XXVI
Nettuno re del mare e gli altri Dei marini
Gli Antichi non conoscevano neppure la decima parte della estensione del mare e neppur la parte millesima delle maraviglie che esso racchiude nel suo seno. Ma quanto erano scarsi di▶ cognizioni positive e scientifiche, altrettanto erano ricchi ◀di▶ fantasia e d’invenzione. E non è necessario ◀di▶ aver scoperto come Balboa dall’alto delle Ande il grande Oceano equinoziale per esser compresi ◀di▶ maraviglia all’idea dell’Immenso e cader prostrati a terra, com’esso, o almeno
« Colle ginocchia della mente inchine »
come diceva il Petrarca ; ma basta l’essersi trovato o ◀di▶ giorno o ◀di▶ notte,
« O quando sorge o quando cade il die »
in mezzo olle onde dove non apparisce più terra alcuna e null’altro vedesi che Cielo ed acqua209), per sentirsi intenerito il core210) e rapita in estasi l’immaginazione211). Non deve dunque recar maraviglia che i Pagani i quali avevan popolato ◀di▶ Dei il Cielo e la Terra personificando gli oggetti creati e i fenomeni naturali, avesser fatto altrettanto nel mare. E quantunque non conoscessero in tutta la loro estensione che i principali mari interni ◀di▶ quello che ora chiamasi il Mondo antico, avevan però un’idea generale dell’Oceano che cinge da tutte le parti la Terra, e perciò lo chiamavan circumvagus, ossia che gira all’intorno, perchè vedevano da ogni parte dove finivan le terre da loro conosciute, una immensa e per loro incommensurabile estensione ◀di▶ onde salse, ove andavano a gettarsi le acque ◀di▶ tutti i più grandi fiumi. Cominciarono dunque dal divinizzare l’Oceano stesso come avevano divinizzato il Cielo sotto il nome ◀di▶ Urano, e la Terra sotto il nome ◀di▶ Vesta Prisca o ◀di▶ Cibele. L’Oceano fu dunque considerato come il più antico degli Dei marini, perchè era il mare stesso, come Urano il più antico degli Dei celesti, perchè era lo stesso Cielo. Quindi non solo i poeti greci e i latini, ma pur anco gl’italiani lo invocano come un Nume. Anche il fiorentino poeta Alamanni, il celebre autore della Coltivazione, amantissimo della libertà della patria, che fu in quel tempo oppressa dai Medici, in un suo sonetto prega il padre Oceano, che rammenti
« All’onorato suo figliol Tirreno, »
che si svegli omai ; ma il Tirreno e l’Arno, non men che gli altri mari e fiumi d’Italia dormirono per più ◀di▶ trecento anni !212
Abbiamo detto altra volta (V. il N. XI) che agli Dei davasi il titolo ◀di▶ Padre in segno ◀di▶ affettuosa venerazione ; e l’Oceano lo merita al par ◀di▶ Giove, e pei grandi benefizii che arreca agli uomini colle innumerevoli e maravigliose produzioni ; ed anche, secondo la Mitologia, pel gran numero dei suoi figli, che Esiodo fa ascendere a 6000 ; cioè 3000 fiumi e 3000 ninfe Oceanine. La sua moglie che l’arricchì ◀di▶ sì numerosa prole era Teti 213), dea marina anch’essa, ben diversa però dalla Ninfa Teti, madre ◀di▶ Achille. Secondo Omero, l’Oceano ha il suo palazzo nelle acque del mare agli estremi confini delle Terra, e questo palazzo, secondo altri poeti, è d’oro. Ma quantunque l’Oceano sia venerato come il più antico Dio marino, non ha peraltro l’impero assoluto del mare, che toccò in sorte a Nettuno fratello ◀di▶ Giove, dopo la guerra contro i Giganti, alla quale l’Oceano non prese parte.
