, denotando colla differenza del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion prod
ndo colla differenza del colore, che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion produrre sì i giorni che le notti. Quindi
che a questo Nume era noto tutto ciò che soglion produrre sì i giorni che le notti. Quindi il cigno si riferiva anche alla
cigno si riferiva anche alla tenera armonia con la quale supponevasi che questo volatile cantasse la vicina sua morte, qua
l futuro, ed il suo crocidare serviva spesso di prognostico. L’aquila che fissa nel sole l’audace suo sguardo, il gallo che
ognostico. L’aquila che fissa nel sole l’audace suo sguardo, il gallo che ne celebra col canto mattutino il ritorno, e la c
, il gallo che ne celebra col canto mattutino il ritorno, e la cicala che festeggia infaticabilmente i bei giorni del suo i
te a consultare il suo oracolo, recando magnifici donativi. I Rodiani che ambivano di esser chiamati figli del Sole, gli av
lie del mondo. Era questa una statua di bronzo alta settanta braccia, che posando i piedi sopra due rôcche distanti oltre v
a destra mano un bacino, nel quale di notte tenevasi accesa la fiamma che serviva di fanale ai marinari. L’interno del colo
le. Un terremoto lo fece cadere non molto tempo dopo la sua erezione, che ebbe luogo 700 anni av. G. C., e rimase in terra
i e le mura di Babilonia costruiti da Semiramide ; il palazzo di Ciro che dicono avesse le pietre cementate con l’oro ; le
avesse le pietre cementate con l’oro ; le famose Piramidi di Egitto, che si crederono destinate per tomba ai Re di quel fe
stinate per tomba ai Re di quel fertile paese ; e finalmente la tomba che Artemisia alzò al re Mausolo suo sposo. Questo mo
la celeste armonia ; quella stessa lira onde traeva i dotti concenti che facevano stupire uomini e Dei. Talora av[ILLISIBL
ettore degli uomini, ed era in atto di far donativi alle Grazie (175) che animano il genio e le belle arti. Roma possiede l
orella d’Apollo (96). Forse questo suo nome principale deriva da dios che in greco vuol dire Giove. 138. In cielo fu chiam
ce inseguire dai suoi cani il cacciatore Atteone (aktè, sponda, gr.), che ebbe la temeraria curiosità di guardarla mentr’el
mmagine della genitrice Natura. 139. Tuttavia alcuni mitologi narrano che Diana, considerata qual divinità celeste, ossia l
store Endimione e n’avesse cinquanta figliuoli ; ma dicono altrimenti che Giove, trovato questo pastore nelle stanze di Giu
ozze di Diana e d’Endimione. Sarebbe fac spiegar tutto ciò supponendo che Endimione fosse un abi astronomo che passava la s
fac spiegar tutto ciò supponendo che Endimione fosse un abi astronomo che passava la sue notti sulla cima delle mo[ILLISIBL
stri. No[ILLISIBLE] invecchiava, perchè l’ingegno fa immortali coloro che [ILLISIBLE] adoperano in cose lodate. 140. È nota
che [ILLISIBLE] adoperano in cose lodate. 140. È notabile la severità che Diana usava con le sue seguaci. Calisto era la ni
di vivere continuamente nubile con lei ; ma ad insinuazione di Giove, che le apparve sotto le effigie della stessa Diana, s
141. Diana poi fu molto più crudele contro la sventurata Niobe (629) che in onta a lei s’era vantata della sua bella e num
cchito dei tesori di tutta l’Asia, con pitture, statue e bassorilievi che erano capolavori dei più celebri maestri. Le port
Diana fu gettata in oro. Erostrato diede fuoco a questo tempio nel dì che nacque Alessandro il grande, e mentre Diana, come
me credevano, assisteva in parto Olimpia madre di quel principe. Pare che Erostrato commettesse questo misfatto per fare im
mmortale con l’infamia il suo nome. Gli Efesj decretarono, ma invano, che il nome di questo folle non fosse mai pronunziato
n sacrifizio di cento bovi, chiamato Ecatombe, parola greca composta, che significa appunto cento buoi. Con l’aiuto di Ifig
lunghe, folte e crespe alquanto, o con uno di quei cappelli in capo, che si dicono acidari, largo di sotto, ed acuto e tor
e torto in cima, come il corno del Doge, con due ali verso la fronte, che pendano e cuoprano le orecchie, e fuori della tes
ciato, liscio, e risplendente a guisa di specchio in mezzo la fronte, che di qua e di là abbia alcuni serpenti, e sopra cer
ondo Marziano, o di elicrisio secondo alcuni altri. La veste chi vuol che sia lunga fino ai piedi, chi corta fino Ile ginoc
hi. Pigliate un di questi abiti qual meglio vi torna. Le braccia fate che siano ignude, con le loro maniche larghe ; con la
di veleno, e col piede ornato di foglie di palma. Ma con questo credo che voglia significare pur Iside ; però mi risolvo ch
a con questo credo che voglia significare pur Iside ; però mi risolvo che le facciate l’arco come di sopra. Cavalchi un car
ilezione di Giove per Semele, causa di tanti guai a’ Tebar Nel tempo che Giunone era cruccciata Per Semelè contra ’l sangu
vittima della sua ambizione, perì nell’incendio, come sovente àccade che il fasto e la splendida protezione dei grandi sie
ovra ogni dir gradita. Pindaro, Trad. del Borghi. 149. Dicono i più che Bacco fu allevato in vicinanza della città di Nis
co) dove Mercurio lo recò in fasce alle figliuole d’Allante (359) ; e che dopo cresciuto, per gratitudine a Coloro che avev
uole d’Allante (359) ; e che dopo cresciuto, per gratitudine a Coloro che avevano avuto cura della sua infanzia, le cangiò
ggersi, ora camminando barcollon barcolloni con l’ aiuto d’ un tirso, che è un bastone coronalo di pampani o d’ellera. 151.
ta la terra e conquistò le Indie con un esercito d’ uomini e di donne che per armi avevano tirsi e tamburi ; indi si trasfe
lle Indie (722) e d’ Osiride (696, 697) egiziano ; laonde è probabile che sia sempre il medesimo Dio, variato nome. Altri v
medesimo Dio, variato nome. Altri vi riconoscono l’immagine del sole che si alza dalla parte dell’ Oriente dove è posta l’
no delle Indie sposò Arianna, figliuola di Minosse (228) re di Creta, che era stata abbandonata da Teseo (402), c le regalò
 ; e poi in Italia ; ma il senato romano, vedendo la sfrenata licenza che le accompagnava, le proscrisse per sempre l’anno
ed ivi le facevano i soliti sacrifizj : ………. le folli Menadi, allor che lorde Di mosto il viso balzan per li colli. G.P
re le feste di Bacco ; ma il culto per questo nume era così radicato, che le Baccanti furibonde aggredirono il principe e l
io ; chè anzi ricusarono d’assistere alle feste di Bacco, e nel tempo che erano celebrate vollero per disprezzo continuare
ggiare d’ urla tremende, e la vendetta del Nume colpir le sacrileghe, che furono tutte trasformate in pipistrelli. Le vergi
dalle fischiate degli spettatori ; ma era dato un premio al ballerino che avesse saputo serbar l’equilibrio meglio degli al
da Centauri (430). 158. Era immolata a Bacco la gazza, per avvertire che il vino ci rende indiscretamente loquaci ; ed il
quale Ismeno già vide ed Asopo Lungo di sè di notte furia e calca Pur che i Teban di Bacco avesser uopo…. Dante, Purg., c
Dante, Purg., c. XVIII. 159. Molti scrittori d’antiquaria suppongono che Bacco sia la stessa cosa che Noè, il quale piantò
Molti scrittori d’antiquaria suppongono che Bacco sia la stessa cosa che Noè, il quale piantò la vite, e insegnò agli uomi
si rassomigliano ; ma tra Bacco e Mosè passa analogia tanto maggiore che renderebbe la loro identità più verosimile. Egli
e renderebbe la loro identità più verosimile. Egli è dunque probabile che quanto la favola attribuisce a Bacco altro non si
nque probabile che quanto la favola attribuisce a Bacco altro non sia che imitazione della storia di Mosè : Bacco e Mosè fu
l secondo fece altrettanto sul Mar Rosso. I quali paralleli attestano che se Mosè e Bacco non sono lo stesso uomo, furono a
l messaggero e l’interprete di Giove e degli altri Dei tanto in cielo che in terra, sì nel mare che nell’inferno ; dirigeva
e di Giove e degli altri Dei tanto in cielo che in terra, sì nel mare che nell’inferno ; dirigeva egli stesso le loro impre
a una verga alata in cima e con due serpi avvoltele intorno. Si narra che un giorno avendo incontrato quei due animali che
le intorno. Si narra che un giorno avendo incontrato quei due animali che si battevano, li separò con la verga, ed essi vi
tempo stesso il caduceo aveva la proprietà di ricongiungere tutto ciò che la collera aveva separato, nuovo simbolo dell’ el
, nuovo simbolo dell’ eloquenza. La credenza in cui erano gli antichi che Mercurio dopo un certo numero di secoli riconduce
po morto in un corpo vivo. Cosi gli antichi credettero universalmente che le nostre anime, dopo aver lasciata la morta spog
lasciata la morta spoglia, trasmigrassero nel corpo di quegli esseri, che per le loro inclinazioni s’accostano più alla nos
hanno ammessa la metempsicosi senza limiti, acconsentendo di credere che la loro anima passi dal corpo di un uomo in quell
animale, e da questo in un albero o in una pianta, perchè essi dicono che tutto ciò che vegeta vive, e tutto ciò che vive d
questo in un albero o in una pianta, perchè essi dicono che tutto ciò che vegeta vive, e tutto ciò che vive deve avere un’
pianta, perchè essi dicono che tutto ciò che vegeta vive, e tutto ciò che vive deve avere un’ anima. Il filosofo Pitagora p
ali mantengono spedali per tutti gli animali malati, essendo persuasi che , soccorrendoli, porgono alcun sollievo forse ai l
co di condurre all’inferno le anime degli estinti. 165. Ma pretendono che Mercurio fosse anche il Nume dei ladri, forse per
i a starne guardinghi, non già per proteggere quel malvagi, tanto più che vigilava anche la sicurezza delle strade pubblich
più che vigilava anche la sicurezza delle strade pubbliche. Fatto sta che a lui stesso attribuiscono molta abilità nel furt
o gli offerse un bove e una vacca per farsi dire dove fosse il gregge che era stato portato via ; e Batto palesò subito il
a fare esperienza della purezza dell’oro ; quasi volessero insegnarci che nello stesso modo che l’oro corrompe la fede e l’
a purezza dell’oro ; quasi volessero insegnarci che nello stesso modo che l’oro corrompe la fede e l’onestà dei mortali, co
Dante nel c. XIV del Purg. a proposito dell’invidia : Io sono Aglauro che divenni sasso. Fu costei figliuola d’Eretteo re d
Aglauro che divenni sasso. Fu costei figliuola d’Eretteo re d’ Atene, che invidiosa perchè la sua sorella Erse fosse protet
e in pietra. 168. Mercurio fu chiamato Cillenio da un monte d’Arcadia che secondo alcuni fu luogo della sua nascita ; ebbe
tus ; finalmente lo dissero Triceps (triplice o trino) per gli uffiej che esercitava nel cielo, sulla terra e nell’ inferno
sercitava nel cielo, sulla terra e nell’ inferno. 169. Secondo quello che dice Cicerone, vi sono stati cinque Mercurj, uno
altro era medico, il terzo esperto mercatante, ec. ; ed è verosimile che coll’andar del tempo queste diverse qualità sieno
 ; e con più nomi ed are Le dan rito i mortali, e più le giova L’inno che bella Citerea la invoca. Tito Lucrezio Caro nel
del Carrer : Madre d’ Enea, desio d’ uomini e Numi, Alma Venere, tu, che sotto a’ segni Roteanti del cielo il mar fecondi
primavera, e il genïale Alito di Faonio era diffuso, L’aerio volator che in cor ti sente, Te, o Diva, tosto e il tuo venir
de’ volanti, e nelle verdi Campagne universal spirando amore, Fai si che d’una in altra si propaghi Stirpe la vita con acc
; e figurarono parimente nati da lei il Riso, gli Scherzie i Piaceri, che appariscono quali genii o fanciulli alati. 173. C
pingono ancora con un dito alla bocca ; indizio di quella discretezza che è tanto necessaria per ben governare le passioni
ella discretezza che è tanto necessaria per ben governare le passioni che accende. Uomini e Dei solea vincer per forza Amo
rizione più ampia e feconda di nuove idee : Quattro destrier via più che neve bianchi : Sopr’ un carro di fuoco un garzon
lia, e parte uccisi, Parte feriti di pungenti strali…. Questi è colui che il mondo chiama Amore…. E siccome può esservi l’
i che il mondo chiama Amore…. E siccome può esservi l’amore virtuoso che gli antichi chiamavano Eros 34 e quello opposto d
o dell’ abbondanza unitosi in matrimonio con Penia Dea della povertà, che nello stesso giorno nel quale celebravano in ciel
iman privo di tutto, e tapino e mendico diventa ; o piuttosto pensava che l’amor puro e vero non guarda a ricchezza nè a po
nascere dal Cielo e dalla Terra per significare i sentimenti sublimi che debbono nobilitarlo, e senza dei quali i material
lla Bellezza ; Alceo della Discordia e dell’Aria, volendo significare che senza pace si risolve in nulla ; e Alemeone di Ze
i risolve in nulla ; e Alemeone di Zeffiro e di Flora, perchè nulla è che sia più gentile e innocente dei fiori e dell’aura
è che sia più gentile e innocente dei fiori e dell’aura di primavera che gli accarezza. Il nostro altissimo poeta Dante Al
li accarezza. Il nostro altissimo poeta Dante Alighieri, non contento che l’amor suo fosse santo ed unico in terra, lo pose
unico in terra, lo pose nel cielo, ed inspirato da esso a quel canto che dovea rendere ma ravigliata e riverente l’ Italia
e dovea rendere ma ravigliata e riverente l’ Italia, surse tant’alto, che altri nol raggiunse giammai nè prima nè dopo. « Q
e costante in sè stesso ; regola immortale data ai mortali dal Cielo, che è indipendente da ogni umano volere, che la natur
e data ai mortali dal Cielo, che è indipendente da ogni umano volere, che la natura insegna, che la religione perfeziona, c
ielo, che è indipendente da ogni umano volere, che la natura insegna, che la religione perfeziona, che la civiltà interpret
gni umano volere, che la natura insegna, che la religione perfeziona, che la civiltà interpreta, applica, sanziona. » (Vena
erpreta, applica, sanziona. » (Venanzio.) 174. Alcuni mitologi dicono che Imene, o Imeneo, che presiedeva agli sponsali, fo
ziona. » (Venanzio.) 174. Alcuni mitologi dicono che Imene, o Imeneo, che presiedeva agli sponsali, fosse figlio di Venere
ea della bellezza riceve da loro la leggiadria e tutti i divini pregi che la fanno meravigliosa. Nate il di che a’ mortali
giadria e tutti i divini pregi che la fanno meravigliosa. Nate il di che a’ mortali Beltà, ingegno, virtù concesse Giove :
e per lo più nude e sempre vagamente insieme abbracciate per indicare che fanno gradito e bello il vincolo dell’ umano cons
ndicare che fanno gradito e bello il vincolo dell’ umano consorzio, e che la semplice beltà della natura vince gli studiati
cono anche ricoperte di leggero velo, forse per la sentenza d’ alcuni che dicono non esservi grazia senza decenza, nè decen
itologia, e vederle sempre adorne di quella stessa immortale bellezza che spira dalle opere del genio greco, legga quel car
608) fu detto figliuolo di Venere e d’Anchise (608) principe troiano, che la Dea della bellezza protesse e ricolmò di favor
oiano, che la Dea della bellezza protesse e ricolmò di favori. Dicono che questo principe, osando una volta vantarsi di tan
ito di questa sua indiscretezza da Giove (63) con un colpo di fulmine che gli sfiorò la pelle. 177. Adone, figlio di Mirra
traordinaria bellezza, ed appassionatissimo per la caccia. Non faceva che abbandonarsi a questo esercizio, benchè Venere lo
nte Libano ; ma la belva furiosa lo inseguì e lo fece in pezzi, prima che Venere fosse in tempo a soccorrerlo ; talchè non
ezzi, prima che Venere fosse in tempo a soccorrerlo ; talchè non potè che ricoprirlo di néttare e di lacrime, e cangiarlo i
 ; ma, secondo alcuni, d’indole tanto altera, volubile ed incostante, che non stava mai ferma in un proposito ; e non valev
i è rappresentata con ali di farfalla, o con uno di questi animaletti che le svolazza intorno. Un Nume potente, amabile e g
corrisposto. Dopo avere studiato lungo tempo la sua indole si accorse che la passione più dominante di Psiche era la curios
n mezzo a boschetti e giardini, ornandolo dentro e fuori di tutto ciò che può far deliziosa la vita ; e quindi la tenera vo
ettuosamente, e le chiedeva la promessa di non iscegliere altro sposo che lui. Prima del far del giorno spariva, e abbandon
curiosità non sodisfatta. « Chi sei tu dunque, esclamava : chi sei tu che dici di amarmi e di vivere per me ? Tu vuoi ch’ i
i dispiacermi ? Ah ! tu non sarai forse il più bello degli uomini ; e che importa ? tu sei il più sensibile e il più genero
ù generoso. Ebbene ! scopriti ! Ch’ io ti veda ; ch’ io conosca colui che debbo amare ! » Ma il Nume s’ostinava a rimanere
ada, le dicevano, bada di non esser vittima della tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha paura della luce del giorno
ada di non esser vittima della tua fiducia. Chi sa che questo amante, che ha paura della luce del giorno, non sia un mostro
esto amante, che ha paura della luce del giorno, non sia un mostro, e che dopo aver acquistata la tua affezione osi tradirt
de sopra un tappeto sparso di rose, finge di addormentarsi, e aspetta che il caso guidi a lui la donzella. Psiche vi giunge
sa !…. » E si chinava su lui avidamente per contemplarlo, non badando che i suoi moti facessero pendere la lucerna ; sicchè
re la lucerna ; sicchè una goccia ardente cadde sul seno del giovine, che svegliato dal dolore si alza precipitoso, e spari
d’un’alta montagna, e tagliare un vello di lana dorata di sui montoni che vi pascolavano. Per ultima prova Venere le disse 
re la sua curiosità ; e volle vedere come fosse fatta quella bellezza che si spediva a scatole. Apre, e ne scaturisce un fu
bellezza che si spediva a scatole. Apre, e ne scaturisce un fumo nero che le si ferma sul volto : si specchia, e scorge la
rassicura, e le porge la mano. La commozione di Psiche è tanto grande che non ha forza di parlare ; si prostra a’ piedi del
ù felice unione di quella. Facile è discoprire gl’insegnamenti morali che in questa favola sono ingegnosamente riposti. Alt
risce essere adombrata nella mitologica Psiche l’anima immortale ; il che può rilevarsi anche dalla etimologia del suo nome
a ; E per te in mezzo il sacro vel s’adorni Della imago di Psiche, or che perfetta Ha la sua tela, e ti sorride in volto. M
furti suoi chiudesse ; E si gli additi in aurea nube il sogno Roseo, che sulla fresca alba di maggio Sovra dormente giovin
mente giovinetta aleggia, E le ripete susurrando i primi Detti d’amor che da un garzone udia. 179. Venere ebbe maggior cu
e l’Egeo sospira e piagne, Un’isoletta delicata e molle Più ch’altra, che ’l sol scalde, o che ’l mar bagne. Nel mezzo è un
agne, Un’isoletta delicata e molle Più ch’altra, che ’l sol scalde, o che ’l mar bagne. Nel mezzo è un ombroso e verde coll
olci acque, Ch’ogni maschio pensier dell’alma tolle. Quest’è la terra che cotanto piacque A Venere ; e ’n quel tempo a lei
ere sopra una capra, con una testuggine sotto il piede, a significare che l’amore della sola materiale bellezza ci fa diven
era bella, velata poi era divina, perchè univa la modestia alla beltà che senza essa non è pregevole. Fu anche figurata col
gine ad occhi bassi e coi piedi sopra un guscio di testuggine, indica che la gioventù virtuosa deve sempre tener custodita
ributi presiedeva a quell’amore casto e puro, a quella fiamma celeste che dà vita all’universo, e che solleva le anime ai p
ore casto e puro, a quella fiamma celeste che dà vita all’universo, e che solleva le anime ai pensieri della divinità. Le s
e della donna virtuosa, della eletta fra le creature, di quell’essere che , quando si mostra nella sua possibile perfezione,
umana lode, ogni maraviglia della natura. La sua statua più celebre, che ci sia pervenuta dall’antichità, è la Venere dei
dei più belli ornamenti della galleria pubblica di Firenze. Ognun sa che uno dei capi d’opera della moderna scultura che l
di Firenze. Ognun sa che uno dei capi d’opera della moderna scultura che l’italiano Canova seppe far risorgere con tanta l
o ha fatto una vaghissima descrizione del cinto misterioso di Venere, che è l’emblema della modestia, della grazia e della
i fiori, dove volendo far prova dell’ agilità delle sue ali, si vantò che in pochi minuti avrebbe colto più fiori di sua ma
tre vergini ed altre donne si appressavano all’ ara di Venere nuziale che teneva nell’una mano il globo del mondo da essa r
a ; ma la notte seguente scomparve ; e un astronomo, Conone, annunziò che Venere l’aveva posta nel cielo e cangiata in stel
ontro Giove, n’ ebbe per castigo l’esilio dal cielo nello stesso modo che Apollo (96) ; e per vivere, si trovò come lui rid
ja. È stata già narrata la mala fede di Laomedonte re di Troja (106), che negò a Nettuno la pattuita mercede, e la vendetta
he negò a Nettuno la pattuita mercede, e la vendetta dello Dio marino che inondò il pæse e fece emergere dalle acque un mos
di ed alle mani. Quale orrido simbolo dei vizj, infettavano ogni cosa che toccavano, ed erano cagione di carestia e d’infin
a quell’altre Rapaci e lorde sue compagne Arpie Fin d’allora abitate, che per tema Lasciàr le prime mense, e di Finéo (362)
rinzata e magra. (Eneide, lib. III, traduz. del Caro.) Alcuni dicono che la favola delle Arpie fu originata da un gran nuv
avola delle Arpie fu originata da un gran nuvolo di enormi cavallette che , dopo aver devastato parte dell’Asia Minore, si g
l’aria coi loro cadaveri. — V’ è chi non riconosce nelle Arpie altro che gli uccelli del lago Stinfale. E finalmente altri
ie altro che gli uccelli del lago Stinfale. E finalmente altri dicono che fossero Corsari frequentemente scesi negli stati
higlia di straordinaria bellezza e più candida dell’avorio ; e pareva che questo carro volasse radendo la superficie delle
Teli, moglie d’ Oceano, non deve esser confusa con l’altra Teli (320) che fu madre d’ Achille (536). 193. Oceano e Teti gen
a di giunchi. Si appoggiano sopra un’ urna di dove scaturisce l’acqua che è la sorgente del fiume al quale presiedono. 195.
i pericoli di manifestarlo. Secondo alcuni Proteo fu un abile oratore che sapendo con arte adoperare tutte le figure della
to doversi riconoscere in lui un comico perfetto, un abile pantomima, che seppe imitare con la voce e co’gesti ogni specie
) e della musa Calliope (274), abitavano per entro gli scoscesi massi che sono tra l’isola di Capri e le coste d’Italia, od
Sicilia. Le principali sono queste tre : Leucosia, Lisia e Partenope che diede il nome alla città dove morì ; ma Falari, c
Lisia e Partenope che diede il nome alla città dove morì ; ma Falari, che rifabbricò Partenope, la chiamo Napoli, Neopoli,
tà del loro corpo, erano immagine di quelle seducenti delizie terrene che rapiscono l’uomo, lo distraggono dai suoi doveri,
vi degl’ incauti nocchieri. 197. L’oracolo aveva predetto alle Sirene che sarebbero perite, appena che un uomo avesse saput
97. L’oracolo aveva predetto alle Sirene che sarebbero perite, appena che un uomo avesse saputo resistere alle attrattive d
resistere alle attrattive della loro voce e delle loro parole, quasi che volesse indicare la maravigliosa potenza del buon
Argonauti ; ma Orfeo prese la lira, e incantò loro stesse a tal punto che divennero mute e gettarono i proprj istrumenti ne
che divennero mute e gettarono i proprj istrumenti nelle acque. Segno che il verò merito ha attrattive infinitamente maggio
ele ; essendochè Ulisse restò così preso dalle lusinghe delle Sirene, che fe’cenno a’compagni di voler essere sciolto ; ma
gni di voler essere sciolto ; ma essi non infransero il severo ordine che avevano avuto di non obbedire a quel cenno ; e le
Naiade, fu celebre pescatore d’Antedonte in Beozia ; il quale, posati che ebbe un dì alcuni pesci sopra certa erba, si acco
uale, posati che ebbe un dì alcuni pesci sopra certa erba, si accorse che ripigliavano il vigor della vita, e con maravigli
a una bella ninfa figlia di Forco ed’Ecale, amata da Glauco (201), ma che non gli voleva corrispondere ; sicchè egli andò a
ge con quella in cui s’intoppa…. (Dante, Inf. c. VII.) Omero suppone che inghiotta le onde tre volte il giorno e tre volte
sinistro É l’ingorda Cariddi : una vorago D’un gran baratro è questa, che tre volte I vasti flutti rigirando assorbe, E tre
ie caverne Stassene insidïando, e colle bocche De’suoi mostri voraci, che distese Tien mai sempre ed aperte, i naviganti E
l petto Ha di donna e di vergine : il restante D’una pistrice immane, che simili A’delfini ha le code, ai lupi il ventre.40
(273) e quella Scilla della quale abbiamo già parlato (202). Credono che da Forco fosse nato ancora il serpente che stava
già parlato (202). Credono che da Forco fosse nato ancora il serpente che stava a custodia degli aurei pomi delle Esperidi
nde anche in mezzo ai rigori dell’inverno. E in questo tempo, secondo che dice la tradizione, il mare si mette in calma, e
tenera prole ; ma questa calma dura solamente per quattordici giorni, che dai marinari sono chiamati dies alcyonei (giorni
ata così : Alcione, affettuosa moglie di Ceice re di Trachinia, sognò che il marito naufragava ritornando da Delfo, sicchè
e spesso procede mæstosamente in un carro condotto da cavalli marini che hanno la parte posteriore del corpo fatta a guisa
veva la forma d’una larga conchiglia ; le ruote erano d’oro, e pareva che volassero a fior d’acqua. I Tritoni (190), le Ner
Saturno (27) e di Cibele (40). Assistè il fratello Giove nella guerra che ebbe a sostenere contro Saturno (31), e dopo la v
do il fiume o la palude Stige (221), posta nell’Arcadia. Ma fingevano che anche in Italia e segnatamente nella Campania pre
sotterraneo limitare, ove Dante trovò scritte quelle tremende parole che tutti sanno : « Per me si va nella città dolente
e le biformi Due Scille ; Briareo di cento doppj ; La Chimera di tre, che con tre bocche Il fuoco avventa ; il gran serpe d
la terra sconsolata, fra ardenti fornaci, popolate di orribili mostri che rabbiosamente tormentavano le ombre dei malvagi :
r per tempesta, Se da contrari venti è combattuto. La bufera infernal che mai non resta, Mena gli spirti nella sua rapina,
a, di là, di giù, di su li mena : Nulla speranza li conforta mai, Non che di posa, ma di minor pena. L’altra regione, cui
ti, Tragge del muto legno umani accenti…. ………………… E questi eran color che combattendo Non fur di sangue alla lor patria ava
olor che combattendo Non fur di sangue alla lor patria avari ; E quei che sacerdoti erano in vita Castamente vissuti ; e qu
 ; e gl’inventori Dell’Arti, ond’è gentile il mondo e bello ; E quei, che ben oprando han tra’mortali Fatto di fama e di me
aturno vi regna con la moglie Rea, e vi rende perpetua l’età dell’oro che fu tanto breve sopra la terra. Alcuni credevano i
da capo a piedi di varie materie gradatamente inferiori, come quella che nelle Scritture Sacre dicesi veduta da Nabuccodon
e dal corrompimento delle materie stesse componenti la detta statua, che è quanto a dire dai vizj di tutti i tempi, deriva
sso : In mezzo ’l mar siede un paese guasto,44 Diss’ egli45 allora, che s’appella Creta, Sotto ’l cui rege fu già ’l mond
Creta, Sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto.46 Una montagna v’è, che già fu lieta D’acque e di fronde, che si chiamò I
ndo casto.46 Una montagna v’è, che già fu lieta D’acque e di fronde, che si chiamò Ida : Ora è diserta come cosa vieta.47
me infino alla forcata ; Da indi in giuso è tutto ferro eletto, Salvo che il destro piede é terra cotta, E sta in su quel,
letto, Salvo che il destro piede é terra cotta, E sta in su quel, più che in su l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor che l’
E sta in su quel, più che in su l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta D’una fessura che lagrime goccia,
l’altro eretto. Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta D’una fessura che lagrime goccia, Le quali accolte foran quella gro
iango, gr.) circondava il Tartaro (216) ; le sue onde altro non erano che le lacrime dell’eterno pianto dei malvagi, come s
bolo ; ed il loro mormorio ne imitava i gemiti. Credevano gli antichi che le anime degl’ insepolti andassero errando per ce
le sepoltura alle spoglie mortali. Sulle sue sponde coronate di tassi che mandavano ombra mesta e tenebrosa, era una porta
ombra mesta e tenebrosa, era una porta eretta su cardini di bronzo, e che dava accesso al Tartaro (216). 220. Il Flegetonte
o ruscello con acqua buia » dalla quale esalavano mortiferi vapori, e che per nove volte girava intorno all’Inferno. I poet
onde il padre dei Numi, grato a tanto zelo, la ricolmò di doni. Volle che lo Stige diventasse il vincolo sacro delle promes
cro delle promesse degli Dei, e decretò gravissime pene contro coloro che avessero violato i giuramenti fatti nel suo nome.
oso Sarpedonte, e Venere guarì le ferite del suo figlio Enea. Si dice che l’ambrosia scaturisse la prima volta da uno dei c
Loc. cit.) Ogni ombra dovea pagargli il passo con una moneta ; per lo che i Greci e i Romani ponevano un obolo nella bocca
a crudele e diversa,52 Con tre gole caninamente latra Sovra la gente che quivi é sommersa. Gli occhi ha vermigli, e la bar
squatra. (Dante, Inf. c. VI.) Accoglieva talora con carezze le ombre che entravano, e minacciava abbaiando con le sue tre
entravano, e minacciava abbaiando con le sue tre bramose gole quelle che accennavano di volerne uscire. Raccontano che Erc
tre bramose gole quelle che accennavano di volerne uscire. Raccontano che Ercole (364) lo incatenò e se lo tirò dietro fino
la terra, allorchè liberò dall’inferno Alceste sposa d’Admeto (102) ; che Orfeo (469) lo addormentò col suono della sua lir
lira, quando scese per richiedere a Plutone (213) la sua Euridice ; e che la Sibilla che condusse Enea (608) all’inferno,
ese per richiedere a Plutone (213) la sua Euridice ; e che la Sibilla che condusse Enea (608) all’inferno, Tratta di mêle
i tre giudici dell’ Inferno, ed esaminavano le anime di mano in mano che Mercurio (160) le conduceva al loro tribunale. Ea
i Cretesi, ogni nove anni si ritirava in una caverna, dando a credere che ivi Giove (63) gliele dettasse. Come presidente d
e, e ringhia : Esamina le colpe nell’entrata, Giudica e manda secondo che avvinghia. Dico, che quando l’anima malnata Gli v
a le colpe nell’entrata, Giudica e manda secondo che avvinghia. Dico, che quando l’anima malnata Gli vien dinanzi, tutta si
erno è da essa : Cignesi colla coda tante volte Quantunque gradi vuol che giù sia messa. Sempre dinanzi a lui ne stanno mol
Siccome la peste aveva spopolato i suoi stati, così ottenne dal padre che le formiche diventassero uomini, e dette ai suoi
nome di Mirmidoni (92). Vi governò poi con tanta sapienza e giustizia che ebbe l’onore di tener nell’Inferno la bilancia co
del suo coraggio gli fece sposare la figliuola di Laomedonte, Esione, che fu la sua terza moglie e madre di Teucro. — Peleo
o. — Peleo sposò Teti (320) e fu padre d’Achille (536). Le sue nozze, che la Discordia turbò col pomo fatale, furono la pri
propri sudditi, e gli antichi avevan tale opinione della sua equità, che se volevano attestare la giustizia di una sentenz
damanto. Anch’ egli ……..ode, esamina, condanna, E discopre i peccati che di sopra Son dalle genti o vanamente ascosi In vi
udici ignoranti o corrotti principalmente deriva il disordine sociale che spinge alle colpe ; e quindi i legislatori e i gi
rebbero aver preso l’idea di questi giudici dell’ inferno dal costume che avevano gli Egiziani di giudicare pubblicamente l
eraste avean per crine, Onde le fiere tempie erano avvinte. E quei,54 che ben conobbe le meschine Della regina dell’ eterno
i disse, le feroci Erine. Questa è Megera dal sinistro canto : Quella che piange dal destro è Aletto : Tesifone è nel mezzo
ISIBLE] Negli attoniti petti ; Per voi, turba feroce, Spesso a color, che morte Sull’ orlo spinge di nascoso abisso (Crude
elide Acque versate : Ecco le Eumenidi ; Empi trematel 233. Gli Dei, che le avevano preposte a tormentare le anime dei per
onni, li perseguitavano con dilanianti rimorsi e con visioni paurose, che li riducevano in tetra disperazione, incominciand
offerti singolari omaggi ; e tanto era il pauroso rispetto per esse, che quasi non s’arrischiavano a nominarle o ad alzare
empli, i quali servivano d’inviolabile asilo ai colpevoli, supponendo che già il rimorso facesse ivi patir loro la meritata
rificò due tortorelle, e fece una libazione d’acqua di fonte con vasi che avevano i manichi fasciati di lana d’agnello. I m
te per regolare il corso della luna, Diana (138) nei boschi. Era fama che Ecate profondesse ricchezze a’ suoi adoratori, gl
i trivj dove sorgeva la sua statua, le imbandivano ogni mese una cena che era poi goduta dai poveri in onor suo. Talvolta l
i. A Roma le venivan sacrificati di notte i cani, dei quali credevano che i lamentevoli latrati allontanassero gli spiriti
di queste gli antichi avevano immaginato altre tre divinità infernali che presiedevano alla vita e alla morte, ossia le Par
d’una lampada, vestile di ampia e candida cappa filavano quello stame che è simbolo ingegnoso del corso della vita. Il suo
vedeva apparire qualche filo di seta o d’oro, simbolo della felicità che pochi mortali sanno procacciarsi. 236. Cloto t
no procacciarsi. 236. Cloto teneva in mano la conocchia, Lachesi «  che il crin si vela di dorata benda » filava, e Atrop
nno o del giorno. Vespro o Espero, fratello o figlio d’Atlante (382), che fu trasformato in astro (la stella della sera) e
rebo insieme con le tre Parche (235), le veniva sacrificato il gallo, che nelle tenebre canta il ritorno della luce ; e com
 ; quella esca di un mar tranquillo e nitido, questa s’immerga in uno che sia nubiloso e fosco. I cavalli di quella vengano
rte come se volasse. Tenga le mani alte, e dall’una un bambino bianco che dorma per significare il sonno, dall’ altra un al
bianco che dorma per significare il sonno, dall’ altra un altro nero che paia dormire, e significhi la morte, perchè d’amb
sue quattro vigilie. » « Per significar questo (il Crepuscolo), trovo che si fa un giovinetto tutto ignudo, talvolta con l’
ali, talvolta senza, con due facelle accese, l’una delle quali faremo che s’accenda a quella dell’Aurora ; e l’altra che si
una delle quali faremo che s’accenda a quella dell’Aurora ; e l’altra che si stenda verso la Notte. Alcuni fanno che questo
la dell’Aurora ; e l’altra che si stenda verso la Notte. Alcuni fanno che questo giovinetto con le due faci medesime cavalc
ella di Venere, per chè Venere e Fosforo, ed Espero e Crepuscolo, par che si tenga per una cosà medesima. » (Vasari, vita d
zio presso agli Etiopi, l’Ariosto nell’Arabia. Dovunque si sia, basta che si finga un monte, quale se ne può immaginare uno
concavità profonda, per dove passi un’ acqua come morta, per mostrare che non mormori, e sia di color fosco, perciocchè la
anca di sopra, l’altra nera di sotto. Tenga sotto il braccio un corno che mostri riversar sopra ’l letto un liquor liquido,
suo letto si vegga Morfeo, Icelo e Fantaso, e gran quantità di sogni, che tutti questi sono suoi figliuoli. I sogni siano c
certe figurette, altre di bello aspetto, altre di brutto, come quelli che parte dilettano e parte spaventano. Abbiano l’ali
Abbiano l’ali ancor essi e i piedi storti, come instabili ed incerti che sono. Volino, e si girino, intorno a lui, facendo
di variati mostacci, ponendone alcune di esse ai piedi. Icelo dicono che si trasforma esso stesso in più forme ; e questo
si trasforma esso stesso in più forme ; e questo figurerei per modo, che nel tutto paresse uomo, ed avesse parte di fiera,
ello, di serpente, come Ovidio medesimo lo descrive. Fantaso vogliono che si trasmuti in diverse cose insensate ; e questo
ole di Ovidio, parte di sasso, parte d’acqua, parte di legno. Fingasi che in questo luogo siano due porte ; una d’avorio, d
za ; ma andava sempre a turbare i sonni degl’intemperanti o di coloro che avevano da rimproverarsi qualche malvagia azione.
l’io non so se mai Al tempo de’ giganti fosse a Flegra…. Io son colei che si importuna e fera Chiamata son da voi, e sorda,
, quand’ il viver più diletta, Drizzo ’l mio corso…. Ivi55 eran quei, che fur detti felici ; Pontefici, regnanti e ’mperato
rova Alla fine ingannato, è ben ragione. O ciechi, il tanto affaticar che giova ? Tutti tornate alla gran madre antica ; E
ome vostro appena si ritrova…. (Petrarca, Trionfo della Morte) Colei che così ragiona si vede sulle sculture antiche armat
e il livido carcame. Talvolta ha in mano un corno, forse per indicare che nemmeno l’abbondanza di tutte le cose ci salva da
se ci salva da lei, e le svolazza intorno una farfalla per rammentare che , se il corpo muore, l’anima non perisce, e che L
arfalla per rammentare che, se il corpo muore, l’anima non perisce, e che La morte è fin d’una prigione oscura Agli animi
to nel fango ogni lor cura. Quindi i buoni non debbon temerla, …pur che l’alma in Dio si riconforte, E ’l cor che ’n sè m
i non debbon temerla, …pur che l’alma in Dio si riconforte, E ’l cor che ’n sè medesmo forse è lasso ; Che altro che un so
o si riconforte, E ’l cor che ’n sè medesmo forse è lasso ; Che altro che un sospir breve è la morte ? Ma ben si può dire 
crato alla morte il tasso, il cipresso ed il gallo, essendochè sembri che il suo canto debba turbare il silenzio delle tomb
no un resto di questa antica superstizione) ; finalmente gli Dei-Mani che stanno a custodia delle tombe. Per questo nei vec
le tombe. Per questo nei vecchi sepolcri troyiamo le due iniziali D M che significano, Diis Manibus, come per raccomandare
ano offerir latte, miele, vino e profumi. 244. Fra i grandi colpevoli che furono precipitati nel Tartaro (216) convien cita
suo cratere ignivomo era preso per una sbocco infernale. Ovidio dice che quando il gigante Tifone (69) si smuove, cagiona
che quando il gigante Tifone (69) si smuove, cagiona i terremuoti, e che le eruzioni del vulcano altro non sono che disper
e, cagiona i terremuoti, e che le eruzioni del vulcano altro non sono che disperati sospiri dei Giganti, « quando l’ira d’E
a desolato l’Attica devastando ogni cosa e assassinando i passeggieri che s’imbattevano in lui ; sicchè Giove (63) lo punì
andolo a spingere fin sulla cima d’ un’ alta montagna un masso enorme che sempre rotolava giù pel proprio peso, e non gli c
e stesso il nome e degli Dei S’attribuiva i sacrosanti onori. Folle ! che con le fiaccole e co’ bronzi, E con lo scalpitar
io di Marte (255) e di Crisa, ebbe una figlia chiamata Coronide (133) che fu amata da Apollo (96). e divenne madre d’Escula
a vivere nel perpetuo timore di restare schiacciato sotto uno scoglio che gli pende in bilico sulla testa : …….E Flegia in
elicissimo Va tra l’ombre gridando ad alta voce : Imparate da me, voi che mirate La pena mia : non violate il giusto, River
ò universale orrore ; ed Issione fu assalito da così cocenti rimorsi, che non solo quella degli altri ma la vista di sè med
 ; ed Issione si diportò tanto male da cortigiano col padre dei Numi, che questi lo fulminò nel Tartaro (216), dove Mercuri
160) ebbe ordine di legarlo a una ruota fasciata di velenose serpi, e che girando continuamente Io tormentava. 249. Tizio,
63) e re di Lidia, era sordidamente avaro, nè riconosceva altra deità che il denaro. Un giorno i Numi andarono ad alloggiar
a ; ed egli ebbe tanto a male di dover fare le spese a quegli ospiti, che dando lor da mangiare se ne doleva come se si tra
non accettarono un dono fatto per forza, ad eccezione di Cerere (51) che era fuor di sè pel dolore della rapita figliuola.
Tantalo ; e Nettuno, preso da compassione pel suo figlioletto Pelope che menava con lui vita stentata, lo condusse in ciel
entata, lo condusse in cielo per ministrare il néttare agli Dei prima che vi andasse Ganimede. 251. Omero nell’Odissea (li
l veglio le bramose labbra, Tante l’onda fuggia dal fondo assorta, Si che appariagli al pié solo una bruna Da un Genio avve
(Trad. del Pindemonte.) Come poteva esser meglio dipinta l’avarizia che rende povero l’uomo in mezzo alle sue ricchezze ?
furono celebrati nello stesso giorno ; ma Danao, saputo dall’oracolo che uno dei suoi generi Io avrebbe detronizzato, ordi
ordine paterno, e la fatale urna delle Danaidi avvertono chiaramente che le scelleratezze le meglio ordite non rimangono m
e che le scelleratezze le meglio ordite non rimangono mai nascoste, e che un padre che ordina delitti non va obbedito. Gli
leratezze le meglio ordite non rimangono mai nascoste, e che un padre che ordina delitti non va obbedito. Gli Argivi istitu
A giogo de’ tiranni, chi per prezzo Fece leggi e disfece……… ……… Quei che frode Hanno ordito ai clienti ; i ricchi avari, E
; i ricchi avari, E scarsi a’ suoi, di cui la turba è grande…. Tutti, che brutte ed empie scelleranze Hanno osato o commess
a rappresentato con differenti attributi, secondo il genio dei popoli che l’adoravano. Spesso è dipinto nell’atto di rapire
pra un trono di bronzo, sui gradini del quale stanno tutti i flagelli che affliggono l’umanità. Ha in capo una corona d’eba
i cipresso. La destra è armata di lunga forca, e l’altra ha la chiave che tien chiusa la porta dell’eternità. Gli seggono i
ombe ; le quali cerimonie erano celebrate nel secondo mese dell’anno, che serba sempre il nome di Febbraio, e lo chiamarono
Deità infernali, perchè le ricchezze si ricavan dal seno della terra che è il loro soggiorno. Anche dai genitori che gli v
avan dal seno della terra che è il loro soggiorno. Anche dai genitori che gli vengono attribuiti si può inferire come speci
tesori a caso, tanto ai buoni quanto ai cattivi. Ma vuolsi avvertire che a questi comunica insieme coi ricchi doni anche l
che a questi comunica insieme coi ricchi doni anche la propria cecità che gl’induce ad usarne male ; laddove le ricchezze a
onesta e con ingegno probo durano e fruttano il bene. Ma non si creda che le ricchezze consistano solamente nel denaro simb
ricchi non vediamo sguazzare nell’oro, ed esser privi di quelle cose che fanno piacevole, desiderata, utile a sè od agli a
coll’aumentare dei lor tesori : Ché tutto l’oro ch’é sotto la luna O che già fu, di quest’anime stanche, Non poterebbe far
rra, era figlio di Giove (63) e di Giunone (85) ; ma taluni scrissero che Giunone lo generò da sè sola battendo con un pied
chiamato Ascalafo rimase estinto nell’assedio di Troia. 257. Si narra che Marte avendo preso a combattere pe’ Troiani nella
a lancia di Diomede (377) invisibilmente guidata da Minerva (262) ; e che nel ritrarsela dalla piaga …… mugolò il ferito N
quali (mescolato tra gli altri, perchè niuno lo involasse) credevano che fosse caduto dal cielo ; e la superstizione roman
l Palladio i Troiani, la salvezza della patria. 261. È cosa probabile che il nome di Marte sia stato dato alla maggior part
di Marte sia stato dato alla maggior parte dei principi bellicosi, e che ogni paese abbia voluto fregiarsi così d’un Marte
presiedeva alla guerra, alle scienze ed alle arti.58 La favola narra che Giove, tormentato da un gran dolore di testa, chi
tradizioni degli antichissimi tempi, non è meno bella e grande l’idea che fa nascere dal cervello del padre dei Numi la Dea
ente. Fino dalla sua nascita ella si dedicò all’invenzione delle arti che allora mancavano ; ed a lei fu attribuita la scop
nza, e la città fondata da Cecrope fu detta Atene in onor di Minerva, che un tempo i Greci chiamavano Atena o Atenea. Lumin
chiamavano Atena o Atenea. Luminoso esempio si è questo dell’onore in che furono e debbono esser tenute sempre le arti dell
orgogliosi ci viene offerta da Aracne abile tessitrice e ricamatrice, che si vantava di superar Minerva in quest’arte. La D
la temerità di sfidarla ; ma tanto la punse vergogna di restar vinta, che , per disperazione, stracciato il lavoro, s’impicc
, si vedea io te Già mezza aragna, trista in sugli stracci Dell’opera che mal per te si fe ! Da taluni questo fatto è narr
ioco signore ; quasichè niuno s’avesse ad invogliar mai della guerra che seco tragge tanti danni. 268. L’ulivo, immagine d
a figliuolo di Giove (63) e di Giunone (85) ; ma nacque così deforme, che il padre vergognandosene lo afferrò per un piede,
di coì cader del sole, Dalli Sinzj raccolto a me pietosi. Gran mercè che della smisurata caduta non riportò alla fine che
pietosi. Gran mercè che della smisurata caduta non riportò alla fine che una gamba rotta ! Gli abitanti di Lenno59 lo racc
46) tornò in cielo, e Giove cominciò a volergli bene ; anzi gli parve che fosse proprio arrivato in buon punto per farlo ma
0). Così al Nume più deforme toccò la più bella tra le Dee ; e chi sa che Giove non lo facesse per ammonirla a non invanirs
ircolo, ops, occhio, gr.) creduti figli di Nettuno, mostruosi giganti che avevano un solo occhio in mezzo alla fronte ; ma
a fronte ; ma non pertanto seppero fabbricare a Plutone (213) un elmo che lo fece diventare invincibile, a Nettuno (185) il
n elmo che lo fece diventare invincibile, a Nettuno (185) il tridente che suscita e seda le procelle, a Giove la folgore ch
(185) il tridente che suscita e seda le procelle, a Giove la folgore che fa tremare uomini e Dei : Sospira e suda all’ope
opi furono probabilmente i primi abitatori della Sicilia, e dall’usar che facevano in guerra, per difesa del volto, di un p
sarebbe un alto monte, A cui la gregge sua pascesse intorno ; Se non che si movea con essa insieme, E torreggiando inverso
o alleggeriva il duolo in parte. Egli prese ad amare la bella, e più che giglio nivea Galatea, figliuola di Nereo e di Dor
enso dolore, cangiò il sangue del suo diletto in un fiume di Sicilia, che porta quel nome, e rese così eterna l’esecrazione
a prepotenza. Chi non riconoscerebbe in Polifemo un tiranno violento, che a guisa dei signorotti del Medio-Evo, dal suo mon
della Memoria. Apollo, a cui piacque vivere insieme con loro, statuì che la concordia fosse fondamento del bel collegio, e
uì che la concordia fosse fondamento del bel collegio, e perciò volle che si chiamassero Muse, per indicare la loro eguagli
. Infatti Cassiodoro fa derivare il vocabolo Muse da una parola greca che significa eguali, simili. 275. Esse presiedono t
il vero emergono sono molti, e le differenti loro bellezze son quelle che costituiscono la perfezione di ciascuna arte, cos
e poesie liriche ed amorose (erotiche) ; Melpomene (melpoméne, colei che canta, gr.) alla tragedia ; Talia (thalia, giorn
giorno di festa, gr.) alla commedia ; Tersicore (da terpo, e choros, che si diletta di danze, gr.) al ballo ; Euterpe (ch
a terpo, e choros, che si diletta di danze, gr.) al ballo ; Euterpe ( che vale « molto gioconda » gr.) alla musica ed agli
za ; Urania (ouranós, cielo, gr.) all’astronomia. 276. Così vediamo che Clio serbando la memoria dei tempi scorsi narra c
quale non è vera dolcezza sopra la terra. Ma Polinnia …..alata Dea che molte Lire a un tempo percote, e più dell’altre M
ie cose accendano l’animo de’ forti, e il loro grido sia « come vento che le più alte cime più percuote, » come folgore che
do sia « come vento che le più alte cime più percuote, » come folgore che atterra gl’idoli della cieca superstizione, o del
’ogni sapere, scuopre le leggi dei corpi celesti, e addita alla terra che la vera perfezione sta nell’ordine del creato. La
anche alle matematiche ; perciò il Monti nella Mascheroniana : Colei che gl’intelletti apre e sublima, E col valor di fint
alor di finte cifre il vero Valor de’ corpi immaginati estima ; Colei che li misura, e del primiero Compasso armò di Dio la
si fanno ministri di malcostume, e cagionano gravi danni alla società che si lascia adescare dalle false bellezze. Quindi l
lascia adescare dalle false bellezze. Quindi lo stesso poeta vorrebbe che fossero indicati i vizi opposti a tali arti, affi
sarà in atto di fuggire schermendosi con una mano dai raggi d’Apollo che la persi cuolono. » E la Scurrilità è un satiro c
ai raggi d’Apollo che la persi cuolono. » E la Scurrilità è un satiro che fuggendo fa un movimento osceno, e colla bocca fa
l medesimo tempio ; nè celebravasi onesto e gradevole banchetto senza che vi fossero invocate per tutelare la decenza peric
tutelare la decenza pericolante tra la gioia dei biechieri. Ma coloro che più di tutti le venerarono furono i poeti, i qual
mio canto con quel suono Di cui le Piche misere sentiro Lo colpo tal che disperâr perdono. Bellissima poi è l’invocazione
ro Lo colpo tal che disperâr perdono. Bellissima poi è l’invocazione che egli fa ad Apollo nel del Paradiso, dove comincia
poeti dell’antico e del moderno Parnaso ; e solo gioverà riflettere, che anche i grandi ingegni della Cristianità hanno ad
e. Divinità della seconda classe. 281. Credevano gl’idolatri che molte divinità subalterne, benchè spesso dipenden
riche, le quali, come la Verità, l’Invidia, il Furore, altro non sono che virtù o vizj che gli antichi mossi da rispetto o
come la Verità, l’Invidia, il Furore, altro non sono che virtù o vizj che gli antichi mossi da rispetto o da paura, solevan
troppo lungo sarebbe il parlar di tutte, accenneremo soltanto quelle che paiono più opportune all’interpretazione dei clas
o artifizio degl’intelletti oscuri e degli animi ipocriti o invidiosi che voglion denigrare l’altrui riputazione. Costui er
ettuno. da Vulcano e da Minerva per giudicare le loro opere, non fece che stoltamente beffarli. 283. Biasimò Nettuno (185),
e cozzar più dritto ; criticò l’uomo composto da Vulcano, pretendendo che avesse dovuto fargli un finestrino in direzione d
e la casa di Minerva gli parve architettata senza criterio, e voleva che fosse ambulante per trasportarla altrove caso mai
altrove caso mai l’abitatore incappasse in un cattivo vicino. Pareva che la perfetta bellezza di Venere non potesse cadere
n una mano ed una marionetta nell’altra, indizio della follia, arredi che furono poi assegnati ai buffoni di corte. Non sia
cole, cinta di fiori la testa, e accompagnati da fanciulli e donzelle che cantavano e ballavano al suono di varii istrument
o ; e dà bene a conoscere quanto sia misera e breve la vita di coloro che si abbandonano soverchiamente ai piaceri. Bel
arecchiava alle pugne. La dipingono armata della face della Discordia che spinge i popoli alle stragi ; ha i capelli sciolt
amati Bellonarj, ne celebravano le feste con tanta ebrezza di furore, che si facevano da sè stessi tali ferite da versarne
ale. Apollo ne fu sconsolato oltremodo, e implorò dal padre degli Dei che Esculapio fosse accolto nel cielo, dove egli lo t
ncipalmente in Epidauro nella figura di un serpente, perchè stimavano che si manifestasse agli uomini sotto quelle spoglie.
e specie di rettili, o dalla lunga vitalità di questi animali, per lo che i ciarlatani hanno usato fino ai nostri tempi di
ta intorno al collo o nelle mani od in seno una grossa biscia. È noto che il serpente fu adorato anche dagli Ebrei nel dese
a. È noto che il serpente fu adorato anche dagli Ebrei nel deserto, e che è uno dei simboli dell’immortalità. Esculapio ebb
erano soliti di andare a scrivere sulle mura di quel tempio i rimedi che gli avevano liberati dalle loro infermità. Pare c
l tempio i rimedi che gli avevano liberati dalle loro infermità. Pare che nei primi tempi fosse questa la sola scuola prati
ricati sul fianco destro. — Che le tue fauci non patiscano arsione, e che il palato non sia amaro. — La temperanza ti liber
o. — La temperanza ti libererà dalla sete e dalle cattive digestioni, che son causa di quasi tulle le malattie ec. Pane
causa di quasi tulle le malattie ec. Pane 294. Alcuni dissero che Pane fu figliuol di Giove (63) e della Ninfa Cali
praccigli, col naso schiacciato e bernoccoluto e con la bocca ridente che arriva fino agli orecchi. I suoi capelli sono arr
i e Silvano (302) prcposto alla tutela delle selve. 296. Pane era più che altro onorato in Arcadia. I Romani ogni anno di F
grotta presso alla quale era stato costruito il suo tempio. Credevasi che fosse la stessa grotta ove Romolo e Remo furono a
rimitiva natura, ed alla qualità degli alimenti pastorali ed agresti, che soli possono bastare ai bisogni dell’uomo. 298. N
possono bastare ai bisogni dell’uomo. 298. Narra Pausania lo storico che allorquando i Galli invasero la Grecia sotto Bren
are il tempio di Delfo ; ma Pane li colpì di così improvviso terrore, che si volsero tosto alla fuga benchè inseguiti non f
fuggirlo, e il fiume Ladone suo padre la trasformò in canna ; ed ecco che il verde cespuglio, mosso dai sospiri dolorosi de
i stesso introdusse in Italia il culto degli Dei della Grecia. Dicono che fiorisse verso il 1300 av. l’èra cristiana. Sposò
contemporanei il futuro. Quindi il suo nome fu dato a tutte le donne che pretendevano d’imitarla, e furon dette Fatue o Fa
si riferiva all’agricoltura, distinguendosi dai Satiri e dai Silvani, che soprintendevano alla pastorizia ed ai boschi. Ven
rano divinità agresti discendenti da Bacco (146) e dalla naiade Nicea che fu da esso inebriata col trasformare in vino l’ac
le loro faccende, ed avevano forse un ritegno al mal fare. Ma convien che sia molto rozzo quel popolo il quale ha bisogno d
ornai, Con la gran falce e con l’altre arme orrende Spaventa i ladri che notturni vanno Predando ingiusti le fatiche altru
credesi ne fosse istituito il culto da Numa a fine di porre un freno, che fosse anche più efficace delle leggi, alla cupidi
quadrata o un piuolo, indi uno stipite piramidale con sopra una testa che aveva l’effigie d’idolo agreste ; ma non gli dett
braccia nè piedi, affinchè non potesse mai mutar posto. Altri narrano che quando Tarquinio il vecchio ordinò la costruzione
rovarono la statua di questo Dio. Consultati gli auguri intorno a ciò che dovessero farne, ordinarono che fosse lasciata al
. Consultati gli auguri intorno a ciò che dovessero farne, ordinarono che fosse lasciata al suo posto nel Campidoglio. Ed i
lio. Ed i Romani pigliando quest’avventura per buono augurio, dissero che il dio Termine collocato nel Campidoglio doveva e
pi, ove il suo simulacro veniva sempre coperto di fiori. Il temerario che con mano sacrilega gli avesse fatto mutar posto v
imologie ne fanno derivare il nome dal vocabolo palea, paglia. Vero è che nel mese di maggio, o, secondo altri, d’aprile ce
pastorizia. La scongiurava a difendere i greggi dai lupi, a impedire che le pecore si smarrissero, a mantenere la fedeltà
van la chioma ; ed aveva in mano un covone di paglia, per significare che di essa deve esser formato il letto al bestiame.
e tutta dedita a queste faccende rifiutava ogni offerta di matrimonio che le venisse fatta dai Numi campestri. Ma Vertunno
sotto le sembianze di vecchia ; e tanta eloquenza usò nel colloquio, che datosele poi a conoscere, Pomona acconsentì alle
gli orti cura e di chi agli orti attende. Fa dunque, Clori (553), tu, che mai non manchi Al mio verde terren copia di fiori
he mai non manchi Al mio verde terren copia di fiori : Tu fa, Pomona, che de’frutti loro Non sian degli arbor mai vedovi i
ona, che de’frutti loro Non sian degli arbor mai vedovi i rami : E tu che tante e si diverse forme Prendi, Vertunno, il cul
zzosissima Dea dei fiori e della Primavera, fu sposa di Zeffiro (104) che n’ebbe in dote l’impero sulla vaga e infinita fam
pur tacque, O men cruda comparve ; e il sa d’Egitto La Donna augusta, che il mortifer angue Porse fra i fiori avvolto al se
templi, nè vollero accordar loro la immortalità, supponendo nondimeno che avessero lunghissima vita. Alcuni autori indicano
grotta consacrata alle ninfe, cavata d’un gran masso di pietra viva, che di fuora era tonda, e dentro concava. Stavano int
asso. Usciva dall’un canto del sasso medesimo una gran polla d’acqua, che per certe rotture cadendo, e mormorando, rendeva
rotture cadendo, e mormorando, rendeva suono, al cui numero sembrava che battendo si accomodasse l’attitudine di ciascuna
ciascuna ninfa ; e giunta a terra si riducea in un corrente ruscello, che passando per mezzo di un pratello amenissimo, pos
no custode, e Toe vermiglia Di zoofiti amante e di coralli ; Galatea che nel sen della conchiglia La prima perla invenne,
una ghirlanda di canne incorona la sciolta chioma. Il popolo credeva che fosse lor cura l’innaffiare i fiorellini dei prat
i dei prati e dei boschi ; e niuno osava intorbidare le fonti sapendo che eran date in custodia ad enti così leggiadri. Ven
cilmente le foreste, poichè non poteva esser tagliato un albero prima che i sacerdoti lo dichiarassero abbandonato dalle ni
nella cavità di un albero un favo, lo fece assaggiare alle compagne, che tutte liete di questa scoperta, dettero alle api
lo di mèli, onde abbiam fatto miele. Tacea splendido il mar, poi che sostenne Sulla conchiglia assise, e vezzeggiate D
e, gr.) avevano in, particolar custodia le foreste, e la favola narra che morivano e nascevano con le querci ; quindi ebber
lane. 320. La più celebre fra le Nereidi fu Teti, ed era tanto bella che Giove (63), Nettuno (185) ed Apollo (96) se ne di
fu da lei condannata a ripeter sempre le ultime sillabe dei discorsi che udiva. Le intravvenne poi d’innamorarsi di Narcis
e dei discorsi che udiva. Le intravvenne poi d’innamorarsi di Narciso che « Biondo era e bello e di gentile aspetto, » figl
consunse, come sol vapore » (Dante, Parad., c. xii), non rimase altro che la voce, perchè fu trasformata in durissimo scogl
a specchiarsi nelle onde, lo accese di sì folle amore di sè medesimo, che diventò passione sfrenata, e gli logorò la vita a
i ; ma gli Dei ebbero pietà di Narciso, e lo cangiarono in quel fiore che porta il suo nome. 323. Aretusa, ninfa e seguace
quelle dell’amara Teti. (Pindemonte, I Sepolcri.) 324. Correva fama che la ninfa Egeria giovasse Numa Pompilio de’suoi co
orava le sue leggi con l’autorità della religione. La favola aggiunge che Egeria rimase tanto afflitta della morte di Numa,
favola aggiunge che Egeria rimase tanto afflitta della morte di Numa, che andò a rifugiarsi ed a piangere continuamente nel
ate in onore di questi idoli erano dette compitali dal latino compita che suona crocicchio o trivio. I divoti appendevano p
sdegno su quei fantocci, ed a loro facessero sopportare tutte le pene che potevano essere meritate dagli uomini. Quindi le
ia, … Oh fuggi, Enea, fuggi,… disse : Togliti a queste fiamme ; ecco che dentro Sono i nostri nemici ; ecco già ch’ Ilio A
e e uscito allora da tanta uccisione, non era permesso toccarli prima che si fosse lavato alla pura onda di un fiume. G
ogni luogo, avevano il loro genio tutelare. 330. Era dunque naturale che anche ogni uomo avesse il suo Genio, la ispirazio
atrice delle sue azioni ; e di più riconoscevano tutti un genio buono che gl’ induceva al bene, ed uno genio cattivo che li
o tutti un genio buono che gl’ induceva al bene, ed uno genio cattivo che li tentava a commettere il male. Quindi ognuno ne
ascono indi le arti ; cosicchè gl’inventori delle cose altro non sono che i fortunati osservatori di alcuni fenomeni della
e a dire quando nacque la necessità di lavorare ; ed è la stessa cosa che Pandora (72), ed anche la Natura medesima, vale a
ro appena tocca la superficie di una sfera, od il cerchio d’una ruota che gira, ed è simbolo dell’incostanza. Qualche monum
no nello stesso tempo il fuoco e l’acqua, emblema del bene e del male che spande sopra la terra. Talora ha nella destra un
ercio e delle arti ; e con la sinistra conduce per mano l’ Occasione, che ha la testa calva e un sottil ciuffo di capelli s
una mano ha un rasoio e nell’altra un velo ; i quali emblemi indicano che una volta perduta l’occasione, è impossibile ritr
una stata) ; ma diventarono presto rarissime. Parrebbe cosa singolare che il Dio delle ricchezze, Pluto (254), che è cieco,
ime. Parrebbe cosa singolare che il Dio delle ricchezze, Pluto (254), che è cieco, fosse guidato dalla Fortuna egualmente c
erimenti della natura, una felicità premio della virtù e del lavoro ; che se si possono erroneamente chiamar fortuna le ina
icchezze, lo dicano quei tanti ai quali sono state causa di rovina, o che per ottenerle hanno perduto la tranquillità della
medesimi, ed altri beni veri e senza paragone più pregevoli di quelli che sogliono essere chiesti alla cieca Dea. Ma più no
da consegue.72 Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce Pur da color che le dovrian dar lode, Dandole biasmo a torto e mal
una (332). Nelle mani di bronzo aveva lunghe ritorte e piombo strutto che uniscono e legano indissolubilmente tutti gli ogg
a quale sovrana dei mortali non volle sottoporre il suo cuore, se non che al supremo dei Numi che la fece madre dell’ infle
ali non volle sottoporre il suo cuore, se non che al supremo dei Numi che la fece madre dell’ inflessibile Nemesi (333), De
ano in gastigare col sentimento della propria perfidia quei colpevoli che sfuggivano alla giustizia umana, gl’ipocriti, gl’
ll’ insolenza e dall’orgoglio ; quindi era il terrore di tutti coloro che abusavano dei favori della fortuna e del potere.
adombra le severe bellezze, ed ha un manto bianco dato alle spalle, e che scende fino a terra con larghe pieghe. Nelle mani
dei tiranni. Le sue ali « Infaticabilmente agili e preste, » denotano che spesso la pena segue tosto il delitto. Gli Atenie
, figlia di Giove (63), era una Dea malefica, di null’altro sollecita che di far del male agli uomini. Giunone per consigli
errò Atéa pei capelli, e la fece precipitare sopra la terra, giurando che non sarebbe mai più tornata nel cielo. Fin da que
. La sua statua era collocata sul limitare dei templi, o per indicare che gli Dei vogliono essere adorati in silenzio, o pe
re che gli Dei vogliono essere adorati in silenzio, o per significare che gli uomini, conoscendoli imperfettamente, ne debb
pesco, perchè le foglie di quest’ albero hanno la forma della lingua che deve tacere i segreti, ed il frutto ha quella del
la lingua che deve tacere i segreti, ed il frutto ha quella del cuore che li tiene celati ; ed è parimente ingegnoso emblem
che li tiene celati ; ed è parimente ingegnoso emblema dell’ accordo che deve passare tra il cuore e la lingua degli uomin
), aveva regno in Tessaglia, e governava i popoli con tanta saviezza, che fu quindi onorata quale Dea della Giustizia. La f
, che fu quindi onorata quale Dea della Giustizia. La favola aggiunge che Giove (63) ebbe da lei, ed era ben naturale, ques
. Gli artisti diedero a Temi sguardo franco e severo, ed immaginarono che avesse in una mano le bilance, simbolo dell’equit
menti è priva di mani, volendo forse far riflettere quanto sia meglio che la saviezza delle leggi prevenga le liti o i deli
o che la saviezza delle leggi prevenga le liti o i delitti, di quello che ridurre la Giustizia a dover porre in bilancia le
ili. Spesso anche si vede appoggiata ad un leone, simbolo della forza che deve sostenere i suoi giusti decreti. Prima del d
a fu bandita anche dai luoghi più alpestri, non le rimase altro asilo che il cielo dove regnano eterne le leggi dell’ eguag
entier con ella, Cotal venia ; ed or di quali scole Verrà il maestro, che descriva appieno Quel, ch’ i’ vo’ dir in semplici
anza ; e sopra terra Se ’n va movendo, e sormontando all’ aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde. Dicon, che già la
ormontando all’ aura, Tanto che ’l capo infra le nubi asconde. Dicon, che già la nostra madre antica Per la ruina de’ Gigan
sorella ; Mostro orribile e grande, e d’ali presta, E veloce de’piè, che quante ha piume, Tanti ha sott’occhi vigilanti, e
tetti, e per le torri Sen va delle città spiando tutto Che si vede, e che s’ode ; e seminando Non men che ’l bene e ’l vero
le città spiando tutto Che si vede, e che s’ode ; e seminando Non men che ’l bene e ’l vero, il male e ’l falso, Di rumor e
re con maggiore sontuosità, collocandovi la prima biblioteca pubblica che i Romani abbiano avuto. La Libertà, che si vede r
la prima biblioteca pubblica che i Romani abbiano avuto. La Libertà, che si vede rappresentata ne’quadri e sulle pareti, è
secolo passato. Son parole della Giustizia all’ Eterno : Libertà che alle belle alme s’apprende, Le spedisti dal ciel,
i dal ciel, di tua divina Luce adornata e di virginee bende ; Vaga si che nè greca nè latina Riva mai vista non l’avea giam
la celeste fiamma73 Che la diva recato avea sul Tebro, Canta la Fama che le Grazie un giorno Vider l’Onore andar fuggiasco
L’invidia. 342. Tanta è la prepotenza di questa funesta passione che gli antichi la immaginarono di origine sovrumana,
idra nell’altra od una torcia accesa, e sul seno un rettile mostruoso che la divora continuamente e le infonde il suo velen
alla quale venivano attribuite le cause di guerra e le irate fazioni che dividono le famiglie ed i cittadini. Abitò un tem
ò nel mezzo alle Dee un pomo fatale, per cui nacque la famosa disputa che fu giudicata da Paride (598), e cagionò poi infin
ori della vittoria. (Tito Livio, lib. II.) Ha costei la testa leonina che al minimo strepito si rizza ; la sua veste, di co
capelli rabbuffatti e stravolto il sembiante, si trascina il Pallore che ne divide il culto e gli altari. Indi la segue la
enzogna con occhi loschi e perfido sorriso, traendo per mano la Frode che viene con passi obliqui, ed alza la femminea test
imiglianti a quelle di Mida, in atto di porgere la mano alla Calunnia che di lontano s’inviava verso di lui. Stavangli atto
ospezione. Dall’ altra parte venia la Calunnia tutta adorna e liscia, che nel fiero aspetto e nel portamento della persona,
un tisico marcio ; e facilmente ravvisavasi per l’ Invidia. Poco meno che al pari della Calunnia eranvi alcune femmine, qua
e e metter su la signora, acconciarla, abbellirla ; e si interpretava che fossero la Doppiezza e le Insidie. Dopo a tutti v
dietro volgendosi, scorgea venir da lungi la Verità, non meno allegra che modesta, nè meno modesta che bella. Con questa ta
nir da lungi la Verità, non meno allegra che modesta, nè meno modesta che bella. Con questa tavola scherzò Apelle sopra le
el Pentimento, è un giovine pallido e magro, coperto di lungo velo, e che sta mestamente appoggiato ad un’ urna funebre. Or
elo, ora gli affissa sopra la terra, quasichè all’uno richieda il ben che gli ha tolto, e implori dall’altra il tesoro che
’uno richieda il ben che gli ha tolto, e implori dall’altra il tesoro che gli tien chiuso nelle sue viscere. La melanco
è distratta, pensierosa, e non guarda nè la terra nè il cielo ; e par che ricerchi nel proprio cuore soltanto le sue consol
e par che ricerchi nel proprio cuore soltanto le sue consolazioni, e che deliziosamente s’inebrii di tacita e soave mestiz
pegnersi, ed inclinanti ad una cara e mesta conformità. Lo sventurato che fugge la Follia e respinge il Piacere seco lei si
La rappresentavano sotto l’emblema di una donna armata all’amazzone, che abbraccia con la destra una colonna, e impugna co
ed era la Dea tutelare del secol d’ oro, e l’ origine della felicità che in esso fu dato di godere ai mortali. La Pace ebb
suo tempio posto nella Via Sacra era il più grande ed il più sontuoso che fosse nella città ; fu cominciato da Agrippina e
cominciato da Agrippina e finito da Vespasiano, e accolse le spoglie che questo imperatore ed il suo figliuolo recarono da
essarj a diverse arti. Talvolta egli ha per emblema un giovine assiso che scrive al lume di una lucerna con un gallo accant
ol dire saper godere, perchè l’ozio è un tormento. L’anima è un fuoco che ha bisogno d’esser nutrito, e se non viene alimen
La vigilanza. 347, 3°. « La Vigilanza vuol esser così fatta, che paia illuminata dietro alle spalle dal sol che na
vuol esser così fatta, che paia illuminata dietro alle spalle dal sol che nasce, e che ella per prevenirlo si cacci dentro
sì fatta, che paia illuminata dietro alle spalle dal sol che nasce, e che ella per prevenirlo si cacci dentro nella camera
he ella per prevenirlo si cacci dentro nella camera per lo finestrone che si è detto. La sua forma sia di una donna alta, s
o più fossero appresso al lume di essa Aurora, per significare l’ore che vengono innanti al Sole ed a lei. » (Vasari, Vita
deo Zucchero.) La quiete. 347, 4°. « Questa Quiete trovo bene che era adorata, e che l’era dedicato il tempio, ma n
La quiete. 347, 4°. « Questa Quiete trovo bene che era adorata, e che l’era dedicato il tempio, ma non trovo già come f
se figurata, se già la sua figura non fosse quella della Securità. Il che non credo, perchè la Securità è dell’anima, e la
que la Quiete da noi in questo modo. Una giovane d’aspetto piacevole, che come stanca non giaccia, ma segga e dorma, con la
rma, con la testa appoggiata sopra il braccio sinistro. Abbia un’asta che le si posi disopra nella spalla e da piè punti in
na corona di papaveri ed uno scettro appartato da un canto, ma non sì che non possa prontamente ripigliarlo. E, dove la Vig
ssa prontamente ripigliarlo. E, dove la Vigilanza ha in capo un gallo che canta, a questa si può fare ai piedi una gallina
in capo un gallo che canta, a questa si può fare ai piedi una gallina che covi, per mostrare che ancora posando fa la sua a
nta, a questa si può fare ai piedi una gallina che covi, per mostrare che ancora posando fa la sua azione. » (Vasari, Vita
tto di trionfale maestà una palma intrecciata all’ ulivo per denotare che la vera gloria è non tanto frutto della Pace quan
i nomi dei suoi adoratori. Quando il fulmine ruppe le ali alla statua che le era stata eretta in Roma, Pompeo, per conforta
tua che le era stata eretta in Roma, Pompeo, per confortare il popolo che pigliava quel fatto per tristo augurio, esclamò :
 » La speranza. 349. Gli antichi immaginarono ingegnosamente che la Speranza fosse sorella del Sonno (240) che per
ginarono ingegnosamente che la Speranza fosse sorella del Sonno (240) che per breve tempo sospende i nostri affanni, e dell
0) che per breve tempo sospende i nostri affanni, e della Morte (242) che vi pone un termine. I Romani l’ebbero in molta ve
mpli. Ila l’aspetto di giovane ninfa, inghirlandata di fiori nascenti che promettono il frutto : ella predilige il color ve
l par degli astri. Regge con la sinistra un libro aperto e una palma, che spesso è quella del martirio ; ed ha nella destra
o l’andar grave ; » Ma cade il manto, e appar sotto di quello La man che stringe e cela il reo coltello. La virtù.
0) ? Ella è una donzella « Pudica in faccia e nell’andare onesta, » e che al solo mirarla sveglia amore e rispetto. Le sue
eglia amore e rispetto. Le sue grandi ali sono spiegate a significare che sotto di esse possono ricovrarsi gli uomini ; e c
tone del comando, e porge la corona d’alloro, indizio delle battaglie che le conviene sostenere contro i vizi, della possan
lle battaglie che le conviene sostenere contro i vizi, della possanza che acquista nelle continue lotte e nella vittoria, e
he acquista nelle continue lotte e nella vittoria, e della ricompènsa che le è dovuta. Il suo trono è un cubo di marmo per
suo culto ? Bene si addicono alla severa e modesta Dea le note parole che Dante mette in bocca di Virgilio : Vien dietro a
o : Vien dietro a me, e lascia dir le genti ; Sta, come torre, fermo che non crolla Giammai la cima per soffiar de’venti.
zia. 351, 2°. I Greci onoravano di culto divino anche l’Amicizia, che davvero lo meritava, e la chiamavano la Divinità
quale era scritto : La morte e la vita. Il primo sentimento virtuoso che ne accende deve seguirci fino alla tomba, perchè
rtuoso che ne accende deve seguirci fino alla tomba, perchè una volta che abbiam cominciato ad amare, il non amar più è lo
una volta che abbiam cominciato ad amare, il non amar più è lo stesso che non vivere. Sulla fronte della Dea si leggeva que
i leggeva quest’altra iscrizione : l’estate e l’inverno, per indicare che l’amicizia vera è costante sì nella buona che nel
l’inverno, per indicare che l’amicizia vera è costante sì nella buona che nella rea fortuna : ovvero che questo soave senti
micizia vera è costante sì nella buona che nella rea fortuna : ovvero che questo soave sentimento non appartiene alla giove
e sentimento non appartiene alla gioventù, ma è frutto della ragione, che si matura nel corso della nostra estate, e del qu
nostra estate, e del quale godiamo nel nostro inverno. Felici coloro che lo posseggono anche prematuro ! La statua dell’Am
deltà incanutita. Per lo più le giace a’piedi un cane bianco, simbolo che le è comune con l’Amicizia ; ed infatti il cane u
ti della Fedeltà erano al par di lei coperti da lungo e candido manto che ravvolgeva la loro testa e le loro mani ; e le fa
altro gentile emblema della Fedeltà, il quale consiste in due vergini che pigliandosi per la mano si promettono fedele amic
classe. 352. Le divinità della terza classe comprendevano gli Dei che ebbero per genitori un ente celeste ed una creatu
o per genitori un ente celeste ed una creatura mortale, e quelli Eroi che furono prediletti a qualche Nume, o che per sovru
eatura mortale, e quelli Eroi che furono prediletti a qualche Nume, o che per sovrumano valore e per ingegno straordinario
se la figlia in una torre di metallo, perchè l’oracolo aveva predetto che un dì il suo nipote gli avrebbe tolto corona e vi
i avrebbe tolto corona e vita. Ma Giove trasformato in pioggia d’oro, che è quanto dire dopo aver corrotto con denaro le gu
pio di Minerva. 355. Perseo nel crescere dell’età mostrò tanto valore che il popolo prese ad amarlo singolarmente ; ma Poli
ifficile. Si trattava di andare a combattere le Gorgoni (357), mostri che desolavano il paese prossimo al giardino delle Es
io. 356. Il giovinetto eroe accettò impavido la proposta ; ma gli Dei che lo proteggevano vollero aiutarlo. Minerva gli pre
pecchio, Mercurio le sue ali e la spada adamantina, e Plutone un elmo che lo faceva divenire invisibile. 357. Le Gorgoni er
che lo faceva divenire invisibile. 357. Le Gorgoni erano tre sorelle che regnavano insieme sulle isole Gorgadi, e avevan n
una chioma di maravigliosa bellezza ; ma ne andava tanto orgogliosa, che Minerva cambiò i suoi capelli in serpenti, e insi
e Minerva cambiò i suoi capelli in serpenti, e insieme con le sorelle che partecipavano dello stesso difetto, la fece diven
mente deforme. In tutte e tre avevano un solo occhio ed un solo dente che adoperavano a vicenda ; ma questo dente era più l
o, e tutte tre le sorelle avevano orrenda chioma di serpi. E opinione che questi mostri nefandi significhino le abiette e s
flagelli delle signorie straniere, le audacie dei facinorosi, i vizi che sogliono spingere i giovani a immatura morte od a
sogliono spingere i giovani a immatura morte od all’infamia. Perseo, che ebbe vanto d’amoroso figliuolo, di giovine di cos
che ebbe vanto d’amoroso figliuolo, di giovine di costumi illibati, e che fu prediletto ai Numi perchè ambiva la vera glori
mici. Parte del sangue versato da Medusa produsse il mostro Crisaorso che sposò Calliroe figlia dell’Oceano, e n’ebbe tre f
tavia celarsi ogni dove a spiare il tempo di nuocere. Perciò conviene che la virtù non si riposi giammai, e sfugga il peric
tre Perseo recava quella testa a Polidetto, tutte le gocce del sangue che ne uscivano senza che egli se ne accorgesse, dive
la testa a Polidetto, tutte le gocce del sangue che ne uscivano senza che egli se ne accorgesse, diventarono serpi infeste
gli la testa di Medusa. Così il gigante fu trasformato nella montagna che porta il suo nome, e Perseo potè impossessarsi de
regiati frutti del giardino delle Esperidi. 360. Alcuni poeti dicono che Atlante regge il cielo sulle spalle, forse perchè
erseo dall’alto del suo aereo viaggio scòrse la giovinetta, il mostro che era per divorarla, e udì i pianti dei desolati ge
con altre prove di valore, e combattere contro Fineo suo pretendente, che alla testa di molti armati accorse a rapirgliela.
orioso di tutti i nemici, consacrò a Minerva (262) la testa di Medusa che indi fu scolpita sulla formidabile egida della De
(462) suo fratello ; ed uccise l’usurpatore. Ma poco dopo gli accadde che volendo far mostra di destrezza nel giuoco del di
erato l’oracolo. Fu tanto il dolore cagionatogli da questa disgrazia, che abbandonò il soggiorno d’Argo, e andò a fondare u
e, ove poi fu ucciso con frode da Megapento figliuolo di Preto (462), che volle vendicare la morte del padre. I popoli di M
al mondo gemelli mentre questo principe era alla guerra. Giove (63), che amava Alcmena, volle pigliarsi special cura d’Erc
parecchiò a perseguitare Ercole, forzando Giove a giurar per lo Stige che il primo nato de’due fanciulli dovrebbe avere imp
non fu la medesima tavola, simigliantissima era ella almeno a quella che ci descrive il giovane Filostrato nelle Immagini.
strato nelle Immagini. Scherzava nella culla il bambino Ercole, quasi che si burlasse del gran cimento ; e avendo preso con
e per l’oro, nè più lucenti nel moto, ma scolorite e livide. Sembrava che Alcmena del primo terrore si riavesse, ma che non
rite e livide. Sembrava che Alcmena del primo terrore si riavesse, ma che non si fidasse ancora degli occhi proprj. Imperci
oprj. Imperciocchè non avendo riguardo di esser partoriente, appariva che per la paura, gettatasi attraverso una veste, si
dando a mani alzate. Le cameriere, stordite mirandosi, diceano non so che l’una all’altra. I Tebani con armi alla mano eran
a vendetta la mano ; raffrenavalo il non vedere di chi vendicarsi, e che nello stato presente piuttosto abbisognava di chi
sognava di chi spiegasse l’oracolo. Scorgevasi appunto Tiresia (660), che vaticinando presagiva il fato del grau fanciullo
ro testimoni alla battaglia di quel bambino. » 366. Si trova scritto che ad intercessione di Pallade (263), Giunone si pla
col proprio seno il famoso pargolo per farlo diventare immortale ; e che allora Ercole, versandone alcune gocce, originass
. Ercole ebbe gran numero di discendenti chiamati Eraclidi ; e dicesi che coll’andar del tempo andarono ad assalire Eurisle
i ; e dicesi che coll’andar del tempo andarono ad assalire Eurisleo e che lo uccisero per vendicare le persecuzioni soffert
dai discendenti d’Atreo e di Tieste nipoti di Pelope (514 369. Vero è che Euristeo, per suggerimento di Giunone (85), aveva
dinato ad Ercole di affrontare i pericoli più imminenti, confidandosi che alla fine vi sarebbe perito. Questo severo comand
per lusinghiere delizie, ma inetta e vile ; o quella ripida ed aspra che par faticosa a salire, ma ehe infine a forza di s
o uom più va su, e men fa male. Però quand’ella ti parrà soave Tanto, che ’l su andar ti sia leggero, Come a seconda in giu
nerva, meritò (d’esser fatto immortale. Alcuni poi sono di sentimento che le fatiche d’Ercole sieno un’allegoria di quelle
no di sentimento che le fatiche d’Ercole sieno un’allegoria di quelle che l’agricoltore deve sopportare nei dodiei mesi del
quelle che l’agricoltore deve sopportare nei dodiei mesi dell’anno, e che si vedono significate nei segni dello zodiaco (67
lzi poi Al seggio degli eroi ? Altri le altere cune Lascia, o garzon, che pregi : Le superbe fortune Del vile anco son freg
ingendolo nelle nerborute sue braccia, e gli tolse di dosso la pelle, che fu quindi la sua corazza e la sua veste. 371. Nel
e, e troncatagliene una, altre due ne spuntavano più tremende, a meno che non si mettesse il fuoco sulla piaga ; ma Ercole
iugamento di qualche pestifera palude. Oppure è da credere con alcuni che questa Idra significasse una moltitudine di serpe
uni che questa Idra significasse una moltitudine di serpenti velenosi che desolavano quei luoghi, e parevano indestruttibil
avvenimento abbellito dalle sue finzioni. 372. Uno spietato cinghiale che s’intanava nel monte Erimanto, devastava tutta la
agna circonvicina : Ercole lo agguantò vivo, e lo trasse ad Euristeo, che al primo vederselo in faccia fu per morirne dalla
ta, co’piedi di metallo e con le corna d’oro, e tanto agile al corso, che niuno aveva mai potuto raggiungerla. Ercole, scan
sue frecce perchè era consacrata a Diana (137), non la potè prendere che dopo un intero anno di caccia, e l’ebbe in suo po
. Ercole gli esterminò con le sue frecce ; ed erano tanti e sì grossi che alzati a volo gli facevano ombra con le ali. Altr
e combattè, le vinse e ne fece prigioniera la regina. Si legge ancora che vedendo di non poter bastare egli solo a tanta im
(255) e della ninfa Cirene (474), aveva certi destrieri ardentissimi che vomitavano fuoco dalla bocca ; e correva voce ch’
I poeti l’hanno descritto gigante con tre teste, tre corpi e sei ali, che faceva custodire i suoi greggi da un cane con due
a un cane con due teste, e da un drago con sette. Dicono anche di lui che facesse nutrire i suoi bovi con la carne umana ;
la coda aguzza, Che passa i monti, e rompe muri ed armi ; Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza : Si cominciò lo mio duca7
l mondo appuzza : Si cominciò lo mio duca75 a parlarmi, Ed accennolle che venisse a proda,76 Vicino al fin de’passeggiati
setta a far sua guerra ;83 Cosi la fiera pessima si stava Sull’orlo, che , di pietra, il sabbion serra. Nel vano tutta sua
380. Augia, re dell’Elide e figlio del Sole (110), aveva certe stalle che contenevano tremila bovi, e fino da trenta anni n
ecia, aveva mandato negli stati di Minosse (228) un furiosissimo toro che gettava fiamme dalle narici ; ma Ercole fece una
chiamate Esperidi figliuole di Atlante (30) re in Affrica. Gli alberi che portavano questi preziosi frutti erano dati in cu
frutti erano dati in custodia a un orribile drago con cento teste, e che nel tempo stesso mandava cento diversi sibili. Er
. 385. Caco, figliuolo di Vulcano (270), era uno sfrontato masnadiero che s’appiattava in un antro del monte Aventino, uno
fabbricata Roma. Ebbe costui tanta audacia da rubare alcuni dei bovi che Ercole avea tolti a Gerione e condotti in Italia
uolo d’Alcmena strettolo fra le robuste sue braccia lo soffocò. Dante che lo trova all’inferno tra’Centauri nel cerchio dei
vicino ; Onde cessâr le sue opere biece 84 Sotto la mazza d’Ercole, che forse Gliene diè cento, e non senti le diece. 38
io di Nettuno (185) e della Terra (25), molestava tutti i viaggiatori che attraversavano le sabbie della Libia. Ercole, off
re i nemici. Un dì riuniti in gran numero s’argomentarono niente meno che d’assalire Ercole che s’era addormentato sulla sp
niti in gran numero s’argomentarono niente meno che d’assalire Ercole che s’era addormentato sulla spiaggia dopo la sua lun
; e suo padre, per liberarsi dall’importunità di tante dimande, giurò che l’avrebbe concessa solamente a colui che avesse s
nità di tante dimande, giurò che l’avrebbe concessa solamente a colui che avesse saputo aggiogare ad un carro due fiere di
ere di diversa specie. Admeto re di Tessaglia si raccomandò ad Apollo che era suo Dio tutelare, e questi gli procacciò un l
oco tempo dope Admeto si ammalò, ed era in pericolo di morire, se non che un oracolo annunziò ch’ei ne sarebbe scampato se
piace riferir qui le parole d’Alceste a Fereo vecchio padre d’Admeto, che vorrebbe impedire il sacrifizio della generosa do
e Invincibil ragione. Odimi : Il sangue Tutto di Admeto, a me non men che caro, Sacro è pur anco : il genitor, la madre, E
r potea da morte ? Il figlio forse ? Ei due lustri non compie : ancor che in esso L’ardir non manchi, l’eta sua capace Non
, a darsi Vittima a Stige del suo figlio in vece : Ma tu poi, di’, tu che sol vivi in essa, Dimmi, in un col suo vivere non
vivere non fòra Tronco all’istante il tuo ? Dunque in te solo, Ecco, che a forza ricadea l’orrendo Scambio, se primo eri a
Nume La terribil risposta. Onde mia cura Fu di carpirla io prima ; io che straniera In questa reggia venni, e a me pur larg
e straniera In questa reggia venni, e a me pur largo Concede il Fato, che salvarne io possa Tutti ad un tempo i preziosi ge
o (70) andò a lui debitore della libertà, poichè gli spezzò le catene che lo tenevano avvinto sul monte Caucaso. 390. Essen
e il Mediterraneo in comunicazione coll’Oceano, e separò due montagne che si toccavano, l’una detta Calpe in Europa, l’altr
losia, Giunone (85) lo dette in preda a un furor cieco e sì tremendo, che l’infelice eroe, senza saperlo, uccise Megara sua
lora in Ercole una passione così sfrenata per Onfale regina di Lidia, che il vincitore di tanti mostri non arrossì di vesti
uomo con testa e corna di bove. Ercole gli staccò uno di questi corni che fu raccolto dalle ninfe, empito di fiori e di fru
ri e di frutti, e divenne anch’esso il Corno dell’abbondanza. 85 Dopo che Ercole ebbe sposato Dejanira volle condurla con,
janira volle condurla con, sè, quand’eccolo rattenuto dal fiume Eveno che aveva straordinariamente gonfie le acque. 394. Al
primo a traversare il fiume ; ma giunto sull’ altra sponda s’ accorse che il Centauro aveva la cattiva intenzione di rapirg
donò a Dejanira una tonaca bagnata col suo sangue, facendole credere che se Ercole volesse mai indossarla, non avrebbe più
e se Ercole volesse mai indossarla, non avrebbe più amato altra donna che lei. 396. La donna troppo credula accettò il dono
spettò l’ occasion di valersene. Infatti, venuta un tempo in sospetto che il marito le preferisse Jole, figlia d’ Euriteo r
con giubbilo il dono : ma non sì tosto ebbe indossato la fatai veste, che il violento fuoco del veleno gli serpeggiò per tu
erpeggiò per tutte le membra, e lo dette in preda a sì acerbi dolori, che divenutone furioso, afferrò Lica e lo scaraventò
ieri e i tiranni. Dejanira fu tanto addolorata della morte d’ Ercole, che si privò della vita. 399. Ercole fu annoverato fr
. 400. Questo Eroe spesso è chiamato Alcide, ossia figlio d’ Alceo, che era suo avo materno. Ebbe il nome d’ Ercole dopo
nto la gloria di Giunone, perchè le persecuzioni della Dea non fecero che illustrare maggiormente il nome di questo fanciul
itosa calma sulla sua clava. Talvolta ha una corona di pioppo bianco, che era l’ albero a lui sacro per essersi cinta la te
o re d’ Atene, e per madre Etra, figlia di Pitteo re del Peloponneso, che lo educò nel borgo di Trezene nell’ Argolide. Fu
o, poi si tuffò nelle onde, e ne lo ritrasse unitamente ad una corona che Anfitrite (188) gli aveva posto sul capo. Tuttavi
o fosse tanto robusto da sollevare la pietra, e prendere quella spada che doveva servire a farlo riconoscere. Appena giunto
le gesta, e percorse l’ Attica purgandola dai masnadieri e dai mostri che infestavano le campagne e le facevano pericolose
tavano le campagne e le facevano pericolose ai viandanti. 406. Giunto che fu ad Atene, Teseo trovò la città in preda alla c
ò la città in preda alla confusione. Vi si era rifugiata Medea (454), che pe’ suoi delitti aveva dovuto fuggir da Corinto,
a nome d’ Egeo preso da folle passione per la rea maga. Ella temendo che la presenza di uno straniero, celebre per le sue
do Teseo era per ingoiare il veleno, il padre lo riconobbe alla spada che cingeva al fianco ; e scoperti i perfidi disegni
giori prove del suo coraggio, trucidando un gran numero di scellerati che pei loro delitti meritavano solenne gastigo : son
ondannati alla morte, e pareva godesse dei lamenti delle sue vittime, che si assomigliavano ai muggiti di un bove. 409. Si
e vittime, che si assomigliavano ai muggiti di un bove. 409. Si narra che Perillo, inventore dell’ orribile supplizio, foss
ell’ orrendo supplizio del toro di bronzo. Severa lezione ai malvagi, che con le loro iniquità si preparano da sè stessi il
eo, nel recarsi da Trezene a Corinto, lo uccise, e ne prese la clava, che d’ allora in poi recò seco in memoria del fatto.
Attica. Dotato di grandissima forza, sfidava tutti alla lotta, ancora che non volessero combattere, e vincendoli gli uccide
vincendoli gli uccideva ; ma Teseo superò lui, e lo punì dell’ abuso che faceva della sua forza. 414. Teseo, vinti questi
tosto la gloria di liberar la terra da un toro di smisurata grandezza che devastava le campagne di Maratona. Raggiunse ed u
r esser pasto del Minotauro. 416. Forse questo tributo non era altro che di denaro ; ma gli Ateniesi, per far comparire pi
uasichè si trattasse di mandargli la loro prole. Indi la storia narra che fu loro imposto da Minosse per vendicare la morte
na nella sua impresa senza l’ ajuto d’ Arianna, figliuola di Minosse, che s’ era impietosita all’ aspetto di quelle vittime
di Minosse, che s’ era impietosita all’ aspetto di quelle vittime, e che dette all’ eroe un gomitolo di filo, mercè del qu
a via, ed uscire dal Laberinto dopo aver ucciso la belva. 418. Teseo, che aveva condotto seco la sua liberatrice fuggendo d
a, le donò una bella corona d’ oro, capo d’ opera di Vulcano (270), e che fu poi collocata fra gli astri. 419. Il Laberinto
el mondo. Conteneva tremila stanze in dodici grandi palazzi. Si crede che i sotterranei che li ponevano in comunicazione tr
a tremila stanze in dodici grandi palazzi. Si crede che i sotterranei che li ponevano in comunicazione tra loro servissero
21. Dedalo, uno de’ più abili artefici della Grecia eroica, fu quello che immaginò e costrusse il laberinto dell’ isola di
Dedalo scese in Sicilia, e secondo alcuni in Egitto ; ma il re Cocalo che sulle prime gli dette asilo, indotto poi dalle mi
uite molte invenzioni, e specialmente quella delle vele. Credesi anzi che le sue ali sieno un’ allegoria per indicare le ve
care le vele di una nave, quantunque non manchi fondamento a supporre che l’ ingegno umano anche in quei tempi avesse fatto
a lima e del compasso. Per queste scoperte ottenne tanta riputazione, che lo zio, divenutone geloso, lo precipitò dalla som
a Dedalo l’ odiosità di quest’ azione indegnissima, possiamo supporre che anche Acalo, volendo emulare lo zio in qualche ar
Teseo mosse a combattere il Minotauro, viaggiava sulla medesima nave che soleva condurre le sette vittime chieste in espia
in mare. Gli Ateniesi dettero il suo nome a quel mare (il mare Egeo) che oggi è detto Arcipelago. 427. Teseo compì il vot
ri coronati con fronde d’ olivo, e adoperavano a ciò la medesima nave che fu condotta da Teseo, e che tenevano custodita co
ivo, e adoperavano a ciò la medesima nave che fu condotta da Teseo, e che tenevano custodita con gran cura, perchè fosse se
le vele a’ venti ; quindi i poeti l’ hanno detta immortale. 428. Dopo che Teseo ebbe dato savie leggi agli Ateniesi, abband
ri d’ equitazione, e sapevano tanto bene l’ arte d’ andare a cavallo, che uomo e bestia parevan tutt’ uno. Perciò i poeti l
avallo. Il più celebre di tutti è Chirone, dotto non meno in medicina che in astronomia, e precettore d’ Achille (536) e d’
uro ingegnoso Rendea feroce e sano Il suo alunno famoso ; Ma, non men che alla salma, Porgea vigore all’ alma. (parini. L’
ma. (parini. L’ Educazione.) Il suo nome, derivante dal greco chéir, che vuol dir mano, dà evidentemente a conoscere esser
37), la cui bellezza fu poi causa di rovina alla città di Troja. Dopo che ebbero compito questo ratto, pattuirono che la so
alla città di Troja. Dopo che ebbero compito questo ratto, pattuirono che la sorte decidesse fra loro chi dovesse essere il
fra loro chi dovesse essere il possessore della rapita, a condizione che il preferito procacciasse un’ altra moglie al com
iritoo all’ inferno per involar Proserpina moglie di Plutone. Peccato che questi eroi, dopo esser giunti all’ apice della g
loro vita con azioni vituperose, e talora con quelle stesse violenze che avevan punite negli altri ! Ma vedremo come le pe
Pasifae (415) e di Minosse (228) e sorella d’ Arianna (417), intanto che faceva educare a Trezene il figliuolo avuto dalla
la nuova sposa, e non sì tosto Fedra ebbe visto il giovine Ippolito, che si sentì pungere da acuto rammarico per non aver
liuolo ornato di tanti pregi. 436. Ippolito, di null’ altro premuroso che dello studio della sapienza e delle ingenue ricre
na, bandì il figliuolo, e lo abbandonò alla vendetta di Nettuno (185) che gli aveva promesso d’ esaudire tre dei suoi voti.
va mestamenteTrezene, quand’ ecco apparir sulla riva un mostro marino che lanciava fiamme dall’ orrenda gola, e ruggiva com
, e il giovine sventurato cadendo è fatto in brani. 438. Ovidio narra che Esculapio (289) rese la vita ad Ippolito, e che D
ni. 438. Ovidio narra che Esculapio (289) rese la vita ad Ippolito, e che Diana (137) lo coperse d’ una nube per farlo evad
, molti secoli dopo, resero grandi onori alle ceneri di Teseo. È fama che questo eroe apparisse in armi alla battaglia di M
con gran premura le spoglie, e nel luogo dove la tradizione indicava che fossero state riposte, rinvennero gigantesche oss
na dell’ Etolia, chiamata Leda (74), la quale ebbe due mariti : Giove che fu padre di Polluce e d’ Elena (433), e Tindaro r
43. Ebbero poi a comune la gloria di liberar l’ Arcipelago dai pirati che lo infestavano ; e per questo beneficio meritaron
allora in poi fu dato il nome di Castore e Polluce a quelle fiammelle che appariscono sulla cima delle antenne quando il ma
esta. Tornati in patria, i Dioscuri liberarono la sorella Elena (433) che era stata rapita da Teseo (405), e condussero sch
i un ostinato combattimento, nel quale Castore restò ucciso da Linceo che pur cadde sotto i colpi di Polluce, nel tempo che
tò ucciso da Linceo che pur cadde sotto i colpi di Polluce, nel tempo che Ida restò fulminato da Giove (63). 446. Polluc
store a parte della propria immortalità : e così questi due fratelli, che furono sempre uniti da tenerissimo affetto, vivev
ei Gemini o Gemelli ; e siccome crederono gli antichi, ma falsamente, che una delle due stelle di questa costellazione tram
si leva sull’ orizzonte, così la favola era un’ allegoria della legge che secondo essi governava i moti di quei corpi celes
ma quando Giasone ebbe vent’ anni, chiese il retaggio paterno. Pelia che non deponeva di buon grado il potere, gli propose
i questo maraviglioso ariete, e potè con esso attraversare lo stretto che separa l’ Europa dall’ Asia. Ma Elle, impaurita d
ipinge Dante quest’ orribile caso, nel XXX dell’ Inferno : Nel tempo che Giunone era crucciata Per Semelè contra ’ l sangu
oncini al varco : E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l’ un che avea nome Learco ; E rotollo, e percosselo ad un
si addormentò. Già gli abitanti erano per ucciderlo, quando l’ ariete che aveva il dono della parola, lo svegliò, e gli fec
ta per tutta Grecia, gli procacciò per seguaci i più scelti guerrieri che ambivano divider con lui l’ onore di tanta impres
eso sul monte Pelio e nella foresta di Dodona (82), e perciò fu detto che quella nave dava i responsi dell’ oracolo ; ed eb
è Argo (89) ne fu l’ architetto ; quindi Argonauti furon detti coloro che vi salirono sopra. Giasone fu eletto capitano, e
apitano, e lo accompagnarono Admeto, Teseo, Castore e Polluce, Ercole che non potè continuare il viaggio perchè il suo peso
della navigazione con gli accordi della sua lira e col canto. Si dice che gli Argonauti recassero sulle loro spalle la nave
nauti recassero sulle loro spalle la nave dal Danubio fino al mare, e che fosse il primo vascello comparso sulle onde. Gias
iunsero in Tessaglia viaggiando in mezzo a molti rischi. I più dicono che questa spedizione ebbe luogo 60 anni prima della
o. Da quei denti sarebber nati tanti guerrieri armati di tutto punto, che bisognava esterminare fino all’ ultimo : e finalm
ì tratta ad amarlo. Ei le corrispose, e promisele di sposarla. Medea, che era esperta nella magia, addormentò co’ suoi inca
uggì da Colco insieme con Medea, alla quale non rimaneva altro scampo che la fuga per sottrarsi allo sdegno del padre ; ma
, e Medea già usa alle colpe si prese l’ incarico di punirlo. Costei, che si vantava d’ aver trovato con le sue arti il seg
opra un carro tratto da due draghi alati, e disparve. 459. Aggiungono che Medea tentasse dipoi d’ involgere nelle sue frodi
e unitasi a un re oscuro, n’ ebbe un figliuolo chiamato Mida, o Medo, che passa pel primo re dei Medi. Alcuni autori non di
e ramingo e turbato dai rimorsi della sua imprudente condotta. Medea, che era dotata della cognizion del futuro, gli aveva
la fine il re lo mise all’ impegno di combattere la Chimera, sperando che in tale impresa sarebbe certamente perito. 466. Q
zo donna e mezzo serpente. 90 467. L’ eroe protetto da Minerva (262) che gl’ inviò il Pegaseo, salì sull’ invitto destrier
Pegaseo ; ma Giove fece pungere da un insetto il piede del destriero, che lo precipitò sulla terra, e così l’ eroe fu punit
’ avventura ha fatto passare in proverbio le Lettere di Bellerofonte, che sono quelle contenenti sensi contrarj all’espetta
e tanta era la dolcezza dell’armonia della sua lira e della sua voce, che a sentirlo suonare o cantare, le belve più indomi
fiumi arrestavano il corso, e gli alberi e i massi si movevano quasi che avessero sensi di vita. Solita allegoria per indi
e (285) : Conversa in astro quella cetra elice Si dolci suoni ancor, che la dannata Gente gli udendo si faria felice. (Mo
o ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia, che il bel core occupi Sol di tua doglia, e d’ammansa
era figlio d’Apollo (96) e della ninfa Cirene. Fu educato dalle Ninfe che gl’insegnarono la coltivazion dell’ulivo e l’arte
ori da quelle vittime una moltitudine d’api, anche maggiore di quelle che aveva perdute. Quindi sposò Autonoe figlia di Cad
ghirlanda in capo e con la lira in mano. 480. Quand’ecco un delfino, che insieme con altri, tratto dal dolce suono teneva
al capo Tenaro in Laconia, di dove Arione passò a Corinto anche prima che vi giungessero i suoi nocchieri. Periandro, saput
a loro perfidia, se li fa tradurre davanti, e chiede notizie d’Arione che era già nascosto nel suo palazzo. Essi sfrontatam
ellazione vicina a quella del Capricorno (676). È già comune opinione che il delfino sia amico dell’uomo, e sensibile alle
e dolcezze dell’armonia. Gli antichi lo avevano in tanta venerazione, che , se per avventura ne incappava taluno nelle loro
ni nelle tempeste e riconducevano a riva i cadaveri. Si narra infatti che recarono sulla spiaggia il corpo d’ Esiodo ucciso
naufragio Falanto generale spartano, e Telemaco figlio d’Ulisse (568) che da giovinetto cadde nelle onde baloccandosi sulla
ò Niobe (629). Egli fu tanto abile nella musica, da far dire ai poeti che le mura di Tebe furono alzate mediante i suoni de
fa Melia, ed ebbe per sorella Europa, fanciulla di così rara bellezza che fu protetta singolarmente da Giove (63). 483. Il
montarvi sopra. Allora Giove scappò verso il mare con tanta velocità, che la giovinetta non potè fare altro che alzare inut
rso il mare con tanta velocità, che la giovinetta non potè fare altro che alzare inutili grida. Il Nume la condusse in Cret
ura di questa città col suono della sua lira. 486. La favola aggiunge che i suoi compagni nell’andare a prendere l’acqua da
87. Quella sementa di nuovo genere fruttò subito tanti uomini armati, che prima assalirono Cadmo e poi si combatterono furi
ssi lo aiutarono nella costruzione della città. 488. Troviamo scritto che Cadmo introdusse nella Grecia il culto delle divi
introdusse nella Grecia il culto delle divinità egiziane e fenicie, e che insegnò ai Greci l’uso dei caratteri alfabetici,
avere insegnato ai Greci. 490. Siccome un oracolo aveva detto a Cadmo che la sua posterità era minacciata da grandi sventur
ente. Edipo. 491. Laio re di Tebe, dando ascolto a un oracolo che gli prediceva dover esser colpevole di un gran de
n delitto il figliuolo di cui era incinta Giocasta sua moglie, ordinò che il pargoletto appena nato fosse condotto in un bo
e ad offendere il padre senza conoscerlo. 496. Entrò in Tebe, e trovò che la Sfinge desolava quella città, e seppe come fos
uella città, e seppe come fosse stato promesso un gran premio a colui che avesse liberato dal mostro il paese. 497. La Sfin
re. Questo flagello era stato mandato a’danni de’ Tebani dallo sdegno che Giunone (85) aveva concepito contr’essi. Alcuni s
aveva concepito contr’essi. Alcuni spiegano questa favola supponendo che la Sfinge fosse una fanciulla presuntuosa, figliu
indovinare dalla Sfinge ai Tebani era questo : « Quale sia l’animale che la mattina cammina con quattro piedi, con due a m
are il senso degli ambigui detti. Rispose quell’animale esser l’uomo, che nell’infanzia va carponi ; nell’età matura cammin
onviene ; e declinando la vita, regge la sua vecchiaia con un bastone che gli fa da terzo piede. La Sfinge, vinta da questa
fu desolato da crudelissima peste. Consultarono l’oracolo, e seppero che le sventure dei Tebani non sarebbero finite se no
to con orrore da tutti, e cieco, non ebbe altro sostegno, altra guida che la giovinetta Antigone sua figliuola. Con la memo
sotto il qual nome venivano onorate le Furie, degne ospiti di un uomo che era crudelmente perseguita to dal destino. Qui po
ni, e crediamo di far cosa grata a’giovinetti riportandone quei versi che dimostrano la tenerezza d’Antigone per suo padre.
esiglio I lieti giorni dell’età fiorita, Padre crudel, condanni ! — E che fa teco Questo squallido manto ? Imene appresta E
liete vesti, ed ara, e pompe, e trono. Antigone. Vince gli oltraggi, che sostenne Edippo, Questa infame pietà…. Si vil mi
e affanni Dimenticai per un amplesso. 504. Tratto poi da quel bosco, che era interdetto ai profani, edipo fu condotto ad
e 1’ambizione di regno. Laonde le città greche, testimoni dei delitti che nelle famiglie dei loro principi erano continuame
ei loro principi erano continuamente commessi, delle guerre intestine che spesso ne derivavano e dei vizj che vi regnavano,
commessi, delle guerre intestine che spesso ne derivavano e dei vizj che vi regnavano, cominciarono ad agognare la libertà
tani furono Adrasto, Polinice e Tideo, il presuntuoso Capaneo, « quel che cadde giù de’ muri » dice Dante, perchè mentre in
fulmine sulle mura di Tebe,92 Ippomedonte, l’indovino Anfiarao (662) che fu inghiottito dalla terra, il suo figlio Alcmeon
do l’indovino Tiresia (660) presagì la salvezza ai Tebani, ma a patto che Meneceo figliuolo di Creonte, ultimo rampollo del
ere furtivamente gli ultimi onori al fratello ; ma scoperta nell’atto che ne raccoglieva le ossa, fu condannata a perir cru
iglia di quel re. 512. Ma siccome un oracolo aveva predetto ad Enomao che il suo genero gli avrebbe tolto il regno, così eg
tuo celibato ; e, per sempre più allontanarne i pretendenti, dichiarò che non avrebbe accordato la mano d’Ippodamia se non
evano perire di sua mano. L’amante poteva correre il primo, ma il re, che lo inseguiva con una lunghissima lancia ; era tra
o Mirtillo, figliuolo di Mercurio (160) e cocchiere d’Enomao, fece sì che il carro del principe si rovesciasse ; ed Enomao
ati della moglie, e diede loro il suo nome, chiamandoli Pelopponneso, che è la moderna Morea. 514. Questo principe ebbe mol
ebbe molti figli, tra i quali i più noti furono Atreo e Tieste, nomi che rammentano atroci fatti, e discendenza che al par
urono Atreo e Tieste, nomi che rammentano atroci fatti, e discendenza che al pari di quella di edipo sembrò destinata a f
udelmente il fio dell’offesa. 516. Tieste ebbe a figliuolo un Egisto, che si rese più empio del padre suo per vendicarlo. A
e conoscerà meglio questi fatti nelle istorie, ed anco nelle tragedie che il sommo Alfieri ne compose. Qui sono ricordati s
inore, fondata parecchi secoli avanti l’era volgare, sotto i suoi re, che furono Dardano, il fondatore, Erittonio, Troo, Il
no scandalo così grande : Nettuno (185), Apollo (96) ed Ercole (364), che volevano vendicarsi delle antiche offese, stetter
rito, se Giunone (85) non avesse mandato a soccorrerlo Vulcano (270), che armato di fiamme arse i due fiumi, e prosciugò il
me arse i due fiumi, e prosciugò il loro letto. 521. Vogliono i poeti che la presa di Troja non potesse aver luogo senza ce
di Troja non potesse aver luogo senza certi avvenimenti predestinati che dovevano compiersi nel tempo dell’assedio. Questi
avvenimenti furono detti fatalità o fati, ed erano sei : 1° Bisognava che intervenisse all’assedio un discendente d’ Eaco ;
que del Xanto (520) ; 5° Che Troilo figlio di Priamo (587) morisse, e che la tomba di Laomedonle rimanesse distrutta ; 6° F
la tomba di Laomedonle rimanesse distrutta ; 6° Finalmente bisognava che i Greci avessero nella loro armata Telefo figlio
ingendo di partire, si ritirarono in agguato dietro l’isola di Tenedo che sorge rimpetto a Troja. 523. I Trojani, credendos
alla porta del tempio di Minerva (262). Ma la notte seguente, mentre che tutti erano in preda all’ebrezza od al sonno, i s
ipali eroi dalla parte dei Greci furono Agamennone (527), re d’ Argo, che aveva il supremo comando di tutte le milizie grec
omando dell’esercito fu affidato ad Agamennone (527). 529. La flotta, che doveva portare sì numeroso esercito per la spediz
ttenuta dai venti contrarj. L’indovino Calcante (664) dichiarò allora che Diana sdegnata contro Agamennone, perchè ei le av
(597) di terminare la contesa fra di loro con un duello, a condizione che Elena restasse in premio al vincitore. Il duello
peggio, e fu debitore della salvezza alla protezione di Venere (170) che , per sottrarlo ai colpi del vincitore, lo ravvols
ottrarlo ai colpi del vincitore, lo ravvolse in una nube (cioè a dire che il codardo rapitore d’Elena prese la fuga). Torna
stra, si fece partigiani in Argo, e tese tante insidie ad Agamennone, che al suo ritorno fu tradito dalla moglie, ed ucciso
Oreste (527), figlio d’Agamennone, era un grande ostacolo per Egisto, che non avrebbe risparmiati nuovi delitti per amor de
miati nuovi delitti per amor del trono ; ma la sorella Elettra (527), che vegliava sul fanciullino, trovò modo di salvarlo
a fu tanto il cieco impeto del giovine ardimentoso in quell’incontro, che , non vedendo Clitennestra accorsa in difesa del t
, ebbe la sventura di ferire a morte anche lei. 534. Fino dal momento che Oreste ebbe commesso, benchè involontario, l’atro
i tormenti delle Furie ; e quel supplizio durò tanto e fu sì crudele, che le furie d’ Oreste (232) sono passate in proverbi
nei posteri. Consultato l’oracolo d’ Apollo (96), n’ebbe in risposta che avrebbe trovato un qualche lenimento alla sua dis
ilade suo costante amico nella sventura. Ma Oreste fu arrestato prima che potesse compire il ratto del simulacro ; e il cos
se compire il ratto del simulacro ; e il costume di quel paese voleva che fossero immolati alla Dea tutti gli stranieri che
i quel paese voleva che fossero immolati alla Dea tutti gli stranieri che vi approdavano. Allora fu vista una generosissima
Eaco re dell’isola d’ Egina e giudice dell’inferno (229). Sua madre, che teneramente lo amava, andò ad immergerlo nelle ac
l dir della favola, lo alimentò con cervello di leone e di tigre, dal che provennero in lui quell’ardito coraggio e quella
che provennero in lui quell’ardito coraggio e quella prodigiosa forza che mostrò nelle pugne. 537. L’oracolo aveva predetto
rodigiosa forza che mostrò nelle pugne. 537. L’oracolo aveva predetto che per la presa di Troja era necessario Achille, ma
come dalla faccia Mi fuggi il sonno, e diventai smorto Come fa l’uom che spaventato agghiaccia. 538. Ma Ulisse (568) potè
mischiato ad arte una spada, un elmo ed altre armi. Achille, secondo che Ulisse aveva previsto, avidamente vagheggiò e pre
fu tosto riconosciuto : ………Invano Si preme un violento Genio natio, che diventò costume. Fra le sicure piume Salvo appena
Salvo appena dal mar giura il nocchiero Di mai più non partir ; sente che l’onde Già di nuovo son chiare, Abbandona le pium
sta restituzione ; ma per rendere il contraccambio ad Achille fece sì che anch’ egli dovè liberare la giovine Briseide, pri
oler più combattere. Questa sua ostinazione fu favorevole ai Trojani, che in quel tempo riportarono molte vittorie ; ed Ett
Patroclo (592) sviscerato amico d’Achille. 540. Non ci voleva altro che la morte di Patroclo per far ripigliare le armi a
che la morte di Patroclo per far ripigliare le armi ad Achille, dopo che era stato più di un anno senza combattere. Spinto
Patroclo (593), finchè lo rese alle lacrime dello sventurato Priamo, che da sè stesso andò a’ piedi d’Achille per implorar
te d’Achille. Così volevano i fati ; nè valsero i consigli di Chirone che lo aveva ammonito di non lasciarsi vincere da mol
no d’Achille una freccia avvelenata, e l’uccise. Passò per tradizione che quella freccia fosse stata diretta dallo stesso A
gli resero onori divini. Polissena divenne poi schiava di Pirro (543) che la menò sopra la sua flotta, e la immolò ai mani
l Macedone andò a visitarne la tomba, la onorò d’ una corona, e disse che invidiava ad Achille d’aver avuto in vita un amic
alla famosa tomba Del fero Achille, sospirando disse : Oh fortunato, che si chiara tromba Trovasti, e chi di te si alto sc
erno ; e dopo la morte d’Achille, rammentandosi i Greci dell’ oracolo che aveva dichiarato non potere essere debellata Troj
nti non vi fosse un postero d’Eaco, mandarono a Sciro a pigliar Pirro che aveva allora diciotto anni. 544. La smania di ven
ccò Andromaca vedova d’Ettore, e l’amò tanto da preferirla ad Ermione che doveva essere sua sposa. Questo amore gli riesci
del figliuolo d’AIcmena (364). Tuttavia essendo volere del fato (521) che Troja non potesse cadere senza l’uso di queste fr
ecce, i Greci spedirono ambasciatori a Filottete per sapere da lui in che luogo fossero riposte ; e Filottete, non volendo
e vi produsse una piaga da cui esalava un fetore così insopportabile, che gli ambasciatori furono costretti a lasciarlo sol
a singolare battaglia, e restò ucciso con una delle frecce d’Ercole, che ferivano sempre mortalmente per essere state intr
oi della Grecia. All’ assedio di Troja si segnalò per tante prodezze, che passò pel più valoroso dell’ esercito dopo Achill
. 551. Omero fa di quest’eroe il prediletto di Pallade (263), e narra che con l’ aiuto di questa Dea potè ghermire i cavall
punirlo di tanta audacia, mise tale scompiglio nella casa di Diomede, che al suo ritorno non potendo più vivere in pace con
auno re d’Illiria, dove co’ suoi compagni fu cangiato in airone. Pare che questa finzione sia immaginata per esprimere la v
re re di Pilo era uno dei dodici figli di Nereo e di Cloride, il solo che sfuggisse ai colpi d’Ercole (364) quand’ egli pun
i Greci per la saviezza dei suoi consigli, da far dire ad Agamennone, che se avesse avuto nell’esercito dieci Nestori, Troi
esto. Era ancora molto eloquente, sicchè Omero lo dice : Facondo si, che di sua bocca usciéno Più che miel dolci d’eloquen
nte, sicchè Omero lo dice : Facondo si, che di sua bocca usciéno Più che miel dolci d’eloquenza i rivi. 555. Apollo (96)
longevità di Nestore son passate in proverbio. Nè è qui da tacere ciò che narrano Omero e Pindaro del figliuolo di Nestore,
rimo a scendere sul lido troiano fu questo Protesilao, e ben meritava che Omero eternasse il suo nome, perchè l’ oracolo av
l suo nome, perchè l’ oracolo aveva predetto una morte certa al primo che ponesse piede sulla spiaggia nemica. Quindi nessu
ttore (591). 557. E tanto più era da valutare quest’azione, in quanto che Protesilao aveva sposato la sua diletta Laodamia
estremi. Allora, per sottrarsi al pericolo, fece voto a Nettuno (185 che se gli concedeva il ritorno nei suoi stati, gli a
deva il ritorno nei suoi stati, gli avrebbe immolato il primo vivente che gli fosse venuto incontro sulla spiaggia di Creta
la tempesta, e il re approdò felicemente nel porto, ove il figliuolo, che lo aspettava, fu il primo a comparirgli davanti…
tta la spada, e trarsi l’elmo, E fulminare immobile col guardo Ettore che perplesso ivi si tenne. (Foscolo, Le Grazie.) 56
Le Grazie.) 562. Ercole (364). essendo andato a far visita a Telamone che si lagnava di non aver prole, supplicò Giove (63)
ettone il luogo dove questa pelle era stata sbranata dalla ferita con che Ercole aveva ucciso la belva. 563. Ajace mostrò d
posarono le armi, e si scambiarono donativi, tra’quali era la cintura che servì poi a legare il cadavere d’Ettore al carro
pitani dell’esercito greco ne furono eletti giudici, ed Ajace propose che le armi fossero lanciate in mezzo ai nemici e con
ncesse a chi dei due fosse andato il primo a riscattarle ; ma Ulisse, che in cuore non si reputava da tanto, fece rigettare
l’ ardita proposta, e con la sua eloquenza sedusse i giudici a segno che proferiron sentenza a favor suo. 565. Ajace fu ta
ntenza a favor suo. 565. Ajace fu tanto sdegnato di questa parzialità che perdette l’uso della ragione, e divenne così matt
randosi di sfogare la sua ira contro Agamennone (527) e Menelao (528) che avevano proferito un ingiusto decreto ; ma tornan
stesso, e vedendosi ormai meritevole delle beffe di tutto l’esercito che era stato testimone di quella pugna bestiale, non
e A J. Anche Giacinto fu trasformato nello stesso fiore, e suol dirsi che le due lettere esprimano il suo ultimo sospiro. I
delle membra, e in un incredibile dispregio dei Numi. Narrano i poeti che Minerva (262), per punirlo della sua tracotanza,
però a dispetto degli Dei. Ma non prima ebbe proferito queste parole, che Nettuno (185) sdegnato, franse lo scoglio col suo
. La sua moglie Penelope fu chiara non tanto per virtù e per prudenza che per bellezza, e fu sì grande l’amore ch’ei le por
gia del mare, ed a seminarvi sale invece di grano. Ma Palamede (583), che già sospettava della finzione, collocò a giacere
’ assedio di Troja. 2° Con l’aiuto di Diomede (550) rapì il Palladio, che era la statua di Pallade, ossia di Minerva (263),
63), religiosamente custodita dai Trojani nel tempio di questa Dea, e che vantavano scesa dal cielo, e collocatasi da sè st
provviso, uccisero Reso nel sonno, ed involarono i suoi cavalli prima che potessero abbeverarsi alle acque del Xanto, fiume
Greci, ed egli stesso era stato ferito gravemente da Achille. Ulisse, che seppe dall’oracolo non potersi guarire quella fer
seppe dall’oracolo non potersi guarire quella ferita se non dal ferro che l’aveva fatta, prese un po’ di ruggine della lanc
lla lancia d’Achille, ne compose un medicamento, e lo mandò a Telefo, che essendone guarito, si pose per gratitudine nella
seguirlo all’assedio di Troja con le frecce d’Ercole (364). 571. Dopo che Ulisse ebbe sostenuto le fatiche d’un assedio che
le (364). 571. Dopo che Ulisse ebbe sostenuto le fatiche d’un assedio che durò dieci anni, prima di poter ritornare nei suo
uoi stati dovè ancora lottare per altrettanto tempo contro la fortuna che in pena delle sue frodi non finì mai d’essergli a
i far ubriacare Polifemo, e poi con un palo gli accecò il solo occhio che aveva in mezzo alla fronte ; indi comandò ai suoi
otri, e tosto si scatenarono i venti sollevando una furiosa tempesta che li respinse nuovamente in Sicilia sopra le coste
in maiali ; ma Ulisse potè serbare la forma umana in virtù d’un’erba che gli era stata data da Giove. Con l’aiuto del mede
moso indovino Tiresia (660), dal quale, nell’udire le nuove disgrazie che lo minacciavano, seppe ancora il miserando fine c
e nuove disgrazie che lo minacciavano, seppe ancora il miserando fine che avrebbe fatto. E di nuovo si pose in viaggio per
aggio per la sospirata isola d’Itaca, e fu gran ventura se tanto egli che i suoi compagni poterono resistere, come già narr
iddi, ebbe a patire un’ altra tempesta suscitatagli contro da Nettuno che volle punirlo per aver tolto la vista al figliuol
. Il palazzo di questo re era sontuoso, ed in mezzo ad ameni giardini che in tutte le stagioni producevano vaghi fiori e be
v’andò con le compagne per lavare le vesti de’ suoi fratelli. Intanto che il sole le asciugava, Nausica, aspettando il decl
onto delle sue avventure, e svegliò tenerezza e stima in tutti quelli che lo ascoltarono. La nave era pronta, ed ei v’asces
n’ assenza di venti anni. 579. Siccome parecchi principi suoi vicini, che lo credevano morto, erano andati a farla da padro
580. Penelope stessa, pigliandolo per un amico d’Ulisse, gli narrò in che modo avesse fino allora potuto deludere le preten
er l’eroe Laerte,103 A ciò le fila inutil io non perda. Prima fornir che l’inclemente parca Di lunghi sonni apportatrice i
ortatrice il colga. Non vo’che alcuna delle Achee mi morda, Se ad uom che tanti avea d’arredi vivo Fallisse un drappo in cu
chei…. (Omero, Odissea Lib. II, traduz. del Pindemonte.) Ed aggiunse che non potendo ormai opporsi più alla loro insistenz
tenza, per consiglio di Minerva (262) aveva promesso di sposare colui che fosse stato capace di tendere l’arco d’Ulisse, e
o dal figliuolo restò ucciso da una sua freccia avvelenata. Ma Dante, che lo trova all’Inferno nella bolgia dei frodolenti,
esito dei medesimi : (Canto XXVI). …………Quando Mi diparti’ da Circe, che sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta, Pri
ti’ da Circe, che sottrasse Me più d’un anno là presso a Gaeta, Prima che si Enea la nominasse ;104 Nè dolcezza di figlio,
vidi infin la Spagna. Fin nel Marocco, e l’isola de’ Sardi, E l’altre che quel mare intorno bagna. lo e i compagni eravam v
i Sibilia,107 Da l’altra già m’avea lasciata Setta. O frati, dissi, che per cento milia108 Perigli siete giunti all’occi
ar la poppa in suso, E la prora ire in giù, com’altrui piacque, Infin che ’l mar fu sopra noi richiuso. Palamede.
finte, e fu posta nella sua tenda una somma di denaro per far credere che gli fosse stata data da Priamo (587) ; tantochè i
iosa tempesta, egli fece subito accendere molti fuochi tra gli scogli che circondavano l’isola, argomentandosi di tirarvi i
darono in pezzi, ed i vincitori dei Trojani perirono nelle onde, meno che pochi, tra i quali era Ulisse, causa principale d
Ulisse, causa principale di tanto danno. 586. La tradizione rammenta che Palamede insegnò a’Greci a formare ed a schierare
’invenzione della parola di ricognizione per le sentinelle ; non meno che quella di varj giuochi, come i dadi e gli scacchi
va l’altar di Giove. Un bel quadro di Pietro Benvenuti, e l’incisione che ne fece Morghen rappresentano questo fatto assai
immensi tesori, ed ella trovò sulla spiaggia il corpo del giovinetto che Polinestore aveva fatto uccidere per impadronirsi
e entrò furibonda nel palazzo dell’assassino, con altre donne trojane che la seguivano in schiavitù, ed avventate segli add
ell’Inferno : E quando la fortuna volse in basso L’altezza de’Trojan che tutto ardiva, Si che ’nsieme col regno il re fu c
do la fortuna volse in basso L’altezza de’Trojan che tutto ardiva, Si che ’nsieme col regno il re fu casso ;115 Ecuba tris
egno il re fu casso ;115 Ecuba trista, misera e cattiva, 116 Poscia che vide Polissena morta, E del suo Polidoro in su la
vate glorïose spoglie, Stimolò col flagello a tutto corso I corridori che volàr bramosi. Lo strascinato cadavere un nembo S
sue cime arsa cadesse. Rattenevano a stento i cittadini Il re canuto, che di duol scoppiando Dalle dardanie porte a tutto c
’cadere Supplichevole ai piè di quell’iniquo Violento uccisor. Chi sa che il crudo Il mio crin bianco non rispetti, e senta
ta Pietà di mia vecchiezza ? Ei pure ha un padre D’anni carco, Peleo, che generollo E de’ Teucri nudrillo alla ruina, Sopra
sta alquanto il nappo, e il labbro bagna, Non il palato. Ed altro tal che lieto Va di padre e di madre, alteramente Dalla m
e al desco. Torna allor lagrimando Astïanatte Alla vedova madre, egli che dianzi D’eletti cibi si nutria, scherzando Sul pa
E il vecchio padre, non potendo finalmente più sopportare il pensiero che il corpo del valoroso Ettore dovesse rimanere ins
hevoli preci a’piedi dello stesso Achille per riscattarlo. Omero dice che Mercurio, in sembianze mortali, lo accompagnò, l’
to davanti al campo de’Greci, e fecelo entrare nella tenda del Pelide che era tuttavia a mensa : …….. Il venerando veglio
riveder tornato Da Troja il figlio suo diletto. Ed io, Miserrimo ! io che a tanti e valorosi Figli fui padre, ahi ! più nol
mi Già di tutti esser privo… …………Mi restava Ettorre, L’unico Ettorre, che de’suoi fratelli E di Troja e di tutti era il sos
me : ricorda il padre tuo : deh ! pensa Ch’io mi sono più misero, io che soffro Disventura che mai altro mortale Non soff
tuo : deh ! pensa Ch’io mi sono più misero, io che soffro Disventura che mai altro mortale Non soffri, supplicante alla mi
altro mortale Non soffri, supplicante alla mia bocca La man premendo che i miei figli uccise. A queste voci intenerito Ach
nza nuovo pianto ambedue si congedarono pietosamente. I Trojani, dopo che ebbero rifabbricata la città, resero ad Ettore on
iamato Astianatte ; e siccome l’indovino Calcante (529) avea predetto che , sopravvivendo, sarebbe stato più valoroso del pa
i, lo aveva nascosto nella tomba del marito. Ma la tenerezza materna, che le facea volger sempre gli sguardi su quella tomb
a, ad essere schiava del figliuolo dell’uccisore di suo marito (545), che la condusse in Epiro, e l’obbligò contro sua vogl
(589), la quale essendo incinta di lui sognò d’aver nel seno una face che un giorno avrebbe incenerito l’impero trojano. Gl
face che un giorno avrebbe incenerito l’impero trojano. Gl’indovini, che furono interrogati, risposero dover la regina par
redizione non si avverasse, appena nato il bambino, ordinò a un servo che lo facesse perire ; ma colui, mosso dalle preghie
ezza nei giuochi pastorali. 598. Accadde poi alle nozze di Teti (304) che la Discordia, volendosi vendicare di non esservi
Venere il possedimento della più bella donna del mondo. 600. Paride, che tanto era bello quanto vano, sedotto dalle carezz
he tanto era bello quanto vano, sedotto dalle carezze di Venere e più che altro dalla promessa, giudicò doversi dare a lei
sul monte Ida alla ninfa Enone da lui conosciuta quand’era pastore, e che aveva ricevuto in dono da Apollo una profonda cog
la freccia era avvelenata ; e Paride spirò nelle braccia della ninfa che ne morì di dolore. 604. Cassandra, sorella di Par
creduta mai » cantava le sventure della sua patria. Agamennone (527), che la possedè schiava dopo la presa di Troja, conosc
zza, la condusse in Grecia ; ed ella gli annunziò la trista ventura a che il fato lo riserbava (531) ; ma secondo il solito
a dissuadere i Trojani dall’introdurre nelle mura il cavallo di legno che i Greci avevano finto d’abbandonare sul lido a gu
sul lido a guisa di voto offerto a Minerva (522). Laocoonte asseriva che quella macchina era un artifizio del nemico per e
inchiusi. 606. Ma i Trojani, tratti in inganno dal fraudolento Sinone che i Greci avevano lasciato a bella posta sul lido p
posta sul lido per tentare i nemici, e ciecamente ostinati a credere che l’immenso cavallo fosse dedicato a Minerva (262),
(262), tennero per sacrilega l’azione di Laocoonte ; e ne furono più che mai persuasi, allorchè ……. due serpenti immani V
rand’archi Traean divincolando ; e con le code L’acque sferzando si, che lungo tratto Si facean suono e spuma e nebbia int
era con l’arme Giunto in ajuto, s’avventaro, e stretto L’avvinser si che le scagliose terga Con due spire nel petto, e due
arno, E d’orribili strida il ciel feriva, Qual mugghia il toro, allor che dagli altari Sorge ferito, se del maglio appieno
grupparo. (Virgilio, Eneide. Lib. II. Traduz. del Caro.) Altri narra che il misero padre avesse nel tempo stesso perduta l
qual raro monumento dell’eccellenza delle arti antiche in quella Roma che ne meritò il retaggio. Questo capo lavoro del Lao
ello di Polidoro, d’Atenodoro e d’Agesandro, celebri artefici di Rodi che lo scolpirono tutto d’un pezzo.118 Nella galleria
vedendo Enea le funeste conseguenze di quest’iniqua azione, consigliò che fosse resa colei che doveva cagionare la perdita
te conseguenze di quest’iniqua azione, consigliò che fosse resa colei che doveva cagionare la perdita della patria ; ma fu
erdè la diletta moglie Creusa, la quale indi gli apparve, e gli disse che Cibele (40) l’aveva seco rapita per consacrarla a
’ira di Giunone (85), incorse, per causa sua, in una furiosa tempesta che lo gettò sulle coste dell’Affrica, dove fu accolt
o scopo e il travaglio dei viaggi dei Trojani : Una parte d’Europa é che da’Greci. Si disse Esperia, antica, bellicosa, E
se, e mar si fero, Venti sì pertinaci, e nembi e turbi Cosi rabbiosi, che sommersi in parte, E dispersi n’ha tutti……….. (V
ggì dalla patria per involarsi alle crudeltà del fratello Pigmalione, che aveva assassinato Sicheo suo marito per possedern
tagliata a strisce ; e su questo spazio fondò la città di Cartagine, che per tal cagione fu chiamata anche Birsa, cioè a d
affetti ; ma il nunzio di Giove (160) scese a ritrarlo dalle insidie che l’odio di Giunone tendeva sempre alla sua gloria,
sopra un rogo fatto alzare a bella posta, e si trafisse con la spada che aveva donato all’eroe. 613. Spinto nella Sicilia
udì i suoi futuri destini e quelli della sua posterità. 614. Tornato che fu dall’inferno andò ad accamparsi sulle sponde d
ove Cibele (40) trasformò in ninfe le sue navi, e quivi avendo saputo che gli Dei avevano finalmente posto un termine alle
e, e gli promise in moglie Lavinia sua figlia. Ma Turno re dei Rutuli che pretendeva la mano della fanciulla, lo aggredì pe
taglia, essendo stato rapito in cielo da Venere (170), secondo quello che racconta la favola. 616. Succedette ad Enea il su
he racconta la favola. 616. Succedette ad Enea il suo figlio Ascanio, che fabbricò la città d’Alba-lunga ; e quindi i poste
ordici regnarono sul paese latino, fino a Numitore zio di quel Romolo che fondò Roma. 617. Virgilio Marone, poeta latino ch
zio di quel Romolo che fondò Roma. 617. Virgilio Marone, poeta latino che fioriva sotto Augusto un mezzo secolo prima di G.
re la passione di Didone per Enea, a fine di toccare dei grandi fatti che avvennero tra Roma e la bellicosa colonia dei Fen
ollecitudine, e per imbandir loro men parca mensa uccise il solo bove che possedeva. Giove, desiderando ricompensarlo, prom
pigliar moglie. Furono esauditi i suoi voti ; e dalla pelle del bove che aveva ucciso nacque Orione, celebre pel suo grand
eva ucciso nacque Orione, celebre pel suo grande amore all’astronomia che gli fu insegnata da Atlante (359), e per la sua p
gli fu insegnata da Atlante (359), e per la sua passione della caccia che , al dire dei poeti, ei serbò ancora poichè fu sce
più belli uomini del suo tempo, ed aveva la statura sì appariscente, che ne hanno fatto un gigante capace di uscir fuori d
esta senza saperne altro, ebbe voglia di far conoscere ad Apollo (96) che ne la istigava, la sua bravura nel tirare a segno
ne la istigava, la sua bravura nel tirare a segno, e mirò tanto bene, che Orione rimase mortalmente ferito da una sua frecc
itologi suppongono di Orione un fine diverso da questo, poichè dicono che avesse, non si sa come, offeso Diana, e che quest
da questo, poichè dicono che avesse, non si sa come, offeso Diana, e che questa Dea per punirlo facesse sbucare dalla terr
che questa Dea per punirlo facesse sbucare dalla terra uno scorpione che lo ferì a morte colla sua puntura. Fatto sta che
terra uno scorpione che lo ferì a morte colla sua puntura. Fatto sta che Diana si pentì molto d’aver tolto di vita quel be
iana si pentì molto d’aver tolto di vita quel bell’uomo d’Orione ; ma che valeva il pentimento ? il male era fatto, e senza
e facendogli gli onori del funerale, vale a dire, impetrando da Giove che fosse posto nel cielo, ove forma la costellazione
oppia di vecchiarelli con tutto amore gli accolse. 622. Sicché Giove, che ne li volle ricompensare, ordinò loro di seguirlo
l borgo ed i contorni tutti inondati dall’acqua, meno la loro capanna che era trasformata in un tempio. 623. Indi promise l
ezza ; ed un giorno, mentre restava attonito Filemone dal veder Bauci che diventava un tiglio, la vecchia faceva le maravig
o celebri per la loro commovente pietà filiale verso la madre Cidippe che era sacerdotessa di Giunone (85), 625. Questa sac
o per fare i soliti sacrifizi ; ma Cleobi e Bitone erano tanto poveri che non avevan cavalli…. Ebbene ! attaccarono al carr
ione, la madre implorò dalla Dea pe’suoi figliuoli il bene più grande che ai mortali possa essere accordato dal Cielo. Il g
vostri nomi saranno eternamente cari a’buoni figliuoli ; e l’esempio che donaste sarà prediletto argomento a chi brama sig
a tenerezza del filiale affetto. Ed oh ! come l’ingegno dell’artista, che sortì cuore pari al vostro, s’infiammerà nell’imm
e ingenue sembianze e gli atti pietosi. Singolare poi è la differenza che passa tra le buone azioni di questi personaggi d’
inato a vivere tanto tempo quanto avrebbe durato ad ardere un tizzone che le Parche avevan messo nel fuoco mentre sua madre
onò la morte di Meleagro. 627. Questa Dea, incollerita contro Oeneo, che s’era scordato di lei nel sacrificare a’Numi per
ale Meleagro, ferì a morte gli zii. 628. Altea, non dando più ascolto che al suo furore, si dimenticò d’esser madre, e lanc
esser madre, e lanciò tra le fiamme il tizzo fatale. Allora Meleagro, che aveva già sposato Atalanta, cominciò a sentirsi d
o. 630. Niobe, inorgoglita della sua fecondità, spregiava Latona (96) che aveva avuto due figliuoli soltanto, Apollo (96) e
soltanto, Apollo (96) e Diana (137) ; ed osò anche impedire il culto che le rendevano, argomentandosi di meritar tempio ed
isero a colpi di frecce tutta la prole di Niobe. Scellerate divinità, che punivano nei figliuoli innocenti le colpe dei gen
cotanta strage, piena d’affanno e di disperazione non potè fare altro che sciogliersi in lacrime sopra i cadaveri de’ suoi
ra i cadaveri de’ suoi cari figliuoli ; e tanta era la sua immobilità che pareva non desse più segno di vita ; infatti era
e più segno di vita ; infatti era cangiata in scoglio : O Niobe, con che occhi dolenti Vedeva io te, segnata in sulla stra
rupe marmorea. — Nella galleria pubblica di Firenze vedonsi le statue che rappresentano la Niobe ed i suoi figliuoli, opere
o intero in mezzo ai tormenti prima di poter far sapere alla sorella, che la credeva già morta, il deplorabile avvenimento 
con un ago in sulla tela tutta la storia. 637. Progne, non pensando che alla vendetta, in occasione delle feste di Bacco,
Tereo infuriato chiese le armi ; ma le donne fuggirono sopra una nave che le aspettava, e si ricovrarono in Atene. 638. Ovi
a nave che le aspettava, e si ricovrarono in Atene. 638. Ovidio narra che Filomela « mutò forma. Nell’uccel che a cantar pi
ono in Atene. 638. Ovidio narra che Filomela « mutò forma. Nell’uccel che a cantar più si diletta » (l’usignuolo), e che Pr
mutò forma. Nell’uccel che a cantar più si diletta » (l’usignuolo), e che Progne diventò rondinella ; Tereo che le inseguiv
ù si diletta » (l’usignuolo), e che Progne diventò rondinella ; Tereo che le inseguiva fu trasformato in upupa ; ed Iti suo
ne, celebre scultore dell’isola di Cipro, fece una statua tanto bella che ne divenne innamorato perdutamente, e scongiurò i
nte, e scongiurò il cielo a darle vita. « O Dei, esclamava, se è vero che la vostra possanza non abbia limiti, fate che una
i, esclamava, se è vero che la vostra possanza non abbia limiti, fate che una figura adorabile come questa diventi mia spos
tata di straordinaria bellezza ; ma non è da confondersi con l’ altra che fu sposa di Meleagro (627). Siccome l’oracolo le
a che fu sposa di Meleagro (627). Siccome l’oracolo le aveva predetto che dopo aver preso marito avrebbe perduto la forma u
eloci, dichiarò, per liberarsi da una folla importuna di pretendenti, che non voleva dar la sua mano se non a chi l’avesse
avesse vinta nel corso ; quindi minacciava di far perire tutti coloro che fossero rimasti vinti da lei. 641. Già molti avev
bere, quando si offerse alla prova Ippomene protetto da Venere (170), che gli aveva regalato tre pomi d’oro colti da Ercole
644. Piramo giovine assiro è divenuto celebre pel suo amore per Tisbe che era la più bella tra le giovanette di Babilonia.
isbe arrivò la prima sotto quel gelso, ma fu sorpresa da una leonessa che aveva le fauci lorde di sangue ; e spinta da terr
de di sangue ; e spinta da terrore si dette a fuga tanto precipitosa, che perdette il suo velo. La belva si scagliò su di e
i esso, lo sbranò, e lo intrise di sangue. Giuntovi poco dopo Piramo, che aveva già visto sulla sabbia le orme dell’animale
dopo Piramo, che aveva già visto sulla sabbia le orme dell’animale, e che tremava per Tisbe, scoperse il velo, lo riconobbe
, e che tremava per Tisbe, scoperse il velo, lo riconobbe, e persuaso che l’infelice fosse stata divorata, si lasciò cadere
o già spirante, e darsi la morte con la medesima spada ! 646. Narrano che il gelso restasse tinto dal sangue dei due amanti
646. Narrano che il gelso restasse tinto dal sangue dei due amanti, e che i suoi frutti cominciassero allora a nascere verm
ell’Asia, era fidanzato alla bella Ero giovane sacerdotessa di Venere che abitava a Sesto sulla opposta spiaggia d’Europa.1
ro ogni sera attraversava a nuoto lo stretto per abboccarsi con colei che ormai gli era stata destinata per moglie ; ed Ero
lla torre dove abitava. Nell’ autunno il mare divenne così tempestoso che l’esporvisi a nuoto sarebbe stato lo stesso che a
venne così tempestoso che l’esporvisi a nuoto sarebbe stato lo stesso che andare incontro alla morte. Leandro per sette gio
esso che andare incontro alla morte. Leandro per sette giorni aspettò che le onde si calmassero, ma l’ottavo non potè resis
tavo non potè resistere al desiderio di rivedere la fidanzata. Partì, che il vento imperversava, ed il cielo era oscuro. Lo
nava sulla Tessaglia vicino al Parnaso, quando sopravvenne il diluvio che porta il suo nome. 648. Giove (63), sdegnato dell
genere umano, ed ecco inondarsi tutta la superficie della terra, meno che una montagna della Beozia chiamata Parnaso (123).
tagna della Beozia chiamata Parnaso (123). 649. Solamente Deucalione, che era il piu giusto fra gli uomini, e Pirra sua mog
Deucalione, che era il piu giusto fra gli uomini, e Pirra sua moglie, che era la donna più virtuosa, andarono illesi dall’e
a donna più virtuosa, andarono illesi dall’esterminio, e la navicella che li recava approdò sul Parnaso. 650. Appena furon
ena furono ritirate le acque, andarono a consultare la dea Temi (336) che pronunziava oracoli alle falde del Parnaso, e che
e la dea Temi (336) che pronunziava oracoli alle falde del Parnaso, e che ordinò loro di velarsi il capo e di andar gettand
opo aver lungamente pensato all’ arcano senso di quest’ oracolo, capì che la loro madre comune era la Terra e le sue ossa l
raccattando pietre, e gettandole dietro le spalle ; ed allora accadde che quelle di Deucalione si cangiavano in uomini e qu
te uomini la rozzezza di quei nuovi popoli incolti, la vita laboriosa che doveron condurre per sussistere, e quella età di
i. 651. I Venti erano Dei figli del Cielo (25) e della Terra (25), che secondo gli antichi dimoravano nelle isole Eolie
i dimoravano nelle isole Eolie (Lipari), ed avevano per re Eolo (199) che li teneva incatenati in vaste caverne. 652. I qu
lleva le tempeste e ricopre la terra di geli e di brine ; dicevan poi che volando pel cielo era tutto circondato di fitte n
an poi che volando pel cielo era tutto circondato di fitte nebbie ; e che stava in mezzo a’turbini polverosi quando percorr
il viaggio della Colchide con gli Argonauti (452), ed avevano le ali che crebbero loro con i capelli. Ercole (364) gli ucc
loro con i capelli. Ercole (364) gli uccise perchè non avevano voluto che la nave degli Argonauti andasse a ripigliarlo dop
ipigliarlo dopo ch’ei n’era sbarcato per rintracciare il giovine Ila, che era stato rapito dalle ninfe nel recarsi a far pr
la nave. 655. Euro suol essere dipinto in sembianze di giovine alato che va spargendo fiori con ambo le mani dovunque pass
dell’ Etiopìa abitata dai Negri. 656. Austro ha figura d’uomo alato, che cammina sopra le nuvole ; e soffia a piene gote p
a dei primi raggi della primavera. Tutto sollecito dei fragili tesori che abbelliscono il seno di Cibele (la Terra), col su
tentò a ritrovare la casa paterna, e nessuno seppe riconoscerlo, meno che il suo fratello minore che era già vecchio, ed al
aterna, e nessuno seppe riconoscerlo, meno che il suo fratello minore che era già vecchio, ed al quale narrò i casi suoi. D
ava l’esser suo da uno di quei guerrieri nati dai denti del serpente, che Cadmo seminò nella terra a tempo della fondazione
fa menzione anche Dante nel XX dell’Inferno, e tocca varie altre cose che fanno al nostro proposito ; ma convien prima avve
altre cose che fanno al nostro proposito ; ma convien prima avvertire che a coloro i quali ebbero la presunzione di vaticin
e che a coloro i quali ebbero la presunzione di vaticinare il futuro, che è quanto dire, furono sfrontati impostori, l’Alig
roppo davante, Dirietro guarda, e fa ritroso calle.123 Vedi Tiresia, che mutò sembiante Quando di maschio femmina divenne,
tre gli s’atterga,125 Che nei monti di Luni, dove ronca Lo Carrarese che di sotto alberga, Ebbe tra bianchi marmi la spelo
e a guardar le stelle E il mar non gli era la veduta tronca. E quella che ricopre le mammelle,126 Che tu non vedi, con le
di, con le trecce sciolte, E ha di là ogni pilosa pelle, Manto127 fu, che cercò per terre molte ; Poscia si pose là dove na
molte ; Poscia si pose là dove nacqu’ io ;128 Onde un poco mi piace che mi ascolte. Poscia che ’l padre suo di vita uscio
là dove nacqu’ io ;128 Onde un poco mi piace che mi ascolte. Poscia che ’l padre suo di vita uscio. E venne serva la citt
er lo mondo gio. Suso in Italia bella giace un laco Appiè dell’ alpe, che serra Lamagna Sovra Tiralli, ed ha nome Benaco.13
e più si bagna, Tra Garda, e Val Camonica, e Pennino131 Dell’ acqua che nel detto lago stagna. Luogo é nel mezzo là dove
Bresciani e Bergamaschi, Ove la riva intorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco st
la riva intorno più discese. Ivi convien che tutto quanto caschi Ciò che in grembo a Benaco star non può, E fassi fiume g
mbo a Benaco star non può, E fassi fiume giù pei verdi paschi. Tosto che l’acqua a correr mette co,134 Non più Benaco, ma
io si chiama Fino a Governo, dove cade in Po.135 Non molto ha corso, che trova una lama Nella qual si distende, e la ’mpal
a far sue arti, E visse, e vi lasciò suo corpo vano. Gli uomini poi, che ’ntorno erano sparti, S’accolsero a quel luogo, c
no erano sparti, S’accolsero a quel luogo, ch’era forte Per lo pantan che avea da tutte parti. Fèr la città sovra quell’oss
ea da tutte parti. Fèr la città sovra quell’ossa morte ; E per colei, che ’l luogo prima elesse, Mantova l’ appellâr senz’
di prima classe ! Tiresia giudicò a favore delle donne ; ma Giunone, che era di contrario parere, se l’ebbe a male, e lo a
e i capri e i cervi, Che non più il dardo suo dritto fischiava ; Però che la divina ira di Palla Al cacciator col cenno onn
ne grande insegnamento chi audacemente presume investigare gli arcani che l’ uomo non potrà mai discuoprire. 662. Anfiarao
dovino al tempo della guerra di Tebe. Sapendo per sua propria scienza che in quella guerra avrebbe dovuto perire, si nascos
buivano la cognizione del futuro e il dono di predirlo. Questa parola che significa inspirato fu prima attribuita alla prof
buita alla profetessa di Delfo, e poi diventò comune a tutte le donne che pronunziavano oracoli. Chi annovera tre, chi quat
la Libica figlia di Giove (63) e di Lamia, e quella di Cuma, Deifobe, che risiedeva in una città di quel nome in Italia, e
be, che risiedeva in una città di quel nome in Italia, e fu la stessa che andò a presentare a Tarquinio il superbo i libri
cendo : « Principe, io voglio 300 monete d’oro per questi manoscritti che contengono i destini di Roma. » Tarquinio sorride
illa, e vi furono sostituiti altri libri composti dei versi sibillini che poterono essere raccolti in Italia, in Grecia ed
a autorità dei primi. 667. La più celebre tra le Sibille fu la Cumana che dicevano inspirata da Apollo (96), e rispondeva d
profetessa. Questi responsi erano anco vergati sopra leggiere foglie che il vento portava per aria e confondeva insieme. I
i Delfo presso i Greci. Eleno dice ad Enea : Giunto in Italia, allor che nella spiaggia Sarai di Cuma, il sacro Averno lag
, e ’n sulle foglie Ripone i fati : in su le foglie, dico, Scrive ciò che prevede, e nella grotta Distese ed ordinate ove s
, ed era figliuola di Glauco (201) e sacerdotessa d’ Apollo. Si narra che questo Dio, rapito dalla sua bellezza, le offeris
dalla vecchiezza doveva struggersi a poco a poco, e di lei non restar che la voce, alla quale il destino aveva attribuito d
morire in quell’età avanzata ; ma non pensò al suo luogotenente Galba che aveva settantatrè anni, e che gli tolse lo scettr
ma non pensò al suo luogotenente Galba che aveva settantatrè anni, e che gli tolse lo scettro e la vita. Alessandro prima
ci, cerimonie religiose ec. 669. I Giuochi pubblici tanto in Roma che in Grecia erano spettacoli consacrati dalla relig
gli Erculei o gli Iolai ec. Questi giuochi furono adottati dai Romani che ne istituirono parecchi altri, cioè, quelli di Ce
rri, il salto, il disco, la lotta ed il cesto. Una corona d’oleastro, che pe’ gloriosi valeva più d’un regno, era il premio
cosa dai re stessi e decretato così a loro, come all’ultimo cittadino che l’avesse saputo meritare. La famiglia, la patria
utta la Grecia ; ed egli, fregiato di una nobiltà meno vana di quella che vien dai natali, aveva monumenti ed immagini ; e
dei certami propriamente detti d’ Olimpia, legga la bella descrizione che ne vien fatta da Barthelemy, nel viaggio d’Anacar
e notati alcuni de’ più celebri tra gli olimpici eroi. Noi non faremo che citarne pochi esempi. E convien prima avvertire c
i. Noi non faremo che citarne pochi esempi. E convien prima avvertire che sul principio fu rigorosamente vietato di pigliar
trare in lizza e meritarono il premio. Allora andò in disuso la legge che ne le escludeva ; e troviamo che nella 25ª Olimpi
emio. Allora andò in disuso la legge che ne le escludeva ; e troviamo che nella 25ª Olimpiade, Licisia figlia d’Archidamant
crate d’Agrigento, avendo riportato il pitio trionfo col carro, volle che fosse pubblicato vincitore suo padre. Pindaro cel
con una bella ode139 questo tratto d’ amor filiale. — Diagora di Rodi che si era fatto illustre con una vittoria riportata
palle lo condussero in trionfo in mezzo agli innumerabili spettatori, che empivano l’aere d’applausi e gettavano fiori a pi
di patria era sprone al valore, spregiando i doni del tiranno, gridò che egli era di Mileto, e fece scolpire sotto la sua
ngiarlo tutto in un giorno. Sia o no esagerata, questa prova dimostra che l’uso della forza era diventato ormai spettacolo
’uso della forza era diventato ormai spettacolo brutale e mestiero, e che quei giuochi avevano cominciato ad allontanarsi d
tto la ruina. Questi giuochi dettero origine anche al seguente fatto, che può dare un cenno dei costumi e dell’indole dei G
dei Greci di quel tempo. « Un vecchio avvolontato di vedere i giuochi che si celebravano in Olimpia, non avea ove sedere, e
eveva molte ingiurie ed oltraggi, e niuno lo volea ricevere. Arrivato che fu al luogo ove sedevano gli Spartani, tutti i gi
oscono il bene, e solo vi si appigliano i Lacedemoni. » Dicesi ancora che ciò avvenne in Atene nella festività solenne che
oni. » Dicesi ancora che ciò avvenne in Atene nella festività solenne che essi appellavano Panatenea. « Sbeffavano gli Atti
un vecchio, e come se lo volesser ricevere, lo chiamavano, e venuto che era lo scacciavano. Passato ch’e’ fu dinanzi a tu
er tutto per il ben della patria ; ed esser veramente magnanimo colui che sa vincere le umane debolezze. Quindi crediamo op
, le quali sentenze saranno intanto come una conclusione della morale che si può ricavare dai già dichiarati avvenimenti mi
ati avvenimenti mitologici : Folle chi spera d’adoprar celato Al Dio che veglia intorno. Il tempo a tutto è padre ; Ma ric
i faticosa prova Lice gl’imbelli ravvisar dai prodi. Talor, ben prima che l’età sia stanca, Sulla fronte del prode il crine
iarti ai Numi. Nell’ Ocean, nel suolo, Frutto d’onor non coglie Virtù che rischio teme. Ah ! che di folle errore Anche il s
ean, nel suolo, Frutto d’onor non coglie Virtù che rischio teme. Ah ! che di folle errore Anche il saggio talor giuoco dive
colui, Che ignora il calle, e vuol mostrarlo altrui. Sol quella lode che spontanea muove Quando l’avel ne prema, Sol quell
a, e ne disperde il nome. Nati, cader bisogna : Che siam noi dunque o che non siam ? Leggiero Veder d’ombra che sogna ; Ma
bisogna : Che siam noi dunque o che non siam ? Leggiero Veder d’ombra che sogna ; Ma se mai sovruman raggio n’è dato Dal fu
hi nell’arche tacite Tesor raduna occulti, e altrui dileggia, Non sa, che d’onor povero Coll’avaro Pluton l’alma patteggia.
li crede istituiti da cinque fratelli chiamati Dattili, parola greca che significa dito, e indica il loro numero e la loro
la loro riunione ; ovvero da Pelope figlio di Tantalo ; e v’è memoria che anche Atreo gli istituisse verso l’anno 1250 avan
ogni 50 mesi cominciando il 22 giugno o nel plenilunio d’ecatombeone, che risponde quasi al nostro luglio, e duravano cinqu
e più celebre sistema cronologico del quale si sieno valsi i Greci, e che fu adottato da molti scrittori latini per andar d
principio del quinto secolo dell’èra cristiana. 672. I Giuochi Pitii che celebravansi ogni quattro anni nella città di Pit
i ch’era di mezzo crebbe il suo corso, ed avanzò alquanto. Gli altri, che erano a lato di lui, sforzaronsi parimenti di rag
erano a lato di lui, sforzaronsi parimenti di raggiungerlo, per modo che formossi la loro schiera simile a quella delle gr
lo, per modo che formossi la loro schiera simile a quella delle grui, che volano altissime ne’ tempi invernali, messaggiere
olato. Rimasero per breve spazio in quella disposizione, quando colui che correva al destro lato di quello che tutti supera
uella disposizione, quando colui che correva al destro lato di quello che tutti superava nel mezzo, fatto repentino impeto,
lui. Risonò l’aria di lietissimi applausi ; dai quali punto, non meno che da desiderio della corona, colui che il primo ess
ausi ; dai quali punto, non meno che da desiderio della corona, colui che il primo essendo, era stato allora superato, radu
, era stato allora superato, radunando tutte le forze, si spinse, non che a corsa, a salti maravigliosi, e riapparve ben pr
ere di nuovo innanzi di quello, si slanciava anelando vicino in modo, che l’altro sentiva l’affannoso di lui respiro, onde,
ri ; ciascuno dei quali aveva al timone, di fronte, quattro corsieri, che , anelando dalle allargate nari, scotevano la polv
rcuotere, col viso rivolto al trombettiere, stanno i giovani, ansiosi che il magistrato dia il segno. Tiene imboccata la tr
o per essere più facilmente intese le minacce, o per naturale ansietà che induce a quell’atto involontariamente i condottie
tante orme, la in prima serena aria offuscò tal nembo di arida polve, che , come la luna, tra le nubi, ora appare ed ora s’a
ccioso da’ poeti, come quello ch’è autore delle subitanee procelle, e che converte la ingannevole calma in repentini perico
ielo, collo scoppiare in larghi giri lo stridente flagello. Ecco però che , a turbare così liete lusinghe, si appressa un al
li di Pluto rapitore di Proserpina. A somiglianza di quelli, sembrava che loro uscissero le faville insieme coll’alito dall
l mare. Già la testa loro pareggia il centro delle rote di quel carro che precede ; il condottiero del quale, volgendosi al
do stendevano il corso : ed i seguaci non meno gareggiando, quel poco che rimanea d’intervallo trascorrendo come flutto spi
giunsero a lato di quelli. Per qualche tratto di stadio corsero così, che le otto teste delle due quadrighe sembrava che fo
i stadio corsero così, che le otto teste delle due quadrighe sembrava che fossero una schiera sola, appartenente ad un sol
re. Posciachè, avendo alla fine i foschi destrieri trascorso a segno, che la rota del cocchio loro corrispondeva ai cavalli
la rota del cocchio loro corrispondeva ai cavalli dell’altro, avvenne che in quell’atto, infranto dal veloce impeto il rite
da una parte, trascinando nella polvère l’asse privo di rota, mentre che il giovane giaceva supino, rimasto indietro nello
premio, benchè il vòto carro giugnesse alla meta. Gli altri quattro, che ad eguali distanze seguivansi, deviando l’inciamp
i furono soccorsi da’ più prossimi spettatori. La lotta. Ecco che immantinenti, in altra parte non molto distante d
tori apparvero, armati di cesti ; e molti vennero lieti e baldanzosi, che partirono sostenuti dalle braccia dei pietosi ami
nose per virile robustezza, mostravano i turgidi muscoli in quel modo che gli scultori sogliono rappresentare Ercole. Faone
il colore di tutta la persona non potrebbe in altro modo esprimersi, che mescolando i gigli alle rose. Erano sospesi gli a
a propensione, perchè vinti dalla bellezza divina del giovine atleta, che desideravano ottenesse la corona, o almeno che us
na del giovine atleta, che desideravano ottenesse la corona, o almeno che uscisse illeso dal pericoloso cimento. Ed invero,
no reciprocamente. Veniva il Cretese colle braccia aperte in atto non che di stringere ma d’ingojare il garzone ; il quale,
nto, quasi sul punto di essere superato, parendogli piuttosto audacia che valore la competenza di così delicato garzone. Ch
ra, abbassato il capo, si abbandonò contro di quello, siccome un toro che assalta il bifolco. Fu veramente maravigliosa l’a
de boccone, ed impresse nell’arena la propria immagine. Aspettò Faone che risurgesse l’avversario, secondo la giustizia del
condo la giustizia delle leggi atletiche ; ed intanto gli spettatori, che taciti avevano trattenute le grida nel rimirare q
oria, vieppiù abbellendo le sembianze co’ raggi dell’interno giubbilo che vi trasparivano. Intanto l’umiliato Cretese si so
derisioni. Il vincitore, accompagnato dagli applausi delle fanciulle, che versavano su di lui copiosamente i fiori estivi,
ggiando in attitudine trionfale all’alto seggio del giudice atletico, che pose la corona su le tempie di lui, ed aggiunse i
giri trascorsi, ecco la guida Inavvedutamente rilasciando Al corridor che per voltar piegava, Forte diè nella meta ; entro
ibilmente Per terra strascinato, or alto or basso Rotante i piè ; fin che gli aurighi a stento Le furenti puledre rattenut
Le furenti puledre rattenute, Nel ritrassero pesto, insanguinato, Tal che nessun più degli amici suoi Ravvisar lo potea. To
intura o fascia, la quale fu chiamata zodiaco dalla voce greca zodion che significa piccolo animale : essendochè tra i nomi
pione, il Sagittario, il Capricorno, l’ Aquario, i Pesci. L’uno vuole che questi nomi abbiano relazione alle faccende dell’
are dall’istoria ; chi dalla mitologia ; e chi, all’incontro, sostien che la favola non sia altro che un’allegoria perpetua
mitologia ; e chi, all’incontro, sostien che la favola non sia altro che un’allegoria perpetua delle leggi astronomiche. N
logiche, diremo : 677. L’ Ariete è quel caprone del Vello d’oro (419) che fu immolato a Giove (63) e messo nel numero degli
mmolato a Giove (63) e messo nel numero degli astri, ossivvero quello che indicò una sorgente a Bacco (146) allorchè questo
le costellazioni fossero rimaste in perfetta corrispondenza coi segni che le rappresentano. 678. Vien dopo il Toro a signif
678. Vien dopo il Toro a significare non meno il vigore degli armenti che quello della vegetazione delle piante, ed è l’ani
hi dice piuttosto essere la ninfa Io condotta in cielo da Giove, dopo che l’ebbe cangiata in giovenca (89). 679. I Gemelli,
da Giove, dopo che l’ebbe cangiata in giovenca (89). 679. I Gemelli, che ebbero un tempo figura di capretti, rappresentano
) ed Ercole (364). 680. Il Cancro, ossia gambero, esprime il ritrarsi che fa il sole dopo esser giunto alla maggiore altezz
dopo esser giunto alla maggiore altezza estiva. Ma la mitologia dice che fu quel gambero mandato da Giunone (85) contro Er
maggiori, cioè tra le mèssi e le vendemmie : ed è quell’ Astrea (339) che fugata dalla terra pei delitti degli uomini, se n
, si vogliono denotare le malattie dell’ Autunno ; ed è quello stesso che fu mandato da Diana (137) a pungere il calcagno d
tto la figura di Centauro (430) in atto di scagliare una freccia ; lo che potrebbe anche denotare la violenza del freddo e
la violenza del freddo e la rapidità dei venti in quel tempo. Credesi che il Sagittario sia il Centauro Chirone (430) collo
Chirone (430) collocato fra gli astri. 686. Nel Capricorno s’intende che il sole, arrivato alla minore altezza vernale, co
la capra Amaltea (29) nutrice del padre degli Dei. 687. Chi non dirà che l’ Aquario sia il simbolo delle pioggie ? e secon
o la favola è Ganimede (87) rapito in cielo da Giove. Ci rammenteremo che questo giovine mesceva il nettare a’ Numi. 688. F
li agricoli nella stagion fredda, e secondo i Mitologi sono i Delfini che condussero Anfitrite (188) a Nettuno (185). L
ciullo coronato di fiori ed appoggiato ad un arboscello con le foglie che principiano a verdeggiare. Ha seco un agnello od
dorata arbore amica Le ceneri di molli ombre consoli. ……………….. Dal di che nozze e tribunali ed are Diero all’umane belve es
i, toglieano i vivi All’etere maligno ed alle fere I miserandi avanzi che natura Con veci eterne a sensi alti destina. Test
tici lari, e fu temuto Sulla polve degli avi il giuramento : Religion che con diversi riti Le virtù patrie e la pietà congi
parte al bisogno degli artisti e degli studiosi ; ed è così divulgato che ci parrebbe inutile compendiarlo ; quindi ci limi
o ; quindi ci limiteremo a indicare quei passi di Omero e di Virgilio che più d’ogni altra descrizione son per noi opportun
r noi opportuni. 691. Tanta era la venerazione pei morti appo i Greci che in un duello anche i più acerbi nemici ponevano p
ra gettò quattro corsieri D’alta cervice e due smembrati cani Di nove che del sir nudria la mensa. ………………… ……. Destò del fu
a. ………………… ……. Destò del fuoco in quella L’invitto spirto struggitor, che il tutto Divorasse, e chiamò con dolorosi Gridi l
libando, Di venirne li prega, e intorno al morto Sì le fiamme animar, che in un momento Lo si struggano tutto, esso e la pi
tinto amico. Come un padre talor piange bruciando L’ossa di un figlio che morì già sposo, E morendo lasciò gli sventurati S
il croceo velo, Mori la vampa sul consunto rogo, E per lo tracio mar, che rabbuffato Muggia, tornaro alle lor case i venti.
Ma modesta. Potrete ampia e sublime Voi poscia alzarla, o duci achei, che vivi Dopo me rimarrete a questa riva. Del Pelide
) 693. Nè meno solenni erano gli anniversarj, come rilevasi da quello che il pio Enea istituì per Anchise : Generosi e mag
e sontuosa mole, E l’armi e ’l remo e la sonora tuba Al monte appese, che d’Aerio il nome Fino allor ebbe, ed or da lui nom
side, divinità egiziana, celebre quanto il fratello. 697. Questo Dio, che prima era re d’Argo, avendo lasciato i suoi stati
e per ministro Argo (89) suo fratello, il quale per sapere tutto ciò che accadeva, distribuì nelle principali città cento
nazioni, ma piuttosto con la dolcezza e con la persuasione, di quello che con le armi. 698. Nella sua assenza Tifone suo fr
adre, benchè dovesse poi soccombere per la prepotenza dei Titani (30) che lo sconfissero e l’uccisero ; ma Iside lo richiam
gnò la medicina e l’arte di predire il futuro. V’è ragione di credere che l’ Oro degli Egiziani e l’Apollo (96) dei Greci f
per simboli di queste divinità il bue e la vacca. Quindi fu divulgato che le anime d’ Osiride e d’Iside erano andate ad abi
ime d’ Osiride e d’Iside erano andate ad abitare il Sole e la Luna, e che s’erano immedesimate con quei benefici astri, dim
3. Il bue, simulacro vivente d’ Osiride perchè gli Egiziani credevano che la sua anima fosse andata in quell’animale (Metem
destra un altro segno bianco a guisa di mezza-luna. Il volgo credeva che questi segni fossero naturali, ma i sacerdoti gl’
iva nutrito per quaranta giorni a Nilopoli, e lo custodivano le donne che sole avevano il diritto di vederlo ; indi era con
nell’altra era buono o cattivo augurio per l’Egitto. Non usciva di lì che per pigliare aria sopra un prato, o per girar la
a città in certe occasioni ; ed allora procedeva in mezzo ad ufiziali che allontanavano la moltitudine, ed era preceduto da
ziali che allontanavano la moltitudine, ed era preceduto da fanciulli che celebravano le sue lodi. — Secondo i libri sacri
ni ; quand’erano fuori del santuario le riaprivano, e la prima parola che udivano, era presa per la risposta del Nume. 704.
del Nilo cominciavano a crescere ; e gli Egiziani dicevano per figura che l’inondazione di quel fiume fosse cagionata dalle
o a Memfi, uno ad Alessandria ed un terzo a Canopo ; ma i più credono che sia la stessa cosa che Osiride. Erodoto non ne pa
andria ed un terzo a Canopo ; ma i più credono che sia la stessa cosa che Osiride. Erodoto non ne parla, e Apollodoro dà qu
ha i leoni a’piedi. Alcuni di questi attributi fanno supporte infatti che gli antichi la confondessero con Cerere (51) o co
avano attorno a chiedere l’elemosina, e non tornavano al tempio altro che la sera per ivi adorare in piedi la statua d’Isid
so nome. A Roma le feste d’Iside erano accompagnate da tali disordini che furono vietate 60 anni avanti l’èra volgare. Ma d
importi aver cura dell’illibatezza dei costumi. Alcuni dotti credono che da Iside venisse il nome alla città di Parigi (Pa
credono che da Iside venisse il nome alla città di Parigi (Parisiis) che supponesi fabbricata vicino ad un tempio d’Iside 
nesi fabbricata vicino ad un tempio d’Iside : para Isidos. Vero è poi che questa divinità era considerata qual protettrice
arii animali (67). Così gli Egiziani credevano di onorare le divinità che s’erano celate sotto quelle spoglie. Divinità
ole o come la natura fecondata da questo astro benefico ; e il tempio che eragli stato eretto in Babilonia vinceva ogni mag
i stato eretto in Babilonia vinceva ogni magnificenza. Taluni credono che fosse la famosa torre di Babele. 712. I Caldei er
ogia giudiciaria. 713. I Persiani conoscevano l’unità di Dio. Il Sole che veniva da loro adorato sotto il nome di Mitra, e
il fuoco sacro del quale tenevano religiosa custodia, non erano altro che simboli della divina potenza. Non ebbero nè templ
e teste, chiamate Trimurti. Brama. 717. Gl’Indiani suppongono che il moto delle acque producesse un uovo d’oro, spl
la terra. Brama governò l’India con molta sapienza, e vi dettò leggi che sono sempre in vigore. 719. Una di queste leggi
lativo. Siva. 721. Questo Dio è tenuto per la stessa divinità che distrugge o muta le forme. È dipinto con tre occh
lle quali è piena d’assurdità e di stravaganze. Gl’Indiani sostengono che sotto il velame di questi racconti stieno riposti
he sotto il velame di questi racconti stieno riposti profondi misteri che essi non vogliono svelare ai profani. Ecco due di
di questo Dio son dello stesso tenore. 725. Gl’Indiani credono di più che Visnù debba subire una decima trasformazione, nel
serpe con cinque teste. Divinità galliche. 726. Tra gli Dei, che i Galli onoravano di parzial culto, i più celebri
a gerarchia delle loro divinità ; ma gl’immolavano vittime egualmente che agli altri. 733. I Galli adoravano anche un gran
n’altissima querce. Fu pur sacro per essi il vischio, pianta parasita che rampica sulla querce, ed ogni anno i loro Druidi
sacro, ed era profanazione il lavorarne la terra. Quindi per impedire che anche a’tempi lontani quei campi servissero a qua
rli di pietre enormi. Tale dicono esser l’origine dei monti di pietre che ancora sussistono in certi luoghi della Francia,
più antico Nume della Scandinavia, ossia di quella porzione d’Europa che comprende la Danimarca, la Svezia e la Norvegia.
adre delle battaglie, perchè adottava per suoi figliuoli tutti coloro che rimanevano uccisi combattendo ; e così fu preso a
mminile, prima è Gna messaggera di Freya, figlia di Odino o la Terra, che la spedisce nei mondi per eseguir commissioni, co
ra, che la spedisce nei mondi per eseguir commissioni, con un cavallo che corre per l’aria attraverso al fuoco. Vengono pos
che corre per l’aria attraverso al fuoco. Vengono poscia le Walchirie che nel Valhalla (paradiso delle divinità scandinave)
le divinità scandinave) versano da bere birra e idromele agli eroi, e che da Odino son mandate nelle battaglie per fissar q
li eroi, e che da Odino son mandate nelle battaglie per fissar quelli che vi debbon perire. Segue Yduna custode dei pomi ma
dine suo venne dal settentrione un uomo straordinario chiamato Scioun che avea corpo senz’ossa e senza muscoli : al suo pas
a via per luoghi inaccessibili. Da lui furon creati i primi abitanti, che qual Dio lo adorarono fino alla venuta di Pasciac
i abitanti, che qual Dio lo adorarono fino alla venuta di Pasciacamac che più potente mutò in belve gli uomini da Scioun cr
e svegliato da quest’essere malvagio. Conoscevano anche i buoni Genii che chiamavan Huecas, e come tali tenevano la Luna, l
cono essi pure dei cattivi Genii cui consacrano le ossa degli animali che hanno mangiato. Il loro principal sacrifizio cons
imonia viene accompagnata da danze. 7. Avvertiremo ora per sempre che i nemi di parentela fra gli enti mitologici non s
sempre che i nemi di parentela fra gli enti mitologici non sono altro che un parlar figurato, e indicano relazieni d’idee s
rrendo. Chi volesse porre un ordine nella genealogia, tanto degli Dei che dei Semidei e delle divinità allegoricho, teotere
dee e di relazioni, dedetto dalle opero degli antichi e dai monumenti che ci rimangono. 8. Latium, a latendo, dice Ovidio
i rimangono. 8. Latium, a latendo, dice Ovidio. 9. Appare evidente che questa poetica invenzione delle quattro elà del m
onte Ida in Frigia (forse dell’ Ida in Creta dove egualmente si crede che si stabilissero). Incivilirono la Frigia, e v’ in
lle aegrete cerimonie e nella acienza arcana del paganesimo. Quindi è che vanno talora confusi coi Coribanti, coi Galli e c
ina, Plutone (213) e Mercurio (160), formano i così detti Dei Cabiri, che presiedevano ai morti ; ma altri sotto questo nom
di Vulcano (272) ; ed il loro tempio fu tenuto in tanìa venerazione, che ai soli sommi sacerdoti era concesso l’entrarvi.
piene di senun. Fu capo di un’illustre famiglia detta degli Eumolpidi che ebbe la gloria di tenere il sommo-sacerdozio d’El
00 anui. — In sul finire della vita Eumolpo si riceociliò con Tegirio che , non avendo prole, lo fece crede del regno di Tra
illuminava la statua di Cerere doviziosamente arredata ; ma nel tempo che la folla guardava meravigliando, ecco apparir nuo
e tenebre, e poi nelle ampie volte del tempio un lampeggiare continuo che svelava qua e là spaventevoli spettri e mostruose
l vero oggetto di quelle cerimonie ; ma tutti gli autori cengetturano che mirassero ad inseguare agli uomini la sana morale
li uomini la sana morale, a distruggere tutti i vergognosi pregindizj che avvilisceno la moltitudine, e ad istruirli intern
istruirli interno alla natura del Creatore. Ma ci addolora il pensare che per giungere a queste fine avessere bisogno di ta
ngere a queste fine avessere bisogno di tanto artifizioso apparato, e che la sapienza dovesse rimaner privilegio di pochi.
misteri, ed esser deve patrimonio della moltitudine. — Lo spettacole che precedeva gli ammaestramenti fa vedere che gli an
ltitudine. — Lo spettacole che precedeva gli ammaestramenti fa vedere che gli antichi non ignoravano i fenomeni dell’electt
nella favola dei Titani o dei Giganti la tradiziono della catastrofe che produsso quel tremendo insbissamento. Altri ropnt
a catastrofe che produsso quel tremendo insbissamento. Altri ropntano che il continente atlantico degli antichi fosse una p
verse possono aver rapporto nl medesimo fallo ? Siccoma l’impressione che il fenomeno stesso fece sullo fantasie dei popoli
e in lutte le sue teste insieme ardeva la fiamma. E indica il rnmoro che faceva paragonandolo al mnggito di un toro, all’u
ni. Chi non ravvisa in lai detti un vulcano allora sorto dalla terra, che per più bocche lanciava fiammo, e muggiva come ta
isica la spiegazion morale di questa favola, immaginano alcuni autori che i Giganti fossero robusti e feroci capi di famigl
astrofe vulcauica, i capi religiosi dci popoli inciviliti divulgarono che Giove aveva fulminato i Giganti, scpolti poi dall
dall’immaginazione del volgo sotto i medesimi monti cruttanti fianima che parevano cadute dal cielo. 20. Alcuni più profon
stigatori dell’antichità riconoscono due Promelei : il primo è quello che formò l’uomo col loto, ed in esso viene simbolegg
i tal racconto i giovamenti derivati dalle arti a petto delle fatiche che ai devono per necessità dnrare nell’esercizio di
arti. Sotto l’invenzione del fuoco vengono designate le arti scoperle che produssero i travagli e le conteae. » (Mario Paga
n toro, e ciascuno ne portava seco un pezzo, qual simbolo dell’unione che doveva regnare tra i popoli del Lazio. 24. V’è c
cbi attribnisce quest’oracolo ad Apollo e non a Giove. Dieono adnnque che Trofonio fu celebre arcbitetto nella Beozia, e co
ta l’opera ne chiesero la mercede, o la Pitia (99 e 122) rispose loro che bisognava aspettare otto giorni, e che intanto si
Pitia (99 e 122) rispose loro che bisognava aspettare otto giorni, e che intanto si ricreassero e imbandissero lauta mensa
ve fossero aeppelliti ; quindi la Beozia fn desolata da tanta siccità che il popolo implorò l’oracolo di Delfo (122). Apoll
rvigio rèsogli da Trofonio nell’erigergli il tempio, rispose a coloro che lo conaultavano, che implorassero l’aiuto del lor
fonio nell’erigergli il tempio, rispose a coloro che lo conaultavano, che implorassero l’aiuto del loro compatriotta Trofon
di legali con funi, ed erau coslrelli a scrivere sopra un quadro quel che avevan visto ed udito. Sui loro scrilti i aacerdo
scrilti i aacerdoti componevano le risposte. 25. Taluni supponevano che avesse passato lo strelto che unisce il mar Nero
no le risposte. 25. Taluni supponevano che avesse passato lo strelto che unisce il mar Nero alla Propontide o mar di Marma
lo strelto che unisce il mar Nero alla Propontide o mar di Marmara, e che perciò quello stretto fosso chiamato Bosforo ossi
osforo ossia passo del bue. 26. Credettero crroneamente gli antichi che i rettili e gl’insetti fossero genersti immediate
outano i poeti, essere stata di continuo fluttuante null’acqua, prima che Latona vi partorisse Apollo e Diana, l’uno credut
o mai col sangue delle vittime. Quest’isola era io tanta venerazione, che non vi ai potevano sotterrare cadaveri. I Persiau
venerazione, che non vi ai potevano sotterrare cadaveri. I Persiaui, che avevano ssccheggiato le altre isole della Grccia,
o. 28. « Il Cigno, dice Buffon, regna sulle acque con tutti i titoli che sono base di pacifico impero, la grandezza, la ma
le descrive i pesci tranquillamente nuotanti attorno ad un cigno ; il che indica come presso gli antichi prevalesse l’opini
n cigno ; il che indica come presso gli antichi prevalesse l’opinione che questo volatile non suolesse cibarsene. La maggio
i Germania, confermô la sentenza degli antichi colle sue Osservazioni che , tradotte dal ledesco, furono stampate nel Giorna
0. Città della Focide. Ecco l’origine di quest’oracolo : Alcune capre che pascolavano sul monte Parnaso giunsero in un luog
n un luogo ov’era una profonda caverna ; e respirando il vapore (gas) che ne esalava si posero a sallaro ed a belare straor
a grotta fu preso da vertigini, e si pose a fare atravaganti discorsi che furono stimati profezie. Sparsane la nolizia, ogn
e la nolizia, ognuno volle provarc la medesima ispirazione ; fu dello che quel luogo era sacro ; vi fu alzato un lempio ; e
acro ; vi fu alzato un lempio ; e l’affluenza dei divoti crebbe tanto che ne nacque una città. L’oracolo sulle prime rispon
ulle prime rispondeva in versi ; ma poichè a laluni parve cosa strana che il Dio della poesia li facesse pessimi e senza mi
i il nome di erotiche alle poesie amorose, e di Erato (274) alla Musa che cauta d’ Amore. 35. Altri, oarrano che Venere si
e, e di Erato (274) alla Musa che cauta d’ Amore. 35. Altri, oarrano che Venere si raccomandò anche ad Apollo perchè le in
con l’aiute d’Apollo, e di ricuperare la calma e la felicite. Si dice che Deucalione ne facesse la prova dopo Venere, ma no
nè altre denne poterono mai aopravvivere alla terribile prova, se non che alconi nomini, tra i queli il poeta Nicostrato. I
ini, tra i queli il poeta Nicostrato. I sacerdoti dell’ isola vedendo che questo rimedie, a dir vero troppo efficace, veoiv
efficace, veoiva ad essere abbandonato, si studiarono di fare in modo che il salto fosse meno pericoloso, tendendo ingegnos
meno pericoloso, tendendo ingegnosamente sotto lo scoglio alcune reti che rettenevano la caduta a fior d’acqua, ed alcune b
ni anche la voglia di fare il salto boncho meno pericoloso ; e coloro che senza acomodarsi desideravano di mettere a prova
la Siria, lasciò Berenice, sua sposa recente, tanto sollecita di lui, che ella votò la sus chioma, se il marito tornasse vi
sici suppongono, e ne traggono anche conferma dalle parole di Plinio, che gli avvallamenti o i sollevamenti di suolo pei qu
al mare, all’imboccalura dello stretto di Messina. Gli enormi scogli, che sporgono aulle acque, fanno pericoloso l’angusto
a onde esalava un vapor nero, felido e malsano. Credevano gli anlichi che da quesla solterranea volla si giungesse alla dim
i Ercole trasse il Cerbero per condurlo ad Euristeo. 43. È probabile che l’origine di questa favola dei Campi Elisi sia eg
te per oracoli di giustizia. Forse l’accusa contro Marto altro non fu che un simbolo della imparzialità dell’Areopago, dava
bo Meneo, ora Moneo. 59. In quest’isola del mar Egeo era un vulcano che vomilava fiamme ; edi suoi abilanli furono abilis
d altri melalli. 60. Di Chirone. 61. La poesia nordica 62. Narrasi che Cleopatra ai facesse recare in un canestro di fio
er non cader nelle mani d’Augusto. 63. Dicesi di Cristoforo Colombo, che nella sua maraviglioss navigazione ai lidi del Nu
ti sulla sua nave dai veuticelli. 64. Dalla parola penus o penetrale che significa l’interno d’una magione. 65. Julo 66.
