/ 77
1 (1880) Lezioni di mitologia
ggiando talora con voi nelle vie di cotesta veramente italiana città, al mio cuore carissima e dai buoni venerata, nella c
olta apparecchiare, per dirlo con modo dell’ Alighieri, grazioso loco al nome vostro. Ottobre 1871. Corrado Gargiolli .
infatti agli annali di tutte le genti che agli astri, e specialmente al sole ed alla luna, fu tributato il primo omaggio
de e si rinnova, il vincitor delle tenebre, la vera sede di Dio, che, al dir del Profeta, vi pose il suo padiglione. Ma co
gli istitutori dei popoli idolatri, che utili cose vollero persuadere al volgo, il fingere d’aver commercio cogli Dei; e l
e l’opportunità di ripetere col divino Alighieri; « Che chi pensasse al poderoso tema, E all’omero mortai che se ne carca
le in cui i Greci, aiutati dal tradimento e dalla fortuna, adeguarono al suolo l’altezza di Troia convertita in cenere e c
Longino con degno paragone si espresse) se nell’Iliade egli è simile al sole quando nel mezzo del giorno riempie di sua l
, che sdegnando trattare argomento mortale, dagli abissi si alzò sino al cielo, sentiva farsi maggiore, e più terribili na
si riunirono coU’aria; le nuvole si urtarono fra loro, e vita diedero al folgore, il di cui tuono riscosse gli animali rag
ui nature erano in sieme confuse. Separatesi, il mondo si ordinò come al presente si scorge. L’aria cominciò a moversi cos
i scorge. L’aria cominciò a moversi costantemente; il foco, alzandosi al cielo, per sua natura produsse il rapido circolar
d è il sole l’artefice e l’eccitatore dell’universo. Parve altrimenti al dottissimo Cudworth, che mostrò le contradizioni
iccio inventati i nomi degli Dei e confusa la loro genealogia. Altri, al contrario, lo difendono da tanto rimprovero, asse
Dei e correggitore dei guasti costumi dei mortali; e se fede si dasse al compendio che Timoteo fece della cosmogonia orfic
e, che diede a Saturno; ed egli, insidiando il padre mentre inviavasi al letto materno, gli fé’ colla falce quell’ingiuria
zio, l’astuto Prometeo, l’incauto Epimeteo, cagione di lacrime eterne al genere umano. Giove fece piombare nell’inferno Me
ed Ercole fatto dio diventò marito di Ebe. La bella Perseide partorì al Sole Circe ed Eete, il quale sposando Idia per co
mistà vi risovvenga, E quai cose sofferte: il mio consiglio Vi trasse al raggio della cara luce Dal dolore dei lacci e del
to il furor dei piedi eterni Crolla l’Olimpo. La tremenda scossa Fino al Tartaro giunge: il capelstio, L’inaudito tumulto,
all’altra parte Volan dardi, cagion di pianto alterno. D’ambo la voce al ciel stellato arriva E della zuffa l’ululato; e G
a del dio. Dal cielo Spesso all’Olimpo folgorando move, E dall’Olimpo al cielo. Il fulmin vola Col baleno, col tuono, e lo
o: e già la vampa Circonda i fiorii della terra: arriva Già la fiamma al divino eter: la luce Del fulmin sacro, che tonand
o la divinità, e sopra a zolle ed informi pietre offrivano sacri fizj al padre degli uomini, di cui, al dire di Cicerone,
ed informi pietre offrivano sacri fizj al padre degli uomini, di cui, al dire di Cicerone, degno tempio è solamente l’univ
elo; quindi fu comune questa denominazione a tutti i luoghi destinati al culto di qualche nume. Si dividevano in più parti
, le di cui tombe bevvero qualche volta umano sangue. Achille offerse al troppo vendicato amico quello dei prigionieri Tro
, grato non era il sacrifizio, e sicura la collera dei numi. Infatti, al dir di Giovenale, qual’ostia non merita di vivere
a vittima già coll’acqua lievemente spruzzato: si arrecavano in mezzo al mistico mormorio dei sacerdoti i sacri coltelli e
tti parte della vittima e il liquore, dono di Bacco, di cui tre volte al padre dell’onde fa libazioni il condottiero degli
ll’acque. Nell’orrore della notte, col capo inchinato verso la terra, al contrario dell’ ostie offerte ai celesti, scannav
, e perciò il sacrifizio che loro facevasi da quei che scampati erano al furore di una malattia chiamavasi lustrazione, o
lenzio sacrificavano gli Esichidi, così detti dal nome di Esico eroe, al quale un ariete era prima immolato. Una nera peco
he nel più profondo della notte, quando « Del sonno il peregrin cede al desio, E delle porte il vigile custode; E tregua
il peregrin cede al desio, E delle porte il vigile custode; E tregua al duolo ancor nel mesto sonno Trova di estinti figl
morti. Il sacrifizio, col quale gli antichi davano autorità maggiore al giuramento, vi dirà Omero, tradotto dall’ immorta
dritti D’Achille rispettai, che intatta e pura Io gliela rendo (ella al Signore un guardo Volse loquace, indi il chinò):
oquace, indi il chinò): s’io mento. Quante mai pene hanno i spergiuri al mondo Piombin sul capo mio. — Disse, e le fauci D
ardirà di riprendere questi tributi, i quali solo seguivano i miseri al caro lume della vita rapiti, e contender loro que
ancora i sospiri dell’amore, diceva all’amica infedele: « Io porterò al sepolcro della tua sorella corone bagnate dalle m
eofrasto ne dica che una pietra circolare chiudeva la salma destinata al rogo. Steril giovenca all’ignudo spirto immolavas
l freddo volto esangue Scalda co’ baci del suo pianto aspersi. Giunto al luogo prefìsso, egli in disparte Si trasse alquan
ronca col ferro, e del defunto amico N’empie le mani, e le si accosta al petto. Nuovi lai, nuovi pianti: al Re si voglie P
o N’empie le mani, e le si accosta al petto. Nuovi lai, nuovi pianti: al Re si voglie Pelide allora, e di riposo e cibo. D
ere edaci Gl’ impeti affrena, e inviolato il rende Del cocchio ostile al trascinar; lo copre D’ intorno Apollo d’azzurrina
lo copre D’ intorno Apollo d’azzurrina nube Che gli fa velo incontro al Sole, e scudo Ai strali penetrevoli cocenti. Ma i
lebre l’altare che a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in faccia al Pelopio ed al tempio di Giunone. Questo, secondo
che a Giove Olimpio fu eretto da Ercole Ideo in faccia al Pelopio ed al tempio di Giunone. Questo, secondo il mentovato s
se perchè l’immaginazione dei mortali reputava che così avvicinandosi al cielo, giungessero più rapidamente innanzi agli D
sipare le altezze, romper le statue, recidere i boschi, causa perenne al popolo ebreo d’idolatria, errore così caro all’um
; la maggior parte di esse ha negli angoli teste di animali. Numerosi al pari degli Dei erano gli altari, e Virgilio ci mo
ure nei teatri. Il primo che ivi sorgeva dalla parte destra sacro era al dio che si onorava cogli spettacoli; l’altro, all
essi altari, e più dei numi, non perchè tutti gli credessero ascritti al concilio dei celesti, ma perchè gli schiavi temer
nsoli, che sul Campidoglio venivano dall’aratro ai trionfi. I Messenj al nume signor della guerra facevano sacrifizj detti
, vi racconterà il secondo, che fu di doppio dolore cagione ad Ecuba, al pari d’Ilio, splendido documento dell’instabil so
vaghi fanciulli e giovinette gloria del loro sesso, che ministravano al sacrificio. Il ministro detto presultore, distrib
ano la vittima, se esser scannata doveva; e se dalla scure atterrata, al ministro detto popa consegnavanla che succinto e
nsultar potete le accennate medaglie e i monumenti, mentre io adempio al mio scopo venendo a favellare di quei sacrifìzj,
o rege, Arbitro della guerra, ire e consigli Dava ai Troi, stringendo al sen canuto Il tenero nipote, e a lui nel volto Do
quando i Greci Ver le navi spingea l’ettorea spada E la face temuta, al pargoletto Mostrava il vecchio la paterna guerra:
re acheo Breve è pietà: che già ripete Ulisse Le preci di Calcante, e al crudo rito Chiama numi di sangue. Allora, oh vera
acil volgo Che odia e mira i delitti. Ancor di Troia La schiava gente al proprio pianto accorsa Era, e vedeva già muta e t
i dell’orrende nozze, Elena, e dolor fìnto ornale il volto, Principio al comun pianto. Ogni Troiano Dicea sommessamente: A
lce del morente sole E il raggio, allor che la vicina notte Fa guerra al dubbio giorno, e il mesto impero Chiede del mondo
in morir regina. Piangon gli Achivi; gemito sommesso Danno i Frigi, e al dolor vietan la voce: Che le lacrime pie son colp
anno i Frigi, e al dolor vietan la voce: Che le lacrime pie son colpa al vinto. Troadi, Atto V. Lezione quinta. Dei s
lcuni che questa orribile costumanza avesse principio coli’ idolatria al tempo di Saruch nella quinta generazione; e se ci
mmolò la figlia; che i Tiri sacrificarono i figli di Sisifo, persuasi al misfatto dall’oracolo di Apollo. Lo stesso autore
i. Oh barbarie ! chiamavasi mistico sacrifizio quando un parto, tolto al reciso ventre della madre, ponevasi sugli altari
uando i rei mancavano, stimando far cosa grata agli Dei, discendevano al supplizio degl’innocenti. Lo stesso Giove Laziale
l fiore della gioventù; e quel che é più terribile, doveano assistere al sacrifizio le madri. Le trombe, i timpani erano d
cendo che coli’ uccisione degli animali si avvezzava alla crudeltà ed al sangue il core dei mortali ! Ma quali erano i rit
ano accorse Al sacrificio orrendo. Afi’erra Pirro Quell’innocente, ed al funesto altare L’avvicina; ed io presso orale. An
sso orale. Ancora Della memoria tremo; e mesta schiera Delle donzelle al duro ufficio elette Le fean triste corona. Il fig
ste corona. Il figlio atroce D’Achille inalza la dorata coppa, E liba al padre. Della man col cenno D’impor silenzio all’
n di Agamennone era figlia, e che Elena a lui l’aveva generata quando al rapimento fe’ succedere V imeneo, che essa non ar
punto all’innocente e casta Povera verginella in tempo tale Che prima al re titol di padre desse; Che tolta dalla man de’
o a gara, E ancor trema e rifugge. Eramo giunti Della figlia di Giove al sacro bosco Ed ai floridi prati ove dei Greci Son
ndietro Si pose il manto innanzi agli occhi, e pianse; Ma la donzella al re s’accosta, e dice: Eccomi, padre: a te la cara
Ma che? ministri all’ara e niun Argivo Ver me s’appressi, che sicura al ferro Offro il collo animoso. — In questi detti F
pinato Era il portento, sì che visto ancora Fede non ottenea. Giaceva al suolo Palpitante una cerva, e vasto il corpo E be
unito. Ma di tutte le teste rimaste fu modello il volto di Alcibiade; al che allude l’eleofante Ariste lieto in una sua le
indorare la prima statua in Italia, eh’ eresse nel tempio della Pietà al padre di lui Glabrione. Nè legge veruna prescrive
lande, doni vi appendeva la superstizione, prodiga tanto, che appena, al dire di Stazio, luogo restava ai rami. Tagliarli
ra sacrilegio: pure concesso fu diradarli, propiziando con sacrifizio al nume del luogo. Celebri sono nell’antichità i bos
nco estremo Eguale a monte, e la città minaccia; Onde sull’umil plebe al re l’inulta Morte è dal loco saettar concesso. D’
e vince Altera querce le minori piante. Di Tantalo i nipoti auspicio al regno Qui soglion trarre: qui dei dubbi eventi Ce
’Enomao il cocchio infranto, e stavvi il sangue Del traditore auriga, al mar Mirtoo Infamia e nome. Qui stan tutte altere
? Orna gli altari, e le innocenti mani Al tergo avvince: i giovinetti al cielo Levan la fronte, che purpurea benda Mestame
di torelli: ahi: tale Atreo Era. Nasconde lo stancato ferro Nel tergo al pargoletto: ei cade, e spenge Dell’ara il foco l’
e Vi è perchè scorga il feral cibo, e cessi II felice ignorar, dimora al pianto. Seneca, Tieste. Atto IV. Lezione set
io della vittoria futura; perciò volle che sacra gli fosse, e quando, al dir di Orazio, l’esperimento fedele in rapire il
nti uccelli le concesse l’impero. Perciò nei monumenti è sempre posta al destro lato di Giove, e nel Museo Guarnacci si ve
Briareo. Tanto la sete del regnare poteva ancora negli Dei! Nè bastò al sire dell’Olimpo questa vendetta: tolse a Saturno
dagli artigli la folgore eterna. E Tibullo disse ad Apollo, alludendo al canto famoso: « Vieni splendido e bello; copriti
alla forza; poiché da Giove fu superato, e sotto l’Etna sepolto; ove, al dir dei poeti, ancora minaccia, quando l’immenso
tante, fu opinione degli antichi che il potere di Giove non solamente al cielo si limitasse, ma che sul mare e sulla terra
ro Opra del dio Vulcano: in dono il diede A Libia allora che fu sposa al nume Scotitor della terra: ella alla nuora Telefu
idi due la rimiravan. Giove Soavemente colla man divina La carezzava: al fianco eragli il Nilo, Che con sette onde dà trib
La carezzava: al fianco eragli il Nilo, Che con sette onde dà tributo al mare. Tutto d’argento era il niliaco flutto, Oro
Europa alle donzelle, e sola Degna le rose colla man divina Togliere al prato. Fra le Grazie apparve Così Vener, dell’ond
l veloce flutto Suonano a nozze la ricurva conca. Con una mano Europa al lungo corno S’attien del tauro; coll’altra raccog
amorato chi resiste? Dal primo furto di Giove nacquero le Preci, che, al dir d’ Omero, seguono con tardo piede l’ingiuria
di Giove partorì Semole, punita della dimanda superba, poiché celebre al pari d’Ercole è Bacco, che empì l’ Oriente e 1’ O
ti. Sia d’esempio Giove quanta incertezza regni nella Mitologia, Tre ( al dir di Cotta in Cicerone nel suo libro Della Natu
rva come questo tempio era grande quanto quello di Salomone, e minore al solo tempio di Belo che in Babilonia sorgeva. Pis
edibili, se s’ignorasse che settecento anni scorsero dalla fondazione al compimento. É vanto per l’Italia che Copuzio Roma
corgevausi all’estremità della volta accennata. Correr pareva intorno al tempio un cordone, e vi erano affissi ventuno scu
ffissi ventuno scudi aurei, che da Mummie vincitore furono consacrati al dio. Con solenne artifìcio effigiata era nella fa
fesa. Sotto due loggie sostenute da due ordini di colonne si arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, ch
due loggie sostenute da due ordini di colonne si arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, che niuno, al
arrivava al trono e al simulacro dì Giove, opera di Fidia, che niuno, al dir di Quintiliano, potè emulare; in cui l’oro e
iedi del nume. I gradiniMalla parte anteriore erano ornati di sfìngi; al di sotto Apollo e Diana miravansi punire nei figl
dai Fenici: (dono d’Antioco Epifane) si estendeva dalla sommità fino al suolo. Sarebbe lungo annoverare gli splendidi don
e’l suo sostegno. Ma come il Sol nell’Ocean si asconde, Argo li gitta al collo il laccio indegno. E le sue piume son dove
sa per penna Per far noto quel mal, che sì l’offende; Rompe col piede al lito la cotenna Per dritto, per traverso, e in gi
il fende; E tanto e tanto fa, che mostra scritto Il suo caso infelice al padre afflitto. Quando il mìsero padre in terra
aso; Figlia, onde il cor per gran duol mi si parte Mentre ch’io penso al tuo nefando caso: dolce figlia mia; deh chi t’ha
o ne sperava? Dunque ho da darti per marito un toro? Dunque i vitelli al nostro ceppo ignoti, I tuoi figli saranno, e i mi
come ben grato amante, Ch’in sì gran mal l’amata sua s’invecchi; Onde al suo figlio e nipote d’Atlante Commette che contr’
nca guarda. Mentre in parte discorre e in parte sogna, E non dà noia al discorso il sognare, Col pensier desto di sapere
toccando aggiugne; Sfodra la spada sua lucida e bella, E dove il capo al collo si congiugne, Fere, e tronca la testa empia
e ‘1 giorno. Ma la gelosa dea, che gli occhi a terra Chinava spesso al suo fido pastore Quando il vide giacer disteso in
urarle il core, Dal morto capo quei cent’ occhi svelle, E fa le penne al suo pavon più belle. Empie di gioie la superba c
a. Laddove giunta, prostrata sul lito, Sol col volto e con gli occhi al ciel s’eresse, E con un sospirar, con un muggito,
der s’era quella Che esser solca, ma temea non muggire: Apre la bocca al dir, poi la suggella Per non udir quel che fuggia
me. Ma tutte queste differenze potrete scorgere mentre io, adempiendo al mio scopo, vi tesso il catalogo dei più famosi co
piendo al mio scopo, vi tesso il catalogo dei più famosi cognomi dati al figlio di Saturno. Padre, Re, Ottimo, Massimo, fu
ono, onde Giove Vendicatore ebbe adorazioni dai Romani; e da Agrippa, al dir di Plinio, il Panteon gli fu consacrato. Muse
uesto nome dalla pelle della capra Amaltea. Del titolo di Patroo dato al dio, e della maniera colla quale fìguravasi, vi f
gue degli amici e dei parenti ne abbracciava l’altare che in Olimpia, al dir di Pausania, sorgeva. Con somma religione Gio
me che gli dava Dodona, celebre selva, ove le Caonie colombe volando, al dir dei poeti, presagivano il futuro. Un equivoco
ce zampogna. Or d’alto vallo Tazio le cinse, e con la fida terra Fece al campo corona. Altera Roma, Che fosti allor che la
l tuo Giove, e quando L’aste sabine nel Romano foro, Ove or dai leggi al trionfato mondo. Stavano, e le tue mura erano i m
fumante Il destrier di battaglia. All’acque il piede Tarpea volgeva: al delicato capo Peso era l’urna, onde libava a Vest
armi diverse e la regal sembianza Tarpea. — Già l’urna che appressava al fonte Dall’immemore man le cade: il biondo Crine
er. Sabini, Datemi quel destrier stesso che porge Volontaria la bocca al fren beato: Del signor vostro all’amor mio nel ca
acerà la tromba Di guerra, e canterai tu solo Imene, E sparse intorno al mio felice letto Giaceran l’armi: ma la quarta vo
patto. Tazio non tardo, i vigilanti cani Occupa colla spada: è tutto al sonno In preda. Giove, per la tua vendetta Vegli
modo ascese Chi le fiamme ingannar tentò di Vesta. E fu data la morte al tradimento. Properzio , Elegie. Lezione dec
cesse Nacque ad un parto con Giove, ma il timore ma terno non la celò al genitore, perchè questi avea patteggiato coi Tita
o i poeti, partorì Marte, supremo danno, e cagione perenne di lacrime al genere umano. Gran scusa alla collera di Giunone
arla. Citerone, re dei Plateensi, il più astuto dei mortali, persuase al dio di fabbricare un simulacro di legno, e dopo a
nato delle più splendide spoglie collocarlo sopra un carro, spargendo al tempo stesso la fama delle sue nozze con Platea f
po. Prestò lede Giunone alla falsa novella: accecata dal furore corse al plaustro, si avventò sulla creduta rivale, ed ave
l’inganni: mentre dormiva, Pallade, o Giove secondo altri, le accostò al petto Alcide bambino, che succhiò il primo alimen
unone) sentono il più piccolo cangiamento: il secondo, perchè nacque, al dir dei Mitologi, dalla morte di Argo, cui fu inu
lente statua quasi colossale dell’altezza di palmi tredici, può farne al giusto comprendere tutto il merito. E certamente
che costumanze. Notabile è l’ornamento del capo gentilmente ripiegato al dinanzi. Questa specie di corone, dette volgarmen
d’inenarrabile testura. Di portenti fecondo: alle sue fila Invisibili al guardo errano intorno Quai susurranti pecchie a’
te. Placido e lento e con soave forza Nè certa men tocca lo spirto, e al core Scende e l’allaccia in dolce nodo e saldo L’
la dea: del cinto armata Marte fé’ schiavo, e del monile adorna Vide al suo piede il già pentito sposo Chieder gemendo de
a, e checché brami o tenti Certa sii d’ottener. De’ tuoi trionfi Godo al par che de’ miei; nè del mio zelo Chieggo mercé:
ci alpestri, Seffsrio eterno di nevi: indi sul dorso Poggia dell’Ida; al Gargare sublime Lieta s’avanza, ed improvvisa al
rso Poggia dell’Ida; al Gargare sublime Lieta s’avanza, ed improvvisa al guardo S’appresenta di Giove. In lei s’affisa Mut
beltade, Che di dolcezza insolita l’inonda. Quasi dessa non pargli, e al par sorpreso Di lei, di se: Tu qui dal ciel? doma
sen divelto Altro mai non m’avria. Non rinfacciarmi Terreni affetti: al solo ben del mondo Dati fur quegli amplessi, onde
istesso Che colsi il fior di tua beltà non arsi Di tale ardor; vieni al mio sen. — Tacendo Cade la dea fra le sue braccia
di mortai non fìa che turbi Le nostre gioie: inaccessibil velo Anche al guardo del sol farà riparo Al tuo vago pudor. — T
Lezione decimaprima. Dei cognomi di Giunone. Moltiplici, quasi al pari di quelli di Giove, furono i cognomi che la
Egeria ancora per la stessa ragione era detta. Juga dicevasi, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che d
si, perchè al giogo del matrimonio sottoponeva i coniugi, che davanti al suo altare si univano con un laccio in augurio, r
mia che è sua propria, altrettanto siamo dubbii sai bambino che tiene al petto. Winkelmann, che il primo ha pubblicato que
la, o ingannata da Giove, come crede Pausania, o persuasa da Pallade, al dir di Tzetze. Si aggiunge che il robusto infante
che Lucina, ufficio che potrebbe simboleggiarsi dal putta che stringe al seno. « Ma questa statua, la cui testa per la mae
. Come fui bella io noi dirò: lo vieta Il rossore che grazie accrebbe al volto, Onde a mia madre fu genero un dio. Primave
Borea, che ardio Nei talami Erettei la cara preda Portar, strisciando al delicato volto La gran barba di nembi umida e gra
del marito i furti Tutti volgea nella sdegnosa mente Per far querela al gran padre dei numi. Quando gli stanchi piedi inn
e fra la greggia crebbe il signore dell’ acque. Un destriero offerto al padre ne saziò la crudeltà, e ne persuase r ingan
desiderii dello dio. L’impegno di conciliarla alle sue voglie commise al delfino, che fortunato nell’impresa n’ ebbe in pr
ra volta ebbe gara con Minerva nell’Areopago per dar nome ad Atene, e al dono dell’oliva oppose il destriero, ch’egli il p
ima dormiva nelle caverne di Eolo re loro, fìnse il poeta che Nettuno al tumulto levasse il capo grazioso fuori del mare,
te sirti aprendo, Sollevò col tridente ed a sé trassele; Poscia sovra al suo carro d’ogni intorno Scorrendo lievemente, ov
. 230 e segg. Filostrato nelle Immagini unisce i cavalli e le balene al cocchio di Nettuno, che fa ridere il seno del tra
il piede immortai dell’incedente Irato Enosigéo. Tre passi ei fece; E al quarto giunse alla sua meta in Ega, Ove d’auro co
E al quarto giunse alla sua meta in Ega, Ove d’auro coruschi in fondo al mare Sorgono eccelsi i suoi palagi eterni. Qui ve
suoi palagi eterni. Qui venuto, i veloci oro-criniti. Eripedi cavalli al cocchio aggioga. In aura vesta si ravvolge tutta
petto egualmente maestoso e sereno, nè dalla nudità, che ben conviene al nume dell’acque senza però esserne un distintivo
e azioni di molti, che ebbero la sventura di un nome comune. Infatti, al dire di Cicerone, seguito da Arnobio, quattro, ol
e raggio illuminava la terra quando il potente figlio di Giove arrivò al fiume Alfeo, dove in una stalla nascose i bovi da
aia. Ma ad essa, come a dea, tutto era noto; onde rimproverò la frode al figliuolo, chiamandolo grande sollecitudine dei m
re del furto dagl’indizii datigli dal vecchio di cui favellammo, volò al selvoso monte Cillenio; il giocondo odore che dif
ercurio, che dopo molte frodi e parole andò col Saettante sull’Olimpo al tribunale di Giove, che rise vedendo l’accorto fa
suo petaso, o cappello, in una medaglia di Metaponto si vedono legate al capo con un semplice nastro, come appunto nel bel
appressando l’ indice della destra alle labbra, possa convenire anche al Sonno. Questo gesto è proprio per altro di Mercur
ione Stoschiana illustrata da Winkelmann. Conviene infatti il segreto al messaggero dei numi, ma dubito che il nostro marm
è sfuggire alla vista di un vecchio lavoratore dei campi di Onchesto, al quale raccomandò con tutta energia che tacesse:
cui si attribuiva il lucro ed il commercio; il quale serve per farlo al primo colpo d’occhio conoscere. L’abito è una spe
a egli il suo petaso, o cappello, in capo e tiene la clamide ravvolta al braccio sinistro, emblema consueto della sua sped
uate che servono ora di muro alla città. Questo è il piano sottoposto al monte ed al tempio della Fortuna Primigenia, che
vono ora di muro alla città. Questo è il piano sottoposto al monte ed al tempio della Fortuna Primigenia, che ne abbelliva
zioni, le quali dimostrano evidentemente che spettavano questi avanzi al Foro Prenestino, che in una di esse vien menziona
lui, Primamente fermossi: indi calando Si gittò sopra l’onde, e lungi al lito Di Libia se n’andò l’aure secando In quella
descrizione di Virgilio si giovò GianBologna nel simulacro del nume, al quale un vento è sostegno mentre s accinge al vol
nel simulacro del nume, al quale un vento è sostegno mentre s accinge al volo, per cui dal cielo fino agli abissi discende
ndo alcuni dai quattro ritrovati dei quali fé’ ricca l’umana gente; e al parer di altri, più probabile, dalla figura della
il nume l’oscuro Licofrone nella Cassandra, forse perchè deità comune al cielo alla terra, all’inferno. Così scolpito gli
e Argo custode d’ Io sventurata. Strofeo lo dissero perchè presiedeva al giro delle merci, o perchè il suo idolo collocava
Belvedere. « Ecco la prima volta che questa insigne statua comparisce al pubblico senza la falsa denominazione che per ben
ession delle membra che palesa l’inventore o il padre della palestra, al dir di Filostrato. sua figlia; a lui finalmente è
o proprio, secondo l’osservazione degli antiquarii, il manto ravvolto al braccio sinistro, simbolo della sua speditezza ne
o e ridotto a certezza il soggètto della statua Vaticana, aggiungendo al peso delle sopraccennate congetture quello gravis
ale opinione nel nome di Adrianello che davasi, ai tempi del Nardini, al sito dell’Esquilino dove fu scoperto questo bel m
o ch’ebbe per fondatore Adriano, non potesse appartenere ad altri che al suo favorito. « Paolo III la reputò degna di figu
aolo III la reputò degna di figurare nel giardino di Belvedere presso al Laocoonte e all’Apollo, e questo giudizio è stato
Gli accrebbe onor la maestà dei mali. Non regie bende. Baciò le mani al vincitor tremendo Sparse di sangue, ed ammutir le
e l’arco di Paride contro Achille, di lui solamente minore. Egli, che al dire di Orazio, del mentito destriero col timido
o attribuito: conciliano alcuni questa difficoltà, concedendo la lira al figlio di Maia, ad Apollo la cetra. Il nume non f
lla giovinetta, cui la fuga accresceva bellezza. Ali dava la speranza al primo; il timore alla seconda, cui l’implorata di
a: in fronde i crini, in rami crebbero le braccia, che il dio intorno al collo sperava. Trionfò Apollo delli stessi suoi d
pa di lei, onde il padre spietato sotterrò viva la misera, che invano al consapevol nume tendeva le braccia. Tentò Apollo
elide membra. Si oppose il Fato alle sue cure; onde cercando compensi al suo dolore, convertì la giovinetta in una verga d
ervì per far riconoscere in simile statua il Saurottono di Prassitele al celebre Winkelmann mio antecessore. Fece (son le
ino e senza l’arco, la situazione del giovinetto mezzo nascoso dietro al tronco, indicata da Plinio colla parola insidiant
i incerto il volto. Molte statue in simile attitudine esistono ancora al presente, e sono 1’ attestato della celebrità del
men le leggi Desiate propizie, e la canuta Chioma in lieta vecchiezza al vostro capo Troncar volete, e se desio vi prende
hi con dio combatte. Apollo il coro onorerà se canta A senno suo: chi al par di lui lo puote. Che siede a destra del gran
i gioventude eterna, E neppur l’ombra di lanugin prima Oltraggio fece al delicato volto: Non adipe ha la chioma. Olj odora
. Salvo sia tutto: in varie arti maestro E nume: impera alla faretra, al canto, E il poeta e l’arcier ama, e le sorti. Le
vittoria che Diognete di Crotone riportò ai giuochi olimpici. Quanto al tempio, che oggi sussiste, furono gli Antizioni c
rta che Apollo ehhe dalla ninfa Coricia Licoro, che diede il suo nome al detto luogo, e quello di sua madre ad un altro, c
llo, e le case di molti ricchi particolari. Porse il popolo preghiere al nume perchè in tanto pericolo non lo abbandonasse
amente ai vinti, I figli ascosi nel materno seno Con le fiamme rapite al frigio rogo Arsi, se Giove, che dei numi è padre.
apo. « Annovererò hrevemente i più considerevoli monumenti consacrati al dio. Lasciando le statue dei musici e degli atlet
ammentato, illustre per tre vittorie riportate ai giuochi pitici, due al pentatlo, una alla corsa. ma più illustre ancora
di Tene figliastro. Non essendo riescita nella sua passione, l’accusò al marito di averla volata violare. Cigno, ingannato
due ferite, una nel capo, l’altra nel pugno. Tutte queste figure sono al di sopra di Elena situate. » Questa pittura che
La Diva il vuole. Le prescritte frondi Cingono il crin delle Tebane: al cielo Mille salgono a un tempo incensi e voti. Ma
Era tra queste Ismeno, Primo dolor dell’infelice madre, E certo giro al corridor prescrive Col freno, e spuma la ribelle
amasittono intonso un colpo solo Non uccise: ferita avea la gamba Ove al ginocchio si congiunge: il ferro Trarre volea; ma
gue. Che schizzando rosseggia, e l’aer stride. Ultimo Ilioneo rivolge al cielo Le braccia, invano supplicanti, e grida: Pe
ione osi cotanto: Che posto fine il padre avea col brando Alla vita e al dolor. Quanto diverso Era, Niobe infelice, il tuo
enza alcuno ordin dispensa Su tutti i figli. Le livide braccia Inalza al ciel dall’infelice amplesso, E grida: Del dolor n
fin vedova madre: i mali La irrigidir: non move aura le chiome: Manca al volto il colore: i lumi stessi Immoti stanno nell
orghese. Giulio II aveva acquistata la prima avanti la sua assunzione al Pontificato, e la teneva a’SS. Apostoli nel suo p
ne al Pontificato, e la teneva a’SS. Apostoli nel suo palazzo. Salito al trono, la collocò insieme col Laocoonte nel suo g
na distinta per impieghi e per letteratura, che si è compiaciuta fare al pubblico un dono postumo dei suoi scrìtti. Mi con
e l’arte rediviva fra le nazioni moderne ha saputo produrre, ma molto al di sotto dell’opere ammirate dalla Grecia. Questa
, sollevato in una piena compiacenza, portasi quasi all’infinito bene al di là della sua vittoria. Siede nelle sue labbra
e a teneri pampini scherza quasi agitata da una dolce auretta intorno al divino suo capo, in cima a cui sembra con bella p
ea aveva ritenuta l’attitudine principale della Venere Gnidia. Quanto al marmo della statua il Visconti dice sostenersi da
tanto Ama Dafne, la mira, e come amante Spera quel che desia; mentono al nume Pur gli oracoli suoi. Qual lieve paglia Arde
’afferri. E lei spera tener: suona il deluso Dente: dubita l’altra, e al vano morso Quasi presa si toglie. Era lo dio Con
il crine. Crescono in rami le sperate braccia, E il pie già sì veloce al suolo è fìsso Con le pigre radici, e copre il vol
uesto solo Sta l’antico decoro. Eppure a Febo Caro è l’arbor novello: al tronco accosta La destra, e ancor nella corteccia
acconsente, e quasi capo Scosse l’onor della frondosa cima, Raro dono al Poeta, e che di Giove E del fulmine suo l’ire pre
andezza maggiore del naturale, nella Villa Ludovisi. È questa intatta al pari di quella, e anco meglio esprime un Apollo b
perfettamente simili: una è quella statua di Belvedere, l’altra unita al busto, e affatto intera, sta nella camera dei Con
testa. Le donzelle li tiravano su tutti air intorno del capo, in cima al quale annodavangli in guisa che non dovea vedersi
Museo di Ercolano che ha i capelli voltati all’insù, e legati in cima al capo come le quattro mentovate teste, a cui pure
può essere considerata egualmente come allegorica, facendo allusione al Sole, del quale questo dio è l’imagine: ma senza
carci questo senso bisognava dargli dei capelli di questo colore come al più bello dei giovini, poiché questi generalmente
o. Questa critica non può aver luogo, perchè la bella natura ci prova al contrario, ed è da presumersi che i Greci avranno
he volta rappresentato nelle medaglie con una patera in mano, e tiene al tempo stesso un ramo di mirto, attributo ordinari
ignifica la metamorfosi di questo dio in pesce: può ancora applicarsi al creduto amore di questo animale per la musica. Ap
Muse. Nell’aria del volto animato dall’estro, nelle labbra semiaperte al canto, nell’abito teatrale che lo copre sino a’ p
, nella cetra che tien sospesa dal lato manco, nel moto delle braccia al suono, apparisce un dio che accompagna sulla cetr
a bella statua attorniata dalle altre nove delle Muse, che fan corona al loro corifeo, ci rammentiamo di quello scolpito a
mo di quello scolpito a bassorilievo sull’ arca di Cipselo unitamente al coro delle nove dee d’Elicona; e i versi che v’er
conservano tuttora con tale impronta, e. ciò che più singolarmente fa al nostro proposito si è che la figura di Nerone Cit
scolpita, per così dire, l’immaginazione, sollevata dall’estro quasi al vaticinio, è questo coronato dal lauro, pianta co
atori di cetra, e nei pubblici certami di Grecia fìngea assoggettarsi al libero giudizio de’ Presidenti dei giuochi per av
lpa in altro cielo Alberghi. Febo con l’allor lusinga La nuova strada al suo poeta. musa, Narra del Palatino Apollo il tem
cela dell’Jonia onda il muggito. Or la nave lulea fama è del mare Che al pallido nocchier non detta i voti. Qui del mondo
pollo; Delo che sta, vindice il nume, e un giorno Soffiò Noto dinanzi al suo furore. Sopra Augusto ristette, e nuova fiamm
ul collo I crini, e della lira il suono inerme; Ma quel sembiante che al maggior Atride Rivolse, onde con mille avidi rogh
con mille avidi roghi Vuotò le tende Achee, e i giri immensi Sciolse al Pitone, che l’ imbelle Lira Temeva: disse: salvat
ognome, quando per la cara Atene volle profondere la vita esponendosi al Minotauro infamia di Creta. Sopra Pachino, promon
discordia sulle cause per le quali Febo si nomina: l’opinione che più al vero si avvicina è quella che derivar fa questo n
igliuolo di Pandione, e nel Viaggio a Corinto, dal lupo che sacro era al nume, forse, onde la velocità significare. Lucige
del dio per la morte di Anfìarao, reputò di non poter meglio giungere al suo scopo che dicendo: « Sarai sempre di Febo ete
che sacri gli erano ne riportavano in premio tripodi di bronzo. Diede al dio il nome d’Ismenio il colle Ismene, che sorgev
Filesio chiamarono Apollo dal bacio che diede a Branco fanciullo caro al nume, o perchè amabile è la sua luce quando appar
aergo, o Lungi-saettante, sovente è detto da Omero, perchè equiparato al sole che da lontano i suoi effetti produce. Pagas
Amicleo lo nomarono ancora da Amicla, luogo nell’agro spartano, dove al nume edificato era un tempio insigne per ricchezz
o il mar, che della terra abbraccia Il globo, e il cielo che sovrasta al globo. Cerulei numi ha l’onda: evvi il canoro Tri
di Climene, e vide i tetti Del dubitato padre, e ratto l’orme Drizza al volto paterno. Il pie ritenne Lungi, perchè non s
ldi distinto, ed ha velate L’eterne mem.bra di purpurea veste. Stanno al lato del nume i mesi, i giorni. Gli anni, i secol
un serto La nuda Estate: dell’Autunno i piedi Tingon le uve calcate; al freddo Inverno Le chiome irsute son di neve asper
arte Io mi sostengo, e per contraria forza L’impeto vinco che comanda al mondo. Fingiti il cocchio fra i rotanti poli; Pot
gode Trattar con mano le permesse briglie, E rende grazie non volute al padre. D’infiammati nitriti empiono il cielo Eto,
a volo Avanzan gli Euri dalla stessa parte Nati. Lieve era il carro, al giogo istesso Mancava il peso, onde simile a nave
rro, al giogo istesso Mancava il peso, onde simile a nave Che leggera al furor cede dei flutti, Salta il cocchio che par v
sangue. Come legno che Borea ha vinto, e lascia Il pallido nocchiero al vento, ai voti, Che si faccia non sa: del ciel gr
terra Si apre: gl’immensi boschi ardon coi monti: Dà materia la messe al proprio danno: Le cittadi e le genti in cener sol
o immenso L’autor compensi. Forma voci appena L’arida lingua: intorno al crin fumante Volano le faville; il premio è quest
i di levatrice prestasse alla madre, onde differente n’è la patria, e al dire dell’innografo conosciuto sotto il nome di O
n loro fiume chiamato Cencrio situato in Ortigia scorgevasi un ulivo, al quale la gravida Latona appoggiata, avea partorit
e fu seguita da Eschilo, che chiamò Diana figlia di Cerere, la quale, al dire di Pausania, era lo stesso che l’Iside degli
bina, come narra Callimaco, sulle ginocchia del genitore, quando fece al padre la prima richiesta, aggiungendovi queste pa
ali e l’arco pieghevole: ma il portare del lume, il cinger vesta fino al ginocchio orlata acciò uccida le belve selvagge.
ca, nella quale si narra che questa diva del mare die il suo credemno al naufrago Ulisse perchè gii fosse di scampo. Deduc
e statue greche. Diana succinta. « L’abito succinto che appena giunge al ginocchio, la faretra appesa agli omeri, l’attitu
d’esser ministra della luce, « E di portar la tunica succinta Sino al ginocchio, e debellar le fere. » Le chiome stret
rgeva un monte che di varie belve Macchiò la strage: il sole in mezzo al cielo Facea l’ombre minori, allor che chiama L’Ia
a: coU’usato umore Mentre si terge la Titania dea. Il nipote di Cadmo al bosco arriva Per ignoto sentier con passi incerti
sco arriva Per ignoto sentier con passi incerti Vagando: così piacque al fato. Appena Nell’antro penetrava, al suo conspet
i incerti Vagando: così piacque al fato. Appena Nell’antro penetrava, al suo conspetto Si percossero il sen le ninfe ignud
to: D’uomo ha solo il pensier. Rivolge in mente Che risolva? Se torni al regio tetto, O fra le selve si nasconda: incerto
servi: dir volea: Fermate, Sono Atteone, conoscete il vostro Signore: al suo desio manca la voce: L’aer risuona di latrati
ti; il tergo Melan chete il primier fere coi denti, Oresitrofo quindi al manco lato Si avventa, e manca alle ferite il loc
conda. Gesta e simulacri di Diana. « L’animosa fanciulla in mezzo al terrore delle compagne, ch’avriano con le mani so
dei tori, alle quali oro splendea dalle corna. Stupefatta così disse al suo core: — Questa prima caccia sarà degna di me.
vieta il cingersi di mirto, perchè un ramo di quest’albero si attaccò al velo della donzella mentre fuggiva. Fu tua compag
nsorte di Cefalo Peionide amato dall’Aurora. Dicono ancora che tu ami al pari delle tue pupille la bella Antidea. « Queste
ilievo della Villa Borghese, queste ninfe tengono i cavalli attaccati al carro di Diana, quando discende per dare un bacio
ste ninfe per esser distinte non portino il turcasso sulle spalle, ma al fianco, il che non si saprebbe provare cogli anti
al fianco, il che non si saprebbe provare cogli antichi monumenti, ma al contrario non si vede in niun luogo le Oreadi col
d’ Ippolito. Lasciata di Trezene avea la porta Ippolito: facea corona al cocchio Schiera ch’imita il suo silenzio, e gara
ol freno e colla voce. Ora inchinan la fronte e i mesti lumi Conformi al duolo dell’eroe. Dall’onde Quando levossi orribil
lma del pigro aer: gemendo Fin dall’abisso una tremenda voce Risponde al grido: a noi ricerca il core Fredda paura; i corr
ce Risponde al grido: a noi ricerca il core Fredda paura; i corridori al cielo Tendon le orecchie e i rabbuffati crini. Ec
n sul tergo immenso Montagna d’onde gorgogliando alzarsi: Si appressa al lido, e vi si frange, e getta Con infinite spume
e ed indomabil toro Colla coda più volte il mar misura. Freme la riva al suo muggito, il cielo Inorridisce e si avvelena,
mma gli ricopre, e fumo, e sangue. Gli trasporta il terror, son sordi al freno E alla voce: l’eroe frenarli tenta, E per,
esto riferisce freddamente e con serietà una visione dell’architetto, al quale apparve Diana esortandolo a farsi animo: e
no, or del cultore, Pianto maggior, miete i maturi voti; Cade la vite al suo marito accanto, E il sempre verde olivo. Infu
dell’Echionio braccio Lo strale, e lieve die ferita il tronco. Tolse al tuo dardo, o Pagaseo Giasone, L’ immensa forza il
ale L’incauto Telamon: felice inciampo Fangii esculee radici, e prono al suolo Cade: Peleo l’alzò: vibra Tegea Coler saett
l valor crebbe. Volano mille dardi: è l’uno all’altro D’ inciampo, ed al disio nuoce la fretta. Quando incontro il suo fat
’oppon frondoso ramo. Yibra un dardo Giasone ancora: il caso Lo porta al tergo del fidato cane. Che si volge al signore e
asone ancora: il caso Lo porta al tergo del fidato cane. Che si volge al signore e muor latrando. La man di Meleagro ebbe
fili del fatato stame Disser le dive: Egual tempo doniamo Al legno ed al fanciul. — Balzò la madre Dal letto, e tolse dal
innanzi all’ara Dei sepolcri si prostra, e dice: dee. Dee della pena, al sacrifìcio orrendo Rivolgete la fronte: ecco un d
uolo Col coraggio trionfa: ignobil morte Senza sangue gì’ incresce, e al prode Anceo Le felici ferite invidia. Il padre E
fuoco, e langue e pere in un: io spirto Volò nell’aure lievi, e velo al ramo Fé’ la bianca favilla. Alzasi un grido In Ca
traggio Fanno, sul freddo corpo i caldi baci Trattengon: dopo il rogo al mesto petto L’urna custode della muta polve Si st
ro, ovvero da bovi. Per testimonianza di Festo, anche il mulo univasi al carro della diva. Ippolito Pindemonte dice con mo
o templi, ovvero ai diversi attributi che stimavano spettarle. Quanto al simulacro ed al culto di Diana Efesina v’ instrui
ai diversi attributi che stimavano spettarle. Quanto al simulacro ed al culto di Diana Efesina v’ instruirà Visconti nell
an disco che le contorna tutto il capo non è già un velo, come sembrò al Menestrier, ma bensì un nimbo, solito aggiungersi
e sembrò al Menestrier, ma bensì un nimbo, solito aggiungersi intorno al volto delle deità. L’orlo rilevato che lo termina
a favola d’ Endimione. Ne’ vani delle fasce è tutta coperta la statua al dinanzi di mezze figure d’ animali, capri, tori,
lavorava in argento dei tempietti della dea con una certa somiglianza al gran tempio di Efeso, una delle maraviglie del mo
empio di Efeso, una delle maraviglie del mondo, anzi la più stupenda, al dire di parecchi autori; costui mosse a tumulto l
che gli corrispondeva. Nelle porte laterali si vedono due candelabri: al di sopra sembrano collocati due vasi, e al di sot
si vedono due candelabri: al di sopra sembrano collocati due vasi, e al di sotto due volatili con alcune piccole perle. U
stra il citato loco degli Atti Apostolici, e perchè è troppo aderente al nostro argomento. Ho detto che lo credo piuttosto
o stanca i pie veloci. È breve ogni favor: Pv^egnava il sole In mezzo al cielo, allor che in denso bosco Cercò le note omb
e tese il lento Arco, gittato sull’erboso suolo; Il dipinto turcasso al capo stanco Sottopose. Mirò Giove la ninfa Incust
h men crudel saresti Se la vedessi, o Giuno:); e chi resiste A Giove? al cielo vincitor ritorna Il nume, e porta del pudor
Alza gli occhi dal suolo, e non si unisce Qual pria soleva della diva al fianco Fra le ninfe primiera. Ammuta; e casta Se
ato rio I piedi estremi, a alle seguaci grida: In questa selva ignota al Sol, non temo Occhi profani: col sudor la polve N
corpo ignudo Appar: le pronte mani invano oppose Fra l’attonite ninfe al sen materno. Che esclama Ciutia: Dal mio ceto, o
Gli occhi, gridando: Al tuo fallir mancava Che tu feconda colla prole al mondo La nostra ingiuria e il disonor di Giove At
peccar cagione, Io ti torrò. - — Disse, e pel crin l’afferra, E prona al suol la getta: invan tendea Le supplicanti bracci
o intitolato Hermolimo narra che venuta a contesa con Nettuno, oppose al toro, ovvero al fremente cavallo nato dal trident
molimo narra che venuta a contesa con Nettuno, oppose al toro, ovvero al fremente cavallo nato dal tridente del nume, la m
e riconoscenza dai mortali che pel dono dell’oliva, il di cui albero, al dire di Erodoto, non trovavasi anticamente che pr
più antico stile greco rappresenta Pallade con la sua egida attaccata al collo con delle strisele di pelle, e gettata sopr
il braccio sinistro, e fuori dell’azione si trovava sul dorso sospeso al colio. Quando Pallade tiene un ramo d’olivo, e qu
di Minerva, forse perchè figlia di Pallante, « Pallade, come Diana ( al dire di Winkelmann) ha sempre l’aspetto serio, e
simulacro di Minerva Armata ha segni troppo distinti per riconoscervi al primo sguardo la dea della Guerra. Ha Telmo in ca
gli Dei tutta armata non respirava che battaglie e stragi. Ha F egida al petto, corazza di Giove, fatta dal cuoio della ca
tra dea ch’è del gran padre immago, Arme arme intuona, e dalle spalle al suolo Lascia cader lo storiato peplo Dell’ingegno
or pari. Domatrice d’eserciti, e di troni Disperditrice, ove di Giove al fianco Lascia la Diva, e a noi scende ministra De
che le consacrò Oreste, assoluto pel di lei voto della pena decretata al matricidio, onde colpevole, guidato dalle furie p
alla peste seguito il delitto; e gli abitanti avvertiti dall’oracolo, al quale nelle sciagure erano ricorsi, espiarono l’o
ebbe statua nella rocca di Atene, che Pericle le pose facendo credere al volgo sempre superstizioso che questa divinità gl
di questo modo di rappresentarla, narrando che Teuti, il quale diede al luogo il suo nome, ferì in sì fatta maniera la de
ra erano con tanta sottigliezza ed artifizio lavorati che risuonavano al sonar di una cetra. Lo scudo finalmente è rotondo
in gesse lo scudo di Pollade apparisce da Plinio, che lo chiama parma al libro xxvi. Gli scudi argolici dei Greci erano di
di cuoio, per cui si porta van gli scudi in tempi più vetusti appesi al collo. « La statua di Pallade che presentiamo è i
resentiamo è interessante pel movimento e per l’azione che ci esprime al vivo il carattere bellicoso e feroce della vergin
pugna l’asta, colla quale rompe l’ intere squadre d’eroi, contro cui, al dire di Omero, si adira la figlia del forte padre
A PACIFERA. « La clamide affibbiata sull’ omero destro, che distingue al primo sguardo questa maestosa figura, é stato mot
i orli guerniti di serpi sospenda così il sovrapjosto paludamento: nè al certo altra cagione saprei immaginare per un tal
che in Ida venne Alla gran lite del pastor troiano, Nell’Oricalco, o al trasparente gorgo Non si specchiò del Simoenta: e
esia solo, Cui la lanugin prima il volto incerto Adombra. Lo condusse al sacro fonte Coi cani sete che ogni dire avanza, E
co tornerai? — Parlava, Quando percosse un’improvvisa notte Gli occhi al fanciullo: muto muto sta, E le ginocchia gii conf
: Tremende, Che festi? così siete, o dive amiche? Toglieste gii occhi al mio fanciullo: o figlio, Figlio infelice: di Mine
i lumi Hai del mio figlio per corvette e damme? — Sì Cariclo dicendo, al sen stringeva Con entrambe le mani il caro figlio
i, e di sedere nella nostra conchiglia. — L’autore degli Inni Omerici al contrario narra l’aura rugiadosa di Zeffìro, che
Zeffìro, che dolcemente spirando la porta sopra molle spuma in mezzo al mare risonante. L’Ore (e che bel quadro sarebbe m
Dei nella casa paterna. Poiché ogni ornamento ebbero disposto intorno al corpo di Venere, la condussero dai numi che gareg
i abbiamo favellato, generata dalla spuma, diede con Mercurio la vita al secondo Cupido; la terza, da Giove e da Dionea cr
che spuma marina. Esiodo nella Teogonia vuole che appena nata andasse al monte Citerò, da cui di Citerea sortì il cognome,
d Ilio velocemente dirigendosi a traverso le nubi. Giunse prestamente al monte Ida ripieno di belve, e mentre s’avviava ve
o non contenuto dalla riverenza che come dea le inspirava, e condusse al talamo coperto da pelli d’orse e di leoni di prop
re dei Medici a Firenze è simile alla rosa che esce fuor dalla boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, e p
me la immagino appunto qual dovette per la prima volta ignuda esporsi al di lui sguardo. È nella stessa attitudine una Ven
Palazzo Spada in Roma, e fu poscia trasportata in Inghilterra. Venere al bagno. « Lo scultore che ha voluto (così il Visco
ume di portare simili abbigliamenti a un solo braccio, e specialmente al sinistro, non è taciuto dagli antichi; anzi è ill
an portarsi egualmente ai polsi che nella parte superiore del braccio al gomito, nomina espressamente le serpi. Fu rinvenu
sangue Scorre vermiglio sulla bianca carne. Languisce l’occhio sotto al morto ciglio; Dal labbro fugge il bel color di ro
tto al morto ciglio; Dal labbro fugge il bel color di rosa, E intorno al labbro langue il moribondo Bacio da Vener non las
ecc. Crudel, crudel nel fianco ha piaga Adone, Ma maggior Vener porta al cor la piaga. Urlan sopra il garzon gli amici can
il petto, E il costato, che dianzi era di neve, Di porpora era fatto al morto Adone. Ahi ahi: Citérea piangon gli Amori.
poso infelice, fuggi. Tu lontan fuggi, Adone, e ad Acheronte Ten vai, al crudo e disamabil rege. Ed io vivo infelice, perc
e fiere Perchè serrarsi tanto in dura lotta? — Vener così piangea; ed al suo pianto Sospira, e piange il coro degli Amori.
a il tiene Legato sì, che mai non lo discioglie. Pon fine, o Citerea, al tuo lamento. Lascia star questo dì conviti e fest
che la straordinaria bellezza della testa di questa statua, superiore al resto delle membra, benché non mai disgiunte, e p
vestita, e particolarmente in quella di Venere Vincitrice coli’ armi, al rovescio delle monete di Giulio Cesare. La second
dunque ristaurata su questa idea, e le fu aggiunta la palma allusiva al suo epiteto di Vincitrice, che in più monumenti s
io virgiliano l’ imitazione di Omero per credere anteriore tal favola al latino poeta: sembra piuttosto che gloriandosi la
ltri, che ebbero la sventura di aver seco lui il nome comune, giacché al dire di Cicerone, più furono i Vulcani oltre il m
ogliono che fosse educato dalle scimmie, e per la sua deformità tanto al padre dispiacesse da essere in Lenno precipitato,
ispiacesse da essere in Lenno precipitato, dove quei pietosi abitanti al grato nume prestarono soccorso. Omero però tanta
insegnato agli uomini che abitavano nelle spelonche opere vantaggiose al viver civile. Lipari e Sicilia sono le sedi, ove
di furie e di spavento Un cotal misto. Altrove erano intorno Di Marte al carro, e le veloci rote Accozzavano insieme, ond’
resentato con l’incudine, le tanaglie e il martello, con l’iscrizione al Re dell’Arte; il che si riporta all’arte monetari
Fauni dai quali è accompagnato sopra un basso rilievo che apparteneva al cardinale Polignac, hanno fatto nascere con ragio
i, ed Orióne armato, L’Orsa che intorno a se lenta s’avvolge E guarda al cacciator, l’Orsa che sola Sdegna lavarsi d’Oceàn
nde e meraviglie e plausi. Ma d’altra parte il popolo frequente Corre al fóro in tumulto, ove s’alterca Ai ministri di Tem
sposte: alfin sorgendo Alzan lo scettro, e stendono a vicenda La mano al voto: ognun sospeso, incerto Guarda i lor atti, e
r giungesse pastoral masnada, Che di cornuta e di lanuta torma Traeva al campo nutritivo aiuto. Gli spensierati villanzon
Gli spensierati villanzon trastullo Lieti prendean di lor zampegne, e al varco S’eran già tratti in ripa al fiume: allora
Lieti prendean di lor zampegne, e al varco S’eran già tratti in ripa al fiume: allora Sbucan d’agguato i giovini nascosti
e mei soave: Mentre in mezzo un garzon lieve toccando L’arguta cetra, al tintinnìo gentile Mesce la voce dilicata; e insie
vivaci salti Percote il suolo alternamente, e i moti Dell’agii piede al dotto suono accorda. Erboso pasco di cornuti arme
appo un cannoso fiume, Quando dal bosco due leoni ingordi Sbucano, e al toro che alla torma è duce Scagliansi al collo: i
due leoni ingordi Sbucano, e al toro che alla torma è duce Scagliansi al collo: il misero le corna Ventila a voto, e s’arr
rabatta e scrolla. Ma cade oppresso; i ‘suoi muggiti ascolti Se credi al ofuardo: le voraci fere Già la preda si sbranano,
se un passo avanza Tre ne rincula, e pur latrando alterna Alle fere, al pastor pavido il guardo. Ma più vago spettacolo g
si con Venere, posto Alettrione a custode. Il giovinetto si abbandonò al sonno, e lasciò sorprendere da Vulcano i due aman
e ne fu per comun suffragio assoluto. Omero narra varie cose intorno al nume, le quali è prezzo dell’opera il ridire, gia
i Marte, che comandava ai Beoti, nell’assedio di Troia ucciso cagionò al nume tanto dolore che senza temere l’ ira di Giov
vietato agli Dei il prender parte in favore, contro i Troiani, ordinò al Furore e alla Fuga di apprestare il suo carro e p
ontro gli diresse, ma la dea ne fé’ andare il colpo a vuoto. Diomede, al contrario, coU’asta guidata da Minerva penetrò be
Diomede, al contrario, coU’asta guidata da Minerva penetrò ben avanti al di sotto le coste, e ferì il corpo divino. Marte
lo della discordia e delle guerre. — Pure, essendo suo figlio, ordinò al medico degli Dei che lo sanasse. Peone pose sulla
endola sorpresa coll’amante castigolla severamente, cosa che conciliò al principe tutta la benevolenza del popolo. L’equiv
ro le mura di Alicarnasso e di Roma stessa vi erano templi consacrati al dio della guerra. I soli sacerdoti di Marte forma
e fugge L’atre sedi la luce inorridita: Degna del loco è la custodia: al primo Ingresso al forsennato Impeto balza, La col
i la luce inorridita: Degna del loco è la custodia: al primo Ingresso al forsennato Impeto balza, La colpa cieca, con acce
e mugghianti onde dell’Ebro: I cavalli nitrir sparsi nei prati: Segno al nume vicin, stridon le porte Di perenne adamante.
la procella stanca, Non han le navi ogni lor vela, ancora Stringonsi al remo i naviganti, e rende Contrastato pallor le g
è la giusta sua collera deponesse. Alcuni attribuiscono questo evento al ratto di Proserpina, che infinita tristezza cagio
ure le è sacra, e Cerere fidandole incautamente la figlia, la preferì al Cielo. Il diverso viaggio che fece per ritrovarla
na Etnea Al fulminato Encelado le spalle. Fatto ch’ebbe alle guancie, al petto, ai crini. Agli occhi danno, alfin svelse d
enti, La terra, il mare; e poiché tutto il mondo Cercò di sopra, andò al Tartareo fondo. » Orlando Fur., Canto 12, St. 1
nascondeva fra le fiamme; gridò, e Cerere irata a lui tolse la vita, al figlio diede un carro tratto dai serpenti, perchè
di Claudiano sul ratto di Proserpina, che può prestare tante immagini al pittore. Ne distribuirò la lettura nei diversi ra
rocche I secoli ravvolti. Al re gridava Lachesi la primiera, e orrore al volto Crescean le sparse chiome: della notte Arbi
allor che di pruine armato L’ispido mento e le sonanti penne Innanzi al suo furor l’onde e le selve Soffiar desia; ma se
a Giove. La potente verga Scotendo, fassi il messaggero alato Innanzi al dio, che sopra il soglio assiso Sta, per atroce m
del sembianza A cui cresce terrore il duol; la bocca Solleva e tuona: al suon del lor tiranno Taccion gli abissi impauriti
getonte la riva. — O tu d’Atlante Tegeo nipote, deità comune A Dite e al ciel, che l’una e l’altra soglia Puoi varcar solo
ppio mondo Formi il commercio: va, dividi i venti Nell’agil corso, ed al superbo Giove Reca i miei cenni. E chi ti die tal
l puro sole L’ombre di Stige Gambiera? Piaceva Alfin questo consiglio al senno eterno. A Cerere fioriva unica e cara Figli
erere relative. Una rappresenta questo insetto ai suoi piedi, l’altra al suo carro lo aggiunge. I galli piacevano a Cerere
di una vecchia contadina seduta sopra un bove: ella portava, ed aveva al braccio un canestro ripieno di sementa. Dai lati
rava che Pluto ebbe il fratello Filomelo, che in lite col maggiore ed al puro necessario ridotto. comprò con quel poco che
allegoria rinchiude in sé un’eguale evidenza. La fatica è di compenso al povero per le ricchezze, e somministrandogli il m
nè espressione, nè attributi che possano fargli conoscere. Ritornando al ratto di Proserpina io non credo antichissima l’
l sistema astronomico. Il ratto di Proserpina. (continuazione). Etna al Cielo anteponi tanto si fida Nell’ingegno del loc
panneggiamento, con tale intelligenza disposte e variate di spazi che al tempo istesso che non cagionano veruna confusione
con quei due epiteti di doppia e mammosa, che sembrano aver suggerito al nostro artefice il carattere generale di questa s
pani percossi il tempio freme; Ida risuona d’ululati, e china Gargare al suolo gli atterriti boschi. Poiché Cerere apparve
diceva, Di mie cure il segreto affido: il fato Vuol Proserpina unita al re di Dite. Così Temi predisse: Atropo incalza La
i petti severi Mansuefaccia la saetta eterna. — Vener si affretta, ed al paterno cenno Obbediente la seguì Minerva: Si fé’
ava, e con qual legge avea Vinta natura la discordia antica. Il fuoco al ciel salì per sua natura, E la terra piombò nel m
ol mezzo di Orfeo, che le cerimonie sacre ad Osiride ed Iside ridusse al culto della dea ed a quello di Bacco. A Trittolem
ll’undecimo giorno del mese detto dai Grecì pianepsione, ch’ equivale al nostro settembre. Ascendevano ad Eleusi, e per me
smoforie furono stabilite per la rimembranza delle ricevute leggi; ed al contrario i misteri eleusini ebbero per oggetto i
ni dell’agricoltura, dei quali fu la dea liberale in questa occasione al genere umano. Solevano nell’ultimo giorno delle f
ori e minori. Dei primi ne ho accennata la causa: i secondi si devono al fatto seguente. Doveva Ercole per comando di Euri
piega il crudel Caos, e vinto Dite, le trionfate ombre conduce Retro al suo carro. In molti giri il crine Diviso dairidal
o dairidalio ago si volge: Fibbia sudata dal marito industre Sospende al fianco la purpurea veste. Lei la Regina del Liceo
to, che nell’ima parte Vivendo par che con la morte scherzi: S’inalza al cielo con terribil giro L’asta qual selva. Col sp
’error permette: il certo arco è disteso: Ozii ha lo strale, e dietro al tergo suona La pendente faretra: in doppio cinto
te. Caratteri ignoti, figure d’animali, mille arcani segni impedivano al profano la lettura di questi libri, e n’assicurav
ni impedivano al profano la lettura di questi libri, e n’assicuravano al sacerdote il secreto. Gli iniziandi descrivevano
Era delitto divulgare i riti di Cerere ai profani, ed erano obbligati al segreto con giuramento. Quindi fu proscritto dagl
il bosco. La vista ammette nella cima, e largo Di limpid’ acqua fino al fondo estremo Inviolata la conduce, e svela Tutti
L’astro più caro a me sparge dal crine Le feconde rugiade: — e toglie al prato Il fior memoria del suo pianto: invade Il v
il banditore della cerimonia avvertiva i Misti iniziati, di portarsi al mare. Nel terzo si facevano dei sacrifizii, s’imm
deva questo rito ai fiori colti da Proserpina nei prati siciliani, ed al ratto di lei, cagione di perpetuo dolore alla mad
, intorno alla grandezza delle quali si gareggiava. Alludevano in ciò al lungo errar di Cerere dopo avere accese le faci a
Alludevano in ciò al lungo errar di Cerere dopo avere accese le faci al monte Etneo. Nel sesto giorno vi era la processio
si scosse La Liparea fucina, e lasciò l’opra L’attonito Vulcan: cade al tremante Ciclope il fulmin che prepara a Giove. L
Otranto L’insolito nitrito ode; i cavalli, Che caligine pasce, alzaro al Cielo L’intente orecchie, e mordon fermi il freno
alzaro al Cielo L’intente orecchie, e mordon fermi il freno; Attoniti al miglior Cielo, l’obliquo Timon volgeano nella pat
teso arco s’affretta Diana: all’armi castità comune Le move, e l’odio al rapitore accende; Ei qual lione che giovenca affe
dando Collo scudo i corsier; fischiano i serpi Della Gorgone incontro al nero carro, L’asta fiammeggia, e già saria vibrat
ifesa Non vagliam vinte da maggior impero; In te congiura il genitor, al muto Popol sei data, e non vedrai le tue Desiose
edrai le tue Desiose sorelle, e il coro eguale. Qual fortuna ti tolse al mondo, e danna A tanto lutto il nostro Cielo? I g
Sparte all’aura ha le chiome, e palma a palma Batte e vane preghiere al Cielo inalza: Ah dai Ciclopi i fabbricati dardi,
ezzati consigli, o di Ciprigna Arti tardi scoperte. madre naia, Aita; al fero rapitor sorprendi L’orride briglie, e al mio
erte. madre naia, Aita; al fero rapitor sorprendi L’orride briglie, e al mio dolor soccorri. — Da tai detti il feroce, e d
’inutil remo. D’Inferno il Cielo il proprio Espero lascia. Proserpina al nuzial letto è condotta, Ed ornata di stelle il n
materia atta a prender fuoco nel centro di un vaso concavo presentato al Sole. Ciò forse potrebbe provare che fin d’ allor
r diverso Mi avverton sogni infausti, ed ogni giorno Tremendi auguri: al mio dolor minaccia. Quante volte di spighe i bion
: i tremuli ginocchi Mancano, e scorre per le membra un gelo. Ma geme al fine, e con il crin si strappa Le spighe, ed erra
mute fila Ragiona, e tutti del lavoro illustre Gristrumenti negletti al sen si stringe Come la figlia: del pudico letto I
a Cerer pari Nell’affetto, solea nel sen gradito Portar la pargoletta al sommo Giove, E locarla con dolce atto di madre Ne
ianto spargea Sull’alunna divina. A lei rivolta Cerer dopo i sospiri, al duolo il freno Sciolse, gridando: Qual ruina io v
sendo questo albero simbolo della fertilità e della durata. Scorgonsi al di sopra del suddetto globo sorger le quattro sta
entati questi pargoletti, che figurano le stagioni, nel Museo Passeri al tomo I, ed ha pur ivi l’Inverno, ch’è solo abbigl
oni, perchè presso di loro chiamavansi neutramente i tempi dell’anno, al contrario dei Greci, dai quali colla parola (grec
i, come appunto da Macrobio viene espressa. La Terra è turrita, ed ha al di sopra alla destra Mercurio, come si distingue
l’altro nome. Esiodo non gli attribuisce genitori, ma lo fa succedere al Caos ed alla Terra. Secondo Cicerone vi furono tr
in questo legno Ninfa a Cerere grata, e a te, morendo. Pena, sollievo al mio morir, predico. — Il delitto ei prosegue, e v
dico. — Il delitto ei prosegue, e vinta alfine Dagl’infiniti colpi, e al suol piegata Per tese funi ruinò la querce, E col
i abbraccia la Terra, — E nel libro secondo la fa sorgere dall’Oceano al cader del giorno. Sacrifìcavasi a questa dea il g
marito la generasse, ed altri, coll’Èrebo congiunta. La Notte tenente al di sopra della sua testa una vesr,e volante semin
adulterio di Venere con Marte, questa dea assisa sopra un letto tiene al di sopra di essa un manto volante, per indicare p
 In due repliche antiche di questo elegante simulacro, inferiori però al nostro frammento per la finezza dell’esecuzione,
e immortali adorna apparve; Stupì vedendo, e l’adorò la terra. Venere al terzo Cielo Tornò da’ freddi suoi vedovi altari T
e Arme cadeau di mano. Vittima incerta entro a funereo letto Tradotta al monte, abbandonata e pianta, Giù per valli profon
ccia Del perduto Signor scorrea la terra. Incoraggi soave La Dea, che al crin le bionde spiche allaccia; A lei stendea le
il soggiorno Tenta di Pluto, e il fatai dono chiede: Ricusa i cibi, e al giorno Da Proserpina riede. Deh qual ti mosse fem
ecco un vapor nero Uscia la cara a te luce togliendo, E rendea l’alma al mal lasciato impero. Ma vide Amor dall’alto, Vide
ò le offese, E a più beata sorte La conservò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali, E innanzi al Re, che i maggio
La conservò da morte. E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali, E innanzi al Re, che i maggior Dii governa, Narrò di Psiche e
oblio dolce dei mali Sì gravi, ond’è la vita aspra e noiosa; Soccorri al core ornai che langue, e posa Non ave; e queste m
niverso, e re degli uomini e degli Dei. In Omero tutti gli Dei cedono al Sonno: solo veglia Giove; con che quel principe d
quel principe dei poeti volle indicarci che coloro i quali presiedono al destino degli uomini dovrebbero essere continuame
lte dicono il vero. Questa graziosa pittura può presentare molte idee al vostro criterio, come di non poco lume per l’arte
ccia di Morfeo suo figlio, secondo Ovidio. Così in due urne cinerarie al Campidoglio si vede Endimione, l’amante di Diana,
on questi due genii nella stessa forma sopra un’ urna cineraria eh’ è al Collegio Clementine in Roma. Un’ urna della Villa
apavero nella mano. In un altare di Trezene si offrivan dei sacrifizi al Sonno, come l’amico delle Muse. Quindi nel Museo
o e dei vaticinii, che anticamente sul Parnaso si prendeano dormendo: al che può anche alludere avere unito la statua del
con barba puntuta, capelli acconciati quasi all’uso femminile ed ali al capo, che vedesi nelle medaglie della famiglia Ti
he in altre vi è la testa di Bacco, nume anch’esso del Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede origine
l Parnaso, e che al rovescio di tutte è il Pegaseo, che diede origine al celebre Ippocrene, e che inoltre poeta rinomato f
le animale dopo il sonno e il digiuno di un’intera stagione. « Presso al Sonno è scolpita ancor la farfalla, insetto leggi
: o che l’accostarsi del Sonno quasi insensibile sia stato paragonato al leggier volo della farfalla, o che vi sia qual si
e l’antivedìmento del futuro sia stato dalle rozze nazioni attribuito al alcune più che ad altre specie di viventi, dovrà
ran parte alle accennate, sicuramente è l’effigie della Morte. Tale è al certo il giovinetto coronato con una face rovesci
eufemismo. La seconda riguarda l’interpretazione dello stesso Lessing al luogo di Pausania, ove dice che nell’arca di Cips
o. Saturno, il minor dei figli, dopo avere incatenati i fratelli fece al padre con una falce adamantina quell’ingiuria, ch
a sua figlia Polinnia. Il raccoglimento cotanto utile per richiamarsi al pensiero le impressioni degli oggetti provati alt
lle conserva, e fornisce così la materia all’ingegno. «Ma per tornare al nostro marmo dirò che é l’unica statua, e forse,
este situate una dietro l’altra, così ancora l’epigrafi corrispondono al piano di tutte e due: una però è scritta sotto de
questa velata e involta nella sopravesta, anzi par che tenga la mano al mento come se volesse richiamare qualche idea all
atto di favellare. Quantunque queste figure corrispondano assai bene al significato che loro si dà, pure quando non si vo
a. E non è già la sola osservazione della natura che ha somministrata al pittore filosofo questa bella idea; l’ha egli app
secondo Servio, l’orecchio è sacro alla Memoria, come la fronte lo è al Genio: quindi elegantemente Virgilio: Apollo l’or
i affaticava, e trasse con picciolo sforzo la nave nel porto. L’idolo al suono di voci e strumenti fu lavato da sacerdoti
ro porta sul braccio sinistro che un cornucopie, il timpano accostato al trono, e dove in luogo del timpano sostiene sulla
ernandone le redini. Havvi delle medaglie ove quattro leoni attaccati al suo cocchio or lentamente lo tirano, ora a pieno
ga scorgesi incontro il cocchio della dea quasi all’ombra di un pino, al cui tronco egli si appoggia. L’abbigliamento di e
Non è però costante siffatto costume; vi sono dei monumenti ove veste al consueto dei Frigii una tunica con maniche succin
lto mar viaggio, Pien di caldo desire il giovin Ati Rapidamente corse al frigio bosco, E al loco giunse tenebroso e fosco
en di caldo desire il giovin Ati Rapidamente corse al frigio bosco, E al loco giunse tenebroso e fosco Sacro alla frigia D
e, o Galle Tutte di schiera, Tutte alla nera Alta foresta, Di lei che al Dindimo Monte si venera: Su, greggia tenera, Su,
lan percossi i gravi cembali. Tale sen va con frettolose piante Ratta al verd’Ida la danzante schiera, E trasognata, furib
ancor. La pieveloce guida Sieguon le Galle rattamente in Ida. Giunte al tempio di Cibelle Spossatene Pel soverchio ronzar
il core. Dunque io n’andrò per queste chiostre algenti Poste si lungi al tetto mio paterno? Dalla patria, dai ben, d’ambo
Dagli amici starò lungi in eterno? Lungi allo stadio, alla palestra, al foro, Ed alle scuole, e alle buon’arti loco? Lass
ol dispersa, Cibele, che l’udìo, scompagna e scioglie I duo lion, che al carro avea congiunti, E fa che lor nuovo comando
dote di Cibele, era con annue feste onorato. La solennità celebravasi al principio della primavera, e durava sei giorni. I
o tagliavasi dalla selva un albero di pino e portavasi in processione al santuario della dea per essere ivi erettto. Il se
Gallo, a Roma nell’Aimone, ed indi con licenziosa pompa riconducevasi al tempio. Il significato di questa favola fu indaga
n modo che il lor sangue per quei fori piombasse come pioggia addosso al devoto, e da capo a piedi lo tingesse. Rimosso in
o avrebbe cacciato dal trono, stabilì di uccidergli tutti. Incresceva al core di Rea tanta crudeltà, onde fuggì in Creta p
more, eterno compagno dei potenti, persuase Saturno a tramare insidie al proprio figlio, che accortosene, col soccorso di
o il peso degli anni, con una falce in mano per indicare che presiede al tempo e all’agricoltura. Sopra una base quadrata,
quadrata, antico monumento, unico della sua specie, si vede Saturno, al quale Rea dà una pietra inviluppata in un drappo.
a fisica determinò senza dubbio gli antichi a consacrare questa isola al dio del fuoco. I suoi sacerdoti avevano la reputa
di parlarrjedi nuovr^ rjuando l’ordine delle mie Lezioni ne condurra al viaggio rti [jli.sse, che scampo alla crudeltà di
finalmente come i custodi, i nutritori di questo dio e Genii addetti al servizio di Rea, qualità che loro si dà, confonde
ena, Tu il sai, lo penso, delle medich’arti Perito, e caro delle muse al coro. Polifemo traea sì facil vita, Odio di Galat
etto, Ma furore, e ponea tutto in non cale. Senza pastor le pecorelle al chiuso Tornavan spesso dalle verdi erbette, Ed ei
i dì più. Se dico Che capo e piedi gran pena mi cruccia Onde si dolga al mio dolor, risponde: Ciclope, Ciclope, ove. volas
rcole. Sofocle secondo esso ne contava cinque, e dipende, come sembra al nominato poeta, dal numero indicato il loro nome,
atogli in dominio riconosca per origine dell’aver egli avuto soggetti al suo impero i paesi occidentali, che sino all’Ocea
reditata la volgare superstizione. Le geste di questo dio si limitano al suo ratto di Proserpina, che Claudiano da me trad
te, conosciuto comunemente col nome di Plutone, o Dio Ricco, nome che al latino dite si riferisce. L’ orrenda maestà nel f
non osservandosi in mano a Plutone in verun monumento. Conviene bensì al suo capo il medio, o calato, emblema di ricchezze
la terra si ascondono, furono motivo che se ne ascrivesse la signoria al nume dei regni sotterranei, o infernali, che vale
e, ebbe il nome di Serapide, o Sarapide, divinità indigena ed analoga al greco Plutone, col quale amarono di confonderla.
ardarono questi numi come dispensatori, simbolo tanto più conveniente al Giove Plutone, Giove Dite, Giove Ricco dei Sinopi
azioni sian le teste delle figure egiziane, nulla vi si distingue che al modio delle prische divinità asiatiche si assomig
mparisce in verisimile l’opinione di alcuni Padri, i quali supponendo al modio di Serapide un’origine egizia, han pensato
‘era il principio del male presso quegli antichi Dualisti.» Tornando al simulacro è da notarsi che le mani sono di modern
di tristo augurio: quindi può riputarsi consacrata a Plutone, e come al nume dei morti, e come a deità nocente e funesta.