Il nome ◀di▶ Nettuno, dio e re del mare deriva, come dice Varrone, da un verbo latino (nubere), che significa velare o cuoprire, perchè il mare ricuopre la maggior parte (precisamente tre quarti) della superficie terrestre214). In greco chiamasi Poseidon, che direbbesi in italiano Posidone e significa spezza navi, nome poco o nulla usato, per quanto io mi ricordi, dai poeti latini e italiani.
Le statue ◀di▶ questo Dio si vedono in molte fonti pubbliche e private ; e la più celebre come opera d’arte è quella ◀di▶ Giovan Bologna in Bologna ; ed una delle più goffe è quella dell’Ammannato nella fonte ◀di▶ Piazza della Signoria ◀di▶ Firenze215). Ma tutte presentano presso a poco gli stessi emblemi o distintivi ; il più caratteristico dei quali è il tridente, che consiste in una forca con tre corni o punte ; ed è questo il potente scettro ◀di▶ Nettuno col quale comanda ai flutti e scuote la Terra cagionando terremoti216). Ha in testa una corona d’alghe o altre piante marine, e sta in una gran conchiglia posta sopra un carro tirato da quattro cavalli marini attaccati ◀di▶ fronte.
I Romani avanti la prima guerra punica poco lo consideravano ed adoravano come Dio del mare, ma più generalmente, a tempo ◀di▶ Romolo, come Dio del consiglio sotto il nome ◀di▶ Conso, e in appresso anche come protettore dei cavalli e dei cavalieri col titolo ◀di▶ Nettuno equestre, alludendosi alla favola che questo Dio nella gara con Minerva per dare il nome alla città ◀di▶ Cecrope avesse prodotto il cavallo. Ma quando P. Scipione Africano partì dalla Sicilia andando con una flotta a fiaccare in Affrica la potenza cartaginese, fece dall’alto della nave una pubblica preghiera a tutti gli Dei e le Dee del mare, come lo stesso Tito Livio riferisce nella sua Storia, trascrivendo o componendo ◀di▶ suo le solenni frasi rituali.
Se non è bene che l’uomo sia solo sulla Terra, vale a dire senza aver moglie e famiglia, sarà questo non men vero nel Mare ; e se il matrimonio può convenire in generale a qualunque privato, tanto più conviene a un re, e specialmente a un re assoluto che è padrone ◀di▶ tutto217), e a cui non può mancar mai un lauto trattamento per una numerosa famiglia. Perciò Nettuno si risolse ben presto a prender moglie ; e scelse per sua sposa la dea Amfitrite, figlia ◀di▶ Nereo e ◀di▶ Dori, e quindi nipote dell’Oceano e ◀di▶ Teti. Da prima pareva che Amfitrite acconsentisse a questo matrimonio, ma poi avendo cangiato ◀di▶ avviso, Nettuno le mandò due eloquentissimi delfini a persuaderla ; i quali adempiron così bene la loro commissione, che condussero seco, portandola alternativamente sul loro dorso, la sposa a Nettuno ; ed egli per gratitudine li trasformò nella costellazione dei Pesci, che è uno dei dodici segni del Zodiaco.
Da questo matrimonio nacque il Dio Tritone che fu lo stipite delle diverse famiglie e tribù dei Tritoni, i quali formarono il corteggio e la guardia d’onore delle principali divinità marine.
Amfitrite è nome ◀di▶ greca origine che significa romoreggiante o corrodente all’intorno, e sta ad indicare i flutti marini e gli effetti ◀di▶ essi sui lidi : etimologicamente è un quid simile dell’Oceanus circumvagus dei Latini. È rappresentata questa Dea come un’avvenente giovane con una reticella da capelli che le cinge la testa, – probabilmente a significare la pesca colla rete. Le si dà ancora un carro a conto suo, simile a quello ◀di▶ Nettuno, con un particolar corteo ◀di▶ Ninfe e ◀di▶ Tritoni.
I nomi ◀di▶ ambedue queste Divinità (Nettuno e Amfitrite) significano per metonimia il mare, nelle lingue greca e latina ; ma nell’italiana si preferisce il nome ◀di▶ Nettuno.