79. Fino alle ascelle. 80. Per nodi, intendi le fallaci parole con che i frodolenti ingannano altrui ; e per rotelle o s
questa favola potrebbe essero spiegata cosr : L’Acheloo era un finme che straripando apeaso inondava e desolava Io campagn
87. Questa favola, come quella di Fetonte, rimane a lezion di coloro che spregiano i consigli paterni, o che invaniti di s
etonte, rimane a lezion di coloro che spregiano i consigli paterni, o che invaniti di sè agognano sollevarsi tropp’ alto, a
ianza del fatto rimane smentita dalle nuove teorie fisiche, in quanto che non è più a credersi che nelle alte regioni dell’
entita dalle nuove teorie fisiche, in quanto che non è più a credersi che nelle alte regioni dell’ aria il sole abbia maggi
redersi che nelle alte regioni dell’ aria il sole abbia maggior forza che verso terra. Forse il congegno delle ali di Dedal
gegno delle ali di Dedalo non era collegato dalla cera ; forse non fu che un primo tentativo d’ acreonantica. Abbiamo già d
orse non fu che un primo tentativo d’ acreonantica. Abbiamo già detto che le gesta di questi croi, per quanto inverosimili,
aimi fatti, svisati poi dalla tradizione e dalla poetica fantasia ; e che Ercole, Teseo, Dedalo ec., doverono essere beneme
benemeriti del primo incivilimento di quei popoli, sì nella politica che nell’ industria ; mentre i tiranni ed i mostri da
battuti e vinti rappresentavano il dispotismo, il vizio, l’ ignoranza che nocevano al genere umano, e impedivano l’ avanzam
la civiltà e delle arti. 88. Il qual vello altro non era in sostanza che un ricco tesoro portato da Frisso sopra una nave,
era in sostanza che un ricco tesoro portato da Frisso sopra una nave, che fu l’ ariete meraviglioso. 89. Alcuni interpreti
cuni interpreti della Mitologia non vedono altro in questa spedizione che ono dei primi viaggi mercantili per l’ acquisto d
li Argonauti l’ introduzione in Europa dell’ uccello fagiano ; c pare che lo trovassero sulle sponde del Faso, di dove, dop
ella lor patria. 90. Potrebbe esser verosimile l’ opinione di coloro che credono la Chimera essere stata una montagna vulc
di greggi di capre a mezzo, e con paludi piene di serpi alla base, e che Bellerofonte fosse il primo a renderla abitabile 
stata patria d’uomini distinti. Oltre ad Arione, vi nacque Terpandro, che oggiunse alcune corde alla lira, e co’suoi melodi
ella poetessa Saffo. 92. Era d’Argo, e fidava tanto nella sua forza che andava dicendo di voler prendere Tebe anche a dis
: Io brucerò Tebe. 93. Questi fu un giovine prode, amabile e bello, che seppe cattivarsi il cuore di tutti per la sua sav
nella pianura del Mendere, fra l’ Ida e il mare. 96. La descrizione che Omero fa dei baasirilievi dello scudo d’ Achille
e. …………………. Vi senlse posela un morbido maggese Spazioso, ubertoso, e che tra volla Del vomero la piaga avea sentito. Molti
lla Stimolaado I giovenehl. E coma al capo Ginngean dei solco, no nom che giva ia volla, Lor ponea nelle man spomanla un na
n gli occhi umidi di pianto. Acasto suo suocero prese questo ritratto che era la caosa di tanla afflizione, e lo feco arder
una certa molla nascosta per farla muovere come una marionetta, cosa che ispirava molta venerazione nelle pinzochere troja
venerazione nelle pinzochere trojane. 101. Alcuni sono di sentimento che questi antropofagi abitassero la Campania ; ma è
ti antropofagi abitassero la Campania ; ma è piu probabile il credere che fossero popoli rozzi dell’uno o dell’altro paese,
osi dei compagni d’ Ulisse in maiali è forse un avvertimento a coloro che vivono dimentichi dell’essere proprio, come si ri
mentichi dell’essere proprio, come si rileva da uno squarcio di Dante che riporteremo nel seguito degli avvenimenti d’ Ulis
adre d’ Ulisse. 104. Enea pose il nome a Gaeta dalla propria nulrice che ivi lasciò sepolta. 105. Per compagnia. 106. I
agnia. 106. I suoi segni. Intende delle cosi delle colonne d’Ercole, che sono il monte Abila in Affrica e il monte Calpe i
ale a questa piceola vigilia de’vostri sensi (alla vostra corta vita) che è del rimanente (che vi rimane) negar l’ esperien
vigilia de’vostri sensi (alla vostra corta vita) che è del rimanente ( che vi rimane) negar l’ esperienza del mondo senza ge
enza del mondo senza gente (negare di conoscere l’emisferio terrestre che è privo d’abitatori) dietro al sol (camminando se
111. Dirigendoci sempre da manca. 112. Spento. Erano già cinque mesi che ec. 113. Quel nostro rallegrarsi. 114. A second
chi istanti furon visti giacere l’un sull’ altro, e spirare nel tempo che si studiavano di soccorrarsi scambievolmenta. Int
tesso male, e quasi nel medesimo tempo, languivano intorno ella madre che non sapeva come salverle, e che le vide morire in
tempo, languivano intorno ella madre che non sapeva come salverle, e che le vide morire in poche ore. Quando poi le recaro
estinta sua prole. L’eccesso del dolore la rese muta e impassibile sì che poteva essere paragonata ad uno scoglio flagellat
. Chiamavansi Esperidi perchè posti verso quella parte dove credevano che il sole si coricasse al giungere della sera. Da q
ia (mantis, indovino, gr.). 128. Come ognun sa, è Virgilio mantovano che parla a Dante, e gli dimostra gli spiriti inferna
tutte le risposte (o responsi) fatte agli uomini dagli Dei, non meno che i luoghi dove andavano a chiedere queste risposte
che i luoghi dove andavano a chiedere queste risposte, e le divinità che vi erano consultate. Gli antichi ricorrevano agli
cingersi alle grandi imprese, e nei più piccoli affari domestici, aia che si trattasse di dichiarar guerra, concluder pace,
li ; ma sempre fondate sul doppio senso o sull’ ambiguità di sentenze che potevano essere interpretate in più modi ; insomm
l Disco era una piastra di ferro, di rame o di sasso, e vinceva colui che stando ritto in equilibrio con un piede aulla pun
uochi. 142. Circolo immaginato a contrassegnare nel cielo il viaggio che fa la terra girando intorno al sole nel periodo d
8 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
pre più raffinate comparveto e degne d’ammirazione ; non v’ ha dubbio che a’ giorni nostri, piucchè in altro tempo mai, cos
la venustà, l’eleganza, e’l buon gusto così oramai se ne accrebbero, che nuove del tutto potrebbono giudicarle l’Età trasc
esse fosse da risguardarsi come a tale grado di perfezione ridotta ; che più non abbisognasse di lavoro alcuno. Tale per c
non venne fin’ora osservata dalla maggior parte di quegli Scrittori, che nella nostra Italiana favella ci trasmisero la se
lla ci trasmisero la serie de’ vetusti Favolosi avvenimenti. E’ vero, che questi, qualora sieno alfabeticamente esposti, po
i occhi di chi or l’uno or l’altro vuole separatemente conoscere ; ma che altro riesce poi la lettura de’ medesimi, se non
, e nojosa a chiunque imprenda a coltivarla secondo quella relazione, che gli stessi Fatti hanno tra loro ? Era dunque nece
lazione, che gli stessi Fatti hanno tra loro ? Era dunque necessario, che le Favole eziandio a tale sistema si riducessero,
a tale sistema si riducessero, per cui cosi concatenate risultassero, che potessero acquistarsi il nome di Mitologica Istor
lcuni già si fece ; ma l’opra loro non è poi così abbastanza compita, che non ci lasci privi di molte e molte interessanti
nti cognizioni. Al difetto loro pertanto tentai di supplirvi io : non che abbracciando siffatto argomento in tutta la sua e
ordine, non omettessi nel tempo stesso di soddisfare anche a quelli, che bramosi di leggere o questa solamente o quella, n
on cui si onoravano que’ pretesi Numi ; gli Oracoli e le Divinazioni, che si riconobbero dalle Pagane Genti ; I Sacerdoti,
altre filologiche nozioni verranno quà e là indicate, in guisa però, che non resti mai violata quell’unità di disegno, a c
hiesa per intendore quanto eglino piangevano sull’esecrande laidezze, che i Poeti andavano narrando de’ loro Numi, e ch’egl
essi non potevano non avere altamente in orrore. Era d’uopo pertanto, che con inflessibile severità distinguendosi l’utile
se ne risvegliava la piacevole ricordanza di quello. Questo è ciò, di che c’instruiva anche M. Rollin, quando trattava dell
ppunto lo scopo spezialissimo, a cui tende quest Opera. Vedrà ognuno, che quanta dili genza quì si coltiva, onde non omette
ute, quando il descriverle altro effetto non avesse avuto a produrre, che la funesta depravazione dello spirito. Nè fia che
e avuto a produrre, che la funesta depravazione dello spirito. Nè fia che la taccia d’imperfezione sia per derivare alla pr
indifferentemente a tutti, e dove tutti credettero di scuoprirvi ciò che le loro idee, o i loro particolari sistemi li con
crizioni ? La Pagana Teologia non è agli occhi delle persone sensate, che un tessuto di stravaganti idee, e un cumulo (come
cumulo (come dice il saggio Fontenalle) di menzogne non meno strane, che manifeste. Il volerne rintracciare la spiegazione
manifeste. Il volerne rintracciare la spiegazione sarebbe lo steaso, che voler costituirsi interprete de’ sogni di chi del
te de’ sogni di chi delira. La migliore spiegazione (soggiunge Heyne) che far si possa delle Favole, è quella di presentarl
i nella presente Opera incerte interpretazioni, migliore impresa fia, che si coltivi (per quanto però è possibile) la sempl
r quanto però è possibile) la semplice concatenazione delle materie ; che alla castigatezza del linguaggio si attenda nell’
ie ; che alla castigatezza del linguaggio si attenda nell’esporle ; e che inviolabilmente si osservino le leggi e i riguard
nte si osservino le leggi e i riguardi dell’onestà rapporto a quelle, che si oppongono alla purezza de’ costumi. Tutto ciò
za de’ costumi. Tutto ciò premesso, non mi resta a desiderare, se non che questo mio, qualunque siasi lavoro, a cui lio da
e siasi lavoro, a cui lio da varj anni consecrato i ritagli di tempo, che le altre occupazioni della vita mi lasciavano, po
i tutte le cose. Quindi in tale esecrando eccesso di follia ei cadde, che non isdegnò di ammettere con apertissima contradd
ne, nè ebbe in orrore di tributare alle più vili creature quel culto, che soltanto dovea al Creatore. Pare, che gli Astri s
e più vili creature quel culto, che soltanto dovea al Creatore. Pare, che gli Astri sieno stati il primiero oggetto dell’ I
i, tutto in somma si tenne per Dio, tranne il vero Dio. Varrone dice, che il numero de’ falsi Numi ascendeva a trenta mila 
l numero de’ falsi Numi ascendeva a trenta mila ; e Plinio soggiunge, che più Dei si adoravano da’ Gentili, di quel che uom
a ; e Plinio soggiunge, che più Dei si adoravano da’ Gentili, di quel che uomini v’avesseto sulla terra. Le tante e sì dive
con sicurezza chi di sì enormi delirj ne sia stato l’autore. Certo è, che l’Idolatria è quasi così antica, come lo è il mon
i fuori di ogni dubbio, ch’essa con tale e sì ampio corso si diffuse, che quelle sognate Deità ben presto si acquistarono q
arono quasi da per tutto immensa turba di adoratori. Queglino stessi, che saggi Filosofi erano creduti, mentre internamente
della Grecia e del Lazio. Gli Ateniesi aveano loro alzato un altare, che appellavano l’altare de’ dodici(d). In onore degl
uoghi più spezialmente si onoravano. Gli altri poi non erano venerati che presso alcuni popoli, e quindi si denominarono Ep
di loro gli Dei Novensili, e questi al dire di Varrone erano quelli, che da’ Sabini si trasferirono in Roma, e a’ quali il
). Servio poi per Dei Novensili intende gli Eroi e gli altri mortali, che per le loro esimie gesta meritarono di essere ann
ere annoverati tra gli Dei(d). Più verisimile però sembra ad Arnobio, che i Romani, siccome dopochè aveano conquistato un p
la sua Teogonia, ossia Canto intorno alla generazione degli Dei, dice che dal Caos(1) uscitono l’Erebo(2) e la Notte, da’ q
scitono l’Erebo(2) e la Notte, da’ quali si produssero Urano e Titea, che i Latini chiamarono Cielo e Terra, e i quali gene
Mnemosine, Giapeto(4), Febe, Teti, e Saturno(b). Comunemente dicesi, che dal nome della loro madre i maschi vennero chiama
la diede a Saturno, ond’ egli insieme co’ Ciclopi(5), suoi fratelli, che da Urano erano stati rinchiusi nel Tattaro(6), ne
di Titano, e di Giapeto ; ma poi lo ritenne il solo Saturno a patto, che non lasciasse vivere alcun figliuolo maschio, aff
a, perchè da Urano e da Titea riguardo al suo Destino(8) aveva udito, che uno de’ proprj figli lo avrebbe scacciato dal reg
ato bambino, e secondo il solito la divorò(a) (9). Una certa bevanda, che poi Meti, figlia dell’ Oceano e di Teti, gli somm
, fece sì, ch’ egli restituisse di nuovo alla luce tutti i figliuoli, che avea divorati(b). Titano ne venne in cognizione,
1), re degli Aborigini(12), i quali abitavano quella parte d’ Italià, che poi si denominò Lazio dal verbo Latino latere, na
Giano in ricambio lo associò al suo regno : e per indicare ciò, volle che in una parte delle monete fosse impressa la sua i
se impressa la sua immagine a due faccie(13), e nell’ altra una nave, che ricordasse quella, su cui Saturno avea approdato
rj figili(d). Eravi un’ Ara antichissima, a Saturno eretta nella via, che conduceva al Campidoglio. Al dire di Festo correv
lla via, che conduceva al Campidoglio. Al dire di Festo correva fama, che la medesima fosse stata innalzata dagli Epei, com
l fine, al quale ogni cosa si riduce dal medesimo(b). Plutarco vuole, che dalla falce si ricordi, che gli uomini appresero
i riduce dal medesimo(b). Plutarco vuole, che dalla falce si ricordi, che gli uomini appresero da Saturno a coltivare la te
Numa Pompilio fu il primo ad alzarle in Roma un tempio(g), e comandò che in quello dovesse sempre ardervi il fuoco, perchè
comandò che in quello dovesse sempre ardervi il fuoco, perchè credeva che dalla perpetuità del medesimo avesse a dipendere
i smorzava, se ne traeva infausto presagio, nè si poteva riaccenderlo che con ispecchi opposti al Sole(i). Esso però si rin
rte del medesimo, ove si custodiva il Palladio(b) (5). Ne’ sacrifizj, che si facevano alla Dea Vesta in Roma, conveniva usa
e, fu appellata Ope, perchè quelle si hanno dalla terra(n). Il primo, che nel Campidoglio le fabbricasse un tempio, fu Tazi
timo degli Dei, cui adorò l’ Egitto(11). Iside aveva certi Sacerdoti, che si diceano Isiaci, i quali menavano una vita assa
tra’ loro Numi(e). Nel Campidoglio v’ avea un tempio, sacro sì a Lei, che a Serapide(12). Sotto il Consolato di Pisone e di
re Comodo di nuovo venne introdotto(f). E’ celebre il grande affetto, che Iside dimostrò ad Ifide. In Festo, Città dell’ Is
rreprensibile. Egli, vedendo gravida Taletusa, sua moglie, le ordinò, che se partoriva una femmina, la uccidesse, poichè mo
se partoriva una femmina, la uccidesse, poichè mon avrebbe avuto con che sostenerla. Nacque una bellissima bambina ; ma Te
s’ avvide ch’ era divenuta uomo. Fece subiro costei ritorno all’ ara, che poc’ anzi avea lasciatas v’ offrì un sacrifizio,
rifizio, e’l dì sequente prese Giante in isposa(a) (13). Tra i molti, che si consecrarono al sacerdozio di Cibele, sono pur
oro Dea beveano al fiume Gallo. Divenivano allora furibondì per modo, che perfino si facevano eunuchi. Quindi appresso i Gr
o Coribanti, ossia agitati da sacro furore (b). Strabone(c) poi vuole che sieno stati così detti dall’ agitare che facevano
e (b). Strabone(c) poi vuole che sieno stati così detti dall’ agitare che facevano il capo, mentre ballavano, e in mezzo il
uono di timpani e altri musicali stromenti orribilmente urlavano : lo che avveniva al tempo delle loro Feste. Eglino vestiv
ano alla foggia delle donne, e andavano quà e là mendicando, fingendo che Cibele si cibasse di ciò che veniva loro offerto 
e andavano quà e là mendicando, fingendo che Cibele si cibasse di ciò che veniva loro offerto : dal che acquistarono anche
, fingendo che Cibele si cibasse di ciò che veniva loro offerto : dal che acquistarono anche il nome di Matragirti, ossia r
higallo. Questi cingeva in capo una mitra, al collo una gran collana, che gli discendeva sino al petto, e da cui pendevano
Cibele lo avea poi stabilito preside a’ suoi sacrifizj, a patto però che avesse doveto sempre viversene casto. Egli non is
angaro, e però detta Sagaritide, o Sangaride ; dalla quale ebbe Lido, che diede il nome alla Lidia, e Tirreno, che lo diede
ide ; dalla quale ebbe Lido, che diede il nome alla Lidia, e Tirreno, che lo diede a’ Tirreni(b) (15). La Dea ne prese vend
isperazione darsi la morte, ma Cibele lo convertì in Pino(16), albero che fu poscia a lei consecrato(c) (17). Quindi una de
o che fu poscia a lei consecrato(c) (17). Quindi una delle ceremonie, che si praticavano nelle Feste di Cibele era il porta
ta ceremonia si appellava Dendroforia ; e Dendroforo dicevasi quegli, che portava l’albero(d). Gli anzidetti Sacerdoti oltr
Isola di Creta, ove poscia si trasferirono(e). Altri poi pretendono, che sieno stati detti Cureti dal nome Greco curà, ron
o ministero, dieci per esercitarlo, e dioci per addestrarvi le altre, che vi si sostituivano. Il loro principale dovere era
iuto il predetto corso dei trenta anni, potevano maritarsi(a). Colei, che frattanto cadeva in malattia si affidava dal Somm
macine di corone(d). I Libri Sibillini(21) aveano predetto a’ Romani, che il loro Imperio sarebbesi conservato, e sempre pi
tà, e la ottennero ; ma riposta la stessa sopra un naviglio, avvenne, che il medesimo d’improvviso si arrestò alle foci del
riprese tosto il cammino(a). Gli Oracoli avevano altresì dichiarato, che Cibele fosse ricevuta in Roma dal più onesto citt
onsisteva nel lavare il simulacro di Cibele nel piccolo fiume Almone, che trovavasi suori della Porta Capena(d). Le Feste I
funebre. Ciascuno innanzi al simulacro di Cibele faceva pompa di ciò che aveva di più prezioso. Tutti vestivano a loro cap
desime. Quel re dell’ oracolo di Fauno, di cuì parleremo altrove, udi che per far cessare quelle desolazione conveniva plac
si diede anche le scettro in mano. Le torri sul di lei capo indicano, che Cibe le fu la prima, che insegnò a fortificare le
in mano. Le torri sul di lei capo indicano, che Cibe le fu la prima, che insegnò a fortificare le città co mezzo di quelle
e) (22). Lo scettro finalmente nella dillei mano allude alla potenza, che sogliono conferire le ricchezza e gli altri prodo
i la venerarono come la Dea tutelare de’ campi(1), perchè fu la prima che insegnasse la maniera di seminare le biade per so
assai penoso. Giunta ad Eleusi, si sentì talmente stanca e assetata, che si appressò ad una capanna per ricercarvi dell’ac
igia. Se ne offese la Dea, e lo cangiò in lucertola(f). Altri dicono, che Metanira abbia accolto Cerere in casa sua, e che
la(f). Altri dicono, che Metanira abbia accolto Cerere in casa sua, e che la Dea abbia nell’indicato modo castigato Abante,
icoli racconti(a). La Dea per ricompensare quel re dell’ accoglienza, che le avea fatto, prese ad allevare il di lui figliu
sino a quel tempo ignota a tutti gli uomini(f). La Dea inoltre volle, che i di lui discendenti, chiamati Fitalidi, presiede
ui figliuoli, appena nati, morivano, si offerse di allevargli quello, che in que’giorni era comparso alla luce. Visse il fa
o ad unirsi in matrimonio con Crisorte. Plemneo, venuto in cognizione che Cerere era una Dea, le eresse un tempio(b). Si ab
il quale, trasformatosi in cavallo, la rendette madre di una figlia, che fu nominata Era(c). Altri dicono che Cerere in qu
la rendette madre di una figlia, che fu nominata Era(c). Altri dicono che Cerere in quella circostanza abbia partorito un c
stanza abbia partorito un cavallo, di cui poscia così se ne vergognò, che copertasi di nera veste, e fuggendo l’aspetto deg
iove de Pane, il quale aveala trovata nell’ Arcadia, spedì le Parche, che colle preghiere la placarono(d). Troppo lungo sar
a Proserpina in quelle acque. La riconobbe la Dea, nè pose in dubbio che la figlia sua fosse stara rapita. Alzò frattanto
i figliuola sedere in trono sposa di Plutone (a). Pausania soggiunge, che fu la Ninfa Crisantide quella che indicò il ratto
di Plutone (a). Pausania soggiunge, che fu la Ninfa Crisantide quella che indicò il ratto di Proserpina a Cerere, quando qu
a cangiato in Gufo, uccello annunziatore di funesti eventi. Sembrava, che per Cerere dovesse essere perduta ogni speranza d
sere perduta ogni speranza di ricuperare la figlia ; ma Giove fece sì che per sei mesi dell’ anno la avesse appresso di se
veva un augustissimo tempio e una statua, con tale artifizio formata, che chi la mirava, o credeva di vedere Cerere stessa,
o (a). Fu denominata Empanda, perchè somministrava del pane a coloro, che si rifugiavano nel di lei asilo (b) (11). Si diss
ro matrone (e). Il nome di Raria le derivò dal campo Rario in Eleusi, che fu il primo ad essere seminato da Trittolemo (f).
nome di Misterj, perchè in esse tutto era mistico. Dicesi da alcuni, che sieno state istituite dalla stessa Cerere ; altri
vicino al pozzo, detto Callicoro, ossia bella danza, da’ balli sacri, che vi facevano le donne in onore di questa Dea. Non
appellavano Misti, ed Efori ; ovvero Epopti, ossia ispettori, quelli, che lo erano alle maggiori (b). I primi stavano solam
V’ erano ammesse anche le donne sotto il nome di Melisse. Credevasi, che l’essere fatto partecipe di questi Misterj produc
do era divenuta lacera, nè si poteva più usare (e). Altri poi dicono, che la stessa veste dopo l’ iniziazione si consecrava
iazione si consecrava a Cerere e a Proserpina (f). Vuolsi finalmente, che le predette Feste minori sieno state introdotte i
le maggiori (g). Le Misie furono così dette da un certo Misio Argivo, che dedicò a Cerere un tempio in un luogo alquanto di
ito ad esse eravi anche un Sacerdote, detto Stefanoforo dalla corona, che portava in capo. Al tempo di tali Feste le predet
evano allora preci a Cerere, a Proserpina, a Plutone, e a Calligenia, che secondo alcuni fu nutrice, e secondo altri sacerd
ueste, vestite a bianco, portavano delle torcia accese, nè mangiavano che la sera, perchè così avea fatto Cerere, quando ri
uirono per comando di un certo vate, chiamato Autia, il quale asserì, che quello era il solo mezzo di placare la Dea, che a
tia, il quale asserì, che quello era il solo mezzo di placare la Dea, che affliggeva tutta la Grecia colla fame. Cerere put
iva qualche tempo dopo la semina (b). Dionisio d’Alicarnasso pretendo che sia stata introdotta dal re fullio (c). Le Ambarv
s, molestia, celebravasi appresso gli Ateniesi in memoria del dolore, che Cerere ebbe a soffrire per la perdita di sua figl
imo spezialmente quello d’Eleusi. Il medesimo si riputava così sadro, che con pelli d’animali se ne cuopriva il pavimento,
e cuopriva il pavimento, affinchè nol profanassero i piedi di coloro, che aveano commesso qualche delitto. Tre erano i prin
e si chiamò Cerice, ossia Banditore, perchè egli intimava a’ profani, che si allontanassero dal tempio (c). E’ celebre il c
iarl col mezzo della Fame. Non conveniva però, nè permetteva il Fato, che la Fame si unisse con Cerere ; quindi costei per
do alcuno l’interno suo martirio. Di tutti i suoi beninon gli restava che una figliuola, di nome Metra, e questa pure egli
si. Ella però, de mal comportava di vivere in servitù, pregò Nettuno, che ne la liberasse. La compiacque il Nume ; e cambia
a primiera forma di donna ; ed Erisittone, avvedutosi del privilegio, che godeva la figlia, di tramutarsi, di nuovo la vend
corno dell’abbondanza. Questo fu così denominato, perchè si credeva, che ne uscisse tutto ciò, che poteasi desiderare (c) 
esto fu così denominato, perchè si credeva, che ne uscisse tutto ciò, che poteasi desiderare (c) : ed esso quindi simbolegg
e poteasi desiderare (c) : ed esso quindi simboleggiava l’abbondanza, che questa Dea recava alla terra. Cerere finalmente c
a perdita di Proserpina, nè potendo addormentarsi, usò di quel fiore, che ha l’ittività di conciliare il sonno (d). Giov
l figliuolo di Saturno e di Cibele. Costei, per sottrarlo alla morte, che Saturno, come abbiamo esposto, gli avrebbe dato,
ndo di sacrificare, e strepitando con cembali e timpani, facevano sì, che Saturno non potesse udire i vagiti del Nume bambi
riferirci da chi Giove sia stato nutrito e allevato. Lattanzio dice, che ne furono incaricate Melissa e Amaltea, figlie di
e di latte di capri (c). Apollodoro, Grammatico Ateniese, soggiunge, che altre due figliuole di Melisseo, le quali furono
esero a pascerlo col latte della capra Amaltea (d). In Igino leggesi, che la nutrice di Giove fu Adamantea ; che questa sos
Amaltea (d). In Igino leggesi, che la nutrice di Giove fu Adamantea ; che questa sospendeva la culla del bambino a’ rami di
lla del bambino a’ rami di un albero, onde poter affermare a Saturno, che il di lui figliuolo non trovavasi nè in cielo, nè
i figliuolo non trovavasi nè in cielo, nè sulla terra, nè in mare ; e che finalmente ella, acciocchè non si udissero le di
omina tra quelle una Ninfa del monte Ida in Creta, chiamata Cinosura, che fu da Giove convertita in una stella dello stesso
Giove convertita in una stella dello stesso nome (c). Altri vogliono, che lo abbia nut ito un’ aquila col nettare (d) (2).
he lo abbia nut ito un’ aquila col nettare (d) (2). Altri pretendono, che il Nume abbia ricevuto il suo primo alimento da c
il suo primo alimento da certe Colombe (e) : altri dalle Api (f) ; e che Giove abbia per questo cangiato il loro colore, i
prima era di ferro, in quello d’oro (g) (3). V’è finalmente chi dice, che Giove sia stato allevato da Celmo, uno degl’ Idei
ce, che Giove sia stato allevato da Celmo, uno degl’ Idei Dattili ; e che questi, per aver detto che il Nume era mortale, n
evato da Celmo, uno degl’ Idei Dattili ; e che questi, per aver detto che il Nume era mortale, ne fu cangiato in diamante (
rra (i). Ma la grandezza e la tranquillità degl’Imperj non si ottiene che cou molti stenti e somme inquietudini (l). Anche
tto la figura di varie piante e animali (b) (5). Correva fama allora, che niuno degli Dei avrebbe potuto vincere que’ nemic
ndi seppellì tutti gli uomini in un abisso d’acque, nè lasciò in vita che Deucalione, figlio di Prometeo (e) (7) e re della
. Deucalione, allora offrì solenni sacrifizj in un magnifico terupio, che eresse a Giove(8). Pirra poi ebbe da Deucalione d
figliuoli, Anfittione (b) ed Elleno(c), e una figlia, Protogenia (d), che fu da Giove renduta madre di Etlio, padre di Endi
(f). Niente si sa di certo intorno all’origine di essi. V’è chi dice che uno de’Dattili, di nome Ercole, trasferitosi con
tuzione a Giove stesso, dopochè egli disfece i Titani ; e soggiuagono che Apollo rimase allora vincitore di Mercurio nella
r autore Pelopida ; e dicono, ch’egli li celebrò per onorare Nettuno, che gli avea fatto conseguire in moglie Ippodamia, fi
amia, figlia di Enomao, come più diffusamente vedremo. Altri vogliono che sieno stati instituiti da Ercole, figlio di Alcme
in onore di Pelope, da cui egli traeva origine per parte di madre, e che i medesimi, essendo stati per qualche tempo sospe
poi rinovati da Ifito o Ificlo, figlio di Ercole (a). Altri narrano, che Ercole li introdusse per onorare non Pelope, ma G
a tal legge una donna d’Elea, chiamata Callipatera. Costei, sapendo, che le donne venivano precipitate da una rupe, qualor
vennero rinovati da Ifito, fu pure l’Epoca degli Ellanodici, ministri che presiedevano agli stessi spettacoli. Eglino erano
i agli Atleti prima di ammetterli a que’ Giuochi, e il farli giurare, che avrebbono osservate le leggi prescritte. Gli Ella
Senato d’Olimpia, giudice supremo de’ Giuochi (a). Notiamo per ultimo che i Giuochi Olimpici furono di nuovo int rrotti a’
Giuochi Olimpici furono di nuovo int rrotti a’ tempi di Corebo(b), e che si ristabilirono da Climeno, figlio di Arcade, un
l’altare del Nume orzo mescolato con frumento. Tostochè uno de’ buoi, che dovei servire di vittima, mangiava di quel grano,
ote con una scure feriva quell’animale, e davasi alla fuga. Queglino, che vi assistevano, chiamavano in giudizio la scure,
n giudizio la scure, la condannavano ad essere spezzata, e giudicando che il bue non avesse più a sopravvivere, di comune c
sopravvivere, di comune consenso lo sacrificavano (f). Altri dicono, che il predotto grano si riponeva sopra un trepiede,
). Altri dicono, che il predotto grano si riponeva sopra un trepiede, che intorno ad esso si facevano girare dei buoi, e ch
sopra un trepiede, che intorno ad esso si facevano girare dei buoi, e che il primo di questi, il quale toccava quel cibo, v
onduceva i buoi, l’altro li feriva, e il terzo li sacrificava. Vuolsi che l’origine di tal ceremonia sia stata questa : un
varono, ov’ era in ispezial modo venerato ; altri da’ diversi popoli, che ciò facevano ; ed altri dalle beneficenze, ch’ eg
ei, e di tutti gli uomini (b). Gli si diede il nome di Statore, ossia che ferma, perchè Romolo, combattendo co’ Sabini, ed
r rimanerne vinto, invocò Giove, acciocchè fermasse i di lui soldati, che cominciavano a darsi alla fuga. Si credette, che
se i di lui soldati, che cominciavano a darsi alla fuga. Si credette, che fosse stata esaudita la preghiera ; e Romolo alle
na picca nella destra, e un fulmine nella sinistra. Narrasi innoltre, che il Console Flaminio, marciando contro Annibale, c
mpio nel Campidoglio, in memoria di essere stato salvato dal fulmine, che colpì la di lui lettica, e uccise chi la dirigeva
dirigeva, mentre egli di notte viaggiava verso la Spagna (d). Vuolsi, che Giove siasi così denominato anche perchè dava, tu
calesie (f). Filocoro, Istorico Greco, citato da Plutarco, soggiunge, che Teseo le istituì in memoria di Ecale, donna vecch
se degli uomini. V’avea in Argo presso il tempio di Cerere un bronzo, che sosteneva le statue di Giove, di Diana, e di Mine
atue di Giove, di Diana, e di Minerva (h). Appresso Pausania leggesi, che quel bronzo rappresentava Giove Mecaneo, e che gl
esso Pausania leggesi, che quel bronzo rappresentava Giove Mecaneo, e che gli Argivi dinanzi a quel simulacro, prima d’anda
arono a Giove Olimpicò nella Città d’Olimpia il più magnifico tempio, che fu chiamato il Trono di Giove. Il Dio era ivi ass
Il Dio era ivi assiso sopra un trono, cinto la fronte di una corona, che imitava la foglia di ulivo. La stessa statua era
o, Città della Frigia, si aperse una vasta e profonda voragine. Mida, che allora ivi regnava, avvertito dall’oracolo, che q
fonda voragine. Mida, che allora ivi regnava, avvertito dall’oracolo, che quella si sarebbe chiusa, qualora vi si fossero g
dell’Epiro (a), eravi una foresta piena di quercie, da dove credevasi che il Nume desse i suoi Oracoli. Questi e per la lor
e pel modo, con cui si rendevano, erano assai famosi. Strabone dice, che questo Oracolo fu instituito da’ Pelasgi, popoli
, che questo Oracolo fu instituito da’ Pelasgi, popoli i più antichi, che abitarono la Grecia (b). Altri soggiungono, che u
popoli i più antichi, che abitarono la Grecia (b). Altri soggiungono, che una nera colomba volò da Tebe in Dodona. Quivi so
rami delle predette quercie si posò, e con voce umana fece intendere, che Giove era per istabilire ivi un Oracolo (c) (12).
ntana, parimenti sacra a Giove. Essa si denominava Anapavomeno, ossia che cessa, perchè sul mezzodì si diminuiva, e a mezza
si diminuiva, e a mezza notte cresceva. La stessa innoltre cra tale, che all’accostarsi delle fiaccole alle sue acque, le
iaccendeva estinte (d). La Sacerdotessa di quel luogo faceva credere, che il mormorio della medesima fonte fosse profetico,
ceva credere, che il mormorio della medesima fonte fosse profetico, e che Giove ne avesse a lei conferito l’intelligenza (e
giore riputazione all’anzidetto Oracolo. Si formò una statua di rame, che rappresentava Giove armato di una sferza dello st
eva colla sferza que’ vasi, disposti in sì piccola distanza tra loro, che bastava agitarne uno per dar moto a tutti, e prod
o Oracolo finalmente si consultava colle Sorti(14). Vuolsi da alcuni, che Giove sia stato denominato Ammone da un certo pas
ve sia stato denominato Ammone da un certo pastore dello stesso nome, che fu il primo ad alzargli un tempio (b). Appresso d
elle di ariete gli cuopriva la testa, e scendevagli pel dorso. Dicesi che avesse anche corna e testa dello stesso animale.
d’accordo riguardo alla ragione di tale particolarità. Dicono alcuni, che Giove non volendo mostrarsi ad Ercole, suo figlio
pelle di quello, e in tal guisa gli comparve (d). Altri soggiungono, che Bacco ne’ deserti dell’Arabia, trovandosi languen
e così gli additò una sorgente d’acqua(a). Comuncue ciò sia, certo è, che non v’ebbe Oracolo, cui si facesse rispondere con
vendo il capo, accennava dove voleva andarsene ; e faceva altri moti, che interpretati da di lui Ministri, servivano di ris
n sogno, e lo consigliò a desisterne. Così avvenne ; e ciò fu motivo, che il Nume vieppiù fosse onorato (d). Dal verbo lati
ino (a). Al soprannome di Elicio corrisponde quello di Epifane, ossia che apparisce, in quanto che Giove si manifestava all
Elicio corrisponde quello di Epifane, ossia che apparisce, in quanto che Giove si manifestava alla terra co’ tuoni, e con
a motivo della fame, Giove comparve a questi in sogno, e loro disse, che di tutto il frumento, il quale aveano, formassero
e soliti occhi ne aveva un terzo nel mezzo della fronte, per indic re che Giove vedeva tutto ciò, che avveniva in Cielo, in
erzo nel mezzo della fronte, per indic re che Giove vedeva tutto ciò, che avveniva in Cielo, in terra, e nell’Inferno (f) ;
tto ciò, che avveniva in Cielo, in terra, e nell’Inferno (f) ; ovvero che conosceva il presente, il passato, e il futuro (g
ssato, e il futuro (g) Ebbe il nome d’Itomete, perchè si pretendeva, che le Ninfe, Itome e Neda, lo avessero nascosto nell
dette Itomee, nelle quali i Musici tra loro gareggiavano (b). Dicesi che Aristomene, cittadino di Messene, abbia sacrifica
a perpetuità, propose di alzare a Giove sul predetto monte un tempio, che dovesse essere ad essi comune, e dove tutti gli a
o titolo aveva in Roma un altare nel tempio del Campidoglio, Narrasi, che l’armata di Trajano, vedendosi agli estremi della
trovavasi fuori della Porta Capena presso un tempio di Marre. Diceasi che subito dopo questa ceremonia se guiva la pioggia
ini e a’ vicini popoli alcune delle loro donne per popolare la città, che avea fabbricato ? nè avento potuto ottenernele, s
il nome di Feretrio, dal verbo latino fero, porre. Da ciò ne avvenne, che anche i di lui posteri colà vi recavano le spogli
). Domiziano impose a Giove il nome di Conservatore, perchè credette, che lo avesse salvato nella sedizione dell’Imperatore
vasto portico. Quivi eravi riposta un’ Oca d’argento, per ricordare, che le Oche aveano salvato col grido e col dibattimen
rificato, davano un lauto banchetio al Senato. Alcuni poi pretendono, che lo dessero nello stesso tempio di Giove (b). In q
ri di grande importanza (c). Di questo tempio finalmente si racconta, che Tarquinio Prisco, prima di fondarlo, ordinò, che
almente si racconta, che Tarquinio Prisco, prima di fondarlo, ordinò, che si rimovessero da quel luogo le statue degli altr
uel luogo le statue degli altri Nunti, e se ne attetrassero i tempj ; che tutti quegli Dei cedettero senza difficoltà il lo
e tutti quegli Dei cedettero senza difficoltà il loro luogo a Giove ; che solamente il Dio Termine(22), e la Dea Ebe, ricon
a, ossia Dea della Gioventù (23), non vollero cangiare situazione ; e che quindi furono lasciati entro il recinto del nuovo
e Vespasiano, l’ultima da Domiziano(a). In onore di Giove Capitolino, che avea salvato il Campidoglio dalle armi de’ Galli,
llevato dalle Ninfe, Tisoa, Neda, e Agno (d). Eravi colà una fontana, che avea il nome della terza di queste Ninfe. In temp
n un piccolo ramo di quercia. Da di là si alzava tosto una nuvoletta, che andava condensandosi, e finalmente si scioglieva
cciatori, colà si ritirava, essa era in sicuro. Finalmente credevasi, che nè gli alberi, nè gli animali, benchè fossero opp
, producessero ivi alcuna ombra di se medesimi (f). Altri poi dicono, che Giove fu detto Liceo, perchè gli Arcadi, mentre p
e abbiamo raccontato, presentò a Saturno in vece di Giove una pietra, che fu da quello divorata (c). Si chiamò Asbameo dal
allorchè se ne allontanavano. Esse riuscivano altresi dolci a quelli, che osservavano la fedeltà de’ gniramenti, e velenose
(25). Que’ di Megara eressero un tempio senza tetto a questo Dio : lo che diede motivo di chiamarlo Conio, ossia Polveroso
a quello di essere immuni da’ pericoli e disastri (e). Esichio vuole, che le Diasie si celebrassero con somma tristezza. Il
elle scellerate azioni, Agrippa, genero d’Augusto, innalzò un tempio, che fu denominato Panteon, ossia dedicato a tutti gli
l’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sì sacro, che l’uccisione d’un ospite era il più orrendo misfat
ase erano aperte a tutti, sicchè tutti potevano servirsi di ogni cosa che vi trovavano, senza però portarne via alcuna. I L
letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero della mensa, che veniva loro imbandita. Alle Dee però in vece di l
ella corse appresso i piedi delle sresse Divinità, le quali chiesero, che fosse lasciata in vita. Alzatisi di mensa i due p
anzi cangiata in magnifico tempio. Giove accordò ai duo vacchierelli, che ne divenissero i sacerdoti, e die dopo lungo trat
ro alla tomba. Erano giunti all’estremo della vecchiaja, e allora fu, che dinanzi alla porta del predetto tempio Baucide ri
un altro tentativo. Gli presentò sullamensa le membra di un giovane, che i Molossi aveano spedito agli Arcadi in ostaggio.
, e presentò amendue le pelli al Nume, affinchè si scegliesse quella, che più gli piaceva. Scelse Giove la pelle piena dell
elle piena delle ossa ; e scopertone l’inganno, talmente se ne adirò, che tolse agli uomini il fuoco (c). Prometeo allora c
ne portò un’ altra volta il fuoco sulla terra (d) (31). Altri dicono, che ne lo abbia preso per animare gli uomini, che ave
(d) (31). Altri dicono, che ne lo abbia preso per animare gli uomini, che aveva formati (e). Giove, offeso di questo nuovo
eteo, affinchè gli offrisse un vaso, il quale conteneva tutti i mali, che potevano affliggere l’uomo, e renderlo infelice.
ro sulla terra i rinchiusivi mali, nè altro restè nel fondo di quello che la speranza, unico conforto de’ miseri mortali (a
ve frattanto comandò a Mercurio, o come vuole Eschilo (b), a Vulcano, che legasse Prometeo sul monte Caucaso ad una colonna
e viscere : e affinchè fosse eterna la sua pena, Giove volle altresì, che quelle si riproducessero, onde il rapace uccello
che quelle si riproducessero, onde il rapace uccello avesse sempro di che cibarsi. In quesco sì do loroso stato Prometeo se
una delle Ore, da cui con pari tenerezza n’era corrisposto. Avvenne, che Carpo cadde nel prodetto fiume, e vi perdette la
hì di Leda, figlia di Testio, e moglia di Tindaro, re di Sparta (a) ; che cangiatosi in Cigno, finse d’essore inseguito da
che tra’ piedi Ganimede (e), per alludere alla Favola, la quale dire, che Giove si trasformò in Aquila per rapire Ganimede,
lla bocca (g) (38). Giove finalmente fu rappresentato come fanciullo, che avea appresso di se la Capra Amaltes, e le Ninfe
Titani, onde rimettere Saturno in libertà, ebbe a vedere un’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fe
e a vedere un’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fece sì che l’effigie di un’ Aquila per volere de
n’ Aquila, che gliene presagì la futura vittoria (c) : lo che fece sì che l’effigie di un’ Aquila per volere dello stesso N
tto la figura di tal volatile rapì Ganimede. Evvi finalmente chi dice che Perifa, uno de’ primi re dell’ Attica, divenuto t
, divenuto tale per l’esimia sua equità, non fece uso del suo potere, che per rendete felici i suoi sudditi, e per eccitarl
empj e altari. Così operando, talmente si rendette egli caro a’ suoi, che ancor vivente ne riscuoteva gli onori divini, ed
Giove Conservatore. Ciò talmente promosse lo sdegno del Sommo Giove, che questi voleva con un fulmine precipitarlo nel Tar
i voleva con un fulmine precipitarlo nel Tartaro ; ma Apollo ottenne, che lo stesso Nume lo cangiasse invece in Aquila, gli
glia, circondata da triplice muro. Un antico Oracolo avea dichiarato, che colui, il quale avesse potuto abbruciarne le inte
il figlio di Giove e di Semele (a) (1). Giunone, gelosa dell’affetto, che Giove dimostrava per Semele, prese le sembianze d
acque all’incauta Semele il maligno suggerimento, e lo eseguì. Giove, che prevedeva quanto era per riuscirle fatale l’inchi
del suo fulmine, e fece ritorno a Semele. Non appena costei lo vide, che ne rimase incenerita(2). Era allora gravida di Ba
te a perfezionarsi in una delle sue oscie (b) (3). Da ciò ne avvenne, che Bacco acquistò il soprannome di Pirisporo, ossia
cennato, in una coscia, e ne fece le veci di madre(a). Alcuni dicono, che Bacco sia nato in Tebe(b) ; ma la maggior patte s
oi il nome di Dionisio, per alludere nello stesso tempo al padre suo, che nel Greco Idioma si chiama Dios (c). Neppure si v
Ovidio dice, ch’ egli fu prima allevato da Ino, sorella di Semele, e che da quella venne poi affidato alle Ninse di Nisa,
omina come di lui nutrici, Ino, Autonoe, e Agave(f). Demarco scrisse, che Bacco fu educato dalle Ore (g). Luciano soggiunge
marco scrisse, che Bacco fu educato dalle Ore (g). Luciano soggiunge, che Mercurio lo pottò alle Ninfe di Nisa(h). Altri so
e, che Mercurio lo pottò alle Ninfe di Nisa(h). Altri sono di parere, che lo abbiano allevato sette figlie di Atlante, re d
Coronide, Plesaure, Pito, e Tiche o Tite(i) (4). V’ è chi asserisce, che nell’ Isola di Nasso ebbero cura della di lui inf
ia le Ninfe, Filia, Coronide, e Clida(l). Orfeo non nomina come tale, che Ippa(m). Finalmente Apollonio di Rodi vuole, che
on nomina come tale, che Ippa(m). Finalmente Apollonio di Rodi vuole, che Bacco siasi portato nell’ Isola d’Eubea appresso
Brisa, promontorio dell’ Isola di Lesbo ; o perchè egli fu il primo, che insegnò agli uomini a spremere l’ uva per fare il
rimo, che insegnò agli uomini a spremere l’ uva per fare il vino : lo che significa il verbo brisare (b). Erafiote, dalle d
j(e) ; o perchè il vino scioglie l’ animo da’ pensieri molesti, o fa, che si parli liberamente(f). Sotto questa denominazio
ngiava in pubblico, e ciascuno aveva la libertà di dire tutto quello, che voleva. Innoltre alcune vecchie, coronate d’ elle
del Nume(g). Eleleo (a) o Iacco(b) (5) o Bromio (c), dallo strepito, che si faceva al tempo delle di lui solennità, ovvero
ito, che si faceva al tempo delle di lui solennità, ovvero da quello, che sogliono fare i bevitori. Altri dicono, che sia s
ennità, ovvero da quello, che sogliono fare i bevitori. Altri dicono, che sia stato denominato Bromio dalla Ninfa, Brome o
dicono, che sia stato denominato Bromio dalla Ninfa, Brome o Bromie, che lo educò(d). Dal predetto nome di Eleleo anche le
perchè il vino produce effetti contrarj gli uni agli altri in coloro, che soverchiamente ne usano(f). Milichio, dalla voce
iesi, mentre celebravano le Feste di Bacco, talmente si ubbriacarono, che ne uccisero il Sacrificatore. Il Nume tosto li af
e alle di lui Sacerdotesse derivò il nome di Evanti(a). Altri dicono, che la voce Evio significa coraggio, o figlio, e che
ti(a). Altri dicono, che la voce Evio significa coraggio, o figlio, e che così Giove lo chiamò, quan de lo eccitava a soste
sì Giove lo chiamò, quan de lo eccitava a sostenere il combattimento, che da’ Giganti si faceva all’ Olimpo(b). Narrasi, ch
il combattimento, che da’ Giganti si faceva all’ Olimpo(b). Narrasi, che Bacco in quella circostanza siasi trasformato in
articolar modo onorato (f). Sabazj si appellarorono pure i sacrifizj, che gli si offerivano, e i di lui misterj(g) (6). Le
o (h). Le stesse da quelli si chiamarono anche Orgie(i). Erano Feste, che dall’ Egitto avea portato un certo Melampo(l) ; o
Gli uomini e le donne si coronavano allora d’ ellera. Non si udivano che voci clamorose, e forte strepito di timpani e tam
d’intorno sotto le sembianne di Satiri e di Fauni(8) (i). Un vecchio, che rappresentava uno de’ Sileni(9), assiso sopra un
L’uso delle Ceste mistiche(10) in queste Feste era solenne assai più che in quelle di qualunque altro Nume(a). Le predette
(c). In Roma poi così crebbe in tali Feste il disordine e la licenza, che il Senato le proibì sotto gravissime pene (d). Le
a sotto un’ ombrella(e). Le Brumali furono così dette dal nome Brumo, che secondo il Cantelio(f) era lo stesso che Bromio,
o così dette dal nome Brumo, che secondo il Cantelio(f) era lo stesso che Bromio, e con cui gli antichi Romani soleano chia
te per ciasoun anno(i), e continuavano un mese(l). V’ è chi pretende, che fosseso le medesime che le Liberali ; eche le une
e continuavano un mese(l). V’ è chi pretende, che fosseso le medesime che le Liberali ; eche le une e le altre si chiamasse
al contrasto con un particolare com-battimento. Timete, re d’ Atene, che lo risiutò, fu deposto, e venne eletto Melanto Me
o, e venne eletto Melanto Messenio, siglio di Neleo e di Periclimene, che lo accettò. Essendo sul punto di venire alle mani
ti senza padri ; e però si dicevano apatori : dalla qual voce vuolsi, che le anzidette Feste sieno state chiamate Apaturie(
urie(b). I Protentiesi celebravano le medesime per cinque giorni, nel che furono poi imitati dagli Ateniesi(c). Le Lampteri
te. Ciascuno de’ predetti giorni desumeva poi il nome relativo a ciò, che vi si faceva. Il primo chiamavasi pitegia, ossia
nità di Bacco. Pendione lo invitò a banchettare seco lui ; ma temendo che gli altri convitati ricusassero di bere con Orest
emendo che gli altri convitati ricusassero di bere con Oreste, ordinò che a ciascuno di quelli fosse dato un bicchiere : e
ciascuno di quelli fosse dato un bicchiere : e così tolse l’ingiuria, che avrebbesi potuto recare a quell’ ospite. In quest
elebravano di noste, correndo con torcla accese per Atene(b). Coloro, che v’intervenivano, tenevano una tazza in mano, e fa
ampie libazioni. Tali Feste si celebravano anche sul Citerone, monte, che trovavasi nella Beozia. Per la stessa ragione anc
). Tra gli Orcomenj di Beozia v’ avea di particolate in queste Feste, che le donne n’erano escluse. Quindi un sacerdote di
nuda spada le inseguiva, ed eragli permesso di uccidere tutte quelle, che poteva raggiungere. Così fece Zoilo, Sacerdote Ch
aggiungere. Così fece Zoilo, Sacerdote Cheronese. Le figlie di Minia, che uecisero Ippaso, figlio di Leucippe, e lo recaron
ano dagli Eleesi, popoli del Pelopouneso, durante le quali credevasi, che Bacco onorasse della sua presenza il luogo, ove q
bo, ascoliazin, saltar con un solo piede sopra l’otre. V’è chi crede, che coloro, i quali celebravano questa Festa, accompa
o si abbandonavano nel tempo delle Feste di Bacco(d). Pausania vuole, che sieno state dette Tiadi da una certa Tia, che fui
cco(d). Pausania vuole, che sieno state dette Tiadi da una certa Tia, che fuila prima Sacerdotessa di Bacco(e). Le sole Tia
lle ceremonie, solite a praticarsi nell’ Eroide, una delle tre Feste, che ogni arino si celebravano in Delfo(13). Tali Sace
rtigliata di frondi di vite o d’ellera(14). Edonidi poi erano quelle, che celebravano i misterj di Bacco sul monte Edone, a
i di una lunga veste, detta da’ Traci bassaride ; o dal loro gridare, che in greco esprimevasi anche col verbo bazin ; o pe
ti di Bacco il più famoso fu Coreso. Questi divenne tale per l’amore, che nutriva per Calliroe, Principessa di Calidone, da
per Calliroe, Principessa di Calidone, da cui però altro non otteneva che indifferenza e disprezzo. Ei se ne querelò con Ba
divenire un deserto, consultò l’Oracolo di Dodona ; e questo rispose, che si doveva placare lo sdegno di Bacco col sacrific
acrificargli per mano di Coreso la giovine Calliroe, o qualche altro, che avesse voluto sostituirono in vece di lei. Niuno
la Principessa all’altare ; ma Coreso, accesosi allora più d’affetto che di vendetta, rivolse contro di se medesimo il fer
ppure ella sopravvivere a lui, si privò di vita appresso una fontana, che prese poi il di lei nome(b). Fu pure a Bacco molt
o ne fece bere ad alcuni pastori dell’ Attica in sì copiosa quantità, che si ubbriacarono. Egliso stimarono di essore stati
no a terra i tirsi, e Bacco stesso si ritirò in Nasso(b). Il castigo, che n’ebbe Licurgo, fu, che Giove alle preghiere di B
cco stesso si ritirò in Nasso(b). Il castigo, che n’ebbe Licurgo, fu, che Giove alle preghiere di Bacco lo rendette cieco,
co lo rendette cieco, e lo fece morire di tristezza(c). V’è chi dice, che Licurgo avea comandato, che si tagliassero ne’ su
ece morire di tristezza(c). V’è chi dice, che Licurgo avea comandato, che si tagliassero ne’ suoi Stati tutte le viti ; ch’
; ch’egli stesso volle darne eccitamento a’ Sudditi col suo esempio ; che con un colpo d’accetta si tagliò le gambe ; e che
i col suo esempio ; che con un colpo d’accetta si tagliò le gambe ; e che gli Edonj, avendo inteso dall’ Oracolo, che sareb
ta si tagliò le gambe ; e che gli Edonj, avendo inteso dall’ Oracolo, che sarebbono stati privati del vino, Anchè fosse rim
la di lui città. L’Oracolo, consultato sopra tale disastro, rispose, che Bacco non si sarebbe placato, qualora non si foss
e, Orfe e Lico, sempre glielo impedivano. Se ne adirò talmente Bacco, che le trasportò sul monte Taiete, e le cangiò in rup
acco, che le trasportò sul monte Taiete, e le cangiò in rupi. Dicesi, che v’abbia trasferito anche Caria, e che l’abbia tra
e, e le cangiò in rupi. Dicesi, che v’abbia trasferito anche Caria, e che l’abbia trasformata in albero, che ritenne il di
v’abbia trasferito anche Caria, e che l’abbia trasformata in albero, che ritenne il di lei nome(d) (17). Certi nocchieri d
ea ivi trasportato. Dittide ne interruppe le preghiere. Acete voleva, che il giovinetto fosse posto in libertà ; ma vi si o
d’ellera, e loro impedirono l’avanzarsi nel cammino(b). Demarato dice che l’albero, i remi, e l’antena si cangiarono in ser
ve Bacco avea ricercato, e l’onorò co’sacrifizj(d). Sparsasi la voce, che Bacco s’avvicinava alle mura di Tebe, il popolo c
nteo, mal sofferendo siffatte acclamazioni, ordinò ad alcuni de’suoi, che gli conducessero dinanzi il Nume strettamente leg
ia, e la ragione, per cui egli onorava Bacco. Lo stranìero soggiunse, che Acete era il suo nome, la Meonia il paese, la con
Meonia il paese, la condizione plebea. Indi gli narrò le maraviglie, che Bacco avea operato nella di lui nave. Penteo, sci
di lui nave. Penteo, sciolto il freno ad un subitaneo furore, comandò che si traesse Acete nelle carceri, e fosse fatto cru
te morire. Stavasi per trucidarlo, quando da se si aprirono le porte, che lo racchiudevano, e si sciolsero le catene, che l
si aprirono le porte, che lo racchiudevano, e si sciolsero le catene, che lo tenevano avvinto(a). Euripide vuole, che anche
e si sciolsero le catene, che lo tenevano avvinto(a). Euripide vuole, che anche Bacco sia andato soggetto allo stesso maltr
so a Penteo, e lo fecero a brani(c). Avea intimato il sacro Ministro, che le padrone e le serve di Tebe ; abbandonato ogni
dintorui grandissimo strepito, e quelle femmine viddero con istupore, che le loro tele divenivano verdi, e fronzute a foggi
e, che le loro tele divenivano verdi, e fronzute a foggia d’ellera, e che parte di esse si convertiva in viti, parte in tra
uggirono a nascondersi ; ma in vano tentarono di sottrarsi alla pena, che sovrastava al loro delitto, poichè in un istante
un istante si videro cangiate in Nottole(a) (20). Pausania riferisce, che queste figlie di Minia divennero allora sì acciec
riferisce, che queste figlie di Minia divennero allora sì acciecate, che estrassero a sorte quale di esso tre avrebbe dato
prj figliuoli a mangiarsi dalle altre. La sorte cadde sopra Leucippe, che sacrificò Ippaso, suo figlio(b). Tra’ figliuoli d
Dio, il di cui sacrificatore prediceva l’avvenire. Pausania aggiunge, che coloro, i quali invocavano colà il Nume, venivano
quali invocavano colà il Nume, venivano in sogno avvertito de’rimedj, che doveano usare per guarire le loro malattie. Era p
ri(f), o da pantere, e talvolta da leoni o da linci(g). Virgilio dice che le redini del predetto carro crano formate di pam
nella loro Isola, lungo le rive del fiume Imbraso (b). Altri dicono, che sia comparsa alla luce in Argo, dove fu in modo p
rione, dette Eubea, Prosinna, e Acrea (f). Pausania finalmente narra, che la Dea fu allevata in Sinfalo, città d’ Arcadia,
nata in pena delle sue derisioni ad un perpetuo silenzio (c). Dicesi, che la maggior parte di quelli, che assistettero alle
ad un perpetuo silenzio (c). Dicesi, che la maggior parte di quelli, che assistettero alle anzidette nozze, fecero a Giuno
che assistettero alle anzidette nozze, fecero a Giunone dei doni ; e che l’ Esperidi(1) le presentarono dei pomi d’oro, ra
oro giardino. La bellezza di quelle frutta talmente piacque alla Dea, che mandò un dragone(2) a custodire l’albero, che ave
mente piacque alla Dea, che mandò un dragone(2) a custodire l’albero, che aveale prodotte (d). Ferecide, citato dallo Scoli
le prodotte (d). Ferecide, citato dallo Scoliaste d’ Apollonio, dice, che Giunone diede que’pomi a Giove per dote. Giunone
legare le mani con catena d’oro, la sospese in aria con due ancudini, che le pendevano a piedi (a). Gli altri Numi tentaron
i, ma non potetono mai riuscirvi (b). Ricorsero finalmente a Vulcano, che li avea fabbricati, o ne vennero soddisfatti, per
inità (g). Lamia per la sua sorprendente bellezza era amata da Giove, che la rendette madre della Sibilla Erofile. Giunone
ette madre della Sibilla Erofile. Giunone tale dispiacere no sentiva, che nun lasciavale partorire se non bambini morti. La
lasciavale partorire se non bambini morti. Lamia così se ne afflisse che perdette al fine la sua primiera avvenenza, e tan
perdette al fine la sua primiera avvenenza, e tanto divenne furiosa, che divorava tutti i fantiulli, che le si presentavan
a avvenenza, e tanto divenne furiosa, che divorava tutti i fantiulli, che le si presentavano (h). Giove, divenuto amante d’
a caligine, fatta porgere all’ improvviso, donde niuno si accorgesse, che un Nume stava conversando con una mortale(3). Giu
ervatovi quel bosco d’ Acaja oscurato da insolita : nebbia, sospettò, che colà sone istesse celato il suo marito non senza
imale, e chiese, di qual armento e pastoro egli fosse. Giove rispose, che lo avea partorito la terra. Finse, la Dea di cred
avea partorito la terra. Finse, la Dea di crederlo, e pregò il marito che a lei donasse quella giovenca sì bella. A siffatt
inchiuso. Venne finalmente il tempo, in cui Giove commise a Mercurio, che cogliesse la predetta giovenca all’ importuno cus
oi il freno all’ ira e alla vendetta, sì furibonda dette la gioventa, che questa prese a correre in più parti della terra,
re in più parti della terra, finchè si precipitò alla fine nel cuare, che dal nome di lei fu detto Jonio (a). I Poeti Greci
re, che dal nome di lei fu detto Jonio (a). I Poeti Greci pretendono, che Giunone abbia mandato a molestare Io un insetto,
estremamente traraglia i greggi (b). Tutti convengono nell’ asserire, che Giove placò Giunone, restituì ad Io la priniera f
ezza a quella ella stessa Dea. Giunone talmente agitò il loro pirito, che tutte due credettero di essere divenute iovenche,
a. Ebbe in isposa Ifianassa (a) (10) ma di ciò non contento, fece sì, che Preto cedesse un’altra partè del suo Regno, e Lis
lei in bellezza (c). Aedone e Politecno erano due sposi felici, ma da che si vantarono di amarsi piucchò Giove e Giunone, q
oglie la tessitura d’una tela. Proposero di gareggiaro, e stabilirono che chi di loro fosse per compire più presto la sua o
ndò a ricercare a Pandareo l’altra una figliuola, Chelidone, fingendo che la di lei sorella desiderasse di vederla. La otte
plorare il tristo suo destino, tali e sì pressanti ri cerche le fece, che venne in cognizione di tutte ciò, ch’erale accadu
à del marito, e si fece ad allontanare le mosche e gli altri insetti, che lo divoravano. Un’azione sì lodevole fu risguarda
avventure della famiglia di Pandareo, cangiò in uccelli tutti quelli, che la componevano (a) (12). Ferecide, citato da Apol
che la componevano (a) (12). Ferecide, citato da Apollodoro (b), dice che Giunone fece perire Sida, perchè anche questa era
nsia, di Giuga, e di Cinsia. Come Iterduca (d) o Domiduca, avea cura, che le spose si dovessero condurre alla casa de’loro
oro miriti (e). Come Pronuba, la invocarono gli sposi nel sacrifizio, che facevano prima di unirsi in matrimonio. Tale sacr
, o a piedi dell’altare, per avvertire gli sposi della dolce armonia, che sempro dovea esservi tra loro (a). Questo medesim
e proprio della Dea, di cui quanto prima parleremo, e da telos, voce, che anticamente usavasi in vece di gamos, nozze : ond
Gladiatore, la quale appellavasi curite o quirite (f). Macrobio vuole che il predetto nome le sia derivato dall’asta, cui s
sorgente naturale de la popolazione (a). Marziano Capella soggiunge, che fu così detta, perchè era spezialmente invocata d
j il mese di Febbrajo (d). Fu chiamata Opigena a cagione dell’ ajuto, che prestava alle partorienti (e). Alcuni dicono, che
agione dell’ ajuto, che prestava alle partorienti (e). Alcuni dicono, che fu così detta, perchè nacque da Ope (f). Le deriv
e di Lucezia, perchè si credeva, ch’ella conferisse la luce a quelli, che nascevano ; ovvero perchè avea il suo tempio in u
quelli, che nascevano ; ovvero perchè avea il suo tempio in un bosco, che da’ Latini chiamavasi lucus (g). A questa Dea ric
donne, ed esse al decimo mese ebbero un pronto e felice parto. Dicesi che da ciò ne sia derivato, che le donne, le quali de
e ebbero un pronto e felice parto. Dicesi che da ciò ne sia derivato, che le donne, le quali desideravano di aver prole, si
ali desideravano di aver prole, si sottomettessero a’colpi di sferza, che i Sacerdoti del Dio Pane(15) al tempo de’ Luperca
ti del Dio Pane(15) al tempo de’ Lupercali(16) davano a tutti coloro, che incontravano per istrada (h) (17). Sotto il nome
per istrada (h) (17). Sotto il nome di Unsia presiedeva all’ unzione, che faceva la sposa al pilastro della porta dello spo
consegni molti onori. Come Regina ebbe sul monte Aventino un tempio, che le fu cretto da Camillo (e). Ivi la statua della
in un luogo, di cui n’era difficile l’ingresso, e staccava uno scudo, che colà era confiscato. Un’ altra Festa di questo no
este, co’ capelli sparsi e colle tonache sino alle ginocchia. Quella, che vinceva, ridevea una corona d’ulivo, e porzione d
e di Platea nella Beozia, e il più astuto di que’ tempi, lo consigliò che formasse una statua di legno, che la vestisse pom
astuto di que’ tempi, lo consigliò che formasse una statua di legno, che la vestisse pomposamente, e che la facesse condur
liò che formasse una statua di legno, che la vestisse pomposamente, e che la facesse condurre sopra un carro per la città,
che la facesse condurre sopra un carro per la città, spargendo voce, che quella era Platea, figlia del re Asopo, cui Giove
a stracciare le vesti della supposta novella sposa. S’avvide allora, che quella era una statua, e riconomendo l’azione, co
cenere (f). Fu detta Prodromia, perchè ella pure era una delle Deità, che si veneravano prima d’ intraprendere alcuna fabbr
si nutrivano varj animali, parimenti sacri alla Dea. Plinio aggionge, che sull’ingresso di quel tempio si trovava un’ara al
due altri in Roma, uno de’ quali si fabbricò da C. Cornelio. Dicono, che i Consoli, prima di assumere la loro carica, v’ a
o non si potè mai allontanare da Samo. Persuasi finalmente i Tirreni, che fosse quello, un castigo della Dea, ne deposero a
Deità, cui essa rappresentava. Sul far del giorno Admete s’ accorse, che mancava nel tempio la statua. Subito ne diede avv
Samo. Costoco, avendola trovata sulla spiaggia del mare, credettero, che volesse fuggirsene ; e per timore che lo facesse,
spiaggia del mare, credettero, che volesse fuggirsene ; e per timore che lo facesse, la legarono con rami d’albero, finchè
a verle offerto certe focacce, la riportavano a suo luogo (a). Vuolsi che sia stata detta Feronia dalla città di questo nom
ella aveva un tempio (b) (22). Non si va d’accordo riguardo al culto che le si rendeva Orazio dice, ch’ el la venerò press
ò presso Terracina, lavandosi il volto e le mani nella fontana sacra, che scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio
sacra, che scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio racconta, che rimasto coneunto dal fuoco un bosco sacro a quest
co sacro a questa Dea, se ne volle trasportare altrove la statua ; ma che essendosi lo stesso bosco all’ improvviso coperto
o di foglie, la statua fu fasciata, dov’ era (a). Strabone soggiugne, che in quel bosco i Sacerdoci della Dea ogni anno vi
ci i Romani furono minacciati di grande terremoto Giunone li avvertì, che per allontanarlo conveniva fare un sacrifizio all
presso il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì al nome, che al tempio di Moneta. I, Romani, dio’ egli, maurav
io di Moneta. I, Romani, dio’ egli, mauravano d’argento nella guerra, che sostenevano contro Pirro e i Tarrentini. Ricorser
rentini. Ricorsero supplichevoli a Giunone, colla quale rispose loro, che se avessero combattusto con coraggio, neppure l’
celebraro tra loro una festa, e talmente ubbriacarono quelle truppe, che le medesime caddero tutte in profondo sonno. Le d
lle Matrone Romane (b). Ebbe il nome di Lanuvia per cansa del tempio che aveva in Lanuvio, città del Lazio. Numerose genti
Consolato, doveano recarsi a venerare Giunone Lanuvia. Cicerone dice, che ivi la Dea era vestita di una pelle di capra, arm
stata finalmente appellata Argolica (f) o Argiva dal culto speziale, che le si rendeva in Argo. Quivi aveva un tempio(24),
culto speziale, che le si rendeva in Argo. Quivi aveva un tempio(24), che poi nestò connimato dalle fiamme(25). Era pur cel
agli assistenti. Se guiva un corpo di giovani Argivi, coperti d’armi, che deponevano prima d’avvicinarsi all’altare. Finalm
scrive : alcuni prodigi comparvero in Italia. I Pontefici ordinarono, che ventisette giovani, divise in tre achiere, andass
A questo avvenimento si consultarono gl’Indovini, i quali risposero, che le Dame Romane doveano placare la sorella di Gìov
. Giunone fu altresì onorata in Olimpia e in Cartagine. Si pretendeva che la Dea avesse presieduto alla costruzione di ques
deva che la Dea avesse presieduto alla costruzione di questa città, e che la proteggesse al pari dell’Isola di Samo. Avea i
proteggesse al pari dell’Isola di Samo. Avea ivi un tempio magnifico, che Didone aveva ornato di pitture, le quali rapprese
etto, regna nell’ Inferno(a) (1), di cui è bellissima la descrizione, che ce ne dà Virgilio(b). Due porte, dic’ egli, ha l’
, denominata Campo delle lagrime ; e quivi giacciono quegl’ infelici, che morirono consunti dall’ amore. S’incontrano posci
’ amore. S’incontrano poscia i condannati a ingiusta morte, e quelli, che , stanchi delle miserie di quaggiù, spontaneamente
ti dagli Eroi. Quì la strada apresi in due : alla destra v’ è quella, che conduce alla Reggia di Plutone, e a’ Campi Elisj,
e riserbati alle sole anime virtuose(18) ; alla sinistra avvi quella, che mette all’ orrida carcere, detta il Tartaro(19),
il quale per unirsi a colei erasi convertito in fiamma(a). I Giganti, che Giove aveva dopo la sua vittoria seppellito sotto
ito sotto il monte Etna, facevano ogni sforzo per liberarsi dal peso, che li opprimeva ; e le scosse, che nel muoversi dava
o ogni sforzo per liberarsi dal peso, che li opprimeva ; e le scosse, che nel muoversi davano alla terra, la facevano sino
spavento perfino nel suo tenebroso regno Plutone. Temette questo Dio, che , aprendosi la terre in voragini, penetrasse qualc
condusse nell’ Inferno. Dopochè ella ivi se ne stette tutto il tempo, che sarebbe vissuta sulla terra, Plutone, per conserv
lutone Summano si attribuiscono i fulmini notturni(f). Pausania dice, che que’ d’Elide aveano inalzato un tempio a Summano,
ausania dice, che que’ d’Elide aveano inalzato un tempio a Summano, e che non ne aprivano le porte, se non una volta l’anno
no le porte, se non una volta l’anno, volendo così dare ad intendere, che una sola volta si discende all’ Inferno(g). Gli s
o da Tarquinio il Superbo, e così si denominarono, perchè si credette che la pestilenza, insorta nelle donne gravide, fosse
celebravano fuori di Roma nel Circo Flaminio, onde gli Dei Infernali, che s’invocavano, non entrassero in città(e). I Teren
l termine d’ ogni secolo si solennizzavano(h). Altri poi soggiungono, che siccome tali Giuochi si celebravano di raro, così
ccome tali Giuochi si celebravano di raro, così volgarmente si disse, che succedevano dopo ogni cento anni(i). Ne fu autore
opo ogni cento anni(i). Ne fu autore il Console P. Valerio Poplicola, che gl’ instituì per la salvezza e conservazione del
r tre giorni si celebravano con ogni genere e di giuochi sì nel Circo che nel teatro, e di sacrifizj, fatti in tutti i temp
etto da Menta, giovine amata da Plutone, e da lui convertita in erba, che conservò il di lei nome(d). Ovidio vuole, che sia
lui convertita in erba, che conservò il di lei nome(d). Ovidio vuole, che sia stata Proserpina quella, che per gelosia tras
rvò il di lei nome(d). Ovidio vuole, che sia stata Proserpina quella, che per gelosia trasformò Menta nella predetta erba(e
a(e). Lo stesso afferma anche Strabone(f). A Plutone non s’immolavano che vittime nere, delle quali si spargeva il sangue n
inaria, dice Diodoro Siculo(h), era il toro. Questo Autore soggiugne, che i Siracusani gliene offerivano di neri tutti gli
li serve di scettro, ed ha nell’ altra varie chiavi. Queste indicano, che le porte del di lui Regno sono talmente custodite
este indicano, che le porte del di lui Regno sono talmente custodite, che chi v’ entra, non può più uscirne(b). Egli finalm
fa menzione di quattro Apolli (a). Comunemente però non si riconobbe che quello, il quale nacque da Giove e da Latona (b),
adre di questo Nume, lo scacciò dal Cielo, e fece giurare alla Terra, che non sarebbe per accogliere Latona in alcun luogo,
se per divorarla. Nettuno però trasse fuori dal mare l’isola Asteria, che fu chiamata Delo(2), acciocchè divenisse sicuro a
nell’uso dell’arco, e contro il mostro anzidetto scoccò tanti strali, che lo uccise, per vendicare la madre, che n’era stat
anzidetto scoccò tanti strali, che lo uccise, per vendicare la madre, che n’era stata sì fieramente perseguitata (f). Cotal
i nove anni, e poi ognicinque giusta il numero delle Ninfe Parnassie, che si congratularono con Apollo vincitore, e gli off
Vi s’introdussero poi anche gli esercizj ginnici (f) ; e i vincitori, che pure si appellarono Pitonici, vennero poi anche r
re nell’isola di Delo, ma fu poscia trasferito in Cielo. Avvenne poi, che Giove fulminò Esculapio, figlio d’Apollo, conte p
iffusamente vedremo altrove ; e Apollo per vendetta uccise i Ciclopi, che avevano fabbricato i fulmini a Giove. Questi pert
condo altri buoi (b), e secondo Callimaco (c) cavalle. Ferecide dice, che Apollo se ne stette nella corte di quel re un sol
tò molti vantaggi ad Admeto. Rendette le di lui giovenche sì feconde, che partorivano due vitelli alla volta (f) ; e si con
si constituì il Dio tutelare della di lui casa. Ottenne dalle Parche, che Admeto, già vieino a morire, ancor vivesse, purch
meto per favore di Apollo avea conseguito in matrimonio(6), si trovò, che per prolungare al marito la vita, sacrificasse ge
lungare al marito la vita, sacrificasse genetosamente la sua (g) : lo che le meritò da Omero il soprannome di Divina (h) (7
o questo ricaduto con impeto sul capo di Giacinto, talmente lo colpì, che lo mise a morte. Apollo ne pianse l’amara perdita
mise a morte. Apollo ne pianse l’amara perdita, e lo cangiò in fiore, che porta espresse le due lettere A. I., le quali ind
ll’Olimpo, e fu venerato come una Divinità (e). Il tempio più famoso, che gli si fabbricò, fu quello di Delfo (f), per cui
il Nume conseguì anche il nome di Delfico (g). Dicevano gli Antichi, che questo tempio era stato prima costruiro con rami
tato prima costruiro con rami d’alloro, tolti dalla valle di Tempe, e che avea la forma di capanna. Soggiungevano, che le A
dalla valle di Tempe, e che avea la forma di capanna. Soggiungevano, che le Api, distrutto il primo, ne alzarono un altro
era, e di penne d’uccelli. S’inventò poi un terzo tempio, e si disse, che quello era opera di Vulcano, e ch’era di bronzo,
ntespizio, le quali davano grato suono. Tutti questi tempj non furono che immaginarj. Uno realmente n’esistette, e fu quell
allo stesso Apollo la cosa migliore per l’uomo. N’ebbero in risposta, che la attendessero dopo tre giorni. Passati questi,
o stesso tempio voleva dare i suoi Oracoli. Diodoro di Sicilia narra, che sul monte Parnasso v’avea un antro, e che in ques
. Diodoro di Sicilia narra, che sul monte Parnasso v’avea un antro, e che in questo stava aperta una voragine, ove alcuno c
cuno capro avvicinatesi furono assalite da moti convulsivi. Aggiunge, che gli abitanti de’luoghi vicini, accorsi al prodigi
o lo stesso effetto, ch’eglino cominciarono a parlare confusamente, e che le loro sconnesse parole divennero predizioni. Co
e loro sconnesse parole divennero predizioni. Conchiude col riferire, che , essendo pericolosa l’apertura di quella fossa, v
tessa. Dovea essera vergine, e di oscuri natali(f). La prima femmina, che nell’anzidetto tempio enunciò gli Oracoli di Apol
e fece parlare il Nume iu verso eroico(a). Molte furono le Pitonesse, che ne vennero appresso. Elleno da principio si scegl
lleno da principio si sceglievano tra il fiore della gioventù ; ma da che Echecrate, giovino Tessalo, rapì la Pitonessa di
, corone, e statue d’oro e d’argento di varia grandezza(14). Narrasi, che Apollo per mezzo della Pitonessa ricercò agli abi
agli abitanti di Sifno, isola del mare Egeo, la decima parte di ciò, che ritraevano dalle loro ricchissime miniere d’oro e
costruirono il medesimo tempio con molto più di magnificenza, di quel che era stato proposto dal nobile architetto Spintaro
al nobile architetto Spintaro Corintio (c). E’ pur celebre l’Oracolo, che dava Apollo sul Promontorio d’Epiro, detto Ninfeo
io d’Epiro, detto Ninfeo, perchè era conse, crato alle Ninfe. Quegli, che lo consultava, prendeva dell’incenso, e dopo d’av
re, gettava lo stesso incenso sul fuoco. Se era si per ottenere quel, che si ricercava, l’incenso restava subito abbruciato
rice di tutto il loro paese. Consultarono gl’Indovini, e ne intesero, che per farla cessare era d’uopo spedire sette fanciu
giorno del primo mese di primavera, perchè que’di Delfo pretendevano, che in quel giorno fosse nato Apollo : e quindi il Nu
gue volavano via, nè più vi ritornavano(a). Augusto dopo la vittoria, che riportò sopra Marc’Antonio e Cleopatra, e di cui
anza di questi fu poi introdotto il costume d’immolargli de’buoi : lo che da prima riputavasi nefando delitto(a). Le Galasi
siderare que’versi, come oracoli. E perchè negli stessi era indicato, che se i Romani volevano allontanare da se il nemico,
Apollo, e a Latona una giovenca colle corna dorate(a). Macrobio dice, che quando si celebrarono per la prima volta tali Giu
arono per la prima volta tali Giuochi, il Popolo Romano fu avvertito, che alcuni nemici della Repubblica si avvicinavano al
che alcuni nemici della Repubblica si avvicinavano alla loro città ; che il medesimo andò loro incontro, e li mise in fuga
desimo andò loro incontro, e li mise in fuga coll’ajuto di Apollo ; e che questi vibrò contro di loro moltissime frecce. Da
omio, ossia Pastore, per aver avuto cura delle greggi di Admeto : dal che ne derivò altresì, ch’egli fosse risguardato come
erciò detto Agieo, ossia preside alle strade (d). Pausania poi narra, che un certo Iperboreo, di nome Agieo, trasferitosi n
gaso gittò i primi fondamenti del tempio di Delfo, sacro ad Apollo, e che perciò il Nume fu detto Agieo, o Iperboreo(e). De
ata qualche vittoria(g). Anche il nome di Alessicaco significa quello che guarisce ; e come tale veneravasi Apollo spezialm
Ateniesi, perchè li avea liberati dalla peste nel tempo della guerra, che sostenevano con alcuni popoli del Peloponneso a’g
eta, per cercare altrove il loro stabilimento, udirono dall’ Oracolo, che doveano fermarsi, ove i naturali abitanti del pae
tti coloro a passare una notte lungo le rive dell’Ellesponto, avvenne che un gran numero di topi divorò i loro scudi. Il dì
a verificazione dell’Oracolo, e in quel luogo fabbricarono una città, che denominarono Smintia, dalla voce greca sminthos,
que’dintorni(d). Polemone poi, citato dallo stesso Clemente(e), dice che i Frigj alzarono anch’essi ad Apollo Sminteo un t
igj alzarono anch’essi ad Apollo Sminteo un tempio, per ringraziarlo, che i topi aveano divorate le corde degli archi de’lo
sacerdote d’Apollo, e uno de’di lui figliuoli(c) (22). Macrobio dice, che la voce didimo significa doppio, e che fu attribu
liuoli(c) (22). Macrobio dice, che la voce didimo significa doppio, e che fu attribuita al Nume, considerato come il Sole,
o, disputando la corona d’Argo a Gelanore, osservò un lupo e un toro, che contrastavano tra loro. Avendone il lupo riportat
one il lupo riportata la vittoria, Danao fece riflettere agli Argivi, che Apollo in quella guisa avea voluto dichiarare, ch
ttere agli Argivi, che Apollo in quella guisa avea voluto dichiarare, che uno straniero sarebbe per prevalere ad un cittadi
esia, e grande Indovina, come lo era il di lei padre(a) (23). Dicesi, che quella fonte siasi formata delle lagrime, che spa
padre(a) (23). Dicesi, che quella fonte siasi formata delle lagrime, che sparse la predetta Manto, quando ebbe ad osservar
rvare la sua rovina, e quella della sua patria(b). Strabone aggrunge, che chi bevea di quelle acque, contraeva la virtù di
di predire le cose future(c). E’ stato denominato Ismenio dal tempio, che avea lungo le rive del fiume Ismeno nella Beozia(
elfo vedeasi un simulacro di lupo in bronzo. V’ è però chi soggiunge, che per altro motivo gli si diede questo nome. Alcuni
al luogo, ove stava riposto il furto ; e collo zampe smosse la terra, che lo tenea coperto(f). Il nome di Spondio, che deri
o zampe smosse la terra, che lo tenea coperto(f). Il nome di Spondio, che deriva da spondì, trattato, diedesi ad Apollo, pe
Europa, cui il Nume teneramente amava ; altri da Carno d’ Acarnania, che Apollo erudì nell’ arte dell’ indovinare, e la di
endicata dallo stesso Nume con orribile pestilenza. Vuolsi da alcuni, che que’ popoli per liberarsi da tale castigo abbiano
a tale castigo abbiano instituite le Feste Carnie. V’ è chi pretende, che le abbiano introdotte i Greci, perchè aveano prov
l cavallo Trojano, di cui parleremo. Altri finalmente sono di parere, che sieno state così denominate dall’ essere stato es
tre differenti Tribù, se ne stavano notte e giorno. Esichio aggiunge, che si eleggevano altri cinqué cittadini, presi da tu
emio fu Terpandro(a). Apollo si chiamò Timbreo dal cul o particolare, che gli si rendeva in Timbra, città della Troade, ove
avea una fontana, a lui sacra, in cui vedeasi indicato tutto quello, che si desiderava di sapere(h). Saccheggiatasi l’Isol
a di sapere(h). Saccheggiatasi l’Isola di Delo, e il tempio d’Apollo, che vi si trovava, la statua di questo Dio per dispre
. Certi popoli, detti Iperborei, veneravano Apollo, perchè credevano, che nella loro Isola fosse nata la di lui madre, Lato
a consecrata ad Apollo, e abbondava di musici e suonatori. Credevano, che ogni diciannove anni il Dio discendesse tra loto,
ecero poi passare i donativi di mano in mano per mezzo di que’popoli, che si trovavano sulla strada dal loro paese sino a D
le ; finalmente secondo alcuni non mangiava mai, ed era stato quegli, che con uno degli ossi di Pelope avea formato il Pall
ebo, per alludere alla luce, the sparge per tutto il mondo, in quanto che egli è lo stesso che il Sole(b). Sotto questo asp
a luce, the sparge per tutto il mondo, in quanto che egli è lo stesso che il Sole(b). Sotto questo aspetto ebbe per padre I
appresentava il Sole. Sotto di quello se ne collocava un altro minore che indicava la Luna. Intorno di essi due ponevasi un
capo una corona d’ oro. Venivano poscia due cori, l’ uno di giovani, che stringevano in mano una bacchetta inghirlandata d
in mano una bacchetta inghirlandata di fiori, e l’ altro di donzelle, che portavano rami d’ ulivo, e cantavano un inno, det
ollo Ismenio o Galasio. L’origine di tale Festa è questa : gli Eolj ; che abitavano in Arne e ne’ luoghi circonvicini, per
sta d’ Apollo. Si fece pertanto una sospensione d’ armi, e sì gli uni che gli altri tagliarono degli allori, per portarli p
i onorare il Nume. Polemata, capo de’Beozj, vide in sogno un giovane, che lo regalava d’una intera armata, e comandavagli d
scia Arge o Argea, perchè essa, correndo dietro ad un cervo, protestò che lo avrebbe raggiunto, quand’ anche il corso di lu
lucido Dio, prese le sembbianze di Eurinome, si appressò a Leucotoe ; che con alquante serve stava torcendo lo stame. Fece,
sò a Leucotoe ; che con alquante serve stava torcendo lo stame. Fece, che quelle si allontanassero, si manifestò per quello
in matrimonio. V’ acconsentì la giovine. Clizia, una delle Oceanidi, che amava assaissimo il Sole, penetrò il fatto ; e sp
ndizione tutto quel tempo, alfine si trovò trasformata in quel fiore, che da’ Greci chiamasi Eliotropio, e dagl’ Italiani G
ti da Ovidio Piroente, Eoo, Etone, e Flegone(a). Omero non ne accenna che due, Lampo cioè, e Faetonte(b). Altri a’ questi a
o di Gordio, e re della Frigia ; e certi Argivi. Marsia(41) presumeva che niuno potesse uguagliarlo nell’ arte di suonare l
ro flauto(42). Osò di provocare Apollo a confronto, colla condizione, che il vincitore potesse trattare a piacere il vinto.
lo o di Diana, Niobe andava sgridando quelle donne riguardo al culto, che rendevano a Latona ; e tentava di persuaderle, ch
riguardo al culto, che rendevano a Latona ; e tentava di persuaderle, che una madre di due soli figliuoli, qual’ era stata
le, eccettuata Clori, la quale fu lasciata in vita(h). V’ è chi dice, che traquelle sieno sopravvìssute Melibea e Amicla, p
ea e Amicla, perchè elleno ne implorarono la protezione di Latona ; e che le medesime inalzarono a Latona stessa per gratit
a stessa per gratitudine una statua in Argo(a). Apollodoro soggiunge, che fu risparmiata la morte anche ad uno di que’ masc
, nominato Anfione(b) (44). Niobe poi, non potendo reggere al dolore, che sofferiva per la perdita de’ figli, fu dagli Dei
de’ figli, fu dagli Dei convertita in sasso(c). Scrisse Ferecide(d), che Elara, come si trovò gravida di Tizio, Giove la n
a di nutrirlo ; e quindi fu creduto di lei figliuolo(e). Igino narra, che Giunone, gelosa dell’amore, che Giove avea per La
uto di lei figliuolo(e). Igino narra, che Giunone, gelosa dell’amore, che Giove avea per Latona, comandò a Tizio, che le co
unone, gelosa dell’amore, che Giove avea per Latona, comandò a Tizio, che le conducesse dinanzi la medesima ; e che Giove i
er Latona, comandò a Tizio, che le conducesse dinanzi la medesima ; e che Giove irritato da tale violenza, colpì il Gigante
lo precipitò nel Tartaro(f). Comunemente però con Apollodoro si dice, che Tizio, avendo incontrato Latona, prese ad insulta
ro si dice, che Tizio, avendo incontrato Latona, prese ad insultarla, che colei implorò il soccorso d’ Apollo, e che questi
tona, prese ad insultarla, che colei implorò il soccorso d’ Apollo, e che questi lo uecise(g). Tizio nell’ Inferno è tormen
se(g). Tizio nell’ Inferno è tormentato secondo Igino da un serpente, che di continuo gli rode il fegato e il cuore. Virgil
te, che di continuo gli rode il fegato e il cuore. Virgilio poi dice, che un avoltojo(h), ovvero due, corne altri pretendon
ero(45). Egli, come seppe, ch’ella trovavasi appresso questo Nume, nè che il medesimo gliela avrebbe restituita, incendiò i
consecrato. Apollo per tal delitto scoccò contro di lui una freccia, che gli diede la morte(b). Pane in presenza di certe
di purpurea tiara. Con tutto ciò se ne accorse quello de’suoi servi, che gli accorciava ì capelli, quando erano lunghi : e
accorciava ì capelli, quando erano lunghi : e smanioso di pubblicare, che il suo Re aveva le orecchie asinine, ma non osand
duto(a). Certi Argivi avevano lasciato divorare da’cani un figliuolo, che Apollo aveva avuto da Psamate, figlia di Crotopo.
a in risposta gli vietò di più ritornarsone tra’ suoi. Gli soggiunse, che prendesse dal tempio un tripode, e che nel luogo,
sone tra’ suoi. Gli soggiunse, che prendesse dal tempio un tripode, e che nel luogo, ove quello fosse per cadergli di mano,
nella Megaride, il tripode gli cadde in terra. Là esoguì l’Eroe ciò, che l’Oracolo aveagli indicato ; e il vicino villaggi
itto coraggio, la rapì, se la trasportò in quella parte dell’ Africa, che poscia fu detta Cirenaica, e la rendette madre di
i nomina Aristeo(a). Ciparisso avea preso ad amare un cervò. Avvenne, che il giovine, avendo per giuoco scoccato uno strale
al fine della sua vita ne dimostrò estremo dolore, e chiese agli Dei, che gli concedessero di piangere sempre. Infruttuosa
imase la di luì preghiera, e in tal dilovio di lagrime egli proruppe, che divenne verde cipresso. Afflitto Apollo per quest
venne verde cipresso. Afflitto Apollo per questa metamorfosi, ordinò, che il cipresso fosse in avvenire simbolo di lutto, c
simbolo di lutto, ch’esso servisse d’ornamento nelle pompe funebri, e che si dovesse piantare il medesimo appresso i sepolc
te di somma riputazione, ed esimio suonatore di cetra. Virgilio dice, che Apollo gl’inseghò l’arte degli augurj, e il modo
’arte degli augurj, e il modo di conoscere l’attività delle piante, e che lo regalò di celeri frecce, e di un’armoniosissim
di Creta, spedirono al tempio d’Apollo in Delfo una capra di bronzo, che allattava due bambini(b). Apollo, per ottenere co
Apollo, per ottenere corrispondenza da Isse, si cangiò in un Pastore, che colei teneramente amava(c). Bolina, originaria d’
. Il Nume, ammirandone la virtù, le conferì l’immortalità(d). Dicesi, che Apollo, come Dio della Musica, abbia avuti molti
rsecuzioni di Giunone, sì perchè Apollo, come Dio de’Pastori, voleva, che gli fosse sacrificato il lupo, nemico delle gregg
evano dal volo e dal canto di quell’uccello(c) (55). Ovidio racconta, che Apollo, volendo celebrare una festa in onore di G
n Corvo di recargli pel sacrifizio dell’acqua, tratta da una fontana, che gl’indicò. L’uccello spiegò a tale oggetto il vol
ssersene saziato, prese un serpente, se ne ritornò ad Apollo, e finse che quello gli fosse stato d’ostacolo per avvicinarsi
ne implorò altresì l’assistenza de’Numi. Quel, ch’ella bramava, era, che o la terra la nascondesse nelle sue viscere, ovve
ellavasi, come abbiamo osservato, Ecatombe. Questa Dea era la stessa, che la Luna, Diana, e Proserpina : vale a dire ella c
erra ; e Persefone, ossia Proserpina, nell’ Inferno (a). Esiodo dice, che la Luna era figlia di uno de’ Titani, cioè d’ Ipe
l momento alla stessa fonte Atteone. Appena se ne accorsero le Ninfe, che , formata alla meglio una corona a Diana, procurar
rò ne’ suoi cani. Fuggì impaurito, ma finalmente raggiunto da quelli, che non potevano ravvisarlo pel loro padrone, ne venn
ali celebravano le Orgie di Bacco (b). Diodoro di Sicilia però vuole, che Atteone abbia incontrato tale castigo, perchè man
ivande, ch’erano state offeme alla Dea. Euripide finalmente pretende, che colui ne sia stato così punito, perchè ebbe la va
di Diana nell’arte della caccia (c) (2). Nè sarebbe da maravigliarsi, che ciò avesse potuto essere la causa del di lui cast
avesse potuto essere la causa del di lui castigo. Sappiamo da Omero, che questa Dea come intese, che anche Orione, figlio
sa del di lui castigo. Sappiamo da Omero, che questa Dea come intese, che anche Orione, figlio di Nettuno e di Brille(3), o
privò lui pure di vita(5). Ella poi se ne pentì, e ottenne da Giove, che colui fosse trasferito in Cielo, dove forma una C
r giungere a possederla. Per riuscirvi ricorse all’artifizio. Sapeva, che quando facevasi qualche promessa nel tempio di Di
del giuramento. Lasciò poscia cadere il pomo a’ piedi della giovine, che lo raccolse, lesse i versi, e senz’avvedersene s’
raccolse, lesse i versi, e senz’avvedersene s’impegnò nella promessa, che desideravasi da Aconzio. Non molto dopo Cidippe f
opo Cidippe fu dal padre destinata ad altre nozze ; ma tutte le volte che voleasi celebrarle, una violente febbre, che sorp
ozze ; ma tutte le volte che voleasi celebrarle, una violente febbre, che sorprendeva la giovine, ne le impediva. Avvertì f
rchè costei era inclinatissima alla corsa e alla caccia (f). Avvenne, che la medesima s’imbarazzò nelle reti, e vedendosi i
ssere divorata da qualche bestia selvaggia, implorò l’ajuto di Diana, che ne la liberò. Britomarti, grata a tanta beneficen
a beneficenza, fabbricò un tempio alla Dea sotto il nome di Dittinna, che significa la Dea delle reti (10). Altri dicono, c
nome di Dittinna, che significa la Dea delle reti (10). Altri dicono, che Britomarti per sottrarsi alle persecuzioni di Min
ottrarsi alle persecuzioni di Minos, re di Creta, si gettò in mare, e che dopo morte fu da Diana ammessa tralle Divinità (a
opo morte fu da Diana ammessa tralle Divinità (a). Avvertasi altresì, che il nome di Britomarti fu dato alla stessa Diana (
non amava di essere riconosciuta per tale, anzi arrossiva delle lodi, che per questa ragione le si davano. Stanca un giorno
arsi in un limpido fiume, e tosto intorno a lei si destò un mormorio, che la impaurì. Si ritirò alla riva dell’ Erimanto, e
esta Dea la involse in una nuvola, e la adombrò di sì folta caligine, che per quanto Alfeo la cercasse, non mai poteva ritr
osfora o Lucifera o Coritallia, Brimo, e Levana. Le giovani d’ Atene, che non volevano imitarne la verginità, solevano port
o quasi tutti i popoli della Grecia (a). Lo Scoliaste di Stazio dice, che alcune giovani della Laconia, danzando nel tempio
danzando nel tempio di Diana, chiamata perciò Cariatide, s’accorsero, che quel tempio minacciava rovina. Si rifugiarono sop
al tempo della raccolta delle noci onoravano Diana con balli e canti, che si chiamarono le Feste Carie (c). Si chiamò Agrot
o capre. Intorno all’ instituzione di tale sacrifizio Senofonte dice, che fattasi nell’ Attica un’ irruzione da Dario, re d
tante capre, quanti Persiani avesse ucciso. Coloro poi furono tanti, che non potendosi avere in quel momento un numero cor
nto ciascun anno (e). La statua di Diana Cindiade avea il privilegio, che nè pioggia, nè neve le cadeva sopra, benchè fosse
eo (a). Questi le eresse un tempio, e v’introdusse il culto medesimo, che le si rendeva nella Chersoneso Taurica. La Dea su
rendeva nella Chersoneso Taurica. La Dea sulla sinistra della strada, che conduceva ad Aricia, ebbe altresì un bosco. Un se
hia dal re Munico, figlio di Pentacleo ; o da quella parte del Pireo, che si chiamava Munichia, dove gli Ateniesi le aveano
si fecero in Atene delle Feste, dette pure Brauronie. Suida racconta, che in un borgo dell’ Attica un orso, addimesticato e
mare Diana, le si sacrificarono molte fanciulle, e si fece una legge, che nessuna donzella del. Borgo si potesse maritare,
rza dell’ Inferno (b) ; ovvero a motivo de’ trivj, ossia delle strade che si dividevano in tre, sulle quali si riponeva il
te, dette Egemonie (f). E’ stata denominata Triclaria, perchè i Joni, che abitavano le tre città, Aroe, Antea, e Mesati, po
el di lei tempio da Cometo e Melanippo (g). Si disse Nottiluca, ossia che risplende di notte. Ebbe un tempio sul monte Pala
esfora, o Fosfòra (a), o Lucifera (b), ed anche Coritallia, in quanto che era invocata anch’ella pe’ parti. Sotto l’ultimo
emette (d). Altri derivano questa denominazione da’ notturni terrori, che soleva destare questa Dea (e). Il Vossio pretende
turni terrori, che soleva destare questa Dea (e). Il Vossio pretende, che il nome di Levana derivi dall’altro Ebraico Levan
sio pretende, che il nome di Levana derivi dall’altro Ebraico Levanà, che nel nostro Idioma significa Luna. Tostochè un bam
e lo alzava e abbracciava. Era sì necessario eseguire tale ceremonia, che il fanciullo altrimenti riputavasi illegittimo. A
di bronzo, e circondato da un bosco sacro. Ivi comperavasi tutto ciò, che doveva servire a’ funerali. Per costume intredott
mbandivano conviti, e i poveri correvano a divorarli, e poi dicevano, che lo avea fatto Libitina (b). Anche i Stratonicesi
in molti luoghi della Grecia, e principalmente in Delfo. La vittima, che vi s’immolava, era il pesce triglia. Credevasi, c
elfo. La vittima, che vi s’immolava, era il pesce triglia. Credevasi, che questo desse la caccia all’altro, chiamato lepre
alle quali eravi la statua di Diana, chiamata da’ Calidonj Lafria, da che credettero che si fosse calmata la sua collera co
i la statua di Diana, chiamata da’ Calidonj Lafria, da che credettero che si fosse calmata la sua collera contro Eneo, di c
no furono imitati anche da’Romani (b). Le Caneforie non crano in uso, che in Atene. Durante le medesime tutte le giovani no
tia, sì aspramente fla’ gellavano con verghe i più nobili giovinetti, che questi sempre si ritraevano di là aspersi di sang
non ispargevano mai una lagrima, nè mettevano alcun lamento. Quelli, che morivano sotto le battiture, si coronavano a guis
gellazione non vibravano con forza i loro colpi, diveniva sì pesante, che la predetta Sacerdotessa, non potendo sostenerlo,
nte, che la predetta Sacerdotessa, non potendo sostenerlo, comandava, che più fortemente si flagellasse. Tanta barbarie fin
ualche stilla di sangue (a). A proposito poi di Diana Ortia notiamo, che Anfiteno o Anfisteno, il di lui padre, Anficle, I
lle porte del primo si appendevano delle corna di bue. Plutarco dice, che ciò forse si facesse per conservare la memoria d’
e Coracio, Sabino, possedeva una bellissima giovenca. Gli fu predetto che chi la avesse sacrificata a Diana sul monte Avent
festò al Pontefice. Questi, per deludere il Sabino, gli fece credere, che prima del sacrifizio conveniva, ch’egli andasse a
o Alessandro propose a que’ d’ Efeso di somministrare loro tutto ciò, che poteva rendere magnifico il nuovo tempio, che sta
istrare loro tutto ciò, che poteva rendere magnifico il nuovo tempio, che stavano innalzando alla Dea, purchè nell’ Iscrizi
te(16), re di quel paese, il quale sacrificava alla Dea i forestieri, che giungevano appresso di lui. Quìndi Diana per iron
l nome di Dejonea(b). I Poeti però Greci e Latini non fanno menzione, che di quella, la quale sortì dalla schiuma del mare,
ticolarmente venerata in Amatunte, città nell’Isola di Cipro. Dicesi, che gli abitanti di quella città, chiamati Cerasti, p
soprannominarono Ospitale, essendochè gli sacrificavano i forestieri, che giungevano appresso di loro. Venere, sdegnata per
sacrifizj(a). La Dea medesima fu anche molto onorata sul monte Idalo, che trovasi nella predetta Isola, donde ella ebbe il
i egli stesso volle costituirsene il sacerdote(f). Ne avvenne quindi, che i sacerdoti di Pafo erano sempre scelti dalla fam
scelti dalla famiglia reale, e dicevansi Ciniradi. Virgilio racconta, che nel predetto tempio eranvi cento altari, sopra i
nto altari, sopra i quali fumava un perpetuo incenso. La venerazione, che si avea per lo stesso tempio, estendevasi anche a
sso tempio, estendevasi anche a’sacerdoti del medesimo. Quindi si sa, che Catone offerì al Re Tolommeo la gran Sacerdotessa
e cedere Cipro a’Romani. Sonovi poi alcuni Scrìttori, i quali dicono, che la città e il tempio di Pafo, dedicato a Venere,
, furono fabbricati da Pafo, figlio del mentovato Pigmalione. Coloro, che così pretendono, natrano, che Pigmalione concepì
iglio del mentovato Pigmalione. Coloro, che così pretendono, natrano, che Pigmalione concepì un disprezzo e un odio grandis
zione. Formò egli d’avorio una giovine di tale bellezza e leggiadria, che ne restò pazzamente innamorato. Giunto il dì fest
uell’ Isola, si appressò Pigmalione all’altare della Dea, e la pregò, che gli concedesse una moglie, che fosse somiglievole
ione all’altare della Dea, e la pregò, che gli concedesse una moglie, che fosse somiglievole alla sua statua. Sperando, che
cedesse una moglie, che fosse somiglievole alla sua statua. Sperando, che la Dea volesse consolarlo, ritorno, ove giaceva l
rlo, ritorno, ove giaceva la statua, e la trovò animata. Ciò fece sì, che mentr’egli per lo innanzi erasi dichlarato odiato
ione(a). Ritornando poi al predetto tempio di Venere in Cipro, dicesi che in esso col progresso del tempo la Dea abbia avut
con Galba del suo innalzamento all’ Impero(b). Si racconta innoltre, che nello stesso tempio siasi fatto venire Tamira di
veniva mai bagnato dalla pioggia(c), nè sopra di quello si offerivano che incenso e fiori(a). Finalmente Venere era venetat
ui era nata(i). E’stata denominata Genetillide(l), perchè si credeva, che ella avesse avuto parte nella creazione del mondo
va, che ella avesse avuto parte nella creazione del mondo(m). Cesare, che pretendeva di descendere da questa Dea per mezzo
d’Enea, le fece ergere un tempio sotto l’anzidetto nome. Plinio dice, che quel Dittatore spedì al medesimo tempio quantità
finivano con una lunga coda(b). Si appellò Pandemia, perchè è la Dea, che piace alla maggior parte degli uomini(c). Un giov
ossia Dea de’pigri, perchè tali rende i suoi adoratori. Altridicono, che Venere da prima si diceva Mirzia dal mirto, ch’er
o, che Venere da prima si diceva Mirzia dal mirto, ch’erale sacro ; e che tal nome fu poi corrotto nell’anzidetto di Murcia
e Tessale, ch’erano divenute gelose della di lei bellezza(d). Dicesi, che per la medesima ragione siasi dato a Venere anche
no i divertimenti della loro infanzia(f). Si chiamò Anrdiomena, ossia che sortisce dalle onde (g). Così la dipinse Apelle ;
ttura conservavasi in Cos nel tempio d’Esculapio. Strabone riferisce, che i Romani, per averla appresso di loro, offerirono
irono a quelle genti di renderli esenti di cento talenti sul tributo, che pagavano alla loro Repubblica. Plinio aggiunge ch
lenti sul tributo, che pagavano alla loro Repubblica. Plinio aggiunge che la stessa pittura per ordine d’Augusto fu riposta
ione ebbe due tempj in Roma. Il primo le fu consecrato per ricordare, che le Matrone Romane, durante l’assedio del Campidog
i reciprocamente promesso con giuramento di sposarsi, quando accadde, che i genitori della giovine la costrinsero ad altre
rada. Non si fece alcun male ; e presa la fuga, montò in un naviglio, che da se si mise in viaggio. I venti la portarono al
u detta Mecanitide, ossia macchinatrice, per allusione agli artifizj, che soglionsi usare per procurarsi i piaceri dell’amo
lpita dal folmine. Si consultarono i Libri Sibillìni, e se ne intese, che le giovani Romane erano minacciate di castigo, pe
rchè avevano abbandonata la virtù. A tale risposta il Senato ordinò ; che fosse eretta una statua a Venere Verticordia, oss
te presso Napoli. In esso eravi la statua la più bella di questa Dea, che si fosse fatta da Prassitele, e di cui un ragguar
l’antichità. Dionisio d’ Alicarnasso(b), e Pomponio Mela(c) vogliono, che questo tempio sia stato eretto da Enea Trojano. D
tempio sia stato eretto da Enea Trojano. Diodoro di Sicilia poi dice, che il medesimo sussisteva prima della discesa d’ Ene
, che il medesimo sussisteva prima della discesa d’ Enea in Italia, e che quell’ Eroe non fece che arricchirlo de suoi doni
eva prima della discesa d’ Enea in Italia, e che quell’ Eroe non fece che arricchirlo de suoi doni(d). Si trovavano nel med
nde venerazione ; e ne’ primi tempi si aveva tanto rispetto per esso, che niuno osava di porre mano ne’tesori, che vi si cu
eva tanto rispetto per esso, che niuno osava di porre mano ne’tesori, che vi si custodivano. Amilcare Cartaginese finalment
po stesso, in cui il suo collega, Otacilio Crasso, consecrava quello, che Otacilio pretore avea eretto al Buon-Senso dopo l
alleggiavano, ancorchè fossero d’oro e d’argento(c). Zozimo racconta, che questo Oracolo fu consultato da’ Palmireni, allor
Palmireni, allorchè si rivoltarono contro l’ Imperatore Aureliano ; e che nell’anno, che precedette la loro rovina, i doni
rchè si rivoltarono contro l’ Imperatore Aureliano ; e che nell’anno, che precedette la loro rovina, i doni andarono a fond
pariva velata, con catene a’piedi, impostele da Tindaro, per indicare che la fedeltà delle donne verso i loro mariti dev’es
re inviolabile(e). La denominarono Ponzia, perchè presiedeva al mare, che da’ Greci e Latini dicesi Ponto. Sotto questo nom
itarsi, andavano ad offerire sacrifizj(a). Fu detta Ambologera, ossia che allontana la vecchiaja, in quanto che ella fa rin
(a). Fu detta Ambologera, ossia che allontana la vecchiaja, in quanto che ella fa ringiovinire in certa guisa quelli, che a
vecchiaja, in quanto che ella fa ringiovinire in certa guisa quelli, che anche vecchi divengono amanti(b). Si chiamò Argin
e anche vecchi divengono amanti(b). Si chiamò Arginnide da un tempio, che Agamennone le consecrò nella Beozia dopo la morte
gli anni l’Anagogia, ossia la Festa della partenza, quando vedevano, che sulle loro rive più non comparivano le colombe. P
evano, che sulle loro rive più non comparivano le colombe. Pensavano, che Venere allora abbandonasse Erice per andarsene ne
a. Costei dopo averlo partorito fu dagli Dei trasformata nell’albero, che ritenne il di lei nome(b). Altri dicono, ch’ella
ntò d’aver i capelli più belli della steasa Dea(c). Altri soggiungono che a Mirra toccò sì trista avventura, perchè Cencrid
iuola più avvenente della stessa Venere(d). Altri finalmente narrano, che Mirra fu convertita nell’anzidetto albero, primac
 ; ch’essendo venuto il tempo di darlo alla luce, l’albero s’aprì ; e che ne comparve un fanciullo, il quale venne raccolto
cura di lui, lo nascosero sotto l’erba, e lo bagnarono delle lagrime, che sua madre andava spargendo. Il bambino crebbe sì
lagrime, che sua madre andava spargendo. Il bambino crebbe sì bello, che Venere sommamente prese ad amarlo. E siccome eras
e, detto da alcuni rosa (a), e da altri anemone (b). Bione poi vuole, che la rosa sia nata dal sangue d’Adone, e l’anemone
, che la rosa sia nata dal sangue d’Adone, e l’anemone dalle lagrime, che sparse allora Venere (c). V’è finalmente chi dice
dalle lagrime, che sparse allora Venere (c). V’è finalmente chi dice, che la Dea siasi rivolta a Giove per riaverlo in vita
nte chi dice, che la Dea siasi rivolta a Giove per riaverlo in vita ; che Proserpina non voleva acconsentirvi, perchè ella
irvi, perchè ella pure avea tosto concepito della tenerezza per lui ; che Giove per non dispiacere alle due Dee, le rimise
spiacere alle due Dee, le rimise al giudizio della Ninfa Calliope ; e che questa decise, che lo avessero a possedere ciasch
ee, le rimise al giudizio della Ninfa Calliope ; e che questa decise, che lo avessero a possedere ciascheduna per la metà d
. Tanta premura però non ebbe a durare lungo tempo. Parve alla Ninfa, che Selinno scemasse in bellezza, nè più il guardò. C
emasse in bellezza, nè più il guardò. Così se ne afflisse il Pastore, che morì di tristezza. Venere lo cangiò in fiume ; ma
bbliare del tutto la memoria di quella Ninfa. Per questo si credette, che le acque del predetto fiume avessero la virtù di
 ; ma Venere la cangiò in sasso (a). Questa Favola è simile a quella, che racconta l’Ab. Rubbi, e che dice non esservi nel
sso (a). Questa Favola è simile a quella, che racconta l’Ab. Rubbi, e che dice non esservi nel Dizionario Mitologico. Arsin
da Venere in pietra, perchè fu spettatrice de’funerali di Arceofonte, che morì per non poterla sposare (b). Le donne di Len
a quale, com’era proprio di lei, le rese, tutte d’un odore sì fetido, che se ne dovettero allontanare i loro mariti (14). E
ea talmente reso famoso in Lenno e in tutta la Grecia il di lei nome, che senza il suo consiglio o comando niente si faceva
za il suo consiglio o comando niente si faceva : Poliso loro suggerì, che durante il sonno trucidassero tutti i loro padri,
passare secretamente nell’isola di Chio appresso il fratello Enopio, che là vi regnava (15). Questa pietà si voleva punita
mea (c). Tra gli ustelli il più caro a Venere fu la colomba. Dicesi, che la Dea anche si trasformasse in questo uccello. I
infa Peristera soccorse Venere. Cupido n’ebbe dispiacere a tal segno, che vedendosi vinto, cangìò la Ninfa in colomba (a).
Le perle altresì erano particolare ornamento di Venere, come quella, che si voleva nata nel mare in una conchiglia piena d
higlia piena di margarite (d). Plinio (e), e Macrobio (a) ci narrano, che la bellissima perla, simile a quella, che avea di
e Macrobio (a) ci narrano, che la bellissima perla, simile a quella, che avea disfatto Cleopatra nell’aceto, fu divisa in
arne gli orocchini ad una statua di Venere. Lampridio lasciò scritto, che l’Imperatore Alessandro Severo fece porre ad una
lo restituì poi, come abbiamo detto, alla luce, mediante una bevanda, che gli fu data da Meti. Secondo un’altra tradizione
rtorl, lo nascose tra’pastori dell’Arcadia, e fece credere a Saturno, che le fosse nato un pulodro, il quale da lui venne t
lui, ma finalmente ne venne relegato sulla terra(d). Altri vogliono, che abbia incontrato tale castigo, perchè erasi unito
nito a Giunone per mettere in ceppi Giove(e). Incontratosi in Apollo, che pur era stato esiliato dal Cielo, nè sapendo come
stava fabbricando le mura dì quella città. Egli, attesa la promessa, che gli fece quel re, di grossa somma di danaro, s’ac
lo. Non tollerò Nettuno l’oltraggio, e fece sortire da’lidi le acque, che portarono estrema rovina alla nascente città. Nè
ente città. Nè pago di tale vendetta, intimò per mezzo ed’un oracolo, che la figlia di quello stesso re servisse di pasto a
egli avea il potere di rendore tale la terra(b). Strabone racconta ; che il mare da quattro giorni videsi coperto di fiamm
ne racconta ; che il mare da quattro giorni videsi coperto di fiamme, che estremamente lo agitavano, quando finalmente dal
forma d’Isola. I Rodiani, accellenti navigatori, accorsero al rumore, che andava facendo quell’Isola nello stabilirsi, ed e
la Laconia, sull’ingresso della grotta, per cui i Greci pretendevano, che si discendesse nell’Inferno(e). Nettuno non solam
non solamente fu detto Ippio, ossia Equestre, dalla corsa de’cavalli, che si faceva al tempo de’Giuochi Circensi, ma anche
un altro. Niuno poteva entrare nell’antico ; ed Epito, re d’Arcadia, che volle violare questa legge, divenne cieco(c). Si
carsi d’Inaco e degli iltritra gli Argivi, i quali avevano giudicato, che il paese d’Argo appartenesse a Giunone, mentre lo
eto, ed Eolo(12), Nitteo(13), e Tritone(14). Que’di Corinto dicevano, che Nettuno e il Sole pretendevano d’avere il dominio
del loro paese. Briareo, uno de’Ciclopi, scelto per giudice, decise, che il Promontorio di Corinto dovesse appartenere al
tali Giuochi si celebravano(15). I medesimi erano riputati sì sacri, che non si tralasciò di celebrarli neppure dopochè la
i Sicionj a continuarli(a). Il concorso a tali Giuochi era sì grande, che i soli principali personaggi delle Greche città p
Eleesi non vi si trovavano presenti, perchè temevano le imprecazioni, che Molione, moglie d’Attore, aveva pronunziato contr
bblica piazza. Fu loro aggiunta finalmente anche una somma di danaro, che da Solone si fissò a cento dramme. I Romani v’ass
ubblico certame ; e la terza in patria da’suoi concittadini. L’onore, che si riportava a motivo di questo Inno, era maggior
po, in cui si solennizzavano, dicevansi Panionio. Se muggiva il toro, che in queste Feste si sacrificava, ciò si aveva per
este si sacrificava, ciò si aveva per buon augurio, perchè credevasi, che quella voce piacesse al Nume, soprannominato Elic
ivano, e n’erano esclusi i servi, i quali si dicevano monofagi, ossia che mangiavano soli. Si chiudeva la solennità con un
. Si chiudeva la solennità con un sacrifizio a Venere(d). La vittima. che soleasi immolare a Nettuno, era il toro(e). Gli A
crifizj si chiamavano Tinnei(b). Platone nel suo Crizia ci riferisce, che Nettuno aveva nell’Isola Atlantica un magnifico t
’Isola, continua lo stesso Scrittore, fu popolata da dieci figliuoli, che partorì a Nettuno una figlia di Clitone e di Leuc
ale al dire di Tito Livio grondava di sudore. E’pur famoso il tempio, che aveva in Tenaro, Promontorio della Laconia, e ch’
ragli stato eretto da Tenaro, fratello di Geresto, e figlio di Giove, che diede il suo nome al predetto Promontorio(c). A N
in venerazione il tempio, là dedicato a quel Dio ; e tanto lo restò, che da Strabone e Pausania si sa aver servito d’asilo
ne, di cui vi si mostrava il sepolcro. Era altresì celebre il tempio, che Nettuno aveva in Geresto, città dell’Eubea, donde
li derivò il soprannome di Gerestio ; e Gerestie si diceano le Feste, che in suo onore vi si celebravano(a). A Nettuno era
cavallo e mezzo pesci, chiamati anche Ippocampi, vale a dire cavalli, che aveano due piedi soli, e la coda di pesce(d). Com
atto di sedere sopra un mare tranquillo con due pesci, detti Delfini, che nuotano sulla superfizie delle acque(e). E’pure c
nte ci danno a divedere questo Nume tirato dal cavallo Arione. Dicesi che questo animale insieme con Era sia nato da Corere
i che questo animale insieme con Era sia nato da Corere e da Nettuno, che si trasformò in cavallo, perchè anche la Dea eras
perchè anche la Dea erasi cangiata in giumenta(f). V’è chi soggiunge, che Nettuno con un colpo di tridente abbia prodotto A
La maggior parte de’ Mitologi dicono, ch’ella fu concepita da Meti ; che questa, tostochè ne comparve gravida, fu da Giove
ti ; che questa, tostochè ne comparve gravida, fu da Giove ingojata ; che lo stesso Nume, poco tempo dopo sorpreso da gagli
ricorse a Vulcano, il quale con un colpo d’accetta glielo spaccò ; e che ne uscì Minerva tutta armata(c). Per questo la me
pelle si fece uno scudo, detto egide. Evvi finalmente chi asserisce, che sia stata appellata Pallade, da che uccise Pallan
e. Evvi finalmente chi asserisce, che sia stata appellata Pallade, da che uccise Pallante, uno de’ Giganti, i quali aveano
tanti ne avea di lunghezza(c). Custodi dello esso erano de’serpenti, che ogni primo dì del mese ricevevano dagli Agremoni
della Lidia, così eccellentemente riusciva ne’ lavori di tapezzerie, che moltissimi stranieri si recavano da lontani paesi
cavano da lontani paesi ad ammirare la bellezza di quelli. Gli elogi, che Aracne ne riceveva, le inspirarono tale presunzio
. Gli elogi, che Aracne ne riceveva, le inspirarono tale presunzione, che osò di preferirsi in quell’arte alla stessa Miner
one, che osò di preferirsi in quell’arte alla stessa Minerva. La Dea, che sulle prime la bramava corretta e non punita, a l
icura di conseguirlo. Aracne trattò da insensata la donna, e protestò che non sarebbe mai per mutarsi di parere. Minerva al
ontro Aracne, e la percosse colla spola nel capo. Non meno la rabbia, che il rossore ridussero la infelico a disperato part
o partito di sospendersi con un laccio, e morire. Minerva però volle, che colei per suo castigo vivesse sempre così cospesa
l suo antico esercizio,(a) (4). Fu denominata Scirade o da un tempio, che le era stato eretto in Sciro, borgo tra Atene ed
ue ruote, e tirati da quattro cavalli(a) ; ovvero perchè fu la prima, che insegnò ad attaccare i cavalli al carro(b). Fu ap
a Nettuno e Minerva riguardo al Territorio di Trezene, Giove propose, che tutte le due Divinità vi fossero onorate, Minerva
ttuno, e sull’altra la testa di Minerva col motto Poliade. Il tempio, che Minerva Poliade aveva in Trezene, era della più r
i quali Minerva aveva donato a Cefeo, figlio d’Aleo, per assicurarlo, che Tegea non sarebbe mai stata presa da nemiche armi
la di lei statua era di straordinaria grandezza. La Minerva Poliade, che si venerava nel Partenon d’Acropoli in Atene, ave
ue giovani vi rimasero incenerite. Insorse ben presto una pestilenza, che desolava Corinto ; nè essa secondo la dichiarazio
a Grecia. Gli Dei, scelti per giudici di tale questione, stabilirono, che quella delle due anzidette Deità, la quale avesse
ece pullulare un germoglio d’ulivo, simbolo di pace. I Numi decisero, che questa fosse migliore della guerra ; e però la De
la Dea diede alla città il suo nome, appellandola Atene, voce greca, che significa Minerva(b). Per la stessa ragione venne
alcòs, rame, perchè di tal metallo era formata la statua e il tempio, che questa Dea avea in Isparta. I giovani di questa c
r sacrificare a Minerva(c). E’stata detta Madre o Matrona dal tempio, che le cressero le conne d’Istide, perchè furono esau
ola notte madri di varj figli per accrescere il poco numero d’uomini, che si trovavano appresso di loro(d). Si chiamò Pilet
iamata Steniade, ossia robusta, per indicare l’aria forte e maschile, che le si attribuiva(f). Le altre Feste, instituite i
rj combattimenti di Gladiatori(b). Sonovi alcuni, i quali riferiscono che le Matrone allora si mandavano reciprocamente dei
ome facevano gli uomini al tempo delle Saturnali(c). Narrasi inoltre, che gli Scolari durante la celebrazione di tali Feste
i poi ogni cinque anni. Da principio erano semplicissime, nè duravano che un giorno. In seguito vi s’introdussero tanti giu
che un giorno. In seguito vi s’introdussero tanti giuochi e ceremonie che convenne impiegarvi maggior tempo. Nelle minori s
leno portavano delle urne piene d’acqua per rinfrescare gli Ateniesi, che celebravano queste Feste. Erano esse seguite da s
esime fu Erittonio, generato senza materna fecondità da Vulcano(8), e che fu quarto re d’Atene(a). Egli, tostochè nacque, f
, ma l’altra sorella nol fece. Ciò accese talmente Minerva di sdegno, che per punire Aglauro della sua disobbedienza, la re
endette sì furibonda, ch’ella si precipitò nel mare(b). Altri dicono, che Minerva le inspirò gelosia di Erse, la quale però
e veniva impedita di vedere Mercurio, da cui era sommamente amata ; e che il Nume quindi cangiò Aglauro in pietra(c) (10).
quindi cangiò Aglauro in pietra(c) (10). Altri finalmente pretendono, che Pandroso sola abbia osservato il comando di non a
androso sola abbia osservato il comando di non aprire il cestello ; e che perciò gli Ateniesi le abbiano eretto un tempio p
flitti poscia dalla carestia, consultarono l’Oracolo. Questo rispose, che le loro terre rimarrebbono sempre sterili, qnando
sto in Epidauro maficava ; e però fu necessario ricercarlo da Atene ; che ne abbondava. Gli Ateniesi aderirono all’inchiest
ne ; che ne abbondava. Gli Ateniesi aderirono all’inchiesta, a patto, che la città d’Epidauro ogni anno in segno d’omaggio
certe offerte a Minerva Gli Epidaurj accettarono la condizione, e da che eseguirono gli ordini dell’Oracolo, viddero ripro
Nè solamente era venerata Minerva in Atene ; la moltitudine de’tempj che le si eressere in varie altre parti della torra,
Minerva poi la allontanò dal suo lato, perchè ella corse a riferisle, che Aglauro avea aperto il cestello ; e in vece di le
, re di Lesbo(d). Questo uccello ordinatiamente si confonde col Gufo, che pure è sacro a Minerva, perchè esso, veggendo tra
a manifestò il motivo della sua discesa sulla terra. Flora le indicò, che ne’ campi d’Olena, città dell’ Acaja, eravi un fi
, eravi un fiore, toccando il quale, ella avrebbe tosto ottenuto ciò, che bramava. Giunone ne fece l’esperienza, e diede al
sperienza, e diede alla luce Marte (b). Questi fu allevato da Priapo, che lo addestrò nella danza e in altri esercizj del c
ri esercizj del corpo, per cui divenne siffatamente atto alla guerra, che ne fu poscia tenuto come la principale Divinità.
. Per questo in Bitinia si offeriva a Priapo la decima delle spoglie, che si consecravano a Marte (c). Questo Nume ebbe anc
io (a). Si denominò Turio dal greco verbo theo, essere in furore : lo che esprime l’impetuosità di lui ne’ combattimenti(b)
ombattimenti(b). E’ stato chiamato Salisubsolo a cagione delle danze, che facevano i di lui Sacerdoti, detti Salj, de’ qual
vuol dire danno, e fu attribuito a questo Nume per alludere a’ mali, che porta seco la guerra (d). Si disse Gradivo dal ve
e donne di quella città gli offerirono un sacrifizio, cui non vollero che assistesse alcun uomo (g). Le Feste, sacre a que
rame. Numa Pompilio, il quale allora vi regnava, venne in cognizione, che l’impero del mondo era destinato a quella città,
o simili a quello, affinchè la difficoltà di riconoscerlo facesse sì, che non venisse rubato. Mamurio Veturio, eccellente a
città, e battevano nello stesso tempo sullo scudo con una nuda spada, che tenevano nella sinistra. Cantavano anche certi In
li avea ricercato in premio del suo lavoro (c). Altri sono di parere, che gli anzidetti Sacerdoti sieno stati detti Salj da
La seconda, affinchè Marte procurasse a’ Romani la felicità medesima, che aveano goduto Remo e Romolo, suoi figliuoli. La t
duto Remo e Romolo, suoi figliuoli. La terza, acciocchè la fecondità, che ha la terra nel mese di Marzo, si concedesse anch
). Marte andò soggetto a varie vicende. Ei volle opporsi agli Aloidi, che tentavano di rapire le Dee, Giunone e Diana. Colo
Diomede, figlio di Tideo, avea preso a proteggere i Trojani. Minerva, che odiava Venere, eccitò Diomede a combattere contro
Questo Dio, appenachè lo vide, tentò di ferirlo ; ma Minerva fece sì, che Diomede invece ferì lui. Peone, il Medico degli D
querelò appresso l’Areopago(6) ; ma il Nume seppe sì bene difendersi che ne partì assolto (c) (7). Pare che il culto di Ma
a il Nume seppe sì bene difendersi che ne partì assolto (c) (7). Pare che il culto di Marte non siasi molto esteso tra’ Gre
disputava la testa (b). Marte ebbe per compagno Eremartea, Divinità, che gli Antichi onoravano con certi rendimenti di gra
e, perchè esso è di natura molto coraggioso, ed ha il becco sì forte, che con esso giunge a forare il tronco degli alberi s
sì nella destra il fulmine. Sta vicino a lui il gallo, per ricordare, che questo Nume cangiò nella figura di tale uccello i
alli, Demo e Fobo, ossia le Spavento e il Timore (a). Plutarco vuole, che Fobo fosse figlio di questo Dio, e che a lui pure
il Timore (a). Plutarco vuole, che Fobo fosse figlio di questo Dio, e che a lui pure si sacrificasse per tenerlo lontano da
Giove e di Giunone(b). La maggior parte però de’ Teogonisti vogliono, che Vulcano sia nato dalla sola Giunone(c) ; e però g
ossia senza padre (d). Comparve sino dal suo nascere deforme. Per lo che Giunone secondo Omero, vergognatasi d’averlo dato
precipitò nel mare (e). Lo stesso Poeta poi in altro luogo soggiunge, che fa Giove quegli, il quale lo precipitò dal Cielo
o(f). Per quella cadura gli si ruppe una coscia, e divenne zoppo : lo che gli acquistò il nome di Tardipede, ossia tardo di
de (g). Ne presero cura di lui bambino que’ di Lenno(h). Omero vuole, che lo abbia educato Teti(a). Altri soggiungono, che
nno(h). Omero vuole, che lo abbia educato Teti(a). Altri soggiungono, che lo abbiano fatto le scimie(b). Inoltre fu detto I
he lo abbiano fatto le scimie(b). Inoltre fu detto Ignipotente, ossia che ba il fuoco in suo petere (c) ; Mulcibero dal lat
h’ella gli aveva dimostrato per causa della di lui bruttezza. La Dea, che non diffidava del figlio, allettata dalla bellezz
sedervisi, e sì fortemente ne rimase stretta da certi occulti legami, che diede motivo agli Dei di grande riso(g). Bacco fi
Aglaia ; comunemente però credesi, ch’egli non abbia avuto in moglie, che Venere(a). Il Nume fu avvertito dal Sole, che col
abbia avuto in moglie, che Venere(a). Il Nume fu avvertito dal Sole, che colei soleva starsene in affettuosi trattenimenti
stisi l’uno e l’altro colà a sedere, Vulcano tirò sì a tempo la rete, che ambedue vi rimasero inviluppati. Egli poscia invi
si solennizzavano spezialmente dagli artefici di rame, per ricordare che nella loro città si trovò l’arte di portre in ope
ella città, come lo erano que’ di Marte. Gli Auguri aveano giudicato, che il Dio del fuoco e quello della guerra non dovess
’ordinario erano i custodi de’ tempj di Vulcano(b). Eliano riferisce, che intorno al tempio, eretto a Vulcano sul monte Etn
intorno al tempio, eretto a Vulcano sul monte Etna, v’erano dei cani, che accarezzavano chi rispettosamente v’entrava, e di
no rappresentasi con barba e capigliatura negletta, coperto di veste, che appena gli giunge alle ginocchia, con beretta rot
istra(c). Albrico lo dipinse coll’aspetto di fabbro, deforme e zoppo, che con una mano alza in aria un maltello, e coll’alt
tanaglie per lavorate un fulmine. Al lato poi di lui evvi un’aquila, che attende il predetto fulmine per portarlo a Giove(
ano, ed ha appresso di se un mostro marino. (4). Comunemente dicesi, che Giapeto abbia sposasito Asia, figlia di Oceano e
Espero, Atlante, Menezio, Prometeo, ed Epimeteo(a). Esiodo però vuole che la madre di questi sia stata Climene, figlia d’Oc
viveano senza leggi e senza religione ; si cibavano solamente di ciò, che la terra da se produceva ; e divoravano gli stran
te di ciò, che la terra da se produceva ; e divoravano gli stranieri, che cadevano nelle loro mani(d). Furono anche creduti
anche creduti figliuoli di Nettuno e d’Anfitrite(e). Eurìpide vuole, che il loro padre sia stato Polifemo(f). Questi al di
simi tormenti, ove vengono rinchiusi gli scellerati(a). (7). Fingesi che , mentre regnava Saturno, abbia fiorito, la bella
a Notte(c), e la quale regolava con sì sovrana potenza tutte le cose, che alle sue disposizioni non solo gli uomini, ma tut
il Destino, credevasi esservi descritto l’avvenire ; come pensavasi, che l’urna, la quale trovasi talvolta tralle di lui m
o tempio, sacro alla Necessità, e il di cui ingresso non permettevasi che a’ ministri del medesimo(e) (d). Hesiod. Theog
Apollo Delfinio(g). (b). Apollod. l. 1. c. 4. (10). V’è chi dice, che Saturno non potè mai uscire da quel luogo(h). Luc
e Saturno non potè mai uscire da quel luogo(h). Luciano poi pretende, che Saturno a motivo della sua impotente età abbia sp
o dopo morte fu annoverato tra gli Dei Scelti, ossia tra quegli otto, che alle dodici Divinità maggiori si aggiunsero in Ro
tre solennità, sacre ad Agonio, Dio, il quale presiedeva alle azioni, che si doveano fare. A Giano oltre i mentovati nomi s
e. Dicono, ch’ Ercole le abbia introdotte, quando alle vittime umane, che s’immolavano a Saturno e a Plutone, vi sostituì d
tra gli antichi Servi, e quelli d’oggidì. I nostri sono gente libera, che spontaneamente prestano servigio, e al quale poss
sto erano sottoposti al dominio del loro padrone quasi non altrimenti che gli animali. Quindi potevano essere venduti, nien
itriclino, il quale si stabiliva dal padrone di casa, e avea la cura, che fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva al c
dal padrone di casa, e avea la cura, che fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva al convito. Le tazze, in cui beveano,
nticamente i prigionieri di guerra s’immolavano alle ombre di coloro, che gloriosamente erano morti sul campo. Parve barbar
morti sul campo. Parve barbaro siffatto costume, e si stabilì quinci, che coloro dovessero in vece combattero gli uni contr
orte. Tali combattimenti si chiamarono Giuochi funebri. Queglino poi, che li sostenevano, si dissero Gladiatori da gladium,
. Quando l’offeso alzava il dito e abbassava l’arma, ciò era indizio, che davasi per vinto. La vita però di lui dipendeva d
uando colui erasi nella zuffa diportato con grande valore. Il premio, che riportavano i Gladiatori, da prima consisteva in
ga di legno, detta da’ Latini rudis (b), e dalla quale al Gladiatore, che la conseguiva, derivava il nome di Rudiario(c).
ero da’ Greci, e dagl’ Italiani Occasione. Questa però non presiedeva che al tempo il più conveniente a fare qualche cosa.
le consecrarono un tempio(e). Finalmente parlando del Tempo, nociamo, che il Gentilesimo riconosceva pure la Dea Eternità(a
he in atto di portare sopra un globo l’uccello, detto Fenice. Fingesi che questo animale sia unico della sua spezie, che do
detto Fenice. Fingesi che questo animale sia unico della sua spezie, che dopo essere vissuto cinquecento anni, formisi un
po essere vissuto cinquecento anni, formisi un nido di odorose legna, che sopra di queste da se si abbruci, e che rinasca p
isi un nido di odorose legna, che sopra di queste da se si abbruci, e che rinasca poi dalle stesse sue ceneri(c). (21). I
Col progresso del tempo vi si sostituirono gli animali. Eusebio vuole che Cecrope, primo re d’Atene, sia stato il primo a f
imo re d’Atene, sia stato il primo a farlo(f) ; ma Pausania asserisce che quegli non sacrificò mai alcun animale(g). S’intr
sservava parimenti, se quella lasciavasi placidamente sacrificare (lo che conoscevasi, traendo un coltello dalla di lei fro
alle fiamme, tale sacrifizio si appellava Olocausto. Le legna stesse, che si accendevano sull’altare, dovevano essere sacre
’incenso, e dal fumo di quello si presagiva parimenti l’avvenire : Io che dicovasi Capnomanzia. Terminavano le sacre funzio
e della vittima, e tali carni si denominavano Idolotiti(c). Avvertasi che niuno poteva assistete al Sacrifizio, se prima no
esso del tempio in un vaso, chiamato Acquiminario. Notisi per ultimo, che non si faceva quasi mai alcun sacrifizio senza li
are tal ceremonia, poichè non era permesso di prenderne da una vigna, che non ancora fosse stata tagliata. Era parimenti vi
uo sulle are di Minerva, e Delfo su quello di Apollo : e sì in Delfo, che in Atene si custodiva il medesimo da vedove avanz
requenza consultati sopra gli affari pubblici e privati. L’utile poi, che gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano
e poi, che gli astuti Sacerdoti del Paganesimo ne ritraevano, fece sì che sempre di nuovi da per tutto se ne stabilissero(e
sì che sempre di nuovi da per tutto se ne stabilissero(e). I Ministri che li scrivevano e interpretavano, si dicevano Profe
e di molti altri ancora parleremo altrove. Quì soltanto aggiungiamo, che non è da confondersi l’Oracolo colla Teomanzia.Qu
n è da confondersi l’Oracolo colla Teomanzia.Questa era un vaticinio, che i Numi davano per mezzo di certi uomini, detti pe
i aver veduto o udito. Ciò era conforme alla falsa e stolta opinione, che le anime umane spesso abbandonassero i loro corpi
ta opinione, che le anime umane spesso abbandonassero i loro corpi, e che ora quà e là andassero vagando nelle regioni cele
ni celesti, ora si recassero al soggiorno de’ morti per osservare ciò che ivi si faceva, ed ora passassero a conversare cog
di Teomanti si può aggiungervi quella de’ Moribondi, ossia di quelli, che vicini a morte credevano di conoscere l’avvenire(
a dalle altre Genti senza il loro consiglio e approvazione(a). E’fama che ad erudirli in quell’arte il primo sia stato Tage
enio, e nipote di Giove. Altri dicono ch’egli era di oscuri natali, e che divenne illustre, tostochè professò l’arte d’indo
ato prodigio, tutta si raccolse intorno a lui la Toscana gente. Tage, che sotto le sembianze di fanciullo riuniva in se la
imo, nativo di Clazomene, città della Ionia nell’ Asia Minore. Dicesi che la di lui anima soleva separarsi dal corpo, e che
Asia Minore. Dicesi che la di lui anima soleva separarsi dal corpo, e che vi rientrava dopo di essersi trasferita in differ
i trasferita in differenti luoghi a predirvi l’avvenire. Si aggiunge, che la di lui moglie in una di tali circostanze ne fe
una di tali circostanze ne fece seppellire o abbruciare il corpo : lo che impedì allo spirito di Ermotimo di rimettersi nel
ibito alle donne il mettervio piede(e). Finalmente è famoso il fatto, che intorno all’ Indovino Accio Navio raccontasi da T
gli ricercò, se potevasi eseguire ciò ch’egli pensava. Accio rispose che si poteva farlo. Tarquinio stava allora ravvolgen
con cui questi prendevano il cibo ; laddove gli Auguri erano quelli, che dal garrire degli uccelli predicevano l’avvenire(
nti altresì avevano un’apposita spiegazione. La classe degl’Indovini, che si applicavano all’osservazione de’fulmini, si di
iamat Aruspicina o Estipicio, versava nell’osservare, se gli animali, che si doveano sacrificare, si lasciavano pacificamen
l’ Indovini notè passare sino a noi. V’ha anche oggidì qualche furbo, che professa la Chiromanzia, ossia la stolta scienza,
evatezze della parte interna delle mani e dita, ma i solchi eziandio, che le medesime eminenze lasciano tra loro. Si fa gra
ia col fuso(c), e nella destra un’ asta e uno scudo(d). Altri dicono, che questo simulacro siasi formato delle ossa di Pelo
o siasi formato delle ossa di Pelope(e). Comunemente però pretendesi, che Ilo, quarto re di Troja nell’ Asia Minore, abbia
uale gli fosse stato di buon augurio per la durata della città d’Ilo, che stava formando ; e che ad assicurarnalo sia cadut
buon augurio per la durata della città d’Ilo, che stava formando ; e che ad assicurarnalo sia caduta dal Cielo quella stat
olta a’ Trojani dai due Greci, Ulisse e Diomede(b). V’è chi pretende, che i predetti Greci non abbiano rapito che una copia
Diomede(b). V’è chi pretende, che i predetti Greci non abbiano rapito che una copia simile all’ originale ; che il vero Pal
edetti Greci non abbiano rapito che una copia simile all’ originale ; che il vero Palladio sia rimasto appresso i Trojani ;
’ originale ; che il vero Palladio sia rimasto appresso i Trojani ; e che Enea, essendose ne impossessato, lo abbia seco lu
ssato, lo abbia seco lui trasferito in Italia(c). Altri poi vogliono, che Diomede dopo la distruzione di Troja, trasportato
d uno de’ di lui amici, chiamato Naute(d). Comunque ciò sia, certo è, che il Palladio anche da’ Romani si tenne in somma ve
e lo vide avvicinarsele, si gettò nel Tebro. Il Nume voleva impedire, che coleiosi nascondesse in quelle acque. Lara, o’ La
Romani conseguì da Giove l’immortalità, e venne cangiata in fontana, che ritenne il di lei nome, e la quale dalle donne sp
Lucres. l. 2. (7). I monti erano rìputati sacri, perchè credevasi, che v’avessero il loro soggiorno i Numi(c). (h). Ma
iconosceva anche una Divinità misteriosa, il di cui nome non era noto che alle donne. Plutarco la confonde con Flora, detta
er la licenza e dissolutezza, con cui si celebravano(d). Varrone dice che Buona-Dea fu chiamata la moglie di Fauno, re d’It
hiamata la moglie di Fauno, re d’Italia, perchè ella visse sì pudica, che non guardò m i in volto verun altro uomo, che il
è ella visse sì pudica, che non guardò m i in volto verun altro uomo, che il suo marito(e). Per questo le sole donne Romane
mio, cioè pubblico : e Damia parimenti fu detta sì la sacrificatrice, che quella, a cui si sacrificava. Nè solamente nel lu
si alcun uomo, ma perfino vi si cuoprivano con velo anche le pitture, che rappresentavano qualsivoglia figura maschile. All
è prediceva l’avvenire dal volo degli uccelli(h). Finalmente notiamo, che appresso i Romani conseguì gli onori Divini ande
erchè insegnò a nettare dal lettame la terra(a). Macrobio però vuole, che per l’addotta ragione così siasi denominato Satur
de’ particolari(c). Cesare nel tempio di Ope depositò il suo tesoro, che fu poi dissipato da Antonio. (b). Apulej. Metam
li uccelli, era inevitabilmente condannato alla morte, non altrimenti che se avesse fatto perire l’Ibi, uccello, a cui pure
cui pure gli Egiziani rendevano gli onori Divini. Dicesi finalmente, che una certa Pamila di Tebe in Egitto, ritornando da
ove, ov’ erasi recata per attignere dell’acqua, aveva udito una voce, che le comandava di pubblicare la nascita di Osiride 
a nascita di Osiride ; ch’ ella n’era stata scelta a di lui balia ; e che gli Egiziani, avendo voluto ch’ella pure partecip
e, dette dal nome di lei Pamilie(a). (11). Oro fece guerra a Tifone, che aveva fatto morire Osiride, e dopo di averlo vint
padre, ma poi dovette soccombere sotto la forza de’ Principi Titani, che lo misero a morte. Iside, avendo trovato il corpo
ricolmò l’Egitto di benefizj, e ne divenne un Nume(b). Matrobio dice, che gli Egiziani sotto il nome di Oro adoravano il So
d). Essendo poscia apparso agli Egiziani un bue, si credette da loro, che Osiride si fosse trasformato in quell’ animale, e
i Oceano e di Teti. Elleno si distinguevano in varie classi : quelle, che si trovavano negli stagni, si dicevano Limniadi(c
a o un piccolo Delfino(n). Najadi poi furono denominate quelle Ninfe, che presiedevano a’ fonti e a’ fiumi(o), da’ quali pr
de di fiori, e se ne coronavano anche i pozzi(d). Scaligero poi dice, che così in ispeziale modo si onorava la fonte, la qu
Il nome poi di Ninfe per catacresi si diede anche a quelle Divinità, che presiedevano ad alcune parti della terra. Quindi
ro le chiama Orestiadi, e le fa figliuole di Giove(g). Strabone dice, che nacquero da Foroneo e da Ecate ; e vuole che foss
Giove(g). Strabone dice, che nacquero da Foroneo e da Ecate ; e vuole che fossero cinque(h). Virgilio soggiunge ch’erano mo
i esistere, quando quelle pure mancavano(f). Notiamo in ultimo luogo, che sebbene non avessero le Ninfe alcun tempio, nulla
offrivano, e si sacrifica vano anche delle capro. Alcuni credettero, che grata altresì riuscisse ad esse l’obblazione del
ano amantissimo(g). (b). Nat. Com. Myth. l. 9. (15). Pausania dice che Sagaritide o Sangaride non fu amante, ma madre di
elva, e sotto il nome di Ati crebbe egli di sì rara bellezza fornito, che Agdesti medesimo se ne invaghì. Giunto quegli all
ola. Agdesti vi sopravvenne, e tal furore inspirò nell’ animo di Ati, che questi si fece eunuco(h). Notisi altresì, che sec
irò nell’ animo di Ati, che questi si fece eunuco(h). Notisi altresì, che secondo alcuni Scrittori Lido e Tirreno non nacqu
. (16). Ati dopo morte ricevette gli onori Divini(b). Pausania dice, che gli fu eretto un tempio in Dime, ultima città del
efice P. Licinio condanuò ad essere battuta colla sferza una Vestale, che avea lasciato spegnersi il sacro fuoco in tempo d
ocò la sua Dea, e gettato il proprio velo sulla fredda cenere, dicesi che all’improvviso comparvero di nuovo le fiamme(h).
). (19). Numa Pompilio condannava ad essere lapidate quelle Vestali, che non serbavansi vergini. Festo accenna una legge,
ntrodusse poi anche il costume di seppellirle vive in un sotterraneo, che si trovava nel Campo Scelerato presso la Porta Co
la Vestale rimase giustificata(a). Dionisio però d’Alicarnasso vuole, che colei non abbia potuto evitare la pena di essere
le, che colei non abbia potuto evitare la pena di essere flagellata e che sia stata poscia sepolta viva(b). (a). Canvel.
d’Argivi, formate di giunchi, e dette esse pure Argee. Plutarco dice, che i primi abitatori di que’ dintorni soleano gettar
tti i Greci ; ch’Ercole li persuase a cangiare sì barbaro costume ; e che per espiare il loro delitto li indusse a fare dei
ppati nelle contraddizioni dell’Istoria e nelle tenebre della Favola, che appena si rende probabile di poter asserirne la v
bile di poter asserirne la verità. Platone, il primo fra gli Antichi, che ne parlasse, non fa menzione che di una sola Sibi
. Platone, il primo fra gli Antichi, che ne parlasse, non fa menzione che di una sola Sibilla(e). Parecchi ne’ secoli poste
la sola Erofila, nata in Eritrea, città dell’Asia Minore(f). Dissero che questa viaggiò moltissimo, e fu però con varj nom
sto ultimo le nominò la Delfica, l’Eritrea, e la Cumana. Eliane disse che furono quattro, l’Eritrea, la Samia, la Sardica,
come adaltri piace chiamarla, era di nome Sambete(f). Pausania narra che gli Ebrei, i quali abitavano al di sopra della Pa
figlia di Beroso. Ella, continua lo stesso Storico, e quella stessa, che da alcuni si appella la Sibilla di Babilonia, e d
era Elissa. Dicono die vivesse prima dell’ ottantesima Olimpiade : lo che si accorda coll’ Epoca di Euripide(h). La Delfica
la volta all’anno, pure si raccolse gran quantità di versi ; e dicesi che anche Omero n’ abbi sparso nel suo Poema(i). Tibu
esametri predicesse l’avvenire. Celio Rodigir o finalmente asserisce che questa Sibilla era figlia di Dardano e di Neso, n
elebre in Cuma, città d’Italia(b). Secondo Diodoro Siculo è la stessa che la Delfica(c). Alcuni poi la denominano Femonoe(d
ama Deifobe, figlia di un certo Glauco(e). Narrasi di questa Sibilla, che Apollo non solamente le concesse di cohoscere l’a
cohoscere l’avvenire, ma le offerse eziandio qualsivoglia altra cosa, che bramar potesse. Ella chiese di vivere tanti anni,
uindi tutti sopra di lei si accumularono i danni del tempo ; e dicesi che avesse 700. anni, quando la interrogò Enea intorn
fondo di un antro, uscendo da cento parti del medesimo orribili voci, che rendevano attonito chiunque la consultava(g). In
oglie, da lei disposte nell’ingresso dell’antro. Spesso poi accadeva, che il vento all’aprirsi della porta le dispergesse ;
rgesse ; nè più ella le rimetteva nell’ ordine primiero donde nasceva che i consultanti di frequente delut se ne partissero
ea, come abbiamo detto, si diede il nome di Erofila. Lattanzio vuole, che sia stata con no me proprio chiamata Eritrea, e c
Lattanzio vuole, che sia stata con no me proprio chiamata Eritrea, e che abbia avuti i suo natali in Babilonia(b). Pausani
, e che abbia avuti i suo natali in Babilonia(b). Pausania riferisce, che no bosco sacro del tempio di Apollo Sminteo sussi
ancora a’ suoi giorni il sepolcro di questa femmin(c). E quì si noti, che i boschi furono i primi luoghi, destinati al cult
primi luoghi, destinati al culto delle Divinità(d), perchè credevasi, che il silenzio e l’oscurità di que’ recinti fossero
tempj ; ma quelli si piantavano sempre intorno a questi, e sì gli uni che gli altri erano del pari rispettati. Tagliare alc
e era lecito il levare da di là se non gli alberi, i quali si credeva che attraessero il fulmine. In tali boschi finalmente
amia avea il nome di Fitò(f). Eusebio pei la denomina Erofile, e dice che vivesse a’ tempi di Numa Pompilio(g). Da Isidoro
itj la consideravano bro concittadina. Resasi rinomatissima, è certo, che se ne scolpiva l’effigie nelle moneto con una Sfi
proponeva certi enigmi, ricevuti dalle Muse, e uccideva tutti coloro che non ne davano la giusta spiegazione(c), però la d
la giusta spiegazione(c), però la di lei figura si usò per indicare, che la sopraddetta Sibilla patimenti rispondeva oscur
patimenti rispondeva oscuramente a chi la interrogava. Eraclide vuole che costei enunziasse i suoi vaticinj a’ tempi di Sol
o innoltre un bosco e una fonte, sacri alla stessa Sibilla(a). Dicesi che la di lei statut con un libro in mano siasi trova
i lei statut con un libro in mano siasi trovata nel predetto fiume, e che il Senato Romano con solenne pompa l’abbia trasfe
ece la medesima ricerca per i tre ultimi. La fermezza di lei fece sì, che Tarquinio consultasse gli Auguri, per consiglio d
i Roma spesso consultava(a). Era stabilita la pena di morte a quello, che avesse lasciato leggere que’ libri senza decreto
tre da varj altri luoghi, ove le Sibille aveano vaticinato(c). Dicesi che nel favoloso impasto, il quale portava il nome di
. Volea rimanersene vergine nelle foreste, nè altro piacere coltivava che quello della caccia sulle più alte montagne dell’
Arcadia. Giunsero colà i due Centauri, Ileo, e Reco o Reto. Atalanta, che abborriva perfino la società degli uomini, tese l
degli uomini, tese l’arco, e li mise a morte(e). Virgilio però vuole, che sieno stati uccisi da Bacco(f) ; e Ovidio pretend
o però vuole, che sieno stati uccisi da Bacco(f) ; e Ovidio pretende, che li abbia fatti perire Driante al tempo delle nozz
ti, affinchè siscegliesse uno di loro in isposo, dichiarò finalmente, che tale le sarebbe divenuto quello, il quale avesse
uale avesse potuto vincerla nella corsa, soggiungendo al tempo stesso che la morte sarebbe stata il castigo del vinto. Benc
colti in Tamaseno, campo dell’ Isola di Cipro, e lo instruì dell’ uso che far ne doveva. L’uno e l’altra si staccarono dall
ovo, ma poi tornò a distrarsi dal trasporto di fare suo l’altro pomo, che le si presentò dinanzi agli occhi. Ippomene rigua
della meta. Atalanta perdette tempo nel pigliare anche quello : ond’è che rimase alle spalle d’Ippomene, nè più gli contras
evuto da Venere. La Dea, volendo prenderne vendetta, inspirò sì a lui che ad Atalanta l’empio progetto di profanare un empi
fecero ; e Cibele sdegnatà li cangiò in leoni(a). Notiamo per ultimo, che non è da confondersi questa Atalanta coll’altra d
(q) ; Robigo, o Rubigo ne allontanava la ruggine (r). Varrone vuole, che fosse un Nume chi ciò faceva, e che a di lui onor
va la ruggine (r). Varrone vuole, che fosse un Nume chi ciò faceva, e che a di lui onore si celebrassero le Feste Robigali
di lui onore si celebrassero le Feste Robigali (s), Plinio riferisce, che le medesime vennero instituite da Numa Pompilio (
a Nettuno il figlio Cercione, di cui parleremo (b). V’è chi credette, che Trittolemo ed Eubuleo fossero figliuoli di Disaul
stati quelli ; i quali avvertirono Cerere del ratto di sua figlia, e che la Dea per gratitudine abbia loro insegnato a col
e (a). Così poi crebbe la superstiziosa venerazione verso i medesimi, che ad essi si assegnarono perfino Sacerdoti e Minist
n. in Cerer. (d). Ovid. Metam. l. 5. (8). Appresso Igino leggesi, che nella Costellazione dell’ Emisfero Boreale, detta
rittolemo (e). Rapporto poi alla predetta Costellazione altri dicono, che Ercole, avendo liberato le rive del fiume Sangari
le, avendo liberato le rive del fiume Sangario da un grosso serpente, che ne divorava gli abitanti, fu da Giove con quel se
iove con quel serpente collocato tragli Astri (f). Altri soggiungono, che Triopa, re di Tessaglia, per aver saccheggiato un
io di Cerere, fu primieramente punito con una tormentosissima fame, e che poi fu messo a morte dal morso di un serpente, e
erpente, e con questo trasferito in Cielo. Da Igino però soggiungesi, che il predetto Triopa colà salì, perchè liberò l’iso
redetto Triopa colà salì, perchè liberò l’isola di Rodi da’ serpenti, che la infestavano (g). Eratostene finalmente è di pa
serpenti, che la infestavano (g). Eratostene finalmente è di parere, che sotto il nome di Serpentario debbasi riconoscere
offerte alla fontana, in cui era stata convertita Ciane. Pretendesi, che Ercole sia stato il primo a porgervi sactifizio,
lpidi, ebbero eglino soli pel corso di moltissimi anni il privilegio, che uno di loro fosse sempre il Gerofante del tempio
tinguevano in ginnici e scenici. Questi ultimi da principio non erano che Inni e Canti in onore degli Dei. Vi s’introdusser
parimenti a cavallo, chiamata da’ Greci Ippodromia (e), sì onorevole, che intraprendevasi anche dalle persone di alto grado
stessi, i quali non meno ambivano la gloria di riportarvi il premio, che quella di trionfare de’ loro nemici (g). Il Salto
ttarla o più alto, o più lungi di una determinata meta (b). Queglino, che vi si esercitavano, erano chiamati Discoboli (c).
te atterrarsi. Chi più vi resisteva, n’era premiato (e). Sì la Lotta, che il Pugilato al dire di alcuni (f) venivano indica
i con esso si abbracciavano tutti cinque i predetti esercizj (g) : to che appresso i Greci esprimevasi anche dalla voce Pen
lo, e appresso i Romani dall’ altra Quinquerzio (h). Quindi queglino, che vi si esercitavano, chiamavansi Paneraziasti (i),
usavano un certo abito di lungo pelo, detto Endromide (o). Il premio, che da principio riportavano a tali Giuochi, era una
a). La loro celebrità altresì otteneva loro talvolta il premio, senza che si attendesse l’esito della tenzone. Così mentre
o del Disco, Achille lo diede subito ad Agamennone (b). Queglino poi, che presiedevano a’ ubblici Giuochi, e ne distribuiva
gonoteti (d). Suida distingue gli Agonoteti dagli Atloteti in questo, che i primi presiedevano agli esercizj scenici, e i s
to venticinque passi (b), ove si faceva la corsa, e dal quale coloro, che vi si esercitavano, si dicevano Stadiodromi (c).
ltro luogo, detto Efebeo o Efebio dagli Efebi, ossia da que’ giovani, che arrivati alla pubertà, cominciavano ad addestrasi
circondato di gradini e sedili, i quali andavano alzandosi in guisa, che gli spettatori da ogni lato potevano vedere. Nell
. Graec. l. 2. (g). Nat. Com. Mythol. l. 5. (15). Erodoto vuole, che le figliuole di Danao abbiano potiato dall’ Egitt
Tesmoforie, e ne abbiano erudito le donne Pelasge (b). Altri dicono, che tali Feste s’instituirono da Orfeo (c). (a). Po
tà portavano una corona di spighe, legata con bianco nastro. Credesi, che questa sia stata la prima sorte di corone, la qua
uale siasi usata appresso i Romani (f). Tale sacerdozio non terminava che colla vita (g). Eccone l’origine : Acca Laurenzia
lui luogo (h). E quì parlando della predetta donna, si noti altresì, che la stessa instituì il Popolo Romano erede delle m
a stessa instituì il Popolo Romano erede delle molte sue ricchezze, e che pefò ne fu annoverata tra le Divinità (i), ed ebb
o Laurentinali, o Larentinali, o Accali (a). Scaligero poi pretende, che le anzidette Feste fossero state introdotte per o
l. 5. (a). De Theolog. Gentil. l. I. (1). IN memoria della cura, che presero di Giove i Coribanti, in Cnosso, città di
ttare è la bevanda degli Dei, come l’ambrosia n’è il cibo. Credevasi, che questa, come suona la sua crimologia, rendesse im
e di costoro varie sono le opinioni degli Antichi. Alcuni pretendono, che sieno nati non dalla sola Terra, ma da questa e d
(g). Omero li fa figliuoli di Nettuno e d’Ifimedea (h). Altri dicono, che sieno stati prodotti dal sangue de’Titani, uccisi
cui la loro madre erasi unita in matrimonio(f). Di Polibote leggesi, che mentr’egli toccava co’piedi il più profondo del m
to appena gli arrivava alla eintura(g). Omeco riguardo a Tifone dice, che Giunone sdegnata, perchè Giove, come vedremo, ave
i gli altri Dei di permettere, ch’ella pure da se sola partorisse ; e che battendo poscia con una mano la terra, ne usciros
i quali formarono Tifone(h). Il corpo di costui era di tale altezza, che arrivava alle stelle : con una mano toocava l’Ori
sterminati(l). Vuolsi altresì da Filostrato, cu’ egli fosse lo stesso che Encelado(a). Intorno a Briareo Omero soggimge, ch
li fosse lo stesso che Encelado(a). Intorno a Briareo Omero soggimge, che questo Gigante con tal nome era chiamato dagli De
Metam. l. 5. (5). Di là ripetesi l’origine dello stranissimo culto, che gli Egiziani solevano rendere alle piante e alle
evano rendere alle piante e alle bestie(h). Diodoro di Sicilia narra, che que’ popoli ridotti dalla carestia a mangiare car
giare carne umana, non mai però toccarono alcuno de’ loro animali ; e che anche allora quando si dosiderò da Tolommeo, re d
o messi a morte dalle frecce di Apollo e di Diana(c) Omero però dice, che li privò di vita il solo Apollo(d)Polibote, inseg
po, e formò l’altra Isola, detta Nisiro(e)Apollonio di Rodi racconta, che Tifone, fulminato da Giove sul monte Caucaso, and
so, andò a seppellisri nella palude Sterbonide(f) Plutarco soggiunge, che gli Egiziani solevano dire, che i vapori di quell
ude Sterbonide(f) Plutarco soggiunge, che gli Egiziani solevano dire, che i vapori di quella palude erano effetto del respi
vano dire, che i vapori di quella palude erano effetto del respirare, che vi faceva lo stesso Gigante : e quindi l’anzidett
palude da loro chiamavasi lo spiraglio di Tifone(g). Virgilio vuole, che costui sia stato sepolto sotto l’Isola Inarime(h)
costui sia stato sepolto sotto l’Isola Inarime(h). Altri pretendono, che colpito dal fulmine nella Sicilia(i), sia rimasto
(l). (d). Id. Ibid. l. 2. (e). Apollon. l. 3. (7). Omero dice, che il padre di Deucalione si chiamava Minos(m). (f)
m. Mytol. l. 8. (a). Ovid. Met. l. 1. (8). In memoria di coloro, che per causa di quel Diluvio perirono, si celebraron
fece pure fronte a tutti i suoi Avversarj, nè gli restava a vincerne che uno, per riportare il premio. Questi gli si avven
icne tuttavia, vicino a spirare, gli morse sì violentemente un piede, che colui cadde in, terra morto. Per questo Arrichion
nzo da Ariobarzane, re di Persia, mangiò da se solo tutte le vivande, che doveano servire per nove convitati(e). Più volte
iagora, e fratello di Damagete, discendenti da que’ di Rodi. Narrasi, che la prima volta che Acusilao fu coronato ne’ medes
di Damagete, discendenti da que’ di Rodi. Narrasi, che la prima volta che Acusilao fu coronato ne’ medesimi Giuochi, egli p
palle, e lo portò per le vie d’Olimpia in mezzo alla folla de’ Greci, che spargevano fiori per dove passava. Diagora, Damag
condannato a perdere il premio. Cleomede ne concepì tale dispiacere, che divenne pazzo. Ritornando quindi alla sua patria,
a, e scosse sì fortemente la colonna, la quale ne sosteneva il tetto, che questo cadde, e mise a morte sessanta fanciulli.
osa era avvenuto di lui ; e si udì ch’egli era l’ultimo degli Eroi, e che conveniva onorarlo co’sacrifizj(c). Dicono, che M
’ultimo degli Eroi, e che conveniva onorarlo co’sacrifizj(c). Dicono, che Milone di Crotona siasi posto sulle spalle un tor
Milone di Crotona siasi posto sulle spalle un toro di quattro anni, e che correndo ; lo abbia portato sino all’estremità de
bbia portato sino all’estremità della carriera, senza mai respirare ; che poi lo abbia ucciso con un pugno, e solo nello st
a Giovo(e). Egli innoltre teneva nella mano sì chiuso un Melogranato, che niuno glielo poteva estrarre da quella. Saltava a
ti sopra un disco, asperso d’oglio, ed ivi sene stava talmente fermo, che altri, prendendo la corsa, e impetuosamente urtan
o con tutta la forza le labbra, così si gonfiava i muscoli del corpo, che si spezzava la fune(a). Finalmente questo Atleta,
leta, confidando nella propria robustezza, volle fendere una quercia, che già cominciava ad aprisi ; e il suo braccio vi re
di Creta, fu premiato nella Corsa. Questo godeva sì alta riputazione, che gli Efesini gli offrirono una somma d’argento, on
eti(e). Teagene, della città di Taso, fu quello tra tutti gli Atleti, che abbia riportato più corone a’ Giuochi pubblici. E
le da uno de’ di lui nemici veniva frequentemente insultata. Avvenne, che quella cadde finalmente sopra colui, e lo schiacc
lo schiacciò. I Tasj per eccitamento de’di lui figliuoli decretarono, che quella fosse gettata in mare. Dovettero però racc
l’Oracolo avea dichiarato, non avrebbono potuto liberarsi dalla fame, che poco dopo era insorta ad affliggerli(a). Teopompo
riprenderlo, nè si trovò più capace. Ne concepì tale rincrescimento, che essendogli divenuta grave la vita, accese il rogo
(11). Il nome di Parentali davasi anche alle Feste, ossia a’conviti, che da’ Romani ogni anno s’imbandivano per onorare i
i anno s’imbandivano per onorare i loro parenti morti. Ausonio vuole, che sieno state instituite da Numa Pompilio ; e Ovidi
). Geogr. l. 7. (c). Herodot. Histor. l. 2. (12). Servio vuole, che quella colomba avesse le penne di colore d’oro.
rire a caso un libro di qualche Poeta, e coll’interpretarvi il verso, che primo si offtiva agli occhi : ma questa ultima ma
i segni, di cui se ne consultava la spiegazione in alcune Tavole : lo che si chiamava Oleromanzia. In alcuni tempj ciascuno
remonie. Le Sorti si gettavano sulle sacre mense degli Altari. Dicesi che tali maniere d’indovinare sieno state inventate,
tal. (f). Pitisc. (g). Varro de L. L. l. 5. (15). Esiodo dice che il Giuramento nacque dalla Dea Eride, ossia Disco
mutuo consenso. Vi si chiamavano poscia gli Dei in testimonio di ciò, che si stabiliva ; e si pronunziavano altresì orribil
pergiurato. Costui era considerato il più grande empio ; e si credeva che venisse sorpreso e agitato dalle Furie(e). Qualch
altempo di tali Giuochi. Oltre siffatta corsa eravi quel la d’uomini, che correvano a piedi. Davasi anchè lo spettacolo del
spettacolo del Pugilato, della Lotta, e della Naumachia (e). Quegli, che n’era il vincitore, veniva condotto con molta pom
a condotto con molta pompa al tempio, e coronavasi di mirto. Narrasi, che un certo Ratumeno Romano, correndo in questi Giuo
erto Ratumeno Romano, correndo in questi Giuochi, cadde dal carro ; e che i di lui cavalli, avendo continuato il loro corso
ate nel fuoco (a). Allora tutti potevano avvicinarsi alla stessa : lo che non era permesso il restante dell’anno (b). Prete
essa : lo che non era permesso il restante dell’anno (b). Pretendesi, che quell’ara indicasse, che i consigli devono essere
messo il restante dell’anno (b). Pretendesi, che quell’ara indicasse, che i consigli devono essere secreti (c). Col progres
ensi, perchè si celebravano nel Circo Massimo (e). I Greci credevano, che fossero stati così denominati da Circe, figlia de
così denominati da Circe, figlia del Sole, perchè questa fu la prima, che l’introdusse (f). (a). Varro de L. L. l. 5. (
de L. L. l. 5. (18). Spoglie opime appresso i Romani erano quelle, che un Generale toglieva a quello dell’armata nemica,
(c). Fest. de Verb. signif. (d). Pitise. (19). Arnobio dice, che il Giove Conservatore era Esculapio, del quale pa
menta di Giove Capitolino si trovò la testa di un certo Tolo (i) : la che servì a’Romani d’augurio, che la loro città sareb
rovò la testa di un certo Tolo (i) : la che servì a’Romani d’augurio, che la loro città sarebbe divenuta la dominatrice di
bbe divenuta la dominatrice di tutto il mondo (l). Quindi quel monte, che prima si chiamava Saturnio, perchè v’avea dimorat
, Vergine Vestale, fu in fine detto Campidoglio (a). Scaligero vuole, che sia stato così detto, perchè sovrastava a tutta l
, come dicevasi, non potesse cangiare situazione (f). Lattanzio dice, che il Dio Termine era quella stessa pietra, che Satu
one (f). Lattanzio dice, che il Dio Termine era quella stessa pietra, che Saturno avea divorato in luogo di Giove (a). Dion
avea divorato in luogo di Giove (a). Dionisio d’Alicarnasso pretende, che il Dio Termine e Giove fossero la medesima Divini
e Giove fossero la medesima Divinità (b). Comunque ciò sia, certo è, che Giove pure era soprannominato da’Romani Terminale
invitata ad un convito da Apollo, mangiò certe erbe, per cui avvenne, che mentr’ella per lo innanzi era stata sempre steril
empi di Servio Tullio era venerata nel Campidoglio. Leggesi innoltre, che M. Livio, essendo Console, fece voto di fabbricar
di fabbricarle un tempio nel giorno, in cui avesse vinto Asdrubale, e che n’eseguì la promessa, mentr’era Censore (a). Dopo
tempo sovrastava una nuova guerra con Antioco (b). Notisi per ultimo che siccome Ebe era la Dea della Gioventù, così Senvi
zzone fiammeggiante in ambe l’estremità, il quale talora non mostrava che una sola fiamma ; ovvero come una macchina acuta
due parti, e armata di due frecce. Sotto questa seconda forma sembra, che abbia voluto darcelo a divedere anche Luciano, il
il fulmine di Giove lungo dieci piedi (e). Virgilio finalmente vuole, che i fulmini di Giove sieno molti, e che ognuno di e
(e). Virgilio finalmente vuole, che i fulmini di Giove sieno molti, e che ognuno di essi contenga tre raggi di grandine, tr
e di pioggia, tre di fuoco, e tre di vento. Lostesso Poeta soggiunge, che ne’medesimi sonovi mescolati i lampi terribili, l
a, e onoravasi con inni e altre particolari ceremonie. V’è chi pensa, che fosse così onorato Giove stesso sotto il simbolo
superiori e inferiori denti (c). Sotto il predetto altare sì i Greci che i Romani ponevano un’urna coperta, che racchiudev
il predetto altare sì i Greci che i Romani ponevano un’urna coperta, che racchiudeva le reliquie delle cose abbruciate o a
ulmine, chiamavasi Bidentale. Bidentali si dicevano pure i Sacerdoti, che espiavano i predetti luoghi (e). Plinio dice, che
o pure i Sacerdoti, che espiavano i predetti luoghi (e). Plinio dice, che non era permesso d’abbruciare il corpo di coloro
’abbruciare il corpo di coloro ch’erano stati colpiti dal fulmine, ma che conveniva seppellirlo (f). Ciò però non era in us
ò però non era in uso appresso i Greci, giacchè da Euripide sappiamo, che Capaneo, dopo essere rimasto fulminato, ricevette
mperare il cattivo odore. A tale oggetto si aspergeva anche il corpo, che doveasi dare alle fiamme, di varj fragranti liquo
parenti altresì v’abbruciavano porzione de’loro capelli. Si pregava, che il vento prestamente consumasse il tutto. Frattan
evano le ceneri e le ossa del morto, non consumate dal fuoco (c) : lo che si diceva Ossilegio. Le bagnavano con latte e vin
petrare tranquillo riposo allo stesso defunto(a). Notiamo per ultimo, che Jouvency indica la vera differenza, che v’è tra R
funto(a). Notiamo per ultimo, che Jouvency indica la vera differenza, che v’è tra Rogo, Pira, e Busto (b). Egli la prese da
st. Antiq. Rom. l. 1. (26). Panteon era anche il nome delle Statue, che riunivano in se gli attributi di molti Numi (d).
(g) o Semipadre (h). Egli ebbe in Roma sul monte Quirinale un tempio, che fu fabbricato da’Sabini (i). Dionisio d’Alicarnas
o, che fu fabbricato da’Sabini (i). Dionisio d’Alicarnasso poi vuole, che il medesimo sia stato eretto da Tarquinio il Supe
oi vuole, che il medesimo sia stato eretto da Tarquinio il Superbo, e che quaranta anni dopo la di lui morte Spurio Postumi
l’accogliero gli ospiti (d). Il diritto dell’ospitalità era sì sacro, che l’uccisione d’un ospite era il più orrendo misfat
ase erano aperte a tutti, sicchè tutti potevano servirsi di ogni cosa che vi trovavano, senza però portarne via alcuna. I L
letti, affinchè stando sopra i medesimi, partecipassero della mensa, che veniva loro imbandita. Alle Dee però in vece di l
. (a). Ovid. Metam. l. 1. (b). Id. Ibid. (29). Alcuni dicono, che Licaone venne mutato in Lupo, perchè sacrificò un
sacrificò un fanciullo, e col di lui sangue ne bagnò l’ara di Giove, che trovavasi sul monte Liceo (c). Altri soggiungono,
l’ara di Giove, che trovavasi sul monte Liceo (c). Altri soggiungono, che il predetto Re era religioso e caro al suo popolo
d’Arcadia la città di Licosura, la più antica di tutta la Grecia ; e che v’inalzò un altare a Giove Liceo, al quale egli i
endo ridurre i suoi Sudditi all’osservanza delle sue leggi, pubblicò, che Giove si recava spesso a visitarlo sotto la figur
arono tralle carni delle vittime anche quelle d’un giovine, persuasi, che Giove soltanto se ne avrebbe potuto accorgere. Co
una grande tempesta, insorta con gagliardissimo vento, e il fulmine, che incenerì tutti gli autori di quel delitto. (30).
a avvertiti di schivare dall’incontrarsi in Melampigo, ossia in colui che al di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abb
al di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abbatterono in Ercole, che dormiva sotto un albero, e tentarono di assalirlo
r la strada colla testa rivolta all’ingiù. Coloro osservarono allora, che il dorso d’Ercole era nero ; e ricordandosi dell’
cederla al secondo : e questi per la stessa ragione al teizo. Quegli, che giungeva al termine del corso, senzachè di si fos
a di serpente, e la rendette madre di Zagreo (e). Nonno Dionisio dice che Giove trasportò il predetto bambino nell’Olimpo,
Dionisio dice che Giove trasportò il predetto bambino nell’Olimpo, e che i Titani per eccitamento di Giunone lo fecero in
i fu anche detta Boote (b). (34). Giove ebbe le Ore da Temi. Sembra, che Pausania non ne abbia riconosciuto che due, le qu
e ebbe le Ore da Temi. Sembra, che Pausania non ne abbia riconosciuto che due, le quali denominò Tallote e Carpo. La prima
a dal verbo latino hortor, esortare, perchè era vanerata come la Dea, che eccitava la gioventù alla virtù e a gloriose impr
lcuni la chiamarono Stimola. Partecipava anch’ella agli onori divini, che si rendevano a Romolo in un tempio erettogli sott
i, detti anche Palisci, e i quali si chiamavano Ate e Cario, narrasi, che la loro madre, Talia, o Etna, prima di partorirli
o Etna, prima di partorirli, appresso il fiume Simeto pregò la Terra, che la ingojasse per celarla a Giunone, di cui ne tem
si aprì, e queglino comparvero sopra di essa (d). Alcuni pretendono, che nel luogo, donde i due fratelli sortirono, si sie
erità de’giuramenti. L’esperimento si faceva in questo modo : quello, che giurava, scriveva il suo giuramento sopra certe t
orpreso dalla morte, e sommerso nelle stesse acque (b). V’è chi dice, che l’anzidetta maniera di comprovare la verità di ci
V’è chi dice, che l’anzidetta maniera di comprovare la verità di ciò che si affermava, si faceva nella fontana, detta Acad
alici si venerarono come Dei della Sicilia. Narra Diodoro di Sicilia, che il tempio di queste Divinità era tenuto in grandi
inoltre un Oracolo, a cui i Siciliani spesso ricorrevano. Pet ciò poi che spetta singolarmente ad Ate, costei non pensava c
vano. Pet ciò poi che spetta singolarmente ad Ate, costei non pensava che a far male, e a turbare l’animo degli uomini. Div
terra, Giove la prese pe’capelli, la precipitò dall’Olimpo, e giurò, che non vi sarebbe più rientrata. Ella ha alcune sore
e, le quali cercano sempre d’andarle d’appresso per impedire il male, che staper apportare ; ma essendo elleno zoppe, ne ve
zoppe, ne vengono sempre sorpassate (f). Di Cario finalmente narrasi, che passeggiando egli lungo le rive del fiume Torrebi
a una montagna, detta dal nome di lui Cario (a). (36). I tre Cabiri, che si denominavano Tricopatreo, Eubuleo, e Dionisio,
adre al dire dello stesso Cicerone fu Proserpina (d). Ferecide vuole, che sia stata Cabera, nata da Proteo. Lo stesso Scrit
un quarto, di nome Casmilo, ossia Mercurio. Finalmente Atenione dice, che da Giove e da Elettra nacquero Giasione e Dardano
mpio di questi Numi in Egitto, nel quale non era permesso l’entrarvi, che a’loro Sacerdoti. Un altro era stato eretto a’med
sere dagli Dei disesi in mare e in guerra, e di poter conseguire ciò, che onestamente si desiderava (c). Alcuni credettero,
conseguire ciò, che onestamente si desiderava (c). Alcuni credettero, che i Cabiri non fossero Dei, ma ministri degli Dei (
). Strabone li la Sacerdoti di Cibele, e secondo lui erano gli stessi che i Coribanti (d). (c). Albric. (d). Demosth.