a, dove " Winkelmann l’avea veduto. Rappresenta Amore e Psiche presso al trono di Plutone e di Proserpina, favola narrata
lus sospetta che questo autore abbia creduto di vedervi un artifizio, al quale Polignoto non avrà nemmeno pensato. Sarebbe
corpi. Sulla ripa del fiume vi ha cosa degna d’osservazione, e che è al di sotto della barca di Caronte; un figlio snatur
sopra di questi due gruppi si vede Eurinome, che ha un color nero che al blu si avvicina, ed è assiso sopra una pelle di a
scia che le ossa. I poeti non parlano di questa Eurinome. Per servire al testo conviene rappresentare circondato di schele
mmercio con Ercole fu quella che partorì un figlio il più somigliante al padre. Ifidemea ebbe grandi onori dai Carli della
pietra, ed accanto a lei Erifìle in piedi, che fa passar la sua mano al di sotto della sua tunica, come per nascondere il
e tiene la sua spada stesa sopra la fossa. L’indovino Tiresia arriva al di là della fossa. Dietro lui si vede Anticlea ma
rinaro con una tunica corta tessuta di giunchi o di corda. Più basso, al di sotto di Ulisse, Teseo e Piritoo stanno assisi
il suo uso: Protesilao seduto riguarda Achille, e Patroclo è in piedi al disopra di Achille: sono tutti senza barba, Agame
lio, che fa gemere Enea all’aspetto di una violenta tempesta. Un poco al di sopra d’ Aiace figlio di Oileo si vede Meleagr
eri di Cerere, perchè gli antichi Greci ponevano questi misteri tanto al disopra delle pratiche di Religione, quanto gli d
e le profonde Porte di Dite, e per paura cieco Il nero bosco ei vide; al re tremendo S’appresentava, e dell’Averno all’Omb
Immemore, ed, aimè: nel cor già vinto. Mirò Euridice sua. Qui, sparsa al vento Ogni fatica, del crudel tiranno Fu rotto il
ombra di frondoso pioppo Piange usignolo li smarriti figli, Che tolse al nido, non pennuti ancora, Insidiando l’arator vil
nkelmann attribuisce a Plutone la chioma calante giù sopra la fronte, al contrario di quella di Giove che si solleva: ma n
tiario si conformano all’uso di Giove. Il basso rilievo Ostiense, ora al Museo Pio dementino, è il solo marmo, come osserv
io quel dio porti la tunica: in ciò da Giove diverso, ed accostantesi al costume di Serapide, di cui però non ha in testa
scultore gli assegni. Assai di Plutone. Nessun reo è assoluto davanti al tribunale interno della Coscienza: onde col ferro
Con la debil Vecchiezza; evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ è freno al bene, L’altra stimolo al male. Orrendi tutti E sp
evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ è freno al bene, L’altra stimolo al male. Orrendi tutti E spaventosi aspetti. Avvi il
ro (libro 6 verso 402 e segg.); E nel duodecimo libro le fa assistere al soglio di Giove. Siccome il rimorso segue nel mom
lità, onde sul più antico teatro greco comparivano cori di Furie fino al numero di cinquanta. 1 nomi delle tre Furie così
roco. Furnuto ed Eustazio allegano una ragione ridicola relativamente al primo fiore. Questi autori pretendono che la deri
he Oreste, avendo ucciso sua madre, divenne furioso. Molto d’appresso al tempio si vede un piccolo terreno coperto di una
cuna il petto; Batteansi a palme, e gridavan sì alto, Ch’i mi strinsi al Poeta per sospetto.» Inferno, canto IX, v. 37 e
a sorte, riguarda l’avvenire; Cloto che vien da (grec), filare, pensa al presente. Quindi Cloto, ch’era la più giovane del
di Cloto, ch’era la più giovane delle sorelle, avea cura di presedere al punto nel quale si nasce, e di tener la conocchia
a Grecia: i Lacedemoni ne avevano eretto uno in una loro città vicino al sepolcro di Oreste, ed i Sicionii gliene aveano d
a vi era un altare consacrato a Giove conduttore delle Parche, vicino al quale ne avevano un altro queste dee. In una stat
Parche, insieme coli’ Ore, erano nella testa del nominato Dio. Vicino al ‘sepolcro di Eteocle e Polinice stava scolpita un
na fiera, per additare il terribile destino di quei due fratelli nati al delitto. Ma generalmente però, osserva Winkelmann
spresse nella morte di Meleagro, e son belle fanciulle, ora con l’ali al capo, or senza, distinguendosi fra loro pei singo
iamate da Sofocle sempre vergini, e talora hanno dei serpenti intorno al capo. Si vedono le furie anguicrinite, e con faci
io, tradotto da Remigio, la pittura di quella orribile notte, narrata al fuggito sposo dalla stessa Ipermestra, e la vostr
condeva il giorno, Quando noi felle e scelerate spose Entrammo dentro al funerale albergo Del gran Pelasgo, e nostro padre
i, Che del nefando e sanguinoso effetto Quasi presaghi, a gran fatica al Cielo Mandavan gli empi ed odiosi fumi, E la turb
vital calore Tutto s’ascose, e impallidita e fredda Mi giacqui sopra al genial mio letto. Ma, come trema allo spirar dell
: vergine e donna Per gli anni umile, per natura pia, Nè son conformi al dispietato ferro Le mani inferme e il feminil val
aci e forti, Ch’ornai creder si può che d’esse ognuna Abbia già tolto al suo cugin la vita. Ma se questa mia destra ardito
ccia e le man, la forza e il core A l’ago, a l’aspo, alla conocchia e al fuso Che all’armi crude e bellicosi ferri. — Ques
uindi Le tue movendo addormentate braccia Più volte fosti per ferirle al ferro. Che tra pietà e timor dubbiosa ancora Avev
ero Linceo, Che sol tra tanti sei restato in vita, Levati e fuggi, ed al tuo scampo attendi: E se a fuggir tu non t’affret
inkelmann pubblicato. Non credo però molto antica l’idea di attaccare al carro del suo rapitore due cigni, due cavalli con
de canuta barba. Ha gli occhi accesi Come di bragia. Ha con un groppo al collo Appeso un lordo ammanto, e con un palo Che
i un obolo, ch’era una piccola moneta, per pagare il nolo della barca al traghettatore dei morti. Questo prezzo fu accresc
credevano esenti dal tributo per esser vicini più d’ogni altro popolo al regno dell’ombre. Tre, come vi ho accennato di so
ndo Minosse dalle mura della città assediata se ne innamorò, e recise al padre il capello fatale, da cui dipendeva la sort
ello fatale, da cui dipendeva la sorte della patria. Minosse inorridì al tradimento, e respinse dal suo cospetto l’infame
l’urna fatale, nella quale stanno chiuse le sorti umane; cita l’Ombre al suo tribunale; esamina la loro vita; indaga tutti
ggitori di Creta, e le leggi di quelr isola famosa servirono di norma al divino Licurgo. Nell’Inferno gli attributi del fr
o e della Terra, e dicono che discese fino nell’Inferno per sottrarsi al furore dei fratelli. Favoleggiano altri che fu da
e divenuto favoloso. Opinano alcuni che fosse nel seno di Baia vicino al lago Averno, e che i Sacerdoti avari avvalorasser
tti di quel clima beato; secondo altri è un fonie dell’Arcadia vicino al monte Cilleno, che cadendo da una rupe altissima
degli accusati, ascriver conviene tutto ciò che fu immaginato intorno al giuramento degl’Immortali. Cocito ancora varcar s
e di un’attitudine secca e forzata, ha pensato ingegnosamente di dare al braccio stesso un’ azione che lo fissasse nella p
llenza rilucea nel lavoro, che spesso gli scrittori l’anno attribuito al maestro: o ebbe egli la disgrazia comune ad altri
urarono il soccorso della mano maestra. Non avrebbe perciò soccombuto al paragone l’opera di Agoracrito, se il pubblico d’
piume Con piccol giro piega, ond’è ch’imiti Ali vivaci. Stava accanto al padre Icaro, e tratta con ridente volto I suoi pe
il figlio ammaestra. Ed io ten prego, Icaro, ei disse, corri in mezzo al Cielo. Se basso voli aggraverà le penne L’onda, e
il suo compagno. Timido sol di lui: così dall’alto Nido tenera prole al cielo avvezza Augello; il nuovo volo esorta, e l’
tremula canna alla sua stiva 11 bifolco s’appoggia; ambe le mani Pone al bastone, e rimirando ammuta 11 pastorello, e soli
e rimirò nell’onde Le penne, e maledì l’arti novelle E sue: die tomba al corpo, e il nome ancora La fida terra al peregrin
rti novelle E sue: die tomba al corpo, e il nome ancora La fida terra al peregrin rammenta. Ovidio , Metamorf., lib. VI
ella possa negli avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più che al coraggio ed al sapere, a lei debbano i potenti l’
li avvenimenti di quaggiù, e se qualche volta, più che al coraggio ed al sapere, a lei debbano i potenti l’esito felice de
gli antichi staccavano il timone dai loro navigli, e lo sospendevano al fumo nell’avvicinarsi dell’autunno, quando il mar
ò Esiodo dice: Se Pandora non fosse venuta, il timone sarebbe rimasto al fumo, la fatica dei bovi sarebbe perduta: — vale
llo di Serapide, quello della Diana Pergea, e tante altre, che simili al modio della Fortuna torreggiano sulla testa vener
simboleggiavano questa dea nella forma dell’aquila, alla quale Giove, al dire di Orazio, diede il dominio sugli erranti uc
mmagini, onde io credo che vi sarà utile udirla. « Una donna superba al par di Giuno Con le trecce dorate a l’aura sparse
lauro, o fiori, Ma d’indico smeraldo alti splendori Le fean ghirlanda al crine: In sì rigido fasto ed uso altero Di bellez
, E vedrai d’ogni intorno Liete e belle venture Venir con aureo piede al tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di
tuo soggiorno: Allor vedrai ch’io sono Figlia di Giove: e che germana al Fato, Sovra il trono immortale A lui mi siedo a l
crini: Pose le gemme a Babilonia in fronte, R,ecò sul Tigri le corone al Perso, Espose al pie di Macedonia i troni: Del mi
mme a Babilonia in fronte, R,ecò sul Tigri le corone al Perso, Espose al pie di Macedonia i troni: Del mio poter fur doni
ie di Macedonia i troni: Del mio poter fur doni I trionfali gridi Che al giovane Pelleo s’alzaro intorno. Quando de l’Asia
oma i gran natali; E l’aquile superbe Sola in prima avvezzai di Marte al lume, Ond’alto in su le piume Cominciaro a sprezz
aretre ed archi: In su le ferree porte infransi i Dacì, Al Caucaso ed al Tauro il giogo imposi: Alfin tutte de’ venti Le p
de le battaglie il giunsi E con le stragi de le turbe perse Tingendo al mar di Salamina il volto, Che ancor s’ammira sang
mmira sanguinoso e bruno. Io vendicai l’insulto Fatto su l’Ellesponto al gran Nettuno. Corsi sul Nilo, e de l’egizia donna
o: E pria ne l’antro avea Combattuta e confusa L’aifricana virtute, E al Punico feroce Recate di mia man l’atre cicute. Pe
maestà latina. Rammentar non vogl’io l’orrida spada Con cui fui sopra al cavalier tradito Sul menfitico lito: Nò la crudel
marmo è ornata di una gemma sull’orlo superiore della tunica in mezzo al petto. Simili ornamenti più sono proprii di una m
sser copie d’insigni originali, e forse delle lodate Muse di Filisco; al qual proposito giova riflettere che nello stesso
Mattei, Euterpe è nel mezzo, ed ha il solito distintivo delle tibie, al quale la rico noscono lo Spon e gli altri esposit
stri e all’agricoltura. Il suo nome come vuol dir Florida, è adattato al suo doppio uffìzio, sì ai piaceri e ai divertimen
nzi è abbigliata di un manto, che dall’omero sinistro le scende sotto al destro, nella stessa guisa che in quelle antiche
disegno di questo insigne sarcofago abbia data occasione di equivoco al dotto illustratore dei bassirilievi Capitolini. «
i sovrasta. Gli altri duci temono anch’essi, ed inalzano le loro mani al cielo: non vi è che il solo Capaneo che misuri co
, il quale avendo circondato la tela d’ armati, ne mostra alcuni fino al ginocchio, altri a mezzo, ad altri si veggono le
. Melpomene. « Questa bella statua di Melpomene ci manifesta al primo sguardo la musa della Tragedia. La maschera
i divertimenti non erano che una sequela del sacrificio, che facevasi al nume inventore del vino, di questo quadrupede dan
cui rivolge il volto: la contrassegna il coturno altissimo che porta al piede, come ò chiaro nel marmo, e il velo che le
namento del capo, ed altissimi coturni alle piante. Quello che più fa al nostro proposito è che appoggia il piede sovra un
ma quello che l’è stato supplito è antico, ed abbastanza conveniente al soggetto. « La Lira distingue Tersicore nel singo
iamo per credere quest’ultima la Musa ravvolta nel manto e appoggiata al sasso, onde Erato non potrà esser che la terza fi
Ma di questi convien dire altrove. La pittura ci comanda di guardare al solo Anfìarao colle stesse corone e col lauro fug
ttritribuire a Polinnia anche la taciturnità ed il silenzio. Col dito al labbro l’esprimono le lodate pitture di Ercolano,
use non altro che i Genii delle sfere planetarie, che tessono intorno al sole danza armoniosa e perpetua, conviene a Polin
eleganza trattato, che può servire di esemplare, vedendosi trasparire al di sotto la mano della Musa come da un velo. « Co
alazzo Lancellotti a Velletri, mancante però del capo; l’altra eguale al vero, moderna per altro dal mezzo in su, ma di ec
ssici: fra gli altri Omero mette in bocca di Ettore questo rimprovero al germano: Non varratti la cetra, e non i doni Di V
pinione d’interpetrar sempre per Polinnia quella Musa così appoggiata al gomito, è una doppia sua immagine nel bassoriliev
be affatto a Calliope e ad Erato, darà sempre una maggior probabilità al nostro divisamente. Urania. « Questa bell
e la vicinanza del sito ne può essere di qualche indizio. La fabbrica al cui abbellimento erano queste statue destinate fu
con spavento e terrore. Ella riguarda di un lato dell’occhio Perseo, al quale ella invia di già un sorrìso, un’imbasciata
nte. Egli guarda nel tempo stesso la giovinetta, lasciando ondeggiare al vento la sua clamide di porpora tutta sparsa di s
lmente non avea segno che per Musa la caratterizzasse, determinandola al tempo stesso per una delle muse di Pindo lo star
dali, essendo stretti dai lacci sopra il nudo piede, che tengon ferma al di sotto la suola, la quale é di un’altezza non c
le delle Muse, e su questa non cade alcun dubbio. La seconda presenta al dritto la testa di una musa coronata, come tutte
, di alloro, e che ha nell’area un volume coi suoi lacci svolazzanti: al rovescio si vede una figura in piedi collo stesso
ll’area dietro la testa il plettro, come ha osservato l’Havercampo, e al rovescio una Musa che suona la cetra retta da una
vede indicata nella testuggine espressa nell’area del dritto, mentre al rovescio è rappresentata questa dea della Lirica
ioni ha conservate per tanti secoli, per farne poi all’ età nostra ed al sovrano di quella bella parte d’ Italia un dono s
mira anche Arianna, o piuttosto il sonno di lei. Il petto è nudo fino al bellico: supino il collo e delicata la gola: il f
a dolcezza del suo viso; Agamennone dalla sua divina presenza: quanto al figlio di Tideo una libertà generosa lo esprime.
etta un sorriso fellone contro Achille. Contempliamo dunque Antiloco, al quale il primo pelo vano della barba comincia a s
iace qui il misero giovinetto niente tristo e somigliante a un morto: al contrario par che sorrida e porta nella sua facci
e mi ad Esculapio un uomo barbato vestito di pallio, che rende grazie al Nume con un ginocchio a terra e le mani alzate. I
agione Visconti che sia una tavola votiva offerta da un convalescente al dio della Medicina, fondato sull’analogia che col
sorilievo Capitolino, •l’unione delle quali coi fonti e colle Naiadi, al cui onore è dedicato il monumento, non era stato
di una larga fiamma accresciuta dal vento, onde il foco serve di vela al naviglio fuggente. Aiace ritornando in se, come u
scito dalla ubriachezza, contempla il mare qua e là senza guardare nè al legno, nè verso la terra; e meno teme l’animoso N
embra sono stese per terra: che folta chioma nutriva per sacrificarla al Nilo, perchè questo fiume, quantunque scorra nell
la morte I Mirate la lanugine della sua barba che appena gli fa ombra al volto; ben ciò conviene all’età in cui fu ucciso.
tiranno, e che in memoria del benefìzio fosse aggiunto il nome di lui al dio, che prima Apio era detto. Io penso che il no
to da Tertulliano, per ornamento delle statue di Esculapio. In quanto al bastone col serpente avviticchiato, racconta Igin
vedeva in Atene nella via per andare alla fortezza, in Corinto vicino al ginnasio, in Titane medesimo, in Argo, in Beea, i
dar loro da mangiare; e secondo Macrobio, riferendosi questi due numi al sole e alla luna, che conferiscono alla salute de
ipali pianeti, il moto dei quali, siccome delle stelle tutte, veniva, al riferire di San Clemente Alessandrino, espresso d
o esprimere in lui un dio tutelare della convalescenza, poiché quanto al suo nome, significa condurre a fine i mali. E per
ra co’ suoi figli; i vasi, le mole per le vittime, le legna destinate al sacrifizio per Giove Erceo, tutto è rovesciato. I
l sacrifizio per Giove Erceo, tutto è rovesciato. Il toro vi è: ma le al tre vittime sono sparse qua e là per l’altare ins
, chi è sospeso alle sue mani, chi gli prende le gambe, chi gli salta al collo. Ercole non conosce nulla: spinge ferocemen
di ardimentose congetture è la divinità ed il culto di Bacco. Famoso al pari di Ercole per le conquiste: l’Oriente e l’Oc
siride qui era la famosa colonna. Le imprese del Nume sono consegnate al poema di Nonno, da cui estrarrò quello che per vo
itagh, ma sempre con lunghe treccie, e per lo più così sparse intorno al collo, agli omeri, al petto. Coi ricci pendenti d
unghe treccie, e per lo più così sparse intorno al collo, agli omeri, al petto. Coi ricci pendenti di qua e di là lo descr
hiome nella stessa guisa disposte che quelle che rimanevano attaccate al torso del simulacro, compisce la dimostrazione: u
ti qualità diedero i mitologi a Bacco, come differenti virtù i fisici al vino: così ancora diverse immagini gli artefici n
se la città: lo trova Prono sopra uno scoglio; aiuto e pianto Offerse al Nume, che col fianco infermo Tarda l’alterno pass
Offerse al Nume, che col fianco infermo Tarda l’alterno passo. Alfine al figlio Giove permise le celesti Rocche. Pure semp
e. Di Ciprigna è sempre Freddo l’altare da che i lacci ascosi Svelare al Ciel l’invidiata colpa. La Diva irata macchinò ne
ido stancò le ancelle: ognora Contano il tempo della lunga guerra. Ed al talamo presso, in lunghe tele Sanno ingannar la s
egno Dell’amor di una schiava: arde, e ritorna Coll’adultera sua, che al casto letto Già s’avvicina: Non per fama eguale E
orge Ira, dolore: a gara ascolta e dice Le intese voci ognuna, e fede al danno Non v’ha chi neghi: di querele e gridi Empi
e Sarmatiche case e i geli eterni Perchè negarci, o Sorte, e in mezzo al foco Della patria mirar fulmini e strage, Strage
oce Replicarsi: il mar suona, Ato crollò, Nei talami tremar le madri, al seno Strinsero i figli inorriditi: Affretta I su(
diti, e le de’ suoi membra già care, Fra le mense ed il vino in preda al sonno, Parte ha la spada, o la tremenda face Nell
nudo petto Le anelanti ferite, e guizza il tronco Con orribile sforzo al suol reciso. Gettan le faci sui sublimi tetti. Ar
, e torna, Visto il ferro, all’incendio. Altre le donne Tracie, causa al furor, sbranano. Ascolti Misto al pianto sonar ba
endio. Altre le donne Tracie, causa al furor, sbranano. Ascolti Misto al pianto sonar barbaro grido, E mille ignote voci e
inate, e sol piene di mostri E l’isola crudel. La man pietosa Armata, al padre suo disse: Deh: fuggi, Fuggi la patria e me
ncerta. Padre, trattieni alla tua figlia il brando! Disse, e di Bacco al consapevol tempio Guidò piangendo il genitor trem
sono Le radici dal suol, parte dell’ombre Il Citerone perde, e prono al suolo Penteo per l’aer rotolando cade. L’antico s
ni sembianza umana. Io leone non son, fiera non vedi: Crudel, perdona al parto tuo: quel sangue Che versi è sangue del tuo
utouoe a se, la madre Errando intorno, col suo piede opprime Il petto al figlio, e la cervice inchina Trofeo diviene dell’
i A Bacco sacri, e sul materno seno Il sangue scorre. Bacia gli occhi al figlio, E della fronte illividita i giri. Le bell
l materno scempio Tutta la stirpe ad abolir di Cadmo. Or sii pietoso: al sangue mio fa guerra Un dio. D’Armonia appo i nuz
: Autonoe, Agave, E dei lor figli l’immatura morte. Ma qual è intanto al mio dolor conforto. Caro fanciullo? al tuo talamo
atura morte. Ma qual è intanto al mio dolor conforto. Caro fanciullo? al tuo talamo ancora Io non alzate avea le tede arde
le Parche e le Ore. Il dio del Tempo ritornò presso Armonia, e Giove al palazzo di Giunone. Non ostante l’Amore, quel num
o. Qui il poeta ci dipinge Semele giovine, che nel mattino, vigilante al par dell’Aurora, sferzava i muli attaccati a un c
del suo figlio, che nascose nella sua coscia, finché avesse condotto al termine un fanciullo armato di corna di toro, e c
h’egli fa del suo destino con quello delle altre amanti, Giove risale al cielo, e lascia la figlia di Cadmo incinta nel pa
sì parlava l’ Invidia gelosa dei destini di Semele, che la chiamavano al cielo col suo fiolio. Giunone medita nell’istante
ssicurarsene. La giovine principessa accecata dall’ambizione, dimanda al suo amante questo contrassegno distinto della sua
s’ insuperbisce di questo favor singolare, che la pone infinitamente al di sopra delle sue sorelle. La sciagurata, ebra d
e di gioia, vuol toccare il fulmine terribile, e ne perisce in mezzo al fuoco. Il suo figlio per mezzo delle cure di Merc
olere, onde di Cadmo Non stia la reggia, ed il furor conduca Atamante al delitto: in un confonde Preghi, impero, promesse,
po L’idre commosse: sulle spalle giace Parte, ed altre cadute intorno al petto Fischiando vomitar rabbia, e lampeggia La l
Fischiando vomitar rabbia, e lampeggia La lingua: alfine della fronte al mezzo Svelle due serpi, e con la man, di morte Ap
leno, Ulula e fugge con le sparse chiome Furiosa, e te porta in mezzo al mare, Melicerta, con le nude braccia. Evoè Bacco,
e disse: Questi Usi ti doni il tuo beato alunno. — Una rupe sovrasta al mare, incava L’ime sue parti lo spumante flutto:
i depose nella sua coscia il giovine Bacco, finché il parto arrivasse al suo termine, e non ve lo tolse che per darlo alla
’ insegna a montar sopra un carro tirato da leoni, animali consacrati al Sole. Così Bacco cresceva, e diveniva forte ogni
rno sotto la tutela di Rea. Nonno dipinge i Pani che danzano intorno al giovine Bacco, e compongono il corteggio del dio,
gli da Rea, che dopo la metamorfosi di Ampelo in vite, bastò per dare al suo frutto un odore delizioso. I Sileni dividono
che non rende le sue prede. Scongiura Giove di voler rendere la vita al suo amico per qualche istante. L’Amore sotto la f
to dalla vigna; che nella quarta vi distinguerà certo re che presiede al nettare delizioso che si spreme dalla vite, e la
va a visitare Semole, la quale è già spirata, e Bacco nasce in mezzo al fuoco, mentre che la madre nelle sembianze di un’
dei tirsi nascono volontariamente dalla terra, e si veggono in mezzo al fuoco. Mirate Pane come si rallegra sulle cime de
i capelli biondi non mai cinti dall’edera e dalla vite. Non danzò mai al suono delle tibie: tutto questo lo poneva ad ira.
cco. Decretata dal fato la conquista dell’Indie, Giove invia Iride al palazzo di Rea per comandare a Bacco che vada a c
r vinti ed incatenati i Giganti. Adempiuta l’imbasciata, Iride risale al cielo. Nelristante Cibele invia il capo dei suoi
o quello dei misteri di Bacco. Vi è pure Aristeo inventore del miele, al quale la Cosmogonia dei popoli della Libia affida
le che arma in favore di Bacco i suoi Genii e i suoi Dei. Ella chiama al suo soccorso i due Cabiri figli di Vulcano, i Dat
in mezzo alle selve coir aiuto del suo cane fedele donatogli da Pane, al quale promette di collocarlo nel cielo accanto a
co continua il suo cammino, e marcia contro Oronte capo degl’Indiani, al quale Astraide avea di già partecipata la furberi
amente, e Oronte dopo essersi trafitto colla sua spada cade nel fiume al quale dà il suo nome. Le ninfe piangono questo fi
gl’Indiani. Dopo questa esortazione di Stafilo, Bacco invia un araldo al capo degl’Indiani, a Deriade per proporgli di acc
ni, a Deriade per proporgli di accettare i suoi doni, o di prepararsi al combattimento, ed aspettare il destino di Oronte.
Meti dichiara di esser pronta a sacrificar tutto per unirsi a Bacco, al quale ella raccomanda il giovine Botri e Pito. Ba
to contiene la descrizione dei giuochi che fa celebrare Bacco accanto al sepolcro di Stafilo. Eagro di Tracia ed Eretteo d
il primo si converte in un fiume, e Marone riceve il premio destinato al vincitore. Avete udito nella presente Lezione pro
tuno per vendicar la sorella mandò un mostro che desolava il paese, e al quale, onde por fine al pubblico danno, fa espost
ella mandò un mostro che desolava il paese, e al quale, onde por fine al pubblico danno, fa esposta Andromeda, secondo la
na dell’error materno Andromeda, e le sue tenere membra, Eran mercede al mare e preda al mostro. È questo l’imeneo? pubbli
terno Andromeda, e le sue tenere membra, Eran mercede al mare e preda al mostro. È questo l’imeneo? pubblici danni Privato
la pena un’ aurea veste Non preparata a questi voti. Appena Giunsero al lito del nemico mare, Le molli braccia per le dur
a rupe Flebilmente risuona. Alfin quel giorno Felice Perseo conduceva al lido Già vincitore del Gorgoneo mostro. E quando
nto Ei già ricrea con la promessa vita, E patteggia le nozze, e torna al lito. Turgido rOcean s’ innalza, e Tonde Fuggono
L’urto del mostro che s’ inalza: il mare Scorre e suona nei denti, ed al diviso Flutto sovrasta la terribil testa. Qual, d
l cielo sbuffa L’onda sanguigna, e le volanti penne Quasi sommerge, e al cielo il mare oppone. Della fatai tenzone il dubb
ato a consolar Mete e tutta la casa di Stafilo. La notte invita tutti al sonno, ed Eupetale, o la bella foglia, nutrice di
verso questo principe per irritarlo contro Bacco. Iride, per adempire al desiderio della dea, prende le forme di Marte, e
Licurgo ed a presentarsegli inerme. Bacco persuaso arriva senz’ armi al palazzo del re feroce, che sorride con aria sdegn
Giunone sempre nemica dello dio invita l’Idaspe a dichiarar la guerra al vincitore, che si prepara a traversarlo. Appena s
e il Cielo. Nel seguente Canto Giove pone d’accordo l’Oceano e Bacco, al quale l’idaspe è costretto di dimandar grazia. Lo
o dio del Vino si placa, e nelr istante il vento settentrionale rende al fiume le sue acque. Deriade arma gl’Indiani contr
Venere che lavora l’opera di Minerva. Quindi i soldati si abbandonano al sonno. II poeta comincia il venticinquesimo Canto
uendo l’esempio di Omero, non canterà che gli ultimi anni. Pone Bacco al di sopra di Perseo, di Ercole, e degli eroi che p
la notte, e stendendo sulla terra il velo delle sue tenebre richiama al sonno i mortali. Nel Canto seguente Minerva sotto
alli. Guardate ora come sono terribili quelli di Enomao, ed impetuosi al corso. Spinti dal furore, tutti coperti di spuma
ri, come sogliono essere di Arcadia tutti i cavalli. Quelli di Pelope al contrario sono tutti bianchi. agili, obbedienti a
. Quelli di Pelope al contrario sono tutti bianchi. agili, obbedienti al freno, e nitriscono in modo sì benigno, che la vi
alle sue acque profonde onde presentare una corona di ulivo selvaggio al vincitore che passa lungo le sue rive. Quelli che
to di chiamare il suo marito. Intanto dei piccoli amorini danno fuoco al rogo colle loro fiaccole. Ed è ben giusto che la
a fra Aristeo, i Càbiri figli di Vulcano, e le Baccanti. Calice pugna al fianco del Nume. Bacco provoca Deriade; la notte
ore e la paura preparano il suo carro; vola a Pafo, a Lenno, e quindi al cielo ritorna. Bacco profitta dell’assenza di Mar
fitta dell’assenza di Marte per assalire gl’Indiani, e per far guerra al popolo nero. Aristeo combatte all’ala sinistra. M
ende vivamente, e n’accusa la vile paura. Morreo ferisce Eurimedonte, al di cui soccorso vola Alcone suo fratello. Eurimed
lo rende agli occhi di Bacco che prende la fuga: Minerva lo richiama al combattimento, e gii rimprovera la sue codardia.
domanda, e le concede Megera. Giunone parte con lei, fa tre passi, e al quarto arriva sulle sponde del Gange. Quivi mostr
e a vincere colla sua quiete gli occhi del re degli Dei, onde servire al furore di Giunone. Lo dio del Sonno obbedisce, ed
sulle conseguenze dell’afi’etto che Giove ha per Semole e per Bacco, al quala dà sede nell’Olimpo. Ella teme che non giun
n giunga a piantare nell’Olimpo la vigna e sostituisca questo liquore al nettare delizioso. Prevede i disordini, che l’ubr
evede i disordini, che l’ubriachezza porterà fra gli Dei, e l’esiglio al quale sarà condannata. Datemi, Giunone dice, ques
i. Ella era occupata a formare una corona di fiori per Venere, e sale al cielo, onde veder la dea, la quale accorgendosi d
ambidue avevano scommesso trastulli fanciulleschi onde fossero premio al più bravo, ed il poeta ne fa una piacevole descri
vedove l’acque, Sterile Torto, e più la vite aborri, Cagion di morte al genitore, e piangi. — Sì dicendo fuggì l’immago a
rimi fiori, Ma s’egli è morto, e più viti non pianta. Io morir voglio al par di lui. — Sì disse, E sopra il dorso del vici
in le addita Del lacerato genitor la tomba Il pietoso cultore. Allora al petto Ingiuria fece coli’ avversa mano, E discint
isperato silenzio. Ulula accanto, Indiviso compagno, il mesto cane, E al suo doler si duole. Ahi l’arbor stesso Che sorge
’arbor stesso Che sorge accanto alla paterna tomba La furiosa ascese: al più robusto Ramo il cinto stringeva, indi circond
guatava: Ai peregrini alfin coi muti cenni La misera additò. Tolgono al ramo La pendente donzella; indi la fossa Le scava
elle quali effigiato si vede nei monumenti avanzati all’ ignoranza ed al tempo. Quindi vi parlerò dei suoi seguaci, cioè d
na tinta di questo colore. Con tutta la venerazione che aver si debbe al maestro dell’antiquaria, io non sono contento di
tratagemma usato cogl’ Indiani, portavano la punta coperta di ellera, al che allude San Giustino dicendo: Come le Baccanti
cifico portano sotto i tirsi coperte le punte: — i quali luoghi fanno al Buonarroti congetturare che quella pannocchia che
ra, di bei pampini, e vi sono ancora dei tirsi. Si rallegrano intorno al fonte degli uccelli, e candidi fiori vi sono sul
sta pittura ne dice che il colore dei capelli del giovinetto somiglia al giacinto, e che il sangue ancor pieno dì vita, in
sco: e non così tosto il disco cadde sul giovinetto, eh’ egli giacque al suolo prostrato. L’infelice giovine spartano giac
rme sono belle, ed esercitate alla corsa. Apollo abbassa i suoi occhi al suolo fra la maraviglia e il dolore. Ahi, Zeffiro
iquarii dei nostri tempi. I Satiri erano di figura umana, somiglianti al cavallo solo nella coda e nelle orecchie acute, a
scrissero, furono più antichi che non la favola di questi numi uniti al coro di Bacco. Sebbene le forme d’uomo siano pari
. Il primo in sembianze semicaprine fu comunemente effigiato: diedero al secondo una fronte calva, un naso schiacciato, un
di Pisidice, prese in moglie Dia figlia di Eineo, promettendo di dare al suocero molti doni come era costume degli antichi
e ai benefizii dello dio, tentava di sedurne la moglie. Rivelò questa al consorte gl’infami tentativi dell’ ospiste scelle
ltri sarebbe lungo nominare. Furono i Centauri dati a varii Dei, come al Sole, ad Ercole, ad Esculapio, con far condurre a
rra che per soverchio vino intrapresero coi Lapiti. Per questo. Nonno al principio del Libro XIV delle Dionisiache, o impr
le quali vi ho dato r estratto, gli annovera nell’esercito che radunò al nume la madre degli Dei, e introduce un Centauro
’ispida ed orrida barba, spontaneamente porgendo la fronte volontaria al giogo, ed avendo più assai dei Satiri desiderio d
o occasione alla favola che vi fosse un fonte di vino. Ma per tornare al nostro proposito principale, il Sarisberiense, il
ovano ancora coi cembali, che erano fatti come i nostri d’un cerchio, al quale era tesa una pelle. Vi attaccavano qualche
dicendo che in molti luoghi è usanza di sonarle mentre si vendemmia; al che allude quel di Euripide: Rallegrarsi colla ti
Fauno fanciullo che l’abbraccia, e quasi lo trae. Involto dagli omeri al piede in una palla, che gli scopre il lato e il b
o bel simulacro di marmo bianco statuario recentemente scavato presso al Laterano, ed è una prova novella del merito del s
positura propria dei prigionieri, e non già attribuita dallo scultore al Centauro, quasi volesse far pompa delle robuste m
apo tuo s’assiderà renente. Oltreché simile azione di cacciatore data al Centauro ne nobilita ed abbellisce l’espressione:
ta, dove l’abile artefice ha saputo indicare nelle narici quasi mosse al nitrito, e nella forma dell’orecchio un certo che
carri di Bacco. Nel tronco che sostiene il ventre del Centauro simile al Capitolino, si vede scolpita una siringa con alcu
ole sacri a Bacco, e dipinti nei vasi. Ci scorgerete ancora preparate al nutrimento crude carni, serpenti attorti intorno
l nutrimento crude carni, serpenti attorti intorno alla vita, o cinti al capo. Questi eccessi però di furore, per cui sapp
se andavano miste l’Amazzoni, nell’esercito almeno del vecchio Bacco, al cui aiuto, secondo Diodoro, le condusse Minerva.
do Diodoro, le condusse Minerva. Costoro par che possano riconoscersi al vestito corto che s’incontra nei vasi. Lene eran
le si descrivevano come amate sempre dai Satiri, quasi non convenisse al lor grado altri amanti che semidei. Cinquanta ne
utte l’altre Baccanti. Non è inverisimile che si riscontrino nei vasi al vestito seminato di stelle, quale nella cista Kir
e potuto addur prova a confermare il suo sentimento abbastanza valido al confronto di tanti monumenti, i quali cimostran B
e in una simil figura. Il Bellori che lo chiamò Trimalcione, trascurò al suo solito di osservare che i ministri della mens
tesi, e fìsse ambedue collo sguardo alla principal figura, cui sembra al gesto della man destra che il giovinetto diriga u
antichi solevano rallegrare le mense, il primo accompagnando la danza al canto, il secondo unendovi il suono di un doppio
te aulei peripetasmi, che separano ed abbelliscono il luogo destinato al convito. Seguono all’ aperto un terzo Fauno, semb
le poppe della madre, presso a cui appoggiato graziosamente col mento al bastone sta in piedi un giovin capraio. « La quar
ndo il soggetto, ha due Centauri, mostri mansuefatti dal dio di Nisa, al quale gli abbiamo veduti prestar servigio in più
n focolare di assai vaga forma, ove sono appoggiate due faci ardenti, al lume delle quali due genii della Morte bruciano u
olto diverso sì da quello di Winkelmann, sì dal comune. Lo sottopongo al giudizio dei leggitori, dopo aver fatto considera
circonda la testa. La molezza e la grandiosità dell’abito corrisponde al lusso della sua capigliera. È vestito di una larg
nel simulacro il lussurioso re di Nini ve: e ben sembrava conveniente al soggetto e il maestoso portamento e il grandioso
atidi facevan le veci di colonne, e tal compagnia era ben conveniente al costume di quel voluttuosissimo re. Feriva ad alc
te, sospettavan diretta in quel monumento un’assai dispendiosa satira al divino filos’ofo. Winkelmann che non die retta a
o corrisponde alla tradizione dell’anonimo, che assegna quattro donne al Nume tebano. La sola circostanza contraria sarebb
o Borgiano in Velletri. ambedue inediti e singolari, che comunichiamo al pubblico per la prima volta. « Cominciando dalla
i scioglie dalle membra paterne, ed è in atto di lanciarsi in braccio al germano. I suoi capelli sono cinti già di diadema
la consegna di Bacco infante fatta da Mercurio a Leucotea. Nè mancano al nostro bassorilievo ciò che Plinio chiamò Dee lev
ievo ciò che Plinio chiamò Dee levatrici: anche qui tre dee assistono al parto di Giove, alla nascita di quel nume, che fu
di un serto d’ alloro che dal sinistro omero scende a traverso insino al destro fianco. D’ un simil serto è cinto il giovi
’ insana compiacenza che accompagna il delirio dell’ebrietà. « Vicino al gruppo, alla manca dei riguardanti, è scolpito l’
i riguardanti, è scolpito l’educatore di Bacco, Sileno, che rattempra al suono della cetra gli affetti del Nume: e poeta e
rtefice, il quale dee aver tratto questa composizione tanto superiore al suo genio da egregio, ma ora incognito originale.
notizia dei costumi. Bacco indiano barbato. « Che le immagini simili al presente, rare al ^erto in simulacri di tutto ril
i. Bacco indiano barbato. « Che le immagini simili al presente, rare al ^erto in simulacri di tutto rilievo, in altro gen
do di questo nume, l’ abito del re di Taprobana. Simile per avventura al pallio che avvolge questa statua, o l’altra conos
statuetta di Bacco sostenuta in mano da un Fauno vedovasi coperta, ed al quale ha dato Plinio stesso il nome di Palla, nom
l sonno ci vengono rappresentati nelle antiche arti. Ma l’espressione al loro vivace e lascivo carattere conveniente è que
rpe in cui si pretese trasformato per amor di lei Giove Ammone. « Più al caso parrebbemi di far ricerca perchè la nostra s
ta sul coperchio del suo monumento in foggia di ninfa Bacchica, come, al dir di Properzio, stanca dall’assidue danze cade
ggetto mitologico dovea rappresentarsi qualche ritratto. Più decisivo al mio credere per confermar questa opinione è il pa
to da Centauri. « I Tiasi, le feste Baccanali, danno ancora argomento al presente bassorilievo, come il dierono ai precede
sono aggiunti invece delle pantere i centauri, uno dei quali dà fiato al corno, l’altro suona la cetra. Ambi in età giovan
corone di fiori secondo il costume de’ banchetti. La donna che presso al cocchio par che lo guardi con af fetto, è forse N
donne che portavano nei canestri le primizie delle frutta consacrate al nume, sono accompagnate da una pantera e da un le
nisiache, in questi versi D’altri di Bacco la vagante schiera Lega al tergo le mani, e avvinti e chini Gli trae sopra
due Fauni sostengono con fatica 1’ ebro Sileno, i cui cembali caduti al suolo sono il primo oggetto, che nel marmo ci si
tremo Fasi il vello d’oro. Il viaggio degli Eroi offre mille soggetti al pittore, e più ne presentano l’amore, gl’incantes
no Della possente clava arma la destra. Peregrini ambedue termini al mondo Posar colonne: e l’abito han sembiante.
ene, quantunque ì Centauri in alcuna immagine vedansi aggiunti ancora al carro d’Alcide. Di questa alleanza di Bacco e di
ante i pie coturnati,19 e abbandonandosi con tutta la persona piegata al dinanzi fra le braccia di un giovinetto Fauno ved
tanto ha il destro braccio inserito, ed un palliolo che tien ravvolto al sinistro. « Il tirso, sfuggito dalla sua destra s
capaci sembrano richiamarlo ad uso campestre e Bacchico piuttosto che al sepolcrale, e caratterizzarlo per monumento del l
atiri e dei Fauni, quindi nelle cerimonie di Pan introdotto, ed usato al par delle viti e dell’edera per le sue corone. Ci
sulle punte dei piedi in movimento di danza concitata e violenta, che al gettar la testa indietro in alcuna, in tutte all’
l’attizzano. Casca nel collo, e i Satiri lo rizzano. 1. Lettera al Professore Francesco Antonio Mori del 16 Novembre
ssai più della Teologica; giudicheranno i lettori. 4. Daremo intorno al metodo ch’erasi prefisso il Niccolini, una sua le
ima e inedita. 5. Porfirio, adducendo l’opinione di Numerio intorno al racconto di Mosè sulla creazione, ove dicesi che
2 (1841) Mitologia iconologica pp. -243
ovuto decoro ulteriormente perseverar sulla negativa pensai sottrarre al fin per pochi giorni, quasi insensibilmente, a me
uriosi lo sguardo a percorrerlo possiate a ragion gloriarvi di vedere al fin secondate appuntino le mire, e soddisfatte pi
nome superar l’oblio. Generali nozioni sulla mitologia S e al sentimento dell’immortal’Oratore Romano ogni avvi
e favole, alle quali tali scrittori fanno ben spesso allegorie ? Come al fin aversi cognizione della Teologia, e Religione
e a questi le loro adorazioni ; onde videsi con orror di natura darsi al Sole, alla Luna, alle Stelle, ed a quante creatur
ati quegli Eroi, che a riguardo de’ loro meriti erano stati innalzati al grado di Dei indigeti, come di Enea divinizzato d
ascente de’desir la meta, E diè di suo poter tremende prove. Il regno al Padre tolse in foggie nuove, Mostrò nell’ Etra al
sente, e lieta, Tien l’impero nel Ciel, tutto decreta, E solo il Fato al suo piacer lo. muove. Regge il folgor funesto app
Dio. Dichirazione, e sviluppo Moltissimi Dei invero, anzi fin al numero di trecento, al testificar di Varrone, ric
e sviluppo Moltissimi Dei invero, anzi fin al numero di trecento, al testificar di Varrone, riconosciuti vennero dagli
li antichi sotto questo speciosissimo nome ; Chi fù Giove poichè però al solo figlio di Saturno, ed Opi, ossia Rea, fù att
il furore di Saturno suo padre, il quale memore delle promesse fatte al fratello Titano di non allevar mai maschi, e molt
o, l’Inferno a Plutone, e per se riserbando l’Empireo ; dando altresi al primo un tridente, al secondo un elmo, ritenendo
, e per se riserbando l’Empireo ; dando altresi al primo un tridente, al secondo un elmo, ritenendo per sua condecorazione
Giove si fosse. Sue battaglie La prima dunque di queste battaglie fù al riferir di Esiodo quella, che ei sostenne contro
presentossi il primo all’ attacco. Al solo vedere le cento sue teste, al solo udire gl’ orribili suoi fischi, al sol mirar
lo vedere le cento sue teste, al solo udire gl’ orribili suoi fischi, al sol mirare il sulfureo suo fuoco impauriti gli De
e, e ligato il profondò negli abissi, oppure sotto l’Etna, come piace al poeta dell’ amore, e proseguendo quindi collo ste
è buon partito senza fissar cosa alcuna sù di ciò lasciar unicamente al lettore la libertà di seguire quelle opinioni, ch
I n mezzo all’onde gode il vasto Regno Il Dio Nettuno, che dà legge al mare, Porta il tridente per mostrar lo sdegno, E
l mare, Porta il tridente per mostrar lo sdegno, E ogni mostro marino al piè gli appare. Il diadema rëal gli forma il segn
tri distinguerlo, stantecche in Roma altre dicevansi le feste sacrate al Dio Conso da farsi in luoghi privati, ed oscuri n
e bambino per esalar quivi giunto l’ultimo suo affannoso respiro ; ma al ravvïsar gli abitanti di Lenno l’infausto fato, c
riscossero del pari la maraviglia degli Dei, e degl’ uomini, e resero al mondo celebre il suo nome non senza gloria degli
i collaboratori. Invenzioni del suo ingegno, e fatture delle sue mani al certo dicesi essere il palazzo del Sole, la coron
terio la grazia del suo padre Giove, non isdegnò questi di ammetterlo al cielo in qualità di coppiere degli Dei ; le sue m
agione furono, per cui la bella Ebe il piacere incontrò di subentrare al suo invidiabile impiego. Suoi nomi. Questo Dio o
sto Dio oltre il suo nome, che abbastanza il distingueva, stant ecchè al dir di Varrone : Vulcanus est quasi volitans, quo
favola non però amante sempre delle sue rappresentanze più vive tutto al naturale ne ha espressato il ritratto. Mirasi per
più rinomati, il primo viene ascritto a Romolo fatto da lui edificare al parer degl’ auguri fuori le mura, convenevole sem
mbrando, che in mezzo all’abitato star non dovesse il tempio dedicato al gran Dio del fuoco. L’altro, che credesi edificat
duto aveva altrui nel corso, in segno della perdita fatta ceder dovea al vincitore la lampada, Cap. IV. Marte.
, ed odore valevole era all’impresa. Impaziente allora con piè veloce al designato fiore ne corse la Dea, ed immantinenti
osso per tal barbaro fatto il padre di quello Nettuno citò l’uccisore al gran consiglio degli Dei sull’ Areopago, domandan
rte. Suo ritratte. In atteggiamento assai terribile convenevole però al fiero suo genio fù effigiato questo Nume. Pingeva
nto, da più mostri cinto per corteggio, con furie svolazzanti intorno al suo elmo per orrore, con gallo qual simbolo di vi
i intorno al suo elmo per orrore, con gallo qual simbolo di vigilanza al suo fianco, preceduto dalla fama, che con spavent
benchè feroce. Speme a raggiratori, ed a mercanti, Desta, ed ammorza al cor ogni desio, Spesso s’usurpa ancor non propri
rmò in pietra (detta poi pietra di paragone) acciò cosi egli restasse al coverto del furto, e quegli nel tempo stesso il f
le loro ordinanze, ed il presidente altresì essendo alla negoziatura, al governo della guerra, e della pace, a giuochi, al
duceo ornato da due attorcigliati serpenti, per dinotare, che siccome al tocco di sua verga i due colubri duellanti depose
e la favola istessa di lui non disse. Suo culto. Riceveva questo Dio al pari degli altri i suoi sacrificii. Su suoi altar
ionda chioma, e con aurata lira, Con fiamma in petto, e con bel lauro al crine, Dovunque il guardo dignitoso Ei gira Per t
a denunciante Clizia in girasole. Perduta intanto questa sposa trasse al suo fianco sì Climene figlia di Teti, che Coronid
le tolse di vita il valente Esculapio, benchè come Dio della medicina al numero degli Dei per guiderdone l’ascrisse. Non p
di non esser egli figlio di Apollo come si vantava, chiese in grazia al padre per consiglio di sua madre di condurre per
perta mano indocili scostaronsi dall’ ordinario corso, e minacciarono al mondo le sue estreme ruine. Il grido intanto di t
n fulmine rovesciò nell’ Eridano l’audace Fetonte, che morendo lasciò al padre in sua vece una novella eredità di tristi a
rnacchia svolazzante sulla testa, con un lupo, ed un albero d’ alloro al fianco, con cigno, ed un gallo dall’ altro, e fin
o scorno. Essa è madre, essa è Diva, ed essa crea I fenomeni infausti al sole intorno : Costretta a lagrimar quantunque De
tta a lagrimar quantunque Dea. Dichiarazione e sviluppo Felice al certo più delle altre Deita sarebbe stata Giunone
vo. Nella gran congiura degli Dei contro Giove essa in vece d’opporsi al troppo folle attentato, non sol ne approvò il dis
elle mani in segno dell’ alta sua autorità uno scettro, con un pavone al suo fianco, in alto di ricordare le sue bravure d
sul suo scettro, perchè in quello cangiato si era Giove per ottenerla al fine dopo tante reiterate ripulse in sua sposa.
delle nozze. Fù nominata Domiduca dall’ accompagnare la novella sposa al soggiorno dell’ amato suo sposo, per qual motivo
omaggi. Suoi nomi. Da questa efficie della Dea simboleggiante molto al naturale i tanti beneficii, che prestava essa a m
a Sonetto a rime tronche. C on fiamma viva, che le splende al piè, Col volte pien di rigida virtù, Divinità spr
tempi costume non fù effigiar questa Dea, ma una viva fiamma soltanto al vivo espressa formava il suo tipo ; mentre le sta
Pontefice Massimo dopo i Re s’apparteneva tal facoltà. Presentavansi al suo cospetto venti verginelle delle principal i f
e sorteggiate strappava dalle braccia de’ suoi genitori la eletta, ed al tempio immediatamente la menava, ove collacerimon
ia di sospendersi ad un sacro albero le recise chiome veniva deputata al sacro ministero, e trascorsi dieci anni per appre
i mostrata, Dalla mente di Giove appena nata Fù sapiente, e guerriera al par famosa. Nè del uom, nè de’ Dei fù mai la spos
Dichiarazione e sviluppo La prodigiosa, e singolar maniera, in cui al mondo comparve questa Dea, troppo chiaro adombrò
a, che avanti a se comparir dovea meglio assai d’un parelio in faccia al sole, tutto confuso ne’ pensieri, tutto conturbat
il terribile delle battaglie, che la piacevolezza delle muse. Mirasi al fianco d’un olivo di statura ben alta, e tutta pi
re con sviscerato affetto la educarono, e grandetta divenuta menarono al cielo ad esser vezzeggiata dagli Dei, i quali rap
zza indicata spuma riconobbe i natali, e per la stessa ragione ancora al dir di Ausonio fù nominata Marina. Fù detta Idali
e Vergin casta Venne chiamata, e insiem Diana detta, Allor che notte al viator sovrasta Luna nomata è in ciel bella, e pe
enne, che implacabile mostravasi contro chiunque sembravale far ombra al suo amato candore. Sperimentò in vero i colpi del
ra un carro tirato da Cervi in abito sciolto, si ma decente affibiato al suo petto con pelle cervina, con un arco in mano,
asso armato di frecce sospeso alle spalle, circondata dalle sue Ninfe al par di essa similmente agguernite, di statura per
hè più volte fosse stato quindi rialzato, come testifica Plinio ; pur al riferir di Capitolino ebbe a sperimentare le sue
attere Divino Sta quel che fia di qualsivoglia vita. Alcun non giunge al fatal tron vicino, Che all’uom da lungi la carrie
, Che all’uom da lungi la carriera addita, Nè val forza mortal contro al destino. Dichiarazione e sviluppo Chi fù
sigli di divorare ogni maschile sua prole, si per mantenere inviolata al suo fratello la fede, come per perpetuarsi nel su
var quivi qualche novella fortuna. In umile atteggiamento presentossi al Re Giano, ed intenerito questi alle sue sventure
ago allora di tali accoglienze Saturno si diede ben presto a mostrare al suo benefattore i più vivi segni della sua gratit
confondono col tempo gl’aggiungono sul dorso le ali, ed una ambollina al suo fianco, quelle per dinotar la velocità del te
o è, che le opere di beneficenza, e di pietà assomigliano le creature al loro stesso Creatore, non fia maraviglia se il Te
oltiplici diversi Dei, che finse la delirante Gentilità Nume non avvi al mondo più infausto, benchè benigno all’aspetto ra
nia vincit amor, così Virg : quid enim non vinceret ille ? Prevalse al fin contro l’Idra la chiave di Ercole, contro il
rgli mietere quelle pene, che seminato aveva nel Cielo, non avrebbero al certo mai più acquistata la antica lor pace. Chi
tero ; con pargoletta mano tolse a Regi istessi la porpora ; e dietro al suo carro portò superbo incatenato ogni cuore. Qu
a nato. A questa quindi attribuir si deve la colpa, che per sottrarre al giusto sdegno del regnator dell’Olimpo l’amato su
on fosse alla età di poter produrre i suoi effetti ; benchè per altro al vederlo Essa contro il suo genio perduto amante d
liate in fronte Con scettro rüidissimo, e pesantc, Con altissimo capo al par d’un monte, Che minaccia i mortali in ogni is
ante. Che cerca i danni altrui con voglie prontc, Che scnote il mondo al muover delle piante, Che versa ognor da lumi un t
eva, e se la infelice Proserpina con infame ratto attirata non avesse al suo seno, io mi credo, che scompagnato, e solo ri
one, Megera, ed Aletto dette Erinni da Greci, che aggirandosi intorno al trono del lor Sovrano scarme, ma foribonde nel vi
re parche Cloto, Lachesi, ed Atropo, che tutto di aggirandosi intorno al ministero del tremendo lor fuso troppo a vivo ris
a sua fronte, fuliginoso tutto nel viso, con folta, e nera barba fino al suo petto, mostrando in segno di terrore un ruido
tra. Da ciò ne avvenne, che le Baccanti nel sollennizzar le sue feste al par del lor Dio si adornavano si della pelle di t
no, ammantata d’una veste vagamente adornata di fiori, con un timpano al suo fianco, tutti simboli delle sue qualità. Ed i
ù, che dalle sue tenerezze non fosse stata’già vinta, come non ligare al suo carro animali i più indomiti per natura, ed a
nte quasi rotonda si divisa nel suo globo la terra, come non collocar al fianco di tal Dea un tamburo ?(1). Suoi sacrific
e per onore, o per profanazione ripetevansi da que’sciagurati innanzi al trionfal carro di tal Dea, come ragiona Agost. li
prigion la sua beltà divina Ella conosce il suo furor dispiega, E se al tartaro mai le luci piega Maggior tormento il gua
dem cum coniuge menses. depose ogui altra novella speranza, e cedendo al sovrano volere rivolse il suo affetto per legge d
suo sposo : ma poi succrescendo di tratto in tratto l’a more divenne al fine di esso sì gelosa, che ravvisandolo con sove
accompagnatrici sue ninfe. Altri la pinsero in aria di maestà seduta al fianco di suo marito su d’uu carro tirato da neri
tilissime figlie, onde così pel ministero degli occhi facendo passare al cuore più senibilmente le loro imagini vistose ri
ura, che per le funeste sue conseguenze fosse stato da que’sciagurati al par delle virtù divinizzato ancor esso sotto le d
par delle virtù divinizzato ancor esso sotto le diverse sue forme, io al certo non l’intenderei se non pensassi, che non f
da ? Chi è mai costei, che ad un cristallo affida Le proprie forme, e al retto sol s’appiglia ? Chi è mai costei, che da c
e da se stessa soltanto. Dicesi figlia del tempo, che aspetta, perchè al solo tempo si appartiene scovrir la verità, la qu
etta, perchè al solo tempo si appartiene scovrir la verità, la quale, al par del sole, che può essere intercettato, ma non
dall’erbe, e fiori, Presso un orrido Drago in lui non sente I soliti al mortal folli timori. Non, cura il rischio atroce
Nè pur cangia del volto i bei colori : Dà il pan, che mangia in bocca al rio serpente, Quindi scherza con lui scevro da or
ro da orrori, Ride all’altrui spavento, e assicurato Palpar la lingua al crudo mostro pensa, E neppur vede il suo terribil
enza non sa temere perigli ad onta d’ogni sinistro accidente, giacchè al dir di Curzio lib. 6. Securitatem adfert innocent
sce, e vieta Nemica di tesori, e di ricchezza Solo il giusto con essa al mondo giova ; Dà la mano agli oppressi, i forti s
do la trova. Annotazioni. Quella gran dote, per le quale sola, al dir di Cic. lib. 1. de off. vengono i mortali dec
Pace Sonetto D onna, che vince i pregi di Natura, Che porta al crin serto di verde alloro, Versa a una man ricch
oi gioia, e decoro. Dal Ciel, dal mondo tutto è venerata, Che accende al cor d’ogni piacer la face, E quanto più si ascond
ù risveglia, e alletta, Geme all’altrui tormento, il duol rispetta, E al mesto prigionier discioglie i nodi. Regge un timo
sollecito vive nell’allevare i suoi figli. Or se è vero, che la pietà al dir di Cicerone 2. de orat. Offre segni di gran l
tribuenda est laus. come non sarà poi degno di somma lode, e compenso al cospetto di Dio, e degli uomini chi nel petto gel
chi nel petto gelosamente la nudre ? Scolpisca ognun dunque in mezzo al cuore la bella massima dell’Apost. 1. Tim. 4. Ine
mortale impara Questa che rende appien dolce ogni sorte E fedeltà che al mondo d’oggi è rara. Annotazioni. Molto es
i ricetta ? Io nol sò ; sò però assai bene, che Salomone nè Proverbii al 20 quasi sbalordito a tal riflesso esclama : Vir
al Sol dell’ali cinta Fugace, ma la segue il mondo tutto, Sembra, che al ben d’ognun si mostri accinta ; Ma non ascolta ma
za rilevasi dalla necessità di tal virtù per ben oprare, essendo essa al dir di G. Cristo in S. Matt. 22. il cardine, ove
necessaria virtù, ricordandosi sempre di quel, che scrisse agli Ebrei al 13. l’Apost. S. Paolo : Caritas fraternitatis man
avvanza. Segna con verga il globo, e la possanza Palesa dalla reggia al vile ostello, Ciascun l’invoca, ed essa in ordin
era e Guida Miseri, e grandi tutti accoglie in seno, Nè sa tradir chi al suo poter confida. Annotazioni. La provide
lloro, Che alla sinistra mano ha un cor piagato, E un papiro le pende al manco lato Esprimendo nel volto alto decoro. Essa
e è vero però, che Dio non teme chi il prossimo con sincerità non ama al dir di Giobbe al 6. Qui tollit ab amico misericor
e Dio non teme chi il prossimo con sincerità non ama al dir di Giobbe al 6. Qui tollit ab amico misericordiam timorem Domi
etto D onna sublime con pietoso aspetto Apre le braccia, e tutti al seno invita, Cento fanciulli accoglie al proprio
tto Apre le braccia, e tutti al seno invita, Cento fanciulli accoglie al proprio petto, E la destra mammella indi l’addita
ma prestare a Dio sacrificio accetto, e gradito, giusta quel del Ecc. al 35. Qui facit misericordiam offert sacrificium, e
un pastor ne forma un Rè. Con la man destra un’ ancora poi fà Fissare al suol, che mobile non è, Chi questo bel problema s
e l’ancora per denotar la gioia de’ naviganti sulle mosse di giungere al desiato lor lido. La migliore, ed unica allegrezz
udii luctus occupat ; ma quella sibbene, che viene da Dio, onde Isaia al 6. diceva. Gaudens gaudebo in Domino, et exultabi
erra inchina Hà corno eletto, che ogni ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dolci
ben contiene, Labro söave, che al sorriso inclina, Sguardo, che cinge al cor dolci catene. Spirano i gesti suoi ogni dolce
ero. Fama è costei, che ognun le presta fede, I morti, e i vivi svela al mondo intero. E chi amica non l’hà spento si vede
ioso, ed immortale il nostro nome, memori di quel che scrisse l’Eccl. al 41 15. Curam habe de bono nomine ; hoc enim magis
ole una voce. Crinita fronte porta, ed è precoce Il suo favor, che se al mortal mai sfugge Non più ritorna, e l’uomo invan
speranza. Annotazioni Secondo la iconologia di Cesare Ripa, ed al parer di varii Scrittori l’occasione è dipinta co
unicamente importano, ricordandosi sempre di quel, che scrisse Isaia al Cap. 55. 6. Quaerite Dominum dum inveniri potest 
ed ora a venti Dispiega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al monte, al piano Non tragge ma
venti Dispiega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al monte, al piano Non tragge mai da suoi
iega i lini, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al monte, al piano Non tragge mai da suoi sudor cont
i, e par, che il credi insano, Al mare, al fiume, al bosco, al monte, al piano Non tragge mai da suoi sudor contenti. Rapi
il travaglio, pur chi seriamente riflette essere il giusto travaglio al dir di Tullio lib. 1. de Orat. condecorato da mil
Straccia il crin, morde il labro, e il suol calpesta, Ecco il Rimorso al cor verace inferno. Annotazioni Il carnefi
rimorso. La imagine di questo sventurato uomo, che stringesi un serpe al seno, e per disperazione vuol abbeverarsi di quel
do pugual con man possente ; La precede un lïon tremendo, e atroce, E al precipizio suo corre repente. Anela, geme, suda,
mmentandosi in qualunque dura circostanza di quel, che scrisse Giobbe al 5. Virum stultum interficit iracundia. Capito
e nel suo sen ricetta Questa ad opre di sdegno ognor conversa In odio al mondo, e al Ciel crudel vendetta. Annotazioni
n ricetta Questa ad opre di sdegno ognor conversa In odio al mondo, e al Ciel crudel vendetta. Annotazioni Il flage
ostro da evitarsi basta il solo esempio dell’ Imperatore Augusto, che al dir di Svetonio : Nihil obliviscebatur praeter i
la vinta alle sue passioni dietro si butta il comando là nel Levitico al 19 registrato : Non quaeras ultionem, nec memor
lto, e il manto Succinta veste lacerata, e breve Irata in dossa, lago al piè di pianto Scorrer si mira, come oggetto lieve
gior ragione noi dunque ne dobbiamo essere lontani leggendo n’e Prov. al ll. Benefacit animae suac vir misericors. qui aut
bominar tal mostro, se vuol essere amico di quel Dio, che per Geremia al 7. così si protesta : Advenae, et pupillo, et vid
pronta ognor favella Il mal di tutti, e’l proprio ben sol’ama. Sembra al primo apparir söave e bella, Ma se mai verità la
da eccesso si grave, memore di quel precetto registrato nel Levitico al 19. 11. Non mentiemini, nec decipiet unusquisque
tal, che la discordia è questa. Annotazioni. Chi non orridisce al ritratto di questa furia d’Averno ? Il viperino d
vera madre d’iniquità ! Noi adunque, che figli siamo di quel Dio, che al dir dell’ Apost. 1. Cor. 14. Non est dissentionis
quella triste conseguenza descritta dal mentovato Apostolo a’ Galati al 5. Si invicem mordetis, et comeditis : videte, ne
che l’odioso ritratto non ci spinga o a mal soffrire la povertà, che al dir del Crisost. serm. 18. sup. ep. ad Haeb. è la
In pace, e in guerra d’atterrar non resta, tien soggetti dal pastore al regge. Entra dovunque, e non è mai richiesta, Il
de, o rondinella. Nascon sotto a’suoi passi erbette, e fiori, Sorride al suo venir l’alma natura Mitigando del sole i grav
l suo venir l’alma natura Mitigando del sole i gravi ardori. Al mare, al fonte, al rio beltà procura, Madre, e nutrice d’i
r l’alma natura Mitigando del sole i gravi ardori. Al mare, al fonte, al rio beltà procura, Madre, e nutrice d’innocenti a
iril di mosto tinto Coronato di foglie, e varii frutti, Mille augelli al suo piè si tien ridutti, Coll’ uve in man di mill
i tien ridutti, Coll’ uve in man di mille tralci cinto. Alla gioia, e al piacer sembra sospinto, Gli affanni da sua man se
ed ultimo. Inverno. Sonetto T remante vecchio colla neve al crine, Con l’ammanto nevoso, e’l bianco mento Spi
fiere, e negli orrori Spesso abitar senza timor le piacque Togliendo al cor devoto i vil timori. Finchè arrivata a incomp
gli calpestati, A chiare note i gran deliri io leggo, E i falsi dotti al suol vinti, e prostrati. L’opre fallite, i deside
Delle istituzioni poetiche L a poesia prima fra le arti belle, al dir del melanconico cantor della notte, insiem co
nsero. Per essa finalmente, che suol dare anche corpo all’ombra, vita al nulla al soglio siede delle più alte magnificenze
r essa finalmente, che suol dare anche corpo all’ombra, vita al nulla al soglio siede delle più alte magnificenze o chi fo
to dì Creta, egli non vi si inoltrerà giammai. Scorrasi pure dal Indo al Moro, dagli abitatori del Gange sino a’ Cretini d
cosa. Cap. I. Della materia, e del modo di disporsi. La poesia al par della elequenza, certa e determinata materia
determinata materia non mai riconosce, quindi come questa assoggetta al suo impero ogni cosa, così quella sopra di tutto
quanto di grazia gli epiteti, quanto in somma contribuisce a pingere al naturale le immagini delle cose, tutto nella narr
no della poetica arte, l’unico mezzo, dietro la natural disposizione, al parer di tutt’ i maestri di quest’ arte é la lett
biano sempre in mira i dilettanti in quest’ arte di adattare il metro al soggetto, e non mai questo tradurre a quello. Per
e accoglienze, ed un esito sempre più sventurato ; anzi non solamente al soggetto è da subordinarsi il metro ; ma benanche
, sicchè per essere esatti osservatori di essa abbiano a fare i sordi al suono del verso ; mentre questo a quello, checchè
in un sol verso di 11. sillabe restrinse un quinario dialogo, di cui al parere di tutt’ i conoscitori dell’arte non può m
iò, che la nostra poesia è capace. Eccone l’ esempio : Il peccatore al sepolcro di G. Cristo. Tormento Pensando Spi
è il seguente. Egeo, che si congeda dal figlio Teseo, che si porta al laberinto di Creta per combattere il Minotauro.
io Contemplando Dallo scoglio Salso il regno Nel cordoglio Sempre al segno Guarderò Mi terrò. Nel verso quinario
r sol vaga Priva d’onore Il cor s’impiaga, Mi abbandonò. E piomba al suol. Ma ognun conosca Fugge in un urlo Dal c
i restano liberi come. Epaminonda, che vince la battaglia col dardo al fianco. L’ardito Tebano Il sangue già scende,
o si scioglie E in terra sen giace Con fischio mortale La man tiene al fianco, Al fianco lo coglie ; E mostrasi audace
rambo, in cui fa maggior pompa, sempre per altro adattabile assai più al boscareccio, che al serio. Esso costa di otto sil
gior pompa, sempre per altro adattabile assai più al boscareccio, che al serio. Esso costa di otto sillabe, delle quali la
cello limpido Più la quiete stabile Col gorgogliar suo flebile Se al par d’afflitta tortora Cresce del cor la smania,
greco Anacreonte il carattere serba, ed il nome, è uno di quelli, che al dir del Crescimbeni, sono i più spiritosi, e legg
ossente Tosto che l’ombre scendono Cerca di notte struggere Cheti al nemico vanno, Le squadre d’Oriente. E appena ch
mpi antichi hanno scritto, e cantato su questo metro ; ma diasi luogo al vero da che il celebre Manzoni scrisse il quinto
ario piano, il terzo sdrucciolo, il quarto similmente piano, che rima al secondo, il quinto sdrucciolo, ed il sesto senari
zolle, e quanto appare Che sarà di ma infelice ! Si strascina irato al mare. Tutto al mar si porta il fiume Là una pec
appare Che sarà di ma infelice ! Si strascina irato al mare. Tutto al mar si porta il fiume Là una pecora belante, Ca
eo di gran polzo si prova a trattarlo, mentre le sue difficoltà anche al tavolino rendonsi laboriose. Un tal metro è compo
nchi similmente rimati tra loro, ed il sesto quinario piano, che rima al terzo, questi sono i divisati sei versi, che cost
ol Misera ! oh Dio L’alma è feconda Son costretta a languir, Sola al mondo sarò E non posso morir Nè in opra tal ved
tà tutta sua propria ci presenta questo metro. Imperochè essendo vero al comune sentimento de’ maestri dell’arte, che la c
anlio, che condanna il figlio a morte Emanato il gran decreto Dice al figlio : eh che facesti Dall’austero conduttier
ro i Galli in gran tenzone, Nulla vale addur la scusa E chi ardisse al paragone Grida il padre chi si abusa Contro il
E l’uccise, e lo spogliò. Tutto il campo allor tremò Porta l’armi al genitore Ed invan parlò natura Di quel gallo gi
è similmente settenario piano, il terzo è anche settenario, che rima al primo, il quarto è simile al secondo con cui rima
o, il terzo è anche settenario, che rima al primo, il quarto è simile al secondo con cui rima, il quinto, ed il sesto sono
iano libero, il decimo è tronco libero ; l’undecimo è piano, che rima al nono ; l’ultimo finalmente è tronco, che col deci
osa Fuor delle strutte mura Essa è un funesto don Stassi tramorta al suol Lassa non son più sposa, Sul pesto corpicc
d invaghirsene. Se per te a tanto son costretto, Quanta ubbidienza al cor mi costa Saprò soffrir la mia sventura, Sod
natura Per me sia questo l’ultimo di Umil la fronte piegherò Devoto al cenno ubbidirò. Il decasillabo poi, che è il S
son presso a perir. Si consulta Calcante l’aruspice, Chè ognun crede al suo saggio consiglio Egli mostra il tremendo peri
la terza rima, come quella, che indistintamente si mostra adattabile al sagro, al profano, all’eroico, al bernesco, all’e
rima, come quella, che indistintamente si mostra adattabile al sagro, al profano, all’eroico, al bernesco, all’epistolare,
ndistintamente si mostra adattabile al sagro, al profano, all’eroico, al bernesco, all’epistolare, e a tutt’altro. In ques
nque impertanto vorrà comporre in questo metro sia accorto a disporre al secondo verso il cambiamento del pensiere per tro
alla stanza seguente Eccone la norma. Zeleuco, che salva un occhio al figlio colla perdita del suo. Promulga il re Zel
po suo rigore, E il duol del cor nel volto suo si legge ; Ma pensando al dover del regnatore, E qual’obbligo tien colui, c
ltimi sospiri, E l’interrotta, e tronca sua favella ? Deh ! m’assisti al morir, se qui t’aggiri Anima hella. Ma tu che fai
lore, Così colei, che di pallor s’ammanta Allor sen muore. E in mezzo al sangue mentre l’alma spira Fà, che l’ultima voce
te nel comporre elogii a grandi Eroi prima di provarsi all’Ottava, ed al Sonetto. Eccone intanto il modello Bruto, che c
Romani adopra ogn’arte. Si forma in Roma una fatal congiura Per dare al Regge l’usurpato soglio Vindicio l’ode, e palesar
or che faremo Qual sarà di costor la giusta sorte ? Roma per essi fù al periglio estremo Perciò a ragione io li condanno
ria d’esser padre lor fui figlio a Roma Questa mi parla, e non natura al core Provino i figli rei giusto destino Pria d’es
ciocchè ognun la sua costanza invitta Conservi sempre, e se l’imprima al core, Priachè l’infausto mar forte tragitta Dice 
scempio Nè giovarvi potrò se in Roma io resto Già carco di anni, onde al dovere adempio : Se in verde età vi diedi il sang
un tal metro, sebbene come si disse nel Cap. I. il verso deve servire al pensiero, e non questo a quello ; pur tutta volta
ato luogo si avertì, è necessario, che il pensiere spesse volte serva al verso ; mentre quì il poeta deve dire, ciò che pu
ne, e zacchere Tanto gli fece, che sel seppe togliere, E sel condusse al suon di pive, e nacchere. Uran. Titiro mio non c
o, Che ad ognun, che l’udì parve incredibile. Venne a cercare il foco al mio ricovero, E innanzi a tutti con prestezza est
fior, la fronda. Comincia vaga erbetta a uscir dal suolo, E l’olezzo al color confonde, e mesce, Spiega l’augello più sic
una norma invariabile della Canzone. Per la morte di Pio VII. Chi al pianto porgerà cotanta vena Onde fugar dal core I
dal core Il cumulo d’affanni, che l’opprime, E in si fatal dolore Chi al seno porgerà forza cotanta Perchè il pastore egre
In faccia all’armi, e la baldanza rea Mai non piegò la fronte ; Pari al signor, che per l’altrui delitti Sparse di sangue
gli del tanto zelo Già trova il suo riposo in sen di Dio, E il premio al suo sudor si gode in Cielo. Cap. XXII. Del
ganti, che scorsi mille pericoli in mari ignoti trovano ancora vicino al porto in faccia a nascosti scogli che temere ; ta
to in faccia a nascosti scogli che temere ; tal mi son io, che giunto al termine di questo poetico trattato incontro pur d
uasi che se non si avesse qualche sonetto di questi tali ne andrebbe, al dir del Menzini, il Parnasso tutto in rovina. Deh
’ esercizio de’ diversi ritmi dell’ arte, e poi inoltrarsi pian piano al cimento di si ardua impresa. La celebre raccolta
colar modo occupar deve l’ingegno di chi compona ; mentre il Sonetto, al pari d’un torrente, che vicino alla foce porta ma
che vicino alla foce porta maggior copia di acque, nell’ avvicinarsi al suo termine deve finire con una sentenza, che fer
n la natura. Visto il suo padre in grembo a rea sventura Superbamente al mesto auriga impone, Che dia feroce ai suoi caval
sto auriga impone, Che dia feroce ai suoi caval di sprone, E il corpo al genitor schiacciar procura Ma perchè quei ricusa
mezz’ aperta. SONETTO LIRICO Perchè mai destra villana Or mi strappi al gambo mio Qual’ è il mal, che t’ hò fatt’ io, Che
i dai pena si strana. Sarei stata la sovrana Sopra il cespo in faccia al rio ; Se più apriva il seno oh Dio, Se la destra
M’occupa del mio ovil solo l’aspetto. Dopo gli affar mi pince andarne al letto, Nè di zampogna più toccar la canna ; Che l
dolore Sempre compagno del mio lungo errore. III. Finalmente intorno al Sonetto da tessersi colle rime prescritte non sti
affanno, Affanno Or che crudo voler ponmi in catena. Catena Hai vinto al fine mio destin tiranno, Tiranno Vado a perir nel
etato. Spietato Deh ! Rammentisi ognun del dolor mio ; Mio Se Augusto al mio servir si mostra ingrato Ingrato Roma, figli,
ar di quest’ ultima parte sacra alle muse latine un distinto trattato al pari del primo ben’ ampio, ed esteso, potendola b
ca tessitura, che per antonomasia appellasi Verso siccome in rapporto al numero, ed al valore de’ suoi componenti cangia s
che per antonomasia appellasi Verso siccome in rapporto al numero, ed al valore de’ suoi componenti cangia sempre di aspet
g. Ec. 2. 70. Semiputata tibi frondosa vitis in ulmo est (2). Inoltre al verso Esametro si riducono altri versi differenti
e al verso Esametro si riducono altri versi differenti, e questi sino al numero di sette, cioè il Pentametro, l’ Archiloch
primiera ; benchè per altro coll’aver ricevuto un valore equivalente al primo è da dissi più felice del detto Titolato.
rincipii buono, e cattivo, o la sentenza di chi ne ascrive la cagione al timore, giusta quel di Lucrezio : Lucr. de reb. N
i mostri superbi insorti contro Giove sembra derivata dal Genesi, ove al 6 si legge : Gigantes autem erant super faciem t
o, viri famosi. Questi co’loro atroci delitti cercarono muover guerra al cielo, e per ciò estinti per giusto giudizio di D
per ciò estinti per giusto giudizio di Dio, come di tratto in tratto al par di essi leggiam conquisi altri Teomachi, e sp
nità, come un Faraone co’suoi nelle onde Eritree, de’ quali in Giobbe al 26 stà scritto : Ecce gigantes gemunt sub aquis
ritto : Ecce gigantes gemunt sub aquis , e come un dì dovrà avvenire al Corifeo de’Teomachi l’Anticristo ; di cui sta scr
prendendo allegoria da alcuni solitarii uccelli delle Indie chiamati al dir di Plinio le Sirene. Nel senso morale però mo
mille lusinghe, ed attrattive, quasi con altrettanti lacci attiravano al lor seno gl’ incauti viaggiatori, e per sensuali
Un tal Delfino perchè favorì Nettuno in si premuroso affare meritava al certo qualche ricompensa, che perciò Nettuno per
uno per non sembrargli ingrato lo trasse dalle native onde, e lo menò al cielo in luogo degno fra le cestellazioni presso
, fece si, che tutti quei mostri marini, che sonavano del pari avanti al cocchio dell’ alto regnatore delle onde, venisser
ati Tritoni. Egli in premio dcl suo mestiere, e molto più in rapporto al legnaggio godeva ancora in preferenza di altri Tr
ne della lore forza, e destrezza nel loro impiego abbia somministrata al Poeta istesso quella brillante descrizione dei fe
rata al Poeta istesso quella brillante descrizione dei ferrai accinti al lavoro. … Alii ventosis follibus auras : Accipiu
ali affidò questo scudo, e con esso altri ben molti del tutto, simili al primo costruiti per sua ordinanza da un certo Mam
le genti S. Paolo fù chiamato Mercurio, come negli atti degl’apostoli al Cap. 14 si legge : Paulum vero Mercurium. Imperoc
nel perorare ? L’attesta la stessa controversia agitata fra gl’Etnici al riferir di S. Gio : Crisost : Hom : 3. Se doveasi
oppo chiaro dalle stesse sue lettere. E che altro è quel, che leggesi al cap. 6 agli Efesini : se pro Evangelio legatione
ngi in catena ? che altro è quel, che sta scritto nella II. a Corinti al 5 : Pro. Christo legatione fungimur tanquam Deo
di lavorate pietre : Quod si altare lapideum feceris, così nel Esod. al 20 non aedificabis illud sectis lapidibus. Che se
to, che è Pietra, sì finalmente acciò dalla durezza della pietra, ove al sommo Nume sacrificano i sacerdoti, imparino essi
Suo ritratto, e culto. Chi fù Giunone. Suc azioni (1). Bella assai al suo costume é la descrizione, che nel i. delle su
na in più luoghi Iddio nelle scritture, e specialmente nella Sapienza al 14 ove leggesi obscura sacrificia facientes, aut
, che che altri si dicano, fù istituito, come sopra hò detto, da Numa al numero di quattre, prodotto quindi a sei d al qui
sopra hò detto, da Numa al numero di quattre, prodotto quindi a sei d al quinte Re Tarquinio Prisco, qual numero senario d
ò fin agl’ultimi tempi della Republica, come chiaro l’insegna Dionigi al 3 de’ suoi lib. Suo ritratto. (1). Il palladio,
i della generazione del Verbo Eterno dal Padre, fabbricarono i Poeti, al dir di più dotti Scrittori, la prodigiosa nascita
tti forse prese occasione, e corraggio il superbo Antioco di portarsi al tempio di Nanea, ossia Venere, come piace a molti
dagli orefici, e soprattutto da Demetrio, come negl’atti degli Apost. al 19 si legge. Quali poi sieno state tali argentee
ne degl’ Ebrei pascevasi di si barbare offerte ; per cui nel Levitico al 18 si legge : De semine tuo non dabis, ut conseg
questa seconda divisa chiaro non scorgendosi, come passato poi fosse al Regio soglio, con qual fondamento dimostrar si po
la è la descrizione, che dell’effigie di queste Dio efforma Properzio al terzo. Quicumque ille fuit, puerum qui pinxit Am
araone, che ricusato avea lasciare il popolo per andare a sacrificare al lor Dio Signore ? Sue prodezze. Sue vendette. Suo
mo infelice allor che nasce In questa valle di miserie piena Pria che al sol gli occhi al pianto, e nato appena Va prigion
che nasce In questa valle di miserie piena Pria che al sol gli occhi al pianto, e nato appena Va prigionier fra le tenaci
chè curvo, e lasso Appoggia a un debil legno il fianco antico. Chiude al fin le sue spoglie angusto sasso, Nell’atto a voi
ì dinota un ammasso di più versi di diversa specie senza alcuna legge al solo arbitrio di chi compone. Tal è il ditirambo
3 (1874) Ristretto analitico del dizionario della favola. Volume I pp. -332
tto di napoli Che alla valente operosità della vita politica Intesa al bene ed alla gloria Della patria italiana Tenne
azione una spiega, per quanto più potremo concisa e limpida, del modo al quale ci siamo attenuti, onde render chiara ed ut
mo personalmente riscontrate quelle citazioni, onde esser certi, fino al convincimento, di non aver commesso il più lieve
di Dante, quantunque a prima vista potesse sembrare affatto estranea al carattere della nostra opera, la più lieve relazi
sterioso delle credenze dei pagani ; sono quelli e non altri ; e noi, al certo, non potevamo nè inventarne dei nuovi, nè r
o, rese più chiare, limpide ed indelebili, nell’animo del lettore. É, al certo, altamente utile ed importante, anche sotto
ro utili con l’eterno insegnamento della storia, e facciano buon viso al nostro lavoro : noi non osiamo nè chiedere, nè sp
munanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed al tempo : il commercio delle idee : la congiuntura
all’opera devastatrice del tempo, e che altra volta furono destinati al culto delle divinità pagane, ed ora lo sono all’a
a Salule, a Santo Vitale. Sulle rive del lago Numicio, e propriamente al luogo ove la tradizione ci ricorda si precipitass
nell’ Arca è Satyaxrata — Iao, in Cina, il primo re, dà cominciamento al suo regno con lo scolamento delle acque diluviane
domina ed impera costantemente il principio simbolico e configurato, al quale si è dato tacitamente, da tutti gli scritto
di una religione che serviva più alle tristi passioni dell’uomo, che al principio della verità, cedettero il posto ai mit
verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere al suo vero principio facendosi sostegno della verit
al suo vero principio facendosi sostegno della verità : cooperandosi al progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più
perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla virtù l’azione delle intel
ando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla virtù l’azione delle intelligenze um
tteristicamente dello stato di civiltà, in cui si trovano gli uomini, al momento in cui le concepiscono. Così noi vediamo
lefici, pitonesse e larve d’ogni maniera,33 Il Tasso, porgeva ascolto al suo genio familiare. Sacrobosco 34 insegnò le sfe
egli alzandosi disse : Voi, Condorcet, vi avvelenerete per sottrarvi al carnefice ! E, continuando, predice a Chambord ch
Sventura a Gerusalemme ! Il settimo giorno gridò : Sventura a me ! E al punto stesso un sasso enorme briccolato dalle bal
voce che, nella notte del 10 aprile 1850, la dama bianca era comparsa al castello di Berlino, e che questo era certamente
la forma allegorica, l’in elligenza dei miti della favola, non riesce al erto difficile ; ma vi sono molti altri simboli i
culto, dimorare in palagi di ghiaccio : quelli dell’Indiana, riposare al rezzo delle piante, e bagnarsi nelle fresche acqu
ario, rappresenta ciò che è, e come è : esprime la Forma immedesimata al Fondo, l’idea col fatto, senza avvertire codesta
nell’istesso tempo dal pensiero e dal fatto, ed è tanto più prossimo al simbolo, quanto più è antico. All’incontro tanto
Atropo. Gloto. là più giovane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava
ane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava gli avvenimenti della vita 
custodirono il senso recondito e misterioso, ma invece di comunicarlo al popolo, lo invilupparono in dottrine arcane, serv
iodo hanno due sensi, il Letterale e l’Allegorico ; il vulgo si ferma al primo, i filosofi ammirano sempre l’altro. Cleme
uale egli si fosse imbarcato per arrivare traverso il fiume del tempo al mare magno della eternità — Ci hanno di parecchi
religione, qualunque essa sia, fa che un popolo sia civile. Introduz. al Giornale — La Società. ….tant qu’il y aura sur
tta Menade, percuote orribilmente un suo crotalo infernale, eccitando al ballo tondo Grazie, Furie, Satiri e Muse. Marte b
i di mondi superstiti ; ma ogni secolo come ogni minuto si avvicinano al punto, dove il creatore per ogni cosa creata ha s
ile. — Così fu denominata la pietra che Rea, moglie di Saturno, dette al marito onde la divorasse invece di Giove, quando
to di Laumedonte sposò, e da cui ebbe due figli Esepo, e Pevaso. Che al buon Bucolïone un di produsse La Najade gentile A
le maga lo uccise e quindi ne lasciò le spoglie palpitanti inciampo al padre ! che la perseguitava, quando ella cieca
ze di Siracusa, in cui Giove Olimpico avea un antico tempio, dedicato al suo culto. 35. Acarnao e Amphoterens. — Questi du
inverecon la. Crudelmente offesa dal rifiuto, Creteisa, accusò Peleo al marito per aver voluto attentare al suo onore. Ac
l rifiuto, Creteisa, accusò Peleo al marito per aver voluto attentare al suo onore. Acasto dissimulando il suo dolore cond
Acca Laurentia moglie del pastore Faustolo che allevò Romolo e Remo, al quale per questo motivo i Romani decretarono gli
no scudiero per nome Acete. 45. Achaja. — Contrada della Grecia posta al mezzogiorno della Macedonia, ma più particolarmen
no della Macedonia, ma più particolarmente provincia del Peloponneso, al quale si dà alcuna volta, compreso nella sua tota
c : per denotare i Greci o cosa a loro concernente. Così noi troviamo al principio dell’Iliade questi versi : Cantami, o
esse dato il corno dell’ Abbondanza. 54. Acheroc. — Nome che Omero dà al pioppo bianco (detto Gattice, vedi Diz. delia Cru
per aver fornito l’acqua ai Titani, quando questi dettero la scalata al cielo. Le sue acque divennero fangose ed amare ed
ordati che a quelli che aveano vissuto onoratamente, non era permesso al battelliero, che in lingua Egiziana si chiama Car
me Stige, per renderlo invulnerabile, ed egli infatto lo fu, meno che al tallone sinistro, pel quale la madre sua lo tenne
lo fu, meno che al tallone sinistro, pel quale la madre sua lo tenne al momento dell’immersione. Bambino ancora, Achille
mento dell’immersione. Bambino ancora, Achille fu dato come discepolo al centauro Chirone, che lo nudrì di midolla di leon
ritornò alle armi e per vendicare il caduto amico, fece legare Ettore al suo carro, e guidando egli stesso i suoi focosi d
quando s’incamminava all’altare nuziale, Paride gli tirò una freccia al tallone. Achille morì di questa ferita. I Greci g
to famoso eroe della Grecia, che l’opinione della sua invulnerabilità al tallone, non era accettata ai tempi di Omero, e c
0. Achillea. — Isola del Ponte-Eusino così detta dal nome di Achille, al quale vi si tributavano onori divini. Era anche A
o spaventevole. 64. Achmenide uno de’ compagni di Ulisse. Egli sfuggì al gigante Polifemo che voleva ucciderlo, e fu salva
grande ed antica venerazione che gli Egizii ebbero per l’acqua, e che al dire di S. Atanagio anch’egli Egiziano, avea spin
se Dee, e più particolarmente a quelle che avevano dei tempî dedicati al loro culto sulle montagne, dalla parola greca αϰρ
l’ α privativa e da αδω io vedo. Davasi del pari cotesto nome di ades al luogo sotterraneo ove passavano le anime dei mort
steo. In vaghitasi della cintura della regina delle Amazzoni, suggerì al padre di persuadere Ercole a rendersene padrone o
ttero il nome di Tenea, volendo ricordare che essi avean teso intorno al simulacro di Giunone alcuni rami d’albero. Vi fu
pitale. Fu uno dei principi greci che si riunirono per dare la caccia al cignale di Calydone. Prese anche parte alla spedi
li era un famoso cacciatore : Venere l’amò passionatamente e preferi, al dire d’Ovidio, la conquista di lui a quella degli
re vegliante a punizione dei colpevoii. Gli Egizii mettevano Adrastea al disopra della Luna. È opinione di molti scrittori
bene il padre del morto lo avesse perdonato, egli non potendo reggere al suo rimorso, si trafisse sulla tomba dell’estinto
to come un eroe. 132. Aetone. — Uno dei quattro cavalli del sole, che al dire di Ovidio, fu principale cagione della cadut
ano in quelle acque le loro offerte, senza por mente alla ricchezza o al valore di esse. Se erano accette alla Dea, restav
a ricchezza o al valore di esse. Se erano accette alla Dea, restavano al fondo, se venivan respinte, ritornavano a galla,
iano e che di tutt’i doni da essi gettati nelle acque, nessuno rimase al fondo. Infatti l’anno seguente essi furono intera
ore e Polluce venivano così detti perchè avevano un tempio consagrato al loro culto nel recinto da cui partivano coloro ch
li oracoli che egli rendeva in Delfo, e dal sacerdote che li ripeteva al popolo. 142. Afneo. — Altro soprannome di Marte.