Dante, nel Canto xxviii dell’Inferno, rammentò questo Dio nel senso mitologico e figurato :
« Non vide mai sì gran fallo Nettuno,« Non da pirati, e non da gente Argolica ; »
per dire che non fu commesso mai prima d’allora nel mar Mediterraneo un sì orribil delitto.
Gli astronomi diedero il nome ◀di▶ Nettuno al più lontano pianeta del nostro sistema solare, preconizzato da Leverrier dietro le osservazioni ed i calcoli sulle perturbazioni ◀di▶ Urano, e veduto per la prima volta da Galle a Berlino il 23 settembre 1846. E coerentemente al nome mitologico, il simbolo o segno astronomico ◀di▶ questo pianeta è un circolo sormontato da un piccolo tridente.
Nella nautica si chiamano Nettuni le collezioni ◀di▶ carte nautiche ; la qual denominazione mitologica è analoga a quella che fece chiamare Atlanti le collezioni delle carte geografiche.
In geologia dicesi Nettunismo il sistema geologico che attribuisce la formazione della maggior parte delle roccie del nostro globo all’azione dell’acqua ; Nettuniani gli stessi depositi ◀di▶ precipitazione, e Nettunisti i seguaci ◀di▶ questa ipotesi.
Anche la moglie ◀di▶ Nettuno ebbe onori celesti dagli astronomi, i quali diedero il nome ◀di▶ Amfitrite al 29° pianeta telescopico scoperto da Marth il 1° marzo 1854. E Cuvier assegnò il nome ◀di▶ Amfitrite a un genere ◀di▶ Annelidi della famiglia dei Tubicoli, che abitano in tubi leggieri che questi animali si fabbricano da sè stessi e seco trasportano. Tra questi si distingue pe’suoi diversi colori l’Amfitrite dorata (Amphitrite auricoma).
I Tritoni eran creduti e rappresentati mezzi uomini e mezzi pesci ; ◀di▶ figura umana dai fianchi in su, e in tutto il resto pesci. La loro occupazione era quella ◀di▶ tenere allegre le Divinità del mare (come i Satiri le terrestri Divinità) e ◀di▶ suonar la tromba marina 218), che era una conchiglia ritorta simile a quelle dette volgarmente nicchie, che orridamente suonano i nostri zotici Eumei alle mandre suine. Forse i Tritoni avran saputo trame più dolci suoni ; ma, comunque ciò fosse, questo strumento è il distintivo per cui riconosconsi i Tritoni stessi nelle opere d’arte. Si sottoscrivono a questa favola anche i naturalisti, poichè hanno dato il nome ◀di▶ Tritone a un genere ◀di▶ molluschi gasteropodi che formano conchiglie talvolta grandissime, e che si trovano nella maggior parte dei mari. Convien qui rammentare principalmente quella conchiglia che i naturalisti dicono Tritone smaltato (Triton variegatus) e che volgarmente chiamasi tromba marina o conchiglia ◀di▶ Tritone ; e ◀di▶ queste alcune son lunghe sino a 60 centimetri. Trovasi chiamata scientificamente Tritone anche la salamandra aquatica ; e Tritoniani furon detti da alcuni geologi quei terreni che sono stati formati nelle acque marine, o anticamente o modernamente.
Turbe infinite ◀di▶ Ninfe o Divinità inferiori popolavano ed abbellivano, nella fantasia dei poeti, le onde del mare ; e ce le dipingono come vaghe e snelle giovinette con lunghe chiome (per lo più verdi)219), sciolte sulle spalle e grondanti acqua, perchè per lo più queste Ninfe nuotano nelle onde e tra i flutti come le folaghe procellarie ; tal’altra cavalcano un pesce e fanno una regata ◀di▶ nuovo genere che niun mortale vide giammai ; e spesso sono accompagnate dai Tritoni che fanno lazzi e salti, e suonano la tromba marina per divertirle.
