XXXVI
Le Ninfe
Nel parlar delle Divinità marine notammo che▶ v’erano seimila Ninfe Oceanitidi e alcune centinaia di Nereidi e di Doridi, oltre all’aver detto anche prima, ◀che▶ Giunone aveva per suo corteo quattordici Ninfe, Diana cinquanta e Cerere e Proserpina non si quante. Parrebbe dunque ◀che▶ l’argomento delle Ninfe dovesse essere esaurito. Ma non è così, perchè v’è ancora da parlare delle Ninfe dei monti, delle valli, delle fonti, dei boschi e perfino degli alberi. Perciò il loro numero non potrebbero dirlo nemmeno i più valenti Geografi, in quanto ◀che▶ non sono stati a contar sul globo tutte le fonti, e tanto meno tutti i boschi e boschetti, a cui pur presiedevano almeno altrettante Ninfe.
Ninfa è parola di origine greca, ◀che▶ fu adottata dai Latini e conservata dagli Italiani nello stesso duplice significato primitivo, cioè di Dea inferiore e di giovane donna, perchè credevasi ◀che▶ le Ninfe non invecchiassero mai. Perciò si trovan sempre rappresentate come giovinette ingenue, semplicemente vestite, e tutt’al più ornate di fiorellini campestri come le pastorelle.
Ammettevano per altro i Mitologi un grande assurdo, ◀che▶ cioè queste Divinità potessero morire ; il ◀che▶ è una contradizione in termini teologici. Erano meno assurdi i romanzieri del Medio Evo, ◀che▶ avendo inventato le Fate con potenza soprannaturale benchè limitata, credevano ◀che▶ non morissero mai :
« Morir non puote alcuna fata mai, »
disse l’Ariosto, ◀che▶ di Fate se ne intendeva.
Gli appellativi di Oreadi, Napee, Naiadi e Driadi, ◀che▶ si diedero alle Ninfe, indicano col loro significato a quali cose queste Dee presiedevano ; poichè derivano da greci nomi significanti monti, valli, acque, quercie, e per catacresi, ossia abusivamente o estensivamente, alberi. Amadriadi poi è un greco vocabolo composto, ◀che▶ significa insiem colla quercia, o come si è detto di sopra, coll’albero ; e davasi questo titolo a quelle Ninfe la cui esistenza era legata alla vita vegetativa di una data pianta ; inaridendosi la quale, oppure essendo recisa o arsa, periva ad un tempo la Ninfa Amadriade. — Questi termini essendo significativi degli attributi speciali di quelle Ninfe a cui erano assegnati, conviene ◀che▶ li tengano a memoria anche coloro ◀che▶ non studiano le lingue dotte, perchè li adoprano non solo i poeti greci e i latini, ma altresì, benchè più di rado, gl’ italiani.
Molte di quelle Ninfe a cui fu dato un nome proprio dai Mitologi e dai poeti furono da noi rammentate sinora : qui torna in acconcio di far parola di qualche altra ◀che▶ non troverebbe luogo più opportuno altrove. Tra le quali son da rammentarsi pel loro proprio nome le Ninfe ◀che▶ ebbero cura dell’infanzia di Giove, cioè Amaltea e Melissa. Queste nutrirono l’infante Nume col latte di una capra detta comunemente Amaltea dal nome di una di queste due Ninfe a cui apparteneva. La qual capra fu poi da Giove trasportata in Cielo e cangiata nella costellazione del Capricorno, segno dello Zodiaco, corrispondente al solstizio invernale, e ◀che▶ rifulge di sessantaquattro stelle. Alcuni Mitologi dicono ◀che▶ anche la Ninfa Amaltea fosse cangiata insieme con la sua capra in quella costellazione25. Della Ninfa Melissa poi raccontano ◀che▶ fosse stata la prima a scuoprire il miele in un alveare dentro un albero incavato o corroso dalla vecchiezza ; e ◀che▶ essa poi fosse cangiata in ape.
La favola della Ninfa Eco cangiata in voce è raccontata anche in un modo diverso da quello ◀che▶ accennammo nel Cap. XXXIV ; ed è collegata colla favola di Narciso. E poichè Dante allude ad ambedue queste favole nella Divina Commedia, è necessario il farne qualche cenno.
La Ninfa Eco figlia dell’ Aere e della Terra si era invaghita del giovane Narciso figlio della Ninfa Liriope e del fiume Cefiso ; il qual Narciso era così vano della propria bellezza ◀che▶ non amava ◀che▶ sè stesso e disprezzava superbamente ogni persona. La Ninfa Eco se ne afflisse tanto, e si consumò talmente dal dolore, ◀che▶ di essa vi rimase la voce sola ◀che▶ ripeteva appena le ultime parole altrui. A questa favola allude Dante nel Canto xii del Paradiso coi seguenti versi :
« A guisa del parlar di quella vaga (la Ninfa Eco)« Ch’amor consunse come Sol vapori ; »
e fa questa similitudine per dar la spiegazione ◀che▶ quando compariscono nel Cielo due Iridi, o come dice Dante :
« Due archi paralleli e concolori« Nascendo di quel d’entro quel di fuori, »
ciò avviene per riflessione dei raggi della luce, come il parlar dell’ Eco per riflessione del suon della voce.
