ggiando talora con voi nelle vie di cotesta veramente italiana città,
al
mio cuore carissima e dai buoni venerata, nella c
olta apparecchiare, per dirlo con modo dell’ Alighieri, grazioso loco
al
nome vostro. Ottobre 1871. Corrado Gargiolli .
infatti agli annali di tutte le genti che agli astri, e specialmente
al
sole ed alla luna, fu tributato il primo omaggio
de e si rinnova, il vincitor delle tenebre, la vera sede di Dio, che,
al
dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. Ma co
gli istitutori dei popoli idolatri, che utili cose vollero persuadere
al
volgo, il fingere d’aver commercio cogli Dei; e l
e l’opportunità di ripetere col divino Alighieri; « Che chi pensasse
al
poderoso tema, E all’omero mortai che se ne carca
le in cui i Greci, aiutati dal tradimento e dalla fortuna, adeguarono
al
suolo l’altezza di Troia convertita in cenere e c
Longino con degno paragone si espresse) se nell’Iliade egli è simile
al
sole quando nel mezzo del giorno riempie di sua l
, che sdegnando trattare argomento mortale, dagli abissi si alzò sino
al
cielo, sentiva farsi maggiore, e più terribili na
si riunirono coU’aria; le nuvole si urtarono fra loro, e vita diedero
al
folgore, il di cui tuono riscosse gli animali rag
ui nature erano in sieme confuse. Separatesi, il mondo si ordinò come
al
presente si scorge. L’aria cominciò a moversi cos
i scorge. L’aria cominciò a moversi costantemente; il foco, alzandosi
al
cielo, per sua natura produsse il rapido circolar
d è il sole l’artefice e l’eccitatore dell’universo. Parve altrimenti
al
dottissimo Cudworth, che mostrò le contradizioni
iccio inventati i nomi degli Dei e confusa la loro genealogia. Altri,
al
contrario, lo difendono da tanto rimprovero, asse
Dei e correggitore dei guasti costumi dei mortali; e se fede si dasse
al
compendio che Timoteo fece della cosmogonia orfic
e, che diede a Saturno; ed egli, insidiando il padre mentre inviavasi
al
letto materno, gli fé’ colla falce quell’ingiuria
zio, l’astuto Prometeo, l’incauto Epimeteo, cagione di lacrime eterne
al
genere umano. Giove fece piombare nell’inferno Me
ed Ercole fatto dio diventò marito di Ebe. La bella Perseide partorì
al
Sole Circe ed Eete, il quale sposando Idia per co
mistà vi risovvenga, E quai cose sofferte: il mio consiglio Vi trasse
al
raggio della cara luce Dal dolore dei lacci e del
to il furor dei piedi eterni Crolla l’Olimpo. La tremenda scossa Fino
al
Tartaro giunge: il capelstio, L’inaudito tumulto,
all’altra parte Volan dardi, cagion di pianto alterno. D’ambo la voce
al
ciel stellato arriva E della zuffa l’ululato; e G
a del dio. Dal cielo Spesso all’Olimpo folgorando move, E dall’Olimpo
al
cielo. Il fulmin vola Col baleno, col tuono, e lo
o: e già la vampa Circonda i fiorii della terra: arriva Già la fiamma
al
divino eter: la luce Del fulmin sacro, che tonand
o la divinità, e sopra a zolle ed informi pietre offrivano sacri fizj
al
padre degli uomini, di cui, al dire di Cicerone,
ed informi pietre offrivano sacri fizj al padre degli uomini, di cui,
al
dire di Cicerone, degno tempio è solamente l’univ
elo; quindi fu comune questa denominazione a tutti i luoghi destinati
al
culto di qualche nume. Si dividevano in più parti
, le di cui tombe bevvero qualche volta umano sangue. Achille offerse
al
troppo vendicato amico quello dei prigionieri Tro
, grato non era il sacrifizio, e sicura la collera dei numi. Infatti,
al
dir di Giovenale, qual’ostia non merita di vivere
a vittima già coll’acqua lievemente spruzzato: si arrecavano in mezzo
al
mistico mormorio dei sacerdoti i sacri coltelli e
tti parte della vittima e il liquore, dono di Bacco, di cui tre volte
al
padre dell’onde fa libazioni il condottiero degli
ll’acque. Nell’orrore della notte, col capo inchinato verso la terra,
al
contrario dell’ ostie offerte ai celesti, scannav
, e perciò il sacrifizio che loro facevasi da quei che scampati erano
al
furore di una malattia chiamavasi lustrazione, o
lenzio sacrificavano gli Esichidi, così detti dal nome di Esico eroe,
al
quale un ariete era prima immolato. Una nera peco
he nel più profondo della notte, quando « Del sonno il peregrin cede
al
desio, E delle porte il vigile custode; E tregua
il peregrin cede al desio, E delle porte il vigile custode; E tregua
al
duolo ancor nel mesto sonno Trova di estinti figl
morti. Il sacrifizio, col quale gli antichi davano autorità maggiore
al
giuramento, vi dirà Omero, tradotto dall’ immorta
dritti D’Achille rispettai, che intatta e pura Io gliela rendo (ella
al
Signore un guardo Volse loquace, indi il chinò):
oquace, indi il chinò): s’io mento. Quante mai pene hanno i spergiuri
al
mondo Piombin sul capo mio. — Disse, e le fauci D
ardirà di riprendere questi tributi, i quali solo seguivano i miseri
al
caro lume della vita rapiti, e contender loro que
ancora i sospiri dell’amore, diceva all’amica infedele: « Io porterò
al
sepolcro della tua sorella corone bagnate dalle m
eofrasto ne dica che una pietra circolare chiudeva la salma destinata
al
rogo. Steril giovenca all’ignudo spirto immolavas
l freddo volto esangue Scalda co’ baci del suo pianto aspersi. Giunto
al
luogo prefìsso, egli in disparte Si trasse alquan
ronca col ferro, e del defunto amico N’empie le mani, e le si accosta
al
petto. Nuovi lai, nuovi pianti: al Re si voglie P
o N’empie le mani, e le si accosta al petto. Nuovi lai, nuovi pianti:
al
Re si voglie Pelide allora, e di riposo e cibo. D
ere edaci Gl’ impeti affrena, e inviolato il rende Del cocchio ostile
al
trascinar; lo copre D’ intorno Apollo d’azzurrina
lo copre D’ intorno Apollo d’azzurrina nube Che gli fa velo incontro
al
Sole, e scudo Ai strali penetrevoli cocenti. Ma i
lebre l’altare che a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in faccia
al
Pelopio ed al tempio di Giunone. Questo, secondo
che a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in faccia al Pelopio ed
al
tempio di Giunone. Questo, secondo il mentovato s
se perchè l’immaginazione dei mortali reputava che così avvicinandosi
al
cielo, giungessero più rapidamente innanzi agli D
sipare le altezze, romper le statue, recidere i boschi, causa perenne
al
popolo ebreo d’idolatria, errore così caro all’um
; la maggior parte di esse ha negli angoli teste di animali. Numerosi
al
pari degli Dei erano gli altari, e Virgilio ci mo
ure nei teatri. Il primo che ivi sorgeva dalla parte destra sacro era
al
dio che si onorava cogli spettacoli; l’altro, all
essi altari, e più dei numi, non perchè tutti gli credessero ascritti
al
concilio dei celesti, ma perchè gli schiavi temer
nsoli, che sul Campidoglio venivano dall’aratro ai trionfi. I Messenj
al
nume signor della guerra facevano sacrifizj detti
, vi racconterà il secondo, che fu di doppio dolore cagione ad Ecuba,
al
pari d’Ilio, splendido documento dell’instabil so
vaghi fanciulli e giovinette gloria del loro sesso, che ministravano
al
sacrificio. Il ministro detto presultore, distrib
ano la vittima, se esser scannata doveva; e se dalla scure atterrata,
al
ministro detto popa consegnavanla che succinto e
nsultar potete le accennate medaglie e i monumenti, mentre io adempio
al
mio scopo venendo a favellare di quei sacrifìzj,
o rege, Arbitro della guerra, ire e consigli Dava ai Troi, stringendo
al
sen canuto Il tenero nipote, e a lui nel volto Do
quando i Greci Ver le navi spingea l’ettorea spada E la face temuta,
al
pargoletto Mostrava il vecchio la paterna guerra:
re acheo Breve è pietà: che già ripete Ulisse Le preci di Calcante, e
al
crudo rito Chiama numi di sangue. Allora, oh vera
acil volgo Che odia e mira i delitti. Ancor di Troia La schiava gente
al
proprio pianto accorsa Era, e vedeva già muta e t
i dell’orrende nozze, Elena, e dolor fìnto ornale il volto, Principio
al
comun pianto. Ogni Troiano Dicea sommessamente: A
lce del morente sole E il raggio, allor che la vicina notte Fa guerra
al
dubbio giorno, e il mesto impero Chiede del mondo
in morir regina. Piangon gli Achivi; gemito sommesso Danno i Frigi, e
al
dolor vietan la voce: Che le lacrime pie son colp
anno i Frigi, e al dolor vietan la voce: Che le lacrime pie son colpa
al
vinto. Troadi, Atto V. Lezione quinta. Dei s
lcuni che questa orribile costumanza avesse principio coli’ idolatria
al
tempo di Saruch nella quinta generazione; e se ci
mmolò la figlia; che i Tiri sacrificarono i figli di Sisifo, persuasi
al
misfatto dall’oracolo di Apollo. Lo stesso autore
i. Oh barbarie ! chiamavasi mistico sacrifizio quando un parto, tolto
al
reciso ventre della madre, ponevasi sugli altari
uando i rei mancavano, stimando far cosa grata agli Dei, discendevano
al
supplizio degl’innocenti. Lo stesso Giove Laziale
l fiore della gioventù; e quel che é più terribile, doveano assistere
al
sacrifizio le madri. Le trombe, i timpani erano d
cendo che coli’ uccisione degli animali si avvezzava alla crudeltà ed
al
sangue il core dei mortali ! Ma quali erano i rit
ano accorse Al sacrificio orrendo. Afi’erra Pirro Quell’innocente, ed
al
funesto altare L’avvicina; ed io presso orale. An
sso orale. Ancora Della memoria tremo; e mesta schiera Delle donzelle
al
duro ufficio elette Le fean triste corona. Il fig
ste corona. Il figlio atroce D’Achille inalza la dorata coppa, E liba
al
padre. Della man col cenno D’impor silenzio all’
n di Agamennone era figlia, e che Elena a lui l’aveva generata quando
al
rapimento fe’ succedere V imeneo, che essa non ar
punto all’innocente e casta Povera verginella in tempo tale Che prima
al
re titol di padre desse; Che tolta dalla man de’
o a gara, E ancor trema e rifugge. Eramo giunti Della figlia di Giove
al
sacro bosco Ed ai floridi prati ove dei Greci Son
ndietro Si pose il manto innanzi agli occhi, e pianse; Ma la donzella
al
re s’accosta, e dice: Eccomi, padre: a te la cara
Ma che? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi, che sicura
al
ferro Offro il collo animoso. — In questi detti F
pinato Era il portento, sì che visto ancora Fede non ottenea. Giaceva
al
suolo Palpitante una cerva, e vasto il corpo E be
unito. Ma di tutte le teste rimaste fu modello il volto di Alcibiade;
al
che allude l’eleofante Ariste lieto in una sua le
indorare la prima statua in Italia, eh’ eresse nel tempio della Pietà
al
padre di lui Glabrione. Nè legge veruna prescrive
lande, doni vi appendeva la superstizione, prodiga tanto, che appena,
al
dire di Stazio, luogo restava ai rami. Tagliarli
ra sacrilegio: pure concesso fu diradarli, propiziando con sacrifizio
al
nume del luogo. Celebri sono nell’antichità i bos
nco estremo Eguale a monte, e la città minaccia; Onde sull’umil plebe
al
re l’inulta Morte è dal loco saettar concesso. D’
e vince Altera querce le minori piante. Di Tantalo i nipoti auspicio
al
regno Qui soglion trarre: qui dei dubbi eventi Ce
’Enomao il cocchio infranto, e stavvi il sangue Del traditore auriga,
al
mar Mirtoo Infamia e nome. Qui stan tutte altere
? Orna gli altari, e le innocenti mani Al tergo avvince: i giovinetti
al
cielo Levan la fronte, che purpurea benda Mestame
di torelli: ahi: tale Atreo Era. Nasconde lo stancato ferro Nel tergo
al
pargoletto: ei cade, e spenge Dell’ara il foco l’
e Vi è perchè scorga il feral cibo, e cessi II felice ignorar, dimora
al
pianto. Seneca, Tieste. Atto IV. Lezione set
io della vittoria futura; perciò volle che sacra gli fosse, e quando,
al
dir di Orazio, l’esperimento fedele in rapire il
nti uccelli le concesse l’impero. Perciò nei monumenti è sempre posta
al
destro lato di Giove, e nel Museo Guarnacci si ve
Briareo. Tanto la sete del regnare poteva ancora negli Dei! Nè bastò
al
sire dell’Olimpo questa vendetta: tolse a Saturno
dagli artigli la folgore eterna. E Tibullo disse ad Apollo, alludendo
al
canto famoso: « Vieni splendido e bello; copriti
alla forza; poiché da Giove fu superato, e sotto l’Etna sepolto; ove,
al
dir dei poeti, ancora minaccia, quando l’immenso
tante, fu opinione degli antichi che il potere di Giove non solamente
al
cielo si limitasse, ma che sul mare e sulla terra
ro Opra del dio Vulcano: in dono il diede A Libia allora che fu sposa
al
nume Scotitor della terra: ella alla nuora Telefu
idi due la rimiravan. Giove Soavemente colla man divina La carezzava:
al
fianco eragli il Nilo, Che con sette onde dà trib
La carezzava: al fianco eragli il Nilo, Che con sette onde dà tributo
al
mare. Tutto d’argento era il niliaco flutto, Oro
Europa alle donzelle, e sola Degna le rose colla man divina Togliere
al
prato. Fra le Grazie apparve Così Vener, dell’ond
l veloce flutto Suonano a nozze la ricurva conca. Con una mano Europa
al
lungo corno S’attien del tauro; coll’altra raccog
amorato chi resiste? Dal primo furto di Giove nacquero le Preci, che,
al
dir d’ Omero, seguono con tardo piede l’ingiuria
di Giove partorì Semole, punita della dimanda superba, poiché celebre
al
pari d’Ercole è Bacco, che empì l’ Oriente e 1’ O
ti. Sia d’esempio Giove quanta incertezza regni nella Mitologia, Tre (
al
dir di Cotta in Cicerone nel suo libro Della Natu
rva come questo tempio era grande quanto quello di Salomone, e minore
al
solo tempio di Belo che in Babilonia sorgeva. Pis
edibili, se s’ignorasse che settecento anni scorsero dalla fondazione
al
compimento. É vanto per l’Italia che Copuzio Roma
corgevausi all’estremità della volta accennata. Correr pareva intorno
al
tempio un cordone, e vi erano affissi ventuno scu
ffissi ventuno scudi aurei, che da Mummie vincitore furono consacrati
al
dio. Con solenne artifìcio effigiata era nella fa
fesa. Sotto due loggie sostenute da due ordini di colonne si arrivava
al
trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, ch
due loggie sostenute da due ordini di colonne si arrivava al trono e
al
simulacro dì Giove, opera di Fidia, che niuno, al
arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, che niuno,
al
dir di Quintiliano, potè emulare; in cui l’oro e
iedi del nume. I gradiniMalla parte anteriore erano ornati di sfìngi;
al
di sotto Apollo e Diana miravansi punire nei figl
dai Fenici: (dono d’Antioco Epifane) si estendeva dalla sommità fino
al
suolo. Sarebbe lungo annoverare gli splendidi don
e’l suo sostegno. Ma come il Sol nell’Ocean si asconde, Argo li gitta
al
collo il laccio indegno. E le sue piume son dove
sa per penna Per far noto quel mal, che sì l’offende; Rompe col piede
al
lito la cotenna Per dritto, per traverso, e in gi
il fende; E tanto e tanto fa, che mostra scritto Il suo caso infelice
al
padre afflitto. Quando il mìsero padre in terra
aso; Figlia, onde il cor per gran duol mi si parte Mentre ch’io penso
al
tuo nefando caso: dolce figlia mia; deh chi t’ha
o ne sperava? Dunque ho da darti per marito un toro? Dunque i vitelli
al
nostro ceppo ignoti, I tuoi figli saranno, e i mi
come ben grato amante, Ch’in sì gran mal l’amata sua s’invecchi; Onde
al
suo figlio e nipote d’Atlante Commette che contr’
nca guarda. Mentre in parte discorre e in parte sogna, E non dà noia
al
discorso il sognare, Col pensier desto di sapere
toccando aggiugne; Sfodra la spada sua lucida e bella, E dove il capo
al
collo si congiugne, Fere, e tronca la testa empia
e ‘1 giorno. Ma la gelosa dea, che gli occhi a terra Chinava spesso
al
suo fido pastore Quando il vide giacer disteso in
urarle il core, Dal morto capo quei cent’ occhi svelle, E fa le penne
al
suo pavon più belle. Empie di gioie la superba c
a. Laddove giunta, prostrata sul lito, Sol col volto e con gli occhi
al
ciel s’eresse, E con un sospirar, con un muggito,
der s’era quella Che esser solca, ma temea non muggire: Apre la bocca
al
dir, poi la suggella Per non udir quel che fuggia
me. Ma tutte queste differenze potrete scorgere mentre io, adempiendo
al
mio scopo, vi tesso il catalogo dei più famosi co
piendo al mio scopo, vi tesso il catalogo dei più famosi cognomi dati
al
figlio di Saturno. Padre, Re, Ottimo, Massimo, fu
ono, onde Giove Vendicatore ebbe adorazioni dai Romani; e da Agrippa,
al
dir di Plinio, il Panteon gli fu consacrato. Muse
uesto nome dalla pelle della capra Amaltea. Del titolo di Patroo dato
al
dio, e della maniera colla quale fìguravasi, vi f
gue degli amici e dei parenti ne abbracciava l’altare che in Olimpia,
al
dir di Pausania, sorgeva. Con somma religione Gio
me che gli dava Dodona, celebre selva, ove le Caonie colombe volando,
al
dir dei poeti, presagivano il futuro. Un equivoco
ce zampogna. Or d’alto vallo Tazio le cinse, e con la fida terra Fece
al
campo corona. Altera Roma, Che fosti allor che la
l tuo Giove, e quando L’aste sabine nel Romano foro, Ove or dai leggi
al
trionfato mondo. Stavano, e le tue mura erano i m
fumante Il destrier di battaglia. All’acque il piede Tarpea volgeva:
al
delicato capo Peso era l’urna, onde libava a Vest
armi diverse e la regal sembianza Tarpea. — Già l’urna che appressava
al
fonte Dall’immemore man le cade: il biondo Crine
er. Sabini, Datemi quel destrier stesso che porge Volontaria la bocca
al
fren beato: Del signor vostro all’amor mio nel ca
acerà la tromba Di guerra, e canterai tu solo Imene, E sparse intorno
al
mio felice letto Giaceran l’armi: ma la quarta vo
patto. Tazio non tardo, i vigilanti cani Occupa colla spada: è tutto
al
sonno In preda. Giove, per la tua vendetta Vegli
modo ascese Chi le fiamme ingannar tentò di Vesta. E fu data la morte
al
tradimento. Properzio , Elegie. Lezione dec
cesse Nacque ad un parto con Giove, ma il timore ma terno non la celò
al
genitore, perchè questi avea patteggiato coi Tita
o i poeti, partorì Marte, supremo danno, e cagione perenne di lacrime
al
genere umano. Gran scusa alla collera di Giunone
arla. Citerone, re dei Plateensi, il più astuto dei mortali, persuase
al
dio di fabbricare un simulacro di legno, e dopo a
nato delle più splendide spoglie collocarlo sopra un carro, spargendo
al
tempo stesso la fama delle sue nozze con Platea f
po. Prestò lede Giunone alla falsa novella: accecata dal furore corse
al
plaustro, si avventò sulla creduta rivale, ed ave
l’inganni: mentre dormiva, Pallade, o Giove secondo altri, le accostò
al
petto Alcide bambino, che succhiò il primo alimen
unone) sentono il più piccolo cangiamento: il secondo, perchè nacque,
al
dir dei Mitologi, dalla morte di Argo, cui fu inu
lente statua quasi colossale dell’altezza di palmi tredici, può farne
al
giusto comprendere tutto il merito. E certamente
che costumanze. Notabile è l’ornamento del capo gentilmente ripiegato
al
dinanzi. Questa specie di corone, dette volgarmen
d’inenarrabile testura. Di portenti fecondo: alle sue fila Invisibili
al
guardo errano intorno Quai susurranti pecchie a’
te. Placido e lento e con soave forza Nè certa men tocca lo spirto, e
al
core Scende e l’allaccia in dolce nodo e saldo L’
la dea: del cinto armata Marte fé’ schiavo, e del monile adorna Vide
al
suo piede il già pentito sposo Chieder gemendo de
a, e checché brami o tenti Certa sii d’ottener. De’ tuoi trionfi Godo
al
par che de’ miei; nè del mio zelo Chieggo mercé:
ci alpestri, Seffsrio eterno di nevi: indi sul dorso Poggia dell’Ida;
al
Gargare sublime Lieta s’avanza, ed improvvisa al
rso Poggia dell’Ida; al Gargare sublime Lieta s’avanza, ed improvvisa
al
guardo S’appresenta di Giove. In lei s’affisa Mut
beltade, Che di dolcezza insolita l’inonda. Quasi dessa non pargli, e
al
par sorpreso Di lei, di se: Tu qui dal ciel? doma
sen divelto Altro mai non m’avria. Non rinfacciarmi Terreni affetti:
al
solo ben del mondo Dati fur quegli amplessi, onde
istesso Che colsi il fior di tua beltà non arsi Di tale ardor; vieni
al
mio sen. — Tacendo Cade la dea fra le sue braccia
di mortai non fìa che turbi Le nostre gioie: inaccessibil velo Anche
al
guardo del sol farà riparo Al tuo vago pudor. — T
Lezione decimaprima. Dei cognomi di Giunone. Moltiplici, quasi
al
pari di quelli di Giove, furono i cognomi che la
Egeria ancora per la stessa ragione era detta. Juga dicevasi, perchè
al
giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che d
si, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che davanti
al
suo altare si univano con un laccio in augurio, r
mia che è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambino che tiene
al
petto. Winkelmann, che il primo ha pubblicato que
la, o ingannata da Giove, come crede Pausania, o persuasa da Pallade,
al
dir di Tzetze. Si aggiunge che il robusto infante
che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal putta che stringe
al
seno. « Ma questa statua, la cui testa per la mae
. Come fui bella io noi dirò: lo vieta Il rossore che grazie accrebbe
al
volto, Onde a mia madre fu genero un dio. Primave
Borea, che ardio Nei talami Erettei la cara preda Portar, strisciando
al
delicato volto La gran barba di nembi umida e gra
del marito i furti Tutti volgea nella sdegnosa mente Per far querela
al
gran padre dei numi. Quando gli stanchi piedi inn
e fra la greggia crebbe il signore dell’ acque. Un destriero offerto
al
padre ne saziò la crudeltà, e ne persuase r ingan
desiderii dello dio. L’impegno di conciliarla alle sue voglie commise
al
delfino, che fortunato nell’impresa n’ ebbe in pr
ra volta ebbe gara con Minerva nell’Areopago per dar nome ad Atene, e
al
dono dell’oliva oppose il destriero, ch’egli il p
ima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìnse il poeta che Nettuno
al
tumulto levasse il capo grazioso fuori del mare,
te sirti aprendo, Sollevò col tridente ed a sé trassele; Poscia sovra
al
suo carro d’ogni intorno Scorrendo lievemente, ov
. 230 e segg. Filostrato nelle Immagini unisce i cavalli e le balene
al
cocchio di Nettuno, che fa ridere il seno del tra
il piede immortai dell’incedente Irato Enosigéo. Tre passi ei fece; E
al
quarto giunse alla sua meta in Ega, Ove d’auro co
E al quarto giunse alla sua meta in Ega, Ove d’auro coruschi in fondo
al
mare Sorgono eccelsi i suoi palagi eterni. Qui ve
suoi palagi eterni. Qui venuto, i veloci oro-criniti. Eripedi cavalli
al
cocchio aggioga. In aura vesta si ravvolge tutta
petto egualmente maestoso e sereno, nè dalla nudità, che ben conviene
al
nume dell’acque senza però esserne un distintivo
e azioni di molti, che ebbero la sventura di un nome comune. Infatti,
al
dire di Cicerone, seguito da Arnobio, quattro, ol
e raggio illuminava la terra quando il potente figlio di Giove arrivò
al
fiume Alfeo, dove in una stalla nascose i bovi da
aia. Ma ad essa, come a dea, tutto era noto; onde rimproverò la frode
al
figliuolo, chiamandolo grande sollecitudine dei m
re del furto dagl’indizii datigli dal vecchio di cui favellammo, volò
al
selvoso monte Cillenio; il giocondo odore che dif
ercurio, che dopo molte frodi e parole andò col Saettante sull’Olimpo
al
tribunale di Giove, che rise vedendo l’accorto fa
suo petaso, o cappello, in una medaglia di Metaponto si vedono legate
al
capo con un semplice nastro, come appunto nel bel
appressando l’ indice della destra alle labbra, possa convenire anche
al
Sonno. Questo gesto è proprio per altro di Mercur
ione Stoschiana illustrata da Winkelmann. Conviene infatti il segreto
al
messaggero dei numi, ma dubito che il nostro marm
è sfuggire alla vista di un vecchio lavoratore dei campi di Onchesto,
al
quale raccomandò con tutta energia che tacesse:
cui si attribuiva il lucro ed il commercio; il quale serve per farlo
al
primo colpo d’occhio conoscere. L’abito è una spe
a egli il suo petaso, o cappello, in capo e tiene la clamide ravvolta
al
braccio sinistro, emblema consueto della sua sped
uate che servono ora di muro alla città. Questo è il piano sottoposto
al
monte ed al tempio della Fortuna Primigenia, che
vono ora di muro alla città. Questo è il piano sottoposto al monte ed
al
tempio della Fortuna Primigenia, che ne abbelliva
zioni, le quali dimostrano evidentemente che spettavano questi avanzi
al
Foro Prenestino, che in una di esse vien menziona
lui, Primamente fermossi: indi calando Si gittò sopra l’onde, e lungi
al
lito Di Libia se n’andò l’aure secando In quella
descrizione di Virgilio si giovò GianBologna nel simulacro del nume,
al
quale un vento è sostegno mentre s accinge al vol
nel simulacro del nume, al quale un vento è sostegno mentre s accinge
al
volo, per cui dal cielo fino agli abissi discende
ndo alcuni dai quattro ritrovati dei quali fé’ ricca l’umana gente; e
al
parer di altri, più probabile, dalla figura della
il nume l’oscuro Licofrone nella Cassandra, forse perchè deità comune
al
cielo alla terra, all’inferno. Così scolpito gli
e Argo custode d’ Io sventurata. Strofeo lo dissero perchè presiedeva
al
giro delle merci, o perchè il suo idolo collocava
Belvedere. « Ecco la prima volta che questa insigne statua comparisce
al
pubblico senza la falsa denominazione che per ben
ession delle membra che palesa l’inventore o il padre della palestra,
al
dir di Filostrato. sua figlia; a lui finalmente è
o proprio, secondo l’osservazione degli antiquarii, il manto ravvolto
al
braccio sinistro, simbolo della sua speditezza ne
o e ridotto a certezza il soggètto della statua Vaticana, aggiungendo
al
peso delle sopraccennate congetture quello gravis
ale opinione nel nome di Adrianello che davasi, ai tempi del Nardini,
al
sito dell’Esquilino dove fu scoperto questo bel m
o ch’ebbe per fondatore Adriano, non potesse appartenere ad altri che
al
suo favorito. « Paolo III la reputò degna di figu
aolo III la reputò degna di figurare nel giardino di Belvedere presso
al
Laocoonte e all’Apollo, e questo giudizio è stato
Gli accrebbe onor la maestà dei mali. Non regie bende. Baciò le mani
al
vincitor tremendo Sparse di sangue, ed ammutir le
e l’arco di Paride contro Achille, di lui solamente minore. Egli, che
al
dire di Orazio, del mentito destriero col timido
o attribuito: conciliano alcuni questa difficoltà, concedendo la lira
al
figlio di Maia, ad Apollo la cetra. Il nume non f
lla giovinetta, cui la fuga accresceva bellezza. Ali dava la speranza
al
primo; il timore alla seconda, cui l’implorata di
a: in fronde i crini, in rami crebbero le braccia, che il dio intorno
al
collo sperava. Trionfò Apollo delli stessi suoi d
pa di lei, onde il padre spietato sotterrò viva la misera, che invano
al
consapevol nume tendeva le braccia. Tentò Apollo
elide membra. Si oppose il Fato alle sue cure; onde cercando compensi
al
suo dolore, convertì la giovinetta in una verga d
ervì per far riconoscere in simile statua il Saurottono di Prassitele
al
celebre Winkelmann mio antecessore. Fece (son le
ino e senza l’arco, la situazione del giovinetto mezzo nascoso dietro
al
tronco, indicata da Plinio colla parola insidiant
i incerto il volto. Molte statue in simile attitudine esistono ancora
al
presente, e sono 1’ attestato della celebrità del
men le leggi Desiate propizie, e la canuta Chioma in lieta vecchiezza
al
vostro capo Troncar volete, e se desio vi prende
hi con dio combatte. Apollo il coro onorerà se canta A senno suo: chi
al
par di lui lo puote. Che siede a destra del gran
i gioventude eterna, E neppur l’ombra di lanugin prima Oltraggio fece
al
delicato volto: Non adipe ha la chioma. Olj odora
. Salvo sia tutto: in varie arti maestro E nume: impera alla faretra,
al
canto, E il poeta e l’arcier ama, e le sorti. Le
vittoria che Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici. Quanto
al
tempio, che oggi sussiste, furono gli Antizioni c
rta che Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro, che diede il suo nome
al
detto luogo, e quello di sua madre ad un altro, c
llo, e le case di molti ricchi particolari. Porse il popolo preghiere
al
nume perchè in tanto pericolo non lo abbandonasse
amente ai vinti, I figli ascosi nel materno seno Con le fiamme rapite
al
frigio rogo Arsi, se Giove, che dei numi è padre.
apo. « Annovererò hrevemente i più considerevoli monumenti consacrati
al
dio. Lasciando le statue dei musici e degli atlet
ammentato, illustre per tre vittorie riportate ai giuochi pitici, due
al
pentatlo, una alla corsa. ma più illustre ancora
di Tene figliastro. Non essendo riescita nella sua passione, l’accusò
al
marito di averla volata violare. Cigno, ingannato
due ferite, una nel capo, l’altra nel pugno. Tutte queste figure sono
al
di sopra di Elena situate. » Questa pittura che
La Diva il vuole. Le prescritte frondi Cingono il crin delle Tebane:
al
cielo Mille salgono a un tempo incensi e voti. Ma
Era tra queste Ismeno, Primo dolor dell’infelice madre, E certo giro
al
corridor prescrive Col freno, e spuma la ribelle
amasittono intonso un colpo solo Non uccise: ferita avea la gamba Ove
al
ginocchio si congiunge: il ferro Trarre volea; ma
gue. Che schizzando rosseggia, e l’aer stride. Ultimo Ilioneo rivolge
al
cielo Le braccia, invano supplicanti, e grida: Pe
ione osi cotanto: Che posto fine il padre avea col brando Alla vita e
al
dolor. Quanto diverso Era, Niobe infelice, il tuo
enza alcuno ordin dispensa Su tutti i figli. Le livide braccia Inalza
al
ciel dall’infelice amplesso, E grida: Del dolor n
fin vedova madre: i mali La irrigidir: non move aura le chiome: Manca
al
volto il colore: i lumi stessi Immoti stanno nell
orghese. Giulio II aveva acquistata la prima avanti la sua assunzione
al
Pontificato, e la teneva a’SS. Apostoli nel suo p
ne al Pontificato, e la teneva a’SS. Apostoli nel suo palazzo. Salito
al
trono, la collocò insieme col Laocoonte nel suo g
na distinta per impieghi e per letteratura, che si è compiaciuta fare
al
pubblico un dono postumo dei suoi scrìtti. Mi con
e l’arte rediviva fra le nazioni moderne ha saputo produrre, ma molto
al
di sotto dell’opere ammirate dalla Grecia. Questa
, sollevato in una piena compiacenza, portasi quasi all’infinito bene
al
di là della sua vittoria. Siede nelle sue labbra
e a teneri pampini scherza quasi agitata da una dolce auretta intorno
al
divino suo capo, in cima a cui sembra con bella p
ea aveva ritenuta l’attitudine principale della Venere Gnidia. Quanto
al
marmo della statua il Visconti dice sostenersi da
tanto Ama Dafne, la mira, e come amante Spera quel che desia; mentono
al
nume Pur gli oracoli suoi. Qual lieve paglia Arde
’afferri. E lei spera tener: suona il deluso Dente: dubita l’altra, e
al
vano morso Quasi presa si toglie. Era lo dio Con
il crine. Crescono in rami le sperate braccia, E il pie già sì veloce
al
suolo è fìsso Con le pigre radici, e copre il vol
uesto solo Sta l’antico decoro. Eppure a Febo Caro è l’arbor novello:
al
tronco accosta La destra, e ancor nella corteccia
acconsente, e quasi capo Scosse l’onor della frondosa cima, Raro dono
al
Poeta, e che di Giove E del fulmine suo l’ire pre
andezza maggiore del naturale, nella Villa Ludovisi. È questa intatta
al
pari di quella, e anco meglio esprime un Apollo b
perfettamente simili: una è quella statua di Belvedere, l’altra unita
al
busto, e affatto intera, sta nella camera dei Con
testa. Le donzelle li tiravano su tutti air intorno del capo, in cima
al
quale annodavangli in guisa che non dovea vedersi
Museo di Ercolano che ha i capelli voltati all’insù, e legati in cima
al
capo come le quattro mentovate teste, a cui pure
può essere considerata egualmente come allegorica, facendo allusione
al
Sole, del quale questo dio è l’imagine: ma senza
carci questo senso bisognava dargli dei capelli di questo colore come
al
più bello dei giovini, poiché questi generalmente
o. Questa critica non può aver luogo, perchè la bella natura ci prova
al
contrario, ed è da presumersi che i Greci avranno
he volta rappresentato nelle medaglie con una patera in mano, e tiene
al
tempo stesso un ramo di mirto, attributo ordinari
ignifica la metamorfosi di questo dio in pesce: può ancora applicarsi
al
creduto amore di questo animale per la musica. Ap
Muse. Nell’aria del volto animato dall’estro, nelle labbra semiaperte
al
canto, nell’abito teatrale che lo copre sino a’ p
, nella cetra che tien sospesa dal lato manco, nel moto delle braccia
al
suono, apparisce un dio che accompagna sulla cetr
a bella statua attorniata dalle altre nove delle Muse, che fan corona
al
loro corifeo, ci rammentiamo di quello scolpito a
mo di quello scolpito a bassorilievo sull’ arca di Cipselo unitamente
al
coro delle nove dee d’Elicona; e i versi che v’er
conservano tuttora con tale impronta, e. ciò che più singolarmente fa
al
nostro proposito si è che la figura di Nerone Cit
scolpita, per così dire, l’immaginazione, sollevata dall’estro quasi
al
vaticinio, è questo coronato dal lauro, pianta co
atori di cetra, e nei pubblici certami di Grecia fìngea assoggettarsi
al
libero giudizio de’ Presidenti dei giuochi per av
lpa in altro cielo Alberghi. Febo con l’allor lusinga La nuova strada
al
suo poeta. musa, Narra del Palatino Apollo il tem
cela dell’Jonia onda il muggito. Or la nave lulea fama è del mare Che
al
pallido nocchier non detta i voti. Qui del mondo
pollo; Delo che sta, vindice il nume, e un giorno Soffiò Noto dinanzi
al
suo furore. Sopra Augusto ristette, e nuova fiamm
ul collo I crini, e della lira il suono inerme; Ma quel sembiante che
al
maggior Atride Rivolse, onde con mille avidi rogh
con mille avidi roghi Vuotò le tende Achee, e i giri immensi Sciolse
al
Pitone, che l’ imbelle Lira Temeva: disse: salvat
ognome, quando per la cara Atene volle profondere la vita esponendosi
al
Minotauro infamia di Creta. Sopra Pachino, promon
discordia sulle cause per le quali Febo si nomina: l’opinione che più
al
vero si avvicina è quella che derivar fa questo n
igliuolo di Pandione, e nel Viaggio a Corinto, dal lupo che sacro era
al
nume, forse, onde la velocità significare. Lucige
del dio per la morte di Anfìarao, reputò di non poter meglio giungere
al
suo scopo che dicendo: « Sarai sempre di Febo ete
che sacri gli erano ne riportavano in premio tripodi di bronzo. Diede
al
dio il nome d’Ismenio il colle Ismene, che sorgev
Filesio chiamarono Apollo dal bacio che diede a Branco fanciullo caro
al
nume, o perchè amabile è la sua luce quando appar
aergo, o Lungi-saettante, sovente è detto da Omero, perchè equiparato
al
sole che da lontano i suoi effetti produce. Pagas
Amicleo lo nomarono ancora da Amicla, luogo nell’agro spartano, dove
al
nume edificato era un tempio insigne per ricchezz
o il mar, che della terra abbraccia Il globo, e il cielo che sovrasta
al
globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi il canoro Tri
di Climene, e vide i tetti Del dubitato padre, e ratto l’orme Drizza
al
volto paterno. Il pie ritenne Lungi, perchè non s
ldi distinto, ed ha velate L’eterne mem.bra di purpurea veste. Stanno
al
lato del nume i mesi, i giorni. Gli anni, i secol
un serto La nuda Estate: dell’Autunno i piedi Tingon le uve calcate;
al
freddo Inverno Le chiome irsute son di neve asper
arte Io mi sostengo, e per contraria forza L’impeto vinco che comanda
al
mondo. Fingiti il cocchio fra i rotanti poli; Pot
gode Trattar con mano le permesse briglie, E rende grazie non volute
al
padre. D’infiammati nitriti empiono il cielo Eto,
a volo Avanzan gli Euri dalla stessa parte Nati. Lieve era il carro,
al
giogo istesso Mancava il peso, onde simile a nave
rro, al giogo istesso Mancava il peso, onde simile a nave Che leggera
al
furor cede dei flutti, Salta il cocchio che par v
sangue. Come legno che Borea ha vinto, e lascia Il pallido nocchiero
al
vento, ai voti, Che si faccia non sa: del ciel gr
terra Si apre: gl’immensi boschi ardon coi monti: Dà materia la messe
al
proprio danno: Le cittadi e le genti in cener sol
o immenso L’autor compensi. Forma voci appena L’arida lingua: intorno
al
crin fumante Volano le faville; il premio è quest
i di levatrice prestasse alla madre, onde differente n’è la patria, e
al
dire dell’innografo conosciuto sotto il nome di O
n loro fiume chiamato Cencrio situato in Ortigia scorgevasi un ulivo,
al
quale la gravida Latona appoggiata, avea partorit
e fu seguita da Eschilo, che chiamò Diana figlia di Cerere, la quale,
al
dire di Pausania, era lo stesso che l’Iside degli
bina, come narra Callimaco, sulle ginocchia del genitore, quando fece
al
padre la prima richiesta, aggiungendovi queste pa
ali e l’arco pieghevole: ma il portare del lume, il cinger vesta fino
al
ginocchio orlata acciò uccida le belve selvagge.
ca, nella quale si narra che questa diva del mare die il suo credemno
al
naufrago Ulisse perchè gii fosse di scampo. Deduc
e statue greche. Diana succinta. « L’abito succinto che appena giunge
al
ginocchio, la faretra appesa agli omeri, l’attitu
d’esser ministra della luce, « E di portar la tunica succinta Sino
al
ginocchio, e debellar le fere. » Le chiome stret
rgeva un monte che di varie belve Macchiò la strage: il sole in mezzo
al
cielo Facea l’ombre minori, allor che chiama L’Ia
a: coU’usato umore Mentre si terge la Titania dea. Il nipote di Cadmo
al
bosco arriva Per ignoto sentier con passi incerti
sco arriva Per ignoto sentier con passi incerti Vagando: così piacque
al
fato. Appena Nell’antro penetrava, al suo conspet
i incerti Vagando: così piacque al fato. Appena Nell’antro penetrava,
al
suo conspetto Si percossero il sen le ninfe ignud
to: D’uomo ha solo il pensier. Rivolge in mente Che risolva? Se torni
al
regio tetto, O fra le selve si nasconda: incerto
servi: dir volea: Fermate, Sono Atteone, conoscete il vostro Signore:
al
suo desio manca la voce: L’aer risuona di latrati
ti; il tergo Melan chete il primier fere coi denti, Oresitrofo quindi
al
manco lato Si avventa, e manca alle ferite il loc
conda. Gesta e simulacri di Diana. « L’animosa fanciulla in mezzo
al
terrore delle compagne, ch’avriano con le mani so
dei tori, alle quali oro splendea dalle corna. Stupefatta così disse
al
suo core: — Questa prima caccia sarà degna di me.
vieta il cingersi di mirto, perchè un ramo di quest’albero si attaccò
al
velo della donzella mentre fuggiva. Fu tua compag
nsorte di Cefalo Peionide amato dall’Aurora. Dicono ancora che tu ami
al
pari delle tue pupille la bella Antidea. « Queste
ilievo della Villa Borghese, queste ninfe tengono i cavalli attaccati
al
carro di Diana, quando discende per dare un bacio
ste ninfe per esser distinte non portino il turcasso sulle spalle, ma
al
fianco, il che non si saprebbe provare cogli anti
al fianco, il che non si saprebbe provare cogli antichi monumenti, ma
al
contrario non si vede in niun luogo le Oreadi col
d’ Ippolito. Lasciata di Trezene avea la porta Ippolito: facea corona
al
cocchio Schiera ch’imita il suo silenzio, e gara
ol freno e colla voce. Ora inchinan la fronte e i mesti lumi Conformi
al
duolo dell’eroe. Dall’onde Quando levossi orribil
lma del pigro aer: gemendo Fin dall’abisso una tremenda voce Risponde
al
grido: a noi ricerca il core Fredda paura; i corr
ce Risponde al grido: a noi ricerca il core Fredda paura; i corridori
al
cielo Tendon le orecchie e i rabbuffati crini. Ec
n sul tergo immenso Montagna d’onde gorgogliando alzarsi: Si appressa
al
lido, e vi si frange, e getta Con infinite spume
e ed indomabil toro Colla coda più volte il mar misura. Freme la riva
al
suo muggito, il cielo Inorridisce e si avvelena,
mma gli ricopre, e fumo, e sangue. Gli trasporta il terror, son sordi
al
freno E alla voce: l’eroe frenarli tenta, E per,
esto riferisce freddamente e con serietà una visione dell’architetto,
al
quale apparve Diana esortandolo a farsi animo: e
no, or del cultore, Pianto maggior, miete i maturi voti; Cade la vite
al
suo marito accanto, E il sempre verde olivo. Infu
dell’Echionio braccio Lo strale, e lieve die ferita il tronco. Tolse
al
tuo dardo, o Pagaseo Giasone, L’ immensa forza il
ale L’incauto Telamon: felice inciampo Fangii esculee radici, e prono
al
suolo Cade: Peleo l’alzò: vibra Tegea Coler saett
l valor crebbe. Volano mille dardi: è l’uno all’altro D’ inciampo, ed
al
disio nuoce la fretta. Quando incontro il suo fat
’oppon frondoso ramo. Yibra un dardo Giasone ancora: il caso Lo porta
al
tergo del fidato cane. Che si volge al signore e
asone ancora: il caso Lo porta al tergo del fidato cane. Che si volge
al
signore e muor latrando. La man di Meleagro ebbe
fili del fatato stame Disser le dive: Egual tempo doniamo Al legno ed
al
fanciul. — Balzò la madre Dal letto, e tolse dal
innanzi all’ara Dei sepolcri si prostra, e dice: dee. Dee della pena,
al
sacrifìcio orrendo Rivolgete la fronte: ecco un d
uolo Col coraggio trionfa: ignobil morte Senza sangue gì’ incresce, e
al
prode Anceo Le felici ferite invidia. Il padre E
fuoco, e langue e pere in un: io spirto Volò nell’aure lievi, e velo
al
ramo Fé’ la bianca favilla. Alzasi un grido In Ca
traggio Fanno, sul freddo corpo i caldi baci Trattengon: dopo il rogo
al
mesto petto L’urna custode della muta polve Si st
ro, ovvero da bovi. Per testimonianza di Festo, anche il mulo univasi
al
carro della diva. Ippolito Pindemonte dice con mo
o templi, ovvero ai diversi attributi che stimavano spettarle. Quanto
al
simulacro ed al culto di Diana Efesina v’ instrui
ai diversi attributi che stimavano spettarle. Quanto al simulacro ed
al
culto di Diana Efesina v’ instruirà Visconti nell
an disco che le contorna tutto il capo non è già un velo, come sembrò
al
Menestrier, ma bensì un nimbo, solito aggiungersi
e sembrò al Menestrier, ma bensì un nimbo, solito aggiungersi intorno
al
volto delle deità. L’orlo rilevato che lo termina
a favola d’ Endimione. Ne’ vani delle fasce è tutta coperta la statua
al
dinanzi di mezze figure d’ animali, capri, tori,
lavorava in argento dei tempietti della dea con una certa somiglianza
al
gran tempio di Efeso, una delle maraviglie del mo
empio di Efeso, una delle maraviglie del mondo, anzi la più stupenda,
al
dire di parecchi autori; costui mosse a tumulto l
che gli corrispondeva. Nelle porte laterali si vedono due candelabri:
al
di sopra sembrano collocati due vasi, e al di sot
si vedono due candelabri: al di sopra sembrano collocati due vasi, e
al
di sotto due volatili con alcune piccole perle. U
stra il citato loco degli Atti Apostolici, e perchè è troppo aderente
al
nostro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto
o stanca i pie veloci. È breve ogni favor: Pv^egnava il sole In mezzo
al
cielo, allor che in denso bosco Cercò le note omb
e tese il lento Arco, gittato sull’erboso suolo; Il dipinto turcasso
al
capo stanco Sottopose. Mirò Giove la ninfa Incust
h men crudel saresti Se la vedessi, o Giuno:); e chi resiste A Giove?
al
cielo vincitor ritorna Il nume, e porta del pudor
Alza gli occhi dal suolo, e non si unisce Qual pria soleva della diva
al
fianco Fra le ninfe primiera. Ammuta; e casta Se
ato rio I piedi estremi, a alle seguaci grida: In questa selva ignota
al
Sol, non temo Occhi profani: col sudor la polve N
corpo ignudo Appar: le pronte mani invano oppose Fra l’attonite ninfe
al
sen materno. Che esclama Ciutia: Dal mio ceto, o
Gli occhi, gridando: Al tuo fallir mancava Che tu feconda colla prole
al
mondo La nostra ingiuria e il disonor di Giove At
peccar cagione, Io ti torrò. - — Disse, e pel crin l’afferra, E prona
al
suol la getta: invan tendea Le supplicanti bracci
o intitolato Hermolimo narra che venuta a contesa con Nettuno, oppose
al
toro, ovvero al fremente cavallo nato dal trident
molimo narra che venuta a contesa con Nettuno, oppose al toro, ovvero
al
fremente cavallo nato dal tridente del nume, la m
e riconoscenza dai mortali che pel dono dell’oliva, il di cui albero,
al
dire di Erodoto, non trovavasi anticamente che pr
più antico stile greco rappresenta Pallade con la sua egida attaccata
al
collo con delle strisele di pelle, e gettata sopr
il braccio sinistro, e fuori dell’azione si trovava sul dorso sospeso
al
colio. Quando Pallade tiene un ramo d’olivo, e qu
di Minerva, forse perchè figlia di Pallante, « Pallade, come Diana (
al
dire di Winkelmann) ha sempre l’aspetto serio, e
simulacro di Minerva Armata ha segni troppo distinti per riconoscervi
al
primo sguardo la dea della Guerra. Ha Telmo in ca
gli Dei tutta armata non respirava che battaglie e stragi. Ha F egida
al
petto, corazza di Giove, fatta dal cuoio della ca
tra dea ch’è del gran padre immago, Arme arme intuona, e dalle spalle
al
suolo Lascia cader lo storiato peplo Dell’ingegno
or pari. Domatrice d’eserciti, e di troni Disperditrice, ove di Giove
al
fianco Lascia la Diva, e a noi scende ministra De
che le consacrò Oreste, assoluto pel di lei voto della pena decretata
al
matricidio, onde colpevole, guidato dalle furie p
alla peste seguito il delitto; e gli abitanti avvertiti dall’oracolo,
al
quale nelle sciagure erano ricorsi, espiarono l’o
ebbe statua nella rocca di Atene, che Pericle le pose facendo credere
al
volgo sempre superstizioso che questa divinità gl
di questo modo di rappresentarla, narrando che Teuti, il quale diede
al
luogo il suo nome, ferì in sì fatta maniera la de
ra erano con tanta sottigliezza ed artifizio lavorati che risuonavano
al
sonar di una cetra. Lo scudo finalmente è rotondo
in gesse lo scudo di Pollade apparisce da Plinio, che lo chiama parma
al
libro xxvi. Gli scudi argolici dei Greci erano di
di cuoio, per cui si porta van gli scudi in tempi più vetusti appesi
al
collo. « La statua di Pallade che presentiamo è i
resentiamo è interessante pel movimento e per l’azione che ci esprime
al
vivo il carattere bellicoso e feroce della vergin
pugna l’asta, colla quale rompe l’ intere squadre d’eroi, contro cui,
al
dire di Omero, si adira la figlia del forte padre
A PACIFERA. « La clamide affibbiata sull’ omero destro, che distingue
al
primo sguardo questa maestosa figura, é stato mot
i orli guerniti di serpi sospenda così il sovrapjosto paludamento: nè
al
certo altra cagione saprei immaginare per un tal
che in Ida venne Alla gran lite del pastor troiano, Nell’Oricalco, o
al
trasparente gorgo Non si specchiò del Simoenta: e
esia solo, Cui la lanugin prima il volto incerto Adombra. Lo condusse
al
sacro fonte Coi cani sete che ogni dire avanza, E
co tornerai? — Parlava, Quando percosse un’improvvisa notte Gli occhi
al
fanciullo: muto muto sta, E le ginocchia gii conf
: Tremende, Che festi? così siete, o dive amiche? Toglieste gii occhi
al
mio fanciullo: o figlio, Figlio infelice: di Mine
i lumi Hai del mio figlio per corvette e damme? — Sì Cariclo dicendo,
al
sen stringeva Con entrambe le mani il caro figlio
i, e di sedere nella nostra conchiglia. — L’autore degli Inni Omerici
al
contrario narra l’aura rugiadosa di Zeffìro, che
Zeffìro, che dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in mezzo
al
mare risonante. L’Ore (e che bel quadro sarebbe m
Dei nella casa paterna. Poiché ogni ornamento ebbero disposto intorno
al
corpo di Venere, la condussero dai numi che gareg
i abbiamo favellato, generata dalla spuma, diede con Mercurio la vita
al
secondo Cupido; la terza, da Giove e da Dionea cr
che spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole che appena nata andasse
al
monte Citerò, da cui di Citerea sortì il cognome,
d Ilio velocemente dirigendosi a traverso le nubi. Giunse prestamente
al
monte Ida ripieno di belve, e mentre s’avviava ve
o non contenuto dalla riverenza che come dea le inspirava, e condusse
al
talamo coperto da pelli d’orse e di leoni di prop
re dei Medici a Firenze è simile alla rosa che esce fuor dalla boccia
al
primo apparir del sole dopo una bella aurora, e p
me la immagino appunto qual dovette per la prima volta ignuda esporsi
al
di lui sguardo. È nella stessa attitudine una Ven
Palazzo Spada in Roma, e fu poscia trasportata in Inghilterra. Venere
al
bagno. « Lo scultore che ha voluto (così il Visco
ume di portare simili abbigliamenti a un solo braccio, e specialmente
al
sinistro, non è taciuto dagli antichi; anzi è ill
an portarsi egualmente ai polsi che nella parte superiore del braccio
al
gomito, nomina espressamente le serpi. Fu rinvenu
sangue Scorre vermiglio sulla bianca carne. Languisce l’occhio sotto
al
morto ciglio; Dal labbro fugge il bel color di ro
tto al morto ciglio; Dal labbro fugge il bel color di rosa, E intorno
al
labbro langue il moribondo Bacio da Vener non las
ecc. Crudel, crudel nel fianco ha piaga Adone, Ma maggior Vener porta
al
cor la piaga. Urlan sopra il garzon gli amici can
il petto, E il costato, che dianzi era di neve, Di porpora era fatto
al
morto Adone. Ahi ahi: Citérea piangon gli Amori.
poso infelice, fuggi. Tu lontan fuggi, Adone, e ad Acheronte Ten vai,
al
crudo e disamabil rege. Ed io vivo infelice, perc
e fiere Perchè serrarsi tanto in dura lotta? — Vener così piangea; ed
al
suo pianto Sospira, e piange il coro degli Amori.
a il tiene Legato sì, che mai non lo discioglie. Pon fine, o Citerea,
al
tuo lamento. Lascia star questo dì conviti e fest
che la straordinaria bellezza della testa di questa statua, superiore
al
resto delle membra, benché non mai disgiunte, e p
vestita, e particolarmente in quella di Venere Vincitrice coli’ armi,
al
rovescio delle monete di Giulio Cesare. La second
dunque ristaurata su questa idea, e le fu aggiunta la palma allusiva
al
suo epiteto di Vincitrice, che in più monumenti s
io virgiliano l’ imitazione di Omero per credere anteriore tal favola
al
latino poeta: sembra piuttosto che gloriandosi la
ltri, che ebbero la sventura di aver seco lui il nome comune, giacché
al
dire di Cicerone, più furono i Vulcani oltre il m
ogliono che fosse educato dalle scimmie, e per la sua deformità tanto
al
padre dispiacesse da essere in Lenno precipitato,
ispiacesse da essere in Lenno precipitato, dove quei pietosi abitanti
al
grato nume prestarono soccorso. Omero però tanta
insegnato agli uomini che abitavano nelle spelonche opere vantaggiose
al
viver civile. Lipari e Sicilia sono le sedi, ove
di furie e di spavento Un cotal misto. Altrove erano intorno Di Marte
al
carro, e le veloci rote Accozzavano insieme, ond’
resentato con l’incudine, le tanaglie e il martello, con l’iscrizione
al
Re dell’Arte; il che si riporta all’arte monetari
Fauni dai quali è accompagnato sopra un basso rilievo che apparteneva
al
cardinale Polignac, hanno fatto nascere con ragio
i, ed Orióne armato, L’Orsa che intorno a se lenta s’avvolge E guarda
al
cacciator, l’Orsa che sola Sdegna lavarsi d’Oceàn
nde e meraviglie e plausi. Ma d’altra parte il popolo frequente Corre
al
fóro in tumulto, ove s’alterca Ai ministri di Tem
sposte: alfin sorgendo Alzan lo scettro, e stendono a vicenda La mano
al
voto: ognun sospeso, incerto Guarda i lor atti, e
r giungesse pastoral masnada, Che di cornuta e di lanuta torma Traeva
al
campo nutritivo aiuto. Gli spensierati villanzon
Gli spensierati villanzon trastullo Lieti prendean di lor zampegne, e
al
varco S’eran già tratti in ripa al fiume: allora
Lieti prendean di lor zampegne, e al varco S’eran già tratti in ripa
al
fiume: allora Sbucan d’agguato i giovini nascosti
e mei soave: Mentre in mezzo un garzon lieve toccando L’arguta cetra,
al
tintinnìo gentile Mesce la voce dilicata; e insie
vivaci salti Percote il suolo alternamente, e i moti Dell’agii piede
al
dotto suono accorda. Erboso pasco di cornuti arme
appo un cannoso fiume, Quando dal bosco due leoni ingordi Sbucano, e
al
toro che alla torma è duce Scagliansi al collo: i
due leoni ingordi Sbucano, e al toro che alla torma è duce Scagliansi
al
collo: il misero le corna Ventila a voto, e s’arr
rabatta e scrolla. Ma cade oppresso; i ‘suoi muggiti ascolti Se credi
al
ofuardo: le voraci fere Già la preda si sbranano,
se un passo avanza Tre ne rincula, e pur latrando alterna Alle fere,
al
pastor pavido il guardo. Ma più vago spettacolo g
si con Venere, posto Alettrione a custode. Il giovinetto si abbandonò
al
sonno, e lasciò sorprendere da Vulcano i due aman
e ne fu per comun suffragio assoluto. Omero narra varie cose intorno
al
nume, le quali è prezzo dell’opera il ridire, gia
i Marte, che comandava ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso cagionò
al
nume tanto dolore che senza temere l’ ira di Giov
vietato agli Dei il prender parte in favore, contro i Troiani, ordinò
al
Furore e alla Fuga di apprestare il suo carro e p
ontro gli diresse, ma la dea ne fé’ andare il colpo a vuoto. Diomede,
al
contrario, coU’asta guidata da Minerva penetrò be
Diomede, al contrario, coU’asta guidata da Minerva penetrò ben avanti
al
di sotto le coste, e ferì il corpo divino. Marte
lo della discordia e delle guerre. — Pure, essendo suo figlio, ordinò
al
medico degli Dei che lo sanasse. Peone pose sulla
endola sorpresa coll’amante castigolla severamente, cosa che conciliò
al
principe tutta la benevolenza del popolo. L’equiv
ro le mura di Alicarnasso e di Roma stessa vi erano templi consacrati
al
dio della guerra. I soli sacerdoti di Marte forma
e fugge L’atre sedi la luce inorridita: Degna del loco è la custodia:
al
primo Ingresso al forsennato Impeto balza, La col
i la luce inorridita: Degna del loco è la custodia: al primo Ingresso
al
forsennato Impeto balza, La colpa cieca, con acce
e mugghianti onde dell’Ebro: I cavalli nitrir sparsi nei prati: Segno
al
nume vicin, stridon le porte Di perenne adamante.
la procella stanca, Non han le navi ogni lor vela, ancora Stringonsi
al
remo i naviganti, e rende Contrastato pallor le g
è la giusta sua collera deponesse. Alcuni attribuiscono questo evento
al
ratto di Proserpina, che infinita tristezza cagio
ure le è sacra, e Cerere fidandole incautamente la figlia, la preferì
al
Cielo. Il diverso viaggio che fece per ritrovarla
na Etnea Al fulminato Encelado le spalle. Fatto ch’ebbe alle guancie,
al
petto, ai crini. Agli occhi danno, alfin svelse d
enti, La terra, il mare; e poiché tutto il mondo Cercò di sopra, andò
al
Tartareo fondo. » Orlando Fur., Canto 12, St. 1
nascondeva fra le fiamme; gridò, e Cerere irata a lui tolse la vita,
al
figlio diede un carro tratto dai serpenti, perchè
di Claudiano sul ratto di Proserpina, che può prestare tante immagini
al
pittore. Ne distribuirò la lettura nei diversi ra
rocche I secoli ravvolti. Al re gridava Lachesi la primiera, e orrore
al
volto Crescean le sparse chiome: della notte Arbi
allor che di pruine armato L’ispido mento e le sonanti penne Innanzi
al
suo furor l’onde e le selve Soffiar desia; ma se
a Giove. La potente verga Scotendo, fassi il messaggero alato Innanzi
al
dio, che sopra il soglio assiso Sta, per atroce m
del sembianza A cui cresce terrore il duol; la bocca Solleva e tuona:
al
suon del lor tiranno Taccion gli abissi impauriti
getonte la riva. — O tu d’Atlante Tegeo nipote, deità comune A Dite e
al
ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo
ppio mondo Formi il commercio: va, dividi i venti Nell’agil corso, ed
al
superbo Giove Reca i miei cenni. E chi ti die tal
l puro sole L’ombre di Stige Gambiera? Piaceva Alfin questo consiglio
al
senno eterno. A Cerere fioriva unica e cara Figli
erere relative. Una rappresenta questo insetto ai suoi piedi, l’altra
al
suo carro lo aggiunge. I galli piacevano a Cerere
di una vecchia contadina seduta sopra un bove: ella portava, ed aveva
al
braccio un canestro ripieno di sementa. Dai lati
rava che Pluto ebbe il fratello Filomelo, che in lite col maggiore ed
al
puro necessario ridotto. comprò con quel poco che
allegoria rinchiude in sé un’eguale evidenza. La fatica è di compenso
al
povero per le ricchezze, e somministrandogli il m
nè espressione, nè attributi che possano fargli conoscere. Ritornando
al
ratto di Proserpina io non credo antichissima l’
l sistema astronomico. Il ratto di Proserpina. (continuazione). Etna
al
Cielo anteponi tanto si fida Nell’ingegno del loc
panneggiamento, con tale intelligenza disposte e variate di spazi che
al
tempo istesso che non cagionano veruna confusione
con quei due epiteti di doppia e mammosa, che sembrano aver suggerito
al
nostro artefice il carattere generale di questa s
pani percossi il tempio freme; Ida risuona d’ululati, e china Gargare
al
suolo gli atterriti boschi. Poiché Cerere apparve
diceva, Di mie cure il segreto affido: il fato Vuol Proserpina unita
al
re di Dite. Così Temi predisse: Atropo incalza La
i petti severi Mansuefaccia la saetta eterna. — Vener si affretta, ed
al
paterno cenno Obbediente la seguì Minerva: Si fé’
ava, e con qual legge avea Vinta natura la discordia antica. Il fuoco
al
ciel salì per sua natura, E la terra piombò nel m
ol mezzo di Orfeo, che le cerimonie sacre ad Osiride ed Iside ridusse
al
culto della dea ed a quello di Bacco. A Trittolem
ll’undecimo giorno del mese detto dai Grecì pianepsione, ch’ equivale
al
nostro settembre. Ascendevano ad Eleusi, e per me
smoforie furono stabilite per la rimembranza delle ricevute leggi; ed
al
contrario i misteri eleusini ebbero per oggetto i
ni dell’agricoltura, dei quali fu la dea liberale in questa occasione
al
genere umano. Solevano nell’ultimo giorno delle f
ori e minori. Dei primi ne ho accennata la causa: i secondi si devono
al
fatto seguente. Doveva Ercole per comando di Euri
piega il crudel Caos, e vinto Dite, le trionfate ombre conduce Retro
al
suo carro. In molti giri il crine Diviso dairidal
o dairidalio ago si volge: Fibbia sudata dal marito industre Sospende
al
fianco la purpurea veste. Lei la Regina del Liceo
to, che nell’ima parte Vivendo par che con la morte scherzi: S’inalza
al
cielo con terribil giro L’asta qual selva. Col sp
’error permette: il certo arco è disteso: Ozii ha lo strale, e dietro
al
tergo suona La pendente faretra: in doppio cinto
te. Caratteri ignoti, figure d’animali, mille arcani segni impedivano
al
profano la lettura di questi libri, e n’assicurav
ni impedivano al profano la lettura di questi libri, e n’assicuravano
al
sacerdote il secreto. Gli iniziandi descrivevano
Era delitto divulgare i riti di Cerere ai profani, ed erano obbligati
al
segreto con giuramento. Quindi fu proscritto dagl
il bosco. La vista ammette nella cima, e largo Di limpid’ acqua fino
al
fondo estremo Inviolata la conduce, e svela Tutti
L’astro più caro a me sparge dal crine Le feconde rugiade: — e toglie
al
prato Il fior memoria del suo pianto: invade Il v
il banditore della cerimonia avvertiva i Misti iniziati, di portarsi
al
mare. Nel terzo si facevano dei sacrifizii, s’imm
deva questo rito ai fiori colti da Proserpina nei prati siciliani, ed
al
ratto di lei, cagione di perpetuo dolore alla mad
, intorno alla grandezza delle quali si gareggiava. Alludevano in ciò
al
lungo errar di Cerere dopo avere accese le faci a
Alludevano in ciò al lungo errar di Cerere dopo avere accese le faci
al
monte Etneo. Nel sesto giorno vi era la processio
si scosse La Liparea fucina, e lasciò l’opra L’attonito Vulcan: cade
al
tremante Ciclope il fulmin che prepara a Giove. L
Otranto L’insolito nitrito ode; i cavalli, Che caligine pasce, alzaro
al
Cielo L’intente orecchie, e mordon fermi il freno
alzaro al Cielo L’intente orecchie, e mordon fermi il freno; Attoniti
al
miglior Cielo, l’obliquo Timon volgeano nella pat
teso arco s’affretta Diana: all’armi castità comune Le move, e l’odio
al
rapitore accende; Ei qual lione che giovenca affe
dando Collo scudo i corsier; fischiano i serpi Della Gorgone incontro
al
nero carro, L’asta fiammeggia, e già saria vibrat
ifesa Non vagliam vinte da maggior impero; In te congiura il genitor,
al
muto Popol sei data, e non vedrai le tue Desiose
edrai le tue Desiose sorelle, e il coro eguale. Qual fortuna ti tolse
al
mondo, e danna A tanto lutto il nostro Cielo? I g
Sparte all’aura ha le chiome, e palma a palma Batte e vane preghiere
al
Cielo inalza: Ah dai Ciclopi i fabbricati dardi,
ezzati consigli, o di Ciprigna Arti tardi scoperte. madre naia, Aita;
al
fero rapitor sorprendi L’orride briglie, e al mio
erte. madre naia, Aita; al fero rapitor sorprendi L’orride briglie, e
al
mio dolor soccorri. — Da tai detti il feroce, e d
’inutil remo. D’Inferno il Cielo il proprio Espero lascia. Proserpina
al
nuzial letto è condotta, Ed ornata di stelle il n
materia atta a prender fuoco nel centro di un vaso concavo presentato
al
Sole. Ciò forse potrebbe provare che fin d’ allor
r diverso Mi avverton sogni infausti, ed ogni giorno Tremendi auguri:
al
mio dolor minaccia. Quante volte di spighe i bion
: i tremuli ginocchi Mancano, e scorre per le membra un gelo. Ma geme
al
fine, e con il crin si strappa Le spighe, ed erra
mute fila Ragiona, e tutti del lavoro illustre Gristrumenti negletti
al
sen si stringe Come la figlia: del pudico letto I
a Cerer pari Nell’affetto, solea nel sen gradito Portar la pargoletta
al
sommo Giove, E locarla con dolce atto di madre Ne
ianto spargea Sull’alunna divina. A lei rivolta Cerer dopo i sospiri,
al
duolo il freno Sciolse, gridando: Qual ruina io v
sendo questo albero simbolo della fertilità e della durata. Scorgonsi
al
di sopra del suddetto globo sorger le quattro sta
entati questi pargoletti, che figurano le stagioni, nel Museo Passeri
al
tomo I, ed ha pur ivi l’Inverno, ch’è solo abbigl
oni, perchè presso di loro chiamavansi neutramente i tempi dell’anno,
al
contrario dei Greci, dai quali colla parola (grec
i, come appunto da Macrobio viene espressa. La Terra è turrita, ed ha
al
di sopra alla destra Mercurio, come si distingue
l’altro nome. Esiodo non gli attribuisce genitori, ma lo fa succedere
al
Caos ed alla Terra. Secondo Cicerone vi furono tr
in questo legno Ninfa a Cerere grata, e a te, morendo. Pena, sollievo
al
mio morir, predico. — Il delitto ei prosegue, e v
dico. — Il delitto ei prosegue, e vinta alfine Dagl’infiniti colpi, e
al
suol piegata Per tese funi ruinò la querce, E col
i abbraccia la Terra, — E nel libro secondo la fa sorgere dall’Oceano
al
cader del giorno. Sacrifìcavasi a questa dea il g
marito la generasse, ed altri, coll’Èrebo congiunta. La Notte tenente
al
di sopra della sua testa una vesr,e volante semin
adulterio di Venere con Marte, questa dea assisa sopra un letto tiene
al
di sopra di essa un manto volante, per indicare p
In due repliche antiche di questo elegante simulacro, inferiori però
al
nostro frammento per la finezza dell’esecuzione,
e immortali adorna apparve; Stupì vedendo, e l’adorò la terra. Venere
al
terzo Cielo Tornò da’ freddi suoi vedovi altari T
e Arme cadeau di mano. Vittima incerta entro a funereo letto Tradotta
al
monte, abbandonata e pianta, Giù per valli profon
ccia Del perduto Signor scorrea la terra. Incoraggi soave La Dea, che
al
crin le bionde spiche allaccia; A lei stendea le
il soggiorno Tenta di Pluto, e il fatai dono chiede: Ricusa i cibi, e
al
giorno Da Proserpina riede. Deh qual ti mosse fem
ecco un vapor nero Uscia la cara a te luce togliendo, E rendea l’alma
al
mal lasciato impero. Ma vide Amor dall’alto, Vide
ò le offese, E a più beata sorte La conservò da morte. E volgea ratto
al
sommo Olimpo l’ali, E innanzi al Re, che i maggio
La conservò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali, E innanzi
al
Re, che i maggior Dii governa, Narrò di Psiche e
oblio dolce dei mali Sì gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; Soccorri
al
core ornai che langue, e posa Non ave; e queste m
niverso, e re degli uomini e degli Dei. In Omero tutti gli Dei cedono
al
Sonno: solo veglia Giove; con che quel principe d
quel principe dei poeti volle indicarci che coloro i quali presiedono
al
destino degli uomini dovrebbero essere continuame
lte dicono il vero. Questa graziosa pittura può presentare molte idee
al
vostro criterio, come di non poco lume per l’arte
ccia di Morfeo suo figlio, secondo Ovidio. Così in due urne cinerarie
al
Campidoglio si vede Endimione, l’amante di Diana,
on questi due genii nella stessa forma sopra un’ urna cineraria eh’ è
al
Collegio Clementine in Roma. Un’ urna della Villa
apavero nella mano. In un altare di Trezene si offrivan dei sacrifizi
al
Sonno, come l’amico delle Muse. Quindi nel Museo
o e dei vaticinii, che anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo:
al
che può anche alludere avere unito la statua del
con barba puntuta, capelli acconciati quasi all’uso femminile ed ali
al
capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Ti
he in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso del Parnaso, e che
al
rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede origine
l Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede origine
al
celebre Ippocrene, e che inoltre poeta rinomato f
le animale dopo il sonno e il digiuno di un’intera stagione. « Presso
al
Sonno è scolpita ancor la farfalla, insetto leggi
: o che l’accostarsi del Sonno quasi insensibile sia stato paragonato
al
leggier volo della farfalla, o che vi sia qual si
e l’antivedìmento del futuro sia stato dalle rozze nazioni attribuito
al
alcune più che ad altre specie di viventi, dovrà
ran parte alle accennate, sicuramente è l’effigie della Morte. Tale è
al
certo il giovinetto coronato con una face rovesci
eufemismo. La seconda riguarda l’interpretazione dello stesso Lessing
al
luogo di Pausania, ove dice che nell’arca di Cips
o. Saturno, il minor dei figli, dopo avere incatenati i fratelli fece
al
padre con una falce adamantina quell’ingiuria, ch
a sua figlia Polinnia. Il raccoglimento cotanto utile per richiamarsi
al
pensiero le impressioni degli oggetti provati alt
lle conserva, e fornisce così la materia all’ingegno. «Ma per tornare
al
nostro marmo dirò che é l’unica statua, e forse,
este situate una dietro l’altra, così ancora l’epigrafi corrispondono
al
piano di tutte e due: una però è scritta sotto de
questa velata e involta nella sopravesta, anzi par che tenga la mano
al
mento come se volesse richiamare qualche idea all
atto di favellare. Quantunque queste figure corrispondano assai bene
al
significato che loro si dà, pure quando non si vo
a. E non è già la sola osservazione della natura che ha somministrata
al
pittore filosofo questa bella idea; l’ha egli app
secondo Servio, l’orecchio è sacro alla Memoria, come la fronte lo è
al
Genio: quindi elegantemente Virgilio: Apollo l’or
i affaticava, e trasse con picciolo sforzo la nave nel porto. L’idolo
al
suono di voci e strumenti fu lavato da sacerdoti
ro porta sul braccio sinistro che un cornucopie, il timpano accostato
al
trono, e dove in luogo del timpano sostiene sulla
ernandone le redini. Havvi delle medaglie ove quattro leoni attaccati
al
suo cocchio or lentamente lo tirano, ora a pieno
ga scorgesi incontro il cocchio della dea quasi all’ombra di un pino,
al
cui tronco egli si appoggia. L’abbigliamento di e
Non è però costante siffatto costume; vi sono dei monumenti ove veste
al
consueto dei Frigii una tunica con maniche succin
lto mar viaggio, Pien di caldo desire il giovin Ati Rapidamente corse
al
frigio bosco, E al loco giunse tenebroso e fosco
en di caldo desire il giovin Ati Rapidamente corse al frigio bosco, E
al
loco giunse tenebroso e fosco Sacro alla frigia D
e, o Galle Tutte di schiera, Tutte alla nera Alta foresta, Di lei che
al
Dindimo Monte si venera: Su, greggia tenera, Su,
lan percossi i gravi cembali. Tale sen va con frettolose piante Ratta
al
verd’Ida la danzante schiera, E trasognata, furib
ancor. La pieveloce guida Sieguon le Galle rattamente in Ida. Giunte
al
tempio di Cibelle Spossatene Pel soverchio ronzar
il core. Dunque io n’andrò per queste chiostre algenti Poste si lungi
al
tetto mio paterno? Dalla patria, dai ben, d’ambo
Dagli amici starò lungi in eterno? Lungi allo stadio, alla palestra,
al
foro, Ed alle scuole, e alle buon’arti loco? Lass
ol dispersa, Cibele, che l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion, che
al
carro avea congiunti, E fa che lor nuovo comando
dote di Cibele, era con annue feste onorato. La solennità celebravasi
al
principio della primavera, e durava sei giorni. I
o tagliavasi dalla selva un albero di pino e portavasi in processione
al
santuario della dea per essere ivi erettto. Il se
Gallo, a Roma nell’Aimone, ed indi con licenziosa pompa riconducevasi
al
tempio. Il significato di questa favola fu indaga
n modo che il lor sangue per quei fori piombasse come pioggia addosso
al
devoto, e da capo a piedi lo tingesse. Rimosso in
o avrebbe cacciato dal trono, stabilì di uccidergli tutti. Incresceva
al
core di Rea tanta crudeltà, onde fuggì in Creta p
more, eterno compagno dei potenti, persuase Saturno a tramare insidie
al
proprio figlio, che accortosene, col soccorso di
o il peso degli anni, con una falce in mano per indicare che presiede
al
tempo e all’agricoltura. Sopra una base quadrata,
quadrata, antico monumento, unico della sua specie, si vede Saturno,
al
quale Rea dà una pietra inviluppata in un drappo.
a fisica determinò senza dubbio gli antichi a consacrare questa isola
al
dio del fuoco. I suoi sacerdoti avevano la reputa
di parlarrjedi nuovr^ rjuando l’ordine delle mie Lezioni ne condurra
al
viaggio rti [jli.sse, che scampo alla crudeltà di
finalmente come i custodi, i nutritori di questo dio e Genii addetti
al
servizio di Rea, qualità che loro si dà, confonde
ena, Tu il sai, lo penso, delle medich’arti Perito, e caro delle muse
al
coro. Polifemo traea sì facil vita, Odio di Galat
etto, Ma furore, e ponea tutto in non cale. Senza pastor le pecorelle
al
chiuso Tornavan spesso dalle verdi erbette, Ed ei
i dì più. Se dico Che capo e piedi gran pena mi cruccia Onde si dolga
al
mio dolor, risponde: Ciclope, Ciclope, ove. volas
rcole. Sofocle secondo esso ne contava cinque, e dipende, come sembra
al
nominato poeta, dal numero indicato il loro nome,
atogli in dominio riconosca per origine dell’aver egli avuto soggetti
al
suo impero i paesi occidentali, che sino all’Ocea
reditata la volgare superstizione. Le geste di questo dio si limitano
al
suo ratto di Proserpina, che Claudiano da me trad
te, conosciuto comunemente col nome di Plutone, o Dio Ricco, nome che
al
latino dite si riferisce. L’ orrenda maestà nel f
non osservandosi in mano a Plutone in verun monumento. Conviene bensì
al
suo capo il medio, o calato, emblema di ricchezze
la terra si ascondono, furono motivo che se ne ascrivesse la signoria
al
nume dei regni sotterranei, o infernali, che vale
e, ebbe il nome di Serapide, o Sarapide, divinità indigena ed analoga
al
greco Plutone, col quale amarono di confonderla.
ardarono questi numi come dispensatori, simbolo tanto più conveniente
al
Giove Plutone, Giove Dite, Giove Ricco dei Sinopi
azioni sian le teste delle figure egiziane, nulla vi si distingue che
al
modio delle prische divinità asiatiche si assomig
mparisce in verisimile l’opinione di alcuni Padri, i quali supponendo
al
modio di Serapide un’origine egizia, han pensato
‘era il principio del male presso quegli antichi Dualisti.» Tornando
al
simulacro è da notarsi che le mani sono di modern
di tristo augurio: quindi può riputarsi consacrata a Plutone, e come
al
nume dei morti, e come a deità nocente e funesta.