(d). Demosth. Orat. in Arissogit. (e). Albric. (37). Omero dice che Ganimede fu rapito dagli Dei per costituirlo copp
i occhi e tante bocche, quante sono le di lei piume. Egli v’aggiunge, che non minore n’è il numero delle lingue, le quali n
il numero delle lingue, le quali non tacciono mai, e delle orecchie, che stanno sempre attente ad ascoltare. Dice finalmen
le orecchie, che stanno sempre attente ad ascoltare. Dice finalmente, che la Fama vola sempre di notte, e che digiorno sied
te ad ascoltare. Dice finalmente, che la Fama vola sempre di notte, e che digiorno siede sulle più alte torri, spaventando
triste novelle, e facendosi appresso di esse annunziatrice sà de’veri che de’falsi avvenimenti (e). (a). Fast. l. 3. (b
Pambasilea, ossia regina di tutto il monde (c) ; tuttavia non si sa, che le sia stato eretto alcun tempio. Pausania solame
sia stato eretto alcun tempio. Pausania solamente ricorda una statua, che le venne innalzata da’Tebani nel tempio di Cerere
i Cerere Tesmofora(d). (b). Ovid. Metam. l. 3. (3). Euripide dice, che fu Dirce, una delle Ninfe del fiume Acheloo, quel
ripide dice, che fu Dirce, una delle Ninfe del fiume Acheloo, quella, che trasse Bacco dal seno di Semele per ordine di Gio
il quale poi se lo ripose in una coscia(e). Appollonio di Rodi vuole, che Merourio abbia raccolto Bacco dalle materne cener
rio abbia raccolto Bacco dalle materne ceneri(f). Meleagro soggiunge, che lo fecero certe Ninfa(g). Finalmente Apollodoro d
soggiunge, che lo fecero certe Ninfa(g). Finalmente Apollodoro dice, che Giova, volendo Semele occultare a Giunone li nasc
il numero, e il nome speziale e generale delle Iadi. Vi sono alcuni, che le fanno nascere da Eretteo, altri da Cadmo(a), e
rone, Eudosa, Pasitoe, Plesauri, Pito, e Tiche(d). Alcuni pretendoro, che sieno state dette Jadi da Jante, loro fratello, i
leonessa, fu da loro pianto sino a morire di dolore(e). Altri dicono, che fu loro dato il predetto nome dal Greco verbo, yi
ndo nascono o tramontano, producono la pioggia(f). Altri soggiungono, che le Jadi erano Ninfe di Dodona, città dell’ Epiro,
elle altre per rossore di essersi unita in matrimonio con un mortale, che fu Sisifo, re de’Corintj(h), mentre le altre sue
. 4. (b). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Alcuni pretendono, che Jacco fosse il nome di un figlio di Cerere ; ch’e
iglio di Cerere ; ch’egli accompagnasse la Dea ne’ suoi viaggi(i) ; e che le facesse obbliare il dolore, che le apportava i
asse la Dea ne’ suoi viaggi(i) ; e che le facesse obbliare il dolore, che le apportava il ratto di Proserpina, dandole a be
n Dionys. (g). Diod. Sicul. l. 4. (6). Diodoro Siculo riferisce, che sotto il nome di Sabazio si riconosceva un figlio
si riconosceva un figlio di Giove e di Proserpina, assai più antico, che il Bacco, nato da Semele(a). Altri attribuiscono
o stesso nome non a Bacco, ma ad un suo figlio(b). Cicerone pretende, che il Bacco, per cui s’instituirono le Feste Sabazie
avesse regnato in Asia(c). Clemente poi(d), e Arnobio(e) pretendono, che le Feste Sabazie fossero solennità notturne, con
(h). Potter. Archaeol. Graec. l. 2. (8). I Fauni erano Semidei(g), che da’ Greci si appellavano Satiri(h). Questi nella
soprannominati Capripedi(i). Gli Aniquarj però chiamano Fauni quelli, che aveano l’ntera figura umana, fuorchè nelle orecch
a, fuorchè nelle orecchio appunite, e nella coda ; Satiri poi quelli, che oltracciò vevano le corna e i piedi, e tutta la m
non vi si vedeva alcuno. Si credette, soggiunse lo stesso Scrittore, che tali Isole fossero abitate da’ Satiri(b). Sotto i
ria, e si lasciavano andare eziando da per tutto i buoi(i). Credeasi, che Fauno in una foresta presso la fontana Albunea de
lui, e lo fece perire. Gli Dei cangiarono il Pastore stesso in fiume, che ritenne il di lui nome(b). Ritornando a Fauno, no
in fiume, che ritenne il di lui nome(b). Ritornando a Fauno, notiamo, che Servio lo confonde con Silvano(c). Anche questi d
Silvano(c). Anche questi da’ Romani fu venerato qual Nume campestre, che presiedeva alle selve, a’pastori, e a’limiti dell
ide, pastore d’Italia, e di una capra : ed è per questo, dicono essi, che Silvano comparve alla luce mezzo uomo emezzo capr
solevano entrare di notte nelle case, si posavan sul corpo di quelli che dormivano, e col loro peso fortemente li opprimev
gni, non vi si avvicinasse(e). E quì di passaggio possiamo ricordare, che ogni parte della porta avea i suoi Numi particola
porta avea i suoi Numi particolari. Il Dio Forculo presiedeva a ciò, che chiude l’apertura del muro, per cui si entra ed e
Celio, ove le si offrivano certi sacrifizj, detti Fabarj dalle fave, che vi s’impiegavano(c). (i). Job. Jacob. Hofman. L
o da Pane, e da una Ninfa(f). Nonno lo fa figlio della Terra. Dicesi, che sia nato in Malsa, Capitale dell’Isola di Lesbo(g
ettante notti. Poscia si trasferì nella Lidia, e lo rendette a Bacco, che in ricompensa permise a quel re di chiedergli ciò
dette a Bacco, che in ricompensa permise a quel re di chiedergli ciò, che più gli fosse piaciuto. Mida ricercò, che si cang
quel re di chiedergli ciò, che più gli fosse piaciuto. Mida ricercò, che si cangiasse in oro tutto quel, che avrebbe tocca
gli fosse piaciuto. Mida ricercò, che si cangiasse in oro tutto quel, che avrebbe toccato. Così avvenne ; ma quando lo stol
h’erasiridotto in vece all’estremo della miseria. Pregò quindi Bacco, che ne lo liberasse. Il Nume lo mandò a lavarsi nelle
rasse. Il Nume lo mandò a lavarsi nelle acque del fiume Pattolo : dal che ne nacque, che le vicine campagne ebbero poi le z
lo mandò a lavarsi nelle acque del fiume Pattolo : dal che ne nacque, che le vicine campagne ebbero poi le zolle lucide per
o(a) ; e per tal fatto il predetto fiume si denominò Crisorroa, ossia che porta seco l’ere (b). (10). Le Ceste mistiche er
ormati di vimini o di scorze d’alberi, pieghevoli, e simili a quelle, che volgarmente chiamiamo ceste. Le medesime poi si d
sioni, ed erano sempre chiuse, onde il popolo non potesse vedere ciò, che racchiudevano. Chi rivelava a’non iniziati i mist
profanazione. Solamente nelle Orgie comparivano così aperte per metà, che si poteva vedervi un serpente vivo. Eravi colà qu
ano co’manichi, onde fossero più portatili. Donato ci lasciò scritto, che tali Ceste erano talvolta coperte di pelle. Oppia
adorna di corone. Alcune finalmente erano dorate al di fuori. Coloro, che le portavano, si chiamavano Licnofori, o Cistofor
niesi, s’impiegavano in tale ministerio(a). Si può per altro credere, che un tale uffizio, comechè sacro, non fosse riputat
, rinfacciandogli, ch’egli avea fatto il Licnoforo. Notiamo innoltre, che le mistiche Ceste si usavano anche nella celebraz
gli stessi misterj e ceremonie erano loro communi. Dicesi finalmente, che le mistiche Ceste erano sacre anche a Proserpina
olte d’oro, d’argento, e d’avorio, e tirati o da animali o da uomini, che rappresentavano gli animali, sacri alle Deità, ch
imali o da uomini, che rappresentavano gli animali, sacri alle Deità, che si onoravano. A questi carri davasi il nome di Te
le. Queste seconde erano consecrate ad una fanciulla, di nome Carila, che si appiccò per aver ricevuto un insulto dal re di
ibull. l. 4. ad Messal. (15). Erigone, appiccandosi, pregò gli Dei, che se gli Ateniesi non vendicassero la morte d’ Icar
o. Per rimediare a tal disordine, si udì da Apollo essere necessario, che si placasse l’ombra d’ Erigone con feste e sacrif
ano in aria sopra corde appiccate agli alberi (a). Il Bocaccio crede, che l’ Icario, padre di Erigone, fosse diverso dall’a
o, ch’era figlio di Ebalo, e padre di Penelope (b). Altri pretendono, che l’anzidetta Festa, Eora, si fosse instituita in o
h. in Parall. (16). Una Ninfa, chiamata Lotide, fuggendo da Priapo, che la inseguiva, si trovò trasformata in quella pian
o da Priapo, che la inseguiva, si trovò trasformata in quella pianta, che dal nome di lei si disse Loto (d). Narrasi che la
mata in quella pianta, che dal nome di lei si disse Loto (d). Narrasi che la medesima riuscisse sì dolce, che gli stranieri
di lei si disse Loto (d). Narrasi che la medesima riuscisse sì dolce, che gli stranieri, mangiandone, si dimenticavano tota
. (a). Ovid. Metam. l. 3. (b). In Bacch. (18). Pausania dice, che dell’albero, su cui Penteo ascese per osservare l
ciulle mai vantasse l’ Oriente. L’essere vicini d’abitazione fece sì, che si accendessero di reciproco amore. Le brame di t
n onesto imeneo ; ma un forte ostacolo ad eseguirlo era l’inimicizia, che passava fra’loro genitori. Scoperta nella parete,
a l’inimicizia, che passava fra’loro genitori. Scoperta nella parete, che separava l’una dall’altra casa, certa assai tenue
e della Luna vide usciro dalla foresta una leonessa, lorda di sangue, che a quella volta s’avviava o per lavarsi, o per ber
uirsi alla tana inciampò in quello, e Io fece in mille pezzi. Piramo, che più tardi era partito da casa, all’appressarsi co
triso di sangue. Lo riconobbe, e credette divorata dalla fiera colei, che lo portava. Disperato risolse d’uccidersi, e ferm
di Arianna. Altri lo fanno figlio di Sileno o di Sileto. Fu il primo, che insegnò a mescolare l’àcqua col vino (d). (22).
sacrifizj a Bacco, e compose in onore di sua madre un Coro di Musici, che fu per lungo tempo denominato il Coro di Fiscoa (
a di Bacco, sul di cui tirso eravi un’aquila (f). Il Meursio osserva, che tale uccello soleva darsi anche agli Eroi, quale
o perchè erano coperte di purpurea lana (e). Comunemente però dicesi, che l’Esperidi aveano degli orti, i quali producevano
Pomi d’oro, o pel loro colore, o pel loro squisitisimo gusto. Vuolsi, che i predetti orti si trovassero nell’estrema parte
l’estrema parte dell’Etiopia verso l’Occidente (f). (2). Il Dragone, che dalla Dea fu mandato a custodire le predette frut
di Forci (l) ; e Pisandro, citato dallo Scoliaste d’Apollonio, dice, che lo produsse la Terra. (d). Paus. in Corinth.
osò di ritornarsene al suo paese, e si ritirò appresso il re Ebialo, che gli diede in moglie Ilebia, sua figlia, con una p
(a). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Antonino Liberale dice, che tra’ Greci v’avea un’altra tradizione, secondo la
rviero da Nettuno, perchè avea somministrato del formento a’ Trojani, che il predetto Nume voleva affliggere colla fame (c)
città, cui diede il nome di sua moglie. Ebbe una figlia, detta Libia, che Nettuno rendette madre d’Egitto e di Danao (d).
barbaro costume era adottato da tutti i Greci, eccettochè da’ Tebani, che lo risguardavano come un delitto capitale (b). (
nne d’Argo, le quali erano divenute per causa di quella sì furibonde, che non potendo starsene nelle loro case, correvano q
Pilo. Ma il di lei padre non voleva darla in isposa, se non a colui, che gli avesse condotto dalla città di Filaca i buoi
detta giovine in matrimonio (a). Ne nacquero Arejo, Talao, e Laodoco, che si trovarono tragli Argonauti (b). (c). Ovid. M
di Pandione, e gli espose il motivo di sua venuta. Il re non v’aderì che con somma ripugnanza d’animo, come se avesse pres
era per accadere alla sua figliuola. Nè s’ingannò : il perfido Tereo, che di Filomela erasi oltremodo invaghito, giunto all
’esserne con pari affetto corrisposto. Non potè mai riuscirvi : ond’è che il barbaro dopo avere legato le mani a colei, sgu
tugurio, e se ne ritornò alla moglie scolorito e piangente, fingendo che Filomela fosse morta. Pianse Progne amaramente la
co’ sacrifizj la funebre ceremonia. Era trascorso un anno intero, da che Filomela gemeva rinchiusa e custodita da certe gu
delle sciagure di Filomela ; e altamente sdegnatasi, non pensò tosto che alla vendetta. Correvano i giorni, ne’ quali le M
ue carni in quelle del figlio. Non avea per anco finito di cibarsene, che ricercò del suo Iti per divertirsi seco lui. Comp
e un’altra Divinità, cui si offerivano sacrifizj per allontanare ciò, che poteva recare guasto alle campagne. Per la stessa
15). Pane era il Dio spezialmente de’ pastori e cacciatori, e quegli, che presiedeva a tutte le azioni della vita campestre
da Ibri (f) ; il Poeta Acheo da Urano, e da Titea (g). Altri vogliono che abbia avuto origine da Demogorgone (h) ; altri da
 ; altri da Etere, ossia da una Nereide (i). V’è finalmente chi dice, che Giove lo ebbe dalla Ninfa Eneide (l). Pausania po
ce, che Giove lo ebbe dalla Ninfa Eneide (l). Pausania poi riferisce, che molte Ninfe : d’Arcadia, e spezialmente Sinoe, pr
rcadia, e spezialmente Sinoe, presero cura della di lui infanzia : lo che gli acquistò il nome di Sinoide. Sotto questo tit
oli, città d’Arcadia, nel tempio di Giove Liceo (m). Omero soggiunge, che la di lui nutrice, al vederlo, rimase talmente sp
iunge, che la di lui nutrice, al vederlo, rimase talmente spaventata, che prese la fuga ; e che Mercurio dopo d’averlo ravv
utrice, al vederlo, rimase talmente spaventata, che prese la fuga ; e che Mercurio dopo d’averlo ravvolto in pelli d’animal
Ladone. Era colei di avvenenza e leggiadria singolare. Ella non amava che gl’innocenti trastulli di Diana, e imitavala nell
, sue sorelle, e a Ladone, suo padre. Non compì Siringa la preghiera, che trasformata videsi in canna palustre, la quale, a
le, agitata poi dal vento, rendeva un certo siollo cauto, quasi d’uno che si lagnava. Pane, rimasto così deluso, ruppe con
ro, quando Borea, di lui rivale, fu trasportato da sì grande gelosia, che la precipitò dalla sommità di una rupe. Quindi si
osia, che la precipitò dalla sommità di una rupe. Quindi si credette, che il liquore, il quale esce dal Pino, agitato dal v
Ninfa (a). Pane soleva empiere gli agricoltori di sì grande spavento, che molti di quelli morivano. Per tal motivo tutto ci
nde spavento, che molti di quelli morivano. Per tal motivo tutto ciò, che ad un tratto atterrisce, senzachè se ne conosca l
Pausania ne riconosce per institutore Licaone, re d’Arcadia ; e vuole che fossero sacre a Giove Liceo (h). Altri pretendono
adia ; e vuole che fossero sacre a Giove Liceo (h). Altri pretendono, che sieno state instituite da Romolo e da Remo, per a
are la città di Roma sul monte Palatino V’è finalmente chi asserisce, che le medesime si celebrarono da’ Romani per ricorda
benefizio. prestato ad essi dalla lupa coll’educare Romolo e Remo ; e che per tal motivo si fabbricò appresso il borgo Rumi
che per tal motivo si fabbricò appresso il borgo Ruminale un tempio, che fu denominato Lupercale. Questo però secondo Serv
rodusse poi anche il costume di spogliarsi delle vesti per ricordare, che Remo e Romolo, mentre celebravano anch’eglino que
mentre celebravano anch’eglino queste stesse Feste, furono avvertiti, che alcuni ladri aveano condotto via i loro armenti ;
no avvertiti, che alcuni ladri aveano condotto via i loro armenti ; e che i due fratelli con tutta l’altra gioventù, gettat
lla corsa, li inseguirono, e ricuperarono il loro gregge (c). Vuolsi, che Romolo offerisse al tempo di tali Solennità anche
e i greggi da’ lupi. Riguardo poi al sacrifizio della capra, narrasi, che a questa col progresso del tempo siasi sostituito
progresso del tempo siasi sostituito un irco (d). Dicesi finalmente, che in luogo de’ pastori, i quali celebravano le Lupe
percali, Romolo abbia instituito alcuni Sacerdoti, chiamati Luperci ; che questi sieno stati divisi in due Collegi, detti i
ni e i Fabiani, in memoria d’un certo Quintilio, e di un cetto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare, a
erto Quintilio, e di un cetto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare, al di cui tempo le anzidette Feste
in uso, avendole rinovate, v’abbia anche aggiunto un terzo Collegio, che dal nome di lui fu appellato Giuliano (a). (h).
o Diana (b). I Greci poi chiamavano Eleutò (c), ovvero Ilitia quella, che presiedeva a’ parti, ed a cui le donne vicine a p
, qualora avessero potuto felicemente riuscirvi (d). Altri pretendono che Ilitia fosse Diana (e) ; altri Giunone medesima (
tal pegno vieppiù i loro cuori si unissero insieme (i). Plinio dice, che al suo tempo tale anello era di ferro, e senza ge
e, o il marito non terminasse di abbruciarla in qualche sepolcro : lo che si risguardava come un presagio della vicina mort
nticinque animali, i quali solamente si sacrificavano. Altri vollero, che il nome di Ecatombe abbia tratta la sua origine d
di Ecatombe abbia tratta la sua origine dal numero sì delle vittime, che di quelli, i quali intervenivano al sacrifizio (a
ronidi, perchè abitavano un antro in cima del monte Citerone, è fama, che ispirassero gli abitanti di que’ dintorni (b), i
lla luce (b) ; Postvorta (c), o Postverta (d), e Antevorta avea cura, che quello uscisse dal seno della madre nella maniera
no per accadere (g). Le Dee Carmenti predicevano il destino di ognuno che nasceva (h). Vagitano, o Vaticano presiedeva a’ v
a’ vagiti del bambino (i) ; Rumilia (l), o Rumia, o Rumina al latte, che loro si somministrava (m) ; Cunina alle culle (n)
nutrici per conciliare loro il sonno (s) ; Nondina alle lustrazioni, che si faceveno il nono giorno dopo la loro nascita,
ustre Diction. Mythol. (f). Id. Ibid. (24). Parlando del tempio, che Giunone aveva in Argo, ci si risveglia alla memor
predetto tempio, di cui n’era la sacerdotessa. Non avendo essa buoi, che tirassero il suo carro, i due figliuoli lo strasc
rono sino al tempio per quaranta cinque stadj. La madre pregò la Dea, che concedesse loro il miglior bene. Queglino, dopo d
poichè Giunone avea loro mandata la morte, come la maggior felicità, che potesse loro accadere. Que’ d’Argo alzarono delle
sero un’altra sacerdotessa, ed ebbero tutto il rispetto verso quelle, che esercitavano tale sacerdozio (h). (a). Job. Jac
quello, elleno tosto cessavano di esistere (c) Valerio Flacco poi fa, che Itide fosse ambasciatrice anche di Giove (d). (c
ondo i Poeti è il luogo destinato al soggiorno di tutte le anime. Dal che s’inferisce, che l’uomo anche tra le più dense te
luogo destinato al soggiorno di tutte le anime. Dal che s’inferisce, che l’uomo anche tra le più dense tenebro del Paganes
el suo cuore il sentimento della propria immortalità, e fu persuaso ; che la sua anima neppure allora cessa di esistere ; q
in una spelonca dinanzi all’ Inferno, e ne custodiva le porte. Dioesi che accarezzasse coloro che vi discendevano, e che do
all’ Inferno, e ne custodiva le porte. Dioesi che accarezzasse coloro che vi discendevano, e che don altissimi e molto orre
odiva le porte. Dioesi che accarezzasse coloro che vi discendevano, e che don altissimi e molto orrendi latrati spaventasse
vano, e che don altissimi e molto orrendi latrati spaventasse qualli, che cantavano di uscirne(g) : Esiodo anzi dioe, che l
i spaventasse qualli, che cantavano di uscirne(g) : Esiodo anzi dioe, che li divorava(h). (3). Gli Antichi riconobbero la
eterno, di cui quello de’viventi n’ è l’immagine ; però soggiungesi, che la Morte è sorella del Sonno(b). Quindi gli Spart
falce, un ragno, e quantità di ricchezze. Le due faccie significano, che la Morte riesce dolce e soave a chi ben visse, sp
perchè d’ordinario esercita il suo dominio assai più sopra i vecchi, che sopra i giovani. Sca sdrajata in atto di dormire,
dormire, per indicare ch’ ella ci reca eterno dopo le tante fatiche, che ci opprimono sulla terra. La falce tronca indisti
altrimenti si fa dalla Morte. Il ragno, ch’ è animale debolissimo, e che tesse fragilissima tela, esprime la debolezza e f
iuolo dell’ Erebo e della Notte(a). Gli danno la figura di fanciullo, che coricato sea dormendo in profonda grotta, posta n
ro colloca il soggiorno del Sonno nell’ Isola di Lenno ; e soggiunge, che il Sonno si trasformò nell’ uccello, detto Cimind
lorchè alle preghiere di Giunone egli addormentò sul monte Ida Giove, che stava tralle braccia della stessa Dea(c). Tibullo
 : altri veri, i quali cioè annunziavano cose reali ; ed altri falsi, che non erano se non false illusioni. I primi, dice O
nferno, ch’è di corno, e i secondi da quella d’avorio(f). Sì gli uni, che gli altri, soggiunge Ovidio, sogliono vestirsi di
, ma per ministro del Sonno(g). Fantaso, così detto dallo sconcertare che faceva le fantasie(f), cangiavasi in fiume, in bo
ite cose, prive di senso(g). Fobecore fu così denominato dal terrore, che destava, facendosi ora fiera, ora volatile, ed or
di quella del Sonno(a). Nè quì è fuor di proposito il notare altresì, che gli abitanti di Delo, e altri popoli della Grecia
nsiderate come ministre della vendetta degli Dei. Si credette quindi, che la loro occupazione consistesse nel punire i deli
chè gli comparvero coperte di bianche vesti(d). Alcuni però vogliono, che sieno state dette Eumenidi per antifrasi, o per i
no, che sieno state dette Eumenidi per antifrasi, o per ironia(e) ; e che abbiano avuto tal nome molto tempo prima dell’ av
nome molto tempo prima dell’ avvenimento d’ Oreste. Credevasi altresì che l’Eumenidi fossero le medesime che le Nemese, Dee
mento d’ Oreste. Credevasi altresì che l’Eumenidi fossero le medesime che le Nemese, Dee vendicatrici de’ delitti, le quali
Elleno finalmente si chiamarono le Dee rispettabili(b). Il rispetto, che si aveva per loro, era sì grande, che quasi non o
e rispettabili(b). Il rispetto, che si aveva per loro, era sì grande, che quasi non osavasi di proferirne neppure il nome.
pregne, e offerivano corone di Narcisso(e). Era pur celebre il culto, che loro rendevasi nell’ Arcadia. In tempo di notte,
silenzio nel tempo di que’ sacrifizj, a quali non potevano assistere che i Sacerdoti. Il fuoco, che vi s’impiegava, doveva
sacrifizj, a quali non potevano assistere che i Sacerdoti. Il fuoco, che vi s’impiegava, doveva essere fatto con legne di
s’impiegava, doveva essere fatto con legne di cedro. Non era permesso che il canto melanconico, detto l’Inno delle Furie, n
(c). Omero dà a Celeno il nome di Podarge(d). Esiodo non fa menzione, che delle due prime, e dice che nacquero da Taumante
me di Podarge(d). Esiodo non fa menzione, che delle due prime, e dice che nacquero da Taumante e da Elettra, figlia d’Ocean
armate di artigli(h). Divoravano tutte le vivande, e infettavano ciò, che non potevano rapiro(i). (7). La Chimera nacque d
resso lo stesso Preto da Stenobea, o Antea,(d), di lui moglie. Preto, che non voleva imbrattarsi le mani nel sangue dell’ o
i commise di guerreggiare contro i Solimi con poco presidio, sperando che facilmente sarebbe rimasto ucciso da quella feroc
(f) o Achemenia, in matrimonio, e una parte del suo regno(g). Dicesi, che l’anzidetta moglie di Preto, udite tutte queste c
e tentativo, mandò un insetto a molestare siffattamente quel cavallo, che questo rovesciò Bellerofonte in Aleia, pianura de
loco, e una figlia, detta Laodamia. Isandro morì in un combattimento, che i Licj sostenevano contro i Solimi. Ippoloco salì
ne, re di Licia(b). Essa amava la caccia, e ne divenne sì orgogliosa, che Diana la privò di vita(c). (8). Ne’ dintorni del
in un solo colpo. Il veleno finalmente di quest’ Idra era sì fatale, che una freccia, tinta dello stesso, recava inevitabi
no a cruciare anch’ esse gli scellerati(c). Ebbero altre due sorelle, che parimenti erano mostri alati, e si chiamavano Pef
te, perchè nacquero co’ capelli di tal fatta. In tutte due non aveano che un occhio e un dente, de’ quali vicendevolmente s
dente, de’ quali vicendevolmente si servivano(f). Alcuni hanno detto, che queste erano le stesse Gorgoni(g). (10). Le Parc
a figlie della Notte(h), e ora di Giove e di Temi(i). Igino soggiunse che trassero origine dalla Notte e dall’ Erebo(l). Al
uso, ed Atropo colla forbice taglia il filo(n). L’opinione co nune è, che dipendessero da’ voleri del Destino(a). Esiodo ce
no anche le ombre de’ morti(e). E quì si osservi col dotto Varburton, che i Pagani distinguevano tre parti nell’ uomo : 1.
e, vale a dire un corpo sottile, di cui n’era rivestito lo spirito, e che avea la figura del corpo umano. Quest’ ultima par
la figura del corpo umano. Quest’ ultima parte dell’ uomo era quella, che chiamavasi ombra. Le ombre si distinguevano in qu
pena de’ loro delitti andavano errando sulla terra, e dallo spavento, che col loro orribile aspetto cagionavano, si dicevan
inacciava la totale distruzione. Quegli talmente ne rimase atterrito, che abbandonò l’impresa. I Romani allora alzarono pre
na un tempio a Redicolo, ossia al Dio deb Ritorno, perchè credettero, che questo Nume là avesse obbligato il loro nemico a
erarono talvolta sotto la figura di serpenti. Silio Italico racconta, che essendo uscito un serpente dal sepolcro di Murro,
ente dal sepolcro di Murro, e andato al mare, i Saguntini credettero, che i Mani fuggissero. A’ Mani fu consecrato un bosco
i giorni, nel qual tempo nè si solennizzavano gli sponsali per timore che rinscissero sciagurati, nè si aprivano che i temp
no gli sponsali per timore che rinscissero sciagurati, nè si aprivano che i tempj di Plutone e degli altri Numi Infernali(d
te si occupavano a scacciare i Lemuri dalle loro case, e ad impedire, che v’entrassero. Eccone le ceremonie : per tre notti
endo nove volte certe parole senza mai volgersi in dietro. Credevasi, che l’ombra, la quale lo seguiva, raccogliesse le fav
Inferno, dov’ egli divenne un fiume amarissimo(b). Altri pretendono, che il medesimo sia figliuolo di Titano e della Terra
pretendono, che il medesimo sia figliuolo di Titano e della Terra, e che da Giove, perchè dissetò i Titani nel momento, in
e Acherusia(d). Altri sono d’opinione ch’escano da quella(e). Dicesi, che sia questo il primo fiume, a cui concorrano tutte
se prima non si aveano ricevoti gli onori della sepoltura. Credevasi, che coloro, i quali ne rimanevano privi, andassero er
neta, detta da’ Greci Danace, e da’ Latini Naulo(d). Aristofane dice, che se ne ponevano due(e). Caronte neppure poteva amm
Caronte neppure poteva ammettere nella sua barca alcuno de’ viventi, che non gli avesse mostrato il Ramo d’oro da offerirs
anno fu punito colla carcere, perchè trasportò nell’ Inferno Ercole, che senza quel Ramo v’andò a rapire l’anima d’Alceste
a nascere da Acheronte e dalla Terra(d). Apollodoro Grammatico vuole, che abbia tratto origine da una certa pietta, la qual
una certa pietta, la quale trovavasi nell’ Inferno(e). Il giuramento, che si faceva pel fiume Stige, era inviolabilmente os
; altri per cento ; e Servio soggiunge per nove mille(f). Pretendesi, che siasi conferito tale privilegio allo Stige, perch
ne aggiunge una quarta, ch’egli denomina Emulazione(h). Altri dicono, che il fiume Stige conseguì il predetto onore, perchè
e Stige conseguì il predetto onore, perchè svelò a Giove la congiura, che aveano tramata gli altri Dei per metterlo in cepp
di Liriope, bella Ninfa della Beozia. Era stato predetto da Tiresia, che colui sarebbe vissuto, finchè non avesse rimirato
ì, e non essendone corrisposta, talmente per l’affizione si consunse, che rimase convertita in sasso, nè lasciò di se che l
ffizione si consunse, che rimase convertita in sasso, nè lasciò di se che la voce, di cui pure non potè mai usarne per parl
vi si accostò per dissetarsi. Vide, bevendo, l’immagine di se stesso, che lo innamorò ; e figurandosela un corpo reale, non
sso, che lo innamorò ; e figurandosela un corpo reale, non s’accorse, che vaneggiava in un’ombra. A tal segno crebbe il del
se, che vaneggiava in un’ombra. A tal segno crebbe il delirio di lui, che finalmente sul fiore più fresco degli anni suoi m
resco degli anni suoi morì d’acerbo dolore : Fu cangiato in un fiore, che porta il suo nome(b), e il quale poscia venne con
, e il quale poscia venne consecrato all’ Eumenidi(c). Plutarco dice, che un’avventura simile a quella di Narcisso accadde
cisso accadde anche ad un certo Eutelida. Questi pure la prima volta, che si mirò in una fontana, talmente restò invaghito
che si mirò in una fontana, talmente restò invaghito di se medesimo, che morì di dolore(d). Finalmente colle due anzidette
retendeva di conficcare chiodi con una spugna, e soleva ricusare ciò, che grandemente bramava(a). (14). Il Cocito era un f
uesto nome di Cocito significa gemito, pianto ; e però fu immaginato, che questo fiume non fosse, che le lagrime de’condann
ca gemito, pianto ; e però fu immaginato, che questo fiume non fosse, che le lagrime de’condannati nel Tartaro(c). Da quest
l Tartaro(c). Da questo fiume trassero il loro nome le Feste Cocizie, che si celebravano in onore di Proserpina(d). (15).
lie. Così fu denominato uno de’ fiumi dell’ Inferno, perchè si fiuse, che le acque dello stesso avessero la virtù di toglie
i alcuni Filosofi, detto la Metempsicosi, secondo il quale credevasi, che le anime, dopo aver dimorato un certo periodo d’a
etempsicosi colla Palingenesia, ossia rigenerazione. La prima suppone che il passaggio delle anime da uno in un altro corpo
fodelo(b) dall’ erba di questo nome, ch’esso produce. Dicono i Poeti, che il medesimo trovasi ne’ campi Elisj, e che di que
o produce. Dicono i Poeti, che il medesimo trovasi ne’ campi Elisj, e che di quell’ erba sogliono ciharsene i Mani(c). (16
deriva dal verbo greco-poetico, phlegetho, abbruciare, e supponevasi, che le rapide acque dello stesso fossero fiamme, le q
opra a volo senza cadervi morti a cagione delle pestifere esalazioni, che ne uscivano(e). Questo Lago prendesi frequenti vo
tutto l’ Inferno(f). (18). Per entrare ne’ Campi Elisj non bastava, che le anime fossero vissute bene. Conveniva che foss
Campi Elisj non bastava, che le anime fossero vissute bene. Conveniva che fossero state anche purificate ; altrimenti veniv
el Caos e della Caligine, e padre della Notte(h). Cicerone però dice, che questa era di lui moglie(a). Virgilio parla dell’
), ed ora come un fiume dell’ Inferno(c). (19). Tra gli scellerati, che si trovano nel Tartaro, i più famosi sono Sisifo,
ggiungono, perchè era solito a cruciare con varj tormenti gli ospiti, che si recavano appresso di lui(g). Ferecide vuole, c
menti gli ospiti, che si recavano appresso di lui(g). Ferecide vuole, che abbia ritenuto incatenata nel suo palagio sì lung
he abbia ritenuto incatenata nel suo palagio sì lungo tempo la Morte, che Marte alle preghiere di Plutone fu obbligato a li
iberarnela, perchè niuno più discendeva nell’ Inferno. Pausania dice, che Sisifo indicò ad Asopo il rapimento d’ Egina, sua
ttosi da Giove, trasformato in fiamma di fuoco(h). Altri riferiscono, che Sisifo, essendo per motire, comandò a sua moglie
eseguito il comando datole solamente per far prova del di lei amore ; che avendo ottenuto il permesso di venire per pochi g
ochi giorni in questo mondo, non voleva più ritornarsene nell’altro ; che Mercurio dovette ricondurvelo colla forza a Pluto
l’altro ; che Mercurio dovette ricondurvelo colla forza a Plutone ; e che questi lo condannò al meritato castigo(a). Questo
ia di farsi credere un Nume. A tale oggetto formò un ponte di bronzo, che attraversava gran parte della sua città ; vi feco
a gran parte della sua città ; vi feco correre sullo stesso un carro, che produceva uno strepito simile a quello del tuono 
ol vero fulmine, e lo precipitò nel Tartaro(c). E quì notisi altresì, che non fu Salmoneo solo quegli, che cadde in sì foll
el Tartaro(c). E quì notisi altresì, che non fu Salmoneo solo quegli, che cadde in sì folle orgoglio. Leggesi di un certo A
he cadde in sì folle orgoglio. Leggesi di un certo Annon Cartaginese, che coltivando anch’egli lo stesso pensiero, raccolse
raccolse in un luogo oscuro molti uccelli, e loro insegnò a cantare, che Annon ere un Nume. Come quelli seppero far sentir
anto(d). Tentò la medesima cosa Psafone, e sìo felicemente vi riuscì, che gli uccelli, avvezzati da lui a dire che Psafone
e sìo felicemente vi riuscì, che gli uccelli, avvezzati da lui a dire che Psafone era un gran Dio, andarono ripetendo ne’ b
o, andarono ripetendo ne’ boschi tali parole, e fecero in tale guisa, che i popoli rendessero a Psafone gli onori divini(a)
e lo condanno nel Tartaro ad essere continuamente agitato dal timore, che precipiti sopra di se un gran sasso, il quale sov
h’egli pure abbia scoperto i misterj degli Dei(e). Pindaro soggiunge, che Tantalo rubò dalla mensa degli Dei il nettare e l
per farne dono agli uomini(f). Lo Scoliaste del predetto Poeta vuole, che Tantalo siasi appropriato un cane, affidatogli da
il di lui tempio nell’ Isola di Creta(g). La maggior parte poi dice, che Tantalo, avendo accolte in casa sua alcuni Dei, e
erano tali, offerì loro in cibo le carni del suo figliuolo, Pelope ; che Cerere, niente accorgendosene, fu la prima e la s
ccorgendosene, fu la prima e la sola a mangiarne la spalla destra ; e che gli altri Numi, conosciuta l’empietà di Tantalo,
ovare fame e sete rabbiosissima a vista di un albero pieno di frutta, che gli pendeva sul capo, e di una sorgente d’acqua,
pieno di frutta, che gli pendeva sul capo, e di una sorgente d’acqua, che gli toccava le labbra(a). Cicerone vuole, che sov
i una sorgente d’acqua, che gli toccava le labbra(a). Cicerone vuole, che sovrastasse una gran pietra al di lui capo, e che
a). Cicerone vuole, che sovrastasse una gran pietra al di lui capo, e che questo ne venisse percosso, ogni qual volta che e
tra al di lui capo, e che questo ne venisse percosso, ogni qual volta che egli tentava di assaggiare quelle acque(b). Rigua
tentava di assaggiare quelle acque(b). Riguardo poi a Pelope dicesi, che gli Dei ne riunirono le membra ; che gl’inspiraro
). Riguardo poi a Pelope dicesi, che gli Dei ne riunirono le membra ; che gl’inspirarono nuova vita ; e che in luogo della
he gli Dei ne riunirono le membra ; che gl’inspirarono nuova vita ; e che in luogo della spalla, mangiata da Cerere, gliene
tituirono un’altra di candidissimo avorio(c). Pindaro però non vuole, che Pelope sia stato messo a morte dal padre, ma che
daro però non vuole, che Pelope sia stato messo a morte dal padre, ma che nej dì del predetto convito Nettuno lo abbia rapi
no, e le diedero in balia all’ Eumenidi(e). Strabone lasciò scritto ; che Issione era non figlio, ma fratello di Flegia(a) 
Issione era non figlio, ma fratello di Flegia(a) ; Eschilo soggiunge, che quegli ebbe per padre Antione ; Ferecide lo fa na
cavalli. Se ne sdegnò Issione, e servitosi dell’ inganno, non attese, che a prenderne vendetta. Scavò una fossa, ed empiuta
igliuoli di suo fratello, Egitto. Come poi Danao intese dall’ Oracolo che uno de’suoi generi gli avrebbe tolto e trono e vi
ri gli avrebbe tolto e trono e vita, foce giurare alle sue figliuole, che la prima notte ognuna di esse avrebbe ucciso il s
uo marito. Tutte eseguirono l’empia promessa, eccettuata Ipermnestra, che risparmiò la vita al suo consorte Linceo, e fece
sì, ch’egli potè ritirarsi in Lircea, città vici, na ad Argo. Dicesi, che mentre Linceo fuggì nella predetta città, la di l
predetta città, la di lui moglie si ritirò in Larissa, dove sì l’uno che l’altra accesaro una fiaccola sulla sommità d’una
na fiaccola sulla sommità d’una torre, per reciprocamente avvertirsi, che v’erano arrivati sani e salvi. Della qual cosa pe
uscito, fabbricò un tempio a Suada, ossia alla Dea della Pessuasione, che i Greci denominano Pito (c). Tutte le altre di le
nel Tartaro dell’acqua con urne traforate (d). Conviene però credere, che le Danaidi non tutte abbiano incontrato tale pena
i quelle, sposata ad Encelado, si sa, ch’essa, tormentata da’rimorsi, che le destava il commesso misfatto, si ritirò ne’bos
a’rimorsi, che le destava il commesso misfatto, si ritirò ne’boschi : che volendo vibrare una freccia contro una cerva, fer
olendo vibrare una freccia contro una cerva, ferì in veco un Satiro ; che questi la inseguì ; e che Nettuno la trasformò in
contro una cerva, ferì in veco un Satiro ; che questi la inseguì ; e che Nettuno la trasformò in quel momento in fontana (
nos si aggiunge, ch’egli attese a dirozzare i suoi sudditi con leggi, che poscia servirono di nonna a tutti i Legislatori d
ritiravasi di quando in quando in un antro della sua Isola, e fingeva che Giove vi discendesse a dettargliele (a). È perchè
à n’estrae senza figuardo nè ad età nè a condizione i nomi di coloro, che il Destino ordina, che muojano (c). Radamanto poi
do nè ad età nè a condizione i nomi di coloro, che il Destino ordina, che muojano (c). Radamanto poi giudica le anime, che
e il Destino ordina, che muojano (c). Radamanto poi giudica le anime, che vengono dall’Asia, ed Eaco quelle, che partono da
adamanto poi giudica le anime, che vengono dall’Asia, ed Eaco quelle, che partono dall’Europa (d). (a). Nat. Com. Mythol.
dal capo del moribondo un capello, detto perciò fatale. Ne’sacrifizj, che le si offerivano, le s’immolavano sempre delle gi
tasi di abbandonarli, spiega le ali, e rapidamente fugge da loro : lo che significa, che le ricchezze d’ordinario a grande
narli, spiega le ali, e rapidamente fugge da loro : lo che significa, che le ricchezze d’ordinario a grande stento si racco
i spesse volte un breve tempo svaniscono (g). Platone lasciò scritto, che Pluto non era cieco, ma aveva anzi una vista acut
a prima invocavasi per aver danari (l) : benchè Giovenale ci attesta, che questa Dea non ebbe nè culto, nè altari (a). Si r
ni si riconosceva il Dio Arcolo (c). (26). Racconta Valerio Massimo, che due figliuoli e una figlia d’un certo Valesio ven
ennero attaccati da gravissima malattia. Il loro padre pregò gli Dei, che traessero sopra di lui la morte minaccinta a que’
opra di lui la morte minaccinta a que’fanciulli. Venne in cognizione, che queglino avrebbono riacquistata la salute, qualor
essa li guarì. Coloro dissero allora di aver veduto in sogno un Nume, che aveva loro ordinato di celebrare de’Giuochi nottu
). L’Isola di Delo, per esservi nato Apollo, divenne sì rispettabile, che nè catti vi si alimentavano, nè alcuno vi si sepp
lcuno vi si seppelliva, nè le donne vi partorivano(b). Si sa inoltre, che i Persiani, ì quali avevano devastato tutte le Is
(e). Nat. Com. Mythol. l. 4. (3). Furonvi alcuni, i quali dissero, che Latona era balia, e non madre di Apollo e di Dian
ch’erano accorsi ad intorbidare quelle acque. Latona chiese agli Dei, che coloro non uscissero mai più da quella palude. No
tempio in Argo e in Delo, vicino a quello d’Apollo(a). Erodoto dice, che uno ne avea pure in Bute, e un Oracolo antichissi
po, Ossa, e Pelio(c). (a). Ovid. Metam. l. I. (5). Pausania dice, che Diomede, ritomando da Troja, ed essendosi salvato
gli ricercavano Alceste in matrimonio, avea giurato di darla a colui, che avesse condotto in giro la sua figliuola sopra un
dmeto ebbe da Apollo i due animali, e con questi avendo eseguito ciò, che Pelia avea proposto, ottenne la giovine in isposa
he Pelia avea proposto, ottenne la giovine in isposa. Dicesi inoltre, che , fatto Pelia morire, come più diffusamente vedrem
, versate dal grande amore per Alceste, talmente intenerì Proserpina, che questa gli ridonò in vita la generosa consorte(b)
tion. Mythol. (b). Cic. Tuscul. Quest. l. I. (8). Pausania dice, che Agamede fu ucciso dallo stesso suo fratello, Trof
torre per custodirvi i di lui tesori. Queglino la formarono in guisa, che potevano introdurvisi secretamente, ogni qual vol
ono in guisa, che potevano introdurvisi secretamente, ogni qual volta che volevano. Il Principe finalmente osservando, che
nte, ogni qual volta che volevano. Il Principe finalmente osservando, che le sue ricchezze di giorno in giorno grandemente
tendo conoscere, come ciò avvenisse, tese un agguato appresso i vasi, che contenevano l’oro. Vi fu preso Agamede. Trofonio,
lui fosse scoperto. Altri finalmente riguardo ad Agamede soggiungono, che la terra si aprì sotto i di lui piedì, ed egli vi
, e a portare seco delle focacce per gettarle a’Lemuri, e a’serpenti, che gli si facevano incontro. Dicesi inoltre, che chi
a’Lemuri, e a’serpenti, che gli si facevano incontro. Dicesi inoltre, che chiunque discendeva nello stesso antro, non mai p
à consecrata a quel Nume, ne riportò tanta fama colle sue predizioni, che non solo l’Asia, ma tutta la Grecia Europea atton
pero(a). (11). Numa, per conciliare maggiore venerazione alle leggi, che stava formando, pubblicò che la Ninfa Egeria di n
ciliare maggiore venerazione alle leggi, che stava formando, pubblicò che la Ninfa Egeria di notte gliele dettava nel bosco
i andarono a cercare quella Ninfa nel predetto luogo, nè vi trovarono che una fontana, in cui immaginarono, che colei fosse
predetto luogo, nè vi trovarono che una fontana, in cui immaginarono, che colei fosse stata convertita da Diana(b). Le donn
geria riconobbero Giunone Lucina(d). (c). Id. Ibid. (12). Dicesi, che Gige, gonfio di se stesso, perthè era potentissim
’Oracolo di Delfo per sapere, se v’era alcuno più felice di lui. Udì, che Aglao di Psofide, città d’Arcadia, lo superava. C
Aglao di Psofide, città d’Arcadia, lo superava. Costui non possedeva che poche campagne ; ma si contentava di ciò, che col
a. Costui non possedeva che poche campagne ; ma si contentava di ciò, che colla propria industria ne ritraeva(e). (13). Tr
tero ad alcuni astanti la prima raccolta, ch’erano per fare. Avvenne, che insieme co’pesci raccolsero anche un tripode d’or
ri, per terminare la quale si ricorse alla Pitonessa. Questa rispose, che il tripode mentovato si desse al più sapiente. Fu
gli aveva dato la vita. Il giovine frattanto si acquistò tale stima, che finalmente divenne il depositario delle richezze
nne il depositario delle richezze di quel tempio. Apollo poi bramava, che Jone fosse creduto figlio di Zuto, re d’Atene, il
re ilsuo Oracolo per sapere, se egli avrebbe alcun figliuolo. Intese, che sarebbe suo figlio quello, il quale egli incontre
bbe, uscendo dal tempio. Zuto v’incontrò Jone, e lo tenne per quello, che gli era stato indicato. Creusa pensò, che tal cos
one, e lo tenne per quello, che gli era stato indicato. Creusa pensò, che tal cosa altro non fosse che un artifizio per col
he gli era stato indicato. Creusa pensò, che tal cosa altro non fosse che un artifizio per collocare sul trono il figlio di
asciò tosto il suo asilo, corse ad abbracciare Jone, e gli manifestò, che Apollo era il di lui genitore. Vi sopraggiunse Mi
era il di lui genitore. Vi sopraggiunse Minerva, e comandò a Creusa, che non palesasse a Zuto, ch’ella era madre di Jone.
d’Atene(a). (16). Gli Anfizioni erano i Deputati delle Greche città, che rappresentavano la nazione con piena facoltà di p
resero il nome da Anfizione, figlio di Deucalione, terzo re d’ Atene, che al dire di Pausania li instituì(b). Strabone però
’ Atene, che al dire di Pausania li instituì(b). Strabone però volle, che tale Deputazione abbia tratto la sua origine dal
no un sacrifizio solenne a Cerere, come Dea tutelare del luogo. Que’, che presiedevano a tale sacrifizio, si dicevano Gerom
ni di fresco latte, e nell’offerire vino e focacce di miglio. Dopo di che si ascendevano certi mucchi di paglia, sopra i qu
a). Queste Feste al dire di Suetonio si facevano anche per ricordare, che in que’giorni Romolo aveva gettato le prime fonda
o le prime fondamenta della sua città(b). E quì di passaggio notiamo, che siccome le pecore erano sotto la protezione delle
rano sotto la protezione delle due predette Divinità, così credevasi, che Bubona avesse la cura de’ buoi(c), Epona quella d
Peone i Poeti ricono scevano un celebre Medico degli Dei(f). Dicesi, che questi abbia risanato Plutone, gravemente ferito
perchè credevasi, ch’egli stesso avesse indicato agl’infelici amanti, che per guarire dalla loro passione era necessario ba
1). Molti altri Numi s’invocavano da’ Gentili per allontanare i mali, che loro sovrastavano. Eglino si chiamavano Apotropei
). Id. Ibid. (22). La madre di Branco, vicina a partorirlo, sognò, che il Sole entrava per la sua bocca, e usciva per le
r la sua bocca, e usciva per le sue viscere. Gl’ Indovini asserirono, che ciò era di buon augurio. Di fatti colei diede all
iadon, e fu annoverato tra gli Dei(e). Diede anch’egli degli Oracoli, che furono i più celebri dopo quelli di Delfo. A nobi
ianore, soprannominato Ocno. Questi fabbricò nell’ Etrurià una città, che chiamò Mantova dal nome di sua madre(a). (b). J
bolliva al levar del Sole, e faceva morire sull’istante gli uccelli, che ne beveano(b). (e). In Achaic. (f). Olymp. O
. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (a). Ovid. Metam. l. 4. (26). Dicesi, che Apollo, quando nacque Rodia, abbia fatto discende
due cavalli di color bianco o rosso(l). Licofrone poi lasciò scritto, che veniva portata dal cavallo Pegaso(m). Ella amò mo
remo altrove (a). Nacque pure da loro il Dio Fosforo, ossia Lucifero, che parimenti annunzia alla terra l’arrivo di sua mad
tempo anche il privilegio, ch’egli non mai invecchiasse, ne avvenne, che a lui, aggravato dagli anni e dalle infermità, co
a. L’Aurora finalmente lo cangiò in cicala(b). (28). Orfeo pretende, che Circe sia nata da Asterope e da Iperione(c). Ella
de’ Latini, detto poscia dal nome di lei Circeo(d). Erodiano scrisse, che fu dal Sole trasferita nel suo carro nell’ Esperi
uccello, chiamato parimenti Bico. Canente così allora se ne afflisse, che anch’ella morì di dolore(a). Circe poi non ostant
nell’ Isola di Eca(b). Dicesi ch’ella sia stata anche detta Marica, e che sotto tal nome la venerassero gli abitanti di Min
l nome la venerassero gli abitanti di Minturno(c). Altri soggiungono, che così denominavasi Venero(d). (29). Faetonte mill
ginata da un Nunre. Epafo, figliuolo di Giove e della Ninfa Io, negò, che colui fosse figliuolo del Sole. Faetonte se ne qu
Faetonte se ne querelò appresso Climene, sua madre. Ella lo accertò, che Febo era il di lui padre, ed esortollo a récarsi
diffondevasi la luce sulla terra. A tale inchiesta stupì il genitore, che ben conosceva il periglio, a cui esponevasi l’inc
ò il carro. Faetonte però non giunse a conoscere abbastanza la strada che dovea tenere, nè ebbe forza sufficiente a reggere
ebbe forza sufficiente a reggere i cavalli di suo padre. Ne avvenne, che quelli ben presto traviarono dal consueto cammino
ora troppo abbassandosi, inaridivano i fiumi, e riducevano poco meno che in cenere tutta la terra. Giove, onde riparare a
l tristo fine. Il pianto loro fu sì dirotto, e sì veemente il dolore, che rimasero cangiate in pioppi, e le loro lagrime in
te. Anch’egli n’ebbe tal’eccessivo dolore per la sciagura del nipote, che , abbandonate le cure dello Stato, solitario e pia
è sfogare la sua doglia, poichè venne convertito in Cigno(c). Notisi, che secondo Esiodo(d), e secondo Pausania(e) Faetonte
ne e da Aurora. Finalmente riguardo alle sorelle di Faetonte notiamo, che Igino(b) ne riconobbe sette, Merope, Elia, Egle,
bbe sette, Merope, Elia, Egle, Lampezia, Fela, Eteria, e Diosippe ; e che Germanico(c) ce Ie denominò Merope, Elia, Egle, E
Faetonte, sposò Merope, re dell’ Isola di Cos, il quale si pretende, che poscia sia stato cangiato in aquila, e collo cato
ui crebbero a tal numero, e Diodoro ce ne dà un’altra. Il primo dice, che la città di Sicione commise a tre celebri Scultor
l primo dice, che la città di Sicione commise a tre celebri Scultori, che ciascuno di loro formasse tre statue, le quali ra
ormasse tre statue, le quali rappresentassero le tre accennate Muse ; che queglino così a meraviglia eseguirono il loro lav
nate Muse ; che queglino così a meraviglia eseguirono il loro lavoro, che la medesuna città fece acquisto di tutte le nove
voro, che la medesuna città fece acquisto di tutte le nove Statue ; e che fin d’allora le Muse si computarono nove. Diodoro
e che fin d’allora le Muse si computarono nove. Diodoro poi pretende, che Osiride avesse sempre appresso di se nove fanciul
o, Polinnia, Urania, e Calliope(c). La prima presiedeva all’ Istoria, che contiene l’elogio degli Eroi. Rappresentasi coron
tre più famosi Poemi Epici, l’Iliade, l’Odissea, e l’Eneide. Vuolsi, che da Calliope sia nato Jalemo, inventore del canto
moravano(a), e de’quali quanto prima parleremo. Alcuni poi pretendono che sieno state denominate Pieridi dalle nove figlie
Piero, ricchissimo Macedone(b). Quelle giovani ardirono di assorire, che avrebbono superato nel canto le Muse. Queste acce
torni furono stabilite arbitre della gara. Fu proposta la condizione, che le Muse, perdendo, dovessero cedere alle figlie d
e Camene a cagione della dolcezza del loro canto(h). Varrone pretende che anticamente in vece di Camene si dicessero Carmen
figlio di Vulcano, molto le onorava(g) ; Pegasidi dal cavallo Pegaso, che soleva quà ç là trasportarle(h). Questo cavallo n
rasportarle(h). Questo cavallo nacque colle ali ; e vuolsi da alcuni, che sia stato prodotto dal sangue di Medusa, sgorgato
recise il capo, come più diffusamente vedremo(i). Esiodo poi pretende che lo stesso cavallo siasi detto Pegaso, perchè comp
parve alla luce presso le sorgenti dell’ Oceano(l). Ovidio soggiunge, che Nettuno, invaghitosi dell’anzidetta Medusa, e spe
erva, e la rendette madre del medesimo cavallo(a). Notiamo per ultimo che alle Muse si offerirono sacrifizj in varj luoghi
’ Atene aveano un altare, sul quale pure spésso loro si sacrificava ; che i Tespj ogni anno celebravano sul monte Elicona a
nno celebravano sul monte Elicona a loro onore una festa musicale ; e che Roma avea eretto ad esse tre tempj(b). (e). Or
e delle Muse, si celebravano da’ Greci Ie Nefalie, feste o sacrifizj, che si facevano senza vino. Non vi s’impiegava che l’
ie, feste o sacrifizj, che si facevano senza vino. Non vi s’impiegava che l’idromeli, ossia certa acqua mellata, che avea i
a vino. Non vi s’impiegava che l’idromeli, ossia certa acqua mellata, che avea il sapore del vino(c). (34). Il Parnasso è
tti i montì della Focide(d). Da prima chiamavasi Larnasso da Larnace, che fu l’arca di Deucalione, la quale era stata ivi t
uccelli, e inoltre fabbricò una città ch’ebbe pure il di lui nome, e che poi rimase sommersa nel tempo dell’anzidetto Dilu
te, l’una delle quali chiamavasi Titoreo, e l’altra Jampeo(a). Dicesi che Pireneo, re della Focide, incontratosi colle Muse
. Ma staccatosi dalla cima d’un’ alta torre, così precipitò al basso, che finì ben tosto di vivere(b). Il Parnasso divenne
rra, quando le acque inondarono tutta la terra(c). Notiamo finalmente che nel monte Parnasso v’avea un antro, detto Coricio
. Dal predetto luogo si denominarono Coricidi, o Coricie cette Ninfe, che ivi soggiornavano(e), e le Muse pure, alle quali
Il Pierio era monte della Tessaglia(a). (37). Il Pindo era un monte, che trovavasi tralla Macedonia e l’Etolia, e che sepa
. Il Pindo era un monte, che trovavasi tralla Macedonia e l’Etolia, e che sepanava l’ Epiro dalla Tessaglia(b). (38). Il P
iro dalla Tessaglia(b). (38). Il Permesso era un fiume della Beozia, che aveva la sua sorgente nel monte Elicona, e si sca
licona, e si scaricava nel lago. Copaide appresso Aliarto(c). Dicesi, che le acque dello stesso inspirassero il genio della
(d). (39). Il Castalio scorre alle falde del Parnasso. Pretendevano, che non solo le acque, ma perfino lo stesso strepito
to fatidico(e). Questo fiume fu così denominato dalla Ninfa Castalia, che fuggendo da Apollo, rimase convertita in questo f
a in questo fiume(f). (40). L’Aganippo usciva dall’ Elicona. Vuolsi, che questo fiume sia improvvisamente scaturito dal pr
e, quando il cavallo Pegaso con un piede ne percosse un sasso : ond’è che l’ Aganippe prese appresso i Greci il nome d’ Ipp
on vanno d’accordo i Mitologi riguardo il padre di Marsia. Igino dice che fu Eagro(a) ; Plutarco Jagnide(b) ; Apollodoro Ol
nide(b) ; Apollodoro Olimpo(c). (42). La tibia da principio non avea che tre o quattro buchi. Ateneo(d), e Pausania(e) vog
non avea che tre o quattro buchi. Ateneo(d), e Pausania(e) vogliono, che sia stata inventata dallo stesso Marsia. Apollodo
b). Diod. Sicul. l. 3. (c). Ovid. Metam. l. 6. (43). Akri dicono, che Marsia, come si vidde viuto, disperato si precipi
della Frigia, a cui diede il proprio nome(g). Comunque sia, certo è, che si verificò la protesta, la quale unita al giuram
flauto alla presenza degli Dei, fu da Giunone e da Venere avvertita, che il suono di quello strumento gonfiava in modo ass
ad una fonte del monte Ida, e non appena v’ osservò la sua deformità, che , gettato via il flauto, giurò, che un deplorabile
ppena v’ osservò la sua deformità, che, gettato via il flauto, giurò, che un deplorabile fine avrebbe incontrato colui, che
a il flauto, giurò, che un deplorabile fine avrebbe incontrato colui, che lo avesse raccolto : lo che accadde a Marsia(h).
eplorabile fine avrebbe incontrato colui, che lo avesse raccolto : lo che accadde a Marsia(h). Questi dopo morte fu pianto
ore di que’ dintorni. Da tali lagrime si formò un fiume limpidissimo, che si chiamò Marsia(i). (d). Nat. Com. Mythol. l. 
Mythol. l. 6. (a). Paus. in Attic. (b). l. 3. (44). Omero dice, che niuno de’ figliuoli di Niobe potè sottrarsi alla
dice, che niuno de’ figliuoli di Niobe potè sottrarsi alla vendetta, che presero di lore Apollo e Diana(a). Niobe poi tal
a(a). Niobe poi tal dolore concepì per la perdita de’ suoi figliuoli, che Giove per pietà la convertì sul monte Sipilo in s
e Sipilo in sasso, il quale versava continuo pianto. Narrasi inoltre, che i di lei figliuoli rimaseto insepolti per nove gi
ove giotni, perchè i Tebani erano stati da Giove cangiati in sassi, e che gli Dei stessi nel decimo giorno rendettero a que
imo giorno rendettero a quelli i funebri onori(b). Dicesi per ultimo, che Anfione, addolorato per aver perduto sì miseramen
Apollo conferì a Tenero il privilegio di predire il futuro ; e volle, che il fiume Ladone prendesse il nome d’Ismenio, o Is
d). (b). Paus. l. 9. (46). Gordio, padre di Mida, stupì al vedere, che un’ Aquila se ne stette sul giogo della di lui ca
o grandi dissensioni tra’ Frigj ; e dall’ Oracolo : si predisse loro, che le medesime non avrebbono cessato, se non per mez
ro, che le medesime non avrebbono cessato, se non per mezzo di colui, che avessero veduto andarsene sopra un carro al tempi
fanciullezza, quando molte formiche empirono di grano la bocca a lui, che dormiva(a). Mida dedicò a Giove il carro di suo p
n nodo d’ammirabile sottigliezza, ed era il legame talmente aggirato, che non si poteva conoscerne nè il principio, nè il f
r isciorlo, perchè un’ antica tradizione di quel paese avea indicato, che chi avesse potuto ciò fare, avrebbe conseguito l’
, avrebbe conseguito l’Imperio dell’ Asia. Non vi riuscì ; e temendo, che i suoi soldati ne ttaessero cattivo presagio, lo
l materno tentativo, poichè Eolo udì i vagiti del bambino, e comandò, che quello fosse tosto esposto a’ cani. Spedì egli ne
e andò a fabbricare una città nella Caria. Bibli allora pianse tanto, che divenne una fonte(a). (a). Job. Jacob. Hofman.
comunemente dicesi nato da Apollo e da Terpsicore, vuolsi da alcuni, che abbia tratto i natali da Mercurio e da Urania(b).
i Psamate, figlia di Crotopo,-re d’Argo. Colei non appena lo partorì, che temendo l’ira del padre, lo nascose tra certi vir
cerarono(d). Non sono da confondersi i due anzidetti Lini con quello, che nacque da Urania e da Anfiarao. Anch’ egli fu ecc
compianto perfino dalle nazioni più barbare. Omero finalmente disse, che Vulcano sullo scudo d’ Achille tra i molti altri
al figlio, Tamiride. Questi divenne così peritissimo in tale scienza, che a motivo della medesima fu dagli Sciti creato lor
a. Filamone disperato pel doloré si gettò in un fiume. Platone finse, che l’anima di Tamiride fosse passata nel corpo di un
une sopra le altre con ammirabile proporzione(b). Anfione fu il primo che innalzò un altare a Mercurio nella Grecia per ave
cia per avet da lui ricevuto il predotto strumento. Alcuni pretendono che ne sia stato regalato da Apollo(c). Ebbe un frate
fratello, di nome Zeto. Eglino, per vendicare i barbari trattamenti, che Dirce, moglie di Lico, re di Tebe, avea usato all
er la di lei singolare bellezza la guarì e sposò(b). Apollonio vuole, che Antiope fosse figlia d’Asopo(c) ; e Zetze dice, c
Apollonio vuole, che Antiope fosse figlia d’Asopo(c) ; e Zetze dice, che Anfione e Zeto ebbero Teoboonte per padre(d). Alt
, che Anfione e Zeto ebbero Teoboonte per padre(d). Altri pretendono, che Giove per unirsi ad Antiope siasi trasformato in
vessero fatto morire. Ricusarono coloro d’ aderirvi, perchè temevano, che Arione, arrivato a Corinto, li accusasse. Il suon
Arione, arrivato a Corinto, li accusasse. Il suonatore chiese allora, che prima di morite almano gli fosse permesso di tocc
. Egli accoppiava con tanta dolcezza la sua voce al suono della lira, che sospendeva il corso de’ rapidissimi fiumi, rendev
traeva dietro a udirlo gli uccelli, le selve, e i monti. Fu il primo, che introdusse nella Grecia le solennità di Bacco(e).
poso. La sola Euridice, figlia di Nereo o di Dori, egualmente saggia, che bella, potè averlo in marito. Avvenne poi, ch’ell
piede, e sul più verde degli anni suoi la fece morire. Altri dicono, che fu punta da quell’ animale, mentre fuggiva dal pa
pastore Aristeo, figlio d’Apollo e della Ninfa Cirene(g). Soggiungono che le Ninfe, per vendicare la morte d’Euridice, ucci
er vendicare la morte d’Euridice, uccisero tutte le Api di Aristeo, e che questi assai più ne ottenne, dopochè per consigli
le sue corde il cane Cerbero, e vi fece risuonare sì flebili accenti, che intenerite le ombre de’ trapassati non poterono n
nte perduta. Era ormai per rivedere la luce del Sole, quando temendo, che la moglie nol seguisse, per accertarsene voltò in
perchè rivelò a gente profana i più secreti Misterj. Dicesi eziandio, che il capo e la lira di lui, gettati nell’ Ebro, fur
ttati nell’ Ebro, furono dalla forza del fiume trasportati in Lesbo ; che poi la stessa lira venne collocata tra gli Astri,
ornata dalle Muse di nove insigni stelle(a). V’ è altresì chi narra, che Orfeo dopo la morte di Euridice non siasi più uni
orte di Euridice non siasi più unito in matrimonio con altre donne, e che da’ alcune di queste al tempo delle Orgie sia sta
empo delle Orgie sia stato lacerato(a). Alcuni finalmente pretendono, che Orfeo siasi abbandonato a sì eccessiva tristezza,
nte pretendono, che Orfeo siasi abbandonato a sì eccessiva tristezza, che finalmente si diede la morte da se medesimo(b). L
iope(c). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (53). Strabone dice, che le Famiglie Irpie camminavano sul fuoco non in on
o Monumento nel. Tomo III dell’ Accademia di Cortona. Altri vogliono, che Clatra sia Iside, altri un segno Panteo(f). (c).
ucippo, figlio d’Enomao, re di Pisa. Questi, conoscendo l’avversione, che quella Ninfa aveva al matrimonio, se le avvicinò
lo, geloso di vedere Leucippo corrisposto da Dafne, inspirò sì a lei, che alle compagne di essa il desiderio di bagnarsi ne
all’assedio di Troja. Polimela sposò poi Echecleo, figlio di Attore, che per averla in moglie dovette offerire al di lei p
nò dalla società, e andò a vivere ne boschi, ove fu accolta da Diana, che la ammis’ nel numero delle sue compagne. Venere,
a ammis’ nel numero delle sue compagne. Venere, offesa dee disprezzo, che Polifonte faceva di lei, volle vendi. l carsene,
fiere a divorare la misera giovine. Costei però fu sì agile di piedi, che si salvò colla fuga, e ritornò alla paterna casa.
tempo dopo i due gemelli, Orcio e Agrio. Costoro crebbero sì feroci, che divoravano tutti quelli, che incontravano. Mercur
cio e Agrio. Costoro crebbero sì feroci, che divoravano tutti quelli, che incontravano. Mercurio per ordine di Giove era pe
brani, quando Marte, perchè eglino erano discendenti da lui, ottenne, che fossero cangiati colla madre in uccelli. Polifont
ossero cangiati colla madre in uccelli. Polifonte divenne un uccello, che canta solamente la notte, che non può nè bere, nè
uccelli. Polifonte divenne un uccello, che canta solamente la notte, che non può nè bere, nè maugiare, e la di cui appariz
lantidi. Questi, comechè fosse un povero agricoltore (Igino (e) vuole che fosse un Principe della Beozia) tuttavia fece lor
glienza. Gli anzidetti Numi, grati a tanta cortesia, gli accordarono, che chiedesse tutto quel, che voleva. Colui ricercò d
i, grati a tanta cortesia, gli accordarono, che chiedesse tutto quel, che voleva. Colui ricercò di avere un figliuolo senza
pelle d’un bue, ch’egli avea loro sacrificato (f). Ferecide poi dice, che Orione era figlio di Nettuno e di Euriale, e che
. Ferecide poi dice, che Orione era figlio di Nettuno e di Euriale, e che il padre suo gli avea conferito il privilegio di
utti nel mare (g). Altri poi dicono ch’era di sì eccedente grandezza, che non eravi mare sì profondo, sopra la di cui super
resso il Sole, da cui gli fu restituita la primiera vista. Fu allora, che Orione prese le armi contro Enopione, ma non potè
one prese le armi contro Enopione, ma non potè fargli pagare il’ fio, che bramava, perchè quello venne da’ suoi cittadini n
uoi cittadini nascosto sotterra (c). (4). Alcuni lasciarono scritto, che Diana fece perire Orione, perchè questi aveala pr
aveala provocata a giuocare secolui al disco (d). Altri soggiunsero, che la stessa Dea lo uccise co’ dardi, perchè volle f
, ovvero a lei stessa, come dice Nicandro (f). (5). Ovidio racconta, che Orione perì d’un morso di scorpione, che la Terra
(f). (5). Ovidio racconta, che Orione perì d’un morso di scorpione, che la Terra produsse per punirlo d’essersi vantato,
so di scorpione, che la Terra produsse per punirlo d’essersi vantato, che non eravi bestia, cui egli non fosse capace di fa
stia, cui egli non fosse capace di fare resistenza (g). Lucano vuole, che il predetto scorpione siasi suscitato contro Orio
e Venere e Minerva arricchirono de’ loro più preziosi doni. Avvenne, che la Beozia si trovò afflitta da pestilenza. L’Orac
si trovò afflitta da pestilenza. L’Oracolo fece intendere a’ Tebani, che non se ne libererebbono se non col sacrifizio di
ero i corpi. Dalla terra, bagnata da quel sangue, sorsero due stelle, che in forma di corona s’innalzarono al Cielo (b). Ov
, che in forma di corona s’innalzarono al Cielo (b). Ovidio pretende, che il corpo delle due anzidette giovani siasi abbruc
e il corpo delle due anzidette giovani siasi abbruciato da’ Tebani, e che da quelle ceneri si sieno prodotti due giovani co
nione degli Antichi ciascurio per lo più si occupa in quegliesercizj, che amava sulla terra (d). (b). Ovid. Metam. l. 11.
Costui, entrato in un antro per riposarsi, prese sonno, nè si svegliò che dopo settanta cinque(b), o, come altri dicono, ci
, ed egli molto giovò ad essi co’consigli e colle predizioni. Dicesi, che sia morto in età di dugento ottanta nove anni, e
dizioni. Dicesi, che sia morto in età di dugento ottanta nove anni, e che dopo morte sia stato onorato come un Nume(c). (d
e(c). (d). Nat. Com. Mythol. l. 4. (e). In Eliac. (9). Vuolsi, che Endimione abbia avuto in moglie Asterodia, o Crom
he Endimione abbia avuto in moglie Asterodia, o Cromia, o Iperippe, e che questa gli abbia partorito i tre figliuoli, Peone
ella parte, la quale poscia venne chiamata Peonia. Notisi per ultimo, che secondo l’opinione di alcuni vi furono due Endimi
la Caria(e). (f). Declaustre Diction. Mythol. (10). Altri dicono, che il nome di Dittinna fu dato alla stessa Britomart
. (f). Declaustre Diction. Mythol. (12). E’opinione di Plutarco, che sotto il nome di Libitina si riconoscesse Venere
gli uomini della fragilità della loro natura, e per far comprendere, che il fine de’loro giorni non era lontano dal princi
incipio degli stessi, poichè questa Deità, la quale presiedeva a ciò, che dava la vita, presiedeva poi anche a ciò, che acc
quale presiedeva a ciò, che dava la vita, presiedeva poi anche a ciò, che accompagna la motte ; ovvero perchè in Dello v’av
e splendida veste, e sì ornava di fiorite corone e di verdi tami : Io che si faceva da certi Ministri, chiamati Pollintori(
porta del defonto un vaso d’acqua, affinchè si purificassero coloro, che doveano toccare il cadavere. Alle porte si append
verghe. Oltre i fasci vi si portavano anche le Insegne de’Magistrati, che quegli avea ottenuti(b). Se era guerriero, andava
no le Nenie, ch’erano lamentevoli versi di lode al defonto(a). Dicono che alla ceremonia di queste donne presiedesse la Dea
te a farsi dal morto(c) ; innoltre i Liberti Orcini, ossia que’servi, che per testamento del defonto aveano conseguita la l
are o soppellire. Se si abbruciava, ciò si faceva nel campo di Marte, che trovavasi fuori della città. Le ceremonie, solite
i in quell’occasione, furono già da noi altrove esposte. Quì notiamo, che non si usò mai di abbruciare i fanciulli, i quali
mpi posteriori lo facevano fuori della città, nè in quelle tumulavano che i porsonaggi illustri(c). I volgari sepulcri dell
i celetta avea la sua porta. Furonvi anche aggiunte colonne e statue, che ornavano i sepolcri, e alludevano alle imprese de
a insalubre l’aria della città, Augusto donô quel recinto a Mecenate, che lo convertì in ameni orti(f). Ed è probabile, che
recinto a Mecenate, che lo convertì in ameni orti(f). Ed è probabile, che altri siti suburbani si sieno allora destinati al
ni, riposte sul sepolcro(b), e chiamate anche cibi ferali. Credevasi, che le anime in quel tempo fossero immuni dalle pene,
i. Credevasi, che le anime in quel tempo fossero immuni dalle pene, e che potessero venire sulla terra a godere di que’cibi
giorni di tale ceremonia si dicevano Denicali(a). Notiamo per ultimo, che se alcuno moriva lontano, se ne faceva l’immagine
iv. lib. 23. (a). Declaustre Diction. Mythol. (14). Altri dicono che Diana fu detta Lafria, da Lafrio, figlio di Delfo
. Altri dicono che Diana fu detta Lafria, da Lafrio, figlio di Delfo, che le eresse il predetto tempio(c). (b). Isidor. l
lol. c. 14. (c). Nat. Com. Mythol. l. 3. (15). V’è chi pretende, che le Caneforie si facessero in onore di Minerva o d
scisse felice il matrimonio, ch’erano per incontrare. Notisi altresì, che la Caneforia non era una festa, ma una ceremonia
(d). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (16). Antonino Liberale vuole che Toante, re della Tauride, fosse figlio di Boriste
essaglia offeriva ogni anno dei sacrifizj (a). (2). Apollodoro dice, che Cinira nacque da Tanace, e da Sandoco, figlio di
lei era estremamente amata. Egli non poteva trattenerri cella stessa, che passando di notte lo Stretto a nuoto. Erone tenev
a si trovava. Dopo molti viaggi felici il mare divenne sì procelloso, che per sette giorni Leandro non potè tragittarlo. L’
impazienza d’andarsene all’amata giovine non gli permise d’aspettare, che il mare si fosse del tutto abbonacciato, nè avend
bbe, e disperata si precipitò anch’ella nel mare (c). Ovidio suppone, che Leandro, non avendo potuto per alquanti giorni pa
mare, spedì ad Erone un foglio per toglierla da ogni inquietudine ; e che la giovine gli significò la sua impaziente brama
i orti. In questi i Romani ne collocavano la statua, perchè credevano che il Nume li custodisse, e rendesse fruttiferi. Pri
ali Atene venerava il sozzo Dio, Conisalo : anzi è opinione di molti, che l’uno e l’altro fossero la stessa Deità. Priapo f
e Feste, denominate Ornee, in onore di Priapo (c). Notisi per ultimo, che quale era Priapo appresso i Greci, sale da’Romani
re, a’quali anche l’oggetto da lui amato doveva intervenire. Avvenne, che certi Pelasgi rapirono parte di quelle femmine, e
emota riva. Là si abbandonarono coloro alla gioja, e sì tripudiarono, che finalmente caddero in profondo sonno. Imene, assi
quella, cui amava. Così si fece ; e tale matrimonio riuscì sì felice, che in tutti gli altri, poscia celebrati, si ricordò
figliuolo di Bacco e di Venere, come abbiarno detto ; altri vollero, che fosse nato da Calliope e da Apollo ; ed altri fin
la più bella di quelle a Talassio, giovine adorno non meno di valore, che di altre virtù. Anche quel matrimonio riuscì feli
gono chiamate Lecori, Gelasia, e Comasia ; ma queste forse non furono che tre giovinette, le quali per la vivacità del loro
uole nato da Venere e da Marte ; Esiodo dal Caos(b). Aristofane dice, che la Notte produsse un uovo, il quale ella avea con
ito dal vento Zefiro, e da cui nacque poi Cupido(c). Offeo soggiunge, che Cupido trasse sua origine da Saturno ; e Saffo pr
ffo pretende dal Cielo e dalla Terra(d). Finalmente Platone racconta, che , solennizzando gli Dei la nascita di Venere, Poro
poscia fu stabilito al servigio di Venere(e). Questa Dea, osservando, che Cupido non cresceva mai, ne ricercò a Temi la rag
do, che Cupido non cresceva mai, ne ricercò a Temi la ragione. Intese che ciò avveniva, perchè egli non avea alcun fratello
onsultarono Apollo intorno i di lei sponsali, e n’ebbero in risposta, che dovessero esporla sopra un’alta montagna ; e che
’ebbero in risposta, che dovessero esporla sopra un’alta montagna ; e che Psiche non si sperasse d’avere in isposo un morta
ome nasceva il dì, ei la lasciava per non esserne conosciuto. Psiche, che aveva sempre presente alla memoria la risposta de
aveva sempre presente alla memoria la risposta dell’Oracolo, temeva, che colui fosse un mostro, e voleva togliersi dal con
di Proserpina, nel ritornarsene da di là, aprì per curiosità il vaso, che dovea tenere sempre chiuso, e n’esalò un vapore s
vaso, che dovea tenere sempre chiuso, e n’esalò un vapore sì pessimo, che la immerse in profondo sonno. Non si sarebbe più
gliata. Lo stesso Nume volò subito dopo al Cielo, e ottenne da Giove, che Venere non si opponesse alle di lui nozze con Psi
ricercata la sacerdotessa in matrimonio, la ottenne. Venere sdegnata, che le si fosse allontanata dal suo servigio una Sace
e). Hom. Iliad. l. 1. (a). Nat. Com. Mythol. l. 2. (2). Si crede, che il mentovato mostro marino fosse una balena. La m
atello, Podarce. Ercole non acconsentì all’inchiesta, se non a patto, che Podarce avesse continuato a servire in qualità di
che Podarce avesse continuato a servire in qualità di schiavo, ovvero che Esione lo avesse riscattato con qualche dono. Col
un pennacchio libero, e ricevette da quel momento il nome di Priamo, che conservò poi per tutto il tempo della sua vita(b)
esì a questo luogo il fatto d’Egesta. Ippote, nobile Trojano, temendo che la predetta giovine, sua figliuola, venisse espos
, i quali due nomi esprimevano il flusso e riflusso del mare. Vuolsi, che sia stata chiamata pure Salacia dalla salsezza de
eo rimase ucciso da Diana. Pirene per tale fatto versò tante lagrime, che fu convertita in fontana. Anche questa divenne sa
re le cose futute. Orazio disse ch’egli annunziò a Paride tutto quel, che di tristo era per accadere alla sua patria a moti
nell’arte d’indovinare per mezzo dell’acqua(a). Apollodoro racconta, che Nereo insegnò ad Ercole, dov’erano i pomi d’oro,
e quali lo divertivano col canto e colle danze(c). Notisi per ultimo, che Nereo secondo altri Poeti era un Nume del mare an
gli alfine ripigliava il suo primiero aspetto, e rispondeva a ciò, di che veniva interrogato, come vedremo altrove. Dicesi
ò, di che veniva interrogato, come vedremo altrove. Dicesi per ultimo che Proteo pascesse sott’acqua le Foche, ossia i Vite
con Vertunno in matrimonio. Neppure sotto quell’aspetto conseguì ciò che bramava ; ma finalmente l’ottenne, quando prese l
la Beozia. Egli se ne stava lungo tempo sott’acqua, e dava a credere, che avesse secreti colloquj cogli Dei del mare. Final
ove stava asciugando le reti, o numetando i raccolti pesci. Avvenne, che non appena furono quelli stesi sull’erba, che rit
accolti pesci. Avvenne, che non appena furono quelli stesi sull’erba, che ritornarono nel mare. Il pescatore non sapeva dec
di qualche Deità, o dalla efficacia di quel terreno. Credette alfine, che nell’erbe del medesimo potesse esservi qualche vi
ò nelle onde. Lo accolsero gli Dei marini, e pregarono Oceano e Teti, che lo spogliassero di tutto ciò, ch’era mortale. Il
(a). A Glauco si attribuiva la cognizione dell’avvenire ; e dicevasi che Nereo, di cui abbiamo favellato, lo avesse costit
sua incantatrice arte gliene ottenesse pari corrispondenza. La Maga, che per indole era sempre trasportata ad amare, si ac
ccese ben presto d’amore per lui, e lo eccirò ad amare piuttosto lei, che , come Dea e figlia del Sole, più meritamente pote
i lui tenerezza. Non ascoltò Glauco siffatte insinuazioni, e protestò che non avrebbe mai cangiato amore, finchè Scilla fos
que, nelle quali colei soleva lavarsi. La giovine appena vi si tuffò, che prese una forma mostruosa. Ella acquistò sei test
giunse, ch’ella avesse occhi di fuoco, e ogni collo di talelunghezza, che poteva trarre a se perfino le navi più lontane (b
poteva trarre a se perfino le navi più lontane (b). Notisi eziandio, che le acque, nelle quali erasi immersa Scilla, secon
n da Circe, ma da Anfitrite, perchè questa s’adirò nel vedere Scilla, che stava trattenendosi con Nettuno (c). Dicesi, che
ò nel vedere Scilla, che stava trattenendosi con Nettuno (c). Dicesi, che dirimpetto a Scilla vi fosse un altro orrido most
ere tale in pena d’aver rubato ad Ercole alcuni buoi. Altri vogliono, che Cariddi sia stata uccisa dallo stesso Ercole, e c
. Altri vogliono, che Cariddi sia stata uccisa dallo stesso Ercole, e che Giove poscia la abbia convertita in mostro. Evvi
rvi, stanco d’affaticare in una vigna, da lui piantata, gli predisse, che già non ne godrebbe alcun fiutto. Se ne rise Ance
lto da quella vigna. Nel momento stesso accorse un certo a riferirgl, che un grandissimo cinghiale guastava tutta la di lui
ti. Qualche tempo dopo colei divenne madre di due figli, e osservando che Metaponte amava con della preferenza i due primi,
li. I loro colpi andarono falliti, ed essi in vece perirono. Nettuno, che in quella circostanza avea soccorso i suoi figliu
ebe appresso Lico, suo fratello, e a lui lisciò il regno, pregandolo, che volesse vendicare la sua morte col combattere più
er madre Celene. I Poeti ci descrivono Tritone, come un Dio possente, che regna negli abissi del mare, e il di cui uffizio
e al pesce con lunga coda(i). (d). Paus. l. 2. (15). Altri dicono, che Melicerta, figlio del Tebano Atamante, e d’Ino, f
me di lui in Palemone, e quello d’Ino in Leucotea. V’è chi soggiunge, che il corpo di Melicerta, essendo rimasto insepolto
fflitri da grave pestilenza. Si consultò l’Oracolo, e questi rispose, che non cesserebbe quel mare, se prima non si fossero
e solamente per qualche tempo, e quindi la peste continuò. Allora fu, che nuovamente per consiglio dell’Oracolo si stabilì
ilì di ripigliare per sempre gli anzidetti Giuochi. Altri pretendono, che questi sieno stati instituiti in onore prima di N
rco poi tutto all’opposto la discorre(b). Finalmente Museo riferisce, che su quell’Istmo si facevano due sorta di Giuochi,
Melicerta(c). Riguardo a questo, e a Melicerta è inoltre da sapersi, che ambedue si tennero come Divinità marine ; che a M
a è inoltre da sapersi, che ambedue si tennero come Divinità marine ; che a Melicerta si diede anche il nome di Portuno ; e
tuno ; e ch’egli si dipinse con una chiave in mano, perchè si credeva che difendosse i porti da’ nemici(d). Il medesimo fu
otterranea, nella quale pure gli si sacrificava. Qualunque spergiuro, che avesse osato di mettervi piede, ne restava tosto
tta cello stesso Poeta nacquero dagli stessi Dei(d). Igino poi vuole, che i Venti impetuosi sieno nati da Aurora e dal Tita
to(f). Zefiro amò la Ninfa, detta da’Greci Clori, e Flora da’ Latini, che divenne poi la Dea de’fiori(g), e della quale abb
lato. Servio lo fa sposare una delle Stagioni, e ne fa nascere Carpo, che da Giove veniva ogni anno trasformata in bellissi
gni anno trasformata in bellissimo fiore(h). Esiodo finalmente vuole, che Zefiro fosse figlio d’Astreo e d’Aurora(a). Euro
poi da’ Latini si appellò anche Vulturno(b). Altri però soggiungono, che questo è diverso da quello, e ch’esso fu anche de
ra tra l’Euro e’l Noto(c). I Fenicj al dire d’Eusebio furono i primi, che offerissero sacrifizj a’ Venti. Gli Ateniesì pure
iglia d’Attore Caristio(l). Primachè Eolo comandasse a’ Venti, dicesi che questi tra loro così abbiano contrastato, che ne
ndasse a’ Venti, dicesi che questi tra loro così abbiano contrastato, che ne rimasero devastati moltissimi paesi(m). Eolo p
onsultato l’Oracolo d’Apollo in Claro, naufragò nel mare Egeo. Ceice, che viveva all’oscuro dell’accaduto, ne sospirava il
accaduto, ne sospirava il ritorno, e chiedeva spezialmente a Giunone, che potesse rivederlo sano e salvo. La Dea, cui non p
Giunone, che potesse rivederlo sano e salvo. La Dea, cui non piaceva, che Alcione porgesse indarno voti ed offerte, ordinò
iaceva, che Alcione porgesse indarno voti ed offerte, ordinò ad Iride che commettesse al Sonno di far sapere ad Alcione per
rondante d’acqua ; e presentandosi col pianto sugli occhi ad Alcione, che dolcemente dormiva, le partecipò il suo rio desti
lla ne vide il corpo sulle rive del mare. Allora tal dolore la prese, che corse a precipitarsi anch’ella nel mare ; ma i Nu
orse a precipitarsi anch’ella nel mare ; ma i Numi cangiarono sì lei, che il marito suo in volatili(b). Non è da confonders
Il di lei marito usò dell’arco e delle saette per riaverla da Apollo, che gliela aveva rapita ; ma ne rimase deluso, poichè
a quale sposò Pemandro, figlio di Cheresilao, e visse sì lungo tempo, che acquistò il soprannome di Grea, ossia Vecchia (a)
quistò il soprannome di Grea, ossia Vecchia (a). Notiamo per ultimo ; che varie altre Divinità furono venerate da’ viaggiat
Varrone(f), crede, ch’ella fosse Cerero stessa, così dotta dal pane, che somministrava. Varrone poi distingue l’una dall’a
in onore di tutti gli Dei per ringraziarli dell’abbondante raccolta, che gli avevano concesso. Offerì egli pure le primizi
a ne andava la giovine del colpo felice, non meno ne gioiva Meleagro, che ardentemente la amava. Arrossirono gli altri, ed
o si presentarono agli occhi suoi i cadaveri di Plesippo e di Tosseo, che si portavano a seppellire in città. Cangiò ella s
o in pianto la gioja, e appena udì il nome dell’autore dello scempio, che al cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendet
al cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendetta. Ella si ricordò, che nell’istante di partorire Meleagro, le Parche le
sarebbesi acquistato gran nome col suo coraggio ; Lachesi soggiunse, che sarebbe stato dotato di straordinaria fortezza ;
fortezza ; e Atropo, gettato ad ardere un tronco nel fuoco, dichiarò che Meleagro avrebbe cessato di vivere, qualora quel
studiava di superare col coraggio lo spasimo. Finalmente al languire che faceva a poco a poco la fiamma stessa, andarono p
Ercole. Morta Altea, Eneo prese in moglie Peribea, figlia d’Ipponoo, che divenne madre di Tideo, padre di Diomede. Eneo po
licrate, di cui si parlò, fosse quel medesimo, il quale fece un carro che si poteva nascondere sotto l’ala d’una mosca ; sc
cavano alle Insegne militari (c). (5). Sciro perì nel combattimento, che que’ d’ Eleusi sostennero contro Eretteo, re d’ A
Peplo. Esso d’ordinario davasi alle Grazie (e). Un antico Poeta dice, che Cupido rubò il Peplo alle Grazie, mentre si lavav
erere, vestita dello stesso ornamento(g). Questo medesimo Poeta vuole che il Peplo fosse anche proprio degli Dei. (a). Po
pubblica(h). (b). Id. Ibid. (c). Id. Ibid. (8). V’ è chi dice, che Erittonio nacque da Vulcano e da Minerva(i). (a)
a(i). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (9). I Poeti aggiungono che Erittonio, avendo osservato ch’egli aveva i piedi
ltra cagione attribuiscono la morte di Aglauro o Agraulo. Pretendesi, che sotto il regno di Cecrope una crudele malattia de
e una crudele malattia desolasse Atene. L’Oracolo consultato rispose, che la calamità cesserebbe, se alcuno avesse voluto i
, essendo per guerreggiare contro gli Eleusini, intese dall’ Oracolo, che ne avrebbe trionfato, qualora avesse sacrificato
tonea, Creusa, Oritia, e Procride. Elleno sì strettamente si amavano, che aveano giurato di non sopravvivere le une alle al
li eressero un tempio nella Cittadella d’ Atene (a). Omero soggiunge, che gli stessi popoli ogni anno gli sacrificavano tor
isce lo Scoliaste di Apollonio, ebbe anche un figlio, di nome Falero, che fu uno degli Argonauti. Questi, al dire di Pausan
nauti. Questi, al dire di Pausania, fu autore di quel porto in Atene, che fu poi detto Falereo (c). (d). Phurn. de Nat. D
anche Romolo, di lui figliuolo, si chiamò Quirino. Altri soggiungono, che un certo Giulio Proculo, uomo di singolare probit
d’ una maestà divina, e in atto d’ ascendere al Cielo ; v’ aggiunse, che lo stesso Romolo gli predisse la futura grandezza
ezza della sua città, e promise d’ esserne il protettore ; conchiuse, che Romolo medesimo ricercava di venire adorato da’ s
Finalmente Quirinali si appellarono pur anche le Feste e i sacrifizj, che ogni anno si celebravano in onore di Romolo (b).
(b). Al tempo di quelle Feste supplivano alla loro mancanza queglino, che non aveano solennizzate le altre, chiamate Fornac
era un atto di Religione, stabilito per purificare i rei e tutto ciò, che riputavasi immondo. Essa poi venne usata anche in
col solfo, co’ profumi, o talora coll’ agitare l’aria intorno a ciò, che era da purificare. Quando poi si faceva questa sa
dal verbo latino luere ; espiare (b). Quindi si legge in Tito Livio, che l’armata Romana dopo la sconfitta, data a’ Volsci
e con tale offerta ne fosse espiato l’esercito vittorioso pel sangue, che aveva sparso(c). (c). Varr. de L. L. l. 5., Tit
eco presso il Circo. Si trovava questo fuori della città, per timore, che Bellona seminasse discordie tra’ cittadini. Dinan
ell’ accennato tempio radunavasi il Senato per dare udienza a coloro, che non voleva ammettere in città(e). Anche Bellona a
altra(b). Bellona era annoverata tra gli Dei Comuni, tra quelli cioè che favorivano indifferentemente tutti i partiti, ed
id. (6). L’Areopago era un tribunale d’Atene ; così detto da Marte, che i Greci chiamano Ares, e dalla voce pagos, altezz
è quel tribunale era situato sopra una collina, sacra a Marte (f), da che questo Nume ivi trattò la sua causa, quando fu ac
unale v’ erano due colonne, sopra le quali stavano scolpite le leggi, che dirigevano i giudici nel pronunziare le loro sent
ad essi, dovea prima sacrificare e giurare sull’ altare delle Furie, che avrebbe asserito la verità(c). Discussa la causa,
a quella Dea. Ma la scure cadde di mano ad Allirrozio, e sì lo ferì, che perdette la vita(a). (d). l. 1. & 8. (a).
e perchè un uccello di questa spezie portò un giorno nel suo becco di che mangiare a Remo e a Romolo (b) (e). Declaustre
città di Roma un tempio per voto, fatto da T. Ostilio, quando osservò che le sue truppe prendevano la fuga in un combattime
reduto figlio di Vulcano, perchè fu concepito in forza d’una favilla, che volò nel seno di sua madre, mentre questa stava a
9 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
izionarii delle favole eruditamente compilati per servire ai giovani, che si applicano alla intelligenza della Mitologia, d
bri classici e massime i poeti, ma oltrechè non ve ne ha quasi alcuno che convenga alla gioventù, un altro inconveniente pu
a alla gioventù, un altro inconveniente pure in essi si ritrova, ed è che obbligato lo studente a leggere queste favole per
e si distoglie dallo studio incominciato, o non si forma nella mente, che un confuso e mutilato ammasso di mitologiche idee
quanto la Mitologia il comporta, un metodo isterico; siccome quello, che collegando le idee di luogo, di tempo, e di sogge
ello, che collegando le idee di luogo, di tempo, e di soggetti, oltre che riesce alla mobile fantasia loro più facile a rit
o più facile a ritenersi, ne eccita e sostiene la curiosità per modo, che vi si applicano più seriamente. Ora questo è quel
che vi si applicano più seriamente. Ora questo è quel metodo appunto, che adottò il eh. Professore Francesco Soave, fatto,
stra studiosa gioventù rendendo qui noto un libro ad essa sì utile, e che riunisce tanti pregi, che invano si cercherebbero
dendo qui noto un libro ad essa sì utile, e che riunisce tanti pregi, che invano si cercherebbero negli altri trattati di M
ia. Introduzione. La Mitologia è l’ esposizione delle favole, che intorno a’ loro Dii ed Eroi hanno gli antichi imm
necessaria per bene intendere gli scrittori, e singolarmente i poeti, che ad esse alludono sì di frequente. Nè men necessar
morfosi o trasformazioni di Ovidio, in cui quelle favole riporteremo, che nelle dette due parti non avran potuto acconciame
Molti furono gli Dei presso i Greci, ma assai più presso i Romani, che oltre ad avere adottali tutti gli Dei della Greci
Neptunus, Vulcanus, Apollo. Il loro numero fu indi portato a venti, che detti vennero Dii selecti o scelti, ed erano Gian
Diana, Minerva, Venere e Vesta. Altri in appresso ne vennero aggiunti che detti furono Dii minorum gentium, e Semones, quas
, e Semones, quasi Semihomines, ed erano gli Dei campestri, e quelli, che presedevano alle varie vicende dell’ umani vita,
dell’ umani vita, al nascere, alle nozze, ai parti, ec. Molti uomini, che per illustri azioni si erano resi celebri, furon
ia, la Frode, il Furore, ed altri siffatti. La più generale divisione che facevasi degl’ Iddii era in celesti, terrestri, m
esta divisione noi verremo qui accennando le principali particolarità che ad essi riguardano, incominciando dalla loro stes
rì i Ciclopi, Sterope, ed Arge, così detti dal solo occhio circolare, che avevano in mezzo alla fronte, poi Coito, Gige, e
no delle Esperidi, la mostruosa Echidna mezzo donna e mezzo serpente, che unita al procelloso Tifone partorì Orto cane di G
ei fonti e de’ fiumi tra le quali Stige decimo ramo del fiume Oceano, che scorre giù nell’ Inferno, mentre l’ Oceano cogli
urora. Creo con Euribia fu padre di Pallante di Terse, e di Astreo, che un ito all’ Aurora generò i Venti e le Stelle. C
Cielo, giusta il medesimo Esiodo, nascondeva sotterra tutti i figli, che Gea o la Terra gli partoriva, e loro non permette
recise le parti virili, e dietro se le gittò. Dalle goccie di sangue, che indi caddero sulla terra, nacquero le Erinni o Fu
nacquero le Erinni o Furie, i Giganti, e le ninfe Melie; dalla spuma che formossi attorno alle parti recise cadute in mare
suoi figli, perchè affrettati si erano ad opra iniqua di cui predisse che portata avrebbero la pena. Nè questa lardò lungam
ardò lungamente. Perciocchè avendo Saturno inteso da Urano, e da Gea, che doveva esser soggiogato da uno de’ proprii figli,
adre, prese il partito d’ inghiottire di mano in mano tutti i maschi, che gli nascevan da Rea. Questa di ciò oltremodo dol
ano e di Gea, suo padre Saturno, e lo costrinse a rivomitare i figli, che aveva inghiottito, e quei sasso medesimo, che si
e a rivomitare i figli, che aveva inghiottito, e quei sasso medesimo, che si è dello poc’ anzi, cui Giove per eterna memori
del monte Parnasso. Fin qui Esiodo. Altri Mitologi han detto in vece, che ì figli di Urano eran Titano e Saturno; che il pr
tologi han detto in vece, che ì figli di Urano eran Titano e Saturno; che il primo a richiesta della madre cedette il regno
a madre cedette il regno del cielo al secondo, colla condizione però, che non allevasse niun figlio maschio; che quindi Sat
econdo, colla condizione però, che non allevasse niun figlio maschio; che quindi Saturno li divorava; ma che avendo Bea dat
non allevasse niun figlio maschio; che quindi Saturno li divorava; ma che avendo Bea dato alla luce in un sol parto Giove e
Giove e Giunone, mostro a Saturno Giunone soltanto, ed occultò Giove; che Titano, ciò risaputo, mosse guerra a Saturno, e a
iò risaputo, mosse guerra a Saturno, e avendolo vinto, l’ imprigionò; che questi fu poi liberato, e rimesso nel regno da Gi
rato, e rimesso nel regno da Giove, il quale vinse Titano coi fi gli; che avendo però Saturno compreso dover un giorno esse
del regno, armossi contro di lui, ma vinto fu discacciato dai cielo; che allora ei venne a nascondersi in quella parte d’
i cielo; che allora ei venne a nascondersi in quella parte d’ Italia, che era abitata dagli Aborigeni, e che poscia fu dett
ondersi in quella parte d’ Italia, che era abitata dagli Aborigeni, e che poscia fu detta Lazio da latere, perch’ ei vi ste
e che poscia fu detta Lazio da latere, perch’ ei vi stette nascosto; che cortesemente vi fu accolto da Giano, che ivi regn
erch’ ei vi stette nascosto; che cortesemente vi fu accolto da Giano, che ivi regnava, e messo a parte del governo; che Sat
vi fu accolto da Giano, che ivi regnava, e messo a parte del governo; che Saturno in ricompensa a lui diede il poter vedere
passato e il futuro, onde suole effigiarsi con due facce: finalmente che sotto Saturno fiorì l’ età dell’ oro, nella quale
o Saturno fiorì l’ età dell’ oro, nella quale, favoleggiarono i poeti che la terra tutto produsse abbondantemente senza ess
che la terra tutto produsse abbondantemente senza essere coltivatale che i popoli vivessero in una perfetta innocenza, e t
da loro medesimi. Essendo nella greca lingua Saturno chiamato Cronos, che significa Tempo era perciò riguardato come il Dio
eduto l’ inventore, e perchè egli apriva l’ anno nel mese di Gennaio, che da lui tratto aveva il suo nome. Gli si ponevano
dedicato, e in esso i Cittadini mandavansi scambievolmente dei doni, che erano chiamati strene. Il tempio di Giano in Roma
mo fu il più rinomato, così a lui solo venne attribuito anche quello, che non gli apparteneva. Nato egli dunque in Creta da
he quello, che non gli apparteneva. Nato egli dunque in Creta da Rea, che altri hanno chiamato Opi o Cibele, fu ivi nascost
el monte Argeo o Ditte dalle Ninfe, e dai Cureti sacerdoti di Cibele, che collo strepito de’ loro cembali ne occultavano a
cembali ne occultavano a Saturno i Vagiti; e vi fu nutrito col mele, che le api corsero a formarvi, e col latte della capr
egli della pelle di lei si valse per coprirsene il petto, e lo scudo, che quindi da aix aigos (capra) fu detto egida, e sta
e lo scudo, che quindi da aix aigos (capra) fu detto egida, e stabili che di tutto abbondasse chi di lei avesse le corna, d
aveva avvolti. I Titani vennero soggiogati e profondati nel Tartaro, che tanto, dic’ egli, s’ innabissa di sotto alla terr
Etna, da cui tuttavia vomita il fuoco. La terza fu contro i Giganti, che comunemente confondonsi co’ Titani, ma che Esiodo
terza fu contro i Giganti, che comunemente confondonsi co’ Titani, ma che Esiodo da essi distingue, dichiarandoli prodotti
campi di Flegra l’ un al l’ altro i monti Olimpo, Pelio, ed Ossa (il che però dice Omero essersi fallo invece da Oto ed Ef
ce da Oto ed Efialte, figli di Nettuno e d’ Ifimedia moglie di Aloco, che anch’ essi vollero far guerra a Giove). A tal vis
co, che anch’ essi vollero far guerra a Giove). A tal vista, per quel che accennano alcuni Mitologi, armaronsi non solament
logi, armaronsi non solamente gli Dei, ma ancora le Dee, e per quello che dicono altri, tutti gl’ Iddii fuggirono spaventat
, e da Ovidio si dice in cambio avvenuta nella guerra contro Tifeo, e che Giove siasi allora cangiato in ariete, onde vengo
e sta ebbe conceputa Minerva, Giove avendo inteso da Urano, e da Gea, che nascere da lei doveva un figlio, il quale sarebbe
o l’ ascose, ed egli stesso la diede poscia alla luce. Altri dissero, che Giove concepì da se stesso Minerva nel proprio ca
figlie della Notte. La terza moglie fu Eurinome figlia dell’ Oceano, che partorì le tre Grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia.
artorì le tre Grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia. La quarta fu Cerere, che divenne madre di Proserpina. La quinta Mnernosine
la Dea della memoria, da cui nacquero le nove Muse. La sesta Latona, che partorì Apollo e Diana. L’ ultima moglie di Giove
, e ne ebbe Perseo; cangiato in cigno sedusse Leda moglie di Tindaro, che partorì due uova, dall’ uno de’ quali nacque Poll
roia, e portatolo in cielo il fè suo coppiere in luogo di Ebe. Quelli che sotto il velo delle favole cercano i nascosti sem
elo delle favole cercano i nascosti semi delle antiche storie, dicono che Saturno fu re di Creta, che come egli spogliato a
ascosti semi delle antiche storie, dicono che Saturno fu re di Creta, che come egli spogliato aveva del regno suo padre, co
iato aveva del regno suo padre, cosi ne fu privato da’ propini figli; che nella divisione essendo toccata a Giove la parte
o fu detto re del cielo, il secondo dell’ inferno, il terzo del mare; che avendo molti avuto il nome di Giove, e avendo ess
con varii stratagemmi, e ornati colie favole delle trasformazioni, ma che realmente per la pioggia d’ oro intendersi deve l
ero, tremar l’ Olimpo), coi fulmini in mano, e coll’ aquila a’ piedi, che i fulmini gli ministrava, è che quindi chiamavasi
ini in mano, e coll’ aquila a’ piedi, che i fulmini gli ministrava, è che quindi chiamavasi l’ augel ministro del fulmine,
. Fra le piante a lui dedicate era il faggio e la quercia, e dicevasi che in Epiro nel bosco di Dodona a lui sacro, le quer
dona a lui sacro, le querce stesse rendesser gli oracoli. La vittima, che a Giove offerivasi nei sacrificii, era un bianco
eva già eretto sul Palatino a Giove Statore per aver da esso ottenuto che arrestasse la fuga, in cui i Romani posti erano d
ne, e per nasconderla la cangiò in vacca. Sospettando Giunone di quel che era, la chiese in dono, e la mise sotto alla guar
era, la chiese in dono, e la mise sotto alla guardia del pastore Argo che aveva cento occhi. Questi per ordine di Giove fu
u dagli Egizi adorata sotto il nome di Iside, e partorì Epafo od Api, che da’ medesimi veneravasi sotto la forma di bue. In
a le calende di ogni mese, e sacro particolarmente il mese di Giugno, che preso ne aveva il nome, sebbene opinino alcuni ch
il mese di Giugno, che preso ne aveva il nome, sebbene opinino alcuni che Romolo questo nome traesse da giuniori, come quel
rcali, in cui de’ giovani detti Luperci, coperti soltanto alle parti, che il pudore nasconde, e nudi nel resto, correvano l
vano la città percotendo con flagelli di pelle di capra tutti quelli, che incontravano, a titolo di purgarli o espiarli, nè
i o espiarli, nè le giovini donne queste percosse fuggivano, persuase che utili fossero al concepimento, ed al parto. In ta
uale immolavasi un cane; negli altri sacrificii l’ ordinaria vittima, che a Giunone offerivasi, era un’ agnella, Capo V.
llade o Minerva. Cinque Minerve da Cicerone si accennano: la prima che fu detta moglie di vulcano; e madre del più antic
ia; e detta inventrice delle quadrighe; la quinta figlia di Pallante, che dicesi aver ucciso il padre, perchè tentato avea
ne, Minerva e Nettuno contesero chi avesse a darle il nome. Fu deciso che dato l’ avrebbe chi avesse fatto uscir di terra l
questo giudicato più utile, Minerva diede alla città il proprio nome, che in greco appunto Atene. Aracne figlia d’ Idmone
Erigane, Saturno in cavallo per Fillira: e il tutto con tal maestria, che Minerva rimase vinta. Indispettita però di questo
cano chiesta Minerva in isposa, venne da lei rifiutato. Ma nell’ atto che pur tentò, sebbene inutilmente, di fare a lei vio
e, Pandroso., Erse ed Aglauro tratta dalla curiosità volle vedere ciò che conteneva, e Minerva avvisatane dalla cornacchia
curici. Erittonio frattanto malgrado la sua deformità crebbe a segno, che diventò Re di Atene, e non potento caminar colle
a segno, che diventò Re di Atene, e non potento caminar colle gambe, che non aveva, perchè dal mezio giù era serpente, inv
te e l’ usbergo di pelle, di capra e lo scudo coperto di simil pelle, che prima era proprio di Giove solo, ond’ egli da Gre
nte era dedicato l’ ulivo, tra gli animali la civetta; a proposito di che narra Ovidio nelle Metamorfosi, che in tutela di
nimali la civetta; a proposito di che narra Ovidio nelle Metamorfosi, che in tutela di Minerva era pria la cornacchia, in c
Coronide figlia di Coroneo per sottrarla alla violenza di Nettuno; ma che avendo Minerva congegnata a Pandroso, Erse, ed Ag
ino Erittonio mezz’ uomo e mezzo serpente, nato da Vulcano nell’ atto che a lei tentando far forza ne venne respinto, e ave
o loro ordinato severamente di non aprirla, la cornacchia le riportò, che Aglauro l’ aveva aperta e temendo Minerva da ques
inerva in Roma eran le feste Quinquatrie, in cui vacavan le scuole, e che vennero così dette, perchè duravano cinque giorni
ona, onde fu pur da’ Greci chiamato talio. Finalmente altri pretesero che fosse Figlio sol di Giunone, dicendo che questa i
. Finalmente altri pretesero che fosse Figlio sol di Giunone, dicendo che questa indispettita perchè Giove da se solo prodo
iove da se solo prodotto avesse Minerva, cercò di fare altrettanto, e che mentre andava per consultarne l’ Oceano, fermatas
l’ odore di cui da se sola concepì Marte. Sposò egli Nerio o Nerione, che nel sabino linguaggio significa forza; e da quest
le colse i due amanti, e gli espose alla derisione di tutti i Dei: di che Marte adirato cangiò Alettrione in gallo, che or
ione di tutti i Dei: di che Marte adirato cangiò Alettrione in gallo, che or sempre col canto previene il nascer del Sole.
e a Tereo a mangiare le carni. Sulla fine del convito chiedendo Tereo che il figlio Iti gli fosse condotto, uscì Filomela i
madre di Romolo e Remo era figlia di Numitore già re di Alba. Amulio, che privato l’ avea del Regno, fè esporre appena nati
che Cigno, il quale fu poi ucciso da Ercole nella Focide in occasione che nel bosco Pagaseo volle insolentemente attraversa
lo. Sacre a Marte erano in Roma le feste Equirie istituite da Romolo, che celebravansi a’ 27 di Febbraio colle corse de’ Ca
le feste Scaliari istituite da Numa Pompilio successore di Romolo, e che celebravansi alle calende di Marzo. L’ occasione
ansi alle calende di Marzo. L’ occasione di questa istituzione si fu, che avendo Numa per consiglio della ninfa Egeria chie
rpetuità dell’ impero romano, egli mandò dal cielo uno scudo rotondo, che fu detto ancile. Numa il diede in custodia a’ sac
ancor la Vittoria, cui Ercole disse figlia di Pallante e di Stige, e che rappresentavasi alata, e con una corona di alloro
; il terzo figlio di Giove e di Giunone, il quarto figlio di Menalio, che tenne le Isole dette Vulcanie, ora di Lipari. Al
volle figlio, come altri dissero di Marte. Nasque egli così deforme, che da’ medesimi genitori venne precipitato dal cielo
rimase perpetuamente. Fu ivi nutrito da Eurinome figlia dell’ Oceano, che ne prese compassione, e cresciuto si diede unitam
ato Dio del fuoco, e dei fabbri. Celebri presso Omero sono i tripodi; che camminavano per se stessi, le donne d’ oro che ai
Omero sono i tripodi; che camminavano per se stessi, le donne d’ oro che aiutavanlo ne’ suoi lavori, i cani d’ argento e d
ne d’ oro che aiutavanlo ne’ suoi lavori, i cani d’ argento e d’ oro, che stavan a guardia della reggia d’ Alcinoo, le arme
adre, singolarmente allor quando fornigli i fulmini contro i Giganti, che osò domandargli Minerva in isposa, e da lei rifiu
cerone: la prima figlia del Cielo, e della Giornata o Dea del giorno, che ebbe un tempio in Elide; la seconda nata dalla sp
o, che ebbe un tempio in Elide; la seconda nata dalla spuma del mare, che unita a Mercurio partorì Cupidine, la terza figli
ita a Mercurio partorì Cupidine, la terza figlia di Giove e di Dione, che fu moglie di Vulcano, e da Marte ebbe Antero; la
Vulcano, e da Marte ebbe Antero; la quarta figlia di Siro e di Siria, che fu venerata da’ Fenici sotto il nome di Astarte.
e e tre riportate al giudizio di Paride figlio di Priamo re di Troia, che era allora pastore sul monte Ida, questi diè il p
a, che era allora pastore sul monte Ida, questi diè il pomo a Venere, che fu quindi tenuta come Dea della bellezza. Ma come
di Cinira re di Cipro. Intorno all’ origine di Adone racconta Ovidio, che Mirra figlia di Cinira e di Cencreide innamoratas
isfare a questo amore incestuoso, erasi determinata ad appiccarsi; ma che la nutrice nè la distolse, e scelleratamente le b
’ amor suo; perciocchè egli appassionatissimo della caccia, un giorno che malgrado le contrarie preghiere di lei volle anda
i fu ucciso da un cignale, sotto alle sembianze di cui dissero alcuni che fosse ascoso lo stesso Marte; e Venere dopo averl
quentemente accompagnata dalle tre grazie Aglaia, Eufrosine, e Talia, che Esiodo disse figlie di Giove, e di Eurinome e che
Eufrosine, e Talia, che Esiodo disse figlie di Giove, e di Eurinome e che alcuni vollero figlie di Bacco e di Venere stessa
none. Fra le piante a lei dedicato era il mirto, tra i fiori la rosa, che di bianca, qual era prima, si disse cangiata in r
in Cipro, e di Alcidalia dal fonte Alcidalio in Beozia, ove dicevasi che colle grazie ella usasse frequentemente lavarsi.
e grandissima si suppone la sua possanza su gl’ immortali egualmente che sopra i mortali. Apuleio descrive a lungo la favo
o descrive a lungo la favola di Amore e Psiche, il cui ristretto si è che essendo Psiche bellissima, Venere di lei gelosa s
enza lasciarsi veder giammai. Bramando Psiche di rivedere due sorelle che avea Amore permise che fosser anch’ esse da Zefir
ammai. Bramando Psiche di rivedere due sorelle che avea Amore permise che fosser anch’ esse da Zefiro colà portate, e quest
Zefiro colà portate, e queste udendo la felicità ch’ ella godeva, ma che non vedea giammai lo sposo, punte da invidia le f
Caduta al fine, e rimasta sola per disperazione gettossi in un fiume, che però salva la portò in riva. Pane l’ esortò a gir
rtò in riva. Pane l’ esortò a gire in traccia di Amore, promettendole che lo avrebbe placato; e nei lunghi viaggi che a tal
a di Amore, promettendole che lo avrebbe placato; e nei lunghi viaggi che a tal fine intraprese, avvenutasi nelle sorelle r
, avvenutasi nelle sorelle raccontò loro la sua sciagura, ed aggiunse che per maggiore vendetta Amore le avea dichiarato ch
agura, ed aggiunse che per maggiore vendetta Amore le avea dichiarato che una di loro volea prendersi in isposa. Avide di q
lio, di semi di papavero, di ceci, e di lenti tutti questi grani, nel che fu aiutata dalle formiche; poi di recarle un fioc
e formiche; poi di recarle un fiocco di lana d’ oro di certi montoni, che pasceano di là di un fiume in luoghi inaccessibil
endere all’ Inferno, e recarle un vasetto pieno di grazie e di vezzi, che dato sarebbele da Proserpina; e scesa per la via
 Bacco e di Venere, da altri figlio di Apolline, e di una delle muse, che alcuni vogliono esser Urania, altri Calliope, ed
donte re di Troia, in matrimonio a lui si strinse, e n’ ebbe Mennone, che poi venuto in soccorso di Troia, fu ucciso da Ach
suo, perchè costante verso di Procri, ad essa lo rimandò, dicendogli che se ne sarebbe pentito. Cefalo a tai parole entrat
, da cui ricevette in dono un cane di mirabile velocità, ed un dardo, che sempre sicuramente colpiva. Richiamala in fine da
amala in fine da Cefalo, a lui donò quel cane, e quel dardo. Ma un dì che stanco dalla caccia sopra alla riva di un fonte e
a sopra alla riva di un fonte egli chiamava l’ aura a ristorarlo, uno che da lungi l’ udì, credette ch’ egli chiamasse una
, e agitandosi per dolore e per ira fece tale strepito fra le fronde, che Cefalo credendo nascosta ivi una fiera lanciò il
ciò il dardo, da cui la misera Procri rimase estinta. Si disse poscia che accusato innanzi all’ Areopago di Atene di questa
atto di versar la rugiada, e quali di sparger gigli e rose. Il Sole, che molti poeti confusero con Apollo, ma che Omero ed
arger gigli e rose. Il Sole, che molti poeti confusero con Apollo, ma che Omero ed Esiodo sempre da lui distinsero, ebbe da
prova di essergli figlio richiese di poter reggerne il carro. Questi che già gli aveva promesso con giuramento qualunque c
glielo. Ma non sapendo Factente guidarlo, tanto alla terra sì accostò che ne arse essa, ed il mare. Alle preghiere della te
amutato in cigno. Eeta fu re di Coleo e possessore del vello, d’ oro, che poi conquistato fu da Giasone per opera di Medea,
pe detto Tauro’ partorì il Minotauro mostro mezz’ uomo, e mezzo toro, che poi fu ucciso da Teseo nel labirinto di Creta. Ci
e col tocco della Sua verga mutò ella in porci i compagni di Ulisse, che poscia per le preghiere di lui restituì alla pris
ole figuravasi sopra; di un carro luminosissimo circondato dalle Ore, che le dauzavano intorno, e tirato da quattro focosi
rientali. In Roma ne’ sacrifici a lui immolavasi il cavallo. La Luna, che comunemente confondesi con Diana, fu anch’ essa d
a dai più antichi poeti interamente da lei distinta. Dicon le favole, che innamorata di Endimione pastor di Caria, scendea
la notte dal cielo a star seco sul monte Latino; ed aggiungono pure, che fu da Pane Dio de’ pastori allettata con un prese
il serpente Pitone. Ma Nettuno l’ accolse nell’ Isola Ortigia o Delo, che era allora natante, e ch’ egli poi rese ferma; e
di questa uccisione si fece Apollo a dileggiare il fanciullo Cupido, che osasse di trattar l’ arco e gli strali. Questi ir
Zefiro per rivalità portò il disco di Apollo alla testa di Giacinto; che ne morì, e fu da Apollo cambiato nel fiore dello
stesso nome. Ovidio racconta il fatto alquanto diversamente, dicendo che il disco battendo sopra di un sasso ribalzò in fa
er disavventura ucciso con un colpo di saetta un cervo addimesticato, che gli era carissimo, volle ei medesimo per dolore a
gli era carissimo, volle ei medesimo per dolore ammazzarsi; ma Apollo che lo amava prevenne il colpo cangiandolo in cipress
ia scoperse il fatto ad Orcamo, il quale fece seppellir viva Leucotoe che poi da Apolline fu trasformala nell’ albero, da c
d esso antepose il giovine Ischi. Di ciò Apollo, avvertito dal corvo, che poi di bianco fu tramutato in nero, uccise Ischi,
hiamare da morte a vita Ippolito tiglio di Teseo. Sdegnato però Giove che tanto potere ei si arrogasse, lo fulminò e Apollo
ato però Giove che tanto potere ei si arrogasse, lo fulminò e Apollo, che prese a farne vendetta col saettare i Ciclopi, ch
fulminò e Apollo, che prese a farne vendetta col saettare i Ciclopi, che fabbricati avevano i fulmini a Giove., venne esig
to dal cielo. Ebbe Esculapio da Epione due figli Macaone e Podalirio, che aneli essi divennero medici rinomatissimi, e’ qua
ndarono in Delfo a consultare l’ oracolo di Apollo, il quale rispose, che conveniva condurre Esculapio da Epidauro in Roma.
mi passarono quindi in Epidauro per trasportare la statua. Ma intanto che su di ciò consultavasi fra i cittadini, un serpen
aver liberata la città dalla pestilenza, scomparve. Fu quindi creduto che Esculapio medesimo assunto avesse quelle, sembian
ollo sbandito dal cielo ricoverassi presso di Admeto re di Tessaglia, che amorevolmente i’ accolse, e lo propose alla guard
Laomedonte per ordine dell’ oracolo dovette esporre la figlia Esione, che fu poi liberata da Ercole. In Frigia fu Apollo da
e dalle lagrime di Ini mescolate col sangue formossi il fiume Marsia, che sbocca nel fiume Meandro. Pari disfida ebbe ivi d
pollo con Forba, il quale impossessatosi del cammino di Delfo vietava che alcuno vi andasse; ma trasformatosi in atleta Apo
io, Giuro, Timbra, Pataro, Cirra, e Delfo, ove era il famoso oracolo, che rendevasi dalla sacerdotessa Pitia posta sul trip
mentre fuggiva da Apollo, e il fonte Aganippe, Ippocrene o Cavallino, che si disse fatto sgorgar di terra da un calcio del
nella Macedonia diceansi pure sovente da esse abitati. Narra Ovidio, che le nove figlie di Pierio edi Evippe avendo sfidat
e a giudizio delle Ninfe vennero cangiate in piche. Narra similmente, che avendo Pireneo invitato le Muse sopraggiunte dall
Calista figlia di Licaone, la quale erasi lasciata sedurre da Giove, che per ingannarla avea assunte le sembianze di Diana
do, ottenne, secondo Ovidio, dall’ Oceano e da Teti di non permettere che mai si bagnino in mare. Diana stessa era creduta
e di Autone osato di mirarla nuda nel bagno, fu da essa coll’ acqua, che gli gettò contro cangiato in cervo, e divorato po
scorpione fatto ivi sorgere dalla terra Omero però fa dire a Calipso che l’ uccidesse per dispetto veggendolo rapito dall’
dispetto veggendolo rapito dall’ Aurora. Chione figlia di Dedalione, che per aver da Mercurio generato Autolico, da Apolli
ine Filammone, osò a lei preferirsi, fu essa pure da lei trafitta, di che il padre addolorato gettossi in mare, ma fu da Ap
bile fece ella contro di Niobe figlia di Tantalo, e moglie di Anfione che per esser madre di quattordici figli, osò insulta
Apollo, uccise a colpi di frecce tutti i figli e le figlie di Niobe, che a sì orrendo spettacolo in marmorea statua fu tra
tramutata. Nè impunito lasciò Eneo re di Calidone e marito di Altea, che offerendo le primizie a Cerere, a Bacco, ed a Min
di Eneo, ma con fatai danno di lui medesimo. Imperocchè nella caccia, che a quello diedesi, e alla quale concorsero i princ
ono avuto da Meleagro vennero uccisi. Allora Altea madre di Meleagro, che al nascer di lui ritratto avea dal fuoco, e occul
lui ritratto avea dal fuoco, e occultalo in luogo segreto il tizzone, che le Parche vi avean posto, dicendo che tanto sareb
lo in luogo segreto il tizzone, che le Parche vi avean posto, dicendo che tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il ti
l’ isola e dal monte ove era nata. Famoso era il suo tempio in Efeso, che poi fu incendiato da Erostrato, preso dalla mania
; il secondo figlio di Valente e di Foronida, ed è quello, dice egli, che abita sotto terra, ed è chiamato Trifonio; il ter
il quarto figlio di Nilo; il quinto dagli Egizi chiamati Teut o Tot, che dicesi aver loro insegnalo le lettere, e date le
orsa nelle mani. Dio dell’ eloquenza fu egli pur nominato, e si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’ oro, che dolc
pur nominato, e si finse che dalla sua bocca uscissero catene d’ oro, che dolcemente legavano gli ascoltanti. Per ultimo a
. Per ultimo a lui venne attribuita eziandio l’ invenzion della lira, che si disse da lui formata la prima volta coi tesi n
rmata la prima volta coi tesi nervi di una morta testudine. Le statue che si ponevano sulle vie a guisa di termini erano de
guisa di termini erano dette Mercurii dai Romani, ed Ermi dai Greci, che tale è il nome di Mercurio in quella lingua. C
il primo figlio di Giove e di Proserpina; il secondo figlio del Nilo, che si disse aver ucciso Nisa; il terzo figlio di Cap
o del Nilo, che si disse aver ucciso Nisa; il terzo figlio di Caprio, che fu detto re dell’ Asia in onore di cui furono ist
la sua sposa trasportò iu cielo la corona di lei nella costellazione, che ha questo nome. Preso da’ corsari di Tiro, che so
i nella costellazione, che ha questo nome. Preso da’ corsari di Tiro, che sopra una spiaggia il trovarono addormentato in s
dò di essere condotto a Nasso, e allorchè fu ad essa vicino, veggendo che i corsari volevano proceder oltre, rendette immot
oltre, rendette immota la nave, e lor cangiò in delfini, salvo Acete, che a quelli si era opposto. Alcitoe, Leuconoe e le s
sì strano ispirò Bacco ad Agave madre di lui, ed una delle Baccanti, che unita alle compagne lo fece a brani. Licurgo re d
ccanti, che unita alle compagne lo fece a brani. Licurgo re di Tracia che opporsi volle alla propagazion delle viti, fu anc
e. All’ incontro avendo Micia re di Frigia a Bacco restituito Sileno, che era stato preso dai contadini, Bacco in ricambio
sse. Ma avendo l’ avarizia sospinto Mida a chiedere sconsigliatamente che in orò si convertisse tutto quello, che da lui fo
a chiedere sconsigliatamente che in orò si convertisse tutto quello, che da lui fosse tocco, mutandosegli in oro anche il
il suo dono, e questi allor gl’ impose di lavarsi nel fiume Pattolo, che quindi acquistò la virtù di volgere arene d’ oro.
an da Bacco ottenuto di cangiare in frumento o vino od olio tutto ciò che toccassero; il che sapendo Agamennone re di Argo
o di cangiare in frumento o vino od olio tutto ciò che toccassero; il che sapendo Agamennone re di Argo venne per prenderle
di Argo venne per prenderle, onde alimentare l’ armata nella guerra, che preparava contro di Troia, ma esse fuggirono in A
arava contro di Troia, ma esse fuggirono in Andoo presso il fratello, che aveva a quell’ isola dato il nome, ed avendole Ag
ri col capo inghirlandato di edera e di pampini, e col tirso in mano, che era una lancia ornata anch’ essa di pampini. Suoi
una lancia ornata anch’ essa di pampini. Suoi seguaci erano i Satiri, che figuravansi colle orecchie, le corne e le gambe d
lle orecchie, le corne e le gambe di capro, ed il vecchio aio di lui, che dietro vernagli seduto sopra di un asino. A Bacco
venne attribuita l’ invenzione dell’ agricoltura, per cui gli uomini, che si pascevan prima di ghiande, incominciaron a pas
riceverla colle fiaccole accese alle fiamme del monte Etna. Aretusa, che era prima una ninfa dell’ Elide, e che inseguita
iamme del monte Etna. Aretusa, che era prima una ninfa dell’ Elide, e che inseguita dal fiume Alfeo si seppellì sotterra ca
ra di Diana, e venne a sgorgare in Sicilia (ove però dicon le favole, che fu tuttavia per le sotterranee strade dal fiume A
e strade dal fiume Alfeo raggiunta), diè finalmente a Cerere contezza che Proserpina da Plutone, era stata rapita. Essa all
a. Essa allora sir volse a Giove per riaverla ed ebbe dà lui promessa che le sarebbe restituita, qualor non avesse giù nell
bo. Ma avendo Ascalato figlio di Acheronte e della Nolte manifestato, che nei giardini di Plutone avea Proserpina colto una
o in barbagianni. Ovidio aggiugne però aver ella ottenuto in seguito, che Proserpina pei sei mesi dell’ anno con lei si ste
si in Eleusi vi fu accolta dal re Celeo cortesemente in ricompensa di che prese ella ad educarne il picciol figlio Trittole
nce. Avverso a Cerere ed a Trittolemo fu pur in Tessaglia Erisittone, che giunse infino a tagliare arditamente e profanare
le assalì Erisittone per modo, e così insaziabile divoratore lo rese, che consunte tutte le sue sostanze, vendette schiava
sostanze, vendette schiava perfino la figlia Metra per comperarsi di che mangiare. Ma questa mal sofferendo la schiavitù r
a lui nuovamente, e pur nuovamente si trasformò, usando della facoltà che Nettuno le avea concesso. Così seguitò ella più v
o, ora in bue, ora in augello, or in cervo. Ma non essendo il prezzo, che il padre ne ritraeva dal venderla, sufficiente a
presentavasi Cerere coronata di spiche e di papaveri perchè dicevasi, che nell’ afflizione per la perdita della figlia non
i Cerere. Capo XV. Di Vesta. Due Veste si distinguevano, l’ una che si tenea per madre di Saturno, e confondeasi con
enea per madre di Saturno, e confondeasi con Gea o la Terra, l’ altra che si dicea figlia di lui, e adoravasi come la Dea d
ali, e in Italia vuolsi portato da Enea; sebben’ pretendesi da alcuni che fosse già in uso presso i Tirreni. La custodia de
sacro, era affidata in Roma ad un collegio di vergini dette Vestali, che nel tempio di Vesta fabbricato secondo alcuni da
e e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Nell’ atto che prese erano dal Pontefice massimo, e condotte nel
izie. Ma se per negligenza di alcuna il fuoco sacro si estingueva, il che aveasi per funestissimo augurio, ell’ era dal Pon
massimo severamente punita. Nè il fuoco per altro modo si raccendeva, che per mezzo de’ raggi solari raccolti con una speci
, e sepolta viva in una stanza sotterranea a ciò costrutta nel campo, che dicevasi scelletaralo. Capo XVI. Della Terra,
lie di Fauno. Rappresentavasi coronata di torri per indicar le città, che sono sparse sopra la terra, con una veste dipinta
ele da quelli si celebravano. Eran essi eunuchi ad imitazione di Ali, che tal si rese allor quando mirò trafitta da Cibele
farlo suo sacerdote. Ati fu poi da essa cangiato in pino. La vittima che a Cibele sacrificavasi era una troia. In Roma all
Frigia portavasi con pompa da’ Sacerdoti a lavarsi nel fiume Almone, che poco lungi dalla città entra nel Tevere. Le feste
asa del Pontefice massimo con gran mistero, e dalle sole donne, senza che alcun uomo potesse intervenirvi. Nelle viscere de
la terra fu posta da Pronabide la sede di Demogorgone, Dio terribile, che noti era permesso di nominare, e che si dice padr
e di Demogorgone, Dio terribile, che noti era permesso di nominare, e che si dice padre della discordia di Pane, delle tre
restri prima a dover nominarsi è Pale Dea delle gregge e dei pastori, che alcuni han pur confuso con Vesta o Cibele. Le Fes
; sebbene alcuni per esso abbiano inteso più generalmente il Dio Pan, che significa tutto, e riguardandolo sotto di questo
se trasse ne’ boschi di Arcadia la Luna. Dalla ninfa Eco ebbe Iringe, che fornì i farmachi incantatori a Medea. Vinse la ri
riva al fiume paterno fa cangiata, in un cespo di canne; e dal suono che queste, fecero tra lor percosse ci prese poscia l
a l’ idea di formar la zampogna onde fu l’ inventore. Narra Pausania, che quando i Galli sotto la condotta di Brenno scorre
mprovviso terrore, per cui tutti diedero alla fuga, ond’ è poi venuto che il terrore per ignota o non fondata caglone chiam
terror panico. A Pane sacrificavasi una capra; e le feste lupercali, che in Roma celebravansi a’ 15 di Febbraio, che si di
ra; e le feste lupercali, che in Roma celebravansi a’ 15 di Febbraio, che si dissero altrove dedicate a Giunone Februale, d
one Februale, da molti si vollero dedicate a Pane, di cui si pretende che i Luperci fossero sacerdoti. Silvano era il Dio d
esentavasi con un cipresso in mano per memoria del giovane Ciparisso, che da lui non da Apollo vogliono molti essere stato
padre dei Fauni, cui ebbe dalla moglie Fauna, o Fauta. Cogliono pure che dalla ninfa Simetide ei generasse Aci, che fu poi
na, o Fauta. Cogliono pure che dalla ninfa Simetide ei generasse Aci, che fu poi amato da Cutatea, e ucciso da Polifemo; e
a de’ boschi veneravasi principalmente nell’ agro Pontino, ovediceasi che alcuni Lacedemoni fuggiti da Sparta, perchè mal s
à approdando le consacrassero un bosco ed un tempio. Si aggiunse poi, che essendosi il bosco fortuitamente incendiato, e vo
le piante. Aveva però un tempio a piè del monte Soratte, ove dicevasi che gli uomini dello spirito di lei invasi camminasse
i giuochi Florali, istituiti dalla meretrice Acca Tarunzia o Tarruzia che a quest’ effetto avea delle sue ricche sostanze l
io, essendo egli ricorso alla madre Cirene, questa il guidò a Proteo, che gli scoperse la cagione della morte delle api; ed
, cui era grave delitto il violare. La sua figura a principio non era che una pietra, da quale segnava il confine tra un ca
o a questa pietra si sovrappose una testa umana. Fu detto da’ Romani, che quando trattossi di fabbricare il Tempio di Giove
il Dio Termine stette fermo. A lui dedicate erano le feste terminali, che celebravansi ai 23 di Febbrajo. Anticamente al Di
so i Romani la loro particolare Divinità; e Ippona essi dicean la Dea che possiede a’ cavalli; Bubona quella, che a’ buoi;
; e Ippona essi dicean la Dea che possiede a’ cavalli; Bubona quella, che a’ buoi; Seia o Segezia la Dea delle sementi; Mat
e; Mellona quella del mele; Sterculio o Stercuzio il Dio dei concime, che diceasi figlio di Fauno, ed avere il primo introd
iscuamente gli uni pergli altri. Intorno ai Lari è stato favoleggiato che fosser figli di Mercurio accoppiatosi a Lara ninf
ser figli di Mercurio accoppiatosi a Lara ninfa del Tevere nell’ atto che la conduceva all’ inferno per ordine di Giove, il
ste Compilali a lor dedicate si celebravano ai 2 di Maggio. I Lemuri, che erano riputati infestare le case colle larve nott
cavansi a’ 9 di Maggio. Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare che chiamavasi Genio, e che Io accompagnava in tutta
Ogni uomo era in tutela di un Dio particolare che chiamavasi Genio, e che Io accompagnava in tutta la vita. Molti pure ad o
e della città di Curi, adorato da’ Sabini, e poscia ancor dai Romani, che spesso invocando nelle asserzioni e ne’ giurament
reni e agl’ inguini Venere, alla destra mano la Fede, alle ginocchia, che abbraciavansi da’ supplichevoli, la Misericordia,
scone o Nazione diceasi la Dea del, nascere; Vagitauo o Vaticano quel che apre la bocca a’ vagiti, Levana quella che sollev
; Vagitauo o Vaticano quel che apre la bocca a’ vagiti, Levana quella che solleva da terra i bambini, Cunina quella che pre
’ vagiti, Levana quella che solleva da terra i bambini, Cunina quella che presiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bamb
bi non rimanessero de’ genitori. Nelle nozze Jugatino dicevasi quello che univa i coniugi; Domiduco quello che guidava la s
e nozze Jugatino dicevasi quello che univa i coniugi; Domiduco quello che guidava la sposa alla casa del marito; Domizio e
inzia per cui il cinto verginale a lei scioglievasi; Viriplaca quella che i mariti placava nelle contese e negli sdegni. Ol
te Silvano, perchè le puerpere non molestasse. Strenua dicessi la Dea che rende gli nomini valorosi; Agenoria e Stimula que
cessi la Dea che rende gli nomini valorosi; Agenoria e Stimula quella che gli spinge ad agire; Agonio quel che presiede all
orosi; Agenoria e Stimula quella che gli spinge ad agire; Agonio quel che presiede alle azioni; Orla quella che esortagli a
li spinge ad agire; Agonio quel che presiede alle azioni; Orla quella che esortagli ad opere virtuose; Volunno e Volunna qu
; Orla quella che esortagli ad opere virtuose; Volunno e Volunna que’ che lor danno il buon volere; Cazio quello che cauti
se; Volunno e Volunna que’ che lor danno il buon volere; Cazio quello che cauti li rende; Angerona quella che libera dalle
anno il buon volere; Cazio quello che cauti li rende; Angerona quella che libera dalle angosci e, e fa che tacciano i lamen
che cauti li rende; Angerona quella che libera dalle angosci e, e fa che tacciano i lamenti, onde fu detta pur Dea del sil
nzio, e dipingevasi colla bocca fasciata e sigillata; Fellonia quella che Scaccia i nemici; Fessonia quella che alleggia gl
ta e sigillata; Fellonia quella che Scaccia i nemici; Fessonia quella che alleggia gli stanchi; Vigilia quella che accompag
ia i nemici; Fessonia quella che alleggia gli stanchi; Vigilia quella che accompagna i viaggiatori perchè non errino; Averr
quella che accompagna i viaggiatori perchè non errino; Averrunco quel che allontana i mali e i pericoli; come era ài Dio de
errestri aggiunger si possono ancor gl’ Indigeti, cioè, quegli uomini che per le loro azioni meritaron gli onori divini. Tr
icordarsi Carmento madre di Evandro, detta anche Nicostrata e Temide, che ebbe il dono de’ vaticini, a cui dedicate erano i
dono de’ vaticini, a cui dedicate erano in Roma le ferie Carmentali, che si celebravano in Gennaio; Evandro stesso figlio
io; Evandro stesso figlio di Mercurio e di Carmenta nativo di Arcadia che avendo per disgraziato caso ucciso il padre, rico
ino fondò una piccola città chiamata da lui Pallanteo; Acca Laurenzia che fu nutrice di Romolo e di Remo, e in onor di cui
i cui voglionsi istituite da Romolo le feste Laurentine o Laureatali, che celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna, che av
urentine o Laureatali, che celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna, che avendo recato de’ pani al Popolo Romano, allorchè
iodo e da Omero non è riguardato come Dio nel mare, ma come un fiume, che unito a Teli figlia della Terra divenne padre di
esti sposò Anfitrite figlia dell’ Oceano, cui fè rapir da un Delfino, che in ricompensa fu poi trasportato fra de costellaz
pensa fu poi trasportato fra de costellazioni; e da essa ebbe Tritone che rappresentasi mezz’ uomo e mezzo pesce, e suol pr
za di trentasei cubiti, e alla grossezza di nove, incatenarono Marte, che fu liberato poi da Mercurio, e soviapposero all’
i fulminati furono poi sepolti nel Tartaro. Aggiugne lo stesso Omero, che Nettuno da Tiro figlia di Salmoneo e moglie di Cr
eo, la quale ingannò assumendo la forma del fiume Enipeo, ebbe Pelia, che spedì Giasone alla conquista del vello d’ oro, e
padre di Nestore; da Toosa figlia di Forco ebbe il Ciclope Polifemo, che acciecato fu poi da Ulisse, a cui divorato aveva
a figlia di Eurimedonte ebbe Nausitoo re de’ Feaci, padre di Alcinoo, che liberamente accolse Ulisse nel suo naufragio vici
icco di doni lo fece da’ suoi trasportare in Itaca. Ovidio aggiugne; che per Canace figlia di Eolo ei trasformossi in un g
in ariete, per Cerere e Medusa in cavallo, per Melanto in delfino; e che Cene figlia di Elato tessalo, dopo essersi a lui
giata in maschio sotto il nome di Ceneo, e di essere invulnerabile, e che poi combattendo Ceneo a favor de’ Lapiti contro i
modo ottenne Peleo di averla in moglie, e da essi poi nacque Achille, che Proteo avea innanzi predetto a Tetide che sarebbe
da essi poi nacque Achille, che Proteo avea innanzi predetto a Tetide che sarebbe stato più forte del padre. Avendo Peleo i
goni ec. Da Omero egli e detto re dello steril mare e padre di Toosa, che partorì Polifemo, e a lui sacro, secondo il medes
uni dicono figlio di Polibio, altri di Foiba, ed altri di Nettuno, ma che di professione tutti dicono pescatore, veggendo,
i di Nettuno, ma che di professione tutti dicono pescatore, veggendo, che i pesci da lui presi gettati sul lido al tocco di
unone di lei nemica mandò Tisifone ad ispirar tal furore ad Atamante, che credendo in Ino vedere una lionessa, e nei due fi
battè crudelmente sul suolo, indi si fece a inseguir Ino e Melicerta, che gettandosi in mare furono ad istanza di Venere ca
ne rapita, e bramando di andarne in traccia per acqua e per aria, non che per terra, si vider le braccia cangiate in ali e
’ Isola di Capri rimpetto a Napoli, o in alcune isolette colà vicine, che ancor si chiamano l’ isole delle Sirene. Quivi co
cata dall’ onde, ove fu poi fabbricata la città di Napoli, fu cagione che a questa il nome di Partenope fosse dato. Scilla
te, ove Scilla lavavasi, e con ciò fu questa convertita in un mostro, che Omero dipinge con dodici piedi, sei lunghi colli,
n cui divorava i passaggieri. Cariddi fu prima una donna voracissima, che avendo rubato ad Ercole certi buoi, secondo alcun
condo altri fulminata da Giove; e cangiata in una voragine vorticosa, che inghiottiva le navi e i naviganti, che sovra essa
ata in una voragine vorticosa, che inghiottiva le navi e i naviganti, che sovra essa passavano. Questi due ultimi mostri er
nascere da Astreo e dall’ Aurora, I principali tra questi erano quei che spiravano da’ quattro punti cardinali del cielo,
rapì Orizia figlia di Eretteo re eli Atene, e n’ ebbe. Calai e Zete, che liberaron Fineo re di Tracia dalle Arpie, come di
utone, e degl’ altri Dei dell’ inferito, e de’ principali condannati, che ivi erano. Plutone fratello di Giove e di Nett
e punitore degli spergiuri. Rapì egli Proserpina figlia di Cerere, il che da Ovidio vien raccontato in questo modo. Allorch
I, sotto a’ monti della Sicilia Tifeo, si agitò questi sì fattamente, che Plutone temè che non si aprisse la terra; e uscì
della Sicilia Tifeo, si agitò questi sì fattamente, che Plutone temè che non si aprisse la terra; e uscì dall’ Inferno per
one temè che non si aprisse la terra; e uscì dall’ Inferno per vedere che fosse. Stava ne’ campi dell’ Enna Proserpina figl
cui la fece regina, e dielle titolo di Giunone infernale. Le ricerche che ne fece Cerere, e che ne fecero le Sirene veggans
dielle titolo di Giunone infernale. Le ricerche che ne fece Cerere, e che ne fecero le Sirene veggansi ai Capi XIV e XVII.
ime si offerivano io numero dispari. Dea dell’ Inferno era pur Ecate, che alcuni confondono con Diana, altri colla stessa P
e, che alcuni confondono con Diana, altri colla stessa Proserpina, ma che Esiodo distingue da amendue, dicendola figlia di
te secondo Esiodo, e secondo altri figlia di Giove e della Necessità, che essendo particolarmente venerata in Ramno borgo d
i era Orco Dio del giuramento. Gli Dei Mani erano una specie di geni, che presedevano a’ morti. Da alcuni furon confusi co’
co’ Sogni suoi figli. Morfeo figlio e ministro del Sonno era quello, che gli nomini addormentava, spruzzando gli occhi lor
Vittoria, Vigore e Forza, cui presentò a Giove, e ne ebbe in compensò che il giuramento per le acque di Stige fosse inviola
e della Notte, vecchio ma di robusta e verde vecchiezza, era quegli, che traghettava su nera barca le anime di là dal fium
buoni godean vita beata, e prendevano diletto di quelle occupazioni, che più aveano amate qui in terra. Il luogo della pen
a esso ucciso, e condannato a starsi perpetuamente sotto di un sasso, che sempre minacciava di rovinargli addosso a schiacc
furie legare giù nell’ Inferno ad una ruota circondata da serpenti e che sempre gira. Tantalo figlio di Giove e della ninf
rno tormento della fame, e della sete, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giungono fino al mento, ma che gli fuggon eli
te, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giungono fino al mento, ma che gli fuggon eli sotto quand’ ei si abbassa per bev
sa per beverne, e collocandogli vicino un albero carico di frutta, ma che s’ innalzano allorchè stende la mano per cogliern
i, e schiacciava, secondo Lattanzio, col peso di enorme sasso quelli, che gli cadeano tra le mani. Fu ucciso da Teseo, e co
dannato nell’ Inferno a spinger sull’ erta di un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la cima, al basso nuova
cino a toccare la cima, al basso nuovamente ricade. Pausania pretende che di tal pena ei sia stato punito da Giove pei’ ave
o il luogo, in cui egli teneva Egina nascosta. Ferecide disse invece, che Sisifo a dispetto di Plutone tenne per lungo temp
da Marte. Demetrio intorno ad esso spacciò un’ altra favola dicendo, che vicino a morte egli ordinò alla moglie di non sep
cendo, che vicino a morte egli ordinò alla moglie di non seppellirlo; che giunto all’ Inferno domandò a Plutone di poter pe
one di poter per brevi momenti tornare in vita, onde punire la moglie che lo lasciasse insepolto; e che uscito dall’ Infern
tornare in vita, onde punire la moglie che lo lasciasse insepolto; e che uscito dall’ Inferno con questo pretesto non voll
railo a forza. Le Danaidi erano cinquanta figlie di Danao re di Argo, che tutte in un giorno le maritò a cinquanta figli di
le maritò a cinquanta figli di Egitto suo fratello; ma avendo inteso che dai generi doveva esser privato del regno, ordinò
ro mariti. Eseguiron esse l’ iniquo comandamento, eccetto Ipermestra, che salvò il marito Linceo, e perciò furon condannate
nte dagli Egizi., Tra questi erano Orride Dio principale degli Egizi, che a lui debitori credevansi dell’ agricoltura e del
è fuggendo l’ ire di Giunone si ricoverò in Egitto; Api figlio di Io, che rappresentavasi in forma’ di bue; Anubi, che figu
gitto; Api figlio di Io, che rappresentavasi in forma’ di bue; Anubi, che figuravasi colla testa di cane; Serapide, che dai
n forma’ di bue; Anubi, che figuravasi colla testa di cane; Serapide, che dai più si confonde con Osiri stesso e con Api; e
i confonde con Osiri stesso e con Api; ed Arpocrate Dio del silenzio, che dipingevasi col dito indice alla bocca in atto ap
De’ Semidei e degli Eroi. Semidei chiamavansi propriamente quelli che avean per padre un Dio, o una Dea per madre, ed E
uelli che avean per padre un Dio, o una Dea per madre, ed Eroi quelli che distinti si erano con qualche grande azione. Degl
. Accolse Epimeteo lietamente Pandora contro il consiglio di Prometeo che detto aveagli di rigettare qualunque presente gli
da Giove; ed avendo Pandora aperto il vaso: ne uscirono tutti i mali, che sulla, terra si sparsero, incontanente, restando
i sparsero, incontanente, restando la sola speranza al fondo del vaso che Pandora avvedutamente richiuse. Nè di ciò pur con
con assenso di Giove medesimo, non ne fu liberato. Altri voglion però che la cagione della spedizione di Pandora e della pu
della spedizione di Pandora e della punizione di Prometeo sia stata, che avendo questi formata una statua di argilla, salì
oracolo di Temi sul modo di ripopolare il mondo, n’ ebbe in risposta, che si gettasse dietro le spalle le ossa della gran M
er questa intender la Terra, e per quelle i sassi; e quindi le pietre che dietro gettossi Deucalione si convertirono in uom
re che dietro gettossi Deucalione si convertirono in uomini, e quelle che Pirra in donne. Gli altri animali, secondo Ovidio
uero per se stessi dall’ umida terra, e fra questi il serpente Pitone che poi fu ucciso da Apollo. Cerambo, secondo il mede
dopo sopravvenne lo stesso Anfitrione, da cui Alcmena concepì Ificlo, che nacque gemello con Ercole. Era nel medesimo tempo
e di Micene incinta di Euristeo. Giunone carpi da Giove il giuramento che chi nascerebbe il primo avesse impero sopra dell’
o sopra dell’ altro, indi corse ad accelerare la nascita di Euristeo, che venne alla luce di sette mesi, e ritardò quella d
diosamente si mise a gridare: Alcmena pur finalmente ha partorito; il che udendo Lucina per atto di sorpresa allargò le man
nte di veder Ercole estinto, il fè assalire in culla da due serpenti, che però l’ intrepido fanciullo strangolò amendue col
rzione di questo sparso pel Cielo, formò la Via Lattea, e dalle gocce che ne caddero in terra spuntarono i gigli. Ma allorc
i dovette combattere il terribil Leone figlio di Tifone e di Echidna, che infestava i contorni di Nemea o Cleone; ed avendo
Pugnò nel paese di Argo coll’ Idra Lernea nata parimente da Echidna, che era un serpente di sette teste, a cui se una ne v
erocissimo. 4. Inseguì per un anno intero sul monte Menalo una cerva, che aveva i piedi di bronzo e le corna d’ oro, e ragg
in fuga sul lago Stinfalo in Arcadia gli sparvieri educati da Marte, che aveano il becco e gli ai tigli di ferro, e pascea
6. Sconfisse in riva al Termodonte fiume della Cappadocia le Amazoni, che la signoreggiavano sole, esclusi gli uomini, ed e
ll’ arco; e fatta prigioniera Ippolita loro regina, la diede a Teseo, che gli era stato compagno in quell’ impresa. 7. Purg
ll’ introdurvi il fiume Alfeo. 8. Condusse legato ad Euristeo un Toro che orribil guasto facea nell’ isola di Creta. 9. Vin
bil guasto facea nell’ isola di Creta. 9. Vinse Diomede re di Tracia, che pasceva i suoi cavalli colle carni degli ospiti,
l fè divorare. 10. Abbattè Gerione figlio di Crisaorre e di Calliroe, che avea tre corpi, e gli tolse le vacche custodite d
ato il, cane Cerbero nato parimente da Echidna; e dalla velenosa bava che questi lasciò sulla terra, nacque l’ aconito. Olt
iù altre imprese di Ercole si raccontano; ma egli è comari sentimento che molti Ercoli vivuti sieno in diversi tempi, sicch
in diversi tempi, sicchè Varrone ne numera fino a quarantaquattro, e che le loro azioni, per renderle più prodigiose, oltr
iterraneo, separando i due monti Abila e Calpe, e formando lo stretto che or chiamasi di Gibilterra, ove Ercole per monumen
critto: Non più oltre. Lottò con Anteo figlio della Terra, e veggendo che atterrato ei sorgeva sempre più vigoroso, levollo
ollo in aria, e il petto gli strinse colle sue braccia sì fattamente, che il soffocò. Mentre andava a Pito, ossia Delfo con
te volle nel bosco Pagaseo a lui opporsi, ei l’ uccise, e ferì Marte, che sopra il suo cocchio dovette fuggirsene. I gigant
Aventino scoperse la grotta; indi gettatosi tra il fumo e le fiamme, che vomitava Caco dalla bocca, io soffocò, e le sue v
itava Caco dalla bocca, io soffocò, e le sue vacche ritolse. Evandro, che allor regnava sul Palatino, per gratitudine di av
titudine di aver purgalo il paese da quel ladrone gli eresse un’ ara, che in grande onore fu poi ancora presso i Romani col
recatosi il prese e l’ immolò sul medesimo altare. Uccise l’ aquila, che rodeva le viscere a Prometeo legato sul monte Cau
dele Laomedoate negato poscia i cavalli della razza di quei del Sole, che in ricompensa gli avea promessi, Ercole espugnò T
i saetta in un’ ala, e quagli cadendo fece col peso del proprio corpo che la saetta gli penetrasse nel fianco e l’ uccidess
a saetta gli penetrasse nel fianco e l’ uccidesse. Altri voglion però che sia stato Periclimeno per la sua insolenza ucciso
corno, fu alla fine costretto a cedere. Quel corno poi, dice Ovidio, che il corno divenne dell’ abbondanza; sebbene altri
ndosi di portarla in groppa di là dal fiume, tentò di rapirla, se non che quegli avvedutosi a tempo il colpì con un dardo t
ste intrisa del suo sangue e del veleno dell’ Idra, dandole a credere che con quella avrebbe richiamato Ercole all’ amor su
ta Deianira, innamorossi di Iole figlia di Eurilo re dell’ Ecalia, di che Deianira fatta gelosa gli mandò per mezzo del gio
ole l’ ebbe indossata, si senti preso da un interno ardor si cocente, che furioso errando pel monte Eta, incontralo Licia,
i, ed a niuno manifestare ove fosse sepolto. Le favole aggiunsero poi che fu egli da Giove portato in cielo e posto nel num
che fu egli da Giove portato in cielo e posto nel numero degli Dei, e che ottenne quivi in isposa Ebe figlia di Giove e di
ia di Giove e di Giunone Dea della Gioventù, dalla quale pur conseguì che Gioluo figlia d’ Ificlo e suo compagno in molte i
in Atene presso di Teseo, Euristeo serbando verso del figlio l’ odio che nutrito avea contro del padre, andò ad assalirlo;
ndo Acrisio inteso dall’ oracolo di aver ad essere ucciso dal figlio, che nato fosse da Danae, la fece chiudere in una torr
ri e recata al re Pilunno, il quale sposata Danae, da cui ebbe Dauno ( che trasferitosi nel paese de’ Rutoli e fabbricata Ar
ano una spada adamantina, da Plutone l’ elmo, e da Pallade uno scudo, che risplendea a guisa di specchio. Giunto ov’ era Me
cudo di Pallade, colla spada di Vulcano troncolle il capo. Dal sangue che ne sgorgò nacque Crisaorre, che fu poi padre di G
Vulcano troncolle il capo. Dal sangue che ne sgorgò nacque Crisaorre, che fu poi padre di Gerione, e il cavallo Pegaso, che
ò nacque Crisaorre, che fu poi padre di Gerione, e il cavallo Pegaso, che in Elicona aprì con un calcio il fonte Ippocrene;
cona aprì con un calcio il fonte Ippocrene; e dalle gocce sanguinose, che caddero ne’ deserti di Libia; allorchè Perseo ven
ezza si disse poi sostenere il cielo: sebbene altri sieno di opinione che Atlante siasi detto portare il cielo, perchè era
i loro anteporsi in bellezza. Perseo, ottenuta promessa da’ Genitori, che Andromeda sarebbe stata sua sposa, uccise il most
osato il teschio di Medusa coperto di un velo sopra le piante marine, che ivi erano, e che furon convertite in coralli, dis
di Medusa coperto di un velo sopra le piante marine, che ivi erano, e che furon convertite in coralli, disciolse Andromeda,
con Andromeda in Grecia, col medesimo teschio tramutò in sasso Preto; che avea cacciato Acrisio dal regno di Argol, indi Po
Preto; che avea cacciato Acrisio dal regno di Argol, indi Polidette, che invidioso della gloria di lui, cercava per ogni m
cercava per ogni maniera di diffamarlo, e per ultimo Acrisio stesso, che imprudentemente nel capo di Medusa si affissò. Fu
hè abilissimo domator di cavalli, e poscia coll’ uccisore di Bellero, che pretendea farsi tiranno di Corinto, acquistò il n
to, acquistò il nome di Bellerofonte. Trovandosi alla corte di Preto, che scacciato Acrisio, erasi fattore degli Argivi, la
scito sempre vittorioso, lo spedì per ultimo a combattere la Chimera, che infestava il monte della Licia del medesimo nome.
l capo e il petto di leone, il ventre di capra, e la coda di drago, e che fuoco vomitava dalla bocca. Bellerofonte, ottenut
a figlia dalla quale Bellerofonte ebbe Issandro, Ippoloco e Leodamia, che amata da Giove fu madre poi di Sarpendone, e Sten
re in cielo, Giove mandò l’ assillo a tormentare il cavallo per modo, che si scosse Bellerofonte di dosso, e precipitollo n
modo, che si scosse Bellerofonte di dosso, e precipitollo nel campo, che fu detto Aleio, ed ei solo volò su in cielo, ove
costellazioni. Delle figlie di Preto, e di Stenobea disser le favole, che avendo osato di paragonarsi a Giunone furon punit
Testio. Al suo nascere le Parche misero un tizzone sul fuoco, dicendo che tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il ti
icendo che tanto sarebbe durata la vita di lui, quanto il tizzone, il che udendo la madre ritrasse il tizzone dal fuoco, e
re ritrasse il tizzone dal fuoco, e gelosamente il nascose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne, che Oeneo offrendo per l’ o
fuoco, e gelosamente il nascose. Cresciuto che fu Meleagro, avvenne, che Oeneo offrendo per l’ ottenuta fecondità delle ca
solenni sacrificj a tutti gli Dei, dimenticò di offerirne a Diana, di che essa sdegnata spedì a disertar le campagne di Cal
rocchè Altea di ciò irritata, rimise il tizzone sul fuoco, e a misura che questo andò consumandosi, egli pur divorato da in
elle di Meleagro la morte di lui piangendo furon cangiate in uccelli, che il nome ebbero di Meleagridi. Atalanta ricercata
il nome ebbero di Meleagridi. Atalanta ricercata da molti alle nozze che abborriva, promise alla fine che data avrebbe la
alanta ricercata da molti alle nozze che abborriva, promise alla fine che data avrebbe la mano a chi lei avanzasse nel cors
avrebbe la mano a chi lei avanzasse nel corso, con questa legge però, che raggiugnendoli fosse in poter suo l’ ucciderli. I
coglierli, giunse ad avanzarla. Il premio della vittoria fu Atalanta, che Ippomene sposò; ma scordatosi egli, di renderne g
e amanti a profanare il tempio di Giove, o, secondo molti, di Cibele, che per vendicarsene li mutò in lioni, e gli attaccò
dar Minerva a combattere il drago, e seminare i denti colla promessa che nati di là sarebbono altrettanti uomini. Sursero
ue soli: i quali però bastaron ad aiutarlo nella edificazion di Tebe, che fu poi capitale della Beozia, così detta in memor
monia figlia di Marie e di Venere quattro figlie, vale a dire Semele, che fu poi madre di Bacco, ma incenerita dal fulmine
di Bacco, ma incenerita dal fulmine di Giove; Ino madre di Melicerta, che fuggendo le furie di Atamante, dovette gettarsi i
urie di Atamante, dovette gettarsi in mare; Autonoe madre di Atteone, che fu da Diana cangiato in cervo: ed Agave madre di
Questi vedendola incinta la ripudiò, e prese Dirce, la quale temendo che Antiopi tornar potesse in grazia del marito, otte
r Lieo, s’ impadroniron di Tebe, e legarono Dirce ad un furioso toro, che trascinandola la fece a brani, finchè dagli Dei p
brani, finchè dagli Dei per compassione fu can giata nel fiume Dirce, che non lungi da Tebe entra nel fiume Ismeno. Capo
etta da Omero, figliuola di Creonte. Avendo Laio udito dall’ oracolo, che doveva essere ucciso dal figlio, di cui Giocasta
essa il barbaro comandamento, diè il figlio nelle mani di un soldato, che recatolo in un bosco e foratigli i piedi, attrave
tria, perchè vi avrebbe ucciso il padre, e sposata la madre. Credendo che l’ oracolo parlasse di Corinto se ne esigliò volo
prender le parti di questi, uccise senza conoscerlo il proprio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Altri dicon
proprio padre, che a favore di quelli si era intromesso. Altri dicono che l’ uccidesse, mentre in un angusto sentiero del m
di paese infestato dalla Sfinge, mostro nato da Tifone e da Echidna, che avea la testa, e il petto di donna, il corpo di c
sciogliesse l’ enimma, e perir facesse la Sfinge, poichè era destino, che questa dovesse morire sì tosto, che l’ enimma da
se la Sfinge, poichè era destino, che questa dovesse morire sì tosto, che l’ enimma da alcuno fosse disciolto. Presentossi
to. Presentossi Edipo, e la Sfinge gli domandò qual fosse l’ animale, che avea quattro piedi al mattino, due al mezzogiorno
tino, due al mezzogiorno, e tre la sera. Edipo rispose esser l’ uomo, che in fanciullezza si strascinasti quattro piedi, in
le pestilenza, la quale, disse l’ oracolo di Delfo su ciò consultato, che non sarebbe cessata, finche non fosse de Tebe esi
occupa premurosamente a farne ricerca, venne a scovrire non solamente che l’ uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma d
solamente che l’ uccisore di Laio era stato egli medesimo, ma di più che Laio era suo padre, e Giocasta sua madre. Preso d
Argivi. Avea Adrasto due figlie Argia e Deifile; e parevagli in sogno che la prima ad un leone si maritasse, e la seconda a
coperto di una pelle di cignale, Tideo figlio di Eneo re di Calidone, che ucciso sgraziatamente il fratello Menalippo, di l
sgraziatamente il fratello Menalippo, di là fuggiva. Parve ad Adrasto che questi fossero il leone e il cignale indicati dal
lavasi; ed ei costretto ad andarvi, lasciò ordine al figlio Alcmeone, che quando udisse la morte di lui, uccidesse l’ infed
i e gran parte delle sue genti dovette tornarse scornato in Argo. Più che a tutt’ altri però fattale fu quella guerra a’ du
lla mischia con tale accanimento, pugnaron essi l’ un contro l’ altro che amendue scambievolmente, si uccisero; ed essendo
essendo i loro corpi stati posti sopra, il medesimo rogo, le fiamme, che circondavano l’ uno e l’ altro si separarono, com
arono, come se nemmeno in morte, soffrissero distar congiunta quelli, che in vita stati erano così divisi. Nè le triste con
Perciocchè avendo Creonte, il quale prese il governo di Tebe, vietato che gli Argivi si seppellissero, fu ucciso da Teseo;
roe figlia di Acheloo, andando per togliere a quella il fatai monile, che areale recato per presente di nozze dai fratelli
ne e Anfotero figli di Alcmeone, e di Calliroe, i quali essa ottenne, che ancor fanciulli giugnessero immantinente all’ età
quale veniva riputato come sicuro pegno della prosperità dello stato che il possedesse. Era questo la pelle del montone, s
secuzioni della madrigna Ino, si argomentarono di passare lo stretto, che or chiamasi dei Dardanelli. Ma spaventati dai flu
lo trasportò in cielo nel segno dell’ ariete), e ne sospese la pelle, che avea la lana d’ oro, in un bosco consegrato a Mar
dalle nari. Per questa spedizione Giasone invitò gli Eroi più famosi, che allor vivessero. Argo figlio di Alettore co’ legn
onte Pelio, e con una quercia tolta alla selva Dodenea formò la nave, che da’ Poeti fu celebrata come la prima nave, che fo
Dodenea formò la nave, che da’ Poeti fu celebrata come la prima nave, che fosse costruita, e le diede il suo nome; Tifi ne
o dal re Fineo del modo onde superare gli scogli Cianei o Simplegati, che urtandosi fra di loro impedivano l’ uscita dal Bo
andosi fra di loro impedivano l’ uscita dal Bosforo: in ricompensa di che Giasone ordinò agli alati figli di Borea di scacc
i che Giasone ordinò agli alati figli di Borea di scacciare le Arpie, che lordavano le mense di Fineo, e questi le inseguir
ano le mense di Fineo, e questi le inseguirono fino alle isole Piote, che poi furono dette Strofadi ora Strivali. Era Fineo
e, e figlio di Fenice e di Cassiopea. Sposò in prime nozze Cleopatra, che altri chiamarono Stenobra o Stenoboe, da cui ebbe
alice figlia di Borea e di Orizia ad istanza; di cui acciecò i figli, che dalla prima avea avuti. In pena di ciò gli Dei ac
di Taumante e di Elettra. Erano queste mezze donne, e mezzo uccelli, che divorando e lordandogli tutti i cibi, ridotto avr
ssi Giasone al re Eta chiedendo il vello d’ oro, ma questi risposegli che per averlo convenivagli prima domar due tori spir
e sottoporli al giogo poi seminare i denti del drago ucciso da Cadmo, che ad Eeta erano stati mandati da Pallade e Marte, e
ad Eeta erano stati mandati da Pallade e Marte, e vincere gli uomini che ne sarebbero nati; per ultimo uccidere il drago c
e incantate, onde domare i tori e addormentare il drago, e l’ avvertì che lanciando un sasso contro degli uomini armati sor
llo d’ oro, se ne parrì coi compagni è con Medea, la quale prevedendo che dal padre sarebbe stata inseguita, prese il barba
o, per esso e pel mare Ionio se ne tornarono a Ioleo. Fu chi aggiunse che prima di arrivarvi essi vennero dalla tempesta sb
nero dalla tempesta sbattuti ai lidi dell’ Africa; Omero accennò pure che superarono essi ih passaggio alle pietre erranti
no essi ih passaggio alle pietre erranti vicino a Scilla e Cariddi, e che in questo pericoloso passaggio aiutali furono da
a come non sì saprebbe determinare ove fosse un tal passaggio, sembra che l’ immaginazione di Omero abbia voluto qui traspo
gue creargli co’ suoi sughi incantati, e bramando le figlie di Pelia, che altrettanto facesse al padre loro prescrisse a qu
se a queste di ucciderlo, e farlo bollire in una caldaia, promettendo che con sue erbe l’ avrebbe fatto rinascere giovane;
avasi. Giasone erasi quivi acceso di Glauce figlia del re Creonte, di che Medea irritata finse per più sicura vendetta di e
e scannò atrocemente sotto agli occhi di Giasone medesima i due figli che da esso avea avuti, indi salita sul carro tirato
gì in Atene, ove divenuta moglie di Egeo padre di Tesèo partorì Medo, che poi diede il nome alla Media. Chirone nacque da F
arco e nel sonar la lira, nelle quali arti istruì Giasone ed Achille, che l’ uno da Alcimede, come abbiam detto, l’ altro d
ella quale ammaestrò Esculapio affidatogli da Apollo; e la cognizione che egli avea delle stelle fu di grandissimo giovamen
stava esaminando le saette di Ercole tinte dal sangue dell’ Idra, una che a caso il ferì gli creò tal dolore, che desiderò
te dal sangue dell’ Idra, una che a caso il ferì gli creò tal dolore, che desiderò di morire e fu trasportato in cielo nell
la fecondazione da Tindaro re dell’ Ebalia, marito di Leda. Quindi è che Polluce era immortale, e mortale era Castore. Pol
lluce però, onde aver col fratello una sorte comune, ottenne da Giove che a vicenda l’ uno morisse, e risorgesse l’ altro.
allor selvaggi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole, che al suono della sua lira traeva le piante e le fie
endo questa, caduta estinta per morsicatura di un serpente nell’ atto che fuggiva da Aristeo, egli scese all’ inferno per r
tarla. Seppe infatti col suo canto cosi intenerire gli Dei Infernali, che gli permisero di ricondurla, a patto però di non
tinuamente la sua perdita, nè amore, di donna più il potè muovere; di che indispettite le madri de’ Ciconi lo fecero a bran
me Ebro. Questo, secondo Ovidio, fu portato a Lesbo, dove un serpente che avvenissi per morderlo venne da Apollo cangiato i
rmossi egli contro di loro, e giunto prima a Sitone ottenne coll’ oro che la città gli fosse venduta da Arne figlia del re,
tenne coll’ oro che la città gli fosse venduta da Arne figlia del re, che fu quindi caugiata in mulacchia; indi posto l’ as
per la qual cosa ella fu poi tramutata in lodola, e Niso in avvoltoio che ognor l’ insegue. Vinti alla fine gli Ateniesi, M
inti alla fine gli Ateniesi, Minosse impose loro la cruda condizione, che ogni sette anni spedir gli dovessero tratti a sor
i istrumenti.), mosso da invidia precipitollo dalla rocca di Minerva, che poi lo cangiò in pernice. Rifugiatosi perciò Deda
Dedalo col figlio Icaro nel labirinto, e custodirne in modo le porte, che non potesse fuggirne. Dedalo allora procacciatesi
, ed ei privo di quelle precipitò vicino all’ Isola di Samo nel mare, che da lui prese il nome d’ Icario. Dedalo invece sem
lì in presenza di Etra sotto ad un gran sasso una spada, ordinandole, che , se nascesse da lei un maschio allorchè fosse in
i uomini malvagi. Trasse a morte vicino a Maratona il terribile toro, che Ercole avea condotto da Creta ad Euristeo, e che
a il terribile toro, che Ercole avea condotto da Creta ad Euristeo, e che questi avea mandato a devastazione dell’ Attica,
uesti avea mandato a devastazione dell’ Attica, e a Grondone il porco che disertava le campagne di Corinto. Uccise in Epida
, detto pur Cornista dalla clava ond’ era armato; in Eleusi Cercione, che sfidava i passaggieri alla lotta, e vinti o ricus
ti di combattere li uccideva; nell’ istmo di Corinto il gigante Sine, che piegando due pini a terra ed attaccandovi gli uom
rilasciare i piai faceva gli uomini in quarti; presso Megara Scirone, che appostato sopra uno scoglio gettava in mare i via
Scirone, che appostato sopra uno scoglio gettava in mare i viandanti che si avvenivano su quella strada; presso ad Ermonia
u quella strada; presso ad Ermonia il gigante Damaste detto Procuste, che faceva stendere gli ospiti sul proprio letto, e t
iravali a forza, se non arrivavano alla misura del letto. Vuolsi pure che in Tebe egli abbia ucciso Creonte, il quale vieta
rgli una tazza avvelenata. Ma nel presentarla riconobbe Egeo la spada che sepolta avea sotto del sasso, e gettata la tazza
stati da lui sottomessi, come abbiam detto, alla barbara condizione, che ogni anno mandar gli dovessero tratti a sorte set
o mandar gli dovessero tratti a sorte sette giovani e sette donzelle, che davansi in pasto al Minotauro. Uno de’ sette giov
di Minosse, ebbe da lei per consiglio di Dedalo un gomitolo di filo, che attaccato per un capo all’ ingresso del labirinto
Ma arrivato all’ isola di Nasso, ivi ingratamente abbandonò Arianna, che fu poi trovata e sposata da Bacco e tornossene in
cco e tornossene in Atene, con Fedra soltanto, cui fece sua moglie, e che fu poi ad esso cagione di estremo dolore. Omero d
glie, e che fu poi ad esso cagione di estremo dolore. Omero dice però che Arianna fu trattenuta in Dia o Nasso espressament
fu in prima fatale ad Egeo. Perciocchè avevagli questo raccomandato, che qualora salvo tornasse, per dargliene indizio, ca
ere vele, e credendo il figlio estinto, per duolo affogossi nel mare, che da lui prese il nome di Mar Egeo, ora Arcipelago.
di un sasso, finchè ne venne liberato da Ercole. Vuolsi però da molti che questa Proserpina fosse moglie di Edoneo re dell’
nato in Atene si diede Teseo ad unire in una sola città i vari casali che formavano la popolazione ateniese, ed istituì in
o di averle voluto fai forza. Teseo irritalo, e memore della promessa che fatta gli avea Nettuno di appagarlo in qualunque
vendette. Nettuno spedì perciò un mostro marino, dal quale i cavalli che traevano il cocchio d’ Ippolito lungo la spiaggia
evano il cocchio d’ Ippolito lungo la spiaggia, furono sì spaventati, che datisi a fuga precipitosa, scosser dal cocchio Ip
à, e da essi risuscitato ebbe una spalla di avorio in luogo di quella che Cerere aveva mangiato. Cresciuto in età, abbandon
el corso de’ cocchi, nel quale egli era abilissimo, colla condizione, che se taluno fosse rimasto vincitore avrebbe avuto i
fragil asse, il quale essendosi spezzato nel corso precipitò E nomao che ne morì; ed egli cosi ottenne Ippodamia ed il reg
egli cosi ottenne Ippodamia ed il regno, cui poscia ingrandì per modo che tutta la penisola da lui trasse il nome di Pelopo
i lui glieli diede a mangiare in una abbominevole cena, da cui dicesi che il Sole torse per orrore la faccia. Figli di Atre
sacerdote Calcante consu Itato l’ oracolo di Delfo portò in risposta che per aver propizi i venti conveniva sacrificare If
la guerra di Troia, di cui appresso diremo, Egisto figlio di Tieste, che per vendicare la morte de’ fratelli già aveva ucc
a Elettra in isposa; e premendogli di aver Ermione figlia di Menelao, che prima a lui promessa, era stata poi data a Pirro,
a lui promessa, era stata poi data a Pirro, andato a Delfo, ove sapea che Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi v
o, andato a Delfo, ove sapea che Pirro allora trovavasi, sparse voce, che questi venuto fosse per dispogliare il tempio, e
pio, e il fe dal popolo ammutinato assassinare. Virgilio dice invece, che l’ uccise di propria mano innanzi al patrio altar
la guerra di Troia, e de principali Greci, Troiani, e loro ausiliari, che vi ebbero parte. Cagione della guerra troiana
ra incinta, parvele in sogno di aver in seno una fiaccola ardente, il che essendo stato interpretato che cagionare ei doves
aver in seno una fiaccola ardente, il che essendo stato interpretato che cagionare ei dovesse l’ incendio della Città e de
co dopo lo spedì Priamo in Grecia con venti navi per ripetere Esione, che liberata dal mostro marino era stata via condotta
riputata la più bella donna di quell’ età, colse Paride l’ occasione che Menelao ebbe a partire per Creta, abusando dell’
se ad entrar nella lega cogli altri. In vendetta di ciò fu poi detto, che Ulisse nel campo di Troia nascose dell’ oro sotto
tradimento, il fè lapidare da Greci. Tetide madre di Achille, sapendo che sotto Troia sarebbe questi perito, l’ occultò sot
ato compagno di Ercole, e testimonio della morte di lui. Ercole volle che le sue frecce tinte del sangue dell’ Idra fossero
i queste sol piede, incominciò egli a mandar tal fatore dalla ferita, che i Greci, i quali seco preso l’ aveano, perchè egl
ille navi stavano a Giove sacrificando per implorare propizi i venti, che poi non ottennero se non col sacrificio d’ Ifigen
poscia anche la madre; dalla qual cosa il sacerdote Calcante presagì, che la guerra troiana durerebbe nove anni, e Troia sa
e Troia sarebbe presa nel decimo, siccome avvenne: e Ovidio aggiugne, che il serpente a perpetua memoria dagli Dei fu cangi
ria dagli Dei fu cangiato in sasso. Era stato predetto dall’ oracolo, che il primo, il quale fosse sceso sul lido di Troia,
dal voler più prender parte a quella guerra. Cagion della lite si fu, che essendo Venuto Crise sacerdote di Apollo per risc
Calcante diceva essere di mestieri, Agamennone alteratamente dispose, che l’ avrebbe restituita, ma che in compenso voleva
ieri, Agamennone alteratamente dispose, che l’ avrebbe restituita, ma che in compenso voleva Briseide toccata ad Achille. S
uerra con un duello alla presenza dei due eserciti; ma Venere temendo che Paride soccombesse, indusse il troiano Pandaro a
r disturbare il duello, e trasportò Paride in Troia. Nelle battaglie, che appresso vennero, i Troiani comandati da Ettore m
ppresso vennero, i Troiani comandati da Ettore malgrado la resistenza che i Greci, e soprattutto Aiace figlio di Telamone,
di Telamone, vi opponevano, ebbero de’ grandi vantaggi, e poco mancò, che da quelli incendiate pur fosser le navi, che trat
vantaggi, e poco mancò, che da quelli incendiate pur fosser le navi, che tratte in secca servivano al campo de’ Greci di t
io, tre volte lo trascinò d’ intorno alle mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che
Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che venne in persona a domandarlo. L’ ira di Achille,
re, che venne in persona a domandarlo. L’ ira di Achille, e i mali di che fu cagione a’ Greci in prima, indi a’ Troiani, fo
in prima, indi a’ Troiani, formano l’ argomento del primo poema epico che sia apparso, vale a dire dell’ Iliade di Omero. R
con Priamo chiese in isposa la figlia di lui Polissena; ma nell’ atto che celebravasi lo sposalizio nel tempio dì Apollo, P
e, e con ciò reso invulnerabile in tutte le altre parti. Dice Ovidio, che la freccia di Paride fu là diretta da Apollo mede
, difeso dallo scudo di Aiace, riuscì a portarlo nel campo de’ Greci, che fattigli i funerali solenni, gli alzarono un gran
Tetide aveva posto in mezzo, perchè fossero date al più degno; su di che non sapendo i Greci decidere, chiesero a’ Troiani
le armi a lui furon date. Ma di ciò Aiace adirato ne venne sì furioso che ne perde la ragione, e lanciatosi in una mandra d
; e finalmente colla spada si trapassò da se stesso. Ovidio aggiugne, che dal suo sangue sorsero de’ giacinti. Non però a t
sangue sorsero de’ giacinti. Non però a torto deciso aveano i Troiani che Ulisse alla loro patria avesse recato i danni mag
e, ne rapì il Palladio o simulacro di Palla le, sapendo esser destino che Troia non fosse presa finchè il Palladio conserva
bbligò a svelare i futuri eventi di Troia. E poichè era pure destino, che Troia fosse invincibile, se i cavalli di Reso ven
o l’ isola di Tenedo si nascosero. Invano Cassandra figlia di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai,
di Priamo, che era per destino verace sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’ insidia e che doveva distrug
ce sempre e non creduta mai, gridò che quel cavallo era un’ insidia e che doveva distruggersi. Invano pure Laocoonte Sacerd
erriti da tal portento, fu innanzi a Priamo condotto il greco Sinone, che istrutto da Ulisse, appostatamete erasi ascoso ne
tamete erasi ascoso nelle paludi, fingendo di esser fuggito da’ Greci che voleano sacrificarlo. Costui seppe persuadere a T
a’ Greci che voleano sacrificarlo. Costui seppe persuadere a Troiani, che il cavallo era stato fabbricato da’ Greci, onde p
placar lo sdegno di Pallade irritata per la violazion del Palladio, e che Troia sarebbe stata eternamente sicura, se quel c
buia diede dall’ alto della rocca con una fiaccola il segno a quelli che dietro Tenedo eran nascosti, e aperse l’ uscita a
o a quelli che dietro Tenedo eran nascosti, e aperse l’ uscita a que’ che stavano dentro il cavallo, i quali assalendo i Tr
la città. Ulisse e Meneleo uccisero Deifobo, e via condussero Elena, che dopo la morte di Paride, il quale era educato per
na di Troia. Superbi i Greci della loro vittoria più non pensarono che a ridursi alle case loro; ma pochi vi giunsero se
nch’ egli dalla tempesta, fe voto a Nettuno di sacrificargli il primo che sopra il lido incontrasse. Questi fu il proprio f
il proprio figlio; ed avendolo immolato, sopravvenne tal pestilenza, che discacciato dal regno ei dovette rifuggiarsi in C
Calabria nel paese de’ Salentini. Diodoro di Sicilia però asserisce, che egli morì tranquillamente in Creta, e che anche a
di Sicilia però asserisce, che egli morì tranquillamente in Creta, e che anche a suo tempo mostravasi nella città di Gnoss
scacciato da Telamone, e ricoveratosi in Cipro vi fondò poi la città, che dal nome della patria intitolò pur Salamina. Diom
ndi Venere accorse in aiuto del figlio Enea. Or Venere in vendetta fè che Egialea moglie di Diomede si desse in preda a Cil
moglie di Diomede si desse in preda a Cillabaro figlio di Stenelo, il che Diomede sapendo in luogo di fermarsi nella patria
e Ovidio dice essere questo tramutamento avvenuto a’ compagni di lui, che sprezzarono l’ ire di Venere. Nestore fu il solo,
ompagni di lui, che sprezzarono l’ ire di Venere. Nestore fu il solo, che dopo avere sotto alle mura di Troia perduto il fi
ondo i poeti giunse felicemente al termine di tre età. Quegli invece, che più avversità ebbe a soffrir nel ritorno, fu Ulis
aese, i Lotofagi dieder loro ad assaggiare il loro frutto dolcissimo, che fece ad essi dimenticare il ritorno, sicchè a for
uesti gliene divorò sei con animo di divorar gli altri ancora, se non che Ulisse, prima ubbriacatolo con vi no generoso, gl
poscia, mentre dormiva, con un palo infocato il sol occhio circolare, che aveva in mezzo alla fronte, indi legati i compagn
mezzo alla fronte, indi legati i compagni sotto il ventre de’ montoni che ivi erano ed egli aggrappatosi sotto al più grand
d egli aggrappatosi sotto al più grande, ne uscirono tutti nell’ atto che Polifemo, tolto lo smisurato macigno, che serviva
e uscirono tutti nell’ atto che Polifemo, tolto lo smisurato macigno, che serviva di uscio alla grotta, ne mandò fuori la g
questo acciecamento però Ulisse concitò contro se l’ odio di Nettuno, che mai non cessò di perseguitarlo, finchè in Itaca n
eglia stato sorpreso dal sonno, i compagni sciolsero l’ otre credendo che gran tesoro vi si contenesse, e i venti di là sco
ciato. Errando pel mare verso ponente giunse al paese de’ Lestrigoni, che da Cicerone supponsi ove fu poscia la città di Fo
grandine di sassi undici navi e appena egli colla sua e coi compagni che in essa erano potè camparne. Con questa approdò a
econdò altri Telegono, per ordine di lei medesima n’ andò a’ Cimmeri, che da Plinio pongonsi presso a Cuma ed allago di Ave
a Proserpina ed a Plutone, vide prima l’ anima del compagno Elpenore, che caduto dal letto nell’ Isola Eea, mentre gli altr
o a Circe, e data sepoltura ad Elpenore, avvertito da lei del viaggio che aveva a tenere, e dei pericoli che doveva evitare
nore, avvertito da lei del viaggio che aveva a tenere, e dei pericoli che doveva evitare, navigando verso levante e mezzogi
la nave li fè andar tutti sommersi. Ulisse rimase solo nella carena, che dal vento fu portalo sopra Cariddi, ove la carena
i però aggrappatosi colle mani ad un fico selvatico stette aspettando che la carena riuscisse, e gettatosi nuovamente sovr’
oo e Nausinoo. Pallade protettrice di Ulisse ottenne allora da Giove, che per mezzo di Mercurio spedisse ordine a Calipso d
Quivi presentatosi nudo a Nausicaa figlia del re Alcinoo e di Arete, che colle ancelle era andata a lavare le vesti alfium
tto da Pallade, sterminò tutti i Proci ch’ erano cento otto, non meno che i loro aderenti, salvando il solo cantore Femio,
i loro aderenti, salvando il solo cantore Femio, e l’ araldo Medonte, che ai Proci servivano a forza. Fattosi quindi con si
ndi Ulisse andar con un remo sopra la spalla fin dove gli fosse detto che quello era un ventilabro, e fatto quivi un sacrif
vere consunto mollemente dalla vecchiezza, ma altri invece han detto, che egli fu ucciso dal figlio Telegono avuto da Circe
, che egli fu ucciso dal figlio Telegono avuto da Circe, in occasione che questi sbattuto dalla tempesta in Itaca vi fe qua
re, e Enea, in Italia. Dei capi de’ Troiani e loro alleati i soli, che avanzarono da quella guerra, e che dopo la presa
de’ Troiani e loro alleati i soli, che avanzarono da quella guerra, e che dopo la presa e l’ incendio della città salvi e l
lo, Cigno, Mennone e Pentesilea furono uccisi da Achille si disse poi che Cigno fu da Nettuno cangiato in Cigno, e Mennone
Pirro, Sarpedone da Patroclo; Reso da Ulisse e da Diomede. Antenore, che fu creduto favorevole al partito dei Greci, perch
dopo l’ incendio di Troia partì cogli Eneti popoli della Paflagonia, che sotto Troia perduto aveano il re loro Filemone e
ordine di Venere si prese sulle spalle il vecchio suo padre Anchise, che portava gli Dei Penati, e guidando a mano il figl
l figlio Ascanio, parti seguito dalla moglie Creusa figlia di Priamo, che poi si smarrì, e andò a riamarsi ad Andandro citt
, vide da essi gocciolar sangue, e udì una voce la quale gli annunziò che ivi sepolto era Polidoro figlio di Priamo, ucciso
rne i tesori, con cui Priamo l’ aveva a lui spedito. Aggiunge Ovidio, che la morte di Polidoro era stata poi vendicata da E
o la presa di Troia approdati in Tracia, ove sacrificarono Polissena ( che però altri dicono sacrificata da Pirro sopra la t
en venne a Delo, ove consultato l’ oracolo dì Apollo, questo rispose, che i Troiani cercar dovessero albergo là onde traeva
che i Troiani cercar dovessero albergo là onde traevan l’ origine; il che essendo interpetrato da Anchise per l’ isola di C
ra pestilenza, apparvero di notte ad Enea gli Dei Penati, avvisandolo che la terra indicata da Apollo era l’ Italia, da cui
Dardano nativo di Conto ora Cortona, fondatore della città Dardania, che ingrandita da Troe fu poscia chiamata Troia. Rime
li, ove inquietato fu dalle Arpie, o Celeno una di queste predissegli che non avrebbe avuto seggio in Italia, finchè non fo
o, ove regnava Eleno figlio di Priamo con Andromaca vedova di Ettore, che egli aveva sposata dopo la morte di Pirro. Accolt
po la morte di Pirro. Accolto quivi con gran tripudio, ebbe da Eleno, che era pur vate, l’ avviso di non approdare a’ vicin
cui Virgilio fìnge dimenticalo da Ulisse nella grotta di Polifemo, e che pregò di essere da lui raccolto. Al tempo medesim
gò di essere da lui raccolto. Al tempo medesimo sopravvenne Polifemo, che udendo il trambusto de’ remi inseguì a piedi le n
trambusto de’ remi inseguì a piedi le navi per lungo tratto di mare, che non gli oltrepassava il ginocchio. Approdò finalm
ando fu dalla tempesta gettalo ai lidi della Libia, ove dice Virgilio che Didone vedova di Sicheo fuggendo dal fratello Pig
e, e tagliato questo in sottilissime liste, tanto spazio ne circondò, che potè fabbricarvi la città di Cartagine. Accolse e
r lui si accese. Ma Jarba, figlio di Giove e della Ninfa Garamantide, che era stato prima da lei rifiutato, ricorse al padr
nna, sforzossi di trattenerlo, finchè vedendolo già partito, sul rogo che avea fatto disporre col pretesto di un magico sac
to di un magico sacrificio per richiamarlo, ivi si uccise colla spada che Enea avea lasciato. Tutto questo però non è che u
si uccise colla spada che Enea avea lasciato. Tutto questo però non è che un’ invenzione di Virgilio, poichè Didone secondo
di Acesta. Partito alla volta d’ Italia perdette il piloto Palinuro, che fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vici
e fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vicino al promontorio, che dal suo nome fu detto poi Palinuro. Giunto a Cuma
Tritone gettato in mare; Enea datagli sepoltura sotto al promontorio, che dal nome di lui appellò Miseno, scese colla Sibil
dannati a ingiusta morte, i suicidi, gli amanti, fra quali era Didone che fuggì da lui dispettosa, e i guerrieri fra’ quali
’ campi Elisi, ove additate gli furono, da Anchise le anime di quelli che dovevano da lui discendere fino a Marcello nipote
’ inferno, e rimbarcatosi perde la sua nutrice Caieta presso il luogo che poi da essa n’ ebbe il nome; indi giunto alle foc
erba stese larghe focacce in luogo di mense, poichè Ascanio avvertì, che mangiato il restante, le mense ancora si divorava
di Fauno suo padre di dover dare la figlia Lavinia ad uno straniero, che di lontano paese sarebbe là giunto, ad Enea spont
utoli, al quale Lavinia era stata innanzi promessa; e finalmente fece che Ascanio coll’ uccisione di un cervo allevato da T
partito quanti potè de’ principi dell’ Italia, fra i quali Mezenzio, che per le sue crudeltà era stato cacciato dal regno
ettavano secondo l’ oracolo un duce straniero per opporsi agli sforzi che esso faceva per rientrare nel regno, Turno fratta
ccola città, dove Enea aveva lasciato le sue genti, incendiò le navi, che per esser costruite con legni d’ Ida vennero da C
re imprese de’ Latini e de’ Romani, e segnatamente di Augusto. Giunto che fu cogli Arcadi e co’ Tirreni, seguì grande batta
tanza di Giunone fu disturbato dalla ninfa Giuturna sorella di Turno, che mosse Tolunnio a scagliarsi contro a’ Troiani, on
accorre, ed è ucciso da Enea. Fin qui Virgilio. Altri aggiunsero poi, che Enea fatta la pace coi Latini sposò Lavinia, che
ltri aggiunsero poi, che Enea fatta la pace coi Latini sposò Lavinia, che fabbricò una città, cui dal nome di essa chiamò L
vinia, che fabbricò una città, cui dal nome di essa chiamò Lavinia, e che Venere dopo tre anni a lui ottenne da Giove, che
sa chiamò Lavinia, e che Venere dopo tre anni a lui ottenne da Giove, che lavandosi nel fiume Numico spogliasse la natura m
annoverato. Lasciò nel Lazio suo successore il figlio Giulio Ascanio, che edificò Alba, e vi trasportò la sua sede. Dopo un
n un lupo. Dal diluvio campano sul monte Parnasso Deucalione e Pirra, che ripopolano il mondo gettandosi le pietre dietro l
ue sessi provi piacer maggiore, la decide contro il parer di Giunone, che sia maggiore quello della femmina. Giunone di ciò
er bere, veduta in esso la propria immagine, si pazzo amore ne prese, che ne morì, e fu cangiato nel fiore narciso. La ninf
ve nelle sue tresche amorose ne aveva avuto per pena di non poter più che ripetere le ultime parole altrui. Essendosi posci
endosi da lui fuggita, ne morì di rammarico, e fu convertita in rupe, che ancor ritiene la proprietà di replicare le ultime
a in rupe, che ancor ritiene la proprietà di replicare le ultime voci che la percuotono. 1 corsari di Tiro sono da Bacco mu
nendosi i parenti alle nozze da lor bramate, per una fessura del muro che divideva le case loro, concertano di trovarsi la
di Nino. Tisbe è la prima a recarvisi; ma spaventata da una lionessa, che fatta strage di buoi veniva a bere al vicin fonte
o Piramo, uccide anche essa colla medesima spada, e il loro sangue fa che i fruiti del gelso, dapprima bianchi, diventin ne
o. Parte I. Capo X. A Pelope risuscitato è fatta di avorio la spalla, che Cerere avea mangiata. Parte II. Capo X. Tereo è m
o, e Tioneo in cacciatore. Mera è trasformata in cagna. Questa dìcesi che poi divenisse la cagna d’ Icario figlio di Ebalo,
Questa dìcesi che poi divenisse la cagna d’ Icario figlio di Ebalo, e che avendo certi pastori dell’ Attica ucciso Icario e
a ucciso Icario e gettatolo in un pozzo, perchè ubbriacatosi col vino che ei loro avea dato, credettersi avvelenati. Mera i
glia di lui il luogo ov’ era sepolto; e questa per dolore si appiccò, che sopravvenuta la peste in Atene, l’ oracolo disse
lore si appiccò, che sopravvenuta la peste in Atene, l’ oracolo disse che Bacco vendica con essa la morte d’ icario, a cui
a la morte d’ icario, a cui egli avea insegnato a coltivare la vigna; che gli uccisori furono quindi cercati e messi a mort
are la vigna; che gli uccisori furono quindi cercati e messi a morte; che una festa in seguito s’ istituì ad onore d’ Icari
to s’ istituì ad onore d’ Icario e di Erigone, e si disse finalmente, che Icario era stato portato in cielo nel segno di Bo
che. Parte II. Capo II. I Telchini abitatori di Laliso città di Rodi, che affascinavano altrui co’ loro occhi, sono da Giov
, dopo aver mille cose da lui ottenuto, pretende pure di aver un toro che Fillio gli ricusa; per dispetto si getta da una r
avere altrettanti uomini, Giove gli cangia quelle formiche in uomini, che per ciò vengon da Eaco nominati Mirmidoni da myrm
fonte. Litto in Festo di Creta esige promessa da Teletusa sua moglie, che se partorisce una figlia, l’ uccida. Ella partori
a. Ella partorisce la figlia Ifi, cui alleva, facendo credere a Litto che sia un maschio. La cosa stava per iscoprirsi all’
Litto che sia un maschio. La cosa stava per iscoprirsi all’ occasione che Ifi sposar doveva Jante figlia di Teleste; ma Tel
sposar doveva Jante figlia di Teleste; ma Teletusa ottiene da Iside, che sia realmente cangiata in maschio. Orfeo scende a
eltà alle Dee, è cangiata in pietra nel monte Ida insieme col marito, che a parte vuol essere della pena. Il giovane Cisso
tidi sono da Venere cangiale in sasso. Parte I. Capo VIII. I Cerasti, che a Venere sagrificano gli ospiti, sono da lei conv
I. Pigmalione scultore s’ innamora di una sua statua, chiede a Venere che sia animata, e l’ ottiene; da essa nasce Pafo, ch
a, chiede a Venere che sia animata, e l’ ottiene; da essa nasce Pafo, che dà il nome alla città di Pafo. Mirra figlia di Ci
padre; è trasformata nell’ albero della mirra; da questo nasce Adone, che poi è amato da Venere, ucciso da un cignale, e ca
e I Capo VIII. Atalanta figlia di Scheneo ricusa di unirsi ad alcuno, che lei non vinca nel corso, ponendo per patto la mor
cuno, che lei non vinca nel corso, ponendo per patto la morte a colui che resta vinto. Ippomene riceve da Venere tre pomi d
oni assassine di Orfeo sono da Bacco mutate in piante, e un serpente, che si avventa per morderne il capo, è da Apolline mu
da Tetide è convertito in mergo. Presagio avuto da’ Greci in Aulide, che Troia sarebbe stata presa nel decimo anno. Parte 
apo XII. Le figlie di Anio ottengon da Bacco di cangiare tutto quello che toccano in frumento, olio, e vino. Fuggendo Agame
po XI. Mentre Tebe è afflitta dalla pestilenzia., l’ oracolo dichiara che non cesserà, se non, sacrificano due vergini. Met
i offrono volontarie al sacrificio. Dal loro rogo escono due giovani, che son nominati Coroni. I figli del re Molosso fugge
di arena, gli chiede di poter vivere tanti anni, quante sono le arene che tiene in mano, ma si dimentica di chieder pure di
di Apollo ottiene bensì la longevità, ma arriva a tale decrepitezza, che consunto tutto il corpo, non ne riman che la voce
arriva a tale decrepitezza, che consunto tutto il corpo, non ne riman che la voce. I compagni di Ulisse vengon da Circe can
ea, e n’ escono gli uccelli chiamati a idea. Venere impetra da Giove, che Enea lavandosi nel fiume Numico spogli la natura
i Roma, Terpea apre al Sabini, una porta; Venere ottiene dalle Ninfe, che le vicine acque diventino bollenti, e i Sabini ne
Ercole in sogno è avvisatoci abbandonare la patria, malgrado la legge che ciò vietava, e andare a stabilirsi al fiume Esare
e in Calabria. È preso dagli Argivi e tratto in giudizio ma Ercole fa che nell’ urna dei giudici i calcoli diventino tutti
ei Fiumi, della Terra e de’ Monti, e finalmente a quello degli Uomini che per qualche straordinaria azione si erano resi il
Olimpio in Atene, e in Roma quello di Giove Capitolino, ed il Panteon che tuttavia sussiste. Ne’ sacrifici oltre a frutti d
ende, le, si indoravan le corna, le si poneva sul capo la mola salsa, che era una stiacciata di farro con sale, il Sacerdot
scannarla; l’ Aruspice esaminava quindi le interiora se eran sane, il che era di buon augurio, e se eran guaste o infette,
se eran sane, il che era di buon augurio, e se eran guaste o infette, che era di augurio sinistro; per ultimo una porzione
si abbruciava. I sacrifici eran sempre accompagnati dalle libazioni, che consistevano nel versare del vino (o in mancanza
ncora rex: sacrorum, come regina sacrorum diceasi la moglie di lui, e che secondo Macrobio sacrificava principalmente a Giu
icava principalmente a Giunone nella curia detta Calabria. A’ conviti che celebravansi dopo i sacrifici presedevano gli Epu
A’ conviti che celebravansi dopo i sacrifici presedevano gli Epuloni, che prima furon tre soli, poi cinque, sette, e infine
soli, poi cinque, sette, e infine a dieci. Gli Aruspici erari quelli che osservavano le interiora della vittima; e gli Aru
fondando l’ aratro più; del consueto. I sacerdoti Arvali erari quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi, i Fecia
quelli che sacrificavano per la fertilità de’ campi, i Feciali quelli che si spedivano per dichiarare la guerra, o trattare
degli Auguri, nè cosa alcuna di gran momento s’ intraprendeva, prima che questi non avessero deciso se l’ augurio era faus
sto. Gli auguri poi si prendevano altri dall’ osservazione del cielo, che propriamente dicevansi auguri, altri dal canto e
priamente dicevansi auguri, altri dal canto e dal volo degli uccelli, che più propriamente si chiamavano auspici, altri dal
o presagio, perchè riguardavansi come avvisi spediti dagli Dei di ciò che aveva a succedere. Il desiderio di saper l’ avven
iò che aveva a succedere. Il desiderio di saper l’ avvenire fu quello che diede origine alla astrologia e alla divinazione
come se queste cose avessero sopra le umane vicende quell’ influenza che mai non ebbero, nè potevano avere. Lo stesso desi
è potevano avere. Lo stesso desiderio pur diede origine agli oracoli, che sparsi erano in mille luoghi, e che avidamente si
o pur diede origine agli oracoli, che sparsi erano in mille luoghi, e che avidamente si consultavano in tutti gli affari im
nelle querce del bosco a Giove consecrato per cui le favole dissero, che le querce parlavano. 2. L’ oracolo di Giove Amino
ve la statua di lui solennemente portavasi da’ Sacerdoti, e da’ segni che ella dava co’ vari suoi movimenti, i Sacerdoti in
era inebriata, pronunziava delle parole per lo più oscure o confuse, che raccoglievansi da’ Sacerdoti a ciò destinati, e d
tempio di Delfo, ne chiese ad A polline la ricompensa. Questi promise che data l’ avrebbe dopo otto giorni, al fine dei qua
i quali i due fratelli furono trovati morti. Pausania dice in cambio, che Trofonio fu inghiottito vivo dalla terra apertasi
che Trofonio fu inghiottito vivo dalla terra apertasi sotto di lui, e che in quella stessa caverna il suo oracolo fu indi s
a quale uscendo riferiva quanto vi aveva udito e veduto a’ Sacerdoti, che a loro modo l’ interpetravano. L’ oracolo del bue
pi in Egitto traevasi dall’ accertar ch’ ei faceva o rifiutare quello che gli si dava a mangiare. L’ oracolo di Venere in A
o di Venere in Africa tra Eliopoli e Biblo era favorevole, se le cose che gettavansi nel vicin lago andavano al fondo, cont
vasi nelle tavole a ciò fatte espressamente. Per cento altre maniere, che troppo lungo sarebbe l’ annoverare gli oracoli si
l’ annoverare gli oracoli si rendevano in altri luoghi. Fra le donne che professarono di conoscere, e di predire il futuro
, nata fra i Cimmerî d’ Italia secondo Nevio e Pisone; 5. L’ Eritrea, che secondo Varrone e Apollodoro vivea al tempo della
lcuni Amaltea, e secondo altri Demofila o Erofile; 8. l’ Ellespontina che Eraclite Pontico dice vivuta al tempo di Ciro; 9.
tina che Eraclite Pontico dice vivuta al tempo di Ciro; 9. La Frigia, che soggiornava ad Ancira; 10. La Tiburtina chiamata
resso i Romani la più famosa era la Sibilla Cumana, la quale si disse che offerse al re Tarquinio superbo una raccolta di v
di versi sibillini in nove libri, chiedendone trecento monete d’ oro, che avendole questi ricusato pagarle., ella gettò tre
ettò tre libri sul fuoco, domanda lo stesso prezzo per gli altri sei; che al secondo rifiuto ne gittò sul fuoco tre altri,
uoco tre altri, insistendo a volere il medesimo prezzo pei tre ultimi che rimanevano, e che poi da Tarquinio furono compera
sistendo a volere il medesimo prezzo pei tre ultimi che rimanevano, e che poi da Tarquinio furono comperati. Questi furono
li Dei, o all’ apparir di prodigi straordinari per allontanare i mali che si temevano, o all’ avvenirsi in alcuna cosa di m
ci, come presso i Romani. Intorno alle prime può consultarsi Meurzio, che ne ha trattato espressamente, per le seconde Ovid
. Fra questi i più famosi giuochi nella Grecia erano 1. gli Olimpici, che celebravansi in Olimpia città dell’ Elide, ogni q
anni, e da cui prese origine il computo delle Olimpiadi: 2. i Pitici, che celebravansi a Delfo, 3. i Nemei, che si celebrav
o delle Olimpiadi: 2. i Pitici, che celebravansi a Delfo, 3. i Nemei, che si celebravano a Nemea, 4. gl’ Istimici, che si t
nsi a Delfo, 3. i Nemei, che si celebravano a Nemea, 4. gl’ Istimici, che si tenean nell’ istmo di Corinto. A questi giuoch
i; I primi consistevano incanti, e suoni, e nelle tragedie e commedie che recitavansi ne’ teatri. I secondi tenevansi negli
o, ch’ era un pezzo rotondo di legno, o sasso, o ferro assai pesante, che i giocatori sforzavansi di gettare, quanto potess
orzavansi di gettare, quanto potessero più lontano; 3. il giavellotto che lanciavasi colla mano o la saetta, che si scaglia
più lontano; 3. il giavellotto che lanciavasi colla mano o la saetta, che si scagliava coll’ arco al segno prefisso; 4. La
ugilato, nel quale combattevasi ora co’ pugni soltanto, or co’ cesti, che erano guanti di duro cuojo guerniti spesso di fer
piombo. Questi giuochi più tardi introdotti furono ancor da’ Romani, che teatri, e anfiteatri, e circhi magnifici innalzar
e i più atroci e crudeli spettacoli de’ combattimenti de’ gladiatori che spesso costretti erano a pugnare fino alla morte.