e trovare altro scampo per se stesso, che quello di tagliare la testa al fratello. Qualche tempo dopo la terra improvvisam
l Dio Bacco, sia, come vogliono altri scrittori, pel suo preteso zelo al culto di quello. Vi furono ancora una figlia di D
e dopo qualche tempo la ninfa si trovò incinta e partori un fanciullo al quale fu imposto il nome di Ati. Giunto all’età v
per sposare una figliuola di lui. Già le cerimonie nuziali volgevano al loro termine, allorquando Agdisto, spinto da gelo
di Bacco. 199. Agrao o Agray. — Uno dei Titani che dettero la scalata al cielo. 200. Agraulie. — Dagli Agrauli, popoli del
. V. Agrao. 203. Agresto. — Che vale anche campestre, soprannome dato al Dio Pane. 204. Agriani. — Si dava questo nome ai
Circe. Agrio è anche il nome di uno dei Titani che dettero la scalata al cielo e che morì ucciso dalle Parche. 207. Agriod
lui, fossero infatti suoi figliuoli, mentre lo erano di Nettuno, Dio al quale Ifimedia avea consentito la sua persona. 21
le onde furiose, gli riusci di afferrarsi ad una roccia, ove rivolto al cielo imprecava gli Dei dicendo che si sarebbe sa
ò ad Ettore fu lo stesso col quale questo eroe venne legato pei piedi al carro di Achille, quando ucciso da questi in comb
Ulisse però ebbe il di sopra, e Ajace durante la notte, furioso fino al delirio si gettò con la spada alla mano in mezzo
za la mano, E poi la lira a sè con ogni forza : E quel petto ferisce, al quale in vano Ogni altro tentò pria forar la scor
lio Già d’Amiciante, di quel sangue uscio E dal colore in fuor simile al giglio, Le vaghe foglie in un momento aprio. Form
me dato a Bellona. 227. Alalcomede. — Nome del precettore di Minerva, al quale dopo la morte furono in considerazione dell
seo e marito d’Ipponomea. Egli fu padre di Anfitrione e avo di Ercole al quale per questa ragione si da tanto comunemente
battere la morte, discese agl’inferni da cui ritirò Alceste e la rese al marito. Omero dà ad Alceste il soprannome di Divi
dà ad Alceste il soprannome di Divina perchè ella amò suo marito fino al punto di sagrificargli la vita. Euripide prende a
tando E i vari amici, e il proprio padre, e carca D’anni la madre, se al morir propensi Fossero in vece sua : solu ei trov
do i legami che lo stringevano ad Arfinoe, e spingendo l’audacia fino al punto di farsi da questa restituire la collana pe
uo fratello, che i Telebani avevano ucciso. Mentre che Anfitrione era al campo, Giove innamorato d’Alcmena, prese le forme
l sen si raro pegno. Con immenso dolor premea le piume. E ben vedeasi al ventre ampio e ripieno Che Giove era l’autor di t
d’Agamennone. Temendo che Egisto e Clitennestra, dopo aver dato morte al padre suo, non gli serbassero la stessa sorte fug
ninfa Lara. 295. Almopo. — Fu uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. 296. Aloe V. Aine. 297. Aloeo o Aloo. — Gi
mosi giganti che imponendo montagne sopra montagne dettero la scalata al cielo. Omero li distingue fra loro chiamando il p
meno. L’arbore, ch’era verde, si fa smorta, Ed ogni spoglia sua rende al terreno : Le ninfe della selva abitatrici Abbando
queste, avessero sagrificato l’albero abitato da un’amadriade. Così, al dire d’Ovidio, l’amadriade che abitava il tronco
lla mietitura. I sacerdoti che presiedevano a questi sacrifizi, erano al numero di dodici e si chiamano Arvali. Vedi Arval
osia e Nettare. Secondo i poeti l’ambrosia era una sostanza destinata al nutrimento degli Dei, ed è opinione sufficienteme
i ; rendeva la vita perfettamente felice, e conservava allo spirito e al corpo una giovanezza eterna e ridente. Il poeta I
: La state e l’inverno — Aveva scoperto il lato destro del petto fino al livello del cuore, indicando col dito le seguenti
serpenti. 335. Amicleo. — Si dava questo soprannome ad Apollo perchè al dire di Polibio, aveva nella città di Amiclea il
erano strettamente uniti con la loro sorella. Da ciò la favola che dà al mostro detto chimera il volto di donna, il corpo
tto Mirra, e sdegnato la maledisse e la cacciò dalla sua casa insieme al figlio ed al marito. Mirra col piccolo Adone si r
sdegnato la maledisse e la cacciò dalla sua casa insieme al figlio ed al marito. Mirra col piccolo Adone si ritrasse nell’
a Nettuno Scotitor della terra il gran tridente. E le folgori elerne al sommo Giove Tasso. Aminto. Secondo Aristofane
osò Encelado che ella uccise la prima notte delle nozze, per ubbidire al comando di suo padre. Straziata dai rimorsi, ella
stodita ad Atene, secondo asserisce Pausania. 363. Anadyomene. — Così al d re di Plinio veniva soprannominata Venere. Cesa
me un quadro dipinto da Apelle, nel quale la Dea veniva rappresentata al momento della sua nascita uscendo dalla spuma del
oli di Castore e di Febea. Nel tempio fabbricato a Corinto e dedicato al culto di Castore, vi era una statua di Anasci com
mostro, ma rimase da questo uccise. Un tale avvenimento dette origine al proverbio di Catone : mullum interesi inter os et
ggiunsi io, com’è d’uopo, in su le spalle A me ti reca, e mi t’adatta al collo Acconciamente ; ch’io robusto e forte Sono
ezioso, comandò se ne fabbricassero altri undici perfettamente simili al primo ; e ne affidò la custodia a dodici sacerdot
ando si portavano i dodici ancilii in una festa che durava tre giorni al principio del mese di marzo, era proibito il cele
intraprendere alcuna cosa importante. 389. Anculo e Ancula. — Erano, al dire di Festo le deità tutelari dei servi e delle
vato fra le più illustri famiglie, taluno che avesse voluto immolarsi al bene comune. A tale risposte tutte le figliuole d
orati dal mostro Minotauro. 399. Androgini. — Popoli dell’Africa, che al dire di Plinio erano ermafroditi. Questa credenza
sebbene moglie di altri, fece innalzare in Epiro una magnifica tomba al defunto eroe. 401. Andromeda. — Figlia di Cefeo r
male, mostrandogli la testa di Medusa, e liberò Andromeda, rendendola al padre, il quale in riconoscenza dell’eroico atto,
, ove alcuni delfini, mandati da Nettuno, lo portarono sul dorso fino al palazzo d’Anfitrite, da cui riebbe l’anello di Mi
e, sensibili alla dolcissima melodia, si collocavano di per se stesse al loro posto. A lui ed a Zeto suo fratello, si attr
lebani, e li sconfisse con l’aiuto di Cometo figlio Pterelao loro re, al quale la figlia taglio un capello d’oro da cui di
e, ma avendo questi respinte le lascive voglie di lei, ella lo accusò al marito. …… d’Argo l’espulse Per cagione d’Autea,
lo accusò al marito. …… d’Argo l’espulse Per cagione d’Autea, sposa al tiranno, Furiosa costei ne disiava Segretamente l
nticlea — Figlia di Diocleo e madre di Ulisse. La favola racconta che al momento in cui Laerte stava per impalmaria, Sisif
lto pensar. sue rare Sublimi doti. ammirator tu padre. Sì, ne saresti al par di me ; tu stesso, Più assai di me, chi, sott
lla, e cara. Dicevi allor : qual ebbe, afflitta madre. Altro conforto al suo dolore Immenso ? Qual compagna nel piangere ?
oclamato con giuramento, che il novello ascritto era suo figlio. Sino al compimento di codesta formola i nuovi ascritti ve
stro, in figura di luna crescente. Allorquando i sacerdoti consacrati al culto del dio Api, scoprivano un toro che aveva s
e molto di rado, lasciandolo allora per poche ore in un prato attiguo al tempio ove dimorava il dio Apis, e permettendo in
el periodo degli anni che il bue dovea vivere, i sacerdoti consacrati al suo culto in gran pompa e con tutte le cerimonie
to Ippolito, Apollo uccise i Ciclopi che avevano fabqricato i fulmini al padre degli Dei, il quale sdegnato contro di lui
ea, Dafne e Clitia. Lo sparviero, il gallo e l’olivo erano consacrati al Apollo, perchè fra i mortali uomini e donne che e
nosa, e tessi e pendi. Appena quel velen sopra le sparse, Che tolse al corpo il grande, il duro e’ l greve : Con picciol
lanuginoso e breve : Un sottil piè venne ogni dito a farse, Che pende al retto resuplno, e leve ; Dal picciol corpo il lin
vano sino ai piedi : portava il capo coperto da un berretto frigio, e al collo un vezzo a cui erano attaccate medaglie rap
poeti denotavano talvolta Apollo. Più comunemente si dava questo nome al centauro Chirone, rappresentato nei segni dello Z
Arculo. — Dalle parole latine arx e arca, i Romani davano questo nome al dio destinato nel loro culto a presiedere alle pi
ridamo, Tifiso, Zeto etc. Gli Argonauti s’imbarcarono nella Tessaglia al capo di Magnesia, e dopo aver toccato l’isola di
o questo soprannome a Mercurio. In Acaia nella città di Tare, vi era, al dire di Pausania, una statua di Mercurio Argoreo,
volse Far sempre il nome suo splender nel cielo, E l’aurea sua corona al bel crin tolse ; Ed a farla immortal rivoltò il z
a parte il braccio sciolse Onde settentrion n’apporta il gelo ; Prese al ciel la corona il volo, e corse Ver dove Arturo f
volo, e corse Ver dove Arturo fa la guardia all’ Orse. L’aurea corona al ciel più ognor si spinge E di lume maggior sè ste
re un’ultima volta il liuto. I marinai aderirono alla sua richiesta e al suono dolcissimo un gran numero di delfini si riu
l cervello di Giove. 580. Armilustre o Armilustria. — Presso i Romani al 19 di ottobre al campo di Marte, si celebrava una
ve. 580. Armilustre o Armilustria. — Presso i Romani al 19 di ottobre al campo di Marte, si celebrava una festa militare n
a coloro che vi prendevano parte, giravano armati intorno alla piazza al suono degli strumenti. 581. Armilustria. — V. Arm
lei un truce fatto. La sua fatale bellezzà ispirò un incestuoso amore al padre, il quale ricusò ostinatamente di maritarla
quale secondo Igino fu fin dalla prima infanzia educata come un uomo al maneggio delle armi e a tutti gli esercizii del c
diere. I cronisti della mitologia raccontano che essa era così veloce al corso che nessuno potè raggiungerla mai se pure m
Che madre fosse, incontro gli si fece. Donzella all’armi, a l’abito, al sembiante Parea di Sparta, o quale in Tracia Arpa
do la favola, più orrendi mostri di questi spaventevoli uccelli. Essi al dire di Virgilio, avevano volto umano, ma pallido
doti che facevano i sacrifizi detti Ambarvali. Questi sacerdoti erano al numero di dodici, venivano scelti fra le più illu
rte Egregia prole ……. …… Eran di questi Trenta le navi che schierarsi al lido. Omero Iliade — Libro II trad. di Vinc. Mon
i Nettuno. Nell’antica letteratura si dà di sovente il nome di Ascreo al poeta Esiodo, perchè nativo di quella città. La f
e ricerche riuscirono vane, poichè Andromaca lo sottrasse con la fuga al pericolo, ricoverandosi col figlio in Epiro. 635.
una delle figliuole di Ettore la quale non potendo opporre resistenza al dio Marte che ne era innamorato, fu da lui resa m
favola li dipinge come dei Titani che avessero voluto dare la scalata al cielo, ma poscia si divisero fra loro, e alcuni p
considerato come un empio per aver dispregiato il culto di Diana fino al segno di mangiare della carne che era preparata p
tata dalla vista d’un serpente, essa si arrestò e fu questa occasione al loro riconoscimento. 680. Augia. — Re d’ Elide. E
ancora in vita, egli piombò improvvisamente su quel posto e ricevette al petto una mortale ferita dall’ombra di Aiace. Aut
sua estrema ricchezza e magnificenza. 716. Baal-Berit. — Dio innanzi al quale i Fenici ed i Cartaginesi davano il giurame
-Fegor, Bellegor o Belfegob. — Divinità dei Moabiti. La fornicazione, al dire della Bibbia, era consacrata a Baal-Fegor ch
gli abitatori di Babilonia, per la loro sfrenata libidine, che arrivò al suo maggior punto di corruttela, sotto la famosa
mato un toro, che nelle principali città dell’ Egitto, era consacrato al sole e adorato con particolare venerazione. Il pe
carsi di Semele, le consigliò, mentre questa era incinta, di chiedere al divino suo amante di mostrarsi a lei in tutto lo
e materne, e lo rinchiuse nella sua coscia diritta, ove lo tenne fino al termine dei nove mesi. L’infante che nel corpo e
zia, che cura n’ebbe, La qual, sebben di Gluno avea paura. Non mancò al nipotin di quel che debbe : Alle ninfe Niselde il
ui figli che nascevano da quelle. Quando i giganti dettero la scalata al cielo, Bacco, trasformato in leone, combattè cora
alata al cielo, Bacco, trasformato in leone, combattè coraggiosamente al fianco di suo padre e fu ritenuto dopo Giove come
itenendo come risposta dell’oracolo, l’interpetrazione corrispondente al segno ottenuto dal getto dei dadi. 743. Barbata. 
i celebravano in versi le azioni immortali degli eroi, e le cantavano al suono degli strumenti, e soprattutto della lira.
L’arbor vede ei che la sua donna asconde : E più ch’un mira e attende al fin che n’esce. Più vede che la selva abbonda e c
ire nella Bitinia. Sotto pretesto di dare dei pubblici giuochi, essi, al dire di Lucano, attiravano nelle foreste gran qua
massacro. Racconta Strabone che Amico, loro re, fu ucciso da Polluce, al quale in compagnia degli altri Argonanti, esso vo
767. Bellino. — Soprannome che gli antichi Galli dell’Alvernia davano al dio Beleno, ed a cui facevano i più grandi sacrif
nsibile. Antea punta da questa indifferenza, per vendicarsi lo accusò al marito come aver egli voluto attentare al suo ono
a, per vendicarsi lo accusò al marito come aver egli voluto attentare al suo onore. Preto, per non violare il diritto dell
olosa ricorda che la famosa Torre di Babele non avendo potuto servire al disegno di coloro che l’intrapresero, fu converti
abbellirono e l’arricchirono successivamente d’immensi tesori. Serse, al ritorno della funesta guerra di Grecia, lo demoli
principali divinità dei Sirii. Nella sacra Bibbia, si dà questo nome al principe dei demoni. Presso gli Accaroniti era ri
taccamento, per modo che, qualche giorno dopo, non vedendo nel tempio al posto usuale, le recise chiome della consorte, mo
le guance meste : Al volto antico quell’arca e quell’ombra. Quel velo al capo, al dosso quella veste Dà, ch’una vecchia ba
meste : Al volto antico quell’arca e quell’ombra. Quel velo al capo, al dosso quella veste Dà, ch’una vecchia balia oggi
mennone. 788. Bibesia ed Edesia. — Dee dei banchetti : una presiedeva al vino, l’altra alla gozzoviglia. La loro denominaz
e favolosa dice esser quella di Astrea, dea della giustizia, la quale al cominciare del secolo di ferro abbandonò la terra
gli onori eroici. Erodoto racconta che dovendo la madre loro recarsi al tempio di Giunone su di un carro tirato da buoi,
un carro tirato da buoi, questi animali tardarono ad essere condotti al giogo ; onde i due fratelli, per non fare aspetta
o essi stessi il carro per uno spazio di 45 stadii di terreno. Giunti al tempio, tutti gli astanti felicitarono quella mad
: La toglie in grembo, e volta a’Greci il tergo. E torna con la preda al patrio albergo. Ovidio. — Metamorfosi. — Libro V
endicare con la morte di Ettore (il cui cadavere egli trascinò legato al suo carro per tre volte intorno alle mura di Troi
vano fatto delle divinità. 847. Buono. — Si dava questo semplice nome al buon Genio, Dio dei bevitori, il quale per questa
sovente confuso con Bacco. In Grecia, sulla strada che da Tebe menava al monte Menalo, vi era un tempio a lui consacrato.
tati. Fu ucciso con suo figlio, e con tutti i suoi adepti, da Ercole, al quale egli preparava la stessa sorte. È generale
enne per se Coronide, ma Bacco, di cui ella era stata nutrice, ispirò al rapitore un tale accesso di rabbia, che questi si
lo, un sacerdote, un argonauta, ed un figlio di Pandione, re d’Atene, al quale venivano offerti dei sacrifizii come ad un
allina si può anche spiegare così : Fontana del cavallo Pegaso , che al dire degli scrittori più rinomati della Favola, e
ntracciarla e di non ritornare senza di lei. Cadmo, prima di ubbidire al comando paterno, consultò l’oracolo di Delfo, dal
ed un promontorio della penisola Italiana, dove essa morì, come pure al porto ed alla città che venne poi costruita in qu
per ingannarla la figura di Diana, ne ebbe un figlio per nome Arcaso, al quale, Calisto dette la luce in un bosco, avendol
aso in orsi : Quel si leggiadro e grazioso aspetto Che piacque tanto al gran rettor del cielo,. Divenne un fero e spavent
a. — Ossia divinità del matrimonio ; veniva invocata dalle giovanette al momento di compiere il rito nuziale. 916. Camena.
i. Il re Salomone, per compiacere ad una delle sue concubine, innalzò al Dio Camos un tempio. 925. Campagna delle lagrime.
ontro Ercole, quando questi uccise l’Idra di Lerna, e lo fece mordere al piede ; ma Ercole lo schiacciò con un colpo di cl
o il bue Api, fu notato che fra tutti gli animali che si avvicinarono al cadavere di quello, solo i cani si pascessero del
itenuti come sacri, i quali lasciavano che coloro che si avvicinavano al tempio con la dovuta reverenza, entrassero libera
938. Canente. — Conosciuta più comunemente sotto il nome di Canenza, al dire di Ovidio, ebbe questo nome dalla incomparab
di argento to, di ferro, di pietra o di legno, non potevano resistere al loro. Allora un sacerdote del Dio Canope, volle c
mi furono messe alle prese insieme. Si accese un gran fuoco, in mezzo al quale fu posta la statua di Canope, e con grande
l’animale che si sagrificava in generale a tutti gli Dei campestri e al Dio Fauno in particolare. 952. Caprotina. — Sopra
ivinità presiedeva alle parti nobili e vitali dell’uomo e soprattutto al cuore. Questa parola Carda deriva dal greco Καρδί
e stride e fuma, Qual se dentro l’incendio acqua si versi ; E sgorga al cielo un turbine di schiuma, E flotto incalza fio
a ed a presiederne tutte le cerimonie. 966. Cario. — Figlio di Giove, al quale veniva attribuita l’invenzione della musica
mestici. Ovidio, nei suoi Fasti, dice che veniva dato un gran pranzo, al quale non era ammessa alcuna persona straniera. 9
ominazione veniva designato uno dei quindici flamini di Roma, addetto al particolare servigio della Dea Carmenta. 975. Car
. 980. Caronte o Carone. — Figlio dell’Erebo e della Notte. Egli era, al dire di Virgilio, il navicellajo dell’Inferno, ch
del fiume Acheronte, per una moneta che esse erano obbligate a dargli al momento di prender posto nella sua barca. Questa
so, scelsero fra le più nobili famiglie duecento giovanetti destinati al sacrifizio ; e che ve ne furono più di trecento,
a soffocare le grida del fanciullo sacrificato, coloro che servivano al sacrificio, facessero grande strepito di tamburi
i flauti ; e che le madri stesse delle vittime, dovessero intervenire al sacrifizio e assistervi senza lamentarsi nè piang
l culto che gli si rendeva su due montagne di questo nome, una vicina al fiume Eufrate, l’altra nel basso Egitto. 987. Cas
n si prestò fede ai suoi detti. …. O Pizio, acerho Nume, Grave salma al mio tergo hai ben commessa ! Perchè dato m’ hai t
ed il sacco di Troja, essa toccò come preda di bottino ad Agamennone, al quale predisse che sua moglie Clitennestra lo avr
che Cassiope fosse messa fra gli astri. 989. Cassotide. — Era questo, al dire di Pausania, un altro dei nomi della fontana
o nella festa dei Tindaridi una tale memoria, facendo passare innanzi al tempio dei due fratelli un uomo montato su di un
di Opunto, veniva così chiamato il sovrano pontefice, che presiedeva al culto degli dei infernali e terrestri. 997. Catad
dificò una città. Quando il fratel la vede in tutto insana, Fuggendo al sangue proprio fare oltraggio. Lascia insieme la
certo modo il corso del sole nelle dodici ore del giorno : imperocchè al levarsi di questo l’aurora tinge il cielo d’un co
to l’aurora tinge il cielo d’un colore rossastro ; il secondo accenna al tempo nel quale i raggi solari sono più luminosi 
severamente proibito di toccarli e il principe della nazione insieme al sommo sacerdote, erano i soli a cui era concesso
ltra razza mostruosa. Il grido di richiamo dei Centauri rassomigliava al nitrito di un cavallo. Fra tutti il più famoso ed
morte perricondurre nel mondo la diletta Euridice, addormentò Cerbero al suono della sua lira dolcissima. Ercole alla sua
con tre teste, Per forza incatenollo Ercole, e prese, E strascinollo al nostro almo paese. Mentre quel mostro egli strasc
il padre di lei fu così irritato che la condusse in un bosco insieme al bambino e ve l’abbandonò per esservi divorata dal
incarico di allevare segretamente il figlio di lui, per nome Deifone, al quale ella porse il suo latte per renderlo immort
de di latte, simbolo parlante della fecondità della terra, sottoposta al lavoro dell’ agricoltura. È questa la idea più ge
cui sommità, secondochè dice Ovidio, v’era un piccolo vulcano intorno al quale si aggiravano gran numero di leoni ; sui fi
lia, la quale fu da Plutone cangiata in fontana, perchè volle opporsi al ratto di Proserpina. Da quel sorge non lunge un’
nte dai pagani che esse fossero movibili e che ingojassero i vascelli al loro passaggio. La tradizione favolosa ripete che
cati di naufragarsi ; per modo che gli Argonauti giunsero felicemente al loro destino. 1090. Clanippo. — Sacerdote di Sira
ra consagrato. I sacerdoti del suo culto l’onoravano danzando intorno al suo simulacro, contorcendosi in strana e sconcia
99. Cicogna. — Uccello ritenuto come simbolo della pieta, perchè essa al dire dei naturalisti, nudrisce il padre e la madr
opoli della Tracia : Ulisse, gettato da una tempesta sulle loro coste al suo ritorno da Troja, fece loro la guerra, li vin
sse di volare radendo la terra, e facesse dell’elemento più contrario al fuoco la sua abitazione. Cigno fu finalmente un f
tro di loro. 1119. Cinarada. — Dette anche Cinaredo, nome che si dava al gran sacerdote sagrificatore della Venere di Pafo
Figlio di Telefa e di Apollo. Egli addimesticò con gran cura un cervo al quale era estremamente affezionato. Un giorno per
ale morì per una caduta, mentre danzava nei misteri di Bacco, innanzi al simulacro di questo Dio, che lo cangiò in ellera.
Elide consacrato alle ninfe Jonidi. Le acque di questo fiume avevano al dire del citato scrittore, la virtù di guarire da
un albero. Anche Teseo si dipinge sovente armato d’una clava, perchè, al dire di Euripide, egli si armò di una grossissima
d’oro e di pietre preziose, lo nutrivano di certa quantità di carne, al qual cibo essi davano il nome di carni sacre. Qua
loro superstiziosa credenza riguardo a questi animali, guingeva fino al punto da credere che essi avevano un grande rispe
popoli, che l’anima della loro famosa regina Semiramide, fosse volata al cielo, sotto le sembianze di una colomba. Silvio
ta in Europa, allo stretto di Gibilterra, dando cosi la comunicazione al Mediterraneo con l’oceano. Sulle due montagne, Er
o di Vespasiano, non fu, per ordine di questo imperatore, ricollocato al suo posto. Verso la metà del settimo secolo, i mo
reca Κὠμος, che significa lusso, libertinaggio ; si dava codesto nome al dio della gozzoviglia, dei baccanali e dei festin
nori divini. 1234.Consedio. — Divinità che presso i Romani presiedeva al concepimento degli uomini : si dava comunemente c
isa, tirò dal grembo di lei un fanciullo e l’affidò per farlo educare al centauro Chirone, il quale lo nomò Esculapio. Apo
ccusò falsamente un giovane chiamato Prisso, di aver voluto attentare al suo pudore. Cretheo prestò fede all’accusa, e vol
r vendicarsi mandò nelle campagne della Frigia un mostruoso serpente, al quale ogni giorno bisognava dare una giovanetta p
ordine dell’indovino Calcante, la rapita giovanetta non fu restituita al padre. Agamennone, costretto a cederla, ritolse a
e da un mostro che poi dette la vita, secondo la tradizione favolosa, al cignale di Calidone. Teseo combattè quel mostro e
tà tutelare dei fanciulli poppanti. 1330. Cupavo. — Figlio di Cigno : al dire di Virgilio, fu anch’esso cangiato in questo
. — Detto anche Dauduque : era questo il nome che gli Ateniesi davano al gran sacerdote di Ercole. Si chiamavano anche Dad
fu anche il nome di un’altra ninfa delle montagne di Delfo, la quale, al dire di Pausania, fu scelta dalla dea Tello per p
dell’anno. Dal nome stesso delle feste, si dava il nome di Dafnefore, al giovine ministro di esse. 1344. Dafneo. — Soprann
decimo mese del loro anno. Con poca differenza di giorni, corrisponde al nostro mese di luglio. 1352. Damia. — Da un sacri
ora per togliere Danae alla conoscenza degli uomini, e sottrarsi così al fato che lo minacciava, Acrisio fece rinchiudere
nae, si leggiadra e bella, Che non donna mortal, ma vera dea Sembrava al viso, a’modi, e alla favella. Il padre per lo ben
onta che Gige, uno dei Titani, col solo passarsi uno di quegli anelli al dito si rendesse invisibile. 1365. Dauduque. — V.
a. 1369. Daunio. — Figlio di Pilumnio e di Danae. Egli ebbe un figlio al quale impose il suo stesso nome, e che poi sposò
erinto da essi costruito, per lasciarveli morire. Essi però pensarono al modo di sottrarsi con la fuga all’orribile e lent
, dopo aver fatto per sè altrettanto, ed aver raccomandato caldamente al figliuolo di non volare nè troppo basso, nè tropp
raggi del sole, non avessero liquefatta la cera. Il figliuolo promise al padre di seguire strettamente le sue istruzioni,
azio, il giovanetto dimenticò la paterna lezione e si avvicinò troppo al sole, per modo che i raggi liquefecero la cera e
opo, soffocato in una stufa, per ordine di Cocalo, re di quell’isola, al quale Minosse aveva fatto minaccia di dichiarazio
priva : Nè d’uopo gli è d’andar cercando altrove ; Che quivi appresso al re talmente è viva La fama delle sue stupende pro
sia dei delle piccole nazioni. Il numero di questi era estesissimo e, al dire di Tito Livio, non v’era angolo di Roma che
sero che degli uomini. La Deificazione non era propria esclusivamente al culto idolatra dei Greci e dei Romani ; ma la tra
ntre si lanciava un’aquila, la quale, volando in mezzo alle flamme ed al fumo s’innalzava nell’aria, quasi che l’anima del
erse, e Menelao dentro v’accolse, Cosi sperando un prezïoso dono Fare al marito, e del suoi falli antichi Riportar venia….
omato il nemico, l’eroe condusse con sè la bellissima sposa, e giunti al fiume Eveneo, il centauro Nesso andò loro incontr
’ebbe dal centauro. La cui virtù, per quel ch’ella ne sente, Può dare al morto amor, forza e restauro. Già molto prima ad
o asconde e vieta. Pioché la donna dal centauro intese. Che il sangue al morto amor potea dar forza. Perchè non fosse schi
ea dar forza. Perchè non fosse schiva all’occhio, prese Parer di dare al sangue un’altra scorza : E con vermigli fior tale
ta di pazzia, la scacciò con aspre maniere, e allora Demofila innanzi al re stesso gittò tre di quei volumi alle fiamme, p
un lurido vecchio, pallido e sfigurato, che insieme alla Eternità ed al Caos, dimorava nelle viscere della terra. L’alleg
giro per la città un grosso albero, che poi veniva piantato di contro al tempio di quelle divinità ; dalle parole greche Δ
reche Δειδρὀν, albero, e φορω, io porto si dava il nome di Dendrofore al portatore dell’albero. 1417. Dendroforo. — Si dav
ore dell’albero. 1417. Dendroforo. — Si dava anche codesto soprannome al dio Silvano, perchè era generale credenza degli a
ogica, per aver derubati ad Ercole, gli armenti che questi avea tolti al gigante Gerione. 1421. Despena. — Uno dei soprann
ul diamante. I ministri di questa cieca deità, erano le tre Parche, e al dire di Esiodo, la Notte era la madre di questo s
a tutta la casa in onore di questa divinità, onde renderla favorevole al neonato. 1426. Dediana. — Soprannome di Diana che
togliere i ceppi ai prigionieri e di condonare la pena ai condannati al supplizio delle verghe, tutte le volte ch’ei si t
e ad un editto del magistrato, per le quali dice, non esser costretti al giuramento nè le vergini di Vesta nè i sacerdoti
di rado il sacerdote di Giove è creato console, imperocché è commessa al consoli la guerra ; parlmenti non è mal lecito gi
è commessa al consoli la guerra ; parlmenti non è mal lecito giurare al Sacerdote di Giove ; ne è lecito servirsi dell’an
, e poi mandarto fuori, nella via. Non ha alcun nodo nè all’apice, nè al cinto, nè in altra parte : se alcuno condotto a b
Inno a Diana Trad. di D. Strocchi. La ninfa Calisto, che apparteneva al seguito di Diana fu scacciata ignominiosamente da
ere, che fosse conosciuto in quei tempi, era destinato esclusivamente al suo culto. 1432. Diania-turba. — Ossia turba, dra
se a che Didone coi suoi seguaci si stabilissero sulle terre soggette al suo comando, ma l’astuta principessa gli richiese
si mora ; e l’infedete Enea Abbia nel mio destino Un augurio funesto al suo cammino. Precipiti Cartago, Arda la reggira,
de alla ombra di Sicheo. …… colei che s’ancise amorosa. E ruppe fede al conet di Sicheo. Dante. — Inferno — Cant. V. 1
tro non essere stato che una vilissima ciurmeria di saltibanchi, più, al certo, che non fosse l’idea informatrice di un cu
. trad. di A. Caro. 1478. Dite. — Era uno dei soprannomi di Plutone, al quale si dava perchè era ritenuto come il dio del
e Rea avesse partorito Giove : da ciò si dava il soprannome di Ditteo al padre degli dei. 1481. Dittina. — Ninfa dell’isol
a rendevano gli oracoli divini. La tradizione mitologica, attribuisce al fatto seguente l’origine dell’oracolo di Dodona.
495. Domicio. — V. Domizio. 1496. Domiduca. — Divinità che s’invocava al momento di condurre la novella sposa nella casa d
rra la tradizione mitologica, che mentre Enea rendeva i funebri onori al corpo del padre Anchise, uscisse dal sepolcro un
furono detti per la stessa ragione Driantiadi. 1510. Driaso. — Oltre al padre di Licurgo. di cui qui sopra. V. Driantiade
no questo numero come di cattivo augurio, e perciò dedicato a Plutone al quale era anche sacro, per la stessa ragione, il
ve, vedendola bellissima, le assegnò il compito di servire il nettare al banchetto degli dei ; ma essendo un giorno caduta
ei ; ma essendo un giorno caduta in sconcia maniera, mentre attendeva al suo ufficio, Giove le tolse ii suo incarico e fec
de. E perchè ella era in abito succinta Nella zona contraria in tutto al geto, E di seta sottil varia e dipinta S’avea cop
enne presso di sè Ebe, assegnandole l’incarico di attaccare i cavalli al suo carro. La cronaca mitologica fa Ebe moglie d
e, per simboleggiare, sotto questo connubio, l’eterna gioventù, unita al vigore ed alla forza. Ebe vien rappresentata sott
i davano, nelle principali strade della città, un pubblico banchetto, al quale si credeva fermamente che Ecate assistesse
hè dimenticarono di chiamare Acheolo ad un sacrifizio di diec i tori, al quale avevano invitato tutti gli dei boscherecci
e sdegnato degli amori colpevoli della figlia, la fece legare assieme al neonato in un bosco, e l’abbandonò ad essere divo
ll’ecclissi lunare fossero le visite che Diana, ossia la luna, faceva al suo amante Endimione, nelle montagne della Caria.
amo. In un combattimento sotto le mura di Troia, egli fu ucciso unito al fratello Cromio, da Diomede. Due priamidi, Cromi
hio. A questi S’avventò Diomede ; e col furore Di lion che una mandra al bosco assalta E di giovenca o bue frange la nuca,
mente Ecuba di nasconderlo e di salvarlo da una certa morte ; ed ora, al gran cuore della decaduta regina, era una trafitt
ba abbandonò le rive di Troja, dopo aver reso splendidi onori funebri al figliuolo del figlio suo, e fu condotta presso Po
o del figlio suo, e fu condotta presso Polinnestore, re della Tracia, al quale il defunto re Priamo aveva affidato suo fig
ando a stento il suo furore, dimandò ed ottenne di parlare in segreto al re Polinnestore ; ed avendolo condotto in mezzo a
lo predette le stesse spaventevoli sciagure, che aveva già annunziate al suo vero padre, Edipo si esiliò volontariamente d
re ; ma che allora altro non fosse se non una piccola borgata, vicina al tempio di Diana, la quale fin da quel tempo era v
agani. La Città di Efeso fu egualmente celebre per aver dato i natali al pittore Parrasio, ed al filosofo Eraclito. Durant
fu egualmente celebre per aver dato i natali al pittore Parrasio, ed al filosofo Eraclito. Durante il terzo anno della se
Alessio se n’impadronirono i Turchi, i quali la tennero schiava fino al 1206, epoca in cui passò nuovamente sotto il domi
nuovamente sotto il dominio dei Greci, che ne restarono signori fino al 1283. Da quest’epoca la città di Efeso fu sempre
izione mitologica, restò tale per lo spazio di sette anni. Finalmente al cominciare dell’ottavo, Tiresia trovò altri due s
oro città la statua di Tiresia, che all’andare era vestito da uomo ed al ritorno da donna. Vedi Tiresia che mutò sembiant
ndici anni allorquando gli altri giganti tentarono di dara la scalata al cielo. Essi incatenarono Marte e lo tennero prigi
ea quasi persuaso Egeo a far morir di veleno il giovine straniero, ma al momento fatale, la vista della spada riaccese nel
rime del più profondo dolore vide partire il figlio suo dilettissimo, al quale raccomandò con le più calde preghiere di fa
geone o Briareo aveva avuto nella scalata che i Titani tentarono dare al cielo. 1577. Eger. — Nome di un gigante, famoso n
la solitudine, che profonde i tesori del raccoglimento altesmoforo ed al saggio, amico dello studio lungo e meditativo. Nu
i compivano le cerimonie di questi sagrifizii i sacerdoti, consacrati al culto del nume che si adorava, scavavano una foss
e mura interne del tempio, onde i fedeli avessero potuto santificarsi al contatto di quelle. 1582. Egida. — I poeti detl’a
tri della Libia, ai quali si dà propriamente il nome di Agipani e che al dire del citato scrittore, erano perfettamente si
e vene Scorre pur troppo il sangue tuo : d’infame Incesto il so, nato al delitto io sono : Nè ch’io ti veggia, a rimembrar
ualche tempo dopo, avendo Tieste abbandonato Pelopea, questa consegnò al figliuolo Egisto la spada del padre, e lo mandò a
sto in grande amicizia con Agammenone, re d’Argo e di Micene, questi, al momento di partire per l’assedio di Troja, affidò
mò due Satiri, Monatilo, e Cronide e con essi d’accordo, legò le mani al dormente con una catena di fiori, e gli unse il v
no, consultarono l’oracolo onde sapere chi avessero dovuto in nalzare al potere. L’oracolo rispose : che un’aquila avrebbe
e fa molto strepito : si dava cotesto soprannome a Bacco per alludere al gran rumore che si faceva nella celebrazione dei
o uno dei più interessanti nomi della mitologia, avuto anche riguardo al dubbio ed alla incertezza degli avvenimenti di cu
nza detta dell’Innocenza, nella quale le donne ballavano nude innanzi al simulacro della Dea. Il rapitore portò seco Elena
ri capi dell’esercito, s’impadronirono di Eleno con l’astuzia. Giunto al campo nemico egli predisse ai Greci che non avreb
o III trad. di A. Caro. Eleno regnò molti anni su quella contrada, e al momento della sua morte istituì erede il figlio d
sua morte istituì erede il figlio di Pirro, per nome Molosso, mentre al suo proprio figliuolo Cestrino, unica prole avuta
mennone e di Clitennestra e sorella di Oreste. … Elettra io son, che al sen ti stringo Fra le mie braccia…… …… Pilade, Or
or, non mento il nome. Al tuo furor, te riconobbi, Oreste : Al duolo, al pianto, all’ amor mio, conosci Elettra tu. Alfie
are dei diritti del matrimonio la servì come uno schiavo fedele, fino al giorno in che Oreste la dette in moglie a Pilade.
ardente voleva recarsi nel tempio di Diana onde mettervi il fuoco, ma al momento di compiere il suo fatale disegno, sentì
l bottino di guerra, condusse seco un immenso numero di vacche, tolte al nemico. Essendo Anfitrione andato ad inconirarlo,
ssi annettevano a questa parola la stessa significazione che i Latini al loro liber pater. 1634. Eleuto. — Dalla parola gr
te della navigazione. Fra gli Eliadi, che erano sette fratelli di cui al dire di Diodoro ecco i nomi : Macare, Atti, Ochim
litto, gli autori di esso fuggirono in diverse contrade per sottrarsi al castigo ; e Atti, traversando l’Egitto, vi edific
Eliopoli un superbo e splendidissimo tempio, esclusivamente dedicato al culto del Sole. In quel tempio era un oracolo i c
a, Dall’arboscel, dall’onda ; E chi sen fa monili, E chi ne intreccia al crin serti gentili. Pindaro — Ode II trad. di G.
di corona d’ellera, il poeta… Virgilio — Egloga VII. Me traggono al consorzio degli dei L’edere, premio delle dotte f
oriesi resi padroni della città di Corinto, essi appiccarono il fuoco al tempio di Minerva, fra le cui fiamme morì arsa la
i Elene. 1654. Elpa. — Figliuola del Ciclope Polifemo, Ulisse la rubò al padre, ma i Lestrigoni alleati, del famoso gigant
ubò al padre, ma i Lestrigoni alleati, del famoso gigante, la tolsero al rapitore, e la restituirono al padre. V. Polifemo
lleati, del famoso gigante, la tolsero al rapitore, e la restituirono al padre. V. Polifemo. 1655. Elpenore. — Fu uno dei
nzi a lui, con la bocca spalancata. Elpide, impaurito pensò sottrarsi al pericolo con la fuga, e si arrampicò su di un alb
ua sofferenza. In memoria di questo fatto, ed in rendimento di grazie al nume che Elpide aveva invocato nel suo pericolo,
ricco. 1657. Eleuro. — Nella mitologia Egiziana si dava cotesto nome al dio dei gatti. 1658. Emacuria. — Nel Peloponneso
ul luogo del supplizio, e quivi vedendo la sua amata Antigone sospesa al nodo che essa stessa aveva formato del suo velo,
ontro suo padre, e l’avrebbe ucciso, sè questi non si fosse sottratto al furore del figlio con la fuga. Allora Emone rivol
a fanciulla. …. e là nel fondo dello speco Lei veggiam d’un capestro al collo attorto Pendere, e lui fra sue braccia serr
anciandosi, sel figge Mezzo nel fianco, e con tremole braccia Stringe al petto la vergine, e versando In copia il sangue,
. — Presso i Cartaginesi venivano così denominati i sacerdoti addetti al servizio di alcune loro particolari divinità. 167
celado. — Il più formidabile fra i Titani che vollero dare la scalata al cielo. Era figlio del Tartaro e della Terra. Anch
tratto il fulminato gigante ritenta onde volgersi su i fianchi, e che al suo più piccolo movimento l’Etna vomiti dal suo c
avrebbe trascinato seco, e fece di tutto onde Elena fosse restituita al marito. Ma nei destini della Trojana gente era sc
guerrieri greci per nome Afareo ed Enomao. Poscia combattendo intorno al corpo di Sarpedonte Contra l’illustre Sarpedon…
rite e alla morte. Udito quel parlar, corse per mezzo Alla mischia e al fragor delle volanti Aste Nettuno, e glunto ove d
e, l’oracolo interrogato da Enea su quanto gli restava a fare, additò al principe trojano in modo forse più enigmatico ed
di tempo fatta sposare sua figlia Lavinia lo dichiarò suo successore al trono. Sola d’un sangue tal, d’un tanto regno Re
era stata promessa dal padre prima della venuta di Enea, mosse guerra al principe trojano, ma fu da questi vinto e ucciso
rteneva alla famiglia degli Eolidi. Fu figlio di Euride e di Portaone al quale successe nel governo della Calidonia, contr
o da Diomede. Egli però stanco delle cure del regno, e reso impotente al grave ufficio dalla vecchiezza, abbandonò il regg
ano nel tempio di Ercole una data misura di vino e facevano libazioni al nume e davano a bere ai circostanti. La parola En
le diverse virtù medicinali delle piante. Avvenne intanto che Paride, al tempo in cui era ridotto alla condizione di pasto
spingere, Virgilio — Eneide — Libro I. Trad. di A. Caro. Egli visse al tempo della guerra di Troja e regnò nelle isole V
zione, era galleggiante, cinta tutta all’intorno di un muro di rame e al di fuori di massi di roccia innaccessibili. Giun
innalzato agli onori eroici e si consacrò un tempio ad Ercole vicino al sepolcro di lui. 1705. Eoo. — Così si chiamava un
particolarmente si chiamava così il mobiliare ch il suocero regolava al genero. Questi doni venivano portati pubblicamen
re suoi figliuoli, proclamando che il vincitore gli sarebbe succeduto al trono. I fratelli Peone, Etolo ed Epeo, tennero l
. 1718. Epicasta. — La stessa che Giocasta, madre di Edipo, la quale, al dire di Omero si appiccò per disperazione appena
a peste. Forse per la stessa ragione, aveva Apollo un tempio dedicato al suo culto nel borgo di Bassa, ove veniva adorato
Dio, la quale però lungi dal sommergersi, fu spinta dalle onde vicino al promontorio di Malia sulle spiagge della Laconia.
Giove Epidote. Presso i greci veniva data questa stessa appellazione al sonno, ed in generale a tutti i genii benefici ch
cielo e sua sorella Gea, fu detta Rea ossia la terra. Con questi nomi al dire del cronista Sanconiatone, i greci denotavan
colarmente alla persona del re. 1734. Epimeni. — Presso gli Ateniesi, al ricadere di ogni novilunio, si celebravano dei sa
egli avea lasciato bambino di pochi anni, e che ritrovava vecchio, ed al quale Epimenide raccontò la sua storia. Ben prest
padre. 1746. Epitembia. — Una tale qualificazione si trovava aggiunta al nome di Venere sull’iscrizione del piedestallo de
to il titolo che si dava all’ultimo iniziato ai misteri di Eleusi, ed al quale solo era permesso di assistere alle più seg
are che la battaglia fosse decisiva, dette ordine ai suoi soldati che al momento di caricare avessero tolte le briglie ai
i che alla protezione della dea, dovesse Quinto la riportata vittoria al suo non comune ardire, ed alla bravura dei soldat
Ma gli Ateniesi presero le difese degli Eraclidi e uccisero Euristeo al momento in che si accingeva a cogliere il frutto
a in sè che riveli l’eroica grandezza ; e finalmente il mito relativo al famoso figliuolo di Alcmena, à una tinta particol
gli, accompagnato da un piccolo numero di soldati e di marinai, muove al famoso assedio. In ciò non v’è nulla che possa a
rà sempre in essa la figura di un qualche benefico eroe, appartenente al primo periodo della civilizzazione, il quale acce
rcole è il tipo perfetto di un eroe benefico che consacra la sua vita al bene dell’umanità ; e in pari tempo il più celebr
i. Il cerchio del suo pellegrinaggio non si estende, ciò non ostante, al di là della Grecia e dell’Asia minore. Giunone al
ale, che va ad abitare i regni di Plutone, s’innalza nell’Olimpo, ove al fianco di Ebe, dea della gioventù, sfolgora di un
Ercole fu privato, per gelosia di Giunone, del dritto di successione al trono del supposto suo padre : Giove non potendo
essione al trono del supposto suo padre : Giove non potendo rimediare al già fatto, si contentò di stabilire fin dall’infa
chi. Questa tradizione è per altro completamente assurda e contraria al buon senso, tutte le volte che non si voglia vede
l sonno in cui era immersa Giunone lo depose sul seno di lei. Giunone al suo svegliarsi strappò violentemente il fanciullo
iglio, e gli insegnò l’arte di condurre i destrieri. Il trar cavalli al cocchio giunti in corso. E alla meta piegar sicur
so. E alla meta piegar sicuri e illesi Gli assi di rota, insegnò pure al figlio Con dolce cura Anfitrion medesmo. Teocrit
li armenti ch’ei custodiva, una grande porzione dei quali apparteneva al re Testio, le cui cinquanta figlie furono tutte r
r loro tagliato il naso e le orecchie, li rimandò imponendo dicessero al loro re esser quello il tributo che i Tebani inte
della follia di Ercole. Secondo Euripide, il delirio non lo colpì che al suo ritorno dai regni infernali. Fu allora che eg
a risposta, avesse involato il sacro Tripode, e non lo avesse rimesso al suo posto che dietro un assoluto comando di Giove
o, mostro che desolava le campagne. Ercole lo combattè e l’uccise, ma al suo ritorno in città, Euristeo gli impose di rima
pervenne ad impadronirsi della cerva. Cerinitide, che egli raggiunse al corso, e che portò viva nella città di Micene. Do
ngolò fra le sue braccia V. Caco. …… Ei che nè fuga Aveva nè schermo al suo periglio altronde Da le sue fauci meraviglia
li mise nella sua barca e ritornato a Tartessia, offrit un olocausto al sole in ringraziamento del dono ricevutone. Passa
le, secondo cui Ercole, era già marito di Dejanira quando si presentò al combattimento di cui era premio la mano di Iole.
ella perdita di suo figlio, e si fosse in ultimo obbligato a rimanere al servigio di lui durante tre anni. Ercole si sotto
Ippocoone, Ercole si impadronì della città, di cui ritornò lo scettro al suo legittimo re Tintaro. Di là Ercole si rese a
ransitavano per quella città, onde innalzare coi loro cranî un tempio al nume suo padre. Ercole andò in seguito ad Ormenio
ui era re Amintore che egualmente Ercole uccise perchè si era opposto al suo passaggio per i suoi stati, quantunque Diodor
glio di Ceixo, ad Argio ed a Melaso suoi compagni, caduti combattendo al suo fianco, egli mise la città a sacco ed a fuoco
per assediare la città di O calia di cui si rende padrone. Abbordato al capo Cineo nell’Eubea, Ercole vi innalzò un altar
etamente dimenticata, asperse del filtro di Nesso la tunica che mandò al marito, ed attese l’esito dell’incantesimo. Ritor
che vi venisse appiccato il fuoco, obbedendo per tal modo all’oracolo al quale egli s’era rivolto nelle sue più crudeli so
culto dell’eroe fosse, presso i popoli Italici, interamente conforme al culto che a lui tributavano i popoli della Grecia
consuetudine derivava incontestabilmente dal culto dell’Ercole Tirio, al quale si offeriva una decima. È anche nella sola
sue armi sono un arco ed una clava. La testa e gli occhi, paragonati al resto del corpo sono piccoli ; i capelli corti e
ssorilievi trasmessa l’apoteosi d’Ercole, in cui lo si vede ascendere al cielò accompagnato da Minerva o da Mercurio con l
di Argo veniva dato lo stesso nome alle sacerdotesse che presiedevano al culto di quella dea. Esse godevano di tanta pubbl
perciò Eretria. 1769.Erea. — Gli antichi davano questa denominazione al giorno in cui si celebrava nella città di Corinto
delle loro montagne col nome di Erice, e tributarono gli onori divini al morto re atlefa. 1777. Ericina o Ericinia. — Sopr
che le vittime andavano senza esser guidate ad offrire il loro collo al coltello del Flamine sagrificatore ; che l’urna d
liuolo chiamato Pentilo. Dopo la morte di Oreste, Erigone si consacrò al servigio di Diana. La cronaca ricorda di un un’al
questa denominazione a quelle donne che furono cagione di grave danno al proprio paese. Lucano chiama Cleopatra l’Erinni d
nel tempio di Ercole, avessero accesso solamente le donne. In quanto al pescatore, la tradizione ripete che da quel momen
o di uno dei più splendidi episodii di un suo poema in cui fa predire al padre di Sesto Pompeo, la perdita della battaglia
e era perdutamente innammorata di Oreste, la condusse seco insultando al suo rivale : Così in Euripide ed Ovidio. Però que
notte sull’alto di una torre una fiaccola accesa che serviva di faro al giovine nuotatore. Sesto è città, cui da l’oppos
in su la deserta spiaggia, Vedi tu quella torre ? ivi una lampa Guida al fervido amante Ero appendea ; Mira lo stretto de
intorno accumulantesi, Pesto, infranto, già sente venir meno La forza al piede ; inetta alla fatica La man non regge, e la
l mar, se a comparir vedesse Lo sviato garzon. Spenta la face, Quando al piè de la torre estinto e guasto Dagli scogli il
o Dagli scogli il mirò, forte uno strido Disperata traendo, e intorno al petto Lacerando la vesta, in giù da l’alto Capovo
o, quindi andò a Delo poi a Samo e a Delfo, e finalmente fece ritorno al tempio dedicato ad Apollo Sminteo, dove mori. Ai
ausania si vedeva ancora il sepolero di Erofila, nel bosco consacrato al Tempo. 1813. Eromanzia. — Nome di una specie di d
orato, mentre ella usciva dal tempio di Minerva, la dimandò in moglie al padre. Sua sorella Aglaura ingelosita della sorte
muraglie. Questa maniera particolare di fabbricare le are, consacrate al re dei muni era soprattutto comune nelle case dei
a invisibile in quel luogo. Allora il gran sacerdote attaccava i buoi al carro coperto e lo seguiva, solo, a piedi, e con
one degli uomini. Allora si scopriva il carro ; e gli schiavi addetti al servizio della cerimonia, venivano gettati nel pr
hiamava anche Esaforo una specie di bara, su cui venivano trasportati al rogo i cadaveri dei ricchi. 1825. Eschinadi. — Co
gradita : Tu l’alma, se dal corpo si disserra. Tornar potrai di nuovo al corpo nuita. Tu sol saprai trar l’anima sotterra,
di nuovo al corpo nuita. Tu sol saprai trar l’anima sotterra, Donando al corpo si stupenda aita : Ma tì torrà da si mirand
, vedesse un serpente che essendoglisi avvicinato, si avvolse intorno al suo bastone. Esculapio lo uccise, ma all’istesso
momento un altro serpente con una certa erba nella bocca si avvicinò al morto compagno e lo richiamò alla vita stropiccia
nelle circostanze di Troja, insieme agli altri Argonauti, impietosito al tristo fato della regale giovanetta, spezzò di pr
regale giovanetta, spezzò di propria mano, le catene di lei e promise al re Laomedonte di ucdere il mostro. Il principe tr
a Laomedonte stesso, a patto però che gli avrebbe restituito il tutto al suo ritorno dalla Colchide. Compiuta la gloriosa
grificavano a questo dio non solo tutte le spoglie ed i cavalli tolti al nemico in battaglia, ma persino tutt’i prigionier
. Esone. — Figlio di Creteo re di Isico in Tessaglia. Egli succedette al padre ma fu da suo fratello Pelia, detronizzato e
dei dritti paterni. La tradizione narra che Giasone, divenuto adulto al suo ritorno dalla conquista del Vello d’oro, trov
de, che sua moglie pazza di dolore, si fosse appiccata, e che Giasone al suo ritorno avesse per onorare la memoria del pad
ronache mitologiche, che quando Giove sposò Giunone, questa regalasse al marito un albero di pomi che faceva le frutta di
ti onde renderli propizie ad una intrapresa, all esito di una guerra, al compimento di un qualche fatto importante che int
nginocchiato offeriva alle sdegnate divinità, pregandole di perdonare al suo misfatto. Si trova anche ripetuto in vari aut
nque due altari, l’uno a Giunone protettrice delle sorelle, e l’altro al Genio del paese ; offrirono su questo altare molt
redimevano gli eserciti dopo una guerra, e soprattutto le popolazioni al cessare di una pubblica calamità. Però è da notar
derivò la parola lustrare, nel significato di espiare, avuto riguardo al periodo di tempo che trascorreva tra una di quest
i Ciò si bevve il terreno ? Coro Allor tre volte Nove rami di ulivo al suol ponendo Con ambe mani, a supplicar le dive P
per un anno, ma compiuto il suo tempo egli ricusò di cedere il potere al fratello. Polinice allora, deluso nelle sue mire
l fratello. Polinice allora, deluso nelle sue mire ambiziose, e punto al vivo dalla mala fede fraterna, ricorse al suo suo
sue mire ambiziose, e punto al vivo dalla mala fede fraterna, ricorse al suo suocero Adrasto, re d’Argo, e ottenuto da lui
Eteocle fu anche il nome di un re Orcomeno, nella Beozia, il quale, al dire di Pausania, fu il primo ad innalzare un tem
e. Divenuto adulto, Etolo si ritirò presso i sacerdoti cureti e dette al loro paese il nome di Etolia. 1858. Etosea. — Nom
Manda spume la bocca, e sotto il torvo Ciglio lampeggia la pupilla : al moti Del pugnar, la celata orrendamente Si squass
Abbandonato dagli dei per avere disobbedito ad Apollo, Ettore giunto al cospetto di Achille, sentì, per un istante, vacil
o alla gola da un colpe mortale, Ettore cade, e Achille, fatto legare al suo carro il cadavere di lui, fa per tre volte il
estinto opra crudele Meditando, de’ piè gli fora i nervi Dal calcagno al tallone, ed un guinzaglio Insertovi bovino, al co
a i nervi Dal calcagno al tallone, ed un guinzaglio Insertovi bovino, al cocchio il lega. Andar lasciando strascinato a te
compassione per un valoroso che li aveva sempre onorati, inspirarono al vecchio re Priamo, di ridomandare al vincitore il
veva sempre onorati, inspirarono al vecchio re Priamo, di ridomandare al vincitore il corpo del figlio. Achille si lasciò
lla Fenicia, i quali lo condussero nell’isola d’Itaca, e lo venderono al re di quella contrada per nome Laerte padre di Ul
posata sull’istromento, supplì col suo canto con tanta aggiustatezza al difetto della corda, che Eunomo fu il vincitore n
rima a riconoscerlo quando egli ritorno un giorno ferito dalla caccia al cignale. Omero ripete che Laerte, padre di Ulisse
dilettissima, si ritrasse in luogo deserto, e pianse notte e giorno, al suono dolcissimo della sua lira, la perdita irrep
; attraversò le selve tenebrose ove regna eterna la notte, si accostò al tetro monarca delle ombre, e col suono della sua
della morte. Ma appena fatto breve cammino, Orfeo non seppe resistere al desiderio ardentissimo di rivedere le care sembia
racolo che faceva rivedere le anime dei morti, richiamandole per poco al contatto degli uomini. Fu là che Orfeo rivide la
la festa di Bacco, i funerali di Euripile, e portavano ricche offerte al dio chiuso nella cassa, a cui, secondo Pausania,
o loro una via più sicura e sgombera di scogli. Giasone regalò allora al tritone un tripode di rame ; e in conseguenza di
uale era adorata sotto questo nome. La sacerdotessa che veniva eletta al servigio di questo tempio, doveva esser stata mar
i suoi giorni. 1907. Eurito. — Uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. Ercole lo uccise con un colpo di ramo di q
crudele fra i ministri del tiranno Gerione. Ercole lo uccise insieme al suo spietato signore. Eurizione si chiamava anche
nato avidamente, e senza Modo e termine alcuno a molti nocque. Nocque al famoso Eurizion Centauro. Quando venne tra i Lapi
rimanevano a galla come avviene comunemente dell’ olio, e ciòperchè, al dire del citato scrittore, le acque dell’ Eurota
ritrasse nella città di Eleusina dove si rendevano gli onori funebri al morto re, e quivi, vestitasi degli abiti più ricc
ropri all’evocazione, i quali venivano nella maggior parte attribuiti al poeta Proclo ed a Orfeo stesso. In essi si conten
fo voto e prometto la decima parte. E te, o Giunone regina, la quale al presente abiti questa città, prego parimente, che
’armento fiore, Lor sacrificherei, di dono il rogo Riempiendo ; e che al sol Tiresia, e a parte. Immolerei nerissimo ariet
. Fabulino. — Dal latino Fari, favellare. I romani davano questo nome al dio della parola, il quale presiedeva all’ educaz
; ma sentendo poscia da Anite, che ella non faceva se non se ubbidire al comandamento del dio della medicina ; concepì qua
nostra madre antica, Per la ruina de’ giganti irata Contra i celesti. al mondo la produsse, D’Encelado e di Ceo minor sore
colui che dà la luce. Vi era anche un promontorio nell’isola di Chio, al quale si dava lo stesso nome, e di dove narra la
ponte ascese. Era a la prora a pena Che Giunon ruppe il fune, e diede al legno Per lo travolto mare impeto e fuga. Virgil
ttere nella destra della statua una moneta ; e finalmente avvicinarsi al simulacro di Mercurio, e mormorare all’orecchio d
nte si appendea un piccolo amuleto, a cui si dava il nome di fascino, al collo dei bambini. Le Vestali avevano il carico p
pollo ebbe da una delle ninfe oceanidi, chiamata Ociroe, un figliuolo al quale dette il nome di Faside. La cronaca mitolog
à di un avvenimento che nulla poteva impedire e che veniva attribuito al destino. I pagani accagionavano tutto alla fatali
ta ed immutabile la credenza che la caduta di Troja, andava collegata al compimento di alcune fatalità inesorabili, le qua
lmente questo il motivo per il quale morto Achille i greci condussero al famoso assedio il figliuolo di lui Pirro, sebbene
ezza, che i trojani custo livano con ogni solerzia. Bisognava inoltre al compimento dell’estremo fato di Troja, che i cava
hè fecero nelle mura della loro città una breccia che dette passaggio al famoso cavallo di legno. Finalmente il destino im
zione dei poeti ; ed altro non sono che una specie di parabole, sotto al cui velo trasparente e diafano, sono ravvolti i m
lui, lo dicono figliuolo di Pico re dei Latini, e lo fanno successore al trono di suo padre. Soventi volte nelle cronache
io — Eneide — Libro VII. Trad. di A. Caro. Tutto ciò che egli diceva al suo svegliarsi era ritenuto dai pagani come rivel
o contro i Feacidi, per aver essi portato nell’isola di Itaca un uomo al quale egli era avverso, risolvè di vendicarsi, e
appellazione ad Apollo come dio della Luce e forse per alludere anche al calore che emana dal Sole e che dà la vita a tutt
una donna vestita di una tunica succinta, che lasciava scoperto sino al ginocchio ; avendo nella destra un’anitra ed a fi
raio. Queste feste, accompagnate da sacrifizi ed offerte si facevano, al dire di Plinio, per rendere propizii gli dei infe
le purificazioni ; e Servio pretende che fosse lo stesso che Plutone, al quale venivano anche offerti dei sacrifizii Febru
l’antichità a Numa Pompilio, secondo re di Roma, il quale li costituì al numero di venti, scelti fra le più cospicue e nob
 — Vedi Fedelta’. 1975. Fedeltà — In latino fides, dea che presiedeva al giuramento delle promesse ed alla inviolabilità d
ma non riuscì che a renderla vieppiù ardente e tanto che non reggendo al fuoco che la divorava, decise di darsi la morte.
di passione, ebbe ricorso ad un infame rimedio onde salvare in faccia al mondo ed al marito, la sua riputazione. Narra la
ebbe ricorso ad un infame rimedio onde salvare in faccia al mondo ed al marito, la sua riputazione. Narra la cronaca che
lito, ella si uccideva per sottrarsi all’infamia, preferendo la morte al disonore. Una delle più antiche tradizioni della
gli ultimi tempi del regno di Tiberio, imperatore romano, del quale, al dire di Dione Cassio, fu ritenuta come presagio d
la quale abbandonò facilmente il vecchio padre, per darsi in braccio al giovane figliuolo. Amintore, cieco di libidinosa
mpagnò perfino all’assedio di Troja e fu uno degli ambasciatori, che, al dire di Omero, il quale chiama Fenice l’amico di
i Omero, il quale chiama Fenice l’amico di Giove. Primamente Fenice, al Sommo Giove Carissimo mortale……… Omero — Iliade 
a, che aveva il polo sulla testa e un cornucopia fra le mani. Da ciò, al dire di Pindaro, fu dato questo nome alla dea for
col terrore. Altri scrittori pretendono, che si desse questo epiteto al padre degli dei, perchè i vincitori delle battagl
Roma come capitale del Lazio. I magistrati delle principali provincie al numero di 47 si riunivano ai magistrati romani su
tanti vollero trasportare in altro luogo la statua della dea ; ma che al momento in cui si accingevano al trasporto, furon
o luogo la statua della dea ; ma che al momento in cui si accingevano al trasporto, furono visti gli alberi abbruciati cop
rese celebre per la sua famosa caduta, la cui origine si attribuisce al fatto seguente. Fetonte avendo avuto una contesa
gli non era, come se ne dava vanto, figliuolo del Sole. Fetonte punto al vivo dalle oltraggiose parole, se ne lamentò con
le oltraggiose parole, se ne lamentò con sua madre, e questa lo inviò al Sole, affinchè dal labbro di suo padre avesse int
dal labbro di suo padre avesse inteso la verità. Il giovanetto narrò al padre quanto gli era avvenuto, e lo supplicò a no
ttà ; e che facendola salire su di un carro, riuscirono a far credere al popolo, che la stessa dea conduceva Pisistrato al
irono a far credere al popolo, che la stessa dea conduceva Pisistrato al governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare
rato al governo di Atene. 1999. Fidio. — Nome particolare che si dava al dio della fedeltà, per il quale si prestava il gi
te ai giuochi olimpici, si lasciò cadere dal dorso della sua cavalla, al principio della corsa. Però l’animale come se fos
e se fosse stato sempre guidato, compi tutto il giro dello steccato ; al suono della tromba raddoppiò di velocità e avendo
e era sconosciuta, così per esempio, i giganti che dettero la scalata al cielo, i mostri etc. Sarà facile intendere come i
usania, dice che questo era il nome d’un cittadino di Delfo, il quale al tempo dell’insurrezione dei Galli sotto Brenno, a
vigi. L’eroe sdegnato contro la slealtà del re, lo uccise e pose File al governo del regno. 2009. Filemone. — V. Bauci. 20
che poi fu il famoso Chirone, Centauro. Il dolore però di aver posto al mondo un mostro, metà uomo e metà cavallo, la fer
ofoonte, re d’Atene, gettato da una tempesta sulle rive della Tracia, al suo ritorno in patria dall’assedio di Troja, fu a
; e coll’ andare degli anni fu nel medesimo luogo edificata una città al la quale si dette il nome di Amfipoli, conosciuta
versava su questa, appena ella ebbe partorito, l’avesse fatta insieme al neonato esporre sulla montagna detta Ostracina, n
di Fare. 2015. Filodoce. — Così aveva nome una ninfa che apparteneva al seguito di Cirene, madre di Aristea. Al suon del
onne di correre sole a traverso i campi, l’animosa giovanetta si recò al castello ov’era rinchiusa Filomena, la liberò, la
seco, e la rinchiuse nelle più segrete camere del suo palazzo insieme al piccolo Iti, figlio di Tereo e della sventuratiss
ne fece cuocere le membra, le quali la sera ella stessa fece ser vire al banchetto che il marito dava in occasione della f
Erimanto, pensando così di nascondere una colpa con un delitto. Però al dire del citato scrittore, il dio Marte preservò
rieri greci, giunse a Lemnos, e trionfò d’ogni ostacolo, riconducendo al campo greco Filottete colle sue fatate armi. Al d
ni di essa Filottete del tutto risanato da Esculapio della sua ferita al piede, pensò dapprima di ritornare in Grecia, ma
per liberarsene li accusò a Fineo dicendo che essi avevano attentato al pudore di lei. Fineo perdutamente innammorato del
ta, il cui prezioso frutto non era servito, prima di quella epoca che al banchetto degl’immortali. 2024. Flumi — Quasi tut
in tutto l’ Italia non vi erano che ben pochi templi, nei quali oltre al simulacro dei loro fiumi non vi fossero degli alt
e dei sacerdoti Flamini, i quali in questa occasione prendevano oltre al nome della divinità a cui erano consacrati. anche
ura, ed un di fiume intorno : Ed era il fiume il negro Flegetonte Ch’ al Tartaro con suono e con rapina L’onde seco traea,
er vendicare l’ingiuria fattagli da Apollo, avesse appiccato il fuoco al tempio di Delfo ; onde gli dei per punirlo lo pre
so dell’anno. Il tempio dell’ antica Flora sorgeva in Roma dirimpetto al Campidoglio e questa dea veniva rappresentato sot
che sotto il regno di Romolo furono istituiti questi giuochi, i quali al dire del cennato scrittore, furono soventi volte
i commettevano turpissime oscenità ed infami dissolutezze, riunendosi al suono di una tromba le pubbl che cortegiane e le
cortegiane e le meretrici più abbiette, le quali affatto nude davano al popolo il più abbominevole spettacolo. Narra la c
fra loro. Avvenne un giorno, che Foco giuocando con Telamone e Peleo al giuoco della piastrella, Telamone nel lanciare la
della piastrella, Telamone nel lanciare la sua, ferì così gravemente al capo il piccolo Foco che l’uccise sul colpo. Eaco
e della favola narrano di lui, che allorquando Ercole dette la caccia al famoso cinghiale di Erimanto, si fosse riposato n
vano per la via principale, che conduceva a Delfo, a battersi con lui al pugillato, e dopo averli vinti li faceva morire f
berando così quelle contrade. 2043. Forco. — Detto anche Forcide, era al dire di Esiodo, figliuolo della Terra e del Mare.
costume, di sacrificare alla terra un dato numero di vacche prossime al parto. Secondo le cronache, l’istituzione di ques
delle sfere Tal’ ella mostri, ch’ ove uscir si veda L’ eletto suolo, al suoi desir si ceda. Pindaro — Ode VIII trad. da
io dedicato alla Fortuna ; e gli abitanti di Smirne, dettero incarico al famoso statuario Bupalo, di lavorare per essi una
e sulla testa e tal’ altra con una mezza luna, per esprimere che essa al paro di questi due pianeti, regola e presiede a t
E vedrai d’ ogni intorno Liete e belle veuture Venir con aureo piede al tuo soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia
soggiorno : Allor vedrai, ch’ io sono Figlia di Giove, e che germana al Falo Sovra il trono immortale A lui mi siedo a la
dove veniva adorata sotto la denominazione di Dea Proenestina. Nerone al principio del suo regno, fece costruire in onore
V. Niobe. Allorquando la peste distrusse tanta parte del campo greco, al tempo dello assedio di Troja, si disse che Apollo
an passi : ed ei simile A fosca notte giù venia. Piantossi Delle navi al cospetto : indi uno strale Liberò dalla corda, ed
lebre Apelle con un fulmine nella destra, volendo così dimostrare che al suo potere nulla resisteva. Il fulmine di Giove v
ciascuno assegnando loro quei genitori che parve meglio convenissero al loro carattere ed alle funzioni a cui erano addet
, secondo che egli stesso asserisce. Tutti coloro che si presentavano al tribunale dell’ Areopago, dovevano prima di entra
di F. Bellotti. Generalmente venivano in tal modo effigiate intorno al trono di Plutone, in atto di attendere ansiosamen
one altamente sdegnata contro di lei, l’afferro pei capelli, la gettò al suolo e mentre ella cercava di liberarsi, la cang
omi han chiamata Via lattea. Dice Ovidio che per questa via si andava al palazzo di Giove ; ed era anche per questa, che g
epitoso, che soave ; E da lo stral d’ Amor piagato e punto, Col canto al dolce suon fa contrappunto. Ovidio — Metamorf :
ente che i sacerdoti galli rendevano i loro oracoli in versi. Da ciò, al dire di Plutarco, ne venne il grande disprezzo in
vvenire. Al dire del citato scrittore, codeste incantatrici vendevano al popolo dei filtri e delle medele, che avevano il
icinto, prima che questo periodo di tempo fosse passato. Oltre a ciò, al dire del citato scrittore, i sacerdoti galli, ave
cato uno, anche inavvertentemente. I sacerdoti galli erano sottoposti al comando di uno fra essi, a cui davano il nome di
i cui i Lari erano le divinità protettrici. Si dava il nome di Gallo al primo sacerdote di Cibele, il quale, secondo la t
tto la configurazione dell’ acquario, facendolo servire come coppiere al banchetto degli dei, e assegnandogli le funzioni
i Troja aveva un figlio chiamato Ganimede, o secondo altri, Genimede, al quale dette incarico di recarsi in Lidia, onde of
imede o Genimede era similmente il soprannome della dea Ebe, la quale al dire di Pausania, era adorata sotto questa denomi
— Gli egiziani ritenevano che allorquando i Titani dettero la scalata al cielo, la dea Diana si fosse cangiata in gatto, o
ata al cielo, la dea Diana si fosse cangiata in gatto, onde sottrarsi al furore degli assalitori.V. giganti. Da ciò ne ven
o Gemelli. — Il terzo fra i dodici segni sotto la cui configurazione, al dire del cronista Manilio, i pagani riconoscevano
iambattista Bianchi. 2097. Gemino. — Uno dei soprannomi che si dava al dio Giano, a causa delle due facce che gli veniva
ne che Plinio ci fa tenere nelle sue opere dell’antichità ; cioè, che al tempo del paganesimo, dovevano esistere più numi
iscono Plinio e Plutarco, si chiamava così quella dea, che presiedeva al parto. Era una specie di configurazione della Giu
neonati. 2103. Gennajo. — Questo mese era presso i pagani consacrato al Dio Giano, perchè a somiglianza di questa divinit
enza tempio. 2108. Geris o Geride. — Nome di una divinità pagana, che al dire di qualche autore, era la stessa che Cerere
tologia. 2109. Germani. — Antichissimi popoli della Germania, i quali al dire di Giulio Cesare nei suoi commentari, non av
ollo nella Lacedemonia, e che avevano la durata di tre giorni. Vicino al sepolcro del giovanetto Giacinto si vedeva una st
ar sempre in sua compagnia. Un giorno stabilirono di giuocare insieme al disco, e spogliatisi si unsero scambievolmente il
lle tante ninfe Nereidi. 2117. Gialemo. — I greci davano codesto nome al dio che presiedeva tutte le cerimonie funebri in
e ripete che Giano accogliesse amorevolmente Saturno, e lo associasse al suo regno. Da ciò la prima interpretazione data a
ista Blanchi. Gli venivano del paro attribuite due facce, alludendo al potere che egli aveva sul cielo e sulla terra ; r
si facevano dei sacrifizi, in cui gli veniva offerto del farro misto al sale, e del pane condito di mele. Moltiplici eran
ivio o Clusio. Quindi Giano mi chiamo, il quale allora Che col farro al sal misto, e pan melato Posto sull’ara il sacerdo
sacrati a Giano, indicanti ognuno un mese dell’anno ; ed ed ifificati al di là della porta Gianicola fuori le mura di Roma
d’assedio le mura di Roma, avevano già attaccata la porta che è sotto al monte Viminale, la quale i romani avevano ben chi
o fossero aperte in tempo di guerra, quasi a lasciare libero il passo al dio protettore di Roma, di venire novellamenle in
o. Fu uno dei Titani che mossero guerra a Giove, e dettero la scalata al cielo. Diodoro lo fa marito della ninfa Asia, e p
enuto adulto gl’insegnò le scienze, e sopratutto la medicina, ciò che al dire di vari scrittori, valse algiovanetto princi
la volontà di Pelia, tanto più che questi gli promise formalmente che al suo ritorno dalla gloriosa spedizione della Colch
gloriosa spedizione della Colchide, lo avrebbe pubblicamente assunto al trono di sua spettanza, e del quale gli avrebbe f
lla perigliora intrapresa di Giasone ; e tanto che giunse felicemente al Porto Pegaso, da cui fece partire la nave e con p
Il germano….. e sulla via ne lascia La spoglia palpitante… inciampo…. al padre. della valle — Medea — tragedia Atto I Sce
secondo le cronache dell’antichità : nella più perfetta concordia, ma al compiere di questo periodo di tempo, Giasone pone
ore, durante il regno di Saturno, questi ebbe da Anobret un figliuolo al quale pose il nome di Gehud, per essere unico. Av
questo Gehud favoloso ; e la bibblica figura del patriarca Abramo che al cenno di Jehova si accinge ad offrire in olocaust
nato che egli avesse col suono del suo flauto rotto il sonno di Argo, al momento istesso che Mercurio si accingeva a rapir
evano l’incarico di nudrire gli sparvieri consacrati ad Apollo, ossia al Sole. 2142. Gierococerici. — V. cerici. 2143. Gie
erdoti che scrivevano i geroglifici sacri, e ne davano la spiegazione al popolo ; come facevano di tutta la dottrina della
figli aspersa Che fatta fosse tiepida la Terra, È fama, e desse vita al caldo sangue : E che quello mutasse in corpi uman
tunque indarno, minacciosi e torvi Stender le braccia a noi, le teste al cielo. Concilio orrendo ; che ristretti insieme E
tronizzar Giove, lo assediarono fin nell’Olimpo, e dettero la scalata al cielo, imponendo sulla montagna chiamata Pelio, l
’oracolo, persuase a Giove di chiamare Ercole, onde avesse combattuto al suo fianco. Giove seguì il salutare consiglio che
Tizio, Graziano ed altri, ed il terribile Tifeo che valse egli solo, al dire di Omero a portar più terrore fra gl’immorta
in fuga, infin che asilo Stanchi trovaro nell’Egizio suolo, E presso al Nilo in sette rami sparto Che pur quivi il terrig
di uomini che si resero celebri per la loro gigantesca figura. Cosi, al dire di Virgilio, Turno re dei Rutoli, era di una
tagna, fu trovato un cadavere lungo quarantasei cubiti ; e finalmente al dire del cronista Solino, fu mostrato al proconso
ntasei cubiti ; e finalmente al dire del cronista Solino, fu mostrato al proconsole romano Metello, un gigantesco cadavere
i sconfisse, insieme a tutta la formidabile falange dei Giganti, essi al dire di vari scrittori e poeti rotolarono per nov
le squadre avverse : Nove giorni le venne in giù rotando E nel decimo al fondo le sommerse : Orribil fondo d’ogni luce mut
he essi altro non erano che tre impetuosi venti, e dà il nome di Gige al maggiore, dalla parola greca γογαιος che signific
uso nel corpo del cavallo lo smisurato cadavere di un uomo, che aveva al dito un anello d’oro, che Gige passò immediatamen
no della mano, egli diveniva invisibile ; mentre quando la pietra era al di fuori, rimaneva nello stato normale. Non appen
corto della strana prerogativa, peusò servirsene onde accostarsi sino al letto della regina, colla quale concertatosi si l
pensò interrogare novellamente l’oracolo, onde chiedergli se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo ri
oracolo, onde chiedergli se ci fosse al mondo uomo più felice di lui, al che l’oracolo rispose che un certo Aglao era assa
glio D’Edippo io moglie, e in un di Edippo madre, Inorridir di madre al nome io soglio ; Alfier — Polinice — Tragedia At
tti. Secondo Euripide invece, ella più forte del destino sopravvive al suo dolore ; resta in Tebe, dopo l’esilio di Edip
ensibili sembianze, anche gli oggetti inanimati, innalzandoli sovente al posto di una divinità, dette anche un’immagine pa
i sovente al posto di una divinità, dette anche un’immagine palpabile al Giorno, considerandolo in sè stesso, e senza rela
Finalmente il crepuscolo della sera veniva raffigurato identicamente al crepuscolo dell’aurora, ma senza la torcia, per a
Giapeto, Tifeo e gli altri mostruosi giganti, che dettero la scalata al cielo. Non uno ordi la Luna ordin di giorni Favo
i sovente a soffrire qualche danno, esposero questa loro osservazione al senato, affinchè ne venisse indagata la ragione.
omiglianza di tutti gli altri suoi figliuoli, se Rea, non avesse dato al marito, invece del pargoletto Giove, una pietra r
signore del mondo ; finchè i Giganti non tentarono di dare la scalata al cielo (V. GIGANTI). Essendo però riuscito, come v
e l’ impero dell’universo coi suoi fratelli, Nettuno e Plutone, dando al primo il regno delle acque, ed al secondo quello
fratelli, Nettuno e Plutone, dando al primo il regno delle acque, ed al secondo quello dell’ inferno. Sterminato è il num
parte entro bollenti Onde ammollisce, e l’ altra parte aggira Intorno al foco sottoposto. OVIDIO — Metamorf.. Libro I Fav.