Queste Ninfe eran distinte in tre classi : Oceanine, o Oceanitidi, Doridi e Nereidi. Le Ninfe Oceanine, così chiamate perchè figlie dell’Oceano e ◀di▶ Teti, erano, secondo Esiodo, 3000 ; e solamente ◀di▶ 41 ce ne dice il nome, ◀di▶ cui farò grazia al lettore, riserbandomi a nominarne qualcuna a tempo e luogo, quando cioè converrà raccontare che prese marito e fu madre ◀di▶ qualche altra Divinità.
Doridi e Nereidi son nomi patronimici ◀di▶ quelle Ninfe che eran figlie ◀di▶ Dori e ◀di▶ Nereo. Queste Ninfe, che eran qualche centinaio, hanno or l’uno or l’altro nome, cioè ◀di▶ Doridi derivato dalla madre, o ◀di▶ Nereidi dal padre ; ma il secondo è il più comunemente usato dai poeti, i quali annoverano fra le Nereidi la stessa Amfitrite moglie ◀di▶ Nettuno e la ninfa Teti madre ◀di▶ Achille. I naturalisti peraltro applicano distintamente ed arbitrariamente queste due denominazioni a due diverse specie ◀di▶ animali marini : chiamano Doridi un genere ◀di▶ molluschi gasteropodi della famiglia dei nudibranchi ; e danno il nome ◀di▶ Nereidi a quelle che volgarmente diconsi Scolopendre ◀di▶ mare. Ai naturalisti, per quanto pare, è molto piaciuto questo nome mitologico ◀di▶ Nereidi, poichè si trova che più e diversi ◀di▶ loro lo hanno assegnato (al solito con qualche aggettivo ◀di▶ specificazione) a molti generi e famiglie ◀di▶ Annelidi e simili animali marini.
Oltre le Divinità native o indigene, ammettevano nel mare i mitologi anche qualche Divinità avventizia o ascitizia, vale a dire trasumanata 220) dalla mortal condizione e natura. Tra queste convien rammentare la dea Leucotoe, il dio Palemone e il dio Glauco.
La dea Leucotoe era in origine la regina Ino moglie ◀di▶ Atamante re ◀di▶ Tebe ; e il dio Palemone il suo piccolo figlio chiamato Melicerta. Dal colmo-della sventura sofferta per l’odio e le persecuzioni ◀di▶ Giunone (nemica acerrima ◀di▶ quella regia famiglia, perchè vi apparteneva Semele madre ◀di▶ Bacco amata da Giove), passarono ambedue all’apoteosi per compassione delle benigne Divinità marine. Ma lasciamo raccontare a Dante la sventura ◀di▶ questa famiglia ; e poi poche altre parole basteranno a compir la narrazione del mito.
« Nel tempo che Giunone era crucciata« Per Semelè contra ’l sangue tebano,« Come mostrò già una ed altra fiata,« Atamante divenne tanto insano,« Che veggendo la moglie co’due figli« Andar carcata da ciascuna mano« Gridò : tendiam le reti sì ch’io pigli« La lionessa e i lioncini al varco :« E poi distese i dispietati artigli« Prendendo l’un ch’avea nome Learco,« E rotollo e percosselo ad un sasso ;« E quella s’annegò con l’altro incarco »221.
E l’altro incarco era l’altro figlio chiamato Melicerta ; e la favola aggiunge che invece ◀di▶ annegarsi divennero la Dea Leucotoe e il Dio Palemone.
Ora è da notarsi che gli Antichi fecero presiedere Leucotoe (chiamata dai Romani anche Matuta) alla calma del mare, e Palemone ai porti (e perciò fu chiamato anche Portunno). E fu saggio consiglio l’affidar la protezione dei naviganti e le due cose più da loro desiderate, cioè la calma del mare ed il ritorno in porto, a due Divinità che avevan provato le più terribili procelle ◀di▶ questo mare infido della vita222.