10 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
otto il velo della favola scopriremo alcuni principii, alcune verità, che ci addimostrano ora il mondo fisico, ora il mondo
ar precedere una lunga prefazione a queste brevi pagine, diciamo solo che potranno tornar utili al leggitore, traendone qua
i e Latini in crearsi i loro Dii, ed escogitarne poscia una Teogonia, che commisero alla casta ieratica, la quale con le as
on il terrore inspirava il sentimento religioso negli animi di coloro che può dirsi perdusi al bene dell’ intelletto, scamb
astico, precedendo di non poco i secoli della istoria, non presentano che un tipo misto di vero e di falso — di vero, allud
aendo origine da immagini tutte fantastiche, ci dipinge forse meglio, che il vero istesso i trasporti delle nazioni e del t
mpii ed altari. E veramente l’Achille dell’ Iliade ci presenta meglio che Alessandro il genio eroico de’ Greci Elleni ; com
de’ Greci Elleni ; come del pari una biografia di Numa o di Pitagora, che molto hanno di favoloso, ci dipinge il genio pela
temperati a un tempo di un mistico contemplativo, più eloquentemente che non ha saputo fare ogni altro legilatore o filoso
ogni altro legilatore o filosofo de’tempi posteriori. E non adempiamo che in parte alle nostre promesse, non dandoue che un
riori. E non adempiamo che in parte alle nostre promesse, non dandoue che un saggio, lasciando a gli altri ciò che non abbi
nostre promesse, non dandoue che un saggio, lasciando a gli altri ciò che non abbiamo saputo, o non abbiamo voluto far noi.
ia, e quanto in essa è di più interessante, non essendo il rimanente, che o vera istoria, o puerili fantasie. E promettiamo
o il rimanente, che o vera istoria, o puerili fantasie. E promettiamo che a ciascuna parola, che ci ha porto la interpetraz
era istoria, o puerili fantasie. E promettiamo che a ciascuna parola, che ci ha porto la interpetrazione di un mito, abbiam
petrazione del mito istesso, e per nulla tralasciare intentato di ciò che possa promettere la utilità di queste pagine. Abb
one, e per più copiosamente interpetrarlo. Perciò non ci cade dubbio, che i saggi institutori delle scuole letterarie volen
d’immagina, e di altre cose non dissimili. A costoro noi rispondiamo, che oltre di esserei fatti, per quanto ci sappiamo, p
, siffatte immagini ; ed aggiungiamo, per toglierci da tali censure : che le umane, virtù di rado sorgono senza innestarsi
I. della origine del politeismo e de’ miti eterodossi, e cagioni che li propagarono. Sommario —  1. Donde trasse la i
, la iniziativa dalla dispersione del genere umano, e cagioni fisiche che disciolsero l’uomo dal culto e dagli ordini civil
i ed esempii — 8. Delle varie specie di mito. 9. Di alcune induzioni, che hanno attenenza a questo ragionamento — Si dimost
favola secondo il diverso obbietto cui ha le sue mire. Tempo già fu, che dilettando i prischi Dell’ Apollineo culto archim
eria e la terrestre Vno spirto, una mente, una divina Fiamma scorrea, che l’alma era del mondo. V. Monti, i romantici. 1.
Solo la voce di alcuni filosofi, e di tutto il popolo eletto ancora, che in mezzo a tante insanie che coprivano la terra,
ofi, e di tutto il popolo eletto ancora, che in mezzo a tante insanie che coprivano la terra, conservavano non oscurato que
coprivano la terra, conservavano non oscurato quel raggio di sapienza che irradiò fin dall’ Eden beato nella mente de’nostr
versi al volgo, o ancora per la clava per la onnipotenza degl’imperi, che facevano fermo piedestallo a questa larva di reli
i quella, ancora tai filosofi si tacquero, ribadendo i bei sentimenti che spuntavano loro nel cuore, per non pagarla con gl
ia ricoperta quando erano in onore gl’ Iddii, e non poche altre cose, che hanno attenenza con queste ricerche filologiche.
r meglio dire, dalla semplice apprensione dell’ Ente, non può nascere che dal vero perfetto e non mai dall’errore. Religion
circuizioni dell’errore, non dipartendosi da un’ontologismo perfetto, che mena alla primitiva nozione dell’Ente, ancora que
lla va sventuratamente disviandosi nell’uomo, e per uno psicologismo, che ha per prime nozioni intuitive le creature, non c
che ha per prime nozioni intuitive le creature, non ci può presentare che gli esistenti come prima genesi religiosa. Corre
la filosofia di tutti i tempi fino a quando non andò per le cagioni, che ora esporremo, obbliato il primo bibblico. « Dio
ando a’ nostri padri era il concetto intuitivo e perfetto dell’ Ente, che può concepirsi con la formola ideale — l’Ente cre
epirsi con la formola ideale — l’Ente crea l’esistente — non si aveva che la vera religione primitiva pura e divina, quale
o concetto dalla immaginazione, e non presentandosi alla escogitativa che la nozione dell’esistente, ora come fantasma che
si alla escogitativa che la nozione dell’esistente, ora come fantasma che procede per via di emanazione, e non potevasi ave
che procede per via di emanazione, e non potevasi avere per religione che un’emanatismo ; ora come un moltiplice con una di
ra come un moltiplice con una divisione sostanziale, e non ne sorgeva che un politeismo, ossia la pluralità degli Dei ; ora
presentandosi come una identità sostanziale, non si pone dagl’incauti che un teocosmo, un panteismo, cui togliendosi via og
i dice(1), da primi tempi fino a noi ha percorso due strade distinte, che si possono seguire con gli occhi nella vasta este
la vasta estensione de’paesi e dei secoli. La prima di queste strade, che può paragonarsi ad una linea retta luminosa conti
sa dall’autorità e dalla tradizione : questo è il pensiero ortodosso, che si fonda sul mistero assioma rivelato e razionale
le della creazione e lo conserva in tutta la sua purezza. La seconda, che può rappresentarsi come una linea tortuosa avvilu
tuosa avviluppata dalle tenebre piena d’interruzione, non cominciando che dopo la caduta, è tracciata dalla ragione umana,
non cominciando che dopo la caduta, è tracciata dalla ragione umana, che manca di autorità tradizionale, e che non ha che
tracciata dalla ragione umana, che manca di autorità tradizionale, e che non ha che alcuni avanzi alterati della rivelazio
dalla ragione umana, che manca di autorità tradizionale, e che non ha che alcuni avanzi alterati della rivelazione primitiv
rivelazione primitiva, o rinnovata : questo è il pensiero eterodosso, che ignora e nega la creazione, e per la mancanza di
ofie, l’eresie cristiane, il nominalismo del medio evo e la filosofia che predomina in Europa da Cartesio fino a noi ». 3.
e barbaro ; perciocchè lo incivilimento ha bisogno di alcuni elementi che lo producono. E dall’altra parte quando l’uomo fo
gregazione sociale ebbe i suoi Iddii peculiari, pochi eletti infuori, che scrbando il concetto rivelato e tradizionale serb
e la scultura e la poesia sono fonte ubertosa di idolatria. I poeti, che adornavano la natura con le loro brillanti illusi
Quella limpida fonte uscia dall’urna D’ un amorosa Nalade…. Il canto, che alla queta ombra del bosco Ti vien si dolce nella
e esser gelosa ; Quel lauro onor de’ forti e de’ poeti ; Quella canna che fischia e quella scorza, Che ne’boschi Sabei lagr
elle Dee attribuirne qualche parte alla Dea Cloacina(2), o a Volupia, che dalla voluttà si ebbe questo nome ; o alla Dea Li
olupia, che dalla voluttà si ebbe questo nome ; o alla Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano,
Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti ; o alla dea Cunin
dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti ; o alla dea Cunina, che tutela le cune di loro…… Nè stimarono commettere
to argomento. Invero la voce mito tutta greca μιθος altro non importa che un parlar vero, ma fatto per via d’immagini di es
miglior parte divini. Così eo’miti di Giove, di Cibele e di Nettuno, che furono poscia creduti come tre divinità, altro no
o, che furono poscia creduti come tre divinità, altro non intendevasi che il cielo, la terra ed il mare. Era questo il parl
ere nè alzare, nè muovere il capo, irradiando a loro spalle una luce, che solo per loro splende a riflesso, e passando ombr
, e passando ombre d’avanti a loro. Con l’antro egl’intende il globo, che noi abbitiamo — con le catene le nostre passioni 
el mondo. E va tuttavolta in uso ancor tra noi, come fanno i pittori, che volendo dar forma a gl’intelligibili, quali sono
ligibili delle cose, ebbero naturale di fingersi i caratteri poetici, che sono generi od universali fantastici da ridurvi c
me gli Egizii tutti i loro ritrovati utili necessari al genere umano, che sono particolari effetti di sapienza civile, ridu
ncora con miti descrivevansi gli avvenimenti degli uomini. Così Pane, che era ancora egli un simbolo della natura umana e s
stanze, contendono di venire a connubio con Penelope : non era questo che un mito, cui intendevasi l’appropriato dominio de
l’appropriato dominio de’campi, e le pretenzioni delle nozze solenni, che celebrate solo da’ nobili, non si permettevano al
ani era vieto a’plebei impalmare le donne patrizie, e non l’ottennero che dopo lunga lotta tra i nobili ed il volgo. E Pasi
n Creta con una nave detta Toro. Da’ questi e da innumeri altri miti, che potremmo portare in mezzo, non v’ha chi non compr
fanciulli della umana famiglia, davano il nome di Dio a tutto quello, che rifuggiva alla loro intellettiva. Se ne può trarr
i in istato ancora di selvaggi tengono come Iddii tutti gli obbietti, che sembrano loro inintelligibili ; e da Tacito(1), c
tti gli obbietti, che sembrano loro inintelligibili ; e da Tacito(1), che facendo parola degli antichi Germani abitatori de
l cielo come un’immenso corpo animato, cui donarono il nome di Giove, che con lo vibrar de’fulmini, e con il tuono volesse
i grandi e lunghissime braccia l’immense forze, un essere gigantesco, che per tale possanza dissero Messimo, di cui credeva
aminandosi la vera filosofia in non pochi luoghi di Europa : un Giove che dicevano essere più alto della cima de’monti, ond
ssere più alto della cima de’monti, onde Platone disse esser l’etere, che si diffonde dappertutto. E questo modo di concepi
e narrazioni de’miti. Volendo gli uomini con gli esempii degl’ Iddii, che si creavano nella loro mente, trascorrere, senza
proprii trasporti, per trascorrere senza rimorso alcuno. È per questo che al concetto dell’ Ente sottentò quello degli esis
i il traffico, quando l’ebbero disgombrati dalla orridezza di natura, che li circondava, e tutelati da mostri, che vi aveva
i dalla orridezza di natura, che li circondava, e tutelati da mostri, che vi avevano disteso antico impero. E questi esseri
rse alla purezza de’costumi ; l’altro come un comento de’ filosofi, e che poco fassi incontro a gl’interessi sociali, che a
mento de’ filosofi, e che poco fassi incontro a gl’interessi sociali, che anzi torna di nocumento a’ popoli ; l’altro da’pr
ve, Bacco ; un’altro dalle gocciole del sangue, Pegaso cavallo alato, che si voleva nato dal sangue di Medusa ; e volando p
el cielo fosse collocato tra le costella zioni ; e molti altri Iddii, che si vollero adulteri, presedere al furto, servire
o furono sempiterni ; se procreati dal fuoco, come credeva Eraclito, che tutto voleva far nascere da questo elemento, e tu
ivisibili. Mitografia civile — ed in questa riponeva tutti gl’ Iddii, che furono immaginafi da’principi e da Sacerdoti, e c
tutti gl’ Iddii, che furono immaginafi da’principi e da Sacerdoti, e che meritano il culto degli uomini. Da tali mitografi
escate nella belletta de’sensi. E qui le parole del signor Bianchini, che mirabilmente descrive questo smodare delle genti.
i più deboli, rimanevano ad oppugnare ancora le sorti, cioè di coloro che dati alla contemplazione del vero, potevano, come
gannevoli ed empii, ed introdussero nel mondo una divinità corporale, che tutto lo informasse, quale anima grande un corpo
o di cacciarlo per cedere il luogo ad un popolo di chimere o di numi, che situarono quale nel Sole o negli astri, quale ne’
o numi, quanto l’ammirazione sopra il rimunente del volgo. La morale, che di qui trassero accomodata alle passioni de’lette
one. Finalmente si ritrovò un terzo genere di nomini, chiamato civile che si prevalse degli errori e delle passioni sì del
e e conviti, in somma con la imitazione de’vizi de’loro maggiori, più che le anime degli antenati, poste tra i numi, o tra
e degli antenati, poste tra i numi, o tra i genii, quelle de’viventi, che ereditavano le loro inclinazioni e le colpe ». 9.
della parola Mito or ci sorge vaghezza di venire ad alcune induzioni, che hanno molta attenenza con questo argomento. Alla
ome una messe, cui può mettersi impunemente la falce, e scoprirvi ciò che meglio torna a sue propensioni, o va a seconda de
enici, gli Egizii ; e Sanconiatone credeva, esser le favole non altro che allegorie cosmico-fisiche. E Giamblico portando i
o portando in mezzo le autorità dei più saggi sacerdoti Egizii, vuole che la religione e le favole di loro si raggirassero
corpi celesti, ed un’anima sparsa dappertutto e motrice della natura, che da Pitagorici era detta anima del mondo, che con
e motrice della natura, che da Pitagorici era detta anima del mondo, che con un’antico emanatismo volevano uscita dal seno
, anima variante di forme allo infinito, secondo i diversi effetti di che volevano esser ella produttrice, e secondo gli es
oeti. E Macrobio in fine distinguendo i gradi dell’Essere supremo(3), che dice essere e Dio, e la mente da lui nata, e l’an
dice essere e Dio, e la mente da lui nata, e l’anima del mondo, vuole che su di quest’anima, sorgente di tutte le altre ani
le altre anime, e su l’eterne potenze vanno fondate tutte le favole, che hanno per obbietto il mondo visibile e le forze m
favole, che hanno per obbietto il mondo visibile e le forze motrici, che lo governano. Da queste nozioni di Macrobio può d
oni di Macrobio può dirsi dunque altro non essere i miti e le favole, che un velo ingegnoso gettato da prudente mano su tut
e giro di queste nostre escogitazioni, dando a un tempo ad intendere, che il culto renduto a quest’anima dell’universo una
avole di tutti i popoli eterodossi. 10. La favola è un intelligibile, che non va soggetto a forma e ad immagini esteriori.
ormare i costumi, e tali sono gli apologhi — Allegoriche, vale a dire che portano seco un senso mistico — Miste, cioè alleg
izia mutata in elitropio. Mista del pari è la favola del pomo di oro, che la Discordia fece cadere in mezzo al convito degl
vesse dare, se a Giunone, a Minerva od a Venere, ei donollo a Venere, che gli prometteva la più bella donna del mondo : fav
ito e la mente degli Dei — con il pomo di oro il mondo, il quale come che è un’aggregato di contrarii concorrenti in uno, c
cordia — e di morale, chè per Paride qui s’intende l’animo dell’ uomo che vive solo secondo il senso, il quale nulla curand
mito da un simulacro di Giove, ricordato da Pausania, a tre occhi, e che voleva intendere lo scultore in così immaginarlo
ia della parola Saturno — varie attribuzioni di lui tratte da un inno che si vuole di Orfeo — Interpetrazione di alcuni mit
lice interpetrazione del mito di questo Dio, onde si trova non essere che o le ricchezze della terra, od il sole o l’aria.
maniere, cui lo rappresentavano gli Egizii, onde si scopre non essere che il sole, ragioni — etimologia della parola Apollo
etimologia di questa parola — dall’allegoria de’suoi miti si scuopre, che con questo nume indicavasi l’apparente corso del
sole ed i suoi fenomeni, pruove. 26. S. Agostino v’intende non altro che la parola. 27. Nomi di Mercurio tutti allusivi al
iori, li dividevano in triplice ordine, celesti, mondani e di coloro, che procreano la mente e gli animi — Celesti, quegl’
ed unità, come Apollo, Mercurio, entrambi l’armonia, Venere il bello, che sorge dall’unità e dall’ordine ; altri lo conserv
rdine ; altri lo conservano, lo tutelano, come Marte, Pallade, Vesta, che si rappresentano armati, simbolica di fortezza e
ni, detto Giove, come vuole Tullio(1), a iuvando, ossia da’beneficii, che credevasi versare a larga mano per lo universo, v
ato da tutta l’antichità in atto di fulminare, e credevasi a un tempo che lo slancio da’ baleni, ed il fragore de’tuoni non
n tempo che lo slancio da’ baleni, ed il fragore de’tuoni non fossero che i cenni e lo stesso favellar di Giove. In questo
cenni e lo stesso favellar di Giove. In questo noi troviamo un mito, che non ha difficile interpetrazione, e ci viene port
« Vedi, diceva Ennio in un verso riportato da Tullio(2), tutto questo che cade giù dall’alto e che tutti chiamano Giove ».
n verso riportato da Tullio(2), tutto questo che cade giù dall’alto e che tutti chiamano Giove ». Ed Euripide dallo stesse
ve ». Ed Euripide dallo stesse luogo di Tullio(3) « vedi, diceva, ciò che su in alto si eleva mobile e sparso da ogni lato,
di, diceva, ciò che su in alto si eleva mobile e sparso da ogni lato, che con tenero amplesso circonda la terra : questo ri
o(4), è posto dov’è aere, dov’è terra, dov’è mare : è Giove tutto ciò che vedi, tutte quello per cui ti muovi. E non è l’ae
uovi. E non è l’aere uno degli immensi ricettacoli dell’elettricismo, che lanciandosi di regione in regione per le vie dell
terra e dell’ inferno, e se ne può trarre argomento da un simulacro, che , come dice Pausania, vedevasi in Argo con due occ
dice Pausania, vedevasi in Argo con due occhi non dissimili a quelli, che la natura ha dato a gli uomini ; e con un terzo i
tra nello imo degli abissi. 14. Altri credendo essere Giove non altro che l’anima del mondo, come mirabilmente fu esposto d
i, i bestiami, gli uccelli, e tutta la famiglia de’pesci(2), volevano che tutta la turba innumera degl’ Iddii non fosse che
’pesci(2), volevano che tutta la turba innumera degl’ Iddii non fosse che il solo Giove. Mirabile per questo argomento è un
ne — Or si crede, ei dice(1), esser Giove l’anima del mondo corporeo, che riempie e muove tutta questa mole, che voglion co
ve l’anima del mondo corporeo, che riempie e muove tutta questa mole, che voglion composta di quattro, o di quanti elementi
è l’aere sparso di sotto ; or ana all’aere è creduto essere il cielo, che con le feconde piogge e co’semi feconda la terra
Dea Cunina tutelando le cune. Non è altro egli stesso in quelle Dive, che predicono i destini a’nascenti, o porta il nome d
terrore onde son presi gl’infanti è detto Paventina ; dalla speranza, che a noi viene, Venilia ; dal piacere Volupia ; dagl
a istessa(2). 16. A Giove si dava per figlio il dio Bacco. Fu creduto che Giove lo rinchiudesse in una delle sue cosce, tra
desse in una delle sue cosce, traendolo dal seno di sua madre Semele, che restò morta in veder Giove in tutto lo splendore
imi, e ne appalesa gli occulti sentimenti. Altri non pertanto dicono, che Bacco fu rinchiuso nella coscia di Giove, onde pa
rfetto venisse a maturità ed a perfezione, interpetrando questo mito, che il vino, ossia le uve calcate co’piedi, che vengo
nterpetrando questo mito, che il vino, ossia le uve calcate co’piedi, che vengono significati per la coscia, viene a concuo
ne a concuocersi, a perfezionarsi. Diodoro Sicolo al contrario vuole, che Bacco vedendo andare a male il suo esercito nelle
rdi e pardi lo seguivano, per dimostrare non esservi uomini sì fieri, che non si rendono miti con l’uso moderato del vino.
del loro incivilimento dal disboscarsi la gran selva della terra, ciò che volevano avvenuto a tempi di Saturno, onde pe’lat
hè saturatur annis. L’Agostino prende Saturno per la terra, e pe’semi che si mandano alla terra — Lo chiamavano Saturno, ei
nostra lingua i suoi concetti, chè era solito divorare tutte le cose che nascessero da lui ; perciocchè i semi ritornano n
iocchè i semi ritornano nel luogo da cui son nati ; e quando si disse che a lui fu presentata una zolla, una pietra in vece
sentata una zolla, una pietra in vece di Giove, si volle significare, che con le mani degli uomini furono ricoperte le biad
ovè dirsi Saturno ; perciocchè la terra in certo modo divora le cose, che ha generato, nascendo da essa i semi, ed in essa
cendo da essa i semi, ed in essa ritornando. Se nella favola si dice, che Saturno avesse castrato il Cielo suo padre, con q
, che Saturno avesse castrato il Cielo suo padre, con questo s’intese che presso Saturno, non presso il cielo, è un seme di
no, non presso il cielo, è un seme divino. Queste e molte altre cose, che si dicono di Saturno, tutte si rifescono ai semi 
se, che si dicono di Saturno, tutte si rifescono ai semi — Ei non era che il simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e
no, tutte si rifescono ai semi — Ei non era che il simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e riproduce. In un’inno che
simbolo del tempo, che tutto genera, strugge e riproduce. In un’inno che si vuole di Orfeo, tra le attribuzioni gli si dà
Dei beati e degli uomini, di vario ne’suoi consigli, di distruttore e che ingenera tutte le cose, di raffrenatore con vinco
terra e del cielo stellato. Ancor di lui si raccontarono alcuni miti, che furono esposti da Tullio, i concetti di cui noi q
o di Orfeo « Tutta la Grecia, ei dice(1), portava un’antica credenza, che Vrano fosse stato mutilato da suo figlio Saturno,
nde generare per le vie ordinarie. Per Saturno poi si è inteso colui, che presiede al tempo, e ne regola il corso, ingiunge
mpo, e ne regola il corso, ingiungendoglisi questo nome dal divorare, che fa degli anni, quod saturatur annis. Si è finto n
roprii figli ; poichè il tempo insaziabile di anni consuma tutti quei che corrono. Si dice essere stato da Giove avvinto in
o rapidamente, o per meglio dire, assoggettollo al corso degli astri, che sono per lui come tanti lacci. 18. Nettvno — Cred
, dal nuotare ; ma ei va tanto poco soddisfatto di questa etimologia, che egli stesso poscia la rigetta. Varrone(3) vuole e
ò dirsi di maritarsi con la terra istessa. Da greci Nettuno ποσειδων, che esprime quel potere, che ha l’amore di generare l
la terra istessa. Da greci Nettuno ποσειδων, che esprime quel potere, che ha l’amore di generare le cose su la terra e nel
le cose su la terra e nel seno della terra. Gli si danno altri nomi, che esprimono movimento, quasi che egli sia un’altra
della terra. Gli si danno altri nomi, che esprimono movimento, quasi che egli sia un’altra cagione del moto della terra, u
ella terra, urtandola con le acque del mare. È detto ancora μιακητας, che significa muggire, voce propria dei bovi, alluden
che significa muggire, voce propria dei bovi, alludendosi al fremito che dà il mare in procella. Perciò a lui si sacrifica
sacrificavano tori neri sì a cagione del colore delle acque del mare, che sembran nere quando sono agitate, sì a cagione de
on sguardi torvi da toro, quasi il corso di loro esprimesse un non so che di violento, e desse fuori un muggito. A Nettuno
o degli eroi con le piraterie di Minosse, e con la spedizione navale, che fece Giasone nel Ponto per la conquista del vello
uesto mito, spigolando nel gran campo delle opinioni degli scrittori, che parlarono di questa divinità, può darsi una dupli
parlarono di questa divinità, può darsi una duplice interpetrazione, che in tutto non rifugge dallo spirito degli antichi,
nterpetrazione, che in tutto non rifugge dallo spirito degli antichi, che erano usi a rappresentar le cose sotto traslati a
sede nel fondo delle miniere, e nel seno della terra, hanno creduto, che gli antichi non intendessero con questo nume, che
rra, hanno creduto, che gli antichi non intendessero con questo nume, che le ricchezze istesse. Tutta la forza della terra,
ritornano. Il padre delle ricchezze, dice l’ Agostino(3), non è altro che la parte inferiore della terra. Voglion Plutone,
terra ; poichè la parola Plutone importa il significato di ricchezze, che solo a noi vengono dalla terra, e. gli si assegna
la rende per antifrasi quasi gioconda e soave. Ed è chiamato Plutone, che oltre il significato detto di sopra, tutte le cos
o tra tutti i romani, lo immenso Varrone, intende per Plutone l’aria, che sovrasta alla terra, ove tutte le cose vengono ge
e vengono generate. Altri ancora(2), facendosi più innanzi, dimostra, che presso gli Egizii Plutone era lo emblema del Sole
frammento riportato da Eusebio(3), in cui dice esser Plutone il Sole, che nel Solstizio d’inverno passa sotto la terra, e p
a terra, e percorre le sconosciuto e nascoto emisfero ; e di Macrobio che vuole essere Iao, cioè lo spirito delle sfere, il
e essere Iao, cioè lo spirito delle sfere, il più antico tra gli Dei, che porta il nome di Plutone nello inverno, e di Giov
edicina e dell’armonia. Quando si disse ne’miti di questo nume non è, che un traslato allegorico, cui si vuole intendere il
i gli effetti di sua dimostrazione. Perciò da’ Greci fu detto Ecateo, che può derivarsi dall’avverbio εκαθεν di lontano, ci
dettato daremo alcune nozioni, da cui scorgerassi, non essere Apollo che il pianeta del Sole. Si credeva esser figlio di G
a di questa parola del verbo latere nascondere, si volle significare, che prima di uscire lo imperio divino creatore della
a faccia degli abissi. Si diceva essernato nell’isola di Delo, parola che importa manifestare ; perciochè, creata e radiand
come vuole Platone nel Cratilo, riportato da Macrobio(1), dal vibrare che fa il sole de’suoi raggi ; o come crede Speusippo
n intemperie di calore, onde può derivarsi ancora dal greco απολλυμι, che risponde a perdere o distruggere degli italiani.
orgerassi, come questo nume in nulla si distingue dal Sole. Oltre ciò che si è detto dianzi, può derivarsi la parola Apollo
tica ben si addice al Sole ; se pure non si voglia far derivare da a, che come scorgesi da Screvelio esprime unità, e da πε
imersi il calore vitale del Sole. Si diceva Pizio da πυθιος serpente, che si credeva di avere strozzato, onde, come dice Ov
o tre figure muliebri circondate da un serpente, tra le quali quella, che sorgeva in mezzo, era un simbolo della terra. 21.
r di Apollo alcuni giuochi detti Pizii, onde perpetuare una vittoria, che si voleva riportata da questo nume in uccidere il
originata dal calore operante su lo umore mercè di una effervescenza, che ricoprendo il sole istesso con un folto addensar
ucciso da Apollo. 23. Raccontasi del pari di Apollo un’altra favola —  che scacciato da Giove dal cielo andasse a pasturare
hiamarsi pastore. Altri intendono con questo un’Apollo re di Arcadia, che imperando con rigore fu gettato dal trono. 24. Il
e, ossia per la nobiltà degli eroi. Fra la gran farragine delle cose, che egli accumula intorno a questo articolo, noi qui
torno a questo nume. « Si fantasticò, ei dice(1), la quarta divinità, che fu Apollo, appreso per Dio della luce civile, ond
a loro chioma : e forse quindi dissero la Gallia chiomata, da nobili, che fondarono tale nazione, come certamente appo tutt
etimelogia, si vuole così denominato a mercium cura, cioè dalla cura che si credeva degli obbietti posti in commercio ; e
e l’Agostino dalla parola medicurrus, mediuscurrens, ossia come colui che corre fra due, o nel mezzo, cioè che Mercurio sta
mediuscurrens, ossia come colui che corre fra due, o nel mezzo, cioè che Mercurio sta sempre in aria tra il cielo, la terr
rra e dalla terra al cielo. I miti raccontati di questo nume non sono che una perfetta allegoria, con cui si vuole indicare
del Sole, ed i suoi fenomeni. Ei si dipingeva con un caduceo in mano, che il poeta della lliade chiama verga dorata, cui an
issa, rappacificandoli col tocco della sua verga. Questo mito non era che un’allegoria, cui con il caduceo intendevasi il r
che un’allegoria, cui con il caduceo intendevasi il radiar del Sole, che dileguale addensate tenebre della notte ; e con i
simbolo della vita, associati al radiar del Sole si voleva esprimere, che il Sole istesso fecondando la terra con il suo ca
nerando la vegetazione, anima e dà vita a tutta la natura. Si credeva che Mercurio scendesse nello inferno per ricondurre l
n questo indicavasi l’apparente discesa del Sole sotto l’orizzonte, e che al suo apparire nel nostro emisfero ne venissero
una tale attribuzione. 26. L’Agostino intende per Mercurio non altro che la parola. « È detto Mercurio, così egli(1), volt
Si volle presedere alle merci ; perciocchè tra i compratori, e coloro che vendono v’ha di mezzo il discorso. Gli posero le
a mente » — E per questo egli era detto Cillenio, parola tutta greca, che può derivarsi da κυλλω, che risponde all’italiano
i era detto Cillenio, parola tutta greca, che può derivarsi da κυλλω, che risponde all’italiano rendere zoppicante, volendo
arte le mani, chiamandosi κυλλοι, cioè zoppi, ossia monchi tutti quei che mancano delle mani. 27. Co’miti dunque di Mercuri
elle mani. 27. Co’miti dunque di Mercurio gli antichi non intendevano che il mirabile magistero della parola. Nelle classic
i suoi nomi tutti allusivi alla parola. E su le prime è detto Hermes, che potrebbe derivare da ερειν parlare, o come altri
o alle statue di lui si accumulavano molte pietre ; perciocchè ognuno che vi passava dappresso vi gettava una pietra, e que
tava una pietra, e questo per utilità comune, chè torna utile a tutti che altri tolga le strade dagl’ingombri, ed affinchè
asticarono, ei dice(1), i poeti croici la undecima divinità maggiore, che fu Mercurio, il quale porta ai fomoli ammutinati
dall’Orco, come narra Virgilio, richiama a vita socievole i clienti, che usciti dalla protezione degli eroi, erano ritorna
uomini… Tale verga ci viene descritta con uno o due serpi avvoltivi, che dovettero essere spoglie di serpi, significanti i
dovettero essere spoglie di serpi, significanti il dominio bonitario, che si rilasciava loro dagli eroi, e il dominio quiri
onitario, che si rilasciava loro dagli eroi, e il dominio quiritario, che questi si serbarono ; con due ali in capo alla ve
minente degli ordini… Oltre di ciò con ali a talloni per significare, che il dominio dei fondi era de’senati regnanti... Si
sone delle corde o forze de’padri, onde si compose la forza pubblica, che si dice imperio civile, che fece cessar finalment
padri, onde si compose la forza pubblica, che si dice imperio civile, che fece cessar finalmente tutte le forze o violenze
n mente de’poeti greci come un carattere eroico, per indicare coloro, che con le armi avevano fatto prodigii di valore. Per
de’pretesi loro influssi, personificando per una divinità il pianeta che chiamasi Marte, trassero dalle proprietà di quest
aneta che chiamasi Marte, trassero dalle proprietà di questo pianeta, che va sempre torbido e rossastro, caratteristiche pe
a, che va sempre torbido e rossastro, caratteristiche per la divinità che ne immaginarono, onde lo dissero Dio della guerra
esagirla col canto di loro. 30. Vvlcano — Dio del fuoco e delle arti, che si esercitano ammollendo, piegando e dando al fer
gi.  — Il fuoco, dice Diodoro Sicolo, è detto Vulcano per metafora, e che deve adorarsi come un gran Nume, perciocchè di mo
cremento di ogni cosa. Col nome dunque di Vulcano non s’intende altro che il fuoco elementare. Invero il fuoco, che commist
Vulcano non s’intende altro che il fuoco elementare. Invero il fuoco, che commisto all’aere, ossia si alimenta con l’aere,
to all’aere, ossia si alimenta con l’aere, da’ Greci si dice Ηφαιστος che s’interpetra Vulcano, e perciò questo Dio si vuol
si vuole nato da Giove e da Giunone, intendendosi con l’uno non altro che l’etere, con altra l’aria ; o dalla sola Giunone,
dietro a questo sentimento della scuola stoica potrà dirsi non meno, che gli antichi si avessero creata questa divinità, o
inità, onde prestare un culto a questa loro anima del mondo. Il mito, che raccontasi di Vulcano, di essere stato precipitat
uto su la terra andasse zoppicante per tutta la sua vita, non è altro che una personificazione del fuoco, che acceso la pri
er tutta la sua vita, non è altro che una personificazione del fuoco, che acceso la prima volta da’raggi del Sole, o raccol
e bellezza mercè l’opera degli artefici. Il poeta dell’Iliade narra, che Vulcano trovando Marte giacer con Venere, li abbi
ventura queste cose avverse si contemperano fra loro, sorge un non so che di nobile e di bello, a cagione di un mutuo fervo
ò avere l’altro mito — aver fenduto con una scure il capo di Giove, e che ne sia uscita fuori Minerva, Dea della sapienza e
ia uscita fuori Minerva, Dea della sapienza e delle belle arti — cioè che il fuoco, di cui si servono le arti, sia stato un
Quanto di loro si disse dal poeta dell’Iliade e della Vlissea, non è che una perfetta allegoria, personificandosi con ques
ri, stimandoli figli di Nettuno e di Anfitrite, non altro indicavano, che tai monti sbuffanti fuoco dalle loro cime sorgono
ioni vulcaniche ; se pure non si voleva alludere a’terribili effetti, che sentivano coloro, che erano colpiti da tali fulmi
ure non si voleva alludere a’terribili effetti, che sentivano coloro, che erano colpiti da tali fulmini, e lanciati dalla d
i Orfeo traluce un’allegoria, onde si scopre essere Giunone non altro che l’aria, ragioni. 34. Etimologia della parola Giun
mologia della parola Diana. 45. Atteone e suo mito. 46. Attribuzioni, che si davano a questa Dea — si rappresentava sotto l
oro Sicolo. 51. Nome delle Muse e loro ufficio. 52. Le Muse non erano che personificazioni allegoriche, cui intendevasi la
Dei e degli uomini, di consorte di Giove, ed è lodata dalle qualità, che porta non dissimili all’aria, dal generare e nudr
ili all’aria, dal generare e nudrire i venti e le pioggie, dal potere che ha su di entrambi, dal somministrare di lievi e g
imentatrici della vita de’mortali, di generatrice di tutte le cose, e che senza di lei nulla avrebbe vita, ed in fine dallo
cose, e che senza di lei nulla avrebbe vita, ed in fine dallo impero, che ha su tutto lo universo. Volendo porre mente a qu
e si intese dagli antichi l’aria portando seco tutte le attribuzioni, che convengono a questo elemento. L’aria, dice Tullio
ri ha con l’etere molta simiglianza e stretta unione per la vicinanza che è tra Giove l’etere, e Giunone l’aria. Platone po
uova, lasciando al leggitore di appigliarsi a quelle interpetrazioni, che gli sembreranno non disviate dalla ragione, e rig
che gli sembreranno non disviate dalla ragione, e riggettare quelle, che gli parranno del tutto immaginarie ». I poeti teo
e sorella e moglie, perchè i primi matrimonii giusli, ovvero solenni, che dalla solennità degli auspicii di Giove furono de
etto coniugium, e coniuges il marito e la moglie. Detta anche Lucina, che porta i parti alla luce non già naturale, la qual
nni, delle quali era nume Giunone, e perciò generati con amor nobile, che tanto ερος significa, che fu lo stesso che Imeneo
Giunone, e perciò generati con amor nobile, che tanto ερος significa, che fu lo stesso che Imeneo : e gli eroi si dovettero
generati con amor nobile, che tanto ερος significa, che fu lo stesso che Imeneo : e gli eroi si dovettero dire in sentimen
i pur con una fune legate, e con due pesanti sassi attaccati a’piedi, che significavano tutta la santità del matrimonio ; i
ificavano tutta la santità del matrimonio ; in aria per gli auspicii, che abbisognavano alle nozze solenni. onde a Giunone
nni. onde a Giunone fu data ministra l’Iride, ed asseguato il pavone, che con la coda l’Iride rassomiglia ; conla fune al c
so per crudele castigo di Giove adultero, con si fatti sensi indegni, che le diedero i tempi appresso de’corrotti costumi,
si voleva indicar lo aratro, cui coltivasi la terra — con Trittolemo, che guida il carro, l’aratore — co’serpenti alati i s
ittolemo, che guida il carro, l’aratore — co’serpenti alati i solchi, che lascia dietro l’aratro, i quali sovente vanno ser
er la terra istessa, ne tragge la etimologia dall’antico verbo cereo, che significa creare, per dinotare essere la terra ge
cosa. Questa Diva non poteva essere immaginata nella mente de’poeti, che dalla riconoscenza, volendo tributare onori divin
oeti, che dalla riconoscenza, volendo tributare onori divini a colei, che insegnando all’uomo irsuto e ancor disperso nella
li uomini. Da ciò fu creduta madre di Giove ; perciocchè tutto quello che porge la terra viene da Giove, ossia dall’aria. P
viene da Giove, ossia dall’aria. Per questo ancora si disse da’greci, che ella donò alla luce Κορον, la saturità, chè la te
i dava per figlia Proserpina. È questo un nome tutto greco περσεφονη, che Screvelio nel suo lessico deriva da περθιν devast
dubbio dalla interpetrazione del seguente mito — Fu creduto da’Greci, che Plutone come Dio dello inferno rigettato dal conn
coltivata ; perciocchè Proserpina, come dice Tullio, non significava che il seme delle biade(2). Proserpina si volle figli
Cerere, cioè del cielo e dell’agricoltura, come può scorgersi da ciò che abbiamo detto di Giove e di Cerere istessa. È rap
ver regno Plutone, per farlo germogliare ; se pur non si voglia dire, che Cerere inventrice del frumento, disseminandolo in
cerca la sua Proserpina per tutta la terra — con questo esprimevasi, che Cerere, ossia l’agricoltura in tutte le parti del
rno e per altrettanti con Cerere su la terra — con questo indicavasi, che il frumento mandato alla terra vi resta seppellit
seppellito per qualche tempo, e non si vede useir fuori e pullulare, che nella stagione di primavera. E perciò celebravans
rpina per la stessa fecondità de’semi mandati alla terra. E narra(1), che mancando un tempo questa fecondità, andando la te
roserpina, ei dice(2), è la virtù istessa de’semi, e Plutone il sole, che in tempo d’inverno percorre le parti più remote d
r Proserpina, ei dice(3), gli antichi intesero quello spirito etereo, che si racchiude sotto terra, rappresentato da Pluton
a Diva nacque in mente de’Greci per rappresentarsi un tipo di coloro, che radunando gli uomini in uno, prima dispersi nella
città e borgate, e fecero nascere lo incivilimento ove prima non’era che fierezza ed un vivere da selvaggio. Quanto si dis
chiavi in mano, per indicare con quelle le aggregazioni degli uomini, che sursero in città fortificate e poste sotto la pro
icate e poste sotto la protezione de’fondatori, con queste le dovizie che la terra racchiude nel suo seno nello inverno e f
uoversi con un moto circolare — co’leoni, non esservi belva sì fiera, che non venga ammansita dalla tenerezza materna, oppu
terna, oppure non esservi angolo di terra sì remoto e sì infruttuoso, che non possa mettersi a coltura. Le si metteva dappr
olta, e perciò si pinge assisa sopra un leone, ch’è la terra selvosa, che ridussero a coltura gli eroi…. detta gran madre d
i eroi…. detta gran madre degli Dei, e madre detta ancora de’giganti, che propriamente così furono detti nel senso di figli
di figliuoli della terra : talchè è madre degli Dei, cioè de’giganti, che nel tempo delle prime città si arrogarono il neme
na. Taluni si finsero in tal modo questa prima intelligenza per dire, che Dio per verbum avesse creato il mondo. I pitagori
ngoli. Così Plutaron(1). Altri la derivano da una parola celtica men, che in italiano risponde a giudizio, e da errua, che
parola celtica men, che in italiano risponde a giudizio, e da errua, che interpetrano forza e giudizio, onde Men-errua imp
dizio, onde Men-errua importa forza, giudizio, e ben risponde al tipo che se ne fecero gli antichi, onde personificare la s
rsonificare la sapienza e la forza. Da ciò l’Alighieri(2), « L’acqua che io prendo giammai non si corse, Minerva spira e c
imologia dal verbo moneo, cioè ammonire (4), ossia da’saggi consigli, che credevasi di porgere a gli uomini. Portava ancora
a gli uomini. Portava ancora il nome di Pallade, parola tutta greca, che deriva dal radicale « παλλειν vibrare, saettare,
nerva, e la finsero nascere con la fantasia fiera egualmente e goffa, che Vulcano con una scure fendette il capo di Giove,
re fendette il capo di Giove, onde nacque Minerva, volendo essi dire, che la moltitudine de’famoli, che esercitavano arti s
onde nacque Minerva, volendo essi dire, che la moltitudine de’famoli, che esercitavano arti servili, che venivano sotto il
si dire, che la moltitudine de’famoli, che esercitavano arti servili, che venivano sotto il genere poetico di Vulcano : Ple
filosofi ficcarono la più sublime delle loro meditazioni metafisiche, che la Idea eterna in Dio è generata da esso Dio, ove
ordine civile come restò per eccellenza a’latini ordo per senato ; lo che forse diede motivo a’filosofi di crederla idea et
lo che forse diede motivo a’filosofi di crederla idea eterna di Dio, che altro non è che ordine eterno ». 42. Ma di questa
ede motivo a’filosofi di crederla idea eterna di Dio, che altro non è che ordine eterno ». 42. Ma di questa Diva non poche
rsonificandosi ella per la sapienza, può considerarsi come una virtù, che tutto raccoglie in uno per saper contemperare la
per saper contemperare la vita. Le si dava il nome di Pallade παλλας che oltre altri significati, come presso i lessiograf
gli occhi dei quali tinti di color glauco sono si vivamente lucenti, che altri non può guardarli che di trasverso. 43. Ven
i color glauco sono si vivamente lucenti, che altri non può guardarli che di trasverso. 43. Venere — Fu immaginata questa D
agli antichi greci onde personificare i sensi di piacere, di voluttà, che sopraggiungono a ciascun vivente quando le membra
ella era tipo, per aver luogo ha bisogno di umore e di movimento, ciò che trovasi appieno nelle onde del mare. Ella fu dett
e la femmina. Ed Euripide ne tragge etimologia ; poichè tutti coloro, che sono presi da Venere, addiventano, come ei dice,
stono le Muse, e suoi compagni sono Suadela e Mercurio, poichè coloro che si amano restan presi dalla grazia e dalla parola
ione dal greco, quale fu prodotto in un’alra nostra opera(2), « A me che un dì rediva dal Peireo, Egra la mente dal pensie
Cupido si finge fanciullo ; poichè vanno privi di sana mente coloro che son preda di insani amori. Si crede alato, chè am
gli strali, nell’altra una face, perciocchè l’amore è come un dardo, che dagli occhi scende al cuore, e vi apre profonda f
chi scende al cuore, e vi apre profonda ferita — è come una fiaccola, che infiamma ed accende, ingenerisce e strugge. I gre
e ; poichè l’amore ha sempre trasporto alla fruizione di quelle cose, che sono di forma avvenente e graziosa ; o per una ce
o di forma avvenente e graziosa ; o per una certa follia, un delirio, che nasce dall’oltremisura dell’amore, in modo che i
ta follia, un delirio, che nasce dall’oltremisura dell’amore, in modo che i perduti amanti può dirsi andar privi del bene d
, così egli, erano adorati relativamente alle vere o false influenze, che una lunga osservazione ad essi attribuiva. Venere
uiva. Venere anticamente chiamata Calisto, ossia la più bella, Venere che con tanta pompa esce dal grembo delle acque, pass
vuto da quelle il suo nascere. Fra i piccoli pianeti è dessa la sola, che porge dell’ombra ; erale attribuito un moderato c
e il privilegio di umettare l’atmosfera : da ciò vennero gl’influssi, che le furono attribuiti, e gli emblemi sotto i quali
iti, e gli emblemi sotto i quali erano indicati, e gl’inni religiosi, che vennero a lei rivolti. Sposa del Dio del fuoco, d
nfernale e portava il nome di Ecate e Proserpina, o per altra cagione che poco dopo esporremo, e da questo triplice aspetto
etta ancora Epipirgidia e Trivia. Diana è parola tutta greca Διανοια, che importa agitazione della mente, pensiero. I latin
e, pensiero. I latini ne traggono la etimologia da Dea iens, cioè Dea che trovasi in continuo movimento, per alludere al tr
ioè Dea che trovasi in continuo movimento, per alludere al trasporto, che credevasi di avere per la caccia, se pur non si v
ccia, se pur non si voglia derivare da dies giorno, che’è una stella, che precede la comparsa del Sole su l’orizzonte, ond’
con cento vittime, o perchè desse in una erranza di cento anni coloro che dopo morte andavano insepolti. Era detta Trivia o
ndavano insepolti. Era detta Trivia o dalla triplice sua apparenza, o che presedeva come Giove e Febo, come Ovidio disse, a
a allo Zodiaco, ora si unisce a gli altri segni celesti. 46. Si vuole che Diana veduta nuda da Atteone celebre cacciatore,
ninfe, l’abbia cambiato in cervo, lasciandolo sbranare da’suoi cani, che lo seguivano. È questa una narrazione tutta istor
facce si voleva dare un simbolo delle apparizioni della Luna istessa, che presenta nelle sue fasi nell’alto de’cieli, prima
er dimostrare tutto l’universo, nel mezzo del quale stava quel fuoco, che dicevano Vesta. Ella, dice Ovidio(1), non è altro
ava quel fuoco, che dicevano Vesta. Ella, dice Ovidio(1), non è altro che la viva fiamma, e la stiman vergine, dice Lattanz
a(2). 49. A Vesta si consacrava un fuoco perenne, e ciò per dinotare, che ella stessa era questo fuoco, o che ella ne fosse
uoco perenne, e ciò per dinotare, che ella stessa era questo fuoco, o che ella ne fosse la cagione, e che quasi sia nato pe
, che ella stessa era questo fuoco, o che ella ne fosse la cagione, e che quasi sia nato per suo potere. E non di rado fu p
dovuti, e di averne turbato il riposo : non è questa, dice Plutarco, che un’accusa tutta allegorica, con cui voleva intend
tro, a Vesta fu dato il nome di εστια da εστενια, stare, per indicare che quasi su di un fondamento si poggia e sta l’unive
nto si poggia e sta l’univermondo. Vesta, dice Ovidio(3), non è altro che la terra ; e poichè questa si sostiene col suo pr
mezzo gli omeri, per esprimersi la forma quasi rotonda della terra, e che questa in tal modo conglobata vien posta. Si cred
davan fine. 50. Le Mvse — Elleno erano così dette dal greco μουσειν, che risponde all’italiano spiegare i misteri, o da απ
si voleva di aver ricercato e insegnato a gli uomini cose sublimi, e che non sono alla intelligenza di tutti ; e con altro
e che non sono alla intelligenza di tutti ; e con altro nome Camene, che può interpetrarsi canto ameno, dalla dolcezza del
lcezza del loro canto : Altri derivano il nome Musa dall’ebreo Musor, che significa disciplina, erudizione. A questo a noi
o Musor, che significa disciplina, erudizione. A questo a noi sembra, che abbia inteso l’Alighieri in quei suoi versi(1),
e Muse mi dimostran l’Orse » Tante volte col loro nome non s’intende che la stessa poesia, come Alighieri per Musa intese
te figlie di Giove, e di Mnemosine, ossia della memoria, per indicare che le discipline necessarie all’uomo, ritrovate la p
trovate la prima volta da Giove non si possono acquistare dagli altri che con assidua meditazione e diligente memoria. Esio
idua meditazione e diligente memoria. Esiodo nella sua Teogonia vuole che a loro nulla andava ignoto, nè il presente nè il
vuole che a loro nulla andava ignoto, nè il presente nè il passato, e che nulla allegrava di tanto lo augusto congresso deg
nni e celebrando il culto degl’Iddii : con questo volevasi intendere, che le virtù personificate nelle Muse non vanno mai d
le virtù personificate nelle Muse non vanno mai disgiunte fra loro, e che le discipline e le arti traggono la loro iniziati
sempre la solitudine della mente e del cuore. Pausania non riconosce che solo tre Muse, Melete, Mneme e Aede, tre nomi, de
greco, rispondono a tre altre italiane, memoria, meditazione e canto, che altro non sono che una vera personificazione di t
tre altre italiane, memoria, meditazione e canto, che altro non sono che una vera personificazione di tre obbietti, che se
to, che altro non sono che una vera personificazione di tre obbietti, che servono a dar principio, sviluppo e compimento ad
dal marmo tre simulacri per collocarne solo tre nel tempio di Apollo, che per superiore bellezza meritassero l’approvazione
e belle arti ciascuna di esse voleva farsi presedere, chè non faremmo che ripetere indarno tutto quello, che ne hanno detto
a farsi presedere, chè non faremmo che ripetere indarno tutto quello, che ne hanno detto i mitologi, qui trascriviamo solo
vergini leggiadre Del canto amiche e delle belle imprese : Melpomene, che grave il cor conquide ; E Talia che l’error flage
delle belle imprese : Melpomene, che grave il cor conquide ; E Talia che l’error flagella e ride ; Calliope che sol co’for
rave il cor conquide ; E Talia che l’error flagella e ride ; Calliope che sol co’forti vive Ed or ne canta la pietade, or l
ante delle doppie pive, E Polinnia del gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dol
pive, E Polinnia del gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dolce sospira ; Ed Vr
gesto e della lira ; Tersicore che salta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dolce sospira ; Ed Vrania, che gode le ca
ta, e Clio che scrive ; Erato, che di amor dolce sospira ; Ed Vrania, che gode le carole Temprar negli astri ed abitar nel
Muse ; ma co’loro nomi dagli antichi sapienti altro non intendevasi, che personificazioni allegoriche delle belle arti, de
a, da κλειειν, cantar le geste, onde volevasi personificare la gloria che va immortale per coloro, che meritano le laudi de
e, onde volevasi personificare la gloria che va immortale per coloro, che meritano le laudi della poesia. Per Euterpe ευτερ
ερπη dilettazione, rappresentavasi quella soave, quell’arcana voluttà che sentesi in cuore di coloro, che odono la melode d
si quella soave, quell’arcana voluttà che sentesi in cuore di coloro, che odono la melode de’versi. Per Talia da θαλεια imm
ersicore dal verbo τερπω e χορος dilettare, significavasi il diletto, che si tragge da coloro, che hanno apparato le belle
e χορος dilettare, significavasi il diletto, che si tragge da coloro, che hanno apparato le belle arti. Per Erato da ερατος
e hanno apparato le belle arti. Per Erato da ερατος amabile, la stima che il tempe e la fama acquista a’saggi cultori delle
r Polinnia πολυμνος celebre, di molta fama, il piceol numero de’vati, che mandarono a’posteri il loro nome per gl’inni cant
ione de’cieli, l’astronomia. Per Calliope comparativo di καλος bello, che può interpetrarsi dolcezza, di voce, il diletto d
ioventù, cui dipingevansi, la verginità, le sembianze, il portamento, che loro si dava, il carattere, il nome istesso cui e
ava, il carattere, il nome istesso cui eran chiamate, altro non erano che una simbolica ed una allegoria, con cui si voleva
ui si voleva esprimere i più preziosi beni, tutti i più puri piaceri, che l’uomo deve promettersi ne’suoi giorni, la buona
e eguale, la innocenza della vita, il candore de’costumi, e tutto ciò che a noi sparge di dolcezza la vita, non meno che la
e’costumi, e tutto ciò che a noi sparge di dolcezza la vita, non meno che la sennatezza, la prudenza, la gratitudine, la mu
, la munificenza, le fraterne corrispondenze amorose, ed ogni legame, che rannoda l’uomo all’uomo e ne rende un tipo di gra
grandezza sociale. E veramente elleno erano dette Carite, voce greca che significa gioia, e con questo nome volevasi espri
voce greca che significa gioia, e con questo nome volevasi esprimere, che l’uomo deve con piacere mostrare la sua riconosce
Si rappresentavano nella età più fresca di giovinezza, per indicarsi, che la ricordanza di un beneficio deve sempre star vi
r mire pure e sante, senza le quali tutto va perduto e contaminato, e che la munificenza non deve andar disgiunta dall’acco
non deve farsi aspettare, onde era ai Greci — non esser grazia quella che viene lentamente, e deve tosto obbligare chi ne v
strette le palme le une alle altre, e con questo volevasi esprimere, che le amabili qualità sono i nodi più dolci della fa
mabili qualità sono i nodi più dolci della famiglia umana, od ancora, che l’uomo deve stringersi all’uomo con alterno scamb
ninfe percuotono la terra con alternative piede — nude per indicarsi che nulla torna più gradevole della semplice natura —
più gradevole della semplice natura — moventisi a danza, per dinotare che mutua deve essere la munificenza tra gli uomini ;
è la gratitudine il beneficio debbe ritornare donde è partito, oppure che elleno amiche della gioia innocua non sanno piega
mito dallo scrittore della Scienza Nuova. 59. Ercole uccide Acheloo, che cangiossi prima in serpe. poscia in toro, quando
 — Concetti di un inno di Orfeo, cui scorgesi essere Ercole non altro che il Sole. 61. Pruove tratte dalla istoria, onde di
dmea, giano, pane. 55. Ercole — Egli è così detto dal greco Ερακλεης, che deriva da ερα Giunone, ossia l’aria, e κλεος glor
gio sublime celeste, o quasi superiore alla condizione umana, un eroe che poco curando le cose della terra si innalza dalla
tabile, invitta, sempre generante, anzi la potenza istessa di natura, che porge a tutti virtù e robustezza ; e non surse ne
porge a tutti virtù e robustezza ; e non surse nella mente de’poeti, che come un carattere eroico, cui furono altribuite i
arattere eroico, cui furono altribuite innumere e strepitose fatiche, che nè la vita di un uomo sarebbe bastata a farle, nè
servene stato più di uno ; se pur con più ragione non si voglia dire, che a questo parto della immaginazione si attribuiron
tri, onde la gran selva della terra irta e dumosa, disgombri i mostri che la infestavano, fu posta a cultura, e porta la in
ilimento tra gli uomini. Sotto l’altro aspetto poi non sfugge a colui che vi pone mente di confonderlo col sole, rispondend
r un traslato allegorico le dodici fatiche a lui attribuite al passar che fa questo pianeta maggiore in ciascun segno dello
o. Così considerato si disse di lui di aver morto un terribile Leone, che shuffando fiamme dalla bocca desse lo incendio al
sse lo incendio alla selva Nemea. Era questo un mito, cui s’intendeva che Ercole, carattere eroico disgombrando la terra da
Ercole, carattere eroico disgombrando la terra dagl’innumeri mostri, che la circondavano, e disboscandola dagl’irti bronch
mito si disse di Ercole di aver ucciso col ferro e col fuoco un’idra, che sempre ripullulando nelle molte sue teste, quando
di oro per significare le biade mature dal color dell’oro, tre colori che vanno impressi dalla natura nella spoglia della i
dalla natura nella spoglia della idra. E per questo ancora narrossi, che Ercole ancor bambolo strozzasse due colubri, per
dal capo di leone sbuffante fiamme. E come in fine narrossi di Cadmo, che , spenta la gran serpe, ne mandasse alla terra i d
lta la terra, onde chiamarla a coltura. Raccontossi ancora di Ercole, che uccidesse un dragone ricoperto di squame e spine,
hiante alla custodia de’pomi di oro negli orti Esperidi. Non è questo che un gruppo di metafore, additandosi con le squame
a prima di andar coltivata ; e co’pomi di oro le spighe del frumento, che furono considerate come oro dalla grande utilità
he del frumento, che furono considerate come oro dalla grande utilità che portarono alle umane aggregazioni. Oro le prime s
gregazioni. Oro le prime spighe di frumento, e tutto fu detto oro ciò che seco portasse molto utile all’uomo. Trascorrendo
traslato, da questi pomi di oro fece quel memorabile ramo di oro, di che Enea scendendo nello inferno per riveder l’ombra
ui per farne dono ad Euristeo. In questo mito si nasconde una verità, che non può andare discorde dalla istoria vera. I tre
istoria vera. I tre corpi dati dalla favola a Gerione forse non erano che tre corpi di armati, che per tutelare il suo terr
dati dalla favola a Gerione forse non erano che tre corpi di armati, che per tutelare il suo territorio oppose ad Ercole ;
armati, che per tutelare il suo territorio oppose ad Ercole ; oppure, che egli avesse tre fratelli, cui vivesse in tanta st
vesse tre fratelli, cui vivesse in tanta strettezza di amor fraterno, che potevasi dire, di loro di essere informati di un’
ntendersi il fulmine, cui fu dato tal nome per indicarsi lo strepito, che seco porta il fulmine istesso — col triplicato co
angere, prostrare, incenerire — co’bovi toltigli esprimersi il rombo, che siegue dopo lo slancio del fulmine squarciando i
egue dopo lo slancio del fulmine squarciando i campi dell’aere, rombo che giunge all’orecchio quasi non dissimile al muggit
chio quasi non dissimile al muggito de’bovi. 58. Ercole uccide Anteo, che la favola vuole figlio della terra, con sollevarl
istessa porte nuove forze. Taluni interpetrando questo mito vogliono, che Anteo fosse un mercante stabilito nella Libia tan
o, che Anteo fosse un mercante stabilito nella Libia tanto dovizioso, che a nessuno veniva il destro di indebolirlo, onde l
utinati, ed innalzandolo in cielo.… il vince e lo annoda a terra ; di che restò un giuoco ai greci detto del nodo : ch’è il
he, e per lo quale da’plebei si pagava agli eroi la decima di Ercole, che dovette essere il censo, pianta delle repubbliche
o censo di Servio Tullio furono nexi dei nobili ; e per lo giuramento che narra Tacito, darsi da’ Germani antichi a’loro pr
ola racconta ancora un combattimento di Ercole contro Acheloo. Qnesti che si credeva figlio dell’Oceano e di Teti, combatte
di forze contra il suo rivale, trasformossi in su le prime in serpe, che terribilmente sibilando si sforzava cacciare il t
l terrore nel cuor di Ercole e prostrarlo. Ercole lo strinse di tanto che stava per soffocarlo, quando cangiossi in toro, m
o di fiori e frutti, fu detto il corno dell’abbondanza — non è questo che un fatto istorico personificato per mezzo di un’a
onificato per mezzo di un’allegoria. Acheloo era un fi ume di Grecia, che scorrendo tra la Etolia ed Acarnania con le sue f
corno strappato il corno dell’abbondanza, significarsi la fertilità, che poscia nacque ne’campi dalle irrigazioni delle ac
sforziamo di voltare nella nostra lingua alcuni concetti di un’inno, che si vuole di Orfeo, da’quali dimostreremo che Erco
uni concetti di un’inno, che si vuole di Orfeo, da’quali dimostreremo che Ercole in nulla va distinto dal Sole — Ercole, co
pari di scoprire in questi concetti del poeta non poche espressioni, che tutte convengono al sole. A lui s’innalzarono e t
sole. A lui s’innalzarono e tempii ed are, e con l’Ercole allegorico, che vi si adorava altro non intendevano che andar dev
e, e con l’Ercole allegorico, che vi si adorava altro non intendevano che andar devoti del padre de’secoli, dell’anima visi
tore de’mostri della terra, e finalmente di quel nume sempre giovane, che assiso nel Sole, come su di una irradiante quadri
uello del sole ; ed Alessandro il grande quando rivide il suo Nearco, che credeva estinto una alla sua flotta, volle render
se, onde fu detto Musagete. Ovidio non meno espone nei suoi Fastì (1) che i romani in ciascuno anno celebravano le sue fest
sto aggiungiamo la opinione di non volgari scrittori. Porfirio vuole, che al Sole fu dato il nome di Ercole, descrivendosi
averso de’dodici segni dello Zodiaco per mezzo di altrettante fatiche che la favole vuole eseguite da Ercole. Nè Ercole, di
nio dalla potenza del Sole, il quale trasfonde negli uomini la forza, che li raggiunge a gli Dei, ed egli improntava questo
a clava, e del pari si immaginava andar vestito della pelle di Leone, che tante volte si dipingeva tempestata di stelle, on
ngeva tempestata di stelle, onde Ercole fu detto ancora Astrochitone, che porta il significato di adorno di stelle, cui alt
porta il significato di adorno di stelle, cui altro non intendevasi, che il tempo, quando il Sole nel Solstizio estivo ent
una ad una le XII. fatiche di Ercole, per compararle con il cammino, che il Sole fa di mese fu mese pe’dodici segni dello
e nel segno dello Zodiaco il Leone. II. Ercole uccide la Idra Lernea, che si voleva di sette teste, sempre ripullulanti qua
ntauri altercantisi per una botte di vino — uccide un feroce cignale, che infestava le foreste di Erimanto — Risponde al pa
e di Erimanto — Risponde al passar del Sole nel segno della Bilancia, che avviene sul principio di Autunno, fissato dal lev
o scorpione, fissato dal tramonto della costellazione detta Calliope, che vien dispinta come una cerva. V. Ercole disperde
de’tre uccelli della via Lattea, lo Avoltoio, il Cigno, e l’ Aquila, che si dissero esser trafitti dalle frecce di Ercole.
onde del fiume Alfeo, e seco porta il toro di Creta, amato da Pasife, che devastava le pianure di Maratona. Combatte inoltr
Maratona. Combatte inoltre contro questo toro, ed uccide lo avoltoio, che divorava il fegato a Prometeo — risponde al passa
l Cielo a fianco della costellazione detta Prometeo, nel tempo stesso che il toro celeste, nominato toro di Pasife e di Mar
VII. Punisce Busiride e Diomede delle loro crudeltà, uccidendo l’uno che soleva sacrificare tutti gli estranei, che giunge
crudeltà, uccidendo l’uno che soleva sacrificare tutti gli estranei, che giungevano nei suoi stati, e lasciando divorar l’
estranei, che giungevano nei suoi stati, e lasciando divorar l’altro, che era figlio di Marte e di Cirene, dai cavalli di l
rar l’altro, che era figlio di Marte e di Cirene, dai cavalli di lui, che alimentava di carne umana — r sponde al passar de
ole nel segno dei Pesci, ed è fissato dalla levata Eliaca del Pegiso, che avanza il capo su l’Aquario, ovvero Euristeo figl
da tre corpi, e ne conquista i suoi buoi, uccide un principe crudele, che perseguitava le Atlantidi — risponde al passar de
erseguitava le Atlantidi — risponde al passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal tramonto di Orione, che andò amant
passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal tramonto di Orione, che andò amante delle Atlantidi, ossia delle Pleiadi,
, per fare un sacrificio, una tonica sparsa di sangue di un Cintauro, che fu morto da lui stesso al guado di un fiume, e qu
l Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su di un’altare al levarsi del Pastore
lla sua gregge, e quando Ercole declina verso le regioni occidentali, che van denominate Esperia, seguito dal Dragone del p
ragone del polo, custode dell’ Esperidi. 64. Cadmo — Narra la favola, che Cadmo nel fabbricare la città di Tebe, mandando i
la fonte di Dirce, per cavarne acqna, li vide divorati da un Dragone, che egli uccise, e seminandone i denti, ne nacquero u
e, che egli uccise, e seminandone i denti, ne nacquero uomini armati, che poscia si uccisero fra loro, pochi in fuori, che
quero uomini armati, che poscia si uccisero fra loro, pochi in fuori, che ebbero parte a fabbricar la città. Non difficile
ne di questo mito ; posciachè Cadmo uccise un principe di nome Draco, che si voleva figlio di Marte, intendendosi dall’altr
terra, ne semina i denti, con la bella metafora con curvi legni duri che innanzi di trovarsi l’uso del ferro dovettero ser
rovarsi l’uso del ferro dovettero servire per denti dei primi aratri, che denti ne restarono detti, egli ara i primi campi
i primi campi del mondo : gitta una gran pietra, ch’è la terra dura, che volevano per sè arare i clienti, ovvero famoli :
a eroica della prima agraria gli Eroi escono dai loro fondi, per dire che essi sono signori de’fondi, e si uniscono armati
lla coltura dei campi, onde fu iniziato il loro incivilimento. Ma noi che in queste pagine abbiamo preso di mira la favola
netario, onde questo Nume sconosciuto dai Greci, il più antico Genio, che si a stato consacrato da’ Romani, come loro prima
me un principe del Lazio, ma esser considerato come un segno celeste, che rifulge tra gli astri, preceduti da lui nel loro
i di additargli la cagione, perchè egli solo tra celesti sia un Nume, che vede di avanti e di dietro ; e fingendo di compar
ro ; e fingendo di comparirgli Giano innanzi tra un torrente di luce, che irradiò tutta la casa, e lo riempì di terrore, co
e operoso, il timore ; odi le mie voci, ed apprendi da me stesso ciò, che desideri sapere. Caosse era il mio nome da gli an
a il mio nome da gli antichi. Questo lucido aere, e questi tre corpi, che rimangono, il fuoco, l’acqua, e la terra, non era
ti tre corpi, che rimangono, il fuoco, l’acqua, e la terra, non erano che un solo ammasso ; e quando la discordanza degli e
n erano che un solo ammasso ; e quando la discordanza degli elementi, che lo componevano, ebbe fine, disciolte le parti di
più vicino a questa l’aere, in mezzo la terra ed il mare. Io allora, che era stato un globo, ed un’informe mole, presi asp
ì grande la nota della mia confusa figura, in me sembra lo stesso ciò che è d’avanti e ciò ch’è di dietro. Ecco la cagione
che è d’avanti e ciò ch’è di dietro. Ecco la cagione della mia forma, che tu desideri sapere ; e, conoscendo questa, non ig
endo questa, non ignori del pari quale sia il mio ufficio. Tutto ciò, che vedi da ogni lato, il Cielo, il mare, le nubi, la
al sole, allora ricambierai il mio nome : poichè sul labbro di colui, che sacrifica ora per me risuona il nome di Petulcio,
te. — Da queste poche parole del cantore de’Fasti romani chi è colui, che sì perduto d’intelletto non vede di esser tutta u
non vede essere egli non un principe del Lazio, ma un segno celeste, che deve trovarsi alla testa, e nello istante, che il
, ma un segno celeste, che deve trovarsi alla testa, e nello istante, che il sole incomincia l’apparente giro dei cieli, qu
ia l’apparente giro dei cieli, quando egli apre il cammino del tempo, che circola nello Zodiaco ? 68. Ma per venir meglio a
a nostra favella, le parole di Macrobio — Sonovi, ei dice(1), taluni, che vogliono esser Giano lo stesso che il sole e Dian
obio — Sonovi, ei dice(1), taluni, che vogliono esser Giano lo stesso che il sole e Diana, e che rappresentasi bifronte com
1), taluni, che vogliono esser Giano lo stesso che il sole e Diana, e che rappresentasi bifronte come padrone dell’una e de
e indizio del potere del sole — Altri vogliono essere Giano non altro che il mondo, ossia il Cielo, e di essere così denomi
nsibile di Giano, lo rappresentavano sotto le fattezze di un dragone, che spiegandosi in cerchio morde la sua istessa coda,
iegandosi in cerchio morde la sua istessa coda, onde far comprendere, che il mondo e si sostiene da sè stesso, ed in sè ste
i re mesi di ogni stagione. E Varrone come rapporta Macrobio(3) vuole che a lui si erano innalzati dodici altari, per dare
9. La Sfinge — Qui giova dir poche parole intorno alla Sfinge Cadmea, che fu dipinta da’poeti avere il corpo di cane, il ca
e’poeti, vivendo tra monti proponeva alcuni enigmi, uccidendo coloro, che non sapevanli interpetrare, fino a quando indovin
a guerra il suo consorte, tendendo di giorno in giorno molte insidie, che con altro nome dicono enigmi, opprimendo non poch
le, e distrutte riprodurle — co’frutti, la varietà de’frutti istessi, che nascondonsi nel seno della terra, e di tempo in t
nde sorge il regno vegetabile ed animale, e tante esalazioni ed umori che vengono dalla terra e dalle acque per ravvivare l
la natura istessa. Si disse di produrre terrori panici, ossia terrori che sembra di nascere senza cagione, che vengono o da
re terrori panici, ossia terrori che sembra di nascere senza cagione, che vengono o dallo stormire delle frondi degli alber
e le greggi, per indicare non pochi commovimenti e fremiti di natura, che sembrano inaspettati ed improvvisi, perchè non se
e, come l’anima del mondo, per indicare il mirabile potere di natura, che subordinata alla Causa Prima, al Sommo Creatore d
sublime ed il bello dell’universo. 71. Son queste le poche nozioni, che ho saputo dare intorno alla simbolica, ed ai miti
to dare intorno alla simbolica, ed ai miti etorodossi, e non ho fatto che aprire le prime tracce a questo studio filologico
tellettiva e di miglior fortuna di incitamento, onde far tutto quello che i miei studii e la mia fortuna non mi han permess
ni de Civitate Dei lib. IIII cap. VIII. (2). Cloacina — Tito Tazio, che regnò una a Romolo, ritrovando un simulacro di un
quasi pugnatrice, derivandone la etimologia dall’antico verbo cluere, che significa pugnare, e le alzarono un simulacro ove
ome dalla tutela delle cose, cui si facevano presedere. Varrone dice, che questi Dii s’invocavano nei pericolosi e subiti a
imologia dal verbo patet. (6). Ostilina — E così detta da hostire, che importa eguagliare, ond’è nato hostis nemico. Sig
ostimensum datum est opera pro pecunia. (1). Flora — Alcuni eredono che sia Acca Larenzia donna di partito, la quale aven
tta Elori. (2). Matvta — Taluni vogliono esser questa dea la stessa che l’Aurora, onde traggono l’origine del tempo mattu
mattutino. (3). Roncina — Varrone deriva questa parola da runcare, che importa svellere, onde nacque averruncare, che ri
sta parola da runcare, che importa svellere, onde nacque averruncare, che risponde a togliere, demolire. (4). Pavsaniae l
rmine vera Dei. In Roma era una porta detta Carmentale dal suo nome, che poi fu nominata scelerata, e vicino a questa un’a
stanza. (4). Rvmina —  È così detta da una parola antiquata rumen, che significa mamma, onde nacque ficus ruminalis, sot
mamma, onde nacque ficus ruminalis, sotto la quale pianta fu creduto che una lupa desse le mamme a Romolo e Remo. (1). S
me Fauna, e la vogliono così detta a fando, chè credevasi, sua mercè, che parlassero i fanciulli, se pur non fu nominata, S
ulli, se pur non fu nominata, Sentia, chè ella pronunziasse tutto ciò che altri sentisse. (2). Cur annum tovi, menses Iun
Ovidii Fasterum lib. I ver. 88 e seg. (1). Giano è detto Patulcio, che può derivare da patet, aprire, e Clusio, da Claud
11 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
ergevano una colonna, i Romav’ inalzavano delle statue(a). Il culto, che prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa fun
acque da Telafassa(a) (1), e da Aganore, ro de’ Fenicj. Altri dicono, che la madre di Cadmo fu la Ninfa Melia(b) ; ed altri
o, che la madre di Cadmo fu la Ninfa Melia(b) ; ed altri soggiungono, che fu Argiope, nata dal fiume Nilo(c). Non sempre Ca
elfo, per sapere come avrebbe potuto trovarla, ovvero per conoscere a che in quella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi.
uella sì ardua difficoltà dovea appigliarsi. La risposta del Nume fu, che il trovare Europa non era impresa da uomo, e che
isposta del Nume fu, che il trovare Europa non era impresa da uomo, e che Cadmo in vece tenesse dietro alla prima giovenca,
resa da uomo, e che Cadmo in vece tenesse dietro alla prima giovenca, che avrebbe incontrato, ed ivi fabbricasse una città,
Entro nel bosco, li trovò tutti distesi sul suolo, e vide il mostro, che ne lambiva le fresche ferite. S’accese l’ Eroe di
ndo di Pallade ne seminò i denti(a). Ne nacquero molti uomini armati, che gli Ateniesi chiamarono Sparti, ossia Seminati (b
ono Sparti, ossia Seminati (b). L’anzidetta Dea avvertì allora Cadmo, che con una pietra nascostamente colpisse uno di colo
scostamente colpisse uno di coloro. Quegli, cui essa arrivò, credendo che fosse stata scagliata contro di lui da uno de’suo
sta insorsero tutti gli altri ; e sì feroce zuffa tra loro si accese, che vicendevolmente si diedero la morte, e a soli cin
Cadmo fabbricò la città, indicatagli dall’Oracolo, e dalla giovenca, che avealo ivi condotto, la denominò Beozia.(e). Egli
.(e). Egli volle fare altresì il propostosi sacrifizio ; ma temendo ; che l’acqua della mentovata fontana fosse infettata d
orcireo, mise il piede nel fango ; ed estraendolo, ne sortì un fiume, che fu chiamato Piede di Cadmo (a). Cadmo prese in mo
matrimonio nacquero un maschio, di nome Polidoro, e quattro femmine, che si denominarono Agave, Autonoe, Semele, e Ino, de
do, si trasferì colla moglie nell’ Illiria. Là gli venne in pensiero, che il Dragone, da lui ucciso, fosse vissuto sotto la
one, da lui ucciso, fosse vissuto sotto la tutela di qualche Deità, e che per tale motivo gli forsero sopraggiunte cotante
otivo gli forsero sopraggiunte cotante aciagure. Pregò quindi i Numi, che , se così fosse, convertissero lui pure in serpent
i i Numi, che, se così fosse, convertissero lui pure in serpente : Io che avvenne(a). V’è chi dice, che Cadmo, dope d’aver
convertissero lui pure in serpente : Io che avvenne(a). V’è chi dice, che Cadmo, dope d’aver goduto per molti anni il regno
osi a interrogare l’Oracolo, se ora per aver alcun figliuolo, intese, che non ne avrebbe alcuno, e che in vece un di lui ni
se ora per aver alcun figliuolo, intese, che non ne avrebbe alcuno, e che in vece un di lui nipote lo ucciderebbe. Per impe
in pioggia d’oro ; penetrò, ove la giovine si custodiva ; e fece sì, che divenisse madre di Perseo(2). Acrisio, come ne ve
. Un pescatore, dinome Ditti, li raccolse, e li presentò a Polidette, che ivi regnava(4). Questi s’invaghì di Danae, e aven
er le ali a’ piedi, e l’arma, datagli da Mercurio(5), e per lo scudo, che Pallade aveagli somministrato, e che riflettendo
da Mercurio(5), e per lo scudo, che Pallade aveagli somministrato, e che riflettendo gli oggetti, li faceva senza rischio
ia, quella deforme testa versò delle gocce di sangue su quelle arene, che fecondate produssero gran copia di serpenti, i qu
di Giove. Memore Atlante d’aver inteso da un antico Oracolo di Temi, che un figlio di Giove gli avrebbe tolti i tesori de’
ti. Que’ popoli ricorsero supplichevoli a Giove, il quale disse loro, che Nettuno si sarebbe placato, qualora Cefeo avesse
zidetta bestia. Ei piombò su quel mostro, e sì lo trafisse coll’asta, che gli tolse intieramente la vita. Risuonarono allor
un vitello. Si unì poscia in matrimonio con Andromeda : e fu allora, che Fineo, fratello di Cefeo, intollerante di vedere
parte di coloro ne uccise, parte ne cangiò in sassi(a). Ovidio dice, che in quella zuffa si trovarono anche i due celebri
o il mentovato trionfo passò nella Grecia ; e eangiò in pietra Preto, che avea scacciato Acrisio dal regno d’Argo(c). Ricor
tentava di nuocere alla di lui gloriosa riputazione(e). Altri dicono, che Polidette soggiacque a tal fine in pena d’aver us
rpe violenza(f). Perseo si trasferì nel Peloponneso ; e avendo udito, che in Larissa, città de’ Pelasgi, si celebravano dei
seo nel Peloponneso avea abbandonata la città d’Argo per evitare ciò, che l’Oracolo aveagli predetto. Avvenne, che il Disco
ittà d’Argo per evitare ciò, che l’Oracolo aveagli predetto. Avvenne, che il Disco, gettato di tutta forza da Perseo, lo co
lo colpì nel capo, e lo uccise. Perseo ne concepì tal’estremo dolore, che rinunziò il trono d’Argo a Megapente, figlio di P
i figliuoli, e una figlia, detta Gorgofone(13). Il fine di Perseo fu, che Megapente, figlio di Preto, per vendicare la mort
ella città di Chemmis, vicino a quella di Tebe(b), Dicesi per ultimo, che Perseo, Andromeda, Cefeo, e Cassiope vennero coll
uto grande, s’impadronì, dopo la morte di Creteo, del regno di Iolco, che apparteneva ad Esone. Temendo, che la sua usurpaz
rte di Creteo, del regno di Iolco, che apparteneva ad Esone. Temendo, che la sua usurpazione fosse per produrgli tristi con
lio dell’Oracolo prese a guardarsì da quello tra’discendenti d’ Eolo, che gli si sarebbe presentato con un piede calzato e
presentato con un piede calzato e l’altro ignudo (b). Fu per questo, che Esone, avendo avuto da Alcimede, figlia di Filaco
vendo avuto da Alcimede, figlia di Filaco(1), un figlio, sparse voce, che quello appena nato mori ; e lo fece secretamente
educazione, gl’insegnò molte scienze, e spezialmente la medicina : lo che gli acquistò il nome di Giasone(c). Alcuni la dis
iasone al fratello Pelia, e a questo pure rinunziò il regno, a patto, che dovesse restituirlo a Giasone, qualora questi fos
impresa quanto gloriosa, altrettanto pericolosissima, promettendogli, che qualora fosse ritornato da quella, lo avrebbe col
he qualora fosse ritornato da quella, lo avrebbe collocato sul trono, che gli appatteneva. L’impresa consisteva nel trasfer
rsi in Coleo a vendicare Frisso, figlio di Atamante, e nipote d’Eolo, che ivi era stato massacrato (b), e nel canquistare i
stato massacrato (b), e nel canquistare il Tosone, o Vello d’oro(4), che Frisso stesso avea colà portato, e di cui Eeta, f
seguirlo. Si dovevano primieramente rendere mansueti due feroci toti, che avevano i piedi di bronzo ; e mandavano fuoco dal
denti dello stesso drago ne, e finalmente vincere gli uomini armati, che da quel seme etano per mascere (d) (7). Giasone a
n olio e mele, e poscia immolò due tori a Nettuno e alle altre Deità, che potevano favorire alla di lui navigazione(a). Non
gonauti, perchè montarono una nave, detta Argo(8) dal nome di quello, che avoala fabbricata(c) (9). I più famosi tra quelli
regnava, e la rendette madre di due figliuoli. Egli le avea giurato, che dopo la conquista del Vello d’oro sarebbesi resti
 ; ma l’essersi poscia invaghito di Medea come testè diremo, fece sì, che obbliò il dato giuramento (d). Da Lenno si trasfe
accolse gli Argonauti gentilmente, e li ricolmò di doni Nella notte, che seguì il giorno della lofo partenza, un vento con
itone lo ripose in un tempio, a lui consecrato, e predisse a Giasone, che quando alcuno de’ di lui discendenti lo avrebbe t
all’aratro, e andò con essi seminando i denti del mentovato Dragone, che già poc’ anzi avea ucciso. Ne sorsero tanti corpi
agone, che già poc’ anzi avea ucciso. Ne sorsero tanti corpi animati, che con lunghe ed acute aste si avventarono contro Gi
nel mezzo loro una grossa pietra, per cui di tale furore si accesero, che , abbandonato l’assako contro di lui, si azzuffaro
sempre più rendere glorioso il nome di Giasone, dice, ch’eglipure, da che cominiciarono gli anzidetti uomini a vicendevolme
era per passare, affinchè la cura di raccogliere quelle, e ’l dolore, che a vista del funesto spettacolo lo avrebbono sorpr
servando il genitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d) (2
ò Medea, che ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d) (23) : lo che avvenne. Pelia, quantunque avesse eseguito Giason
eno la accolsero cortesamente, e Medea raccontò loro tutti i servigi, che avea prestato a Giasone, e ne esagerò l’ingratitu
padre. Medea promise di compiacerle, e per meglio accertarnele, fece che in tutte le mandre si cercasse uno de’ più attemp
icerca. Passati tre giorni, Medea conciliò a Pelia un sonno poco meno che di morte. Appressatesi le giovani, che la Maga vo
liò a Pelia un sonno poco meno che di morte. Appressatesi le giovani, che la Maga voleva spettatrici dell’ orrendo fatto, e
opo aver cercati inutilmente varj asili, ritirossi in, Corinto. Pare, che Giasone finalmenre dovesse conseguire lo scettro,
Corinto. Pare, che Giasone finalmenre dovesse conseguire lo scettro, che gli apparteneva ; ma vi si oppose allora Acasto,
lauce (a), o Creusa, figlia a dell’ anzidetto re(b). Medea non poteva che di mal animo sofferire il nuovo imeneo ; pure nas
una, e cinse dell’ altra la fronte, videsi tutta circondata di fuoco, che la incenerì(25). V’ accorse Creonte, ed egli pure
con cui avea fatto il famoso viaggio, spirò sotto il peso di quella, che avea precipitato sopra di lui, come / Medea aveag
to sopra di lui, come / Medea aveagli predetto (g). Altri pretendono, che siasi trasferito in Asia, dove, essendosi riconci
Poichè il numero delle impres’, attribuite ad Ercole, è sì grande, che non sembra possibile avec potuto un uomo solo esa
uomo solo esaguirle tutte, è quindi opinione di tutti gli Scrittori, che parecchi siena stati gli Eroi di questo nome. Egl
chè fosse triplicata la notte, in cui dovea nascere questo Eroe : dal che ne avvenne, ch’egli fu soprannominato Trivespero(
ne avvenne, ch’egli fu soprannominato Trivespero(2). Altri vogliono, che sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è
e sia stata notte persette giomi continui (e). V’ è poi chi pretende, che il nome di Trivespero siasi attribuito ad Ercole,
, perchè stette rinchiuso tre notti nel ventre d’un pesce ; e vuolsi, che l’Eroe dopo d’aver fatto in pezzi le interiora de
interiora dello stesso pesce, ne sia uscito senz’ aver perduto altro che i capelli (f). Giove, ovvero, come altri dicono,
i capelli (f). Giove, ovvero, come altri dicono, Temi avea decretato, che dei due fanciulli, i quali doveano nascere, l’uno
icippe, figlia di Pelope, e moglie di Stenelo, re di Micene ; quegli, che fosse comparso il primo alla luce, avesse ad eser
esse ad esercitare sull’ altro assoluto dominio (a). Giunone fece sì, che la moglie di Stenelo innanzi tempo partorisse Eur
a sedere appresso ad Alcmena ; impedì ch’ ella partorisse il bambino, che portava nel seno : Galantide finalmente, una dell
 : Galantide finalmente, una delle serve d’ Alcmena, s’avvide di ciò, che la Dea andava operando ; e per farnela desistere,
a Dea andava operando ; e per farnela desistere, le diede a credere ; che Alcmena avesse già partorito. Giunone, confusa e
e dopo d’averla caricata di percosse, la cangiò in Donnola, animale ; che per questo motivo fu poscia venerato da’ Tebani(b
bambino, e cercò di metterlo a morte mediante il morso di due serpi, che introdusse nella di lui culla ; ma Ercole con int
ella di lui culla ; ma Ercole con intrepide mani talmente li strinse, che li uccise(a) (3). V’ è chi dice, che siccorne Alc
repide mani talmente li strinse, che li uccise(a) (3). V’ è chi dice, che siccorne Alcmena partorì nello stesso tempe due f
puto per opera di Giove, gettò le due predette serpi nel mezzo loro ; che a vista di quelle Ificlo, preso dallo spavento, s
se, anzi le mise, come abbiamo detto, a morte (b).Alcuni pretendono ; che Giunone ad istanza di Minerva abbia alquanto cess
te, di cuì il bambino avendone lasciato cadere alcune gocce, avvenne, che le medesime si cangiarono in un ammasso di stelle
o nel Cielo una zona, chiamata Via lattea (c) (4). Altri soggiungono, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che mo
4). Altri soggiungono, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che momentaneo ; e che, come quegli giunse all’adoles
no, che l’affetto di Giunone verso d’Ercole non fu che momentaneo ; e che , come quegli giunse all’adolescenza, ella risvegl
ile guasto nel paese, situato tra Micene e Nemea (a). Altri vogliono, che Giunone per far perire Ercole abbia impegnato Eca
far perire Ercole abbia impegnato Ecate a far comparire quel leone, e che Iride lo abbia portato sul monte Ofelta, dove il
rlo, perchè la pelle n’era impenetrabile. Lo incalzò quindi in guisa, che lo ridusse entro la sua caverna, la quale aveva d
al suo ritorno, e gli promise d’offerirlo egli a Giove Salvatore : lo che eseguì. Sonovi alcuni, i quali pretendono, che Er
a Giove Salvatore : lo che eseguì. Sonovi alcuni, i quali pretendono, che Ercole abbia ricevuto la clava da questo Molorco
l’Idra. Egli poscia avvelenò nel sangue di quella le sue frecce : dal che ne avveniva, che le ferite, recate da quelle, riu
ia avvelenò nel sangue di quella le sue frecce : dal che ne avveniva, che le ferite, recate da quelle, riusciavano incurabi
recate da quelle, riusciavano incurabili. Euristeo però, come seppe, che Ercole avea avuto in sua compagnia Jolao, non vol
abilito d’assoggettarlo (c). Ercole inoltre dovette vincere la Cerva, che trovavasi nelle foreste del monte Menalo nell’ Ar
se i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era sì veloce al corso, che niuno mai era capace di raggiungerla. Ercole bram
era sacra a Diana. Impiegò un anno nell’inseguirla con tale costanza, che la stancò, se la fece sua, e la portò sulle spall
a portò sulle spalle a Micene(d). Euristeo impose altresì ad Ercole, che gli recasse il Cinghiale della selva d’Erimanto,
ava tutti que’ dintorni. L’Eroe lo inseguì, e sì stancò anche quello, che gli riuscì di legarlo, e di portarlo vivo in Mice
di Sileno e della Ninfa Melia, il quale gli diede a bere certo vino, che apparteneva a tutti i Centauri. Se ne sdegnarono
te ne trucidò, parte ne mise in fuga. Folo stesso morì di una ferita, che gli aprì in una mano una freccia, la quale egli t
compagni. Ercole lo onorò con magnifici funerali sopra una montagna, che poscia si chiamò Foloc(b). Era parimenti dovere d
chi li assaliva. Erano poi in sì grande numero, e di tale grandezza, che quando volavano, impedivano che i raggi del Sole
ì grande numero, e di tale grandezza, che quando volavano, impedivano che i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plin
divano che i raggi del Sole si spandessero sulla terra. Plinio vuole, che i medesimi non esistessero se non nella mente de’
sero se non nella mente de’ Poeti (c). Pausania all’opposto pretende, che se ne trovassero ne’ deserti dell’ Arabia (d). Er
narici, e desolava i dintorni di Maratona. Euristeo intimò ad Ercole, che lo uccidesse. L’Eroe nol fece, perchè anche quell
favorito, e disfece la maggier parte di coloro. Al suo ritorno trovò, che i cavalli aveano divorato Abdero. N’ebbe gran dol
ba al predetto giovine, e appresso della medesima fabbricò una città, che dal nome di lui appellò Abdera(a) (8). V’è chi pr
a città, che dal nome di lui appellò Abdera(a) (8). V’è chi pretende, che gli anzidetti cavalli sieno stati condotti da Erc
che gli anzidetti cavalli sieno stati condotti da Ercole in Micene, e che poi Euristeo li abbia abbandonati sul monte Olimp
d Antiope, la condusse via prigioniera, e la diede in moglie a Teseo, che lo aveva accompagnato in quella spedizione(d) (9)
che lo aveva accompagnato in quella spedizione(d) (9). Plutarco dice, che quella Regina fu uccisa da Ercole(e). Augia, re d
eduto figliuolo del Sole(g), possedeva un numero sì grande d’animali, che non aveva ovili sufficienti a contenerveli. Fu co
e di Tiro, e re di Pilo, scacciò Ercole da’suoi Stati ; e come seppe, che l’ Eroe accingavasi ad attaccarlo, affidò il coma
l di lui padre nel non mantenere la parola data ad Ercole(d). Dicesi, che in quella guerra sia anche morto un certo Calcodo
erra sia anche morto un certo Calcodone, ch’erasi unito con Ercole, e che da questo sia stato onorevolmente sepolto(e) (12)
heggiò a Neleo la sua città, e mise a morte lui, e tutti i figli(13), che avea avuto da Clori, figlia d’ Anfione, eccettuat
viarono a Nereo, da cui ne venne istruito. L’ Eroe uccise il Dragone, che vegliava sempre per custodire que’pomi, e felicem
que’pomi, e felicemente riuscì nella divisata impresa. Altri dicono, che Ercole spedì Atlante alla conquista di quelle fru
’ Inferno ad Euristeo il Cane Cerbero. Così egli fece(16) ; e vuolsi, che dopo d’aver eseguito ciò che doveva, lo abbia anc
Cerbero. Così egli fece(16) ; e vuolsi, che dopo d’aver eseguito ciò che doveva, lo abbia anche ricondotto nell’ Inferno(b
(b). Molte altre sono le gloriose gesta d’ Ercole. Egli uccise Sauro, che infestava i dintorni del monte Erimanto nell’ Eli
detto, erasi annegato nel fiume Ascanio. Sul quale proposito dicesi, che avendo l’ Eroe ricercato qualche cibo a Teodament
aria, e sì lo tenne, finchè lo strangolò(b) (20). Alcuni aggiungono, che Ercole sposò poscia Tinga, moglie d’ Anteo ; che
. Alcuni aggiungono, che Ercole sposò poscia Tinga, moglie d’ Anteo ; che n’ebbe un figlio, di nome Siface, il quale divenn
e un figlio, di nome Siface, il quale divenne re della Mauritania ; e che fabbricò una città, che chiamò Tingi dal nome di
ace, il quale divenne re della Mauritania ; e che fabbricò una città, che chiamò Tingi dal nome di sua moglie(c). Stanco po
quali spesso li rapivano(d). Antonino Liberale(e) e Ovidio(f) dicono, che coloro erano governati da una donna, la quale, pe
enne da Cipro l’ Indovino Trasea, o Trasio, e questi accertò Busiride che per avere di nuovo la fertilità nelle di lui camp
la porta d’ Ippocoonte, figlio di Ebalo e della Najade Batea, avvenne che un cane, custode di quella casa, gli si avvento c
zio a Giunone. Tale ceremonia si perpetuò appresso gli Spartani : dal che la predetta Dea si denominò Egofage, ossia manzia
icolo, quando Giove fece cadere dal Cielo immensa quantità di pietre, che li oppresse : e però quel luogo si denominò Campo
si, giunse in Celene, ove la trovò. Litierse era un Principe barbaro, che obbligava i passeggieri a mietere o a misurare le
ne’di lui Stati co’ buoi di Gerione. Le condizioni della gara furono, che se restava superato Ercole, questi doveva cedere
li stessi erano stati trasferiti. Egli spezzò subito l’immensa rocca, che chiudeva l’ingresso dell’antro, s’avventò contro
s’avventò contro Caco, e colla clava lo uccise(b). Altri pretendono, che sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella
tri pretendono, che sia stata Caca, sorella del medesimo Caco, quella che scoperse ad Ercole il furto, fattogli da suo frat
endo la guerra a’Beozj, comandati da Ercole, fu vinto da questo Eroe, che lo fece squarciare da due cavalli. Ercole pure no
lo fece squarciare da due cavalli. Ercole pure non ville permettere, che gli si rendessero gli onori delsepoltura (b). Erc
iglio di Foroneo e loro re, e li obbligò a ritasciare a’Dorj i paesi, che aveano promesso (c). Ritornando sene da Trachina,
mine nel mezzo loro (d) Ercole domò Lacinio, formidabile malandrino, che soggiornava in Crotone : e in memoria di tal fatt
pel di lui valore. Ercole per ultimo con una freccia offese Plutone, che fu costretto di salire al Cielo, per farsi guarir
ciò il corpo, e ne portò le ceneri a Licinnio, onde soddisfare meglio che potè al prestato giuramento (b). Ercole è stato d
dell’ Isola di Cea, e famoso Sofista, pubblicò un libro, in cui fanse che ad Ercole sieno apparsi la virtù e il Piacere, e
ro, in cui fanse che ad Ercole sieno apparsi la virtù e il Piacere, e che mentre l’una e l’altro volevano trarlo a se, egli
ltro volevano trarlo a se, egli scelse di seguire piuttosto la Virtù, che il Piacere (d). Ercole si appello Musagete, ossia
ano persuasi, ch’egli avesse sottomessi i popoli più coll’ eloquenza, che colle armi : e come tale lo onoravano sotto il no
piedi (a). Presso i Romani M. Fulvio Nobiliore, Console, fu il primo, che gli dedicò un tempio nel Circo Flaminio, ov’ eran
statua era posta sopra una zattera, perchè gli Eritrei pretendevano, che quella fosse così arrivata da Tiro appresso di lo
ano, che quella fosse così arrivata da Tiro appresso di loro. Dicesi, che la stezze zattera, entrata nel mare Ianio, siasi
zattera, entrata nel mare Ianio, siasi fermata tra Eritrea e Chio, e che amendue que’ popoli abbiano usato di tutte le lor
to mai riuscirvi. Un pescatore cieco d’Eritrea fu avvertito in sogno, che se le donne si fossero tagliati i capelli, e ne a
i. Così que’ d’Eritrea conseguirono la statua d’Ercole, nè permisero, che alle donne Tracie l’ingresso del di lui tempio (d
à, la quale col mezzo de’ sogni manifestava i futuri eventi a coloro, che , coricati solle pelli delle scannate vittime, la
ossia Cane bianco (b). Il nome Eracle è composto di due voci Greche, che significano Giunone e gloria. Ercole fu così appe
significano Giunone e gloria. Ercole fu così appellato, per indicare, che i travagli, da lui intrapresi per causa di Giunon
er richiamarlo alla primiera serenità di mente ; ma Ercole, pensando, che quegli fosse Euristeo, coll’ arco lo inseguì. Fu
rco lo inseguì. Fu rinchiuso in una stanza, ed ei ne spezzò le porte, che diceva essere quelle di Micene. Uccise i figli, c
spezzò le porte, che diceva essere quelle di Micene. Uccise i figli, che aveva avuto da Megara, credendoli figli del prede
tempo si destò, guarito della sua frenesia. Conobbe allora la strage, che avea fatto de’ suoi, se ne afflisse estremamente,
i in serpente. L’Eroe lo afferrò pel collo, sì fortemente lo strinse, che gia era per soffocarlo. Acheloo, vestite allora l
ull’ opposta spiaggia, udì e conobbe la voce lamentevole di Dejanira, che dimandava soccorso contro di Nesso, che tentava d
voce lamentevole di Dejanira, che dimandava soccorso contro di Nesso, che tentava di rapirla. L’Eroe tese tosto l’arco, sca
este, intrisa del proprio sangue, ne fece dono a Dejanira, dicendole, che quella avea la virtù di ravvivare le fiamme d’amo
to, chegli aveva ucciso i figli, avuti da Megara, sua prima moglie, e che temeva che fosse per trattare nella stessa guisa
aveva ucciso i figli, avuti da Megara, sua prima moglie, e che temeva che fosse per trattare nella stessa guisa anche quals
a che fosse per trattare nella stessa guisa anche qualsivoglia altro, che fosse per nascergli in avvenire. Ercole rapì la g
e mura il di lei fratello, Ifito, spedito dal padre a trovare i buoi, che gli erano stati rubati da Autolico. Ercole dopo d
lo sottomise alle ceremonie dell’espiazione. Gli Dei però, giudicando che Ercole non fosse stato abbastanza punito, lo affl
l tripode. Apollo vi si oppose, combatterono tra loro ; nè si sa crò, che sarebbe avvenuto, se Giove non li avesse separati
, qualora non avesse filato béne, o avesse rottoil fuso (a). Narrasi, che Ercole, viaggiando con Onfale, si ritirò in una g
essi amendue dal sonno, si coricarono sopra due letti separati. Pane, che li avea veduti entrare nella grotta, preso dalla
ta. Onfale pel sussuro si svegliò anch’ella ; e acceso il lume, Pane, che si lagnava del dolore, cui soffriva, divenne sogg
fale poi regalò Ercole di molti doni, perchè egli uccise un serpente, che faceva grande strage appressò il fiume Sagari (c)
trage appressò il fiume Sagari (c). Altri dicono, ch’egli la sposò, e che n’ebbe un figlio, il quale da Diodoro Siciliano s
ui schiavitù appresso Onfale Ercole aveva distrutti molti malandrini, che infestavano la Lidia. Marciò pure contro i Cercop
atatasi per ogni parte ridusse, in cenere le membra e le ossa di lui, che intrepido già la disprezzava (b) (31). Dicesi, ch
e le ossa di lui, che intrepido già la disprezzava (b) (31). Dicesi, che la famosa Colomba d’oro, la quale conferiva agli
trovavano (d). L’Eroe aveva amato altresì Pirene, figlia di Bebrice, che regnava ne’ monti Pirenei. Ercole, preso dal vino
e Aniceto (c). In terra poi futono pressochè innumerabili gli onori, che questo Eroe ricevette. I Greci lo venerarono come
, ch’ Ercole stesso si aveva eretta la predetta Ara ; Virgilio vuole, che gliela abbia inalzata Potizio ; e Dionisio preten
gilio vuole, che gliela abbia inalzata Potizio ; e Dionisio pretende, che sia stata consecrata da Evandro (a). Filottete po
li si vedevano espresse le mentovate Fatiche d’Ercole. Alcuni dicono, che quelle colonne vennero ivi alzate per alludere al
Ionia, e giunse a’ lidi dell’ Esaro. Non lungi di là trovo la tomba, che racchiadeva le ceneri di un certo Crotone, uomo s
o poi della sera si fece da Potizio solo, perchè Pinario non v’arrivò che tardi. Ercole, irritato di tale negligenza, coman
non v’arrivò che tardi. Ercole, irritato di tale negligenza, comandò che Potizio e i di lui discendenti presiedessero a’ s
omandò che Potizio e i di lui discendenti presiedessero a’ sacrifizj, che annualmente gli si facevano in Italia sul monte A
fizj, che annualmente gli si facevano in Italia sul monte Aventino, e che Pinario e la stirpe di lui non v’assistessero, ch
monte Aventino, e che Pinario e la stirpe di lui non v’assistessero, che per servire in essi a’ Sacrificatori. Non sempre
divenne cieco. Si giudicò, ch’Ercole avesse così punito il disprezzo, che aveasi fatto de’ suoi sacrifizj (a). Ercole esorc
inato Cigno. Fillio prese ad amarlo, e si studiò di piacergli. Cigno, che cercava di liberarsene, dopo d’ averlo impegnato
i prendere vivo, e di condurre all’ altare di Giove un toro indomito, che faceva un orribile guasto in una vicina foresta.
ole restò liberato dalla fiamma d’amore, di cui ardeva per Cigno : lo che talmente avvilì l’oggetto da prima cotanto amato,
per Cigno : lo che talmente avvilì l’oggetto da prima cotanto amato, che si gettò nel lagò di Canopo, e venne convertito i
le frondi del medesimo erasi inghirlandato la fronte. Dicesi inoltre, che quando questo Eroe discese nell’ Inferno, la part
quando questo Eroe discese nell’ Inferno, la parte di quelle foglie, che toccava la di lui testa, si conservò candida, lad
eo, allorchè fosse divenuto capace di smuovete quel sasso. Converiva, che Egeo tenesse secreto il suo matrimonio a motivo d
idi, i quali aspiravano alla corona d’ Ateno. Pitteo quindi pubblicò, che il padre di Teseo era Nettuno(a). Crebbe il fanci
 ; ma tutti al vedere quella pelle si spaventarono, eccettuato Teseo, che strappò dalle mani di uno schiavo un’ascia, e cre
iò l’anzidetto sasso, e raccolse ciò, ch’eravi sottoposto. Fu allora, che la virtù e la gloria di Ercole lo animarono piucc
’ammirazione, ch’eccitavano in lui le gesta di quell’ Eroe, produceva che le imprese dello stesso gli si offerissero di not
spettava ch’ella si fosse colà ritirata, la chiamò a se, protestando, che non le avrebbe recato alcun male. La giovine si r
, figlio d’Eurito, re d’Ecalia(b). Teseo poscia fece strage del Toro, che , portato da Ercole ad Euristeo, da questo era sta
sopra un letto : se erano più lunghi di quello, ne tagliava la parte che sopravanzava ; se più corti, ve li riduceva alla
, erasi ritirata appresso Egeo, ed era divenuta di lui moglie. Colei, che aveva avuto qualche notizia di Teseo, tentò di fa
lo, ch’ella avea partorito in quella Reggia. Persuase quindi ad Egeo, che Teseo era uno straniero, venuto ad usurpargli il
uto ad usurpargli il dominio ; e composta una venefica bevanda, volle che il Re stesso ne porgesse il nappo al proprio figl
fico(a). Teseo, ritornato in Atene, la sottrasse al barbaro non meno, che ignominioso tributo, cui essa per la terza volta
, figlio di questo Monarca, per aver riportato il premio ne’ Giuochi, che andavano uniti alle Feste Panatence, talmente si
ce, talmente si tirò addosso l’invidia degli Ateniesi e de’ Megaresi, che coloro gli tesero insidie, e lo privarono di vita
rrestri e marittime, mosse guerra ad Egeo, e a Niso, di lui fratello, che regnava in Megara (10)(10). Gli Ateniesi, oppress
to da Dedalo (11) S’accorse appena l’ afflitto Dedalo di tale caduta, che , calato dall’ alto, cercò inconsolabile il caro f
resso di se l’ industre artefice, ma poi, temendo il furore di Minos, che glielo aveva ricercato, lo soffocò in un bagno(b)
Minos, che glielo aveva ricercato, lo soffocò in un bagno(b). Dicono, che le figlie di Cocalo diedero la stessa morte a Min
imanente del corpo rassomigliava alla figura d’uomo(13), nè si cibava che di carne umana(d). All’avvicinarsi il tempo del t
llevarsi. Teseo ganerosamente s’offerì d’essere anch’egli tra coloro, che la sorte destinava alla funesta spedizione. Prima
lla funesta spedizione. Prima di partire consultò l’Oracolo di Delfo, che gli commise di prendersi Venere per guida, e di s
i acquistò il nome di Epitragia(a). Non appena Teseo giunse in Creta, che se ne invaghì Arianna, figlia di quel re. Ella gl
ise il Minotauro(b). Plutarco(c), Pausania(d), e Callimaco(e) dicono, che Venere assistette Teseo, onde trionfasse dell’anz
sse dell’anzidetto mostro. Pausania poi soggiunge aver altri preteso, che lo abbia ajutato Diana, cui perciò Teseo eresse u
Trozene(f). L’Eroe condusse seco fuori del Labirinto anche gli altri, che erano stati spediti ad incontrare lo stesso funes
. Allora si portava anche d’intorno un ramo d’ulivo, coperto di lana, che si attaccava poi da un fanciullo sulle porte per
partivano, denominavasi Deliade o Teoride(17), ed era quello stesso, che avea trasportato in Creta Teseo e i di lui compag
ste non era permesso il punire reo alcuno (b). La Grue era una danza, che ogni anno facevasi dalle giovani Ateniesi nel tem
sie furono Feste, instituite da Teseo in onore di Nausiteo e Feacide, che eransi seco lui uniti in qualità di piloti nella
prima v’arrivava, si riputava il vincitore, aveva in premio un vaso, che conteneva vino, mele, formaggio, farina, e poco o
o, farina, e poco olio, ed offeriva il sacrifizio(g). Plutarco vuole, che queste Feste si celebressero in onore di Bacco e
ertato contrassegno. Vide la nave senza di quello ; nè più dubitando, che il figlio fosse già perito, disperato si precipit
se già perito, disperato si precipitò nel mare. Fu estremo il dolore, che ebbe a sentire, quando intese, ch’era morto il pa
lore, che ebbe a sentire, quando intese, ch’era morto il padre suo, e che egli n’era stato la cagione. Gli Ateniesi per con
eò un Consiglio, in cui trasmise tutta la sua autorità, nè si riserbò che il comando delle armi. Per tutte queste diverse i
e secondo alcuni fu uno degli Argonauti(b). Apollonio però soggiunge, che l’Eroe non poteva trovarsi a quella spedizione, p
ora era ritenuto nell’Inferno, come fra poco diremo. Vuolsi eziandio, che sia stato invitato da Ercole a combattere seco lu
che sia stato invitato da Ercole a combattere seco lui le Amazoni, e che dopo la sconfitta di quelle abbia introdotte le F
a del Cinghiale di Calidone(d). La fama delle di lui imprese fece sì, che egli venisse provocato a singolare tenzone da Pir
ono a faccia a faccia, l’uno restò siffattamente sorpreso dell’altro, che invece d’azzuffarsi si abbracciarono, strinsero f
ell’Inferno. Questo Eroe avea sposato Ippodamia, figlia di Atrace(f), che Omero chiama Laodamia(g), e Plutarco Deidamia(h).
fecero anche gli altri Centauri la stessa violenza alle altre donne, che loro venivano alle mani, o più piacevano. Vi rima
venivano alle mani, o più piacevano. Vi rimasero morti molti Lapiti, che si erano opposti all’attentato di coloro. Tra que
ù folta la turba de’ Centauri, ne uccise molti, e ricuperò Ippodamia, che per quel motivo acquistò anche il nome d’ Iscomac
adde tutto asperso di sangue, ed esalò lo spirito(23). Alcuni dicono, che i Lapiti gli tagliarono il naso, e le orecchie. A
agliarono il naso, e le orecchie. A vendicarlo si fece innanzi Farco, che , scavato da una rupe un macigno, tentò di scarica
to, esperto nel trattare l’ arco, ad Ippaso, di lunga barba, a Rifeo, che oltrepassava i più alti alberi, e a Tereo, assuef
to a predare orsi nelle tane della Tessaglia. Non sofferì Demoleonte, che Teseo progredisse più oltre negli avvenimenti fel
un annoso pino ; ma non potendo sveller. Io, lo scosse di tal fatta ; che cadde alla fine, dove il Centauro desiderava. Tes
anni assisteva ad una festa nel tempio di Diana Orzia(b). Fu allora, che l’ Eroe presso Ermione, città dell’ Istmo del Pel
ceneri di Teseo(b). Conone nel mezzo della città gli alzò un tempio, che divenne asilo a’ servi, e a tutti coloro, che da’
ttà gli alzò un tempio, che divenne asilo a’ servi, e a tutti coloro, che da’ più potenti venivano perseguitati : e ciò in
nacque Esaco(c) (2). Lo stesso re poi sposò Ecuba, figlia di Dimante, che regnava in un cantone della Frigia(d), o di Cisse
re di Salamina. Arrivato prima il giovane Trojano a Sparta, Menelao, che ivi regnava, lo accolse con dimostrazioni di sing
o ebbe a trasferirsi in Creta, e tanto seppe piacere a quella Regina, che la medesima, abbandonato il marito suo, fuggì sec
è fu combattuto dalle armi Greche, venne da molti difeso, Tra quelli, che accorsero ad ajutarlo, i più famosi sono Mennone,
le vista non potè frenare lo sdegno, rimproverò il Greco, come colui, che spietato avea fatto perire un figlio sugli occhi
uardato come il sostegno de’ Trojani ; e gli Oracoli aveano predetto, che l’ Imperio del di lui padre non si sarebbe potuto
). Questo Eroe trovò alla porta del Greco campo una pietra sì grande, che due de’ più robusti uomini avrebbono durato fatic
egli solo con tutta facilità lo fece, e la gettò contro quella porta, che ne rimase fracassata(c). Filostrato dice, che Ett
tò contro quella porta, che ne rimase fracassata(c). Filostrato dice, che Ettore, per rendersi robusto, erasi per lungo tem
strascinò col volto nella polvere intorno le mura di Troja, e comandò che fosse esposto ad essere cibo de’cani e degli avol
li avoltoi (b). Priamo allora, gettatosi a’ piedi di lui, lo supplicò che volesse rendergli il morto figlio ; e Achille, to
la avea condotta Neottolemo, figlio di Achille (e) (8) Pausania dice, che i Tebani di Beozia si vantavano d’aver trasportat
Ettore, perchè così avea prescritto ad essi un Oracolo, se volevano, che perpetuamente fosse felice il loro Imperio(a).
e di Ecuba. Questi anche prima di nascere fu conosciuto come quello, che doveva essere la rovina della sua pattia. Ecuba,
sere la rovina della sua pattia. Ecuba, rimasta di lui incinta, sognò che aveva partorito una faccola, la quale poi arse tu
dovini, consultati sopra tale sogno, ne presagirono tutti i disastri, che dovea cagionare il bambino, cui Ella era per dare
età, e invece lo fece allevare secretamente nella Frigia da’ Pastori, che abitavano sul monte Ida(b) (1). Paride, cresciuto
In differenti occasioni diede prove di giustizia ed equità sì grande, che i vicini Pastori a lui ricorrevano per decidere l
mi ; e Venere s’impegnò di renderlo possessore della più bella donna, che vi fosse stata al mondo. Paride diede il pomo a V
ore(d)), mal comportando di essere rimasto superato in quelli da lui, che non ancor erasi riconosciuto, voleva ucciderlo ;
ne, figlia del fiume Cebreno, e pastorella di straordinaria bellezza, che per dono di Apollo prediceva l’avvenire, e conosc
e cosè al marito, ch’erano per accadergli : tralle altre gli presagì, che se avesse combattuto contro i Greci, vi sarebbe r
combattuto contro i Greci, vi sarebbe rimasto mortalmente ferito ; e che allora sarebbe ritornato a lei per esserne risana
erito ; e che allora sarebbe ritornato a lei per esserne risanato, ma che sarebbe già riuscito vano il di lui ricorso(b). P
de andargli incontro lo stesso Menelao, fu sorpreso da tale spavento, che ben tosto si ritirò tra’ suoi. Rianimato da’ rimp
i(e) ; e Menestio, figlio di Areitoo e di Filomedusa(f). Dicest pure, che abbia dato la morte ad Achille per tradimento, co
studio per guarirlo ; ma ogni rimedio fu inutile, perchè la freccia, che lò colpì, era una di quelle ch’erano state avvele
. Dopo tali ed altre eroiche imprese fu in sogno avvertito da Ettore, che si salvasse colla fuga. Tuttavia la notte, in cui
uscì di città(5). Le fiamme lo rispettarono, e per non nuocere a lui, che aveva dimostrato tanta tenerezza pel genitore’e’
imostrato tanta tenerezza pel genitore’e’ l figlio, così si divisero, che gli lasciarono libero il passaggio(6). Ritiratosi
a. Volendo prima offerire sulla spiaggia agli Dei un sacrifizio, vide che gli arboscelli, i quali andava svellendo per orna
ngue. Udì inoltre un grido lamentevole di Polidoro, figlio di Priamo, che lo dissuadeva di trattenersi in quelle terre. Pol
va di trattenersi in quelle terre. Polidoro stesso gli narrò altresì, che Polinnestore avealo fatto secretamente morire. En
Nume Enea ricercò quale strada dovea intraprendere. Gli fu risposto, che si riducesse alle terre, popolate un tempo da’ su
gò quindi le vele alla volta di Creta, poichè Anchise allora ricordò, che Teucro, figlio del Cretese Scamandro, aveva dato
Poco dopo sopraggiunse la peste, e gli Dei Penati gli manifestarono, che il luogo della sua antica origine era l’Italia. A
il luogo della sua antica origine era l’Italia. Anchise si rammentò, che lo stesso eragli stato predetto anche da Cassandr
 ; e allora Celeno, la maggiore di quelli, chiaramente predisse loro, che non avrebbono potuto stabilirsi in Italia, se pri
gnava in quel tempo Eleno, figlio di Priamo. Questi dichiarò ad Enea, che sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso
di Priamo. Questi dichiarò ad Enea, che sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso nell’Inferno ; e che dove avrebbe
he sarebbe arrivato in Sicilia ; che sarebbe disceso nell’Inferno ; e che dove avrebbe trovato una scrofa con trenta figliu
dire ; ch’eglino giugnessero in Italia. Per riuscirvi chiese ad Eolo, che suscitasse una tempesta. Così fu ; e le navi di E
e le navi di Enea vennero spinte verso Cartagine, dov’egli fu motivo, che Didone, regina di quella città(11) si desse la mo
Il Trojano però si mantenne sempre costante nell’ubbidire al Destino che lo chiamava in Italia. Allora la Regina si abband
ra la Regina si abbandonò alla disperazione, pregò gli Dei Infernali, che Cartagine vendicasse un giorno siffatto oltraggio
o padre(15). In quel momento uscì dal sepolcuo d’Anchise un serpente, che girò interno alla stessa tomba, gustò di tutte le
di dissendere nell’Inferno par rivedere l’ombra d’Anchise(b). Sapeva che a’ viventi non era permesso il penetrarvi. Quindi
itandogli il ramo d’oro, di cui altrove abbiamo parlato, gli comandò, che lo svellesse dal tronco(17), giacchè con esso all
ezzo al cortile della Reggia di Latino, diede occasione di presagire, che in quella Reggià era per giungervi moltitudine di
ungervi moltitudine di forestieri. Da un altare uscì pure una fiamma, che cinse il capo di Lavinia, e poi si sparse per tut
il capo di Lavinia, e poi si sparse per tutto il di lei palagio : dal che si congetturò, che somma gloria, accompagnata per
e poi si sparse per tutto il di lei palagio : dal che si congetturò, che somma gloria, accompagnata però da guerre, era pe
lle sacrificate vittime, udì in sogno una voce, la quale lo avveriva, che sarebbe arrivato appresso di lui uno straniero, i
in tutto il mondo. Enea non molto dopo spedì a quel re ambasciatori, che ne ottenessero di essere accolti nelle di lui ter
, era lo straniero illustre, a lui predetto dagli Oracoli. Fu allora, che Giunone ricorse alla Furia Aletto, affinchè quest
Genio del Tevere non ostante comparve in sogno ad Enea, e lo accertò che quello era il paese, nel quale i Numi gli prepara
motivo delle di lui crudeltà(19). Enea con tali soccorsi e con armi, che Venere aveagli fatto lavorare da Vulcano, si avan
ennero subito da Giove cangiate in Ninfe marine ad istanza di Cibele, che ne avea la cura, perchè erano state formate sul m
mpagno, ch’ebbe Enea, si chiamava Acate(e). Enea in un combattimento, che incontrò poscia cogli Etrusci, vi perdette la vit
incontrò poscia cogli Etrusci, vi perdette la vita(25). Altri dicono, che , essendo caduto nel fiume Numicio, il di lui corp
l fiume Numicio, il di lui corpo non fu trovato ; e però si credette, che Venere lo avesse trasferito in Cielo. Sulla riva
gli si rendettero gli onori divini(f). Altri finalmente soggiungono, che Enea fu trovato nell’annidetto fiume ; e che come
finalmente soggiungono, che Enea fu trovato nell’annidetto fiume ; e che come ne fu estratto il corpo, quelle acque così s
e che come ne fu estratto il corpo, quelle acque così si diminuirono, che divennero una fontana(g). Agamenonne. Agam
’Atreo. Agamenonne con tali soccorsi perseguitò Tieste sì fortemente, che colui fu costretto a ritirarsi appresso l’altare
a ad Agapenore, figlio d’Anceo e re d’Arcadia (a) (2). Tra gli altri, che lo seguirono, i più rinomati sono Schedio, Ialmen
te, figlio di Testore, e però soprannominato Testoride(16), dichiarò, che ciò avveniva, perchè Diana era sdegnata con Agame
a ucciso una cerva, a lei consecrata. Proseguì Calcante a protestare, che conveniva placare l’anzidetta Dea coì sangue d’If
sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse appresso la moglie, che voleva sposare la figlia ad Achille. Giunta che f
e appresso la moglie, che voleva sposare la figlia ad Achille. Giunta che fu la giovine, col pianto comune venne accompagna
(e) ; Iperenore (f) ; Pisandro e Ippoloco, nati da Antimaco. Dicesi, che questi due a vista di Agamenonne tremarono di spa
Dicesi, che questi due a vista di Agamenonne tremarono di spavento, e che colle preghiere, colle lagrime, e colle offerte t
nel decimo anno rimase vittorioso anche de’Trojani(21). Nel riparto, che si fece tra’Greci Capitani, delle Donne Trojane,
sposa di Corebo(22), toccò ad Agamenonne. Costei gli aveva predetto, che non ritornasse al patrio suolo, perchè vi sarebbe
ccetta lo uccise. Altri dicono, ch’ella lo fece perire nel banchetto, che gl’imbandì, tostochè egli si rimise in patria (a)
e dalla sua presenza. Crise chiese ad Apollo vendetta di un affronto, che in lui ricadeva. L’armata de’Greci fu presa immed
nte da fiera pestilenza. Se ne interrogò Calcante ; e questi rispose, che quello era un castigo di Apollo, e che il Nume no
ò Calcante ; e questi rispose, che quello era un castigo di Apollo, e che il Nume nol avrebbe sospeso, qualora non si fosse
ante castigo (b). Agamenonne ebbe da Clitennestra un unico figliuolo, che si chiamava Oreste, e tre figlie, Ifigenia, Elett
, lo Scoliaste d’Omero (b) e lo Scoliaste d’Euripide (c) soggiungono, che essi erano realmente nati da Plistene, ma che, es
ripide (c) soggiungono, che essi erano realmente nati da Plistene, ma che , essendo quegli morto giovine, furono allevati da
i lo tennero come una Divinità, gli offerirono sacrifizj, e preteseto che il medesimo operasse dei prodigi. Crearono un Sac
reteseto che il medesimo operasse dei prodigi. Crearono un Sacerdote, che ne presiedesse al culto, e lo tenesse in propria
monie si trasferiva ad altro sacro Ministro (d). Omero poi soggiunge, che il mentovato scettro era stato lavoro di Vulcano 
poi soggiunge, che il mentovato scettro era stato lavoro di Vulcano ; che questo Nume lo avea regalato a Giove, che Giove n
a stato lavoro di Vulcano ; che questo Nume lo avea regalato a Giove, che Giove ne fece un dono a Mercurio ; da cui passò a
lo fece secretamente trasferire per sottratlo al furore di sua madre, che altrimenti lo avrebbe ucciso, come ne avea fatto
appresso Clitennestra, la uccise con Egisto (b). Euripide poi vuole, che Oreste abbra privato di vita Egisto nel tempio d’
o d’ Apollo, mentr’egli stava esaminando le interiora d’una giovenca, che avea sacrificato. Lo stesso Poeta soggiunge, che
iora d’una giovenca, che avea sacrificato. Lo stesso Poeta soggiunge, che Oreste andò poscia in traccia di Clitennestra, e
de stento avea ottenuto di poter togliersi da se la vita ; ma Apollo, che gli aveva comandata l’uccisione della di lui madr
llo, che gli aveva comandata l’uccisione della di lui madre, fece sì, che i di lui, concittadini si contentassero solamente
tò al giudizio dell’ Areopago. I voti di quello erano divis. Minerva, che aveva pure il diritto di darvi il suo, si dichiar
onorò Minerva Area coll’innalzarle sulla collina di Marte il tempio, che abbiamo indicato(3). Nè contento di essere stato
gli tutti i giorni veniva purificato, e poi si sotterrava tutto quel, che avea servito a di lui uso. Altri Scrittori pei vo
to quel, che avea servito a di lui uso. Altri Scrittori pei vogliono, che non ostante l’anzidetto giudizio dell’ Areopago l
reste ricorse di nuovo all’ Oracolo di Delfo ; e il Nume gli promise, che ne rimarrebbe liberato, qualora avesse trasportat
se all’impresa. Questa era assai pericolosa, perciocchè i forestieri, che arrivavano colà, si devono sacrificare, come si è
nti la sua situazione. Propose quindi di salvare uno di loro a patto, che promettesse con giuramento di recare una lettera
promettesse con giuramento di recare una lettera in Argo. Allora fu, che nacque generosa gara tra gli amici per determinar
ia finalmente, pregata da Oreste, diede il foglio a Pilade. E temendo che quello potesse andare smarrito, gliene manifestò
do di rapire il simulacro della Dea, e di fuggirsene. Ifigenia finse, che i due stranieri, carichi di delitti, avessero col
loro presenza contaminato il tempio e il simulacro della Dea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva purificare sì que
ea ; disse, che prima di sacrificarli conveniva purificare sì quelli, che il simulacro nel mare ; e che a questa ceremonia
ficarli conveniva purificare sì quelli, che il simulacro nel mare ; e che a questa ceremonia non doveva assistere alcuno. C
i Menelao unì il regno di Spasta a quello d’Argo e di Micene. Dicesi, che sia morto d’una puntura di serpente, mentre viagg
ggiava per l’ Arcadia. Lasciò successore al trono il figlio Tisameno, che avea avuto da Ermione. (a). Pausania soggiunge, c
figlio Tisameno, che avea avuto da Ermione. (a). Pausania soggiunge, che gli Spartani, avendo ricevuto ordine dall’ Oracol
rta. Paride, come si è raccontato, gliela rapì. Menelao nella guerra, che per tale ragione si suscitò tra’Greci e i Trojani
la Greca Nazione ; ma poi al solo vedere Menelao talmente si atterì ; che si ritirò appresso i suoi. Ritornato al campo, sa
o finalmente amendue a singolare tenzone. Erasi proposto da Antenoré, che Elena e le ricchezze di lei fossero del vincitore
Questi voleva immolarla al suo risentimento, e alle ombre di coloro, che per causa di quella guerra erano periti ; ma cole
guerra erano periti ; ma colei seppe così bene perorare a sua difesa, che placò il marito, e ne fu rìcondotta a Sparta(f) (
e ne fu rìcondotta a Sparta(f) (1) (2). Quivi però non giunse Menelao che dopo otto anni, attesochè, partendo da Troja, ave
lei padre la maniera di restituirsi alla sua patria. Ella lo avvertì, che per farlo parlare, conveniva sorprenderlo addorme
arlo parlare, conveniva sorprenderlo addormentato, e legarlo in guisa, che non potesse fuggire. Menelao prese seco tre de’pi
elao quelle notizie, delle quali era ricercato(a). Erodoto riferisce, che Menelao appresso gli Egiziani si dimostrò molto b
nza. Sì orrida barbarie talmente lo rendetre odioso a tutto l’Egitto, che fu costretto a ritirarsi nella Libia(b). Menelao
muovere guerra a’Trojani, Tetide, la quale avea inteso da un Oracolo, che Achille sarebbe perito, se fosse intervenuto a qu
le aspetto e la bellezza del giovine talmente favorirono la finzione, che niuno seppe ravvisarlo. Dìmorando in quell’Isola,
celato agli occhi altrui. Tralle Fatalità di Troja, ossia tralle cose che doveano succedere, primachè quella città potesse
chè quella città potesse essere presa dalle armi nemiche, eravi pure, che i Greci non ne avrebbono mai trionfato, qualora t
le armi di ogni sorta. Tutte le giovani si scelsero le galanti merci, che più loro piacevano. Il solo Achille, sdegnando pe
lata Tetide nel vederlo a partire, gli procurò da Vulcano delle armi, che noa potevano essere abbattute da forza emana(b).
io di Ercole, e d’Auge, e re de’Misj ; perchè egli tentava d’impedire che i Greci passassero per le sue terre(6). Non trova
ire che i Greci passassero per le sue terre(6). Non trovavasi rimedio che guarisse quella ferita, quando Telefo venne final
uella ferita, quando Telefo venne finalmente instruito dall’ Oracolo, che lo avrebbe potuto risanare soltanto quell’arma st
’ Oracolo, che lo avrebbe potuto risanare soltanto quell’arma stessa, che lo avea colpito. Il re pertanto si riconciliò con
za co’ Greci, e seco loro marciò contro i Trojani(a). Claudiano dice, che Achille lo guari con un’erba, detta poi dal nome
Privò di vita Demuco, figlio di Filetore(b) ; Ennomo, celebre augure, che comandava i Misj(c) ; Laogono e Dardano, figliuol
n Pentesilea, regina delle Amazoni, la quale era di valore sì grande, che uguagliava i più celebri combattenti ; e che alla
era di valore sì grande, che uguagliava i più celebri combattenti ; e che alla testa di numerosa gente erasi portata in soc
(8), e nello spogliarla della sua armatura la osservò talmente bella, che ebbe dispiacere d’averla uccisa(e). Secondo un’an
ecolei, e ne avea avuto un figlio, di nome Caistro. Tersite, veggendo che Achille spandeva lagrime sol corpo di quell’Eroin
sol corpo di quell’Eroina, sgridò la di lui debolezza sì aspramente, che Achille con un pugno lo uccise(9). Achille mise p
tuno. Il corpo di colui era invulnerabile ; però Achille, osservando, che ogni suo colpo riusciva vano contro di quello, sc
o contro di quello, scese dal carro, e colla spada investì il nemico, che con intrepida fronte gli stava dinanzi. Il ferro
ora col manico della spada ammaccò la faccia e le tempie del nemico, che già cedeva e vacillava. Il vederlo avvilito e dep
liarlo delle armi, quando Nettuno trasformò Cicno in bianco volatile, che ritenne il suo primiero nome(b). Dopo questa memo
ca(a). Il non trovarsi più Achille a guerreggiare tra’suoi faceva sì, che gli affari loro andavano di male in peggio, talme
ro andavano di male in peggio, talmentechè Agamennone era d’opinione, che si spiegassero le vele a’venti, e si prendesse la
ace, Ulisse, e Fenice, figlio d’Amintore, re de’Dolopi, nell’Epiro, e che dopo Chirone era stato di lui precettore(10). Que
orioso. La morte finalmente di Patroclo soffocò in Achille lo sdegno, che nutriva contro Agamennone ; si riconciliò con lui
Greco nel voler impossessarsi di quella giovine ; ma gli Dei fecero, che la terra si aprisse, e la ingojasse(d). Achille s
campo un pomo. Eranvi scritti due versi, co’quali ella lo avvertiva, che ancor per poco avesse sofferenza, giacchè Ia di l
mancanza d’acqua. L’Eroe approfittò dell’avviso ; e quegli abitanti, che morivano di sete, non molto dopo gli aprirono lo
ma poi lungi dal mantenerla, ebbe tale orrore del tradimento di lei, che dopo d’aver conquistato Metimne, comandò a’suoi s
di lei, che dopo d’aver conquistato Metimne, comandò a’suoi soldati, che lapidassero la giovine in pena del suo delitto(b)
crittori sul fine d’Achille. La maggior parte però di loro asserisce, che Paride lo privò di vita. Allorchè Priamo andò a r
attato il tempio, eretto ad Apollo in Timbra. Non appena v’entrarono, che Paride, il quale erasi nascosto dietro la statua
iede, la quale non era stata bagnata dallo Stige(a). Ovidio poi dice, che Nettuno, sdegnato per la morte del suo figliuolo,
del suo figliuolo, Cicno, concepì implacabile odio contro Achille, e che pregò Apollo a prenderne vendetta. Il Nume, velat
e di lui Achillea (c), mentre prima si chiamava Lence(a). Plinio dice che colà non videsi mai volare alcun uccello(b). Essa
inse Ulisse, e a lui quindi fu la giovine accordata(d). Altri dicono, che la conseguì mediante il maneggio di Tindaro(4), i
quella guerra. Tralle varie stravaganze, le quali fece allora, dicesi che abbia preso a lavorare l’arena del mare con aratr
arena del mare con aratro, tirato da due animali di diversa spezie, e che in vece di grano sia andato seminandovi del sale.
alamede però, figlio di Nauplio, re dell’Isola d’Eubea(5) sospettando che non fosse vera la di lui pazzia, tolse dalle mani
ui, concepì fin da quel momento il pensiero di farlo perire. Avvenne, che Ulisse fu inviato da’ suoi nella Tracia per ripor
era di Priamo, in cui quel re ringraziava Palamede de’segreti avvisi, che aveagli dati, e gl’indicava la grossa somma di da
enza di tutto il Greco esereito venne lapidato(b) (6). Pausania dice, che Ulisse e Diomede annegarono Palamede, il quale st
tissimo a’ Greci nel tempo della guerra Trojana sì co’ suoi consigli, che col suo valore. Egli insieme con Diomede tolse a’
il quale erasi recato da Abido a difendere Troja(d). Sapeva altresì, che non poteasi vincere la città nemica, quando non s
e non poteasi vincere la città nemica, quando non si avesse impedito, che Reso, re di Tracia, si fosse unito a’ Trojani, e
avesse impedito, che Reso, re di Tracia, si fosse unito a’ Trojani, e che i di lui cavalli, di valore inestimabile, avesser
crarono, e parte ne misero in fuga. Privarono di vita lo stesso Reso, che dormiva, e ne condussero via i cavalli(a) (7). Ul
, e Molione, Principe Trojano, e cocchiero di Timbreo, altro Trojano, che perì sotto Diomede, figlio di Tideo(c). Privò pur
Noemone, e Pritani(e). Gli Auguri inoltre aveano dichiarato a’ Greci, che non mai avrebbono abbattuto la Trojana potenza, q
ll’Isola di Lenno, e da di là ricondusse al Greco campo Filottete(8), che adirato contro i Greci, perchè ivi lo aveano abba
asca, per cui videsi trasportato a quella parte della costa d’Africa, che abitavano i Lotofagi, così detti dal frutto, Loto
accolto da quelle genti molto cortesemente ; ma i compagni di lui, da che si cibarono dell’anzidetto frutto, perdettero del
o del tutto il desiderio di rivedere la loro citta ; e però fu d’uopo che Ulisse usasse molta forza per farli ritornare all
i carri, tirati da robusti buoi. Il Ciclope allo splendore del fuoco, che v’accese, s’avvide di que’forestieri, e due subit
si chiamava Niuno. E Niuno, soggiunse Polifemo, sarà dunque l’ultimo che mangierò. Il sagace Ulisse allora gli porse un ot
nno s’impadronì del Ciclope, il Greco Eroe piantò l’anzidetta stanga, che avea nascosto sotterra, nel di lui occhio. Polife
ui caverna, ansiosi di sapere, perchè così si dolesse. Colui rispose, che Niuno era la cagione de’ suoi mali. A tale rispos
isposta i di lui compagni lo eccitarono a pregare Nettuno, suo padre, che lo soccorresse. Non molto dopo il Ciclope, altame
animali, vennero fuori dell’antro, e ritornarono agli altri compagni, che li attendevano nelle navi. Il Ciclope allora all’
i, che li attendevano nelle navi. Il Ciclope allora all’udire Ulisse, che da lungi lo beffeggiava, svelse una cima di monte
, lasciò a’ suoi compagni il governo del naviglio. Queglino, credendo che nell’anzidetto otre vi si trovasse dell’oro, lo a
aprirono. Ne uscirono tosto con furore e veemenza sì grande i venti, che i Greci ne vennero spinti un’altra volta all’Isol
Eroe dopo sette giorni alla spiaggia de’ Lestrigoni, popoli selvaggi, che Omero denomina antropofagi, cioè mangiatori d’uom
la città di coloro si abbatterono i compagni d’Ulisse in una giovine, che andava ad attignere acqua alla fontana d’Artacia.
resso la Regina. Al vederlasi raccapricciarono, poichè era sì grande, che rassomigliava ad alta montagna. Colei chiamò il m
ì grande, che rassomigliava ad alta montagna. Colei chiamò il marito, che divorò subito uno di que’ Greci. I sudditi d’Anti
ose al saluto de’Greci, ma nello stesso tempo porse loro una bevanda, che li cangiò in porci. Uno solo di loro, chiamato Eu
gli diede un antidoto contro gl’incanti di Circe. Esso fu una pianta, che aveva nera la radice, e bianchi i fiori. Gli Dei
ntrò Ulisse con quella, e senza timore bevette alla tazza avvelenata, che Circe aveagli tosto offerto. Colei altresì stava
e le delizie, ma poi risolse d’abbandonare quel soggiorno. Prima però che partisse, Circe, come abbiamo detto anche altrove
o alla patria, e quanto dovea temere per causa dell’odio implacabile, che Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male,
dio implacabile, che Nettuno contro di lui nutriva a motivo del male, che avea fatto a Polifemo, suo figlio(b). Ritomato Ul
di quelle. Egli stesso si fece legare all’albero della nave, eordinò che niun riguardo si avesse a lui, quando avesse rice
e, eordinò che niun riguardo si avesse a lui, quando avesse ricercato che lo sciogliessero. In tal modo evitò anche quel pe
ollera : le pelli di quegli animali si misero a camminare ; le carni, che si arrostivano, cominciarono a muggire ; e quelle
re ; le carni, che si arrostivano, cominciarono a muggire ; e quelle, che ancor erano crude, risposero a que’muggiti. I Gre
a, ma egli non mai v’acconsentì. Minerva finalmente ottenne da Giove, che Mercurio dichiarasse a Calipso essere volere degl
li due giorni e due notti ; e poscia Minerva mandò un vento propizio, che lo trasportò al paese de’Feaci, i quali abitavano
, i quali abitavano l’Isola di Corcira(a). Quì signoreggiava Alcinoo, che soleva ricolmare di favori qualsivoglia straniero
a di Alcinoo, si portò ivi a lavare alcuni panni. Il Greco al rumore, che colei colle sue serve faceva, si destò, e present
ma, le espose la trista sua sventura. Ella lo consolò, e assicurollo, che niente gli sarebbe mancato nel luogo, in cui si t
rovarsi in diversi giuochi. Laodamante, figlio del predetto re, volle che vi fosse ammesso anche Ulisse, e questi vi rimase
dagli stessi Feaci fu trasferito in Itaca(c) (17). Neppure uno vi fu, che lo riconoscesse, poichè Minerva, i aveva cangiato
improvviso cangiamento, non osava di mirarlo in volto, perchè credeva che fosse un Nume. Disingannato finalmente, narrò al
obili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise al figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e che a niuno manife
ua casa. Ulisse commise al figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e che a niuno manifestasse il di lui arrivo(19). Egli p
Giunto al suo palagio, venne tosto riconosciuto da uno de’suoi cani, che portava il nome di Argo. Là i Nobili erano allora
ma si chiamava Iro, perchè era eccellente nel portare le ambasciate, che gli si commettevano. Costui insultò ad Ulisse, e
scia parlò a lungo con Ulisse senza mai conoscerlo(20). Ella comandò, che gli si lavassero i piedi, come soleasi praticare
niero. La vecchia Euriclea, nutrice d’ Ulisse, lo fece ; e fu allora, che lo riconobbe da certa cicatrice, rimastagli da un
enti ricerche de’suoi amanti, propose loro un giuoco, in cui promise, che chi vi sarebbe rimasto vincitore, avrebbe avuto i
, lo tese, e vinse nel giuoco(a). Allora si spogliò l’ Eroe de’cenci, che lo cuoprivano, armò la destra d’arco e di faretra
aretra, e contro gli amanti di sua moglie tali scoccò e tante frecce, che li fece tutti perire(21), nè altri lasciò in vita
tante frecce, che li fece tutti perire(21), nè altri lasciò in vita, che il cantore Femio, e Medone. Neppure la risparmiò
senza conoscerlo lo trafisse con una lancia(e). Ditti Cretese disse, che ciò avvenne alla porta del palagio d’Ulisse, le d
ato l’ingresso a Telegono(a). Ulisse si ricordò allora di un Oracolo, che lo aveva avvertito di guardarsi da un suo figliuo
ardarsi da un suo figliuolo. Ei tuttavia volle sapere chi era quello, che lo aveva ferito, e morì tralle di lui braccia. Te
a per ordine di Minerva sposò Penelope, e la rendette madre d’ Italo, che diede il suo nome all’Italia(b). Ulisse poi dopo
Italia(b). Ulisse poi dopo morte fu amoverato tra’Semidei(c). Dicesi, che desse Oracoli agli Euritani, popoli dell’Eolia(d)
asse meglio di lui l’asta(a) ; e con tanta destrezza muoveva le mani, che d cevasi averne tre(b). Era altresì agilissimo al
ro di lui lo sdegno degli uomini, e perfino degli Dei. Ulisse voleva, che fosse lapi dato ; e Ajace avrebbe per certo soggi
certi scogli, ma avendo poi osato d’ivi insultare agli Dei, dicendo, che loro malgrado avea schivato il periglio, l’anzide
n mare, seco vi trasse anche lui, e lo fece perire(a). Virgilio dice, che Minerva lo colpì con un fulmine, e che fattolo ra
fece perire(a). Virgilio dice, che Minerva lo colpì con un fulmine, e che fattolo rapire da un turbine in aria, lo attaccò
taccò ad uno scoglio(b). Nè contenta di tale vendetta, fece altre sì, che poco tempo dopo la peste desolasse il di lui regn
oja(c). Que’ di Locri ebbero sì alta stima del valore d’ Ajace Oileo, che nel combattimento, il quale ebbero dopo la di lui
feriro nel petto dall’ombra dello stesso Ajace, nè potè sisanarsene, che dopo aver placato quell’ Eroe, come aveagli detto
endo afflitto Telamone, perchè non avea alcun figliuolo, pregò Giove, che gliene cedesse uno. Il Nume comparve sotto la fig
cedesse uno. Il Nume comparve sotto la figura aquila, e gli annunziò, che Telamone avrebbe il bramato figlio. Così avvenne 
bumbino, Ercole lo fasciò eolla pelle dell’ucciso I eone di Nemea lo che rendette il fanciullo invulnerabile in tutto il c
lla volta di Troja, e si qualificò per uno de’più valorosi guerri ri, che vi fossero nella Greca armata. Uccise Anfio, figl
di battersi con Ettore ma il conflitto restò interrotato dalla notte, che sopravvenne. L’uno e l’altro allora così si ammir
la notte, che sopravvenne. L’uno e l’altro allora così si ammirarono, che reciprocamente si fecero dei regali. Ajace riceve
e cadere vittima delle proprie mani. Egli, morto Achille, pretendeva, che sue fossero le armi di lui. Ulisse gliele contras
o, e le ottenne a confronto di lui. Ajace si accese di tanta collera, che divenne furioso. Si avventò contro una greggia di
itornato poi in se, e confuso sì pel furore, a cui erasi abbandonato, che per la vendetta fallita e derisa, tanto se ne cru
bbandonato, che per la vendetta fallita e derisa, tanto se ne cruciò, che preso nuovamente da brutale ferocia, imbrandì la
e cruciò, che preso nuovamente da brutale ferocia, imbrandì la spada, che aveva avuto da Ettore, e ritiratosi in solitario
in solitario luogo, si diede con essa la morte(a). Altri pretendono, che Ajace volendo per se il Palladio, tolto a’ Trojan
io, tolto a’ Trojani, minacciò d’uccidere que’ Capitani dell’ armata, che lo avevano in vece dato ad Ulisse ; ma Ajace il d
e il dì seguente si trovò morto nella sua tenda(b) (4). Altri dicono, che Ajace, combattendo contro Paride, ne riportò una
ostrarono tanto solleciti di tramandare a posteri la memoria d’Ajace, che ad una delle loro Tribù imposero il nome di Ajant
i, cangiato in cigno. Così avvenne ; e Giove si ritirò appresso Leda, che dopo tal fatro partorì un uovo, e da esso nacquer
o, e da esso nacquero Castore, Polluce, ed Elena. Alcuni soggiongono, che colei diede alla luce non uno, ma due uova, dall’
e, e dall’altro Elena, e Clitennenestra. Altri finalmente pretendono, che Leda abbia concepito per opera di Giove un solo u
a di Giove un solo uovo, da cui trassero origine Polluce ed Elena ; e che Tindaro poi abbia fitto divenire Leda madre di Ca
orella, Elena, ch’era stata rapita da Teseo ; e venuti in cognizione, che colei trovavasi in Afidna(2), assaltarono quella
fece morire Castore, e Polluce privò di vita Ida(a). Apollodoro dice, che Castore e Polluce si erano unin con Ida e con Lin
Polluce si erano unin con Ida e con Linceo per rubare certi greggi ; che questi, eseguito il furto, ricusarono di farne pa
e questi, eseguito il furto, ricusarono di farne parue con quelli ; e che perciò nacque l’anzidetto vicen devole omicidio(b
e perciò nacque l’anzidetto vicen devole omicidio(b). Alcuni dissero, che Polluce virimase ucciso ; ma comunemente si rifer
i dissero, che Polluce virimase ucciso ; ma comunemente si riferisce, che Polluce, il quale per essere figliuolo di Giove e
are tale privilegio anche all’estinto fratello ; ch’egli ottenne ciò, che ricercò ; e che quando uno di loro moriva, l’altr
gio anche all’estinto fratello ; ch’egli ottenne ciò, che ricercò ; e che quando uno di loro moriva, l’altro rinasceva(c).
nefici, conservatori, perchè quando presero Afidna, non vollero però, che quella città avesse a sofferire alcun danno dalle
, e sempre battute da’ flutti del mare, si conservavano immobili : lo che risguardavasi come un perpetuo prodigio(b). Agli
ità(c) (6). Si tennero in grande venerazione anche appresso i Romani, che li riconobbero come loro Divinità tutelari, e fab
ia chiamavasi il tempio di Castore. Aulo Postumo Dittatore fece voto, che se avesse potuto trionfare de’ Latini, i quali si
ci Polideuce(b). Castore e Polluce si rappresentano come due giovani, che d’ordinario starmo a cavallo, con berretta in tes
o, uniti fra loro co’ vincoli della più stretta amicizia, meritarono, che Castore e Polluce cagionassero la rovina de’ loro
o tali sembianze comparvero all’ improvviso nel campo degli Spartani, che celebravano la Festa de’ Dioscori. Quelle genti c
tani, che celebravano la Festa de’ Dioscori. Quelle genti credettero, che fossero i Discori stessi, discesi a godere delle
ero, che fossero i Discori stessi, discesi a godere delle allegrezze, che si facevapo a loro onore. Panormo e Gonippo lasci
legrezze, che si facevapo a loro onore. Panormo e Gonippo lasciarono, che gli Spartani si accostassero ad essi, e ne uccise
e uccisero un gran numero. Per causa di sì reo tradimento ne avvenne, che Castore e Polluce fecero poi e sperimentare a tut
lto sotte le rovine della sua stanza. All’ opposto un certo Simonide, che aveva formato l’elogio delle stesse Divinità, ne
insidie di un suo genero. A fine dunque di liberarsi da tutti quelli, che gliela ricercavano in moglie, propose di darla a
carro, tirato da velocissimi cavalli ; e nello stesso tempo dichiarò, che la morte sarebbe la pena del vinto(2). Lo spazio
to. Chi aspirava al possesso d’Ippodamia, doveva precederne il padre, che lo inseguiva con un’asta alla mano(d) (3). Pelope
ati(b). Mirtilo, corrotto dalle generose promesse di Pelope, fece sì, che Enomao precipitò dal carro, e ne rimase ferito a
di morire espresse varie imprecazioni contro Mirtilo, e tralle altre, che restasse ucciso da Pelope. Avvenne, che essendo I
ntro Mirtilo, e tralle altre, che restasse ucciso da Pelope. Avvenne, che essendo Ippodamia molestata dalla sete, Pelope si
quale mare prese pol il nome di Mirtoo(d) (6). Istro lasciò scritto, che Mirtilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli
Mirtoo(d) (6). Istro lasciò scritto, che Mirtilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli Ippodamia in moglie ; e che perci
tilo era uomo bellicoso ; che pretendeva egli Ippodamia in moglie ; e che perciò essendo venuto alle mani con Pelope, ne re
lle mani con Pelope, ne restò vinto(e). Altri finalmente soggiungono, che Pelope gettò in mare Mirtilo, perchè questi con g
premio dell’operato tradimento(f). Pelope così ampliò il suo dominio, che tutto il paese, il quale era al di là dell’Istmo,
inano Atreo, Tieste(7), Alcatoo(8), e Crisippo. Il fine di Pelope fu, che il padae suo, come già abbiamo detto, lo fece in
spazio di terreno vicino al tempio di Giove in Olimpia. Si aggiunge, che quell’ Eroe gli sacrificò un montone nero sopra u
nge, che quell’ Eroe gli sacrificò un montone nero sopra una fossa, e che i Magistrati si recavano nel medesimo luogo a far
a)nominata Epicastà. L’Oracolo d’Apollo Delfico avea predetto a Lajo, che il figliuolo, il qualegli nascerebbe, lo avrebbe
di sospenderlo in vece ad un albero sul monte Citeroné. Sorte volle, che aliro pastore, di nome Forba, per là passando, od
fattole dagli Dei, gli si affezionò ; lo fece allevare non altrimenti che se fosse stato suo figliuolo, e gl’impose il nome
libo. Consultò l’Oracolo per sapere, qual’era il suo padre, e ne udì, che lo avrebbe trovato nella Focide. Intraprese quind
in cui era insorta tra quegli abitanti forte sedizione, uccise Lajo, che procurava di sedarne il tumulto(a) (1). Creonte,
be la propria corona, e darebbe eziandio in moglie Giocasta a quello, che avesse liberato la di lui città dalla Sange. Ques
. Tra i varj enimmi si fa menzione di questo : qual’ è quell’animale, che la mattina ha quattro piedi, due sul mezzodì, e t
ebano suolo desolatrice peste. Se ne consultò l’Oracolo, e se ne udì, che il crudele flagello non sarebbe cessato ; finchè
ne fece subito le più diligenti perquisizioni, e dal Pastore stesso, che lo avea salvato sul monte Citerone, seppe ch’egli
uccisore. Inorridì, il re a tale racconto, e molto più quando intese, che Giocasta era sua madre(c). E perchè costei pel do
Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e sì arrogante, che si credeva piucchè uomo(a). Egli voleva scalare l
ebe. Gli abitanti di quella città gli scagliarono contro tanti sasti, che rimase sepolto sottò di quelli. Immaginarono quin
tà, quand’anche Giove, e qualsisia altro Nume gli si fosse opposto, e che in pena di tanto ardire Giove lo avesse colpito c
i fulmini(b). Fu quindi considerato anche dagli uomini come un empio, che avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo
osato Evadne, figlia d’Ifide. Colei fece conoscere l’eccessivo amore, che nutriva per lui, e diede di se medesima un grande
arao Anfiatao fu figliuolo d’Ecleo e d’Ipermnestra(f). Altri dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Mela
i dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Melampo, e che per altro sia stato creduto figlio d’Apollo, perc
de’ sogni, come altri riferiscono. La sua scienza gli fece prevedere che sarebbe operito nella guerra Tebana. Per sottarse
, di uccidere Deifile, tostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi, che il primo giorno, in cui Anfiarao erasi portato al
s’avvide d’un sottoposto precipizio, e vi perì(c). Altri pretendono, che mentre con tutta fortezza combatteva, la terra si
hiere(d). Egli dopo morte fu ascritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ A
ritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ Attica gli eressero un magnifico
timazione, ed era annoverato tra’ principali della Grecia(g). Coloro, che lo consultavano, doveano prima digiunare per lo s
dormivano poi sulle pelli delle vittime ancor fomanti, e attendevano, che il Nume dicifrasse loro in sogno gli eventi dell’
sogno non presentava facilmente la spiegazione a’ ministri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
o eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitt
ume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, ch
e sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, che Erifile aveva ricevuto da Adrasto in dono. Non po
in dono. Non potendo poi trovare appresso Fegeo l’opportuno rimedio, che lo liberasse dal furore, ond’era oppresso, per co
ava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove, che i di lei piccoli figliuoli, avuti da Alcmeone, di
figliuoli, avuti da Alcmeone, divenissero in un istante così grandi, che avessero potuto effettuare ciò, ch’ella bramava.
tura, uccisero il serpente, salvarono, Ipsipile dalle mani di Licurgo che voleva farla morire, abbruciarono il cospo di que
,(8). Tideo per ordine di Adrasto si portò ad Eteocle, e ne esigette, che cedesse la corona al suo fratello, Polinice. Eteo
strada, per cui quegli dovea ritornarsene in Argo, cinquanta armati, che lo privassero di vita. Capi di coloro furono Meon
Autofono. Tideo, assistito da Pallade, se ne difese con tanto valore, che non lasciò vivi di coloro, se non Meone, affinchè
e. Eccocle del pari distribuì i suoi più valorosi guerrieri in guisa, che da ogni parte potesse difendersi nello stesso tem
fine la mentovata guerra. Dieci anni dopo i figliuoli di quegli Eroi, che in quella erano periti, presero nuovamente Ie arm
rao, cinsero Tebe d’assedio. Eglino furono detti Epigoni, voce Greca, che significa nati dopo (e). Tra loro molto si distin
neo(a). I Tebani finalmente restarono vittoriosi mercè il sacrifizio, che fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predet
e fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predetto a quelle genti, che felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici,
scì colla spada alla mano, e se la immerse nel seno a vistandi tutti, che ammirarono la generosità di lui, il quale preseri
rcole, guerreggiavano contro gli Orcomenj. L’Oracolo avea annunziato, che la vittoria sarebbe stata pe’ Tebani, se il citta
opo la morte di Eteocle sul di lui trono, proibì sotto pena di morte, che fossero sepolti gli Argivi, rimasti morti in quel
sti morti in quella guerra, e perfino lo stesso Polinice, come quello che n’era stato il promotote(10). Argia, vedova di Po
morire Argia, e condannò. Antigona ad essere sepolta viva. Fu allora, che Ismene, sua sorella, corse ad incontrare lo stess
però non soggiacque alla bramata pena, perchè Antigona accertò il re, che la sua sorella non avea avuto secolei parte alcun
l bene. I Greci diedero alla Virtù il nome di Arete. I Poeti finsero, che fosse figliuola di Prassidice, altra Dea, che mos
Arete. I Poeti finsero, che fosse figliuola di Prassidice, altra Dea, che mostrava agli uomini i giusti limiti, entro a’qua
vo tempio, il quale era sì unito con un altro, fabbricato all’ Onore, che non si poteva penetrare in questo, se non si pass
non si poteva penetrare in questo, se non si passava per quello : con che voleasi esprimere, che la vera ed unica via di pr
in questo, se non si passava per quello : con che voleasi esprimere, che la vera ed unica via di procacciarsi onore è la v
a medesima veniva figurata in quello qual regina, di pallido aspetto, che teneva le virtù sotto i suoi piedi(a). La Virtù
e una corona d’alloro, o una palma, perchè l’uno e l’altra, in quanto che sempre verdeggiano, danno a divedere, che non alt
l’uno e l’altra, in quanto che sempre verdeggiano, danno a divedere, che non altrimenti la Virtù è in ogni tempo la medesi
i da veruna avversità abbattuta. Prudenza. La Prudenza è virtù, che fa conoscere od operare ciò, che conviene. Le sag
Prudenza. La Prudenza è virtù, che fa conoscere od operare ciò, che conviene. Le saggie direzioni e misure, che prend
conoscere od operare ciò, che conviene. Le saggie direzioni e misure, che prende il Prudente per guardarsi da quel, che pot
gie direzioni e misure, che prende il Prudente per guardarsi da quel, che potrebbe nuocerlo, e per seguire quel, che può gi
nte per guardarsi da quel, che potrebbe nuocerlo, e per seguire quel, che può giovargli, vengono espresse dal Compasso e da
he può giovargli, vengono espresse dal Compasso e dall’ Archipenzolo, che questa Virtù tiene nella, destra. E’pur necessari
ace. Davansi a questa Dea anche due faccie, colle quali dimostravasi, che le azioni di lei sono dirette dalla considerazion
ne del passato, e dalla previsione del futuro. I serpenti finalmente, che talvolta le stano d’appresso, co’loro, varj cangi
che talvolta le stano d’appresso, co’loro, varj cangiamenti indicano, che il Prudente s’adatta alle varie circostanze, in c
gione ; per cui nelle difficili emergenze si prende piuttosto questa, che quella deliberazione. L’aspetto del Consiglio è s
le, perchè la veochiaja, ammaestrata dall’esperienza, conosce meglio, che qualsivoglia altra età, quali azioni si deono ope
o per sostenere maggiormente la loro gravità. Si voleva far intendere che l’utile consiglio nasce non solo dall’esperienza,
o essere sacro a Minerva, Dea della sapienza. Si potrebbe anche dire, che siccome questo uccello, girando quà e là di notte
riuscire uomo di sani consigli, conviene ch’egli mediti di notte ciò, che dee risolvere il giorno, giacchè nel silenzio del
rapidissimo. Sono pertanto da questa Divinità calcati, per avvertire, che ne’consigli si deve deporre lo sdegno, perchè que
, con cui non solo si prevede ; si discerne, e si schiva il pericolo, che può soprastare, ma si sa inoltre distinguere e im
sua natura dorme pochissimo, ed è di sorprendente ingegno : qualità, che si devono trovare nell’uomo accorto, affinchè niu
ne appresso di se. La cura de’beni proprj o degli altrui non s’impara che coll’esperienza, e questa non s’acquista che col
egli altrui non s’impara che coll’esperienza, e questa non s’acquista che col progresso degli anni. Il compasso dimostra, c
ta non s’acquista che col progresso degli anni. Il compasso dimostra, che ciascuno dee misurare le proprie facoltà, e secon
prendere le spese. Il timone risveglia l’idea della saggia direzione, che deo coltivare l’Economo per promuovere la felicit
. Questo suole raspare, finchè tra gl’inutili grani ha scelto quelli, che gli servono di cibo. Il Diligente del pari va esa
bo. Il Diligente del pari va esaminando le cose, finchè trova quelle, che gli ridondano a maggiore utilità. Parsimonia.
are ragionevolmente, e superave con animo costante quelle difficoltà, che sogliono accompagnare le utili, grandi, ed oneste
raccio uno scudo, di cui essendo proprio il rintuzzare l’arma nemica, che vorrebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’
ebbe offendere, è quindi atto ad esprimere l’animo invitto del forte, che respinge i danni, i quali potrebbono essergli rec
i potrebbono essergli recati. Nel mezzo di quello scudo v’è un leone, che si azzuffa con un cinghiale. Di questi du animali
velocità, con cui l’ Emulo cerca di pareggiare e oltrepassare coloro, che operano il bene. L’ Emulazione punge altresì in c
resì in certa guisa chi la coltiva, e lo incita a procurarsi il bene, che negli altri ravvisa : del che n’è viva espression
tiva, e lo incita a procurarsi il bene, che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione sì lo sprone, che il fascett
che negli altri ravvisa : del che n’è viva espressione sì lo sprone, che il fascetto di spine, di cui n’è ella adorna.
onte cinta d’alloro, perchè di questo anticamente si ornavano quelli, che pe toro meriti erano degni di gloria e onore. Que
spighe, e de’papaveri(b). Magnanimità. La Magnanimità è virtù, che modera gli affetti dell’animo, che sostione con i
nimità. La Magnanimità è virtù, che modera gli affetti dell’animo, che sostione con indifferenza i prosperi e i tristi e
’animo, che sostione con indifferenza i prosperi e i tristi eventi, e che intraprende altre ardue e straordinarie virtù. Qu
un leone. Siccome il primo di tali animali non si duole delle saette, che contro di lui si avventano ; così il Magnanimo no
che contro di lui si avventano ; così il Magnanimo non cura i disagi che gli sovrastano, nè si turba al momento di dover s
qualsivoglia malagevole impresa ; e il Magnanimo del pari opera ciò, che agli altri non sembra possibile a farsi. Vitto
sembra possibile a farsi. Vittoria. La Vittoria è il vantaggio, che si riporta nella guerra, o ne’particolari combatt
b). I Romani pure eressero alla Vittoria un tempio durante la guerra, che avevano co’Sanniti sotto il Consolato di L. Postu
es] [page 302 et 303 manquantes] Vittoria. La Vittoria è virtù, che ci fa rendere a Dio, a noi medesimi, e agli altri
la fece ritorno al Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco, che si chiama la Vergine(a). Augusto le fabbricò un t
mi veramente regnò nella Tessaglia, e fu di tanta saviezza ed equità, che si disse essare nata dal Cielo e dalla Terra(c).
racolo, ch’ella aveva sui monte Parnasso insieme colla Dea Tellure, e che poi cedette ad Apollo. Temi aveva altresì un altr
e, nel di cui ingresso si vedeva la tomba d’Ippolito(d). Esiodo dice, che Temi è la madre non solo delle Ore, ma anche dell
o dell’Oceano e della Notte. Essa fu anche detta Adrastia da Adrasto, che fu il primo a dedicarle un tempio. Gli Egiziani d
lebrarono pure le Nemesee, ch’erano feste lugubri, perchè si credeva, che questa Dea proteggesse i morti, e vendicasse le i
e con una spada nella sinistra : simboli, co’ quali si fa intendere, che questa Deità pesa in certa guisa le azioni, e com
le statue di questa Dea senza testa, volendo in tal modo significare, che il giudice dee spogliarsi de’ proprj sentimenti p
che il giudice dee spogliarsi de’ proprj sentimenti per eseguire ciò, che dalle leggi venne stabilito. Pietà. La Piet
ione. Là per mezzo d’una tavola si ricordava la bella azione di pietà che operò una figlia verso sua madre. Valerio Massimo
itale delitto, era stata condannata dal Pretore a morte. Il Triumviro che doveva eseguirne la sentenza, preso da compassion
tupì il Triumviro ; e rintracciandone la cagione, finalmente scuoprì, che la figlia alimentava del proprio latte la madre.
raccontò il fatto al Pretore, e l’ero ca azione della figlia ni ritò, che fosse ridonata la libertà alla madre. Si volle in
a ni ritò, che fosse ridonata la libertà alla madre. Si volle inotre, che la carcerel, ov’era stata rinchiusa, fosse conver
’era stata rinchiusa, fosse convertisa in tempio, sacro alla Pietà, e che le due femmine venissero alimentate dal pubblico
che le due femmine venissero alimentate dal pubblico erario. Notisi, che Fesso in vece di una madre nomina un padre(a). Ta
dre nomina un padre(a). Tale Tradizione fu seguita anche da’ pittori, che rappresentanono il predetto fatto. Difatti la ste
ente appresso questa Dea la Cicogna, perchè i Romani aveano opinione, che questo uccello nutrisse il padre e la madre, qual
ti vecchi(d). Pudicizia. La Pudicizia è un delicato sentimento, che ci fa evitare tutto ciò, che può offendere l’ones
La Pudicizia è un delicato sentimento, che ci fa evitare tutto ciò, che può offendere l’onestà. Questa Dea ebbe due tempj
rcole, era sacro alla Pudicizia Patrizia, ossia delle Dame ; l’altro, che fu eretto da Virginia, figlia di Aulo, era dedica
usarono di tutti i mezzi per farnela uscire. Virginia poi giudicava, che non meritasse alcuna taccia l’essersi ella sposat
ere distinte da esse per causa della loro nobiltà(a). Festo pretende, che il tempio della Pudicizia Patrizia sia stato alza
della Pudicizia Patrizia sia stato alzato da’ discendenti d’Ercole, e che non fosse permesso alle donne, le quali aveano av
quella Dea(b). Ciò s’accorda con Valerio Massimo, il quale riferisce, che gli Antichi risguardavano come donne pudiche quel
e riferisce, che gli Antichi risguardavano come donne pudiche quelle, che non passavano a seconde nozze, e consideravano la
prontezza nell’eseguire i voleri degli altri. Ha in mano un filatojo, che si aggira da tutte le parti. Ciò dimostra, che no
a in mano un filatojo, che si aggira da tutte le parti. Ciò dimostra, che non è diverso l’animo dell’uomo obbediente a’ cen
a. Sta a canto di lei un cane, perchè questo è animale sì ubbidiente, che famelico perfino si astiene dal cibo, qualora gli
lo comandi il suo padrone. Beneficenza. La Beneficenza è virtù, che promuove il bene altrui senza oggetto di ricompen
isa di chi danza. Esse esprimono le tre sorta di benefattori : quelli che beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli
esprimono le tre sorta di benefattori : quelli che beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli che fanno l’una e l’alt
fattori : quelli che beneficano, quelli che contraccambiano, e quelli che fanno l’una e l’altra cosa. Le introcciate mani p
a e l’altra cosa. Le introcciate mani poi delle medesime significano, che i benefizj sogliono passare dall’uno nell’altro,
ece. La Beneficenza comparisce anche colle ali, le quali ammaestrano, che chi vuole esercitare questa virtù, dee farlo con
avendo fatto preda d’una Lepre, la tine sotto gli artigli, e lascia, che se ne pascano verj altri uccelli di rapina. Li
i a proporzione delle proprie forze si somministra agli altri ciò, di che abbisognano. La veste di questa Dea è bianco, per
endo considerato tra tutti il più semplice, è opportuno ad insegnare, che questa Virtù dey’essere pura, nè mai diretta dal
ale. Concordia. La Concordia è l’unione della volontà di molti, che vivono insieme. I Greci la denominano Omonia, ovv
o delle quali era di ristabilire l’unione tralle famiglie. Al pranzo, che al momento di quelle si faceva, non ammettevasi a
e di grano adornano la mano di questa Dea, per indicare l’abbondanza, che dalla Concordia suole derivare. Talora stringe un
entasi anche per mezzo di due mani, congiunte insieme. E quì si noti, che ogni parte del corpo umano, separatamente presa,
numenti, la maggior parte de’ quali altro non ci esibisce agli occhi, che teste e mani. Queste mani, oltrechè esprimevano a
Plutarco. I Romani poi le eressero il più grande è magnifico tempio, che vi fosse tra loro. Questo fu cominciato dall’Impe
alemme(a). Questo era pure il tempio, in cui si raccoglievano coloro, che professavano le Belle Arti, affinchè la presenza
a Concordia(d). La Pace è coronata di spighe, simbolo dell’abondanza, che si produce e si mantiene per mezzo di essa. I Gre
ianca per dimostrare la loro interna allegrezza. E perchè niente v’è, che più rallegri, quanto la pubblica pace, la quale p
ceo. La dolcezza del frutto di quell’albero caratterizza la dolcezza, che nasce dalla pace : e una corona, o un ramo d’uliv
rona, o un ramo d’ulivo faceva riconoscere a’ Greci gli ambasciatori, che recavansi a chiedere o ad apportare la pace. Il c
ntavano in atto di tenere tralle braccia Pluto bambino, per indicare, che le ricchezze nascono dalla pace(a). Verità.
le ricchezze nascono dalla pace(a). Verità. La Verità è virtù, che afferma il vero, e nega il falso. Ella dicevasi d
in atto d’addittare il Sole, e dì mirarsi ella stessa in quello : con che voleasi indicare, che la verità è amica della luc
Sole, e dì mirarsi ella stessa in quello : con che voleasi indicare, che la verità è amica della luce chiarissima, la qual
sità. Ella tiene nella destra un oriuolo, con cui si dà ad intendere, che la verità col decorso del tempo si manifesta. Dem
, che la verità col decorso del tempo si manifesta. Democrito diceva, che questa Virtù giace d’ordinario nel fondo d’un poz
porgere graziosamente un cuore dinota l’integrità dell’uomo sincero, che manifesta a tutti il suo animo. Riprensione.
ingua, nella ; di oui cima v’ è un occhio. Quella e questo avvertono, che quegli, il quale riprende, dev’ essere circospett
spetto ne’suoi detti. Amicizia. L’Amicizia è amore vicendevole, che nasce tra due o più persone in conseguenza delle
cendevole, che nasce tra due o più persone in conseguenza delle virtù che in esse si ritrovano. I Greci la chiamavano Filia
cchia mai, ed è sempre la medesima ; a capo scoperto, per dimostrare, che l’amico niente occulta all’ altro amico ; in cand
suoi sentimenti. Sulla fronte porta scritto l’estate e l’inverna : la che significa, che l’amicizia si mantiene eguale e ne
. Sulla fronte porta scritto l’estate e l’inverna : la che significa, che l’amicizia si mantiene eguale e nelle prospere e
i lei veste leggonsi queste parole : la morte e la vita : ciò indica, che l’amicizia serbasi la stessa anche dopo morte, co
o sottintese. Soleasi chiamare tale Divinità in testimonio de’ patti, che si stabilivano. Il giuramento, che per Lei si fac
Divinità in testimonio de’ patti, che si stabilivano. Il giuramento, che per Lei si faceva, era uno de’ più inviolabili. N
Egli fu il primo ad ergerle un tempio, e a stabilirle dei sacrifizj, che doveano essere fatti a spese del pubblico, e senz
a virtù. Qualche volta viene rappresentata per mezzo di due figurine, che si danno la mano l’una coll’ altra, per indicare
i danno la mano l’una coll’ altra, per indicare l’unione delle genti, che reciprocamente si serbano fedeli. Talora ha in ma
ente tale. Dimostrasi questa Divinità cogli occhi fissi in terra : lo che indica l’interna cognizione, che si forma l’umile
nità cogli occhi fissi in terra : lo che indica l’interna cognizione, che si forma l’umile, della bassezza de’ proprj merit
ezze, alle quali potrebbe aspirare. Empietà. L’Empietà è vizio, che inveisce contro le cose più sacre, quali sono la
ce, e la rivoglie ad abbruciare un Pellicano co’ suoi figliuoli : con che vuolsi indicare, che le azioni dell’ empio tendon
abbruciare un Pellicano co’ suoi figliuoli : con che vuolsi indicare, che le azioni dell’ empio tendono sempre alla distruz
Vizio ha uno specchio, in cui si contempla : il quale atto vuol dire, che il Superbo si rappresenta bello e buono a se mede
enta bello e buono a se medesimo ; e vagheggiando soltanto quel bene, che crede esservi in se stesso, non riflette poi mai
li altri vizj. Lusso. Il Lusso è un raffinamento in tutto quel, che concerne i comodi e piaceri di questa vita. Esso
, dagli amatori di queste ne ritraggono poi doviziose ricompense : lo che esprimesi dal cornucopio, versato sopra i poveri
nucopio, versato sopra i poveri tetti. E’ finalmente il Lusso quello, che in ispeziale guisa produce il dissipamento delle
voglia azione. Questo Vizio dipingesi giovane, perchè è questa l’età, che più d’ogni altra lo coltiva. Tiene nella destra u
ene nella destra una maschera, perchè l’Affettato s’allontana da ciò, che gli è naturale, per cercare in un’aria, presa ad
di rendersi ridicolo. La stessa cosa viene dimostrata dalla Scimmsa, che sta a’ piedi dell’ Affettazione. Vendetta.
ui. Si morde un dito della mano : il qual atto suole essere il segno, che danno coloro, i quali prendono la risoluzione di
nquietudine, nata dal timore di perdere qualche bene, o dal sospetto, che altri ne partecipino. Riguardo a questo Vizio è f
l solito, lo rapì, e fece ogni sforzo per induslo ad amarla. Ma egli, che sempre aveva Procride sulla boccà e nel cuore, no
ta minaccia destò nell’ animo di Cefalo forte turbamento. Ei temette, che la di lui lontananza avesse prodotto qualche cang
senza essero conosciuto da alcuno, nella sua casa, trovò la consorte, che piangeva, e doleasi di vedersi da lui divisa. A t
easi di vedersi da lui divisa. A tale vista talmente egli s’intenerì, che detestando il suo malnato capriccio, si mosse per
stando il suo malnato capriccio, si mosse per abbracciarla. Procride, che non ancor lo avea riconosciuto, lo rigettò con ir
e saputo resistene all’incanto delle offerte e de’ vezzi. Procride, o che la appagasse la sincerità de’ di lui sentimenti,
i. Procride, o che la appagasse la sincerità de’ di lui sentimenti, o che la scuotesse il rammarico di vederlo in angustie,
sentimenti, o che la scuotesse il rammarico di vederlo in angustie, o che finalmente la confessione della di lui debolezza
la confessione della di lui debolezza raddoleisse il rincreseimento, che le cagiona, va la rimembranza della sua, lo strin
dolce concordia. Ma Procride anch’ ella poi fu presa da tale gelosia, che la ridusse a morte. Ella, come abbiamo raccontato
o la rimandasse, nella mano stessa, da cui era stata vibrata. Cefalo, che amava anch’egli moltissimo la caccia, si portò un
tò un giorno sul nascere del Sole nella foresta coll’ asta solamente, che avea ricovoto in dono dalla sposa. Non vibrava co
e, che avea ricovoto in dono dalla sposa. Non vibrava colpo con essa, che andasse a vuoto : cosicchè sazio della strage di
va riposo all’ ombra degli alberi, e ricreavasi al fresco dell’ aura, che usciva dalle gelide valli. Se talora quella non s
o nome di aura un non so chi sfaccendato e maligno ; e immaginandosi, che quest’ aura fosse una Ninfa, corse ad avvisarne P
seguente ripigliò Cefalo il consueto esercizio, niente accorgendosi, che da lungi lo seguiva la sposa. Grondante alfine di
rire il nome d’aura udì, o parvegli d’udire una voce come di persona, che piangeva ; ma non ne fece caso, e continuò a chia
alcune frondi, cadute dà un albero con istrepito, gli fecero credere, che fosse qualche fora. Scoccò lo strale verso il luo
a frasca avea fatto rumore. Un lagrimevole gemito gli fece intendere, che bersaglio del colpo era stata la sua Procride Pre
le di lui braccia, e non molto dopo esalò lo spirito(a). V è chi dice che Procride erasi ritirata non ne’ boschi ; ma in Cr
ella foresta, mentre i cani di Cìanippo inseguivano un cervo. Quelli, che avevano perduto la traccia della fieta, incontrar
spine. Il predetto colore della veste rassomiglia a quello del mare, che non è mai tranquillo. Tal’è il carattere del Gelò
e le orecchie, sparsi sulla medesima veste, indicano l’assidua cura, che ha il Geloso, d’osservare ogni atto, anche il più
gelosissimo. Le spine finalmente manifestano i fastidj e le angustie, che di continuo pungono in certa guisa l’animo geloso
esta pianta va sempre ascendendo, e rompe bene spesso le mura stesse, che la sostengono. Non altrimenti l’Ambizioso non la
’Ambizioso non la perdona a chicchessia, purchè possa consoguire quel che ’desidera. L’Ambizione ha le ali al dorso, e i pi
ia eccellenza, affine d’essere più degli altri onorato. Le due corna, che la Vanagloria ha in testa, indicano, d’ essa suol
e bestialità. Sopra le medèsime corna evvi il fieno : e ciò dimostra, che come quello ne’prati quasi baldanzosamentè verdeg
la sinistra un filo, con cui è legata una Vespa. Questa è un insetto, che manda un suono molto rimbombante, e si rassomigli
nè sa formarsi gli utili favi. Esso quindi qualifica il Vanaglorioso, che colle sue parole di vanto fa molto strepito, ma d
isobbedienza trae d’ordinario la sua origine. V'è in terra un Aspide, che con un orecchio preme il terreno, e chiude l’altt
n orecchio preme il terreno, e chiude l’altto colla coda. Il surarsi, che fa l’animale in tale guisa le orecchie per non ud
esto Vizio sta inoltre colla mano alta, mostrando il dito indice : lo che dichiara la tenacità, con cui l’Arrogante coltiva
sappaovate. Indocilità. L’Indocilità è resistenza nel fare quel che si dovrebbe. Sta sul di lei capo un velo nero, p
perchè ques colore, come non è suscettibile d’alcun altro, dimostra, che l’Indocile pure non è capace di sottome tersi a v
ù beve ; non altrimenti l’Avarizia cresce in chi la coltiva, a misura che si moltiplica in mano di lui le ricchezze. Questo
di densa notte, ed ha nella destra un’arma. E’giovine, per indicare, che l’imprudenza e temerità, solite a trovarsi ne’gio
ri. E’ pallido, perchè vive in continuo timore d’essere scoperto : lo che esprimesi anche dalle orechie di Lepre ; animale
e fanno i ladri. Le braccia e i piedi ignudi dimostrano la destrezza, che sogliono avere i ladri. Sta in mezzo a buja notte
tà tiene una Coturnice in mano. Quell’animale è di sì pessima natura, che dopo aver esso bevuto, intorbida il restante dell
uto, intorbida il restante dell’ acqua, onde altri non ne bevano : lo che suole operare anche il Maligno. Crudeltà La
; ed ha poi il sinistro braccio esteso colla mano aperta. Ciò indica, che questo vizio toglie ad uno per dare all’altro, qu
bbe essere eguale con tutti. Ella guarda verso la parte sinistra : lo che significa, che il Parziale non ha l’animo retto,
le con tutti. Ella guarda verso la parte sinistra : lo che significa, che il Parziale non ha l’animo retto, nè rivoglie la
assione. La Parzialità finalmente conculca due bilance, per mostrare, che non cura la giustizia Bugia La Bugia è asse
stita dimostra, ch’Ella colla sua arte s’industria di persuadere ciò, che non è, o di dissuadere ciò, ch’è. Il colore cangi
ngiante, le maschere, e le lingue Indicano l’incostanza del Bugiardo, che nel suo favellare dà diverso aspetto alle cose on
suoi discorsi scuopra se stesso La Bugia è zoppa, per alludere a ciò, che volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe co
stesso La Bugia è zoppa, per alludere a ciò, che volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe corte : vale a dire che in
he volgarmente si dice, che cioè essa ha le gambe corte : vale a dire che in breve viene riconosciuta per quella ch’è. Il f
riconosciuta per quella ch’è. Il fascetto di paglia accesa significa, che come quel fuoco presto s’accende, e presto anche
o altresì svanisce. Gola. La Gola è smoderato desiderio di ciò, che spetta al gusto. Si figura col collo lungo, e con
ghezza del collo allude a Filostene Ercinio. Costui era tanto goloso, che desiderava d’avere il collo di gru, per godere pi
re questo gli discendeva nel ventre. Il colore poi di ruggine indica, che coloro, i quali si lasciano dominare da questo vi
er cui l’ uomo, riputandosí meno di quello ch’è, non intraprende ciò, che potrebbe o dovrebbe operare. E’ malamente vestita
da essa, ama la vita sorrida. Ha in mano l’Upupa, urcello vilissimo, che si nutre de’più vili cibi, per non sofferico la d
simo, che si nutre de’più vili cibi, per non sofferico la difficeltà, che incontterebbe nel procurarsene di migliori. Le st
Adulazione. L’Adulazione è profusioné dì false o esaggerate lodi, che il proprio interesse inspira a chi le proferisce.
a nell’ anzidetta manicra per indicare le belle e artifiziose parole, che soglionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale,
fiziose parole, che soglionsi usare dagli Adulatori. Il Cervo è tale, che allettaro dal suono del flauto, facilmente si las
attissimo ad accendere col vento il fuoco, e ad ammorzare i lumi : lo che si conforma coll’ adulatore, il quale o accende n
uoco delle passioni, o ammorza il lume della verità. La corda indica, che gli Adulatori traggono, ovunque vogliono, coloro,
a corda indica, che gli Adulatori traggono, ovunque vogliono, coloro, che volentieri li ascoltano. Il Camaleonte è animale,
gliono, coloro, che volentieri li ascoltano. Il Camaleonte è animale, che si cambia secondo le variazioni de’ tempi ; ed è
condo le variazioni de’ tempi ; ed è quindi simbolo dell’ Adulazione, che adopera tutto lo studio nel cangiarsi secondo il
lle parole adulatrici, la quale piate ; e la brutta indica i difetti, che dagli Adulatori vengono dissimulati. Il Cane acca
zione di meriti : anzi talvolta morde chi nol merita, e quello stesso che lo cibava, se avviene, ch’egli tralascii di farlo
inciano a farsi sentire, non cessano più dal loro tediosissimo canto, che risveglia l’idea della noja, cui reca l’uomo loqu
vidia è interna agitazione, cagionata dalla considerazione d’un bene, che si desidera, e dì cui ne godono invece gli altri.
di veleno e dì schiuma. Esso non mai ride se non del male, nè piange che del bene altrui. L’Invidia è di faccia pallida, p
rui. L’Invidia è di faccia pallida, perchè Ella, ossservando il bene, che non ha, se ne rattrista e affligge. Con ambe le m
e ne rattrista e affligge. Con ambe le mani si squarcia il petto : lo che esprime il sommo dolore, indivisibile compagno di
lfine lo consuma. L’Invidia ha dall’ altra parte il Pavone, in quanto che è nemico de’proprj parti, per timore, che essi, c
parte il Pavone, in quanto che è nemico de’proprj parti, per timore, che essi, crescendo, lo uguaglino in bellezza. Det
sa di lingue simili a quelle del serpente. Quella veste fa intendere, che questo Vizio suole trovarsi principalmente nelle
questo rode il cibo altrui, così il Detrattore cerca di togliere quel che di buono v’è negli altri. Accidia. L’Accidi
nno nero, perchè la mento dell’ Accidioso è occupata da tale torpore, che lo rende insensato. Il pesce poi testè nominato è
che lo rende insensato. Il pesce poi testè nominato è di natura tale, che toccato diviene stupido ; e tal’ è l’indole dell’
Ozio è inazione in chi dovrebbe operare. Giace in oscura caverna : lo che dà ad intendere che l’Ozioso conduce vita abbiett
hi dovrebbe operare. Giace in oscura caverna : lo che dà ad intendere che l’Ozioso conduce vita abbietta. E’ vestito d’una
chi la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere, che al Pigro ogni cosa riesce difficile. Ingratitu
della superbia, donde nasce l’Ingratitudine ; perchè l’Ingrato crede, che i favori fattigli sieno a lui dovuti. Ha in mano
l’edera, ed è circondata di nube. Quella innaridisce l’albero stesso, che le fu di sostegno per innalzarsi ; questa, che vi
disce l’albero stesso, che le fu di sostegno per innalzarsi ; questa, che viene prodotta da’ vapori, tratti dal Sole, si op
he dello Sconoscente : egli non rade volte danneggia queglino stessi, che lo hanno beneficato. diffidenza. La diffide
i temere. Ciò indica il profondo pensiero, in cui s’immergono coloro, che sono sopraffatti da questo Vizio. Ha appresso di
no sopraffatti da questo Vizio. Ha appresso di se una Volpe, animale, che qualorà gira per qualche paludoso luogo, in tempo
che paludoso luogo, in tempo principalmente di gelo, non si fida mai, che il terreno sia sodo e consistente. Incostanza.