DERICO. Fra gli alberi, l’ulivo e la quercia erano sacri a Giove ; e al dire di Cicerone le dame romane onoravano questo
e ai piedi un’aquila con le ali spiegate. La tradizione aggiunge che al muovere del suo capo divino, tremasse il mondo.
ande generalità degli scrittori, e cronisti della Favola, pure erano, al paro dei sopraccennati, assai in uso presso i pag
effetti dell’incivilimento onorarono di un culto quasi divino l’uomo al quale essi andavano debitore di un tanto bene ; e
simulacro aveva tre occhi, uno in mezzo alla fronte, e gli altri due al medesimo posto ove gli ànno le teste degli uomini
he eseguivano questa divinazione giravano con tanta celerità, intorno al cerchio tracciato, che finivano per cadere per te
one favolosa ripete, che questo giudizio sommario venendo pronunziato al momento istesso in cui avveniva la morte, aveva d
i, e sovente anche ad ingiustizie. Giove allora per mettere un argine al grave sconcio, creò i due suoi figliuoli, Eaco e
giogo, i greci davano codesto nome a Giunone, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giogo, che durante
ome a Giunone, come dea che presiedeva al matrimonio ; alludendo così al giogo, che durante la cerimonia nuziale, si mette
iuna — Conosciuta anche sotto l’appellazione di Giuna Torquata. Così, al dire di Tacito, avea nome una delle prime Vestali
doro — nel territorio dei Gnassi, sulle sponde del fiume Tereno, ove, al dire del citato scrittore, si vedeva ancora ai su
odo infrangibile t’avvinsi, E alla celeste volta con due gravi Incudi al piede penzolon t’appesi ? Fra l’atre nubi nell’im
ti del marito, con altrettanti oltraggi conjugali, dandosi in braccio al gigante Eurimedonte ed a molti altri. Nè paga a c
si eseguivano nel circo dedicato a Nettuno, e secondo altre opinioni, al Sole, dopo le consuete cerimonie religiose. I com
li v’invito Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, a la palestra, al cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari, ognun ne sp
o giuoco Propose, il giuoco della dura lotta, E de’premii fè mostra ; al vincitore Un tripode da fuoco, e a cui di dodici
de da fuoco, e a cui di dodici Tauri il valore dagli Achei si dava Ed al perdente una leggiadra uncella Quattro tauri esti
sopra ambedue si riversaro E lordarsi di polve. E già risurti Sariano al terzo paragon venuti, Se il figlio di Peleo levat
mio. Itene, e resti Agli altri Achivi libero l’aringo. Obbedir quelli al detto, e dalle membra Tersa la polve, ripigliar l
olvere levando. Avanzù gli altri Clitoneo, che, giunto Della carriera al fin, lasciolli indietro Quell’intervallo, che i g
lascian compulenti buoi, Se lo stesso noval fendano a un’ora. Succedè al corso l’ostinata lotta. Ed Eurialo prevalse. Il m
ti ; e che gli spergiuri venivano immediatamente puniti ; e tanto che al dire del cennato scrittore, vi sono state delle p
del cennato scrittore, vi sono state delle persone colpite di cecità, al momento stesso di uscire dal tempio, nel quale av
giustizia figlinola di Giove stava nel cielo sul carro del padre suo, al quale dimandava vendetta contro gli uomini, tutte
i coverse. Indi correndo Nel suo fiume gittossi, ove s’immerse Infino al fondo, e ne mandò gemendo In vece di sospir gorgo
ivano nelle loro lotte di una spada corta e larga ; specie di brando, al quale si dava il nome di gladius donde deriva la
gladiatore. Il popolo romano accorreva folto e numeroso ad assistero al combattimento dei gladiatori, e prendeva un crude
..Il fatal cinto Io le porgeva ; e l’inducca co’prieghi A farne prova al sen. Misera ! Ed ecco, Atrocissimo duol le membra
desiderio di cangiar natura ; per modo che si precipitò in mare ; ove al della tradizione, la dea Teti e l’Oceano lo miser
sciogliersi. Nella città di Antedone, vi era uno scoglio conosciuto, al dire di Pausania, sotto il nome di Salto di Glauc
-marino, fu quello che servi di scorta agli argonauti, quando mossero al conquisto del vello d’oro V. Argonauti. Ancora di
ere allora, sdegnata contro di Glauco, rese le cavalle di lui furiose al punto, che fecero in pezzi il loro padrone. Ma n
edone, soccorsero i Trojani nell’assedio della loro città. Suo padre, al dire di Omero, al momento della partenza lo avea
i Trojani nell’assedio della loro città. Suo padre, al dire di Omero, al momento della partenza lo avea caldamente esortat
iomede sfidato Glauco ad una singolare battaglia, essi si accingevano al combattimento, allorchè Diomede avendo saputo che
i bronze che Diomede gli avea dato, un’intera armatura d’oro, stimata al valore di cento buoi. Questo fatto dette, presso
el fameso Mida, re di Frigia, aveva un carro, il cui giogo era legato al timone per mezzo di un nodo di così intrigato e d
on lui, onde insegnargli la formola del sacrificio. Essa accondiscese al suo desiderio, e dopo qualche tempo Gordio la spo
dei figliuoli del re Priamo, e della bellissima Castianira, la quale, al dire di Omero, rassomigliava per la sua bellezza
mate Medusa, Steno, ed Euriala. Al dire di Esiodo, esse soggiornavano al di là dell’oceano, vicino alla dimora della Notte
tori dell’antichità, ripete che le gorgoni abitavano la Lidia, vicino al lago Tritonide, e che altro non erano se non donn
itenevano le Grazie come vergini ; sebbene Omero ne dà una per moglie al dio del Sonno ed un’altra a Vulcano. Un uso assai
spensatrici. 2202. Grazione. — Uno dei giganti che dettero la scalata al cielo. 2203. Grifone. — Uno dei tanti mostruosi a
Cryncus. 2205. Gru. — Presso i pagani questi uccell i erano ritenuti, al paro degli avvoltoi e delle aquile, come annunzia
esso gli arabi, ad una specie di dio preservatore, ch’essi invocavano al cominciare di un’impresa qualunque, e segnatament
rendere un viaggio. 2212. Hakem. — I popoli drusi davano codesto nome al loro dio incarnato. Hakem era presso quei popoli
. Hoang-Ti. — Nella tradizione favolosa dei cinesi, si dà questo nome al secondo successore del famoso Fo-Hi, fondatore de
quando mette la testa sotto le ali, assume una forma somigliantissima al cuore nmano. Finalmente in alcuni naturalisti ant
elope. 2229. Icaro. — Figlio di Dedalo, il quale si sottrasse insieme al padre suo, colla fuga dalle persecuzioni di Minos
n volare nè alto nè basso, ma a spingere il suo volo nè troppo vivino al sole, temendo che gl’infocati raggi di quello non
misurata nel mare, e vi restò miseramente annegato. Il sole il dorso al giovine percuote. E le composte cere abbrucia e f
e — V. Meleagro. 2239. Idi. — I romani davano questo nome particolare al giorno 13 e 15 d’ogni mese. Nelle loro credenze e
avvisato dell’arrivo del re, era corso con trasporto d’amore, a dare al padre diletto il bacio del ritorno. A lingua uman
di salire su di una piccola biga, di cui dette a guidare i destrieri al suo fedele amico Iolao, il quale gli servi da coc
ollo istesso avea conceduto il dono di predir l’avvenire, si presentò al re, promettendo di guarire le sue figliuole, alle
elle cronache mitologiche, come uno degli argonauti, e come vincitore al premio della corsa nei giuochi funebri, che Giaso
stesso, nelle sue Metamorfosi, ripete che ella era nata femmina e che al momento di contrar matrimonio cangiasse di sesso
Ligdo il quale aveva una moglie chiamata Feletusa. Vedendola prossima al parto le impose di uccidere la sua creatura se fo
la madre suggerì a Feletusa una pietosa astuzia, ed ella fece credere al marito che si fosse sgravata d’un maschio. La cos
fu figlia di Elena e di Teseo, e che quando la madre di lei fu tolta al suo primo rapitore, avesse nella città di Argo, d
a stessa la vittima innocente all’altare ed offrirne il seno denudato al flamine sacrificatore. Questi brandisce il ferro
o inopinato Spettacolo, che fede anco veduto Non otteneva. Palpitante al suolo Una cerva giacea di grande corpo E d’egregi
placare gli dei ; ma che i soldati greci si fossero opposti vivamente al disumano disegno, e che allora l’indovino Calcant
ne, che doveano sacrificarsi alla divinità del luogo, e di prepararle al sacrifizio ; mentre l’atto di ucciderie era desti
o solo quante volte l’altro si fosse legato con giuramento di portare al fratello Oreste una lettera. A questo nome succed
nella sinistra, e con uno scettro nella destra e avendo attoreigliato al braccio un grosso serpente che ripiegandosele sul
pagani credevano che Ilizia, a somiglianza di sua madre, presiedesse al doloroso mistero dello sgravo. Durante i dolori d
stati da Ercole, accolse benignamente il figlio di lui, riconoscente al beneficio che avea ricevuto dal morto eroe. Ma l’
ia dove giunti dopo aver sbarcato la loro preda si dettero in braccio al riposo. Imeneo allora profittando del sonno dei r
riferisce a proposito di lui, che avendo fatto scavare un nuovo letto al fiume Anfileo, cangiò questo col pr oprio nome. A
o per tre notti di seguito, all’indomani del terzo giorno si presentò al tribunale dell’Areopago, e svelò il sogno ; e ave
rtura, questi confessò il delitto e restituì la tazza, che fu rimessa al suo posto. Da questo fatto Ercole ebbe il soprann
llettivamente il nome d’Indovini. Riserbandoci a parlare partitamente al vocabolo Teurgia, di quanto concerne la divinazio
qualunque divinazione, gl’indovini eran chiamati sempre ad assistere al sacrifizio, onde leggere l’avvenire nelle viscere
onte, che traversò sulla barca di Caronte, la quale la lasciò innanzi al trono di Plutone, custodita da Cerbero. Secondo r
Con la debil Vecchiezza. Evvi la Tema, Evvi la Fame : una ch’è freno al bene, L’altra stimolo al male ; orrendi tutti E s
Evvi la Tema, Evvi la Fame : una ch’è freno al bene, L’altra stimolo al male ; orrendi tutti E spaventosi aspetti. Havvi
sangue mai sempre il volto intriso. Nel mezzo erge le braccia annose al cielo Un olmo opaco e grande, ove si dice Che s’a
a codesto nome ai misteri di Cerere, perchè bisognava essere iniziato al culto di quella dea per assistervi. 2286. Ino. — 
per diritto di primogenitura, sarebbe a questi spettato di succedere al trono del padre loro, a detrimento dei propri fig
Elle e Frisso. Questi però si sottrassero, con una precipitosa fuga, al destino che era loro riserbato ; ma, Elle morì ne
nseguita sempre dal furibondo marito, si precipitò nelle onde insieme al figliuolo. Ovidio favoleggia diversamente codesta
cronache dell’antichità, la risposta che il guerriero Annibale, dette al re Prusia, il quale si ricusava a combattere, ass
e, presterete più fede agli intestini d’un bue, che all’ esperienza e al parere d’un vecchio generale ?… » 2289. Inverno.
spetti e disgombrò la nuvola. Giove allora per sottrarre la sua amata al furore della moglie, cangiò lo in una giovenca.
avendole Giove risposte che l’avea prodotta la terra, Giunone chiese al marito di donarle quella giovenca. Giove suo malg
nell’Illino, donde traversando il monte Emo calò nella Tracia. Giunta al golfo che porta lo stesso nome, lo passò come il
o evvi Canopo Città posta alla foce ed alle dune Del Nil vicina : ivi al primiero stato Giove ti tornerà, con amorosa Man
e riguardava come atei tutti coloro che la negavano. Cicerone stesso, al quale fra tutti gli altri autori dell’ antichità,
che egli stesso nella notte anniversaria della sua nascita, ballasse, al suono della sua lira, come a rallegrarsi degli on
lorchè gli dei sdegnati contro di lui, gli suscitarono contro Pelope, al quale concessero, per la disfida, quattro immorta
ece legare le code dei loro cavalli, le une alle altre, per modo che, al momento della battaglia la cavalleria nemica fu q
rò a Fedra, madrigna di lui una violenta passione d’amore, che crebbe al punto che la misera regina ebbra d’amore, fece da
misera regina ebbra d’amore, fece dalla sua nutrice offrire sè stessa al bellissimo giovane, pel quale era pazza di passio
ta, giurò di vendicarsi, e temendo che Ippolito non l’avesse accusata al proprio consorte, pensò di prevenirlo, e lo incol
oi pur molto terrore, Bonde ciò, non sapendo. Indi rivolio Lo sguardo al mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto al ciel s’
do. Indi rivolio Lo sguardo al mar, vedemmo un’onda enorme. Che tanto al ciel s’alzava, che la vista Delle Scironie rupi n
sasso, Poi più e più gontiandosi, e shuffando Multa schiuma dintorno, al lido lende. Alla mira del cocchio, e giunge, ed e
ed ecco Dal tempestoso immane grembo crutta Portentoso un gran tauro, al cui muggito Tutta ripiena spaventosamente Rimuggh
ito intraprese il viaggio, e montato sul suo carro, mosse, obbediente al volere paterno, senonchè, intese al suo passaggio
sul suo carro, mosse, obbediente al volere paterno, senonchè, intese al suo passaggio vociferare ripetute volte l’infame
cione. Ippotoo regnò nella contrada di Eleusi, della quale fu assunto al governo dopo che Teseo ebbe ucciso Cercione. 2320
nte Isifile, e l’ Alighieri fra questi, V. Giasone) fu assunta regina al governo dell’isola, che tenne per qualche tempo p
ando gli Argonauti, capitanati da Giasone, mossero verso la Colchide, al conquisto del famoso vello d’ oro, Ipsipile accol
r calmare la disgraziata giovanetta le giurò, come ella chiedeva, che al ritorno della gloriosa spedizione sarebbe, prima
de mostrare ad alcuni forestieri il cammino che essi aveano smarrito, al suo ritorno trovò il bambino strangolato da una s
uola detta Ge ; nomi questi che significano il Cielo e la Terra e che al dire del citato scrittore, i greci dettero alle l
, sulle gocce d’acqua contenute dalle nuvole situate in linea opposta al pianeta maggiore ; e le si attribuiva, secondo Es
. Narra la cronaca mitologica a cui si attiene il cronista Igino, che al tempo in cui Nettuno, Giove e Mercurio viaggiavan
curio viaggiavano sulla terra, fossero accolti benignamente da Irieo, al quale i tre numi promisero di concedere qualunque
o Ermete dei greci. I sacerdoti e le sacerdotesse che si consacravano al culto religioso d’ Irminsul, venivano scelti fra
la sua grande povertà, da cui i suoi concittadini trassero argomento al proverbio : Più povero d’Iro. Il suo vero nome er
a essere combattuta alla presenza di Telemaco e di altri principi ; e al primo assalto, se pure il famoso guerriero greco
sestò un tale colpo ad Iro, che gli fracassò una mascella, e lo stese al suolo coperto di sangue. 2330. Irpie. — Famiglie
al suolo coperto di sangue. 2330. Irpie. — Famiglie romane, le quali, al dire di Plinio, avevano la strana prerogativa di
ll’ucciso perseguitando il tiranno Tifone, e poscia si consacrò tutta al benessere dei suoi sudditi governando l’Egitto fi
ata. Da ciò le due parole greche παρα λοιδος che significano : vivino al tempio d’ Iside. 2336. Isle. — Famose feste e cer
smeno. V. Melia. Per altro Plutarco, il geografo, dà un altra origine al cangiamento di nome di quel fiume. V. l’ articolo
ricevere una dote, come è uso dei moderni, dovea fare ricchi donativi al padre ed alla madre della sposa, prima e dopo il
Sollecitato più volte dal padre della sua futura sposa, di adempiere al suo dovere, Issione lo traccheggiò sempre con bel
i Issione che pascevano nelle campagne della Tessaglia. Issione punto al vivo da questa abusiva maniera di procedere, sebb
Colà giunto vi fu ricevuto con splendida magnificenza, ma nel recarsi al luogo ov’ era imbandita la mensa, avendo Issione
more. Sdegnata la severa Giunone contro tanta audacia, accusò Issione al consorte ; ma Giove considerandolo come un insens
e l’ immortale suo talamo. Sebbene a malincuore, Giunone accondiscese al volere di Giove e questi allora formò di una nuvo
uota circondata d’innumeri serpenti e che doveva girare eternamente ; al dire di Ovidio una sola volta Issione fu slegato
resa per questa ragione, celebre nella sua immortale Odissea. Itaca al polo si rivolge, e meno Dal continente fugge : as
rogne, fu ucciso dalla propria madre e presentato in orrido banchetto al suo genitore per atroce vendetta — V. Filomena e
cui attribuivano molta segreta virtu e che generalmente si appendeva al collo dei fanciulli e delle vestali, le quali con
giganti che Giove fulminò per aver dato coi suoi compagni la scalata al cielo. V. Giapeto. Ivi Giapeto si rivolve e Ceo
lesti assalse. Monti La Musogonia — Canto. 2366. Jarba. — Lo stesso al quale si dà, da quasi tutti gli scrittori, il nom
sorabile persecutore della stirpe d’ Ercole. Però non potendo reggere al peso delle armi, troppo grave alle sue membra aff
da quell’eroe ucciso in un accesso di furore, a cui egli soggiacque, al suo ritorno dall’ inferno. 2370. Jolco. — Patria
cole, avendo suscitata la gelosia di Deianira. V. Ercole. ……. Ercole al padre Per furtiva consorte la richiese ; Ma indar
la richiese ; Ma indarno : ond’ egli di mentita accusa Fatto pretesto al suo voler, con l’armi Ecalia assale, ove sedea re
o ; ma per quel santo istinto della maternità, che parla potentemente al cuore più indurito, rinchiuse il neonato in un pa
e dalla quale avrebbe potuto infatti avere un figliuolo. Non reggendo al consolante pensiero di conoscere quest’ essere ca
vino di quella coppa, ne fece offerta agli dei, spargendo il liquore al suolo. Il tentato delitto sarebbe così rimasto ne
do bagnato il becco nel vino sparso dalla coppa, cadde come fulminato al suolo, ucciso dal terribile veleno. Spaventati gl
i di Jone erano sul punto di avanzarsi contro di lei, per trascinarla al supplizio, quando la sacerdotessa mandata da Apol
ere nelle mani, che era quello stesso, in cui l’avea riposto la madre al momento d’abbandonare Jone. A quella vista, Creus
i Erettidi, non palesando a Xuto la verità del fatto, e non togliendo al buon re l’illusione d’un errore tanto soave al su
fatto, e non togliendo al buon re l’illusione d’un errore tanto soave al suo cuore paterno. La gran maggioranza degli stor
Eleusio. Ella prese parte ai famosi onori funebri che i greci resero al figliuolo suo. V. Trittolemo. 2376. Jopa. — Re di
a. 2381. Kama. — Detto anche Kamadeva. Gli Indiani davano questo nome al loro Cupido, dio dell’ amore. Veniva rappresentat
po. 2383. Kang-l o Cang-v. — Nella mitologia cinese si dà questo nome al dio dei cieli inferiori, il quale ha diritto asso
lla nascita degli uomini, all’ agricoltura ed alla guerra : Zui-Kuan, al mare ed alle navi : e finalmente Tan-Kuan alle pr
ologico del Giappone, detto con vocabolo particolare Buddaismo, si dà al dio delle acque e dei pesci. Egli viene riguardat
a gola spalancata di un enorme pesce. Questa statua ha 4 braccia, due al diritto, e due al sinistro lato ; delle quali per
di un enorme pesce. Questa statua ha 4 braccia, due al diritto, e due al sinistro lato ; delle quali però, una destra ed u
o. 2386. Kaor-Buk. — Gli abitanti del regno di Asem dànno questo nome al dio dei quattro venti. I sacerdoti che in Africa
egl’infermi che essi non han potuto guarire, e questi debbono offrire al dio quattro uccelli, prima di esporre la malattia
i che, provenienti dalla Spagna, si resero celebri nell’Irlanda, fino al punto di essere innalzati agl’onori immortali del
Buddisti. 2389. Kekki. — Nella Lapponia si dava questa denominazione al dio protettore della agricoltura. I popoli Careli
rù. — Nel culto religioso degl’ indiani, è questa la dea che presiede al giorno in cui succede il novilunio. Kurù è una de
iglia dal gran Cairo. Vi sono alcuni cronisti, i quali attribuiscono al re Kopto la costruzione della sola piramide grand
stesso che nessun figlio maschio della giovine regina avrebbe vissuto al di là di un giorno solo. Infatti per ben sette vo
gitto, e quello di Grecia nell’isola di Creta ; sebbene quest’ultimo, al dire di Plinio lo storico, non fosse che la cente
e sei quello del settentrione, mentre una stessa muraglia le circonda al di fuori. Oltre a queste immense sale, il laberin
buti indicativi del sommo Giove, è attribuito, secondo la tradizione, al fatto seguente. Allorquando Ercole ebbe vinta Ipp
la legò ai re di Lidia, i quali la portarono invece di scettro, fino al tempo in cui Candaule, ultimo re di quella contra
n promontorio del golfo di Taranto, nella penisola Italiana, sorgeva, al dire di Tito Livio, un tempio consacrato alla dea
un editto, col quale comandava che le tegole di marmo fossero rimesse al loro posto. Ma la superstizione non si arrestò a
vesse eseguito il suo comando. Annibale allora, prestand o piena fede al sogno, ordinò che dell’ oro che si era cavato dal
. l’ articolo precedente. 2406. Lacio. — Uno degli eroi dell’ Attica, al quale, quando morì, fu consacrato, in memoria del
i servì il dio Pane per costruire il suo famoso flauto a sette canne, al quale dette il nome di Siringa, in memoria forse
fero, porto, venivano così chiamate alcune pubbliche feste, celebrate al tempo dei Tolomei, nella città di Alessandria. Er
à di Alessandria. Erano così dette perchè coloro che prendevano parte al banchetto della cena, erano adagiati sopra letti
ighieri, nel 18° Canto del suo Inferno, denomina Taida. Ella richiese al famoso Demostene, diecimila dramme per una notte
lla cronaca pagana, sotto il nome di Ilaria, che fu rapita da Castore al momento che dovea sposare Linceo. V. Castore e Po
rometee, le terze. In tutte queste tre feste si celebravano i giuochi al lume delle lampadi. 2421. Lampadoforo. — Nome par
r pastori Faetusa e Lampezie il crin ricciute Che partori d’ Iperione al figlio, Ninfe leggiadre, la immortal Neera. Omer
ampezie, e si cibarono di quella carne. La ninfa portò querela di ciò al suo immortale genitore, e questi a Giove, il qual
tentando La candida Lampezie. da improvvisa Radice si senti confitta al suolo. Ovidio — Metamorf. — Libro II Fav. II e I
di uno dei cavalli del sole, e propriamente di quello che presiedeva al mezzogiorno, ora in cui il Sole rifulge in tutto
Bacco. Venivano così dette, perchè le cerimonie si compivano di notte al chiarore delle lampadi. 2427. Lancia. — Secondo r
ro dio della guerra sotto la figura di una lancia, prima di aver dato al simulacro delle loro divinità, la figura umana. Q
dere i suoi concittadini ad opporsi a che il cavallo fosse introdotto al di là delle mura, e fu in questa occasione che eg
tto, e due nel collo Gli racchiusero il fiato, e le bocche alte Entro al suo capo fieramente infisse Gli addentarono il te
glio di Laodamia, la uccise a colpi di frecce. Partorì poi la moglie al virtuosq Bellerofonte tre figliuoli, Isandro E Ip
Bellerofonte tre figliuoli, Isandro E Ippoloco, ed alfin Laodamia Che al gran Giove soggiacque, e padre il fece Del bellic
mmagine del suo sposo ; e per farsi una dolce illusione, sempre soave al suo cuore innamorato, fece mettere nel proprio le
vellare con lo sposo adorato ; e pianse tanto amaramente nel chiadere al cielo codesta grazia, che gli dei impietositi gli
che insieme a sua sorella Nereide, riuseì per poco tempo a sottrarsi al furore degli Epiroti, i quali in una rivoluzione
n giorno spogliata della clamide reale e del supremo poteretanto caro al suo cuore ambizioso. Ma ben presto il popolo, cie
, se non quando la stessa figliuola del re Laomedonte venisse esposta al mostro per esser divorata. Laomedonte allora, pie
quello stesso che fu abbattuto dai Troiani medesimi per dar passaggio al famoso cavallo troiano. V. Fatalita’ Di Troia. 24
i la bella Sua faccia avrà mostrata, ed avrà ceduto Tre volte il loco al Sol, vinta ogni stella ; Il rito antico a noi sar
esser nocivo. Ordinariamente i pagani mettevano i loro Penati intorno al focolare, e spesso anche dietro l’uscio da via. Q
gli schiavi ricevevano la libertà appendevano le loro catene accanto al focolare, consacrandole in segno di riconoscenza
se dei ricchi v’era un servo o uno schiavo, destinato particolarmente al servizio degli dei Penati. Grandissima era la ven
ssi venivano onorati sotto il nome collettivo di Grundiles, alludendo al grugnito proprio dei maiali, in memoria della scr
i principi della Grecia. Egli aspirò insieme a diversi altri sovrani, al possesso d’ Ippodamia, e morì ucciso da Enomao. 2
ò, secondo asserisce il cronista Arnobio, fu dato il nome di Laterano al dio dei focolari 2447. Latino. — Figlio di Fauno
come protettrice delle partorienti e si credeva che presiedesse anche al parto degli animali. A completare le notizie che
ttevano in questa occasione. 2453. Laverna. — Dea dei ladri, i quali, al dire di Orazio, la invocavano onde essa coprisse
trad. di A. Caro. Ma gli dei con presagi e sogni si opposero sempre al compimento delle nozze desiderate. Finalmente uno
izione ripete, che offerendo Lavinia un giorno un sacrifizio, insieme al re suo padre, improvvisamente, la flamma di cui e
be uno splendidissimo destino, il quale pero sarebbe riuscito funesto al suo popolo, che per cagione di lei avrebbe avuto
a si ritrasse a vivere solitaria e raminga nel fondo di un bosco, ove al dire delle cronache, ella partorì un figliuolo, a
Ascanio fu costretto a ricercare della matrigna e a cedere ad essa ed al figliuolo Silvio il governo della città di Lavini
o dai cartaginesi che non avessero più sacrificato i propri figliuoli al loro dio Saturno. 2459. Laziar. — Nome proprio de
esta Laziar, il cui periodo fu, da principio, di un giorno solo : poi al tempo dei primi consoli, la cerimonia Laziar ebbe
a sotto il nome di Leona. Fu una famosa cortigiana d’ Atene, la quale al tempo che la sua patria gemeva sotto il ferreo gi
, posta in carcere con altri, sospetti di congiura, temendo di cedere al dolore dei tormenti, si troncò coi denti la lingu
lore dei tormenti, si troncò coi denti la lingua, e la sputò in volto al carnefice, intento a martoriare il suo bellissimo
o era stato formato da Vulcano, che ne fece un dono a Giove, il quale al tempo dei suoi amori con Europa lo regalò alla su
e, col quale passato qualche tempo sostenne una triplice sfida, prima al giuoco del disco ; poi a chi fra i due avesse att
5. Lerna. — Antichissimo lago nel territorio di Argo, il cui circuito al dire di Pausania era di un terzo di stadio, misur
oichè di mill’ anni Han volto il giro, alfin son qui chiamate Di Lete al fiume, o’ n quella riva fanno Qual tu vedi colà,
i A. Caro Lete era similmente il nome di uno stagno paludoso vicino al lago Cherone in Egitto ; il cui nome si dice in g
tto l’appellazione di Lete, che metteva foce nel Mediterraneo, vicino al capo delle sirti, e del quale la tradizione mitol
di quei letti veniva posta la statua di quel nume che prendeva parie al convito, mentre il posto delle dee era contrasegn
oma, onde implorare dai numi la fine di una terribile pestilenza. Ma, al dire del cennato autore, questa cerimonia riusci
Giove, Giunone e Mercurio ; aggiungendo la particolarità che, intorno al banchetto del convito, era posto un solo letto, c
tti Leucippo, sotto pretesto di fare dei propri capelli un sacrifizio al fiume Alfeo, se li lasciò crescere a modo di donn
girasole, viene raffigurata dalla qualità che i naturalisti assegnano al girasole, di far cioè, morire l’albero che produc
albero, lo lapidarono. Ma ben presto ebbero a pentirsi d’aver ceduto al furore, imperocchè l’ombra dell’ucciso, tormentò
la religione ebraica, che il dio di Mosè aveva comandate le Libazioni al popolo d’Israello. E formerai ancora d’oro puris
Bacco. Tu a me consorte, non vogl’io che priva Di nome sii compagno al mio : ti appella Libera in avvenir cangiata in di
o 17 marzo in onore del dio Bacco. Sebbene codeste cerimonie fossero, al paro dei baccanali, un pretesto a commettere le p
l dio avesse voluto parlare di una belva, e persuasi che non vi fosse al mondo un animale che avesse avuto la forza di rov
pastore coricatosi verso l’ora del pomeriggio con la testa appoggiata al sepolcro di Orfeo, si addormentò profondamente ;
agne e gli abitanti della città ; e fecero tale ressa onde accostarsi al dormente, che la colonna che sorgeva sul sepolcro
, ed egli fu cangiato in uno scoglio, che si vedeva nel mare Eubeo, e al quale i marinari non osavano accostarsi, credendo
li del re Priamo, e propriamente quello di cui Omero dice, che prestò al fratello Paride, la propria corazza per il singol
a lorica Del suo germano Licaon, che fatta I suo sesto parea, si pose al petto : Omero — Iliade — Libro III. trad. di V.
io, presso di sè, ed approntò le membra di lui, onde servirle la sera al banchetto che dava al suo ospite. Ma ben presto,
pprontò le membra di lui, onde servirle la sera al banchetto che dava al suo ospite. Ma ben presto, per comando di Giove,
parte entro bollenti Onde ammollisce, e l’altra parte aggira Intorno al foco sottoposto. Quando Imbandite di quelle ei fè
Arcadia, e vi fece innalzare anche un tempio in onore di Giove Liceo, al quale egli stesso sacrificava umane vittime : da
nge, che sul monte Liceo ci era un altare consacrato a Giove, innanzi al quale sorgevano due colonne, su cui erano due aqu
anao dette ad Apollo, e che le cronache dell’ antichità attribuiscono al fatto seguente. Allorquando Danao contrastava il
uente. Allorquando Danao contrastava il possesso della corona di Argo al re Gelanore, gli accadde un giorno d’incontrarsi
dà ad Apollo il soprannome di Licogene. Per la stessa ragione, sempre al dire di Eliano, si vedeva in Delfo un lupo di bro
edenza viene dallo stesso cronista e da molti altri autori attribuita al seguente fatto. Si vuole che avendo alcuni ladri
inò nella foresta ove i ladri avean sepolto il ricco tesoro, e giunto al luego si dette a scavare la terra e palesò così i
n li perseguitavano neppure. 2521. Licora. — Detta anche Licoria, fu, al dire di Virgilio, una delle ninfe compagne di Cir
ero a precipitosa fuga, e Bacco stesso spaventato si nascose in fondo al mare, ove fu accolto da Teti. Però sdegnato Giove
i allora partì, ma invece di andare a Delfo, siccome aveva annunziato al suo popolo, s’ andò a nascondere in un luogo lont
ordinando che il suo corpo fosse abbruciato, e le sue ceneri disperse al vento ; temendo che se queste venissero trasporta
e, che la tradizione ci mostra come maestro di Orfeo e poi di Ercole, al quale oltre alle conoscenze scientifiche, egli in
2545. Lione. — Secondo scrive Plutarco, questo animale era consacrato al Sole, perchè egli è solo fra tutti i quadrupedi c
i sacerdoti Galli trovato il modo di addomesticare quelle belve, fino al segno di poterle, secondo scrive Varrone, accarez
condo scrive Varrone, accarezzare e toccare senza pericolo. In quanto al famoso lione Nemeo, la cui uccisione fu una delle
e suono. 2550. Littorale. — Qualificazione data, in alcuni monumenti, al dio Silvano, coronato di edera e con le corna sul
iorno ; forse perchè il Loto apparisce, sulla superficie delle acque, al levarsi del sole, e poi si richiude in sè stesso
i giuochi funebri. Nei giuochi Olimpici era assegnato un largo premio al vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità, che
un largo premio al vincitore della lotta. 2558. Lua. — Divinità, che, al dire di Tito Livio, i romani invocavano in tempo
eti della mitologia chiamano così la stella Venere, quando comparisce al mattino. Da ciò forse la tradizione favolosa ci p
nte, fossero le principali e supreme divinità, e che avessero diritio al rispetto ed alla religiosa venerazione degli uomi
si raccolte nel culto che i primitivi popoli della terra, tributarono al Sole ed alla Luna. Secondo quello scrittore, tutt
sono poi le tradizioni favolose che la superstizione pagana innestava al culto religioso che si tributava alla Luna. Da ci
, nella Mesopotamia, avevano innalzato uno splendido tempio, dedicato al dio Luno. Il citato cronista dice, che gli abitan
no che coloro che adoravano la dea Luna, andavano facilmente soggetti al potere delle donne, ed erano dominati da esse ; m
orrevano il rischio di essere ingannati da esse. Da ciò nasce, sempre al dire di Sparziano, che gli egizi ed i greci, se p
, già da noi più sopra citato, ripete a proposito del culto tributato al dio Luno dai pagani, una strana e ridicola congiu
dicola congiuntura ; quella cioè, durante i sacrifizi che si facevano al dio Luno, gli uomini vestivano da donna, e le don
storico aggiunge, che essendo venuto in Italia Evandro Arcade, dedicò al dio supremo della sua patria, un dato luogo, a cu
vano a cadere in disuso ; ma che qualche tempo dopo furono restituite al loro primitivo splendore, e continuarono cosi in
nse un terzo collegio, detto dal suo nome dei Giuliani. Però, siccome al dire di Svetonio e di Cicerone, i Luperci non era
bini. Comunemente le lustrazioni avean termine con un gran banchetto, al quale si credeva presiedesse la dea Nondina, prot
munanza e il vincolo della lingua, che resistette ai conquistatori ed al tempo : il commercio delle idee : la congiuntura
osofi mal convertiti, i quali pretesero accomodare i dogmi cristiani, al sistema di filosofia che prima seguivano. Furono
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
nte divisi dalle donne, da cui si allontanavano con sacro giuramento, al momento in che venivano iniziati nei nefandi mist
no il dare una sola occhiata alle sue sacre mura, come atto meritorio al cospetto di Dio. 30. Cenno sull’arte Greca. — 
verità, dalla contemplazione delle bellezze del creato, deve tendere al suo vero principio facendosi sostegno della verit
al suo vero principio facendosi sostegno della verità : cooperandosi al progresso, perfezionando l’uomo ch’è l’opera più
perfezionando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla virtù l’azione delle intel
ando l’uomo ch’è l’opera più nobile del Creatore, e volgere al bello, al grande, alla virtù l’azione delle intelligenze um
irupata e quasi perpendicolare da ogni lato, e soprattutto all’est ed al sud. Marmocchi — Diz. di geografia universale, v
ed esatta esposizione di essi, riporteremo il passo del libro l deire al Cap. XXVIII della Bibbia. quando la Pitonessa per
vo consulti me mentre il Signore si è ritirato da te, ed è favorevole al tuo rivale ? 20. Subitamente cadde Saul per terra
ra d’ Ascoli. Citato, per un libro di astrologia, a comparire innanzi al tribunale inquisitore di Firenze il 15 settembre 
am), e raccontarono ancora che to spettro di Meleusina apparisse solo al castello dei Lusignano quante volte la morte sovr
dato il nome di Mesmerismo. Mori il 5 marzo 1815 a Meerburgo in riva al lago di Costanza. 39. Voltaire, Francesco. Mari
Atropo. Gloto. là più giovane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava
ane, teneva la conocchia, ossia presiedeva al punto nel quale veniamo al mondo. Lachesi filava gli avvenimenti della vita 
4 (1824) Breve corso di mitologia elementare corredato di note per uso de’ collegi della capitale, e del regno pp. 3-248
de’ Classici antichi, e moderni. Il ristretto che ora vien presentato al Pubblico per uso dei Reali Collegj, è stato ricav
Pubblico, e contribuisca ad accrescere la coltura de’ popoli soggetti al felice Governo dell’ottimo Re Ferdinando primo. P
ti insieme, Faceano un corpo informe, e mal disposto Per donar, forma al mal locato seme : Anzi era l’un contrario all’alt
opposto Per le parti di mezzo, e per l’estremo : Fea guerra il lieve al grave, il molle al saldo : Contro il secco l’umor
ti di mezzo, e per l’estremo : Fea guerra il lieve al grave, il molle al saldo : Contro il secco l’umor, col freddo il cal
di tutte le cose, La natura migliore, e ’l vero Dio, Tutti quei corpi al suo luogo dispose, Secondo il proprio lor primo d
cenza, che questo Nume meritava dagli uomini. Fu ascritto egli stesso al numero degli Dei, col titolo di Dio della pace. I
rze. Ha le ali sul dorso per dinotare, che il tempo veloce giunge, ed al momento sen fugge : porta seco una falce per tutt
ge : porta seco una falce per tutto mietere, e consumare. L’ampollina al suo fianco ci mostra il corso sempre eguale, e mi
olo dell’eternità, che non ha cominciamento, nè fine. Le sue vicende, al dire de’ commentatori, sono altresì misteriose. E
montagna della Frigia : come pure Titèa, cioè, Terra, perchè presiede al nostro Globo. Fu detta Rèa del Greco Rhèo, fluo p
eppellì Encelado sotte l’Etna, i di cui sforzi si risentono tuttavia, al dire de’ Poeti, con gittar fiamme, e sassi per li
e scaturì una sorgente di acqua. Bacco riconoscente innalzò un altare al suo benefattore sotto la denominazione di Giove A
del Cielo, e della Terra : ah si salvi l’onor mio, e facciamo palese al Mondo, che questi Dei sì potenti nulla possono al
, e facciamo palese al Mondo, che questi Dei sì potenti nulla possono al paragone di me » ! Virg. I risultati di questo ri
ssarono le sue funzioni, dacchè ebbe la disgrazia di cadere una volta al di loro cospetto. A tale uffizio fu destinato il
u destinato il gentile Ganimede, che Giove fingendosi un’aquila aveva al padre suo Troe involato. Vulcano nacque sì brutto
in isposa Venere la più bella fralle Dee. Oltre di Argo aveva Giunone al suo servizio anche una messaggiera per nome Iride
un carro tirato da pavoni, portando lo scettro in mano, ed un pavone al suo fianco. Cerere. Cerere figlia di Soturno,
arne i principj a Trittolemo figlio di Celèo Re di Eleusi, inculcando al medesimo che ne avesse istituiti altresì gli uomi
figlia di Titano, e della Terra apre ogni mattina le porte del Cielo al carro del Sole. Questo carro circondato dalle Ore
o teste : lanciava fiamme dalla bocca, ed i suoi urli arrivavano fino al Cielo. Il suo corpo coverto di piume al di sopra,
d i suoi urli arrivavano fino al Cielo. Il suo corpo coverto di piume al di sopra, e di serpenti al di sotto toccava il ci
no al Cielo. Il suo corpo coverto di piume al di sopra, e di serpenti al di sotto toccava il cielo, e la terra. Moltiplici
e da Apollo, e Coronide Esculapio, che da bambino fu dato ad allevare al Centauro Chirone, da chi fu istruito della virtù
sotto l’aspetto di una costellazione detta Serpentario, ascrivendolo al numero degli Dei come Dio della medicina. Era rap
ratore con offrire unito a Nettuno, parimente privato della divinità, al Re Laomedonte la sua opera nella fabbrica delle m
onte poteva disarmare la collera degli Dei nel solo caso ch’esponesse al mostro la sua figliuola Esione. Bisognò cedere :
er salvarla. Laomedonte l’aveva promessa in isposa a questo Eroe : ma al suo solito pure gli mancò di parola. Infuriato Er
e i suoi prieghi. Il Re degli Dei mosso a compassione diede di piglio al suo fulmine, e lo scagliò contro Fetonte, con ave
nenza su di Latona, che non ne aveva che due, portando la sua empietà al segno di frastornare le feste, che si celebravano
va ; fu soggetto ai colpi dell’invidia. Pane ebbe l’ardire di mettere al paragone il suo flauto alla lira del figlio di La
galo, cercò di nascondergli sotto un’alta berretta. Per disgrazia era al suo servizio un barbiere d’indole cicalone, che n
e il Dio delle Muse. Accettò Apollo la sfida a patto, che chi restava al di sotto, fosse stato a discrezione del vincitore
incontrata da Arcade suo figlio, e valente cacciatore. Questi non era al caso di riconoscerla, stava già sul punto di scag
fosse affrettato di evitare un parricidio con aver sottratto la madre al figlio, che amendue situò nel cielo tra ’l numero
orte degl’imperi, Con rendere immortali uomini, e Dei. Canta Calliope al suon di dolce lira, Ed alte imprese scopo son del
po son del canto. Con vaga illusion mista d’ingegno Talia scherzando, al vizio ognor fa guerra. Con gravità Melpomene narr
r Polimnia insegna, Atteggiando cogli occhi, e col sembiante. Destasi al suon di musico stromento Terpsicore, e danzar sne
i un carro tirato da cigni, o da colombe. Queste furono a lei sacrate al proposito di un picciolo avvenimento. Stava la De
ttive. Giunone una volta la chiese in prestito per comparir più bella al suo sposo. I luoghi dove si esercitava il culto d
resenza degli Dei, lasciò pur essa un tale impiego, dato poi da Giove al suo caro Ganimede1. Minerva. Minerva nacque i
sua vita doveva mantenere un portamento oltremodo sostenuto. Minerva al pari delle altre Dee fu egualmente gelosa de’ suo
ne nativo di Colofone per essersi vantata di sapere l’arte del ricamo al pari di Minerva istessa. La Dea in segno di dispr
nel suo proposito si consigliò con Flora, che le indicò un fiore, che al solo toccarlo concepì Marte. Questa è l’origine p
Con minaccevol voce, e insanguinala Destra s’apre il sentiero innanzi al Nume, E in fuga va la Tema, e lo spavento : Int
o d’evitar invan procura. Terribil questo Dio di lampi cinto Calpesta al suo passar scettri, e corone, E de’ troni si fa s
Calpesta al suo passar scettri, e corone, E de’ troni si fa sgabello al piede ; Scaglia i fulmini, l’orbe ognor scotendo
a maggiore di esse fu la madre di Mercurio2. Egli nacque il mattino ; al mezzo giorno inventò la lira, e la sera aveva gia
erne. La sua corte è composta di Tritoni, che fanno echeggiare l’aere al suono delle conche marine, e degli Dei del mare,
Caronte figlio dell’Erebo, e della Notte le riceveva nella sua barca al prezzo di una piccola moneta, e le trasportava ne
buoni, e di cattivi si argomenta, che tutte le ombre erano giudicate al loro arrivo all’Inferno. Discese dalla barca di C
rio peso ricadeva immantinente. Flegia, che aveva appiccato il fuoco al tempio di Apollo, stava inchiodato a’ piedi di un
to ad una ruota, che girava di continuo. Egli aveva osato di aspirare al possesso di Giunone. Giove per assicurarsi del su
anta carica di frutta gli penda sulla testa, ed egli stesso stìa fino al mento tuffato nell’acqua. Quando vuol dissetarsi,
le frutta, il ramo da se stesso si allontana. Supplizio proporzionato al suo delitto. Le Danaidi, alle quali era concesso
ndogli assai il buon vino. Bacco lo amava moltissimo, e lo portò seco al conquisto delle Indie. Un giorno, che il buon uom
mpre in lode di questo re. Bacco in compenso di tanti favori prestati al suo caro Sileno, disse a Mida che avesse dimandat
leno, disse a Mida che avesse dimandato ciò che voleva. Questi chiese al Nume, che avesse convertito in oro tutto ciò che
iaggi Sileno si fermò nell’Arcadia, dove in tutt’i giorni si ubbriacò al suo solito, e si fece amare moltissimo dai pastor
i per la metà uomini, e per l’altra cavalli ; la parte superiore fino al principìo delle cosce era in forma umana ; il più
fino al principìo delle cosce era in forma umana ; il più apparteneva al cavallo. Si crede nata l’invenzione di questi ess
il bambino che questa Dea portava nel seno : fu inoltre così proclive al vizio, che se ne formò il Dio del libertinaggio.
i. I Fiumi, o per dir meglio i Genj che preseggono alla sorgente, ed al corso de’ fiumi, erano altresì Dei. La loro figur
ad una conca avanti il carro di Nettuno. I suoi figliuoli chiamavansi al par di lui Tritoni. Proteo. Proteo figliuolo
he quest’erba aveva una proprietà particolare : ne mangiò, e si senti al momento la voglia di tuffarsi nelle onde. I Dei m
he dava addosso, o assassinava i passeggleri. Fu ammazzata da Ercole, al quale aveva rubato alcuni bovi : indi cangiata in
nomi erano Cloto, Lachesi, ed Atropo. Cloto la più giovane presedeva al momento della nascita degli uomini, e teneva in m
o entrare. Questi Dei erano piccole statuette, o Idoletti convenevoli al culto particolare del padrone della casa : spesso
, che fa d’uopo afferrare, perchè non iscappi dalle mani. La Fortuna, al dir di Cicerone, è un nome vano ; e si potrebbe c
delitti che si commettevano, involossi dalla terra, e volle ritornare al Cielo, ove fu situata nel Zodiaco : oggi detta la
iù vicine agli occhi per potersi difendere a colpo sicuro. Dirimpetto al cuore dell’uomo doveva situarsi un finestrino per
fosse un vicino pericoloso. L’origine di Momo non sembra conveniente al suo carattere, giacchè lo fanno figlio del Sonno,
iove, e di Venere. Seguivano per lo più la loro madre, ed assistevano al suo abbígliamento. Erano tre Aglaja, Talia, ed Eu
dipinta con benda avanti gli occhi, perchè non vegga chi si presenta al suo tribunale : sia ricco, sia povero, ognuno è u
bile, e gigantesca, ornata di piume, occhi, lingue, e bocche. « Ella, al dir di un poeta, è una Diva, o piuttosto un mostr
nel Lazio prima di Romolo. Ella presedeva ai trattati, alle alleanze, al commercio. Inviolabili erano i giuramenti concepi
Vien espressa con una coppa alla mano, ed accanto un altare, intorno al quale un serpente si aggira. Ella è denominata an
n piede sopra di una ruota che gira rapidamente. La sua testa è calva al di dietro : nella parte d’avanti presenta soltant
dell’Universo, formarono altrettanti Dei di tutti gli attributi, che al vero Ente supremo si convenivano. Parte terz
tale distintivo. Questa storia porta l’epoca della nascita del mondo, al momento che Prometeo formò il primo uomo, e l’ani
voltojo gli rodeva il fegato, che la notte si rinnovellava per essere al dì vegnente divorato di nuovo. Eterno sarebbe sta
che doveva presentare a Prometeo, forse allora non ancora condannato al testè detto supplizio. Epimeteo meno sospettoso,
ella sua colonia se ne formarono dodici borghi, che diedero principio al Regno di Atene. Al culto degli Dei del paese aggi
isio dai suoi stati, col quale si riconciliò. Ma fatalmente giuocando al disco, con un colpo imprevisto uccise suo avo, co
uolo di Glauco alla vista de’ segnali a lui mostrati dagli Dei obbedì al comando, disfece il mostro, e ne riportò compiuta
romesso ad Egèo, che se ritornava vittorioso avrebbe fatto inalberare al suo vascello una bandiera bianca in vece della ne
n si fece pregare per fare lo stesso. In ricompensa Piritoo contribuì al ratto di Elena figliuola di Tindaro, e di Leda, p
riuscì il più bravo fra gli Atleti, avendo ucciso il terribile Amico al giuoco del cesto. Castore si segnalò nel corso, e
segnalò nel corso, e nell’arte di domare i cavalli. Entrambi andarono al conquisto del vello d’oro, e fecero la guerra a T
ta Elena germana. Essi punirono soltanto quei che avevano preso parte al ratto. Tal moderazione loro fece meritare la stim
ci daremo la pena di fare la diceria di tutte le avventnre precedenti al viaggio, e degli ostacoli che sormontarono mercè
onzo, dalle cui fauci correvano torrenti di fuoco, indi assoggettarli al giogo, e lavorare un campo vergine con seminarci
nti per Giasone a Medèa figliuola del re di Celco, maga espertissima, al cui potere ubbidiva il cielo, e la terra. Venuto
e ubbidiva il cielo, e la terra. Venuto il giorno prefisso si accinse al cimento il valoroso Giasone. Appena che comparve,
sone. Appena che comparve, i tori diventarono manieri, si sottoposero al giogo, fu lavorata la terra, uscirono dal di lei
tale strepitosa vendetta prese i figli che aveva avuti da Giasone, ed al cospetto del padre barbaramente li trucidò : indi
pero germano di Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce al levarsi, ed al tramontare del sole, detta perciò
Atlante, che fu cangiato in una stella che comparisce al levarsi, ed al tramontare del sole, detta perciò Lucifer, ed Hes
inferno : combattè colla Morte : la vinse, e rimenò la tenera Alceste al suo sposo fedele, malgrado la renitenza di Pluton
e che ivi erano rinchiuse per poter prendere Troja, lo fecero mancare al giuramento. Egli intanto credette di eludere il s
ra, e lo persuase a venire ancor egli a Troja. Partì dunque, e giunto al campo de’ Greci, il bravo medico Macaone figliuol
celebre antichissimo legislatore, e poeta, e meritò altresì il culto al pari delle altre Divinità, ch’aveva nella Grecia
de. Allorchè questo famoso musico insieme, e poeta scioglieva la voce al canto, uscivano da’ loro covili le bestie feroci,
lle nozze, cogliendo Euridice de’ fiori in una prateria, fu morsicata al calcagno da una biscia, e dopo pochi momenti infe
grazia a Plutone la sua sposa, lusingandosi di ammansire que’ mostri al suono della sua lira. Gli riuscì in fatti di riav
questo sublime poeta la morte di Euridice, ne attribuisce la cagione al pastore Aristèo che la inseguiva mentre coglieva
so a compassione de’ suoi vagiti lo staccò dall’albero, e lo presentò al re, che lo fece educare con attenzione, adottando
dopo la morte di Lajo aveva ripreso le redini del governo, fece noto al publico, che colui che uccidesse la Sfinge, sareb
he tanti prima di lui fossero periti, ebbe il coraggio di presentarsi al mostro, che gli dimandò qual era quell’animale ch
to, e punito. Lo sventurato Edipo convinto del delitto, e vedendo che al parricidio aveva aggiunto l’incesto, andossene vo
o del canto di molti poeti, come quella di Troja, che diede occasione al poema di Omero. Tra i capi che allora si distinse
ta da Polinice. Amfiarao fu obbligato a partire con aver però imposto al suo figlio Alcmeone, che appena intesa la nuova d
tro la patria ; ma Antigone non tollerando quest’ultimo insulto fatto al suo fratello, uscì di notte, e rendette al fratel
quest’ultimo insulto fatto al suo fratello, uscì di notte, e rendette al fratello gli ultimi uffizj. Ciò saputosi dal re,
one, e figliuolo di Creonte : e la madre di Emone non potendo reggere al dolore parimente da se stessa si uccise. Creonte
celebrò nella città di Troja, per vendicarsi di tale oscitanza, rapì al padre il gentile Ganimede. Ecco la prima scintill
dissetarsi ; nè tampoco cavarsi la fame, mentre l’acqua gli arrivava al mento, e le frutta gli pendevano sul capo. Pel
amia, che voleva maritare a condizione, che lo sposo dovesse superare al corso i suoi cavalli, ch’erano velocissimi, perch
i di sua morte. Egisto, e Clitennestra caddero nella retc, e recatisi al tempio di Apollo per rendere grazie al nume, entr
caddero nella retc, e recatisi al tempio di Apollo per rendere grazie al nume, entrato Oreste con i suoi soldati di propri
la guerra di Troja. L’origine di questa guerra bisogna ripeterla, al dir de’ poeti, dal Cielo. Giove sempre infedele a
iuola di Crise gran sacerdote di Apollo. Si affrettò questi di venire al campo de’ Greci carico di doni per riscattare la
dizione, che il vincitore sarebbe il pacifico possessore di Elena. Ma al semplice balenar delle armi Paride ch’ era un vil
regolò la mano di uno de’ combattenti a lanciare una freccia diretta al re di Sparta. Il colpo arrivò leggiermente a Mene
bile agli Dei medesimi. Ferì Venere, che voleva torgli d’innanzi Enea al punto di essere sagrificato : diede altresì un co
tello a fine di persuadere sua madre, e le matrone Trojane di recarsi al tempio di Pallade, per pregare la Dea, che allont
allontanasse Diomede dalla mischia. Andromaca sua sposa per sottrarlo al pericolo, che correva, gli presentò il piccolo As
a l’Eroe dopo aver abbracciato il fanciullo, e la sposa volò di nuovo al campo, portando lo scompiglio nelle file de’ Grec
ordine di ritirarsi, e nel tempo stesso comanda ad Apollo di recarsi al padiglione di Ettore ferito da Ajace figliuolo di
a seconda volta dovettero ritirarsi ai loro vascelli. I Trojani erano al punto di attaccarvi il fuoco, ed Ettore si era gi
uno de’ più belli, quando sopraggiunse arditamente Ajace, per opporsi al figliuolo di Priamo. Patroclo intanto vedendo min
l’avrebbe vendicata all’istante, se avesse avute le sue armi. Assisa al fianco del vecchio Nereo, intese Teti negli abiss
ia mortale si recasse all’afflitto padre. Il barbaro legò il cadavere al suo carro, e lo trascinò intorno le mura della ci
e, ed asperso di polvere. Le lagrime di dolore, e le grida arrivarono al Cielo : l’aria risuonava de’ loro lamenti : l’int
suo scudo per non farlo corrompere. Finalmente si contentò di cederlo al vecchio Priamo, che in persona era venuto supplic
si celebravano, da Paride fu lanciata una freccia, che Apollo diresse al calcagno di Achille. Era questa la sola parte del
. Ajace figliuolo di Telamone, ed Ulisse si contrastarono le sue armi al cospetto di tutta l’armata : ma questa volle che
un carro de’ suoi pannilini, si affretta colle sue compagne di andare al fiume per lavarli. Ciò fatto, e dopo breve campes
te bastone, che aveva aguzzato, lo ficcò nell’occhio di Polifemo, che al sentirsi ferito cominciò ad urlare altamente. Acc
straordinaria mole, di cui fu facile evitare l’incontro. Indi corsero al lido, e s’imbarcarono colla perdita di soli quatt
le accoglimento agl’inviati, loro offrì una bevanda, che li trasformò al momento in porci. Avvisato l’Eroe di questo nuovo
a Mercurio un’ erba, che lo garantiva dalle più funeste malìe. Ulisse al coverto di ogni pericolo snudò la spada minaccian
si trattenne volentieri per un anno nell’isola. Di là partito si recò al paese de’ Cimmerj1, per ivi invocare le ombre de’
e i bovi, che faceva pascere la bella Lampezia in un’isola consacrata al Sole presso le coste della Sicilia. I suoi compag
to dal Cielo. Ognuno fece a gara per offrirgli un dono corrispondente al suo rango, come pure fu allestito un naviglio ben
casa di Eumeo suo amico, dove bene accolto si tenne sconosciuto fino al ritorno di Telemaco, a cui Minerva aveva ispirato
, che uscirono dal mare. Questi rettili prodigiosi si attorcigliarono al corpo de’ due figli di Laocoonte, e si avviticchi
era degli Dei, che gradivano le offerte de’ Greci. Quindi ognun crede al perfido Sinone : si abbatte un’ ala delle mura, e
pieni di sicurezza si danno in preda ai piaceri della mensa. Intanto al far della notte i Greci s’incaminano colla flotta
sarebbe finalmente felice in Italia : così disse, e sparì. Ritornato al luogo dove aveva lasciato Anchise, ed Ascanio suo
lare l’aveva condotto nell’impero di Didone. » Avendo Enea dato fine al suo racconto, si ritira negli appartamenti che gl
verificarono fra i Cartaginesi, ed i Romani, e non potendo resistere al dolore risolve di darsi la morte. Fingendo di vol
colla scorta della Sibilla, passando per lo Lago di Averno, discende al soggiorno de’ morti : ivi ritrova molti de’ suoi
Turno Re de’ Rutuli. In tale occasione spedì Enea i suoi ambasciadori al Re Latino, per fare alleanza col medesimo. Questo
iale. Essi trascinarono il carro dov’era la loro madre, che si recava al tempio. Gli Dei per compensarli, ed esaudire nel
Spaventata la misera Alcione del sinistro presagio, corse forsennata al lido, e restò convinta della verità, vedendo il c
e presso a poco la medesima sorte di Titono. Ella fu amata da Apollo, al quale dimandò di poter vivere tanti anni, per qua
Filomela. Quindi strada facendo, dopo averla oltraggiata, aggiungendo al primo un secondo delitto, le strappò barbaramente
e mani, involandosi da lui coll’ajuto delle ali, essendo stata Progne al momento cangiata in rondinella, Filomela in usign
azia si lanciò nelle onde, ed uno de’ delfini, che si erano accostati al naviglio per sentir la sua voce, lo prese sul dor
veramente punire i marinari, e gli Dei assegnarono un posto nel cielo al Delfino, che aveva salvato un musico tanto ben ve
onumenti, marmi, iscrizioni nell’una e l’altra lingua, che ci mettono al giorno de’ sacri riti, e della vita civile di que
oni, che trattandosi dell’origine delle grandi città sogliono essere, al dire di Livio, se non favolose, almeno sospette,
e di Livio, se non favolose, almeno sospette, volentieri ci atterremo al sentimento dell’insigne geografo Strabone. Attest
Napoli, ritenendo per lo più quello di Partenope fino a che Augusto, al dire di Solino, dopo di aver ornato di marmi il d
o il capo di Partenope ; ed attesta Licofrone antichissimo poeta, che al di lei sepolcro bruciavano saci i Napoletani, e l
o questo nome a que’ rigagnoli, che con lentissimo corso scaricavansi al mare, qual è il nostro Sebeto. Parecchi fanno dec
ma 1 Sebesio scolpito nel collo del toro ne’ sacrifizj a Mitra, cioè, al Sole, e più l’antichissima iscrizione P. Maeviv
esto tale Eutico di origine Greca rinnovò l’antichissimo culto dovuto al Sebeto. Nè cio dee far meraviglia, giacchè i prim
quella del Sebeto. Il suo nome però e la sua gloria mal corrispondono al piccolo volume delle sue acque. Malgrado che sia
, la sua picciolezza è tale, che Boccaccio allorchè recossi a Napoli, al momento che lo vidde, stupefatto esclamò : Minuit
alla Città, dovettero per conseguenza accordare il culto Divino anche al di lei padre Eumelo. Fralle antichissime Fratrie1
essi, se non quelli che conservavano il celibato, avesse dato il nome al quartiere della città, oggi detto borgo dei Vergi
i avvidero i muratori di alcune vecchie fabbriche sepolte molti palmi al di sotto del livello della strada. Pervenuto ciò
veggono accanto all’arco Felice poco discosto dalla Palude Acherusia al presente il Fusaro. Sotto diverse sembianze fu Ap
thrae Appius Claudius Terronius Dexter Dicavit. A questo, Mitra, al dire di Suida, immolavano i Persiani molte vittim
agatore delle cose patric, crede che il tempio della luna fosse dov’è al presente la Chiese di S. Maria Maggiore (la Pietr
ichi monumenti riguardanti questa Deità. Ed è verisimile, che siccome al tempio del sole fu sostituito il nostro Duomo, e
io del sole fu sostituito il nostro Duomo, e consegrato dai Cristiani al nostro Divino Salvatore, ch’è il vero Sole, così
li Artemisj, addetti all’amministrazione di questo tempio, e dov’era, al dire di Martorelli, ascritto il nostro concittadi
o è probabile che stesse il tempio a lui dedicato, perchè vicinissimo al mare. Sappiamo per tradizione, che fino a’ tempi
avano. Durante : il loro corso, e con assegnate cerimonie si alludeva al ratto di Proserpina, figliuola di Cerere rapita d
grandiosi, furono lasciate due sole colonne di ordine Corintio, come al presente si osservano. Malgrado però che la mento
el suolo, che dava fuoco dapertutto, perchè sottoposti immediatamente al Vesuvio1. XII. Vesta. L’antichissima Ch
e negli anni sacri si serve della voce Charisteria per ringraziamento al sommo Iddio. XV. Il Genio. Molte sono l
pere ci consiglia. Filone chiama Genj le facoltà dell’animo inclinati al bene ed al male. Comunque sia, ogni luogo aveva i
siglia. Filone chiama Genj le facoltà dell’animo inclinati al bene ed al male. Comunque sia, ogni luogo aveva il particola
izioni ritrovate in Pozzuoli, ed in Napolï ci dimostrano il culto che al Genio si professava. Nelle monete di Adriano, e D
ectisternia, a stratis lectis, nei quali sedevano gl’invitati. Questi al dire di Livio, s’imbandivano presso i Romani coll
tramandato, che abbellivano poi con i parti della loro fantasia. Ecco al dire di Vico l’origine delle favole, o siano fave
cide della morte di quest’eroe, trabocca, è obbligato di abbandonarlo al destino. 1. Era indivisibilmente la Necessità a
donarlo al destino. 1. Era indivisibilmente la Necessità accoppiata al Fato, o sia Destino. Alla Necessità lo stesso Gio
tà accoppiata al Fato, o sia Destino. Alla Necessità lo stesso Giove, al dire di Filemone, fu soggetto. Vien ella descritt
n specie faciei suae dissolvit eum . 1. Parecchi altri animali crano al servizio di questa Dea, a lungo descritti da Lucr
cadenza : facevano degli orribili e strani contorcimenti, ed alzando al cielo acute grida straziavano i loro corpi. (1).
zie del cuore, a differenza dell’altra Venere popolare, che presedeva al piacere dei sensi. 1. Esistono tuttavia in Citer
na. 2. Suol dipingersi Cupido colla benda su gli occhi per dinotare, al dire di Vico, l’amor cieco, e sregolato, per dist
ia, in Roma. È rappresentato barbuto con una roba, che non gli giunge al ginocchio, con berretta in testa, con martello in
formarono la voce Theos, cioè Dio. Al suddetto Mercurio trismegisto, al dire di Gramblico de mysteriis Aegyptiorum, si at
aio, con capelli biondi e crespi, e con mantello, che attaccato sotto al petto gli cade con grazia sulle spalle. Tal’è il
tidoto contro l’ubbriachezza. 1. Si mira anche Bacco poggiato talora al suo genio Ampelo, e talora con corna dorate per n
I. 2. Avevano gli Egiziani il costume di trasportare colle barchette al di là del Nilo i cadaveri in un sito destinato al
1. Anche oggidi si veggono alcune grotte nel promontorio di Tenaro, al presente Capo Maina, che gli antichi supponevano
, che porta in mano questo Nume, ha data occasione a Virgilio di dire al sesto Libro dell’Eneide, che i sogni nell’inferno
rtuna dell’immortale Alessandro Guidi, che comincia Una donna superba al par di Giuno. 1. Descrizione pur troppo ruvida.
Sembra che i Greci abbiano foggiata questa favola, per fare allusione al seguente fatto attestato dalle sacre carte. La mo
Luogo deliziosissimo anche oggidi in Napoli, detto Platamone, accanto al Castello dell’Ovo chiamato Megalia, o Megaride.
5 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Della mitologia in generale. » pp. 17-359
are la vite, fu Dio del vino, ec. Indi l’inclinazione degli Orientali al maraviglioso e l’ immaginazione dei Greci fecero
abitavano il cielo nella reggia d’ Olimpo, o presiedevano alla terra, al mare o all’ inferno ; e dodici di essi componevan
erra dalle riposte sue forze, che parevano essersi ribellate incontro al cielo (14) ? Saturno. Titano. Giano. 27.
ratello maggiore di Saturno ; ma ad istanza di Cibele, Titano lo cedè al minore, a condizione che questi non allevasse fig
un parto, Giove (63) cioè e Giunone (85), fece veder solamente questa al marito, e gli tenne celato Giove, offrendogli in
, girando la superna sfera ; E con fecondo e temperato raggio, Recava al mondo eterna primavera. Zefiro i fior d’ aprile e
, Dove, senz’ alcun mal, tutti i ben fòro ! Età dell’ argento. Poichè al suo vecchio Dio10 nojoso e lento Dal suo maggior
arte e l’ ingegno, Servar modi, costumi e leggi nove, Siccome piacque al suo tiranno Giove. Egli quel dolce tempo, ch’ era
che governo Nel mangiar, nel vestir, or grave, or leve, S’ accomodaro al variar del giorno, Secondo ch’ era in Cancro o in
l segno Fra cittade e città, fra reguo e regno. Va il ricco peregrino al suo viaggio, Ecco un ladro il saluta, il bacia e
merto, Poi che s’ avvide che non v’ era strada Da giunger con la pena al gran demerto, Se non rendeva per ogni contrada Il
vo dal peso degli anni e armato di falce, per indicare ch’ei presiede al tempo che tutto distrugge ed all’ agricoltura che
specchio, Ov’io veggio me stesso, e ’l fallir mio : E quanto posso, al fine m’ apparecchio, Pensando ’l breve viver mio,
intervallo, Tutti avemo a cercar altri paesi. Non fate contra ’l vero al core un callo, Come sete usi, anzi volgete gli oc
nche Tellus, dal presiedere alla terra, come Saturno aveva presieduto al cielo ; ed Ops, cioè soccorso, ricchezza, perchè
dire, scorrere, essendochè la benefica terra produce ogni bisognevole al vivere umano ; e infine fu talor conosciuta sotto
sta, figlia di Saturno e di Cibele e moglie d’ Urano (25), presiedeva al fuoco, perchè il calore feconda la terra ; od era
Sole, Tinge gli aerei campi di zaffiro, E i mari allor che ondeggiano al tranquillo Spirto del vento, facili a’ nocchieri 
mortal scendon fra noi. Di quel, candido foco ardono i petti, Pronti al perdono, al beneficio, e pronti A consolare i mis
don fra noi. Di quel, candido foco ardono i petti, Pronti al perdono, al beneficio, e pronti A consolare i miseri col pian
armato dei fasci consolari. Se una Vestale incontrava un reo condotto al supplizio, poteva intercedergli grazia, purchè as
incivilito. Furono detti anche Coribanti o Dattili (29),14 , servendo al culto di Giove ; e celebravano le feste di Cibele
oso, con enfiate labbia, e lo chiama maledetto lupo, qual si conviene al nume di coloro in cui usa avarizia il suo soperch
infa Ciane che fu da lui trasformata in fontana. La terra si spalancò al colpo del suo scettro, ed egli trasse la preda ne
ffumato e nero, Stridendo alle compagne aiuto chiede. Plutone intanto al suo infernale impero Gl’ infiammati cavalli insti
ntagne e per boschi ; e inclusive là notte continuava le sue ricerche al lume delle faci. Intanto per mostrarsi grata all’
ronte (218) lo riferì a Giove. Laonde Cerere sdegnata gettò in faccia al delatore l’ acqua del Flegelonte (220), ed egli f
e di Plutone (213) e regina dell’inferno. Laonde, accesa una fiaccola al fuoco del monte Etna, entrò nelle viscere della t
65. Ma il suo regno, che gli costava un delitto di violenza incontro al padre, non fu mai lieto ; poichè la Terra (25) mo
montagne della Grecia, di sulle quali s’argomentarono dar la scalata al cielo, avventando incontro agli Dei massi enormi
Tifone o Tifeo, mezz’uomo e mezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo, al dir d’Omero, più deg
ezzo serpente, che arrivava con la testa al cielo, e che per sè solo, al dir d’Omero, più degli altri Giganti insieme unit
statue umane col fango della terra, e le animò col fuoco sacro rapito al carro del Sole.20 71. Ma Giove, sdegnato dell’au
mal sofferendo che un mortale acconsentisse d’essere adorato in terra al pari di uno Dio, voleva fulminarlo. Apollo intere
sche trattovi dall’odore della vittima ; ma andando poi a sacrificare al simulacro di Giove, gl’importuni insetti si dileg
ozia. Comunemente gli immolavano la capra, la pecora e il toro bianco al quale crano indorate le corna ; ma spesso si limi
’arrischiò più a comparirvi. Allora Giove dette l’ufficio di coppiere al bellissimo Ganimede (ganos, gioia, medos, consigl
strò meravigliata della bellezza di quell’animale, e chieselo in dono al marito con tante carezze ch’ei gliel concesse. Al
fanciulla, o pochi sorsi d’acqua spruzzati in aria voltando le spalle al sole, possono farci apparire a nostro talento la
e col sacrifizio di un’ecatombe, vale a dire di cento bovi ; e presso al suo tempio scorreva un fonte dotato della preroga
salvarla uccidendo il mostro. 109. Laomedonte aveva promesso in dono al liberatore della sua figlia certi destrieri invin
combatterono con tanto furore ed ostinazione, da cader morti accanto al rogo a guisa di vittime immolate alle ceneri dell
i primi raggi del sole di levante, ossia quando l’Aurora s’imbiancava al balzo d’Orïente (Dante, Purg. c. ix.), mandasse f
rba e da’fiori…. Dante, Purg., c. XXIV. Annibal Caro, nel suggerire al pittore Taddeo Zuccheri le invenzioni per dipinge
e di Grecia. Crederono forse che l’astro del giorno prima di giungere al prefisso termine del suo corso fosse caduto in qu
i fiamme. Ma comecchè materiali e grossolani, non potevano attribuire al rettore del sole un sì gran fallo ; un Dio non er
ia dei barbari e dei fanciulli che Febo n’avesse ceduto il reggimento al suo figliuolo Fetonte, il quale per l’imperita et
to e veglio In augel si converse, e con la voce, E con l’ali da terra al cielo alzossi. Eneide, lib. X, trad. del Caro.
a riprensione troppo severa, avrebbe con la sua lira spezzato il capo al maestro. 122. Apollo pronunziava i suoi oracoli (
l treppiede all’uomo più savio di tutta la Grecia. Allora lo recarono al filosofo Talete, il quale, oltre al sapere la geo
tta la Grecia. Allora lo recarono al filosofo Talete, il quale, oltre al sapere la geometria, la fisica e l’astronomia, st
re tutta la filosofia nel contentarsi del necessario, dicendo : bando al superfluo. Dopo che il tripode fu passato così da
vi, tornò a Talete, che lo depositò nel tempio d’Apollo consacrandolo al servigio della Sibilla. 123. Apollo dette a’Greci
za regale. Bacco volendo ricompensarlo di sì bella ospitalità largita al suo balio, promisegli d’esaudire il primo desider
dimostrare l’affetto che Clizia avea per Apollo, dicesi vòlto sempre al disco solare, o più veramente fiorisce d’estate q
in cornacchia. Indi si pentì del subitaneo gastigo, e per far pagare al corvo il fio della delazione, gli ridusse nere le
ia del tempo nel quale fece il pastore, quelle perchè l’olivo, fedele al Dio del giorno, alligna bene in quei luoghi che s
e la vicina sua morte, quasi principio di felicità. Fu poi attribuito al corvo il naturale istinto di predire il futuro, e
. L’interno del colosso era vuoto dalla parte destra per poter salire al fanale. Un terremoto lo fece cadere non molto tem
i Re di quel fertile paese ; e finalmente la tomba che Artemisia alzò al re Mausolo suo sposo. Questo monumento prese il n
fe. E Cinzia sempre fu alle Grazie amica, E ognor con esse in tutela al core Delle ingenue fanciulle, ed agli infanti,
unone ; ed i Latini la dissero Genitalis od Illitia dal greco, perchè al pari degli Efesj la onorarono quale mistica immag
città dell’Jonia nell’Asia minore, ebbe un celebre tempio annoverato, al pari del colosso di Rodi (135), fra le sette mara
ccinto, coi capelli annodati dietro, col turcasso in ispalla, un cane al fianco e l’arco in mano ; e i poeti la dipingono
lse con sè il bambino del quale Semele era incinta, e lo custodì fino al momento della sua nascita ; e questo bambiuo era
a finire in banchetti. Ma dopo i banchetti, i sacerdoti avvinazzati, al suono di piferi e di cembali, ballavano sopra otr
on di mano e dalle fischiate degli spettatori ; ma era dato un premio al ballerino che avesse saputo serbar l’equilibrio m
uagliare — il re di Lidia, E men vo lietamente cantando. Ghirlandetta al crin mi faccio Intrecciata di fresch’ edere, E ri
rso. Talora è assiso sopra un toro, e in tal modo si assomiglia molto al dio Mitra (707) dei Persiani ; tal altra è in un
molto si giova il commercio. 162. I poeti attribuiscono grandi virtù al caduceo. Con esso Mercurio ha possanza Fin nell’
mi con la forza della persuasione. 164. Questo Nume presiedeva ancora al commercio, 33e vegliava all’osservanza della buon
e una clava nell’altra : il primo, simbolo della pace tanto opportuna al commercio ; la seconda, emblema di vigore e di vi
una al commercio ; la seconda, emblema di vigore e di virtù necessarj al buon esito della mercatura. Fece poi varie invenz
e rispettabile ed assennato quanto il vecchio Dio dei mari, eloquente al pari d’Apollo, valoroso al pardi Marte, amabile q
quanto il vecchio Dio dei mari, eloquente al pari d’Apollo, valoroso al pardi Marte, amabile quanto Venere. 166. L’immagi
vano preposto alle ambascerie ed ai negoziati ; fu detto Nomio quanto al commercio, alla musica ed all’eloquenza ; Agoreo
l’andar del tempo queste diverse qualità sieno state tutte attribuite al solo figliuol di Giove e di Maja. Venere.
ine, e serenato Brilla di luce interminata il cielo. Poiché non prima al di mostra il vivace Suo viso primavera, e il genï
orno nel quale celebravano in cielo la nascita di Venere, era accorsa al banchetto degli Dei per raccorne gli avanzi. Fors
pirato da tutti gli oggetti della pura e schietta natura ; un impulso al bene, sempre attivo e costante in sè stesso ; reg
Le tre doti celesti, E più lodate e più modeste ognora Le Dee serbino al mondo. Foscolo, Le Grazie. Sono dipinte per lo
a senza decenza, nè decenza priva di velo. Sacra tutela son le Grazie al core — Delle ingenue fanciulle, dice il Foscolo n
ndete onor. O diva Aglaia, O sempre amante Di meuse Eufrosine, Figlie al Tonante, Fauste volgetevi Al mio pregar. Tu pure
nie, le quali duravano otto giorni ; i primi quattro erano consacrati al lutto, gli altri alla gioja per indicare l’apoteo
, lo celò tra i pastori d’Arcadia, e in luogo del bambino fece vedere al marito un poledro, dandogli a credere d’aver part
desolare le spiagge. Dopo ciò Nettuno, pacificatosi con Giove, tornò al governo delle onde. 188. Anfitrite (Amphì, intorn
uesti mostri : Strofadi grecamente nominate Son certe isole in mezzo al grande Ionio Dalla fera Celeno e da quell’altre R
imente qual Dea del mare. Aveva Teti per abitazione un palazzo, dove, al dir della favola, ogni sera il sole andava a ripo
sopra un’ urna di dove scaturisce l’acqua che è la sorgente del fiume al quale presiedono. 195. Proteo nacque dall’Oceano
tri voraci, che distese Tien mai sempre ed aperte, i naviganti Entro al suo spece a sè tragge e trangugia. Dal mezzo in s
scaglie somiglianti all’oro e all’argento, nuotavano in folla intorno al carro. 209. Il Tridente, ossia lo scettro a tre p
Con la debil Vecchiezza. Evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ é freno al bene, L’altra stimolo al male, orrendi tutti E sp
Evvi la Tema, Evvi la Fame, una ch’ é freno al bene, L’altra stimolo al male, orrendi tutti E spaventosi aspetti. Havvi i
sangue mai sempre il volto intriso. Nel mezzo erge le braccia annose al cielo Un olmo opaco e grande, ove si dice Che s’a
ebrosa, era una porta eretta su cardini di bronzo, e che dava accesso al Tartaro (216). 220. Il Flegetonte (phlegétho, io
canuta barba ; ha gli occhi accesi Come di bragia ; ha con un groppo al collo Appeso un lordo ammanto ; e con un palo Che
e. Egli ingordo, famelico e rabbioso Tre bocche aprendo, per tre gole al ventre Trangugiando mandolla, e con sei lumi Chiu
esaminavano le anime di mano in mano che Mercurio (160) le conduceva al loro tribunale. Eaco giudicava i popoli dell’Euro
Giove (63) e d’Europa (91), fu re di Creta,53 isola del Mediterraneo al sud dell’Arcipelago, e governò il suo regno da sa
essa. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte : Vanno a vicenda ciascuna al giudizio ; Dicono ed odono, e poi son giù volte.
una il petto, Batteansi a palme, e gridavan si alto, Ch’io mi strinsi al poeta per sospetto. (Dante, Inf. c. IX.) E G. – 
a mano incerta Togli l’insanguinato Scettro, e sul trono gli t’assidi al lato. ……..A voi diletta Di chi delira il canto, E
esse ivi patir loro la meritata pena con supplizio maggiore di quello al quale si volevan sottrarre. Infatti presso la cit
e ; o di cane. di leone e di toro. Una corona di querce è intrecciata al vipereo suo crine ; a’ piedi le stanno cani furio
tropo (atropos, immutabile, gr.). Assise in fondo a squallida caverna al fioco barlume d’una lampada, vestile di ampia e c
on tutte le membra languide, e come abbandonato nel dormire. Dintorno al suo letto si vegga Morfeo, Icelo e Fantaso, e gra
sorda, e cieca, Gente a cui si fa notte innanzi sera. I’ ho condotta al fin la gente greca, E la troiana, all’ ultimo i R
pio (100). Ma Flegia, per odio e disprezzo contro Apollo, dette fuoco al tempio di Delfo. laonde, per punirlo, gli Dei lo
. cit.) 248. Issione, re dei Lapiti e padre dei Centauri (430), negò al suocero Deioneo i donativi promessigli per isposa
215), dove … ha sopra un famelico avvoltore, Che con l’adunco rostro al cor d’intorno Gli picchia e rode ; e perchè sempr
rificare le proprie viscere. Quindi gli Dei non vollero pigliar parte al banchetto, non accettarono un dono fatto per forz
mose labbra, Tante l’onda fuggia dal fondo assorta, Si che appariagli al pié solo una bruna Da un Genio avverso inaridita
ferito Nume, e ruppe in un tuon pari di nove O dieci mila combattenti al grido Quando appiccan la zuffa. I Troi l’udiro, L
logi ne hanno segnalati parecchi ; ma il più celebre è quel de’Greci, al quale sono state attribuite le alle gesta e le av
giudizio della sinistra influenza degli uccelli notturni, pregiudizio al pari di tanti altri non ancora del tutto sradicat
proprio arrivato in buon punto per farlo marito di Venere (170). Così al Nume più deforme toccò la più bella tra le Dee ;
e i passi fermava : avea d’intorno La greggia a’ piedi, e la zampogna al collo, Quella il suo amore e questa il suo trastu
(Kallos, bellezza, ops, voce, o canto, gr.) presiede all’eloquenza ed al poema eroico (oratoria ed epica) ; Clio alla sto
media ; Tersicore (da terpo, e choros, che si diletta di danze, gr.) al ballo ; Euterpe (che vale « molto gioconda » gr.
scelleratezze della tirannide, degli spasimi del rimorso, e commuove al pianto con le lacrime della virtù oppressa e dell
loquenza, inspira l’oratore e il poeta, perchè non sieno timidi amici al vero, perchè a egregie cose accendano l’animo de’
intanto la dottissima Urania, investigando tutto l’universo, rivolta al cielo dov’è il principio e il fine d’ogni sapere,
di vergini modestamente belle, con semplici vesti, e sovente con ali al tergo. Apollo (96) sta in mezzo all’eletto coro,
forme, corona di mirti e rose in capo, lira in mano o vicina, Amorino al fianco, con arco, faretra e facella accesa ; » T
fie ad un fanciullo vicino a lui, mentre questi si tiene con una mano al viso una grande maschera caricata e ridicola. »
agarono il fio d’una stolta presunzione, poichè avendo voluto sfidare al canto le Muse, ed essendone rimaste vinte, furono
ri, impetuosi, ardenti, Or con motti giocosi ed or pungenti Fe guerra al vizio, e non serbò misura. Lode si grande derivon
ano e prima e dopo il pasto, e andavano in volta la notte mascherati, al lume di fiaccole, cinta di fiori la testa, e acco
sta, e accompagnati da fanciulli e donzelle che cantavano e ballavano al suono di varii istrumenti. 286. I poeti lo diping
Dea della guerra, fu sorella di Marte (255). Ella attaccava i cavalli al suo carro quand’ei s’apparecchiava alle pugne. La
del lucro, il saggio. Cosi l’eroe benefico Del fulgid’oro pervertissi al raggio, E osò ritorre all’Erebo Uom già concesso
pi di comparire in faccia alla gente semplice recando avvolta intorno al collo o nelle mani od in seno una grossa biscia.