Di Glauco poi raccontano uno dei più strani e singolari miti, unico nel suo genere ; e ◀di▶ cui nulladimeno seppe valersi Dante come ◀di▶ similitudine per dare idea ◀di▶ uno dei suoi più straordinarii e sublimi concetti. La favola è questa : Glauco era un pescatore della Beozia, il quale un giorno si accorse che i pesci da lui pescati e deposti in terra sopra l’erba, gustando ◀di▶ quella prendevano un nuovo vigore e quasi una nuova vita, e spiccando un salto ritornavano in mare. Volle provare anch’egli a gustar ◀di▶ quell’erba, che subito gli fece lo stesso effetto, e sentendosi spinto e sollevato da forza soprannaturale, si trovò in un istante senza avvedersene in mezzo al mare, accolto dalle Divinità marine e trasformato in un Dio protettore della navigazione. Gli fu conservato il nome ◀di▶ Glauco che significa verde-azzurro, bene adatto ad indicare il colore che riflettono le onde del mare. Dante volendo raccontare che egli nell’ascendere al Cielo con Beatrice si sentì trasumanato e sospinto da forza soprannaturale verso il Cielo, ed in sì breve tempo,
« ….. in quanto un quadrel posa« E vola, e dalla noce si dischiava, »
trovò a proposito ◀di▶ citar l’esempio ◀di▶ Glauco per offrirci qualche immagine più sensibile del suo concetto :
« Qual si fe Glauco nel gustar dell’erba,« Che il fe consorto in mar cogli altri Dei »223.
Proteo, secondo gli antichi Mitologi, era figlio dell’Oceano e ◀di▶ Teti, ed avea per ufficio ◀di▶ condurre a pascer le mandre ◀di▶ Nettuno, che erano composte principalmente ◀di▶ orche, ◀di▶ foche e ◀di▶ vitelli marini. A questo Nume costituito in sì umile ufficio attribuirono una prerogativa degna dei più grandi Numi e dello stesso Giove, quella cioè ◀di▶ prevedere il futuro ; ed inoltre ◀di▶ poter prendere qualunque forma che più gli piacesse. Vi aggiunsero ancora una sua stranezza, che egli cioè non volesse presagire il futuro se non costretto, e che per esimersene si trasformasse in mille guise ; ed inventarono che bisognava legarlo mentre dormiva per costringerlo a dare i responsi, perchè allora, per quanto si sbizzarrisse a trasformarsi, se finalmente voleva riprender la primitiva sua forma e figura ◀di▶ Nume, trovavasi come prima legato, ed era costretto a rispondere veracemente alle domande che gli erano fatte.
Questo mito racchiude molte importanti verità e molti utili insegnamenti. Proteo che si trasforma in tutti gli esseri, ossia corpi dei tre regni della Natura, rappresenta la materia che prende tutte le forme, la qual materia perciò con allusione mitologica elegantemente è chiamata proteiforme. Proteo conosceva qualunque segreto degli Dei e ciò che fosse utile o dannoso ai mortali, ma per rivelarlo ad essi bisognava che vi fosse costretto : così la materia contiene in sè tutti i segreti della Natura, ossia le leggi che regolano il mondo fisico, ma non le rivela, se non costretta. Il modo ◀di▶ costringer Proteo era quello ◀di▶ legarlo ; ed egli allora prendeva successivamente tutte le più strane forme, ma finalmente ritornava in quella primitiva, e allora rendeva all’interpellante la desiderata risposta. Così la materia è tenuta avvinta coll’assidua osservazione dei fenomeni e colle reiterate esperienze, e quando essa, dopo aver subìto tutte le fasi dell’analisi e della sintesi, ritorna nella forma primitiva, rivela allora il segreto richiestole. E come non bisognava stancarsi ad aspettare, se Proteo con una lunga serie ◀di▶ trasformazioni tardasse a riprender la sua prima figura, così conviene che gli studiosi non si stanchino dal proseguir lungamente le loro osservazioni ed esperienze, se voglionc scuoprire i segreti, ossia le leggi della Natura.