Questo Vizio si rappresenta con un piede sopra un Granchio, animale, che va ora innanzi, ed ora indietro. La veste, con cu
etro. La veste, con cui cuopresi l’ Incostanza, è di colore turchino, che rassomiglia alle onde del mare, le quali pure tal
Quella risveglia l’incostanza del Giuoco ; questo indica il mal uso, che si fa da’ Giuocatori, del tempo. Il Giuoco è di f
questo Vizio. Porta con se varie reti, le quali indicano le insidie, che da molti Giuocatori si tramano alle sostanze altr
e gli occhi. E’ tenuto sospeso pe’ capelli dalla Fortuna, per notare, che il Giuoco è per lo più fondato sulla sorte. Viene
tiva il giuoco. Felicità. La Felicità è godimento di que’ beni, che onestamente allettano lo spirito. Questa Divinità
ito. Questa Divinità fu da’ Greci denominata Eudemonia. Plinio narra, che Lucullo, ritornato dalla guerra contro Mitridate,
e commise il lavoro ad Archesilao ; ma soggiunge lo stesso Scrittore, che ambedue moritono, primachè quella fosse terminata
ò di lui fu verificato da Lepido il Triumviro. Raccontasi finalmente, che sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio della
ente, che sotto l’ Imperio di Claudio vi fu un tempio della Felicità, che rimase abbruciato(a). La Felicità tiene il Cornuc
pio nella sinistra, e il caduceo nella destra ; oppuré due Cornucopj, che s’incrociano, e una spiga dritta nel mezzo di que
ottola. Appresso di se ha una colonna. Il comico Aristofane vorrebbe, che la Ricchezza fosse dipinta cogli occhi chiusi. Dà
i gli altri beni della terra, sta la vegliante Nottola, per indicare, che i beni, affinchè non vengano rapiti, devono esser
gni tempo. La colonna, indizio di forza e di grandezza, fa conoscere, che il ricco può essere potente, e acquistarsi gloria
nte, e acquistarsi gloria di grande. Vorrebbe poi l’ accennato Poeta, che la Ricchezza si figurasse cieca, perchè non sempr
geva in abito nero, colore usato per indicare la gravità de’ costumi, che nel Nobile si ricercano. Tiene un’asta nella dest
simulacro di Minerva nella sinistra. Quella e questo fanno intendere, che la Nobilta s’acquista principalmente colle armi o
olle scienze. Libertà. La Libertà è il poter operare tutto ciò, che non è in opposizione alle leggi. I Greci la denom
a Regifugio, o le Fugali. Una delle ceremonie, praticate in essa, era che dopo il sacrifizio, offerto alla Libertà, il Re d
bronzo, e in cui v’aveano varie bellissime statue. Clodio volle pure, che un tempio fosse inalzato a questa Divinità nel lu
ervitù, quella Nazione rappresentò in monete e con statue la Libertà, che credetto rinascere appresso di se. Questa Deità t
o di tristezza : sicchè quelle saette di diversa materia significano, che le allegrezze di quaggiù non sono mai sì compite,
ia significano, che le allegrezze di quaggiù non sono mai sì compite, che non vengano turbate da qualche amarezza. Altri la
quella città la Dea la più onorata, giacchè essa sola ebbe più tempj, che tutte le altre Divinità unite insieme (b). Tra qu
io alla Fortuna per onorare Veturia, la quale colle sue lagrime fece, che il di lei figlio, Coriolano, desistesse dall’asse
a Fortuna d’occultare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal che ne avvenne, che la Fortuna venne chiamata Viripla
ltare a’ novelli sposi i difetti del loro corpo : dal che ne avvenne, che la Fortuna venne chiamata Viriplaca, ossia pacifi
ntava la Buona Fortuna, e l’altra il Buon-Evento. Era questo un Nume, che avea avuto i suoi primi altari ne’ campi, ove gli
abbricò un tempio sulla sponda del Tevere fuori di Roma. Que’ Romani, che non esercitavano alcuna professione, onoravano la
affligge i mortali. Sul sinistro braccio porta un doppio Cornucopio, che la qualifica come la sovrana dispensatrice di tut
e l’ Universo. Talvolta tiene un piede sulla prora d’un naviglio : lo che dà a conoscere, che questa Dea esercita il suo do
lta tiene un piede sulla prora d’un naviglio : lo che dà a conoscere, che questa Dea esercita il suo dominio tanto sulla te
conoscere, che questa Dea esercita il suo dominio tanto sulla terra, che sul mare. Altri la dipingono ora sopra volubile r
stravasi anche in atto di portare Pluto fanciullo, per far intendere, che da essa dipende il possesso d’ogni ricchezza.
di Venere. Altri dissero, ch’ egli nacque dalla Morte. Per ottenere, che Egli non nuocesse, gli si sacrificavano il cane e
etto un tempio appresso il tribunale degli Efori, perchè giudicavano, che niente vi fosse di più necessario in un Governo,
o lo inspirare a’ cattivi il timore del castigo. In un combattimento, che sosteneva Tullo Ostilio, gli Albani, i quali prim
, osservò tra l’armenmento d’ Agenore, suo padre, un toro bellissimo, che là pascolava. Giove aveva preso le sembianze di q
toro corse tosto al mare(e), la trasportò in quella porte del mondo, che dal nome di loi fu chiamata Europa(f), e quì la r
quì la rendette madre di Minos, e di Radamanto(g). Altri pretendono, che l’anzidetta parte del mondo siasi così denominata
ropa ; figlio di Egialo, secondo re di Sicione(h). Alcuni aggiungono, che Giove nascose Europa in Teumessa, o Teumosa, vill
zia, situato a’ piedi d’un monte dello stesso nome(a). Euripide dice, che quel Nome, spogliatosi della figura di Toro, real
forma uno de’dodici Segni del Zodiaco(b). L’opinione poi di altri è, che tale Costellazione sia la giovenca, di cui lo ne
ve volle celasla alla gelosia di sua moglie, Giunone(c). Si credette, che Europa fosse stata trasferira tragli Dei ; i Feni
peati, di nuovo li percosse, e ripigliò la figura virile Avvenne poi, che tra Giove e Ginnone insorse giocoso contrasto, se
sorse giocoso contrasto, se amore si facesse più sentire dalla donna, che dall’uomo. Tiresia, perchè era stato dell’uno e d
i occhic per quesso egli si vede appoggiato agli omeri di un giovine, che gli serve di guida. Non potè Ciove per legge di F
i presagire il futuro, e gli concesse una vita sette volte più lunga, che quella degli altri uomini. Altri dicono, che Tire
a sette volte più lunga, che quella degli altri uomini. Altri dicono, che Tiresia rimase accrecato dagli Dei, perchà egli c
crecato dagli Dei, perchà egli communicava agli uomini le cognizidni, che doveano essore loro ignote(a). Ferecide vuole, ch
ini le cognizidni, che doveano essore loro ignote(a). Ferecide vuole, che Tiresia ; soggiacesse all’anzidetta pena, perchè
ione fu di pochi prima di lui, e poi di moltissimi : anzi corre fama, che un certo Democrito avesse notato perfino il nome
un serpente ; e questo, mangiato, infondeva la virtù d’intendere ciò, che gli uccelli bisbigliavano fra loro(a). Ritornando
gli uccelli bisbigliavano fra loro(a). Ritornando a Tiresia, dicesi, che vi fosse in Arcadia una fontana, detta Telfussa,
a fontana, detta Telfussa, o Tilfossa, la di cui acqua era sì fredda, che Tiresia per averne bevuto mori(b). Egli anche dop
con abito virile. Si voleva con ciò indicare il cangiamemo di sesso, che la favola attribuiva a quell’Indovino(e). (d).
tà della Licia, eresse ad esse un antichissimo tempio, ove credevasi, che fossero apparse, e dove tutti i popoli concorreva
cervo, e divorato da’ cani, come pure abbiamo raccontato. Sappiarro, che Semele, per aver voluto vedere Giove in tutta la
achos, dolore, perchè venivano celebrate in memoria delle disgrazie, che avea sofferto(b). Il re Sisifo pure le instituì l
agli annui sacrifizj. Il medesimo nome si diede agli annui sacrifizj, che le si facevano in Megara(c). Altre Feste finalmen
tto il nome di Matuta. Servio Tullo fu il primo ad ergerle un tempio, che Camillo rifabbricò dopo d’avervinti i Vejenti(e).
ne rinchiusa Danae, fu distrutta da Perila o Perilao, tiranno d’Argo, che regnò molti secoli dopo Perseo(a). (2). Secondo
da Apollodoro(b), non Giove, ma Preto, fratello d’Acrisio, fu quegli, che s’introdusse nella torre, e rendette Danae madre
Perseo. Da ciò ebbe origine, dice il sopraccitato Scrittore, l’odio, che l’uno contro l’altro nutrivano i due fratelli. Al
ccupò Acrisio(c). Preto si ritirò nella Licia appresso il re Giobate, che gli diede in moglie Stenobea, sua figliuola(d), d
i nacque Megapente, il quale regnò in Tirinto(e). (3). V’è chi dice, che le onde portarono da prima Danae e il figlio di l
onde portarono da prima Danae e il figlio di lei al lido di Daunia ; che ivi furono raccolti da un pescatore, e portati al
; che ivi furono raccolti da un pescatore, e portati al re, Pilunno ; che questi sposò Danae, e spedì Perseo appresso Polid
seo appresso Polidette, affinchè lo educasse(f). (4). Alcuni dicono, che Ditti era fratello dello stesso re, Polidette(g).
stesso re, Polidette(g). (5). Eratostene(a), ed Igino (b)pretendono, che Perseo abbia ricevuto la mentovata arma da Vulcan
crediamo ad Erodoto(f), e ad Apollodoro (g). Quinto Curzio poi dice, che i Persiani furono così detti da Perseo(h). (9).
. (10). Mestore ebbe in moglie una figlia di Pelope, detta Lisidice, che partorì Ippotoe, la quale rapita da Nettuno, e co
dalle altre, testè mentovate, gittò dietro a quella un grosso legno, che percosse in vece Elettrione, e lo distese a terra
Gorgofone fu la prima moglie di Periere, ela prima di tutte le donne, che sia passata alle seconde nozze, mentre le femmine
. fab. 157.,Apollon. l. 2. Argon., Diod. Sic. l. 4. (3). Igino dice, che il fiume mentevato era il fiume Eveno(f). Valerio
he il fiume mentevato era il fiume Eveno(f). Valerio Flacco pretende, che fosse l’Enipeo(g). (a). Job. Jacob. Hofman. Lex
quando davasegni dì pazzia ; e prese in moglie Ino, figlia di Cadmo, che gli partorì Melicerta e Learco. Questi fu slancia
i fu slanciato contro un muro, e fatto morire dallo stesso suo padre, che , essendo rimasto invasato dalle Furie, lo credett
nne non molto dope afflitta dalla fame ; e Apollo consultato rispose, che per far cessare quel male conveniva sacrificare i
omo, ora la fa bianca, ce ora porporina. Medesimamente sulla facoltà, che avesse il detto montone, di parlate, non tutti lo
crede un’ invenzione posteriore all’ altra della pelle d’oro. Vuolsi, che lo stesso animale abbia servito a Frisso e ad Ell
to a Frisso e ad Elle per cercare un asilo presso Eeta, loro parente, che regnava in Colco(b). Altri dicono, che mentre Ino
ilo presso Eeta, loro parente, che regnava in Colco(b). Altri dicono, che mentre Ino meditava di dare la morte a que’ doe g
; ma Elle, quando si vide andar volando opra il vasto tratio di mare, che divide l’Europa dall’ Asia, presa dallo spavento,
tone a Marte(b), o come vuole Apollonio di Rodi, a Giove Fixio, ossia che favorisce a chi fugge ; e vi sposò Calciope, figl
ve ne aggiunse un quinto, chiamato Presbone. Finalmente Tzetze vuole che queglino fossero sei, Argo, Mella, Cati, Fronti,
nella Beozia(h). Ritornando al montone, sacrificato da Frisso, dicesi che la pelle di quello si chiamò Tosone, o Vello d’or
sso, dicesi che la pelle di quello si chiamò Tosone, o Vello d’oro, e che venne appesa ad una pianta nel bosco, sacro a Mar
e morire per impadronirsi de’ di lui tesori(b). Erafostene soggiunge, che gli Dei lo collocarono tragli Astri(c). Notisi pe
iunge, che gli Dei lo collocarono tragli Astri(c). Notisi per ultimo, che il sacrifizie di Frisso e di Elle secondo altri S
re la vita a Learco e a Melicerta, nati da Ino, perchè colei sperava, che il regno in tal guisa sarebbe rimasto a’ suoi fig
edetti figli d’Ino, ed aveva commesso alla loro non conosciuta madre, che licuopris se di nere vesti per distinguerli da’ p
ntiope. (c). Apollod. l. I., Hyg. fab. 12. (6). Apollonio(a) dice, che que’ tori erano stati formati ad Eeta da Vulcano,
eso gli Dei(b). (d). Nat. Com. Mythol. l. 6. (7). Apollonio narra, che il Dragone, custòde del Vello d’oro, era stato ge
Igino lo dice semplicemente nato da Tifone. Valerio Flacco soggiunge, che lo stesso Dragone si alimentava con sacrifizj(c).
che lo stesso Dragone si alimentava con sacrifizj(c). Altri dissero, che Pallade regalò ad Eeta i mentovati denti, affinch
ction. Mytbol. (b). Nat. Com. Mythol. l. 6. (8). Altri scrissero, che la nave, su cui montò Giasone, lu detta Argo, per
ero, che la nave, su cui montò Giasone, lu detta Argo, perchè coloro, che secolui si unirono in quella spedizione, erano Ar
unirono in quella spedizione, erano Argivi(e). V’ è pur chi pretende, che la stessa nave siasi così appellata dalla voce gr
, arsenale o porto della Magnesia(a). Lo Scoliaste d’ Apollonie dice, che Pelia avea ordinato ad Argo di adoperare nella co
o tagliati sul monte Pelio(g). Vuolsi da Eratostene(h) e da Igino(i), che il naviglio, di cui parliamo, sia stato il primo,
e da Igino(i), che il naviglio, di cui parliamo, sia stato il primo, che solcasse il mare. Questo però resta smentito nell
apparecchio e di mole di quante eransi fino allora vedute(a).Difatti che la Nave, Argo, dovessessere grande oltre al solit
e, Argo, dovessessere grande oltre al solito ; da ciò pure si desume, che , essendo vietato in quel tempo che nessuna nate c
al solito ; da ciò pure si desume, che, essendo vietato in quel tempo che nessuna nate contenesse più di cinque uominì(b),
di cinque uominì(b), fu al solo Giasone permesso di navigare con una, che ne conteneva cinquanta, detta perciò anche Pentec
ificata da Teocrito per capace di trenta banchi. Nè è quì da tacersi, che la stessa nave venne finalmente consecrata a Pall
ata tra gli Astri(c). (10). Tifi era figlio d’Agnio(d). Igino vuole, che sia nato da Forbante e da Imane(e). Egli concorse
’ Mariandinj nella Propontide, ivi sia morto di malattia(f). Si dice, che in mogo di lui siasi sostituito Ergino(g). Altri
ce, che in mogo di lui siasi sostituito Ergino(g). Altri soggiungono, che vi sottentrò Anceo, figlio di Nettuno, il quale,
figlia del fiume Meandro(h). (11). Linceo aveva una vista sì acuta, che vedeva nel fondo del mare, e perfino nell’ Infern
a(a). (12). Lo Scoliaste d’Apollonio dice sull’ autorità di Eroloro, che Chirone, indovino com’era, consigliò, agli Argona
di Eroloro, che Chirone, indovino com’era, consigliò, agli Argonauti, che ammettessero tra loro Orfeo, perchè sonza di lui
ssare le Sirene, delle quali parleremo altrove. Fu da alcuni creduto, che l’Orfeo Argonauta fosse lo stesso che l’Autore de
altrove. Fu da alcuni creduto, che l’Orfeo Argonauta fosse lo stesso che l’Autore del Poema sull’ Argonautica, che correso
o Argonauta fosse lo stesso che l’Autore del Poema sull’ Argonautica, che corresotto il nome di Orfeo, perchè infatti quell
enta se stesso ; ma non è questo ormai più il giudizio degli Eruditi, che lo riferiscono ad un Autore posteriore, come può
ienza nel ricavare gli augurj dal fuoco. Quantunque avesse preveduto, che vi sarebbe perito, tuttavia volle intervenire anc
nell’ Asia Minore, Idmone perì pel morso d’un cinghiale. Flacco dice, che morì di semplice malattia. Giasone per molti gior
peso del corpo lo trasse nel fiume, dove si annegò. Fingono i Poeti, che sia stato rapito dalle Ninfe di quel fiume. Ercol
fu figlio d’Idmone e di Laotoe(b). Ebbe un figlio, chiamato Calcante, che divenne famoso indovino, e di cui ne parleremo al
venduta ad Icaro, re della Caria, nell’ Asia Minore. Il di lei padre, che teneramente la amava, ne inseguì tosto i rapitori
e notizia del padre e della sorella, consultò l’Oracolo, e ne intese, che , per appagare i suoi desiderj, conveniva, ch’ ell
i desiderj, conveniva, ch’ ella si vestisse da sacerdote d’ Apollo, e che sotto quelle divise si facesse a viaggiare. Così
e straniero, ne divenne amante, e non vedendosene corrisposta, ordinò che quello fosse fatto morire in una carcere. Testore
ne, ove stava rinchiuso il supposto giovine, gli manifestò il comando che avea avoto, ma nello stesso tempo protestò che pi
i manifestò il comando che avea avoto, ma nello stesso tempo protestò che piuttosto avrebbe tolto la vita a se medesimo che
esso tempo protestò che piuttosto avrebbe tolto la vita a se medesimo che commettere sì crudele azione. Ciò detto, trasse f
rasse fuori della veste il pugnale per trafiggersi il seno. Leucippe, che lo riconobbe, gli strappò dalle mani il ferale st
Climene e da Filaco, come dice il Burmanno. Valerio Flacco poi vuole, che Ificlo vi sia intervenuto solo per dare consigli
to solo per dare consigli (b).Ificlo ebbe un figlio, di nome Podarce, che da Omero dicesi essere stato uno degli Eroi alla
na (e). Clite poi, morto Cizico, cessò pure di vivere. Apollonio dice che s’impiccò (f).Deiloco, citato dallo Scoliaste d’
a figlia di Piasio, e Tracia di patria, varia anche da esso nel dire, che nulla sofferì dopo la morte del marito, ma che se
nche da esso nel dire, che nulla sofferì dopo la morte del marito, ma che se n’ è anzi ritornata a casa. (a). Apollon. l.
chiantò i macigni, e svese dalla terra le più robuste guercie ; fece, che crollassero i monti, che si squarciasse il suolo,
e dalla terra le più robuste guercie ; fece, che crollassero i monti, che si squarciasse il suolo, e che dalle tombe sorges
ercie ; fece, che crollassero i monti, che si squarciasse il suolo, e che dalle tombe sorgessero le ombre de’ morti (a). (
lon. l. 3. Argon., Eurip. in Med., Paus. l. 2. (21). Fuvi chi disse, che Eeta, comportando di mal’ animo la gloriosa impre
nsieme cogli altri di lui compagni, e di abbruciarne la loronave ; ma che queglino, essendone stati avvertiti da Medea, con
avvertiti da Medea, con essa lei se ne fuggirono. Altri soggiungono, che gli Argonauti, conquistato il Vello d’oro, venner
da’ Colchi a’ Greci per ridomandare Medea, nulla dice delle querele, che avrebbono anche dovuto fare, se fosse stata vera
vuto fare, se fosse stata vera l’uccisione di Absirto. Di quelli poi, che tengono per vera l’uccisione medesima, altri la v
o in nave per la mano istessa di Medea ; e lo stesso Poeta soggiunge, che ne furono poscia sparse le membra verso la città,
sbranamento di membra (b).Etimologia però negata dagli stessi Tomesj, che la ripetono in vece dall’ Eroe Tomo. Strabone dic
tessi Tomesj, che la ripetono in vece dall’ Eroe Tomo. Strabone dice, che la predetta strage avvenne in una delle Isole del
Absirtidi (c). Lo Scoliaste d’Apollonio (d) ed Igino (e) pretendono, che Absirto sia stato ucciso da Giasone.Finalmente fu
Absirto sia stato ucciso da Giasone.Finalmente fuvi chi ebbe a dire, che Medea privò di vita il fratello, perchè questi av
Valerio Flacco(h) però, Diodoro Siculo (i), e Apollodoro (l) dicono, che Esone si privò di vita col bere il sangue di un t
da quella Maga ; tale vergogna concepirono e orrore del loro delitto, che si ritirarono nell’ Arcadia, ove tra le lagrime e
hol. (b). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (25). Vuolsi da alcuni, che Medea abbia spedito a Creusa solamente una corona
fronte, ne seguì tosto l’orribile avvenimento (b). Altri raccontano, che Medea mindò il suo figliuolo, Fere, con certi don
con certi doni avvelenati, affinchè egli li presentasse a Creusa ; e che per questa ragione que’ di Corinto lo lapidarono
L. 1. &.2. (b). L. 4. (c). De Nat. Deor. l. 3. (1). Dicesi che Alcmena sia stata sposata ad Anfitrione, figlio d
icesi che Alcmena sia stata sposata ad Anfitrione, figlio di Alceo, e che Giove per renderla madre d’Ercole le sia apparso
suo marito (a). (d). Joh. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (2). Vuolsi, che Alcmena fosse solita a portare in testa a guisa d
on impeto lo rigettasse, e se ne spargesse quindi pel Cielo il latte, che diede il nome alla Via lattea (f). Altri vogliono
ielo il latte, che diede il nome alla Via lattea (f). Altri vogliono, che tale bambino fosse Mercurio. Altri pretendono, ch
). Altri vogliono, che tale bambino fosse Mercurio. Altri pretendono, che la Via lattea siasi formata dal latte, che sparse
ercurio. Altri pretendono, che la Via lattea siasi formata dal latte, che sparse Rea sulla pietra, ch’ella presentò a Satur
Rea sulla pietra, ch’ella presentò a Saturno in luogo del fanciullo, che avea partorito (g). (d). Joh. Jacoh. Hofman. Le
simo Toro per uno dei due piedi di cietro ; e non ostante gli sforzi, che quello faceva per iscappargli di mano, lo tenne s
ò quella porzione di piede, per cui lo aveva afferrato. Dicesi anche, che questo Atleta con una sola mano arrestò in un mom
, che questo Atleta con una sola mano arrestò in un momento un carro, che , tirato da robustissimi cavalli, rapidamente corr
g. (b). Apollod. l. 2., Paus. l. 2. (6). Diodoro di Sicilia dice, che Ercole, facendo il giro della Sicilia, dedicò un
che Ercole, facendo il giro della Sicilia, dedicò un bosco a Iolao, e che ivi pure a di lui onore instituì feste e sacrifiz
re instituì feste e sacrifizj. Lo stesso Scrittore soggiugne altresì, che gli abitanti della città d’Agira coltivavano con
con somma accuratezza la loro capigliatura, finchè riusciva sì bella, che avessero potuto offerirla a Iolio nel suo tempio
potuto offerirla a Iolio nel suo tempio (a) Plutarco finalmente dice, che nella Beozia o nella Focide si obbligavano gli am
Apollod. l. 2. ; Philostr. l. 2., Ovid. in Ibio. (8). Altri dicono, che la città di Abdera fu fabbricata da una sorella d
cono, che la città di Abdera fu fabbricata da una sorella di Diomede, che le impose il proprio nome(d). (b). Declaustre D
d). Nat. Com. Mythol. l. 2. (e). Paus. l. 9. (12). Plutarco dice, che Calcodone ebbe una Cappella nella città d’Atene(h
ene(h). Non si sa, se egli parli del predetto Cal odone, o di quello, che fu padre di Elefenore, e restò ucciso da Anfitrio
alunque figura : ciò per altro nol potè salvare dalla clava d’Ercolé, che lo uccise, mentr’erasi trasformato in mosca(a).
mo grado l’eloquenza(b). Ditti Cretese(c) e Apollodoro(d) pretendono, che Nestore abbia sposato Anasibia, figlia d’ Atreo.
di Atene, fu negata in isposa a Borea, re Trace, a motivo dell’odio, che la famiglia di Pandione aveva contro di Tereo, e
a. Ella gli partorì due figlie, cioè Cleopatra, detta anche Stenobea, che sposò Fineo, re di Bitinia ; e Chione, che Nettun
tra, detta anche Stenobea, che sposò Fineo, re di Bitinia ; e Chione, che Nettuno rendette madre di Eumolpo. Da quel matrim
Oriti a sola l’oggetto degli amori di Borea. Il Poeta Cleante narra, che questo Vento amò anche una figlia d’Arcturo, di n
a. Gli Dei, per ponirlo di sì ingiusta barbarie, non solamente fecero che le Arpie lo molestassero, come abbiamo esposto, m
osto, ma inoltre privarono lui pure della vista(b). V’è chi pretende, che Fineo sia rimasto cieco, perchè abusò dell’arte d
sto cieco, perchè abusò dell’arte d’indovinare(c). Altri soggiungono, che gli Argonauti trovarono il modo di restituirgli l
n. Mythol. (b). Schol. Apollon. l. 1. Argon. (22). Convien dire, che l’ingordigia dagli Antichi fosse tenuta in pregio
Apollod. l. 2. (c). Nat. Com. Mythol. l. 7. (23). Alcuni dicono, che anche Megara cadde vittima del furore di Ercole(d
cole la ripudiò, credendo di averla sposata sotto cattivi auspizj ; e che la cedette in moglie a Iolao(e). (a). Declaustr
si in quel momento sotto la rupe, la accolse tralle braccia, e impedì che perisse. Nettuno alle preghiere di Acheloo, la ca
fece madre, come abbiamo, detto anche altrove, della bella Cleopatra, che poi divenne sposa di Meleagro. Eveno inseguì Ida
erla, nè avendolo potuto raggiungere, si precipitò nel fiume Licorma, che poi acquistò da lui il nome di Eveno(a). Dicesi,
l fiume Licorma, che poi acquistò da lui il nome di Eveno(a). Dicesi, che Apollo avesse rapita ad Ila l’anzidetta giovine n
llo avesse rapita ad Ila l’anzidetta giovine nel tempo di una festa ; che Ida, armato d’arco, avesse inseguito il Nume per
co, avesse inseguito il Nume per vendicarsi dell’insulto ricevuto ; e che Giove avesse allora deciso, che Marpesa sarebbe s
vendicarsi dell’insulto ricevuto ; e che Giove avesse allora deciso, che Marpesa sarebbe stata di quello, ch’ella si sareb
fosse divenuta vecchia, si riunì a suo marito(b). Notiamo per ultimo, che Plutarco chiama Sterope la madre di Eveno, Ulcipp
). De Incredul. c. 45. (a). Nat. Com. Mythol. l. 7. (29). I Re, che succedettero ad Onfale, portarono quell’arina nel
e di scettro o di fulmine posero tralle di lui mani quell’ascia : dal che il Nume fu detto Labradeo, voce che appresso que’
lle di lui mani quell’ascia : dal che il Nume fu detto Labradeo, voce che appresso que’popoli dicesi significare ascia (b).
ove ebbe pure questo nome per allusione all’abbondanza delle pioggie, che vuolsi da lui derivare(c). (b). Apollod. l. 2.,
. 2., Diod. Sic. l. 4., Apollod. l. 3. (30). In Apollodoro leggesi, che fu il pastore Peante quegli, ch appiccò il fuoco
piccò il fuoco al rogo, destinato ad abbruciare il corpo di Ercole, e che l’Eroe perciò lo regalò del suo arco e delle sue
opo di averla insultata, ne strappò anche gli occhi(c). Altri dicono, che Euristeo fu ucciso da Iolao, amico di Ercole(d).
si faceva condurre e sostenera da uno schiavo. Tlepolemo, osservando che quello schiavo non eseguiva bene il suo uffizio,
uello schiavo non eseguiva bene il suo uffizio, gli gettò un bastone, che colpì ed uccise Licinnio. Per causa di questo omi
La Dea Ebe ad istanza d’Ercole, divenuto in Cielo suo sposo, fece sì, che Iolao, vecchio qual’era, comparisse quasi fanciul
Liv. l. 28. (a). Ovid. Metam. l. 15. (37). In Strabone leggesi, che gli Achei, avendo ricevuto ordine dall’Oracolo di
impegnò Fillio a combattere senza il soccorso di alcun’arma un leone, che devastava le vicine compagne. Il giovine, che con
di alcun’arma un leone, che devastava le vicine compagne. Il giovine, che conosceva il pericolo della proposta impresa, usò
ò dinanzi ad esso tutto il cibo. Finchè il leone divorava quel pasto, che lo andava ubbriacando, Fillio gl’introdusse nella
nzidetta. Essa consisteva nel prendere vivo uno de’mostruosi avoltoi, che devastavano quella contrada, e aveano messo a mor
apeva come riuscirvi, ma avendo trovati alcuni rimasugli d’una lepre, che poco tempo innanzi era stata divorata da uno di q
avoltoi, se ne cuoprì il corpo, e si coricò sul terreno. Gli avoltoi, che lo credettero morto, calarono sopra di lui ; ed e
a una rupe, e delle lagrime, ch’ella avea versato, si formò un fiume, che acquistò il di lei nome(b). (b). Declanstre Dic
(a). Declaustre. Diction. Mythol. (1). Connida per l’ educazione, che diede a Teseo, meritò, che gli Ateniesi lo risgua
Mythol. (1). Connida per l’ educazione, che diede a Teseo, meritò, che gli Ateniesi lo risguardassero come uno de’ Semid
ro come uno de’ Semidei. Gli sacrificavano ogni anno un capro nel dì, che precedeva la Festa di Teseo. Quel giorno riputava
. & 4. (a). Declaustre Diction. Mithol. (2). Igino è il solo, che dia a Perifete per padre Nettuno (b). (3). La cl
e secondo Pausania (c) ed Omero era di ferro (d). Eustazio poi vuole, che fosse di legno, ed armata di ferro nell’ estremit
Id. Ibid. (c). Id. Ibid. (d). Id. Ibid. (4). Ovidio pretende, che nè la terra, nè il mare abbia voluto ricevere nel
aste sospese in aria, sieno state petrificate, e cangiate in iscogli, che dallo stesso Poeta vengono detti Scogli Scironidi
no venne allattato da un giumento, smarrito dalla mandra. Il pastore, che cercava quell’ animale, si abbattè nel fanciullo,
e lo portò a Cercione. Questi riconobbe l’ abito di Alope, e ordinò, che a colei fosse tolta la vita, e che il di lei figl
nobbe l’ abito di Alope, e ordinò, che a colei fosse tolta la vita, e che il di lei figlio fosse di nuovo esposto. Nettuno
uno cangiò quella misera madre in fontana, e mandò un altro giumento, che continuò ad allattarne il figlio, finchè altri pa
oonte (a). (g). Declaustre Diction. Mythol. (7). Apollodoro dice, che Scini, di cui abbiamo parlato, era figlio del men
sul trono, e diede a’ suoi sudditi il nome di Medi (c). Altri dicono, che Medea ebbe il predetto figlio dal re Egeo (d). La
d). La stessa Maga passò altresì appresso i Marsi e i Marrubj popoli, che abitavano appresso il Lago Fucino in Italia. Da q
occhi aporti, a disgiungerne, e a distaccarne le mani dal corpò : lo che fece dire, che le statue di lui erato animate(c).
a disgiungerne, e a distaccarne le mani dal corpò : lo che fece dire, che le statue di lui erato animate(c). Lo stesso arte
). Lo stesso artefice, trovandosi appresso Minos, formò un serraglio, che fu detto Labirinto, di cui per le molte replicate
ova nella natura. Si fece ad unìre penne con pene con tale simmetria, che le più corte e più piccole alle più grandi e più
o il lavoro, si adattò le due ali alle spalle, e si librò nell’ aria, che perfettamente lo sostenne. Altrettanto fece al fi
. Si avvicinò al Sole, e i raggi di quello tosto liquefecero la cera, che univa le di lui penne, cosicchè Icaro, sfornito d
cadde precipitoso in quel tratto di mare, ch’ è tra Micone e Giaro, e che da lui prese il nome d’ Icario(a). (b). Diod. S
v. (12). Filocoro, Istorico Ateniese, citato da Plutarco (d), dice, che tutta la gioventù, spedita in Creta, veniva da Mi
non data al Minotauro, ma distribuita in qualità di schiavi a quelli, che più si erano distinti ne’ Giuochi funebri, ch’ eg
ò, nè vide più Teseo. Corse quà e là in traccia di lui nè v’ incontrò che orride solitudini. Giunse finalmente a scoprire d
La regalò inoltre di una corona d’ oro, adorna di sette stelle(c), e che dopo la morte di lei fu collocata in cielo(d). Al
po la morte di lei fu collocata in cielo(d). Altri poisono di parere, che Bacco abbia ricevuto quella corona da Psalacanta,
rsi con Arianna, sua rivale, fu dal predetto Nume cangiata in pianta, che acquistò il di lei nome, e fu da lui stesso ripos
a sulla mentovata corona(a). Igino poi (b) e Pausania (c) pretendono, che Teseo abbia ricevato quella corona da Anfitrite,
la corona da Anfitrite, ed ecco come : tralle sette giovani Ateniesi, che con Teseo si erano trasferite in Creta, ve n’ era
e divenne amante, e usò ogni sforzo per aver corrispondenza da colei, che ricusava di farlo. Teseo vi si oppose anch’egli,
dal dito un anello d’oro, lo gettò nel’ mare, e soggiunse all’ Eroe, che se voleva essere creduto tale, quale si asseriva,
ui l’ anello, e fece dono della corona ad Arianna. Notisi per ultimo, che Arianna secondo l’ opinione di Plutarco non fu ab
In Nasso si celebrò una Festa, detta Ariannea, la quale non inspirava che tristezza e lutto, perchè essa ricordava Arianna,
rianna, abbandonata in quell’ Isola da Teseo (a). (16). La gioventù, che Teseo aveva liberato da quel Labirinto, eseguì l’
formare un circolo, mescolato d’ uomini e donne. Eustazio però vuole, che gli uni danzassero separatamente dalle altre(b).
eliade si chiamava da prima. Salaminia, perchè il mentovato Nausiteo, che ne fu il primo piloto, era nativo di Salamina(c).
Thes. (i). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (18). Altri vogliono, che le Oscoforie si dicessero da principio l’ Oscilla
gliono, che le Oscoforie si dicessero da principio l’ Oscillazione, e che questa Festa si celebrasse dagli Ateniesi per esp
es. (b). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (19). V’ è chi pretende, che quel mare siasi denominato Egeo da Egea, regina d
vi naufragò, mentre se ne ritornava in Africa, carica delle spoglie, che aveva ripotate dall’ Asia, allorchè seguita da un
, Id. Achil. l. 1. (c). Plut. in Vit. Thes. (20). Pensano alcuni, che le Feste Boedromie sieno state introdotte dagli A
omie sieno state introdotte dagli Ateniesi per ricordare il soccorso, che loro prestò Ione, figlio di Suto, allorchè Eumolp
Costei tralle vergini Tessale era sì celebre e singolare in bellezza, che invogliò parecchi personaggi delle sue nozze. Cen
iritoo i Centauri lo affogarono vivo sotto il peso de’ grandi alberi, che gettarono sopra di lui. Nettuno si ricordò d’ ave
, e lo trasformò in uccello. Così Ovidio(b) ; Virgilio poi soggiunge, che non in votatile, ma di nuovo in donna venne conve
vo in donna venne convertito(c). Ceneo ebbe un figlio di nome Corone, che da Apollonio viene ascritto tra gli Argonauti(d).
, uno de’ Lapiti. Il maschino cadde, e morì sì deformato e malconcio, che più non si riconobbe. Belate di Pella, rotto un p
lla, rotto un piede di tavola, lo scaricò sulla testa dell’ uccisore, che sputò sangue e i denti ; e fracassato poi da nuov
i denti ; e fracassato poi da nuovi colpi, passò nell’ Erebo. Grineo, che stava vicino al truciduto compagno, schiantò una
figli di Miçala, di cui abbiamo parlato. Non seppe Esadio sofferire, che colui restasse impunito ; e quindi pigliate le co
, con esse gli cavò gli occhi. Frattanto Reto, abbrancato il tizzone, che per rito ardeva sull’ ara, lo tirò nelle tempia a
Fuggivano per ultimo Folo, Melaneo, Abante, e quell’ Astilo indovino, che inutilmente aveva esortato i compagni a non intra
sa, e teneva egli in mano una tazza di vino. Lo vide appena Forbante, che , vibratogli un dardo nel collo, le mandò a tracca
lo stesso Piritoo rimasero Lico, Cromide, Dittide, ed Elope. Il pino, che Demo leonte voleva far cadere sopra Teseo, precip
sopra Teseo, precipitò in vece addosso a Crantore, sculiere di Pelso, che lo aveva ricevuto in ostaggio dal debellato Amint
antore, sepolto sotto quel tronco, scoccò contro Demoleonte un’ asta, che lo fece perire. Lo stesso Peleo stese sul suolo F
esso Peleo stese sul suolo Flegronte, Ilene, Clari, Ifinoo, e Dorila, che avea le tempia fesciate di pelle di lupo, e che i
ri, Ifinoo, e Dorila, che avea le tempia fesciate di pelle di lupo, e che in vece di armi adoperava corna di bue, lorde di
so chie, privò, allora di vita anche il bellissimo Centauro Cillaro, che aveva in moglie Ilonome, la più vezzosa delle fem
o Cillaro, che aveva in moglie Ilonome, la più vezzosa delle femmine, che abitavano nelle foreste. Colei, come vide morto i
n un tronco sterminato alla mano vecise quel Fonolenide sì nerboruto, che appena lo avrebbono mosso due paja di buoi. Volèv
vendicare i compagni s’avventò contro di Ceneo il formidabile Latreo, che faceva pomposa mostra dello scudo, della spada, e
lui. Nella morte del compagno accorsero a truppa i rabbiosi Centauri, che , con orribile tuono di voce empiendo l’aria di gr
Piritoo ebbe da Ippodamia molti figliuoli, e tra gli altri Polipete, che molto si distinse all’assedio di Troja(b). (25).
ene e di Pausania erano persuasi, ch’ Elena fosse figlia di Nemesi, e che Leda fosse la di lei balia(c). Sonovi quindi degl
esi, e che Leda fosse la di lei balia(c). Sonovi quindi degli Autori, che per conciliate queste due opinioni, dissero, che
quindi degli Autori, che per conciliate queste due opinioni, dissero, che Nemesi e Leda erano la stessa persona, riconosciu
. (d). Diod. Sic. l. 4., Hyg. fab. 79. (26). In Plutarco leggiamo, che Teseo affido la giovine Leda al suo amico, Afidno
esso Fillide, figlia di Crustumena e di Licurgo, re di Tracia. Colei, che aveva ereditato dal padre il regno, accolse Demof
nè lo avesse a rivedere, nè avesse alcuna notizia di lui. Ovidio fa, che colei gli scriva una lettera, in cui lo rimprover
riaccenderne l’affettó, dipingendogli al vivo il suò. Ma Demofoonte, che attendeva ad assicurarsi il trono d’Atene, da cui
fosse stata ancor sensibile al ritorno del suo amanre. Tzetze vuole, che il fatto testè descritto sia avvenuto non a Demof
feritosi in Italia, fondò la città di Padova ((a)). Vuolsi da alcuni, che egli pure sia stato uno di quelli, i quali tradir
ì della Ninfa Sterope, ma ella sempre lo fuggiva. Avvenne finalmente, che la giovine, correndo, calcò con un piede un serpe
orrendo, calcò con un piede un serpente, nascosto sotto un cespuglio, che la morse ed uccise. Esaco, irritato contro quell’
Ninfa Esperia, figlia del fiume Cebreno, per cui anche il Poeta dice, che Esaco morì(b). (d). Serv. in Virg. Arueid. l.5.
cisi da Agamennone(e). (5). Eleno fu il solo de’figliuoli di Priamo, che sopravvisse alla, rovina della sua patria. Profes
Troja per mezzo della Litomanzia, ossia coll’ajuto d’una certa gemma, che di notte si lavava alla luce d’una candela in acq
a, che di notte si lavava alla luce d’una candela in acqua fontana, e che dopo d’essersi fatte varie preci, e dopo esservis
are alla patria, e predisse il naufragio di tutti quegli altri Greci, che avrebbono voluto intraprendere simile viaggio(c).
di nome Cestrino(d). (6). Priamo, per sottrarre Polidoro a’pericoli, che minacciava la guerra, lo avea spedito appresso Po
doro, dic’egli, dal padre nella Tracia a sua sorella, Ilione, costei, che temeva della crudeltà di Polinnestore, suo marito
di Priamo. Qualche tempo dopo Polidoro intese dall’Oracolo d’Apollo, che il padre suo era morto, che la madre sua viveva i
po Polidoro intese dall’Oracolo d’Apollo, che il padre suo era morto, che la madre sua viveva in ischiavitù, e ch’era stata
to, e Polidoro strappò gli occhi a Polinestore(b). Notisi per ultimo, che Omero fa nascere Polidoro non da Ecuba, ma da Lao
(c), e lo fa cadere morto per mano d’Achille(d). (7). Virgilio dice, che Troilo, trasportato dalla giovanile audacïa, ardi
fatica alcuna rimase ucciso(a). Licofrone poi e Teocrito soggiungono, che Troilo, non avendo voluto corrispondere ad Achill
nel tempio d’Apollo (b). Tzetze finalmente ciò nega, perchè pretende, che Troilo non fosse giovine sì bello, che potesse de
nte ciò nega, perchè pretende, che Troilo non fosse giovine sì bello, che potesse destare nel predetto Greco sentimenti d’a
o felicemente restituirsi alle loro città(e). Ditti Cretese pretende, che ciò siasi fatto per consiglio d’Ulisse(f). Filost
che ciò siasi fatto per consiglio d’Ulisse(f). Filostrato poi vuole, che Polissena, disperata per la morte d’Achille, cui
ò in Troja a cercarla ; ma l’ombra di colei gli apparve, e gli disse, che Cibele la aveva trasferita nella Frigia, ed aveal
e affidata la custodia d’uno de’suoi temoj(a). Altri poi soggiungono, che Enea colle sue mani la uccise, avendo così patteg
rito non fu uccisa, ma abbandonata, onde non fosse di ostacolo a lui, che andava cercando nuove sedi o alleanze in lontani
Acamante fu maritata con Elicaone, figlio d’Antenore, e re de’Traci, che morì poco dopo d’averla sposata. Finalmente diven
. Cassandra era la più avvenente tralle figlie di Priamo ; ed è fama, che fosse di singolare costumatezza. Sì belle doti le
Ei se ne sdegnò ; nè potendo spogliarla del dono concessole, fece sì che niuno prestasse fede alle di lei predizioni, e ch
di lei predizioni, e ch’ella perfino si rendesse odiosa co’vaticinj, che pur doveano fruttarle ossequio e venerazione(a).
rono portati qualche tempo dopo la loro nascita nel tempio d’Apollo ; che ivi furono lasciati per un’interanotte ; e che il
nel tempio d’Apollo ; che ivi furono lasciati per un’interanotte ; e che il di seguente si trovarono attortigliati a’loro
igliati a’loro corpi de’serpenti, che’loro lambivano le orecchie : lo che conferi a tutti due il dono di presagire il futur
futuro(b). Cassandra vaticinò a Paride e a Priamo le funeste vicende, che il tempo verifico. Fu altora derisa da prima, e p
onobbero per una Divinita, e le cressero un tempio(d). Plutarco dice, che Cassandra dopo morte fu anche chiamata Pasifae, p
i Molo, Principe Cretese, e cessò di vivere (f) (14). Erodoto dioe, che Paride venne nella Grecia, essendone Menelao lont
to dioe, che Paride venne nella Grecia, essendone Menelao lontano ; e che il Trojano, invaghitosi di Elena, espugnò Sparta,
’è un’altra Tradizione, riferita dallo stesso Erodoto, la quale dice, che Elena, essendosi imbarcata con Paride per trasfer
tata sulla costa d’Egitto, all’imboccatura del Nilo, detta Canopo ; e che il Governatore di quel luogo, avendo inteso ciò c
detta Canopo ; e che il Governatore di quel luogo, avendo inteso ciò che le era avvenuto, la fece condurre col giovane Tro
ire la moglie di chi lo avea enorato della sua ospitalità. Soggiumse, che nol faceva morire, come pur avrebbe meritato il s
di se Elena per restituirla al marito. Appena giunse Paride in Troja, che pur v’arrivò la Greca armata per ridomandare la s
ta da Polidampa, moglie di Tone Egiziano, d’un erba, detta nepenthes, che , mescolata nel vino, avea la virtù di far dimenti
rla in isposa. Tindaro, suo padre, per consiglio d’Ulisse avea fatto, che tutti gli amanti di sua figlia giurassero d’appro
itano Trojano, corrotto dall’oro e da altri doni di Paride, non volle che colei fosse restituita ; e persuadette anzi a’suo
de, non volle che colei fosse restituita ; e persuadette anzi a’suoi, che trucidassero tutti quegli ambasciatori. Tra i med
ominato Munito. Questo fanciullo fu allevato da Etra, madre di Teseo, che Paride avea condotto da Sparta con Elena. Come fu
d Acamante il di lui figlio, ed egli salvò la vita a quello ed a lei, che gliedo avea fatto conoscere(c). Notisi per ultimo
ello ed a lei, che gliedo avea fatto conoscere(c). Notisi per ultimo, che tra gli ambasciatori anzidetti alcuni in vece di
nche Antiloco, figlio di Nestore e di Euridice(a). Ovidio però vuole, che quegli sia staso ucciso da Ettore(b). Nestore, ve
Ettore(b). Nestore, veduto morto, il suo figliuolo, suplicò Achille, che ne preniesse vendetta. Questi uscì tosto in campo
gere il perduto figluiolo, formando colle sue lagrime quella rugiada, che sul crepuscolo mattutino per ogni dove cade dal C
he sul crepuscolo mattutino per ogni dove cade dal Cielo. Aggiungesi, che l’Aurora, non potendo sofferire che il corpo di M
dove cade dal Cielo. Aggiungesi, che l’Aurora, non potendo sofferire che il corpo di Mennone si consumasse dalle fiamme su
lare quore. Condiscese il Nume all’inchiesta, e al cadere della pira, che consumava il cadavere, neri globi di fumo oscurar
chiarore della luce. Videsi poscia volare in aria una fosca favilla, che si unì e si addensò con altre di somigliante natu
grandissima Statua in Tebe di Egitto nel tempio di Serapide. Dicono, che quando il Sole nascente la toccava co’ suoi raggi
i sua madre, e rallegrandosi del suo ritorno(a). Cambise, sospettando che fosse opera di magia, fece rompere quella Statua
go tempo dopo, e sempre rendette lo stesso suono. Credesi finalmente, che Mennone rendesse dalla stessa Statua un Oracolo o
la predetta città (d). (20). Protoo armò quaranta vascelli di gente, che abitava sulle rive del Peneo, e sul monte Pelio(e
ò un figlio, di nome Arpalione, ch’egli avea seco condotto a Troja, e che fu messo a morte da Merione(e). Si collegarono pu
lla città di Percote nella Troade. Il loro padre tentò di dissuaderli che si portassero a quella guerra ; ma eglino nol asc
ina. Ecuba a vista del morto figlio, si risovvenne del funesto sogno, che avea avuto la notte precedente ; nè dubitò, che P
ne del funesto sogno, che avea avuto la notte precedente ; nè dubitò, che Polinnestore ne fosse stato il barbaro uccisore.
i un tesoro, da se nascosto, e riserbato al figliuolo. L’avaro Trace, che niente d’inganno sospertava, seguito da’ soli suo
ba in duogo appartato, e la solleci ò a palesargli l’arcano, giurando che tutto l’oro e l’argento sarebbe stato di Polidoro
igli. I Traci, veggendo sì maltrattato il loro re, inseguirono Ecuba, che fuggiva, e con immensa quantita di sassi la fecer
a, e con immensa quantita di sassi la fecero perire(a). Altri dicono, che Ulisse, costretto a ritornarsene in Itaca, lasciò
itornarsene in Itaca, lasciò Ecuba nel Greco campo. L’infelice donna, che preferiva la morte ad una vengognosa schiavitù, a
reci d’ingiurie e maledizioni per incontrare il fine de’ suoi giorni, che tante sospirava. Ella vi riuscì, poichè i Greci l
uscì, poichè i Greci la lapidarono(b). Più comunemente però si crede, che Ulisse stesso sia stasto l’autore della di lei mo
che Ulisse stesso sia stasto l’autore della di lei morte ; e vuolsi, che lo stesso Eroe, arrivato in Sicilia, sia rimasto
Eroe, arrivato in Sicilia, sia rimasto così agitato da funesti sogni, che per liberarsene abbia inalzato un piccolo tempio
si denominò Cinossemate, ossia sepolcro della cagna, perchè si finse, che Ecuba sia stata convertita in quell’ animale, e p
a convertita in quell’ animale, e poi sepolta(a). Notisi ultimamente, che Agamennone ale preghière di Ecuba, è in riflesso
hio, celebre Artista, e nativo d’Ile, città della Beozia. Omero dice, che quello scudo era copetto di sette pelli di tori(a
Filottete, di Podarce, e di Protesilao(b). Questo ultimo poco prima, che cominciasse la guerra di Troja, avea sposato Laod
e partire per l’assedio di Troja, perche dal di lei padre avea udito, che Protesilao sarebbe perito in quella guerra. Un al
o sarebbe perito in quella guerra. Un altro Oracolo pure fece sapere, che avrebbe perduto la vita quello de’ Greci, il qual
). Laodamia poi, intesa la morte di Protesilao, fece fare una statua, che lo rassomigliava, e sempre la tenne appresso di s
sohiavo, avendola veduta sul di loi letto, andò a riferire ad Acasto, che la di lui figliuola conversava con un uemo. Corse
sava con un uemo. Corse il ro alla di lei stanza, nè avendovi trovato che la mentovasa statua ; la fece abbruciare per togl
la fece abbruciare per togliere agli ecchi di bua figlia un oggetto, che altro non faceva se non pastere la di loi affizio
i dal marito, e lo segial nel Regno di Plutone(b). Altri soggiungono, che Laodamia, mentre stava abbracciando l’ombra di Pr
cciando l’ombra di Protesilao, spirò di dolore(c). Notisi per ultimo, che a Protesilao si dà soventi volte il soprannome di
15. (3). Cebrione rimase ucciso da Patroclo con un colpo di pieltra, che gli spaccò la testa(e). (4). Eniopeo fu messo a
utti. Enea ne trovò il corpo, e lo sappellì in un monte dell’ Italia, che acquistò il di lui nome(a). (g). Declaustre Dic
umanità a Menelao, e il Poeta Lescheo a Pirro(c). Dionisio poi narra, che Astimatte, e gli altri figliuoli di Ettore furono
i figliuoli di Ettore furono condotti schiavi da Pirro nella Grecia ; che poscia ne furono lasciati in libertà ; e ch’eglin
i partorì tre figliuoli, Molosso, Piclo, e Pergamo(f). Pausania dite, che essendo Molosso divenuto erede del tegno d’Epiro,
pist. Heroid. 16. (b). Nat. Com. Mythol. l. 6. (1). Dicono alcuni, che Paride stette esposto percinque giorni, e che in
6. (1). Dicono alcuni, che Paride stette esposto percinque giorni, e che in tutto quel tempo venne allattato da un’orse. A
he in tutto quel tempo venne allattato da un’orse. Altri soggiungono, che fu allevato dal predetto Archelao, come suo propr
ad Acasto, re di lolco, il quale parimenti ne lo purificò. Fu allora, che Astidamia, moglie di quel Sovrano, detta anche As
e gli trovò la nascosta arma, e lo liberò dal pericolo. Altri dicono, che Acasto, dopo d’averlo spogliato dello armi, lo ab
esposto sull’anzidetto monte, affinchè fosse divorato dalle fiere ; e che gli Dei per in zzo di Mercurio gli abbiano spedit
i anni dopo l’eccidio di Troja, e molto si addolorò, allorchè intese, che in quella guerra era perito Pirro, nato dal di lu
di Nereo per esservi onorato come uno de’ Semidei. Notisi per ultimo, che gli abitanti di Pella nella Macedonia offerivano
ogni anno una vittima umana(c). (3). Tetide era una Ninfa sì bella, che Giove stesso voleva prenderla in moglie. Nol fece
la in moglie. Nol fece poi, perchè Proteo (o Prometeo(d)) lo avvertì, che chiunque fosse nato da colei, sarebbe divenuto ma
il suo ordinario soggiorno era in una grotta lungo le rive del mate, che bagna la Tessaglia. Là Peleo andava a trovarla ;
o agli Dei per esserne assistito. Gli apparve Proteo, e gli manifestò che i di lui voti sarebbono soddisfatti, qualora aves
Iliad. l. 7. (e). Declaustre Diction. Mythol. (5). V’è chi dice, che il messaggiero, il quale riferì ad Enone, che Par
l. (5). V’è chi dice, che il messaggiero, il quale riferì ad Enone, che Paride si faceva portare appresso di lei, affinch
della ricevuta ferita, fu da lei rimandato indietro col commettergli, che suggerisse da parte sua a Paride di farsi piuttos
to risanare da Elena. Un sentimento poi di tenerezza fece ben presto, che Enone si pentisse di quanto aveva proferito ; ed
ò tardi, poichè la risposta, data al messo, afflisse Paride in guisa, che in quello stesso instante egli spirò. Enone allor
’ella pure morì, e fu sepolta con Paride. Finalmente vuolsi da altri, che Enone abbia trattato Paride con eccesso d’inumani
ono della sua infedeltà, e implorava la di lei assistenza. Aggiungesi che colei n’ebbe poscia sì grande rincrescimento, che
istenza. Aggiungesi che colei n’ebbe poscia sì grande rincrescimento, che da se si gettò sul rogo, e si abbruciò col corpo
ad. l. 2. (1). Secondo alcuni la madre di Enea fu una donna Trojana, che portava il nome di Venere(a). (b). Virg. Aneid.
gine i Penati, detti anche Lari, non erano se non le anime de’ morti, che i Gentili si facevano un dovere d’onorare come De
entili si facevano un dovere d’onorare come Dei domestici(c). Sembra, che il loro culto sia derivato dall’antico costume di
nimale(a), il quale simboleggiava la vigilanza, con cui si supponeva, che quelle Deità guardassero la casa(b). Attendevasi
trade concorrono, e dove quelle stesse Feste si celebravano. Credesi, che siento state introdotte da Servio Tullo, sesto re
o re de’Romani. Queste Feste si facevano singolarmente dagli schiavi, che in quel tempo godevano la libertà. Ciò però fu ca
li schiavi, che in quel tempo godevano la libertà. Ciò però fu causà, che le medesime venissero in seguito proihite per tim
due volte nell’anno, l’estate, e la Minavera (b). Notisi per ultimo, che gli Dei Penati, i quali Enea sottrasse all’incend
Sicihani, Anfinomo e Anapio. Il fuoco dell’Etna così erasi dilatato, che andava riducendo in cenere la loso città, detta C
i, e per sottrarli alla morte non temettero di passare tralle fiamme, che li ambe le parti consumavano ogni cosa. Gli Dei a
sumavano ogni cosa. Gli Dei a vista di sì straordinaria pietà fecero, che il fuoco li rispettasse, cosicchè eglino non ne s
(7). Lesche, poeta Greco, il quale compose una piccola Iliade, dice, che Enea rimase prigioniero de’Greci, e che fu dato c
ose una piccola Iliade, dice, che Enea rimase prigioniero de’Greci, e che fu dato con Andromaca a Pirro, figlio di Achille
dato con Andromaca a Pirro, figlio di Achille (c). Altri soggiungono, che i Greci lo lasciarono uscire liberamente da Troja
tenore, avea consegnata nelle loro mani quella città (d). Tra coloro, che in quella circostanza tradirono la patria, Darete
ero poi (b) e Virgilio (c) ce lo descrivono come un vecchio Capitano, che , per l’età divenuto impotente a prendere le armi
lto però le giovò colla saggiezza de’suoi consigli. (8). Tra coloro, che seguirono Enea, si nomina Latago, che restò uccis
uoi consigli. (8). Tra coloro, che seguirono Enea, si nomina Latago, che restò ucciso da Mezenzio (d) ; Darete (e) ; Oront
omina Latago, che restò ucciso da Mezenzio (d) ; Darete (e) ; Oronte, che perì per naufragio sulla costa d’Africa (f) ; Lad
) ; Oronte, che perì per naufragio sulla costa d’Africa (f) ; Ladone, che fu ucciso da Aleso (g) ; Eumede, figlio di Dolone
li àfflissero con fiera pestilenza. I Velini, avvertiti dall’Oracolo, che quella non sarebbe cossata, se non avessero placa
rio di Palinuro (a). (a). Virg. Acneid. l. 3. (10). Dicono alcuni, che Anchise finì di vivere sul monte Ida (b). Pausani
cuni, che Anchise finì di vivere sul monte Ida (b). Pausania pretende che sia morto nell’Arcadia appiè d’un monte, che posc
a (b). Pausania pretende che sia morto nell’Arcadia appiè d’un monte, che poscia si denominò Anchiso (c). Eustato soggiunge
iè d’un monte, che poscia si denominò Anchiso (c). Eustato soggiunge, che morì di ottant’anni (d). Igino (e) e Virgilio nar
soggiunge, che morì di ottant’anni (d). Igino (e) e Virgilio narrano, che restò colpito dal fulmine, perchè si vantò d’aver
che tempo stette nascosto a Didone ; ma finalmente l’ombra di Sicheo, che fino allora era rimasto privo degli onori della s
e a trasportare seco i tesori, i quali erano nascosti in certo luogo, che le manifestò. Didone così fece, e si trasferì nel
Ninfa Garamantide. Ella gli offerì porzione de’suoi tesori, a patto, che volesse cederle tanto spazio di terreno, quanto e
ta la pelle in istrettissime striscie, occupò con quella tanta terra, che fu bastevole a fabbricarvi una ben vasta città. L
adella, a cui dalla pelle del bue diede il nome di Birsa, voce Greca, che significa pelle (a). (12). Varrone, citato da Se
che significa pelle (a). (12). Varrone, citato da Servio (b), dice, che non Didone, ma la di lei sorella, Anna, concepì i
 4. (13). Altri raccontano in altro modo la morte di Didone. Dicono, che quando colei stabilì in Africa il suo regno, Iarb
sarla ; ma l’amore, ch’ella conservava pel morto suo marito, fece sì, che non mai volle acconsentirvi. E perchè temeva d’es
Antichi si risguardava come il Dio della Natura. Il Censorino vuole, che esso sia stato detto Genio dalla cura, che prende
atura. Il Censorino vuole, che esso sia stato detto Genio dalla cura, che prende nella generazione degli uomini, o perchè s
n loro (d). Due sorta di Genj furono da altri riconosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al b
no da altri riconosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri che spingevano al
che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri che spingevano al male (e). Questi ultimi vennero da’
ssia malefici, tra’quali si fa menzione di un certo Atteo. Credevasi, che i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta
e i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta al fiume Stige, e che con essa vi facessero insorgere la peste, la guer
cui abbiamo parlato anche altrove, si tenne parimenti come un Genio, che presiedeva alla terra. Si rappresentava sotto l’a
terra. Si rappresentava sotto l’aspetto di pallido e smunto vecchio, che soggiornava nelle viscene della terra. Era credut
li Dei, e gli dà per compagni l’Eternità e il Caos. Paussania scrive, che vicino al confine delle stadio di Olimpia eravi u
ssavano all’anzidetto altare, così restavano sorpresi dallo spavento, che più non ubbidivano nè alla voce, nè alla mano di
nze di serpente (d). (b). Virg. Acneid. l. 5. (17). Virgilio dice, che due colombe additarono ad Enea l’albero, a cui er
e appresso di se Ercole ; e corse seppe, ch’era figliuolo di Giove, e che le di lui grandi azioni corrispondevano all’alto
i drizzò un altare, e gli sacrificò un giovine toro (i). Servio dice, che tale sacrifizio si rinovava in Roma ogni anno sul
novava in Roma ogni anno suli monte Aventino (l). Virgilio poi narra, che Evandro ebbe a combattere con Erilo, re di Prenes
he Evandro ebbe a combattere con Erilo, re di Preneste, in Italia ; e che tre volte dovette dargli la morte, attesochè colu
Nettuno, ed eccellente nell’arte di maneggiare i cavalli (d) ; Mago, che restò ucciso da Enea (e) ; il famoso augure, Tolu
nea (e) ; il famoso augure, Tolumnio (f) ; Ufente, Principe d’Italia, che fu messo a morte dal Trojano Gia (g) ; Aventino,
incipe d’Italia, che fu messo a morte dal Trojano Gia (g) ; Aventino, che nacque ad Ercole dalla Sacerdotessa Rea, e che po
no Gia (g) ; Aventino, che nacque ad Ercole dalla Sacerdotessa Rea, e che portava scoloita sullo scudo l’Idra di Lerna, per
d). Id. Ibid. (21). Niso ed Eurialo furono due compagni sì fedeli, che l’uno non abbandonò mai l’altro in qualsivoglia p
tre eccellente nel tirare d’arco. Finalmente era sì agile alla corsa, che avrebbe potuto correre sopra un campo, coperto di
ordì contro di lei varie insidie. Anna, avvertita in sogno da Didone, che abbandonasse quel soggiorno, fuggì per una finest
. Altri poi sotto tal nome riconobbero una certa vecchia di campagna, che somministrò viveri al Popolo Romano, allorchè que
a ritirarsi sul monte Aventino. Furonvi pure aleuni, i quali dissero, che Anna Perenna altro non era che la Luna, o Temi, o
Furonvi pure aleuni, i quali dissero, che Anna Perenna altro non era che la Luna, o Temi, o Io, o una delle Atlantidi, la
, la quale fu nutrice di Giove. Comunque ciò sia, notiamo per ultimo, che Anna Perenna fu venerata come una Dea, e che a di
sia, notiamo per ultimo, che Anna Perenna fu venerata come una Dea, e che a di lei onore si celebrava lungo le rive del Tev
(a). (e). Virg. Acneid. l. 1. (25). Lavinia, morto Enea, temette, che Ascanio la facesse perire. Si ritirò quindi nelle
sorella di Priamo. Omero ne parla, come del miglior tiratore d’arco, che vi fosse nella Greca armata (c). Teucro uccise Cl
fu accolto dal padre. Si ritirò quindi in Cipro, ove fondò una città, che denominò pure Salamina. Dopo la morte di Telamone
ì la dimora (a). Una tradizione, riferita da Pausania (b), soggiunge, che Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu
b), soggiunge, che Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu, che vi eresse al dire di Lattanzio un tempio a Giove,
pione (f). Nella divisione delle Trojane spoglie gli toccò una cassa, che racchiudedeva una statua di Bacce, formata da Vul
bondo. Questa malattia gli continuò per lungo tempo, nè gli lasciava, che brevi intervali di retto sentimento. Euripilo col
darsene a consultare l’Oracolo di Apollo Delfico. N’ebbe in risposta, che dovesse proseguire il suo viaggio, e fermarsi sol
tosi in balia de’venti, fu portato alla costa di Patrasso. V’osservò, che allora si stava sacrificando un giovanetto, e una
ja ; e colla prudenza e sagacità de’consigli riuscì sì utile a’Greci, che Agamennone protestava, ch’egli in breve tempo avr
e(e). Ritornando dall’assedio di Troja fu colto da sì fiera burrasca, che stette per naufragare. Fece allora voto a Nettuno
iera burrasca, che stette per naufragare. Fece allora voto a Nettuno, che se lo avesse salvato dall’imuninense pericolo, gl
Dio delmare, immerse il ferro nel seno di quello. Altri asseriscono, che nol fece, perchè il popolo ne lo impedì. Comunque
, che nol fece, perchè il popolo ne lo impedì. Comunque sia, certo è, che tutti i di lui sudditi gli si sollevarono, lo sca
tane l’asta, la quale per l’immenso suo peso non si poteva maneggiare che dal solo Achille. Così armato, alla testa de’Mirm
tollo del sangue nemico, insistette nel combattimento. Apollo allora, che proteggeva i Trojani, gli comandò di non inferoci
eguale valore. Finalmente la vittoria si dichiarò in favore de’Greci, che trassero il corpo di Cebrione alle loro rive. Pat
e in fuga, e trasportò il corpo dell’estinto ne’suoi navigli. Dicesi, che i cavalli di Achille abbiano pianto la morte di P
Dicesi, che i cavalli di Achille abbiano pianto la morte di Patioclo, che sieno rimasti immobili colla testa pendente verso
ioclo, che sieno rimasti immobili colla testa pendente verso terra, e che non abbiano voluto più marciare ad onta degli sfo
non abbiano voluto più marciare ad onta degli sforzi di Automedonte, che li guidava(b). Achille, intesa la morte dell’amit
esa la morte dell’amito, diede segni di eccessivo dolore, e protestò, che non ne avrebbe celebrato i funerali, se prima non
di quello quattro de’suoi più belli cavalli, e due de’migliori cani, che teneva per guardia ; v’aggiunse, com’erasi propos
Piro, capo de’Traci, spirò per mano di lui(l). Toante era sì stimato, che Nettuno prese le di lui sembianze per animare i G
to dalla collera, ferì col dardo la Dea in una coscia, ed eseguì ciò, che avea stabilito. Arrivato a casa, gli parve di ved
iò, che avea stabilito. Arrivato a casa, gli parve di vedere Minerva, che gli mostrava la sua ferita. Dopo questa visione c
frutto. Gli abitanti della medesima consultarono l’Oracolo di Dodona, che li consigliò di placare la predetta Divinità. Egl
igliò di placare la predetta Divinità. Eglino le eressero una statua, che la rappresentava con una ferita in una coscia(a).
e servisse di divertimento. Colui sempre ciarlava, e diceva tutto ciò che gli veniva in bocca. Era inoltre guercio, zoppo d
bocca. Era inoltre guercio, zoppo da un piede, e colle spalle curve, che gli si rovesciavano sul petto. Era appuntito nel
uto da Bacco la virtù di cangiare in vino, grano, ed olio tutro quel, che toccavano. Usò Agamennone della forza e delle arm
per timore consegnò ad Agamennone le giovani. Esse a vista de’ceppi, che loro si preparavano, ricorsero supplici a Bacco,
’anzidetta città, voleva sapere, come gli sarebbe riuscita la guerra, che stava per intraprendere. Calcante predisse, che l
e riuscita la guerra, che stava per intraprendere. Calcante predisse, che l’esito ne sarebbe stato felice. Mopso all’oppost
e, che l’esito ne sarebbe stato felice. Mopso all’opposto non presagì che sciagure. Il Monarca s’accinse all’impresa e l’av
comprovò il vaticinio di Mopso. Ciò talmente avvilì il di lui rivale, che questi morì di dolore(a). Altri poi dicono, che,
ilì il di lui rivale, che questi morì di dolore(a). Altri poi dicono, che , essendosi ricercato a que’due Indovini, quante f
o a que’due Indovini, quante frutta avesse una certa ficaja, si trovò che il numero n’era tale, quale Mopso avea asserito.
per timore d’ingannarsi non proferi parola ; laddove Mopso soggiunse, che quella era gravida di sei figli, tra’quali ve ne
rche bianche. Tutto ciò esattamente viddesi verificato ; e fu allora, che Calcante morì di tristezza(b). Questi dopo motte
a quella Dea(e). Sonovi degli antichi Scrittori, i quali asseriscono, che Ifigenia al momento, che dovea essere sacrificata
egli antichi Scrittori, i quali asseriscono, che Ifigenia al momento, che dovea essere sacrificata, venne convertita in gio
dicono in orsa, ed altri in vecchia donna(f). Virgilio ci fa credere, che realmente siasi sparso il di lei sangue sull’ara(
ente siasi sparso il di lei sangue sull’ara(a). Stesicore finalmente, che fu uno de’più antichi e celebri Poeti Lirici, rac
inalmente, che fu uno de’più antichi e celebri Poeti Lirici, racconta che l’Ifigenia, sacrificata in quell’occasione, era u
lia, la quale Elena, sorella di Clitennestra, avea avuto da Tesseo, e che da lei non era stata mai dichiarata per sua figli
colla loro madre. Nella sorpresa universale Calcante predisse allora, che la conquista di Troja avrebbe costato a’Greci tan
anni di stenti e sudori, quanti erano stati gli uccelli divorati : lo che , conte vedemmo, si verificò. Terminato ch’ebbe Ca
ezialmente all’ingegnosa accortezza di Ulisse. Questi suggerì a’suoi, che fingessero di ritirarsi dall’assedio, e di far ri
ssero di ritirarsi dall’assedio, e di far ritorno alle loro città, ma che prima lasciassero costruito dinanzi a Troja un ca
te, Menelao, Stenelo, Pirro, e Macaone. I Greci poscia sparsero voce, che aveano consecrato quel cavallo a Pallade, ond’ell
o consecrato quel cavallo a Pallade, ond’ella fosse propizia ad cesi, che citornavano alle loro città ; e intanto si occult
edonte secondo Ditti Cretese(c), comechè conoscesse il Greco inganno, che il quello celavasi tuttavia egli il primo propose
tuttavia egli il primo propose a’suoi d’introdurlo in città. Dicesi, che ciò abbia fatto per vendicarsi con Priamo, che av
urlo in città. Dicesi, che ciò abbia fatto per vendicarsi con Priamo, che avea fatto morire il di lui figliuolo(d). Capi al
ltri miglior consiglio, paventando le Greche insidia, erano d’avviso, che il sospetto dono o fosse gittato in mare, o venis
o da moltitudine di popolo, e pieno d’estro fatidico, si fece a dire, che non conveniva fidarsi del mentito cavallo ; che s
dico, si fece a dire, che non conveniva fidarsi del mentito cavallo ; che si dovea temere de’ Greci ; e che non senza ingan
eniva fidarsi del mentito cavallo ; che si dovea temere de’ Greci ; e che non senza inganno erano certamente i doni loro. C
spiaggia a Nettuno, si staccarono dall’ Isola di Tenedo due serpenti, che , strisciando prima con fischi orribili sulla supe
o orrendo scempio. In vano usò il padre de’suoi dardi a loro difesa : che anzi gli stessi serpenti si avventarono pure cont
ltro, si lasciò ad arte prendere da’ Trojani, e diede loro a credere, che i Greci, stanchi di sì lungo assedio, e risoluti
soluti di abbandonarlo, aveano ricevuto ordine dall’ Oracolo di Febo, che prima sacrificassero uno di loro, affinchè potess
mettersi di nuovo con favorevo le vento alle patrie terre. Soggiunse, che Ulisse, da cui egli era fieramente perseguitato,
gno i Greci avessero formata l’immensa mole di quel Cavallo. Rispose, che i suoi, dopochè rapirono il Palladio, non godette
il Palladio, non godettero più favorevole sorte nelle loro imprese ; che per consiglio di Calcante conobbero, ch’era neces
’offesa Dea, e poi ripigliare l’assedio di Troja. Conchiuse col dire, che intanto per espiare la fatale colpa aveano eretto
ale colpa aveano eretto in vece del rapito simulacro quel Cavallo ; e che sì grande lo aveano formato, acciocchè i Trojani
bo, chiamato da Omero Ortrione, era figlio di Migdone. Egli, veggendo che i Greci conducevano via, come schiava, Cassandra,
’un bambino. Per celare poi l’obbrobriosa nascita di quello, comandò, che lo stesso fosse esposto nelle selve. Un certo pas
prudente, la quale seppe occultare agli occhi di sua madre il dolore, che sentiva per la morte di suo padre. N’ era quindi
. Mythol. (a). Iliad. l. 2. (a). Paus. l. 1. (1). Altri dicono, che Oreste fu spedito appresso Strofio dalla sua nutr
(b), e Gelissa da Eschilo (c). Un Greco Autore antichissimo pretende, che quando Egisto e Clitennestra assassinarono Agamen
st. (a). Declaustre Diction. Mythol. (3). Dionisiocle riferisce, che Oreste fu accusato dinanzi all’ Areopago da Tinda
l’ Areopago da Tindaro, padre di Clitennestra (e). V’è chi soggiunge, che lo abbia fatto Erigona, figlia d’Egisto e di Clit
ge, che lo abbia fatto Erigona, figlia d’Egisto e di Clitennestra ; e che colei talmente si rattristò al vederlo assolto, c
Clitennestra ; e che colei talmente si rattristò al vederlo assolto, che disperata si diede la morte (f). Igino poi contin
olto, che disperata si diede la morte (f). Igino poi continua a dire, che volendo Oreste ucciderla, Diana la sottrasse al d
sa nell’ Attica (g). (b). Id. Ibid. (4). Pausania lasciò scritto, che nell’ Arcadia v’avea un tempio, dedicato a certe
certe Dee, chiamate da quegli abitanti Manie. Lo stesso Storico crede che fossero la stessa cosa che le Furie ; e racconta,
li abitanti Manie. Lo stesso Storico crede che fossero la stessa cosa che le Furie ; e racconta, che fu quello il luogo, ov
o Storico crede che fossero la stessa cosa che le Furie ; e racconta, che fu quello il luogo, ove Oreste, dopo d’aver uccis
erchè sopra di essa stava scolpita la figura d’un dito ; e si diceva, che Oreste, divenuto furioso, si avesse troncato colà
fu rapita, venne nascosta tra un fascio di legna (c). Pausania dice, che in Brauron, Borgo dell’ Attica, eravi un’antica s
a, eravi un’antica statua di Diana, la quale credevasi essere quella, che fu rapita da Oreste. In quel tempio si celebrava
nuda spada sulla testa d’una vittima umana, e alcune gocce di sangue, che da quella si facevano uscire, erano in luogo di s
opo morte viricevette onori divini. (d). Lo stesso Storico soggiunge, che gli Spartani pretendevano di possedere essi la pr
Statua (e). Strabone finalmente (f), Dione (g), e Tzetze (h) dicono, che gli abitanti di Comana, città della Cappadocia, e
ada, si vantavano di tenere il medesimo simulacro. Strabone aggiunge, che le Sacerdotesse di Diana, onorata in Castabalo so
Id. Iliad. l. 5. (f). Declaustre Diction. Mythol. (1). Il piloto, che condusse il vascello di Menelao dall’assedio di T
ra. Il re di Sparta, per onorarne la memoria, fabbricò ivi una città, che denominò Canobo, e nella quale al momento della s
e della guerra, in cui era morto il suo marito, ordinò a certe donne, che si fingessero furibonde, che la strangolassero, e
rto il suo marito, ordinò a certe donne, che si fingessero furibonde, che la strangolassero, e che la sospendessero ad una
a certe donne, che si fingessero furibonde, che la strangolassero, e che la sospendessero ad una quercia(b). Que’di Rodi f
ssero ad una quercia(b). Que’di Rodi fabbricarono ad Elena un tempio, che denominarono il tempio di Elena Dendrite, ossia a
sso nel predetto tempio di Elena ; e la bambina divenne sì avvenente, che Aristone, re di Sparta, la sposò(a). Dicesi final
vvenente, che Aristone, re di Sparta, la sposò(a). Dicesi finalmente, che il Lirico Poeta, Stesicore, essendo stato privato
a di aver dovuto sposare un mortale. Furonvi alcuni, i quali dissero, che Tetide soleva gettare in acqua bollente i proprj
questo, come lo viddero morto, rimasero presi da sì veemente dolore, che tutti si lasciarono uccidere intorno al corpo di
co. Questa sì valorosa giovine, afflitta per la perdita di suo padre, che qualche tempo dopo era perito in una sedizione, s
hi, ove visse di rapine. Ella correva con somma rapidità, nè fu presa che colle reti(a). Ritornando a Neottolemo, dicesi, c
dità, nè fu presa che colle reti(a). Ritornando a Neottolemo, dicesi, che Menelao avesse, promesso Ermione, sua figlia, ad
icesi, che Menelao avesse, promesso Ermione, sua figlia, ad Oreste, e che poi la abbia data in moglie a Neottolemo. Non ave
i sposò Tolommeo Evergere, re d’Egitto, e tale amore sentiva per lui, che veggendolo marciare alla testa de’ suoi eserciti
ed ebbe un tempio, in cui i vincitori deponevano le corone di fiori, che aveano riportaro ne’Giuochi, celebrati in di lui
isia in Asia, il quale la adotto per sua figliuola(d). Pausania dice, che Auge, rinchiusa col figlio, Telefo, in una cesta,
sa col figlio, Telefo, in una cesta, fu gettata da Nauplio in mare, e che venne raccolta, e sposata da Teutrante(e). Anche
he venne raccolta, e sposata da Teutrante(e). Anche Igino riferisce ; che Teutrante la adottò per sua figliuola ; ma soggiu
o per sapere, quali fossero i di lui genitori. L’Oracolo gli comandò, che passasse in Asia presso il re Teutrante. Questo P
nte. La giovine spaventata implorò il soccorso d’Ercole, e ne intese, che Telefo era di lei figliuolo. Telefo allora prese
n moglie Laodice, figlia di Priamo. In forza di queste nozze avvenne, che Telefo si attaccò al partito de’ Trojani contro i
tri alla fuga. Era per trionfare totalmente de’ nemici, quando Bacco, che proteggeva i Greci, fece sortire dalla terra un c
Achille subito si avventò contro di lui, e sì lo ferì colla lan cia, che lo obbligò a ritirarsi colle sue truppe(b). (f).
io(d), era figlia di Marte e di Ottera. (8). Darete di Frigia vuole, che Pentesilea sia stata uccisa da Neottolemo, figlio
’Achille(a). Lo Scoliaste d’Omero(b) e Tolommeo. Efestione(c)narrano, che l’anzidetta donna vinse ed uccise Achille ; ma ch
estione(c)narrano, che l’anzidetta donna vinse ed uccise Achille ; ma che questo Eroe per le preghiere di Tetide, sua madre
Tetide, sua madre, cisuscitò un momento per troncare la vita a colei, che gli avea tolto la sua. (e). Quint. Calab. l. 1.
 1. (f). In Virg. Aeneid. l. 1. & 11. (9). Licofrone pretende, che Achille abbia privato di vita Tersite, perchè cos
aricò di maledizioni. Fenice si ritirò nella Ftiotide appresso Peleo, che lo ricolraò di ricchezze, gli affidò l’educazione
rtò all’assedio di Troja(g). Apollodoro poi(h) e Licofrone(i) dicono, che Amintore strappò gli occhi a Fenice, e che questi
(h) e Licofrone(i) dicono, che Amintore strappò gli occhi a Fenice, e che questi, ritirandosi appresso Peleo, venne dal med
si appresso Peleo, venne dal medesimo indrizzato al Contauro Chirone, che gli restituì la vista. (b). Hom. Iliad. l. 9. &
ricevuto da Nettuno, suo avo, il dono dell’immortalità a condizione, che avesse avuto cura d’un capello d’oro, il quale tr
fitrione, poichè questi, com’ebbe in sua mano la di lei città, ordinò che colei fosse fatta morire(b). (c). Ovid. 8. Epis
. l. 1. (a). Hard. Stor. Poct. (b). Metam. l. 12. (13). Dicesi, che i Greci, per farsi restituire da’ Trojani il corp
ojani il corpo d’Achille, abbiano dovuto sborsare il riscatto stesso, che quelli aveano contribuito per riavere il corpo d’
e(d). Igino racconta, ch’egli appena nato fu esposto sul monte Ida, e che venne allattato da una cagna(e). Il medesimo molt
rezza e agilità d’Antiloco uguagliava il suo coraggio ; e sì nell’una che nell’altra molto si distinse ne’ Giuochi funebri,
lo fa cadere per mano di Ettore, figlio di Priamo(b). Senofonte dice, che Antiloco fu soprannominato Filopatore, ossia amat
o padre, perchè egli sacrificò la propria vita per riparare il colpo, che Mennone avea vibrato contro Nestore(c). (c). De
. 9. (b). Hard. Stor. Poct. (1). Furonvi alcuni, i quali dissero, che Sisifo, figliuolo di Eolo, pochi giorni prima che
i, i quali dissero, che Sisifo, figliuolo di Eolo, pochi giorni prima che Anticlea si maritasse con Laerte, la lasciò incin
consisteva in un cambio reciproco di cose necessarie alla vita, e ciò che si comprava, veniva pagato con animali, o con isc
o argento informe. (c). Hom. Odyss. l. 1. (3). Alcuni pretendono, che Penelope, ancor bambina, sia stata esposta ; e ch
Alcuni pretendono, che Penelope, ancor bambina, sia stata esposta ; e che essendo stata allevata da certi uccelli, detti Pe
do maritare la mentovata sua figlia, la propose, come premio a colui, che avesse sorpassato gli altri nella corsa ; ed Ulis
rannome di Belide, perchè confonde Nauplio, di lui padre, con quello, che nacque da Aminome, una delle Danaidi, le quali, p
9. (b). Joh. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (6). Filostrato riferisce, che Ajace ed Achille ebbero cura di seppellire Palame
ace ed Achille ebbero cura di seppellire Palamede appresso il mare, e che qualche tempo dopo gli alzarono una Capella ; dov
cendole urtare in varj scogli, le fece naufragare. Avendo poi inteso, che Ulisse e Diomede si erano salvati, preso dal dolo
lvati, preso dal dolore, si precipitò nel mare’(b). Eustato aggiunge, che Nauplio fece credere ad Anticlea, madre d’Ulisse,
stato aggiunge, che Nauplio fece credere ad Anticlea, madre d’Ulisse, che il suo figliuolo era morto ; e che colei disperat
edere ad Anticlea, madre d’Ulisse, che il suo figliuolo era morto ; e che colei disperata si diede la morte(c). Omero per a
colei disperata si diede la morte(c). Omero per altro dice solamente, che l’anzidetta donna morì di dolore per la lunga ass
lla Bitinia, amava estremamente la solitudine, nè d’altro dilettavasi che della caccia. Reso, essendo passato per que’dinto
, con cui avea percosso la terra, e gli aprì una piaga sì puzzolente, che i Greci lo abbandonarono, come dicemmo, nell’Isol
lo abbandonarono, come dicemmo, nell’Isola di Lenno(b). Altri dicono, che la predetta piaga fu un effetto del morso di un s
o cura degli ultimi momenti della di lui vita(c). Teocrito soggiunge, che Filottete rimase in quel modo danneggiato da un s
fece orribile strage de’Trojani. Dopo la presa di Troja avendo udito, che i suoi gli si erano ribellati, si trasferì in Ita
Petilia(b). (h). Declaustre Diction. Mythol. (9). Pausania vuole, che Diomede solo sia stato incaricato di andarsene a
or. Poet. (a). Hom. Odyss. l. 9. (10). Uno de’compagni di Ulisse, che si chiamava Achemonide, figlio di Adamasto d’Itac
co lo trasferì in Italia(d). (11). Fileta appresso Partenio(e) dice, che Polimela, figlia d’ Eolo, cui Ulisse aveva preso
e aveva preso ad amare, fu sì sensibile alla partenza del suo amante, che non cessava dal bagnare di calde lagrime i doni,
del suo amante, che non cessava dal bagnare di calde lagrime i doni, che ne avea ricevuto. Eolo a vista di quelli riconobb
quelli riconobbe la causa del di lei dolore, e talmente se ne sdegnò, che la avrebbe uccisi, se non ne fosse stato trattenu
fosse stato trattenuto da Diore, di lei fratello. (12). Tra’ Greci, che da Circe furono converti in porci, si nomina un c
e Sirene erano Ninfe marine, figlie del fiume Acheloo, e di una Musa, che alcuni dicono essere stata Melpomene(b), altri Ca
te in mostri, poichè comparvero mezzo uccelli, e mezzo donne. Dicesi, che ciò sia avvenuto, perchè essendosi trovate presen
lare, finchè avessero potuto trovarla(i). Igino all’opposto racconta, che Cerere le cangiò in que’mostri, perchè non difese
l. 1. (d). Id. Odyss. l. 5. (e). l. 4. Pons. (15). Esiodo dice, che Ulisse ebbe da Calipso due figli, Nausitoo, e Nau
(b). Id. Odyss. l. 6. (16). Ditti Cretese(d) e Aristoto(e) narrano, che Nausicaa si maritò con Telemaco, figlio d’ Ulisse
e) narrano, che Nausicaa si maritò con Telemaco, figlio d’ Ulisse ; e che n’ebbe un figlio, detto Ptoliporto, o Perseptoli.
ava vicino all’ Isola di Corcira. L Oracolo avea predetto ad Alcinoo, che così era per accadere. Quel re poi, per placare N
osamente deludeva le forti e continue sollecitazioni di tutti coloro, che aspiravano alle di lei nozze. Prese ella a tesser
di manifestare la sua risoluzione, quando avesse compito quel lavoro, che destivana per ravvolgervi il corpo di Laerte, suo
). (d). Id. Odyss. l. 19. (a). Hom. Odyss. l. 21. (21). Il fine, che que’ Nobili incontrarono, era stato loro predetto
taca, l’ Indovino vide volare alla diritta di Telemaco uno sparviero, che teneva tragli artigli una colomba, la bezzicava,
do vide coloro, i quali, sedendo a mensa, ridevano sì eccessivamente, che perfino versavano dagli occhi copiose lagrime(c).
perfino versavano dagli occhi copiose lagrime(c). Tra i varj Nobili, che in quell’occasione caddero morti, si nominano Ant
endicare la morte di suo figlio, si fece alla testa d’alcuni d’Itaca, che avea sollevato contro Ulisse ; ma restò ucciso da
ma nè seppe prevedere la venuta di Ulisse, nè il colpo di quell’arma, che gli recise la testa(b). (b). Id. Odyss. l. 2.
. 3. (d). Hom. Odyss. l. 10. (22). Circe ebbe da Ulisse due figli, che si denominarono Agrio e Latino(c). (e). Hard. I
uovamente gl’intimò di non più comparirgli dinanzi ; e gli soggiunse, che se voleva fare le sue difese, le esponesse, stand
iò il favore del re Cicreo, figlio di Nettuno e della Ninfa Salamide, che gli diede in moglie una delle sue figliuole, la q
perchè col mezzo di lui eransi liberate quelle terre da un serpente, che andava facendone orribile guasto(a). Telamone int
di penetrare il primo in quella città. Ercole, non potendo sofferire, che un altro fosse stimato più valoroso di lui, volev
valoroso di lui, voleva sacrificarlo alla propria gelosia. Telamone, che se ne avvide, prese a formare un monte di pietre,
e, che se ne avvide, prese a formare un monte di pietre, protestando, che voleva alzare un altare ad Ercole Callinico, cioè
ricompensare il di lui valore gli diede Esione, figlia di Laomedonte, che divenne la di lui seconda moglie(b). Telamone n’e
divenne la di lui seconda moglie(b). Telamone n’ebbe anche una terza, che Sofocle(c), Pindaro(d), Diodoro Siciliano(e), ed
a figlia d’Alcatoo, nato da Pelope, e re di Megara. E’ questa quella, che diede alla luce il predetto Ajace(h). (a). Phil
Dict. Cret. l. 5., Cedren. in Annal. (4). Quelli, i quali dicono, che Ajace sia stato trovato morto nella sua tenda, so
cono, che Ajace sia stato trovato morto nella sua tenda, soggiungono, che Ulisse, essendo stato preso in sospetto di tale o
rasca vennero portate sulla tomba d’Ajace(a). Tolomeo Efestione dice, che le onde non ne portarono colà se non lò scudo. La
ne portarono colà se non lò scudo. La tomba d’Ajace fu una di quelle, che Alessandro il Grande volle vedere e onorare nella
). Nat. Com. Mythol. l. 8. (b). Apollon. Argon. l. 1. (2). Colui, che manifestò a Castore e a Polluce, dov’ Elena trova
Academo, rispettarono quel luogo nel tempo delle frequenti invasioni, che facevano nell’ Attica. Le ombrose selve, che ivi
lle frequenti invasioni, che facevano nell’ Attica. Le ombrose selve, che ivi si trovavano, e le quali erano opportune agli
e ivi si trovavano, e le quali erano opportune agli studj, fecero sì, che nel medesimo Inogo si riducesse gran moltitudine
o sì, che nel medesimo Inogo si riducesse gran moltitudine di quelli, che si applicavano alla Filosofia, e che bramavano di
esse gran moltitudine di quelli, che si applicavano alla Filosofia, e che bramavano di udire Platone : lo che a’ di lui dis
si applicavano alla Filosofia, e che bramavano di udire Platone : lo che a’ di lui discepoli acquistò il nome di Academici
re Diction. Mythol. (e). Nat. Com. Mythol. l. 8. (3). Igino dice, che Febe era sacerdotessa di Minerva, e Ilaira dì Dia
ra sacerdotessa di Minerva, e Ilaira dì Diana(c). Pausania soggiuage, che Sparta eresse alle medesime un tempio, al quale e
li Argonauti, mentre erano minacciati da orrida procella nel viaggio, che facevano per la Colchide. La burrasca però all’ap
eumd : Sebol. lot. cit. (c). Fab. 9. 82. 83. (1). Pausania crede, che il vero padre di Enomao fosse Alsione(a). (2). U
si di Pallene, figlia di Sitone, re della Tracia. Era colei sì bella, che molti Principi recavansi da lontani paesi a ricer
i da lontani paesi a ricercarla in matrimonio. Il padre suo dichiarò, che la avrebbe data a quello, che avesse voluto gareg
a in matrimonio. Il padre suo dichiarò, che la avrebbe data a quello, che avesse voluto gareggiare secolui nel condurre in
celare al medesimo il suo timore. Quegli, per consolarla, le promise, che avrebbe così disposte le cose, che Clito avrebbe
uegli, per consolarla, le promise, che avrebbe così disposte le cose, che Clito avrebbe certamente superato il suo rivale.
siderabile somma di danaro corruppe il cocchiere di Driante per modo, che questi adattò le ruote del carro del suo padrone
modo, che questi adattò le ruote del carro del suo padrone in guisa, che avessero a cadere facilmente in terra. Così avven
. l. 7. (3). Epimenide numera tredici Principi del vicinato di Pisa, che , superati da Enomao, ne rimasero anche uccisi. Ca
rto Cranone, a di cui onore i Tessali de nominarono Cranone la città, che prima si appellava Efira. Quì pure notiamo, che E
ono Cranone la città, che prima si appellava Efira. Quì pure notiamo, che Enomao avea stabilito di alzare al Dio Marte un t
to(b). (b). Id. Ibid. (c). Nat. Com. Mythol. l. 7. (5). Leggesi che il corpo di Mirtilo fu spinto da’flutti sulle riv
gli fecero annui sacrifizj(c). Igino poi(d) e Servio(e) soggiungono, che Mirtillo fu collocato tra gli Astri in consideraz
di Mercurio, suo padre. (d). Eurip. in Orest. (6). V’è chi dice, che il mentovato mare fu detto Mirtoo non da Mirtilo,
one, la quale restò in quelle acque sommersa(f). Plinio poi pretende, che quel mare abbia presa l’anzidetta denominazione d
l quale, venuto a morte, lasciò ad Atreo la corona(b). Altri narrano, che Ippodamia stessa commise il predetto misfatto ; e
Altri narrano, che Ippodamia stessa commise il predetto misfatto ; e che colei, come vide scoperto il suo delitto, si died
sapesse di quali cibi erasi sino allora pasciuto(d). Dicono i Poeti, che il Sole in quel momento si nascose per non illumi
ato di vita(f). Non è da confondersi la predetta Arpalice coll’altra, che , disprezzata da Ifielo, uno degli Argonauti, cui
alla morte di quella giovine(a). (8). Alcatoo fu preso in sospetto, che avesse avato parte nell’omicidio di suo fratello,
Alcatoe(c). (9). Dopo la morte di Pelope gl’ Indovini dichiararono, che Troja non si poteva prendere da’ Greci, qualora e
per ricercare allo stesso Nume il modo di far cessare la pestilenza, che desolava il loro paese. L’Oracolo rispose loro, c
re la pestilenza, che desolava il loro paese. L’Oracolo rispose loro, che procurasse ro di ricuperare l’osso di Pelope, che
acolo rispose loro, che procurasse ro di ricuperare l’osso di Pelope, che Filottete avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse,
osso di Pelope, che Filottete avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse, che desse a que d’Elea ciò, che aveva trovato. Il pas
e avea perduto ; e a Demarmeno soggiunse, che desse a que d’Elea ciò, che aveva trovato. Il pascatore ubbidì, e ne ottenne
, che aveva trovato. Il pascatore ubbidì, e ne ottenne in ricompensa, che egli e i suoi discendenti avessero il privilegio
. Jacoh. Hofman. Lex. Univ. (1). Un fatto alquanto simile a quello, che avvenne ad Edipo, successe anche a Crateo, nato d
anti lo giudicarono un nemico, corsero tutti alle armi per impedirgli che entrasse nelle loro terre. V’accorse tra quella m
a per morire ; e preso allora da estremo cordoglio, supplicò gli Dei, che nol lasciassero più a lungo tra’ viventi. La terr
ge, soggiacque non molto dopo alla persecuzione d’una Volpe sì feroce che ne fece orribile guasto. Temi, adirata per la mor
ò anch’egli alla caccia col cane Lelapo, detto da Apollo loro(a) Fae, che Procride, figlia di Eretteo, o d’Ificlo, re d’Ate
coh. Hofman. Lex. Univ. (b). In Phoeniss. (3). Pausania accorda, che Edipo sposò sua madre, ma nega, che quegli ne abb
hoeniss. (3). Pausania accorda, che Edipo sposò sua madre, ma nega, che quegli ne abbia avuto alcun figliuolo, perchè Gio
lla tosto si uccise(d). V’è chi, seguendo questa opinione, soggiunge, che i pred tti figli nacquero ad Edipo da Euriganea,
riganea, figlia di Perifa, sposata da lui dopo la morte di Giocasta ; che Edipo regnò secolei in Tebe ; e che ivi finì i su
a lui dopo la morte di Giocasta ; che Edipo regnò secolei in Tebe ; e che ivi finì i suoi giorni(e). (c). Declaustre Dict
in mezzo di quelli(f). (d). Hyg. fah. 66. 67 (5). Apollodoro dice, che Edipo fu scacciato di Tebe dagli stessi suoi figl
si sposerebbe con un cinghiale, e l’altra con un leone. Altri dicono, che parve a lui in sogno di averle maritate cogli anz
ì Tideo, vestito di una pelle di cinghiale, con cui voleva ricordare, che Meleagro, suo fratello, avea ucciso il famoso Cin
ea ucciso il famoso Cinghiale di Calidone. Adrasto non dubitò allora, che Polinice e Tideo fossero i due sposi, indicati da
o appresso Adrasto. Gli Antichi non vanno d’accordo riguardo a colui, che Tideo privò di vita. Gli uni, dice Apollodoro(c),
ui, che Tideo privò di vita. Gli uni, dice Apollodoro(c), pretendono, che sia stato Alcatoo, suo zio ; gli altri, soggiunge
ia stato Alcatoo, suo zio ; gli altri, soggiunge Ferecide(d), dicono, che sia stato Olenio, suo fratello. Comunque ciò sia,
lui dal Tebano Menalippo. Egli prima di morite pregò alcuni de’ suoi, che gli recassero la testa del predetto Menalippo, la
inario di Licìa, e figlio di’ Elcaone, vibiò un dardo contro Diomede, che lo ferì iu una spalla. Il figlìo di Tideo, furibo
sul carro di Enea, suo amico, e volò contro Diomede. Scoccò un dardo, che nol ferì. Diomede anch’egli ne vibrò un altro, co
a del buon ritoruo, perchò questo Dio lo avea salvato dalla burrasca, che fece perire moltissimi altri Greci(b). Egli poi,
nello stesso tempo presero a volare intorno il loro vascello. Dicesi, che questi uccelli, memori della loro origine, accare
memori della loro origine, accarezzavano i Greci, e fuggivano coloro, che non erano tali(d). Notisi per ultimo, che Diomede
Greci, e fuggivano coloro, che non erano tali(d). Notisi per ultimo, che Diomede ebbe un tempio appresso il fiume Timavo(e
Altri soggiungono, ch’egli era empio, bestemunatore, e sì arrogante, che si credeva piucchè uomo(a). Egli voleva scalare l
ebe. Gli abitanti di quella città gli scagliarono contro tanti sasti, che rimase sepolto sottò di quelli. Immaginarono quin
tà, quand’anche Giove, e qualsisia altro Nume gli si fosse opposto, e che in pena di tanto ardire Giove lo avesse colpito c
i fulmini(b). Fu quindi considerato anche dagli uomini come un empio, che avesse provocato contro di se lo sdegno del Cielo
osato Evadne, figlia d’Ifide. Colei fece conoscere l’eccessivo amore, che nutriva per lui, e diede di se medesima un grande
(4). Anfiatao fu figliuolo d’Ecleo e d’Ipermnestra(f). Altri dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Mela
i dicono, che il di lui padre fosse l’eccellente Indovino. Melampo, e che per altro sia stato creduto figlio d’Apollo, perc
de’ sogni, come altri riferiscono. La sua scienza gli fece prevedere che sarebbe operito nella guerra Tebana. Per sottarse
, di uccidere Deifile, tostochè avesse udito la di lui morte. Dicesi, che il primo giorno, in cui Anfiarao erasi portato al
s’avvide d’un sottoposto precipizio, e vi perì(c). Altri pretendono, che mentre con tutta fortezza combatteva, la terra si
hiere(d). Egli dopo morte fu ascritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ A
ritto tra’ Semidei(e). Pausania dice, che fu venerato come un Nume, e che gli Oropj nell’ Attica gli eressero un magnifico
timazione, ed era annoverato tra’ principali della Grecia(g). Coloro, che lo consultavano, doveano prima digiunare per lo s
dormivano poi sulle pelli delle vittime ancor fomanti, e attendevano, che il Nume dicifrasse loro in sogno gli eventi dell’
sogno non presentava facilmente la spiegazione a’ ministri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
o eravi una fontana, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitt
ume Fegeo, ond’essere purificato del suo delitto. Ne sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, ch
e sposò la figlia, che si chiamava Alfesibea, e le regalò la collana, che Erifile aveva ricevuto da Adrasto in dono. Non po
in dono. Non potendo poi trovare appresso Fegeo l’opportuno rimedio, che lo liberasse dal furore, ond’era oppresso, per co
ava di vedere vendicata la morte del suo marito ; e ottenne da Giove, che i di lei piccoli figliuoli, avuti da Alcmeone, di
figliuoli, avuti da Alcmeone, divenissero in un istante così grandi, che avessero potuto effettuare ciò, ch’ella bramava.
oventù erasi applicato a’ Iavori campestri. La dura e laboriosa vita, che menò, lo ridusse molto atto alla caccia, e al man
ridusse molto atto alla caccia, e al maneggio delle armi ; nè attese che a sostenere i travagli della guerra, ed a servire
o, e dimostravasi costantissimo amatore della virtù(f). Eschilo dice, che restò ucciso da Aufidico(g). (a). Aeschyl. sept
iss. , Senec. in Thebaid. (7). Le donne dì Lenno, come scuoprirono, che Ipsipile avea solvato la vita al re Toante ; mo p
. Univ. (b). Potter. Archatol. Graec. l. 2 (8). V’è chi pretende, che i Giuochi Nemei sieno stati introdotti in onore d
vestiti di nero, per ricordare la morte d’Ofelte. Non vi si ammetteva che gente guerriera, perchè tali n’erano gl’ institut
fine la mentovata guerra. Dieci anni dopo i figliuoli di quegli Eroi, che in quella erano periti, presero nuovamente Ie arm
rao, cinsero Tebe d’assedio. Eglino furono detti Epigoni, voce Greca, che significa nati dopo (e). Tra loro molto si distin
neo(a). I Tebani finalmente restarono vittoriosi mercè il sacrifizio, che fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predet
e fece Meneceo, figlio di Creonte. Era stato predetto a quelle genti, che felicemente avrebbono trionfato de’ loro nemici,
scì colla spada alla mano, e se la immerse nel seno a vistandi tutti, che ammirarono la generosità di lui, il quale preseri
rcole, guerreggiavano contro gli Orcomenj. L’Oracolo avea annunziato, che la vittoria sarebbe stata pe’ Tebani, se il citta
implorò il soccorso di Teseo, re d'Atene, il quale obbligò i Techani, che permettessero i funerali degli Argivi, loro nemic
. Ibid. (c). Declaustre Diction. Mythol. (11). Apollodoro vuole, che Antigona abbia incotrato trato la morte, già coma
ncotrato trato la morte, già comandata da Creonte(a). Dicesi inoltre, che Emone, figlio di Creonte, il quale aspirava alle
12 (1897) Mitologia classica illustrata
onti, quanto gli antichi Greci; la cui feconda immaginativa faceva sì che essi non concepissero i fenomeni naturali se non
ssi. Mito significa propriamente « parola, discorso », e designa quel che si dice o si narra intorno a un soggetto qualsias
e; ma è invalso l’ uso di chiamare preferibilmente miti le narrazioni che riguardano gli Dei, e leggende quelle che concern
bilmente miti le narrazioni che riguardano gli Dei, e leggende quelle che concernono gli Eroi. La Mitologia dei Greci e dei
n essa intimi rapporti; giacchè in sostanza la Mitologia, nella parte che riguarda gli Dei, rappresenta le credenze e la fe
iose, così dalle cerimonie del culto o pubblico o privato. Ben è vero che , se gli ordini sacerdotali addetti al culto delle
fantasia del popolo, accoglieva da ogni parte mutazioni od aggiunte, che alteravano più o meno i primitivi lineamenti. Ma
, che alteravano più o meno i primitivi lineamenti. Ma non è men vero che gli Dei della mitologia e le principali leggende
a statua celebre d’ una divinità fornì di quella un’ immagine si viva che divenne tradizionale e come inseparabile dai racc
rrazioni. E quanto alle opere statuarie di soggetto mitologico, chi è che , ricordando il celebre Giove di Fidia, immagine i
condiscendenza alle preghiere de’ mortali, non si persuada facilmente che la rappresentazione artistica doveva rimaner viva
è seguita da un breve cenno illustrato delle principali opere d’ arte che da essi trassero l’ ispirazione e vi rappresentan
ro attribuite sovente azioni disonorevoli e delittuose. È un problema che già gli antichi filosofi avevano tentato di risol
ero del IV sec. av. C., si avvisò di spiegare la mitologia sostenendo che i miti relativi agli Dei altro non erano che stor
la mitologia sostenendo che i miti relativi agli Dei altro non erano che storia umana avvolta nel meraviglioso, ossia che
Dei altro non erano che storia umana avvolta nel meraviglioso, ossia che gli Dei tradizionali erano antichissimi uomini, r
er altre vie cercarono un a soluzione soddisfacente. Alcuni pensarono che la mitologia e religione pagana sia una deformazi
a e svolta dai Filologi olandesi del XVII secolo, i quali giudicarono che nei miti classici ancor si ritrovino le traccie d
adstone ai nostri giorni è di questa opinione, l’unica, secondo lui, che getti piena luce su quelle parti che rimangono ma
opinione, l’unica, secondo lui, che getti piena luce su quelle parti che rimangono mal cementate e incongrue nella ben con
lla degli allegoristi o dei simbolisti, i quali si son dati a credere che i racconti fantastici inventati dagli Elleni o tr
i studi e i notevoli risultati a cui giunse nel nostro secolo, quella che chiamasi Mitologia comparata; la quale, confronta
opoli di stirpe aria e risalendo al l’ origine loro comune, si avvide che buona parte dei racconti mitologici non sono altr
une, si avvide che buona parte dei racconti mitologici non sono altro che una deformazione di frasi immaginose, usate da pr
a esprimere i grandiosi fenomeni della natura secondo l’ impressione che essi facevano nell’ infanzia dell’ umanità. Il so
’ impressione che essi facevano nell’ infanzia dell’ umanità. Il sole che sorge, ad es., e discaccia le uggiose tenebre, ve
sorge, ad es., e discaccia le uggiose tenebre, veniva detto il Titano che strozza i serpenti della notte prima di trarre il
lla notte prima di trarre il suo carro su pel cielo; e si diceva pure che nello spuntar dall’ Oriente, egli abbandona la be
e, strumento detto pramantha in indiano, diventa il benefico Prometeo che fura il fuoco al cielo per donarlo ai mortali. Ec
del divino, ossia l’ idea della somma intelligenza e del sommo bene, che è innata nell’ uomo. 3º La varietà dei luoghi e d
occasionarono diversa forma e sviluppo di leggende; essendo naturale che gli abitanti dei luoghi alpestri, per lo più cacc
zione e al commercio. E deità originariamente locali avvenne talvolta che assorgessero a dignità di dei nazionali. Così Era
e stirpi doriche nel Peloponneso, l’ urto di popoli e gli spostamenti che ne provennero, come non dar luogo a un incrocio a
vasi di un figlio nato dalla Notte o dalle Tenebre, ora di un gigante che strozza i serpenti delle tenebre, ora di un altro
gigante che strozza i serpenti delle tenebre, ora di un altro gigante che intraprende la sua corsa faticosa, ora di un guer
ro gigante che intraprende la sua corsa faticosa, ora di un guerriero che si appresta alla sua lotta colle nuvole e colla t
ria; anche diligentissimi studi non riuscirono a diffonder piena luce che su pochi fra i principali miti dell’ antichità cl
intorno alla spiegazione del problema mitologico, e nella esposizione che segue ci atterremo senz’ altro alla forma tradizi
a letteratura, adottarono anch’ essi le credenze, le opinioni, i miti che vedevano universalmente divulgati tra i Greci, e
i Greci, e cercarono di adattar tutto questo al concetto tradizionale che essi avevano delle varie divinità secondo le ragi
e essi avevano delle varie divinità secondo le ragioni di somiglianza che pareva loro di scorgere. Così si fece come una fu
come li pensavano e se li figuravano gli antichi, massime dopo Omero che assai contribuì ad assegnare alle varie Divinità
ribuì ad assegnare alle varie Divinità quelle immagini e attribuzioni che divennero tradizionali. Eran dunque gli Dei in ge
’ aspetto esteriore, sia per le qualità intellettuali o morali. È ciò che suol designarsi col vocabolo antropomorfismo. Ma
ignarsi col vocabolo antropomorfismo. Ma l’ idea del divino importava che le qualità umane fossero per loro innalzate al pi
Più robuste ed agili eran le membra divine; la forza di Zeus era tale che col solo muover delle sopracciglia faceva tremar
ostele, torna nella sua culla. La principal prerogativa è poi questa, che , una volta raggiunto il pieno sviluppo delle loro
i, non invecchiano, ma rimangono sempre giovani e sono immortali. Non che siano scevri d’ ogni dolore; anzi, come il loro c
pene di varia natura; ma ciò non guasta la loro felicità e non toglie che essi possano sempre soddisfare i loro desideri. —
nte. Riguardo alla moralità attribuita agli Dei, qui si manifesta più che mai il concetto antropomorfico; giacchè sebbene f
sordini ond’ è afflitta l’ umanità. Nel complesso adunque si può dire che gli antichi non seppero foggiare gli Dei se non a
cotal grado di superiorità da giustificare la venerazione e il culto che erano un portato della naturale religiosità. 2. O
una rudis indigestaque moles, cioè una confusa miscela di tutte cose, che è un concetto posteriore, ma nel senso etimologic
ale subito si staccò il Tartaro o Inferno; poi comparì Eros, l’ amore che unisce, ossia il principio della forza attrattiva
Eros, l’ amore che unisce, ossia il principio della forza attrattiva che spinge gli elementi a combinarsi. Di poi mentre i
le montagne, e il Ponto o mare. Qui cominciano i connubi; si raccontò che Gea si fosse unita prima con Urano e poi con Pont
iati a due a due. Le coppie più notevoli erano: Oceano, il gran fiume che circonda la terra ed è padre degli altri fiumi, e
nda la terra ed è padre degli altri fiumi, e Teti (Tethys) l’ umidità che tutto pervade e nutre; Iperione, l’ errante dio d
e, Selene la luna, Eos l’ Aurora; infine Crono (Kronos) e Rea (Rhea), che sarebbero un ringiovanimento dalla coppia Urano-G
ardi interpretati come il tempo (Kronos confuso con Chronos) e quella che scorre, personificazione del movimento degli esse
ati tra i Titani Giapeto (Iapetos), padre di Prometeo, e due divinità che personificavano concetti morali, Temi (Themis), l
osune), la memoria. — I Cicloni, così detti dall’ unico occhio tondo, che si diceva avessero in mezzo alla fronte, erano tr
ne produsse le terribili Gorgoni e le Graie; infine Euribia (Eurybia) che andò sposa a Creo (Kreios), uno dei Titani. 3. Fi
complicano e agli Dei pur mo’ nati si attribuiscono gesta e rapporti che non hanno più evidente connessione co significato
iù evidente connessione co significato primitivo. Raccontavasi dunque che , temendo Urano di perdere la signoria dell’ unive
ngo e felice. Il padre nel momento della sconfitta gli aveva predetto che avrebbe subito la stessa sua sorte; e così avvenn
se, e invece di esso porse al padre, involta nelle fasce, una pietra, che Crono, ingannato, ingoiò. Così Zeus fu salvo; e a
ntro Crono, e dopo averlo obbligato a rigettar fuori i figli ingoiati che per la divinità loro erano immortali, incominciò
nità loro erano immortali, incominciò contro di lui la tremenda lotta che doveva por fine alla sua signoria. 4. Questa lott
ro Zeus per rovesciarlo dal trono. Di qui una nuova, terribile lotta, che fe’ tremare cielo e terra; novella immagine di sc
e vulcaniche. I fulmini incessanti di Zeus domarono alfine il mostro, che fu gettato nel Tartaro anch’ esso; o, come poster
al cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. Alla grande battaglia che seguì presero parte tutti gli Dei, aiutati anche
a col Saturnali. Identificato quindi Saturno con Crono, si favoleggiò che questi, detronizzato da Giove, si fosse rifugiato
oniam latuisset tutus in oris ( Virg., Eneide, 8,324). Si aggiungeva che sotto il regno di Saturno, gli uomini avevan godu
tà. — Quanto alle lotte dei Titani e dei Giganti, i Romani non fecero che ripetere le cose imparate dai Greci, anzi la Giga
lo, e con una piccola falce in mano. Un busto ben conservato è quello che conservasi nel Museo Vaticano di Roma qui riprodo
riprodotto (fig. 1). Nel Museo Capitolino conservasi un bassorilievo che trovavasi su un lato d’ un altare in marmo di Gio
nno seduto, a cui una donna in piedi, la moglie Rea, porge un involto che il tiranno sta per accogliere nella destra mano.
a. Fra le descrizioni poetiche di queste lotte chi non ricorda quella che si legge nella Teogonia di Esiodo, (v. 629 e seg.
osì mirabile per grandiosità e forza? E per tacere di tante allusioni che trovansi in molti autori e greci e latini, dove g
arte, si potrebbero citare molte pitture vascolari e rilievi marmorei che ancora conservansi e rappresentano questa o quell
si e rappresentano questa o quella scena della Gigantomachia. Si noti che mentre nei lavori più antichi, i Giganti non hann
Magno vennero raffigurati come aventi in luogo di gambe due serpenti che terminano dalla parte della testa. Un celebre cam
o Gigante simile giace a terra morto. Splendida è la rappresentazione che si scorge in un bassorilievo di un sarcofago nel
a esser incoronata da una Niche; in fondo si scorge la figura di Rea che invoca pietà per i suoi figliuoli. Già si è
ra di Rea che invoca pietà per i suoi figliuoli. Già si è detto che vinti i Titani, e ottenuta la signoria dell’ univ
mare e dell’ interno. Questo assetto diventò definitivo, e rimase fin che fu vivo il Paganesimo. Tutte le Divinità greche e
la Zeus, ossia Djeus (genitivo Diós) si connette colla indiana Djaus, che vuol dire: cielo, giorno; e dalla stessa radice d
a colla potente destra il fulmine distruggitore; d’ altro lato egli è che manda la pioggia benefica a fecondar la terra e m
e maturarne i frutti. Insomma, per dirla con un’ espressione popolare che designa appunto un alto grado di potenza, egli è
essione popolare che designa appunto un alto grado di potenza, egli è che « fa la pioggia e, il bel tempo ». A queste attri
ibuzioni si connette l’ Egida o scudo di Zeus; in origine null’ altro che un manto di nembi, scuotendo il quale n’ uscivano
i Dei, libero nel suo agire, non avendo altro limite alla volontà sua che il potere inesorabil del fato (la Moira). Ha il s
governo del mondo, ed è egli il custode dell’ ordine e dell’ armonia che regna nelle cose. Degli uomini è padre come degli
Insomma Zeus era il Dio Sovrano, il Dio per eccellenza; e il concetto che se n’ aveva non differiva gran fatto dall’ idea d
l concetto che se n’ aveva non differiva gran fatto dall’ idea di Dio che si ha anche ora presso i volghi cristiani. Un alt
enire per mezzo del suo prediletto figlio Apollo. 3. L’ alto concetto che della suprema loro divinità avevano gli antichi,
cetto che della suprema loro divinità avevano gli antichi, non impedi che si diffondessero e moltiplicassero intorno a Zeus
is (l’ assennatezza), ma ben presto temendo nascesse da lei un figlio che gli togliesse la signoria dell’ universo, l’ ingo
d Artemide. Era, la sorella e moglie legittima di Zeus, non gli diede che due figliuoli, Ares (Marte) ed Efesto (Hephaistos
re Tebano, come madre del dio Dioniso (Dionysus, Bacco), poi Alcmena che die’ alla luce Eracle (Herakles, Ercole); delle a
amori attribuiti dalla leggenda a Zeus, son da notare due cose: prima che spesso il linguaggio mitico presenta in forma di
lle biade, rappresenta l’ unione primaverile del cielo e della terra, che dà origine alla vegetazione. In secondo luogo cia
al vento, esprimevano col loro fremito misterioso gli oracoli divini, che dai sacerdoti venivano interpretati. Anche sulla
es era un’ attribuzione di lui. Con lui si confondeva il dio Terminus che custodiva i limiti delle proprietà prediali. Il c
anus, ossia il dio di Eliopoli in Egitto, raffigurato come un giovane che tiene una mano sul timone del carro solare, ed ha
mo e rappresentazioni più o meno compiute della sua figura è naturale che ricorrano assai di frequente nelle opere letterar
istiche. È celebre la pittura Omerica (Il. 1,528) del figlio di Crono che china i neri sopraccigli; onde sull’ immortal cap
iome divine, e il grande Olimpo ne trema. Più materiale è l’ immagine che ci dà lo stesso poeta della forza di Zeus mettend
agli altri Dei quando proibisce loro di prender parte alla battaglia che si combatteva presso Troia ( Il. 8, 18 e seg. ),
e col mare, e legar indi la corda alla più alta rupe dell’ Olimpo, sì che tutto l’ universo rimarrebbe penzoloni; tanto io
ilio movens 2 (Od. 3,1,7) è un pallido riflesso del Zeus omerico; ma che bene ha saputo esprimere il governo del mondo in
45 sg.)3. Venendo alle rappresentazioni figurate di Zeus, è naturale che di esse e specialmente di statue se ne trovasse i
perita in un incendio. Per farsene un’ idea ora, oltre la descrizione che ne ha lasciata scritta Pausania, valgono le ripro
Pio Clementino, detto « Giove di Otricoli » (fig. 5). La ricca chioma che si drizza sopra la fronte e scende egualmente ai
della celeste coppia; Era veniva dipinta come gelosa e maligna e tale che non esitava a perseguitare accanitamente le donne
amente le donne amate da Zeus e la loro discendenza; do ve ricordiamo che il primitivo significato dei miti, spesso abbasta
ei miti, spesso abbastanza trasparente, toglie a questi racconti quel che di strano e d’ immorale che a prima vista present
rasparente, toglie a questi racconti quel che di strano e d’ immorale che a prima vista presentano. Così Io, amata da Zeus
Era in vacca e data a custodire ad Argo dai cent’ occhi, non è altro che la luna errante nelle regioni celesti (la vacca c
ttere morale di Era ricevette nelle leggende greche maggiore sviluppo che il suo carattere fisico. Essa era specialmente ce
a come rappresentante del vincolo coniugale, e la nobiltà della donna che serba costante fede al marito trovava in lei la s
dia, e a questo creduta pari per bellezza. 4. Giunone è la dea romana che s’ identifica con Era (Iuno = Iovino, nome femmin
lla casa dello sposo, ecc. Questo di speciale ebbe la romana Giunone, che divenne anche protettrice dell’ intero stato, col
di Giove. La festa principale della Dea era quella detta Matronalia, che si celebrava il primo di Marzo. Quel di tutte le
ta, così invocata in ringrazi amento d’ un avviso (monere — avvisare) che si credeva aver ricevuto da lei in occasione d’ u
matronale. Prima va ricordata una testa del Museo di Napoli (fig. 6) che probabilmente venne modellata sul capolavoro sopr
sua prima sposa Metis. Gli è il cielo temporalesco, gravido di nubi, che in mezzo a procelle e lampi partorisce la dea del
le e lampi partorisce la dea del cielo luminoso, dell’ etra raggiante che si manifesta nel bagliore improvviso del lampo. D
manifesta nel bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava che al momento del nascere di Atena tutta la natura s
che l’ egida col Gorgoneo. È l’ egida stessa appartenente a Giove, ma che viene poi assegnata costantemente ad Atena; si di
Gorgone Medusa. Era costei, secondo la leggenda, una giovine mortale che avendo osato paragonarsi in bellezza ad Atena, eb
de’ nemici suoi. In fondo tutto ciò rappresenta la nube temporalesca che nasconde la luce del giorno e atterrisce gli uomi
ono connessi col fisici; ella rappresenta la luce dell’ intelligenza, che guida gli uomini sia in guerra sia in pace, ed è
tettrice anche di singoli guerrieri, Ulisse, Achille, Diomede. Fu lei che insegnò ad aggiogare i cavalli, e a usar i cocchi
unse il massimo sviluppo, la vera patria di Pallade Atena fu la città che ebbe nome da lei, anzi l’ intiera regione Attica.
pianta d’ olivo donata dalla Dea e vi si conservava una statua di lei che si diceva caduta dal cielo. Rifatto nell’ età di
tribù attiche, e riusciva una solenne testimonianza della gratitudine che si professava verso Atena datrice d’ ogni ricchez
ueste erano le grandi Panatenee; v’ erano anche le piccole Panatenee, che si celebravano ogni anno, ma senza processione. 4
Atena; quindi venne ben presto con essa identificata; con questo però che in Minerva prevaleva il concetto di una dea pacif
ure di tutti i lavori femminili. Una Minerva guerriera non fu pensata che tardi, per analogia d’ Atena; ad essa ad es. Pomp
giorni, ed eran dette Quinquatrus perchè cominciavano il 19 del mese, che era il 5º giorno dagli Idi. La più solenne era la
più solenne era la festa del Marzo a cui prendevan parte tutti quelli che esercitavano professioni liberali, oratori, artis
suoi miti troviamo nella letteratura greca e latina. Bella la pittura che nella settima Olimpica ci fa Pindaro della Dea ch
. Bella la pittura che nella settima Olimpica ci fa Pindaro della Dea che « fuor d’ un salto balza armata dal cervello di G
l’ usata vivacità e freschezza di colori narra l’ avventura di Aracne che avendo voluto competere colla Dea nell’ arte del
ve a Minerva nei monumenti figurati. Fin dai tempi più antichi, prima che si usassero statue di bronzo o marmo, gli artisti
ici esterni, e li chiamavano Palladii, favoleggiando anche per lo più che fossero venuti giù dal cielo. È noto che i Troian
voleggiando anche per lo più che fossero venuti giù dal cielo. È noto che i Troiani cominciarono a disperare della loro sal
Atena e le cerimonie del culto di lei, ma compose l’ ammirata statua che custodivasi nella cella, detta appunto Atena Part
vanzava di alcun poco il piede destro; la copriva un semplice chiton, che a larghe pieghe scendeva ai piedi; nuda le bracci
ggermente sull’ orlo superiore dello scudo, e insieme reggeva l’ asta che come abbandonata le si reclinava alla spalla; di
itiche. Nello scudo Fidia aveva effigiato anche la propria figura; il che considerato come atto di empietà fu poi cagione d
ropugnatrice, statua colossale, posta sulla spianata dell’ Acropoli e che sopravanzava col cimiero e colla punta dell’ asta
amo delle sicure imitazioni, ad es., quella riprodotta nella fig. 10, che è una statuetta alta un metro, trovata nel 1880 a
influenza dell’ opera fidiana, ad es. la così detta Minerve au colier che è nel Museo del Louvre. Noi riproduciamo nella fi
che è nel Museo del Louvre. Noi riproduciamo nella fig. 11 una statua che è nel Museo nazionale di Napoli; figura Atena col
ual convenivasi alla casta e vergine Dea, e ad un tempo da tutto quel che indica ferma volontà e forza. Delle bestie che so
un tempo da tutto quel che indica ferma volontà e forza. Delle bestie che son messe in rapporto con lei, van ricordati spec
ra detto, come Artemide, figlio di Zeus e di Leto o Latona. Narravasi che perseguitata dalla gelosia di Era, la povera Leto
e Cinto partorì Apollo (detto perciò Delio, Cinzio) ed Artemide. Delo che prima era un’ isola non fissa, divenne d’ allora
. Febo Apollo è il Dio raggiante, il dio della benefica luce, il sole che vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nas
che vien fuori dal grembo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire « quella che mostra » è il luogo adatto
mbo della notte (Latona, la nascosta), e Delo, che vuol dire « quella che mostra » è il luogo adatto per questa epifania de
luce. E come la luce combattè e disperde le tenebre, così è naturale che Apollo pugnasse contro i tenebrosi nemici; la leg
ovinetto in lotta contro il gigante Tizio (Tityos), nato dalla terra, che avendo osato offendere Leto fu da Apollo ucciso;
ontro il serpente Pitone (Python), mostro parimente nato dalla terra, che infestava la pianura di Crisa nelle vicinanze di
ne, Apollo era venerato come Targelio (Thargelios), il calore fecondo che matura i frutti della terra (di qui il nome del m
i Sminteo (Smintheus, da sminthos, topo), perchè distruttore dei topi che rodono le biade; da altri Parnopio (Parnopios da
alletta) perchè difesa contro le cavallette. Nota leggenda era quella che faceva Apollo servo pastore di Admeto re della Te
dio trionfante è detto vincitore del lupo, animale dei paesi freddi e che domina d’ inverno; onde il soprannome di Apollo L
; dal sangue dell’ ucciso, Apollo avrebbe fatto nascere il noto fiore che ne porta il nome (il disco del sole dissecca all’
are per eccellenza, protettore e degli armenti e degli uomini, quegli che allontana i mali, il medico; onde la leggenda lo
degli Dei. E non solo dei corpi, ma è egli anche medico dell’ anime, che ei guarisce dal male morale colle pratiche della
no i perseguitati dalle Furie solio da lui compassionati e difesi; di che la leggenda di Oreste offre un bellissimo esempio
leggenda di Oreste offre un bellissimo esempio. E poichè tra le cose che più calmano lo spirito e gli infondono una tranqu
ito e gli infondono una tranquilla pace è la musica, niuna meraviglia che Apollo sia stato anche pensato come inventore del
il luogo principale di questo culto. Ivi sorgeva uno splendido tempio che rifatto al tempo dei Pisistratidi in seguito ad u
ncendio, vide accumularsi, per donativi dei fedeli, ingenti ricchezze che si calcolavano a 10000 talenti, ossia quasi 60 mi
ivi si celebravano ogni quattro anni feste solenni con varii giochi, che dicevansi istituiti già da Teseo. 4. L’ Apollo de
medico e musico. Da lui si credettero ispirati gli oracoli Sibillini che cominciarono a diffondersi ed essere oggetto di c
; e del resto si diffuse presto la fama anche dell’ oracolo di Delfo, che in solenni occasioni si mandava a consultare. Ad
ù tardi un vero slancio ebbe il culto Apollineo per opera di Augusto, che attribuiva la vittoria d’ Azio principalmente all
gitore del coro delle Muse. Antichissimo è l’ inno omerico ad Apollo, che contiene molti e interessanti particolari tolti d
gli Dei sentono molcersi il cuore. Dei poeti latini ricordisi Orazio, che nel Carme Secolare inneggia appunto a Febo e alla
ia, e a tutta Roma eterna pace e grandezza e gloria. Ricordisi Ovidio che nel primo delle Metamorfosi, racconta con soavi v
atino, onde ebbe anche il nome di Apollo Actius o Palatinus. Si crede che di esso fosse una riproduzione la statua di Apoll
crede che di esso fosse una riproduzione la statua di Apollo Musagete che conservasi in Vaticano (fig. 14); « il nume in lu
o bella è una statua del Museo Capitolino, rappresentante Apollo nudo che riposa dal suono della cetra (fig. 15). Prassitel
una lucertola e compose la statua detta Apollo Sauroctonos (fig. 16), che è in Vaticano. « Un adolescente di bellissime for
ad un tronco; la mano destra armata d’ una punta, mira una lucertola che striscia sul tronco; lo sguardo accompagna la dir
a più celebre d’ Apollo è il così detto Apollo di Belvedere (fig. 17) che pure è in Vaticano. Fu trovata in principio del X
irabile la bellezza della figura in quella disdegnosa coscienza di sè che mostra avere il Dio vittorioso8. I si
Apollo sono per lo più l’ arco e le saette, riferentisi al dio solare che ferisce col dardo de’ suoi raggi (cfr. l’ espress
ccie infallibili. Si vendica anche fieramente dei rinomati cacciatori che con lei vogliono gareggiare; e ne provo, fra gli
lei vogliono gareggiare; e ne provo, fra gli altri, lo sdegno Orione che ucciso dalle sue freccie fu trasformato nella cos
bagno fu trasformato in cervo e fatto sbranare dà suoi proprii cani, che la dea aveva contro lui aizzati. 2. Dal lato mora
caro ad Artemide per la sua castità, dà una chiara idea del concetto che di questa divinità s’ eran formati i Greci. Era p
Greci. Era poi anche messa in rapporto con Apollo e le Muse, e detto che si compiacesse dei canti e degli inni. Infine ave
uinaria si connette la leggenda di Ifigenia, la figlia di Agamennone, che doveva essere sacrificata in Aulide prima della p
ani, fu con questa confusa l’ Artemide Ortia, e ne nacque la leggenda che la Dea avesse ella stessa salvato Ifigenia nel mo
a leggenda che la Dea avesse ella stessa salvato Ifigenia nel momento che doveva essere sacrificata, sostituendole una cerv
bre di tutti fu il tempio eretto da Servio Tullio sul Monte Aventino, che era tempio comune della lega de’ Latini; dove agl
molte opere della greca letteratura ricordano Artemide e le leggende che vi si riferiscono. Ma le lodi più belle, più sent
nui della terra, ricchezza degli agricoltori; le si rivolge preghiera che conservi la sua tutela alla stirpe di Romolo. Anc
ngiunta con Apollo e anche con Latona, come nella 21a ode del I libro che comincia: Dianam tenerae dicite virgines Intonsu
eo Nazionale di Napoli, rivestita d’ una ricca tunica, a molte pieghe che scende sino ai piedi; e nella fig. 19 la celebre
a cacciatrice; infine nella fig. 20 un’ altra statua pure del Louvre, che figura la bella Dea, in atto di affibbiarsi il pa
ano ad Artemide areo, freccie e lancia, anche la fiaccola, come a Dea che porta luce e vita. Le eran sacre tra le bestie il
s e di Era, il primo è Ares, dio della guerra. A differenza di Atena, che rappresenta la prudenza e l’ avvedutezza nei rapp
econdo il suo significato naturale, Ares era probabilmente l’ uragano che si scatena con furioso irresistibile impeto; difa
si scatena con furioso irresistibile impeto; difatti era detto di lui che sua patria e suo soggiorno prediletto fosse la Tr
eva in odio. Egli, secondo canta Omero, non d’ altro più compiacevasi che del selvaggio grido di guerra; armato dalla testa
ro vinto in guerra da Atena; espressione simbolica del maggior valore che ha in battaglia il prudente coraggio in confronto
n connessione con questo carattere selvaggio di Ares, son le leggende che lo fan padre del brigante Cicno (Kyknos) il quale
ndanti, finchè fu ucciso da Eracle; e del selvaggio re tracio Diomede che pasceva i suoi cavalli con carne umana, finchè fu
in pasto a’ suoi cavalli istessi; e del re Tessalo Flegias (Phlegyas) che volendo incendiare il tempio di Apollo cadde sott
ollo cadde sotto le freccie di questo Dio (personificazione del lampo che nasce dalla nube tonante). Anche le guerriere Ama
to convegno nella casa di Efesto, questi, avvertito da Elios, il sole che tutto vede, comparve improvvisamente e con una re
o spettacolo. Secondo altri, Afrodite era la moglie legittima di Ares che per lei genero Armonia, la progenitrice della sti
dolo il fondatore dell’ Areopago (areios pagos), il celebre tribunale che giudicava dei delitti di sangue. Culto speciale a
Dei. 3. Il Dio italico identificato con Ares è Marte. Ma è da notarsi che in origine Marte non era già dio della guerra, ma
rte non era già dio della guerra, ma piuttosto il dio della primavera che vittoriosamente lotta contro il tristo inverno. A
iove. Numa istituì in onor di lui il sacerdozio dei Sal ii. Narravasi che un di mentre Numa pregava per la salvezza dello s
l cielo uno scudo di bronzo (ancile), e intanto avesse avvertito Numa che quanto si fosse conservato quello scudo, tanto av
ere. I dodici ancilia così ottenuti furono affidati appunto ai Salii, che erano dodici di numero, persone appartenenti alle
cito prima di intraprendere qualsiasi spedizione militare; si credeva che invisibilmente accompagnasse anche gli eserciti n
corrispondente alla greca Enio; Metus e Pallor, la paura e il pallore che ricordano le deità greche Dimo e Fobo; Honos e Vi
i dedicati a Marte, merita special menzione il tempio di Marte Ultore che Augusto fece edificare nel suo foro, a ricordare
es. V’ è ben tra gli omerici un inno dove Ares è invocato come un dio che pugna per cause della più alta importanza, è chia
i fa parola ben di frequente negli scrittori latini, ma non si tratta che di rapidi cenni. Lo mette in scena Claudio Claudi
o mette in scena Claudio Claudiano nel carme contro Rufino, dove dice che , invocato da Stilicone perchè venga a difendere i
aterano in Roma, la cui mano sinistra probabilmente teneva una lancia che ora è perduta. È della scuola di Policleto. Invec
la di Lisippo (356-323 av. C.), apparteneva la celebre statua di Ares che è nella villa Ludovisi, pure a Roma (fig. 22). Il
el fuoco. Si pensi quanta importanza ha nella natura questo elemento, che non solo apparisce nel cielo come raggiante e ris
abile per lo sviluppo dell’ arte e della civiltà. Non farà meraviglia che fin dai più antichi tempi questo elemento fosse d
zoppo; immagine dei movimenti vacillanti della fiamma. Narravasi poi che Era, vergognandosi della bruttezza di lui, lo ave
i della bruttezza di lui, lo aveva gettato dal cielo giù nel mare; ma che le Oceanidi Eurinome (Eurynome) e Tetide (Thetis)
e oggetti d’ arte. Secondo un’ altra leggenda, era stato Giove stesso che adirato contro Efesto per aver voluto dar aiuto a
esso in relazione con Efesto; là, nell’ interno dei vulcani si diceva che egli avesse le sue grandi officine per lavorare i
in Sicilia erano le sedi principali di Efesto. Ed essendosi osservato che nelle vicinanze dei vulcani il vino si fa miglior
ere di questo divino artefice. Oltre allo splendido palazzo di bronzo che egli aveva fabbricato per sè sull’ Olimpo, aveva
atine gli uomini; lo si faceva patrono di tutti gli artisti ed operai che per l’ opera loro hanno bisogno del fuoco. Per qu
Omero ed Esiodo, gli facevan compagna una delle Grazie, a significare che dall’ arte non può disgiungersi il sorriso della
o quegli la cui fiaccola era ancor viva nel giungere alla meta; gioco che doveva ricordare la gioia provata dai primi uomin
grafia più antica, Volcanus, o anche Mulcibero (Mulciber), come colui che presiede alla fusione dei metalli (mulcere, rende
protezione, e insieme sotto la protezione della Stata Mater, la madre che arresta il fuoco, a cui fu eretta una statua nel
o si figurava in berretta e abito da operaio (exomis, sorta di tunica che lasciava nuda la spalla destra), e con gli arnesi
pochi monumenti antichi di Efesto. La fig. 23 è ricavata da un busto che conservasi in Vaticano. VIII. Ermes-Mercuri
e leggende relative a questo Dio, raccolte nell’ inno a lui dedicato, che va tra gli Omerici. Poco dopo la nascita, egli av
nascita, egli avrebbe dato prove manifeste della destrezza ed abilità che costituivano il fondo della sua indole. Giacchè,
ruba cinquanta giovenche, e via le conduce e le nasconde con tal arte che non se ne può scoprir traccia; poi torna zitto zi
n fatto. Apollo poi udito Ermes sonar la lira, tanto se ne compiacque che , pur di averla, gli lasciò le cinquanta giovenche
significato naturale di questo mito. Secondo alcuni Ermes non è altro che il crepuscolo. Le giovenche di Apollo da lui ruba
uscolo. Le giovenche di Apollo da lui rubate sarebbero i raggi solari che il crepuscolo della sera par nasconda in qualche
a della musica dei venti; le vacche d’ Apollo son le acque del cielo, che il vento fura nascondendole nella nuvola; ma Zeus
mattino uccide. Secondo gli altri, Argo è il sole stesso onniveggente che guida al pascolo le vacche celesti ossia le nuvol
di pioggia. Il vento tempestoso uccide Argo, cioè oscura il sole e fa che la nuvola scorra qua e là per le regioni del ciel
i loro ordini. Veloce più del vento, co’ suoi alati calzari narravasi che percorresse e terre e mari, ad annunziare alle ge
le pietre quadrate, sormontate da una testa o anche da due addossate, che si collocavano nei crocicchi e nelle vie principa
vano ornarsi di imagini sue. Infine, come facondo oratore, era il dio che dava facilita d’ eloquio a chi l’ invocava nel mo
madre Maia. Più tardi Mercurio si identificò con Ermes, ma si avverta che il bastone da araldo, il caduceo, non fu mai adot
di Ermes e si raccontano le leggende a lui relative; un inno di Alceo che ne cantava la nascita a Cillene s’ è disgraziatam
salvo pochi frammenti. Bella è l’ ode decima del libro 1o d’ Orazio, che ben riassume gli attributi di Mercurio, chiamando
Ermes ha preso diverse forme secondo il concetto mitologico-simbolico che l’ artista intendeva seguire. Ora apparisce come
apparisce come pastore e porta un montone (Ermes crioforo), immagine che nei tempi cristiani servi di modello a figurare i
a col gomito ad un tronco; nella mano destra tiene un grappolo d’ uva che la vedere al fanciullo, verso cui si volge con do
ra splendida statua di Ermes è quella in bronzo, trovata in Ercolano, che ora trovasi nel Museo Nazionale di Napoli, e rapp
Nazionale di Napoli, e rappresenta (fig. 26) il messaggiero degli Dei che per breve riposo s’ è messo a sedere su una rupe.
e-Venere. 1. In Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione, quella che a Dodona era venerata come la sposa di Zeus. Ma q
piegava il cinto della sua bellezza, ogni cosa piegavasi all’ incanto che emanava dal suo corpo. S’ indovina il significato
na il significato primitivo di questa dea della bellezza; non è altro che l’ aurora, figlia del cielo, la quale sorride dal
ò ben presto in Grecia un altro concetto, quello della forza d’ amore che penetra tutto l’ universo e lo feconda. In Orient
messa in rapporto con Dioniso e con Ermes. Spesso poi di essa si dice che esercito la sua forza sul mortali. Aiutò Paride a
contro fieramente punì perchè erano restii all’ amore, come Ippolito che rese infelice facendo che la matrigna Fedra innam
rchè erano restii all’ amore, come Ippolito che rese infelice facendo che la matrigna Fedra innamorasse di lui, e il bel Na
e il bel Narciso il quale sdegnava l’ amore della ninfa Eco, facendo che si invaghisse perdutamente di sè stesso. Merita u
trasparire il suo senso primitivo naturalistico. Raccontavasi dunque che il bel giovane, onde Afrodite era innamorata, mor
a Persefone dea dei morti e nol voleva rendere. Alfine Zeus sentenziò che per una parte dell’ anno rimanesse Adone nel regn
esto dell’ anno tornasse tra i vivi. Evidentemente la bestia setolosa che uccide Adone non è altro che un simbolo dell’ inv
i vivi. Evidentemente la bestia setolosa che uccide Adone non è altro che un simbolo dell’ inverno, il cui freddo soffio fa
do soffio fa spegnere la vita della natura e Adone è la natura stessa che ripiglia vigore al ritorno periodico della primav
ese possesso primamente delle grandi isole dell’ Egeo, e più di Cipro che si diceva la culla della Dea, e in Cipro specialm
lla della Dea, e in Cipro specialmente delle città di Pafo e Amatunte che erano più in rapporto col Fenici. Da Cipro questo
fra i cittadini e sulla socievolezza tra gli uomini. Dall’ importanza che il culto di una tal dea aveva presso i Latini, pr
mportanza che il culto di una tal dea aveva presso i Latini, provenne che quando Venere si fuse con Afrodite, e le leggende
della dea Murcia, della Cloacina e della Libitina. Murcia vale colei che ammolce, quindi la dea che accarezza l’ uomo e ne
oacina e della Libitina. Murcia vale colei che ammolce, quindi la dea che accarezza l’ uomo e ne seconda le voglie; più tar
onor di costei sorgeva a piè dell’ Aventino presso il Circo Massimo, che si voleva fabbricato dai Latini ivi stanziati per
si gli arredi necessari per i trasporti funebri. Nè faccia meraviglia che la dea del piacere (libet) di venisse dea dei mor
gliosa è messa in qualche rapporto colla morte, e anche qui può dirsi che gli estremi si toccano. — A queste forme più anti
doglio, e della Venus Genetrix, venerata soprattutto da Giulio Cesare che faceva discendere da lei per via di Enea la sua f
esare che faceva discendere da lei per via di Enea la sua famiglia, e che a lei votò un tempio dopo la vittoria di Farsalo;
opere. Oltre l’ inno omerico ad Afrodite, son da ricordare gli autori che celebrarono specialmente l’ Afrodite Urania, la r
ciò il suo poema della natura; nè meno degno d’ ammirazione l’ elogio che di Venere scrisse Ovidio nel quarto dei Fasti (v.
mitando in parte Lucrezio. Del resto non v’ è pittura della primavera che non contenga le lodi di Venere; ricordiamone una
oleva rappresentare vestita e anche velata; tale era ad es. la statua che trovavasi nell’ Acropoli di Atene, opera dello sc
enere in tutta la bellezza delle nude forme, immaginandola nell’ atto che essa doveva uscire dalle onde alla vita. Celebre
vole alla navigazione), della quale i Cnidii andavano così orgogliosi che ne riportarono l’ immagine anche sulle loro monet
no l’ immagine anche sulle loro monete. La fig. 27 presenta una testa che è una riproduzione di quella di Prassitele e trov
seguito parecchi altri statuari; tra gli altri l’ autore della statua che è detta Venere di Milo, perchè fu trovata nel 182
tta Venere di Milo, perchè fu trovata nel 1820 nell’ isola di Milo, e che trovasi ora nella Galleria del Louvre a Parigi (f
pelle tra gli altri si segnalò per la pittura della Venere Anadiomene che prima si trovava nel tempio di Esculapio a Coo, m
re di Crono e Rea, quindi sorella di Zeus e di Era; è da notarsi pero che nei poemi omerici non è mai menzionata questa div
iva ai bisogni della vita materiale, ma anche ai sacrifizi religiosi, che il capofamiglia offeriva agli Dei nelle preghiere
miglia, ivi, per dir così, il tempio della religione domestica. Estia che rappresentava tutto ciò, era quindi la divinità p
mportantissima in tutti i sacrifizi e in tutte le cerimonie religiose che in casa si effettuavano. Nè solo era Estia la pro
nuamente il fuoco. Da questo prendevano con sè un po’ di fuoco quelli che andavano a colonizzare altre terre, per mostrare
di fuoco quelli che andavano a colonizzare altre terre, per mostrare che essi mantenevano sempre un cotal legame colla mad
illibata; difatti si diceva ch’ ella aveva voluto rimaner vergine, e che anche sollecitata di nozze da Posidone ed Apollo,
a Posidone ed Apollo, aveva opposto un deciso rifiuto. Anche le donne che attendevano al culto di lei dovevano esser vergin
che nei templi degli altri Dei, e nessun sacrificio aveva luogo senza che cominciasse e finisse con una libazione ad Estia;
ta la prima, onde il proverbio « cominciare da Estia », e la leggenda che Estia nella divisione del mondo, dopo la vittoria
azione come dea protettrice dello Stato. Il più antico tempio di lei, che si credeva fondato da Numa Pompilio, sorgeva alle
no vicino al Foro. Era un tempietto rotondo, propriamente null’ altro che un focolare col suo tetto; ivi ardeva continuamen
i da macina inghirlandati e con pani appesi all’ intorno, per indicar che la Dea manteneva alla famiglia il giornaliero nut
         Effigiem nullam Vesta nec ignis habet 14 . Le poche volte che si scolpi l’ immagine di Vesta, si soleva raffigu
dir vero, non è ben certo se rappresenti Vesta, mancando gli oggetti che solevano caratterizzarla, la tazza del sacrifizio
con lungo manico usata nei sacrifizi), lo scettro. È anche da notare che l’ indice della mano sinistra è un ristauro moder
tà del cielo dobbiamo anche annoverare due Dei esclusivamente romani, che non hanno il loro corrispondente nella mitologia
spondente nella mitologia greca, e sono Giano e Quirino. Ianus non è che la forma maschile di Diana, la luna, quindi era i
us divenne semplicemente il Dio del principio e dell’ origine, il Dio che apre e chiude, che presiede a ogni entrare e a og
mente il Dio del principio e dell’ origine, il Dio che apre e chiude, che presiede a ogni entrare e a ogni uscire. Tutto qu
e e chiude, che presiede a ogni entrare e a ogni uscire. Tutto quello che esiste, in cielo, nel mare, sulla terra, tutto si
a si tenevano aperte le porte di un certo tempio di lui, per indicare che il Dio era uscito coll’ esercito e lo accompagnav
lui; e dei pari nella vita privata ogni atto si iniziava pregando lui che come Ianus Agonius presiedeva a tutti i lavori de
dre di Fontus, venerato sui Gianicolo, e del dio Tiberino. Si credeva che egli avesse la potenza di far scaturire d’ improv
a di far scaturire d’ improvviso sorgenti dalla terra; e raccontavasi che quando i Sabini, dopo il ratto delle lor donne, f
llo d’ un tratto, per opera di Giano, una sorgente d’ acqua solforosa che impedi il loro avanzarsi e li obbligò alla ritira
i della città. Segnatamente si avevano per sacri a Giano quegli archi che erano nelle vie o nei crocicchi più frequentati e
l più importante era quelle situato su quella frequentatissima strada che dal vecchio foro conduceva al foro di Cesare. Lo
lmente antico e ragguardevolo trovavasi sul Gianicolo, dove si diceva che Giano avesse avuto sua sede prima che fosse Roma.
i sul Gianicolo, dove si diceva che Giano avesse avuto sua sede prima che fosse Roma. 3. Chi voglia leggere artisticamente
volendo figurar Giano, costantemente s’ attenne altipo bifronte. Non che questa sia stata un’ invenzione degli artisti rom
per es., nelle doppie erme e nella figura di Argo; e una doppia erma che si credeva opera di Scopa o di Prassitele, portò
dall’ Egitto, per servire come immagine di Giano. È dunque probabile che gli artisti romani abbiano tolto il modello dalle
ione dei Sabini stanziati sul Quirinale col Latini del Palatino, fece che si adottasse questo Dio nel culto comune insieme
Dio nel culto comune insieme con Iupiter e Mars, formando una triade che si riteneva protettrice dello stato di Roma. Numa
us Quirinus, considerato come eroe della stirpe comune a quella guisa che la formola Populus Romanus Quirites o Quiritium,
elesti divinizzati a) Elio-Sole. 1. Tra i primi corpi celesti che l’ immaginazione popolare doveva annoverare fra g
e in moglie Perse o Perseis, colla quale generò Eeta (Aeetes), quello che è noto nella favola degli Argonauti, come re dell
poi le sue sorgenti; finalmente Giove fulminò il malcapitato Fetonte, che inflammato precipito nell’ Eridano, dove le ninfe
emporali. 2. Il dio Elio aveva anche il suo lato morale; egli è colui che tutto vede e ascolta; colla sua luce penetra nei
ascolta; colla sua luce penetra nei più segreti luoghi, discopre quel che è nascosto e castiga anche i colpevoli. Perciò er
con gran pompa un’ annua festa con giochi ginnastici e musici, festa che per Rodi aveva la stessa importanza delle Panaten
ostrutto il primo orologio a sole. Si credeva in Roma come in Grecia, che il Sole rivelasse i segreti, quindi era sopranoma
ipide ad es., nel Ione dipinse mirabilmente il sorgente astro di Elio che indora le cime delle montagne, mentre le stelle r
e se ne fuggono per rifugiarsi nel grembo della sacra notte; immagine che si trova anche in pitture vascolari dell’ età di
ntato il sole sul suo carro e le stelle in figura di giovanetti aerei che fuggono. Ne meno belle le descrizioni del tramont
aerei che fuggono. Ne meno belle le descrizioni del tramonto; si dice che il sol cadente stende la nera notte come un oscur
cadente stende la nera notte come un oscuro manto sulla terra, ovvero che al voltarsi del cielo precipita la notte dall’ oc
ti dalle onde, come nell’ estremità opposta erano i cavalli di Selene che all’ apparire del raggio diurno si tuffano nel ma
ungo abito proprio del cocchiere, e la testa coronata di raggi. — Più che mai a Rodi si vedevano statue del Sole. Celebre è
peregrinazione pel cielo, colle sue diverse fasi, colla pallida luce che dà un aspetto così fimtastico alle cose, doveva c
un diadema di raggi; la chiamavano l’ occhio della notte, e dicevano che la sera sorgeva dai flutti dell’ oceano per perco
Tra le altre è celebre la leggenda di Endimione (Endymion), leggenda che viveva segnatamente nella Caria e in Elide. Era E
ene fu identificata con Artemide, con Ecate e Persefone. — Non sembra che Selene sia mai stata oggetto di culto speciale. 2
i si loda la candida luce. Un frammento di Saffo ci parla degli astri che intorno alla bella Selene, quando ella nella sua
da Orazio, ove paragona lo splendore della famiglia Giulia alla luna che brilla in cielo inter minores ignes (Carm. 1, 1
ità bella e benefica. Le braccia aveva rosee; rosee le dita; dicevasi che lieta e robusta si levasse ogni mattina dal suo l
o. Il linguaggio mitico è qui trasparente, non essendo altro in fondo che una poetica pittura del sorger dell’ aurora. Si a
oto (i venti di nord, ovest, est e sud), espressione mitica del fatto che al primo apparir dell’ aurora suol sorgere il ven
ombattuto contro Giove, fu relegato cogli altri nel Tartaro, dicevasi che Eos avesse scelto a sposo il bel cacciatore Orion
one. Per lui chiese e ottenne in dono da Giove l’ immortalità; se non che , essendosi scordata di chiedere anche una perpetu
. Figlio di Titone e di Eos fu Mennone, principe degli Etiopi, quello che essendo venuto in soccorso dei Troiani fu ucciso
iada. Il mito di Titone, vecchio tutto rughe, non più capace d’ altro che di far sentir la sua voce, come una cicala, era u
far sentir la sua voce, come una cicala, era un’ allegoria del giorno che è bello e fresco la mattina, poi dai dardi cocent
e). Servio Tullio ne eresse anche uno in Roma nel Foro Boario, tempio che Camillo ricostrui dopo la distruzione di Veio. 3.
d’ oro, è descritta spesso dai poeti, ma più come fenomeno nattirale che come dea. Tale ad es. il virgiliano: aethere ab
bardare i cavalli del sole, o fornita d’ ali vola per l’ aria intanto che da un vaso versa sulla terra la rugiada. Nel gran
eo di Berlino, rappresentante la Gigantomachia, si vede Eos a cavallo che precorre e preannunzia il giovane Elio. d) Gli
i della mitologia. Tali anzitutto le stelle del mattino e della sera, che da principio erano credute stelle diverse, denomi
i Cefalo, dicevasi avesse gareggiato di bellezza con Afrodite, oppure che Afrodite l’ avesse rapito giovane e fattolo guard
diceva fosse stato trasformato nella costellazione di Orione, quella che appare sul nostro orizzonte dal solstizio d’ esta
e notturno, emulo d’ Artemide. Lo si figurava come un enorme gigante, che a volte cammina nel mezzo del mare, e pur leva la
tte figlie di Atlante. La più vecchia e la più bella era Maia, quella che a Zeus diede un figlio in Erme. Dai Latini eran d
quali tanto piangevano per la morte di un loro fratello Iade (Hyas), che gli Dei per compassione le mutarono in stelle. Il
e mutarono in stelle. Il loro nome derivano gli uni da un verbo greco che vuol dire « piovere »; altri ricordando che dai L
gli uni da un verbo greco che vuol dire « piovere »; altri ricordando che dai Latini eran dette Suculae, porcellini, lo con
e dai Latini eran dette Suculae, porcellini, lo connettevano col nome che significa « porco »; e pensavano che la celeste c
ellini, lo connettevano col nome che significa « porco »; e pensavano che la celeste costellazione fosse stata immaginata c
e costellazione fosse stata immaginata come una mandra di porcellini, che sarebbe simbolo di fecondità. 5. Infine è da nota
no questo gruppo septemtriones, i sette buoi aratori, perchè il girar che fan queste stelle intorno al centro polare aveva
te stelle intorno al centro polare aveva destato l’ immagine dei buoi che arino un campo girando a tondo. 6. Sull’ altare d
tifizio a cui si ricorse per riempire in qualche modo il largo spazio che veniva a rimaner vuoto dalla parte del cielo.
di mare, soleva propiziarseli con preghiere e sacrifizi. Già si disse che i quattro venti principali erano detti figli di E
uto il vento del sud, Noto o Austro, apportatore di piogge e tempeste che rendevano il mare innavigabile e tutto involgevan
          Maior, tollere seu ponere vult freta 20, e la viva pittura che ne fe’ Ovidio nel primo delle Metamorfosi (v. 264
evutone l’ ordine da qualche Dio, apriva loro un passaggio e lasciava che si scatenassero sulla terra. 2. Importanti per la
ro venti secondari sono i rilievi di quell’ antico monumento ateniese che ancor si conserva, ed è conosciuto sotto il titol
cima del capitello, al centro del tetto, era anche un tritone mobile che girando secondo il vento ne indicava la direzione
o verso le terre orientali dell’ Ellade). II. Divinità secondarie che formavano il corteo degli Dei del cielo, o compag
glia. Amanti del canto e sempre liete, erano esse divinità benefiche, che facevan cessare ogni angustia e dimenticar ogni m
evan cessare ogni angustia e dimenticar ogni male. Pindaro raccontava che dopo la vittoria sul Titani, i Celesti pregarono
lesti pregarono il padre Giove affinchè pensasse a crear tali esseri, che fossero in grado di eternare coll’ arte del canto
rado di eternare coll’ arte del canto le grandiose gesta degli Dei; e che allora Zeus genero con Mnemosine le nove Muse, le
cantare il presente, il passato e l’ avvenire e col loro dolci canti, che Apollo suole accompagnare con la cetra, rallegran
molti ruscelletti scorrevano giù con dolce mormorio, e può ben essere che l’ impressione di questa musica della natura, abb
canto e del divinare. Celebre tra esse la ninfa Egeria per i rapporti che ebbe col re Numa. Pare fossero tutt’ uno colle ni
ti che ebbe col re Numa. Pare fossero tutt’ uno colle ninfe Carmentes che formavano il corteo di Carmenta, la madre di Evan
le Muse nelle opere poetiche dell’ antichità non occorre dire; noto è che i poeti epici solevano cominciare i loro poemi da
ci solevano cominciare i loro poemi dall’ invocazione delle Muse, uso che è stato accolto anche dai moderni; e negli epitet
o. — Tra i monumenti ancora superstiti meritano il primo posto quelli che si trovano in Vaticano; ad essi si riferiscono le
Polinnia del Museo di Berlino (fig. 37), statua d’ insigne bellezza, che la raffigura in atto di pensar nuovi inni.