a, dove " Winkelmann l’avea veduto. Rappresenta Amore e Psiche presso
al
trono di Plutone e di Proserpina, favola narrata
lus sospetta che questo autore abbia creduto di vedervi un artifizio,
al
quale Polignoto non avrà nemmeno pensato. Sarebbe
corpi. Sulla ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e che è
al
di sotto della barca di Caronte; un figlio snatur
sopra di questi due gruppi si vede Eurinome, che ha un color nero che
al
blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle di a
scia che le ossa. I poeti non parlano di questa Eurinome. Per servire
al
testo conviene rappresentare circondato di schele
mmercio con Ercole fu quella che partorì un figlio il più somigliante
al
padre. Ifidemea ebbe grandi onori dai Carli della
pietra, ed accanto a lei Erifìle in piedi, che fa passar la sua mano
al
di sotto della sua tunica, come per nascondere il
e tiene la sua spada stesa sopra la fossa. L’indovino Tiresia arriva
al
di là della fossa. Dietro lui si vede Anticlea ma
rinaro con una tunica corta tessuta di giunchi o di corda. Più basso,
al
di sotto di Ulisse, Teseo e Piritoo stanno assisi
il suo uso: Protesilao seduto riguarda Achille, e Patroclo è in piedi
al
disopra di Achille: sono tutti senza barba, Agame
lio, che fa gemere Enea all’aspetto di una violenta tempesta. Un poco
al
di sopra d’ Aiace figlio di Oileo si vede Meleagr
eri di Cerere, perchè gli antichi Greci ponevano questi misteri tanto
al
disopra delle pratiche di Religione, quanto gli d
e le profonde Porte di Dite, e per paura cieco Il nero bosco ei vide;
al
re tremendo S’appresentava, e dell’Averno all’Omb
Immemore, ed, aimè: nel cor già vinto. Mirò Euridice sua. Qui, sparsa
al
vento Ogni fatica, del crudel tiranno Fu rotto il
ombra di frondoso pioppo Piange usignolo li smarriti figli, Che tolse
al
nido, non pennuti ancora, Insidiando l’arator vil
nkelmann attribuisce a Plutone la chioma calante giù sopra la fronte,
al
contrario di quella di Giove che si solleva: ma n
tiario si conformano all’uso di Giove. Il basso rilievo Ostiense, ora
al
Museo Pio dementino, è il solo marmo, come osserv
io quel dio porti la tunica: in ciò da Giove diverso, ed accostantesi
al
costume di Serapide, di cui però non ha in testa
scultore gli assegni. Assai di Plutone. Nessun reo è assoluto davanti
al
tribunale interno della Coscienza: onde col ferro
Con la debil Vecchiezza; evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ è freno
al
bene, L’altra stimolo al male. Orrendi tutti E sp
evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ è freno al bene, L’altra stimolo
al
male. Orrendi tutti E spaventosi aspetti. Avvi il
ro (libro 6 verso 402 e segg.); E nel duodecimo libro le fa assistere
al
soglio di Giove. Siccome il rimorso segue nel mom
lità, onde sul più antico teatro greco comparivano cori di Furie fino
al
numero di cinquanta. 1 nomi delle tre Furie così
roco. Furnuto ed Eustazio allegano una ragione ridicola relativamente
al
primo fiore. Questi autori pretendono che la deri
he Oreste, avendo ucciso sua madre, divenne furioso. Molto d’appresso
al
tempio si vede un piccolo terreno coperto di una
cuna il petto; Batteansi a palme, e gridavan sì alto, Ch’i mi strinsi
al
Poeta per sospetto.» Inferno, canto IX, v. 37 e
a sorte, riguarda l’avvenire; Cloto che vien da (grec), filare, pensa
al
presente. Quindi Cloto, ch’era la più giovane del
di Cloto, ch’era la più giovane delle sorelle, avea cura di presedere
al
punto nel quale si nasce, e di tener la conocchia
a Grecia: i Lacedemoni ne avevano eretto uno in una loro città vicino
al
sepolcro di Oreste, ed i Sicionii gliene aveano d
a vi era un altare consacrato a Giove conduttore delle Parche, vicino
al
quale ne avevano un altro queste dee. In una stat
Parche, insieme coli’ Ore, erano nella testa del nominato Dio. Vicino
al
‘sepolcro di Eteocle e Polinice stava scolpita un
na fiera, per additare il terribile destino di quei due fratelli nati
al
delitto. Ma generalmente però, osserva Winkelmann
spresse nella morte di Meleagro, e son belle fanciulle, ora con l’ali
al
capo, or senza, distinguendosi fra loro pei singo
iamate da Sofocle sempre vergini, e talora hanno dei serpenti intorno
al
capo. Si vedono le furie anguicrinite, e con faci
io, tradotto da Remigio, la pittura di quella orribile notte, narrata
al
fuggito sposo dalla stessa Ipermestra, e la vostr
condeva il giorno, Quando noi felle e scelerate spose Entrammo dentro
al
funerale albergo Del gran Pelasgo, e nostro padre
i, Che del nefando e sanguinoso effetto Quasi presaghi, a gran fatica
al
Cielo Mandavan gli empi ed odiosi fumi, E la turb
vital calore Tutto s’ascose, e impallidita e fredda Mi giacqui sopra
al
genial mio letto. Ma, come trema allo spirar dell
: vergine e donna Per gli anni umile, per natura pia, Nè son conformi
al
dispietato ferro Le mani inferme e il feminil val
aci e forti, Ch’ornai creder si può che d’esse ognuna Abbia già tolto
al
suo cugin la vita. Ma se questa mia destra ardito
ccia e le man, la forza e il core A l’ago, a l’aspo, alla conocchia e
al
fuso Che all’armi crude e bellicosi ferri. — Ques
uindi Le tue movendo addormentate braccia Più volte fosti per ferirle
al
ferro. Che tra pietà e timor dubbiosa ancora Avev
ero Linceo, Che sol tra tanti sei restato in vita, Levati e fuggi, ed
al
tuo scampo attendi: E se a fuggir tu non t’affret
inkelmann pubblicato. Non credo però molto antica l’idea di attaccare
al
carro del suo rapitore due cigni, due cavalli con
de canuta barba. Ha gli occhi accesi Come di bragia. Ha con un groppo
al
collo Appeso un lordo ammanto, e con un palo Che
i un obolo, ch’era una piccola moneta, per pagare il nolo della barca
al
traghettatore dei morti. Questo prezzo fu accresc
credevano esenti dal tributo per esser vicini più d’ogni altro popolo
al
regno dell’ombre. Tre, come vi ho accennato di so
ndo Minosse dalle mura della città assediata se ne innamorò, e recise
al
padre il capello fatale, da cui dipendeva la sort
ello fatale, da cui dipendeva la sorte della patria. Minosse inorridì
al
tradimento, e respinse dal suo cospetto l’infame
l’urna fatale, nella quale stanno chiuse le sorti umane; cita l’Ombre
al
suo tribunale; esamina la loro vita; indaga tutti
ggitori di Creta, e le leggi di quelr isola famosa servirono di norma
al
divino Licurgo. Nell’Inferno gli attributi del fr
o e della Terra, e dicono che discese fino nell’Inferno per sottrarsi
al
furore dei fratelli. Favoleggiano altri che fu da
e divenuto favoloso. Opinano alcuni che fosse nel seno di Baia vicino
al
lago Averno, e che i Sacerdoti avari avvalorasser
tti di quel clima beato; secondo altri è un fonie dell’Arcadia vicino
al
monte Cilleno, che cadendo da una rupe altissima
degli accusati, ascriver conviene tutto ciò che fu immaginato intorno
al
giuramento degl’Immortali. Cocito ancora varcar s
e di un’attitudine secca e forzata, ha pensato ingegnosamente di dare
al
braccio stesso un’ azione che lo fissasse nella p
llenza rilucea nel lavoro, che spesso gli scrittori l’anno attribuito
al
maestro: o ebbe egli la disgrazia comune ad altri
urarono il soccorso della mano maestra. Non avrebbe perciò soccombuto
al
paragone l’opera di Agoracrito, se il pubblico d’
piume Con piccol giro piega, ond’è ch’imiti Ali vivaci. Stava accanto
al
padre Icaro, e tratta con ridente volto I suoi pe
il figlio ammaestra. Ed io ten prego, Icaro, ei disse, corri in mezzo
al
Cielo. Se basso voli aggraverà le penne L’onda, e
il suo compagno. Timido sol di lui: così dall’alto Nido tenera prole
al
cielo avvezza Augello; il nuovo volo esorta, e l’
tremula canna alla sua stiva 11 bifolco s’appoggia; ambe le mani Pone
al
bastone, e rimirando ammuta 11 pastorello, e soli
e rimirò nell’onde Le penne, e maledì l’arti novelle E sue: die tomba
al
corpo, e il nome ancora La fida terra al peregrin
rti novelle E sue: die tomba al corpo, e il nome ancora La fida terra
al
peregrin rammenta. Ovidio , Metamorf., lib. VI
ella possa negli avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più che
al
coraggio ed al sapere, a lei debbano i potenti l’
li avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più che al coraggio ed
al
sapere, a lei debbano i potenti l’esito felice de
gli antichi staccavano il timone dai loro navigli, e lo sospendevano
al
fumo nell’avvicinarsi dell’autunno, quando il mar
ò Esiodo dice: Se Pandora non fosse venuta, il timone sarebbe rimasto
al
fumo, la fatica dei bovi sarebbe perduta: — vale
llo di Serapide, quello della Diana Pergea, e tante altre, che simili
al
modio della Fortuna torreggiano sulla testa vener
simboleggiavano questa dea nella forma dell’aquila, alla quale Giove,
al
dire di Orazio, diede il dominio sugli erranti uc
mmagini, onde io credo che vi sarà utile udirla. « Una donna superba
al
par di Giuno Con le trecce dorate a l’aura sparse
lauro, o fiori, Ma d’indico smeraldo alti splendori Le fean ghirlanda
al
crine: In sì rigido fasto ed uso altero Di bellez
, E vedrai d’ogni intorno Liete e belle venture Venir con aureo piede
al
tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di
tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di Giove: e che germana
al
Fato, Sovra il trono immortale A lui mi siedo a l
crini: Pose le gemme a Babilonia in fronte, R,ecò sul Tigri le corone
al
Perso, Espose al pie di Macedonia i troni: Del mi
mme a Babilonia in fronte, R,ecò sul Tigri le corone al Perso, Espose
al
pie di Macedonia i troni: Del mio poter fur doni
ie di Macedonia i troni: Del mio poter fur doni I trionfali gridi Che
al
giovane Pelleo s’alzaro intorno. Quando de l’Asia
oma i gran natali; E l’aquile superbe Sola in prima avvezzai di Marte
al
lume, Ond’alto in su le piume Cominciaro a sprezz
aretre ed archi: In su le ferree porte infransi i Dacì, Al Caucaso ed
al
Tauro il giogo imposi: Alfin tutte de’ venti Le p
de le battaglie il giunsi E con le stragi de le turbe perse Tingendo
al
mar di Salamina il volto, Che ancor s’ammira sang
mmira sanguinoso e bruno. Io vendicai l’insulto Fatto su l’Ellesponto
al
gran Nettuno. Corsi sul Nilo, e de l’egizia donna
o: E pria ne l’antro avea Combattuta e confusa L’aifricana virtute, E
al
Punico feroce Recate di mia man l’atre cicute. Pe
maestà latina. Rammentar non vogl’io l’orrida spada Con cui fui sopra
al
cavalier tradito Sul menfitico lito: Nò la crudel
marmo è ornata di una gemma sull’orlo superiore della tunica in mezzo
al
petto. Simili ornamenti più sono proprii di una m
sser copie d’insigni originali, e forse delle lodate Muse di Filisco;
al
qual proposito giova riflettere che nello stesso
Mattei, Euterpe è nel mezzo, ed ha il solito distintivo delle tibie,
al
quale la rico noscono lo Spon e gli altri esposit
stri e all’agricoltura. Il suo nome come vuol dir Florida, è adattato
al
suo doppio uffìzio, sì ai piaceri e ai divertimen
nzi è abbigliata di un manto, che dall’omero sinistro le scende sotto
al
destro, nella stessa guisa che in quelle antiche
disegno di questo insigne sarcofago abbia data occasione di equivoco
al
dotto illustratore dei bassirilievi Capitolini. «
i sovrasta. Gli altri duci temono anch’essi, ed inalzano le loro mani
al
cielo: non vi è che il solo Capaneo che misuri co
, il quale avendo circondato la tela d’ armati, ne mostra alcuni fino
al
ginocchio, altri a mezzo, ad altri si veggono le
. Melpomene. « Questa bella statua di Melpomene ci manifesta
al
primo sguardo la musa della Tragedia. La maschera
i divertimenti non erano che una sequela del sacrificio, che facevasi
al
nume inventore del vino, di questo quadrupede dan
cui rivolge il volto: la contrassegna il coturno altissimo che porta
al
piede, come ò chiaro nel marmo, e il velo che le
namento del capo, ed altissimi coturni alle piante. Quello che più fa
al
nostro proposito è che appoggia il piede sovra un
ma quello che l’è stato supplito è antico, ed abbastanza conveniente
al
soggetto. « La Lira distingue Tersicore nel singo
iamo per credere quest’ultima la Musa ravvolta nel manto e appoggiata
al
sasso, onde Erato non potrà esser che la terza fi
Ma di questi convien dire altrove. La pittura ci comanda di guardare
al
solo Anfìarao colle stesse corone e col lauro fug
ttritribuire a Polinnia anche la taciturnità ed il silenzio. Col dito
al
labbro l’esprimono le lodate pitture di Ercolano,
use non altro che i Genii delle sfere planetarie, che tessono intorno
al
sole danza armoniosa e perpetua, conviene a Polin
eleganza trattato, che può servire di esemplare, vedendosi trasparire
al
di sotto la mano della Musa come da un velo. « Co
alazzo Lancellotti a Velletri, mancante però del capo; l’altra eguale
al
vero, moderna per altro dal mezzo in su, ma di ec
ssici: fra gli altri Omero mette in bocca di Ettore questo rimprovero
al
germano: Non varratti la cetra, e non i doni Di V
pinione d’interpetrar sempre per Polinnia quella Musa così appoggiata
al
gomito, è una doppia sua immagine nel bassoriliev
be affatto a Calliope e ad Erato, darà sempre una maggior probabilità
al
nostro divisamente. Urania. « Questa bell
e la vicinanza del sito ne può essere di qualche indizio. La fabbrica
al
cui abbellimento erano queste statue destinate fu
con spavento e terrore. Ella riguarda di un lato dell’occhio Perseo,
al
quale ella invia di già un sorrìso, un’imbasciata
nte. Egli guarda nel tempo stesso la giovinetta, lasciando ondeggiare
al
vento la sua clamide di porpora tutta sparsa di s
lmente non avea segno che per Musa la caratterizzasse, determinandola
al
tempo stesso per una delle muse di Pindo lo star
dali, essendo stretti dai lacci sopra il nudo piede, che tengon ferma
al
di sotto la suola, la quale é di un’altezza non c
le delle Muse, e su questa non cade alcun dubbio. La seconda presenta
al
dritto la testa di una musa coronata, come tutte
, di alloro, e che ha nell’area un volume coi suoi lacci svolazzanti:
al
rovescio si vede una figura in piedi collo stesso
ll’area dietro la testa il plettro, come ha osservato l’Havercampo, e
al
rovescio una Musa che suona la cetra retta da una
vede indicata nella testuggine espressa nell’area del dritto, mentre
al
rovescio è rappresentata questa dea della Lirica
ioni ha conservate per tanti secoli, per farne poi all’ età nostra ed
al
sovrano di quella bella parte d’ Italia un dono s
mira anche Arianna, o piuttosto il sonno di lei. Il petto è nudo fino
al
bellico: supino il collo e delicata la gola: il f
a dolcezza del suo viso; Agamennone dalla sua divina presenza: quanto
al
figlio di Tideo una libertà generosa lo esprime.
etta un sorriso fellone contro Achille. Contempliamo dunque Antiloco,
al
quale il primo pelo vano della barba comincia a s
iace qui il misero giovinetto niente tristo e somigliante a un morto:
al
contrario par che sorrida e porta nella sua facci
e mi ad Esculapio un uomo barbato vestito di pallio, che rende grazie
al
Nume con un ginocchio a terra e le mani alzate. I
agione Visconti che sia una tavola votiva offerta da un convalescente
al
dio della Medicina, fondato sull’analogia che col
sorilievo Capitolino, •l’unione delle quali coi fonti e colle Naiadi,
al
cui onore è dedicato il monumento, non era stato
di una larga fiamma accresciuta dal vento, onde il foco serve di vela
al
naviglio fuggente. Aiace ritornando in se, come u
scito dalla ubriachezza, contempla il mare qua e là senza guardare nè
al
legno, nè verso la terra; e meno teme l’animoso N
embra sono stese per terra: che folta chioma nutriva per sacrificarla
al
Nilo, perchè questo fiume, quantunque scorra nell
la morte I Mirate la lanugine della sua barba che appena gli fa ombra
al
volto; ben ciò conviene all’età in cui fu ucciso.
tiranno, e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome di lui
al
dio, che prima Apio era detto. Io penso che il no
to da Tertulliano, per ornamento delle statue di Esculapio. In quanto
al
bastone col serpente avviticchiato, racconta Igin
vedeva in Atene nella via per andare alla fortezza, in Corinto vicino
al
ginnasio, in Titane medesimo, in Argo, in Beea, i
dar loro da mangiare; e secondo Macrobio, riferendosi questi due numi
al
sole e alla luna, che conferiscono alla salute de
ipali pianeti, il moto dei quali, siccome delle stelle tutte, veniva,
al
riferire di San Clemente Alessandrino, espresso d
o esprimere in lui un dio tutelare della convalescenza, poiché quanto
al
suo nome, significa condurre a fine i mali. E per
ra co’ suoi figli; i vasi, le mole per le vittime, le legna destinate
al
sacrifizio per Giove Erceo, tutto è rovesciato. I
l sacrifizio per Giove Erceo, tutto è rovesciato. Il toro vi è: ma le
al
tre vittime sono sparse qua e là per l’altare ins
, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prende le gambe, chi gli salta
al
collo. Ercole non conosce nulla: spinge ferocemen
di ardimentose congetture è la divinità ed il culto di Bacco. Famoso
al
pari di Ercole per le conquiste: l’Oriente e l’Oc
siride qui era la famosa colonna. Le imprese del Nume sono consegnate
al
poema di Nonno, da cui estrarrò quello che per vo
itagh, ma sempre con lunghe treccie, e per lo più così sparse intorno
al
collo, agli omeri, al petto. Coi ricci pendenti d
unghe treccie, e per lo più così sparse intorno al collo, agli omeri,
al
petto. Coi ricci pendenti di qua e di là lo descr
hiome nella stessa guisa disposte che quelle che rimanevano attaccate
al
torso del simulacro, compisce la dimostrazione: u
ti qualità diedero i mitologi a Bacco, come differenti virtù i fisici
al
vino: così ancora diverse immagini gli artefici n
se la città: lo trova Prono sopra uno scoglio; aiuto e pianto Offerse
al
Nume, che col fianco infermo Tarda l’alterno pass
Offerse al Nume, che col fianco infermo Tarda l’alterno passo. Alfine
al
figlio Giove permise le celesti Rocche. Pure semp
e. Di Ciprigna è sempre Freddo l’altare da che i lacci ascosi Svelare
al
Ciel l’invidiata colpa. La Diva irata macchinò ne
ido stancò le ancelle: ognora Contano il tempo della lunga guerra. Ed
al
talamo presso, in lunghe tele Sanno ingannar la s
egno Dell’amor di una schiava: arde, e ritorna Coll’adultera sua, che
al
casto letto Già s’avvicina: Non per fama eguale E
orge Ira, dolore: a gara ascolta e dice Le intese voci ognuna, e fede
al
danno Non v’ha chi neghi: di querele e gridi Empi
e Sarmatiche case e i geli eterni Perchè negarci, o Sorte, e in mezzo
al
foco Della patria mirar fulmini e strage, Strage
oce Replicarsi: il mar suona, Ato crollò, Nei talami tremar le madri,
al
seno Strinsero i figli inorriditi: Affretta I su(
diti, e le de’ suoi membra già care, Fra le mense ed il vino in preda
al
sonno, Parte ha la spada, o la tremenda face Nell
nudo petto Le anelanti ferite, e guizza il tronco Con orribile sforzo
al
suol reciso. Gettan le faci sui sublimi tetti. Ar
, e torna, Visto il ferro, all’incendio. Altre le donne Tracie, causa
al
furor, sbranano. Ascolti Misto al pianto sonar ba
endio. Altre le donne Tracie, causa al furor, sbranano. Ascolti Misto
al
pianto sonar barbaro grido, E mille ignote voci e
inate, e sol piene di mostri E l’isola crudel. La man pietosa Armata,
al
padre suo disse: Deh: fuggi, Fuggi la patria e me
ncerta. Padre, trattieni alla tua figlia il brando! Disse, e di Bacco
al
consapevol tempio Guidò piangendo il genitor trem
sono Le radici dal suol, parte dell’ombre Il Citerone perde, e prono
al
suolo Penteo per l’aer rotolando cade. L’antico s
ni sembianza umana. Io leone non son, fiera non vedi: Crudel, perdona
al
parto tuo: quel sangue Che versi è sangue del tuo
utouoe a se, la madre Errando intorno, col suo piede opprime Il petto
al
figlio, e la cervice inchina Trofeo diviene dell’
i A Bacco sacri, e sul materno seno Il sangue scorre. Bacia gli occhi
al
figlio, E della fronte illividita i giri. Le bell
l materno scempio Tutta la stirpe ad abolir di Cadmo. Or sii pietoso:
al
sangue mio fa guerra Un dio. D’Armonia appo i nuz
: Autonoe, Agave, E dei lor figli l’immatura morte. Ma qual è intanto
al
mio dolor conforto. Caro fanciullo? al tuo talamo
atura morte. Ma qual è intanto al mio dolor conforto. Caro fanciullo?
al
tuo talamo ancora Io non alzate avea le tede arde
le Parche e le Ore. Il dio del Tempo ritornò presso Armonia, e Giove
al
palazzo di Giunone. Non ostante l’Amore, quel num
o. Qui il poeta ci dipinge Semele giovine, che nel mattino, vigilante
al
par dell’Aurora, sferzava i muli attaccati a un c
del suo figlio, che nascose nella sua coscia, finché avesse condotto
al
termine un fanciullo armato di corna di toro, e c
h’egli fa del suo destino con quello delle altre amanti, Giove risale
al
cielo, e lascia la figlia di Cadmo incinta nel pa
sì parlava l’ Invidia gelosa dei destini di Semele, che la chiamavano
al
cielo col suo fiolio. Giunone medita nell’istante
ssicurarsene. La giovine principessa accecata dall’ambizione, dimanda
al
suo amante questo contrassegno distinto della sua
s’ insuperbisce di questo favor singolare, che la pone infinitamente
al
di sopra delle sue sorelle. La sciagurata, ebra d
e di gioia, vuol toccare il fulmine terribile, e ne perisce in mezzo
al
fuoco. Il suo figlio per mezzo delle cure di Merc
olere, onde di Cadmo Non stia la reggia, ed il furor conduca Atamante
al
delitto: in un confonde Preghi, impero, promesse,
po L’idre commosse: sulle spalle giace Parte, ed altre cadute intorno
al
petto Fischiando vomitar rabbia, e lampeggia La l
Fischiando vomitar rabbia, e lampeggia La lingua: alfine della fronte
al
mezzo Svelle due serpi, e con la man, di morte Ap
leno, Ulula e fugge con le sparse chiome Furiosa, e te porta in mezzo
al
mare, Melicerta, con le nude braccia. Evoè Bacco,
e disse: Questi Usi ti doni il tuo beato alunno. — Una rupe sovrasta
al
mare, incava L’ime sue parti lo spumante flutto:
i depose nella sua coscia il giovine Bacco, finché il parto arrivasse
al
suo termine, e non ve lo tolse che per darlo alla
’ insegna a montar sopra un carro tirato da leoni, animali consacrati
al
Sole. Così Bacco cresceva, e diveniva forte ogni
rno sotto la tutela di Rea. Nonno dipinge i Pani che danzano intorno
al
giovine Bacco, e compongono il corteggio del dio,
gli da Rea, che dopo la metamorfosi di Ampelo in vite, bastò per dare
al
suo frutto un odore delizioso. I Sileni dividono
che non rende le sue prede. Scongiura Giove di voler rendere la vita
al
suo amico per qualche istante. L’Amore sotto la f
to dalla vigna; che nella quarta vi distinguerà certo re che presiede
al
nettare delizioso che si spreme dalla vite, e la
va a visitare Semole, la quale è già spirata, e Bacco nasce in mezzo
al
fuoco, mentre che la madre nelle sembianze di un’
dei tirsi nascono volontariamente dalla terra, e si veggono in mezzo
al
fuoco. Mirate Pane come si rallegra sulle cime de
i capelli biondi non mai cinti dall’edera e dalla vite. Non danzò mai
al
suono delle tibie: tutto questo lo poneva ad ira.
cco. Decretata dal fato la conquista dell’Indie, Giove invia Iride
al
palazzo di Rea per comandare a Bacco che vada a c
r vinti ed incatenati i Giganti. Adempiuta l’imbasciata, Iride risale
al
cielo. Nelristante Cibele invia il capo dei suoi
o quello dei misteri di Bacco. Vi è pure Aristeo inventore del miele,
al
quale la Cosmogonia dei popoli della Libia affida
le che arma in favore di Bacco i suoi Genii e i suoi Dei. Ella chiama
al
suo soccorso i due Cabiri figli di Vulcano, i Dat
in mezzo alle selve coir aiuto del suo cane fedele donatogli da Pane,
al
quale promette di collocarlo nel cielo accanto a
co continua il suo cammino, e marcia contro Oronte capo degl’Indiani,
al
quale Astraide avea di già partecipata la furberi
amente, e Oronte dopo essersi trafitto colla sua spada cade nel fiume
al
quale dà il suo nome. Le ninfe piangono questo fi
gl’Indiani. Dopo questa esortazione di Stafilo, Bacco invia un araldo
al
capo degl’Indiani, a Deriade per proporgli di acc
ni, a Deriade per proporgli di accettare i suoi doni, o di prepararsi
al
combattimento, ed aspettare il destino di Oronte.
Meti dichiara di esser pronta a sacrificar tutto per unirsi a Bacco,
al
quale ella raccomanda il giovine Botri e Pito. Ba
to contiene la descrizione dei giuochi che fa celebrare Bacco accanto
al
sepolcro di Stafilo. Eagro di Tracia ed Eretteo d
il primo si converte in un fiume, e Marone riceve il premio destinato
al
vincitore. Avete udito nella presente Lezione pro
tuno per vendicar la sorella mandò un mostro che desolava il paese, e
al
quale, onde por fine al pubblico danno, fa espost
ella mandò un mostro che desolava il paese, e al quale, onde por fine
al
pubblico danno, fa esposta Andromeda, secondo la
na dell’error materno Andromeda, e le sue tenere membra, Eran mercede
al
mare e preda al mostro. È questo l’imeneo? pubbli
terno Andromeda, e le sue tenere membra, Eran mercede al mare e preda
al
mostro. È questo l’imeneo? pubblici danni Privato
la pena un’ aurea veste Non preparata a questi voti. Appena Giunsero
al
lito del nemico mare, Le molli braccia per le dur
a rupe Flebilmente risuona. Alfin quel giorno Felice Perseo conduceva
al
lido Già vincitore del Gorgoneo mostro. E quando
nto Ei già ricrea con la promessa vita, E patteggia le nozze, e torna
al
lito. Turgido rOcean s’ innalza, e Tonde Fuggono
L’urto del mostro che s’ inalza: il mare Scorre e suona nei denti, ed
al
diviso Flutto sovrasta la terribil testa. Qual, d
l cielo sbuffa L’onda sanguigna, e le volanti penne Quasi sommerge, e
al
cielo il mare oppone. Della fatai tenzone il dubb
ato a consolar Mete e tutta la casa di Stafilo. La notte invita tutti
al
sonno, ed Eupetale, o la bella foglia, nutrice di
verso questo principe per irritarlo contro Bacco. Iride, per adempire
al
desiderio della dea, prende le forme di Marte, e
Licurgo ed a presentarsegli inerme. Bacco persuaso arriva senz’ armi
al
palazzo del re feroce, che sorride con aria sdegn
Giunone sempre nemica dello dio invita l’Idaspe a dichiarar la guerra
al
vincitore, che si prepara a traversarlo. Appena s
e il Cielo. Nel seguente Canto Giove pone d’accordo l’Oceano e Bacco,
al
quale l’idaspe è costretto di dimandar grazia. Lo
o dio del Vino si placa, e nelr istante il vento settentrionale rende
al
fiume le sue acque. Deriade arma gl’Indiani contr
Venere che lavora l’opera di Minerva. Quindi i soldati si abbandonano
al
sonno. II poeta comincia il venticinquesimo Canto
uendo l’esempio di Omero, non canterà che gli ultimi anni. Pone Bacco
al
di sopra di Perseo, di Ercole, e degli eroi che p
la notte, e stendendo sulla terra il velo delle sue tenebre richiama
al
sonno i mortali. Nel Canto seguente Minerva sotto
alli. Guardate ora come sono terribili quelli di Enomao, ed impetuosi
al
corso. Spinti dal furore, tutti coperti di spuma
ri, come sogliono essere di Arcadia tutti i cavalli. Quelli di Pelope
al
contrario sono tutti bianchi. agili, obbedienti a
. Quelli di Pelope al contrario sono tutti bianchi. agili, obbedienti
al
freno, e nitriscono in modo sì benigno, che la vi
alle sue acque profonde onde presentare una corona di ulivo selvaggio
al
vincitore che passa lungo le sue rive. Quelli che
to di chiamare il suo marito. Intanto dei piccoli amorini danno fuoco
al
rogo colle loro fiaccole. Ed è ben giusto che la
a fra Aristeo, i Càbiri figli di Vulcano, e le Baccanti. Calice pugna
al
fianco del Nume. Bacco provoca Deriade; la notte
ore e la paura preparano il suo carro; vola a Pafo, a Lenno, e quindi
al
cielo ritorna. Bacco profitta dell’assenza di Mar
fitta dell’assenza di Marte per assalire gl’Indiani, e per far guerra
al
popolo nero. Aristeo combatte all’ala sinistra. M
ende vivamente, e n’accusa la vile paura. Morreo ferisce Eurimedonte,
al
di cui soccorso vola Alcone suo fratello. Eurimed
lo rende agli occhi di Bacco che prende la fuga: Minerva lo richiama
al
combattimento, e gii rimprovera la sue codardia.
domanda, e le concede Megera. Giunone parte con lei, fa tre passi, e
al
quarto arriva sulle sponde del Gange. Quivi mostr
e a vincere colla sua quiete gli occhi del re degli Dei, onde servire
al
furore di Giunone. Lo dio del Sonno obbedisce, ed
sulle conseguenze dell’afi’etto che Giove ha per Semole e per Bacco,
al
quala dà sede nell’Olimpo. Ella teme che non giun
n giunga a piantare nell’Olimpo la vigna e sostituisca questo liquore
al
nettare delizioso. Prevede i disordini, che l’ubr
evede i disordini, che l’ubriachezza porterà fra gli Dei, e l’esiglio
al
quale sarà condannata. Datemi, Giunone dice, ques
i. Ella era occupata a formare una corona di fiori per Venere, e sale
al
cielo, onde veder la dea, la quale accorgendosi d
ambidue avevano scommesso trastulli fanciulleschi onde fossero premio
al
più bravo, ed il poeta ne fa una piacevole descri
vedove l’acque, Sterile Torto, e più la vite aborri, Cagion di morte
al
genitore, e piangi. — Sì dicendo fuggì l’immago a
rimi fiori, Ma s’egli è morto, e più viti non pianta. Io morir voglio
al
par di lui. — Sì disse, E sopra il dorso del vici
in le addita Del lacerato genitor la tomba Il pietoso cultore. Allora
al
petto Ingiuria fece coli’ avversa mano, E discint
isperato silenzio. Ulula accanto, Indiviso compagno, il mesto cane, E
al
suo doler si duole. Ahi l’arbor stesso Che sorge
’arbor stesso Che sorge accanto alla paterna tomba La furiosa ascese:
al
più robusto Ramo il cinto stringeva, indi circond
guatava: Ai peregrini alfin coi muti cenni La misera additò. Tolgono
al
ramo La pendente donzella; indi la fossa Le scava
elle quali effigiato si vede nei monumenti avanzati all’ ignoranza ed
al
tempo. Quindi vi parlerò dei suoi seguaci, cioè d
na tinta di questo colore. Con tutta la venerazione che aver si debbe
al
maestro dell’antiquaria, io non sono contento di
tratagemma usato cogl’ Indiani, portavano la punta coperta di ellera,
al
che allude San Giustino dicendo: Come le Baccanti
cifico portano sotto i tirsi coperte le punte: — i quali luoghi fanno
al
Buonarroti congetturare che quella pannocchia che
ra, di bei pampini, e vi sono ancora dei tirsi. Si rallegrano intorno
al
fonte degli uccelli, e candidi fiori vi sono sul
sta pittura ne dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia
al
giacinto, e che il sangue ancor pieno dì vita, in
sco: e non così tosto il disco cadde sul giovinetto, eh’ egli giacque
al
suolo prostrato. L’infelice giovine spartano giac
rme sono belle, ed esercitate alla corsa. Apollo abbassa i suoi occhi
al
suolo fra la maraviglia e il dolore. Ahi, Zeffiro
iquarii dei nostri tempi. I Satiri erano di figura umana, somiglianti
al
cavallo solo nella coda e nelle orecchie acute, a
scrissero, furono più antichi che non la favola di questi numi uniti
al
coro di Bacco. Sebbene le forme d’uomo siano pari
. Il primo in sembianze semicaprine fu comunemente effigiato: diedero
al
secondo una fronte calva, un naso schiacciato, un
di Pisidice, prese in moglie Dia figlia di Eineo, promettendo di dare
al
suocero molti doni come era costume degli antichi
e ai benefizii dello dio, tentava di sedurne la moglie. Rivelò questa
al
consorte gl’infami tentativi dell’ ospiste scelle
ltri sarebbe lungo nominare. Furono i Centauri dati a varii Dei, come
al
Sole, ad Ercole, ad Esculapio, con far condurre a
rra che per soverchio vino intrapresero coi Lapiti. Per questo. Nonno
al
principio del Libro XIV delle Dionisiache, o impr
le quali vi ho dato r estratto, gli annovera nell’esercito che radunò
al
nume la madre degli Dei, e introduce un Centauro
’ispida ed orrida barba, spontaneamente porgendo la fronte volontaria
al
giogo, ed avendo più assai dei Satiri desiderio d
o occasione alla favola che vi fosse un fonte di vino. Ma per tornare
al
nostro proposito principale, il Sarisberiense, il
ovano ancora coi cembali, che erano fatti come i nostri d’un cerchio,
al
quale era tesa una pelle. Vi attaccavano qualche
dicendo che in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si vendemmia;
al
che allude quel di Euripide: Rallegrarsi colla ti
Fauno fanciullo che l’abbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri
al
piede in una palla, che gli scopre il lato e il b
o bel simulacro di marmo bianco statuario recentemente scavato presso
al
Laterano, ed è una prova novella del merito del s
positura propria dei prigionieri, e non già attribuita dallo scultore
al
Centauro, quasi volesse far pompa delle robuste m
apo tuo s’assiderà renente. Oltreché simile azione di cacciatore data
al
Centauro ne nobilita ed abbellisce l’espressione:
ta, dove l’abile artefice ha saputo indicare nelle narici quasi mosse
al
nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo che
carri di Bacco. Nel tronco che sostiene il ventre del Centauro simile
al
Capitolino, si vede scolpita una siringa con alcu
ole sacri a Bacco, e dipinti nei vasi. Ci scorgerete ancora preparate
al
nutrimento crude carni, serpenti attorti intorno
l nutrimento crude carni, serpenti attorti intorno alla vita, o cinti
al
capo. Questi eccessi però di furore, per cui sapp
se andavano miste l’Amazzoni, nell’esercito almeno del vecchio Bacco,
al
cui aiuto, secondo Diodoro, le condusse Minerva.
do Diodoro, le condusse Minerva. Costoro par che possano riconoscersi
al
vestito corto che s’incontra nei vasi. Lene eran
le si descrivevano come amate sempre dai Satiri, quasi non convenisse
al
lor grado altri amanti che semidei. Cinquanta ne
utte l’altre Baccanti. Non è inverisimile che si riscontrino nei vasi
al
vestito seminato di stelle, quale nella cista Kir
e potuto addur prova a confermare il suo sentimento abbastanza valido
al
confronto di tanti monumenti, i quali cimostran B
e in una simil figura. Il Bellori che lo chiamò Trimalcione, trascurò
al
suo solito di osservare che i ministri della mens
tesi, e fìsse ambedue collo sguardo alla principal figura, cui sembra
al
gesto della man destra che il giovinetto diriga u
antichi solevano rallegrare le mense, il primo accompagnando la danza
al
canto, il secondo unendovi il suono di un doppio
te aulei peripetasmi, che separano ed abbelliscono il luogo destinato
al
convito. Seguono all’ aperto un terzo Fauno, semb
le poppe della madre, presso a cui appoggiato graziosamente col mento
al
bastone sta in piedi un giovin capraio. « La quar
ndo il soggetto, ha due Centauri, mostri mansuefatti dal dio di Nisa,
al
quale gli abbiamo veduti prestar servigio in più
n focolare di assai vaga forma, ove sono appoggiate due faci ardenti,
al
lume delle quali due genii della Morte bruciano u
olto diverso sì da quello di Winkelmann, sì dal comune. Lo sottopongo
al
giudizio dei leggitori, dopo aver fatto considera
circonda la testa. La molezza e la grandiosità dell’abito corrisponde
al
lusso della sua capigliera. È vestito di una larg
nel simulacro il lussurioso re di Nini ve: e ben sembrava conveniente
al
soggetto e il maestoso portamento e il grandioso
atidi facevan le veci di colonne, e tal compagnia era ben conveniente
al
costume di quel voluttuosissimo re. Feriva ad alc
te, sospettavan diretta in quel monumento un’assai dispendiosa satira
al
divino filos’ofo. Winkelmann che non die retta a
o corrisponde alla tradizione dell’anonimo, che assegna quattro donne
al
Nume tebano. La sola circostanza contraria sarebb
o Borgiano in Velletri. ambedue inediti e singolari, che comunichiamo
al
pubblico per la prima volta. « Cominciando dalla
i scioglie dalle membra paterne, ed è in atto di lanciarsi in braccio
al
germano. I suoi capelli sono cinti già di diadema
la consegna di Bacco infante fatta da Mercurio a Leucotea. Nè mancano
al
nostro bassorilievo ciò che Plinio chiamò Dee lev
ievo ciò che Plinio chiamò Dee levatrici: anche qui tre dee assistono
al
parto di Giove, alla nascita di quel nume, che fu
di un serto d’ alloro che dal sinistro omero scende a traverso insino
al
destro fianco. D’ un simil serto è cinto il giovi
’ insana compiacenza che accompagna il delirio dell’ebrietà. « Vicino
al
gruppo, alla manca dei riguardanti, è scolpito l’
i riguardanti, è scolpito l’educatore di Bacco, Sileno, che rattempra
al
suono della cetra gli affetti del Nume: e poeta e
rtefice, il quale dee aver tratto questa composizione tanto superiore
al
suo genio da egregio, ma ora incognito originale.
notizia dei costumi. Bacco indiano barbato. « Che le immagini simili
al
presente, rare al ^erto in simulacri di tutto ril
i. Bacco indiano barbato. « Che le immagini simili al presente, rare
al
^erto in simulacri di tutto rilievo, in altro gen
do di questo nume, l’ abito del re di Taprobana. Simile per avventura
al
pallio che avvolge questa statua, o l’altra conos
statuetta di Bacco sostenuta in mano da un Fauno vedovasi coperta, ed
al
quale ha dato Plinio stesso il nome di Palla, nom
l sonno ci vengono rappresentati nelle antiche arti. Ma l’espressione
al
loro vivace e lascivo carattere conveniente è que
rpe in cui si pretese trasformato per amor di lei Giove Ammone. « Più
al
caso parrebbemi di far ricerca perchè la nostra s
ta sul coperchio del suo monumento in foggia di ninfa Bacchica, come,
al
dir di Properzio, stanca dall’assidue danze cade
ggetto mitologico dovea rappresentarsi qualche ritratto. Più decisivo
al
mio credere per confermar questa opinione è il pa
to da Centauri. « I Tiasi, le feste Baccanali, danno ancora argomento
al
presente bassorilievo, come il dierono ai precede
sono aggiunti invece delle pantere i centauri, uno dei quali dà fiato
al
corno, l’altro suona la cetra. Ambi in età giovan
corone di fiori secondo il costume de’ banchetti. La donna che presso
al
cocchio par che lo guardi con af fetto, è forse N
donne che portavano nei canestri le primizie delle frutta consacrate
al
nume, sono accompagnate da una pantera e da un le
nisiache, in questi versi D’altri di Bacco la vagante schiera Lega
al
tergo le mani, e avvinti e chini Gli trae sopra
due Fauni sostengono con fatica 1’ ebro Sileno, i cui cembali caduti
al
suolo sono il primo oggetto, che nel marmo ci si
tremo Fasi il vello d’oro. Il viaggio degli Eroi offre mille soggetti
al
pittore, e più ne presentano l’amore, gl’incantes
no Della possente clava arma la destra. Peregrini ambedue termini
al
mondo Posar colonne: e l’abito han sembiante.
ene, quantunque ì Centauri in alcuna immagine vedansi aggiunti ancora
al
carro d’Alcide. Di questa alleanza di Bacco e di
ante i pie coturnati,19 e abbandonandosi con tutta la persona piegata
al
dinanzi fra le braccia di un giovinetto Fauno ved
tanto ha il destro braccio inserito, ed un palliolo che tien ravvolto
al
sinistro. « Il tirso, sfuggito dalla sua destra s
capaci sembrano richiamarlo ad uso campestre e Bacchico piuttosto che
al
sepolcrale, e caratterizzarlo per monumento del l
atiri e dei Fauni, quindi nelle cerimonie di Pan introdotto, ed usato
al
par delle viti e dell’edera per le sue corone. Ci
sulle punte dei piedi in movimento di danza concitata e violenta, che
al
gettar la testa indietro in alcuna, in tutte all’
l’attizzano. Casca nel collo, e i Satiri lo rizzano. 1. Lettera
al
Professore Francesco Antonio Mori del 16 Novembre
ssai più della Teologica; giudicheranno i lettori. 4. Daremo intorno
al
metodo ch’erasi prefisso il Niccolini, una sua le
ima e inedita. 5. Porfirio, adducendo l’opinione di Numerio intorno
al
racconto di Mosè sulla creazione, ove dicesi che
ovuto decoro ulteriormente perseverar sulla negativa pensai sottrarre
al
fin per pochi giorni, quasi insensibilmente, a me
uriosi lo sguardo a percorrerlo possiate a ragion gloriarvi di vedere
al
fin secondate appuntino le mire, e soddisfatte pi
nome superar l’oblio. Generali nozioni sulla mitologia S e
al
sentimento dell’immortal’Oratore Romano ogni avvi
e favole, alle quali tali scrittori fanno ben spesso allegorie ? Come
al
fin aversi cognizione della Teologia, e Religione
e a questi le loro adorazioni ; onde videsi con orror di natura darsi
al
Sole, alla Luna, alle Stelle, ed a quante creatur
ati quegli Eroi, che a riguardo de’ loro meriti erano stati innalzati
al
grado di Dei indigeti, come di Enea divinizzato d
ascente de’desir la meta, E diè di suo poter tremende prove. Il regno
al
Padre tolse in foggie nuove, Mostrò nell’ Etra al
sente, e lieta, Tien l’impero nel Ciel, tutto decreta, E solo il Fato
al
suo piacer lo. muove. Regge il folgor funesto app
Dio. Dichirazione, e sviluppo Moltissimi Dei invero, anzi fin
al
numero di trecento, al testificar di Varrone, ric
e sviluppo Moltissimi Dei invero, anzi fin al numero di trecento,
al
testificar di Varrone, riconosciuti vennero dagli
li antichi sotto questo speciosissimo nome ; Chi fù Giove poichè però
al
solo figlio di Saturno, ed Opi, ossia Rea, fù att
il furore di Saturno suo padre, il quale memore delle promesse fatte
al
fratello Titano di non allevar mai maschi, e molt
o, l’Inferno a Plutone, e per se riserbando l’Empireo ; dando altresi
al
primo un tridente, al secondo un elmo, ritenendo
, e per se riserbando l’Empireo ; dando altresi al primo un tridente,
al
secondo un elmo, ritenendo per sua condecorazione
Giove si fosse. Sue battaglie La prima dunque di queste battaglie fù
al
riferir di Esiodo quella, che ei sostenne contro
presentossi il primo all’ attacco. Al solo vedere le cento sue teste,
al
solo udire gl’ orribili suoi fischi, al sol mirar
lo vedere le cento sue teste, al solo udire gl’ orribili suoi fischi,
al
sol mirare il sulfureo suo fuoco impauriti gli De
e, e ligato il profondò negli abissi, oppure sotto l’Etna, come piace
al
poeta dell’ amore, e proseguendo quindi collo ste
è buon partito senza fissar cosa alcuna sù di ciò lasciar unicamente
al
lettore la libertà di seguire quelle opinioni, ch
I n mezzo all’onde gode il vasto Regno Il Dio Nettuno, che dà legge
al
mare, Porta il tridente per mostrar lo sdegno, E
l mare, Porta il tridente per mostrar lo sdegno, E ogni mostro marino
al
piè gli appare. Il diadema rëal gli forma il segn
tri distinguerlo, stantecche in Roma altre dicevansi le feste sacrate
al
Dio Conso da farsi in luoghi privati, ed oscuri n
e bambino per esalar quivi giunto l’ultimo suo affannoso respiro ; ma
al
ravvïsar gli abitanti di Lenno l’infausto fato, c
riscossero del pari la maraviglia degli Dei, e degl’ uomini, e resero
al
mondo celebre il suo nome non senza gloria degli
i collaboratori. Invenzioni del suo ingegno, e fatture delle sue mani
al
certo dicesi essere il palazzo del Sole, la coron
terio la grazia del suo padre Giove, non isdegnò questi di ammetterlo
al
cielo in qualità di coppiere degli Dei ; le sue m
agione furono, per cui la bella Ebe il piacere incontrò di subentrare
al
suo invidiabile impiego. Suoi nomi. Questo Dio o
sto Dio oltre il suo nome, che abbastanza il distingueva, stant ecchè
al
dir di Varrone : Vulcanus est quasi volitans, quo
favola non però amante sempre delle sue rappresentanze più vive tutto
al
naturale ne ha espressato il ritratto. Mirasi per
più rinomati, il primo viene ascritto a Romolo fatto da lui edificare
al
parer degl’ auguri fuori le mura, convenevole sem
mbrando, che in mezzo all’abitato star non dovesse il tempio dedicato
al
gran Dio del fuoco. L’altro, che credesi edificat
duto aveva altrui nel corso, in segno della perdita fatta ceder dovea
al
vincitore la lampada, Cap. IV. Marte.
, ed odore valevole era all’impresa. Impaziente allora con piè veloce
al
designato fiore ne corse la Dea, ed immantinenti
osso per tal barbaro fatto il padre di quello Nettuno citò l’uccisore
al
gran consiglio degli Dei sull’ Areopago, domandan
rte. Suo ritratte. In atteggiamento assai terribile convenevole però
al
fiero suo genio fù effigiato questo Nume. Pingeva
nto, da più mostri cinto per corteggio, con furie svolazzanti intorno
al
suo elmo per orrore, con gallo qual simbolo di vi
i intorno al suo elmo per orrore, con gallo qual simbolo di vigilanza
al
suo fianco, preceduto dalla fama, che con spavent
benchè feroce. Speme a raggiratori, ed a mercanti, Desta, ed ammorza
al
cor ogni desio, Spesso s’usurpa ancor non propri
rmò in pietra (detta poi pietra di paragone) acciò cosi egli restasse
al
coverto del furto, e quegli nel tempo stesso il f
le loro ordinanze, ed il presidente altresì essendo alla negoziatura,
al
governo della guerra, e della pace, a giuochi, al
duceo ornato da due attorcigliati serpenti, per dinotare, che siccome
al
tocco di sua verga i due colubri duellanti depose
e la favola istessa di lui non disse. Suo culto. Riceveva questo Dio
al
pari degli altri i suoi sacrificii. Su suoi altar
ionda chioma, e con aurata lira, Con fiamma in petto, e con bel lauro
al
crine, Dovunque il guardo dignitoso Ei gira Per t
a denunciante Clizia in girasole. Perduta intanto questa sposa trasse
al
suo fianco sì Climene figlia di Teti, che Coronid
le tolse di vita il valente Esculapio, benchè come Dio della medicina
al
numero degli Dei per guiderdone l’ascrisse. Non p
di non esser egli figlio di Apollo come si vantava, chiese in grazia
al
padre per consiglio di sua madre di condurre per
perta mano indocili scostaronsi dall’ ordinario corso, e minacciarono
al
mondo le sue estreme ruine. Il grido intanto di t
n fulmine rovesciò nell’ Eridano l’audace Fetonte, che morendo lasciò
al
padre in sua vece una novella eredità di tristi a
rnacchia svolazzante sulla testa, con un lupo, ed un albero d’ alloro
al
fianco, con cigno, ed un gallo dall’ altro, e fin
o scorno. Essa è madre, essa è Diva, ed essa crea I fenomeni infausti
al
sole intorno : Costretta a lagrimar quantunque De
tta a lagrimar quantunque Dea. Dichiarazione e sviluppo Felice
al
certo più delle altre Deita sarebbe stata Giunone
vo. Nella gran congiura degli Dei contro Giove essa in vece d’opporsi
al
troppo folle attentato, non sol ne approvò il dis
elle mani in segno dell’ alta sua autorità uno scettro, con un pavone
al
suo fianco, in alto di ricordare le sue bravure d
sul suo scettro, perchè in quello cangiato si era Giove per ottenerla
al
fine dopo tante reiterate ripulse in sua sposa.
delle nozze. Fù nominata Domiduca dall’ accompagnare la novella sposa
al
soggiorno dell’ amato suo sposo, per qual motivo
omaggi. Suoi nomi. Da questa efficie della Dea simboleggiante molto
al
naturale i tanti beneficii, che prestava essa a m
a Sonetto a rime tronche. C on fiamma viva, che le splende
al
piè, Col volte pien di rigida virtù, Divinità spr
tempi costume non fù effigiar questa Dea, ma una viva fiamma soltanto
al
vivo espressa formava il suo tipo ; mentre le sta
Pontefice Massimo dopo i Re s’apparteneva tal facoltà. Presentavansi
al
suo cospetto venti verginelle delle principal i f
e sorteggiate strappava dalle braccia de’ suoi genitori la eletta, ed
al
tempio immediatamente la menava, ove collacerimon
ia di sospendersi ad un sacro albero le recise chiome veniva deputata
al
sacro ministero, e trascorsi dieci anni per appre
i mostrata, Dalla mente di Giove appena nata Fù sapiente, e guerriera
al
par famosa. Nè del uom, nè de’ Dei fù mai la spos
Dichiarazione e sviluppo La prodigiosa, e singolar maniera, in cui
al
mondo comparve questa Dea, troppo chiaro adombrò
a, che avanti a se comparir dovea meglio assai d’un parelio in faccia
al
sole, tutto confuso ne’ pensieri, tutto conturbat
il terribile delle battaglie, che la piacevolezza delle muse. Mirasi
al
fianco d’un olivo di statura ben alta, e tutta pi
re con sviscerato affetto la educarono, e grandetta divenuta menarono
al
cielo ad esser vezzeggiata dagli Dei, i quali rap
zza indicata spuma riconobbe i natali, e per la stessa ragione ancora
al
dir di Ausonio fù nominata Marina. Fù detta Idali
e Vergin casta Venne chiamata, e insiem Diana detta, Allor che notte
al
viator sovrasta Luna nomata è in ciel bella, e pe
enne, che implacabile mostravasi contro chiunque sembravale far ombra
al
suo amato candore. Sperimentò in vero i colpi del
ra un carro tirato da Cervi in abito sciolto, si ma decente affibiato
al
suo petto con pelle cervina, con un arco in mano,
asso armato di frecce sospeso alle spalle, circondata dalle sue Ninfe
al
par di essa similmente agguernite, di statura per
hè più volte fosse stato quindi rialzato, come testifica Plinio ; pur
al
riferir di Capitolino ebbe a sperimentare le sue
attere Divino Sta quel che fia di qualsivoglia vita. Alcun non giunge
al
fatal tron vicino, Che all’uom da lungi la carrie
, Che all’uom da lungi la carriera addita, Nè val forza mortal contro
al
destino. Dichiarazione e sviluppo Chi fù
sigli di divorare ogni maschile sua prole, si per mantenere inviolata
al
suo fratello la fede, come per perpetuarsi nel su
var quivi qualche novella fortuna. In umile atteggiamento presentossi
al
Re Giano, ed intenerito questi alle sue sventure
ago allora di tali accoglienze Saturno si diede ben presto a mostrare
al
suo benefattore i più vivi segni della sua gratit
confondono col tempo gl’aggiungono sul dorso le ali, ed una ambollina
al
suo fianco, quelle per dinotar la velocità del te
o è, che le opere di beneficenza, e di pietà assomigliano le creature
al
loro stesso Creatore, non fia maraviglia se il Te
oltiplici diversi Dei, che finse la delirante Gentilità Nume non avvi
al
mondo più infausto, benchè benigno all’aspetto ra
nia vincit amor, così Virg : quid enim non vinceret ille ? Prevalse
al
fin contro l’Idra la chiave di Ercole, contro il
rgli mietere quelle pene, che seminato aveva nel Cielo, non avrebbero
al
certo mai più acquistata la antica lor pace. Chi
tero ; con pargoletta mano tolse a Regi istessi la porpora ; e dietro
al
suo carro portò superbo incatenato ogni cuore. Qu
a nato. A questa quindi attribuir si deve la colpa, che per sottrarre
al
giusto sdegno del regnator dell’Olimpo l’amato su
on fosse alla età di poter produrre i suoi effetti ; benchè per altro
al
vederlo Essa contro il suo genio perduto amante d
liate in fronte Con scettro rüidissimo, e pesantc, Con altissimo capo
al
par d’un monte, Che minaccia i mortali in ogni is
ante. Che cerca i danni altrui con voglie prontc, Che scnote il mondo
al
muover delle piante, Che versa ognor da lumi un t
eva, e se la infelice Proserpina con infame ratto attirata non avesse
al
suo seno, io mi credo, che scompagnato, e solo ri
one, Megera, ed Aletto dette Erinni da Greci, che aggirandosi intorno
al
trono del lor Sovrano scarme, ma foribonde nel vi
re parche Cloto, Lachesi, ed Atropo, che tutto di aggirandosi intorno
al
ministero del tremendo lor fuso troppo a vivo ris
a sua fronte, fuliginoso tutto nel viso, con folta, e nera barba fino
al
suo petto, mostrando in segno di terrore un ruido
tra. Da ciò ne avvenne, che le Baccanti nel sollennizzar le sue feste
al
par del lor Dio si adornavano si della pelle di t
no, ammantata d’una veste vagamente adornata di fiori, con un timpano
al
suo fianco, tutti simboli delle sue qualità. Ed i
ù, che dalle sue tenerezze non fosse stata’già vinta, come non ligare
al
suo carro animali i più indomiti per natura, ed a
nte quasi rotonda si divisa nel suo globo la terra, come non collocar
al
fianco di tal Dea un tamburo ?(1). Suoi sacrific
e per onore, o per profanazione ripetevansi da que’sciagurati innanzi
al
trionfal carro di tal Dea, come ragiona Agost. li
prigion la sua beltà divina Ella conosce il suo furor dispiega, E se
al
tartaro mai le luci piega Maggior tormento il gua
dem cum coniuge menses. depose ogui altra novella speranza, e cedendo
al
sovrano volere rivolse il suo affetto per legge d
suo sposo : ma poi succrescendo di tratto in tratto l’a more divenne
al
fine di esso sì gelosa, che ravvisandolo con sove
accompagnatrici sue ninfe. Altri la pinsero in aria di maestà seduta
al
fianco di suo marito su d’uu carro tirato da neri
tilissime figlie, onde così pel ministero degli occhi facendo passare
al
cuore più senibilmente le loro imagini vistose ri
ura, che per le funeste sue conseguenze fosse stato da que’sciagurati
al
par delle virtù divinizzato ancor esso sotto le d
par delle virtù divinizzato ancor esso sotto le diverse sue forme, io
al
certo non l’intenderei se non pensassi, che non f
da ? Chi è mai costei, che ad un cristallo affida Le proprie forme, e
al
retto sol s’appiglia ? Chi è mai costei, che da c
e da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, che aspetta, perchè
al
solo tempo si appartiene scovrir la verità, la qu
etta, perchè al solo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale,
al
par del sole, che può essere intercettato, ma non
dall’erbe, e fiori, Presso un orrido Drago in lui non sente I soliti
al
mortal folli timori. Non, cura il rischio atroce
Nè pur cangia del volto i bei colori : Dà il pan, che mangia in bocca
al
rio serpente, Quindi scherza con lui scevro da or
ro da orrori, Ride all’altrui spavento, e assicurato Palpar la lingua
al
crudo mostro pensa, E neppur vede il suo terribil
enza non sa temere perigli ad onta d’ogni sinistro accidente, giacchè
al
dir di Curzio lib. 6. Securitatem adfert innocent
sce, e vieta Nemica di tesori, e di ricchezza Solo il giusto con essa
al
mondo giova ; Dà la mano agli oppressi, i forti s
do la trova. Annotazioni. Quella gran dote, per le quale sola,
al
dir di Cic. lib. 1. de off. vengono i mortali dec
Pace Sonetto D onna, che vince i pregi di Natura, Che porta
al
crin serto di verde alloro, Versa a una man ricch
oi gioia, e decoro. Dal Ciel, dal mondo tutto è venerata, Che accende
al
cor d’ogni piacer la face, E quanto più si ascond
ù risveglia, e alletta, Geme all’altrui tormento, il duol rispetta, E
al
mesto prigionier discioglie i nodi. Regge un timo
sollecito vive nell’allevare i suoi figli. Or se è vero, che la pietà
al
dir di Cicerone 2. de orat. Offre segni di gran l
tribuenda est laus. come non sarà poi degno di somma lode, e compenso
al
cospetto di Dio, e degli uomini chi nel petto gel
chi nel petto gelosamente la nudre ? Scolpisca ognun dunque in mezzo
al
cuore la bella massima dell’Apost. 1. Tim. 4. Ine
mortale impara Questa che rende appien dolce ogni sorte E fedeltà che
al
mondo d’oggi è rara. Annotazioni. Molto es
i ricetta ? Io nol sò ; sò però assai bene, che Salomone nè Proverbii
al
20 quasi sbalordito a tal riflesso esclama : Vir
al Sol dell’ali cinta Fugace, ma la segue il mondo tutto, Sembra, che
al
ben d’ognun si mostri accinta ; Ma non ascolta ma
za rilevasi dalla necessità di tal virtù per ben oprare, essendo essa
al
dir di G. Cristo in S. Matt. 22. il cardine, ove
necessaria virtù, ricordandosi sempre di quel, che scrisse agli Ebrei
al
13. l’Apost. S. Paolo : Caritas fraternitatis man
avvanza. Segna con verga il globo, e la possanza Palesa dalla reggia
al
vile ostello, Ciascun l’invoca, ed essa in ordin
era e Guida Miseri, e grandi tutti accoglie in seno, Nè sa tradir chi
al
suo poter confida. Annotazioni. La provide
lloro, Che alla sinistra mano ha un cor piagato, E un papiro le pende
al
manco lato Esprimendo nel volto alto decoro. Essa
e è vero però, che Dio non teme chi il prossimo con sincerità non ama
al
dir di Giobbe al 6. Qui tollit ab amico misericor
e Dio non teme chi il prossimo con sincerità non ama al dir di Giobbe
al
6. Qui tollit ab amico misericordiam timorem Domi
etto D onna sublime con pietoso aspetto Apre le braccia, e tutti
al
seno invita, Cento fanciulli accoglie al proprio
tto Apre le braccia, e tutti al seno invita, Cento fanciulli accoglie
al
proprio petto, E la destra mammella indi l’addita
ma prestare a Dio sacrificio accetto, e gradito, giusta quel del Ecc.
al
35. Qui facit misericordiam offert sacrificium, e
un pastor ne forma un Rè. Con la man destra un’ ancora poi fà Fissare
al
suol, che mobile non è, Chi questo bel problema s
e l’ancora per denotar la gioia de’ naviganti sulle mosse di giungere
al
desiato lor lido. La migliore, ed unica allegrezz
udii luctus occupat ; ma quella sibbene, che viene da Dio, onde Isaia
al
6. diceva. Gaudens gaudebo in Domino, et exultabi
erra inchina Hà corno eletto, che ogni ben contiene, Labro söave, che
al
sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dolci
ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo, che cinge
al
cor dolci catene. Spirano i gesti suoi ogni dolce
ero. Fama è costei, che ognun le presta fede, I morti, e i vivi svela
al
mondo intero. E chi amica non l’hà spento si vede
ioso, ed immortale il nostro nome, memori di quel che scrisse l’Eccl.
al
41 15. Curam habe de bono nomine ; hoc enim magis
ole una voce. Crinita fronte porta, ed è precoce Il suo favor, che se
al
mortal mai sfugge Non più ritorna, e l’uomo invan
speranza. Annotazioni Secondo la iconologia di Cesare Ripa, ed
al
parer di varii Scrittori l’occasione è dipinta co
unicamente importano, ricordandosi sempre di quel, che scrisse Isaia
al
Cap. 55. 6. Quaerite Dominum dum inveniri potest
ed ora a venti Dispiega i lini, e par, che il credi insano, Al mare,
al
fiume, al bosco, al monte, al piano Non tragge ma
venti Dispiega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume,
al
bosco, al monte, al piano Non tragge mai da suoi
iega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco,
al
monte, al piano Non tragge mai da suoi sudor cont
i, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al monte,
al
piano Non tragge mai da suoi sudor contenti. Rapi
il travaglio, pur chi seriamente riflette essere il giusto travaglio
al
dir di Tullio lib. 1. de Orat. condecorato da mil
Straccia il crin, morde il labro, e il suol calpesta, Ecco il Rimorso
al
cor verace inferno. Annotazioni Il carnefi
rimorso. La imagine di questo sventurato uomo, che stringesi un serpe
al
seno, e per disperazione vuol abbeverarsi di quel
do pugual con man possente ; La precede un lïon tremendo, e atroce, E
al
precipizio suo corre repente. Anela, geme, suda,
mmentandosi in qualunque dura circostanza di quel, che scrisse Giobbe
al
5. Virum stultum interficit iracundia. Capito
e nel suo sen ricetta Questa ad opre di sdegno ognor conversa In odio
al
mondo, e al Ciel crudel vendetta. Annotazioni
n ricetta Questa ad opre di sdegno ognor conversa In odio al mondo, e
al
Ciel crudel vendetta. Annotazioni Il flage
ostro da evitarsi basta il solo esempio dell’ Imperatore Augusto, che
al
dir di Svetonio : Nihil obliviscebatur praeter i
la vinta alle sue passioni dietro si butta il comando là nel Levitico
al
19 registrato : Non quaeras ultionem, nec memor
lto, e il manto Succinta veste lacerata, e breve Irata in dossa, lago
al
piè di pianto Scorrer si mira, come oggetto lieve
gior ragione noi dunque ne dobbiamo essere lontani leggendo n’e Prov.
al
ll. Benefacit animae suac vir misericors. qui aut
bominar tal mostro, se vuol essere amico di quel Dio, che per Geremia
al
7. così si protesta : Advenae, et pupillo, et vid
pronta ognor favella Il mal di tutti, e’l proprio ben sol’ama. Sembra
al
primo apparir söave e bella, Ma se mai verità la
da eccesso si grave, memore di quel precetto registrato nel Levitico
al
19. 11. Non mentiemini, nec decipiet unusquisque
tal, che la discordia è questa. Annotazioni. Chi non orridisce
al
ritratto di questa furia d’Averno ? Il viperino d
vera madre d’iniquità ! Noi adunque, che figli siamo di quel Dio, che
al
dir dell’ Apost. 1. Cor. 14. Non est dissentionis
quella triste conseguenza descritta dal mentovato Apostolo a’ Galati
al
5. Si invicem mordetis, et comeditis : videte, ne
che l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire la povertà, che
al
dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è la
In pace, e in guerra d’atterrar non resta, tien soggetti dal pastore
al
regge. Entra dovunque, e non è mai richiesta, Il
de, o rondinella. Nascon sotto a’suoi passi erbette, e fiori, Sorride
al
suo venir l’alma natura Mitigando del sole i grav
l suo venir l’alma natura Mitigando del sole i gravi ardori. Al mare,
al
fonte, al rio beltà procura, Madre, e nutrice d’i
r l’alma natura Mitigando del sole i gravi ardori. Al mare, al fonte,
al
rio beltà procura, Madre, e nutrice d’innocenti a
iril di mosto tinto Coronato di foglie, e varii frutti, Mille augelli
al
suo piè si tien ridutti, Coll’ uve in man di mill
i tien ridutti, Coll’ uve in man di mille tralci cinto. Alla gioia, e
al
piacer sembra sospinto, Gli affanni da sua man se
ed ultimo. Inverno. Sonetto T remante vecchio colla neve
al
crine, Con l’ammanto nevoso, e’l bianco mento Spi
fiere, e negli orrori Spesso abitar senza timor le piacque Togliendo
al
cor devoto i vil timori. Finchè arrivata a incomp
gli calpestati, A chiare note i gran deliri io leggo, E i falsi dotti
al
suol vinti, e prostrati. L’opre fallite, i deside
Delle istituzioni poetiche L a poesia prima fra le arti belle,
al
dir del melanconico cantor della notte, insiem co
nsero. Per essa finalmente, che suol dare anche corpo all’ombra, vita
al
nulla al soglio siede delle più alte magnificenze
r essa finalmente, che suol dare anche corpo all’ombra, vita al nulla
al
soglio siede delle più alte magnificenze o chi fo
to dì Creta, egli non vi si inoltrerà giammai. Scorrasi pure dal Indo
al
Moro, dagli abitatori del Gange sino a’ Cretini d
cosa. Cap. I. Della materia, e del modo di disporsi. La poesia
al
par della elequenza, certa e determinata materia
determinata materia non mai riconosce, quindi come questa assoggetta
al
suo impero ogni cosa, così quella sopra di tutto
quanto di grazia gli epiteti, quanto in somma contribuisce a pingere
al
naturale le immagini delle cose, tutto nella narr
no della poetica arte, l’unico mezzo, dietro la natural disposizione,
al
parer di tutt’ i maestri di quest’ arte é la lett
biano sempre in mira i dilettanti in quest’ arte di adattare il metro
al
soggetto, e non mai questo tradurre a quello. Per
e accoglienze, ed un esito sempre più sventurato ; anzi non solamente
al
soggetto è da subordinarsi il metro ; ma benanche
, sicchè per essere esatti osservatori di essa abbiano a fare i sordi
al
suono del verso ; mentre questo a quello, checchè
in un sol verso di 11. sillabe restrinse un quinario dialogo, di cui
al
parere di tutt’ i conoscitori dell’arte non può m
iò, che la nostra poesia è capace. Eccone l’ esempio : Il peccatore
al
sepolcro di G. Cristo. Tormento Pensando Spi
è il seguente. Egeo, che si congeda dal figlio Teseo, che si porta
al
laberinto di Creta per combattere il Minotauro.
io Contemplando Dallo scoglio Salso il regno Nel cordoglio Sempre
al
segno Guarderò Mi terrò. Nel verso quinario
r sol vaga Priva d’onore Il cor s’impiaga, Mi abbandonò. E piomba
al
suol. Ma ognun conosca Fugge in un urlo Dal c
i restano liberi come. Epaminonda, che vince la battaglia col dardo
al
fianco. L’ardito Tebano Il sangue già scende,
o si scioglie E in terra sen giace Con fischio mortale La man tiene
al
fianco, Al fianco lo coglie ; E mostrasi audace
rambo, in cui fa maggior pompa, sempre per altro adattabile assai più
al
boscareccio, che al serio. Esso costa di otto sil
gior pompa, sempre per altro adattabile assai più al boscareccio, che
al
serio. Esso costa di otto sillabe, delle quali la
cello limpido Più la quiete stabile Col gorgogliar suo flebile Se
al
par d’afflitta tortora Cresce del cor la smania,
greco Anacreonte il carattere serba, ed il nome, è uno di quelli, che
al
dir del Crescimbeni, sono i più spiritosi, e legg
ossente Tosto che l’ombre scendono Cerca di notte struggere Cheti
al
nemico vanno, Le squadre d’Oriente. E appena ch
mpi antichi hanno scritto, e cantato su questo metro ; ma diasi luogo
al
vero da che il celebre Manzoni scrisse il quinto
ario piano, il terzo sdrucciolo, il quarto similmente piano, che rima
al
secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sesto senari
zolle, e quanto appare Che sarà di ma infelice ! Si strascina irato
al
mare. Tutto al mar si porta il fiume Là una pec
appare Che sarà di ma infelice ! Si strascina irato al mare. Tutto
al
mar si porta il fiume Là una pecora belante, Ca
eo di gran polzo si prova a trattarlo, mentre le sue difficoltà anche
al
tavolino rendonsi laboriose. Un tal metro è compo
nchi similmente rimati tra loro, ed il sesto quinario piano, che rima
al
terzo, questi sono i divisati sei versi, che cost
ol Misera ! oh Dio L’alma è feconda Son costretta a languir, Sola
al
mondo sarò E non posso morir Nè in opra tal ved
tà tutta sua propria ci presenta questo metro. Imperochè essendo vero
al
comune sentimento de’ maestri dell’arte, che la c
anlio, che condanna il figlio a morte Emanato il gran decreto Dice
al
figlio : eh che facesti Dall’austero conduttier
ro i Galli in gran tenzone, Nulla vale addur la scusa E chi ardisse
al
paragone Grida il padre chi si abusa Contro il
E l’uccise, e lo spogliò. Tutto il campo allor tremò Porta l’armi
al
genitore Ed invan parlò natura Di quel gallo gi
è similmente settenario piano, il terzo è anche settenario, che rima
al
primo, il quarto è simile al secondo con cui rima
o, il terzo è anche settenario, che rima al primo, il quarto è simile
al
secondo con cui rima, il quinto, ed il sesto sono
iano libero, il decimo è tronco libero ; l’undecimo è piano, che rima
al
nono ; l’ultimo finalmente è tronco, che col deci
osa Fuor delle strutte mura Essa è un funesto don Stassi tramorta
al
suol Lassa non son più sposa, Sul pesto corpicc
d invaghirsene. Se per te a tanto son costretto, Quanta ubbidienza
al
cor mi costa Saprò soffrir la mia sventura, Sod
natura Per me sia questo l’ultimo di Umil la fronte piegherò Devoto
al
cenno ubbidirò. Il decasillabo poi, che è il S
son presso a perir. Si consulta Calcante l’aruspice, Chè ognun crede
al
suo saggio consiglio Egli mostra il tremendo peri
la terza rima, come quella, che indistintamente si mostra adattabile
al
sagro, al profano, all’eroico, al bernesco, all’e
rima, come quella, che indistintamente si mostra adattabile al sagro,
al
profano, all’eroico, al bernesco, all’epistolare,
ndistintamente si mostra adattabile al sagro, al profano, all’eroico,
al
bernesco, all’epistolare, e a tutt’altro. In ques
nque impertanto vorrà comporre in questo metro sia accorto a disporre
al
secondo verso il cambiamento del pensiere per tro
alla stanza seguente Eccone la norma. Zeleuco, che salva un occhio
al
figlio colla perdita del suo. Promulga il re Zel
po suo rigore, E il duol del cor nel volto suo si legge ; Ma pensando
al
dover del regnatore, E qual’obbligo tien colui, c
ltimi sospiri, E l’interrotta, e tronca sua favella ? Deh ! m’assisti
al
morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu che fai
lore, Così colei, che di pallor s’ammanta Allor sen muore. E in mezzo
al
sangue mentre l’alma spira Fà, che l’ultima voce
te nel comporre elogii a grandi Eroi prima di provarsi all’Ottava, ed
al
Sonetto. Eccone intanto il modello Bruto, che c
Romani adopra ogn’arte. Si forma in Roma una fatal congiura Per dare
al
Regge l’usurpato soglio Vindicio l’ode, e palesar
or che faremo Qual sarà di costor la giusta sorte ? Roma per essi fù
al
periglio estremo Perciò a ragione io li condanno
ria d’esser padre lor fui figlio a Roma Questa mi parla, e non natura
al
core Provino i figli rei giusto destino Pria d’es
ciocchè ognun la sua costanza invitta Conservi sempre, e se l’imprima
al
core, Priachè l’infausto mar forte tragitta Dice
scempio Nè giovarvi potrò se in Roma io resto Già carco di anni, onde
al
dovere adempio : Se in verde età vi diedi il sang
un tal metro, sebbene come si disse nel Cap. I. il verso deve servire
al
pensiero, e non questo a quello ; pur tutta volta
ato luogo si avertì, è necessario, che il pensiere spesse volte serva
al
verso ; mentre quì il poeta deve dire, ciò che pu
ne, e zacchere Tanto gli fece, che sel seppe togliere, E sel condusse
al
suon di pive, e nacchere. Uran. Titiro mio non c
o, Che ad ognun, che l’udì parve incredibile. Venne a cercare il foco
al
mio ricovero, E innanzi a tutti con prestezza est
fior, la fronda. Comincia vaga erbetta a uscir dal suolo, E l’olezzo
al
color confonde, e mesce, Spiega l’augello più sic
una norma invariabile della Canzone. Per la morte di Pio VII. Chi
al
pianto porgerà cotanta vena Onde fugar dal core I
dal core Il cumulo d’affanni, che l’opprime, E in si fatal dolore Chi
al
seno porgerà forza cotanta Perchè il pastore egre
In faccia all’armi, e la baldanza rea Mai non piegò la fronte ; Pari
al
signor, che per l’altrui delitti Sparse di sangue
gli del tanto zelo Già trova il suo riposo in sen di Dio, E il premio
al
suo sudor si gode in Cielo. Cap. XXII. Del
ganti, che scorsi mille pericoli in mari ignoti trovano ancora vicino
al
porto in faccia a nascosti scogli che temere ; ta
to in faccia a nascosti scogli che temere ; tal mi son io, che giunto
al
termine di questo poetico trattato incontro pur d
uasi che se non si avesse qualche sonetto di questi tali ne andrebbe,
al
dir del Menzini, il Parnasso tutto in rovina. Deh
’ esercizio de’ diversi ritmi dell’ arte, e poi inoltrarsi pian piano
al
cimento di si ardua impresa. La celebre raccolta
colar modo occupar deve l’ingegno di chi compona ; mentre il Sonetto,
al
pari d’un torrente, che vicino alla foce porta ma
che vicino alla foce porta maggior copia di acque, nell’ avvicinarsi
al
suo termine deve finire con una sentenza, che fer
n la natura. Visto il suo padre in grembo a rea sventura Superbamente
al
mesto auriga impone, Che dia feroce ai suoi caval
sto auriga impone, Che dia feroce ai suoi caval di sprone, E il corpo
al
genitor schiacciar procura Ma perchè quei ricusa
mezz’ aperta. SONETTO LIRICO Perchè mai destra villana Or mi strappi
al
gambo mio Qual’ è il mal, che t’ hò fatt’ io, Che
i dai pena si strana. Sarei stata la sovrana Sopra il cespo in faccia
al
rio ; Se più apriva il seno oh Dio, Se la destra
M’occupa del mio ovil solo l’aspetto. Dopo gli affar mi pince andarne
al
letto, Nè di zampogna più toccar la canna ; Che l
dolore Sempre compagno del mio lungo errore. III. Finalmente intorno
al
Sonetto da tessersi colle rime prescritte non sti
affanno, Affanno Or che crudo voler ponmi in catena. Catena Hai vinto
al
fine mio destin tiranno, Tiranno Vado a perir nel
etato. Spietato Deh ! Rammentisi ognun del dolor mio ; Mio Se Augusto
al
mio servir si mostra ingrato Ingrato Roma, figli,
ar di quest’ ultima parte sacra alle muse latine un distinto trattato
al
pari del primo ben’ ampio, ed esteso, potendola b
ca tessitura, che per antonomasia appellasi Verso siccome in rapporto
al
numero, ed al valore de’ suoi componenti cangia s
che per antonomasia appellasi Verso siccome in rapporto al numero, ed
al
valore de’ suoi componenti cangia sempre di aspet
g. Ec. 2. 70. Semiputata tibi frondosa vitis in ulmo est (2). Inoltre
al
verso Esametro si riducono altri versi differenti
e al verso Esametro si riducono altri versi differenti, e questi sino
al
numero di sette, cioè il Pentametro, l’ Archiloch
primiera ; benchè per altro coll’aver ricevuto un valore equivalente
al
primo è da dissi più felice del detto Titolato.
rincipii buono, e cattivo, o la sentenza di chi ne ascrive la cagione
al
timore, giusta quel di Lucrezio : Lucr. de reb. N
i mostri superbi insorti contro Giove sembra derivata dal Genesi, ove
al
6 si legge : Gigantes autem erant super faciem t
o, viri famosi. Questi co’loro atroci delitti cercarono muover guerra
al
cielo, e per ciò estinti per giusto giudizio di D
per ciò estinti per giusto giudizio di Dio, come di tratto in tratto
al
par di essi leggiam conquisi altri Teomachi, e sp
nità, come un Faraone co’suoi nelle onde Eritree, de’ quali in Giobbe
al
26 stà scritto : Ecce gigantes gemunt sub aquis
ritto : Ecce gigantes gemunt sub aquis , e come un dì dovrà avvenire
al
Corifeo de’Teomachi l’Anticristo ; di cui sta scr
prendendo allegoria da alcuni solitarii uccelli delle Indie chiamati
al
dir di Plinio le Sirene. Nel senso morale però mo
mille lusinghe, ed attrattive, quasi con altrettanti lacci attiravano
al
lor seno gl’ incauti viaggiatori, e per sensuali
Un tal Delfino perchè favorì Nettuno in si premuroso affare meritava
al
certo qualche ricompensa, che perciò Nettuno per
uno per non sembrargli ingrato lo trasse dalle native onde, e lo menò
al
cielo in luogo degno fra le cestellazioni presso
, fece si, che tutti quei mostri marini, che sonavano del pari avanti
al
cocchio dell’ alto regnatore delle onde, venisser
ati Tritoni. Egli in premio dcl suo mestiere, e molto più in rapporto
al
legnaggio godeva ancora in preferenza di altri Tr
ne della lore forza, e destrezza nel loro impiego abbia somministrata
al
Poeta istesso quella brillante descrizione dei fe
rata al Poeta istesso quella brillante descrizione dei ferrai accinti
al
lavoro. … Alii ventosis follibus auras : Accipiu
ali affidò questo scudo, e con esso altri ben molti del tutto, simili
al
primo costruiti per sua ordinanza da un certo Mam
le genti S. Paolo fù chiamato Mercurio, come negli atti degl’apostoli
al
Cap. 14 si legge : Paulum vero Mercurium. Imperoc
nel perorare ? L’attesta la stessa controversia agitata fra gl’Etnici
al
riferir di S. Gio : Crisost : Hom : 3. Se doveasi
oppo chiaro dalle stesse sue lettere. E che altro è quel, che leggesi
al
cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio legatione
ngi in catena ? che altro è quel, che sta scritto nella II. a Corinti
al
5 : Pro. Christo legatione fungimur tanquam Deo
di lavorate pietre : Quod si altare lapideum feceris, così nel Esod.
al
20 non aedificabis illud sectis lapidibus. Che se
to, che è Pietra, sì finalmente acciò dalla durezza della pietra, ove
al
sommo Nume sacrificano i sacerdoti, imparino essi
Suo ritratto, e culto. Chi fù Giunone. Suc azioni (1). Bella assai
al
suo costume é la descrizione, che nel i. delle su
na in più luoghi Iddio nelle scritture, e specialmente nella Sapienza
al
14 ove leggesi obscura sacrificia facientes, aut
, che che altri si dicano, fù istituito, come sopra hò detto, da Numa
al
numero di quattre, prodotto quindi a sei d al qui
sopra hò detto, da Numa al numero di quattre, prodotto quindi a sei d
al
quinte Re Tarquinio Prisco, qual numero senario d
ò fin agl’ultimi tempi della Republica, come chiaro l’insegna Dionigi
al
3 de’ suoi lib. Suo ritratto. (1). Il palladio,
i della generazione del Verbo Eterno dal Padre, fabbricarono i Poeti,
al
dir di più dotti Scrittori, la prodigiosa nascita
tti forse prese occasione, e corraggio il superbo Antioco di portarsi
al
tempio di Nanea, ossia Venere, come piace a molti
dagli orefici, e soprattutto da Demetrio, come negl’atti degli Apost.
al
19 si legge. Quali poi sieno state tali argentee
ne degl’ Ebrei pascevasi di si barbare offerte ; per cui nel Levitico
al
18 si legge : De semine tuo non dabis, ut conseg
questa seconda divisa chiaro non scorgendosi, come passato poi fosse
al
Regio soglio, con qual fondamento dimostrar si po
la è la descrizione, che dell’effigie di queste Dio efforma Properzio
al
terzo. Quicumque ille fuit, puerum qui pinxit Am
araone, che ricusato avea lasciare il popolo per andare a sacrificare
al
lor Dio Signore ? Sue prodezze. Sue vendette. Suo
mo infelice allor che nasce In questa valle di miserie piena Pria che
al
sol gli occhi al pianto, e nato appena Va prigion
che nasce In questa valle di miserie piena Pria che al sol gli occhi
al
pianto, e nato appena Va prigionier fra le tenaci
chè curvo, e lasso Appoggia a un debil legno il fianco antico. Chiude
al
fin le sue spoglie angusto sasso, Nell’atto a voi
ì dinota un ammasso di più versi di diversa specie senza alcuna legge
al
solo arbitrio di chi compone. Tal è il ditirambo
tto di napoli Che alla valente operosità della vita politica Intesa
al
bene ed alla gloria Della patria italiana Tenne
azione una spiega, per quanto più potremo concisa e limpida, del modo
al
quale ci siamo attenuti, onde render chiara ed ut
mo personalmente riscontrate quelle citazioni, onde esser certi, fino
al
convincimento, di non aver commesso il più lieve
di Dante, quantunque a prima vista potesse sembrare affatto estranea
al
carattere della nostra opera, la più lieve relazi
sterioso delle credenze dei pagani ; sono quelli e non altri ; e noi,
al
certo, non potevamo nè inventarne dei nuovi, nè r
o, rese più chiare, limpide ed indelebili, nell’animo del lettore. É,
al
certo, altamente utile ed importante, anche sotto
ro utili con l’eterno insegnamento della storia, e facciano buon viso
al
nostro lavoro : noi non osiamo nè chiedere, nè sp
munanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed
al
tempo : il commercio delle idee : la congiuntura
all’opera devastatrice del tempo, e che altra volta furono destinati
al
culto delle divinità pagane, ed ora lo sono all’a
a Salule, a Santo Vitale. Sulle rive del lago Numicio, e propriamente
al
luogo ove la tradizione ci ricorda si precipitass
nell’ Arca è Satyaxrata — Iao, in Cina, il primo re, dà cominciamento
al
suo regno con lo scolamento delle acque diluviane
domina ed impera costantemente il principio simbolico e configurato,
al
quale si è dato tacitamente, da tutti gli scritto
di una religione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che
al
principio della verità, cedettero il posto ai mit
verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere
al
suo vero principio facendosi sostegno della verit
al suo vero principio facendosi sostegno della verità : cooperandosi
al
progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più
perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere
al
bello, al grande, alla virtù l’azione delle intel
ando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello,
al
grande, alla virtù l’azione delle intelligenze um
tteristicamente dello stato di civiltà, in cui si trovano gli uomini,
al
momento in cui le concepiscono. Così noi vediamo
lefici, pitonesse e larve d’ogni maniera,33 Il Tasso, porgeva ascolto
al
suo genio familiare. Sacrobosco 34 insegnò le sfe
egli alzandosi disse : Voi, Condorcet, vi avvelenerete per sottrarvi
al
carnefice ! E, continuando, predice a Chambord ch
Sventura a Gerusalemme ! Il settimo giorno gridò : Sventura a me ! E
al
punto stesso un sasso enorme briccolato dalle bal
voce che, nella notte del 10 aprile 1850, la dama bianca era comparsa
al
castello di Berlino, e che questo era certamente
la forma allegorica, l’in elligenza dei miti della favola, non riesce
al
erto difficile ; ma vi sono molti altri simboli i
culto, dimorare in palagi di ghiaccio : quelli dell’Indiana, riposare
al
rezzo delle piante, e bagnarsi nelle fresche acqu
ario, rappresenta ciò che è, e come è : esprime la Forma immedesimata
al
Fondo, l’idea col fatto, senza avvertire codesta
nell’istesso tempo dal pensiero e dal fatto, ed è tanto più prossimo
al
simbolo, quanto più è antico. All’incontro tanto
Atropo. Gloto. là più giovane, teneva la conocchia, ossia presiedeva
al
punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava
ane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo
al
mondo. Lachesi filava gli avvenimenti della vita
custodirono il senso recondito e misterioso, ma invece di comunicarlo
al
popolo, lo invilupparono in dottrine arcane, serv
iodo hanno due sensi, il Letterale e l’Allegorico ; il vulgo si ferma
al
primo, i filosofi ammirano sempre l’altro. Cleme
uale egli si fosse imbarcato per arrivare traverso il fiume del tempo
al
mare magno della eternità — Ci hanno di parecchi
religione, qualunque essa sia, fa che un popolo sia civile. Introduz.