Quanto poi all’orgoglioso amor proprio di Narciso, la Mitologia inventò molto a proposito ◀che▶ egli ne fu punito coll’essersi innamorato della propria immagine, veduta nello specchio delle acque di una fonte, e ◀che▶ credendola una Ninfa stette tanto a guardarla ◀che▶ ivi morì di estenuazione e fu cangiato nel fiore ◀che▶ porta il suo nome. Dante allude più d’una volta a questa favola, come, per esempio, nel Canto xxx dell’Inferno, ove un dannato dice ad un altro :
« Che s’io ho sete, e umor mi rinfarcia,« E per leccar lo specchio di Narcisso (cioè l’acqua)« Non vorresti a invitar molte parole. »
E nel Canto III del Paradiso, descrivendo le anime beate ◀che▶ egli vide nel globo lunare, dice ◀che▶ gli eran sembrate immagini riflesse dall’ acque nitide e tranquille, anzi ◀che▶ esseri di per sè esistenti, conchiudendo con la seguente osservazione tratta dalla favola di Narciso :
« Perch’io dentro l’error contrario corsi
cioè tra Narciso e l’immagine sua reflessa dall’acqua.
Anche la Ninfa Galatea è molto rammentata, specialmente dai poeti latini, come una delle più belle Ninfe ; e dicono ◀che▶ se ne fosse invaghito quel mostruoso gigante Polifemo ◀che▶ fu re dei Ciclopi ; ma vedendosi preferito il pastorello Aci, lo uccise gittandogli sopra dall’ alto di un monte un macigno. Gli Dei cangiarono Aci in fiume ◀che▶ scorre nella Sicilia. I pittori hanno gareggiato a rappresentar Galatea di bellissime forme, ed una delle più belle è quella ◀che▶ vedesi nella Galleria degli Uffizi in Firenze.
Le Ninfe oltre ad esser giovani e belle, erano anche generalmente buone e cortesi ; e perciò tanto nelle lingue antiche quanto nelle moderne, e specialmente nella nostra, questo termine di Ninfa, anche nel senso traslato, cioè non mitologico, ha sempre un significato favorevole. Tant’è vero ◀che▶ Dante l’assegnò perfino alle Virtù Cardinali, ◀che▶ sotto forma ed abito femminile accompagnavano Beatrice ; e fa dire alle medesime nel canto xxxi del Purgatorio :
« Noi sem qui Ninfe e nel Ciel semo stelle :« Fummo ordinate a lei per sue ancelle. »
E nel rammentar questo passo il can. Bianchi, ◀che▶ fu segretario dell’Accademia della Crusca, così lo spiegò : Le virtù morali sono ninfe nella vita mortale, ◀che▶ abbellano e felicitano, operando, l’umanità ; sono stelle nel Cielo, da cui derivano e dove Dio le premia. » La quale spiegazione dimostra ◀che▶ ad un teologo, e al tempo stesso elegante scrittore, parve opportunamente adoprata in verso e in prosa la parola Ninfe anche in argomento religioso. Tanto più dunque, concluderemo, in soggetti profani.
Infatti, anche gli Scienziati trovarono da far nuove applicazioni del significato di questo nome e da formarne vocaboli derivati e composti. Gli Zoologi nello studiarsi d’indicare con nomi diversi le successive metamorfosi di certe specie di animali, e principalmente degli insetti, presero dalla Mitologia il vocabolo di ninfa per significare l’insetto nello stato intermedio fra quello di larva e lo stato estremo o perfetto ; e dimostrarono così di aver bene inteso ◀che▶ le Ninfe mitologiche non eran perfette divinità, ma in una condizione media fra quella degli uomini e quella degli Dei supremi. Stabilita la base, e lieti della prima applicazione bene appropriata, presero coraggio a metterne fuori anche altre, e diedero il nome di Ninfale a un genere di Lepidotteri diurni della tribù dei Papilionidi ; e poi al Ninfale del pioppo (N. populea) assegnarono anche un altro nome più familiare e comune, tratto parimente dalla Mitologia, vale a dire Gran Silvano.
I Botanici anch’essi nel determinare la nomenclatura delle piante aquatiche si ricordarono di aver trovato nella Mitologia, o in qualche classico, certe Ninfe dell’acqua, o ◀che▶ stavano nell’acqua, (il nome preciso di Naiadi non pare ◀che▶ lì per lì lo avessero ben presente) e si affrettarono a chiamar Ninfèa una pianta aquatica (detta altrimenti Nenufar e volgarmente giglio degli stagni), e ne fecero il tipo della famiglia delle Ninfacee, ossia delle piante erbacee aquatiche congeneri alla Ninfèa.
In Architettura poi sin dal tempo dei Classici greci e latini chiama vasi Ninfèo non solo il tempio sacro alle Ninfe, ma altresì una particolar costruzione architettonica, o fabbrica sui generis, destinata il più spesso ad uso di bagni, annessa ai palazzi e alle ville dei più doviziosi cittadini, ove, oltre le acque scorrenti in ruscelli e zampillanti in fontane (e necessariamente le vasche e i bacini), aggiungevansi per ornamento e statue e vasi e talvolta ancora un tempietto dedicato alle Ninfe.