XLIV
La caccia del cinghiale di▶ Calidonia
È questa la prima impresa dei tempi eroici in cui si trovino riuniti molti celebri eroi, e che serve perciò, in mancanza ◀di▶ altri dati cronologici, a stabilire almeno che quegli eroi erano contemporanei. Sebbene i Mitologi la considerino un’impresa secondaria (ed è tale se riguardisi soltanto lo scopo ◀di▶ uccidere una belva feroce), e perciò ne parlino soltanto incidentalmente, è per altro ◀di▶ somma importanza per la cronologia degli Eroi, dimostrando essa che furon contemporanei coloro che vi presero parte.
Calidone o Calidonia era la capitale dell’Etolia a tempo del re Oeneo, circa un secolo prima della guerra ◀di▶ Troia. Questo re nel fare un sacrifizio agli Dei in ringraziamento per le buone raccolte ottenute, erasi dimenticato ◀di▶ Diana ; ed essa lo punì mandando un mostruoso cinghiale a devastare lo stato ◀di▶ lui. Non molto lungi dalla città v’era la folta selva Calidonia, da cui usciva il cinghiale per devastare ed uccidere, ed ivi tornava ad imboscarsi ; ed era impresa pericolosissima l’andare ad assaltarlo là dentro. Perciò il re invitò tutti i più coraggiosi e prodi giovani della Grecia a prender parte a questa caccia, e ne fe’capo il suo figlio Meleagro. Accorsero all’invito i più distinti eroi che vivessero in quel tempo : alcuni dei quali divennero anche più celebri in appresso per altre più importanti e mirabili imprese, come Giasone che fu poi duce degli Argonauti, Teseo vincitore del Minotauro, Piritoo suo fidissimo amico, Castore e Polluce gemelli affettuosissimi, che poi divennero la costellazione dei Gemini, l’indovino Anfiarao che fu uno dei sette prodi alla guerra ◀di▶ Tebe, Nestore ancora nella sua prima gioventù, Peleo che fu poi padre ◀di▶ Achille, Telamone padre ◀di▶ Aiace e Laerte ◀di▶ Ulisse ; dei quali tutti dovremo parlare anche in appresso. Degli altri eroi intervenuti a questa caccia, dei quali non si conoscono fatti più celebri ◀di▶ questo, ne diremo qui brevemente quanto è necessario a sapersi.
I più notabili erano : Meleagro figlio del re Oeneo e duce ◀di▶ quella eletta schiera, i suoi zii Plessippo e Tosseo, fratelli ◀di▶ Altea sua madre, e la sua fidanzata Atalanta valentissima cacciatrice. Infatti fu dessa la prima a ferire, benchè leggermente, il cinghiale, dopo che questa fiera aveva già fatto strage ◀di▶ tre o quattro cacciatori e ◀di▶ molti cani. I cacciatori che vi rimasero uccisi dalla fiera non hanno altra celebrità che quella acquistata con questa trista fine ; ma, come dice un moderno poeta :
« Trar l’immortalità dalla sua morte« È una sorte meschina, o non è sorte. »
Dopo altre vicende che poco importa narrare, finalmente ebbe Meleagro la gloria ◀di▶ atterrare quell’immane belva ; e il diritto che egli avea ◀di▶ prender per sè il teschio e la pelle del cinghiale lo cedè ad Atalanta. Ciò dispiacque ai suoi zii, mal tollerando che una donna con tal distintivo ◀di▶ onore potesse vantarsi ◀di▶ essere stata più valente degli uomini ; e volevano toglierle quell’insigne trofeo62. Di che Meleagro irritato, e dalle parole venendo ai fatti, li uccise ambedue. Fin qui il racconto potrebbe parer vera storia, toltane l’esagerazione della prodigiosa forza e ferocia del mostruoso cinghiale. Ma la scena termina con una favola ◀di▶ nuovo genere, invenzione che Dante stesso rammenta nella Divina Commedia. La favola si riferisce al destino della vita ◀di▶ Meleagro.