al
Giornale — La Società. ….tant qu’il y aura sur
tta Menade, percuote orribilmente un suo crotalo infernale, eccitando
al
ballo tondo Grazie, Furie, Satiri e Muse. Marte b
i di mondi superstiti ; ma ogni secolo come ogni minuto si avvicinano
al
punto, dove il creatore per ogni cosa creata ha s
ile. — Così fu denominata la pietra che Rea, moglie di Saturno, dette
al
marito onde la divorasse invece di Giove, quando
to di Laumedonte sposò, e da cui ebbe due figli Esepo, e Pevaso. Che
al
buon Bucolïone un di produsse La Najade gentile A
le maga lo uccise e quindi ne lasciò le spoglie palpitanti inciampo
al
padre ! che la perseguitava, quando ella cieca
ze di Siracusa, in cui Giove Olimpico avea un antico tempio, dedicato
al
suo culto. 35. Acarnao e Amphoterens. — Questi du
inverecon la. Crudelmente offesa dal rifiuto, Creteisa, accusò Peleo
al
marito per aver voluto attentare al suo onore. Ac
l rifiuto, Creteisa, accusò Peleo al marito per aver voluto attentare
al
suo onore. Acasto dissimulando il suo dolore cond
Acca Laurentia moglie del pastore Faustolo che allevò Romolo e Remo,
al
quale per questo motivo i Romani decretarono gli
no scudiero per nome Acete. 45. Achaja. — Contrada della Grecia posta
al
mezzogiorno della Macedonia, ma più particolarmen
no della Macedonia, ma più particolarmente provincia del Peloponneso,
al
quale si dà alcuna volta, compreso nella sua tota
c : per denotare i Greci o cosa a loro concernente. Così noi troviamo
al
principio dell’Iliade questi versi : Cantami, o
esse dato il corno dell’ Abbondanza. 54. Acheroc. — Nome che Omero dà
al
pioppo bianco (detto Gattice, vedi Diz. delia Cru
per aver fornito l’acqua ai Titani, quando questi dettero la scalata
al
cielo. Le sue acque divennero fangose ed amare ed
ordati che a quelli che aveano vissuto onoratamente, non era permesso
al
battelliero, che in lingua Egiziana si chiama Car
me Stige, per renderlo invulnerabile, ed egli infatto lo fu, meno che
al
tallone sinistro, pel quale la madre sua lo tenne
lo fu, meno che al tallone sinistro, pel quale la madre sua lo tenne
al
momento dell’immersione. Bambino ancora, Achille
mento dell’immersione. Bambino ancora, Achille fu dato come discepolo
al
centauro Chirone, che lo nudrì di midolla di leon
ritornò alle armi e per vendicare il caduto amico, fece legare Ettore
al
suo carro, e guidando egli stesso i suoi focosi d
quando s’incamminava all’altare nuziale, Paride gli tirò una freccia
al
tallone. Achille morì di questa ferita. I Greci g
to famoso eroe della Grecia, che l’opinione della sua invulnerabilità
al
tallone, non era accettata ai tempi di Omero, e c
0. Achillea. — Isola del Ponte-Eusino così detta dal nome di Achille,
al
quale vi si tributavano onori divini. Era anche A
o spaventevole. 64. Achmenide uno de’ compagni di Ulisse. Egli sfuggì
al
gigante Polifemo che voleva ucciderlo, e fu salva
grande ed antica venerazione che gli Egizii ebbero per l’acqua, e che
al
dire di S. Atanagio anch’egli Egiziano, avea spin
se Dee, e più particolarmente a quelle che avevano dei tempî dedicati
al
loro culto sulle montagne, dalla parola greca αϰρ
l’ α privativa e da αδω io vedo. Davasi del pari cotesto nome di ades
al
luogo sotterraneo ove passavano le anime dei mort
steo. In vaghitasi della cintura della regina delle Amazzoni, suggerì
al
padre di persuadere Ercole a rendersene padrone o
ttero il nome di Tenea, volendo ricordare che essi avean teso intorno
al
simulacro di Giunone alcuni rami d’albero. Vi fu
pitale. Fu uno dei principi greci che si riunirono per dare la caccia
al
cignale di Calydone. Prese anche parte alla spedi
li era un famoso cacciatore : Venere l’amò passionatamente e preferi,
al
dire d’Ovidio, la conquista di lui a quella degli
re vegliante a punizione dei colpevoii. Gli Egizii mettevano Adrastea
al
disopra della Luna. È opinione di molti scrittori
bene il padre del morto lo avesse perdonato, egli non potendo reggere
al
suo rimorso, si trafisse sulla tomba dell’estinto
to come un eroe. 132. Aetone. — Uno dei quattro cavalli del sole, che
al
dire di Ovidio, fu principale cagione della cadut
ano in quelle acque le loro offerte, senza por mente alla ricchezza o
al
valore di esse. Se erano accette alla Dea, restav
a ricchezza o al valore di esse. Se erano accette alla Dea, restavano
al
fondo, se venivan respinte, ritornavano a galla,
iano e che di tutt’i doni da essi gettati nelle acque, nessuno rimase
al
fondo. Infatti l’anno seguente essi furono intera
ore e Polluce venivano così detti perchè avevano un tempio consagrato
al
loro culto nel recinto da cui partivano coloro ch
li oracoli che egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote che li ripeteva
al
popolo. 142. Afneo. — Altro soprannome di Marte.
e trovare altro scampo per se stesso, che quello di tagliare la testa
al
fratello. Qualche tempo dopo la terra improvvisam
l Dio Bacco, sia, come vogliono altri scrittori, pel suo preteso zelo
al
culto di quello. Vi furono ancora una figlia di D
e dopo qualche tempo la ninfa si trovò incinta e partori un fanciullo
al
quale fu imposto il nome di Ati. Giunto all’età v
per sposare una figliuola di lui. Già le cerimonie nuziali volgevano
al
loro termine, allorquando Agdisto, spinto da gelo
di Bacco. 199. Agrao o Agray. — Uno dei Titani che dettero la scalata
al
cielo. 200. Agraulie. — Dagli Agrauli, popoli del
. V. Agrao. 203. Agresto. — Che vale anche campestre, soprannome dato
al
Dio Pane. 204. Agriani. — Si dava questo nome ai
Circe. Agrio è anche il nome di uno dei Titani che dettero la scalata
al
cielo e che morì ucciso dalle Parche. 207. Agriod
lui, fossero infatti suoi figliuoli, mentre lo erano di Nettuno, Dio
al
quale Ifimedia avea consentito la sua persona. 21
le onde furiose, gli riusci di afferrarsi ad una roccia, ove rivolto
al
cielo imprecava gli Dei dicendo che si sarebbe sa
ò ad Ettore fu lo stesso col quale questo eroe venne legato pei piedi
al
carro di Achille, quando ucciso da questi in comb
Ulisse però ebbe il di sopra, e Ajace durante la notte, furioso fino
al
delirio si gettò con la spada alla mano in mezzo
za la mano, E poi la lira a sè con ogni forza : E quel petto ferisce,
al
quale in vano Ogni altro tentò pria forar la scor
lio Già d’Amiciante, di quel sangue uscio E dal colore in fuor simile
al
giglio, Le vaghe foglie in un momento aprio. Form
me dato a Bellona. 227. Alalcomede. — Nome del precettore di Minerva,
al
quale dopo la morte furono in considerazione dell
seo e marito d’Ipponomea. Egli fu padre di Anfitrione e avo di Ercole
al
quale per questa ragione si da tanto comunemente
battere la morte, discese agl’inferni da cui ritirò Alceste e la rese
al
marito. Omero dà ad Alceste il soprannome di Divi
dà ad Alceste il soprannome di Divina perchè ella amò suo marito fino
al
punto di sagrificargli la vita. Euripide prende a
tando E i vari amici, e il proprio padre, e carca D’anni la madre, se
al
morir propensi Fossero in vece sua : solu ei trov
do i legami che lo stringevano ad Arfinoe, e spingendo l’audacia fino
al
punto di farsi da questa restituire la collana pe
uo fratello, che i Telebani avevano ucciso. Mentre che Anfitrione era
al
campo, Giove innamorato d’Alcmena, prese le forme
l sen si raro pegno. Con immenso dolor premea le piume. E ben vedeasi
al
ventre ampio e ripieno Che Giove era l’autor di t
d’Agamennone. Temendo che Egisto e Clitennestra, dopo aver dato morte
al
padre suo, non gli serbassero la stessa sorte fug
ninfa Lara. 295. Almopo. — Fu uno dei giganti che dettero la scalata
al
cielo. 296. Aloe V. Aine. 297. Aloeo o Aloo. — Gi
mosi giganti che imponendo montagne sopra montagne dettero la scalata
al
cielo. Omero li distingue fra loro chiamando il p
meno. L’arbore, ch’era verde, si fa smorta, Ed ogni spoglia sua rende
al
terreno : Le ninfe della selva abitatrici Abbando
queste, avessero sagrificato l’albero abitato da un’amadriade. Così,
al
dire d’Ovidio, l’amadriade che abitava il tronco
lla mietitura. I sacerdoti che presiedevano a questi sacrifizi, erano
al
numero di dodici e si chiamano Arvali. Vedi Arval
osia e Nettare. Secondo i poeti l’ambrosia era una sostanza destinata
al
nutrimento degli Dei, ed è opinione sufficienteme
i ; rendeva la vita perfettamente felice, e conservava allo spirito e
al
corpo una giovanezza eterna e ridente. Il poeta I
: La state e l’inverno — Aveva scoperto il lato destro del petto fino
al
livello del cuore, indicando col dito le seguenti
serpenti. 335. Amicleo. — Si dava questo soprannome ad Apollo perchè
al
dire di Polibio, aveva nella città di Amiclea il
erano strettamente uniti con la loro sorella. Da ciò la favola che dà
al
mostro detto chimera il volto di donna, il corpo
tto Mirra, e sdegnato la maledisse e la cacciò dalla sua casa insieme
al
figlio ed al marito. Mirra col piccolo Adone si r
sdegnato la maledisse e la cacciò dalla sua casa insieme al figlio ed
al
marito. Mirra col piccolo Adone si ritrasse nell’
a Nettuno Scotitor della terra il gran tridente. E le folgori elerne
al
sommo Giove Tasso. Aminto. Secondo Aristofane
osò Encelado che ella uccise la prima notte delle nozze, per ubbidire
al
comando di suo padre. Straziata dai rimorsi, ella
stodita ad Atene, secondo asserisce Pausania. 363. Anadyomene. — Così
al
d re di Plinio veniva soprannominata Venere. Cesa
me un quadro dipinto da Apelle, nel quale la Dea veniva rappresentata
al
momento della sua nascita uscendo dalla spuma del
oli di Castore e di Febea. Nel tempio fabbricato a Corinto e dedicato
al
culto di Castore, vi era una statua di Anasci com
mostro, ma rimase da questo uccise. Un tale avvenimento dette origine
al
proverbio di Catone : mullum interesi inter os et
ggiunsi io, com’è d’uopo, in su le spalle A me ti reca, e mi t’adatta
al
collo Acconciamente ; ch’io robusto e forte Sono
ezioso, comandò se ne fabbricassero altri undici perfettamente simili
al
primo ; e ne affidò la custodia a dodici sacerdot
ando si portavano i dodici ancilii in una festa che durava tre giorni
al
principio del mese di marzo, era proibito il cele
intraprendere alcuna cosa importante. 389. Anculo e Ancula. — Erano,
al
dire di Festo le deità tutelari dei servi e delle
vato fra le più illustri famiglie, taluno che avesse voluto immolarsi
al
bene comune. A tale risposte tutte le figliuole d
orati dal mostro Minotauro. 399. Androgini. — Popoli dell’Africa, che
al
dire di Plinio erano ermafroditi. Questa credenza
sebbene moglie di altri, fece innalzare in Epiro una magnifica tomba
al
defunto eroe. 401. Andromeda. — Figlia di Cefeo r
male, mostrandogli la testa di Medusa, e liberò Andromeda, rendendola
al
padre, il quale in riconoscenza dell’eroico atto,
, ove alcuni delfini, mandati da Nettuno, lo portarono sul dorso fino
al
palazzo d’Anfitrite, da cui riebbe l’anello di Mi
e, sensibili alla dolcissima melodia, si collocavano di per se stesse
al
loro posto. A lui ed a Zeto suo fratello, si attr
lebani, e li sconfisse con l’aiuto di Cometo figlio Pterelao loro re,
al
quale la figlia taglio un capello d’oro da cui di
e, ma avendo questi respinte le lascive voglie di lei, ella lo accusò
al
marito. …… d’Argo l’espulse Per cagione d’Autea,
lo accusò al marito. …… d’Argo l’espulse Per cagione d’Autea, sposa
al
tiranno, Furiosa costei ne disiava Segretamente l
nticlea — Figlia di Diocleo e madre di Ulisse. La favola racconta che
al
momento in cui Laerte stava per impalmaria, Sisif
lto pensar. sue rare Sublimi doti. ammirator tu padre. Sì, ne saresti
al
par di me ; tu stesso, Più assai di me, chi, sott
lla, e cara. Dicevi allor : qual ebbe, afflitta madre. Altro conforto
al
suo dolore Immenso ? Qual compagna nel piangere ?
oclamato con giuramento, che il novello ascritto era suo figlio. Sino
al
compimento di codesta formola i nuovi ascritti ve
stro, in figura di luna crescente. Allorquando i sacerdoti consacrati
al
culto del dio Api, scoprivano un toro che aveva s
e molto di rado, lasciandolo allora per poche ore in un prato attiguo
al
tempio ove dimorava il dio Apis, e permettendo in
el periodo degli anni che il bue dovea vivere, i sacerdoti consacrati
al
suo culto in gran pompa e con tutte le cerimonie
to Ippolito, Apollo uccise i Ciclopi che avevano fabqricato i fulmini
al
padre degli Dei, il quale sdegnato contro di lui
ea, Dafne e Clitia. Lo sparviero, il gallo e l’olivo erano consacrati
al
Apollo, perchè fra i mortali uomini e donne che e
nosa, e tessi e pendi. Appena quel velen sopra le sparse, Che tolse
al
corpo il grande, il duro e’ l greve : Con picciol
lanuginoso e breve : Un sottil piè venne ogni dito a farse, Che pende
al
retto resuplno, e leve ; Dal picciol corpo il lin
vano sino ai piedi : portava il capo coperto da un berretto frigio, e
al
collo un vezzo a cui erano attaccate medaglie rap
poeti denotavano talvolta Apollo. Più comunemente si dava questo nome
al
centauro Chirone, rappresentato nei segni dello Z
Arculo. — Dalle parole latine arx e arca, i Romani davano questo nome
al
dio destinato nel loro culto a presiedere alle pi
ridamo, Tifiso, Zeto etc. Gli Argonauti s’imbarcarono nella Tessaglia
al
capo di Magnesia, e dopo aver toccato l’isola di
o questo soprannome a Mercurio. In Acaia nella città di Tare, vi era,
al
dire di Pausania, una statua di Mercurio Argoreo,
volse Far sempre il nome suo splender nel cielo, E l’aurea sua corona
al
bel crin tolse ; Ed a farla immortal rivoltò il z
a parte il braccio sciolse Onde settentrion n’apporta il gelo ; Prese
al
ciel la corona il volo, e corse Ver dove Arturo f
volo, e corse Ver dove Arturo fa la guardia all’ Orse. L’aurea corona
al
ciel più ognor si spinge E di lume maggior sè ste
re un’ultima volta il liuto. I marinai aderirono alla sua richiesta e
al
suono dolcissimo un gran numero di delfini si riu
l cervello di Giove. 580. Armilustre o Armilustria. — Presso i Romani
al
19 di ottobre al campo di Marte, si celebrava una
ve. 580. Armilustre o Armilustria. — Presso i Romani al 19 di ottobre
al
campo di Marte, si celebrava una festa militare n
a coloro che vi prendevano parte, giravano armati intorno alla piazza
al
suono degli strumenti. 581. Armilustria. — V. Arm
lei un truce fatto. La sua fatale bellezzà ispirò un incestuoso amore
al
padre, il quale ricusò ostinatamente di maritarla
quale secondo Igino fu fin dalla prima infanzia educata come un uomo
al
maneggio delle armi e a tutti gli esercizii del c
diere. I cronisti della mitologia raccontano che essa era così veloce
al
corso che nessuno potè raggiungerla mai se pure m
Che madre fosse, incontro gli si fece. Donzella all’armi, a l’abito,
al
sembiante Parea di Sparta, o quale in Tracia Arpa
do la favola, più orrendi mostri di questi spaventevoli uccelli. Essi
al
dire di Virgilio, avevano volto umano, ma pallido
doti che facevano i sacrifizi detti Ambarvali. Questi sacerdoti erano
al
numero di dodici, venivano scelti fra le più illu
rte Egregia prole ……. …… Eran di questi Trenta le navi che schierarsi
al
lido. Omero Iliade — Libro II trad. di Vinc. Mon
i Nettuno. Nell’antica letteratura si dà di sovente il nome di Ascreo
al
poeta Esiodo, perchè nativo di quella città. La f
e ricerche riuscirono vane, poichè Andromaca lo sottrasse con la fuga
al
pericolo, ricoverandosi col figlio in Epiro. 635.
una delle figliuole di Ettore la quale non potendo opporre resistenza
al
dio Marte che ne era innamorato, fu da lui resa m
favola li dipinge come dei Titani che avessero voluto dare la scalata
al
cielo, ma poscia si divisero fra loro, e alcuni p
considerato come un empio per aver dispregiato il culto di Diana fino
al
segno di mangiare della carne che era preparata p
tata dalla vista d’un serpente, essa si arrestò e fu questa occasione
al
loro riconoscimento. 680. Augia. — Re d’ Elide. E
ancora in vita, egli piombò improvvisamente su quel posto e ricevette
al
petto una mortale ferita dall’ombra di Aiace. Aut
sua estrema ricchezza e magnificenza. 716. Baal-Berit. — Dio innanzi
al
quale i Fenici ed i Cartaginesi davano il giurame
-Fegor, Bellegor o Belfegob. — Divinità dei Moabiti. La fornicazione,
al
dire della Bibbia, era consacrata a Baal-Fegor ch
gli abitatori di Babilonia, per la loro sfrenata libidine, che arrivò
al
suo maggior punto di corruttela, sotto la famosa
mato un toro, che nelle principali città dell’ Egitto, era consacrato
al
sole e adorato con particolare venerazione. Il pe
carsi di Semele, le consigliò, mentre questa era incinta, di chiedere
al
divino suo amante di mostrarsi a lei in tutto lo
e materne, e lo rinchiuse nella sua coscia diritta, ove lo tenne fino
al
termine dei nove mesi. L’infante che nel corpo e
zia, che cura n’ebbe, La qual, sebben di Gluno avea paura. Non mancò
al
nipotin di quel che debbe : Alle ninfe Niselde il
ui figli che nascevano da quelle. Quando i giganti dettero la scalata
al
cielo, Bacco, trasformato in leone, combattè cora
alata al cielo, Bacco, trasformato in leone, combattè coraggiosamente
al
fianco di suo padre e fu ritenuto dopo Giove come
itenendo come risposta dell’oracolo, l’interpetrazione corrispondente
al
segno ottenuto dal getto dei dadi. 743. Barbata.
i celebravano in versi le azioni immortali degli eroi, e le cantavano
al
suono degli strumenti, e soprattutto della lira.
L’arbor vede ei che la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende
al
fin che n’esce. Più vede che la selva abbonda e c
ire nella Bitinia. Sotto pretesto di dare dei pubblici giuochi, essi,
al
dire di Lucano, attiravano nelle foreste gran qua
massacro. Racconta Strabone che Amico, loro re, fu ucciso da Polluce,
al
quale in compagnia degli altri Argonanti, esso vo
767. Bellino. — Soprannome che gli antichi Galli dell’Alvernia davano
al
dio Beleno, ed a cui facevano i più grandi sacrif
nsibile. Antea punta da questa indifferenza, per vendicarsi lo accusò
al
marito come aver egli voluto attentare al suo ono
a, per vendicarsi lo accusò al marito come aver egli voluto attentare
al
suo onore. Preto, per non violare il diritto dell
olosa ricorda che la famosa Torre di Babele non avendo potuto servire
al
disegno di coloro che l’intrapresero, fu converti
abbellirono e l’arricchirono successivamente d’immensi tesori. Serse,
al
ritorno della funesta guerra di Grecia, lo demoli
principali divinità dei Sirii. Nella sacra Bibbia, si dà questo nome
al
principe dei demoni. Presso gli Accaroniti era ri
taccamento, per modo che, qualche giorno dopo, non vedendo nel tempio
al
posto usuale, le recise chiome della consorte, mo
le guance meste : Al volto antico quell’arca e quell’ombra. Quel velo
al
capo, al dosso quella veste Dà, ch’una vecchia ba
meste : Al volto antico quell’arca e quell’ombra. Quel velo al capo,
al
dosso quella veste Dà, ch’una vecchia balia oggi
mennone. 788. Bibesia ed Edesia. — Dee dei banchetti : una presiedeva
al
vino, l’altra alla gozzoviglia. La loro denominaz
e favolosa dice esser quella di Astrea, dea della giustizia, la quale
al
cominciare del secolo di ferro abbandonò la terra
gli onori eroici. Erodoto racconta che dovendo la madre loro recarsi
al
tempio di Giunone su di un carro tirato da buoi,
un carro tirato da buoi, questi animali tardarono ad essere condotti
al
giogo ; onde i due fratelli, per non fare aspetta
o essi stessi il carro per uno spazio di 45 stadii di terreno. Giunti
al
tempio, tutti gli astanti felicitarono quella mad
: La toglie in grembo, e volta a’Greci il tergo. E torna con la preda
al
patrio albergo. Ovidio. — Metamorfosi. — Libro V
endicare con la morte di Ettore (il cui cadavere egli trascinò legato
al
suo carro per tre volte intorno alle mura di Troi
vano fatto delle divinità. 847. Buono. — Si dava questo semplice nome
al
buon Genio, Dio dei bevitori, il quale per questa
sovente confuso con Bacco. In Grecia, sulla strada che da Tebe menava
al
monte Menalo, vi era un tempio a lui consacrato.
tati. Fu ucciso con suo figlio, e con tutti i suoi adepti, da Ercole,
al
quale egli preparava la stessa sorte. È generale
enne per se Coronide, ma Bacco, di cui ella era stata nutrice, ispirò
al
rapitore un tale accesso di rabbia, che questi si
lo, un sacerdote, un argonauta, ed un figlio di Pandione, re d’Atene,
al
quale venivano offerti dei sacrifizii come ad un
allina si può anche spiegare così : Fontana del cavallo Pegaso , che
al
dire degli scrittori più rinomati della Favola, e
ntracciarla e di non ritornare senza di lei. Cadmo, prima di ubbidire
al
comando paterno, consultò l’oracolo di Delfo, dal
ed un promontorio della penisola Italiana, dove essa morì, come pure
al
porto ed alla città che venne poi costruita in qu
per ingannarla la figura di Diana, ne ebbe un figlio per nome Arcaso,
al
quale, Calisto dette la luce in un bosco, avendol
aso in orsi : Quel si leggiadro e grazioso aspetto Che piacque tanto
al
gran rettor del cielo,. Divenne un fero e spavent
a. — Ossia divinità del matrimonio ; veniva invocata dalle giovanette
al
momento di compiere il rito nuziale. 916. Camena.
i. Il re Salomone, per compiacere ad una delle sue concubine, innalzò
al
Dio Camos un tempio. 925. Campagna delle lagrime.
ontro Ercole, quando questi uccise l’Idra di Lerna, e lo fece mordere
al
piede ; ma Ercole lo schiacciò con un colpo di cl
o il bue Api, fu notato che fra tutti gli animali che si avvicinarono
al
cadavere di quello, solo i cani si pascessero del
itenuti come sacri, i quali lasciavano che coloro che si avvicinavano
al
tempio con la dovuta reverenza, entrassero libera
938. Canente. — Conosciuta più comunemente sotto il nome di Canenza,
al
dire di Ovidio, ebbe questo nome dalla incomparab
di argento to, di ferro, di pietra o di legno, non potevano resistere
al
loro. Allora un sacerdote del Dio Canope, volle c
mi furono messe alle prese insieme. Si accese un gran fuoco, in mezzo
al
quale fu posta la statua di Canope, e con grande
l’animale che si sagrificava in generale a tutti gli Dei campestri e
al
Dio Fauno in particolare. 952. Caprotina. — Sopra
ivinità presiedeva alle parti nobili e vitali dell’uomo e soprattutto
al
cuore. Questa parola Carda deriva dal greco Καρδί
e stride e fuma, Qual se dentro l’incendio acqua si versi ; E sgorga
al
cielo un turbine di schiuma, E flotto incalza fio
a ed a presiederne tutte le cerimonie. 966. Cario. — Figlio di Giove,
al
quale veniva attribuita l’invenzione della musica
mestici. Ovidio, nei suoi Fasti, dice che veniva dato un gran pranzo,
al
quale non era ammessa alcuna persona straniera. 9
ominazione veniva designato uno dei quindici flamini di Roma, addetto
al
particolare servigio della Dea Carmenta. 975. Car
. 980. Caronte o Carone. — Figlio dell’Erebo e della Notte. Egli era,
al
dire di Virgilio, il navicellajo dell’Inferno, ch
del fiume Acheronte, per una moneta che esse erano obbligate a dargli
al
momento di prender posto nella sua barca. Questa
so, scelsero fra le più nobili famiglie duecento giovanetti destinati
al
sacrifizio ; e che ve ne furono più di trecento,
a soffocare le grida del fanciullo sacrificato, coloro che servivano
al
sacrificio, facessero grande strepito di tamburi
i flauti ; e che le madri stesse delle vittime, dovessero intervenire
al
sacrifizio e assistervi senza lamentarsi nè piang
l culto che gli si rendeva su due montagne di questo nome, una vicina
al
fiume Eufrate, l’altra nel basso Egitto. 987. Cas
n si prestò fede ai suoi detti. …. O Pizio, acerho Nume, Grave salma
al
mio tergo hai ben commessa ! Perchè dato m’ hai t
ed il sacco di Troja, essa toccò come preda di bottino ad Agamennone,
al
quale predisse che sua moglie Clitennestra lo avr
che Cassiope fosse messa fra gli astri. 989. Cassotide. — Era questo,
al
dire di Pausania, un altro dei nomi della fontana
o nella festa dei Tindaridi una tale memoria, facendo passare innanzi
al
tempio dei due fratelli un uomo montato su di un
di Opunto, veniva così chiamato il sovrano pontefice, che presiedeva
al
culto degli dei infernali e terrestri. 997. Catad
dificò una città. Quando il fratel la vede in tutto insana, Fuggendo
al
sangue proprio fare oltraggio. Lascia insieme la
certo modo il corso del sole nelle dodici ore del giorno : imperocchè
al
levarsi di questo l’aurora tinge il cielo d’un co
to l’aurora tinge il cielo d’un colore rossastro ; il secondo accenna
al
tempo nel quale i raggi solari sono più luminosi
severamente proibito di toccarli e il principe della nazione insieme
al
sommo sacerdote, erano i soli a cui era concesso
ltra razza mostruosa. Il grido di richiamo dei Centauri rassomigliava
al
nitrito di un cavallo. Fra tutti il più famoso ed
morte perricondurre nel mondo la diletta Euridice, addormentò Cerbero
al
suono della sua lira dolcissima. Ercole alla sua
con tre teste, Per forza incatenollo Ercole, e prese, E strascinollo
al
nostro almo paese. Mentre quel mostro egli strasc
il padre di lei fu così irritato che la condusse in un bosco insieme
al
bambino e ve l’abbandonò per esservi divorata dal
incarico di allevare segretamente il figlio di lui, per nome Deifone,
al
quale ella porse il suo latte per renderlo immort
de di latte, simbolo parlante della fecondità della terra, sottoposta
al
lavoro dell’ agricoltura. È questa la idea più ge
cui sommità, secondochè dice Ovidio, v’era un piccolo vulcano intorno
al
quale si aggiravano gran numero di leoni ; sui fi
lia, la quale fu da Plutone cangiata in fontana, perchè volle opporsi
al
ratto di Proserpina. Da quel sorge non lunge un’
nte dai pagani che esse fossero movibili e che ingojassero i vascelli
al
loro passaggio. La tradizione favolosa ripete che
cati di naufragarsi ; per modo che gli Argonauti giunsero felicemente
al
loro destino. 1090. Clanippo. — Sacerdote di Sira
ra consagrato. I sacerdoti del suo culto l’onoravano danzando intorno
al
suo simulacro, contorcendosi in strana e sconcia
99. Cicogna. — Uccello ritenuto come simbolo della pieta, perchè essa
al
dire dei naturalisti, nudrisce il padre e la madr
opoli della Tracia : Ulisse, gettato da una tempesta sulle loro coste
al
suo ritorno da Troja, fece loro la guerra, li vin
sse di volare radendo la terra, e facesse dell’elemento più contrario
al
fuoco la sua abitazione. Cigno fu finalmente un f
tro di loro. 1119. Cinarada. — Dette anche Cinaredo, nome che si dava
al
gran sacerdote sagrificatore della Venere di Pafo
Figlio di Telefa e di Apollo. Egli addimesticò con gran cura un cervo
al
quale era estremamente affezionato. Un giorno per
ale morì per una caduta, mentre danzava nei misteri di Bacco, innanzi
al
simulacro di questo Dio, che lo cangiò in ellera.
Elide consacrato alle ninfe Jonidi. Le acque di questo fiume avevano
al
dire del citato scrittore, la virtù di guarire da
un albero. Anche Teseo si dipinge sovente armato d’una clava, perchè,
al
dire di Euripide, egli si armò di una grossissima
d’oro e di pietre preziose, lo nutrivano di certa quantità di carne,
al
qual cibo essi davano il nome di carni sacre. Qua
loro superstiziosa credenza riguardo a questi animali, guingeva fino
al
punto da credere che essi avevano un grande rispe
popoli, che l’anima della loro famosa regina Semiramide, fosse volata
al
cielo, sotto le sembianze di una colomba. Silvio
ta in Europa, allo stretto di Gibilterra, dando cosi la comunicazione
al
Mediterraneo con l’oceano. Sulle due montagne, Er
o di Vespasiano, non fu, per ordine di questo imperatore, ricollocato
al
suo posto. Verso la metà del settimo secolo, i mo
reca Κὠμος, che significa lusso, libertinaggio ; si dava codesto nome
al
dio della gozzoviglia, dei baccanali e dei festin
nori divini. 1234.Consedio. — Divinità che presso i Romani presiedeva
al
concepimento degli uomini : si dava comunemente c
isa, tirò dal grembo di lei un fanciullo e l’affidò per farlo educare
al
centauro Chirone, il quale lo nomò Esculapio. Apo
ccusò falsamente un giovane chiamato Prisso, di aver voluto attentare
al
suo pudore. Cretheo prestò fede all’accusa, e vol
r vendicarsi mandò nelle campagne della Frigia un mostruoso serpente,
al
quale ogni giorno bisognava dare una giovanetta p
ordine dell’indovino Calcante, la rapita giovanetta non fu restituita
al
padre. Agamennone, costretto a cederla, ritolse a
e da un mostro che poi dette la vita, secondo la tradizione favolosa,
al
cignale di Calidone. Teseo combattè quel mostro e
tà tutelare dei fanciulli poppanti. 1330. Cupavo. — Figlio di Cigno :
al
dire di Virgilio, fu anch’esso cangiato in questo
. — Detto anche Dauduque : era questo il nome che gli Ateniesi davano
al
gran sacerdote di Ercole. Si chiamavano anche Dad
fu anche il nome di un’altra ninfa delle montagne di Delfo, la quale,
al
dire di Pausania, fu scelta dalla dea Tello per p
dell’anno. Dal nome stesso delle feste, si dava il nome di Dafnefore,
al
giovine ministro di esse. 1344. Dafneo. — Soprann
decimo mese del loro anno. Con poca differenza di giorni, corrisponde
al
nostro mese di luglio. 1352. Damia. — Da un sacri
ora per togliere Danae alla conoscenza degli uomini, e sottrarsi così
al
fato che lo minacciava, Acrisio fece rinchiudere
nae, si leggiadra e bella, Che non donna mortal, ma vera dea Sembrava
al
viso, a’modi, e alla favella. Il padre per lo ben
onta che Gige, uno dei Titani, col solo passarsi uno di quegli anelli
al
dito si rendesse invisibile. 1365. Dauduque. — V.
a. 1369. Daunio. — Figlio di Pilumnio e di Danae. Egli ebbe un figlio
al
quale impose il suo stesso nome, e che poi sposò
erinto da essi costruito, per lasciarveli morire. Essi però pensarono
al
modo di sottrarsi con la fuga all’orribile e lent
, dopo aver fatto per sè altrettanto, ed aver raccomandato caldamente
al
figliuolo di non volare nè troppo basso, nè tropp
raggi del sole, non avessero liquefatta la cera. Il figliuolo promise
al
padre di seguire strettamente le sue istruzioni,
azio, il giovanetto dimenticò la paterna lezione e si avvicinò troppo
al
sole, per modo che i raggi liquefecero la cera e
opo, soffocato in una stufa, per ordine di Cocalo, re di quell’isola,
al
quale Minosse aveva fatto minaccia di dichiarazio
priva : Nè d’uopo gli è d’andar cercando altrove ; Che quivi appresso
al
re talmente è viva La fama delle sue stupende pro
sia dei delle piccole nazioni. Il numero di questi era estesissimo e,
al
dire di Tito Livio, non v’era angolo di Roma che
sero che degli uomini. La Deificazione non era propria esclusivamente
al
culto idolatra dei Greci e dei Romani ; ma la tra
ntre si lanciava un’aquila, la quale, volando in mezzo alle flamme ed
al
fumo s’innalzava nell’aria, quasi che l’anima del
erse, e Menelao dentro v’accolse, Cosi sperando un prezïoso dono Fare
al
marito, e del suoi falli antichi Riportar venia….
omato il nemico, l’eroe condusse con sè la bellissima sposa, e giunti
al
fiume Eveneo, il centauro Nesso andò loro incontr
’ebbe dal centauro. La cui virtù, per quel ch’ella ne sente, Può dare
al
morto amor, forza e restauro. Già molto prima ad
o asconde e vieta. Pioché la donna dal centauro intese. Che il sangue
al
morto amor potea dar forza. Perchè non fosse schi
ea dar forza. Perchè non fosse schiva all’occhio, prese Parer di dare
al
sangue un’altra scorza : E con vermigli fior tale
ta di pazzia, la scacciò con aspre maniere, e allora Demofila innanzi
al
re stesso gittò tre di quei volumi alle fiamme, p
un lurido vecchio, pallido e sfigurato, che insieme alla Eternità ed
al
Caos, dimorava nelle viscere della terra. L’alleg
giro per la città un grosso albero, che poi veniva piantato di contro
al
tempio di quelle divinità ; dalle parole greche Δ
reche Δειδρὀν, albero, e φορω, io porto si dava il nome di Dendrofore
al
portatore dell’albero. 1417. Dendroforo. — Si dav
ore dell’albero. 1417. Dendroforo. — Si dava anche codesto soprannome
al
dio Silvano, perchè era generale credenza degli a
ogica, per aver derubati ad Ercole, gli armenti che questi avea tolti
al
gigante Gerione. 1421. Despena. — Uno dei soprann
ul diamante. I ministri di questa cieca deità, erano le tre Parche, e
al
dire di Esiodo, la Notte era la madre di questo s
a tutta la casa in onore di questa divinità, onde renderla favorevole
al
neonato. 1426. Dediana. — Soprannome di Diana che
togliere i ceppi ai prigionieri e di condonare la pena ai condannati
al
supplizio delle verghe, tutte le volte ch’ei si t
e ad un editto del magistrato, per le quali dice, non esser costretti
al
giuramento nè le vergini di Vesta nè i sacerdoti
di rado il sacerdote di Giove è creato console, imperocché è commessa
al
consoli la guerra ; parlmenti non è mal lecito gi
è commessa al consoli la guerra ; parlmenti non è mal lecito giurare
al
Sacerdote di Giove ; ne è lecito servirsi dell’an
, e poi mandarto fuori, nella via. Non ha alcun nodo nè all’apice, nè
al
cinto, nè in altra parte : se alcuno condotto a b
Inno a Diana Trad. di D. Strocchi. La ninfa Calisto, che apparteneva
al
seguito di Diana fu scacciata ignominiosamente da
ere, che fosse conosciuto in quei tempi, era destinato esclusivamente
al
suo culto. 1432. Diania-turba. — Ossia turba, dra
se a che Didone coi suoi seguaci si stabilissero sulle terre soggette
al
suo comando, ma l’astuta principessa gli richiese
si mora ; e l’infedete Enea Abbia nel mio destino Un augurio funesto
al
suo cammino. Precipiti Cartago, Arda la reggira,
de alla ombra di Sicheo. …… colei che s’ancise amorosa. E ruppe fede
al
conet di Sicheo. Dante. — Inferno — Cant. V. 1
tro non essere stato che una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più,
al
certo, che non fosse l’idea informatrice di un cu
. trad. di A. Caro. 1478. Dite. — Era uno dei soprannomi di Plutone,
al
quale si dava perchè era ritenuto come il dio del
e Rea avesse partorito Giove : da ciò si dava il soprannome di Ditteo
al
padre degli dei. 1481. Dittina. — Ninfa dell’isol
a rendevano gli oracoli divini. La tradizione mitologica, attribuisce
al
fatto seguente l’origine dell’oracolo di Dodona.
495. Domicio. — V. Domizio. 1496. Domiduca. — Divinità che s’invocava
al
momento di condurre la novella sposa nella casa d
rra la tradizione mitologica, che mentre Enea rendeva i funebri onori
al
corpo del padre Anchise, uscisse dal sepolcro un
furono detti per la stessa ragione Driantiadi. 1510. Driaso. — Oltre
al
padre di Licurgo. di cui qui sopra. V. Driantiade
no questo numero come di cattivo augurio, e perciò dedicato a Plutone
al
quale era anche sacro, per la stessa ragione, il
ve, vedendola bellissima, le assegnò il compito di servire il nettare
al
banchetto degli dei ; ma essendo un giorno caduta
ei ; ma essendo un giorno caduta in sconcia maniera, mentre attendeva
al
suo ufficio, Giove le tolse ii suo incarico e fec
de. E perchè ella era in abito succinta Nella zona contraria in tutto
al
geto, E di seta sottil varia e dipinta S’avea cop
enne presso di sè Ebe, assegnandole l’incarico di attaccare i cavalli
al
suo carro. La cronaca mitologica fa Ebe moglie d
e, per simboleggiare, sotto questo connubio, l’eterna gioventù, unita
al
vigore ed alla forza. Ebe vien rappresentata sott
i davano, nelle principali strade della città, un pubblico banchetto,
al
quale si credeva fermamente che Ecate assistesse
hè dimenticarono di chiamare Acheolo ad un sacrifizio di diec i tori,
al
quale avevano invitato tutti gli dei boscherecci
e sdegnato degli amori colpevoli della figlia, la fece legare assieme
al
neonato in un bosco, e l’abbandonò ad essere divo
ll’ecclissi lunare fossero le visite che Diana, ossia la luna, faceva
al
suo amante Endimione, nelle montagne della Caria.
amo. In un combattimento sotto le mura di Troia, egli fu ucciso unito
al
fratello Cromio, da Diomede. Due priamidi, Cromi
hio. A questi S’avventò Diomede ; e col furore Di lion che una mandra
al
bosco assalta E di giovenca o bue frange la nuca,
mente Ecuba di nasconderlo e di salvarlo da una certa morte ; ed ora,
al
gran cuore della decaduta regina, era una trafitt
ba abbandonò le rive di Troja, dopo aver reso splendidi onori funebri
al
figliuolo del figlio suo, e fu condotta presso Po
o del figlio suo, e fu condotta presso Polinnestore, re della Tracia,
al
quale il defunto re Priamo aveva affidato suo fig
ando a stento il suo furore, dimandò ed ottenne di parlare in segreto
al
re Polinnestore ; ed avendolo condotto in mezzo a
lo predette le stesse spaventevoli sciagure, che aveva già annunziate
al
suo vero padre, Edipo si esiliò volontariamente d
re ; ma che allora altro non fosse se non una piccola borgata, vicina
al
tempio di Diana, la quale fin da quel tempo era v
agani. La Città di Efeso fu egualmente celebre per aver dato i natali
al
pittore Parrasio, ed al filosofo Eraclito. Durant
fu egualmente celebre per aver dato i natali al pittore Parrasio, ed
al
filosofo Eraclito. Durante il terzo anno della se
Alessio se n’impadronirono i Turchi, i quali la tennero schiava fino
al
1206, epoca in cui passò nuovamente sotto il domi
nuovamente sotto il dominio dei Greci, che ne restarono signori fino
al
1283. Da quest’epoca la città di Efeso fu sempre
izione mitologica, restò tale per lo spazio di sette anni. Finalmente
al
cominciare dell’ottavo, Tiresia trovò altri due s
oro città la statua di Tiresia, che all’andare era vestito da uomo ed
al
ritorno da donna. Vedi Tiresia che mutò sembiant
ndici anni allorquando gli altri giganti tentarono di dara la scalata
al
cielo. Essi incatenarono Marte e lo tennero prigi
ea quasi persuaso Egeo a far morir di veleno il giovine straniero, ma
al
momento fatale, la vista della spada riaccese nel
rime del più profondo dolore vide partire il figlio suo dilettissimo,
al
quale raccomandò con le più calde preghiere di fa
geone o Briareo aveva avuto nella scalata che i Titani tentarono dare
al
cielo. 1577. Eger. — Nome di un gigante, famoso n
la solitudine, che profonde i tesori del raccoglimento altesmoforo ed
al
saggio, amico dello studio lungo e meditativo. Nu
i compivano le cerimonie di questi sagrifizii i sacerdoti, consacrati
al
culto del nume che si adorava, scavavano una foss
e mura interne del tempio, onde i fedeli avessero potuto santificarsi
al
contatto di quelle. 1582. Egida. — I poeti detl’a
tri della Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agipani e che
al
dire del citato scrittore, erano perfettamente si
e vene Scorre pur troppo il sangue tuo : d’infame Incesto il so, nato
al
delitto io sono : Nè ch’io ti veggia, a rimembrar
ualche tempo dopo, avendo Tieste abbandonato Pelopea, questa consegnò
al
figliuolo Egisto la spada del padre, e lo mandò a
sto in grande amicizia con Agammenone, re d’Argo e di Micene, questi,
al
momento di partire per l’assedio di Troja, affidò
mò due Satiri, Monatilo, e Cronide e con essi d’accordo, legò le mani
al
dormente con una catena di fiori, e gli unse il v
no, consultarono l’oracolo onde sapere chi avessero dovuto in nalzare
al
potere. L’oracolo rispose : che un’aquila avrebbe
e fa molto strepito : si dava cotesto soprannome a Bacco per alludere
al
gran rumore che si faceva nella celebrazione dei
o uno dei più interessanti nomi della mitologia, avuto anche riguardo
al
dubbio ed alla incertezza degli avvenimenti di cu
nza detta dell’Innocenza, nella quale le donne ballavano nude innanzi
al
simulacro della Dea. Il rapitore portò seco Elena
ri capi dell’esercito, s’impadronirono di Eleno con l’astuzia. Giunto
al
campo nemico egli predisse ai Greci che non avreb
o III trad. di A. Caro. Eleno regnò molti anni su quella contrada, e
al
momento della sua morte istituì erede il figlio d
sua morte istituì erede il figlio di Pirro, per nome Molosso, mentre
al
suo proprio figliuolo Cestrino, unica prole avuta
mennone e di Clitennestra e sorella di Oreste. … Elettra io son, che
al
sen ti stringo Fra le mie braccia…… …… Pilade, Or
or, non mento il nome. Al tuo furor, te riconobbi, Oreste : Al duolo,
al
pianto, all’ amor mio, conosci Elettra tu. Alfie
are dei diritti del matrimonio la servì come uno schiavo fedele, fino
al
giorno in che Oreste la dette in moglie a Pilade.
ardente voleva recarsi nel tempio di Diana onde mettervi il fuoco, ma
al
momento di compiere il suo fatale disegno, sentì
l bottino di guerra, condusse seco un immenso numero di vacche, tolte
al
nemico. Essendo Anfitrione andato ad inconirarlo,
ssi annettevano a questa parola la stessa significazione che i Latini
al
loro liber pater. 1634. Eleuto. — Dalla parola gr
te della navigazione. Fra gli Eliadi, che erano sette fratelli di cui
al
dire di Diodoro ecco i nomi : Macare, Atti, Ochim
litto, gli autori di esso fuggirono in diverse contrade per sottrarsi
al
castigo ; e Atti, traversando l’Egitto, vi edific
Eliopoli un superbo e splendidissimo tempio, esclusivamente dedicato
al
culto del Sole. In quel tempio era un oracolo i c
a, Dall’arboscel, dall’onda ; E chi sen fa monili, E chi ne intreccia
al
crin serti gentili. Pindaro — Ode II trad. di G.
di corona d’ellera, il poeta… Virgilio — Egloga VII. Me traggono
al
consorzio degli dei L’edere, premio delle dotte f
oriesi resi padroni della città di Corinto, essi appiccarono il fuoco
al
tempio di Minerva, fra le cui fiamme morì arsa la
i Elene. 1654. Elpa. — Figliuola del Ciclope Polifemo, Ulisse la rubò
al
padre, ma i Lestrigoni alleati, del famoso gigant
ubò al padre, ma i Lestrigoni alleati, del famoso gigante, la tolsero
al
rapitore, e la restituirono al padre. V. Polifemo
lleati, del famoso gigante, la tolsero al rapitore, e la restituirono
al
padre. V. Polifemo. 1655. Elpenore. — Fu uno dei
nzi a lui, con la bocca spalancata. Elpide, impaurito pensò sottrarsi
al
pericolo con la fuga, e si arrampicò su di un alb
ua sofferenza. In memoria di questo fatto, ed in rendimento di grazie
al
nume che Elpide aveva invocato nel suo pericolo,
ricco. 1657. Eleuro. — Nella mitologia Egiziana si dava cotesto nome
al
dio dei gatti. 1658. Emacuria. — Nel Peloponneso
ul luogo del supplizio, e quivi vedendo la sua amata Antigone sospesa
al
nodo che essa stessa aveva formato del suo velo,
ontro suo padre, e l’avrebbe ucciso, sè questi non si fosse sottratto
al
furore del figlio con la fuga. Allora Emone rivol
a fanciulla. …. e là nel fondo dello speco Lei veggiam d’un capestro
al
collo attorto Pendere, e lui fra sue braccia serr
anciandosi, sel figge Mezzo nel fianco, e con tremole braccia Stringe
al
petto la vergine, e versando In copia il sangue,
. — Presso i Cartaginesi venivano così denominati i sacerdoti addetti
al
servizio di alcune loro particolari divinità. 167
celado. — Il più formidabile fra i Titani che vollero dare la scalata
al
cielo. Era figlio del Tartaro e della Terra. Anch
tratto il fulminato gigante ritenta onde volgersi su i fianchi, e che
al
suo più piccolo movimento l’Etna vomiti dal suo c
avrebbe trascinato seco, e fece di tutto onde Elena fosse restituita
al
marito. Ma nei destini della Trojana gente era sc
guerrieri greci per nome Afareo ed Enomao. Poscia combattendo intorno
al
corpo di Sarpedonte Contra l’illustre Sarpedon…
rite e alla morte. Udito quel parlar, corse per mezzo Alla mischia e
al
fragor delle volanti Aste Nettuno, e glunto ove d
e, l’oracolo interrogato da Enea su quanto gli restava a fare, additò
al
principe trojano in modo forse più enigmatico ed
di tempo fatta sposare sua figlia Lavinia lo dichiarò suo successore
al
trono. Sola d’un sangue tal, d’un tanto regno Re
era stata promessa dal padre prima della venuta di Enea, mosse guerra
al
principe trojano, ma fu da questi vinto e ucciso
rteneva alla famiglia degli Eolidi. Fu figlio di Euride e di Portaone
al
quale successe nel governo della Calidonia, contr
o da Diomede. Egli però stanco delle cure del regno, e reso impotente
al
grave ufficio dalla vecchiezza, abbandonò il regg
ano nel tempio di Ercole una data misura di vino e facevano libazioni
al
nume e davano a bere ai circostanti. La parola En
le diverse virtù medicinali delle piante. Avvenne intanto che Paride,
al
tempo in cui era ridotto alla condizione di pasto
spingere, Virgilio — Eneide — Libro I. Trad. di A. Caro. Egli visse
al
tempo della guerra di Troja e regnò nelle isole V
zione, era galleggiante, cinta tutta all’intorno di un muro di rame e
al
di fuori di massi di roccia innaccessibili. Giun
innalzato agli onori eroici e si consacrò un tempio ad Ercole vicino
al
sepolcro di lui. 1705. Eoo. — Così si chiamava un
particolarmente si chiamava così il mobiliare ch il suocero regolava
al
genero. Questi doni venivano portati pubblicamen
re suoi figliuoli, proclamando che il vincitore gli sarebbe succeduto
al
trono. I fratelli Peone, Etolo ed Epeo, tennero l
. 1718. Epicasta. — La stessa che Giocasta, madre di Edipo, la quale,
al
dire di Omero si appiccò per disperazione appena
a peste. Forse per la stessa ragione, aveva Apollo un tempio dedicato
al
suo culto nel borgo di Bassa, ove veniva adorato
Dio, la quale però lungi dal sommergersi, fu spinta dalle onde vicino
al
promontorio di Malia sulle spiagge della Laconia.
Giove Epidote. Presso i greci veniva data questa stessa appellazione
al
sonno, ed in generale a tutti i genii benefici ch
cielo e sua sorella Gea, fu detta Rea ossia la terra. Con questi nomi
al
dire del cronista Sanconiatone, i greci denotavan
colarmente alla persona del re. 1734. Epimeni. — Presso gli Ateniesi,
al
ricadere di ogni novilunio, si celebravano dei sa
egli avea lasciato bambino di pochi anni, e che ritrovava vecchio, ed
al
quale Epimenide raccontò la sua storia. Ben prest
padre. 1746. Epitembia. — Una tale qualificazione si trovava aggiunta
al
nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo de
to il titolo che si dava all’ultimo iniziato ai misteri di Eleusi, ed
al
quale solo era permesso di assistere alle più seg
are che la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi soldati che
al
momento di caricare avessero tolte le briglie ai
i che alla protezione della dea, dovesse Quinto la riportata vittoria
al
suo non comune ardire, ed alla bravura dei soldat
Ma gli Ateniesi presero le difese degli Eraclidi e uccisero Euristeo
al
momento in che si accingeva a cogliere il frutto
a in sè che riveli l’eroica grandezza ; e finalmente il mito relativo
al
famoso figliuolo di Alcmena, à una tinta particol
gli, accompagnato da un piccolo numero di soldati e di marinai, muove
al
famoso assedio. In ciò non v’è nulla che possa a
rà sempre in essa la figura di un qualche benefico eroe, appartenente
al
primo periodo della civilizzazione, il quale acce
rcole è il tipo perfetto di un eroe benefico che consacra la sua vita
al
bene dell’umanità ; e in pari tempo il più celebr
i. Il cerchio del suo pellegrinaggio non si estende, ciò non ostante,
al
di là della Grecia e dell’Asia minore. Giunone al
ale, che va ad abitare i regni di Plutone, s’innalza nell’Olimpo, ove
al
fianco di Ebe, dea della gioventù, sfolgora di un
Ercole fu privato, per gelosia di Giunone, del dritto di successione
al
trono del supposto suo padre : Giove non potendo
essione al trono del supposto suo padre : Giove non potendo rimediare
al
già fatto, si contentò di stabilire fin dall’infa
chi. Questa tradizione è per altro completamente assurda e contraria
al
buon senso, tutte le volte che non si voglia vede
l sonno in cui era immersa Giunone lo depose sul seno di lei. Giunone
al
suo svegliarsi strappò violentemente il fanciullo
iglio, e gli insegnò l’arte di condurre i destrieri. Il trar cavalli
al
cocchio giunti in corso. E alla meta piegar sicur
so. E alla meta piegar sicuri e illesi Gli assi di rota, insegnò pure
al
figlio Con dolce cura Anfitrion medesmo. Teocrit
li armenti ch’ei custodiva, una grande porzione dei quali apparteneva
al
re Testio, le cui cinquanta figlie furono tutte r
r loro tagliato il naso e le orecchie, li rimandò imponendo dicessero
al
loro re esser quello il tributo che i Tebani inte
della follia di Ercole. Secondo Euripide, il delirio non lo colpì che
al
suo ritorno dai regni infernali. Fu allora che eg
a risposta, avesse involato il sacro Tripode, e non lo avesse rimesso
al
suo posto che dietro un assoluto comando di Giove
o, mostro che desolava le campagne. Ercole lo combattè e l’uccise, ma
al
suo ritorno in città, Euristeo gli impose di rima
pervenne ad impadronirsi della cerva. Cerinitide, che egli raggiunse
al
corso, e che portò viva nella città di Micene. Do
ngolò fra le sue braccia V. Caco. …… Ei che nè fuga Aveva nè schermo
al
suo periglio altronde Da le sue fauci meraviglia
li mise nella sua barca e ritornato a Tartessia, offrit un olocausto
al
sole in ringraziamento del dono ricevutone. Passa
le, secondo cui Ercole, era già marito di Dejanira quando si presentò
al
combattimento di cui era premio la mano di Iole.
ella perdita di suo figlio, e si fosse in ultimo obbligato a rimanere
al
servigio di lui durante tre anni. Ercole si sotto
Ippocoone, Ercole si impadronì della città, di cui ritornò lo scettro
al
suo legittimo re Tintaro. Di là Ercole si rese a
ransitavano per quella città, onde innalzare coi loro cranî un tempio
al
nume suo padre. Ercole andò in seguito ad Ormenio
ui era re Amintore che egualmente Ercole uccise perchè si era opposto
al
suo passaggio per i suoi stati, quantunque Diodor
glio di Ceixo, ad Argio ed a Melaso suoi compagni, caduti combattendo
al
suo fianco, egli mise la città a sacco ed a fuoco
per assediare la città di O calia di cui si rende padrone. Abbordato
al
capo Cineo nell’Eubea, Ercole vi innalzò un altar
etamente dimenticata, asperse del filtro di Nesso la tunica che mandò
al
marito, ed attese l’esito dell’incantesimo. Ritor
che vi venisse appiccato il fuoco, obbedendo per tal modo all’oracolo
al
quale egli s’era rivolto nelle sue più crudeli so
culto dell’eroe fosse, presso i popoli Italici, interamente conforme
al
culto che a lui tributavano i popoli della Grecia
consuetudine derivava incontestabilmente dal culto dell’Ercole Tirio,
al
quale si offeriva una decima. È anche nella sola
sue armi sono un arco ed una clava. La testa e gli occhi, paragonati
al
resto del corpo sono piccoli ; i capelli corti e
ssorilievi trasmessa l’apoteosi d’Ercole, in cui lo si vede ascendere
al
cielò accompagnato da Minerva o da Mercurio con l
di Argo veniva dato lo stesso nome alle sacerdotesse che presiedevano
al
culto di quella dea. Esse godevano di tanta pubbl
perciò Eretria. 1769.Erea. — Gli antichi davano questa denominazione
al
giorno in cui si celebrava nella città di Corinto
delle loro montagne col nome di Erice, e tributarono gli onori divini
al
morto re atlefa. 1777. Ericina o Ericinia. — Sopr
che le vittime andavano senza esser guidate ad offrire il loro collo
al
coltello del Flamine sagrificatore ; che l’urna d
liuolo chiamato Pentilo. Dopo la morte di Oreste, Erigone si consacrò
al
servigio di Diana. La cronaca ricorda di un un’al
questa denominazione a quelle donne che furono cagione di grave danno
al
proprio paese. Lucano chiama Cleopatra l’Erinni d
nel tempio di Ercole, avessero accesso solamente le donne. In quanto
al
pescatore, la tradizione ripete che da quel momen
o di uno dei più splendidi episodii di un suo poema in cui fa predire
al
padre di Sesto Pompeo, la perdita della battaglia
e era perdutamente innammorata di Oreste, la condusse seco insultando
al
suo rivale : Così in Euripide ed Ovidio. Però que
notte sull’alto di una torre una fiaccola accesa che serviva di faro
al
giovine nuotatore. Sesto è città, cui da l’oppos
in su la deserta spiaggia, Vedi tu quella torre ? ivi una lampa Guida
al
fervido amante Ero appendea ; Mira lo stretto de
intorno accumulantesi, Pesto, infranto, già sente venir meno La forza
al
piede ; inetta alla fatica La man non regge, e la
l mar, se a comparir vedesse Lo sviato garzon. Spenta la face, Quando
al
piè de la torre estinto e guasto Dagli scogli il
o Dagli scogli il mirò, forte uno strido Disperata traendo, e intorno
al
petto Lacerando la vesta, in giù da l’alto Capovo
o, quindi andò a Delo poi a Samo e a Delfo, e finalmente fece ritorno
al
tempio dedicato ad Apollo Sminteo, dove mori. Ai
ausania si vedeva ancora il sepolero di Erofila, nel bosco consacrato
al
Tempo. 1813. Eromanzia. — Nome di una specie di d
orato, mentre ella usciva dal tempio di Minerva, la dimandò in moglie
al
padre. Sua sorella Aglaura ingelosita della sorte
muraglie. Questa maniera particolare di fabbricare le are, consacrate
al
re dei muni era soprattutto comune nelle case dei
a invisibile in quel luogo. Allora il gran sacerdote attaccava i buoi
al
carro coperto e lo seguiva, solo, a piedi, e con
one degli uomini. Allora si scopriva il carro ; e gli schiavi addetti
al
servizio della cerimonia, venivano gettati nel pr
hiamava anche Esaforo una specie di bara, su cui venivano trasportati
al
rogo i cadaveri dei ricchi. 1825. Eschinadi. — Co
gradita : Tu l’alma, se dal corpo si disserra. Tornar potrai di nuovo
al
corpo nuita. Tu sol saprai trar l’anima sotterra,
di nuovo al corpo nuita. Tu sol saprai trar l’anima sotterra, Donando
al
corpo si stupenda aita : Ma tì torrà da si mirand
, vedesse un serpente che essendoglisi avvicinato, si avvolse intorno
al
suo bastone. Esculapio lo uccise, ma all’istesso
momento un altro serpente con una certa erba nella bocca si avvicinò
al
morto compagno e lo richiamò alla vita stropiccia
nelle circostanze di Troja, insieme agli altri Argonauti, impietosito
al
tristo fato della regale giovanetta, spezzò di pr
regale giovanetta, spezzò di propria mano, le catene di lei e promise
al
re Laomedonte di ucdere il mostro. Il principe tr
a Laomedonte stesso, a patto però che gli avrebbe restituito il tutto
al
suo ritorno dalla Colchide. Compiuta la gloriosa
grificavano a questo dio non solo tutte le spoglie ed i cavalli tolti
al
nemico in battaglia, ma persino tutt’i prigionier
. Esone. — Figlio di Creteo re di Isico in Tessaglia. Egli succedette
al
padre ma fu da suo fratello Pelia, detronizzato e
dei dritti paterni. La tradizione narra che Giasone, divenuto adulto
al
suo ritorno dalla conquista del Vello d’oro, trov
de, che sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e che Giasone
al
suo ritorno avesse per onorare la memoria del pad
ronache mitologiche, che quando Giove sposò Giunone, questa regalasse
al
marito un albero di pomi che faceva le frutta di
ti onde renderli propizie ad una intrapresa, all esito di una guerra,
al
compimento di un qualche fatto importante che int
nginocchiato offeriva alle sdegnate divinità, pregandole di perdonare
al
suo misfatto. Si trova anche ripetuto in vari aut
nque due altari, l’uno a Giunone protettrice delle sorelle, e l’altro
al
Genio del paese ; offrirono su questo altare molt
redimevano gli eserciti dopo una guerra, e soprattutto le popolazioni
al
cessare di una pubblica calamità. Però è da notar
derivò la parola lustrare, nel significato di espiare, avuto riguardo
al
periodo di tempo che trascorreva tra una di quest
i Ciò si bevve il terreno ? Coro Allor tre volte Nove rami di ulivo
al
suol ponendo Con ambe mani, a supplicar le dive P
per un anno, ma compiuto il suo tempo egli ricusò di cedere il potere
al
fratello. Polinice allora, deluso nelle sue mire
l fratello. Polinice allora, deluso nelle sue mire ambiziose, e punto
al
vivo dalla mala fede fraterna, ricorse al suo suo
sue mire ambiziose, e punto al vivo dalla mala fede fraterna, ricorse
al
suo suocero Adrasto, re d’Argo, e ottenuto da lui
Eteocle fu anche il nome di un re Orcomeno, nella Beozia, il quale,
al
dire di Pausania, fu il primo ad innalzare un tem
e. Divenuto adulto, Etolo si ritirò presso i sacerdoti cureti e dette
al
loro paese il nome di Etolia. 1858. Etosea. — Nom
Manda spume la bocca, e sotto il torvo Ciglio lampeggia la pupilla :
al
moti Del pugnar, la celata orrendamente Si squass
Abbandonato dagli dei per avere disobbedito ad Apollo, Ettore giunto
al
cospetto di Achille, sentì, per un istante, vacil
o alla gola da un colpe mortale, Ettore cade, e Achille, fatto legare
al
suo carro il cadavere di lui, fa per tre volte il
estinto opra crudele Meditando, de’ piè gli fora i nervi Dal calcagno
al
tallone, ed un guinzaglio Insertovi bovino, al co
a i nervi Dal calcagno al tallone, ed un guinzaglio Insertovi bovino,
al
cocchio il lega. Andar lasciando strascinato a te
compassione per un valoroso che li aveva sempre onorati, inspirarono
al
vecchio re Priamo, di ridomandare al vincitore il
veva sempre onorati, inspirarono al vecchio re Priamo, di ridomandare
al
vincitore il corpo del figlio. Achille si lasciò
lla Fenicia, i quali lo condussero nell’isola d’Itaca, e lo venderono
al
re di quella contrada per nome Laerte padre di Ul
posata sull’istromento, supplì col suo canto con tanta aggiustatezza
al
difetto della corda, che Eunomo fu il vincitore n
rima a riconoscerlo quando egli ritorno un giorno ferito dalla caccia
al
cignale. Omero ripete che Laerte, padre di Ulisse
dilettissima, si ritrasse in luogo deserto, e pianse notte e giorno,
al
suono dolcissimo della sua lira, la perdita irrep
; attraversò le selve tenebrose ove regna eterna la notte, si accostò
al
tetro monarca delle ombre, e col suono della sua
della morte. Ma appena fatto breve cammino, Orfeo non seppe resistere
al
desiderio ardentissimo di rivedere le care sembia
racolo che faceva rivedere le anime dei morti, richiamandole per poco
al
contatto degli uomini. Fu là che Orfeo rivide la
la festa di Bacco, i funerali di Euripile, e portavano ricche offerte
al
dio chiuso nella cassa, a cui, secondo Pausania,
o loro una via più sicura e sgombera di scogli. Giasone regalò allora
al
tritone un tripode di rame ; e in conseguenza di
uale era adorata sotto questo nome. La sacerdotessa che veniva eletta
al
servigio di questo tempio, doveva esser stata mar
i suoi giorni. 1907. Eurito. — Uno dei giganti che dettero la scalata
al
cielo. Ercole lo uccise con un colpo di ramo di q
crudele fra i ministri del tiranno Gerione. Ercole lo uccise insieme
al
suo spietato signore. Eurizione si chiamava anche
nato avidamente, e senza Modo e termine alcuno a molti nocque. Nocque
al
famoso Eurizion Centauro. Quando venne tra i Lapi
rimanevano a galla come avviene comunemente dell’ olio, e ciòperchè,
al
dire del citato scrittore, le acque dell’ Eurota
ritrasse nella città di Eleusina dove si rendevano gli onori funebri
al
morto re, e quivi, vestitasi degli abiti più ricc
ropri all’evocazione, i quali venivano nella maggior parte attribuiti
al
poeta Proclo ed a Orfeo stesso. In essi si conten
fo voto e prometto la decima parte. E te, o Giunone regina, la quale
al
presente abiti questa città, prego parimente, che
’armento fiore, Lor sacrificherei, di dono il rogo Riempiendo ; e che
al
sol Tiresia, e a parte. Immolerei nerissimo ariet
. Fabulino. — Dal latino Fari, favellare. I romani davano questo nome
al
dio della parola, il quale presiedeva all’ educaz
; ma sentendo poscia da Anite, che ella non faceva se non se ubbidire
al
comandamento del dio della medicina ; concepì qua
nostra madre antica, Per la ruina de’ giganti irata Contra i celesti.
al
mondo la produsse, D’Encelado e di Ceo minor sore
colui che dà la luce. Vi era anche un promontorio nell’isola di Chio,
al
quale si dava lo stesso nome, e di dove narra la
ponte ascese. Era a la prora a pena Che Giunon ruppe il fune, e diede
al
legno Per lo travolto mare impeto e fuga. Virgil
ttere nella destra della statua una moneta ; e finalmente avvicinarsi
al
simulacro di Mercurio, e mormorare all’orecchio d
nte si appendea un piccolo amuleto, a cui si dava il nome di fascino,
al
collo dei bambini. Le Vestali avevano il carico p
pollo ebbe da una delle ninfe oceanidi, chiamata Ociroe, un figliuolo
al
quale dette il nome di Faside. La cronaca mitolog
à di un avvenimento che nulla poteva impedire e che veniva attribuito
al
destino. I pagani accagionavano tutto alla fatali
ta ed immutabile la credenza che la caduta di Troja, andava collegata
al
compimento di alcune fatalità inesorabili, le qua
lmente questo il motivo per il quale morto Achille i greci condussero
al
famoso assedio il figliuolo di lui Pirro, sebbene
ezza, che i trojani custo livano con ogni solerzia. Bisognava inoltre
al
compimento dell’estremo fato di Troja, che i cava
hè fecero nelle mura della loro città una breccia che dette passaggio
al
famoso cavallo di legno. Finalmente il destino im
zione dei poeti ; ed altro non sono che una specie di parabole, sotto
al
cui velo trasparente e diafano, sono ravvolti i m
lui, lo dicono figliuolo di Pico re dei Latini, e lo fanno successore
al
trono di suo padre. Soventi volte nelle cronache
io — Eneide — Libro VII. Trad. di A. Caro. Tutto ciò che egli diceva
al
suo svegliarsi era ritenuto dai pagani come rivel
o contro i Feacidi, per aver essi portato nell’isola di Itaca un uomo
al
quale egli era avverso, risolvè di vendicarsi, e
appellazione ad Apollo come dio della Luce e forse per alludere anche
al
calore che emana dal Sole e che dà la vita a tutt
una donna vestita di una tunica succinta, che lasciava scoperto sino
al
ginocchio ; avendo nella destra un’anitra ed a fi
raio. Queste feste, accompagnate da sacrifizi ed offerte si facevano,
al
dire di Plinio, per rendere propizii gli dei infe
le purificazioni ; e Servio pretende che fosse lo stesso che Plutone,
al
quale venivano anche offerti dei sacrifizii Febru
l’antichità a Numa Pompilio, secondo re di Roma, il quale li costituì
al
numero di venti, scelti fra le più cospicue e nob
— Vedi Fedelta’. 1975. Fedeltà — In latino fides, dea che presiedeva
al
giuramento delle promesse ed alla inviolabilità d
ma non riuscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggendo
al
fuoco che la divorava, decise di darsi la morte.
di passione, ebbe ricorso ad un infame rimedio onde salvare in faccia
al
mondo ed al marito, la sua riputazione. Narra la
ebbe ricorso ad un infame rimedio onde salvare in faccia al mondo ed
al
marito, la sua riputazione. Narra la cronaca che
lito, ella si uccideva per sottrarsi all’infamia, preferendo la morte
al
disonore. Una delle più antiche tradizioni della
gli ultimi tempi del regno di Tiberio, imperatore romano, del quale,
al
dire di Dione Cassio, fu ritenuta come presagio d
la quale abbandonò facilmente il vecchio padre, per darsi in braccio
al
giovane figliuolo. Amintore, cieco di libidinosa
mpagnò perfino all’assedio di Troja e fu uno degli ambasciatori, che,
al
dire di Omero, il quale chiama Fenice l’amico di
i Omero, il quale chiama Fenice l’amico di Giove. Primamente Fenice,
al
Sommo Giove Carissimo mortale……… Omero — Iliade
a, che aveva il polo sulla testa e un cornucopia fra le mani. Da ciò,
al
dire di Pindaro, fu dato questo nome alla dea for
col terrore. Altri scrittori pretendono, che si desse questo epiteto
al
padre degli dei, perchè i vincitori delle battagl
Roma come capitale del Lazio. I magistrati delle principali provincie
al
numero di 47 si riunivano ai magistrati romani su
tanti vollero trasportare in altro luogo la statua della dea ; ma che
al
momento in cui si accingevano al trasporto, furon
o luogo la statua della dea ; ma che al momento in cui si accingevano
al
trasporto, furono visti gli alberi abbruciati cop
rese celebre per la sua famosa caduta, la cui origine si attribuisce
al
fatto seguente. Fetonte avendo avuto una contesa
gli non era, come se ne dava vanto, figliuolo del Sole. Fetonte punto
al
vivo dalle oltraggiose parole, se ne lamentò con
le oltraggiose parole, se ne lamentò con sua madre, e questa lo inviò
al
Sole, affinchè dal labbro di suo padre avesse int
dal labbro di suo padre avesse inteso la verità. Il giovanetto narrò
al
padre quanto gli era avvenuto, e lo supplicò a no
ttà ; e che facendola salire su di un carro, riuscirono a far credere
al
popolo, che la stessa dea conduceva Pisistrato al
irono a far credere al popolo, che la stessa dea conduceva Pisistrato
al
governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare
rato al governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare che si dava
al
dio della fedeltà, per il quale si prestava il gi
te ai giuochi olimpici, si lasciò cadere dal dorso della sua cavalla,
al
principio della corsa. Però l’animale come se fos
e se fosse stato sempre guidato, compi tutto il giro dello steccato ;
al
suono della tromba raddoppiò di velocità e avendo
e era sconosciuta, così per esempio, i giganti che dettero la scalata
al
cielo, i mostri etc. Sarà facile intendere come i
usania, dice che questo era il nome d’un cittadino di Delfo, il quale
al
tempo dell’insurrezione dei Galli sotto Brenno, a
vigi. L’eroe sdegnato contro la slealtà del re, lo uccise e pose File
al
governo del regno. 2009. Filemone. — V. Bauci. 20
che poi fu il famoso Chirone, Centauro. Il dolore però di aver posto
al
mondo un mostro, metà uomo e metà cavallo, la fer
ofoonte, re d’Atene, gettato da una tempesta sulle rive della Tracia,
al
suo ritorno in patria dall’assedio di Troja, fu a
; e coll’ andare degli anni fu nel medesimo luogo edificata una città
al
la quale si dette il nome di Amfipoli, conosciuta
versava su questa, appena ella ebbe partorito, l’avesse fatta insieme
al
neonato esporre sulla montagna detta Ostracina, n
di Fare. 2015. Filodoce. — Così aveva nome una ninfa che apparteneva
al
seguito di Cirene, madre di Aristea. Al suon del
onne di correre sole a traverso i campi, l’animosa giovanetta si recò
al
castello ov’era rinchiusa Filomena, la liberò, la
seco, e la rinchiuse nelle più segrete camere del suo palazzo insieme
al
piccolo Iti, figlio di Tereo e della sventuratiss
ne fece cuocere le membra, le quali la sera ella stessa fece ser vire
al
banchetto che il marito dava in occasione della f
Erimanto, pensando così di nascondere una colpa con un delitto. Però
al
dire del citato scrittore, il dio Marte preservò
rieri greci, giunse a Lemnos, e trionfò d’ogni ostacolo, riconducendo
al
campo greco Filottete colle sue fatate armi. Al d
ni di essa Filottete del tutto risanato da Esculapio della sua ferita
al
piede, pensò dapprima di ritornare in Grecia, ma
per liberarsene li accusò a Fineo dicendo che essi avevano attentato
al
pudore di lei. Fineo perdutamente innammorato del
ta, il cui prezioso frutto non era servito, prima di quella epoca che
al
banchetto degl’immortali. 2024. Flumi — Quasi tut
in tutto l’ Italia non vi erano che ben pochi templi, nei quali oltre
al
simulacro dei loro fiumi non vi fossero degli alt
e dei sacerdoti Flamini, i quali in questa occasione prendevano oltre
al
nome della divinità a cui erano consacrati. anche
ura, ed un di fiume intorno : Ed era il fiume il negro Flegetonte Ch’
al
Tartaro con suono e con rapina L’onde seco traea,
er vendicare l’ingiuria fattagli da Apollo, avesse appiccato il fuoco
al
tempio di Delfo ; onde gli dei per punirlo lo pre
so dell’anno. Il tempio dell’ antica Flora sorgeva in Roma dirimpetto
al
Campidoglio e questa dea veniva rappresentato sot
che sotto il regno di Romolo furono istituiti questi giuochi, i quali
al
dire del cennato scrittore, furono soventi volte
i commettevano turpissime oscenità ed infami dissolutezze, riunendosi
al
suono di una tromba le pubbl che cortegiane e le
cortegiane e le meretrici più abbiette, le quali affatto nude davano
al
popolo il più abbominevole spettacolo. Narra la c
fra loro. Avvenne un giorno, che Foco giuocando con Telamone e Peleo
al
giuoco della piastrella, Telamone nel lanciare la
della piastrella, Telamone nel lanciare la sua, ferì così gravemente
al
capo il piccolo Foco che l’uccise sul colpo. Eaco
e della favola narrano di lui, che allorquando Ercole dette la caccia
al
famoso cinghiale di Erimanto, si fosse riposato n
vano per la via principale, che conduceva a Delfo, a battersi con lui
al
pugillato, e dopo averli vinti li faceva morire f
berando così quelle contrade. 2043. Forco. — Detto anche Forcide, era
al
dire di Esiodo, figliuolo della Terra e del Mare.
costume, di sacrificare alla terra un dato numero di vacche prossime
al
parto. Secondo le cronache, l’istituzione di ques
delle sfere Tal’ ella mostri, ch’ ove uscir si veda L’ eletto suolo,
al
suoi desir si ceda. Pindaro — Ode VIII trad. da
io dedicato alla Fortuna ; e gli abitanti di Smirne, dettero incarico
al
famoso statuario Bupalo, di lavorare per essi una
e sulla testa e tal’ altra con una mezza luna, per esprimere che essa
al
paro di questi due pianeti, regola e presiede a t
E vedrai d’ ogni intorno Liete e belle veuture Venir con aureo piede
al
tuo soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia
soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia di Giove, e che germana
al
Falo Sovra il trono immortale A lui mi siedo a la
dove veniva adorata sotto la denominazione di Dea Proenestina. Nerone
al
principio del suo regno, fece costruire in onore
V. Niobe. Allorquando la peste distrusse tanta parte del campo greco,
al
tempo dello assedio di Troja, si disse che Apollo
an passi : ed ei simile A fosca notte giù venia. Piantossi Delle navi
al
cospetto : indi uno strale Liberò dalla corda, ed
lebre Apelle con un fulmine nella destra, volendo così dimostrare che
al
suo potere nulla resisteva. Il fulmine di Giove v
ciascuno assegnando loro quei genitori che parve meglio convenissero
al
loro carattere ed alle funzioni a cui erano addet
, secondo che egli stesso asserisce. Tutti coloro che si presentavano
al
tribunale dell’ Areopago, dovevano prima di entra
di F. Bellotti. Generalmente venivano in tal modo effigiate intorno
al
trono di Plutone, in atto di attendere ansiosamen
one altamente sdegnata contro di lei, l’afferro pei capelli, la gettò
al
suolo e mentre ella cercava di liberarsi, la cang
omi han chiamata Via lattea. Dice Ovidio che per questa via si andava
al
palazzo di Giove ; ed era anche per questa, che g
epitoso, che soave ; E da lo stral d’ Amor piagato e punto, Col canto
al
dolce suon fa contrappunto. Ovidio — Metamorf :
ente che i sacerdoti galli rendevano i loro oracoli in versi. Da ciò,
al
dire di Plutarco, ne venne il grande disprezzo in
vvenire. Al dire del citato scrittore, codeste incantatrici vendevano
al
popolo dei filtri e delle medele, che avevano il
icinto, prima che questo periodo di tempo fosse passato. Oltre a ciò,
al
dire del citato scrittore, i sacerdoti galli, ave
cato uno, anche inavvertentemente. I sacerdoti galli erano sottoposti
al
comando di uno fra essi, a cui davano il nome di
i cui i Lari erano le divinità protettrici. Si dava il nome di Gallo
al
primo sacerdote di Cibele, il quale, secondo la t
tto la configurazione dell’ acquario, facendolo servire come coppiere
al
banchetto degli dei, e assegnandogli le funzioni
i Troja aveva un figlio chiamato Ganimede, o secondo altri, Genimede,
al
quale dette incarico di recarsi in Lidia, onde of
imede o Genimede era similmente il soprannome della dea Ebe, la quale
al
dire di Pausania, era adorata sotto questa denomi
— Gli egiziani ritenevano che allorquando i Titani dettero la scalata
al
cielo, la dea Diana si fosse cangiata in gatto, o
ata al cielo, la dea Diana si fosse cangiata in gatto, onde sottrarsi
al
furore degli assalitori.V. giganti. Da ciò ne ven
o Gemelli. — Il terzo fra i dodici segni sotto la cui configurazione,
al
dire del cronista Manilio, i pagani riconoscevano
iambattista Bianchi. 2097. Gemino. — Uno dei soprannomi che si dava
al
dio Giano, a causa delle due facce che gli veniva
ne che Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichità ; cioè, che
al
tempo del paganesimo, dovevano esistere più numi
iscono Plinio e Plutarco, si chiamava così quella dea, che presiedeva
al
parto. Era una specie di configurazione della Giu
neonati. 2103. Gennajo. — Questo mese era presso i pagani consacrato
al
Dio Giano, perchè a somiglianza di questa divinit
enza tempio. 2108. Geris o Geride. — Nome di una divinità pagana, che
al
dire di qualche autore, era la stessa che Cerere
tologia. 2109. Germani. — Antichissimi popoli della Germania, i quali
al
dire di Giulio Cesare nei suoi commentari, non av
ollo nella Lacedemonia, e che avevano la durata di tre giorni. Vicino
al
sepolcro del giovanetto Giacinto si vedeva una st
ar sempre in sua compagnia. Un giorno stabilirono di giuocare insieme
al
disco, e spogliatisi si unsero scambievolmente il
lle tante ninfe Nereidi. 2117. Gialemo. — I greci davano codesto nome
al
dio che presiedeva tutte le cerimonie funebri in
e ripete che Giano accogliesse amorevolmente Saturno, e lo associasse
al
suo regno. Da ciò la prima interpretazione data a
ista Blanchi. Gli venivano del paro attribuite due facce, alludendo
al
potere che egli aveva sul cielo e sulla terra ; r
si facevano dei sacrifizi, in cui gli veniva offerto del farro misto
al
sale, e del pane condito di mele. Moltiplici eran
ivio o Clusio. Quindi Giano mi chiamo, il quale allora Che col farro
al
sal misto, e pan melato Posto sull’ara il sacerdo
sacrati a Giano, indicanti ognuno un mese dell’anno ; ed ed ifificati
al
di là della porta Gianicola fuori le mura di Roma
d’assedio le mura di Roma, avevano già attaccata la porta che è sotto
al
monte Viminale, la quale i romani avevano ben chi
o fossero aperte in tempo di guerra, quasi a lasciare libero il passo
al
dio protettore di Roma, di venire novellamenle in
o. Fu uno dei Titani che mossero guerra a Giove, e dettero la scalata
al
cielo. Diodoro lo fa marito della ninfa Asia, e p
enuto adulto gl’insegnò le scienze, e sopratutto la medicina, ciò che
al
dire di vari scrittori, valse algiovanetto princi
la volontà di Pelia, tanto più che questi gli promise formalmente che
al
suo ritorno dalla gloriosa spedizione della Colch
gloriosa spedizione della Colchide, lo avrebbe pubblicamente assunto
al
trono di sua spettanza, e del quale gli avrebbe f
lla perigliora intrapresa di Giasone ; e tanto che giunse felicemente
al
Porto Pegaso, da cui fece partire la nave e con p
Il germano….. e sulla via ne lascia La spoglia palpitante… inciampo….
al
padre. della valle — Medea — tragedia Atto I Sce
secondo le cronache dell’antichità : nella più perfetta concordia, ma
al
compiere di questo periodo di tempo, Giasone pone
ore, durante il regno di Saturno, questi ebbe da Anobret un figliuolo
al
quale pose il nome di Gehud, per essere unico. Av
questo Gehud favoloso ; e la bibblica figura del patriarca Abramo che
al
cenno di Jehova si accinge ad offrire in olocaust
nato che egli avesse col suono del suo flauto rotto il sonno di Argo,
al
momento istesso che Mercurio si accingeva a rapir
evano l’incarico di nudrire gli sparvieri consacrati ad Apollo, ossia
al
Sole. 2142. Gierococerici. — V. cerici. 2143. Gie
erdoti che scrivevano i geroglifici sacri, e ne davano la spiegazione
al
popolo ; come facevano di tutta la dottrina della
figli aspersa Che fatta fosse tiepida la Terra, È fama, e desse vita
al
caldo sangue : E che quello mutasse in corpi uman
tunque indarno, minacciosi e torvi Stender le braccia a noi, le teste
al
cielo. Concilio orrendo ; che ristretti insieme E
tronizzar Giove, lo assediarono fin nell’Olimpo, e dettero la scalata
al
cielo, imponendo sulla montagna chiamata Pelio, l
’oracolo, persuase a Giove di chiamare Ercole, onde avesse combattuto
al
suo fianco. Giove seguì il salutare consiglio che
Tizio, Graziano ed altri, ed il terribile Tifeo che valse egli solo,
al
dire di Omero a portar più terrore fra gl’immorta
in fuga, infin che asilo Stanchi trovaro nell’Egizio suolo, E presso
al
Nilo in sette rami sparto Che pur quivi il terrig
di uomini che si resero celebri per la loro gigantesca figura. Cosi,
al
dire di Virgilio, Turno re dei Rutoli, era di una
tagna, fu trovato un cadavere lungo quarantasei cubiti ; e finalmente
al
dire del cronista Solino, fu mostrato al proconso
ntasei cubiti ; e finalmente al dire del cronista Solino, fu mostrato
al
proconsole romano Metello, un gigantesco cadavere
i sconfisse, insieme a tutta la formidabile falange dei Giganti, essi
al
dire di vari scrittori e poeti rotolarono per nov
le squadre avverse : Nove giorni le venne in giù rotando E nel decimo
al
fondo le sommerse : Orribil fondo d’ogni luce mut
he essi altro non erano che tre impetuosi venti, e dà il nome di Gige
al
maggiore, dalla parola greca γογαιος che signific
uso nel corpo del cavallo lo smisurato cadavere di un uomo, che aveva
al
dito un anello d’oro, che Gige passò immediatamen
no della mano, egli diveniva invisibile ; mentre quando la pietra era
al
di fuori, rimaneva nello stato normale. Non appen
corto della strana prerogativa, peusò servirsene onde accostarsi sino
al
letto della regina, colla quale concertatosi si l
pensò interrogare novellamente l’oracolo, onde chiedergli se ci fosse
al
mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo ri
oracolo, onde chiedergli se ci fosse al mondo uomo più felice di lui,
al
che l’oracolo rispose che un certo Aglao era assa
glio D’Edippo io moglie, e in un di Edippo madre, Inorridir di madre
al
nome io soglio ; Alfier — Polinice — Tragedia At
tti. Secondo Euripide invece, ella più forte del destino sopravvive
al
suo dolore ; resta in Tebe, dopo l’esilio di Edip
ensibili sembianze, anche gli oggetti inanimati, innalzandoli sovente
al
posto di una divinità, dette anche un’immagine pa
i sovente al posto di una divinità, dette anche un’immagine palpabile
al
Giorno, considerandolo in sè stesso, e senza rela
Finalmente il crepuscolo della sera veniva raffigurato identicamente
al
crepuscolo dell’aurora, ma senza la torcia, per a
Giapeto, Tifeo e gli altri mostruosi giganti, che dettero la scalata
al
cielo. Non uno ordi la Luna ordin di giorni Favo
i sovente a soffrire qualche danno, esposero questa loro osservazione
al
senato, affinchè ne venisse indagata la ragione.
omiglianza di tutti gli altri suoi figliuoli, se Rea, non avesse dato
al
marito, invece del pargoletto Giove, una pietra r
signore del mondo ; finchè i Giganti non tentarono di dare la scalata
al
cielo (V. GIGANTI). Essendo però riuscito, come v
e l’ impero dell’universo coi suoi fratelli, Nettuno e Plutone, dando
al
primo il regno delle acque, ed al secondo quello
fratelli, Nettuno e Plutone, dando al primo il regno delle acque, ed
al
secondo quello dell’ inferno. Sterminato è il num
parte entro bollenti Onde ammollisce, e l’ altra parte aggira Intorno
al
foco sottoposto. OVIDIO — Metamorf.. Libro I Fav.