. 1. Figlie di Zeus e di Eurinome, secondo Esiodo, eran le Cariti, che rappresentavano tutto quel che v’ ha di bello e d
inome, secondo Esiodo, eran le Cariti, che rappresentavano tutto quel che v’ ha di bello e di grazioso sì nella natura sì n
, Eufrosine e Talia. Esse erano venerate come datrici di tutto quello che abbellisce e rende gradevole la vita. Senza di es
avano la sapienza, la virtù, l’ amabilità, in genere tutte le qualità che rendono l’ uomo simpatico a’ suoi simili. Le Cari
adre dell’ Olimpo ». Ricordiamo anche le Gratiæ decentes di Orazio, che in primavera facendo colle ninfe corteo a Venere,
ù atteggiamenti diversi; n’ è esempio, sebbene molto sciupato, quello che si conserva in Siena, dal quale Raffaello trasse
personificazione dell’ ordine universale, rappresentante della legge, che regola i rapporti fra i varii esseri, epperò conv
n corrispondono speciali deità presso i Romani; si può però ricordare che in luogo di Irene, essi veneravano quella che chi
; si può però ricordare che in luogo di Irene, essi veneravano quella che chiamavano Pace (Pax). Augusto le dedicò un altar
getali e animali. — Tra le Ore fu poi prediletta dagli scultori Irene che come datrice di pace e di ricchezza era anche ogg
i cui credesi un’ imitazione l’ opera da noi riprodotta nella fig. 39 che è nella Gliptoteca di Monaco. « Raffigura una don
ra ad un alto scettro, e reggente sul braccio sinistro un fanciullino che a lei stende la mano con atto di amorosissima gra
pace è apportatrice. d) Niche-La Vittoria. 1. Niche non è che la personificazione del potere irresistibile e vi
i Giganti. Essa era pero anche in intima relazione con Pallade Atena, che dopo Zeus rappresentava la più alta potenza; infa
to di Niche Aptero (la Vittoria senz’ ali, così immaginata coll’ idea che non potesse mai più abbandonare Atene). In genere
tto di ferventissimo culto. Già i Sabini avevano una divinità Vacuna, che doveva essere affine alla Vittoria, e un’ altra p
n’ altra pure affine era Vica Pota ( Cic. de Leg. 2, 28 spiega: colei che vince e s’ impadronisce) venerata nell’ antica Ro
quale statua diventò rappresentante della dea protettrice del Senato, che nella Curia Iulia radunavasi, e durò come tale fi
sostenitori della morente religione contro gli attacchi dei Cristiani che la volevano rimuovere. 3. L’ arte greca e romana
atua trovata negli scavi d’ Olimpia nel 1875. È essa una Niche alata, che i Messenii e quei di Naupatto, per riportata vitt
Niche proveniente dall’ isola di Samotracia, ora al Museo del Louvre, che noi riproduciamo alla fig. 41. Anche essa è tronc
e essa è tronca in qualche parte, ma si può completare colla immagine che ne fu riprodotta in monete locali (fig. 42); coll
stato un simbolo dei rapporti fra cielo e terra; quiudi era naturale che Iride, la sua mistica rappresentante, fosse conce
i Taumante e dell’ Oceanina Elettra, sorella delle Arpie. È da notare che nella mitologia posteriore Iride diventa quasi es
ri Dei. 2. Veloce come il vento e le procelle è detta Iride dai poeti che ne descrivon la figura, e ha l’ ali d’ oro, ed è
istingueva. Tra i monumenti superstiti ricorderemo la figura di Iride che è nel fregio orientale del Partenone dov’ essa è
Iliade essa figura come la coppiera degli Dei d’ Olimpo, essendo lei che durante i loro festivi banchetti versa il nettare
servigi e ricorda le ragazze delle case patriarcali dell’ età eroica, che usavano appunto prestare i loro servigi ai membri
orente di giovinezza e di beltà, e rappresentante anche dei godimenti che con queste doti si connettono. Nel culto Ebe or è
naturalmente la dea dei giovani e della età giovanile; di qui l’ uso che , allorquando i giovani romani assumevano la toga
Juventas, parum comis sine te 24, volendo esprimere l’ intima unione che vi dev’ essere tra gioventù e bellezza perchè ne
s) aveva in Olimpo il compito di far da coppiere agli Dei. Omero dice che era figlio del re Troiano Tros, e che per la sua
a coppiere agli Dei. Omero dice che era figlio del re Troiano Tros, e che per la sua grande bellezza fu da Giove assunto in
a fu da Giove assunto in cielo, reso immortale e adibito all’ ufficio che s’ è detto. Più tardi si favoleggiò che Giove ave
ortale e adibito all’ ufficio che s’ è detto. Più tardi si favoleggiò che Giove avesse mandato l’ aquila sua perrapire il f
ormoso giovanetto. Altri fecero ancora un passo avanti e raccontarono che il sovrano dell’ Olimpo si fosse trasformato in a
attiene Ovidio nel decimo delle Metamorfosi (v. 152-161); il quale fa che Giove si trasformi in aquila per rapire l’ amato
si crede un’ imitazione la statua ora conservata nel Museo Vaticano, che noi riproduciamo alla fig. 43. L’ aquila colle al
pazio è stata vinta dall’ artista con ingegnosa accortezza, in quanto che diè al gruppo per appoggio il tronco d’ un albero
diè al gruppo per appoggio il tronco d’ un albero, lasciando supporre che il giovane pastore riposasse a piè del tronco qua
re l’ aquila di Giove. Serva di saggio la statua del Museo di Napoli, che noi riproduciamo nella fig. 44. h) Eros,
onico, già da noi ricordato, rappresentante della forza di attrazione che spinge le cose ad unirsi; dall’ altra, era figlio
’ amore. Alla forza di Eros, dicevasi, neppur Zeus può sottrarsi; con che si veniva a indicar l’ amore come la più forte e
esponto. A Tespia ogni quattr’ anni avevano luogo feste, le Erotidie, che erano le più importanti della Beozia, con certami
eciproco. 2. Con Eros sono nominati spesso dagli antichi altri esseri che rappresentano pure sentimenti dell’ animo; essi s
onio; infine Antero (Anteros), il ricambio d’ amore. I primi non sono che personificazioni allegoriche e non furono oggetto
riche e non furono oggetto di vero culto. Il più notevole è l’ ultimo che si diceva figlio di Afrodite come Eros. Raccontav
è l’ ultimo che si diceva figlio di Afrodite come Eros. Raccontavano che il piccolo Eros non volendo crescer su bene, sua
Romani il dio d’ Amore chiamavasi Amor o Cupido; ma non era in fondo che una ripetizione dell’ Eros greco, nè apparisce ma
n era in fondo che una ripetizione dell’ Eros greco, nè apparisce mai che abbia avuto l’ onore di un pubblico culto. 4. La
mana fu predominante la figura di quel volubile e scaltro giovanetto, che tiranneggiava Dei ed uomini, e compiacevasi a stu
i esseri in mille guise, come appare specialmente dalle ultime poesie che vanno tra quelle di Anacreonte. Fra così ricca le
scrittore del 2º sec. dell’ e.v. Psiche era una bellissima fanciulla, che per la sua bellezza destò la gelosia di Venere; q
ellezza destò la gelosia di Venere; questa allora ordinò a suo figlio che eccitasse in lei amore per un basso e volgare nom
ha l’ obbligo di non vedere cogli occhi del corpo quel essere divino che ogni notte viene a visitarla. Senonchè, aizzata d
che ogni notte viene a visitarla. Senonchè, aizzata dalle sue sorelle che le insinuano nell’ animo il veleno della diffiden
i Venere non è ancora ammansito, ella la obbliga ai più duri servigi, che la povera Psiche non sarebbe in grado di prestare
ll’ inferno per farsi dare da Persefone certa scatola voluta da colei che era la sua signora, e avendola per curiosità aper
la per curiosità aperta, stava per essere soffocata dal vapore Stigio che ne emanava, quando accorse Amore in suo aiuto; al
allora le sue sofferenze furon finite, perchè Amore ottenne da Giove che Psiche fosse accolta in cielo tra gli immortali,
già si trovano cenni in altri scrittori e opere d’ arte anteriori, e che anche dopo continuo, in diverse guise rimaneggiat
e Pothos posto nel tempio di Afrodite in Megara; l’ Eros del secondo che era in Tespie di Beozia era considerato come una
esistono ancora, di scalpello antico. Tra le più notevoli è il torso che si trova nella Galleria delle Statue in Vaticano
aticano (fig. 45); bellissimo anche l’ Eros in atto di tender l’ arco che è nel Museo Capitolino (fig. 46). Vi sono anche p
cchie rappresentazioni di Amore e Psiche; celebre fra tutte il gruppo che è in Vaticano, il quale li rappresenta in atto di
alma della vittoria; un’ imitazione probabilmente d’ un altro rilievo che , secondo Pausania attesta, trovavasi nel Ginnasio
re una candela nel momento della nascita; e le già nominate Carmentes che con scongiuri e formole magiche aiutavano il part
rgere aiuto e una fiaccola nell’ altra mano, come simbolo del nascere che è un venire alla luce del mondo. b) Asclepio-E
ile e in mezzo al dolce mormorio delle acque correnti. Narravasi poi, che essendo stata Coronide, per colpe sue, condannata
per colpe sue, condannata a morire sotto gli strali di Artemide prima che avesse dato alla luce il figlio d’ Apollo, allorq
farlo uscire dal seno della madre; poi lo affidò al centauro Chirone che lo allevo sul Pelio e gli insegnò a sanar tutti i
famiglia di Asclepio. Si diceva avesse in moglie Epione, ossia quella che lenisce, che mitiga, che risana; e tra i suoi fig
sclepio. Si diceva avesse in moglie Epione, ossia quella che lenisce, che mitiga, che risana; e tra i suoi figli, oltre i d
diceva avesse in moglie Epione, ossia quella che lenisce, che mitiga, che risana; e tra i suoi figli, oltre i due celebri m
dea dell’ igiene, poi Iaso, Panacea, Egle (Aegle), Acheso, tutti nomi che alludono ai medicamenti e all’ arte salutare. 2.
acrifizi farlo addormentare; allora in sogno doveva apparirgli il Dio che gli suggeriva il rimedio al suo male. 3. Presso i
o che gli suggeriva il rimedio al suo male. 3. Presso i Romani, prima che s’ introducesse la religione di Esculapio, si ven
rna o Cardea, a cui si attribuiva la virtù di cacciar via le streghe, che venivan di notte a succhiare il sangue ai bambini
dato una deputazione ad Epidauro per condur seco Esculapio, narravasi che il Dio in forma di serpente spontaneamente fosse
ontaneamente fosse venuto dietro ai legati romani e salito sulla nave che doveva portario a Roma. Ivi poi sbarcato scelse s
tà. Attributo suo costante una serpe, come simbolo della forza vitale che si ringiovanisce; e questa serpe o si rappresenta
tone da lui tenuto. Tale si scorge in una statua del Museo di Napoli, che noi riproduciamo alla fig. 48. Altre volte si ved
va anche un celebre Asclepieo, hanno messo in luce parecchi monumenti che si riferiscono ad Asclepio e al suo culto. Non
rche. 1. Era una persuasione comune e radicata presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al m
cata presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al momento della nascita di ognuno già fossero de
a filar lo stame della vita di ognuno, la seconda rappresentante ciò che v’ è di casuale in essa vita, la terza significan
glie delle tenebre, erano sorelle delle Erinni, le dee della vendetta che perseguitano il colpevole fino alla morte. Come e
rono assegnare le stesse attribuzioni delle greche Moire. Si noti poi che dall’ età Augustea invalse l’ uso di usar la voce
anti racconti meravigliosi. 3. Bellissima pittura delle Parche quella che si legge nell’ Epitalamio di Peleo e Tetide di Ca
ati custodibant calathisci 28 . L’ arti figurative non cominciarono che tardi a rappresentar le Moire; il tipo che divenn
igurative non cominciarono che tardi a rappresentar le Moire; il tipo che divenne prevalente fu quello di tre donne che fil
entar le Moire; il tipo che divenne prevalente fu quello di tre donne che filano, ovvero di donne che annunziano la ventura
divenne prevalente fu quello di tre donne che filano, ovvero di donne che annunziano la ventura e pero tengono in mano un r
emesi; Tiche-Fortuna e Agato-demone,Bonus eventus. 1. Tra le Deità che avevano rapporto colle sorti dell’ umana vita, va
ntava una santa indignazione per ogni disordine morale, per ogni cosa che turbasse il normale equilibrio della società, per
io, le fu anche eretta una statua in Campidoglio. Gli scrittori greci che hanno un’ intonazione morale, spesso fanno cenno
dedicate leggonsi nell’ Antologia. Fra i Latini, va ricordato Catullo che in uno de’ suoi poemetti scherzosi, volgendo la p
a rappresentare la prospera sorte essi escogitarono la dea Felicitas, che fu pure oggetto di pubblica venerazione. Fondator
culto della Fortuna in Roma si crede sia stato Servio Tullio, quel re che era stato egli stesso tanto fortunato; egli edifi
l titolo di Fors Fortuna un tempio, e istituì una solenne festa annua che ricorreva il 24 Giugno. Questo culto si estese se
i umili e deprimere i superbi, la dice invocata si dagli agricoltori, che dai naviganti, temuta dai popoli come dal re, e c
a. Varii attributi le si assegnavano; il più importante era un timone che la contraddistingueva come governatrice delle uma
lla ricchezza, in braccio. La fig. 49 riproduce una statua bellissima che è nel Braccio nuovo del Vaticano. La fig. 50 è pu
tua del Vaticano; è copia di un antico lavoro di Eutichide di Sicione che trovavasi ad Antiochia; come protettrice di città
a città è così importante ed ha un fondo così oscuro e impenetrabile, che gli antichi sentirono il bisogno di affidarlo ad
di affidarlo ad altri esseri ancora, oltre i nominati; e immaginarono che ciascun individuo sia assistito, guidato nelle va
le a questi esseri o ricorrendo semplicemente al simbolo del serpente che indicava fortuna, o raffigurandoli in forma di gi
lto importante, per la considerazione dei grandi e molteplici effetti che le acque producono, feracità di terreni irrigati,
agli antichi attribuito al mare, i terremoti. Quindi niuna meraviglia che il regno acqueo abbia dato occasione a immaginare
pia più antica di Titani, come già si disse (pag. 11), e raccontavasi che non avendo preso parte alla grande lotta contro l
sua abitazione collocavasi all’ estremo Occidente, là dove si credeva che fosse l’ origine delle cose. L’ Oceano era detto
iumi e di tutte le sorgenti della terra; in altri termini, si credeva che i fiumi avessero tutti origine dal gran mare da c
dal gran mare da cui gli antichi immaginavano circondata la terra, e che scorrendo prima sotterra, a un tratto comparisser
trici dell’ aria, or semplicemente come chiare, fresche e dolci acque che dànno allegria ai boschi, ai monti, alle valli. L
ne le popolava di ninfe. Basti ricordare fra esse la sorgente Amaltea che die’ il nome al corno dell’ abbondanza, e la sorg
ea che die’ il nome al corno dell’ abbondanza, e la sorgente Aretusa, che la favola diceva amata da Alfeo e seguita da lui
popolava di graziose ninfe; celebre fra tutte la ninfa Egeria, quella che è ricordata nella tradizione come amante segreta
va cornua cannis 31. A queste stesse immagini s’ ispirò la statuaria che soleva rappresentare i fiumi in figura di uomini,
vole corso d’ acqua, e forniti di cornucopie a indicare l’ abbondanza che è frutto dell’ irrigazione fluviale. Fra tante an
le. Fra tante antiche statue a noi giunte, citiamo il bellissimo Nilo che è nel Braccio Nuovo del Vaticano (fig. 51). Folle
corpo maestoso del Dio sedici genii, rappresentanti le sedici braccia che l’ acqua cresce ogni anno al momento della benefi
helangelo. II. Ponto e la sua stirpe. Vedemmo nella Teogonia che il Ponto, ossia il mare, era stato in origine pro
il mare, era stato in origine prodotto spontaneo di Gea, la Terra; e che di poi unitosi colla stessa Gea, si credeva avess
e lo figuravano come un buon vecchio, pieno di senno e di esperienza, che colle sue figliuole abitava nel fondo del mare in
ride si mostrò subito compiacente, vaticinandogli spontaneamente quel che doveva avvenire. Le Nereidi, o figlie di Nereo, e
aiutavano nei pericoli. Tra esse meritano essere ricordate Anfitrite, che andò sposa a Posidone, e Tetide (Thetis), direttr
e Tetide (Thetis), direttrice del coro delle Nereidi, così avvenente che Zeus stesso l’ amava, ma essa preferi darsi in is
i in isposa a Peleo, figlio di Eaco, perche un oracolo aveva predetto che il figlio nato da lei sarebbe divenuto più grande
divenuto più grande del padre. Sia ricordata anche la bianca Galatea, che divenne amante del Ciclope Polifemo, ed era la pr
diversi, in diversi atteggiamenti. Un marmo, forse il più importante, che rappresenta una Nereide su un cavallo marino, tro
a Firenze. b) Taumante. Il secondo figlio del Ponto è Taumante, che rappresenta gli aspetti meravigliosi del mare, e
il cibo. In altre leggende appariscono come genii della rapida morte che afferra la sua preda coll’ impeto della tempesta.
ura. Forchi (Phorkys) era il signore e capo di tutti i mostri marini, che eran detti il suo esercito, e la sua sposa Cheto
e padre di Toosa, la ninfa rappresentante l’ impetuoso flutto marino, che per via di Posidone divenne madre dei Ciclope Pol
onia ch’ egli era figlio di Crono e di Rea e però fratello di Zeus, e che allorquando dopo il trionfo di Zeus, i Cronidi si
so, toccò a lui il regno del mare. E nel profondo del mare si pensava che abitasse in uno splendido palazzo; e di là movess
scorrere sopra i flutti. Irapetuoso è egli e potente come l’ elemento che ei governa; allorch’ egli col suo tridente, l’ in
ebbe a sostenere aspro combattimiento, e d’ altri ancora; tutti miti che sono un riflesso della natura tempestosa del mare
e mura di Troia, e Laomedonte li frodò della pattuita mercede, fu lui che mandò un terribile mostro che distruggeva i racco
li frodò della pattuita mercede, fu lui che mandò un terribile mostro che distruggeva i raccolti e uccideva uomini, finchè
per ammansirlo gli si dovette dare in pasto la figlia del re, Esione, che fu poi liberata da Eracle. Un fatto analogo si ha
seo; leggenda di cui riparleremo. Invece la natura benefica del mare, che insinuandosi dentro terra produce facilita di com
e. Nell’ interno son da ricordare pel culto di Posidone la Tessaglia, che a lui attribuiva la sua liberazione dalle inondaz
attribuiva la sua liberazione dalle inondazioni del Peneo, in quanto che con un colpo del suo tridente aveva egli aperto l
rinto; in onor di lui appunto vennero ivi istituiti i giochi Istmici, che divennero una festa nazionale di tutta la Grecia.
e accavallantisi spumeggianti han fatto pensare a ciò; anzi si diceva che Posidone avesse creato lui il cavallo in occasion
esso dell’ Attica (cfr. pag. 43). Nelle leggende di Corinto narravasi che Posidone, per mezzo di Medusa, fosse padre del no
importanza. Quando poi si identificò Nettuno con Posidone, la qualità che più venne a essere rilevata si fu quella di Dio d
fu quella di Dio dei cavalli e delle corse. E difatti l’ unico tempio che in Roma era eretto a Nettuno, trovavasi presso il
inio; mentre nel Circo Massimo veneravasi l’ antico Dio latino Consus che si riteneva per un Neptunus equester. Ai tempi di
o del suo regno, sollevò sull’ onde la sua placida testa, e veduto di che si trattava, chiamò a sè Euro e Zefiro per rimpro
i trattava, chiamò a sè Euro e Zefiro per rimproverarli della licenza che si eran presa e rimandarli alla loro sede; poi  
iante a quella del fratello Zeus, barbato il viso, la chioma ricciuta che fluisce intorno alla faccia coprendo le orecchie,
a però al volto una espressione più seria, senza quell’ amico sorriso che indica la benevolenza. Solitamente poi si raffigu
mostro marino. La più antica statua di Posidone a noi giunta è quella che era nel frontone occidentale del Partenone, dov’
disgraziatamente in frantumi. Nella fig. 52 si riproduce il Posidone che è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde al tipo
uce il Posidone che è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde al tipo che prevalse nei tempi più recenti dell’ arte antica.
e Nereidi, sposa di Posidone; era dunque nel regno dell’ acque quello che Era nel regno dei cieli. Narrava la leggenda, che
dell’ acque quello che Era nel regno dei cieli. Narrava la leggenda, che Posidone l’ aveva vista a danzar colle sorelle ne
ei romoreggianti flutti marini, ed è dipinta nell’ Odissea come colei che spinge le onde contro gli scogli e si compiace ci
rite, come in un celebre gruppo a rilievo della Gliptoteca di Monaco, che si crede una riproduzione d’ un originale di Scop
giante. Era detto l’ unico robusto figliuolo di Posidone e Anfitrite, che con loro abita nel palazzo d’ oro in fondo al mar
tto e le zampe anteriori di cavallo, creando quei mostri a tre nature che furono detti Centauri di mare o Ittiocentauri (ic
e sorgeva la tempesta; altre volte invece dava luogo a un suono dolce che quietava il mare agitato. — Cominciando dal quart
credenza in un coro di Tritoni, rappresentanti nel regno marino quel che i Satiri o i Centauri nel regno terrestre; classe
quel che i Satiri o i Centauri nel regno terrestre; classe di esseri che vive sulle onde, tra i mostri marini e le Nereidi
semif ero sub pectore murmurat unda 37 . Il suono della conchiglia che rabbonisce le onde agitate è ben descritto da Ovi
in vasi cesellati, ecc. Un gruppo degno d’ essere ricordato è quello che conservasi nel Museo Vaticano, rappresentante un
car riposo sul lido; e sopratutto nell’ ore calde d’ estate narravasi che conducesse il suo gregge a meriggiare nell’ isola
nzio. Tra le divinità minori del mare, va annoverato il Dio Glauco che propriamente rappresenta il color del mare quando
città della Beozia orientale sull’ Euripo. Quivi era viva la leggenda che egli fosse da principio pescatore; e che un giorn
. Quivi era viva la leggenda che egli fosse da principio pescatore; e che un giorno, fatta la sua pesca, avendo posto giù i
ndo posto giù i pesci semivivi sull’ erba, vedesse con sua meraviglia che al contatto di un certa erba ripigliavan vita e r
egli stesso di quest’ erba e ne senti subito una tale sovreccitazione che si gettò in mare, dove benignamente accolto da Oc
g. 53 riproduce un celebre busto trovato a Pozzuoli, ora in Vaticano, che s’ è voluto riferire a Glauco; ma la identificazi
ra di allevare il piccolo Dioniso; perciò incorse nello sdegno di Era che prese a perseguitar lei e i suoi due figli Learco
una pazzia furiosa ad Atamante, il quale uccise Learco e inseguì Ino che tentava salvare l’ altro figlio, finchè tutte due
mare da un alto scoglio, fra Megara e Corinto. Dice Dante: Nel tempo che Giunone era crucciata    Per Semele contra il san
ni al varco; »    E poi distese i dispietati artigli, Prendendo l’ un che avea nome Learco,    E rotollo, e percosselo ad u
E quella s’ annegò con l’ altro carco. (Inf. XXX, princ.). Dante fa che s’ anneghi; ma la leggenda antica narrava che le
XXX, princ.). Dante fa che s’ anneghi; ma la leggenda antica narrava che le deità marine, accolta benevolmente la disperat
te fanciullo, all’ una e all’ altro diedero l’ immortalità, lasciando che lei vivesse felice tra le Nereidi, e Melicerte co
el mattino, e Pater Portunus dio dei porti. Allora si creò la storia, che la principessa figlia di Cadmo dopo il suo salto
più da Roma. 3. La favola d’ Ino molto piacque ai poeti per la pietà che destava il caso della madre sventurata e la felic
ovvero in braccio alla madre in atto di essere presentato a Posidone che con paterna benignità l’ accoglie. IX. Le Sire
benignità l’ accoglie. IX. Le Sirene. 1. Son le Muse del mare, che col loro dolci canti ammaliano i naviganti, e fac
e e figliuoli li attirano a sè e rovinano; immagine viva dei pericoli che spesso si incontrano anche in un mare tranquillo,
ti come in quello degli Argonauti e del ratto di Proserpina. Si disse che Demetra appunto aveva dato loro il corpo d’ uccel
n punizione di non aver aiutato la loro compagna di gioco nel momento che il re dell’ Inferno stava per rapirla. Anche si f
le le prime sarebbero state vinte. Il luogo ove solitamente si diceva che stessero le Sirene, eran le coste occidentali del
. La poesia si compiacque del mito delle Sirene, immagine del fascino che l’ arte esercita sull’ animo dell’ uomo; perciò n
el quinto delle Metamorfosi (v. 552 e sgg.) spiega la cosa ricordando che dopo il ratto di Proserpina, la ricercarono invan
siderarono potersi librare sull’ ali per ricercarla anche in mare, in che :          … faciles que Deos habuistis et artus
rò a dar maggior rilievo alla parte femminea non lasciando d’ uccello che le ali e le estremità inferiori. È a notare che p
lasciando d’ uccello che le ali e le estremità inferiori. È a notare che per esser fatale il canto delle Sirene, divennero
ogni rigoglio di vegetazione, onde l’ annua produzione di que’ frutti che allietano l’ umana famiglia e le dànno sostentame
a? E dove, se non nel seno ascoso di lei, si ripongono quelle energie che rimangono assopite nella stagione hivernale per r
agione hivernale per riprender vigore in primavera? È dunque naturale che , indotti da queste riflessioni, gli antichi abbia
so, di qui il culto e le leste dette orgiastiche (da una parola greca che significa sovreccitazione dell’ animo). È poi da
la greca che significa sovreccitazione dell’ animo). È poi da notarsi che il concetto di tali divinità, e specialmente dell
to ch’ ebbe nome di misteri, a cui erano ammessi solo gli iniziati, e che contribui a mantenere un’ idea più elevata del di
anche d’ altro lato fu pensata Gea come tomba universale delle cose, che ogni essere vivo inesorabilmente rievoca a sè e a
terra. Questi concetti essendo comuni con altre divinità, n’ è venuto che spesso Gea venne identificata con altri, ad es. c
 La statuaria antica rappresentava Gea come una mezza figura di donna che sorge dal suolo; tale si vede in un rilievo che è
mezza figura di donna che sorge dal suolo; tale si vede in un rilievo che è nel Museo Chiaramonti in Vaticano raffigurante
sa oggetto di culto segnatamente nell’ isola di Creta, dove si diceva che ella avesse fatto allevare il figlio Zeus in una
a detta la madre Idea o montana, e rappresentava la natura montagnosa che ne’ suoi cupi recessi alberga e feconda tanta par
nte Dindimo, onde essa era detta Dindimene, e il villaggio Berecinto, che le die l’ epiteto di Berecinzia (Berecyntia). Qui
che le die l’ epiteto di Berecinzia (Berecyntia). Qui favoleggiavasi che la Dea amasse andare attorno su un carro tirato d
auti, si abbandonavano ad una musica strepitosa ed orgiastica. I miti che si riferiscono a questa Dea portano pure un carat
nte di lei. Era costui un giovane Frigio di così eccezionale bellezza che la Gran Madre lo volle per isposo. Dapprincipio e
nazione. Atti fuggi sul monti e in un eccesso di furore si uccise. Di che afllittala Dea, ordinò in onor di lui una cerimon
ercare Atti; finalmente si fingeva trovarlo o si trovava un’ immagine che lo rappresentava, e allora i Coribanti si abbando
ta e danzavano e coll’ armi si ferivano a sangue. Questo giovane Atti che muore e rinasce, come l’ Adone del culto di Afrod
e rinasce, come l’ Adone del culto di Afrodite, simboleggia la natura che sorge a vita florida e rigogliosa e poi tosto app
sto culto trovava un terreno favorevole nelle vicinanze del monte Ida che ricordava l’ Ida cretese. Ivi in luogo dei Coriba
ei libri sibillini fu mandata un’ ambascieria ad Attalo re di Pergamo che allora dominava pure nella Frigia; Attalo cousegn
inava pure nella Frigia; Attalo cousegnò di buon grado la nera pietra che era considerata come l’ idolo di Cibele, e che fo
n grado la nera pietra che era considerata come l’ idolo di Cibele, e che forse era una pietra meteoritica da secoli conser
no 550/204 e venne accolta in mezzo a solenne processione dai Romani, che d’ allora in poi la tenuero in grande venerazione
cordare il giorno d’ arrivo della Dea; le fu subito votato un tempio, che fu dedicato nel 563/191 poco lungi da quello di A
dedicato nel 563/191 poco lungi da quello di Apollo Palatino, tempio che più volte fu distrutto e ricostruito, tra gli alt
ndatrice e conservatrice delle città, e al suo corteggio di Coribanti che Tympana tenta tonant palmis et cymbala circum Co
. Le rappresentazioni figurate sono rare; tra le più. note è quella che si riferisce all’ introduzione del culto in Roma
introduzione del culto in Roma (fig. 54). In Vaticano v’ è una statua che rappresenta Cibele in trono, e un’ altra è nella
involta dalle flamme di Zeus, ed ivi morì. Zeus però salvò il figlio che non era ancor nato, e perchè non aveva raggiunto
uci in una coscia, e lo diede poi a luce a suo tempo; di qui dicevasi che Dioniso avesse avuto un doppio nascimento. Zeus p
oi consegnò il neonato ad Ermes perchè lo portasse alle ninfe di Nisa che s’ incaricavano di allevarlo; secondo altra legge
eo quello cui Dioniso vien affidato dopo il bruciamento di Semele, il che fa palese il significato naturale del mito; Semel
il che fa palese il significato naturale del mito; Semele è la terra che vien bruciata dai raggi estivi del sole, ma il fr
per cura di Sileno, Dioniso pianta la vite, e s’ innebria dell’ umor che da essa cola e allora compiacesi di girare di luo
asione d’ un viaggio dall’ isola di Icaria a quella di Nasso, Dioniso che aveva assunto la forma d’ un bel ragazzo col cape
ricciuti e il mantello di porpora, fu preso da alcuni pirati Tirreni che ideavano portario con sè e andarlo a vendere in I
lia. Ma, oh portento! a un cenno del divino fanciullo, cadono i ceppi che l’ avvincono, tralci di vite e rami d’ edera s’ a
no in mare, e in quell’ istante son trasformati in delfini, salvo uno che , indovinando un essere divino nel fanciullo, s’ e
vinando un essere divino nel fanciullo, s’ era opposto al mal governo che di lui avevan preso a fare i compagni. — E così a
iso diè a vedere quanto fosse terribile la sua vendetta contro quelli che non lo riconoscevano e tentavano impedire le sue
a, dov’ egli era stato allevato, onde il Dio stesso non potè salvarsi che saltando in mare dove lo accolse Tetide; ma Licur
i aizzatigli contro da Dioniso. Licurgo è il lungo inverno di Tracia, che si oppone alla propagazione della vite, ma alfine
e e di indole selvaggia. Costui volle opporsi alle feste Dionisiache, che il coro delle Baccanti stava celebrando sul monte
coro delle Baccanti stava celebrando sul monte Citerone. Ma sua madre che trovavasi tra le Baccanti, invasata da sacro furo
opranomava Semele sua madre l’ umida, alludendosi all’ umor terrestre che fecondato dal calore fa crescere piante e frutti,
i l’ arte del divinare. Onde ci fu persino qualcuno, nei tardi tempi, che considerava Apollo e Dioniso come identici. Un Di
indirizzo presero le leggende relative a Dioniso in mano agli Orfici, che mescolando tradizioni asiatiche e greche, cercava
a il primo Dio; era detto figlio di Zeus e di Persefona; e si narrava che essendo egli destinato al dominio supremo del mon
male nell’ animo umano, provenendo il bene dall’ elemento dionisiaco che è in noi, e il male dal titanico. Queste e altret
carne sanguinosa. Era tutto ciò un ricordo e un simbolo dello scempio che l’ inverno fa di tutti i prodotti onde la terra s
Giova ricordare le feste Dionisiache, ossia feste in onor di Dioniso che si celebravano in Atene. Erano le seguenti: 1º Le
rni; nel primo festeggiavasi la svinatura o lo spillare il nuovo vino che allora aveva finito di fermentare; nel secondo gi
to festa della pentola, perchè si esponevano pentole con legumi cotti che dovevano servire come offerta alle anime dei defu
legumi cotti che dovevano servire come offerta alle anime dei defunti che secondo la credenza comune quel giorno venivano s
e della vendemmia per lesteggiare il raccolto fatto. È però da notare che le feste italiche non avevano quel carattere romo
e le feste italiche non avevano quel carattere romoroso ed orgiastico che il culto di Dioniso ebbe in Grecia. Solo più tard
cantato qua e là le lodi di questo Dio straordinario. Ricordiamo solo che Eschilo compose una trilogia intorno al mito di L
riche. Tra le cose latine, leggasi la 19a ode del 2o libro di Orazio, che in versi caldi e appassionati riassume le princip
baraque horribili stridebat tibia cantu. 43 Infine ricordisi Ovidio che nel terzo delle Metamorfosi e in principio del qu
lla figura di Dioniso un aspetto giovanile, quasi femmineo; è il tipo che prevalse dal tempo di Prassitele in poi. A questo
al tempo di Prassitele in poi. A questo appartiene il celebre Dioniso che conservasi nel Museo del Louvre a Parigi; e anche
essa categoria. La fig. 57 riproduce la testa di un Dioniso giovanile che è nel Museo Capitolino; un viso pieno d’ espressi
te, oltre la vite e l’ edera, anche l’ alloro. Tra le figure che appaiono nelle leggende bacchiche, la più frequen
tisti era Arianna. Celebre l’ Arianna addormentata del Museo Vaticano che noi riproduciamo colla fig. 58; essa è di rara be
appresentazione della Menade o Baccante. Scopa n’ aveva fatto un tipo che divenne celebre: la sua figura era in atto di ebb
. 1. Tra le divinità minori della Terra vanno annoverate le Ninfe, che noi vedemmo far parte del corteo di Bacco, ed anc
trice e di Afrodite. Erano immaginate come belle e graziose donzelle, che si dicevano abitare nè più ameni boschetti, alle
endeva solo le Ninfe d’ acqua dolce, e si chiamavan Naiadi. Eran loro che nutrivan le piante e quindi anche le bestie e l’
ei; ond’ essa, consumata dal dolore, si ridusse a non esser più altro che voce. Ma Narciso fu punito da Afrodite, perchè ac
le piante). Queste si credeva non fossero già immortali, ma si diceva che col morir d’ ogni pianta avesse termine anche la
ialmente là dove una natura rigogliosa e tranquilla suggeriva l’ idea che ivi fosse un soggiorno prediletto alle Ninfe; di
a bucolica aveva frequenti occasioni di descrivere scene della natura che sempre s’ avvivavano colla presenza delle ninfe.
go. La favola di Narciso trovò un narratore pieno di grazia in Ovidio che l’ espose nel terzo delle Metamorfosi. La statuar
nforme a questa bestiale natura, attribuiva anche alla loro figura un che di bestiale, naso rincagnato, capelli arruffati,
nnide. Verso gli uomini, il popolo riteneva i Satiri piuttosto ostili che amici; si dice va assalissero d’ improvviso gli a
e Dionisio ha dato occasione alla creazione di quel genere drammatico che fu denominato « Il dramma dei Satiri » (satyricum
la Tragedia, rilevando i fati più comici delle loro leggende o quelli che più facilmente si potevano volgere a riso. Il Cic
riso. Il Ciclope d’ Euripide è un bel saggio di queste composizioni, che il popolino in Grecia preferiva alla serietà dell
più in verità per rappresentarli ma semplicemente per lettura. Oltre che in questi speciali componimenti, anche altrove so
no per lo più coll’ epiteto « capripedi » alludendo ai piedi di capra che la immaginazione popolare attribuiva loro. Alle a
i musicali; tale ad esempio, il Satiro del Museo Capitolino (fig. 61) che è appoggiato ad un tronco e tiene nella mano dest
appoggiato ad un tronco e tiene nella mano destra un flauto; si crede che sia copia di un capolavoro di Prassitele. Altre v
vita, ecc. La fig. 62 riproduce un’ altra statua del Museo Capitolino che è in rosso antico. Anche le pitture murali di Pom
leni. 1. Era Sileno, secondo la comune leggenda, un vecchio Satiro che ebbe in cura Dioniso bambino e lo allevò e divenn
l petto e le membra, grasso e tondo come un otre di vino; e si diceva che incapace di reggersi in piedi, seguisse Dioniso a
arono un altro concetto di Sileno, pensandolo come un saggio vecchio, che sdegna i beni terrestri e non trova soddisfazione
saggio vecchio, che sdegna i beni terrestri e non trova soddisfazione che nella propria saggezza; uomo dotato anche della v
cui parlano per lo più le leggende asiatiche, erano genii dell’ acqua che corre e irriga e feconda; difatti si pensavano co
suo alunno, era detto inventore del suon dei flauti, genere di musica che la religione di Cibele mise in onore. In Attica n
musica che la religione di Cibele mise in onore. In Attica narravasi che egli avesse soltanto trovato in terra e fatto suo
avasi che egli avesse soltanto trovato in terra e fatto suo il flauto che Atena, la vera inventrice, aveva gettato via perc
entrice, aveva gettato via perchè le sformava il viso. Si narrava poi che Marsia avendo osato venire a gara con Apollo il c
rsia avendo osato venire a gara con Apollo il citarista, a condizione che il vincitore potesse fare dell’ altro tutto quel
ta, a condizione che il vincitore potesse fare dell’ altro tutto quel che gli talentasse, fu vinto; e allora Apollo lo legò
bele, la quale avevalo immensamente arricchito. Ma avvenne a lui quel che suoi avvenire tra gli uomini; quanto più era ricc
giorno il vecchio Sileno, ebbro e stordito, erasi sviato dal cammino che il corteo di Bacco percorreva in Frigia ed era ca
o accompagnò nei campi di Lidia e lo restituì al giovinetto Bacco. Di che lieto il Dio, volle compensar Mida promettendo di
re. Mida, spinto dalla sua avarizia, chiese si convertisse in oro ciò che egli toccasse col suo corpo. Fu soddisfatto; ma i
to un intollerabile tormento; giacchè in oro mutavasi perfino il pane che ei vole va mangiare e l’ acqua che voleva bere. P
hè in oro mutavasi perfino il pane che ei vole va mangiare e l’ acqua che voleva bere. Pregò Dioniso gli ritogliesse il tri
i divennero aurifere. — Un’ altra leggenda relativa a Mida era quella che lo faceva arbitro in una contesa musicale tra Pan
aceva arbitro in una contesa musicale tra Pane ed Apollo; si narra va che avendo egli sentenziato in favor di Pane, Apollo
e avendo egli sentenziato in favor di Pane, Apollo si vendicò facendo che le orecchie di lui divenissero asinine. Pieno di
enza e indovino, è il tema della sesta ecloga di Virgilio. La pittura che il poeta fa di lui ebbro e immerso nel sonno, è v
ano a udirlo e danzano intorno ritmicamente; e riferisce il suo canto che ha ad argomento l’ origine delle cose e degli ani
gione dell’ Arcadia e da altre popolazioni dedite alla pastorizia, ma che più tardi fu riconosciuto da tutta la nazione ell
figlio di Ermes e della ninfa Penelope, figlia di Driope; narra vasi che è fosse nato co’ piedi di capra, con due corna su
e pascolo, pascolare. Allevato e cresciuto in Arcadia, tra que’ monti che alzano al cielo la loro cima coperta di neve, tra
monti al modo di Artemide. Un di ch’ ella era per essere presa da lui che rincorrevala, pregò Gea l’ aiutasse; questa la mu
in luogo della ninfa strinse canne palustri; ma il lamento armonioso che usciva da esse suggeri al Dio l’ idea di unire pi
iù canne digradanti e formarne così uno strumeuto musicale, strumento che dal nome dell’ amata chiamò siringa (voce greca c
sicale, strumento che dal nome dell’ amata chiamò siringa (voce greca che val « zampogna »). Ma se la silvestre natura risu
essa, ha anche i suoi solenni silenzi e nella vasta solitudine avvien che produca un vago sentimento di paura. Di qui altre
go sentimento di paura. Di qui altre favole relative a Pane. Dicevasi che a mezzo il giorno, quando il sole dardeggia, e tu
, di cui il motivo s’ ignorasse, chiamavasi timor panico, raccontando che Pane si divertiva a spaventare i viaggiatori con
i strane e rumori inaspettati. Di qui si formò più tardi la leggenda, che Pane avesse molto aiutato Zeus nella lotta contro
astico, la tendenza al chiasso e a una selvaggia eccitazione d’ animo che è inerente alla natura di questo Dio, offrì occas
on Bacco e fatto partecipare alle peregrinazioni bacchiche; si diceva che nella spedizione contro gli Indiani molto aveva g
lle idee filosofiche; giacchè indotti dal significato della voce Pan, che val « tutto », gli Orfici ne fecero un Dio tutto,
era venerato specialmente dai pastori, dai cacciatori, dai pescatori che lo avevano per loro protettore. Le cime delle mon
s’ introdusse questo culto poco dopo la guerra persiana. Raccontavasi che quando l’ oste nemico avvicinavasi, gli ambasciat
egli onorato con annui sacrifizi e una corsa di fiaccole. Gli animali che solitamente si offrivano a Pane erano vacche, cap
si porgevano anche offerte di miele, latte e mosto. 3. Un antico inno che è tra gli Omerici, il 19o, è un bel monumento in
nfrequente la menzione di Pane tra i poeti latini. A tacere d’ Ovidio che la bella leggenda della ninfa Siringa racconta ne
e sgg.), nessuno può dimenticare la vivissima pittura di Pane sonante che leggesi nel quarto libro del poema di Lucrezio, o
nante che leggesi nel quarto libro del poema di Lucrezio, ov’ è detto che egli: Pinea semiferi capitis velamina quassans U
o le chiome e le tempia di una corona di pino, con le due corna rosse che scappan fuori della fronte, le orecchie dritte, i
pida e impraticabile, dice, dov’ ei, librando il corpo e simile a uno che voli, non ponga il suo piè caprino. Talvolta pieg
l’ arte greca Pane era rappresentato in figura puramente umana, salvo che s’ aggiungevano le corna nascenti ai due lati del
iluppate, lunga barba e piedi caprini. Esempio ce n’ offre la fig. 65 che è tolta da una pittura murale trovata ad Ercolano
er le Ninfe. Anch’ egli si divertiva a spaventar la gente, e dicevasi che di notte penetrasse nelle case e tormentasse gli
, salvochè si rilevò meglio il loro carattere divinatorio; e ne venne che fossero chiamati anche versi faunii o saturnii qu
ero chiamati anche versi faunii o saturnii quelli nei quali si diceva che essi significassero le loro predizioni. Al maschi
na, detta anche Fatua come divinatrice e Maia o Bona Dea, cioè la dea che accresce, che aumenta i prodotti della terra e la
e Fatua come divinatrice e Maia o Bona Dea, cioè la dea che accresce, che aumenta i prodotti della terra e la ricchezza deg
sacrificava un capro e si facevano offerte di latte e vino. La festa che aveva luogo in campagna dava occasione a lieta al
che libertà. Un’ altra festa importante e antica, erano i Lupercalia, che celebravansi il 15 Febbraio a Roma. Il santuario
era in una grotta del Palatino detta appunto Lupercal, quella stessa che l’ arcade Evandro venuto nel Lazio e benignamente
esto santuario si cominciava la festa sacrificando dei capri; dopo di che i sacerdoti di Fauno, i Luperci, cingendosi il nu
città palatina e il Foro, e percotevano con quelle striscie la gente che si faceva loro incontro. Era questa una cerimonia
e che si faceva loro incontro. Era questa una cerimonia d’ espiazione che si credeva douasse prosperità e fortuna; e tra l’
il suo santuario e il suo culto. È da ricordare specialmente la festa che in onor di lei le donne celebravano nella notte d
tutto lo Stato, e i maschi ne erano severamente esclusi. 3. Il poeta che alla figura di Fauno ha saputo dar miglior risalt
avvicinarsi de’ lupi, i contadini premono in liete danze quella terra che gli altri giorni scavano con tanta fatica. I Faun
istra, a significare la sua regal signoria sulla terra e sugli esseri che vi abitano. VIII. Priapo. Era il Dio della
era riguardato come protettore dei giardini e delle vigne. La bestia che si sacrificava a Priapo era un asino, e curiose s
con una roncola in mano contro i ladri e un fascio di canne in testa che stormissero al vento, spavento agli uccelli. Rigu
icordare alcune divinità minori dell’ agricoltura e della pastorizia, che erano osclusivamente proprie dei Romani; e prima
mente proprie dei Romani; e prima ricordiamo la coppia Saturno e Opi, che è tra le più antiche e popolari in Italia. Saturn
Roma, Saturno venne identificato con Crono e allora sorse la leggenda che privato del trono da Giove, dopo lungo peregrinar
inare fosse venuto in Italia ed ivi si fosse nascosto in quella terra che da questo fatto avrebbe avuto il nome di Lazio (a
esto fatto avrebbe avuto il nome di Lazio (a latendo). Si aggiungeva, che accolto benignamente da Giano, avrebbe posto sua
oduttrice di ogni umana agiatezza (opes). E per l’ intima connessione che si poneva tra i prodotti della terra e la prosper
idoglio al Foro. Fu cominciato da Tarquinio Superbo, ma non terminato che nei primi anni della repubblica. Sotto il tempio
o figura più come il padre di Giove da lui cacciato dal trono celeste che non come Dio della seminagione e dell’ agricoltur
a terra. Vertumnus o Vertumnus da vertere (annus vertens, la stagione che cambia), era il Dio dei mutamenti di stagione, e
dei mutamenti di stagione, e specialmente dell’ autunno e dei frutti che in autunno maturano. Gli si attribuiva il dono di
er innestare; non altro brama, non d’ altro vive. La leggenda narrava che l’ agreste ninfa da molti era stata ricercata d’
era stata ricercata d’ amore, ma tutti aveva da sè respinto. Vertunno che n’ era innamorato piu degli altri, le comparve in
inio di Flora. Infine come Flora mater era invocata anche dalle donne che speravano diventar madri. — Due templi erano a Ro
Fasti ove spiega e descrive le teste del 21 Aprile. L’ arte non si sa che abbia mai preso a rappresentar questa Dea. e)
l patrono della proprietà privata, ed a lui sacre erano quelle pietre che segnavano i confini tra i varii poderi e si dicev
nza dei Romani era così vivo il rispetto della proprietà individuale, che vollero consecrati a un Dio i confini che la segn
ella proprietà individuale, che vollero consecrati a un Dio i confini che la segnavano. Si faceva una festa annua, il 23 Fe
uche nel tempio di Giove era una statua di Termine; giacchè narravasi che allorquando si volle edificare il gran tempio di
o le feste in di lui onore, e ripetendo in forma poetica la preghiera che gli si innalzava, viene così a rilevare assai ben
così a rilevare assai bene il concetto di questo Dio; ma non sappiamo che lo si immaginasse in una particolar figura, nè ch
o; ma non sappiamo che lo si immaginasse in una particolar figura, nè che l’ arte l’ abbia rappresentata. X. Demetra-Ce
divinità greco-italiche riferentisi alla terra produttrice. Demetra, che vuol dire la madre terra, era figlia di Crono e d
de, ma in genere le si attribuiva una sovranità assoluta su tutto ciò che concerne l’ agricoltura, che essa stessa aveva in
uiva una sovranità assoluta su tutto ciò che concerne l’ agricoltura, che essa stessa aveva insegnato agli uomini. E poichè
oniso, la cui missione civilizzatrice già è stata da noi rilevata; il che ha portò occasione a mettere in rapporto le due d
ento è la famiglia, così Demetra veniva anche considerata come la Dea che dà stabilità ai matrimonii; e per altro rispetto
e patrona e direttrice delle popolari adunanze. Tra le sacre leggende che si connettono col nome di questa Dea, nessuna è p
nessuna è più conosciuta e più importante per capire il culto di lei, che il ratto di Persefone (Proserpina) o Cora sua fig
. Demetra aveva udito a distanza le grida della figlia, ma non sapeva che cosa fosse accaduto. Poichè vide ch’ ella non ris
e crescente ansia le traccie della smarrita figliuola. Alla fine Elio che tutto vede e tutto sente, le rivelò la verità, nè
ine Elio che tutto vede e tutto sente, le rivelò la verità, nè tacque che Ade aveva rapito Persefone col consenso di Zeus.
poteva più tornare definitivamente alla madre. Finalmente si convenne che per due terzi dell’ anno Persefone tornasse sopra
o dell’ anno vivesse in inferno col suo sposo e signore. Così avviene che ogni anno all’ apparir della primavera Persefone
n Persefone la personificazione della vegetazione, figlia della terra che comparisce in primavera ad allegrare gli uomini e
inverno sparisce? Si confronti il mito di Adone amato da Venere, mito che ha lo stesso significato. Un’ altra leggenda çonn
nte. Così Demetra entrò nella reggia di Celeo. Il suo aspetto era più che di donna, e la regina stessa sentivasi inclinata
lo toglie dal fuoco, ma con dolci rimproveri lascia capire alla madre che quel fuoco doveva purificare il fanciullo da ogni
efone; il momento più splendido della festa era la grande processione che aveva luogo il quinto giorno, e movendo da Atene
a di mister o, cioè di culto segreto, a cui non potevan premier parte che gli iniziati. Si esigevano certe condizioni di mo
divenne come il centro dei paganesimo ellenico, e tale rimase fino a che , alla fine del quarto secolo dell e. v., Teodosio
arto secolo dell e. v., Teodosio il grande lo fe’ chiudere. 3. Quello che era Demetra per i Greci, era Cerere pei Romani, c
icinanze del Circo e ne fu affidata la sorveglianza agli edili plebei che pure avevano la cura dell’ annona. Le feste di Ce
ivano in bianche vesti portando in dono primizie di frutta. La bestia che solitamente si sacrificava a Cerere era il porco,
Demetra e Rea erano insieme confuse in un’ unica divinità (v. il coro che comincia al v. 1301). Ci rimangono pur frammenti
i si trova cenno di questi miti; ricordiamo solo la vivace narrazione che è nel quarto dei Fasti Ovidiani (v. 417-618) ove
e e di mite dolcezza. È facilmente riconoscibile dal fascio di spighe che ha in mano e dalla corona di spighe che generalme
oscibile dal fascio di spighe che ha in mano e dalla corona di spighe che generalmente porta in testa; anche ha una fiaccol
una scatola chiusa, la così detta cista mistica. La più antica statua che ancor oggi si possiede, è quella che trovavasi su
ta mistica. La più antica statua che ancor oggi si possiede, è quella che trovavasi sul frontone orientale del Partenone, o
nebroso re dell’ Inferno, anch’ essa era una potenza tenebrosa, colei che ogni essere vivo trae con sè nell’ oscuro grembo
one con Ade formava il riscontro di Era e di Zeus. Tale è il concetto che unicamente è accennato nelle opere Omeriche, dove
no, Persefone aveva un doppio aspetto, quello d’ una gentil fanciulla che risorge ogni anno a nuova vita e quello della ten
fone divenisse simbolo dell’ imrnortalità dell’ anima. Giacchè sembra che gli iniziati ai misteri Eleusini, scostandosi dal
essero più sane dottrine intorno alla vita d’ oltre tomba, ammettendo che il morire non sia altro che un rinascere dell’ an
orno alla vita d’ oltre tomba, ammettendo che il morire non sia altro che un rinascere dell’ anima a più lieta esistenza, s
o che un rinascere dell’ anima a più lieta esistenza, supposto sempre che l’ uomo si renda degno di questa vita felice con
serpina come moglie di Plutone e regina dell’ inferno. Già s’ è detto che nel culto di Cerere con lei si identificò la dea
Demetra, ma molto più nelle pitture vascolari e nelle scene a rilievo che non in statue isolate. Come regina dell’ Erebo vi
è riferita la leggenda del rapimento di Persefone, ma è da avvertire che essa si è formata relativamente tardi, perchè anc
antichi qualcosa di sinistro e di misterioso; egli è un re occulto e che occultamente opera, anzi un elmo lo rende invisib
(donde il suo nome); ma tanto più è terribile la sua potenza. Ognuno che entra nel regno di lui ogni speranza lasci; le po
sione degli Dei, rivedere la luce della vita. lu origine era lui pure che con inflessibile rigore si impadroniva dell’ anim
o stesso Dio sotterraneo il signore di tutte quelle ricchezze e colui che ne fa dono ai mortali? Ecco altri aspetti che ren
uelle ricchezze e colui che ne fa dono ai mortali? Ecco altri aspetti che rendevan venerando questo iddio, che perciò chiam
o ai mortali? Ecco altri aspetti che rendevan venerando questo iddio, che perciò chiamavasi Plutone o Pluteus, colui che fa
enerando questo iddio, che perciò chiamavasi Plutone o Pluteus, colui che fa ricchi. 2. Appena si può dire che il misterios
amavasi Plutone o Pluteus, colui che fa ricchi. 2. Appena si può dire che il misterioso Dio dell’ ombre avesse un pubblico
ò si batteva colle mani in terra. In sacrifizio non gli si offerivano che bestie nere e si torceva lo sguardo dalla vittima
. Delle piante erangli sacri il cipresso e il narciso. 3. Già dicemmo che rispetto all’ oltretomba i Romani adottarono in g
le idee greche. Questo è vero anche rispetto al re dell’ altro mondo che essi chiamarono Plutone o Dis Pater (ossia dives
ruffata la chioma. Tale il Plutone sedente con il Can Cerbero a lato, che trovasi nella Villa Borghese a Roma. Gli si ponev
. Gli si poneva in mano anche lo scettro e una cornucopia. Il bidente che si vede in alcune statue non è che un’ aggiunta d
ettro e una cornucopia. Il bidente che si vede in alcune statue non è che un’ aggiunta degli artisti moderni latta per anal
di Posidone. XIII. L’ Inferno. 1. Giova qui ricordare rimmagine che gli autichi si eran formata del mondo infernale.
gli autichi si eran formata del mondo infernale. Ma prima s’ avverta che tale immagine non è sempre stata la stessa. Nell’
ndo Posidone dato col tridente una tremenda scossa alla terra, dicesi che Ade saltasse giù spaventato dal suo trono per ter
terra, dicesi che Ade saltasse giù spaventato dal suo trono per terna che si squarciasse la terra e comparisse agli occhi d
one tra i buoni e i cattivi, e l’ Eliso, dove venivano mandati quelli che eran cari a Zeus per vivervi beati senza alcun af
e a tanta distanza quanta è quella del cielo al di sopra; e si diceva che un’ incudine di bronzo come avrebbe impiegato nov
arono, e a poco a poco venne formandosi quell’ immagine dell’ Inferno che è più comunemente nota. Era uno spazio largo e te
rature, giacchè dapertutto dove si trovava una caverna, una lenditura che paresse internarsi nelle viscere della terra, ivi
ra, ivi si supponeva un accesso all’ inferno. Nel quale poi si diceva che scorressero e s’ incrociassero parecchi fiumi, il
dell’ Inferno, sta custode il terribile cane Cerbero, con tre teste, che non impedisce ad alcuno l’ entrata, ma respinge a
e da altri infernali mostri erano in diverse guise tormentati. Quelli che erano giudicati nè buoni nè cattivi, erano obblig
eso a forza in terra, e due avoltoi gli rodono di continuo il fegato, che di continuo rinasce. Tantalo, il re asiatico, ant
nasprita dal fatto di esser immerso fino al mento in un lago d’ acqua che però s’ abbassa quand’ egli fa l’ atto di bere, e
rano appena egli stende le mani per coglierli. Sisifo, re di Corinto, che colla sua astuta malvagità più volte ha destato l
feso Zeus, ha avuto la pena di essere legato mani e piedi a una ruota che sempre gira. Infine le Danaidi, ossia le cinquant
turi. Qui però non si parla di una discesa all’ inferno; son l’ ombre che evocate dal sacrifizio fatto da Ulisse gli passan
più tardi; lasciando i minori, noi ricorderemo solo la bella pittura che fece Virgilio nel sesto dell’ Eneide narrando la
ando la discesa di Enea all’ Averno, e la non meno vivace descrizione che leggesi nel quarto delle Metamorfosi di Ovidio, a
elebre artista dell’ età di Pericle) nella lesche o sala di convegno, che quei di Gnido avevano eretto a Delfo. Riproduceva
questo stesso tema; generalmente, rappresentandosi il mito di Ercole che rapisce Cerbero o di Orfeo che va a riprendere la
te, rappresentandosi il mito di Ercole che rapisce Cerbero o di Orfeo che va a riprendere la sua Euridice, si aveva occasio
ruppi di esseri infernali. XIV. Le Erinni-Furie. 1. Tra gli Dei che han sede in inferno, son da annoverare le terribi
erchio dei rapporti di famiglia. Secondo Esiodo erano nate dal sangue che cadde sulla terra dalle ferite di Urano allorquan
tta e della punizione. Altri assegnò loro altra origine; come Eschilo che le disse figlie della notte, e Sofocle che le fe’
ltra origine; come Eschilo che le disse figlie della notte, e Sofocle che le fe’ figliuole delle tenebre. Da principio non
Erinni; solo nell’ età Alessandrina se ne seppero anche dire i nomi, che erano Aletto (la inquieta), Tisifone (la punitric
ità a tutta la terra; ma alfin luron placate da Atena, colla promessa che sopra il colle dell’ Areopago sorgerebbe un tempi
bosco sacro a una dea Furina; ma se questa dea Furina avesse nulla a che fare colle Erinni greche, ignoriamo, sebbene gli
e chi ’l giusto varca, Suoi congiunti ponendo a iniqua morte, Noi fin che all’ Orco ei scenda Perseguitiam, nè gir laggiù p
figlia del titano Perseo e di Asteria. In origine non designava altro che un aspetto della luna, e ditatti anche Artemide e
detto hecatos. Forse rappresentava la luna invisibile, la luna nuova, che appunto perchè non compariva in cielo, si poteva
e appunto perchè non compariva in cielo, si poteva facilmente credere che rimanesse sotterra; di qui la collocazione di Eca
sotterra; di qui la collocazione di Ecate fra gli Dei infernali. Quel che di arcano è proprio della nuova luna si rispecchi
nsiem coll’ anime dei trapassati su pei trivii e intorno ai sepolcri; che al suo avvicinarsi i cani ululavano e guaivano; c
i ululavano e guaivano; ch’ essa proteggeva e ammaestrava le maliarde che nella notte andavan vagando per cercare, al lume
collocavano certi pilastri con l’ immagine di lei, colla persuasione che ciù tenesse lontana dalle case e dalle città ogni
, la statuetta di lei alla porta di casa, e ponendovi presso de’ cibi che poi i poveri consumavano; eran le così dette cene
nata cogli epiteti trivia triforme, tricipite, conforme all’ immagine che gli antichi se ne formavano, con tre teste o un c
nesorabili via traevano morti e feriti. Vi erano poi anche altre Cere che non in battaglia, ma in altre occasioni, per via
ne. Infine un Dio speciale della morte fu ideato in Tanato (Thanatos) che era detto fratello gemello del Sonno (Hypnos); se
 Insiem colla Morte e il Sonno erano venerati i parenti loro, i Sogni che abitavano, secondo Omero , di là dall’ Oceano, n
, essendo l’ avorio un corpo opaco, uscivano i sogni falsi ed ambigui che portan con sè fantasmi fallaci e vani; dall’ altr
di facile spiegazione. Tra gli Dei de’ sogni s’ annoveravano Morfeo, che dicevasi apparire semplicemente in forma di qualc
evasi apparire semplicemente in forma di qualche persona nota, Ichelo che assumeva qualsiasi forma anche di bestia, ed era
a, ed era detto anche Fobetore (apportator di paura), infine Fantaso, che appariva in forma di cose animate. 2. I Romani ad
o le stesse idee circa il Sonno, la Morte e i Sogni. Però è da notare che ab antico avevano essi il loro Dio della morte ne
così detto Orcus, l’ accoglitore (cfr. arca, arcanus). S’ immaginava che l’ Orco avesse il suo ripostiglio, dove riponeva
etuto nel granaio; e ora parlavasi di lui come di uno armato di falce che al tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i
i chi tenta sfuggirgli; ora si pensava come una figura dall’ ali nere che intorno vola a sorprendere e trascinar via; sempr
episodio del decimoquarto dell’ Iliade, ove Era prega il Sonno, quel che tutti doma, uomini e Dei, a infondere profondo so
compagni al Sonno i Sogni, suoi figli e ministri, ed è Morfeo quegli che obbedendo all’ ordine avuto prende le forme di Ce
dramma satirico di Eschilo, ove si sceneggiava la leggenda di Sisifo che vince in astuzia la Morte e l’ incatena; e nell’
li Dei infernali; in principio della tragedia essa discorre con Febo, che invano tenta distoglierla dal suo proposito di po
ta in Olimpia dai Cipselidi tiranni di Corinto) era impressa la Notte che portava in braccio da una parte un fanciullo nero
mire e colla face spenta o ancor accesa ma rovesciata. Tale la figura che si scorge spesso sul monumenti sepolcrali dell’ e
zione e l’ illustrazione degli Dei antichi di Grecia e di Roma rimane che si parli di alcune Divinità minori, venerate dai
’ Olimpo. I. I Penati. 1. La voce Penates si connette con penus, che è la raccolta di quelle provvigioni annue le qual
Dei Penati era il focolare domestico, come punto centrale della casa, che non solo serviva alla preparazione dei cibi quoti
focolare si conservavano in nicchie apposite le statuette dei Penati, che si mettevano anche a tavola apponendo loro avanti
tempio di Vesta come al focolare sacro di tutta Roma; or s’ oggiunga che nel punto più riposto del tempio si conservavano
nto più riposto del tempio si conservavano le immagini di que’ Penati che la tradizione diceva portati da Enea in Italia. I
ia. In onor di essi il Pontefice Massimo offriva gli stessi sacrifizi che nelle singole case si facevano dal capofamiglia,
nati avevano a cuore il nutrimento, i mezzi di vita. È a notarsi però che tale distinzione, forse sentita nelle origini, si
i indaga l’ origine del culto de’ Lari, facilmente si può riscontrare che i Lari in fondo non erano altro che le anime dei
ri, facilmente si può riscontrare che i Lari in fondo non erano altro che le anime dei defunti, propriamente le anime virtu
erano altro che le anime dei defunti, propriamente le anime virtuose che divenivan genii tutelari delle case dove avevan v
i per la casa tacendo schioccar le dita e mettendo in bocca fave nere che poi gettava dietro sè ripetendo una certa formola
ettava dietro sè ripetendo una certa formola di scongiuro. Si credeva che le ombre si fermassero a raccogliere quelle fave.
si cercava scongiurare il danno. Anche in altre occasioni si credeva che le ombre s’ aggirassero tra gli uomini, come ad e
lo non erano state osservate tutte le prescrizioni di rito, credevasi che l’ ombra di quella persona vagasse intorno al cad
i sacri riti. 3. Tornando ai Lari, è da ricordare la rappresentazione che del Lar familiaris si trova nell’ Aulularia di Pl
certo tesoro nascosto in casa e a lui affidato dall’ avo di Euclione, che è il padrone attuale della casa; di questo tesoro
ritrovare ad Euclione stesso, perchè potesse dotare la sua figliuola che ogni giorno onorava lui, Lare, di qualche offerta
altra cosa e anche di ghirlande l’ adornava. È un prologo bellissimo, che montre fa capire l’ argomento della Commedia dà u
fa capire l’ argomento della Commedia dà una chiara idea dei rapporti che si supponevano tra il Lare domestico e gli abitat
Marzio in seguito a una vittoria navale (a. 575 di R., 179 av. C.) e che erano onorati di special festa il 22 decembre. Co
esta il 22 decembre. Così si moltiplicarono in vario modo questi Lari che potevan dirsi pubblici per contrapposto ai Lari p
an dirsi pubblici per contrapposto ai Lari privati. Anche è da notare che si accentuò sempre più la tendenza a identificare
te leggende intorno alle forze della natura divinizzate, era naturale che raccontasse anche in maniera fantasiosa la sua pr
e magnificasse i progenitori della sua stirpe considerandoli come più che uomini. Se si rifletta che non solo si sentiva il
i della sua stirpe considerandoli come più che uomini. Se si rifletta che non solo si sentiva il bisogno di spiegare le ori
sogno di spiegare le origini dell’ umanità intiera colmando la lacuna che vi era tra i tempi storicamente noti e i misterio
vesse formar nella Grecia, relativamente a quegli esseri privilegiati che erano immaginati come qualcosa di mezzo tra gli D
zo tra gli Dei Olimpici e gli uomini mortali. Niuna meraviglia dunque che la Mitologia Eroica sia ancora più ricca della te
upposti più forti, più abili, più coraggiosi e resistenti ai pericoli che non sogliono essere gli uomini. E non già che si
resistenti ai pericoli che non sogliono essere gli uomini. E non già che si annoverassero tra gli Eroi tutti i primi uomin
ti i primi uomini, ma solo i più forti delle età preistoriche, quelli che si rendevano benemeriti per qualche beneficio fat
olosa, dissodando terreni incolti, prosciugando paludi, ovvero quelli che si segnalavano per fatti di arme straordinarii, t
ti di arme straordinarii, tali da attestare doti fisiche e morali più che umane. Costoro erano creduti e detti figli degli
della fantasia; altri infine, il maggior numero, non erano in origine che personificazioni di fenomeni naturali e come tali
oi. Dei quali ultimi, Divinità fatte eroi, avvenne poi anche talvolta che se ne facesse di nuovo l’ apoteosi; tale fu il ca
e culto? In Omero non si fa alcuna menzione di ciò. Esiodo è il primo che usa la parola Semidei, e accenna alla sorte serba
una religione dei morti; pero non mai più di tanto, salvo per quelli che per essere stati divinizzati, erano divenuti vero
colori diversamente secondo i luoghi; nei luoghi montagnosi si diceva che gli uomini fossero nati dagli alberi e dalle rocc
prischi uomini formati da qualche divinità colla terra, alla maniera che un artefice plasma delle figure d’ argilla. Dappr
’ ogni male; a cominciare dal 5º secolo av. C. si diffuse la leggenda che spiegava così la formazione della umana stirpe; p
nioni intorno alla condizione dei primi uomini, riferendosi dagli uni che fossero vissuti in istato di piena felicità e in
ntimità di conversare e di mensa cogli Dei, gli altri narrando invece che si trovano da principio rozzi e senza agi della v
eo (il previdente o prudente) ed Epimeteo (chi pensa dopo, chi non ha che il senno di poi). Ora Prometeo rubò dal cielo il
e facendolo incatenare su una rupe nei monti della Scizia e ordinando che ogni giorno un’ aquila gli rodesse il fegato (sed
giorno un’ aquila gli rodesse il fegato (sede d’ ogni mala cupidigia) che di notte sempre rinasceva. Alla fine Eracle lo li
e il Titano. Qui Prometeo è la personificazione dell’ ingegno umano, che troppo fiducioso in sè stesso si ribella agli Dei
che troppo fiducioso in sè stesso si ribella agli Dei e usurpa quello che a loro spetterebbe, pur beneficando con ciò la so
sua audacia deve pagare il fio, soffrendo inenarrabili dolori, fino a che non viene a liberarlo Eracle, l’ uomo che con lot
inenarrabili dolori, fino a che non viene a liberarlo Eracle, l’ uomo che con lotte e fatiche d’ ogni maniera ha vinto la v
restre e s’ è fatto scala all’ Olimpo. E un altro riflesso dell’ idea che col progredire della cultura tra gli uomini sorse
n lo volle riprendere e privarne gli uomini, ma fè loro un altro dono che doveva essere sorgente d’ innumerevoli guai. Ordi
scatola appena s’ accorse dell’ errore commesso, ma non rimase dentro che la fallace speranza. Così nelle leggende greche n
e dentro che la fallace speranza. Così nelle leggende greche non meno che nella tradizione mosaica la prima donna fu cagion
he nella tradizione mosaica la prima donna fu cagione di tutti i mali che afflissero l’ umanità, e primo di tutti della mor
rsamente nella leggenda delle varie età e generazioni umane. Dicevasi che in origine vi fosse stata un’ età d’ oro, in cui
oro, in cui gli uomini vivevano in piena felicità, godendo dei frutti che la terra spontaneamente produceva; tutti i beni s
neamente produceva; tutti i beni senza miscela di mali; non si sapeva che fosse vecchiezza; dopo lunghi anni gli uomini rim
e è l’ altra leggenda del diluvio di Deucalione; giacchè si affermava che il diluvio era stato mandato da Zeus appunto per
, nata da Epimeteo e Pandora. Avvertito da suo padre dell’ intenzione che Zeus aveva di sterminare con una generale inondaz
dre. Il figlio di Prometeo acutamente interpreto l’ oracolo nel senso che le ossa della terra fossero le pietre; gettaron d
letterarie sia figurate. Prometeo plasmatore non ricorre, a dir vero, che in opere relativamente tarde come nei poeti e mit
o su una rupe, con davanti a sè una figura fatta di terra, nell’ atto che questa viene animata da Atena; il che è rappresen
gura fatta di terra, nell’ atto che questa viene animata da Atena; il che è rappresentato col simbolo di una farfalla posta
e dei Giorni, diè ad Eschilo argomento di comporre la famosa trilogia che rappresentava i tre momenti del mito, il rapiment
izione di Prometeo, e la sua liberazione. Sebbene noi più non abbiamo che la seconda tragedia, il Prometeo incatenato, pure
Prometeo incatenato, pure è sufficiente a mostrarci l’ alto concetto che Eschilo si formò di Prometeo come di un Titano be
ilo si formò di Prometeo come di un Titano benefattore dell’ umanità, che ne è punito da Zeus, e pur tra i tormenti tiene a
a Roma è rappresentata in rilievo l’ officina di Efesto cogli operai che battono sull’ incudine, di dietro un riparo scorg
e Opere e dei Giorni (v. 109 e seg.), e la bella notissima narrazione che è nel primo delle Metamorfosi Ovidiane. Anche del
e i Centauri. Già ne parla Omero, il quale fa dire al vecchio Nestore che nella sua prima giovinezza aveva preso parte alla
no, fè atto di rapire con violenza la sposa; ciò dà luogo a una zuffa che diventa a mano a mano più fiera, infin che i Cent
; ciò dà luogo a una zuffa che diventa a mano a mano più fiera, infin che i Centauri completamente sconfitti dovettero fugg
a poi mutato da Posidone in un uomo, e fatto invulnerabile; per colpi che ricevesse dai Centauri, sempre rimaneva illeso e
o delle Metamorfosi Ovidiane. Il racconto è messo in bocca a Nestore, che premesso il fatto di Ceneo convertito in maschio
se sono le rappresentazioni figurate di questo mito. E qui si avverta che mentre l’ arte più antica rappresentava i Centaur
lo, si cominciò ai tempi di Fidia a immaginare quella forma più bella che poi venne universalmente adottata, la quale al co
e nel Museo Britannico di Londra; sono varie scene, ora è un centauro che porta via una donna da lui rapita tenendola stret
pra i cadaveri dei nemici uccisi; ora son scene di lotta, come quella che è rappresentata nella fig. 72. Nel loro complesso
Nè vanno taciute le non meno belle rappresentazioni di Centauromachia che erano nel fregio del tempio di Apollo Epicurio a
eto e Alcestide. 1. Una bella leggenda di origine tessala è quella che riguarda Admeto e Alcestide. Admeto era figlio di
pollo dando a bere del dolce vino alle Moire, le indusse a promettere che giunta l’ ultima ora di Admeto, esse lo avrebbero
rtuna di lui e l’ atto eroico di Alcestide, è la tragedia di Euripide che da Alcestide appunto s’ intitola. Ivi dopo un fie
appunto s’ intitola. Ivi dopo un fiero dibattito tra Febo e la Morte che è venuta per rapir sua preda, si assiste agli ult
ge Eracle, chè tal leggenda seguì Euripide, il qual Eracle sentito di che si trattava recasi alla tomba della defunta, e do
a, ma seguisse una vacca con macchie sul fianchi a forma di mezzaluna che egli avrebbe incontrato, e dov’ essa si fosse pos
i, e seguitala, ove si fermò, ivi fondò la città detta da lui Cadmea, che più tardi fu Tebe. Ma una pericolosa avventura iv
ta leggenda sono certamente antichi, ad es. l’ uccisione del dragone, che vuol dire l’ eliminazione di impedimenti naturali
cia di Cadmo di cui ancora Omero non sa nulla. Piuttosto è da credere che Cadmo fosse una specie di Ermes tebano, venerato
n atto di scagliare una pietra sul drago, mentre dietro lui sta Atena che dirige i suoi colpi, e davanti una figura seduta
ro lui sta Atena che dirige i suoi colpi, e davanti una figura seduta che personifica la nuova città che dev’ essere fondat
uoi colpi, e davanti una figura seduta che personifica la nuova città che dev’ essere fondata. b) Atteone. 1. Già s’
r essor venuto a gara con lei di abilità cacciatrice. Qui s’ aggiunga che il padre di Atteone era stato Aristeo figlio di A
ggiunga che il padre di Atteone era stato Aristeo figlio di Apollo, e che egli era stato affidato per l’ educazione a Chiro
si del sole canicolare. Forse Atteone sbranato dai cani non era altro che un’ immagine della natura vegetativa che soffre e
anato dai cani non era altro che un’ immagine della natura vegetativa che soffre e avvizzisce ai raggi cocenti della canico
sce ai raggi cocenti della canicola. 2. Al vivo e commovente racconto che di questo episodio fa Ovidio nel terzo della Meta
ella Metamorfosi fanno riscontro le molte opere di pittura e scoltura che ancor oggi rappresentano Atteone in lotta coi can
lotta coi cani. Riproduciamo nella fig. 75 un piccolo gruppo in marmo che conservasi nel Museo Britannico. Ivi Atteone non
Ivi Atteone non ancora trasformato in cervo, ma già fornito di corna che prenunziano la metamorfosi, si difende da due de’
corna che prenunziano la metamorfosi, si difende da due de’ suoi cani che lo hanno assalito. c) Antiope e i suoi figl
ica, ivi trovò la schiava fuggitale; subitamente ordinò a due pastori che erano per caso presenti, ed erano Anfione e Zeto,
ll’ impresa, quando fatti certi dell’ essere loro dal vecchio pastore che li aveva allevati e riconosciuta la madre, subita
annata Antiope; ne gettarono poi il cadavere in una fonte presso Tebe che da lei fu denominata Dircea. Coll’ uccisione di L
ovale; ma Anfione al suono dolcissimo della lira moveva le pietre, si che da sè si ponevano una sopra l’ altra dove occorre
e perciò fu mutato in sasso. Aedona ebbe da Zeto un unico figliuolo, che presso Omero ha nome Itilo, presso i tragici Iti
o Omero ha nome Itilo, presso i tragici Iti (Itys). Gelosa di Antiope che n’ aveva tanti più, concepì il malvagio disegno d
o il figlio maggiore di Antiope; ma in iscambio uccise il proprio. Di che rimase afflitta tanto che la sua vita seguente fu
tiope; ma in iscambio uccise il proprio. Di che rimase afflitta tanto che la sua vita seguente fu tutta un piangere e lamen
coltura è degnissimo di menzione il celebre grandioso gruppo in marmo che si conserva nel Museo Nazionale di Napoli, detto
disegno la fig. 76. All’ infuori di poche parti ristorate, si ritiene che sia lavoro originale dei fratelli Apollonio e Tau
nte in Rodi, al tempo d’ Augusto venne in possesso di Asinio Pollione che lo portò a Roma. Trovato nel 1547 nelle terme di
. I due fratelli stan domando il toro; Anfione si riconosce alla lira che è scolpita vicino a lui; l’ altro è Zeto; la donn
der pietà, è Dirce, mentre Antiope raggiante di gioia per la vendetta che si compie è posta più dietro. Sul davanti un picc
tanino contempla la scena con espressione di dolore. La cesta mistica che è ai piedi di Dirce, la pelle di cavriuolo ond’ e
irce, la pelle di cavriuolo ond’ essa è vestita e altre cose indicano che il fatto avviene in occasione di una festa bacchi
contraddistingue Zeto cacciatore, la lira Anfione; i due fratelli par che disputino tra loro vantando senza scomporsi l’ ar
cader trafitta; onde affranta dal dolore impietrò. Ora Niobe appunto che sta coprendo la sua figlia e supplicando per lei,
sposte separatamente fra gli intercolunnii di un portico, è questione che si è molto agitata tra gli archeologi e gli erudi
Quando Zeus rapì da Fliunte Egina la figlia del fiume Asopo, si dice che egli abbia scoperto il segreto e rivelatolo al pa
gli abbia scoperto il segreto e rivelatolo al padre; cio a condizione che Asopo facesse scaturire una fonte nella cittadell
colla sua malizia riuscì a legare la morte stessa con si stretti nodi che nessuno più moriva, onde dovette ricorrere Ares p
lagnandosi della trascuratezza della moglie e tanto seppe fare e dire che gli fu consentito di tornare in vita per castigar
in inferno la nota pena di trascinare su per un monte un gran masso, che dalla cima poi riprecipitava a valle. Si è molto
ll’ origine del mito di Sisifo. La situazione di Corinto fra due mari che senza posa ondeggiando ne sferzano gli scogli e i
scogli e i monti dall’ una e dall’ altra parte, renderebbe probabile che le leggende relative all’ eroe cittadino fossero
leggende non si scorge punto questo significato. Piuttosto il Sisifo che rotola un masso su pel monte e lo vede dalla cima
l monte e lo vede dalla cima precipitare in fondo, fa pensare al sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ estate il pun
sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ estate il punto più alto che esso può toccare del cielo, si volge e riprende a
figlio di Sisifo e padre di Bellerolonte. Propriamente Glauco non era che un epiteto del mare, e in fatto lo troviamo in re
roviamo in relazione con Posidone Ippio. È ricordato per la disgrazia che gli toccò nei giochi funebri che ebbero luogo a I
Ippio. È ricordato per la disgrazia che gli toccò nei giochi funebri che ebbero luogo a Iolco in onor di Pelia, o, come al
altri narra, in altri giochi di Potnia presso Tebe; e la disgrazia fu che i cavalli suoi infuriati gli guadagnaron la mano
olo forse delle onde infuriate del mare nella stagione delle tempeste che al loro stesso signore fan violenza. Dopo d’ allo
l causa (giacchè l’ uccisione attribuitagli di un cotal Bellero non è che una leggenda assai tarda originata dalla etimolog
si in Tirinto, ove ebbe benigna accoglienza dal re Preto. Ivi avvenne che la moglie di Preto, chiamata Antea da Omero, Sten
oletta suggellata, entrovi dei segni segreti per avvertire lo suocero che dovesse dar morte al latore. Bellerofonte mosse v
se verso la Licia in compagnia del cavallo alato Pegaso; quel cavallo che era figlio di Posidone e di Medusa, sorto dal tro
, sorto dal tronco di lei quando Perseo le aveva tagliato la testa; e che poi posatosi sulla rocca di Corinto fu da Bellero
bate fu di combattere la Chimera, mostro nato da Tifone e da Echidna, che davanti era leone, a mezzo capra selvatica, dietr
o come Esiodo dice, aveva tre teste, di leone, di capra e di drago, e che possedendo grande velocità e forza e spirando fuo
te. Allora fu mandato contro le terribili Amazoni, le donne guerriere che formavano Stato da sè, senza uomini, dedite ad es
nel paese degli Sciti sulle rive delle palute Meotide; di là era voce che avessero fatto già di molte scorrerie nei paesi p
già di molte scorrerie nei paesi posti sulle rive dell’ Egeo; vedremo che si favoleggiava persino di una venuta delle Amazo
erofonte la felicità guadagnata con tanta fatica; giacchè narra Omero che venuto in odio agli Dei, prese a errar solitario,
i Dei, prese a errar solitario, evitando il contatto degli uomini fin che miseramente perì. Secondo Pindaro, si sarebbe att
Pegaso salire al cielo; e Zeus l’ avrebbe punito mandando un assilio che morse e fe’ infuriare il cavallo, il quale buttò
ro del tuono. — Ancora è da ricordare la fine di Stenebea. Raccontasi che fatto re di parte della Licia, Bellerofonte tornò
ual sia l’ origine del mito di Bellerofonte, indubbiamente si troverà che esso è una delle tante personificazioni del sole.
racconto si legge già nel sesto dell’ Iliade (v. 150-211). Poi si sa che Sofocle compose una tragedia intitolata Jobate, e
lla favola. È celebre la Chimera di Arezzo, pregiato lavoro in bronzo che ora conservasi nel Museo Etrusco di Firenze. La f
rmate quasi sempre di bipenne e di scudo a mezzaluna. Plinio racconta che una volta Fidia, Policleto, Fradmone e Cresila, p
lpisse la più bella Amazone. Vinse Policleto con una statua di bronzo che fu conservata parecchio tempo nel tempio di Artem
ssono distinguere tre tipi: 1º la Amazone ferita, come quella celebre che è nella raccolta Capitolina (fig. 79); si crede u
si crede una copia derivata dall’ originale del sunnominato Cresila, che appunto nella gara efesia aveva effigiato un’ Ama
unto nella gara efesia aveva effigiato un’ Amazone ferita. Si avverta che il braccio destro è restauro moderno. 2º L’ Amazo
e il braccio destro è restauro moderno. 2º L’ Amazone armata di asta, che è il modo come avevala effigiata Fidia. Una bella
attei ove prima trovavas; un’ altra è quella riprodotta alla fig. 80, che è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo,
ta alla fig. 80, che è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo, che si crede risalga al tipo di Policleto; bellissimo
i volera discendesse da Inaco, propriamente il Dio del fiume omonimo, che era il corso d’ acqua più importante della region
ra, attrasse a sè, per la sua singolare bellezza, gli sguardi di Zeus che se ne innamorò. Di che accortasi la gelosa Era, m
la sua singolare bellezza, gli sguardi di Zeus che se ne innamorò. Di che accortasi la gelosa Era, mutò la sua sacerdotessa
Argo dai cent’ occhi. Chi puè dire il dolore e della povera fanciulla che senza aver perso la coscienza di sè si vedeva mut
e invano accostavasi al padre per implorar pietà, e del padre stesso che accortosi a certi segni della cosa s’ avvinghiava
ter fare per lei? Alfine Zeus, mosso a compassione di Io, mandò Ermes che la liberasse dal vigile e oculato custode. Ermes
a prisca forma, ed ella die’ poi alla luce un figlio, chiamato Epafo, che divenne re d’ Egitto e fondò Menfi, mentr’ essa v
i Ermes, del significato naturalistico di questo mito. Io non è altro che la luna affidata alla custodia del cielo stellato
ome ad altri è sembrato, essa è la bianca nuvola, gravida di pioggia, che , ucciso il suo custode ossia il sole, scorre pel
a liberazione d’ Io, figurata questa però come l’ avvenente fanciulla che era da principio; ed è tolta da una pittura mural
ente fanciulla che era da principio; ed è tolta da una pittura murale che fu trovata nella casa di Livia sul Palatino, fors
i introdotto il culto di Apollo e di Demetra. In seguito favoleggiasi che i cinquanta figli di Egitto o Egiziadi vennero an
ia in un oscuro carcere; ma poi le perdonò e si riconciliò con Linceo che divenne il suo successore, celebre come fondatore
aso senza fondo. Anche nel mito di Danao e delle Danaidi è da credere che gli elementi più antichi fossero d’ origine argiv
è da credere che gli elementi più antichi fossero d’ origine argiva e che solo più tardi si sieno escogitate quelle parti d
va e che solo più tardi si sieno escogitate quelle parti della favola che connettevano il mito Argivo con le cose d’ Egitto
enti ma facilmente disseccabili; Danao rappresenta l’ industria umana che cerco con l’ arte di rimediare alla naturale defi
ico composero tragedie col titolo « le Danaidi » e Teodette un’ altra che si intitolava da Linceo. In pitture vascolari e m
crisio e Preto. Questi erano, secondo la favola, così nemici fra loro che già litigavano quando erano ancora nel seno mater
ebbe tre figliuole, dette perciò Pretidi, delle quali favoleggiavasi, che insuperbitesi per la loro bellezza e per la poten
la potenza del padre osarono manear di rispetto agli Dei, in pena di che furono colte da schifosa malattia che le rese dem
i rispetto agli Dei, in pena di che furono colte da schifosa malattia che le rese dementi sicchè presero a scorazzar mezzo
cui dormendo alcune serpi avevano leccate le orecchie, in seguito di che egli aveva imparato a intendere il linguaggio deg
nae. Di costei prese vaghezza Zeus; ma Acrisio ammonito dall’ oracolo che egli avrebbe avuto morte per opera d’ un suo nipo
formò in pioggia d’ oro, e così fè sua Danae e con lei genero Perseo, che Omero dice il più ragguardevole fra tutti gli uom
tare in mare, persuaso di sottrarsi così al destino vaticinatogli. Ma che cosa può l’ umana astuzia contro gli eterni decre
a per compir l’ impresa affidatagli, non ben conscio delle difficolta che avrebbe dovuto superare. Ma vennero in suo soccor
a uopo si procurasse per tentar l’ avventura pericolosa, cioè un elmo che rendeva invisibile, una magica sacca di viaggio e
vrebbe trovati presso certe Ninfe abitanti in un cotal segreto luogo, che gli sarebbe stato rivelato dalle Graie, le tre so
rgoni, Enio, Pefredo e Dino, le quali dalla nascita non avevano avuto che un occhio e un dente in comune, di cui si dovevan
eguimento e alla vendetta delle sorelle si sottrasse mediante l’ elmo che rendevalo invisibile. Dal tronco dell’ uccisa Med
Ditti. Poi se ne tornò ad Argo, consegnato il capo di Medusa ad Atena che lo pose sull’ egida sua per servirsene a terrore
viaggio in ignote regioni e la virtù straordinaria del capo di Medusa che ei portava seco al ritorno, dierono occasione a m
na grande innondazione, poi mandò un enorme e terribile mostro marino che uccideva uomini e bestie. Gli Etiopi ricorsero al
padocia: in Egitto pure Erodoto trovà discendenti di Perseo, tantopiù che per via di Danao e Linceo egli stesso era d’ orig
tesso era d’ origine egiziana; infine anche nel Lazio si favoleggiava che la cassetta contenente Danae e Perseo fosse giunt
etta contenente Danae e Perseo fosse giunta a quelle rive, e dicevasi che Pilumno avesse sposato Danae e fondato la città d
e colle potenze delle tenebre o colle nuvole tempestose, quella lotta che presso le genti ariane ha dato luogo a così ricca
avole. Anche nei particolari si vede: le nozze di Zeus-oro e di Danae che altro sono se non la unione fecondatrice del ciel
e fecondatrice del cielo e della terra argiva, e la prigione di Danae che altro è se non la nebbiosa caligine della stagion
o colle Gorgoni cioè colle grigiastre nubi, quelle con un sol occhio che è il lampo, queste dallo sguardo terribile che im
elle con un sol occhio che è il lampo, queste dallo sguardo terribile che impietra, immagine del tuono reboante e spaventos
le che impietra, immagine del tuono reboante e spaventoso. E i mostri che nascono dal tronco di Medusa, Crisaore e Pegaso,
2 si riproduce un rilievo marmoreo proveniente dalla villa Panfili, e che ora trovasi nel Museo Capitolino. Rappresenta la
attato in parecchie pitture pompeiane, e in un altro rilievo marmoreo che è nel Museo di Napoli. Solitamente Perseo vien
i alati, colla falce di cui si servi per uccidere Medusa e coll’ elmo che lo rendeva invisibile. Il suo aspetto in genere r
Un bell’ esempio l’ abbiamo nella Medusa della Gliptoteca di Monaco, che si riproduce nella fig. 83, proveniento dal palaz
di parentela tra questi eroi. L’ idea prevalente venne a esser questa che Tindareo, Afareo, Leucippo, Icario fossero fratel
ome i fondatori del più antico stato in Laconia; e poi favoleggiavasi che cacciati dal loro fratellastro Ippocoonte, trovar
lia. Costui diede loro in moglie le sue figliuole, a Icario Policaste che ebbe per figlia Penelope la futura sposa di Uliss
uccise Ippocoonte e i di lui bellicosi figliuoli. Ora è da ricordare che un’ antichissima leggenda raccontava di Leda come
che un’ antichissima leggenda raccontava di Leda come amata da Zeus, che le s’ era accostato in forma d’ un cigno. Ma poi
anche cavalcatore. Essi fecero una spedizione di guerra contro Teseo che aveva rapito la loro sorella Elena ancor bambina
gini. La cagione di questa contesa è diversamente narrata; or si dice che nacque per aver essi, i Dioscuri, rapite le figli
tenne di passare un’ esistenza non separata dal fratello a condizione che un giorno fossero entrambi nel mondo dei morti, u
e in Italia. Si consideravano come divinità protettrici, e si credeva che comparissero nei gravi frangenti, in battaglia ad
naturalistico di questo mito. Essi erano fenomeni di luce ma di luce che lotta contro dei nemici, probabilmente i due crep
dei nemici, probabilmente i due crepuscoli della mattina e della sera che anche in altre mitologie fecero pensare a due gem
ne a leggende analoghe. 2. Esseri così utili agli uomini era naturale che venissero divinizzati e si erigessero loro anche
arecchi lirici, tra cui Saffo, lo spartano Alcmane, autore di un inno che era molto cantato a Sparta, sopra tutti Simonide
lodato bensì il ricco uomo, ma molto anche i Dioscuri protettori; di che indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario c
ri protettori; di che indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario che a mezzo, dicendo che l’ altra metà se la facesse
indispettito Scopa non aveva pagato l’ onorario che a mezzo, dicendo che l’ altra metà se la facesse dare dai tanto lodati
ato anche il poeta, ecco giungono al palazzo due giovani di forme più che umane, sparsi di polvere e grondanti di sudore; i
profonda il pavimento di questa, traendo a morte Scopa e tutti quelli che con lui si trovavano. E siccome que’ giovani non
E siccome que’ giovani non furon più visti alla porta, tutti capirono che eran essi i Dioscuri, comparsi solo per salvar la
Castore e Polluce si ritrovano spesso anche negli scrittori latini; a che contribuiva il fatto di essere i Dioscuri identif
ecrope; più tardi pero anche di Cecrope, come di Cadmo, si favoleggiò che fosse venuto dall’ Egitto e precisamente da Sais
esa di Posidone e di Atena pel possesso dell’ Attica, e soggiungevasi che egli avesse contribuito a far decidere la contesa
a far decidere la contesa in senso favorevole all’ ultima; vuol dire che nell’ alternarsi delle due stagioni umida e asciu
l significato naturalistico del mito di Cecrope si riferisce il fatto che gli attribuivano tre figliuole, Erse, Aglauros e
li attribuivano tre figliuole, Erse, Aglauros e Pandrosos, tutti nomi che significano rugiada; alla quale nella stagione as
ma posteriore al diluvio. Una leggenda a lui particolare era questa, che dopo la sua nascita Gea l’ affidò alla dea Pallad
e, entrambe celebri per la loro sorte avventurosa, Orizia (Oreithyia) che fu rapita da Borea e fatta madre dei gemelli Cala
i Tragici, venne al regno Ione il capostipite della stirpe ionica; il che significa il termine del periodo pelasgico e il c
gno; Pandione avrebbe avuto dalla ninfa Zeusippe due gemelli, Eretteo che chiameremo II e Bute, e le celebri figliuole Prog
due insieme furenti di odio e di vendetta, sgozzarono il piccolo Iti che Progne aveva avuto da Teseo, e tagliatene le memb
to da Teseo, e tagliatene le membra le apprestarono in cibo al re; di che accortosi egli, voleva far scempio delle ree femm
riva begli argomenti alla poesia e all’ arte; quindi niuna meraviglia che parecchie opere s’ aggirino intorno ad essi. Il r
di sentimento, Ovidio nel sesto e nel settimo delle sue Metamorfosi; che sono tra gli episodi più belli di tutta l’ opera.
condo Pandione, fatto padre di Egeo, Pallante, Niso e Lico. Si diceva che questo Pandione scacciato dal trono dai figli di
zionidi, avrebbero fra loro diviso la sovranità dell’ Attica in guisa che ad Egeo toccò Atene e le terre vicine, Pallante e
nore, Niso vide la sua città assediata da Minosse cretese ed è allora che la figlia di lui, Scilla, innamoratasi del forest
e consiglio; ivi conobbe la figlia di lui Etra e n’ ebbe un figliuolo che fu Teseo; ma siccome Etra era amata da Posidone,
a Posidone, Teseo era detto anche figlio di Posidone. Se si considera che Egeo e Posidone s’ identificano, si capirà facilm
i considera che Egeo e Posidone s’ identificano, si capirà facilmente che Teseo figlio del mare e di Etra, ossia l’ aria se
di Etra, ossia l’ aria serena, è ancora una personificazione del sole che sorge dal mar d’ Oriente traverso il puro aere, c
lle città greche. — Teseo ebbe a maestro il virtuoso e saggio Pitteo, che lo istruì nell’ arti musiche e ginnastiche; e si
sandali sotto un masso sul monti tra Trezene e Ermione, coll’ ordine che quando Teseo fosse in grado di sollevare quel mas
d Epidauro uccise Perifete, un figlio di Efesto, rozzo come il padre, che aggrediva i viandanti e li uccideva con una mazza
eri a due pini piegati a forza, e abbandonando poi a sè i pini faceva che le persone venissero squartate. 3º Uccise una sel
sone venissero squartate. 3º Uccise una selvaggia e pericolosa scrofa che infestava il bosco di Crominione. 4º Liberò lo st
Scironico ai confini della Megaride da un terzo malfattore, Schirone, che obbligava i viandanti a lavargli i piedi, e mentr
usi, non lungi dai confini della Megaride, vinse il gigante Cercione, che obbligava i passanti a lottare corpo a corpo con
dopo uscito da Eleusi, ebbe a combattere contro il terribile Damaste che poneva la gente a forza su un letto, e se questo
geo suo padre irretito nei lacci della pericolosa incantatrice Medea, che da Corinto s’ era rifuggita ad Atene. E già Medea
va contro lui da parte dei Pallantidi, i cinquanta figli di Pallante, che appunto volevano entrare in possesso dell’ eredit
ne. Qui è da collocare la spedizione più pericolosa e più importante, che è quella contro il Minotauro a Creta. Il re crete
indiretta cagion di morte ad Egeo suo padre; erano rimasti d’ intesa che in caso di felice ritorno avrebbe egli spiegato v
ricordate le seguenti: 1º ei domò il toro di Maratona, quello stesso che Eracle aveva portato con sè da Creta, e lo sacrif
e mandò le Erinni a incatenarlo e farlo sedere a forza sopra un sasso che aveva la virtù di ritenere come incollati quelli
a sopra un sasso che aveva la virtù di ritenere come incollati quelli che si posavan su. Teseo fu più tardi liberato per op
ad Atene e divenne sua moglie e madre di quell’ ippolito (Hippolytos) che fini poi così tragicamente, perchè accusato al pa
cavalli scarrozzavasi lungo la via del mare, mando un toro selvaggio che spaventò e infuriò i cavalli, onde Ippolito fu tr
dubbia. Inoltre fu istituita una festa speciale, denominata le Tesee, che celebravasi l’ 8 del mese Pianepsione. 3. Tante v
le cantore di Arianna nell’ Epitalamio di Peleo e di Tetide, e Ovidio che nell’ ottavo delle Metamorfosi narrò da par suo l
me un Eracle, ma più svelto di corpo e più vivace d’ aspetto, le note che contraddistinguono appunto la stirpe ionica in co
ti contro i Centauri; lo aveva pure la grande composizione del fregio che ornava la colla del tempio d’ Apollo in Figalia,
n bel rilievo della villa Albani in Roma, figurante Teseo nel momento che trae fuori ili sotto il masso la spada e i sandal
i agli elementi ellenici si mescolarono elementi fenici e frigii, si, che si complicarono e divennero oscure e intricate. L
celle di Tiro sulla riva del mare. Vide, in mezzo all’ armento regale che là pascolava, un bel toro bianco come la neve, co
piccole e ben tornite corna, con aspetto placido e mansueto. Era Zeus che aveva preso quell’ aspetto per accostarsi a lei.
on astri celesti divinizzati è ben probabile. Europa è una dea lunare che è inseguita dal Dio del cielo in forma d’ un bian
nti del sole; Asterio poi a cui i figli di Europa sono affidati non è che un’ altra forma di Zeus, e di fatti si parla anch
o colloquio, die’ savie leggi ai Cretesi e fondò una potente signoria che si estese a molte isole dell’ Egeo e fin anco in
osse pregò Posidone gli inviasse dai profondi abissi del mare un toro che egli avrebbe poi a lui sacrificato. Posidone esau
spirò alla moglie di Minosse Pasifae un pazzo amore per quel toro, si che cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fi
quel toro, si che cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fin che ridusselo al suo desiderio. Ne nacque il Minotaur
Minotauro, mostro composto di corpo umano con collo e testa di toro, che Minosse fece rinchiudere nel labirinto costruttog
osse, tra altri edifici, il labirinto con tanti andirivieni di strade che niuno entratovi era in grado di uscirne. A pascer
o il Minotauro, s’ è narrato nel precedente capitolo. Qui s’ aggiunga che Dedalo, per punizione d’ aver aiutato Teseo, fu r
lto, liquefattasi la cera e staccatesi l’ aie, precipitò in quel mare che da lui ebbe il nome di Icario. Dedalo più prudent
tro di lui, e richiese a Cocalo la restituzione del fuggitivo; ma non che ottenerla, fu egli stesso ucciso per istigazione
osa a Nauplio partorì Oiace e Palamede; ebbe poi un figlio, Altemene, che andò a stabilirsi a Rodi fondandovi il culto di Z
disposizione dell’ oracolo. Altri figli di Minosse furono Deucalione che prese parte alla caccia del cinghiale Calidonio e
Calidonio e fu padre di Idomeneo uno degli eroi Greci a Troia; Glauco che trovò fanciullo la sua morte in un vaso di miele
, il quale fu ucciso dagli Ateniesi e così die’ occasione alla guerra che Minosse mosse loro. 3. La leggenda del rapimento
cor da menzionare lo strano mito di Talo, l’ uomo di bronzo, leggenda che pare accenni ad origine fenicia e all’ uso dei sa
a anch’ egli il suo lato debole e ne fu vittima. Aveva una vena unica che dalla, testa scendeva sino ai talloni, dov’ era c
dendo questo, rimaneva presto dissanguato. E questo accaddegli allora che egli tento di impedire agli Argonauti reduci dall
ra cui ricordiamo una bellissima su un vaso apulo rappresentante Talo che in seguito agli incantesimi di Medea muore nelle
de se ne aggiunsero e intrecciarono tante altre e greche e orientali, che n’ è venuta una complicazione grandissima. Noi do
ole secondo i momenti principali della vita dell’ eroe, ed avvertendo che molte son di origine relativamente recente, inven
fratelli di Alcmena. Gli è appunto durante l’ assenza di Anfitrione, che Zeus preso d’ amore per Alcmena la fè madre di Er
in cui Alcmena doveva dare alla luce i due gemelli, detto ira gli Dei che sarebbe nato allora allora il più forte dei Persi
ietro nell’ arti musiche; anzi accoppò colla lira il suo maestro Lino che gli aveva inflitto un castigo. In punizione, Anfi
anno d’ età. Compi allora il suo primo atto eroico uccidendo un leone che infestava quel monte. Se da questo avesse ricavat
ornando a Tebe, incontrò i messi di Ergino, re dei Minii in Orcomeno, che si recavano a Tebe per ritirare l’ annuo tributo
olo di Delfo, e n’ ebbe in risposta si rassegnasse al suo destino. Di che egli montato in furore, così la leggenda, uccise
amo qui le dodici fatiche secondo la leggenda più comune, avvertendo, che alle fatiche prescritte da Euristeo s’ intreccian
fatiche prescritte da Euristeo s’ intrecciano altre gesta accessorie, che si dissero, con greca voce, parerga. a) La lotta
la sua tana, e ivi lo soffocò tra le braccia. Poi gli tolse la pelle, che gli servi di vestimento, come la testa gli serviv
questi affrontò l’ idra e bruciò mano mano tutte le teste; su quella che era immortale gittò un masso enorme. Nella bile v
e velenosa sparsa dall’ idra morente tinse i suoi dardi, e ne ottenne che le ferite da quelli prodotte divenissero insanabi
enne che le ferite da quelli prodotte divenissero insanabili. Si noti che Euristeo non volle, secondo alcuni, menar buona q
i campi di Psofi. Eracle lo inseguì e spinse sino alla cima del monte che era coperta di neve, e di là lo afferrò e s’ avvi
ando Eracle comparve a Micene davanti a lui, n’ ebbe egli tanta paura che corse a nascondersi in una botte. Con quest’ avve
ri. Giacchè strada tacendo essendosi fermato presso il centauro Folo, che gli diè a mangiare carni arrostite, ed avendo per
mangiare carni arrostite, ed avendo per bere aperto il vaso del vino che era comune a tutti i Centauri, questi gli si avve
rano muniti di artigli, ali e becco di bronzo, e penne pure di bronzo che essi lanciavano come freccie. Eracle ne uccise al
alcuni, altri spaventò con un sonaglio di bronzo datogli da Atena, si che non comparirono più. Secondo la leggenda degli Ar
disposta a dare il cinto, ma Era in figura di Amazone diffuse la voce che si voleva rapire la regina; allora le Amazoni pre
andarsene col desiderato cinto. A questa fatica si connettono altre, che son fra i parerga. Tra queste è da ricordare l’ a
Esione, figlia del re troiano Laomedonte, esposta a un mostro marino, che era stato mandato da Posidone per punire quel re
ia. Eracle ucciso il mostro, liberò la infelice fanciulla. Laomedonte che gli aveva promesso, se ciò facesse, i cavalli avu
a in un giorno nettare dall’ accumulato letame quelle stalle; impresa che veramente pareva impossibile. Augia stesso, senti
e; impresa che veramente pareva impossibile. Augia stesso, sentito di che si trattava, non dubitò promettere il decimo de’
facilmente trascinò via il letame. Augia ne fu lieto, ma quando seppe che la fatica era imposta da Euristeo, non voleva più
poi devastò il paese d’ Augia, e uccise lui stesso col figli. Dopo di che istituì i giochi Olimpici. h) Il toro di Creta er
cui Diomede, re dei Bistoni in Tracia, gettava in pasto gli stranieri che capitavano nelle sue rive. Eracle vinse Diomede e
issimo armento. Di questo doveva impadronirsi Eracle. Questa im presa che portava l’ eroe in lontane regioni, offriva spazi
le colonne da lui denominate sullo stretto di Gibilterra; si racconta che , offeso dai raggi cocenti del sole tramontante, p
d Eritea. Quivi, ucciso il gigante Eurizione e il cane bicipite Ortro che erano a custodia del gregge di Gerione, se ne imp
beria, la Gallia e l’ Italia e portò il gregge di Gerione ad Euristeo che lo sacrifîcò ad Era Argiva. — Tra i parerga conne
leremo. m) I pomi aurei delle Esperidi. Erano questi un dono di nozze che Era aveva ricevuto da Gea in occasione del suo ma
sorprese nel sonno e lo tenue stretto fintantochè n’ ebbe la notizia, che la via gli sarebbe stata rivelata da Prometeo inc
tica precedente. Poi si reco in Egitto ove era un re crudele Busiride che afferrava i forestieri e li sacrificava a Zeus. A
ia, e giunse così al Caucaso dove libero Prometeo uccidendo 1’ aquila che gli rodeva il fegato. Descrittagli da Prometeo la
li la volta del cielo. E qui un’ avventura comica. Atlante, una volta che si senti libero dal peso del mondo, non voleva pi
enti libero dal peso del mondo, non voleva più sottostarvi, e dicendo che avrebbe portato egli stesso i pomi ad Euristeo, t
questi, più scaltro di lui, lo pregò riassumesse il peso tanto almeno che egli si fosse fatto un cercine per non sentir tro
Esperidi e avrebbe presso i pomi uccidendo il drago dalle cento teste che li custodiva. n) La cattura di Cerbero fu l’ ulti
ecipitò giù dalle mura di Tirinto e uccise. Più tardi si favoleggiava che Ifito fosse amico di Eracle e questi lo avesse uc
lmine separò i combattenti. A espiare questi misfatti, la Pizia disse che Eracle doveva vivere per tre anni in condizione d
i; giacchè anche i Lidi avevano un loro eroe, solare, di nome Sandone che veneravano come capo di loro stirpe; e il caratte
irpe; e il carattere lidio della leggenda si manifesta in quel non so che di effeminato e di sensuale che in essa si osserv
leggenda si manifesta in quel non so che di effeminato e di sensuale che in essa si osserva. Dicevasi dunque che Eracle er
e di effeminato e di sensuale che in essa si osserva. Dicevasi dunque che Eracle era vissuto per quei tre anni tra le donne
ndo lana come loro, anzi vestito da donna anch’ egli, avendo lasciato che Onfale indossasse la sua pelle leonina e portasse
so prese e incatenò i Cercopi, specie di folletti scaltri e maliziosi che solevano fare ai passanti burle poco piacevoli. P
o fare ai passanti burle poco piacevoli. Poi uccise il malvagio Sillo che obbligava i viandanti a lavorare nella sua vigna.
eccezione di uno, Podarce. Eracle diede Esione in premio a Telamone, che la rese madre di Teucro; e poichè Esione ebbe da
salvare col suo velo uno dei prigionieri, salvò suo fratello Podarce, che d’ allora in poi si chiamò Priamo, ossia il risca
care la spedizione contro Augia e l’ istituzione dei giuochi Olimpici che noi abbiamo già ricordato avanti. — Segue la sped
ricordato avanti. — Segue la spedizione contro Pilo, mossa dal fatto che Neleo re di Pilo aveva dato aiuto ai Molionidi, o
i Neleo fu naturalmente distrutta; compreso il terribile Periclimeno, che da Posidone aveva avuto il dono di assumere tutte
da Posidone aveva avuto il dono di assumere tutte le forme d’ animali che voleva. Non rimase che il figlio minore, Nestore,
il dono di assumere tutte le forme d’ animali che voleva. Non rimase che il figlio minore, Nestore, il quale poi fu il con
in questa città, generò con la bella Auge, figlia del re, quel Telefo che per diversi casi diventò re della Misia e combatt
rette soffocanti dell’ eroe; infine come toro perdette uno dei corni, che riempito da una ninfa di flori e frutti diventò i
non solo uccise il suo avversario, ma ferì anche il Dio della guerra che era accorso in aiuto del figliuolo. D) Ultime vic
apparsi la veste di dosso; invano, s’ era così appiccicata alla carne che levarla non si poteva più. Nella rabbia del dolor
arla non si poteva più. Nella rabbia del dolore afferrò il messo Lico che gli aveva portata la veste e lo scaraventò nel ma
ar fuoco al rogo; infine Peante padre di Filottete o Filottete stesso che passava di là, gli rese questo servizio, in compe
te stesso che passava di là, gli rese questo servizio, in compenso di che egli a lui donò il suo areo e le sue freccie. Men
chiaro nell’ origine di questo intreccio di racconti, pur si capisce che qui si trovan mescolati a miti naturali degli ele
orica e riferiti dalla leggenda all’ eroe della stirpe. Invece Eracle che compie le dodici fatiche che altro può essere se
da all’ eroe della stirpe. Invece Eracle che compie le dodici fatiche che altro può essere se non una forza benefica la qua
ntenuto morale, Eracle divenne simbolo della più sublime forza morale che lotta contro le difficoltà della vita e colla for
ene, a Sicione, a Tebe, a Lindo, a Coo, ecc. A Maratona dove dicevasi che si fosse principiato a venerare Eracle come Dio,
t’ eroe si diffusero facilmente anche tra le stirpi italiche, massime che i molti viaggi attribuiti a lui offrivano l’ occa
cole per l’ Italia era ampliata in tal senso. Si favoleggiava adunque che , venuto a Roma, Ercole aveva trovato ivi stanziat
tta, affine lo vinse ed uccise. Poi per gratitudine a suo padre Giove che gli aveva fatto scoprir il furto, eresse nel luog
icò uno dei buoi ricuperati. Evandro ed i suoi fecero festa ad Ercole che aveva liberato quei luoghi da un così terribile n
o a pie’ dell’ Aventino vicino alla porta Trigemina. E invalse l’ uso che ogni anno in determinato giorno il pretore offris
si di disgrazia. 4. Eracle nella letteratura classica ha tanta parte, che sarebbe assai lungo l’ enumerare le opere o i luo
tanta parte, che sarebbe assai lungo l’ enumerare le opere o i luoghi che trattano alcuna delle leggende Eraclee. Già nell’
pelle onde si vestiva e la clava. Segue in ordine di tempo Stesicoro che tratto di avventure isolate, come la lotta con Ce
col quale si può dire i racconti eraclei abbiano preso quell’ assetto che divenne tradizionale. Anche i poeti lirici inseri
re cenni e ricordi dell’ eroismo di Eracle; bastimi ricordar Pindaro, che nella prima Nemea a lodare un valoroso, vincitore
men belle intorno ad Eracle; basti ricordare le Trachinie di Sofocle che s’ aggirano intorno alla presa di Ecalia e alle u
ual via della vita deva scegliere e percorrere, se quella del piacere che da una donna apparsagli, tutta vezzi e lusinghe,
he, gli vien descritta piena di gioie e di riso, o quella della virtù che da altra donna, più severa nell’ aspetto, gli vie
da Mosco, le cui poesie di ispirazione eraclea vanno tra le migliori, che vanti la letteratura mitologica. — Anche nella le
i Ercole sono spesso ricordati e celebrati. Già tra le prime commedie che la plebe romana vide rappresentare e gustò, v’ è
volissime. Fra i poeti moralisti, Ercole divenne l’ ideale dell’ eroe che superando innumerevoli difficoltà, e combattendo
sfibrano (Od. 3, 3, 10); e lo ricorda pure come esempio dell’ invidia che perseguita gli uomini generosi mentre che son viv
come esempio dell’ invidia che perseguita gli uomini generosi mentre che son vivi, e non li lascia in pace se non quando s
dine biografico, non rara era in antico la rappresentazione di Ercole che strozza in culla i serpenti. Già il pittore Zeusi
dipinto questa scena aggiungendo le figure di Alcmena e di Anfitrione che riguardano spaventati. Nel Museo di Napoli si amm
tta col toro cretese. Fra le imprese accessorie dette Parerga, quella che s’ incontra più di frequente è la lotta col centa
. L’ incontro col centauro Nesso riscontrasi in una pittura pompeiana che è nel Museo di Napoli; l’ eroe porta in collo il
li vanno a gara per ferirla. Fra tanti dardi caduti a vuoto, il primo che ferì la bestia fu quello della bella Atalanta. La
li, tutto preso dalla bellezza di Atalanta, lo cedette a lei, dicendo che spettava a chi primo aveva ferito il cinghiale. C
eagro. Costoro, tese insidie ad Atalanta, le tolsero vilmente il dono che aveva avuto da Meleagro. Il quale indignato di qu
ese le armi e postosi alla testa de’ suoi, diè tale assalto ai nemici che questi rimasero pienamente sconfitti; senonchè l’
tolo non doveva tornar più dal campo di battaglia; la crudele erinni, che aveva udito la maledizione della madre, ne fe’ su
nvento un’ altra storiella per spiegare la fine dell’ eroe. Si diceva che poco dopo la sua nascita, le Moire erano apparse
ascita, le Moire erano apparse alla madre Altea e l’ avevano avvisata che il figlio suo sarebbe vissuto sol tanto quanto st
o suo sarebbe vissuto sol tanto quanto stava per durare certo tizzone che in quel momento era sul fuoco. Appena scomparse l
questo genere, conservata nel Museo Vaticano. Si avverta quel non so che di malinconico che è nel viso di questo bel giova
servata nel Museo Vaticano. Si avverta quel non so che di malinconico che è nel viso di questo bel giovane. II. La sp
he qui siamo in presenza d’ una favola relativa a non fatto regionale che a poco a poco ha preso l’ importanza d’ un’ impre
nuvola) e da essa aveva avuto due figli, Frisso (Phrixos, la pioggia che scroscia) ed Elie (Helle, la viva luce). Ma poi l
rte, come già si disse parlando di Ino Leucotea (vedi pagina 206). Di che offesa Nefele abbandonò la terra, e per castigo i
onto Eusino o Mar Nero. Cammin facendo, cadde Elle in mare, quel mare che da lei ricevette il nome di Ellesponto; Frisso in
to principale. Atamante stesso s’ accord tanto dei mali del suo paese che ne impazzi, e nella pazzia perseguitando Ino e i
o Melicerte saltando in mare e affidandosi alle deità marine. Dopo di che , essendo Atamante fuggito in Epiro, la signoria d
te al padre nel regno, ma ne fu discacciato da un fratellastro Pelia, che era detto figlio di Tiro e di Posidone. A stento
anto gli avrebbe ceduto volentieri la signoria di Iolco, a condizione che egli si recasse a prendere in Colchide e portasse
. Giasone fe’ costruire nel portò di Iolco una nave a cinquanta remi, che dal nome del suo costruttore chiamò Argo, e chiam
lpò alla volta del Ponto Eusino. Circa il numero e il nome degli eroi che presero parte alla spedizione, molta varietà di t
mo però, per non assegnargli una parte troppo secondaria, s’ immaginò che si ritirasse presto dall’ impresa, lasciando nell
nella Misia i commilitoni per inseguire il suo prediletto Ila (Hylas) che le ninfe fontane avevano rapito. In tutto gli Arg
acevano salire a cinquanta, cioè tanti quanti erano i remi della nave che li trasportava. Secondo la leggenda più comune, g
ra prima all’ isola di Lenno, ove stettero alcun tempo colle Lenniesi che avevano tutte ucciso i loro infedeli mariti; di l
n indovino cieco, Fineo; questi a patto di esser liberato delle Arpie che infestavan quelle terre, ciò che fu fatto dai Bor
patto di esser liberato delle Arpie che infestavan quelle terre, ciò che fu fatto dai Boreadi, consentì a istruire gli Arg
uali alternatamente si aprivano e si chiudevano, e con tanta velocità che ben difficilmente una nave poteva passarvi di mez
i, poi all’ isola Aretias o di Marte dove erano gli uccelli Stinfalii che Eracle aveva fatto fuggire dall’ Arcadia. Cacciat
re dall’ Arcadia. Cacciatili anche di là, insieme col figli di Frisso che nel ritorno dalla Colchide avevano naufragato a q
e custodito da un drago. Qui entra in scena Medea, la figlia di Eeta, che ha tanta parte in questa leggenda. Innamoratasi d
o Eeta di cedere il vello d’ oro a Giasone purchè aggiogasse due tori che sbuffavan fuoco dalle narici e avevan l’ unghie d
nando nei solchi denti di drago e combattesse tutti gli uomini armati che ne sarebbero nati, Medea che era maga e sacerdote
go e combattesse tutti gli uomini armati che ne sarebbero nati, Medea che era maga e sacerdotessa di Ecate, die’ a Giasone
maco magico atto a difenderlo contro il fuoco dei tori e a dargli più che umana forza. Così Giasone superò tutti gli ostaco
rano in questo modo adempiute le volontà del re; ma Eeta col pretesto che Giasone aveva ricevuto aiuto da Medea, non voleva
a trovò modo di trattenerli uccidendo e facendo a brani un fratellino che aveva portato con sè, Absirto, e gettando i pezzi
allora Medea pensò lei a torlo di mezzo; persuase le figlie di Pelia che tagliando a pezzi il padre e facendoli cuocere in
nero senza volerlo parricide. Rimase al regno Acasto figlio di Pelia, che si proponeva anche di vendicare il padre; onde Gi
Medea per vendicarsi mande in dono alla sposa una veste e un diadema, che essendo avvelenati la fecero d’ un subito morire,
vette lasciare anche Atene. Giasone trovò la morte sotto la nave Argo che gli si sfracellò addosso. 2. La leggenda degli Ar
si sfracellò addosso. 2. La leggenda degli Argonauti è una di quelle che offrirono più copiosi materiali alla letteratura
isto. Nè si ommetta la prima metà del settimo libre delle Metamorfosi che narra poeticamente tutta la leggenda di Medea. No
famiglia dei Labdacidi in Tebe era così ricca di caratteri e di fatti che costituì per tempo come un ciclo di leggende, il
sendo senza figli adottò il bambino abbandonato, dandogli nome Edipo, che vuol dire « dai piedi gonfi », perchè presentava
olarità di avere enfiati i piedi. Così crebbe Edipo nella persuasione che Polibo e la di lui moglie Merope (o Peribea) foss
ecavasi a Delfo per interrogare l’ oracolo sulla Sfinge. Il cocchiere che era con Laio ordina al giovane Edipo di dar luogo
ocasta a chi avesse sciolto l’ enigma. Edipo avendo saputo rispondere che l’ uomo era quell’ animale che nella prima infanz
enigma. Edipo avendo saputo rispondere che l’ uomo era quell’ animale che nella prima infanzia s’ aiuta mani e piedi per ca
così inconsciamente sposo di sua madre avverando il terribile oracolo che pesava su di lui. Ma nè egli nè lei non ne sapeva
e; ma qual è la sua sorpresa quando, specialmente per mezzo del servo che l’ aveva esposto bambino e che era scampato alla
ando, specialmente per mezzo del servo che l’ aveva esposto bambino e che era scampato alla strage di Laio, viene a sapere
sposto bambino e che era scampato alla strage di Laio, viene a sapere che è egli stesso l’ uccisore di Laio, sicchè egli er
o d’ asilo della terra Attica. Tale la fine di Edipo secondo Sofocle; che gli epici antichi in altro modo narravano la mort
one di Beozia in un santuario di Demeter. Morto Edipo, la maledizione che pesava su di lui, secondo il concetto degli antic
venuti di regnare in Tebe alternatamente un anno ciascuno. Ma Eteocle che era più vecchio, (alcuni fan più vecchio Polinice
asto della stirpe di Amitaone, re di Argo; proprio nello stesso tempo che vi cercava rifugio anche Tideo figlio di Eneo fug
della stirpe di Melampo cognato di Adrasto stesso. Veramente Anfiarao che per la sua virtù di antivedere le cose sapeva che
Veramente Anfiarao che per la sua virtù di antivedere le cose sapeva che la spedizione sarebbe riuscita a male, non voleva
n voleva prendervi parte e aveva tentato sfuggire ai messi di Adrasto che ne lo sollecitavano; ma Polinice avendo subornato
al drago di Ares; allora tutto a rovescio per gli assalitori; Capaneo che vantava nel suo orgoglio di resistere anche al fu
tto dalla Demetra Erinni. Di Adrasto fuggente favoleggiossi in Attica che si fosse riparato a Colono e avesse poi ottenuto
nzi con buoni auspici, ebbero fortuna. Laodamante, figlio di Eteocle, che ora governava in Tebe spiegò tutta la sua energia
leggende; Eschilo col « Sette contro Tebe » sceneggiò la prima guerra che si chiudeva col disgraziato duello tra i due frat
al cui odio si contrappose l’ indole affettuosa e gentile di Antigone che al fine della tragedia dichiarava energicamente d
incipale dei dramma; e di Edipo sceneggiò la sventura in due tragedie che son due capilavori, l’ « Edipo re » e l’ « Edipo
se o di poca importanza. Abbastanza frequenti le statue della Sfinge, che a differenza della Sfinge egiziana, tronco di leo
infine esponendo i casi varii del ritorno. 1. I principali eroi greci che presero parte alla guerra di Troia, furono Agamen
cipitato poi nel fondo d’ ogni male, e punito in inferno in quel modo che già si espose parlando del regno dei morti. Figli
di Zeus, possessore di estesissimi fondi, era così bene viso agli Dei che questi non sdegnavano invitarlo spesso alla loro
li Dei che questi non sdegnavano invitarlo spesso alla loro mensa. Di che insuperbito non seppe astenersi da atti temerari
elope richiamato in vita da Ermes, sostituitagli in avorio una spalla che Demetra già aveva consumata, peregrino pel mondo
re Enomao prometteva la sua bella figlia Ippodamia in isposa a colui che sapesse vincerlo alla corsa dei cocchi; con quest
a a colui che sapesse vincerlo alla corsa dei cocchi; con questo però che chi si lasciava vincere doveva pagar il fio della
la signoria dell’ Elide; mal ripagò poi Mirtilo del servizio resogli, che in luogo di dargli metà del regno come aveva prom
ono Atreo e Tieste (Thyestes), altre vittime della maledizione divina che pesava su questa famiglia, almeno secondo le legg
uccidendo per istigazione di Ippodamia il loro consanguineo Crisippo che Pelope aveva avuto da altra moglie. Obbligati a f
el padre. Il sole stesso inorridito di tanta crudeltà, favoleggiavasi che volto il cocchio fosse tornato ad oriente. Tieste
lata da una peste la sua isola e spoglia d’ abitanti, ottenne da Zeus che uno sciame di formiche fossero trasformate in uom
nne da Zeus che uno sciame di formiche fossero trasformate in uomini, che furono detti perciò Mirmidoni (myrmex voce greca,
mate in uomini, che furono detti perciò Mirmidoni (myrmex voce greca, che val formica). Dopo morte, Eaco venne per la sua g
ria. Peleo si recò a Ftia in Tessaglia, dove lo accolse il re Euritio che gli diè in moglie la sua figliuola Antigone e lo
tato sul monte Pelio, e toltegli le armi lo lasciò ivi solo, persuaso che i Centauri avrebbero fatto scempio di lui. Ma gli
egli potè respingere trionfalmente gli assalti dei Centauri. Dopo di che tornato a Iolco, e presa la città coll’ aiuto dei
hille, abbia abbandonato lo sposo perchè egli la disturbò nel momento che nel fuoco voleva rendere immortale il figlio, cos
era avvenuto con Demetra e il figlio di Celeo, è questa una leggenda che Omero ancora non conosceva. Achille ebbe a educat
a pienezza delle forze, prese parte alla guerra di Troia, pur sapendo che sarebbe stata per lui fatale; ed è anch’ essa leg
i, morta la prima moglie, sposò Peribea, figlia di Alcatoo di Megara, che lo fe’ padre di Aiace. Amico di Eracle, Telamone
ione figlia del re Laomedonte, e da lei ebbe un altro figlio, Teucro, che divenne celebre arciero. Prese ancor parte col fr
Aiace Telamonio era l’ altro Aiace, locrese, figlio di quell’ Oileo, che pure aveva preso parte alla spedizione degli Argo
unzii, armati alla leggera. Diomede era figlio di quel Tideo di Eneo, che , fuggito da Calidone e accolto da Adrasto re d’ A
la morte. Diomede stesso prese parte alla seconda guerra tebana, con che ottenne la signoria di Argo, sotto il supremo dom
e risiedente in Micene. Ristabilì sul trono etolico il suo nonno Eneo che era stato cacciato dai figliuoli di un suo fratel
liuolo, Erittonio, il più ricco degli uomini; e da costui nacque Troo che diè il nome ai Troi o Troiani, suoi discendenti.
mpione dei Troiani, come Achille era dei Greci; secondo figlio Paride che fu cagion della guerra; seguivano Creusa che dive
i; secondo figlio Paride che fu cagion della guerra; seguivano Creusa che divenne moglie di Enea, Polissena che fu poi sacr
della guerra; seguivano Creusa che divenne moglie di Enea, Polissena che fu poi sacrificata sulla tomba di Achille, Cassan
sa di sventura, Eleno, augure e vate; ultimo, il più giovane, Troilo, che morì per man d’ Achille. 2. Ma ormai è tempo che
più giovane, Troilo, che morì per man d’ Achille. 2. Ma ormai è tempo che narriamo per sommi capi le vicende della guerra.
frodite naturalmente pretendevano aver diritto alla mela. Zeus ordinò che le tre Dee fossero da Ermes condotte sul Gargaro,
la donna del mondo. Egli assegnò il pomo ad Afrodite; di qui ne venne che Era ed Atena furono sempre acerbe nemiche di Troi
acerbe nemiche di Troia, e Afrodite amica. Poco dopo, avendo Paride, che era bellissimo ed aitante della persona, vinto tu
e di Menelao. Afrodite instillo in lei un ardente amore per l’ ospite che alla bellezza delle forme aggiungeva lo splendore
esione dei più ragguardevoli principi greci, perchè Tindareo ai tanti che avevano chiesto la mano della bella Elena aveva f
riente. A capo di tutta quest’ armata fu scelto Agamennone re d’ Argo che da solo aveva allestito più di cento navi. Senonc
a cerva sacra ad Artemide, questa lo puni mandando una calma di vento che impediva di salpare. L’ indovino Calcante interro
nto che impediva di salpare. L’ indovino Calcante interrogato rispose che ad ammansire la dea dovesse Agamennone sacrificar
pare e approdò a Tenedo, sulle coste troiane. Strada facendo, accadde che Filottete figlio di Peante, tessalo, il quale pos
o sull’ isola Crise venne. morsicato da un serpe in un piede; dopo di che molestando i compagni col suoi lamenti e col feto
a di Lenno. Più tardi lo si dovrà andar a riprendere perchè era detto che senza le frecce d’ Eracle Troia non sarebbe cadut
s’ opposero i Troiani guidati da Ettore ed Enea; bensì il primo greco che saltò a riva, Protesilao (=il primo che salta), c
ed Enea; bensì il primo greco che saltò a riva, Protesilao (=il primo che salta), cadde vittima del suo coraggio. Anche Cic
Anche Cicno (Cycnos) il re di Colone nella Troade figlio di Posidone, che più validamente si oppose a’ Greci e uccise infat
o di intelligenze con Priamo e di tradimento; tutti maneggi di Ulisse che volle vendicarsi di lui perchè, quando Ulisse in
rezzo di riscatto, n’ ebbe dura ripulsa e derisione da Agamennone; di che il Dio Apollo infesto il campo Acheo di grave pes
rmentare gli Achei; e Zeus, pregato da Tetide la madre di Achille, fè che la vittoria fosse dalla loro parte. Dopo parecchi
lasciò indurre dalle preghiere del suo amico Patroclo a permettergli che indossasse le sue armi e alla testa dei Mirmidoni
i. Pianse Eos la morte di suo figlio, e continua a piangerla, giacchè che cos’ altro sono le goccie della mattutina rugiada
iciasette giorni e diciasette notti con canti e nenie così commoventi che Dei ed uomini non potevano trattenere le lagrime.
vi aspirava con ragionevole presunzione, ma vi aspirava anche Ulisse che al valore guerresco univa altri pregi di abilità
per consiglio di Atena decise la controversia in favore di Ulisse; di che tanto s’ accorò Aiace che impazzi e dopo aver com
ise la controversia in favore di Ulisse; di che tanto s’ accorò Aiace che impazzi e dopo aver commesso violente stranezze s
cio; ed egli era eroe da ciò. Egli dall’ indovino troiano Eleno seppe che non si poteva prender Troia senza le freccie d’ E
leno seppe che non si poteva prender Troia senza le freccie d’ Eracle che erano in possesso di Filottete rimasto a Lenno. U
struire da Epeo il famoso cavallo di legno, e disporre quell’ agguato che doveva aver per effetto la caduta di Troia. Trent
ano con curiosità quella meraviglia del cavallo di legno, non sapendo che cosa fosse. E qui raccontasi che un tal Sinone, l
ia del cavallo di legno, non sapendo che cosa fosse. E qui raccontasi che un tal Sinone, lasciatosi prendere dai Troiani, l
un tal Sinone, lasciatosi prendere dai Troiani, li ingannò inventando che era sfuggito alla persecuzione di Ulisse il quale
ssero verso la città. Intanto uscirono dal cavallo i trenta guerrieri che v’ erano nascosti e apersero una porta della citt
ri che v’ erano nascosti e apersero una porta della città; così prima che i Troiani avessero potuto dar l’ allarme, l’ eser
resistenza cercavano opporre i Troiani superstiti. Il vecchio Priamo, che aveva cercato protezione presso l’ ara di Zeus co
esso l’ ara di Zeus con Ecuba e le figlie, venne ucciso da Neottolemo che aveva già pure ucciso Polite di lui figlio; gli a
e i bambini caddero in ischiavitù, salvo Astianatte figlio di Ettore che fu buttato giù dalle mura. Colei che era causa di
alvo Astianatte figlio di Ettore che fu buttato giù dalle mura. Colei che era causa di tutti questi guai, Elena, fu trovata
i guai, Elena, fu trovata in casa di Deifobo, altro figlio di Priamo, che dopo la morte di Paride avevala sposata. Menelao
e. Dopo un viaggio non infelice, scampato anzi a una furiosa tempesta che lo colse sulle coste dell’ Eubea, nella sua reggi
a sua reggia di Micene trovò la morte a tradimento per mano di Egisto che durante l’ assenza di lui aveva goduti i favori d
una volta predetta a’ suoi la caduta di Troia, non era stata accolta che con dileggi e derisione. La morte di Agamennone n
bitante nella Focide. Ivi crebbe insieme con Pilade figlio di Strofio che era quasi coetaneo, e a poco a poco si contrasse
tra loro una stretta amicizia, la quale si mantenne poi così costante che divenne proverbiale. Giunto a età matura, Oreste
cciso; e accompagnato da Pilade se ne venne a Micene, sette anni dopo che n’ era uscito, e uccise non solo Egisto, ma anche
nte, stava per essere sacrificato, quando la sacerdotessa di Artemide che era Ifigenia sorella di Oreste, lo riconobbe, ed
allora in poi come Eumenidi. Più lieta fu la sorte toccata a Menelao che se ne tornava con Elena e i tesori del bottino di
ato nel tempio di Atena e di qui avendo strappato per forza Cassandra che s’ era avvinghiata alla statua della Dea, questa
a d’ Eubea. A stento egli potè salvare la vita su un nudo scoglio. Di che lieto, nella sua temeraria presunzione, non dubit
oglio. Di che lieto, nella sua temeraria presunzione, non dubitò dire che si sarebbe salvato anche a dispetto degli Dei; al
mede, dopo la presa di Troia, tornò felicemente ad Argo; ma ivi trovò che la moglie non gli era stata fedele, e allora se n
ttè, vinse e restituì all’ avo la signoria dell’ Etolia. Si noti però che alcuni fanno quest’ impresa di Diomede anteriore
impresa di Diomede anteriore alla guerra di Troia. Appresso narrasi, che Diomede colto in mare da una tempesta fosse sbalz
ustarono anch’ essi del loto, e n’ ebbero impressione così piacevole, che non volevano più tornare in patria. Ulisse dovett
ano i Ciclopi un popolo di giganti in un’ isola del mare occidentale, che abitavano sparsi su per monti curando le loro gro
cato nell’ isola con dodici compagni capito nella caverna di Polifemo che era figlio di Posidone. Ivi passò un ben brutto m
ropofagi. Costoro abitavano una terra dove le notti erano così chiare che chi potesse far a meno del sonno, avrebbe potuto
s e sorella di Eeta. Costei soleva trasformare in bestie i forestieri che capitavano nell’ isola. Ulisse avendo mandato met
li vide tornare perchè erano stati mutati in porci; il solo Euriloco, che non aveva bevuto la magica bevanda, sfuggi a ques
allora mosse da solo, e, aiutato da Ermes il quale diedegli un’ erba che lo proteggeva da ogni magia, indusse Circe a rida
bolo dell’ inferno, interrogare l’ anima di Tiresia e saper da lui in che modo potesse riuscire a toccar la patria terra. g
a e molte altre di eroi ed e roi ne, fra cui anche sua madre Anticlea che gli dà desiderate notizie del padre Laerte, della
co appresso toccò l’ isola delle Sirene, le ingannevoli Muse del mare che allettando con dolce canto i naviganti li invitav
l terribile vortice di Cariddi, avvicinatisi troppo all’ altro mostro che con sei lunghi colli e bocche abitava nella sua t
assa la nave e la sprofonda nelle onde; annegarono tutti salvo Ulisse che afferrata una trave galleggiò sbattuto dall’ onde
eva lasciato la patria per recarsi a Troia; e dormiva in quel momento che i Feaci lo sbarcarono e deposero con tutti i suoi
taca s’ era trovata in grandi afflizioni. Perduta ornai ogni speranza che Ulisse tornasse, il padre Laerte viveva immerso n
te viveva immerso nella tristezza; Penelope era perseguitata da molti che aspiravano alla sua mano, i quali intanto venivan
be decisa di passare a nuove nozze dopo terminato il lenzuolo funebre che stava tessendo per il vecchio suocero, disfaceva
do fu sveglio, gli comparve Pallade Atena, la quale lo avvisò di quel che era avvenuto nella sua reggia e lo condusse all’
i contro i Proci. Si avvicinava la festa d’ Apollo; Penelope annunziò che quel giorno avrebbe fatto la sua scelta; sarebbe
, egli fece gli ultimi sforzi per bravamente difenderla, ma poi visto che era tutto perduto si ritirò co’ suoi sul vicino m
nelle isole Strofadi ove gli toccò l’ avventura delle fameliche Arpie che gli insozzarono la mensa. Poco appresso venne a B
ppresso venne a Butroto in Epiro, dove ritrovò Eleno figlio di Priamo che portato da Troia con Neottolemo, alla morte di qu
fondatrice di Cartagine. Costei, invaghitasi di Enea, avrebbe voluto che si fermasse con lei e divenisse suo sposo, ma un
oichè anche Latino morì, gli successe nel governo e fondò nuova città che dal nome di sua moglie chiamò Lavinio. Quattro an
Le favole del ciclo troiano ebbero così larga diffusione fra i Greci che divennero come il pascolo intellettuale delle lor
Eschilo, Sofocle, Euripide a queste leggende riferentisi; basti dire che tutti i momenti di questa istoria furono sceneggi
istrale descrizione della caduta di Troia, la più viva e la più bella che a noi sia giunta dall’ antichità. S’ aggiungano g
ntichità. S’ aggiungano gli ultimi libri delle Metamorfosi d’ Ovidio, che cantano lo stesso tema; s’ aggiunga l’ Achilleide
eti lirici, Orazio, Tibullo e Properzio; infine si dee tener presente che tutti i poeti tragici latini, da Livio Andronico
e troiane della vita intellettuale degli antichi; e non fa meraviglia che ancora il medio evo abbia conservate, trasformand
gelo Montorsoli; ma par certo non sia riuscito bene questo ristauro e che questo braccio dovesse essere più piegato verso l
entili, è quasi levato su di terra dalle violente strette del rettile che lo comprime al destro fianco del padre, gli attor
ntre l’ altro serpente gli arronciglia il braccio destro, ma non così che al giovine non sembri ancor possibile di sfuggire
vigorose e tenaci, invano colla sinistra comprime il collo del serpe che gli si avventa con rabbioso morso al fianco; sott
pire. E di quel dolore è tanto più viva l’ impressione quanto si vede che il corpo che ne soffre è aitante, valido, eppur s
el dolore è tanto più viva l’ impressione quanto si vede che il corpo che ne soffre è aitante, valido, eppur senza difesa.
. A questa fine analisi dei Gentile si può aggiungere l’ osservazione che la testa di Laocoonte così volta al cielo in atto
i Laocoonte così volta al cielo in atto di dolorosa rassegnazione, sì che par voglia chiedere agli Dei perchè una sorte si
In terzo luogo menzioniamo l’ ammirato gruppo denominato « Pasquino » che trovasi a Roma su un crocicchio di strade all’ an
i strade all’ angolo del palazzo Braschi, rappresentante un guerriero che sostiene il corpo morto di un altro guerriero. Ne
na è nella loggia dei Lanzi a Firenze (fig. 89). Si pensa o a Menelao che sostiene Patroclo, o ad Aiace che salva dal furor
nze (fig. 89). Si pensa o a Menelao che sostiene Patroclo, o ad Aiace che salva dal furor nemico il cadavere di Achille. In
e membra abbandonate ed inerti fa un efficace contrasto col guerriero che lo sostiene il quale è nel pieno vigore delle sue
ovisi di Roma rappresentante una giovine donna colla chioma tagliata, che fa gentile accoglienza a un giovine minore di lei
atura; per lo più si crede si tratti di Elettra ed Oreste nel momento che si rivedono nella casa paterna contaminata dall’
ggende Tessale e Argive è insigne Melampo, figlio di quell’ Amitaone, che venuto dalla Tessaglia in Messenia ivi propago la
itaonidi. A questa appartennero Adrasto, Anfiarao, Alcmeone, Anfiloco che ebbero tante parte nelle vicende di Tebe e nelle
degli Epigoni; ed’ altri minori, come Polifide, Teoclimeno suo figlio che andò in Itaca con Telemaco e Poliido che acquistò
ifide, Teoclimeno suo figlio che andò in Itaca con Telemaco e Poliido che acquistò fama in Corinto. — Ogni ciclo di leggend
tà si diceva avesse perso la vista, secondo alcuni per opera d’ Atena che era stata vista nel bagno da lui, secondo altri p
ico, pose sua residenza nelle regioni dell’ Olimpo. Cantava così bene che le pi ante e le pietre muovevano a udirlo e le fi
ssere stata morsicata da un serpe, egli la pianse in dolcissimi canti che commuovevano fin le pietre. Pensò di scendere all
e il petto di bronzo del re dell’ ombra si commosse. Gli fu concesso che Euridice seguisse un’ altra volta Orfeo nel regno
uisse un’ altra volta Orfeo nel regno della vita, a questa condizione che durante il tragitto egli non si volgesse indietro
durante il tragitto egli non si volgesse indietro a guardar la sposa, che se avesse fatto ciò, essa gli sarebbe stata ineso
ava de’ suoi canti le regioni dell’ Elicona. Forse costui non è altro che la personificazione mitica di antico canto popola
a con querule note il perire della natura nella stagione invernale, e che chiamavasi appunto lino. Di Lino si cantava speci
in di lui onore. — Tamiri (Thamyris) fu il primo dei cantori antichi che allietava dell’ arte sua le corti de’ principi e
oesie di lui, canti religiosi e lustrali, inni, vaticini. Ma i lavori che nell’ età storica correvano col suo nome eran nat
tinata a profetar l’ avvenire ma non esser creduta mai, è personaggio che ricorre spesso nei drammi che trattano di Troia c
ma non esser creduta mai, è personaggio che ricorre spesso nei drammi che trattano di Troia caduta e delle vicende dolorose
poeti dell’ età mitica; qui ricordiamo solo un bel rilievo in marino che si conserva in Napoli, di cui diamo il disegno al
nta la seconda irreparabile separazione di Orfeo ed Euridice. Questa, che è la figura di mezzo, posa leggermente la mano su
è la figura di mezzo, posa leggermente la mano sulla spalla d’ Orfeo che la guarda con triste dolcezza. La terza figura è
a d’ Orfeo che la guarda con triste dolcezza. La terza figura è Ermes che deve compiere il suo dovere di separare i due ama
che deve compiere il suo dovere di separare i due amanti, ma si vede che lo fa a malincuore. Altri bassirilievi presentano
a a malincuore. Altri bassirilievi presentano un motivo analogo; pare che rappresentazioni simili si usassero spesso a orna
i Dei danno incremento; giacchè gli Dei hanno in odio quelle violenza che rende l’ uomo capace di qualunque delitto. » 2.
e delitto. » 2. « Giove illustre pel trionfo sui Giganti, quel Giove che con un cenno delle sue ciglia fa muover tutto l’
o delle sue ciglia fa muover tutto l’ universo. » 3. « Giove è colui che l’ inerte terra governa e il mare dominato dai ve
su Patara (città della Licia). Giove m’ è padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è al presente
della Licia). Giove m’ è padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è al presente; per me si dispo
m’ è padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia al suo
» 12. « In questa statua in piedi e vestita, leggermente trasparisce che la figura, è zoppa non brutta però. » 13. « mess
ate ». 14. V. 255 e segg . « Per lungo tempo credetti io stoltamente che vi fossero statue di Vesta, ma poi appresi che so
redetti io stoltamente che vi fossero statue di Vesta, ma poi appresi che sotto la curva cupola non vi son punto statue. Un
cettiva di essere effigiata come non è neanche il fuoco. » 15. Quei che tiene un bastone colla destra e una chiave colla
di sud, più ch’ ogni altro arbitro e sovrano del mare Adriatico, sia che voglia sollevarne a tempesta l’ onde, sia che vog
del mare Adriatico, sia che voglia sollevarne a tempesta l’ onde, sia che voglia rabbonacciarle ». 21. Cfr. pag. 90. 22.
stillante rugiada pel cielo e tinta ili mille diversi colori dal sole che le sta di faccia. » 23. « Iride l’ ambasciatrice
24. « La Gioventù, poco aggraziata senza di te. » 25. « Tu o llizia, che benigna schiudi alla luce i parti maturi, difendi
he benigna schiudi alla luce i parti maturi, difendi tu le madri, sia che a te piaccia esser chiamata Lucina, ovvero la Dea
onde in su gli aridi Labruzzi rimaneano i morseggiati Lanosi biocchi che sporgean poc’ anzi Dal tenue filo, avanti a’ pied
e e smorte, Per lunga fame attenuate e asciutte, Orribili a veder più che la morte. L’ alaccie grandi avean, deformi e brut
ncurve e torte; Grande e fetido il ventre, e lunga coda Come di serpe che s’ aggira e snoda. 35. V. 142: « … in men che
a coda Come di serpe che s’ aggira e snoda. 35. V. 142: « … in men che non si dice, placa il mar grosso e pone in fuga l
uo cocchio veloce. » 37. Eneide, X, 209 sgg.: « l’ immane Tritone, che introna i mari soffiando nella cerula conchiglia,
38. V. 335 e sgg.: « …Ei dà di piglio alla cava attorcigliata tromba che dall’ ultima spira va crescendo in larghezza. Que
n appena in mezzo al mare è stata ripiena d’ aria, fa risonare i lidi che giacciono sotto 1’ uno e l’ altro sole. Anche all
ritirata, fu udita dalle onde tutte della terra e del mare; e l’ onde che udirono tutte si compressero. Si ritirano i fiumi
i pieni fiumi; scopresi la terra; e ricompariscono i luoghi man mano che decrescon 1’ onde. » 39. Epig.100: « i lusingh
dell’ onde. » 40. « Cantone il grammatico, sirena latina, l’ unico che sa leggere ed educare i poeti. » 41. « … aveste
ita sfugge alla crudel Proserpina. » 46. Carm. I. 16, 13: « Dicesi che Prometeo fosse costretto ad aggiungere al limo, c
16, 13: « Dicesi che Prometeo fosse costretto ad aggiungere al limo, che era la materia principale, particelle di sostanze
la materia principale, particelle di sostanze prese da ogni parte, e che al nostro petto apponesse la violenza di furioso
nesse la violenza di furioso leone. » 47. Georg. III, 266: … Più che ogni altro in ver delle cavalle Passa i segni il
aduz. Sapio, Palermo 75). 48. « I caso di Fetonte abbruciato è tale che spaventa chi concepisce troppo avide speranze, e
pisce troppo avide speranze, e un grave esempio porge 1’ alato Pegaso che sdegnò reggere il peso dei terreno cavaliere Bell
a la faccia, Si strinse tra le braccia Perseo, e dicea: Figliuolo, Oh che duolo che è il mio! E tu così ne l’ infantile obl
a, Si strinse tra le braccia Perseo, e dicea: Figliuolo, Oh che duolo che è il mio! E tu così ne l’ infantile oblio Dormi e
ento! No, dormi, o bambinello; e dorma il mare. Donna l’ angoscia mia che non ha pare. Zeus Padre, e tu deh muta il tuo tal
dizione disagiata e pericolosa. 51. « Un Ercole piccolo a vedersi ma che fa una grande impressione. » 52. Così intitolata
13 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
pito disegno di menar a fine quel compendio di Mitologia iconologica, che un dì nel vostro seno da antecessore sedendo a vo
ore sedendo a vostre premurose inchieste impreso avea ad effettuire : che anzi succrescendo sempre più alle nuove occupazio
fin per pochi giorni, quasi insensibilmente, a me stesso quel tempo, che necessario si fosse a compiere, se non con mio on
almen con compiacenza vostra l’incominciato lavoro. Eccolo pertanto, che tratto appena dall’ancor sudante mia penna, ed il
refisso suo centro, lasciasi affettuosamente cadere. Io mi avventuro, che voi nel distender graziosi la mano ad accoglierlo
erete esattamente descritto. Voleste in fine un trattato più pratico, che teoretico di poesia toscana, che vi servisse di m
ste in fine un trattato più pratico, che teoretico di poesia toscana, che vi servisse di manuale a si bella facoltà senza t
estenzione corrisponde appuntino alle mire, protesto di non aver più che bramare, perche soddisfatto appieno de’voti. Vive
intero Darvi parti maggior con voi m’impegno. Sarà mia gloria il dir, che questa terra Benigna accolse il primo sudor mio,
questa terra Benigna accolse il primo sudor mio, Ad onta del destin, che mi fa guerra. Riceva ognun ciò, che donar poss’io
mo sudor mio, Ad onta del destin, che mi fa guerra. Riceva ognun ciò, che donar poss’io, Che certo io sono, e il creder mio
sentimento dell’immortal’Oratore Romano ogni avviamento di discorso, che sù di qualche materia s’imprende, Cic. de Of. Lib
mposta dalle greche voci Mythos fabula, e logos discorso altro non è, che la esposizione di quelle favolose idee, delle qua
i lungi assai dal vero vivevano infelicemente ingannati, non ostante, che tali massime in buona parte conosciute pur si fos
ia la saggezza si esalta(1). Or quantunque a prima fronte rassembri, che la scienza di quanto può mai presentar la Mitolog
re anche le false idee, degna perciò d’essere a ragion negletta, anzi che studiata ; pur tutta volta una tal dispregevole c
a tal dispregevole conclusione di leggieri non si efformerà da colui, che di questa scienza esaminerà più posatamente i van
cessarii lumi per sviluppare quelle tante cifre, e misteriose figure, che in mille quadri, e tappeti trovansi alla divina f
dee de’più riscaldati Poeti ? Questi, ed altri mille sono i vantaggi, che risultano a noi dalle mitologiche cognizioni. E s
enze frutti di poco conto ? Acquisti da disprezzarsi ?(1) Le favole, che per tanti secoli sedotta tennero la infelice Gent
Dio in tal profonda oscura notte d’illusioni, ed inganni ne caddero, che della lor nobile origine, e beato fine confuse de
trodottosi ancora quanto mai dilettar potesse i sensi, tosto avvenne, che ogni sanguinoso si foggiò il suo Marte, ogni ladr
a oscurata cogniziono del vero Dio, sembra, Læt. Lib. 2 de fals. Rel. che abbia riconosciuto i suoi natali nell’Egitto, e n
he abbia riconosciuto i suoi natali nell’Egitto, e nella Fenicia(3) e che propriamente sia nato nella famiglia di Rel. Cham
orte di follia, mille altri più stolti, ed insensati Dei inventarono, che quivi cogli altri rinchiusero ; e così dilatando
e abbracciava gli Iddii superiori detti Maiorum Gentium, come quelli, che erano adorati da tutte le nazioni della terra, e
none, Cerere, Vesta, Minerva, Venere, e Diana.(1) Gli altri otto poi, che luogo non avevano a tal consiglio, chiamavansi or
mi non da tutti si conviene. La II classe racchiudeva tutti que’ Dei, che splendevano di minor gloria, e venivano considera
come il Dio Pan, Pale, ecc. La III classe abbracciava tutti que’Dei, che riconoscevano la loro origine da qualche donna mo
. apud Aug. Nel numero di questi erano ancora annoverati quegli Eroi, che a riguardo de’ loro meriti erano stati innalzati
rano annoverate tutte le divinizzate virtù, Cic. lib. 2 de Nat. Deor. che formate avevano i grandi Eroi, come la Prudenza e
chè il nostro scopo, come nella prefazione sta espresso, altro non è, che parlar soltanto degli Dei di I classe degni più d
classe degni più degli altri inferiori di maggior considerazione, non che delle astratte divinità, dalle quali oltre le ist
amente del Regno, con inudita crudeltà divorava tutti i maschi figli, che gli partoriva Opi sua moglie, come divorato avreb
e’passati crudeli tratti di Saturno suo padre, nonche della congiura, che contro di se novellamente machinava, con arte aff
e La prima dunque di queste battaglie fù al riferir di Esiodo quella, che ei sostenne contro i Titani, i quali in forte leg
o a combatterlo per vendicar quei dritti di preferenza, e di dominio, che ad essi erano stati usurpati (stante che il regno
di preferenza, e di dominio, che ad essi erano stati usurpati (stante che il regno di Titano ceduto a Saturno à figli di co
quindi collo stesso coraggio a pugnare col resto degli altri giganti, che si affaticavano a soprapporre monti a monti con f
ne metamorfisi però perche menano a corrompere la fantasia piuttosto, che ad illustrare l’ intelletto in necessarie cose, p
i, ove venne egli con special culto adorato, o da qualche sua azione, che fra le altre più singolarmente brillava. Io però
, e da Babilonosi chiamato venne Belo, col nome appunto di quel Belo, che , come dissimo, il primo fù ad introdurre l’idolat
o da Sabini, e finalmente Quirinus, , , , , , , Optimus. Nomi, che spesso leggonsi nei Poeti, e negli Storici(1). S
ti erano il faggio, e la quercia, e tanto era il rispetto per questi, che si giunse pure a credere aver essi la facoltà di
lasciar unicamente al lettore la libertà di seguire quelle opinioni, che maggiormente gli aggradono. Cap. II. Nettun
Sonetto I n mezzo all’onde gode il vasto Regno Il Dio Nettuno, che dà legge al mare, Porta il tridente per mostrar l
lle Ninfe dette Driadi, Amadriadi, Naiadi, Oreadi, e Nereidi, secondo che presedevano a boschi, prati, fonti, monti, e mare
ocenti piaceri di questo matrimonio, come neppure di due altre mogli, che successivamente si prese dette Venelia, e Salacia
esclusivo. Gli Dei chiamati a dirimere tal controversia decretarono, che quella parte, che per propria virtù prodotto aves
i chiamati a dirimere tal controversia decretarono, che quella parte, che per propria virtù prodotto avesse la cosa più van
Olivo. Tai produzioni discusse dagli Dei vuotanti fù per essi deciso, che Nettuno ceder dovea in tal causa a Minerva, qual
, nella parte inferiore simili a pesci, scorrendo con tanta velocità, che pareva volare sulla superficie delle onde, come l
accompagnato da tutte le divinità marine, e preceduto da Tritoni,(1) che animavano le loro trombe con eco sonoro delle con
ome cel descrive Stazio… Triplici telo iubet ire iugales, ne avvenne, che egli fù creduto ancora il Dio governatore de’ nav
ati, ed oscuri nel mese di Agosto, come si pretende, ed altre quelle, che facevansi in onor di Nettuno con sacrificii di to
dare all’uom spavento, e lutto. A far säette crudelmente istrutto Par che dal suo destin fù dichiarato ; Giove per esso vie
Mirabili veramente furono le avventure di questo Dio, mentre pare, che le stesse disgrazie, alle quali fù soggetto fin d
to, e deforme comparve fin dal primo punto alla vita. Quindi avvenne, che tanta bruttezza tollerar non potendo di buon geni
lopi(1) uscir fece dalla sua Caverna pezzi di opera si ragguardevoli, che riscossero del pari la maraviglia degli Dei, e de
lle, lo scudo di Ettore, le armi di Enea, e mille altri capi d’opera, che per soddisfare a diverse richieste ei si compiacq
. Ingrato però dimostrar non si volle il buon Nume verso quel padre, che un dì troppo barbaro dimostrato si era con lui ;
nelle sue antiche battaglie coi giganti ? Non furono i suoi fulmini, che atterrarono quei mostri infelloniti ? Che meravig
che atterrarono quei mostri infelloniti ? Che meraviglia fia dunque, che tanta grazia perciò presso di quello acquistossi,
lia fia dunque, che tanta grazia perciò presso di quello acquistossi, che niente sgomentato di sua natìa bruttezza ardi dom
atìa bruttezza ardi domandargli la saggia Minerva per sposa ? Vero è, che vane riuscirono le sue pretenzioni ; non però ciò
vvenne per parte di Giove renitente, ma per cagion della pretesa Dea, che gelosa della sua amata castità sdegnosetta rifiut
, fra mitologisti non si acconviene, ad eccezione del solo Erittonio, che comunemente gli viene attribuito. Del resto la fa
Del resto la favola hà sempre riguardati per suoi figli tutti coloro, che celebri si resero nell’artc di lavorare ferri, ra
al suo invidiabile impiego. Suoi nomi. Questo Dio oltre il suo nome, che abbastanza il distingueva, stant ecchè al dir di
martello alla dritta sua mano, colla tenaglia nella sinistra, e quel, che è più bello, svisato, e storpio ad ampi i suoi fi
visato, e storpio ad ampi i suoi fianchi, sicche ben disse chi disse, che la sua figura derogava non poco alla sua maestà.
edificare al parer degl’ auguri fuori le mura, convenevole sembrando, che in mezzo all’abitato star non dovesse il tempio d
o star non dovesse il tempio dedicato al gran Dio del fuoco. L’altro, che credesi edificato da Tazio, stava dentro i recint
onsiderabili però furono le cosi dette Lampadophores per le fiaccole, che si portavano da campioni accorsi a celebrar tali
he si portavano da campioni accorsi a celebrar tali feste, con legge, che colui, cui correndo smorzavasi la fiaccola, dritt
endo smorzavasi la fiaccola, dritto più non avea alla corsa, e colui, che ceduto aveva altrui nel corso, in segno della per
suo piacere l’effetto. Diede quindi a suo tempo alla luce un bambino, che sebbene d’un origine si gentile fosse parto ; pur
gine si gentile fosse parto ; pur tanto terribile, e fiero addivenne, che il solo suo nome riempiva di spavento ogni cuore,
tenuto. Sua contesa con Nettuno. Celebre fù la quistione, e la lite, che ebbe questo Dio col suo zio Nettuno. Egli per vin
se Marte le sue ragioni, cosi attempatamente giustificò la sua causa, che per giudizio della più sana parte di quei giudici
giudici ne venne onorevolmente assoluto. Da un tal successo ne venne, che quel luogo d’indi in poi fù chiamato la collina d
le nozze, e perciò nessun’altra si elesse per sposa, fuorchè Nerione, che nel Sabino linguaggio significa forza, benchè per
ali presedeva riconosciuto fù questo Nume. Ei chiamavasi Mavors nome, che secondo Varrone indica magnificenza d’imprese, qu
ta : Ab hastae vibratione. Nominavasi finalmente Quirinus da quiris, che significa lancia, per cui i Romani si dissero Qui
gallo qual simbolo di vigilanza al suo fianco, preceduto dalla fama, che con spaventevole mormorìo ne annnnziava da per tu
, feste in suo onore, e culto ; benchè forse non minore era il culto, che da’ Romani a lui si prestava, si per amore del lo
to, che da’ Romani a lui si prestava, si per amore del lor fondatore, che per timore delle loro battaglie. In suo onore inv
ificii a questò Nume, non altra vittima svenar si dovea in suo onore, che sol quella, di cui prendevasi piacere ; quindi il
indi il toro, il verre, l’ariete, il cavallo quelli appunto si erano, che da religiosa destra si apprestavano a suoi altari
sero stati a Marte graditi, può congetturarsi dalla generale ragione, che assegna Latt. lib. I de Fals. Rel. Cioè, che ad o
dalla generale ragione, che assegna Latt. lib. I de Fals. Rel. Cioè, che ad ogni Dio per quanto era possibile deputavasi u
e appunto si era, potendosi applicare a tal proposito quella ragione, che porta Ovidio nell’ enarrar la causa, per cui il s
e, furbo, e astuto Col caduceo in man, col piè veloce, Che vola allor che passa, e resta muto Qualunque nel parlar abbia pì
lante consociata con Giove, si grazioso comparve nelle sue sembianze, che Giunone tuttochè dignitosa rapita dalla sua rara
se ad abbracciarlo, e si degnò di somministrargli il suo latte(1) dal che forse ne avvenne, che egli intempestivamente acqu
si degnò di somministrargli il suo latte(1) dal che forse ne avvenne, che egli intempestivamente acquistò tal’ ammirabil vi
mpestivamente acquistò tal’ ammirabil vigorìa di spirito, e di corpo, che di poche ore appena nato d’una morta testuggine t
e mani un caduceo ornato da due attorcigliati serpenti, per dinotare, che siccome al tocco di sua verga i due colubri duell
orre in nuovi corpi, giusta la dottrina della Metempsicosi, le anime, che compiute avevano negl’Elisii campi il prefisso lo
rodi è nominato Dio de’ ladri : perchè abile a conciliare si gli Dei, che gl’ uomini fra loro, ambasciator di pace s’appell
oi figli. Quali siano stati i figli di questo Dio, con parsimonia par che ne scrisse la Mitologica penna. Tolto Ermafrodite
parsimonia par che ne scrisse la Mitologica penna. Tolto Ermafrodite, che ebbe da Venere, come dimostrano le stesse parole
ità non si scorge. Poco verisimile per altro sembra, come questo Dio, che per ragione delle sue occupazioni sempre aggirava
sioni più belle, non abbia ancor commesse le sue galanterie. Sia però che le stesse facende col sottrargli il tempo, avesse
avessero del pari distolti da queste cose i suoi pensieri, oppur sia, che come invaghito de’ furti di robe, brigato non sia
si de’ furti di onore, io non oso, ne posso di esso affirmare quello, che la favola istessa di lui non disse. Suo culto. R
ta l’antico costume de’ Megaresi. Famiglia inoltre in Roma non v’era, che privatamente ancor non l’onorasse, mentre avendo
venture assai spesso inseguire i più rinomati Eroi, e miriam sovente, che chi per qualche dono di natura infra gli altri si
imilmente si rivolse contro Niobe, regina di Tebe, moglie di Anfione, che superba per la numerosa sua prole sprezzato aveva
e sprezzato aveva di lui la madre Latona fino a frastornare le feste, che facevansi in suo onore, ammazzandole a colpi di f
Peneo, la quale burlandosi de’suoi amori fin a tal segno lo spregiò, che benchè da lui dopo lungo cammino presso la sponta
ormata in alloro da suo padre istesso da lei chiamato in soccorso,(1) che vittima addivenire degli ardenti suoi amori. Le s
a Bolina, mentre questa amò più tosto abbandonarsi nel seno del mare, che nelle braccia lasciarsi dell a passione di lui, c
el seno del mare, che nelle braccia lasciarsi dell a passione di lui, che in sembianza di tenero amante l’era apparso. Leuc
seppellire la figlia Leucotoe, restando perciò si addolorato Apollo, che non potendo salvarle la vita, la cambiò in segno
intanto questa sposa trasse al suo fianco sì Climene figlia di Teti, che Coronide figlia di Flegia, da cui ebbe in figlio
he Coronide figlia di Flegia, da cui ebbe in figlio quell’ Esculapio, che istruito nell’ arte medica da Chirone sì valente
istruito nell’ arte medica da Chirone sì valente in quella addivenne, che valse a richiamar alla vita Ippolito figliuol di
premure della gran dea Diana. Sue dissavventure. Un tal figlio però, che riuscir dovea pel padre un bel motivo d’allegrezz
ndo pei furti dell’ astuto Mercurio locò la sua opera (non altrimenti che fece Nettuno) a Laomedonte Re di Troja per la gra
r vendicarsi costui dell’ ingiuria ricevuta da Epafo figlio di Giove, che detto gli aveva di non esser egli figlio di Apoll
genitore a tal dimanda, ed imprese a distorglierlo con quelle parole, che gli mette in bocca Ovidio Magna petis Phoeton, e
io ai giusti motivi chiese l’adempimento del giuramento già fatto. Ma che All’ accorgersi i cavalli della inesperta mano in
uesti ben presto con fulmine rovesciò nell’ Eridano l’audace Fetonte, che morendo lasciò al padre in sua vece una novella e
strieri con bionda capellatura fluttuante sul capo con atteggiamento, che annunzia la sua grandezza divina, con pace inalte
i costumi, e si nobilita l’ umanità ? Da tanti buoni effetti adunque, che la gentilità delirante credeva ricevere dalle man
Sonetto G iunto a Giove germana eletta figlia D’opi funesta, che pur regna in Cielo, Che per l’ aria talor da noi
ta non fosse stata il bersaglio dello stesso vertiginoso suo genio. E che altro invero bramar più poteva per esser felice ?
degno Io, Europa, Danee, Semele, Latona, Alcmene, ed altre molte Dee, che ella afflisse non poco, sol perchè amate con tene
on s’ arrossiva di commettere atti di umiliazione i più denigranti. E che in vero non fece per vendicarsi degli oltraggi, c
più denigranti. E che in vero non fece per vendicarsi degli oltraggi, che ella credeva d’ aver ricevuti da Trojani si per l
fanni avesse con furia diventi annegata nelle onde la nazione odiata, che nell’ Italia portavasi con intenzione di fissar q
scere agli Dei, ed agl’uomini quanto efficace il suo potere si fosse, che dubitata non avea di gareggiar collo stesso suo m
corsero a prestarle soccorso ; vano però fu il lor potere. Colui sol, che n’ era stato il molto industrioso Fabro esserne p
lora ben servendosi della occasione non pria stese le mani all’ opra, che la povera madre non gli avesse promessa, non osta
quali in gran vigore era il suo culto. Fù chiamata Cingola dal cinto, che solito era portarsi dalle spose nell’andare a pre
motivo ancora dicevasi Iuga, cioè Dea de’matrimonii. Dalla cura poi, che aveva dei bambini, che uscivano alla luce fù chia
Iuga, cioè Dea de’matrimonii. Dalla cura poi, che aveva dei bambini, che uscivano alla luce fù chiamata Lucina, e per la s
Calende però d’ ogni mese furono sempre in suo onore, non altrimenti che fù il mese di giugno, che dal suo nome credevasi
furono sempre in suo onore, non altrimenti che fù il mese di giugno, che dal suo nome credevasi così chiamato, come ancora
tugurio, ogni soggiorno. Sono i cultor del suo favor gl’ eredi, Ed o che cade il sole, o fà ritorno Regna ne campi, e all’
ue mitia terris, Prima dedit leges. Cereris sunt omnia munus. E par, che il nome stesso dice a tal proposito Cicerone chia
t, et altrix. Sue disgrazie. Fù questa Dea fregiata di tanta beltà, che gli Dei stessi restarono sorpresi dalle sue fatte
icilia dal suo zio Plutone sordo divenuto alle doglianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non che della stessa Minerva, che
ne sordo divenuto alle doglianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non che della stessa Minerva, che dicesi presente a tal f
lianze delle Ninfe, che l’affiancavano, non che della stessa Minerva, che dicesi presente a tal fatto, diè motivo alla sven
bis , e la fortuna incontro di ritrovar sul lago di Siracusa il velo, che negl’amari contrasti scappato era dalle chiome de
rano consiglio degli Dei mosso più da motivi di affetto per la madre, che di giustizia per la figlia non avesse deciso, che
fetto per la madre, che di giustizia per la figlia non avesse deciso, che sei mesi passasse Proserpina con Cerere sua madre
arla. Vittima delle sue vendette divenne invero il fanciullo Stellio, che per essersi scioccamente burlato di essa, che sta
o il fanciullo Stellio, che per essersi scioccamente burlato di essa, che stanca dal cammino, ed oppressa dalla sete con av
iante in un bosco a lei sacro fù punito con fame di sì strana natura, che ad onta di qualunque quantità di cibi non poteva
di qualunque quantità di cibi non poteva mai saziarsi, e non ostante che Metra sua figlia, divenuta un proteo, con mille t
gi, e di sua diffusiva bontà, corteggiata da uno stuolo di contadini, che festosi per le abbondanti messe a lei intorno rag
efficie della Dea simboleggiante molto al naturale i tanti beneficii, che prestava essa a mortali, chiaro si scorge, perchè
n veder le sue poppe soltanto gravose di latte in simbolo della cura, che essa ha de’ mortali può tai titoli sfacciatamente
ggi(1). Di questa festa da durare nove giorni tanta era la celebrità, che neppur gl’iniziati ad essa potevano da presso vag
ioè contemplatori ; soggetti però a si sacro, ed inviolabil silenzio, che dalla società era ben tosto bandito chiunque osav
Cap. IX. Vesta Sonetto a rime tronche. C on fiamma viva, che le splende al piè, Col volte pien di rigida virtù
iè, Col volte pien di rigida virtù, Divinità spreg evole non è ; Anzi che i n lei non può cercarsi più. Di fiori ha un sert
non è ; Anzi che i n lei non può cercarsi più. Di fiori ha un serto, che il gran Giove diè Ad ella quando assisesi lassù ;
più barbari fù sempre tenuta in gran conto la verginità, come quella, che oltremodo nobilita la condizione dell’ umana natu
ne dell’ umana natura ; in qual alta riputazione poi convien credere, che tenuta fosse la Dea stessa di quella ? Descrivase
in da’ primi albori tale affetto, e gelosia pel suo vergineo candore, che quando Giove rapito indi a poco dal suo grazioso
rame ; e quindi fatta paga de’ suoi voti, da tal entusiasmo fù presa, che dagl’ esterni segni di sua allegrezza facil era i
diffuse le scintille dell’innocente suo fuoco nel petto de’ mortali, che sentendone questi le dolci, ma possenti spinte, n
ver di essa nel cuore tai sensi di amore, di venerazione, e di culto, che per empio, e scellerato era tenuto chiunque ricus
i fiamme della cara sua Troja, tra gl’altri suoi più cari dei penati, che seco divotamente si trasse, volle, che questa Dea
ltri suoi più cari dei penati, che seco divotamente si trasse, volle, che questa Dea in particolar maniera l’accompagnatric
r maniera l’accompagnatrice fedele fosse de’ suoi incerti viaggi, non che il fabro avventuroso delle sue novelle fortune. A
roso delle sue novelle fortune. A fronte intanto di questa gran cura, che per tal Deità nudrivano religiosamente i Gentili,
er tal Deità nudrivano religiosamente i Gentili, qual maraviglia fia, che non solo intieri, e distinti tempii, ma altari an
upore se ne’ suoi tempii tanto era la compostezza de’ suoi adoratori, che anzicche essere animati sembravano insensibili st
Sacri recinti con immota pupilla pregiavansi di vagheggiar la fiamma, che bruciava in suo onore ? Qual po rtento in sentirl
suo onore ? Qual po rtento in sentirla invocata non con altri titoli, che con venerandi nomi di santa, di casta, e d’illiba
nte acceso il fuoco, e generoso privandosi dell’antica reggia, volle, che di essa un atrio si formasse da servire di soggio
ltanto al vivo espressa formava il suo tipo ; mentre le statue tutte, che dicevansi esser di Vesta non rappresentavano la n
dispensabil dovere i Gentili di onorar la nuova Vesta, non altrimenti che onoravasi l’antica, si diedero ad effigiarne in q
endo nella sinistra, detto il corno dell’abbondanza, con viva fiamma, che onorava i suoi piedi ; benchè in alcuni suoi ritr
hi fù Minerva. Giove credendo troppo ciecamente ai vaticinii d’Urano, che Meti sua moglie data avrebbe alla luce con un fan
riserbava l’impero del mondo, una bambina di tanta ; e tale sapienza, che avanti a se comparir dovea meglio assai d’un pare
non vide altro mezzo più espediente per ovviare il futuro suo scorno, che con incredibile voracità dibranare la stessa sua
allora con suo stupore uscire una bambina ben grande, e tutt’armata, che intorno a se addolorato per la terribile percossa
la vita di costui sta scritto, fù del suo onore si fortemente gelosa, che senza pietà con castighi sopraffece chiunqne non
erso di essa nell’atto di tuffarsi nelle fresche acque di Elicona ? E che altro significar volle quel cangiar in serpenti i
ionato Nettuno senza rispettare il sacro suo tempio ardi violarla ? E che altro fù il fulminar dall’alto ed infilzare a sco
nto, in cui pingevasi questa Dea ha più il terribile delle battaglie, che la piacevolezza delle muse. Mirasi al fianco d’un
a lancia ad una mano, con uno scudo sull’altro braccio, e coll’Egida, che coprivale il petto, qual forte corazza, ove dipin
sta di Medusa coverta di serpenti per capelli, giusta la descrizione, che ne forma Virgilio. Ægida, quae horriferam turbat
na collo. Suo culto Roma per onorar questa Dea di Sapienza, non men che di castità volle, che ne ciuque giorni ad essa sa
Roma per onorar questa Dea di Sapienza, non men che di castità volle, che ne ciuque giorni ad essa sacri detti perciò feste
gliasse ad ella. Febo, e Marte provar fatal quadrella Sol per costei, che dominò ogni core, Nemica di modestia, e di pudore
nti la loro stessa condizione, io non posso, ne debbo svelare quello, che nel seno dell’obblio merita essere ragionevolment
i intorno alle recile parti di Urano cadute nel mare ; non altrimenti che dal sangue dello stesso caduto a terra nacquero,
di nascita si mostruosa, e si vile, di tanta beltà comparve fregiata, che qual perla in guscio rinchiusa fù da Zefiri spint
olontà di Giunone, non altro nume fù astretta ad impalmar per marito, che il deforme storpiato Vulcano, pel quale sebbene d
con manto di porpora di diamanti trapunto, ed affibiato da uu cinto, che in se racchiudeva ogni grazia, seduta sù d’un car
be, mostrando un volto da piacevolezza infiorato, con mille bellezze, che le scherzano sul petto, col piacere, e colla Volu
e bellezze, che le scherzano sul petto, col piacere, e colla Voluttà, che se le agiran d’intorno fiancheggiata dai due Cupi
Voluttà, che se le agiran d’intorno fiancheggiata dai due Cupidi, non che dalle tre grazie, e finalmente seguita dal suo be
, perchè in Ida appunto nascose ella il giovanetto Ascanio, nell’atto che Cupido sotto le sembianze di quello ingegnavasi i
nome di Apaturia, ossia ingannatrice, e qual cosa invero più inganna, che l’amore, quale lusingando i sensi nel cuor trasme
oi strali ? fù detta finalmente Melene, cioè tenebrosa, e chi non sa, che le opre del sozzo amore amano la secretezza, e la
e impure fiamme da cuori ; però altra vittima offrir non le si dovea, che la sola colomba da essa teneramente amata,(1) e t
a,(1) e tanto si credeva affrontata se si fosse altrimenti praticato, che cangiò una volta in tori alcuni popoli di Cipro,
menti praticato, che cangiò una volta in tori alcuni popoli di Cipro, che ardirono sacrificare umane vittime in suo onore.
uo culto, o ad edificazione di sue statue convertivano quell’argento, che colla perdita del proprio onore venivano vergogno
ergognosamente a ritrarre ; anzi sacre a questa Dea dicevansi quelle, che a turpe meretricio erano totalmente rivolte, come
quelle, che a turpe meretricio erano totalmente rivolte, come quelle, che più da vicino ne sapeveno imitare le operazioni,
onvertitur usum (1). Cap. XIV. Diana Sonetto L a Dea, che cacciatrice, e Vergin casta Venne chiamata, e ins
cciatrice, e Vergin casta Venne chiamata, e insiem Diana detta, Allor che notte al viator sovrasta Luna nomata è in ciel be
fetta. Negli abissi tien reggia orrenda, e vasta, Proserpina si dice, che vendetta Soltanto agogua Enea deposta l’asta Il r
caccia col seguito di ben sessanta Ninfe figliuole dello Oceano, non che di venti altre verginelle, che la cura avevano de
anta Ninfe figliuole dello Oceano, non che di venti altre verginelle, che la cura avevano del suo campestre equipaggio ; qu
l suo candore obbligò alla più stretta, e perfetta Verginità in modo, che accortasi un di della debolezza di Calisto figlia
sol fuggiva le conversazioni degl’uomini, ma quelle occasioni ancora, che in qualunque maniera potevano svegliarle nel seno
seno l’abborrito piacere del senso. Sue vendette. Da ciò ne avvenne, che implacabile mostravasi contro chiunque sembravale
vertivasi alla caccia data libertà a suoi occhi di mirare questa Dea, che insieme colle sue Ninfe si tuffava nelle acque, v
Opi sua Ninfa ne è un luminoso attestato. Non men però del suo onore, che di sua purezza fù molto gelosa Diana. E che altro
n men però del suo onore, che di sua purezza fù molto gelosa Diana. E che altro infatti significar essa volle quando spedi
le a desertare le Campagne del re di Calidone Eneo ? Il poco rispetto che ebbe questi per essa nell’escluderla dalle offert
ia di Dedalione Chione senza farle più articolar parola ? La temerità che ebbe di attaccar con disprezzo la sua beltà fù la
re de’riposi, ne avvi pianta in selva, erba in prato, fiera in bosco, che non ne senta il valore. Per questi, ed altri innu
tto. Suo ritratto. La effigie di questa Dea ha più del boschereccio, che del Divino. Pingesi ordinariamente assisa sopra u
e quindi Colonia degli Ateniesi, e de’Ionii si nobilitò a tale segno, che fra le Città della Ionia, dopo Mileto, fu la più
mortal previene, Sordo agl’affanni altrui, sordo alle pene, E tutto, che egli vuol tutto, è preciso. Libro eterno sostien
o sostien con mano ardita, In cui scritto a carattere Divino Sta quel che fia di qualsivoglia vita. Alcun non giunge al fat
nque cagione, dissero i gentili il destino. Da questo pensarono essi, che pendeva ogni cosa, e che nessun mezzo vi era per
entili il destino. Da questo pensarono essi, che pendeva ogni cosa, e che nessun mezzo vi era per eluderne la forza. Quindi
ogni cosa, e che nessun mezzo vi era per eluderne la forza. Quindi è, che domandato un dì Talete qual cosa fosse la più ins
i Dei : onde in più luoghi i poeti ci descrivono le loro querele, non che i lamenti dello stesso Giove, così in Lucano : M
Giove, così in Lucano : Me quoque fata regunt. Da ciò intanto si fù, che disperando i. gentili di commuovere la inflessibi
inioni. A mio credere più plausibile sembra il parere di chi afferma, che la prosperità dell’empio, e la infelicità del giu
venti, di leggieri s’indussero a credere tal’inevitabile fato. E par, che il ritratto istesso, che ne fecero più da vicino
ssero a credere tal’inevitabile fato. E par, che il ritratto istesso, che ne fecero più da vicino ci scnopra il loro ideato
tto istesso, che ne fecero più da vicino ci scnopra il loro ideato. E che altro vollero essi intendere col pingerlo tutto t
perchè non era mai da piegarsi a qualunque siasi prece, e sospiro ? E che altro pretesero col pingerlo bendato, se non che
prece, e sospiro ? E che altro pretesero col pingerlo bendato, se non che la sola nccessità aveva nel suo governo per guida
ato, se non che la sola nccessità aveva nel suo governo per guida ? E che altro dargli nelle mani quel libro, ove scritte e
i nelle mani quel libro, ove scritte erano le sorti di ognuno, se non che ad onta di qualunque circostanza il tutto avvenir
a il tutto avvenir dovea, come appunto stava quivi descritto ? Vero è che i Dei avevano la facoltà di leggere in quel libro
i squarci si spiegano non pel fato detto il destino, ma per la forza, che in se serba la natura di produrre questo, e quell
l di Virg. Æneid. 4. Nam quia nec fato, merita nec morte peribat, non che quel di Cicerone in 1. Phil. Multa autem impender
tirpe altera, Fabro d’ogn’avvenir, d’ogn’possanza : Il Nume è questo, che ogni Nume avvanza, Da cui vien la genia, che in C
anza : Il Nume è questo, che ogni Nume avvanza, Da cui vien la genia, che in Ciel impera. La sua possanza un dì troppo seve
la genia, che in Ciel impera. La sua possanza un dì troppo severa Par che a figli togliesse ogni speranza, Ebbe primo nel c
di Titea, si indocile si dimostrò nei consigli, sì fiero nei tratti, che non sol si fè usurpatore del Regno dovuto a Titan
armata sorprese lo stesso suo padre, e devirollo. Quello stesso però, che fece egli a suo padre fatto gli venne da uno de’
, gli incivilizzò in modo i sudditi, gli benedisse in guisa la terra, che fra quelli ammirossi una inalterabile pace, e nel
ebant (1) Suo ritratto. La sua immagine però ha più dell’orribile, che del di lettevole. Rappresentasi egli qual grinzo
corso sempre uniforme, e costante. Singolari furono si nelle offerte, che nel modo di ofrire i sacrificii istituiti in onor
rchè si deliziava non poco del sangue umano, perciò non altra vittima che umana gli si doveva sacrificare sugli altari, ove
ri Dei del tutto sua propria(1). Sue feste. Celebri furono le feste, che dal suo nome vennero dette Saturnali istituite o
pace, e della guerra, Che sa riunir in lui speranza, e tema. Egli fa che il mortal vacilla, e trema Quando le porte del fu
furor disserra, E quando il sacro olivo innalza, e afferra. Ê cagion, che il mortal di più non gema. Accoppia in lui due be
razione e sviluppo Chi fù Giano. Se è vero, come pur troppo lo è, che le opere di beneficenza, e di pietà assomigliano
trono renderonsi tributaria la benevolenza di quel Nume a tal segno, che in grazia di costui non sol vide egli nel suo reg
ese. Stabilita così la sua fortuna l’incomparabile Giano ben sapendo, che la vera gloria, e la perenne felicità per dono de
ottime qualità ammirando i sudditi spettatori per un Nume più tosto, che per loro Re lo canonizzarono benchè ancor vivo.
ivo. Suo ritratto. Molto indicativo delle sue qualità è il ritratto, che la Gentilità ne costrusse. Rappresentavasi egli a
e del futuro, di cui in grazia del detto Nume andava egli fregiato ; che se talvolta con quattro facce raffigurato si mira
gurato si mira, presa è l’allegoria dalle quattro stagioni dell’anno, che sotto la sua protezione scorrere comunemente si c
pace, ed aperto soltanto nelle circostanze di guerre ; onde avvenne, che in lode di qualche vincitore Romano soleasi dire 
Gl’uomini, e i Numi a rea battaglia sfida Flagello del mortal fin da che nasce. Cieco chi il siegue a precipizio guida, Eg
cipizio guida, Egli è tormento all’uom fin dalle fasce : Folle colui, che a un Nume tal si fida. Dichiarazione e svilup
Dichiarazione e sviluppo. Fra i tanti moltiplici diversi Dei, che finse la delirante Gentilità Nume non avvi al mon
o scppe il cielo, ove inoltrando appena la incontrastabile sua forza, che già mosse a tumultuosa discordia tutti ad un trat
rilegato in terra un tal seducente Nume a fargli mietere quelle pene, che seminato aveva nel Cielo, non avrebbero al certo
a chi mai spiegar potrà le tante sue causate ruine ? Virtù non vi fù, che dal impetuoso suo soffio non fosse restata abbatt
al impetuoso suo soffio non fosse restata abbattuta ; mente non evvi, che da vezzosi suoi diletti non fosse rimasta infatua
vezzosi suoi diletti non fosse rimasta infatuata ; cuore non mirossi, che da dolci suoi strali non fosse stato corrotto. Co
ietro al suo carro portò superbo incatenato ogni cuore. Quindi si fù, che in ogni tempo non mentitrice la fama assordò la t
n tal figlio appena nato. A questa quindi attribuir si deve la colpa, che per sottrarre al giusto sdegno del regnator dell’
ue carezze gli daranno la morte, e tutto odio alfin trovera quel Dio, che amore con delce voce egli appella. Cap. XVII.
sè stesso a soffrir non è bastante. Si cruccia, si addolora, e avvien che morda I labbri spesso nel dolor caduto, E co’ mug
Chi fù Plutone. Riconobbe Plutone da Saturno, e da Opi non altrimenti che Giove, e Nettuno suoi germani fratelli gli alti g
el suo ammirabil potere su i morti Dea in sorte incontrar non poteva, che accettato l’avesse in marito. La sua deformità, l
penurie quivi galleggianti erano i giusti motivi dei villani rifiuti, che di tratto in tratto dalle pretese Dee riceveva, e
erpina con infame ratto attirata non avesse al suo seno, io mi credo, che scompagnato, e solo rimasto sarehbe perpetuamente
l’orrore ? Orrore formavano i tre giudici Minosse, Eaco, e Radamante, che là nel campo della verità fra il tartaro, e gl’El
evano le tre furie Tisifone, Megera, ed Aletto dette Erinni da Greci, che aggirandosi intorno al trono del lor Sovrano scar
a delle prescritte sentenze. Orrore presentavano i miseri condannati, che in diversi, ma severi modi dilacerati, e trafitti
o antiche reità, ripetendo con singhiozzi ne’ loro tormenti le parole che li mette in bocca Virgil. Eneid. 6. Diseite iusti
mnere Divos. Orrore facevano le tre parche Cloto, Lachesi, ed Atropo, che tutto di aggirandosi intorno al ministero del tre
Orrore finalmente recava quel cerbero custode del tartareo ingresso, che impugnando le tre terribili sue teste armate di a
nell’altra le terribili chiave, dette le chiavi della morte in scgno, che nessun del suo regno disserrar mai più poteva que
ic labor est. Virg. Æneid. 6. Suoi sacrificii. Il timore più tosto, che l’affetto sembra aver spinti i mortali a far sacr
oglie coronato Senza provar dolor scherza sovente Con due gran tigri, che gli sono allato. Conforto dell’afflitto, ed impot
la gelosia sia il fomento d’ogni fallo, chiaro può scorgersi da quel, che avvenne a Semele disgraziata madre di questo Dio.
le disgraziata madre di questo Dio. Mal soffrendo l’iraconda Giunone, che Giove suo fratello, e marito spesso con questa di
alle materne sventure avrebbe quegli pria chiusi gl’occhi alla morte, che aperti li avrebbe alla vita. Scorgendo impertando
turo impietosito aprì una sua coscia, e quivi l’inchiuse fino a tanto che giunto non fosse alla perfezione richiesta. Tratt
nde questo Nume diè troppo chiari segni di sua arditezza si in cielo, che in terra ; ivi nel combattere coraggioso contro i
stesso in soccorso : benchè per altro si generoso portossi co’vinti, che sembrò averli conquistati con animo più tosto di
vinti, che sembrò averli conquistati con animo più tosto di giovarli, che di recarli alcun male. Sue vendette. Tali viscer
vendetta. I frutti di sua collera sperimentò e un Penteo Re di Tebe, che per aver impedito le sue feste fù dalla Madre ist
r cagion di questo Dio infuriata miseramente trafitto ; e le Meneidi, che per aver lavorato nel giorno delle sue feste, ebb
or forma col divenir pipistrelli ; e finalmente un Licurgo di Tracia, che per aver voluto distruggere le viti sacre a quest
so, e grappoli di matura uva additando nell’altra. Da ciò ne avvenne, che le Baccanti nel sollennizzar le sue feste al par
e sue feste al par del lor Dio si adornavano si della pelle di tigre, che del fresco tirso ; onde dalle esterne insegne, e
egge con maniere accorte. Colla materna man sparge ogni bene, Di ciò, che vive ella si fà sostegno, E tutti toglie all’aspr
lla l’avventurata madre della maggior parte degli Dei i più gloriosi, che abbia veduto l’olimpo, detta perciò Mater Deum :
arii corpi, come non pingere assisa su ben ordinato carro quella Dea, che per la terra istessa comunemente fù presa ? Se fe
a, che per la terra istessa comunemente fù presa ? Se ferocia non fù, che dalle sue tenerezze non fosse stata’già vinta, co
. Poco convenevoli però erano alla maestà di questa Dea le cerimonie, che precedevano, e seguivano i sacrificii della troia
seguivano i sacrificii della troia, del toro, e della capra animali, che svenar si doveano nelle Megalesie feste in suo on
me Almone la sua statua detta venne Lavazione. Gli osceni canti però, che non saprei dire se per onore, o per profanazione
to aspra Regina, Che la sua possa dispietata impiega Contro l’abisso, che discioglie, e lega, E spesso avvolge in più fatal
i fù Proserpina. Nata essa da Giove, e da Cerere altro affetto parve, che non nutrisse nel seno, che il solo deliziarsi di
da Giove, e da Cerere altro affetto parve, che non nutrisse nel seno, che il solo deliziarsi di fiori, e perciò ben sovente
e spiagge. Vide quivi con suo piacere un drappello di vaghe donzelle, che deliziavansi in raccogliere diversi fiori in quel
qualità di sposa sul trono(1). Scorgendo impertanto l’addolorata Dea, che tutte le premure dell’afflitta Genitrice altro in
ll’afflitta Genitrice altro in tutto non le avevano potuto impetrare, che una dimezzata libertà, come cel descrive Ovid. Et
cendo di tratto in tratto l’a more divenne al fine di esso sì gelosa, che ravvisandolo con soverchia parzialità trattar col
utta penetrata da sentimenti di orgoglio, e di fierezza a tale segno, che nell’essere agitata dalle sue furie aggiungeva st
iffuso era il culto di questa Dea. Il più speciale è da dirsi quello, che ottenne nella Sicilia sotto il titolo di fecondat
sotto il titolo di fecondatrice della terra, e tanto era il rispetto, che quel popole nudriva per essa, che il giuramento d
lla terra, e tanto era il rispetto, che quel popole nudriva per essa, che il giuramento dato in suo nome non solo era il pi
a il più solenne, ma il più inviolabile ancora, sicche la sola morte, che vale a rompere ogni ligame, poteva esimere delle
atamente lo neghi. Le ammirabili sue qualità, ed i prodigiosi effetti che sotto le diverse sue specie ne’ mortali mirabilme
nder di leggieri all’alto monte della immortalità, e della gloria. Ma che il vizio poi degno sempre di vitupero, e d’infami
il vizio poi degno sempre di vitupero, e d’infamia si per sua natura, che per le funeste sue conseguenze fosse stato da que
o le diverse sue forme, io al certo non l’intenderei se non pensassi, che non forza di amore, ma il timore forse di essere
ossequio. Capitolo I. Verità Sonetto C hi è mai costei, che eterna maraviglia Desta nell’alma, e l’incoraggia
araviglia Desta nell’alma, e l’incoraggia, e guida ? Chi è mai costei che ogni periglio sfida, E nel sembiante agli Angioli
glio sfida, E nel sembiante agli Angioli somiglia ? Chi è mai costei, che la ragion consiglia, Nuda del tutto, e in pochi c
onsiglia, Nuda del tutto, e in pochi cor s’annida ? Chi è mai costei, che ad un cristallo affida Le proprie forme, e al ret
ffida Le proprie forme, e al retto sol s’appiglia ? Chi è mai costei, che da ciascuno odiata Se stessa a palesar giammai no
rezzata. Che del par lieta in calma, ed in tempesta Figlia del tempo, che l’aspetta, e guata. Sappi mortal, la Veritade è q
ua semplicità, e schiettezza. Porta in mano uno specchio per additar, che essa non può esser guardata, che da se stessa sol
ta in mano uno specchio per additar, che essa non può esser guardata, che da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, c
ò esser guardata, che da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, che aspetta, perchè al solo tempo si appartiene scovr
olo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale, al par del sole, che può essere intercettato, ma non mai suffocato dal
oce a lui presente, Nè pur cangia del volto i bei colori : Dà il pan, che mangia in bocca al rio serpente, Quindi scherza c
ceettuati i bambini con poche anime avventurate per la divina grazia, che le cinge, e sostiene, un tal candido giglio oggi
o si serba ? Che poi il detto fanciullo si pinge presso orrido Drago, che con mano di amore del proprio pane alimenta, ques
di amore del proprio pane alimenta, questo troppo chiaro ci scuopre, che la innocenza non sa temere perigli ad onta d’ogni
nza, bisogna pur non perderci di animo nelle comuni sventure, ma far, che siccome il disordinato affetto ce la tolse, un be
di essa, ed operi sempre a tenore de’suoi dettati se non vuol trovar che temere nel dì de’suoi conti. Prenda dunque in buo
ies propitiationem. Capitolo IV. Pace Sonetto D onna, che vince i pregi di Natura, Che porta al crin serto
zze a dismisura, Che fanno della terra ampio ristoro. Nell’altra man, che spinge all’uom sicura Porta l’olivo con gentil la
scorno d’ogni sinistro accidente non fa provar disturbo a quel cuore che caramente l’alberga. Le ricchezze poi, che versa
ovar disturbo a quel cuore che caramente l’alberga. Le ricchezze poi, che versa con una mano, e l’olivo, che porge graziosa
mente l’alberga. Le ricchezze poi, che versa con una mano, e l’olivo, che porge graziosa coll’altra sono i simboli di quei
graziosa coll’altra sono i simboli di quei veraci, e permanenti beni, che la stessa nel mondo sa mirabilmente produrre. Da
perchè essa è nel mar della vita un’ abil nocchiere. La cicogna poi, che fingesi tener stretta a suoi piedi manifesta ben
el naturale gentil suo genio nel carattere appunto di questo uccello, che sempre più sollecito vive nell’allevare i suoi fi
e sempre più sollecito vive nell’allevare i suoi figli. Or se è vero, che la pietà al dir di Cicerone 2. de orat. Offre seg
can svelto, e giulivo. Tien nell’altra una picca, e l’occhio vivo Par che penetri il core, e in quel favella Nella semplici
dolce piacer le sue ritorte. Da leï ogni virtù mortale impara Questa che rende appien dolce ogni sorte E fedeltà che al mo
rtù mortale impara Questa che rende appien dolce ogni sorte E fedeltà che al mondo d’oggi è rara. Annotazioni. Molto
di ulivo perchè la sola fedeltà vince ogni ostacolo. Lattortora poi, che stringe nella mano ed il cane che costane si tien
ince ogni ostacolo. Lattortora poi, che stringe nella mano ed il cane che costane si tiene dietro i suoi passi son verament
ata si scorge tutto é per far fronte alla menzogna, ed alla calunnia, che la vorrebbero conculcata, e depressa. Ma oh nostr
bella gioia in quanti cuori ricetta ? Io nol sò ; sò però assai bene, che Salomone nè Proverbii al 20 quasi sbalordito a ta
a qual Sol dell’ali cinta Fugace, ma la segue il mondo tutto, Sembra, che al ben d’ognun si mostri accinta ; Ma non ascolta
vita, primo, ed ultimo conforto degli uomini pingesi qual vaga donna, che con una mano spinge ognuno ad ogni benchè ardua i
nge ognuno ad ogni benchè ardua impresa ; perche la sola speranza fa, che vadino in nanzi, e proseguano costanti nelle loro
proseguano costanti nelle loro opre i viventi. Quel vaso vuoto però, che nell’altra mano ella stringe oh quanto vale a dis
to vale a disingannarci, mentre un tal simbolo troppo chiaro disvela, che essa molto promette, e poco, o nulla concede. Se
la, che essa molto promette, e poco, o nulla concede. Se è vero però, che solo chi in Dio spera non resta giammai confuso,
speranze negli uomini fallaci, ma sol confidare in quel Dio verace e che à suoi confidenti promette con infallibil parola
enti lumi Vittima geme di fatal dolore Presso una rea prigion sembra, che muore Ancorchè invoca indarno vomini, e Numi. Ver
ondo i rei costumi. E per mostrar d’amor l’opra più bella Al vecchio, che per fame è fatto un gelo In bocca dà la filïal ma
on sì nobil zelo, Mortal la mira, e dì a ciascuno è quella La carità, che sol si trova in Cielo. Annotazioni. Le dot
ontristata donzella piangente alle carceri del disgraziato suo Padre, che col proprio latte nudrisce per prolungargli la vi
iunque hà letto nelle istorie romane un tal fatto. La esperienza poi, che molto chiaro si scuopre qual poco conto oggi si f
è stata la ragione, per cui nella morale del sonetto si è conchiuso, che essa nel cielo soltanto riconosce il soggiorno. Q
que ognun nel cuore si necessaria virtù, ricordandosi sempre di quel, che scrisse agli Ebrei al 13. l’Apost. S. Paolo : Car
ordin bello Non inganna d’alcun mai la speranza. Providenza è costei, che fa sereno L’uom, che con essa ogni travaglio sfid
na d’alcun mai la speranza. Providenza è costei, che fa sereno L’uom, che con essa ogni travaglio sfida, Chè il materno suo
versale suo governo ed impero ? Or se tanto seppero ideare i Gentili, che poi, dobbiamo noi dire della providenza di quel D
is. 1. Petr. ? Capitolo X. Amicizia Sonetto D onna, che abbraccia un sempre verde alloro, Che alla sinist
rte proterva ; Ecco l’emblema di amicizia vera, Che ognun la vanta, e che nessun l’osserva. Annotazioni. L’alloro, e
l di Salomone Prov. 20. Virum fidelem quis inveniet ? Se è vero però, che Dio non teme chi il prossimo con sincerità non am
si bella virtù tanto da Dio inculcata per essere così amici di colui, che disse Ioan. 15 Vos amici mei estis si feceritis,
La misericordia virtù veramente divina pingesi in figura di donna, che preme la destra sua mammella in bene degli altri,
. 21. Capitolo XII. Allegrezza Sonetto D onna gentil, che immota ognor si stà, Nè per stanchezza mai raffre
ne forma un Rè. Con la man destra un’ ancora poi fà Fissare al suol, che mobile non è, Chi questo bel problema scioglierà
che mobile non è, Chi questo bel problema scioglierà Scorgerà quello, che non trova in sè. Donzellette, e fanciulli in ogni
pronunzia il sì Tal’emblema palese or io vi fò, Allegrezza è costei, che in me finì Amica de’ fanciulli, e a vecchi nò.
se di giungere al desiato lor lido. La migliore, ed unica allegrezza, che possa assaggiare un cuore non è, nè può essere qu
llegrezza, che possa assaggiare un cuore non è, nè può essere quella, che risulta dal possesso de’ beni mondani, come quell
ssere quella, che risulta dal possesso de’ beni mondani, come quella, che sempre è mista col dispiacere, giacchè sta scritt
ore miscebitur, et extrema gaudii luctus occupat ; ma quella sibbene, che viene da Dio, onde Isaia al 6. diceva. Gaudens ga
cia amabile, e divina Spirano di contento aure serene. All’altra man, che verso terra inchina Hà corno eletto, che ogni ben
aure serene. All’altra man, che verso terra inchina Hà corno eletto, che ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso in
so terra inchina Hà corno eletto, che ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dol
che ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dolci catene. Spirano i gesti suoi o
o i gesti suoi ogni dolcezza, La sua voce nel cor piacer rinnova, Tal che in lei stà riunita ogni bellezza. Ogni contento l
ni. La felicità mostra per sua insegna il caducco, onde designare, che con quello essa raddolcisce, e quasi addormenta o
o ancor fisico. Addita inoltre il corno dell’abbondanza qual simbolo, che niente manca a chi è felice. Ma chi mai è felice 
felicità ; ma di tutte una sola mi appaga, quello cioè esser felice, che a Dio fonte di felicità sol vive, ed in lui centr
to chiede ; Benchè talor confonda il falso, e il vero. Fama è costei, che ognun le presta fede, I morti, e i vivi svela al
ro. E chi amica non l’hà spento si vede. Annotazioni. La fama, che veloce correndo dall’uno all’altro polo delle alt
nte della verità, e della mensogna, come simboleggiano le due trombe, che le adattarono alle mani. Essendo dunque così proc
renda nel mondo glorioso, ed immortale il nostro nome, memori di quel che scrisse l’Eccl. al 41 15. Curam habe de bono nomi
alata il piè veloce Rapida muove, si presenta, e fugge, Come Meteora, che le selve adugge, Passa come passar suole una voce
ssar suole una voce. Crinita fronte porta, ed è precoce Il suo favor, che se al mortal mai sfugge Non più ritorna, e l’uomo
n modo strano. Covre questo del bene ogni sembianza, Ecco l’Occasïon, che l’uomo invano Che torni a voti suoi tien più sper
una crinita fronte, e tutta calva da dietro, onde ognuno avvertisse, che se ella fugge vano è tentar di afferrarla. Porta
Porta il rasoio, perchè con quello recide ella la speranza di colui, che incauto la lasciò scappare. Assai dì più mostra q
colui, che incauto la lasciò scappare. Assai dì più mostra quel velo, che innalza, mentre con esso velando gli occhi fa sì,
stra quel velo, che innalza, mentre con esso velando gli occhi fa sì, che l’uomo non ri accorga della occasione offertasi,
unque così impari ognuno a non lasciarsi fuggir di mano le occasioni, che presentansi atte a promuovere i suoi vantaggi, e
atte a promuovere i suoi vantaggi, e molto più quelli dello spirito, che unicamente importano, ricordandosi sempre di quel
dello spirito, che unicamente importano, ricordandosi sempre di quel, che scrisse Isaia al Cap. 55. 6. Quaerite Dominum dum
nti. Or la penna, or l’aratro, ed ora a venti Dispiega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al
Non tragge mai da suoi sudor contenti. Rapido a questo, e a quel par che s’appiglia, Par che di tutto prende ei sol govern
uoi sudor contenti. Rapido a questo, e a quel par che s’appiglia, Par che di tutto prende ei sol governo Ratto così che fa
par che s’appiglia, Par che di tutto prende ei sol governo Ratto così che fa inarcar le ciglia. Il nemico comune in esso io
glio all’nom compagno eterno. Annotazioni Il descritto atleta, che in mezzo a tanti laboriosi, e diversi esercizii i
rso al cor verace inferno. Annotazioni Il carnefice più crudo, che dilacera l’uomo veramente è il rimorso. La imagin
l’uomo veramente è il rimorso. La imagine di questo sventurato uomo, che stringesi un serpe al seno, e per disperazione vu
al seno, e per disperazione vuol abbeverarsi di quel mortale veleno, che serba appunto in un vaso, onde compiere gli angus
sia, e con quanta ragione verace inferno si appella. Se è vero però, che il vero rimorso è la funesta ricordanza del male
la propria mano. Mortal rifletti a un sì fatal modello, Se vuoi saper che asconde un tale arcano : Collera è questa di cias
uale eccesso è capace questa belva quando è stizzita, e quel pugnale, che con forte braccio crudelmente ella vibra non indi
crudelmente ella vibra non indica forse ben chiaro le mortali ferite, che apre essa nel cuore ? Se dunque tanti danni cagio
llo di se stesso rammentandosi in qualunque dura circostanza di quel, che scrisse Giobbe al 5. Virum stultum interficit ira
ïa cautamente accorta. Alza un’ardente face, e il mondo intero Mentre che incende il suo furor conforta : Volubil ruota è a
furor conforta : Volubil ruota è a passi suoi di scorta, Ed un timon, che scorre il salso impero. Livida spuma il crudo lab
ola, e s’affretta Di sangue intrisa, e di veleno aspersa Miser colui, che nel suo sen ricetta Questa ad opre di sdegno ogno
vendetta. Annotazioni Il flagello di vipere, e la face accesa, che nelle sue mani stringe la vendetta ben dimostra i
do suo genio di distruggere quanto mai le si para d’avanti. La ruota, che le guida i passi simboleggia la prestezza del vin
del vindicativo nel compire suoi rei disegni, ed il timone dimostra, che essa si aggira da per tutto in mare ed in terra p
to mostro da evitarsi basta il solo esempio dell’ Imperatore Augusto, che al dir di Svetonio : Nihil obliviscebatur praete
raeter iniurias. Questo fatto varrebbe a confondere ogni vindicativo, che per dar la vinta alle sue passioni dietro si butt
tema, il lutto. Cadono a piedi suoi diverse Torme, Ecco la Crudeltà, che atterra il tutto ; E fra i spenti da lei tranquil
tà de’suoi colori bisogno non ha di spiegazione. Sol dunque aggiungo, che quella succinta, e lacera veste, di cui ella si a
era veste, di cui ella si ammanta simbolo è del bestial suo naturale, che laddove essa non può tormentare gli altri contro
vella Ma il suo parlar riduce a orrendo stato. Tarlo è la lingua sua, che il tutto rode, Raro la forza sua riman delusa, Cu
che il tutto rode, Raro la forza sua riman delusa, Culunnia è questa, che del mal sol gode. Della credenza altrui tiranna a
per tal cagione poi un serpe si mira escirle di bocca. L’uomo ignudo che seco trascina è l’emblema dell’infelice calunniat
dell’infelice calunniato. La face cinta di serpi descrive il guasto, che nelle famiglie essa induce. Compiangendo si dice,
rive il guasto, che nelle famiglie essa induce. Compiangendo si dice, che accusa, perchè è suo proprio vestire col manto de
ari ognuno ad abbominar tal mostro, se vuol essere amico di quel Dio, che per Geremia al 7. così si protesta : Advenae, et
ta, Che il suo deforme in ricco ammanto cele, Porta una benda in man, che gli occhi vela Ad ognun, cui favella assai melata
re d’ognuno cautamente guata, L’altrui virtù come delitti svela, Par, che teme, ed ardisce, suda, e gela Mentre il suo gran
li suoi palesa. Costei, mortale, è d’ogni mal radice, Frode è questa, che tien la rete tesa, E chi la scampa si può dir fel
osero i Gentili nell’esprimere la frode mercè la immagine d’un drago, che nascosto l’orribil sembiante sotto le dolci divis
di questa più espressiva per indicar la rea qualità de’ fraudolenti, che con bel garbo, e dolci lusinghe eseguono i loro i
e dolci lusinghe eseguono i loro infernali disegni ? Se è vero però, che le labbra ingannatrici son l’abbominio di Dio Pro
i, Stragge, e rüine annunzia in tutte l’ore. Porta un mantice in man, che desta ardore, Ed un flagel per fulminar le genti,
uria peggiore. Corre per tutto, ed infiammar procura Popoli all’armi, che crudel li desta, Vaga solo di pianti, e di sventu
corre presta, Tutto rivolge, e a danni ognor s’indura : Trema mortal, che la discordia è questa. Annotazioni. Chi no
izzare contro uno l’altro uomo ; vera madre d’iniquità ! Noi adunque, che figli siamo di quel Dio, che al dir dell’ Apost. 
o ; vera madre d’iniquità ! Noi adunque, che figli siamo di quel Dio, che al dir dell’ Apost. 1. Cor. 14. Non est dissentio
ttò mai, ne vide usbergo, Ecco dell’uomo l’avversaria antica Miseria, che in abisso hà il proprio albergo. Annotazioni
s’intendano le triste sue conseguenze ; le altre caratteristiche poi, che l’accompagnano son la chiara divisa della pigrizi
nell’ Inferno, perchè quivi a poeti piacque collocarla. Vorrei però, che l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire
erò, che l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire la povertà, che al dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è
riste sue conseguenze sou troppo chiaramente dipinte. Se però è vero, che la morte è conseguenza della vita, impari ognuno
di togliergli la vita gliela fa cambiare in migliore secondo quello, che stà scritto Sap. 4. Justus si morte pracoccupatus
etti rappresentanti le stagioni dell’anno è lo stesso, a moi credere, che far un’ingiuria a leggitori. I diversi effetti, c
o, a moi credere, che far un’ingiuria a leggitori. I diversi effetti, che esse partoriscano alla natura son cosi vivamente
etti, che esse partoriscano alla natura son cosi vivamente descritti, che bisognerebbe occhio non avere per non ravvisarne
illanti colori. Li riffetta ognuno con avvedutezza, e poi son sicuro, che qualora voglia far dritto alla verità ne approver
e insiem serena Fà la gioia de’ cambi, ed è funesta Ove si volge par, che il ciel balena Premio, e tormento all’uom l’estad
l’ età star sul confine. Cerca le fiamme, e benche l’ hà vicine, Par, che da lor non puote aver contento, Avido un pan divo
fiumi a lui da presso, Sembra coverto il ciel da buio eterno, Ne par, che sïa il respirar concesso. Fa il vento delle piant
sci il vil profano canto, Per cui la gloria sua ne resta offesa Essa, che nel mortal sempre favella, Che gli solleva, anzi
m’irradia oggi la mente, Per esso io spazio tra le immense sfere Quel che fia, quel che fù tutto hò presente. Anzi per esso
la mente, Per esso io spazio tra le immense sfere Quel che fia, quel che fù tutto hò presente. Anzi per esso a chiare note
a sua gloria l’antichità di sua cuna. Quel comune progenitore invero, che all’ opinar di più scrittori compose ben sei cant
suè, un Davide, un Salomone, un Ezechia, un Tobia, e tanti altri, non che fra le donne istesse una Maria, un’ Anna, una Deb
ra le donne istesse una Maria, un’ Anna, una Debora, una Giuditta par che altro mezzo non riconobbero, onde svegliare sempr
tà di quest’arte i popoli orientali a tal segno n’esaltarono i pregi, che non dubitarono concederle finanche il potere di a
di animare i sassi, commuovere le selve, ammanzire le fiere, e quel, che è più abbatter finanche le stesse deità infernali
o per le arti nella umana società si distinsero. Per essa finalmente, che suol dare anche corpo all’ombra, vita al nulla al
un cantore in morte. Laonde fuori ragione certamente non è l’encomio, che le nazioni tutte con unanime consenso danno alla
a fuoco la fantasia, ed il cuore senza quei dolci, e diversi palpiti, che sà svegliare la sua possa. Persuadasi perciò chiu
izia nelle scienze, ed ardisce penetrar nel santuario della dottrina, che senza la scorta di arte si nobile, che per lui è
nel santuario della dottrina, che senza la scorta di arte si nobile, che per lui è il filo di Arianna nel laberinto dì Cre
l Indo al Moro, dagli abitatori del Gange sino a’ Cretini delle Alpi, che non senza ragione si ammira il bel genio di que’p
sità alla gioventù studiosa la poesia, ecco ben espressato il motivo, che mi spinse a trattarla, esponendone però non solo
se a trattarla, esponendone però non solo teoricamente i precetti (lo che meglio di me da molti maestri in quest’arte si è
però di venire all’ esame degli obbietti proposti ogni ragion vuole, che della materia poetica, non che delle sue disposiz
i obbietti proposti ogni ragion vuole, che della materia poetica, non che delle sue disposizioni dicasi almen generalmente
erò voglia un poeta cantando ragionare, il suo poema o lungo, o breve che sia di queste tre parti Esordio cioè, Narrazione,
ene una ben adatta maniera di proporre l’argomento del poema ; onde è che da più scrittori il proemio poetico dicesi con st
e invocarsi da poeti qualche Nume in soccorso ad esempio di Virgilio, che nel 1 delle Georg. Si rivolse ad alcune Deità dic
’ Eneide invocò la Musa : Musa mihi causas memora. Badi ognuno però, che se il canto è sagro lungi dal profanarlo con siff
duca ad imitar di leggieri il degnissimo per altro Iacopo Sannazzaro, che nel poema de partu Virginis, con poca avvedutezza
turale le immagini delle cose, tutto nella narrazione fà di mestieri, che si rifonda. Allora, allora sì offrendosi ai sensi
allora sì offrendosi ai sensi, ed all’immaginazione quel linguaggio, che lor conviene, rendesi il dire dilettevole, e grat
l linguaggio, che lor conviene, rendesi il dire dilettevole, e grato, che della poesia forma il principale obbietto, e lo s
ella poesia forma il principale obbietto, e lo scopo. L’altro pregio, che brillante non men, che robusto rende la narrativa
incipale obbietto, e lo scopo. L’altro pregio, che brillante non men, che robusto rende la narrativa sono appunto le somigl
uesti aggiungendo all’azion principale quegli avventurati lineamenti, che la rendono più lumeggiante, e più viva, presentan
umeggiante, e più viva, presentano co’loro risalti delle belle scene, che colpiscono, e commuovono mirabilmente lo spirito.