aver consigliato gli Dei a ricovrarsi in Egitto sotto forma d’animali al tempo della guerra dei Giganti. 295. Per lo più i
vedove, e le alzarono un tempio, i sacerdoti del quale distribuivano al popolo erbe o semplici per curare ogni specie di
nghi e più solleciti nelle loro faccende, ed avevano forse un ritegno al mal fare. Ma convien che sia molto rozzo quel pop
guri intorno a ciò che dovessero farne, ordinarono che fosse lasciata al suo posto nel Campidoglio. Ed i Romani pigliando
ando finalmente le carni di queste vittime in lieti banchetti attorno al simulacro del Nume. Pale 310. Pale era l’
ne di paglia, per significare che di essa deve esser formato il letto al bestiame. Pomona e Vertunno 311. Pomona,
a se soldato sei, Or con pungente stimolo, se i buoi Giunger ti piace al giogo…. (Baldi, L’Orto.) Flora e Feronia
li ; ed a Roma le celebravano leggiadre fanciulle correndo e ballando al suon delle trombe. La più snella otteneva in prem
glia, S’ornò : per te la terra all’uom non spiacque, Quando dal cielo al suol bassò le ciglia. Per te la vita rincorossi e
tto La Donna augusta, che il mortifer angue Porse fra i fiori avvolto al seno invitto….62 Dai profumi de’fior, Ligure ing
i adoravano anche Feronia, altra ministra della Primavera, e preposta al governo dei frutti nascenti, finchè Pomona (311)
o morte ottenevano un posto nell’Olimpo. 314. V’è chi le fa ascendere al numero di tremila ; ed erano ripartite in Ninfe d
ta ornata di perle e di coralli. La Grotta delle Ninfe. « Era dentro al pascolo di Driante una grotta consacrata alle nin
d’acqua, che per certe rotture cadendo, e mormorando, rendeva suono, al cui numero sembrava che battendo si accomodasse l
tutti Dell’onde il re da’gorghi imi commoto Sporge il capo divino, e, al carro addutti Gli alipedi immortali, il mar trasc
dei torrenti, dei laghi e delle fonti. Abitavano nelle grotte vicine al mare o sul margine dei ruscelli o nei freschi rec
tte liete di questa scoperta, dettero alle api il nome di Melisse, ed al loro nèttare quello di mèli, onde abbiam fatto mi
e di sè medesimo, che diventò passione sfrenata, e gli logorò la vita al punto da cadere estinto in quello stesso luogo. E
sue mani il sacro incarco de’santi arredi e de’patrii Penati, perchè al guerriero, lordo di sangue e uscito allora da tan
azioni ; e di più riconoscevano tutti un genio buono che gl’ induceva al bene, ed uno genio cattivo che li tentava a comme
ommettere il male. Quindi ognuno nel suo giorno natalizio sacrificava al proprio Genio, offerendogli vino, fiori ed incens
gufo, uccello di cattivo augurio. Guai a chi non sentiva raccapriccio al solo immaginarselo accanto ! Talora ne era immagi
o, arbitra universale degli uomini e degli Dei, stava, per così dire, al governo delle cose umane, distribuendo a capricci
denza. Talora è ritta sopra un carro tirato da quattro cavalli ciechi al par di lei, e schiaccia i suoi adoratori, e ogni
 ; ed infatti la sua statua d’oro era collocata nel quartiere accanto al letto dell’ Imperatore regnante, di dove, appena
ale sovrana dei mortali non volle sottoporre il suo cuore, se non che al supremo dei Numi che la fece madre dell’ inflessi
e la virtù contro la sventura. Altri poi l’hanno descritta con le ali al tergo, armata di serpi e di faci ardenti, e la te
’egiziana origine, era figlio d’Osiride e d’Iside (690), e presiedeva al Silenzio. La sua statua era collocata sul limitar
 : Quale in sul giorno l’amorosa stella Suol venir d’oriente innanzi al sole, Che s’accompagna volentier con ella, Cotal
tri di tutti i tempi e di tutte le nazioni. 341. Ma Virgilio si tiene al peggio, o sivveramente manifesta come gli uomini
nostra madre antica Per la ruina de’ Giganti irata, Contra i Celesti al mondo la produsse, D’Encelado e di Ceo minor sore
i rumor empie e di spavento i popoli. Spesso è rappresentata con ali al tergo e con la tromba ; talora ne ha due, l’una p
ista non l’avea giammai Di più cara sembianza e pellegrina. Commossa al lampo di quei dolci rai Ridea la terra intorno, e
, e tutto la seguia Delle smarrite virtù prische il coro ; E maestosa al fianco le venia Ragion d’adamantine armi vestita
della vittoria. (Tito Livio, lib. II.) Ha costei la testa leonina che al minimo strepito si rizza ; la sua veste, di color
ano strascinava per la zazzera un giovane, il quale, elevando le mani al cielo, chiamava ad alta voce gli Dei per testimon
isico marcio ; e facilmente ravvisavasi per l’ Invidia. Poco meno che al pari della Calunnia eranvi alcune femmine, quasi
e sta mestamente appoggiato ad un’ urna funebre. Ora alza gli sguardi al cielo, ora gli affissa sopra la terra, quasichè a
tien chiuso nelle sue viscere. La melanconia. 345, 4°. Presso al Dolore procede con lento passo una giovinetta sua
zioni, e che deliziosamente s’inebrii di tacita e soave mestizia pari al sole cadente inverso sera, quando la luce impalli
la sinistra un ramo d’ olivo ; talora ebbe il caduceo come favorevole al commercio, una face arrovesciata ed alcune spighe
verse arti. Talvolta egli ha per emblema un giovine assiso che scrive al lume di una lucerna con un gallo accanto. — « Occ
quali più chiare e quali meno, secondochè meno o più fossero appresso al lume di essa Aurora, per significare l’ore che ve
sso al lume di essa Aurora, per significare l’ore che vengono innanti al Sole ed a lei. » (Vasari, Vita di Taddeo Zucchero
ti, ma dignitosa nell’aspetto e nel contegno, e con occhi sfavillanti al par degli astri. Regge con la sinistra un libro a
o, E rozza era negli atti e semplicetta ; Ma cosa non mortai sembrava al volto, Tanto più vaga quanto più negletta ; E fol
Ella è una donzella « Pudica in faccia e nell’andare onesta, » e che al solo mirarla sveglia amore e rispetto. Le sue gra
ilità, la fortezza della vera virtù. Chi non si sentirebbe infiammato al suo culto ? Bene si addicono alla severa e modest
vera Amicizia, e non va confusa con la Buona-Fede. 74 In Roma accanto al Campidoglio ebbe un tempio consacratole, per quan
l cane unisce l’affetto alla fedeltà. I sacerdoti della Fedeltà erano al par di lei coperti da lungo e candido manto che r
combattere le Gorgoni (357), mostri che desolavano il paese prossimo al giardino delle Esperidi ; e bisognava recidere il
, diventarono serpi infeste alla Libia. 359. Perseo, salito a cavallo al Pegaseo (124), attraversò gl’immensi spazi dell’a
lungamente sul lido. 362. Cefeo offerse tosto la figliuola in isposa al generoso liberatore, ed ei l’accettò ; ma gli con
uristeo nacquero da Alcmena moglie d’Anfitrione re di Tebe, e vennero al mondo gemelli mentre questo principe era alla gue
ere imperio sull’altro ; quindi usò ogni arte perchè Euristeo venisse al mondo prima d’Ercole, ed il protetto di Giove fos
sse al mondo prima d’Ercole, ed il protetto di Giove fosse sottoposto al fratello per decreto del Fato. Così accadde ; ma
ani con armi alla mano erano accorsi in aiuto di Anfitrione, il quale al primo romore, col pugnale sguainato s’era quivi t
confidandosi che alla fine vi sarebbe perito. Questo severo comando, al quale per voler del Fato Ercole non poteva disobb
ehe infine a forza di superare ostacoli ci diventa agevole, e conduce al tempio della virtù, alla conquista dei veri beni 
lla conquista dei veri beni : ……. Questa montagna è tale, Che sempre al cominciar di sotto è grave, E quanto uom più va s
ti sia leggero, Come a seconda in giuso andar per nave ; Allor sarai al fin d’esto sentiero : Quivi di riposar l’affanno
spetta… (Dante, Purg. c. IV.) E da ciò ha origine la favola d’Ercole al bivio, il quale, sdegnando Venere, e seguitando M
circonvicina : Ercole lo agguantò vivo, e lo trasse ad Euristeo, che al primo vederselo in faccia fu per morirne dalla pa
va smisurata, co’piedi di metallo e con le corna d’oro, e tanto agile al corso, che niuno aveva mai potuto raggiungerla. E
tè prendere che dopo un intero anno di caccia, e l’ebbe in suo potere al varco del fiume Ladone. Allora se la recò in spal
o mio duca75 a parlarmi, Ed accennolle che venisse a proda,76 Vicino al fin de’passeggiati marmi :77 E quella sozza imma
ogliermi. Tu dunque Ora i miei sensi ascolta : e tu, qual vero Padre, al proposto mio fermo consuona. Non leggerezza femmi
d’ usurparsi il trono d’ Atene, si studiò di farlo cadere in sospetto al re, e n’ ottenne licenza di farlo avvelenare in m
per ingoiare il veleno, il padre lo riconobbe alla spada che cingeva al fianco ; e scoperti i perfidi disegni di Medea, l
figlia del Sole (110) e moglie di Minosse II re di Creta aveva messo al mondo questo mostro, e il re lo teneva chiuso nel
e di denaro ; ma gli Ateniesi, per far comparire più odioso il nemico al quale dovevano pagarlo, se ne saranno lagnati, qu
ndo alle savie ammonizioni del padre, volle volare troppo alto vicino al sole ; sicchè la cera delle sue ali si strusse, e
re vele ad esprimere il lutto degli Ateniesi. Egeo aveva raccomandato al figliuolo, se mai ritornasse vittorioso, di mette
il potere sovrano, con nobilissimo e raro esempio restituì la libertà al popolo, e riprese la primiera sua vita cercando n
ncipali oggetti dell’ educazione degli eroi. 431. Piritoo, infiammato al racconto delle grandi gesta di Teseo, ardeva di m
delle grandi gesta di Teseo, ardeva di misurarsi con lui, e lo sfidò al paragone. Teseo accettò l’ invito ; ma quando i d
a rapita, a condizione che il preferito procacciasse un’ altra moglie al compagno. Elena toccò a Teseo, il quale si propos
nauti. 448. Giasone ebbe per padre Esone re d’ lolco in Tessaglia, al quale era stato tolto il trono da Pelia fratello 
e vittorioso dalla Colchide (oggidì Georgia russa o Mingrelia in capo al Mar Nero) dov’ era questo tesoro. 449. Il Vello d
no, Gridò : Tendiam le reti, si ch’ io pigli La lionessa e i lioncini al varco : E poi distese i dispietati artigli, Prend
nte. Allora Frisso andò subito ad Aeta re della Colchide, vi consacrò al dio Marte il Vello d’ oro, e lo appese ad un albe
liuola, ma poi invidiando le ricchezze del genero, entrò per violenza al possesso del Vello d’ oro. 88 451. Giasone, esse
nuno dei principali tra questi prodi aveva il suo ufficio. Tifi stava al timone ; Linceo, di vista acuta scopriva gli scog
he gli Argonauti recassero sulle loro spalle la nave dal Danubio fino al mare, e che fosse il primo vascello comparso sull
ettuno nel golfo di Corinto. Tutti questi avventurieri s’ imbarcarono al capo di Magnesia in Macedonia, entrarono nel Pont
), la quale per voler di Giunone e di Minerva protettrici dell’ eroe, al primo vederlo si sentì tratta ad amarlo. Ei le co
ava d’ aver trovato con le sue arti il segreto di rendere la gioventù al padre di Giasone, ingannò le figlie di Pelia con
olpe rendono sconoscente il beneficato. 458. Cotanta infedeltà spinse al furore la malvagia donna, la quale, dissimulando
nobea, moglie di questo principe, lo vide di mal’ occhio, e lo accusò al marito di una pretesa cospirazione ordita contro
discendente dell’eroe : …….. Dagli Dei scortato Parti Bellorofonte, al Xanto giunse, Al re de’ Licj appresentossi, e lie
ro agli antri cupi, S’ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia, ch
tri cupi, S’ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia, che il bel c
ode accostar melodioso pianto ? Ah ! ti conosco al volto, al plettro, al canto, Giovin di Tracia, che il bel core occupi S
attro tori e altrettante giovenche, e fu preso da inesprimibile gioia al vedere uscir fuori da quelle vittime una moltitud
. Arione, poeta e cantore, nacque nell’isola di Lesbo91 nel mare Egeo al sud della Troade. Fu emulo d’Orfeo (469), e visse
eva dietro alla nave, guizza a raccorlo sul suo dosso, e lo reca fino al capo Tenaro in Laconia, di dove Arione passò a Co
gli era in Italia a godere i favori della fortuna e gli omaggi dovuti al suo merito. A queste parole Arione comparisce al
e gli omaggi dovuti al suo merito. A queste parole Arione comparisce al loro cospetto. Gl’impostori stupefatti e svergogn
483. Il padre degli Dei si trasformò in toro bianco, e scese in riva al mare dove Europa passeggiava con le sue donzelle.
nte educare. 494. Divenuto grande, edipo consultò l’oracolo intorno al suo destino, e n’ebbe in risposta ch’egli era nat
mma. 499. Edipo, mosso dalla ricompensa e dall’avidità di regno, andò al cospetto della Sfinge, e seppe penetrare il senso
perse di quanti guai era stato cagione, senza saperlo, ai genitori ed al paese. 503. Allora inorridito di sè medesimo, non
è tu chiami, Un fremito d’orror sol ti risponde. — Alla vita raminga, al duro esiglio I lieti giorni dell’età fiorita, Pad
a prenderne il possesso ; ma compito l’anno ricusò di cedere il trono al fratello. Questa perfidia originò la famosa guerr
509. Creonte, dopo la morte dei figli d’ edipo , da lui stesso accesi al fraterno odio perchè venissero a quelli estremi,
etosa Antigone tornò a Tebe per rendere furtivamente gli ultimi onori al fratello ; ma scoperta nell’atto che ne raccoglie
o Atreo e Tieste, nomi che rammentano atroci fatti, e discendenza che al pari di quella di edipo sembrò destinata a far
Ma la notte seguente, mentre che tutti erano in preda all’ebrezza od al sonno, i soldati uscirono dal ventre del simulato
fra di loro con un duello, a condizione che Elena restasse in premio al vincitore. Il duello fu fatto sotto le mura di Tr
sse in premio al vincitore. Il duello fu fatto sotto le mura di Troja al cospetto dei Greci e dei Trojani. Paride ebbe la
, si fece partigiani in Argo, e tese tante insidie ad Agamennone, che al suo ritorno fu tradito dalla moglie, ed ucciso ne
Quindi gli dette per precettore il centauro Chirone (430), il quale, al dir della favola, lo alimentò con cervello di leo
sente che l’onde Già di nuovo son chiare, Abbandona le piume, e torna al mare. (Metastasio, Achille in Sciro.) Allora
rlo di tanta audacia, mise tale scompiglio nella casa di Diomede, che al suo ritorno non potendo più vivere in pace con Eg
ra di Troja sacrificò la sua per salvare la vita del genitore : Ecco al Nestoreo cocchio s’implica Destrier, cui Paride f
l dardo : Ecco discendere contra il gagliardo L’asta nemica.97 Corse al Messenio per l’ ossa un gelo, E, vieni, salvami,
ernasse il suo nome, perchè l’ oracolo aveva predetto una morte certa al primo che ponesse piede sulla spiaggia nemica. Qu
pesta violentissima, e lo ridusse agli estremi. Allora, per sottrarsi al pericolo, fece voto a Nettuno (185 che se gli con
primo a comparirgli davanti… Lo sciagurato padre voleva esser fedele al suo voto ! 560. Ma i Cretesi inorriditi da tanta
diruto il muro Dava più varco a’ Teucri, ivi a traverso Piantarsi ; e al suon de’brandi, onde intronato Avea l’elmo e lo s
tra’quali era la cintura che servì poi a legare il cadavere d’Ettore al carro d’Achille, allorchè questi lo trascinò into
Traduz. del Borghi.) 566. Dal sangue d’ Ajace spuntò un fiore simile al giacinto, sul quale paiono impresse le due prime
Ionio. Ulisse, il figlio di Laerte, io sono, Per tutti accorgimenti al mondo in pregio, E già nolo per fama insino agli
e la di selve bruna Zacinto. All’ orto e a mezzogiorno queste, Itaca al polo si rivolge, e meno Dal continente fugge : as
essergli avversa. Quindi le sue avventure, dalla caduta di Troja fino al ritorno in Itaca, sono argomento di un altro poem
citatagli contro da Nettuno che volle punirlo per aver tolto la vista al figliuol suo Polifemo. Allora vide sfasciarsi e p
svegliò riverenza nella principessa e nelle compagne. Indi fu guidato al palazzo ; e giunto al cospetto d’Alcinoo e della
a principessa e nelle compagne. Indi fu guidato al palazzo ; e giunto al cospetto d’Alcinoo e della sua moglie, si prostrò
sensi, ch’ è del rimanente, Non vogliate negar l’ esperienza, Diretro al sol, del mondo senza gente. Considerate la vostra
cenza. Li miei compagni fec’io si acuti, Con questa orazion picciola, al cammino, Che appena poscia gli avrei ritenuti : E
ritenuti : E volta nostra poppa nel mattino,110 De’remi facemmo ali al folle volo, Sempre acquistando del lato mancino.1
occhi. Presala seco, la menò alla corte di Polinestore re di Tracia, al quale Priamo aveva dato in custodia Polidoro il m
per aspettare impavido il suo rivale : Ed ecco Achille avvicinarsi, al truce Dell’elmo agilator Marte simile. Nella dest
gir diessi Atterrito………. Indi, ritornato animoso, si ferma incontro al nemico gridando : Più non fuggo, o Pelide. Intor
ce a morte il nemico nel collo. Indi lo spoglia delle armi, e lo lega al suo cocchio : ……. Sul carro indi salito Con l’el
e, E villano gli grida : Sciagurato, Esci, il tuo padre qui non siede al desco. Torna allor lagrimando Astïanatte Alla ved
sembianze mortali, lo accompagnò, l’aiutò a passare non visto davanti al campo de’Greci, e fecelo entrare nella tenda del
sostegno : E questo pure per le patrie mura Combattendo cadeo dianzi al tuo piede. Per lui supplice io vegno, ed infiniti
l cadavere d’Ettore, e lo involgevano in candidi lini per restituirlo al padre. Da sè medesimo Achille collocò poi la salm
chè i Trojani potessero col decoro conveniente dare gli onori funebri al valoroso lor duce, e non senza nuovo pianto ambed
persuasi, allorchè ……. due serpenti immani Venir si veggon parimente al lito Ondeggiando coi dorsi onde maggiori Delle ma
tto, e due nel collo Gli racchiusero il fiato, e le bocche alte Entro al suo capo fieramente infisse, Gli addentarono il t
esangui Disviluppati, invêr la rocca insieme Strisciando e zufolando al sommo ascesero, E nel tempio di Palla entro al su
trisciando e zufolando al sommo ascesero, E nel tempio di Palla entro al suo scudo Rinvolti, a’piè di lei si raggrupparo.
arve, e gli disse che Cibele (40) l’aveva seco rapita per consacrarla al suo culto. 610. Enea potè costruire una flotta di
u insegnata da Atlante (359), e per la sua passione della caccia che, al dire dei poeti, ei serbò ancora poichè fu sceso n
tessa di Giunone (85), 625. Questa sacerdotessa doveva esser condotta al tempio sopra un carro per fare i soliti sacrifizi
tone erano tanto poveri che non avevan cavalli…. Ebbene ! attaccarono al carro sè stessi, e la condussero fino al tempio,
valli…. Ebbene ! attaccarono al carro sè stessi, e la condussero fino al tempio, facendo un tragitto di circa sei miglia.
le affetto. Ed oh ! come l’ingegno dell’artista, che sortì cuore pari al vostro, s’infiammerà nell’immaginare le ingenue s
mentre sua madre lo partoriva ; sicchè Altea, per prolungare i giorni al figliuolo, si tolse quel tizzone, lo spense, e lo
Meleagro, ferì a morte gli zii. 628. Altea, non dando più ascolto che al suo furore, si dimenticò d’esser madre, e lanciò
eo, un atroce banchetto, ve la fece comparire sulla fine a far sapere al marito fino a qual punto era arrivata la ferocia
Ah ! la felicità di Pigmalione non è un sogno ; ed egli andò debitore al suo ingegno della più bella e della più virtuosa
umana, così risolse di rimaner sempre nubile ; ed essendo tanto agile al corso da non poter venire superata dagli uomini p
rni aspettò che le onde si calmassero, ma l’ottavo non potè resistere al desiderio di rivedere la fidanzata. Partì, che il
ato Pirra figliuola d’Epimeteo (73), e regnava sulla Tessaglia vicino al Parnaso, quando sopravvenne il diluvio che porta
siccome i fiori ch’egli accarezza ; il suo colorito è rosso virgineo al par di quello della rosa nascente ; e negli sguar
e svegliatosi, cercò del gregge, e non trovandolo corse tutto dolente al villaggio. Ogni cosa aveva mutato d’aspetto ; ste
riconoscerlo, meno che il suo fratello minore che era già vecchio, ed al quale narrò i casi suoi. Divulgatasi la fama di q
e anche Dante nel XX dell’Inferno, e tocca varie altre cose che fanno al nostro proposito ; ma convien prima avvertire che
i, l’Alighieri assegna per gastigo l’avere il collo e la faccia volti al contrario, verso la schiena, sicchè non potendo v
era figlio d’Apollo (96) e d’Ipermestra (252), e fu celebre indovino al tempo della guerra di Tebe. Sapendo per sua propr
icurezza verso il palazzo di Tarquinio, e chiese di parlargli. Giunta al suo cospetto, gli mostrò nove manoscritti, dicend
presenza, quand’ella ne bruciò altri tre, e gli offerse il rimanente al medesimo prezzo. Tarquinio maravigliato, consultò
i Persiani ; e soccombendo egli stesso, la medesima sorte era serbata al suo. Quando la Pitia disse a Nerone : diffida dei
anni, egli credè di dover morire in quell’età avanzata ; ma non pensò al suo luogotenente Galba che aveva settantatrè anni
ecialmente in Elide, musica, poesia, pittura e storia patria, narrata al cospetto dell’intera nazione, e fatta solenne coi
oria, e facevano di questi giuochi uno spettacolo veramente sublime ; al quale s’univa poi l’agilità della corsa a piedi,
e di tanta gloria ; ma il figlio, in cui l’ amor di patria era sprone al valore, spregiando i doni del tiranno, gridò che
dovè soccombere sotto la ruina. Questi giuochi dettero origine anche al seguente fatto, che può dare un cenno dei costumi
olte ingiurie ed oltraggi, e niuno lo volea ricevere. Arrivato che fu al luogo ove sedevano gli Spartani, tutti i giovinet
gno Di storia o di poema. Sé stesso il saggio moderar procuri, Nemico al folle orgoglio, E ognor pacato i suoi desir misur
iando il 22 giugno o nel plenilunio d’ecatombeone, che risponde quasi al nostro luglio, e duravano cinque giorni. Da quest
quando Corebo vinse nella corsa, e continuarono in numero di 294 fino al principio del quinto secolo dell’èra cristiana. 6
erano di tre specie : La corsa fatta nel circo dedicato a Nettuno od al Sole (110) ; i combattimenti del disco, del pugil
primieramente proposta la corsa di mille passi, dal tempio di Minerva al Foro : alla quale distanza non poteva giungere un
e persone loro snelle in quel leggiero vestimento ; e, senza ritardo, al primo cenno della già imboccata tromba, tutti in
ero per breve spazio in quella disposizione, quando colui che correva al destro lato di quello che tutti superava nel mezz
no, disposti a nuovo spettacolo, sei carri ; ciascuno dei quali aveva al timone, di fronte, quattro corsieri, che, aneland
la dritta sospeso il flagello in atto di percuotere, col viso rivolto al trombettiere, stanno i giovani, ansiosi che il ma
sa delle tempie in una fortuita caduta. Ed ecco già suona la tromba ; al desiderato segno si lanciano i frementi destrieri
de’ flagelli, lo stridore delle rote, e il fremer delle voci, insieme al calpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto, al v
r delle voci, insieme al calpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto, al volger di tante rote e al battere di tante orme,
alpestio delle ferrate ugne. Ma ben presto, al volger di tante rote e al battere di tante orme, la in prima serena aria of
riga bianca sparsa di nere macchie, onde presentandosi il condottiero al dispensatore de’ premj, ebbe in dono un elmo ed u
ella lotta : e si mostrò nella palestra con leggiadro coturno involto al piede candido ed ignudo. Una cerulea veste lo ric
volto al piede candido ed ignudo. Una cerulea veste lo ricopriva sino al ginocchio, annodata con fascia d’oro al petto. E
rulea veste lo ricopriva sino al ginocchio, annodata con fascia d’oro al petto. E poichè alquanto ristette, contemplando i
ai lombi, secondo è costume. Erano fosche le membra di lui, come arse al raggio estivo in questi cimenti, e, lanuginose pe
ettò animosamente ad un suo satellite il succinto sajo, sciogliendone al petto il nodo della fascia, ed apparve nudo in tu
o così alquanto di nuovo discosti, ed il Cretese fremeva nel vedersi, al principio del cimento, quasi sul punto di essere
il garzone, or da una parte or dall’altra agitandolo, per istenderlo al suolo. Ma egli, secondando agilmente gli urti vio
secondando agilmente gli urti violenti, reggeva sè stesso, come canna al vento, finchè gli si offerse l’opportunità d’intr
segue, invan sottrarsi Tenta l’uom, benchè forte. Il di seguente, Che al surgere del sole era il certame Delle quadrighe,
quinto Con tessale puledre. Etolo il sesto, Biondi corsieri aggiunti al carro avea ; Il settimo Magnesio ; era Eniano, Bi
pre Oreste Presso presso la meta ripiegava Il fervid’asse rallentando al destro Corsier la briglia, e rattenendo il manco.
zïosi Vasi accogliean le lagrime votive. Rapian gli amici una favilla al sole A illuminar la sotterranea notte, Perchè gli
i antichi ; il Costume Antico e Moderno del Ferrario sodisfa in parte al bisogno degli artisti e degli studiosi ; ed è cos
eda, Porteronne le tolte armi nel sacro Ilio, e del Nume appenderolle al tempio : Ma l’intatto cadavere alle navi Vi sarà
ovenchi, E traendone l’adipe il Pelide Copriane il morto dalla froute al piede, E le scuoiate vittime d’intorno Gli accumu
, E in aurea coppa ad ambedue libando, Di venirne li prega, e intorno al morto Sì le fiamme animar, che in un momento Lo s
vasto aureo cratére Il vino attinse con tritonda coppa, E spargendolo al suol devotamente, N’irrigava la terra, e l’infeli
suo compagno, Geme il Pelide, e crebri alti sospiri Traendo, intorno al rogo si strascina. Come poi nunzio della luce al
iri Traendo, intorno al rogo si strascina. Come poi nunzio della luce al mondo Lucifero brillò, dopo cui stendo Sul pelag
a, o duci achei, che vivi Dopo me rimarrete a questa riva. Del Pelide al comando obbedïente Con larghi sprazzi di vermigli
i scogli Del mar di Grecia ; ne la Grecia stessa Mi chiugga, e dentro al cerchio di Micene ; Ch’io l’arò sempre per solenn
i v’invito, Di navi, di pedoni e di cavalli, Al corso, alla palestra, al cesto, a l’arco. Ognun vi si prepari : ognun ne s
ffetto V’adoro e ’nchino come cosa santa. Mentre cosi dicea, di sotto al cavo De l’alto avello, un gran lubrico serpe Uscí
gran lubrico serpe Uscío placidamente ; e sette volte Con sette giri al tumulo s’avvolse. Indi strisciando, in fra gli al
pagno d’ Ettore : Non s’intermise di Miseno intanto Condur l’esequie al suo cenere estremo ; E primamente la gran pira es
la fronte e i lati, E piantâr ne la cima armi e trofei. Parte di loro al fuoco, e parte a l’acque, E parte intorno al fred
e trofei. Parte di loro al fuoco, e parte a l’acque, E parte intorno al freddo corpo intenti Chi lo spogliò, chi lo lavò,
97. Questo Dio, che prima era re d’Argo, avendo lasciato i suoi stati al fratello Egialea, andò a stabilirsi in Egitto, ov
enza Tifone suo fratello aveva tentato d’usurpargli il trono. Osiride al ritorno s’adoperò invano a frenarne l’ambizione,
n esercito, lo battè e gli tolse il trono usurpato. Così Oro suecesse al padre, benchè dovesse poi soccombere per la prepo
affile a tre corde per indicare ch’egli è anche onorato come il sole, al quale è attribuito quell’istrumento per isferzare
quale è attribuito quell’istrumento per isferzare i cavalli attaccati al suo carro. Talora comparisce in figura d’uomo con
che Osiride. Erodoto non ne parla, e Apollodoro dà questo stesso nome al bue Api. L’imperatore Antonino Pio introdusse in
Iside, e poi andavano attorno a chiedere l’elemosina, e non tornavano al tempio altro che la sera per ivi adorare in piedi
detta città. 708. Gli Egiziani accordarono onori divini non solamente al bue Api (703), ma anche a varii altri animali, ci
ncipio attivo, l’anima del mondo ; e le sue cerimonie erano celebrate al lume di luna od alla luce di grandi fiaccole in l
i o sacerdoti andavano a raccorla con gran pompa. Il capo dei Druidi, al cospetto del popolo, saliva sull’albero, e segava
falcetta d’oro quel vischio, il quale pel capo d’anno era distribuito al popolo qual cosa santa e quale indizio di buon au
. Fu chiamato Padre universale, perchè padre degli Dei e degli uomini al pari del Giove dei Greci. Ebbe anche il nome di P
r eseguir commissioni, con un cavallo che corre per l’aria attraverso al fuoco. Vengono poscia le Walchirie che nel Valhal
aordinario chiamato Scioun che avea corpo senz’ossa e senza muscoli : al suo passare si abbassavan le montagne, colmavansi
le Pleiadi, l’arco baleno, le stelle, il tuono ed i lampi. Offrivano al Sole piccole immagini di uomini, d’uccelli e di q
tizia 12. Questo tempio fu costruito di figura rotonda, perchè Numa, al dire di Newlon, col riporre il fuoco sacro di Ves
he vanno talora confusi coi Coribanti, coi Galli e coi Cureti addetti al culto di Cibele. 15. Talnni mitologi unendo ina
Altri dicnno ch’egli perisse in una battaglia datagli dagli Ateniesi al tempo d’Eretteo (116, 654). 17. I Misteri eleusi
mpo di nette. Gl’iniziati si raccoglievano in un vasto recinto vicino al tempio ; s’inceronavano di mirte, si lavavano le
n quello sconvolgimento. Esiodo dice cha la gran madre terra, sposata al Tartaro partorì Tifeo o Tifone ultimo dei suoi fi
insieme ardeva la fiamma. E indica il rnmoro che faceva paragonandolo al mnggito di un toro, all’urlo d’uu Jeone o all’abb
viene simboleggiata la divina provvidenza ; il secondo rubò il fuoco al ciclo, ovvero liberò l’uomo dalle tenebre dell’ig
he il popolo implorò l’oracolo di Delfo (122). Apollo per esser grato al servigio rèsogli da Trofonio nell’erigergli il te
il marito tornasse vittorioso. Dopo la vittoria, la chioma fu appesa al tempio di Venere Zefiritide, e la nolte seguenle
assai più frequenti. 40. Scilla ora ò città della Calabria, in riva al mare, all’imboccalura dello stretto di Messina. G
rte di Sicilia in faccia agli scogli, non è più temibile come quando, al narrar degli antichi, investiva e inesorabilmente
endi di Saturno, e del così detto secol d’oro. 47. Antica. 48. Vedi al § 29, il nascimento di Giove. Rea è il soprannome
e facile ad essere intesa. 50. Scende di roccia in roccia. 51. Fino al fondo dell’abisso donde più non si scende. 52. M
’Areopago, davanti a cui, non cho i re, i Numi stessi erano giudicati al pari degli altri uomini. 58. Alcuni fanno deriva
ano riparo. 71. Qui intendiamo gli Angeli. 72. Però havvi sì spesso al mondo chi soffre mulamento di slalo. 73. Il fuoc
ti rappresentavano il dispotismo, il vizio, l’ ignoranza che nocevano al genere umano, e impedivano l’ avanzamento della c
tta e per la onoralezza dei sentimenti. Era intrepido e forte davanti al nemico, ma dolce e modesto co’suoi eguali ; rispe
isa posizione di quesla città. Basti ricordare cho Troja stava presso al capo Sigeo e all’Ellesponto, nella pianura del Me
’Orïon lempestosa, e la grand’ Orsa Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo Ella al gira, ed Orïon riguarda, Dai lavacri
tosa, e la grand’ Orsa Che pur Plaustro si noma. Intorno al polo Ella al gira, ed Orïon riguarda, Dai lavacri del mar sola
due bella Populuse città. Vedl nell’ una Conviti e nozze. Delle teda al chiaro Per le contrade ne veaian condotte Dal Ial
o il giogo in quesla parte a lo qualla Stimolaado I giovenehl. E coma al capo Ginngean dei solco, no nom che giva ia volla
man spomanla un nappo Dl dulcissimo bacco ; e quei tornaado Ristorali al lavor, l’ almo lerreau Fendean, bramosi di finirl
re di conoscere l’emisferio terrestre che è privo d’abitatori) dietro al sol (camminando secondo il corso del sole da Orie
itosi avvenimenti di Tebe. Regnando Anfionc, questa città fu in preda al flagello della peste, e la famiglia reale ne fu a
e ritornò nella Lidia suo paese natio per abbandonarvisi liberamente al dolore. All’ aspetto dei luoghi dove aveva vissut
rchè posti verso quella parte dove credevano che il sole si coricasse al giungere della sera. Da questo la favola degli au
. Queste due città fabbricate aullo stretto dell’ Ellesponto, in riva al mare a l’una rimpatto all’ altra, aono aeparate d
a, aono aeparate da un tratto di più d’un miglio. 122. Queslo rallo, al dire di Platone, è un’allegoria della svenlurala
. 124. Prima di tornare ad esser maschio. 125. Che accosta il tergo al ventre di lui, atteso il narrato travolgimento de
a contrassegnare nel cielo il viaggio che fa la terra girando intorno al sole nel periodo d’un anno. 143. Per lo più sott
6 (1836) Mitologia o Esposizione delle favole
itologiche idee. Pare quindi molto più adattato all’ intendimento, ed al profitto degli scolari, per quanto la Mitologia i
estri, e quelli, che presedevano alle varie vicende dell’ umani vita, al nascere, alle nozze, ai parti, ec. Molti uomini,
speridi, la mostruosa Echidna mezzo donna e mezzo serpente, che unita al procelloso Tifone partorì Orto cane di Gerione, C
urno; che il primo a richiesta della madre cedette il regno del cielo al secondo, colla condizione però, che non allevasse
Giove dal cielo, e per salirvi Sovrapposero ne’ campi di Flegra l’ un al l’ altro i monti Olimpo, Pelio, ed Ossa (il che p
arebbe stato re degli uomini, e degli Dei, tolse con inganno la prole al ventre di Meti, e nel suo l’ ascose, ed egli stes
e giovini donne queste percosse fuggivano, persuase che utili fossero al concepimento, ed al parto. In tal occasione a Giu
te percosse fuggivano, persuase che utili fossero al concepimento, ed al parto. In tal occasione a Giunone Februale immola
’ Oceano, fermatasi nel giardino di Flora, questa le mostrò un fiore, al tocco e all’ odore di cui da se sola concepì Mart
o la favole portato in cielo, e annoverato fra gli Dei Indigeti sotto al nome di Quirino. Figlio di Marte, secondo Esiodo,
altresì celebri eran nel circo i giuochi Marziali ai 12 di Maggio, ed al primo di Agosto. Come Dio della guerra ci dipinge
le Isole dette Vulcanie, ora di Lipari. Al terzo però soltanto, cioè al figlio di Giove e di Giunone, alluder sogliono i
lade, e Venere chi averlo dovesse. Ma essendosi tutte e tre riportate al giudizio di Paride figlio di Priamo re di Troia,
amente le brame di lei secondando fra le tenebre della notte la guidò al letto del padre come un’ ignota amante. Stato con
se apertosi uscì Adone. Crebbe egli leggiadrissimo giovane, e Venere al primo incontro tosto di lui ardentemente si acces
vegetabili. Amore da Esiodo è posto fra i primi Iddìi, contemporaneo al Caos, e alla terra, e distinto da Cupidine. Gli a
lla lucerna caduta sopra una spalla’ di Amore il ferì. Egli destatosi al dolore fuggi sdegnato, seco a volo traendo Psiche
la quale presolo per un piede cercava in vano di trattenerlo. Caduta al fine, e rimasta sola per disperazione gettossi in
una dopo l’ altra salirono lo scoglio, da cui Zefiro le avea portate al palagio di Amore, ed una dopo l’ altra da esso pr
pina; e scesa per la via del Tenaro ottenne da Proserpina il vaso, ma al ritorno ebbe curiosità d’ aprirlo, e ne uscì un v
ui ella cadde in letargo. Da questo però Amore la risvegliò, e salilo al cielo ottenne da Giove di averla in isposa, e pla
, che poi fu ucciso da Teseo nel labirinto di Creta. Circe maritatasi al re de’ Sarmati l’ avvelenò, quindi scacciata venn
llo, di Esculapio, e delle Muse. Quattro Apollini si distinguevano al dire di Cicerone: il primo figlio di Vulcano, e d
e di Minerva; il secondo figlio di Coribante e nato in Creta, intorno al dominio di cui ebbe poscia contesa con Giove; il
nerla, quando frodate vide del tutto le sue speranze; perciocchè ella al padre raccomandandosi fu tramutata in alloro. Olt
acinto, Ciparisso, Clizia, Leucotoe, Isse, e Coronide. Mentre giocava al disco con Giacinto figlio di Pierio, e di Clio se
s’ innalzarono templi, in cui rappresentavasi con un bastone in mano, al quale era un serpente attorciglialo; e gli s’ ist
stilenza, e Nettuno coll’ inondazione, e col mandar un mostro marino, al quale Laomedonte per ordine dell’ oracolo dovette
sino. Ingegnossi egli colle velature del capo a ricoprirle, ed ordinò al suo tosatore di non manifestarle a nessuno; ma qu
Narra Ovidio, che le nove figlie di Pierio edi Evippe avendo sfidate al canto le nove Muse, ed essendone state vinte a gi
avuto da Meleagro vennero uccisi. Allora Altea madre di Meleagro, che al nascer di lui ritratto avea dal fuoco, e occultal
ome il messaggiero degli Dei. Perciò dipingevasi colle ali a piedi ed al capo; onde esprimer la sua velocità. Davaglisi pu
Giove ucciso Argo posto da Giunone alla custodia di Io (come si disse al Capo IV.), ebbe da ciò il titolo di Arcidiga. Vuo
ndo mandò l’ Invidia ad infettare Aglauro del suo veleno. Ella perciò al venir di Mercurio cercò vietargli l’ ingresso, e
a tagliare arditamente e profanare il bosco a lei consecrato. Cerere, al dir di Ovidio, spedì quindi nel Caucaso a ricerca
omandossi a Nettuno da cui prima era stata amata, ed ei per toglierla al padre la trasformò in pescatore. Restituita alla
la trasformò in pescatore. Restituita alla forma primiera tornò essa al padre, e veduta da lui nuovamente, e pur nuovamen
à fino a trent’ anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Nell’ att
di Siringa figlia del fiume Ladone, la quale da lui fuggendo in riva al fiume paterno fa cangiata, in un cespo di canne;
iglio di Mercurio e della Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli al mento ed al detto. Alcuni lo dissero figlio di Pi
curio e della Notte, dipingetesi come Pane, ma senza peli al mento ed al detto. Alcuni lo dissero figlio di Pico re dei La
o le feste terminali, che celebravansi ai 23 di Febbrajo. Anticamente al Dio Termine non sacrifica vasi alcun animale; poi
d ogni parte dell’ uman corpo un Dio particolare pur presedeva. Giove al capo, Nettuno al petto, Marte ai lombi, il Genio
’ uman corpo un Dio particolare pur presedeva. Giove al capo, Nettuno al petto, Marte ai lombi, il Genio alla fronte, Giun
none alle sopracciglia, Cupidine agli occhi, la Memoria agli orecchi, al dorso Plutone, alle reni e agl’ inguini Venere, a
unina quella che presiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bambini al poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiar
esiede alle cune. La Dea Rumina istruiva i bambini al poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. La Dea Ossilagin
a Rumina istruiva i bambini al poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. La Dea Ossilagine consolidava loro le o
va loro le ossa; Nundina era quella sotto gli auspici di cui i maschi al nono giorno dopo la nascita, e le femmine all’ ot
tà, alla Fama; e sacrifici si fecer anche alla Febbre, alia Tempesta, al Pavore e al Pallore onde tenerli lontani. Agli De
a; e sacrifici si fecer anche alla Febbre, alia Tempesta, al Pavore e al Pallore onde tenerli lontani. Agli Dei terrestri
celebravansi in Dicembre, ed Anna Perenna, che avendo recato de’ pani al Popolo Romano, allorchè stava ritirato sul monte
me avendo congiurato contro di Giove fu costretto a servir con Apollo al re Laomedonte nella costruzione delle mura di Tro
proprie avean pure i Romani, l’ una Venilia per cui i flutti vengono al lido, e l’ altra Salacia per cui si ritirano; le
dicono pescatore, veggendo, che i pesci da lui presi gettati sul lido al tocco di cert’ erba nuovamente balzavano in mare,
ttro Aglaosi o Aglaope, Telciope, Pisno, ed Ilige o Ligia. Eran esse, al dir di Ovidio, compagne di Proserpina, e allorchè
il filo, Atropo lo tagliava, allorchè la vita di ciascuno era giunta al suo termine. Le tre Furie, o Dire, o Erinni, o Eu
e, e della sete, ponendolo in mezzo alle acque, che gli giungono fino al mento, ma che gli fuggon eli sotto quand’ ei si a
rta di un monte un gran sasso, che quando è vicino a toccare la cima, al basso nuovamente ricade. Pausania pretende che di
che sulla, terra si sparsero, incontanente, restando la sola speranza al fondo del vaso che Pandora avvedutamente richiuse
eteo sia stata, che avendo questi formata una statua di argilla, salì al cielo coll’ aiuto di Minerva, e accesa al fuoco d
una statua di argilla, salì al cielo coll’ aiuto di Minerva, e accesa al fuoco del Sole una fiaccola, con essa diede alla
ciso da Apollo. Cerambo, secondo il medesimo, si sottrasse anch’ egli al diluvio, fuggendo sui monte Parnasso, cangiato da
o, che venne alla luce di sette mesi, e ritardò quella di Ercole fino al decimo mese. Anzi, secondo Ovidio, Alcmena pur gi
Ercole fino al decimo mese. Anzi, secondo Ovidio, Alcmena pur giunta al termine stette per sette giorni fra acerbi dolori
e pasceansi di umane carni, e poscia gli uccise. 6. Sconfisse in riva al Termodonte fiume della Cappadocia le Amazoni, che
tte, perchè recideansi la destra mamma, onde non fosse d’ impedimento al tirare dell’ arco; e fatta prigioniera Ippolita l
Una delle più celebri tra queste imprese fu quella di unire l’ Oceano al Mediterraneo, separando i due monti Abila e Calpe
promessi, Ercole espugnò Troia, uccise il perfido re, e diede Esione al socio Telamone figlio di Eaco, e fratello di Pele
si è accennato, e ne liberò anche Teseo, come dirassi qui in seguito al Cap. X. Essendogli da Tindamante re di Misia nega
sti dalle Ninfe stato rapito nella Bitinia, mentre era sceso per bere al fiume Ascanio, Ercole inconsolabile l’ andò cerca
perdere il fruito della sua vittoria; perciocchè giunto con Deianira al fiume Eveno, il Centauro Nesso offrendosi di port
ll’ onde ai lidi della Puglia, ed ivi raccolta da’ pescatori e recata al re Pilunno, il quale sposata Danae, da cui ebbe D
u recata, all’ isola di Serifo una delle Cicladi nel mar Egeo, e data al re Polidette, il quale, allorchè Perseo fu cresci
olti, di Cibele, che per vendicarsene li mutò in lioni, e gli attaccò al suo carro. Capo VI. Di Cadmo, e di Anfione.
e queste furono poi fabbricate da Anfione, il quale secondo le favole al suon della lira trasse le pietre a soprapporsi l’
e la Sfinge gli domandò qual fosse l’ animale, che avea quattro piedi al mattino, due al mezzogiorno, e tre la sera. Edipo
domandò qual fosse l’ animale, che avea quattro piedi al mattino, due al mezzogiorno, e tre la sera. Edipo rispose esser l
ttro piedi, in età adulta cammina con due, e in vecchiaia si appoggia al bastone come terzo piede. La Sfinge allor cadde e
di più che Laio era suo padre, e Giocasta sua madre. Preso da orrore al vedersi tutto ad un tempo reo di parricidio e d’
eduno: ma Eteocle, prese le redini del governo, ricusò di più cederle al fratello, e lo costrinse a ricoverarsi presso di
ate da Licofonte e Meone tendere a Tideo un agguato per, assassinarlo al ritorno. Non atterrito Tideo dal numero degli ass
mandò ad Eteocle per recargli il tristo annunzio. Ma irritato Adrasto al rifiuto e alla nuova perfidia di Eteocle, adunò i
il luogo dov’ ei celavasi; ed ei costretto ad andarvi, lasciò ordine al figlio Alcmeone, che quando udisse la morte di lu
tri però fattale fu quella guerra a’ due nemici fratelli. Fino avanti al loro nascere avea detto Giocasta di averli sentit
te non fossero state scacciate. Approdato a Colco presentossi Giasone al re Eta chiedendo il vello d’ oro, ma questi rispo
averlo convenivagli prima domar due tori spiranti fiamme e sottoporli al giogo poi seminare i denti del drago ucciso da Ca
ghi incantati, e bramando le figlie di Pelia, che altrettanto facesse al padre loro prescrisse a queste di ucciderlo, e fa
mentre la figlia Ociroe, ch’ era indovina, gli stava vaticinando, fu al dir di Ovidio tramutata in cavallo. Castore e Pol
e come seppe ammansare la ferocia de’ Traci allor selvaggi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole, che al s
or selvaggi, e trarli al vivere socievole, fu detto dalle favole, che al suono della sua lira traeva le piante e le fiere,
poscia Megara, Scilla figlia del re Niso di esse innammoratosi recise al padre addormentalo un crine purpureo, al quale er
di esse innammoratosi recise al padre addormentalo un crine purpureo, al quale era annesso il destino di Nisa, per la qual
sette donzelle, cui dava nel laberinto fabbricato da Dedalo in pasto al Minotauro, il quale fu poi ucciso da Teseo. Dedal
ocacciatesi delle penne, le unì con cera, e ne formò due ali a se, ed al figlio, colle quali deluse i custodi fuggendo a v
vvertimenti del padre, volle levarsi troppo alto, sicchè squagliatasi al calor del Sole la cera, le penne gli caddero, ed
o tratti a sorte sette giovani e sette donzelle, che davansi in pasto al Minotauro. Uno de’ sette giovani fu pur Teseo, o
per un capo all’ ingresso del labirinto andò svolgendo, finchè giunto al Minotauro, e datogli morte, tenendo dietro al fil
volgendo, finchè giunto al Minotauro, e datogli morte, tenendo dietro al filo medesimo se uscì, presa seco Arianna con Fed
pe, onde aver la vittoria, sedusse Mirtilo cocchier di Enomao a porre al cocchio di lui un fragil asse, il quale essendosi
conveniva sacrificare Ifigenia figlia di Agamenone. Consentì il padre al barbaro sacrificio; ma Diana salvò Ifigenia sosti
assinare. Virgilio dice invece, che l’ uccise di propria mano innanzi al patrio altare. Vuolsi ch’ egli perisse alla fine
di una vipera. Menelao avendo nella presa di Troia ricuperato Elena, al ritorno fu dalla tempesta portalo in Egitto, e di
’ ingiuria i due fratelli Agamennone, e Menelao procurarono di trarre al lor partito tutti i principi della Grecia, de’ qu
a scoprire dov’ egli fosse sepolto. Credette Filottete di non mancare al giuramento tacendo il luogo, e accennandolo invec
lo per riscattare la figlia sua Astionome, nota più comunemente sotto al nome di Criseide, la quale nella divisione della
a quelli incendiate pur fosser le navi, che tratte in secca servivano al campo de’ Greci di trinceramento e di riparo. In
orno alle mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che venne in persona a domandarlo.
ccia di Paride fu là diretta da Apollo medesimo ad istanza di Nettuno al quale Achille aveva ucciso il figlio Cigno, atter
armi di Achille, cui Tetide aveva posto in mezzo, perchè fossero date al più degno; su di che non sapendo i Greci decidere
ri disastri tornarsene a Pilo, ove secondo i poeti giunse felicemente al termine di tre età. Quegli invece, che più avvers
issea. Partito egli da Troia con dodici navi, approdò prima in Tracia al lido de’ Ciconi, ove si diede a saccheggiare, per
te rimbarcarsi precipitosamente, perduti settantadue compagni. Giunto al capo di Malea or capo Malio nel Peloponneso, la t
ritrali sopra le navi, ed ivi incatenarli. Di là i venti il portarono al lido de’ Ciclopi in Sicilia, dove andato con dodi
sotto il ventre de’ montoni che ivi erano ed egli aggrappatosi sotto al più grande, ne uscirono tutti nell’ atto che Poli
nte da Eolo fu poi discacciato. Errando pel mare verso ponente giunse al paese de’ Lestrigoni, che da Cicerone supponsi ov
in essa erano potè camparne. Con questa approdò all’ isola Eea, ossia al promontorio Circeo, ora Monte Circello, ove la ma
tta e ne disperse i legni, sicchè Ulisse a grave stento, avvolgendosi al petto una fascia datagli da Ino Leucotea, potè a
uro in Itaca sopra una loro nave, la quale da Nettuno sdegnato fu poi al ritorno cangiata in pietra. Perchè in Itaca non f
più lunga, andò il mattino seguente in villa a far una dolce sorpresa al vecchio Laerte suo padre; ed essendo là venuti pe
clo; Reso da Ulisse e da Diomede. Antenore, che fu creduto favorevole al partito dei Greci, perchè sempre consigliava la r
no sacrificata da Pirro sopra la tomba di Achille), Ecuba accostatasi al mare per lavarne il corpo, vide sull’ onde il cad
ato a se Polinnestore a titolo di consegnarli un nuovo tesoro da dare al figlio, del quale dissimulò di sapere la morte, f
ella Ninfa Garamantide, che era stato prima da lei rifiutato, ricorse al padre, il quale spedì Mercurio ad intimare ad Ene
ntanto Giunone nemico implacabile dei Trojani spedì Iride, che’ sotto al sembiante di Beroe una delle Troiane insinuò alle
oto Palinuro, che fu da Morfeo addormentalo e’ gettato in mare vicino al promontorio, che dal suo nome fu detto poi Palinu
r invidia da un Tritone gettato in mare; Enea datagli sepoltura sotto al promontorio, che dal nome di lui appellò Miseno,
iseno, scese colla Sibilla sotterra, entrando per una spelonca vicino al lago di Averno. Trapassati i mostri ch’ erano sul
lago di Averno. Trapassati i mostri ch’ erano sull’ ingresso, giunse al fiume Acheronte, cui tragittò sulla barca di Caro
Bacco; poi infiammò alla guerra Turno figlio di Dauno re de’ Rutoli, al quale Lavinia era stata innanzi promessa; e final
tra i Latini e i Troiani. Dichiarata la guerra, Turno cercò di trarre al suo partito quanti potè de’ principi dell’ Italia
n questa è ferito di saetta in una gamba, e sanato da Venere. Tornato al campo va in cerca di Turno, cui Giuturna, presa l
i Romolo, e Remo, fondatori di Roma, di cui si è detto nella I. parte al capo VI. Appendice. Transunto delle Metamorfo
questo caos il trasse il Dio della natura e ne formò il Mondo. Sotto al regno di Saturno fiori l’ età dell’ oro, in cui l
dell’ oro, in cui la terra tutto producea da se medesima. Venne sotto al regno di Giove l’ età dell’ argento, in cui egli
a le case loro, concertano di trovarsi la notte sotto un gelso presso al sepolcro di Nino. Tisbe è la prima a recarvisi; m
ma spaventata da una lionessa, che fatta strage di buoi veniva a bere al vicin fonte, sen fugge lasciando ivi il suo velo.
la crede divorata dalle fiere, e per dolore si uccide. Tisbe tornando al concertalo luogo, e vedendo trafitto Piramo, ucci
ei marini. Parte I. Capo XVII. Le Ismenidi compagne d’ ino addolorale al vederla nel mare sommersa vengono trasformate, al
si ammazza. Parte I. Capo X. Le nove figlie di Piero sfidano le Muse al cauto, e son mutate in piche. Parte II. Capo X. G
uggono in Egitto. Parte I. Capo III. La ninfa Ciane volendosi opporre al rapimento di Proserpina è mutata in fonte. Parte 
da Giunone, Eaco figlio di Giove e di Egina a lui ricorre, e veggendo al piede di una quercia gran quantità di formiche gl
co nominati Mirmidoni da myrmex formica. Scilla figlia di Niso recide al padre un crine purpureo, cui era annesso il desti
ltea madre di Meleagro con lui sdegnata rimette sul fuoco il tizzone, al quale la vita di lui era annessa, ed ei muore con
de’ promessi cavalli, espugna Troia, uccide Laormedonte, e dà Esione al socio Telamone. Parte, II. Capo II. Nozze di Pele
non, sacrificano due vergini. Metioca e Menippe si offrono volontarie al sacrificio. Dal loro rogo escono due giovani, che
Polifemo, e da Galatea cangiato in fiume. Parte I. Capo XVII. Glauco al mangiar di cert’ erba balzando in mare è fatto Di
te II Capo XIII. La nave de’ Feaci dopo avere deposto Ulisse in Itaca al ritorno è petrificata da Nettuno. Parte II. Capo 
Tiberino re degli Albani si affoga nel fiume Albula, e fatto Dio, da al fiume il proprio nome. In Cipro Ifi ama Anassaret
Nella guerra di Tito Tazio re dei Sabini contro di Roma, Terpea apre al Sabini, una porta; Venere ottiene dalle Ninfe, ch
e la patria, malgrado la legge che ciò vietava, e andare a stabilirsi al fiume Esare in Calabria. È preso dagli Argivi e t
el solito solleva una zolla pesante, cui vede cangiarsi in fanciullo, al quale dà il nome di Trage; e questi, divien poi i
gli viene assegnato quanto terreno può cinger di un solco dal nascere al tramontare del sole. Esculapio sotto la figura di
li astri, e principalmente del Sole e della Luna. Da questo, si passò al culto del Fuoco, dell’ Aria, e de’ Venti, del Mar
ersare del vino (o in mancanza di esso dell’ acqua) in onore del Dio, al quale sacrificavasi. Usavasi pure ne’ sacrifìci l
hè giudicavasi proveniente dalla destra di Giove; non così se udivasi al contrario. Tutti i fenomeni straordinari, tutti i
e la ricompensa. Questi promise che data l’ avrebbe dopo otto giorni, al fine dei quali i due fratelli furono trovati mort
blo era favorevole, se le cose che gettavansi nel vicin lago andavano al fondo, contrarie se rimanevano a galla. L’ oracol
Nevio e Pisone; 5. L’ Eritrea, che secondo Varrone e Apollodoro vivea al tempo della guerra troiana, e secondo Eusebio ai
mofila o Erofile; 8. l’ Ellespontina che Eraclite Pontico dice vivuta al tempo di Ciro; 9. La Frigia, che soggiornava ad A
ni la più famosa era la Sibilla Cumana, la quale si disse che offerse al re Tarquinio superbo una raccolta di versi sibill
tre libri sul fuoco, domanda lo stesso prezzo per gli altri sei; che al secondo rifiuto ne gittò sul fuoco tre altri, ins
to che lanciavasi colla mano o la saetta, che si scagliava coll’ arco al segno prefisso; 4. La lotta o il pancrazio, cui g
elle fiere, le quali uscir si facevano dalle carceri o tane praticate al basso degli anfiteatri, e i più atroci e crudeli
7 (1897) Mitologia classica illustrata
pubblico o privato. Ben è vero che, se gli ordini sacerdotali addetti al culto delle varie Divinità in Grecia conservavano
polazioni, e ad es. nei misteri di Eleusi ogni sacra memoria relativa al culto di Demetra mantenevasi pura da ogni profana
rità e massime, dagli antichi stessi dimenticate. Dal Boccacci nostro al tedesco Creuzer è abbastanza lunga la schiera d
uale, confrontando i miti dei varii popoli di stirpe aria e risalendo al l’ origine loro comune, si avvide che buona parte
la bella Aurora, cui non potrà più rivedere se non quando sarà giunto al termine della sua faticosa giornata. Un piccolo s
pramantha in indiano, diventa il benefico Prometeo che fura il fuoco al cielo per donarlo ai mortali. Ecco veri racconti
ro diversamente dagli abitanti delle coste, dediti alla navigazione e al commercio. E deità originariamente locali avvenne
a, diventando ancelle delle deità vincitrici, o a dirittura scendendo al grado di semplici eroi. Così la vittoria di Era c
a mitologia; cosicchè riesce ora pressochè impossibile ridurli sempre al loro naturale significato e tracciarne con sicure
ersalmente divulgati tra i Greci, e cercarono di adattar tutto questo al concetto tradizionale che essi avevano delle vari
del divino importava che le qualità umane fossero per loro innalzate al più alto grado di eccellenza; quindi il corpo deg
gli uomini, hanno per sè il dono di una grande celerità; Ermes, nato al mattino, suona già a mezzogiorno colla lira da lu
e eccedeva di gran lunga i limiti dell’ umano. Non si era pero giunti al concetto dell’ onniscienza e dell’ onnipotenza; Z
tato nell’ esercizio della sua forza, ad es. era egli stesso soggetto al fato inesorabilmente. Riguardo alla moralità attr
ea, addolorata per questo, sollecito i Titani perchè facessero guerra al padre. Niuno dei maggiori aveva l’ ardire di ciò
il padre, lo domò, lo mutilò e l’ obbligò a rinunziare in suo favore al dominio del mondo. Dal sangue di Urano nacquero l
nacque l’ ultimo figlio, Zeus, Rea lo nascose, e invece di esso porse al padre, involta nelle fasce, una pietra, che Crono
oro dai Campi Flegrei in Tessaglia tentarono, si dice, dar la scalata al cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. Alla
ntarono, si dice, dar la scalata al cielo sovrapponendo il monte Ossa al Pelio. Alla grande battaglia che seguì presero pa
in Roma e si vollero trovar somiglianze e stabilire identificazioni, al greco Crono fu fatto corrispondere Saturno, antic
fago nel Museo Vaticano, dove si vedono i Giganti volgersi minacciosi al cielo, in atto alcuni di lanciar sassi, altri di
. Adunque l’ idea della suprema Divinità si è nelle origini associata al fenomeno naturale della luce, del giorno e del br
a con mano giusta i beni e i mali; a tutela dell’ ordine, egli delega al re per qualche tempo una parte dell’ autorità sua
gende vennero considerate come diverse, e così le invenzioni relative al supremo Dio vennero a essere moltiplicate. 4. Il
rquinii l’ onore di un celebre tempio sul monte Capitolino. Più tardi al culto di Giove si uni quello di Giunone e Minerva
un numero incalcolabile, chi pensi alla grande diffusione del culto e al numero grandissimo di templi dedicati a questa di
ioma che si drizza sopra la fronte e scende egualmente ai due lati dà al viso un cotale aspetto leonino e un’ espressione
, la patera sacrificale come segno di culto, una palla sotto o vicino al trono, come segno dell’ universo da lui governato
nnemente festeggiata in primavera, specialmente nelle località devote al culto di Era, come Argo, Micene, l’ Eubea, Samo e
l vincolo coniugale, e la nobiltà della donna che serba costante fede al marito trovava in lei la sua più alta espressione
di Marzo. Quel di tutte le matrone romane recavansi processionalmente al tempio dedicato alla Dea sul monte Esquilino per
ifesta nel bagliore improvviso del lampo. Difatti si favoleggiava che al momento del nascere di Atena tutta la natura si f
poi una stabile terra perchè Posidone la assicurò con potenti colonne al fondo del mare. Febo Apollo è il Dio raggiante, i
ze ed è cagione di morti improvvise. A Troia, quando i Greci negarono al suo sacerdote Crise i dovuti onori, Apollo si app
ncipale di questo culto. Ivi sorgeva uno splendido tempio che rifatto al tempo dei Pisistratidi in seguito ad un incendio,
00 talenti, ossia quasi 60 milioni di lire. Nelle vicinanze di Delfo, al terzo anno di ogni Olimpiade avevano luogo i gioc
mento di costei nella pianta di lauro, da quel momento divenuta sacra al Dio. Così lo fa parlare di sè stesso: …………………………
I simboli di Apollo sono per lo più l’ arco e le saette, riferentisi al dio solare che ferisce col dardo de’ suoi raggi (
crezio); oppure la cetra e la corona d’ alloro, quali ben s’ adattano al dio musicale, o infine il tripode proprio del dio
dalle sue ninfe, tra le quali primeggia per l’ alta statura. Ma guai al malcapitato cui prenda vaghezza di contemplare le
la dea della castità. Era la protettrice delle giovani donzelle fino al momento del matrimonio, e anche de’ giovanetti; i
faccia prosperare le novelle generazioni. Una bella pittura di Diana al bagno la troverà chi scorra il terzo delle Metamo
re. Altra volta, preso ferito per opera di Atena, emise un grido pari al clamore di nove o diecimila uomini in procinto di
iù ragguardevoli famiglie di Roma. Ogni anno nel mese di Marzo, sacro al dio Marte, i Salii percorrevano processionalmente
la meta; gioco che doveva ricordare la gioia provata dai primi uomini al ritrovamento del fuoco. In Occidente, la regione
una specie di focolare pubblico, posto su un’ area alquanto elevata, al di sopra del Comitium dove si riunivano le assemb
ed abilità che costituivano il fondo della sua indole. Giacchè, nato al mattino, verso il mezzogiorno esce dalle fasce, e
arte musica. A dar segno di una compiuta riconciliazione, Apollo donò al fratello la verga d’ oro a tre rampolli, datrice
cide. Secondo gli altri, Argo è il sole stesso onniveggente che guida al pascolo le vacche celesti ossia le nuvole gravide
d un tronco; nella mano destra tiene un grappolo d’ uva che la vedere al fanciullo, verso cui si volge con dolce sorriso i
e la vita della natura e Adone è la natura stessa che ripiglia vigore al ritorno periodico della primavera. Fan corteggio
iati per opera di Anco Marzio. Il tempio di Cloacina trovavasi vicino al Comitium, forse in quel punto ove la cloaca maxim
708 di R. (46 av. C.). Il culto si diffuse anche più per tutta Italia al tempo dell’ impero, e furono anche unite insieme
ollo, aveva opposto un deciso rifiuto. Anche le donne che attendevano al culto di lei dovevano esser vergini o almeno di c
deva fondato da Numa Pompilio, sorgeva alle falde del Palatino vicino al Foro. Era un tempietto rotondo, propriamente null
sesto e il decimo anno di vita, e dovevano restar trent’ anni addette al servizio divino mantenendo la più illibata castit
privata e anche prender marito, ma in genere rimanevano tutta la vita al servizio di Vesta. Abitavano nel così detto Atriu
9 Giugno. Allora si ponevano sul focolare varii cibi e si conducevano al tempio di Vesta asini da macina inghirlandati e c
chè il sole è in certo modo il portinaio del cielo, le cui porte apre al mattino, richiude alla sera, così Ianus divenne s
uato su quella frequentatissima strada che dal vecchio foro conduceva al foro di Cesare. Lo si diceva eretto da Numa, ed e
isticamente riassunte le attribuzioni e le leggende di Giano, ricorra al primo libro dei fasti d’ Ovidio ; ivi; a proposit
XII. Quirino. Era un’ antica divinità dei Sabini, corrispondente al Mars dei Latini, e prendeva nome dalla città sabi
a quella di portar la luce del giorno agli Dei e agli uomini, uscendo al mattino dall’ oceano d’ oriente là dove abitano g
n carro tirato da quattro focosi destrieri; nè a tutta prima si pensò al modo come Elio dovesse di notte tornare a oriente
ano entro un battello d’ oro fabbricatogli da Efesto, e così tornasse al paese degli Etiopi dove il carro e i cavalli già
Phaëthon), detto figlio di Elio e di Climene; il quale avendo chiesto al padre di guidare una volta il suo carro, e il pad
i consacrarono le corse del circo, e un tempio gli si eresse in mezzo al circo stesso. E del dio Sole si ripeterono le ste
nte stende la nera notte come un oscuro manto sulla terra, ovvero che al voltarsi del cielo precipita la notte dall’ ocean
(i venti di nord, ovest, est e sud), espressione mitica del fatto che al primo apparir dell’ aurora suol sorgere il vento.
ghiera da lei rivolta a Giove perchè qualche funebre onore concedesse al defunto, si descrive con vivi colori la trasforma
rione, quella che appare sul nostro orizzonte dal solstizio d’ estate al cominciare del verno. Nel fatto i miti stessi han
lativi a detta costellazione; così l’ apparire di Orione nell’ estate al primo mattino nel ciel d’ oriente e il subito suo
tate al primo mattino nel ciel d’ oriente e il subito suo impallidire al sorgere del sole, destò l’ immagine dell’ amor di
sorgere del sole, destò l’ immagine dell’ amor di Eos per lui; invece al principio dell’ inverno il suo levarsi di sera e
, i sette buoi aratori, perchè il girar che fan queste stelle intorno al centro polare aveva destato l’ immagine dei buoi
amorfosi. D’ altra parte, l’ avere Borea distrutto la flotta di Serse al tempo della guerra Persiana, gli dava diritto all
vento di ponente, nuncio della primavera, detto Favonius dai Latini, al cui soffio maturavan le sementi; quindi era vener
nus, vento di est, o più precisamente di sud-est, spirava solitamente al solstizio d’ inverno, ora asciutto ora umido aqu
figure rappresentanti otto venti. Un tempo sulla cima del capitello, al centro del tetto, era anche un tritone mobile che
o le riaprono disperdendo le nuvole. In altri termini esse presiedono al corso delle stagioni; fanno essere a loro tempo i
ol nome di Atena Niche, e a costei era dedicato un grazioso tempietto al lato occidentale dell’ Acropoli, quello detto di
della dea, in atto di scendere a volo sulla terra, già col piè destro al suolo; le belle forme del corpo si disegnano sott
a grande statua è la Niche proveniente dall’ isola di Samotracia, ora al Museo del Louvre, che noi riproduciamo alla fig. 
stata vinta dall’ artista con ingegnosa accortezza, in quanto che diè al gruppo per appoggio il tronco d’ un albero, lasci
nza stragrande di questo Dio, e persino i filosofi ricamarono intorno al mito di Eros le loro più belle teorie; basti rico
e trovavansi menzionate anche altre Deità o altri epiteti riferentisi al parto; prima una Nona, una Decima, una Partula co
alla vergine natura, fra il tepore d’ un sole primaverile e in mezzo al dolce mormorio delle acque correnti. Narravasi po
bambino ancor vivo e farlo uscire dal seno della madre; poi lo affidò al centauro Chirone che lo allevo sul Pelio e gli in
allora in sogno doveva apparirgli il Dio che gli suggeriva il rimedio al suo male. 3. Presso i Romani, prima che s’ introd
Roma. Ivi poi sbarcato scelse sua sede nell’ isola Tiberina in mezzo al Tevere, e subito pose termine all’ epidemia. Là s
Asclepio, e lo fa, come suole, bellamente intrecciando auree sentenze al racconto. Narrazione vivace di colorito leggesi p
ropa; anche gli scavi fatti, non è molto, a Epidauro e ad Atene, dove al sud dell’ Acropoli esisteva anche un celebre Ascl
nno messo in luce parecchi monumenti che si riferiscono ad Asclepio e al suo culto. Non infrequenti le rappresentazioni
omune e radicata presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al momento della nascita di ognuno g
presso gli antichi, che l’ umana vita fosse soggetta al destino, che al momento della nascita di ognuno già fossero decre
scita di ognuno già fossero decretate le vicende della sua vita fi no al momento del morire. E questo dicevasi talvolta ef
rappresentazione sensibile a questi esseri o ricorrendo semplicemente al simbolo del serpente che indicava fortuna, o raff
via della navigazione, e, effetto spaventoso dagli antichi attribuito al mare, i terremoti. Quindi niuna meraviglia che il
degli altri Titani, ma potè rimanere in pace e in piena indipendenza al governo del suo umido regno. La sua abitazione co
ninfe. Basti ricordare fra esse la sorgente Amaltea che die’ il nome al corno dell’ abbondanza, e la sorgente Aretusa, ch
e Aretusa, che la favola diceva amata da Alfeo e seguita da lui sotto al Mar Ionio fino in Sicilia. Gli Dei fluviali si cr
naturalmente veneratissimo il Tevere, detto Divus o Pater Tiberinus, al quale i pontefici e gli auguri rivolgevano annue
genii, rappresentanti le sedici braccia che l’ acqua cresce ogni anno al momento della benefica inondazione. In Vaticano p
, e tra gli alberi il pino, o per il suo color verde cupo somigliante al color del mare, o più probabilmente per l’ utilit
a coprendo le orecchie, un insieme di maestà e di forza; si dava però al volto una espressione più seria, senza quell’ ami
i riproduce il Posidone che è nel Museo Laterano di Roma; corrisponde al tipo che prevalse nei tempi più recenti dell’ art
Posidone e Anfitrite, che con loro abita nel palazzo d’ oro in fondo al mare. L’ immaginazione popolare figuravaselo in f
uogo di un unico Tritone, si pensò a tutto un genere di esseri simili al figlio di Posidone; e così a poco a poco si venne
aro, ed egli stesso ivi in una caverna presso il lido si abbandonasse al dolce sonno. Come Nereo, e in genere tutte le div
posto giù i pesci semivivi sull’ erba, vedesse con sua meraviglia che al contatto di un certa erba ripigliavan vita e risa
Gridò: « Tendiam le reti, si ch’ io pigli    La lionessa e i lioncini al varco; »    E poi distese i dispietati artigli, P
usinghe delle Sirene dovè turarsi gli orecchi con cera e farsi legare al fondo della nave. Omero ne contava due sole; ma i
. Cassio. In onore di Tellus e di Cerere si celebravano solenni feste al tempo della seminagione e di primavera al germogl
i celebravano solenni feste al tempo della seminagione e di primavera al germogliar delle biade. Altra festa importantissi
Erittonio ad Atena. Più tardi si rappresentava come una donna distesa al suolo, contorniata di bambini, una cornucopia in
le, a indicare ch’ essa era fondatrice e conservatrice delle città, e al suo corteggio di Coribanti che Tympana tenta ton
o uno che, indovinando un essere divino nel fanciullo, s’ era opposto al mal governo che di lui avevan preso a fare i comp
ia, che si oppone alla propagazione della vite, ma alfine deve cedere al calore della natura e alla operosità dell’ uomo.
bbandonata da colui ch’ ella aveva tanto amato? Diè in ismanie, corse al lido per veder se ancor si scorgeva la nave di Te
, corse al lido per veder se ancor si scorgeva la nave di Teseo, levo al cielo le più strazianti querele, ma tutto fu inut
elo le più strazianti querele, ma tutto fu inutile. Or ecco, in mezzo al suo abbattimento, sente risuonar le selve d’ un l
iglio di Zeus e di Persefona; e si narrava che essendo egli destinato al dominio supremo del mondo, i Titani aizzati da Er
cra, feste triennali); esi celebravano in regioni montuose e di notte al lume delle fiaccole. Uno stuolo di donne e fanciu
diosa processione portavasi dal Leneo a un altro tempio, poi di nuovo al Leneo, una piccola immagine in legno del Dio, fra
raordinario. Ricordiamo solo che Eschilo compose una trilogia intorno al mito di Licurgo, e trattò in un’ altra tragedia i
al mito di Licurgo, e trattò in un’ altra tragedia il mito di Penteo; al quale pure si riferisce la bellissima tragedia di
to di ebbra agitazione, il capo arrovesciato all’ indietro, le chiome al vento, le vesti scomposte, le mani pronte a dilac
pide acque di solitari laglietti e torrenti. Talvolta s’ attruppavano al seguito delle maggiori divinità della natura, e o
ità. In certi punti si eressero Ninfei, o tempietti speciali dedicati al culto delle Ninfe. Col tempo se ne eressero anche
ievi dov’ esse son rappresentate in atto di danzare guidate da Ermes, al suono della zampogna di Pane. Le Naiadi hanno par
i di banchetti e feste lo accompagnò nei campi di Lidia e lo restituì al giovinetto Bacco. Di che lieto il Dio, volle comp
erra una fossa e mormorò dentro di quella quali orecchie avesse visto al suo padrone; poi rigetto la terra nel fosso. Sort
pascolare. Allevato e cresciuto in Arcadia, tra que’ monti che alzano al cielo la loro cima coperta di neve, tra quelle pr
questa era restia e lo sfuggiva, preferendo la vita libera de’ monti al modo di Artemide. Un di ch’ ella era per essere p
se canne palustri; ma il lamento armonioso che usciva da esse suggeri al Dio l’ idea di unire più canne digradanti e forma
della gara tra Marsia ed Apollo. L’ elemento orgiastico, la tendenza al chiasso e a una selvaggia eccitazione d’ animo ch
ica, il poeta ricorda le occupazioni di Pane e un lieto canto innalza al Dio sonatore e danzatore. Gli scolii alla Terza P
i a incutere spavento nell’ animo del viaggiatore solitario. Ma oltre al regno delle foreste, Silvano era creduto presente
come Dio dei confini, quindi patrono della proprietà prediale, simile al Dio Terminus; in questo senso parla vasi di un Si
minus; in questo senso parla vasi di un Silvano Orientalis essendochè al confine di due poderi, ivi hanno principio (oriun
lo di Fauno era in un bosco di Tivoli presso la fonte Albunea, quello al quale ricorse Latino al tempo della venuta di Ene
sco di Tivoli presso la fonte Albunea, quello al quale ricorse Latino al tempo della venuta di Enea in Italia, secondo il
Virgilio nel settimo dell’ Eneide (vv. 79-95). — In processo di tempo al concetto di un unico Faunus si sostituì il concet
n onor di lui, detta Faunalia, aveva luogo il cinque Decembre, dunque al principio dell’ inverno; si sacrificava un capro
te accolto dal re degli Aborigeni, Fauno, si diceva avesse consacrato al dio Pane. In questo santuario si cominciava la fe
te la festa che in onor di lei le donne celebravano nella notte dal 3 al 4 Dicembre nella casa del Console o del Pretore u
in mano contro i ladri e un fascio di canne in testa che stormissero al vento, spavento agli uccelli. Riguardato come seg
n cui anche Opi era venerata, trovavasi sulla discesa dal Campidoglio al Foro. Fu cominciato da Tarquinio Superbo, ma non
festa in onor di Saturno era quella dei Saturnali. Aveva luogo dal 17 al 19 Dicembre. In quei giorni una sfrenata allegria
uirinale forse di origine Sabina, un altro presso il tempio di Cerere al Circo Massimo. Aveva il suo sacerdote, flamen flo
lis, e solennissime feste si celebravano in onor di lei dai 28 Aprile al 1º Maggio, le così dette Floralia. Erano feste ra
nalia, in occasion della quale si incoronavano i termini e si offrira al Dio una focaccia o anche un agnello o un porcelli
apparir della primavera Persefone torna sulla terra e vi rimane fino al tardo autunno, per poi ridursi novellamente d’ in
overa vecchierella, sedutasi sulla via presso il pozzo delle Vergini, al rezzo d’ un olivo fronzuto, ad alcune ragazze ven
lebravano, avevan luogo nel mese Antesterione (Febbraio) e alludevano al ritorno di Persefone sulla terra, al risveglio pr
sterione (Febbraio) e alludevano al ritorno di Persefone sulla terra, al risveglio primaverile della vegetazione. Le grand
Settembre) e alludevano alla discesa di Persefone agli Inferi, ossia al rientrare della vegetazione nel letargo hivernale
poi v’ eran dei gradi; giacchè da semplici misti (mystae) si passava al grado di epopti o spettatori, e più in su di tutt
ano mantenuti con grande scrupolo, pene severissime essendo comminate al trasgressore. Questa forma di religione segreta,
ura dell’ annona. Le feste di Cerere, o Cerialia, celebravansi dal 12 al 19 Aprile con solenni cerimonie, anche con giuoch
erano insieme confuse in un’ unica divinità (v. il coro che comincia al v. 1301). Ci rimangono pur frammenti di inni orfi
e la Dea l’ avrebbe guarito da una grave malattia per guadagnarlo poi al suo culto. Ancor nei tardi tempi della letteratur
arisce a’ nostri occlii, per avvizzire di nuovo e ritornare nel nulla al tardo autunno. Gli Attici chiamavano questa Dea p
ani adottarono in genere le idee greche. Questo è vero anche rispetto al re dell’ altro mondo che essi chiamarono Plutone
i sotto il disco terrestre a tanta distanza quanta è quella del cielo al di sopra; e si diceva che un’ incudine di bronzo
cielo in terra, così ahrettanto tempo avrebbe impiegato per giungere al Tartaro. Ma queste idee nelle età seguenti si mut
più comunemente nota. Era uno spazio largo e tenebroso dentro terra, al quale si poteva accedere di qua su per molte entr
ntrate le anime nel regno di Ade, erano sottoposte a giudizio davanti al tribunale di Minosse, Radamanti (Rhadamantys) ed
ad un’ eterna fame e sete, inasprita dal fatto di esser immerso fino al mento in un lago d’ acqua che però s’ abbassa qua
u fino alla cima d’ un monte, da cui esso riprecipita inevitabilmente al piano; ond’ egli deve ripigliar da capo l’ inutil
arto delle Metamorfosi di Ovidio, a proposito della venuta di Giunone al regno delle ombre per trarne la furia Tisifone e
immagine di esso viva e paurosa. Nessun delitto, si diceva, sl’ ugge al loro acuto sguardo, e appena scorto il delitto, s
…………… tutte de’ rei Por le case a soqquadro e la fortuna Quando morte al congiunto osa il congiunto Recar. Tosto con rapid
m coll’ anime dei trapassati su pei trivii e intorno ai sepolcri; che al suo avvicinarsi i cani ululavano e guaivano; ch’
ammaestrava le maliarde che nella notte andavan vagando per cercare, al lume incerto della luna, l’ erbe incantatrici e f
o nel granaio; e ora parlavasi di lui come di uno armato di falce che al tempo suo coglie chi deve, non risparmiando i pol
tizia ad Alcione della morte di suo marito Ceice. Ivi si dan compagni al Sonno i Sogni, suoi figli e ministri, ed è Morfeo
acceso continuamente il fuoco in onor dei Penati e di Vesta, e vicino al focolare si conservavano in nicchie apposite le s
o dagli antichi come una grande famiglia. Già s’ è accennato (p. 111) al tempio di Vesta come al focolare sacro di tutta R
grande famiglia. Già s’ è accennato (p. 111) al tempio di Vesta come al focolare sacro di tutta Roma; or s’ oggiunga che
oni di rito, credevasi che l’ ombra di quella persona vagasse intorno al cadavere o alla tomba finchè non fossero compiuti
ttuale della casa; di questo tesoro egli non ha rivelato l’ esistenza al padre di Euclione perchè non lo onorava abbastanz
lo primo. Mitologia Eroica, Origine degli uomini e prima istoria fino al Diluvio. 1. Un popolo così immaginoso come il
ne non nota da altri scrittori, rispetto all’ aver Prometeo mescolato al limo particelle tolte da diverse cose. — Nella st
lotta tra i Lapiti e i Centauri. Già ne parla Omero, il quale fa dire al vecchio Nestore che nella sua prima giovinezza av
uella forma più bella che poi venne universalmente adottata, la quale al corpo di un cavallo con tutte quattro le zampe un
schiavo di qualche mortale, venne da Admeto e stette un intiero anno al suo servizio come pastore. In questo tempo strins
uoi due figliuoli, non dubitò accettar la morte per prolungar la vita al marito. Persefone, commossa da un si bell’ esempi
, di Agave madre di Penteo; e già s’ è toccata anche la sorte toccata al figlio della più vecchia Autonoe, cioè Atteone, m
bligarlo a restituire la figliuola; ma non vi riuscì e morendo lasciò al fratello Lico, erede del trono, l’ incarico di fa
nella costruzione delle famose mura di Tebe, opera appunto attribuita al loro governo. Zeto stesso portava a spalle i più
alle i più pesanti massi, più forte di qualsiasi manovale; ma Anfione al suono dolcissimo della lira moveva le pietre, si
orita nel 3º sec. av. C. Il monumento eretto originariamente in Rodi, al tempo d’ Augusto venne in possesso di Asinio Poll
orentino fu trovato nelle vicinanze del Laterano nel 1583; appartenne al Cardinal Medici e nel 1775 fu portato a Firenze.
però non è un dolore rassegnato; il suo occhio piangente, volgendosi al cielo, accusa insieme la prepotente vendetta del
fica il più avido di guadagno fra gli uomini; allusione probabilmente al cupido commercio onde fiorivano i Corinzii. Le le
fiume Asopo, si dice che egli abbia scoperto il segreto e rivelatolo al padre; cio a condizione che Asopo facesse scaturi
so su pel monte e lo vede dalla cima precipitare in fondo, fa pensare al sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ esta
cima precipitare in fondo, fa pensare al sole che dopo aver raggiunto al solstizio d’ estate il punto più alto che esso pu
forse delle onde infuriate del mare nella stagione delle tempeste che al loro stesso signore fan violenza. Dopo d’ allora
erofonte, nuovo Giuseppe, cedere alle lusinghe di lei, ella lo accusò al marito di aver tentato tradire i doveri dell’ osp
ora Preto per vendicare il creduto insulto, pensò mandar Bellerofonte al suo suocero Jobate re della Licia, con una tavole
rovi dei segni segreti per avvertire lo suocero che dovesse dar morte al latore. Bellerofonte mosse verso la Licia in comp
contro le Amazoni, e vincendole superò anche questo pericolo. Infine al ritorno, Jobate gli tese un’ imboscata deciso di
indaro, si sarebbe attirato l’ odio di Zeus per aver voluto in groppa al suo Pegaso salire al cielo; e Zeus l’ avrebbe pun
tirato l’ odio di Zeus per aver voluto in groppa al suo Pegaso salire al cielo; e Zeus l’ avrebbe punito mandando un assil
are il cavallo, il quale buttò giù il cavaliere e da solo poi si levò al cielo ove ancor ora tira il carro del tuono. — An
è del Museo Capitolino. 3º L’ Amazone in riposo, che si crede risalga al tipo di Policleto; bellissimo esemplare se ne tro
rso la coscienza di sè si vedeva mutata in vacca e invano accostavasi al padre per implorar pietà, e del padre stesso che
el padre stesso che accortosi a certi segni della cosa s’ avvinghiava al collo della candida giovenca senza nulla poter fa
nte di Io, gli cedette il regno. La leggenda attribuisce molto merito al re Danao, il quale avendo trovato il paese dissec
una cassetta e questa fè gettare in mare, persuaso di sottrarsi così al destino vaticinatogli. Ma che cosa può l’ umana a
mpietrò colla testa di Medusa il suo nemico Polidette, e diè il regno al fratello Ditti. Poi se ne tornò ad Argo, consegna
gioni e la virtù straordinaria del capo di Medusa che ei portava seco al ritorno, dierono occasione a molte altre invenzio
ezza e di quella della sua figliuola, e avendo osato venire in questo al paragone colle Nereidi, queste ricorsero a Posido
olore consegnarono Andromeda perchè fosse legata a uno scoglio, preda al mostro. Stava appunto Andromeda legata allo scogl
urali. Infine il disco con cui Perseo uccide Acrisio fa anche pensare al disco solare; anche Apollo con un colpo di disco
enne banchetto a cui era stato invitato anche il poeta, ecco giungono al palazzo due giovani di forme più che umane, spars
i capirono che eran essi i Dioscuri, comparsi solo per salvar la vita al poeta. — Cenni di benefici ottenuti od aspettati
coltura un po di merito spettava ai primi abitatori del paese. Anche al significato naturalistico del mito di Cecrope si
atore dello stato Attico, un altro Cecrope in sostanza, ma posteriore al diluvio. Una leggenda a lui particolare era quest
la morte di Eretteo, secondo la tradizione seguita dai Tragici, venne al regno Ione il capostipite della stirpe ionica; il
e feste bacchiche, simulando bacchica furia, usci dalla città, trasse al luogo dov’ era Filomela, la liberò e la condusse
aveva avuto da Teseo, e tagliatene le membra le apprestarono in cibo al re; di che accortosi egli, voleva far scempio del
i Orizia e Procri, anche di un altro Cecrope e di Mezione; e dei pari al secondo Cecrope assegnava per figliuolo un second
ui, Scilla, innamoratasi del forestiero assediatore, strappò di testa al padre quel capello d’ oro da cui dipendeva la sua
vendetta. Prese Megara e fu occasion di morte, come già si raccontò, al re Niso; vinse anche gli Ateniesi e impose loro u
ippolito (Hippolytos) che fini poi così tragicamente, perchè accusato al padre di aver insidiato alla virtù delle sua matr
sedersi sulla schiena di lu; e allora il Dio si alza tosto, accostasi al lido, tuffasi nell’ acqua e via sen va colla sua
Egeo e fin anco in Attica, dove egli prese Megara cagionando la morte al re Niso nel modo sopra narrato, e ridusse alle st
rrato, e ridusse alle strette il re Egeo. A confermare il suo diritto al trono, un giorno Minosse pregò Posidone gli invia
o e forte e bianco come la neve. Minosse n’ ebbe conferma nel diritto al trono, ma la bellezza del toro gli suggeri la mal
che cominciò a corrergli dietro per monti e boschi fin che ridusselo al suo desiderio. Ne nacque il Minotauro, mostro com
per le vie aeree, e fabbricate delle ali di penne, le adattò con cera al suo corpo e a quello del figlio; così volaron via
come custode dell’ isola di Creta. Egli percorreva di corsa tre volte al giorno l’ isola, e se qualche straniero tentava a
eguito sia di ventato l’ eroe nazionale dei Greci in genere. Salvochè al nucleo primitivo di queste leggende se ne aggiuns
i quello della moglie di Stenelo; nacque quindi quel giorno Euristeo, al quale sebben vile ed imbelle, dovettero rimaner s
andò sul Citerone a pascolar greggi, e così rimase fra i pastori fino al diciottesimo anno d’ età. Compi allora il suo pri
mi. — A questo punto Euristeo re di Tirinto (o Micene), chiamò Eracle al suo servizio. Doveva, secondo il decreto di Zeus,
le consulto l’ oracolo di Delfo, e n’ ebbe in risposta si rassegnasse al suo destino. Di che egli montato in furore, così
to in sè, si recò a Tirinto per compiervi la sua missione. B) Eracle al servizio di Euristeo, o te dodici fatiche di Erac
risaore e di Callirroe; abitava nell’ isola Eritea (Erytheia) situata al l’ estremo Occidente, ed ivi possedeva un ricco e
Eracle si recò in Etiopia, poi di là dal mare in India, e giunse così al Caucaso dove libero Prometeo uccidendo 1’ aquila
a Prometeo la via alle Esperidi, giunse egli finalmente per la Scizia al paese degli Iperborei dove Atlante regge sulle su
Iperborei dove Atlante regge sulle sue spalle il mondo. Qui riusciva al termine della spedizione; poichè Atlante s’ incar
Laconia. Alle porte dell’ Ade trovò Teseo e Piritoo legati in seguito al tentativo fatto di rapire Persefone. Eracle liber
golare tenzone con Cicno (Cycnos) figlio di Ares, presso Itone vicino al golfo di Pagase; e non solo uccise il suo avversa
finir i suoi strazi tra le fiamme. Ma niuno de’ suoi voleva dar fuoco al rogo; infine Peante padre di Filottete o Filottet
ria. Tale è il noto racconto del Sofista Prodico, intitolato « Eracle al bivio »; ove si descrive il giovane Eracle seduto
doglio, donde l’ imperatore Costantino la portò a Costantinopoli; ivi al tempo della crociata latina nel 1204 venne fusa.
in Vaticano, opera di Apollonio Ateniese, figlio di Nestore, trovato al tempo di Giulio II, in campo di Fiori, dove sorge
ad imprese cui presero parte eroi di diversi paesi. I. La caccia al cinghiale di Calidone. 1. Era re di Calidone i
alcuni fatale; Anceo spintosi troppo avanti per dar un colpo d’ ascia al cinghiale ebbe il corpo lacerato dalle zanne di e
lotta tra il sole e la tempesta. Ma molto per tempo s’ intrecciarono al mito primitivo dei motivi umani e morali per rend
figli, di cui il maggiore chiamavasi Esone (Aeson). Questi succedette al padre nel regno, ma ne fu discacciato da un frate
secuzione di Pelia il suo piccolo figlio Giasone (Iason), affidandolo al centauro Chirone perchè segretamente lo educasse.