DERICO. Fra gli alberi, l’ulivo e la quercia erano sacri a Giove ; e
al
dire di Cicerone le dame romane onoravano questo
e ai piedi un’aquila con le ali spiegate. La tradizione aggiunge che
al
muovere del suo capo divino, tremasse il mondo.
ande generalità degli scrittori, e cronisti della Favola, pure erano,
al
paro dei sopraccennati, assai in uso presso i pag
effetti dell’incivilimento onorarono di un culto quasi divino l’uomo
al
quale essi andavano debitore di un tanto bene ; e
simulacro aveva tre occhi, uno in mezzo alla fronte, e gli altri due
al
medesimo posto ove gli ànno le teste degli uomini
he eseguivano questa divinazione giravano con tanta celerità, intorno
al
cerchio tracciato, che finivano per cadere per te
one favolosa ripete, che questo giudizio sommario venendo pronunziato
al
momento istesso in cui avveniva la morte, aveva d
i, e sovente anche ad ingiustizie. Giove allora per mettere un argine
al
grave sconcio, creò i due suoi figliuoli, Eaco e
giogo, i greci davano codesto nome a Giunone, come dea che presiedeva
al
matrimonio ; alludendo così al giogo, che durante
ome a Giunone, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così
al
giogo, che durante la cerimonia nuziale, si mette
iuna — Conosciuta anche sotto l’appellazione di Giuna Torquata. Così,
al
dire di Tacito, avea nome una delle prime Vestali
doro — nel territorio dei Gnassi, sulle sponde del fiume Tereno, ove,
al
dire del citato scrittore, si vedeva ancora ai su
odo infrangibile t’avvinsi, E alla celeste volta con due gravi Incudi
al
piede penzolon t’appesi ? Fra l’atre nubi nell’im
ti del marito, con altrettanti oltraggi conjugali, dandosi in braccio
al
gigante Eurimedonte ed a molti altri. Nè paga a c
si eseguivano nel circo dedicato a Nettuno, e secondo altre opinioni,
al
Sole, dopo le consuete cerimonie religiose. I com
li v’invito Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, a la palestra,
al
cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari, ognun ne sp
o giuoco Propose, il giuoco della dura lotta, E de’premii fè mostra ;
al
vincitore Un tripode da fuoco, e a cui di dodici
de da fuoco, e a cui di dodici Tauri il valore dagli Achei si dava Ed
al
perdente una leggiadra uncella Quattro tauri esti
sopra ambedue si riversaro E lordarsi di polve. E già risurti Sariano
al
terzo paragon venuti, Se il figlio di Peleo levat
mio. Itene, e resti Agli altri Achivi libero l’aringo. Obbedir quelli
al
detto, e dalle membra Tersa la polve, ripigliar l
olvere levando. Avanzù gli altri Clitoneo, che, giunto Della carriera
al
fin, lasciolli indietro Quell’intervallo, che i g
lascian compulenti buoi, Se lo stesso noval fendano a un’ora. Succedè
al
corso l’ostinata lotta. Ed Eurialo prevalse. Il m
ti ; e che gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e tanto che
al
dire del cennato scrittore, vi sono state delle p
del cennato scrittore, vi sono state delle persone colpite di cecità,
al
momento stesso di uscire dal tempio, nel quale av
giustizia figlinola di Giove stava nel cielo sul carro del padre suo,
al
quale dimandava vendetta contro gli uomini, tutte
i coverse. Indi correndo Nel suo fiume gittossi, ove s’immerse Infino
al
fondo, e ne mandò gemendo In vece di sospir gorgo
ivano nelle loro lotte di una spada corta e larga ; specie di brando,
al
quale si dava il nome di gladius donde deriva la
gladiatore. Il popolo romano accorreva folto e numeroso ad assistero
al
combattimento dei gladiatori, e prendeva un crude
..Il fatal cinto Io le porgeva ; e l’inducca co’prieghi A farne prova
al
sen. Misera ! Ed ecco, Atrocissimo duol le membra
desiderio di cangiar natura ; per modo che si precipitò in mare ; ove
al
della tradizione, la dea Teti e l’Oceano lo miser
sciogliersi. Nella città di Antedone, vi era uno scoglio conosciuto,
al
dire di Pausania, sotto il nome di Salto di Glauc
-marino, fu quello che servi di scorta agli argonauti, quando mossero
al
conquisto del vello d’oro V. Argonauti. Ancora di
ere allora, sdegnata contro di Glauco, rese le cavalle di lui furiose
al
punto, che fecero in pezzi il loro padrone. Ma n
edone, soccorsero i Trojani nell’assedio della loro città. Suo padre,
al
dire di Omero, al momento della partenza lo avea
i Trojani nell’assedio della loro città. Suo padre, al dire di Omero,
al
momento della partenza lo avea caldamente esortat
iomede sfidato Glauco ad una singolare battaglia, essi si accingevano
al
combattimento, allorchè Diomede avendo saputo che
i bronze che Diomede gli avea dato, un’intera armatura d’oro, stimata
al
valore di cento buoi. Questo fatto dette, presso
el fameso Mida, re di Frigia, aveva un carro, il cui giogo era legato
al
timone per mezzo di un nodo di così intrigato e d
on lui, onde insegnargli la formola del sacrificio. Essa accondiscese
al
suo desiderio, e dopo qualche tempo Gordio la spo
dei figliuoli del re Priamo, e della bellissima Castianira, la quale,
al
dire di Omero, rassomigliava per la sua bellezza
mate Medusa, Steno, ed Euriala. Al dire di Esiodo, esse soggiornavano
al
di là dell’oceano, vicino alla dimora della Notte
tori dell’antichità, ripete che le gorgoni abitavano la Lidia, vicino
al
lago Tritonide, e che altro non erano se non donn
itenevano le Grazie come vergini ; sebbene Omero ne dà una per moglie
al
dio del Sonno ed un’altra a Vulcano. Un uso assai
spensatrici. 2202. Grazione. — Uno dei giganti che dettero la scalata
al
cielo. 2203. Grifone. — Uno dei tanti mostruosi a
Cryncus. 2205. Gru. — Presso i pagani questi uccell i erano ritenuti,
al
paro degli avvoltoi e delle aquile, come annunzia
esso gli arabi, ad una specie di dio preservatore, ch’essi invocavano
al
cominciare di un’impresa qualunque, e segnatament
rendere un viaggio. 2212. Hakem. — I popoli drusi davano codesto nome
al
loro dio incarnato. Hakem era presso quei popoli
. Hoang-Ti. — Nella tradizione favolosa dei cinesi, si dà questo nome
al
secondo successore del famoso Fo-Hi, fondatore de
quando mette la testa sotto le ali, assume una forma somigliantissima
al
cuore nmano. Finalmente in alcuni naturalisti ant
elope. 2229. Icaro. — Figlio di Dedalo, il quale si sottrasse insieme
al
padre suo, colla fuga dalle persecuzioni di Minos
n volare nè alto nè basso, ma a spingere il suo volo nè troppo vivino
al
sole, temendo che gl’infocati raggi di quello non
misurata nel mare, e vi restò miseramente annegato. Il sole il dorso
al
giovine percuote. E le composte cere abbrucia e f
e — V. Meleagro. 2239. Idi. — I romani davano questo nome particolare
al
giorno 13 e 15 d’ogni mese. Nelle loro credenze e
avvisato dell’arrivo del re, era corso con trasporto d’amore, a dare
al
padre diletto il bacio del ritorno. A lingua uman
di salire su di una piccola biga, di cui dette a guidare i destrieri
al
suo fedele amico Iolao, il quale gli servi da coc
ollo istesso avea conceduto il dono di predir l’avvenire, si presentò
al
re, promettendo di guarire le sue figliuole, alle
elle cronache mitologiche, come uno degli argonauti, e come vincitore
al
premio della corsa nei giuochi funebri, che Giaso
stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete che ella era nata femmina e che
al
momento di contrar matrimonio cangiasse di sesso
Ligdo il quale aveva una moglie chiamata Feletusa. Vedendola prossima
al
parto le impose di uccidere la sua creatura se fo
la madre suggerì a Feletusa una pietosa astuzia, ed ella fece credere
al
marito che si fosse sgravata d’un maschio. La cos
fu figlia di Elena e di Teseo, e che quando la madre di lei fu tolta
al
suo primo rapitore, avesse nella città di Argo, d
a stessa la vittima innocente all’altare ed offrirne il seno denudato
al
flamine sacrificatore. Questi brandisce il ferro
o inopinato Spettacolo, che fede anco veduto Non otteneva. Palpitante
al
suolo Una cerva giacea di grande corpo E d’egregi
placare gli dei ; ma che i soldati greci si fossero opposti vivamente
al
disumano disegno, e che allora l’indovino Calcant
ne, che doveano sacrificarsi alla divinità del luogo, e di prepararle
al
sacrifizio ; mentre l’atto di ucciderie era desti
o solo quante volte l’altro si fosse legato con giuramento di portare
al
fratello Oreste una lettera. A questo nome succed
nella sinistra, e con uno scettro nella destra e avendo attoreigliato
al
braccio un grosso serpente che ripiegandosele sul
pagani credevano che Ilizia, a somiglianza di sua madre, presiedesse
al
doloroso mistero dello sgravo. Durante i dolori d
stati da Ercole, accolse benignamente il figlio di lui, riconoscente
al
beneficio che avea ricevuto dal morto eroe. Ma l’
ia dove giunti dopo aver sbarcato la loro preda si dettero in braccio
al
riposo. Imeneo allora profittando del sonno dei r
riferisce a proposito di lui, che avendo fatto scavare un nuovo letto
al
fiume Anfileo, cangiò questo col pr oprio nome. A
o per tre notti di seguito, all’indomani del terzo giorno si presentò
al
tribunale dell’Areopago, e svelò il sogno ; e ave
rtura, questi confessò il delitto e restituì la tazza, che fu rimessa
al
suo posto. Da questo fatto Ercole ebbe il soprann
llettivamente il nome d’Indovini. Riserbandoci a parlare partitamente
al
vocabolo Teurgia, di quanto concerne la divinazio
qualunque divinazione, gl’indovini eran chiamati sempre ad assistere
al
sacrifizio, onde leggere l’avvenire nelle viscere
onte, che traversò sulla barca di Caronte, la quale la lasciò innanzi
al
trono di Plutone, custodita da Cerbero. Secondo r
Con la debil Vecchiezza. Evvi la Tema, Evvi la Fame : una ch’è freno
al
bene, L’altra stimolo al male ; orrendi tutti E s
Evvi la Tema, Evvi la Fame : una ch’è freno al bene, L’altra stimolo
al
male ; orrendi tutti E spaventosi aspetti. Havvi
sangue mai sempre il volto intriso. Nel mezzo erge le braccia annose
al
cielo Un olmo opaco e grande, ove si dice Che s’a
a codesto nome ai misteri di Cerere, perchè bisognava essere iniziato
al
culto di quella dea per assistervi. 2286. Ino. —
per diritto di primogenitura, sarebbe a questi spettato di succedere
al
trono del padre loro, a detrimento dei propri fig
Elle e Frisso. Questi però si sottrassero, con una precipitosa fuga,
al
destino che era loro riserbato ; ma, Elle morì ne
nseguita sempre dal furibondo marito, si precipitò nelle onde insieme
al
figliuolo. Ovidio favoleggia diversamente codesta
cronache dell’antichità, la risposta che il guerriero Annibale, dette
al
re Prusia, il quale si ricusava a combattere, ass
e, presterete più fede agli intestini d’un bue, che all’ esperienza e
al
parere d’un vecchio generale ?… » 2289. Inverno.
spetti e disgombrò la nuvola. Giove allora per sottrarre la sua amata
al
furore della moglie, cangiò lo in una giovenca.
avendole Giove risposte che l’avea prodotta la terra, Giunone chiese
al
marito di donarle quella giovenca. Giove suo malg
nell’Illino, donde traversando il monte Emo calò nella Tracia. Giunta
al
golfo che porta lo stesso nome, lo passò come il
o evvi Canopo Città posta alla foce ed alle dune Del Nil vicina : ivi
al
primiero stato Giove ti tornerà, con amorosa Man
e riguardava come atei tutti coloro che la negavano. Cicerone stesso,
al
quale fra tutti gli altri autori dell’ antichità,
che egli stesso nella notte anniversaria della sua nascita, ballasse,
al
suono della sua lira, come a rallegrarsi degli on
lorchè gli dei sdegnati contro di lui, gli suscitarono contro Pelope,
al
quale concessero, per la disfida, quattro immorta
ece legare le code dei loro cavalli, le une alle altre, per modo che,
al
momento della battaglia la cavalleria nemica fu q
rò a Fedra, madrigna di lui una violenta passione d’amore, che crebbe
al
punto che la misera regina ebbra d’amore, fece da
misera regina ebbra d’amore, fece dalla sua nutrice offrire sè stessa
al
bellissimo giovane, pel quale era pazza di passio
ta, giurò di vendicarsi, e temendo che Ippolito non l’avesse accusata
al
proprio consorte, pensò di prevenirlo, e lo incol
oi pur molto terrore, Bonde ciò, non sapendo. Indi rivolio Lo sguardo
al
mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto al ciel s’
do. Indi rivolio Lo sguardo al mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto
al
ciel s’alzava, che la vista Delle Scironie rupi n
sasso, Poi più e più gontiandosi, e shuffando Multa schiuma dintorno,
al
lido lende. Alla mira del cocchio, e giunge, ed e
ed ecco Dal tempestoso immane grembo crutta Portentoso un gran tauro,
al
cui muggito Tutta ripiena spaventosamente Rimuggh
ito intraprese il viaggio, e montato sul suo carro, mosse, obbediente
al
volere paterno, senonchè, intese al suo passaggio
sul suo carro, mosse, obbediente al volere paterno, senonchè, intese
al
suo passaggio vociferare ripetute volte l’infame
cione. Ippotoo regnò nella contrada di Eleusi, della quale fu assunto
al
governo dopo che Teseo ebbe ucciso Cercione. 2320
nte Isifile, e l’ Alighieri fra questi, V. Giasone) fu assunta regina
al
governo dell’isola, che tenne per qualche tempo p
ando gli Argonauti, capitanati da Giasone, mossero verso la Colchide,
al
conquisto del famoso vello d’ oro, Ipsipile accol
r calmare la disgraziata giovanetta le giurò, come ella chiedeva, che
al
ritorno della gloriosa spedizione sarebbe, prima
de mostrare ad alcuni forestieri il cammino che essi aveano smarrito,
al
suo ritorno trovò il bambino strangolato da una s
uola detta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e che
al
dire del citato scrittore, i greci dettero alle l
, sulle gocce d’acqua contenute dalle nuvole situate in linea opposta
al
pianeta maggiore ; e le si attribuiva, secondo Es
. Narra la cronaca mitologica a cui si attiene il cronista Igino, che
al
tempo in cui Nettuno, Giove e Mercurio viaggiavan
curio viaggiavano sulla terra, fossero accolti benignamente da Irieo,
al
quale i tre numi promisero di concedere qualunque
o Ermete dei greci. I sacerdoti e le sacerdotesse che si consacravano
al
culto religioso d’ Irminsul, venivano scelti fra
la sua grande povertà, da cui i suoi concittadini trassero argomento
al
proverbio : Più povero d’Iro. Il suo vero nome er
a essere combattuta alla presenza di Telemaco e di altri principi ; e
al
primo assalto, se pure il famoso guerriero greco
sestò un tale colpo ad Iro, che gli fracassò una mascella, e lo stese
al
suolo coperto di sangue. 2330. Irpie. — Famiglie
al suolo coperto di sangue. 2330. Irpie. — Famiglie romane, le quali,
al
dire di Plinio, avevano la strana prerogativa di
ll’ucciso perseguitando il tiranno Tifone, e poscia si consacrò tutta
al
benessere dei suoi sudditi governando l’Egitto fi
ata. Da ciò le due parole greche παρα λοιδος che significano : vivino
al
tempio d’ Iside. 2336. Isle. — Famose feste e cer
smeno. V. Melia. Per altro Plutarco, il geografo, dà un altra origine
al
cangiamento di nome di quel fiume. V. l’ articolo
ricevere una dote, come è uso dei moderni, dovea fare ricchi donativi
al
padre ed alla madre della sposa, prima e dopo il
Sollecitato più volte dal padre della sua futura sposa, di adempiere
al
suo dovere, Issione lo traccheggiò sempre con bel
i Issione che pascevano nelle campagne della Tessaglia. Issione punto
al
vivo da questa abusiva maniera di procedere, sebb
Colà giunto vi fu ricevuto con splendida magnificenza, ma nel recarsi
al
luogo ov’ era imbandita la mensa, avendo Issione
more. Sdegnata la severa Giunone contro tanta audacia, accusò Issione
al
consorte ; ma Giove considerandolo come un insens
e l’ immortale suo talamo. Sebbene a malincuore, Giunone accondiscese
al
volere di Giove e questi allora formò di una nuvo
uota circondata d’innumeri serpenti e che doveva girare eternamente ;
al
dire di Ovidio una sola volta Issione fu slegato
resa per questa ragione, celebre nella sua immortale Odissea. Itaca
al
polo si rivolge, e meno Dal continente fugge : as
rogne, fu ucciso dalla propria madre e presentato in orrido banchetto
al
suo genitore per atroce vendetta — V. Filomena e
cui attribuivano molta segreta virtu e che generalmente si appendeva
al
collo dei fanciulli e delle vestali, le quali con
giganti che Giove fulminò per aver dato coi suoi compagni la scalata
al
cielo. V. Giapeto. Ivi Giapeto si rivolve e Ceo
lesti assalse. Monti La Musogonia — Canto. 2366. Jarba. — Lo stesso
al
quale si dà, da quasi tutti gli scrittori, il nom
sorabile persecutore della stirpe d’ Ercole. Però non potendo reggere
al
peso delle armi, troppo grave alle sue membra aff
da quell’eroe ucciso in un accesso di furore, a cui egli soggiacque,
al
suo ritorno dall’ inferno. 2370. Jolco. — Patria
cole, avendo suscitata la gelosia di Deianira. V. Ercole. ……. Ercole
al
padre Per furtiva consorte la richiese ; Ma indar
la richiese ; Ma indarno : ond’ egli di mentita accusa Fatto pretesto
al
suo voler, con l’armi Ecalia assale, ove sedea re
o ; ma per quel santo istinto della maternità, che parla potentemente
al
cuore più indurito, rinchiuse il neonato in un pa
e dalla quale avrebbe potuto infatti avere un figliuolo. Non reggendo
al
consolante pensiero di conoscere quest’ essere ca
vino di quella coppa, ne fece offerta agli dei, spargendo il liquore
al
suolo. Il tentato delitto sarebbe così rimasto ne
do bagnato il becco nel vino sparso dalla coppa, cadde come fulminato
al
suolo, ucciso dal terribile veleno. Spaventati gl
i di Jone erano sul punto di avanzarsi contro di lei, per trascinarla
al
supplizio, quando la sacerdotessa mandata da Apol
ere nelle mani, che era quello stesso, in cui l’avea riposto la madre
al
momento d’abbandonare Jone. A quella vista, Creus
i Erettidi, non palesando a Xuto la verità del fatto, e non togliendo
al
buon re l’illusione d’un errore tanto soave al su
fatto, e non togliendo al buon re l’illusione d’un errore tanto soave
al
suo cuore paterno. La gran maggioranza degli stor
Eleusio. Ella prese parte ai famosi onori funebri che i greci resero
al
figliuolo suo. V. Trittolemo. 2376. Jopa. — Re di
a. 2381. Kama. — Detto anche Kamadeva. Gli Indiani davano questo nome
al
loro Cupido, dio dell’ amore. Veniva rappresentat
po. 2383. Kang-l o Cang-v. — Nella mitologia cinese si dà questo nome
al
dio dei cieli inferiori, il quale ha diritto asso
lla nascita degli uomini, all’ agricoltura ed alla guerra : Zui-Kuan,
al
mare ed alle navi : e finalmente Tan-Kuan alle pr
ologico del Giappone, detto con vocabolo particolare Buddaismo, si dà
al
dio delle acque e dei pesci. Egli viene riguardat
a gola spalancata di un enorme pesce. Questa statua ha 4 braccia, due
al
diritto, e due al sinistro lato ; delle quali per
di un enorme pesce. Questa statua ha 4 braccia, due al diritto, e due
al
sinistro lato ; delle quali però, una destra ed u
o. 2386. Kaor-Buk. — Gli abitanti del regno di Asem dànno questo nome
al
dio dei quattro venti. I sacerdoti che in Africa
egl’infermi che essi non han potuto guarire, e questi debbono offrire
al
dio quattro uccelli, prima di esporre la malattia
i che, provenienti dalla Spagna, si resero celebri nell’Irlanda, fino
al
punto di essere innalzati agl’onori immortali del
Buddisti. 2389. Kekki. — Nella Lapponia si dava questa denominazione
al
dio protettore della agricoltura. I popoli Careli
rù. — Nel culto religioso degl’ indiani, è questa la dea che presiede
al
giorno in cui succede il novilunio. Kurù è una de
iglia dal gran Cairo. Vi sono alcuni cronisti, i quali attribuiscono
al
re Kopto la costruzione della sola piramide grand
stesso che nessun figlio maschio della giovine regina avrebbe vissuto
al
di là di un giorno solo. Infatti per ben sette vo
gitto, e quello di Grecia nell’isola di Creta ; sebbene quest’ultimo,
al
dire di Plinio lo storico, non fosse che la cente
e sei quello del settentrione, mentre una stessa muraglia le circonda
al
di fuori. Oltre a queste immense sale, il laberin
buti indicativi del sommo Giove, è attribuito, secondo la tradizione,
al
fatto seguente. Allorquando Ercole ebbe vinta Ipp
la legò ai re di Lidia, i quali la portarono invece di scettro, fino
al
tempo in cui Candaule, ultimo re di quella contra
n promontorio del golfo di Taranto, nella penisola Italiana, sorgeva,
al
dire di Tito Livio, un tempio consacrato alla dea
un editto, col quale comandava che le tegole di marmo fossero rimesse
al
loro posto. Ma la superstizione non si arrestò a
vesse eseguito il suo comando. Annibale allora, prestand o piena fede
al
sogno, ordinò che dell’ oro che si era cavato dal
. l’ articolo precedente. 2406. Lacio. — Uno degli eroi dell’ Attica,
al
quale, quando morì, fu consacrato, in memoria del
i servì il dio Pane per costruire il suo famoso flauto a sette canne,
al
quale dette il nome di Siringa, in memoria forse
fero, porto, venivano così chiamate alcune pubbliche feste, celebrate
al
tempo dei Tolomei, nella città di Alessandria. Er
à di Alessandria. Erano così dette perchè coloro che prendevano parte
al
banchetto della cena, erano adagiati sopra letti
ighieri, nel 18° Canto del suo Inferno, denomina Taida. Ella richiese
al
famoso Demostene, diecimila dramme per una notte
lla cronaca pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu rapita da Castore
al
momento che dovea sposare Linceo. V. Castore e Po
rometee, le terze. In tutte queste tre feste si celebravano i giuochi
al
lume delle lampadi. 2421. Lampadoforo. — Nome par
r pastori Faetusa e Lampezie il crin ricciute Che partori d’ Iperione
al
figlio, Ninfe leggiadre, la immortal Neera. Omer
ampezie, e si cibarono di quella carne. La ninfa portò querela di ciò
al
suo immortale genitore, e questi a Giove, il qual
tentando La candida Lampezie. da improvvisa Radice si senti confitta
al
suolo. Ovidio — Metamorf. — Libro II Fav. II e I
di uno dei cavalli del sole, e propriamente di quello che presiedeva
al
mezzogiorno, ora in cui il Sole rifulge in tutto
Bacco. Venivano così dette, perchè le cerimonie si compivano di notte
al
chiarore delle lampadi. 2427. Lancia. — Secondo r
ro dio della guerra sotto la figura di una lancia, prima di aver dato
al
simulacro delle loro divinità, la figura umana. Q
dere i suoi concittadini ad opporsi a che il cavallo fosse introdotto
al
di là delle mura, e fu in questa occasione che eg
tto, e due nel collo Gli racchiusero il fiato, e le bocche alte Entro
al
suo capo fieramente infisse Gli addentarono il te
glio di Laodamia, la uccise a colpi di frecce. Partorì poi la moglie
al
virtuosq Bellerofonte tre figliuoli, Isandro E Ip
Bellerofonte tre figliuoli, Isandro E Ippoloco, ed alfin Laodamia Che
al
gran Giove soggiacque, e padre il fece Del bellic
mmagine del suo sposo ; e per farsi una dolce illusione, sempre soave
al
suo cuore innamorato, fece mettere nel proprio le
vellare con lo sposo adorato ; e pianse tanto amaramente nel chiadere
al
cielo codesta grazia, che gli dei impietositi gli
che insieme a sua sorella Nereide, riuseì per poco tempo a sottrarsi
al
furore degli Epiroti, i quali in una rivoluzione
n giorno spogliata della clamide reale e del supremo poteretanto caro
al
suo cuore ambizioso. Ma ben presto il popolo, cie
, se non quando la stessa figliuola del re Laomedonte venisse esposta
al
mostro per esser divorata. Laomedonte allora, pie
quello stesso che fu abbattuto dai Troiani medesimi per dar passaggio
al
famoso cavallo troiano. V. Fatalita’ Di Troia. 24
i la bella Sua faccia avrà mostrata, ed avrà ceduto Tre volte il loco
al
Sol, vinta ogni stella ; Il rito antico a noi sar
esser nocivo. Ordinariamente i pagani mettevano i loro Penati intorno
al
focolare, e spesso anche dietro l’uscio da via. Q
gli schiavi ricevevano la libertà appendevano le loro catene accanto
al
focolare, consacrandole in segno di riconoscenza
se dei ricchi v’era un servo o uno schiavo, destinato particolarmente
al
servizio degli dei Penati. Grandissima era la ven
ssi venivano onorati sotto il nome collettivo di Grundiles, alludendo
al
grugnito proprio dei maiali, in memoria della scr
i principi della Grecia. Egli aspirò insieme a diversi altri sovrani,
al
possesso d’ Ippodamia, e morì ucciso da Enomao. 2
ò, secondo asserisce il cronista Arnobio, fu dato il nome di Laterano
al
dio dei focolari 2447. Latino. — Figlio di Fauno
come protettrice delle partorienti e si credeva che presiedesse anche
al
parto degli animali. A completare le notizie che
ttevano in questa occasione. 2453. Laverna. — Dea dei ladri, i quali,
al
dire di Orazio, la invocavano onde essa coprisse
trad. di A. Caro. Ma gli dei con presagi e sogni si opposero sempre
al
compimento delle nozze desiderate. Finalmente uno
izione ripete, che offerendo Lavinia un giorno un sacrifizio, insieme
al
re suo padre, improvvisamente, la flamma di cui e
be uno splendidissimo destino, il quale pero sarebbe riuscito funesto
al
suo popolo, che per cagione di lei avrebbe avuto
a si ritrasse a vivere solitaria e raminga nel fondo di un bosco, ove
al
dire delle cronache, ella partorì un figliuolo, a
Ascanio fu costretto a ricercare della matrigna e a cedere ad essa ed
al
figliuolo Silvio il governo della città di Lavini
o dai cartaginesi che non avessero più sacrificato i propri figliuoli
al
loro dio Saturno. 2459. Laziar. — Nome proprio de
esta Laziar, il cui periodo fu, da principio, di un giorno solo : poi
al
tempo dei primi consoli, la cerimonia Laziar ebbe
a sotto il nome di Leona. Fu una famosa cortigiana d’ Atene, la quale
al
tempo che la sua patria gemeva sotto il ferreo gi
, posta in carcere con altri, sospetti di congiura, temendo di cedere
al
dolore dei tormenti, si troncò coi denti la lingu
lore dei tormenti, si troncò coi denti la lingua, e la sputò in volto
al
carnefice, intento a martoriare il suo bellissimo
o era stato formato da Vulcano, che ne fece un dono a Giove, il quale
al
tempo dei suoi amori con Europa lo regalò alla su
e, col quale passato qualche tempo sostenne una triplice sfida, prima
al
giuoco del disco ; poi a chi fra i due avesse att
5. Lerna. — Antichissimo lago nel territorio di Argo, il cui circuito
al
dire di Pausania era di un terzo di stadio, misur
oichè di mill’ anni Han volto il giro, alfin son qui chiamate Di Lete
al
fiume, o’ n quella riva fanno Qual tu vedi colà,
i A. Caro Lete era similmente il nome di uno stagno paludoso vicino
al
lago Cherone in Egitto ; il cui nome si dice in g
tto l’appellazione di Lete, che metteva foce nel Mediterraneo, vicino
al
capo delle sirti, e del quale la tradizione mitol
di quei letti veniva posta la statua di quel nume che prendeva parie
al
convito, mentre il posto delle dee era contrasegn
oma, onde implorare dai numi la fine di una terribile pestilenza. Ma,
al
dire del cennato autore, questa cerimonia riusci
Giove, Giunone e Mercurio ; aggiungendo la particolarità che, intorno
al
banchetto del convito, era posto un solo letto, c
tti Leucippo, sotto pretesto di fare dei propri capelli un sacrifizio
al
fiume Alfeo, se li lasciò crescere a modo di donn
girasole, viene raffigurata dalla qualità che i naturalisti assegnano
al
girasole, di far cioè, morire l’albero che produc
albero, lo lapidarono. Ma ben presto ebbero a pentirsi d’aver ceduto
al
furore, imperocchè l’ombra dell’ucciso, tormentò
la religione ebraica, che il dio di Mosè aveva comandate le Libazioni
al
popolo d’Israello. E formerai ancora d’oro puris
Bacco. Tu a me consorte, non vogl’io che priva Di nome sii compagno
al
mio : ti appella Libera in avvenir cangiata in di
o 17 marzo in onore del dio Bacco. Sebbene codeste cerimonie fossero,
al
paro dei baccanali, un pretesto a commettere le p
l dio avesse voluto parlare di una belva, e persuasi che non vi fosse
al
mondo un animale che avesse avuto la forza di rov
pastore coricatosi verso l’ora del pomeriggio con la testa appoggiata
al
sepolcro di Orfeo, si addormentò profondamente ;
agne e gli abitanti della città ; e fecero tale ressa onde accostarsi
al
dormente, che la colonna che sorgeva sul sepolcro
, ed egli fu cangiato in uno scoglio, che si vedeva nel mare Eubeo, e
al
quale i marinari non osavano accostarsi, credendo
li del re Priamo, e propriamente quello di cui Omero dice, che prestò
al
fratello Paride, la propria corazza per il singol
a lorica Del suo germano Licaon, che fatta I suo sesto parea, si pose
al
petto : Omero — Iliade — Libro III. trad. di V.
io, presso di sè, ed approntò le membra di lui, onde servirle la sera
al
banchetto che dava al suo ospite. Ma ben presto,
pprontò le membra di lui, onde servirle la sera al banchetto che dava
al
suo ospite. Ma ben presto, per comando di Giove,
parte entro bollenti Onde ammollisce, e l’altra parte aggira Intorno
al
foco sottoposto. Quando Imbandite di quelle ei fè
Arcadia, e vi fece innalzare anche un tempio in onore di Giove Liceo,
al
quale egli stesso sacrificava umane vittime : da
nge, che sul monte Liceo ci era un altare consacrato a Giove, innanzi
al
quale sorgevano due colonne, su cui erano due aqu
anao dette ad Apollo, e che le cronache dell’ antichità attribuiscono
al
fatto seguente. Allorquando Danao contrastava il
uente. Allorquando Danao contrastava il possesso della corona di Argo
al
re Gelanore, gli accadde un giorno d’incontrarsi
dà ad Apollo il soprannome di Licogene. Per la stessa ragione, sempre
al
dire di Eliano, si vedeva in Delfo un lupo di bro
edenza viene dallo stesso cronista e da molti altri autori attribuita
al
seguente fatto. Si vuole che avendo alcuni ladri
inò nella foresta ove i ladri avean sepolto il ricco tesoro, e giunto
al
luego si dette a scavare la terra e palesò così i
n li perseguitavano neppure. 2521. Licora. — Detta anche Licoria, fu,
al
dire di Virgilio, una delle ninfe compagne di Cir
ero a precipitosa fuga, e Bacco stesso spaventato si nascose in fondo
al
mare, ove fu accolto da Teti. Però sdegnato Giove
i allora partì, ma invece di andare a Delfo, siccome aveva annunziato
al
suo popolo, s’ andò a nascondere in un luogo lont
ordinando che il suo corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri disperse
al
vento ; temendo che se queste venissero trasporta
e, che la tradizione ci mostra come maestro di Orfeo e poi di Ercole,
al
quale oltre alle conoscenze scientifiche, egli in
2545. Lione. — Secondo scrive Plutarco, questo animale era consacrato
al
Sole, perchè egli è solo fra tutti i quadrupedi c
i sacerdoti Galli trovato il modo di addomesticare quelle belve, fino
al
segno di poterle, secondo scrive Varrone, accarez
condo scrive Varrone, accarezzare e toccare senza pericolo. In quanto
al
famoso lione Nemeo, la cui uccisione fu una delle
e suono. 2550. Littorale. — Qualificazione data, in alcuni monumenti,
al
dio Silvano, coronato di edera e con le corna sul
iorno ; forse perchè il Loto apparisce, sulla superficie delle acque,
al
levarsi del sole, e poi si richiude in sè stesso
i giuochi funebri. Nei giuochi Olimpici era assegnato un largo premio
al
vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità, che
un largo premio al vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità, che,
al
dire di Tito Livio, i romani invocavano in tempo
eti della mitologia chiamano così la stella Venere, quando comparisce
al
mattino. Da ciò forse la tradizione favolosa ci p
nte, fossero le principali e supreme divinità, e che avessero diritio
al
rispetto ed alla religiosa venerazione degli uomi
si raccolte nel culto che i primitivi popoli della terra, tributarono
al
Sole ed alla Luna. Secondo quello scrittore, tutt
sono poi le tradizioni favolose che la superstizione pagana innestava
al
culto religioso che si tributava alla Luna. Da ci
, nella Mesopotamia, avevano innalzato uno splendido tempio, dedicato
al
dio Luno. Il citato cronista dice, che gli abitan
no che coloro che adoravano la dea Luna, andavano facilmente soggetti
al
potere delle donne, ed erano dominati da esse ; m
orrevano il rischio di essere ingannati da esse. Da ciò nasce, sempre
al
dire di Sparziano, che gli egizi ed i greci, se p
, già da noi più sopra citato, ripete a proposito del culto tributato
al
dio Luno dai pagani, una strana e ridicola congiu
dicola congiuntura ; quella cioè, durante i sacrifizi che si facevano
al
dio Luno, gli uomini vestivano da donna, e le don
storico aggiunge, che essendo venuto in Italia Evandro Arcade, dedicò
al
dio supremo della sua patria, un dato luogo, a cu
vano a cadere in disuso ; ma che qualche tempo dopo furono restituite
al
loro primitivo splendore, e continuarono cosi in
nse un terzo collegio, detto dal suo nome dei Giuliani. Però, siccome
al
dire di Svetonio e di Cicerone, i Luperci non era
bini. Comunemente le lustrazioni avean termine con un gran banchetto,
al
quale si credeva presiedesse la dea Nondina, prot
munanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed
al
tempo : il commercio delle idee : la congiuntura
osofi mal convertiti, i quali pretesero accomodare i dogmi cristiani,
al
sistema di filosofia che prima seguivano. Furono
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento,
al
momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento,
al
momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento,
al
momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
no il dare una sola occhiata alle sue sacre mura, come atto meritorio
al
cospetto di Dio. 30. Cenno sull’arte Greca. —
verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere
al
suo vero principio facendosi sostegno della verit
al suo vero principio facendosi sostegno della verità : cooperandosi
al
progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più
perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere
al
bello, al grande, alla virtù l’azione delle intel
ando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello,
al
grande, alla virtù l’azione delle intelligenze um
irupata e quasi perpendicolare da ogni lato, e soprattutto all’est ed
al
sud. Marmocchi — Diz. di geografia universale, v
ed esatta esposizione di essi, riporteremo il passo del libro l deire
al
Cap. XXVIII della Bibbia. quando la Pitonessa per
vo consulti me mentre il Signore si è ritirato da te, ed è favorevole
al
tuo rivale ? 20. Subitamente cadde Saul per terra
ra d’ Ascoli. Citato, per un libro di astrologia, a comparire innanzi
al
tribunale inquisitore di Firenze il 15 settembre
am), e raccontarono ancora che to spettro di Meleusina apparisse solo
al
castello dei Lusignano quante volte la morte sovr
dato il nome di Mesmerismo. Mori il 5 marzo 1815 a Meerburgo in riva
al
lago di Costanza. 39. Voltaire, Francesco. Mari
Atropo. Gloto. là più giovane, teneva la conocchia, ossia presiedeva
al
punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava
ane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo
al
mondo. Lachesi filava gli avvenimenti della vita
de’ Classici antichi, e moderni. Il ristretto che ora vien presentato
al
Pubblico per uso dei Reali Collegj, è stato ricav
Pubblico, e contribuisca ad accrescere la coltura de’ popoli soggetti
al
felice Governo dell’ottimo Re Ferdinando primo. P
ti insieme, Faceano un corpo informe, e mal disposto Per donar, forma
al
mal locato seme : Anzi era l’un contrario all’alt
opposto Per le parti di mezzo, e per l’estremo : Fea guerra il lieve
al
grave, il molle al saldo : Contro il secco l’umor
ti di mezzo, e per l’estremo : Fea guerra il lieve al grave, il molle
al
saldo : Contro il secco l’umor, col freddo il cal
di tutte le cose, La natura migliore, e ’l vero Dio, Tutti quei corpi
al
suo luogo dispose, Secondo il proprio lor primo d
cenza, che questo Nume meritava dagli uomini. Fu ascritto egli stesso
al
numero degli Dei, col titolo di Dio della pace. I
rze. Ha le ali sul dorso per dinotare, che il tempo veloce giunge, ed
al
momento sen fugge : porta seco una falce per tutt
ge : porta seco una falce per tutto mietere, e consumare. L’ampollina
al
suo fianco ci mostra il corso sempre eguale, e mi
olo dell’eternità, che non ha cominciamento, nè fine. Le sue vicende,
al
dire de’ commentatori, sono altresì misteriose. E
montagna della Frigia : come pure Titèa, cioè, Terra, perchè presiede
al
nostro Globo. Fu detta Rèa del Greco Rhèo, fluo p
eppellì Encelado sotte l’Etna, i di cui sforzi si risentono tuttavia,
al
dire de’ Poeti, con gittar fiamme, e sassi per li
e scaturì una sorgente di acqua. Bacco riconoscente innalzò un altare
al
suo benefattore sotto la denominazione di Giove A
del Cielo, e della Terra : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese
al
Mondo, che questi Dei sì potenti nulla possono al
, e facciamo palese al Mondo, che questi Dei sì potenti nulla possono
al
paragone di me » ! Virg. I risultati di questo ri
ssarono le sue funzioni, dacchè ebbe la disgrazia di cadere una volta
al
di loro cospetto. A tale uffizio fu destinato il
u destinato il gentile Ganimede, che Giove fingendosi un’aquila aveva
al
padre suo Troe involato. Vulcano nacque sì brutto
in isposa Venere la più bella fralle Dee. Oltre di Argo aveva Giunone
al
suo servizio anche una messaggiera per nome Iride
un carro tirato da pavoni, portando lo scettro in mano, ed un pavone
al
suo fianco. Cerere. Cerere figlia di Soturno,
arne i principj a Trittolemo figlio di Celèo Re di Eleusi, inculcando
al
medesimo che ne avesse istituiti altresì gli uomi
figlia di Titano, e della Terra apre ogni mattina le porte del Cielo
al
carro del Sole. Questo carro circondato dalle Ore
o teste : lanciava fiamme dalla bocca, ed i suoi urli arrivavano fino
al
Cielo. Il suo corpo coverto di piume al di sopra,
d i suoi urli arrivavano fino al Cielo. Il suo corpo coverto di piume
al
di sopra, e di serpenti al di sotto toccava il ci
no al Cielo. Il suo corpo coverto di piume al di sopra, e di serpenti
al
di sotto toccava il cielo, e la terra. Moltiplici
e da Apollo, e Coronide Esculapio, che da bambino fu dato ad allevare
al
Centauro Chirone, da chi fu istruito della virtù
sotto l’aspetto di una costellazione detta Serpentario, ascrivendolo
al
numero degli Dei come Dio della medicina. Era rap
ratore con offrire unito a Nettuno, parimente privato della divinità,
al
Re Laomedonte la sua opera nella fabbrica delle m
onte poteva disarmare la collera degli Dei nel solo caso ch’esponesse
al
mostro la sua figliuola Esione. Bisognò cedere :
er salvarla. Laomedonte l’aveva promessa in isposa a questo Eroe : ma
al
suo solito pure gli mancò di parola. Infuriato Er
e i suoi prieghi. Il Re degli Dei mosso a compassione diede di piglio
al
suo fulmine, e lo scagliò contro Fetonte, con ave
nenza su di Latona, che non ne aveva che due, portando la sua empietà
al
segno di frastornare le feste, che si celebravano
va ; fu soggetto ai colpi dell’invidia. Pane ebbe l’ardire di mettere
al
paragone il suo flauto alla lira del figlio di La
galo, cercò di nascondergli sotto un’alta berretta. Per disgrazia era
al
suo servizio un barbiere d’indole cicalone, che n
e il Dio delle Muse. Accettò Apollo la sfida a patto, che chi restava
al
di sotto, fosse stato a discrezione del vincitore
incontrata da Arcade suo figlio, e valente cacciatore. Questi non era
al
caso di riconoscerla, stava già sul punto di scag
fosse affrettato di evitare un parricidio con aver sottratto la madre
al
figlio, che amendue situò nel cielo tra ’l numero
orte degl’imperi, Con rendere immortali uomini, e Dei. Canta Calliope
al
suon di dolce lira, Ed alte imprese scopo son del
po son del canto. Con vaga illusion mista d’ingegno Talia scherzando,
al
vizio ognor fa guerra. Con gravità Melpomene narr
r Polimnia insegna, Atteggiando cogli occhi, e col sembiante. Destasi
al
suon di musico stromento Terpsicore, e danzar sne
i un carro tirato da cigni, o da colombe. Queste furono a lei sacrate
al
proposito di un picciolo avvenimento. Stava la De
ttive. Giunone una volta la chiese in prestito per comparir più bella
al
suo sposo. I luoghi dove si esercitava il culto d
resenza degli Dei, lasciò pur essa un tale impiego, dato poi da Giove
al
suo caro Ganimede1. Minerva. Minerva nacque i
sua vita doveva mantenere un portamento oltremodo sostenuto. Minerva
al
pari delle altre Dee fu egualmente gelosa de’ suo
ne nativo di Colofone per essersi vantata di sapere l’arte del ricamo
al
pari di Minerva istessa. La Dea in segno di dispr
nel suo proposito si consigliò con Flora, che le indicò un fiore, che
al
solo toccarlo concepì Marte. Questa è l’origine p
Con minaccevol voce, e insanguinala Destra s’apre il sentiero innanzi
al
Nume, E in fuga va la Tema, e lo spavento : Int
o d’evitar invan procura. Terribil questo Dio di lampi cinto Calpesta
al
suo passar scettri, e corone, E de’ troni si fa s
Calpesta al suo passar scettri, e corone, E de’ troni si fa sgabello
al
piede ; Scaglia i fulmini, l’orbe ognor scotendo
a maggiore di esse fu la madre di Mercurio2. Egli nacque il mattino ;
al
mezzo giorno inventò la lira, e la sera aveva gia
erne. La sua corte è composta di Tritoni, che fanno echeggiare l’aere
al
suono delle conche marine, e degli Dei del mare,
Caronte figlio dell’Erebo, e della Notte le riceveva nella sua barca
al
prezzo di una piccola moneta, e le trasportava ne
buoni, e di cattivi si argomenta, che tutte le ombre erano giudicate
al
loro arrivo all’Inferno. Discese dalla barca di C
rio peso ricadeva immantinente. Flegia, che aveva appiccato il fuoco
al
tempio di Apollo, stava inchiodato a’ piedi di un
to ad una ruota, che girava di continuo. Egli aveva osato di aspirare
al
possesso di Giunone. Giove per assicurarsi del su
anta carica di frutta gli penda sulla testa, ed egli stesso stìa fino
al
mento tuffato nell’acqua. Quando vuol dissetarsi,
le frutta, il ramo da se stesso si allontana. Supplizio proporzionato
al
suo delitto. Le Danaidi, alle quali era concesso
ndogli assai il buon vino. Bacco lo amava moltissimo, e lo portò seco
al
conquisto delle Indie. Un giorno, che il buon uom
mpre in lode di questo re. Bacco in compenso di tanti favori prestati
al
suo caro Sileno, disse a Mida che avesse dimandat
leno, disse a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese
al
Nume, che avesse convertito in oro tutto ciò che
iaggi Sileno si fermò nell’Arcadia, dove in tutt’i giorni si ubbriacò
al
suo solito, e si fece amare moltissimo dai pastor
i per la metà uomini, e per l’altra cavalli ; la parte superiore fino
al
principìo delle cosce era in forma umana ; il più
fino al principìo delle cosce era in forma umana ; il più apparteneva
al
cavallo. Si crede nata l’invenzione di questi ess
il bambino che questa Dea portava nel seno : fu inoltre così proclive
al
vizio, che se ne formò il Dio del libertinaggio.
i. I Fiumi, o per dir meglio i Genj che preseggono alla sorgente, ed
al
corso de’ fiumi, erano altresì Dei. La loro figur
ad una conca avanti il carro di Nettuno. I suoi figliuoli chiamavansi
al
par di lui Tritoni. Proteo. Proteo figliuolo
he quest’erba aveva una proprietà particolare : ne mangiò, e si senti
al
momento la voglia di tuffarsi nelle onde. I Dei m
he dava addosso, o assassinava i passeggleri. Fu ammazzata da Ercole,
al
quale aveva rubato alcuni bovi : indi cangiata in
nomi erano Cloto, Lachesi, ed Atropo. Cloto la più giovane presedeva
al
momento della nascita degli uomini, e teneva in m
o entrare. Questi Dei erano piccole statuette, o Idoletti convenevoli
al
culto particolare del padrone della casa : spesso
, che fa d’uopo afferrare, perchè non iscappi dalle mani. La Fortuna,
al
dir di Cicerone, è un nome vano ; e si potrebbe c
delitti che si commettevano, involossi dalla terra, e volle ritornare
al
Cielo, ove fu situata nel Zodiaco : oggi detta la
iù vicine agli occhi per potersi difendere a colpo sicuro. Dirimpetto
al
cuore dell’uomo doveva situarsi un finestrino per
fosse un vicino pericoloso. L’origine di Momo non sembra conveniente
al
suo carattere, giacchè lo fanno figlio del Sonno,
iove, e di Venere. Seguivano per lo più la loro madre, ed assistevano
al
suo abbígliamento. Erano tre Aglaja, Talia, ed Eu
dipinta con benda avanti gli occhi, perchè non vegga chi si presenta
al
suo tribunale : sia ricco, sia povero, ognuno è u
bile, e gigantesca, ornata di piume, occhi, lingue, e bocche. « Ella,
al
dir di un poeta, è una Diva, o piuttosto un mostr
nel Lazio prima di Romolo. Ella presedeva ai trattati, alle alleanze,
al
commercio. Inviolabili erano i giuramenti concepi
Vien espressa con una coppa alla mano, ed accanto un altare, intorno
al
quale un serpente si aggira. Ella è denominata an
n piede sopra di una ruota che gira rapidamente. La sua testa è calva
al
di dietro : nella parte d’avanti presenta soltant
dell’Universo, formarono altrettanti Dei di tutti gli attributi, che
al
vero Ente supremo si convenivano. Parte terz
tale distintivo. Questa storia porta l’epoca della nascita del mondo,
al
momento che Prometeo formò il primo uomo, e l’ani
voltojo gli rodeva il fegato, che la notte si rinnovellava per essere
al
dì vegnente divorato di nuovo. Eterno sarebbe sta
che doveva presentare a Prometeo, forse allora non ancora condannato
al
testè detto supplizio. Epimeteo meno sospettoso,
ella sua colonia se ne formarono dodici borghi, che diedero principio
al
Regno di Atene. Al culto degli Dei del paese aggi
isio dai suoi stati, col quale si riconciliò. Ma fatalmente giuocando
al
disco, con un colpo imprevisto uccise suo avo, co
uolo di Glauco alla vista de’ segnali a lui mostrati dagli Dei obbedì
al
comando, disfece il mostro, e ne riportò compiuta
romesso ad Egèo, che se ritornava vittorioso avrebbe fatto inalberare
al
suo vascello una bandiera bianca in vece della ne
n si fece pregare per fare lo stesso. In ricompensa Piritoo contribuì
al
ratto di Elena figliuola di Tindaro, e di Leda, p
riuscì il più bravo fra gli Atleti, avendo ucciso il terribile Amico
al
giuoco del cesto. Castore si segnalò nel corso, e
segnalò nel corso, e nell’arte di domare i cavalli. Entrambi andarono
al
conquisto del vello d’oro, e fecero la guerra a T
ta Elena germana. Essi punirono soltanto quei che avevano preso parte
al
ratto. Tal moderazione loro fece meritare la stim
ci daremo la pena di fare la diceria di tutte le avventnre precedenti
al
viaggio, e degli ostacoli che sormontarono mercè
onzo, dalle cui fauci correvano torrenti di fuoco, indi assoggettarli
al
giogo, e lavorare un campo vergine con seminarci
nti per Giasone a Medèa figliuola del re di Celco, maga espertissima,
al
cui potere ubbidiva il cielo, e la terra. Venuto
e ubbidiva il cielo, e la terra. Venuto il giorno prefisso si accinse
al
cimento il valoroso Giasone. Appena che comparve,
sone. Appena che comparve, i tori diventarono manieri, si sottoposero
al
giogo, fu lavorata la terra, uscirono dal di lei
tale strepitosa vendetta prese i figli che aveva avuti da Giasone, ed
al
cospetto del padre barbaramente li trucidò : indi
pero germano di Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce
al
levarsi, ed al tramontare del sole, detta perciò
Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce al levarsi, ed
al
tramontare del sole, detta perciò Lucifer, ed Hes
inferno : combattè colla Morte : la vinse, e rimenò la tenera Alceste
al
suo sposo fedele, malgrado la renitenza di Pluton
e che ivi erano rinchiuse per poter prendere Troja, lo fecero mancare
al
giuramento. Egli intanto credette di eludere il s
ra, e lo persuase a venire ancor egli a Troja. Partì dunque, e giunto
al
campo de’ Greci, il bravo medico Macaone figliuol
celebre antichissimo legislatore, e poeta, e meritò altresì il culto
al
pari delle altre Divinità, ch’aveva nella Grecia
de. Allorchè questo famoso musico insieme, e poeta scioglieva la voce
al
canto, uscivano da’ loro covili le bestie feroci,
lle nozze, cogliendo Euridice de’ fiori in una prateria, fu morsicata
al
calcagno da una biscia, e dopo pochi momenti infe
grazia a Plutone la sua sposa, lusingandosi di ammansire que’ mostri
al
suono della sua lira. Gli riuscì in fatti di riav
questo sublime poeta la morte di Euridice, ne attribuisce la cagione
al
pastore Aristèo che la inseguiva mentre coglieva
so a compassione de’ suoi vagiti lo staccò dall’albero, e lo presentò
al
re, che lo fece educare con attenzione, adottando
dopo la morte di Lajo aveva ripreso le redini del governo, fece noto
al
publico, che colui che uccidesse la Sfinge, sareb
he tanti prima di lui fossero periti, ebbe il coraggio di presentarsi
al
mostro, che gli dimandò qual era quell’animale ch
to, e punito. Lo sventurato Edipo convinto del delitto, e vedendo che
al
parricidio aveva aggiunto l’incesto, andossene vo
o del canto di molti poeti, come quella di Troja, che diede occasione
al
poema di Omero. Tra i capi che allora si distinse
ta da Polinice. Amfiarao fu obbligato a partire con aver però imposto
al
suo figlio Alcmeone, che appena intesa la nuova d
tro la patria ; ma Antigone non tollerando quest’ultimo insulto fatto
al
suo fratello, uscì di notte, e rendette al fratel
quest’ultimo insulto fatto al suo fratello, uscì di notte, e rendette
al
fratello gli ultimi uffizj. Ciò saputosi dal re,
one, e figliuolo di Creonte : e la madre di Emone non potendo reggere
al
dolore parimente da se stessa si uccise. Creonte
celebrò nella città di Troja, per vendicarsi di tale oscitanza, rapì
al
padre il gentile Ganimede. Ecco la prima scintill
dissetarsi ; nè tampoco cavarsi la fame, mentre l’acqua gli arrivava
al
mento, e le frutta gli pendevano sul capo. Pel
amia, che voleva maritare a condizione, che lo sposo dovesse superare
al
corso i suoi cavalli, ch’erano velocissimi, perch
i di sua morte. Egisto, e Clitennestra caddero nella retc, e recatisi
al
tempio di Apollo per rendere grazie al nume, entr
caddero nella retc, e recatisi al tempio di Apollo per rendere grazie
al
nume, entrato Oreste con i suoi soldati di propri
la guerra di Troja. L’origine di questa guerra bisogna ripeterla,
al
dir de’ poeti, dal Cielo. Giove sempre infedele a
iuola di Crise gran sacerdote di Apollo. Si affrettò questi di venire
al
campo de’ Greci carico di doni per riscattare la
dizione, che il vincitore sarebbe il pacifico possessore di Elena. Ma
al
semplice balenar delle armi Paride ch’ era un vil
regolò la mano di uno de’ combattenti a lanciare una freccia diretta
al
re di Sparta. Il colpo arrivò leggiermente a Mene
bile agli Dei medesimi. Ferì Venere, che voleva torgli d’innanzi Enea
al
punto di essere sagrificato : diede altresì un co
tello a fine di persuadere sua madre, e le matrone Trojane di recarsi
al
tempio di Pallade, per pregare la Dea, che allont
allontanasse Diomede dalla mischia. Andromaca sua sposa per sottrarlo
al
pericolo, che correva, gli presentò il piccolo As
a l’Eroe dopo aver abbracciato il fanciullo, e la sposa volò di nuovo
al
campo, portando lo scompiglio nelle file de’ Grec
ordine di ritirarsi, e nel tempo stesso comanda ad Apollo di recarsi
al
padiglione di Ettore ferito da Ajace figliuolo di
a seconda volta dovettero ritirarsi ai loro vascelli. I Trojani erano
al
punto di attaccarvi il fuoco, ed Ettore si era gi
uno de’ più belli, quando sopraggiunse arditamente Ajace, per opporsi
al
figliuolo di Priamo. Patroclo intanto vedendo min
l’avrebbe vendicata all’istante, se avesse avute le sue armi. Assisa
al
fianco del vecchio Nereo, intese Teti negli abiss
ia mortale si recasse all’afflitto padre. Il barbaro legò il cadavere
al
suo carro, e lo trascinò intorno le mura della ci
e, ed asperso di polvere. Le lagrime di dolore, e le grida arrivarono
al
Cielo : l’aria risuonava de’ loro lamenti : l’int
suo scudo per non farlo corrompere. Finalmente si contentò di cederlo
al
vecchio Priamo, che in persona era venuto supplic
si celebravano, da Paride fu lanciata una freccia, che Apollo diresse
al
calcagno di Achille. Era questa la sola parte del
. Ajace figliuolo di Telamone, ed Ulisse si contrastarono le sue armi
al
cospetto di tutta l’armata : ma questa volle che
un carro de’ suoi pannilini, si affretta colle sue compagne di andare
al
fiume per lavarli. Ciò fatto, e dopo breve campes
te bastone, che aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo, che
al
sentirsi ferito cominciò ad urlare altamente. Acc
straordinaria mole, di cui fu facile evitare l’incontro. Indi corsero
al
lido, e s’imbarcarono colla perdita di soli quatt
le accoglimento agl’inviati, loro offrì una bevanda, che li trasformò
al
momento in porci. Avvisato l’Eroe di questo nuovo
a Mercurio un’ erba, che lo garantiva dalle più funeste malìe. Ulisse
al
coverto di ogni pericolo snudò la spada minaccian
si trattenne volentieri per un anno nell’isola. Di là partito si recò
al
paese de’ Cimmerj1, per ivi invocare le ombre de’
e i bovi, che faceva pascere la bella Lampezia in un’isola consacrata
al
Sole presso le coste della Sicilia. I suoi compag
to dal Cielo. Ognuno fece a gara per offrirgli un dono corrispondente
al
suo rango, come pure fu allestito un naviglio ben
casa di Eumeo suo amico, dove bene accolto si tenne sconosciuto fino
al
ritorno di Telemaco, a cui Minerva aveva ispirato
, che uscirono dal mare. Questi rettili prodigiosi si attorcigliarono
al
corpo de’ due figli di Laocoonte, e si avviticchi
era degli Dei, che gradivano le offerte de’ Greci. Quindi ognun crede
al
perfido Sinone : si abbatte un’ ala delle mura, e
pieni di sicurezza si danno in preda ai piaceri della mensa. Intanto
al
far della notte i Greci s’incaminano colla flotta
sarebbe finalmente felice in Italia : così disse, e sparì. Ritornato
al
luogo dove aveva lasciato Anchise, ed Ascanio suo
lare l’aveva condotto nell’impero di Didone. » Avendo Enea dato fine
al
suo racconto, si ritira negli appartamenti che gl
verificarono fra i Cartaginesi, ed i Romani, e non potendo resistere
al
dolore risolve di darsi la morte. Fingendo di vol
colla scorta della Sibilla, passando per lo Lago di Averno, discende
al
soggiorno de’ morti : ivi ritrova molti de’ suoi
Turno Re de’ Rutuli. In tale occasione spedì Enea i suoi ambasciadori
al
Re Latino, per fare alleanza col medesimo. Questo
iale. Essi trascinarono il carro dov’era la loro madre, che si recava
al
tempio. Gli Dei per compensarli, ed esaudire nel
Spaventata la misera Alcione del sinistro presagio, corse forsennata
al
lido, e restò convinta della verità, vedendo il c
e presso a poco la medesima sorte di Titono. Ella fu amata da Apollo,
al
quale dimandò di poter vivere tanti anni, per qua
Filomela. Quindi strada facendo, dopo averla oltraggiata, aggiungendo
al
primo un secondo delitto, le strappò barbaramente
e mani, involandosi da lui coll’ajuto delle ali, essendo stata Progne
al
momento cangiata in rondinella, Filomela in usign
azia si lanciò nelle onde, ed uno de’ delfini, che si erano accostati
al
naviglio per sentir la sua voce, lo prese sul dor
veramente punire i marinari, e gli Dei assegnarono un posto nel cielo
al
Delfino, che aveva salvato un musico tanto ben ve
onumenti, marmi, iscrizioni nell’una e l’altra lingua, che ci mettono
al
giorno de’ sacri riti, e della vita civile di que
oni, che trattandosi dell’origine delle grandi città sogliono essere,
al
dire di Livio, se non favolose, almeno sospette,
e di Livio, se non favolose, almeno sospette, volentieri ci atterremo
al
sentimento dell’insigne geografo Strabone. Attest
Napoli, ritenendo per lo più quello di Partenope fino a che Augusto,
al
dire di Solino, dopo di aver ornato di marmi il d
o il capo di Partenope ; ed attesta Licofrone antichissimo poeta, che
al
di lei sepolcro bruciavano saci i Napoletani, e l
o questo nome a que’ rigagnoli, che con lentissimo corso scaricavansi
al
mare, qual è il nostro Sebeto. Parecchi fanno dec
ma 1 Sebesio scolpito nel collo del toro ne’ sacrifizj a Mitra, cioè,
al
Sole, e più l’antichissima iscrizione P. Maeviv
esto tale Eutico di origine Greca rinnovò l’antichissimo culto dovuto
al
Sebeto. Nè cio dee far meraviglia, giacchè i prim
quella del Sebeto. Il suo nome però e la sua gloria mal corrispondono
al
piccolo volume delle sue acque. Malgrado che sia
, la sua picciolezza è tale, che Boccaccio allorchè recossi a Napoli,
al
momento che lo vidde, stupefatto esclamò : Minuit
alla Città, dovettero per conseguenza accordare il culto Divino anche
al
di lei padre Eumelo. Fralle antichissime Fratrie1
essi, se non quelli che conservavano il celibato, avesse dato il nome
al
quartiere della città, oggi detto borgo dei Vergi
i avvidero i muratori di alcune vecchie fabbriche sepolte molti palmi
al
di sotto del livello della strada. Pervenuto ciò
veggono accanto all’arco Felice poco discosto dalla Palude Acherusia
al
presente il Fusaro. Sotto diverse sembianze fu Ap
thrae Appius Claudius Terronius Dexter Dicavit. A questo, Mitra,
al
dire di Suida, immolavano i Persiani molte vittim
agatore delle cose patric, crede che il tempio della luna fosse dov’è
al
presente la Chiese di S. Maria Maggiore (la Pietr
ichi monumenti riguardanti questa Deità. Ed è verisimile, che siccome
al
tempio del sole fu sostituito il nostro Duomo, e
io del sole fu sostituito il nostro Duomo, e consegrato dai Cristiani
al
nostro Divino Salvatore, ch’è il vero Sole, così
li Artemisj, addetti all’amministrazione di questo tempio, e dov’era,
al
dire di Martorelli, ascritto il nostro concittadi
o è probabile che stesse il tempio a lui dedicato, perchè vicinissimo
al
mare. Sappiamo per tradizione, che fino a’ tempi
avano. Durante : il loro corso, e con assegnate cerimonie si alludeva
al
ratto di Proserpina, figliuola di Cerere rapita d
grandiosi, furono lasciate due sole colonne di ordine Corintio, come
al
presente si osservano. Malgrado però che la mento
el suolo, che dava fuoco dapertutto, perchè sottoposti immediatamente
al
Vesuvio1. XII. Vesta. L’antichissima Ch
e negli anni sacri si serve della voce Charisteria per ringraziamento
al
sommo Iddio. XV. Il Genio. Molte sono l
pere ci consiglia. Filone chiama Genj le facoltà dell’animo inclinati
al
bene ed al male. Comunque sia, ogni luogo aveva i
siglia. Filone chiama Genj le facoltà dell’animo inclinati al bene ed
al
male. Comunque sia, ogni luogo aveva il particola
izioni ritrovate in Pozzuoli, ed in Napolï ci dimostrano il culto che
al
Genio si professava. Nelle monete di Adriano, e D
ectisternia, a stratis lectis, nei quali sedevano gl’invitati. Questi
al
dire di Livio, s’imbandivano presso i Romani coll
tramandato, che abbellivano poi con i parti della loro fantasia. Ecco
al
dire di Vico l’origine delle favole, o siano fave
cide della morte di quest’eroe, trabocca, è obbligato di abbandonarlo
al
destino. 1. Era indivisibilmente la Necessità a
donarlo al destino. 1. Era indivisibilmente la Necessità accoppiata
al
Fato, o sia Destino. Alla Necessità lo stesso Gio
tà accoppiata al Fato, o sia Destino. Alla Necessità lo stesso Giove,
al
dire di Filemone, fu soggetto. Vien ella descritt
n specie faciei suae dissolvit eum . 1. Parecchi altri animali crano
al
servizio di questa Dea, a lungo descritti da Lucr
cadenza : facevano degli orribili e strani contorcimenti, ed alzando
al
cielo acute grida straziavano i loro corpi. (1).
zie del cuore, a differenza dell’altra Venere popolare, che presedeva
al
piacere dei sensi. 1. Esistono tuttavia in Citer
na. 2. Suol dipingersi Cupido colla benda su gli occhi per dinotare,
al
dire di Vico, l’amor cieco, e sregolato, per dist
ia, in Roma. È rappresentato barbuto con una roba, che non gli giunge
al
ginocchio, con berretta in testa, con martello in
formarono la voce Theos, cioè Dio. Al suddetto Mercurio trismegisto,
al
dire di Gramblico de mysteriis Aegyptiorum, si at
aio, con capelli biondi e crespi, e con mantello, che attaccato sotto
al
petto gli cade con grazia sulle spalle. Tal’è il
tidoto contro l’ubbriachezza. 1. Si mira anche Bacco poggiato talora
al
suo genio Ampelo, e talora con corna dorate per n
I. 2. Avevano gli Egiziani il costume di trasportare colle barchette
al
di là del Nilo i cadaveri in un sito destinato al
1. Anche oggidi si veggono alcune grotte nel promontorio di Tenaro,
al
presente Capo Maina, che gli antichi supponevano
, che porta in mano questo Nume, ha data occasione a Virgilio di dire
al
sesto Libro dell’Eneide, che i sogni nell’inferno
rtuna dell’immortale Alessandro Guidi, che comincia Una donna superba
al
par di Giuno. 1. Descrizione pur troppo ruvida.
Sembra che i Greci abbiano foggiata questa favola, per fare allusione
al
seguente fatto attestato dalle sacre carte. La mo
Luogo deliziosissimo anche oggidi in Napoli, detto Platamone, accanto
al
Castello dell’Ovo chiamato Megalia, o Megaride.
are la vite, fu Dio del vino, ec. Indi l’inclinazione degli Orientali
al
maraviglioso e l’ immaginazione dei Greci fecero
abitavano il cielo nella reggia d’ Olimpo, o presiedevano alla terra,
al
mare o all’ inferno ; e dodici di essi componevan
erra dalle riposte sue forze, che parevano essersi ribellate incontro
al
cielo (14) ? Saturno. Titano. Giano. 27.
ratello maggiore di Saturno ; ma ad istanza di Cibele, Titano lo cedè
al
minore, a condizione che questi non allevasse fig
un parto, Giove (63) cioè e Giunone (85), fece veder solamente questa
al
marito, e gli tenne celato Giove, offrendogli in
, girando la superna sfera ; E con fecondo e temperato raggio, Recava
al
mondo eterna primavera. Zefiro i fior d’ aprile e
, Dove, senz’ alcun mal, tutti i ben fòro ! Età dell’ argento. Poichè
al
suo vecchio Dio10 nojoso e lento Dal suo maggior
arte e l’ ingegno, Servar modi, costumi e leggi nove, Siccome piacque
al
suo tiranno Giove. Egli quel dolce tempo, ch’ era
che governo Nel mangiar, nel vestir, or grave, or leve, S’ accomodaro
al
variar del giorno, Secondo ch’ era in Cancro o in
l segno Fra cittade e città, fra reguo e regno. Va il ricco peregrino
al
suo viaggio, Ecco un ladro il saluta, il bacia e
merto, Poi che s’ avvide che non v’ era strada Da giunger con la pena
al
gran demerto, Se non rendeva per ogni contrada Il
vo dal peso degli anni e armato di falce, per indicare ch’ei presiede
al
tempo che tutto distrugge ed all’ agricoltura che
specchio, Ov’io veggio me stesso, e ’l fallir mio : E quanto posso,
al
fine m’ apparecchio, Pensando ’l breve viver mio,
intervallo, Tutti avemo a cercar altri paesi. Non fate contra ’l vero
al
core un callo, Come sete usi, anzi volgete gli oc
nche Tellus, dal presiedere alla terra, come Saturno aveva presieduto
al
cielo ; ed Ops, cioè soccorso, ricchezza, perchè
dire, scorrere, essendochè la benefica terra produce ogni bisognevole
al
vivere umano ; e infine fu talor conosciuta sotto
sta, figlia di Saturno e di Cibele e moglie d’ Urano (25), presiedeva
al
fuoco, perchè il calore feconda la terra ; od era
Sole, Tinge gli aerei campi di zaffiro, E i mari allor che ondeggiano
al
tranquillo Spirto del vento, facili a’ nocchieri
mortal scendon fra noi. Di quel, candido foco ardono i petti, Pronti
al
perdono, al beneficio, e pronti A consolare i mis
don fra noi. Di quel, candido foco ardono i petti, Pronti al perdono,
al
beneficio, e pronti A consolare i miseri col pian
armato dei fasci consolari. Se una Vestale incontrava un reo condotto
al
supplizio, poteva intercedergli grazia, purchè as
incivilito. Furono detti anche Coribanti o Dattili (29),14 , servendo
al
culto di Giove ; e celebravano le feste di Cibele
oso, con enfiate labbia, e lo chiama maledetto lupo, qual si conviene
al
nume di coloro in cui usa avarizia il suo soperch
infa Ciane che fu da lui trasformata in fontana. La terra si spalancò
al
colpo del suo scettro, ed egli trasse la preda ne
ffumato e nero, Stridendo alle compagne aiuto chiede. Plutone intanto
al
suo infernale impero Gl’ infiammati cavalli insti
ntagne e per boschi ; e inclusive là notte continuava le sue ricerche
al
lume delle faci. Intanto per mostrarsi grata all’
ronte (218) lo riferì a Giove. Laonde Cerere sdegnata gettò in faccia
al
delatore l’ acqua del Flegelonte (220), ed egli f
e di Plutone (213) e regina dell’inferno. Laonde, accesa una fiaccola
al
fuoco del monte Etna, entrò nelle viscere della t
65. Ma il suo regno, che gli costava un delitto di violenza incontro
al
padre, non fu mai lieto ; poichè la Terra (25) mo
montagne della Grecia, di sulle quali s’argomentarono dar la scalata
al
cielo, avventando incontro agli Dei massi enormi
Tifone o Tifeo, mezz’uomo e mezzo serpente, che arrivava con la testa
al
cielo, e che per sè solo, al dir d’Omero, più deg
ezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo,
al
dir d’Omero, più degli altri Giganti insieme unit
statue umane col fango della terra, e le animò col fuoco sacro rapito
al
carro del Sole.20 71. Ma Giove, sdegnato dell’au
mal sofferendo che un mortale acconsentisse d’essere adorato in terra
al
pari di uno Dio, voleva fulminarlo. Apollo intere
sche trattovi dall’odore della vittima ; ma andando poi a sacrificare
al
simulacro di Giove, gl’importuni insetti si dileg
ozia. Comunemente gli immolavano la capra, la pecora e il toro bianco
al
quale crano indorate le corna ; ma spesso si limi
’arrischiò più a comparirvi. Allora Giove dette l’ufficio di coppiere
al
bellissimo Ganimede (ganos, gioia, medos, consigl
strò meravigliata della bellezza di quell’animale, e chieselo in dono
al
marito con tante carezze ch’ei gliel concesse. Al
fanciulla, o pochi sorsi d’acqua spruzzati in aria voltando le spalle
al
sole, possono farci apparire a nostro talento la
e col sacrifizio di un’ecatombe, vale a dire di cento bovi ; e presso
al
suo tempio scorreva un fonte dotato della preroga
salvarla uccidendo il mostro. 109. Laomedonte aveva promesso in dono
al
liberatore della sua figlia certi destrieri invin
combatterono con tanto furore ed ostinazione, da cader morti accanto
al
rogo a guisa di vittime immolate alle ceneri dell
i primi raggi del sole di levante, ossia quando l’Aurora s’imbiancava
al
balzo d’Orïente (Dante, Purg. c. ix.), mandasse f
rba e da’fiori…. Dante, Purg., c. XXIV. Annibal Caro, nel suggerire
al
pittore Taddeo Zuccheri le invenzioni per dipinge
e di Grecia. Crederono forse che l’astro del giorno prima di giungere
al
prefisso termine del suo corso fosse caduto in qu
i fiamme. Ma comecchè materiali e grossolani, non potevano attribuire
al
rettore del sole un sì gran fallo ; un Dio non er
ia dei barbari e dei fanciulli che Febo n’avesse ceduto il reggimento
al
suo figliuolo Fetonte, il quale per l’imperita et
to e veglio In augel si converse, e con la voce, E con l’ali da terra
al
cielo alzossi. Eneide, lib. X, trad. del Caro.
a riprensione troppo severa, avrebbe con la sua lira spezzato il capo
al
maestro. 122. Apollo pronunziava i suoi oracoli (
l treppiede all’uomo più savio di tutta la Grecia. Allora lo recarono
al
filosofo Talete, il quale, oltre al sapere la geo
tta la Grecia. Allora lo recarono al filosofo Talete, il quale, oltre
al
sapere la geometria, la fisica e l’astronomia, st
re tutta la filosofia nel contentarsi del necessario, dicendo : bando
al
superfluo. Dopo che il tripode fu passato così da
vi, tornò a Talete, che lo depositò nel tempio d’Apollo consacrandolo
al
servigio della Sibilla. 123. Apollo dette a’Greci
za regale. Bacco volendo ricompensarlo di sì bella ospitalità largita
al
suo balio, promisegli d’esaudire il primo desider
dimostrare l’affetto che Clizia avea per Apollo, dicesi vòlto sempre
al
disco solare, o più veramente fiorisce d’estate q
in cornacchia. Indi si pentì del subitaneo gastigo, e per far pagare
al
corvo il fio della delazione, gli ridusse nere le
ia del tempo nel quale fece il pastore, quelle perchè l’olivo, fedele
al
Dio del giorno, alligna bene in quei luoghi che s
e la vicina sua morte, quasi principio di felicità. Fu poi attribuito
al
corvo il naturale istinto di predire il futuro, e
. L’interno del colosso era vuoto dalla parte destra per poter salire
al
fanale. Un terremoto lo fece cadere non molto tem
i Re di quel fertile paese ; e finalmente la tomba che Artemisia alzò
al
re Mausolo suo sposo. Questo monumento prese il n
fe. E Cinzia sempre fu alle Grazie amica, E ognor con esse in tutela
al
core Delle ingenue fanciulle, ed agli infanti,
unone ; ed i Latini la dissero Genitalis od Illitia dal greco, perchè
al
pari degli Efesj la onorarono quale mistica immag
città dell’Jonia nell’Asia minore, ebbe un celebre tempio annoverato,
al
pari del colosso di Rodi (135), fra le sette mara
ccinto, coi capelli annodati dietro, col turcasso in ispalla, un cane
al
fianco e l’arco in mano ; e i poeti la dipingono
lse con sè il bambino del quale Semele era incinta, e lo custodì fino
al
momento della sua nascita ; e questo bambiuo era
a finire in banchetti. Ma dopo i banchetti, i sacerdoti avvinazzati,
al
suono di piferi e di cembali, ballavano sopra otr
on di mano e dalle fischiate degli spettatori ; ma era dato un premio
al
ballerino che avesse saputo serbar l’equilibrio m
uagliare — il re di Lidia, E men vo lietamente cantando. Ghirlandetta
al
crin mi faccio Intrecciata di fresch’ edere, E ri
rso. Talora è assiso sopra un toro, e in tal modo si assomiglia molto
al
dio Mitra (707) dei Persiani ; tal altra è in un
molto si giova il commercio. 162. I poeti attribuiscono grandi virtù
al
caduceo. Con esso Mercurio ha possanza Fin nell’
mi con la forza della persuasione. 164. Questo Nume presiedeva ancora
al
commercio, 33e vegliava all’osservanza della buon
e una clava nell’altra : il primo, simbolo della pace tanto opportuna
al
commercio ; la seconda, emblema di vigore e di vi
una al commercio ; la seconda, emblema di vigore e di virtù necessarj
al
buon esito della mercatura. Fece poi varie invenz
e rispettabile ed assennato quanto il vecchio Dio dei mari, eloquente
al
pari d’Apollo, valoroso al pardi Marte, amabile q
quanto il vecchio Dio dei mari, eloquente al pari d’Apollo, valoroso
al
pardi Marte, amabile quanto Venere. 166. L’immagi
vano preposto alle ambascerie ed ai negoziati ; fu detto Nomio quanto
al
commercio, alla musica ed all’eloquenza ; Agoreo
l’andar del tempo queste diverse qualità sieno state tutte attribuite
al
solo figliuol di Giove e di Maja. Venere.
ine, e serenato Brilla di luce interminata il cielo. Poiché non prima
al
di mostra il vivace Suo viso primavera, e il genï
orno nel quale celebravano in cielo la nascita di Venere, era accorsa
al
banchetto degli Dei per raccorne gli avanzi. Fors
pirato da tutti gli oggetti della pura e schietta natura ; un impulso
al
bene, sempre attivo e costante in sè stesso ; reg
Le tre doti celesti, E più lodate e più modeste ognora Le Dee serbino
al
mondo. Foscolo, Le Grazie. Sono dipinte per lo
a senza decenza, nè decenza priva di velo. Sacra tutela son le Grazie
al
core — Delle ingenue fanciulle, dice il Foscolo n
ndete onor. O diva Aglaia, O sempre amante Di meuse Eufrosine, Figlie
al
Tonante, Fauste volgetevi Al mio pregar. Tu pure
nie, le quali duravano otto giorni ; i primi quattro erano consacrati
al
lutto, gli altri alla gioja per indicare l’apoteo
, lo celò tra i pastori d’Arcadia, e in luogo del bambino fece vedere
al
marito un poledro, dandogli a credere d’aver part
desolare le spiagge. Dopo ciò Nettuno, pacificatosi con Giove, tornò
al
governo delle onde. 188. Anfitrite (Amphì, intorn
uesti mostri : Strofadi grecamente nominate Son certe isole in mezzo
al
grande Ionio Dalla fera Celeno e da quell’altre R
imente qual Dea del mare. Aveva Teti per abitazione un palazzo, dove,
al
dir della favola, ogni sera il sole andava a ripo
sopra un’ urna di dove scaturisce l’acqua che è la sorgente del fiume
al
quale presiedono. 195. Proteo nacque dall’Oceano
tri voraci, che distese Tien mai sempre ed aperte, i naviganti Entro
al
suo spece a sè tragge e trangugia. Dal mezzo in s
scaglie somiglianti all’oro e all’argento, nuotavano in folla intorno
al
carro. 209. Il Tridente, ossia lo scettro a tre p
Con la debil Vecchiezza. Evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ é freno
al
bene, L’altra stimolo al male, orrendi tutti E sp
Evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ é freno al bene, L’altra stimolo
al
male, orrendi tutti E spaventosi aspetti. Havvi i
sangue mai sempre il volto intriso. Nel mezzo erge le braccia annose
al
cielo Un olmo opaco e grande, ove si dice Che s’a
ebrosa, era una porta eretta su cardini di bronzo, e che dava accesso
al
Tartaro (216). 220. Il Flegetonte (phlegétho, io
canuta barba ; ha gli occhi accesi Come di bragia ; ha con un groppo
al
collo Appeso un lordo ammanto ; e con un palo Che
e. Egli ingordo, famelico e rabbioso Tre bocche aprendo, per tre gole
al
ventre Trangugiando mandolla, e con sei lumi Chiu
esaminavano le anime di mano in mano che Mercurio (160) le conduceva
al
loro tribunale. Eaco giudicava i popoli dell’Euro
Giove (63) e d’Europa (91), fu re di Creta,53 isola del Mediterraneo
al
sud dell’Arcipelago, e governò il suo regno da sa
essa. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte : Vanno a vicenda ciascuna
al
giudizio ; Dicono ed odono, e poi son giù volte.
una il petto, Batteansi a palme, e gridavan si alto, Ch’io mi strinsi
al
poeta per sospetto. (Dante, Inf. c. IX.) E G. –
a mano incerta Togli l’insanguinato Scettro, e sul trono gli t’assidi
al
lato. ……..A voi diletta Di chi delira il canto, E
esse ivi patir loro la meritata pena con supplizio maggiore di quello
al
quale si volevan sottrarre. Infatti presso la cit
e ; o di cane. di leone e di toro. Una corona di querce è intrecciata
al
vipereo suo crine ; a’ piedi le stanno cani furio
tropo (atropos, immutabile, gr.). Assise in fondo a squallida caverna
al
fioco barlume d’una lampada, vestile di ampia e c
on tutte le membra languide, e come abbandonato nel dormire. Dintorno
al
suo letto si vegga Morfeo, Icelo e Fantaso, e gra
sorda, e cieca, Gente a cui si fa notte innanzi sera. I’ ho condotta
al
fin la gente greca, E la troiana, all’ ultimo i R
pio (100). Ma Flegia, per odio e disprezzo contro Apollo, dette fuoco
al
tempio di Delfo. laonde, per punirlo, gli Dei lo
. cit.) 248. Issione, re dei Lapiti e padre dei Centauri (430), negò
al
suocero Deioneo i donativi promessigli per isposa
215), dove … ha sopra un famelico avvoltore, Che con l’adunco rostro
al
cor d’intorno Gli picchia e rode ; e perchè sempr
rificare le proprie viscere. Quindi gli Dei non vollero pigliar parte
al
banchetto, non accettarono un dono fatto per forz
mose labbra, Tante l’onda fuggia dal fondo assorta, Si che appariagli
al
pié solo una bruna Da un Genio avverso inaridita
ferito Nume, e ruppe in un tuon pari di nove O dieci mila combattenti
al
grido Quando appiccan la zuffa. I Troi l’udiro, L
logi ne hanno segnalati parecchi ; ma il più celebre è quel de’Greci,
al
quale sono state attribuite le alle gesta e le av
giudizio della sinistra influenza degli uccelli notturni, pregiudizio
al
pari di tanti altri non ancora del tutto sradicat
proprio arrivato in buon punto per farlo marito di Venere (170). Così
al
Nume più deforme toccò la più bella tra le Dee ;
e i passi fermava : avea d’intorno La greggia a’ piedi, e la zampogna
al
collo, Quella il suo amore e questa il suo trastu
(Kallos, bellezza, ops, voce, o canto, gr.) presiede all’eloquenza ed
al
poema eroico (oratoria ed epica) ; Clio alla sto
media ; Tersicore (da terpo, e choros, che si diletta di danze, gr.)
al
ballo ; Euterpe (che vale « molto gioconda » gr.