enti obietti detti episodii, in tal caso quei soli debbonsi eleggere, che col primario scopo abbiano una qnasi necessaria r
abbiano una qnasi necessaria relazione ; altrimenti l’ episodio tutto che maraviglioso sarà considerato per pregio affettat
come si lusingano alcuni, di poca, e di facil riuscita, come quella, che altro scopo non conosce, che restringere in pochi
poca, e di facil riuscita, come quella, che altro scopo non conosce, che restringere in pochi detti il maneggiato argoment
tenze più grandiose, i colpi più inaspettati quelli soltanto si sono, che valgono ad ottenere sicuramente l’intento. Per ac
sicuramente l’intento. Per acquistare però tutte le suddivisate doti, che le ricchezze sono della poetica arte, l’unico mez
utando lo scelto in sua sostanza può abbellire i suoi poemi in guisa, che valgono poi con gloria dell’ autore a riscuotere
re dignitomente i comuni suffragii. Diasi ognuno dunque alla lettura, che incomparabilmente vale più di quanti precetti pot
non mai questo tradurre a quello. Per tal errore in vero è derivato, che innumerabili composizioni ad onta degli sforzi de
rasi, come da lieti le tetre, da teneri le aspre ecc. ; fare in somma che la tessitura del verso sia sempre analoga all’ ob
ll’ obbietto, di cui si parla in tutt’ i suoi rapporti ; in modo però che oscuro non diventi il poema per la troppo ricerca
fuorchè nella fine del verso, le parole mio tuo ecc : non altrimenti che i dittonghi dovunque si trovassero come uomo, pie
ittonghi dovunque si trovassero come uomo, piede ecc : le vocali poi, che non lo sono, come mas stoso glorioso ecc : si pos
oso glorioso ecc : si possono prendere per una, o due sillabe secondo che lo richiede l’armonia del verso. Facciano inoltre
richiede l’armonia del verso. Facciano inoltre elisione delle vocali, che s’incontrano nella fine delle parole antecedenti
vocale incominciano le susseguenti. A quest’ultima legge però vorrei, che non aderissero in modo, sicchè per essere esatti
e perchè spiritoso, e vivo suggerendo all’ immaginazione più di quel, che esprime fà dolce violenza allo spirito, e risvegl
ino a tal segno odiarono il lungo, ed esoso ragionare degli Asiatici, che uno di essi con prontezza preferir volle la morte
alla lettnra di un libro diffuso non senza stupore del Re di Persia, che ad una di queste due pene l’aveva condannato. E n
ene l’aveva condannato. E non fu forse risposta del senato di Sparta, che del lungo ragionare dei Persiani ambasciatori era
unquemai non s’apprende. Dal verso sì provengono le forme di bendire, che allettano, le prette espressioni, che lusingano,
provengono le forme di bendire, che allettano, le prette espressioni, che lusingano, le vivaci immagini, che commuovono ; a
allettano, le prette espressioni, che lusingano, le vivaci immagini, che commuovono ; anzi tanta è stata la forza della su
gini, che commuovono ; anzi tanta è stata la forza della sua armonia, che per esso è stato dato moto, numero, e legge alle
per esso è stato dato moto, numero, e legge alle musicali note(1) non che alle regole istesse del ballo. Leggansi nel Ingle
re del verso anche presso le nazioni barbare un tempo, ed incolte. Ma che se magnifica pomba ne fa il Sol del melico emisfe
voci ha espresso tanto, ed ha toccato in tal modo il cuor dell’uomo, che tutti ne han ammirato, e ne ammireranno il porten
uò farmi impallidir Può esprimersi con maggior vivacità, ed energia, che l’uomo dabbene teme della colpa, non già della pe
ed energia, che l’uomo dabbene teme della colpa, non già della pena, che non meritò ? Qual più nobil modo di lodare senza
ebbano arrossirne e Tito, e Voi. O nel descrivere un’anima virtuosa, che odia la vanità, e misura se stessa, dicendo nello
tessa, dicendo nello stesso luogo citato. Più tenero, più caro Nome, che quel di padre Per me non v’è, Ma meritarlo io vog
logar la vita dell’uomo nel Demofoonte. Att. 3. Sc. 2. con quel passo che incomincia ; Perchè bramar la vita(1). Inutile sa
un uomo dal nulla innalzato alle piu alti grandezze ? Alete è l’un, che da principio indegno Tra le brutture della plebe
torio Alfieri nell’ Antigona giunse inoltre a tal estrema perfezione, che in un sol verso di 11. sillabe restrinse un quina
merabili da potersi adddurre bastano a comprovare la preposta verita, che dalla sola conoscenza, e pratica del verso deriva
za, e pratica del verso deriva quel sentenzioso, e mellifluo parlare, che padroni ci rende del cuor di chi ci ascolta. Il v
ultiamo in fatti gl’istorici monumenti, e quivi senza dubbio vedremo, che gli Orientali, e quindi i Druvidi, i Bardi, gli E
e strofe secondo più li riusciva commodo per spiegare quelle immagini che il lor genio più, o meno focoso li suggeriva alla
to ritmo degli Ebrei amanti di far pompa più d’immagini, e di figure, che di misure, e cadenze. Le raccolte di Celtici carm
intrecci, e ritmi compresi sotto l’ ampio genere di poesia si Lirica, che Epica ; restando per altro i lettori nella preven
i Lirica, che Epica ; restando per altro i lettori nella prevenzione, che essendo la lirica non mai soggetta a fisse leggi,
a capriccio da non poter perciò esser comprese nel presente trattato, che facoltà giammai non può avere di fissare il Prote
ristrettezza rare volte, e con difficoltà può abbracciare un periodo, che perciò si guardino i principianti di si grand’ ar
e scoglio, ma si contentino di conoscerlo soltanto per sapere di ciò, che la nostra poesia è capace. Eccone l’ esempio :
uò farsi rimare in più modi, ma il più tsitato è il seguente. Egeo, che si congeda dal figlio Teseo, che si porta al labe
l più tsitato è il seguente. Egeo, che si congeda dal figlio Teseo, che si porta al laberinto di Creta per combattere il
di poetici libri. Ecco intanto l’esempio in questo metro. Lucrezia che si uccide. Chiama i congiunti Sol vendetta L
detta La donna offesa, Voglio in tal fato E all’alta impresa Lei, che ha peccato Prepara il cor. Cader saprà. Ma vi
rima col quarto e tutti gli altri restano liberi come. Epaminonda, che vince la battaglia col dardo al fianco. L’ardi
tiene al fianco, Al fianco lo coglie ; E mostrasi audace Ma par, che non sente Per fino che intese Per troppo furor.
fianco lo coglie ; E mostrasi audace Ma par, che non sente Per fino che intese Per troppo furor. Dell’armi il destin.
er fino che intese Per troppo furor. Dell’armi il destin. Udito, che Tebe Fù questa la morte Per tutto hà trionfato
ragione suol dirsi il più facile, ed il più praticabile come quello, che costa di versi, che si contentano di avere anche
il più facile, ed il più praticabile come quello, che costa di versi, che si contentano di avere anche alla sola sesta, oss
a obligato il solo secondo col terzo. Eccone l’esempio. Temistocle, che prende il veleno. Dalla sua patria ingrata Si
o l’eseguì. Il viver suo finì(1). L’ottonario metro non altrimenti che il prossimo antecedente Settenarie è commodissimo
mo antecedente Settenarie è commodissimo alla poesia sì estemporanea, che meditata, e perciò mirasi il più usitato. Dicesi
più usitato. Dicesi Ottonario perche abbraccia versi di otto sillabe, che richieggono alle settima il loro accento. Ia ques
ll’uom questo tutto può. Batte i fianchi della nave E il nocchiero, che condusse Fiero il mar, che in se gorgoglia Più
tte i fianchi della nave E il nocchiero, che condusse Fiero il mar, che in se gorgoglia Più tesor da estranee sponde Or
, Getta tutto in seno all’ onde Or la vela in acqua và. Sol per dir che si salvò. Cap. VII. Dello sdrucciolo, e d
nque a rima non soggetto, difficile però si è si per lo estemporaneo, che per lo scrivere. Dicesi sdrucciolo, perchè le ult
chè le ultime due sillabe colla loro rapidità somigliano ad un corpo, che rotola, e cade. Un tal verso entra in tutte le co
maggior pompa, sempre per altro adattabile assai più al boscareccio, che al serio. Esso costa di otto sillabe, delle quali
nel duol terribile. Perche son senza Uranio. L’anacreontico metro, che dal greco Anacreonte il carattere serba, ed il no
dal greco Anacreonte il carattere serba, ed il nome, è uno di quelli, che al dir del Crescimbeni, sono i più spiritosi, e l
o E i suoi compagni providi Verso quel suol s’appressa. Non son più che trecento. Minaccia di distruggere, In quel sent
ria Gli altari, i tempii, i Numi. Certo di sna vendetta. Ma tosto che avvicinasi Dice a compagni : armatevi Fra suoi
nida Forti, possenti, e fieri. Con braccio alto, e possente Tosto che l’ombre scendono Cerca di notte struggere Cheti
hanno scritto, e cantato su questo metro ; ma diasi luogo al vero da che il celebre Manzoni scrisse il quinto Maggio in ta
po si è reso di tutta la gioventù studiosa. Ma poichè suol succedere, che molti corrono a tale arringo, e pochi giungono ve
e pochi giungono veramente alla metà, perciò prevengo i miei giovani, che ad esempio del detto Manzoni la prima loro mira i
oro mira in tal azzardo sia l’eleggere un soggetto grandioso, e degno che valga ad ingrandire il verso piuttosto, che esser
ggetto grandioso, e degno che valga ad ingrandire il verso piuttosto, che essere ingrandito da quello, mentre in tal caso l
istessa, e non è da menticarsi unicamente dal verso. È vero altresì, che non è men degno di lode quel poeta, che su di una
te dal verso. È vero altresì, che non è men degno di lode quel poeta, che su di una bagatella forma un vasto canto, e che d
o di lode quel poeta, che su di una bagatella forma un vasto canto, e che dal nulla cerca di ritrarre corpi meravigliosi, e
do settenario piano, il terzo sdrucciolo, il quarto similmente piano, che rima al secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sest
he rima al secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sesto senario tronco, che rima, come già si disse, col tronco della stanza
e stridola, E a chi cercar pietà. Parla a’ Spartan così : Sparta, che tenne in Grecia Figli di Lacedemone Sempre l’on
voi uon regge All’imprevisto ardire Vedrà tutta la Grecia San bene che puote infemina Una novella legge, L’odio, lo sd
vincere Trïonferan le gonne, Sarà fatal vergogna, Che perdono, o che vingono E se andaremo a perdere Nostro il rosso
ia c’insulterà. Cap. IX. Della sestina lirica. Non vorrei, che alcuno in vedermi sulle mosse di parlar della Ses
ta perciò il perno, non solamente nel rispettivo lor senso ; ma quel, che era il più forte nelle sue individuali parole. D’
l Petrarca, un altro nel Sannazzaro, ed uno a stento nel Frugoni ; ma che  ! Dopo il lungo incredibile travaglio sostenuto d
ni per recarla alla sua perfezione, altra bellezza non hà dimostrata, che la sola fatica degli industriosi autori. Quindi s
imostrata, che la sola fatica degli industriosi autori. Quindi si fù, che i posteri conoscendone la difficoltà, o per dir m
to, ed ìl quinto col sesto. Eccone a nostro modo l’esempio. Titiro, che deplora la sua mandra tradotta via da una furiosa
, ch’io cada a morte Che una rupe in fuor stendea E in quell’acqua, che giù piomba Salvo in parte dalla pioggia A cerca
sua armonia, ma a troppo duro cimento espone chi il tratta. Quindi è, che appena qualche estemporaneo di gran polzo si prov
ndonsi laboriose. Un tal metro è composto di sei versi ; due senarii, che rimane insieme, un quinario piano, poi due altri
narii tronchi similmente rimati tra loro, ed il sesto quinario piano, che rima al terzo, questi sono i divisati sei versi,
quinario piano, che rima al terzo, questi sono i divisati sei versi, che costituiscono ogni strofa in tal metro. Qui la me
tro. Qui la mente vien sottoposta ad una interminabile legge di rime, che si succedono rapidamente le une alle altre ; ma p
gieri maneggiato da ognuno. Eccone impertanto l’esempio. Artemisia, che beve le ceneri di Mausolo. Vittima del dolor L
r, Più derelitta. E il duol crescea Spesso i marmi abbracciar Si che lo posso ancor Procura, e di sfogar Mi consigli
’amor L’interna doglia, L’opra si fiera, E oppressa dal dolor Sò, che strano parrà Par, che a morire amor Ma niun m’i
, L’opra si fiera, E oppressa dal dolor Sò, che strano parrà Par, che a morire amor Ma niun m’imiterà Di più l’invogl
Dice : ah Numi perchè Si la primiera sol Donato tal mercè ? Sarò che in tanto duol Misera ! oh Dio L’alma è feconda
tar Il mio consorte. Il cener beve. Dunqur quel marmo avrà Poscia che il tranguggiò Maggior felicità Così lieta escla
o. Imperochè essendo vero al comune sentimento de’ maestri dell’arte, che la condizione del tronco è difficile nelle chiusu
nvien restringere i pensieri, racchiuder le sentenze, e fare in somma che la strofa istessa tuttoche mediocre, e forse anco
forse ancor languida, apparisca bella, e degna dei comuni suffragii ; che dovrà dirsi della chiusura di questo metro sogget
son due settenarii tronchi rimati insieme. Eccone la norma. Manlio, che condanna il figlio a morte Emanato il gran dec
anna il figlio a morte Emanato il gran decreto Dice al figlio : eh che facesti Dall’austero conduttiero Non sapevi il
mi perche ? Reo di morte allor sarà E potrai sperar mercè ? Vuol, che niun pugnare ardisca Al garzone vincitore Contr
oscana poesia miransi alcuni poco praticati per le grandi difficoltà, che presentano ; questo metro all’opposto vien poco m
ltri campi della culta Europa produsse a prima vista frutti si dolci, che ogni palato assaggiar ne volle avidamente il sapo
i francesi si familiare la rima, come presso di noi lo è, quel ritmo, che in due versi di quattordici sillabe rimate solea
familiare piuttosto sia, e triviale ; pure la forza dell’ingegno, non che la effervescenza della fantasia contribuisce non
al verso appongo giusta il consueto la norma per la pratica. Teseo, che condanna Ippolito a morte. La vecchia età fu s
ed empio, Dal carro è rovesciato. E contro d’esso inventa Ma mentre che soccombe Inopinato scempio. Alla fatal sventura
l secondo è similmente settenario piano, il terzo è anche settenario, che rima al primo, il quarto è simile al secondo con
simile al secondo con cui rima, il quinto, ed il sesto sono tronchi, che rimano insieme, il settimo, e l’ottavo son piani
nono è piano libero, il decimo è tronco libero ; l’undecimo è piano, che rima al nono ; l’ultimo finalmente è tronco, che
l’undecimo è piano, che rima al nono ; l’ultimo finalmente è tronco, che col decimo s’accoppia in rima. Questo metro, che
finalmente è tronco, che col decimo s’accoppia in rima. Questo metro, che senza dubbio, sembra il laberinto di Creto hà bis
dall’esempio seguente, nel quale per maggior intelligenza di coloro, che vorranno, e si fideranno praticarlo v’apponga un’
fideranno praticarlo v’apponga un’intercalare obbligato. Andromaca, che piange sul corpo di Astianatte. In cenere comb
ole, tempesta, e serenità, tenebre, e luce ; tal si sono i due metri, che in questo Capitolo rinchiusi. Il novenario perchè
ggiato. Ne metto perciò un brevissimo esempio sol per fare conoscere, che nella nostra lingua si rattrova un tal metro, non
l la fronte piegherò Devoto al cenno ubbidirò. Il decasillabo poi, che è il Sole di questa oscura notte del Novenario, l
l tronco obbligato a rimar col tronco seguente. Nel secondo il primo, che è piano rima col terzo della sua stessa natura, n
o, che è piano rima col terzo della sua stessa natura, non altrimenti che il secondo, che è tronco rima col quarto. Ma per
ima col terzo della sua stessa natura, non altrimenti che il secondo, che è tronco rima col quarto. Ma per non dilungarmi a
mostra il tremendo periglio Come puossi da Greci fuggir. Egli impon, che alla tomba d’Achille Polissena svenar si dovrà, C
non cade la regia donzella Da qui alcuno non speri partir ; Ma caduta che appena fia quella Tanti affanni potranno finir. M
ferro nel sen le vibrò. Cap. XV. Della terza rima. Il metro, che più generale campeggia nella poesia si è appunto
erale campeggia nella poesia si è appunto la terza rima, come quella, che indistintamente si mostra adattabile al sagro, al
li il primo rima col terzo, ed il secondo fissa la rima della stanza, che siegue, e così in prosieguo ; onde è che un tal m
fissa la rima della stanza, che siegue, e così in prosieguo ; onde è che un tal metro dicesi comunemente Catena. Chiunque
colla rima adattata alla stanza seguente Eccone la norma. Zeleuco, che salva un occhio al figlio colla perdita del suo.
o il gran decreto Che perda gli occhi, e cada in fier periglio Ognun, che trasgredisce il suo divieto ; Ma tosto si pentì d
a propria legge Scoverto reo il suo medesmo figlio. Maledice quel dì, che nacque regge Tardi condanna il troppo suo rigore,
egge ; Ma pensando al dover del regnatore, E qual’obbligo tien colui, che regna, Che forma il ben d’altrui col suo dolore C
e, e le virtù supreme, Nè esempio a trasgredir da noi fia dato Nè vò, che provi tu le pene estreme, Nè vò, che sia la legge
rasgredir da noi fia dato Nè vò, che provi tu le pene estreme, Nè vò, che sia la legge trasgredita Tu mancasti, io mancai,
ranneggiato era il suo cuore. Per tal circostanza appunto ne avvenne, che un tal metro è stato sempre considerato adattabil
l pensiere sviluppato ne’ tre antecedenti endecasillabi, questo si è, che lo rende assai difficile, e presso che impraticab
ti endecasillabi, questo si è, che lo rende assai difficile, e presso che impraticabile. Quindi avvenne, che pochi hanno os
lo rende assai difficile, e presso che impraticabile. Quindi avvenne, che pochi hanno osato scrivere in tal metro, e nessun
e nessuno l’ ha impiegato finora in vasti argomenti. Non vorrei però, che da ciò sgomentati i giovani disperassero la fortu
nseguiranno facilmente lo scopo bramato. Eccomi alla norma. Orazia, che piange sulle spoglie del Curiazio ucciso dal frat
fieri Poc’anzi estinto. D’Orazio la sorella afflitta, anziosa Sente, che un gel per l’ossa appien le scorre, L’oste per in
L’oste per incontrar tutt’affannosa Afflitta accorre. Vista la veste, che il fratel recava Che pel Curiazio un dì trapunto
avella ? Deh ! m’assisti al morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu che fai, che non compisci appieno L’opra dettata dal
Deh ! m’assisti al morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu che fai, che non compisci appieno L’opra dettata dal tuo folle
e. Ed ella mostra mentre cade a morte. Ardire, e amore. Come la rosa, che il fier turbo schianta E perde nel cader beltà, c
e il fier turbo schianta E perde nel cader beltà, colore, Così colei, che di pallor s’ammanta Allor sen muore. E in mezzo a
ammanta Allor sen muore. E in mezzo al sangue mentre l’alma spira Fà, che l’ultima voce ognuno intende Chiamò Curiazio, int
rovarsi all’Ottava, ed al Sonetto. Eccone intanto il modello Bruto, che condanna Tito, e Tiberio suoi figli a morte. Già
tirannìa fuggiva Era il soglio rëale omai caduto Ma il vil Tarquinio, che non anco parte Per sedurre i Romani adopra ogn’ar
so, Nè ponno a tanto error trovar la scusa. Bruto esclama : Romani or che faremo Qual sarà di costor la giusta sorte ? Roma
fui Cittadino. Cap. XVIII. Dell’ottava Il metro più nobile, che vantar possa l’italica poesia, ed il più adatto d
no in questo metro i più perfetti poemi della poetica favella. Vero è che tale ritmo sovente si adatta ancora a materie gio
tal caso il poema, tal metro privo allora delle robuste espressioni, che ricerca, decade con lagrimevol veduta dal suo nat
endere a questa ardua impresa. Diamone intanto il modello. Attilio, che torna a Cartagine.. Vista il saldo roman la patri
mani è vano uu tal dolore Quanto feci per voi ciascun rammenti, E più che morte il suo rossor paventi. Cedere i prigionier
er la sua concatenazione, quante maggiori dovrà averne questa, stante che le voci sdrucciole non avendo un suono piano rari
piano rarissime volte possono rimare fraloro ? Il Sannazzaro istesso, che volle il primo azzardarsi a cantare in tal metro
tutta volta in questo, come nel citato luogo si avertì, è necessario, che il pensiere spesse volte serva al verso ; mentre
iere spesse volte serva al verso ; mentre quì il poeta deve dire, ciò che può, non gïa ciò, chevuole, e se per accidente s’
e per accidente s’incoutra a terminare il sccondo verso con una rima, che non abbia le altre due compagne, trovasi giunto a
i pastorali, e cose boscarecce. Eccone l’esempio. Uranio, e Titiro, che si lamentano del pastor Melibeo, perché è un ladr
eo, perché è un ladro. Tit. Vicni, siediti quì mio caro Uranio Ora, che il Sole è già vicino a nascere, E senti pur perch
n ladrissimo, Che per batterlo ier mi svolsi il gubito. Tre mesi son, che il mio capron bellissimo Fe per que’greppi divora
suo fortissimo Vien Melibeo, e con moïne, e zacchere Tanto gli fece, che sel seppe togliere, E sel condusse al suon di piv
par possibile, Fra le sue ruberie pur questa annovero, Che ad ognun, che l’udì parve incredibile. Venne a cercare il foco
torale. Questo metro benchè rare volte trattato per le difficoltà, che in se racchiude, contiene per altro mille bellezz
mero, ed Esiodo ne’giuochi Olimpici sotto il regno di Agide Spartano, che Omero quantunque il cantor di Achille, il paneger
pastorale nel metro suddetto con sommo piacere degli spettatori ; lo che poi fù la occasione, per cui Omero, vecchio pitto
, pur nella tessitura cemparve sotto le insegne Virgiliane, piuttosto che Esiodiche. Impegno poscia si fù del celebre, ma i
uattro sono eroici alternativamente rimati, due altri sono ottonarii, che rimano fra loro, il settimo è quinario, che rima
due altri sono ottonarii, che rimano fra loro, il settimo è quinario, che rima all’ottavo, che è eroico. Ecco la solita for
rii, che rimano fra loro, il settimo è quinario, che rima all’ottavo, che è eroico. Ecco la solita forma. La primavera.
nuovi diletti. Cap. XXI. Della canzona. Questo componimento, che perfettamente somiglia alle ode de’Greci, e de’La
i Endecasillabi, e Settenarii da rimarsi a genio di chi compone, meno che nella chiusura, dove la rima o avvince i due ulti
pianto porgerà cotanta vena Onde fugar dal core Il cumulo d’affanni, che l’opprime, E in si fatal dolore Chi al seno porge
ò dalla terra in sen di Dio, E come rammentare ogni suo pregio. Egli, che travagliò tanto nel mondo Perchè la navicella Non
all’armi, e la baldanza rea Mai non piegò la fronte ; Pari al signor, che per l’altrui delitti Sparse di sangue un fonte ;
perdona, E prendi in lor discolpa il sangue mio. Dov’è dunque colui, che giunse a tanto ? Così fini la vita ? Dov’è il gra
or si gode in Cielo. Cap. XXII. Del sonetto. Quai naviganti, che scorsi mille pericoli in mari ignoti trovano anco
ari ignoti trovano ancora vicino al porto in faccia a nascosti scogli che temere ; tal mi son io, che giunto al termine di
cino al porto in faccia a nascosti scogli che temere ; tal mi son io, che giunto al termine di questo poetico trattato inco
io, che giunto al termine di questo poetico trattato incontro pur di che ancor prudentemente temere, dovendo in quest’ulti
d Ippocrate, e Peone, è divenuta omai la facoltà de’ Giabbattini, non che delle stesse più vili feminuccie ; mentre esser r
stesse più vili feminuccie ; mentre esser ragionevole non v’è per vil che sia, che non presuma tastare il polzo, e prescriv
ù vili feminuccie ; mentre esser ragionevole non v’è per vil che sia, che non presuma tastare il polzo, e prescrivere ricet
ortare i primi onori atti a far scorno alla morte istessa, oggi quasi che fosse una canzone de veneti Gondolieri è caduto i
na canzone de veneti Gondolieri è caduto iu potere degl’ingegni i più che dozzinali ; ne mente vi è per limitata che sia, c
potere degl’ingegni i più che dozzinali ; ne mente vi è per limitata che sia, che non ardisce calzare lo stretto ceturno d
egl’ingegni i più che dozzinali ; ne mente vi è per limitata che sia, che non ardisce calzare lo stretto ceturno di Melpome
mene, ed adagiarsi sull’ invariabile letto del famoso Procuste, quasi che se non si avesse qualche sonetto di questi tali n
no deve spargere pria non pochi sudori si nella lettura de’ classici, che nell’ esercizio de’ diversi ritmi dell’ arte, e p
del carmelitano Teobaldo Ceva, colle note critiche del Muratori, non che la dissertazione dello stesso mentre fan chiaro c
empre di riflessione in tutte le composizioni, e molto più in questa, che di tutte è la più nobile mi spinge per un momento
enza offenderne l’andamento se è breve. Or per ben riuscirvi bisogna, che ogni parte del Sonetto contenghi una proporzionat
tto contenghi una proporzionata dose di materia. Ragion dunque vuole, che la prima quartina contenghi l’esordio, la seconda
l’ingegno di chi compona ; mentre il Sonetto, al pari d’un torrente, che vicino alla foce porta maggior copia di acque, ne
acque, nell’ avvicinarsi al suo termine deve finire con una sentenza, che ferisce il cuore, e cagiona una forte sorpresa. L
a. Leggansi in vero i Sonetti de più celebri compositori, e si vedrà, che questa parte appunto hà formato il principale lor
rsi in vero chiusura più bella o di questa del Petrarca. « Poco manco che io non restassi in Cielo » « o di questa del Frug
lana, e non rispose » o di mille altri sonetti, e mille altri autori, che per brevità io tralascio ? In questi, come in tan
vvisa, l’ Eroico cioè, il Decasillabo, ed il Lirico, mentre le altre, che sotto accenneremo, tutte partono da questi modell
i alla pratica, sebbene potrei addurre per norma i più belli Sonetti, che sotto un tal triplice divisato aspetto trovansi i
così mi conviene fare ancora in questa specie di componimento, tutto che sappia, che i miei Sonetti tanto cedono a quei de
viene fare ancora in questa specie di componimento, tutto che sappia, che i miei Sonetti tanto cedono a quei de Classici, q
, quantum lenta solent inter viburna cupressi. Virg. ec. 1. Tullia, che passa col carro sul cadavere del Padre. SONETTO
padre fatta già terribil scherno E quant’ella empi a è più, più par, che ardisce Tremò a tal’ opra il gran pianeta eterno,
e il Sol, rise l’inferno. La Maschera SONETTO DECASILLABO L’uomo, che mascherando ognor si và Mostra, che ragionevole n
hera SONETTO DECASILLABO L’uomo, che mascherando ognor si và Mostra, che ragionevole non è, Chi di farsi temer timor non h
se talor mancò di fè Le sembianze d’altrui le sue ne fà Col soccorso, che l’arte appien gli diè. La maschera gran cosa esse
a evitare, ed io ben sò, Che non sa mascherarsi la virtù. La Rosa, che si lagna d’esser colta mezz’ aperta. SONETTO LIR
Perchè mai destra villana Or mi strappi al gambo mio Qual’ è il mal, che t’ hò fatt’ io, Che mi dai pena si strana. Sarei
a del Sonetto a rime obbligate. I. Il Sonetto di risposta altro non è che il riscontro dato a qualche proposta ristretta in
to a qualche proposta ristretta in Sonetto. Or qui convien avvertire, che variamente formavansi dagli antichi le risposte,
engo un erboso letto Che ameno l’ombra il fa di qualche canna, Vieni, che il fido amice non t’inganna Cacio, pomi, castagne
mi piace posar sol nel mio tetto. Se tu la piva dolce suonerai Mentre che dolce gusto il sonno mio Io dormo, e godo, e tu i
si bel desio Vieni a veder qual sono, e se verrai Ti saprò dar quel, che donar poss’ io. II. Il Sonetto coll’ intercalare
lo stile basso, e pastorale. Eccone l’ esempio. Didone abbandonata, che ascende la pira. Hai vinto, hai vinto mia perver
o, e senza corte ; Hai vinto hai vinto mia perversa sorte ; Ma colui, che di me volle lo scherno Vedrà che puote il mio cru
vinto mia perversa sorte ; Ma colui, che di me volle lo scherno Vedrà che puote il mio crudel furore, Avrà il mio spirto pe
io crudel furore, Avrà il mio spirto per compagno eterno Quel crudel, che di me volle lo scherno. Fin che compagno del mio
irto per compagno eterno Quel crudel, che di me volle lo scherno. Fin che compagno del mio lungo errore Scenderà meco nell’
o insieme, ed alla rima, lo fissera unicamente a quello, ben sapendo, che non può mancargli mai questa pertanto eccone la n
che non può mancargli mai questa pertanto eccone la norma. Ovidio, che si licenzia da suoi Chi preveder potea si orribi
nda pena ? Pena Ahi ! Che non reggo a si spietato affanno, Affanno Or che crudo voler ponmi in catena. Catena Hai vinto al
rò alla materia qualch’ordine, da cui acquista non poco la chiarezza, che de’libri suol essere il primo pregio, e decoro, i
a frutto. Sembrandomi quindi necessaria la sola cognizione di quelli, che entrono nella costruzione de’versi più comunement
i, Timidi ec. Qui però pria di passar oltre fa di mestieri avvertire, che una sillaba benchè sia breve per sua natura, pur
e in questo esempio : Christus colendus l’us della parola Christus, che per la Reg. L. del nuovo Met. è breve, perchè seg
Reg. L. del nuovo Met. è breve, perchè seguita dalla parola colendus, che comincia da consonante diventa lunga, e quindi la
voce intera Christus per tal’accidente da Trocheo passa a Spondeo, lo che non sarebbe avvenuto se fosse seguita una vocale,
. II. Del verso e delle differenti Quell’aggregato di più piedi, che costituisce quell’armoniaca tessitura, che per an
ll’aggregato di più piedi, che costituisce quell’armoniaca tessitura, che per antonomasia appellasi Verso siccome in rappor
rio di usare questi, o quelli secondo il genio dell’autore, e secondo che la natura della materia richiede ; ma nel quinto
lo Spondeo, nè l’esempio di qualche Spondiaco, o Dattilico Esametro, che raro s’incontra, può giammai opporsi a tal norma(
bene un tempo vi dominava con dominio esclusivo ; pur oggi può dirsi, che sia il meno che vi regna. Un tal verso dal numero
dominava con dominio esclusivo ; pur oggi può dirsi, che sia il meno che vi regna. Un tal verso dal numero de’ piedi prend
e Ter. Articolo III. De’ Lirici. Per evitar la confusione, che risulta dal moltiplice stuole de’versi Lirici li
i feriam sidera vertice. Or. lib. 1. Od. 1. III. L’ Innominato primo, che è più lungo dell’ Asclepiadeo per quattro sillabe
ultima classe dei versi lirici. A questi parmi essere accaduto, quel, che suole avvenire ad un titolato, che combattuto da
uesti parmi essere accaduto, quel, che suole avvenire ad un titolato, che combattuto da diversi sinistri accidenti gli rest
di quattro versi di tre specie chiamate Tricolon Tetrastrophon, voci, che ho dovuto apporre per non imbrogliare i giovani n
colo I. Delle strofe di due versi di doppia specie. Le strofe, che comprendono due versi di differente natura sono d
 ! Pulvis, vapor, umbra, Quae dum videntur excidunt. II. La seconda, che vedesi più campeggiare in Orazio, perche la più b
avorato nelle seconde nozze del nostro augusto sovrano Ferdinando II. che Dio sempre feliciti. Sistite, Pierides, longos e
pagato omai il vostro comune desio. Eccovi già nelle mani quel libro, che con iterate istanze da voi si pretese. Se nel per
urlarsi degli stessi lor Dei ? Basta per tutti ascoltar le derisioni, che degli Egiziani Dei in più luoghi fa Giovenale, e
molti Mitografi inventor d’ogni idolatria, perchè ei si fù il primo, che inalzò un tempio in onor del suo padre Belo, cui
il primo, che inalzò un tempio in onor del suo padre Belo, cui volle, che si tributassero gli stessi omaggi divini. Tal’opi
gettare la opinione di molti orientali Scrittori, i quali pretendono, che la idolatria sia nata nel seno degli stessi Antid
à scritto : Omnis quippe caro corruperat viam suam  : Non altrimenti che con quel, che accennai, sulla origine della idola
mnis quippe caro corruperat viam suam  : Non altrimenti che con quel, che accennai, sulla origine della idolatria istessa r
be Deos fecit timor. Sò ben per altro non esservi documento istorico, che valga a sostenere con certezza qualunque parere.
nque parere. Luc. dial. de Deor. concil. (1). Gli antichi credevano, che questi Dei, presedessero alle cose necessarie del
no, che questi Dei, presedessero alle cose necessarie dell’ uomo, non che a’ dodici Mesi dell’ anno, così credevasi il mese
hò creduto pregio dell’opera di tratto in tratto apporre alcune note, che servissero, come di lumi a molti luoghi della sac
olli imprese dei Titani, e dei Giganti certo si è esser essa si nota, che quell’ Amazone de’ Giudei Giuditta nel dare a Dio
ria contro Oloferne con singolare maniera celebra la divina fortezza, che oppresso aveva quel gran duce degl’ Assirii non c
falsi Dei commettere delle brutalità senza lasciare l’essere divino, che si fingevano avere, e prendere in sua vece la con
he si fingevano avere, e prendere in sua vece la condizione de’bruti, che in essi non riconescevano per natura, fingevano m
al modo le deturpanti loro azioni. Oh quanto chiaro dunque si scorge, che chiunque lasciasi predominar dall’appetito sensit
ndo i Mitologi di questo Dio del mare, fan parola ancor delle Sirene, che fingonsi gioviali donzelle nella parte superiore,
ento per le dette Sirene intendono alcune donne di depravati costumi, che dimorando nelle vicinanze siciliane con mille lus
Nettuno in si premuroso affare meritava al certo qualche ricompensa, che perciò Nettuno per non sembrargli ingrato lo tras
quale perchè fù il principal Trombetta di Nettuno suo padre, fece si, che tutti quei mostri marini, che sonavano del pari a
rombetta di Nettuno suo padre, fece si, che tutti quei mostri marini, che sonavano del pari avanti al cocchio dell’ alto re
es in antro Brontesque, Steropesque, et nudus membra Pyracmom e par, che la viva immàgine della lore forza, e destrezza ne
ferrum. Sue nozze (1). Molfo plausibile sembra ad alcuni Mitologi, che i primi Greci abbiano riferito a questo immaginar
malleator, et faber, in cuncta opera aeris, et ferri, non altrimenti che la sua sorella Noema, cui comunemente si attribui
con Nettuno. (1). Saggia pur troppo, e prudente si era la condotta, che tener dovevano i legali, che presso un tal giudic
r troppo, e prudente si era la condotta, che tener dovevano i legali, che presso un tal giudicato trattavano le cause de’ l
poppato da Giunone rapiti oltremodo gl’antichi follemente credettero, che quella striscia nel cielo, che via lattea da noi
modo gl’antichi follemente credettero, che quella striscia nel cielo, che via lattea da noi s’appella, fosse causata dal la
te da provarsi, rilevandosi troppo chiaro dalle stesse sue lettere. E che altro è quel, che leggesi al cap. 6 agli Efesini 
levandosi troppo chiaro dalle stesse sue lettere. E che altro è quel, che leggesi al cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio
al cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio legatione fungi in catena ? che altro è quel, che sta scritto nella II. a Corinti
sini : se pro Evangelio legatione fungi in catena ? che altro è quel, che sta scritto nella II. a Corinti al 5 : Pro. Chri
ri S. registrate. Suoi nomi. Suoi figli. Suo culto. (1). Gl’ altari, che erigevano i Gentili in onor de’ loro Dei, sebbene
rvero cosi splendidi, e vistosi, così ricchi di cifre, ed iscrizioni, che hanno attirato il genio, e la penna di non pochi
sato era già il fine, si perche sulla pietra immolar si dovea Cristo, che è Pietra, sì finalmente acciò dalla durezza della
Chi fù Apollo. Sue vendette. Sue nozze (1). Da questo fatto avvenne, che fin d’allora tale albero fù costantemente tenuto
mpia, e la lira delle verdeggianti foglie di quello, e volle altresì, che i suoi virgulti servissero di corona a quanti dis
nuove sventure. Suoi nomi. (1). Non è mio pensiere sviluppare quel, che deve sentirsi circa gl’ oracoli. In molti padri d
in molti profani scrittori può originalmente ciò leggersi. Sol dico, che approssimandosi la venuta del Verbo in Carne, sic
imandosi la venuta del Verbo in Carne, siccome molte statue non sò in che modo dal ciel percosse caddero nel Campidoglio, e
unone. Suc azioni (1). Bella assai al suo costume é la descrizione, che nel i. delle sue Eneide fà Virgilio delle affanno
io delle affannose voci di questa Dea recatasi da Eolo per ajuto, non che delle consolanti parole, che questi in risposta l
esta Dea recatasi da Eolo per ajuto, non che delle consolanti parole, che questi in risposta le diede. Quale descrizione, p
eleusini tutti quelli oscuri sacrificii, e quei clandestini misteri, che nelle spelonche, caverne, ed altri luoghi secreti
lle vergini dette Vestali dal nome della Dea, di cui avevano la cura, che che altri si dicano, fù istituito, come sopra hò
vergini dette Vestali dal nome della Dea, di cui avevano la cura, che che altri si dicano, fù istituito, come sopra hò dett
’insegna Dionigi al 3 de’ suoi lib. Suo ritratto. (1). Il palladio, che conservavasi in questo tempio dicesi essere stato
lia, e dopo molte vicende cadde in potere de’ Romani, i quali vollero che si conservasse nel gran tempio di Numa con tanta
vollero che si conservasse nel gran tempio di Numa con tanta gelosia, che solamente la Sacerdotessa maggiore poteva vaghegg
estali Castighi, e privilegii delle Vestali. (1). Il privilegio poi, che fa ravvisar con maggior chiarezza il gran pregio
e fa ravvisar con maggior chiarezza il gran pregio delle Vestali era, che incontrandosi colli stessi consoli, questi per ri
torevoli insegne. Chi fù Minerva. (1). Sulle oscure, e confuse idee, che avevano i gentili della generazione del Verbo Ete
tendo i profondi arcani dell’ ineffabil mistero si spedirono dicendo, che Giove si fece fendere il capo per farlo uscir fuo
Questa Civetta, di cui fù amante Minerva fù la Principessa Nittimene, che mal servendosi delle tenebre per ingannare il suo
so commercio fù in pena del suo attentato cambiata in questo animale, che fuggendo sempre la luce cerca nascondere fra le t
i Ateniesi per la ricevuta ingiuria di audarne in bando prese a dire, che Minerva si compiaceva di tre bestie più villane,
rarre matrimonio con essa, e riceversi a’ titolo di dote gran denaro, che quivi trovavasi raccolte : Etenim così nel sacro
del suo attentato per mano degl’ingannatori Sacerdoti di quel tempio, che percossolo con pietre lo fecero in pezzi : Cum i
ba in preferenza d’ogni altro animale. Imperochè nella dolce contesa, che ebbe questa Dea col Dio Cupido circa la frettolos
uto beneficio tuttocché trasformata teneramente l’amava a tale segno, che svenata la voleva religiosamente in suo onore : c
ava a tale segno, che svenata la voleva religiosamente in suo onore : che anzi severamente puniva chi fuor dell’uso de suoi
mente puniva chi fuor dell’uso de suoi sacrificii l’avesse ammazzata, che perciò Marziale lib. 14. Ne violes teneras prae d
ta si guidiae sit tibi sacra Deae. E per la stessa ragione può dirsi, che ella tra fiori si dilettava della rosa, perchè qu
seggianti sue foglie sempre rammentavale il fatto del suo caro Adone, che punto in atto di coglierla diè alla naturale sua
lla naturale sua bianchezza col sangue proprio quel porporino colore, che essa la Regina de’fieri vistosamente si gode. (1
altre Dee prese occasione S. Girolamo scrivendo a Principia di dire, che la Verginità sempre porta seco la spada della pud
que error Deas virgines finxit armatas. Ed in verità se avvi animale, che la natura finse casto esso è l’Ape, ma chi ignora
ifesa. Suoi tempii. (1). Per cagione di alcune oblazioni di argento, che presentavansi in questo gran tempio in onor di Di
Giovanni Crisostomo stima essere state esse alcune piccole cassette, che con proprio vocabolo le chiama Ciborii. Il Lirano
i quel tempio, benchè non manchi chi le vuole tavolette, o simulacri, che in atteggiamento di voti sciolti sospendevasi in
ospendevasi in quel tempio seguendo in ciò le tracce del poeta Arato, che per mostrar qual in ciò fosse la sua mente disse 
nte disse : Argentea vota. Chi fù il Destino. (1). Qui vorrei però che a qualche giovane di bizzarro ingegno in pensare
iva, e conseguente non mai van disgiunti da tutte quelle circostanze, che dovranno accompagnare un effetto future : quindi
esse. La intenzione era di schernirlo ; perocchè se l’oracolo diceva, che quell’uccello era morto egli lo lasciava volare,
nti risponderei anche io a tal giovane, o a chiunque mi interrogasse, che ha preveduto Dio di me ? L’eterna salute, o l’int
o di me ? L’eterna salute, o l’interminabil ruina ? Ha preveduto quel che ti piace, e quello, che in effetto tu operi, e pe
e, o l’interminabil ruina ? Ha preveduto quel che ti piace, e quello, che in effetto tu operi, e perciò la tua sorte è nell
stessi nomi di uomo di braccia, uomo di sangue, uomo di armenti, ec. che diedero le genti a Saturno, quegli stessi in dive
Sacra Scrittura. Fingesi Saturno coltivator delle vigne, ed ognun sà, che il primo in quest’ arte fù Noè Credesi, che Satur
delle vigne, ed ognun sà, che il primo in quest’ arte fù Noè Credesi, che Saturno predisse gran pioggia, ne’ cui vortici an
edetto l’universale inondamento. Mossi da queste, e da altre ragioni, che legger si possono nel citato autore, molti recent
Mitologi si sottoscrissero alla sua opinione. Le umane vittime però, che a lui si offrivano mel farebbero piuttosto confon
o mel farebbero piuttosto confondere con Moloch Idolo degli Ammoniti, che secondo la tradizione degl’ Ebrei pascevasi di si
nione di chi lo vuole figlio di Creusa adottato però dal detto Sifeo, che il parer di chi il dice figlio del Cielo, e di Ec
on Saturno gli avvenne ? Sue imprese. Suo ritratto. (1). Qui vorrei, che la chiave di Giano detta comunemente chiave di pr
o di sicura guida negli affari. E qual cosa più vantaggiosa all’uomo, che la prudenza apportatrice dell’esterna sua felicit
l’esterna sua felicità ? Conobbe tal verità il gran macedone Filippo, che in più circostanze dimostrò più gloriarsi della p
della prudenza, di cui servivasi a conciliare gl’ animi vertiginosi, che del numero, e valore delle sue forze atte a compr
suo baldanzoso nemico. Sia adunque ad ognuno impresso quel documento, che diede un dì Seneca a suoi uditori : habete in an
ombra de’ suoi ritralti. Suo ritratto. (1). Bella è la descrizione, che dell’effigie di queste Dio efforma Properzio al t
bit. Chi fù Plutone. Suo ritratto. (1). Tra le più belle pitture, che rappresentano Plutone la più luminosa a mio crede
re, che rappresentano Plutone la più luminosa a mio credere è quella, che colla divina sua penna delineò nella sua Gerusale
le acque, e chi non sà aver avuto parimenti Mosè due madri, la prima, che lo partori, e la seconda che l’adottò, e che sebb
vuto parimenti Mosè due madri, la prima, che lo partori, e la seconda che l’adottò, e che sebbene lasciato venne sulle rive
osè due madri, la prima, che lo partori, e la seconda che l’adottò, e che sebbene lasciato venne sulle rive del Nilo, pure
onne per andar nella terra promessa ? Bacco prese vendetta di Penteo, che ritirato avea i sudditi da suoi sacrifici, e chi
udditi da suoi sacrifici, e chi non conosce aver Mosè punito Faraone, che ricusato avea lasciare il popolo per andare a sac
no di foglie, alcune di fiori, altre di oro, ed altre di argento : Di che materia poi era la corona di questo Dio legga chi
bele. Suo ritratto. (1). Non ignoro io esservi stato chi ha preteso, che questa celebrata Cibele fù figliuola di un antico
i, così in questo similmente delirare. Del resto son ben io persuaso, che i Dei de’ Gentili tutti furono puramente uomini i
fia perciò meraviglia se del Dio Baal parlando il profeta Elia sembra che ne parli, come d’un vero uomo, qualora rivolto a
egina di Sicilia commesso da Plutone ossia Adioneo re di Epiro stante che la madre negata gli aveva tal figlia per sposa ;
ma la stessa armonia la rassomiglianza de’ loro suoni, (1). Sembra, che l’ape romana in questo squarcio abbia succhia to
Marino sullo stesso argomento dicendo : Apre l’ uomo infelice allor che nasce In questa valle di miserie piena Pria che a
’ uomo infelice allor che nasce In questa valle di miserie piena Pria che al sol gli occhi al pianto, e nato appena Va prig
e il pasce Sotto rigida sferza i giorni mena : Indi in età più fosca, che serena Tra fortuna, ed amor more, e rinasce. Quan
o antico. Chiude al fin le sue spoglie angusto sasso, Nell’atto a voi che sospirando io dico ; Dalla culla alla tomba è un
un breve passo (1). Il Ditirambolo altro non significava un tempo che quel confuso, ed inordinato componimento, che can
on significava un tempo che quel confuso, ed inordinato componimento, che cantavansi dalle baccanti in onor di Bacco ; oggi
el celebre Francesco Redi intitolato, Bacco in toscano. (1). Vorrei, che ognuno distingua bene in questi miei componimenti
o la conclusione colla sua sentenza. (1). Potrà sembrare a qualcuno, che io pria di venire agli Endecasillabi rimati dovev
ciolto, detto ancor verso eroico, perché alla rima non soggetto vuol, che quell’industria, che in questo manca, tutta si ve
erso eroico, perché alla rima non soggetto vuol, che quell’industria, che in questo manca, tutta si versi sul suo artificio
i viola, pro purpureo narcisso. Virg. Ec. 38. Dattilico poi è quello, che nel sesto piede mostra un Dattilo in apparenza, p
14 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
ecoli sopra la faccia della terra, e contaminarono le menti di popoli che pur giunsero ad avere splendida civiltà ; laonde
ur giunsero ad avere splendida civiltà ; laonde non breve fu la lotta che la verità del Cristianesimo dovè sostenere contro
e antiche loro credenze. Il Paganesimo s’era infiacchito a tal segno, che , cessata la fede ne’falsi Iddii, omai per tutto s
rsi ; Lucillo e Lucrezio si beffarono degli Dei di Roma, e de’ Romani che inchinavansi ai vani simulacri immaginati da Numa
uel de’fanciulletti, i quali prendono per uomini vivi tutte le statue che lor vien fatto di vedere. Così crollava l’idolatr
 ; e cadevano in dispregio quelle divinità fantastiche e capricciose, che agli occhi del politeista popolavano l’universo c
rso come altrettanti genj del male coi quali tregua non v’era mai ; e che senza posa prendevansi giuoco della sorte e della
evansi giuoco della sorte e della vita degli uomini. Nulladimeno pare che l’Epicureismo,144 speculazione oziosa della Greci
izio, sulla virtù, sull’anima, sugli Dei ; ma tutto ciò non altro era che spiritosa lizza d’ingegno. Ma i patrizj di Roma,
i corruzione, di lusso e di crudeltà. Anche i più insigni personaggi che fecero sì splendido il tramonto di Roma repubblic
gione della classe più illuminata e più potente di Roma non era altro che un brutale epicureismo. Cicerone nel suo libro Su
l’anime, ed ha signoreggiato la debolezza umana. Noi siamo convinti, che avremmo fatto il bene de’nostri concittadini e di
stirpato siffatto errore. Tuttavia (poichè su questo proposito voglio che il mio pensiero sia da tutti ben inteso) la cadut
delle cose celesti. Così devesi a un tratto e propagare la religione che s’accompagna alla conoscenza della natura, e srad
ra, e sradicare affatto la superstizione. » Le metamorfosi d’Ovidio, che sono il monumento più completo a noi rimasto dall
lla mitologia pagana, pajono il trastullo d’una immaginazione poetica che ricrea lettori sbadati e non curanti. Tu non vi t
curanti. Tu non vi trovi scintilla di quell’entusiasmo di buona fede che presso tutte le società nascenti inspira l’uomo d
olamente il tipo, ma il teatro di tutti i vizj de’suoi Dei ; per modo che si può argomentare, che le credenze del politeism
teatro di tutti i vizj de’suoi Dei ; per modo che si può argomentare, che le credenze del politeismo più non servissero ad
gomentare, che le credenze del politeismo più non servissero ad altro che a lusingare quegl’intelletti che non poteano pers
liteismo più non servissero ad altro che a lusingare quegl’intelletti che non poteano persuadere. Cotesto poema dunque è in
orte sul campo di battaglia era un olocausto agli Dei ; nè c’era cosa che così profondamente scolpita avesse la religione i
ime, il canto o il volo degli uccelli, tutte quelle minute osservanze che la guerra mai sempre teneva in vigore, davano con
prova della superstiziosa credulità del popolo. Il discredito poi in che venne il politeismo presso i Romani crebbe a dism
la quale vennero annoverati tra gli Dei anche i più scellerati mostri che sedettero sul trono imperiale di Roma. Quindi i R
ti mostri che sedettero sul trono imperiale di Roma. Quindi i Romani, che nella severità dell’antica loro disciplina aveano
restringevano il loro culto ad offerir sacrifici all’ombre dei padri che riputavano domestiche divinità, dovettero arder i
e sacrileghi e rei di lesa maestà erano giudicati e condannati coloro che avessero mancato alla menoma delle cerimonie dell
ndenti all’imperio, e certa qual frenesia scusabile in quella nazione che avea tutto conquistato, che a tutto era stata avv
qual frenesia scusabile in quella nazione che avea tutto conquistato, che a tutto era stata avvezza, che tutto avea soffert
la nazione che avea tutto conquistato, che a tutto era stata avvezza, che tutto avea sofferto, empievano le fantasie di mil
on si offrivano agli Dei vittime umane. La sola Germania, nelle parti che ancor resistevano alle armi romane, conservava i
I sacerdoti godevano di grande autorità presso le nazioni germaniche, che aveano pure in grande riverenza le profetesso sce
spaventato la fortuna di Roma. Il politeismo era ancora in fiore, più che altrove, nella Grecia, qualora se ne giudichi dal
acrati alla religione. Nell’avvilimento della conquista, nell’inerzia che la seguiva, il culto degli Dei pareva la più gran
asi ancora pel possesso di un tempio, o d’un terreno consacrato. Pare che la Grecia non potesse abbandonare l’idolatria nel
che la Grecia non potesse abbandonare l’idolatria nella stessa guisa che non poteva ripudiare le arti. Sparsa dappertutto
e. Tu v’incontravi ad ogni piè sospinto schiere di sacerdoti erranti, che si recavano sul dorso un fardello di divinità imp
pure, e passavano per astrologi e giocolieri. Ma il paese, ove pareva che la superstizione si rinverdisse con fecondità str
filosofie orientali erano riunite e confuse come gli strati del fango che il Nilo straripato ammucchia sulle sue sponde. Ne
oso della conquista romana gl’intelletti non aveano altra occupazione che le controversie religiose e filosofiche. Alessand
ne dell’Oriente, più ricca, più popolosa, più feconda di vane dispute che non la vera Atene ; ma priva di quella saggezza d
i quella saggezza d’immaginazione e di quel gusto squisito nelle arti che formava la gloria di questa, Alessandria era piut
dell’Egitto correva dietro a mille superstizioni assurde o malintese, che faceano sorridere di compassione il paganesimo ro
simboli raffigurate le loro divinità : di qui ne venne la tradizione che essi adorassero le cipolle ed i gatti, e che s’ar
i ne venne la tradizione che essi adorassero le cipolle ed i gatti, e che s’armassero città contro città per vendicare le i
ozio, e nell’immobilità delle loro caste ereditarie. Le comunicazioni che aveano avuto da tempo immemorabile coll’Europa, e
ltre parti dell’universo, e se ne narravano le cento maraviglie. Pare che la Persia, dai Greci chiamata barbara, avesse avu
dell’Essere eterno rappresentato sotto il simbolo del fuoco. I Magi, che ne erano i sacerdoti, all’epoca dell’invasione d’
n numerose sètte ; il loro culto diventò un rito solitario e nascosto che si smarrì in vane superstizioni ; e questa religi
oni ; e questa religione così semplice produsse dipoi quell’impostura che portava il nome di magia in tutto l’Oriente, e ch
oi quell’impostura che portava il nome di magia in tutto l’Oriente, e che si sparse tra i Romani degenerati. L’Armenia e l
a mutar gli altri tutti, mentre egli solo dovea durare immutabile, e che , già sparso quasi per l’intero universo, non avea
tre sètte distinte, i Farisei, i Saducei e gli Essenj ; ma nel mentre che i Romani vennero a cinger d’assedio Gerusalemme,
lemme, queste sètte si fusero in quella degli Zelanti, cioè di coloro che voleano scacciare i Romani o perire sotto le ruin
ruine del tempio. Di qui l’accanimento di quella guerra spaventevole che fece terrore ai Romani medesimi, e diè loro per l
una eroica resistenza. L’assedio di Gerusalemme fu più orrendo ancora che quello di Cartagine, e così nell’uno come nell’al
n ostante questi mucchi di rovine non soffocarono la novella credenza che usciva dalla Giudea ; anzi ella vide in questo es
goravano il vecchio paganesimo per ringiovanirlo ; non facevano altro che rimescolare il caos delle opinioni senza rinvenir
o che rimescolare il caos delle opinioni senza rinvenire una credenza che potesse rialzare l’intelletto dell’ uomo e affrat
à ; e marciò, per così dire, a grandi giornate su quelle vaste strade che la politica romana avea aperto da un capo all’alt
ell’impero pel passaggio delle legioni. Lusingò tutte le inclinazioni che l’odio del giogo romano nodriva nel cuore dei pop
ini, ben presto trasse intorno a sè tutti gli schiavi e gli oppressi, che è quanto dire l’universo. Nulla di meno quanti os
nza, e troppo erano istupiditi per poter diffidare d’alcuna impostura che tuttavia mirasse a tenerli soggetti. Altri s’acco
inò i circhi e i teatri : avea sopravvissuto pur anco all’incredulità che fomentava ; era divenuto una specie d’ipocrisia p
mo apparve sulla terra, il genere umano più non vivea, per così dire, che pei sensi. Il culto, simbolo vano, non era più da
nte la confinavano tra la plebe, la quale, meno corrotta forse, volea che i vizj, a cui rendeva ossequio sotto finti nomi,
va ossequio sotto finti nomi, avessero almanco nei loro emblemi alcun che di divino. All’ultimo altra religione non eravi i
mi alcun che di divino. All’ultimo altra religione non eravi in fatto che la voluttà ; e le sette più severe nella loro ori
ci osservazioni si può giudicare della buona fede di quegli scrittori che hanno sostenuto essersi il Cristianesimo stabilit
le miseria, d’una profonda costernazione ; chè quest’è appunto quello che il mondo pagano ravvisò sulle prime nel Cristiane
istianesimo. Ed ecco le passioni irrompono furibonde contro il nemico che si presenta a disputar loro l’impero dell’univers
re soggiogate prima di loro, cadono pur essi a piè del Cristianesimo, che in premio del pentimento lor promette l’immortali
mperator Severo, essendo perseguitati i Cristiani per lo solo odio in che avevano i Gentili il nome cristiano, Tertulliano
sentò ai governatori dell’impero romano una scrittura in loro difesa, che intitolò : Apologetico contro cl’ Idolatri. Da es
lò : Apologetico contro cl’ Idolatri. Da essa sono tratti i due brani che seguono.) 748. Se non è lecito a voi, o preside
uono.) 748. Se non è lecito a voi, o presidenti dell’impero romano, che , quasi nel più alto e cospicuo soglio, anzi quasi
assistete, il considerare alla scoperta e pubblicamente esaminare ciò che di chiaro si trovi nella causa de’ Cristiani che
amente esaminare ciò che di chiaro si trovi nella causa de’ Cristiani che a condannare quelli v’astringa ; se in questo sol
è accaduto, nelle domestiche sentenze operato per la sola inimicizia che avete con questa setta, è stato precluso il senti
si maraviglia, mentre, sapendo d’esser peregrina in terra, non ignora che ritrova fra gli estranei facilmente i nemici ; ma
che ritrova fra gli estranei facilmente i nemici ; ma essendole noto che la sua stirpe, la fede, la speranza, la grazia e
esser conosciuta, non resti condannata. Che cosa ne anderà alle leggi che sono in vigore nel regno, se essa è udita ? Forse
iteranno il sospetto di non retta coscienza, non volendo saper quello che , saputo, non potrebbero poi condannare. Laonde vi
Laonde vi opporremo, per prima causa della vostra poca equità, l’odio che portate ai Cristiani. Ed in vero una tale sorta d
tiani. Ed in vero una tale sorta di poca equità, dal titolo medesimo, che è l’ignoranza, onde sembra che scusata sia, vien
a di poca equità, dal titolo medesimo, che è l’ignoranza, onde sembra che scusata sia, vien caricata e convinta ; poichè qu
cata e convinta ; poichè qual cosa è più di lungi dall’equità, quanto che gli uomini abbiano in odio ciò che non sanno se i
è più di lungi dall’equità, quanto che gli uomini abbiano in odio ciò che non sanno se in fatti merita l’odio loro ? Poichè
ciò che non sanno se in fatti merita l’odio loro ? Poichè dir si può che lo merita, quando la cagione di meritarlo è pales
non dall’odiare, ma dal sapere perchè si deve odiare ? Onde, essendo che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che
ere perchè si deve odiare ? Onde, essendo che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che cosa sia quella che hanno in
iare ? Onde, essendo che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che cosa sia quella che hanno in odio, non può egli e
che gli uomini odiano senza che ad essi noto sia che cosa sia quella che hanno in odio, non può egli essere che essi medes
i noto sia che cosa sia quella che hanno in odio, non può egli essere che essi medesimi odiino ciò che non debbono ? Così d
a che hanno in odio, non può egli essere che essi medesimi odiino ciò che non debbono ? Così da ogni parte restan convinti,
ebbono ? Così da ogni parte restan convinti, o mentre ignorano quello che odiano, o mentre odiano ingiustamente quello che
ntre ignorano quello che odiano, o mentre odiano ingiustamente quello che ignorano ; e questo è il testimonio della ignoran
quale, mentre scusa la poca equità, la condanna. Poichè tutti coloro che per lo passato odiarono, non sapendo ciò che foss
nna. Poichè tutti coloro che per lo passato odiarono, non sapendo ciò che fosse lo scopo dell’odio loro, subito che abbando
o odiarono, non sapendo ciò che fosse lo scopo dell’odio loro, subito che abbandonarono l’ignoranza, parimente cessarono d’
are. Di questa sorta di gente si fanno i Cristiani,147 cioè di quelli che , deposta l’ignoranza con l’informarsi, incomincia
, deposta l’ignoranza con l’informarsi, incominciano ad odiare quello che furono e professare quello che odiarono : e son t
ormarsi, incominciano ad odiare quello che furono e professare quello che odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siam
e furono e professare quello che odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siamo. Vociferano che la città è assediata e
lo che odiarono : e son tanti quanti vedete che noi siamo. Vociferano che la città è assediata e circondata ; e che nei cam
e che noi siamo. Vociferano che la città è assediata e circondata ; e che nei campi e nell’isole e ne’ castelli ogni sesso,
. Non vogliono informarsi, perchè sono impegnati a odiare ; però quel che non sanno giudicano alla cieca esser tale, che, s
i a odiare ; però quel che non sanno giudicano alla cieca esser tale, che , se lo conoscessero, non lo potrebbero non odiare
ser tale, che, se lo conoscessero, non lo potrebbero non odiare, dove che , non trovando motivo d’odiare, ottima cosa è cess
tira al suo partito, mentre quanti sono gli scellerati, quanti quelli che dal retto sentiero traviano ! E chi lo nega ? Con
che dal retto sentiero traviano ! E chi lo nega ? Contuttociò quello che è veramente male, neppure da que’ medesimi che da
a ? Contuttociò quello che è veramente male, neppure da que’ medesimi che da esso travolti sono, per cosa buona è difeso. L
ti sono, per cosa buona è difeso. La natura ogni opera biasimevole fa che sia accompagnata dal timore e dal rossore di chi
tivi si affaticano di nascondersi, e s’ingegnano di non apparire quel che e’sono. Sorpresi, tremano ; accusati, negano ; e
ben disciplinata inclinazione, il destino e le stelle, e non vogliono che sia suo quello che riconoscono per male. Ma qual
clinazione, il destino e le stelle, e non vogliono che sia suo quello che riconoscono per male. Ma qual somiglianza hanno c
anche alle volte spontaneamente confessa ; condannato, ringrazia. Or che sorta di male si dirà mai questo, nel qual non si
si brama, la pena del quale per felicità si considera ? Non puoi dire che sia pazzia, perchè sei convinto di non giungere a
l’innocenza loro. Possono rispondere ed altercare, non essendo lecito che senza punto esser uditi e difesi siano condannati
la verità, perchè il giudice non sia ingiusto. Solo si attende quello che è lo scopo del pubblico odio, cioè la confessione
di sacrilego o di pubblico inimico (acciocchè io parli degli elogi di che voi ci favorite), non date sentenza, ma richiedet
oi poi non fate così ; ancorchè bisognerebbe pure chiarirsi di quello che falsamente si va di noi vociferando, cioè quanti
9 Qual gloria sarebbe di quel presidente, se potesse venire in chiaro che alcuno avesse divorato cento infanti ! Ma certame
o alfine per tanta moltitudine, scrisse a Trajano, allora imperatore, che , fuori dell’ostinazione di non voler sacrificare
tare inni a Gesù Cristo, come a Dio, e per confermar il loro istituto che proibiva l’omicidio, la fraude, la perfidia e l’a
fraude, la perfidia e l’altre scelleraggini. Rescrisse allora Trajano che genti di tal sorta non si dovevano cercare, ma, d
a necessità ! Nega cho si debbano ricercare come innocenti, e comanda che si puniscano come rei ! Perdona e incrudelisce !
se fosse lecito a noi ricompensare il male col male ? Ma non fia mai che una setta, che ha del divino, con fuoco umano ven
o a noi ricompensare il male col male ? Ma non fia mai che una setta, che ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi to
na setta, che ha del divino, con fuoco umano vendichi i suoi torti, e che si dolga di soffrire quel male, il quale fa prova
ltre genti qualunque siano, purchè d’un sol luogo e dei suoi confini, che le genti d’un mondo intero ? Noi siamo di jeri, e
ual guerra non saremmo idonei e pronti, anche ineguali di numero, noi che tanto volentieri ci lasciamo trucidare ? Se non c
li di numero, noi che tanto volentieri ci lasciamo trucidare ? Se non che , secondo la dottrina nostra, si stima più lecito
che, secondo la dottrina nostra, si stima più lecito l’essere ucciso che l’uccidere. È stato in nostro potere, disarmati e
si avreste cercato a chi comandare. Sarebbero a voi rimasi più nemici che cittadini. Di presente avete meno nemici per la m
rli nemici del genere umano. Chi di voi però da quegli occulti nemici che devastano per ogni parte la vostra mente e la sal
o, non riflettendo alla ricompensa di tanto ajuto a voi prestato, noi che siamo un genere di persone non solo a voi non mol
a voi non molesto, ma necessario, avete voluto stimare nemici, mentre che siamo certo nemici non del genere umano, ma bensì
o, ma bensì dell’umano errore…. Ma proseguite pure, buoni presidenti, che sarete più accetti appresso il popolo, se a lui s
tra iniquità è la prova della nostra innocenza. Perciò Iddio permette che soffriamo queste cose. Non però qualunque vostra
giova, servendo per allettamento ad abbracciare la nostra religione, che tanto più germoglia, quanto più da voi si miete,
vano i Cristiani, insegnando con le opere. Quella ostinazione stessa, che voi calunniate, n’è la maestra, mentre, e chi mai
stra, mentre, e chi mai, ciò considerando, non è sospinto a ricercare che cosa infatti ella intrinsecamente sia ? Ma chi è
into a ricercare che cosa infatti ella intrinsecamente sia ? Ma chi è che , dopo averne ricercato, a noi non s’unisca, ed un
Perciocchè dal martirio sono cancellati tutti i delitti. Onde avviene che parimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre
rimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre al contrario di quello che s’opera dagli uomini, s’opera da Dio ; poichè qua
esso. Talchè è un gran contrassegno della futura dannazione per colui che in tal modo pecca, che si venga a relegarlo dalla
contrassegno della futura dannazione per colui che in tal modo pecca, che si venga a relegarlo dalla comunione dell’orazion
e se pure abbiamo una sorta di cassetta, non è di disonore il danaro che vi si raccoglie, quasi che si compri la religione
a di cassetta, non è di disonore il danaro che vi si raccoglie, quasi che si compri la religione ; mentre in un giorno del
e nelle prigioni, solamente per la confessione della divina religione che professano. Tutte queste opere, e sopra ogni cosa
gione che professano. Tutte queste opere, e sopra ogni cosa la carità che è tra noi, ci rende appresso alcuni degni di bias
telli. Ma quanto più degnamente si chiamano e stimano fratelli coloro che hanno conosciuto Dio per unico loro padre, e si s
forse tanto meno siamo reputati legittimi, o perchè non vi è tragedia che faccia strepito della nostra fratellanza, o perch
icoltà ad accomunare gli averi, laonde tra noi tutto è indiviso fuori che la moglie…. Che maraviglia, se con tanta carità d
’indebitarsi. I computisti soli possono calcolare le spese di coloro, che gettano nelle crapule il loro avere nell’occasion
l proprio vocabolo rende buon conto di sè ; perciocchè è detta Agape, che appresso i Greci suona quello che suona carità ap
o di sè ; perciocchè è detta Agape, che appresso i Greci suona quello che suona carità appresso di noi, talchè sia di qualu
il ventre, ma perchè appresso a Dio è in gran conto la considerazione che si ha delle persone bisognose. Laonde, si la caus
el convito è onesta, argomentatene l’ordine rimanente esserne secondo che l’obbligo della religione ci prescrive. Non ci ha
dovere nella notte levarsi ad adorare Dio. Discorrono in quella guisa che discorre chi sa che il suo Signore l’ascolta ; po
evarsi ad adorare Dio. Discorrono in quella guisa che discorre chi sa che il suo Signore l’ascolta ; poichè, data l’acqua a
convito, di dove s’esce di poi, non per andar tra le truppe di coloro che fanno alle coltellate, nè tra le schiere di chi v
dere alla cura medesima della modestia e della pudicizia, come quelli che nella cena non cibarono solo il corpo di vivande 
erela. In danno di chi ci aduniamo mai ? Congregati, siamo gli stessi che siamo disuniti, ed in comune siamo gli stessi che
i, siamo gli stessi che siamo disuniti, ed in comune siamo gli stessi che soli : nessuno da noi s’offende, nessuno da noi s
ingiurioso noi siamo accusati, cioè come inutili per ogni affare. In che modo di questo ci fate rei, che pure con voi vivi
cioè come inutili per ogni affare. In che modo di questo ci fate rei, che pure con voi viviamo, che abbiamo il vitto ed il
affare. In che modo di questo ci fate rei, che pure con voi viviamo, che abbiamo il vitto ed il vestire stesso e le medesi
tore nostro. Non rigettiamo alcun frutto delle sue opere. Bene è vero che siamo temperanti, per non servircene smoderatamen
me. Le arti e le opere nostre accomuniamo al vostro uso. Io non so in che maniera vi sembriamo infruttuosi ne’vostri negozj
te ne’giuochi di Bacco, perchè è costume de’combattenti con le fiere, che cenano per l’ultima volta. Tuttavia, quando io ce
on compro la corona pel mio capo ; ma, comprando non ostante i fiori, che importa a te del come io me ne serva ?155 Sembran
ori più vaghi, mentre son liberi o sciolti, e vaganti per ogni parte, che non se sono ristretti in corona : noi godiamo del
rona : noi godiamo delle corone solo colle narici. Il facciano coloro che fiutano i fiori per mezzo de’capelli. Non veniamo
o i fiori per mezzo de’capelli. Non veniamo negli spettacoli ; ma ciò che in quelle adunanze si vende, se da me sarà bramat
eghe. Non compriamo incensi ; e se l’Arabia si lamenta, sanno i Sabei che le loro merci hanno più spaccio presso di noi, e
nte, se la vuole, porga Giove la mano, e prenda la limosina ; essendo che frattanto la nostra misericordia più spende per l
ssendo che frattanto la nostra misericordia più spende per le strade, che la vostra religione per i templi. Le altre impost
e per la bugia delle vostre professioni, si farà facilmente il conto, che la querela che ci fate in ordine ad una sola spez
delle vostre professioni, si farà facilmente il conto, che la querela che ci fate in ordine ad una sola spezie di cose, vie
una sola spezie di cose, vien compensata dal comodo degli altri dazj che da noi medesimi ricavate con tutta esattezza. Ter
ianesimo non fosse comparso nel mondo. 750. È probabilissima cosa che , senza il Cristianesimo, il naufragio della socie
a barbarie, nelle quali si sarebbe trovato sepolto. Non ci volea meno che una moltitudine immensa di solitari sparsi nelle
eguimento di un medesimo fine, per conservare almeno quelle scintille che riaccesero presso i moderni la face delle scienze
lla conservazione ed al risorgimento del sapere. In qualunque ipotesi che immaginare si voglia, si trova sempre che l’Evang
apere. In qualunque ipotesi che immaginare si voglia, si trova sempre che l’Evangelio impedì la distruzione della società :
nendo da un lato ch’esso non fosse comparso sulla terra, e dall’altro che i Barbari avessero continuato a starsene nelle lo
’suoi costumi, era minacciato de una spaventevole dissoluzione. Forse che si sarebbero sollevati gli schiavi ? Ma essi eran
tre, ma s’immiseriva ; e le arti decadevano. La filosofia non serviva che a spargere una specie d’empietà, la quale, senza
Campidoglio, e ne calcava con disprezzo le statue ? Tacito pretendeva che sussistesse ancora qualche costumatezza nelle pro
ssistesse ancora qualche costumatezza nelle province ; ma è da notare che queste province già cominciavano a divenir cristi
e già cominciavano a divenir cristiane ; e noi poniamo invece il caso che il Cristianesimo non si fosse mai conosciuto, e c
mo invece il caso che il Cristianesimo non si fosse mai conosciuto, e che i Barbari non fossero usciti dai loro deserti. Qu
verosimilmente dilacerato l’imperio, i soldati eran corrotti del pari che tutto il resto dei cittadini ; e più in là sarebb
ndati, se i Goti e i Germani non gli avessero arruolati. Tutto quello che puossi congetturare si è, che dopo lunghe guerre
on gli avessero arruolati. Tutto quello che puossi congetturare si è, che dopo lunghe guerre civili, e dopo un generale som
tichi ammettevano l’infanticidio, e lo scioglimento del nodo nuziale, che non è, a dir vero, se non il primo nodo della soc
ccesso delle prime austerità dei Cristiani era necessario : bisognova che vi fossero dei martiri della castità, quando vi e
polo corrotto ai vili combattimenti del circo e dell’arena, bisognava che la Religione avesse, per così dire, anch’essi i s
parlando, il suo passaggio sopra la terra è il più grande avvenimento che avesse mai luogo fra gli uomini, poichè la faccia
Chateaubriand. (Traduz. di L. Toccagni.) 144. Dotlrina filosofica, che prendeva il nome da Epicuro, e che professavs mas
gni.) 144. Dotlrina filosofica, che prendeva il nome da Epicuro, e che professavs massime assai libere, principalmenle i
, principalmenle in fatto di morale. 145. È opinione di molti dotti, che la lingua sanscritta, la quale è tuttora la lingu
idolatri. 148. Ai Cristiani si apponeva da’ Gentili questa calunnia, che nelle loro adunanze uccidessero un bambino e sel
lle loro adunanze uccidessero un bambino e sel mangiassero ; calunnia che avea origine da una atorta interpretazione del Sa
. 149. Quesl’altra calunnia pur s’apponeva da’ Gentili a’ Cristiani, che , in molte loro adnnanze notturne, legassero un ca
olte loro adnnanze notturne, legassero un cane ad ogni candeliere ; e che alla fine di esse, questi, adescati dal pane che
ogni candeliere ; e che alla fine di esse, questi, adescati dal pane che veniva lor presentalo, rovesciando i candelieri,
l mondo. 151. I Preli o Presbileri, così chiamali da una voce greca, che suona vecchio. 152. Numera lulte le occasioni i
este erano le cene di Serapi, dio egizio, nelle quali, pe’gran fuochi che si facevano in cucina, slavano vigilanti le guard
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
el Sole, degli Arcieri e della Medicina Due erano i nomi principali che più comunemente si davano a questo Dio, cioè Apol
nquillamente alla opinione di quegli antichi mitologi, i quali dicono che Apollo significa unico, e Febo luce e vita 105).
del sole, di essere egli nel nostro sistema planetario il solo astro che dà luce e vita ad ogni mortal cosa. Molti altri
to è bene osservare per la precisa intelligenza delle poetiche frasi, che Apollo è considerato più generalmente come il ver
Apollo è considerato più generalmente come il vero e proprio nome, e che Febo trovasi spesso usato come aggettivo o epitet
o ; e perciò li divido in due gruppi, riunendo tra loro quegli uffici che sono più affini ; e fo centro del 1° gruppo il Di
° il Dio della Poesia. Considerato Apollo come il Dio del Sole, chi è che non l’abbia veduto dipinto da più o men valenti p
ie del firmamento, e circondato da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno al suo carro ? I pittor
i nomi assegnati dai poeti ai quattro cavalli e il numero delle Ninfe che accompagnano il Sole. I cavalli si chiamano con g
Sole. I cavalli si chiamano con greci nomi Eoo, Piroo, Eto e Flegone, che significano orientale, focoso, ardente, fiammante
istiche, bene attribuite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del
antichi Romani v’era inoltre una ragione speciale riferibile all’uso che avevano di dividere il giorno vero, ossia il temp
mpio, usa l’Ariosto le seguenti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai
enti espressioni mitologiche a significare che per chi aspetta sembra che il tempo non passi mai : « In quel duro aspettar
olta « Pensa ch’Eto e Piroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta, che dar volta « Le par che tardi, oltre l’usato, trop
iroo sia fatto zoppo, « O sia la ruota guasta, che dar volta « Le par che tardi, oltre l’usato, troppo. » (Orl. Fur., xxxi
i, 11.) Troviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo che sotto al procelloso « Aquario il Sol corregge ad
prudentemente taciuto : soltanto in appresso qualche mitologo inventò che il Sole, dopo di essersi riposato nel palazzo di
con greco nome Zodiaco, cioè zona di animali, perchè le costellazioni che vi si trovano (meno una sola) hanno il nome di di
ei quali sinora ne conosciamo due soli, di Ganimede coppiere di Giove che è rappresentato nel segno dell’ aquario, e di Ast
ppresentato nel segno dell’ aquario, e di Astrea dea della giustizia, che fu simboleggiata nel segno della Vergine : delle
oni apprenderemo in seguito la ragion mitologica nel trattar dei miti che vi hanno relazione. Di Apollo esistono molte stat
i hanno relazione. Di Apollo esistono molte statue ; una delle quali, che è una maraviglia dell’ arte greca, ammirasi nella
statua colossale in bronzo rappresentante Apollo, di tali dimensioni che i due piedi posavano sulla estremità dei due moli
ricati 900 cammelli. A spiegare il crepuscolo mattutino, ossia l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i
l’alba che precede il giorno, come dice Dante, inventarono i mitologi che tra i figli del Sole vi era una bellissima figlia
coi crin d’ oro. Dante nota ancora l’ aura annunziatrice degli albori che movesi ed olezza tutta impregnata dall’erbe e dai
lemme liberata : « Già l’aura messaggiera erasi desta « Ad annunziar che se ne vien l’Aurora. « Ella s’adorna il crine, e
bre quello dell’Aurora di Guido Reni in Roma. Lo stesso Michelangelo, che tutto osò e in tutto fu sommo, volle rappresentar
glio di Apollo convien qui parlare, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. Fetonte, i
la Ninfa Climene. Fu egli un giovinetto presuntuoso, il quale credeva che gl’illustri natali bastassero a compire le grandi
mpegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo che egli era figlio di Apollo col guidar per un giorn
l padre una grazia, prègandolo a giurare per le acque del fiume Stige che non glie l’avrebbe negata. Apollo giurò ; ma tost
alli del Sole ben presto si accorsero della inesperta ed imbelle mano che li guidava, e non trattenuti dai freni deviarono
rimenti rimediarvi, coi fulmini trafisse Fetonte e sbigottì i cavalli che tornarono indietro alle loro stalle. Fetonte fulm
rasportato in balìa dei cavalli del Sole : « Maggior paura non credo che fosse, « Quando Fetonte abbandonò li freni, « Per
i popoli, delle favelle e della scienza antica. Finchè il Paganesimo, che le spacciò per verità religiose, fu la religione
à religiose, fu la religione degli Stati e dei popoli, è ben naturale che fossero da tutti celebrate ; ma pur anco i poeti
spesso con l’arco e con gli strali ; e noi abbiamo veduto nel N° XIII che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei
III che egli nella guerra dei Giganti non fu uno di quei Numi paurosi che fuggirono e si nascosero, ma costantemente aiutò
aiutò il padre e i fratelli saettando i nemici. Ora devesi aggiungere che Giove vedendo la bravura di Apollo, lo incoraggia
gli ripeteva, come dicono i mitologi greci, le greche parole le Pai, che significano ferisci o figlio, e da queste parole
dottarono il nome Pean per significare quel nume, ma soltanto l’inno, che chiamarono il Peana 118. Un’altra solenne prova d
nfezione dell’aría. È facile lo spiegar questa favola, se riflettiamo che il Sole coi suoi raggi chiamati poeticamente dard
’impaludati terreni, venne ad uccidere gli animali mostruosi e nocivi che vi erano nati. Anche i paleontologi hanno riconos
tare e descrivere l’ufficio della Pitonessa del Tempio di Delfo. Dopo che i mitologi ebbero considerato Apollo come Dio del
ebbero considerato Apollo come Dio del Sole, furono indotti a credere che esser dovesse pur anco il Dio della Medicina120),
odotti dei tre regni della Natura. Inoltre gli attribuirono un figlio che fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale
e fu il più valente medico sulla Terra, e dal quale nacque una figlia che fu la Dea della Salute. Nella invenzione della di
e tre divinità v’è molta connessione logica di principii scientifici, che esamineremo dopo aver parlato del figlio e della
e della nipote di Apollo secondo la Mitologia. Esculapio, lo stesso che Asclepio, come lo chiamavano i Greci, era figlio
cui le antiche tradizioni ci abbiano tramandato il nome, aggiungendo che nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tan
o che nell’esercizio dell’arte salutare faceva cure tanto prodigiose, che guariva tutti i malati e perfino risuscitava i mo
e perfino risuscitava i morti. Ma Plutone re delle regioni infernali che vedeva togliersi le sue prede, ossia richiamare i
contentar più pienamente il suo fratello Plutone. Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, ch
Consentì per altro che fosse trasportato in Cielo e divenisse un Dio, che i popoli molto volentieri adoravano e a cui racco
entato con volto maestoso e in atto di meditare ; lunga avea la barba che scendeagli a mezzo il petto ; sulle spalle il pal
ulto di Esculapio fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio, che da quella città fu trasportata sol
io fu in Epidauro ; e sappiamo dallo stesso Livio, non che da Ovidio, che da quella città fu trasportata solennemente la st
tatua del Nume a Roma, e gli fu eretto un Tempio nell’isola Tiberina, che allora fu detta di Esculapio, ed ora di San Barto
tempio pagano al culto di quest’apostolo. Idearono ancora i mitologi che Esculapio avesse una figlia chiamata Igiea, o Igi
e, difficilissima in pratica pel gran numero di speciali osservazioni che richiede per ciascuna persona, ma utilissima semp
que genere d’intemperanza121. Nella invenzione di queste tre Divinità che presiedono alla più felice conservazione degli es
ervazione degli esseri umani, troviamo un concetto ed un ragionamento che ha la forma di un sillogismo. Apollo rappresenta
o. Apollo rappresenta il principio generale delle forze della natura, che sono il primo e più sicuro fondamento della conse
amento della conservazione della salute ; Esculapio la scienza medica che fa l’applicazione delle cognizioni teoriche all’a
delle cognizioni teoriche all’arte salutare, ed Igiea la conseguenza che ne deriva, che è la più felice e la più durevole
ni teoriche all’arte salutare, ed Igiea la conseguenza che ne deriva, che è la più felice e la più durevole conservazione d
ù felice e la più durevole conservazione della salute. E per indicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile
ndicare che non sempre l’arte medica può ottenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Escula
tenere quest’utile effetto che è lo scopo delle sue cure, fu aggiunto che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato
o che Esculapio, a richiesta di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge del
di Plutone, morì fulminato da Giove : il che evidentemente significa, che la suprema legge della natura, quando ha decretat
21.) 107. Dante dopo aver descritto il carro di Beatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e
eatrice, alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : «
e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : « Non che Roma d’un carro così bello « Rallegrasse Africano
ia pover con ello. » (Purg., xxix, 113.) 108. Dal greco nome Eos che significa l’Aurora hanno i poeti formato Eoo che
. Dal greco nome Eos che significa l’Aurora hanno i poeti formato Eoo che vorrebbe dire orientale, per indicare uno dei cav
» I poeti minori poi non finiscono mai di rammentare le eoe maremme, che rimano sempre con le indiche gemme. 109. Merit
sima descrizione della reggia del Sole nel 2° lib. delle Metamorfosi, che comincia così : « Regia Solis erat sublimibus al
, ma collo stesso Omero a costruir palagi magnifici senz’ altra spesa che di parole e d’opera d’ inchiostro e può meritamen
parole e d’opera d’ inchiostro e può meritamente esclamare di quello che egli fa trovare ad Astolfo nel mondo della luna,
aque, Scorpius, Arcitenens, Caper, Amphora, Pisces. » 111. « Sì che le bianche e le vermiglie guance « Là dove io er
radiso : « O poca nostra nobiltà di sangue …………. « Ben se’ tu manto che tosto raccorce, « Sì che se non s’appon di die in
nobiltà di sangue …………. « Ben se’ tu manto che tosto raccorce, « Sì che se non s’appon di die in die, « Lo tempo va d’int
 Lo tempo va d’intorno con le force. » E dice questo per significare che senza le egregie opere dei discendenti, la nobilt
va in dileguo e cade in dispregio. Quanto poi alla vanitosa illusione che le virtù degli avi passino col sangue nei loro di
volte risurge per li rami « L’umana probitate : e questo vuole « Quei che la dà perchè da lui si chiami. » 113. Il Po er
’esistenza di questa fu osservata la prima volta confricando l’ambra, che attira allora leggiere pagliuzze e piccoli framme
 ……. sul fiume « Dove chiamò con lacrimoso plettro « Febo il figliuol che avea mal retto il lume, « Quando fu pianto il fab
lettro, « E Cigno si vesti di bianche piume. » 115. Dicendo Dante che il cielo si cosse, come apparisce ancora, allude
come apparisce ancora, allude a quella estesissima macchia biancastra che di notte si scorge nel cielo, e che è detta anche
la estesissima macchia biancastra che di notte si scorge nel cielo, e che è detta anche dagli astronomi via lattea, e con g
Galassia. Con tali parole accenna Dante l’opinione di alcuni mitologi che quella macchia (che veramente è uno strato di mil
arole accenna Dante l’opinione di alcuni mitologi che quella macchia ( che veramente è uno strato di milioni e milioni di lo
, candore notabilis ipso. 116. Allude al lamento ed alla preghiera che si trova rettoricamente amplificata da Ovidio nel
ib. delle Metamorfosi. 117. È noto a chiunque ha studiato Geografia, che Tolomeo ammetteva il movimento del Sole intorno a
etteva il movimento del Sole intorno alla terra, e Copernico dimostrò che in natura accade l’opposto. 118. Dante, nel Ca
voce Peana può significare tanto il nome di Apollo, quanto dell’inno che cantavasi in onore di lui. 119. « Da tutte p
La famosa Scuola Salernitana, di cui si citano tanti aforismi latini, che si odono spesso come proverbii sulle labbra di mo
e igienista Michel Lévy dichiara nella sua grand’ opera dell’ Igiene, che questo ed altri assiomi generali « sono la parte
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
lle più belle regioni della Terra, accettò di regnar nell’ Inferno. E che quel soggiorno fosse pur troppo inamabile, come d
me dicono i poeti latini, e tetro, si può dedurre pur anco dal sapere che nessuna Dea o Ninfa, per quanto ambiziosa e vana,
; e se egli volle aver moglie gli convenne rapirla, e poi contentarsi che ella stesse ogni anno per sei mesi con la madre o
Cap. X, ove si parla di Proserpina). Lo stesso Omero dice chiaramente che quelle infernali regioni, oltre ad esser prive de
nfernali non spiegava alcun potere sulle anime dei buoni, nè troviamo che andasse mai a visitare i Campi Elisii, o invitass
ampi Elisii, o invitasse alla sua reggia alcuno dei più illustri eroi che vi soggiornavano ; e sui malvagi aveva un ufficio
e carceri o delle galere ; nè poteva diminuirne o aggravarne le pene, che giudici di diritto e di fatto, da lui indipendent
sero di supplirvi assegnando a Plutone non soltanto la cura di far sì che delle anime degli estinti non ritornasse alcuna n
on una mano sostenendosi il mento e coll’altra impugnando lo scettro, che era una forca bicorne : in capo avea la corona ;
sua madre. Allora non compariva più come l’avvenente e delicata Ninfa che sceglieva fior da flore alle falde del monte Etna
stre ; ma come una matrona molto seria, in regie vesti, ma tutt’altro che lieta del grado di regina : allora confondevasi i
si invece con Diana triforme, o con Persefone (chè questo era il nome che davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di
e che davasi dai Greci alla regina dell’Inferno) ; e di più credevasi che anch’essa si fosse adattata ai gusti del marito,
i del marito, e li secondasse attirando nei regni infernali più gente che potesse ; e perciò si trova chiamata dai poeti la
toriana del re e della regina dell’Inferno consisteva nel Can Cerbero che aveva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior f
veva 3 teste, e difendeva meglio e con maggior fedeltà i suoi padroni che far non potesse una coorte di Svizzeri. Di Pluto,
utone, conveniva trovare una diversa origine e parentela ; e fu detto che era figlio di Cerere dea delle biade e di un ricc
rere dea delle biade e di un ricco agricoltore Giasione, per indicare che le vere e più sicure ricchezze derivano dall’agri
le vere e più sicure ricchezze derivano dall’agricoltura. In fatti a che servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? A n
atti a che servirebbe l’oro senza i frutti della Terra ? A null’altro che a rinnovare la miseria dell’avaro Mida, come dice
Parche, figlie di Giove e di Temi 244, e corrispondevano a quelle Dee che i Greci chiamavano le Mire. In origine i Greci co
tarono tre, distinguendole coi nomi di Cloto, Lachesi ed Atropo, nomi che furono adottati dai poeti latini per le loro Parc
rono ancora nel frasario poetico degl’Italiani. Asserivano i mitologi che le Parche avevano l’ufficio di determinare la sor
degli uomini dal primo istante della nascita a quello della morte ; e che ne dessero indizio con un segno sensibile singola
rissimo, ma invisibile ai mortali, cioè per mezzo di un filo di lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una p
lana, che esse incominciavano a filare quando nasceva una persona, e che recidevano, quando quella persona doveva morire.
ano lo stame vitale di lane di diversi colori : il bianco ed il nero ( che allora non si sapeva che non fossero colori), ind
ne di diversi colori : il bianco ed il nero (che allora non si sapeva che non fossero colori), indicavano la felicità e la
i onori, ecc. E dovendo le Parche far questo lavorìo per ogni persona che veniva al mondo, non mancava loro occupazione : q
uere una di esse Parche senza nominarla, usò questa perifrasi : colei che di e notte fila, supponendo che tutti i suoi lett
minarla, usò questa perifrasi : colei che di e notte fila, supponendo che tutti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia,
a, supponendo che tutti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia, e che perciò capissero che egli intendeva di parlare di
ti i suoi lettori sapessero bene la Mitologia, e che perciò capissero che egli intendeva di parlare di Làchesi. Infatti i m
loro nomi ed ufficii nella Divina Commedia, come apparisce dai versi che ne cito in nota246. Anche Michelangelo ha rappres
arche in queste loro diverse occupazioni, come si vede nel suo quadro che trovasi nella galleria di Palazzo Pitti. Da quant
ti. Da quanto leggesi scritto e narrato intorno alle Parche si deduce che esse erano indipendenti da Plutone ; e perciò dov
a Plutone ; e perciò dovrebbero chiamarsi piuttosto ministre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando
inistre del Fato che del re dell’Inferno. Ma gli Antichi considerando che esse troncavano lo stame vitale e crescevano il n
ci e i latini, ma anche gl’italiani ci presentano singolari fantasie, che è necessario conoscere. Essendo Caronte il barcar
noscere. Essendo Caronte il barcaruolo dell’Inferno, s’intende subito che doveva trovarsi molto occupato a traghettar le an
all’ altra riva dello Stige o dell’Acheronte. La favola ci fa sapere che egli era figlio dell’ Erebo e della Notte ; che e
a favola ci fa sapere che egli era figlio dell’ Erebo e della Notte ; che era vecchio e canuto, ma pur sempre robusto ; orr
sozzo di persona e di vesti, e di modi zotici ed aspri. Aggiunge poi che ciascun’anima per essere ricevuta nella barca di
dopo la morte. Passate le anime all’altra riva, trovavano tre giudici che decidevano delle sorti di ciascuna di loro nell’a
remo parlar nuovamente e più a lungo nel ragionare dei secoli eroici, che sono il medioevo fra la Mitologia e la Storia. Le
rtaro, ma pur anco a spaventare e perseguitare in vita gli scellerati che avevano commesso i più gravi e nefandi misfatti.
ie furon dai Greci chiamate Erinni, nome adottato dai poeti latini, e che trovasi anche in Dante ; ed erano tre : Megera, T
nitrice delle stragi ed inquieta. Ebbero anche il titolo di Eumenidi, che vorrebbe dire benevole o placabili, dopo che scon
e il titolo di Eumenidi, che vorrebbe dire benevole o placabili, dopo che scongiurate con sacri riti lasciarono quieto Ores
iurate con sacri riti lasciarono quieto Oreste. Altri mitologi dicono che ebbero esse questo nome per antifrasi, cioè per s
r figli i Sogni, di cui si rammentano con nomi speciali soltanto tre, che erano i capi di altrettante tribù numerosissime,
ch’egli ebbe nel suo viaggio allegorico. Lo stesso Virgilio ci narra che nelle regioni sotterranee vi son due porte da cui
ò bene l’Alighieri d’impiegare nel suo Inferno. È facile l’indovinare che introducendole nell’Inferno dei Cristiani non con
nell’Inferno dei Cristiani non conservasse loro il grado di divinità che avevano in quello dei Pagani. Infatti le ridusse
rtesi, « Batte col remo qualunque si adagia. » Ha soltanto di buono che non esige più l’obolo per traghettar le anime all
gratuitamente. S’incontra poi « Cerbero fiera crudele e diversa, » che conservando la sua forma tricipite, « Con tre go
a forma tricipite, « Con tre gole caninamente latra « Sovra la gente che quivi è sommersa. « Gli occhi ha vermigli e la ba
i tre Giudici dell’Inferno pagano, Dante ha impiegato soltanto Minos, che era il presidente di quel tribunale ; ma nell’Inf
e ringhia, « Esamina le colpe nell’entrata, « Giudica e manda secondo che avvinghia, cioè per mezzo della sua coda, come s
nessun l’avrebbe indovinato ; perciò soggiunge subito dopo : « Dico che quando l’anima malnata « Gli vien dinanzi, tutta
è da essa : « Cingesi con la coda tante volte « Quantunque gradi vuol che giù sia messa250. » V’è anche « ….. Pluto con l
e giù sia messa250. » V’è anche « ….. Pluto con la voce chioccia, che parla un linguaggio che non s’intende : « Pape S
’è anche « ….. Pluto con la voce chioccia, che parla un linguaggio che non s’intende : « Pape Satan, pape Satan aleppe.
ove son puniti gli avari e i prodighi ; ma Dante e Virgilio mostrano che meritava poco rispetto chiamandolo fiera crudele
ome re dell’Inferno, perchè anche questo dipende dal re dell’Universo che in tutte parti impera, secondo le espressioni di
condo le espressioni di Dante stesso ; ma abbiamo già veduto di sopra che il poeta si valse di uno dei nomi di Plutone, di
nazioni derivate dall’Inferno dei Pagani ; e principalmente i geologi che diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie ch
palmente i geologi che diedero il nome di plutoniche ad alcune roccie che il progresso delle osservazioni scientifiche fece
ce riconoscere differenti, per certi particolari caratteri, da quelle che avevan chiamate vulcaniche, e perciò da doversi d
scelsero per esse una denominazione derivata da Plutone Dio infernale che aveva maggiore affinità con Vulcano, Dio del fuoc
ther il 5 maggio 1853 ; ed in appresso avendone scoperti tanti altri ( che sinora sono giunti a più di 130), hanno saccheggi
telescopico. Anche il can Cerbero ha ricevuto l’onore dagli astronomi che il suo nome fosse dato ad una piccola costellazio
emisfero boreale, vicina a quella parte della costellazione di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla f
di Ercole che si chiama la mano, volendosi così alludere alla favola che Ercole incatenò il can Cerbero nell’Inferno e lo
nome di Cerbero a un genere di piante della famiglia delle Apocinee, che hanno proprietà velenose ; ed inoltre ad una spec
, e fe’ ristarmi, « Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco « Ove convien che di fortezza t’armi. » (Inf., xxxiv, 16.) 243.
t’armi. » (Inf., xxxiv, 16.) 243. Basterà sentire la descrizione che l’ Ariosto fa dell’ Orco di Norandino nel Canto x
« Lungo il lito del mar, terribil mostro. — « Dio vi guardi, Signor, che ’l viso orrendo « Dell’ Orco agli occhi mai vi si
imostro ; « Meglio è per fama aver notizia d’esso, « Che andargli, sì che lo veggiate, appresso. « Non gli può comparir qua
occole d’osso. « Verso noi vien, come vi dico, lungo « Il lito, e par che un monticel sia mosso. « Mostra le zanne fuor com
sa porta « Che ’l bracco suol, quando entra in sulla traccia. « Tutti che lo veggiam, con faccia smorta « In fuga andiamo o
ia. « Poco il veder lui cieco ne conforta, « Quando fiutando sol, par che più faccia, « Ch’altri non fa ch’abbia odorato e
ume. « Corron chi qua chi là, ma poco lece « Da lui fuggir veloce più che ’l Noto. « Di quaranta persone, appena diece « So
o, « Che gli pendea, come a pastor, dal fianco. » E per intender poi che questa è una imitazione del gigante Polifemo desc
E prima il fa veder ch’all’antro arrivi, « Che tre dei nostri giovini che aveva, « Tutti li mangia, anzi trangugia vivi. « 
ea in collo. » 244. La voce Parca deriva dal verbo latino parcere, che vuol dire perdonare ; ma siccome le Parche non pe
non perdonavano mai a nessuno, vuolsi intendere (secondo i mitologi), che sien così dette per antifrasi ex eo quod non parc
ologi), che sien così dette per antifrasi ex eo quod non parcant : il che equivarrebbe a dire che son così chiamate ironica
tte per antifrasi ex eo quod non parcant : il che equivarrebbe a dire che son così chiamate ironicamente. — Troveremo un ca
e Furie. 245. Anche i poeti latini trovarono più poetiche le Parche che il Fato ; e assegnarono ad esse lo stesso ufficio
lle Parche il presagio dei futuri eventi, si chiaman fatali gli stami che esse filano, e si aggiunge che nessun Dio può dis
ri eventi, si chiaman fatali gli stami che esse filano, e si aggiunge che nessun Dio può disfarli : « Hunc cecinere diem P
riferibili ai nomi ed agli ufficii delle tre Parche : « Ma po’ colei che di e notte fila « Non gli avea tratta ancora la c
taggio ha questa Tolomea « Che spesse volte l’anima ci cade « Innanzi che Atropòs mossa le dea. » (Inf., xxx, 124.) Second
le e indegno di cotanto uffizio. — Un commentatore Darwiniano direbbe che questo giudice era uno scimmione precocemente per
za spirito di parte, non fossero nè guelfi nè ghibellini. Ma io credo che nell’invenzione dantesca sia da ammirarsi princip
a anche il seguente epigramma attribuito al Machiavello : « La notte che morì Pier Soderini, « L’alma n’andò dell’Inferno
17 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
nome os, oris (labbro o bocca), sta a significare le risposte a voce che rendevansi dagli Dei ai mortali per mezzo dei sac
ella parola, qualunque altro modo di manifestazione dei voleri divini che non fosse a voce, non potrebbe a rigore chiamarsi
ontà degli Dei. Lo stesso è da dirsi del vocabolo responsi, latinismo che è divenuto in italiano il termine solenne e poeti
i Oracoli282). Inoltre la parola Oracolo significa talvolta lo stesso che responso, e tal’altra il luogo sacro in cui si re
discorso e monotono il parlar di tutti particolarmente ; ed io credo che invece basterà descriverne tre o quattro dei prin
più famosi, e passar leggermente sugli altri con qualche osservazione che sia ad essi comune. Fra tutti quanti gli Oracoli,
garchico, dipendendo con assoluta autorità da cinque Sommi Sacerdoti, che eran chiamati i cinque Santi. Credevasi che Apoll
a cinque Sommi Sacerdoti, che eran chiamati i cinque Santi. Credevasi che Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone che
que Santi. Credevasi che Apollo colà avesse ucciso il serpente Pitone che infestava quei luoghi ; e che perciò in origine l
o colà avesse ucciso il serpente Pitone che infestava quei luoghi ; e che perciò in origine la città di Delfo fosse detta P
i ai giuochi in onore di esso, di Pizia o Pitonessa alla sacerdotessa che invasata dal Nume proferiva mistiche parole, inte
ssibile a tutti i profani, ed ove ammettevasi soltanto qualche devoto che ne avesse ottenuto dai sacerdoti il permesso. Nel
venir le traveggole, ovvero mofetici da mozzare il fiato. Un tripode, che alcuni dissero coperto della pelle del serpente P
di quello pendeva un vaso circolare e concavo, una specie di caldaia, che i Greci chiamavano lebete e i Latini cortina, den
ol qual significato è passata nella lingua italiana. Il furore divino che invasava la Pizia era l’effetto delle esalazioni
vasava la Pizia era l’effetto delle esalazioni naturali o artificiali che uscivano dalla voragine ; le mistiche parole che
turali o artificiali che uscivano dalla voragine ; le mistiche parole che essa proferiva erano vocaboli sconnessi, detti a
proferiva erano vocaboli sconnessi, detti a caso e senza alcun senso, che i sacerdoti cercavano di connettere in frasi ambi
nnettere in frasi ambigue, ossia con doppio senso ; e il sacro orrore che investiva i creduli devoti ammessi a queste fanta
, Strabone e Tacito ; e quest’ultimo storico autorevolissimo aggiunge che il sacerdote proferiva gli oracoli in versi. (Ann
erpretazione. Quest’Oracolo cominciò ad esser poco frequentato appena che acquistò fama quello di Delfo, che era il più cen
ò ad esser poco frequentato appena che acquistò fama quello di Delfo, che era il più centrale della Grecia e rendeva respon
iove Ammone nella Libia parlammo a lungo nel N° XI : ora basterà dire che in quest’Oracolo i responsi deducevansi dalle oss
parleremo altrove. V’erano per altro anche in Italia alcuni Oracoli, che perciò eran detti Italici, come l’antico oracolo
onsistevano nella interpretazione di segni casuali, ed anche di sogni che si facessero addormentandosi in quei sacri recint
ui eran solenni mæstri gli Etruschi ; e da essi li appresero i Romani che ne facevano un uso frequentissimo negli affari pu
sì civili. » Che fossero un’impostura dei sacerdoti pagani non credo che sia d’uopo dimostrarlo ai tempi nostri, tanti sec
n credo che sia d’uopo dimostrarlo ai tempi nostri, tanti secoli dopo che furon riconosciuti falsi e bugiardi gli stessi De
i scrittori ecclesiastici si affatichino a citare centinaia di autori che avevano scritto contro gli Oracoli, per noi non è
erudizione, tanta ricchezza di testimonianze ; e ci basterà il sapere che ne pensassero Demostene, Cicerone e Catone Uticen
elle sue celeberrime Orazioni disse pubblicamente al popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale a dire che l’Oracolo
licamente al popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale a dire che l’Oracolo di Delfo era corrotto dall’oro del re F
festazione della volontà degli Dei287). Catone Uticense ai suoi amici che gli suggerivano (quand’egli era in Affrica armato
mato contro Cesare) di consultare l’Oracolo di Giove Ammone, rispose, che gli Oracoli erano buoni per le donne, i fanciulli
nza degli Oracoli coll’attribuire alla morte di alcuni Dèmoni o Genii che vi presiedevano la cessazione di alcuni oracoli,
i Dèmoni o Genii che vi presiedevano la cessazione di alcuni oracoli, che derivò soltanto dal discredito in cui eran caduti
oracoli, che derivò soltanto dal discredito in cui eran caduti ? Egli che visse sino all’anno 119 dell’èra cristiana e si m
ni Dèmoni o Genii ; poichè questa asserzione implicava la possibilità che morissero tutti gli altri ; e inoltre il creder n
rissero tutti gli altri ; e inoltre il creder negli Dei e il supporre che non fossero immortali era una contradizione, la n
la negazione della loro stessa divinità, e perciò del culto religioso che ne dipendeva. I primi Cristiani attribuirono gli
istiani attribuirono gli Oracoli all’opera dei Demònii, ed asserivano che la potenza di questi era cessata col sorger del C
navano gratuitamente e senza necessità una causa soprannaturale a ciò che era l’effetto naturalissimo della impostura dei s
r altro a spiegarsi il fatto storico, pur troppo vero e indubitabile, che per tanti secoli gli Oracoli avessero credito e f
i più antichi scrittori. I mitologi dicono (come notammo nel N. XIV) che Deucalione e Pirra, dopo l’universale diluvio, co
nei segreti consigli di Stato. Fu poi riconosciuto anche dai filosofi che i primi civilizzatori dei popoli si valsero del p
durli a collegarsi ed unirsi fra loro in un più umano consorzio. Quel che di Orfeo dice Orazio nella Poetica è applicabile
etica è applicabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi che il governo teocratico fu il primo go
cabile a tutti i fondatori delle antiche religioni ; dal che deducesi che il governo teocratico fu il primo governo regolar
rpretazione : « Fra tutti gli uomini laudati sono laudatissimi quelli che sono stati capi e ordinatori delle religioni. » E
e repubbliche, inimici delle virtù, delle lettere e d’ogni altra arte che arrechi utilità e onore alla umana generazione, c
co. E nessuno sarà mai sì pazzo, o sì savio, o sì tristo, o sì buono, che propostagli la elezione delle due qualità d’uomin
propostagli la elezione delle due qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare e biasimi quella che è da biasimare.
qualità d’uomini, non laudi quella che è da laudare e biasimi quella che è da biasimare. » (Discorsi, lib. I, cap. 10.) E
oro cerimonie dipendevano da questi. Perchè loro facilmente credevano che quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro be
ipendevano da questi. Perchè loro facilmente credevano che quello Dio che ti poteva predire il tuo futuro bene o il tuo fut
zione e devoto. » Da tutte le preaccennate autorità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun che l
rità e da altre molte che si potrebbero citare, e delle quali ciascun che legge queste pagine avrà facilmente præ manibus p
te præ manibus più d’una, si può dedurre con sicurezza di non errare, che gli Oracoli e gli altri modi d’interpretazione de
rima con intenzion casta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti al pubblico bene furono utilissim
er difenderla contro le straniere invasioni. Il responso della Pizia, che i Greci si difendessero in mura di legno, suggerì
leggevasi scritta sul pronao del tempio di Apollo in Delfo. Cicerone che l’analizza filosoficamete nelle Tusculane, chiama
e nelle Tusculane, chiama il Nosce te precetto di Apollo, ed aggiunge che essendo di tal sublimità da parer superiore all’i
o umano, fu perciò attribuito a un Dio290). Finchè dunque i sacerdoti che facevan parlare gli Oracoli furon dotti e sapient
uomini increduli ed atti a perturbare ogni ordine buono. » Fu allora che venne fuori Demostene a dire pubblicamente che la
ine buono. » Fu allora che venne fuori Demostene a dire pubblicamente che la Pizia filippeggiava, e in appresso Cicerone a
ia filippeggiava, e in appresso Cicerone a dimostrare filosoficamente che la Divinazione era immaginaria e insussistente, e
la Divinazione era immaginaria e insussistente, e Catone ad asserire che gli Oracoli eran buoni soltanto per le donne, i f
morta 292). 281. Ha la stessa etimologia la parola orazione, tanto che Cicerone dichiara : « Oracula ex eo ipso appellat
quod inest in his deorum oratio. » In greco avevano due o tre termini che non furono adottati nella lingua italiana, e solt
o i pregi per cui distinguevansi diverse città della Grecia, rammenta che Delfo era illustre per l’oracolo di Apollo : « L
tate alcune anche nei libri di rettorica e belle lettere, come quella che si suppone data a Pirro re dell’Epiro prima di mu
oi la risposta dell’Oracolo di Delfo ai figli di Tarquinio il Superbo che insieme con Bruto erano andati a consultarlo per
pollo il titolo di Dio Clario, per la celebrità dell’oracolo di Claro che rendeva i responsi in versi ; e con adulazione co
onsi in versi ; e con adulazione cortigianesca assomiglia il giudizio che darebbe de’suoi versi il principe dotto e poeta a
issa legenda Deo. » 287. Riporterò il seguente passo di Cicerone, che è decisivo : « Sed jam ad te venio, « Sancte Apo
dosque leones. » (Hor., De art. poet., v. 391.) 289. Narra Erodoto che la Pizia terminò il suo responso con queste parol
Narra Erodoto che la Pizia terminò il suo responso con queste parole che in greco eran comprese in due versi : Divina Sala
e donne, o Cerere si disperda, oppure si unisca. Molti interpretavano che i Greci sarebbero stati vinti a Salamina ; ma Tem
onvinse tutti ragionando così : « Se Apollo avesse voluto significare che Salamina sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’av
na sarebbe infausta agli Ateniesi, non l’avrebbe appellata divina ; e che perciò la minaccia era contro i Persiani, i quali
impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere al popolo romano che le sue prescrizioni religiose e civili gli erano
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
ri marini Mitologici e Poetici Distingueremo subito i mostri marini che avevano in parte figura umana da quelli che erano
mo subito i mostri marini che avevano in parte figura umana da quelli che erano soltanto animali marini di orribili forme.
ente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. Oltre al dire che erano bellissime, aggiungevano i mitologi ed i po
tre al dire che erano bellissime, aggiungevano i mitologi ed i poeti, che esse cantavano dolcissimamente, e suonavano egual
barbaro diletto di annegarli nel mare o di divorarseli. Ed asserivasi che per quanto le prossime coste dell’Italia e della
oro per udirle meglio, e non pensava più alla trista fine inevitabile che lo attendeva. Da circa 3000 anni quasi tutti i po
descrizioni e le allusioni se ne formerebbe un volume. Omero inventò che Ulisse, volendo udire il canto delle Sirene e sch
ti della Sirena, il poeta ce la rappresenta come l’immagine del vizio che alletta « Col venen dolce che piacendo ancide. «
rappresenta come l’immagine del vizio che alletta « Col venen dolce che piacendo ancide. « Ma così tosto al mal giunse lo
endo ancide. « Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito dopo soggiunge : « Ancor non era sua bocc
hesso me per far colei confusa. » E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quell
E questa donna santa era la Virtù, che stracciando le pompose vesti che cuoprivano quella immagine del vizio, ne mostrò a
el vizio, ne mostrò a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferir
usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle ch
lezione di morale che immaginava di aver ricevuta in sogno, ma volle che gliela commentasse il suo duca, signore e maestro
 Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi al logoro che gira « Lo rege eterno con le rote magne. » I mit
e ne rammentano tre, cioè Lisia, Leucosia e Partenope ; ed aggiungono che la sirena Partenope andò a morire sulla costa del
ndò a morire sulla costa del Tirreno dove fu poi fabbricata una città che in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Par
città che in memoria di lei ebbe il nome di Partenope o Partenopea, e che in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi an
e che in appresso rifabbricata fu detta, come dicesi ancora, Napoli, che significa città nuova. Scelsero egregiamente gli
giorno delle Sirene un clima incantevole bene adattato agli attributi che a queste assegna la favola. Il nome di Sirena è u
di Sirene ai cetacei erbivori, detti comunemente Lamentini (Manatus), che formano la transizione fra le balene e le foche,
e, come una gran parte dei pesci227. Da sì lieve causa e somiglianza, che doveva sembrare anche più grande alla robusta e s
rigine la favola delle Sirene, abbellita dall’arte dei poeti nel modo che abbiam detto. Non si può parlar di Scilla senza c
ei poeti nel modo che abbiam detto. Non si può parlar di Scilla senza che ricorra alla mente anche Cariddi, essendo questi
Cariddi, e collocati fronte a fronte geograficamente. La favola dice che Scilla era figlia di Forco divinità marina e di E
cilla era figlia di Forco divinità marina e di Ecate dea infernale, e che in origine era bellissima, ma poi per gelosia di
enchè creduta figlia di Nettuno e di Gea, ossia della Terra, fu detto che si dilettava di assaltare i passeggieri e i navig
di assaltare i passeggieri e i naviganti, e di annegarli nel mare ; e che , fulminata da Giove, cadde nello stretto o faro d
di Messina, e vi formò una pericolosa voragine. La geografia ci dice che Scilla è una scogliera sulla costa della Calabria
ia ulteriore I228, ove le onde si frangono romoreggiando con un suono che sembra un latrato : quindi la favola dei cani all
bra un latrato : quindi la favola dei cani alla cintura di Scilla ; e che Cariddi è un vortice poco distante, sulla opposta
Sicilia presso il faro di Messina. L’antico volgo esagerò i pericoli che v’ erano a passar lo stretto fra Scilla e Cariddi
impetuosi, o per la imperizia degli antichi navigatori, certo è però che nei tempi moderni nessun più ne teme, anzi di per
Cariddi, « Che si frange con quella in cui s’intoppa, « Così convien che qui la gente riddi. » (Inf., C. vii, 22.) Passan
iddi. » (Inf., C. vii, 22.) Passando ora a parlare dei mostri marini che erano soltanto animali viventi nel mare, e le cui
, e le cui specie son tuttora esistenti, convien notare primieramente che gli Antichi davano loro il nome generale di Orche
con tanto maggior sicurezza lavoravano di fantasia. Perciò supposero che fossero animali carnivori che divorassero gli uom
avoravano di fantasia. Perciò supposero che fossero animali carnivori che divorassero gli uomini e tanto più volentieri le
divorassero gli uomini e tanto più volentieri le donne ; e credettero che talvolta uscisser dal mare, e sulle terre vicine
ron descritte le più terribili Orche dagli antichi poeti, quella cioè che devastò la Troade ai tempi dello spergiuro Laomed
i queste dovremo parlare lungamente a suo tempo. Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro che B
Per altro si capisce che quelle così terribili Orche non erano altro che Balene. Ma oggidì può chiunque sa leggere sapere
bri di Storia Naturale, o aver sentito raccontare da chi li ha letti, che la vera e propria Balena,231 senza pinna dorsale
e sfiatatoi, mentre è il più grosso degli animali viventi, non è vero che sia un animale carnivoro, perchè i suoi stromenti
di 2 pollici. Inoltre la Balena con tutta la sua gigantesca statura, che quando alza l’enorme sua testa perpendicolarmente
uno scoglio ; e per quanto sia straordinaria e tremenda la sua forza, che quando flagella furiosamente le onde colla potent
i del secolo di Augusto232, e neppure lo stesso Plinio il Naturalista che morì l’anno 79 dell’era cristiana il 2° giorno de
a il 2° giorno della prima eruzione del Vesuvio. E quantunque i poeti che scrissero dopo le prime spedizioni dei Baschi all
tre la descrizione del modo con cui Orlando libera Olimpia dall’ Orca che stava per divorarla : « Tosto che l’Orca s’accos
Orlando libera Olimpia dall’ Orca che stava per divorarla : « Tosto che l’Orca s’accostò, e scoperse « Nel schifo Orlando
nco ; e l’àncora attaccolle « E nel palato e nella lingua molle. « Sì che nè più si puon calar di sopra, « Nè alzar di sott
o oscuro « Di qua e di là con tagli e punte tocca. « Come si può, poi che son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difende
ci, ben difender rocca, « Così difender l’Orcá si potea « Dal paladin che nella gola avea. « Dal dolor vinta, or sopra il m
o fuor ne viene : « Lascià l’àncora fitta, e in mano prende « La fune che dall’àncora depende. « E con quella ne vien notan
retta « Verso lo scoglio, ove fermato il piede, « Tira l’àncora a sè, che in bocca stretta « Con le due punte il brutto mos
tro fiede. « L’Orca a seguire il canapo è costretta « Da quella forza che ogni forza eccede, « Da quella forza che più in u
costretta « Da quella forza che ogni forza eccede, « Da quella forza che più in una scossa « Tira, ch’in dieci un argano f
scossa « Tira, ch’in dieci un argano far possa. « Come toro salvatico che al corno « Gittar si senta un improvviso laccio,
asconde « Del chiaro Sol : tanto le fa salire. « Rimbombano al rumor che intorno s’ode « Le selve, i monti e le lontane pr
più affaticarsi ; « Che pel travaglio e per l’avuta pena « Prima morì che fosse in su l’arena »233. Dopo questa arditissi
arborati e seminativi, un ampio lago ed un mercato di grano con gente che compra e vende, e inoltre una chiesa con le campa
ano con gente che compra e vende, e inoltre una chiesa con le campane che suonano a festa, un convento di frati cappuccini
e rammenta le balene nel fare una sapiente e filosofica osservazione, che cioè la Natura non ha da pentirsi di aver creato
mento della mente, vale a dire l’intelligenza e il raziocinio, l’uomo che ne è fornito può non solo difendersi da essi, ma
del peso di più di 100 mila chilogrammi ; e così dimostrar coi fatti che non già la forza brutale, ma l’intelligenza, madr
chi ; e chiamansi quelle Mairmaids, e questi Mairmen, parole composte che voglion dire fanciulle marine e uomini marini. 2
a una città chiamata Scilla ; ed ora vi è un paese dello stesso nome, che gli abitanti pronunziano come se si scrivesse Sci
Balena detta della Groenlandia, perchè si trova nelle acque del mare che circonda quell’isola. 232. Orazio faceva tante
isola. 232. Orazio faceva tante maraviglie e mostrava quasi orrore che gli uomini avessero osato affidarsi con fragil ba
n fatti di diverso vi è soltanto la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli rius
la fantastica invenzione ariostesca, che Orlando fosse così ardito (e che inoltre gli riuscisse) di entrar nella bocca dell
gli riuscisse) di entrar nella bocca dell’ Orca con tutta la nave, e che ficcasse l’ancora « E nel palato e nella lingua
asse l’ancora « E nel palato e nella lingua molle ; » mentre è noto che si scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina ne
scaglia e s’infigge il rampone o la fiocina nella pelle del cetaceo, che è grossa circa un pollice, e si fa penetrare nel
a circa un pollice, e si fa penetrare nel sottoposto strato di grasso che è alto almeno quindici pollici. In tutto il riman
scrizione par tratta da qualche libro moderno di Storia Naturale, sol che all’àncora si sostituisca il rampone al quale è a
l’àncora si sostituisca il rampone al quale è attaccata la lunga fune che si tiene fissata alla nave, e se è possibile anch
sata alla nave, e se è possibile anche alla spiaggia. E vero del pari che la Balena : « Dal dolor vinta, or sopra il mar s
ir l’arene « Con mille guizzi e mille strane ruote. » E vero altresì che dal rampone e dalla fune « ………. scior non se ne
esì che dal rampone e dalla fune « ………. scior non se ne puote ; » e che finalmente, esaurite le forze, muore la Balena «
alena « E pel travaglio e per l’avuta pena. » 234. Il raziocinio che fa Dante su tal proposito è molto notabile, e mer
19 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
a inesauribile per inventar cose strane e fuori dell’ordine naturale, che perciò appunto si dicono prodigiose, e più verame
di Ditirambo, e i poeti latini di Bimater, cioè figlio di due madri, che meglio direbbesi due volte nato, perchè la così d
mmina, ma un maschio. Convien dunque darne la spiegazione. Raccontano che Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva S
dunque darne la spiegazione. Raccontano che Giunone essendosi accorta che Giove prediligeva Semele, figlia di Cadmo re di T
endo all’ incompleto sviluppo di esso e rendendolo vitale196. Dopo di che lo consegnò alle figlie di Atlante perchè lo alle
re) un vecchio satiro chiamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto pi
vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile che istillare il gusto delle belle lettere e delle sc
buso di questo liquore. Anzi per indicare non tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne d
tanto la forza del vino che dà alla testa, quanto ancora l’impudenza che ne deriva in chi ne abusa, si aggiungevano sulla
si aggiungevano sulla fronte di Bacco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che
cco le corna198 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. Coloro però
8 ; e i poeti dicono che egli non sempre le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. Coloro però che vogliono
le portava, il che significa che non era sempre ubriaco. Coloro però che vogliono attribuir dignità o importanza a questo
però che vogliono attribuir dignità o importanza a questo Dio dicono che le corna son simbolo della potenza di lui, ossia
otenza di lui, ossia della forza del vino. Il nome stesso di Bacco, o che si faccia derivare da un greco vocabolo che signi
l nome stesso di Bacco, o che si faccia derivare da un greco vocabolo che significa favellare, ed accenni al vaniloquio del
questo secondo e peggior senso, poichè ne formavano il verbo bacchari che significa infuriare, e in più mite accezione abba
egria. In italiano poi dal nome di Bacco è derivata la parola baccano che significa rumore strepitoso e selvaggio di gente
a parola baccano che significa rumore strepitoso e selvaggio di gente che sembra impazzata. E questo era il rumore che face
oso e selvaggio di gente che sembra impazzata. E questo era il rumore che facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le do
ra il rumore che facevano i seguaci di Bacco, e specialmente le donne che furon chiamate Baccanti ; e in tal modo clamoroso
odo clamoroso e impudente celebravansi in Roma le feste di questo Dio che furon dette Baccanali, di cui gli eccessi giunser
Baccanali, di cui gli eccessi giunsero anticamente tant’oltre in Roma che il Senato dovè proibirle. L’immagine e similitudi
ccanali si è conservata e riprodotta sino a noi nel nostro carnevale, che in altri tempi più antichi dicevasi ancora carnas
l Redi ; e tra i Satiri v’era l’aio di Bacco, cioè il vecchio Sileno, che dall’essere continuamente ubriaco non reggevasi i
sulla groppa del suo asinello. Ma qui cederò la parola al Poliziano, che maravigliosamente in due sole ottave di versi end
pampino « Coperto, Bacco il qual duo tigri guidano ; « E con lui par che l’alta rena stampino « Satiri e Bacche ; e con vo
Bacche ; e con voci alte gridano. « Quel si vede ondeggiar ; quei par che inciampino ; « Quel con un cembal bee ; quegli al
u allevato. I Latini non adottarono questo nome, ma bensì l’aggettivo che ne deriva, e davano l’appellativo di Dionisie 200
deriva, e davano l’appellativo di Dionisie 200) alle feste di Bacco, che quando proruppero in eccessi ributtanti, oltre ch
le feste di Bacco, che quando proruppero in eccessi ributtanti, oltre che Baccanali furono dette anche Orgie da un greco vo
ti, oltre che Baccanali furono dette anche Orgie da un greco vocabolo che significa pur esso furore. Anche in italiano si d
i. I Latini bene spesso davano a Bacco il nome di Libero per indicare che il vino ispira libertà, ma però eccessiva, che al
di Libero per indicare che il vino ispira libertà, ma però eccessiva, che allora equivale a licenza o impudenza. Gli altri
i. Convien qui rammentare il grido di allegrezza e di evviva a Bacco, che ripetevasi frequentemente nelle feste di lui ; ed
tevasi frequentemente nelle feste di lui ; ed era la greca voce Evoe, che in latino s’interpreta Euge fili ! e nel nostro v
rrisponde a Bravo figlio ! parole di approvazione e d’incoraggiamento che i mitologi suppongono dette da Giove a Bacco suo
azzanti, in atto di far passi concitati o salti, e perciò colle vesti che formavano obliquamente molte pieghe ; e in mano i
e alla buona, senza tante sicumere e accordature d’orchestra. Finsero che Bacco nei suoi viaggi di proselitismo enologico a
xo Arianna figlia di Minos re di Creta, abbandonata dal perfido Teseo che a lei doveva la sua salvezza dal labirinto e dal
era egregia di Vulcano, la quale poi fu cangiata in una costellazione che porta ancora il nome di corona di Arianna. Tre fi
, ed ebbero nomi relativi alla vite, all’uva ed al vino, cioè Evante, che significa fiorente ; Stafilo, nome derivato da st
oè Evante, che significa fiorente ; Stafilo, nome derivato da staphis che era una specie di vite e d’uva anticamente chiama
a specie di vite e d’uva anticamente chiamata stafusaria ; ed Enopio, che vuol dire bevitor di vino. Si attribuivano a Bacc
ribuivano a Bacco diversi miracoli. Cangiò in delfini alcuni marinari che si opponevano al suo culto. Fece sì che Licurgo,
iò in delfini alcuni marinari che si opponevano al suo culto. Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato ch
suo culto. Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il quale aveva ordinato che si tagliassero tutte le viti dei suoi Stati, nel
di propria mano si tagliasse da sè stesso le gambe. Penteo re di Tebe che voleva abolire il culto di Bacco fu ucciso dalla
voleva abolire il culto di Bacco fu ucciso dalla propria madre Agave, che insieme con altre Baccanti venuta in furore lo av
Bacco per attendere alla loro occupazione di tesser le tele, fu detto che furono cangiate in vipistrelli 205) e i loro tela
premio dal Nume la facoltà di scegliere un dono di suo piacere. Mida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in or
ida, che era avarissimo, chiese di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava, e Bacco gliel’accordò ; ma presto egli e
l grazia, poichè quando si pose a mensa trovò con suo grande spavento che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami
o che si cangiavano in solido oro non solo i vasellami e le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevan
le stoviglie che egli toccava, ma pur anco tutti i cibi e le bevande che mettevasi in bocca, e presto sarebbe morto di fam
Bacco gli ordinò di lavarsi nel fiume Pattolo ; e i poeti aggiunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la pr
giunsero che le acque di quel fiume contrassero in parte la proprietà che Mida perdè, trasportando nella loro corrente alcu
ida « Che seguì alla sua dimanda ingorda « Per la qual sempre convien che si rida. » Ma non meno risibile divenne Mida, al
gli fece crescere le orecchie d’asino per aver giudicato bestialmente che all’armonia dell’apollinea cetra fosse preferibil
co in origine era simbolo soltanto del vino ; ma dopo tutte le favole che si raccontarono di lui, e specialmente dopo i fat
lonia ha colmo il sacco « D’ira di Dio, e di vizii empi e rei « Tanto che scoppia ; ed ha fatti suoi Dei « Non Giove e Pall
ed amico ; e questi mi sembrano più ingegnosi e più filosofi naturali che gli altri. Imperocchè poco vale il piantare e il
pero e sanno, e gli antichi e i moderni, o storicamente o per pratica che le uve non maturano nei luoghi freddi ed esposti
. Egli dice nel Canto xxv del Purgatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor che dalla vite cola.
gatorio : « Guarda il calor del Sol che si fa vino, « Misto all’umor che dalla vite cola. » Lo stesso Galileo 300 anni do
00 anni dopo non aggiunse nulla di più alla formula di Dante col dire che il vino è un composto di umore e di luce. Il cele
parlando del vino : « Sì bel sangue è un raggio acceso « Di quel Sol che in Ciel vedete, « E rimase avvinto e preso « Di
ialeschi di Lorenzo il Magnifico per le mascherate dette di carattere che si facevano in quei tempi. Torna qui in acconcio
facevano in quei tempi. Torna qui in acconcio di rammentare il Canto che è intitolato : Trionfo di Bacco e di Arianna, che
rammentare il Canto che è intitolato : Trionfo di Bacco e di Arianna, che insieme col Canto dei Cialdonai, dei Romiti, dei
col Canto dei Cialdonai, dei Romiti, dei Sette Pianeti e degli Uomini che vanno col viso volto indietro si trova riportato
d., ii, 19.) 202. Il Ditirambo, voce derivata da due parole greche che appellano alla doppia nascita di Bacco, oltre ad
composto per lo più di due pezzi concavi di metallo (ferro o bronzo), che si suonavano battendoli insieme, come fanno tutto
v’è il famoso Fauno di greca scultura, in atto di suonare il crotalo che ha nelle mani. — In Zoologia si dà il nome di cro
pertilio, di cui ci dà l’etimologia Ovidio nelle Metamorfosi, dicendo che questi animali notturni : « ……….. tenent a vespe
spere nomen. » 206. È coerente al carattere di Bacco Dio del vino che egli disprezzi e biasimi la birra, il sidro e qua
egli disprezzi e biasimi la birra, il sidro e qualunque altra bevanda che non si estragga dall’uva. Perciò nel ditirambo de
lega col vino, e ne diminuiscono l’uso e il consumo : « Non fia già che il cioccolatte « V’adoprassi, ovvero il tè : « Me
n saran giammai per me : « Beverei prima il veleno, « Che un bicchier che fosse pieno « Dell’amaro e reo caffè. » Sempre m
i (come dicono i chimici) con litargirio, con minio o sal di Saturno, che sono veri e proprii veleni. 207. Si noti però c
o sal di Saturno, che sono veri e proprii veleni. 207. Si noti però che la vite non ama neppure l’eccesso del caldo ; e i
20 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
me dopo la morte, secondo la Mitologia Abbiamo veduto nel N. XXVIII che i Campi Elisii erano il soggiorno dei buoni dopo
erano per lo più gli Eroi o Semidei, e non tutti, ma quelli soltanto che furono i più grandi benefattori della umanità. A
, per quanto buoni e giusti e pii andavano ai Campi Elisii, soggiorno che gli Antichi, con tutta la loro vigorosa fantasia,
terrestri condizioni di questa mortal vita. Lo stesso Omero ci narra che Achille, quantunque godesse i primi onori nei Cam
soggiorno, anche pochi anni dopo la sua morte ; e parlando con Ulisse che era andato a visitare il regno delle ombre, « No
s., xi, trad., di Pindemonte). Non era dunque uno stato felice quello che produceva la noia, e faceva rimpianger la vita mo
enza del passato, e principalmente di quei luoghi e di quelle persone che resero loro più cara e gioconda la terrena esiste
ù cara e gioconda la terrena esistenza. Aggiunsero infatti i mitologi che tutte quelle anime così dette beate si esercitava
sercitavano nell’altro mondo in quelle stesse arti ovvero occupazioni che erano state per loro più gradite in questo252. Pe
sa tomba, gli schiavi, i cavalli, i cani ed anche i materiali oggetti che gli furono più cari in vita, non dubitando che pe
he i materiali oggetti che gli furono più cari in vita, non dubitando che per tal via andassero a raggiungere l’anima di lu
si, immaginata dal filosofo Pitagora253. Metempsicòsi è parola greca che significa trasmigrazione delle anime ; questa dot
ca che significa trasmigrazione delle anime ; questa dottrina suppone che le anime degli estinti, dopo essere state un cert
he le anime degli estinti, dopo essere state un certo numero di anni ( che i più fissano a mille) negli Elsii o nel Tartaro,
’è nascosto, « Quanto appare e quant’è, muove, nudrisce, « E regge un che v’è dentro o spirto o mente « O anima che sia del
ove, nudrisce, « E regge un che v’è dentro o spirto o mente « O anima che sia dell’Universo ; « Che sparsa per lo tutto e p
cola e s’unisce. « Quinci l’uman legnaggio, i bruti, i pesci, « E ciò che vola, e ciò che serpe, han vita, « E dal foco e d
« Quinci l’uman legnaggio, i bruti, i pesci, « E ciò che vola, e ciò che serpe, han vita, « E dal foco e dal ciel vigore e
le caduche membra « Le fan terrene e tarde. E quinci ancora « Avvien che tema e speme e duolo e gioia « Vivendo le conturb
ra « Avvien che tema e speme e duolo e gioia « Vivendo le conturba, e che rinchiuse « Nel tenebroso carcere e nell’ombra « 
poche siamo « Cui sì lieto soggiorno si destini. « Qui stiamo in fin che ’l tempo a ciò prescritto « D’ogni immondizia ne
tempo a ciò prescritto « D’ogni immondizia ne forbisca e terga, « Sì che a nitida fiamma, a semplice aura, « A puro eterio
a questa celeberrima esposizione di principii filosofici e religiosi, che è la più bella e sublime di quante ce ne son perv
ttrina della Metempsicòsi, e ne deriva necessariamente la conseguenza che le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio
le pene del Tartaro e le beatitudini dell’Elisio non erano eterne, e che le anime avevano una perpetua rotazione di passag
sso il principio, o vogliam dir la credenza dell’anima del Mondo 256, che fu considerata come la base del Panteismo 257. Ap
i una piccola moneta di tal nome nella bocca degli estinti258. Vero è che queste stesse monete si ritrovarono anche dopo 10
o ceneri, e ne furon trovate anche in bocca alle Mummie egiziane : il che dimostrò che Caronte non era tanto inesorabile qu
e furon trovate anche in bocca alle Mummie egiziane : il che dimostrò che Caronte non era tanto inesorabile quanto gli agen
rrando per 100 anni lungo lo Stige nella penosa incertezza della sede che erale destinata. La qual credenza religiosa rese
l Tartaro l’immaginazione degli Antichi era stata un poco più feconda che in quella delle beatitudini dell’ Elisio, avendo
, fu punito nel Tartaro coll’esser legato a cerchio sopra a una ruota che velocemente e continuamente girando rendevagli et
ondannato nel Tartaro a spinger sulla cima di un monte un gran masso, che tosto ricadendo a valle rendeva eterna la sua pen
(Odissea, xi.) Di Tantalo è anche più straordinaria la colpa non meno che la pena. Tantalo era figlio di Giove e perciò amm
li Dei inorriditi si astennero dal mangiarne, ad eccezione di Cerere, che afflitta per la perdita di Proserpina, non si acc
evole imbandigione, e mangiò una spalla di Pelope. Si aggiunge ancora che gli Dei resero la vita al figlio di Tantalo ricòm
spalla mancante. Questo strano racconto era così divulgato e creduto, che i Pelopidi, ossia i discendenti di Pelope, portav
). Il padre scellerato ed empio fu condannato nel Tartaro ad una pena che tutti i poeti greci e latini rammentano, ma niuno
glio le bramose labbra, « Tante l’onda fuggìa dal fondo assorta, « Sì che appariagli ai piè solo una bruna « Da un Genio av
ltro, secondo l’interpretazione dei moderni grecisti, sembra asserire che Tantalo soffriva quella pena non già nell’Inferno
Tantalo aggiunge il timore continuo di essere schiacciato da una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di
una rupe che sta sempre per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà
per cadergli addosso, e il tormento di sapere che egli è immortale, e che perciò la sua pena durerà eternamente. Orazio ass
bi squisiti, non posson comprar nemmeno i più vili per saziar la fame che li tormenta. Dicesi ancora che soffron la pena di
nemmeno i più vili per saziar la fame che li tormenta. Dicesi ancora che soffron la pena di Tantalo coloro che non content
che li tormenta. Dicesi ancora che soffron la pena di Tantalo coloro che non contenti dell’aurea mediocrità, si macerano d
n contenti dell’aurea mediocrità, si macerano desiderando in vano ciò che non possono ottenere. Costoro nell’eccesso oppost
stessi delle loro smodate e irrazionali cupidità. Del gigante Tizio che offese Latona, udiremo da Omero qual fosse la pen
. (Odissea, xi.) Flegia, benchè figlio di Marte e padre di Coronide che partorì Esculapio, fu empio contro Apollo, e ne i
ito nel Tartaro col perpetuo timore di essere schiacciato da un masso che gli pendea sulla testa. Virgilio aggiunge che Fle
schiacciato da un masso che gli pendea sulla testa. Virgilio aggiunge che Flegia « Va tra l’ombre gridando ad alta voce :
legia « Va tra l’ombre gridando ad alta voce : « Imparate da me voi che mirate « La pena mia : non violate il giusto, « R
uesto il suo Maestro, ed ha fatto di Flegia un nocchiero della palude che cinge la città di Dite. Salmoneo, fratello di Si
esso il nome e degli Dei « S’attribuiva i sacrosanti onori. « Folle ! che con le fiaccole e co’bronzi « E con lo scalpitar
ello non andassero in possesso generi estranei alla famiglia, propose che i suoi 50 figli sposassero le 50 figlie di Danao.
ebbe acconsentito, se l’oracolo da lui consultato non avesse risposto che egli sarebbe stato ucciso da un genero suo nipote
Danao allora per tentar di assicurarsi la vita macchinò un misfatto, che 49 delle sue figlie eseguirono, qual fu quello di
iata, o come altri dicono sfondata, con l’ironica e beffarda promessa che sarebbe cessata la loro fatica, quando la botte f
pistole ; come pure altri poeti del secolo di Augusto270. È notabile che nell’Inferno dei Pagani le pene non hanno una evi
la spinta criminosa, considerandola in ragion composta coll’ingiuria che risulta dal commesso delitto, ossia colla violazi
lo stesso metodo a render ragione delle diverse categorie di dannati che egli ha posti in tre diversi cerchi, gironi o bol
empo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione con la quale dimostra che usura offende la divina bontade ; e perciò gli us
perciò gli usurieri son condannati alle pene dell’Inferno. Egli finge che sia Virgilio che gli dà tale spiegazione da lui r
ri son condannati alle pene dell’Inferno. Egli finge che sia Virgilio che gli dà tale spiegazione da lui richiesta : « Fil
a quella, quanto puote, « Segue, come il maestro fa ’l discente, « Sì che vostr’arte a Dio quasi è nipote. « Da queste due,
quanto giusto tua virtù comparte ! » ci costringe ancora ad ammirare che di tanta sapienza, arte e giustizia la sua mente
celebri dei Pagani introdusse Dante nel suo Inferno, perchè non volle che gli mancasse lo spazio per cacciarvi tanti storic
rfino re e imperatori, e papi e cardinali. Di alcuni di quei dannati che Dante non rammentò raccolsero i nomi gli Scienzia
. I Chimici da Tantalo denominaron Tantalio un nuovo elemento o corpo che partecipa della natura dei metalli per le sue pro
co, ecc. Delle Danaidi fu dato il nome dagli Zoologi a certe farfalle che hanno nera la testa e il corpo con alcuni punti b
ere di piante rampanti della famiglia delle rubiacee, con fiori rossi che spandono piacevole odore. Anche in Meccanica ha i
nche in Meccanica ha il nome di Danaide una specie di ruota idraulica che serve a convertire il movimento rettilineo di una
e si fece così una felice allusione al continuo attinger dell’acqua, che era la pena delle Danaidi. 252. « Pars in gr
ei Pitagorici, nella opinione dei quali acquistò egli tanta autorità, che tutte le sue asserzioni erano stimate verità indu
ndubitabili. Essi in fatti nelle dispute non adducevano altra ragione che l’Ipse dixit, cioè le parole del loro maestro : i
assò a Metaponto ed ivi morì ; e dopo la morte fu più ancora ammirato che in vita, poichè la sua casa fu cangiata in un tem
Nume. 254. Avendo ammesso Pitagora nella dottrina della Metempsicòsi che le anime degli uomini, specialmente dei malvagi,
imale, e ridusse i suoi seguaci a cibarsi soltanto di vegetabili ; il che diede origine alla denominazione di vitto pitagor
, dice il Pestalozza, non è erronea per sè stessa, ma pel solo motivo che in essa l’anima s’immedesima colla divina sostanz
Lari, e fu temuto « Sulla polve degli avi il giuramento : « Religïon che con diversi riti « Le virtù patrie e la pietà con
Ovid., Metam., iii.) 263. Non dovrebbe ai moderni recar maraviglia che i Pelopidi portassero per decorazione una piccola
alsamentarii, volgarmente detti pizzicagnoli. Sapevalo bene il Giusti che nella sua satira sui Brindisi, inveisce contro un
di rimprovero : « Rida in barba a San Marco ed a San Luca, « E gridi che il suo santo è san Secondo, « E che il zampon di
an Marco ed a San Luca, « E gridi che il suo santo è san Secondo, « E che il zampon di Modena nel mondo « Compensa il Duca.
, 3ª, 77.) 265. Ambrosia in greco significa immortalità, e nettare che non uccide. — Questo passo di Pindaro ha dato luo
21 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
zio Poichè i mitologi, e specialmente i poeti latini, ci raccontano che Saturno esiliato dal Cielo si fermò in Italia all
al Cielo si fermò in Italia alla corte di Giano su quel celebre colle che tuttora chiamasi Gianicolo (abitazione di Giano) 
si Gianicolo (abitazione di Giano) ; ed essendo questa la prima volta che noi troviamo un Dio che abita e conversa familiar
di Giano) ; ed essendo questa la prima volta che noi troviamo un Dio che abita e conversa familiarmente con gli uomini, co
re diverse opinioni, tra le quali accenneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle
nneremo per ora quella soltanto che è la più semplice e sbrigativa, e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi
e che prima delle altre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo cre
ltre espone Ovidio nelle Metamorfosi, vale a dire che quel Dio stesso che dal Caos formò l’universo creasse l’uomo di divin
te all’anima umana, e facendola di origine divina. Anche Orazio disse che l’anima era una particella dell’aura divina 27).
Questa per verità apparisce una opinione più filosofica e biblica28) che mitologica. Di altre che sono totalmente favolose
sce una opinione più filosofica e biblica28) che mitologica. Di altre che sono totalmente favolose e strane avremo occasion
rrando, sotto il regno di Giove, le vicende di Prometeo e di Pandora, che cronologicamente vengono dopo il regno di Saturno
mo, secondo i diversi mitologi, convenivano però tutti nell’asserire, che quando Saturno fu esiliato dal Cielo era già la s
Cielo era già la specie umana sparsa in diverse regioni del mondo, e che nel territorio ove ora è Roma esisteva un regno,
di cui la capitale era sul monte Gianicolo. Raccontano dunque i poeti che l’esule Saturno, dopo essere andato errando per l
enne per nave sul Tevere29), e fu accolto ospitalmente dal re Giano ; che il territorio di quel regno in memoria di Saturno
di Saturno fu da prima chiamato terra Saturnia, e poi Lazio, termine che derivando dal verbo latino latère significa nasco
erchè vi si era nascosto, ossia rifugiato, quel Dio30. I più credono che fiorisse l’età dell’oro in quel tempo che Saturno
quel Dio30. I più credono che fiorisse l’età dell’oro in quel tempo che Saturno stette nel Lazio31, sebbene altri la rife
e produzioni di ogni ben di Dio sulla terra ; giungono perfino a dire che scorrevano rivi di latte e di miele. Ma il nostro
la frugalità e per condimenti la fame e la sete. Aggiungono i Pagani che in questo tempo anche gli Dei celesti soggiornava
è bella e sapiente, e consuona con la dottrina della Bibbia, ove dice che lo spirito di Dio abbandonò il re Saul disobbedie
il re Saul disobbediente, e subito dopo lo invase lo spirito maligno che lo rese alternativamente malinconico e furibondo.
alternativamente malinconico e furibondo. Nel Cristianesimo il tempo che Adamo ed Eva passarono nel Paradiso terrestre è c
vera età dell’oro, a cui debbono riferirsi le fantastiche descrizioni che ne fanno i poeti pagani. Ed è questa l’opinione n
ezze del Paradiso terrestre, fa dire alla celeste Matelda : « Quelli che anticamente poetaro « L’età dell’oro e suo stato
adice ; « Qui primavera sempre ed ogni frutto ; « Nettare è questo di che ciascun dice ! » All’età dell’oro successe quell
sse quella dell’argento e poi del bronzo e del ferro, di mano in mano che gli uomini peggiorarono. Da queste idee poetiche
gli uomini peggiorarono. Da queste idee poetiche nacque il proverbio che il mondo peggiorando invecchia 33). Ma non è dimo
rando invecchia 33). Ma non è dimostrato nè fisicamente nè moralmente che il mondo invecchi e vada sempre peggiorando : fis
ntinue modificazioni e trasformazioni ; ma chi può asserire e provare che le leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro
sempre perdendo della loro efficacia ? E riguardo al morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più o meno malvagi, ma no
ngiata o guasta l’umana natura in generale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano che gli uomini e
nerale, poichè non meno la storia che la comune esperienza dimostrano che gli uomini e i popoli possono correggersi dei lor
esso fa dire nella Divina Commedia a Marco Lombardo : « Tu dei saper che la mala condotta « È la cagion che il mondo ha fa
a Marco Lombardo : « Tu dei saper che la mala condotta « È la cagion che il mondo ha fatto reo, « E non natura che in voi
mala condotta « È la cagion che il mondo ha fatto reo, « E non natura che in voi sia corrotta. » E in propria persona sogg
…. O Marco mio, bene argomenti. » Qui osserverò una volta per sempre che alle erronee o pregiudicate opinioni bisogna semp
contrarie sentenze per rettificarle : diversamente la nuda erudizione che non sa far confronti e dedurne logiche conseguenz
zione che non sa far confronti e dedurne logiche conseguenze è peggio che inutile per l’umano progresso ; e quel tempo che
conseguenze è peggio che inutile per l’umano progresso ; e quel tempo che si perde in vanità e quisquilie letterarie, saria
no « O di mano o d’ingegno, » come suggerisce il Petrarca. Nel tempo che Saturno si trattenne nel Lazio insegnò a quei roz
e dall’altra o presso di sè un orologio a polvere, oppure un serpente che si morde la coda e forma così un circolo non inte
non interrotto. Con tutti questi diversi emblemi s’intende facilmente che sta a simboleggiare il Tempo ; e secondariamente
egli Dei dell’agricoltura, perchè la falce può significare egualmente che il tempo atterra ossia distrugge tutte le cose ;
re pur anco la principale operazione della mietitura. Il serpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella solt
oi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo che è la continua successione dei momenti35. In Roma
lmente padroni di tutto, perchè la terra spontaneamente produceva più che abbastanza per tutti senza spesa o fatica di alcu
i visibili ad occhio nudo37), e inoltre a quel giorno della settimana che noi con vocabolo derivato dall’ebraico chiamiamo
Saturno un astro infausto e maligno, deducendolo forse dalla favola, che egli divorasse i propri figli. I chimici chiamano
iamo rappresentato come portinaio della celeste reggia, e come il Dio che fa girare le sfere e l’asse del mondo38, cioè il
iù e diversi attributi ed uffici si riunivano in uno stesso soggetto, che inoltre era considerato e come uomo e come Dio. L
ei Fasti, ed anche Cicerone e Macrobio fanno derivare dal latino anzi che dal greco il nome di Giano (quasi Eanus ab eundo,
no una chiave, e nell’altra una verga : la prima significava non solo che Giano era il celeste portinaio, ma ancora il cust
a ancora il custode delle case ; e colla verga si voleva far supporre che egli indicasse ai viandanti la strada. Celebre er
indicasse ai viandanti la strada. Celebre era in Roma il suo tempio, che stava chiuso in tempo di pace ed aperto in tempo
mo dalla storia romana. A Giano facevansi libazioni e preghiere prima che gli altri Dei, per ottenere da lui facile accesso
ggie di Mercato e quella celebratissima di Or San Michele in Firenze, che servivano anticamente come luoghi di convegno e d
ipalmente Cicerone ed Orazio, fanno più volte parola di questi Giani, che corrispondevano pel loro scopo alle moderne Borse
« ….. divinæ particulam aurœ. » (Hor., Od.) 28. Suppongono alcuni che , dopo essere stata la Giudea conquistata da Pompe
i scrittori di quell’epoca, si sa per altro di certo anche da Orazio, che molti Ebrei (o come li chiamavano allora Giudei,
di Giuda), si erano trasferiti ad abitare e far loro arti in Roma ; e che si mantenevano sempre scrupolosi osservatori del
o sempre scrupolosi osservatori del giorno di sabato. È Orazio stesso che lo dice nella ix Satira del lib. i : Hodie trices
i Romani gli usi e le pratiche religiose degli Ebrei. Non è noto però che ne sapessero o studiassero la lingua ; ma è certo
Non è noto però che ne sapessero o studiassero la lingua ; ma è certo che gli Ebrei dimoranti in Roma dovevano necessariame
e mortali soglie, « Ma nel fuggir le caddero le spoglie ; « E si dice che sieno « Quelle vesti formali « Che adornano i Leg
 » Il seguito però e la conclusione o morale della favola dimostrano che l’abito non fa il monaco. 33. « Damnosa quid
rio, di Caligola e di Nerone, gli uomini fossero sempre peggiorati, a che sarebbe ora ridotta l’umana specie ? 34. Virg
lio nel ii delle Georgiche dopo avere enumerati i pregi dell’ Italia, che dichiara superiori a quelli delle altre regioni d
35. Tra i geroglifici egiziani si vede spesso il circolo, e si crede che significhi l’eternità e l’avverbio sempre. 36.
mpre. 36. Chi sa il latino si rammenti o legga la satira di Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il po
omne meum est. » 39. Cicerone dice a suo figlio nel De Officiis, che certi ottimi negozianti di Borsa eran più bravi d
lla in schola disputatur. » — E Orazio ripete ironicamente la massima che s’insegnava nei Giani, ossia nelle Borse d’allora
22 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183
ella estensione del mare e neppur la parte millesima delle maraviglie che esso racchiude nel suo seno. Ma quanto erano scar
zzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi che Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il co
apita in estasi l’immaginazione211). Non deve dunque recar maraviglia che i Pagani i quali avevan popolato di Dei il Cielo
o nel mare. E quantunque non conoscessero in tutta la loro estensione che i principali mari interni di quello che ora chiam
o in tutta la loro estensione che i principali mari interni di quello che ora chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea
ra chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea generale dell’Oceano che cinge da tutte le parti la Terra, e perciò lo chi
da tutte le parti la Terra, e perciò lo chiamavan circumvagus, ossia che gira all’intorno, perchè vedevano da ogni parte d
re autore della Coltivazione, amantissimo della libertà della patria, che fu in quel tempo oppressa dai Medici, in un suo s
l tempo oppressa dai Medici, in un suo sonetto prega il padre Oceano, che rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, »
il padre Oceano, che rammenti « All’onorato suo figliol Tirreno, » che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men
iol Tirreno, » che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men che gli altri mari e fiumi d’Italia dormirono per più
er più di trecento anni !212 Abbiamo detto altra volta (V. il N. XI) che agli Dei davasi il titolo di Padre in segno di af
azione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigli
oni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 30
cendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. La sua moglie che l’arricchì di sì numerosa prole era Teti 213), de
il più antico Dio marino, non ha peraltro l’impero assoluto del mare, che toccò in sorte a Nettuno fratello di Giove, dopo
e re del mare deriva, come dice Varrone, da un verbo latino (nubere), che significa velare o cuoprire, perchè il mare ricuo
e quarti) della superficie terrestre214). In greco chiamasi Poseidon, che direbbesi in italiano Posidone e significa spezza
emblemi o distintivi ; il più caratteristico dei quali è il tridente, che consiste in una forca con tre corni o punte ; ed
dei cavalieri col titolo di Nettuno equestre, alludendosi alla favola che questo Dio nella gara con Minerva per dare il nom
scrivendo o componendo di suo le solenni frasi rituali. Se non è bene che l’uomo sia solo sulla Terra, vale a dire senza av
privato, tanto più conviene a un re, e specialmente a un re assoluto che è padrone di tutto217), e a cui non può mancar ma
reo e di Dori, e quindi nipote dell’Oceano e di Teti. Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma p
fini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul
; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco. Da questo mat
dodici segni del Zodiaco. Da questo matrimonio nacque il Dio Tritone che fu lo stipite delle diverse famiglie e tribù dei
delle principali divinità marine. Amfitrite è nome di greca origine che significa romoreggiante o corrodente all’intorno,
ata questa Dea come un’avvenente giovane con una reticella da capelli che le cinge la testa, – probabilmente a significare
fallo Nettuno, « Non da pirati, e non da gente Argolica ; » per dire che non fu commesso mai prima d’allora nel mar Medite
carte nautiche ; la qual denominazione mitologica è analoga a quella che fece chiamare Atlanti le collezioni delle carte g
carte geografiche. In geologia dicesi Nettunismo il sistema geologico che attribuisce la formazione della maggior parte del
ome di Amfitrite a un genere di Annelidi della famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggieri che questi animali si fa
di Annelidi della famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggieri che questi animali si fabbricano da sè stessi e seco
me i Satiri le terrestri Divinità) e di suonar la tromba marina 218), che era una conchiglia ritorta simile a quelle dette
era una conchiglia ritorta simile a quelle dette volgarmente nicchie, che orridamente suonano i nostri zotici Eumei alle ma
hè hanno dato il nome di Tritone a un genere di molluschi gasteropodi che formano conchiglie talvolta grandissime, e che si
molluschi gasteropodi che formano conchiglie talvolta grandissime, e che si trovano nella maggior parte dei mari. Convien
rte dei mari. Convien qui rammentare principalmente quella conchiglia che i naturalisti dicono Tritone smaltato (Triton var
iglia che i naturalisti dicono Tritone smaltato (Triton variegatus) e che volgarmente chiamasi tromba marina o conchiglia d
ra aquatica ; e Tritoniani furon detti da alcuni geologi quei terreni che sono stati formati nelle acque marine, o anticame
rie ; tal’altra cavalcano un pesce e fanno una regata di nuovo genere che niun mortale vide giammai ; e spesso sono accompa
he niun mortale vide giammai ; e spesso sono accompagnate dai Tritoni che fanno lazzi e salti, e suonano la tromba marina p
a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre di qualche altra Divinità
ltra Divinità. Doridi e Nereidi son nomi patronimici di quelle Ninfe che eran figlie di Dori e di Nereo. Queste Ninfe, che
ici di quelle Ninfe che eran figlie di Dori e di Nereo. Queste Ninfe, che eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro
della famiglia dei nudibranchi ; e danno il nome di Nereidi a quelle che volgarmente diconsi Scolopendre di mare. Ai natur
, è molto piaciuto questo nome mitologico di Nereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (al soli
altre parole basteranno a compir la narrazione del mito. « Nel tempo che Giunone era crucciata « Per Semelè contra ’l sang
incarco era l’altro figlio chiamato Melicerta ; e la favola aggiunge che invece di annegarsi divennero la Dea Leucotoe e i
negarsi divennero la Dea Leucotoe e il Dio Palemone. Ora è da notarsi che gli Antichi fecero presiedere Leucotoe (chiamata
derate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità che avevan provato le più terribili procelle di quest
: Glauco era un pescatore della Beozia, il quale un giorno si accorse che i pesci da lui pescati e deposti in terra sopra l
ritornavano in mare. Volle provare anch’egli a gustar di quell’erba, che subito gli fece lo stesso effetto, e sentendosi s
Dio protettore della navigazione. Gli fu conservato il nome di Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare
Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore che riflettono le onde del mare. Dante volendo raccon
e il colore che riflettono le onde del mare. Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sent
Teti, ed avea per ufficio di condurre a pascer le mandre di Nettuno, che erano composte principalmente di orche, di foche
di prevedere il futuro ; ed inoltre di poter prendere qualunque forma che più gli piacesse. Vi aggiunsero ancora una sua st
e forma che più gli piacesse. Vi aggiunsero ancora una sua stranezza, che egli cioè non volesse presagire il futuro se non
za, che egli cioè non volesse presagire il futuro se non costretto, e che per esimersene si trasformasse in mille guise ; e
e che per esimersene si trasformasse in mille guise ; ed inventarono che bisognava legarlo mentre dormiva per costringerlo
prima legato, ed era costretto a rispondere veracemente alle domande che gli erano fatte. Questo mito racchiude molte impo
racchiude molte importanti verità e molti utili insegnamenti. Proteo che si trasforma in tutti gli esseri, ossia corpi dei
sseri, ossia corpi dei tre regni della Natura, rappresenta la materia che prende tutte le forme, la qual materia perciò con
amata proteiforme. Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò che fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarl
fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava che vi fosse costretto : così la materia contiene in
a materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se no
rasformazioni tardasse a riprender la sua prima figura, così conviene che gli studiosi non si stanchino dal proseguir lunga
ique pontus. » (Virg., Æneid., iii., 192.) 210. « Era già l’ora che volge il desio « Ai naviganti, e intenerisce il c
la famiglia dei Medici la distruzione delle libertà d’Italia, dicendo che essa ordì « Una tela di cabale e d’inganni « Che
4. Altri mitologi fanno derivare il nome di Nettuno dal greco niptein che significa lavare. 215. Il volgo bolognese chiama
il Gigante e il volgo fiorentino il Biancone ; e mentre si l’un volgo che l’altro tien bene a memoria ed usa spesso il nome
nome è usato da Giovenale nella Satira x, v. 182, parlando di Serse, che pretese d’incatenare il mare : « Ipsum compedibu
ltrui sventure. Perciò il Tasso fa dire da Erminia al pietoso pastore che piangeva al suo pianto : « oh fortunato, « Che u
più vera e naturale spiegazione delle mirabili Metamorfosi di coloro che caddero in mare o in un fiume, e sparirono dal mo
di coloro che caddero in mare o in un fiume, e sparirono dal mondo, è che vi rimanessero annegati ; e Dante stesso lo ha de
ioso non meno. E questo confronto sempre meglio dichiari qual è l’uso che accortamente può farsi della Mitologia in servigi
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
i, incluso Dante, ne parlano o vi alludono. Cinquanta furono gli Eroi che vi presero parte, alcuni dei quali eran prima int
rvenuti alla caccia del cinghiale di Calidonia ; e tra questi Giasone che fu il duce e il protagonista degli Argonauti, e a
rima di tutto parlare. Chiamasi il Vello d’oro la pelle di un montone che invece di lana era coperta di fili d’oro. S’inten
ontone che invece di lana era coperta di fili d’oro. S’intende subito che questo montone è favoloso, e perciò convien cerca
arne l’origine nei precedenti tempi mitologici. Atamante re di Tebe, che sposò in seconde nozze Ino divenuta poi la Dea Le
a prima moglie Nèfele un figlio e una figlia di nome Frisso ed Elle ; che non contenti della matrigna fuggirono dalla casa
rtar da esso fra le onde sino alla Colchide. Ma nel passar lo stretto che ora dicesi dei Dardanelli la giovinetta Elle cadd
mitologico gli Antichi diedero a quello stretto il nome di Ellesponto che significa mare di Elle. Al desolato fratello conv
le. Al desolato fratello convenne continuar solo il viaggio marittimo che ebbe termine nella Colchide ov’era diretto. Quest
alvamento ove desiderava, offrì loro in sacrifizio quel bravo montone che lo aveva sì ben servito, per appenderne come voto
questa perifrasi mitologica ad un tempo ed astronomica : « … Or va, che il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto che
omica : « … Or va, che il Sol non si ricorca « Sette volte nel letto che il Montone « Con tutti e quattro i piè copre ed
opinïone « Ti fia chiovata in mezzo della testa « Con maggior chiovi che d’altrui sermone. » Il vello d’oro rimasto nell
a come l’esercizio di un diritto imprescrittibile, di riacquistar ciò che è suo, essendo che l’aureo montone appartenesse o
di un diritto imprescrittibile, di riacquistar ciò che è suo, essendo che l’aureo montone appartenesse originariamente alla
ra. Ma gli Eroi di questa impresa per far lo stesso viaggio marittimo che fece Frisso sulla groppa del suo impareggiabile m
mpareggiabile montone, furon costretti a costruire ed armare una nave che fu creduta la prima inventata dagli uomini, e cel
ti gli antichi. La nave fu chiamata Argo, e quindi Argonauti gli Eroi che navigarono in quella. Se le fosse dato questo nom
ono in quella. Se le fosse dato questo nome da quello dell’architetto che la costruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppu
ostruì, o dall’esser fabbricata in Argo, oppure da un greco vocabolo, che secondo alcuni etimologisti significa veloce, o d
isti significa veloce, o da altro ortograficamente poco dissimile, ma che significa l’opposto, lascerò deciderlo ai solenni
rò deciderlo ai solenni filologi : con tante idee poetiche e storiche che desta questa spedizione, non mi sento disposto ad
figli di Borea, Ercole, Orfeo, Linceo, Tifi, Tideo, ecc. È ben facile che alla primitiva tradizione, di cui fa cenno anche
acile che alla primitiva tradizione, di cui fa cenno anche Omero, non che Esiodo, siano stati aggiunti in appresso nuovi er
pe talmente allucinare colle idee della gloria e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap
e dell’onor nazionale, che lo impegnò a riconquistare il vello d’oro che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restit
mise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe perito in quella impresa. Fu costruita la
e. Riuniti a Giasone i cinquanta eroi, la nave salpò per la Colchide, che allora chiamavasi la terra di Eea, vocabolo d’inc
a e di Bengodi dei nostri novellieri. Gli Argonauti sapevano soltanto che quel paese era fra settentrione ed oriente, e in
e col suon della cetra : tutti gli altri Eroi costituivano la ciurma che eroicamente remava. Convenne far diverse fermate
in proporzione ; e perciò gli avevan messo il soprannome di Panfago, che vuol dir mangia-tutto. La prima fermata fu nell’i
uol dir mangia-tutto. La prima fermata fu nell’isola di Lenno, « Poi che le ardite femmine spietate « Tutti li maschi loro
ienno, » come dice Dante ; e vi giunsero appunto dopo l’atroce fatto che le donne di quell’isola, malcontente delle leggi
ò la vita a suo padre ; e meritava perciò una miglior sorte di quella che si racconta di essa, poichè giunto in quell’isola
la buona fede la lasciò alle persecuzioni delle sue crudeli compagne, che scoperta la sua pietà filiale, le tolsero il tron
dopo aver narrato l’inganno di Giasone, non fa come certi lassisti 68 che scusano facilmente i così detti errori giovanili 
e perciò mette Giasone nella prima bolgia dell’Inferno fra i dannati che eran puniti « Da quei Dimon cornuti con gran fer
lungo e monotono sarebbe il racconto di tutti e singoli gl’incidenti, che per lo più son comuni alla maggior parte dei viag
i, cioè la liberazione del re Fineo dalle Arpie. Le Arpie eran mostri che Dante dipinge così : « Ale hanno late e colli e
« Fanno lamenti in sugli alberi strani. » E bisogna aggiungere quel che ne dicono i poeti greci e i latini, che cioè ques
 » E bisogna aggiungere quel che ne dicono i poeti greci e i latini, che cioè questi mostri avevano l’istinto di rapire i
istinto di rapire i cibi dalle mense e di contaminarle con escrementi che fieramente ammorbavano. Il loro stesso nome di Ar
no. Il loro stesso nome di Arpie deriva da un greco vocabolo (arpazo) che significa rapire 69. Ad essere infestato da tali
e armi, le fecero inseguire per aria da Calai e Zete, figli di Borea, che avevano le ali come il loro padre ; i quali le re
rmentare i dannati per suicidio. Ma poichè l’Ariosto, coll’immaginare che il Senàpo imperatore dell’Etiopia avesse ricevuto
smorte, « Per lunga fame attenuate e asciutte, « Orribili a veder più che la morte. « L’alacce grandi avean, deformi e brut
ve e torte, « Grande e fetido il ventre, e lunga coda « Come di serpe che s’aggira e snoda. « Si sentono venir per l’aria e
i e riversare i vasi ; « E molta feccia il ventre lor dispensa, « Tal che gli è forza d’otturare i nasi, « Che non si può p
iâr piatto nè coppa « Che fosse intatta ; nè sgombrâr la sala « Prima che le rapine e il fiero pasto « Contaminato il tutto
più maraviglioso di quello dei poeti classici greci e latini. I mezzi che egli adopera sono due l’ Ippogrifo, di cui abbiam
sto ; « E questo fu d’orribil suono un corno « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno. « Dico che ‘l corno è di sì orribi
ibil suono un corno « Che fa fuggire ognun che l’ode intorno. « Dico che ‘l corno è di sì orribil suono « Ch’ovunque s’oda
Senàpo dalle Arpie : « Avuto avea quel re ferma speranza « Nel duca, che l’ Arpie gli discacciassi ; « Ed or che nulla ov
e ferma speranza « Nel duca, che l’ Arpie gli discacciassi ; « Ed or che nulla ove sperar gli avanza, « Sospira e geme e d
anza, « Che suole aitarlo ai perigliosi passi ; « E conchiude tra sè, che questa via « Per discacciare i mostri ottima sia.
è, che questa via « Per discacciare i mostri ottima sia. « E prima fa che ‘l re con suoi baroni « Di calda cera l’orecchio
he ‘l re con suoi baroni « Di calda cera l’orecchio si serra, « Acciò che tutti, come il corno suoni, « Non abbiano a fuggi
a s’apparecchia « Con altra mensa altra vivanda nuova. « Ecco l’Arpie che fan l’usanza vecchia : « Astolfo il corno subito
l’usanza vecchia : « Astolfo il corno subito ritrova ; « Gli Augelli che non han chiusa l’orecchia, « Udito il suon, non p
rno tuttavolta suona ; « Fuggon l’Arpie verso la zona roggia, « Tanto che sono all’altissimo monte, « Ove il Nilo ha, se in
n s’oda. » E così l’Ariosto collega l’antico col moderno, e fingendo che Astolfo nell’800 dell’èra volgare avesse spinto l
viaggio. Per quanto cercasse, non lo trovò più ; e fu detto dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila 
o dai poeti che le Ninfe Naiadi avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quel
di avevano rapito il giovinetto Ila ; il che in prosa significherebbe che era annegato in quella fonte ov’egli andò ad atti
o fermare a far nuove provvisioni da bocca. Tutti gli altri incidenti che avvennero avanti che gli Argonauti giungessero ne
provvisioni da bocca. Tutti gli altri incidenti che avvennero avanti che gli Argonauti giungessero nella Colchide sono di
sicura qualunque impresa da compiersi colla forza, trovaron per altro che questa non bastava a conquistare il Vello d’oro :
al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse trovato una Maga che lo aiutasse a superare ogni ostacolo soprannatura
rammentata anche da Plinio il naturalista, ed ove Valerio Fiacco dice che fu costruita la nave Argo. Quindi anche la nave è
o Issifile, dicendo nel Canto xxii del Purgatorio : « Vedesi quella che mostrò Langia, » cioè la fontana detta Langia, a
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151
L’origine di Venere è narrata dagli Antichi in due modi. Omero dice che questa Dea è figlia di Giove e di Dione, ninfa de
rpe dei Titani, nata dall’Oceano e da Teti. Esiodo poi lasciò scritto che Venere nacque dalla schiuma del mare. Questa più
sta più strana e prodigiosa origine, creduta a preferenza della prima che era più semplice e naturale, fece dare a questa D
emplice e naturale, fece dare a questa Dea il greco nome di Afrodite, che significa appunto nata dalla schiuma. Alcuni dei
dalla schiuma. Alcuni dei più fantastici mitologi e poeti aggiungono, che le acque del mare furono fecondate dal sangue di
del mare furono fecondate dal sangue di Urano mutilato da Saturno ; e che da questa fecondazione delle acque marine nacque
iante di celeste bellezza. Con questo strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo t
strano mito voleva significarsi che la Bellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più che altrove s
ellezza è figlia del Cielo, e che nel globo terraqueo manifestasi più che altrove sul mare. Ma ambedue queste origini così
così diverse son talmente confuse e amalgamate nei poeti posteriori, che attribuiscono e l’una e l’altra indifferentemente
e diverse madri. Il solo punto di contatto fra queste due opinioni, e che serve di transizione dall’una all’altra è questo,
due opinioni, e che serve di transizione dall’una all’altra è questo, che essendo Dione una Dea marina, e Venere sua figlia
nel mondo alla superficie delle onde spumanti, fu detto figuratamente che era nata dalle onde del mare per dire che era usc
nti, fu detto figuratamente che era nata dalle onde del mare per dire che era uscita da quelle. Quindi alludendo a questa o
a gara dagli zeffiri sulla superficie del mare182. I poeti aggiungono che andò a fermarsi in Cipro, ed ivi ebbe il maggior
terèa anche negl’italiani e nello stesso Dante183. Del nome di Venere che le fu dato dai Latini, ed è divenuto tanto comune
per enumerazion delle parti, fa la rassegna delle più grandi bellezzè che son da ammirarsi nelle opere della creazione ; ed
a di esse, cioè Aglaia, Talìa ed Eufrosine. Così venne a significarsi che la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettis
he la Bellezza, l’Amore e le Grazie avevano strettissima parentela, e che le Grazie erano il necessario complemento della B
della Bellezza e dell’Amore. Anzi i filosofi più sapienti aggiunsero che le Grazie dovevano intervenire in tutte le consue
ed allo stesso Giove furono attribuiti difetti e vizii, a Venere più che mai. Cominciarono a dire che questa Dea, per la s
attribuiti difetti e vizii, a Venere più che mai. Cominciarono a dire che questa Dea, per la sua singolare e impareggiabil
issimo, e non sta di certo a disdoro di Venere ; ma poi vi aggiunsero che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al
o che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e che per di più era zoppo e tutto affumicato e fuliggi
rò si estesero tanto ad inventare aneddoti scandalosi su questo tema, che spesso deturpano le più belle poesie dei classici
Perciò Ugo Foscolo nel suo Carme sui Sepolcri parlando del Petrarca, che nelle sue poesie per Madonna Laura aveva sempre a
hi mitologi di più sana mente avean dovuto immaginare un’altra Venere che presiedesse all’Amor puro e casto, e la chiamaron
enna Ugo Foscolo. Quando Vulcano sposò Venere le regalò un bel cinto, che elegantemente con voce greca e latina chiamasi il
a e latina chiamasi il cèsto. Era desso di tal ricco e mirabil lavoro che facea risaltar la bellezza e vi aggiungeva un fás
bile. E le donne antiche e le moderne ne capiron bene il significato, che cioè l’arte nell’abbigliamento favorisce la venus
ni occasioni ; e non mancò di adornarsene quando si presentò a Paride che doveva decidere chi fosse la più bella tra le Dee
n verso e in prosa. Parve strano ai mitologi ed ai poeti meno antichi che Cupido si occupasse sempre a saettar colle sue fr
lli delle Fate del medio evo, o delle Mille e una notti, e conclusero che dopo mille prove a cui Cupido, nascondendo l’esse
le degli imenei la bella e vivacissima Psiche. Psiche è parola greca che in italiano vuol dire anima 187. Cupido che sposa
e. Psiche è parola greca che in italiano vuol dire anima 187. Cupido che sposa Psiche significa che l’amore è un sentiment
he in italiano vuol dire anima 187. Cupido che sposa Psiche significa che l’amore è un sentimento dell’anima : ecco in due
l mito. E quella graziosissima particolarità del mitologico racconto, che Cupido si rendeva invisibile a Psiche facendole s
iche facendole soltanto sentire la sua voce, esprime filosoficamente, che questa e tutte le altre affezioni dell’anima, o v
i dell’anima, o vogliam dir le passioni di qualunque genere, non sono che modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile
enere, non sono che modificazioni dell’animo stesso, ed è impossibile che abbiano realmente forme corporee, nella guisa ste
impossibile che abbiano realmente forme corporee, nella guisa stessa che non sono esseri di per sè esistenti le febbri, i
e all’immortalità dell’anima, derivandone il concetto dalla crisalide che si trasforma in farfalla. Dante afferrò subito qu
esta idea, e la espresse maravigliosamente in quella sublime terzina, che tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente : « Non
he tutti sanno, o saper dovrebbero, a mente : « Non v’accorgete voi, che noi siam vermi, « Nati a formar l’angelica farfal
upido, con volto serio e riflessivo, perchè non v’è cosa più seria, e che dia più da pensare, del matrimonio ; con una face
pre. Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere, che subito un poeta qualunque n
ssato non celebravasi un matrimonio tra persone che sapesser leggere, che subito un poeta qualunque non componesse un epita
li ed ingenue, nude e abbracciate amorevolmente tra loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e ch
loro, per indicar che le grazie debbono esser naturali e spontanee e che non hanno bisogno di stranieri o compri ornamenti
uti. Qualche poeta le ricoprì d’un sottilissimo velo, per significare che debbono esser temperate e non affettate ; e perci
n candido velo in cui finge istoriato il mito di Psiche, per indicare che il candor dell’animo è il solo ornamento delle Gr
mente in scultura, con un delfino ai piedi, come la Venere dei Medici che si ammira nella galleria degli Uffizi in Firenze.
colombe, perchè sono affettuosissime e feconde ; e la favola aggiunge che erano sacre a questa Dea, perchè fu cangiata in c
amata Peristeria, per un infantile vendetta di Cupido su questa Ninfa che aveva aiutato Venere a vincere una scommessa a ch
ezza e fragranza è la regina dei fiori : il mirto perchè è una pianta che meglio vegeta intorno alle acque, dalle quali cre
rmando in questo fiore il giovane Adone da lei favorito e protetto, e che fu ucciso nella caccia da un cinghiale. A Venere
nome il più bello e rilucente dei pianeti primarii, « Lo bel pianeta che ad amar conforta, » come con perifrasi mitologic
Dante, nel Canto xxvii del Purgatorio, assomiglia la bellezza di Lia ( che nello stile biblico e religioso significa la vita
iva) a quella di Citerèa, cioè di Venere, considerata come il pianeta che ne porta il nome : « Nell’ora, credo, che dell’o
onsiderata come il pianeta che ne porta il nome : « Nell’ora, credo, che dell’orïente « Prima raggiò sul monte Citerèa, « 
ii italiani fra le accezioni del verbo avvenirsi pongono anche quella che significa « venir bene adatto per convenienza di
al greco nome Eros (Amore) è derivato in italiano l’aggettivo erotico che significa amoroso o riferibile all’amore. Quindi
on questa greca voce Psiche (anima) è composto il termine psicologia, che perciò significa quella parte della filosofia che
termine psicologia, che perciò significa quella parte della filosofia che tratta dell’anima e delle sue facoltà. 188. Epi
ima e delle sue facoltà. 188. Epitalamio è parola di greca origine, che in quella lingua significa sul talamo, ossia lett
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
lo nel raccontar la causa di questi difetti della sua forma corporea, che certamente debbono apparire strani e irrazionali
ità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa
ologi e dei poeti. Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dal
Dee marine Teti ed Eurinome. Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal C
 Dalli Sintii raccolto a me pietosi. » (Iliade, i.) Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcan
l carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli Dei possedevan palagi « ……che fabbrica
canismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono la
ono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano
degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato una scienza o un’arte
na scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate « …….forme e figure « 
ta al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Omero narrandoci che quelle ancelle di Vulcano, veramente auree (perch
rchè tutte d’oro) erano simili a vive giovinette, viene a significare che eran veri e proprii automi. Dei quali i primi ten
cienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apr
ire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella,
to ! Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi che lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano
a e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli
iù utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. Parla
animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare. Parlando poi della formazione
ica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido
odi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò che ne scriveva il poeta Virgilio, « Che visse a Rom
a il poeta Virgilio, « Che visse a Roma sotto il buono Augusto, » e che Dante chiama suo maestro « E quel savio gentil
no Augusto, » e che Dante chiama suo maestro « E quel savio gentil che tutto seppe. » Nel libro viii dell’Eneide descri
l’Eneide descrive prima la fucina di Vulcano coi Ciclopi suoi garzoni che lo aiutavano a fabbricare i fulmini ; e quindi en
di spavento « Un cotal misto190. » (Traduz. del Caro.) Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici c
ro.) Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spie
eni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Da
io evo poteva saperlo. Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal c
goria contenuta nell’invenzione di questo Dio e de’suoi attributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, se
eseguire i lavori di metallurgia. Il nome stesso latino di Vulcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s
lcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s’intende che voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazza
lcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efesto che gli davano i Greci non fu adottato dai poeti lati
mbedue queste lingue. Nelle scienze fisiche chiamansi Vulcani i monti che gettano fiamme, fumo, lava infocata, ceneri, lapi
materie eruttate. Anche i geologi seguaci della scuola di Hutton194, che spiegavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco
rola il fonditore ; ma il vero fonditore è il fuoco, e non l’artefice che fa le forme e vi versa il metallo fuso e liquefat
cine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge che le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie
ci nel portare l’errore sino alle ultime conseguenze ! Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del
giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a que
sero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come
o presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguers
facean presieder Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natu
der Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da
celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di
i moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte
ano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalme
gior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi de
o, ma composte presso a poco degli stessi elementi. Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vi
l che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con
non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? e che noi possiamo riprodur
mosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fe
ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiu
fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo)
e in guisa « Sotto la torva fronte, » come dice Virgilio. Aggiungasi che erano di gigantesca corporatura e di forze corris
desima. La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di U
nella Sicilia stessa. A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto che i Ciclopi eran soliti di portare in guerra una vi
parti d’Italia. 189. Automa è voce composta di due parole greche che significano spontaneo movimento, o come direbbesi
idi (simili all’uomo). Dai medici son detti automatici quei movimenti che dipendono unicamente dalla organizzazione degli e
1. Fu primo il Gilbert, medico della regina Elisabetta d’Inghilterra, che sullo scorcio del secolo xvi richiamò di nuovo l’
ei fisici sulle proprietà dell’ ambra gialla, facendo notare del pari che anche altre sostanze potevano acquistare, mediant
alvani, professore di « anatomia a Bologna, l’esperienza fondamentale che condusse alla scoperta dell’elettricità dinamica,
ramo della fisica, tanto importante per le innumerevoli applicazioni che se ne fecero da un mezzo secolo a questa parte. »
o secolo a questa parte. » — E parlando di quell’apparato detto pila, che serve a svolgere l’elettricità dinamica, e che fu
l’apparato detto pila, che serve a svolgere l’elettricità dinamica, e che fu inventato da Volta nel 1800, riporta questa no
eoria del contatto, fu condotto ad inventare il maraviglioso apparato che rese immortale il suo nome » (la pila di Volta).
me » (la pila di Volta). 193. Perciò Virgilio lo chiama Ignipotens ( che ha potenza sul fuoco) : « Vulcani domus et Vulca
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
aturno, la cui violazione produsse nel Cielo la prima guerra fraterna che terminò colla prigionia di Saturno e di Cibele (v
fitta e l’esilio di questi. Ora sono i soccombenti ed oppressi Titani che tentano colla forza di ricuperare il perduto poss
ostrano tutte le sue poesie e principalmente i Fasti e le Metamorfosi che ne son piene, si era accinto a cantar la guerra d
acili poesie, e impedito poi dall’esilio non potè eseguire quel poema che aveva ideato. Claudiano, del quale esiste un fram
rimanente di questo suo mitico poema ; ma il titolo soltanto dimostra che egli cantò dei Giganti e non dei Titani. Anche Da
ra che egli cantò dei Giganti e non dei Titani. Anche Dante più tosto che i Titani rammenta i Giganti che fer paura ai Dei,
non dei Titani. Anche Dante più tosto che i Titani rammenta i Giganti che fer paura ai Dei, e ne pone un gran numero nel pr
ar brevemente anche della prima, cioè della Titanomachia. Il diritto, che ora chiamerebbesi legittimo, al trono del Cielo a
o apparteneva veramente ai Titani come figli e discendenti di Titano, che cedè il regno a Saturno sotto condizione che ques
e discendenti di Titano, che cedè il regno a Saturno sotto condizione che questi non allevasse figli maschi ; e non essendo
i usurpatrice ; e Giove in appresso fu soltanto un invasore fortunato che fece valere il diritto del più forte (jus datum s
esiliata dal Cielo ed oppressa, tenta di riacquistar colla forza ciò che colla forza erale stato tolto70. Ecco la vera cau
itanomachia : e di questa guerra accenneremo soltanto l’esito finale, che fu la disfatta dei Titani ; dei quali il molto sa
orribili piaghe mossero a compassione la dea Tellùre, ossia la Terra, che irritata contro Giove e gli altri Dei, così spiet
ai poeti preferibilmente alla Titanomachia, perchè parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che
è parve agli Antichi che in quella il miglior diritto fosse degli Dei che rimasero vincitori, mentre in questa era più vera
che rimasero vincitori, mentre in questa era più veramente dei Titani che furono vinti. Erano infatti i Titani di origine d
itani che furono vinti. Erano infatti i Titani di origine divina, non che di regia stirpe e della linea del primogenito di
omachia. E prima di tutto, com’eran fatti i Giganti ? L’idea generale che ciascuno suol farsene si è che fossero uomini di
eran fatti i Giganti ? L’idea generale che ciascuno suol farsene si è che fossero uomini di grandezza e di forza straordina
omini di grandezza e di forza straordinaria ; e i mitologi aggiungono che molti d’essi erano anche di struttura mostruosa.
he molti d’essi erano anche di struttura mostruosa. Alcuni ci narrano che Encelado, o, secondo altri, Gige aveva cento brac
ento braccia, e perciò maneggiava cinquanta scudi e cinquanta lance ; che Briarèo scagliava enormi massi e interi scogli a
ose distanze da perdersi di vista dove andassero a colpire o cadere ; che Tifèo o Egeòne aveva una lunghissima coda di serp
utto coperto di scaglie come un coccodrillo o un armadillo. Ma Dante, che ci assicura di aver trovati parecchi di questi Gi
ligine infernale li aveva presi per torri, quantunque non apparissero che per metà, cioè dai fianchi in su ; e Virgilio lo
oè dai fianchi in su ; e Virgilio lo disingannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son
ngannò dicendogli : « Acciò che il fatto men ti paia strano, « Sappi che non son torri, ma giganti. » Per quanto Dante ci
io le dimensioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più
sioni ; e a forza di perifrasi e di confronti ci fa capire che quelli che vide dovevano essere alti in media più di ventici
onati all’altezza come nella specie umana. Alcuni per altro di quelli che Dante non accenna di aver veduto nel suo viaggio
eran molto più lunghi e più grossi, come per esempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era
sempio il gigante Tizio che si estendeva per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava
per nove jugeri, ed Encelado che era lungo quanto la Sicilia, e Tifeo che toccava il cielo col capo. Gli antichi mitologi a
a, secondo loro, sublime della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno
ome, poi chiamata Pallène. Il caso più strano di questa guerra si fu che tutti gli Dei, non che le Dee, ebbero una gran pa
ne. Il caso più strano di questa guerra si fu che tutti gli Dei, non che le Dee, ebbero una gran paura dei Giganti, e la m
to al più con quattro, secondo altri poeti, e tra questi anche Dante, che vi aggiunge Marte e Minerva. L’altro figlio Vulca
nascere l’opportunità di parlarne perfino nel Purgatorio, immaginando che ivi esistessero dei bassirilievi rappresentanti i
cende. Una delle più impossibili ed incredibili era tanto famigerata, che la eternò nei suoi mirabili versi lo stesso Virgi
seppellito vivo nella Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani
riporto qui la traduzione del Caro, e in nota l’originale : « È fama che dal fulmine percosso « E non estinto sotto a ques
estinto sotto a questa mole « Giace il corpo d’Encelado superbo : « E che quando per duolo e per lassezza « Ei si travolve
ti mitologici la descrizione dei naturali fenomeni. Infatti Virgilio, che Dante scelse per suo maestro 78), e. che egli chi
fenomeni. Infatti Virgilio, che Dante scelse per suo maestro 78), e. che egli chiama il mar di tutto il senno, dovendo com
te all’aura un’atra nube « Mista di nero fumo e di roventi « Faville, che di cenere e di pece « Fan turbi e groppi, ed onde
usa de’ vapori sulfurei dell’Etna, dicendo nel Canto iv del Paradiso, che la bella Trinacria, cioè la Sicilia, caliga, ossi
li fa, secondo le loro odierne teorie ed analisi chimiche, accennando che lo zolfo nasce e si forma nei sotterranei abissi
dei geologi, con tutta la sua nuova teoria dei vulcani. I chimici poi che riconoscono coll’analisi l’esistenza del solfo na
solfo, indicata l’elaborazione e la fabbrica naturale di quello zolfo che essi, alludendo alla stessa origine, chiamano nat
Esiodo vi è un bell’episodio sulla battaglia dei Titani coi Saturnii, che fu tradotto in versi da quel sommo ingegno del Le
omachia, aggiungendo ai suoi lettori questa avvertenza : « Già sapete che non è opera speciale, ma un gherone della Teogoni
8. Per questa ragione io cito nel presente libro più esempii di Dante che di altri poeti italiani ; e giacchè ho rammentato
dell’ Alfieri per Dante, riporterò qui i primi versi del suo sonetto che egli fece a Ravenna nel visitare il sepolero del
o della Fama, la dice sorella dei Giganti Ceo e Encelado, ed aggiunge che « Terra parens ira irritata Deorum « Progenuit.