ò che fu fatto dai Boreadi, consentì a istruire gli Argonauti intorno al resto del loro viaggio; specialmente li avvisò de
llora costeggiando la riva meridionale dell’ Eusino, arrivarono prima al paese delle Amazoni, poi all’ isola Aretias o di
za; così le figlie di Pelia divennero senza volerlo parricide. Rimase al regno Acasto figlio di Pelia, che si proponeva an
ino da Valerio Flacco, e quello attribuito ad Orfeo, ma non anteriore al quarto secolo dopo Cristo. Nè si ommetta la prima
o, trovato sul Citerone quel bambino abbandonato, lo raccolse e portò al re di Corinto, di nome Polibo; il quale essendo s
i veri genitori. Ma un giorno in un banchetto qualche parola lanciata al suo indirizzo da un giovane corinzio gli gettò ne
rrogare l’ oracolo sulla Sfinge. Il cocchiere che era con Laio ordina al giovane Edipo di dar luogo; ne nasce una contesa,
sciogliere il celebre enigma, qual fosse l’ animale di quattro gambe al mattino, di due a mezzogiorno, di tre alla sera;
are, cammina sul due piedi quando è maturo e in vecchiaja s’ appoggia al bastone, la Sfinge si buttò essa stessa in quel b
teriore, perchè nei racconti più antichi non si dà alcuna discendenza al connubio di Edipo con sua madre e quei quattro fi
lcuni fan più vecchio Polinice) non volle a suo tempo cedere il luogo al fratello; il quale allora si rifugiò presso Adras
i assalitori; Capaneo che vantava nel suo orgoglio di resistere anche al fuoco di Zeus, venne fulminato dall’ alto delle s
ima guerra che si chiudeva col disgraziato duello tra i due fratelli, al cui odio si contrappose l’ indole affettuosa e ge
ui odio si contrappose l’ indole affettuosa e gentile di Antigone che al fine della tragedia dichiarava energicamente di v
iarava energicamente di voler, contro l’ ordine del re, dar sepoltura al cadavere di Polinice; Sofocle riprese questo stes
cie di Seneca. A un così numeroso stuolo di opere letterarie relative al ciclo tebano non possiamo mettere a riscontro un
na leggenda che Omero ancora non conosceva. Achille ebbe a educatore, al pari di tanti altri eroi greci, il centauro Chiro
iore ad Omero quella secondo la quale Tetide per sottrarre suo figlio al suo destino lo mandò a Sciro e ivi lo nascose in
ia, sia alla spedizione degli Argonauti. Era quindi già molto vecchio al tempo della guerra Troiana avendo visto tre gener
sua tenda il celebre Palladion, una statua in legno di Pallade Atena, al cui possesso da quel momento era legata la felici
nte Ida nella Troade, e ivi il giudizio della bellezza fosse affidato al pastore Paride. Era questi un figlio del re Priam
un pastore e come tale allevato. Le tre Dee gareggiavano in promesse al loro giudice. Era gli prometteva signoria e ricch
se non sarebbe cessato il male se Criseide non fosse stata restituita al padre. Agamennone sdegnato di ciò, prendendosela
uto per sè Briseide ancella di Achille; e in fatto, lasciata Criseide al padre mando i suoi messi a prendere Briseide e la
ggiore e altri eroi. Allora finalmente si rivolse l’ animo di Achille al pensiero di vendicare il morto amico, e per mezzo
in terribile duello con Ettore e l’ uccise. Il cadavere di lui legato al cocchio del vincitore fu trascinato a ludibrio pe
Polissena la bella figlia di Priamo, fu a tradimento ucciso. Intorno al cadavere suo sì combattè a lungo e con accaniment
aspirava con ragionevole presunzione, ma vi aspirava anche Ulisse che al valore guerresco univa altri pregi di abilità e d
ti venuti dal mare s’ avventarono contro lui e avvinghiandosi attorno al suo corpo e a quello de’ ragazzi li soffocarono t
one, o, secondo altre leggende, da Elena, se ne tornò silenziosamente al lido di Troia; i soldati sbarcarono e mossero ver
lla stirpe dei Pelopidi. Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, al tempo della spaventosa catastrofe era stato da un
questi dalla spelonca confusi colle pecore, ed egli avviticchiandosi al vello d’ un ariete di sotto il ventre. Il Ciclope
nell’ isola. Ulisse avendo mandato metà della sua gente con Euriloco al palazzo della maga, non li vide tornare perchè er
a. g) Seguendo questo consiglio s’ avvia Ulisse ad occidente e giunge al paese dei Cimmerii. Ivi offerti i dovuti sacrific
egli stesso si fe’ legare all’ albero maestro e così sfuggiron tutti al pericolo. Men liscia la passarono nello stretto s
icilia?), dove sbarcò veramente a malincuore e solo per condiscendere al desiderio dei compagni. Pareva presentisse il per
incontra Nausica, figlia di Alcinoo re dei Feaci; la quale lo conduce al palazzo e lo raccomanda al padre. Ulisse ebbe ami
Alcinoo re dei Feaci; la quale lo conduce al palazzo e lo raccomanda al padre. Ulisse ebbe amichevole accoglienza; si ist
mata, la moglie di Latino, avrebbe preferito sposare la sua figliuola al potente Turno re dei Rutuli, e indusse costui a m
la leggenda di Enea, ma poi si innalzò com’ aquila sovra tutti, poco al disotto di Omero stesso rimanendo, il gran poeta
levato su di terra dalle violente strette del rettile che lo comprime al destro fianco del padre, gli attorce le parti sup
l’ altro serpente gli arronciglia il braccio destro, ma non così che al giovine non sembri ancor possibile di sfuggire a
e inceppato, egli mostrasi spaventato non per sè ma per il padre suo, al quale si volge con pietà e sgomento. E il padre n
tra comprime il collo del serpe che gli si avventa con rabbioso morso al fianco; sotto quel morso il corpo si incurva, si
, eppur senza difesa. Reclinando il capo, l’ infelice volge la faccia al cielo; le chiome scomposte, contratti i muscoli,
i può aggiungere l’ osservazione che la testa di Laocoonte così volta al cielo in atto di dolorosa rassegnazione, sì che p
favolosa, dicendolo nato nei primordi di Tebe e facendolo ancora vivo al tempo della distruzione della città per opera deg
a della facoltà di vaticinar l’ avvenire. Fatta prigioniera di guerra al momento della distruzione di Tebe, fu portata a D
nato in terra, andò errante per le montagne della Tracia a dare sfogo al suo dolore, e gli avvenne poi di perire miseramen
padre; per me è palese quel che sarà, e quel che è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia al suon del
uel che è stato e quel che è al presente; per me si disposa la poesia al suon della lira… La medicina è un mio trovato, e
di Cinto (monte dell’ isola de Delo ove Apollo nacque); lodate Latona al sommo Giove caramente delitta. » 10. I, 342 e se
in comune risuonan gli squilli di esse trombe, e attaccati i cavalli al carro seguo io gli accampamenti di lui. » 11. «
carro seguo io gli accampamenti di lui. » 11. « Già Venere Citerea al lume della luna dirige le danze, e le belle Grazi
l’ ultima spira va crescendo in larghezza. Questa non appena in mezzo al mare è stata ripiena d’ aria, fa risonare i lidi
Carm. I. 16, 13: « Dicesi che Prometeo fosse costretto ad aggiungere al limo, che era la materia principale, particelle d
materia principale, particelle di sostanze prese da ogni parte, e che al nostro petto apponesse la violenza di furioso leo
8 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo I pp. 3-423
no le Maggiori Divinità, e delle Minori pure per mezzo di Annotazioni al fine di ogni Capo, onde non interrompere il filo
imo oggetto è quello di costituire lo spirito virtuoso ; la Mitologia al certo, facendoci ammirare quanto di bello la Grec
re di tributare alle più vili creature quel culto, che soltanto dovea al Creatore. Pare, che gli Astri sieno stati il prim
o Aggiunti. V’erano pure appresso di loro gli Dei Novensili, e questi al dire di Varrone erano quelli, che da’ Sabini si t
dato agli stessi il noms di Dei Novensili(e). Saturno. Saturno al dire di Platone(a) era figlio di Oceano e di Teti
Urano erano stati rinchiusi nel Tattaro(6), ne facesse pagare il fio al loro snaturato genitore. Saturno lo fece perire.
erò asserisce ch’egli ciò faceva, perchè da Urano e da Titea riguardo al suo Destino(8) aveva udito, che uno de’ proprj fi
ua madre, artifiziosamente nol avesse serbato in vita. Colei presentò al marito una gran pietra ; egli la credette il nato
a di vivere, e di coltivare le campagne. Giano in ricambio lo associò al suo regno : e per indicare ciò, volle che in una
Eravi un’ Ara antichissima, a Saturno eretta nella via, che conduceva al Campidoglio. Al dire di Festo correva fama, che l
alla rapidità, con cui trascorre il tempo ; la falce indica il fine, al quale ogni cosa si riduce dal medesimo(b). Plutar
infausto presagio, nè si poteva riaccenderlo che con ispecchi opposti al Sole(i). Esso però si rinovava ogni anno alle Cal
cui Iside avea commesso di serbarla in vita, destramente fece credere al marito di aver partorito un bambino. Ligdo lo chi
ente prese Giante in isposa(a) (13). Tra i molti, che si consecrarono al sacerdozio di Cibele, sono pur celebri i Galli, e
furono detti Galli, perchè prima di sacrificare alla loro Dea beveano al fiume Gallo. Divenivano allora furibondì per modo
ni e altri musicali stromenti orribilmente urlavano : lo che avveniva al tempo delle loro Feste. Eglino vestivano alla fog
l loro capo si chiamava Archigallo. Questi cingeva in capo una mitra, al collo una gran collana, che gli discendeva sino a
in capo una mitra, al collo una gran collana, che gli discendeva sino al petto, e da cui pendevano due busti di Ati(a). Er
di Cibele era il portare per la città un pino, e riporlo poi dinanzi al di lei tempio. Questa ceremonia si appellava Dend
ppena nato fu affidato alla loro cura(b) : e quindi dicesi ch’ eglino al suono di certi scudi di bronzo solevano aggiunger
e di Amata, la quale era stata la prima Vestale(e). Addette una volta al servigio di Vesta, doveano rimanorvi trenta anni,
olla morte chi le insultava ; se a caso incotravano un reo condannato al supplizio, potevano liberarnelo ; ne’pubblici spe
te Claudia, una delle Vestali, vi riuscì : ella atuccò la sua cintura al vascello, e questo senza reistenza riprese tosto
a Frigia, e dette Megalesie, le quali consistevano in giuochi dinanzi al tempio della stessa Dea(c). Vi s’introdusse inolt
Dea. Cessava allora ogni lutto e ceremonia funebre. Ciascuno innanzi al simulacro di Cibele faceva pompa di ciò che aveva
atto di sua figlia. Queste Feste ebbero principio nell’ Attica vicino al pozzo, detto Callicoro, ossia bella danza, da’ ba
. Il Floriferto era una Festa, in cui i Romani portavano delle spighe al tempio di Cerere (d). Le Tesmoforie furono così d
ta Tesmofora (e), ossia Legislatrice, attese le leggi, ch’ ella dettò al genete umano. Queste Feste per quattro giorni si
vano ogni quattro anni nella campagna d’Olimpia, città d’Elea, vicino al fiume Alfeo (f). Niente si sa di certo intorno al
ntegrità ; puce conveniva talvolta ricorreré contro le loro decisioni al Senato d’Olimpia, giudice supremo de’ Giuochi (a)
Sopatro, vide mangiarsi da un bue una focaccia, ch’ egli avea offerto al suo Nume. Sdegnato lo uccise. Ciò era delitto per
to l’entrare in qualsivoglia Magistratura, affinchè sempre attendesse al culto del suo Nume. Non poteva nè andare a cavall
esaudita la preghiera ; e Romolo alle falde del monte Palatino eresse al Nume un tempio col titolo di Giove Statore (c). L
e Flaminio, marciando contro Annibale, cadde col suo cavallo dinnauzi al simulacro di Giove Statore. I di lui soldati ebbe
o per un avviso del Nume, ondo Haminio si arrestasse, nè si esponesse al combattimento. Egli tuttavia volle farlo, e vi ri
poter esservi cosa più preziosa della vita dell’ uomo, diede un addio al padre, a Timotea, sua moglie, e si precipitò a ca
ina, detta l’ Acqua del Sole. Questa era gelida sul meriggio, e calda al rinascere e tramontare del Sole. Ad essa niuno os
a niuno osava d’avvicinarsi fuorchè il sacro ministero (c). Nel mezzo al predetto tempio v’avea il simulacro di Giove, fon
mosche, offerse, il sacrifizio a Giove, e quelle tosto si ritiraro no al di là del fiume Alfeo (b) (16). E’stato detto Plu
i trionfatori, dopochè avcano sacrificato, davano un lauto banchetio al Senato. Alcuni poi pretendono, che lo dessero nel
I Generali pure d’armata vi porgevano i loro voti prima di andarsene al campo. Anche il Senato vi si radunava pertrattare
farlo (e). Il medesimo tempio tre volte rimase abbruciato : la prima al tempo della guerra civile tra Mario e Silla, la s
tina, Epulae, vivande (g), perchè eglino mangiavano i cibi, imbanditi al tempo di tale solennità agli Dei (a). Eglino eran
pose tutte le ossa in quelle dell’altro, e presentò amendue le pelli al Nume, affinchè si scegliesse quella, che più gli
allora coll’ajuto di Minerva ascese in Cielo ; e, appressata una face al carro del Sole, ne portò un’ altra volta il fuoco
che aveva formati (e). Giove, offeso di questo nuovo insulto, commise al Dio Vulcano, ch’ei pure formasse una donna, a cui
l regio scettro (c), ovvero con una Vittoria nella sinistra. Appresso al di lui soglio siede Eunomia, e vi sta osservando
fidasse la custodia del suo fulmine, e gli permettesse di avvicinarsi al di lui trono, quando voleva (e) (41). Si può con
ne di Giove le portò via. Giove stesso allora, dopo d’avere conferita al predetto uccello l’immortalità, lo trasferì in Ci
Bacco. Quegli però, di cui favellano tutti i Poeti Greci e Latini, e al quale le gesta di tutti gli altri si attribuiscon
bo, e di Bimatre. Fu detto Ditirambo, perchè essendo due volte venuto al mondo, di questo per così dire ne avea passato du
donde prese poi il nome di Dionisio, per alludere nello stesso tempo al padre suo, che nel Greco Idioma si chiama Dios (c
minazione gli si celebravano in Roma le Feste, dette perciò Liberali, al tempo delle quali si mangiava in pubblico, e cias
Eleleo (a) o Iacco(b) (5) o Bromio (c), dallo strepito, che si faceva al tempo delle di lui solennità, ovvero da quello, c
vino, una cesta di fichi, e il sacrifizio di un Irco, animale odioso al Nume, perchè esso sue le devastare le vigne (b).
acchiudevano le primizie di tutte le frutta, le quali si consecravano al Nume(b). La statua di Bacco era collocata sulla T
er un Territorio limitrofo. Santio, re de’ Beozj, propose di dar fine al contrasto con un particolare com-battimento. Time
alle mani, Melanto tacciò Santio di aver violati i patti, avendo egli al suo fianco un altro guerriero, coperto con nera p
ellenj, popoli d’Acaja. Si andava allora di notte con fiaccole accese al tempio di Bacco. In tutti i borghi della città si
lla, e si trovavano i vasi pieni di vino(b). I Contadini dell’ Attica al tempo delle vendemmie sacrificavano a Bacco un ir
a per la veste, la condusse, ove Icario era stato gettato. La figlia, al vederlo, pel dolore s’appiccò(15). Mera del pari
sia andato soggetto allo stesso maltrattamento(b). Penteo poi si recò al Citerone, monte, ove le Tebane celebravano le Fes
ondersi ; ma in vano tentarono di sottrarsi alla pena, che sovrastava al loro delitto, poichè in un istante si videro cang
a, ossia adulta ; il terzo a Giunone Xera, ossia vedova, per alludere al tempo ; in cui ella stette lontana dal suo marito
invaghitosi della bellezza di questa Dea, e volendo ridorla sensibile al suo amore, rendette l’aria estremamente fredda, e
artorire se non bambini morti. Lamia così se ne afflisse che perdette al fine la sua primiera avvenenza, e tanto divenne f
n senza qualche disegno. Scese pertanto la Dea dall’ Olimpo, s’ avviò al bosco, e ne sgombrò la caligine. Ma Giove ; il qu
Arestore, detto da’ Greci Panopte, ossia tutte occhi, perchè intorno al câpo ne avea cento ; una parte de’ quali sempre v
ll’ importuno custode. Calò Mercurio. da Cielo in abito di pastore, e al suono di rusticale sampogna addormentò tutti gli
. Colla pelle di questa vittima furono sferzate quelle donne, ed esse al decimo mese ebbero un pronto e felice parto. Dice
i sottomettessero a’colpi di sferza, che i Sacerdoti del Dio Pane(15) al tempo de’ Lupercali(16) davano a tutti coloro, ch
. Sotto il nome di Unsia presiedeva all’ unzione, che faceva la sposa al pilastro della porta dello sposo nell’ entrarvi(a
chiamò Giuga, o come Greci la dicevano Zigia, (b), perchè era preside al giogo, sotto cui si univano gli sposi. Elle sotto
le vergini, distinte in varie classi secondo l’età, e si esercitavano al corso, cominciando dalla minore. Tutte usavano la
e si solennizzava in Pellene con giuochi, ne’ quali davasi per premio al vincitore una veste preziosa (a). Finalmente Giun
e Giunone, come ne intese la nuova, corse tosto a Platea, si avvicinò al carro, e prese a stracciare le vesti della suppos
ittime a proporzione delle sue facoltà. Finalmente si appiccava fuoco al Rogo, e questo ardeva, finchè tutte le prodette s
i sommità ella aveva un tempio (b) (22). Non si va d’accordo riguardo al culto che le si rendeva Orazio dice, ch’ el la ve
acina, lavandosi il volto e le mani nella fontana sacra, che scorreva al lato del di lei tempio (c). Virgilio racconta, ch
tempio appresso il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì al nome, che al tempio di Moneta. I, Romani, dio’ eg
so il Campidoglio (h). Suida dà un origine differente sì al nome, che al tempio di Moneta. I, Romani, dio’ egli, mauravano
atore de’ Fidenatì, il quale, accampatosi alle porte di Roma, ricercò al Senato le madri di famiglia, e Ie figlie loro. Un
uno scudo(a). Fu detta Tropea, perchè presiedeva a’ trionfi, e perchè al tempo di quelli le si offerivano dei sacrifizj (b
ella piazza di Roma, ove le predette giovani ballarono, continuò sino al tempio di Giunone. Le vittime furono scannate da’
sse presieduto alla costruzione di questa città, e che la proteggesse al pari dell’Isola di Samo. Avea ivi un tempio magni
ome vedemmo, da Giove, fu stabilita da Giunone ad attaccare i cavalli al suo carro (d). L’Eresidi poi servivano la Dea, qu
lisj un pioppo, cui diede il nome di quella Ninfa(b). Quindi Omero dà al pioppo il soprannome di pianta Acherusia, ossia i
i(g) (25) (26). Questi si denominarono anche Giuochi Secolari, perchè al termine d’ ogni secolo si solennizzavano(h). Altr
Apollo avea conseguito in matrimonio(6), si trovò, che per prolungare al marito la vita, sacrificasse genetosamente la sua
il giovane Giacinto, figlio di Amicla Volle un dì divertirsì seco lui al gioco del disco ; ed essendo questo ricaduto con
moti convulsivi. Aggiunge, che gli abitanti de’luoghi vicini, accorsi al prodigio, esperimentarono lo stesso effetto, ch’e
i popoli tuttavia si recavano a consultarlo. Niuno però si presentava al Nume per interrogarlo, senzachè fosse coronato il
’loro padroni. Cori di giovanetti suonavano la lira, o cantavano inni al suono di flauto a Giacinto. Altri danzavano, o a
e degli archi de’loro nemici. Altri finalmente danno un’altra origine al predetto tempio. Apollo, dicono, aveva nella citt
crobio dice, che la voce didimo significa doppio, e che fu attribuita al Nume, considerato come il Sole, perchè questo ill
lupo prese pellembo della veste un sacerdote d’ Apollo ; lo condusse al luogo, ove stava riposto il furto ; e collo zampe
bronzo in premio a’ vincitori. Ma questi tripodi si consecravano poi al Nume, nè era lecito portarli a casa(c). Fu detto
sero con tutta venerazione, fabbricarono nelto stesso luogo un tempio al Nume, e lo denominarono Epidelio, ossia venuto da
pparire delle Plejadi. Per testificare sempre più la loro venerazione al Nume, gli spedivano ogni anno in Delo le primizie
rami d’ ulivo, e cantavano un inno, detto Dafneforico. Così si andava al tempio d’ Apollo Ismenio o Galasio. L’origine di
lo avrebbe raggiunto, quand’ anche il corso di lui fosse stato rapido al par di quello del Sole(c). Il Sole arse d’amore p
guagliarlo nell’ arte di suonare la tibia, stromento da fiato, simile al nostro flauto(42). Osò di provocare Apollo a conf
re d’ Apollo o di Diana, Niobe andava sgridando quelle donne riguardo al culto, che rendevano a Latona ; e tentava di pers
que’ maschi, nominato Anfione(b) (44). Niobe poi, non potendo reggere al dolore, che sofferiva per la perdita de’ figli, f
gli diede la morte(b). Pane in presenza di certe Ninfe soleva cantare al suono della zampogna. Egli, benchè ineguale di fo
sse un tempio ad Apollo, ed ivi fissasse la sua dimora. Giunto Corebo al monte Geranieno nella Megaride, il tripode gli ca
giuoco scoccato uno strale, mortalmente lo ferì. Nel vederlo ridotto al fine della sua vita ne dimostrò estremo dolore, e
di Elira, città situara sopra una delle montagne di Creta, spedirono al tempio d’Apollo in Delfo una capra di bronzo, che
colo per avvicinarsi alla fonte. Il Nume, per punirlo d’aver aggiunto al delitto la menzogna, lo condannò a sofferire la s
o di Giove e di Latona. Fu detta Ecate, o perchè riteneva cento anni al di là del fiume Stige chi dopo morte era rimasto
o di Giapeto, perchè costui sul monte Foloe avea tentato d’ insultare al di lei pudore (d). Fece altresì esperimentare gli
a di Cea, nel mare Egeo, fornito di singolare avvenenza, erasi recato al tempio di Diana in Delo per vedere le Feste di qu
ell’ Erimanto, e le apparve il Dio del fiume, chiamato Alfeo. Aretosa al vederlo fuggì, e il Nume non cessò d’inseguirla.
o imitarne la verginità, solevano portare in canestri certi sacrifizj al tempio di Diana, e divenute gravide, nè potendo p
e, e restarono sospese a’ rami di quella (b). Elleno perciò ogni anno al tempo della raccolta delle noci onoravano Diana c
ro a Diana, e ove ogni anno le celebravano Feste, chiamate Triclarie, al tempo delle quali le venivano offerti in sacrifiz
Sotto l’ultimo de’ predetti nomi avea un tempio, nel quale le nutrici al tempo di certe Feste, dette Titenidie, portavano
ume intredotto da Servio Tullo, sesto re de’ Romani, si portava anche al medesimo tempio una moneta per chiunque moriva, e
e poi dicevano, che lo avea fatto Libitina (b). Anche i Stratonicesi al dire di Strabone (c) solennizzavano con grande co
(14). Le Numenie o Neomenie vennero così dette, perchè si celebravano al principio di tutti i mesilunari. Gli Ateniesi all
do. V’ andò egli. Il re Servio, avvertito del vaticinio, lo manifestò al Pontefice. Questi, per deludere il Sabino, gli fe
evasi anche a’sacerdoti del medesimo. Quindi si sa, che Catone offerì al Re Tolommeo la gran Sacerdotessa di quello, ond’e
di nome Pafo, di cui abbiamo testè fatta menzione(a). Ritornando poi al predetto tempio di Venere in Cipro, dicesi che in
tempio sotto l’anzidetto nome. Plinio dice, che quel Dittatore spedì al medesimo tempio quantità di pietre preziose(a). E
tò in un naviglio, che da se si mise in viaggio. I venti la portarono al luogo stesso, ove l’amante di lei erasi ritirato 
quella, ch’era la donna la più pudica di Roma(f). Venere Verticordia al tempo di Marcello ebbe anche un tempio fuori dell
Otacilio Crasso, consecrava quello, che Otacilio pretore avea eretto al Buon-Senso dopo la guerra Cartaginese(b) (6). Ven
dev’essere inviolabile(e). La denominarono Ponzia, perchè presiedeva al mare, che da’ Greci e Latini dicesi Ponto. Sotto
il quale venne raccolto dalle Najadi, e nominato Adone. Quelle Ninfe, al dire di questi ultimi Scrittori, ebbero cura di l
erezza per lui ; che Giove per non dispiacere alle due Dee, le rimise al giudizio della Ninfa Calliope ; e che questa deci
presero la forma d’Isola. I Rodiani, accellenti navigatori, accorsero al rumore, che andava facendo quell’Isola nello stab
bilitore (c). Con tale titolo ebbe altri tempj nella Grecia(d), e uno al Capo di Tenaro, nella Laconia, sull’ingresso dell
fu detto Ippio, ossia Equestre, dalla corsa de’cavalli, che si faceva al tempo de’Giuochi Circensi, ma anche perchè trovò
er giudice, decise, che il Promontorio di Corinto dovesse appartenere al Sole, e a Nettuno l’Istmo(d). Tesco quindi instit
coronato ; l’altra nel ginnasio, dov’erasi esercitato prima d’esporsi al pubblico certame ; e la terza in patria da’suoi c
si aveva per buon augurio, perchè credevasi, che quella voce piacesse al Nume, soprannominato Eliconio da Elice, città del
va alcun viaggio marittimo, se prima non si faceva qualche sacrifizio al Nume(16). I Romani gli avevano consecrato tutto i
el Campidoglio aveva un tempio, e nel Circo Flaminio un’ara, la quale al dire di Tito Livio grondava di sudore. E’pur famo
Tenaro, fratello di Geresto, e figlio di Giove, che diede il suo nome al predetto Promontorio(c). A Nettuno era eziandio d
. A Nettuno era eziandio dedicata la piccola isola, situata in faccia al porto di Trezene, e detta Calavria da Calavro, fi
ettro il tridente, ch’è una forca a tre denti, regalatagli da’Ciclopi al tempo della guerra contro i Titani(c). Il suo car
Corinto un tempio, ov’era adorata in memoria del freno, ch’ella mise al cavallo Pegaso, quando Bellerofonte volle servirs
li(a) ; ovvero perchè fu la prima, che insegnò ad attaccare i cavalli al carro(b). Fu appellate Lafira dalla voce greca la
cui ella favoriva(c). Insorta contesa tra Nettuno e Minerva riguardo al Territorio di Trezene, Giove propose, che tutte l
della più remota antichità, e fabbricato sopra una rupe. Vi si vedeva al tempo di Strabone(e) una lampada inestinguibile,
un edifizio, opera d’Ittino, ove soggiornavano le vergini, consecrate al culto della Dea. La statua di Minerva era d’avori
egali, e trattavano a convito le loro serve, come facevano gli uomini al tempo delle Saturnali(c). Narrasi inoltre, che gl
collo scudo imbracciato, con una Civetta sopra di quello, coll’Egide al petto, e coll’asta alla mano. Omero ce la dà a di
erato da Marte. Que’ d’ Arcadia inalzarono sul monte Cresio un tempio al Nume ; e i Greci lo chiamarono Afneo dalla voce a
regali da’ loro mariti, come a questi si davano i medesimi da quelle al tempo delle Feste Saturnali. Le donne inoltre tra
alle. Alcuni gli danno un bastone da comando in mano, e gli addattano al petto l’Egide (e). Sofocle ed altri gli pongono a
nzo, e vi piantò una fucina, nella quale vi lavorava solo(I). Vulcano al dire d’ Inacio sposò Aglaia ; comunemente però cr
co, perchè i Re d’ Egitto erano andati a gara per abbellirlo. Innanzi al portico del medesimo v’avea la statua del Nume, a
Vulcano ebbe molti tempj anche in Roma. Se ne ricorda uno, fabbricato al tempo di Romolo, e di Tazio. Questo era fuori del
rano i custodi de’ tempj di Vulcano(b). Eliano riferisce, che intorno al tempio, eretto a Vulcano sul monte Etna, v’erano
l. 8. (e). Arnob. l. 3. adv. Gent. (a). In Timao. (1). Il Caos al dire di Esiodo(a) fu il principio di tutte le cos
to la figura di uomo e di bue, perchè il loro strepito si rassomiglia al muggito di tal animale(f). Gli Antichi monumenti
e(e). Eurìpide vuole, che il loro padre sia stato Polifemo(f). Questi al dire d’Omero nacque dalla Ninfa Toosa e da Nettun
l futuro ; ovvero secondo Plutarco perchè aveva dato un altro aspetto al suo regno, introducendo una vita civile tra que’
ianuali. Tutta Roma allora mostravasi in grande allegrezza ; scannava al Nume giovenchi bianchi, non mai sottoposti al gio
e allegrezza ; scannava al Nume giovenchi bianchi, non mai sottoposti al giogo ; gli offeriva datteri, fichi, e mele ; sul
risguardava preside alle quattro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente, al Settentrione, e al Mezzodì(e) ; l’alt
preside alle quattro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente, al Settentrione, e al Mezzodì(e) ; l’altro, perchè e
ro porte del Cielo, cioè all’ Oriente, al Ponente, al Settentrione, e al Mezzodì(e) ; l’altro, perchè egli dipingevasi con
. I nostri sono gente libera, che spontaneamente prestano servigio, e al quale possono a loro talento rinunziare ; quelli
ssono a loro talento rinunziare ; quelli all’opposto erano sottoposti al dominio del loro padrone quasi non altrimenti che
asa, e avea la cura, che fosse ben disposto tutto ciò che apparteneva al convito. Le tazze, in cui beveano, erano coronate
n una rozza verga di legno, detta da’ Latini rudis (b), e dalla quale al Gladiatore, che la conseguiva, derivava il nome d
2. (c). Nat. Com. Myth. l. 2. (20). Fuvi un’altra Divinità preside al tempo, chiamata Cero da’ Greci, e dagl’ Italiani
da’ Greci, e dagl’ Italiani Occasione. Questa però non presiedeva che al tempo il più conveniente a fare qualche cosa. Rap
n atto di volgersi con somma rapidità in giro, con moltissimi capelli al dinanzi della testa, e calva al di dietto(d). Que
idità in giro, con moltissimi capelli al dinanzi della testa, e calva al di dietto(d). Que’ d’ Eleusi le consecrarono un t
e legna stesse, che si accendevano sull’altare, dovevano essere sacre al Nume. Quando poi la vittima non si lasciava tutta
ni si denominavano Idolotiti(c). Avvertasi che niuno poteva assistete al Sacrifizio, se prima non erasi purificato dal Sac
ra quà e là andassero vagando nelle regioni celesti, ora si recassero al soggiorno de’ morti per osservare ciò che ivi si
bbe principio l’Astrologia, cioè la scienza intorno alla cognizione e al movimento degli Astri(b). La Divinazione si accre
a venerazione. Cecilio Metello per sottrarlo alle fiamme, appiccatesi al tempio di Vesta, ov’ erasi riposto sotto la custo
nel regno degli Argivi. Adiratosi co’ suoi sudditi, rinunziò il trono al fratello Egialeo, e si trasferì in Egitto. Insegn
lo piangevano inconsolabilmente, finchè ne trovavano un altro simile al primo. Cangiavasi allora la tristezza in somma es
un crivello, e supplicò Vesta di poter attingete con esso dell’ acqua al Tevere, e portarla nel di li tempio. Così fu ; e
Sueton. in Caesare. (c). Plutare. in Numa (20). Le Feste Argee al dire di Festo si celebravano col gettarsi dalle V
a di nome Sambete(f). Pausania narra che gli Ebrei, i quali abitavano al di sopra della Palestina, la denominavano Saba, e
di cui parleremo. Fu sopranuominata Delfica, perchè venne consecrata al tempio di Apollo in Delfo. Sebbene desse risposte
anelli di sabbia racchiudeva nella mano, ma non avvertì di ricercarne al tempo stesso permanente la freschezza della sua g
mmin(c). E quì si noti, che i boschi furono i primi luoghi, destinati al culto delle Divinità(d), perchè credevasi, che il
C. Curione, per riparare alla perdita di que’ fatidici Libri, propose al Senato di spedire ambasciatori in Eritrea per far
si da Bacco(f) ; e Ovidio pretende, che li abbia fatti perire Driante al tempo delle nozze di Piritoo(a), dell quali parle
uto quello, il quale avesse potuto vincerla nella corsa, soggiungendo al tempo stesso che la morte sarebbe stata il castig
di farne l’acquisto, uscì di via per raccorlo, e diede tempo intanto al giovine di oltrepassarla. Atalanta, rinforzata la
ce delle sementi sotto terra (a). Quando poi le stesse ne comparivano al di sopra, ella era invocata sotto il nome di Sege
(m) a’ nodi delle spighe ; Latturno, o Latturcia (n), o Lattucina (o) al latte delle medesime ; Matura alla loro maturazio
o instituite da Numa Pompilio (t). Al tempo delle stesse si offrivano al predetto Dio vino, incenso, e le interiora una pe
esse (b). Rusina, o Rurina custodiva le campagne (c). Puta presiedeva al taglio de’ prodotti (d) ; Terense, uando si batte
). Non si va d’accordo riguardo all’origine di Trittolemo. Gli Argivi al dira di Pausania (n) lo fanno figliuolo di Trochi
’ Misterj consisteva nell’essere ammessi per mezzo di certe ceremonie al conoscimento di alcune arcane cose, appartenenti
hi più vi resisteva, n’era premiato (e). Sì la Lotta, che il Pugilato al dire di alcuni (f) venivano indicati dal solo nom
ne dice, che Giunone sdegnata, perchè Giove, come vedremo, avea posta al mondo Minerva senza il mezzo di una donna, pregò
tro nella Corsa(c). Arrachione era stato già altre due volte coronato al tempo della quarta Olimpiade in tali Giuochi, qua
Così avvenne ; e a Fidola si permise innoltre d’innalzare una statua al suo cavallo(d). Polifite, e Callitele, suo padre,
n. l. 2. (e). Id. Ibid. (13). Da principio gli Oracoli di Dodona al dire di Strabone erano manifestati da uomini(a),
i delle Sibille, col chiuderle in un’urna, e coll’adattare l’estratte al senso de’proprj desiderj ; ovvero coll’aprire a c
(d). Il giuramento appresso i Greci era accompagnato da un sacrifizio al Nume, per cui si giurava. Vi si facevano pure del
rre una grave pestilenza. Ne’Giuochi Olimpici tostochè si sacrificava al . Dio Miode, si vedeva uscire dal Territorio una n
(e). Quegli, che n’era il vincitore, veniva condotto con molta pompa al tempio, e coronavasi di mirto. Narrasi, che un ce
orso, e meritato il premio, se ne andarono colla corona e colla palma al Campidoglio. In memoria del qual fatto la Porta,
tra gli uomini le usurpazioni. Il predetto Re, dopo aver distribuito al popolo le terre, inalzo sul monte Tarpeo un picco
inità, e ne prescrisse le ceremonie. Le Feste furono dette Terminali, al tempo delle quali s’inghirlandavano i confini del
li, come abbiamo osservato, sotto la figura di una pietra. (23). Ebe al dire di Apollodoro fu figlia di Giove e di Giunon
fizio, cadde in terra in un modo. indecente. Il Nume non la volle più al suo servigio (f). Omero pretende ch’ella abbia se
gava, che il vento prestamente consumasse il tutto. Frattanto dinanzi al Rogo si battevano i Gladiatori (a), detti Bustuar
urificarli. Ognuno de’medesimi in atto di partire dava l’ultimo addio al morto, e augurava alle ossa di lui la terra lieve
tina, Epulae, vivande (g), perchè eglino mangiavano i cibi, imbanditi al tempo di tale solennità agli Dei (a). Eglino eran
Liceo (c). Altri soggiungono, che il predetto Re era religioso e caro al suo popolo, a cui insegnò a condurre una vita men
ù antica di tutta la Grecia ; e che v’inalzò un altare a Giove Liceo, al quale egli il primo sacrificò delle vittime umane
sicurarsene, nel momento, in cui egli stava per offrire un sacrifizio al Nume, mescolarono tralle carni delle vittime anch
vertiti di schivare dall’incontrarsi in Melampigo, ossia in colui che al di dietro era nero. Eglino, viaggiando, si abbatt
li si estingueva, primachè fosse giunto alla meta, egli dovea cederla al secondo : e questi per la stessa ragione al teizo
meta, egli dovea cederla al secondo : e questi per la stessa ragione al teizo. Quegli, che giungeva al termine del corso,
condo : e questi per la stessa ragione al teizo. Quegli, che giungeva al termine del corso, senzachè di si fosse mai smorz
far male, e a turbare l’animo degli uomini. Divenuta in abborrimento al Cielo e alla terra, Giove la prese pe’capelli, la
soprannominati Dioscori, perchè nacquero da Giove (c). La loro madre al dire dello stesso Cicerone fu Proserpina (d). Fer
. 6. (41). La moglie di Perifa, non potendo sopravvivere pel dolore al marito, pregò Giove di cangiare lei pure in uccel
stagione appariscono(g). Tralle Plejadi Merope è la stella, la quale al dire de’Poeti si lascia vedere meno delle altre p
arivano fra gli uomini(a). Pomponio Mela lasciò scritto esservi state al di là del monte Atlante certe Isole, nelle quali
tti da Fauno, figliuolo di Pico, re de’ Latini in Italia. Egli viveva al tempo, in cui Pandione regnava in Atene(f). Inseg
ex. Univ. (9). I Sileni, detti da’ Greci Titiri, forse per alludere al loro genio pel flauto, denominato in lingua parim
a Sileno, perchè alcuni Frigj lo aveano avvinto di corone, e condotto al loro Re, Mida. Questi al vederlo estremamente gio
rigj lo aveano avvinto di corone, e condotto al loro Re, Mida. Questi al vederlo estremamente gioì, e fece palese il suo g
. Così avvenne ; ma quando lo stolto Sovrano credette d’essere giunto al colmo della felicità, ben s’avvide ch’erasiridott
neva qualche ornamento. Alcune ve n’erano con una o due palle in cima al coperchio. Altre si vedevano co’manichi, onde fos
nzione di una Cesta, adorna di corone. Alcune finalmente erano dorate al di fuori. Coloro, che le portavano, si chiamavano
cob. Hofman. Lex. Univ. (l). Furet. Diction. Univ. (14). Intorno al tirso furono alcune volte veduti anche dei serpen
ltresì adorno di vitte e nastrì (c). I Poeti finalmente attribuiscono al tirso una mirabile virtù : bastava, dicono essi,
in campagna alle radici dì un bianco Gelso, presso una fonte, vicina al sepolcro di Nino. Circa l’ora appuntata Tisbe imp
nte uscì la prima di casa poco prima della mezza notte, e s’incamminò al luogo divisato, coperta di bianco velo. Al chiaro
sbe ansiosa di raccontare a Piramo lo schivato pericolo Gelò d’orrore al vederlo agonizzante ; e data un’occhiata al lacer
to pericolo Gelò d’orrore al vederlo agonizzante ; e data un’occhiata al lacero velo, e un’altra alla spada, argomentò il
’ Io. Il giovane, non avendo potuto trovarla, non osò di ritornarsene al suo paese, e si ritirò appresso il re Ebialo, che
si dissetava a quelle acque, contraeva subito grandissima avversione al vino (d). Melampode liberò pure dalla predetta ma
e re de’ Traci, ebbe in moglie Progne, perchè avea prestato soccorso al di lei padre, Pandione II, re d’Atene, e aveagli
egina, corse furiosa con varie Sacerdotesse di quel Nume ; e arrivata al luogo, ove Filomela languiva, la vestì a somiglia
qualche tempo immobile a cotal vista, ma finalmente sciolse il freno al furore ; e colla spada inseguì le barbare infanti
el tempio di Giove Liceo (m). Omero soggiunge, che la di lui nutrice, al vederlo, rimase talmente spaventata, che prese la
ume, perchè si credeva, ch’egli se ne stesse spesso ne’ luoghi vicini al maro (e). (16). Le Feste Lupercali, dette da’ Gr
pelonca, situata sotto il monte Palatino (a). Sopra il medesimo monte al tempo delle Lupercali i pastori immolavano delle
rono, e ricuperarono il loro gregge (c). Vuolsi, che Romolo offerisse al tempo di tali Solennità anche un sacrifizio di ca
mpo di tali Solennità anche un sacrifizio di cani, come animali grati al Dio Pane, perchè sogliono guardare i greggi da’ l
al Dio Pane, perchè sogliono guardare i greggi da’ lupi. Riguardo poi al sacrifizio della capra, narrasi, che a questa col
i un cetto Fabio, che n’erano stati i capi (e) ; e che Giulio Cesare, al di cui tempo le anzidette Feste non erano più in
pegno vieppiù i loro cuori si unissero insieme (i). Plinio dice, che al suo tempo tale anello era di ferro, e senza gemma
a chiudevano la stanza degli Sposi, ed altre vergini amiche, standone al di fuori, cantavano un tessuto di certi versi, ch
ine dal numero sì delle vittime, che di quelli, i quali intervenivano al sacrifizio (a). (a). Potter. Archacol. Graec. l
omo. Consevio ne proteggeva la generazione (h) ; Vitunno dava la vita al feto (i) ; Nascione ne attendeva alla nascita (l)
tempio in Ardea, città del Lazio (a) ; Alemona, o Alimona presiedeva al nutrimento, finchè il feto compativa alla luce (b
presiedeva a’ vagiti del bambino (i) ; Rumilia (l), o Rumia, o Rumina al latte, che loro si somministrava (m) ; Cunina all
gli oggetti di timore e di spavento (q). Gli Dei Epidoti presiedevano al loro crescere (r) ; Lallo alle cantilene delle nu
l’acqua sul di lui corpo (a). Educa, o Edulica (b), o Edusa attendeva al cibo, e Potina al bere de’ fanciulli (c). Allorch
corpo (a). Educa, o Edulica (b), o Edusa attendeva al cibo, e Potina al bere de’ fanciulli (c). Allorchè questi cominciav
li. Bitone, e Cleobi, verso Cidippe, loro madre. Costei dovea recarsi al predetto tempio, di cui n’era la sacerdotessa. No
oi, che tirassero il suo carro, i due figliuoli lo strascinarono sino al tempio per quaranta cinque stadj. La madre pregò
n Theog. u. 455. (1). L’Inferno secondo i Poeti è il luogo destinato al soggiorno di tutte le anime. Dal che s’inferisce,
e Ida Giove, che stava tralle braccia della stessa Dea(c). Tibullo dà al Sonno le ali(d). Innumerabili figliuoli, chiamati
rti(c). Rìputò finalmente degno di riprensione Vulcano, perchè questi al cuore dell’ uomo, di cui n’era stato l’artefice,
. Le Furie ebbero un tempio anche nella decima quarta Regione di Roma al di là del Tevere. (6). Le Arpie erano uccelli ra
combattimento, che i Licj sostenevano contro i Solimi. Ippoloco salì al paterno soglio. Laodamia fu da Giove renduta madr
e dalla Necessità ; altri dal Caos e dal Dio Pane(m). Nelle loro mani al dire de’ Poeti sta il corso della vita degli uomi
allora alzarono presso alla porta Capena un tempio a Redicolo, ossia al Dio deb Ritorno, perchè credettero, che questo Nu
conta, che essendo uscito un serpente dal sepolcro di Murro, e andato al mare, i Saguntini credettero, che i Mani fuggisse
Dopochè si era lavato in quelle acque, ritornava in dietro, gettando al di sopra della sua testa delle fave nere, delle q
a Giove, perchè dissetò i Titani nel momento, in cui muovevano guerra al Cielo, sia stato assogettato al predetto cangiame
nel momento, in cui muovevano guerra al Cielo, sia stato assogettato al predetto cangiamento(c). Le acque di questo fiume
me Stige, era inviolabilmente osservato. Gli stessi Dei, se mancavano al medesimo, venivano privati del nettare, e spoglia
siasi conferito tale privilegio allo Stige, perchè l’anzidetta Ninfa al tempo della guerra de’ Giganti contro gli Dei spe
dovette ricondurvelo colla forza a Plutone ; e che questi lo condannò al meritato castigo(a). Questo consistetto nel volge
no alla sommità di un alto monte, donde ricadendo quello pel suo peso al piano, Sisifo era costretro a riportarlo subito c
al timore, che precipiti sopra di se un gran sasso, il quale sovrasta al suo capo(c). I Mitografi neppure vanno d’accordo
toccava le labbra(a). Cicerone vuole, che sovrastasse una gran pietra al di lui capo, e che questo ne venisse percosso, og
dovesse fare, coni era il costume di quegli antichi tempi, molti doni al di lei padre, Dejoneo. Questi lo sollecitò più vo
nuvola somigliantissima alla moglie, e la presentò ad Issione. Questi al vederla diede subito segni d’affetto per essa. Il
irono l’empia promessa, eccettuata Ipermnestra, che risparmiò la vita al suo consorte Linceo, e fece sì, ch’egli potè riti
ti nel predetto tempo (d). In que’giorni eravi il costume di portarne al tempio di quella Dea (e). (a). Claud. l. 2. de
nistro di lui, nato nell’Isola di Creta da Cerere e da Iasione. Pluto al dire de’Poeti è cieco, per indicare, ch’egli spes
al dire de’Poeti è cieco, per indicare, ch’egli spesso non favorisce al merito e alla virtù ; è zoppo, quando recasi ad a
pio di amore conjugale, discese nell’Inferno, e ne ricondusse Alceste al di lei marito(c). (a). Ovid. l. 10. (b). Nat.
ol. Graec. l. 2. (9). Lampusia, istruita dal padre, e poi consecrata al servigio di Apollo, si perfezionò intieramente ne
e fu ammessa tralle Dee. Le donne Romane le eressero un tempio vicino al Tevere nell’infima parte del Campidoglio, quando
rse alla Pitonessa. Questa rispose, che il tripode mentovato si desse al più sapiente. Fu offerto ad uno di que’sette Sapi
lle statue ve n’era una, eretta da Lisandro, Generale degli Spartani, al famoso Indovino Abas, figlio di Cimeo e di Cliten
città, che rappresentavano la nazione con piena facoltà di provedere al pùbblico bene(a). Eglino presero il nome da Anfiz
ro il nome da Anfizione, figlio di Deucalione, terzo re d’ Atene, che al dire di Pausania li instituì(b). Strabone però vo
di che si ascendevano certi mucchi di paglia, sopra i quali i pastori al suono di varj stromenti saltavano per far mostra
che le greggi col fumo di solfo, d’alloro, e d’ulivo(a). Queste Feste al dire di Suetonio si facevano anche per ricordare,
(24). Sul monte Soratte eravi una fontana, la di cui acqua bolliva al levar del Sole, e faceva morire sull’istante gli
io, figlio di Saturno, e Augure famoso. Quegli, perchè non corrispose al di lei affetto, ma volle serbarsi fedele alla Nin
ne, il quale cadde morto nell’ Eridano. Le Ninfe dell’ Esperia resero al di lui corpo gli ultimi onori. Vennero pure sulle
vero riposto sopra un tripode(h). Calliope presiede alla Rettorica, e al verso Eroico. Dipingesi giovinetta, coronata di f
osi dell’anzidetta Medusa, e spezialmente delle di lei trocce, bionde al pari dell’oro, la trasse un dì nel tempio di Mine
, re della Focide, incontratosi colle Muse, le quali facevano ritorno al Parnasso, le invitò a ritirarsi nel suo palagio,
li in aria. Ma staccatosi dalla cima d’un’ alta torre, così precipitò al basso, che finì ben tosto di vivere(b). Il Parnas
so era consecrato(f). (35). L’Elicona era monte della Beozia, vicino al Parnasso. Fu così chiamato da Elicone, il quale d
). Comunque sia, certo è, che si verificò la protesta, la quale unita al giuramento avea fatto Minerva. Questa Dea, suonan
, o Ismeno(d). (b). Paus. l. 9. (46). Gordio, padre di Mida, stupì al vedere, che un’ Aquila se ne stette sul giogo del
non per mezzo di colui, che avessero veduto andarsene sopra un carro al tempio di Giove. Non molto dopo vi giunse Mida, i
sospese nel più alto della Fortezza. Il giogo di quello era attaccato al timone con un nodo d’ammirabile sottigliezza, ed
la sua sorella, Canace, madre d’un figlio. Voleva la giovine celarlo al di lei padre, e con sacre frondi avealo coperto p
anch’egli eccellentemente nell’arte di suo padre, e la comunicò anche al figlio, Tamiride. Questi divenne così peritissimo
e. Volendo cingere di mura la città di Tebe, si valse della medesima, al di cui suono le pietre, divenute sensibili, da se
re di Tracia(c) ; ma per aggiungere maggior splendore alla nascita e al talento di lui, si pubblicò, ch’ era figlio di Ap
a figlio di Apollo(d). Egli accoppiava con tanta dolcezza la sua voce al suono della lira, che sospendeva il corso de’ rap
i più unito in matrimonio con altre donne, e che da’ alcune di queste al tempo delle Orgie sia stato lacerato(a). Alcuni f
, re di Pisa. Questi, conoscendo l’avversione, che quella Ninfa aveva al matrimonio, se le avvicinò in abito donnesco, e s
Echecleo, figlio di Attore, che per averla in moglie dovette offerire al di lei padre varj doni (a). Quì si ricorda pure P
fece perire Orione, perchè questi aveala provocata a giuocare secolui al disco (d). Altri soggiunsero, che la stessa Dea l
quel sangue, sorsero due stelle, che in forma di corona s’innalzarono al Cielo (b). Ovidio pretende, che il corpo delle du
uomo favorito dagli Dei. Gli Ateniesi lo chiamarono nella loro città al tempo di Solone, ed egli molto giovò ad essi co’c
, e una figlia, di nome Euridice(d). Endimione propose la successione al Regno a quello de’tre predetti figliuoli, il qual
o, cui spettava trasferire all’altro mondo. I Parenti, stando attorno al letto dell’ammalato, davangli l’ultimo addio, lo
e i singulti si si aspergeva di cenere il capo(b). In Grecia i maschi al tempo di lutto nutrivano la chioma, e le femmine
inistravano tutto ciò, ch’era necessario pel funerale. Davasi in mano al morto una focaccia di miele e di papavero, onde C
si in mano al morto una focaccia di miele e di papavero, onde Cerbero al vederla non abbajasse contro di lui, mentre entra
te Prefiche, intuonavano le Nenie, ch’erano lamentevoli versi di lode al defonto(a). Dicono che alla ceremonia di queste d
ogio. Lo stesso si praticava appresso i Greci(h). Dal Foro si passava al luogo, in cui il cadavere doveasi abbruciare o so
Appresso le mentovate statue se ne vedeva pure una, eretta da Lieurgo al Dio Riso. A questo Nume anche la Tessaglia offeri
le Feste si danzava tutta la notte, e chi più resisteva alla fatica e al sonno, riportava in premio una focaccia di miele,
ia, Dea della pover tà, madre di Cupido, il quale poscia fu stabilito al servigio di Venere(e). Questa Dea, osservando, ch
freccia non ne l’avesse risvegliata. Lo stesso Nume volò subito dopo al Cielo, e ottenne da Giove, che Venere non si oppo
un figliuolo. Teano raccolse i due predetti fanciulli, e fece credere al marito d’averli essa partoriti. Qualche tempo dop
vano nella parte superiore del corpo simile all’uomo, e nel rimanente al pesce con lunga coda(i). (d). Paus. l. 2. (15)
dal Nume severamente purito(a). Anche in Roma aveva un tempio vicino al ponte Emilio, in un bosco ripieno di pini. Portun
u anche detto Euronoto, perchè spira tra l’Euro e’l Noto(c). I Fenicj al dire d’Eusebio furono i primi, che offerissero sa
one porgesse indarno voti ed offerte, ordinò ad Iride che commettesse al Sonno di far sapere ad Alcione per sogno l’infort
ivò Plesippo di vita. Uccise pure Tosseo, accorso a prestare soccorso al fratello. La fama divulgatasi della vittoria di M
pianto la gioja, e appena udì il nome dell’autore dello scempio, che al cordoglio sottentrò un genio barbaro di vendetta.
causa, e si studiava di superare col coraggio lo spasimo. Finalmente al languire che faceva a poco a poco la fiamma stess
in Ciproc. A di lei onore si celebrarono altresì le Feste Plinterie, al tempo delle quali, si lavava la statua di Minerva
cò la prima, ch’era tra quelle la maggiore ; e le altre furono fedeli al giuramento. Eretteo diede poscia la battaglia a q
battaglia a que’ d’Eleusi, e ne rimase vincitore. Gli Atenieti, grati al sacrifizio, fattosi da Eretteo pel comune bene, l
anche un figlio, di nome Falero, che fu uno degli Argonauti. Questi, al dire di Pausania, fu autore di quel porto in Aten
Proculo, uomo di singolare probità, testificò dopo la morte di Romolo al Senato, ch’egli lo avea veduto rivestito d’ una m
lo avea veduto rivestito d’ una maestà divina, e in atto d’ ascendere al Cielo ; v’ aggiunse, che lo stesso Romolo gli pre
, per timore, che Bellona seminasse discordie tra’ cittadini. Dinanzi al medesimo eravi una colonna, detta bellica, ossia
Nume ivi trattò la sua causa, quando fu accusato d’aver dato la morte al mentovato Allirrozio (g). A quel Tribunale da pri
om. Mythol. l. 2. (c). Calep. Sept. Ling. (1). Come Numi, presidi al fuoco, si veneravano anche Laterano, e Fornace. L
forni. Numa Pompilio instituì in onore di Fornace le Feste Fornacali, al tempo delle quali in onore della Dea si lasciava
9 (1831) Mitologia ad uso della gioventù pp. -
ammirabili sulle quali si aggirano il mondo fisico e morale, colpiti al primo sguardo dall’immensa influenza dell’ ordine
to con degli strani anacronismi, rappresentandoci delle cose estranee al secolo di cui ci volevano far conoscere i costumi
azie anch’esse, Senza il cui riso nulla cosa è bella, Anche le Grazie al tribunal citate De’ novelli maestri alto seduti C
rte. Garzon superbo e di sè stesso amante Era quel fior ; quell’altro al Sol converso Una Ninfa, a cui nocque, esser gelos
Il Canto che alla queta ombra notturna Ti vien sì dolce da quel bosco al core, Era il lamento di regal donzella Da re tira
cantato in onore della Mitologia dopo sconfitti i nemici : Ah riedi al primo officio, o bella Diva, Riedi, e sicura in t
tue figure implora, Onde mezzo nascosa e mezzo aperta, Come rosa che al raggio mattutino Vereconda si schiude, in più des
terea vôlta Carolanti, non più mosse da Dive Intelligenze, ma dannate al freno Della legge che tira al centro i pesi : Pot
mosse da Dive Intelligenze, ma dannate al freno Della legge che tira al centro i pesi : Potente legge di Sofia, ma nulla
rito Giove, Nettuno e Plutone. Titano scoperta la frode, mosse guerra al fratello, lo vinse e lo fece prigione. Saturno fu
estino che Giove un giorno gli avrebbe tolto l’inspero, tramò insidie al figlio per privarlo di vita e gli dichiarò senza
ontorcendosi con modi spaventevoli. Sotto il nome di Vesta presiedeva al fuoco ; e come tale gli antichi la chiamavano Ves
tà fino a trent’anni, dopo cui deponendo le sacre bende e rinunziando al servigio del tempio potevano maritarsi. Se per ne
ella era dal pontefice massimo severamente punita. Se taluna mancava al voto di verginità, era portata con lugubre pompa
one e divise l’impero co’due suoi fratelli Nettuno e Plutone, cedendo al primo il regno de’ mari, quello dell’inferno al s
no e Plutone, cedendo al primo il regno de’ mari, quello dell’inferno al secondo, e riserbando per sè l’impero del cielo e
la terra. I fratelli uniti a Pallade e Giunone tentarono di sottrarsi al suo dominio, ma restarono vinti da Giove e furono
guitò anche Europa, Semele, Latona, Alcmena e suscitò mille traversie al figlio di quest’ ultima, Ercole, ed a molti altri
protetto da Venere. Avendo saputo che Giove senza di lei aveva posto al mondo Pallade, facendola uscire dal suo cervello,
erano sacri soltanto per la loro fecondità e perchè nascono in mezzo al frumento, ma perchè Giove era riescito a farglien
uale una donna sedendo concepiva immediatamente ; e dicesi di più che al solo toccarlo bastasse ad una donna per divenir m
vendo potuto essere corrisposto, ne trasse vendetta facendola sposare al più deforme degli Dei. Venere odiò il marito per
la sua bellezza. Sono abbominevoli i disordini commessi da questa Dea al dir de’ poeti. Venere ha dato il suo nome ad un p
hi, le assegnò un corteggio di bellissime Ninfe ch’ella volea pudiche al par di lei, e scacciò per questo Calisto perchè s
pelli annodati di dietro, colla faretra su di una spalla, con un cane al fianco, e coll’arco teso in atto di lanciare un d
r questo Apollo ammazzò i Ciclopi che avevano somministrato i fulmini al padre degli Dei. Per questa vendetta fu scacciato
, co’rami del quale si fece una corona. Zefiro giuocando con Giacinto al disco, lo uccise involontariamente, ed Apollo che
dio re di Frigia, perchè aveva preferito il canto di Pane e di Marsia al suo (di Apollo). Il barbiere di Mida se ne accors
Interprete e messaggiero degli Dei e specialmente di Giove suo padre, al levare del quale doveva ogni giorno trovarsi per
si poteva morire se egli non aveva rotti i legami che univano l’anima al corpo. Ambasciatore e plenipotenziario degli Dei,
a Prometeo contro del quale era adirato perchè aveva rapito il fuoco al sole per animarne i primi uomini. Prometeo essend
, Tifeo o Tifone gigante mostruoso, uno di quei che diedero l’assalto al cielo e che toccava le nuvole col capo, si agitò
ele abbia avuto il Giorno. Prima di giugnere alla regia di Plutone ed al tribunale di Mimosse, era d’uopo passar l’Acheron
dell’Erebo e della Notte, vecchio, ma di robusta e verde vecchiezza, al quale le anime dovevano dare una moneta per esser
esse seco un ramo d’oro consacrato a Minerva. La Sibilla ne diede uno al pio Enea, allorchè volle entrare nel regno di Plu
fino a che li avessero pagati essi medesimi. La moneta posta in bocca al defunto indicava che tutti i suoi creditori erano
a conseguir la vittoria, scorta i viaggiatori e i naviganti, presiede al consiglio dei re, ai sogni, ai parti, alle conver
resiede al consiglio dei re, ai sogni, ai parti, alle conversazioni e al crescimento dei fanciulti che nascono. Ecate fig
egolavano i destini : tutto ciò che avveniva nel mondo era sottoposto al loro impero. Il loro ufficio si era di filar la v
agliava il filo colle forbici allorchè la vita di ciascuno era giunta al suo termine. Si voleva con ciò indicare che la pr
nsanguinati, con ali di pipistrello, con serpenti intreociati intorno al capo, con una torcia ardente in mano ed un flagel
allore e la Morte per compagni. In questa guisa stando sedute intorno al trono di Plutone, attendono esse i suoi ordini co
ame e della sete, ponendolo in mezzo alle acque che gli giungono fino al mento, ma che gli sfuggon di sotto quando si abba
an sasso, che quando è vicino a toccare la sommità, ricade nuovamente al basso. La rupe che gli fanno incessantemente muov
d istanza di Teti, nella cospirazione degli Dei contro Giove, salisse al cielo e si sedesse al fianco di Giove, e che col
la cospirazione degli Dei contro Giove, salisse al cielo e si sedesse al fianco di Giove, e che col suo fiero e terribile
ta terminava con fuochi di paglia, e i giovinetti vi saltavano sopra, al suono di flauti, di cembali e di tamburi. Pa
ga figlia di Ladone fiume d’Arcadia, la quale da lui fuggendo in riva al fiume paterno, fu cangiata in un canneto e dal su
figlio di Mercurio e della Notte, dipingevasi come Pane ma senza peli al mento ed al petto. Gli si sacrificava un agnello
rcurio e della Notte, dipingevasi come Pane ma senza peli al mento ed al petto. Gli si sacrificava un agnello o un caprett
testa, colla sola differenza che i Satiri si rappresentavano col pelo al mento ed allo stomaco e gli altri non ne avevano,
tato in Italia dai Lacedemoni. Essendosi appiccato il fuoco un giorno al bosco ove aveva un tempio, volendo gli abitanti t
o di lei molte ceste di fiori. Flora era una delle dee che presiedeva al frumento, ed in certi tempi dell’anno le venivano
ta Dea, chiamate giuochi floreali, correvano giorno e notte, ballando al suon delle trombe e quelle che vincevano al corso
giorno e notte, ballando al suon delle trombe e quelle che vincevano al corso erano coronate di fiori. La Clori o Cloride
al modo rinchiuso nel tempio innalzato in quel luogo. Si fece credere al popolo un tal fatto per persuaderlo che non vi er
imite principale presso cui innalzavano un altare ed un piecolo rogo, al quale uno dei fittaiuoli e dei signori appiccava
alla Fortuna, per esprimore quanto in amore la riuscita sia soggetta al capriccio della cieca Dea. Egli è sempre dipinto
enere tiene in equilibrio sopra un dito ; delle volte essa lo stringe al petto e tra le braccia ; ora è seduto dinanzi sua
ebbe desiderato che fosse stata fatta all’uomo una finestrella vicino al cuore, perchè se gli potesser leggere i più recon
ne la ritenne presso di sè e le affidò la cura di attaccare i cavalli al di lei carro. Ercole la sposò in cielo e n’ebbe u
Titano e della Terra, del Sole e della Luna secondo altri, presiedeva al nascere del giorno. Amò teneramente Titone, giovi
le ed apre le porte dell’oriente ; è accompagnata dalle Ore e fuggono al suo giugnere la Notte ed il Sonno. Si raffigura a
di abbigliarsi da uomo. I suoi seguaci correvano di notte in maschera al chiarore delle torce, col capo cinto di fiori, ac
evano da lui. Il Cielo, la Terra, il Mare, l’Inferno erano sottomessi al suo impero, e niun potere aveva la forza di cangi
ed Ischi ; trasse però dal fianco di lei Esculapio e lo diede in cura al centauro Chirone, sul monte Tittone in vicinanza
grande città. Tutti coloro che le belle arti professavano, s’univano al tempio della Pace per disputarvi intorno alle lor
pio della Pace per disputarvi intorno alle loro prerogative, affinchè al cospetto della divinità, ogni asprezza fosse dall
malati, oppure di persone che facevano voti pei loro amici obbligati al letto. Bellona Bellona dea della guerra ch
ti all’autorità di un pontefice il quale non cedeva la precedenza che al solo re ; egli era scelto nella famiglia reale e
ne, andò a lagnarsi di ciò con sua madre Climene, la quale il rimandò al Sole per accertarsi della sua nascita. Fetonte en
i poeti dissero non aver egli potuto condurre il carro del Sole sino al termine della sua carriera. Aggiungono alcuni che
ce delle segrete opinioni che li facevano operare, comandava eziandio al cieco Destino, e a suo beneplacito faceva dell’ur
ngono un freno per arrestare i malvagi oppure un pungolo per eccitare al bene. Si portano esse un dito alla bocca per inse
e ne reggevano le dorate redini. Una gran vela di porpora ondeggiava al disopra del carro ; era essa più o meno gonfia da
enute che le ebbe le portò tosto ad Achille, e lo esortò a rinunciare al suo risentimento contro di Agamennone, e gl’inspi
io del tempio. Questo avvenimento fece dare il nome di golfo Saronico al braccio di mare dove Sarone annegò e desso fu mes
o il destino di tutti i mortali, citando le ombre a comparire innanzi al suo tribunale, e sottomettendo l’intiera loro vit
mparire innanzi al suo tribunale, e sottomettendo l’intiera loro vita al più rigoroso esame. Si rimprovera a Minosse una m
nni spedito sette giovani e altrettante donzelle, ond’ essere esposte al Minotauro nel labirinto, ove questo principe avev
ll’ aiuto di Scilla, figlia di Niso che ne era il re, la quale troncò al padre il capello d’oro o di porpora cui era attac
infinite strade tortuose. Si pretende che fosse un monumento dedicato al Sole. Altri lo han creduto un Panteone. Gli abit
ia, trovò il mezzo di fare delle ali e di attaccarle con cera a sè ed al figlio. Essi riuscirono a volare, ma le ali di Ic
lo. Questo principe lo accolse amichevolmente e ricusò di restituirlo al re di Creta che andò a chiederglielo, e pretendes
ca nove secoli prima di Solone che ne fu il ristauratore ritornandolo al suo antico splendore. Glauco Glauco figlio
o consultare. Vuolsi che Cirœ lo amasse, ma ch’egli fosse insensibile al di lei affetto, preferendo la giovine Scilla, la
le col bicchiere alla mano. I poeti non tralasciarono mai d’invocarle al principio de’loro poemi, siccome Dee capaci d’isp
a e ai divertimenti. Euterpe ossia la giocosa e rallegrante, presiede al flauto ed agli istromenti da fiato e la sua giuri
a alla danza e ai giuochi. Erato o l’amorosa die’ la vita alla lira e al liuto, presiede alle galanti, appassionate o erot
on esse. L’Amore non vi era mal situato ; parecchie di esse cedettero al potere di lui malgrado si dicano vergini. Tra i f
assitele, o forse anche di Scopa, la cui Venere nuda, posta di contro al circolo flamminio superava, secondo alcuni, la fa
, i poeti moltiplicarono il numero delle Ore sino a dodici, impiegate al servigio di Giove, e le nominarono le dodici sore
azione di Giunone ; diffatti in alcune statue di questa Dea, veggonsi al dissopra del capo di lei rappresentate le Ore. Eb
i Ceto erano tre e si chiamavano Medusa, Euriale e Steno. Stanziavano al di là dell’Oceano, all’estremità del mondo, in vi
li, persuaso che nel gran progetto da lui concepito di rendersi utile al genere umano, egli non avrebbe eseguito che una s
na sola parte del suo divisamento, allora quando avesse tollerato che al mondo vi fossero delle nazioni sottoposte al domi
ndo avesse tollerato che al mondo vi fossero delle nazioni sottoposte al dominio delle donne. Pretendono altri che le Gorg
uperiore, senza alcun velo, era ombreggiata da una capellatura sparsa al vento. Il loro capo era cinto da una corona di fo
ma è favoloso il calcolo della loro esistenza secondo molti mitologi al di là de’ 9000 anni non combinando colla durata d
ata da Polifemo e da Aci, preferì questo giovine ed avvenente pastore al deforme Ciclope. Polifemo sdegnato di tale prefer
Questa Ninfa ritornando dalla caccia un giorno si fermò per riposare al margine di un ruscello e vedendone le acque molto
pente, ecc. Quest’abile lavoratrice vi aveva egualmente rappresentato al naturale le amorose trasformazioni di Nettuno, di
lare e di far tele. Dicesi che gli Egizi per rammentare continuamente al popolo l’importanza delle sue manifatture di tela
te la figura di una donna avente nella mano destra il subbio, intorno al quale i tessitori girano la trama della loro stof
Le Esperidi erano nipoti di Espero e figlie di Atlante e di Esperide al dir d’alcuno ; secondo altri figlie della Notte e
e i canti. Ne rimanevano essi incantati a tale, che più non pensavano al loro paese, obliavano di prendere cibo e morivano
giacchè Ulisse malgrado dell’avvertimento ricevuto da Circe riguardo al pericolo cui stava per esporsi fu sì incantato de
corpo di donna fino alla cintura e la forma di uccello dalla cintura al basso ; oppure con tutto il corpo di augello e la
illa spaventata ella stessa della sua figura gittossi in mare, vicino al luogo ove è il famoso stretto che porta il suo no
e Seilla ha una voce terribile e che le orrende sue grida rassembrano al muggito del lione ; che è un mostro il cui aspett
cisamente in faccia di Cariddi. Quando si passava lo stretto dal Nord al Sud, prima di entrarvi, trovavasi il vortice di C
o e che erano dolci e pacifici si chiamavano Lari famigliari ; quelli al contrario che in pena della loro cattiva vita non
no e l’altro cattivo. Ciascuno nel giorno del suo nascere sacrificava al proprio Genio. Gli si offriva vino, fiori, incens
à ; di tutte queste basterà accennare le principali. Giove presiedeva al capo, Nettuno al petto, il Genio alla fronte, Giu
te basterà accennare le principali. Giove presiedeva al capo, Nettuno al petto, il Genio alla fronte, Giunone alle sopracc
ea Rumia, Rumilia, Ruma o Rumina istruiva i bambini a poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. Strenua dicevasi
o Rumina istruiva i bambini a poppare, Potina al bere, Educa o Edusa al mangiare. Strenua dicevasi la dea che rende gli u
erali. Vaccena o Vaccana era la dea della pigrizia ; presiedeva anche al riposo della gente di campagna. Marcia era la dea
ti in loro onore. Si fecero dei sagrifici alla Febbre, alla Tempesta, al Pallore onde tenerli lontani. de’ Semidei
di Euristeo. Ritornato in sè stesso ne fu tanto afflitto che rinunciò al commercio degli uomini, indi consultò l’oracolo d
; alle quali recidevano la mammella destra, onde non fossero impedite al tirar dell’arco ; ebbero molte guerre coi loro vi
che ebbe anch’esso Echidna per madre, cavonne Alceste, e la restituì al marito Admeto. Vengono a questo eroe attribuite
i forastieri. Uccise l’avoltoio che rodeva il cuore a Prometeo legato al monte Caucaso. Uccise un mostro marino al quale E
il cuore a Prometeo legato al monte Caucaso. Uccise un mostro marino al quale Esione figlia di Laomedonte era esposta ; e
, il centauro Nesso si offerse di portarla sul dosso sull’altra ripa, al che Ercole acconsentì ; ma accortosi che Nesso si
onde purificare ciò che v’era di mortale in Ercole. Giove lo innalzò al cielo e lo pose tra il numero de’ Semidei. In Teb
il suo, e che tutte poi attribuite fossero le imprese di tanti Ercoli al figlio di Alcmena e di Giove che si rendette così
il quale riducendo ad un solo principio tutta la scienza mitologica, al culto antico cioè della natura, fece di Ercole un
lto antico cioè della natura, fece di Ercole un essere allegorico che al par di Bacco, di Giove, di Esculapio e di tante a
tratti con cui gli antichi hanno dipinto Ercole che tutti convengono al sole formano il principal fondamento di questo si
fosse sembrato conveniente all’uomo che esso aveva formato. Innalzato al cielo da Minerva, ed avendo osservato che tutti i
ante del monte Otri in Tessaglia, si ritirò sul Parnaso per sottrarsi al diluvio di Deucalione e fu cangiato in uccello da
iorno era vicino a fmire, si fermò in Mauritania per riposarvisi fino al ritorno dell’Aurora. Chiese l’ospitalità per quel
al ritorno dell’Aurora. Chiese l’ospitalità per quella notte soltanto al re Atlante facendosi conoscere per figlio di Giov
spalle il cielo per aver prestato dei soccorsi ai giganti ribellatisi al supremo Nume. Atlante era il padrone del giardino
i Giuochi Istmici, come Ercole aveva rinnovato gli Olimpici. Trovossi al combattimento dei Centauri, alla conquista del to
n aveva voluto corrispondere alla criminosa di lei passione lo accusò al padre di aver attentato al di lei onore ; Teseo t
e alla criminosa di lei passione lo accusò al padre di aver attentato al di lei onore ; Teseo troppo credulo abbandonò il
attentato al di lei onore ; Teseo troppo credulo abbandonò il figlio al furore di Nettuno, il quale fece sortire dal mare
ipe fu avo di Laio, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo al fine al dolore che gli cagionavano tante sciagure
vo di Laio, ucciso da Edipo suo proprio figlio. Cadmo cedendo al fine al dolore che gli cagionavano tante sciagure avvenut
ano a quella soave melodia e vi erano per anco attratti gli augelli ; al dolce suono della sua lira tacevano i venti, il l
di un toro indomito. Alcun tempo dopo Anfione costruì le mura di Tebe al suono della sua lira : le pietre sensibili alla s
diverse torri, che situò ad eguali distanze. Vedevansi ancora a Tebe al tempo degli Antonini, vicino alla tomba di questo
, che dioevansi essere un avanzo di quelle ch’egli aveva fatte venire al suono della sua lira. Non è difficile l’intendere
pagne e le foreste per ritirarsi in una città, e porsi con buone mura al ricovero de’nemici e delle bestie feroci. Lino
ano ; e Pelia giura per Giove dal quale hanno tutti e due origine che al suo ritorno gli darà il possesso del trono che gl
di Medea, Giasone accetta le condizioni, ammansa i tori, li sottopone al giogo, ara il campo, vi semina i denti del drago,
to gli occhi di Giasone i due figli che da lui aveva avuti e predisse al traditore marito che dopo aver vissuto molto temp
diede il suo nome ; Tifi ne fu il piloto. Gli Argonauti s’imbarcarono al capo di Magnesia in Tessaglia. Approdarono all’is
Frisso ed Elle, Mercurio diede a Nefele, loro madre, un montone d’oro al quale gli Dei avevano comunicato la prerogativa d
u uccisa da Diana. Il sepolcro di Bellerofonte era in Corinto, vicino al tempio di Venere Melania ed al sepolcro di Laide
di Bellerofonte era in Corinto, vicino al tempio di Venere Melania ed al sepolcro di Laide famosa cortigiana nata in Iccar
are questa favola, era una montagna dell’Asia minore nella Licia, che al pari dell’Etna e del Vesuvio mandava fiamme, dura
però la notte soltanto, secondo alcuni. Sopra questo monte ed intorno al vulcano vedevansi de’leoni ; a metà eranvi de’pas
e dono di tre pomi d’oro, che aveva colto nel giardino delle Esperidi al dir di alcuni e secondo altri nell’isola di Cipro
bele ; gli Dei li trasformarono per ciò in lioni, e Cibele li attaccò al suo carro. Vogliono altri che Atalanta ed Ippomen
consultare l’oracolo d’Apollo, morì di cordoglio o si gettò nel mare al ricever che fece questa triste nuova mandatagli d
ialzava più formidabile di prima. Pallade afferrò il gigante in mezzo al corpo e lo portò al disopra della luna, ove egli
ile di prima. Pallade afferrò il gigante in mezzo al corpo e lo portò al disopra della luna, ove egli spirò. Sette fanciul
nch’esso in Italia, ove fu da Giano cortesemente accolto ed associato al proprio regno, che nominò Lazio dalla parola lati
tava celato quando Giove lo perseguitava. Dall’aver associato Saturno al regno si crede da qualche mitologo derivare l’uso
eminente della fortezza. Il carro di Gordio aveva il giogo attaccato al timone con un nodo di scorza di corniolo, fatto c
r più la luce, mentre Giocasta presa egualmente da disperazione, sale al più eminente luogo del palazzo, vi attacca un lac
e un presagio della vicina sua morte e senza guida alcuna s’incammina al luogo dove egli deve spirare. Giunto presso un pr
d’un abito simile a quelli che si davano ai morti, fa chiamare Teseo, al quale raccomanda le due figlie, cui ordina di all
a dolore alla presenza di Teseo, cui solo è palese il secreto intorno al genere di sua morte e il luogo della sua tomba. A
ini del governo per il primo e terminato l’anno ricusò di più cederle al fratello, e lo costrinse a ritirarsi presso di Ad
rimandò ad Eteocle per recargli il triste annunzio. Irritato Adrasto al rifiuto e alla nuova perfidia di Eteocle adunò in
che ad altri però fatale fu la guerra a’fratelli nemici. Fino avanti al loro nascere aveva detto Giocasta d’averli sentit
i nemici della patria, e ordinò che quelle di Polinice fossero sparse al vento, per aver egli tratto sulla propria patria
glia chiamata Sfinge, la quale poco contenta di non aver parte alcuna al governo, erasi posta alla testa di una truppa di
li riuscì di sedurre Mirtilo cocchiere di Enomao e lo indusse a porre al cocchio di lui un fragil asse, il quale essendosi
o la sua morte ottenne gli onori divini, ed i Greci lo ponevano tanto al dissopra degli altri eroi, quanto consideravano G
elle figlie di Pelope. Euristeo lo ricevette con amicizia, lo associò al suo governo e morendo gli lasciò la corona. Ties
one lasciò Egisto l’uccisore di Atreo che era suo cugino per vegliare al governo de’ suoi stati. Invaghitosi della regina,
do dicasi da alcuni che Pirro fosse ucciso da Oreste medesimo innanzi al patrio altare. Oreste visse pacifico possessore d
’Asia Minore e senza apparecchio e vestimento veruno, si presentarono al giovane pastore. Ciascuna gli fece delle offerte
di, per una necessaria conseguenza, si trovò egli esposto all’odio ed al risentimento di Giunone e di Minerva, le quali no
’ingiuria i due fratelli Agamennone e Menelao procacciarono di trarre al loro partito tutti i principi della Grecia, tra i
ta grave rissa tra Agamennone ed Achille per una schiava che il primo al secondo voleva togliere, Achille s’astenne dal vo
a quelli incendiate non fossero le navi che tratte in secco servivano al campo de’Greci di trinceramento e di riparo. In q
ntorno le mura di Troia, nè si arrese che a gran fatica a restituirlo al misero padre, che venne in persona a chiedergliel
rtirono, furono Antenore ed Enea. Antenore che fu creduto favorevole al partito dei Greci, perchè consigliava la restituz
dissea. Le vicende sofferte da Enea dalla sua partenza dall’Asia fino al suo stabilimento in Italia furone cantate da Virg
che sembra aver fatto parte delle terme di Tito. Il Laocoonte trovasi al presente nel Museo Pio Clementino a Roma. Gl
isposte che gli Dei davano agli uomini ; e lo stesso nome davasi pure al luogo in cui per bocca degli uomini eran renduti.