scelleratezze della tirannide, degli spasimi del rimorso, e commuove
al
pianto con le lacrime della virtù oppressa e dell
loquenza, inspira l’oratore e il poeta, perchè non sieno timidi amici
al
vero, perchè a egregie cose accendano l’animo de’
intanto la dottissima Urania, investigando tutto l’universo, rivolta
al
cielo dov’è il principio e il fine d’ogni sapere,
di vergini modestamente belle, con semplici vesti, e sovente con ali
al
tergo. Apollo (96) sta in mezzo all’eletto coro,
forme, corona di mirti e rose in capo, lira in mano o vicina, Amorino
al
fianco, con arco, faretra e facella accesa ; » T
fie ad un fanciullo vicino a lui, mentre questi si tiene con una mano
al
viso una grande maschera caricata e ridicola. »
agarono il fio d’una stolta presunzione, poichè avendo voluto sfidare
al
canto le Muse, ed essendone rimaste vinte, furono
ri, impetuosi, ardenti, Or con motti giocosi ed or pungenti Fe guerra
al
vizio, e non serbò misura. Lode si grande derivon
ano e prima e dopo il pasto, e andavano in volta la notte mascherati,
al
lume di fiaccole, cinta di fiori la testa, e acco
sta, e accompagnati da fanciulli e donzelle che cantavano e ballavano
al
suono di varii istrumenti. 286. I poeti lo diping
Dea della guerra, fu sorella di Marte (255). Ella attaccava i cavalli
al
suo carro quand’ei s’apparecchiava alle pugne. La
del lucro, il saggio. Cosi l’eroe benefico Del fulgid’oro pervertissi
al
raggio, E osò ritorre all’Erebo Uom già concesso
pi di comparire in faccia alla gente semplice recando avvolta intorno
al
collo o nelle mani od in seno una grossa biscia.
aver consigliato gli Dei a ricovrarsi in Egitto sotto forma d’animali
al
tempo della guerra dei Giganti. 295. Per lo più i
vedove, e le alzarono un tempio, i sacerdoti del quale distribuivano
al
popolo erbe o semplici per curare ogni specie di
nghi e più solleciti nelle loro faccende, ed avevano forse un ritegno
al
mal fare. Ma convien che sia molto rozzo quel pop
guri intorno a ciò che dovessero farne, ordinarono che fosse lasciata
al
suo posto nel Campidoglio. Ed i Romani pigliando
ando finalmente le carni di queste vittime in lieti banchetti attorno
al
simulacro del Nume. Pale 310. Pale era l’
ne di paglia, per significare che di essa deve esser formato il letto
al
bestiame. Pomona e Vertunno 311. Pomona,
a se soldato sei, Or con pungente stimolo, se i buoi Giunger ti piace
al
giogo…. (Baldi, L’Orto.) Flora e Feronia
li ; ed a Roma le celebravano leggiadre fanciulle correndo e ballando
al
suon delle trombe. La più snella otteneva in prem
glia, S’ornò : per te la terra all’uom non spiacque, Quando dal cielo
al
suol bassò le ciglia. Per te la vita rincorossi e
tto La Donna augusta, che il mortifer angue Porse fra i fiori avvolto
al
seno invitto….62 Dai profumi de’fior, Ligure ing
i adoravano anche Feronia, altra ministra della Primavera, e preposta
al
governo dei frutti nascenti, finchè Pomona (311)
o morte ottenevano un posto nell’Olimpo. 314. V’è chi le fa ascendere
al
numero di tremila ; ed erano ripartite in Ninfe d
ta ornata di perle e di coralli. La Grotta delle Ninfe. « Era dentro
al
pascolo di Driante una grotta consacrata alle nin
d’acqua, che per certe rotture cadendo, e mormorando, rendeva suono,
al
cui numero sembrava che battendo si accomodasse l
tutti Dell’onde il re da’gorghi imi commoto Sporge il capo divino, e,
al
carro addutti Gli alipedi immortali, il mar trasc
dei torrenti, dei laghi e delle fonti. Abitavano nelle grotte vicine
al
mare o sul margine dei ruscelli o nei freschi rec
tte liete di questa scoperta, dettero alle api il nome di Melisse, ed
al
loro nèttare quello di mèli, onde abbiam fatto mi
e di sè medesimo, che diventò passione sfrenata, e gli logorò la vita
al
punto da cadere estinto in quello stesso luogo. E
sue mani il sacro incarco de’santi arredi e de’patrii Penati, perchè
al
guerriero, lordo di sangue e uscito allora da tan
azioni ; e di più riconoscevano tutti un genio buono che gl’ induceva
al
bene, ed uno genio cattivo che li tentava a comme
ommettere il male. Quindi ognuno nel suo giorno natalizio sacrificava
al
proprio Genio, offerendogli vino, fiori ed incens
gufo, uccello di cattivo augurio. Guai a chi non sentiva raccapriccio
al
solo immaginarselo accanto ! Talora ne era immagi
o, arbitra universale degli uomini e degli Dei, stava, per così dire,
al
governo delle cose umane, distribuendo a capricci
denza. Talora è ritta sopra un carro tirato da quattro cavalli ciechi
al
par di lei, e schiaccia i suoi adoratori, e ogni
; ed infatti la sua statua d’oro era collocata nel quartiere accanto
al
letto dell’ Imperatore regnante, di dove, appena
ale sovrana dei mortali non volle sottoporre il suo cuore, se non che
al
supremo dei Numi che la fece madre dell’ inflessi
e la virtù contro la sventura. Altri poi l’hanno descritta con le ali
al
tergo, armata di serpi e di faci ardenti, e la te
’egiziana origine, era figlio d’Osiride e d’Iside (690), e presiedeva
al
Silenzio. La sua statua era collocata sul limitar
: Quale in sul giorno l’amorosa stella Suol venir d’oriente innanzi
al
sole, Che s’accompagna volentier con ella, Cotal
tri di tutti i tempi e di tutte le nazioni. 341. Ma Virgilio si tiene
al
peggio, o sivveramente manifesta come gli uomini
nostra madre antica Per la ruina de’ Giganti irata, Contra i Celesti
al
mondo la produsse, D’Encelado e di Ceo minor sore
i rumor empie e di spavento i popoli. Spesso è rappresentata con ali
al
tergo e con la tromba ; talora ne ha due, l’una p
ista non l’avea giammai Di più cara sembianza e pellegrina. Commossa
al
lampo di quei dolci rai Ridea la terra intorno, e
, e tutto la seguia Delle smarrite virtù prische il coro ; E maestosa
al
fianco le venia Ragion d’adamantine armi vestita
della vittoria. (Tito Livio, lib. II.) Ha costei la testa leonina che
al
minimo strepito si rizza ; la sua veste, di color
ano strascinava per la zazzera un giovane, il quale, elevando le mani
al
cielo, chiamava ad alta voce gli Dei per testimon
isico marcio ; e facilmente ravvisavasi per l’ Invidia. Poco meno che
al
pari della Calunnia eranvi alcune femmine, quasi
e sta mestamente appoggiato ad un’ urna funebre. Ora alza gli sguardi
al
cielo, ora gli affissa sopra la terra, quasichè a
tien chiuso nelle sue viscere. La melanconia. 345, 4°. Presso
al
Dolore procede con lento passo una giovinetta sua
zioni, e che deliziosamente s’inebrii di tacita e soave mestizia pari
al
sole cadente inverso sera, quando la luce impalli
la sinistra un ramo d’ olivo ; talora ebbe il caduceo come favorevole
al
commercio, una face arrovesciata ed alcune spighe
verse arti. Talvolta egli ha per emblema un giovine assiso che scrive
al
lume di una lucerna con un gallo accanto. — « Occ
quali più chiare e quali meno, secondochè meno o più fossero appresso
al
lume di essa Aurora, per significare l’ore che ve
sso al lume di essa Aurora, per significare l’ore che vengono innanti
al
Sole ed a lei. » (Vasari, Vita di Taddeo Zucchero
ti, ma dignitosa nell’aspetto e nel contegno, e con occhi sfavillanti
al
par degli astri. Regge con la sinistra un libro a
o, E rozza era negli atti e semplicetta ; Ma cosa non mortai sembrava
al
volto, Tanto più vaga quanto più negletta ; E fol
Ella è una donzella « Pudica in faccia e nell’andare onesta, » e che
al
solo mirarla sveglia amore e rispetto. Le sue gra
ilità, la fortezza della vera virtù. Chi non si sentirebbe infiammato
al
suo culto ? Bene si addicono alla severa e modest
vera Amicizia, e non va confusa con la Buona-Fede. 74 In Roma accanto
al
Campidoglio ebbe un tempio consacratole, per quan
l cane unisce l’affetto alla fedeltà. I sacerdoti della Fedeltà erano
al
par di lei coperti da lungo e candido manto che r
combattere le Gorgoni (357), mostri che desolavano il paese prossimo
al
giardino delle Esperidi ; e bisognava recidere il
, diventarono serpi infeste alla Libia. 359. Perseo, salito a cavallo
al
Pegaseo (124), attraversò gl’immensi spazi dell’a
lungamente sul lido. 362. Cefeo offerse tosto la figliuola in isposa
al
generoso liberatore, ed ei l’accettò ; ma gli con
uristeo nacquero da Alcmena moglie d’Anfitrione re di Tebe, e vennero
al
mondo gemelli mentre questo principe era alla gue
ere imperio sull’altro ; quindi usò ogni arte perchè Euristeo venisse
al
mondo prima d’Ercole, ed il protetto di Giove fos
sse al mondo prima d’Ercole, ed il protetto di Giove fosse sottoposto
al
fratello per decreto del Fato. Così accadde ; ma
ani con armi alla mano erano accorsi in aiuto di Anfitrione, il quale
al
primo romore, col pugnale sguainato s’era quivi t
confidandosi che alla fine vi sarebbe perito. Questo severo comando,
al
quale per voler del Fato Ercole non poteva disobb
ehe infine a forza di superare ostacoli ci diventa agevole, e conduce
al
tempio della virtù, alla conquista dei veri beni
lla conquista dei veri beni : ……. Questa montagna è tale, Che sempre
al
cominciar di sotto è grave, E quanto uom più va s
ti sia leggero, Come a seconda in giuso andar per nave ; Allor sarai
al
fin d’esto sentiero : Quivi di riposar l’affanno
spetta… (Dante, Purg. c. IV.) E da ciò ha origine la favola d’Ercole
al
bivio, il quale, sdegnando Venere, e seguitando M
circonvicina : Ercole lo agguantò vivo, e lo trasse ad Euristeo, che
al
primo vederselo in faccia fu per morirne dalla pa
va smisurata, co’piedi di metallo e con le corna d’oro, e tanto agile
al
corso, che niuno aveva mai potuto raggiungerla. E
tè prendere che dopo un intero anno di caccia, e l’ebbe in suo potere
al
varco del fiume Ladone. Allora se la recò in spal
o mio duca75 a parlarmi, Ed accennolle che venisse a proda,76 Vicino
al
fin de’passeggiati marmi :77 E quella sozza imma
ogliermi. Tu dunque Ora i miei sensi ascolta : e tu, qual vero Padre,
al
proposto mio fermo consuona. Non leggerezza femmi
d’ usurparsi il trono d’ Atene, si studiò di farlo cadere in sospetto
al
re, e n’ ottenne licenza di farlo avvelenare in m
per ingoiare il veleno, il padre lo riconobbe alla spada che cingeva
al
fianco ; e scoperti i perfidi disegni di Medea, l
figlia del Sole (110) e moglie di Minosse II re di Creta aveva messo
al
mondo questo mostro, e il re lo teneva chiuso nel
e di denaro ; ma gli Ateniesi, per far comparire più odioso il nemico
al
quale dovevano pagarlo, se ne saranno lagnati, qu
ndo alle savie ammonizioni del padre, volle volare troppo alto vicino
al
sole ; sicchè la cera delle sue ali si strusse, e
re vele ad esprimere il lutto degli Ateniesi. Egeo aveva raccomandato
al
figliuolo, se mai ritornasse vittorioso, di mette
il potere sovrano, con nobilissimo e raro esempio restituì la libertà
al
popolo, e riprese la primiera sua vita cercando n
ncipali oggetti dell’ educazione degli eroi. 431. Piritoo, infiammato
al
racconto delle grandi gesta di Teseo, ardeva di m
delle grandi gesta di Teseo, ardeva di misurarsi con lui, e lo sfidò
al
paragone. Teseo accettò l’ invito ; ma quando i d
a rapita, a condizione che il preferito procacciasse un’ altra moglie
al
compagno. Elena toccò a Teseo, il quale si propos
nauti. 448. Giasone ebbe per padre Esone re d’ lolco in Tessaglia,
al
quale era stato tolto il trono da Pelia fratello
e vittorioso dalla Colchide (oggidì Georgia russa o Mingrelia in capo
al
Mar Nero) dov’ era questo tesoro. 449. Il Vello d
no, Gridò : Tendiam le reti, si ch’ io pigli La lionessa e i lioncini
al
varco : E poi distese i dispietati artigli, Prend
nte. Allora Frisso andò subito ad Aeta re della Colchide, vi consacrò
al
dio Marte il Vello d’ oro, e lo appese ad un albe
liuola, ma poi invidiando le ricchezze del genero, entrò per violenza
al
possesso del Vello d’ oro. 88 451. Giasone, esse
nuno dei principali tra questi prodi aveva il suo ufficio. Tifi stava
al
timone ; Linceo, di vista acuta scopriva gli scog
he gli Argonauti recassero sulle loro spalle la nave dal Danubio fino
al
mare, e che fosse il primo vascello comparso sull
ettuno nel golfo di Corinto. Tutti questi avventurieri s’ imbarcarono
al
capo di Magnesia in Macedonia, entrarono nel Pont
), la quale per voler di Giunone e di Minerva protettrici dell’ eroe,
al
primo vederlo si sentì tratta ad amarlo. Ei le co
ava d’ aver trovato con le sue arti il segreto di rendere la gioventù
al
padre di Giasone, ingannò le figlie di Pelia con
olpe rendono sconoscente il beneficato. 458. Cotanta infedeltà spinse
al
furore la malvagia donna, la quale, dissimulando
nobea, moglie di questo principe, lo vide di mal’ occhio, e lo accusò
al
marito di una pretesa cospirazione ordita contro
discendente dell’eroe : …….. Dagli Dei scortato Parti Bellorofonte,
al
Xanto giunse, Al re de’ Licj appresentossi, e lie
ro agli antri cupi, S’ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco
al
volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia, ch
tri cupi, S’ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco al volto,
al
plettro, al canto, Giovin di Tracia, che il bel c
ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro,
al
canto, Giovin di Tracia, che il bel core occupi S
attro tori e altrettante giovenche, e fu preso da inesprimibile gioia
al
vedere uscir fuori da quelle vittime una moltitud
. Arione, poeta e cantore, nacque nell’isola di Lesbo91 nel mare Egeo
al
sud della Troade. Fu emulo d’Orfeo (469), e visse
eva dietro alla nave, guizza a raccorlo sul suo dosso, e lo reca fino
al
capo Tenaro in Laconia, di dove Arione passò a Co
gli era in Italia a godere i favori della fortuna e gli omaggi dovuti
al
suo merito. A queste parole Arione comparisce al
e gli omaggi dovuti al suo merito. A queste parole Arione comparisce
al
loro cospetto. Gl’impostori stupefatti e svergogn
483. Il padre degli Dei si trasformò in toro bianco, e scese in riva
al
mare dove Europa passeggiava con le sue donzelle.
nte educare. 494. Divenuto grande, edipo consultò l’oracolo intorno
al
suo destino, e n’ebbe in risposta ch’egli era nat
mma. 499. Edipo, mosso dalla ricompensa e dall’avidità di regno, andò
al
cospetto della Sfinge, e seppe penetrare il senso
perse di quanti guai era stato cagione, senza saperlo, ai genitori ed
al
paese. 503. Allora inorridito di sè medesimo, non
è tu chiami, Un fremito d’orror sol ti risponde. — Alla vita raminga,
al
duro esiglio I lieti giorni dell’età fiorita, Pad
a prenderne il possesso ; ma compito l’anno ricusò di cedere il trono
al
fratello. Questa perfidia originò la famosa guerr
509. Creonte, dopo la morte dei figli d’ edipo , da lui stesso accesi
al
fraterno odio perchè venissero a quelli estremi,
etosa Antigone tornò a Tebe per rendere furtivamente gli ultimi onori
al
fratello ; ma scoperta nell’atto che ne raccoglie
o Atreo e Tieste, nomi che rammentano atroci fatti, e discendenza che
al
pari di quella di edipo sembrò destinata a far
Ma la notte seguente, mentre che tutti erano in preda all’ebrezza od
al
sonno, i soldati uscirono dal ventre del simulato
fra di loro con un duello, a condizione che Elena restasse in premio
al
vincitore. Il duello fu fatto sotto le mura di Tr
sse in premio al vincitore. Il duello fu fatto sotto le mura di Troja
al
cospetto dei Greci e dei Trojani. Paride ebbe la
, si fece partigiani in Argo, e tese tante insidie ad Agamennone, che
al
suo ritorno fu tradito dalla moglie, ed ucciso ne
Quindi gli dette per precettore il centauro Chirone (430), il quale,
al
dir della favola, lo alimentò con cervello di leo
sente che l’onde Già di nuovo son chiare, Abbandona le piume, e torna
al
mare. (Metastasio, Achille in Sciro.) Allora
rlo di tanta audacia, mise tale scompiglio nella casa di Diomede, che
al
suo ritorno non potendo più vivere in pace con Eg
ra di Troja sacrificò la sua per salvare la vita del genitore : Ecco
al
Nestoreo cocchio s’implica Destrier, cui Paride f
l dardo : Ecco discendere contra il gagliardo L’asta nemica.97 Corse
al
Messenio per l’ ossa un gelo, E, vieni, salvami,
ernasse il suo nome, perchè l’ oracolo aveva predetto una morte certa
al
primo che ponesse piede sulla spiaggia nemica. Qu
pesta violentissima, e lo ridusse agli estremi. Allora, per sottrarsi
al
pericolo, fece voto a Nettuno (185 che se gli con
primo a comparirgli davanti… Lo sciagurato padre voleva esser fedele
al
suo voto ! 560. Ma i Cretesi inorriditi da tanta
diruto il muro Dava più varco a’ Teucri, ivi a traverso Piantarsi ; e
al
suon de’brandi, onde intronato Avea l’elmo e lo s
tra’quali era la cintura che servì poi a legare il cadavere d’Ettore
al
carro d’Achille, allorchè questi lo trascinò into
Traduz. del Borghi.) 566. Dal sangue d’ Ajace spuntò un fiore simile
al
giacinto, sul quale paiono impresse le due prime
Ionio. Ulisse, il figlio di Laerte, io sono, Per tutti accorgimenti
al
mondo in pregio, E già nolo per fama insino agli
e la di selve bruna Zacinto. All’ orto e a mezzogiorno queste, Itaca
al
polo si rivolge, e meno Dal continente fugge : as
essergli avversa. Quindi le sue avventure, dalla caduta di Troja fino
al
ritorno in Itaca, sono argomento di un altro poem
citatagli contro da Nettuno che volle punirlo per aver tolto la vista
al
figliuol suo Polifemo. Allora vide sfasciarsi e p
svegliò riverenza nella principessa e nelle compagne. Indi fu guidato
al
palazzo ; e giunto al cospetto d’Alcinoo e della
a principessa e nelle compagne. Indi fu guidato al palazzo ; e giunto
al
cospetto d’Alcinoo e della sua moglie, si prostrò
sensi, ch’ è del rimanente, Non vogliate negar l’ esperienza, Diretro
al
sol, del mondo senza gente. Considerate la vostra
cenza. Li miei compagni fec’io si acuti, Con questa orazion picciola,
al
cammino, Che appena poscia gli avrei ritenuti : E
ritenuti : E volta nostra poppa nel mattino,110 De’remi facemmo ali
al
folle volo, Sempre acquistando del lato mancino.1
occhi. Presala seco, la menò alla corte di Polinestore re di Tracia,
al
quale Priamo aveva dato in custodia Polidoro il m
per aspettare impavido il suo rivale : Ed ecco Achille avvicinarsi,
al
truce Dell’elmo agilator Marte simile. Nella dest
gir diessi Atterrito………. Indi, ritornato animoso, si ferma incontro
al
nemico gridando : Più non fuggo, o Pelide. Intor
ce a morte il nemico nel collo. Indi lo spoglia delle armi, e lo lega
al
suo cocchio : ……. Sul carro indi salito Con l’el
e, E villano gli grida : Sciagurato, Esci, il tuo padre qui non siede
al
desco. Torna allor lagrimando Astïanatte Alla ved
sembianze mortali, lo accompagnò, l’aiutò a passare non visto davanti
al
campo de’Greci, e fecelo entrare nella tenda del
sostegno : E questo pure per le patrie mura Combattendo cadeo dianzi
al
tuo piede. Per lui supplice io vegno, ed infiniti
l cadavere d’Ettore, e lo involgevano in candidi lini per restituirlo
al
padre. Da sè medesimo Achille collocò poi la salm
chè i Trojani potessero col decoro conveniente dare gli onori funebri
al
valoroso lor duce, e non senza nuovo pianto ambed
persuasi, allorchè ……. due serpenti immani Venir si veggon parimente
al
lito Ondeggiando coi dorsi onde maggiori Delle ma
tto, e due nel collo Gli racchiusero il fiato, e le bocche alte Entro
al
suo capo fieramente infisse, Gli addentarono il t
esangui Disviluppati, invêr la rocca insieme Strisciando e zufolando
al
sommo ascesero, E nel tempio di Palla entro al su
trisciando e zufolando al sommo ascesero, E nel tempio di Palla entro
al
suo scudo Rinvolti, a’piè di lei si raggrupparo.
arve, e gli disse che Cibele (40) l’aveva seco rapita per consacrarla
al
suo culto. 610. Enea potè costruire una flotta di
u insegnata da Atlante (359), e per la sua passione della caccia che,
al
dire dei poeti, ei serbò ancora poichè fu sceso n
tessa di Giunone (85), 625. Questa sacerdotessa doveva esser condotta
al
tempio sopra un carro per fare i soliti sacrifizi
tone erano tanto poveri che non avevan cavalli…. Ebbene ! attaccarono
al
carro sè stessi, e la condussero fino al tempio,
valli…. Ebbene ! attaccarono al carro sè stessi, e la condussero fino
al
tempio, facendo un tragitto di circa sei miglia.
le affetto. Ed oh ! come l’ingegno dell’artista, che sortì cuore pari
al
vostro, s’infiammerà nell’immaginare le ingenue s
mentre sua madre lo partoriva ; sicchè Altea, per prolungare i giorni
al
figliuolo, si tolse quel tizzone, lo spense, e lo
Meleagro, ferì a morte gli zii. 628. Altea, non dando più ascolto che
al
suo furore, si dimenticò d’esser madre, e lanciò
eo, un atroce banchetto, ve la fece comparire sulla fine a far sapere
al
marito fino a qual punto era arrivata la ferocia
Ah ! la felicità di Pigmalione non è un sogno ; ed egli andò debitore
al
suo ingegno della più bella e della più virtuosa
umana, così risolse di rimaner sempre nubile ; ed essendo tanto agile
al
corso da non poter venire superata dagli uomini p
rni aspettò che le onde si calmassero, ma l’ottavo non potè resistere
al
desiderio di rivedere la fidanzata. Partì, che il
ato Pirra figliuola d’Epimeteo (73), e regnava sulla Tessaglia vicino
al
Parnaso, quando sopravvenne il diluvio che porta
siccome i fiori ch’egli accarezza ; il suo colorito è rosso virgineo
al
par di quello della rosa nascente ; e negli sguar
e svegliatosi, cercò del gregge, e non trovandolo corse tutto dolente
al
villaggio. Ogni cosa aveva mutato d’aspetto ; ste
riconoscerlo, meno che il suo fratello minore che era già vecchio, ed
al
quale narrò i casi suoi. Divulgatasi la fama di q
e anche Dante nel XX dell’Inferno, e tocca varie altre cose che fanno
al
nostro proposito ; ma convien prima avvertire che
i, l’Alighieri assegna per gastigo l’avere il collo e la faccia volti
al
contrario, verso la schiena, sicchè non potendo v
era figlio d’Apollo (96) e d’Ipermestra (252), e fu celebre indovino
al
tempo della guerra di Tebe. Sapendo per sua propr
icurezza verso il palazzo di Tarquinio, e chiese di parlargli. Giunta
al
suo cospetto, gli mostrò nove manoscritti, dicend
presenza, quand’ella ne bruciò altri tre, e gli offerse il rimanente
al
medesimo prezzo. Tarquinio maravigliato, consultò
i Persiani ; e soccombendo egli stesso, la medesima sorte era serbata
al
suo. Quando la Pitia disse a Nerone : diffida dei
anni, egli credè di dover morire in quell’età avanzata ; ma non pensò
al
suo luogotenente Galba che aveva settantatrè anni
ecialmente in Elide, musica, poesia, pittura e storia patria, narrata
al
cospetto dell’intera nazione, e fatta solenne coi
oria, e facevano di questi giuochi uno spettacolo veramente sublime ;
al
quale s’univa poi l’agilità della corsa a piedi,
e di tanta gloria ; ma il figlio, in cui l’ amor di patria era sprone
al
valore, spregiando i doni del tiranno, gridò che
dovè soccombere sotto la ruina. Questi giuochi dettero origine anche
al
seguente fatto, che può dare un cenno dei costumi
olte ingiurie ed oltraggi, e niuno lo volea ricevere. Arrivato che fu
al
luogo ove sedevano gli Spartani, tutti i giovinet
gno Di storia o di poema. Sé stesso il saggio moderar procuri, Nemico
al
folle orgoglio, E ognor pacato i suoi desir misur
iando il 22 giugno o nel plenilunio d’ecatombeone, che risponde quasi
al
nostro luglio, e duravano cinque giorni. Da quest
quando Corebo vinse nella corsa, e continuarono in numero di 294 fino
al
principio del quinto secolo dell’èra cristiana. 6
erano di tre specie : La corsa fatta nel circo dedicato a Nettuno od
al
Sole (110) ; i combattimenti del disco, del pugil
primieramente proposta la corsa di mille passi, dal tempio di Minerva
al
Foro : alla quale distanza non poteva giungere un
e persone loro snelle in quel leggiero vestimento ; e, senza ritardo,
al
primo cenno della già imboccata tromba, tutti in
ero per breve spazio in quella disposizione, quando colui che correva
al
destro lato di quello che tutti superava nel mezz
no, disposti a nuovo spettacolo, sei carri ; ciascuno dei quali aveva
al
timone, di fronte, quattro corsieri, che, aneland
la dritta sospeso il flagello in atto di percuotere, col viso rivolto
al
trombettiere, stanno i giovani, ansiosi che il ma
sa delle tempie in una fortuita caduta. Ed ecco già suona la tromba ;
al
desiderato segno si lanciano i frementi destrieri
de’ flagelli, lo stridore delle rote, e il fremer delle voci, insieme
al
calpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto, al v
r delle voci, insieme al calpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto,
al
volger di tante rote e al battere di tante orme,
alpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto, al volger di tante rote e
al
battere di tante orme, la in prima serena aria of
riga bianca sparsa di nere macchie, onde presentandosi il condottiero
al
dispensatore de’ premj, ebbe in dono un elmo ed u
ella lotta : e si mostrò nella palestra con leggiadro coturno involto
al
piede candido ed ignudo. Una cerulea veste lo ric
volto al piede candido ed ignudo. Una cerulea veste lo ricopriva sino
al
ginocchio, annodata con fascia d’oro al petto. E
rulea veste lo ricopriva sino al ginocchio, annodata con fascia d’oro
al
petto. E poichè alquanto ristette, contemplando i
ai lombi, secondo è costume. Erano fosche le membra di lui, come arse
al
raggio estivo in questi cimenti, e, lanuginose pe
ettò animosamente ad un suo satellite il succinto sajo, sciogliendone
al
petto il nodo della fascia, ed apparve nudo in tu
o così alquanto di nuovo discosti, ed il Cretese fremeva nel vedersi,
al
principio del cimento, quasi sul punto di essere
il garzone, or da una parte or dall’altra agitandolo, per istenderlo
al
suolo. Ma egli, secondando agilmente gli urti vio
secondando agilmente gli urti violenti, reggeva sè stesso, come canna
al
vento, finchè gli si offerse l’opportunità d’intr
segue, invan sottrarsi Tenta l’uom, benchè forte. Il di seguente, Che
al
surgere del sole era il certame Delle quadrighe,
quinto Con tessale puledre. Etolo il sesto, Biondi corsieri aggiunti
al
carro avea ; Il settimo Magnesio ; era Eniano, Bi
pre Oreste Presso presso la meta ripiegava Il fervid’asse rallentando
al
destro Corsier la briglia, e rattenendo il manco.
zïosi Vasi accogliean le lagrime votive. Rapian gli amici una favilla
al
sole A illuminar la sotterranea notte, Perchè gli
i antichi ; il Costume Antico e Moderno del Ferrario sodisfa in parte
al
bisogno degli artisti e degli studiosi ; ed è cos
eda, Porteronne le tolte armi nel sacro Ilio, e del Nume appenderolle
al
tempio : Ma l’intatto cadavere alle navi Vi sarà
ovenchi, E traendone l’adipe il Pelide Copriane il morto dalla froute
al
piede, E le scuoiate vittime d’intorno Gli accumu
, E in aurea coppa ad ambedue libando, Di venirne li prega, e intorno
al
morto Sì le fiamme animar, che in un momento Lo s
vasto aureo cratére Il vino attinse con tritonda coppa, E spargendolo
al
suol devotamente, N’irrigava la terra, e l’infeli
suo compagno, Geme il Pelide, e crebri alti sospiri Traendo, intorno
al
rogo si strascina. Come poi nunzio della luce al
iri Traendo, intorno al rogo si strascina. Come poi nunzio della luce
al
mondo Lucifero brillò, dopo cui stendo Sul pelag
a, o duci achei, che vivi Dopo me rimarrete a questa riva. Del Pelide
al
comando obbedïente Con larghi sprazzi di vermigli
i scogli Del mar di Grecia ; ne la Grecia stessa Mi chiugga, e dentro
al
cerchio di Micene ; Ch’io l’arò sempre per solenn
i v’invito, Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, alla palestra,
al
cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari : ognun ne s
ffetto V’adoro e ’nchino come cosa santa. Mentre cosi dicea, di sotto
al
cavo De l’alto avello, un gran lubrico serpe Uscí
gran lubrico serpe Uscío placidamente ; e sette volte Con sette giri
al
tumulo s’avvolse. Indi strisciando, in fra gli al
pagno d’ Ettore : Non s’intermise di Miseno intanto Condur l’esequie
al
suo cenere estremo ; E primamente la gran pira es
la fronte e i lati, E piantâr ne la cima armi e trofei. Parte di loro
al
fuoco, e parte a l’acque, E parte intorno al fred
e trofei. Parte di loro al fuoco, e parte a l’acque, E parte intorno
al
freddo corpo intenti Chi lo spogliò, chi lo lavò,
97. Questo Dio, che prima era re d’Argo, avendo lasciato i suoi stati
al
fratello Egialea, andò a stabilirsi in Egitto, ov
enza Tifone suo fratello aveva tentato d’usurpargli il trono. Osiride
al
ritorno s’adoperò invano a frenarne l’ambizione,
n esercito, lo battè e gli tolse il trono usurpato. Così Oro suecesse
al
padre, benchè dovesse poi soccombere per la prepo
affile a tre corde per indicare ch’egli è anche onorato come il sole,
al
quale è attribuito quell’istrumento per isferzare
quale è attribuito quell’istrumento per isferzare i cavalli attaccati
al
suo carro. Talora comparisce in figura d’uomo con
che Osiride. Erodoto non ne parla, e Apollodoro dà questo stesso nome
al
bue Api. L’imperatore Antonino Pio introdusse in
Iside, e poi andavano attorno a chiedere l’elemosina, e non tornavano
al
tempio altro che la sera per ivi adorare in piedi
detta città. 708. Gli Egiziani accordarono onori divini non solamente
al
bue Api (703), ma anche a varii altri animali, ci
ncipio attivo, l’anima del mondo ; e le sue cerimonie erano celebrate
al
lume di luna od alla luce di grandi fiaccole in l
i o sacerdoti andavano a raccorla con gran pompa. Il capo dei Druidi,
al
cospetto del popolo, saliva sull’albero, e segava
falcetta d’oro quel vischio, il quale pel capo d’anno era distribuito
al
popolo qual cosa santa e quale indizio di buon au
. Fu chiamato Padre universale, perchè padre degli Dei e degli uomini
al
pari del Giove dei Greci. Ebbe anche il nome di P
r eseguir commissioni, con un cavallo che corre per l’aria attraverso
al
fuoco. Vengono poscia le Walchirie che nel Valhal
aordinario chiamato Scioun che avea corpo senz’ossa e senza muscoli :
al
suo passare si abbassavan le montagne, colmavansi
le Pleiadi, l’arco baleno, le stelle, il tuono ed i lampi. Offrivano
al
Sole piccole immagini di uomini, d’uccelli e di q
tizia 12. Questo tempio fu costruito di figura rotonda, perchè Numa,
al
dire di Newlon, col riporre il fuoco sacro di Ves
he vanno talora confusi coi Coribanti, coi Galli e coi Cureti addetti
al
culto di Cibele. 15. Talnni mitologi unendo ina
Altri dicnno ch’egli perisse in una battaglia datagli dagli Ateniesi
al
tempo d’Eretteo (116, 654). 17. I Misteri eleusi
mpo di nette. Gl’iniziati si raccoglievano in un vasto recinto vicino
al
tempio ; s’inceronavano di mirte, si lavavano le
n quello sconvolgimento. Esiodo dice cha la gran madre terra, sposata
al
Tartaro partorì Tifeo o Tifone ultimo dei suoi fi
insieme ardeva la fiamma. E indica il rnmoro che faceva paragonandolo
al
mnggito di un toro, all’urlo d’uu Jeone o all’abb
viene simboleggiata la divina provvidenza ; il secondo rubò il fuoco
al
ciclo, ovvero liberò l’uomo dalle tenebre dell’ig
he il popolo implorò l’oracolo di Delfo (122). Apollo per esser grato
al
servigio rèsogli da Trofonio nell’erigergli il te
il marito tornasse vittorioso. Dopo la vittoria, la chioma fu appesa
al
tempio di Venere Zefiritide, e la nolte seguenle
assai più frequenti. 40. Scilla ora ò città della Calabria, in riva
al
mare, all’imboccalura dello stretto di Messina. G
rte di Sicilia in faccia agli scogli, non è più temibile come quando,
al
narrar degli antichi, investiva e inesorabilmente
endi di Saturno, e del così detto secol d’oro. 47. Antica. 48. Vedi
al
§ 29, il nascimento di Giove. Rea è il soprannome
e facile ad essere intesa. 50. Scende di roccia in roccia. 51. Fino
al
fondo dell’abisso donde più non si scende. 52. M
’Areopago, davanti a cui, non cho i re, i Numi stessi erano giudicati
al
pari degli altri uomini. 58. Alcuni fanno deriva
ano riparo. 71. Qui intendiamo gli Angeli. 72. Però havvi sì spesso
al
mondo chi soffre mulamento di slalo. 73. Il fuoc
ti rappresentavano il dispotismo, il vizio, l’ ignoranza che nocevano
al
genere umano, e impedivano l’ avanzamento della c
tta e per la onoralezza dei sentimenti. Era intrepido e forte davanti
al
nemico, ma dolce e modesto co’suoi eguali ; rispe
isa posizione di quesla città. Basti ricordare cho Troja stava presso
al
capo Sigeo e all’Ellesponto, nella pianura del Me
’Orïon lempestosa, e la grand’ Orsa Che pur Plaustro si noma. Intorno
al
polo Ella al gira, ed Orïon riguarda, Dai lavacri
tosa, e la grand’ Orsa Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo Ella
al
gira, ed Orïon riguarda, Dai lavacri del mar sola
due bella Populuse città. Vedl nell’ una Conviti e nozze. Delle teda
al
chiaro Per le contrade ne veaian condotte Dal Ial
o il giogo in quesla parte a lo qualla Stimolaado I giovenehl. E coma
al
capo Ginngean dei solco, no nom che giva ia volla
man spomanla un nappo Dl dulcissimo bacco ; e quei tornaado Ristorali
al
lavor, l’ almo lerreau Fendean, bramosi di finirl
re di conoscere l’emisferio terrestre che è privo d’abitatori) dietro
al
sol (camminando secondo il corso del sole da Orie
itosi avvenimenti di Tebe. Regnando Anfionc, questa città fu in preda
al
flagello della peste, e la famiglia reale ne fu a
e ritornò nella Lidia suo paese natio per abbandonarvisi liberamente
al
dolore. All’ aspetto dei luoghi dove aveva vissut
rchè posti verso quella parte dove credevano che il sole si coricasse
al
giungere della sera. Da questo la favola degli au
. Queste due città fabbricate aullo stretto dell’ Ellesponto, in riva
al
mare a l’una rimpatto all’ altra, aono aeparate d
a, aono aeparate da un tratto di più d’un miglio. 122. Queslo rallo,
al
dire di Platone, è un’allegoria della svenlurala
. 124. Prima di tornare ad esser maschio. 125. Che accosta il tergo
al
ventre di lui, atteso il narrato travolgimento de
a contrassegnare nel cielo il viaggio che fa la terra girando intorno
al
sole nel periodo d’un anno. 143. Per lo più sott
itologiche idee. Pare quindi molto più adattato all’ intendimento, ed
al
profitto degli scolari, per quanto la Mitologia i
estri, e quelli, che presedevano alle varie vicende dell’ umani vita,
al
nascere, alle nozze, ai parti, ec. Molti uomini,
speridi, la mostruosa Echidna mezzo donna e mezzo serpente, che unita
al
procelloso Tifone partorì Orto cane di Gerione, C
urno; che il primo a richiesta della madre cedette il regno del cielo
al
secondo, colla condizione però, che non allevasse
Giove dal cielo, e per salirvi Sovrapposero ne’ campi di Flegra l’ un
al
l’ altro i monti Olimpo, Pelio, ed Ossa (il che p
arebbe stato re degli uomini, e degli Dei, tolse con inganno la prole
al
ventre di Meti, e nel suo l’ ascose, ed egli stes
e giovini donne queste percosse fuggivano, persuase che utili fossero
al
concepimento, ed al parto. In tal occasione a Giu
te percosse fuggivano, persuase che utili fossero al concepimento, ed
al
parto. In tal occasione a Giunone Februale immola
’ Oceano, fermatasi nel giardino di Flora, questa le mostrò un fiore,
al
tocco e all’ odore di cui da se sola concepì Mart
o la favole portato in cielo, e annoverato fra gli Dei Indigeti sotto
al
nome di Quirino. Figlio di Marte, secondo Esiodo,
altresì celebri eran nel circo i giuochi Marziali ai 12 di Maggio, ed
al
primo di Agosto. Come Dio della guerra ci dipinge
le Isole dette Vulcanie, ora di Lipari. Al terzo però soltanto, cioè
al
figlio di Giove e di Giunone, alluder sogliono i
lade, e Venere chi averlo dovesse. Ma essendosi tutte e tre riportate
al
giudizio di Paride figlio di Priamo re di Troia,
amente le brame di lei secondando fra le tenebre della notte la guidò
al
letto del padre come un’ ignota amante. Stato con
se apertosi uscì Adone. Crebbe egli leggiadrissimo giovane, e Venere
al
primo incontro tosto di lui ardentemente si acces
vegetabili. Amore da Esiodo è posto fra i primi Iddìi, contemporaneo
al
Caos, e alla terra, e distinto da Cupidine. Gli a
lla lucerna caduta sopra una spalla’ di Amore il ferì. Egli destatosi
al
dolore fuggi sdegnato, seco a volo traendo Psiche
la quale presolo per un piede cercava in vano di trattenerlo. Caduta
al
fine, e rimasta sola per disperazione gettossi in
una dopo l’ altra salirono lo scoglio, da cui Zefiro le avea portate
al
palagio di Amore, ed una dopo l’ altra da esso pr
pina; e scesa per la via del Tenaro ottenne da Proserpina il vaso, ma
al
ritorno ebbe curiosità d’ aprirlo, e ne uscì un v
ui ella cadde in letargo. Da questo però Amore la risvegliò, e salilo
al
cielo ottenne da Giove di averla in isposa, e pla
, che poi fu ucciso da Teseo nel labirinto di Creta. Circe maritatasi
al
re de’ Sarmati l’ avvelenò, quindi scacciata venn
llo, di Esculapio, e delle Muse. Quattro Apollini si distinguevano
al
dire di Cicerone: il primo figlio di Vulcano, e d
e di Minerva; il secondo figlio di Coribante e nato in Creta, intorno
al
dominio di cui ebbe poscia contesa con Giove; il
nerla, quando frodate vide del tutto le sue speranze; perciocchè ella
al
padre raccomandandosi fu tramutata in alloro. Olt
acinto, Ciparisso, Clizia, Leucotoe, Isse, e Coronide. Mentre giocava
al
disco con Giacinto figlio di Pierio, e di Clio se
s’ innalzarono templi, in cui rappresentavasi con un bastone in mano,
al
quale era un serpente attorciglialo; e gli s’ ist
stilenza, e Nettuno coll’ inondazione, e col mandar un mostro marino,
al
quale Laomedonte per ordine dell’ oracolo dovette
sino. Ingegnossi egli colle velature del capo a ricoprirle, ed ordinò
al
suo tosatore di non manifestarle a nessuno; ma qu
Narra Ovidio, che le nove figlie di Pierio edi Evippe avendo sfidate
al
canto le nove Muse, ed essendone state vinte a gi
avuto da Meleagro vennero uccisi. Allora Altea madre di Meleagro, che
al
nascer di lui ritratto avea dal fuoco, e occultal
ome il messaggiero degli Dei. Perciò dipingevasi colle ali a piedi ed
al
capo; onde esprimer la sua velocità. Davaglisi pu
Giove ucciso Argo posto da Giunone alla custodia di Io (come si disse
al
Capo IV.), ebbe da ciò il titolo di Arcidiga. Vuo
ndo mandò l’ Invidia ad infettare Aglauro del suo veleno. Ella perciò
al
venir di Mercurio cercò vietargli l’ ingresso, e
a tagliare arditamente e profanare il bosco a lei consecrato. Cerere,
al
dir di Ovidio, spedì quindi nel Caucaso a ricerca
omandossi a Nettuno da cui prima era stata amata, ed ei per toglierla
al
padre la trasformò in pescatore. Restituita alla
la trasformò in pescatore. Restituita alla forma primiera tornò essa
al
padre, e veduta da lui nuovamente, e pur nuovamen
à fino a trent’ anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando
al
servigio del tempio potevano maritarsi. Nell’ att
di Siringa figlia del fiume Ladone, la quale da lui fuggendo in riva
al
fiume paterno fa cangiata, in un cespo di canne;
iglio di Mercurio e della Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli
al
mento ed al detto. Alcuni lo dissero figlio di Pi
curio e della Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli al mento ed
al
detto. Alcuni lo dissero figlio di Pico re dei La
o le feste terminali, che celebravansi ai 23 di Febbrajo. Anticamente
al
Dio Termine non sacrifica vasi alcun animale; poi
d ogni parte dell’ uman corpo un Dio particolare pur presedeva. Giove
al
capo, Nettuno al petto, Marte ai lombi, il Genio
’ uman corpo un Dio particolare pur presedeva. Giove al capo, Nettuno
al
petto, Marte ai lombi, il Genio alla fronte, Giun
none alle sopracciglia, Cupidine agli occhi, la Memoria agli orecchi,
al
dorso Plutone, alle reni e agl’ inguini Venere, a
unina quella che presiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bambini
al
poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiar
esiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bambini al poppare, Potina
al
bere, Educa o Edusa al mangiare. La Dea Ossilagin
a Rumina istruiva i bambini al poppare, Potina al bere, Educa o Edusa
al
mangiare. La Dea Ossilagine consolidava loro le o
va loro le ossa; Nundina era quella sotto gli auspici di cui i maschi
al
nono giorno dopo la nascita, e le femmine all’ ot
tà, alla Fama; e sacrifici si fecer anche alla Febbre, alia Tempesta,
al
Pavore e al Pallore onde tenerli lontani. Agli De
a; e sacrifici si fecer anche alla Febbre, alia Tempesta, al Pavore e
al
Pallore onde tenerli lontani. Agli Dei terrestri
celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna, che avendo recato de’ pani
al
Popolo Romano, allorchè stava ritirato sul monte
me avendo congiurato contro di Giove fu costretto a servir con Apollo
al
re Laomedonte nella costruzione delle mura di Tro
proprie avean pure i Romani, l’ una Venilia per cui i flutti vengono
al
lido, e l’ altra Salacia per cui si ritirano; le
dicono pescatore, veggendo, che i pesci da lui presi gettati sul lido
al
tocco di cert’ erba nuovamente balzavano in mare,
ttro Aglaosi o Aglaope, Telciope, Pisno, ed Ilige o Ligia. Eran esse,
al
dir di Ovidio, compagne di Proserpina, e allorchè
il filo, Atropo lo tagliava, allorchè la vita di ciascuno era giunta
al
suo termine. Le tre Furie, o Dire, o Erinni, o Eu
e, e della sete, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giungono fino
al
mento, ma che gli fuggon eli sotto quand’ ei si a
rta di un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la cima,
al
basso nuovamente ricade. Pausania pretende che di
che sulla, terra si sparsero, incontanente, restando la sola speranza
al
fondo del vaso che Pandora avvedutamente richiuse
eteo sia stata, che avendo questi formata una statua di argilla, salì
al
cielo coll’ aiuto di Minerva, e accesa al fuoco d
una statua di argilla, salì al cielo coll’ aiuto di Minerva, e accesa
al
fuoco del Sole una fiaccola, con essa diede alla
ciso da Apollo. Cerambo, secondo il medesimo, si sottrasse anch’ egli
al
diluvio, fuggendo sui monte Parnasso, cangiato da
o, che venne alla luce di sette mesi, e ritardò quella di Ercole fino
al
decimo mese. Anzi, secondo Ovidio, Alcmena pur gi
Ercole fino al decimo mese. Anzi, secondo Ovidio, Alcmena pur giunta
al
termine stette per sette giorni fra acerbi dolori
e pasceansi di umane carni, e poscia gli uccise. 6. Sconfisse in riva
al
Termodonte fiume della Cappadocia le Amazoni, che
tte, perchè recideansi la destra mamma, onde non fosse d’ impedimento
al
tirare dell’ arco; e fatta prigioniera Ippolita l
Una delle più celebri tra queste imprese fu quella di unire l’ Oceano
al
Mediterraneo, separando i due monti Abila e Calpe
promessi, Ercole espugnò Troia, uccise il perfido re, e diede Esione
al
socio Telamone figlio di Eaco, e fratello di Pele
si è accennato, e ne liberò anche Teseo, come dirassi qui in seguito
al
Cap. X. Essendogli da Tindamante re di Misia nega
sti dalle Ninfe stato rapito nella Bitinia, mentre era sceso per bere
al
fiume Ascanio, Ercole inconsolabile l’ andò cerca
perdere il fruito della sua vittoria; perciocchè giunto con Deianira
al
fiume Eveno, il Centauro Nesso offrendosi di port
ll’ onde ai lidi della Puglia, ed ivi raccolta da’ pescatori e recata
al
re Pilunno, il quale sposata Danae, da cui ebbe D
u recata, all’ isola di Serifo una delle Cicladi nel mar Egeo, e data
al
re Polidette, il quale, allorchè Perseo fu cresci
olti, di Cibele, che per vendicarsene li mutò in lioni, e gli attaccò
al
suo carro. Capo VI. Di Cadmo, e di Anfione.
e queste furono poi fabbricate da Anfione, il quale secondo le favole
al
suon della lira trasse le pietre a soprapporsi l’
e la Sfinge gli domandò qual fosse l’ animale, che avea quattro piedi
al
mattino, due al mezzogiorno, e tre la sera. Edipo
domandò qual fosse l’ animale, che avea quattro piedi al mattino, due
al
mezzogiorno, e tre la sera. Edipo rispose esser l
ttro piedi, in età adulta cammina con due, e in vecchiaia si appoggia
al
bastone come terzo piede. La Sfinge allor cadde e
di più che Laio era suo padre, e Giocasta sua madre. Preso da orrore
al
vedersi tutto ad un tempo reo di parricidio e d’
eduno: ma Eteocle, prese le redini del governo, ricusò di più cederle
al
fratello, e lo costrinse a ricoverarsi presso di
ate da Licofonte e Meone tendere a Tideo un agguato per, assassinarlo
al
ritorno. Non atterrito Tideo dal numero degli ass
mandò ad Eteocle per recargli il tristo annunzio. Ma irritato Adrasto
al
rifiuto e alla nuova perfidia di Eteocle, adunò i
il luogo dov’ ei celavasi; ed ei costretto ad andarvi, lasciò ordine
al
figlio Alcmeone, che quando udisse la morte di lu
tri però fattale fu quella guerra a’ due nemici fratelli. Fino avanti
al
loro nascere avea detto Giocasta di averli sentit
te non fossero state scacciate. Approdato a Colco presentossi Giasone
al
re Eta chiedendo il vello d’ oro, ma questi rispo
averlo convenivagli prima domar due tori spiranti fiamme e sottoporli
al
giogo poi seminare i denti del drago ucciso da Ca
ghi incantati, e bramando le figlie di Pelia, che altrettanto facesse
al
padre loro prescrisse a queste di ucciderlo, e fa
mentre la figlia Ociroe, ch’ era indovina, gli stava vaticinando, fu
al
dir di Ovidio tramutata in cavallo. Castore e Pol
e come seppe ammansare la ferocia de’ Traci allor selvaggi, e trarli
al
vivere socievole, fu detto dalle favole, che al s
or selvaggi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole, che
al
suono della sua lira traeva le piante e le fiere,
poscia Megara, Scilla figlia del re Niso di esse innammoratosi recise
al
padre addormentalo un crine purpureo, al quale er
di esse innammoratosi recise al padre addormentalo un crine purpureo,
al
quale era annesso il destino di Nisa, per la qual
sette donzelle, cui dava nel laberinto fabbricato da Dedalo in pasto
al
Minotauro, il quale fu poi ucciso da Teseo. Dedal
ocacciatesi delle penne, le unì con cera, e ne formò due ali a se, ed
al
figlio, colle quali deluse i custodi fuggendo a v
vvertimenti del padre, volle levarsi troppo alto, sicchè squagliatasi
al
calor del Sole la cera, le penne gli caddero, ed
o tratti a sorte sette giovani e sette donzelle, che davansi in pasto
al
Minotauro. Uno de’ sette giovani fu pur Teseo, o
per un capo all’ ingresso del labirinto andò svolgendo, finchè giunto
al
Minotauro, e datogli morte, tenendo dietro al fil
volgendo, finchè giunto al Minotauro, e datogli morte, tenendo dietro
al
filo medesimo se uscì, presa seco Arianna con Fed
pe, onde aver la vittoria, sedusse Mirtilo cocchier di Enomao a porre
al
cocchio di lui un fragil asse, il quale essendosi
conveniva sacrificare Ifigenia figlia di Agamenone. Consentì il padre
al
barbaro sacrificio; ma Diana salvò Ifigenia sosti
assinare. Virgilio dice invece, che l’ uccise di propria mano innanzi
al
patrio altare. Vuolsi ch’ egli perisse alla fine
di una vipera. Menelao avendo nella presa di Troia ricuperato Elena,
al
ritorno fu dalla tempesta portalo in Egitto, e di
’ ingiuria i due fratelli Agamennone, e Menelao procurarono di trarre
al
lor partito tutti i principi della Grecia, de’ qu
a scoprire dov’ egli fosse sepolto. Credette Filottete di non mancare
al
giuramento tacendo il luogo, e accennandolo invec
lo per riscattare la figlia sua Astionome, nota più comunemente sotto
al
nome di Criseide, la quale nella divisione della
a quelli incendiate pur fosser le navi, che tratte in secca servivano
al
campo de’ Greci di trinceramento e di riparo. In
orno alle mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo
al
misero padre, che venne in persona a domandarlo.
ccia di Paride fu là diretta da Apollo medesimo ad istanza di Nettuno
al
quale Achille aveva ucciso il figlio Cigno, atter
armi di Achille, cui Tetide aveva posto in mezzo, perchè fossero date
al
più degno; su di che non sapendo i Greci decidere
ri disastri tornarsene a Pilo, ove secondo i poeti giunse felicemente
al
termine di tre età. Quegli invece, che più avvers
issea. Partito egli da Troia con dodici navi, approdò prima in Tracia
al
lido de’ Ciconi, ove si diede a saccheggiare, per
te rimbarcarsi precipitosamente, perduti settantadue compagni. Giunto
al
capo di Malea or capo Malio nel Peloponneso, la t
ritrali sopra le navi, ed ivi incatenarli. Di là i venti il portarono
al
lido de’ Ciclopi in Sicilia, dove andato con dodi
sotto il ventre de’ montoni che ivi erano ed egli aggrappatosi sotto
al
più grande, ne uscirono tutti nell’ atto che Poli
nte da Eolo fu poi discacciato. Errando pel mare verso ponente giunse
al
paese de’ Lestrigoni, che da Cicerone supponsi ov
in essa erano potè camparne. Con questa approdò all’ isola Eea, ossia
al
promontorio Circeo, ora Monte Circello, ove la ma
tta e ne disperse i legni, sicchè Ulisse a grave stento, avvolgendosi
al
petto una fascia datagli da Ino Leucotea, potè a
uro in Itaca sopra una loro nave, la quale da Nettuno sdegnato fu poi
al
ritorno cangiata in pietra. Perchè in Itaca non f
più lunga, andò il mattino seguente in villa a far una dolce sorpresa
al
vecchio Laerte suo padre; ed essendo là venuti pe
clo; Reso da Ulisse e da Diomede. Antenore, che fu creduto favorevole
al
partito dei Greci, perchè sempre consigliava la r
no sacrificata da Pirro sopra la tomba di Achille), Ecuba accostatasi
al
mare per lavarne il corpo, vide sull’ onde il cad
ato a se Polinnestore a titolo di consegnarli un nuovo tesoro da dare
al
figlio, del quale dissimulò di sapere la morte, f
ella Ninfa Garamantide, che era stato prima da lei rifiutato, ricorse
al
padre, il quale spedì Mercurio ad intimare ad Ene
ntanto Giunone nemico implacabile dei Trojani spedì Iride, che’ sotto
al
sembiante di Beroe una delle Troiane insinuò alle
oto Palinuro, che fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vicino
al
promontorio, che dal suo nome fu detto poi Palinu
r invidia da un Tritone gettato in mare; Enea datagli sepoltura sotto
al
promontorio, che dal nome di lui appellò Miseno,
iseno, scese colla Sibilla sotterra, entrando per una spelonca vicino
al
lago di Averno. Trapassati i mostri ch’ erano sul
lago di Averno. Trapassati i mostri ch’ erano sull’ ingresso, giunse
al
fiume Acheronte, cui tragittò sulla barca di Caro
Bacco; poi infiammò alla guerra Turno figlio di Dauno re de’ Rutoli,
al
quale Lavinia era stata innanzi promessa; e final
tra i Latini e i Troiani. Dichiarata la guerra, Turno cercò di trarre
al
suo partito quanti potè de’ principi dell’ Italia
n questa è ferito di saetta in una gamba, e sanato da Venere. Tornato
al
campo va in cerca di Turno, cui Giuturna, presa l
i Romolo, e Remo, fondatori di Roma, di cui si è detto nella I. parte
al
capo VI. Appendice. Transunto delle Metamorfo
questo caos il trasse il Dio della natura e ne formò il Mondo. Sotto
al
regno di Saturno fiori l’ età dell’ oro, in cui l
dell’ oro, in cui la terra tutto producea da se medesima. Venne sotto
al
regno di Giove l’ età dell’ argento, in cui egli
a le case loro, concertano di trovarsi la notte sotto un gelso presso
al
sepolcro di Nino. Tisbe è la prima a recarvisi; m
ma spaventata da una lionessa, che fatta strage di buoi veniva a bere
al
vicin fonte, sen fugge lasciando ivi il suo velo.
la crede divorata dalle fiere, e per dolore si uccide. Tisbe tornando
al
concertalo luogo, e vedendo trafitto Piramo, ucci
ei marini. Parte I. Capo XVII. Le Ismenidi compagne d’ ino addolorale
al
vederla nel mare sommersa vengono trasformate, al
si ammazza. Parte I. Capo X. Le nove figlie di Piero sfidano le Muse
al
cauto, e son mutate in piche. Parte II. Capo X. G
uggono in Egitto. Parte I. Capo III. La ninfa Ciane volendosi opporre
al
rapimento di Proserpina è mutata in fonte. Parte
da Giunone, Eaco figlio di Giove e di Egina a lui ricorre, e veggendo
al
piede di una quercia gran quantità di formiche gl
co nominati Mirmidoni da myrmex formica. Scilla figlia di Niso recide
al
padre un crine purpureo, cui era annesso il desti
ltea madre di Meleagro con lui sdegnata rimette sul fuoco il tizzone,
al
quale la vita di lui era annessa, ed ei muore con
de’ promessi cavalli, espugna Troia, uccide Laormedonte, e dà Esione
al
socio Telamone. Parte, II. Capo II. Nozze di Pele
non, sacrificano due vergini. Metioca e Menippe si offrono volontarie
al
sacrificio. Dal loro rogo escono due giovani, che
Polifemo, e da Galatea cangiato in fiume. Parte I. Capo XVII. Glauco
al
mangiar di cert’ erba balzando in mare è fatto Di
te II Capo XIII. La nave de’ Feaci dopo avere deposto Ulisse in Itaca
al
ritorno è petrificata da Nettuno. Parte II. Capo
Tiberino re degli Albani si affoga nel fiume Albula, e fatto Dio, da
al
fiume il proprio nome. In Cipro Ifi ama Anassaret
Nella guerra di Tito Tazio re dei Sabini contro di Roma, Terpea apre
al
Sabini, una porta; Venere ottiene dalle Ninfe, ch
e la patria, malgrado la legge che ciò vietava, e andare a stabilirsi
al
fiume Esare in Calabria. È preso dagli Argivi e t
el solito solleva una zolla pesante, cui vede cangiarsi in fanciullo,
al
quale dà il nome di Trage; e questi, divien poi i
gli viene assegnato quanto terreno può cinger di un solco dal nascere
al
tramontare del sole. Esculapio sotto la figura di
li astri, e principalmente del Sole e della Luna. Da questo, si passò
al
culto del Fuoco, dell’ Aria, e de’ Venti, del Mar
ersare del vino (o in mancanza di esso dell’ acqua) in onore del Dio,
al
quale sacrificavasi. Usavasi pure ne’ sacrifìci l
hè giudicavasi proveniente dalla destra di Giove; non così se udivasi
al
contrario. Tutti i fenomeni straordinari, tutti i
e la ricompensa. Questi promise che data l’ avrebbe dopo otto giorni,
al
fine dei quali i due fratelli furono trovati mort
blo era favorevole, se le cose che gettavansi nel vicin lago andavano
al
fondo, contrarie se rimanevano a galla. L’ oracol
Nevio e Pisone; 5. L’ Eritrea, che secondo Varrone e Apollodoro vivea
al
tempo della guerra troiana, e secondo Eusebio ai
mofila o Erofile; 8. l’ Ellespontina che Eraclite Pontico dice vivuta
al
tempo di Ciro; 9. La Frigia, che soggiornava ad A
ni la più famosa era la Sibilla Cumana, la quale si disse che offerse
al
re Tarquinio superbo una raccolta di versi sibill
tre libri sul fuoco, domanda lo stesso prezzo per gli altri sei; che
al
secondo rifiuto ne gittò sul fuoco tre altri, ins
to che lanciavasi colla mano o la saetta, che si scagliava coll’ arco
al
segno prefisso; 4. La lotta o il pancrazio, cui g
elle fiere, le quali uscir si facevano dalle carceri o tane praticate
al
basso degli anfiteatri, e i più atroci e crudeli
pubblico o privato. Ben è vero che, se gli ordini sacerdotali addetti
al
culto delle varie Divinità in Grecia conservavano
polazioni, e ad es. nei misteri di Eleusi ogni sacra memoria relativa
al
culto di Demetra mantenevasi pura da ogni profana
rità e massime, dagli antichi stessi dimenticate. Dal Boccacci nostro
al
tedesco Creuzer è abbastanza lunga la schiera d
uale, confrontando i miti dei varii popoli di stirpe aria e risalendo
al
l’ origine loro comune, si avvide che buona parte
la bella Aurora, cui non potrà più rivedere se non quando sarà giunto
al
termine della sua faticosa giornata. Un piccolo s
pramantha in indiano, diventa il benefico Prometeo che fura il fuoco
al
cielo per donarlo ai mortali. Ecco veri racconti
ro diversamente dagli abitanti delle coste, dediti alla navigazione e
al
commercio. E deità originariamente locali avvenne
a, diventando ancelle delle deità vincitrici, o a dirittura scendendo
al
grado di semplici eroi. Così la vittoria di Era c
a mitologia; cosicchè riesce ora pressochè impossibile ridurli sempre
al
loro naturale significato e tracciarne con sicure
ersalmente divulgati tra i Greci, e cercarono di adattar tutto questo
al
concetto tradizionale che essi avevano delle vari
del divino importava che le qualità umane fossero per loro innalzate
al
più alto grado di eccellenza; quindi il corpo deg
gli uomini, hanno per sè il dono di una grande celerità; Ermes, nato
al
mattino, suona già a mezzogiorno colla lira da lu
e eccedeva di gran lunga i limiti dell’ umano. Non si era pero giunti
al
concetto dell’ onniscienza e dell’ onnipotenza; Z
tato nell’ esercizio della sua forza, ad es. era egli stesso soggetto
al
fato inesorabilmente. Riguardo alla moralità attr
ea, addolorata per questo, sollecito i Titani perchè facessero guerra
al
padre. Niuno dei maggiori aveva l’ ardire di ciò
il padre, lo domò, lo mutilò e l’ obbligò a rinunziare in suo favore
al
dominio del mondo. Dal sangue di Urano nacquero l
nacque l’ ultimo figlio, Zeus, Rea lo nascose, e invece di esso porse
al
padre, involta nelle fasce, una pietra, che Crono
oro dai Campi Flegrei in Tessaglia tentarono, si dice, dar la scalata
al
cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. Alla
ntarono, si dice, dar la scalata al cielo sovrapponendo il monte Ossa
al
Pelio. Alla grande battaglia che seguì presero pa
in Roma e si vollero trovar somiglianze e stabilire identificazioni,
al
greco Crono fu fatto corrispondere Saturno, antic
fago nel Museo Vaticano, dove si vedono i Giganti volgersi minacciosi
al
cielo, in atto alcuni di lanciar sassi, altri di
. Adunque l’ idea della suprema Divinità si è nelle origini associata
al
fenomeno naturale della luce, del giorno e del br
a con mano giusta i beni e i mali; a tutela dell’ ordine, egli delega
al
re per qualche tempo una parte dell’ autorità sua
gende vennero considerate come diverse, e così le invenzioni relative
al
supremo Dio vennero a essere moltiplicate. 4. Il
rquinii l’ onore di un celebre tempio sul monte Capitolino. Più tardi
al
culto di Giove si uni quello di Giunone e Minerva
un numero incalcolabile, chi pensi alla grande diffusione del culto e
al
numero grandissimo di templi dedicati a questa di
ioma che si drizza sopra la fronte e scende egualmente ai due lati dà
al
viso un cotale aspetto leonino e un’ espressione
, la patera sacrificale come segno di culto, una palla sotto o vicino
al
trono, come segno dell’ universo da lui governato
nnemente festeggiata in primavera, specialmente nelle località devote
al
culto di Era, come Argo, Micene, l’ Eubea, Samo e
l vincolo coniugale, e la nobiltà della donna che serba costante fede
al
marito trovava in lei la sua più alta espressione
di Marzo. Quel di tutte le matrone romane recavansi processionalmente
al
tempio dedicato alla Dea sul monte Esquilino per
ifesta nel bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava che
al
momento del nascere di Atena tutta la natura si f
poi una stabile terra perchè Posidone la assicurò con potenti colonne
al
fondo del mare. Febo Apollo è il Dio raggiante, i
ze ed è cagione di morti improvvise. A Troia, quando i Greci negarono
al
suo sacerdote Crise i dovuti onori, Apollo si app
ncipale di questo culto. Ivi sorgeva uno splendido tempio che rifatto
al
tempo dei Pisistratidi in seguito ad un incendio,
00 talenti, ossia quasi 60 milioni di lire. Nelle vicinanze di Delfo,
al
terzo anno di ogni Olimpiade avevano luogo i gioc
mento di costei nella pianta di lauro, da quel momento divenuta sacra
al
Dio. Così lo fa parlare di sè stesso: …………………………
I simboli di Apollo sono per lo più l’ arco e le saette, riferentisi
al
dio solare che ferisce col dardo de’ suoi raggi (
crezio); oppure la cetra e la corona d’ alloro, quali ben s’ adattano
al
dio musicale, o infine il tripode proprio del dio
dalle sue ninfe, tra le quali primeggia per l’ alta statura. Ma guai
al
malcapitato cui prenda vaghezza di contemplare le
la dea della castità. Era la protettrice delle giovani donzelle fino
al
momento del matrimonio, e anche de’ giovanetti; i
faccia prosperare le novelle generazioni. Una bella pittura di Diana
al
bagno la troverà chi scorra il terzo delle Metamo
re. Altra volta, preso ferito per opera di Atena, emise un grido pari
al
clamore di nove o diecimila uomini in procinto di
iù ragguardevoli famiglie di Roma. Ogni anno nel mese di Marzo, sacro
al
dio Marte, i Salii percorrevano processionalmente
la meta; gioco che doveva ricordare la gioia provata dai primi uomini
al
ritrovamento del fuoco. In Occidente, la regione
una specie di focolare pubblico, posto su un’ area alquanto elevata,
al
di sopra del Comitium dove si riunivano le assemb
ed abilità che costituivano il fondo della sua indole. Giacchè, nato
al
mattino, verso il mezzogiorno esce dalle fasce, e
arte musica. A dar segno di una compiuta riconciliazione, Apollo donò
al
fratello la verga d’ oro a tre rampolli, datrice
cide. Secondo gli altri, Argo è il sole stesso onniveggente che guida
al
pascolo le vacche celesti ossia le nuvole gravide
d un tronco; nella mano destra tiene un grappolo d’ uva che la vedere
al
fanciullo, verso cui si volge con dolce sorriso i
e la vita della natura e Adone è la natura stessa che ripiglia vigore
al
ritorno periodico della primavera. Fan corteggio
iati per opera di Anco Marzio. Il tempio di Cloacina trovavasi vicino
al
Comitium, forse in quel punto ove la cloaca maxim
708 di R. (46 av. C.). Il culto si diffuse anche più per tutta Italia
al
tempo dell’ impero, e furono anche unite insieme
ollo, aveva opposto un deciso rifiuto. Anche le donne che attendevano
al
culto di lei dovevano esser vergini o almeno di c
deva fondato da Numa Pompilio, sorgeva alle falde del Palatino vicino
al
Foro. Era un tempietto rotondo, propriamente null
sesto e il decimo anno di vita, e dovevano restar trent’ anni addette
al
servizio divino mantenendo la più illibata castit
privata e anche prender marito, ma in genere rimanevano tutta la vita
al
servizio di Vesta. Abitavano nel così detto Atriu
9 Giugno. Allora si ponevano sul focolare varii cibi e si conducevano
al
tempio di Vesta asini da macina inghirlandati e c
chè il sole è in certo modo il portinaio del cielo, le cui porte apre
al
mattino, richiude alla sera, così Ianus divenne s
uato su quella frequentatissima strada che dal vecchio foro conduceva
al
foro di Cesare. Lo si diceva eretto da Numa, ed e
isticamente riassunte le attribuzioni e le leggende di Giano, ricorra
al
primo libro dei fasti d’ Ovidio ; ivi; a proposit
XII. Quirino. Era un’ antica divinità dei Sabini, corrispondente
al
Mars dei Latini, e prendeva nome dalla città sabi
a quella di portar la luce del giorno agli Dei e agli uomini, uscendo
al
mattino dall’ oceano d’ oriente là dove abitano g
n carro tirato da quattro focosi destrieri; nè a tutta prima si pensò
al
modo come Elio dovesse di notte tornare a oriente
ano entro un battello d’ oro fabbricatogli da Efesto, e così tornasse
al
paese degli Etiopi dove il carro e i cavalli già
Phaëthon), detto figlio di Elio e di Climene; il quale avendo chiesto
al
padre di guidare una volta il suo carro, e il pad
i consacrarono le corse del circo, e un tempio gli si eresse in mezzo
al
circo stesso. E del dio Sole si ripeterono le ste
nte stende la nera notte come un oscuro manto sulla terra, ovvero che
al
voltarsi del cielo precipita la notte dall’ ocean
(i venti di nord, ovest, est e sud), espressione mitica del fatto che
al
primo apparir dell’ aurora suol sorgere il vento.
ghiera da lei rivolta a Giove perchè qualche funebre onore concedesse
al
defunto, si descrive con vivi colori la trasforma
rione, quella che appare sul nostro orizzonte dal solstizio d’ estate
al
cominciare del verno. Nel fatto i miti stessi han
lativi a detta costellazione; così l’ apparire di Orione nell’ estate
al
primo mattino nel ciel d’ oriente e il subito suo
tate al primo mattino nel ciel d’ oriente e il subito suo impallidire
al
sorgere del sole, destò l’ immagine dell’ amor di
sorgere del sole, destò l’ immagine dell’ amor di Eos per lui; invece
al
principio dell’ inverno il suo levarsi di sera e
, i sette buoi aratori, perchè il girar che fan queste stelle intorno
al
centro polare aveva destato l’ immagine dei buoi
amorfosi. D’ altra parte, l’ avere Borea distrutto la flotta di Serse
al
tempo della guerra Persiana, gli dava diritto all
vento di ponente, nuncio della primavera, detto Favonius dai Latini,
al
cui soffio maturavan le sementi; quindi era vener
nus, vento di est, o più precisamente di sud-est, spirava solitamente
al
solstizio d’ inverno, ora asciutto ora umido aqu
figure rappresentanti otto venti. Un tempo sulla cima del capitello,
al
centro del tetto, era anche un tritone mobile che
o le riaprono disperdendo le nuvole. In altri termini esse presiedono
al
corso delle stagioni; fanno essere a loro tempo i
ol nome di Atena Niche, e a costei era dedicato un grazioso tempietto
al
lato occidentale dell’ Acropoli, quello detto di
della dea, in atto di scendere a volo sulla terra, già col piè destro
al
suolo; le belle forme del corpo si disegnano sott
a grande statua è la Niche proveniente dall’ isola di Samotracia, ora
al
Museo del Louvre, che noi riproduciamo alla fig.
stata vinta dall’ artista con ingegnosa accortezza, in quanto che diè
al
gruppo per appoggio il tronco d’ un albero, lasci
nza stragrande di questo Dio, e persino i filosofi ricamarono intorno
al
mito di Eros le loro più belle teorie; basti rico
e trovavansi menzionate anche altre Deità o altri epiteti riferentisi
al
parto; prima una Nona, una Decima, una Partula co
alla vergine natura, fra il tepore d’ un sole primaverile e in mezzo
al
dolce mormorio delle acque correnti. Narravasi po
bambino ancor vivo e farlo uscire dal seno della madre; poi lo affidò
al
centauro Chirone che lo allevo sul Pelio e gli in
allora in sogno doveva apparirgli il Dio che gli suggeriva il rimedio
al
suo male. 3. Presso i Romani, prima che s’ introd
Roma. Ivi poi sbarcato scelse sua sede nell’ isola Tiberina in mezzo
al
Tevere, e subito pose termine all’ epidemia. Là s
Asclepio, e lo fa, come suole, bellamente intrecciando auree sentenze
al
racconto. Narrazione vivace di colorito leggesi p
ropa; anche gli scavi fatti, non è molto, a Epidauro e ad Atene, dove
al
sud dell’ Acropoli esisteva anche un celebre Ascl
nno messo in luce parecchi monumenti che si riferiscono ad Asclepio e
al
suo culto. Non infrequenti le rappresentazioni
omune e radicata presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta
al
destino, che al momento della nascita di ognuno g
presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che
al
momento della nascita di ognuno già fossero decre
scita di ognuno già fossero decretate le vicende della sua vita fi no
al
momento del morire. E questo dicevasi talvolta ef
rappresentazione sensibile a questi esseri o ricorrendo semplicemente
al
simbolo del serpente che indicava fortuna, o raff
via della navigazione, e, effetto spaventoso dagli antichi attribuito
al
mare, i terremoti. Quindi niuna meraviglia che il
degli altri Titani, ma potè rimanere in pace e in piena indipendenza
al
governo del suo umido regno. La sua abitazione co
ninfe. Basti ricordare fra esse la sorgente Amaltea che die’ il nome
al
corno dell’ abbondanza, e la sorgente Aretusa, ch
e Aretusa, che la favola diceva amata da Alfeo e seguita da lui sotto
al
Mar Ionio fino in Sicilia. Gli Dei fluviali si cr
naturalmente veneratissimo il Tevere, detto Divus o Pater Tiberinus,
al
quale i pontefici e gli auguri rivolgevano annue
genii, rappresentanti le sedici braccia che l’ acqua cresce ogni anno
al
momento della benefica inondazione. In Vaticano p
, e tra gli alberi il pino, o per il suo color verde cupo somigliante
al
color del mare, o più probabilmente per l’ utilit
a coprendo le orecchie, un insieme di maestà e di forza; si dava però
al
volto una espressione più seria, senza quell’ ami
i riproduce il Posidone che è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde
al
tipo che prevalse nei tempi più recenti dell’ art
Posidone e Anfitrite, che con loro abita nel palazzo d’ oro in fondo
al
mare. L’ immaginazione popolare figuravaselo in f
uogo di un unico Tritone, si pensò a tutto un genere di esseri simili
al
figlio di Posidone; e così a poco a poco si venne
aro, ed egli stesso ivi in una caverna presso il lido si abbandonasse
al
dolce sonno. Come Nereo, e in genere tutte le div
posto giù i pesci semivivi sull’ erba, vedesse con sua meraviglia che
al
contatto di un certa erba ripigliavan vita e risa
Gridò: « Tendiam le reti, si ch’ io pigli La lionessa e i lioncini
al
varco; » E poi distese i dispietati artigli, P
usinghe delle Sirene dovè turarsi gli orecchi con cera e farsi legare
al
fondo della nave. Omero ne contava due sole; ma i
. Cassio. In onore di Tellus e di Cerere si celebravano solenni feste
al
tempo della seminagione e di primavera al germogl
i celebravano solenni feste al tempo della seminagione e di primavera
al
germogliar delle biade. Altra festa importantissi
Erittonio ad Atena. Più tardi si rappresentava come una donna distesa
al
suolo, contorniata di bambini, una cornucopia in
le, a indicare ch’ essa era fondatrice e conservatrice delle città, e
al
suo corteggio di Coribanti che Tympana tenta ton
o uno che, indovinando un essere divino nel fanciullo, s’ era opposto
al
mal governo che di lui avevan preso a fare i comp
ia, che si oppone alla propagazione della vite, ma alfine deve cedere
al
calore della natura e alla operosità dell’ uomo.
bbandonata da colui ch’ ella aveva tanto amato? Diè in ismanie, corse
al
lido per veder se ancor si scorgeva la nave di Te
, corse al lido per veder se ancor si scorgeva la nave di Teseo, levo
al
cielo le più strazianti querele, ma tutto fu inut
elo le più strazianti querele, ma tutto fu inutile. Or ecco, in mezzo
al
suo abbattimento, sente risuonar le selve d’ un l
iglio di Zeus e di Persefona; e si narrava che essendo egli destinato
al
dominio supremo del mondo, i Titani aizzati da Er
cra, feste triennali); esi celebravano in regioni montuose e di notte
al
lume delle fiaccole. Uno stuolo di donne e fanciu
diosa processione portavasi dal Leneo a un altro tempio, poi di nuovo
al
Leneo, una piccola immagine in legno del Dio, fra
raordinario. Ricordiamo solo che Eschilo compose una trilogia intorno
al
mito di Licurgo, e trattò in un’ altra tragedia i
al mito di Licurgo, e trattò in un’ altra tragedia il mito di Penteo;
al
quale pure si riferisce la bellissima tragedia di
to di ebbra agitazione, il capo arrovesciato all’ indietro, le chiome
al
vento, le vesti scomposte, le mani pronte a dilac
pide acque di solitari laglietti e torrenti. Talvolta s’ attruppavano
al
seguito delle maggiori divinità della natura, e o
ità. In certi punti si eressero Ninfei, o tempietti speciali dedicati
al
culto delle Ninfe. Col tempo se ne eressero anche
ievi dov’ esse son rappresentate in atto di danzare guidate da Ermes,
al
suono della zampogna di Pane. Le Naiadi hanno par
i di banchetti e feste lo accompagnò nei campi di Lidia e lo restituì
al
giovinetto Bacco. Di che lieto il Dio, volle comp
erra una fossa e mormorò dentro di quella quali orecchie avesse visto
al
suo padrone; poi rigetto la terra nel fosso. Sort
pascolare. Allevato e cresciuto in Arcadia, tra que’ monti che alzano
al
cielo la loro cima coperta di neve, tra quelle pr
questa era restia e lo sfuggiva, preferendo la vita libera de’ monti
al
modo di Artemide. Un di ch’ ella era per essere p
se canne palustri; ma il lamento armonioso che usciva da esse suggeri
al
Dio l’ idea di unire più canne digradanti e forma
della gara tra Marsia ed Apollo. L’ elemento orgiastico, la tendenza
al
chiasso e a una selvaggia eccitazione d’ animo ch
ica, il poeta ricorda le occupazioni di Pane e un lieto canto innalza
al
Dio sonatore e danzatore. Gli scolii alla Terza P
i a incutere spavento nell’ animo del viaggiatore solitario. Ma oltre
al
regno delle foreste, Silvano era creduto presente
come Dio dei confini, quindi patrono della proprietà prediale, simile
al
Dio Terminus; in questo senso parla vasi di un Si
minus; in questo senso parla vasi di un Silvano Orientalis essendochè
al
confine di due poderi, ivi hanno principio (oriun
lo di Fauno era in un bosco di Tivoli presso la fonte Albunea, quello
al
quale ricorse Latino al tempo della venuta di Ene
sco di Tivoli presso la fonte Albunea, quello al quale ricorse Latino
al
tempo della venuta di Enea in Italia, secondo il
Virgilio nel settimo dell’ Eneide (vv. 79-95). — In processo di tempo
al
concetto di un unico Faunus si sostituì il concet
n onor di lui, detta Faunalia, aveva luogo il cinque Decembre, dunque
al
principio dell’ inverno; si sacrificava un capro
te accolto dal re degli Aborigeni, Fauno, si diceva avesse consacrato
al
dio Pane. In questo santuario si cominciava la fe
te la festa che in onor di lei le donne celebravano nella notte dal 3
al
4 Dicembre nella casa del Console o del Pretore u
in mano contro i ladri e un fascio di canne in testa che stormissero
al
vento, spavento agli uccelli. Riguardato come seg
n cui anche Opi era venerata, trovavasi sulla discesa dal Campidoglio
al
Foro. Fu cominciato da Tarquinio Superbo, ma non
festa in onor di Saturno era quella dei Saturnali. Aveva luogo dal 17
al
19 Dicembre. In quei giorni una sfrenata allegria
uirinale forse di origine Sabina, un altro presso il tempio di Cerere
al
Circo Massimo. Aveva il suo sacerdote, flamen flo
lis, e solennissime feste si celebravano in onor di lei dai 28 Aprile
al
1º Maggio, le così dette Floralia. Erano feste ra
nalia, in occasion della quale si incoronavano i termini e si offrira
al
Dio una focaccia o anche un agnello o un porcelli
apparir della primavera Persefone torna sulla terra e vi rimane fino
al
tardo autunno, per poi ridursi novellamente d’ in
overa vecchierella, sedutasi sulla via presso il pozzo delle Vergini,
al
rezzo d’ un olivo fronzuto, ad alcune ragazze ven
lebravano, avevan luogo nel mese Antesterione (Febbraio) e alludevano
al
ritorno di Persefone sulla terra, al risveglio pr
sterione (Febbraio) e alludevano al ritorno di Persefone sulla terra,
al
risveglio primaverile della vegetazione. Le grand
Settembre) e alludevano alla discesa di Persefone agli Inferi, ossia
al
rientrare della vegetazione nel letargo hivernale
poi v’ eran dei gradi; giacchè da semplici misti (mystae) si passava
al
grado di epopti o spettatori, e più in su di tutt
ano mantenuti con grande scrupolo, pene severissime essendo comminate
al
trasgressore. Questa forma di religione segreta,
ura dell’ annona. Le feste di Cerere, o Cerialia, celebravansi dal 12
al
19 Aprile con solenni cerimonie, anche con giuoch
erano insieme confuse in un’ unica divinità (v. il coro che comincia
al
v. 1301). Ci rimangono pur frammenti di inni orfi
e la Dea l’ avrebbe guarito da una grave malattia per guadagnarlo poi
al
suo culto. Ancor nei tardi tempi della letteratur
arisce a’ nostri occlii, per avvizzire di nuovo e ritornare nel nulla
al
tardo autunno. Gli Attici chiamavano questa Dea p
ani adottarono in genere le idee greche. Questo è vero anche rispetto
al
re dell’ altro mondo che essi chiamarono Plutone
i sotto il disco terrestre a tanta distanza quanta è quella del cielo
al
di sopra; e si diceva che un’ incudine di bronzo
cielo in terra, così ahrettanto tempo avrebbe impiegato per giungere
al
Tartaro. Ma queste idee nelle età seguenti si mut
più comunemente nota. Era uno spazio largo e tenebroso dentro terra,
al
quale si poteva accedere di qua su per molte entr
ntrate le anime nel regno di Ade, erano sottoposte a giudizio davanti
al
tribunale di Minosse, Radamanti (Rhadamantys) ed
ad un’ eterna fame e sete, inasprita dal fatto di esser immerso fino
al
mento in un lago d’ acqua che però s’ abbassa qua
u fino alla cima d’ un monte, da cui esso riprecipita inevitabilmente
al
piano; ond’ egli deve ripigliar da capo l’ inutil
arto delle Metamorfosi di Ovidio, a proposito della venuta di Giunone
al
regno delle ombre per trarne la furia Tisifone e
immagine di esso viva e paurosa. Nessun delitto, si diceva, sl’ ugge
al
loro acuto sguardo, e appena scorto il delitto, s
…………… tutte de’ rei Por le case a soqquadro e la fortuna Quando morte
al
congiunto osa il congiunto Recar. Tosto con rapid
m coll’ anime dei trapassati su pei trivii e intorno ai sepolcri; che
al
suo avvicinarsi i cani ululavano e guaivano; ch’
ammaestrava le maliarde che nella notte andavan vagando per cercare,
al
lume incerto della luna, l’ erbe incantatrici e f
o nel granaio; e ora parlavasi di lui come di uno armato di falce che
al
tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i pol
tizia ad Alcione della morte di suo marito Ceice. Ivi si dan compagni
al
Sonno i Sogni, suoi figli e ministri, ed è Morfeo
acceso continuamente il fuoco in onor dei Penati e di Vesta, e vicino
al
focolare si conservavano in nicchie apposite le s
o dagli antichi come una grande famiglia. Già s’ è accennato (p. 111)
al
tempio di Vesta come al focolare sacro di tutta R
grande famiglia. Già s’ è accennato (p. 111) al tempio di Vesta come
al
focolare sacro di tutta Roma; or s’ oggiunga che
oni di rito, credevasi che l’ ombra di quella persona vagasse intorno
al
cadavere o alla tomba finchè non fossero compiuti
ttuale della casa; di questo tesoro egli non ha rivelato l’ esistenza
al
padre di Euclione perchè non lo onorava abbastanz
lo primo. Mitologia Eroica, Origine degli uomini e prima istoria fino
al
Diluvio. 1. Un popolo così immaginoso come il
ne non nota da altri scrittori, rispetto all’ aver Prometeo mescolato
al
limo particelle tolte da diverse cose. — Nella st
lotta tra i Lapiti e i Centauri. Già ne parla Omero, il quale fa dire
al
vecchio Nestore che nella sua prima giovinezza av
uella forma più bella che poi venne universalmente adottata, la quale
al
corpo di un cavallo con tutte quattro le zampe un
schiavo di qualche mortale, venne da Admeto e stette un intiero anno
al
suo servizio come pastore. In questo tempo strins
uoi due figliuoli, non dubitò accettar la morte per prolungar la vita
al
marito. Persefone, commossa da un si bell’ esempi
, di Agave madre di Penteo; e già s’ è toccata anche la sorte toccata
al
figlio della più vecchia Autonoe, cioè Atteone, m
bligarlo a restituire la figliuola; ma non vi riuscì e morendo lasciò
al
fratello Lico, erede del trono, l’ incarico di fa
nella costruzione delle famose mura di Tebe, opera appunto attribuita
al
loro governo. Zeto stesso portava a spalle i più
alle i più pesanti massi, più forte di qualsiasi manovale; ma Anfione
al
suono dolcissimo della lira moveva le pietre, si
orita nel 3º sec. av. C. Il monumento eretto originariamente in Rodi,
al
tempo d’ Augusto venne in possesso di Asinio Poll
orentino fu trovato nelle vicinanze del Laterano nel 1583; appartenne
al
Cardinal Medici e nel 1775 fu portato a Firenze.
però non è un dolore rassegnato; il suo occhio piangente, volgendosi
al
cielo, accusa insieme la prepotente vendetta del
fica il più avido di guadagno fra gli uomini; allusione probabilmente
al
cupido commercio onde fiorivano i Corinzii. Le le
fiume Asopo, si dice che egli abbia scoperto il segreto e rivelatolo
al
padre; cio a condizione che Asopo facesse scaturi
so su pel monte e lo vede dalla cima precipitare in fondo, fa pensare
al
sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ esta
cima precipitare in fondo, fa pensare al sole che dopo aver raggiunto
al
solstizio d’ estate il punto più alto che esso pu
forse delle onde infuriate del mare nella stagione delle tempeste che
al
loro stesso signore fan violenza. Dopo d’ allora
erofonte, nuovo Giuseppe, cedere alle lusinghe di lei, ella lo accusò
al
marito di aver tentato tradire i doveri dell’ osp
ora Preto per vendicare il creduto insulto, pensò mandar Bellerofonte
al
suo suocero Jobate re della Licia, con una tavole
rovi dei segni segreti per avvertire lo suocero che dovesse dar morte
al
latore. Bellerofonte mosse verso la Licia in comp
contro le Amazoni, e vincendole superò anche questo pericolo. Infine
al
ritorno, Jobate gli tese un’ imboscata deciso di
indaro, si sarebbe attirato l’ odio di Zeus per aver voluto in groppa
al
suo Pegaso salire al cielo; e Zeus l’ avrebbe pun
tirato l’ odio di Zeus per aver voluto in groppa al suo Pegaso salire
al
cielo; e Zeus l’ avrebbe punito mandando un assil
are il cavallo, il quale buttò giù il cavaliere e da solo poi si levò
al
cielo ove ancor ora tira il carro del tuono. — An
è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo, che si crede risalga
al
tipo di Policleto; bellissimo esemplare se ne tro
rso la coscienza di sè si vedeva mutata in vacca e invano accostavasi
al
padre per implorar pietà, e del padre stesso che
el padre stesso che accortosi a certi segni della cosa s’ avvinghiava
al
collo della candida giovenca senza nulla poter fa
nte di Io, gli cedette il regno. La leggenda attribuisce molto merito
al
re Danao, il quale avendo trovato il paese dissec
una cassetta e questa fè gettare in mare, persuaso di sottrarsi così
al
destino vaticinatogli. Ma che cosa può l’ umana a
mpietrò colla testa di Medusa il suo nemico Polidette, e diè il regno
al
fratello Ditti. Poi se ne tornò ad Argo, consegna
gioni e la virtù straordinaria del capo di Medusa che ei portava seco
al
ritorno, dierono occasione a molte altre invenzio
ezza e di quella della sua figliuola, e avendo osato venire in questo
al
paragone colle Nereidi, queste ricorsero a Posido
olore consegnarono Andromeda perchè fosse legata a uno scoglio, preda
al
mostro. Stava appunto Andromeda legata allo scogl
urali. Infine il disco con cui Perseo uccide Acrisio fa anche pensare
al
disco solare; anche Apollo con un colpo di disco
enne banchetto a cui era stato invitato anche il poeta, ecco giungono
al
palazzo due giovani di forme più che umane, spars
i capirono che eran essi i Dioscuri, comparsi solo per salvar la vita
al
poeta. — Cenni di benefici ottenuti od aspettati
coltura un po di merito spettava ai primi abitatori del paese. Anche
al
significato naturalistico del mito di Cecrope si
atore dello stato Attico, un altro Cecrope in sostanza, ma posteriore
al
diluvio. Una leggenda a lui particolare era quest
la morte di Eretteo, secondo la tradizione seguita dai Tragici, venne
al
regno Ione il capostipite della stirpe ionica; il
e feste bacchiche, simulando bacchica furia, usci dalla città, trasse
al
luogo dov’ era Filomela, la liberò e la condusse
aveva avuto da Teseo, e tagliatene le membra le apprestarono in cibo
al
re; di che accortosi egli, voleva far scempio del
i Orizia e Procri, anche di un altro Cecrope e di Mezione; e dei pari
al
secondo Cecrope assegnava per figliuolo un second
ui, Scilla, innamoratasi del forestiero assediatore, strappò di testa
al
padre quel capello d’ oro da cui dipendeva la sua
vendetta. Prese Megara e fu occasion di morte, come già si raccontò,
al
re Niso; vinse anche gli Ateniesi e impose loro u
ippolito (Hippolytos) che fini poi così tragicamente, perchè accusato
al
padre di aver insidiato alla virtù delle sua matr
sedersi sulla schiena di lu; e allora il Dio si alza tosto, accostasi
al
lido, tuffasi nell’ acqua e via sen va colla sua
Egeo e fin anco in Attica, dove egli prese Megara cagionando la morte
al
re Niso nel modo sopra narrato, e ridusse alle st
rrato, e ridusse alle strette il re Egeo. A confermare il suo diritto
al
trono, un giorno Minosse pregò Posidone gli invia
o e forte e bianco come la neve. Minosse n’ ebbe conferma nel diritto
al
trono, ma la bellezza del toro gli suggeri la mal
che cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fin che ridusselo
al
suo desiderio. Ne nacque il Minotauro, mostro com
per le vie aeree, e fabbricate delle ali di penne, le adattò con cera
al
suo corpo e a quello del figlio; così volaron via
come custode dell’ isola di Creta. Egli percorreva di corsa tre volte
al
giorno l’ isola, e se qualche straniero tentava a
eguito sia di ventato l’ eroe nazionale dei Greci in genere. Salvochè
al
nucleo primitivo di queste leggende se ne aggiuns
i quello della moglie di Stenelo; nacque quindi quel giorno Euristeo,
al
quale sebben vile ed imbelle, dovettero rimaner s
andò sul Citerone a pascolar greggi, e così rimase fra i pastori fino
al
diciottesimo anno d’ età. Compi allora il suo pri
mi. — A questo punto Euristeo re di Tirinto (o Micene), chiamò Eracle
al
suo servizio. Doveva, secondo il decreto di Zeus,
le consulto l’ oracolo di Delfo, e n’ ebbe in risposta si rassegnasse
al
suo destino. Di che egli montato in furore, così
to in sè, si recò a Tirinto per compiervi la sua missione. B) Eracle
al
servizio di Euristeo, o te dodici fatiche di Erac
risaore e di Callirroe; abitava nell’ isola Eritea (Erytheia) situata
al
l’ estremo Occidente, ed ivi possedeva un ricco e
Eracle si recò in Etiopia, poi di là dal mare in India, e giunse così
al
Caucaso dove libero Prometeo uccidendo 1’ aquila
a Prometeo la via alle Esperidi, giunse egli finalmente per la Scizia
al
paese degli Iperborei dove Atlante regge sulle su
Iperborei dove Atlante regge sulle sue spalle il mondo. Qui riusciva
al
termine della spedizione; poichè Atlante s’ incar
Laconia. Alle porte dell’ Ade trovò Teseo e Piritoo legati in seguito
al
tentativo fatto di rapire Persefone. Eracle liber
golare tenzone con Cicno (Cycnos) figlio di Ares, presso Itone vicino
al
golfo di Pagase; e non solo uccise il suo avversa
finir i suoi strazi tra le fiamme. Ma niuno de’ suoi voleva dar fuoco
al
rogo; infine Peante padre di Filottete o Filottet
ria. Tale è il noto racconto del Sofista Prodico, intitolato « Eracle
al
bivio »; ove si descrive il giovane Eracle seduto
doglio, donde l’ imperatore Costantino la portò a Costantinopoli; ivi
al
tempo della crociata latina nel 1204 venne fusa.
in Vaticano, opera di Apollonio Ateniese, figlio di Nestore, trovato
al
tempo di Giulio II, in campo di Fiori, dove sorge
ad imprese cui presero parte eroi di diversi paesi. I. La caccia
al
cinghiale di Calidone. 1. Era re di Calidone i
alcuni fatale; Anceo spintosi troppo avanti per dar un colpo d’ ascia
al
cinghiale ebbe il corpo lacerato dalle zanne di e
lotta tra il sole e la tempesta. Ma molto per tempo s’ intrecciarono
al
mito primitivo dei motivi umani e morali per rend
figli, di cui il maggiore chiamavasi Esone (Aeson). Questi succedette
al
padre nel regno, ma ne fu discacciato da un frate
secuzione di Pelia il suo piccolo figlio Giasone (Iason), affidandolo
al
centauro Chirone perchè segretamente lo educasse.