LE]mio autore : « Tu se’ solo colui, da cui io tolsi « Lo bello stile che m’ha fatto onore. » (Inf., C. i, 83.) 79. «
d., iii, 561.) 80. Chiunque legge con attenzione e riflette su quel che ha letto, quntunque egli sia nuovo alle scienze,
lla ragione, dirà a sè stesso o a qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse esse
qualche chimico : Ma dunque se dite che v’è lo zolfo nativo, parrebbe che vi dovesse essere anche lo zolfo non nativo, ossi
oteiche di provenienza di ambedue i regni organici ; e fra i prodotti che son propri degli animali si distinguono, quanto a
a, e vi troverete più maraviglie e metamorfosi, visibili e palpabili, che in tutte quante le Mitologie dei poeti e degl’ide
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
rnali La paròla Inferno, secondo l’etimologia latina, significa ciò che resta di sotto, ed è propriamente un aggettivo a
ttivo a cui può sottintendersi il nome di qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto
Mitologia non è annessa alla parola Inferno la stessa significazione che le si dà in italiano nella cristiana religione. I
regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè supponevano che nel seno di essa esistessero due inferne regioni
beatitudine per le anime dei buoni235. Siccome gli Antichi credevano che alcuni dei loro più famosi eroi, Teseo, Ercole, O
vi trovarono un vasto campo libero ed aperto alla loro immaginazione, che percorsero a briglia sciolta, e senza paura di es
ssere smentiti da chi, dopo la morte, nulla vi avesse trovato di quel che essi dicevano. E il nostro Dante valendosi della
ietro l’esempio di Virgilio suo maestro ed autore, costruì un Inferno che sarà sempre una maraviglia non solo della sua fan
za morale e politica. Il conoscer dunque le regioni infernali secondo che le hanno immaginate e descritte gli Antichi, è ne
sici greci e latini, ma altresì gl’italiani, e sopra gli altri Dante, che in questo è superiore a tutti gli antichi e ai mo
iuravano gli Dei, e il loro giuramento era inviolabile : onorificenza che fu accordata allo Stige perchè la sua figlia Vitt
i Giganti si dichiarò dalla parte di Giove. Era questo il primo fiume che trovavasi nello scendere all’Inferno, e tutto lo
rreva un liquido infiammabile (come lo spirito di vino o il petrolio) che sempre ardeva, e serviva per tuffarvi i dannati.
o della propria esistenza ; e queste davansi a bevere a quelle anime, che , secondo la dottrina della Metempsicosi di cui pa
le avevan soltanto la prescienza del futuro. È celebre la descrizione che ne fa Virgilio nel vi libro dell’Eneide, che Anni
È celebre la descrizione che ne fa Virgilio nel vi libro dell’Eneide, che Annibal Caro tradusse così : « Ciò fatto, ai luo
ogno di raffrenar coll’impero sovrano le anime dei malvagi, e vegliar che i suoi ministri non mancassero al loro dovere di
cenda « Lo sfavillante d’or Sole, non guarda « Quegl’infelici popoli, che trista « Circonda ognor pernizïosa notte. » (Tra
» (Trad. di Pindemonte). La più bella fabbrica dell’Inferno è quella che Dante ha delineato in modo sì mirabile da superar
lia architetto. La sua poetica descrizione è tanto chiara ed evidente che molti cultori delle arti belle, e tra questi lo s
nunziare a valersi di alcune delle invenzioni mitologiche dei Pagani, che potevan meglio servire alla immaginata allegorìa
e oculare (poichè finge di aver percorso egli stesso quelle regioni), che l’Inferno è formato di circoli concentrici come u
, che l’Inferno è formato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto
mato di circoli concentrici come un anfiteatro ; che il primo cerchio che si trova, poche miglia sotto la superficie terres
al centro del nostro globo, nel qual punto termina l’Inferno stesso ; che i cerchi son 9 ; ma il 7° è diviso in 3 gironi, l
ssoni di ferro rovente, pieni di dannati. Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante)
pieni di dannati. Tutte le opere d’arte (qual che si fosse lo maestro che le fece, come dice Dante), furono eseguite second
ettoniche e le proporzioni matematiche in modo così esatto e preciso, che i più dotti commentatori della Divina Commedia da
che i più dotti commentatori della Divina Commedia dalle indicazioni che ne ha date l’autore hanno potuto determinarne in
ni mitologiche o dantesche delle sotterranee regioni, non può credere che quei luoghi stiano precisamente come la Mitologia
asce facilmente (se non è stupido) la ledevole curiosità di conoscere che vi sia veramente sotto la superficie del nostro g
o in raziocinio a creare recentemente una nuova scienza, la Geologia, che comprende la Geogonia, cioè la storia dell’origin
38. Ben presto vi si aggiunse compagna indivisibile la Paleontologia, che consiste nel riconoscere dagli avanzi fossili di
i animali e di vegetabili di specie e varietà molto diverse da quelle che esistono ancora oggidì. Tutte le scienze da qualc
esto nuovo edifizio scientifico, e adotta l’ipotesi molto accreditata che la Terra e gli altri pianeti fossero in origine s
in forza del movimento di rotazione. Inoltre colle analisi spettrali che dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior par
he dimostrano nel Sole l’esistenza della maggior parte delle sostanze che si conoscono sul nostro globo239, si venne a conf
sul nostro globo239, si venne a confermare i raziocinii dei geologi, che cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizi
cioè la Terra fosse in origine un globo in ignizione come il Sole, e che a poco a poco raffreddandosi avesse formato le ro
tutti i diversi strati, sull’ultimo dei quali abitiamo. Questo è quel che asserisce la scienza moderna a proposito delle re
i dati scientifici su cui si fondano i calcoli di centinaia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prim
naia di secoli che passarono dall’una all’altra epoca geologica prima che si compiessero le formazioni delle diverse rocce 
ero le formazioni delle diverse rocce ; e si riflette filosoficamente che infinite specie di animali terrestri, aquatici ed
to più vasto di quello delle invenzioni mitologiche ; e riconosceremo che la mente dell’uomo non sa immaginare neppur la mi
ell’uomo non sa immaginare neppur la millesima parte delle maraviglie che la scienza tuttodì va scuoprendo nelle operazioni
ggi della Natura. 235. Alcuni mitologi e poeti antichi hanno detto che i Campi Elisii, non erano nel seno della terra, m
mpi Elisii, non erano nel seno della terra, ma nelle Isole Fortunate, che ora si chiamano Le Canarie ; ma gli Antichi dovev
a gli Antichi dovevan conoscerle soltanto di nome e non averle vedute che da lontano, poichè credevano che vi abitassero le
soltanto di nome e non averle vedute che da lontano, poichè credevano che vi abitassero le anime dei Beati. Orazio ne fa po
ente una splendida descrizione nell’ Ode 16ª del lib. v ; e asserisce che la terra di quelle isole produceva tutto come nel
una amplificazione del passo di Esiodo nelle Opere : « Eroi felici, che disgombro il core « D’affanni, in riva all’Ocean
sa saporite frutta. » Ma anche Plutarco nella Vita di Sertorio dice, che « perfino i Barbari stessi tengon ferma credenza
fabbrica da lui architettata, riporterò soltanto quella di Malebolge, che è veramente ammirabile per la sua evidenza : « L
o Malebolge, « Tutto di pietra e di color ferrigno, « Come la cerchia che d’intorno il volge. « Nel dritto mezzo del campo
largo e profondo, « Di cui suo loco dicerà l’ordigno. « Quel cinghio che rimane adunque è tondo « Fra ’l pozzo e ’l piè de
di fuor son ponticelli ; « Così da imo della roccia scogli « Movien, che recidean gli argini e i fossi « Infino al pozzo,
scogli « Movien, che recidean gli argini e i fossi « Infino al pozzo, che i tronca e raccogli. » (Inf., xviii, 1…) 238.
ipotesi scientifica, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi che non vi è nulla che offenda la Religione.
a, anche il devoto femmineo sesso può rassicurarsi che non vi è nulla che offenda la Religione.
28 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131
XX Mercurio Chi è che non conosca qualcuno dei molti significati di que
materia medica. E chi fu mai sì losco o dell’occhio o dell’intelletto che non abbia veduto e ammirato, in tela, in legno, i
a figlio di Giove e della Ninfa Maia una delle sette figlie d’Atlante che furon cangiate nella costellazione delle Pleiadi 
o Atlantiade, cioè nipote di Atlante148. Dai Greci era chiamato Erme, che significa interprete ; perciò il nome stesso indi
rcio. Da questi due principali nomi Erme e Mercurio e dagli attributi che per essi indicavansi, dedussero gli Antichi altri
o. Poichè egli era l’interprete e il messaggiero degli Dei, supposero che fosse ancora il Dio dell’eloquenza e della persua
nticamente molte frodi per fare illeciti e subiti guadagni, dedussero che egli fosse pure anco il Dio dei ladri. E su quest
queste illazioni inventarono subito una quantità di fatti mitologici, che , abbelliti dalla fantasia e dal linguaggio di som
, conviene almeno brevemente accennare. Raccontano dunque i mitologi, che nacque Mercurio dotato d’ingegno acutissimo ed ac
ssimo, ma. coll’istinto di valersene per ingannare gli altri. Non già che egli, come Dio, avesse bisogno di rubare, ma così
rezza si divertiva a far delle burle agli Dei, involando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. E perciò dicono c
ando ad essi quel che avevano di più caro e prezioso. E perciò dicono che Mercurio ancor fanciullo rubò le giovenche e gli
certamente un linguaggio allegorico, col quale si voleva significare che Mercurio col suo ingegno e la sua accortezza si e
loro ruberie. Tito Livio, nel libro 2° della Storia Romana, racconta che il collegio dei mercanti celebrava la festa di Me
la festa di Mercurio il 15 di maggio, e Ovidio aggiunge la preghiera che essi recitavano, la quale terminava col chiedere
scere come accogliesse Mercurio dall’alto questa preghiera, soggiunge che sorrideva, ricordandosi di avere anch’egli rubate
un giorno, come raccontano i poeti, avendo egli trovato due serpenti che si battevano, li percosse colla sua verga per sep
segno di pace154. La prima, cioè la verga sola, significava l’ufficio che aveva Mercurio di condurre le anime dei morti al
ne delle anime155 ; la seconda, ossia la verga coi serpenti, indicava che questo Dio consideravasi allora come ambasciatore
ora come ambasciatore di pace ; e perciò il caducèo era il distintivo che i Pagani davano ai loro ambasciatori : ora è dive
avano ai loro ambasciatori : ora è divenuto il simbolo del Commercio, che è arte di pace, e prospera utilmente per tutti so
di tutti gli oggetti godevoli, o, come dice l’inglese Hume, è l’olio che fa girar facilmente e senza attrito le ruote dell
ina sociale. Talvolta era rappresentato Mercurio con una catena d’oro che gli usciva dalla bocca e pendevagli dalle labbra,
ù facilmente dall’orecchio al cuore157, perciò gli Antichi asserirono che Mercurio era valentissimo nella musica, ed aveva
omento. Questo chiamavasi in greco chelys e in latino testudo, parole che in entrambe le lingue significano primitivamente
mbe le lingue significano primitivamente testuggine, perchè credevasi che Mercurio avesse formato questo stromento col gusc
iani. Ad Apollo piacque tanto questo stromento e tanto se ne invogliò che Mercurio suo fratello glie ne fece un regalo grad
he i primi incentivi alla vita sociale e all’incivilimento, asserendo che egli avesse dirozzati i popoli selvaggi col canto
urio era estesissimo, e Cesare nei suoi Commentarii ci lasciò scritto che i Galli adoravano principalmente questo Dio, e lo
i splendidamente dallo stesso Omero : qui basterà parlare di due soli che si riferiscono alla vita privata di questo Dio. S
n pietra di paragone e di Aglauro in livido sasso. Raccontano i poeti che quando Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontr
scuoprisse ; ma poi per provar la sua fede prese la forma di un altro che cercasse il ladro di quell’armento e promise a Ba
ie. Batto si lasciò vincere da insaziabile cupidigia e manifestò quel che sapeva e avea promesso di tacere. Allora Mercurio
erò della sua perfidia e lo punì trasformandolo in quella pietra nera che dicesi di paragone, perchè serve a far conoscere
162. Il significato di questo mito s’intende facilmente ; indica cioè che l’onestà degli uomini si mette alla prova col den
invidia frapponeva ostacoli alla conclusione degli sponsali. Mercurio che non aveva tempo da perdere, per levar di mezzo qu
, simbolo del livore, ossia dell’invidia. Dante a cui nulla sfugge, e che ovunque stenda la mano o colorisce o scolpisce, n
ivere il cerchio del Purgatorio ove son puniti gl’invidiosi, ci narra che ei vide « Il livido color della petraia, » e pi
……ombre con manti Al color della pietra non diversi, » e udì « Voce che giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro che d
rsi, » e udì « Voce che giunse di contro dicendo : « Io son Aglauro che divenni sasso ; » e seppe così valersi incompar
e e 15 minuti. I filosofi naturali chiamaron Mercurio il solo metallo che sia liquido a temperatura ordinaria, e che si sol
n Mercurio il solo metallo che sia liquido a temperatura ordinaria, e che si solidifica soltanto a 40 gradi di gelo. È cono
nere di piante della famiglia delle Euforbiacee, perchè, secondo quel che dice Plinio, si credeva dovuta al Dio Mercurio la
credeva dovuta al Dio Mercurio la scoperta delle qualità maravigliose che gli Antichi attribuivano a questo genere di piant
questo genere di piante. La più comune dicesi volgarmente Marcorella, che è una corruzione del termine mercuriale. Mercuri
quenza164 ; Mercuriali (secondo il Menagio) le adunanze dei letterati che si tenevano il mercoledì in casa di qualcuno di l
liano) ; e ciascuna delle altre due in un paio di stivaletti o ghette che si chiamano con termine latino talari dal porsi a
0.) Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi pe
e significa che Mercurio rubava per ischerzo, sottintendendosi perciò che poi restituiva ai proprietarii gli oggetti rubati
e vantano dicendo come il Girella del Giusti : « Non resi mai — Quel che rubai. » A proposito di questi tali riporta Cice
confine « Prese ed ornò di raggi il biondo crine. « Ali bianche vestì che han d’or le cime « Infaticabilmente agili e prest
. » 154. E celebre il Mercurio di Giovan Bologna, statua in bronzo che ornava prima una fontana della villa Medici in Ro
una similitudine del Canto ii del Purgatorio. « E come a messaggier che porta olivo « Tragge la gente per udir novelle,
le, « E di calcar nessun si mostra schivo. » 157. Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò che subito incia
hivo. » 157. Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò che subito inciampa nell’orecchio : Nihil potest intr
il pianeta di Mercurio, nomina invece la madre, di lui Maia ; e pare che così voglia attribuirsi una maggior licenza poeti
aia ; e pare che così voglia attribuirsi una maggior licenza poetica, che non sia in uso comunemente. Per altro questo modo
Per altro questo modo di dire è incluso nelle regole di quel traslato che chiamasi metonimia. « L’aspetto del tuo nato, Ip
ia e Dione. » Le stesse osservazioni son da farsi sul nome di Dione, che è qui posto a significare il pianeta di Venere, l
29 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
a Musica e maestro delle nove Muse Poeta è parola di greca origine che significa creatore, e perciò poesia vuol dir crea
ellettuale. Ecco il carattere distintivo della vera poesia e del Nume che ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del
che ad essa presiede. Apollo è dunque il simbolo del poetico ingegno, che non si compra coll’oro, nè si usurpa colle brighe
filosofo, invoca non solo Apollo e le Muse, ma altresì l’alto ingegno che lo aiuti122. Abbiamo in proverbio anche in italia
’alto ingegno che lo aiuti122. Abbiamo in proverbio anche in italiano che Musica e Poesia nacquer sorelle ; e infatti sin d
lle ; e infatti sin dagli antichissimi tempi, sappiamo dalle istorie, che cantavansi gl’inni accompagnandoli col suono degl
ma pur anco nel popolo eletto 123. Non dovrà dunque recar maraviglia che per associazione d’ idee Apollo fosse riguardato
anticamente disgiunte, come abbiam detto. Per questa stessa ragione che anticamente le poesie erano cantate e accompagnat
e accompagnate dal suono di qualche musicale istrumento, tutti coloro che compongono poesie dicono sempre che cantano, anco
musicale istrumento, tutti coloro che compongono poesie dicono sempre che cantano, ancorchè scrivano soltanto o belino vers
me il maestro di queste Dee. Esse eran figlie di Giove e di Mnemosine che era la Dea della Memoria (come indica il greco vo
la Dea della Memoria (come indica il greco vocabolo), per significare che questa facoltà dell’anima, la Memoria, è la madre
ori e le faccia fruttificare. Perciò gli Antichi avevano in proverbio che tanto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e D
nto sappiamo quanto teniamo a memoria 125 ; e Dante aggiunge « ……….. che non fa scïenza « Senza lo ritenere, avere inteso.
se abitavano ; i quali termini son più usati dai poeti greci e latini che dagl’italiani. Per altro Ugo Foscolo ne ha intred
la omonima fonte in Macedonia sui confini della Tessaglia. Egli dice che « ……………… quando « Il Tempo colle sue fredde ali
atamente per la poesia nel Canto i della Gerusalemme liberata. « Sai che là corre il mondo ove più versi « Di sue dolcezze
ce Virgilio nel iii delle Georgiche) corrispondente al latino asilus, che in italiano significa assillo o tafano. È dunque
, rinforza in me la voce, « E furor pari a quel furor m’ispira ; « Sì che non sien dell’opre indegni i carmi « Ed esprima i
confronto delle Muse. A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro e
use. A Dante piacque questo mito, e rammentando quel che dice Ovidio, che le Muse, per confonder le loro emule presuntuose,
vale stupendamente coll’ invocar per sè da quelle Dee un simil canto, che abbatta l’invida rabbia de’ suoi nemici : « Ma q
canto con quel suono, « Di cui le Piche misere sentiro « Lo colpo tal che disperar perdono130. » (Purg., i, 7.) Un’ altra
egare perchè talvolta furon dipinte colle ali. Inventarono i mitologi che le Muse fossero inseguite da Pireneo re della Foc
mitologi che le Muse fossero inseguite da Pireneo re della Focide, e che per salvarsi dalle violenze di lui, che le aveva
da Pireneo re della Focide, e che per salvarsi dalle violenze di lui, che le aveva raggiunte nell’alto di una torre, mettes
ri. In Dante poi era sì grande e sì fervente il culto per queste Dee, che per loro, dice egli stesso, soffrì la fame e la s
n mi sprona ch’io mercè ne chiami. » E qual’è la mercede o il premio che egli ne chiede ? Forse regie decorazioni o laute
regie decorazioni o laute pensioni ? Null’altro egli desidera, se non che le Muse l’aiutino : « Forti cose a pensar, mette
tando separatamente degli Oracoli e degli Augurii. Ora però è a dirsi che i poeti hanno attribuito anche a sè stessi in gra
fanno mistero ; son gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono che si cre
gente franca ed aperta, e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono che si creda. Ma son pur anco
e dicono liberamente quel che sentono e quel che credono, o vogliono che si creda. Ma son pur anco sdegnosi, e guai a chi
empio delle Muse nella metamorfosi delle Piche, ma altresì di Apollo, che in un modo più tremendo (e diremo ancora crudele)
se. A Dante non sfuggì neppur questo mito ; anzi per la stessa ragion che lo mosse nella invocazione alle Muse a rammentare
elice. Sappiamo già come perdè il suo figlio Fetonte : dicemmo ancora che perì fulminato da Giove l’altro suo figlio Escula
lminato da Giove l’altro suo figlio Esculapio, ad istanza di Plutone, che si vedeva rapire i sudditi dell’Inferno per opera
’Inferno per opera di questo medico incomparabile. Aggiunsero i poeti che Apollo sdegnato con Giove, e non potendo vendicar
contro di esso, perchè era suo padre e più potente, uccise i Ciclopi che fabbricavano i fulmini. Giove lo punì esiliandolo
azione. Il lauro d’allora in poi fu sempre la pianta sacra ad Apollo, che se ne fece una corona di cui portò sempre cinta l
e Apollo per compassione la cangiò in elitropio, fiore di greco nome che in italiano dicesi girasole. Invenzione semplicis
 ! Non la sdegnò il Poliziano, adoratore devoto e felice di tutto ciò che fu scritto dalla classica antichità ; e così vi f
al disco (ora direbbesi alle piastrelle), il vento Zeffiro invidioso che Apollo col suo ingegno avesse trovato il modo di
o dolentissimo, per sollievo della sua afflizione lo cangiò nel fiore che porta lo stesso nome del giovinetto134. Invenzion
sta dello stesso genere delle precedenti. Ma i mitologi vi aggiungono che i parenti dell’estinto, dando la colpa della mort
ate. » (Inf., ii, 7.) 123. Anche Dante rammenta il fatto biblico, che il re David, oltre a suonare l’arpa e cantare, ba
to vaso (all’Arca) « Trescando alzato l’umile Salmista, « E più e men che re era in quel caso. » (Purg., x, 64.) 124.
esti nomi furono riuniti, per comodo di memoria, in un distico latino che è il seguente : « Calliope, Polymneia, Erato, Cl
comune di Muse alcuni mitologi lo fanno derivare da un greco vocabolo che significa insegnar cose sublimi. Da Musa stimano
esto e Macrobio) a canendo, dal cantare. 128. Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini che poetic
128. Si sa dalla geografia che il monte Parnaso ha due cime o culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta aff
culmini che poeticamente diconsi gioghi : e cosi il poeta affermando che nella Cantica del Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i
l Paradiso ha d’uopo d’ ambedue i gioghi di Parnaso, vuol significare che ha bisogno di tutte le forze della più sublime po
, trovasi nella Tebaide del poeta Stazio in quello stesso significato che talvolta gli si dà in italiano. « Tempus erit, q
fortior æstro « Facta canam. » (Theb., i, 32.) 130. E da notarsi che Dante nel Canto xviii del Paradiso, invocando la
i, perchè il Pegaso fece scaturire con un calcio la fontana Ippocrene che fu sacra alle Muse : « O diva Pegasea, che gl’ i
lcio la fontana Ippocrene che fu sacra alle Muse : « O diva Pegasea, che gl’ ingegni « Fai glorïosi e rendigli longevi, « 
sa in questi versi brevi. » 131. Vaticinari in latino è lo stesso che fata canere, frase usata anche da Orazio nell’ Od
osi disposte da imitare le lettere A J ; e i poeti subito inventarono che queste rappresentano l’ultima esclamazione di dol
inventarono che queste rappresentano l’ultima esclamazione di dolore che proferi Giacinto morente. Alludendo a questa spir
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505
iegazione della classica Mitologia, accennerò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma che altrove
erò brevemente alcune feste che celebravansi più specialmente in Roma che altrove. Nel mese di Gennaio, il cui nome facevas
el primo giorno la festa di questo Dio, e prima ad esso sacrificavasi che agli altri Dei, perchè egli era considerato come
tempo di Numa Pompilio, e inauguravasi con molta solennità, in quanto che i nuovi Consoli con purpurea veste e preceduti da
o i dei Fasti si mantennero in Roma per più di mille anni. Anzi l’uso che vi fu allora di dir l’uno all’altro parole di buo
professione nelle altre ore del giorno. Credevasi di cattivo augurio che il primo giorno dell’anno si lasciasse trascorrer
stato. Il dì 11 dello stesso mese celebravansi le Feste Carmentali, che si ripetevano il dì 15, e vi si univano anche que
rrima e Posverta. Noi abbiamo già detto nel corso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esu
rso di questa Mitologia che la Ninfa Carmenta era madre di Evandro, e che esulando insieme col figlio venne nel Lazio e fis
nsieme col figlio venne nel Lazio e fissò la sua dimora su quel monte che poi fu detto il Palatino. Quanto poi a Porrima e
atino. Quanto poi a Porrima e Posverta, Ovidio e Macrobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e ch
crobio asseriscono che esse erano o sorelle o compagne di Carmenta, e che la prima, cioè Porrima, indovinava le cose accadu
vatrice. In origine e grammaticalmente la voce sospita è un aggettivo che soleva aggiungersi dai Lanuvini alla Dea Giunone.
na particolare Divinità ; e Cicerone nel lib. i De Nat. Deor. ci dice che la rappresentavano con una pelle di capra sulle s
le spalle, con un’asta e un piccolo scudo e i calzari rovesciati ; ma che questa non era nè la Giunone Argiva, nè la Giunon
Dea da quelle etadi grosse, come direbbe Dante ; ma Ovidio asserisce che i contadini furono molto lieti di questa protettr
contadini furono molto lieti di questa protettrice dei loro forni, e che la pregavano devotamente : « Facta Dea est Forna
ut fruges temperet illa suas. » Della Dea Muta non ci danno notizia che Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade,
Della Dea Muta non ci danno notizia che Ovidio e Lattanzio ; e dicono che era una Naiade, la quale fu privata della favella
e. Le Feste Caristie erano un solenne convito fra i parenti ed affini che si riunivano annualmente in questo giorno alla st
re occasione di sopire in mezzo alla comune letizia qualche discordia che fosse nata fra taluni di loro nel corso dell’anno
ide co’suoi propri occhi il miracolo, ma udì anche una voce dal Cielo che prometteva ai Romani la maggior potenza finchè av
Numa ne fece costruire altri undici, non solo simili, ma tanto uguali che neppur l’artefice seppe in appresso distinguere q
ltando secondo il rito. Quei sacerdoti eran chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi ca
n chiamati Salii dal saltar che facevano processionalmente ; e l’inno che essi cantavano essendo stato composto ai tempi di
ssi : solo dall’esservi più volte ripetuta la parola Mamurio si credè che quel vocabolo fosse il nome dell’artefice degli u
ome dell’artefice degli undici ancili, poichè dicevasi per tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opr
tradizione che egli null’altro premio avesse richiesto dell’ opra sua che di esser rammentato nell’inno saliare. Vèiove si
vinetto e senza i fulmini in mano, ma invece accompagnato dalla capra che fu la sua nutrice nell’isola di Creta. Aveva un t
nna Perenna era una Dea adorata soltanto dai Romani, perchè credevano che fosse quella stessa Anna sorella di Didone, ramme
one è conforme alla ortodossia mitologica, secondo la quale credevasi che di questi due Dei gemelli Diana fosse nata un gio
, cioè in onore del Dio Robìgo, facevansi per implorare da questo Dio che tenesse lontana la ruggine dalle biade. Robigo in
mpilio l’invenzione di questo Dio. Noi abbiamo notato nel Cap. XXXIII che di molti Dei si conoscono le attribuzioni dal sig
bbiamo rammentato il Dio Robigo. Nel mese di Maggio troviamo indicato che il primo giorno di quel mese fu eretta un’ara ai
tesso giorno si celebrava la festa della Dea Bona. Questa è la stessa che la Dea Fauna moglie del Dio Fauno, di cui abbiamo
tta la Dea Bona perchè era di una così scrupolosa modestia e castità, che si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altr
che si chiuse nel suo ginecèo e non volle vedere altra faccia di uomo che quella di suo marito. Perciò le matrone romane le
omane le prestavano un culto religioso in un tempio chiamato opertum ( che in latino vuol dir chiuso), perchè a quei riti e
n quel tempio non erano ammessi gli uomini. La Storia Romana ci narra che essendovisi introdotto il licenzioso P. Clodio tr
tito da donna, egli fu stimato sacrilego ; e questo scandalo fu causa che Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo che sul
uesto scandalo fu causa che Cesare ripudiò la propria moglie, dicendo che sulla moglie di Cesare non dovevan cadere nemmeno
deriva a monendo (dall’avvertire) perchè gli antichi Romani dicevano che questa Dea li aveva avvertiti che facessero un sa
perchè gli antichi Romani dicevano che questa Dea li aveva avvertiti che facessero un sacrifizio di espiazione immolando u
oma, ove si radunava il Senato per dare udienza a quegli ambasciatori che non erano ammessi in città. I sacerdoti di questo
uinto secolo dell’ E. V. asserisce nel suo libro intitolato Satyricon che Summanus significa Summus Manium, il primo degli
Plinio nel libro ii, cap. 52 della sua Storia Naturale, dice soltanto che a questo Dio si attribuivano i fulmini notturni,
uivano i fulmini notturni, come a Giove i diurni. Ovidio poi confessa che non sa qual Dio sia (quisquis is est). Peraltro i
he non sa qual Dio sia (quisquis is est). Peraltro i moderni Filologi che rivaleggiano coi Paleontologi a ricostruire con f
di questo vocabolo Summanus, e raccogliendo qualche altra indicazione che si trova di questo Dio e in Varrone e in Festo e
i Acta fr. Arval. e nel Glossarium Labronicum, concludono col Preller che Summanus è un Dio del cielo notturno, a cui si at
to esser la più vera l’asserzione di Plinio168. 168. Noterò inoltre che l’illustre grecista e filologo prof. B. Zandonell
va « l’etimologia di Monsummano da Sommo Mane (il Plutone dei Pagani) che fu adottata dal Proposto Gori e poi dal Tigri nel
e riconosce giusta la conclusione del Preller, non nasconde per altro che le notizie date dal dotto autore tedesco non disc
egli scritti del Preller. — Avvertimento agli ammiratori di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò
ri di tutto ciò che è straniero, e non curanti o dispregiatori di ciò che è nostro.
31 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
diverse forme ; quindi ebbe il titolo di Dea Triforme 135. Tutto ciò che si riferisce a Diana in comune col suo fratello A
fratello Apollo, vale a dire i genitori, il luogo di nascita e i nomi che da quello le derivarono, l’abbiamo detto nel N° X
tto nel N° XVI. Dovendosi ora parlare de’suoi ufficii speciali diremo che , considerata come la Luna, immaginarono i mitolog
peciali diremo che, considerata come la Luna, immaginarono i mitologi che essa sotto la forma di una avvenente e giovane De
nto alle ecclissi lasciarono correre la volgare e grossolana opinione che l’oscurazione di questo astro dipendesse dagl’inc
ca potenza delle streghe sulla Luna e le Stelle136, e Ovidio aggiunge che si estendeva anche sul Sole137. Il volgo peraltro
iale errore ; e la storia di tutti i tempi lo prova. Sappiamo infatti che anticamente nel tempo delle ecclissi lunari i pop
di metallo per liberar di travaglio la Luna, credendo così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ;
così d’impedire che essa sentisse le magiche parole degli stregoni ; che un esercito perdè la battaglia fuggendo spaventat
ercito perdè la battaglia fuggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell
ggendo spaventato per un’ecclisse di Sole che avvenne in quel tempo ; che anche i selvaggi dell’America nei primi tempi del
ell’America nei primi tempi della scoperta del nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si
nuovo Mondo credettero che Colombo colle sue preghiere potesse far sì che si oscurasse e rasserenasse la faccia della Luna.
anticamente per maghi o per innamorati della Luna. Anzi di quel primo che osservò e descrisse il corso lunare raccontano i
l primo che osservò e descrisse il corso lunare raccontano i mitologi che si era invaghita la Luna stessa. Chiamavasi egli
ta la Luna stessa. Chiamavasi egli Endimione, e stava sul monte Latmo che è nella Caria ; ed essendosi in una di quelle cav
stampe in cui vedesi Endimione addormentato in una caverna e la Luna che sta a guardarlo. I poeti poi quasi tutti, ed anch
asi tutti i popoli idolatri ; e Cesare rammenta nei suoi Commentarii, che gli antichi Germani regolavano le loro imprese se
9. In Roma v’era un tempio dedicato a Diana Noctiluca, cioè alla Luna che splende di notte, nel qual tempio tenevano accesi
olo nome di Diana era considerata come Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei
re. E perciò si rappresenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino all
mano l’arco e nell’altra un guinzaglio con cui trattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua che
rattiene un levriero che si volta a guardarla ; e perchè si distingua che questa cacciatrice è Diana, le si aggiunge sull’a
degnosa. Anche Orazio la chiama iracunda Diana ; e si racconta perciò che ella era inesorabile e puniva severamente qualunq
iovane Callisto (il cui nome significa bellissima), perchè si accorse che amoreggiava con Giove. La qual’orsa fu poi da Gio
sformata in una costellazione per impedire un matricidio, vale a dire che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, b
che fosse uccisa dal figlio di lei chiamato Arcade, bravo cacciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sa
acciatore, che incontrata nei boschi quest’orrida fiera e non sapendo che fosse sua madre, stava per trafiggerla con un dar
ggiore ed anche Elice per distinguerla dall’altra vicinissima ad essa che chiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome d
hiamasi Orsa minore ed anche Cinosura dal nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per ben
nome di una di quelle Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, e che per benemerenza fu trasformata in questo gruppo d
o gruppo di stelle. L’Orsa maggiore fu chiamata anche il Carro, nome che si conserva pure oggidì ; e le sette stelle princ
arro, nome che si conserva pure oggidì ; e le sette stelle principali che vedonsi in quella ad occhio nudo eran dette i set
dell’Orsa, e antartico, opposto all’Orsa. Alcuni mitologi aggiungono che anche Arcade figlio di Callisto fu cangiato in un
 ; e chi mai non si allontani da qualche cara cosa o persona fu detto che egli le sta sempre come Artofilace all’Orse (seco
fe, la Dea gli gettò dell’acqua sulla faccia e lo trasformò in cervo, che nel fuggire fu raggiunto dai suoi propri cani e d
suoi propri cani e da essi miseramente dilaniato. Dissero i mitologi che Atteone, perchè apparteneva ad una famiglia odios
uesto racconto mitologico a darci ad intendere, nella sua 4ª Canzone, che per opera di Madonna Laura avvenisse a lui stesso
ancor de’miei can fuggo lo stormo. » È facile peraltro l’intendere che qui il Petrarca parla soltanto metaforicamente. L
loro i mitologi ; ed urta il senso comune e il buon gusto il sentire che confondessero l’argentea Luna e la svelta saettat
la svelta saettatrice Diana con la mostruosa Ecate. Sapendo soltanto che ad Ecate si attribuivano tre teste, una di cavall
le, basta questo perchè tal mostruosa Dea faccia orrore. E gli uffici che le si assegnavano eran pur essi fantastici e paur
alcuni luoghi invalse l’uso nei trivii di offrir delle cene ad Ecate, che lasciate intatte da questa Dea eran poi ben volen
nei trivii, ond’ebbe ancora il nome di Trivia 143. Orazio in tre odi che han per soggetto le streghe e le stregonerie non
lla Sat. 8 del lib. I dice delle due famose streghe Canidia e Sagana, che l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel
, che l’una invocava Ecate, e l’altra Tisifone ; e nel Carme secolare che fu cantato pubblicamente in onore di Apollo e di
uente : « Ma non cinquanta volte fia raccesa « La faccia della Donna che qui regge « Che tu saprai quanto quell’arte pesa 
he tu saprai quanto quell’arte pesa ; » ove apparisce manifestamente che l’ufficio di Proserpina e non di Ecate è accomuna
un famoso tempio, considerato come una delle 7 maraviglie del mondo, che fu arso, pur d’acquistar fama ancorchè infame, da
bbene fosse impossibile rifare dello stesso pregio gli oggetti d’arte che erano periti nell’incendio. Questo secondo tempio
i Efesii ; e poichè egli voleva abolire il culto di Diana, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella citt
a, poco mancò che non fosse massacrato dagli orefici di quella città, che guadagnavano molto vendendo tempietti d’argento f
Ed ora dove sorgeva quel tempio e la stessa popolosa città di Efeso, che a tempo dell’imperator Teodosio II fu sede di due
’imperator Teodosio II fu sede di due Concilii Ecumenici, non trovasi che qualche lurida capanna mezzo sepolta in una pianu
. » E l’Ariosto nell’ Orlando Furioso, Canto XVIII : « O santa Dea, che dagli antichi nostri « Debitamente sei detta Trif
(Parad., C. xxiii, 25.) 144. Questa opinione divenne tanto comune che alcuni eruditi latinisti composero per comodo di
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284
XXXVI Le Ninfe Nel parlar delle Divinità marine notammo che v’erano seimila Ninfe Oceanitidi e alcune centina
e centinaia di Nereidi e di Doridi, oltre all’aver detto anche prima, che Giunone aveva per suo corteo quattordici Ninfe, D
Diana cinquanta e Cerere e Proserpina non si quante. Parrebbe dunque che l’argomento delle Ninfe dovesse essere esaurito.
numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto che non sono stati a contar sul globo tutte le fonti,
siedevano almeno altrettante Ninfe. Ninfa è parola di origine greca, che fu adottata dai Latini e conservata dagli Italian
primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi che le Ninfe non invecchiassero mai. Perciò si trovan
me le pastorelle. Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il che è
ogi un grande assurdo, che cioè queste Divinità potessero morire ; il che è una contradizione in termini teologici. Erano m
in termini teologici. Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, che avendo inventato le Fate con potenza soprannatura
ventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano che non morissero mai : « Morir non puote alcuna fat
rissero mai : « Morir non puote alcuna fata mai, » disse l’Ariosto, che di Fate se ne intendeva. Gli appellativi di Oread
e se ne intendeva. Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi, che si diedero alle Ninfe, indicano col loro signific
o estensivamente, alberi. Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, che significa insiem colla quercia, o come si è detto
li attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studian
a cui erano assegnati, conviene che li tengano a memoria anche coloro che non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano
mentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra che non troverebbe luogo più opportuno altrove. Tra l
trove. Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe che ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea
icorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitolog
nale, e che rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitologi dicono che anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con
a capra in quella costellazione25. Della Ninfa Melissa poi raccontano che fosse stata la prima a scuoprire il miele in un a
n un alveare dentro un albero incavato o corroso dalla vecchiezza ; e che essa poi fosse cangiata in ape. La favola della N
Eco cangiata in voce è raccontata anche in un modo diverso da quello che accennammo nel Cap. XXXIV ; ed è collegata colla
l fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbament
 ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza che non amava che sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona
La Ninfa Eco se ne afflisse tanto, e si consumò talmente dal dolore, che di essa vi rimase la voce sola che ripeteva appen
e si consumò talmente dal dolore, che di essa vi rimase la voce sola che ripeteva appena le ultime parole altrui. A questa
come Sol vapori ; » e fa questa similitudine per dar la spiegazione che quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come d
lioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito che egli ne fu punito coll’essersi innamorato della p
a propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che
que di una fonte, e che credendola una Ninfa stette tanto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore
anto a guardarla che ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore che porta il suo nome. Dante allude più d’una volta a
« Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia, « Tu hai l’arsura e ‘l capo che ti duole, « E per leccar lo specchio di Narcisso
e parole. » E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sem
diso, descrivendo le anime beate che egli vide nel globo lunare, dice che gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque n
eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi che esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la s
vola di Narciso : « Perch’io dentro l’error contrario corsi « A quel che accese amor tra l’uomo e ‘l fonte ; » cioè tra N
cialmente dai poeti latini, come una delle più belle Ninfe ; e dicono che se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Poli
 ; e dicono che se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Polifemo che fu re dei Ciclopi ; ma vedendosi preferito il pas
ra dall’ alto di un monte un macigno. Gli Dei cangiarono Aci in fiume che scorre nella Sicilia. I pittori hanno gareggiato
resentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella che vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze. Le
cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole. Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che
revole. Tant’è vero che Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, che sotto forma ed abito femminile accompagnavano Bea
del Purgatorio : « Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria che Beatrice discendesse al mondo. « Fummo ordinate a
lei per sue ancelle. » E nel rammentar questo passo il can. Bianchi, che fu segretario dell’Accademia della Crusca, così l
usca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, che abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; son
da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scritto
lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso che le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità,
ato nella Mitologia, o in qualche classico, certe Ninfe dell’acqua, o che stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi no
’acqua, o che stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi non pare che lì per lì lo avessero ben presente) e si affretta
corno della capra, o la capra con un corno, per alludere alla favola, che alla capra nutrice di Giove essendosi rotto un co
di Giove essendosi rotto un corno, Giove ne fece un regalo alle Ninfe che ebbero cura della sua infanzia, attribuendo al me
di versar dalla sua cavità qualunque oggetto desiderato dalla persona che lo possedeva. Questo corno fu detto in latino cor
a latina. — A Giove stesso fu dato dai Greci l’appellativo di Egioco, che alcuni interpretano nutrito dalla Capra ; il qual
33 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54
ficato i quattro elementi del Caos, cominciarono ad inventar divinità che presiedessero alle diverse forze e produzioni del
a l’invenzione o la creazione. Cerere figlia di Saturno e di Cibele ( che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), er
la creazione. Cerere figlia di Saturno e di Cibele (che è lo stesso che dire del Tempo e della Terra), era considerata co
ire del Tempo e della Terra), era considerata come la Dea delle biade che in sua stagiòne (in tempore suo), producevansi da
la terra. Il nome di Cerere, secondo Cicerone, deriva dal verbo creo, che anticamente dicevasi cereo, e perciò dal creare,
nome di Tesmòfora, cioè legislatrice, sapientemente considerando quel che anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli
he anche oggidì ammettono tutti i pubblicisti e gli storici filosofi, che gli uomini solivaghi e nomadi, pescatori e caccia
otevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che solo allorquando per mezzo dell’agricoltura si fi
o allorquando per mezzo dell’agricoltura si fissarono su quei terreni che avevano coltivati, potè cominciare la civil socie
la civil società retta dal Governo e dalle leggi. Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’ag
al Governo e dalle leggi. Inventarono i Greci che Cerere avesse prima che agli altri insegnato l’agricoltura a Trittolemo f
di Celeo re d’ Eleusi, (antica città greca fra Megara e il Pireo), e che questi sul carro di Cerere tirato da draghi volan
rte agli altri popoli. Quindi i Misterii Eleusini, cioè i riti arcani che si celebravano nelle feste di Cerere in Eleusi. I
o nelle feste di Cerere in Eleusi. I Latini per altro non ammettevano che a loro avesse insegnato l’agricoltura Trittolemo
lia chiamata Proserpina in latino e in italiano, Persephone in greco, che rappresenta una splendida parte nelle vicende e n
e nelle vicende e negli attributi di sua madre. Raccontano i mitologi che Proserpina come dea di secondo ordine stava sulla
e precisamente in Sicilia con diverse ninfe sue compagne od ancelle ; che mentre essa coglieva fiori alle falde del monte E
io dell’inferno, per farla sua sposa e regina de’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che ne
e’ sotterranei regni ; che questo ratto fu eseguito con tal prestezza che neppur le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e n
le Ninfe a lei vicine se ne accorsero, e non poteron dire alla madre che fosse avvenuto della perduta Proserpina. Questo m
bellito di straordinarie fantasie da tutti i poeti antichi e moderni, che troppo lungo sarebbe il voler tutte riportarle. D
so terrestre accenna questo mito, e dice alla bella Matelda, « ………… ( che si gìa « Cantando ed iscegliendo fior da fiore, «
ua via), « Tu mi fai rimembrar dove e qual’era « Proserpina nel tempo che perdette « La madre lei, ed ella primavera. » A
splendida poesia è facile ad intendersi come la prosa : « Cerere poi che dalla madre Idea52 « Tornando in fretta alla sol
ter esser mai spenti ; « E portandosi questi uno per mano « Sul carro che tiravan due serpenti, « Cercò le selve, i campi,
valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, « La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo
di una fontana chiamata Aretusa, le cui acque scorrevano sotto terra, che le avesse significato di aver veduto Proserpina p
iglia ; ma Plutone non volle renderla. Cerere allora ricorse a Giove, che per questo caso strano consultò il libro del Fato
consultò il libro del Fato, nel quale trovò il decreto irrevocabile, che se Proserpina avesse mangiato o bevuto nell’ Infe
aver veduto nulla, comparve un impiegato infernale, di nome Ascalafo, che asserì di aver veduto Proserpina succhiare alcuni
allora ad una transazione, e fu convenuto per la mediazione di Giove che Proserpina restasse 6 mesi dell’anno col marito P
lla madre sulla terra54. Tutta questa immaginosa invenzione significa che Proserpina figlia di Cerere simboleggia le biade,
ltra. Quest’ultimo distintivo le fu dato, perchè goffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri ch
ffamente credevasi che avesse avuto bisogno di un decotto di papaveri che Giove le somministrò per liberarla dall’insonnio
ed avente in mano una o due faci accese : si riconosce subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. La vittim
subito Cerere che va in cerca della smarrita Proserpina. La vittima che sacrificavasi a Cerere era la scrofa, perchè, dic
ti da Cerere, oltre alla trasformazione di Ascalafo in gufo, si narra che essa avesse anche trasformato il fanciulletto Ste
nirlo dell’essersi fatto beffa di lei. Forse la somiglianza del nome, che in latino è omonimo con quello di questo piccolo
iccolo rettile, diè motivo ad inventare una tal trasformazione. Dante che ben volentieri riporta nella Divina Commedia anch
ta una più solenne e tremenda nella Bibbia, quella cioè dei fanciulli che per aver beffato il profeta Eliseo della sua calv
lse per fare una perifrasi dei nome di quel profeta : « E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia
za a cui per pena eran ridotti i golosi nel Purgatorio : « Non credo che così a buccia strema « Erisiton si fosse fatto se
più n’ebbe tema. » E il Giusti, nella Scritta, rammenta una pittura che rappresenta Eresittone come simbolo di un insazia
to un gran carname « Erisitone ingoia, « E dall’aride cuoia « Conosci che la fame « Coll’intimo bruciore « Rimangia il mang
rno del primo anno di questo secolo. 50. Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus
questo secolo. 50. Altri autori latini dicono che Ceres è lo stesso che Geres, a gerendis fructibus, perchè i Latini nell
vece del C. Per questa stessa ragione è asserito dagli eruditi legali che il nome del giureconsulto Caio deve pronunziarsi
ve pronunziarsi Gaio. 51. Ripeterò in questo scritto più d’una volta che senza la cognizione della Mitologia non si posson
oste dall’ Ariosto a modo di similitudine, come s’intende dall’ottava che segue : « Se in poter fosse stato Orlando pare «
« Ma poichè ’l carro e i draghi non avea, « La gìa cercando al meglio che potea. » Un’infinità di esempii, simili a quelli
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
Genii Fu detto nella classazione generale degli Dei (V. il N. III) che il Genio era considerato dai Latini come un Dio d
verno si moltiplicano gl’impiegati, comiciarono i mitologi a supporre che questo unico Genio sarebbe troppo occupato a prov
da sè solo a tutti gli esseri della creazione ; e perciò immaginarono che vi fossero Genii particolari per ciascun popolo,
al modo li moltiplicarono all’infinito. Ma non basta. Dopo aver detto che un Genio particolare presiedeva alla vita di cias
’indole diversa degli uomini, o buona o rea, furono indotti a credere che esistessero Genii buoni e benefici e Genii malign
re che esistessero Genii buoni e benefici e Genii maligni e malefici, che fossero in lotta tra loro per avere il predominio
; anzi non furon nemmeno di loro invenzione, poichè sappiamo di certo che ebbero origine nell’Oriente e prevalsero principa
i e ai Romani. I Chinesi vi credono ancora oggidì. Inoltre è notabile che questa credenza nei Genii o negli spiriti, come p
spiriti, come poi si chiamarono nelle lingue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fo
ngue nordiche, si diffuse più che altrove tra gli antichi Germani ; e che non si fosse del tutto dileguata a tempo del Goet
orse tuttora negli Spiriti e nel potere degli stregoni e fattucchieri che tengono il demonio per loro iddio ? Abbiamo perci
per loro iddio ? Abbiamo perciò davanti a noi un soggetto o argomento che è una vera fantasmagoria mondiale dai tempi preis
asta per la spiegazione dei Genii il rammentare soltanto il dualismo, che riconosce due principii, o vogliam dire due cause
nemica dell’altra ; e, senza aggiungervi nulla di mio, riporterò quel che ne dice un filosofo ortodosso, discepolo e fido s
li gnostici e di altri l’intelligenza e la materia. « Questa dottrina che ammette due principii coeterni, del bene e del ma
……………………… « Non v’è forse sistema di teologia presso gli antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Roman
antichi, sia che si parli degli Orientali, o dei Greci e dei Romani, che non ammetta il dualismo del principio benefico e
enefico e del principio maligno. » Vien poi a concludere giustamente che con questo sistema si libera l’uomo da ogni respo
alla Mitologia classica per ordine cronologico, noterò prima di tutto che i Genii nel linguaggio dei Greci eran detti Dèmon
enii nel linguaggio dei Greci eran detti Dèmoni ; e in Omero troviamo che gli stessi Dei davansi tra loro per onorificenza
robabile la interpretazione della parola Dèmone derivandola da daimon che significa intelligente 272). Il popolo generalmen
2). Il popolo generalmente considerava questi Dèmoni o Genii come Dei che regolassero le vicende della vita degli uomini ;
su questi Dèmoni, o spiriti, o genii. Aristotele, il maestro di color che sanno, come lo chiama Dante, divise gli Immortali
i mortali ; ed è loro ufficio l’interpretare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli
etare e il recare agli Dei ciò che viene dagli uomini, e a questi ciò che vien dagli Dei ; …. poichè la Divinità non ha com
: « Ogni mortale alla sua nascita è affidato ad un dèmone particolare che lo accompagna sino alla fine della sua vita. » C
tribuiti anche dal divino Platone ai Dèmoni, non dee recar maraviglia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebrai
ia che Filone, filosofo alessandrino, ma di stirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè
tirpe ebraica, asserisse che i Dèmoni dei Greci equivalevano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scrit
vano a quelli che Mosè chiama Angeli 273) ; ed Apuleio lasciò scritto che corrispondono ai Genii dei Latini. E queste etimo
ù manifesta ; sapendosi da’suoi stessi discepoli Platone e Senofonte, che egli attribuivasi fin dalla prima gioventù un Dèm
si fin dalla prima gioventù un Dèmone il quale suggerivagli tutto ciò che doveva fare275). Socrate diceva così per secondar
convincimento era monoteista. Bastino a provarlo le seguenti massime che egli insegnava ai suoi discepoli : « Il Dio supre
bro di Teologia cristiana ! Eppure Socrate viveva 4 in 5 secoli prima che incominciasse il Cristianesimo ! E perciò nel Pol
ione di quell’unico Dio in cui egli credeva. Abbiamo veduto di sopra, che i Genii dei Latini corrispondevano ai Dèmoni dei
face rovesciata o spenta, simbolo di morte. I Pagani credevano ancora che esistessero i Genii delle città e dei diversi luo
erò qualche prosaica osservazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalme
ervazione filologica in una nota, essendo più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la f
più che persuaso, convinto, che la poesia è più generalmente gradita che non la filologia. Il Cecchi, citato dal Vocabolar
Crusca, nei seguenti versi rammenta il Genio buono con tali caratteri che potrebbero convenire anche ad un Angelo : « Da c
arola Genii a significare scrittori di ingegno straordinario : « Con che forza si campa, « In quelle parti là ! « La gran
 » (La Terra dei Morti.) 271. Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’un
) 271. Euclide filosofo socratico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al m
n queste parole : « Genio, nel senso moderno, è la forza dell’ingegno che crea : la forza dell’animo motrice di grandi azio
nel libro i, De Divinatione, nomina anche Antipatro tra gli scrittori che avevan riferito molte cose mirabili di Socrate :
vinata sunt. » 276. Si trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano al bene o al male le femmine ; ma avev
iva dal greco e significa calunniatore e accusatore, ed era il titolo che si dava soltanto al principe delle tenebre, come
to. » (Tib., iv, 5ª.) 279. Chi ha letto i classici latini sa bene che son comunissime le frasi : indulgere genio ; defr
ali, come nella seguente ottava del Canto v. « Che abominevol peste, che Megera « È venuta a turbar gli umani petti ? « Ch
ccezioni : Iª Per inclinazione d’animo o affetto. IIª Andare a genio, che vale piacere, aggradire. IIIª Dar nel genio che v
. IIª Andare a genio, che vale piacere, aggradire. IIIª Dar nel genio che vale compiacere. Nel Dizionario del Manuzzi, oltr
ltre 6 ; tra le quali è da notarsi il genio della lingua, espressione che il Manuzzi ammette, citando due esempii, uno del
fani riportando nel suo Dizionario questa stessa espressione dichiara che è francese affatto. Perciò soltanto il tribunal d
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
ni preistoriche della Mitologia, poichè abbiamo già veduto nel N. XI, che di Inaco re d’Argo era figlia la Ninfa Io trasfor
orica47. — Ma torniamo alle favole. Acrisio avea saputo dall’Oracolo che se nascesse un figlio da Danae ucciderebbe l’avo.
per salvarsi la vita, ma per ambizione di regno. Acrisio credè invece che bastasse rinchiuder la sua in una torre di bronzo
ce che bastasse rinchiuder la sua in una torre di bronzo per impedire che prendesse marito. Ma fu inutile questa precauzion
trasformatosi in pioggia d’oro discese in quella torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. S’intende facilmente che
torre e sposò Danae che fu poi madre di Perseo. S’intende facilmente che l’oro col quale furon comprate le guardie da un r
o principe aprì le porte della torre di bronzo, per la stessa ragione che fece dire a Filippo padre di Alessandro Magno non
e gettarli nel mare ; ma e figlio e madre illesi, dopo varii pericoli che poco importa il descrivere, furon trasportati con
o di Giove per valore e per senno, talchè Polidette cominciò a temere che potesse detronizzarlo : quindi per dargli occupaz
lontanarlo dalla sua reggia lo eccitò, coll’allettamento della gloria che ne acquisterebbe, ad una impresa stranissima e pe
lle isoleGorgadi, situate nell’Oceano Atlantico presso il promontorio che tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembr
il promontorio che tuttora dicesi Capo verde ; le quali perciò sembra che debbano corrispondere alle isole dette ora di Cap
Doveva Perseo tagliare a Medusa la testa cinta di orribili serpenti, che facea divenir di pietra chi la guardava. I poeti
, che facea divenir di pietra chi la guardava. I poeti antichi dicono che Medusa aveva due sorelle chiamate Stenio ed Euria
chi dicono che Medusa aveva due sorelle chiamate Stenio ed Euriale, e che da prima eran tutte bellissime, e poi divennero m
zione della lor vanità, e furon chiamate le Gorgoni dalla voce gorgon che era il nome di un orribile mostro affricano. Le c
to di armi divine si accostò non visto a Medusa e le tagliò la testa, che dipoi portò sempre seco e se ne servì utilmente p
di sasso chi più gli piacque, come vedremo. Intanto sarà bene notare che poeti e artisti antichi e moderni fecero a gara a
descrivere, dipingere e scolpire la testa di Medusa. Dante asserisce che a tempo suo la Gorgone era già all’Inferno da lun
mpo suo la Gorgone era già all’Inferno da lunga pezza ; e ci racconta che egli ebbe una gran paura, quando nel far laggiù q
a sarebbe del tornar mai suso. » Quanto poi alle belle arti sappiamo che gli antichi rappresentavano la testa di Medusa ne
poi è da rammentarsi la testa di Medusa dipinta da Leonardo da Vinci, che si ammira nella Galleria degli Uffizi in Firenze,
i Medusa in mano, opera egregia in bronzo fuso, di Benvenuto Cellini, che è posta sotto le loggie dell’ Orgagna in Piazza d
o mostro mitologico nel dare il nome di Meduse a un gruppo di Zoofiti che formano la 1ª divisione degli Acalefi. Non v’è pe
nè producono altro maligno effetto, non già a vederli, ma a toccarli, che quello stesso dell’ortica, e perciò si chiamano a
racconto mitologico delle gesta di Perseo, è da dirsi prima di tutto che dal sangue sgorgato dal teschio di Medusa nacquer
ili serpenti, e dal tronco o busto di essa uscì l’alato caval Pegaso, che servì poi sempre di cavalcatura a Perseo. Inoltre
terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fece sgorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, c
gorgare una fonte che fu poi sacra alle Muse e fu chiamata Ippocrene, che vuol dir fonte del cavallo. La produzione dei ser
angue della testa anguicrinita di Medusa è meno difficile a spiegarsi che quella del caval Pegaso nato dal corpo di essa. E
poco questa strana invenzione di Esiodo, non l’adottò, e disse invece che il caval Pegaso fu mandato dagli Dei a Perseo men
o sua madre erasi vantata di esser più bella delle Nereidi. Nel tempo che l’Orca avanzavasi per ingoiarla, passò per aria P
ù duro d’uno scoglio, lo pietrificò col teschio di Medusa. I genitori che eran presenti diedero in premio al liberatore la
meda fu espressa da Benvenuto Cellini nel bassorilievo di bronzo fuso che vedesi nella base del Perseo ; ma l’eroe vi è rap
Bologna, del quale è di certo la statua colossale del Grande Oceano, che ivi si ammira. Le feste per le nozze di Perseo co
truppe del re Fineo, a cui Andromeda era stata promessa in isposa, ma che però non si era mosso per liberarla dal mostro ma
nerla. Perseo, dopo aver fatto prodigi di valore colla spada, vedendo che si perdeva troppo tempo ad uccidere i nemici uno
gata l’ospitalità dal re Atlante ; il quale avea saputo dall’Oracolo, che per quanto egli fosse di statura e di forza gigan
ndogli la testa di Medusa lo trasformò in quel monte della Mauritania che tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi f
ia che tuttora chiamasi Atlante, del quale gli antichi favoleggiavano che sostenesse il Cielo, e il cui nome hanno dato i m
iche. Giunse Perseo senz’altri incidenti all’isola di Serifo, e trovò che Polidette voleva costringer Danae a sposarlo ; ed
oglier d’impaccio la madre, lo cangiò in una statua. All’avo Acrisio, che ancor viveva, perdonò, ed anzi lo rimise nel regn
e doveva avverarsi la predizione dell’Oracolo, inventarono i Mitologi che il nipote, per caso, nel fare esercizi guerreschi
i attribuisce a Perseo la fondazione del regno di Micene ; e si narra che ivi Perseo fu ucciso a tradimento da Megapente, f
Cefeo di 58 ; Cassiopea di 60, e il Pegaso di 91. Aggiungono inoltre che una gran quantità di stelle cadenti, di cui hanno
questo cenno in conferma di quanto osservai nel precedente capitolo, che cioè bisogna cercar le origini storiche dei popol
dispensabile ; « E non è impresa da pigliare a gabbo, « Nè da lingua che chiami mamma e babbo. » 48. Vedasi la belliss
ª del lib. iii di Orazio ; della quale qui cito soltanto quella parte che si riferisce a quanto ho detto di sopra nel testo
omor lor viene. « Disse la donna : o glorïosa Madre, « O re del Ciel, che cosa sarà questa ? « E dove era il rumor si trovò
asi talor la terra rade ; « E ne porta con lui tutte le belle « Donne che trova per quelle contrade : « Talmente che le mis
lui tutte le belle « Donne che trova per quelle contrade : « Talmente che le misere donzelle « Ch’abbino o aver si credano
beltade, « (Come affatto costui tutte le invole), « Non escon fuor sì che le veggia il Sole. « Non è finto il destrier, ma
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
opportuno di presentarne il ritratto. È una eccezione al mio metodo, che mi par giustificata dall’ufficio eccezionale e da
trovato prima d’ora, e troveremo anche in appresso, qualche Divinità che , a giudicarne dalla forma, si prenderebbe piuttos
dicarne dalla forma, si prenderebbe piuttosto per un mostro di natura che per un essere soprannaturale, il Dio Pane richiam
il Dio Pane richiama maggiormente la nostra attenzione per gli uffici che gli furono attribuiti, e per quanto ragionan di l
anche gli storici e i filosofi. Il nome di questo Dio in greco è Pan che significa tutto ; e gli antichi Mitologi basandos
e dotte e in quelli enciclopedici più moderni9. Bacone da Verulamio, che nel suo libro De Sapientia Veterum spiegò anche t
anche troppo minutamente e sottilmente il mito del Dio Pane, dichiara che gli Antichi lasciarono in dubbio la generazione d
Antichi lasciarono in dubbio la generazione di questo Dio, osservando che non si accordavano i Mitologi ad assegnargli i ge
enelope, ed anche di Urano e di Gea, ossia Tellure. Afferma per altro che tutti eran d’accordo (e vi si unisce anch’egli) n
ella etimologia della parola Pan e nel simbolo indicato da questo Dio che , cioè, significhi il tutto e rappresenti perciò l
il tutto e rappresenti perciò l’universa natura 10. Ma la spiegazione che soglion dare delle diverse parti della figura del
se, potrà sembrare ai dì nostri piuttosto uno sforzo d’immaginazione, che una indubitabile interpretazione, poichè dicono s
azione, che una indubitabile interpretazione, poichè dicono sul serio che le corna significano i raggi del Sole e la Luna c
simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi che gli s
al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in principio, i distintivi che gli si davano perchè non si confondesse con altre
diversa lunghezza, unite fra loro colla cera, un musicale stromento, che in greco chiamavasi col nome stesso della Ninfa,
na fanno i Mitologi una infinità di commenti. Non contenti di eredere che le sette canne simboleggino i sette toni della mu
a musica, o, come ora direbbesi, le sette note musicali, immaginarono che rappresentassero l’armonia delle sfere, secondo l
om’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con
issimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso che altrove, poichè con una sola similitudine e in so
versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamorfosi, che ci
dentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamorfosi, che cioè Mercurio per addormentare Argo non solo suon
Siringa, « Gli occhi a cui più vegghiar costò sì caro ; « Come pittor che con esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormen
esemplo pinga « Disegnerei com’ io m’addormentai ; « Ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli
uol sia che l’assonnar ben finga. » Il Dio Pane, mancatagli la sposa che ambiva, si ammogliò in appresso colla Ninfa Eco,
l’Eco. Il matrimonio del Dio Pane con questa Ninfa sembra significare che solo ai detti suoi l’Eco rispose. Questo Dio era
dazione di Roma. Evandro aveva fissata la sua residenza su quel monte che egli chiamò Palatino dal nome di suo figlio Palla
a, poichè in quel giorno offrì Marc’Antonio il regio diadema a Cesare che lo ricusò ; e Cicerone rammenta questo fatto più
onio. Dal nome del Dio Pane è derivata l’espressione di timor pànico, che etimologicamenie significa timore ispirato o incu
e ispirato o incusso dal Dio Pane ; e, nella comune accezione, timore che assale all’improvviso e non ha fondamento o causa
lle cose ; e per casi nuovi o ignorati o non preveduti avviene spesso che si alteri la fantasia, specialmente del volgo, e
enti, cerca di spiegarlo la Mitologia ; la quale, dopo avere asserito che il Dio Pane soggiornando nelle solitudini più sel
to, diversi aneddoti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona
dippide Ateniese, e gli suggerisse il modo di spaventare i Persiani ; che la voce di questo Dio, uscita dalle sotterranee c
ee caverne del tempio di Delfo, atterrisse e mettesse in fuga i Galli che volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ec
volevano saccheggiare quel ricchissimo tempio, ecc. È però da notarsi che gli aneddoti riferibili alle voci miracolose del
e un si dice, o si crede ; e nella prefazione dichiara esplicitamente che egli non intende di confermarli nè di confutarli1
anche presso i Pagani una paura senza fondamento, ciò stesso dimostra che si aveva per una ubbìa e non per un miracolo. Anc
ui deriva, e perchè quel celeberrimo oratore lo credeva un neologismo che non avesse ancora acquistato la cittadinanza roma
sofica del celebre Bacone da Verulamio sul timor pànico. Egli afferma che ai timori veri e necessari per la conservazion de
ensamente più dannosa di qualunque altra vana paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un ter
na paura la superstizione, che veramente, com’ egli dice, non è altro che un terror pànico (quœ vere nihil aliud quam panic
 » Modernamente un eruditissimo filologo tedesco (Preller) asserisce che considerato il Dio Pane come il Nume dei Pastori,
dei Pastori, l’etimologia di questo nome deriva da pao (io pasco) ; e che pan è perciò una contrazione di paon. 11. « 
ra jungitur usque minor. » (Tib., iii, 5ª.) 12. Narrando T. Livio che l’augure Accio Nevio tagliò col rasoio la pietra,
disse cotem ferunt. « Di Orazio sol contra Toscana tutta » dichiara che questo fatto era più famoso che credibile : « Rem
sol contra Toscana tutta » dichiara che questo fatto era più famoso che credibile : « Rem ausus plus famae habituram ad p
s famae habituram ad posteros, quam fidei. E nella Prefazione osserva che generalmente gli Antichi spacciavano molte favole
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
Difetti e vizii del Dio Giove Anche sulle labbra degli analfabeti, che non sieno privi affatto di qualunque idea di reli
o di qualunque idea di religione, udiamo sovente il comune proverbio, che è solo Iddio senza difetti. Ma gli antichi Pagani
no nei loro Dei non solo difetti, ma pur anco azioni talmente nefande che sarebbero punibili tra gli uomini nella civil soc
te il titolo di Ottimo. Nel n° XI notammo tutte le eccellenti qualità che gli erano attribuite, per le quali veniva ad esse
oria : ma ora incomincia la favola. Prometeo col favore di quegli Dei che eran più amanti e protettori dell’ingegno e delle
mò le sue statue, e le fece divenire uomini viventi e parlanti. Giove che intendeva riserbato esclusivamente a sè stesso il
, e di più col mandare ogni giorno un avvoltoio a rodergli il fegato, che di notte gli rinasceva e cresceva, per render per
lui. Parve esorbitante e tirannico questo supplizio agli stessi Dei, che inoltre rimasero indispettiti delle pretese di Gi
le più rare doti di corpo e di spirito, la quale chiamarono Pandora, che in greco significa tutto dono, perchè tutti aveva
1). Pandora si affrettò a richiudere il vaso, ma non vi rimase dentro che la speranza82). In tutto questo racconto mitico G
). In tutto questo racconto mitico Giove non fa più la figura del Dio che giova, del Dio benefico, ma quella d’invidioso, m
De Sapientia Veterum, esamina ed interpetra più a lungo questa favola che le altre trenta da lui prescelte come meritevoli
tevoli delle sue considerazioni. Tutti però, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa
rò, generalmente, convengono che Prometeo rappresenti l’ingegno umano che inventa le arti utili alla vita (il quale ingegno
punizione di esso significa le traversie e le persecuzioni immeritate che per lo più si ricevono dai grandi inventori invec
vono dai grandi inventori invece del meritato premiò. Aggiungono però che la pena di Prometeo non fu perpetua, perchè Ercol
meteo non fu perpetua, perchè Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare ch
Ercole lo liberò, ed uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare che la forza d’animo, ossia la c
uccise l’avvoltoio che gli rodeva il fegato : il che vuol significare che la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti
che la forza d’animo, ossia la costanza, vince tutti gli ostacoli, e che gli utili effetti finali fanno dimenticare le pen
fanno dimenticare le pene sofferte83). Ingegnosissimo è pure il mezzo che fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco cel
che fanno adoprare a Prometeo per rapire il fuoco celeste, inventando che egli accese lassù una verghetta o un fascetto di
ffetto deriva ancora talvolta per la prolungata agitazione del vento, che confricando tra loro in una selva selvaggia diver
i, produce estesissimi e spaventevoli incendii ; ed anche il fulmine ( che credevasi venir dal Cielo e dalla mano stessa di
lla mano stessa di Giove) comunica il fuoco alle materie combustibili che trovansi sulla Terra. Il fuoco poi, come dice Bac
scienza detta Termodinamica, ossia meccanica del calore, si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il S
si dimostra che questo stesso elemento, (e in ultima analisi il Sole che n’ è fisicamente la causa prima), produce il lavo
i i mali di questa Terra, l’espressione mitologica è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro ch
è tanto famigerata che odesi spesso dalla bocca di persone tutt’altro che eruditissime. Di Pandora stessa raccontasi pur an
uditissime. Di Pandora stessa raccontasi pur anco da alcuni mitologi, che Giove, nel regalarle il fatal vaso, le avesse ord
’opposto, cioè improvvido o incauto, questi l’aprì. Aggiungono di più che egli sposò Pandora, la quale gli portò in dote qu
molto notabile e filosofica l’interpretazione di Bacone da Verulamio che Pandora, unita in matrimonio coll’improvvido Epim
onio coll’improvvido Epimeteo, significhi la voluttà e il mal costume che spasso derivano dalla raffinatezza delle arti e d
za delle arti e dal lusso nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gl
nelle anime spensierate ed improvvide : dal che nascono tutti i mali che rovinano gli uomini e gli Stati85). Se Giove in q
omini e gli Stati85). Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella
a più bella figura, come abbiam notato di sopra, nei suoi doveri poi, che diremmo domestici, vale a dire di marito e di pad
dire di marito e di padre, è anche più biasimevole. Mille ragioni non che una aveva Giunone sua moglie di lamentarsi e stiz
preferisco di narrarne le principali una alla volta, di mano in mano che ne verrà l’occasione, secondo l’ordine cronologic
cronologico e gerarchico, nel parlare dei figli di Giove. Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di quest
rarchico, nel parlare dei figli di Giove. Peggio poi che bestiale non che disumana fu la condotta di questo Dio nel precipi
(Hor., Od., i, 3.) 82. Quindi il detto proverbiale : « L’ultima che si perde è la speranza. » 83. Su questa favola
83. Su questa favola il poeta Eschilo compose tre celebrate tragedie, che facevan seguito l’una all’altra, cioè Prometeo po
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
bonde sommosse differiscono dalle regolari battaglie. Perciò i Greci, che nelle loro celebri guerre contro lo straniero inv
rra, preferivano il culto di Minerva a quello di Marte ; e lasciarono che lo adorassero, devotamente i Traci, i quali, come
e e pugne anche i conviti. Ben pochi fatti raccontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gl
ontavano di questo Dio che stessero ad onore di lui, perchè credevano che gli fosse nemica la stessa loro Dea protettrice,
i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fermo che il fondatore della loro città fosse figlio di Mar
reco nome di questo Dio, derivò e fu composto il termine di Areopago, che propriamente ed etimologicamente significa borgo
one il famoso tribunale dell’Areopago, di tanta sapienza e integrità, che vi eran portate a decidere le liti anche dagli st
Dei per giudicarlo, e il dibattimento ebbe luogo in un borgo d’Atene che d’allora in poi fu chiamato perciò Areopago. Seì
e la parità dei voti fu tenuta per favorevole all’imputato, tanto più che per l’assoluzione era dato il voto di Minerva, De
ome latino di Mars (Marte) consideravasi una abbreviazione di Mavors, che significa, come dice Cicerone, magna vertens 174,
di Mavors, che significa, come dice Cicerone, magna vertens 174, cioè che sconvolge grandi cose ; significato funesto, e pu
della guerra. Chiamavasi ancora Gradivo, titolo derivato da un verbo che significa camminare, o avanzarsi a passo misurato
vessero maggior devozione, e poi perchè il truce soggetto pareva loro che ripugnasse alla squisitezza della greca eleganza.
i si credevano tanto da lui prediletti e così esclusivamente protetti che lo intitolavano Marte Romano. Essendo la guerra i
omane adoravano Marte come loro Dio protettore : e tra queste Firenze che non fu già tutta plasmata da « ….quell’ingrato p
igno, » ma vi fu mista ancora « …….la sementa santa « Di quei Roman che vi rimaser, quando « Fu fatto il nido di malizia
l nido di malizia tanta. » (Inf., Canto xv.) E inoltre Dante ricorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protetto
icorda che Firenze, quand’era pagana, aveva per suo protettore Marte, che cangiò nel Battista, allorchè divenne cristiana,
cristiana, facendo dire (nel Canto xiii dell’Inferno) a quell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della
ell’anima, che fe gibetto a sè delle sue case : « Io fui della città che nel Batista « Cangiò il primo padrone, ond’ei per
nd’ei per questo « Sempre coll’arte sua la farà trista. » E-aggiunge che vi rimaneva ancora a quel tempo sul ponte vecchio
ecchio l’antica statua un po’guasta del Dio Marte : « E se non fosse che sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vi
sul passo d’Arno « Rimane ancor di lui alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila r
alcuna vista, « Quei cittadin che poi la rifondarno « Sovra ’l cener che d’Attila rimase178 « Avrebber fatto lavorare ind
anza e del coraggio necessario nelle battaglie. I mitologi aggiungono che fu cangiato in gallo da Marte un suo soldato di n
poeti) il gallo canta prima dell’apparir del Sole, per avvertir Marte che si guardi dall’essere un’altra volta scoperto. Di
nfatti si raccontano diversi aneddoti poco edificanti ; basti il dire che quando accadeva qualche fatto scandaloso, si attr
ta !179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome al mese di marzo che era in quel tempo il primo mese dell’anno. A Mart
A Marte e ai marziali esercizi fu consacrato in Roma il campo Marzio, che prima era un fondo rustico, ossia un vasto podere
il nome gli astronomi antichi a quel pianeta visibile ad occhio nudo, che resta più della Terra lontano dal centro del nost
netario, vale a dire del Sole. Dalla luce rossastra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che
ra e quasi sanguigna che riflette questo pianeta ebbe il nome del Dio che si diletta del sangue e delle stragi. I moderni a
i è composto il pianeta, atte a rifletterlo, o ad una densa atmosfera che lo circondi. Dante aveva osservato che gli astri
erlo, o ad una densa atmosfera che lo circondi. Dante aveva osservato che gli astri riflettono una luce più rossa quando si
fera ; e tanto più questo fenomeno si manifesta nel pianeta di Marte, che per natura sua è sempre più rosso di tutti gli al
decisivo. Modernamente per altro nei tribunali collegiali si procura che il numero dei giudici sia dispari ; ed in alcune
lo Gall., i, 71.) 176. Chi conosce o studia la lingua latina sa bene che i Romani usavano l’aggettivo bellus, a, um nel si
ti ; e quindi formarono il nome bellaria, orum per significare quelli che noi diciamo confetti, pasticci, e in generale pia
e, se saranno studiati e meditati come conviensi. Dice il Machiavelli che quand’egli si chiudeva nel suo gabinetto per legg
sequio e venerazione di uomini sì grandi e sapienti. 178. « E falso che Attila rovinasse Firenze, non avendo mai passato
vendo mai passato l’Appennino ; ma forse Totila re dei Goti fu quegli che molto la guastò nelle guerre che ebbe a sostenere
a forse Totila re dei Goti fu quegli che molto la guastò nelle guerre che ebbe a sostenere contro i generali di Giustiniano
i generali di Giustiniano. Essendo però comune opinione a quei tempi che Attila fosse stato il distruttore di Firenze, a q
el Canto viii del Paradiso : « …….e vien Quirino « Da sì vil padre, che si rende a Marte. » 180. Trovasi infatti in Ci
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325
di Fenicia e fratello di Europa. Fu questa una bellissima giovinetta, che Giove rapì trasformatosi in un bianchissimo e pla
e n’ebbe due figli Minos e Radamanto 57. Il padre di lei non sapendo che ne fosse avvenuto, mandò il figlio Cadmo a cercar
dola in sacrifizio ai Numi per implorarli favorevoli alla nuova città che dovea fabbricare. Per gli usi del sacrifizio avea
avea mandato alcuni dei suoi compagni a prender dell’acqua alla fonte che trovassero più vicina, e poi gli altri a sollecit
andò egli stesso, e vide un orribile drago, custode di quella fonte, che finiva di divorarsi l’ ultimo di essi. Allora per
morte dei compagni rischiò la propria vita combattendo con quel drago che era sacro a Marte, e con sforzi prodigiosi lo ucc
con sua gran maraviglia uscir poco dopo una quantità di uomini armati che si misero subito a combattere fra loro, finchè i
e poi Tebe, conservandosi però sempre il nome di Cadmea alla fortezza che fu primamente il nucleo della città. Il territori
ave, e inoltre un figlio chiamato Polidoro. Abbiamo già detto altrove che Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e che
mo già detto altrove che Ino fu cangiata nella Dea marina Leucotoe, e che Semele fu madre di Bacco. Ma per quanto avesse Ca
fu felice, e neppure i suoi discendenti. Di lui ci dicono i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine,
no i Mitologi che si ritirò insieme colla moglie in una solitudine, e che ivi furono ambedue cangiati in serpenti, e posti
Plutone a guardia degli Elisii. La qual metamorfosi sta a significare che egli si ritirò insieme colla moglie dalla vita pu
da Cadmo, gli Antichi ci hanno trasmesso anche il nome di quei cinque che sopravvissero ed aiutarono Cadmo a fabbricare e p
ssivi credevano tanto (o fingevano di credere) in così strana favola, che derivavano la loro nobiltà di sangue dall’esser d
colosamente nati ; la quale illustre prosapia era detta degli Sparti, che significava seminati, alludendosi appunto alla se
e di Cadmo in serpente era tanto famigerata presso gli antichi Pagani che talvolta fu rappresentata perfino sulla scena : i
antichi Pagani che talvolta fu rappresentata perfino sulla scena : il che non dovrà recar maraviglia, ripensando che anche
a perfino sulla scena : il che non dovrà recar maraviglia, ripensando che anche ai tempi nostri si è veduto rappresentare i
or trasmutato in bestia coram populo. Ma Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli, che riescono
Orazio nella poetica avverte che non si debbono dare tali spettacoli, che riescono sconvenevoli nel teatro, perchè, sottopo
rmazione di Cadmo in serpente fu narrata così egregiamente da Ovidio, che sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante.
sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante. Anzi Dante, convinto che tali trasformazioni poeticamente ed ingegnosament
sformazioni ; e fu tanto contento e sicuro egli stesso dell’opra sua, che non potè nasconderlo ai suoi lettori, ed asserì d
iana. E quanto alla sua sorella Europa, della quale dicono i Mitologi che ebbe da Giove il privilegio di dare il nome alla
il privilegio di dare il nome alla terza parte dell’antico continente che noi abitiamo, gli storici non sanno dire nulla di
cellenti capitani greci. Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse in mira di fare una città simile all
avesse in mira di fare una città simile alla famosa Tebe di Egitto, e che perciò le desse lo stesso nome ; ma se ne adducon
esse lo stesso nome ; ma se ne adducono due motivi diversi : il primo che la stirpe fenicia di Cadmo derivasse dall’ Egitto
di Cadmo derivasse dall’ Egitto, come asseriscono molti ; il secondo che Cadmo stesso non fosse Fenicio, ma Egiziano, come
l’ origine dell’ Alfabeto in Europa, del quale si attribuisce a Cadmo che portasse in Grecia le prime sedici lettere60. Sin
Troia, e le altre quattro aggiuntevi da Simonide cinque secoli dopo ; che in tutte vengono a formar l’alfabeto greco di ven
ali confini deve arrestarsi il Mitologo. È però fuori di controversia che la civiltà non meno che la popolazione sia venuta
rsi il Mitologo. È però fuori di controversia che la civiltà non meno che la popolazione sia venuta dall’Asia in Europa, o
, quindi il Giusti, molto satiricamente, defini la Nobiltà : « Gente che incoccia maledettamente « D’esser di carne come t
est’ Eroe Fenicio non solo come guerriero, ma altresì come « il primo che introdusse l’alfabeto in Europa, le pratiche reli
se l’alfabeto in Europa, le pratiche religiose e molte di quelle arti che procurarono l’universale coltura. » Ma il poema n
i predomina la fiacchezza d’ idee e di stile. Al Bagnoli mancava quel che Orazio richiede principalmente in un poeta : « …
rum, des nominis hujus honorem. » (Sat. i, 4ª, v. 39.) 61. È noto che la parola alfabeto è composta dal nome delle due
dal nome delle due prime lettere (alfa e beta dell’alfabeto greco ; e che in italiano trovasi anche chiamato l’abbiccì dal
to l’abbiccì dal nome delle prime tre lettere del nostro alfabeto. Ma che diremo di quegli eruditi che volevano abolir ques
rime tre lettere del nostro alfabeto. Ma che diremo di quegli eruditi che volevano abolir questi nomi per sostituirvi quell
sti nomi per sostituirvi quello di grammaticario ? Diremo per lo meno che qui è davvero applicabile la massima attribuita d
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
o Ditirambo intitolato Bacco in Toscana li abbia definiti : « Quella che Pan somiglia « Capribarbicornipede famiglia. » M
corteo di Bacco, come dicemmo parlando di questo Dio, ed ivi notammo che per frastuono, stravizii ed ogni genere di follie
E a chi si maravigliasse di sì spregevol razza di Dei diremo soltanto che avendo i Mitologi ammessi anche gli Dei malefici,
rammentati quasi sempre scherzevolmente dai poeti, e per gli aneddoti che se ne raccontano rappresentati come i buffoni e i
ini ; ma però con fattezze più proprie della razza etiopica o malese, che della caucasica, e coi lineamenti caratteristici
el suo quadro dei Baccanali ; nella Galleria degli Uffizi il Satirino che di nascosto pilucca l’uva a Bacco ebrio, gruppo d
caprino, e gli altri quattro col solo distintivo di due piccole corna che spuntano loro sulla fronte di mezzo ai capelli. T
r fido del Guarini, in ciascuna delle quali Favole trovasi un Satiro, che sebbene parli elegantissimamente, e spesso anche
tteri diurni ; e i Retori o Letterati chiamano Satira un componimento che ha per oggetto la censura più o meno mordace degl
i Satiri quand’eran vecchi ; e il più celebre di questi è quel Sileno che fu Aio e compagno di Bacco in tutte le spedizioni
cc. Tale è l’antica statua di Sileno col piccolo Bacco nelle braccia, che trovasi nella villa Pinciana, e di cui una copia
i in Firenze ; e come vedesi pure nel quadro dei Baccanali di Rubens, che è parimente nella stessa Galleria. Il Dio Momo è
a hanno scritto di lui i Classici latini ; e tra i Greci, dopo Esiodo che creò questo bel tipo di maldicente, gli fece le s
ne’suoi dialoghi a schernire gli Dei ; ma gli fa dire tante freddure che sono una miseria e uno sfinimento a sentirle. Era
sonagli, un bastone ed una maschera in mano, distintivi significanti che egli con sfrenata licenza plebea e con modi da pa
orna di capra16. I Naturalisti per altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè u
r altro sin dal tempo di Linneo pare che li considerassero più bestie che uomini, poichè usarono a guisa di nome collettivo
e collettivo la Fauna per indicare complessivamente tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che d
nte tutti gli animali che vivono in una data regione, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che
ne, nel modo stesso che dicono la Flora per significare tutti i fiori che si trovano nella regione medesima. Anche i Silvan
invoca Silvano tra le divinità protettrici delle campagne, e accenna che per distintivo portava in mano un piccolo cipress
onie sarebbero rimaste ignote o presto obliate, se non fosse avvenuto che nel giorno stesso di quella festa avesse Romolo i
tracciando coll’aratro la prima cinta dell’eterna città. Quel giorno che fu il 21 di aprile divenne poi celebre e festeggi
altro modo, dai moderni Romani dopo 2628 anni. Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei
hiamavasi Flora ad indicarne col nome stesso l’ufficio. Era la stessa che la Dea Clori dei Greci, il qual vocabolo fu trado
i spaventare i ladri e gli uccelli. Ma gli aneddoti sconci ed abietti che raccontano di lui servono tutti a ispirar dispreg
abietti che raccontano di lui servono tutti a ispirar dispregio anzi che venerazione per esso. Aveva culto pubblico soltan
Lampsaceno e Nume Ellespontiaco ; ed eragli immolato l’asino, vittima che si credeva a lui gradita, in soddisfazione di uno
vittima che si credeva a lui gradita, in soddisfazione di uno sfregio che egli ricevè dall’asino di Sileno, quantunque la p
Orazio e Marziale, si sbizzarrirono a dileggiar talmente questo Dio, che peggio non avrebbero fatto nè detto contro il più
ero e proprio della romana costanza, fu il Dio Termine. Non era altro che un masso, o uno stipite di pietra rozzamente squa
campi dei cittadini. Se ne attribuisce l’invenzione a Numa Pompilio, che volle così santificare con una idea religiosa il
Ara Coeli. Le Feste Terminali eran celebrate agli ultimi di febbraio, che fu per lungo tempo l’estremo mese dell’anno, poic
el Bacco e del Satirino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco che egli, secondo che lo descrivono i poeti antichi,
irino : « Rarissimo e maravigliosissimo fu un Bacco che egli, secondo che lo descrivono i poeti antichi, fece di circa dici
un grappolo d’uva matura ; il quale un Satirino d’allegrissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi tém
rissima vista, che gli sta dai piè, si va a poco a poco, e quasi téma che egli nol vegga, cautamente piluccando. » Non sar
do. » Non sarà inutile l’osservare per chi studia la propria lingua, che l’espressione indanaiata di tigre, riferibile a p
iv del Purgatorio nella seguente terzina : « Ei mormorava ; e non so che Gentucca « Sentiva io là ov’el sentìa la piaga « 
che Gentucca « Sentiva io là ov’el sentìa la piaga « Della giustizia che si gli pilucca ; » ed inoltre è un vocabolo semp
ante, ossia celebre per le sue Satire, nel parlar di giudizii diversi che ne davano i suoi contemporanei, così dice : « Su
arlare) e si interpretò canere fata ossia presagire : quindi si disse che Fauno rendeva gli oracoli, come riferisce anche V
nome di Dea Bona. 16. Una delle più celebri statue di Fauno è quella che vedesi nella Tribuna della Galleria degli Uffizi.
i : 1ª XI. kal. majas cioè undici giorni avanti le calende di maggio, che significava, secondo l’uso latino di contare i gi
a in tutte le edizioni anche ad usum Delphini. 24. Orazio accenna che nelle Feste Terminali sacrificavasi una agnella :
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137
to sulla nascita di Minerva Dea della sapienza. Raccontano i mitologi che questa Dea nacque adulta e armata di tutto punto
com’è veramente, la più bella e sapiente allegoria, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che u
ia, significando essa che la sapienza è figlia del supremo dei Numi e che uscì dalla divina mente di lui. In questi limiti
scrittori di prose ; e non è raro il sentir dire o leggere nei libri, che un’invenzione o una teoria uscì adulta e armata d
i è necessario almeno accennarne alcune. Aggiungono dunque i mitologi che Giove per tre mesi sentì un gran dolor di testa,
di questa Dea. Ebbe dai Greci primamente il nome di Pallade (Pallas) che secondo lo Stoll significa fanciulla robusta, per
questo nome sarebbe considerata come della guerra. Altri però dicono che deriva dal verbo monere (ammonire) ; e che perciò
guerra. Altri però dicono che deriva dal verbo monere (ammonire) ; e che perciò verrebbe invece a significare la Dea del c
nducemi Apollo. » Questa Dea ricevè dai Greci anche il nome di Atena che alludeva all’origine ed alla mitologica denominaz
famosa città d’Atene. Narrano di concerto i mitologi ed i poeti greci che la loro antica città di Atene, prima di aver rice
ed ampliata da Cecrope ; e quindi Cecropidi gli abitanti. Aggiungono che nacque gara fra gli Dei per darle il nome ; e Gio
gli Dei per darle il nome ; e Giove per troncar le questioni decretò che avrebbe questo privilegio quel Nume che producess
troncar le questioni decretò che avrebbe questo privilegio quel Nume che producesse una cosa più utile al genere umano. Gl
il cavallo e questa l’olivo ; e fu stimato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. Minerva dunque che in greco c
mato più utile l’uso dell’olio che quello del cavallo. Minerva dunque che in greco chiamasi Atena diede il suo stesso nome
le scienze e le arti, e divennero il popolo più civile165 e ingegnoso che sia mai esistito166. L’invenzione è bellissima e
tito166. L’invenzione è bellissima e facile ad intendersi ; significa che l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e ch
ndersi ; significa che l’ingegno è dato agli uomini dalla Divinità, e che le opere di esso non si compiono senza il favore
orio) : « Sovra candido vel cinta d’olivo, » e poco, dopo soggiunge che era quel velo « Cerchiato della fronde di Minerv
nimale notturno, rispondono i poeti, perchè le recava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l
ecava notizie di quel che accadeva di notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri r
notte ; e si voleva significare che l’ingegno vede e scuopre le cose che agli altri restano oscure ed ignote. E Minerva no
ell’antichissima città di Troia aveva un tempio ed una celebre statua che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasporta
che i Romani pretendevano salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente
no salvata da Enea e trasportata in Italia, e che fosse quella stessa che essi facevano gelosamente custodire nel tempio di
se e di Telemaco. Qui però dobbiamo riportare un racconto mitologico, che non si collega con quegli altri importanti e cele
ò e vinse, e punì la presuntuosa Aracne cangiandola in ragno, animale che conserva l’abitudine di far tele e ricami. Dante
deva io te, « Già mezza aragna, trista in su gli stracci « Dell’opera che mal per te si fe ! » Quindi egli non accetta l’o
 ! » Quindi egli non accetta l’opinione di qualche strambo mitologo, che Minerva fosse vinta, e per dispetto percuotesse A
acne e la trasformasse in ragno. È questa una delle tante metamorfosi che furono inventate per la somiglianza del nome. Inf
el nome. Infatti Suida, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e a
al femminile significa tela, e al maschile ragno, e Plinio asserisce che una donna chiamata Aracne inventò le tele, e Clos
scoperto da Olbers il 28 maggio 1802. 165. « Atene e Lacedemone che fenno « Le antiche leggi e furon sì civili. » (P
che leggi e furon sì civili. » (Purg., vi, 139). 166. Tanto è vero che qualunque più illustre città moderna non ambisce
nque più illustre città moderna non ambisce un maggior titolo d’onore che di esser chiamata l’Atene di quella nazione a cui
partenga. Così fu lieta Firenze di esser detta l’Atene d’Italia, dopo che sorsero in essa i più grandi scrittori, che il su
ta l’Atene d’Italia, dopo che sorsero in essa i più grandi scrittori, che il suo dialetto meritò di divenire la lingua comu
uo dialetto meritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e che al pregio della lingua seppe unire pur anco quell
Tra questi periodici il più accreditato e diffuso è l’Ateneo inglese che si pubblica in Londra da molti anni. 168. « Mi
Ovidio nel libro iii dei Fasti annovera le diverse arti e professioni che celebravano le feste di Minerva ; ed oltre i coll
salvezza ; e si applica principalmente a quelle politiche istituzioni che servono a mantenere la libertà, e che perciò dico
a quelle politiche istituzioni che servono a mantenere la libertà, e che perciò diconsi il palladio della libertà. 171.
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78
XIV Il Diluvio di Deucalione Dopo che furono sterminati i Giganti dalla faccia della Te
creta e animati da Prometeo col fuoco celeste, e l’altra degli uomini che Giove stesso aveva creati. Ma ben presto divenner
umano, volle assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra che egli non aveva l’onniscienza e l’onn
assicurarsene personalmente sulla faccia del luogo : il che dimostra che egli non aveva l’onniscienza e l’onnipresenza, at
ribili delitti, nefandità di nuova idea ; e saputo tra le altre cose, che v’era un re d’Arcadia, Licaone figlio di Pelasgo,
arrivati prima, e facea poi servir di pasto le carni loro agli ospiti che arrivavano dopo, volle presentarsi egli stesso al
sso all’infame reggia divenuta macello e cucina di carne umana. Trovò che la fama era minore del vero, poichè alla crudeltà
io, sarebbe toccata anche a lui la stessa sorte di quei miseri ospiti che lo avevano preceduto. Fulminò allora la reggia ;
ione è fondata sopra due somiglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos che significa lupo, e l’al
miglianze, quella cioè del nome di Licaone che deriva dal greco licos che significa lupo, e l’altra degl’istinti feroci di
, e si mostrò risoluto di esterminare tutta quella razza bestiale più che umana. Mise in discussione soltanto se per mezzo
perirono, fuorchè un sol uomo ed una sola donna, Deucalione e Pirra, che si salvarono in una nave ; la quale dopo aver lun
rnaso. — Di quale stirpe e famiglia erano essi i due fortunati o pii, che soli ebbero in sorte o meritarono di scampare dal
n poco lungo, com’è realmente l’aspettare ad aver compagni e sudditi, che fosser nati e cresciuti i loro figli e discendent
uti i loro figli e discendenti ; ed entrati nel tempio della dea Temi che era sul monte Parnaso, dimandarono all’oracolo di
diremo il perchè) ; quindi Deucalione e Pirra non credendo possibile che l’oracolo suggerisse loro (come suonavan le parol
letteralmente), una empietà o violazione dei sepolcri, interpetrarono che la gran madre fosse la Terra, madre comune di tut
a nulla nuoceva, vi si provarono ; e poco dopo videro con maraviglia che le pietre scagliate dietro di sè da Pirra erano d
o. Questo fatto mitologico, per quanto strano, trovò anche un pittore che lo ritraesse e disegnatori e incisori che lo ripo
ano, trovò anche un pittore che lo ritraesse e disegnatori e incisori che lo riportassaro nelle stampe o incisioni. Vedonsi
ata in forma umana, o a cui manca soltanto il complemento di un piede che vedesi ancora di rozza pietra. La tradizione del
tti, nel trattare della crosta solida del nostro globo e degli strati che la compongono, ne distingue i materiali, sotto il
ti nell’interno del nostro globo strati di arena, di creta e di marmo che contengono conchiglie e frantumi di vegetabili ;
no conchiglie e frantumi di vegetabili ; e se ne deduce razionalmente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel mod
almente che questi strati doveron formarsi sott’acqua nel modo stesso che vediamo accadere anche oggidì nel fondo dei laghi
nel fondo dei laghi e nelle inondazioni dei fiumi. — Così una scienza che due secoli indietro non esisteva neppur di nome,
ecoli indietro non esisteva neppur di nome, e non supponevasi nemmeno che potesse esistere, ha fatto e va tuttodì facendo i
lica e filosofica. Mitologica secondo la favola di Deucalione e Pirra che trasformarono le pietre in uomini e donne ; bibli
rasformarono le pietre in uomini e donne ; biblica secondo la Genesi, che Adamo fu composto di terra, ed alcuni commentator
recisamente di terra rossa ; filosofica per l’uguaglianza dei diritti che deriva dalla comune origine. E particolarmente in
facendo così parlare Omberto Aldobrandeschi dei conti di Santa Fiora, che fu ucciso per la sua superbia arrogante : « L’an
ati. » (Ovid., Metam. i, 414.) 88. Roccia nel comune significato che questa parola ha in italiano equivale a rupe, bal
elsart. 89. Ho notato più di una volta, e tornerò ancora a notare, che i termini mitologici sono adottati in quasi tutte
che i termini mitologici sono adottati in quasi tutte le scienze ; e che la cognizione della Mitologia aiuta molto ad inte
i quelle denominazioni scientifiche. Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione de
ientifiche. Cosi roccie vulcaniche s’intende che debbono esser quelle che hanno subito l’azione del fuoco o del calore sott
e hanno subito l’azione del fuoco o del calore sotterraneo, in quanto che Vulcano era il Dio del fuoco e aveva le sue fucin
plutoniche derivato dal nome di Plutone dio dell’Inferno sembrerebbe che volesse indicare presso a poco le stesse qualità
n tutte di fuoco, perciò i geologi chiamaron plutoniche quelle roccie che erano affini in alcuni dei loro caratteri alle vu
imentarie. Finalmente chi conosce il valore della parola metamorfosi, che significa trasformazione, come abbiamo spiegato a
43 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
cum Jove juvat, dicono i mitologi latini). I greci la chiamavano Era, che , secondo alcuni grecisti, sarebbe un’abbreviazion
ppresentanza è una Dea maestosa e benefica ; ma essa pure, nella vita che diremmo privata o domestica, ha i suoi difetti no
o di mescer da quella la celeste bevanda. Aggiungono alcuni mitologi, che un giorno questa Dea nell’esercizio del suo minis
. Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi al sesto pianeta telescopico che fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847. Di Marte
co che fu scoperto da Hencke il 1° luglio 1847. Di Marte e di Vulcano che furono Dei superiori si dovrà parlare separatamen
persecuzioni di questa Dea. Favoriva sì e proteggeva essa quei popoli che le erano più devoti, come gli Argivi, i Samii, i
iù devoti, come gli Argivi, i Samii, i Cartaginesi ; ma guai a coloro che avessero la disgrazia di dispiacerle, specialment
rsecuzioni di Giunone sono così splendidamente narrate dagli antichi, che i moderni poeti e lo stesso Dante non poterono ta
Qui per altro è indispensabile il narrare uno di questi fatti mitici che serve a spiegare perchè il pavone fosse sacro all
’Iliade ce ne rende accorti in questi versi : « Acerbissimo Giove, e che dicesti ? « Riprese allor la maestosa il guardo «
a e invidiosa com’era, fremeva all’idea di potere essere ripudiata, e che un’altra divenisse regina degli Dei. Giove predil
ospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca, che Giove non potè negarle per non scuoprirsi. Ottenu
negarle per non scuoprirsi. Ottenutala, la diede in custodia ad Argo che aveva cento occhi, cinquanta dei quali erano semp
dal quale l’imbestiata e dolente Io fu costretta a gettarsi nel mare, che traversò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da
versò a nuoto dalla Grecia all’Egitto, ove da quei feticisti egiziani che adoravano le bestie fu ricevuta e adorata come un
to, come osservammo pur anco nella guerra dei Giganti, quando gli Dei che ebber paura si trasformarono in bestie. Gli Egizi
oravan gli Dei sotto la figura di quelle bestie nelle quali credevano che questi si fossero trasformati. Il nome poi di Arg
d’Argo « Se fosser vivi, sarebber cotali. » Un’altra particolarità che si riferisce alla dea Giunone è il mito della sua
ra questa una Ninfa o Dea inferiore, figlia di Taumante ; e credevasi che essa per discender sulla terra ad eseguire gli or
a ad eseguire gli ordini di Giunone passasse per quella splendida via che è contrassegnata nel cielo dall’arcobaleno. Quind
o, poichè Iride (in greco e in latino Iris), deriva da un greco verbo che significa dire o annunziare, e ricorda perciò la
ziare, e ricorda perciò la messaggiera di Giunone ; e Taumante è nome che deriva da tauma, che in greco significa prodigio,
iò la messaggiera di Giunone ; e Taumante è nome che deriva da tauma, che in greco significa prodigio, e rammenta stupendam
ide, ossia l’arcobaleno, allorchè nel Purgatorio (C. xxi, 46) afferma che nell’alto di quella montagna non ascendevano gli
rra, nè perciò producevansi le meteore acquee, e neppur l’arcobaleno, che si forma nell’aria dopo la pioggia : « Perciò no
entifico. Nei poeti più eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile al nome greco e latino, e perci
me greco e latino, e perciò preferita nel linguaggio poetico. Basterà che io citi Dante che così la chiama in rima e fuor d
e perciò preferita nel linguaggio poetico. Basterà che io citi Dante che così la chiama in rima e fuor di rima, come nel s
refrazione dei raggi colorati della luce ; e iridescenza la proprietà che hanno alcuni oggetti di rifletter questi raggi co
nte ottava della Gerusalemme Liberata del Tasso : « Come piuma talor che di gentile « Amorosa colomba il collo cinge « Mai
lib., xv, 5.) Iride si chiama in Anatomia quella membrana circolare che è situata sopra l’umor cristallino dell’occhio, e
ed ha appunto questo nome dalla varietà dei suoi colori, ed è quella che determina il colore particolare degli occhi di ci
zare col prisma di cristallo il settemplice raggio del sole e dedurne che l’aria ancor umida dopo la pioggia faccia da pris
luce. Newton sullo scorcio del secolo xvii fu il primo a distinguere che la luce solare era composta di un infinito numero
un infinito numero di raggi di differenti gradi di rifrangibilità, e che allorquando questa luce è fatta cadere sopra un p
e che allorquando questa luce è fatta cadere sopra un prisma, i raggi che la compongono son separati, e presentano per ordi
e per mezzo dello spettroscopio è divenuta così importante ed estesa, che può quasi considerarsi come una scienza particola
ente in mano un’Idria, quasi ad indicare l’erronea idea degli Antichi che Iride somministrasse l’acqua alle nubi. In Astron
avevano trascurato di rendere onore alla regina degli Dei anche prima che ad Iride sua ancella, e furon solleciti di dare i
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294
abbia colto nel segno. Perciò converrà contentarsi di conoscere quel che ne accennano i Classici e principalmente Virgilio
no i Classici e principalmente Virgilio e Cicerone, e starcene a quel che essi ne credevano e ce ne lasciarono scritto ; e
ce ne lasciarono scritto ; e tutt’al più deducendone quelle illazioni che ne derivano razionalmente. — Per chi non è idolat
derivano razionalmente. — Per chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. Virgilio che nell’Eneide ha etern
r chi non è idolatra o politeista sembra che possa bastare. Virgilio che nell’Eneide ha eternato co’suoi impareggiabili ve
uni credenze antiche, fa derivare da Troia gli Dei Penati ; e da quel che egli ne scrive s’intende chiaramente che questi e
a gli Dei Penati ; e da quel che egli ne scrive s’intende chiaramente che questi erano speciali Dei protettori della città,
protettori della città, poichè fa dire ad Enea dall’ombra di Ettore, che Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gl
ttore, che Troia affida ad esso i suoi Penati ; e inoltre gli comanda che cerchi loro altre terre, erga altre mura 32. E qu
i compariscono in sogno, li appella Frigii Penati 34. Ecco tre esempi che dimostrano il concetto generale di Virgilio, che
34. Ecco tre esempi che dimostrano il concetto generale di Virgilio, che cioè i Penati fossero gli Dei protettori di Troia
è i Penati fossero gli Dei protettori di Troia e della Troade. Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano spe
otettori di Troia e della Troade. Vero è che lo stesso poeta aggiunge che i Penati avevano special culto anche nella reggia
i Dei Penati il loro carattere generale e il loro principale ufficio, che essi non avrebber perduto ancorchè in ogni famigl
ei Penati. Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga che talvolta in qualche Classico latino si annoverano
superiori o maggiori, come Giove, Marte, Nettuno ecc. Vedemmo altrove che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patr
che lo stesso Dante rammenta Marte come il primo patrono di Firenze, che poi i cittadini divenuti cristiani cangiarono nel
tista 36. Infatti, la voce Penati è soltanto un attributo o aggettivo che corrisponde, non già per l’etimologia, ma pel sig
ti e celebri. Riguardo poi all’ etimologia del titolo di questi Dei, che furon portati in Italia « ……. da quel giusto « F
he furon portati in Italia « ……. da quel giusto « Figliuol d’Anchise che venne da Troia, » lasceremo decidere ai solenni
guaggio, come i Romani dai Troiani. E poichè Cicerone, a cui parrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto impor
arrebbe che questa squisitezza filologica avesse dovuto importare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice s
tare più che a noi, non vi pensa nè punto nè poco, e ci dice soltanto che la voce Penati deriva da due vocaboli latini usit
due vocaboli latini usitatissimi (penus e penitus), senza aggiungere che questi fossero d’origine troiana, bisognerà per o
e questi fossero d’origine troiana, bisognerà per ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l
r ora starsene a quel che egli ne scrisse, e credere sulla sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e allu
37. Sappiamo infatti anche dagli storici essere stata comune opinione che quegli stessi idoli degli Dei Penati venuti da Tr
ogo nascosto ai profani insieme col Palladio, sacre reliquie troiane, che nessun vide giammai, ma nella cui esistenza tutti
ei più riposti recessi dei luoghi o dei pensieri. In quanto ai Lari, che questi fossero Dei familiari o domestici non può
Sepolcri, come abbiamo veduto altrove, i domestici Lari. Sappiamo poi che nelle case dei più ricchi politeisti romani v’era
sso ponevansi ancora dentro certe nicchie nei focolari, parola questa che alcuni etimologisti notano come composta colla vo
o Larunda, ed altri ne derivano il nome da Lar antica parola etrusca che significa capo o principe. Chi non la pretende a
ramente apparisce il differente ufficio dei Penati e dei Lari. Vero è che potrebbe citarsi ancora qualche esempio in contra
annovera il culto degli Dei Penati e dei Lari familiari ; e aggiunge che nella pratica applicazione questi Dei rappresenta
mitologica sulla diversa loro personalità, viene ancora a significare che i primi eran protettori dei diritti del cittadino
omplexa Penates. » (Æneid., ii, 512….) 36. « Io fui della città che nel Battista « Cangiò ’l primo padrone ; ond’ ei
ce foculare : « locus ubi focus accenditur. » Questa parola foculare, che era ed è barbara in latino, è divenuta la pura e
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
nità straniere adorate dai Romani si dovessero intendere tutte quelle che non furono inventate dai Romani stessi, converreb
e quelle che non furono inventate dai Romani stessi, converrebbe dire che le più di esse fossero straniere, fatte poche ecc
, come abbiamo notato nel corso di questa Mitologia. I Romani infatti che per ordine di tempo comparvero gli ultimi nella s
stituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato
dazione, il Politeismo Troiano e Greco. Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai
o Duce Enea principe troiano, creduto figlio di Venere e di Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne
fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lun
a Lavinia ; che Ascanio figlio di Enea e di Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea ret
ue il fondatore di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazi
e di Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territ
oi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmen
nel Lazio prima di Enea, avea fondata la città di Fenèo su quel monte che dal nome di suo figlio Pallante fu detto il Palat
i suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel lu
ttere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città di Rom
e in appresso fu il centro della nuova città di Romolo : tanto è vero che anche a tempo di Cicerone, com’egli afferma nelle
x della sua Storia e Valerio Massimo in più luoghi, e ci fanno sapere che l’ara consacrata ad Ercole in Roma chiamavasi Mas
o sapere che l’ara consacrata ad Ercole in Roma chiamavasi Massima, e che suoi sacerdoti erano i Potizii e i Pinarii. Lo st
e suoi sacerdoti erano i Potizii e i Pinarii. Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non
e alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ni
ranieri adorati dai Romani non si deve intender delle greche Divinità che i Romani conoscevano e adoravano sin dall’origine
one delle quali era ammesso o almeno tollerato il culto in Roma, dopo che fu accordata la cittadinanza romana a tutti i pop
lcuni di loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane, che sono Osìride, Iside ed Anùbi. Quantunque i Greci
le nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo cul
stessa sorgente di questo fiume. L’Egizia Dea Iside, poichè credevasi che fosse la stessa Ninfa Io trasformata in vacca da
almente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del te
te del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute di Tibullo stesso che era infermo in Corfù. I sacerdoti Isiaci portavan
ma di donna ; ma gli Egiziani sotto quella di vacca, perchè credevano che questa Dea insieme col suo fratello e marito Osir
rdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lut
lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; di che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tut
ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo
ravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello
zia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono
ride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono inoltre che Iside insieme con suo figlio Oro uccidesse Tifone
Nel tempio d’Iside e di Seràpide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate che era considerato come Dio del silenzio, e perciò r
he segno di stare attenti, come abbiamo in Dante : « Perch’io, acciò che ‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal
lenzio. Trovasi anche rammentato dagli scrittori latini il Dio Anùbi, che gli Egiziani dicevano esser figlio di Osiride, e
o stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che , in generale, i Romani non avessero gran devozion
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47
ane o Minore. Per dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi de
degli elementi del Caos ; e siccome il fuoco nulla produce, fu detto che Vesta minore non prese marito e fu Dea della cast
Il culto di Vesta per altro è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportat
è antichissimo, poichè Virgilio asserisce che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa
che praticavasi in Troia, e che da Enea fu trasportato in Italia46. E che questa Dea, prima della fondazione di Roma, fosse
e le sacerdotesse Vestali, lo deduciamo dallo stesso Tito Livio, non che da tutti gli altri storici e poeti latini, i qual
ti gli altri storici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata
rici e poeti latini, i quali concordemente ci narrano che Rea Silvia, che fu poi madre di Romolo, era stata costretta dallo
e di figura circolare o vogliam dire cilindrica, con colonne esterne che sostenevano il tetto o la vôlta. Se ne trova tutt
vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso di quello che Orazio dice atterrato a tempo suo da una violenta
inventare e da raccontarci i mitologi sulla vita semplice e monotona che attribuirono a questa Dea, molto ci hanno narrato
principali erano : primo, la conservazione perpetua del fuoco sacro, che simboleggiava, come abbiam detto, la perpetua dur
l suo impero ; e secondo, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della cas
o della Dea della castità. Da queste due condizioni credeva il popolo che dipendesse la prosperità dello Stato ; e temeva i
; dopo il qual tempo potevano uscir di convento e prender marito : il che però di rado accadeva, poichè fu considerata una
ata una determinazione infausta per la Vestale. I voti e gli obblighi che riguardavano l’interesse pubblico erano quei due
e pene minacciate ed inflitte per la violazione di quelli. La Vestale che avesse lasciato spengere il fuoco sacro, era batt
ra battuta pubblicamente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita
accordavano alle Vestali molti e singolari privilegi. Tutte le volte che uscivano in pubblico erano precedute da sei litto
i : assistevano ai pubblici spettacoli fra i senatori nell’orchestra, che era il primo gradino dell’anfiteatro e del circo 
a tanto grande, e talmente sicura l’inviolabilità del loro soggiorno, che nelle loro mani si depositavano i testamenti e gl
ita così dignitosa, splendida e principesca non deve recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e c
recar maraviglia che ben poche vi rinunziassero in più matura età, e che fosse stimato di cattivo augurio il sottoporsi o
ere l’impareggiabil condizione di vita a cui avevano rinununziato. Il che non conferiva di certo alla loro felicità, nè a q
penetralibus ignem. » (Virg., Æneid,iii.) 47. Il Palladio Troiano, che dicevasi trasportato da Enea in Italia, era affid
sportato da Enea in Italia, era affidato alla custodia delle Vestali, che lo tenevano chiuso ed invisibile ad ogni occhio p
lla loro consacrazione, a tutte le Vestali in memoria di quella prima che fu consacrata da Numa riformatore di quel sacerdo
però in due modi questo supplizio delle Vestali. Alcuni autori dicono che la Vestale colpevole era calata in una stanza sot
destino. — Questo modo però potrebbe far sospettare il caso probabile che qualcuno andasse segretamente a liberarla e la te
ta o incognita pel rimanente dei suoi giorni. — Altri poi asseriscono che si calava nella solita stanza sotterranea, ma sub
erraneo ; e la morte così era inevitabile, ma meno crudele e orribile che nel primo caso. Al secondo modo era simile la pen
caso. Al secondo modo era simile la pena detta della propaginazione, che davasi nel Medio Evo agli assassini, seppellendol
ferno, nella quale son puniti i Simoniaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fit
niaci : « Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte c
« Io stava come il frate che confessa « Lo perfido assassin, che poi che è fitto « Richiama lui, perchè la morte cessa, »
47 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-
rata l’Aria come uno dei 4 elementi del Caos, il farne anche una Dea, che , sposato il Giorno (sinonimo di luce), produsse U
Giorno (sinonimo di luce), produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso che nell’aria esiste « Qu
produsse Urano, ossia il Cielo ; in quanto che osservando in appresso che nell’aria esiste « Quell’umido vapor che in acqu
che osservando in appresso che nell’aria esiste « Quell’umido vapor che in acqua riede, » ne fecero un Dio sotto il nom
ei Venti, vollero deificare anche questi. Riconobbero però facilmente che la maggior parte di questi Dei eran molto turbole
do in mare orribili tempeste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qua
ste, e sulla terra bufere e devastazioni ; e che perciò v’era bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente di
a bisogno che fossero sottoposti a qualche altra più potente divinità che li raffrenasse ; diversamente, come dice Virgilio
i, nel mar Tirreno fra la Sicilia e l’Italia. Il nome stesso di Eolo, che deriva da un greco vocabolo significante vario o
ificante vario o mutabile, allude alle successive mutazioni dei venti che predominano in quelle isole. Anche Omero, nel lib
dominano in quelle isole. Anche Omero, nel libro X dell’Odissea, dice che Eolo « …. de’venti dispensier supremo « Fu da Gi
letti « Con le donne pudiche i fidi sposi. » Alcuni Mitologi dissero che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ip
che Eolo era figlio di Giove e di Segesta figlia d’Ippota troiano ; e che i Venti fossero figli di Astreo, uno dei Titani,
ealogie furono accolte dai più. Si eran provati pur anco ad inventare che i Venti avessero mosso guerra a Giove ; ma i poet
Borea e di Zeffiro, narrano brevemente qualche fatto. Di Borea dicono che rapì la Ninfa Orizia figlia di Eretteo re di Aten
e più semplice e più naturale del ratto di Orizia è, secondo Platone, che questa infelice principessa rimanesse vittima di
di una tempesta o di un uragano. Di Zeffiro abbiamo già detto altrove che egli sposò la Dea Flora e le diede potestà sui fi
ora e le diede potestà sui fiori ; e questa favola significa soltanto che il tepido vento chiamato Zeffiro o Favonio favori
firo o Favonio favorisce la vegetazione delle piante fanerogame, cioè che producono fiori. Poichè tutti i poeti epici han p
eti pagani, e principalmente in Omero e in Virgilio. E siccome i nomi che diedero i Greci e i Latini ai Venti sono per lo p
fiche. Corrispondono ai Venti di tramontana, ostro, levante e ponente che spirano dai 4 punti cardinali nord, sud, est, ove
 ; Zeffiro, oscuro.44 In Esiodo si trova rammentato il vento Argeste ( che vuol dir sereno, e secondo altri grecisti veloce)
poeta non si trova nominato il vento Euro, alcuni Eruditi hanno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista a
nno detto che è sinonimo di questo., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei
ntrassegnati nella così detta Rosa dei Venti ; e la ragione è questa, che gli Antichi stessi furono incerti nel determinare
ra Zeffiro e Borea, Cirico o Iapige e Cauro o Coro. È da notarsi però che talvolta gli Autori e specialmente i poeti, nomin
i Autori e specialmente i poeti, nominano l’un per l’altro quei Venti che spirano tra lor più vicini, ossia usano i loro di
Carro tutto sovra’l Coro giace, » accenna con precisione astronomica che eran due ore prima dello spuntar del Sole in quel
due ore prima dello spuntar del Sole in quel giorno del mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora
l mese di marzo che aveva prima indicato, poichè appunto in quell’ora che egli voleva significare appariva la costellazione
ra direbbesi. E quando nel Canto xxxii del Purgatorio vuole affermare che i 7 celesti candelabri ardenti non li spengerebbe
i più opposti e più procellosi. E finalmente terminerò col rammentare che Dante non ha dimenticato d’introdurre nella Divin
ommedia anche un cenno della favola di Eolo re dei Venti, secondo ciò che ne scrive il suo maestro Virgilio nei versi da no
ti in principio di questo Numero, poichè invece di dire prosaicamente che soffia o spira il vento di Scirocco, orna ed abbe
ventorum pater, volendo colla parola pater significare Deus, secondo che abbiamo detto altra volta spiegando il titolo di
leggianti, e precisamente nel N° XVI, a proposito dell’isola di Delo, che Pindaro fu il primo a chiamar natante. Ora vediam
isola di Delo, che Pindaro fu il primo a chiamar natante. Ora vediamo che anche Omero 4 secoli e mezzo prima di Pindaro ave
48 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43
Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre Abbiamó detto nel N. V, che Vesta Prisca moglie di Urano era considerata come
ie di Urano era considerata come la Dea della Terra : ora aggiungiamo che anche due altre Dee, cioè Cibele e Tellùre, aveva
otesi dei geologi e degli astronomi moderni sull’origine della Terra, che cioè essendo essa in principio una massa di mater
atta alla produzione e conservazione dei vegetabili e degli animali ; che in appresso, in centinaia di secoli, a poco a poc
, resta altro da aggiungere. Circa alla Dea Tellùre basterà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dic
terà il sapere che Cicerone nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tant
nel libro iii della Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori
la Natura degli Dei dice che Tellùre non è altra Dea che la Terra40 ; che tanto i poeti quanto i prosatori latini usarono l
satori latini usarono la parola tellùre come sinonimo di terra 41 ; e che Dante stesso nella Divina Commedia rammenta l’ora
una città e di un monte omonimo nella Frigia, ove questa Dea fu prima che altrove adorata. Alcuni autori la chiamano ancora
amano ancora Cibebe, e fanno derivar questo nome da cubo, ossia dado, che è la più salda e stabile figura geometrica, essen
, a cui presiedeva Cibele. Chiamavasi in greco e in latino Rhea (nome che fu poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylv
poi dato anche alla madre di Romolo, Rhea Sylvia), da un greco verbo che significa scorrere, perchè dalla Terra scorrono,
i Giove e de’suoi fratelli. Chiamavasi Opi dal nome latino Ops, Opis, che significa aiuto, soccorso, perchè la Terra colle
fierendo una pestilenza, le risposte dei libri sibillini prescrissero che per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre.
ero che per farla cessare si ricorresse alla Gran Madre. S’interpetrò che si dovesse far venire a Roma la Dea Cibele adorat
cessato. La statua di Cibele venuta dall’Asia era una pietra informe che i Frigi credevano caduta miracolosamente dal Ciel
riche, dette ora aereoliti). Racconta Tito Livio (lib. xxix, cap. 14) che ad incontrarla accorse la popolazione fino ad Ost
ta di piante e di animali indicava il carattere distintivo di Cibele, che presiedeva alla terra divenuta fertile e abitabil
a terra divenuta fertile e abitabile ; la corona di torri significava che quella Dea avesse insegnato agli uomini a fortifi
ar le città ed i castelli ; il disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Ter
l disco o tamburo, dicevano gli Antichi, che era il simbolo dei venti che spirano sopra la Terra ; e le era sacro il leone
an detti Galli, perchè in Frigia bevevano l’acqua del fiume Gallo 44, che li faceva divenire furibondi ; nel quale stato di
con armi taglienti sino a ferirsi e mutilarsi. Quindi l’altra favola che essi in origine facessero questo strepito per ord
elle sue opere filosofiche aggiunge un’altra notabile rassomiglianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè
ianza, che essi avevano coi nostri frati mendicanti, perchè asserisce che i Galli della madre degli Dei erano i soli sacerd
, disapprovandolo45. Il nome di Coribanti deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella a
i deriva da due parole greche che significano cozzanti col corno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori in
rno ; il che appella ai loro furori per cui sembravano tori infuriati che tra lor si cozzassero. Cureti significa Cretensi
Dattili, perchè eran dieci come le dita ; dal greco termine dactilos che significa dito. A Cibele era sacro il pino, perch
t’albero fu da lei cangiato un suo prediletto sacerdote chiamato Ati, che si era per disperazione mutilato e poi precipitat
di far parola nella Mitologia. Ne troveremo in appresso tal quantità che la collezione di esse diede origine ad un celebre
uesto vocabolo tellùre è l’ablativo del nome latino tellus, telluris, che significa la Terra ; e da quella voce latina son
iù e diverse denominazioni scientifiche, come per sempio il tellurio, che è un corpo elementare elettro negativo, scoperto
un corpo elementare elettro negativo, scoperto nel 1772 da Muller, e che per molti suoi caratteri imita le sostanze metall
iama Cibele la Madre Idèa, cioè adorata sul monte Ida : « Cerere poi che dalla Madre Idèa « Tornando in fretta alla solin
49 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91
XVI La dea Latona Parlando del Caos, dissero i mitologi che i 4 elementi di cui esso era composto si divisero
logi che i 4 elementi di cui esso era composto si divisero ; e divisi che furono, il fuoco, come più leggiero degli altri t
ianeti ; e questi pure chiamarono stelle ; e solo quando si accorsero che avevano un movimento molto diverso da quello appa
on pianeti, cioè corpi erranti. Le Stelle poi vere e proprie stimaron che fossero incastonate e quasi inchiodate nella volt
ne annoverarono sette, e attribuirono a ciascuno di essi una Divinità che vi presiedesse o li dirigesse nel loro corso. Qua
gesse nel loro corso. Quali fossero queste Divinità, e come i pianeti che ne prendono il nome fossero situati e girassero,
pianeti che ne prendono il nome fossero situati e girassero, secondo che gli Antichi credevano, intorno alla Terra, lo abb
lo abbiamo già detto nel Cap. III. Ora convien parlare delle Divinità che dirigevano il Sole e la Luna, e parlarne a lungo,
queste due Divinità, alle quali diedero il nome di Apollo e di Diana, che poi identificarono col Sole e colla Luna. Prima d
ficarono col Sole e colla Luna. Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di q
lla Luna. Prima di tutto però rammenteremo quel che fu detto altrove, che cioè avanti la nascita di questi due Numi figli d
l Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di nome Iperione. Il So
mmenta più d’una volta con questo nome. Anzi Dante considerando forse che un simil vocabolo trovasi anche in Ebraico in sig
ariopinti splendori da lui veduti nell’Empireo, esclama : « O Elios, che sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare
Elios, che sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Dia
sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva prima della nascita di Diana chiamava
igeva prima della nascita di Diana chiamavasi, con greco nome Selene, che significava Luna, figlia essa pure d’Iperione, e
do ora a parlare dell’origine mitologica di Apollo e di Diana, diremo che Latona loro madre era figlia di uno dei Titani ;
, una delle Cicladi nel mare Egeo, isola natante, ossia galleggiante, che Nettuno per compassione di Latona rese stabilé. I
u detto la prima volta dal poeta Pindaro, il quale vi aggiunse ancora che Nettuno la rese stabile, perchè servisse di ricov
ori e legumi. In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che al presente. Anche in Italia se ne vedono alcune
re)101), ne abbia almeno usato discretamente102), ammettendo soltanto che un’isola galleggiante potesse trovarsi anche in m
ne valse stupendamente per una bellissima similitudine nel raccontare che egli sentì uno spaventevole terremoto nella monta
terremoto nella montagna del Purgatorio. « Quand’io senti’ come cosa che cada « Tremar lo monte : onde mi prese un gielo «
« Tremar lo monte : onde mi prese un gielo « Qual prender suol colui che a morte vada. « Certo non si scotea sì forte Delo
l colui che a morte vada. « Certo non si scotea sì forte Delo « Pria che Latona in lei facesse il nido « A parturir li due
le e la Luna, i due occhi del Cielo. Altri mitologi invece raccontano che l’isola di Delo fu sollevata da Nettuno con un co
mare ; e questo racconto pure si può spiegare con un fatto geologico, che cioè per la forza del fuoco centrale del nostro g
trovasi rammentato il Monte nuovo (all’ ovest di Pozzuoli in Italia), che si sollevò in uno o due giorni nel 1538, all’alte
ossi per sollevamento nel mare al sud-ovest della Sicilia un’isoletta che fu chiamata Ferdinandea, la quale pochi mesi dopo
iam dire i fatti riferibili in comune ad Apollo e a Diana, aggiungerò che ambedue furono creduti abilissimi ed infallibili
i) dicendo di aver veduto sculto questo fatto in uno dei bassirilievi che rappresentavano esempii di superbia punita : « O
lievi che rappresentavano esempii di superbia punita : « O Niobe con che occhi dolenti « Vedeva io te segnata in sulla str
a è detta altrimenti eliografia. 99. Anche dalla greca parola Selene che significa Luna son derivati e composti molti term
nitose, ecc., ecc. — Il selenio è un corpo elementare elettronegativo che per molti dei suoi caratteri armonizza col solfo,
ce Omero. — Inoltre sappiamo ancora dal seguente epitaffio di Ausonio che anticamente esisteva una bellissima statua di Nio
50 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59
rbo giovare (juvare) : Giove significa dunque etimologicamente il Dio che giova agli uomini, il Dio benefico per eccellenza
o per eccellenza57. Questa significazione è tanto chiara ed evidente, che un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tut
tanto chiara ed evidente, che un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tutti è Giove, per dire che giova a tutti ; e D
un dei nostri poeti ha detto : quel Dio che a tutti è Giove, per dire che giova a tutti ; e Dante nel celeberrimo canto VI
isso, « Son li giusti occhi tuoi rivolti altrove ? » ove è manifesto che egli chiama sommo Giove Gesù Cristo nel senso eti
icenza. Da queste idee filosofiche derivò il titolo di Ottimo Massimo che davasi a Giove dai romani politeisti ; e Cicerone
no come l’etere o l’aria, ove « ……… si raccoglie « Quell’umido vapor che in acqua riede « Tosto che sale dove ’l freddo il
ve « ……… si raccoglie « Quell’umido vapor che in acqua riede « Tosto che sale dove ’l freddo il coglie. » Considerato Gi
sommi con espressioni veramente sublimi. Virgilio imitando Omero dice che Giove con un cenno faceva tremar tutto l’Olimpo (
neid., ix), e Orazio non lascia da aggiunger nulla di più affermando, che facea muover tutto a un balenar di ciglio (Od., i
nella sinistra, e ai piedi l’aquila ministra del fulmine, vale a dire che gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. Om
ire che gli portava i fulmini dalla fucina di Vulcano. Omero aggiunge che ai lati del suo trono teneva Giove due coppe, l’u
e gl’indicò in un’ oasi vicina una fontana per dissetarsi. Il tempio che Bacco per gratitudine gli eresse in quell’oasi fu
acolo di questo tempio parleremo in un capitolo a parte, spiegando in che consistessero gli Oracoli dei Pagani. I paleontol
Nume, fu ideata da Omero, attribuendone l’invenzione a Giove stesso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei
ade, lib. viii, trad. del Monti.) Questa invenzione dell’aurea catena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella
ena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente, che non solo fu accolta con plauso dai poeti e dai le
antichi a rendere onore a Giove dando il nome di esso a quel pianeta che apparisce ed è maggiore degli altri veri e propri
veri e proprii pianeti, e gli dedicarono quel giorno della settimana che tuttora chiamasi Giovedì. Se tutto questo e null’
a il racconto della vita privata di questo Dio, indegna d’un uomo non che d’un nume. Prima però di scendere a questa storia
storia aneddotica, parleremo di un fatto o avvenimento straordinario, che mise in forse la potenza di Giove e degli altri D
ter significa, secondo Cicerone, juvans pater, il padre, ossia il Dio che giova, poichè il nome di padre davasi a tutti gli
nte fra l’ombrose piante fa chiamar padre il vecchio e saggio pastore che ella trovò in un casolare in mezzo alle selve. 5
7, v. 24.) Questo titolo è divenuto in oggi tanto comune e familiare, che anche i giornalisti più prosaici fanno lusso e sp
dell’espressione mitologica e poetica di Giove Pluvio tutte le volte che parlano di pioggie troppo continuate. 61. Veden
alta cima del monte Olimpo spesso cinta di nubi, dicevano gli Antichi che ve le stendesse Giove, allorquando vi soggiornava
di testa. » 63. Giove fu detto Olimpico non solo perchè credevasi che spesso abitasse sul monte Olimpo, ma ancora perch
reci e significante lo spazio di quattro anni. 64. Dice Ugo Foscolo che « Fidia vantavasi di aver dedotto la statua di Gi
nale greco son quelli di n° 528, 529 e 530, nel i libro dell’ Iliade, che il Monti tradusse così : « Disse, e il gran figl
» 65. L’oasi in cui fu eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della G
eretto il tempio di Giove Ammone era quella che ora si chiama Dakhel, che resta all’ovest della Grande Oasi, sui confini de
tena nel libro secondo de’ suoi Principii di Scienza Nuova, riferisce che in essa Dionigi Longino ammirava la maggior subli
ge le seguenti osservazioni : « La qual Catena se gli Stoici vogliono che significhi la serie eterna delle cagioni, con la
gioni, con la quale il lor Fato tenga cinto e legato il Mondo, vedano che essi non vi restino avvolti ; perchè lo strascina
na con tutta la sua eleganza filosofica di proprietà di umana natura, che non può esser tolta all’uomo nemmen da Dio, senza
51 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330
resa dei tempi eroici in cui si trovino riuniti molti celebri eroi, e che serve perciò, in mancanza di altri dati cronologi
rve perciò, in mancanza di altri dati cronologici, a stabilire almeno che quegli eroi erano contemporanei. Sebbene i Mitolo
ro di somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte.
ronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte. Calidone o Calidonia era la ca
capo il suo figlio Meleagro. Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divenn
in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del
ritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indo
i, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra di Tebe, Nesto
i alla guerra di Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre di Achille, Telamone padre di Aiace
ti fu dessa la prima a ferire, benchè leggermente, il cinghiale, dopo che questa fiera aveva già fatto strage di tre o quat
atto strage di tre o quattro cacciatori e di molti cani. I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra ce
cciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, co
ua morte « È una sorte meschina, o non è sorte. » Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la
bbe Meleagro la gloria di atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea di prender per sè il teschio e la pelle
hiale lo cedè ad Atalanta. Ciò dispiacque ai suoi zii, mal tollerando che una donna con tal distintivo di onore potesse van
alente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. Di che Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai fatt
hiale. Ma la scena termina con una favola di nuovo genere, invenzione che Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. La f
logi ed i poeti, e più estesamente di tutti Ovidio nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero nell
quanto durerà questo legno ; » e subito dopo disparvero63. La madre, che non si sa per qual privilegio o grazia speciale p
ia speciale potè vederle e udirle, corse a levar dal fuoco quel tizzo che già ardeva dall’ un de’ capi, lo spense e lo chiu
ense e lo chiuse fra le cose più care e più preziose. Ma quando seppe che Meleagro aveva ucciso gli zii, all’amor materno c
e avrebbe cercato di porvi rimedio ; chè ella sola il poteva. Quelli che gli apprestavano i suoi affettuosi compagni furon
ranto e istupidito e poco sopravvisse ; e le sorelle (tranne Deianira che era già moglie di Ercole), furon cangiate in ucce
à moglie di Ercole), furon cangiate in uccelli detti Meleàgridi, nome che da alcuni Ornitologi si dà tuttora alle galline a
tuttora alle galline affricane (Numida Meleagris). Ho detto di sopra che Danterammenta nella Divina Commedia la trista fin
leagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione. Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame c
tare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che « Negli occhi era ciascuna oscura e cava, « Pall
o « Non fora, disse, questo a te sì agro. » Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva di spiegare un mist
me al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostra image, « Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. » E per quanto anche
ma col corpo e lo stato di essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta
meno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse : « A sofferir tormenti e cal
caldi e geli « Simili corpi la Virtù dispone « Che come sia non vuol che a noi si sveli. » E così con esempii mitologici,
con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni mister
52 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320
ivo era Ipponoo ; ed è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller
è soltanto un soprannome quello di Bellerofonte, che gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che
he gli fu dato dopo che egli per caso uccise Beller suo fratello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. Dicono i Mit
tello ; di che rimase poi sempre dolente e mesto52. Dicono i Mitologi che egli pure fosse re di Corinto ; ma il suo nome no
ovasi nella greca cronologia di questi re ; e forse perciò aggiungono che fu subito dopo detronizzato da Preto e costretto
, lo mandò da suo suocero Iobate re di Licia, con una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che er
on una lettera chiusa, che consegnò a Bellerofonte stesso, dicendogli che era una commendatizia, mentre invece conteneva la
spite, e impegnò Bellerofonte in imprese pericolosissime, immaginando che vi sarebbe perito, se egli era reo, oppure darebb
elebre e memorabile di queste imprese fu quella della Chimera, mostro che avea la testa di leone, il corpo di capra e la co
in ammirazione e benevolenza, gli diede in isposa l’altra sua figlia, che era sorella di Stenobea. Questa, quando lo seppe,
te e ad uno stato felicissimo, fu men forte a tollerare la prosperità che prima l’avversità. Credendo che nulla gli fosse i
u men forte a tollerare la prosperità che prima l’avversità. Credendo che nulla gli fosse impossibile, montato sul caval Pe
ibile, montato sul caval Pegaso, lo spinse verso il Cielo, presumendo che gli Dei dovessero accoglierlo nel loro consesso e
ella sua folle superbia, mandò un tafano a molestare il caval Pegaso, che scosse dalla sua groppa il cavaliere e lo precipi
tinuò il volo sino al Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione che porta il suo nome, come dicemmo. La spiegazione p
ne che porta il suo nome, come dicemmo. La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di
La spiegazione più plausibile che suol darsi della Chimera è questa : che invece di essere un mostro fosse un monte ignivom
genere di pesci, notabili per la forma mostruosa della loro testa, e che son classati come appartenenti alla famiglia degl
e, inverisimile, impossibile ; e così dicasi dell’aggettivo chimerico che ne deriva55. Anzi sulla base o radicale di questa
i trovano registrati nei nostri Vocabolari. Questo stesso significato che suol darsi comunemente alla parola chimera dimost
o significato che suol darsi comunemente alla parola chimera dimostra che di tutte le cose favolose ond’ è piena la Mitolog
anissimo accozzo animalesco ond’ è composto questo mostro56. Quindi è che anco nelle Belle Arti è raro il trovar dipinta o
qual fu immaginata ed eseguita dagli antichi Etruschi. 52. Quindi è che i Latini chiamavano con perifrasi mitologica Bell
amavano con perifrasi mitologica Bellorophonteus morbus l’ipocondria, che altrimenti direbbesi ægritudo. 53. Troviamo anch
viamo anche nella Bibbia un fatto simile, dove si parla delle lettere che il re David consegnò ad Uria marito di Betsabea p
coli barbari del Medio Evo i così detti Giudizi di Dio, pretendendosi che la Divinità dovesse sempre intervenire a dar la v
tata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso. Il duello che usa tuttora è un avanzo dei secoli barbari, e fa
iltà moderna. 55. Anche i poeti latini, quando volevano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno
vano significare che una cosa era impossibile o incredibile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prim
bile, o almeno che essi la stimavano tale, dicevano : « Crederò prima che esista la Chimera. » Cosi, per esempio, Ovidio ne
53 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308
non solo etimologicamente, ma pur anco per certe speciali condizioni, che converrà prima di tutto accennare. Semidei, paro
Achille e di Enea. Indigeti è parola di etimologia tutta latina, sia che debbasi interpretare inde geniti, o in diis agent
di Semidei, non v’è compresa per altro come necessaria la condizione che uno dei genitori debba essere una Divinità. Quind
più spirabil aere, e diamo uno sguardo fugace alla remota Età eroica, che spunta fra le caligini mitologiche e si estende s
il Romagnosi (e si può aggiungere anche di quella del Cristianesimo), che aiutarono e sollecitarono il risorgimento, ritorn
ssima ; e da quei fatti leggendarii s’informarono i poemi romanzeschi che ammettono prodigii non meno strani di quelli dell
e ammettono prodigii non meno strani di quelli dell’Odissea. Spiacemi che il mio umile assunto e lo scopo principale a cui
ger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più ne abbisognano ; ma ho voluto premetter quest
brevi cenni per far conoscer la necessità di studiare i tempi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Stor
pi eroici, che sono come il Medio Evo fra la Mitologia e la Storia, e che perciò hanno la stessa importanza per le origini
hanno la stessa importanza per le origini storiche dei popoli antichi che il Medio Evo per le origini della moderna civil s
o al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la spedizione navale che fece Giasone in Ponto, il proseguimento con la gu
oseguimento con la guerra Troiana e il fine con gli error degli Eroi, che vanno a terminare nel ritorno di Ulisse in Itaca.
almeno in qual ordine di tempo vissero gli eroi più antichi di quelli che presero parte attiva nella guerra di Troia. E a f
elebri imprese a cui intervennero quasi tutti gli Eroi contemporanei, che i Mitologi ed i Poeti si son dati cura di ramment
in una son nominati i padri e nell’altra i figli ; e di qualche eroe che intervenne a più d’una è detto in quale di esse e
tto in quale di esse egli era più giovane, in quale più vecchio : dal che deducesi senza tema di errare l’ordine cronologic
errare l’ordine cronologico di quelle imprese. Inoltre di quegli Eroi che non son rammentati o compresi in nessuna di quell
che non son rammentati o compresi in nessuna di quelle spedizioni, e che pure compierono memorabili gesta, separatamente n
separatamente narrate dai Mitologi, dobbiamo ragionevolmente indurne che fossero anche più antichi del tempo in cui avvenn
nciare la narrazione dei tempi eroici. Degli altri dirò a mano a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e
a mano che toccherà la lor volta per ordine cronologico ; e di quelli che si trovarono insieme in una data spedizione prima
Capitolo convien fare un’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria,
n’altra osservazione generale ; ed è questa : che attribuendosi oltre che una forza straordinaria, anche una lunghissima vi
ndo le moderne tavole di Statistica ; e basta soltanto il sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei
sapere quel che dice Omero del Pilio Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di par
o Nestore, il più vecchio dei Duci che andarono alla guerra di Troia, che cioè « Di parlanti con lui nati e cresciuti. « N
la Terra : quindi Eroe, secondo Servio, corrisponderebbe a Indigete, che abbiamo detto di sopra significare indes genitus
rivano da Aer, e fanno così corrisponder gli Eroi ai Genii dell’aria, che nel Medio Evo furon chiamati spiriti folletti. (A
d esser sinonimi Eroi e Semidei. 46. Vedasi l’epigramma del Giusti, che ha per titolo : Il Poeta e gli Eroi da poltrona.
54 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289
i poeti inventarono le Divinità delle fonti, tanto più è presumibile che non avranno mancato d’immaginare gli Dei dei Fium
li presero dalla Geografia, vale a dire adottarono quegli stessi nomi che avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. Suppos
stessi nomi che avevano i diversi fiumi nei diversi paesi. Supposero che questi Dei abitassero negli antri donde usciva la
me, la quale chiamavasi poeticamente il capo. Tibullo si maravigliava che il Padre Nilo nascondesse il suo capo in ignote t
a ben bene, dopo circa 2000 anni, a levarsi questa curiosità : sembra che il Padre Nilo si diverta a far capolino tra i mon
i dà premura di presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « ….. che già vecchio al volto « Sembrava. Avea di pioppo o
del Tevere ha detto Virgilio, o ancora delle fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che son
fronde di quegli alberi che più facilmente vegetano sulle sue rive, o che sono particolari alla regione nella quale scorre
sempio, essendosi invaghito della Ninfa Aretusa 29 (cangiata in fonte che scorrevà sotto terra nella Sicilia presso Siracus
I fiumi poi della Troade eran piccini, ma furiosi. Omero ci racconta che il fiume Xanto (chiamato altrimenti lo Scamandro
ti lo Scamandro 31, nel tempo della guerra di Troia vedendo le stragi che Achille faceva dei Troiani, congiurò col Simoenta
piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alcuno, non sarà discaro il se
il fratello Simoenta ; e poi quanto fu grande lo sgomento di Achille che disperatamente si lamentava, e pietosamente si ra
disperatamente si lamentava, e pietosamente si raccomandava agli Dei che lo salvassero. Nel libro xxi dell’ Iliade (trad.
ssi, « E con fracasso ruotali nel petto « Di questo immane guastator, che tenta « Uguagliarsi agli Dei. Ben io t’affermo « 
fermo « Che nè bellezza gli varrà nè forza « Nè quel divin suo scudo, che di limo « Giacerà ricoperto in qualche gorgo « Vo
 Di ghiaia immenso e di pattume intorno « Gli verserò, gli ammasserò, che l’ossa « Gli Achei raccorne non potran : cotanta
e l’ossa « Gli Achei raccorne non potran : cotanta « La belletta sarà che lo nasconda. « Fia questo il suo sepolcro, onde n
a sventura. « Ma nullo ha colpa de’Celesti meco « Quanto la madre mia che di menzogne « Mi lattò, profetando che di Troia «
sti meco « Quanto la madre mia che di menzogne « Mi lattò, profetando che di Troia « Sotto le mura perirei trafitto « Dagli
n forte « D’un altro forte almen l’armi e la vita. « Or vuole il Fato che sommerso io pera « D’oscura morte, ohimè ! come f
dro il Grande per la singolar fortuna di averne per banditore Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica p
re Omero), che non vi sarà spazio a raccontar questa sua unica paura, che trova qui posto più opportuno, parlandosi delle p
s umbrosa tegebat arundo. » (Æneid., viii, v. 32 …) 29. Virgilio che nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e
no sulla superficie di essa. Esempio ne sia nella Spagna la Guadiana, che dopo 50 chilometri di corso dalla sua origine spa
del terreno son chiamate gli occhi della Guadiana. 31. E da notarsi che in Omero si trovano spesso due nomi dati all’iste
e di Vibio, di Plutarco e di altri ; ma Plinio il naturalista afferma che lo Scamandro era un fiume navigabile diverso dal
ro era un fiume navigabile diverso dal Xanto. I moderni Geografi, non che i Letterati e gli Archeologi, per quanto abbiano
tò colmato il loro antico alveo dalle piene, o per fenomeni geologici che abbiano alterato la superficie e la pendenza del
55 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
i o Idolatri. Il titolo poi d’Idolatri (esso pure di greca origine, e che significa adoratori delle immagini sculte o dipin
ore alla lingua e alla letteratura italiana. E qui mi piace avvertire che lo scopo di questo lavoro sulla Mitologia non è g
egare il significato dei miti e delle idee ed espressioni mitologiche che si trovano nei poeti greci, latini ed italiani, e
eci, latini ed italiani, e per conseguenza ancora delle altre nazioni che hanno adottato la Mitologia e il linguaggio dei c
e il linguaggio dei classici greci e latini. Gli studii eruditissimi che ora si fanno da’ filologi germanici sulle origini
lle origini dei miti, potrà dar vita, col tempo, ad una nuova scienza che starà alla Mitologia greca e romana come la Paleo
itologia greca e romana come la Paleontologia alla storia naturale, e che perciò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologic
ò potrà chiamarsi la Paleontologia mitologica. Ma questo non toglierà che sia sempre necessaria la cognizione della Mitolog
aria la cognizione della Mitologia greca e romana, nella guisa stessa che la Paleontologia presuppone ed esige la cognizion
ologi. Inoltre la Mitologia greca e romana è necessaria pure a coloro che non sanno nè le lingue dotte nè le orientali, se
, quantunque cristiano e cattolico e teologo per eccellenza, è quello che nel suo divino linguaggio poetico più sovente si
mitologiche per bene intendere il linguaggio poetico di quei sommi, «  che non saranno senza fama, « Se l’universo pria non
’universo pria non si dissolve. » La Divina Commedia principalmente, che sin dai primi anni della ricuperata indipendenza
parole e tutte le espressioni mitologiche, o allusive alla Mitologia, che si trovano nella Divina Commedia. E quando nel da
l’Ariosto, il Tasso, il Monti e il Foscolo. È da osservarsi peraltro che nè Dante nè gli altri poeti nostri adottarono i p
ci e dei Latini, e invece hanno preferito e trascelto quelli soltanto che racchiudevano le più belle immagini e i più chiar
anto a chi è valente nelle lingue greca e latina. Per tutti gli altri che son principianti o. privi affatto della cognizion
ovano i più degl’italiani e quasi tutte le donne italiane, ho creduto che un libro facile e popolare di cognizioni mitologi
i italiani, ho aggiunto la spiegazione di tutti i termini scientifici che derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà que
e derivano dai vocaboli mitologici. Chi leggerà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la
erà questo libro troverà, che quasi tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moder
tutte le scienze, dall’astronomia che è la più antica, alla geologia che è la più moderna, hanno tratte dai vocaboli mitol
nizione della Mitologia. E poichè oggidì è riconosciuto e voluto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pu
uto, più che dai programmi governativi, dalla sana opinione pubblica, che non debbano andar disgiunti gli stùdii letterarii
gli stùdii letterarii dagli scientifici, nè questi da quelli, confido che il mio tentativo di farne conoscere le molteplici
bba essere stimato affatto privo di pratica utilità. Considerando poi che le Arti Belle non hanno mai cessato da tremila an
più poetiche e leggiadre personificazioni delle idee mitologiche ; e che di tal genere trovansi antichi e moderni capi d’o
chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico, che tanti stranieri richiama dalle più lontane region
56 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
Sole, Orco o Plutone, Bacco, la Terra e la Luna 8. Ma convien notare che tre di questi nomi, cioè il Sole, la Terra e la L
siglieri di Giove ; poichè è avvenuto in tutte le religioni idolatre, che prima si diedero diversi nomi a una stessa divini
e ne fece una sola, amalgamando in essa tutti gli attributi di quelle che anticamente erano distinte9. È questa una osserva
e che anticamente erano distinte9. È questa una osservazione generale che non convien dimenticare, perchè verrà molte volte
ncipali), è necessaria a conoscersi nella Mitologia pel doppio scopo, che da quella si deducono spesso i rapporti di causa
altri figli in gran numero, tra i quali qui noteremo soltanto quelli che furono divinità di prim’ordine, cioè Apollo, Dian
Giove. Il Genio (il cui nome derivava dall’antico verbo latino geno, che significa generare), era detto il Dio della Natur
e studia con attenzione la Mitologia deve certamente recar maraviglia che la Natura non sia considerata tra le divinità di
non sia considerata tra le divinità di prim’ordine. Ed io aggiungerò che raramente trovasi rammentata e rappresentata come
coll’ Abbondanza di tutte le cose naturali. Vedremo però in appresso che essa Natura fu goffamente e bizzarramente simbole
essa Natura fu goffamente e bizzarramente simboleggiata nel Dio Pan ( che in greco significa tutto), Dio secondario e campe
e alla seconda o inferior classe degli Dei. Intanto però è da notarsi che questo termine di Natura è di un uso estesissimo
’ italiana : in greco dicevasi fisis, onde deriva il vocabolo fisica, che perciò è sinonimo di naturale. Quindi scienze fis
distinte parti di studio delle cose naturali10 Ci fa saper Cicerone che gli antichi filosofi consideravano la Natura come
o delle genti, e riconosciuta per diritto civile), dicono francamente che è contro natura 11. Anche i poeti cristiani quand
l’antico significato filosofico. Così Dante nel descrivere i Giganti, che ora fortunatamente più non esistono, dice : « Na
a sua e simili. Di più nella lingua italiana, oltre il verbo naturare che è antico, si è formato modernamante il verbo natu
urare che è antico, si è formato modernamante il verbo naturalizzare, che è stato introdotto ancora nel linguaggio delle no
diversi usi e significati della parola Natura e suoi derivati, credo che sia più utile per la studiosa gioventù, che una e
ra e suoi derivati, credo che sia più utile per la studiosa gioventù, che una eruditissima discussione, a guisa de’più tena
o ci ha trasmesso in due versi latini i nomi dei dodici Dei superiori che formavano il consiglio di Giove. Li riporto per c
ai nomi delle divinità secondarie o inferiori ; e ora a quei pianeti che scuoprono di mano in mano quasi tutti gli anni, e
anni, e qualche volta più d’uno all’ anno, attribuiscono un nome pur che sia ; e qualcuno dei più celebri scienziati, a pr
pianeta ; il qual nome è subito comunicato a tutto l’orbe scientifico che lo registra premurosamente in tutti i suoi period
atteristici e distintivi, ossia con tutti quegli elementi astronomici che furono sino allora osservati e calcolati. 9. Inf
egli antichi mitologi e nella stessa Genealogia Deorum del Boccaccio ( che raccolse tutte le diverse e più disparate opinion
tto nel lib. ii dei Principii di scienza nuova : « Quindi tanti Giovi che fanno maraviglia a’filologi ; perchè ogni nazione
sica generale e di chimica ; la 2ª cominciando dalla storia naturale, che è la descrizione di tutti gli esseri organici ed
57 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14
ta la materia bruta ed informe, supposta esistente nello spazio prima che con essa fosse plasmato il mondo ; e in questo si
fra loro nel caos ; ma divengono pedanterie e freddure le imitazioni che talvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue mod
lvolta s’ incontrano nei poeti delle lingue moderne, ora specialmente che le scienze fisico-chimiche hanno scoperto e perco
scientifici traggono in oggi le più belle immagini quei pochi eletti che hanno intelletto a poetare4. La confusione del Ca
le loro menti circa l’origine del mondo e l’esistenza degli Dei. Dopo che Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima
ine del mondo e l’esistenza degli Dei. Dopo che Esiodo aveva asserito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero
ito che il Caos esisteva prima di tutti gli Dei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli
ei, vennero altri a dire che il Caos stesso era un dio, ed aggiunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed un
giunsero che egli era stato l’ordinatore dell’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che avev
’Universo ; ed una volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e che la sua moglie era la Notte. Dei
volta che lo avevano personificato, dìssero ancora che aveva figli e che la sua moglie era la Notte. Dei figli parleremo i
gli elementi eran confusi e misti. Infatti dice espressamente Ovidio che nel Caos l’aria era priva di luce. Non asserisce
ente Ovidio che nel Caos l’aria era priva di luce. Non asserisce però che il Caos stesso fosse l’ordinatore dei propri elem
stato (quisquis fuit ille deorum) ; e nei Fasti fa dire al dio Giano che gli antichi lo chiamavano il Caos, e che poi si t
i Fasti fa dire al dio Giano che gli antichi lo chiamavano il Caos, e che poi si trasformò in membra e aspetto degni di un
trasformò in membra e aspetto degni di un nume (Fasti, i). Par dunque che gli Antichi ammettessero la generazione spontanea
ono la generazione spontanea di certi insetti ed altri animaluzzi ; e che i mitologi andassero anche più oltre del Darwin e
li Antichi, non già per voler tentare di superarle, ma per dichiarare che sarebbe opera perduta l’affaticarvisi. La sola sp
rinfusa e senza discriminazione, ma quelli soltanto o principalmente, che presentavano una più evidente, o almeno probabile
eologia e dalla Mitologia, dalle Storie sacre e dalle profane. Sembra che voglia dire a chi ha orecchi da intendere : Vedet
e gli Antichi ci hanno trasmesso come in nube molti di quei principii che l’età moderna ci presenta sotto altre forme ! E p
uida ed interpetre dei portati dell’antica sapienza il poeta Virgilio che visse « A tempo degli Dei falsi e bugiardi, » e
ntricato labirinto di questa antichissima erudizione ; e così ciascun che legge potrà seguirmi senza temer fatica o disagio
di sentir poco l’armonia delle parole e del verso italiano quei poeti che invece di caos usano la licenza di scrivere caòss
. le poesie di Giacomo Zanella e di Giovanni Daneo. 5. « Non però che altra cosa desse briga, « Che la notturna tenebra
58 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
generale delle Divinità del Paganesimo (vedi il N. III) fu accennato che gli Dei di 2° ordine eran detti Inferiori o Terre
ata credevano la loro potenza. Abbiamo notato nel principio del N. IV che , ammessi più Dei, nessuno di loro poteva essere o
re più volte, tanto più è presumibile e conseguente per gli altri Dei che furon detti e considerati Inferiori. Agli antichi
are le assurdità della religione degl’Idolatri)1, molte particolarità che non si trovano altrove, perchè le trassero da que
non si trovano altrove, perchè le trassero da quei libri dei Pagani2, che posteriormente furon perduti o distrutti nelle su
i mi basterà rammentare, a proposito di quanto ho accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce che i
o accennato di sopra, che il vescovo d’Ippona (S. Agostino) asserisce che i Pagani erano giunti ad assegnare quattordici Di
tà alla vegetazione del grano. Anzi vi aggiunsero anche un altro Dio, che schiverei di rammentare, se, oltre Lattanzio, non
di render più fertili i terreni col fimo o concime. Plinio asserisce che era questi un re d’Italia deificato per sì utile
e qual fosse l’ufficio di tali Dei. Non dovrà dunque recar maraviglia che il dottissimo Varrone, contemporaneo ed amico di
Dei del Paganesimo, come dicemmo nel N. III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui
tri con quelli d’oro e d’argento adorati dai Simoniaci, e dichiarando che questi Dei son cento volte più numerosi di quelli
a i Simoniaci stessi5 : « Fatto v’avete Dio d’oro e d’argento ; « E che altro è da voi all’ Idolatre6 « Se non ch’egli u
atre6 « Se non ch’egli uno e voi n’orate cento7 ? » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che men
o7 ? » Convinti dunque che il numero degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso
fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi sono sine nomine vu
gustus, Divus Traianus, ecc.). 5. Senza occuparci della distinzione che fanno i canonisti della Simonia a pretio, a preci
a pretio, a precibus, ab obsequio, ci contenteremo della definizione che ne dà l’Alighieri pel 1° capo, cioè per la Simoni
a a pretio : « O Simon Mago, o miseri seguaci, « Che le cose di Dio, che di bontate « Deono essere spose, e voi rapaci « P
spose, e voi rapaci « Per oro e per argento adulterate, « Or convien che per voi suoni la tromba, « Perocchè nella terza b
6. Chi ha letto almeno una volta tutta la Divina Commedia sa bene che vi si trovano più e diversi latinismi, o vogliam
l pronome egli invece di eglino per troncamento della sillaba finale, che nella metrica latina e greca direbbesi apocope ;
ina e greca direbbesi apocope ; come pure il verbo orate per adorate, che è una licenza poetica chiamata aferesi. 8. I pi
per quanti idoli adorassero i pagani, voi ne adorate cento volte più, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » St
« Che mai non empie la bramosa voglia, « E dopo il pasto ha più fame che pria. »
59 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-
i create da Dio, come il sole dal quale riceviamo la benefica luce, e che feconda le campagne. Poi deificarono per gratitud
ce, e che feconda le campagne. Poi deificarono per gratitudine coloro che li seppero governare, che fecero buone leggi, che
gne. Poi deificarono per gratitudine coloro che li seppero governare, che fecero buone leggi, che assicurarono la pace ed a
gratitudine coloro che li seppero governare, che fecero buone leggi, che assicurarono la pace ed aumentarono l’incivilimen
i o scellerati ministri delle loro prepotenze e dei loro vizj. È noto che Alessandro il grande, non contento dei magnifici
e, non contento dei magnifici funerali pel suo amico Efestione, volle che gli fosser fatti onori divini ; laonde gli consac
no starnuto, da uno strepito insolito, da un incendio, da una candela che si spengesse senza motivo apparente, da un topo c
o, da una candela che si spengesse senza motivo apparente, da un topo che rodesse i mobili, dall’incontro di una serpe, di
esagi dal volere dei principi, dei legislatori o dei faziosi, secondo che ad essi premeva che il popolo fosse animato a spe
principi, dei legislatori o dei faziosi, secondo che ad essi premeva che il popolo fosse animato a sperare o a disperar d’
rarsi senza ridere l’uno dell’altro. » Ma il volgo ignorante e coloro che ci trovavano il proprio conto mantennero per lung
mantennero per lungo tempo siffatte puerili e dannose superstizioni, che non sono ancora del tutto distrutte, benchè non s
sono ancora del tutto distrutte, benchè non sussista più la religione che le aveva consentite. Tanto è vero che è più facil
è non sussista più la religione che le aveva consentite. Tanto è vero che è più facile perpetuare dieci errori o dieci preg
to è vero che è più facile perpetuare dieci errori o dieci pregiudizi che stabilire una verità ! V. Feciali, sacerdoti roma
ci pregiudizi che stabilire una verità ! V. Feciali, sacerdoti romani che avevano ufficj analoghi a quelli dei nostri arald
ù ragguardevole e di capo luogo del Lazio, sì rispetto alla religione che alla politica. Poi furon detti ferie o giorni fer
passava per le strade, un araldo lo precedeva per avvisare gli operai che sospendessero i loro lavori. Aveva il diritto di
loro lavori. Aveva il diritto di accordare sicuro asilo ai colpevoli che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli
lo ai colpevoli che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli che , andando al supplizio, erano da lui incontrati pe
celebrato l’anno 400 av. l’èra crist. in occasione di una pestilenza che devastava Roma e i suoi contorni. Ancorchè la sto
suoi contorni. Ancorchè la storia nol dica, possiamo tener per fermo che il rimedio deve essere stato peggiore del male. I
e consisteva nel predire il destino di un uomo dall’esame delle linee che s’incontrano sulla palma della mano. Con la Negro
una filza di fichi, e non gli permetteva d’ entrare nei templi se non che dopo una eompleta espiazione. XIII. Vittime, osti
io nel quale la vittima veniva interamente consumata dal fuoco, senza che ne restasse alcuna parte per il banchetto dei sac
o tre, poi sci, a detla di Cicerone, e gionsero fino a dieci, secondo che attesla Valerio Massimo. 2. O indovini, così chi
. Cieco doveva sempre essere il povero popolo. 3. Perciò è probabile che il loro nome derivasso da faciendo fœdere. I Feci
60 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24
vinità più potente di Giove Ammessi più Dei, ne vien di conseguenza che nessuno di essi può essere onnipotente, ma ciascu
o. Non deve dunque recar maraviglia, leggendo il titolo soprascritto, che vi sia nel Politeismo una divinità più potente di
scritto, che vi sia nel Politeismo una divinità più potente di Giove, che pure è conosciuto comunemente come il supremo dei
e delle umane vicende. Non v’è termine nelle lingue moderne europee, che più di questo di Fato o Destino sia comune e freq
pregava o adorava, nè perciò ebbe mai tempii ed offerte. Immaginavano che i suoi decreti, riferibili a tutte le future vice
nazione derivò in filosofia il Fatalismo, il creder cioè e l’asserire che le nostre azioni non sono libere, ossia non dipen
ile e da forza insuperabile del destino, come i fenomeni fisici. Onde che con questo sistema (adottato dai Turchi come prin
egare liberamente il suo assenso ; e sotto questo rapporto suol dirsi che si può esser liberi anche nella schiavitù. Perciò
ar suo il libero volere in questi splendidi versi : « Lo maggior don che Dio per sua larghezza « Fesse creando, e alla sua
o lo stesso argomento aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta i
ta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. « Onde pognam che di necessitate « Surga ogni amor che dentro a voi
lasciaro al mondo. « Onde pognam che di necessitate « Surga ogni amor che dentro a voi s’accende, « Di ritenerlo è in voi l
gli uomini a fare o soffrire, perciò fu-creduta una Dea avversa anzi che propizia agli umani desiderii. Quindi Orazio la c
eva gli stessi attributi della Fortuna dei Latini. E poichè credevasi che spesso portasse prosperi eventi, quindi non le ma
i e adoratori, tanto in Grecia quanto in Italia, e in Roma stessa più che altrove. Rappresentavasi come una donna stante in
ribilmente frutti e fiori sopra la Terra, per significar le ricchezze che dispensava ai mortali16. Dante ha fatto poeticame
pagano, e perciò quella dipintura ha tinte più proprie del paganesimo che del cristianesimo. Ma se non è accettabile il con
imo che del cristianesimo. Ma se non è accettabile il concetto pagano che la Fortuna sia un essere soprannaturale esistente
egli angeli (tra le altre prime creature), quando però ivi si afferma che « Colui lo cui saver tutto trascende, (cioè Dio)
sangue « Oltre la difension de’ senni umani, » s’intende facilmente che con questo linguaggio poetico si vogliono signifi
più misero mortale. 14. La parola Fato deriva dal verbo latino fari che significa parlare, pronunziare ; (e la parola ita
unque Fato (in latino fatum, participio del verbo fari) significa ciò che fu pronunziato ossia decretato irrevocabilmente ;
, se l’aritmetica non falla, è cento mila volte più probabile perdere che guadagnare.
61 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496
fetto, come la stessa Minerva dea della Sapienza, della quale dissero che ambì il premio della bellezza, e, non avendolo ot
è perfetto, può egli essere un Dio ? Quegli antichi Romani per altro che tanto fecero maravigliare delle loro morali virtù
oni dei poeti greci e dei latini dell’ultimo secolo della repubblica, che studiarono e imitarono la greca mitologia. Da Tit
e imitarono la greca mitologia. Da Tito Livio e da Cicerone sappiamo che esistevano in Roma sino dai primi secoli della Re
ma facevano parte della religione del popolo, e stavano a dimostrare che quando si stabilì il loro culto pubblico e fintan
nersi della repubblica colla vita di Marco Bruto, si udì la bestemmia che egli per disperato dolore proferì nell’atto di uc
sperato dolore proferì nell’atto di uccidersi : « O Virtù, tu non sei che un nome vano ! » Per lo contrario nei migliori t
contrario nei migliori tempi della Repubblica non troviamo facilmente che fossero eretti tempii e prestato culto pubblico a
mpero sappiamo non solo dagli Storici, ma dai poeti stessi imperiali, che la corruzione avea dal mondo romano bandita ogni
bandita ogni virtù religiosa e civile. Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidi
e. Dicemmo, parlando di Mercurio, che i mercanti romani, secondo quel che afferma Ovidio nei Fasti, pregavano questo Dio a
o e pio per ingannare più facilmente il prossimo suo. Non è noto però che la Dea Laverna avesse un pubblico tempio in Roma 
superiori adoravansi pubblicamente i pregi e le virtù, e non i vizii che erano loro dai mitologi e dai poeti attribuiti. M
tta, era pubblico il culto ; e fu generale tra i Pagani il sentimento che lo ispirava. Nè già si contentavano essi di lasci
d ottenerle e compierle col proprio braccio e co’propri mezzi. Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale
e co’propri mezzi. Vero è che in Roma nel culto pubblico e nel tempio che erale stato eretto, questa Dea fu adorata come fi
rappresentante la giusta vendetta, ossia la punizione di quelle colpe che non cadono sotto la sanzione penale delle comuni
osto alla pubblica vendetta del Popolo Romano per mezzo della guerra, che alle vendette particolari dei privati cittadini.
coli così detti civili, neppure dopo la promulgazione dell’ Evangelio che santificò il perdono e l’oblio delle offese. Di t
resentate per mezzo di figure umane accompagnate da oggetti simbolici che ne suggeriscono il significato ed il nome, senza
o vesti o dei loro ornamenti. E se nei pubblici monumenti non vedonsi che personificazioni di Virtù e di novelli pregi deri
icati i Vizii del loro secolo ; e basterà per tutti citare il Giusti, che ci rappresentò quelli predominanti a tempo suo (c
62 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499
o da quelle degl’Imperatori romani. Infatti in Grecia richiedevasi 1° che l’eroe da considerarsi come un Dio fosse figlio d
come un Dio fosse figlio di una Divinità o per padre o per madre ; 2° che vivendo avesse compiute imprese straordinarie per
rese straordinarie per valore o per ingegno a prò dell’umanità ; e 3° che solo dopo la morte, e quando in lui si riconosces
i Roma fu deificato soltanto Romolo, ma per gherminella politica dopo che i Senatori lo ebbero segretamente ucciso ; i qual
gretamente ucciso ; i quali non sapendo poi come acquietare il popolo che ricercava il suo re guerriero, gli fecero credere
icercava il suo re guerriero, gli fecero credere per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che
per mezzo di Procolo che fosse assunto in Cielo e divenuto un Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. Il
n Nume, e che bisognasse adorarlo sotto il nome di Quirino. Il popolo che credeva Romolo figlio di Marte, credè facilmente
za della prima ; e il Senato fu ben contento di adorar come Dio colui che non avea potuto tollerar come re. Così cominciò b
el qual tempo il popolo romano divenne conquistatore del mondo, senza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più cele
nza che pensasse mai a deificare alcuno dei suoi più celebri generali che a tanta gloria e potenza lo guidarono. Solamente
io, le apoteosi degli Imperatori e delle Imperatrici non furono altro che solennità comandate dal Principe e servilmente fe
frase nel poema dell’Ariosto adopra Ruggiero, quando per significare che avrebbe ucciso il figlio dell’Imperator Costantin
estesamente non solo da Erodiano, ma ancora da Dione Cassio senatore, che assistè per dovere d’ufficio a quella dell’Impera
la descrizione di tante stupide superstizioni. Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma s
di tante stupide superstizioni. Basti dunque il sapere che si fingeva che l’imperatore non fosse morto, ma soltanto malato 
infermo (vale a dire la statua di lui) e uscivano dicendo ogni giorno che l’imperatore andava sempre peggiorando. Intanto s
all’ultimo piano, vedevasi volar via da quello un’aquila, e dicevasi che l’augel di Giove portava in Cielo e nel consesso
evano in cenere tutto l’edifizio, e consumavano inutilmente un tesoro che avrebbe potuto alleviar le miserie di molte migli
diverse ; in ciascuna delle quali vedesi un’ara ardente ed un’aquila che ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola C
uila che ergesi a volo, ed inoltre vi si legge la parola Consecratio, che era il termine officiale latino significante l’ap
63 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27
Prisca avi di Giove Dal prospetto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e che loro figli furono
petto genealogico del N° III sappiamo che Urano sposò Vesta Prisca, e che loro figli furono Titano, Saturno e Cibele. Poich
iglio del Giorno e dell’Aria indica l’opinione degli antichi mitologi che il Cielo fosse composto di questi due più leggier
sfere di solido cristallo negli spazii del cielo. Anzi potrebbe dirsi che avessero gli Antichi quasi indovinate le moderne
li oggetti e i fenomeni dell’Universo, e primo d’ogni altro il Cielo, che perciò fu detto il più antico degli Dei. Personif
no al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il nome di Estia, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, se
a, che dai Latini fu cangiato in Vesta, significante, secondo Ovidio, che di sua forza sta, alludendosi in ambedue le lingu
re eternamente ; ma poichè egli aveva più figli, supposero i mitologi che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. Cr
che gli fosse piaciuto abdicare in favore di essi. Credendo per altro che esistesse anche in Cielo il diritto di primogenit
Titano. Fu nonostante convenuto, ad istanza della madre Vesta Prisca, che regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltan
isca, che regnasse Saturno ; ma Titano vi acconsentì soltanto a patto che Saturno non allevasse figli maschi, intendendo di
allevasse figli maschi, intendendo di riserbarsi, non meno di diritto che di fatto, aperta la strada al trono o per sè o pe
a sfera stellata e di adornarlo di nuove stelle. I moderni astronomi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche l
mi, che seguendo il sistema Copernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, dieder
a scoperto da Herschel nel 1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema
lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono il nome del
scoperto da Olbers nel marzo del 1807 : ma poichè il segno simbolico che nelle carte uranografiche rappresenta questo pian
ta questo pianeta è un’ara sormontata da viva fiamma, convien dedurne che gli astronomi abbiano inteso di rappresentar Vest
omi abbiano inteso di rappresentar Vesta giovane, Dea del fuoco, anzi che Vesta Prisca moglie di Urano. 17. « Nectar et
64 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393
Inaco, oriundo di Fenicia o d’Egitto, conduce una colonia nel paese che poi fu detto Argolide. — Molte fondazioni furo
orse a significare la crudeltà di siffatti sacrifizj, i poeti narrano che fu trasformato in lupo. — Io, sua figlia, rapi
o. 1764. Diluvio d’Ogige, re dell’Attica e della Beozia. Credesi che questo diluvio fosse un’inondazione prodotta dall
ago Copaide. Anche ai tempi di Silla era celebrata in Atene una festa che ricordava questo fatto. 1582. Cecrope, d’origi
tteo, successore d’Ogige. Fabbrica una piccola città, detta Cecropia, che fu poi l’Acropoli (città alta). Quindi le dodici
ecropia, che fu poi l’Acropoli (città alta). Quindi le dodici borgate che Teseo riuni in una sola città, col nome d’Atene. 
ove (vedi la favola), conduce una colonia nella Beozia, fonda Cadmea, che fu poi la cittadella di Tebe ; introduce in Greci
lione, figlio di Prometeo, re di Tessaglia. Una terribili inondazione che devastò le sue terre fu l’origine di questo diluv
dei quattro popoli principali della Grecia, e ne scacciano i Pelasgi che riparano nelle isole e nell’Italia. Doro diè orig
in memoria delle savie leggi date ai mortali da Cerere. Altri dicono che questa festa fu istituita nell’Attica. — Il vasce
la favola.) — Ercole o Alcide. Le sue dodici fatiche, ec. Credesi che la vita di Sansone abbia dato la idea delle prode
uesta epoca, fino da tempi antichissimi, l’Italia è abitata da popoli che forse precederono la stessa Grecia nella coltura 
re di Corinto sono Efira sorella d’Inaco, Maratone, Corinto, Polibio che accolse Edipo bambino, Creonte, appo cui rifugiar
o Sisifo, figlio di Deucalione (altri dice d’Eolo), capo dei Sisifidi che tennero lo stato finché non furono cacciati dai P
ne, d’Ornea, di Corinto, ec. condotti da Agamennone, capitano supremo che aveva 100 navi ; di Lacedemoni, condotti da Menel
Licii con Sarpedonte e Glauco, i Traci con Piroo ed Acamante. Dicesi che questa guerra costasse ai Greci 800,000 uomini ed
llo smalto. 157. Gli storici congetturano, con molto fondamento, che questo Menete sia lo stesso che Misraim, figlio d
i congetturano, con molto fondamento, che questo Menete sia lo stesso che Misraim, figlio di Cam. Altri pone il suo regno i
assegna il 2180 allo stabilimento dei Pelasgi in Grecia. 160. Sembra che il padre delle famiglie, che andarono ad abitare
ento dei Pelasgi in Grecia. 160. Sembra che il padre delle famiglie, che andarono ad abitare la Grecia ai tempi della disp
65 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492
LXVI Osservazioni generali sulle Apoteosi Quei Mitologi che presero l’assunto di spiegare i miti della Religi
zioni, si trovaron costretti di aggiungere nelle loro opere una parte che trattasse dell’Apoteòsi delle Virtù e dei Vizii.
e trattasse dell’Apoteòsi delle Virtù e dei Vizii. Riconobbero dunque che il loro sistema storico non spiegava tutto in Mit
torico non spiegava tutto in Mitologia, e confessarono implicitamente che la massima parte delle Divinità del paganesimo er
erano personificazioni degli affetti dell’animo o buoni o rei. Quella che per essi è parte suppletoria, per me è stata la p
Vico, il quale nel libro ii dei Principii di Scienza Nuova asserisce che i miti son tante Istorie fisiche conservateci dal
l titolo di Panteismo Mitologico, è questo un altro motivo di credere che il sistema da me prescelto sia il più opportuno a
pur anco la religione dei Persiani, come sappiamo dallo Zend-Avesta, che è il loro libro sacro, attribuito a Zoroastro. An
Persiani adoravano come loro Nume supremo il Sole ; e Ovidio ci dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una velo
della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeismo, e fu princip
goffa idolatria fu imitata dagli Ebrei nel deserto col vitello d’oro, che costò la vita, per ordine di Mosè, a tante miglia
ateria cosmica), se ben presto non fosse invalsa l’idea e la credenza che gli astri fossero regolati e diretti nel vero o n
diretti nel vero o nell’apparente lor corso da Esseri soprannaturali che vi presiedevano. Così al feticismo, ossia all’ ap
ri soprannaturali rappresentanti le forze o leggi della Natura fisica che producono il movimento della materia, e che poi f
leggi della Natura fisica che producono il movimento della materia, e che poi furono dette scientificamente di attrazione e
no e s’intenderanno i loro poetici scritti e quelli dei moderni poeti che li imitarono. Ma quando nella pagana religione si
(Il Mementomo.) 167. Chi conosce la Filosofia del Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio c
Gioberti sa bene che quel sistema filosofico è fondato sul principio che l’Ente crea le esistenze. Nel Panteismo mitologic
66 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-
ivilimento ; e perciò ebbero cura di tenerne lungi qualunque elemento che tendesse a viziare la moralità delle azioni, senz
la quale non può esistere vera civiltà. Ma quando la romana costanza che trionfò di tutti gli ostacoli e di tutte le più d
al potere politico e negata l’esistenza stessa degli Dei, presumendo che essi potessero accogliere nel loro numero e nel l
nuova religione del Cristianesimo, perchè dagli ottimi effetti morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la co
morali che quella produceva ne’suoi seguaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegn
guaci inducevasi la convinzione che ottime esser dovessero le massime che essa insegnava. Perciò Dante fa dire al poeta Sta
n li perseguette, « Senza mio lagrimar non fur lor pianti. « E mentre che di là per me si stette, « Io gli sovvenni, e lor
usse alla stessa conseguenza di farsi Cristiani tutti quei politeisti che non erano affatto privi del lume della ragione ;
falsi Dei furono gli abitanti delle campagne e dei villaggi o borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato
borghi, che in latino chiamavansi pagani (aggettivo derivato da pagus che significa borgo o villaggio), e perciò il politei
divenne poi, tanto in prosa quanto in poesia, più comune e più usato che gli altri due di politeismo e di gentilesimo 169.
lo ai più santi precetti di morale univa la principal massima sociale che tutti gli uomini sono eguali, e perciò favoriva e
ed ostinati contadini cominciarono ad apprezzare se non la sublimità, che non potevano intendere, almeno l’utilità di quest
lesiastici i politeisti son detti ancora Ethnici e Gentiles, vocaboli che sono sinonimi, il primo in greco e il secondo in
secondo in latino ; onde è derivata in italiano la parola gentilesimo che si può usare indifferentemente per paganesimo ; m
ficati : uno più usato e comune invece di cortesi ; e l’altro legale, che sta ad indicare le persone della stessa famiglia,
siderandoli come componenti una sola famiglia per gl’interessi comuni che avevano) quando egli disse all’ Imperatore Albert
67 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254
logo Abbiamo veduto, parlando sin qui degli Dei Superiori soltanto, che la cognizione della Mitologia greca e romana è lo
iose, politiche e scientifiche dei due più celebri popoli dell’Europa che fenno le antiche leggi e furon sì civili, e della
strane, essi forse potrebbero dir come Dante : « Mirate la dottrina che s’asconde « Sotto ’l velame degli versi strani. »
logiche degli antichi Pagani ; e facendo tesoro delle interpretazioni che hanno date alle medesime, non solo i nostri poeti
era eterna, il Caos era un Dio, ed erano Divinità anche gli elementi che lo componevano, cioè il Fuoco ossia la Luce, l’Ar
a Luce, era una Dea ; e tutti questi Dei e Dee avevano figli e figlie che erano altrettante Divinità ; le quali venivano a
quali venivano a rappresentare i diversi effetti o fenomeni speciali, che , secondo le antiche idee (vere o false che fosser
fetti o fenomeni speciali, che, secondo le antiche idee (vere o false che fossero), dalla combinazione di quei principali e
mine la causa vera di questo fenomeno ; e così di tante altre. Oggidì che hanno sì gran credito gli studii preistorici sugl
arsi meno importante lo studio intorno alle origini delle idee morali che ebbero tanta efficacia sulla civiltà greca e roma
incarnate negli uomini dalle Divinità per mezzo di matrimonii misti, che danno origine ai Semidei ed agli Eroi ; e questi
ncipiente civiltà e della loro storia nazionale. Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia
la loro storia nazionale. Passata quest’epoca, che è la più poetica e che ha dato origine e materia ai più celebri poemi ep
r anco dei vizii, e si termina con l’apoteosi degl’Imperatori romani, che fu l’ultimo anelito del Paganesimo. fine della p
68 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -
o del dicembre 1873 della Nuova Antologia. Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mi
al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutte le altre parole che ora vi si leggono ; e non si contentò di dirmelo
oi rese noto pubblicamente nel detto fascicolo della Nuova Antologia, che egli mi suggeriva di adottare il soprascritto tit
tampa di questa Mitologia ad un editore milanese con una sua lettera, che egli, abbondando meco di cortesia, mi mandò perch
benevole e squisite espressioni mi scriveva : Vegga se questa lettera che io scriverei, possa correre. E la lettera correva
o per copia conforme : « Il saggio di Mitologia in uso delle Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compi
e Scuole, che sotto fascia le mando, è parte di un lavoro compiuto, e che da esperti nell’insegnare ebbe lode ; e io, propo
signor Barbèra credette utile farsi editore. Ella, signore, proponga che condizioni farebbe per il diritto a certo termine
mmasèo mi consigliò di stamparlo l’anno appresso per associazione. Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto
Il che ora io vo tentando di fare col presente Manifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che
nifesto ; e confido che gl’illustri Direttori e gli egregi Insegnanti che hanno favorevolmente accolti e adottati nelle lor
i ed ai loro amici la soscrizione a questa Mitologia ; la quale spero che possa esser utile non solo agli scolari, ma ancor
li scolari, ma ancora ad ogni colta persona, poichè voile il Tommasèo che cosi fosse detto nel titolo della medesima. C. P
69 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30
pietose frodi della sua moglie Cibele. Convien sapere prima di tutto che Saturno era considerato come il Dio del Tempo, e
iderato come il Dio del Tempo, e perciò in greco chiamavasi Cronos 21 che appunto significa tempo. Questa notizia ci sarà u
Questa notizia ci sarà utile per la spiegazione di alcuni strani miti che a lui si riferiscono per tale attributo ed uffici
fratello maggiore Titano, di non allevar cioè figli maschi, il primo che gli nacque da sua moglie Cibele, lo divorò. Il qu
glie Cibele, lo divorò. Il qual fatto, inteso letteralmente, è peggio che bestiale, poichè anche le bestie allevano ed aman
loro prole. Ma questo racconto è un mito, ossia un simbolo del Tempo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamen
mpo che produce e distrugge tutte le cose ; e politicamente significa che l’ambizione del regno fa porre in non cale e viol
incoli del sangue22. Cibele dipoi, per salvare gli altri figli maschi che nacquero in appresso, li mandò nascostamente nell
di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra che gli fece presentare invece di ciascun neonato. Sa
rebbe spiegarsi come un simbolo della forza distruggitrice del tempo, che logora, come dice Ovidio, pur anco le dure selci
prodotti della natura (feti) 24), quei mitologi i quali ci raccontano che quella pietra divorata da Saturno, e da lui non b
amanta terit. » (Ovid., Epist.) 24. Feto deriva dal latino foetus che significa parto, frutto, prodotto. 25. « Mori
70 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2
la quinta edizione del Corso di Mitologia dei signori Noël e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblic
e Chapsal, che è stato sempre favorevolmente accolto dal pubblico, e che riesce molto utile nelle scuole. » Il maggior pre
i altri, in grazia della sperimentata bontà del metodo. Ma supponendo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente
ito Pindemonte, Vincenzo Monti, Giuseppe Borghi ec. Così possiam dire che il nostro libro comprenda una specie d’Antologia
lettura, eccitando i giovinetti a ricavare utili avvertimenti da ciò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità gio
ò che per lo più era di solo pascolo alla curiosità giovanile. È noto che molta dell’ antica sapienza civile e politica è r
dattato all’età de’ nostri lettori. Bensì abbiamo avuto cura, per ciò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune i
ò che alla moralità si riferisce, d’aggiungere alcune interpretazioni che non ci parvero troppo superiori all’ intelligenza
superiori all’ intelligenza comune. » Ora, per aderire alle ricerche che ne vengono fatte, ristampiamo il Corso di Mitolog
71 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -
Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercato rendere anche migliore delle altr
le quali si riferiscono le favole ; e principalmente in un’ Appendice che contiene varj ragionamenti d’illustri scrittori c
one delle favole assurde, strane, spesso immorali, per lo più oscure, che sovrabbondavano nella falsa credenza dei gentili,
giunta affatto dalla storia dei tempi antichi, a poco più può servire che ad agevolare l’intelligenza dei Classici ed a spi
ed a spiegare i monumenti d’arte dei Greci e dei Romani. Ma a volere che sia parte proficua della storia dell’umano incivi
olere che sia parte proficua della storia dell’umano incivilimento, e che vada immune da qualsivoglia rischio d’ingenerare
d’ingenerare [ILLISIBLE]nelle menti inesperte dei giovani, è mestieri che la ce[ILLISIBLE]ità dell’idolatria e del politeis
teismo sia posta a confronto della Verità Divina del Cristianesimo, e che sia fatto conoscere il passaggio dalla civiltà an
72 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Indice alfabettico. » pp. -424
 — supposizioni degli antiquarj intorno a questo Nume, e diversi nomi che egli ebbe, 159. Balder, 743. Batto, trasformato i
358, 465, 466. Chirone, celebre Centauro, 100, 430, 536. Ciane, Ninfa che s’oppose al ratto di Proserpina, 53. Cibele. Sua
eria, Italia, 610. Esperidi (le tre sorelle). Ercole uccide il mostro che custodiva l’ingresso del loro giardino, 382. Espe
165, 166 ; — trasforma Batto in pietra di paragone, 167 ; — varj nomi che egli ebbe, 168 ; — pluralità di Mercuri, 169. Met
va, 269. Pandione, re d’Atene, 634. Pandora. Sua origine, 72 ; — dono che le fece Giove, 73 ; — sposa Epimeteo, ivi. Pane,
ta all’assedio di Troja, 570 ; — scampa da Polifemo, 573 ; — tempesta che distrugge gran parte della sua flotta, 574 ; — si
Zeto, figlio d’Antiope e di Giove, 74. Zodiaco. Spiegazione dei segni che lo compongono, 676 e seg. Zoroastro, legislatore
73 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10
elle varie religioni1. Per altro si è creduto e si crede generalmente che sotto la forma delle più strane invenzioni miraco
i, od anche perseguitati, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta.
i, va in oggi a poco a poco cedendo il campo allo studio dei problemi che sulla Cosmogonia si propongono di risolvere le sc
si alquanto, considerando il principio generale da essi riconosciuto, che la materia fosse eterna, cioè fosse sempre esisti
74 (1895) The youth’s dictionary of mythology for boys and girls
d. “What chain can hold this varying Proteus fast?” Budgell. Psy′ che [Psyche]. The wife of Cupid. The name is Greek, s
75 (1898) Classic myths in english literature
m′a-the, 129, 138. Pseu′do-Musæ′us, Com. § 96; see under Musæus. Psy′ che , myth of, 152-161; extracts from William Morris’
hers, the story of, analogy of incident, Com. § 94. Tya′nean, 106. Ty′ che ; see Fortuna. Ty′deus, 273, 287; Com. § 148. Tydi
76 (1909) The myths of Greece and Rome
of the deep, 132, 133; Menelaus consults, 299; significance, 344 Psy′ che . Fair princess loved by Cupid; the emblem of the
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