XXIV
Vulcano e i Ciclopi
Tutti i poeti si accordano a rappresentar Vulcano deforme e zoppo : differiscono solo nel raccontar la causa di questi difetti della sua forma corporea, che certamente debbono apparire strani e irrazionali ed anche impossibili in una▶ Divinità, e tanto più in un figlio di Giove e di Giunone. Ma poichè ammettevasi nella classica Mitologia ◀una▶ Divinità più potente di Giove, il Fato, agli inesorabili decreti del quale eran sottoposti tutti gli Dei, attribuivansi al Fato tutte le irregolarità inventate dalla fantasia dei mitologi e dei poeti. Esiodo ci dice che Vulcano nacque zoppo e deforme, che dalla stessa Giunone sua madre fu gettato giù dall’Olimpo nel mare, e pietosamente raccolto ed allevato da due Dee marine Teti ed Eurinome. Ma Omero fa raccontare a Vulcano stesso che il trattamento brutale di esser precipitato dal Cielo in Terra (per la qual caduta divenne zoppo) lo ricevè essendo già adulto, e non da Giunone, ma da Giove, poichè il poeta così introduce Vulcano a parlar colla madre :
« …….Duro egli è troppo« Cozzar con Giove. Altra fiata, il sai,« Volli in tuo scampo venturarmi. Il crudo« Afferrommi d’un piede, e mi scagliò« Dalle soglie celesti. Un giorno intero« Rovinai per l’immenso, e rifinito« In Lenno caddi col cader del Sole,« Dalli Sintii raccolto a me pietosi. »
Ma o prima o poi che l’infortunio accadesse, anche Omero chiama Vulcano l’inclito zoppo, e come zoppo Vulcano è conosciuto questo Nume anche dal nostro volgo ; e la fama dei suoi esterni difetti, benchè a lui non imputabili, si è maggiormente diffusa (come accade pur troppo nel mondo) ed è stata più durevole di quella dei suoi rarissimi pregi nella Metallurgia. A Vulcano infatti attribuivansi i più mirabili lavori in metallo, dal carro e dalla reggia del Sole al cinto di Venere ; e Omero aggiunge che tutti gli Dei possedevan palagi
« ……che fabbricati« A ciascheduno avea con ammirando« Artifizio Vulcan l’inclito zoppo.
Questo Dio è rappresentato in pittura e in scultura come un uomo robusto e con folta barba, ma non però tanto brutto quanto dicono i poeti ; e il difetto di essere zoppo da un piede è appena accennato. E per farne distinguere gli ufficii, gli pongono in mano un martello e presso a lui un’incudine, e qualcuno dei suoi più celebri lavori di metallo.
Molti sono i lavori di questo Dio, descritti e celebrati dai poeti ; e di alcuni avremo occasione di parlare in appresso nel ragionar di quei personaggi per cui furono eseguiti : qui basterà soltanto accennarne due, cioè gli automi ed i fulmini.
Chi ha veduto qualche automa in azione189, o almeno conosce storicamente il meccanismo e gli effetti maravigliosi di queste macchine ingegnosissime, che sotto forme di uomini o di animali eseguiscono lavori e operazioni proprie soltanto degli esseri animati (e quel che è più, mirabile anche delle persone che ragionano ed hanno studiato ◀una▶ scienza o un’arte), non troverà tanto strano il racconto di Omero, che Vulcano avesse congegnate
« …….forme e figure« Di vaghe ancelle tutte d’oro, e a vive« Giovinette simili, entro il cui seno« Avea messo il gran fabbro e voce e vita« E vigor d’intelletto e delle care« Arti insegnate dai Celesti il senno.« Queste al fianco del Dio spedite e snelle« Camminavano. »
Tranne l’infonder la vera vita e l’intelligenza alla materia bruta (privilegio non accordato all’arte umana), hanno saputo i meccanici fino ab antico formare automi maravigliosi, dalla colomba volante di Archita al giuocator di scacchi del barone di Kempelen. E Omero narrandoci che quelle ancelle di Vulcano, veramente auree (perchè tutte d’oro) erano simili a vive giovinette, viene a significare che eran veri e proprii automi. Dei quali i primi tentativi dovevan risalire ai tempi di Omero, se soltanto 500 anni dopo di esso, fu così abile Archita, come si racconta, da costruire ◀una▶ colomba volante.
Altri automi più semplici, e non di umana forma, ma non meno mirabili, descrive Omero come fatti da Vulcano :
« ……..Avea per mano« Dieci tripodi e dieci, adornamento« Di palagio regal. Sopposte a tutti« D’oro avea le rotelle, onde ne gisse« Da sè ciascuno all’assemblea de’Numi,« E da sè ne tornasse onde si tolse :« Maraviglia a vederli ! »
Nel medio evo, al risorger delle lettere e delle scienze, si risvegliò ancora la manìa di costruire automi ; e sappiamo che Alberto Magno fece un bellissimo androide che apriva la porta di casa a chi battesse a quella, e quando le persone entravano le salutava.