ione. Vespasiano fa allontanare la sua scorta nel presentarsi che fa al tempio di Serapi. Quando un particolare voleva ma
orti. Talvolta gli Dei mostravansi meno difficili ; e il consultante, al primo presentarsi otteneva la risposta dell’Oraco
che vi siano state delle Sibille, ma non sono tutti concordi riguardo al loro numero. Avvi chi ne conta una sola, quella d
lo, col patto che dovesse ella pure esser con lui condiscendente ; ma al piacere di una eterna gioventù, quello preferì es
Alcuni dicono che fosse la Sibilla Cumana italiana quella che offerse al re Tarquinio i Libri Sibillini. Vogliono altri ch
ma. Narrasi che una donna si presentò un giorno a Tarquinio Prisco, o al Superbo secondo alcuni e gli offrì nove volumi di
l versare del vino, o in mancanza d’easo dell’acqua, in onore del Dio al quale sacrificavasi. La patera di cui si è parlat
rre alcusse persone che avessero cura di conservarle, di distribuirle al popolo e di servirsene pei banchetti a certe divi
è giudicavasi proveniente dalla destra di Giove ; non così se udivasi al contrario. Dalla maniera con cui ardeva l’incenso
e’ sacrifici. Quest’acqua era contenuta in un vaso posto alla porta o al vestibolo dei templi, e quelli che entravano se n
to che lanciavasi colla mano, o la saetta, che si scagliava coll’arco al segno prefisso ; il disco che era un pezzo rotond
elle fiere, le quali uscir si facevano dalle carceri o tane praticate al basso degli anfiteatri, e i più atroci e crudeli
10 (1855) Compendio della mitologia pe’ giovanetti. Parte I pp. -389
go, ch’è quello di far palese nel miglior modo che posso quanto debbo al benefico e generoso Suo Cuore. E veramente da che
uccia per me data alla stampa, in guisa che potrei dirle come Catullo al suo Cornelio : … namque tu solebas Meas esse ali
redo di molta erudizione. E questo appunto è quello che ora presento al pubblico fregiato del chiarissimo Nome di V. E. R
di avere ; non si piativa ne’ tribunali ; nè gli uomini erano intesi al mercanteggiare, sicchè quel secolo era tutto feli
e che a suo talento or questa ne fa uscire ed or quella. Virgilio (2) al contrario finge nobilmente, nel tempio di Giano c
ti dal re Tarquinio Prisco. I giuochi Megalesi si celebra vano avanti al tempio di Cibèle con istraordinario concorso, ed
fuoco di Vesta si teneva nel famoso tempio edificato da Numa, presso al quale era il palagio del suo fondatore. Era di fo
re ; percui ebbe l’onorevole nome di Stercuzio. Nel tempio di Satùrno al pendìo del Campidoglio era l’erario o tesoro pubb
e di odorose erbette, il colmò di ogni maniera di frutti ed offerillo al pargoletto Giove, il quale, ottenuta la signoria
la signoria del cielo, la sua nutrice trasformò in costellazione, ed al corno donò virtù di provvedere abbondevolmente qu
cocchio. Ma di tutti gli Dei Pallade o la Sapienza era più d’appresso al trono di Giove che sempre valevasi de’ consigli d
si da’ Poeti coll’epiteto di vibratore del fulmine (αστεροπητης) ; ed al fulmine davasi l’aggiunto di domator di ogni cosa
sul quale passeggiando con magnifico cocchio, faceva un rumore simile al tuono ; e lanciando accese fiaccole, imitava i fu
na bella statua di vita priva e di senso, col favor di Minerva salito al cielo, accese una flaccola al fuoco del sole, e c
e di senso, col favor di Minerva salito al cielo, accese una flaccola al fuoco del sole, e con questo fuoco celeste animò
e uso. Il che mal sofferendo Giove, comandò a Mercurio che lo legasse al monte Caucaso, e che un’aquila, o un avvoltoio gl
tro, il quale pel Mediterraneo fuggendo l’ira di lui, fu da quel Nume al vasto suo corpo sovrapposta tutta quanta è la Sic
assai frequente nel Mediterraneo e nell’Oceano. Forse i primi uomini al vedere l’esplosioni de’ vulcani che sollevano in
. Ma l’Olimpo propriamente è un monte di Tessaglia vicino all’Ossa ed al Pelio, così alto che dicesi trascendere la region
ll’Etiopia, Ebe, nel ministrare la divina bevanda, cadde sconciamente al suolo e fu occasione di molto ridere alla celeste
lla Troade, ch’ebbe tre figli, Ilo, Assaraco, E il deiforme Ganimede al tutto De’ mortali il più bello e degli Dei, Rapit
πισειειν). Allorchè i Greci si ponevano in bella ordinanza per andare al combattimento, Errava Minerva in mezzo, e le spl
) era una spaziosa ed aprica pianura, tutt’all’intorno munita, di cui al primo ingresso a bitavano due sorelle di straniss
la del mare Egeo, ove rinvenuta dal pescatore Ditte, fu da lui recata al re Polidètte, il quale la giovane Danae sposò, e
imitarra o specie di falce di diamante ; da Minèrva, uno scudo lucido al pari di tersissimo specchio, giacchè egli a Minèr
ne (Orci galea) che rendeva invisibile chi lo portava, a volo recossi al luogo ove dimoravano le fatali sorelle. Quivi, in
donzella di leggiadra e regale sembianza colle mani legate, la quale, al dolente aspetto ed alle molte lagrime, pareva asp
to gastigo se non avesse esposto alla balena la figliuola Andromeda ; al quale oracolo, per timore de’suoi popoli, fu cost
damente recise l’aureo crine del genitore, mentre dormiva, ed il recò al nemico per metterlo al possesso della città. Ma M
crine del genitore, mentre dormiva, ed il recò al nemico per metterlo al possesso della città. Ma Minos, per tanta di lei
elle siepi e vola poco alto da terra. Il canto della pernice è simile al suono che fa la sega nel tagliare il legno, e per
esso chiamano ali, le vele delle navi, e la navigazione rassomigliano al volo (3) ; e perciò Dedalo fuggì dal laberinto a
que’ dì regnava Amico (Amyrus), fig. di Nettuno e della ninfa Melìte, al quale si dà il vanto di avere il primo ritrovato
o che per sorte giungevano nel suo regno, obbligava a seco combattere al cesto ; nel che essendo valentissimo, li vinceva
a gli altri eroi riportarono la palma Castore nella corsa, e Polluce, al cesto. Pindaro dice che i Dioscuri, accolti amore
i Argonauti, acchetossi tosto che si videro due fuochi girare intorno al capo de’ Tindaridi. Questi fuochi che spesso appa
il quale percosso avea Polluce con un gran sasso sì che n’era caduto al suolo. Se crediamo a Pindaro, Polluce pregò Giove
ella sfera, è il solo a noi visibile e non si vede mai scendere sotto al nostro orizzonte. E come Artofilace o Boote, perc
tto al nostro orizzonte. E come Artofilace o Boote, perchè più vicino al polo, sembra procedere con più lentezza, è chiama
ano un’origine divina ; ed Ilioneo (1) Ioda Enea ed i Troiani, perchè al sommo Giove riferivano il principio del lor legna
el miserando fato di Troia, abbandonò il suo posto e ritirossi presso al polo artico. Oltre a Dardano, Giove ebbe da Elett
trabone conghietturò, il tempio di Ammone un dì essere stato in mezzo al mare, perchè altrimenti non avrebbe potuto il suo
i qual miracolo del nume. Una fontana ricchissima di acque che presso al tempio si divideva in mille rigagnoli, era la cag
rii segni. Celebre nella storia è la spedizione del grande Alessandro al tempio di Giove Ammone(1). Non contento egli del
i giunse, nou senza favore de’ Numi, ad un bosco amenissimo, in mezzo al quale era quella favolosa fontana, di cui le acqu
dre di tutti, ama che gli ottimi sien chiamati suoi figliuoli. Vicino al tempio di Giove Ammone ritrovasi il così detto sa
me o dalle arene, cui è frammischiato, o dal tempio di Ammone, presso al quale si raccoglieva(1). Dodona fu città dell’Epi
ono che a Dodona davano gli oracoli due colombe, delle quali una volò al tempio di Apollo in Delfo ; e l’altra, a quello d
fig. di Giove, e di Alcmena, il quale vi combattè il primo con Acareo al pancrazio ; e ciò forse perchè gli antichi ad Erc
eva nella storia de’ Greci, il tempo incerto, dal principio del mondo al diluvio ; il mitico o ’favoloso, dal diluvio alla
un lungo scettro nella destra. Sotto i piedi ha un grande arco simile al lembo dell’aurora boreale ; e nel contorno della
di Giove, di cui la luce dagli Astrologi si reputa benigna e prospera al genere umano, a differenza del pianeta di Marte c
, secondo gli Stoici, Giunone era l’aere posto in mezzo alla terra ed al cielo. E diceasi moglie di Giove, perchè l’aere,
gradito, perchè si vuole che quivi abbia avuto il suo natale, vicino al fiume Imbraso e sotto una pianta di vetrice(1). N
lora Mercurio precipitò la ninfa insieme colla casa nel fiume, presso al quale abitava, e la trasformò in testuggine, anim
i nembi l’ocean sorvola : Con acuti clangori, e guerra e morte Porta al popol Pigmeo. Monti. Gameron crede che Pigmeo (
neide ; ci conviene dal principio raccontare l’oltraggio che toccò sì al vivo l’animo altero della Dea, e che fu la fatale
vea a Laomedonte pel rapito Ganimede(3). Ercole consegnò la figliuola al padre per andare a compiere una sua impresa ; dal
percui fu il giovanetto chiamato Priamo (a πριαμαι, redimere). Ercole al giovane Priamo diede il regno di Troia, e Telamon
eder giudice fra la moglie e due figliuole, impose loro di rimettersi al giudizio del pastorello Paride. Le Dee se ne anda
ò fra Troia e Roma fosse frapposto gran tratto di procelloso mare, ed al sepolcro di Priamo e di Paride insultassero gli a
sepolcro di Priamo e di Paride insultassero gli armenti. Virgilio(4) al contrario finge che Giunone, sapendo essere ne’ f
tali libri fermato che il Troia no Enea avesse luogo fra i Numi, cede al destino e consente che i Troiani sieno potenti in
odo infrangibile t’avvinsi, E alla celeste volta con due gravi Incudi al piede penzolon t’appesi ? Fra l’atre nubi nell’im
ere la diletta Cartagine ; richiama alla memoria i ricevuti torti, ed al paragone di Pallade, la quale per più lieve cagio
, si crede vilipesa. Quindi obbliando la sua dignità e solo aspirando al piacere della vendetta, va da Eolo, e sebbene tan
che dicono i poeti d’Iride. È vero che in Omero(4) Ebe pone le ruote al cocchio di Giunone, e vi attacca il bel giogo e l
ricompensa de’ servigi prestatile, ed essa stava sempre assisa presso al trono della Dea, pronta ad eseguire gli ordini su
di più colori che in tempo di pioggia si vede nell’aria di riucontro al sole, detto arco baleno o celeste, ed Iride (1).
uell’arco formato dalle gocce di acqua di una nube posta di rincontro al sole ; e da Elettra, che significa splendore del
chezze ed ogni altro bene temporale, e che dal Guidi chiamasi superba al par di Giuno. Era essa là Dea della buona e della
dipingono calva, cieca, colle ali a’ piedi, uno de’ quali appoggiato al di sopra di una ruota, e l’altro, sospeso in aria
pra di una ruota, e l’altro, sospeso in aria. Da ciò la frase, essere al colmo, o nell’infimo della ruota di Fortuna. La r
ni, pe’ quali giunge sì tardi che spesso li trova invecchiati ; alato al contrario e più veloce degli uccelli, quando vuol
no della loro nascita sacrificavano in di lei onore, come gli uomini, al loro genio(5). Ma sul nome Lucina vi è non poca c
). Malamente Plinio(3) dice che ciò avvenne a Girgenti. Giunone avea al suo servigio quattordici bellissime Ninfe(1) ; ma
ratelli Cleobi e Bitone, i quali, vedendo che la madre Cidippe andava al tempio su di un carro tirato da buoi, percui non
, le quali ordinariamente si confondono dagli antichi poeti. Riguardo al nascimento di lei, alcuni la vogliono nata da Gio
un’altra cosa avea prodotto, partorì dal suo cervello Minerva, uguale al padre sì nella potenza che nel consiglio, ed indo
nella Libia, che credevasi la più antica terra del mondo e più vicina al cielo, come argomentavano dal gran calore di quel
si giura per gli occhi di questa Dea(2). La sua chioma poi era bionda al dir di Stazio(3). III. Potenza e maestà di Min
e della nostra Dea. Fra i quali vuolsi ricordare il giovane Telemaco, al quale la Dea della sapienza, sotto le sembianze e
Dei contendevano a chi dovesse dare il nome alla città e che spettava al popolo il giudicare qual de’ due Numi avesse a vi
pprodato nell’Attica, ed avendo ritrovato gli uomini del paese dediti al culto di Nettuno, cioè inchinati alla navigazione
paese dediti al culto di Nettuno, cioè inchinati alla navigazione ed al corseggiare, si studiò a suo potere d’introdurre
no a vedere l’industriosa Aracne o aggomitolare la lana, o avvolgerla al fuso, o far bellissimi ricami. Ma una gran maestr
e Minerva, con soggettarsi, se vinta fosse, ad ogni gastigo. Si viene al cimento, ed imprendono a tessere ciascuna un nobi
studiò di vincere la sua divina rivale, e fece un broccato da reggere al paragone con quello di Minerva. Ma la Dea gelosa
ri andava per que’ sacri boschi discorrendo, avvenne di veder Pallade al fonte d’Ippocrene(1). E come niun mortale potea i
quelle contrade. Ebbe ancora lunga vita di sette o di otto secoli ; e al dir d’Omero(2) gli fu pur concesso che nell’infer
delle navi. Prima della spedizione degli Argonauti vi erano già navi al mondo, sapendosi che molte colonie del continente
mare, fu la nave Argo, chiamata da Fedro opera Palladia (2). Giasone, al ritorno della sua spedizione, consacrò questa nav
e del tessere, per cui la frase operari Minervae significa dare opera al telaio (3). Presedeva pure al lanificio, percui i
e operari Minervae significa dare opera al telaio (3). Presedeva pure al lanificio, percui in Atene a lei si sacrificava l
lito. Per liberarsi da’ mostri che notte e giorno il tormentavano, va al tempio di Apollo a Delfo ed implora il soccorso d
a, pregandola ch’ella stessa lo assolvesse. Oreste ubbidisce e giunge al tempio della Dea, portando in mano un ramo di uli
è facevasi a Minerva l’offerta del peplo, questo o si gettava addosso al simulacro di lei a guisa di veste, o si deponeva
peplo di Minerva. Per via di occulte machine portavasi per le strade al tempio della Dea una nave fornita di remi e che p
a vergine avvenente, cogli occhi azzurri, di alta statura, coll’egida al petto, e con elmo, asta e scudo. In una gemma si
è preceduta da un serpente, ed ba un parazonio, o scimitarra pendente al fianco. Nel tempio di Minerva Elidia, il casco di
r cui cantò Dante : ……. vedea Pallade e Marte, Armati ancora intorno al Padre loro, Mirar le membra de’ giganti sparte.
tadella di Atene era un tempio di Pallade detto il Partenone ; dietro al quale stava il tesoro pubblico, affidato alla cus
coll’asta nella destra, e nella sinistra, la conocchia ; e che recata al luogo, ov’era Dardano, questi consultò l’oracolo,
nespugnabile, Ulisse, e Diomede per le cloache osarono penetrare sino al luogo ove custodivasi la fatale effigie ; ed ucci
ur Febo (Φοιβος), che vuol dire splendido, lucido, puro ; qualità che al sole assai bene convengono. Questo nume in cielo
ono d’inestimabile bellezza sedeva Apollo, vestito di luce ; il quale al veder Fetonte non si tenne dal fargli molte care
co di Apollo, col quale presso l’Eurota trovossi un giorno a giuocare al disco. Il lanciò quel Nume ben alto e con mirabil
a diletto ; e le ramose corna fregiate di oro, un bel monile di gemme al collo ed altri ornamenti ne facevano il più piace
vole diporto di quel paese, e sopra tutti, di Ciparisso, il quale ora al prato, ora all’acqua chiara di un fiumicello il m
liope fu fig. il gran cantore Orfeo, il quale nacque in Pimpla vicino al monte Olimpo. Mirabile e quasi divina fu la sua p
za di conforto, e l’estinta consorte dì e notte chiamava, facendo eco al suo pianto le rupi del monte Rodope. E tanta fida
di latrare e fermossi la volubile ruota d’ Issione. Proserpina stessa al Tracio cantore donò la sposa, ma con patto che no
, ma solo per vederla svanire per sempre dagli occhi suoi e ritornare al soggiorno delle ombre. Allora squallido, per sett
gulare il latte ed a fare il mele e l’olio, il primo ne insegnò l’uso al genere umano. Plinio(1) dice che Aristeo ritrovò
ose pecchie del buon Aristeo, dalla valle di Tempe andò egli doloroso al fonte, da cui nasce il Peneo, ed ove la reggia er
aggi fatti ad Euridice, e per placare l’ombra di Orfeo. Allora Cirene al figlio prescrive il sacrificio di quattro tori e
epolo Ercole colla propria lira, perchè, vedendolo di poca attitudine al canto, ne lo avea un di poca attitudine al canto,
dendolo di poca attitudine al canto, ne lo avea un di poca attitudine al canto, ne lo avea un dì aspramente rampognato.
il quale era superbo della sua maestria nel suonare il flauto, veniva al paragone col medesimo Apollo(2). Imolo, re della
Frigii, colla quale coprendo il capo e le orecchie, a tutti, fuorehè al suo barbiere, tenne occulta quella ignominia. Il
nò sì maestrevolmente che ne venne in gran superbia ed ardì provocare al canto le Muse e poscia il medesimo Apollo. A prin
a di lui temendo, senza la figliuola se ne ritorna, e chiede vendetta al Nume del ricevuto oltraggio. Allora scende dal ci
uni sacrificii di quel Nume, in pena vide miseramente darsi il guasto al suo campo da grandissima schiera di topi. Per all
Orde, di lui pastore, colle saette uccise tutti que’ topi ; e comandò al pastore che dicesse a Crine, avergli Apollo di pe
Aganippe(4) il facevano quanto delizioso, altrettanto alla poesia ed al canto favorevole. IX. Continuazione. Filammone
llo del sacro bosco delle Muse. Le Sirene eziandio(1) osarono sfidare al canto le Muse ; ma furon vinte da quelle Dee, che
. Le Muse donarono ad Anfione la lira, che toccava sì dolcemente, che al suon di quelle corde i sassi, movendosi da se, an
ia, ma quella cetra Cou che tu dopo i gigantei furori Rendesti grazie al regnator dell’etra. Le Muse infine le passate, l
Le Muse infine le passate, le presenti e le future cose annunziando, al loro canto divino rallegravasi tutto l’Olimpo(5).
d’Ippocrene, di Aganippe, ec. a’ quali beono i poeti maggiori, tutto al contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicell
a’ quali beono i poeti maggiori, tutto al contrario di lui che bevea al Permesso, fiumicello che scorre dall’Elicona. Poe
in quel fonte. Il caval Pegaso fu preso da Bellorofonte, mentre bevea al fonte di Pirene. Anzi Stazio(3) afferma che quest
ca colla sua bacchetta un globo che poggia su tre piedi, ed ha dietro al suo capo una stella. Catullo la fa madre d’Imeneo
bastasse ; le donne romane diedero i più cari ornamenti per giungere al determinato valore. Il tempio poi, ov’era allogat
fig. dello stesso Apollo. I quali, finita la grand’opera, dimandarono al Nume un guiderdone pari alla fatica, cioè quella
pollo Delio di far sì che gli Ateniesi ogni anno facessero un viaggio al suo tempio, se ritornato fosse vincitore. Così is
o ; ed ella di quel dono invaghita tradì il consorte. Anfiarao impose al figliuolo Alcmeone di vendicar dopo la sua morte
i eran reputati veraci e fermi ; e si finse che quando nacque Apollo, al parto suo assistesse la Verità. XIV. Continuaz
o era vulnerabile, come Ettore stesso, vicino a morire, predetto avea al suo inesorabile vincitore(3). Alcuni vogliono che
an soliti presso i Greci di consultare l’oracolo di Delfo sì riguardo al luogo ed al modo d’impadronirsene, e sì per conos
esso i Greci di consultare l’oracolo di Delfo sì riguardo al luogo ed al modo d’impadronirsene, e sì per conoscere a chi m
Etere ; il secondo, d’Iperione ; il terzo, di Vulcano, fig. del Nilo, al quale gli Egiziani avean consacrata la città di E
compagni trasformati in porci per virtù di alcuni di lei farmaci, ed al tocco della sua magica verga. E lo stesso sarebbe
campi della Sicilia ed eran di loro natura immortali. Venivan guidati al pascolo da due ninfe, Fetusa e Lampezie, fig. del
vinti dalla fame, ne uccisero alcuni. La quale cosa dispiacque tanto al Sole che pregò Giove a punir quell’oltraggio ; e
o in seno a Teti ; e che le Ore ligano ogni mattina i quattro cavalli al suo cocchio, dopo essere stato trasportato pel se
la versa la rugiada e fa nascere i fiori. Anzi essa attacca i cavalli al cocchio del Sole, e poscia siede sul suo tirato d
i Mennonidi (Memnonides), i quali ogni anno dall’ Etiopia si recavano al sepolcro di lui, e dopo molti disperati lai, comb
so in piedi e con le gambe incrocicchiate è in atto di unire il canto al dolce suono della sua lira. Un cigno sta a’ suoi
a’ teneri viticci, scherza quasi agitata da una dolce auretta intorno al divino suo capo, in cima a cui sembra con bella p
lamente e non ad Apollo si appropriano certi attributi che convengono al Sole, come il cocchio luminoso, il Zodiaco, e sim
dolente che ricusò di prender cibo, stando sempre cogli occhi rivolti al Sole. E però da Febo fu per compassione convertit
i secolari che si celebravan da’ Romani con gran pompa per tre giorni al terminare di ogni secolo dalla fondazione di Roma
di donzelle di cui eran viventi e padre e madre (patrimi et matrimi.) al numero di ventisette e gli uni e le altre cantava
imperii, che sarà in pregio presso i letterati sino a che si gusterà al mondo fiore di poesia. In esso si cantano le lodi
υξ, Nox nigro-peplo. Eurip.). Tibullo(2) dipinge la Notte che attacca al suo cocchio i destrieri, ed un coro di stelle che
Gli antichi finsero che i sogni erano o veri o falsi ; che abitavano al vestibolo dell’inferno, onde uscivano per due por
inità tiene cogli uomini intesi alla contemplazione della sapienza ed al conseguimento della vera beatitudine. V. Breve
cente, la quale, col solo suo perpetuo cinguettare, poteva soccorrere al deliquio della Luna senza che si adoperassero bro
tentavano farla calare dal cielo (succurrebant Lunae laboranti). Come al Sole, così alla Luna attribuivano gli antichi alc
mpio edificato da Servio Tullio. Gli Arcadi(4) si vantavano di essere al mondo prima della Luna. Heyne(5) crede assai oscu
vidio(1) rafforzino questa opinione. Il qual nome, egli dice, fu dato al Sole, perchè liberamentepercorre le vie del cielo
ogò il delfino fra gli astri. Or Acete giunto a Nasso fu tutto inteso al culto di Bacco ; ma pur ebbe a temere del furibon
Bacco era il dio del vino, e perciò descrivesi di un carattere, quale al nume dell’ubbriachezza si conveniva. Eran lungi d
ebane a far pazze allegrezze sul Citerone, monte della Beozia, vicino al Parnaso, a Bacco ed alle Muse consacrato. All’arr
n re sapiente, il quale volendo mettere un modo a’ gravi disordini ed al pericoloso furore che nelle intere città destavan
che gli Ateniesi punissero gli uccisori d’Icaro e che in ciascun anno al padre ed alla figliuola offerissero le primizie d
de degli Egiziani. Tibullo(2) chiaramente confonde Bacco con Osiride, al quale attribuisce non solo la piantagione delle v
evohè ! o sia « coraggio, mio figlio ! » Ma ciò non si può attribuire al figliuolo di Semele, perchè la guerra de’ giganti
o perchè il vino addolcisce le menti più brutali e feroci. Quanto poi al tirso, leggiamo in Esichio ch’esso nella sua grec
ano allevato, quegli abitanti, dice Millin, tributavano i loro omaggi al nume che avea loro viti del nettare involato agli
ero si celebravano alcune feste notturne dette Lampterie, nelle quali al suo tempio portavansi torce accese, e qua e là pe
qua e là per le contrade collocavansi crateri pieni di vino ; il che, al dire di Diodoro Siculo(4), significava il Sole ch
iculo(4), significava il Sole che in vino cangia il suo raggio giunto al licor che dalla vite cola. Quindi il Redi, parlan
i mele. Ovidio (2) seriamente ci racconta che viaggiando Bacco vicino al monte Rodope, i suoi seguaci per caso batterono i
no un cratere a due manichi pure di oro, e colla sinistra si appoggia al tirso. La pantera ed i cembali si veggono da un l
di Bacco, dal grido delle Baccanti evan, che corrisponde all’evoè, ed al nostro evviva. Perciò le Baccanti furon dette Eva
na licenza ed un’audacia assai grande in guisa che il poeta, servendo al soperchio suo estro, passa senza legge da una ad
lto di Venere, eran venuti per mare ; così i Greci che portavan tutto al maraviglioso, finsero ch’era nata dalle onde del
ffesa vendicò l’oltraggio, trasformando entrambi in leoni che attaccò al suo cocchio. La corsa di Atalanta e d’Ippomene è
e pregò la Terra di poterne piantare ne’ suoi giardini ch’eran vicini al monte Atlante. Ora l’Esperidi ch’eran tre sorelle
elao a patto che il vincitore abbiasi Elena e i suoi tesori. Si viene al combattimento, e Paride è nel punto di essere ucc
e del Padre de’ numi Venere rincorata il di vegnente si fece incontro al figliuolo, il quale ignaro de’ luoghi discorreva
vento gli avesse spinti. Era ella(3). Donzella a l’armi, a l’abito, al sembiante Parea di Sparta, o qual in Tracia Arpal
altro luogo (1) con pochi versi soavemente ci rappresenta Venere che, al ritorno della primavera, regola le allegre danze,
Venere che, al ritorno della primavera, regola le allegre danze, che al chiaror della Luna intrecciano le Ninfe e le amab
lle tre Grazie nomina la sola Pasitea, che Giunone promette in moglie al dio Sonno ; forse per significare che il sonno st
ne a lui dalla città di Orcomeno, ed in prima Aglaia che si distingue al lieto e decoroso sembiante ; Talia che ha il sacr
vvenire lu poi questa voce nelle nozze gridata e celebrata. » Varrone al contrario afferma che nel celebrarsi le nozze si
di attendere alla fatica ed alle faccende domestiche, e specialmente al lanificio, giacchè Talassio significava un panier
essi con un certo sentimento di iattanza noveravano i luoghi dedicati al lor culto. Cosi la nostra Dea presso Virgilio (2)
ola era capitale Pafo, in cui vedeasi un tempio di Venere, nel quale, al dir di Virgilio (1), su cento altari bruciavano S
assai rimota antichità, in cui non ancora si conosceva l’arte di dare al legno ed al marmo forme di uomini o di animali. G
antichità, in cui non ancora si conosceva l’arte di dare al legno ed al marmo forme di uomini o di animali. Gnido, città
tria. Nell’Antologia greca(1) « Chi mai, dice Antipatro, ha dato vita al marmo ? e chi ha veduto sulla terra la bella Cipr
lla famiglia de’ Medici, è simile alla rosa ch’esce fuor della boccia al primo apparir del sole dopo una bella aurora, Hey
sia opera di Fidia o di Scopa, la cui Venere, collocata di rincontro al circo Flaminio, superava(1)la stessa Venere Gnidi
ri celesti esprimean la bellezza delle membra divine, per farsi dolci al cui soave contatto detto avresti di veder correre
stupenda pittura dedicò Augusto nel tempio di G. Cesare, consacrando al padre l’origine e l’autrice di casa Giulia ; e pe
ell’aspirata φ ; di modo che αφροδιτη sia quasi απροδιτη, cioè simile al color della rosa,perchè ροδον significa rosa. Am
rspiter), e Venere con quello di genitrice (Venus genitrix). In mezzo al foro Giulio era il tempio di Venere Genitrice, ch
n dipinto di Pompei rappresentasi Narciso in forma di bel garzone che al margine di un fonte si specchia nelle acque, tene
. Or Αρης deriva dal greco αιρω, fut. αρω,distruggere, ben convenendo al dio della guerra il titolo di distruggitore sì de
 ; o secondo alcuni di Enio. Giunone il partori nella Tracia(3), ove, al dir di Callimaco(4), egli siede sull’alto vertice
tice del monte Emo. E Virgilio(5), dice che il padre Gradivo presiede al paese de’ Geti, antichi popoli della Scizia Europ
di nella zona torrida quella eziandio di far morire. Da ciò venne che al dio Marte fu assegnata la guerra e le battaglie.
on molta gravità e religione danzavano in onore di Marte. Ed Omero dà al nume della guerra il soprannome di danzatore. Dio
etuoso Iddio, che cadde e steso ingombrò sette iugeri. Venere accorsa al pericolo aiutò il povero nume ; ma Minerva non la
per cui giacquero entrambi per mano della Dea distesi vergognosamente al suolo. Ma certo fu più ontoso per Marte il fatto
ferito nume, e ruppe in un tuon pari di nove o dieci mila combattenti al grido. I Troi l’udiro, udir gli Achivi e ne trema
or de’ nembi Giove e rispose ; querimonie e lai Non mi far qui seduto al fianco moi, Fazioso incostante, e a me fra tutti
le colla spada sguainata in mano, tutto insanguinato esorta i soldati al combattimento e siede sul cocchio, allato al qual
guinato esorta i soldati al combattimento e siede sul cocchio, allato al quale sta il Terrore e la Paura, che lo Scoliaste
el nume, gli metteva in ordine il cocchio ed i cavalli, quando andava al combattimento. Essa avea in mano un flagello ed u
ine assai celebre. Ed in vero un popolo di natura sua bellicoso e che al valore guerriero doveva la sua origine e la sua g
, che allora non era che di dieci mesi(1). Una lupa, animale dedicato al dio della guerra, perchè rapace e feroce, porse i
ante immortali opere, e rassegnando un dì l’esercito nel piano vicino al padule di Capre, mentre ch’ei parlamentava, incon
scudo di bronzo. Allora Numa, sulla parola di Egeria, fece intendere al popolo che quello scudo era stato mandato dal cie
a. Per impedire che involato fosse, Numa ne fece formare altri undici al primo somigliantissimi da un tal Veturio Mamurio,
era ballo di gente armata. Essi accordavano il loro canto ed il passo al tintinnio degli scudi che percuotevano con una ba
iliano afferma, appena intendersi dagli stessi sacerdoti(3). In mezzo al foro era in Roma un tempio di grande magnificenza
ii, vi era eziandio il Flamine Marziale, che in dignità si avvicinava al Diale, cioè al Flamine di Giove, e si sceglieva s
ndio il Flamine Marziale, che in dignità si avvicinava al Diale, cioè al Flamine di Giove, e si sceglieva sempre mai fra i
Pelope, fig. di Tantalo, ricevuti da Nettuno cavalli alati, e tratto al suo partito Mirtilo, cocchiere di Enomao, e fig.
cchiere di Enomao, e fig. di Mercurio e di Fatusa, una delle Danaidi, al quale avea promesso la metà del regno, vinse Enom
amia che portò a casa ; e nel viaggio, non volendo mantener la parola al perfido Mirtilo, il precipitò nel mare che da lui
lona. Marte si rappresentava armato da capo a piedi, con lo scudo al braccio ed un gallo accanto, simbolo della vigila
l’ omicida Enialio, cioè a Marte ; ed Achille eziandio si rassomiglia al prode Enialio, cioè a Marte che crolla il suo elm
sa di quella Dea, invasata dal suo furore, prima di predire il futuro al poeta, si flagella, non teme la fiamma, si lacera
re co’ più dalle merci (a mercibus), perchè era il nume che presedeva al commercio ed alla mercatura(3). Altri però dicono
r così dire, in mezzo agli uomini, secondo S. Agostino(4) ; o perchè, al dir di Servio(5), questo dio sempre corre dal cie
insegnò l’uso delle lettere ; e vi fu chiamato Thoth, nome dato pure al primo mese dell’anno, forse perchè quegli fu l’in
numeri. Ma i poeti tutto ciò che narrasi di Mercurio, l’attribuiscono al Mercurio greco, fig. di Giove e di Maia. Atlante,
re nipote di Atlante (2). E si vuole che Mercurio avesse dato il nome al quinto mese dell’anno, chiamandolo Maius dal nome
ercui meritò il nome di Ermete, cioè di oratore ; il che ben conviene al Mercurio de’ Greci (1). Ed affinchè meglio si sco
ato dormire, dovendo di notte guidare le anime a Plutone ed assistere al loro giudizio, come se fossero picciole occupazio
artitamente le incumbenze di Mercurio. E primieramente egli presedeva al commercio ed era il nume protettore de’mercatanti
fu solo veduto da un vecchio pastore di que’ dintorni chiamato Batto, al quale, affinchè tacesse, donò quel nume una belli
ca e scioglie il volo. In un batter di ciglio all’Ellesponto Giunge e al campo Troian. Qui prende il volto Di regal giovin
amente quello strumento musicale da’ Latini detto testudo, tartaruga, al quale Orazio (3) dà sette corde, perchè facevasi
icerchi, e le teste si sollevano l’una contro l’altra, spesso un poco al di sopra dell’estremità della verga, mentre le co
be in compenso questa verga prodigiosa, colla quale quel nume guidava al pascolo gli armenti ; e che Mercurio, volendo far
la loro animosità, e que’ due serpenti fatti amici si attorcigliarono al bastone in guisa da formar quasi un arco colla pa
defonti ; ma alcuni vogliono ch’esso li apriva piuttosto, alludendosi al costume de’ Romani di aprire sul rogo gli occhi d
Anche Orazio(2) rappresenta Mercurio che conduce le anime de’ giusti al lieto soggiorno degli Elisi, e che coll’aurea sua
uogo, ove gli antichi si esercitavano, per la ginnastica, alla lotta, al disco, al bersaglio e ad altri simili giuochi ; e
gli antichi si esercitavano, per la ginnastica, alla lotta, al disco, al bersaglio e ad altri simili giuochi ; e questo no
cciatori per ripararsi dalla pioggia e dal sole. Le ali poi attaccate al petaso indicano la velocità del celeste messaggie
testuggine ed a destra una lucertola, ed un ariete sta pure in piedi al suo fianco. « Mercurio Crioforo, cioè che porta l
le ; ha la clamide, il petaso colle ali, stringe un caduceo, in punta al quale è una mezza luna. Si dipinge come un giovin
Alipes Deus chiamato da’ poeti(1), perchè fornito di ali a’ piedi ed al petaso. Argicida, Αργειφοντης (ab Αργος, Argus,
uce tutti gli esseri. E però spesso chiamavasi la Gran Madre, perchè, al dir di Aristotele(3), siccome naturalmente tocca
rne, abbondavano più degli altri di oracoli. Tale era la Beozia, che, al dir di Plutarco, ne avea moltissimi. La quale cos
gliar soleano ad un rotondo scudo od alla luna che risplende in mezzo al cielo (2), sebbene per tampana Febea presso Virgi
r la bruttezza mostruosissimi. Callimaco li rassomiglia per l’altezza al monte Ossa ; ed Omero dice esser simili al vertic
rassomiglia per l’altezza al monte Ossa ; ed Omero dice esser simili al vertice selvoso delle alte montagne ; e presso Vi
e una porta sormontata da leoni, fu opera loro ; ed essi fabbricarono al re Preto le mura di Tirinto, città dell’Argolide.
ta con tutti e due gli occhi ; ed Omero non ha mai dato un sol occhio al suo Polifemo acciecato da Ulisse. Strabone(2) par
zione del plagiaulo (πλαγιαυλος, tibia obliqua) o flauto traverso. Ed al dir di Ovidio (4), in fistola fu trasformata Siri
ume antichissimo dell’Arcadia, ove per quei monti errava ora cantando al suon della fistola, ed ora veloce inseguendo le f
ndo, perchè dipingevasi di minio. Pale, secondo alcuni, era un Dio, e al dir di Ovidio, una Dea de’ pastori, cui facevan v
un banchetto con altre dee, avendo dal doloroso pianto delle compagne al ritorno argomentato il rapimento della figliuola,
cercar della sua Proserpina(2). Nelle mani avea due gran faci accese al gran fuoco dell’Etna per la notte ; ed in tutto q
’avea Lasciata fuor d’ogni segnato calle : Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini, E agli occhi danno, alfin svelse
ti, La terra, il mare ; e poi che tutto il mondo Cercò di sopra, andò al tartareo fondo. III. Continuazione – Ascalafo
una rustica casuccia, da cui, picchiando, vide uscire una vecchia che al chiedersele dell’acqua da Cerere, le proferse cer
cielo. Cerere rimane attonita a tal nuova, e piena di dispetto ne va al cielo, sopra il suo cocchio, e piangendo dice a G
piangeva per un suo figliuolino infermo. Entrata che fu la dea, donò al fanciullo il vigor della vita ; di che fu lietiss
lezza accoltolo nella reggia, tentò di ucciderlo. Ma Cerere non mancò al suo Trittolemo di pronto aiuto, e punì tosto la g
unda (2). Legifera o Tesmofora (θεσμος, lex ), perchè diede le leggi al genere umano (3). Spicifera chiamasi, perchè Dea
d Agamennone. Nè son da tacere il bel trono d’oro che Giunone promise al Sonno in guiderdone ; e la corazza di Diomede, e
cia molte e bellissime opere di arte. Ma di tutte le opere attribuite al Dio del fuoco la più famosa è lo scudo di Achille
dissimo fu il cordoglio e la disperazione dell’eroe, che vuol correre al campo per vendicarla ; ma la madre Teti, uscita d
ù mirabili pruove, era fra i Troiani un Darete, sacerdote di Vulcano, al quale fu ucciso da quell’eroe il primo de’ due fi
a la morte, se Vulcano non lo avesse cinto di nebbia e così sottratto al furor del nemico. Famosa poi è la lotta di Achill
me della Frigia, chiamato Xanto dagl’Iddii, e dagli uomini Scamandro, al dir di Omero(1). Il figliuol di Peleo, dopo grand
e ne avea rincacciato nella città, e parte nello Scamandro, il quale, al vedere il suo letto iugombro tutto di cadaveri, i
l fiume, il quale « s’infoca ed in voce dolorosa esclama : Vulcano, al tuo poter nullo resiste De’ numi ; io cedo alle t
(1), condusse in que’ luoghi buoi di maravigliosa bellezza ; e presso al Tevere fermate le bestie in luogo erboso, e stanc
scelti i più belli, ed attesochè le pedate avrebbero potuto mostrare al padrone, ove essi fossero stati guidati, per la c
ll’opera di Vulcano notò questo difetto, che non avea fatto una porta al petto dell’uomo, per iscorgere i pensieri dell’an
oro, Vulcano fu quello che per commessione di Giove, attaccò Prometeo al monte Caucaso in pena di aver rubato il fuoco dal
da dies, perchè la Luna col suo splendore fa che la notte sia simile al giorno. Altri finalmente vogliono(3) che fu così
abilissima a tirar l’arco, amava i boschi ed i monti e feriva i cervi al corso. In breve, la caccia era la sua passione, e
ghiale. Nel Museo Borb. si ammira un dipinto di Pompei, in cui vedesi al dorso di una montagna su di una colonna allogato
una colonna allogato un simulacro di Diana : siede Meleagro in mezzo al dipinto, e forse parla con Atalanta. A’piedi dell
rapresa cosa alcuna da’Greci ; il quale dichiarò che Diana opponevasi al loro tragitto in Asia ; e che perciò doveasi plac
mmolata ; ma questa mossa a pietà dell’ innocente fanciulla, la tolse al sacrificio, ricoprendola di folta nebbia e sostit
ti a’confini della Tauride, furon presi e condotti a Toante e portati al tempio di Diana per esservi immolati. Allora i du
ede occasione alla gara de’ due amici. Or ella dà una lettera diretta al fratello Oreste che credeva in Argo ; e ciò fu ca
i Greci nella caccia delle lepri, per ciascuno si pagavano due oboli al tesoro di Diana. Vi era ancora una danza solita a
trice ; e presso Euripide nelle Troadi si descrivono le fanciulle che al suono delle tibie danzano tutte unite ed in giro
Diana. Molte ninfe e Marine, e Fluviatili, ed Oreadi ec. volle la Dea al suo servigio, perchè amava con esso loro danzare 
artefici, dicendo che per opera di Paolo si perdeva l’onore prestato al tempio della grande Diana degli Efesii e che comi
Erostrato, uomo di oscuri natali, desiderando di acquistare celebrità al suo nome, incendiò quel gran tempio. I magistrati
o, in lunga verginal veste discinta, cavalca una cerva. I poeti tanto al sole che alla luna assegnano il trono di oro ; ma
apo tre strade. IX. Alcune altre cose di Diana. Callimaco pone al servizio di Diana venti ninfe dette Annisiadi, le
ean cura de’ calzari venatorii della Dea e de’ suoi cani, attaccavano al cocchio di lei le cerve e le distaccavano ec. Sec
la di cogliere i pomi d’oro del giardino delle Esperidi ch’era vicino al monte Atlante. Un dragone dalle cento teste e che
lmente calò all’inferno per trarne fuori il can Cerbero(1). Egli andò al Tenaro, promontorio della Laconia, ov’era la port
viaggiando colla moglie Deianira per recarsi a quella città, e giunti al fiume Eveno che allora per molte acque era gonfio
e la sua clava, vi fece attaccar fuoco da Filottete, fig. di Peante, al quale donato avea la faretra e le avvelenate saet
icuperò la grazia del padre e Linceo fu dichiarato erede e successore al regno. Le altre sorelle, per l’inumano tradimento
lo Tieste, ne uccise i figliuoli e ne apparecchiò le carni in vivanda al padre ; alla quale vista fingesi che il sole si v
r vendicarsi di tanta ingiuria, uccise Iti, suo figliuolo, e lo diede al padre in forma di vivanda, acciocchè il mangiasse
, in fagiano, e Tereo, in upupa. Quindi l’Ariosto : Come vien Progne al suo loquace nido. Ed altrove : Qual Progne si l
vò assai costernata per l’infame tributo che doveasi ogni anno pagare al Cretese Minotauro. Il giovane eroe si offre ad uc
giovane eroe si offre ad uccidere il mostro, ed imbarcatosi consegna al nocchiere due vele, una nera ed un’altra bianca ;
vele, una nera ed un’altra bianca ; la prima, segno d’infausto evento al ritorno, e la seconda, di prospero. Giunto a Cret
di Creteo, volle, già vecchio, destinar Pelia, suo fratello uterino, al governo del regno dì Tessaglia fino a che non div
e di lui dovea guardarsi, secondo l’oracolo. Laonde, avendo domandato al nipote che dovesse mai fare di una persona, da cu
ma volle prima far pruova del suo valore, comandandogli di sottoporre al giogo due grandi, e fierissimi tori e che avesse
ve mandato un assillo, il cavallo fece precipitare l’audace cavaliere al suolo, il quale morì di tal caduta. Da Properzio(
iegati dai Greci in questa spedizione ; secondo Omero erano 1186 ; ed al dir di Tucidide, 1200. In questa guerra erano imp
all’assedio di Troia, e dichiarò che Diana era quella che opponevasi al tragitto dell’armata nell’Asia co’ contrarii vent
no pel quale la madre lo avea tenuto. Ella il diede poscia ad educare al centauro Chirone, il quale, oltre tutti gli altri
e ed il supremo duce Agamennone, diciamo che avendo questi restituita al padre la sua schiava Criseide per placare lo sdeg
da, ove procurava di consolarsi di quell’ingiusto oltraggio, cantando al suon della cetra le grandi azioni degli eroi. Nè
menticando il suo antico risentimento contro Agamennone, fece ritorno al campo, fugò i Troiani e vendicò, coll’uccidere lo
alle mura di Troia l’infelice cadavere di Ettore attaccato pe’ piedi al suo cocchio ed esporlo a’cani ed agli avvoltoi. M
o Millin, non era che un istrumento da prendere i pesci, di cui anche al presente fanno uso i greci pescatori. Certamente
ndi sono gli effetti di esso, che noi tuttodì sperimentiamo. Di fatto al mare, e quindi a Nettuno, attribuivansi i tremuot
le grandi aperture fatte in essa sieno opera di lui, o sia del mare, al vedere quella famosa valle ognuno è indotto a pen
ul mare ci dà Virgilio(3), quando dice ch’egli fa attaccare i cavalli al dorato suo occhio, e loro ne abbandona le redini 
e abbandona le redini ; ch’ei vola sulla superficie delle onde, e che al suo cospetto i fiotti si cal mano e dileguansi le
si cal mano e dileguansi le nubi, mentre cento mostri marini intorno al suo cocchio si raccolgono. Si sa che Omero(1) lo
i i monti e le foreste : « Egli ha fatto tre passi, dice il poeta, ed al quarto giunge sino a’ più lontani lidi. Dal seno
onde lor grotte le pesanti balene si alzano e van saltellando intorno al loro re. La terra con dolce fremito attesta la pr
loro re. La terra con dolce fremito attesta la presenza di lui. Sotto al suo cocchio si curvano i fiotti, e le ruote che f
dea di ferocia e di crudeltà che gli uomini meritamente attribuiscono al mare, è avvenuto che i poeti, come chiamano figli
e merita di esser letto da’giovani studiosi. Il Chiabrera, alludendo al vino che per opera di Ulisse imbriacò Polifemo, c
iato nel fiume oggidì detto freddo, perchè nascendo dall’ Etna, porta al mare gelidissime le sue acque. Per tale fatto que
assiso sulle onde del mare con una picca in mano ed un mostro marino al fianco ; tiene un’urna e versa acqua. Si dipinge
ma principe del mare. Vi era Tritone, fig. di Anfitrite e di Nettuno, al quale serviva di trombettiere, detto perciò canor
onde commosse, e che queste, come se avessero avuto senso, ubbidivano al suo impero. Veniva rappresentato in figura di mez
a, ed essendovi una considerevole differenza nel getto de’capelli che al disopra della sua fronte s’innalzano. Alle volte
oi veleni contaminò un bel fonte, ove quella vergine era solita stare al rezzo in sul meriggio e lavarsi. Per la virtù de’
vere la trasformazione di Scilla ; poichè se nell’Eneide dice ch’essa al di sopra è una leggiadra donzella, mentre termina
a greca e latina, era anticamente assai temuta, perchè essa tre volte al giorno assorbisce e tre volte rigetta e spinge si
essa tre volte al giorno assorbisce e tre volte rigetta e spinge sino al cielo le onde (5) ; il che tutto deriva dal noto
me dice Dante, un luogo d’ogni luce muto. E spesso questo nome davasi al nume stesso dell’inferno, chiamandosi Plutone Αιδ
l greco poeta ? Sappiamo che i Cimmerii eran popoli dell’Asia, presso al Bosforo da essi detto Cimmerio, non lungi dalla P
i Omero erano sulle coste d’Italia, e che gli antichi ponevano presso al lago d’Averno la Negromanzia di Omero, cioè l’und
e soglia di bronzo ; e che tanto è di sotto all’Orco, quanto la terra al cielo. Il Tartaro, secondo Esiodo (1), era il car
degli empii giace da noi discosto in profonda notte avvolto, intorno al quale fiumi di nera acqua risuonano. Quivi l’orre
zio fa pasto dell’atre sue viscere, mentre per nove ingeri è prosteso al suolo. Quivi ancora è Tantalo in mezzo all’acqua
cora è Tantalo in mezzo all’acqua che fugge e che quando è già presso al labbro, più avviva la rabbiosa sua sete. Quivi in
urissimo ; altri, nella luna, ed altri nel centro della terra accanto al tartaro ; ma l’opinione più comune li pone in alc
rno de’giusti. Quivi da ogni parte veggonsi bei fiori che risplendono al pari dell’oro e che o spuntano dal suolo o pendon
llato a Saturno, padre de’numi e marito di Rea, il cui trono si eleva al di sopra di tutti gli altri. Pindaro, nel descriv
one avanti gli occhi la felice turba che alberga negli Elisii. Quivi, al dir del poeta, non giovanetti e donzelle, ma magn
ipereo ed insanguinato crine. Là pure (1) un opaco e grande olmo erge al cielo le annose braccia ; sotto ogni fronda del q
e, e le Gorgoni e le Arpie. Prima di giungere alla casa di Plutone ed al tribunale di Minos è mestieri passar l’Acheronte,
in caso di oscurità e di dubbio. Dopo la loro sentenza vanno le ombre al luogo de’ tormenti o nel soggiorno de’giusti. La
gusto, avendo Agrippa fatto tagliare quella selva e costruire intorno al lago degli edificii, si vide che tutto era favola
uenza fiumi dell’Inferno. Strabone però pone il Piriflegetonte vicino al lago Lucrino non lungi da Pozzuoli. Pare che Virg
nducevano anche il sonno. Virgilio nel quinto libro dell’Eneide diede al Dio del sonno un ramo stillante di umor Leteo ; e
e della sepoltura ; e che le anime degl’insepotti erravano o intorno al proprio corpo, o secondo altri, intorno alla palu
idolo diverso dall’ombra e dai Mani, per qualche tempo vagava intorno al proprio tumolo. E quest’idoli che alle volte dice
a ciò si finse che le ombre de’ morti nell’inferno si radunavano chi al foro per attendere alle liti, chi nella reggia di
elle arti professate in vita. Presso Omero le ombre trattano le cause al tribunale di Minos, ed Arione si esercita, come i
(1) allogano il Cerbero avanti la porta dell’inferno, forse alludendo al costume degli antichi principi che avanti le port
li porge una mistura sonnifera. Orazio (6) finalmente, facendo plauso al canto di Orfeo, dice che alla dolcezza di quello
ro veleno esca della trilingue sua bocca ; ma questo poeta che qui dà al Cerbero tre capi, in un altro luogo (7) il chiama
, in un altro luogo (7) il chiama bestia dalle cento teste. Le Furie, al dir di Virgilio (8), aveano nel primo entrar dell
dicava le anime de’morti, i quali, chi seduto e chi in piedi, stavano al suo tribunale avanti la porta dell’ampia casa di
ch’era il caduceo. Disse pure che l’inferno era oltre l’oceano, cioè al Nilo, chè dagli Egiziani nel linguaggio del popol
to. La barca che trasportava i cadaveri, appellavasi bari (βαρις), ed al barcaiuolo che volgarmente gli Egiziani chiamavan
famoso laberinto di Egitto, e sopra tutto da quelle ch’eran sotterra, al dir di Erodoto. I Coccodrilli sacri che gli Egizi
e tragittavano in una barca. Appena un uomo era morto che conducevasi al giudizio. Se il pubblico accusatore provava esser
le ; e ci vien descritto di una maestà truce e tremenda. Il suo capo, al dir di Claudiano, è in oscura nube ravvolto ; dal
tessa Dacier osserva che gli antichi davano il nome di Giove non solo al signore del cielo, ma ancora al Dio del mare, com
ichi davano il nome di Giove non solo al signore del cielo, ma ancora al Dio del mare, come in Eschilo, ed a quello dell’i
Greci, o l’Osiride di Egitto, era il sole d’inverno, cioè il sole che al solstizio d’inverno passa sotto la terra, e lo sc
cono del celebre elmo di Plutone. Quando i giganti diedero la scalata al cielo, i Ciclopi somministrarono agli Dei armi po
one si rappresentava, dice Albrico Filosofo, in un modo che conveniva al principe delle tenebre. Il suo aspetto era quello
d Aletto, che facevali pascolare sulle rive di Cocito, e li attaccava al cocchio del suo signore. A Plutone si offerivano
ciso, non rinasce mai più, simbolo della vita umana che quando giunge al suo tramonto, non vi è speranza che mai più risor
ebbe forse origine dal considerare gli uomini quali vittime destinate al Dio dell’inferno ; e si sa che costumavano gli an
ll’afflitta madre che acconsentì di rivedere la luce e di presentarsi al sovrano degli Dei, il quale giurò di restituirle
estini, in guisa che quanto avviene in questo mondo, tutto è soggetto al loro impero. Lo Spanheim dimostra che gli antichi
soggetto al loro impero. Lo Spanheim dimostra che gli antichi davano al Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferm
ichi davano al Fato anche il nome di Parche ; e Lattanzio afferma che al Fato gli Dei tutti e lo stesso Giove ubbidiscono,
tutt’i celesti numi. Esse erano tre, delle quali la prima presiedeva al principio, la seconda, alla continuazione, e la t
presiedeva al principio, la seconda, alla continuazione, e la terza, al termine della vita umana ; ovvero la prima ordiva
ta di un Giove, forse per dinotare che anche questo nume era soggetto al Destino, di cui le Parche erano ministre. Nel pal
a terra, come da Ovidio si scorge, allorchè parla del fatale tizzone, al quale era attaccata la vita di Meleagro. Esse pre
tizzone, al quale era attaccata la vita di Meleagro. Esse presiedono al ritorno dall’inferno di tutti coloro che, essendo
a Proserpina nell’Arcadia, a Sparta e nella Sicilia, forse alludendo al frumento che conserva l’uomo e lo libera dalla mo
Herod. II, 52. (1). Diod. Sic. XVII ; Q. Curt. IV, Iust. XI, 2 ; et al . (1). Plin. XII, 23 ; et XXX, 7. (2). Herod. II
1). Georg. I, v. 12, sq. (2). Quindi operari Minervae per dare opera al tessere. Tibull. II, el. 1. Virg. Aen. VIII, v. 8
11 (1806) Corso di mitologia, utilissimo agli amatori della poesia, pittura, scultura, etc. Tomo II pp. 3-387
Il culto, che prestavasi agli Eroi, consisteva in una pompa funebre, al tempo della quale si celebrava la memoria delle l
le possibili perquisizioni, e sempre indarno ; nè poteva ritornarsene al padre, perchè ciò eragli stato da lui vietato, qu
ezzo di quella, v’avea purè una fontana. Là si avviarono i Fenicj ; e al loro rumore ne uscì un Dragone, figlio di Marte e
chè era fratello di Europa. Cadmo però attribuì tutte le sue seiagure al destino del luogo, ove soggiornava ; e quindi, do
ettendo gli oggetti, li faceva senza rischio osservare, volò per aria al soggiorno delle Gorgori, e felicemente esguì ciò,
one, dicono, trovandosi vicino a morte, affidò la custodia di Giasone al fratello Pelia, e a questo pure rinunziò il regno
sembianze di vecchia. Egli si offerì di trasferirla sulle sue spalle al di là di quelle acque ; e allora vi perdette un c
allora vi perdette un calzare. Arrivò finalmente in Iolco ; e Pelia, al vederlo con un piede ignudo, si rammentò tosto di
l seme etano per mascere (d) (7). Giasone avido di gloria, si acciuse al proposto cimento. Prima di spiegare le vele a’ ve
ll’apparite dell’aurora si adunò immenso popolo nel campo di Marte, e al cenno del re comparvero i tori co’ piedi di bronz
se il piccolo suo fratello, Absirto, chiamato anche Egialeo (a), nato al dire di Apollonio da Asteroclea(b), o da Eurilite
viaggio, e giunsero felicemente in Iolco. Accorsero in folla i popoli al loro sbarco, e risuonarono i lidi di liete acclam
sua decrepita età. Il pietoso figlio, osservando il genitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonas
nitore, vicino al termine de’ suoi giorni, pregò Medea, che ridonasse al vecchio padre l’età giovanile (d) (23) : lo che a
inito Esone. Quelle la supplicarono di procurare lo stesso bene anche al loro vecchio padre. Medea promise di compiacerle,
ittima a di lui onore. Ercole lo persuase di differirne il sacrifizio al suo ritorno, e gli promise d’offerirlo egli a Gio
e d’un cantone della Tessaglia, e suo particolare amico(6), s’accinse al gran cimento.Era già per rimanerne vittorioso, qu
enchè avesse i piedi di rame e le corna d’oro, tuttavia era sì veloce al corso, che niuno mai era capace di raggiungerla.
della bellezza di quell’animale, ne impedì il sacrifizio, e persuase al marito di sostituirne un altro in luogo di quello
colla clava, per cui acquistò il nome d’ Ippottono Alzò poi una tomba al predetto giovine, e appresso della medesima fabbr
mia : bensì gli propose di far prova chi di essi due giuocasse meglio al Disco ; chi fosse capace d’attignere maggior quan
lle vendicare siffatta violenza, uccise i pirati, restituì le giovani al loro padre, e mise a morte anche lo stesso Busiri
e la predetta Dea si denominò Egofage, ossia manzia-capra (a). Vicino al sepolcro d’Eono si consecrò un tempio ad Ercole(b
, e venduta a Litierse o Litierside, figlio di Mida, e suo successore al trono di Colene. Dafnide, inconsolabile per la pe
per ultimo con una freccia offese Plutone, che fu costretto di salire al Cielo, per farsi guarire da Peone, medico degli D
be per compagno anche Argeo, figlio di Licinnio. L’Eroe aveva giurato al di lui padre di ricondurglielo, ma il giovinetto
rpo, e ne portò le ceneri a Licinnio, onde soddisfare meglio che potè al prestato giuramento (b). Ercole è stato detto Tir
esantissima tazza d’oro nel tempio d’Ercole. Questi comparve in sogno al Poeta Sofocle, e gl’indicò chi n’era stato il lad
trima, e con essa se ne fuggì. L’Ateniese invocò Ercole, corse dietro al cane, e ricuperò la preda. Diomo in memoria di ta
, e tagliò loro il naso, le orecchie, e le mani, le quali poi sospose al collo di ciascuno. Quindi egli prese il nome di R
altrettanto mostravasi affannoso per la sposa, nè azzardava d’esporla al rapido corso di quelle acque. In tale circostanza
la di lui sposa il passaggio sulle sue spalle. Ercole affidò Dejanira al Centauro, indi si abbandonò intrepido al fiume. P
alle. Ercole affidò Dejanira al Centauro, indi si abbandonò intrepido al fiume. Posto il piede sull’ opposta spiaggia, udì
ume, così non sapeva a qual parte volgere il passo. Giunse finalmente al letto d’Onfale, e appenachè toccò, il pello irsut
vea preso ad amare l’anzidetta Jole, piena di gelosia e timori, spedì al marito per mano di Lica, suo servo, la veste di N
allora per offerire vittime e voti a Giove, venerato in Geneo, quando al cuoprirsene gli omeri s’imbevette del veleno dell
a a togliere i buoi a Gerione, lasciò la giovine incinta. Pirene mise al mondo un serpente, di cui ne concepì sounno orror
ri Dei (d). Egli in Roma ebbe molti tempj, e fra gli altri uno vicino al Circo Flaminio, e chiamato il tempio del Gran d’E
cole sitibondo, perchè ella celebrava là festa della Dea delle donne, al tempo della quale non era lecito agli uomini gust
ro per la prima volta la barba e i capelli. Queglino portavano allora al tempio d’Ercole una misura di vino, ne facevano d
nne si chiamavano anche Porte Gadaritane (c). Ercole apparve in sogno al leggiadro Miscelo, figlio di Alemone, cittadino d
morfosi sottrasse Miscelo all’ atroce castigo. Quindi, rendute grazie al suo liberatore, fece vela con propizio vento per
oleva essere adorato. Esso consisteva nel fargli due sacrifizj, l’uno al nascere, e l’altro al tramontare del Sole. Pinari
Esso consisteva nel fargli due sacrifizj, l’uno al nascere, e l’altro al tramontare del Sole. Pinario e Potizio fecero ins
la di lui testa, si conservò candida, laddove l’altra, ch’era esposta al di fuori, s’annerì pel denso fumo di quel tetro s
i anche Teseo, tratti dalla curiosità di vedere Ercole, erano accorsi al palagio reale ; ma tutti al vedere quella pelle s
curiosità di vedere Ercole, erano accorsi al palagio reale ; ma tutti al vedere quella pelle si spaventarono, eccettuato T
va attaccare i passeggieri a due pini, a gran forza curvati, affinchè al raddcizzarsi di essi, traessero seco una parte de
che notizia di Teseo, tentò di farlo perire, onde assicurare il trono al figliuolo, ch’ella avea partorito in quella Reggi
sta una venefica bevanda, volle che il Re stesso ne porgesse il nappo al proprio figliuolo, come ad un suo nemico. Mentre
, imbrandì la spada per uccidere l’ingannatrice. La Maga si sottrasse al di lui furore, fuggì precipitosamente da Atene, e
tempio d’ Apollo Delfico(a). Teseo, ritornato in Atene, la sottrasse al barbaro non meno, che ignominioso tributo, cui es
se di prendersi Venere per guida, e di sacrificarle una capra in riva al mare. Così egli fece, e la Dea tosto gli comparve
trasferirsi in Creta, aveva ricevuto ordine dal padre suo di spiegare al suo ritorno, se mai poteva riuscirvi, una vela bi
n’era stato la cagione. Gli Ateniesi per consolarnelo esaltarono Egeo al grado di Nume marino, lo dichiararono figlio di N
lissena(9), Creusa(10), Laodice(11), e Cassandra(12). Egli finalmente al dire d’Apollodoro prese in matrimonio anche Merop
ve Erceo, ove anch’ella colle sue figliuole era ricorsa per sottrarsi al furore nemico. Pitro, figlio d’Achille, uccise ap
Non contento d’aver insultato agli ultimi respiri di lui, lo attaccò al suo carro, per tre volte lo strascinò col volto n
cordò pure a Priamo una tregua di dodici giorni, onde potesse rendere al figlio gli onori funetri. Il Trojano ne fece espo
egnò di renderlo possessore della più bella donna, che vi fosse stata al mondo. Paride diede il pomo a Venere. Giunone e M
stei gli partorì un figlio, detto Cotito(4). Ella vaticinò molte cosè al marito, ch’erano per accadergli : tralle altre gl
i colpi di, quello, quando Venere lo trasportò in Troja(c). Ritornato al campo, ferì Macaone, Euripilo, e Diomede(d). Ucci
o potere. Non vi ruscì : quindi, affidata la cura degli Dei Penati(3) al vecchio suo padre, con lui sulle spalle, e col fi
esso di se. Il Trojano però si mantenne sempre costante nell’ubbidire al Destino che lo chiamava in Italia. Allora la Regi
eri di Finea ; e risolta di morire, finse di voler fare un sacrifizio al morto marito, ascese sul rogo, si trafisse il pet
sciame d’api, andato a posarsi sopra un antico alloro, posto in mezzo al cortile della Reggia di Latino, diede occasione d
condo Omero (a), e di Plistelle secondo Apollodoro (b), era destinato al trono d’Argo. Tieste, fratello d’Atreo, s’impadro
di Agamenonne i sentimenti delle paterne tenerezze talchè acconserti al sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse
erne tenerezze talchè acconserti al sacrifizio. Egli per farla venire al campo finse appresso la moglie, che voleva sposar
), toccò ad Agamenonne. Costei gli aveva predetto, che non ritornasse al patrio suolo, perchè vi sarebbe rimasto assassina
è Agamenonne avea fatta sua schiava la di lui figliuola, erasi recato al campo de’Greci per ridomandarla, e per offerire u
offerire un ricco riscatto. Agamenonne ricusò di compiacernelo : anzi al rifiuto v’aggiunse anche le ingiurie, e lo fece a
il Nume nol avrebbe sospeso, qualora non si fosse restituita Criseide al genitore. Tutti i principali dell’armata eccitato
esimo operasse dei prodigi. Crearono un Sacerdote, che ne presiedesse al culto, e lo tenesse in propria casa per tutto il
o Elettra, sua sorella, lo fece secretamente trasferire per sottratlo al furore di sua madre, che altrimenti lo avrebbe uc
nto per eccitamento dello stesso Nume passò in Atene, e si assoggettò al giudizio dell’ Areopago. I voti di quello erano d
aese. Quegli gli fece consegnare ad Ifigenia, acciocchè li disponesse al sacrifizio. Colei non riconobbe. Oreste, perchè e
o. Più non vi volle, onde avessero a riconoscersi. e subito pensarono al modo di rapire il simulacro della Dea, e di fuggi
ntura di serpente, mentre viaggiava per l’ Arcadia. Lasciò successore al trono il figlio Tisameno, che avea avuto da Ermio
abbiamo detto, figliuolo di Atreo. Egli, mentre era re di Atene, salì al trono di Sparta, perchè sposò Elena, figliuola di
amo esposto, avea sfidato i più valorosi della Greca Nazione ; ma poi al solo vedere Menelao talmente si atterì ; che si r
Menelao talmente si atterì ; che si ritirò appresso i suoi. Ritornato al campo, sarebbe caduto sotto le mani dello stesso
ja da’Greci, fu da loro restituita a Menelao. Questi voleva immolarla al suo risentimento, e alle ombre di coloro, che per
erse nelle predette acque(b). L’educazione poi di Achille fu affidata al Centauro Chirone. Questi in vece di latte lo fece
e informatolo del motivo, per cui erasi colà recato, lo condusse seco al Greco campo(a). Desolata Tetide nel vederlo a par
di una parte de’Tessali. Affidò pure il comando di altri suoi soldati al prode Eudoro, nato da Polimela, figlia di Filante
combattere, perchè Agamennone, costretto da lui a restituire Criseide al di lei padre, avea spedito i due araldi, Euribate
 ; ricevette nuovamente Briseide, carica di ricchi doni ; e ritornato al campo, ristabilì la cadente fortuna de’suoi(c). T
sse seco a supplicarnelo anche la sua figliuola, Polissena. Il Greco, al vederla, tosto se ne invaghì, e la chiese in mogl
re Ulisse d’averlo consigliato ad impegnare tutti gli amanti di Elena al gia mentovato giuramento(e). Allorchè tutti i Pri
lope Telemaco, e là adagiollo, ove il vomere aveva a passare. Ulisse, al vedere il proprio figlio, torse tosto altrove lo
tornò senza nulla averne recato. Palamede, spedito dopo di lui, portò al Greco campo moltissimo grano. Ulisse allora contr
sciolse le vele alla volta dell’Isola di Lenno, e da di là ricondusse al Greco campo Filottete(8), che adirato contro i Gr
arire del nuovo giorno ne mangiò altrettanti, indi uscì colla greggia al pascolo, e vi lasciò gli altri chiusi nell’antro.
ave. Egli ne avea tagliato un pezzo ; e appuntitolo, lo avea indurito al fuoco. Tostochè il sonno s’impadronì del Ciclope,
i Antifate. Colei additò loro il reale palagio ; ed eglino, avviatisi al medesimo, ne incontranono sull’ingresso la Regina
la Eea, in cui regnava Circe. Alquanti de’di lui compagni si recarono al palagio di quella Maga, e nell’ingresso della Reg
te magnifica, e tutta d’oro risplendente. Ella gentilmente corrispose al saluto de’Greci, ma nello stesso tempo porse loro
e vittime, preparate da’di lui compagni, Euriloco e Perimede, si recò al Regno di Plutone. Ivi scavò una fossa, vi fece de
idotta in pezzi, tutti i Greci perirono, e Ulisse solo potè sottrarsi al naufragio. Arrivò egli all’isola d’Ogigia nel mar
di Teti e d’Oceano(b), ovvero di Atlante, come vuole Omero(c). Ulisse al dire di questo Poeta(d) per sette anni, o per sei
rasse a Calipso essere volere degli Dei, ch’ella lasciasse proseguire al Greco Eroe il suo viaggio. Così avvenne ; e Uliss
ue notti ; e poscia Minerva mandò un vento propizio, che lo trasportò al paese de’Feaci, i quali abitavano l’Isola di Corc
icaa, figlia di Alcinoo, si portò ivi a lavare alcuni panni. Il Greco al rumore, che colei colle sue serve faceva, si dest
ncato nel luogo, in cui si trovava(b) (16). L’ Eroe verso sera giunse al reale palagio, e si gettò alle ginocchia di Arete
Alcinoo, prendendo Ulisse per mano, lo fece sorgere, e sedere. Ordinò al suo coppiere, Pontonoo, di mescere olce vino ; be
iere, Pontonoo, di mescere olce vino ; bevuto il quale, Arete ricercò al Greco ospite chi egli era. Ulisse allora diedesi
lto, perchè credeva che fosse un Nume. Disingannato finalmente, narrò al padre lo stato deplorobile, in cui i Nobili del p
in cui i Nobili del paese aveano ridotto la sua casa. Ulisse commise al figlio, che solo ritornasse alla Reggia, e che a
anze di vecchio e mendico uomo, passò con Eumeo alla città(a). Giunto al suo palagio, venne tosto riconosciuto da uno de’s
tevano. Costui insultò ad Ulisse, e amendue vennero alle mani. Ulisse al primo colpo lo stese a terra, tutto coperto di sa
Polluce, il quale per essere figliuolo di Giove era immortale, chiese al padre di poter communicare tale privilegio anche
rsi cominciava dal fume Clade sino all’Istmo di Corinto. Chi aspirava al possesso d’Ippodamia, doveva precederne il padre,
. Pelope così ampliò il suo dominio, che tutto il paese, il quale era al di là dell’Istmo, e formava una parte considerabi
e agli altri Dei(b). Ercole gli consecrò uno spazio di terreno vicino al tempio di Giove in Olimpia. Si aggiunge, che quel
prosperità si cambiò alfine in un’estrema sventura. Gli Dei sdegnati al sommo fecero insorgere sul Tebano suolo desolatri
ano figliuoli di Edipo e di Giocasta. Eglino, tostochè Edipo rinunziò al Regno, convennero fra loro di signoreggiare d’ann
mente l’uno dopo l’altro. Eteocle, come maggiore d’età, salì il primo al paterno soglio ; ma poi ricusò di cederlo nel sus
o a Polinice. Questi, mal sofferendo la violazione del patto, ricorse al suo genero, Adrasto, figlio di Talaone, e re d’Ar
Ella si trasferì da Argo in Eleusina, ove era stato inalzatò il rogo al suo maritò. Là si vestì de’ suoi più belli e prez
na collana d’oro nol avesse tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeo
tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeone, di uccidere Deifile, tos
istri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino al predetto tempio eravi una fontana, sacra allo ste
na, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitto capitale chiun
depose il bambino sull’erba. Un velenoso serpe intanto si attortigliò al collo del fanciulletto, e lo soffocò. Coloro, aff
di Adrasto si portò ad Eteocle, e ne esigette, che cedesse la corona al suo fratello, Polinice. Eteocle, anzichè aderirvi
into di nascita si fosse sacrificato pèrida salute de’ suoi. E poichè al predetto Antipeno, nelle di cui vene scorreva nob
omotote(10). Argia, vedova di Polinice, spinta dalla brama di rendere al marito gli estremi doveri, andò la notte, a cerca
Archipenzolo, che questa Virtù tiene nella, destra. E’pur necessaria al Prudente la sapienza, simbolo della quale è la lu
n Orso, e quella d’un Delfino. L’Orso è iracondo, e il Delfino riesce al nuoto rapidissimo. Sono pertanto da questa Divini
a colonna, e coll’altra tiene un ramo di rovere, perchè questo resist al soffio de’più impetuosi venti, non cede alla veem
appresso il Tevere, e il terzo nella Piazza dell’erbe. Questo ultimo al tempo della guerra Punica restò abbruciato da un
; così il Magnanimo non cura i disagi che gli sovrastano, nè si turba al momento di dover sostenerli. Il Leone poi non tem
r di misura sulla terra l’esecrabili scelleratezze, ella fece ritorno al Cielo, e fu collocata in quella parte del Zodiaco
considerata Dea e preside de’giudizj. Suo uffizio era accusare i rei al tribunale di Giove(f). Le di lei Ministri si appe
la figlia alimentava del proprio latte la madre. Si raccontò il fatto al Pretore, e l’ero ca azione della figlia ni ritò,
imboleggiare il dolce legame d’amore, con cui si unisce il beneficato al benefattore. V’è appresso di lei un’aquila, la qu
lle quali era di ristabilire l’unione tralle famiglie. Al pranzo, che al momento di quelle si faceva, non ammettevasi alcu
ogni disapore dalle loro dispute(b). Esso fu rovinato da un incendio al tempo dell’Imperatore Comodo(c). La Pace finalmen
una ghirlanda d’assenzio sulla fronte. L’assenzio è pianta amarissima al gusto, ma di molta utilità allo stomaco. Non altr
e nelle prospere e nelle avverse vicende. Ha scoperto un fianco sino al cuore, ove col dito mostra l’altro moto : da lont
e del pubblico, e senza spargimento di sangue. I Sacerdoti, destinati al di lei culto, erano vestiti di lino bianchissimo,
e a cercarla per foreste e per balze, e dopo lungo travaglio e fatica al fine la rinvenne. Si gettò a di lei piedi, la pre
ncreseimento, che le cagiona, va la rimembranza della sua, lo strinse al seno, e ritornò a vivere seco lui in dolce concor
per la fatica, prendeva riposo all’ ombra degli alberi, e ricreavasi al fresco dell’ aura, che usciva dalle gelide valli.
rgo del sangue ; e proruppe in dirottissime lagrime. Alle preghiere e al pianto Procride aprì i languidi occhi, e con brev
ia, purchè possa consoguire quel che ’desidera. L’Ambizione ha le ali al dorso, e i piedi ignudi, per esprìmere l’ ampiezz
significa, che il Parziale non ha l’animo retto, nè rivoglie la mente al vero ; ma soltanto favorisce a ciò, a cui lo tras
vanisce. Gola. La Gola è smoderato desiderio di ciò, che spetta al gusto. Si figura col collo lungo, e con veste di
l’animo irato. Ila la spada ignuda, perchè l’Ira d’ordinario dà malo al ferro, e con questo si fa strada alla vendetta. L
la ama. Ha appresso di se gran quantità di spine, per esprimere, che al Pigro ogni cosa riesce difficile. Ingratitudin
questa, che viene prodotta da’ vapori, tratti dal Sole, si oppone poi al medesimo, onde non diffonda sulla terra il suo sp
La Ricchezza è ampia possessione de’ beni, appartenenti all’uso e al comodo di questa vita. Rappresentasi di consolant
lei veste è di colore verde, e ricamata d’oro. La veste verde allude al verdeggiare delle campagne, ch’è indizio di ferti
lle, cioè alla buona e alla cattiva. Ivi le statue di queste Divinità al dire di Macrobio si muovevano da se sole, e i lor
tà dell’ animo, la quale deriva da opposti ed eguali motivi, riguardo al sapere o all’ operare qualche cosa. Vedesi Egli i
si erano dichiarati per lui, gli rivolsero poi le spalle, e passarono al partito de’ nemici. Il timore ben tosto s’impadro
, e tutto si ridusse in disordine. Tullo fece voto d’ergere un tempio al Dio Timore ; e il soldato riprese subito il perdu
anze di quell’animale. Ella salì sopra d’esso ; e il toro corse tosto al mare(e), la trasportò in quella porte del mondo,
elle Festa derivò dal verbo greco eleste, essere rapito, per alludere al ratto d’ Europa(e). (a). Nat. Com. Mythol. l. 8
continua lo stesso Scrittore, desolata per l’anzidetto castigo, dato al figlio, pregò la Dea di restituirgli la vista. Mi
me abbiamo riferito, il suo figliuolo, Penteo. Autonoe morì di dolore al vedere Atteone, suo figlio, cangiato in cervo, e
V’è chi dice, che le onde portarono da prima Danae e il figlio di lei al lido di Daunia ; che ivi furono raccolti da un pe
l lido di Daunia ; che ivi furono raccolti da un pescatore, e portati al re, Pilunno ; che questi sposò Danae, e spedì Per
il cavallo Pegaso nacque anche Crisaore, così detto, perchè comparve al mondo con una spada d’oro in mano(c). Igino però
eano e di Teti (d). (b). Id. Ibid. (7). Da di là trassero origine al dire de’ Poeti i Coralli. Essi sott’acqua sono mo
uesti aveva un tempio sul monte Lafistio, nella Beozia(h). Ritornando al montone, sacrificato da Frisso, dicesi che la pel
ue’ tori erano stati formati ad Eeta da Vulcano, onde mostrarsi grato al Sole, padre del medesimo Eeta, perchè lo aveva ac
allora vedute(a).Difatti che la Nave, Argo, dovessessere grande oltre al solito ; da ciò pure si desume, che, essendo viet
in quel tempo che nessuna nate contenesse più di cinque uominì(b), fu al solo Giasone permesso di navigare con una, che ne
ricani gli dedicarono un tempio, donde dava Oracoli(e). (14). Idmone al dire di Ferecide, seguito da Apollonio Rodio, era
a fatica, inviò il predetto Ila con un’ urna ad attingere dell’ acqua al fiume Ascanio. Erano molto erte quelle ripe, e ne
al fiume Ascanio. Erano molto erte quelle ripe, e nel chinarsi cadde al giovane l’urna di mano. Si avanzò per ripigliarla
informato dello strano avvenimento, li ricolmò di doni, e li rimandò al loro paese (a). (18). Ificlo si trovò tra gli Ar
g). Paus. l. 5. (a). Hom. Iliad. l. 2. (10). Il padre de’ Molioni al dire de’ Poeti era Nettuno(f). (b). Declaustre
el furore di Ercole(d). Apollodoro però soggiunge ch’ella sopravvisse al di lui delirio ; ch’ Ercole la ripudiò, credendo
ob. Hofman. Lex. Univ. (d). l. 4. (28). Lamo o Lamone succedette al trono di sua madre, ma poco dopo ne fu scacciato,
llodoro leggesi, che fu il pastore Peante quegli, ch appiccò il fuoco al rogo, destinato ad abbruciare il corpo di Ercole,
. Nat. Com. Mythol. l. 7. (31). Iole dopo la morte di Ercole passò al talamo d’ Illo, figlio dello stesso Ercole(e) (
tariamente offerto alla morte. Macaria spontaneamente esibì se stessa al sacrifizio(b). Illo, di lei fratello, e duce dell
ritrovato. Empì il suo ventre di carne e di vino, e quando fu vicino al famelico animale, vomitò dinanzi ad esso tutto il
etam. l. 7., Anton. Liberal. c. 12. (39). Iria, non potendo reggere al dolore, concepito per la perdita del figlio, si p
ction. Mythol. (f). Joh. Jacob. Hofman. Lex. Univ. (5). Cercione al dire di Diodoro di Sicilia costringeva solamente
nne Perdice in aria, e lo cangiò in uccello(a). Dedalo, per sottrarsi al supplizio, cui era stato condannato dall’ Areopag
si librò nell’ aria, che perfettamente lo sostenne. Altrettanto fece al figliuolo, e lo instruì d’ attenersi alla via di
abbandonò il padre, e sollevossi arditamente più in alto. Si avvicinò al Sole, e i raggi di quello tosto liquefecero la ce
ce, che tutta la gioventù, spedita in Creta, veniva da Minos non data al Minotauro, ma distribuita in qualità di schiavi a
iglio di Suto, allorchè Eumolpo, figlio di Nettuno, mosse loro guerra al tempo del re Eretteo(f). (d). Nat. Com. Mythol.
ssato poi da nuovi colpi, passò nell’ Erebo. Grineo, che stava vicino al truciduto compagno, schiantò una delle are fumant
e scavata una pesante soglia di porta, si provò di scagliarla addosso al nemico. Il peso non glielo permise, e in vece del
in aria il tizzone ; e presi di mira Corito, e Driante, stese Corito al suolo, come quello, ch’ era tra coloro il più ten
dell’asta, ferali stromenti, con cui avea tolto la vita e le spoglie al Tessalo Aleso. Ma il ferro di Latreo, benchè spin
i distinse all’assedio di Troja(b). (25). Alcuni popoli della Grecia al riferire di Eratostene e di Pausania erano persua
ab. 79. (26). In Plutarco leggiamo, che Teseo affido la giovine Leda al suo amico, Afidno(e). (e). Joh. Jacob. Hofman.
sua indifferenza, e procura di riaccenderne l’affettó, dipingendogli al vivo il suò. Ma Demofoonte, che attendeva ad assi
e fuori in quell’istante, come se Fillide fosse stata ancor sensibile al ritorno del suo amanre. Tzetze vuole, che il fatt
vuole, che il fatto testè descritto sia avvenuto non a Demofoonte, ma al di lui fratello, Arramanto(d). (h). Joh. Jacob.
iso da Ajace, figlio di Telamone. Achille sorprese e condusse schiavi al suo campo Antifo, il di lui fratello, Iso, i qual
se ne ritornò appresso la sua famiglia(c). Alcuni pretendono, ch’ella al tempo della presa di Troja, per non cadere in isc
le era avvenuto, la fece condurre col giovane Trojano a Menfi dinanzi al re Proteo. Questo Principe rinfaceiò fortemente a
cciallo da’suoi Stati, ritenendo appresso di se Elena per restituirla al marito. Appena giunse Paride in Troja, che pur v’
Mennone si consumasse dalle fiamme sul rogo, pregò Giove di concedere al figlio qualche singolare quore. Condiscese il Num
l figlio qualche singolare quore. Condiscese il Nume all’inchiesta, e al cadere della pira, che consumava il cadavere, ner
rabili faville a fare lo stesso. Per tre giorni si aggirarono intorno al rogo, ed empirono l’aria concordemente d’un flebi
eto colloquio per iscuoprirgli un tesoro, da se nascosto, e riserbato al figliuolo. L’avaro Trace, che niente d’inganno so
Id. Iliad. l. 17. (a). Ovid. Metam. l. 12. (2). Protesilao venne al mondo in modo straordinario. Il di lui padre era
ide co’necessarj rimedj ; ma v’arrivò tardi, poichè la risposta, data al messo, afflisse Paride in guisa, che in quello st
pastorella bagnò di lagrime il corpo di Paride, si attaccò la cintura al collo, e si strangolò. Sonovi alcuni, i quali nar
u trasportato ad Enone, ond’ella avesse la cura di seppellirlo. Colei al vederlo ne restò talmente sorpresa dalle tristezz
. Il loro sito più ordinario nelle case era dietro la porta, o intomo al focolare(f). Si collocavano anche in una Cappelle
mbino, si purificavano ; e avendolo tralle braccia, correvano intorno al focolare della casa, il quale risguardavasi come
va nel quinto giorno dopo la nascita dell’infante. Allora si facevano al medesimo doni da’ parenti e dagli amici ; e la Fe
nniversario della morte di alcuno, si adunavano i parenti e gli amici al sepolcro, lo cuoprivano di flori, frutta, e vivan
sorta di Genj furono da altri riconosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altr
onosciuti : gli uni, che eccitavano al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri che spingevano al male (e). Ques
al bene ; gli uni, che eccitavano al bene ; gli altri che spingevano al male (e). Questi ultimi vennero da’Greci denomina
teo. Credevasi, che i medesimi spargessero la terra d’acqua ; attinta al fiume Stige, e che con essa vi facessero insorger
li dà per compagni l’Eternità e il Caos. Paussania scrive, che vicino al confine delle stadio di Olimpia eravi un altare d
ome riconobbero una certa vecchia di campagna, che somministrò viveri al Popolo Romano, allorchè questo fu costretto a rit
che Teucro ritornò alla sua nuova Salamina. Allora fu, che vi eresse al dire di Lattanzio un tempio a Giove, in eui per c
Lattanzio un tempio a Giove, in eui per comando di lui si sacrificava al Nume un uomo (c). (4). Euripilo nacque dal Tessa
elebravano ogni anno i funerali di Euripilo, e rendevano grande onore al Nume, rinchiuso nella cassa, e il quale essi chia
di Tenedo, la quale era stata fatta schiava da’Greci. Egli la impiegò al servigio della sua mensa (d). (7). Idomeneo fu f
giunse. Il di lui figliuolo corse il primo ad abbracciarlo. Idomeneo al vederlo diede segni d’indicibile dolore ; ma cred
e dolore ; ma credendosi tenuto a soddisfare alla promessa, già fatta al Dio delmare, immerse il ferro nel seno di quello.
