LXX
Delle Divinità straniere adorate dai Romani
Se per divinità straniere adorate dai Romani si dovessero intendere tutte quelle che non furono inventate dai Romani stessi, converrebbe dire che le più di▶ esse fossero straniere, fatte poche eccezioni ◀di▶ Divinità Italiche e dell’apoteosi ◀di▶ qualche Virtù e ◀di▶ qualche Vizio, come abbiamo notato nel corso ◀di▶ questa Mitologia. I Romani infatti che per ordine ◀di▶ tempo comparvero gli ultimi nella scena politica del mondo antico e costituirono l’ultima e al tempo istesso la più potente monarchia prima che sorgesse il Cristianesimo, portarono già radicato negli animi loro e impiantarono officialmente nella loro città, sin dalla sua fondazione, il Politeismo Troiano e Greco. Racconta lo stesso Tito Livio che i Troiani profughi dalla loro città distrutta dai Greci vennero in Italia seguendo il loro Duce Enea principe troiano, creduto figlio ◀di▶ Venere e ◀di▶ Anchise ; che Enea fece alleanza con Latino re dei Latini e ne sposò la figlia Lavinia ; che Ascanio figlio ◀di▶ Enea e ◀di▶ Creusa fondò Alba Lunga ; che dalla dinastia dei re Albani discesi in linea retta da Enea, nacque il fondatore ◀di▶ Roma a cui si attribuì per padre il Dio Marte. Dal che si deduce che le Divinità adorate allora nel Lazio e nel territorio stesso ove sorse Roma esser dovevano per la massima parte quelle stesse dei Troiani e dei Greci al tempo della guerra ◀di▶ Troia, poichè Omero in tutta quanta l’Iliade ne rammenta sempre almeno le principali, come adorate egualmente da entrambe le nazioni. E poi, in quanto al Politeismo dei Romani, aggiungendovisi le tradizioni che l’Arcade Evandro, creduto figlio della Dea Carmenta, venuto nel Lazio prima ◀di▶ Enea, avea fondata la città ◀di▶ Fenèo su quel monte che dal nome ◀di▶ suo figlio Pallante fu detto il Palatino, sarà necessario ammettere che egli avesse introdotto il politeismo greco nel luogo stesso che in appresso fu il centro della nuova città ◀di▶ Romolo : tanto è vero che anche a tempo ◀di▶ Cicerone, com’egli afferma nelle sue lettere, esisteva nel monte Palatino l’antro consacrato da Evandro al culto del Dio Luperco, vale a dire del Dio Pane. Si continuarono inoltre in Roma sino agli ultimi tempi dell’impero pagano le Feste Carmentali, cioè in onore della Dea Carmenta madre ◀di▶ Evandro. Anche il culto ◀di▶ Ercole Tebano fu introdotto nella stessa regione da Evandro ed accolto dai popoli limitrofi in ringraziamento dell’averli Ercole liberati da quel mostro dell’assassino Caco,
« Di sangue fece spesse volte laco. »
Della qual liberazione e del qual culto non solo ragionano a lungo Virgilio nel lib. ix dell’Eneide ed Ovidio nel lib. i dei Fasti, ma anche Tito Livio nel lib. i e ix della sua Storia e Valerio Massimo in più luoghi, e ci fanno sapere che l’ara consacrata ad Ercole in Roma chiamavasi Massima, e che suoi sacerdoti erano i Potizii e i Pinarii. Lo stesso Numa Pompilio che inventò tante cerimonie e pratiche religiose, non aggiunse alcun Dio a quelli adorati al tempo ◀di▶ Romolo ; e solo fece credere che quanto egli ordinava gli fosse suggerito dalla Ninfa Egeria. La base adunque della religione dei Romani era il politeismo dei Troiani e dei Greci già professato da Romolo e dai suoi compagni prima ◀di▶ fabbricare la città ◀di▶ Roma. Quando dunque dai Mitologi si parla ◀di▶ Dei stranieri adorati dai Romani non si deve intender delle greche Divinità che i Romani conoscevano e adoravano sin dall’origine ◀di▶ Roma, ma ◀di▶ tutte le altre ◀di▶ qualsivoglia nazione delle quali era ammesso o almeno tollerato il culto in Roma, dopo che fu accordata la cittadinanza romana a tutti i popoli conquistati. Per altro raramente i poeti greci e i latini rammentano qualche divinità delle altre nazioni, e solo alcuni ◀di▶ loro fanno un’eccezione per le principali Divinità Egiziane, che sono Osìride, Iside ed Anùbi.
Quantunque i Greci sotto Alessandro Magno, e trecento anni dopo ◀di▶ loro i Romani sotto Cesare, Marc’ Antonio ed Augusto, avessero conquistato l’Egitto, poche e sconnesse notizie ci hanno tramandato gli scrittori ◀di▶ ambedue quelle nazioni relativamente al feticismo Egiziano ed alle idee religiose che quel popolo annetteva al suo stravagantissimo culto. L’antico Egitto rimane tuttora in molte parti, e materiali e morali, un mistero. Sono tuttora soggetto d’interminabili dispute non solo il feticismo e l’interpretazione dei geroglifici, ma pur anco le piramidi, gli obelischi, l’istmo, le oasi, il delta, le bocche o foci del Nilo e la stessa sorgente ◀di▶ questo fiume.