Nei secoli successivi furono celebri la mosca e l’aquila volante di Regiomontano, diversi automi di Leonardo da Vinci, e specialmente il famoso leone, di cui parla anche il Vasari, le teste parlanti dell’abate Mical, il suonator di flauto di Vaucanson e l’anitra del medesimo, la quale nuotava, mangiava e digeriva ; e nel presente secolo, oltre il giuocatore di scacchi rammentato di sopra, anche il calcolatore aritmetico di Babbage. Ma questi sforzi della meccanica consumano molti anni e molti danari di persone ingegnosissime senza ◀una▶ pratica utilità ; pochi istanti di maraviglia, ecco tutto il fine e l’effetto ! Perciò in oggi si stimano, e sono veramente più utili gli automi che lavorano più e meglio degli uomini e risparmiano loro la fatica materiale e meccanica, come fanno le macchine da filare, da tessere, da cucire, ecc. Inoltre per bellezza e comodo si moltiplicheranno sempre gli orologi ; e si può asserire che anche i girarrosti a macchina son più utili degli automi di animali nuotanti e volanti, e degli androidi che non sanno far altro che suonare e giuocare.
Parlando poi della formazione dei fulmini, dei quali gli Antichi attribuirono la costruzione meccanica a Vulcano, tanto i mitologi quanto i poeti dissero più spropositi che parole, perchè non avevano veruna idea del fluido elettrico, di questa misteriosa e tremenda forza invisibile e imponderabile della Natura, di cui la scienza è giunta in questo secolo a sapersi valere per eseguir lavori di precisione matematica e per trasmettere i concetti e i desiderii degli uomini anche agli antipodi colla velocità del lampo. Sentiamo dunque su questo proposito ciò che ne scriveva il poeta Virgilio,
« Che visse a Roma sotto il buono Augusto, »
e che Dante chiama suo maestro
« E quel savio gentil che tutto seppe. »
Nel libro viii dell’Eneide descrive prima la fucina di Vulcano coi Ciclopi suoi garzoni che lo aiutavano a fabbricare i fulmini ; e quindi enumera gli elementi o materie prime di cui li componevano :
« …….Stavan nell’antro allora« Sterope e Bronte e Piracmone ignudi« A rinfrescar l’aspre saette a Giove.« Parte abbozzata, con tre raggi attorti« Di grandinoso nembo, tre di nube« Pregna di pioggia, tre d’acceso foco,« E tre di vento impetuoso e fiero.« I tuoni vi aggiungevano e i baleni« E di fiamme e di furia e di spavento« Un cotal misto190. »
Si vede bene che Virgilio enumera poeticamente i fenomeni fisici che accompagnano lo scoppio del fulmine ; ma non spiega in che consista il fulmine stesso, perchè nè egli, nè Dante, nè alcun dotto dell’antichità o del medio evo poteva saperlo. Avevano sì gli antichi osservato l’elettricità che si sviluppa collo strofinamento dell’ambra (dal cui greco nome di electron fu appunto denominato questo fenomeno e l’elettricità stessa), ma si fermarono per secoli e secoli a questa prima osservazione, e non andaron più oltre191, lasciando ai moderni, e specialmente agli italiani, (Galvani e Volta), la gloria delle più grandi scoperte e delle più utili applicazioni della elettricità 192. Così la scienza moderna mandò in dileguo le fantasmagorie della immaginazione e della superstizione, e rivelò le mirabili verità delle grandi leggi della Natura.
Conosciute e spiegate le favole, consideriamo l’allegoria contenuta nell’invenzione di questo Dio e de’suoi attributi. Di che era simbolo Vulcano ? Evidentemente del fuoco, senza del quale sarebbe impossibile eseguire i lavori di metallurgia. Il nome stesso latino di Vulcanus, che secondo Servio è un’abbreviazione di volicanus, s’intende che voglia significare l’agitarsi e quasi lo svolazzar della fiamma. Infatti è generalmente dagli Antichi venerato Vulcano come Dio del fuoco193 e del fabbrile ingegno. Il nome di Efesto che gli davano i Greci non fu adottato dai poeti latini, nè dagl’italiani ; ma il termine di Vulcano è usato figuratamente anche in prosa in ambedue queste lingue. Nelle scienze fisiche chiamansi Vulcani i monti che gettano fiamme, fumo, lava infocata, ceneri, lapilli, ecc., e vulcaniche queste eruzioni, e vulcaniche le materie eruttate. Anche i geologi seguaci della scuola di Hutton194, che spiegavano, coll’ammettere l’esistenza del fuoco centrale, la formazione della maggior parte delle roccie del nostro globo, furon chiamati Vulcanisti ; e Vulcanismo dicesi ancora questo sistema di geologia, e Vulcanologia la storia e la teoria dei Vulcani.