ò che fu fatto dai Boreadi, consentì a istruire gli Argonauti intorno
al
resto del loro viaggio; specialmente li avvisò de
llora costeggiando la riva meridionale dell’ Eusino, arrivarono prima
al
paese delle Amazoni, poi all’ isola Aretias o di
za; così le figlie di Pelia divennero senza volerlo parricide. Rimase
al
regno Acasto figlio di Pelia, che si proponeva an
ino da Valerio Flacco, e quello attribuito ad Orfeo, ma non anteriore
al
quarto secolo dopo Cristo. Nè si ommetta la prima
o, trovato sul Citerone quel bambino abbandonato, lo raccolse e portò
al
re di Corinto, di nome Polibo; il quale essendo s
i veri genitori. Ma un giorno in un banchetto qualche parola lanciata
al
suo indirizzo da un giovane corinzio gli gettò ne
rrogare l’ oracolo sulla Sfinge. Il cocchiere che era con Laio ordina
al
giovane Edipo di dar luogo; ne nasce una contesa,
sciogliere il celebre enigma, qual fosse l’ animale di quattro gambe
al
mattino, di due a mezzogiorno, di tre alla sera;
are, cammina sul due piedi quando è maturo e in vecchiaja s’ appoggia
al
bastone, la Sfinge si buttò essa stessa in quel b
teriore, perchè nei racconti più antichi non si dà alcuna discendenza
al
connubio di Edipo con sua madre e quei quattro fi
lcuni fan più vecchio Polinice) non volle a suo tempo cedere il luogo
al
fratello; il quale allora si rifugiò presso Adras
i assalitori; Capaneo che vantava nel suo orgoglio di resistere anche
al
fuoco di Zeus, venne fulminato dall’ alto delle s
ima guerra che si chiudeva col disgraziato duello tra i due fratelli,
al
cui odio si contrappose l’ indole affettuosa e ge
ui odio si contrappose l’ indole affettuosa e gentile di Antigone che
al
fine della tragedia dichiarava energicamente di v
iarava energicamente di voler, contro l’ ordine del re, dar sepoltura
al
cadavere di Polinice; Sofocle riprese questo stes
cie di Seneca. A un così numeroso stuolo di opere letterarie relative
al
ciclo tebano non possiamo mettere a riscontro un
na leggenda che Omero ancora non conosceva. Achille ebbe a educatore,
al
pari di tanti altri eroi greci, il centauro Chiro
iore ad Omero quella secondo la quale Tetide per sottrarre suo figlio
al
suo destino lo mandò a Sciro e ivi lo nascose in
ia, sia alla spedizione degli Argonauti. Era quindi già molto vecchio
al
tempo della guerra Troiana avendo visto tre gener
sua tenda il celebre Palladion, una statua in legno di Pallade Atena,
al
cui possesso da quel momento era legata la felici
nte Ida nella Troade, e ivi il giudizio della bellezza fosse affidato
al
pastore Paride. Era questi un figlio del re Priam
un pastore e come tale allevato. Le tre Dee gareggiavano in promesse
al
loro giudice. Era gli prometteva signoria e ricch
se non sarebbe cessato il male se Criseide non fosse stata restituita
al
padre. Agamennone sdegnato di ciò, prendendosela
uto per sè Briseide ancella di Achille; e in fatto, lasciata Criseide
al
padre mando i suoi messi a prendere Briseide e la
ggiore e altri eroi. Allora finalmente si rivolse l’ animo di Achille
al
pensiero di vendicare il morto amico, e per mezzo
in terribile duello con Ettore e l’ uccise. Il cadavere di lui legato
al
cocchio del vincitore fu trascinato a ludibrio pe
Polissena la bella figlia di Priamo, fu a tradimento ucciso. Intorno
al
cadavere suo sì combattè a lungo e con accaniment
aspirava con ragionevole presunzione, ma vi aspirava anche Ulisse che
al
valore guerresco univa altri pregi di abilità e d
ti venuti dal mare s’ avventarono contro lui e avvinghiandosi attorno
al
suo corpo e a quello de’ ragazzi li soffocarono t
one, o, secondo altre leggende, da Elena, se ne tornò silenziosamente
al
lido di Troia; i soldati sbarcarono e mossero ver
lla stirpe dei Pelopidi. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra,
al
tempo della spaventosa catastrofe era stato da un
questi dalla spelonca confusi colle pecore, ed egli avviticchiandosi
al
vello d’ un ariete di sotto il ventre. Il Ciclope
nell’ isola. Ulisse avendo mandato metà della sua gente con Euriloco
al
palazzo della maga, non li vide tornare perchè er
a. g) Seguendo questo consiglio s’ avvia Ulisse ad occidente e giunge
al
paese dei Cimmerii. Ivi offerti i dovuti sacrific
egli stesso si fe’ legare all’ albero maestro e così sfuggiron tutti
al
pericolo. Men liscia la passarono nello stretto s
icilia?), dove sbarcò veramente a malincuore e solo per condiscendere
al
desiderio dei compagni. Pareva presentisse il per
incontra Nausica, figlia di Alcinoo re dei Feaci; la quale lo conduce
al
palazzo e lo raccomanda al padre. Ulisse ebbe ami
Alcinoo re dei Feaci; la quale lo conduce al palazzo e lo raccomanda
al
padre. Ulisse ebbe amichevole accoglienza; si ist
mata, la moglie di Latino, avrebbe preferito sposare la sua figliuola
al
potente Turno re dei Rutuli, e indusse costui a m
la leggenda di Enea, ma poi si innalzò com’ aquila sovra tutti, poco
al
disotto di Omero stesso rimanendo, il gran poeta
levato su di terra dalle violente strette del rettile che lo comprime
al
destro fianco del padre, gli attorce le parti sup
l’ altro serpente gli arronciglia il braccio destro, ma non così che
al
giovine non sembri ancor possibile di sfuggire a
e inceppato, egli mostrasi spaventato non per sè ma per il padre suo,
al
quale si volge con pietà e sgomento. E il padre n
tra comprime il collo del serpe che gli si avventa con rabbioso morso
al
fianco; sotto quel morso il corpo si incurva, si
, eppur senza difesa. Reclinando il capo, l’ infelice volge la faccia
al
cielo; le chiome scomposte, contratti i muscoli,
i può aggiungere l’ osservazione che la testa di Laocoonte così volta
al
cielo in atto di dolorosa rassegnazione, sì che p
favolosa, dicendolo nato nei primordi di Tebe e facendolo ancora vivo
al
tempo della distruzione della città per opera deg
a della facoltà di vaticinar l’ avvenire. Fatta prigioniera di guerra
al
momento della distruzione di Tebe, fu portata a D
nato in terra, andò errante per le montagne della Tracia a dare sfogo
al
suo dolore, e gli avvenne poi di perire miseramen
padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è
al
presente; per me si disposa la poesia al suon del
uel che è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia
al
suon della lira… La medicina è un mio trovato, e
di Cinto (monte dell’ isola de Delo ove Apollo nacque); lodate Latona
al
sommo Giove caramente delitta. » 10. I, 342 e se
in comune risuonan gli squilli di esse trombe, e attaccati i cavalli
al
carro seguo io gli accampamenti di lui. » 11. «
carro seguo io gli accampamenti di lui. » 11. « Già Venere Citerea
al
lume della luna dirige le danze, e le belle Grazi
l’ ultima spira va crescendo in larghezza. Questa non appena in mezzo
al
mare è stata ripiena d’ aria, fa risonare i lidi
Carm. I. 16, 13: « Dicesi che Prometeo fosse costretto ad aggiungere
al
limo, che era la materia principale, particelle d
materia principale, particelle di sostanze prese da ogni parte, e che
al
nostro petto apponesse la violenza di furioso leo
no le Maggiori Divinità, e delle Minori pure per mezzo di Annotazioni
al
fine di ogni Capo, onde non interrompere il filo
imo oggetto è quello di costituire lo spirito virtuoso ; la Mitologia
al
certo, facendoci ammirare quanto di bello la Grec
re di tributare alle più vili creature quel culto, che soltanto dovea
al
Creatore. Pare, che gli Astri sieno stati il prim
o Aggiunti. V’erano pure appresso di loro gli Dei Novensili, e questi
al
dire di Varrone erano quelli, che da’ Sabini si t
dato agli stessi il noms di Dei Novensili(e). Saturno. Saturno
al
dire di Platone(a) era figlio di Oceano e di Teti
Urano erano stati rinchiusi nel Tattaro(6), ne facesse pagare il fio
al
loro snaturato genitore. Saturno lo fece perire.
erò asserisce ch’egli ciò faceva, perchè da Urano e da Titea riguardo
al
suo Destino(8) aveva udito, che uno de’ proprj fi
ua madre, artifiziosamente nol avesse serbato in vita. Colei presentò
al
marito una gran pietra ; egli la credette il nato
a di vivere, e di coltivare le campagne. Giano in ricambio lo associò
al
suo regno : e per indicare ciò, volle che in una
Eravi un’ Ara antichissima, a Saturno eretta nella via, che conduceva
al
Campidoglio. Al dire di Festo correva fama, che l
alla rapidità, con cui trascorre il tempo ; la falce indica il fine,
al
quale ogni cosa si riduce dal medesimo(b). Plutar
infausto presagio, nè si poteva riaccenderlo che con ispecchi opposti
al
Sole(i). Esso però si rinovava ogni anno alle Cal
cui Iside avea commesso di serbarla in vita, destramente fece credere
al
marito di aver partorito un bambino. Ligdo lo chi
ente prese Giante in isposa(a) (13). Tra i molti, che si consecrarono
al
sacerdozio di Cibele, sono pur celebri i Galli, e
furono detti Galli, perchè prima di sacrificare alla loro Dea beveano
al
fiume Gallo. Divenivano allora furibondì per modo
ni e altri musicali stromenti orribilmente urlavano : lo che avveniva
al
tempo delle loro Feste. Eglino vestivano alla fog
l loro capo si chiamava Archigallo. Questi cingeva in capo una mitra,
al
collo una gran collana, che gli discendeva sino a
in capo una mitra, al collo una gran collana, che gli discendeva sino
al
petto, e da cui pendevano due busti di Ati(a). Er
di Cibele era il portare per la città un pino, e riporlo poi dinanzi
al
di lei tempio. Questa ceremonia si appellava Dend
ppena nato fu affidato alla loro cura(b) : e quindi dicesi ch’ eglino
al
suono di certi scudi di bronzo solevano aggiunger
e di Amata, la quale era stata la prima Vestale(e). Addette una volta
al
servigio di Vesta, doveano rimanorvi trenta anni,
olla morte chi le insultava ; se a caso incotravano un reo condannato
al
supplizio, potevano liberarnelo ; ne’pubblici spe
te Claudia, una delle Vestali, vi riuscì : ella atuccò la sua cintura
al
vascello, e questo senza reistenza riprese tosto
a Frigia, e dette Megalesie, le quali consistevano in giuochi dinanzi
al
tempio della stessa Dea(c). Vi s’introdusse inolt
Dea. Cessava allora ogni lutto e ceremonia funebre. Ciascuno innanzi
al
simulacro di Cibele faceva pompa di ciò che aveva
atto di sua figlia. Queste Feste ebbero principio nell’ Attica vicino
al
pozzo, detto Callicoro, ossia bella danza, da’ ba
. Il Floriferto era una Festa, in cui i Romani portavano delle spighe
al
tempio di Cerere (d). Le Tesmoforie furono così d
ta Tesmofora (e), ossia Legislatrice, attese le leggi, ch’ ella dettò
al
genete umano. Queste Feste per quattro giorni si
vano ogni quattro anni nella campagna d’Olimpia, città d’Elea, vicino
al
fiume Alfeo (f). Niente si sa di certo intorno al
ntegrità ; puce conveniva talvolta ricorreré contro le loro decisioni
al
Senato d’Olimpia, giudice supremo de’ Giuochi (a)
Sopatro, vide mangiarsi da un bue una focaccia, ch’ egli avea offerto
al
suo Nume. Sdegnato lo uccise. Ciò era delitto per
to l’entrare in qualsivoglia Magistratura, affinchè sempre attendesse
al
culto del suo Nume. Non poteva nè andare a cavall
esaudita la preghiera ; e Romolo alle falde del monte Palatino eresse
al
Nume un tempio col titolo di Giove Statore (c). L
e Flaminio, marciando contro Annibale, cadde col suo cavallo dinnauzi
al
simulacro di Giove Statore. I di lui soldati ebbe
o per un avviso del Nume, ondo Haminio si arrestasse, nè si esponesse
al
combattimento. Egli tuttavia volle farlo, e vi ri
poter esservi cosa più preziosa della vita dell’ uomo, diede un addio
al
padre, a Timotea, sua moglie, e si precipitò a ca
ina, detta l’ Acqua del Sole. Questa era gelida sul meriggio, e calda
al
rinascere e tramontare del Sole. Ad essa niuno os
a niuno osava d’avvicinarsi fuorchè il sacro ministero (c). Nel mezzo
al
predetto tempio v’avea il simulacro di Giove, fon
mosche, offerse, il sacrifizio a Giove, e quelle tosto si ritiraro no
al
di là del fiume Alfeo (b) (16). E’stato detto Plu
i trionfatori, dopochè avcano sacrificato, davano un lauto banchetio
al
Senato. Alcuni poi pretendono, che lo dessero nel
I Generali pure d’armata vi porgevano i loro voti prima di andarsene
al
campo. Anche il Senato vi si radunava pertrattare
farlo (e). Il medesimo tempio tre volte rimase abbruciato : la prima
al
tempo della guerra civile tra Mario e Silla, la s
tina, Epulae, vivande (g), perchè eglino mangiavano i cibi, imbanditi
al
tempo di tale solennità agli Dei (a). Eglino eran
pose tutte le ossa in quelle dell’altro, e presentò amendue le pelli
al
Nume, affinchè si scegliesse quella, che più gli
allora coll’ajuto di Minerva ascese in Cielo ; e, appressata una face
al
carro del Sole, ne portò un’ altra volta il fuoco
che aveva formati (e). Giove, offeso di questo nuovo insulto, commise
al
Dio Vulcano, ch’ei pure formasse una donna, a cui
l regio scettro (c), ovvero con una Vittoria nella sinistra. Appresso
al
di lui soglio siede Eunomia, e vi sta osservando
fidasse la custodia del suo fulmine, e gli permettesse di avvicinarsi
al
di lui trono, quando voleva (e) (41). Si può con
ne di Giove le portò via. Giove stesso allora, dopo d’avere conferita
al
predetto uccello l’immortalità, lo trasferì in Ci
Bacco. Quegli però, di cui favellano tutti i Poeti Greci e Latini, e
al
quale le gesta di tutti gli altri si attribuiscon
bo, e di Bimatre. Fu detto Ditirambo, perchè essendo due volte venuto
al
mondo, di questo per così dire ne avea passato du
donde prese poi il nome di Dionisio, per alludere nello stesso tempo
al
padre suo, che nel Greco Idioma si chiama Dios (c
minazione gli si celebravano in Roma le Feste, dette perciò Liberali,
al
tempo delle quali si mangiava in pubblico, e cias
Eleleo (a) o Iacco(b) (5) o Bromio (c), dallo strepito, che si faceva
al
tempo delle di lui solennità, ovvero da quello, c
vino, una cesta di fichi, e il sacrifizio di un Irco, animale odioso
al
Nume, perchè esso sue le devastare le vigne (b).
acchiudevano le primizie di tutte le frutta, le quali si consecravano
al
Nume(b). La statua di Bacco era collocata sulla T
er un Territorio limitrofo. Santio, re de’ Beozj, propose di dar fine
al
contrasto con un particolare com-battimento. Time
alle mani, Melanto tacciò Santio di aver violati i patti, avendo egli
al
suo fianco un altro guerriero, coperto con nera p
ellenj, popoli d’Acaja. Si andava allora di notte con fiaccole accese
al
tempio di Bacco. In tutti i borghi della città si
lla, e si trovavano i vasi pieni di vino(b). I Contadini dell’ Attica
al
tempo delle vendemmie sacrificavano a Bacco un ir
a per la veste, la condusse, ove Icario era stato gettato. La figlia,
al
vederlo, pel dolore s’appiccò(15). Mera del pari
sia andato soggetto allo stesso maltrattamento(b). Penteo poi si recò
al
Citerone, monte, ove le Tebane celebravano le Fes
ondersi ; ma in vano tentarono di sottrarsi alla pena, che sovrastava
al
loro delitto, poichè in un istante si videro cang
a, ossia adulta ; il terzo a Giunone Xera, ossia vedova, per alludere
al
tempo ; in cui ella stette lontana dal suo marito
invaghitosi della bellezza di questa Dea, e volendo ridorla sensibile
al
suo amore, rendette l’aria estremamente fredda, e
artorire se non bambini morti. Lamia così se ne afflisse che perdette
al
fine la sua primiera avvenenza, e tanto divenne f
n senza qualche disegno. Scese pertanto la Dea dall’ Olimpo, s’ avviò
al
bosco, e ne sgombrò la caligine. Ma Giove ; il qu
Arestore, detto da’ Greci Panopte, ossia tutte occhi, perchè intorno
al
câpo ne avea cento ; una parte de’ quali sempre v
ll’ importuno custode. Calò Mercurio. da Cielo in abito di pastore, e
al
suono di rusticale sampogna addormentò tutti gli
. Colla pelle di questa vittima furono sferzate quelle donne, ed esse
al
decimo mese ebbero un pronto e felice parto. Dice
i sottomettessero a’colpi di sferza, che i Sacerdoti del Dio Pane(15)
al
tempo de’ Lupercali(16) davano a tutti coloro, ch
. Sotto il nome di Unsia presiedeva all’ unzione, che faceva la sposa
al
pilastro della porta dello sposo nell’ entrarvi(a
chiamò Giuga, o come Greci la dicevano Zigia, (b), perchè era preside
al
giogo, sotto cui si univano gli sposi. Elle sotto
le vergini, distinte in varie classi secondo l’età, e si esercitavano
al
corso, cominciando dalla minore. Tutte usavano la
e si solennizzava in Pellene con giuochi, ne’ quali davasi per premio
al
vincitore una veste preziosa (a). Finalmente Giun
e Giunone, come ne intese la nuova, corse tosto a Platea, si avvicinò
al
carro, e prese a stracciare le vesti della suppos
ittime a proporzione delle sue facoltà. Finalmente si appiccava fuoco
al
Rogo, e questo ardeva, finchè tutte le prodette s
i sommità ella aveva un tempio (b) (22). Non si va d’accordo riguardo
al
culto che le si rendeva Orazio dice, ch’ el la ve
acina, lavandosi il volto e le mani nella fontana sacra, che scorreva
al
lato del di lei tempio (c). Virgilio racconta, ch
tempio appresso il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì
al
nome, che al tempio di Moneta. I, Romani, dio’ eg
so il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì al nome, che
al
tempio di Moneta. I, Romani, dio’ egli, mauravano
atore de’ Fidenatì, il quale, accampatosi alle porte di Roma, ricercò
al
Senato le madri di famiglia, e Ie figlie loro. Un
uno scudo(a). Fu detta Tropea, perchè presiedeva a’ trionfi, e perchè
al
tempo di quelli le si offerivano dei sacrifizj (b
ella piazza di Roma, ove le predette giovani ballarono, continuò sino
al
tempio di Giunone. Le vittime furono scannate da’
sse presieduto alla costruzione di questa città, e che la proteggesse
al
pari dell’Isola di Samo. Avea ivi un tempio magni
ome vedemmo, da Giove, fu stabilita da Giunone ad attaccare i cavalli
al
suo carro (d). L’Eresidi poi servivano la Dea, qu
lisj un pioppo, cui diede il nome di quella Ninfa(b). Quindi Omero dà
al
pioppo il soprannome di pianta Acherusia, ossia i
i(g) (25) (26). Questi si denominarono anche Giuochi Secolari, perchè
al
termine d’ ogni secolo si solennizzavano(h). Altr
Apollo avea conseguito in matrimonio(6), si trovò, che per prolungare
al
marito la vita, sacrificasse genetosamente la sua
il giovane Giacinto, figlio di Amicla Volle un dì divertirsì seco lui
al
gioco del disco ; ed essendo questo ricaduto con
moti convulsivi. Aggiunge, che gli abitanti de’luoghi vicini, accorsi
al
prodigio, esperimentarono lo stesso effetto, ch’e
i popoli tuttavia si recavano a consultarlo. Niuno però si presentava
al
Nume per interrogarlo, senzachè fosse coronato il
’loro padroni. Cori di giovanetti suonavano la lira, o cantavano inni
al
suono di flauto a Giacinto. Altri danzavano, o a
e degli archi de’loro nemici. Altri finalmente danno un’altra origine
al
predetto tempio. Apollo, dicono, aveva nella citt
crobio dice, che la voce didimo significa doppio, e che fu attribuita
al
Nume, considerato come il Sole, perchè questo ill
lupo prese pellembo della veste un sacerdote d’ Apollo ; lo condusse
al
luogo, ove stava riposto il furto ; e collo zampe
bronzo in premio a’ vincitori. Ma questi tripodi si consecravano poi
al
Nume, nè era lecito portarli a casa(c). Fu detto
sero con tutta venerazione, fabbricarono nelto stesso luogo un tempio
al
Nume, e lo denominarono Epidelio, ossia venuto da
pparire delle Plejadi. Per testificare sempre più la loro venerazione
al
Nume, gli spedivano ogni anno in Delo le primizie
rami d’ ulivo, e cantavano un inno, detto Dafneforico. Così si andava
al
tempio d’ Apollo Ismenio o Galasio. L’origine di
lo avrebbe raggiunto, quand’ anche il corso di lui fosse stato rapido
al
par di quello del Sole(c). Il Sole arse d’amore p
guagliarlo nell’ arte di suonare la tibia, stromento da fiato, simile
al
nostro flauto(42). Osò di provocare Apollo a conf
re d’ Apollo o di Diana, Niobe andava sgridando quelle donne riguardo
al
culto, che rendevano a Latona ; e tentava di pers
que’ maschi, nominato Anfione(b) (44). Niobe poi, non potendo reggere
al
dolore, che sofferiva per la perdita de’ figli, f
gli diede la morte(b). Pane in presenza di certe Ninfe soleva cantare
al
suono della zampogna. Egli, benchè ineguale di fo
sse un tempio ad Apollo, ed ivi fissasse la sua dimora. Giunto Corebo
al
monte Geranieno nella Megaride, il tripode gli ca
giuoco scoccato uno strale, mortalmente lo ferì. Nel vederlo ridotto
al
fine della sua vita ne dimostrò estremo dolore, e
di Elira, città situara sopra una delle montagne di Creta, spedirono
al
tempio d’Apollo in Delfo una capra di bronzo, che
colo per avvicinarsi alla fonte. Il Nume, per punirlo d’aver aggiunto
al
delitto la menzogna, lo condannò a sofferire la s
o di Giove e di Latona. Fu detta Ecate, o perchè riteneva cento anni
al
di là del fiume Stige chi dopo morte era rimasto
o di Giapeto, perchè costui sul monte Foloe avea tentato d’ insultare
al
di lei pudore (d). Fece altresì esperimentare gli
a di Cea, nel mare Egeo, fornito di singolare avvenenza, erasi recato
al
tempio di Diana in Delo per vedere le Feste di qu
ell’ Erimanto, e le apparve il Dio del fiume, chiamato Alfeo. Aretosa
al
vederlo fuggì, e il Nume non cessò d’inseguirla.
o imitarne la verginità, solevano portare in canestri certi sacrifizj
al
tempio di Diana, e divenute gravide, nè potendo p
e, e restarono sospese a’ rami di quella (b). Elleno perciò ogni anno
al
tempo della raccolta delle noci onoravano Diana c
ro a Diana, e ove ogni anno le celebravano Feste, chiamate Triclarie,
al
tempo delle quali le venivano offerti in sacrifiz
Sotto l’ultimo de’ predetti nomi avea un tempio, nel quale le nutrici
al
tempo di certe Feste, dette Titenidie, portavano
ume intredotto da Servio Tullo, sesto re de’ Romani, si portava anche
al
medesimo tempio una moneta per chiunque moriva, e
e poi dicevano, che lo avea fatto Libitina (b). Anche i Stratonicesi
al
dire di Strabone (c) solennizzavano con grande co
(14). Le Numenie o Neomenie vennero così dette, perchè si celebravano
al
principio di tutti i mesilunari. Gli Ateniesi all
do. V’ andò egli. Il re Servio, avvertito del vaticinio, lo manifestò
al
Pontefice. Questi, per deludere il Sabino, gli fe
evasi anche a’sacerdoti del medesimo. Quindi si sa, che Catone offerì
al
Re Tolommeo la gran Sacerdotessa di quello, ond’e
di nome Pafo, di cui abbiamo testè fatta menzione(a). Ritornando poi
al
predetto tempio di Venere in Cipro, dicesi che in
tempio sotto l’anzidetto nome. Plinio dice, che quel Dittatore spedì
al
medesimo tempio quantità di pietre preziose(a). E
tò in un naviglio, che da se si mise in viaggio. I venti la portarono
al
luogo stesso, ove l’amante di lei erasi ritirato
quella, ch’era la donna la più pudica di Roma(f). Venere Verticordia
al
tempo di Marcello ebbe anche un tempio fuori dell
Otacilio Crasso, consecrava quello, che Otacilio pretore avea eretto
al
Buon-Senso dopo la guerra Cartaginese(b) (6). Ven
dev’essere inviolabile(e). La denominarono Ponzia, perchè presiedeva
al
mare, che da’ Greci e Latini dicesi Ponto. Sotto
il quale venne raccolto dalle Najadi, e nominato Adone. Quelle Ninfe,
al
dire di questi ultimi Scrittori, ebbero cura di l
erezza per lui ; che Giove per non dispiacere alle due Dee, le rimise
al
giudizio della Ninfa Calliope ; e che questa deci
presero la forma d’Isola. I Rodiani, accellenti navigatori, accorsero
al
rumore, che andava facendo quell’Isola nello stab
bilitore (c). Con tale titolo ebbe altri tempj nella Grecia(d), e uno
al
Capo di Tenaro, nella Laconia, sull’ingresso dell
fu detto Ippio, ossia Equestre, dalla corsa de’cavalli, che si faceva
al
tempo de’Giuochi Circensi, ma anche perchè trovò
er giudice, decise, che il Promontorio di Corinto dovesse appartenere
al
Sole, e a Nettuno l’Istmo(d). Tesco quindi instit
coronato ; l’altra nel ginnasio, dov’erasi esercitato prima d’esporsi
al
pubblico certame ; e la terza in patria da’suoi c
si aveva per buon augurio, perchè credevasi, che quella voce piacesse
al
Nume, soprannominato Eliconio da Elice, città del
va alcun viaggio marittimo, se prima non si faceva qualche sacrifizio
al
Nume(16). I Romani gli avevano consecrato tutto i
el Campidoglio aveva un tempio, e nel Circo Flaminio un’ara, la quale
al
dire di Tito Livio grondava di sudore. E’pur famo
Tenaro, fratello di Geresto, e figlio di Giove, che diede il suo nome
al
predetto Promontorio(c). A Nettuno era eziandio d
. A Nettuno era eziandio dedicata la piccola isola, situata in faccia
al
porto di Trezene, e detta Calavria da Calavro, fi
ettro il tridente, ch’è una forca a tre denti, regalatagli da’Ciclopi
al
tempo della guerra contro i Titani(c). Il suo car
Corinto un tempio, ov’era adorata in memoria del freno, ch’ella mise
al
cavallo Pegaso, quando Bellerofonte volle servirs
li(a) ; ovvero perchè fu la prima, che insegnò ad attaccare i cavalli
al
carro(b). Fu appellate Lafira dalla voce greca la
cui ella favoriva(c). Insorta contesa tra Nettuno e Minerva riguardo
al
Territorio di Trezene, Giove propose, che tutte l
della più remota antichità, e fabbricato sopra una rupe. Vi si vedeva
al
tempo di Strabone(e) una lampada inestinguibile,
un edifizio, opera d’Ittino, ove soggiornavano le vergini, consecrate
al
culto della Dea. La statua di Minerva era d’avori
egali, e trattavano a convito le loro serve, come facevano gli uomini
al
tempo delle Saturnali(c). Narrasi inoltre, che gl
collo scudo imbracciato, con una Civetta sopra di quello, coll’Egide
al
petto, e coll’asta alla mano. Omero ce la dà a di
erato da Marte. Que’ d’ Arcadia inalzarono sul monte Cresio un tempio
al
Nume ; e i Greci lo chiamarono Afneo dalla voce a
regali da’ loro mariti, come a questi si davano i medesimi da quelle
al
tempo delle Feste Saturnali. Le donne inoltre tra
alle. Alcuni gli danno un bastone da comando in mano, e gli addattano
al
petto l’Egide (e). Sofocle ed altri gli pongono a
nzo, e vi piantò una fucina, nella quale vi lavorava solo(I). Vulcano
al
dire d’ Inacio sposò Aglaia ; comunemente però cr
co, perchè i Re d’ Egitto erano andati a gara per abbellirlo. Innanzi
al
portico del medesimo v’avea la statua del Nume, a
Vulcano ebbe molti tempj anche in Roma. Se ne ricorda uno, fabbricato
al
tempo di Romolo, e di Tazio. Questo era fuori del
rano i custodi de’ tempj di Vulcano(b). Eliano riferisce, che intorno
al
tempio, eretto a Vulcano sul monte Etna, v’erano
l. 8. (e). Arnob. l. 3. adv. Gent. (a). In Timao. (1). Il Caos
al
dire di Esiodo(a) fu il principio di tutte le cos
to la figura di uomo e di bue, perchè il loro strepito si rassomiglia
al
muggito di tal animale(f). Gli Antichi monumenti
e(e). Eurìpide vuole, che il loro padre sia stato Polifemo(f). Questi
al
dire d’Omero nacque dalla Ninfa Toosa e da Nettun
l futuro ; ovvero secondo Plutarco perchè aveva dato un altro aspetto
al
suo regno, introducendo una vita civile tra que’
ianuali. Tutta Roma allora mostravasi in grande allegrezza ; scannava
al
Nume giovenchi bianchi, non mai sottoposti al gio
e allegrezza ; scannava al Nume giovenchi bianchi, non mai sottoposti
al
giogo ; gli offeriva datteri, fichi, e mele ; sul
risguardava preside alle quattro porte del Cielo, cioè all’ Oriente,
al
Ponente, al Settentrione, e al Mezzodì(e) ; l’alt
preside alle quattro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente,
al
Settentrione, e al Mezzodì(e) ; l’altro, perchè e
ro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente, al Settentrione, e
al
Mezzodì(e) ; l’altro, perchè egli dipingevasi con
. I nostri sono gente libera, che spontaneamente prestano servigio, e
al
quale possono a loro talento rinunziare ; quelli
ssono a loro talento rinunziare ; quelli all’opposto erano sottoposti
al
dominio del loro padrone quasi non altrimenti che
asa, e avea la cura, che fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva
al
convito. Le tazze, in cui beveano, erano coronate
n una rozza verga di legno, detta da’ Latini rudis (b), e dalla quale
al
Gladiatore, che la conseguiva, derivava il nome d
2. (c). Nat. Com. Myth. l. 2. (20). Fuvi un’altra Divinità preside
al
tempo, chiamata Cero da’ Greci, e dagl’ Italiani
da’ Greci, e dagl’ Italiani Occasione. Questa però non presiedeva che
al
tempo il più conveniente a fare qualche cosa. Rap
n atto di volgersi con somma rapidità in giro, con moltissimi capelli
al
dinanzi della testa, e calva al di dietto(d). Que
idità in giro, con moltissimi capelli al dinanzi della testa, e calva
al
di dietto(d). Que’ d’ Eleusi le consecrarono un t
e legna stesse, che si accendevano sull’altare, dovevano essere sacre
al
Nume. Quando poi la vittima non si lasciava tutta
ni si denominavano Idolotiti(c). Avvertasi che niuno poteva assistete
al
Sacrifizio, se prima non erasi purificato dal Sac
ra quà e là andassero vagando nelle regioni celesti, ora si recassero
al
soggiorno de’ morti per osservare ciò che ivi si
bbe principio l’Astrologia, cioè la scienza intorno alla cognizione e
al
movimento degli Astri(b). La Divinazione si accre
a venerazione. Cecilio Metello per sottrarlo alle fiamme, appiccatesi
al
tempio di Vesta, ov’ erasi riposto sotto la custo
nel regno degli Argivi. Adiratosi co’ suoi sudditi, rinunziò il trono
al
fratello Egialeo, e si trasferì in Egitto. Insegn
lo piangevano inconsolabilmente, finchè ne trovavano un altro simile
al
primo. Cangiavasi allora la tristezza in somma es
un crivello, e supplicò Vesta di poter attingete con esso dell’ acqua
al
Tevere, e portarla nel di li tempio. Così fu ; e
Sueton. in Caesare. (c). Plutare. in Numa (20). Le Feste Argee
al
dire di Festo si celebravano col gettarsi dalle V
a di nome Sambete(f). Pausania narra che gli Ebrei, i quali abitavano
al
di sopra della Palestina, la denominavano Saba, e
di cui parleremo. Fu sopranuominata Delfica, perchè venne consecrata
al
tempio di Apollo in Delfo. Sebbene desse risposte
anelli di sabbia racchiudeva nella mano, ma non avvertì di ricercarne
al
tempo stesso permanente la freschezza della sua g
mmin(c). E quì si noti, che i boschi furono i primi luoghi, destinati
al
culto delle Divinità(d), perchè credevasi, che il
C. Curione, per riparare alla perdita di que’ fatidici Libri, propose
al
Senato di spedire ambasciatori in Eritrea per far
si da Bacco(f) ; e Ovidio pretende, che li abbia fatti perire Driante
al
tempo delle nozze di Piritoo(a), dell quali parle
uto quello, il quale avesse potuto vincerla nella corsa, soggiungendo
al
tempo stesso che la morte sarebbe stata il castig
di farne l’acquisto, uscì di via per raccorlo, e diede tempo intanto
al
giovine di oltrepassarla. Atalanta, rinforzata la
ce delle sementi sotto terra (a). Quando poi le stesse ne comparivano
al
di sopra, ella era invocata sotto il nome di Sege
(m) a’ nodi delle spighe ; Latturno, o Latturcia (n), o Lattucina (o)
al
latte delle medesime ; Matura alla loro maturazio
o instituite da Numa Pompilio (t). Al tempo delle stesse si offrivano
al
predetto Dio vino, incenso, e le interiora una pe
esse (b). Rusina, o Rurina custodiva le campagne (c). Puta presiedeva
al
taglio de’ prodotti (d) ; Terense, uando si batte
). Non si va d’accordo riguardo all’origine di Trittolemo. Gli Argivi
al
dira di Pausania (n) lo fanno figliuolo di Trochi
’ Misterj consisteva nell’essere ammessi per mezzo di certe ceremonie
al
conoscimento di alcune arcane cose, appartenenti
hi più vi resisteva, n’era premiato (e). Sì la Lotta, che il Pugilato
al
dire di alcuni (f) venivano indicati dal solo nom
ne dice, che Giunone sdegnata, perchè Giove, come vedremo, avea posta
al
mondo Minerva senza il mezzo di una donna, pregò
tro nella Corsa(c). Arrachione era stato già altre due volte coronato
al
tempo della quarta Olimpiade in tali Giuochi, qua
Così avvenne ; e a Fidola si permise innoltre d’innalzare una statua
al
suo cavallo(d). Polifite, e Callitele, suo padre,
n. l. 2. (e). Id. Ibid. (13). Da principio gli Oracoli di Dodona
al
dire di Strabone erano manifestati da uomini(a),
i delle Sibille, col chiuderle in un’urna, e coll’adattare l’estratte
al
senso de’proprj desiderj ; ovvero coll’aprire a c
(d). Il giuramento appresso i Greci era accompagnato da un sacrifizio
al
Nume, per cui si giurava. Vi si facevano pure del
rre una grave pestilenza. Ne’Giuochi Olimpici tostochè si sacrificava
al
. Dio Miode, si vedeva uscire dal Territorio una n
(e). Quegli, che n’era il vincitore, veniva condotto con molta pompa
al
tempio, e coronavasi di mirto. Narrasi, che un ce
orso, e meritato il premio, se ne andarono colla corona e colla palma
al
Campidoglio. In memoria del qual fatto la Porta,
tra gli uomini le usurpazioni. Il predetto Re, dopo aver distribuito
al
popolo le terre, inalzo sul monte Tarpeo un picco
inità, e ne prescrisse le ceremonie. Le Feste furono dette Terminali,
al
tempo delle quali s’inghirlandavano i confini del
li, come abbiamo osservato, sotto la figura di una pietra. (23). Ebe
al
dire di Apollodoro fu figlia di Giove e di Giunon
fizio, cadde in terra in un modo. indecente. Il Nume non la volle più
al
suo servigio (f). Omero pretende ch’ella abbia se
gava, che il vento prestamente consumasse il tutto. Frattanto dinanzi
al
Rogo si battevano i Gladiatori (a), detti Bustuar
urificarli. Ognuno de’medesimi in atto di partire dava l’ultimo addio
al
morto, e augurava alle ossa di lui la terra lieve
tina, Epulae, vivande (g), perchè eglino mangiavano i cibi, imbanditi
al
tempo di tale solennità agli Dei (a). Eglino eran
Liceo (c). Altri soggiungono, che il predetto Re era religioso e caro
al
suo popolo, a cui insegnò a condurre una vita men
ù antica di tutta la Grecia ; e che v’inalzò un altare a Giove Liceo,
al
quale egli il primo sacrificò delle vittime umane
sicurarsene, nel momento, in cui egli stava per offrire un sacrifizio
al
Nume, mescolarono tralle carni delle vittime anch
vertiti di schivare dall’incontrarsi in Melampigo, ossia in colui che
al
di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abbatt
li si estingueva, primachè fosse giunto alla meta, egli dovea cederla
al
secondo : e questi per la stessa ragione al teizo
meta, egli dovea cederla al secondo : e questi per la stessa ragione
al
teizo. Quegli, che giungeva al termine del corso,
condo : e questi per la stessa ragione al teizo. Quegli, che giungeva
al
termine del corso, senzachè di si fosse mai smorz
far male, e a turbare l’animo degli uomini. Divenuta in abborrimento
al
Cielo e alla terra, Giove la prese pe’capelli, la
soprannominati Dioscori, perchè nacquero da Giove (c). La loro madre
al
dire dello stesso Cicerone fu Proserpina (d). Fer
. 6. (41). La moglie di Perifa, non potendo sopravvivere pel dolore
al
marito, pregò Giove di cangiare lei pure in uccel
stagione appariscono(g). Tralle Plejadi Merope è la stella, la quale
al
dire de’Poeti si lascia vedere meno delle altre p
arivano fra gli uomini(a). Pomponio Mela lasciò scritto esservi state
al
di là del monte Atlante certe Isole, nelle quali
tti da Fauno, figliuolo di Pico, re de’ Latini in Italia. Egli viveva
al
tempo, in cui Pandione regnava in Atene(f). Inseg
ex. Univ. (9). I Sileni, detti da’ Greci Titiri, forse per alludere
al
loro genio pel flauto, denominato in lingua parim
a Sileno, perchè alcuni Frigj lo aveano avvinto di corone, e condotto
al
loro Re, Mida. Questi al vederlo estremamente gio
rigj lo aveano avvinto di corone, e condotto al loro Re, Mida. Questi
al
vederlo estremamente gioì, e fece palese il suo g
. Così avvenne ; ma quando lo stolto Sovrano credette d’essere giunto
al
colmo della felicità, ben s’avvide ch’erasiridott
neva qualche ornamento. Alcune ve n’erano con una o due palle in cima
al
coperchio. Altre si vedevano co’manichi, onde fos
nzione di una Cesta, adorna di corone. Alcune finalmente erano dorate
al
di fuori. Coloro, che le portavano, si chiamavano
cob. Hofman. Lex. Univ. (l). Furet. Diction. Univ. (14). Intorno
al
tirso furono alcune volte veduti anche dei serpen
ltresì adorno di vitte e nastrì (c). I Poeti finalmente attribuiscono
al
tirso una mirabile virtù : bastava, dicono essi,
in campagna alle radici dì un bianco Gelso, presso una fonte, vicina
al
sepolcro di Nino. Circa l’ora appuntata Tisbe imp
nte uscì la prima di casa poco prima della mezza notte, e s’incamminò
al
luogo divisato, coperta di bianco velo. Al chiaro
sbe ansiosa di raccontare a Piramo lo schivato pericolo Gelò d’orrore
al
vederlo agonizzante ; e data un’occhiata al lacer
to pericolo Gelò d’orrore al vederlo agonizzante ; e data un’occhiata
al
lacero velo, e un’altra alla spada, argomentò il
’ Io. Il giovane, non avendo potuto trovarla, non osò di ritornarsene
al
suo paese, e si ritirò appresso il re Ebialo, che
si dissetava a quelle acque, contraeva subito grandissima avversione
al
vino (d). Melampode liberò pure dalla predetta ma
e re de’ Traci, ebbe in moglie Progne, perchè avea prestato soccorso
al
di lei padre, Pandione II, re d’Atene, e aveagli
egina, corse furiosa con varie Sacerdotesse di quel Nume ; e arrivata
al
luogo, ove Filomela languiva, la vestì a somiglia
qualche tempo immobile a cotal vista, ma finalmente sciolse il freno
al
furore ; e colla spada inseguì le barbare infanti
el tempio di Giove Liceo (m). Omero soggiunge, che la di lui nutrice,
al
vederlo, rimase talmente spaventata, che prese la
ume, perchè si credeva, ch’egli se ne stesse spesso ne’ luoghi vicini
al
maro (e). (16). Le Feste Lupercali, dette da’ Gr
pelonca, situata sotto il monte Palatino (a). Sopra il medesimo monte
al
tempo delle Lupercali i pastori immolavano delle
rono, e ricuperarono il loro gregge (c). Vuolsi, che Romolo offerisse
al
tempo di tali Solennità anche un sacrifizio di ca
mpo di tali Solennità anche un sacrifizio di cani, come animali grati
al
Dio Pane, perchè sogliono guardare i greggi da’ l
al Dio Pane, perchè sogliono guardare i greggi da’ lupi. Riguardo poi
al
sacrifizio della capra, narrasi, che a questa col
i un cetto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare,
al
di cui tempo le anzidette Feste non erano più in
pegno vieppiù i loro cuori si unissero insieme (i). Plinio dice, che
al
suo tempo tale anello era di ferro, e senza gemma
a chiudevano la stanza degli Sposi, ed altre vergini amiche, standone
al
di fuori, cantavano un tessuto di certi versi, ch
ine dal numero sì delle vittime, che di quelli, i quali intervenivano
al
sacrifizio (a). (a). Potter. Archacol. Graec. l
omo. Consevio ne proteggeva la generazione (h) ; Vitunno dava la vita
al
feto (i) ; Nascione ne attendeva alla nascita (l)
tempio in Ardea, città del Lazio (a) ; Alemona, o Alimona presiedeva
al
nutrimento, finchè il feto compativa alla luce (b
presiedeva a’ vagiti del bambino (i) ; Rumilia (l), o Rumia, o Rumina
al
latte, che loro si somministrava (m) ; Cunina all
gli oggetti di timore e di spavento (q). Gli Dei Epidoti presiedevano
al
loro crescere (r) ; Lallo alle cantilene delle nu
l’acqua sul di lui corpo (a). Educa, o Edulica (b), o Edusa attendeva
al
cibo, e Potina al bere de’ fanciulli (c). Allorch
corpo (a). Educa, o Edulica (b), o Edusa attendeva al cibo, e Potina
al
bere de’ fanciulli (c). Allorchè questi cominciav
li. Bitone, e Cleobi, verso Cidippe, loro madre. Costei dovea recarsi
al
predetto tempio, di cui n’era la sacerdotessa. No
oi, che tirassero il suo carro, i due figliuoli lo strascinarono sino
al
tempio per quaranta cinque stadj. La madre pregò
n Theog. u. 455. (1). L’Inferno secondo i Poeti è il luogo destinato
al
soggiorno di tutte le anime. Dal che s’inferisce,
e Ida Giove, che stava tralle braccia della stessa Dea(c). Tibullo dà
al
Sonno le ali(d). Innumerabili figliuoli, chiamati
rti(c). Rìputò finalmente degno di riprensione Vulcano, perchè questi
al
cuore dell’ uomo, di cui n’era stato l’artefice,
. Le Furie ebbero un tempio anche nella decima quarta Regione di Roma
al
di là del Tevere. (6). Le Arpie erano uccelli ra
combattimento, che i Licj sostenevano contro i Solimi. Ippoloco salì
al
paterno soglio. Laodamia fu da Giove renduta madr
e dalla Necessità ; altri dal Caos e dal Dio Pane(m). Nelle loro mani
al
dire de’ Poeti sta il corso della vita degli uomi
allora alzarono presso alla porta Capena un tempio a Redicolo, ossia
al
Dio deb Ritorno, perchè credettero, che questo Nu
conta, che essendo uscito un serpente dal sepolcro di Murro, e andato
al
mare, i Saguntini credettero, che i Mani fuggisse
Dopochè si era lavato in quelle acque, ritornava in dietro, gettando
al
di sopra della sua testa delle fave nere, delle q
a Giove, perchè dissetò i Titani nel momento, in cui muovevano guerra
al
Cielo, sia stato assogettato al predetto cangiame
nel momento, in cui muovevano guerra al Cielo, sia stato assogettato
al
predetto cangiamento(c). Le acque di questo fiume
me Stige, era inviolabilmente osservato. Gli stessi Dei, se mancavano
al
medesimo, venivano privati del nettare, e spoglia
siasi conferito tale privilegio allo Stige, perchè l’anzidetta Ninfa
al
tempo della guerra de’ Giganti contro gli Dei spe
dovette ricondurvelo colla forza a Plutone ; e che questi lo condannò
al
meritato castigo(a). Questo consistetto nel volge
no alla sommità di un alto monte, donde ricadendo quello pel suo peso
al
piano, Sisifo era costretro a riportarlo subito c
al timore, che precipiti sopra di se un gran sasso, il quale sovrasta
al
suo capo(c). I Mitografi neppure vanno d’accordo
toccava le labbra(a). Cicerone vuole, che sovrastasse una gran pietra
al
di lui capo, e che questo ne venisse percosso, og
dovesse fare, coni era il costume di quegli antichi tempi, molti doni
al
di lei padre, Dejoneo. Questi lo sollecitò più vo
nuvola somigliantissima alla moglie, e la presentò ad Issione. Questi
al
vederla diede subito segni d’affetto per essa. Il
irono l’empia promessa, eccettuata Ipermnestra, che risparmiò la vita
al
suo consorte Linceo, e fece sì, ch’egli potè riti
ti nel predetto tempo (d). In que’giorni eravi il costume di portarne
al
tempio di quella Dea (e). (a). Claud. l. 2. de
nistro di lui, nato nell’Isola di Creta da Cerere e da Iasione. Pluto
al
dire de’Poeti è cieco, per indicare, ch’egli spes
al dire de’Poeti è cieco, per indicare, ch’egli spesso non favorisce
al
merito e alla virtù ; è zoppo, quando recasi ad a
pio di amore conjugale, discese nell’Inferno, e ne ricondusse Alceste
al
di lei marito(c). (a). Ovid. l. 10. (b). Nat.
ol. Graec. l. 2. (9). Lampusia, istruita dal padre, e poi consecrata
al
servigio di Apollo, si perfezionò intieramente ne
e fu ammessa tralle Dee. Le donne Romane le eressero un tempio vicino
al
Tevere nell’infima parte del Campidoglio, quando
rse alla Pitonessa. Questa rispose, che il tripode mentovato si desse
al
più sapiente. Fu offerto ad uno di que’sette Sapi
lle statue ve n’era una, eretta da Lisandro, Generale degli Spartani,
al
famoso Indovino Abas, figlio di Cimeo e di Cliten
città, che rappresentavano la nazione con piena facoltà di provedere
al
pùbblico bene(a). Eglino presero il nome da Anfiz
ro il nome da Anfizione, figlio di Deucalione, terzo re d’ Atene, che
al
dire di Pausania li instituì(b). Strabone però vo
di che si ascendevano certi mucchi di paglia, sopra i quali i pastori
al
suono di varj stromenti saltavano per far mostra
che le greggi col fumo di solfo, d’alloro, e d’ulivo(a). Queste Feste
al
dire di Suetonio si facevano anche per ricordare,
(24). Sul monte Soratte eravi una fontana, la di cui acqua bolliva
al
levar del Sole, e faceva morire sull’istante gli
io, figlio di Saturno, e Augure famoso. Quegli, perchè non corrispose
al
di lei affetto, ma volle serbarsi fedele alla Nin
ne, il quale cadde morto nell’ Eridano. Le Ninfe dell’ Esperia resero
al
di lui corpo gli ultimi onori. Vennero pure sulle
vero riposto sopra un tripode(h). Calliope presiede alla Rettorica, e
al
verso Eroico. Dipingesi giovinetta, coronata di f
osi dell’anzidetta Medusa, e spezialmente delle di lei trocce, bionde
al
pari dell’oro, la trasse un dì nel tempio di Mine
, re della Focide, incontratosi colle Muse, le quali facevano ritorno
al
Parnasso, le invitò a ritirarsi nel suo palagio,
li in aria. Ma staccatosi dalla cima d’un’ alta torre, così precipitò
al
basso, che finì ben tosto di vivere(b). Il Parnas
so era consecrato(f). (35). L’Elicona era monte della Beozia, vicino
al
Parnasso. Fu così chiamato da Elicone, il quale d
). Comunque sia, certo è, che si verificò la protesta, la quale unita
al
giuramento avea fatto Minerva. Questa Dea, suonan
, o Ismeno(d). (b). Paus. l. 9. (46). Gordio, padre di Mida, stupì
al
vedere, che un’ Aquila se ne stette sul giogo del
non per mezzo di colui, che avessero veduto andarsene sopra un carro
al
tempio di Giove. Non molto dopo vi giunse Mida, i
sospese nel più alto della Fortezza. Il giogo di quello era attaccato
al
timone con un nodo d’ammirabile sottigliezza, ed
la sua sorella, Canace, madre d’un figlio. Voleva la giovine celarlo
al
di lei padre, e con sacre frondi avealo coperto p
anch’egli eccellentemente nell’arte di suo padre, e la comunicò anche
al
figlio, Tamiride. Questi divenne così peritissimo
e. Volendo cingere di mura la città di Tebe, si valse della medesima,
al
di cui suono le pietre, divenute sensibili, da se
re di Tracia(c) ; ma per aggiungere maggior splendore alla nascita e
al
talento di lui, si pubblicò, ch’ era figlio di Ap
a figlio di Apollo(d). Egli accoppiava con tanta dolcezza la sua voce
al
suono della lira, che sospendeva il corso de’ rap
i più unito in matrimonio con altre donne, e che da’ alcune di queste
al
tempo delle Orgie sia stato lacerato(a). Alcuni f
, re di Pisa. Questi, conoscendo l’avversione, che quella Ninfa aveva
al
matrimonio, se le avvicinò in abito donnesco, e s
Echecleo, figlio di Attore, che per averla in moglie dovette offerire
al
di lei padre varj doni (a). Quì si ricorda pure P
fece perire Orione, perchè questi aveala provocata a giuocare secolui
al
disco (d). Altri soggiunsero, che la stessa Dea l
quel sangue, sorsero due stelle, che in forma di corona s’innalzarono
al
Cielo (b). Ovidio pretende, che il corpo delle du
uomo favorito dagli Dei. Gli Ateniesi lo chiamarono nella loro città
al
tempo di Solone, ed egli molto giovò ad essi co’c
, e una figlia, di nome Euridice(d). Endimione propose la successione
al
Regno a quello de’tre predetti figliuoli, il qual
o, cui spettava trasferire all’altro mondo. I Parenti, stando attorno
al
letto dell’ammalato, davangli l’ultimo addio, lo
e i singulti si si aspergeva di cenere il capo(b). In Grecia i maschi
al
tempo di lutto nutrivano la chioma, e le femmine
inistravano tutto ciò, ch’era necessario pel funerale. Davasi in mano
al
morto una focaccia di miele e di papavero, onde C
si in mano al morto una focaccia di miele e di papavero, onde Cerbero
al
vederla non abbajasse contro di lui, mentre entra
te Prefiche, intuonavano le Nenie, ch’erano lamentevoli versi di lode
al
defonto(a). Dicono che alla ceremonia di queste d
ogio. Lo stesso si praticava appresso i Greci(h). Dal Foro si passava
al
luogo, in cui il cadavere doveasi abbruciare o so
Appresso le mentovate statue se ne vedeva pure una, eretta da Lieurgo
al
Dio Riso. A questo Nume anche la Tessaglia offeri
le Feste si danzava tutta la notte, e chi più resisteva alla fatica e
al
sonno, riportava in premio una focaccia di miele,
ia, Dea della pover tà, madre di Cupido, il quale poscia fu stabilito
al
servigio di Venere(e). Questa Dea, osservando, ch
freccia non ne l’avesse risvegliata. Lo stesso Nume volò subito dopo
al
Cielo, e ottenne da Giove, che Venere non si oppo
un figliuolo. Teano raccolse i due predetti fanciulli, e fece credere
al
marito d’averli essa partoriti. Qualche tempo dop
vano nella parte superiore del corpo simile all’uomo, e nel rimanente
al
pesce con lunga coda(i). (d). Paus. l. 2. (15)
dal Nume severamente purito(a). Anche in Roma aveva un tempio vicino
al
ponte Emilio, in un bosco ripieno di pini. Portun
u anche detto Euronoto, perchè spira tra l’Euro e’l Noto(c). I Fenicj
al
dire d’Eusebio furono i primi, che offerissero sa
one porgesse indarno voti ed offerte, ordinò ad Iride che commettesse
al
Sonno di far sapere ad Alcione per sogno l’infort
ivò Plesippo di vita. Uccise pure Tosseo, accorso a prestare soccorso
al
fratello. La fama divulgatasi della vittoria di M
pianto la gioja, e appena udì il nome dell’autore dello scempio, che
al
cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendetta.
causa, e si studiava di superare col coraggio lo spasimo. Finalmente
al
languire che faceva a poco a poco la fiamma stess
in Ciproc. A di lei onore si celebrarono altresì le Feste Plinterie,
al
tempo delle quali, si lavava la statua di Minerva
cò la prima, ch’era tra quelle la maggiore ; e le altre furono fedeli
al
giuramento. Eretteo diede poscia la battaglia a q
battaglia a que’ d’Eleusi, e ne rimase vincitore. Gli Atenieti, grati
al
sacrifizio, fattosi da Eretteo pel comune bene, l
anche un figlio, di nome Falero, che fu uno degli Argonauti. Questi,
al
dire di Pausania, fu autore di quel porto in Aten
Proculo, uomo di singolare probità, testificò dopo la morte di Romolo
al
Senato, ch’egli lo avea veduto rivestito d’ una m
lo avea veduto rivestito d’ una maestà divina, e in atto d’ ascendere
al
Cielo ; v’ aggiunse, che lo stesso Romolo gli pre
, per timore, che Bellona seminasse discordie tra’ cittadini. Dinanzi
al
medesimo eravi una colonna, detta bellica, ossia
Nume ivi trattò la sua causa, quando fu accusato d’aver dato la morte
al
mentovato Allirrozio (g). A quel Tribunale da pri
om. Mythol. l. 2. (c). Calep. Sept. Ling. (1). Come Numi, presidi
al
fuoco, si veneravano anche Laterano, e Fornace. L
forni. Numa Pompilio instituì in onore di Fornace le Feste Fornacali,
al
tempo delle quali in onore della Dea si lasciava
ammirabili sulle quali si aggirano il mondo fisico e morale, colpiti
al
primo sguardo dall’immensa influenza dell’ ordine
to con degli strani anacronismi, rappresentandoci delle cose estranee
al
secolo di cui ci volevano far conoscere i costumi
azie anch’esse, Senza il cui riso nulla cosa è bella, Anche le Grazie
al
tribunal citate De’ novelli maestri alto seduti C
rte. Garzon superbo e di sè stesso amante Era quel fior ; quell’altro
al
Sol converso Una Ninfa, a cui nocque, esser gelos
Il Canto che alla queta ombra notturna Ti vien sì dolce da quel bosco
al
core, Era il lamento di regal donzella Da re tira
cantato in onore della Mitologia dopo sconfitti i nemici : Ah riedi
al
primo officio, o bella Diva, Riedi, e sicura in t
tue figure implora, Onde mezzo nascosa e mezzo aperta, Come rosa che
al
raggio mattutino Vereconda si schiude, in più des
terea vôlta Carolanti, non più mosse da Dive Intelligenze, ma dannate
al
freno Della legge che tira al centro i pesi : Pot
mosse da Dive Intelligenze, ma dannate al freno Della legge che tira
al
centro i pesi : Potente legge di Sofia, ma nulla
rito Giove, Nettuno e Plutone. Titano scoperta la frode, mosse guerra
al
fratello, lo vinse e lo fece prigione. Saturno fu
estino che Giove un giorno gli avrebbe tolto l’inspero, tramò insidie
al
figlio per privarlo di vita e gli dichiarò senza
ontorcendosi con modi spaventevoli. Sotto il nome di Vesta presiedeva
al
fuoco ; e come tale gli antichi la chiamavano Ves
tà fino a trent’anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando
al
servigio del tempio potevano maritarsi. Se per ne
ella era dal pontefice massimo severamente punita. Se taluna mancava
al
voto di verginità, era portata con lugubre pompa
one e divise l’impero co’due suoi fratelli Nettuno e Plutone, cedendo
al
primo il regno de’ mari, quello dell’inferno al s
no e Plutone, cedendo al primo il regno de’ mari, quello dell’inferno
al
secondo, e riserbando per sè l’impero del cielo e
la terra. I fratelli uniti a Pallade e Giunone tentarono di sottrarsi
al
suo dominio, ma restarono vinti da Giove e furono
guitò anche Europa, Semele, Latona, Alcmena e suscitò mille traversie
al
figlio di quest’ ultima, Ercole, ed a molti altri
protetto da Venere. Avendo saputo che Giove senza di lei aveva posto
al
mondo Pallade, facendola uscire dal suo cervello,
erano sacri soltanto per la loro fecondità e perchè nascono in mezzo
al
frumento, ma perchè Giove era riescito a farglien
uale una donna sedendo concepiva immediatamente ; e dicesi di più che
al
solo toccarlo bastasse ad una donna per divenir m
vendo potuto essere corrisposto, ne trasse vendetta facendola sposare
al
più deforme degli Dei. Venere odiò il marito per
la sua bellezza. Sono abbominevoli i disordini commessi da questa Dea
al
dir de’ poeti. Venere ha dato il suo nome ad un p
hi, le assegnò un corteggio di bellissime Ninfe ch’ella volea pudiche
al
par di lei, e scacciò per questo Calisto perchè s
pelli annodati di dietro, colla faretra su di una spalla, con un cane
al
fianco, e coll’arco teso in atto di lanciare un d
r questo Apollo ammazzò i Ciclopi che avevano somministrato i fulmini
al
padre degli Dei. Per questa vendetta fu scacciato
, co’rami del quale si fece una corona. Zefiro giuocando con Giacinto
al
disco, lo uccise involontariamente, ed Apollo che
dio re di Frigia, perchè aveva preferito il canto di Pane e di Marsia
al
suo (di Apollo). Il barbiere di Mida se ne accors
Interprete e messaggiero degli Dei e specialmente di Giove suo padre,
al
levare del quale doveva ogni giorno trovarsi per
si poteva morire se egli non aveva rotti i legami che univano l’anima
al
corpo. Ambasciatore e plenipotenziario degli Dei,
a Prometeo contro del quale era adirato perchè aveva rapito il fuoco
al
sole per animarne i primi uomini. Prometeo essend
, Tifeo o Tifone gigante mostruoso, uno di quei che diedero l’assalto
al
cielo e che toccava le nuvole col capo, si agitò
ele abbia avuto il Giorno. Prima di giugnere alla regia di Plutone ed
al
tribunale di Mimosse, era d’uopo passar l’Acheron
dell’Erebo e della Notte, vecchio, ma di robusta e verde vecchiezza,
al
quale le anime dovevano dare una moneta per esser
esse seco un ramo d’oro consacrato a Minerva. La Sibilla ne diede uno
al
pio Enea, allorchè volle entrare nel regno di Plu
fino a che li avessero pagati essi medesimi. La moneta posta in bocca
al
defunto indicava che tutti i suoi creditori erano
a conseguir la vittoria, scorta i viaggiatori e i naviganti, presiede
al
consiglio dei re, ai sogni, ai parti, alle conver
resiede al consiglio dei re, ai sogni, ai parti, alle conversazioni e
al
crescimento dei fanciulti che nascono. Ecate fig
egolavano i destini : tutto ciò che avveniva nel mondo era sottoposto
al
loro impero. Il loro ufficio si era di filar la v
agliava il filo colle forbici allorchè la vita di ciascuno era giunta
al
suo termine. Si voleva con ciò indicare che la pr
nsanguinati, con ali di pipistrello, con serpenti intreociati intorno
al
capo, con una torcia ardente in mano ed un flagel
allore e la Morte per compagni. In questa guisa stando sedute intorno
al
trono di Plutone, attendono esse i suoi ordini co
ame e della sete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giungono fino
al
mento, ma che gli sfuggon di sotto quando si abba
an sasso, che quando è vicino a toccare la sommità, ricade nuovamente
al
basso. La rupe che gli fanno incessantemente muov
d istanza di Teti, nella cospirazione degli Dei contro Giove, salisse
al
cielo e si sedesse al fianco di Giove, e che col
la cospirazione degli Dei contro Giove, salisse al cielo e si sedesse
al
fianco di Giove, e che col suo fiero e terribile
ta terminava con fuochi di paglia, e i giovinetti vi saltavano sopra,
al
suono di flauti, di cembali e di tamburi. Pa
ga figlia di Ladone fiume d’Arcadia, la quale da lui fuggendo in riva
al
fiume paterno, fu cangiata in un canneto e dal su
figlio di Mercurio e della Notte, dipingevasi come Pane ma senza peli
al
mento ed al petto. Gli si sacrificava un agnello
rcurio e della Notte, dipingevasi come Pane ma senza peli al mento ed
al
petto. Gli si sacrificava un agnello o un caprett
testa, colla sola differenza che i Satiri si rappresentavano col pelo
al
mento ed allo stomaco e gli altri non ne avevano,
tato in Italia dai Lacedemoni. Essendosi appiccato il fuoco un giorno
al
bosco ove aveva un tempio, volendo gli abitanti t
o di lei molte ceste di fiori. Flora era una delle dee che presiedeva
al
frumento, ed in certi tempi dell’anno le venivano
ta Dea, chiamate giuochi floreali, correvano giorno e notte, ballando
al
suon delle trombe e quelle che vincevano al corso
giorno e notte, ballando al suon delle trombe e quelle che vincevano
al
corso erano coronate di fiori. La Clori o Cloride
al modo rinchiuso nel tempio innalzato in quel luogo. Si fece credere
al
popolo un tal fatto per persuaderlo che non vi er
imite principale presso cui innalzavano un altare ed un piecolo rogo,
al
quale uno dei fittaiuoli e dei signori appiccava
alla Fortuna, per esprimore quanto in amore la riuscita sia soggetta
al
capriccio della cieca Dea. Egli è sempre dipinto
enere tiene in equilibrio sopra un dito ; delle volte essa lo stringe
al
petto e tra le braccia ; ora è seduto dinanzi sua
ebbe desiderato che fosse stata fatta all’uomo una finestrella vicino
al
cuore, perchè se gli potesser leggere i più recon
ne la ritenne presso di sè e le affidò la cura di attaccare i cavalli
al
di lei carro. Ercole la sposò in cielo e n’ebbe u
Titano e della Terra, del Sole e della Luna secondo altri, presiedeva
al
nascere del giorno. Amò teneramente Titone, giovi
le ed apre le porte dell’oriente ; è accompagnata dalle Ore e fuggono
al
suo giugnere la Notte ed il Sonno. Si raffigura a
di abbigliarsi da uomo. I suoi seguaci correvano di notte in maschera
al
chiarore delle torce, col capo cinto di fiori, ac
evano da lui. Il Cielo, la Terra, il Mare, l’Inferno erano sottomessi
al
suo impero, e niun potere aveva la forza di cangi
ed Ischi ; trasse però dal fianco di lei Esculapio e lo diede in cura
al
centauro Chirone, sul monte Tittone in vicinanza
grande città. Tutti coloro che le belle arti professavano, s’univano
al
tempio della Pace per disputarvi intorno alle lor
pio della Pace per disputarvi intorno alle loro prerogative, affinchè
al
cospetto della divinità, ogni asprezza fosse dall
malati, oppure di persone che facevano voti pei loro amici obbligati
al
letto. Bellona Bellona dea della guerra ch
ti all’autorità di un pontefice il quale non cedeva la precedenza che
al
solo re ; egli era scelto nella famiglia reale e
ne, andò a lagnarsi di ciò con sua madre Climene, la quale il rimandò
al
Sole per accertarsi della sua nascita. Fetonte en
i poeti dissero non aver egli potuto condurre il carro del Sole sino
al
termine della sua carriera. Aggiungono alcuni che
ce delle segrete opinioni che li facevano operare, comandava eziandio
al
cieco Destino, e a suo beneplacito faceva dell’ur
ngono un freno per arrestare i malvagi oppure un pungolo per eccitare
al
bene. Si portano esse un dito alla bocca per inse
e ne reggevano le dorate redini. Una gran vela di porpora ondeggiava
al
disopra del carro ; era essa più o meno gonfia da
enute che le ebbe le portò tosto ad Achille, e lo esortò a rinunciare
al
suo risentimento contro di Agamennone, e gl’inspi
io del tempio. Questo avvenimento fece dare il nome di golfo Saronico
al
braccio di mare dove Sarone annegò e desso fu mes
o il destino di tutti i mortali, citando le ombre a comparire innanzi
al
suo tribunale, e sottomettendo l’intiera loro vit
mparire innanzi al suo tribunale, e sottomettendo l’intiera loro vita
al
più rigoroso esame. Si rimprovera a Minosse una m
nni spedito sette giovani e altrettante donzelle, ond’ essere esposte
al
Minotauro nel labirinto, ove questo principe avev
ll’ aiuto di Scilla, figlia di Niso che ne era il re, la quale troncò
al
padre il capello d’oro o di porpora cui era attac
infinite strade tortuose. Si pretende che fosse un monumento dedicato
al
Sole. Altri lo han creduto un Panteone. Gli abit
ia, trovò il mezzo di fare delle ali e di attaccarle con cera a sè ed
al
figlio. Essi riuscirono a volare, ma le ali di Ic
lo. Questo principe lo accolse amichevolmente e ricusò di restituirlo
al
re di Creta che andò a chiederglielo, e pretendes
ca nove secoli prima di Solone che ne fu il ristauratore ritornandolo
al
suo antico splendore. Glauco Glauco figlio
o consultare. Vuolsi che Cirœ lo amasse, ma ch’egli fosse insensibile
al
di lei affetto, preferendo la giovine Scilla, la
le col bicchiere alla mano. I poeti non tralasciarono mai d’invocarle
al
principio de’loro poemi, siccome Dee capaci d’isp
a e ai divertimenti. Euterpe ossia la giocosa e rallegrante, presiede
al
flauto ed agli istromenti da fiato e la sua giuri
a alla danza e ai giuochi. Erato o l’amorosa die’ la vita alla lira e
al
liuto, presiede alle galanti, appassionate o erot
on esse. L’Amore non vi era mal situato ; parecchie di esse cedettero
al
potere di lui malgrado si dicano vergini. Tra i f
assitele, o forse anche di Scopa, la cui Venere nuda, posta di contro
al
circolo flamminio superava, secondo alcuni, la fa
, i poeti moltiplicarono il numero delle Ore sino a dodici, impiegate
al
servigio di Giove, e le nominarono le dodici sore
azione di Giunone ; diffatti in alcune statue di questa Dea, veggonsi
al
dissopra del capo di lei rappresentate le Ore. Eb
i Ceto erano tre e si chiamavano Medusa, Euriale e Steno. Stanziavano
al
di là dell’Oceano, all’estremità del mondo, in vi
li, persuaso che nel gran progetto da lui concepito di rendersi utile
al
genere umano, egli non avrebbe eseguito che una s
na sola parte del suo divisamento, allora quando avesse tollerato che
al
mondo vi fossero delle nazioni sottoposte al domi
ndo avesse tollerato che al mondo vi fossero delle nazioni sottoposte
al
dominio delle donne. Pretendono altri che le Gorg
uperiore, senza alcun velo, era ombreggiata da una capellatura sparsa
al
vento. Il loro capo era cinto da una corona di fo
ma è favoloso il calcolo della loro esistenza secondo molti mitologi
al
di là de’ 9000 anni non combinando colla durata d
ata da Polifemo e da Aci, preferì questo giovine ed avvenente pastore
al
deforme Ciclope. Polifemo sdegnato di tale prefer
Questa Ninfa ritornando dalla caccia un giorno si fermò per riposare
al
margine di un ruscello e vedendone le acque molto
pente, ecc. Quest’abile lavoratrice vi aveva egualmente rappresentato
al
naturale le amorose trasformazioni di Nettuno, di
lare e di far tele. Dicesi che gli Egizi per rammentare continuamente
al
popolo l’importanza delle sue manifatture di tela
te la figura di una donna avente nella mano destra il subbio, intorno
al
quale i tessitori girano la trama della loro stof
Le Esperidi erano nipoti di Espero e figlie di Atlante e di Esperide
al
dir d’alcuno ; secondo altri figlie della Notte e
e i canti. Ne rimanevano essi incantati a tale, che più non pensavano
al
loro paese, obliavano di prendere cibo e morivano
giacchè Ulisse malgrado dell’avvertimento ricevuto da Circe riguardo
al
pericolo cui stava per esporsi fu sì incantato de
corpo di donna fino alla cintura e la forma di uccello dalla cintura
al
basso ; oppure con tutto il corpo di augello e la
illa spaventata ella stessa della sua figura gittossi in mare, vicino
al
luogo ove è il famoso stretto che porta il suo no
e Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue grida rassembrano
al
muggito del lione ; che è un mostro il cui aspett
cisamente in faccia di Cariddi. Quando si passava lo stretto dal Nord
al
Sud, prima di entrarvi, trovavasi il vortice di C
o e che erano dolci e pacifici si chiamavano Lari famigliari ; quelli
al
contrario che in pena della loro cattiva vita non
no e l’altro cattivo. Ciascuno nel giorno del suo nascere sacrificava
al
proprio Genio. Gli si offriva vino, fiori, incens
à ; di tutte queste basterà accennare le principali. Giove presiedeva
al
capo, Nettuno al petto, il Genio alla fronte, Giu
te basterà accennare le principali. Giove presiedeva al capo, Nettuno
al
petto, il Genio alla fronte, Giunone alle sopracc
ea Rumia, Rumilia, Ruma o Rumina istruiva i bambini a poppare, Potina
al
bere, Educa o Edusa al mangiare. Strenua dicevasi
o Rumina istruiva i bambini a poppare, Potina al bere, Educa o Edusa
al
mangiare. Strenua dicevasi la dea che rende gli u
erali. Vaccena o Vaccana era la dea della pigrizia ; presiedeva anche
al
riposo della gente di campagna. Marcia era la dea
ti in loro onore. Si fecero dei sagrifici alla Febbre, alla Tempesta,
al
Pallore onde tenerli lontani. de’ Semidei
di Euristeo. Ritornato in sè stesso ne fu tanto afflitto che rinunciò
al
commercio degli uomini, indi consultò l’oracolo d
; alle quali recidevano la mammella destra, onde non fossero impedite
al
tirar dell’arco ; ebbero molte guerre coi loro vi
che ebbe anch’esso Echidna per madre, cavonne Alceste, e la restituì
al
marito Admeto. Vengono a questo eroe attribuite
i forastieri. Uccise l’avoltoio che rodeva il cuore a Prometeo legato
al
monte Caucaso. Uccise un mostro marino al quale E
il cuore a Prometeo legato al monte Caucaso. Uccise un mostro marino
al
quale Esione figlia di Laomedonte era esposta ; e
, il centauro Nesso si offerse di portarla sul dosso sull’altra ripa,
al
che Ercole acconsentì ; ma accortosi che Nesso si
onde purificare ciò che v’era di mortale in Ercole. Giove lo innalzò
al
cielo e lo pose tra il numero de’ Semidei. In Teb
il suo, e che tutte poi attribuite fossero le imprese di tanti Ercoli
al
figlio di Alcmena e di Giove che si rendette così
il quale riducendo ad un solo principio tutta la scienza mitologica,
al
culto antico cioè della natura, fece di Ercole un
lto antico cioè della natura, fece di Ercole un essere allegorico che
al
par di Bacco, di Giove, di Esculapio e di tante a
tratti con cui gli antichi hanno dipinto Ercole che tutti convengono
al
sole formano il principal fondamento di questo si
fosse sembrato conveniente all’uomo che esso aveva formato. Innalzato
al
cielo da Minerva, ed avendo osservato che tutti i
ante del monte Otri in Tessaglia, si ritirò sul Parnaso per sottrarsi
al
diluvio di Deucalione e fu cangiato in uccello da
iorno era vicino a fmire, si fermò in Mauritania per riposarvisi fino
al
ritorno dell’Aurora. Chiese l’ospitalità per quel
al ritorno dell’Aurora. Chiese l’ospitalità per quella notte soltanto
al
re Atlante facendosi conoscere per figlio di Giov
spalle il cielo per aver prestato dei soccorsi ai giganti ribellatisi
al
supremo Nume. Atlante era il padrone del giardino
i Giuochi Istmici, come Ercole aveva rinnovato gli Olimpici. Trovossi
al
combattimento dei Centauri, alla conquista del to
n aveva voluto corrispondere alla criminosa di lei passione lo accusò
al
padre di aver attentato al di lei onore ; Teseo t
e alla criminosa di lei passione lo accusò al padre di aver attentato
al
di lei onore ; Teseo troppo credulo abbandonò il
attentato al di lei onore ; Teseo troppo credulo abbandonò il figlio
al
furore di Nettuno, il quale fece sortire dal mare
ipe fu avo di Laio, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo
al
fine al dolore che gli cagionavano tante sciagure
vo di Laio, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo al fine
al
dolore che gli cagionavano tante sciagure avvenut
ano a quella soave melodia e vi erano per anco attratti gli augelli ;
al
dolce suono della sua lira tacevano i venti, il l
di un toro indomito. Alcun tempo dopo Anfione costruì le mura di Tebe
al
suono della sua lira : le pietre sensibili alla s
diverse torri, che situò ad eguali distanze. Vedevansi ancora a Tebe
al
tempo degli Antonini, vicino alla tomba di questo
, che dioevansi essere un avanzo di quelle ch’egli aveva fatte venire
al
suono della sua lira. Non è difficile l’intendere
pagne e le foreste per ritirarsi in una città, e porsi con buone mura
al
ricovero de’nemici e delle bestie feroci. Lino
ano ; e Pelia giura per Giove dal quale hanno tutti e due origine che
al
suo ritorno gli darà il possesso del trono che gl
di Medea, Giasone accetta le condizioni, ammansa i tori, li sottopone
al
giogo, ara il campo, vi semina i denti del drago,
to gli occhi di Giasone i due figli che da lui aveva avuti e predisse
al
traditore marito che dopo aver vissuto molto temp
diede il suo nome ; Tifi ne fu il piloto. Gli Argonauti s’imbarcarono
al
capo di Magnesia in Tessaglia. Approdarono all’is
Frisso ed Elle, Mercurio diede a Nefele, loro madre, un montone d’oro
al
quale gli Dei avevano comunicato la prerogativa d
u uccisa da Diana. Il sepolcro di Bellerofonte era in Corinto, vicino
al
tempio di Venere Melania ed al sepolcro di Laide
di Bellerofonte era in Corinto, vicino al tempio di Venere Melania ed
al
sepolcro di Laide famosa cortigiana nata in Iccar
are questa favola, era una montagna dell’Asia minore nella Licia, che
al
pari dell’Etna e del Vesuvio mandava fiamme, dura
però la notte soltanto, secondo alcuni. Sopra questo monte ed intorno
al
vulcano vedevansi de’leoni ; a metà eranvi de’pas
e dono di tre pomi d’oro, che aveva colto nel giardino delle Esperidi
al
dir di alcuni e secondo altri nell’isola di Cipro
bele ; gli Dei li trasformarono per ciò in lioni, e Cibele li attaccò
al
suo carro. Vogliono altri che Atalanta ed Ippomen
consultare l’oracolo d’Apollo, morì di cordoglio o si gettò nel mare
al
ricever che fece questa triste nuova mandatagli d
ialzava più formidabile di prima. Pallade afferrò il gigante in mezzo
al
corpo e lo portò al disopra della luna, ove egli
ile di prima. Pallade afferrò il gigante in mezzo al corpo e lo portò
al
disopra della luna, ove egli spirò. Sette fanciul
nch’esso in Italia, ove fu da Giano cortesemente accolto ed associato
al
proprio regno, che nominò Lazio dalla parola lati
tava celato quando Giove lo perseguitava. Dall’aver associato Saturno
al
regno si crede da qualche mitologo derivare l’uso
eminente della fortezza. Il carro di Gordio aveva il giogo attaccato
al
timone con un nodo di scorza di corniolo, fatto c
r più la luce, mentre Giocasta presa egualmente da disperazione, sale
al
più eminente luogo del palazzo, vi attacca un lac
e un presagio della vicina sua morte e senza guida alcuna s’incammina
al
luogo dove egli deve spirare. Giunto presso un pr
d’un abito simile a quelli che si davano ai morti, fa chiamare Teseo,
al
quale raccomanda le due figlie, cui ordina di all
a dolore alla presenza di Teseo, cui solo è palese il secreto intorno
al
genere di sua morte e il luogo della sua tomba. A
ini del governo per il primo e terminato l’anno ricusò di più cederle
al
fratello, e lo costrinse a ritirarsi presso di Ad
rimandò ad Eteocle per recargli il triste annunzio. Irritato Adrasto
al
rifiuto e alla nuova perfidia di Eteocle adunò in
che ad altri però fatale fu la guerra a’fratelli nemici. Fino avanti
al
loro nascere aveva detto Giocasta d’averli sentit
i nemici della patria, e ordinò che quelle di Polinice fossero sparse
al
vento, per aver egli tratto sulla propria patria
glia chiamata Sfinge, la quale poco contenta di non aver parte alcuna
al
governo, erasi posta alla testa di una truppa di
li riuscì di sedurre Mirtilo cocchiere di Enomao e lo indusse a porre
al
cocchio di lui un fragil asse, il quale essendosi
o la sua morte ottenne gli onori divini, ed i Greci lo ponevano tanto
al
dissopra degli altri eroi, quanto consideravano G
elle figlie di Pelope. Euristeo lo ricevette con amicizia, lo associò
al
suo governo e morendo gli lasciò la corona. Ties
one lasciò Egisto l’uccisore di Atreo che era suo cugino per vegliare
al
governo de’ suoi stati. Invaghitosi della regina,
do dicasi da alcuni che Pirro fosse ucciso da Oreste medesimo innanzi
al
patrio altare. Oreste visse pacifico possessore d
’Asia Minore e senza apparecchio e vestimento veruno, si presentarono
al
giovane pastore. Ciascuna gli fece delle offerte
di, per una necessaria conseguenza, si trovò egli esposto all’odio ed
al
risentimento di Giunone e di Minerva, le quali no
’ingiuria i due fratelli Agamennone e Menelao procacciarono di trarre
al
loro partito tutti i principi della Grecia, tra i
ta grave rissa tra Agamennone ed Achille per una schiava che il primo
al
secondo voleva togliere, Achille s’astenne dal vo
a quelli incendiate non fossero le navi che tratte in secco servivano
al
campo de’Greci di trinceramento e di riparo. In q
ntorno le mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo
al
misero padre, che venne in persona a chiedergliel
rtirono, furono Antenore ed Enea. Antenore che fu creduto favorevole
al
partito dei Greci, perchè consigliava la restituz
dissea. Le vicende sofferte da Enea dalla sua partenza dall’Asia fino
al
suo stabilimento in Italia furone cantate da Virg
che sembra aver fatto parte delle terme di Tito. Il Laocoonte trovasi
al
presente nel Museo Pio Clementino a Roma. Gl
isposte che gli Dei davano agli uomini ; e lo stesso nome davasi pure
al
luogo in cui per bocca degli uomini eran renduti.