L’Egizia Dea Iside, poichè credevasi che fosse la stessa Ninfa Io trasformata in vacca da Giove, fu ben presto adorata ed ebbe un tempio in Roma, come asserisce Lucano nel lib. viii della Farsalia :
« Nos in templa tuam Romana accepimus Isim. »
Di questa Dea eran devote principalmente le donne ; tra le quali è rammentata da Tibullo la sua Delia, che passò ancora qualche notte avanti le porte del tempio d’Iside a pregar la Dea per la salute ◀di▶ Tibullo stesso che era infermo in Corfù. I sacerdoti Isiaci portavano il capo raso ed erano vestiti ◀di▶ tela ◀di▶ lino, e perciò si chiamavano linìgeri ; e linìgera trovasi detta la stessa Dea Iside. Lo stromento sacro per le cerimonie religiose era il sistro, formato ◀di▶ una larga lamina ◀di▶ metallo piegata in figura ellittica, nella quale inserivansi diverse bacchette mobili parimente ◀di▶ metallo ; e se ne traeva un suono musicale con studiati e regolari colpi e movimenti.
I Romani adoravano Iside sotto la forma ◀di▶ donna ; ma gli Egiziani sotto quella ◀di▶ vacca, perchè credevano che questa Dea insieme col suo fratello e marito Osiride, dopo avere insegnato a loro l’agricoltura, si fossero trasformati essa in vacca ed Osiride in bove o toro. Nè gli Egiziani si contentavano ◀di▶ adorare queste due Divinità sotto la forma dei suddetti animali, ma tenevano nel loro tempio e prestavano il loro culto ad un bue vivente a cui davasi il nome ◀di▶ Bue Api. Questo bue aveva il pelo nero, e soltanto nella fronte era bianco ed in alcuni punti della groppa. I sacerdoti Egiziani dopo tre anni lo annegavano in un lago, e poi dicevano che era morto o perduto ; ◀di▶ che facevasi un gran lutto con gemiti e pianti da tutto il popolo ; ma dopo tre giorni, avendo già pronto un altro bove simile, dicevano che si era ritrovato o era risuscitato ; e il popolo ne faceva maravigliosa festa. Con queste stravaganti cerimonie volevasi alludere alla favola o tradizione Egizia che Tifòne avesse ucciso segretamente il suo fratello Osiride ; e che questi poi fosse trasformato in bove. Aggiungono inoltre che Iside insieme con suo figlio Oro uccidesse Tifone in battaglia.
Osìride è chiamato ancora Seràpide ; sotto ambedue i quali nomi è rammentato dagli scrittori latini. Nel tempio d’Iside e ◀di▶ Seràpide ponevasi la statua del Dio Arpòcrate che era considerato come Dio del silenzio, e perciò rappresentavasi in atto ◀di▶ premer le labbra col dito indice della mano destra, segno usitatissimo ed espressivo d’intimazione ◀di▶ silenzio. Quest’atto è anche segno ◀di▶ stare attenti, come abbiamo in Dante :
« Perch’io, acciò che ‘l Duca stesse attento,« Mi posi il dito su dal mento al naso. »
I Latini poi, e fra questi Catullo, usarono la frase reddere aliquem Harpocratem per significare ridurre qualcuno al silenzio.
Trovasi anche rammentato dagli scrittori latini il Dio Anùbi, che gli Egiziani dicevano esser figlio ◀di▶ Osiride, e lo rappresentavano sotto la forma ◀di▶ cane e talvolta ◀di▶ uomo, ma però sempre colla testa ◀di▶ cane, come se ne vedono alcuni idoletti ◀di▶ metallo nel Museo Egiziano. Virgilio stesso nel libro ix dell’Eneide nomina il latrator Anubis ; ma pare che, in generale, i Romani non avessero gran devozione per questi mostruosi Dei Egiziani, poichè Giovenale, nella Satira xv, così ne parla :
« Chi, o Vòluso, non sa quai mostruose« Adora deità l’Egitto stolta ?« Serpi Ibi sazia a venerar si volta ;« Di sacri omaggi segno eziandio pose« Caudata scimia in fulgid’oro scolta« Là dove a Tebe diroccata accanto« Scioglie i magici suon Mennone infranto.« Quinci il gatto in onor, quindi è a vedere« Fluviatil lato accor devoto incenso ;« E non anzi a Diana, il popol denso :« Violar cipolle e porri, o far parere« Sol d’azzannarli, fora un fallo immenso.« O sante genti, a cui da terra sorti« Questi Numi sì ben nascon negli orti !