Cebrione alle loro rive. Patroclo tuttavia son desisteva dal nuocere al campo Trojano, quando finalmente l’anzidetto Nume
gli Elisj. Achille prontamente lo fece : scannò molte vittime intorno al di lui rogo ; vi gottò nel mezzo di quello quattr
li Apollo aveva allevato sul monte Pierio, e, le quali, ersendoveloti al pati degli uccelli, portavano da per tutto il ter
sì stimato, che Nettuno prese le di lui sembianze per animare i Greci al combattimento(m). (13). Teuti condusse un corpo
ssimi capelli. Egli fece i più mordaci rimbrotti ad Agamenone intorno al buon esito dell’assedio di Troja, ed Ulisse perci
e). Sonovi degli antichi Scrittori, i quali asseriscono, che Ifigenia al momento, che dovea essere sacrificata, venne conv
udicarono Laocoonte sacrilego e punito, perchè avea osato d’insultare al sacro cavallo, a Ballade offerto. Quindi non atte
anchi, ed ebri d’insolita allegrezza, tutti si abbanconarono in preda al sonno. Andava intanto muovendosi da Tenedo la Gre
ni lidi, il regio legno dall’alto della poppa alzò una fiamma. Sinone al noto segno quietamente aprì il fianco del Cavallo
uomo. Questi la tenne appresso di se, finchè Oreste ascese nuovamente al trono. Ella sposò allora Pilade, e ne nacquero St
figlia d’Egisto e di Clitennestra ; e che colei talmente si rattristò al vederlo assolto, che disperata si diede la morte
poi continua a dire, che volendo Oreste ucciderla, Diana la sottrasse al di lui furore, e la stabilì sua sacerdotessa nell
a memoria, fabbricò ivi una città, che denominò Canobo, e nella quale al momento della sua partenza vi lasciò tutti gl’inu
presi da sì veemente dolore, che tutti si lasciarono uccidere intorno al corpo di lui(f). Neottolemo, ritornando dall’asse
lui onore, e però detti Eaci(b). (5). Menestio doveva i suoi natali al fiume Sperchio, e alla bella Polidora, figlia di
r di lui padre, perchè egli la aveva sposata, primachè essa si unisse al predetto fiultro(c). (e). Id. Iliad. l. 16. (6
ia di Priamo. In forza di queste nozze avvenne, che Telefo si attaccò al partito de’ Trojani contro i Greci. Costoro, gett
che questi, ritirandosi appresso Peleo, venne dal medesimo indrizzato al Contauro Chirone, che gli restituì la vista. (b)
lo d’oro, il quale trovavasi mescolato cogli altri della sua testa, e al quale era annessa la durata della di lui vita. Co
Ligea, e Pattenope(e). Abitavano, dice Servio(f), in un’Isola, vicina al Capo di Sicilia, e detta Peloro, cinta da scosces
onne. Dicesi, che ciò sia avvenuto, perchè essendosi trovate presenti al rapimento di Proserpina, di cui erano compagne, c
rattenne per tre anni, senzachè la predetta tela vertisse mai ridotta al suo termine, perchè ella di notte disfaceva quel
Iliad. l. 14. (1). Pulidamante nacque la stessa notte, in cui venne al mondo anche Ettore, e fu dopo di lui il più valor
a una nave, e come videsi lontano da quelle spiaggie, spedì un araldo al padre per giustificarsi del commesso omicidio. Ea
na(c). Pausania soggiuage, che Sparta eresse alle medesime un tempio, al quale erano consecrate certe donzelle, dette anch
utti coloro accettarono la proposizione, ma niuno di essi sopravvisse al combattimento. Driante e Clito si presentarono an
avvisse al combattimento. Driante e Clito si presentarono anch’eglino al cimento. Sitone, poichè di giorno in giorno andav
di combattere l’uno contro l’altro, promettendo la figlia e la corona al vincitore. Pallene aveva avuto occasione di veder
li occhi qualche lagrima alla presenza del suo balio, non potè celare al medesimo il suo timore. Quegli, per consolarla, l
ppellava Efira. Quì pure notiamo, che Enomao avea stabilito di alzare al Dio Marte un tempio, formato de cranj di coloro,
rovò in Pisa, ove Pelope, era stato sepolto. Ma Filottete, ritornando al Greco campo, naufragò appresso l’isola d’ Eubea,
risolvette di prevalersi dell’asta. Nel momento, in cui si preparava al colpo, vide la Volpe e Lelapo convertiti in marmo
esalò lo spirito(a). Lasciò un figlio, di nome Diomede. Anche questi al tempo della guerra Trojana fu considerato il più
Achille e Ajace Telamonio. Egli uccise Assilo, figlio di Teutrane, e al fianco di lui fece cadere morto anche il di lui c
una mano(c). Diomede uccise altresì Dolone, ch’erasi recato di notte al campo de’ Greci per ispiarne la situazione. Colui
Ella si trasferì da Argo in Eleusina, ove era stato inalzatò il rogo al suo maritò. Là si vestì de’ suoi più belli e prez
na collana d’oro nol avesse tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeo
tradito. Anch’egli perciò dovette recarsi al campo ; ma prima commise al suo figliuolo, Alcmeone, di uccidere Deifile, tos
istri, si faceva che quegli nuovamente dormisse nel tempio(a). Vicino al predetto tempio eravi una fontana, sacra allo ste
na, sacra allo stesso Anfiarao, e da cui, credevasi, che fosse asceso al Cielo. Si riputava, reo di delitto capitale chiun
dura e laboriosa vita, che menò, lo ridusse molto atto alla caccia, e al maneggio delle armi ; nè attese che a sostenere i
a sapeva cattivarsi l’animo di tutti. Era fiero e intrepido in faccia al nemico, e dimostravasi costantissimo amatore dell
e donne dì Lenno, come scuoprirono, che Ipsipile avea solvato la vita al re Toante ; mo padre, la scacciarono dalla loro i
into di nascita si fosse sacrificato pèrida salute de’ suoi. E poichè al predetto Antipeno, nelle di cui vene scorreva nob
le nozze di colei, non avendo potuto salvarla dall’ira paterna, corse al luogo del supplizio, e disperato si trafisse il p
12 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLVI. Giasone e Medea » pp. 342-489
XLVI Giasone e Medea Re della Colchide al tempo che vi giunsero gli Argonauti, cioè 13 seco
hi eran celebri nell’antichità per l’arte magica, e Medea apparteneva al novero « Di quelle triste che lasciaron l’ago, «
robustezza e forza straordinaria. Ma le imprese che si attribuiscono al greco Eroe son tante, perchè tanti furono gli ero
in cielo il piccolo Ercole gli diede del suo proprio latte, che però al pargoletto Eroe non piacque e lo lasciò cadere ne
alla pubertà scelse spontaneamente la via della Virtù, e si rassegnò al voler del Fato di star sottoposto ad Euristeo. A
o tempo della sua vita si riferisce il moralissimo racconto di Ercole al Bivio, in cui si finge che il giovane eroe, invec
e della fama, preferì quella ardua e malagevole della Virtù che guida al bene della umanità ed alla gloria. Accenneremo pr
non pensarono che questa stessa Amazzone fu data da Ercole in moglie al suo amico Teseo, e ne nacque Ippolito tanto celeb
o la scoperta dell’America, e fu dato il nome di fiume delle Amazzoni al più gran fiume di quel nuovo continente e del mon
ran fiume di quel nuovo continente e del mondo, perchè si prestò fede al racconto di Orellana compagno di Pizzarro, che ne
Alfeo, e ne fece passar la corrente per quelle stalle e trasportarne al mare ogni sozzura. Allusivamente a questo fatto m
cciocchè l’uom più oltre non si metta. » Perciò poco più oltre, fino al tempo di Colombo, si azzardarono gli uomini ad av
te da una grande altezza nel profondo dell’Inferno : « Ma lievemente al fondo che divora « Lucifero con Giuda ci posò ; «
Spagna a Gerione, ed ivi le lasciò a pascere per andare a far visita al greco Evandro che abitava sul prossimo colle, che
mezzi cavalli e mezzi uomini ; cavalli dalle estremità dei piedi sino al collo ; invece del quale avevano il petto, le bra
iamato il re dei fiumi. Questi fu il solo pretendente che non cedesse al nome ed alla fama del valore di Ercole, il solo c
e l’insanguinata tunica o camicia, e insieme con altre vesti la mandò al marito. Ercole fu trovato dal messaggiero Lica su
Dei protettori della navigazione ; e perciò Orazio li invoca propizii al suo amico Virgilio che andava per mare nell’Attic
na : « Allegrezza, allegrezza ! io già rimiro, « Per apportar salute al legno infermo, « Sull’antenna da prua muoversi in
, quando racconta che questa fu una delle sue stazioni nell’ascendere al Paradiso : « ……………io vidi il segno « Che segue
to dei Cabiri nell’isola di Lenno ; e 4° quello di Chiusi, attribuito al re Porsena. Quest’ultimo, per gli avanzi che anco
tto li trascurò, e per boria fanciullesca essendosi troppo avvicinato al sole, la cera delle sue ali si squagliò, e, cadut
dati in Creta 7 giovanetti e 7 giovanette Ateniesi per servir di cibo al Minotauro ; il qual tributo dovea rinnovarsi ogni
e, ma dissero che era figlio di Nettuno, e così lo fecero appartenere al numero dei Semidei. Per altro poco giovò a quest’
tir per la guerra, lasciò ad Etra una spada che essa dovea consegnare al figlio quando fosse adulto ; al qual segnale lo a
a una spada che essa dovea consegnare al figlio quando fosse adulto ; al qual segnale lo avrebbe riconosciuto per suo. Que
anto Egeo vi si opponesse), nel numero dei giovani destinati per cibo al Minotauro. La nave che portava a Creta queste inn
nocenti vittime aveva in segno di lutto le vele nere. Egeo ordinò che al ritorno, se era reduce il figlio, vi si mettesser
sicura Arianna che Teseo avrebbe saputo difendersi ; provvide dunque al secondo con un mezzo semplicissimo a sua disposiz
he egli trovò il Minotauro a guardia del 7° cerchio dei violenti ; ed al qual mostro, perchè lasciasse loro libero il pass
ch’e’fosse di rame, « Pure el pareva dal dolor trafitto. » Toccò poi al tiranno Falaride a entrar dentro il toro di rame,
amico fosse tolta la sposa e la vita dai Centauri convitati anch’essi al banchetto di nozze. Storicamente i Centauri eran
» I principali di essi invitati alle nozze di Piritoo, quando furono al termine del pranzo, essendo riscaldati dal vino,
ed assassini) immersi per pena nella riviera del sangue : « Dintorno al fosso vanno a mille a mille « Saettando qual’anim
on solo altercò, ma diede di piglio alla spada nella reggia stessa ed al convito di Eteocle ; e poi inseguito da una schie
’ tu più punito : « Nullo martirio, fuor che la tua rabbia, « Sarebbe al tuo furor dolor compito. » Quest’uomo bestiale a
non volle sopravvivere ad esso, e si gettò nel rogo mentre rendevansi al marito i funebri onori. Dal loro connubio era nat
r cogli altri per la guerra, e sicuro di dovervi perire, lasciò detto al figlio Alcmeone, che appena udita la sua morte lo
precipitò nel regno delle Ombre117. Gli antichi dissero che non andò al Tartaro ma agli Elisii, e che in Grecia aveva un
tato causa della morte di Anfiarao e di Erifile, riuscì funesto anche al figlio Alcmeone che ne fu l’erede. Ne fece egli u
sto vincitore, e divenne sposo di Ippodamia e re di Elide. Quanto poi al premio promesso a Mirtilo non solo mise in pratic
Pœtica dà per precetto agli scrittori di tragedie di non far cuocere al nefando Atreo le carni umane sul palco scenico al
fermo, « Quando fu l’ær sì pien di malizia, « Che gli animali, infino al picciol vermo, « Cascaron tutti ; e poi le genti
queste le più splendide nozze che fossero mai celebrate sulla Terra : al banchetto nuziale erano convitati tutti gli Dei e
er cedere, cioè Giunone, Minerva e Venere, e consentirono di starsene al lodo dell’arbitro rusticano. Furono dunque condot
o. Furono dunque condotte da Mercurio in Frigia sul monte Ida davanti al pastore Alessandro, in appresso chiamato Paride.
causa, e ciascuna delle tre Dee perorò a proprio vantaggio, e promise al giudice un magnifico premio a causa vinta ; cioè
to da quelle acque infernali. Dipoi, fanciulletto ancora, lo consegnò al Centauro Chirone perchè lo istruisse in tutte le
ponto ed il monte Ida esisteva l’antica e famosa città di Troia. Sino al 1870 non si seppe neppur dire con sicurezza di no
i Trœ « Generosi tre figli Ilo ed Assaraco « E il deiforme Ganimede, al tutto « De’mortali il più bello, e dagli Dei « Ra
nti della sua Storia Universale, è posto il regno di Dardano dal 1568 al 1537 avanti G. C. ; ma sono ivi registrati due al
questo re si fa derivare il nome di Teucria dato alla città ed anche al territorio Troiano : tutti gli altri re per altro
area là dove foro « Abbandonati i suoi da Ganimede « Quando fu ratto al sommo concistoro. » Inoltre nel Canto xxiv dell’
t’anno « Che ‘lSole i crin sotto l’I]Aquario tempra, « E già le notti al mezzo dì sen vanno. » Laomedonte fu l’unico fig
tutte le Dee, convenne pure che pensasse a mantener la promessafatta al giudice, di procurargli cioè per moglie la più be
ano da non potersi sciogliere facilmente neppur da una Dea. In quanto al pastore fu trovato il modo di farlo riconoscere p
to da bambino nelle selve, e per tale lo riconobbero senza pensar più al sogno di Ecuba e all’interpretazione di quello. C
pontaneamente Paride a Troia. Elena inoltre, per non andar senza dote al suo nuovo marito, portò via tutti i più preziosi
ro ugual fama, e colla loro morte pagarono il primo tributo di sangue al Dio della guerra. Ma, finalmente, respinti i Troi
ano perciò cingere talmente d’assedio la città da bloccarla ; nè fino al decimo anno osarono di assaltarla ; nè i Troiani
arla di Palamede, e ne fa da Sinone attribuire la morte all’invidia e al tradimento di Ulisse in questi termini, secondo l
e una lunga serie di esse. Sebbene il titolo d’Iliade che diede Omero al suo poema, derivando da Ilio, appelli in generale
el campo greco, fu creduta una vendetta di Apollo per l’insulto fatto al suo sacerdote. Ciò disse l’indovino Calcante in p
giato e rassicurato da Achille dichiarò che bisognava render Criseide al padre con doni ed offerte ad Apollo per placare q
acessero prodigi di valore a gara con Diomede, la sorte era contraria al loro esercito, il quale rimaneva quasi sempre per
cchi doni ed una delle proprie figlie in isposa, Achille stette fermo al niego e respinse sdegnosamente qualunque proposta
mbattere non volle udir patti, neppur di render la salma ai parenti e al sepolcro ; con impeto irrefrenabile lo investì, l
, lo abbattè, l’uccise ; e spogliatolo delle armi e legatigli i piedi al suo carro, lo trascinò per tre volte nella polver
Troia ; e poi tornato alle sue tende lo trascinò altre volte intorno al cadavere di Patroclo, quasi che l’estinto amico d
costringe a prender seco qualche cibo e bevanda, pietosamente piange al suo pianto, e gli accorda il corpo del suo figlio
e dell’avo suo Licomede in Sciro : quindi andò ad invitarlo a recarsi al campo di Troia per vendicar la morte del padre ;
uovo venuto alla guerra, il nuovo guerriero. Al tempo stesso Ulisse, al suo ritorno con Pirro, passò per l’isola di Lenno
, al suo ritorno con Pirro, passò per l’isola di Lenno per ricondurre al campo greco Filottete, abbandonato, come dicemmo,
suoni musicali come quelli di una cetra : i sacerdoti facevan credere al volgo che lo spirito di Mènnone animando quella s
…………. l’edifizio « Del gran cavallo che d’inteste travi « Con Pallade al suo fianco Epeo costrusse, « E Ulisse penetrar fe
di tornar sembiante « Fecero tal che se ne sparse il grido. « Dentro al suo cieco ventre e nelle grotte, « Che molte eran
nte alla gioia per la partenza dei Greci, ai conviti, all’ebbrezza ed al sonno. E nella notte usciti dal cavallo i guerrie
eci e indurre i Troiani a portare in Troia il cavallo di legno, oltre al farne la più eloquente narrazione Virgilio, ne pa
o fa dire da Enea : « Ruiniamo la porta, apriam le mura, « Adattiamo al cavallo ordigni e travi, « E ruote e curri ai pie
attiamo al cavallo ordigni e travi, « E ruote e curri ai piedi e funi al collo. « Così mossa e tirata agevolmente « La mac
cavallo di legno è probabile che dovessero i Greci la presa di Troia al tradimento. Tal ne corse la fama che fu accolta c
saputo trovare il modo di persuader Menelao a riprenderla per moglie al suo ritorno in Grecia, come difatti avvenne. Anch
espressione mentre alludeva alla mitologica invenzione, la interpretò al tempo stesso secondo le più comuni leggi dell’uma
ssena e la sostiene col braccio sinistro sollevata da terra e stretta al suo fianco, mentre colla destra alzando la spada
icolo, ognuno si credè sciolto da qualunque vincolo di subordinazione al comandante supremo ; e lo stesso Menelao che semp
o, unica speranza della madre, unico rampollo di quell’eroe. La madre al primo romore della presa di Troia lo mandò a nasc
à ; e poi divenuta schiava di Pirro andava segretamente a portar cibo al piccolo Astianatte rimasto solo in quella tomba,
na ove morì sul colpo. Un figlio dell’ucciso Ettore che sopravvivesse al padre era sempre un imminente pericolo pel figlio
ella greca flotta fece accendere dei fuochi sopra gli scogli Cafarei ( al sud-ovest dell’ Eubea) perchè i Greci li credesse
mero che parla più volte con gran lode del valore di Idomeneo, quanto al suo ritorno dice soltanto che « …………. in Creta «
In tal modo l’accorta ed affettuosa moglie tenne a bada i Proci sino al ritorno di Ulisse. Intanto Telemaco impaziente di
ro globo. Invece la navigazione di Ulisse in dieci anni non si estese al di là delle acque del Mediterraneo, qualunque sia
esi, « E noi tranquilli sedevam, la cura « Al timonier lasciandone ed al vento. » (Odiss.,xi. Trad. di Pindemonte.) E que
e foco, « Mormorava bollendo ; e i larghi sprazzi, « Che andavan sino al cielo in vetta d’ambo « Gli scogli ricadevano. Ma
i « Sì, che parte il tenemmo in terra saldo, « Parte con un gran palo al foco aguzzo « Sopra gli fummo ; e quel ch’unico a
otto la torva fronte occhio rinchiuso, « Gli trivellammo : vendicando al fine « Col tor la luce a lui l’ombre de’ nostri. 
direzione di Colombo, 2600 anni prima di lui, ma piegando un poco più al sud ; e dopo 5 mesi lunari aveva già passata la l
di sopra : « E volta nostra poppa nel mattino, « De’remi facemmo ala al folle volo 142 « Sempre acquistando dal lato man
o si temprasse almeno « Il diro annunzio. Ritentando ancora, « Vengo al terzo virgulto, e con più forza « Mentre lo scerp
engo al terzo virgulto, e con più forza « Mentre lo scerpo, e i piedi al suolo appunto, « E lo scuoto e lo sbarbo (il dico
venni, « Di Polidoro udendo. Un de’figliuoli « Era questi del re, che al tracio rege « Fu con molto tesoro occultamente «
ll’amicizia e dell’ospizio « E dell’umanità rotta ogni legge, « Tolse al regio fanciul la vita e l’oro. « Ahi dell’oro emp
lvestra ; « Le Arpie pascendo poi delle sue foglie « Fanno dolore ed al dolor finestra 146. » Un ingegnosissimo episodio
che prima avea rifiutato le nozze con altri principi per serbar fede al cener di Sicheo 148 Ma Enea chiamato dai Fati a f
ha pur esso un’origine troiana ; e Virgilio così brevemente l’accenna al principio del libro vii dell’ Eneide : « Ed anco
i antichi Pagani un irrefrenabile desiderio di conoscere il futuro, e al tempo stesso una classica illusione a credere che
glie nella sua caverna, come abbiamo detto parlando di Enea : « Così al vento nelle foglie lievi « Si perdea la sentenzia
che alla foce del fiume Fasi v’era una città omonima che apparteneva al regno della Colchide. Perciò Medea da Ovidio è ch
va significare dal principio alla fine ; ma questo proverbio alludeva al principio e alla fine dei pranzi antichi romani,
ulla. Però è da notare che il parafulmine della cupola si eleva molto al di sopra degli altri. Il fenomeno incominciò alle
entarono ancora che Dedalo facesse a Pasifae una vacca di legno tanto al naturale che i tori mugghiavano intorno ad essa c
Catilin. vii.) 107. Benedetto Menzini nella sua Poetica assomiglia al letto di Procuste il Sonetto, perchè dev’essere d
biicere flammam solebat. » — (Cic., in Verrem., iv.) 111. « …………. al petto « Ove le due nature son consorti. » dice D
lungo questa pugna nel lib. xii delle Metamorfosi, e la fa raccontare al vecchio Nestore che vi si era ritrovato presente
noi abbiamo detto di Ercole e di Giasone, ed ora diciamo di Achille) al Centauro Chirone, che era, come tutti gli altri C
bestie ; ma perchè il primo spesse volte non basta, convien ricorrere al secondo. Pertanto ad un principe è necessario sap
luto o dispotico, che in oggi è divenuto un mestiere fallito ; quindi al principe costituzionale devesi suggerire il prece
si seguono i Latini e non si fa altro che tradurli. Essi conservarono al poema di Omero il greco titolo di Odissea, e died
conservarono al poema di Omero il greco titolo di Odissea, e diedero al protagonista di esso il nome di Ulisse ; e così f
Ulisse figlio di Laerte e di Anticlea ambedue mortali, non appartenne al numero dei Semidei, ma soltanto degli Eroi ; nè f
148. Perciò Dante, parlando di Didone, disse di lei che ruppe fede al cener di Sicheo. 149. E celebre in Virgilio (En
13 (1855) Della interpretazione de’ miti e simboli eterodossi per lo intendimento della mitologia pp. 3-62
fazione a queste brevi pagine, diciamo solo che potranno tornar utili al leggitore, traendone quale sia stato il trasporto
a il sentimento religioso negli animi di coloro che può dirsi perdusi al bene dell’ intelletto, scambiando il sopraintelli
che un tipo misto di vero e di falso — di vero, alludendo tante volte al mondo fisico o morale — di falso, portando in mez
ttime e sacrificti, i voti del cuore umano furono quasi tutti rivolti al temuto nume di loro ; e propagandosi questo culto
lesa la eredità religiosa degli avi loro, o per non mostrarsi avversi al volgo, o ancora per la clava per la onnipotenza d
olte altre cagioni. Ora la pietà di un figlio deifica un padre rapito al suo amore ; ora la desolazione di una madro fa un
Il canto, che alla queta ombra del bosco Ti vien si dolce nella notte al core, Era il lamento di real donzella, Da re tira
fesa. Fanciul superbo di sè stesso amante Era quel fior ; quell’altro al sol converso Vna ninfa, a cui nocque esser gelosa
sto nome ; o alla Dea Libentina, che fu così detta dalla libidine ; o al dio Vagitano, che presiede a’vagiti degl’infanti 
e la tutela de’ campi ; ma rura alla dea Rusina ; le giogaie de’monti al dio Giogatino ; i colli alla dea Collina ; le val
simiglianti : come gli Egizii tutti i loro ritrovati utili necessari al genere umano, che sono particolari effetti di sap
re umano, che sono particolari effetti di sapienza civile, riducevano al genere del sapiente civile da essi fantasticato,
reso di amore per Giunone, dea de’matrimonii solenni, stringe in vece al seno una nube : indicavasi dalla istoria poetica
alla ignoranza. I primi abitatori della terra quando andarono perduti al bene dello intelletto, come fanciulli della umana
rii trasporti, per trascorrere senza rimorso alcuno. È per questo che al concetto dell’ Ente sottentò quello degli esisten
ottissimo pontefice Scevola, come dice S. Agostino(1), tenendo parola al popolo romano, favellò di tre generi d’Iddii, uno
tella zioni ; e molti altri Iddii, che si vollero adulteri, presedere al furto, servire a gli uomini. Mitografia fisica — 
po ad intendere, che il culto renduto a quest’anima dell’universo una al culto del Sole, della Luna e di altri corpi celes
ri è la favola del pomo di oro, che la Discordia fece cadere in mezzo al convito degli Dei, per darsi alla più bella delle
i per la coscia, viene a concuocersi, a perfezionarsi. Diodoro Sicolo al contrario vuole, che Bacco vedendo andare a male
nto può spigolarsi di lui ne’classici greci e latini, tutto si allude al vino, ed all’ubbriachezza. Ei è così detto da Βακ
r del tutto aperti ed in nulla simulati. Le orgie di lui celebravansi al suono strepitoso di cembali e di tamburi, per ind
per le vie ordinarie. Per Saturno poi si è inteso colui, che presiede al tempo, e ne regola il corso, ingiungendoglisi que
er non iscorrere troppo rapidamente, o per meglio dire, assoggettollo al corso degli astri, che sono per lui come tanti la
a μιακητας, che significa muggire, voce propria dei bovi, alludendosi al fremito che dà il mare in procella. Perciò a lui
tempi non di molto remoti ; sì perchè dalla istoria è dato principio al secolo degli eroi con le piraterie di Minosse, e
luzione, finalmente ritornano a lui, alla terra, e vengono sottoposte al suo imperio. E gli si pone lo scettro in mano, ch
a medicina, giovando ai mortali col temperato suo calore, e cacciando al contrario nelle vene di loro umori pestilenziali
unico o quasi di semplice natura, quale caratteristica ben si addice al Sole ; se pure non si voglia far derivare da a, c
arattere proprio di un messaggiero dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. I miti raccontati di questo nume non sono
olubri, tenuti da tutta l’antichità per simbolo della vita, associati al radiar del Sole si voleva esprimere, che il Sole
esto indicavasi l’apparente discesa del Sole sotto l’orizzonte, e che al suo apparire nel nostro emisfero ne venissero sca
stodia della giovanetta Io, trasmutata da Giove in vacca, onde trarla al furore di Giunone : è questo un mito, con cui si
ro che vendono v’ha di mezzo il discorso. Gli posero le ali a’piedi e al capo, chè il parlare va rapido per l’aria. Portò
el fuoco e delle arti, che si esercitano ammollendo, piegando e dando al ferro varie forme mercè del fuoco istesso. Nacque
tutto lo universo, dicevano di esser ella un fuoco sottile ed etereo al di sopra dei pianeti e delle stelle. Tenendo diet
qui traserivere le parole dell’autore della Scienza Nuova, lasciando al leggitore di appigliarsi a quelle interpetrazioni
lustri : è gelosa di una gelosia politica, con la quale i romani fino al 309 di Roma tennero i connubii esclusi alla plebe
E quel geroglifico o favola di Giunone appiccata in aria con una fune al collo, con le mani pur con una fune legate, e con
asseguato il pavone, che con la coda l’Iride rassomiglia ; conla fune al collo per significare la forza fatta da’giganti a
za e giudizio, onde Men-errua importa forza, giudizio, e ben risponde al tipo che se ne fecero gli antichi, onde personifi
una face, perciocchè l’amore è come un dardo, che dagli occhi scende al cuore, e vi apre profonda ferita — è come una fia
andar privi del bene dell’intelletto. Rabaud di Saint-Etienne porge al mito di Venere una diversa interpetrazione « I pi
da Dea iens, cioè Dea che trovasi in continuo movimento, per alludere al trasporto, che credevasi di avere per la caccia,
ostata la terra dal centro dell’universo, per farla rivolgere intorno al sole. Posciachè da gli antichi fu creduto rimaner
o musici e cantori, fra i quali nove leggiadre donzelle molto intente al canto e alle danze, ed a queste davasi il nome di
o. 67. La favola di Giano è tutta allegorica, e va strettamente unita al sistema planetario, ond’egli deve considerarsi co
ondendo per un traslato allegorico le dodici fatiche a lui attribuite al passar che fa questo pianeta maggiore in ciascun
i campi dell’aere, rombo che giunge all’orecchio quasi non dissimile al muggito de’bovi. 58. Ercole uccide Anteo, che la
questi concetti del poeta non poche espressioni, che tutte convengono al sole. A lui s’innalzarono e tempii ed are, e con
l Sole, come su di una irradiante quadriga, trascorrendo dall’oriente al tramonto va diffondendo torrenti di luce, e distr
rificii ad Ercole, si circondavano le tempia di alloro, dando termine al sacro rito col sorgere e col tramonto del sole. O
aggiungiamo la opinione di non volgari scrittori. Porfirio vuole, che al Sole fu dato il nome di Ercole, descrivendosi il
l bosco Nemeo, e si ricuopre delle spoglie — Questa vittoria risponde al passar del Sole nel segno dello Zodiaco il Leone.
sette teste, sempre ripullulanti quando venivano troncate — risponde al passar del Sole nella costellazione della Vergine
de un feroce cignale, che infestava le foreste di Erimanto — Risponde al passar del Sole nel segno della Bilancia, che avv
ana, detta la cerva del Menalo dal monte, ove ricoveravasi — Risponde al passar del sole nello scorpione, fissato dal tram
elli Stinfalidi, così detti dal lago, ove solevansi posare — risponde al passar del sole nel Saggittario, sacro a Diana, c
a Diana, cui sorgeva un tempio a Stinfalo, e questo pessare è fissato al levar de’tre uccelli della via Lattea, lo Avoltoi
, ed uccide lo avoltoio, che divorava il fegato a Prometeo — risponde al passar del sole nell’Aquario ; e ciò era indicato
che il toro celeste, nominato toro di Pasife e di Maratona culminava al meridiano, e al tramonto del cavallo Orione, o di
este, nominato toro di Pasife e di Maratona culminava al meridiano, e al tramonto del cavallo Orione, o di Pegaso. VII. Pu
Cirene, dai cavalli di lui, che alimentava di carne umana — r sponde al passar del sole nel segno dei Pesci, ed è fissato
, e tragge una donzella dagli oltraggi di un mostro marino — risponde al passar del sole nel segno dell’Ariete, sacro a Ma
o di Alfeo, e lo uccide negandogli la promessa ricompensa — risponde al passar del sole nel segno del Capricorro, ed è in
uccide un principe crudele, che perseguitava le Atlantidi — risponde al passar del sole sotto il Toro, che va segnato dal
e spaventoso dalla coda di serpente, e dal capo di ceraste — risponde al passar del sole nei Gemini, indicato dal tramonto
na tonica sparsa di sangue di un Cintauro, che fu morto da lui stesso al guado di un fiume, e questa tonica, lo brucia e l
lo brucia e lo consuma, e così compie il corso di sua vita — risponde al passar del sole nella costellazione del Cancro l’
ponde al passar del sole nella costellazione del Cancro l’ultimo mese al tramonto del fiume Aquario, e del Cintauro, che s
onto del fiume Aquario, e del Cintauro, che sacrifica su di un’altare al levarsi del Pastore e della sua gregge, e quando
il dono di conoscere l’avvenire, e non mai obbliare il passato. Altri al contrario, e tra questi Plutarco(2), vogliono ess
6. La favola di Giano è tutta allegorica, e va strettamente rannodata al sistema planetario, onde questo Nume sconosciuto
preceduti da lui nel loro cammino intorno il sole. 67. E onde portare al vero questo nostro dettato qui riproduciamo poche
Giano, e quando il sacerdote impone la focaccia, e porge farro misto al sole, allora ricambierai il mio nome : poichè sul
parte e di quà e di là ha due facciate, tra le quali l’una ha le mire al popolo, l’altra al lare. E come tra voi il portin
là ha due facciate, tra le quali l’una ha le mire al popolo, l’altra al lare. E come tra voi il portinalo sedendo presso
icare il mirabile potere di natura, che subordinata alla Causa Prima, al Sommo Creatore delle cose, tutto genera, tutto al
14 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — V. Urano e Vesta Prisca avi di Giove  » pp. 25-27
. Ma le opinioni e le scoperte dei dotti antichi eran tenute nascoste al volgo, e costituivano la scienza segreta, colla q
n più umano consorzio. Così, trovando il terreno preparato e disposto al fantastico e al maraviglioso, personificarono qua
orzio. Così, trovando il terreno preparato e disposto al fantastico e al maraviglioso, personificarono quasi tutti gli ogg
queste divine persone riuscissero intelligibili e paressero possibili al volgo, attribuirono ad esse bisogni, abitudini, i
a moglie di Nettuno Dio del mare. Ma siccome fu dato il nome di Urano al Cielo, così fu dai Greci assegnato alla Terra il
ebbero l’ufficio di guidare il carro del Sole per distribuire la luce al mondo ; perciò i nomi di Titano e di Iperione si
primogenitura 20, a subentrare nel regno sarebbe toccato regolarmente al primogenito, cioè a Titano. Fu nonostante convenu
ndo di riserbarsi, non meno di diritto che di fatto, aperta la strada al trono o per sè o per i propri figli Titani, quand
pernicano abolirono anche le sfere, non che il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta
e il loro movimento intorno al nostro globo, diedero il nome di Urano al pianeta scoperto da Herschel nel 1781, imitando c
1781, imitando così gli antichi astronomi, che ai pianeti più vicini al centro del loro sistema planetario avevano dato i
tema planetario avevano dato il nome dei principali figli di Giove, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Sat
, e al più lontano quello del padre di esso, cioè di Saturno ; perciò al pianeta che è più lontano di Saturno assegnarono
padre di questo, cioè di Urano. Anche il nome di Vesta fu attribuito al 4° piccolo pianeta o asteroide scoperto da Olbers
dicitur. 19. « Ben s’avvide il poeta ch’io stava « Stupido tutto al carro della luce « Ove fra me ed aquilone entrav
15 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVII. I Mostri marini Mitologici e Poetici » pp. 184-194
el rimanente del corpo come mostruosi pesci con doppia coda224. Oltre al dire che erano bellissime, aggiungevano i mitolog
nna « Io son, cantava, io son dolce sirena « Che i marinari in mezzo al mar dismago, « Tanto son di piacere a sentir pien
o che alletta « Col venen dolce che piacendo ancide. « Ma così tosto al mal giunse lo empiastro, » in quanto che subito
a Dante la turpitudine, « E lo svegliò col puzzo che n’usciva. » Nè al divino Alighieri bastò riferire la lezione di mor
slega ? « Bastiti, e batti a terra le calcagne ; « Gli occhi rivolgi al logoro che gira « Lo rege eterno con le rote magn
a via, sospende, « Che subita ruina non lo cuopra, « Mentre mal cauto al suo lavoro intende. « Da un amo all’altro l’àncor
ua e di là con tagli e punte tocca. « Come si può, poi che son dentro al muro « Giunti i nimici, ben difender rocca, « Cos
sa « Tira, ch’in dieci un argano far possa. « Come toro salvatico che al corno « Gittar si senta un improvviso laccio, « S
o si può dire, « Dove in tal guisa ella percuote l’onde, « Che insino al fondo le vedreste aprire : « Ed or ne bagna il ci
e il lume asconde « Del chiaro Sol : tanto le fa salire. « Rimbombano al rumor che intorno s’ode « Le selve, i monti e le
sopra il mare esce ; « E visto entrare e uscir dall’Orca Orlando, « E al lido trar sì smisurato pesce, « Fugge per l’alto
no, oblïando « Lo sparso gregge : e sì il tumulto cresce, « Che fatto al carro i suoi delfini porre, « Quel dì Nettuno in
ri, non sappiendo « Dove, chi qua, chi là van per salvarsi. « Orlando al lito trasse il pesce orrendo, « Col qual non biso
quasi orrore che gli uomini avessero osato affidarsi con fragil barca al tempestoso mare e mirar da vicino i mostri marini
erno di Storia Naturale, sol che all’àncora si sostituisca il rampone al quale è attaccata la lunga fune che si tiene fiss
iscreta la ne tiene ; « Chè dove l’argomento della mente « S’aggiugne al mal volere ed alla possa, « Nessun riparo vi può
16 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIX. Plutone re dell’ Inferno e i suoi Ministri » pp. 203-215
egioni, oltre ad esser prive della luce del Sole, erano orrende anche al guardo del Cielo (Iliade, xx), cioè facevano orro
ndenti, nelle loro sentenze avevano assegnate ai dannati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche
assegnate ai dannati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche al suo maggiore e più potente frat
ati. Era inoltre al pari degli altri Dei sottoposto al Fato, ed anche al suo maggiore e più potente fratello Giove. Si acc
i Greci conoscevano una sola Dea Mira uguale in potenza e in ufficio al Fato dei Romani245 ; e poi ne inventarono tre, di
c. E dovendo le Parche far questo lavorìo per ogni persona che veniva al mondo, non mancava loro occupazione : quindi Dant
aria crede di avere scoperto qualche cosa di nuovo, e non la nasconde al lettore ; ed anche i pittori si sbizzarriscono a
pe Satan, pape Satan aleppe. » Come già Dio delle ricchezze presiede al cerchio ove son puniti gli avari e i prodighi ; m
n Vulcano, Dio del fuoco. Gli astronomi diedero il nome di Proserpina al 26° asteroide scoperto da Luther il 5 maggio 1853
ottato perfino il nome dell’orrida divinità infernale Ecate per darlo al 100° pianeta telescopico. Anche il can Cerbero ha
ro : « Illuc unde negant redire quemquam. » Il poeta latino impreca al tenebroso regno in questi versi : « At vobis mal
tulistis. » 241. Omero fa dire poeticamente ad Achille : « Odio al par delle porte atre di Pluto « Colui ch’altro ha
o nel core. » 242. « Quando noi fummo fatti tanto avante, « Che al mio Maestro piacque di mostrarmi « La creatura ch
e più faccia, « Ch’altri non fa ch’abbia odorato e lume ; « E bisogno al fuggire eran le piume. « Corron chi qua chi là, m
i. Se ne può citare a conferma anche il seguente epigramma attribuito al Machiavello : « La notte che morì Pier Soderini,
17 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXV. Bacco » pp. 161-172
iamato Sileno, a cui molto piaceva il vino, e che ne istillò il gusto al suo allievo, cosa molto più facile che istillare
mbo i sessi percorse la terra sino alle Indie, e conquistò facilmente al suo culto anche questa regione. Egli aveva sempre
cia derivare da un greco vocabolo che significa favellare, ed accenni al vaniloquio dell’ubriachezza, o da altro termine g
ilibrio neppur sulla groppa del suo asinello. Ma qui cederò la parola al Poliziano, che maravigliosamente in due sole otta
to matrimonio di Bacco, ed ebbero nomi relativi alla vite, all’uva ed al vino, cioè Evante, che significa fiorente ; Stafi
diversi miracoli. Cangiò in delfini alcuni marinari che si opponevano al suo culto. Fece sì che Licurgo, re di Tracia, il
une pagliuzze o arene d’oro. Così sostituirono un miracolo mitologico al miracolo fisico della natural formazione delle pe
te o per pratica che le uve non maturano nei luoghi freddi ed esposti al nord, e generalmente in nessuna posizione ed espo
d esposti al nord, e generalmente in nessuna posizione ed esposizione al di là del grado 50 di latitudine207). Tutti hanno
te e secondo il bisogno208) ; ed è un veleno per chi ne abusa : oltre al nuocere alla salute, scorcia la vita, e istupidis
il crotalo che ha nelle mani. — In Zoologia si dà il nome di crotalo al serpente a sonagli. 204. Il nome nebris, nebrid
eribile agli altri due vipistrello e pipistrello, perchè è più simile al latino vespertilio, di cui ci dà l’etimologia Ovi
ali notturni : « ……….. tenent a vespere nomen. » 206. È coerente al carattere di Bacco Dio del vino che egli disprezz
eccesso del caldo ; e i limiti naturali fra cui prospera sono dal 30° al 50° di latitudine. 208. In questi limiti non lo
18 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XX. Mercurio » pp. 123-131
una svelta ed elegante figura di un giovane nudo con due piccole ali al capo ed ai piedi147 ed avente in mano una verga a
empo colla velocità, si metteva il petaso e i talari, e volava celere al pari del vento153. In mano aveva o la sola verga,
gnificava l’ufficio che aveva Mercurio di condurre le anime dei morti al regno di Plutone, e richiamarle alla vita secondo
ma sì la coltiva e l’adopra per iscender più facilmente dall’orecchio al cuore157, perciò gli Antichi asserirono che Mercu
Mercurio rubò le vacche ad Apollo, incontrò per via il pastor Batto, al quale regalò una giovenca perchè non lo scuopriss
, romano163. Dagli astronomi fu dato pensatamente il nome di Mercurio al pianeta più vicino al centro del nostro sistema p
ronomi fu dato pensatamente il nome di Mercurio al pianeta più vicino al centro del nostro sistema planetario, perchè comp
ti gli altri pianeti primarii il suo movimento di rivoluzione intorno al Sole, vale a dire in 87 giorni, 23 ore e 15 minut
a stampa, perchè furon considerati quei fogli come messaggieri veloci al par di Mercurio. Dai botanici si chiamò mercurial
Euforbiacee, perchè, secondo quel che dice Plinio, si credeva dovuta al Dio Mercurio la scoperta delle qualità maraviglio
re furto. » (Hor., Od., i, 10.) Si noti quell’epiteto di jocoso dato al furto, il quale significa che Mercurio rubava per
eseguir le imposte cose. « La sua forma invisibil d’aria cinse, « Ed al senso mortal la sottopose. « Umane membra, aspett
si mostra schivo. » 157. Dice Quintiliano che passa difficilmente al cuore ciò che subito inciampa nell’orecchio : Nih
19 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVIII. Apollo considerato come Dio della Poesia e della Musica e maestro delle nove Muse » pp. 104-114
ivano soltanto o belino versi da fare spiritare i cani, e da cantarsi al suon d’un campanaccio, come diceva scherzevolment
26. Ciascuna di esse presiedeva ad un’ arte speciale, cioè : Calliope al poema eroico ; Polinnia all’ode ; Erato alle poes
alla storia ; Talia alla commedia ; Melpomene alla tragedia ; Euterpe al suono degl’ istrumenti ; Terpsicore al ballo e Ur
pomene alla tragedia ; Euterpe al suono degl’ istrumenti ; Terpsicore al ballo e Urania all’ astronomia127. Quindi si rapp
veva inoltre la lira. Urania coronata di stelle, cogli occhi rivolti al cielo, avendo presso di sè un globo celeste e in
olo greco (come dice Virgilio nel iii delle Georgiche) corrispondente al latino asilus, che in italiano significa assillo
ui è questa l’ origine. Le figlie di Pierio re di Tessaglia sfidarono al canto le Muse, credendosi più valenti di loro ; m
abbellito maravigliosamente il paradiso dell’arte loro, e attribuito al loro Dio anche la facoltà di prevedere e vaticina
 : « In bianca veste con purpureo lembo, « Si gira Clizia pallidetta al Sole. » Un’altra metamorfosi basata sulla somigl
far vari giuochi ginnastici. Mentre egli un giorno giuocava con esso al disco (ora direbbesi alle piastrelle), il vento Z
pa e cantare, ballasse innanzi all’Arca dell’allenza. « Li precedeva al benedetto vaso (all’Arca) « Trescando alzato l’um
che re era in quel caso. » (Purg., x, 64.) 124. « Io vo’cantare al suon d’un campanaccio « La leggenda d’un Nano im
imo. 133. Dante invocando Apollo così gli dice : « Venir vedra’ mi al tuo diletto legno, « E coronarmi allor di quelle
20 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Appendice. » pp. -386
a arricchita della ruina del paganesimo. Nel resto del mondo soggetto al dominio romano, l’istinto religioso non era men p
ca sparì, e le sue ceneri furono, per così dire, gettate come polvere al vento nell’universo intero. Non ostante questi mu
stromenti da tortura, di eculei, di roghi ; i giuochi si frammettono al macello ; da tutte parti s’accorre a goder dello
verità senza ascoltarla ? Ma se la condanneranno senza udirla, oltre al biasimo d’iniquità, meriteranno il sospetto di no
icono però costoro : Non è buona cosa, perchè questa setta molti tira al suo partito, mentre quanti sono gli scellerati, q
essione del nome e non l’esame del delitto. Se si tratta d’altro reo, al solo nome d’omicida, di sacrilego o di pubblico i
quali offese potete contare ? Da questi cotanto uniti e disposti fino al morire, per questa ingiuria come vi è corrisposto
ti. Onde avviene che parimenti ringraziamo le vostre sentenze, mentre al contrario di quello che s’opera dagli uomini, s’o
d’arrolare una legione di cuochi. Le guardie del fuoco stan vigilanti al gran fumo delle serapiche cene.152 Nondimeno sola
data l’acqua alle mani, e posti i lumi, e invitato ciascuno a cantare al Signore o qualche cosa delle divine Scritture, o
accati dalla vita comune. Abbiamo in mente quanto siamo tenuti a Dio, al Signore e Creatore nostro. Non rigettiamo alcun f
iamo, e mercanteggiamo insieme. Le arti e le opere nostre accomuniamo al vostro uso. Io non so in che maniera vi sembriamo
Tertulliano. (Traduz, di Maria Selvaggia Borghini.) Qual sarebbe al presente lo stato della società se il cristianesi
stato compiuto. Non può calcolarsi quanti secoli sarebbero bisognati al genere umano per uscire da quella ignoranza e da
immensa di solitari sparsi nelle tre parti del mondo, e tutti diretti al conseguimento di un medesimo fine, per conservare
oi per combattere l’eresia, servi possentemente alla conservazione ed al risorgimento del sapere. In qualunque ipotesi che
Forse che si sarebbero sollevati gli schiavi ? Ma essi eran perversi al pari dei loro padroni, partecipavano degli stessi
21 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XII. La Titanomachia e la Gigantomachia » pp. 60-68
a Per intender bene le vere cause di queste guerre convien risalire al patto di famiglia fra Titano e Saturno, la cui vi
cioè della Titanomachia. Il diritto, che ora chiamerebbesi legittimo, al trono del Cielo apparteneva veramente ai Titani c
anti, esseri mostruosi e di origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e al titolo della contesa. La prima gu
truosi e di origine terrestre, erano affatto estranei al fondamento e al titolo della contesa. La prima guerra poteva anch
Per quanto Dante ci confessi sinceramente ch’egli ebbe una gran paura al primo vederli, non lasciò per questo di guardarli
e della grandezza e forza dei Giganti dicendo, che per dar la scalata al cielo posero tre monti uno sopra l’altro, cioè su
battere con due figli soltanto, cioè con Apollo e con Bacco ; e tutto al più con quattro, secondo altri poeti, e tra quest
. « Vedea Timbrèo76), vedea Pallade e Marte, « Armati ancora, intorno al padre loro, « Mirar le membra de’ giganti sparte.
a Sicilia col capo sotto il monte Etna, coi piedi che giungevano sino al promontorio Lilibeo e le mani sotto agli altri du
stesse « Da sè divelte, immani sassi e scogli « Liquefatti e combusti al Ciel vomendo, « Infin dal fondo romoreggia e boll
inse Dante filosoficamente questi due mezzi di recar danno o ingiuria al prossimo, nel canto x dell’ Inferno : « D’ogni m
22 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXI. Il Genio e i Genii » pp. 232-241
esto sistema si libera l’uomo da ogni responsabilità, sottomettendolo al cieco destino. A queste stesse conclusioni io giu
li discacciati dal Cielo e condannati all’Inferno. Perciò Dante oltre al chiamarli Demonii e Diavoli, li chiama ancora ang
Traiana si vede alato il Genio della luce e con una fiaccola in mano al di sopra del carro di Diana ; e perciò non è poss
ida « Genio appellato, il qual come ministro « Della ragion lo sproni al bene oprare, « E dall’opere ingiuste il tiri e fr
 Quando con vece assidua « Cadde, risorse, e giacque, « Di mille voci al sonito « Mista la sua non ha : » Il Giusti nelle
nventivo, come : « E anch’io in quell’ardua immagine dell’arte « Che al genio è donna e figlia è di natura, « E in parte
tico asserisce che ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al male. 272. Marziano Capella in
ognuno ha due Genii che spingono gli uomini, l’uno al bene e l’altro al male. 272. Marziano Capella interpreta la parola
276. Si trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano al bene o al male le femmine ; ma avevano il partico
trovano talvolta rammentati i Genii femmine, che spingevano al bene o al male le femmine ; ma avevano il particolar nome d
fica calunniatore e accusatore, ed era il titolo che si dava soltanto al principe delle tenebre, come deducesi da queste p
23 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXX. Delle Divinità straniere adorate dai Romani » pp. 506-510
ltimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che
r dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo della guerra di Troia, poichè Omero in tutt
ali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizi
ue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane.
rimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo di Romolo ; e solo fece credere che quanto
anno tramandato gli scrittori di ambedue quelle nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che que
l feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo culto. L’antico Egitto riman
’io, acciò che ‘l Duca stesse attento, « Mi posi il dito su dal mento al naso. » I Latini poi, e fra questi Catullo, usa
la frase reddere aliquem Harpocratem per significare ridurre qualcuno al silenzio. Trovasi anche rammentato dagli scrittor
uindi è a vedere « Fluviatil lato accor devoto incenso ; « Si prostra al cane, di cittadi intere, « E non anzi a Diana, il
24 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLV. La spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’oro » pp. 331-341
che ap parteneva alla Grecia, e gli promise di restituirgli il regno al suo ritorno, ma sperando in cuor suo che sarebbe
si, paese, ossia per avere a mano a mano opportune notizie riferibili al luogo e allo scopo del loro viaggio, ed anche per
nduta schiava a Licurgo re di Tracia66. Dante, amico non timido amico al vero ed al retto67, dopo aver narrato l’inganno d
va a Licurgo re di Tracia66. Dante, amico non timido amico al vero ed al retto67, dopo aver narrato l’inganno di Giasone,
nte i così detti errori giovanili : per lui qualunque inganno dannoso al prossimo, in qualunque età commesso, è non solo m
ibil suono « Ch’ovunque s’oda, fa fuggir la gente. « Non può trovarsi al mondo un cor sì buono, « Che non possa fuggir com
a ove sperar gli avanza, « Sospira e geme e disperato stassi. « Viene al duca del corno rimembranza, « Che suole aitarlo a
dunque rimasta vana ed inutile la spedizione degli Argonauti, quanto al fine ultimo della medesima, se Giasone non avesse
re ad Adrasto e a’suoi compagni la fontana Langia non molto distante, al suo ritorno trovò il bambino morto pel morso vele
o trovò il bambino morto pel morso velenoso di un serpente ; ed oltre al dispiacere provato avrebbe dovuto subire anche la
ntana detta Langia, ad Adrasto e a’compagni di lui. 67. « E s’io al vero son timido amico, « Temo di perder vita tra
25 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVI. Nettuno re del mare e gli altri Dei marini » pp. 173-183
lo di Padre in segno di affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par di Giove, e pei grandi benefizii che arreca a
raneo un sì orribil delitto. Gli astronomi diedero il nome di Nettuno al più lontano pianeta del nostro sistema solare, pr
prima volta da Galle a Berlino il 23 settembre 1846. E coerentemente al nome mitologico, il simbolo o segno astronomico d
e onori celesti dagli astronomi, i quali diedero il nome di Amfitrite al 29° pianeta telescopico scoperto da Marth il 1° m
iodo, 3000 ; e solamente di 41 ce ne dice il nome, di cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a temp
ereidi, poichè si trova che più e diversi di loro lo hanno assegnato ( al solito con qualche aggettivo di specificazione) a
o « Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli « La lionessa e i lioncini al varco : « E poi distese i dispietati artigli « Pr
rza soprannaturale, si trovò in un istante senza avvedersene in mezzo al mare, accolto dalle Divinità marine e trasformato
no le onde del mare. Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sentì trasumanato e sospint
ssionevoli per le altrui sventure. Perciò il Tasso fa dire da Erminia al pietoso pastore che piangeva al suo pianto : « o
e. Perciò il Tasso fa dire da Erminia al pietoso pastore che piangeva al suo pianto : « oh fortunato, « Che un tempo cono
26 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVII. Apollo considerato come Dio del Sole, degli Arcieri e della Medicina » pp. 92-103
o da dodici avvenenti ninfe piè-veloci, che intreccian carole intorno al suo carro ? I pittori e i poeti han fatto a gara
uite ai cavalli del Sole108). Le dodici Ninfe poi che danzano intorno al carro rappresentano le Ore del giorno ; le quali
oviamo ancora nella Basvilliana del Monti : « Era il tempo che sotto al procelloso « Aquario il Sol corregge ad Eto il mo
a a riposare da Teti, dea marina, in un palazzo di cristallo in fondo al mare. Come poi facesse per ritornar nella notte d
, perchè il mito o fatto mitologico che di lui si racconta è relativo al Sole. Fetonte, il cui nome di greca etimologia si
i trovò impegnato per fanciullesco puntiglio a dimostrare ad Epafo ed al mondo che egli era figlio di Apollo col guidar pe
iziosa sua madre Climene andò nella sublime reggia di Apollo e chiese al padre una grazia, prègandolo a giurare per le acq
lle spalle il pallio, ossia mantello alla greca, e in mano un bastone al quale era attortigliato un serpente, simbolo dell
Bartolomeo, dopochè Roma divenuta cristiana dedicò quel tempio pagano al culto di quest’apostolo. Idearono ancora i mitolo
alferma che neppure quello del Sole era si bello e ricco ; e che anzi al confronto parrebbe meschino e povero : « Non che
sereno ; « Lactea nomen habet, candore notabilis ipso. 116. Allude al lamento ed alla preghiera che si trova rettoricam
27 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXX. Stato delle anime dopo la morte, secondo la Mitologia » pp. 216-231
olpe in varii modi « Punite e travagliate : altre nell’aura « Sospese al vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre al fo
re nell’aura « Sospese al vento, altre nell’acqua immerse, « Ed altre al foco raffinate ed arse : « Chè quale è di ciascun
è di mill’anni « Han volto il giro, alfin son qui chiamate « Di Lete al fiume, e ’n quella riva fanno, « Qual tu vedi col
ui ne faremo una breve rassegna. La pena generale per tutti i dannati al Tartaro era quella di esser tormentati dalle Furi
ò una spalla di Pelope. Si aggiunge ancora che gli Dei resero la vita al figlio di Tantalo ricòmponendone le cotte membra,
a e cibo degli Dei immortali265), non poteva morire, nè perciò andare al Tartaro. Inoltre lo stesso poeta alla solita pena
i la prima sera del loro matrimonio. La sola Ipermestra salvò la vita al suo sposo Linceo ; e questi poi compì quanto avev
m dire intensità, non potendovi esser differenza alcuna relativamente al tempo, poichè nell’Inferno dei Cristiani son tutt
a tre persone, « In tre gironi è distinto e costrutto. « A Dio, a sè, al prossimo si puone « Far forza ; dico in loro ed i
ene diverse per qualità o intensità. Mirabile è poi in sommo grado, e al tempo stesso di tutta evidenza, l’argomentazione
movimento di rotazione continua ; e si fece così una felice allusione al continuo attinger dell’acqua, che era la pena del
28 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — X. Cerere dea delle biade e Proserpina sua figlia » pp. 48-54
ndo una vita errante e senza dimora fissa, mal potevano assoggettarsi al consorzio sociale e vincolarsi con leggi ; e che
a « Lasciata fuor d’ogni segnato calle ; « Fatto ch’ebbe alle guance, al petto, ai crini « E agli occhi danno, alfin svels
 La terra e ’l mare ; e poi che tutto il mondo « Cercò di sopra, andò al tartareo fondo53. » Cerere per altro non pensava
« E qual colui che si vengiò55 con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levor
con gli orsi « Vide ’l carro d’ Elia al dipartire, « Quando i cavalli al cielo erti levorsi, « Sì come nuvoletta, in su sa
Tracia (o di Tessaglia) aveva atterrato per dispregio una selva sacra al culto di Cerere ; e la Dea lo punì col farlo inva
sce l’aggettivo latino cereale, cioè appartenente a Cerere ; e si usa al plurale in forza di nome, dicendosi i cereali per
icar le biade o le granaglie. In astronomia il nome di Cerere fu dato al primo degli asteroidi (pianeti telescopici situat
o oblìo ; « Ma poichè ’l carro e i draghi non avea, « La gìa cercando al meglio che potea. » Un’infinità di esempii, simi
29 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VII. Saturno esule dal Cielo è accolto ospitalmente in Italia da Giano re del Lazio » pp. 31-38
el tempo che Saturno stette nel Lazio31, sebbene altri la riferiscano al regno di Saturno nel Cielo, e non all’esilio di l
leggi fisiche vadan sempre perdendo della loro efficacia ? E riguardo al morale, ognun sa che vi sono uomini e popoli più
erpente poi che mordendosi la coda forma un circolo, appella soltanto al tempo che è la continua successione dei momenti35
soro della Repubblica. Davasi, come si dà tuttora, il nome di Saturno al più distante dei pianeti visibili ad occhio nudo3
ve nel cielo fra gli Dei maggiori, ma destinato soltanto a presiedere al tempo. Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè
maggiori, ma destinato soltanto a presiedere al tempo. Fu gratissimo al suo ospite Giano, poichè prima di tutto insegnò a
del Lazio l’agricoltra, e li rese così più sicuri del loro nutrimento al cessare dell’età dell’oro ; e poi accordò a Giano
molti Ebrei (o come li chiamavano allora Giudei, perchè appartenenti al regno di Giuda), si erano trasferiti ad abitare e
Orazio, che comincia : Jamdudum ausculto, nella quale il poeta dice al suo servo : Age, libertate decembri (Quando ita m
30 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXVIII. Le regioni infernali » pp. 195-202
qualunque luogo od oggetto, che nella direzione dell’altezza trovisi al di sotto di un altro : equivale dunque soltanto a
istiana religione. Infatti i mitologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della su
ologi latini adoprano quest’aggettivo al plurale, e intendono regioni al di sotto della superficie della Terra, perchè sup
cipalmente due : una sotto il promontorio di Tenaro (ora capo Matapan al sud della Morea) ; e l’altra sulle sponde del lag
no le anime dei malvagi, e vegliar che i suoi ministri non mancassero al loro dovere di tormentare i dannati. Era questa a
ande di tutti gli altri, i quali, vanno gradatamente decrescendo fino al centro del nostro globo, nel qual punto termina l
conviene scendere in un modo straordinario e pericoloso per giungere al centro. Oltre i quattro fiumi dell’Inferno Pagano
la roccia scogli « Movien, che recidean gli argini e i fossi « Infino al pozzo, che i tronca e raccogli. » (Inf., xviii,
e : io ne citai le espressioni più chiare e precise nella Cosmografia al cap. xxiii. Quando si trova un gesuita tra i più
31 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IX. Vesta Dea del fuoco e le Vestali » pp. 44-47
r dare anche a questa un qualche ufficio fu inventato che presiedesse al fuoco, il quarto degli elementi del Caos ; e sicc
e che sostenevano il tetto o la vôlta. Se ne trova tuttora uno vicino al Tevere, e si crede situato quasi sul posto stesso
do, la più scrupolosa illibatezza delle Vestali che si erano dedicate al servizio della Dea della castità. Da queste due c
mente colle verghe dal Pontefice Massimo, e quella che avesse mancato al voto di castità era seppellita viva, in un campo,
ttoporsi o alla patria potestà degli agnati, o alla perpetua tutela e al predominio di un marito quanto si voglia illustre
cqua ed un lume, vi era chiusa ermeticamente e abbandonata senz’altro al suo orribile destino. — Questo modo però potrebbe
iama lui, perchè la morte cessa, » e in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assa
in tal modo Dante assomiglia sè al confessore e il dannato simoniaco al perfido assassino.
32 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIV. Il Dio Pane » pp. 264-269
i di lui, credo opportuno di presentarne il ritratto. È una eccezione al mio metodo, che mi par giustificata dall’ufficio
olo, e i solidi zoccoli caprini la stabilità della Terra. Risparmierò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggi
ò al cortese lettore altre simili spiegazioni ; e aggiungerò soltanto al ritratto del Dio Pane, che ho delineato in princi
el Purgatorio ; e, com’è suo stile di esser concisissimo e presentare al lettore più idee che parole, qui è più conciso ch
in soli due versi e mezzo, riunisce due miti, ed allude evidentemente al racconto che ne fa Ovidio nel lib. i delle Metamo
e familiari, esisteva sotto quel colle un antro consacrato da Evandro al Dio Pane. Dai Romani ebbe questo Dio anche il nom
doti riferiti nelle antiche storie, come per esempio, che il Dio Pane al tempo della battaglia di Maratona parlasse a Fidi
rive con lettere greche, perchè greca è l’origine di questo aggettivo al pari del nome Pan da cui deriva, e perchè quel ce
33 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cenni Preliminari » pp. 9-
ma doveva essere trascinata per forza all’altare, se sfuggiva di mano al conduttore, se schivava il colpo, e via discorren
n ferie (feriœ da ferire, colpire, immolar la vittima) i giorni sacri al riposo ed ai sacrifizj in onor degli Dei. Le feri
i scolari ec. VII. Flamini,4 sacerdoti istituiti da Numa, e destinati al culto di qualche deità in particolare. Prima furo
li che appo lui si rifugiavano, e di far grazia a quelli che, andando al supplizio, erano da lui incontrati per via. Egli
i trattati d’alleanza, nei banchetti, nei pasti giornalieri ec. Oltre al vino adoperavano nelle libazioni anche il latte,
ale spazio di tempo essendo chiamato lustrum (lustro) ha dato origine al vocabolo lustrazione. XI. Magia, fu l’ arte di f
ehe lo bagnava di sangue, lo fregava eon l’ aglio, gli faeeva portare al collo una filza di fichi, e non gli permetteva d’
iti da Numa. 4. Flamines u Filamines forse perchè purtavano avvultu al capo un filu di laua. Plutarco fa derivare questo
34 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVII. Gli Dei Dei Fiumi » pp. 285-289
presentarci ancora il ritratto del Dio Tevere, « ….. che già vecchio al volto « Sembrava. Avea di pioppo ombra d’intorno 
è è un’alta gloria di quel piccolo fiume l’aver fatto paura egli solo al tremendissimo Achille, che non aveva paura di alc
ero. Nel libro xxi dell’ Iliade (trad. del Monti) così parla il Xanto al Simoenta : « Caro germano, ad affrenar vien meco
, « Con tempesta piombò sopra il Pelide. « ………………… « Levò lo sguardo al Cielo il generoso « Ed urlò : Giove padre, adunqu
rodezze e dei vanti dei fiumi della Troade. 26. Tibullo ne dimanda al Nilo stesso : « Nile pater, quanam possum te dic
nelle sue Egloghe imitò Teocrito’ Siracusano, (e lo dice egli stesso al principio dell’ Egloga 6ª in questi due versi :
to o alla medesima persona. Il nome più antico è attribuito dal poeta al linguaggio degli Dei, e il più moderno a quello d
35 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXI. Minerva » pp. 132-137
io : « Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte « Armati ancora in mezzo al padre loro « Mirar le membra de’giganti sparte. »
avrebbe questo privilegio quel Nume che producesse una cosa più utile al genere umano. Gli altri Dei lasciarono libero il
rni, e perciò si chiamava il Quinquatruo 169. Questa Dea era venerata al par di Giove da tutti i popoli civili, o almeno n
a, lessicografo greco, scrive nel suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e al maschile ragno, e
el suo dizionario che la parola Aracne al femminile significa tela, e al maschile ragno, e Plinio asserisce che una donna
a significare l’olio 172. Dagli astronomi fu dato il nome di Pallade al secondo asteroide o pianeta telescopico, scoperto
ialetto meritò di divenire la lingua comune de popolo Italiano, e che al pregio della lingua seppe unire pur anco quello d
36 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIII. Cadmo » pp. 321-325
XLIII Cadmo Non appartiene Cadmo al novero dei Semidei, e neppur divenne un Indigete
e fu narrata così egregiamente da Ovidio, che sembrò mirabile, nonchè al Tasso, anche a Dante. Anzi Dante, convinto che ta
lio Nipote nelle sue Vite degli eccellenti capitani greci. Quanto poi al nome di Tebe, non si contrasta che Cadmo avesse i
buisce a Cadmo che portasse in Grecia le prime sedici lettere60. Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al d
edici lettere60. Sino al presente secolo non se ne dubitava, ed oltre al dirsi precisamente quali erano le sedici lettere
portate da Cadmo, si notavano ancora le quattro inventate da Palamede al tempo dell’assedio di Troia, e le altre quattro a
giunte da Simonide, mentre le altre furono attribuite a Cadmo ; tutt’ al più può essere una curiosità letteraria il sapere
37 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVI. Osservazioni generali sulle Apoteosi » pp. 490-492
dice che gli sacrificavano il cavallo per offrire una veloce vittima al celere Dio (ne detur celeri victima tarda Deo). D
dei prodotti della terra, e principalmente degli animali ; ed eccoci al Feticismo, che per antichità gareggia col Sabeism
abeismo, e fu principalmente professato dagli Egiziani, i quali anche al tempo di Mosè adoravano come loro Dio il bue Api,
pparente lor corso da Esseri soprannaturali che vi presiedevano. Così al feticismo, ossia all’ apoteosi degli oggetti mate
ne. Fu questo il ponte di passaggio dal culto materiale del feticismo al Panteismo mitologico, in cui si fece l’apoteosi d
adde allora nell’abiezione del feticismo, si tolse tutto il prestigio al culto degli altri Dei ; e gli uomini ragionevoli
38 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLI. Perseo » pp. 309-316
XLI Perseo Questo antichissimo Eroe apparteneva al novero dei Semidei, poichè fu creduto figlio di G
empre di cavalcatura a Perseo. Inoltre questo cavallo dando un calcio al terreno presso il monte Elicona nella Beozia, fec
col teschio di Medusa. I genitori che eran presenti diedero in premio al liberatore la figlia in isposa, e il regno per do
allo studio delle origini storiche, forma la necessaria introduzione al Corso della Storia Antica ; e quanto poi alla Let
la famiglia, « E chi a finestre e chi fuor nella via, « Tener levati al ciel gli occhi e le ciglia, « Come l’ecclisse o l
destrier, ma naturale, « Ch’una giumenta generò d’un Grifo : « Simile al padre avea la piuma e l’ale, « Li piedi anterïori
39 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIII. Osservazioni generali » pp. 260-263
Inferiori. Agli antichi Mitologi non bastò l’avere assegnato tre Dee al globo terrestre, come notammo nel N. VIII, ed anc
ori ai principali prodotti della Terra, cioè Cerere alle biade, Bacco al vino, Vulcano alla metallurgia, ecc. ; e lasciand
N. III ; e deve parer probabile che fossero aumentati da quell’epoca al tempo in cui scriveva S. Agostino, cioè in più di
degli Dei Pagani fosse anzi più che meno di trentamila8, e assicurati al tempo stesso che migliaia e migliaia di questi so
ù, che vi fate idolo ogni moneta d’oro e d’argento. » Stando soltanto al numero di 30 mila Dei dichiarato da Varrone, e mo
40 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVI. Le Ninfe » pp. 279-284
lla costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e che rifulge di sessantaqua
em qui Ninfe e nel Ciel semo stelle : « Pria che Beatrice discendesse al mondo. « Fummo ordinate a lei per sue ancelle. »
e Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra che ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunam
a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche
un regalo alle Ninfe che ebbero cura della sua infanzia, attribuendo al medesimo il mirabil prodigio di versar dalla sua
41 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXII. Marte » pp. 138-143
e e devoto dopo quello di Giove Ottimo Massimo, perchè i Romani oltre al credersi discendenti dai Troiani, tenevan per fer
All’opposto i Romani ne moltiplicarono le statue e le pitture, perchè al favore di questo Dio attribuivano le loro conquis
vano bellum, come se fosse una bella cosa, quale riuscì per loro sino al termine della repubblica e ai primi tempi dell’im
per morale condotta !179 In onore di Marte fu dato da Romolo il nome al mese di marzo che era in quel tempo il primo mese
dei votanti è variabile, si accorda nei casi di parità il doppio voto al Presidente. 174. « Jam qui magna verteret, Mav
42 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XV. Giunone regina degli Dei e Iride sua messaggiera » pp. 79-85
aquila e rendendolo immortale. Il nome di Ebe fu dato dagli astronomi al sesto pianeta telescopico che fu scoperto da Henc
luogo la figlia di Inaco, sospettò di qualche frode, e chiese in dono al marito quella giovenca, che Giove non potè negarl
ù eleganti, invece di Iride, trovasi anche Iri, che è voce più simile al nome greco e latino, e perciò preferita nel lingu
cinge « Mai non si scorge a sè stessa simile, « Ma in diversi colori al sol si tinge ; « Or d’accesi rubin sembra un moni
ad uno dei primi asteroidi scoperti in questo secolo, e precisamente al 3°, veduto per la prima volta da Harding il 1° se
43 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIX. La Dea Triforme cioè Luna in Cielo, Diana in Terra ed Ecate nell’Inferno » pp. 115-122
Dea della caccia ; e credevasi che accompagnata da 50 ninfe, le quali al par di lei avevan rinunziato a prender marito, pa
esenta come le vergini Tirie140, con veste corta che appena le giunge al ginocchio, i coturni sino alla metà della gamba,
Elice si cuopra, « Rotante col suo figlio ond’ella è vaga ; » ecc. E al nome di Orsa maggiore preferì quello del Carro ne
scosta mai da quel posto. Una più terribile punizione inflisse Diana al cacciatore Atteone, il quale essendo penetrato in
t. ii) Ovidio chiama pigra la Costellezione di Boote, perchè è vicina al polo, « …..dove le stelle son più tarde, « Sicco
44 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIV. Vulcano e i Ciclopi » pp. 152-160
rabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantas
i i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli
telletto e delle care « Arti insegnate dai Celesti il senno. « Queste al fianco del Dio spedite e snelle « Camminavano. »
antico formare automi maravigliosi, dalla colomba volante di Archita al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Om
i tolse : « Maraviglia a vederli ! » (Iliade, xviii.) Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risveg
45 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXXII. Gli Oracoli » pp. 242-252
. Demostene in una delle sue celeberrime Orazioni disse pubblicamente al popolo di Atene, che la Pizia filippeggiava, vale
asta e benigna per uno scopo altamente sociale, e che essendo diretti al pubblico bene furono utilissimi, e divennero, com
rono la loro santa impostura 291), e ben si guardavano dallo svelarne al popolo l’artifizio e screditarla. Ma però…… e qui
e al popolo l’artifizio e screditarla. Ma però…… e qui cedo la parola al Machiavelli, « come costoro cominciarono dipoi a
usti chiama santa impostura l’artifizio di Numa nel dare ad intendere al popolo romano che le sue prescrizioni religiose e
46 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — IV. Una Divinità più potente di Giove » pp. 20-24
aveva detto con non minore eloquenza : « Color che ragionando andaro al fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Pe
fondo, « S’accorser d’esta innata libertate, « Però moralità lasciaro al mondo. « Onde pognam che di necessitate « Surga o
ossia decretato irrevocabilmente ; e in senso filosofico corrisponde al Verbum dei Latini, e al Logos dei Greci. Nella Mi
abilmente ; e in senso filosofico corrisponde al Verbum dei Latini, e al Logos dei Greci. Nella Mitologia greca per altro
47 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXVIII. Gli Dei Penati e gli Dei Lari » pp. 290-294
proprio ufficio attribuito dai Pagani agli Dei Penati. Anzi ne deriva al tempo stesso la spiegazione come avvenga che talv
sua parola che l’etimologia di quel termine fosse latina, e alludesse al vital nutrimento degli uomini dai Penati protetti
di l’espressione rituale dei politeisti i sacri penetrali corrisponde al sancta sanctorum dei monoteisti ; quindi il comun
i comuni ed i privati vantaggi della social convivenza. Perciò, oltre al distinguer gli Dei Penati dagli Dei Lari, e decid
48 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XI. Giove re del Cielo » pp. 55-59
sso, che il poeta sovrano fa così favellare agli altri Dei : « D’oro al cielo appendete una catena, « E tutti a questa v’
ad. del Monti.) Questa invenzione dell’aurea catena che lega la Terra al Cielo è sempre sembrata sì bella e sapiente, che
zioni dei documenti storici delle chiese e di altre fabbriche addette al culto, ma pur anco ne’ monumenti e nelle epigrafi
li pende dall’arbitrio di esso Giove, ed essi vogliono Giove soggetto al Fato. Si fatta Autorità divina portò di seguito l
49 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XVI. La dea Latona » pp. 86-91
ve e di Latona, il Sole e la Luna esistevano da gran tempo ; e quanto al Sole accennai che era regolato da un Titano di no
’Empireo, esclama : « O Elios, che sì gli addobbi !98) » Quanto poi al globo lunare sappiamo che la Dea che lo dirigeva
e legumi. In Francia e in Svizzera ve n’erano una volta molte più che al presente. Anche in Italia se ne vedono alcune in
o secolo, e precisamente nel 1831, formossi per sollevamento nel mare al sud-ovest della Sicilia un’isoletta che fu chiama
50 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXIX. Eolo e i Venti » pp. 295-
la Troade e l’Ionia, e detta più anticamente la Misia, ma corrisponde al gruppo delle isole chiamate ancora oggidì Eolie,
, e d’armonie risuona ; « Poi, caduta sull’isola la notte, « Chiudono al sonno le bramose ciglia « In traforati e attappez
., Ma Plinio il Naturalista afferma che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro
a che l’Argeste greco corrispondeva al Cauro o Coro dei Latini, ossia al ponente-maestro (nord-ovest). Gli Antichi non con
51 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXIX. Di alcune Divinità più proprie del culto romano » pp. 500-505
iderato come il portiere delle celeste reggia. Da questo giorno, come al presente, incominciava l’anno civile sin dal temp
dell’annuo ufficio, e tutto il popolo vestito a festa li accompagnava al Campidoglio per assistere ai riti religiosi. E po
sus, perchè dopo i riti solenni religiosi e civili ciascuno attendeva al proprio ufficio, o professione nelle altre ore de
quantunque avesse un tempio in Roma, da prima nel Campidoglio, e poi, al tempo delle guerre di Pirro, presso il Circo Mass
52 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VI. Il regno, la prigionia e l’eŚilio di Saturno » pp. 28-30
sso, li mandò nascostamente nell’isola di Creta, e diede ad intendere al marito di aver partorito una pietra che gli fece
telli i regni del Mare e dell’ Inferno. Saturno invece di esser grato al figlio e di contentarsi del secondo rango nel Cie
osti i vocaboli Cronaca, Cronologia, Cronometro, ecc., tutti relativi al tempo. 22. Il Monti fa dire ad Aristodemo, nell
53 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXXI. Decadenza e fine del Politeismo greco e romano. Primordii e progressi del Cristianesimo. » pp. 511-
igliate fantasie dei greci poeti e dei greci sacerdoti. I Romani sino al termine della seconda guerra punica furono i puri
elle Imperatrici, parve, com’ era veramente, prostituita la religione al potere politico e negata l’esistenza stessa degli
e esser dovessero le massime che essa insegnava. Perciò Dante fa dire al poeta Stazio nel C. xxii del Purgatorio, relativa
54 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLII. Bellerofonte » pp. 317-320
ente finì Bellerofonte i suoi giorni. Il Pegaso continuò il volo sino al Firmamento, ove fu cangiato nella costellazione c
onarola ed imprudentemente accettata dai suoi fautori, riuscì funesta al Savonarola stesso. Il duello che usa tuttora è un
mmirazione e del diletto, il disgusto e il ridicolo, come dice Orazio al principio dell’Arte Poetica : « Humano capiti ce
55 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Introduzione » pp. 6-9
le alla assimilazione, ma talvolta ancora ostico, o almeno poco soave al gusto. Possono perciò riuscire utili soltanto a c
peregrina e non necessaria erudizione antica, possa riuscire accetto al maggior numero dei lettori. In compenso delle più
Belle, ma altresì a chiunque non ami di apparir rozzo ed insensibile al bello artistico, che tanti stranieri richiama dal
56 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XLIV. La caccia del cinghiale di Calidonia » pp. 326-330
e Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. La favola si riferisce al destino della vita di Meleagro. Raccontano i Mito
 » E Virgilio a lui : « Se t’ammentassi come Meleagro « Si consumò al consumar d’un tizzo « Non fora, disse, questo a t
altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico : « E se pensassi come al vostro guizzo « Guizza dentro allo specchio vostr
57 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XXIII. Venère, Cupido e le Grazie » pp. 144-151
poi vi aggiunsero che per voler di Giove suo padre fu data in moglie al più brutto, e che per di più era zoppo e tutto af
gli obblighi del matrimonio, catene, d’oro ma catene per sempre. Sino al secolo passato non celebravasi un matrimonio tra
: il fiore a lei sacro era la rosa, l’albero il mirto. Si aggiogavano al carro di Venere le colombe, perchè sono affettuos
58 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Avvertimento. » pp. 1-2
istra le dimande più opportune, e risparmia le ripetizioni, additando al lettore con un semplice numerò tra due () i parti
ndo che la pura traduzione di esso non avrebbe pienamente soddisfatto al bisogno dei primi studj letterarj, abbiamo accres
59 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVIII. Apoteosi degl’Imperatori Romani » pp. 497-499
mperatori e delle Imperatrici era divenuto un vile atto di adulazione al potere assoluto e dispotico del supremo imperante
, di quadri e di statue : ivi deponevasi il feretro. Dentro e intorno al rogo spargevansi incensi ed aromi preziosi in gra
60 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte IV. Le Apoteòsi — LXVII. L’Apoteosi delle Virtù e dei Vizii » pp. 493-496
lla più felice conservazione dello Stato. Anche alla Dea Mente, ossia al Senno, fu eretto un tempio dopo la infelice batta
e appartiensi ai professori gnostici ed estetici di Belle Arti, e non al Mitologo, poichè miti speciali non vi sono in que
61 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIII. Difetti e vizii del Dio Giove » pp. 69-72
arsi invidiabilmente felici i sapienti cultori di quelle ! Quanto poi al vaso di Pandora, onde, uscirono tutti i mali di q
i85). Se Giove in questo mito, sì riguardo a Prometeo che a Pandora e al genere umano, non fa la più bella figura, come ab
62 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte III. Semidei, indigeti ed eroi — XL. Osservazioni generali » pp. 304-308
ni generali, e mi obblighino invece di aggiunger soltanto spiegazioni al racconto dei molteplici fatti particolari che più
van Battista Vico : « Tutti gliStorici, egli dice, danno il principio al Secolo eroico coi corseggi di Minosse e con la sp
63 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — VIII. Tre Divinità rappresentanti la Terra, cioè Vesta Prisca, Cibele e Tellùre » pp. 39-43
fisiche della materia terrestre. Questa triplice distinzione richiama al pensiero l’ipotesi dei geologi e degli astronomi
is excepimus), implet enim superstitione animos et exhaurit domos. Ma al solito non dice il motivo dell’eccezional privile
64 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — III. Classazione generale delle Divinità pagane e Genealogia degli Dei superiori » pp. 15-19
re, Giunone, Giove, Nettuno e Plutone. Giove sposò Giunone elevandola al grado di regina del Cielo, ed ebbe da essa Marte,
ati, a preghiera dell’ astronomo scopritore, propone il nome da darsi al neo-scoperto pianeta ; il qual nome è subito comu
65 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — XIV. Il Diluvio di Deucalione » pp. 73-78
che e roccie metamorfiche 89). Per lo scopo nostro, cioè in relazione al diluvio, basta il parlare delle roccie acquee per
86. Anche Dante chiama la terra madre comune ; e questa espressione è al tempo stesso mitologica, biblica e filosofica. Mi
66 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Cronologia Mitologica. » pp. 387-393
redesi il Nemrod della Sacra Scrittura, fiori, secondo altri, intorno al 2640. 159. Altri assegna il 2180 allo stabilimen
. Altri assegna alla caduta di Troia l’epoca del 1210-1209 ; e quindi al 1207 l’arrivo d’Enea in Italia. 163. Altri pone
67 (1874) La mitologia greca e romana. Volume II « Parte II. Degli dei inferiori o terrestri — XXXV. I Satiri ed altre Divinità campestri » pp. 270-278
etto « Per mensola talvolta una figura « Si vede giunger le ginocchia al petto, « La qual fa del non ver vera rancura « Na
, dai moderni Romani dopo 2628 anni. Il nome di Vertunno, che davasi al Dio delle stagioni e della maturità dei frutti, c
68 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) « Indice alfabettico. » pp. -424
. Chirone, celebre Centauro, 100, 430, 536. Ciane, Ninfa che s’oppose al ratto di Proserpina, 53. Cibele. Sua nascita, 26 
del Rame ; — del Ferro, 34. Eteocle, figlio di Edipo, usurpa il trono al fratello ec., 505 ; — guerra di Tebe, 506 ; — mor
69 (1861) Corso di mitologia, o, Storia delle divinità e degli eroi del paganesimo: Per la spiegazione dei classici e dei monumenti di belle arti (3e éd.) «  Avviso. per questa terza edizione.  » pp. -
o di Mitologia dei Signori Nöel e Chapsal, ci ha confortati a mettere al la luce questa terza edizione, che abbiamo cercat
70 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — I. La Cosmogonia mitologica » p. 10
ti, a guisa degli eretici del Medio Evo, coloro che osassero spiegare al popolo la dottrina segreta. Alcuni moderni autori
71 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Avvertenza » pp. -
va Antologia. Anzi fu il Tommaséo stesso che mi suggeri di aggiungere al semplice titolo di Mitologia Greca e Romana, tutt
72 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — Epilogo » pp. 253-254
i versi strani. » I loro filosofi per altro furono i primi a ridurle al . loro più vero significato, sceverandole dalle fa
73 (1874) La mitologia greca e romana. Volume I « Parte I. Delle divinità superiori o di prim’ ordine — II. Il Caos e i quattro elementi » pp. 11-14
Dei foss’egli stato (quisquis fuit ille deorum) ; e nei Fasti fa dire al dio Giano che gli antichi lo chiamavano il Caos,
74 (1895) The youth’s dictionary of mythology for boys and girls
o could divert people from evil-doing. Axe, see Dædalus. B Ba′ al [Baal], a god of the Phœnicians. Ba′al-Pe′or [Ba
75 (1810) Arabesques mythologiques, ou les Attributs de toutes les divinités de la fable. Tome II
peranza in dio sicura S’alzar volando alle celesti spere Come va foco al ciel per sua natura45. La Gerusalemme Liberata
76 (1832) A catechism of mythology
arly romances of chivalry, first arose. It may also be observed, that al the historians, after having represented the drui
77 (1855) The Age of Fable; or, Stories of Gods and Heroes
Druids taught the existence of one god, to whom they gave a name “Be’ al ,” which Celtic antiquaries tell us means “the lif
/ 77