ione. Vespasiano fa allontanare la sua scorta nel presentarsi che fa
al
tempio di Serapi. Quando un particolare voleva ma
orti. Talvolta gli Dei mostravansi meno difficili ; e il consultante,
al
primo presentarsi otteneva la risposta dell’Oraco
che vi siano state delle Sibille, ma non sono tutti concordi riguardo
al
loro numero. Avvi chi ne conta una sola, quella d
lo, col patto che dovesse ella pure esser con lui condiscendente ; ma
al
piacere di una eterna gioventù, quello preferì es
Alcuni dicono che fosse la Sibilla Cumana italiana quella che offerse
al
re Tarquinio i Libri Sibillini. Vogliono altri ch
ma. Narrasi che una donna si presentò un giorno a Tarquinio Prisco, o
al
Superbo secondo alcuni e gli offrì nove volumi di
l versare del vino, o in mancanza d’easo dell’acqua, in onore del Dio
al
quale sacrificavasi. La patera di cui si è parlat
rre alcusse persone che avessero cura di conservarle, di distribuirle
al
popolo e di servirsene pei banchetti a certe divi
è giudicavasi proveniente dalla destra di Giove ; non così se udivasi
al
contrario. Dalla maniera con cui ardeva l’incenso
e’ sacrifici. Quest’acqua era contenuta in un vaso posto alla porta o
al
vestibolo dei templi, e quelli che entravano se n
to che lanciavasi colla mano, o la saetta, che si scagliava coll’arco
al
segno prefisso ; il disco che era un pezzo rotond
elle fiere, le quali uscir si facevano dalle carceri o tane praticate
al
basso degli anfiteatri, e i più atroci e crudeli
go, ch’è quello di far palese nel miglior modo che posso quanto debbo
al
benefico e generoso Suo Cuore. E veramente da che
uccia per me data alla stampa, in guisa che potrei dirle come Catullo
al
suo Cornelio : … namque tu solebas Meas esse ali
redo di molta erudizione. E questo appunto è quello che ora presento
al
pubblico fregiato del chiarissimo Nome di V. E. R
di avere ; non si piativa ne’ tribunali ; nè gli uomini erano intesi
al
mercanteggiare, sicchè quel secolo era tutto feli
e che a suo talento or questa ne fa uscire ed or quella. Virgilio (2)
al
contrario finge nobilmente, nel tempio di Giano c
ti dal re Tarquinio Prisco. I giuochi Megalesi si celebra vano avanti
al
tempio di Cibèle con istraordinario concorso, ed
fuoco di Vesta si teneva nel famoso tempio edificato da Numa, presso
al
quale era il palagio del suo fondatore. Era di fo
re ; percui ebbe l’onorevole nome di Stercuzio. Nel tempio di Satùrno
al
pendìo del Campidoglio era l’erario o tesoro pubb
e di odorose erbette, il colmò di ogni maniera di frutti ed offerillo
al
pargoletto Giove, il quale, ottenuta la signoria
la signoria del cielo, la sua nutrice trasformò in costellazione, ed
al
corno donò virtù di provvedere abbondevolmente qu
cocchio. Ma di tutti gli Dei Pallade o la Sapienza era più d’appresso
al
trono di Giove che sempre valevasi de’ consigli d
si da’ Poeti coll’epiteto di vibratore del fulmine (αστεροπητης) ; ed
al
fulmine davasi l’aggiunto di domator di ogni cosa
sul quale passeggiando con magnifico cocchio, faceva un rumore simile
al
tuono ; e lanciando accese fiaccole, imitava i fu
na bella statua di vita priva e di senso, col favor di Minerva salito
al
cielo, accese una flaccola al fuoco del sole, e c
e di senso, col favor di Minerva salito al cielo, accese una flaccola
al
fuoco del sole, e con questo fuoco celeste animò
e uso. Il che mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio che lo legasse
al
monte Caucaso, e che un’aquila, o un avvoltoio gl
tro, il quale pel Mediterraneo fuggendo l’ira di lui, fu da quel Nume
al
vasto suo corpo sovrapposta tutta quanta è la Sic
assai frequente nel Mediterraneo e nell’Oceano. Forse i primi uomini
al
vedere l’esplosioni de’ vulcani che sollevano in
. Ma l’Olimpo propriamente è un monte di Tessaglia vicino all’Ossa ed
al
Pelio, così alto che dicesi trascendere la region
ll’Etiopia, Ebe, nel ministrare la divina bevanda, cadde sconciamente
al
suolo e fu occasione di molto ridere alla celeste
lla Troade, ch’ebbe tre figli, Ilo, Assaraco, E il deiforme Ganimede
al
tutto De’ mortali il più bello e degli Dei, Rapit
πισειειν). Allorchè i Greci si ponevano in bella ordinanza per andare
al
combattimento, Errava Minerva in mezzo, e le spl
) era una spaziosa ed aprica pianura, tutt’all’intorno munita, di cui
al
primo ingresso a bitavano due sorelle di straniss
la del mare Egeo, ove rinvenuta dal pescatore Ditte, fu da lui recata
al
re Polidètte, il quale la giovane Danae sposò, e
imitarra o specie di falce di diamante ; da Minèrva, uno scudo lucido
al
pari di tersissimo specchio, giacchè egli a Minèr
ne (Orci galea) che rendeva invisibile chi lo portava, a volo recossi
al
luogo ove dimoravano le fatali sorelle. Quivi, in
donzella di leggiadra e regale sembianza colle mani legate, la quale,
al
dolente aspetto ed alle molte lagrime, pareva asp
to gastigo se non avesse esposto alla balena la figliuola Andromeda ;
al
quale oracolo, per timore de’suoi popoli, fu cost
damente recise l’aureo crine del genitore, mentre dormiva, ed il recò
al
nemico per metterlo al possesso della città. Ma M
crine del genitore, mentre dormiva, ed il recò al nemico per metterlo
al
possesso della città. Ma Minos, per tanta di lei
elle siepi e vola poco alto da terra. Il canto della pernice è simile
al
suono che fa la sega nel tagliare il legno, e per
esso chiamano ali, le vele delle navi, e la navigazione rassomigliano
al
volo (3) ; e perciò Dedalo fuggì dal laberinto a
que’ dì regnava Amico (Amyrus), fig. di Nettuno e della ninfa Melìte,
al
quale si dà il vanto di avere il primo ritrovato
o che per sorte giungevano nel suo regno, obbligava a seco combattere
al
cesto ; nel che essendo valentissimo, li vinceva
a gli altri eroi riportarono la palma Castore nella corsa, e Polluce,
al
cesto. Pindaro dice che i Dioscuri, accolti amore
i Argonauti, acchetossi tosto che si videro due fuochi girare intorno
al
capo de’ Tindaridi. Questi fuochi che spesso appa
il quale percosso avea Polluce con un gran sasso sì che n’era caduto
al
suolo. Se crediamo a Pindaro, Polluce pregò Giove
ella sfera, è il solo a noi visibile e non si vede mai scendere sotto
al
nostro orizzonte. E come Artofilace o Boote, perc
tto al nostro orizzonte. E come Artofilace o Boote, perchè più vicino
al
polo, sembra procedere con più lentezza, è chiama
ano un’origine divina ; ed Ilioneo (1) Ioda Enea ed i Troiani, perchè
al
sommo Giove riferivano il principio del lor legna
el miserando fato di Troia, abbandonò il suo posto e ritirossi presso
al
polo artico. Oltre a Dardano, Giove ebbe da Elett
trabone conghietturò, il tempio di Ammone un dì essere stato in mezzo
al
mare, perchè altrimenti non avrebbe potuto il suo
i qual miracolo del nume. Una fontana ricchissima di acque che presso
al
tempio si divideva in mille rigagnoli, era la cag
rii segni. Celebre nella storia è la spedizione del grande Alessandro
al
tempio di Giove Ammone(1). Non contento egli del
i giunse, nou senza favore de’ Numi, ad un bosco amenissimo, in mezzo
al
quale era quella favolosa fontana, di cui le acqu
dre di tutti, ama che gli ottimi sien chiamati suoi figliuoli. Vicino
al
tempio di Giove Ammone ritrovasi il così detto sa
me o dalle arene, cui è frammischiato, o dal tempio di Ammone, presso
al
quale si raccoglieva(1). Dodona fu città dell’Epi
ono che a Dodona davano gli oracoli due colombe, delle quali una volò
al
tempio di Apollo in Delfo ; e l’altra, a quello d
fig. di Giove, e di Alcmena, il quale vi combattè il primo con Acareo
al
pancrazio ; e ciò forse perchè gli antichi ad Erc
eva nella storia de’ Greci, il tempo incerto, dal principio del mondo
al
diluvio ; il mitico o ’favoloso, dal diluvio alla
un lungo scettro nella destra. Sotto i piedi ha un grande arco simile
al
lembo dell’aurora boreale ; e nel contorno della
di Giove, di cui la luce dagli Astrologi si reputa benigna e prospera
al
genere umano, a differenza del pianeta di Marte c
, secondo gli Stoici, Giunone era l’aere posto in mezzo alla terra ed
al
cielo. E diceasi moglie di Giove, perchè l’aere,
gradito, perchè si vuole che quivi abbia avuto il suo natale, vicino
al
fiume Imbraso e sotto una pianta di vetrice(1). N
lora Mercurio precipitò la ninfa insieme colla casa nel fiume, presso
al
quale abitava, e la trasformò in testuggine, anim
i nembi l’ocean sorvola : Con acuti clangori, e guerra e morte Porta
al
popol Pigmeo. Monti. Gameron crede che Pigmeo (
neide ; ci conviene dal principio raccontare l’oltraggio che toccò sì
al
vivo l’animo altero della Dea, e che fu la fatale
vea a Laomedonte pel rapito Ganimede(3). Ercole consegnò la figliuola
al
padre per andare a compiere una sua impresa ; dal
percui fu il giovanetto chiamato Priamo (a πριαμαι, redimere). Ercole
al
giovane Priamo diede il regno di Troia, e Telamon
eder giudice fra la moglie e due figliuole, impose loro di rimettersi
al
giudizio del pastorello Paride. Le Dee se ne anda
ò fra Troia e Roma fosse frapposto gran tratto di procelloso mare, ed
al
sepolcro di Priamo e di Paride insultassero gli a
sepolcro di Priamo e di Paride insultassero gli armenti. Virgilio(4)
al
contrario finge che Giunone, sapendo essere ne’ f
tali libri fermato che il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede
al
destino e consente che i Troiani sieno potenti in
odo infrangibile t’avvinsi, E alla celeste volta con due gravi Incudi
al
piede penzolon t’appesi ? Fra l’atre nubi nell’im
ere la diletta Cartagine ; richiama alla memoria i ricevuti torti, ed
al
paragone di Pallade, la quale per più lieve cagio
, si crede vilipesa. Quindi obbliando la sua dignità e solo aspirando
al
piacere della vendetta, va da Eolo, e sebbene tan
che dicono i poeti d’Iride. È vero che in Omero(4) Ebe pone le ruote
al
cocchio di Giunone, e vi attacca il bel giogo e l
ricompensa de’ servigi prestatile, ed essa stava sempre assisa presso
al
trono della Dea, pronta ad eseguire gli ordini su
di più colori che in tempo di pioggia si vede nell’aria di riucontro
al
sole, detto arco baleno o celeste, ed Iride (1).
uell’arco formato dalle gocce di acqua di una nube posta di rincontro
al
sole ; e da Elettra, che significa splendore del
chezze ed ogni altro bene temporale, e che dal Guidi chiamasi superba
al
par di Giuno. Era essa là Dea della buona e della
dipingono calva, cieca, colle ali a’ piedi, uno de’ quali appoggiato
al
di sopra di una ruota, e l’altro, sospeso in aria
pra di una ruota, e l’altro, sospeso in aria. Da ciò la frase, essere
al
colmo, o nell’infimo della ruota di Fortuna. La r
ni, pe’ quali giunge sì tardi che spesso li trova invecchiati ; alato
al
contrario e più veloce degli uccelli, quando vuol
no della loro nascita sacrificavano in di lei onore, come gli uomini,
al
loro genio(5). Ma sul nome Lucina vi è non poca c
). Malamente Plinio(3) dice che ciò avvenne a Girgenti. Giunone avea
al
suo servigio quattordici bellissime Ninfe(1) ; ma
ratelli Cleobi e Bitone, i quali, vedendo che la madre Cidippe andava
al
tempio su di un carro tirato da buoi, percui non
, le quali ordinariamente si confondono dagli antichi poeti. Riguardo
al
nascimento di lei, alcuni la vogliono nata da Gio
un’altra cosa avea prodotto, partorì dal suo cervello Minerva, uguale
al
padre sì nella potenza che nel consiglio, ed indo
nella Libia, che credevasi la più antica terra del mondo e più vicina
al
cielo, come argomentavano dal gran calore di quel
si giura per gli occhi di questa Dea(2). La sua chioma poi era bionda
al
dir di Stazio(3). III. Potenza e maestà di Min
e della nostra Dea. Fra i quali vuolsi ricordare il giovane Telemaco,
al
quale la Dea della sapienza, sotto le sembianze e
Dei contendevano a chi dovesse dare il nome alla città e che spettava
al
popolo il giudicare qual de’ due Numi avesse a vi
pprodato nell’Attica, ed avendo ritrovato gli uomini del paese dediti
al
culto di Nettuno, cioè inchinati alla navigazione
paese dediti al culto di Nettuno, cioè inchinati alla navigazione ed
al
corseggiare, si studiò a suo potere d’introdurre
no a vedere l’industriosa Aracne o aggomitolare la lana, o avvolgerla
al
fuso, o far bellissimi ricami. Ma una gran maestr
e Minerva, con soggettarsi, se vinta fosse, ad ogni gastigo. Si viene
al
cimento, ed imprendono a tessere ciascuna un nobi
studiò di vincere la sua divina rivale, e fece un broccato da reggere
al
paragone con quello di Minerva. Ma la Dea gelosa
ri andava per que’ sacri boschi discorrendo, avvenne di veder Pallade
al
fonte d’Ippocrene(1). E come niun mortale potea i
quelle contrade. Ebbe ancora lunga vita di sette o di otto secoli ; e
al
dir d’Omero(2) gli fu pur concesso che nell’infer
delle navi. Prima della spedizione degli Argonauti vi erano già navi
al
mondo, sapendosi che molte colonie del continente
mare, fu la nave Argo, chiamata da Fedro opera Palladia (2). Giasone,
al
ritorno della sua spedizione, consacrò questa nav
e del tessere, per cui la frase operari Minervae significa dare opera
al
telaio (3). Presedeva pure al lanificio, percui i
e operari Minervae significa dare opera al telaio (3). Presedeva pure
al
lanificio, percui in Atene a lei si sacrificava l
lito. Per liberarsi da’ mostri che notte e giorno il tormentavano, va
al
tempio di Apollo a Delfo ed implora il soccorso d
a, pregandola ch’ella stessa lo assolvesse. Oreste ubbidisce e giunge
al
tempio della Dea, portando in mano un ramo di uli
è facevasi a Minerva l’offerta del peplo, questo o si gettava addosso
al
simulacro di lei a guisa di veste, o si deponeva
peplo di Minerva. Per via di occulte machine portavasi per le strade
al
tempio della Dea una nave fornita di remi e che p
a vergine avvenente, cogli occhi azzurri, di alta statura, coll’egida
al
petto, e con elmo, asta e scudo. In una gemma si
è preceduta da un serpente, ed ba un parazonio, o scimitarra pendente
al
fianco. Nel tempio di Minerva Elidia, il casco di
r cui cantò Dante : ……. vedea Pallade e Marte, Armati ancora intorno
al
Padre loro, Mirar le membra de’ giganti sparte.
tadella di Atene era un tempio di Pallade detto il Partenone ; dietro
al
quale stava il tesoro pubblico, affidato alla cus
coll’asta nella destra, e nella sinistra, la conocchia ; e che recata
al
luogo, ov’era Dardano, questi consultò l’oracolo,
nespugnabile, Ulisse, e Diomede per le cloache osarono penetrare sino
al
luogo ove custodivasi la fatale effigie ; ed ucci
ur Febo (Φοιβος), che vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità che
al
sole assai bene convengono. Questo nume in cielo
ono d’inestimabile bellezza sedeva Apollo, vestito di luce ; il quale
al
veder Fetonte non si tenne dal fargli molte care
co di Apollo, col quale presso l’Eurota trovossi un giorno a giuocare
al
disco. Il lanciò quel Nume ben alto e con mirabil
a diletto ; e le ramose corna fregiate di oro, un bel monile di gemme
al
collo ed altri ornamenti ne facevano il più piace
vole diporto di quel paese, e sopra tutti, di Ciparisso, il quale ora
al
prato, ora all’acqua chiara di un fiumicello il m
liope fu fig. il gran cantore Orfeo, il quale nacque in Pimpla vicino
al
monte Olimpo. Mirabile e quasi divina fu la sua p
za di conforto, e l’estinta consorte dì e notte chiamava, facendo eco
al
suo pianto le rupi del monte Rodope. E tanta fida
di latrare e fermossi la volubile ruota d’ Issione. Proserpina stessa
al
Tracio cantore donò la sposa, ma con patto che no
, ma solo per vederla svanire per sempre dagli occhi suoi e ritornare
al
soggiorno delle ombre. Allora squallido, per sett
gulare il latte ed a fare il mele e l’olio, il primo ne insegnò l’uso
al
genere umano. Plinio(1) dice che Aristeo ritrovò
ose pecchie del buon Aristeo, dalla valle di Tempe andò egli doloroso
al
fonte, da cui nasce il Peneo, ed ove la reggia er
aggi fatti ad Euridice, e per placare l’ombra di Orfeo. Allora Cirene
al
figlio prescrive il sacrificio di quattro tori e
epolo Ercole colla propria lira, perchè, vedendolo di poca attitudine
al
canto, ne lo avea un di poca attitudine al canto,
dendolo di poca attitudine al canto, ne lo avea un di poca attitudine
al
canto, ne lo avea un dì aspramente rampognato.
il quale era superbo della sua maestria nel suonare il flauto, veniva
al
paragone col medesimo Apollo(2). Imolo, re della
Frigii, colla quale coprendo il capo e le orecchie, a tutti, fuorehè
al
suo barbiere, tenne occulta quella ignominia. Il
nò sì maestrevolmente che ne venne in gran superbia ed ardì provocare
al
canto le Muse e poscia il medesimo Apollo. A prin
a di lui temendo, senza la figliuola se ne ritorna, e chiede vendetta
al
Nume del ricevuto oltraggio. Allora scende dal ci
uni sacrificii di quel Nume, in pena vide miseramente darsi il guasto
al
suo campo da grandissima schiera di topi. Per all
Orde, di lui pastore, colle saette uccise tutti que’ topi ; e comandò
al
pastore che dicesse a Crine, avergli Apollo di pe
Aganippe(4) il facevano quanto delizioso, altrettanto alla poesia ed
al
canto favorevole. IX. Continuazione. Filammone
llo del sacro bosco delle Muse. Le Sirene eziandio(1) osarono sfidare
al
canto le Muse ; ma furon vinte da quelle Dee, che
. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava sì dolcemente, che
al
suon di quelle corde i sassi, movendosi da se, an
ia, ma quella cetra Cou che tu dopo i gigantei furori Rendesti grazie
al
regnator dell’etra. Le Muse infine le passate, l
Le Muse infine le passate, le presenti e le future cose annunziando,
al
loro canto divino rallegravasi tutto l’Olimpo(5).
d’Ippocrene, di Aganippe, ec. a’ quali beono i poeti maggiori, tutto
al
contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicell
a’ quali beono i poeti maggiori, tutto al contrario di lui che bevea
al
Permesso, fiumicello che scorre dall’Elicona. Poe
in quel fonte. Il caval Pegaso fu preso da Bellorofonte, mentre bevea
al
fonte di Pirene. Anzi Stazio(3) afferma che quest
ca colla sua bacchetta un globo che poggia su tre piedi, ed ha dietro
al
suo capo una stella. Catullo la fa madre d’Imeneo
bastasse ; le donne romane diedero i più cari ornamenti per giungere
al
determinato valore. Il tempio poi, ov’era allogat
fig. dello stesso Apollo. I quali, finita la grand’opera, dimandarono
al
Nume un guiderdone pari alla fatica, cioè quella
pollo Delio di far sì che gli Ateniesi ogni anno facessero un viaggio
al
suo tempio, se ritornato fosse vincitore. Così is
o ; ed ella di quel dono invaghita tradì il consorte. Anfiarao impose
al
figliuolo Alcmeone di vendicar dopo la sua morte
i eran reputati veraci e fermi ; e si finse che quando nacque Apollo,
al
parto suo assistesse la Verità. XIV. Continuaz
o era vulnerabile, come Ettore stesso, vicino a morire, predetto avea
al
suo inesorabile vincitore(3). Alcuni vogliono che
an soliti presso i Greci di consultare l’oracolo di Delfo sì riguardo
al
luogo ed al modo d’impadronirsene, e sì per conos
esso i Greci di consultare l’oracolo di Delfo sì riguardo al luogo ed
al
modo d’impadronirsene, e sì per conoscere a chi m
Etere ; il secondo, d’Iperione ; il terzo, di Vulcano, fig. del Nilo,
al
quale gli Egiziani avean consacrata la città di E
compagni trasformati in porci per virtù di alcuni di lei farmaci, ed
al
tocco della sua magica verga. E lo stesso sarebbe
campi della Sicilia ed eran di loro natura immortali. Venivan guidati
al
pascolo da due ninfe, Fetusa e Lampezie, fig. del
vinti dalla fame, ne uccisero alcuni. La quale cosa dispiacque tanto
al
Sole che pregò Giove a punir quell’oltraggio ; e
o in seno a Teti ; e che le Ore ligano ogni mattina i quattro cavalli
al
suo cocchio, dopo essere stato trasportato pel se
la versa la rugiada e fa nascere i fiori. Anzi essa attacca i cavalli
al
cocchio del Sole, e poscia siede sul suo tirato d
i Mennonidi (Memnonides), i quali ogni anno dall’ Etiopia si recavano
al
sepolcro di lui, e dopo molti disperati lai, comb
so in piedi e con le gambe incrocicchiate è in atto di unire il canto
al
dolce suono della sua lira. Un cigno sta a’ suoi
a’ teneri viticci, scherza quasi agitata da una dolce auretta intorno
al
divino suo capo, in cima a cui sembra con bella p
lamente e non ad Apollo si appropriano certi attributi che convengono
al
Sole, come il cocchio luminoso, il Zodiaco, e sim
dolente che ricusò di prender cibo, stando sempre cogli occhi rivolti
al
Sole. E però da Febo fu per compassione convertit
i secolari che si celebravan da’ Romani con gran pompa per tre giorni
al
terminare di ogni secolo dalla fondazione di Roma
di donzelle di cui eran viventi e padre e madre (patrimi et matrimi.)
al
numero di ventisette e gli uni e le altre cantava
imperii, che sarà in pregio presso i letterati sino a che si gusterà
al
mondo fiore di poesia. In esso si cantano le lodi
υξ, Nox nigro-peplo. Eurip.). Tibullo(2) dipinge la Notte che attacca
al
suo cocchio i destrieri, ed un coro di stelle che
Gli antichi finsero che i sogni erano o veri o falsi ; che abitavano
al
vestibolo dell’inferno, onde uscivano per due por
inità tiene cogli uomini intesi alla contemplazione della sapienza ed
al
conseguimento della vera beatitudine. V. Breve
cente, la quale, col solo suo perpetuo cinguettare, poteva soccorrere
al
deliquio della Luna senza che si adoperassero bro
tentavano farla calare dal cielo (succurrebant Lunae laboranti). Come
al
Sole, così alla Luna attribuivano gli antichi alc
mpio edificato da Servio Tullio. Gli Arcadi(4) si vantavano di essere
al
mondo prima della Luna. Heyne(5) crede assai oscu
vidio(1) rafforzino questa opinione. Il qual nome, egli dice, fu dato
al
Sole, perchè liberamentepercorre le vie del cielo
ogò il delfino fra gli astri. Or Acete giunto a Nasso fu tutto inteso
al
culto di Bacco ; ma pur ebbe a temere del furibon
Bacco era il dio del vino, e perciò descrivesi di un carattere, quale
al
nume dell’ubbriachezza si conveniva. Eran lungi d
ebane a far pazze allegrezze sul Citerone, monte della Beozia, vicino
al
Parnaso, a Bacco ed alle Muse consacrato. All’arr
n re sapiente, il quale volendo mettere un modo a’ gravi disordini ed
al
pericoloso furore che nelle intere città destavan
che gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e che in ciascun anno
al
padre ed alla figliuola offerissero le primizie d
de degli Egiziani. Tibullo(2) chiaramente confonde Bacco con Osiride,
al
quale attribuisce non solo la piantagione delle v
evohè ! o sia « coraggio, mio figlio ! » Ma ciò non si può attribuire
al
figliuolo di Semele, perchè la guerra de’ giganti
o perchè il vino addolcisce le menti più brutali e feroci. Quanto poi
al
tirso, leggiamo in Esichio ch’esso nella sua grec
ano allevato, quegli abitanti, dice Millin, tributavano i loro omaggi
al
nume che avea loro viti del nettare involato agli
ero si celebravano alcune feste notturne dette Lampterie, nelle quali
al
suo tempio portavansi torce accese, e qua e là pe
qua e là per le contrade collocavansi crateri pieni di vino ; il che,
al
dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sole ch
iculo(4), significava il Sole che in vino cangia il suo raggio giunto
al
licor che dalla vite cola. Quindi il Redi, parlan
i mele. Ovidio (2) seriamente ci racconta che viaggiando Bacco vicino
al
monte Rodope, i suoi seguaci per caso batterono i
no un cratere a due manichi pure di oro, e colla sinistra si appoggia
al
tirso. La pantera ed i cembali si veggono da un l
di Bacco, dal grido delle Baccanti evan, che corrisponde all’evoè, ed
al
nostro evviva. Perciò le Baccanti furon dette Eva
na licenza ed un’audacia assai grande in guisa che il poeta, servendo
al
soperchio suo estro, passa senza legge da una ad
lto di Venere, eran venuti per mare ; così i Greci che portavan tutto
al
maraviglioso, finsero ch’era nata dalle onde del
ffesa vendicò l’oltraggio, trasformando entrambi in leoni che attaccò
al
suo cocchio. La corsa di Atalanta e d’Ippomene è
e pregò la Terra di poterne piantare ne’ suoi giardini ch’eran vicini
al
monte Atlante. Ora l’Esperidi ch’eran tre sorelle
elao a patto che il vincitore abbiasi Elena e i suoi tesori. Si viene
al
combattimento, e Paride è nel punto di essere ucc
e del Padre de’ numi Venere rincorata il di vegnente si fece incontro
al
figliuolo, il quale ignaro de’ luoghi discorreva
vento gli avesse spinti. Era ella(3). Donzella a l’armi, a l’abito,
al
sembiante Parea di Sparta, o qual in Tracia Arpal
altro luogo (1) con pochi versi soavemente ci rappresenta Venere che,
al
ritorno della primavera, regola le allegre danze,
Venere che, al ritorno della primavera, regola le allegre danze, che
al
chiaror della Luna intrecciano le Ninfe e le amab
lle tre Grazie nomina la sola Pasitea, che Giunone promette in moglie
al
dio Sonno ; forse per significare che il sonno st
ne a lui dalla città di Orcomeno, ed in prima Aglaia che si distingue
al
lieto e decoroso sembiante ; Talia che ha il sacr
vvenire lu poi questa voce nelle nozze gridata e celebrata. » Varrone
al
contrario afferma che nel celebrarsi le nozze si
di attendere alla fatica ed alle faccende domestiche, e specialmente
al
lanificio, giacchè Talassio significava un panier
essi con un certo sentimento di iattanza noveravano i luoghi dedicati
al
lor culto. Cosi la nostra Dea presso Virgilio (2)
ola era capitale Pafo, in cui vedeasi un tempio di Venere, nel quale,
al
dir di Virgilio (1), su cento altari bruciavano S
assai rimota antichità, in cui non ancora si conosceva l’arte di dare
al
legno ed al marmo forme di uomini o di animali. G
antichità, in cui non ancora si conosceva l’arte di dare al legno ed
al
marmo forme di uomini o di animali. Gnido, città
tria. Nell’Antologia greca(1) « Chi mai, dice Antipatro, ha dato vita
al
marmo ? e chi ha veduto sulla terra la bella Cipr
lla famiglia de’ Medici, è simile alla rosa ch’esce fuor della boccia
al
primo apparir del sole dopo una bella aurora, Hey
sia opera di Fidia o di Scopa, la cui Venere, collocata di rincontro
al
circo Flaminio, superava(1)la stessa Venere Gnidi
ri celesti esprimean la bellezza delle membra divine, per farsi dolci
al
cui soave contatto detto avresti di veder correre
stupenda pittura dedicò Augusto nel tempio di G. Cesare, consacrando
al
padre l’origine e l’autrice di casa Giulia ; e pe
ell’aspirata φ ; di modo che αφροδιτη sia quasi απροδιτη, cioè simile
al
color della rosa,perchè ροδον significa rosa. Am
rspiter), e Venere con quello di genitrice (Venus genitrix). In mezzo
al
foro Giulio era il tempio di Venere Genitrice, ch
n dipinto di Pompei rappresentasi Narciso in forma di bel garzone che
al
margine di un fonte si specchia nelle acque, tene
. Or Αρης deriva dal greco αιρω, fut. αρω,distruggere, ben convenendo
al
dio della guerra il titolo di distruggitore sì de
; o secondo alcuni di Enio. Giunone il partori nella Tracia(3), ove,
al
dir di Callimaco(4), egli siede sull’alto vertice
tice del monte Emo. E Virgilio(5), dice che il padre Gradivo presiede
al
paese de’ Geti, antichi popoli della Scizia Europ
di nella zona torrida quella eziandio di far morire. Da ciò venne che
al
dio Marte fu assegnata la guerra e le battaglie.
on molta gravità e religione danzavano in onore di Marte. Ed Omero dà
al
nume della guerra il soprannome di danzatore. Dio
etuoso Iddio, che cadde e steso ingombrò sette iugeri. Venere accorsa
al
pericolo aiutò il povero nume ; ma Minerva non la
per cui giacquero entrambi per mano della Dea distesi vergognosamente
al
suolo. Ma certo fu più ontoso per Marte il fatto
ferito nume, e ruppe in un tuon pari di nove o dieci mila combattenti
al
grido. I Troi l’udiro, udir gli Achivi e ne trema
or de’ nembi Giove e rispose ; querimonie e lai Non mi far qui seduto
al
fianco moi, Fazioso incostante, e a me fra tutti
le colla spada sguainata in mano, tutto insanguinato esorta i soldati
al
combattimento e siede sul cocchio, allato al qual
guinato esorta i soldati al combattimento e siede sul cocchio, allato
al
quale sta il Terrore e la Paura, che lo Scoliaste
el nume, gli metteva in ordine il cocchio ed i cavalli, quando andava
al
combattimento. Essa avea in mano un flagello ed u
ine assai celebre. Ed in vero un popolo di natura sua bellicoso e che
al
valore guerriero doveva la sua origine e la sua g
, che allora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, animale dedicato
al
dio della guerra, perchè rapace e feroce, porse i
ante immortali opere, e rassegnando un dì l’esercito nel piano vicino
al
padule di Capre, mentre ch’ei parlamentava, incon
scudo di bronzo. Allora Numa, sulla parola di Egeria, fece intendere
al
popolo che quello scudo era stato mandato dal cie
a. Per impedire che involato fosse, Numa ne fece formare altri undici
al
primo somigliantissimi da un tal Veturio Mamurio,
era ballo di gente armata. Essi accordavano il loro canto ed il passo
al
tintinnio degli scudi che percuotevano con una ba
iliano afferma, appena intendersi dagli stessi sacerdoti(3). In mezzo
al
foro era in Roma un tempio di grande magnificenza
ii, vi era eziandio il Flamine Marziale, che in dignità si avvicinava
al
Diale, cioè al Flamine di Giove, e si sceglieva s
ndio il Flamine Marziale, che in dignità si avvicinava al Diale, cioè
al
Flamine di Giove, e si sceglieva sempre mai fra i
Pelope, fig. di Tantalo, ricevuti da Nettuno cavalli alati, e tratto
al
suo partito Mirtilo, cocchiere di Enomao, e fig.
cchiere di Enomao, e fig. di Mercurio e di Fatusa, una delle Danaidi,
al
quale avea promesso la metà del regno, vinse Enom
amia che portò a casa ; e nel viaggio, non volendo mantener la parola
al
perfido Mirtilo, il precipitò nel mare che da lui
lona. Marte si rappresentava armato da capo a piedi, con lo scudo
al
braccio ed un gallo accanto, simbolo della vigila
l’ omicida Enialio, cioè a Marte ; ed Achille eziandio si rassomiglia
al
prode Enialio, cioè a Marte che crolla il suo elm
sa di quella Dea, invasata dal suo furore, prima di predire il futuro
al
poeta, si flagella, non teme la fiamma, si lacera
re co’ più dalle merci (a mercibus), perchè era il nume che presedeva
al
commercio ed alla mercatura(3). Altri però dicono
r così dire, in mezzo agli uomini, secondo S. Agostino(4) ; o perchè,
al
dir di Servio(5), questo dio sempre corre dal cie
insegnò l’uso delle lettere ; e vi fu chiamato Thoth, nome dato pure
al
primo mese dell’anno, forse perchè quegli fu l’in
numeri. Ma i poeti tutto ciò che narrasi di Mercurio, l’attribuiscono
al
Mercurio greco, fig. di Giove e di Maia. Atlante,
re nipote di Atlante (2). E si vuole che Mercurio avesse dato il nome
al
quinto mese dell’anno, chiamandolo Maius dal nome
ercui meritò il nome di Ermete, cioè di oratore ; il che ben conviene
al
Mercurio de’ Greci (1). Ed affinchè meglio si sco
ato dormire, dovendo di notte guidare le anime a Plutone ed assistere
al
loro giudizio, come se fossero picciole occupazio
artitamente le incumbenze di Mercurio. E primieramente egli presedeva
al
commercio ed era il nume protettore de’mercatanti
fu solo veduto da un vecchio pastore di que’ dintorni chiamato Batto,
al
quale, affinchè tacesse, donò quel nume una belli
ca e scioglie il volo. In un batter di ciglio all’Ellesponto Giunge e
al
campo Troian. Qui prende il volto Di regal giovin
amente quello strumento musicale da’ Latini detto testudo, tartaruga,
al
quale Orazio (3) dà sette corde, perchè facevasi
icerchi, e le teste si sollevano l’una contro l’altra, spesso un poco
al
di sopra dell’estremità della verga, mentre le co
be in compenso questa verga prodigiosa, colla quale quel nume guidava
al
pascolo gli armenti ; e che Mercurio, volendo far
la loro animosità, e que’ due serpenti fatti amici si attorcigliarono
al
bastone in guisa da formar quasi un arco colla pa
defonti ; ma alcuni vogliono ch’esso li apriva piuttosto, alludendosi
al
costume de’ Romani di aprire sul rogo gli occhi d
Anche Orazio(2) rappresenta Mercurio che conduce le anime de’ giusti
al
lieto soggiorno degli Elisi, e che coll’aurea sua
uogo, ove gli antichi si esercitavano, per la ginnastica, alla lotta,
al
disco, al bersaglio e ad altri simili giuochi ; e
gli antichi si esercitavano, per la ginnastica, alla lotta, al disco,
al
bersaglio e ad altri simili giuochi ; e questo no
cciatori per ripararsi dalla pioggia e dal sole. Le ali poi attaccate
al
petaso indicano la velocità del celeste messaggie
testuggine ed a destra una lucertola, ed un ariete sta pure in piedi
al
suo fianco. « Mercurio Crioforo, cioè che porta l
le ; ha la clamide, il petaso colle ali, stringe un caduceo, in punta
al
quale è una mezza luna. Si dipinge come un giovin
Alipes Deus chiamato da’ poeti(1), perchè fornito di ali a’ piedi ed
al
petaso. Argicida, Αργειφοντης (ab Αργος, Argus,
uce tutti gli esseri. E però spesso chiamavasi la Gran Madre, perchè,
al
dir di Aristotele(3), siccome naturalmente tocca
rne, abbondavano più degli altri di oracoli. Tale era la Beozia, che,
al
dir di Plutarco, ne avea moltissimi. La quale cos
gliar soleano ad un rotondo scudo od alla luna che risplende in mezzo
al
cielo (2), sebbene per tampana Febea presso Virgi
r la bruttezza mostruosissimi. Callimaco li rassomiglia per l’altezza
al
monte Ossa ; ed Omero dice esser simili al vertic
rassomiglia per l’altezza al monte Ossa ; ed Omero dice esser simili
al
vertice selvoso delle alte montagne ; e presso Vi
e una porta sormontata da leoni, fu opera loro ; ed essi fabbricarono
al
re Preto le mura di Tirinto, città dell’Argolide.
ta con tutti e due gli occhi ; ed Omero non ha mai dato un sol occhio
al
suo Polifemo acciecato da Ulisse. Strabone(2) par
zione del plagiaulo (πλαγιαυλος, tibia obliqua) o flauto traverso. Ed
al
dir di Ovidio (4), in fistola fu trasformata Siri
ume antichissimo dell’Arcadia, ove per quei monti errava ora cantando
al
suon della fistola, ed ora veloce inseguendo le f
ndo, perchè dipingevasi di minio. Pale, secondo alcuni, era un Dio, e
al
dir di Ovidio, una Dea de’ pastori, cui facevan v
un banchetto con altre dee, avendo dal doloroso pianto delle compagne
al
ritorno argomentato il rapimento della figliuola,
cercar della sua Proserpina(2). Nelle mani avea due gran faci accese
al
gran fuoco dell’Etna per la notte ; ed in tutto q
’avea Lasciata fuor d’ogni segnato calle : Fatto ch’ebbe alle guance,
al
petto, ai crini, E agli occhi danno, alfin svelse
ti, La terra, il mare ; e poi che tutto il mondo Cercò di sopra, andò
al
tartareo fondo. III. Continuazione – Ascalafo
una rustica casuccia, da cui, picchiando, vide uscire una vecchia che
al
chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse cer
cielo. Cerere rimane attonita a tal nuova, e piena di dispetto ne va
al
cielo, sopra il suo cocchio, e piangendo dice a G
piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata che fu la dea, donò
al
fanciullo il vigor della vita ; di che fu lietiss
lezza accoltolo nella reggia, tentò di ucciderlo. Ma Cerere non mancò
al
suo Trittolemo di pronto aiuto, e punì tosto la g
unda (2). Legifera o Tesmofora (θεσμος, lex ), perchè diede le leggi
al
genere umano (3). Spicifera chiamasi, perchè Dea
d Agamennone. Nè son da tacere il bel trono d’oro che Giunone promise
al
Sonno in guiderdone ; e la corazza di Diomede, e
cia molte e bellissime opere di arte. Ma di tutte le opere attribuite
al
Dio del fuoco la più famosa è lo scudo di Achille
dissimo fu il cordoglio e la disperazione dell’eroe, che vuol correre
al
campo per vendicarla ; ma la madre Teti, uscita d
ù mirabili pruove, era fra i Troiani un Darete, sacerdote di Vulcano,
al
quale fu ucciso da quell’eroe il primo de’ due fi
a la morte, se Vulcano non lo avesse cinto di nebbia e così sottratto
al
furor del nemico. Famosa poi è la lotta di Achill
me della Frigia, chiamato Xanto dagl’Iddii, e dagli uomini Scamandro,
al
dir di Omero(1). Il figliuol di Peleo, dopo grand
e ne avea rincacciato nella città, e parte nello Scamandro, il quale,
al
vedere il suo letto iugombro tutto di cadaveri, i
l fiume, il quale « s’infoca ed in voce dolorosa esclama : Vulcano,
al
tuo poter nullo resiste De’ numi ; io cedo alle t
(1), condusse in que’ luoghi buoi di maravigliosa bellezza ; e presso
al
Tevere fermate le bestie in luogo erboso, e stanc
scelti i più belli, ed attesochè le pedate avrebbero potuto mostrare
al
padrone, ove essi fossero stati guidati, per la c
ll’opera di Vulcano notò questo difetto, che non avea fatto una porta
al
petto dell’uomo, per iscorgere i pensieri dell’an
oro, Vulcano fu quello che per commessione di Giove, attaccò Prometeo
al
monte Caucaso in pena di aver rubato il fuoco dal
da dies, perchè la Luna col suo splendore fa che la notte sia simile
al
giorno. Altri finalmente vogliono(3) che fu così
abilissima a tirar l’arco, amava i boschi ed i monti e feriva i cervi
al
corso. In breve, la caccia era la sua passione, e
ghiale. Nel Museo Borb. si ammira un dipinto di Pompei, in cui vedesi
al
dorso di una montagna su di una colonna allogato
una colonna allogato un simulacro di Diana : siede Meleagro in mezzo
al
dipinto, e forse parla con Atalanta. A’piedi dell
rapresa cosa alcuna da’Greci ; il quale dichiarò che Diana opponevasi
al
loro tragitto in Asia ; e che perciò doveasi plac
mmolata ; ma questa mossa a pietà dell’ innocente fanciulla, la tolse
al
sacrificio, ricoprendola di folta nebbia e sostit
ti a’confini della Tauride, furon presi e condotti a Toante e portati
al
tempio di Diana per esservi immolati. Allora i du
ede occasione alla gara de’ due amici. Or ella dà una lettera diretta
al
fratello Oreste che credeva in Argo ; e ciò fu ca
i Greci nella caccia delle lepri, per ciascuno si pagavano due oboli
al
tesoro di Diana. Vi era ancora una danza solita a
trice ; e presso Euripide nelle Troadi si descrivono le fanciulle che
al
suono delle tibie danzano tutte unite ed in giro
Diana. Molte ninfe e Marine, e Fluviatili, ed Oreadi ec. volle la Dea
al
suo servigio, perchè amava con esso loro danzare
artefici, dicendo che per opera di Paolo si perdeva l’onore prestato
al
tempio della grande Diana degli Efesii e che comi
Erostrato, uomo di oscuri natali, desiderando di acquistare celebrità
al
suo nome, incendiò quel gran tempio. I magistrati
o, in lunga verginal veste discinta, cavalca una cerva. I poeti tanto
al
sole che alla luna assegnano il trono di oro ; ma
apo tre strade. IX. Alcune altre cose di Diana. Callimaco pone
al
servizio di Diana venti ninfe dette Annisiadi, le
ean cura de’ calzari venatorii della Dea e de’ suoi cani, attaccavano
al
cocchio di lei le cerve e le distaccavano ec. Sec
la di cogliere i pomi d’oro del giardino delle Esperidi ch’era vicino
al
monte Atlante. Un dragone dalle cento teste e che
lmente calò all’inferno per trarne fuori il can Cerbero(1). Egli andò
al
Tenaro, promontorio della Laconia, ov’era la port
viaggiando colla moglie Deianira per recarsi a quella città, e giunti
al
fiume Eveno che allora per molte acque era gonfio
e la sua clava, vi fece attaccar fuoco da Filottete, fig. di Peante,
al
quale donato avea la faretra e le avvelenate saet
icuperò la grazia del padre e Linceo fu dichiarato erede e successore
al
regno. Le altre sorelle, per l’inumano tradimento
lo Tieste, ne uccise i figliuoli e ne apparecchiò le carni in vivanda
al
padre ; alla quale vista fingesi che il sole si v
r vendicarsi di tanta ingiuria, uccise Iti, suo figliuolo, e lo diede
al
padre in forma di vivanda, acciocchè il mangiasse
, in fagiano, e Tereo, in upupa. Quindi l’Ariosto : Come vien Progne
al
suo loquace nido. Ed altrove : Qual Progne si l
vò assai costernata per l’infame tributo che doveasi ogni anno pagare
al
Cretese Minotauro. Il giovane eroe si offre ad uc
giovane eroe si offre ad uccidere il mostro, ed imbarcatosi consegna
al
nocchiere due vele, una nera ed un’altra bianca ;
vele, una nera ed un’altra bianca ; la prima, segno d’infausto evento
al
ritorno, e la seconda, di prospero. Giunto a Cret
di Creteo, volle, già vecchio, destinar Pelia, suo fratello uterino,
al
governo del regno dì Tessaglia fino a che non div
e di lui dovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde, avendo domandato
al
nipote che dovesse mai fare di una persona, da cu
ma volle prima far pruova del suo valore, comandandogli di sottoporre
al
giogo due grandi, e fierissimi tori e che avesse
ve mandato un assillo, il cavallo fece precipitare l’audace cavaliere
al
suolo, il quale morì di tal caduta. Da Properzio(
iegati dai Greci in questa spedizione ; secondo Omero erano 1186 ; ed
al
dir di Tucidide, 1200. In questa guerra erano imp
all’assedio di Troia, e dichiarò che Diana era quella che opponevasi
al
tragitto dell’armata nell’Asia co’ contrarii vent
no pel quale la madre lo avea tenuto. Ella il diede poscia ad educare
al
centauro Chirone, il quale, oltre tutti gli altri
e ed il supremo duce Agamennone, diciamo che avendo questi restituita
al
padre la sua schiava Criseide per placare lo sdeg
da, ove procurava di consolarsi di quell’ingiusto oltraggio, cantando
al
suon della cetra le grandi azioni degli eroi. Nè
menticando il suo antico risentimento contro Agamennone, fece ritorno
al
campo, fugò i Troiani e vendicò, coll’uccidere lo
alle mura di Troia l’infelice cadavere di Ettore attaccato pe’ piedi
al
suo cocchio ed esporlo a’cani ed agli avvoltoi. M
o Millin, non era che un istrumento da prendere i pesci, di cui anche
al
presente fanno uso i greci pescatori. Certamente
ndi sono gli effetti di esso, che noi tuttodì sperimentiamo. Di fatto
al
mare, e quindi a Nettuno, attribuivansi i tremuot
le grandi aperture fatte in essa sieno opera di lui, o sia del mare,
al
vedere quella famosa valle ognuno è indotto a pen
ul mare ci dà Virgilio(3), quando dice ch’egli fa attaccare i cavalli
al
dorato suo occhio, e loro ne abbandona le redini
e abbandona le redini ; ch’ei vola sulla superficie delle onde, e che
al
suo cospetto i fiotti si cal mano e dileguansi le
si cal mano e dileguansi le nubi, mentre cento mostri marini intorno
al
suo cocchio si raccolgono. Si sa che Omero(1) lo
i i monti e le foreste : « Egli ha fatto tre passi, dice il poeta, ed
al
quarto giunge sino a’ più lontani lidi. Dal seno
onde lor grotte le pesanti balene si alzano e van saltellando intorno
al
loro re. La terra con dolce fremito attesta la pr
loro re. La terra con dolce fremito attesta la presenza di lui. Sotto
al
suo cocchio si curvano i fiotti, e le ruote che f
dea di ferocia e di crudeltà che gli uomini meritamente attribuiscono
al
mare, è avvenuto che i poeti, come chiamano figli
e merita di esser letto da’giovani studiosi. Il Chiabrera, alludendo
al
vino che per opera di Ulisse imbriacò Polifemo, c
iato nel fiume oggidì detto freddo, perchè nascendo dall’ Etna, porta
al
mare gelidissime le sue acque. Per tale fatto que
assiso sulle onde del mare con una picca in mano ed un mostro marino
al
fianco ; tiene un’urna e versa acqua. Si dipinge
ma principe del mare. Vi era Tritone, fig. di Anfitrite e di Nettuno,
al
quale serviva di trombettiere, detto perciò canor
onde commosse, e che queste, come se avessero avuto senso, ubbidivano
al
suo impero. Veniva rappresentato in figura di mez
a, ed essendovi una considerevole differenza nel getto de’capelli che
al
disopra della sua fronte s’innalzano. Alle volte
oi veleni contaminò un bel fonte, ove quella vergine era solita stare
al
rezzo in sul meriggio e lavarsi. Per la virtù de’
vere la trasformazione di Scilla ; poichè se nell’Eneide dice ch’essa
al
di sopra è una leggiadra donzella, mentre termina
a greca e latina, era anticamente assai temuta, perchè essa tre volte
al
giorno assorbisce e tre volte rigetta e spinge si
essa tre volte al giorno assorbisce e tre volte rigetta e spinge sino
al
cielo le onde (5) ; il che tutto deriva dal noto
me dice Dante, un luogo d’ogni luce muto. E spesso questo nome davasi
al
nume stesso dell’inferno, chiamandosi Plutone Αιδ
l greco poeta ? Sappiamo che i Cimmerii eran popoli dell’Asia, presso
al
Bosforo da essi detto Cimmerio, non lungi dalla P
i Omero erano sulle coste d’Italia, e che gli antichi ponevano presso
al
lago d’Averno la Negromanzia di Omero, cioè l’und
e soglia di bronzo ; e che tanto è di sotto all’Orco, quanto la terra
al
cielo. Il Tartaro, secondo Esiodo (1), era il car
degli empii giace da noi discosto in profonda notte avvolto, intorno
al
quale fiumi di nera acqua risuonano. Quivi l’orre
zio fa pasto dell’atre sue viscere, mentre per nove ingeri è prosteso
al
suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua
cora è Tantalo in mezzo all’acqua che fugge e che quando è già presso
al
labbro, più avviva la rabbiosa sua sete. Quivi in
urissimo ; altri, nella luna, ed altri nel centro della terra accanto
al
tartaro ; ma l’opinione più comune li pone in alc
rno de’giusti. Quivi da ogni parte veggonsi bei fiori che risplendono
al
pari dell’oro e che o spuntano dal suolo o pendon
llato a Saturno, padre de’numi e marito di Rea, il cui trono si eleva
al
di sopra di tutti gli altri. Pindaro, nel descriv
one avanti gli occhi la felice turba che alberga negli Elisii. Quivi,
al
dir del poeta, non giovanetti e donzelle, ma magn
ipereo ed insanguinato crine. Là pure (1) un opaco e grande olmo erge
al
cielo le annose braccia ; sotto ogni fronda del q
e, e le Gorgoni e le Arpie. Prima di giungere alla casa di Plutone ed
al
tribunale di Minos è mestieri passar l’Acheronte,
in caso di oscurità e di dubbio. Dopo la loro sentenza vanno le ombre
al
luogo de’ tormenti o nel soggiorno de’giusti. La
gusto, avendo Agrippa fatto tagliare quella selva e costruire intorno
al
lago degli edificii, si vide che tutto era favola
uenza fiumi dell’Inferno. Strabone però pone il Piriflegetonte vicino
al
lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare che Virg
nducevano anche il sonno. Virgilio nel quinto libro dell’Eneide diede
al
Dio del sonno un ramo stillante di umor Leteo ; e
e della sepoltura ; e che le anime degl’insepotti erravano o intorno
al
proprio corpo, o secondo altri, intorno alla palu
idolo diverso dall’ombra e dai Mani, per qualche tempo vagava intorno
al
proprio tumolo. E quest’idoli che alle volte dice
a ciò si finse che le ombre de’ morti nell’inferno si radunavano chi
al
foro per attendere alle liti, chi nella reggia di
elle arti professate in vita. Presso Omero le ombre trattano le cause
al
tribunale di Minos, ed Arione si esercita, come i
(1) allogano il Cerbero avanti la porta dell’inferno, forse alludendo
al
costume degli antichi principi che avanti le port
li porge una mistura sonnifera. Orazio (6) finalmente, facendo plauso
al
canto di Orfeo, dice che alla dolcezza di quello
ro veleno esca della trilingue sua bocca ; ma questo poeta che qui dà
al
Cerbero tre capi, in un altro luogo (7) il chiama
, in un altro luogo (7) il chiama bestia dalle cento teste. Le Furie,
al
dir di Virgilio (8), aveano nel primo entrar dell
dicava le anime de’morti, i quali, chi seduto e chi in piedi, stavano
al
suo tribunale avanti la porta dell’ampia casa di
ch’era il caduceo. Disse pure che l’inferno era oltre l’oceano, cioè
al
Nilo, chè dagli Egiziani nel linguaggio del popol
to. La barca che trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις), ed
al
barcaiuolo che volgarmente gli Egiziani chiamavan
famoso laberinto di Egitto, e sopra tutto da quelle ch’eran sotterra,
al
dir di Erodoto. I Coccodrilli sacri che gli Egizi
e tragittavano in una barca. Appena un uomo era morto che conducevasi
al
giudizio. Se il pubblico accusatore provava esser
le ; e ci vien descritto di una maestà truce e tremenda. Il suo capo,
al
dir di Claudiano, è in oscura nube ravvolto ; dal
tessa Dacier osserva che gli antichi davano il nome di Giove non solo
al
signore del cielo, ma ancora al Dio del mare, com
ichi davano il nome di Giove non solo al signore del cielo, ma ancora
al
Dio del mare, come in Eschilo, ed a quello dell’i
Greci, o l’Osiride di Egitto, era il sole d’inverno, cioè il sole che
al
solstizio d’inverno passa sotto la terra, e lo sc
cono del celebre elmo di Plutone. Quando i giganti diedero la scalata
al
cielo, i Ciclopi somministrarono agli Dei armi po
one si rappresentava, dice Albrico Filosofo, in un modo che conveniva
al
principe delle tenebre. Il suo aspetto era quello
d Aletto, che facevali pascolare sulle rive di Cocito, e li attaccava
al
cocchio del suo signore. A Plutone si offerivano
ciso, non rinasce mai più, simbolo della vita umana che quando giunge
al
suo tramonto, non vi è speranza che mai più risor
ebbe forse origine dal considerare gli uomini quali vittime destinate
al
Dio dell’inferno ; e si sa che costumavano gli an
ll’afflitta madre che acconsentì di rivedere la luce e di presentarsi
al
sovrano degli Dei, il quale giurò di restituirle
estini, in guisa che quanto avviene in questo mondo, tutto è soggetto
al
loro impero. Lo Spanheim dimostra che gli antichi
soggetto al loro impero. Lo Spanheim dimostra che gli antichi davano
al
Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferm
ichi davano al Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferma che
al
Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono,
tutt’i celesti numi. Esse erano tre, delle quali la prima presiedeva
al
principio, la seconda, alla continuazione, e la t
presiedeva al principio, la seconda, alla continuazione, e la terza,
al
termine della vita umana ; ovvero la prima ordiva
ta di un Giove, forse per dinotare che anche questo nume era soggetto
al
Destino, di cui le Parche erano ministre. Nel pal
a terra, come da Ovidio si scorge, allorchè parla del fatale tizzone,
al
quale era attaccata la vita di Meleagro. Esse pre
tizzone, al quale era attaccata la vita di Meleagro. Esse presiedono
al
ritorno dall’inferno di tutti coloro che, essendo
a Proserpina nell’Arcadia, a Sparta e nella Sicilia, forse alludendo
al
frumento che conserva l’uomo e lo libera dalla mo
Herod. II, 52. (1). Diod. Sic. XVII ; Q. Curt. IV, Iust. XI, 2 ; et
al
. (1). Plin. XII, 23 ; et XXX, 7. (2). Herod. II
1). Georg. I, v. 12, sq. (2). Quindi operari Minervae per dare opera
al
tessere. Tibull. II, el. 1. Virg. Aen. VIII, v. 8
Il culto, che prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa funebre,
al
tempo della quale si celebrava la memoria delle l
le possibili perquisizioni, e sempre indarno ; nè poteva ritornarsene
al
padre, perchè ciò eragli stato da lui vietato, qu
ezzo di quella, v’avea purè una fontana. Là si avviarono i Fenicj ; e
al
loro rumore ne uscì un Dragone, figlio di Marte e
chè era fratello di Europa. Cadmo però attribuì tutte le sue seiagure
al
destino del luogo, ove soggiornava ; e quindi, do
ettendo gli oggetti, li faceva senza rischio osservare, volò per aria
al
soggiorno delle Gorgori, e felicemente esguì ciò,
one, dicono, trovandosi vicino a morte, affidò la custodia di Giasone
al
fratello Pelia, e a questo pure rinunziò il regno
sembianze di vecchia. Egli si offerì di trasferirla sulle sue spalle
al
di là di quelle acque ; e allora vi perdette un c
allora vi perdette un calzare. Arrivò finalmente in Iolco ; e Pelia,
al
vederlo con un piede ignudo, si rammentò tosto di
l seme etano per mascere (d) (7). Giasone avido di gloria, si acciuse
al
proposto cimento. Prima di spiegare le vele a’ ve
ll’apparite dell’aurora si adunò immenso popolo nel campo di Marte, e
al
cenno del re comparvero i tori co’ piedi di bronz
se il piccolo suo fratello, Absirto, chiamato anche Egialeo (a), nato
al
dire di Apollonio da Asteroclea(b), o da Eurilite
viaggio, e giunsero felicemente in Iolco. Accorsero in folla i popoli
al
loro sbarco, e risuonarono i lidi di liete acclam
sua decrepita età. Il pietoso figlio, osservando il genitore, vicino
al
termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonas
nitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonasse
al
vecchio padre l’età giovanile (d) (23) : lo che a
inito Esone. Quelle la supplicarono di procurare lo stesso bene anche
al
loro vecchio padre. Medea promise di compiacerle,
ittima a di lui onore. Ercole lo persuase di differirne il sacrifizio
al
suo ritorno, e gli promise d’offerirlo egli a Gio
e d’un cantone della Tessaglia, e suo particolare amico(6), s’accinse
al
gran cimento.Era già per rimanerne vittorioso, qu
enchè avesse i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era sì veloce
al
corso, che niuno mai era capace di raggiungerla.
della bellezza di quell’animale, ne impedì il sacrifizio, e persuase
al
marito di sostituirne un altro in luogo di quello
colla clava, per cui acquistò il nome d’ Ippottono Alzò poi una tomba
al
predetto giovine, e appresso della medesima fabbr
mia : bensì gli propose di far prova chi di essi due giuocasse meglio
al
Disco ; chi fosse capace d’attignere maggior quan
lle vendicare siffatta violenza, uccise i pirati, restituì le giovani
al
loro padre, e mise a morte anche lo stesso Busiri
e la predetta Dea si denominò Egofage, ossia manzia-capra (a). Vicino
al
sepolcro d’Eono si consecrò un tempio ad Ercole(b
, e venduta a Litierse o Litierside, figlio di Mida, e suo successore
al
trono di Colene. Dafnide, inconsolabile per la pe
per ultimo con una freccia offese Plutone, che fu costretto di salire
al
Cielo, per farsi guarire da Peone, medico degli D
be per compagno anche Argeo, figlio di Licinnio. L’Eroe aveva giurato
al
di lui padre di ricondurglielo, ma il giovinetto
rpo, e ne portò le ceneri a Licinnio, onde soddisfare meglio che potè
al
prestato giuramento (b). Ercole è stato detto Tir
esantissima tazza d’oro nel tempio d’Ercole. Questi comparve in sogno
al
Poeta Sofocle, e gl’indicò chi n’era stato il lad
trima, e con essa se ne fuggì. L’Ateniese invocò Ercole, corse dietro
al
cane, e ricuperò la preda. Diomo in memoria di ta
, e tagliò loro il naso, le orecchie, e le mani, le quali poi sospose
al
collo di ciascuno. Quindi egli prese il nome di R
altrettanto mostravasi affannoso per la sposa, nè azzardava d’esporla
al
rapido corso di quelle acque. In tale circostanza
la di lui sposa il passaggio sulle sue spalle. Ercole affidò Dejanira
al
Centauro, indi si abbandonò intrepido al fiume. P
alle. Ercole affidò Dejanira al Centauro, indi si abbandonò intrepido
al
fiume. Posto il piede sull’ opposta spiaggia, udì
ume, così non sapeva a qual parte volgere il passo. Giunse finalmente
al
letto d’Onfale, e appenachè toccò, il pello irsut
vea preso ad amare l’anzidetta Jole, piena di gelosia e timori, spedì
al
marito per mano di Lica, suo servo, la veste di N
allora per offerire vittime e voti a Giove, venerato in Geneo, quando
al
cuoprirsene gli omeri s’imbevette del veleno dell
a a togliere i buoi a Gerione, lasciò la giovine incinta. Pirene mise
al
mondo un serpente, di cui ne concepì sounno orror
ri Dei (d). Egli in Roma ebbe molti tempj, e fra gli altri uno vicino
al
Circo Flaminio, e chiamato il tempio del Gran d’E
cole sitibondo, perchè ella celebrava là festa della Dea delle donne,
al
tempo della quale non era lecito agli uomini gust
ro per la prima volta la barba e i capelli. Queglino portavano allora
al
tempio d’Ercole una misura di vino, ne facevano d
nne si chiamavano anche Porte Gadaritane (c). Ercole apparve in sogno
al
leggiadro Miscelo, figlio di Alemone, cittadino d
morfosi sottrasse Miscelo all’ atroce castigo. Quindi, rendute grazie
al
suo liberatore, fece vela con propizio vento per
oleva essere adorato. Esso consisteva nel fargli due sacrifizj, l’uno
al
nascere, e l’altro al tramontare del Sole. Pinari
Esso consisteva nel fargli due sacrifizj, l’uno al nascere, e l’altro
al
tramontare del Sole. Pinario e Potizio fecero ins
la di lui testa, si conservò candida, laddove l’altra, ch’era esposta
al
di fuori, s’annerì pel denso fumo di quel tetro s
i anche Teseo, tratti dalla curiosità di vedere Ercole, erano accorsi
al
palagio reale ; ma tutti al vedere quella pelle s
curiosità di vedere Ercole, erano accorsi al palagio reale ; ma tutti
al
vedere quella pelle si spaventarono, eccettuato T
va attaccare i passeggieri a due pini, a gran forza curvati, affinchè
al
raddcizzarsi di essi, traessero seco una parte de
che notizia di Teseo, tentò di farlo perire, onde assicurare il trono
al
figliuolo, ch’ella avea partorito in quella Reggi
sta una venefica bevanda, volle che il Re stesso ne porgesse il nappo
al
proprio figliuolo, come ad un suo nemico. Mentre
, imbrandì la spada per uccidere l’ingannatrice. La Maga si sottrasse
al
di lui furore, fuggì precipitosamente da Atene, e
tempio d’ Apollo Delfico(a). Teseo, ritornato in Atene, la sottrasse
al
barbaro non meno, che ignominioso tributo, cui es
se di prendersi Venere per guida, e di sacrificarle una capra in riva
al
mare. Così egli fece, e la Dea tosto gli comparve
trasferirsi in Creta, aveva ricevuto ordine dal padre suo di spiegare
al
suo ritorno, se mai poteva riuscirvi, una vela bi
n’era stato la cagione. Gli Ateniesi per consolarnelo esaltarono Egeo
al
grado di Nume marino, lo dichiararono figlio di N
lissena(9), Creusa(10), Laodice(11), e Cassandra(12). Egli finalmente
al
dire d’Apollodoro prese in matrimonio anche Merop
ve Erceo, ove anch’ella colle sue figliuole era ricorsa per sottrarsi
al
furore nemico. Pitro, figlio d’Achille, uccise ap
Non contento d’aver insultato agli ultimi respiri di lui, lo attaccò
al
suo carro, per tre volte lo strascinò col volto n
cordò pure a Priamo una tregua di dodici giorni, onde potesse rendere
al
figlio gli onori funetri. Il Trojano ne fece espo
egnò di renderlo possessore della più bella donna, che vi fosse stata
al
mondo. Paride diede il pomo a Venere. Giunone e M
stei gli partorì un figlio, detto Cotito(4). Ella vaticinò molte cosè
al
marito, ch’erano per accadergli : tralle altre gl
i colpi di, quello, quando Venere lo trasportò in Troja(c). Ritornato
al
campo, ferì Macaone, Euripilo, e Diomede(d). Ucci
o potere. Non vi ruscì : quindi, affidata la cura degli Dei Penati(3)
al
vecchio suo padre, con lui sulle spalle, e col fi
esso di se. Il Trojano però si mantenne sempre costante nell’ubbidire
al
Destino che lo chiamava in Italia. Allora la Regi
eri di Finea ; e risolta di morire, finse di voler fare un sacrifizio
al
morto marito, ascese sul rogo, si trafisse il pet
sciame d’api, andato a posarsi sopra un antico alloro, posto in mezzo
al
cortile della Reggia di Latino, diede occasione d
condo Omero (a), e di Plistelle secondo Apollodoro (b), era destinato
al
trono d’Argo. Tieste, fratello d’Atreo, s’impadro
di Agamenonne i sentimenti delle paterne tenerezze talchè acconserti
al
sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse
erne tenerezze talchè acconserti al sacrifizio. Egli per farla venire
al
campo finse appresso la moglie, che voleva sposar
), toccò ad Agamenonne. Costei gli aveva predetto, che non ritornasse
al
patrio suolo, perchè vi sarebbe rimasto assassina
è Agamenonne avea fatta sua schiava la di lui figliuola, erasi recato
al
campo de’Greci per ridomandarla, e per offerire u
offerire un ricco riscatto. Agamenonne ricusò di compiacernelo : anzi
al
rifiuto v’aggiunse anche le ingiurie, e lo fece a
il Nume nol avrebbe sospeso, qualora non si fosse restituita Criseide
al
genitore. Tutti i principali dell’armata eccitato
esimo operasse dei prodigi. Crearono un Sacerdote, che ne presiedesse
al
culto, e lo tenesse in propria casa per tutto il
o Elettra, sua sorella, lo fece secretamente trasferire per sottratlo
al
furore di sua madre, che altrimenti lo avrebbe uc
nto per eccitamento dello stesso Nume passò in Atene, e si assoggettò
al
giudizio dell’ Areopago. I voti di quello erano d
aese. Quegli gli fece consegnare ad Ifigenia, acciocchè li disponesse
al
sacrifizio. Colei non riconobbe. Oreste, perchè e
o. Più non vi volle, onde avessero a riconoscersi. e subito pensarono
al
modo di rapire il simulacro della Dea, e di fuggi
ntura di serpente, mentre viaggiava per l’ Arcadia. Lasciò successore
al
trono il figlio Tisameno, che avea avuto da Ermio
abbiamo detto, figliuolo di Atreo. Egli, mentre era re di Atene, salì
al
trono di Sparta, perchè sposò Elena, figliuola di
amo esposto, avea sfidato i più valorosi della Greca Nazione ; ma poi
al
solo vedere Menelao talmente si atterì ; che si r
Menelao talmente si atterì ; che si ritirò appresso i suoi. Ritornato
al
campo, sarebbe caduto sotto le mani dello stesso
ja da’Greci, fu da loro restituita a Menelao. Questi voleva immolarla
al
suo risentimento, e alle ombre di coloro, che per
erse nelle predette acque(b). L’educazione poi di Achille fu affidata
al
Centauro Chirone. Questi in vece di latte lo fece
e informatolo del motivo, per cui erasi colà recato, lo condusse seco
al
Greco campo(a). Desolata Tetide nel vederlo a par
di una parte de’Tessali. Affidò pure il comando di altri suoi soldati
al
prode Eudoro, nato da Polimela, figlia di Filante
combattere, perchè Agamennone, costretto da lui a restituire Criseide
al
di lei padre, avea spedito i due araldi, Euribate
; ricevette nuovamente Briseide, carica di ricchi doni ; e ritornato
al
campo, ristabilì la cadente fortuna de’suoi(c). T
sse seco a supplicarnelo anche la sua figliuola, Polissena. Il Greco,
al
vederla, tosto se ne invaghì, e la chiese in mogl
re Ulisse d’averlo consigliato ad impegnare tutti gli amanti di Elena
al
gia mentovato giuramento(e). Allorchè tutti i Pri
lope Telemaco, e là adagiollo, ove il vomere aveva a passare. Ulisse,
al
vedere il proprio figlio, torse tosto altrove lo
tornò senza nulla averne recato. Palamede, spedito dopo di lui, portò
al
Greco campo moltissimo grano. Ulisse allora contr
sciolse le vele alla volta dell’Isola di Lenno, e da di là ricondusse
al
Greco campo Filottete(8), che adirato contro i Gr
arire del nuovo giorno ne mangiò altrettanti, indi uscì colla greggia
al
pascolo, e vi lasciò gli altri chiusi nell’antro.
ave. Egli ne avea tagliato un pezzo ; e appuntitolo, lo avea indurito
al
fuoco. Tostochè il sonno s’impadronì del Ciclope,
i Antifate. Colei additò loro il reale palagio ; ed eglino, avviatisi
al
medesimo, ne incontranono sull’ingresso la Regina
la Eea, in cui regnava Circe. Alquanti de’di lui compagni si recarono
al
palagio di quella Maga, e nell’ingresso della Reg
te magnifica, e tutta d’oro risplendente. Ella gentilmente corrispose
al
saluto de’Greci, ma nello stesso tempo porse loro
e vittime, preparate da’di lui compagni, Euriloco e Perimede, si recò
al
Regno di Plutone. Ivi scavò una fossa, vi fece de
idotta in pezzi, tutti i Greci perirono, e Ulisse solo potè sottrarsi
al
naufragio. Arrivò egli all’isola d’Ogigia nel mar
di Teti e d’Oceano(b), ovvero di Atlante, come vuole Omero(c). Ulisse
al
dire di questo Poeta(d) per sette anni, o per sei
rasse a Calipso essere volere degli Dei, ch’ella lasciasse proseguire
al
Greco Eroe il suo viaggio. Così avvenne ; e Uliss
ue notti ; e poscia Minerva mandò un vento propizio, che lo trasportò
al
paese de’Feaci, i quali abitavano l’Isola di Corc
icaa, figlia di Alcinoo, si portò ivi a lavare alcuni panni. Il Greco
al
rumore, che colei colle sue serve faceva, si dest
ncato nel luogo, in cui si trovava(b) (16). L’ Eroe verso sera giunse
al
reale palagio, e si gettò alle ginocchia di Arete
Alcinoo, prendendo Ulisse per mano, lo fece sorgere, e sedere. Ordinò
al
suo coppiere, Pontonoo, di mescere olce vino ; be
iere, Pontonoo, di mescere olce vino ; bevuto il quale, Arete ricercò
al
Greco ospite chi egli era. Ulisse allora diedesi
lto, perchè credeva che fosse un Nume. Disingannato finalmente, narrò
al
padre lo stato deplorobile, in cui i Nobili del p
in cui i Nobili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise
al
figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e che a
anze di vecchio e mendico uomo, passò con Eumeo alla città(a). Giunto
al
suo palagio, venne tosto riconosciuto da uno de’s
tevano. Costui insultò ad Ulisse, e amendue vennero alle mani. Ulisse
al
primo colpo lo stese a terra, tutto coperto di sa
Polluce, il quale per essere figliuolo di Giove era immortale, chiese
al
padre di poter communicare tale privilegio anche
rsi cominciava dal fume Clade sino all’Istmo di Corinto. Chi aspirava
al
possesso d’Ippodamia, doveva precederne il padre,
. Pelope così ampliò il suo dominio, che tutto il paese, il quale era
al
di là dell’Istmo, e formava una parte considerabi
e agli altri Dei(b). Ercole gli consecrò uno spazio di terreno vicino
al
tempio di Giove in Olimpia. Si aggiunge, che quel
prosperità si cambiò alfine in un’estrema sventura. Gli Dei sdegnati
al
sommo fecero insorgere sul Tebano suolo desolatri
ano figliuoli di Edipo e di Giocasta. Eglino, tostochè Edipo rinunziò
al
Regno, convennero fra loro di signoreggiare d’ann
mente l’uno dopo l’altro. Eteocle, come maggiore d’età, salì il primo
al
paterno soglio ; ma poi ricusò di cederlo nel sus
o a Polinice. Questi, mal sofferendo la violazione del patto, ricorse
al
suo genero, Adrasto, figlio di Talaone, e re d’Ar
Ella si trasferì da Argo in Eleusina, ove era stato inalzatò il rogo
al
suo maritò. Là si vestì de’ suoi più belli e prez
na collana d’oro nol avesse tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi
al
campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeo
tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise
al
suo figliuolo, Alcmeone, di uccidere Deifile, tos
istri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
al
predetto tempio eravi una fontana, sacra allo ste
na, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso
al
Cielo. Si riputava, reo di delitto capitale chiun
depose il bambino sull’erba. Un velenoso serpe intanto si attortigliò
al
collo del fanciulletto, e lo soffocò. Coloro, aff
di Adrasto si portò ad Eteocle, e ne esigette, che cedesse la corona
al
suo fratello, Polinice. Eteocle, anzichè aderirvi
into di nascita si fosse sacrificato pèrida salute de’ suoi. E poichè
al
predetto Antipeno, nelle di cui vene scorreva nob
omotote(10). Argia, vedova di Polinice, spinta dalla brama di rendere
al
marito gli estremi doveri, andò la notte, a cerca
Archipenzolo, che questa Virtù tiene nella, destra. E’pur necessaria
al
Prudente la sapienza, simbolo della quale è la lu
n Orso, e quella d’un Delfino. L’Orso è iracondo, e il Delfino riesce
al
nuoto rapidissimo. Sono pertanto da questa Divini
a colonna, e coll’altra tiene un ramo di rovere, perchè questo resist
al
soffio de’più impetuosi venti, non cede alla veem
appresso il Tevere, e il terzo nella Piazza dell’erbe. Questo ultimo
al
tempo della guerra Punica restò abbruciato da un
; così il Magnanimo non cura i disagi che gli sovrastano, nè si turba
al
momento di dover sostenerli. Il Leone poi non tem
r di misura sulla terra l’esecrabili scelleratezze, ella fece ritorno
al
Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco
considerata Dea e preside de’giudizj. Suo uffizio era accusare i rei
al
tribunale di Giove(f). Le di lei Ministri si appe
la figlia alimentava del proprio latte la madre. Si raccontò il fatto
al
Pretore, e l’ero ca azione della figlia ni ritò,
imboleggiare il dolce legame d’amore, con cui si unisce il beneficato
al
benefattore. V’è appresso di lei un’aquila, la qu
lle quali era di ristabilire l’unione tralle famiglie. Al pranzo, che
al
momento di quelle si faceva, non ammettevasi alcu
ogni disapore dalle loro dispute(b). Esso fu rovinato da un incendio
al
tempo dell’Imperatore Comodo(c). La Pace finalmen
una ghirlanda d’assenzio sulla fronte. L’assenzio è pianta amarissima
al
gusto, ma di molta utilità allo stomaco. Non altr
e nelle prospere e nelle avverse vicende. Ha scoperto un fianco sino
al
cuore, ove col dito mostra l’altro moto : da lont
e del pubblico, e senza spargimento di sangue. I Sacerdoti, destinati
al
di lei culto, erano vestiti di lino bianchissimo,
e a cercarla per foreste e per balze, e dopo lungo travaglio e fatica
al
fine la rinvenne. Si gettò a di lei piedi, la pre
ncreseimento, che le cagiona, va la rimembranza della sua, lo strinse
al
seno, e ritornò a vivere seco lui in dolce concor
per la fatica, prendeva riposo all’ ombra degli alberi, e ricreavasi
al
fresco dell’ aura, che usciva dalle gelide valli.
rgo del sangue ; e proruppe in dirottissime lagrime. Alle preghiere e
al
pianto Procride aprì i languidi occhi, e con brev
ia, purchè possa consoguire quel che ’desidera. L’Ambizione ha le ali
al
dorso, e i piedi ignudi, per esprìmere l’ ampiezz
significa, che il Parziale non ha l’animo retto, nè rivoglie la mente
al
vero ; ma soltanto favorisce a ciò, a cui lo tras
vanisce. Gola. La Gola è smoderato desiderio di ciò, che spetta
al
gusto. Si figura col collo lungo, e con veste di
l’animo irato. Ila la spada ignuda, perchè l’Ira d’ordinario dà malo
al
ferro, e con questo si fa strada alla vendetta. L
la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere, che
al
Pigro ogni cosa riesce difficile. Ingratitudin
questa, che viene prodotta da’ vapori, tratti dal Sole, si oppone poi
al
medesimo, onde non diffonda sulla terra il suo sp
La Ricchezza è ampia possessione de’ beni, appartenenti all’uso e
al
comodo di questa vita. Rappresentasi di consolant
lei veste è di colore verde, e ricamata d’oro. La veste verde allude
al
verdeggiare delle campagne, ch’è indizio di ferti
lle, cioè alla buona e alla cattiva. Ivi le statue di queste Divinità
al
dire di Macrobio si muovevano da se sole, e i lor
tà dell’ animo, la quale deriva da opposti ed eguali motivi, riguardo
al
sapere o all’ operare qualche cosa. Vedesi Egli i
si erano dichiarati per lui, gli rivolsero poi le spalle, e passarono
al
partito de’ nemici. Il timore ben tosto s’impadro
, e tutto si ridusse in disordine. Tullo fece voto d’ergere un tempio
al
Dio Timore ; e il soldato riprese subito il perdu
anze di quell’animale. Ella salì sopra d’esso ; e il toro corse tosto
al
mare(e), la trasportò in quella porte del mondo,
elle Festa derivò dal verbo greco eleste, essere rapito, per alludere
al
ratto d’ Europa(e). (a). Nat. Com. Mythol. l. 8
continua lo stesso Scrittore, desolata per l’anzidetto castigo, dato
al
figlio, pregò la Dea di restituirgli la vista. Mi
me abbiamo riferito, il suo figliuolo, Penteo. Autonoe morì di dolore
al
vedere Atteone, suo figlio, cangiato in cervo, e
V’è chi dice, che le onde portarono da prima Danae e il figlio di lei
al
lido di Daunia ; che ivi furono raccolti da un pe
l lido di Daunia ; che ivi furono raccolti da un pescatore, e portati
al
re, Pilunno ; che questi sposò Danae, e spedì Per
il cavallo Pegaso nacque anche Crisaore, così detto, perchè comparve
al
mondo con una spada d’oro in mano(c). Igino però
eano e di Teti (d). (b). Id. Ibid. (7). Da di là trassero origine
al
dire de’ Poeti i Coralli. Essi sott’acqua sono mo
uesti aveva un tempio sul monte Lafistio, nella Beozia(h). Ritornando
al
montone, sacrificato da Frisso, dicesi che la pel
ue’ tori erano stati formati ad Eeta da Vulcano, onde mostrarsi grato
al
Sole, padre del medesimo Eeta, perchè lo aveva ac
allora vedute(a).Difatti che la Nave, Argo, dovessessere grande oltre
al
solito ; da ciò pure si desume, che, essendo viet
in quel tempo che nessuna nate contenesse più di cinque uominì(b), fu
al
solo Giasone permesso di navigare con una, che ne
ricani gli dedicarono un tempio, donde dava Oracoli(e). (14). Idmone
al
dire di Ferecide, seguito da Apollonio Rodio, era
a fatica, inviò il predetto Ila con un’ urna ad attingere dell’ acqua
al
fiume Ascanio. Erano molto erte quelle ripe, e ne
al fiume Ascanio. Erano molto erte quelle ripe, e nel chinarsi cadde
al
giovane l’urna di mano. Si avanzò per ripigliarla
informato dello strano avvenimento, li ricolmò di doni, e li rimandò
al
loro paese (a). (18). Ificlo si trovò tra gli Ar
g). Paus. l. 5. (a). Hom. Iliad. l. 2. (10). Il padre de’ Molioni
al
dire de’ Poeti era Nettuno(f). (b). Declaustre
el furore di Ercole(d). Apollodoro però soggiunge ch’ella sopravvisse
al
di lui delirio ; ch’ Ercole la ripudiò, credendo
ob. Hofman. Lex. Univ. (d). l. 4. (28). Lamo o Lamone succedette
al
trono di sua madre, ma poco dopo ne fu scacciato,
llodoro leggesi, che fu il pastore Peante quegli, ch appiccò il fuoco
al
rogo, destinato ad abbruciare il corpo di Ercole,
. Nat. Com. Mythol. l. 7. (31). Iole dopo la morte di Ercole passò
al
talamo d’ Illo, figlio dello stesso Ercole(e) (
tariamente offerto alla morte. Macaria spontaneamente esibì se stessa
al
sacrifizio(b). Illo, di lei fratello, e duce dell
ritrovato. Empì il suo ventre di carne e di vino, e quando fu vicino
al
famelico animale, vomitò dinanzi ad esso tutto il
etam. l. 7., Anton. Liberal. c. 12. (39). Iria, non potendo reggere
al
dolore, concepito per la perdita del figlio, si p
ction. Mythol. (f). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Cercione
al
dire di Diodoro di Sicilia costringeva solamente
nne Perdice in aria, e lo cangiò in uccello(a). Dedalo, per sottrarsi
al
supplizio, cui era stato condannato dall’ Areopag
si librò nell’ aria, che perfettamente lo sostenne. Altrettanto fece
al
figliuolo, e lo instruì d’ attenersi alla via di
abbandonò il padre, e sollevossi arditamente più in alto. Si avvicinò
al
Sole, e i raggi di quello tosto liquefecero la ce
ce, che tutta la gioventù, spedita in Creta, veniva da Minos non data
al
Minotauro, ma distribuita in qualità di schiavi a
iglio di Suto, allorchè Eumolpo, figlio di Nettuno, mosse loro guerra
al
tempo del re Eretteo(f). (d). Nat. Com. Mythol.
ssato poi da nuovi colpi, passò nell’ Erebo. Grineo, che stava vicino
al
truciduto compagno, schiantò una delle are fumant
e scavata una pesante soglia di porta, si provò di scagliarla addosso
al
nemico. Il peso non glielo permise, e in vece del
in aria il tizzone ; e presi di mira Corito, e Driante, stese Corito
al
suolo, come quello, ch’ era tra coloro il più ten
dell’asta, ferali stromenti, con cui avea tolto la vita e le spoglie
al
Tessalo Aleso. Ma il ferro di Latreo, benchè spin
i distinse all’assedio di Troja(b). (25). Alcuni popoli della Grecia
al
riferire di Eratostene e di Pausania erano persua
ab. 79. (26). In Plutarco leggiamo, che Teseo affido la giovine Leda
al
suo amico, Afidno(e). (e). Joh. Jacob. Hofman.
sua indifferenza, e procura di riaccenderne l’affettó, dipingendogli
al
vivo il suò. Ma Demofoonte, che attendeva ad assi
e fuori in quell’istante, come se Fillide fosse stata ancor sensibile
al
ritorno del suo amanre. Tzetze vuole, che il fatt
vuole, che il fatto testè descritto sia avvenuto non a Demofoonte, ma
al
di lui fratello, Arramanto(d). (h). Joh. Jacob.
iso da Ajace, figlio di Telamone. Achille sorprese e condusse schiavi
al
suo campo Antifo, il di lui fratello, Iso, i qual
se ne ritornò appresso la sua famiglia(c). Alcuni pretendono, ch’ella
al
tempo della presa di Troja, per non cadere in isc
le era avvenuto, la fece condurre col giovane Trojano a Menfi dinanzi
al
re Proteo. Questo Principe rinfaceiò fortemente a
cciallo da’suoi Stati, ritenendo appresso di se Elena per restituirla
al
marito. Appena giunse Paride in Troja, che pur v’
Mennone si consumasse dalle fiamme sul rogo, pregò Giove di concedere
al
figlio qualche singolare quore. Condiscese il Num
l figlio qualche singolare quore. Condiscese il Nume all’inchiesta, e
al
cadere della pira, che consumava il cadavere, ner
rabili faville a fare lo stesso. Per tre giorni si aggirarono intorno
al
rogo, ed empirono l’aria concordemente d’un flebi
eto colloquio per iscuoprirgli un tesoro, da se nascosto, e riserbato
al
figliuolo. L’avaro Trace, che niente d’inganno so
Id. Iliad. l. 17. (a). Ovid. Metam. l. 12. (2). Protesilao venne
al
mondo in modo straordinario. Il di lui padre era
ide co’necessarj rimedj ; ma v’arrivò tardi, poichè la risposta, data
al
messo, afflisse Paride in guisa, che in quello st
pastorella bagnò di lagrime il corpo di Paride, si attaccò la cintura
al
collo, e si strangolò. Sonovi alcuni, i quali nar
u trasportato ad Enone, ond’ella avesse la cura di seppellirlo. Colei
al
vederlo ne restò talmente sorpresa dalle tristezz
. Il loro sito più ordinario nelle case era dietro la porta, o intomo
al
focolare(f). Si collocavano anche in una Cappelle
mbino, si purificavano ; e avendolo tralle braccia, correvano intorno
al
focolare della casa, il quale risguardavasi come
va nel quinto giorno dopo la nascita dell’infante. Allora si facevano
al
medesimo doni da’ parenti e dagli amici ; e la Fe
nniversario della morte di alcuno, si adunavano i parenti e gli amici
al
sepolcro, lo cuoprivano di flori, frutta, e vivan
sorta di Genj furono da altri riconosciuti : gli uni, che eccitavano
al
bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altr
onosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano
al
bene ; gli altri che spingevano al male (e). Ques
al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri che spingevano
al
male (e). Questi ultimi vennero da’Greci denomina
teo. Credevasi, che i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta
al
fiume Stige, e che con essa vi facessero insorger
li dà per compagni l’Eternità e il Caos. Paussania scrive, che vicino
al
confine delle stadio di Olimpia eravi un altare d
ome riconobbero una certa vecchia di campagna, che somministrò viveri
al
Popolo Romano, allorchè questo fu costretto a rit
che Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu, che vi eresse
al
dire di Lattanzio un tempio a Giove, in eui per c
Lattanzio un tempio a Giove, in eui per comando di lui si sacrificava
al
Nume un uomo (c). (4). Euripilo nacque dal Tessa
elebravano ogni anno i funerali di Euripilo, e rendevano grande onore
al
Nume, rinchiuso nella cassa, e il quale essi chia
di Tenedo, la quale era stata fatta schiava da’Greci. Egli la impiegò
al
servigio della sua mensa (d). (7). Idomeneo fu f
giunse. Il di lui figliuolo corse il primo ad abbracciarlo. Idomeneo
al
vederlo diede segni d’indicibile dolore ; ma cred
e dolore ; ma credendosi tenuto a soddisfare alla promessa, già fatta
al
Dio delmare, immerse il ferro nel seno di quello.