Raccontano i Mitologi ed i poeti, e più estesamente ◀di▶ tutti Ovidio
nelle Metamorfosi, che quando nacque Meleagro, le Parche comparvero
nella stanza ove Altea partorì, e, gettato nel fuoco un ramo d’albero, dissero :
« tanto vivrai, o neonato, quanto durerà questo legno ; »
e subito dopo
disparvero63. La madre, che non si sa per qual
privilegio o
grazia speciale potè vederle e udirle, corse a
levar dal fuoco quel tizzo che già ardeva dall’ un de’ capi, lo spense e lo chiuse fra
le cose più care e più preziose. Ma quando seppe che Meleagro aveva ucciso gli zii,
all’amor materno cominciò a prevalere la pietà dei fratelli uccisi e l’orrore per la
scelleraggine del figlio ; e dopo molti e strazianti contrasti vinse finalmente l’ira, e
preso il fatal ramo lo gettò tra le fiamme. Meleagro assente cominciò subito a sentirsi
consumar le viscere da un fuoco interno inestinguibile. Se la madre avesse potuto veder
quegli spasimi atroci, ne sarebbe rimasta impietosita e avrebbe cercato ◀di▶ porvi
rimedio ; chè ella sola il poteva. Quelli che gli apprestavano i suoi affettuosi
compagni furono affatto inutili, e la vita del misero Meleagro si estinse allo spengersi
dell’ ultima scintilla del tizzo fatale. Quando lo seppe la madre, agitata dal rimorso e
divenuta folle per disperato dolore si diede la morte ; il padre ne rimase affranto e
istupidito e poco sopravvisse ; e le sorelle (tranne Deianira che era
già moglie ◀di▶ Ercole), furon cangiate in uccelli detti Meleàgridi,
nome che da alcuni Ornitologi si dà tuttora alle galline affricane (Numida
Meleagris).
Ho detto ◀di▶ sopra che Danterammenta nella Divina Commedia la trista fine ◀di▶ Meleagro ; ed eccomi ad accennare in quale occasione. Dopo aver narrato che i golosi son puniti nel Purgatorio con una fame canina resa più acuta dal vedersi dinanzi agli occhi, come Tantalo nell’ Inferno pagano, i pomi e l’acqua senza poterne gustare ; il qual tormento rendeva talmente magre e scarne quelle anime, che
« Negli occhi era ciascuna oscura e cava,« Pallida nella faccia e tanto scema« Che dall’ossa la pelle s’informava,
cominciò a pensare
« Alla cagione ancor non manifesta
e non potendo trovarla da sè, finalmente, fattosi coraggio, domandò a Virgilio :
« ……Come si può far magro
E Virgilio a lui :
« Se t’ammentassi come Meleagro« Si consumò al consumar d’un tizzo« Non fora, disse, questo a te sì agro. »
Ma accorgendosi Virgilio che con questo esempio pretendeva ◀di▶ spiegare un mistero con un altro mistero, citò ancora un fenomeno fisico :
« E se pensassi come al vostro guizzo« Guizza dentro allo specchio vostra image,« Ciò che par duro ti parrebbe vizzo. »
E per quanto anche il poeta Stazio, a richiesta ◀di▶ Virgilio, gli desse bellissime spiegazioni scientifiche sulla generazione dell’uomo, sull’unione dell’anima col corpo e lo stato ◀di▶ essa dopo la morte, nulladimeno non sembra che Dante rimanesse tanto convinto quanto altra volta che Virgilio gli disse :
« A sofferir tormenti e caldi e geli« Simili corpi la Virtù dispone« Che come sia non vuol che a noi si sveli. »
E così con esempii mitologici, cattolici e scientifici viene a far conoscere che spesso s’incontrano nelle umane cognizioni misteri inesplicabili.