Aveva Vulcano anche un altro nome in latino. Si chiamava Mulciber (a mulcendo ferro) dall’ammollire il ferro ; e perciò potrebbe tradursi a parola il fonditore ; ma il vero fonditore è il fuoco, e non l’artefice che fa le forme e vi versa il metallo fuso e liquefatto dal fuoco.
Gli si dava anche il titolo di Lemnio, derivato dall’isola di Lemno, dove cadde dal Cielo e fu amorevolmente raccolto e venerato qual Dio. Lemno era un’isola vulcanica : ecco perchè per l’appunto la favola fa cadere e adorare Vulcano in quest’isola ; e per lo stesso motivo pone le sue fucine sotto il monte Etna ed altri monti vulcanici : e quindi aggiunge che le eruzioni vulcaniche son le fiamme e le scorie di queste fucine metallurgiche, e i crateri sono i camini delle medesime. Questo si chiama esser logici nel portare l’errore sino alle ultime conseguenze !
Chi si ricorda che anche Vesta giovane era considerata come Dea del fuoco, non si dovrà maravigliare che due Divinità fossero assegnate dai mitologi a questo elemento, quando pur si rammenti che avevan fatto presiedere alla Terra tre Dee, come notammo nel N° VIII, e trovammo che ciascuna aveva speciali attributi per distinguersi dall’altra. Così distinguevano ancora il fuoco celeste dal fuoco terrestre : a quello facean presieder Vesta, e a questo Vulcano. Erravano però nel credere che il fuoco che essi chiamavan celeste fosse di natura diversa da quello terrestre, non sapendo essi che risulta egualmente da combustione o ignizione di materie più o meno infiammabili ; e soltanto gli astronomi moderni colle loro analisi spettroscopiche hanno dimostrato sinora, che nel Sole si trovano in ignizione la maggior parte delle sostanze del nostro globo ; e che le stelle non sono che altrettanti Soli generalmente molto più grandi del nostro, ma composte presso a poco degli stessi elementi. Quanto poi a quel che gli Antichi chiamavan fuoco del fulmine (ignea vis), chi non sa che si forma nell’atmosfera della nostra Terra e con elementi che provengon da questa ? e che noi possiamo riprodurre a nostro beneplacito i fenomeni del lampo e del fulmine, benchè in piccole proporzioni, colla macchina elettrica ?
Passando ora a parlare dei Ciclopi, dei quali si è fatto un sol cenno col dire che tre di essi, cioè Bronte, Sterope e Piracmone aiutavano Vulcano a fabbricare i fulmini a Giove, noteremo prima di tutto l’etimologia del loro nome, che è composto di due parole greche ciclos (circolo) e ops (occhio), per indicare la straordinaria particolarità a loro attribuita di aver cioè un sol occhio circolare
« Di targa e di Febea lampade in guisa« Sotto la torva fronte, »
come dice Virgilio. Aggiungasi che erano di gigantesca corporatura e di forze corrispondenti alla medesima. La loro stirpe era quella stessa dei Titani, poichè credevasi che fossero figli del Cielo e della Terra, ossia di Urano e di Vesta Prisca. Uno soltanto di essi era figlio di Nettuno e della ninfa Toosa, e questi chiamavasi Polifemo (il qual greco vocabolo significa celeberrimo) ed era considerato come il re di tutti gli altri, i quali furono pochi più di cento, ma tutti feroci ed antropofagi. Abitavano in un’isola, secondo Omero, vicina alla Sicilia, e secondo altri poeti, nella Sicilia stessa. A spiegar la favola dell’unico occhio fu detto che i Ciclopi eran soliti di portare in guerra ◀una▶ visiera con un sol foro circolare in direzione degli occhi, uso inventato dai tre aiutanti di Vulcano per ripararsi la faccia nel lavorare i metalli incandescenti.
Dal nome dei Ciclopi son derivate alcune denominazioni in Archeologia e in Zoologia. Gli archeologi chiamano ciclopiche quelle antichissime costruzioni composte di grandi massi o macigni talvolta irregolari, ma spesso ancora tagliati a poliedri regolari, e notabili inoltre per l’assenza di qualunque cemento : la loro pesante mole ne rende sicura la stabilità, e fece attribuire tali costruzioni alla gigantesca forza dei Ciclopi. Se ne trovano principalmente in Grecia e in Italia ; e le più antiche sono per lo più attribuite ai Pelasgi.
In Zoologia si dà il nome di Ciclopi a un genere di Crostacei, secondo Müller, dell’ordine dei Branchiopodi, e della famiglia dei Monocoli per questa loro caratteristica di avere un sol occhio. Se ne trovano generalmente nelle acque dolci e stagnanti, e in maggiore abbondanza nelle vicinanze di, Parigi, in Svizzera e in molte parti d’Italia.