Cebrione alle loro rive. Patroclo tuttavia son desisteva dal nuocere
al
campo Trojano, quando finalmente l’anzidetto Nume
gli Elisj. Achille prontamente lo fece : scannò molte vittime intorno
al
di lui rogo ; vi gottò nel mezzo di quello quattr
li Apollo aveva allevato sul monte Pierio, e, le quali, ersendoveloti
al
pati degli uccelli, portavano da per tutto il ter
sì stimato, che Nettuno prese le di lui sembianze per animare i Greci
al
combattimento(m). (13). Teuti condusse un corpo
ssimi capelli. Egli fece i più mordaci rimbrotti ad Agamenone intorno
al
buon esito dell’assedio di Troja, ed Ulisse perci
e). Sonovi degli antichi Scrittori, i quali asseriscono, che Ifigenia
al
momento, che dovea essere sacrificata, venne conv
udicarono Laocoonte sacrilego e punito, perchè avea osato d’insultare
al
sacro cavallo, a Ballade offerto. Quindi non atte
anchi, ed ebri d’insolita allegrezza, tutti si abbanconarono in preda
al
sonno. Andava intanto muovendosi da Tenedo la Gre
ni lidi, il regio legno dall’alto della poppa alzò una fiamma. Sinone
al
noto segno quietamente aprì il fianco del Cavallo
uomo. Questi la tenne appresso di se, finchè Oreste ascese nuovamente
al
trono. Ella sposò allora Pilade, e ne nacquero St
figlia d’Egisto e di Clitennestra ; e che colei talmente si rattristò
al
vederlo assolto, che disperata si diede la morte
poi continua a dire, che volendo Oreste ucciderla, Diana la sottrasse
al
di lui furore, e la stabilì sua sacerdotessa nell
a memoria, fabbricò ivi una città, che denominò Canobo, e nella quale
al
momento della sua partenza vi lasciò tutti gl’inu
presi da sì veemente dolore, che tutti si lasciarono uccidere intorno
al
corpo di lui(f). Neottolemo, ritornando dall’asse
lui onore, e però detti Eaci(b). (5). Menestio doveva i suoi natali
al
fiume Sperchio, e alla bella Polidora, figlia di
r di lui padre, perchè egli la aveva sposata, primachè essa si unisse
al
predetto fiultro(c). (e). Id. Iliad. l. 16. (6
ia di Priamo. In forza di queste nozze avvenne, che Telefo si attaccò
al
partito de’ Trojani contro i Greci. Costoro, gett
che questi, ritirandosi appresso Peleo, venne dal medesimo indrizzato
al
Contauro Chirone, che gli restituì la vista. (b)
lo d’oro, il quale trovavasi mescolato cogli altri della sua testa, e
al
quale era annessa la durata della di lui vita. Co
Ligea, e Pattenope(e). Abitavano, dice Servio(f), in un’Isola, vicina
al
Capo di Sicilia, e detta Peloro, cinta da scosces
onne. Dicesi, che ciò sia avvenuto, perchè essendosi trovate presenti
al
rapimento di Proserpina, di cui erano compagne, c
rattenne per tre anni, senzachè la predetta tela vertisse mai ridotta
al
suo termine, perchè ella di notte disfaceva quel
Iliad. l. 14. (1). Pulidamante nacque la stessa notte, in cui venne
al
mondo anche Ettore, e fu dopo di lui il più valor
a una nave, e come videsi lontano da quelle spiaggie, spedì un araldo
al
padre per giustificarsi del commesso omicidio. Ea
na(c). Pausania soggiuage, che Sparta eresse alle medesime un tempio,
al
quale erano consecrate certe donzelle, dette anch
utti coloro accettarono la proposizione, ma niuno di essi sopravvisse
al
combattimento. Driante e Clito si presentarono an
avvisse al combattimento. Driante e Clito si presentarono anch’eglino
al
cimento. Sitone, poichè di giorno in giorno andav
di combattere l’uno contro l’altro, promettendo la figlia e la corona
al
vincitore. Pallene aveva avuto occasione di veder
li occhi qualche lagrima alla presenza del suo balio, non potè celare
al
medesimo il suo timore. Quegli, per consolarla, l
ppellava Efira. Quì pure notiamo, che Enomao avea stabilito di alzare
al
Dio Marte un tempio, formato de cranj di coloro,
rovò in Pisa, ove Pelope, era stato sepolto. Ma Filottete, ritornando
al
Greco campo, naufragò appresso l’isola d’ Eubea,
risolvette di prevalersi dell’asta. Nel momento, in cui si preparava
al
colpo, vide la Volpe e Lelapo convertiti in marmo
esalò lo spirito(a). Lasciò un figlio, di nome Diomede. Anche questi
al
tempo della guerra Trojana fu considerato il più
Achille e Ajace Telamonio. Egli uccise Assilo, figlio di Teutrane, e
al
fianco di lui fece cadere morto anche il di lui c
una mano(c). Diomede uccise altresì Dolone, ch’erasi recato di notte
al
campo de’ Greci per ispiarne la situazione. Colui
Ella si trasferì da Argo in Eleusina, ove era stato inalzatò il rogo
al
suo maritò. Là si vestì de’ suoi più belli e prez
na collana d’oro nol avesse tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi
al
campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeo
tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise
al
suo figliuolo, Alcmeone, di uccidere Deifile, tos
istri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino
al
predetto tempio eravi una fontana, sacra allo ste
na, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso
al
Cielo. Si riputava, reo di delitto capitale chiun
dura e laboriosa vita, che menò, lo ridusse molto atto alla caccia, e
al
maneggio delle armi ; nè attese che a sostenere i
a sapeva cattivarsi l’animo di tutti. Era fiero e intrepido in faccia
al
nemico, e dimostravasi costantissimo amatore dell
e donne dì Lenno, come scuoprirono, che Ipsipile avea solvato la vita
al
re Toante ; mo padre, la scacciarono dalla loro i
into di nascita si fosse sacrificato pèrida salute de’ suoi. E poichè
al
predetto Antipeno, nelle di cui vene scorreva nob
le nozze di colei, non avendo potuto salvarla dall’ira paterna, corse
al
luogo del supplizio, e disperato si trafisse il p
XLVI Giasone e Medea Re della Colchide
al
tempo che vi giunsero gli Argonauti, cioè 13 seco
hi eran celebri nell’antichità per l’arte magica, e Medea apparteneva
al
novero « Di quelle triste che lasciaron l’ago, «
robustezza e forza straordinaria. Ma le imprese che si attribuiscono
al
greco Eroe son tante, perchè tanti furono gli ero
in cielo il piccolo Ercole gli diede del suo proprio latte, che però
al
pargoletto Eroe non piacque e lo lasciò cadere ne
alla pubertà scelse spontaneamente la via della Virtù, e si rassegnò
al
voler del Fato di star sottoposto ad Euristeo. A
o tempo della sua vita si riferisce il moralissimo racconto di Ercole
al
Bivio, in cui si finge che il giovane eroe, invec
e della fama, preferì quella ardua e malagevole della Virtù che guida
al
bene della umanità ed alla gloria. Accenneremo pr
non pensarono che questa stessa Amazzone fu data da Ercole in moglie
al
suo amico Teseo, e ne nacque Ippolito tanto celeb
o la scoperta dell’America, e fu dato il nome di fiume delle Amazzoni
al
più gran fiume di quel nuovo continente e del mon
ran fiume di quel nuovo continente e del mondo, perchè si prestò fede
al
racconto di Orellana compagno di Pizzarro, che ne
Alfeo, e ne fece passar la corrente per quelle stalle e trasportarne
al
mare ogni sozzura. Allusivamente a questo fatto m
cciocchè l’uom più oltre non si metta. » Perciò poco più oltre, fino
al
tempo di Colombo, si azzardarono gli uomini ad av
te da una grande altezza nel profondo dell’Inferno : « Ma lievemente
al
fondo che divora « Lucifero con Giuda ci posò ; «
Spagna a Gerione, ed ivi le lasciò a pascere per andare a far visita
al
greco Evandro che abitava sul prossimo colle, che
mezzi cavalli e mezzi uomini ; cavalli dalle estremità dei piedi sino
al
collo ; invece del quale avevano il petto, le bra
iamato il re dei fiumi. Questi fu il solo pretendente che non cedesse
al
nome ed alla fama del valore di Ercole, il solo c
e l’insanguinata tunica o camicia, e insieme con altre vesti la mandò
al
marito. Ercole fu trovato dal messaggiero Lica su
Dei protettori della navigazione ; e perciò Orazio li invoca propizii
al
suo amico Virgilio che andava per mare nell’Attic
na : « Allegrezza, allegrezza ! io già rimiro, « Per apportar salute
al
legno infermo, « Sull’antenna da prua muoversi in
, quando racconta che questa fu una delle sue stazioni nell’ascendere
al
Paradiso : « ……………io vidi il segno « Che segue
to dei Cabiri nell’isola di Lenno ; e 4° quello di Chiusi, attribuito
al
re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi che anco
tto li trascurò, e per boria fanciullesca essendosi troppo avvicinato
al
sole, la cera delle sue ali si squagliò, e, cadut
dati in Creta 7 giovanetti e 7 giovanette Ateniesi per servir di cibo
al
Minotauro ; il qual tributo dovea rinnovarsi ogni
e, ma dissero che era figlio di Nettuno, e così lo fecero appartenere
al
numero dei Semidei. Per altro poco giovò a quest’
tir per la guerra, lasciò ad Etra una spada che essa dovea consegnare
al
figlio quando fosse adulto ; al qual segnale lo a
a una spada che essa dovea consegnare al figlio quando fosse adulto ;
al
qual segnale lo avrebbe riconosciuto per suo. Que
anto Egeo vi si opponesse), nel numero dei giovani destinati per cibo
al
Minotauro. La nave che portava a Creta queste inn
nocenti vittime aveva in segno di lutto le vele nere. Egeo ordinò che
al
ritorno, se era reduce il figlio, vi si mettesser
sicura Arianna che Teseo avrebbe saputo difendersi ; provvide dunque
al
secondo con un mezzo semplicissimo a sua disposiz
he egli trovò il Minotauro a guardia del 7° cerchio dei violenti ; ed
al
qual mostro, perchè lasciasse loro libero il pass
ch’e’fosse di rame, « Pure el pareva dal dolor trafitto. » Toccò poi
al
tiranno Falaride a entrar dentro il toro di rame,
amico fosse tolta la sposa e la vita dai Centauri convitati anch’essi
al
banchetto di nozze. Storicamente i Centauri eran
» I principali di essi invitati alle nozze di Piritoo, quando furono
al
termine del pranzo, essendo riscaldati dal vino,
ed assassini) immersi per pena nella riviera del sangue : « Dintorno
al
fosso vanno a mille a mille « Saettando qual’anim
on solo altercò, ma diede di piglio alla spada nella reggia stessa ed
al
convito di Eteocle ; e poi inseguito da una schie
’ tu più punito : « Nullo martirio, fuor che la tua rabbia, « Sarebbe
al
tuo furor dolor compito. » Quest’uomo bestiale a
non volle sopravvivere ad esso, e si gettò nel rogo mentre rendevansi
al
marito i funebri onori. Dal loro connubio era nat
r cogli altri per la guerra, e sicuro di dovervi perire, lasciò detto
al
figlio Alcmeone, che appena udita la sua morte lo
precipitò nel regno delle Ombre117. Gli antichi dissero che non andò
al
Tartaro ma agli Elisii, e che in Grecia aveva un
tato causa della morte di Anfiarao e di Erifile, riuscì funesto anche
al
figlio Alcmeone che ne fu l’erede. Ne fece egli u
sto vincitore, e divenne sposo di Ippodamia e re di Elide. Quanto poi
al
premio promesso a Mirtilo non solo mise in pratic
Pœtica dà per precetto agli scrittori di tragedie di non far cuocere
al
nefando Atreo le carni umane sul palco scenico al
fermo, « Quando fu l’ær sì pien di malizia, « Che gli animali, infino
al
picciol vermo, « Cascaron tutti ; e poi le genti
queste le più splendide nozze che fossero mai celebrate sulla Terra :
al
banchetto nuziale erano convitati tutti gli Dei e
er cedere, cioè Giunone, Minerva e Venere, e consentirono di starsene
al
lodo dell’arbitro rusticano. Furono dunque condot
o. Furono dunque condotte da Mercurio in Frigia sul monte Ida davanti
al
pastore Alessandro, in appresso chiamato Paride.
causa, e ciascuna delle tre Dee perorò a proprio vantaggio, e promise
al
giudice un magnifico premio a causa vinta ; cioè
to da quelle acque infernali. Dipoi, fanciulletto ancora, lo consegnò
al
Centauro Chirone perchè lo istruisse in tutte le
ponto ed il monte Ida esisteva l’antica e famosa città di Troia. Sino
al
1870 non si seppe neppur dire con sicurezza di no
i Trœ « Generosi tre figli Ilo ed Assaraco « E il deiforme Ganimede,
al
tutto « De’mortali il più bello, e dagli Dei « Ra
nti della sua Storia Universale, è posto il regno di Dardano dal 1568
al
1537 avanti G. C. ; ma sono ivi registrati due al
questo re si fa derivare il nome di Teucria dato alla città ed anche
al
territorio Troiano : tutti gli altri re per altro
area là dove foro « Abbandonati i suoi da Ganimede « Quando fu ratto
al
sommo concistoro. » Inoltre nel Canto xxiv dell’
t’anno « Che ‘lSole i crin sotto l’I]Aquario tempra, « E già le notti
al
mezzo dì sen vanno. » Laomedonte fu l’unico fig
tutte le Dee, convenne pure che pensasse a mantener la promessafatta
al
giudice, di procurargli cioè per moglie la più be
ano da non potersi sciogliere facilmente neppur da una Dea. In quanto
al
pastore fu trovato il modo di farlo riconoscere p
to da bambino nelle selve, e per tale lo riconobbero senza pensar più
al
sogno di Ecuba e all’interpretazione di quello. C
pontaneamente Paride a Troia. Elena inoltre, per non andar senza dote
al
suo nuovo marito, portò via tutti i più preziosi
ro ugual fama, e colla loro morte pagarono il primo tributo di sangue
al
Dio della guerra. Ma, finalmente, respinti i Troi
ano perciò cingere talmente d’assedio la città da bloccarla ; nè fino
al
decimo anno osarono di assaltarla ; nè i Troiani
arla di Palamede, e ne fa da Sinone attribuire la morte all’invidia e
al
tradimento di Ulisse in questi termini, secondo l
e una lunga serie di esse. Sebbene il titolo d’Iliade che diede Omero
al
suo poema, derivando da Ilio, appelli in generale
el campo greco, fu creduta una vendetta di Apollo per l’insulto fatto
al
suo sacerdote. Ciò disse l’indovino Calcante in p
giato e rassicurato da Achille dichiarò che bisognava render Criseide
al
padre con doni ed offerte ad Apollo per placare q
acessero prodigi di valore a gara con Diomede, la sorte era contraria
al
loro esercito, il quale rimaneva quasi sempre per
cchi doni ed una delle proprie figlie in isposa, Achille stette fermo
al
niego e respinse sdegnosamente qualunque proposta
mbattere non volle udir patti, neppur di render la salma ai parenti e
al
sepolcro ; con impeto irrefrenabile lo investì, l
, lo abbattè, l’uccise ; e spogliatolo delle armi e legatigli i piedi
al
suo carro, lo trascinò per tre volte nella polver
Troia ; e poi tornato alle sue tende lo trascinò altre volte intorno
al
cadavere di Patroclo, quasi che l’estinto amico d
costringe a prender seco qualche cibo e bevanda, pietosamente piange
al
suo pianto, e gli accorda il corpo del suo figlio
e dell’avo suo Licomede in Sciro : quindi andò ad invitarlo a recarsi
al
campo di Troia per vendicar la morte del padre ;
uovo venuto alla guerra, il nuovo guerriero. Al tempo stesso Ulisse,
al
suo ritorno con Pirro, passò per l’isola di Lenno
, al suo ritorno con Pirro, passò per l’isola di Lenno per ricondurre
al
campo greco Filottete, abbandonato, come dicemmo,
suoni musicali come quelli di una cetra : i sacerdoti facevan credere
al
volgo che lo spirito di Mènnone animando quella s
…………. l’edifizio « Del gran cavallo che d’inteste travi « Con Pallade
al
suo fianco Epeo costrusse, « E Ulisse penetrar fe
di tornar sembiante « Fecero tal che se ne sparse il grido. « Dentro
al
suo cieco ventre e nelle grotte, « Che molte eran
nte alla gioia per la partenza dei Greci, ai conviti, all’ebbrezza ed
al
sonno. E nella notte usciti dal cavallo i guerrie
eci e indurre i Troiani a portare in Troia il cavallo di legno, oltre
al
farne la più eloquente narrazione Virgilio, ne pa
o fa dire da Enea : « Ruiniamo la porta, apriam le mura, « Adattiamo
al
cavallo ordigni e travi, « E ruote e curri ai pie
attiamo al cavallo ordigni e travi, « E ruote e curri ai piedi e funi
al
collo. « Così mossa e tirata agevolmente « La mac
cavallo di legno è probabile che dovessero i Greci la presa di Troia
al
tradimento. Tal ne corse la fama che fu accolta c
saputo trovare il modo di persuader Menelao a riprenderla per moglie
al
suo ritorno in Grecia, come difatti avvenne. Anch
espressione mentre alludeva alla mitologica invenzione, la interpretò
al
tempo stesso secondo le più comuni leggi dell’uma
ssena e la sostiene col braccio sinistro sollevata da terra e stretta
al
suo fianco, mentre colla destra alzando la spada
icolo, ognuno si credè sciolto da qualunque vincolo di subordinazione
al
comandante supremo ; e lo stesso Menelao che semp
o, unica speranza della madre, unico rampollo di quell’eroe. La madre
al
primo romore della presa di Troia lo mandò a nasc
à ; e poi divenuta schiava di Pirro andava segretamente a portar cibo
al
piccolo Astianatte rimasto solo in quella tomba,
na ove morì sul colpo. Un figlio dell’ucciso Ettore che sopravvivesse
al
padre era sempre un imminente pericolo pel figlio
ella greca flotta fece accendere dei fuochi sopra gli scogli Cafarei (
al
sud-ovest dell’ Eubea) perchè i Greci li credesse
mero che parla più volte con gran lode del valore di Idomeneo, quanto
al
suo ritorno dice soltanto che « …………. in Creta «
In tal modo l’accorta ed affettuosa moglie tenne a bada i Proci sino
al
ritorno di Ulisse. Intanto Telemaco impaziente di
ro globo. Invece la navigazione di Ulisse in dieci anni non si estese
al
di là delle acque del Mediterraneo, qualunque sia
esi, « E noi tranquilli sedevam, la cura « Al timonier lasciandone ed
al
vento. » (Odiss.,xi. Trad. di Pindemonte.) E que
e foco, « Mormorava bollendo ; e i larghi sprazzi, « Che andavan sino
al
cielo in vetta d’ambo « Gli scogli ricadevano. Ma
i « Sì, che parte il tenemmo in terra saldo, « Parte con un gran palo
al
foco aguzzo « Sopra gli fummo ; e quel ch’unico a
otto la torva fronte occhio rinchiuso, « Gli trivellammo : vendicando
al
fine « Col tor la luce a lui l’ombre de’ nostri.
direzione di Colombo, 2600 anni prima di lui, ma piegando un poco più
al
sud ; e dopo 5 mesi lunari aveva già passata la l
di sopra : « E volta nostra poppa nel mattino, « De’remi facemmo ala
al
folle volo 142 « Sempre acquistando dal lato man
o si temprasse almeno « Il diro annunzio. Ritentando ancora, « Vengo
al
terzo virgulto, e con più forza « Mentre lo scerp
engo al terzo virgulto, e con più forza « Mentre lo scerpo, e i piedi
al
suolo appunto, « E lo scuoto e lo sbarbo (il dico
venni, « Di Polidoro udendo. Un de’figliuoli « Era questi del re, che
al
tracio rege « Fu con molto tesoro occultamente «
ll’amicizia e dell’ospizio « E dell’umanità rotta ogni legge, « Tolse
al
regio fanciul la vita e l’oro. « Ahi dell’oro emp
lvestra ; « Le Arpie pascendo poi delle sue foglie « Fanno dolore ed
al
dolor finestra 146. » Un ingegnosissimo episodio
che prima avea rifiutato le nozze con altri principi per serbar fede
al
cener di Sicheo 148 Ma Enea chiamato dai Fati a f
ha pur esso un’origine troiana ; e Virgilio così brevemente l’accenna
al
principio del libro vii dell’ Eneide : « Ed anco
i antichi Pagani un irrefrenabile desiderio di conoscere il futuro, e
al
tempo stesso una classica illusione a credere che
glie nella sua caverna, come abbiamo detto parlando di Enea : « Così
al
vento nelle foglie lievi « Si perdea la sentenzia
che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima che apparteneva
al
regno della Colchide. Perciò Medea da Ovidio è ch
va significare dal principio alla fine ; ma questo proverbio alludeva
al
principio e alla fine dei pranzi antichi romani,
ulla. Però è da notare che il parafulmine della cupola si eleva molto
al
di sopra degli altri. Il fenomeno incominciò alle
entarono ancora che Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto
al
naturale che i tori mugghiavano intorno ad essa c
Catilin. vii.) 107. Benedetto Menzini nella sua Poetica assomiglia
al
letto di Procuste il Sonetto, perchè dev’essere d
biicere flammam solebat. » — (Cic., in Verrem., iv.) 111. « ………….
al
petto « Ove le due nature son consorti. » dice D
lungo questa pugna nel lib. xii delle Metamorfosi, e la fa raccontare
al
vecchio Nestore che vi si era ritrovato presente
noi abbiamo detto di Ercole e di Giasone, ed ora diciamo di Achille)
al
Centauro Chirone, che era, come tutti gli altri C
bestie ; ma perchè il primo spesse volte non basta, convien ricorrere
al
secondo. Pertanto ad un principe è necessario sap
luto o dispotico, che in oggi è divenuto un mestiere fallito ; quindi
al
principe costituzionale devesi suggerire il prece
si seguono i Latini e non si fa altro che tradurli. Essi conservarono
al
poema di Omero il greco titolo di Odissea, e died
conservarono al poema di Omero il greco titolo di Odissea, e diedero
al
protagonista di esso il nome di Ulisse ; e così f
Ulisse figlio di Laerte e di Anticlea ambedue mortali, non appartenne
al
numero dei Semidei, ma soltanto degli Eroi ; nè f
148. Perciò Dante, parlando di Didone, disse di lei che ruppe fede
al
cener di Sicheo. 149. E celebre in Virgilio (En
fazione a queste brevi pagine, diciamo solo che potranno tornar utili
al
leggitore, traendone quale sia stato il trasporto
a il sentimento religioso negli animi di coloro che può dirsi perdusi
al
bene dell’ intelletto, scambiando il sopraintelli
che un tipo misto di vero e di falso — di vero, alludendo tante volte
al
mondo fisico o morale — di falso, portando in mez
ttime e sacrificti, i voti del cuore umano furono quasi tutti rivolti
al
temuto nume di loro ; e propagandosi questo culto
lesa la eredità religiosa degli avi loro, o per non mostrarsi avversi
al
volgo, o ancora per la clava per la onnipotenza d
olte altre cagioni. Ora la pietà di un figlio deifica un padre rapito
al
suo amore ; ora la desolazione di una madro fa un
Il canto, che alla queta ombra del bosco Ti vien si dolce nella notte
al
core, Era il lamento di real donzella, Da re tira
fesa. Fanciul superbo di sè stesso amante Era quel fior ; quell’altro
al
sol converso Vna ninfa, a cui nocque esser gelosa
sto nome ; o alla Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o
al
dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti
e la tutela de’ campi ; ma rura alla dea Rusina ; le giogaie de’monti
al
dio Giogatino ; i colli alla dea Collina ; le val
simiglianti : come gli Egizii tutti i loro ritrovati utili necessari
al
genere umano, che sono particolari effetti di sap
re umano, che sono particolari effetti di sapienza civile, riducevano
al
genere del sapiente civile da essi fantasticato,
reso di amore per Giunone, dea de’matrimonii solenni, stringe in vece
al
seno una nube : indicavasi dalla istoria poetica
alla ignoranza. I primi abitatori della terra quando andarono perduti
al
bene dello intelletto, come fanciulli della umana
rii trasporti, per trascorrere senza rimorso alcuno. È per questo che
al
concetto dell’ Ente sottentò quello degli esisten
ottissimo pontefice Scevola, come dice S. Agostino(1), tenendo parola
al
popolo romano, favellò di tre generi d’Iddii, uno
tella zioni ; e molti altri Iddii, che si vollero adulteri, presedere
al
furto, servire a gli uomini. Mitografia fisica —
po ad intendere, che il culto renduto a quest’anima dell’universo una
al
culto del Sole, della Luna e di altri corpi celes
ri è la favola del pomo di oro, che la Discordia fece cadere in mezzo
al
convito degli Dei, per darsi alla più bella delle
i per la coscia, viene a concuocersi, a perfezionarsi. Diodoro Sicolo
al
contrario vuole, che Bacco vedendo andare a male
nto può spigolarsi di lui ne’classici greci e latini, tutto si allude
al
vino, ed all’ubbriachezza. Ei è così detto da Βακ
r del tutto aperti ed in nulla simulati. Le orgie di lui celebravansi
al
suono strepitoso di cembali e di tamburi, per ind
per le vie ordinarie. Per Saturno poi si è inteso colui, che presiede
al
tempo, e ne regola il corso, ingiungendoglisi que
er non iscorrere troppo rapidamente, o per meglio dire, assoggettollo
al
corso degli astri, che sono per lui come tanti la
a μιακητας, che significa muggire, voce propria dei bovi, alludendosi
al
fremito che dà il mare in procella. Perciò a lui
tempi non di molto remoti ; sì perchè dalla istoria è dato principio
al
secolo degli eroi con le piraterie di Minosse, e
luzione, finalmente ritornano a lui, alla terra, e vengono sottoposte
al
suo imperio. E gli si pone lo scettro in mano, ch
a medicina, giovando ai mortali col temperato suo calore, e cacciando
al
contrario nelle vene di loro umori pestilenziali
unico o quasi di semplice natura, quale caratteristica ben si addice
al
Sole ; se pure non si voglia far derivare da a, c
arattere proprio di un messaggiero dal cielo alla terra e dalla terra
al
cielo. I miti raccontati di questo nume non sono
olubri, tenuti da tutta l’antichità per simbolo della vita, associati
al
radiar del Sole si voleva esprimere, che il Sole
esto indicavasi l’apparente discesa del Sole sotto l’orizzonte, e che
al
suo apparire nel nostro emisfero ne venissero sca
stodia della giovanetta Io, trasmutata da Giove in vacca, onde trarla
al
furore di Giunone : è questo un mito, con cui si
ro che vendono v’ha di mezzo il discorso. Gli posero le ali a’piedi e
al
capo, chè il parlare va rapido per l’aria. Portò
el fuoco e delle arti, che si esercitano ammollendo, piegando e dando
al
ferro varie forme mercè del fuoco istesso. Nacque
tutto lo universo, dicevano di esser ella un fuoco sottile ed etereo
al
di sopra dei pianeti e delle stelle. Tenendo diet
qui traserivere le parole dell’autore della Scienza Nuova, lasciando
al
leggitore di appigliarsi a quelle interpetrazioni
lustri : è gelosa di una gelosia politica, con la quale i romani fino
al
309 di Roma tennero i connubii esclusi alla plebe
E quel geroglifico o favola di Giunone appiccata in aria con una fune
al
collo, con le mani pur con una fune legate, e con
asseguato il pavone, che con la coda l’Iride rassomiglia ; conla fune
al
collo per significare la forza fatta da’giganti a
za e giudizio, onde Men-errua importa forza, giudizio, e ben risponde
al
tipo che se ne fecero gli antichi, onde personifi
una face, perciocchè l’amore è come un dardo, che dagli occhi scende
al
cuore, e vi apre profonda ferita — è come una fia
andar privi del bene dell’intelletto. Rabaud di Saint-Etienne porge
al
mito di Venere una diversa interpetrazione « I pi
da Dea iens, cioè Dea che trovasi in continuo movimento, per alludere
al
trasporto, che credevasi di avere per la caccia,
ostata la terra dal centro dell’universo, per farla rivolgere intorno
al
sole. Posciachè da gli antichi fu creduto rimaner
o musici e cantori, fra i quali nove leggiadre donzelle molto intente
al
canto e alle danze, ed a queste davasi il nome di
o. 67. La favola di Giano è tutta allegorica, e va strettamente unita
al
sistema planetario, ond’egli deve considerarsi co
ondendo per un traslato allegorico le dodici fatiche a lui attribuite
al
passar che fa questo pianeta maggiore in ciascun
i campi dell’aere, rombo che giunge all’orecchio quasi non dissimile
al
muggito de’bovi. 58. Ercole uccide Anteo, che la
questi concetti del poeta non poche espressioni, che tutte convengono
al
sole. A lui s’innalzarono e tempii ed are, e con
l Sole, come su di una irradiante quadriga, trascorrendo dall’oriente
al
tramonto va diffondendo torrenti di luce, e distr
rificii ad Ercole, si circondavano le tempia di alloro, dando termine
al
sacro rito col sorgere e col tramonto del sole. O
aggiungiamo la opinione di non volgari scrittori. Porfirio vuole, che
al
Sole fu dato il nome di Ercole, descrivendosi il
l bosco Nemeo, e si ricuopre delle spoglie — Questa vittoria risponde
al
passar del Sole nel segno dello Zodiaco il Leone.
sette teste, sempre ripullulanti quando venivano troncate — risponde
al
passar del Sole nella costellazione della Vergine
de un feroce cignale, che infestava le foreste di Erimanto — Risponde
al
passar del Sole nel segno della Bilancia, che avv
ana, detta la cerva del Menalo dal monte, ove ricoveravasi — Risponde
al
passar del sole nello scorpione, fissato dal tram
elli Stinfalidi, così detti dal lago, ove solevansi posare — risponde
al
passar del sole nel Saggittario, sacro a Diana, c
a Diana, cui sorgeva un tempio a Stinfalo, e questo pessare è fissato
al
levar de’tre uccelli della via Lattea, lo Avoltoi
, ed uccide lo avoltoio, che divorava il fegato a Prometeo — risponde
al
passar del sole nell’Aquario ; e ciò era indicato
che il toro celeste, nominato toro di Pasife e di Maratona culminava
al
meridiano, e al tramonto del cavallo Orione, o di
este, nominato toro di Pasife e di Maratona culminava al meridiano, e
al
tramonto del cavallo Orione, o di Pegaso. VII. Pu
Cirene, dai cavalli di lui, che alimentava di carne umana — r sponde
al
passar del sole nel segno dei Pesci, ed è fissato
, e tragge una donzella dagli oltraggi di un mostro marino — risponde
al
passar del sole nel segno dell’Ariete, sacro a Ma
o di Alfeo, e lo uccide negandogli la promessa ricompensa — risponde
al
passar del sole nel segno del Capricorro, ed è in
uccide un principe crudele, che perseguitava le Atlantidi — risponde
al
passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal
e spaventoso dalla coda di serpente, e dal capo di ceraste — risponde
al
passar del sole nei Gemini, indicato dal tramonto
na tonica sparsa di sangue di un Cintauro, che fu morto da lui stesso
al
guado di un fiume, e questa tonica, lo brucia e l
lo brucia e lo consuma, e così compie il corso di sua vita — risponde
al
passar del sole nella costellazione del Cancro l’
ponde al passar del sole nella costellazione del Cancro l’ultimo mese
al
tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro, che s
onto del fiume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su di un’altare
al
levarsi del Pastore e della sua gregge, e quando
il dono di conoscere l’avvenire, e non mai obbliare il passato. Altri
al
contrario, e tra questi Plutarco(2), vogliono ess
6. La favola di Giano è tutta allegorica, e va strettamente rannodata
al
sistema planetario, onde questo Nume sconosciuto
preceduti da lui nel loro cammino intorno il sole. 67. E onde portare
al
vero questo nostro dettato qui riproduciamo poche
Giano, e quando il sacerdote impone la focaccia, e porge farro misto
al
sole, allora ricambierai il mio nome : poichè sul
parte e di quà e di là ha due facciate, tra le quali l’una ha le mire
al
popolo, l’altra al lare. E come tra voi il portin
là ha due facciate, tra le quali l’una ha le mire al popolo, l’altra
al
lare. E come tra voi il portinalo sedendo presso
icare il mirabile potere di natura, che subordinata alla Causa Prima,
al
Sommo Creatore delle cose, tutto genera, tutto al
. Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste
al
volgo, e costituivano la scienza segreta, colla q
n più umano consorzio. Così, trovando il terreno preparato e disposto
al
fantastico e al maraviglioso, personificarono qua
orzio. Così, trovando il terreno preparato e disposto al fantastico e
al
maraviglioso, personificarono quasi tutti gli ogg
queste divine persone riuscissero intelligibili e paressero possibili
al
volgo, attribuirono ad esse bisogni, abitudini, i
a moglie di Nettuno Dio del mare. Ma siccome fu dato il nome di Urano
al
Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il
ebbero l’ufficio di guidare il carro del Sole per distribuire la luce
al
mondo ; perciò i nomi di Titano e di Iperione si
primogenitura 20, a subentrare nel regno sarebbe toccato regolarmente
al
primogenito, cioè a Titano. Fu nonostante convenu
ndo di riserbarsi, non meno di diritto che di fatto, aperta la strada
al
trono o per sè o per i propri figli Titani, quand
pernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno
al
nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta
e il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano
al
pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando c
1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini
al
centro del loro sistema planetario avevano dato i
tema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e
al
più lontano quello del padre di esso, cioè di Sat
, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò
al
pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono
padre di questo, cioè di Urano. Anche il nome di Vesta fu attribuito
al
4° piccolo pianeta o asteroide scoperto da Olbers
dicitur. 19. « Ben s’avvide il poeta ch’io stava « Stupido tutto
al
carro della luce « Ove fra me ed aquilone entrav
el rimanente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. Oltre
al
dire che erano bellissime, aggiungevano i mitolog
nna « Io son, cantava, io son dolce sirena « Che i marinari in mezzo
al
mar dismago, « Tanto son di piacere a sentir pien
o che alletta « Col venen dolce che piacendo ancide. « Ma così tosto
al
mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito
a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè
al
divino Alighieri bastò riferire la lezione di mor
slega ? « Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi
al
logoro che gira « Lo rege eterno con le rote magn
a via, sospende, « Che subita ruina non lo cuopra, « Mentre mal cauto
al
suo lavoro intende. « Da un amo all’altro l’àncor
ua e di là con tagli e punte tocca. « Come si può, poi che son dentro
al
muro « Giunti i nimici, ben difender rocca, « Cos
sa « Tira, ch’in dieci un argano far possa. « Come toro salvatico che
al
corno « Gittar si senta un improvviso laccio, « S
o si può dire, « Dove in tal guisa ella percuote l’onde, « Che insino
al
fondo le vedreste aprire : « Ed or ne bagna il ci
e il lume asconde « Del chiaro Sol : tanto le fa salire. « Rimbombano
al
rumor che intorno s’ode « Le selve, i monti e le
sopra il mare esce ; « E visto entrare e uscir dall’Orca Orlando, « E
al
lido trar sì smisurato pesce, « Fugge per l’alto
no, oblïando « Lo sparso gregge : e sì il tumulto cresce, « Che fatto
al
carro i suoi delfini porre, « Quel dì Nettuno in
ri, non sappiendo « Dove, chi qua, chi là van per salvarsi. « Orlando
al
lito trasse il pesce orrendo, « Col qual non biso
quasi orrore che gli uomini avessero osato affidarsi con fragil barca
al
tempestoso mare e mirar da vicino i mostri marini
erno di Storia Naturale, sol che all’àncora si sostituisca il rampone
al
quale è attaccata la lunga fune che si tiene fiss
iscreta la ne tiene ; « Chè dove l’argomento della mente « S’aggiugne
al
mal volere ed alla possa, « Nessun riparo vi può
egioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche
al
guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orro
ndenti, nelle loro sentenze avevano assegnate ai dannati. Era inoltre
al
pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche
assegnate ai dannati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto
al
Fato, ed anche al suo maggiore e più potente frat
ati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche
al
suo maggiore e più potente fratello Giove. Si acc
i Greci conoscevano una sola Dea Mira uguale in potenza e in ufficio
al
Fato dei Romani245 ; e poi ne inventarono tre, di
c. E dovendo le Parche far questo lavorìo per ogni persona che veniva
al
mondo, non mancava loro occupazione : quindi Dant
aria crede di avere scoperto qualche cosa di nuovo, e non la nasconde
al
lettore ; ed anche i pittori si sbizzarriscono a
pe Satan, pape Satan aleppe. » Come già Dio delle ricchezze presiede
al
cerchio ove son puniti gli avari e i prodighi ; m
n Vulcano, Dio del fuoco. Gli astronomi diedero il nome di Proserpina
al
26° asteroide scoperto da Luther il 5 maggio 1853
ottato perfino il nome dell’orrida divinità infernale Ecate per darlo
al
100° pianeta telescopico. Anche il can Cerbero ha
ro : « Illuc unde negant redire quemquam. » Il poeta latino impreca
al
tenebroso regno in questi versi : « At vobis mal
tulistis. » 241. Omero fa dire poeticamente ad Achille : « Odio
al
par delle porte atre di Pluto « Colui ch’altro ha
o nel core. » 242. « Quando noi fummo fatti tanto avante, « Che
al
mio Maestro piacque di mostrarmi « La creatura ch
e più faccia, « Ch’altri non fa ch’abbia odorato e lume ; « E bisogno
al
fuggire eran le piume. « Corron chi qua chi là, m
i. Se ne può citare a conferma anche il seguente epigramma attribuito
al
Machiavello : « La notte che morì Pier Soderini,
iamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto
al
suo allievo, cosa molto più facile che istillare
mbo i sessi percorse la terra sino alle Indie, e conquistò facilmente
al
suo culto anche questa regione. Egli aveva sempre
cia derivare da un greco vocabolo che significa favellare, ed accenni
al
vaniloquio dell’ubriachezza, o da altro termine g
ilibrio neppur sulla groppa del suo asinello. Ma qui cederò la parola
al
Poliziano, che maravigliosamente in due sole otta
to matrimonio di Bacco, ed ebbero nomi relativi alla vite, all’uva ed
al
vino, cioè Evante, che significa fiorente ; Stafi
diversi miracoli. Cangiò in delfini alcuni marinari che si opponevano
al
suo culto. Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il
une pagliuzze o arene d’oro. Così sostituirono un miracolo mitologico
al
miracolo fisico della natural formazione delle pe
te o per pratica che le uve non maturano nei luoghi freddi ed esposti
al
nord, e generalmente in nessuna posizione ed espo
d esposti al nord, e generalmente in nessuna posizione ed esposizione
al
di là del grado 50 di latitudine207). Tutti hanno
te e secondo il bisogno208) ; ed è un veleno per chi ne abusa : oltre
al
nuocere alla salute, scorcia la vita, e istupidis
il crotalo che ha nelle mani. — In Zoologia si dà il nome di crotalo
al
serpente a sonagli. 204. Il nome nebris, nebrid
eribile agli altri due vipistrello e pipistrello, perchè è più simile
al
latino vespertilio, di cui ci dà l’etimologia Ovi
ali notturni : « ……….. tenent a vespere nomen. » 206. È coerente
al
carattere di Bacco Dio del vino che egli disprezz
eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra cui prospera sono dal 30°
al
50° di latitudine. 208. In questi limiti non lo
una svelta ed elegante figura di un giovane nudo con due piccole ali
al
capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a
empo colla velocità, si metteva il petaso e i talari, e volava celere
al
pari del vento153. In mano aveva o la sola verga,
gnificava l’ufficio che aveva Mercurio di condurre le anime dei morti
al
regno di Plutone, e richiamarle alla vita secondo
ma sì la coltiva e l’adopra per iscender più facilmente dall’orecchio
al
cuore157, perciò gli Antichi asserirono che Mercu
Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontrò per via il pastor Batto,
al
quale regalò una giovenca perchè non lo scuopriss
, romano163. Dagli astronomi fu dato pensatamente il nome di Mercurio
al
pianeta più vicino al centro del nostro sistema p
ronomi fu dato pensatamente il nome di Mercurio al pianeta più vicino
al
centro del nostro sistema planetario, perchè comp
ti gli altri pianeti primarii il suo movimento di rivoluzione intorno
al
Sole, vale a dire in 87 giorni, 23 ore e 15 minut
a stampa, perchè furon considerati quei fogli come messaggieri veloci
al
par di Mercurio. Dai botanici si chiamò mercurial
Euforbiacee, perchè, secondo quel che dice Plinio, si credeva dovuta
al
Dio Mercurio la scoperta delle qualità maraviglio
re furto. » (Hor., Od., i, 10.) Si noti quell’epiteto di jocoso dato
al
furto, il quale significa che Mercurio rubava per
eseguir le imposte cose. « La sua forma invisibil d’aria cinse, « Ed
al
senso mortal la sottopose. « Umane membra, aspett
si mostra schivo. » 157. Dice Quintiliano che passa difficilmente
al
cuore ciò che subito inciampa nell’orecchio : Nih
ivano soltanto o belino versi da fare spiritare i cani, e da cantarsi
al
suon d’un campanaccio, come diceva scherzevolment
26. Ciascuna di esse presiedeva ad un’ arte speciale, cioè : Calliope
al
poema eroico ; Polinnia all’ode ; Erato alle poes
alla storia ; Talia alla commedia ; Melpomene alla tragedia ; Euterpe
al
suono degl’ istrumenti ; Terpsicore al ballo e Ur
pomene alla tragedia ; Euterpe al suono degl’ istrumenti ; Terpsicore
al
ballo e Urania all’ astronomia127. Quindi si rapp
veva inoltre la lira. Urania coronata di stelle, cogli occhi rivolti
al
cielo, avendo presso di sè un globo celeste e in
olo greco (come dice Virgilio nel iii delle Georgiche) corrispondente
al
latino asilus, che in italiano significa assillo
ui è questa l’ origine. Le figlie di Pierio re di Tessaglia sfidarono
al
canto le Muse, credendosi più valenti di loro ; m
abbellito maravigliosamente il paradiso dell’arte loro, e attribuito
al
loro Dio anche la facoltà di prevedere e vaticina
: « In bianca veste con purpureo lembo, « Si gira Clizia pallidetta
al
Sole. » Un’altra metamorfosi basata sulla somigl
far vari giuochi ginnastici. Mentre egli un giorno giuocava con esso
al
disco (ora direbbesi alle piastrelle), il vento Z
pa e cantare, ballasse innanzi all’Arca dell’allenza. « Li precedeva
al
benedetto vaso (all’Arca) « Trescando alzato l’um
che re era in quel caso. » (Purg., x, 64.) 124. « Io vo’cantare
al
suon d’un campanaccio « La leggenda d’un Nano im
imo. 133. Dante invocando Apollo così gli dice : « Venir vedra’ mi
al
tuo diletto legno, « E coronarmi allor di quelle
a arricchita della ruina del paganesimo. Nel resto del mondo soggetto
al
dominio romano, l’istinto religioso non era men p
ca sparì, e le sue ceneri furono, per così dire, gettate come polvere
al
vento nell’universo intero. Non ostante questi mu
stromenti da tortura, di eculei, di roghi ; i giuochi si frammettono
al
macello ; da tutte parti s’accorre a goder dello
verità senza ascoltarla ? Ma se la condanneranno senza udirla, oltre
al
biasimo d’iniquità, meriteranno il sospetto di no
icono però costoro : Non è buona cosa, perchè questa setta molti tira
al
suo partito, mentre quanti sono gli scellerati, q
essione del nome e non l’esame del delitto. Se si tratta d’altro reo,
al
solo nome d’omicida, di sacrilego o di pubblico i
quali offese potete contare ? Da questi cotanto uniti e disposti fino
al
morire, per questa ingiuria come vi è corrisposto
ti. Onde avviene che parimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre
al
contrario di quello che s’opera dagli uomini, s’o
d’arrolare una legione di cuochi. Le guardie del fuoco stan vigilanti
al
gran fumo delle serapiche cene.152 Nondimeno sola
data l’acqua alle mani, e posti i lumi, e invitato ciascuno a cantare
al
Signore o qualche cosa delle divine Scritture, o
accati dalla vita comune. Abbiamo in mente quanto siamo tenuti a Dio,
al
Signore e Creatore nostro. Non rigettiamo alcun f
iamo, e mercanteggiamo insieme. Le arti e le opere nostre accomuniamo
al
vostro uso. Io non so in che maniera vi sembriamo
Tertulliano. (Traduz, di Maria Selvaggia Borghini.) Qual sarebbe
al
presente lo stato della società se il cristianesi
stato compiuto. Non può calcolarsi quanti secoli sarebbero bisognati
al
genere umano per uscire da quella ignoranza e da
immensa di solitari sparsi nelle tre parti del mondo, e tutti diretti
al
conseguimento di un medesimo fine, per conservare
oi per combattere l’eresia, servi possentemente alla conservazione ed
al
risorgimento del sapere. In qualunque ipotesi che
Forse che si sarebbero sollevati gli schiavi ? Ma essi eran perversi
al
pari dei loro padroni, partecipavano degli stessi
a Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire
al
patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui vi
cioè della Titanomachia. Il diritto, che ora chiamerebbesi legittimo,
al
trono del Cielo apparteneva veramente ai Titani c
anti, esseri mostruosi e di origine terrestre, erano affatto estranei
al
fondamento e al titolo della contesa. La prima gu
truosi e di origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e
al
titolo della contesa. La prima guerra poteva anch
Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura
al
primo vederli, non lasciò per questo di guardarli
e della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata
al
cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè su
battere con due figli soltanto, cioè con Apollo e con Bacco ; e tutto
al
più con quattro, secondo altri poeti, e tra quest
. « Vedea Timbrèo76), vedea Pallade e Marte, « Armati ancora, intorno
al
padre loro, « Mirar le membra de’ giganti sparte.
a Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino
al
promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri du
stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti
al
Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e boll
inse Dante filosoficamente questi due mezzi di recar danno o ingiuria
al
prossimo, nel canto x dell’ Inferno : « D’ogni m
esto sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo
al
cieco destino. A queste stesse conclusioni io giu
li discacciati dal Cielo e condannati all’Inferno. Perciò Dante oltre
al
chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora ang
Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano
al
di sopra del carro di Diana ; e perciò non è poss
ida « Genio appellato, il qual come ministro « Della ragion lo sproni
al
bene oprare, « E dall’opere ingiuste il tiri e fr
Quando con vece assidua « Cadde, risorse, e giacque, « Di mille voci
al
sonito « Mista la sua non ha : » Il Giusti nelle
nventivo, come : « E anch’io in quell’ardua immagine dell’arte « Che
al
genio è donna e figlia è di natura, « E in parte
tico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno
al
bene e l’altro al male. 272. Marziano Capella in
ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro
al
male. 272. Marziano Capella interpreta la parola
276. Si trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano
al
bene o al male le femmine ; ma avevano il partico
trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano al bene o
al
male le femmine ; ma avevano il particolar nome d
fica calunniatore e accusatore, ed era il titolo che si dava soltanto
al
principe delle tenebre, come deducesi da queste p
ltimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e
al
tempo istesso la più potente monarchia prima che
r dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci
al
tempo della guerra di Troia, poichè Omero in tutt
ali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. E poi, in quanto
al
Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizi
ue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro
al
culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane.
rimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati
al
tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto
anno tramandato gli scrittori di ambedue quelle nazioni relativamente
al
feticismo Egiziano ed alle idee religiose che que
l feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva
al
suo stravagantissimo culto. L’antico Egitto riman
’io, acciò che ‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal mento
al
naso. » I Latini poi, e fra questi Catullo, usa
la frase reddere aliquem Harpocratem per significare ridurre qualcuno
al
silenzio. Trovasi anche rammentato dagli scrittor
uindi è a vedere « Fluviatil lato accor devoto incenso ; « Si prostra
al
cane, di cittadi intere, « E non anzi a Diana, il
che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno
al
suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe
si, paese, ossia per avere a mano a mano opportune notizie riferibili
al
luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per
nduta schiava a Licurgo re di Tracia66. Dante, amico non timido amico
al
vero ed al retto67, dopo aver narrato l’inganno d
va a Licurgo re di Tracia66. Dante, amico non timido amico al vero ed
al
retto67, dopo aver narrato l’inganno di Giasone,
nte i così detti errori giovanili : per lui qualunque inganno dannoso
al
prossimo, in qualunque età commesso, è non solo m
ibil suono « Ch’ovunque s’oda, fa fuggir la gente. « Non può trovarsi
al
mondo un cor sì buono, « Che non possa fuggir com
a ove sperar gli avanza, « Sospira e geme e disperato stassi. « Viene
al
duca del corno rimembranza, « Che suole aitarlo a
dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto
al
fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse
re ad Adrasto e a’suoi compagni la fontana Langia non molto distante,
al
suo ritorno trovò il bambino morto pel morso vele
o trovò il bambino morto pel morso velenoso di un serpente ; ed oltre
al
dispiacere provato avrebbe dovuto subire anche la
ntana detta Langia, ad Adrasto e a’compagni di lui. 67. « E s’io
al
vero son timido amico, « Temo di perder vita tra
lo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita
al
par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca a
raneo un sì orribil delitto. Gli astronomi diedero il nome di Nettuno
al
più lontano pianeta del nostro sistema solare, pr
prima volta da Galle a Berlino il 23 settembre 1846. E coerentemente
al
nome mitologico, il simbolo o segno astronomico d
e onori celesti dagli astronomi, i quali diedero il nome di Amfitrite
al
29° pianeta telescopico scoperto da Marth il 1° m
iodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia
al
lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a temp
ereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato (
al
solito con qualche aggettivo di specificazione) a
o « Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli « La lionessa e i lioncini
al
varco : « E poi distese i dispietati artigli « Pr
rza soprannaturale, si trovò in un istante senza avvedersene in mezzo
al
mare, accolto dalle Divinità marine e trasformato
no le onde del mare. Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere
al
Cielo con Beatrice si sentì trasumanato e sospint
ssionevoli per le altrui sventure. Perciò il Tasso fa dire da Erminia
al
pietoso pastore che piangeva al suo pianto : « o
e. Perciò il Tasso fa dire da Erminia al pietoso pastore che piangeva
al
suo pianto : « oh fortunato, « Che un tempo cono
o da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno
al
suo carro ? I pittori e i poeti han fatto a gara
uite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi che danzano intorno
al
carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali
oviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo che sotto
al
procelloso « Aquario il Sol corregge ad Eto il mo
a a riposare da Teti, dea marina, in un palazzo di cristallo in fondo
al
mare. Come poi facesse per ritornar nella notte d
, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo
al
Sole. Fetonte, il cui nome di greca etimologia si
i trovò impegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed
al
mondo che egli era figlio di Apollo col guidar pe
iziosa sua madre Climene andò nella sublime reggia di Apollo e chiese
al
padre una grazia, prègandolo a giurare per le acq
lle spalle il pallio, ossia mantello alla greca, e in mano un bastone
al
quale era attortigliato un serpente, simbolo dell
Bartolomeo, dopochè Roma divenuta cristiana dedicò quel tempio pagano
al
culto di quest’apostolo. Idearono ancora i mitolo
alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi
al
confronto parrebbe meschino e povero : « Non che
sereno ; « Lactea nomen habet, candore notabilis ipso. 116. Allude
al
lamento ed alla preghiera che si trova rettoricam
olpe in varii modi « Punite e travagliate : altre nell’aura « Sospese
al
vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre al fo
re nell’aura « Sospese al vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre
al
foco raffinate ed arse : « Chè quale è di ciascun
è di mill’anni « Han volto il giro, alfin son qui chiamate « Di Lete
al
fiume, e ’n quella riva fanno, « Qual tu vedi col
ui ne faremo una breve rassegna. La pena generale per tutti i dannati
al
Tartaro era quella di esser tormentati dalle Furi
ò una spalla di Pelope. Si aggiunge ancora che gli Dei resero la vita
al
figlio di Tantalo ricòmponendone le cotte membra,
a e cibo degli Dei immortali265), non poteva morire, nè perciò andare
al
Tartaro. Inoltre lo stesso poeta alla solita pena
i la prima sera del loro matrimonio. La sola Ipermestra salvò la vita
al
suo sposo Linceo ; e questi poi compì quanto avev
m dire intensità, non potendovi esser differenza alcuna relativamente
al
tempo, poichè nell’Inferno dei Cristiani son tutt
a tre persone, « In tre gironi è distinto e costrutto. « A Dio, a sè,
al
prossimo si puone « Far forza ; dico in loro ed i
ene diverse per qualità o intensità. Mirabile è poi in sommo grado, e
al
tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione
movimento di rotazione continua ; e si fece così una felice allusione
al
continuo attinger dell’acqua, che era la pena del
ndo una vita errante e senza dimora fissa, mal potevano assoggettarsi
al
consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che
a « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance,
al
petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svels
La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò
al
tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava
« E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia
al
dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levor
con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli
al
cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su sa
Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra
al
culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo inva
sce l’aggettivo latino cereale, cioè appartenente a Cerere ; e si usa
al
plurale in forza di nome, dicendosi i cereali per
icar le biade o le granaglie. In astronomia il nome di Cerere fu dato
al
primo degli asteroidi (pianeti telescopici situat
o oblìo ; « Ma poichè ’l carro e i draghi non avea, « La gìa cercando
al
meglio che potea. » Un’infinità di esempii, simi
el tempo che Saturno stette nel Lazio31, sebbene altri la riferiscano
al
regno di Saturno nel Cielo, e non all’esilio di l
leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro efficacia ? E riguardo
al
morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più
erpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto
al
tempo che è la continua successione dei momenti35
soro della Repubblica. Davasi, come si dà tuttora, il nome di Saturno
al
più distante dei pianeti visibili ad occhio nudo3
ve nel cielo fra gli Dei maggiori, ma destinato soltanto a presiedere
al
tempo. Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè
maggiori, ma destinato soltanto a presiedere al tempo. Fu gratissimo
al
suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò a
del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento
al
cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano
molti Ebrei (o come li chiamavano allora Giudei, perchè appartenenti
al
regno di Giuda), si erano trasferiti ad abitare e
Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il poeta dice
al
suo servo : Age, libertate decembri (Quando ita m
qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi
al
di sotto di un altro : equivale dunque soltanto a
istiana religione. Infatti i mitologi latini adoprano quest’aggettivo
al
plurale, e intendono regioni al di sotto della su
ologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni
al
di sotto della superficie della Terra, perchè sup
cipalmente due : una sotto il promontorio di Tenaro (ora capo Matapan
al
sud della Morea) ; e l’altra sulle sponde del lag
no le anime dei malvagi, e vegliar che i suoi ministri non mancassero
al
loro dovere di tormentare i dannati. Era questa a
ande di tutti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino
al
centro del nostro globo, nel qual punto termina l
conviene scendere in un modo straordinario e pericoloso per giungere
al
centro. Oltre i quattro fiumi dell’Inferno Pagano
la roccia scogli « Movien, che recidean gli argini e i fossi « Infino
al
pozzo, che i tronca e raccogli. » (Inf., xviii,
e : io ne citai le espressioni più chiare e precise nella Cosmografia
al
cap. xxiii. Quando si trova un gesuita tra i più
r dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse
al
fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e sicc
e che sostenevano il tetto o la vôlta. Se ne trova tuttora uno vicino
al
Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso
do, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate
al
servizio della Dea della castità. Da queste due c
mente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato
al
voto di castità era seppellita viva, in un campo,
ttoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e
al
predominio di un marito quanto si voglia illustre
cqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro
al
suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe
iama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè
al
confessore e il dannato simoniaco al perfido assa
in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco
al
perfido assassino.
i di lui, credo opportuno di presentarne il ritratto. È una eccezione
al
mio metodo, che mi par giustificata dall’ufficio
olo, e i solidi zoccoli caprini la stabilità della Terra. Risparmierò
al
cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggi
ò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto
al
ritratto del Dio Pane, che ho delineato in princi
el Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare
al
lettore più idee che parole, qui è più conciso ch
in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente
al
racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamo
e familiari, esisteva sotto quel colle un antro consacrato da Evandro
al
Dio Pane. Dai Romani ebbe questo Dio anche il nom
doti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane
al
tempo della battaglia di Maratona parlasse a Fidi
rive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo
al
pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel ce
ma doveva essere trascinata per forza all’altare, se sfuggiva di mano
al
conduttore, se schivava il colpo, e via discorren
n ferie (feriœ da ferire, colpire, immolar la vittima) i giorni sacri
al
riposo ed ai sacrifizj in onor degli Dei. Le feri
i scolari ec. VII. Flamini,4 sacerdoti istituiti da Numa, e destinati
al
culto di qualche deità in particolare. Prima furo
li che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli che, andando
al
supplizio, erano da lui incontrati per via. Egli
i trattati d’alleanza, nei banchetti, nei pasti giornalieri ec. Oltre
al
vino adoperavano nelle libazioni anche il latte,
ale spazio di tempo essendo chiamato lustrum (lustro) ha dato origine
al
vocabolo lustrazione. XI. Magia, fu l’ arte di f
ehe lo bagnava di sangue, lo fregava eon l’ aglio, gli faeeva portare
al
collo una filza di fichi, e non gli permetteva d’
iti da Numa. 4. Flamines u Filamines forse perchè purtavano avvultu
al
capo un filu di laua. Plutarco fa derivare questo
presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « ….. che già vecchio
al
volto « Sembrava. Avea di pioppo ombra d’intorno
è è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo
al
tremendissimo Achille, che non aveva paura di alc
ero. Nel libro xxi dell’ Iliade (trad. del Monti) così parla il Xanto
al
Simoenta : « Caro germano, ad affrenar vien meco
, « Con tempesta piombò sopra il Pelide. « ………………… « Levò lo sguardo
al
Cielo il generoso « Ed urlò : Giove padre, adunqu
rodezze e dei vanti dei fiumi della Troade. 26. Tibullo ne dimanda
al
Nilo stesso : « Nile pater, quanam possum te dic
nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e lo dice egli stesso
al
principio dell’ Egloga 6ª in questi due versi :
to o alla medesima persona. Il nome più antico è attribuito dal poeta
al
linguaggio degli Dei, e il più moderno a quello d
io : « Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte « Armati ancora in mezzo
al
padre loro « Mirar le membra de’giganti sparte. »
avrebbe questo privilegio quel Nume che producesse una cosa più utile
al
genere umano. Gli altri Dei lasciarono libero il
rni, e perciò si chiamava il Quinquatruo 169. Questa Dea era venerata
al
par di Giove da tutti i popoli civili, o almeno n
a, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario che la parola Aracne
al
femminile significa tela, e al maschile ragno, e
el suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e
al
maschile ragno, e Plinio asserisce che una donna
a significare l’olio 172. Dagli astronomi fu dato il nome di Pallade
al
secondo asteroide o pianeta telescopico, scoperto
ialetto meritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e che
al
pregio della lingua seppe unire pur anco quello d
XLIII Cadmo Non appartiene Cadmo
al
novero dei Semidei, e neppur divenne un Indigete
e fu narrata così egregiamente da Ovidio, che sembrò mirabile, nonchè
al
Tasso, anche a Dante. Anzi Dante, convinto che ta
lio Nipote nelle sue Vite degli eccellenti capitani greci. Quanto poi
al
nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse i
buisce a Cadmo che portasse in Grecia le prime sedici lettere60. Sino
al
presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al d
edici lettere60. Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre
al
dirsi precisamente quali erano le sedici lettere
portate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede
al
tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro a
giunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’
al
più può essere una curiosità letteraria il sapere
dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima
al
celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo). D
dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci
al
Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeism
abeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche
al
tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api,
pparente lor corso da Esseri soprannaturali che vi presiedevano. Così
al
feticismo, ossia all’ apoteosi degli oggetti mate
ne. Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo
al
Panteismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi d
adde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio
al
culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli
XLI Perseo Questo antichissimo Eroe apparteneva
al
novero dei Semidei, poichè fu creduto figlio di G
empre di cavalcatura a Perseo. Inoltre questo cavallo dando un calcio
al
terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fec
col teschio di Medusa. I genitori che eran presenti diedero in premio
al
liberatore la figlia in isposa, e il regno per do
allo studio delle origini storiche, forma la necessaria introduzione
al
Corso della Storia Antica ; e quanto poi alla Let
la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati
al
ciel gli occhi e le ciglia, « Come l’ecclisse o l
destrier, ma naturale, « Ch’una giumenta generò d’un Grifo : « Simile
al
padre avea la piuma e l’ale, « Li piedi anterïori
Inferiori. Agli antichi Mitologi non bastò l’avere assegnato tre Dee
al
globo terrestre, come notammo nel N. VIII, ed anc
ori ai principali prodotti della Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco
al
vino, Vulcano alla metallurgia, ecc. ; e lasciand
N. III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca
al
tempo in cui scriveva S. Agostino, cioè in più di
degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati
al
tempo stesso che migliaia e migliaia di questi so
ù, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto
al
numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e mo
lla costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente
al
solstizio invernale, e che rifulge di sessantaqua
em qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria che Beatrice discendesse
al
mondo. « Fummo ordinate a lei per sue ancelle. »
e Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e
al
tempo stesso elegante scrittore, parve opportunam
a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi
al
Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche
un regalo alle Ninfe che ebbero cura della sua infanzia, attribuendo
al
medesimo il mirabil prodigio di versar dalla sua
e e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre
al
credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fer
All’opposto i Romani ne moltiplicarono le statue e le pitture, perchè
al
favore di questo Dio attribuivano le loro conquis
vano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino
al
termine della repubblica e ai primi tempi dell’im
per morale condotta !179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome
al
mese di marzo che era in quel tempo il primo mese
dei votanti è variabile, si accorda nei casi di parità il doppio voto
al
Presidente. 174. « Jam qui magna verteret, Mav
aquila e rendendolo immortale. Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi
al
sesto pianeta telescopico che fu scoperto da Henc
luogo la figlia di Inaco, sospettò di qualche frode, e chiese in dono
al
marito quella giovenca, che Giove non potè negarl
ù eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile
al
nome greco e latino, e perciò preferita nel lingu
cinge « Mai non si scorge a sè stessa simile, « Ma in diversi colori
al
sol si tinge ; « Or d’accesi rubin sembra un moni
ad uno dei primi asteroidi scoperti in questo secolo, e precisamente
al
3°, veduto per la prima volta da Harding il 1° se
Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali
al
par di lei avevan rinunziato a prender marito, pa
esenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge
al
ginocchio, i coturni sino alla metà della gamba,
Elice si cuopra, « Rotante col suo figlio ond’ella è vaga ; » ecc. E
al
nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro ne
scosta mai da quel posto. Una più terribile punizione inflisse Diana
al
cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in
t. ii) Ovidio chiama pigra la Costellezione di Boote, perchè è vicina
al
polo, « …..dove le stelle son più tarde, « Sicco
rabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi
al
Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantas
i i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole
al
cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli
telletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. « Queste
al
fianco del Dio spedite e snelle « Camminavano. »
antico formare automi maravigliosi, dalla colomba volante di Archita
al
giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Om
i tolse : « Maraviglia a vederli ! » (Iliade, xviii.) Nel medio evo,
al
risorger delle lettere e delle scienze, si risveg
. Demostene in una delle sue celeberrime Orazioni disse pubblicamente
al
popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale
asta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti
al
pubblico bene furono utilissimi, e divennero, com
rono la loro santa impostura 291), e ben si guardavano dallo svelarne
al
popolo l’artifizio e screditarla. Ma però…… e qui
e al popolo l’artifizio e screditarla. Ma però…… e qui cedo la parola
al
Machiavelli, « come costoro cominciarono dipoi a
usti chiama santa impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere
al
popolo romano che le sue prescrizioni religiose e
aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro
al
fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Pe
fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Però moralità lasciaro
al
mondo. « Onde pognam che di necessitate « Surga o
ossia decretato irrevocabilmente ; e in senso filosofico corrisponde
al
Verbum dei Latini, e al Logos dei Greci. Nella Mi
abilmente ; e in senso filosofico corrisponde al Verbum dei Latini, e
al
Logos dei Greci. Nella Mitologia greca per altro
proprio ufficio attribuito dai Pagani agli Dei Penati. Anzi ne deriva
al
tempo stesso la spiegazione come avvenga che talv
sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse
al
vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti
di l’espressione rituale dei politeisti i sacri penetrali corrisponde
al
sancta sanctorum dei monoteisti ; quindi il comun
i comuni ed i privati vantaggi della social convivenza. Perciò, oltre
al
distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decid
sso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro
al
cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’
ad. del Monti.) Questa invenzione dell’aurea catena che lega la Terra
al
Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente, che
zioni dei documenti storici delle chiese e di altre fabbriche addette
al
culto, ma pur anco ne’ monumenti e nelle epigrafi
li pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto
al
Fato. Si fatta Autorità divina portò di seguito l
ve e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto
al
Sole accennai che era regolato da un Titano di no
’Empireo, esclama : « O Elios, che sì gli addobbi !98) » Quanto poi
al
globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva
e legumi. In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che
al
presente. Anche in Italia se ne vedono alcune in
o secolo, e precisamente nel 1831, formossi per sollevamento nel mare
al
sud-ovest della Sicilia un’isoletta che fu chiama
la Troade e l’Ionia, e detta più anticamente la Misia, ma corrisponde
al
gruppo delle isole chiamate ancora oggidì Eolie,
, e d’armonie risuona ; « Poi, caduta sull’isola la notte, « Chiudono
al
sonno le bramose ciglia « In traforati e attappez
., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva
al
Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro
a che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia
al
ponente-maestro (nord-ovest). Gli Antichi non con
iderato come il portiere delle celeste reggia. Da questo giorno, come
al
presente, incominciava l’anno civile sin dal temp
dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava
al
Campidoglio per assistere ai riti religiosi. E po
sus, perchè dopo i riti solenni religiosi e civili ciascuno attendeva
al
proprio ufficio, o professione nelle altre ore de
quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi,
al
tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Mass
sso, li mandò nascostamente nell’isola di Creta, e diede ad intendere
al
marito di aver partorito una pietra che gli fece
telli i regni del Mare e dell’ Inferno. Saturno invece di esser grato
al
figlio e di contentarsi del secondo rango nel Cie
osti i vocaboli Cronaca, Cronologia, Cronometro, ecc., tutti relativi
al
tempo. 22. Il Monti fa dire ad Aristodemo, nell
igliate fantasie dei greci poeti e dei greci sacerdoti. I Romani sino
al
termine della seconda guerra punica furono i puri
elle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione
al
potere politico e negata l’esistenza stessa degli
e esser dovessero le massime che essa insegnava. Perciò Dante fa dire
al
poeta Stazio nel C. xxii del Purgatorio, relativa
ente finì Bellerofonte i suoi giorni. Il Pegaso continuò il volo sino
al
Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione c
onarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta
al
Savonarola stesso. Il duello che usa tuttora è un
mmirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio
al
principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti ce
le alla assimilazione, ma talvolta ancora ostico, o almeno poco soave
al
gusto. Possono perciò riuscire utili soltanto a c
peregrina e non necessaria erudizione antica, possa riuscire accetto
al
maggior numero dei lettori. In compenso delle più
Belle, ma altresì a chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile
al
bello artistico, che tanti stranieri richiama dal
e Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. La favola si riferisce
al
destino della vita di Meleagro. Raccontano i Mito
» E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò
al
consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a t
altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come
al
vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostr
poi vi aggiunsero che per voler di Giove suo padre fu data in moglie
al
più brutto, e che per di più era zoppo e tutto af
gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. Sino
al
secolo passato non celebravasi un matrimonio tra
: il fiore a lei sacro era la rosa, l’albero il mirto. Si aggiogavano
al
carro di Venere le colombe, perchè sono affettuos
istra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando
al
lettore con un semplice numerò tra due () i parti
ndo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente soddisfatto
al
bisogno dei primi studj letterarj, abbiamo accres
mperatori e delle Imperatrici era divenuto un vile atto di adulazione
al
potere assoluto e dispotico del supremo imperante
, di quadri e di statue : ivi deponevasi il feretro. Dentro e intorno
al
rogo spargevansi incensi ed aromi preziosi in gra
lla più felice conservazione dello Stato. Anche alla Dea Mente, ossia
al
Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice batta
e appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non
al
Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in que
arsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle ! Quanto poi
al
vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di q
i85). Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e
al
genere umano, non fa la più bella figura, come ab
ni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni
al
racconto dei molteplici fatti particolari che più
van Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio
al
Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la sp
fisiche della materia terrestre. Questa triplice distinzione richiama
al
pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi
is excepimus), implet enim superstitione animos et exhaurit domos. Ma
al
solito non dice il motivo dell’eccezional privile
re, Giunone, Giove, Nettuno e Plutone. Giove sposò Giunone elevandola
al
grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte,
ati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi
al
neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comu
che e roccie metamorfiche 89). Per lo scopo nostro, cioè in relazione
al
diluvio, basta il parlare delle roccie acquee per
86. Anche Dante chiama la terra madre comune ; e questa espressione è
al
tempo stesso mitologica, biblica e filosofica. Mi
redesi il Nemrod della Sacra Scrittura, fiori, secondo altri, intorno
al
2640. 159. Altri assegna il 2180 allo stabilimen
. Altri assegna alla caduta di Troia l’epoca del 1210-1209 ; e quindi
al
1207 l’arrivo d’Enea in Italia. 163. Altri pone
etto « Per mensola talvolta una figura « Si vede giunger le ginocchia
al
petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Na
, dai moderni Romani dopo 2628 anni. Il nome di Vertunno, che davasi
al
Dio delle stagioni e della maturità dei frutti, c
. Chirone, celebre Centauro, 100, 430, 536. Ciane, Ninfa che s’oppose
al
ratto di Proserpina, 53. Cibele. Sua nascita, 26
del Rame ; — del Ferro, 34. Eteocle, figlio di Edipo, usurpa il trono
al
fratello ec., 505 ; — guerra di Tebe, 506 ; — mor
o di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere
al
la luce questa terza edizione, che abbiamo cercat
ti, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare
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popolo la dottrina segreta. Alcuni moderni autori
va Antologia. Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere
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semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutt
i versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle
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. loro più vero significato, sceverandole dalle fa
Dei foss’egli stato (quisquis fuit ille deorum) ; e nei Fasti fa dire
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dio Giano che gli antichi lo chiamavano il Caos,
o could divert people from evil-doing. Axe, see Dædalus. B Ba′
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[Baal], a god of the Phœnicians. Ba′al-Pe′or [Ba
peranza in dio sicura S’alzar volando alle celesti spere Come va foco
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ciel per sua natura45. La Gerusalemme Liberata
arly romances of chivalry, first arose. It may also be observed, that
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the historians, after having represented the drui
Druids taught the existence of one god, to whom they gave a name “Be’
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,” which Celtic antiquaries tell us means “the lif
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